Twenty-eight di Esse Pi (/viewuser.php?uid=113264)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. In The Middle Of The Night ***
Capitolo 2: *** II. A Little Connection Between Them ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVII ***
Capitolo 28: *** XXVIII ***
Capitolo 29: *** XXIX ***
Capitolo 30: *** XXX ***
Capitolo 31: *** XXXI ***
Capitolo 32: *** XXXII ***
Capitolo 33: *** XXXIII ***
Capitolo 1 *** I. In The Middle Of The Night ***
Twenty-eight
Twenty-eight
In The Middle Of The Night
(2005)
Uscì da quella casa maledicendo il
motivo per cui c’era entrata. Non aveva proprio voglia di quella festa, eppure
ce l’avevano portata. Ma la cosa più stupida era che lei c’era andata senza
nemmeno opporre troppa resistenza. Solo all’inizio aveva iniziato a ritrarsi, ma
non seppe come, ci si era ritrovata dentro. Tutti gli amici se n’erano andati –
persino Chiara – e lei non aveva potuto fare altro che divertirsi ad
assaggiare tutti i peggiori intrugli che i suoi compagni di università avevano
creato a partire da delle semplici bottiglie di Vodka, rum e chissà che altro.
Certo, anche quelli da soli non erano proprio quel che a rigor di logica si
sarebbe definito “salubre”, quindi immaginava già cosa sarebbero diventati quei
pochi ingredienti mischiati tra loro. Però aveva iniziato a bere, e se lei
iniziava a bere, difficilmente smetteva.
Solo quando rischiò di prendere a botte
un ragazzo più giovane che cercava di palparle il sedere, si costrinse ad
abbandonare quella casa con l’intenzione di tornare alla sua, ma già dopo
qualche metro passato a barcollare ed ad appoggiarsi a qualche macchina per non
cadere del tutto per terra, rifletté su quanto fosse stata idiota. Come poteva
sperare di raggiungere casa in quelle condizioni? Era vero che era il centro
storico e le macchine non potevano passarci come se fosse un’autostrada, ma
c’era il rischio dietro ad ogni angolo vista l’ora tarda. Come minimo erano le
cinque del mattino, e il giorno dopo aveva pure lezione alle nove.
Imprecò e si accostò al muro con una
mano, seguendo il perimetro con il tatto per andare avanti, gli occhi aperti le
facevano aumentare il mal di testa già assillante. Non doveva bere così tanto.
Maledì la sua coinquilina per non esserle stata vicina e poi maledì se stessa
per la sua indole a dare sempre la colpa agli altri.
No, in effetti c’era qualcuno a cui
dare veramente la colpa, ma solo ricordare il suo nome la faceva imbestialire
ancora di più, quindi preferì lasciare i suoi pensieri già contorti e sempre più
astratti, prendere il sopravvento.
Camminò per metri senza sapere nemmeno
dove si stesse dirigendo, quando finalmente, guardandosi con fatica attorno,
riconobbe il luogo. Raggiunse il portone di vecchio legno che vedeva appannato
sulla sua destra e tentò di raggiungere il campanello. Premette il bottone una
volta, ma nessuno le rispose e lei, per la frustrazione, diede un calcio al muro
davanti a sé con i suoi stivali marroni.
Si fece male, così male che si accucciò
e si coprì il piede destro con le mani, facendo pressione come per far passare
il dolore, ma fu inutile. Anche in quel caso non mancarono le maledizioni
lanciate alla stessa persona innominabile che l’aveva portata a ridursi così,
ovviamente indirettamente, ma era comunque responsabile e lei mai e poi mai
avrebbe permesso che sfuggisse alle conseguenze che lei doveva subire per come
era stata trattata.
Si rialzò con gli occhi lucidi per il
piede che ancora sentiva pulsare e premette ancora il pulsante, questa volta più
a lungo: almeno dieci secondi.
“Chi cazzo è a quest’ora?” rispose una
voce ostile, leggermente appesantita e biascicata.
“Aprimi.” Disse lei senza nemmeno
degnarsi di chiedere scusa per il disturbo.
“Nemmeno fossi l’ultima persona sulla
terra.” Decretò la voce, riappendendo il citofono e chiudendo la conversazione
con un rumore secco.
Lei batté un piede per terra –
ricordandosi solo in quel momento la pulsazione che non era ancora del tutto
passata – e imprecò, premendo nuovamente il bottone del campanello.
Questa volta, non ottenne risposta da
quell’oggetto, ma dal balcone sopra di lei che si aprì violentemente e da cui
apparve un ragazzo con addosso solo i pantaloni di una tuta nera. La ragazza
nemmeno si preoccupò di pensare al fatto che stesse dormendo.
“Aprimi, pezzo di imbecille!” urlò.
“E stai zitta, che dormono tutti qui!”
berciò lui in risposta. “Poi danno la colpa a me e mi buttano fuori di casa.”
“Tanto sei al nero là dentro!” ribatté
lei, indicandolo come per minacciarlo. A guardare verso l’alto, barcollò ed andò
a sbattere contro la macchina che si trovava dietro, per poi cadere per terra.
“Merda…” mormorò il ragazzo esasperato.
“Perché vieni a rompere i coglioni proprio a me? Cosa ti ho fatto?”
“Vuoi proprio che te lo ricordi?”
ringhiò lei, restando seduta per terra a massaggiarsi la schiena che aveva
battuto. Si mise poi a gambe incrociate e rialzò la testa verso di lui. Tanto,
più in terra di così non poteva andare.
“Che palle.” Fece lui. “Aspetta che
vengo.” Acconsentì. “E intanto tirati giù la gonna che ti si vedono le mutande.
Non vorrei che un malintenzionato possa stuprarti mentre scendo le scale.” E
tornò dentro, chiudendo le porte del terrazzo dietro di sé.
“Ah, ora ti preoccupi anche per me?”
continuò a gridare lei. L’idea che lui potesse essere accusato di disturbatore
della quiete pubblica non poteva che farle piacere. “Peccato che facendo così
non sembri altro che un ipocrita! Stronzo!” continuò imperterrita, forse aiutata
anche dall’alcool che poteva benissimo aver preso il posto del sangue nelle sue
vene. “Sappi solo che se non vieni subito ad aprirmi, mi attacco al campanello a
peso morto! Non ti farò più dormire! Te lo giuro!” si passò una mano tra i corti
capelli rossicci e si tolse un piccolo ciuffo da davanti agli occhi.
“Ma stai zitta!” gli rispose lui,
aprendo il vecchio portone con un fragoroso rumore meccanico. Pure quel
fastidioso scricchiolio che ne seguì, sapeva di antico. “Possibile che tu non
faccia altro che lamentarti? E poi si può sapere cosa ci fai a quest’ora sotto
casa mia?” le si avvicinò e la prese per un braccio, costringendola ad alzarsi.
Aveva addosso un giacchetto che si doveva essere messo per l’occorrenza.
“Mi so alzare da sola.” Si impuntò lei,
facendo resistenza, gli occhi serrati.
“Ma non farmi ridere, non ti reggi
nemmeno in piedi.” La riprese lui, facendola alzare con uno strattone. La
ragazza cascò in avanti e sbatté contro di lui, che le afferrò le spalle con le
braccia. L’allontanò da sé e le mise una mano intorno alla vita per sorreggerla,
mentre lei cercava di spingerlo via. “Ma che cazzo fai?”
“Non ti voglio!” rispose lei con una
smorfia di disgusto.
“E allora perché diavolo sei venuta
sotto casa mia?” insistette lui, iniziando ad arrabbiarsi. La strinse ancora di
più e le fece varcare la soglia del portone, per poi chiuderlo con la mano
libera.
Lei iniziò a puntare i piedi per terra
per non farsi trascinare e tolse bruscamente la mano del ragazzo dal suo fianco.
Lui con un’alzata di spalle l’accontentò, e lei cadde all’indietro, sbattendo la
schiena contro lo stretto muro bianco dell’ingresso di quel piccolo e vecchio
palazzo. In nemmeno mezzo secondo, si ritrovò a terra. Di nuovo.
“Ma sei cretino?” urlò lei, cercando di
alzarsi.
“Ti ho solo fatto un favore, quindi
vedi di non rompere troppo.” E le voltò le spalle.
“Aspetta, dove vai?”
“A letto.” Rispose schietto senza
voltarsi.
“Stronzo! E mi lasci così?” lo accusò.
Non tentò nemmeno di rialzarsi, tanto sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Aveva
decisamente bevuto troppo. Era già tanto che avesse raggiunto quella casa.
“Ma sei scema?” si girò per guardarla
superiore. Sembrava del tutto disinteressato a ciò che lei stava passando e
questo non poteva altro che aumentare la sua frustrazione.
“Idiota! Aiutami!”
Lui la osservò con espressione dubbiosa
per qualche istante, poi sospirò e si avvicinò a lei. La prese per un braccio e
se lo passò intorno al collo, mentre con l’altra mano l’afferrò per la vita,
facendola alzare.
“Lo faccio solo perché trovarsi un
cadavere di prima mattina nell’ingresso, non sarebbe proprio il massimo.” Spiegò
lui.
La ragazza sospirò. Perché alla fine
finiva sempre così? Perché alla fine lui l’aiutava sempre? Lei, che faceva
sempre di tutto per essere stronza nei suoi confronti, non otteneva altro che il
contrario. Che lo facesse apposta? Non lo sapeva, eppure, sebbene odiasse essere
aiutata da lui, questa volta non oppose resistenza e si lasciò accompagnare per
le scale, fino a raggiungere la porta del suo appartamento. Con la mano che
prima la sosteneva per la vita, prese il mazzo di chiavi che si era infilato in
tasca del giacchetto ed aprì, per poi entrare con lei vicino.
Chiuse la porta con un piede e la
condusse nella sua camera da letto.
“Stai qui.” Le disse, facendola sedere
sul letto.
Lei lo guardò indugiando
sull’espressione da adottare. Dapprima aveva provato ad aggrottare la fronte, ma
in pochi secondi si ritrovò a non saper più controllare i muscoli facciali, e la
sua espressione assunse un’aria ferita. Gli occhi divennero senza che lei
volesse lucidi e supplicanti, mentre osservava il ragazzo darle le spalle ed
uscire dalla stanza. Lui non l’aveva guardata dritta negli occhi nemmeno una
volta. Non aveva nemmeno chiesto come stesse. Non aveva voluto sapere niente di
lei.
“Aspetta.” Lo chiamò con voce flebile.
Lui si girò e lei abbassò lo sguardo,
sentendosi colpevole.
“Che c’è? Non ti sei ancora stancata di
lamentarti?” fece lui, appoggiandosi allo stipite della porta, aprendo la
cerniera del giacchetto. Sotto non aveva niente. Le era corso incontro senza
nemmeno mettersi una maglia, solo il giacchetto.
Le parole che avrebbe voluto urlare per
difendersi dai suoi occhi che non osavano guardarla, le morirono in gola. O
forse fu l’alcool che la obbligò ad inghiottirle. Alzò lo sguardo su di lui e
sperò che lui facesse altrettanto. Ma non fu così: i suoi occhi stavano
guardando il letto, non lei.
“Senti…” tentò di iniziare un discorso.
Non sapeva cosa avrebbe detto, né cosa voleva dire. La sua bocca tremava e
sentiva dentro di sé il suo stomaco agitarsi ed impedirle di formulare un
qualche discorso che potesse contenere una minima parvenza di serietà.
“Non voglio sentire scuse o qualcosa
del genere.” Tagliò corto lui. “Non ora.” E finalmente alzò i suoi occhi verdi
su di lei, che provò una fitta strana, non seppe se al cuore o allo stomaco.
Lei osservò quegli occhi di quel colore
unico. Li invidiava e…
“Mettiti sotto le coperte e dormi.
Domani mattina ti riaccompagno nel tuo appartamento.” E si passò una mano tra i
disordinati capelli neri. Li portava così da non sapeva nemmeno quanto. Forse,
non avevano mai avuto un ordine.
Lei annuì, passandosi una mano sul
viso, per poi sospirare. Si tolse il giacchetto e lo posò sul letto.
“Non avevi una borsa?” domandò lui.
La ragazza sgranò gli occhi.
Cacchio!
“L’ho dimenticata!” esclamò. Come
minimo non l’avrebbe nemmeno più ritrovata. Avrebbe dovuto rifare tutti i
documenti proprio come quando le rubarono il portafoglio. L’unica cosa che aveva
imparato da quell’esperienza – tenere i documenti in altri posti per evitare di
doverli rifare per ogni volta che le avrebbero rubato il portafoglio in futuro –
si era rivelata del tutto infruttuosa, visto che questa volta l’intera borsa era
stata smarrita.
“Tranquilla,” sospirò lui, come se si
aspettasse una cosa del genere da una come lei. “La andiamo a cercare domani.”
A quelle parole, lei sembrò calmarsi e
rilassò i muscoli.
“Be’, allora grazie.” Disse,
nascondendo il suo sguardo imbarazzato con un sorriso abbozzato.
Lui sembrò apprezzare quel tentativo di
sorriso e gliene regalò uno per contraccambiare, ma ciò che lei non calcolò
minimamente era il suo potere disarmante ed ammaliante. Un altro movimento
strano da parte del suo stomaco la fece irrigidire.
Poi vomitò.
_______________________
Bene, finalmente ho deciso di
pubblicarla! Allora, inizio le mie note d'autrice con un piccolo avvertimento:
questo è solo il prologo, diciamo che la storia subirà un piccolo salto
temporale verso il futuro (garantisco che non sarà come Lost!) e quindi
la vera storia troverà inizio solo dal prossimo aggiornamento.
Detto questo, passo a spiegarvi come
sono giunta a scrivere qualcosa di simile, perché nei prossimi capitoli
troverete una situazione un po' particolare... Anzi, sapete cosa? Ve la
spiegherò la prossima volta, perché potrei rovinarvi l'effetto sorpresa ;)
Be',
che dire di più? Spero che il prologo vi abbia invogliato e che continuerete a
seguirmi!
S.P.
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Capitolo 2 *** II. A Little Connection Between Them ***
A Little Connection Between Them
A Little Connection
Between Them
(2011)
Aprì la porta e il campanello che Sofia
vi aveva appeso suonò, avvisando l’uomo del loro arrivo. La donna posò la borsa
sul mobiletto che affiancava il piccolo ingresso dell’appartamento e si tolse il
giacchetto lungo di velluto che si era comprata proprio il giorno precedente.
Aveva riscosso, e quindi era un’usanza prendere per sé almeno un oggetto.
Ovviamente non aveva voluto spendere più di una trentina di euro, quindi non
sapeva fino a quanto sarebbe durato, visto tutti i maltrattamenti che gli
avrebbe fatto sopportare.
“Sofia, torna qui.” La chiamò la donna,
appendendo il giacchetto all’attaccapanni.
“Ma volevo salutare papà!” trillò lei
in risposta, affacciandosi alla porta della cucina con i suoi capelli neri che
le dondolavano sulle spalle.
“E papà voleva salutarla prima di
subito.” Rise l’uomo, prendendola in braccio e stringendola forte a sé. “Come è
andata all’asilo, piccola?” Le domandò, dopo averle schioccato un grande bacio
in fronte.
“Bene! Ho colorato!” rispose con un
sorriso. “Guarda!” e gli mostrò le mani tutte sporche di mille colori, prova
evidente delle sue parole.
La donna rise, sistemandosi i capelli
rossicci dietro l’orecchio. Si avvicinò alla bambina e le tolse il giacchettino
verde con l’aiuto dell’uomo, che le sfilò prima una manica e poi l’altra. Tornò
nell’ingresso per posarlo insieme al proprio e si guardò un istante allo
specchio, sistemandosi il colletto della camicia bianca che sporgeva dal
maglione beige che indossava.
“Mamma deve tornare a lavorare oggi
pomeriggio, quindi fai la brava con papà, mi raccomando.” Le accarezzò la testa
corvina. I suoi capelli lunghi e mossi ricordavano tanto quelli del padre.
Purtroppo non aveva preso il suo colore degli occhi, ma non poteva dispiacersi:
li aveva comunque di un blu intenso che chissà quale loro gene portava. Lei,
dopotutto, li aveva marroni e lui verdi.
Lei annuì energicamente, stringendo le
braccia intorno al collo dell’uomo.
“Ancora indaffarata in quel progetto?”
si informò lui, rivolgendosi alla donna, seguendola in cucina con Sofia ancora
in braccio, che giocava con i cordini della felpa rossa che indossava.
“Eh, già.” Confermò stanca la donna.
“Sono due settimane che io e Chiara seguiamo Pietro in ogni suo bizzarro
particolare per la costruzione della casa. E dovresti sentire le proteste dei
committenti!” Sospirò, aprendo il frigo per vedere se erano rimasti degli avanzi
della sera precedente. Anche in quell’occasione lei non c’era stata ed era stato
l’uomo a cucinare tutto. “Penso che prima o poi non risponderò più delle mie
azioni e lo prenderò a calci.”
“Perché?” chiese innocente Sofia,
piegando la testa di lato e fissandola con aria interrogativa e curiosa.
“Perché il capo per cui lavoro cambia
idea ogni giorno e la mamma non sa ancora come deve disegnare la casa.” Spiegò,
chiudendo il frigo ed andando verso la bambina. Aprì le braccia e fece segno
all’uomo di farla tenere in braccio un po’ anche a lei. Lui gliela passò e Sofia
si aggrappò subito alla spalla della madre, tornando però ad analizzare quei
cordini rossi della felpa, tirandone prima uno e poi l’altro.
“Sofia, poi tocca a mamma sistemarli se
li tiri fuori tutti.” La rimproverò dolcemente il padre.
“Ma tanto non li tiro fuori.” Rispose
senza guardarlo, presa com’era a rigirarseli tra le mani.
“Allora va bene.” Le sorrise.
“Mamma, ho fame.” Li informò poi la
piccola, sgambettando per scendere. La donna la accontentò e lasciò che si
dirigesse verso il solito sportello in basso a sinistra della stanza per
prendere il suo pacchetto di biscotti preferiti.
“Sofia,” la mise in guardia lei. “Sai
la regola, vero?”
La bambina annuì mesta e recitò a
memoria: “Prima di pranzo, solo un biscotto.”
“Esatto.”
“Però ho fame.” Si lamentò lei.
“Sì, ora si mangia.” La consolò lei,
aprendo un altro sportello, prese una pentola e la riempì d’acqua, per poi
accedere il fuoco del fornello più grande ed aspettare che bollisse. “Francesco,
prepari tu il sugo?” chiese all’uomo.
Lui annuì, tirando fuori una padella
dal cassetto sotto il forno e vi fece un cerchio di olio, per poi prendere i
pomodori dal cesto delle verdure in frigorifero. Ne sbucciò un paio e li tagliò
in piccoli pezzi prima di metterli a cuocere nella padella insieme a qualche
spezia.
La donna finì di apparecchiare, aiutata
dalla figlia, e si sedette poi su una sedia ad osservare Francesco prendere in
braccio Sofia per farle girare il sugo con il mestolo di legno. Era ormai una
cosa quotidiana e a Sofia piaceva tantissimo sentirsi grande e dare una mano.
Quando ogni tanto veniva portata da sua madre, adorava aiutarla a lavare i
piatti sporchi che non entravano in lavastoviglie. Era una bambina adorabile.
Iperattiva, certo, ma dopotutto, aveva quattro anni, quindi era più che normale.
Appoggiò il mento alle mani incrociate
che aveva sul tavolo e li osservò con un dolce sorriso sulle labbra.
“Ah, Elisa,” la chiamò l’uomo. Lei alzò
la testa e rispose con un mugolio di assenso. “Oggi pomeriggio viene Daniela.”
La informò. La donna non poté che sentire una strana fitta inappropriata allo
stomaco. Odiava quella donna e di certo non voleva che sua figlia potesse stare
con lei. Nonostante tutto questo, però, sapeva che i suoi erano discorsi troppo
egoistici: Francesco poteva fare quello che voleva. Non erano affari suoi,
quelli.
“Ok, ma lo sai cosa penso.” Gli disse
cercando di nascondere l’ansia. E che dire, poi, di Sofia? Lei per prima doveva
starci lontana.
L’uomo sospirò come spazientito e mise
per terra la bambina, che protestò battendo il piccolo piede per terra.
“Elisa, non posso dipendere sempre dai
tuoi orari.” Le fece notare, aggrottando la fronte e diventando più serio.
“Anche io ho una vita, non solo tu.”
E chiamala vita,
pensò sarcastica, sbuffando.
“Mamma, papà, non litigate ancora!” li
rimproverò lei, indicandoli con il dito indice, proprio come facevano loro
quando lei combinava – o era in procinto di architettare – qualche guaio. “Sennò
vi metto in punizione.”
I due si guardarono e sorrisero per le
parole della bambina. Era sempre lei a riparare ai loro errori che
preannunciavano – anche se involontariamente – una lite. Non era loro intenzione
stare sempre a discutere su tutto – o almeno, non sua: per quanto riguardava
Francesco, non sempre riusciva a capire cosa avesse per la testa, nonostante
tutti quegli anni in cui avevano vissuto insieme – ma la situazione che si erano
costruiti intorno non permetteva che tutto andasse proprio lisco come l’olio.
“Allora chiamo Daniela e le dico di
rimandare.” Disse. Elisa non poté che trarre un silenzioso sospiro di sollievo,
ma sapeva che questa beatitudine sarebbe durata solo qualche giorno. Presto
Daniela sarebbe approdata lo stesso in quella casa, ma Elisa avrebbe cercato di
portare Sofia con sé, se mai questo giorno fosse giunto.
***
L’aveva chiamata solo un’ora prima per
avvisarla del cambiamento di programma, aggiungendo che si sarebbero potuti
vedere, ma non a casa sua. Daniela sembrava capire e acconsentì di cambiare il
luogo di ritrovo, invitandolo nel suo appartamento di periferia. Era un palazzo
moderno, il suo, Francesco ne era un vero esperto, laureato anche lui in
Architettura, proprio come Elisa, e a suo parere anche molto interessante per i
suoi snodi ai vari piani, con vetrate luminose proprio in corrispondenza dei
punti cardinali più significativi e decisamente ben strutturato.
Salì con l’ascensore fino al terzo
piano, dove Daniela lo stava aspettando. I suoi lunghi capelli biondi erano
sciolti sulle spalle, ondeggianti, quasi provocanti, mentre le sue labbra rosse
risaltavano sulla pelle candida. Sembrava quasi una bambola, bella, forse
delicata, ma non in quel momento, infatti tutto avrebbe potuto far pensare
tranne che fosse fragile, delicata e indifesa. La fronte era aggrottata, gli
occhi socchiusi in due minacciose fessure e la bocca storpiata in una curva
tagliente. Francesco sospirò, entrando fugacemente nel suo appartamento arredato
in stile moderno e si sdraiò sul divano, contando quanto ci avrebbe messo la
donna prima di inveire contro di lui.
“È colpa di Elisa, vero?” mani ai
fianchi, tono burbero e l’accusa pronta da chissà quanto, visto che non aveva
impiegato nemmeno cinque secondi a sbottare. “Perché diamine non vuole che stia
anche un po’ con Sofia?”
“Be’, lo sai come la pensa al
riguardo.” Alzò le spalle lui, cercando di apparire più tranquillo possibile.
Daniela era una donna affascinante, provocante, bellissima, ma quando assumeva
quell’aria truce faceva paura. Sembrava quasi dotata di una forza divina che le
avrebbe dato il potere di scatenare l’Apocalissi solo con un battito di ciglia.
“Ma è anche tua figlia, santo cielo!
Perché non glielo fai capire?”
Lui le offrì una mano, che lei accettò
scocciata, e la fece sedere affianco a sé, avvolgendole le spalle con un
braccio, mentre lei appoggiava la testa sulla sua spalla, placando la sua ira
magicamente. In realtà Francesco sapeva bene quanto lui potesse influire sul suo
comportamento. E sapeva altrettanto bene come lei dipendesse totalmente da lui.
Non era tanto che l’aveva conosciuta – quattro mesi – ma da subito lei gli era
caduta ai piedi, in tutti i sensi. Quello che più di tutto lo colpì, fu però il
modo in cui lei tentava di nascondere il suo interesse, apparendo
involontariamente impacciata, goffa e buffa. L’aveva conquistato, insieme alla
sua sensualità.
“Dani, io non voglio litigare sul
possesso di Sofia.” Spiegò, iniziando a massaggiarle una spalla, mentre lei gli
prese l’altra mano tra le sue, giocherellando mansueta con le sue dita. “Finché
starà bene in questa situazione, non vedo perché si debba forzarla a scegliere.”
“Ma sono io che non sto bene in questa
situazione.” Esclamò sconcertata. Lo guardò negli occhi, come se volesse fargli
capire quello che provava. “Non capisci che un giorno Elisa si sposerà con Marco
e si porterà via Sofia?”
“Se hai intenzione di usare la tua
psicologia con me, sappi che questa volta non abbocco.” Ghignò, sapendo bene
quale effetto potesse avere quel suo sorriso su di lei.
“Non sto usando nessuna psicologia,
France.” Abbassò lo sguardo, continuando a muovere le sue dita con dolcezza
sulla sua mano. “Sto solo cercando di farti capire come la penso al riguardo.”
“Distruggendo la mia famiglia?”
Ironizzò.
“Francesco,” lo guardò seria lei. “Loro
sono una parte della tua famiglia.”
“Sono lo stesso la mia famiglia.” Si
impuntò lui. Sapeva che era una pessima scelta, ma non gli piaceva quando lei si
incaponiva per fargli accettare le sue parole. E soprattutto non gli piaceva che
la sua famiglia potesse essere tirata in ballo in una discussione in cui non
entrava, in particolare la piccola Sofia.
Lei, come prevedibile, si scansò
bruscamente da lui, squadrandolo come se l’avesse offesa pesantemente. Aprì la
bocca pronta a ribattere, ma non le usciva niente se non che borbottii
disconnessi, al che chiuse gli occhi e respirò profondamente, senza tornare ad
avvicinarsi, nonostante lui avesse allungato un braccio per accorciare le
distanze tra loro.
“Mi fai perdere la pazienza quando fai
così!” esordì accigliata, alzandosi dal divano e tornando a guardarlo dall’alto
verso il basso, le mani nuovamente sui fianchi nel suo atteggiamento da prima
donna fallita.
“Sei tu che hai iniziato la
discussione, Dani.” Chiarì lui, incrociando le braccia al petto, capendo
all’istante l’inutilità del tentativo di riavvicinarla.
“Ti sbagli!” replicò lei, puntandogli
un dito contro, che lui scacciò come una fastidiosa mosca. “Io non volevo
discutere, volevo solo parlare tranquillamente!”
“Come al solito, il tuo
tranquillamente si è alzato di qualche ottava.” Già, se veniva attaccato,
rispondere era qualcosa che gli veniva automatico, con tutti i pro e i contro,
come appunto quello sguardo lampeggiante che le attraversò gli occhi, ma se
c’era una cosa che tutti e due avevano imparato dopo quattro mesi di rapporto,
era che se avessero continuato a essere entrambi in balìa dei loro istinti
peggiori, non ne sarebbero usciti tanto facilmente, quindi Daniela fece un
respirò ancora più profondo e tornò a guardarlo tristemente negli occhi.
“Ma non capisci che Elisa non ti vuole
togliere le mani di dosso?”
Lui la guardò aspettando che
continuasse il suo monologo, che come da manuale, serviva a spiegare le sue
ragioni oltre che a sfogarla. “Voi non state più insieme, giusto? E allora
perché deve sempre mettersi in mezzo tra noi? Io voglio conoscere tutto di te,
anche tua figlia.” I suoi occhi iniziarono a luccicare e Francesco le allungò
nuovamente una mano, capendo esattamente quale fosse il momento più opportuno
per tentare di riconciliare le cose tra loro. “Dopotutto, Sofia è la bambina
dell’uomo che amo.” Si accoccolò contro il suo petto, stringendo tra le mani la
sua camicia a quadri che più spesso Elisa aveva definito da boscaiolo, ma che
gli aveva comprato lei stessa, sostenendo che gli stesse bene. Francesco
abbracciò la donna e le massaggiò la schiena con una mano.
“Lo so che ci stai male per questo.”
Mormorò lui, soffocando la sua voce tra i capelli dorati di Daniela. “Ma, per
piacere, non entrare più in questa faccenda. Per Sofia, io e Elisa siamo mamma e
papà e anche se non siamo sposati, non vuol dire che non si possa essere dei
modelli per lei. Elisa non vuole che tu ci stia troppo vicina perché teme di
poter essere sostituita.”
“Francesco, quando lei andrà a vivere
con Marco, si porterà dietro Sofia.” Insistette lei.
“Di questo non c’è niente di certo. La
questione non è ancora stata tirata in ballo e noi volutamente non vogliamo
parlarne.” Poi sospirò. “Ma, sì, arriverà anche quel momento. Comunque sarà
sempre una cosa che riguarda me e Elisa, capito?”
Daniela annuì, strusciandosi contro il
suo petto. “Scusa la sfuriata.” Mormorò colpevole.
“Non importa, Dani.” Rise per smorzare
quel momento di tristezza. “Lo so come sei fatta, con tutti i pregi e i
terribili difetti.”
“Ehi, perché l’aggettivo esalta
solo i difetti?” lo guardò falsamente ostile, arricciando le labbra come per
sfidarlo a ribattere.
“Perché i tuoi difetti sono molto
sensuali.” Le sorrise malizioso. “Soprattutto se siamo in prossimità di finire a
fare sesso.”
Lei si tirò su e si mise a cavalcioni
su di lui.
“E pensi che questo sia uno di quei
momenti?”
Lui la cinse per i fianchi e l’avvicinò
a sé, baciandola. “Decisamente.”
***
“Mamma!” trillò eccitata. “Guarda!
Guarda!”
Elisa le si avvicinò e si sporse oltre
la spalla della piccola, che, in piedi su una sedia della cucina, stava
ritagliando la pasta per i biscotti con le formine che le aveva dato lei. Era
raggiante all’idea di potersi sporcare le mani e impasticciare la tavola.
“Che bello, tesoro!” le sorrise,
abbracciandola e schioccandole un baciò sulla guancia.
“Guarda! Questo è un elefante!” e prese
in mano il biscotto ancora crudo per farglielo vedere meglio. “Vedi? Ha il naso
lungo!”
“Attenta, però,” l’avvertì lei,
abbassandole il braccio. “Vanno cotti prima di prenderli in mano, sennò si
rompono.”
“Sì, allora non li tocco più,” esclamò.
“Ma guarda bello questo!” zampettava sulla sedia, mentre Elisa ancora la teneva
stretta tra le braccia per non farla cadere. “Questo è un pesce!” Poi si
sbilanciò sul tavolo afferrando un'altra formina e guardandola dubbiosa. “E
questo cosa è?”
Elisa gliela prese dolcemente di mano e
la capovolse, per poi renderla alla piccola. “Secondo te cosa è?”
“Una barca!” e subito lo pestò contro
un altro pezzo di pasta, creando una nuova forma per i biscotti.
Elisa raccolse tutti i trucioli che
Sofia aveva sparso per tutto il tavolo e tornò a impastarli per non buttare via
niente, quindi con il mattarello stese di nuovo la pasta, permettendo alla
bambina di disegnare delle stelle e delle luce, squittendo per i risultati che
otteneva. Si allontanò ed accese il forno per farlo scaldare a sufficienza e
cuocere i biscotti, e mentre si sedeva su una sedia ad osservare Sofia che si
divertiva a imprimere le varie forme a sua disposizione sulla pasta, pensò a
quanto era stato meglio aver annullato la riunione del pomeriggio piuttosto che
far venire Daniela.
Non era una persona cattiva e non aveva
nemmeno l’intenzione di esserlo, ma Elisa non riusciva a sopportarla. Si era
presa la briga di ispezionare ogni sua idea al riguardo, persino pensare che
inconsciamente era ancora attaccata a Francesco, ma si era anche distrutta
l’ipotesi, perché Francesco era già stato con altre ragazze, aveva avuto molte –
forse addirittura troppe – relazioni da quando si conoscevano, e mai nessuna di
quelle ragazze, magari tranne un paio, erano riuscite a irritarla a tal punto.
Più volte si era chiesta se fosse un problema suo o di Daniela, ma più tentava
di pensare razionalmente a quella donna, più vedeva che tutti i difetti che
Elisa le trovava, non potevano essere sufficienti a farle provare tutta quella
diffidenza nei suoi confronti.
Daniela era bella – bionda, con grandi
occhi azzurri e le labbra di un rosso quasi finto, ma tutta genuina – era
intelligente e si era laureata in psicologia seguendo perfettamente la sua
tabella di marcia, restando sempre in pari con gli esami e non aveva mai
scombussolato troppo la propria media. Erano tutte notizie apprese da Francesco,
che più volte le parlava dei suoi successi per smorzare quella rabbia che Elisa
non cercava nemmeno più di nascondere.
“Lo sai cosa dicono delle bionde, no?
Sono tutte sceme.” Esordiva Elisa ogni tanto.
“Vero, ma solo quelle tinte, Dani è
naturale. E poi è una psicologa, scema non lo è di certo.” La sbeffeggiava
puntualmente lui, vincendo sempre su quelle discussioni e riuscendo sempre a
difenderla.
Per quanto, però, lui potesse stare
dalla sua parte per evitare che in occasioni del tutto sconvenienti Elisa
potesse anche solo provare ad attaccar briga con Daniela, lei non riusciva a
pensare che quella donna quasi fosse inopportuna in un momento come quello, un
momento che per Sofia voleva dire molto, perché erano i suoi anni della
scoperta, della capacità di apprendimento. Stava crescendo. E aveva bisogno
della più totale attenzione da parte di entrambi i genitori.
Elisa guardava sua figlia continuare a
giocare con la pasta, preparando le forme più strane per i biscotti,
divincolandosi sulla sedia per raccogliere le formine più lontane, facendo
sobbalzare Elisa per la paura che potesse cadere a terra. Sofia aveva un’aria
così allegra che quasi faceva invidia. Sorrideva e ridacchiava per ciò che stava
creando con così tanto impegno e se veniva male, aveva imparato ad accartocciare
quel pezzo di pasta e a rimetterla nell’impasto generale, che Elisa avrebbe poi
sistemato.
Da quanto Francesco non vedeva più
quello che vedeva Elisa? E non solo in senso letterale. Da quando Daniela era
entrata nella sua vita – e di conseguenza anche nella loro, sebbene Sofia ancora
non l’avesse incontrata di persona – Elisa aveva notato che di giorno in giorno,
Francesco usciva sempre più spesso. Era questo che non sopportava: Daniela lo
stava allontanando.
Elisa sospirò. Le sarebbe piaciuto
veramente dire certe cose, ma non poteva, perché vedeva con i propri occhi
quanto Francesco in realtà ce la mettesse tutta per trovare sempre spazio per
loro. Ogni volta che tornava a casa, era sempre disponibile e non si dimostrava
mai stanco, mai una volta aveva mormorato che non richiedesse le sue donne,
come le chiamava lui. Con nessun’altra usava quell’appellativo, solo con loro
due, e questo rincuorava Elisa, che al solo pensiero tornava a sorridere,
sentendosi fiera ed orgogliosa, oltre che contenta di aver scelto di percorrere
quella strada irta di spine ed in salita. Tutte le sere, Francesco si sedeva sul
divano con Sofia in braccio, facendosi raccontare tutto quello che aveva fatto.
Ed era sempre lui a metterla a letto, per poi tornare da Elisa e parlare con
lei, che dopo una giornata di devastante lavoro, quasi non vedeva l’ora di
tornare dalla sua famiglia e sentirsi coccolata.
Francesco era una persona dalle mille
facce. Era sempre il solito, perché tutte quelle innumerevoli facce erano una
parte di Francesco, sebbene non sempre era semplice scinderle e approfittare di
un suo atteggiamento in particolare. Lui era una persona ‘libera’, che viveva
alla giornata, che faceva in un abbondante novanta percento delle volte di testa
sua, che quasi sempre era la scelta migliore. Per quanto enigmatico, infantile,
spavaldo e strafottente potesse mostrarsi la maggior parte delle volte, mandando
su tutte le furie Elisa, Francesco era anche gentile, serio all’occasione, e
capace di capire quando era necessario il suo aiuto.
Alla fine di tutto l’elenco dei pregi
di Francesco, Elisa si sentì quasi uno schifo. Anche rispetto a Marco, lei era
quella casinista, quella permalosa che sarebbe stata in grado di mantenere il
muso per giorni, quella che dava sempre troppo spazio all’istinto anche dopo
un’elevatissima dose di paranoie che avrebbero mandato in tilt centinaia di
cervelli. Era circondata da uomini straordinari e per un attimo si ritrovò a
chiedersi se li meritasse seriamente. Quando poi pensò che erano stati loro ad
accettare la sua vicinanza, sorrise, riuscendo a pensare che allora forse non
era quel danno umano che più volte sua madre le aveva rinfacciato di essere.
Magari era indispensabile che per una donna come lei fossero necessari degli
uomini come loro, tanto per equilibrare il baratro che li divideva.
Quei pensieri la misero decisamente più
di buon umore di quando Francesco era uscito, tranquillizzandola e facendola
tornare a sorridere allegra, avvicinandosi alla bambina per poter aiutarla a
concludere quella sua prelibata creazione pasticciera.
“Mamma, stasera li facciamo mangiare a
papà, va bene?”
“Certamente!” e le schioccò un bacio
sulla fronte, mentre inseriva la prima teglia piena nelle guide del forno. Sofia
la raggiunse e si affacciò al vetro caldo per osservare la sua opera durante la
cottura e lei si sedette per terra a fianco a lei, prendendo la piccola tra le
braccia e facendola sedere sulle sue gambe.
L’unico pensiero che balenò nella testa
di Elisa fu che quel tenero quadro di famiglia sarebbe stato perfetto solo con
la presenza di Francesco al suo fianco.
________________________
Et voilà! Il secondo capitolo è tutto
per voi (è un po' lungo, ma non fateci l'abitudine)!
Allora, vi avevo detto che vi avrei
spiegato la situazione, tanto per farvi entrare nel pieno della storia. Ebbene,
ecco qui: tutto è nato da un sogno che feci un annetto fa - e infatti questa
storia è nata dai vari pensieri che ne sono seguiti! - praticamente una donna
tornava a casa e una bambina le andava incontro chiamandola mamma. Al suo fianco
c'era un uomo che lei sentiva di conoscere perfettamente, ma che non le era così
vicino come poteva sembrare agli occhi di un estraneo. Insomma, pensando e
ripensando a questa immagine che mi aveva particolarmente affascinata, ho
trovato il modo di crearci una storia intorno.
Come avete potuto vedere, la storia si
svolge nel presente (diciamo un piccolo futuro, che con il passare del tempo e
degli aggiornamenti non lo sarà nemmeno più), e tutta la vicenda è incentrata su
due protagonisti principali, che ovviamente ne passeranno delle belle,
soprattutto la nostra Elisa, tra risate, sbronze, pianti e ricordi del passato.
Be',
spero vi sia piaciuto il capitolo ;)
Al
prossimo aggiornamento,
S.P.
|
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Capitolo 3 *** III ***
Nuova pagina 1
“Veramente noi preferivamo tutt’altro…”
La voce di Cristina Bernardi era lieve, quasi avrebbe preferito non azzardarsi
ad aprire bocca, ma dopo aver visto il progetto che Pietro Orlandi le aveva
messo sotto gli occhi non si era potuta trattenere.
“Già, quello a cui eravamo giunti
l’altra volta poteva essere un buon punto di partenza.” Intervenne Giacomo
Bernardi, suo marito, nonché figlio di buona famiglia con molti soldi sulle
spalle, e quindi una delle tante prede preferite del capo di Elisa.
“Sì, ma non è adatto ad un’epoca come
questa.” Ribatté Orlandi, dondolandosi sulla sua sedia di pelle nera, mentre
guardava con aria di sfida quella coppia, che fissava il progetto per niente
convinta. Elisa e Chiara erano attorno al tavolo in silenzio. Nemmeno a loro
andava bene quella rivoluzione che aveva messo in atto Pietro, ma non potevano
opporsi. Vicino a loro anche Emanuele Rossini e Antonio Della Rosa osservavano
le modifiche apportare il progetto in un silenzio quasi tombale, se non fosse
che ogni tanto si lasciavano sfuggire un brusio di approvazione.
“D’accordo,” sospirò Giacomo. “Ma non
potrebbe almeno tornare sui propri passi e discutere con noi delle prossime
idee?” I suoi occhi scuri trasudavano un’irrefrenabile voglia di lasciare quella
stanza seduta stante, ma sua moglie lo stava magicamente trattenendo con una
mano attorno al suo braccio. “Non mi piace che in nostra assenza lei proponga
variazioni che non rispecchiano il progetto iniziale.”
“Ascoltate, io so come prendere il
meglio dalle strutture, e in questo modo vi garantisco che il gioco di luci ed
ombre sarà molto suggestivo, nonché con un effetto molto intrigante nel contesto
ambientale.” Ribatté Orlandi senza esitazioni, incrociando le braccia al petto.
“Ok, abbiamo capito.” Respirò
profondamente l’uomo. “Ma a noi non piace!” stava perdendo le staffe.
“Mettiamola su un piano di gusti personali: questo labirinto di muri che si
intrecciano potrebbero essere suggestivi per qualcosa di molto più
imponente, ma non sono adatti ad una casa che al massimo prevede una decina di
stanze!”
“Se permettete,” si intromise Rossini.
“L’architetto Orlandi sa di cosa parla. Dopo aver analizzato il luogo in cui
realizzare l’edificio, ha optato per questa soluzione in chiave moderna, che in
periferia potrà godere del massimo splendore, dal momento che si sa, il moderno
è per le metropoli o la periferia delle antiche città.”
Elisa guardò l’orologio che teneva al
polso con disgusto, mentre sentiva quelle parole. Rossini, purtroppo, era un
leccaculo sfrontato, capace di vedere sempre il meglio nei progetti del capo,
anche quando il meglio era pressoché inesistente. Erano le sei e mezzo, e lei
era già in ritardo di un’ora abbondante. Doveva andare a prendere Sofia da sua
madre, che sicuramente non avrebbe resistito a recitarle la sua
irresponsabilità. Se a questo presentimento più che fondato aggiungeva anche la
sua più totale intolleranza a quelle stronzate che Orlandi continuava a sparare
senza ritegno, poteva benissimo vedersi proiettata in una serata all’insegna dei
nervi a fior di pelle che solo un miracolo avrebbe potuto domare.
“Se permette lei,” stava
replicando Bernardi. “Noi siamo venuti in questo studio con un’idea precisa,
gliel’abbiamo mostrata e ci era stato detto che non c’era alcun problema, che la
realizzazione non avrebbe previsto troppe modifiche e tutta un’altra serie di
frasi simili, che ora – se permettete – ci sembra fossero tutte cazzate.”
“Giacomo, calmati…” aveva sussurrato
Cristina.
“No, ora basta!” si liberò dalla mano
della moglie e batté la mano sul tavolo. “Non so come siete abituati a lavorare
qui, tutti voi, ma noi siamo abituati che se delle cose non ci vanno bene,
allora ce ne andiamo. Troveremo un altro studio.” E si alzò. “Vieni, Cristina.”
“No, aspettate!” li aveva richiamati
Della Rosa, altro leccaculo patentato. “Non fate così, tornate qui e ne
parliamo.”
“Non per dire, ma ne avete parlato
anche troppo. Se loro se ne vogliono andare li capirei benissimo.” Si lasciò
sfuggire Elisa, ricevendo una gomitata da Chiara che le fece strabuzzare gli
occhi per le parole pronunciate senza prima pensare alle conseguenze.
“Elisa.” Orlandi digrignò i denti,
voltandosi verso di lei. “Non iniziare a peggiorare le cose come al tuo solito.”
“Oh, sì, scusi.” Abbassò lo sguardo con
stizza. Ma poi ci pensò: ormai aveva parlato, perché non continuare? Tanto
difficilmente sarebbe stato peggio, visto che a stento si riusciva a trattenere.
Sarebbe stata la volta in cui finalmente avrebbe potuto rinfacciargli la sua
incapacità. “No, mi rimangio le scuse.” Si alzò in piedi, mentre Chiara la
guardava come se fosse totalmente impazzita. “I Bernardi sono venuti qui con una
precisa idea in mente.” Chiarì. “Proseguire su quell’idea di base mi sembra il
minimo!”
“De Angelis!” si scandalizzò Della
Rosa.
“Le propongo una cosa.” Si schiarì la
voce. “E la propongo anche a voi.” Guardò i Bernardi che la fissavano quasi
apprezzando la sua ribellione. Era strano, ma la loro attenzione e quella
parvenza di riconoscenza che Elisa leggeva nei loro occhi, quasi le davano la
forza di continuare a parlare. “Passi a me il progetto, me ne occuperò io.”
“Non dire idiozie.” La derise Pietro,
seguito a ruota dai suoi lecchini. “Pensi di avere le capacità?”
“Fino a prova contraria sono laureata
in architettura.”
“Non con il massimo dei voti, però.”
Per un attimo la vista di Elisa si
annebbiò, rischiando così di cadere in balìa dei suoi peggiori istinti omicidi.
Che senso aveva rinfacciarle una cosa simile? Era incinta e ovviamente si
sentiva spossata, aveva dovuto passare un anno stressante e incredibilmente
pesante, affrontando tutto quel periodo che solitamente le donne affrontano con
il loro compagno. Lei invece era sola e spaventata, per non dire che sua madre
le aveva praticamente voltato le spalle, ritenendola una disgraziata. Come
poteva anche solo sperare di laurearsi con il massimo dei voti?
“A noi va bene.” Intervenne Giacomo,
facendo tornare la lucidità tra i pensieri di Elisa.
“Davvero?”
“Sì,” le sorrise Cristina. “Ci sembra
una buona idea.”
“Diciamo che sarebbe l’unica cosa che
ci potrebbe trattenere in questo studio.” Aggiunse il marito, rivolto a Pietro,
come se volesse sfidarlo a replicare per bocciare quella proposta.
Orlandi, infatti, aprì e chiuse la
bocca un paio di volte, boccheggiando in cerca di una risposta che non trovò,
poi sospirò e chiuse gli occhi con rabbia. “D’accordo. De Angelis, il progetto è
tutto tuo.” Lo disse quasi come se fosse stato un ringhio, Elisa non ci badò,
non riuscendo a trattenere un sorriso di vittoria che ad un’occhiata
inteneritrice di Pietro svanì all’istante.
La riunione si concluse così, senza più
una parola. I Bernardi le strinsero la mano con riconoscenza e se ne andarono,
più allegri di come fossero entrati nell’ufficio qualche ora prima, e Elisa,
sebbene si sentisse elettrizzata per la vincita di quel giorno, non poté che
ritenersi una vera idiota che si era rovinata da sola. Certo, aveva già
assistito interamente a diversi progetti, ma questa volta sarebbe stata la sua
firma a contare, sarebbe stata tutto sotto la sua responsabilità e, soprattutto,
aveva appena soffiato un progetto al suo capo, che di certo avrebbe fatto di
tutto per farglielo pesare.
Mentre Chiara le saltava al collo
entusiasta per le palle che aveva mostrato a tutti i presenti, Elisa si trovò a
ripensare su quello che aveva fatto: si era scavata la fossa con le sue stesse
mani.
***
Era sera, il sole stava tramontando e
lei era in ritardo. Aveva detto a sua madre che sarebbe andata a prendere Sofia
verso le cinque, ma erano le sette e si era completamente dimenticata persino di
chiamarla. Avrebbe potuto scusarsi dicendo che il suo capo l’aveva trattenuta
fino all’esaurimento della sua pazienza per esporle i piani del progetto a cui
stava lavorando con i Bernardi, i clienti di cui si stava occupando al momento,
ma sua madre non le avrebbe mai creduto. Lei si era giocata la più totale
fiducia di sua madre rimanendo incinta e a meno che non potesse tornare indietro
nel tempo ed evitare quel particolare, ora doveva solo subirne le amare
conseguenze, che ovviamente la signora Anna Pratellesi-De Angelis nemmeno
accennava a smorzare per farle passare inosservate.
Suonò al campanello per annunciare la
sua visita, dopo aver corso su per le scale perché l’ascensore era occupato
all’ultimo piano, e suo padre le aprì subito, mostrandole un cordiale sorriso di
benvenuto.
Elisa entrò, senza capacitarsi di come
suo padre potesse essere caduto vittima di una vipera come sua madre, ma a
quelle domande, lei lo sapeva, non ci sarebbe mai stata risposta. Entrò
nell’ampio ingresso decorato da finissimi quadri di autori famosi, indubbiamente
delle copie, e arrivò nella grande sala, dove sua madre, nella più totale
nobiltà, indossava uno dei suoi perfetti vestiti da aristocratica, in accordo
con anche la preziosa acconciatura arrotolata che si faceva ogni mattina a
scapito di ogni cosa. Più volte si era trattenuta dal farle presente che lei
altro non era che una semplice donna vissuta nel più semplice dei modi e che a
risultare tanto altezzosa ci guadagnava solo un seguito di malelingue.
“Puntuale come al solito, Elisa.” Non
mancò dal farle notare, muovendosi sulla sua sedia a dondolo nei pressi di un
finto camino in pietra.
“Scusa, mi hanno trattenuto.”
“Come al solito.”
Elisa sbuffò, per poi guardarsi in giro
per cercare Sofia.
“È in camera mia che dorme.”
Senza rivolgerle ulteriori parole uscì
dalla sala e si diresse verso la camera da letto della madre, trovando la
piccola Sofia accoccolata su se stessa, a pancia sotto e le mani rannicchiate
contro il petto che dormiva beata. Le si sedette affianco e le passò una mano
tra i capelli corvini sorridendo. Subito, quasi come se non stesse aspettando
altro, la bambina si svegliò e si attaccò con gioia al collo della madre.
“Mamma!” esclamò euforica. “Ti ho
aspettato tanto!”
“Sì, scusa Sofi, ma la mamma ha avuto
da fare.” Le porse una mano per farla scendere dal letto, ma lei reclamava di
essere presa in braccio, ed Elisa la accontentò. Ripercorsero il corridoio,
incrociando il padre che le salutò entrambi adorante. Dacché si ricordava Elisa
era sempre stato un uomo burbero, ma da quando era nata Sofia, la sua maschera
di uomo pauroso – ma non per questo cattivo – dell’orco che sembrava essere, si
era sciolta come neve al sole, rivelando un omone buono come il pane che non
faceva altro che sorridere cordiale e allegro ogniqualvolta che si trovava
insieme a sua nipote.
“Ciao nonno!” lo salutò, ruotando la
manina, mentre anche Elisa lo salutava con un bacio sulla guancia.
Non si affacciò per salutare sua madre,
quel giorno era già abbastanza stanca per sorbirsi le sue lamentele, ma Sofia
scalciò perché venisse messa giù, corse dalla nonna e le stampò un sonoro bacio
su una guancia, ma Anna rimase imperterrita, solo per pochi secondi tirò le
labbra in mezzo sorriso e diede due buffetti alla piccola, che ne rimase
soddisfatta.
“Oggi l’hai trovata proprio nera, eh,
Eli.”
“Già, parlaci tu, papà. Io per oggi me
ne voglio lavare le mani.”
“D’accordo, ma promettimi che cercherai
di essere più carina con lei.”
“Non mi sprecherò a ricordarti come lei
possa sempre distruggere la mia felicità anche con solo uno sguardo, quindi
finché non mi sarà passato questo momentaccio, è meglio che io e lei non ci si
veda per un po’.” E con quella spiegazione tendente all’isterico per non poter
avere la stessa fortuna della sorella – ora felicemente sposata, anche lei con
una bambina che come approdava in quella casa veniva ricoperta dalle feste più
calorose, quando a lei veniva diretto solo uno sguardo di sufficienza – mise il
giacchetto alla bambina ed uscì da quella casa. Francesco più volte le aveva
fatto notare che lei ingigantiva le cose senza osservare troppo la realtà, ma
lei avrebbe scommesso che se lui si fosse trovato nella sua stessa posizione,
non avrebbe fatto altrimenti.
Ma dovette ricredersi: Francesco non
era il tipo da prendersela per cose del genere. Con il carattere che si
ritrovava, e che più volte Elisa gli aveva invidiato, lui si sarebbe fatto
scivolare tutto alle spalle, aspettando il momento migliore per tornare a fare
la sua trionfale entrata nella vita delle persone.
Elisa uscì di casa salutando nuovamente
suo padre e con Sofia in braccio scese per le scale, per poi raggiungere la
macchina e tornare finalmente a casa dopo quella massacrante giornata.
***
Quella giornata non era iniziata nel
migliore dei modi e non aveva accennato a migliorare, nemmeno dopo ore di
estenuante lavoro insieme a quel folle del suo capo, che pur di non progettare
la semplice e classica casetta d’amore per i neo sposini Bernardi, le stava
provando tutte. E per cosa? Soldi, ovviamente. Si era veramente stancata di
appoggiarlo in ogni sua ridicola modifica all’edificio, che lo faceva sembrare
simile al museo di Bilbao. Chiara quel giorno non c’era, aveva dei problemi in
famiglia, con suo marito, e aveva deciso di prendersi una settimana di ferie non
pagate per tentare di sistemare il loro rapporto con tranquillità e razionalità,
senza essere troppo frustrata anche a causa del lavoro.
Elisa lo sapeva, o meglio: lo sperava.
Sarebbe andata via da quello studio. Avrebbe fatto altri concorsi, sarebbe
tornata a studiare, malgrado fosse la cosa che più tra tutte le alternative sul
suo futuro odiava. Ma, sì, se l’Orlandi Junior – perché il vero capo dello
studio, l’Orlandi Senior, passava soltanto un paio di giorni al mese in ufficio
a controllare i vari incarichi – non avesse cambiato modo di fare, lei avrebbe
alzato i tacchi e dopo avergliene piantato uno nel petto come un paletto contro
i vampiri, avrebbe abbandonato quel posto.
E quella sera sua madre era stata
proprio inopportuna. Era sempre stata inopportuna, ma quella sera in particolar
modo si era ritrovata a dire quel poco che disse proprio a sproposito, e Elisa
dovette sforzarsi di lasciare il sorriso sulle labbra in presenza di Sofia,
mentre avrebbe volentieri preso a testate il volente, cercando così almeno di
non pensare a niente per un po’.
Una volta arrivata a casa, trovò
Francesco sul terrazzo mentre fumava una sigaretta, e prima che la piccola lo
vedesse, lei si annunciò con un eloquente e sottointeso invito a smettere.
“Ecco le mie donne!” esclamò quindi
lui, entrando euforico nella sala, chiudendo la porta a vetri dietro di sé e
prendendo al volo la bambina che si era lanciata contro di lui. “Cosa avete
fatto di bello, oggi?”
“Io ho giocato con nonno!” rispose
Sofia, per poi lasciarsi conquistare da un grande sbadiglio.
“Hai sonno, eh, piccolina?” le baciò il
naso e la portò verso camera sua. “Hai già mangiato?”
Elisa li vide scomparire nella stanza
oltre il corridoio e si buttò a peso morto sul divano bianco della sala, con
ancora il giacchetto addosso e la borsa in spalla. Chiuse gli occhi e sospirò.
Quella era decisamente la serata più stancante di quel mese, ma dovette
ammettere che tornare a casa e trovarsi di nuovo in quel piccolo appartamento
intriso di calore e di odore di famiglia, la rilassò quasi completamente. Ne
aveva proprio bisogno di vedere come Francesco e Sofia fossero sempre di buon
umore, riuscendo il più delle volte a contagiare con la loro energia anche
Elisa. Stava ancora pensando alla scena che le avevano proposto qualche minuto
prima con un sorriso forse ebete, o forse soltanto felice, quando Francesco
tornò con il giacchetto verde mela della bambina e lo posò all’attaccapanni, per
poi dirigersi verso il divano e prendere Elisa per le spalle. Iniziò a
massaggiargliele come solo lui sapeva fare e come tante volte lei ne aveva
approfittato – in passato anche con scuse, solo per poter avere un contatto con
lui.
“Sei tutta rigida, Eli.” Sussurrò,
continuando a strusciare le sue mani su di lei. “Togliti il cappotto, così mi
riesce meglio.” Lei non se lo fece ripetere due volte e si spogliò, rimanendo
con la camicia a righe bianche e celesti che dopo una giornata come quella era
da frullare senza alcun ripensamento nella lavatrice. “Che ti è successo oggi?”
“Di tutto.” Mormorò lei. Decisamente
quel massaggio le ci voleva tutto. “Prima Orlandi, poi mia madre…”
“Raccontami, tanto stasera sono tutto
per te.” Sorrise arrogante. Elisa non lo poteva vedere in viso, ma già si
aspettava di trovarlo con quel suo sorriso gongolante per la battuta.
“Daniela ti ha lasciato?” esultò con
stanchezza lei.
“Per tua sfortuna no.” Ghignò
sottosfatto.
Elisa chiuse gli occhi e sospirò,
sperando di far apparire quel sospiro del tutto normale, ma molto probabilmente
Francesco se ne era accorto, perché sospirò a sua volta. Lui era sempre stato
per lei, nel bene e nel male, la sua ancora di salvezza in ogni occasione. Era
sempre stato presente, era presente anche al parto di Sofia, sebbene nemmeno
pochi minuti dopo dovette uscire per non vomitare, ma c’era – e anche perché lei
non gli avrebbe mai perdonato l’assenza – ma quella Daniela lo stava
allontanando. Elisa lo sentiva, le notti in cui si rigirava nel letto senza
trovarlo erano aumentate, il tempo che lui passava con la sua famiglia
era quindi diminuito. Lei non voleva assolutamente fargli fraintendere i suoi
pensieri, non voleva assolutamente fargli credere che lei lo avrebbe sempre
voluto al suo fianco. No, non era ammissibile, sapeva benissimo che avrebbe
chiesto troppo e non sarebbe stato giusto da parte sua. Tuttavia, tra tutte
quelle con cui era stato, Daniela era proprio la peggiore. Non avrebbe detto
niente, non avrebbe nemmeno fiatato, se avesse continuato a stare con Silvia, o
Martina, o Caterina, o Alice… Ma proprio una come Daniela doveva trovare ora?
“Non ti sarai addormentata, vero?” le
sussurrò all’orecchio, facendola sussultare.
“No.” Negò. “No, stavo riflettendo.”
“Su cosa?” le sue mani ancora la
cullavano verso quello stato di tepore che precedeva il sonno. Non si era
addormentata, ma se lui avesse continuato, lo avrebbe fatto molto presto. E non
se ne sarebbe dispiaciuta.
“Niente di che. Lavoro, sai…” sviò. “A
proposito, tu?”
Francesco sollevò le mani dalle sue
spalle e già Elisa ne sentiva la mancanza, fece il giro del divano e si sedette
affianco a lei.
“Ultimamente Nicola si sta occupando
dei nuovi clienti con una foga incredibile. Non pensavo che un tipo come lui
potesse arrivare a fare la notte in bianco solo per buttare giù un paio di
idee.”
“E tu?”
“Io faccio da tappezzeria, al momento.
Cioè, ovviamente tra poco dobbiamo pagare l’affitto dello studio, gli attrezzi,
i muratori che ci seguiranno nei lavori.” Ridacchiò. “Non so nemmeno se ce la
faremo a fronteggiare tutte queste spese.”
“Non mi sembra una costatazione così
divertente.”
“Lo so, ma io la trovo buona.” Le
sorrise, prendendo una mano di Elisa che teneva intrecciata all’altra sulla
pancia e giocherellando con le sue dita. “Vedi, io ho sempre amato fare un
lavoro che mi permettesse un po’ di vivere alla giornata.”
“France, potrei capire il ragionamento
se tu fossi un cantante di strada, un attore alle prime armi, o altro di questo
genere, ma sei un architetto. Costruisci le case!” sbuffò. “Non puoi permetterti
di fare cazzate, l’architetto è un lavoro serio.”
“E io non ho intenzione di
sottovalutarlo.” Le sorrise. “Volevo solo dire che mi piace non avere troppi
programmi per il futuro. A mio parere, quello che succede senza essere previsto
è molto più eccitante di quello che affronti, sapendo già che dovevi
affrontarlo.”
“Lo sai che non ho mai condiviso queste
tue teorie stravaganti.”
“Perché sei troppo piantata in terra,
Eli.” Ridacchiò, portandosi una sua mano alla bocca e lasciandoci un piccolo
bacio. “Dovresti fare un po’ più di testa tua, essere più intraprendente,
cercare quello che vuoi veramente.”
“E chi ti dice che quello che voglio
non ce l’abbia già?” ritrasse la mano da quelle di Francesco.
“Be’, a vederti stasera non mi sembra
che tu sprizzi gioia da tutti i pori.” La squadrò.
Lei sospirò. Aveva ragione, ma per
quanto lui potesse essere un uomo dalle grandi vedute, dalla mentalità più che
aperta, sempre pronto ad accettare il futuro per quello che era, lei era più
concreta. Non era colpa sua se doveva frenare la voglia di mandare al diavolo
tutto lo studio in cui lavorava, e non era colpa sua se doveva frenare l’istinto
di dire chiaramente a sua madre quello che pensava, semplicemente se avesse
fatto come le diceva la sua parte irrazionale, avrebbe perso lavoro, soldi e sua
madre. Per questo era piantata in terra. E Francesco questo sembrava non
capirlo.
“Eli, ora io vado a letto.” Le diede un
bacio in fronte. “Buonanotte.” La salutò, prima di rinchiudersi in camera loro.
Lei chiuse nuovamente gli occhi e si
portò le mani sul viso. Dopo essere rientrata a casa, dopo aver visto Sofia e
Francesco insieme e dopo essere stata con lui per una mezz’ora, tutto il peso di
quella giornata sembrava essersi volatilizzato. O almeno, a livello mentale,
perché addosso si sentiva una stanchezza che nemmeno volendo avrebbe potuto
nascondere a se stessa. Decise di seguire l’iniziativa di Francesco e
trascinarsi in camera pure lei. Un po’ di riposo era esattamente quello che le
ci voleva.
__________________________________
Bene, eccomi qua con il terzo capitolo.
Qui entrano in scena altri personaggi "fondamentali" della storia, tra cui i
Bernardi, che avranno un ruolo molto importante, ma che ovviamente non vi
anticipo ;) Il capitolo, diciamo, che è un po' di passaggio: serve soprattutto
per far notare certi atteggiamenti dei personaggi, il contesto in cui vivono,
lavorano...
Be', aspetto dei vostri commenti per
sapere cosa ne pensiate!
(BeaR, secondo me troverai una
frecciatina ad una nostra brutta conoscenza anche in questo capitolo!)
Ps:
non è adorabile la piccola Sofia? *-*
Al
prossimo capitolo!
S.P.
|
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Capitolo 4 *** IV ***
Nuova pagina 1
“Senti,” la sua voce tradiva un certo
imbarazzo e Elisa fu quasi contenta di sentirlo. “Perché devo essere io a
vederti in queste posizioni da contorsionista, se poi non posso approfittarne?”
“Ma piantala, France!” schioccò la
lingua, mentre alzava una gamba per continuare a depilarsi. “Hai avuto anche tu
la tua occasione, peccato che poi tu non l’abbia saputa cogliere.” Il ronzio del
silk epil riempiva la stanza e le loro chiacchiere stavano raggiungendo
livelli decisamente poco consoni alla loro situazione in ambito sentimentale, ma
almeno Sofia non era lì, l’avevano portata a passare la nottata da sua madre, e
questo permetteva almeno meno disagio.
“Vuoi ritornare ancora su quella
storia?” Francesco non era mai stato un buon attore, e la sua esasperazione
parve la cosa più falsa mai vista quella serata, sebbene un fondo di verità la
celasse ugualmente. “Ti ho già spiegato ogni cosa, cavolo! Sei tu che -”
“No,” lo fermò, avvicinando il viso
alla gamba per vedere che non avesse lasciato alcun superstite. “Non ho
intenzione di litigare nuovamente sul passato.” Francesco, appoggiato alla
finestra per fumare una sigaretta, contrariamente alla volontà di Elisa, che non
si risparmiava qualche occhiata truce nella sua direzione, la osservò sfacciato,
aspettando che andasse avanti. “Tra poco uscirò con Marco e non ho voglia di
farmi trovare scocciata. Non voglio farlo innervosire, anche perché poi è peggio
per tutti e due.”
“Quindi hai intenzione di farci sesso,
stasera?” soffiò via il fumo.
“Già.” Lo guardò beffarda,
avvicinandosi all’interno coscia con la macchinetta. Lo sguardo di Francesco era
chiaramente sofferente alla vista della tortura a cui si stava sottoponendo
Elisa. “Ma tanto tu sei con Daniela, quindi non mi sembra tu faccia molto di
differente.” Buttò lì con indifferenza, sebbene la questione le bruciasse molto
in realtà.
“Ovvio.” Ghignò sfrontato. “Mentre tu
vedi di contenerti, ho idea che Marco non sia scatenato quanto lo sei tu.”
“Cosa ne sai di come sia fatto lui?” lo
fulminò, per poi fare una smorfia per l’interno coscia più sensibile.
“Voi donne siete le creature più
masochiste che possano esistere.”
“E lo siamo per voi, guarda l’ironia.”
“Marco apprezzerà.” Spense la sigaretta
ormai esaurita in un bicchiere d’acqua. “E forse, sentendo le tue gambe lisce
potrebbe anche sciogliersi.” La stava punzecchiando in piena regola, e come
sempre lei ci cascava.
“Ma che ne sai tu!”
“Oh, Elisa!” sogghignò. “Non ti pare
che quell’uomo abbia un palo in culo?”
“La tua finezza mi sorprende sempre,
France.” Sospirò lei, spegnendo la macchinetta, per poi scendere dal letto su
cui era seduta ed andare a staccare il filo dalla presa. “Proprio come la tua
maturità.”
“Se non sbaglio, però, fu proprio la
mia maturità a farti innamorare di me.” La stava guardando con un
sorrisetto furbo, il più malizioso che avrebbe potuto mostrare in una situazione
del genere, e Elisa dovette trattenersi dal tirargli il silk epil che ancora
aveva in mano proprio in mezzo agli occhi.
“In cinque anni sono cambiata.” Rispose
con dignità.
“Ho capito, stasera non hai voglia di
parlare…” si lamentò, buttandosi sul letto.
“Parlare?” inarcò un sopracciglio lei.
“Ma se mi stai attaccando su ogni fronte!” sbottò. “Vuoi per caso litigare anche
per cosa mi devo mettere stasera?”
“Sì, io ti consiglierei qualcosa che ti
copra totalmente, in modo da fargli perdere la voglia di spogliarti.”
Elisa imitò una risata per niente
convinta, andando verso l’armadio di fronte a Francesco e mettendosi a
scegliere, invece, qualcosa di decente. “Molto divertente, France! Vuoi dire che
spogliarmi è una tua priorità?” tentò di sfidarlo, guardandolo audace, ma
Francesco non era il tipo da imbarazzarsi a certe occhiate. Anzi, un tipo come
lui ne approfittava per rigirare la frittata a suo vantaggio, proprio come in
quel preciso momento che si era alzato e le aveva posato le mani sui fianchi,
coperti solo da un fine accappatoio, sotto al quale indossava solo la
biancheria.
“Tu lo vorresti?” le soffiò
all’orecchio.
“Francesco!” lo allontanò bruscamente.
“Cazzo, hai ventott’anni! Non sei più un ragazzino arrapato! Piantala!”
Lui indietreggiò e sorrise tirato,
leggermente impaurito, forse, dalla sua espressione estremamente seria, ma come
poteva non esserlo? Quei giochetti andavano bene qualche anno fa, ma ora erano
del tutto inopportuni per almeno tre buoni motivi: erano cresciuti, avevano una
figlia e – il più importante di tutti – lei stava con Marco e lui con Daniela.
Non stette ad elencarli esplicitamente, perché dalla sua occhiata inteneritrice
glieli aveva praticamente urlati senza emettere alcun suono e dall’espressione
esasperata di Francesco, capì che lui doveva aver recepito il messaggio.
“D’accordo, niente scherzi.” Disse,
passandosi una mano tra i capelli neri.
“Era l’ora che lo capissi, diamine!”
“Ok, allora io vado via.” E le diede le
spalle, uscendo dalla camera. Una volta sull’uscio si voltò per guardarla e
continuò: “Sono pronto da venti minuti e pensavo di darti un passaggio in
macchina, ma te la lascio, vado in moto, tanto ho capito che non ce la faremo
mai ad uscire allo stesso orario. Mi faresti solo fare tardi.”
“Già,” lo salutò con una mano, tornando
ad immergersi con la testa nel suo armadio. “Divertiti con la bionda.”
“E tu attenta a non rompergli il palo
che si tiene dentro.”
“France,” sospirò rassegnata, tornando
a guardarlo. “Sembri un adolescente…”
“Li porto bene i miei anni, eh?” le
fece un occhiolino ammiccante ed uscì di camera. Ma in pochi secondi tornò
dentro e si avvicinò a lei, che sorrise, sapendo bene cosa l’aspettava.
Francesco posò le sue labbra sul suo collo, scostando con una mani i capelli
rossicci che lo coprivano. “Scusa,” le sorrise. “Avevo dimenticato di
salutarti.” Ed uscì definitivamente, lasciando Elisa sola nella stanza, mentre
con una mano si copriva il suo bacio sul collo.
***
Marco aveva sempre avuto un tempismo
impeccabile, e alle otto e mezzo spaccate aveva suonato al campanello, facendo
saltare il cuore in gola a Elisa, che stava ancora cercando di scegliere la
biancheria da abbinare all’abito nero che avrebbe indossato. Provocante o
innocente? Ancora nel dubbio, gli aveva aperto ed invitato a sedersi sul divano
mentre lei, ancora in accappatoio, tornava in camera per finire di vestirsi,
optando per un intimo che trasudasse innocenza, come quello bianco, munito però
di un efficace push up. Niente pizzi e niente trasparenze, Marco non era il
tipo, effettivamente.
Cenarono in un ristorante in periferia
che ultimamente stava ricevendo discrete critiche positive sulla gestione e sul
cibo, ed Elisa dovette ammettere che era tutto vero: mangiò tanto e bene, senza
ovviamente avere possibilità di pagare la sua parte. Se fosse uscita con
Francesco poteva addirittura succedere che lui si dimenticasse il portafoglio a
casa, ma con Marco una scena del genere non si sarebbe mai verificata. Lui era
incredibilmente perfetto.
Quando finalmente lui l’accompagnò
fuori dal ristorante e la condusse in macchina, Elisa avrebbe pensato che la
prossima meta fosse casa sua, ma pochi minuti dopo, Marco deviò dall’usuale
viale che conduceva al suo appartamento, continuando a girare intorno alla
rinomata periferia della città.
“Dove stiamo andando?”
“È una sorpresa, tesoro.” Le sorrise.
Ed era veramente una sorpresa: Marco
l’aveva portata in un localino davvero grazioso all’esterno, decorato con
eleganza e che Marco indubbiamente non si era lasciato sfuggire.
“Ha aperto da poco.” Spiegò. “Conosco
uno dei proprietari perché è stato mio cliente.”
Elisa si trovò a meravigliarsi ancora
una volta per la quantità di persone che Marco sembrava conoscere per merito del
suo lavoro. Nemmeno lei, per quanto potesse essere brava a trattare con le
persone, aveva mai riscosso così tanto successo.
“Vieni, entriamo, che fa fresco fuori.”
Le porse un braccio e lei lo accettò volentieri, entrando all’interno di quel
locale come un’aristocratica coppia sposata. Per un momento Elisa pensò che un
tubino come il suo non fosse stato proprio l’ideale per un luogo come quello –
già Marco ne era rimasto piacevolmente sorpreso, una volta uscita di camera, ma
Chiara l’aveva quasi obbligata a comprarlo qualche tempo fa, e lei aveva visto
quell’uscita come l’occasione giusta per indossarlo – ma una volta varcata la
soglia, si era rilassata nel trovare le luci un po’ offuscate e la penombra che
la metteva a suo agio per non dare troppo nell’occhio. Per quanto fosse stata
sua l’idea di indossarlo, non poteva negare che fosse molto vistoso e la
mettesse leggermente in imbarazzo.
Marco la distolse dai suoi pensieri
mettendole una mano sulla schiena e incitandola con un sorriso a seguirlo verso
un tavolo. Posarono i cappotti su un divanetto e lei si accoccolò tra le sue
braccia, aspettando da bere e ascoltando le parole dolci che lui le sussurrava
all’orecchio mentre la carezzava sulla spalla scoperta.
“Stasera sei davvero bellissima, Eli.”
Lei sorrise e si sporse per baciarlo.
“Grazie.”
“Non te l’avevo mai visto questo
vestito. È nuovo?”
“Sì, lo comprai qualche settimana fa in
centro con Chiara.”
“Dovresti farle scegliere i vestiti
molto più spesso.” Rise.
“Non ti piace come mi vesto?” lo
provocò maliziosa.
“No, no! Ci mancherebbe!” rispose
prontamente, sorridendo cordiale. “Ma la tua amica sa esattamente come
accentuare la tua bellezza.” Le sfiorò con una mano il collo e le portò il viso
vicino al suo. Lei lo seguì bramosa di quel bacio che stava per unirli, ma una
voce imbarazzata li avvisò che i loro drink erano arrivati e un altrettanto
imbarazzato Marco tossicchiò un “grazie”, per poi allontanarsi da lei e
slacciarsi il primo bottone della camicia che indossava. Elisa lo fissò nella
poca luce di quell’angolino in cui si erano appartati e sorrise. Marco era
proprio un bell’uomo. Aveva tre anni più di lei, era alto, aveva spalle larghe e
un fisico davvero discreto. Teneva al suo aspetto, proprio come a voler piacere
sempre a Elisa, che decisamente apprezzava. E poi era una persona gentile. Forse
la più gentile che avesse mai conosciuto. Era rispettoso, generoso… Molto
probabilmente Marco non aveva difetti.
“Che c’è?” la guardò, offrendole il
bicchiere fresco.
“Niente, ti guardavo.” Gli sorrise,
cercando di apparire sensuale. Voleva ancora il bacio di prima.
I suoi occhi scuri brillarono
nell’ombra e le si avvicinarono, mentre un sorriso bianchissimo appariva sul suo
viso dai lineamenti virili e spigolosi.
“Ti va di ballare?” le chiese poi,
passandole una mano sulle spalle e avvicinandola a sé.
Elisa si rassegnò: il bacio non sarebbe
arrivato.
“Sono un’incapace.” Si lamentò lei, che
più per la paura del ballo, aveva paura che i suoi piedi non reggessero a lungo.
Aveva sbagliato a tirare fuori nuovamente quei sandali: le stavano massacrando
il mignolo del piede. Se le aveva messe via, c’era un motivo.
“Ti insegno io.” E le offrì la mano,
alzandosi dal divanetto e attendendo che lei accettasse. Certamente lei non
avrebbe mai avuto il coraggio di sottrarsi ai suoi modi da gentiluomo. Con Marco
le sembrava quasi di vivere in una fiaba, in cui il dolce principe andava a
salvare la principessa da una spiacevole situazione, conquistandola con la sua
nobiltà d’animo e le sue maniere gentili. Strinse la mano nella sua e si alzò,
seguendolo al centro della piccola pista da ballo, aggirando qualche altra
coppia che già da un po’ dondolava davanti a loro. La musica che in quel momento
riempiva l’aria era dolce, lenta e sembrava proprio fare al caso loro, e per
coronare quel quadro, lui l’avvicinò a sé e le cinse i fianchi con le mani,
mentre lei passava le sue mani intorno al collo. Rivolse lo sguardo a Marco e lo
fissò intensamente negli occhi. Lei sapeva cosa voleva, e con quello sguardo
audace, anche Marco l’aveva capito, e infatti si era chinato su di lei, posando
le labbra sulle sue, regalando quel bacio che Elisa attendeva da qualche minuto.
La cosa più strana del rapporto con Marco, ma che allo stesso tempo
l’affascinava, era come lui desiderasse sempre voler prendere l’iniziativa,
sebbene più volte lei lo incitasse.
“Ma tu guarda!” E la romantica magia si
ruppe all’istante. “Marco! Sei riuscito persino a convincerla a ballare? Quanto
l’hai fatta bere?”
Elisa si allontanò da Marco forse
troppo bruscamente e osservò inorridita Francesco davanti a sé. “Cosa ci fai tu
qui?”
Subito Daniela fece capolino dietro di
lui, con addosso un vestitino scollato e scosciato, che lasciava generosamente
intravedere le sue curve. A guardarla, Elisa provò l’impulso di avvicinarsi a
lei e tirarglielo un po’ più su perché non cadesse scoprendo il seno, come
invece sembrava fare da un momento all’altro. Ovviamente Francesco non poteva
che esserne felice: la stava palesemente mangiando con gli occhi, e quella sua
mano sul culo di Daniela non poteva essere fraintesa.
“Cosa ci fai tu qui, forse.” Le
sorrise lui.
“Sono con Marco.” Rispose sbuffando,
cercando la mano dell’uomo, che gliela concesse per poi passarle un braccio
intorno alla vita, come a voler mettere dei paletti ben visibili tra loro.
“E io con Dani.” La strinse a sé,
sorridendo come al suo solito.
“Vi va di unirvi a noi?” propose Marco,
sbalordendo Elisa per la sua incredibile capacità diplomatica.
“Se è solo per bere qualcosa.” Ghignò,
per poi piegare la testa e baciare Daniela sul collo, che lo allontanò
divertita.
Marco li guardava interdetto e Elisa
poteva benissimo capire il motivo. Con lui le battute erano sempre smorzate,
raramente riusciva ad afferrarle per quello che erano, perché lui era una
persona seria, poco propensa ai doppi sensi e alle battute di pessimo gusto che
solitamente si lanciavano lei e Francesco per il solo gusto di stuzzicarsi.
Tuttavia, questa sua particolarità le piaceva, perché lo mostrava per l’uomo
maturo che era, le dava sicurezza, quasi come se con lui, anche lei potesse
elevarsi ad un livello superiore, senza abbassarsi a rispondere alle
provocazioni del ragazzo.
Si concessero solo quel ballo, perché
poi Marco la guidò nuovamente verso il loro tavolo, seguiti da Francesco che non
faceva altro che stuzzicare Daniela con dei piccoli morsi all’orecchio. Elisa
provò un moto di ribrezzo nel vederli in atteggiamenti così intimi, quello non
era né il posto né il momento adatto per dare scena, soprattutto quando Marco
era stato così gentile da invitarli addirittura a bere qualcosa con loro,
venendo ripagato solo con una buona dose di maleducazione.
Elisa si costrinse ad agire e tossì
come se avesse un catarro in gola che avrebbe potuto sputare addosso a loro in
ogni istante, riacquistando così l’attenzione dei due allupati che aveva di
fronte, mente Marco le massaggiava la schiena come se volesse in qualche modo
farle forza.
“Scusate,” sorrise Francesco. “Ma Dani
ha già bevuto così tanto che non posso non approfittarne.” Scherzò, tornando a
baciare la ragazza sul collo. Nonostante tutta la sensualità che sembravano
emanare da ogni singolo poro, Elisa notò quel sorriso sghembo, quel ghigno che
più volte compariva sul viso di Francesco, accompagnato dal tipico sguardo
seducente ed intenso, quando voleva dimostrare qualcosa e tutt’a un tratto le
loro effusioni non la toccarono più, quasi fosse più tranquilla, quasi come se
quel sorriso sfrontato, reso ancora più arrogante dalla situazione, fosse per
lei.
Tutto ebbe un improvviso cambiamento
quando però anche Daniela sembrava voler fare la sua parte, iniziando a leccare
– Elisa avrebbe tanto voluto che quel termine fosse una metafora – l’orecchio di
Francesco, per poi scendere giù fino al collo, mentre lui sorrideva appagato.
Elisa li stava guardando infastidita, arricciando il naso e scoprendosi quasi
disgustata da quella scena da porno amatoriale che stavano bellamente
mostrando loro. E senza pensarci due volte, forse per vendetta, o forse solo per
distogliere lo sguardo, si voltò verso Marco, impossessandosi avidamente delle
sue labbra.
“E-Elisa, tesoro…” si scansò Marco,
chiaramente imbarazzato, il cui rossore era riconoscibile anche al buio del
locale. Subito lei si pentì di quella colossale cazzata e distolse lo sguardo
colpevole. “Senti,” si schiarì la voce, avvicinandosi a lei. “Se vuoi possiamo
andare a casa e -”
“No, scusa, Marco.” Mormorò
dispiaciuta.
“Oddio, France!” l’urlo tra il
divertito e l’esasperato di Daniela rapì la sua attenzione. Francesco la stava
guardando con il suo ghigno beffardo, con il retrogusto di quella soddisfazione
che solitamente mandava in bestia Elisa. Ma ora non solo la stava mandando in
bestia, era proprio incazzata. Si sentiva irrigidita e li fissava truce,
quasi sperando che sparissero dalla sua vista in quel preciso istante.
Daniela intanto si era allontanata e si
stava divincolando con le mani dietro la schiena. Elisa sapeva benissimo cosa
fosse successo: quell’idiota le aveva sganciato il reggiseno. Malignamente,
Elisa si trovò sorpresa che Daniela ne indossasse uno, e continuò a guardarla
irritata, ricordandosi come anche a lei Francesco avesse giocato quegli scherzi.
Una delle conseguenze più imbarazzanti fu quando prima di un esame lui
l’abbracciò per farle forza e con un abile gesto, le aprì il gancio del
reggiseno. Mentre si avviava verso il professore si era sentita il tessuto,
prima stretto e fasciante, più leggero, scostante… Non ebbe tempo e la capacità
di allacciarselo in un momento simile e dovette affrontare quaranta minuti di
orale con le braccia sigillate al suo corpo per evitare che gli uomini che aveva
di fronte potessero notare quel piccolo particolare.
“Non sei minimamente originale.” Si
lasciò sfuggire Elisa, guardandolo con sufficienza.
“Ti manca che a te non lo sganci più?”
Ammiccò malizioso. “Con quel vestito potrei anche fare un’eccezione.”
Marco, affianco a lei, trasalì e quasi
si strozzò con il drink analcolico che stava bevendo.
“Che diavolo stai dicendo?” sibilò,
socchiudendo gli occhi con rabbia.
“Scherzavo!” alzò le mani in segno di
resa. “Tranquilla!”
“France…” la voce roca e sensuale di
Daniela lo distrasse nuovamente. “Andiamo?” Lui non esitò nemmeno un attimo,
alzandosi e prendendo per mano la ragazza. Si avvicinò a Elisa e le soffiò un
mezzo bacio in fronte, per poi condurre Daniela verso l’uscita del locale.
Lei rimase interdetta e incapace di
rilassarsi completamente, anche una volta rimasta di nuovo sola con Marco.
Vedere Francesco insieme a quella bionda era sempre una sfida contro il suo
autocontrollo, e Elisa non sapeva per quando avrebbe potuto continuare a
resistere. Era al limite estremo.
“Ehi, vuoi andare via anche tu?” La
voce delicata e gentile di Marco, che si era abbassato verso di lei e le aveva
posato una mano sulla schiena, la fece rabbrividire.
“D’accordo.” Gli sorrise grata. Fece
per alzarsi, ma proprio in quel momento, il locale venne inondato dalle note di
una nuova musica lenta e sensuale.
“Prima concedimi un altro ballo.” Le
offrì l’usuale mano galante che lei accettò entusiasta. La guidò quindi con
naturalezza verso il centro della piccola sala da ballo e l’abbracciò,
muovendosi secondo precisi e semplici passi che Elisa inizialmente trovava
troppo rigidi, ma la mano calda di Marco e il suo sussurrare indicazioni la
sciolsero e lei si ritrovò a seguire i movimenti di Marco senza alcuno sforzo,
se non quello di stare in piedi con quei sandali.
Con Marco tutto sembrava semplice,
tutto sembrava bello e perfetto. Lui si avvicinò per baciarla e lei gli andò
incontro, smettendo di ballare per alzarsi in punta dei piedi e accorciare la
distanza dalle sue labbra. Tuttavia cercò un bacio forse troppo passionale,
perché Marco si scostò, mettendo fine a quel momento romantico che si era creato
tra di loro. Elisa indietreggiò dandosi della stupida e cercò di fuggire dal suo
sguardo. Quella davvero non era serata: prima Francesco e ora lei che non ne
combinava una giusta. Ma il suo attimo di depressione autolesionista venne
interrotta dalle grandi mani di Marco che la presero per le spalle,
accompagnandola nuovamente al loro tavolo. Presero le loro rispettive giacche
dal divanetto su cui le avevano lasciate, uscirono dal locale e salirono in
macchina. Lui continuava a sorriderle, ma lei si sentiva a disagio, non capendo
cosa volesse dire. Lo conosceva da un anno, ormai, ma certi suoi comportamenti
ancora non riusciva a decifrarli e per tutto il viaggio di ritorno si sentì
tesa, consolata solo dalla mano destra di lui che invece di tenere il cambio
della sua Audi, stringeva la sua mano.
Non la riaccompagnò a casa, come ormai
pensava che finisse la serata, ma parcheggiò sotto casa sua, per poi scendere e
girare velocemente intorno alla macchina per aprirle lo sportello. Mano nella
mano entrarono nel suo splendido e lussuoso appartamento all’ultimo piano di una
palazzina medievale perfettamente ristrutturata. Elisa stava decisamente
rivalutando la serata e quando, una volta chiusa con un piede la porta, Marco le
prese il viso tra le mani per baciarla appassionatamente, quasi come se non
riuscisse più a trattenersi, lei ne ebbe la netta certezza. I loro baci li
condussero nella sua camera e Elisa si buttò sul letto, trascinandolo addosso a
sé. Si rotolò di lato ed invertì le parti, prendendo soddisfatta il comando
della situazione.
_______________________________
Bene, gente, anche questo capitolo è
concluso! E possiamo dire che la serata si è conclusa bene per tutti i
personaggi tirati in ballo in questo aggiornamento, no? Uhm, sinceramente non so
che altro aggiungere di efficace per potervi salutare decentemente...
Solitamente parlo e stra-parlo, ma oggi sono proprio a secco di parole! Vabbé,
vorrà dire che tutte le mie chiacchiere saranno per i prossimi capitoli! ;)
Alla
prossima, gente!
S.P.
|
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Capitolo 5 *** V ***
Nuova pagina 1
“Francesco, davvero, non la posso
tenere.”
“Elisa, d’accordo che sono suo padre,
ma tu come madre non puoi scaricarla così.”
“Ma io devo andare in ufficio, non
posso portarla dietro!” Era un quarto d’ora abbondante che stavano discutendo su
chi potesse guardare Sofia, ed Elisa riproponeva la domanda con il tono sempre
più simile ad una supplica. Francesco non aveva ancora capito che da quando lei
aveva proposto di prendere nelle proprie mani il progetto dei Bernardi, la sua
presenza in ufficio era diventata fondamentale, non poteva più pensare di
prendere un pomeriggio di permesso per stare con la piccola. Per la mattina non
c’era mai stato problema, perché Sofia andava all’asilo, ma il pomeriggio
dovevano occuparsene loro, soprattutto quel giorno, che sua madre era andata a
fare una visita di controllo in ospedale e non sapeva bene a che ora sarebbe
tornata.
“Elisa, anche io ho i miei impegni, ho
anche io una vita!” sbottò Francesco, roteando gli occhi esasperato e cadendo
sul divano quasi privato delle forse, come se quella discussione lo facesse
stancare oltre il limite di sopportazione.
“E perché? Io no?” ribatté sbuffando
lei.
“Ascolta, Sofia è nell’altra stanza,
non voglio che ci senta litigare.” Riprese a parlare con calma il ragazzo. “Già
la nostra situazione è difficile, ci manca solo che degeneri ulteriormente.”
“Lo so, lo so, non c’è bisogno che tu
tiri fuori questa scusa ogni volta.” Elisa si portò una mano sul viso, attenta a
non rovinarsi il trucco. “Ma se ti chiedo un favore una volta ogni tanto,
potresti anche vedere di aiutarmi!” continuò imperterrita, ferma sulla sua
decisione. Si stava trattenendo di urlargli contro che era un imbecille
patentato quando faceva così, ma, sebbene fossero solo parole tanto per far
sbollire la frustrazione di quel pomeriggio, l’idea che Sofia li avesse potuti
sentire li stava frenando entrambi.
“Una volta ogni tanto?!” ribatté
Francesco, anche lui smorzando la potenza della sua voce. “Ma se nelle ultime
due settimane per andare al lavoro l’hai lasciata da me o da tua madre almeno la
metà delle volte!”
“Senti,” replicò a tono duro,
avvicinandosi a lui per farsi capire senza troppi problemi. “Io ci tengo al mio
lavoro. Con i soldi che guadagni tu come privato alle prime armi non ci facciamo
molto, lo capisci? Ho bisogno di lavorare pure io, e visto che guadagno di più,
è bene che tu mi appoggi! E dopo aver ottenuto anche questa sorta di aumento,
ora più che mai non posso fare altrimenti.”
“Lo sai quanto me che le tue sono solo
cazzate, Elisa.” Rispose Francesco con un’espressione impassibile. “Non so
perché tu faccia così, ma sappi solo che non è corretto, né nei confronti di
Sofia, che viene scaricata come se fosse un oggetto, né nei miei, che per te
dovrei farmi in quattro per ogni tua pretesa.” Quelle parole la colpirono forse
più del dovuto e sentirsi dare della madre irresponsabile le fece mancare il
fiato per qualche secondo, accelerando i suoi battiti cardiaci. “Ma quanto sono
io a chiederti qualcosa,” continuò lui. “Allora casca il mondo!”
Elisa si allontanò da lui cercando di
nascondere quanto la sua risposta potesse averla ferita, gli diede le spalle e
si diresse verso l’attaccapanni, prendendo il giacchetto lungo di velluto che si
era comprata qualche settimana fa, ed indossandolo.
“Francesco, senti, sono in ritardo.”
Disse con tono piatto. “Per favore, non voglio discutere per un altro minuto di
più.” Si interruppe per assumere un’espressione più vivace e con tono allegro
salutò la figlia, che le corse incontro e mise a tacere definitivamente quella
discussione che più volte aveva creato tensione tra loro due. Elisa schioccò un
bacio sulla fronte della bambina per poi sistemarle un attimo le codine che le
aveva fatto la mattina e che ora si stavano lentamente allentando, e aprì la
porta. “Ne riparleremo un altro giorno.” Mormorò rivolta a Francesco, che seduto
sul divano, dandole le spalle non rispose che con un altro sussurro quasi
impercettibile.
“Sì, certo. Come sempre…”
***
Era arrivata in ufficio con cinque
minuti di ritardo e si stava già maledicendo per aver anche solo iniziato a
discutere con Francesco. Sapeva che sarebbe andata a finire così, che lui
avrebbe continuato ad andarle contro qualunque cosa lei avesse detto e che le
avrebbe fatto perdere tempo. Certe volte le veniva da pensare che lui lo facesse
apposta di comportarsi così, che si divertisse a vederla in difficoltà, perché
quei discorsi saltavano fuori ogni volta che lei era in ritardo o aveva impegni
inderogabili. Però sapeva che sotto tutte quelle sue accuse, Francesco aveva
ragione. Ultimamente Elisa non faceva altro che pensare al lavoro, ma cosa
avrebbe dovuto fare altrimenti? Doveva ripartire da zero con la casa dei
Bernardi – che tra l’altro quel giorno erano in ritardo, l’avevano avvertita con
una mail, che lei però lesse solo una volta entrata in ufficio ed acceso il
computer – e Orlandi le aveva pure dato una scadenza. Non era possibile
conciliare tutto senza ripercussioni. E in questo caso, le ripercussioni
cadevano sulla sua famiglia. Non era certo una bella situazione, lei lo capiva
benissimo, come capiva che quando lui le diceva di avere una vita
intendeva che in quel periodo non aveva fatto altro che assecondarla per
permetterle di avere più tempo da dedicare al progetto, ma anche lui aveva un
lavoro e – dovette ammettere a malincuore – anche una vita sentimentale che
rischiava di finire da un momento all’altro se lei non avesse allentato le corde
tra loro due.
“Ehi, ti vedo pensierosa.” La voce di
Chiara fu come una manna dal cielo. “A cosa stai pensando?” Elisa non avrebbe
chiesto altro: doveva assolutamente confidarsi con qualcuno che la conoscesse e
capisse i suoi problemi. E nessuno era meglio di Chiara Lamberti, sua vecchia
amica dell’università e vecchia coinquilina, assunta nel suo stesso studio a
distanza di qualche mese. Si era laureata in più tempo rispetto a Elisa, ma solo
perché aveva più tempo a disposizione. Se Elisa avesse aspettato un altro po’,
avrebbe potuto partorire davanti ai professori.
“È Francesco…” si lamentò, offrendo una
sedia all’amica. “Abbiamo discusso nuovamente. Io non so più che fare, Chiara.”
Iniziò a girare sulla sedia della scrivania con evidente imbarazzo. Non era
certo colpa sua se la loro vita coniugale era un abominevole schifo. Con
la nascita di Sofia avevano deciso in comune accordo di rimanere uniti per il
suo bene, e non era ammissibile che ora Francesco volesse tirarsene fuori.
“Forse dovresti parlare chiaramente a
Francesco.”
“E cosa dovrei fare di più, scusa? Io
gli ho già detto tutto quello che avevo da dirgli.”
“Sì, ma immagino già la scena: tu che
urli – anzi, se c’era Sofia, tu soffiavi – e lui che, sicuramente seduto
sul divano, visto quanto gli pesa il culo in certe occasioni, ti risponde con
una calma da far invidia.”
“Immagini bene, ma la questione
rimane.” Sospirò Elisa, iniziando a torturarsi le pellicine delle dita. Era un
suo terribile vizio: quando era agitata, in ansia o comunque sotto stress, le
sue dita erano destinate a diventare il suo metodo di scaricare la tensione,
venendo torturate e mordicchiate senza ritegno.
“Non vorrei essere troppo cattiva a
proporti una cosa del genere, ma non pensi che sarebbe l’ora di separarsi da
lui?”
Elisa si voltò verso di lei e la guardò
sgranando gli occhi. “Cosa?”
“Sì, perché se tanto continuaste così,
l’unica cosa che otterreste sarebbe una discussione infinita, che con il tempo
potrebbe anche degenerare, e credo che Sofi prima o poi ne risentirebbe
personalmente.”
“Non vorrei arrivare a tanto, Chiara.”
Ammise Elisa, tornando a fissarsi le mani. “Io… Io non saprei cosa fare senza
Francesco. Lui è stato con me tutti questi anni…”
“Ma ora hai Marco, tesoro!” le sorrise
dolcemente lei. “Anche lui è sempre lì per te.”
“Sì, ma Marco non conosce la mia
famiglia, non sa cosa voglia dire vivere la mia vita, non sa quali siano i miei
riti quotidiani…”
“Solo perché tu non gli hai mai dato
l’occasione di conoscerli.” Le posò una mano sulla spalla come per farle forza.
“Quante volte l’hai invitato a rimanere da te?”
“Mai.”
“Ecco, prova invece a farlo rimanere.”
“Ma c’è Sofia. Non voglio che lei possa
vedere qualche altro uomo che non sia suo padre nella sua vita.” E dopo tutte
quelle scenate che lei non si risparmiava di fare a Francesco perché Daniela non
varcasse quella porta in presenza della piccola, sarebbe stata davvero ipocrita
se poi lei avesse lasciato avvicinare Marco alla figlia. Era anche una sorta di
rispetto, pensava. Come lei non sopportava Daniela, magari anche Francesco non
sopportava Marco, anche se quelle erano più pensieri campati in aria, che idee
fondate, visto che lui non le aveva mai dato modo di sospettare qualcosa di
simile. Tuttavia, questo non cambiava che per una semplice questione di
coerenza, se Daniela non stava con Sofia, anche Marco non poteva.
“Ascolta, ora ti faccio una domanda
davvero seria: pensi mai che Marco ti chiederà di sposarlo?”
Elisa dovette aspettare qualche istante
per metabolizzare l’inaspettata domanda che le aveva rivolto l’amica. Non ci
aveva mai pensato, sinceramente, e dovette aspettare per riordinare le idee e
trovare una risposta esauriente. “Be’, stiamo insieme solo da un anno, forse -”
“Non importa,” la interruppe.
“Proiettati in un futuro, forse nemmeno tropo lontano, e immaginati la scena. Tu
che risponderesti?”
“Che potrei finalmente avere la
famiglia che ho sempre desiderato.” Abbozzò mezzo sorriso all’idea di riuscire
finalmente ad avere una situazione familiare più normale, senza problemi esterni
dai suoi componenti.
Ecco, appunto. E non ti vedi in una
nuova casa, tu, lui e Sofia?“
“Eccome se mi ci vedo.” Aveva quasi
ritrovato il sorriso. Quell’immagine era qualcosa di quasi sfuggente, ma più ci
pensava, più le sembrava quasi reale.
“Visto?” sorrise entusiasta Chiara.
“Quindi prima o poi la piccola dovrà conoscerlo! Dovrà passare un po’ di tempo
con lui.”
“Ma come ho vietato a Francesco di
farle conoscere Daniela come sua ragazza, non posso farle conoscere Marco.” Il
punto, a vedere la situazione in maniera più razionale, era sempre quello.
“Presentateli come amici di mamma e
papà.” Le fece l’occhiolino.
“È la cosa più assurda che abbia mai
sentito.” Ridacchiò Elisa, sebbene pensasse che l’idea non fosse totalmente da
cassare.
“Davvero?” si meravigliò Chiara, per
poi acquistare nuovamente il suo sorrisetto saccente di chi la sa lunga. “Perché
io ho sentito anche di un accordo tra due persone non sposate – entrambe con
altri partner – che però vogliono continuare a vivere insieme, sotto lo stesso
tetto, solo per la figlia.”
Elisa perse per un attimo il suo
sorriso e la guardò stupita. Sì, effettivamente di cose strane lei ne aveva
fatte, dovette ammettere a se stessa. Forse, per il fatto che le aveva fatte per
se stessa, per non ritrovarsi sola, ma le sembravano quasi normali. Sentì una
risatina nascerle in gola, ma la trattenne. Forse era un’idea assurda, ma ne
avrebbe dovuto parlare anche a Francesco.
***
Quando propose di volersi occupare
della casa dei Bernardi, di certo non immaginava che poi avrebbe dovuto renderne
conto a Pietro. Infatti quell’uomo, con un ghigno sulla faccia che indicava
tutta la sua superiorità e la voglia non fargliela passare liscia, le bocciava
qualunque conclusione a cui erano giunti dopo ore di lavoro lei e la coppia di
neo sposini. Diceva che una facciata del genere non avrebbe permesso
l’illuminazione dovuta ad una stanza e che quindi doveva rivedere la
disposizione delle aperture in base alla norma che prevedeva una determinata
quantità di luce per metro quadrato. Oppure non trovava opportuno il rapporto
pedata-alzata che lei aveva calcolato per rendere la scala più comoda da salire.
Era un continuo scontro che Elisa era destinata a perdere. E ovviamente si
sentiva una vera merda a dover parlare a Giacomo e Cristina delle correzioni a
cui era stato sottoposto il progetto.
“Mi dispiace davvero tanto.” Mormorava.
“La cosa che più mi dà fastidio è che è tutto a norma!” iniziava quindi ad
alterarsi. “Le ho controllate io stessa, anche due volte in certi casi! È
quell’imbecille che non mi vuole dare carta bianca, accidenti!”
“Si calmi, Elisa.” Rispondeva Cristina,
con i suoi dolcissimi modi da donna educata. “Capiamo quanto possa essere
difficile andare avanti, ma quello che fa è già tanto.”
“L’unica cosa è che se continuiamo
così,” sospirava ogni volta Giacomo. “Ci troveremo costretti a cambiare studio.
Non possiamo ritardare troppo per la costruzione della casa.”
“Lo capisco, cercherò di impegnarmi
maggiormente affinché si possa riuscire a realizzarla.”
“Lei fa già abbastanza, non si
preoccupi troppo per noi.”
Elisa ormai si era affezionata ai
Bernardi, che tornavano sempre anche dopo averle fatto capire che per loro
sarebbe stato meglio cambiare studio, e questo la rendeva fiera, sapendo che
loro contavano su di lei.
Purtroppo giornate di quella stazza
erano estremamente pesanti e lei tornava a casa sempre più spossata. Si dava la
colpa, non avrebbe dovuto proporre una cosa tanto spavalda, eppure non era
riuscita a tenere la bocca chiusa e queste ora erano le conseguenze. Non tanto
seguire quella coppia, che anzi le stava anche simpatica, quanto dover
fronteggiare Pietro per ogni cambiamento che apportava al progetto.
“Ti vedo distrutta anche oggi, ma cosa
fai in ufficio?” ridacchiò Francesco. “Ti hanno messo a spaccare le pietre?”
“Magari…” sospirò Elisa, togliendosi il
giacchetto di velluto e mettendolo all’attaccapanni. “Forse spaccare pietre non
mi ridurrebbe così. Pietro è un bastardo! Critica tutto quello che faccio, non
mi lascia in pace nemmeno per la posizione delle finestre, ti rendi conto?” E
alla fine non aveva resistito: sbottò gesticolando in aria come una pazza,
convinta che se l’avesse fatto in presenza di Pietro Orlandi non si sarebbe
accontentata di smanacciare, ma avrebbe iniziato con il mettergli le mani
intorno al collo e a stringere finché l’ultimo sibilo di stronzaggine non fosse
uscito dalla sua bocca.
Per tutto il tragitto studio-casa aveva
pensato a cosa dire a Francesco per scusarsi della scenata – perché alla fine
era sempre così: lei che si scusava anche se in cuor suo sapeva di avere
ragione, almeno in parte, e lui che accettava magnanimo quelle sue parole
e tutto tornava come prima, ovviamente fino alla futura e inevitabile
discussione – ma una volta ricevuta quella domanda e averlo visto allegro, pensò
che doveva essere stato l’effetto terapeutico di Sofia che l’aveva reso di buon
umore e fatto sbollire la rabbia.
“E dire che ci sei anche andata a
letto.” Sogghignò lui – rincuorando Elisa per non dover passare una notte intera
a discutere – prendendola per mano e conducendola seduta sul divano affianco a
lui, mentre le massaggiava un braccio per farla calmare. Era incredibile come le
sue mani potessero avere un potere tanto grande su di lei. Ogni volta che la
toccava, Elisa si sentiva più leggera, più tranquilla. Le piaceva che Francesco
si occupasse ancora di lei.
“Così pare. Io non ricordo niente.” Si
affrettò a rispondere. Di certo non faceva figura trovarsi sul passato un uomo
come lui: forse bello, forse famoso, forse ricco, ma decisamente una testa di
cazzo bell’e buona! “E certamente se fossi stata in me, non l’avrei mai fatto.”
“Dovresti deciderti a smettere di bere,
allora.”
“Se dici così, mi fai passare per
un’alcolizzata.” Scherzò.
“Be’, non lo sei?” la guardò
strafottente, mentre si avvicinava per lasciarle un bacio sulla guancia, come
per evitare di scatenare la sua ira, che nelle condizioni in cui si trovava non
ci sarebbe nemmeno voluto troppo.
“No.” Rispose secca, tentando di
mettere così fine al discorso. “Ah, ma dove è Sofia?” si ricompose sul divano,
guardandosi attorno.
“In camera sua che gioca con le
bambole. Ha detto che era un gioco da femmine e che io non potevo entrare.”
Disse, alzando le spalle.
“Vado a salutarla. E poi ricordami che
devo dirti una cosa.”
“Devo avere paura?”
“Non credo, perché?”
“Mi sarei preparato psicologicamente,
durante la tua assenza.”
“No, tranquillo, puoi anche fare a meno
di Daniela. Torna pure a fare del salutare zapping.” Gli sorrise per poi
bussare alla porta della bambina. “Sofi, la mamma è tornata, perché non vieni a
salutarla?”
“Mamma!” trillò da dentro la stanza
lei, andando ad aprirle. “Lo sai?”
“Cosa, tesoro?” la prese in braccio,
baciandole la fronte.
“Stella ora dorme, ma prima ha dato un
bacio a Carlo!” sorrise eccitata, quasi come se fosse stata una cosa proibita ma
che aveva lo stesso fatto.
“Chi è Stella?” Elisa sapeva che Carlo
era il nome del bambolotto maschio, perché era anche un bambino con cui la
piccola giocava sempre all’asilo – lei lo chiamava il suo fidanzato.
“Stella! La mia bambola!” esclamò quasi
come se fosse stata una cosa ovvia.
“Ma non si chiamava Sofia come te?”
“No, prima. Ora si chiama Stella perché
a Carlo piace di più quel nome.”
“Ah, ok, ho capito.” Le sorrise
dolcemente. “Che vuoi fare ora? Continuare a giocare o venire a preparare da
mangiare con me e papà?”
“Ma hai sentito?” la riprese Sofia.
“Stella dorme, quindi non posso giocare!” disse come se fosse la cosa più
naturale al mondo. Elisa quasi invidiava l’innocenza e l’ingenuità dei bambini,
a cui basta poco per divertirsi e non hanno nessun problema che impedisca loro
di vivere in tranquillità. Le sarebbe tanto piaciuta tornare all’infanzia, ed
era per questo che adorava Sofia così tanto: sua figlia aveva la capacità di
farla tornare bambina.
“Allora vieni, tesoro.” La mise per
terra e le porse una mano. “Andiamo a preparare da mangiare.”
Tornò con la piccola nella sala dove
Francesco era ancora seduto sul divano a seguire una partita di basket da un
canale satellitare che non prevedeva il doppiaggio, e Sofia gli saltò addosso,
distraendolo da un canestro di Lebron James, tirandolo per la maglia perché
andasse in cucina con loro. Ed una volta tutti insieme, si misero al lavoro per
preparare da mangiare.
***
“Di cosa mi volevi parlare prima?”
“Cosa?” Elisa si stava asciugando i
capelli con un asciugamano. Aveva appena finito di fare la doccia e ora si stava
preparando per andare a letto bella fresca.
“Prima hai detto che ti dovevo
ricordare di dirmi una cosa.” Francesco era sdraiato sul letto con i suoi boxer
a quadri addosso, il torso nudo e il bel fisico muscoloso in mostra senza
pudore. Si era allungato verso di lei per attendere risposta e la guardava con
occhi vivaci e curiosi, degni del bambino che si teneva sempre dentro. Per un
attimo – e per evitare di dar corda agli inopportuni ormoni – pensò di spegnere
totalmente il riscaldamento, costringendolo a coprirsi, ma ne avrebbe sofferto
pure lei, in ogni senso.
“Ah, no, ecco…” Ripensare all’idea di
Chiara, per un attimo la fece tentennare. Certo, avrebbe voluto che Marco
conoscesse Sofia, ma sapere che questo si sarebbe dovuto estendere anche a
Daniela era fastidioso. “Oggi… Oggi ho parlato un po’ con Chiara.” Disse infine.
Avrebbe preferito non farne parola, ma quell’idea era pulsante e insistente
nella sua testa e sembrava proprio che non volesse essere ignorata. In Elisa si
stavano fronteggiando due mentalità: quella di vecchio stampo, che vietava un
qualunque altro incontro di genere maschile e femminile che avrebbe potuto
compromettere la loro già delicata situazione familiare, e quella nata dall’idea
di Chiara. Vinse la seconda: “Mi ha proposto di far conoscere Daniela e Marco a
Sofia.”
Francesco sgranò gli occhi sbalordito
per qualche istante, per poi aspettare che continuasse a parlare, come a
spiegargli quel suo improvviso cambiamento su un argomento che solitamente
nemmeno voleva toccare. “Così tu non potrai più dire che Daniela ti tratta male
per colpa mia.” Concluse, stizzita. Gli voltò le spalle e iniziò a frugare nel
cassetto della biancheria.
“Ammetti che lo fai più per te stessa
che per me?” Quelle parole la costrinsero a girarsi nuovamente verso Francesco,
che la stava guardando sfacciato, inarcando un sopracciglio e sorridendo
sghembo.
“No!” la replica sparata
automaticamente dal cervello non ebbe il tempo di subire la revisione dovuta per
la sincerità. “Cioè,” dovette correggersi, tossicchiando per nascondere
l’imbarazzo. “È ovvio che anche io voglia che Marco la conosca, però anche tu ne
avrai da guadagnare.” Non osò alzare lo sguardo su di lui, sentendosi giudicata
fin dentro l’anima dai suoi occhi verdi e saccenti.
“D’accordo, e vedrò di non pensare al
fatto che fai tutto più per te stessa che per gli altri.” Fu il tono scherzoso
che la fece tornare in sé, senza troppi problemi di imbarazzo o di violenza nei
suoi confronti.
“Ma smettila!” lo riprese, sorridendo e
tirandogli l’asciugamano bagnato addosso.
“Ti faccio sentire una merda, eh?” la
guardava soddisfatto.
“E anche tanto.” Gli concedette.
“Bene, era il mio obiettivo.”
Ridacchiò, per poi prenderla per un braccio e trascinarla sul letto assieme a
lui. Lei cadde senza preavviso e si scosse per sistemarsi l’accappatoio senza
lasciare generose visuali del suo corpo, e poi lo guardò divertita. Lui le
lasciò un baciò sul naso e si stese affianco a lei. “Mi piace stuzzicarti.”
“Sì, l’hai sempre detto e l’hai sempre
fatto.”
“Sono un uomo di parola.”
“E anche un bastardissimo idiota.”
Aggiunse sorridendo. Poi un lampo di coscienza la fece irrigidire. “Ricordo
perfettamente cosa solitamente succede quando siamo a questo punto, quindi
evitiamo di rovinare tutto per una voglia irrazionale, d’accordo?”
“Uhm… Ok.” Rispose lui, prendendo atto
della sua decisione. “Ma così bagnata mi ispiravi davvero tanto.”
“France!” si stizzì lei, alzandosi a
sedere e dandogli una pacca sulla spalla. Era sempre il solito ragazzino non
cresciuto. Il solito Peter Pan che aveva conosciuto sei anni fa.
“Ok, la smetto, Eli, non voglio
ritenermi responsabile di corruzione.” Ghignò ritraendosi verso la sua parte di
letto.
“Fingerò di non aver sentito.”
Nonostante quelle parole le fossero
uscite quasi come una sfida, non poté che essere felice di avere un rapporto
come quello con lui. In fin dei conti, dopo tutto quello che avevano passato, si
sarebbe quasi aspettata che lui la lasciasse sola senza pensarci due volte, e
invece erano ancora insieme, sotto lo stesso tetto, uniti come amici e ancora
più uniti da una figlia che entrambi amavano. Sapere poi che lui si divertiva
con lei proprio come un tempo, la faceva sorridere, perché in cuor suo si
rivedeva qualche anno indietro, quando ancora non sapeva come sarebbero andate
le cose e si sentiva libera di vivere il presente per quello che era con
Francesco.
____________________________
Et voilà, gente! Nuovo capitolo! Dopo
una litigata che sembra essere l'ennesimo "battibecco", qualcosa di routine, la
nostra Elisa è confusa per l'idea che Chiara le ha messo in testa. Diciamo che
la parte dell'egoista un po' ce la fa, ecco. Non la difendo né la accuso, lei è
fatta così: dopo quello che ha passato, volere una vita felice, una famiglia
unita - una vera famiglia - le sembra più che giusto. Francesco
ovviamente la smaschera subito, ma anche lui da una parte ne è contento.
Mi piace la piega che sta prendendo la
storia, sapete? Certo, è già tutta abbozzata su carta, ma scrivere particolare
per particolare è qualcosa che mi rende fiera di questi personaggi, perché vedo
come agiscono quasi avessero una volontà propria!
Ad ogni modo, non mi sto ad intrufolare
maggiormente nella loro testa, va', anche loro hanno diritto alla loro privacy,
visto che noi tutti possiamo leggere i loro pensieri a tutte l'ore del giorno ;)
Alla prossima puntata!
Ah!
Sappiate che prima o poi ci sarà un missing moment riguardo la notte in
cui Elisa è stata con Pietro Orlandi, come cita Francesco in questo capitolo!
Metterò il link non appena sarà conclusa, così vedrete anche qualche scena
inedita ;)
EDIT
28/12/10: Ecco a voi il missing moment a cui accennavo:
Twenty-six:
Avventura di una notte di mezza Estate. Buona lettura!
S.P.
|
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Capitolo 6 *** VI ***
Nuova pagina 1
“L’hai drogata?”
Daniela lo stava guardando incredula,
sdraiata sul letto con una mano sul suo petto nudo. Aveva i capelli arruffati
per quel momento di passione che aveva preceduto quella sua affermazione, e
Francesco non poté non pensare a quanto fosse terribilmente sexy in quello
stato.
“No, ti giuro che ha fatto tutto di
testa sua.” Le scostò qualche ciocca dal viso e gliela passò dietro l’orecchio,
mentre lei, più tranquilla, appoggiava la testa al suo petto. “A quanto mi ha
detto, dev’essere stata Chiara a metterle la voglia di far incontrare Marco e
Sofia.”
“Quindi dovrei erigere una statua a
questa Chiara, no?”
“Già.” Le accarezzò una spalla,
muovendo l’indice in tanti piccoli cerchi che portarono Dani quasi a fare le
fusa.
“Pensi che possa piacere a Sofia?”
Francesco sorrise a quella domanda. Per
quanto Daniela fosse una donna forte, era incredibile come poteva imbarazzarsi e
cercare sempre conferme quando trattava di argomenti più seri e delicati, come
ad esempio proprio conoscere sua figlia.
“Certamente. Sei bella, la colpirai
sicuramente!” ridacchiò.
“Ah, quindi le potrei piacere solo per
l’aspetto?” si mise a sedere con un movimento brusco, facendo pressione con una
mano sul petto di Francesco, che dovette accusare il colpo – dopotutto, se l’era
cercato. Lui però le prese il viso tra le mani e la condusse vicino a sé, per
poi farla tacere con un bacio.
“Lo sai che scherzo, Dani.” Le
sussurrò, prima di scostarsi per baciarle la guancia, poi l’orecchio ed infine
mordicchiarle il lobo.
“France, non posso intrattenere un
discorso serio, se tu fai così.” Gemette.
“E secondo te perché lo faccio, io?”
sorrise malizioso.
“Sei un idiota.” Sospirò, mentre
chinava la testa per rendergli quei piccoli morsi sul collo.
“Lo so.” L’avvolse con le braccia e si
rotolò sopra di lei, intrappolandola tra il materasso e il suo corpo.
“Oh, no, France.” Si divincolò lei.
“Sei incredibile! Togliti, voglio una volta tanto fare un discorso serio.”
Protestò. “Se fai così mi destabilizzi!”
“Ok,” sospirò, arrendendosi. Scivolò
affianco a lei, passandole un braccio intorno alla vita sottile e la guardò
negli occhi, aspettando che parlasse.
“Sei sicuro che questa faccenda però
non interessi solo Marco?” Lui la guardò senza capire. “Cioè,” farfugliò,
mettendosi un altro ciuffo di capelli dietro l’orecchio, con fare imbarazzato.
“Non è che lei ti ha proposto quest’incontro solo per far conoscere a Sofia
Marco? Sei sicuro che l’invito si estendesse anche a me?”
Lui annuì, mangiandosi con gli occhi
quella timidezza che raramente Daniela lasciava trapelare dai suoi gesti, dalle
sue parole. Lei era una donna incredibile: era bella, intelligente, capace di
sorprenderlo in ogni occasione, sapeva quando era il tempo di giocare e quando
quello di essere seri, proprio come in quel momento. Lo affascinava, lei cadeva
ai suoi piedi ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, ma faceva quasi di
tutto per non farlo a vedere, apparendo vulnerabile e quasi buffa. Le piaceva.
“E quando sarebbe questa cena?”
“Elisa mi ha accennato alla settimana
prossima.”
“Vuoi che prepari qualcosa? Non lo so,
un dolce, un contorno…”
“No, anzi. Se tu lo facessi, credo che
Eli si arrabbierebbe. Lei ama avere tutto sotto controllo, e sapere di avere
qualcuno che le preclude questa possibilità la manda in bestia.”
“Per questo non mi sopporta? Pensa che
io potrei soffiarle via oltre che te anche la figlia?”
“Forse, sei tu la psicologa tra noi.”
Le sorrise, baciandola sul mento.
“Allora penso di aver ragione.”
“Però non ci hai mai parlato a fondo
per poter arrivare a certe conclusioni.”
“Lo so, però il mio sesto senso non
sbaglia quasi mai.”
“Sei molto modesta.” Sussurrò con voce
calda e roca, avvicinandosi al suo collo. Sapeva che Daniela avrebbe resistito
per molto poco, quando lui usava quel tono, e di certo lui non si risparmiava di
usare quelle palle curve. Tra meno di un’ora sarebbe dovuto tornare a casa,
perché Elisa doveva uscire con Marco e gli aveva chiesto di tenere Sofia, visto
che non aveva voglia di vedere sua madre. Gli aveva detto che in una giornata
così bella, iniziata nel migliore dei modi, lei sarebbe riuscita senza alcuno
sforzo a metterla di cattivo umore e rovinare la sua uscita con Marco. Francesco
le aveva creduto, conosceva da molto tempo Anna e sapeva quanto velenosa poteva
essere se le prendeva la voglia di mettere bocca su ogni cosa. Raramente lui si
presentava da lei per portarle Sofia, e tutte le volte – perché se ne sarebbe
accorto se così non fosse stato – lei non gli aveva risparmiato una ramanzina di
un quarto d’ora abbondante che gli rinfacciava di essere un poco di buono, di
aver messo incinta sua figlia, di averle rovinato la vita e di conseguenza di
aver rovinato la vita a lei. Ovviamente Francesco non ci dava mai troppo
peso, ma sentirsi attaccare su tutta la linea in pochi minuti era frustrante,
anche perché ribattere era fuori discussione. Ogni volta che usciva da quella
casa si sentiva addosso una voglia matta di sfogarsi che l’avrebbe potuto far
scoppiare se non avesse fatto qualcosa, e infatti solitamente si rintanava in
palestra per un paio d’ore non appena avesse avuto del tempo libero.
Fu la mano audace di Daniela a
distrarlo da quei pensieri e Francesco non avrebbe voluto altro, perché pensare
a quella vecchia megera in un momento simile avrebbe potuto fargli passare tutta
l’eccitazione. Accettò l’intraprendenza di Dani e si lasciò guidare dai suoi
gesti, per poi attendere il suo momento per ricambiare il favore.
***
Marco la stava aspettando appoggiato
alla sua Audi grigia metallizzata. Appena uscì dal palazzo le tolse il fiato:
sembrava uno di quei modelli che pubblicizzano auto posando sensuali mentre un
fotografo li riprende. Già, giusto il fotografo mancava, perché quella camicia
bianca con i primi due bottoni aperti, quei jeans dall’aria trasandata – ma
sicuramente di marca – quelle scarpe nere sportive ma allo stesso tempo
eleganti, e soprattutto quell’espressione da bello impossibile che aveva sul
viso era davvero qualcosa di sublime. Elisa dovette trattenersi per non
saltargli al collo e non mangiarselo a suon di baci, accontentandosi di un bacio
a fior di labbra quando lo raggiunse sul ciglio della strada. Lui le aprì la
portiera come un perfetto cavaliere del ventunesimo secolo e girò intorno alla
macchia per posizionarsi alla guida. Era terribilmente impeccabile ed Elisa lo
preferiva in gran lunga in quella tenuta tra lo sportivo e l’elegante, che in
giacca e cravatta come amava vestirsi lui, per darsi quell’eleganza degna degli
uomini d’affari, o nel suo caso, di un avvocato.
“Sofia è da tua madre?”
“No, c’è Francesco in casa.” Rispose,
convincendosi che sarebbe stato meglio adottare una tecnica di distrazione onde
evitare figure in sua presenza. Si schiarì la voce e distolse lo sguardo da
Marco, guardando davanti a sé la strada che stavano percorrendo.
“Ma non avevi detto che era da
Daniela?”
“Sì, ma non volevo andare da mia
madre.”
“Perché?” chiese con aria innocente.
“Non mi sembra che tua madre sia quella strega che dipingi sempre tu.”
Elisa sospirò, sapendo benissimo il
motivo di quelle sue parole. Marco non stava mentendo solo per ingraziarsi la
donna, era estremamente sincero, ma questo era dovuto al fatto che con lui sua
madre era un angelo. L’aveva invitato qualche mese fa ad un pranzo di Pasqua,
presentandolo alla sua famiglia e Anna Pratellesi-De Angelis non si era lasciata
sfuggire l’occasione per dimostrarsi la donna più apprezzabile del mondo.
Sorrideva sempre, gli offriva da mangiare ancor prima che lui finisse il cibo
che aveva nel piatto, gli faceva i complimenti, lo ringraziava per essersi
interessato alla sua figlia minore – come se Elisa fosse un rifiuto della
società, come se fosse una merda scansata da tutti – e molte altre cose del
genere. Lei però non aveva mai avuto il coraggio di dirgli come erano messe
veramente le cose tra loro, soprattutto per due motivi principali: il primo era
che non aveva lei in prima persona voglia di parlare della madre, e poi perché
da una parte sperava seriamente che uno come Marco potesse piacerle. Il timore
che lui conoscesse la vera Anna Pratellesi-De Angelis e scappasse a gambe levate
era ancora presente.
Dopo qualche minuto in macchina, Marco
si accostò e fece scendere Elisa. Camminarono qualche minuto, mano nella mano,
finché non giunsero all’inizio del viale alberato lungo il fiume che
caratterizzava la città. Era un posto stupendo e rilassante. Tutto intorno al
percorso vi erano dei grandi alberi da cui filtrava la luce ed il calore del
sole ed Elisa doveva ammettere che in autunno la bellezza di quel luogo
raggiungeva l’apice: i colori gialli e arancioni delle foglie degli alberi in
autunno davano un senso di calore, di intimità più che in estate.
Mentre camminavano incontrarono ogni
sorta di coppia, perché quel viale era la meta preferita delle coppie, che
fossero di anziani o di ragazzini. Tutti camminavano contenti, abbracciati e
alimentavano il loro amore con scenette romantiche come il tramonto sul molo
oltre il viale e le chiacchiere sulle panchine di pietra nascoste tra gli
alberi. Era davvero un gran bel posto. Tempo fa, Elisa era solita passeggiare lì
con Sofia, per fare due passi all’aria fresca, e ancor prima le ci era capitato
di andarci con Francesco. Era stato lui a convincerla della magia di quel luogo,
portandocela una delle prime volte che uscirono, sebbene – Elisa lo scoprì dopo
– le intenzioni del ragazzo non combaciassero perfettamente con le sue. La prima
volta che Elisa rimise piede in quel viale con Marco, quasi le tremarono le
gambe, perché come con lui, anche con Francesco proprio lì avvenne la prima
manifestazione di amore in pubblico: si erano appartati dietro al tronco di un
grande albero e si erano scambiati il loro primo bacio intriso di passione, uno
di quei baci che faceva perdere il controllo a Elisa, e che una vecchiettina
interruppe accusandoli di essere in atteggiamenti peccaminosi e del tutto
inadatti ad un luogo come quello.
Le nacque una risata a quel ricordo e
Marco rise insieme a lei, pensando però che trovasse divertente quello che le
stava raccontando.
“Capito? È assurdo!”
Elisa tentò di ricostruire il discorso
recuperando quelle parole che ogni tanto aveva sentito nel suo rivangare i
vecchi tempi, e ne dedusse il resoconto di una dei suoi ultimi casi: suo padre –
avvocato come lui e per cui Marco lavorava – gli aveva passato una lite tra due
condomini che litigavano riguardo a chi spettasse il posto auto più vicino
all’entrata.
“Queste cause solitamente vengono
svolte da altri addetti, io sono un avvocato penale, però ultimamente ce n’erano
troppe accumulate e me ne hanno affidate alcune anche a me.” Le stava spiegando.
“E devo essere sincero: passare da un caso penale ad uno civile è davvero
strano.”
“Posso immaginare.” Gli sorrise,
prendendolo per un braccio e appoggiandosi a lui, che la guidò verso una
panchina sulla riva del fiume. Il sole era in procinto di tramontare, dando al
cielo una pennellata di rosso che andava a sovrapporsi all’azzurro limpido di
quel giorno. Da quanto Elisa non si sentiva così bene? Dopo Francesco, aveva
avuto poche storie serie, perché quasi nessuno aveva accettato il fatto che lei
fosse già madre a quell’età. Quella responsabilità spaventava molti, e Elisa
dovette prenderne atto. Ci fu solo Davide che riuscì a scioglierla, a
conquistarla, accettando oltre che Elisa stessa, anche Sofia. Era molto
importante per lei sentire di essere amata quanto la figlia da un uomo e pensava
che quella sarebbe stata la volta buona per lei. Purtroppo qualche mese dopo i
sentimenti che li univano avevano iniziato a sfumare, lasciando spazio solo
all’affetto, così si lasciarono. Fu solo trovando Marco che lei poté tornare a
sentirsi serena, amata… Solo lui era riuscito a farle provare nuovamente tutte
quelle sensazioni che ogni donna corteggiata si aspetta.
Nel ripensare a quanto stesse bene,
alzò lo sguardo su di lui, incontrando i suoi occhi scuri che la guardavano
senza capire. Era stupito, ma il sorriso che lei gli offrì lo fece sciogliere e
si chinò per rubarle un casto bacio, per poi lasciarle la mano che ancora
stringeva nella propria, e le passò un braccio intorno alle spalle, attirandola
a sé. Lei poggiò la testa sulla sua spalla e rimasero in silenzio per qualche
istante, cullati da quella brezza leggera che annunciava l’imminente calare del
sole.
Francesco non era mai stato così
romantico. Il suo romanticismo era spesso e volentieri legato al sesso e di
certo non reggeva il paragone con Marco. Il massimo a cui si era spinto era
portarla a giro per la città, mostrandole luoghi a lei del tutto sconosciuti
sebbene vi abitasse da sempre, ma si fermava lì. E purtroppo Elisa aveva
scoperto a sue spese che quello non era romanticismo.
“Elisa, basta pensare a lui.”
Furono quelle parole a distrarla e a
farla trasalire. Era incredibile come Marco sapesse leggerle dentro con una
facilità inumana.
“Come scusa?” farfugliò, cercando di
ridacchiare come a nascondere il suo danno. Purtroppo le uscì solo una ridata
nervosa che la incriminò senza ritegno.
“Sei con me adesso.” Le sussurrò.
Elisa si diede della stupida ad aver
reagito in preda al panico. Dopotutto stava solamente facendo un paragone in cui
Marco aveva stracciato su ogni fronte Francesco, non aveva di che preoccuparsi,
e tantomeno niente che dovesse indurla a farfugliare scuse.
“Sì, hai ragione.” Sorrise lei,
stringendosi nuovamente contro il suo petto. “Sai,” volle spiegargli. “Stavo
pensando che nessuno era mai stato così gentile e romantico con me. Nemmeno
Francesco.”
“È per questo che non stai con lui.” Il
sapere che aveva superato il livello di romanticismo di Francesco sembrava
averlo aiutato in autostima. Elisa ridacchiò, evitando di dirgli che non era
quello il motivo per cui non stava con lui. Non era stata lei a lasciarlo.
“Senti,” iniziò Marco, dandole un bacio sulla fronte. “Ti va una serata al
ristorante in centro?”
Elisa si trovò a lottare per decidere
quale sillaba avesse dovuto pronunciare. Da una parte non avrebbe voluto altro:
passare ancora un po’ di tempo con quell’uomo che l’amava nonostante i suoi
mille difetti, senza farle pesare la sua situazione familiare… Dall’altra aveva
un motivo a cui, in effetti, teneva di più.
“Mi dispiace,” rispose. “Ma è tardi.
Sofia e Francesco mi aspettano a casa.” Il sole stava tramontando davanti ai
loro occhi e quello era il segnale che lei doveva tornare, l’incantesimo di
quella romantica uscita era svanito, proprio come Cenerentola allo scoccare
della mezzanotte – una mezzanotte un po’ anticipata, in questo caso – perché lei
l’aveva promesso a Sofia.
Marco la guardò per qualche istante con
un’espressione indecifrabile ed Elisa soffrì nel vedergliela. Le sembrava che
tutto d’un tratto quello che lei faceva non andasse più bene, che il preferire
la sua famiglia a lui delle volte gli pesasse, che il voler tenere
lontana da lui Sofia lo infastidisse. Da quando lo conosceva, Marco non
gliel’aveva mai detto – non era il tipo da esternare così facilmente i suoi
sentimenti, lui preferiva tenerseli dentro – ma glielo lasciava intuire dal modo
in cui aggrottava la fronte, dal suo sguardo intenso. Era come se le sue buone
maniere, radicate in lui sin dalla nascita, gli impedissero di pronunciare
quelle parole.
Elisa avrebbe voluto cancellare quella
sua espressione dal viso accettando l’invito, ma non lo fece volutamente. Lei
non era il tipo da gradire tutte quelle attenzioni e i ristoranti di grande
classe non le piacevano, sembravano pretendere atteggiamenti troppo sofisticati
per lei, e Marco questo lo sapeva, però le aveva sempre confessato che alla
donna che amava non voleva mai far mancare niente. Andava fiero di potersi
permettere il costo di una cena in un ambiente come quello, rendendo così Elisa
una donna che meritava tali attenzioni. E lei, in cuor suo, se ne sentiva
lusingata. Tuttavia, davanti alla voglia di far tornare il suo tipico dolce
sorriso sul viso di Marco, Elisa si decise a proporgli un’altra soluzione, un
altro invito.
“Ehi, che ne dici di venire da noi
Martedì prossimo a cena?”
Non ricevette subito una risposta,
perché sembrava che lui dovesse metabolizzare per bene le parole che aveva
appena sentito. “Nel senso con te e Sofia?” si illuminò.
“Sì, ma anche con Francesco e Daniela.”
Specificò. Di certo non dire niente non sarebbe stata una bella sorpresa da
fargli, una volta che fosse entrato in casa sua. “Saremo solo noi cinque.” Gli
sorrise dolcemente, aspettando una sua conferma che potesse avere il potere
concludere in bellezza quell’uscita.
“Avrei preferito essere solo con te e
tua figlia, ma credo proprio che mi accontenterò.” Anche lui sorrise, rendendo
Elisa elettrizzata all’idea, che gli saltò addosso, abbracciandolo e baciandolo
con passione.
Forse per quella notizia che Elisa gli
aveva dato e che lui aspettava ormai da un anno, forse per il momento romantico,
lui ricambiò con la stessa passione, cingendola per i fianchi e cercando le sue
labbra con bramosia.
Quella era sicuramente la conclusione
migliore che poteva avere la loro uscita.
***
“Ciao, mamma!” una raggiante Sofia le andò incontro come un missile,
aggrappandosi ad una gamba e saltellando euforica.
“Ciao, tesoro!” la salutò sorridendo anche lei, trasportata dalla sua energia.
“Cosa succede?”
“Papà mi ha fatto un disegno bellissimo!” la prese per una mano e trotterellò
verso la sala, dove Francesco era seduto sul pavimento con fogli e matite vicino
a sé. “Guarda!” Elisa approfittò del momento in cui Sofia la liberò per
togliersi il cappotto che non aveva fatto in tempo a togliersi prima, catturata
immediatamente da quella vivacità che riusciva sempre a metterla di buon umore –
anche se quel giorno in particolare non ne avrebbe avuto bisogno, visto come era
stata bene con Marco.
Sofia afferrò il foglio dal pavimento e lo sventolò davanti ai suoi occhi ed
Elisa dovette afferrarlo per poterlo vedere nitidamente. Francesco aveva sempre
avuto una dote incredibile per il disegno, soprattutto quello a mano libera,
mentre in quello geometrico era incredibilmente caotico, tutto il contrario di
lei, che non riusciva a fare due linee diritte senza l’aiuto di righe e squadre.
In quel foglio c’era uno schizzo del volto di Sofia, con le sue codine, il suo
sorriso birichino e il piccolo naso all’insù. Francesco gliene aveva fatti
tantissimi dacché era nata, aveva tantissimi raccoglitori pieni di schizzi,
suoi, di Sofia, della madre, del padre, amici, e anche paesaggi… tutti fatti con
qualunque cosa avesse a portata di mano. Anche sparsi a giro per casa c’erano
dei suoi disegni incorniciati.
“Mamma, anche io da grande disegnerò così?”
“Se ti eserciti, sì.” Le sorrise. “Ascolta, tesoro,” si chinò verso di lei,
passando il foglio a Francesco. “La mamma va a fare la doccia, vieni con me?”
“Anche a me piacerebbe fare la doccia con mamma.” Mugolò in risposta Francesco,
guardandola con occhi supplichevoli. Sofia rise a quell’espressione almeno tanto
quanto Elisa strabuzzò gli occhi alla sua affermazione.
“Sì, anche papà fa la doccia con noi!” esultò la piccola, ignara del
maliziosissimo doppio senso, di cui Francesco stava ancora ghignando
soddisfatto.
“Ehm, no, Sofi.” Tentò di dissuaderla da quella sua euforia. “La doccia è
piccola, dai, andiamo.” E le offrì una mano.
“Papà, allora vai tu con la mamma, io vado dopo!” propose come generosa
alternativa.
“Amore, io e papà siamo troppo grandi, non ci stiamo lo stesso lì.” Le sorrise.
“Davvero?” si intromise Francesco spudoratamente. “Allora devono aver cambiato
da poco le grandezze standard dei servizi.”
“France, ti proibisco di fare altre battute.” Lo squadrò minacciosa.
“Ok, ok, scherzavo!” si arrese, sogghignando.
“Vado a spogliarmi, puoi aiutare tu Sofia?” disse quindi lei, dirigendosi verso
la camera. Francesco annuì e prese la piccola in collo, sparendo nella piccola
stanza di Sofia.
Elisa si sedette un attimo sul letto, nascondendosi il viso tra le mani.
Possibile che Francesco avesse sempre la battuta pronta in ogni momento? Ma
soprattutto, possibile che avesse sempre la battuta a sfondo sessuale
pronta in ogni momento? Elisa sospirò: per quanto quelle sue battute la
mettessero terribilmente in imbarazzo se dette in occasioni del tutto
inopportune, non potevano che farle piacere. Era un po’ come tornare a qualche
anno prima.
Si
alzò e iniziò a spogliarsi. A ripensarci, loro non avevano mai fatto sesso nella
doccia, una volta lui era piombato in casa sua quando ancora studiavano e le
aveva proposto una cosa del genere, visto che proprio in quel momento lei stava
andando in bagno, ma lei lo confinò sul divano e lo minacciò di amputazione del
suo gingillo se anche avesse solo provato ad entrare nel bagno. Con Marco invece
l’avevano fatto, o almeno, ci avevano provato, perché mentre lui era in bagno,
lei si era intrufolata nella cabina insieme a lui, che all’inizio – in evidente
imbarazzo – si stupì, per poi iniziare a baciarsi. Peccato che lui scivolò
battendo la testa contro il muro e facendo cadere anche lei, che picchiò l’anca
contro il rivestimento di ceramica. Lui si ritrovò con un bernoccolo in fronte e
lei con un livido violaceo su un fianco. Da quel momento aveva evitato di fare
ulteriori agguati del genere e accontentarsi del classico sesso a letto, perché
aveva capito che Marco purtroppo non era il tipo di uomo che amava queste
manifestazioni di sesso selvaggio.
Fu
il bussare alla porta di Sofia che la fece tornare al presente, senza trattenere
una risatina all’immagine che aveva appena rievocato, così – rimanendo in
biancheria – si mise l’accappatoio addosso e uscì, prendendo la piccola per mano
e dirigendosi verso il bagno.
“Certo che se Marco ti vedesse così, non so se gli si rizzerebbe ancora!”
Francesco glielo diceva sempre e lei tutte le volte sospirava, esasperata ma
divertita. Sapeva di essere ridicola a mettersi l’accappatoio con ancora i
calzini addosso, tenuti dentro le ciabatte da piscina, ma per utilità non aveva
mai smesso di farlo.
“Le calze mi pizzicano.” Ribatté come sempre. “Preferisco di gran lunga i
calzini quando le calze non sono indispensabili. E poi così posso togliermi
tutta la biancheria in bagno in una volta.”
Francesco rise, trascinando anche Sofia ed Elisa in quell’ilarità. A volte Elisa
pensava se certe cose sarebbero state le stesse anche con Marco, e tutte le
volte cercava di non rispondersi.
_____________________________________
Altro capitolo! Il
prossimo sarà quello "cruciale", diciamo, ma anche questo non è male, no? Alla
fine, anche se è un capitolo di passaggio, mostra comunque degli aspetti
abbastanza rilevanti al fine della storia, ovvero come si comportano i vari
personaggi con i rispettivi partner. E un po' anche le loro paranoie ;) Che
dite? La serata prevederà qualche guaio? Be', si saprà solo con il prossimo
aggiornamento! E già che ci sono, vi faccio gli auguri di tutto: Natale, anno
nuovo e - perché no? - anche Befana! Anche se, sì, è verissimo, sono in super
ritardo! Ma meglio tardi che mai, no? ;)
Ah, sappiate che ho pubblicato
anche una piccola scena inedita su questa storia,
Twenty-six:
Avventura di una notte di mezza Estate. Parla di quella fantomatica notte di
passione tra la nostra Elisa e il suo tanto amato capo, Pietro Orlandi.
Cosa è realmente successo quella sera? Leggete e scoprirete!
Alla prossima,
gente!
S.P.
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Capitolo 7 *** VII ***
Era armata di una padella incand
Era armata di una
padella incandescente e non aveva paura di usarla. Un colpo, se non in faccia,
proprio sulla nuca, proprio come un battitore di baseball. Questo era solo uno
dei tanti attacchi che Elisa stava premeditando da quando Daniela aveva messo
piede in casa loro. Lei stava cucinando e Francesco ebbe la brillante idea di
mandare la bionda ad aiutarla – come se lei non fosse autosufficiente – e da
quel momento lei non aveva fatto altro che criticarla.
“Ah, tu usi il basilico? Ma non è
troppo?” storceva il naso. “Io solitamente faccio così, guarda.” E la scansava,
impossessandosi della padella e mettendosi a cucinare come se fosse lei la
padrona di casa. Purtroppo tutto questo era successo perché Gianluca, un collega
di Francesco, l’aveva chiamato al cellulare per delle pratiche che non riusciva
a sistemare, e lui aveva pensato bene di far avvicinare la madre di sua figlia a
quella con cui andava a letto.
Mi sembra giusto!
Ringhiava contro il ragazzo ogni volta che lo vedeva dalla porta della cucina,
ancora intento a dare istruzioni per telefono.
Per un attimo avrebbe voluto
addirittura andare a svegliare Sofia perché Daniela la lasciasse cucinare in
pace, ma si sentì meschina solo ad averlo pensato. Tuttavia almeno nell’arrivo
immediato di Marco ci sperava. Magari si sarebbe messo a parlare con Daniela e
l’avrebbe allontanata.
E forse fu proprio quel desiderio
espresso con un’intensità che avrebbe potuto causarle addirittura mal di testa,
che fece suonare il campanello quasi con insistenza. Elisa corse ad aprire e non
riuscì a trattenersi nel baciare Marco, suo salvatore e scoglio per suoi istinti
omicidi.
“Marco, vieni,” lo afferrò bruscamente
per una mano. “Voglio farti salutare Daniela.” Molto probabilmente sorriso più
falso non esisteva, e la falsità era incrementata dai denti serrati che, se si
fossero trovati ad una distanza inferiore di qualche centimetro, avrebbero
potuto morderla proprio alla carotide come un perfetto vampiro assetato di
sangue.
Marco salutò la psicologa con lieve
imbarazzo, forse dovuto all’atteggiamento innaturale di Elisa, ma lei sperò che
tramite quello lui avesse capito la sua silenziosa richiesta: aiuto!
“Sofia?” chiese lui guardandosi intorno
impaziente.
“Scusa, dorme ancora e io non me la
sento di svegliarla.” Rispose Elisa. In effetti Sofia avrebbe potuto essere
fondamentale per farle avere un po’ di respiro.
“No, mamma. Sono sveglia.” Poco
distante da loro, una bambina con i capelli neri scompigliati e una tutina
arancione stava strusciando i piedi verso di loro, mentre con una mano si
stropicciava gli occhi, assonnata. Elisa per un attimo sperò che la piccola non
avesse visto il bacio che aveva dato a Marco, ma poi pensò che l’avrebbe vista,
se fosse già stata sveglia.
Elisa le corse incontro e la prese in
braccio, carezzandole dolcemente i capelli per sistemarglieli un po’, e dandole
un caloroso bacio sulla guancia. Poi voltò lo sguardo verso Daniela e Marco che
si erano incantati a guardare la piccola ed Elisa quasi se ne compiacque. Per un
attimo si sentì orgogliosa di avere tutta per sé una creaturina come lei, che
suscitava l’invidia di altre persone.
“Sofi, vieni, andiamo a cambiarci.” E
si voltò, ma all’istante le venne un’idea. Tornò a guardare Daniela e
leggermente in imbarazzo le porse la domanda: “Senti, vuoi venire anche tu?”
La sua reazione da una parte se
l’aspettava, ma ritrovarsi una Daniela – che fino a poco tempo fa era disposta a
sopprimere per allontanarla da sé – sorridente, entusiasta e riconoscente la
spiazzò. Elisa dovette proprio ammetterlo: era una bella donna, e se sorrideva
era ancora più bella.
“Marco, ti dispiace se aspetti qui?
Torniamo subito.” Gli disse.
“Non ti preoccupare, ci penso io a
lui.” Francesco li aveva raggiunti, ora libero da ulteriori impegni. Sorpassò
Elisa, sussurrandole un “grazie” insieme ad un bacio sulla guancia che fece
ridacchiare Sofia, e passò un braccio intorno a Marco. “Collega,” esordì. Elisa
avrebbe voluto sotterrarsi comprendendo a quale campo si riferisse
Francesco con quell’appellativo. “Che ne dici di sostituire le donne in cucina?”
Vedendo Marco e Francesco lasciare la
sala, Elisa non poté che mettersi l’anima in pace e almeno per un po’ si sarebbe
sentita più tranquilla. Tra l’altro sapeva molto bene quanto entrambi fossero
dei cuochi provetti, quindi non c’era nemmeno da temere che potessero mandare a
fuoco la cucina, e mentre sentiva loro armeggiare con pentole e padelle, lei
condusse Daniela nella cameretta di Sofia.
La stanza era piccola, ma conteneva
benissimo il letto, un armadio e un tavolo su cui lei amava disegnare.
Dopotutto, non le serviva molto di più. L’aveva arredata insieme a Francesco
dopo la nascita della bambina, e entrambi avevano optato per non usare il
classico color rosa confetto che solitamente veniva associato ad una bambina,
così si erano buttati su colori più neutri: avevano tinto le mura di giallo,
dipingendo qualche piccola nuvola o rondine, con un verde pallido. Anche Sofia,
ora che era un po’ più grande, si era divertita a disegnare un albero in un
angolo della stanza, sebbene non fosse proprio uscito nel modo migliore.
Daniela, però, quando Sofia glielo mostrò fiera del suo lavoro, l’apprezzò
molto.
“Ehi, artista,” la chiamò, sedendosi
sul letto con lei affianco, mentre Elisa sceglieva dei vestiti dall’armadio. “Lo
fai anche a me un disegno bello come quello?”
Sofia non rispose subito, e Elisa si
voltò per capire. Sorrise osservando come la bambina guardasse in estasi
Daniela, sembrava ammaliata e la guardava con la bocca leggermente aperta, come
se fosse meravigliata di trovarsela davanti.
“Sei bellissima!”
Daniela arrossì. Fu incredibile come
Elisa rimase stupita di quel rossore sulle guance candide della donna, eppure
era arrossita, come se quel complimento seriamente la stesse lusingando.
“Mamma, hai visto come è bella?” si
girò verso di lei e la guardò insistente, ed Elisa non poté mentire.
“Hai ragione.” La prese in braccio e si
sedette affianco alla donna. “Lei e il signore che è di là sono amici di mamma e
papà. Dille un po’ come ti chiami.”
“Sofia! Ho quattro anni, sai?” si vantò
con orgoglio.
“Allora sei grande, eh!” le sorrise
Daniela.
Sofia sgambettò per potersi avvicinare
a Daniela, che quasi aveva paura che potesse cadere, così allungò le braccia per
sorreggerla mentre camminava sul letto, poi Sofia si mise seduta in braccio a
lei e le iniziò a mostrare i disegni della stanza. Elisa intanto era tornata a
cercare una maglietta da abbinare ai piccoli pantaloni rossi che aveva trovato,
e guardandosi alle spalle provò una strana fitta al petto, come se fosse un
presagio, una visione che avrebbe volentieri fatto a meno di trovarsi davanti
agli occhi. Eppure Sofia sembrava così felice… E forse era proprio quello il
fatto che la disturbava. Non avrebbe mai pensato che Sofia potesse essere così
tranquilla con Daniela, che era ai suoi occhi una perfetta estranea. Quasi
avrebbe preferito che si mostrasse scostante, impaurita da quelle nuove presenze
in casa loro.
“Ehi, voi, siete pronte?” Francesco
aveva appena bussato alla porta e Sofia corse ad aprirgli.
“Papà, guarda come è bella questa
signora!”
“Sofi, ha solo un anno più di me, non è
vecchia!” ridacchiò lui, entrando e prendendola in braccio, seguito da un Marco
esitante davanti alla porta. “Chiamala Daniela, è il suo nome.”
Forse la sua espressione la tradì più
del dovuto, ma mentre Elisa era lì a guardare come Francesco e Daniela potessero
sembrare una famiglia con la loro figlia, Marco le si avvicinò, togliendole
quella maglietta bianca che stava sempre più cadendo sgualcita verso il basso.
“Ehi, Elisa, tutto bene?” le sussurrò
all’orecchio. Non osò niente di più perché – nonostante il bacio passionale che
l’aveva colto alla sprovvista qualche minuto fa – Marco sapeva bene la regola
che vigeva per quella serata: lui e Daniela erano solo amici.
“Sì, sì, sto bene.” Gli sorrise, forse
un po’ troppo tirata, ma si voltò subito per chiudere il cassetto dell’armadio,
in modo da non dover affrontare quello sguardo intenso che solitamente assumeva
Marco quando voleva tirarle fuori qualcosa che lei celava gelosamente. Poi si
allontanò da lui, richiamando Sofia perché si facesse cambiare i vestiti.
***
A cena le cose andarono meglio, anche
perché Elisa si sistemò affianco a Sofia, che si era già sistemata vicino a
Francesco, costringendo Daniela a sedersi ben due posti più in là, rendendo
tutti gli argomenti più sopportabili e quasi apprezzabili. Il quasi
indicava la prepotenza e l’arroganza con cui Francesco il più delle volte
alludesse a doppi sensi che provocavano seri danni a tutti i presenti – Sofia
esclusa, che si era messa a giocare con i cordini del cappuccio della maglietta.
Daniela più volte, infatti, l’aveva esortato con un paio di gomitate,
concludendo la campagna contro la sua sfacciataggine con un’occhiata di fuoco
che convinse Francesco ad evitare certi argomenti. Matematicamente, Elisa
avrebbe voluto che continuasse, non tanto per andare sempre conto a Daniela, e
nemmeno per assistere a tutti i litri di acqua che a Marco puntualmente andavano
di traverso, ma semplicemente perché le piaceva essere al centro delle
attenzioni di Francesco se nei paraggi c’era Daniela.
Era innegabile, ormai: Elisa non la
sopportava. Aveva provato – era innegabile anche il fatto che ci avesse provato
– ad avvicinarsi a lei, ma c’era qualcosa che ancora l’allontanava. Come se
fossero due calamite della stessa carica messe a contatto: si respingevano.
Francesco aveva già bocciato questa sua teoria facendole notare che era lei che
la spingeva e Daniela tentava solo di resisterle, per poi arrabbiarsi con lui.
“Francesco, come va il tuo studio
privato?” chiese quindi Marco con la sua solita ed immancabile diplomazia che
costrinse tutti a cambiare argomento.
“Be’, ancora dobbiamo trovare un modo
per catturare qualche preda, sai, abbiamo bisogno di un passaparola che ci
permetta di iniziare il nostro periodo di ascesa.” Rispose, sorseggiando un
bicchiere di vino rosso che accompagnava la carne alla griglia che aveva
preparato Elisa – fortunatamente senza l’intralcio di Daniela.
“Vuoi che ti faccia un po’ di
pubblicità con qualche cliente dello studio?” propose.
“No, no, grazie. Non siamo messi così
male.” Rise. Elisa sapeva che quello che in realtà voleva dire Francesco era che
non accettava aiuti esterni. Se c’era una cosa che aveva capito in tutti questi
anni, oltre al fatto che Francesco aveva una scorta infinita di personalità che
gli donavano un’incoerenza davvero sfacciata, era che lui amava fare da solo.
Gli aiuti esterni non lo entusiasmavano. Anche solo per chiedere informazioni
stradali: piuttosto si perdeva.
“E tu, Daniela?” si rivolse quindi a
lei.
“Tutto come sempre, Marco.” Rispose con
gentilezza. “Io non mi occupo di persone con gravi problemi, sono solo lì per
ascoltare i pazienti e cercare di capire la causa di certi atteggiamenti.”
“Ho avuto un cliente che ti nominò una
volta.”
“Davvero? Chi?”
“Un certo Alberto Tocchi, lo conosci?”
“Oh, sì, veniva da me qualche mese fa.
Poi si trasferì e cambiò studio.”
“Sì, me lo disse, infatti quello che lo
portò da me fu il divorzio dalla moglie.”
“Non passavano un bel momento. Era il
motivo per cui veniva allo studio. Diciamo che oltre alla moglie amava l’alcol.”
“Eli, perché non vai anche tu da
Daniela per questo?” la schernì Francesco.
“Cosa?” lo fulminò seduta stante.
“Sì, dovete sapere che lei ha
un’attrazione fatale per l’alcol. Soprattutto la vodka.” Spiegò agli altri.
“France!” urlò sommessa, cercando di
catturare il suo sguardo per fargli capire che anche Sofia era lì con loro.
“Ma tanto è impegnata a giocare con
quei cordini.” Le sorrise beffardo, sussurrando a denti stretti. “Sapete,”
continuò rivolto agli altri. “Una volta, quando s’era ancora all’università,
andò ad una festa e si ubriacò talmente tanto che venne sotto casa mia.” Elisa
si coprì il viso con le mani. Sapeva esattamente cosa era successo quella sera.
Avrebbe voluto ribattere sul motivo per cui era a quella festa e aveva
bevuto come una spugna, ma per rispetto di Marco – di Daniela le fregava il
giusto – stette zitta, sopportando quell’umiliazione senza aprire gli occhi.
“Non si reggeva in piedi e così la portai dentro casa.” Iniziò a ridere.
“Sembrava essersi calmata – perché quando Elisa si ubriaca si scatena: rutta,
urla, impreca, ringhia e delle volte morde pure! – quindi me ne andai, ma non
feci in tempo a fare due passi che sentii un verso davvero nauseante.”
“Ti prego… No…” piagnucolò Elisa, senza
riuscire ad alzare gli occhi sugli altri presenti.
“Mi vomitò sul letto.”
Daniela non si trattenne, ridendo come
se quell’aneddoto fosse stata la cosa più esilarante sentita in vita sua – Elisa
in realtà sospettava che volesse solo prenderla per il culo – e anche Marco si
trattenne a stento, mascherando la risata con leggeri colpi di tosse, per poi
coprirsi la bocca con il tovagliolo.
“Ok, grazie per aver raccontato questa
mia ingloriosa avventura,” si affrettò a dire. “Che ne dite se si cambia
discorso?”
“Anche io una volta mi ubriacai al
punto di vomitare.” Iniziò Marco.
“Evviva l’eleganza della serata.”
Sospirò ironica Elisa.
“Ero con degli amici, stavamo tornando
a casa da un locale, o almeno, così ci sembrava, sta di fatto che ci siamo
trovati nel centro storico della città, davanti a quella fontana che a forma di
maiale, l’avete presente? Vicino al fiume.” Francesco annuì e Elisa poteva ben
capire il perché. A pensarci, poteva usare quel pensiero per riscattarsi.
“Insomma, passammo lì vicino e uno disse: ‘guardate! Un maiale che vomita!’ e
alla vista di quello che in realtà era il getto d’acqua che usciva dalla bocca
della statua, il mio stomaco diciamo che ha avuto una reazione del tutto
inaspettata, e feci altrettanto.”
“Anche Francesco ha avuto brutte
esperienze con quella fontana.” Ghignò Elisa. “Una volta che si tornava da un
pub le corse incontro e ci montò sopra, facendo finta di cavalcarla.”
Francesco si mise a ridere al ricordo.
“E il bello fu che di lì stava proprio in quel momento passando un poliziotto!”
continuò lui, rubandole la parola. “Insomma, scesi dal maiale -”
“Cadesti.” Lo corresse Elisa.
“Sì, è vero, cascai nella fontana e
tutto bagnato presi Elisa per un braccio e scappammo a gambe levate, mentre quel
poliziotto iniziava a rincorrerci!” Le sue parole suscitarono un’ilarità
generale, e Elisa l’invidiò per come riusciva a ridere sopra le sue figure di
merda, cosa che invece lei non era mai riuscita – e mai ci sarebbe riuscita – a
farlo. “La serata si concluse che io e Eli ci rintanammo in un viottolo, sotto
un balcone, al buio. Il poliziotto passò oltre senza vederci e noi presi
dall’adrenalina di quella corsa ci mettemmo a ridere poco dopo senza badare al
casino che stavamo facendo durante la notte.”
“Beccammo una secchiata d’acqua da una
vecchietta dal balcone sotto cui ci eravamo nascosti!” concluse Elisa, catturata
da quel momento di risa.
“Sì, eravamo entrambi completamente
bagnati! Anche se io lo ero di già.”
“E infatti ti beccasti una febbre da
cavallo!”
“Ma tanto c’era qualcuno che si
occupava di me.” Si rivolse a Elisa con il suo solito sguardo malizioso. Senza
che lei se ne rendesse conto, calò il silenzio intorno alla tavola e lei si
ritrovò a boccheggiare in cerca di argomenti che potessero distrarre
l’attenzione di tutti, ovviamente invano.
“Mamma, ma c’è il dolce?” si intromise
Sofia.
La sua voce fu come la manna dal cielo
ed Elisa si promise di comprarle un nuovo pupazzo per come con quella semplice
richiesta riuscì a salvarla da tutti quegli sguardi, mentre Francesco
sogghignava divertito.
“Certo, chi vuole il dolce?”
“Che dolce c’è?” si informò Daniela.
“Perché, sei a dieta?” si lasciò
sfuggire Elisa.
“No, io non ne ho bisogno.” Le
sorrise arrogante, appoggiando il mento alle dita incrociate che teneva sul
tavolo.
Elisa scivolò in cucina appena in tempo
per evitare di lanciarle una forchetta dritta in un occhio, e una volta da sola
sospirò di sollievo. Come gli era venuto in mente a quell’imbecille di tirare
fuori in un momento come quello l’allusione a cosa era successo? Voleva forse
che Marco se ne andasse immediatamente da quella casa? Be’, c’era quasi
riuscito! Ci sarebbe mancato che lui raccontasse anche di come era nata Sofia!
Quello sarebbe stato il massimo, pensò con sarcasmo Elisa, per poi darsi due
lievi schiaffi sul viso e prendere la torta dal frigo, al richiamo di Francesco:
“Sei stata inghiottita da quel dolce?”
Fortunatamente, una volta tornata a
tavola il discorso precedente era già stato sostituito dai risultati del
campionato americano di Basket.
“Ho visto proprio ieri una serie di
replay dei canestri di Lebron James!” stava esclamando Francesco proprio in quel
momento.
“Io il basket lo seguivo con Michael
Jordan. Con lui, ho smesso pure io.” Confessò Marco, alzandosi per aiutare Elisa
a portare la torta, non perché fosse pesante, ma la sua galanteria aveva radici
profonde.
“Come si può smettere di amare uno
sport solo per l’assenza di un giocatore?” lo derise Francesco. Elisa lasciò che
fosse Marco a tagliare il semplice semifreddo che era andata a comprare per
mancanza di tempo, e si mise ad ascoltare lo sproloquio di Francesco sul basket.
Ne era sempre stato un appassionato. Forse anche troppo. Tempo fa giocava in una
piccola squadra di quartiere nella sua città natale, ma dopo essersi trasferito
per frequentare l’università dovette abbandonare tutto. Certe volte, sempre
qualche anno fa, Elisa, passando la sera tardi dal parco vicino il fiume, vedeva
dei ragazzi riunirsi per giocare a pallacanestro e più volte si era fermata a
guardarli da lontano, e molto più precisamente, a guardare lui. Le piaceva la
passione che metteva sempre in ogni azione, la concentrazione che accompagnava
ogni passo, ogni tiro, ogni smarcamento. E più di tutto le piaceva l’espressione
di vittoria che mostrava quando la palla entrava nel cesto. Si ricordò come una
volta anche lui si accorse della sua presenza e le sorrise, mentre delle
provocanti goccioline di sudore gli scorrevano sul collo, sulle braccia…
“Elisa, hai sentito?”
“Eh?” Francesco la stava guardando
curioso, la bocca arricciata in un angolo in un mezzo sorrisetto beffardo che la
fece arrossire e contemporaneamente perdere un battito. A ripensarci, Elisa si
rese conto suo malgrado che non era stato solo quel sorriso a farle avere quella
reazione.
“No, l’abbiamo persa.” Annunciò
Francesco, suscitando una risata sommessa da parte degli altri. “Chissà per
quale tangente è partita.”
“Scusate, stavo solo pensando.” Ribatté
Elisa, arricciando le labbra e fingendosi offesa. Sofia ridacchiò a
quell’espressione e lei non poté che scarruffarle i capelli, divertendola ancora
di più. Marco poi le offrì un piatto con una piccola fetta di torta che Elisa
porse alla bambina e poi accettò la sua porzione.
“Ti stavo chiedendo se ti ricordi che
fine ha fatto il mio pallone da basket.” Riprese Francesco, parlando a bocca
piena e mostrando tutta la sua finezza.
“Penso che sia rimasto da mia madre.”
Rispose lei, dopo aver deglutito. “Sofia l’ha voluto portare da lei qualche
settimana fa.”
“Sì, è da nonna!” confermò la piccola.
“Ho quasi rotto un bicchiere con quello e lei me l’ha preso.” Ridacchiò, poi.
“Ah, allora ricordati di prenderlo la
prossima volta, sempre che non l’abbia bucato, conoscendola.” Mormorò l’ultima
parte con tono cupo e tornò ad abbuffarsi con la seconda fetta di torta.
Il resto della serata continuò con
tranquillità, senza ovviamente omettere varie frecciatine di Francesco che in un
modo o nell’altro riuscivano sempre a far trasalire tutti i presenti per motivi
tutti differenti, ma Elisa si disse che alla fine non era stata per niente una
cattiva idea organizzare una cena del genere. Dando retta al consiglio di Chiara
aveva fatto conoscere Sofia a Marco e allo stesso tempo aveva sistemato le cose
tra Francesco e Daniela, per quanto le desse fastidio ammetterlo.
Prima che tutti andassero via, Sofia
iniziò a sbadigliare e a strusciarsi gli occhi, così Elisa la prese in braccio e
si diresse verso la sua cameretta, ma dopo nemmeno un paio di passi, la voce
timida di Daniela la fermò. “Non è che… Sì, posso darle anche io la buonanotte?”
Elisa avrebbe egoisticamente voluto
risponderle di no, ma non sarebbe stato giusto. Daniela alla fine non le aveva
mai fatto niente di male, non aveva motivo di vietarle anche una cosa del
genere. Che cosa poteva accadere? Che gliela rubasse dalle mani e scappasse via?
Elisa si diede dell’idiota e annuì, sorridendo, mentre Sofia insisteva per
andare a letto. Con un esploit di gentilezza – forse dovuto all’influenza
indiretta di Marco – Elisa le fece prendere in braccio Sofia, che effettivamente
avrebbe preferito non essere passata come un oggetto da una persona all’altra,
perché si lamentò sbuffando, ma una volta tra le braccia di Daniela si calmò di
nuovo e la donna la teneva quasi come se fosse la cosa più fragile avesse mai
avuto tra le mani. Entrarono nella sua piccola stanza e lei si sedette sul letto
con la piccola in braccio, mentre Elisa cercava il pigiama da metterle.
“Mamma, non voglio lavarmi i denti
oggi.” Borbottò Sofia, comodamente tenuta da Daniela.
“D’accordo, tesoro, per oggi facciamo
un’eccezione.” Sospirò sorridente lei, tornando da loro. Prese nuovamente Sofia
e la fece stare in piedi sul letto, mentre le sfilava la maglia e i pantaloni.
Una volta cambiata, la bambina gattonò
fino ad infilarsi sotto le coperte, lasciando che Elisa e Daniela le dessero la
buonanotte con un bacio sulla fronte. Quando poi loro stavano per uscire, Sofia
le fermò. “Mamma, ma Daniela poi torna?”
Elisa rimase qualche istante
interdetta. La sua mente venne proiettata in un futuro in cui quella donna
avrebbe avuto libero accesso a quella casa e a Sofia; si vedeva in un angolo a
guardarle giocare. Non le piaceva per niente quella prospettiva, ma la risposta
pronta di Daniela, fortunatamente, l’allontanò da quei pensieri masochistici.
“Mi farebbe piacere. Vedremo.” E le
sorrise, aspettando che Elisa uscisse per prima, per poi seguirla e raggiungere
Marco e Francesco, che nel frattempo avevano traslocato sul divano, poco
distante. Senza alcun ritegno, Daniela si accoccolò contro Francesco, e Elisa ci
mise la mano sul fuoco che Marco, vedendo una scena come quella, si stava
rilassando. Anche lui l’abbracciò e lei si lasciò avvolgere dal suo braccio
muscoloso. Sembravano tutti e quattro tornati all’età adolescenziale, in cui
tutte le coppie volevano far vedere di essere tali, come se volessero in un
certo senso marcare il territorio, ed Elisa dovette ammettere che
quell’abbraccio era decisamente meglio di quelle frecciatine ambigue ed
enigmatiche che più volte Francesco, qualche anno fa, le rivolgeva, quindi,
seguendo l’esempio spudorato di Daniela – anche se con un po’ più di dignità e
pudore – si appoggiò a Marco, lasciandosi cullare dal suo respiro caldo e
costante.
_________________________
Come al solito sono puntuale come un
orologio scassato, però aggiorno, eh!
Be', che dire? La cena è andata,
Francesco e Daniela sembrano felici e lo sono anche Elisa e Marco. Tutto sembra
procedere bene! E qui casca l'asino, perché sennò non ci sarebbe storia ;)
Allora, gente, voi che vi aspettate? Cosa succederà a questo punto, che tutto
pare rosa e fuori? - e lo sembrerà anche per altri due o tre capitoli, sebbene
seminerò qualche briciola di pane che le menti più acute potranno individuare
senza troppi problemi.
In questo aggiornamento, inoltre, avete
visto un'allusione al primo capitolo, anche se ancora non viene spiegato niente
di niente. Eh, be', tutto sta nello spiegare cosa è successo in passato tra
Francesco e Elisa - e cosa succederà. Sotto con le ipotesi! Ovviamente hanno
avuto una bambina, quindi... Insomma, qualcosa hanno fatto! ;) Ma chissà
cosa prevede questo "passato" che certe volte spunta fuori, altre volte no...
Eh, via, non resta che continuare a seguire i vari (e lenti) aggiornamenti!
Ah, vi annuncio una piccola chicca:
molto probabilmente con la chiusura di questa storia, inizierò a pubblicare
"23 - Twenty-three", ovvero il prequel (?), non so nemmeno come si
scriva XD In pratica mi piacerebbe affrontare il periodo in cui Elisa e
Francesco si sono conosciuti e come le cose si sono evolute tra loro. Potrebbe
essere un'impresa immensa e senza fine, ma incrociamo le dita!
Ok, e dopo tutte queste news che immagino freghino il
giusto, vi saluto gente!
Ringrazio mary028 per il commento che ha
lasciato - sappi che anche io vorrei che succedesse una cosa del genere! Non sai
che tristezza dover scrivere tutt'altro, seguendo ciò che mi sono prefissata per
la trama! E... grazie! :) - quindi ringrazio anche tutti quelli che hanno
messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate/odiate/fritte/impanate e
vi saluto!
Alla prossima!
S.P.
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Capitolo 8 *** VIII ***
Francesco era già andato a letto
Francesco era già
andato a letto da un po’, forse per farli rimanere soli o forse per la
stanchezza, e dopo aver salutato magicamente Marco, Elisa lo raggiunse in
camera. Era come suo solito stravaccato per niente elegantemente sul letto,
supino, il torso rigorosamente nudo, proprio come amava stare nonostante le
temperature autunnali. Lo guardò per quell’istante di troppo che solitamente
riservava a Marco, così si impose di distogliere lo sguardo ed andarsi a
cambiare. Si infilò, quindi, la maglia a mezze maniche dei Muse – il suo gruppo
preferito – e andò in bagno per lavarsi e togliersi le lenti che correggevano la
sua miopia. Prima di infilarsi sotto le coperte si ricordò che il giorno dopo
aveva appuntamento con i Bernardi nel pomeriggio, perciò sarebbe stato saggio
almeno dare un’ultima occhiata ai documenti di cui avrebbero dovuto discutere.
Spense la luce grande e accese la lampadina dell’abat-jour. Lanciò un’ultima
occhiata alla sua sinistra e osservò il torace ben delineato di Francesco
alzarsi ed abbassarsi con un ritmo lento. Quante volte l’aveva visto così e
quante volte il suo cuore perdeva un battito nel ricordare quello che c’era
stato tra di loro? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Forse, ma
Elisa non faceva niente per allontanarlo dai suoi occhi, anzi… Certe volte quasi
lo cercava, come se volesse la conferma che lui fosse ancora lì, affianco a lei.
Quei giorni, però, stavano diminuendo. Quasi due volte ogni settimana lui si
fermava a dormire da Daniela e in quei giorni Elisa sentiva la sua mancanza come
non mai. Sì, non si vergognava a dirlo: dipendeva da lui, ma non nel senso che
tutti avrebbero pensato sentendoglielo dire, dipendeva da lui perché lui c’era
sempre stato in tutti i suoi momenti più importanti di quella sua nuova vita da
madre. Lui era sempre stato al suo fianco, l’aveva aiutata, l’aveva consolata…
E, Elisa poteva almeno pensarlo, l’aveva amata. Tuttavia, da quando c’era
Daniela, lei lo sentiva più lontano. E non era vero, perché lui era sempre lì
fisicamente, viveva ancora con lei, eppure quel senso di abbandono, o meglio,
quella paura, non riusciva proprio a scacciarla dalla mente.
“Ehi, alla fine
sei riuscita a venire.” La voce calda e roca di Francesco la fece sobbalzare per
lo spavento, come se fosse stata beccata a commettere uno dei più grandi tabù
del mondo – che in quel momento si poteva riassumere in “fissare sfacciatamente
Francesco”.
“Sì.” Annuì,
voltando bruscamente la testa dal suo corpo nudo accanto a sé. Lui non la stava
guardando, ma sembrava come se potesse vedere anche attraverso le palpebre che
erano calate pesantemente sui suoi occhi.
“Ti sei divertita
stasera?” Le chiese, il tono sempre troppo eccitante. Elisa si diede della
stupida: possibile che riuscisse a fare certi pensieri perversi anche se aveva
per sé un uomo attraente come Marco? Poi sospirò. Che poteva farci lei se
Francesco era schifosamente attraente anche se gli avessero messo addosso un
grembiulino rosa fotonico e un vestitino da zitella acida? Che fosse nudo,
vestito, a pois, Francesco aveva un fascino irresistibile.
“Sì.”
“Sei capace di
elaborare una risposta un po’ più sofisticata?” la schernì ridacchiando.
Elisa si voltò di
scatto per rispondergli per le rime e colpirlo con il fascicolo che aveva in
mano, ma i suoi occhi verdi puntati contro di lei con quell’aria divertita la
immobilizzarono.
“France, ti odio
quando fai così.” Soffiò, tornando sui documenti.
“Lo so.” Rise. “Ma
mi piace vederti in difficoltà.”
“Quante volte me
l’avrai detto? E quante volte ti avrò risposto sempre la stessa cosa?”
“Troppe, infatti
non ti ascolto più.”
“Sospettavo una
risposta del genere.”
“Insomma, mi
sembra che la serata sia andata molto bene, no?” cambiò discorso, mettendosi su
un fianco e guardandola, reggendosi la testa con una mano.
“Sì, pensavo
peggio.”
“Pensi sempre
troppo, tu. Dovresti rilassarti. E sai cosa? Secondo me dovremmo rifarla.”
“Lo dici per
Daniela?” si era fatta stupidamente seria.
“Anche.” Lui
invece non mostrava il minimo interesse a quel suo cambiamento e Elisa pensò
fosse dovuto al fatto che ormai Francesco era fin troppo abituato ai suoi
cambiamenti d’umore nei confronti di quella donna.
“Ti ha detto che
le è piaciuta?”
“Già, era
felicissima di aver conosciuto Sofia. Pensava che una cosa del genere non
sarebbe mai successa, se non passando sul tuo cadavere.”
Quindi la bella
psicologa mi voleva morta,
pensò sarcastica Elisa, mentre soffiava un’amara risata.
“Bene, vedremo.”
“Tu pensi che a
Marco farebbe piacere rivederla?”
“È probabile.” Non
volle sbilanciarsi per non essere poi costretta ad ammettere che per far felice
lui, avrebbe dovuto far felice anche Daniela, ma ancora una volta si trovò a
darsi della stupida, cercando di far prevalere la parte razionale su quella
irrazionale. Lei era la madre di Sofia, perché avrebbe dovuto temere che quella
donna bionda potesse prendere il suo posto? Daniela l’aveva vista solo quella
volta, Sofia era cresciuta con lei, invece. I suoi timori erano totalmente
infondati. Se lo ripeteva spesso come se fosse un mantra, ma c’era sempre un
bagliore di paura che ogni tanto faceva capolino ogni volta che il pensiero di
Daniela si avvicinava a quello di Sofia.
“Non trovi che una
serata tranquilla come questa possa accontentare un po’ tutti?”
Per quanto ti
riguarda, forse. L’avrebbe
voluto dire sentitamente, ma si trattenne. Non era quello che Francesco si
aspettava da lei. Non rispose al ragazzo, rimase in silenzio falsamente
concentrata sui documenti che gli occhi nemmeno percepivano, presi com’erano a
non voltarsi verso di lui.
Ogni tentativo di
mantenersi calma e rilassata però venne vanificato da quelle labbra calde e
umide che si posarono delicatamente sulla sua guancia. Non solo il cuore le
saltò in gola, presa alla sprovvista, ma anche il fiato la tradì.
“Grazie per come
ti sei comportata con Daniela.” E si accoccolò contro si lei, abbracciandola per
la vita con un braccio. Certamente, non era la prima volta che succedeva,
Francesco usava trattarla così ogni volta che era felice di qualcosa, che voleva
ringraziarla, ma quei momenti in quel periodo erano diventati così rari che
quando avvenivano erano qualcosa di unico. Elisa si sentiva come riportata
all’intimità passata, alla sensazione di essere amata in un modo o
nell’altro da Francesco, proprio come quando la loro pseudo-storia era iniziata.
Lei gli passò una
mano tra i capelli corvini ed indubbiamente spettinati e giocò con una ciocca,
sapendo quanto lui amasse quel genere di coccole. Sorrise nel vederlo così
serafico, certe volte era proprio un bambino. Un bambino particolarmente
seducente, però. Senza ombra di dubbio, se Marco avesse visto quella scena,
sarebbe andato su tutte le furie e lei avrebbe subìto per la prima volta la sua
furia incontrollata, ma lei non gliel’avrebbe detto, perché se Marco era l’uomo
che lei amava, Francesco era ormai una parte di lei, e Elisa non avrebbe mai
potuto farne a meno.
***
“Elisa, tesoro, tu devi smetterla di
dormire abbracciata a Francesco!” Chiara non voleva sentire scuse. Le aveva
sempre ripetuto fino alla nausea cosa pensava della loro situazione e tutte le
volte Elisa aveva smentito contando sulla carta che lei non avrebbe mai capito
quello che veramente c’era tra loro.
“Chiara, piantala, dai. E poi è
successo solo ieri sera!”
“E anche il mese scorso e se non
sbaglio anche la settimana prima.” Sbuffò l’amica, sedendosi sulla scrivania.
“Invece con Roberto come va?”
“Il tuo tentativo di cambiare discorso
è fallito miseramente, carissima. Lasciatelo dire, con me non hai speranze,
finché non mi dici tutto di ieri sera, io non mi schiodo da questa scrivania,
nemmeno quando arriveranno Cristina e Giacomo.”
“Sai che bello lavorare con te che mi
copri mezzo schermo del pc e stai seduta sul mouse.”
“Appunto, avanti, sputa il rospo.”
“Non è successo niente di che,
davvero.” Elisa si appoggiò alla spalliera imbottita della sedia. “Abbiamo
parlato, ho rischiato di colpire volontariamente Daniela con ogni oggetto
contundente che avevo a portata di mano, Francesco mi ha ringraziato invece per
tutto il resto che le ho permesso di fare con Sofia,” iniziò ad elencare sulle
dita, guardando il soffitto come per fare mente locale di tutto quello che era
successo. “Marco ha chiacchierato – potrei aggiungere finalmente
tranquillamente – con Francesco, abbiamo parlato delle nostre avventure di
vomito e alcol, France non perdeva occasione di farmi impallidire davanti alle
sue battute, Sofia -”
“Eli, ti sei resa conto che hai
nominato Francesco ben tre volte all’interno di un discorso?”
“E allora?”
“E allora basta! Vai via di casa, vai a
vivere da Marco!” sbottò Chiara, indicandola pericolosamente con la stilografica
che le aveva regalato lei stessa per il compleanno scorso.
“Ma non è successo niente.” Chiara
sembrava non voler capire.
“Per ora!” continuò imperterrita lei.
“Ma prima o poi finirete di nuovo a fare sesso, e questa volta non sarà solo la
storia del nostro bel Vanni a finire, ma anche la tua.”
“Ma noi non andiamo più a letto insieme
da anni.”
Chiara finse un colpo di tosse
decisamente troppo marcato per apparire reale e la guardò saccente. “Allora devo
aver sentito male quando mi raccontasti del suo scorso compleanno, oppure della
volta che glielo chiedesti tu? Oppure quando -”
“Sì, ok, ho capito.” Mise le mani
avanti. “E lo so anche io che è successo più volte in questi anni,” sospirò
Elisa. Sapeva che se dava corda a Chiara, si sarebbe presto ritrovata sommersa
da una valanga di parole e accuse contro la sua situazione. Questo non voleva
dire che Chiara fosse arrabbiata in un qualche modo con lei, anzi… Lei voleva
solo il suo bene, gliel’aveva detto più volte, per questo cercava di spronarla a
lasciare quella complicata faccenda di Francesco Vanni alle spalle. “Ma da
quando sto con Marco non è mai successo niente.”
“Ok, ma se succederà, non venire a
piangere.”
Elisa la guardò tra il dolce e
l’esasperato.
“Ma lo sai che scherzo!” rimediò
Chiara. “Io ci sarò sempre per te, tesoro!” le saltò addosso con la sua solita
foga.
“A parte con Roberto.” La rimbeccò
scherzosamente Elisa. Prima di essere marito di Chiara, Roberto si vedeva con lei, e
l’aver scoperto che aveva il piede in due staffe fu una ragione più che valida
per mollarlo seduta stante. Ciò nonostante lei e Chiara non si parlarono per un mese intero, ma
poi si costrinsero a chiarirsi e tutto tornò come prima, anche perché lei nel
frattempo aveva iniziato a vedersi con un altro.
“Guarda, non parliamo di Roberto, per
piacere.” Sbuffò l’amica, tornando a sedersi composta sulla scrivania.
“Ancora nessun progresso?”
“Per niente. L’altro giorno avevamo
iniziato a parlare, ma sua sorella ha chiamato come sempre nel momento più
sbagliato – io non so come faccia quella donna! È sempre pronta ad intervenire
quando meno lo richiedi!”
“Troverete un’altra occasione, dai.”
“Lo spero bene, Eli.” Sospirò Chiara.
“Sono due anni che stiamo insieme e quasi uno che siamo sposati… Sai, dicono che molte
coppie non arrivano al secondo anno di matrimonio.”
“Non iniziare a fare certi discorsi,
eh!” la minacciò Elisa. Sebbene le sorridesse, sapeva che la questione in realtà
era molto seria.
“Ehm, se volete, torniamo più tardi.”
La voce di Giacomo Bernardi le fece voltare quasi di colpo.
“Oh, no, ma figurati!” esclamò Elisa,
buttando giù dalla scrivania l’amica, che salutò i due clienti e si sistemò più
diligentemente affianco a lei. “Stavamo parlando mentre vi aspettavamo, niente
di che. Prego accomodatevi.”
“Grazie.” Cristina, con la sua
impeccabile eleganza, si sedette su una delle due sedie poste di fronte alla
scrivania di Elisa e ascoltò in silenzio, mentre Elisa esponeva le ultime novità
sul progetto. Aveva controllato fino all’una di notte quei documenti che Pietro
le aveva rifilato con la scusa di appurare che tutte le sue idee fossero
in regola – e Francesco le aveva più volte mormorato che avrebbe dovuto mandare
in culo Orlandi e tutto il suo studio – per poi dare un’ultima occhiata quella
mattina. Era stato un lavoro lungo, noioso ed estremamente stancante, ma una
volta controllato tutto, Elisa si poté ritenere più che soddisfatta: questa
volta Pietro non avrebbe potuto criticarle niente.
“Be’, immagino che così vada più che
bene, no?” le sorrise Giacomo. Era incredibile come quell’uomo riuscisse a
mantenere il buon umore nonostante le innumerevoli modifiche che Pietro
aggiungeva senza ritegno ad ogni revisione del progetto.
“Certamente. Ho controllato
personalmente ogni cosa, ogni foglio… Tutto è a norma. Dovremo essere pronti per
preparare il cantiere.” E con una stretta di mano riconoscente, i Bernardi si
affidarono nuovamente alla sua esperienza, facendo accrescere l’autostima e il
coraggio in Elisa per andare ad affrontare una volta per tutte Pietro Orlandi.
***
“Fede! Dove hai messo le carte?”
Una ragazza rotondetta entrò nella
stanza sbuffando, mentre con lo sguardo squadrava chi l’aveva appena chiamata.
“France, che vuol dire quel tono accusatorio?”
“Fede, le carte fino a stamattina erano
qui.” Sospirò lui, indicando il tavolo vicino alla sua scrivania. “Dove le hai
messe?”
“A posto.” Gli sorrise irritata.
“Non è quello il posto per le carte del territorio. E lo sai.”
“Ma mi servivano! Non le avevo messe a
posto perché tanto le avrei riprese in mano.”
“Be’, non mi sembrava che fosse tua
intenzione, visto che a distanza di un paio d’ore erano ancora lì.”
“Su, su, ragazzi, calma!” Gianluca era
puntuale come un orologio svizzero ad intervenire nelle questioni che sarebbero
degenerate di lì a poco, riuscendo sempre a trovare una soluzione. “Fede, a
distanza di due ore uno può anche non usarle, non le paghiamo mica a tempo. E
France,” gli passò una mano intorno alle spalle. “Lo sai com’è fatta Federica,
non puoi tutte le volte andarle contro.”
Indubbiamente quella sorta di ramanzina
non riusciva a celare la risata che piano piano gli stava uscendo dalle labbra,
proprio come a Francesco e di conseguenza a Federica. Quei battibecchi erano
all’ordine del giorno, oltre che il loro modo di comunicare. Dopotutto erano
giovani, si conoscevano da anni e non riuscivano a stare mezzo minuto in
silenzio senza stuzzicare chi avevano vicino, proprio come stava facendo
Francesco con Federica in quel momento.
“Vi ho sentito, brutti idioti.” Fede
fece una linguaccia ad entrambi e si infilò nel magazzino, uscendone con due
rotoli di carta che posò sul tavolo di Francesco. “Ecco le tue carte, bello.”
Gli fece l’occhiolino. “E mettile a posto dopo!” lo indicò truce con un dito
cicciottello, mentre spariva in direzione di Nicola, sulle note della solita
solfa: “Fede, dove hai messo la stampa del prospetto che avevo lasciato sulla
scrivania?”
“Hai sentito Corrado Rossi?” chiese
Gianluca a Francesco, sedendosi sulla propria sedia davanti al pc acceso.
“No, sapevo che se ne doveva occupare
Nicola. Non era lui che un paio di giorni fa disse che l’avrebbe chiamato?”
imitò l’amico e si sedette a sua volta alla sua postazione, muovendo il mouse
per tornare a sistemare alcuni dettagli sul progetto che aveva riproposto al
computer. Aprì le carte del territorio e digitò le informazioni necessarie
mentre Fede tornava nella loro stanza sbuffando.
“Nicola dice che non trova più la sua
stampa.”
“E scommetto che questa volta non l’hai
nemmeno toccata.”
“È chiaro!” protestò Federica,
crollando sul piccolo divano di eco-pelle alla parete della stanza. “Se l’avessi
preso, saprei esattamente dove potrebbe essere.”
“Ah, Fede, sai se Nicola ha sentito
Corrado Rossi?”
“Eh? Boh.” Alzò le spalle. “So solo che
aveva detto che doveva chiamarlo.”
“Nico!” Francesco chiamò l’amico dalla
sua stanza e un’esile figura bionda e barbuta – tanta barba almeno quanti pochi
capelli – fece capolino con un’espressione tra il frustrato e l’esasperato.
“L’hai chiamato il signor Rossi?”
“Cazzo!” si batté una mano sulla
fronte, serrando gli occhi. “Scusate, ragazzi! Me lo sono completamente
dimenticato! Stavo facendo questa stampa del cavolo – che non trovo nemmeno più
– e proprio mi è passato di mente!”
“Come al solito, Nico.” Lo derise Fede,
alzandosi e oltrepassandolo. “Tranquillo, dai, ci penso io.”
“Grazie, Fede! Sei un angelo!” le andò
dietro lui, scomparendo di nuovo oltre il muro.
“Certo, certo, solo quando non tocco le
tue cose.”
“Ovvio.”
“France, tempo fa avevo fatto uno
schizzo ad una tizia, Lorena qualcosa, hai più avuto sue notizie?”
Gianluca era tra tutti e quattro il più serio, non certo serio in quanto
personalità, ma sul lavoro non ce n’era per nessuno. Era stata sua l’idea di
mettere su quello studio, lo studio di Architetti Quadri – estratto a sorte tra
varie proposte e che loro spiegavano come se fosse il nome del fondatore – e per
questo si sentiva tra tutti il più responsabile dell’insufficienza sul lavoro.
Più volte Francesco gli aveva detto di non preoccuparsi, che avevano solo
bisogno di agganciare i clienti giusti, e tutto veniva con il tempo, ma lui, per
quanto annuisse e lo ringraziasse delle sue parole, continuava a impegnarsi
oltre ogni limite. E a vederlo così attivo, anche gli altri non riuscivano ad
essere da meno.
“Lorena Guerrini?” Gianluca annuì.
“Niente di niente.” Sorrise amareggiato. Gianluca certe volte contava un po’
troppo sul suo fascino per accalappiare clienti belle, giovani e ricche, ma
anche Francesco aveva una reputazione da mantenere e finché era libero, poteva
anche scegliere di flirtare con loro, ma ora che era impegnato doveva darsi una
calmata, e infatti quella Lorena non si era più fatta viva.
“E Daniela Lombardi ha più chiesto
niente?” lo guardò malizioso. Francesco aveva conosciuto Daniela durante un
appuntamento proprio in quello studio perché lei faceva le veci del suo capo,
che voleva rivedere il progetto dell’edificio in cui lavorava per poterne
apportare delle modifiche. Era stata la sua caduta all’uscita (quando lui
l’accompagnò alla porta e lei, per farsi vedere per niente toccata dai suoi
sorrisi provocanti, non vide lo scalino, cadendo senza la minima grazia per
terra) che li avvicinò più di quello che sarebbe successo normalmente.
“Certamente! E tu sapessi quello che
mi chiede.” Quella sua risposta satura di altrettanta malizia riuscì a
strappare una grassa risata all’amico, che si distrasse dai suoi oneri e venne
convinto a intrattenere qualche chiacchierata più spontanea.
“Hai detto che Elisa l’aveva invitata a
casa vostra. Come è andata?”
“Molto bene, Dani era entusiasta. E Eli
è stata fantastica, anche se certe volte le si leggeva un’occhiata di fuoco
verso di lei.” Ridacchiò, ripensando a come durante la cena ogni tanto si
lanciavano battute velenose reciproche. “Ma penso che non si possa chiedere di
più per ora.”
“Be’, però anche tu ci stai mettendo
del tuo per non far ingranare la storia.”
“E che dovrei fare più di così?” fece
spallucce. “Cercare di accelerare le cose mi sembra eccessivo. E poi non
voglio.”
“No, no, non dico questo.” Lo guardò
più serio del dovuto e Francesco capì all’istante dove volesse arrivare.
“Ah, no, non chiedermelo nemmeno. Sai
come la penso al riguardo.”
“E infatti non te lo chiedo proprio
perché lo so.” Gli sorrise quindi. “Quello che vorrei chiederti è altro.”
“E cosa? Sentiamo.”
“Ti va bene così?”
“Che razza di domanda è?” inarcò un
sopracciglio sospettoso, ridacchiando perplesso, mentre fissava l’amico, che si
passò una mano tra i fitti ricci castani con lieve imbarazzo.
“Continuare a vivere con Elisa e Sofia,
ed avere Daniela. Ti va bene così? O vorresti altro?”
“Immagino che la tua vena drammatica ne
risentirà, ma ti assicuro che mi va bene così.”
“Sicuro?”
Francesco annuì coscienzioso. “Elisa ha
Marco, io sono decisamente di troppo. Per questo ho Daniela.”
Lo squillare del telefono troncò la
replica di Gianluca sul nascere e Francesco si scoprì quasi sollevato da
quell’interruzione. Mentre l’amico prendeva accordi per un appuntamento con un
certo signor Ferretti, Francesco tornò al suo schermo nero con il
progetto colorato ben visibile al centro; tuttavia, invece che il solito ronzio
delle voci degli amici di sottofondo, le sue orecchie erano come ossessivamente
piantate ad ascoltare quelle parole che ormai aveva in testa: “Ti va bene così?”
____________________
Rullo di tamburi, gente:
tururururururururu
Ta-daan! Here I am! Eh, era davvero un
bel po' che non mi facevo più viva, vero? Purtroppo lo studio ogni tanto deve
avere priorità su tutto il resto...
Bene, che dire di questo capitolo?
Diciamo che un po' più "movimentato" lo è. In pratica succede poco, però ve lo
devo dire, scrivere scene con il gruppo di amici di Francesco è bellissimo!
Tutte le volte che leggo l'ultima parte di questo capitolo, mi sento decisamente
soddisfatta! C'è tutta un'idea dietro questi quattro ragazzi, ognuno con una
propria personalità, con un loro aspetto fisico - ovviamente! - ma tutti e
quattro pazzi! Pazzi, pazzi come potrebbero essere quattro ragazzi rimasti a
vivere i loro vent'anni. Non che questo debba essere preso come segno di
immaturità, io ho voluto anzi sottolineare la loro spensieratezza, la loro
voglia di divertirsi. In un certo senso, la loro voglia di non crescere. Sono un
po' tutti degli eterni Peter Pan ;) Mi piace molto questa caratteristica in una
persona, quindi ho voluto suddividerla tra loro.
... Rileggendo, mi faccio paura per
quello che scrivo! Fondamentalmente non avevo mai messo così in chiaro le
caratteristiche di questi quattro scemi! :)
Ok, via, forse è il caso di piantarla
con queste riflessioni un po' troppo astratte. Ringrazio, quindi,
killyourself per aver commentato il capitolo precedente, sperando che la
prima parte di questo aggiornamento, almeno un minimo, ti abbia accontentato! Ti
dirò, anche io smanio nello scrivere scene come quelle!
E ora, gente... Bye bye! Al prossimo capitolo! ;)
S.P.
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Capitolo 9 *** IX ***
Nuova pagina 1
“Chiara, sta
arrivando l’Orlandi Senior!” Caterina, spettegolatrice cronica e
faccia-da-schiaffi patentata, la superò velocemente con chioma bionda ossigenata
scarruffata e le sue
tipiche labbra truccate di un rosso così acceso da oscurare totalmente il colore
degli occhi. Si rifugiò composta e stranamente attiva alla sua
scrivania, mentre il passa parola avveniva a velocità supersonica, creando il
panico generale.
“Cosa succede?”
chiese Cristina.
“Sta arrivando
Luciano Orlandi, il capo dello studio.” Spiego Elisa, scacciando Chiara dalla
scrivania. “Viene solo un paio di volte al mese, guarda che tutti si lavori nel
migliore dei modi, fa un discorso di incoraggiamento e poi si rinchiude nella
stanza di suo figlio per parlare di non si sa bene cosa.”
“È una sorta di
rituale mensile, insomma.” Ridacchiò Chiara, sgusciando sulla sua poltrona e
accendendo il computer.
“Ah, ma noi…?”
“No, tranquilli.”
Sorrise loro Elisa. “Anzi, se rimanete forse farete fare più figura a tutti noi.
Orlandi potrà così vedere che lavoriamo.” Ridacchiò.
“D’accordo.”
Giacomo si sistemò più comodo sulla sedia e tornò quindi ad osservare le carte
con planimetrie, prospetti e sezioni che Elisa stava mostrando loro, in modo da
mettere a punto ogni minimo dettaglio e partire definitivamente con la richiesta
del cantiere. Cominciarono dalla pianta del pian terreno e lessero tutte le
quote della casa, facendo caso ai vari aggetti perché fossero precisi al
millimetro. Elisa aveva detto ai Bernardi che volendo era un lavoro che poteva
benissimo fare da sola con altri assistenti – purché non fossero
Emanuele Rossini e
Antonio Della Rosa – ma i due neo-sposini sembravano
essersi affezionati a lei proprio come amici, e le chiesero di restare un po’
per curiosità, un po’ per aiuto.
“Gente, forza,
lavorate!” esortò Lorenzo Puccini, un urbanista che come compito principale
aveva quello di catalogare tutte le varie modifiche ai progetti, una sorta di
schedario umano, niente a che vedere con la sua laurea più che sudata e
meritata.
Come per magia, il
silenzio si impossessò quasi violentemente del grande ambiente riempito da
qualche scrivania qua e là, sistemata a scacchiera sotto rigido ordine del
grande capo. Con il passare del tempo, sebbene la tensione non fosse minimamente
diminuita, dei passi si facevano sempre più rumorosi. Era strano come quell’uomo
potesse mettere in agitazione, ma Luciano Orlandi era conosciuto come una
persona dalla pazienza inesistente e dalla lingua tagliente, e in sua presenza
il lavoro era più precario che con la supervisione di Orlandi Junior.
La maniglia della
porta ruotò e comicamente tutti trattennero il fiato. Un uomo basso e grasso,
dall’aspetto però vivace e quasi simpatico, entrò ballonzolando, come se fosse
contento di questa sua visita improvvisa, che ovviamente aveva avuto le sue
soffiate. La porta si chiuse dietro di lui per la molla installata allo stipite
e Pietro, quasi attirato fuori dal suo studio per l’innaturale silenzio nello
studio, andò incontro al padre, accogliendolo con un caloroso sorriso.
“Papà, come vedi,
tutto procede a meraviglia! Proprio come ti avevo detto al telefono.” Elisa ci
avrebbe messo la mano sul fuoco: Luciano Orlandi metteva ansia anche al figlio.
Era chiaro come il sole da come Pietro si era dimostrato stranamente così
allegro e accondiscendente verso tutte le timide richieste dei suoi
collaboratori mentre il padre faceva il suo tipico giro tra le scrivanie.
“E loro?” Elisa
non dovette nemmeno aspettare l’accenno di Chiara che subito sintonizzò le
orecchie verso i due uomini alle sue spalle. Era palese che stessero parlando di
loro, visto che ad ogni passo il tono dei due aumentava e si faceva più nitido.
“Papà, loro sono
Giacomo e Cristina Bernardi. Sono qui per discutere sulla costruzione della casa
che -”
“Bernardi, avete
detto?” lo interruppe il padre senza il minimo ritegno, rivolgendosi a Giacomo e
Cristina, che lo stavano guardando senza capire bene quale espressione
utilizzare in sua presenza e davanti ad una domanda del genere.
“Sì.” Rispose
quindi con più neutralità possibile, Giacomo.
“Siete parenti di
Domenico Bernardi?” Continuò.
“Sì, è mio padre.”
“Oh!” esclamò
tutto rallegrato. “Ma allora io ti conosco!” stava ormai parlando solo con
Giacomo. “Ti ricordi di me?”
Il ragazzo tentò
di ricordare, fissando l’uomo con attenzione, ma dalla sua espressione era
palese che quella fisionomia non gli dicesse niente.
“Sì, ragazzo! Ora
quanti anni hai? Trenta?”
“Trentadue.”
“Santo Cielo, come
sei cresciuto! Mi ricordo che quando tuo padre lavorava in banca eri alto più o
meno così!” e misurò all’incirca un metro da terra. “E vedo che ti sei anche
sposato.” Occhieggiò curioso anche Cristina, che gli sorrise nella sua
timidezza. “Come sta tuo padre?” tornò subito alla carica con le domande, senza
nemmeno dargli il tempo di rispondere con un misero monosillabo.
Elisa, intanto, si
stava guardando intorno sentendosi osservata, e infatti poté notare gli occhi di
tutti puntati alla sua scrivania, soprattutto ai suoi clienti, che sembravano
essere stati presi sotto l’ala protettiva del grande capo. Ovviamente Della Rosa
e Rossini stavano in un angolo a crepare d’invidia: la loro sfacciataggine nel
leccare culi non aveva potuto niente contro l’incontro inatteso a cui tutti
stavano assistendo, ed Elisa dovette ammettere che questa situazione le sembrava
avere un retrogusto dolce, come se fosse arrivata anche per lei il suo riscatto,
il suo lasciapassare per un qualcosa di più grande e soddisfacente.
“Mi lasci dare
un’occhiata al progetto.”
Elisa non fece in
tempo a contemplare e crogiolarsi nei suoi sogni di gloria, che la voce
biascicata per la pappagorgia e l’abbondante grasso che ricopriva il suo collo –
facendolo quasi scomparire dalla vista – la riportò quasi bruscamente alla
realtà. Luciano Orlandi l’aveva sfrattata dalla sedia quasi come se lei fosse
parte dell’arredamento. Aveva preso il suo posto sulla poltrona e ora si stava
rigirando le tavole con tutte le indicazioni della futura casa tra le mani,
mormorando parole incomprensibili e storcendo certe volte il naso.
“Pietro, ma qui
perché -”
“Il lavoro è stato
affidato a Elisa De Angelis, papà.” Intervenne prima che l’uomo potesse dire
altro. Pietro afferrò Elisa per un braccio e l’avvicinò al padre, che la guardò
quasi come se fosse stata una piccola e fastidiosa mosca.
Da dietro la
spalla dell’Orlandi Senior, Elisa poté vedere Chiara che tremava dalla rabbia,
perché ovviamente anche lei aveva compreso il motivo di tanta pubblicità al suo
lavoro: salvarsi il culo nel caso qualcosa fosse andato storto. E infatti così
successe: “Signorina De Angelis, ma lei ce l’ha una laurea?” il tono non
prometteva niente di buono, era come se lui le si rivolgesse con aria di
sufficienza, del tutto disinteressato a qualunque risposta lei gli avesse dato,
perché lui aveva già idealizzato che tipo di persona Elisa poteva essere, senza
nemmeno pensare di parlarle per conoscerla. Era questa una delle tante
caratteristiche della famiglia Orlandi che lei di più odiava, insieme
all’innaturale percezione di sé stessi come Dèi scesi in terra.
“Certo,” rispose
diplomatica lei.
“Quindi è un
architetto?” era quasi riluttante.
“Sì.”
“E non le è venuto
in mente di creare una forma un po’ più armonica, un po’ più sinuosa per questa
casa?” L’accusa l’aveva trafitta proprio in pieno petto. Dopo settimane di
lavoro per cercare di accontentare Pietro e tutte le sue astruse richieste, dopo
giorni di lavoro per cercare di andare incontro anche alle esigenze dei
Bernardi, ecco che i suoi sogni di gloria si sfracellavano al suolo in tanti
minuscoli frammenti al suono di quel rimprovero.
“Be’, veramente,
signore,” tentò di spiegare. “Ci sono state molte divergenze sulla struttura
dell’edificio, ma abbiamo tutti pensato che questa soluzione potesse essere -”
“No, io qui,” e
afferrando una penna dalla tazza, regalo di Sofia che Elisa teneva orgogliosa
sulla scrivania, circondò tutte le finestre. “Io metterei qualcosa di più
luminoso.” E subito partì con degli esempi troppo filosofici per parere reali.
“S’immagini lei stessa la mattina: lei scende in cucina per fare colazione, e
invece del buio, cosa trova ad attenderla? La natura. La natura,
signorina! Le finestre vanno ingrandite, permettendo così alla natura di entrare
all’interno dell’abitazione, di renderla più calda, più accogliente.” Elisa
rimase imbambolata davanti a quella teoria un po’ troppo eccentrica per i suoi
gusti, avrebbe tanto voluto rispondergli che la casa sarebbe dovuta sorgere alla
periferia della città, in un lotto di terra già esistente e compreso tra altre
due villette, quindi la storia della natura era relativa, visto il contesto
urbano che si sarebbero trovati intorno. “E anche qui, ma dai!” fece con tono
quasi scandalizzato. “Ma che rapporto è questo per degli scalini! Sono troppo
bassi!”
Elisa si morse un
labbro. Aveva trovato una soluzione egregia, a suo parere – e anche secondo i
Bernardi. Anche Pietro alla fine gliel’aveva approvata, ma ora quell’uomo che
quasi si sarebbe fatto prima a saltarlo che a girargli intorno – come da sempre
lo aveva definito Chiara – le stava rivoluzionando ancora una volta tutto
il progetto. Si sentì quasi mancare quando pensò che pochi minuti fa era
riuscita a farsi approvare tutto da Pietro, riuscendo così a compilare i moduli
che sarebbero serviti per iniziare a creare il cantiere per la costruzione.
L’Orlandi Senior
segnò sia sui prospetti che sulle sezioni – oltre indubbiamente che sulle piante
– tutta una serie di errori che avrebbero necessitato una correzione perché a
suo parere, creando altre strutture, in certi punti “doveva succedere
qualcosa”, proprio come erano soliti dire tutti i professori di
progettazione. “Doveva succedere qualcosa”, ma cosa? Lui le aveva rovinato
totalmente il lavoro di intere settimane, se non mesi, e ora si divertiva anche
a fare l’enigmatico per farla sentire ancora più stupida?
Un moto di rabbia
venne represso a stento e Elisa cercò con tutte le sue ultime forze di scusarsi
per la sua inesperienza e di tentare a cercare delle soluzioni adatte.
“Non tentare,
signorina. Lei deve farlo e basta.” E le sorrise, quasi come se volesse farle
capire che tutto quello che aveva fatto, l’aveva fatto per lei, per il bene di
aver voluto aiutare il prossimo, quando in realtà lui altro non aveva fatto che
massacrarlo, il prossimo.
***
Corse per le scale sentendo già la voce
di sua madre che le faceva notare, con un tasso di veleno decisamente troppo
elevato per un essere umano, che era nuovamente in ritardo. Dopo quella giornata
proprio non la richiedeva, ma doveva andare a prendere Sofia, non poteva
lasciarla dai suoi per tutta una notte solo perché non era proprio in vena di
sentire la petulante voce della madre. Sofia, tesoro, guarda cosa mi tocca
sopportare per te! Ironizzò mentre conquistava l’ultimo scalino e si
accingeva a suonare il campanello dell’appartamento, sistemandosi la borsa che
le era caduta dalla spalla nella salita.
Suo padre le venne ad aprire come di
consuetudine – forse a sua madre pesava troppo il sedere per percorrere quei
miseri dieci metri che la separavano dalla sua sedia a dondolo alla porta.
“Ciao, papà.”
“Ciao, Eli. Mamma è in salotto con la
piccola.” La fece entrare, prendendole il giacchetto che lei stava posando
frettolosamente su una sedia.
“Grazie – scusa per il ritardo.”
“Oh, non ti preoccupare, oggi tua madre
è di buon umore.”
“E a cosa devo l’onore?” chiese
sarcastica, incamminandosi verso la sala, osservata dagli occhi di tutti quei
personaggi dipinti alle pareti.
“Non saprei, oggi ha chiamato Annalisa,
sua sorella. Evidentemente le ha fatto piacere sentirla. Sai, è sola… Non vede
la famiglia da anni ormai.”
Elisa si fermò davanti alla porta della
stanza. Già sentiva la voce vivace e trillante di Sofia agitarsi per la sua
presenza.
“Papà, se mamma volesse rivedere gli
zii potrebbe sempre prendere un treno e raggiungerli. Quanto mai sarà? Due
orette?”
“Elisa, Anna è stanca. Lo vedi anche tu
che non si muove mai.” La giustificò come al solito e lei ebbe un moto di rabbia
verso quelle parole. Sua madre stava male perché non si muoveva mai, non il
contrario. Se lei avesse seriamente voluto prendere in mano le sue condizioni e
decidere di non stare seduta tutto il giorno su quella sedia di legno davanti al
finto caminetto, a quest’ora poteva uscire senza pensarci due volte e andare a
prendere il treno. Ma non disse niente di tutto questo. Sapeva che suo padre era
troppo premuroso con Anna. Il saperla stanca, affaticata, dopo una giornata di
ozio completo, per lui era sintomo di malattia. Non la voleva far sforzare
inutilmente, diceva lui, e sua madre si era adagiata sugli allori, sapendo di
poter contare sempre sul marito. Elisa sentiva che questa situazione non avrebbe
portato niente di buono, ma dopotutto sua madre era una delle persone più
testarde al mondo, e se lei per prima non l’avesse voluto, nessuno avrebbe
potuto farla alzare da quella sedia. Solo quando doveva andare dal parrucchiere,
o a fare due passi una volta alla settimana, allora sì che si metteva d’impegno
per farsi vedere per la persona aristocratica che non era, ma che pensava
d’essere.
“Papà, io non dico niente, ma sai cosa
ne penso di questa sua situazione. Anche Arianna te l’ha detto tante volte.”
Il padre sospirò e la superò per
aprirle la porta. In cuor suo, Elisa sapeva che anche lui pensava esattamente le
stesse cose, ma per amore di sua madre, non aveva il coraggio di contraddirla.
Un amore un po’ paradossale, secondo lei.
“Sofi, guarda chi c’è.” Le sorrise e la
bambina corse incontro alla madre con un sorriso a trentadue piccoli denti.
“Tesoro!” la salutò Elisa prendendola
in braccio proprio mentre la piccola le saltava addosso. Un tempismo
impeccabile, come sempre.
“Grazie per avermi chiesto come stia.”
La voce acida della madre si fece strada tra le due.
“Prego, mamma.” Le rispose spavalda.
“Oh, Elisa, mai una volta che si possa
parlare tranquillamente, io e te.” Sbuffò lei, dondolandosi su quella sedia.
“Be’, offrimi un argomento e vediamo.”
“Hai più sentito Marco?” la sua
disinvoltura nel farsi gli affari degli altri era incredibile.
“Sì, mi ha chiamato proprio mentre
venivo qui.”
“Mamma, Marco è il tuo amico? Quello
che è venuto a mangiare con la signora bella?”
“Sì, tesoro.” Annuì, carezzandole la
testa con un gesto dolce.
“Sofia ha conosciuto Marco?” si
sbalordì Anna.
“Sì, abbiamo fatto una cena noi
cinque.”
“Quindi anche con Francesco.”
Sottolineò irritata lei.
“Sì, anche Francesco.” Elisa
odiava affrontare argomenti del genere con Sofia vicino. Non voleva che sua
figlia potesse capire la loro situazione familiare. Aveva passato cinque anni
cercando di farle apparire tutto felicemente normale, purtroppo sua madre aveva
una dote straodinaria nel rompere sempre le uova nel paniere nel momento meno
opportuno.
“Sofi, vieni di qua?” E come la manna
scesa dal cielo, suo padre riuscì ad allontanare la piccola da quella
discussione, lasciando Elisa e sua madre da sole. La bambina, infatti,
trotterellò verso il nonno entusiasta e uscì dalla stanza.
“E prima che te lo chieda, no, Marco è
stato presentato come amico, quindi Sofia continua a non sapere niente.”
“Elisa, prima o poi dovrai anche
sposarlo, Marco.” Anna non avrebbe voluto altro. Lo aveva conosciuto ad un
pranzo di Pasqua, quando Sofia era con Francesco e Elisa ebbe la brillante idea
– di cui ancora si pentiva – di presentarlo ai suoi genitori. Sua madre ne era
rimasta totalmente ammaliata, ma per lei, sicuramente tutti sarebbero andati
meglio di Francesco.
“Quando arriverà il momento lo farò.”
“E lui ancora non si è fatto avanti?”
“Mamma!” sbottò Elisa, senza riuscire
più a trattenersi. Non sopportava che lei si intromettesse così spudoratamente
nella sua vita privata. “Stiamo insieme da poco più di un anno! È troppo presto
per parlare di matrimonio, cavolo!”
“Ehi, non rispondere così a tua madre!
Non ti ho educato per questo!”
“Se è per questo, anche per non
rimanere incinta senza essere sposata.” La sbeffeggiò senza ritegno. Tanto,
offendersi per offendersi, poteva farlo anche lei da sola.
“Farò finta di non aver sento, Elisa.”
Ribatté autoritaria. “E sappi che io e tuo padre ci siamo sposati dopo un anno
esatto. E dopo sei nata tu.”
“Erano altri tempi, mamma. E non tirare
in ballo Francesco.”
“Cara, Francesco devi togliertelo dalla
testa!”
“Mamma, è il padre di Sofia!”
“Appunto, è il padre! Non tuo
marito.”
“Ho capito che mi vuoi vedere
sistemata, ho capito che non puoi nemmeno vedere Francesco, e ho capito che
vorresti che sposassi Marco, ma – accidenti, mamma! – pensa a me! La situazione
non è facile! Ho una figlia, e si dà il caso che non sia figlia dell’uomo che
molto probabilmente sposerò.”
“Motivo in più per allontanarti da
Francesco finché sei in tempo. Potresti trovarti intrappolata in una vita che
non ti merita. Tu sei intelligente, Elisa, sei bella, sei anche una brava
persona... Perché vuoi rovinarti la vita in una situazione del genere?”
“E perché tu non vuoi capire che Sofia
soffrirebbe, se non avesse più accanto a sé suo padre?” urlò, accorgendosi solo
troppo tardi di aver alzato troppo la voce. Sperò che suo padre avesse portato
la piccola più lontano della cucina, la stanza adiacente a quella.
“Sei tu che hai voluto iniziare questa
farsa, Elisa!”
“Mamma, io –”
“Se tu non avessi proposto questa
idiozia di vivere come una perfetta famiglia felice, tutto questo non
accadrebbe, tu saresti sposata con un uomo che ti merita, tua figlia non avrebbe
problemi a separarsi da un uomo che si è solo divertito con te una notte e io
sarei molto più contenta!”
“Non parlare di Francesco così.” Ruggì
a denti stretti. Le tremavano le mani e le gambe per la voglia che aveva di
allontanarsi da quella donna, proprio come succedeva tutte le volte che
iniziavano quel discorso. “E poi di cosa saresti più contenta, scusa? Del fatto
che non avresti più niente che ti possa sfigurare? Che non potresti più dire che
mi sono rovinata la vita e non potresti più passare per la madre modello che ti
eri prefissata di essere?” sibilò.
“Non essere sciocca, Elisa. Lo sai che
non è vero.”
“Certe volte penso quasi che tutto
quello che ho fatto, l’ho fatto esclusivamente per compiacere te, proprio come
scegliere l’università. Io avrei voluto fare Lingue, viaggiare, andare
all’estero!”
“A fare cosa? Te l’ho detto tante
volte: tu hai il dono del disegno, del progettare, perché avresti dovuto
rovinarti?”
“Perché insieme a me ti saresti sentita
rovinata pure tu!” e detto questo, non volle né aggiungere un’altra parola, né
sentire le repliche della madre. Uscì dalla sala trattenendo a stento le lacrime
e mordendosi il labbro per evitare di far trapelare qualche singhiozzo. Quella
giornata era una giornata di merda. Aveva quasi litigato con Pietro e ora anche
sua madre ci si metteva a dirle cosa fare. Certe volte si domandava se la
propria vita fosse mai stata sua.
Andò a chiamare Sofia senza pensare due
volte se salutare o meno sua madre, e una volta messo il giacchetto alla
bambina, si infilò il suo e uscì di casa, salutando frettolosamente il padre,
che sospirò rassegnato alle sue spalle.
___________________
Lo so, lo so, il ritardo non è
scusabile - ancora una volta - però questo è ciò che sono riuscita a fare. Gli
esami si accavallano quasi sadicamente l'uno all'altro e mi ritrovo davvero poco
tempo da dedicare a questa storia. Mi dispiace davvero tanto. Spero solamente
che questi capitoli, sebbene arrivino a distanza di anni luce l'uno dall'altro,
possano piacervi e farvi continuare a seguire questa storia :)
E per concludere con quel tipico velo
di mistero che potrebbe portare ulteriore curiosità alla vicenda, ecco una
"rivelazione": questo è l'inizio della fine! Sì, lo so, molto catastrofica come
frase, ma presto capirete cosa intendo. Però, potrebbe anche essere la fine
dell'inizio e l'inizio di un altro inizio. La fine della fine dell'inizio
iniziato e poi finito! XD
Ok, basta, la termodinamica dà al
cervello...
Al prossimo aggiornamento!
EDIT 18/05/11: Altro
Missing Moment
di questa storia! Come è nato il nome dello studio di Francesco? E cosa altro è
successo in quel periodo? Qua la risposta:
Twenty-seven:
Studio Quadri!
S.P.
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Capitolo 10 *** X ***
Nuova pagina 1
“Scusa il ritardo, Eli, mi hanno
trattenuto in ufficio.”
“Tranquillo,” gli diede un bacio.
“Anche io sono appena arrivata.”
“Meglio.” Le sorrise. Lei ne approfittò
per prendergli la mano e arrotolarsi al suo braccio, mentre lui la guidava per
le stradine del centro. Marco l’aveva chiamata nemmeno tre ore prima,
invitandola a cena fuori, ma lei aveva inizialmente rifiutato, sentendosi troppo
stanca. Sua madre di certo non aveva aiutato a rilassarsi. Era tornata a casa e
ne aveva parlato con Francesco, come sempre, ma all’improvviso Daniela l’aveva
chiamato e lui aveva ben visto di mollarla lì sul divano, andandosene in camera
per parlare con quella psicologa bionda, proprio mentre Elisa si stava sfogando
e aveva bisogno di essere ascoltata. Nemmeno gli disse niente, riprese in mano
il cellulare e chiamò Marco, accettando l’invito a cena. Nell’ora che seguì, in
cui lei era già fin troppo impegnata a decidere cosa mettersi, ebbe anche il
tempo per litigare con Francesco, che le rinfacciò che quella sera lei sarebbe
dovuta stare a casa, visto che aveva rifiutato l’uscita con Marco.
“Ho cambiato idea, ok?”
“L’hai fatto di proposito!”
“E a te cosa cambia?”
“Cambia che avevo giusto accettato di
uscire con Dani, ecco cosa cambia!”
“Non urlare che c’è Sofia di là!”
“Senti, guarda, fa’ come ti pare. Per
oggi ne ho davvero abbastanza.”
Si erano lasciati così, senza nemmeno
un saluto, un semplice gesto, il solito bacio… Per un nanosecondo la coscienza
di Elisa sembrò volersi suicidare, conscia che ultimamente non veniva nemmeno
più ascoltata, ma l’immagine di Francesco che si allontanava per parlare con
Daniela, senza che lei avesse potuto sentirli la mandava in bestia. Era una cosa
insopportabile, proprio come lasciarla sola sul divano mentre stavano parlando.
Quella donna arrivava sempre al momento meno opportuno. Non seppe spiegarsi come
avesse potuto farsela sembrare piacevole in certi momenti un paio di settimane
fa, durante quella cena che avrebbe dovuto sistemare le cose tra tutti loro, ma
ora era tornata esattamente la solita situazione di sempre: il solo sentire il
nome di quella donna, faceva venire i nervi a fior di pelle a Elisa.
“Insomma, Eli, che te ne pare?”
“Eh?” si era lasciata trasportare
troppo dai suoi pensieri, senza ascoltare nemmeno una parola di quello che
diceva Marco. Ultimamente le succedeva fin troppo spesso, e Elisa doveva darsi
una controllata.
“Eri partita per uno dei tuoi viaggi,
eh?” scherzò lui, stringendola più a sé.
“Sì, scusa, Marco.” Mormorò
dispiaciuta, accarezzando con la mano quella di lui che le cingeva la vita.
“Stavo ripensando ad oggi pomeriggio: l’Orlandi Senior oggi ha dato il meglio di
sé.”
“E di Francesco che mi dici?”
“France? Che c’entra Francesco?” inarcò
un sopracciglio stupita, mentre varcavano la soglia del ristorante italiano
dall’aspetto rustico che erano soliti frequentare.
“Solitamente quando ti estranei è
perché per un motivo o per l’altro, pensi a lui.”
“Non è vero.” Gli sorrise, leggermente
titubante e preoccupata. Le era parso come se dopo un anno, la sua capacità di
mentire senza farsi sgamare da nessuno fosse andata a farsi fottere e ora si
sentiva quasi scoperta e vulnerabile.
Lui la guardò eloquente, mentre si
accomodavano al tavolo riservato a loro.
Elisa sospirò, sapendo che non c’era
scampo da quegli occhi scuri così profondi ed indagatori. “Sì, ok, c’entra anche
lui, ma non ne voglio parlare.”
“Perché?”
“Perché sì.” Si passò una mano sugli
occhi, stando attenta a non rovinarsi il trucco. “Per piacere, Marco, non voglio
che tu entri in queste faccende, non è il caso.”
“Eli, ci conosciamo da un anno.” Il suo
tono emanava una ovvietà tale che mise alle strette Elisa. “È naturale che io
voglia sapere cosa ti succede.”
“Sì, ma è una cosa da niente, dai.”
Cercò di dissuaderlo invano. Il fatto che lui facesse l’avvocato era anche una
carta a suo sfavore: quante possibilità c’erano che lui lasciasse perdere
qualcosa a cui era interessato?
“Non ti sembra, però, che sia il caso
di dirmele certe cose?”
Il suo cuore fece un tuffo giù per lo
stomaco e sembrava del tutto intenzionato a rimanerci. “Come scusa?”
“Voglio dire, perché vuoi continuare a
tenermi all’oscuro della tua vita con Francesco?”
“Se parli così, mi sembra quasi che tu
creda che si faccia chissà cosa, io e lui.” Lui non replicò e continuò a
fissarla con lo sguardo serio, così serio che Elisa ci mise un attimo a
sbiancare. Le parole iniziarono ad affollarsi nella sua bocca, nel tentativo di
trovare qualcosa con cui ribattere e difendersi da quelle accuse. “Non crederai
sul serio che -” si coprì il viso con le mani e si abbandonò sulla sedia, mentre
i capelli le cascavano in avanti, concedendole un fragile muro per difendersi da
quegli occhi. “Marco,” disse senza scoprirsi. “Non posso credere che tu sia
arrivato a pensare certe cose.”
“A mia discolpa posso dire che non è
stata tutta farina del mio sacco.”
Era tremendamente doloroso sentire la
voce di Marco, sempre così dolce e gentile, farsi tutto d’un colpo dura e
insistente.
“E cosa ti ha portato a fare tali
conclusioni, allora?”
“Tu.”
Elisa si liberò dai capelli che si
erano frapposti tra di loro e lo guardò ferita. “Io? E come avrei potuto? Ho
sempre cercato di non parlarti di lui, ti ho sempre tenuto alla larga da quel
lato della mia vita.”
“Proprio per questo, l’hai fatto.”
“Ma cosa -”
“Nascondendomi il tuo rapporto con
Francesco, mi porti a pensare cose che non vorrei.”
“Ma l’hai visto tu stesso in che
rapporti siamo! Alla cena, per esempio!”
“Ad essere sinceri, alla cena mi è
parso che andaste molto d’accordo.”
“Questo non mi sembra un crimine.
Dopotutto Francesco è il padre di Sofia!”
“Elisa, ascolta -”
“No, tu ascolta.” Lo interruppe, armata
del coraggio per difendere la famiglia. “Io non so come siamo arrivati a parlare
di questo, ma per piacere ora basta. Non voglio litigare anche con te, stasera.”
“Hai litigato con Francesco, quindi?”
“Sì, ok?” sbottò lei, mordendosi un
labbro. “Ho litigato con lui, capito? Ecco cosa ti nascondevo, e non sempre
tutto è rosa e fiori tra di noi. Se non siamo sposati e non viviamo felici e
contenti, non credi che ci sia un motivo?”
Marco rimase confinato nel suo silenzio
per qualche istante, per poi sospirare e passarsi una mano sul viso. “Sì, scusa,
non volevo arrivare a questo punto.”
“Sì, nemmeno io.” Rispose dura.
Proprio in quel momento il cameriere
fece la sua comparsa con i menù in mano, interrompendo definitivamente le loro
parole.
Il resto della serata sarebbe potuta
essere definita anche piacevole, ma quell’aria di tensione era ben percepibile e
frenava ogni sorta di gesto romantico tra loro, che si erano trovati di colpo
separati non più da un semplice tavolo rotondo, ma da questioni in sospeso che
li avrebbero perseguitati finché non avrebbero chiarito.
***
“Ma… Ma Pietro!”
“Sì, è così, Elisa.”
“Ma avevi detto -”
“Lo so cosa avevo detto, ma ora c’è
stato un cambiamento.”
Elisa cadde a peso morto sulla sedia
dalla quale si era alzata per avere più forza nel replicare la notizia di
Orlandi. Quel pomeriggio aveva continuato ininterrottamente a sistemare gli
ultimi dettagli con Giacomo e Cristina, e ora quell’idiota si permetteva di
toglierle il progetto? Ma quando mai! Lei si era fatta in quattro, forse anche
in otto, per poter portare a termine quel lavoro, sottostando a tutte le
critiche di Pietro e quegli altri due suoi leccapiedi, e ora lui usciva con
questa decisione. Elisa ebbe un capogiro e chiuse gli occhi un momento, il tempo
di respirare profondamente per cercare di riprendere il controllo sulla
situazione, ma più che altro, su se stessa.
“Ma…” le parole le morirono in gola,
non tanto perché non sapeva cosa dire, quanto perché voleva dire – urlare
– così tante offese tutte insieme, che alla fine nessuna le uscì dalle labbra.
“Ma…”
“Piantala di mormorare sempre la solita
sillaba.” Sospirò Pietro. “E sappi che non devi avercela con me.”
“Ah, no?” soffiò una risata nervosa.
“Perché, sai, se non ricordo male, eri d’accordo sull’affidarmi il progetto.
Però pensavo quasi di prendermela con Della Rosa, o perché no? Anche Rossini si
offrirebbe bene!”
“Elisa, ascolta.” Cercò di calmarla,
avvicinandosi come avrebbe potuto avvicinarsi ad una tigre affamata. “Mio padre
ha visto il progetto e… lo sai com’è fatto.”
“Ma tu avevi detto che me ne occupavo
io!” urlò lei, ritrovando la capacità di sputare addosso a Pietro tutto quello
che si teneva dentro. “Mi avevi dato carta bianca! E più volte ti sei anche
intromesso più del dovuto!”
“Elisa, mio padre è del vecchio
stampo!” insistette Pietro, gesticolando in aria.
“E chi se ne frega!” ruggì lei,
aggrottando la fronte. “Perché deve venire fuori proprio ora e rompermi i
coglioni con quelle sue idee strampalate!”
“Perché i Bernardi sono un’ottima fonte
di guadagno, li conosce… Insomma, devi capire!”
“Guadagno o non guadagno, se continuate
a rompere i coglioni così, tu e tuo padre, li perderete seduta stante! Non
capite che certe persone vorrebbero anche altro, che costruzioni in acciaio ed
irregolari che fanno venire la nausea come se fossimo su delle montagne russe
solo a guardarle? Lo capisci, Pietro? Eh?”
“Elisa, calmati!” sbottò lui, il tono
autorevole.
“No che non mi calmo! Questa è la
goccia che ha fatto traboccare il vaso, Pietro.” Non sapeva se le lacrime che
stava trattenendo fossero di rabbia per i Bernardi o per la sconfitta sul
lavoro, ma ci sarebbe mancato davvero poco perché non scoppiasse
definitivamente, dando sfogo anche ad un pianto degno di nota che i suoi
colleghi le avrebbero rinfacciato a vita, proprio come quando si ritrovò ad aver
fatto sesso con quell’uomo che ora si mangiava le unghie per trovare una
soluzione e calmarla.
“Ma si può sapere perché te la prendi
tanto?”
Errore, il suo pensare l’aveva portato
a porre la domanda sbagliata. E questo voleva solo dire che Elisa sarebbe
scoppiata troppo presto per poter pensare di agire secondo un certo raziocinio.
“Perché me la prendo?!” sgranò gli
occhi. “Ma ti rendi conto della stupidità della domanda? Ma certo, se non ci
arrivi te lo spiego…” rise nervosa, tentando di respirare profondamente. “Non
puoi fare sempre come ti pare – o come ti dice tuo padre – tu hai degli obblighi
verso i tuoi clienti e verso i tuoi subordinati, me in questo caso. Non
puoi pretendere di stravolgere ogni minima cosa solo per puro piacere di poter
mostrare il tuo potere qua dentro.” Senza rendersene conto si era alzata gli era
andata incontro, indicandolo furiosa con il dito indice a pochi centimetri dal
suo viso.
“Eli, forse ora stai esagerando.”
Deglutì, come se avesse paura che avesse potuto trafiggerlo con quell’unghia
proprio in quell’istante.
“E non chiamarmi Eli!” tuonò.
“No, Pietro, non esagero! Mi hai fatto passare settimane a controllare e
modificare i dettagli più insulsi in quel cazzo di progetto, mi hai schernito
davanti ai tuoi leccaculo come se non valessi un soldo bucato, mi hai sommerso
di scartoffie da controllare perché mi hai definita ignorante,
inesperta e negligente, cosa che mi sembra di aver smentito ogni
volta che ho messo piede in questo studio. Ho lavorato giorno e notte, ho
controllato, modificato, persino rivoluzionato lo schizzo di partenza secondo il
tuo volere, e ora che finalmente siamo arrivati al punto di svolta, tu che fai?
Ti rivolgi a tuo padre e mi togli tutto quello su cui ho lavorato fin’ora? Mi
stai facendo fare la figura dell’inetta, dell’incompetente!”
“Eli-sa, ascolta, è stato mio
padre a chiedermi di mostrargli quel lavoro. Fosse stato per me, avresti potuto
continuare come più ti pareva.”
Certo, e tutte quelle critiche a ciò
che facevo? Non riuscì a
pronunciare quelle parole perché il pianto che si teneva dentro avrebbe potuto
prendere il sopravvento, e quello era decisamente il momento più inappropriato.
“Lo sai,” continuò Orlandi,
indietreggiando sulla sua sedia. “È lui a comando di questo studio. Anche se sta
a casa e mi ha lasciato le redini di tutto, lui ne è ancora il capo.”
“Be’, sai cosa, allora?” si incupì.
“Non credo di voler più lavorare per qualcuno che ancora non è capace di
prendere da sé delle decisioni.”
“Non vorrai mica…?”
“Sì, mi licenzio.”
“Oh, dai, Elisa, non dire cazzate. Dai,
proverò a parlare con mio padre, torna di là dai Bernardi e facciamo finta di
niente.”
“No, non mi importa più niente di
questo fottutissimo progetto! Io mi licenzio!”
Pietro si lasciò sfuggire una risata
spavalda, come a sfidarla a prendere sul serio le sue parole e lei, accettando
la sfida, gli voltò le spalle e uscì dal suo ufficio senza più fiatare con i
presenti, che la stavano guardando ammutoliti, evidentemente al corrente della
conversazione urlata in quelle quattro mura solo qualche attimo prima. Elisa si
diresse alla sua scrivania, attorno alla quale i Bernardi erano ancora seduti e
la aggirò per prendere la borsa e il giacchetto alle spalle della sua postazione
al computer.
“Elisa…” mormorò Cristina, guardandola
dispiaciuta. “Guardi che se è per colpa nostra, lasci perdere, ci rivolgeremo in
alternativa ad un altro studio. Non faccia pazzie.”
“Non faccio pazzie, do solo una svolta
alla mia vita, voltando le spalle a gente negligente.”
“Eli, tesoro, perché non vai a casa e
ti riposi?” Intervenne Chiara, correndole incontro e prendendola per le spalle.
“Domani, quando torni, ne riparliamo.”
“No, non hai capito: io domani non
torno, e nemmeno dopo domani, e tra una settimana, un mese. Io mi licenzio.
Non voglio più sentir parlare della famiglia Orlandi in vita mia.” Schiarì ogni
parola come se con esse volesse imprimere tutta la sua forza di volontà,
dopodiché si infilò il giacchetto e senza proferire parola, si incamminò verso
l’uscita, lasciando dietro di sé solo il suono dei suoi tacchi che colpivano il
pavimento lucido di quello studio.
***
“Elisa, che ti succede?” Francesco
strabuzzò gli occhi non appena la vide comparire sulla soglia della porta.
“France…” piagnucolò lei, trascinandosi
in casa come se non avesse più una forza in corpo. E non era nemmeno un paragone
troppo azzardato, visto che si sentiva spossata all’inverosimile. Se avesse
corso la maratona di New York a zoppetto, avrebbe avuto più energie.
Francesco l’accompagnò sul divano e
l’aiutò a togliersi il giacchetto, buttandolo alla rinfusa sullo schienale e
accogliendo Elisa, che si buttò senza troppi problemi tra le sue braccia. In
quel momento non le importava più della litigata della sera precedente, che si
erano portati dietro anche quella mattina, salutandosi a suon di mugugni poco
affettuosi, in quel momento le importava solo non sentirsi sola, sentirsi
rassicurata, vicino a qualcuno. E Francesco era quel qualcuno. Lo
abbracciò stretto, iniziando a piangere le lacrime che aveva trattenuto dallo
studio e per tutto il tragitto in auto. Pianse per la rabbia, per la cazzata
senza eguali che aveva appena fatto, pianse perché era stanca. Erano fin troppi
i motivi per cui stava piangendo, e di certo se si fosse messa ad elencarli, non
si sarebbero fermati a questioni di lavoro. Piangeva anche per le parole che si
erano scambiati lei e Marco la sera prima, piangeva per come sua madre la
trattava, per come lei avrebbe voluto invece essere trattata, piangeva per
Francesco, per come si stava allontanando e per come avrebbe voluto continuare
ad averlo vicino.
“Eli,” la chiamò lui, stringendola a sé
e massaggiandole la schiena, mentre appoggiava il mento sulla sua testa per
poterla stringere ancora di più. Lei avrebbe voluto rispondergli, ma anche la
semplice risposta a quel sussurro le moriva in gola, sopraffatta da quei
singhiozzi che le impedivano quasi di respirare. Stritolò la maglia di Francesco
tra le mani come se stesse cercando in lui la forza che a lei mancava. E lui
stava tentando di trasmettergliela tramite quel contatto colmo di comprensione e
sentimento.
“Cosa è successo, Eli?” Continuò a
chiederle, ma lei non riusciva a calmarsi. Sembrava che le lacrime che in anni
ed anni non erano mai state piante, ora venissero fuori tutte insieme. Anni e
anni di lacrime soppresse, ora bagnavano la maglia a righe di Francesco. Doveva
essere un regalo di Daniela, perché lei non gliel’aveva mai vista.
E a quel pensiero, pianse ancora di più.
____________________________________
Gente, questa è una svoltona! A cosa porterà? Eh,
come al solito non vi rispondo, starà a voi scoprirlo, leggendo :D Posso solo
dire che questo sarà il punto di partenza di qualcosa di grosso. In bene o in
male? Magari anche entrambi...
No, via, voglio smettere di parlare senza giungere
mai ad una conclusione concreta. Passo quindi a ringraziare nuovamente le due
persone che hanno commentato lo scorso capitolo, aggiungendo che questo
aggiornamento lo devo a Elle__r, che mi ha spronato con delle mail,
pensando invece che avessi interrotto la pubblicazione. Be', posso capirlo: sono
un caso disperato in quanto a rispettare orari... Scusate ancora il ritardo,
spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Aggiungo dicendo che nel mentre ho pubblicato un
altro missing moment.
Twenty-seven:
Studio Quadri. Buona lettura, nel caso ci diate un'occhiata :)
Alla prossima,
S.P.
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Capitolo 11 *** XI ***
Nuova pagina 1
“Ehi, guarda che quando ti dissi di
fare di testa tua, mica pensavo che saresti arrivata a licenziarti!” ridacchiò
Francesco, forse più per una semplice tecnica di difesa che altro. Lui non
sopportava trovarsi in situazioni malinconiche. Lui era una persona solare e i
momenti tristi – Elisa ormai l’aveva imparato – erano evitati da lui come la
peste. Non che non ce ne fossero, ma Francesco faceva sempre di tutto per
sdrammatizzare, per far apparire il danno più superficiale. Talvolta si
concedeva di dare dei consigli, ma era raro che il sorriso fuggisse dalle sue
labbra, nonostante insieme ne avessero passate di tutti i colori.
Elisa invidiava questa parte del suo
carattere. Avrebbe dato il mondo per poter affrontare quelle questioni
esattamente come lui, con razionalità e una discreta abilità di rigirare i
problemi a suo vantaggio.
“Non l’ho fatto perché l’avevi detto
tu, France.” Chiarì Elisa, ispirando profondamente per la terza volta. Non
appena Elisa si era ripresa un minimo, subito dopo il pianto incontrollato in
cui era sfociata al suo ritorno a casa, Francesco era andato a prendere Sofia da
Anna, avevano mangiato tutti insieme come se non fosse successo niente, tra
sorrisi e risate, e una volta messa a letto Sofia, Elisa era scoppiata
nuovamente alla domanda di Francesco: “Mi dici cosa ti è preso?”
“Non ce la facevo più a lavorare là
dentro!” continuò lei, il naso tappato come se avesse avuto il raffreddore. “Mi
sembrava che ogni cosa che facessi non andasse bene!”
“Non penso fosse soltanto una tua
idea.” Concordò Francesco, passandole una mano su una spalla con il tentativo di
infonderle forza. “Gli altri che ti hanno detto?”
“Gli altri chi?” mormorò Elisa, seduta
su una sedia della cucina. Era scoppiata proprio mentre stava sparecchiando, e
ci mancò poco che i piatti che aveva in mano cadessero tutti in mille pezzi per
le mani tremanti e la presa che le venne meno. “Mia madre – ho paura anche solo
di guardarla. Sicuramente sa già tutto, non so come. E Marco che potrebbe dire?
Che sono una stupida! Che ho perso il lavoro inutilmente! Ma io non ce la faccio
ad essere calma e razionale come lui! O come te! Io agisco senza pensare!” e
continuò a sbrodolarsi insulti con convinzione, suscitando una piccola risata da
parte di Francesco, che si alzò dalla sedia di fronte a lei e si posizionò alle
sue spalle, iniziando a massaggiarle con dolcezza.
“Sì, confermo che più volte hai agito
un po’ troppo istintivamente,” le sorrise. “Ma questa volta era per una buona
causa, Eli. Lo dicevi tu stessa, no, che non ce la facevi più a lavorare per uno
come Pietro.”
“Lo so, ma ora sono senza lavoro!” il
labbro inferiore le tremava vistosamente e la voce le usciva tremula e
biascicata. Non era il massimo dell’eleganza, dovette ammettere, e fu lieta di
sapere che vicino a lei, in quel momento, c’era Francesco e non Marco. Francesco
ormai aveva visto ogni aspetto di lei. E non solo metaforicamente. Che figura
avrebbe fatto con Marco?
“Vorrà dire che ne troverai un altro,
Eli.” La incoraggiò lui. “L’importante è che tu ti rimetta in sesto. Quindi
smettila di piangere e fai la persona matura.”
“Assurdo come queste parole possano
uscire dalla tua bocca.” Lo sbeffeggiò, la voce ancora non del tutto nitida.
“Visto? Se mi ci metto, sono un pozzo
di saggezza.” Si elogiò, ghignando.
“Allora dovrei ringraziarti per questa
tua più unica che rara perla di saggezza?”
“Esattamente.” E le schioccò un bacio
sulla guancia. “Che ne dici se ora si va a letto?” e la oltrepassò per
anticiparla.
“E la cucina chi la mette a posto?”
“Tu. Tanto domani non hai niente da
fare, no?” le strizzò l’occhio, sorridendo sfacciato come sempre. Elisa gli
sorrise riconoscente e lo seguì. Francesco era una persona meravigliosa, era in
grado di portarla a ridere su una questione che fino a pochi minuti prima
l’aveva condotta a piangere spudoratamente davanti a lui come una bambina – come
Sofia – senza darsene pena, forse perché sapeva quale fascino possedesse, o
forse perché sapeva che lei si fidava di lui. Elisa non sapeva da dove venisse
tutta quella sua arroganza, ma certamente in una situazione del genere,
inverosimilmente, l’apprezzava.
***
“Cosa? Ma sei completamente impazzita,
Elisa?!” Nemmeno quando le aveva confessato di essere rimasta incinta, sua madre
aveva reagito così. In quel caso era sbiancata e se ne era andata in camera sua
come se fosse il fantasma di se stessa, mentre questa volta sembrava non volersi
risparmiare alcun commento al riguardo. Era andata a portare Sofia all’asilo e
poi era passata solo per vedere come stesse, visto che quella mattina il padre
l’aveva chiamata dicendo che era più stanca del solito – ovviamente tenendo
nascosta la telefonata ad Anna. Non seppe come le scappò di bocca quella
notizia, ma forse era stata semplicemente la voglia irrefrenabile di contrastare
la madre che la portò a urlargli addosso il suo licenziamento. E ora ne stava
subendo le conseguenze. “Ti rendi conto di ciò che hai fatto? Lo sai che un
superiore non si deve mai contraddire! Sei stata stupida! Ora hai trent’anni,
chi mai ti prenderebbe a lavorare?”
“Appunto perché ho trent’anni troverò
un altro lavoro, mamma!”
“E come farai? I lavori non piovono dal
cielo!”
“Studierò,” rispose risoluta, benché
l’idea la faceva rabbrividire per il ribrezzo. Non aveva mai amato studiare, ci
era sempre stata costretta per fini superiori, e sempre per quei fini, allora,
sarebbe tornata a farlo. “E farò concorsi. Di certo non mi metto a piangere!”
replicò fingendosi beffarda. Se solo le avesse svelato che la sera prima era
crollata tra le braccia di Francesco, sfociando in un pianto isterico, lei non
solo l’avrebbe massacrata con commenti sul suo comportamento, ma avrebbe anche
potuto tirare in ballo nuovamente Francesco, il suo rapporto con lui, Marco… E
le sue parole velenose non si sarebbero certo risparmiate alla sua incoscienza.
“Fa’ come ti pare, Elisa!” tirò su il
naso con superiorità, chiudendo gli occhi. “Dopotutto l’hai sempre fatto, no?”
quella frecciatina tagliente la colpì proprio al petto, causandole una fitta
inaspettata che la fece boccheggiare per qualche istante. Possibile che sua
madre fosse sempre così pungente quando si trattava di lei? Eppure con Arianna
non si comportava così!
“Puoi anche andare a studiare,
ora.” E tornò a dondolarsi senza più guardarla.
Elisa trattenne a stento un ruggito e
si defilò dall’appartamento, venendo però bloccata dal padre, che in silenzio
aveva assistito alla scenata della moglie dal divano. “Eli, se hai bisogno di
qualcosa – soldi, tutto quello che vuoi – sai che ci siamo.” Le sorrise
dolcemente.
“Grazie, papà.” Gli sorrise di
ricambio, cercando di mostrarsi determinata, quando sarebbe bastato un abbraccio
per farla crollare ancora una volta miseramente. “Ma voglio cavarmela da sola.
Non voglio che nessuno si preoccupi per me. Sono adulta, posso trovare una
soluzione.”
“Come vuoi, tesoro, sappi che non devi
peritarti a chiedere niente, d’accordo?” Le passò una mano sulla testa e le
diede un bacio in fronte come saluto, lasciandola poi tornare a casa. Elisa
ringraziò la sua non ancora curata goffaggine per certe smancerie con le figlie,
e si voltò, chiamando l’ascensore per tornare a casa, sebbene prima avrebbe
dovuto fare un salto in edicola per trovare degli annunci di lavoro. Si sarebbe
accontentata di poco, all’inizio, ma avrebbe comunque dovuto darsi da fare da
subito. Non potevano andare avanti con il poco stipendio di Francesco.
***
“Grazie per essere passata, Chiara.”
Mormorò Elisa, asciugandosi gli occhi bagnati.
“Figurati, Eli. Volevo passare anche
ieri sera, ma Roberto ha tirato fuori l’ennesima lite e sono rimasta a casa,
passando una serata all’insegna di urla, minacce e pianti.”
Erano entrambe sedute sul divano, le
gambe incrociate e una bella tazza di tè fumante tra le mani per riscaldarle
dalle temperature che di giorno in giorno si facevano sempre più fredde.
Sembravano essere tornate a qualche anno prima, quando vivevano insieme e
frequentavano ancora l’università. Quelli sì che erano bei tempi, pensava Elisa,
sorseggiando cautamente il tè bollente.
“Insomma, anche tu non sei messa molto
meglio, eh?”
“Già, sembra che sia una cosa
contagiosa: prima io con Roberto, e ora tu. Forse non avresti dovuto starmi così
vicina.” Ridacchiò, suscitando una piccola risata anche in Elisa. Poi Chiara si
incupì e parlò con tono serio: “Sai, Roberto non lo capisco più.” Confessò
l’amica, sospirando e appoggiando la schiena alla spalliera del divano con aria
esausta. “Non riesco più a farmi capire da lui, si litiga sempre, anche su delle
cazzate che prima nemmeno guardavamo.”
“Forse proprio perché prima non le
chiarivate, ora siete arrivati a questo punto.” Azzardò Elisa, guardando Chiara.
“Non lo so. Potrebbe benissimo essere
quello il motivo, come anche chissà che altro. Quando provo a chiedergli come
vada, lui dice che è tutto a posto, e poi dal niente trova un argomento per
rinfacciarmi come faccia schifo in quanto moglie, casalinga e donna in sé.
Insomma, mi distrugge!”
Elisa non sapeva cosa dire. Sapeva che
Roberto era un tipo particolarmente permaloso, quasi sempre sul piede di guerra,
ma non pensava che dopo un anno di matrimonio potesse arrivare a tanto. Era
anche vero che Chiara aveva un carattere molto schietto, ma si amavano. Agli
occhi di tutti, la loro storia era quasi invidiabile. Scherzavano, ridevano, si
piacevano. E ora sembravano essersi esauriti, senza più niente che potesse
accumunarli. Non c’era una causa precisa – o così sembrava a Chiara – e non
saperla, non faceva altro che alimentare le fiamme tra loro, continuando ad
accusarsi reciprocamente di qualsiasi cosa per ribattere alle accuse dell’altro.
“Avete provato ad andare –”
“Da quegli psicologi di merda non ci
vado nemmeno morta!” ribatté prontamente. “Voglio che i nostri problemi si
risolvano da soli!” insisté. “Anche perché, diamine, prima di sposarci siamo
stati insieme ben due anni!”
“Chiara, lo sai che non mi piace dire
queste cose, ma forse aveva ragione mia madre: era troppo presto.”
“Da quando in qua dai ragione a tua
madre? Non eri tu che dicevi che lei aveva torto a priori?” per quanto
quell’affermazione avesse tutta l’aria di una vera e propria accusa, Elisa
ridacchiò. In cinque anni di convivenza, lei e Chiara avevano instaurato un
rapporto di sincerità molto profondo, e soprattutto fondato su una regola:
“schiettezza prima di tutto”.
“Hai ragione, ma dopotutto erano solo
due anni.” Continuò Elisa, sorseggiando ancora un po’ di tè.
Chiara sospirò e si passò una mano sul
viso. “Eli, guarda, ti giuro che al momento potrei anche credere a tutto questo.
Voglio dire, sì, forse eravamo troppo giovani, avevamo ventisette anni, ma ti
garantisco che quando me lo chiese, lui era sincero. E anche io lo sono stata
nel rispondergli. Mica potevo immaginare che le cose potessero andare così! È
iniziato a cadere tutto a rotoli poco alla volta: prima la proposta di andare a
vivere da lui – che fortunatamente sta sempre in città – poi il dover stare
attenta, da parte mia, ad essere la donna perfetta, quando lui in quanto a
perfezione lasciava un po’ a desiderare, poi le piccole richieste che non
esaudiva mai, e quindi le accuse reciproche quando era lui a chiedermi qualcosa
e io non potevo.” Ricordò a malincuore. “Diamine, Elisa, ma se io ti chiedo di
andare a fare la spesa perché l’Orlandi mi sta trattenendo in ufficio, non mi
sembra tutto questo sacrificio, no?” Elisa annuì, dandole ragione. “Ecco, per
lui invece era come se gli stessi chiedendo un rene!”
“Non so davvero che dirti.” Ammise
Elisa, tristemente. Non le piaceva sentire come Chiara stesse male nella vita
che si era scelta, sebbene dovesse ammettere con se stessa che sentire parlare
Chiara dei suoi problemi, poteva usufruire dell’effetto terapeutico indiretto di
non pensare ai suoi.
“Nemmeno io so cosa dirmi. Ma facciamo
così. Pensiamo ad altro, ok?” le sorrise, passandole una mano sulla spalla.
Elisa trovò quasi ironico come Chiara si preoccupasse maggiormente per lei che
per se stessa. A parte la scenata di pianto incontrollato in cui si era
egregiamente esibita Elisa appena vide comparire alla porta la sua amica, tutta
quella mattina era stata dedicata al matrimonio di Chiara e Roberto, eppure lei
continuava a consolarla.
“D’accordo, ma non voglio che
l’argomento successivo possa essere anche solo lontanamente ricondotto a me,
alla mia vita e al lavoro che non ho più.”
“Andata.” Le sorrise Chiara. “Che ne
dici di un più che salutare pettegolezzo su una certa psicologa bionda?”
“Non vorrei dirtelo, ma Daniela in un
certo senso fa sempre parte della mia vita.”
“Allora guardiamo la faccenda in
quell’altro senso.” Le strizzò l’occhio complice.
Per il resto della mattinata, Daniela
non fece proprio una bella figura.
***
“Elisa, tesoro, raccontami tutto!”
quella preoccupazione incredibilmente ottavata nella voce di Marco la colse alla
sprovvista. Il cellulare le era squillato con la solita voce di Matthew Bellamy,
proprio pochi minuti dopo che Chiara aveva lasciato l’appartamento e Elisa aveva
risposto, senza riuscire a reprimere un sospiro. Non aveva ancora detto niente a
Marco perché sapeva come avrebbe potuto reagire, e troppe attenzioni e il suo
attaccamento morboso in quel momento non erano richieste.
“Ciao, Marco,” disse lei, tornando ad
accoccolarsi sul divano dell’appartamento vuoto. Francesco era al lavoro,
sebbene Elisa dovette costringerlo ad uscire di casa. Fosse stato per lui,
sarebbe rimasto, ma lei gli aveva vietato categoricamente di farla sentire
compatita. “Come hai fatto a saperlo?” volle chiedere.
“Mi ha chiamato tua madre.” Spiegò.
“Sembrava scocciata e insistente perché ti parlassi per farti ragionare.” Elisa
sospirò una seconda volta. Possibile che quella donna non potesse farsi un
minimo di affari suoi? “Ma appena l’ho saputo, non me la sono sentita di farti
una paternale, Eli.” Mormorò lui. “Dimmi, come stai?”
“Be’, potrei stare meglio.” Farfugliò.
Improvvisamente, la preoccupazione di Marco ebbe quasi magicamente l’effetto di
rilassarla. Forse era perché nonostante l’ultima discussione lasciata in
sospeso, lui ancora era lì per lei, le era ancora vicino, non le aveva voltato
le spalle come lei si sarebbe aspettata. Ma in effetti, Marco non era quel tipo
di persona: Marco sapeva quando era giusto comportarsi da principe azzurro e
quando ritirarsi. E in quel momento, Elisa se lo immaginava proprio come il
perfetto Prince Charming di tutte le più belle storie di amore, con tanto
di costume sfarzoso di un fotonico azzurro acceso, pronto ad andare in groppa al
suo bianco destriero dalla sua amata nel momento del bisogno. “Stamattina è
venuta Chiara qui. Abbiamo parlato e mi ha distratta un po’.”
“Bene, mi fa piacere.” Lo sentì
sorridere e lei si sentì trasportata in quel sorriso premuroso, sorridendo a sua
volta. “Senti, potresti aprirmi? Sono davanti alla tua porta.”
Elisa sgranò gli occhi incredula. Marco
era sempre capace di stupirla con i suoi modi galanti. Quella settimana più
volte le aveva raccontato nell’infinito lavoro che aveva sulle spalle, e
malgrado tutto era andato da lei. Si sentì in colpa per non poterlo ripagare al
meglio, e soprattutto per come si erano lasciati l’ultima volta. Lui era una
persona straordinariamente eccezionale e Elisa quasi sentiva di non meritarselo.
Si alzò quindi dal divano e corse ad
aprirgli, saltandogli addosso non appena se lo vide davanti. Lui l’afferrò per
la vita e le diede un bacio sulla guancia, mentre lei si vergognava ad essere
sempre la principessa incomprensibile che faceva dannare il bel principe biondo
e vestito di tutto tiro, sgattaiolato via dal lavoro per poter stare con lei. Le
lacrime che sentiva pungerle gli occhi non sapeva bene da cosa fossero
scaturite, ma molto probabilmente erano di felicità per poter contare su una
persona tanto buona come lui.
“Ehi, calmati, tesoro.” La portò sul
divano e si sedettero insieme, mentre Elisa faticava ad allentare la presa anche
solo per farlo respirare più facilmente. “Dai, raccontami tutto.” Iniziò a
massaggiarle la schiena per infonderle coraggio e Elisa dovette sforzarsi per
non crollare anche con lui in un pianto senza ritegno. Stranamente però, il
motivo questa volta sarebbe stato differente. Quasi avrebbe preferito che Marco
la guardasse negli occhi e le dicesse senza indugio che era stata una stupida –
come sua madre – piuttosto che tutte quelle attenzioni, perché facendo così
Marco quasi sembrava innalzarsi ad un livello troppo elevato per una come lei.
Ma Marco era fatto così, dovette ricredersi, continuando ad abbracciarlo,
affondando la testa sul suo petto: lui non voleva vederla soffrire, questo Elisa
l’aveva imparato, per questo le stava così vicino, e lei sentiva nel profondo
che se lui non ci fosse stato, forse sarebbe stato peggio, perché Francesco
aveva Daniela, non poteva sempre stare con lei, e senza Marco Elisa non avrebbe
più avuto nessuno, ritrovandosi sola.
___________________________
Il ritardo non è giustificabile nemmeno
questa volta, purtroppo, lo so. È vero, ci sono stati appelli estivi che mi
hanno tenuta impegnata in uno studio matto e disperatissimo dell'ultima ora -
ovviamente, perché l'organizzazione per me è inesistente e lo riconosco sempre a
mie spese... - ma effettivamente qualche giorno prima un po' di tempo avrei
potuto trovarlo. Scusate ancora!
Intanto vi annuncio che il peggio deve
ancora venire. O il meglio, a seconda dei punti di vista :) Non vi dirò altro,
non voglio fare spoiler. Mi piacerebbe cogliervi si sorpresa e non sembrarvi per
niente banale, quindi aspetto commenti su ciò che leggerete! Ci conto!
Grazie ancora a
Elle__r per aver recensito lo scorso capitolo, e... Passo e chiudo!
S.P.
|
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Capitolo 12 *** XII ***
Nuova pagina 1
La porta
dell’appartamento si aprì quasi violentemente e Francesco entrò tra la rabbia e
la stanchezza. Era scuro in volto, ma sembrava non volerlo far vedere. Subito
Elisa si allontanò da Marco, ancora vicino a lei, intento anche lui a sfogliare
riviste con annunci di lavoro. Sul tavolino, una piccola teiera fumante faceva
loro compagnia. Ormai il tè era per Elisa una vera e propria droga e il fatto
che fosse un eccitante nemmeno la toccava.
“Ah, vedo che
hai visite.” Disse Francesco, togliendosi il giacchetto di pelle e mettendolo
all’attaccapanni, per poi scarruffare di sfuggita i capelli a Elisa, che sentì
le dita fredde sulla sua guancia quasi come se quel suo gesto volesse celare in
realtà una carezza. Era andato in moto, poteva scommetterci, e come al solito
non si era portato i guanti. Se le temperature fossero diminuite ulteriormente,
Francesco poteva anche congelarsi le dita senza riuscire più ad usarle in
futuro, pensò Elisa, prendendo nota mentale di regalargli un paio di guanti al
più presto.
“Sì, scusa, non
ti ho avvertito.” Mormorò lei. “Vuoi unirti a noi?” propose, girandosi verso di
lui, osservandolo mettere su un pentolino d’acqua sul fuoco – anche lui ormai
totalmente succube del tè. “Ma non dovevi vederti con Daniela nel pomeriggio?”
le sorse il dubbio.
“Sì… Ma ci siamo
visti per poco.”
“Perché hai
capito di non sopportarla più? Per questo hai quella faccia?” sospirò lei,
ricordandosi troppo tardi della presenza di Marco per quel genere di battute.
Raramente capitava che lui assistesse alle loro conversazioni, ma ogni volta
Elisa percepiva il suo disagio, quindi evitava di farsi vedere così sfacciata
nei confronti di Francesco.
“No… Questa
faccia è dovuta al lavoro.” Disse, sedendosi sul divano affianco a Elisa, che
venne immediatamente avvolta dalle braccia di Marco, quasi volesse marcare il
territorio.
“Cosa è
successo?”
“Niente di che.”
Alzò le spalle con rassegnazione, per poi passarsi una mano sugli occhi. Era
davvero stanco, Elisa poteva capirlo anche solo dal suo tono di voce. “Non
preoccuparti.”
“Be’, però tu ti
presenti a casa con una fronte così aggrottata…! Ti sentirà la testa per
giorni!” tentò di sdrammatizzare Elisa. Lei non era in una posizione tale da
poter risultare tranquilla – la sconfitta contro Pietro Orlandi ancora bruciava
– ma capiva perfettamente che Francesco non avrebbe mai accennato ai suoi
problemi con Marco nelle vicinanze. Già era difficile che li rivelasse ad Elisa
stessa, di certo con Marco non ne avrebbe fatto parola nemmeno sotto tortura.
“Mi vendicherò
su quei tre coglioni, allora.” E si passò una mano sugli occhi con stanchezza.
Elisa ci avrebbe messo la mano sul fuoco: quella era un esempio perfetto di
cazzata. Francesco non era mai stato bravo a raccontare frottole, per quanto ci
si impegnasse nel trovare tutti i dettagli, ma le sue espressioni lo tradivano
sempre. O forse ormai era solo un sesto senso di Elisa sviluppatosi con la loro
convivenza?
“Che sia
qualcosa di tremendo. A vedere da come stai, loro non sono affatto stati
clementi con te.” Continuò, con un certo tono di scherno, quasi a sfidarlo a
trovare altri dettagli con cui arrampicarsi sugli specchi.
“Non ti facevo
così sadica. Mi stupisci ogni giorno di più. Non è che domani scoprirò che
riesci a tenere una palla in equilibrio sul naso?” la guardò stancamente
divertito.
“Mica sono una
foca!”
“Be’, l’aspetto
ce l’hai.” Soffiò una mezza risata, mentre Elisa rise quasi tranquillamente.
Marco assisteva alla loro conversazione in silenzio, sempre più vicino a lei,
che per questo si sentiva in evidente imbarazzo, peritandosi però a dire
qualunque cosa che potesse fargli allentare la presa sulla sua pancia. Era ovvio
che Francesco lo mettesse a disagio – e forse anche più del semplice disagio –
ma Elisa non poteva rompere tutti i rapporti con lui solo perché Marco era
presente. Francesco, dopotutto, era pur sempre il padre di Sofia e l’uomo che
viveva con lei.
“Sei sempre il
solito, France.” Borbottò Elisa, stringendosi a Marco con un’espressione di
falsa offesa dipinta sul viso. Stavano scherzando, entrambi lo sapevano bene, ma
la poca partecipazione – praticamente nulla – di Marco a quella loro
conversazione le diede da pensare che era giunto il momento di piantarla lì.
“Allora poi mi dirai a cosa era davvero dovuta quella tua faccia quando sei
entrato.”
“Sì, sì, certo.”
La liquidò lui, alzandosi dal divano e dirigendosi in camera. “Quando bolle il
tè, chiamami, che poi vado a prendere Sofi.”
“Eli, io torno a
lavoro.” Senza troppi giri di parole, o richieste implicite di venire
trattenuto, Marco si alzò dal divano e indossò il lungo cappotto scamosciato.
Elisa lo seguì
con lo sguardo, mortificata. “Non te la sarai presa per la presenza di
Francesco, vero?” Gli chiese, seguendolo e prendendolo per un braccio. “Non
sapevo che sarebbe tornato nel pomeriggio, mi aveva detto che doveva trovarsi
con Daniela.”
“No,
tranquilla,” le sorrise, passandole una mano sul viso. Elisa apprezzò molto il
suo comportamento, sebbene vedesse chiaramente che Marco non le stava dicendo la
verità. Evidentemente la faccenda che avevano lasciato in sospeso qualche sera
prima non si era conclusa affatto. Ma avrebbe dovuto aspettarselo: una questione
così complicata non poteva venire accantonata da un giorno all’altro senza
nemmeno parlarne più. “Devo solo portare a termine qualche scartoffia che mi
sono lasciato alle spalle.” Spiegò lui, quasi come se fosse una difesa ulteriore
al suo sorriso che, poco mancava, scomparisse definitivamente dal suo viso.
“Ah, d’accordo.”
Annuì lei. La convinzione nelle sue parole era tanta quanta quella di Marco:
nulla. “Allora ti chiamo io, va bene. E grazie per oggi. Mi ha fatto davvero
tanto piacere che tu sia venuto per tenermi compagnia.” Gli sorrise, sperando
che quella reale gratitudine potesse anche solo minimamente migliorare il loro
saluto.
“Di niente, Eli.”
E uscì concedendole solo un frettoloso bacio sulle labbra. Era stato freddo,
proprio come le sue labbra.
***
Fu la telefonata
di sua madre, desiderosa di sapere se Marco le avesse detto esattamente quello
che Anna stessa avrebbe voluto ripeterle per l’ennesima volta, a farle perdere
il controllo. Fu una discussione durata forse nemmeno cinque minuti, in cui
Elisa berciò contro sua madre ad una velocità tale che nemmeno si rese conto di
quello che le aveva detto. Si ricordava solo il concetto: “mi sono rotta i
coglioni di te e delle tue prediche!” Aveva riagganciato ancor prima che lei
potesse ribattere, ed Elisa già sapeva che questo significava solo altri
problemi in vista. Prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa sua strisciando per
chiedere scusa a sua madre e a promettere in tutte le lingue a lei note che una
cosa del genere non sarebbe più successa – più o meno come capitava
ogniqualvolta che tra loro arrivavano ad un limite di sopportazione.
Si era quindi
buttata sul letto e si era coperta il viso con un braccio, spossata
all’inverosimile, visto che tutto sommato non poteva nemmeno dire di essere
stanca a causa del lavoro. Ma sapeva che in realtà tutta quella stanchezza,
altro non era che psicologica. Quella mattina aveva pianto per l’ennesima volta
davanti a Francesco, che stava esaurendo la scorta dei suoi metodi consolatori,
aveva litigato con sua madre, poi si era depressa insieme a Chiara per un paio
di orette abbondanti, per poi concludere il pomeriggio con quel saluto
inespressivo da parte di Marco. Ah, e c’era da mettere in conto anche la
telefonata di sua madre – come se le urla di quella mattina non fossero già
state sufficienti. Insomma, una bella dose di stress che in quel momento proprio
non era richiesta.
Mentre Elisa
aspettava che Francesco tornasse con Sofia, nemmeno pensò che fosse il caso di
andare a preparare la cena. Era troppo stanca, spossata, incapace di pensare
solo ad alzarsi dal letto, su cui era caduta a peso morto non appena aveva
chiuso la chiamata con sua madre. Avrebbe dovuto prendere in mano la situazione,
però. Non era da lei piangersi addosso. Ok, si era licenziata, e allora? Avrebbe
trovato un altro lavoro! E anche migliore, molto più retribuito e molto più
piacevole.
Fu con questa
inaspettata grinta in corpo che si alzò e iniziò ad apparecchiare la tavola.
Sofia e
Francesco tornarono proprio mentre lei preparava la pentola per lessare le
patate e la piccola si precipitò in cucina per poterle essere d’aiuto, come
solitamente amava fare, mentre Francesco si era messo a preparare degli
invitanti crostini con prosciutto cotto e stracchino.
“Non ci stanno
molto bene con le patate lesse.”
“Ma ti
piacciono, no?” aveva risposto lui. “Stasera ne hai bisogno, dai.” E con un
occhiolino le diede un piccolo bacio in fronte. Elisa quasi pensò di
approfittare della sua situazione per farsi coccolare un po’ da Francesco, ma ci
ripensò non appena le venne in mente l’espressione tendente al freddo di Marco.
Prima di crogiolarsi nel piacere, era meglio sistemare le cose con lui, forse.
“Non dovevi
uscire con Daniela?” buttò lì Elisa, aspettando che Sofia andasse in sala a
colorare i suoi album.
“Sì, dovevo.”
Rispose sintetico lui, spalmando la crema rosata su un pezzetto di baghette.
“Cosa è
successo?”
“Niente.”
“E devo
crederci?”
“Solo se vuoi.”
“France,” smise
di sbucciare l’ultima patata e lo guardò seria, le mani ai fianchi. “Dopo tutto
questo tempo, anche io ho imparato a capire ogni tuo atteggiamento. Avanti,
spiegami cosa è successo? È stata ancora colpa mia? Che ho fatto?”
“Smettila di
assumerti sempre la colpa.” La zittì lui. “Sono questioni tra me e Daniela. E
poi -”
“Mamma, papà!
Guardate che bello!” si intrufolò in cucina Sofia, sventolando energeticamente
l’immagine di una tartaruga colorata di viola e verde. “È una tartaruga magica!”
“Che brava, Sofi!”
le andò incontro Francesco, prendendola in braccio e regalandole un sonoro bacio
sulla guancia. “Come ti è venuta in mente?”
“L’ho sognata
stanotte!”
E mentre
Francesco si allontanava dalla cucina, Elisa non poteva far a meno di pensare a
cosa potesse essere successo. È vero, conosceva Francesco da tanti anni, ma ogni
volta il suo comportamento era fin troppo enigmatico, incomprensibile. Avrebbe
voluto continuare a parlare di quell’argomento, perché se c’era una cosa che non
sopportava era non essere messa al corrente di quello che gli accadeva. Lui
sapeva ogni cosa di lei – perfino le date del suo ciclo mestruale! – ma lei non
sapeva tutto di lui, perché Francesco non amava parlare di sé. Lo faceva solo
raramente e Elisa amava quei momenti come poche cose al mondo. Per quanto
Francesco potesse essere forte, sicuro di sé, arrogante… Vedere le sue
fragilità era parte di se stesso.
***
“La puoi
piantare di fissarmi così? Non riesco a dormire.”
“Lo so, per
questo continuo. E non ho intenzione di piantarla tanto facilmente.”
“Che palle,
Elisa.” Si voltò bruscamente, dandole le spalle e incurvandosi quasi a
nascondere la testa dalla sua vista – magari pensava seriamente che se lei
avesse continuato a guardarlo incessantemente a quel modo, avrebbe potuto
leggergli la mente.
Elisa sbuffò, ma
rimase ferma nella sua posizione, senza cedere di un millimetro: sdraiata su un
gomito e la testa appoggiata alla mano per poter vedere Francesco senza troppi
problemi.
Non c’era stata
più occasione di parlare della faccenda da quando Sofia li aveva interrotti, e
per quanto insistente potesse essere da parte sua, Elisa sapeva che ciò che
Francesco le nascondeva era qualcosa molto importante per lui, altrimenti
gliel’avrebbe già detto. Purtroppo lui era ostinato a non proferire parola
almeno tanto quanto lo era lei nel non voler far cadere il discorso un’altra
volta.
“Sei ancora lì,
eh…” sospirò lui, prendendo il cuscino e coprendosi la testa. “Per piacere,
voglio dormire, e con te che mi fissi a quel modo non ci riuscirò mai!”
“Allora dimmi
cosa è successo con Daniela e io mi metto buona sotto le coperte e ti prometto
di non infastidirti per tutto il resto della notte.”
“Non sarebbe
vero: russi.”
“Non è vero!”
gli colpì una spalla con la mano. “Io non russo, forse tu, ma non io!”
“Oh, sì che
russi! E dovresti sentirti!” ghignò lui.
Elisa comprese
solo in quel momento il suo vano tentativo di cambiare discorso, per questo
raddoppiò la dose di colpi sulla spalla del ragazzo, che ridacchiò e si voltò
nuovamente verso di lei.
“Ascolta,
davvero, mi fai dormire?”
Elisa sospirò,
buttandosi di colpo con la testa sul cuscino e si passò una mano sugli occhi,
già privi di lenti a contatto e quindi anche più rilassati. “Non vuoi proprio
dirmelo?”
“Eli, se fosse
stato così importante, te l’avrei detto, no?”
“No, tu fai
esattamente il contrario: le cose importanti non me le dici mai, anche in
passato era così, quindi non pensare di fregarmi. Ormai ti conosco meglio delle
mie tasche.”
“Allora se sai
che non ti dirò niente, perché continui ad insistere?” si fece serio lui,
guardandola negli occhi. Elisa si sentì svanire dentro quello sguardo verde, le
sembrava di essere inghiottita da quell’espressione così dura che quasi le mancò
il fiato per rispondere e il suo cuore aumentò i battiti. Lui respirava
lentamente, quasi a volersi controllare, quasi come se stesse per scoppiare, ma
era solo apparenza, perché Francesco non era mai scoppiato, solo in un’occasione
l’aveva fatto, un’occasione così lontana che Elisa nemmeno volle rivangare –
quello ormai faceva parte del loro disastrato passato insieme. Ma quella sua
aria seria pareva pericolosa e Elisa si sentì costretta ad abbandonare la sua
posizione tanto a lungo difesa. Non voleva iniziare un’altra discussione con
Francesco e mentre si copriva con le coperte, confidava che un giorno lui le
sarebbe venuto a dire cosa le nascondeva di così misterioso.
“Tu che mi dici,
con Marco le cose come vanno?”
Elisa venne
colta alla sprovvista da quella domanda. “Ma non volevi dormire?”
“Mi è passato il
sonno.” Mugugnò, avvicinandosi a lei e passandole un braccio intorno alla vita.
Lei si irrigidì e quasi ebbe paura che lui se ne potesse accorgere e dire
qualcosa al riguardo.
“France, per
piacere, ora sono io che voglio dormire.”
“Be’, prima tu
mi hai molestato psicologicamente con quel tuo sguardo, lascia ora che lo faccia
io, no?”
“No,
buonanotte.” E si scansò dal suo abbraccio per andarsi ad arrotolare sul bordo
del letto. Era la sua fine, se lui si fosse avvicinato, lei sarebbe caduta senza
esitazione per terra.
“D’accordo,
sappi però che mi sono accorto di come si è comportato oggi. E lasciati dire che
non aveva proprio l’aria di essere entusiasta di me.”
“Questo perché
lo sai che non sopporta vedermi con te, e poi la questione non ci sarebbe
nemmeno stata, dal momento che tu saresti dovuto essere da Daniela. E questo ci
riporta alla fatidica domanda.” Si voltò verso di lui, tentando di ribaltare le
posizioni, ma i grandi occhi di Francesco la bloccarono, facendo vacillare la
sua determinazione, che ad un colpo di tosse improvvisato, però, tornò a fare
capolino. “Cosa è successo con lei?”
“Ah, Elisa, ma
perché sei così insistente?” si passò una mano sugli occhi e si fece cadere sul
letto a peso morto, facendo cigolare le doghe del letto.
“Facciamo un
patto per stasera, allora.” Propose lei, fissandolo. “Io non ti chiedo più di
Daniela e tu non ti immischi nella mia vita.”
“Come vuoi.
Volevo solo fare conversazione.”
“Sugli affari
miei.” Precisò lei.
“Be’, tu la
volevi fare sui miei, cosa cambia?”
“Non è questo,
io volevo solo sapere -” gli occhi di Francesco su di lei, in attesa che
continuasse a confessare il suo vero motivo di preoccupazione, però, la fecero
esitare e questa volta la sua determinazione si assopì del tutto. “No, niente.
Hai ragione, buonanotte.” E si girò dandogli le spalle.
Francesco aveva
ragione come al solito: lei non voleva parlare della situazione con Marco, non
voleva raccontargli del periodo di crisi che stava attraversando anche con lui
ad intervalli sempre più frequenti. E per di più sempre più a causa di
Francesco. Era assurdo come il loro rapporto stesse sempre più precipitando
senza poter far apparentemente niente per salvarlo. Era iniziato qualche giorno
prima a cena, poi sembrava essersi sistemato a causa del suo licenziamento, ma
subito era crollato nuovamente. Doveva chiarire con lui, doveva parlargli, non
poteva andare avanti così, anche perché era una questione che la stava sempre
più distruggendo, se sommata a tutti gli altri problemi che in quel periodo si
stava portando sulle spalle. E forse per Francesco era la stessa cosa: magari
anche lui aveva dei seri problemi con Daniela – ma come dargli torto! – e il non
volerne parlare era più che comprensibile, se paragonato a ciò che provava
Elisa.
L’unica
differenza era che lei avrebbe davvero voluto che Francesco una volta tanto le
confidasse qualcosa, ma lei non era ammessa nella sua vita privata, mentre lui
sembrava avere il passepartout nella sua, entrando ed uscendo quando
voleva. E forse questo accadeva perché… Lui era parte della sua vita privata.
_______________________________
Ebbene sì, sono ancora viva! E ho
postato! Incredibile, vero? Non so nemmeno più quanto sia passato dall'ultimo
aggiornamento. Sicuramente troppo, come al solito...
Ad ogni modo, qui iniziano ad esserci i
segni di un imminente "catastrofe". Vediamo se qualcuno di voi riuscirà a capire
cosa sia ;)
E detto questo, veloce come non mai, vi lascio
all'attesa del prossimo capitolo! Ovviamente prima ringrazio tutti coloro che
hanno letto fino qui!
S.P.
|
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Capitolo 13 *** XIII ***
Nuova pagina 1
“Sei così
pallido da far invidia a un cadavere.” Furono queste parole di Federica ad
accoglierlo nello studio Quadri, quella mattina alle nove e spiccioli. Non che
gliene fregasse qualcosa del suo commento, Fede era una persona che non si
faceva scrupoli a sbattere sul muso le sue parole alle persone, e lui non era il
tipo da rimanerci male, ma quella mattina si sentiva investito in pieno da
quelle parole. Era vero, purtroppo. E forse non stava nemmeno tanto bene. Non
fisicamente – lui era un mostro in quel senso, il suo sistema immunitario era
una fortezza inattaccabile (certe volte) – ma psicologicamente.
“Lo so.” La
salutò con un cenno del capo, superandola e sedendosi stancamente sul divano
della sua stanza. “Userò più fondotinta domani.”
“Bravo.”
Ridacchiò lei, entrando nel magazzino per prendere una cartella di fascicoli per
Nicola. “Ehi, ma vuoi anche quelli del 2009 o bastano quelli dell’anno scorso?”
“Ma se ti avevo
detto di prendere anche quelli del 2008!” Nicola varcò la porta del suo ufficio
sbuffando, mentre deglutiva quella che doveva essere la sua colazione
quotidiana. “Per una volta che so esattamente quello che devo fare, ti ci metti
tu a non capire niente, Fede!”
“Se tu non
biascicassi le parole – e buttassi almeno giù il boccone mentre parli – sarebbe
tutto più facile, sai?” si mise le mani ai fianchi rotondi e lo guardò
superiore. “Pulisciti qui,” si indicò il proprio angolo della bocca. “Hai ancora
le briciole della brioche che ti sei mangiato.” Nicola provvide ed entrò nel
magazzino per prendere i cataloghi, fermandosi quasi istantaneamente. “Ehi, dove
li hai messi?”
“Qui, idiota.” E
gli offrì tutti e quattro i raccoglitori che cercava, mostrandogli quel suo
sorriso derisorio e scarruffandogli i già pochi capelli con una mano
cicciottella. “Ah, se non ci fossi tu a rallegrarmi le giornate, Nico!” e se ne
andò ancheggiando, innalzando in aria due dita in segno della vittoria appena
conquistata.
“Che palle,
Fede.” Bofonchiò lui, seguendola nell’altra stanza e lasciando che il silenzio
tornasse a regnare intorno a Francesco, che si tolse il giacchetto gettandolo in
malo modo su una sedia di fronte alla sua scrivania. Si stravaccò esausto sulla
poltrona e chiuse gli occhi per qualche istante, respirando quella poca aria di
tranquillità di cui aveva bisogno.
“Mi sono perso
qualcosa?” Gianluca fece capolino dalla porta del bagno, mentre il rumore dello
sciacquone faceva loro sottofondo. “Ho sentito Nico e Fede brontolare come al
solito.”
“Niente,
tranquillo, era il loro solito battibecco.” Si passò una mano sugli occhi.
“Esilarante battibecco, aggiungerei. Fede non gliene fa passare una.”
“Peccato, avrei
voluto assistere.” Ridacchiò l’altro, tornando alla sua scrivania.
“Ce ne saranno
molti altri.”
“Anche tu mi
pare ne hai appena avuto uno, eh?” gli chiese senza troppi giri di parole.
“Oh, fosse solo
un battibecco nemmeno ci starei a pensare.” Il tono che si trovò ad usare gli
fece pensare che il sarcasmo usato contro se stesso doveva essere proprio il
fondo.
“E cosa è
successo?”
“Elisa si è
licenziata.” Gianluca non riuscì a rispondere e si limitò a strabuzzare gli
occhi, per poi passare ad un’espressione tra il confuso, il divertito e il
preoccupato, un mix tanto elaborato che difficilmente sarebbe stato in grado di
ripetere. “Già, l’avrei fatta pure io una faccia del genere, ma Elisa s’è messa
a piangere come una fontana. È stato possibile scherzarci sopra solo dopo un
po’. Dovevi vedere come era stravolta.”
“Ma perché…?”
“Ha detto che
non sopportava più quell’idiota dell’Orlandi.” Francesco si chinò per accendere
la ciabatta che dava corrente al suo computer e tutti gli hardware ad esso
collegati. “E istintivamente s’è ritrovata a licenziarsi.”
“Per quanto non
possa sopportare Pietro, non è stata un po’ troppo avventata?” si grattò la
testa Gianluca, muovendo il mouse per togliere dalla modalità stand-by il suo
portatile.
“Gliel’ho detto
pure io, ma non mi è sembrato il caso di farla pensare a quanto troppe volte sia
istintiva, non pensi? Era distrutta, e già sua madre ha parlato abbastanza, come
al solito. Anna è una che finché può, non si risparmia colpi.”
“E hai
quest’aspetto a causa di Elisa?” non c’era dubbio che fosse una domanda, la sua,
ma era altrettanto evidente che si aspettasse tutt’altra risposta, da quella
affermativa che poteva sembrare.
Infatti
Francesco negò, sospirando. “È Daniela.” Ammise.
“Chissà perché
me lo sarei aspettato.” Commentò ironico. “Che è successo?”
“Avranno
litigato ancora una volta a causa di Elisa.” Intervenne Federica, riportando uno
dei voluminosi raccoglitori che aveva preso nemmeno dieci minuti prima dal
magazzino. “Vedi che poi non gli servivano i dati del 2008?” aggiunse saccente.
“Mi spiegate
perché qui dentro tutti vi interessate ai fatti miei?” sorrise Francesco,
sebbene la domanda non fosse così superficiale.
“Perché sei
l’unica persona che qua dentro è in grado di fornirci sempre storie
interessanti!” rispose semplicemente Federica, arrampicandosi su uno scaleo per
riporre in ordine obbligatoriamente cronologico il fascicolo.
“Lasciala
perdere, cosa è successo con Daniela?” si intromise anche Nicola,
raggiungendoli.
“Mah, niente di
che.” Restò sul vago Francesco. Non tanto perché fosse una vera risposta, quanto
perché parlare dei suoi problemi sentimentali davanti a troppe persone lo
metteva estremamente a disagio.
“Sì, dai,”
convenne Gianluca. “Ti avrà solamente buttato fuori di casa.” Alzò le spalle con
noncuranza, mentre Francesco si sentì colpito e affondato – per la seconda
volta. Non seppe se era pura casualità o solamente la stramaledetta capacità di
Gianluca di capirlo al volo, ma ci aveva proprio preso.
Purtroppo la sua
reazione inaspettata lo tradì: “Oh, ma allora è un problema serissimo, questa
volta!” esclamò Fede.
“Cacchio, Vanni!
E ora che farai?”
“Innanzitutto,
non ci voglio pensare,” si alzò, guardandoli tutti e tre minaccioso, senza però
nascondere un abbozzo del suo solito ghigno, più di circostanza che altro. “E
poi non dovevate consultare il piano strutturale per conto dei Farina?”
“Che palla al
piede che sei, France!” sogghignò Fede, prendendo Nicola per una manica e
trascinandolo via con sé. “Sappi solo che tanto Gianluca poi ci racconta tutto!”
e lo salutarono con una pernacchia.
Francesco si
lasciò scappare una risata. “Ma che lavoro monotono sarebbe senza quella bomba
di energia che è Fede?”
Anche Gianluca
ridacchiò, per poi tornare a concentrarsi su quello sfondo nero con le sezioni
della villetta dei Farina, programma più volte insultato e ancora odiato.
“Non dici
niente?”
“Che vuoi che ti
dica?”
“Se sto facendo
la cosa giusta.” Sospirò Francesco, cadendo ancora una volta tra le braccia
della sua poltrona imbottita. “Due sere fa dovevo uscire con Daniela, ma Elisa è
tornata a casa in lacrime e ho posticipato la serata a ieri.” Raccontò. “Ma
quando sono andato a prenderla ieri verso le cinque mi ha sbrodolato addosso una
montagna di insulti – e credo che Elisa se ne sia pure accorta, anche se non so
come.”
“Spero tu sia
stato zitto e abbia fatto il colpevole.”
“Per un po’.”
Confessò Francesco, dandosi ancora una volta dello stupido. “Ma dopo ha iniziato
a dare della troia a Elisa, al fatto che mi volesse sempre con sé…”
“France, posso
permettermi di -”
“Io ho ribattuto
dicendo che avevo scelto io di rimanere, non me l’aveva chiesto lei. E poi ti
giuro che Eli mi ha fatto una pena incredibile a vederla così, non potevo
lasciarla sola.”
“E io giuro che
se Elisa ti sentisse dire una cosa del genere, ti picchierebbe a sangue.”
“Già, poi mi
taglierebbe le palle e le appenderebbe al muro come trofeo.” Si derise da solo.
“Piuttosto
cruenta come immagine,” disse Gianluca toccandosi i suoi preziosi gioielli,
quasi a voler sdrammatizzare la situazione. “Ma rende l’idea.”
“Ad ogni modo
non me la sento di lasciarla così, anche perché con Marco non mi sembra che vada
così bene come vorrebbe far credere, e ha anche litigato nuovamente con Anna, te
l’ho detto.” Continuò a raccontare, dondolandosi sulla sedia.
“Ho capito, ma
non è che ha ragione Daniela?” ipotizzò Gianluca.
“Perché, scusa?”
lo guardò serio. “Tu avresti lasciato Marianna da sola in un attacco di pianto
isterico?”
“Primo, Marianna
è mia moglie, non l’avrei lasciata per vedermi con un’altra.” Ribatté vincente
lui. “Secondo, France, tu stai con Daniela. Non con Elisa.”
“Proprio perché
sto con lei, dovrebbe smetterla di comportarsi così.” Rispose. “Cosa è? Gelosia?
E di cosa? Se io e Elisa non siamo sposati, ci sarà un motivo, no?”
“Prova a dirlo a
Daniela, non a me. Faresti meglio a chiarire con lei, tanto per non farle venire
un esaurimento nervoso nell’attesa. Sai, è psicologa, ma ognuno i propri
problemi non li capisce da solo.”
“Credi che non
ci abbia provato a dirle tutto questo?” si lamentò. “Ma sai cosa? Forse è bene
così.” Continuò risoluto. “Magari non è la persona adatta a me.”
Gianluca lo
guardò e Francesco giurò che gli avrebbe volentieri detto altro, ma come aprì la
bocca, la richiuse, lasciando ricadere la sua replica nel silenzio. Avrebbe
voluto chiedergli cosa stesse per dirgli, ma allo stesso tempo, quasi credeva di
saperlo già. Lasciò anche lui cadere il discorso, tornando a concentrarsi sulla
cartina morfologia digitalizzata della zona in cui sarebbe sorta la villetta dei
Farina.
“Ti dispiace se
metto un po’ di musica?”
“No, fai pure.”
E ottenuto il
permesso, Francesco accese le casse del vecchio stereo, riempiendo l’aria delle
note dei Led Zeppelin.
***
Avrebbe
volentieri dato ascolto ai consigli di Gianluca, ma tanto già sapeva che sarebbe
stato tutto inutile, dopotutto era vero: se Daniela non capiva, significava che
non era adatta a lui. Cosa aveva di così complicato la sua situazione
familiare da infastidirla così tanto? Elisa era come se fosse sua sorella, e
come fratello lui non avrebbe potuto fare niente se non starle vicino in questo
periodo. Aveva perso il lavoro, era triste, si sentiva inutile e per di più non
voleva ammettere niente di tutto questo: era ovvio che lui volesse aiutarla in
qualche modo. E Daniela non lo capiva. Per questo ora Francesco era seduto
scomposto sul divano, il telecomando in mano, e gli occhi sfuggenti sullo
schermo mentre mandava avanti i canali senza nemmeno guardarli.
Stava pensando a
cosa fare, ma forse era proprio meglio non fare niente. Le cose avevano preso
quella piega da sole, magari si sarebbero aggiustate allo stesso modo, anche
perché in quel periodo Daniela era talmente velenosa che avrebbe potuto
ucciderlo anche con un soffio. Preferiva aver salva la pelle e ritardare il
confronto letale. Ed era proprio quello che prevedeva di fare per almeno un paio
di giorni.
“France, tutto
bene?” Elisa era appena uscita dal bagno, avvolta in un accappatoio giallo
canarino e si stava asciugando i capelli con un asciugamano viola,
un’accozzaglia di colori davvero particolare e degna della ragazza. Lo stava
guardando leggermente preoccupata, ma allo stesso tempo anche solare. Proprio
prima di andarsi a lavare gli aveva confessato che sapeva quanto gli costava
rimanere con lei, ma che l’apprezzava.
“Sì, sì.” Annuì
con convinzione, guardandola. I piccoli piedi bianchi le sbucavano dalle
ciabatte da piscina a pois verdi e rossi, mentre le unghie di un colore
indefinito tra il viola e il nero spiccavano per il contrasto.
“Che ti hanno
fatto i miei piedi?” borbottò Elisa, avvicinandosi a lui.
“Niente,
ammiravo la tua interessante scelta cromatica.” Le offrì un braccio per sedersi
affianco a sé. “Sai, dà all’occhio.”
“Dici?” si
sedette sul divano e si prese un piede in mano. “A me piacciono i colori che
contrastano tra loro.”
Fu strano come
guardarla in quella sua bizzarra tenuta potesse rilassare Francesco, che le
sorrise dolcemente e le passò un braccio intorno alle spalle, facendole posare
la testa sulla sua spalla.
“France, sono
tutta bagnata…” mormorò lei, stringendosi l’accappatoio sul seno, come ad
evitare che lui potesse adocchiare qualcosa di inopportuno.
“Meglio, così
evitiamo i preliminari.” Ghignò lui, guadagnando un’affettuosa gomitata tra le
costole.
“Sì, così non
dovrai sforzarti più del necessario.”
“Che vuoi dire?
Che non ne sono capace?” la sfidò, guardandola con il suo sorriso storto. Ogni
tanto Francesco si chiedeva se Elisa sapeva di arrossire ancora in sua presenza,
ma non gliel’aveva mai chiesto, volendo godere della sua goffaggine nel riuscire
a fare l’indifferente.
“Lasciamo
perdere, va’.” Lo liquidò Elisa, allontanandosi da lui per dirigersi in camera.
“Guarda che se
vuoi ti do la prova che non è vero!” scherzò, urlandole dietro, ridacchiando,
per poi tornare al suo serale zapping, mentre sentiva Elisa nella loro camera
rovistare tra le grucce dell’armadio. Molto probabilmente sarebbe uscita con
Marco.
Francesco non
ebbe nemmeno il tempo di sospirare e pensare che in effetti avrebbe davvero
fatto molto meglio ad andare da Daniela a parlare, che il campanello suonò.
“France, puoi
andare tu? Sono ancora mezza nuda!” Gli urlò lei dalla camera.
“Faresti più
figura che vestita!” le rispose, spegnendo la televisione ed alzandosi. Ma
contrariamente alle sue aspettative, quando aprì la porta non vide nessun Marco
dai capelli biondi perfettamente ingellati, dai vestiti altrettanto
perfetti e dal tempismo che spaccava – ancora una volta perfettamente –
il secondo. No, davanti a lui c’era una Daniela affannata, struccata e coi
capelli legati in una abbondante coda alta. Aveva addosso dei semplici jeans ed
una felpa, probabilmente Francesco non l’aveva mai vista in quelle condizioni
troppo casalinghe.
“Dani,” esclamò
lui, facendole segno di entrare, ma lei non si mosse dalla soglia della porta,
guardandolo tra il minaccioso e il frustrato. “Che hai?”
“Cosa ho?
Cosa ho?!” urlò sommessamente lei, riducendo gli occhi a due piccole fessure
azzurre. Arricciò il naso e le labbra in un sibilo molto più che velenoso e
batté un piede a terra. “Ti stai ancora chiedendo cosa abbia, quando io in
realtà ti ho aspettato per giorni e tutt’ora speravo che tu ti facessi vivo per
chiedermi scusa?”
Quella raffica
di parole colpì Francesco del tutto impreparato, portandolo a rispondere con
l’espressione peggiore che avrebbe potuto trovare: “Eh?”
Daniela ruggì
un’imprecazione a denti stretti, mentre serrava gli occhi e stringeva i pugni.
La borsa le cadde dalla spalla e lei non fece niente per sistemarsela, presa
com’era a fulminarlo con lo sguardo. “Dillo che l’ami ancora, porca miseria!”
urlò. “Dillo e io mi tolgo dalle palle!”
“Dani,” la prese
per le spalle, cercando di calmarla e non far sentire le loro parole a tutto il
palazzo, che già li guardava male per la loro situazione familiare.
“Ascolta, stai calma, entra, ti offro qualcosa e parliamo, d’accordo?”
“D’accordo un
cazzo!” sputò lei, scansando violentemente le mani di Francesco con un brusco
movimento delle braccia. “Tu non capisci niente! Sei uno stronzo! Io ti ho
assecondato una volta, poi un’altra, e anche ieri sera, quando sei venuto e poi
hai deciso che era meglio tornare a casa perché ‘Elisa sta passando un brutto
periodo’, parole testuali!”
“Ma è vero, te
l’ho detto.” Replicò con una calma molto vicina al limite, ricordandosi come già
la sera precedente lei gli aveva urlato parole molto simili – motivo che l’ha
portato a tornarsene a casa più infuriato che mai.
“Perché diavolo
fai tutto questo per lei?” continuò però lei imperterrita.
“France, che
succede?” la domanda di Elisa lo costrinse a prendere Daniela per le spalle e a
spingerla nel corridoio. “Niente, esco un attimo.” E si chiuse la porta alle
spalle, mentre Daniela respirava ancora più faticosamente davanti ai suoi occhi.
“Ora la difendi
pure?”
“Cosa c’è da
difendere, Daniela?” la guardò serio, incrociando le braccia al petto. Era
scocciato, non sopportava queste scenate di gelosia, soprattutto perché
succedeva sempre che lei lo attaccava su ogni fronte, costringendolo certe volte
a risponderle con parole che non avrebbe mai voluto dirle. “Stai esagerando,
calmati.”
“No che non mi
calmo!” l’espressione del suo viso iniziò a tremare e da arrabbiata quale era,
ora era fin troppo vicino al pianto imminente. “Ti rendi conto che io non ce la
faccio più?” tirò su col naso. “Io vengo sempre dopo Elisa, dopo le sue
richieste di rimanere a casa per stare con Sofia, dopo la sua voglia di stare
con la sua famiglia, e anche dopo il suo licenziamento. Io sono stufa,
France.” Ora i suoi occhi quasi lo supplicavano di risponderle, ma Francesco
proprio non sapeva come. Era assurdo come una situazione così semplice per lui
potesse creare certe complicazioni nel rapporto con Daniela. E non solo con lei.
Era sempre stato così da quando le donne con cui usciva scoprivano della
presenza di Elisa nella sua vita.
“Daniela, te
l’ho detto tante volte.” Si passò una mano sul viso, per poi guardarla
dolcemente, sfoderando tutto il suo lato pentito, consapevole che il novanta per
cento delle volte funzionava per calmarla, per farla ragionare. “Elisa è una
carissima amica,” iniziò, prendendole una mano nella sua e guardandola
intensamente negli occhi. “Io e lei abbiamo condiviso molte più cose di quel che
tu possa immaginare -”
“Certo, come
anche l’aver fatto sesso!” Purtroppo questo era quel fottutissimo dieci per
cento che presto avrebbe mandato Francesco in bestia.
“Abbassa la
voce, Elisa potrebbe sentirti e non ho voglia di litigare anche con lei.”
Sibilò, cercando al tempo stesso di respirare con regolarità.
“Ah, è così, eh!
Con me puoi benissimo litigare come ti pare, tanto io sono Daniela, non Elisa!”
urlò se possibile ancora più forte, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il
viso. “Che senta pure, allora! Che sappia che stiamo litigando per colpa sua!
Come sempre, del resto!” si stava sgolando e la signora Bianchi, la classica
vicina di casa impicciona e pettegola, si affacciò di soppiatto alla porta,
osservandoli come un paparazzo. Se solo Francesco non fosse stato così impegnato
a non rovinare la sua storia con Daniela, a cercare di salvarla in parte,
avrebbe volentieri chiuso il naso di quella donna nella porta, per poi aprirla
improvvisamente e sbattergliela dritta in faccia.
“Daniela, ora
basta,” cercò di essere dolce, ma allo stesso tempo di imporsi per non
peggiorare ulteriormente le cose – anche se sarebbe stata un’impresa alquanto
impossibile. “Non piangere, facciamo così: domani vengo da te e ne parliamo con
calma, ok?”
“Sono tre giorni
che dici che verrai per stare con me e non sei nemmeno mai uscito di casa, se
non per dirmi che volevi rimanere con Elisa!” gli rinfacciò. “Ma per chi mi hai
preso?” piangeva. “Per la tua donna di scorta? Quando le cose non vanno bene con
Elisa, allora ci sono io?”
“Daniela, dai,
piantala. Lo sai che non è vero.” Provò ad avvicinarsi e a posarle una mano
sulla spalla, pregando un qualsiasi Dio in cui non credeva di fargliela passare
anche per questa volta. “Ti garantisco che è solo un periodo, presto finirà
tutto e noi torneremo come prima. Elisa ha perso il lavoro, ma si sta impegnando
per trovarne un altro.” Le raccontò, avvicinandosi piano piano a lei,
abbracciandola sempre con cautela, ma riuscendo a raggiungere il suo obbiettivo.
“Proprio oggi mi ha detto che aveva trovato il modo di fare un colloquio in un
agenzia di design.”
“France,”
Daniela lo abbracciò a sua volta, nascondendo il viso sul suo petto e piangendo
senza più ritegno. “Giurami che non mi farai più stare così.”
Francesco non
seppe con quale forza di volontà si convinse a non rinfacciarle che aveva fatto
tutto da sé, ma almeno per quella volta, era riuscito a calmare quell’uragano di
gelosia che Daniela evidentemente si portava dentro da tempo. “Certo, Dani.”
Lei lo abbracciò
più forte e continuò a piangere, mentre la signora Bianchi, soddisfatta della
visione gratuita a cui aveva assistito, tornava a rintanarsi in casa sua.
“Scusa…”
sussurrò poi lei. Francesco sorrise lievemente e si abbassò per darle un bacio
sulla fronte, riuscendo a calmarla definitivamente. Solo il cellulare di
Francesco li interruppe, vibrando inaspettatamente e mettendo fine alla loro
riconciliazione.
“Domani non
lavoro, ti aspetto in mattinata a casa mia, ok?” Gli sorrise lei, baciandolo a
fior di labbra e andandosene.
Francesco
aspettò che scendesse le scale del loro piano e poi aprì la porta
dell’appartamento, rispondendo al telefono e tirando un sospiro di sollievo che
lo sfiatò completamente.
__________________________________
Bene, gente, eccoci nuovamente qui! Che
dite, troppo tardi? Be', si effettivamente sì, lo è... Ma meglio tardi che mai,
no? Sì, è vero: lo ripeto tutte le volte, scusate, e alla fine mi ritrovo sempre
a pubblicare a mesi di distanza. Chiedo venia!
Ad ogni modo, ecco a voi il nuovo capitolo. La situazione, come potete vedere
voi stessi, non è proprio la migliore. Dite che Francesco e Daniela riusciranno
a parlare? A chiarire? Ed Elisa avrà mai un nuovo lavoro? Be', aspettate il
prossimo capitolo, intanto se volete lasciare un commento con eventuali ipotesi,
sappiate che io sarei felicissima di leggerli :)
E detto questo, approfitto di questo
aggiornamento per ringraziare chiunque continui a leggere questa storia
malgrado tutti i miei mostruosi ritardi, coloro che ogni tanto commentano, e
ringrazio anche quelli che si sono persi per la via, perché ovviamente un po' di
colpa è anche mia e della mia incapacità di rispettare le scadenze.
E concludo augurandovi un Buon Natale - anche se in ritardo - e un
Felice Anno Nuovo! Tanto i Maya non hanno ragione! C'è ancora tanto tempo
per poter vedere questa storia conclusa! ;)
Auguri ancora, e Buone Feste! Occhio a
non ingozzarvi troppo, che finiremo poi per muoverci rotolando!
S.P.
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Capitolo 14 *** XIV ***
Era notte
Era notte, forse. Elisa non lo sapeva.
Poteva anche già essere mattina. Si ricordava solo di essere uscita con Marco,
di essere andata fuori a cena con lui e aver ordinato dal costosissimo menù
qualcosa che non la mettesse in difficoltà e in soggezione mentre mangiava.
Poi…? Sì, aveva chiamato Francesco avvertendolo che non sarebbe tornata a casa
la notte. Marco l’aveva portata nel suo appartamento. Avevano fatto l’amore ed
erano rimasti abbracciati tutta la notte. Elisa non poté che pensare come si
sentì la prima volta che dormì con qualcuno. Per rispetto nei confronti di
Marco, cercò di non pensare al nome che in realtà aleggiava davanti ai suoi
occhi, nell’oscurità della stanza, ma l’immagine di Francesco era ben presente
davanti ai suoi occhi chiusi. Per quanto bello potesse essere stato, era stata
una nottata orribile. Aveva dormito malissimo e la mattina dopo si era svegliata
con un cerchio alla testa e il torcicollo. Non gliel’aveva mai detto, ma pensava
che da parte sua anche Francesco avesse passato una nottataccia, perché per
tutto il resto della giornata non aveva fatto che massaggiarsi il collo,
ruotando la testa con aria stanca e lievemente dolorante. Soffocò una lieve
risata al ricordo. Nessuno dei due disse niente al riguardo, pensando che fosse
stata una nottata magica per ognuno, e forse era stato meglio così, perché
l’incantesimo aveva avuto modo di prolungarsi almeno di qualche giorno.
In quel momento, invece, Elisa si
sentiva bene. Benissimo. Era sdraiata tra le muscolose braccia di Marco, la
schiena contro il suo petto, che si alzava e si abbassava ritmicamente, mentre
sentiva il suo caldo respiro sulla nuca, scoperta dai capelli rossicci per non
respirarli nel sonno, come gli aveva scherzosamente detto lui stesso,
mettendoglieli sul cuscino. Ogni tanto lui si muoveva, rimanendo sempre con il
braccio fermo sulla sua pancia, talvolta facendolo scivolare sul fianco, ma
tornando sempre ad avvolgerla. Anche Francesco ogni tanto dormiva abbracciato a
lei, ma era… Scomodo. Marco era perfetto. Più tempo passava insieme a
lui, più lo pensava quasi come se fosse stata una verità indiscutibile.
“Ehi…” mormorò al suo orecchio con voce
calda e profonda. Elisa aprì lentamente gli occhi, sorridendo.
“Ehi…” sussurrò lei, intrecciando le
dita con le sue. Poi si voltò tra le sue braccia e lo guardò in tutta la sua
bellezza mattutina. Le venne in mente la famosa favola di Apuleio, in cui si
narra di un bellissimo Dio, Amore. Vide la testa bionda e la bella chioma
stillante ambrosia e il candido collo e le rosee guance, i bei riccioli sparsi
sul petto e sulle spalle.
“Perché ridi?” le baciò la fronte,
carezzandole una guancia nella penombra della stanza.
“Mi hai fatto venire in mente una
storia.”
“Ah sì? Quale?”
“La favola di Amore e Psiche.”
“Molto bella.” Convenne lui, gli occhi
ancora chiusi, ma rilassati, proprio come le labbra. Elisa avrebbe voluto
mordergliele, farle sue ancora una volta, ma si trattenne solo per il calore di
quell’atmosfera che li avvolgeva come se fosse la loro unica protezione dal
freddo invernale che c’era fuori dalla finestra. Si strinse ancora più a lui,
abbracciando quel petto vigoroso e posando su esso una guancia.
“Mi è sempre piaciuta.” Continuò Elisa,
chiudendo gli occhi a sua volta. “Quando ero alle superiori, imparai pure a
memoria il momento in cui Psiche vede Amore.”
“Sapresti recitarmelo?”
“Nemmeno morta.” Arrossì lei.
“Eh dài!” la supplicò, sollevandole il
mento con la mano. Si guardarono negli occhi. “Io ti ho dedicato molte poesie.”
“Ma tu hai l’animo del poeta.”
“Magari anche tu.” E le baciò il naso.
Elisa sorrise e soffiò una lieve
risata, mentre lui giocava coi suoi ricci rossi. Si prese il tempo necessario
per ricordarsi a grandi linee le parole, poi parlò: “Fu così che l’innocente
Psiche, senza accorgersene, s’innamorò di Amore. E subito arse di desiderio per
lui e gli si abbandonò sopra e con le labbra schiuse per il piacere, di furia,
temendo che si destasse, cominciò a baciarlo tutto con baci lunghi e lascivi.”
Sì, un po’ si vergognava, ma in quel momento di intimità, dove c’erano solo lei
e lui, nudi, abbracciati, felici… Niente poteva rovinare quel momento. E lei si
sentiva protetta, sicura, tra le sue braccia. Per questo aveva parlato, aveva
recitato. L’aveva fatto per lui. E per se stessa.
Con Francesco non avrebbe mai potuto
svelarsi così tanto. Lui l’avrebbe sicuramente presa in giro, magari dandole
della secchiona o della romantica diabetica. No, con Francesco lei non avrebbe
mai trovato il coraggio di dedicargli dei versi, dei passi dei suoi libri
preferiti, perché per quanto lui potesse conoscerla, era troppo infantile. Lei
non aveva bisogno di un altro bambino, aveva Sofia che le occupava tutto il
tempo con la sua irrefrenabile energia che la portavano a sentirsi orgogliosa di
essere madre. Lei non aveva bisogno di Francesco. Lei aveva bisogno di Marco, di
sentirsi amata, di sentirsi protetta, al sicuro.
“Quando ce l’hai il colloquio?” Chiese
Marco, passando con una leggerezza impressionante e allo stesso tempo rilassante
l’indice sul braccio scoperto di Elisa.
“La prossima settimana.”
“Hai trovato altri posti?”
“No, purtroppo sembra che sia destinata
a rimanere disoccupata.” Si rattristì.
“Vieni a lavorare da me.” Elisa
ridacchiò. Marco era fin troppo disponibile. Francesco non le avrebbe mai
offerto un lavoro nel suo stesso studio. Era troppo egocentrico per pensare
anche alle sue difficoltà. Apprezzava molto che le dedicasse il tempo che
solitamente riservava a Daniela, ma da lui non poteva aspettarsi molto di più.
“Non ho le competenze per farlo.”
“Be’, potresti sempre essere la mia
assistente personale.”
“Oh, l’assistente del capo…” mormorò
maliziosa, sorridendo audace, alzando la testa per guardarlo. Anche lui la stava
guardando, ma i suoi occhi non sembravano aver colto la malizia che accompagnava
i suoi.
“Non ti piace?”
“Oh, no, no.” Si ritrasse subito lei,
incassando la testa sul suo petto. “È che non voglio poi essere un peso.”
“Non saresti un peso, tesoro.” Le alzò
il viso con una mano. “Sarei più che felice di passare quanto più tempo
possibile con te.” E la baciò a fior di labbra, sussurrando due parole proprio
un soffio prima di toccare le sue. “Ti amo.”
Elisa portò le braccia intorno al suo
collo e lasciò che lui le scivolasse sopra, proprio come la notte prima.
Non appena si allontanarono per
riprendere fiato da quel bacio intriso di passione, Elisa ebbe la possibilità di
rispondere: “Ti amo anch’io.”
Sì, Francesco tutto quello non avrebbe
mai potuto darglielo.
***
Il trillo elettronico del cellulare era
qualcosa di assolutamente fastidioso, più di un trapano che cercava di entrare
nel cervello. Eppure pensava addirittura di averlo spento, se non messo in
modalità silenziosa. E invece era là, nella sua borsa a proclamare tutta la sua
piena attività, strombazzando una delle sue canzoni preferite, ma che proprio in
quel momento aveva iniziato ad odiare profondamente.
Maledetto Matthew Bellamy!
“Scusa, Marco, devo andare a
rispondere.” Si sottrasse dal suo abbraccio, in cui era stata cullata per chissà
quanto tempo e, con il lenzuolo che l’avvolgeva, raggiunse barcollando la borsa
ai piedi del letto. Frugò per qualche istante, fino a che la suoneria frenetica
non aumentava di volume, costringendola a serrare gli occhi e se avesse potuto
anche le orecchie. “Pronto.” Rispose disgustata.
“Ma dove cazzo sei?”
“Ehi, Mister Finezza! Che accidenti
chiami a quest’ora?” protestò lei, strusciandosi gli occhi assonnati, mentre
Marco si metteva seduto sul letto, guardandola preoccupato.
“A quest’ora? Ma se sono le undici
passate!” continuò Francesco, adirato. Poteva vederlo gesticolare
scompostamente le mani in aria. “Vieni a tenere Sofia!”
“Ma non è andata all’asilo?”
“Non c’è voluta andare perché dice
di aver litigato con un bambino.”
“Potevi portarla da mia madre, allora!”
“È in ospedale a fare degli esami!
Dovresti saperlo!” sibilò
lui, chiaramente irritato. “Quindi torna subito qui, perché devo uscire
assolutamente.”
“Oh, calmati, eh! Vedi di chiedere le
cose con tranquillità e vedrai che ti vengo incontro.”
“Non devi venirmi incontro! Devi
catapultarti subito qui, chiaro? Ti ho lasciato sfogare la lussuria per una
notte e una mattina abbondante, ora per piacere, vieni a tenere Sofia mentre io
cerco di salvare il salvabile con Daniela!”
“Vai da lei?” non era per niente
entusiasta all’idea.
“Sì, e sono già in ritardo. Tra
dieci minuti dovrei essere da lei!”
“Potevi chiamarmi prima, allora!”
sbuffò lei, iniziando la sua marcia in cerchio nel centro della stanza. Marco
intanto si era alzato e si era infilato i boxer neri e stretti che aveva
raccolto in fondo al letto.
“Ma sei scema? Sei tu che dovevi
essere qui un’ora fa al massimo! Raffredda i tuoi bollenti spiriti e fai la
persona matura!”
“Ah!” esclamò sull’orlo della lite. “E
così sarei io la persona immatura, eh? Certo, non sei tu, che non fai altro che
combinare casini anche con la persona con cui dici di stare insieme! ”
Francesco grugnì qualcosa violentemente
dall’altra parte del telefono, nonostante sembrasse quasi che volesse
trattenersi. Poi Elisa lo sentì sospirare e respirare profondamente contro
l’apparecchio.
“Ascolta, Elisa.” Iniziò con
voce più bassa, ma non meno irritata. “Lo so, sono un emerito coglione. Me
l’hai già detto non so quante volte,” continuò. Elisa poteva vederselo
davanti mentre camminava con una mano sul viso, intento a strusciarsi gli occhi
come gesto di autocontrollo. “Ma questa volta è una cosa seria. Per piacere,
vieni qui.”
Quelle parole pronunciate da Francesco
quasi con sofferenza, rimasero indigeste a Elisa, che si sentì subito colpevole
per come l’aveva trattato. Era tutta colpa del suo carattere di merda! Ecco
cos’era! Perché aveva dovuto attaccarlo così, senza nessuna ragione apparente.
Apparente, eh, appunto…
“Sì, scusa, d’accordo.” Mormorò lei,
fermandosi vicino alla finestra e scostando le tende per vedere il sole che
timidamente cercava si oltrepassare il grigio delle nuvole. “Arrivo.” Premette
il pulsante rosso e chiuse la chiamata, riponendo il cellulare nella borsa e
iniziando a cercare i vestiti per la stanza. La sera precedente non si erano
molto trattenuti e di certo in occasioni del genere non si fermavano di certo a
piegare ciò che si toglievano in preda alla voglia di stare insieme, lei in
particolar modo.
“Vai già via?” Le domandò Marco,
avvicinandosi e abbracciandola da dietro, dopo che lei ebbe indossato la
biancheria. “Volevo prepararti la colazione.” E le regalò un bacio sul collo.
“Non posso, scusa.” Si allontanò lei,
afferrando la gonna nera dalla sedia vicina al letto ed infilandosela. Si mise
poi a cercare le calze che avrebbe appallottolato nella borsa.
“Cosa voleva Francesco?”
“No, niente.” Sviò lei. Ci mancava solo
che si mettessero a discutere su Francesco, così, tanto per rovinare quel
meraviglioso momento che avevano appena passato insieme.
“Non è vero.” La prese in contropiede
lui, prendendola per un braccio per evitare che scappasse ancora per cercare le
scarpe. “Lo vedo quando c’è qualcosa che non va.”
“Marco,” lo guardò supplicandolo.
“Davvero, non mi va di parlarne.” Lui allentò la presa e lei si allontanò
nuovamente.
“Elisa, perché non mi vuoi mai parlare
di quello che succede tra te e Francesco?”
“Perché non c’è niente da raccontare,
Marco!” si spazientì lei, scuotendo esasperata la camicia in aria. “Quante volte
te lo dovrò ripetere prima che tu lo capisca?”
“E quante volte te lo devo ripetere
io che invece voglio che tu me ne parli?”
“No, ascolta, sono già in ritardo.
Lasciamo la discussione ad un altro momento, d’accordo? Non mi va di rovinare
tutto.” Si infilò la camicia e il piccolo gilet coordinato con la gonna, per poi
passarsi una mano tra i capelli guardandosi allo specchio della stanza. Si
strusciò una mano sotto gli occhi per togliere quel trucco sbavato che le
conferiva un’aria da tossicodipendente e si voltò nuovamente verso Marco.
“Elisa, succede sempre così.” Disse,
abbassando lo sguardo. “Tutte le volte che finiamo a parlare di Francesco
litighiamo -”
“Per questo io non voglio proprio
entrare in argomento. Lo capisci?” continuò lei, prendendo la borsa da terra.
“Elisa, ho capito, ma lo vedi quanti
discorsi abbiamo lasciato in sospeso? Anche qualche giorno fa al ristorante è
successa la stessa cosa.”
“Lo so! E non credere che non me ne
ricordi o che ne sia felice! Lo so! Prima o poi ne parleremo,” lo guardò
dispiaciuta, mentre ruotava la maniglia della porta. “Ma non ora.”
Marco non disse più niente, solamente
la guardava, forse triste, forse rassegnato, fermo vicino al letto, mentre lei
gli voltava le spalle, la borsa in mano e nemmeno il minimo tentativo di
nascondere la sua colpevolezza. “Scusa, ti chiamo io stasera.” E lo lasciò nella
camera da letto da solo, chiudendo la porta dietro di sé.
***
Daniela era sulla porta ad aspettarlo.
Sembrava un doberman in attesa del segnale per attaccare, accigliata, la fronte
aggrottata e le labbra serrate. Non era un bel periodo per lei, Francesco glielo
poteva leggere non solo in viso, ma anche da come era vestita. Una tuta grigio
topo con nemmeno un paio di scarpe ai piedi. I vestiti per Daniela riflettevano
il suo stato d’animo, e quel giorno poco ci mancava dall’essere totalmente
nera.
Entrò a capo chino nell’appartamento e
posò il casco vicino al divano. Per un po’ si guardò attorno, dubbioso se
accomodarsi o rimanere in piedi, visto che Daniela, una volta chiusa la porta,
non sembrava per niente intenzionata a rilassarsi. E le sue battute e i suoi
atteggiamenti pregni di maliziosa sensualità non avrebbero aiutato in quel
momento.
“Hai intenzione di rimanere così tutto
il tempo?” fece lei, atona. “Siediti.”
“Immagino che la questione sia molto
più lunga del previsto, allora.”
“Già.” Non si sedette affianco a lui,
prese una sedia dalla cucina adiacente e la posizionò davanti al divano, per poi
accomodarcisi a gambe accavallate. Pareva tanto una seduta delle sue, ci mancava
solo la cartellina in mano per prendere appunti e lui che si sdraiasse sul
divano.
“Hai un punto da cui partire?”
“Ma mi prendi per scema?” Francesco
tornò a pochi secondi prima, cercando di scovare l’involontaria offesa che
avrebbero potuto celare le sue parole, ma non ve n’era traccia. “Pensi che tutta
questa scenata sia inutile e infantile, vero?”
“Ma… Veramente io non ho detto niente.”
Le fece notare lui, cercando di soppesare le parole per renderle più leggere e
prive di eventuali allusioni al suo comportamento.
“Però lo pensi.”
“Ascolta, puoi smetterla di essere la
Dottoressa Lombardi? Vorrei parlare con Daniela, se possibile.” Si fece più
serio.
“Piantala di fare battute, lo sai che
non le richiedo in momenti come questi.”
“E tu lo sai che io non richiedo il tuo
comportamento da psicologa quando si litiga.”
“Quindi stiamo litigando, eh.”
“Be’, a me sembra così.”
“Volevo sapere quanto a cuore ti stesse
questa faccenda. Non pensavo che la soluzione che avresti trovato fosse proprio
litigare. Io volevo soltanto parlare ragionevolmente.”
“Allora parliamo!” esclamò, tendente
all’esasperato. Allargò le braccia come per farle segno di iniziare.
“Non riesci a prendere sul serio questa
faccenda.”
“Smettila di parlare come se sapessi
tutto quello che mi frulla in testa.” Roteò gli occhi, per poi passarsi una mano
sul viso. “Perché sarei venuto qua, oggi, se non mi importasse della nostra
storia.” La guardò dritto negli occhi. “Se non mi importasse di te.”
Daniela vacillò per un istante, quasi
incapace di replicare. Abbassò, quindi la testa e alzò gli occhi su di lui con
una certa timidezza, come se da una parte si sentisse colpevole.
“Lo so perché ti senti così, Dani.”
Continuò lui, abbassando la voce, ora più calma e calda. Per un attimo pensò di
alzarsi per abbracciarla, ma la guardia ancora alta di Daniela gli impose di
rimanere al suo posto. “E mi dispiace che tu non riesca a capire.” Scosse
lentamente la testa, rammaricato. Sì, dovette ammetterlo, quella era solo una
tattica, ma per parlare con Daniela, per riuscire a raggirare quella sua
barriera inattaccabile, era necessario farle deporre tutte le armi, e una delle
strategie era quella di farla sentire in colpa.
“Se capisci, se non vuoi perdermi… Se
ti importa di noi, allora perché continui a non fare niente?” biascicò
lei, sul principio di un pianto trattenuto.
“Ascoltami,” insistette, dando un finto
colpo di tosse per schiarirsi la gola. “Te lo ripeto e voglio che questa volta
tu guardi la situazione da un punto di vista esteriore rispetto al nostro.”
Daniela annuì, seppur incerta. “Elisa è la madre di mia figlia.” Sottolineò come
prima cosa. “È come se tu avessi una figlia a tua volta con un uomo che però non
ami più. Elisa è stata licenziata, ha perso il lavoro e si sente responsabile.
Ha pianto una sera intera. Immaginati cosa faresti se al padre di tua figlia
succedesse qualcosa del genere.” Daniela fece per parlare, ma Francesco la
interruppe ancor prima di farle pronunciare il primo suono. “Considera che tra
voi due rimane un legame molto forte, perché fondamentalmente lui è colui che
hai amato.”
“Ma con cui non sto più insieme. Non mi
permetterei mai di chiedergli di vivere una vita che non vuole solo perché è
legato a me da una figlia.” Replicò dura lei, soffiando un singhiozzo.
“Ma lo vuoi capire che Elisa è fin
troppo orgogliosa per pensare di chiedermi di consolarla?” sbottò Francesco,
sospirando. “Sono stato io a voler rimanere. Io le voglio bene e visto lo stato
in cui era, non ho saputo lasciarla in balìa delle lacrime.”
“Me l’hai già detto.” Piagnucolò
Daniela. “Ma lo capisci che lei se ne approfitta?”
“Ma perché devi dire certe cose?”
“Perché poteva mandarti via, invece che
trattenerti, se sapeva che dovevi uscire.”
“Non lo sapeva, non gliel’ho mai detto
per non metterle altra ansia addosso.”
“Ah, quindi nemmeno ti sei preso la
briga di informarla!” urlò lei, alzandosi dalla sedia e indicandolo, mentre
lottava per mantenere un’espressione arrabbiata, invece che lasciarsi
conquistare dal pianto isterico.
“Ok, basta.” Francesco batté esasperato
le mani sulle gambe e si alzò dal divano. Non c’era verso di farle capire
niente. “Non vuoi capire, è inutile continuare così.”
“No, aspetta!” lo prese per un braccio.
“Non abbiamo finito.”
“Io sì. Ho tentato in tutti i modi di
spiegarti cosa è successo – e non solo in questo ultimo periodo.” La guardò
dall’alto in basso, la fronte aggrottata e lo sguardo serio. Ora si stava
seriamente fracassando le palle a forza di ripetere sempre e solo le stesse
cose. Pensava che Daniela potesse essere abbastanza matura e aperta per
comprendere, se non alla prima, alla seconda, ma evidentemente si sbagliava di
grosso. “Hai sempre sostenuto che Elisa mi allontanasse da te, nemmeno fosse la
Circe del ventunesimo secolo! E io ti ho sempre risposto che lei ha Marco, non
ha mai tentato di trattenermi!”
“Ho capito!” lo strinse più forte per
il braccio, quasi come se non volesse che sparisse da un momento all’altro oltre
la porta. “Però anche tu dovresti capirmi.”
“Io ho capito benissimo che non la
sopporti, ma devi metterti in testa che Elisa sarà sempre nella mia vita – c’è
Sofia.”
“Sì, ma -”
Francesco si era trattenuto finché
aveva potuto, ma il parlare, il discutere con lei, non faceva altro che fargli
montare il nervoso. Per questo scoppiò: “Se io ed Elisa non stiamo insieme, ci
sarà un motivo, non credi?”
_________________________________________
Ok, sì, sono ancora viva, tranquilli!
Bene, diciamo che questo capitolo mostra un po' tutte le crepe dei vari
rapporti... Elisa non se la cava troppo bene con Marco, quando c'entra
Francesco. E si potrebbe dire esattamente la stessa cosa per lui con Daniela. A
cosa porterà tutto questo? Be', se avrete la pazienza di aspettare il prossimo
capitolo, qualche risposta la troverete ;)
E detto questo, colgo l'occasione di ringraziare Amnesia e
Brezza che hanno commentato lo scorso capitolo!
Vi saluto, gente! Alla prossima!
S.P.
|
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Capitolo 15 *** XV ***
Nuova pagina 1
“Se questo è zuccherato, io sono la
Gioconda!”
“Magari fossi così silenziosa!”
“Dove sono le mie bustine di zucchero?”
“Le avrai ingoiate
senza accorgertene – confezione inclusa.”
“Stai attento, Nicola, perché se le
trovo te le infilo su per il culo una per una!”
“Stai attenta tu, Fede. Sai quanto è
pericolosa la roba che gli esce dal culo. Se gli uscisse dalla bocca sarebbe
peggio.”
“Oh, oh, chi ha chiesto il tuo parere,
Gianlu?”
“Accetta la realtà, Nico, fai schifo.”
“Cosa c’entra questo con il caffè
amaro, ora?”
“Assolutamente niente, ma è piacevole
rinfacciartelo ogni volta.”
“Ma andate tutti in cu-”
Il silenzio piombò nella stanza come se
qualcuno avesse disinserito l’audio da quella scena da sit-com. Tutti e tre si
girarono verso la porta che si era appena chiusa, senza emettere alcun suono, un
po’ incerti su come agire.
Francesco era appena entrato e nel
silenzio più totale, si stava spogliando, appoggiando disordinatamente il
giacchetto di pelle sullo schienale del divanetto dell’ingresso, insieme al
casco. Si strusciò le mani infreddolite tra loro e guardò gli amici alzando un
sopracciglio. “Be’?” Sicuramente Gianluca aveva già raccontato loro tutto ciò
che sapeva.
“Ehm,” farfugliò Federica. “Tutto
bene?”
“Affatto.” Ammise, la sua espressione
serafica straordinariamente inopportuna fece sospirare i presenti. “L’incontro
con Daniela è stato un disastro, ma almeno sono ancora vivo. Questo basta.”
“Quindi?” azzardò Nicola, timidamente.
“Quindi tenterò ancora, magari capirà.”
Sospirò, tendente al rassegnato, sfiorando l’indifferente.
“Se vuoi vado a dirgliene quattro io, a
quella! Non ci si comporta così!” iniziò a berciare Federica, agitando
pericolosamente la tazza di caffè che aveva in mano.
“Non cambierebbe granché, è più
testarda di Elisa.”
“E basta con questa Elisa, France! Hai
anche scartavetrato i coglioni, eh!” sbottò lei.
Francesco le sorrise e le rubò il caffè
di mano, per poi allontanarsi e dirigersi alla sua scrivania. Tre paia di occhi
continuarono a seguirlo curiosi, per poi essere scacciati da una sua occhiata
esasperata. Vide Federica correre verso il suo giacchetto lasciato
disordinatamente sul divano, come un’ape sul miele, e sistemarlo
sull’attaccapanni, per poi prendere il casco e riporlo nel ripostiglio
adiacente. Molto probabilmente non avrebbe voluto fare altro dacché lui aveva
messo piede nell’ufficio: ridacchiò svogliatamente per la sua mania dell’ordine.
Solo Gianluca rimase nella stanza, chiudendo la porta e sedendosi alla sua
scrivania.
“Allora?” chiese dopo qualche istante.
Francesco smise di sorseggiare il caffè
amaro e respirò profondamente. Posò quindi il bicchiere sulla scrivania e si
girò verso di lui. “Mi ha detto che non se la sente di continuare.”
“E basta?”
“No.” Francesco odiava il modo in cui
Gianluca sembrava averlo ormai inquadrato. Non poteva mai nascondergli niente.
Era frustrante. Sospirando per l’ennesima volta in pochi minuti, si tirò su la
manica sinistra della maglietta e mostrò il braccio all’amico.
“Porca miseria!” esclamò Gianluca,
tossicchiando per non sfociare in una risata. “E questo quando è successo?”
Francesco si guardò nuovamente quei
graffi che gli decoravano il braccio e spiegò: “Quando le ho detto che era più
brava a letto che con le parole.”
Gianluca aveva la risata a fior di
labbra, ma riuscì a trattenersi, diventando per di una tonalità rossastra per lo
sforzo. Francesco se lo sarebbe aspettato e poco ci mancava che non scoppiasse a
ridere pure lui.
“Te la sei cercata, però.” Replicò lui,
passandosi una mano sul viso e deglutendo, con se potesse ingoiare così anche
quella risata sfacciata.
“Sì, ma tu non hai idea di come sia
insopportabile Daniela quando non vuole capire.” Al ricordo di quello che aveva
affrontato solo il giorno prima, ancora gli montava il nervoso. “Ti giuro che mi
sono anche trattenuto.”
“France, lo sai che le donne sono così.
Daniela in particolare.”
“Daniela è la peggiore.”
Gianluca gli sorrise da amico. “Cosa
hai intenzione di fare ora?”
“Voglio provare a parlare nuovamente
con lei.” Confessò. “Non voglio che finisca così. Lei merita di essere capita. E
la stessa cosa vale per me.”
“Parole sante, Nicola vedi di
prendere un po’ di lezioni da Francesco!” la voce saccente di Federica sbucò
da oltre la porta, facendo roteare gli occhi ad entrambi, che si lanciarono
un’occhiata divertita.
“Senti chi parla! Non eri tu che
l’altra sera si era armata di scopa perché avevo sbagliato a riempire il
barattolo del sale?” protestò lui.
“Ma sì, allora iniziamo a
rivoluzionare le ricette culinarie! Perché la prossima volta non cuciniamo una
frittata dolce? O perché no, facciamo una torta del nonno salata, va’! Vediamo
poi se farai più attenzione a versare lo zucchero nel barattolo giusto! C’è
anche scritto a lettere cubitali sopra!”
“Potevi farlo da sola, allora!”
la sormontò con il tono della voce.
“L’avrei fatto volentieri, se non
fossi stata impegnata a pulire il latte con cui avevi visto bene di inondare la
cucina!”
“Non sapevo che il latte bollisse
così!” si discolpò, stizzito.
Francesco e Gianluca si alzarono dalle
rispettive sedie e aprirono la porta della stanza, ritrovandosi una Federica
seduta per terra, aizzante un furioso dito indice contro il nasone di Nicola,
inginocchiato affianco a lei. Chissà perché, ma Francesco notò che se la porta
fosse stata chiusa, i loro occhi si sarebbero trovati proprio alla giusta
altezza della serratura.
“Questo perché non cucini mai e vieni
sempre a mangiare a sbafo da me, brutto pezzo di cretino!”
“Gianluca, ma lo senti anche tu quanto
amore c’è nell’aria?” li interruppe Francesco, con un mezzo ghigno malefico
sulle labbra.
“Uhm, a dire il vero io…” annusò
l’aria. “Nicola, hai sganciato di nuovo?” lo guardò schifato.
“Santo cielo, sì!” si tappò il naso
Federica, alzandosi in piedi con una velocità straordinaria e correndo ad aprire
tutte e cinque le finestre dell’ufficio.
“Ma diavolo, Nico, stavate addirittura
facendo dei discorsi seri! Ti sembra questo il momento di evacuare?”
“Se continua, siamo noi che evacuiamo
l’edificio, France.” Si intromise Federica, la testa fuori dalla finestra.
“Perché noi? Buttiamolo solamente
fuori, no?” ribatté Francesco, raggiungendo l’amica e sporgendosi a sua volta.
“Mi domando perché siamo sempre noi a dover subire queste violenze. Fa anche
freddo!”
“Vai da Gianluca, vedrai che sarà più
che felice di scaldarti.” Borbottò Nicola, tentando un ribaltamento di frittata.
“Sì, Gianlu, vieni qui e abbracciami!”
Pigolò Francesco, allargando le braccia.
“Piuttosto ammalati.” Lo liquidò
istantaneamente lui.
“Fede, abbracciami tu.” Si riscattò
Francesco, abbracciando Federica per le spalle, in quanto le loro altezze
avevano qualche decina di centimetri di differenza. Poi, starnutendo
egregiamente, Francesco decise che sarebbe tornato nel suo studio, seppur in
apnea. “Nico, sappi che prima o poi ti si metterà un tappo al culo.” Lo
minacciò, andando all’attaccapanni e infilandosi il giacchetto, per poi tornare
alla sua postazione.
Tutti gli altri lo seguirono, Federica
con anche la sciarpa, e la giornata di lavoro iniziò per tutti e quattro.
Francesco già sapeva che quella sarebbe stata una lunga giornata, perché quella
sera sarebbe tornato da Daniela, che lei lo avesse voluto o meno.
***
“Oddio, Elisa!”
la voce di Chiara suonava estremamente spaventata. “Dimmi che stai bene! Cosa
è successo?”
“Ehi, tranquilla!” cercò di calmarla,
mentre prendeva la teiera e la riempiva con l’acqua dell’acquaio, tenendo il
cellulare tra la spalla e l’orecchio. “Avevo solo dimenticato il cellulare a
casa, non preoccuparti.”
“Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Anche a me! Ventisette chiamate in due
ore mi hanno fatto pensare il peggio!” ribatté, sorridendo. “Fortuna che so che
sei un caso patologico!” ridacchiò, mettendo la teiera sul fornello e andandosi
a sedere sul divano della sala.
“Sì, ma solo con te.” Sospirò
l’amica. “Mi farai prendere un infarto uno di questi giorni.”
“Perché dimentico il cellulare a casa?”
alzò un sopracciglio perplessa. Chiara non l’avrebbe visto, ma dal tono di voce
lo avrebbe immaginato. “Un tempo nemmeno c’erano i cellulari, pensa come avresti
fatto!”
“Ringrazio il Cielo per avermi fatta
nascere in quest’epoca, allora.”
“Io invece vorrei farne a meno, molte
volte.” Confessò Elisa.
“Ad ogni modo, dov’eri?” chiese
Chiara, alludendo sicuramente ad un’uscita con Marco. “Avrei potuto
interrompere qualcosa?”
“No,” rispose, diventando più seria.
“Mi aveva chiamato mio padre.” Spiegò, passandosi una mano sul viso. “Tanto lo
sapevo che se chiamava ad ore così insolite, c’era da spaventarsi!” commentò,
tra lo sconforto e la paura che ancora non l’aveva completamente abbandonata.
“Oddio, Elisa, cosa è successo?”
si preoccupò Chiara.
“Mia madre si è sentita male di nuovo.”
Disse. “Ha avuto un altro attacco d’asma. Questa volta era molto più forte, ha
detto papà. Mi ha chiamato perché aveva finito una delle medicine che prende
solitamente per far diminuire la tachicardia. Ovviamente tra tutti e due si
erano presi un bello spavento, e quando mi ha chiamato tutto scosso sono corsa
fuori.”
“Capisco. Ora come sta tua madre?”
“Oh, dovevi vederla! Appena sono
arrivata ha avuto il fegato di dirmi che nemmeno se avessi guidato un triciclo,
sarei potuta arrivare così tardi.”
“Non so che dire…” ammise
Chiara, lasciando trapelare una leggera risata.
“Dillo a me!” sospirò Elisa. “Per colpa
sua penso di aver bruciato qualche semaforo, oltre che aver rischiato la vita.”
Rise amaramente. “E quando sono arrivata, non dico che stesse bene, ma non
sembrava proprio avesse avuto quell’attacco spaventoso che mi aveva detto papà
al telefono.”
“Ma dai, alla fine è meglio così
no?”
“Certamente, però mi hanno fatto
prendere un colpo per niente.”
“Anche loro non credo che siano
stati bene in quel momento, dai.”
“Sì, hai ragione…” ammise Elisa,
sentendo la teiera fischiare alle sue spalle. “Uffa,” si lamentò, alzandosi dal
divano. “Quanto vorrei che mia madre fosse un po’ più… Umana!”
“È fatta così, Eli.”
Le sorrise Chiara. “Dovresti andarle incontro, anche perché secondo me
nemmeno lei è felice di discutere sempre con te.”
“Be’, e che dovrei fare? Lasciarmi
offendere gratuitamente?” Inserì una bustina di tè nella teiera e si appoggiò al
banco della cucina mentre aspettava che la sua droga fosse pronta.
“No, ma seguire forse più la
filosofia del ‘vivi e lascia vivere’, forse.”
“Sì, ok, dai,” Elisa dichiarò il
discorso concluso. Non le piaceva discutere di sua madre, perché
fondamentalmente sapeva come era fatta, così come sua madre sapeva come fosse
fatta lei. Era un circolo vizioso: entrambe testarde ed entrambe ostinate a
voler prevalere sull’altra. “Su, dimmi tu ora: perché mi avevi chiamata?” prese
la teiera con la presina per non scottarsi e versò un po’ di tè nella tazza
presa dalla credenza sopra la testa.
“No, volevo solo aggiornarti di un
fatto un po’ – ecco, sì – strano.”
“Strano?” alzò un sopracciglio,
prendendo la tazza e tornando sul divano.
“Sì, be’…” anche Chiara sembrò
essere impegnata a prepararsi qualcosa, a sentire dai rumori che provenivano dal
cellulare.
“Tè?” chiese divertita Elisa.
“Esattamente.” Rispose
falsamente scocciata lei. “Sappi che non ti perdonerò mai di avermi attaccato
questa tua mania.”
“Ok, dai, sputa il rospo.”
“No, ecco…”
farfugliò. “Da una parte sono contenta, però dall’altra – sai, visto il
periodo che correva – non so quanto sia stato giusto. E se poi pensi che fino
all’altro giorno -”
“Chiara,” la interruppe Elisa,
sorseggiando il tè. “Potresti essere un po’ più comprensibile?”
“Sì, certo.”
Ridacchiò. “Be’, ieri sera Roberto è tornato a casa prima del previsto.
Quando sono arrivata io, l’ho visto ai fornelli – ti giuro Eli, quasi non
credevo ai miei occhi!”
“E non cucinava solo per sé?” la prese
in giro lei.
“È questo quello che mi ha
sconvolta! Aveva preparato un pasticcio di patate con tanto di sformato di
cavolo – lo sai che è fissato con la salute, quello scemo! Però la sua pancia è
sempre lì, come se ormai lui ci si fosse affezionato!”
“E…?” la incoraggiò ad andare avanti,
sempre più vinta dalla curiosità che più volte le aveva causato figure di merda
improponibili ed allo stesso tempo indimenticabili.
“E mi ha detto che si scusa per
tutto quello che è successo tra noi ultimamente.”
Cinguettò Chiara. “Ha detto che in questura lo stavano facendo dannare, che
c’era in ballo un trasferimento e avevano proposto lui, che invece non voleva
accettare per poter rimanere qui. In effetti la Marchigiani non può fare tutto
quello che vuole solo perché è il capo!” Elisa non poteva vederla, ma gli
occhi sognanti di Chiara, il suo tono eccitato, inebriato e innamorato facevano
capire perfettamente a Elisa in che stato si trovasse in quel momento l’amica.
Era nuovamente innamorata e felice con suo marito. E questo non poteva che
essere la notizia migliore in quegli ultimi giorni, in cui tutto sembrava cadere
a rotoli inesorabilmente. “Insomma, abbiamo parlato tutta la serata. A quel
punto anche io mi sono scusata per non essere risultata molto comprensiva nei
suoi confronti, e alla fine ci siamo chiariti, abbiamo ammesso le nostre colpe
e…”
“E…?” ripeté Elisa. “La vuoi piantare
con questa suspance?”
“Abbiamo fatto l’amore.”
Rivelò, quasi imbarazzata. “Capisci? Era quasi un mese che nemmeno ci si
rivolgeva la parola, se non per urlarci contro offese… E ieri sera è successo.”
Si stava struggendo al solo ricordo, Elisa poteva vederla come se fosse
esattamente davanti a lei.
“Chiara, non hai idea di come mi renda
felice questa notizia!” trillò Elisa, posando la tazza di tè sul tavolino di
fronte. “E oggi?”
“Stamattina si è svegliato prima lui
e mi ha portato la colazione a letto.”
“Oh, che bello!” anche Elisa venne
contagiata da tanta dolcezza. Si ricordò dell’ultima volta che anche Marco le
portò la colazione a letto e di come lei si fosse sentita la donna più amata al
mondo. Se solo le cose tra lei e Marco avessero potuto risolversi senza
degenerare, questa volta sarebbe stata lei a portargli la colazione a letto.
Purtroppo il modo in cui l’aveva lasciato l’ultima volta non portava a prevedere
niente di simile. Si erano solo sentiti per telefono, ma la situazione non era
molto migliorata.
“Sì, infatti!”
esultò Chiara dall’altro capo del telefono. “Stavo pensando di cucinare io
qualcosa a lui, stasera. Tu che dici?”
“Che sei una cuoca provetta e
sicuramente gli farà piacere.”
“Però non so cosa fargli!”
si lamentò. “Voglio dire, sempre verdure no! Pensavo a qualcosa con la carne,
anche, ma per fare qualcosa di buono, il fattore ‘salute’ non è che sarà
totalmente rispettato.”
“Sono sicura che apprezzerà lo stesso,
Chiara.”
“Io conto proprio sull’effetto
sorpresa!” Ridacchiò Chiara.
“E poi, senti qui, pensavo di aggiungere anche una portata…”
Non era strano che Elisa partisse per
mete distanti ed inesplorate rispetto all’argomento trattato, ma questa volta,
più che mai, aveva bisogno di pensare. Doveva chiamare Marco e chiedergli di
vedersi, perché non ce la faceva più a lasciare tutto in sospeso. Sentiva il
bisogno irrefrenabile di accoccolarsi tra le sue braccia, farsi riscaldare dal
suo corpo atletico… Sì, doveva fare qualcosa.
___________________________
Eccomi di nuovo qua! Capitolo molto...
Uhm... Come definirlo? Un po' di passaggio, no? Cioè, fondamentalmente non
succede niente, però si capisce molto - e ammettetelo, non è divertente leggere
di quel gruppo di ragazzi dello Studio Quadri? Mi piacerebbe molto essere la
loro assistente! Ahahah, giusto per farmi quattro risate per ogni loro idiozia!
Ma a parte questo, spero vi sia
piaciuto ;) Che almeno un sorriso sia riuscito a strapparvelo!
E passando ai ringraziamenti, dedico un
grossissimo grazie a Brezza, a cui ho pure dimenticato di rispondere nel
commento - faccio schifo, scusate! E soprattutto, scusa a te, Brezza! Provvedo
immediatamente!
Ora vi lascio nuovamente per un tempo indeterminato!
Al prossimo capitolo, gente!
S.P.
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Capitolo 16 *** XVI ***
Nuova pagina 1
“France!” esclamò Elisa, Sofia in
braccio, vedendolo entrare in casa. “Sei fradicio! Cosa ti è successo?”
Francesco starnutì, coprendosi il viso
con le mani nude e rosse per il freddo. “Ho preso l’acqua in moto.” Spiegò,
togliendosi il giacchetto completamente bagnato, così come i pantaloni e la
felpa che indossava. “Fatemi andare a stendere questi in bagno,” disse
superandole. “Faccio una doccia calda, così potrò tornare in forma per le mie
donne.” Sorrise, facendo l’occhiolino, per poi entrare in bagno con un altro
sonoro starnuto. Chiuse la porta dietro di sé e si spogliò, buttando tutti i
vestiti nella vasca.
Addirittura le mutande…
Commentò esasperato. Che giornata di merda.
Aprì il getto d’acqua calda e si
appoggiò al termosifone acceso per riprendere un po’ di calore. Se non fosse
tornato a casa in tempo, sarebbe morto assiderato. Gli bruciavano le mani da
quanto erano congelate. Si guardò allo specchio da lontano e si vide decisamente
spossato. Soppresse una ricca serie di imprecazioni per quello che aveva dovuto
passare quel pomeriggio, per poi passarsi una mano sugli occhi e sospirare.
Dopo ciò che era successo, come poteva
sperare che tutto si potesse sistemare con un appostamento sotto casa sua?
Nemmeno nelle sue migliori aspettative lei gli avrebbe aperto, ed infatti non lo
aveva fatto, lasciandolo sotto la pioggia per più di mezz’ora. E lui, coglione,
c’era rimasto, irremovibile, nonostante il freddo che si insinuava sempre più
invadente sotto i suoi vestiti, come le prime gocce di pioggia. Quel giorno era
davvero determinato a parlarle, a cercare di farla ragionare – di nuovo – ma
Daniela si era dimostrata più testarda del previsto.
Entrò nella cabina della doccia e
rimase immobile sotto l’acqua per qualche minuto, cercando di catturare tutto il
calore che il getto potesse trasmettergli con le gocce che gli colpivano la
schiena, ancora infreddolita, così come il resto del corpo. Non negava che gli
sentisse persino la testa.
Alle tre aveva salutato quegli altri
per prendere la moto ed andare da Daniela. Faceva già freddo e il cielo
prometteva abbondante pioggia, ma non si era lasciato convincere. Dopotutto un
po’ d’acqua non gli avrebbe fatto niente. Ne aveva presa così tanta in tutta la
sua vita, che un acquazzone in più non avrebbe fatto la differenza. Solo la moto
ne avrebbe risentito, ma se ne sarebbe occupato a tempo debito. Aveva quindi
suonato all’appartamento di Daniela e aveva aspettato che lei rispondesse.
Sapeva che era in casa perché il Mercoledì lavorava solo la mattina. E poi le
serrande erano aperte.
“Chi è?”
“Sono io.”
“Fottiti.”
Quelle furono le uniche parole che si
rivolsero in tutto il pomeriggio. Lui aveva continuato a suonare, senza ricevere
risposta, rimanendo impalato sotto le sue finestre, appoggiato alla moto, il
casco in mano, le chiavi nell’altra e con la pioggia che batteva violentemente
contro il suo corpo. Non aveva nemmeno la sciarpa, se l’era dimenticata allo
studio perché Gianluca l’aveva voluta usare come protezione antigas. L’aveva
vista affacciarsi ogni tanto alla finestra, controllare che ci fosse ancora,
guardarlo con espressioni indecifrabili, ma sicuramente tra il ferito e
l’incazzato, e poi svanire nuovamente. Aveva provato a suonare diverse altre
volte per tutto il pomeriggio, senza insistere oltre. Le ultime citofonate
nemmeno ricevettero la sua visita alla finestra e da lì a poco, Francesco decise
di andarsene. Si mise il casco, montò in sella alla moto e avviò il motore, che
soffrì per l’acqua che aveva preso. Per tutti i venti minuti di tragitto,
Francesco patì un freddo micidiale, che lo portarono all’insensibilità delle
mani in meno di qualche minuto. Solo grazie al calore dell’acqua della doccia
riuscì nuovamente a sentirle. Le mosse come per accertare che i muscoli
funzionassero ancora e prese a lavarsi, lanciando ogni tanto qualche colpo di
tosse, accompagnato da starnuti. Si sentiva uno schifo, in tutti i sensi.
“France,” gli bussò alla porta Elisa.
“Tutto bene? È quasi mezz’ora che sei lì dentro.”
“Sì, cioè, no,” farfugliò. “Non mi
sento granché bene. Tu prepara pure da mangiare, io non ho fame.” Disse
sciacquandosi il sapone di dosso.
“Sicuro?” chiese conferma. “Guarda che
se vuoi ti preparo del riso bianco oppure un po’ di brodo caldo…”
“No, non preoccuparti.” Tossì. “Vado a
letto e con una bella dormita mi riprendo.” Elisa non rispose, ma Francesco
sapeva fin troppo bene che era ancora appostata lì alla porta, preoccupata. Era
tipico di Elisa: rimanere vicino alle persone bisognose anche se loro non le
chiedevano niente. E paradossalmente se qualcuno avesse fatto lo stesso con lei,
lei sarebbe andata su tutte le furie. “Lo sai che ho un fisico indistruttibile!”
aggiunse, quindi, beffardo.
“Come vuoi.” Lo accontentò, senza
berla.
Francesco uscì dalla doccia e si
asciugò con l’accappatoio, per poi rintanarsi in camera, passando prima da
Sofia, che stava disegnando sul tavolino della sala, e accarezzandole dolcemente
i capelli legati in due trecce. “Oggi niente bacio della buonanotte, Sofi,” si
scusò. “Non voglio attaccarti qualcosa.”
“Perché, papà?” domandò lei,
guardandolo innocente.
“Perché credo di essermi preso il
raffreddore.” Le sorrise, mentre lei si faceva preoccupata. “Niente di grave!”
“Aspetta, allora! Mamma ti fa il brodo,
così passa tutto!”
“No, tranquilla, vado a fare una bella
dormita. Buonanotte, piccola.” E le scarruffò i capelli, facendola ridacchiare.
“Ehi,” Elisa gli si avvicinò e gli
prese un braccio per fermarlo. “Sicuro che vada tutto bene?”
“Sì, Eli.” Le sorrise. “Se vuoi ti
aspetto sveglio, così poi si gioca un po’ al paziente e l’infermiera.” Propose
sfacciato, alzando le sopracciglia e mordendosi un labbro, ammiccante.
“Ma piantala, che fra poco nemmeno stai
in piedi.”
“Oh, ma anche da sdraiato… Anzi, forse
è addirittura -”
“France! Fila a letto e dormi!” si
stizzì Elisa, spingendolo verso la camera e guardandolo seria, per poi
sciogliersi in un dolce sorriso. “È incredibile come tu possa essere sempre così
scemo nonostante ti senta male.”
Francesco ridacchiò e le diede un bacio
in fronte, per poi sfociare in uno starnuto imprevisto.
“France! Che schifo!”
“Scusa, non era programmato!”
“Ci manca solo che mi attacchi
qualcosa! Domani mattina ho il colloquio!” borbottò lei, allontanandosi.
“Ah, te l’hanno anticipato?”
“Sì, mi hanno chiamato stamattina.”
“In bocca al lupo, allora.”
“Crepi.” Gli sorrise. “Ora vai a
riposarti.”
Francesco non se lo fece ripetere e si
chiuse in camera. Per quanto potesse essere inopportuno pensare una cosa del
genere in quel momento, si sentì fortunato a condividere parte della sua vita
con una persona come Elisa. Era in momenti come quelli che aveva seriamente
bisogno della sua vicinanza: lei sapeva esattamente come comportarsi. E sebbene
certe volte potesse cadere nell’insopportabile, ficcando il naso in questioni
che non la riguardavano, sapeva che lei ci sarebbe stata sempre.
***
“France.” Chiuse la porta alle sue
spalle, facendo attenzione a non far cadere il piatto che aveva in mano. Subito
tornò ad afferrarlo saldamente anche con la sinistra, avvicinandosi al letto.
Francesco era steso supino, le coperte che gli arrivavano sotto il naso. Non lo
richiamò, probabilmente stava dormendo. Posò il piatto sul comodino e si abbassò
su di lui, posandogli una mano sulla fronte. Scottava. Ma avrebbe dovuto
immaginarselo, quella sera aveva gli occhi rossi e lucidi. L’eventualità di
essersi fatto una canna non era proprio la più quotata, visto gli starnuti e la
tosse che presentava. Doveva essersi preso proprio una bella influenza, ad
andare in moto sotto la pioggia, però sembrava dormire tranquillamente.
Elisa pensò che il brodo ormai non
avesse più molto senso. Afferrò quindi il piatto per portarlo in cucina e
metterlo in frigo, ma venne trattenuta dalla mano di Francesco che le prese la
maglia che usava da pigiama. “No, lascialo qui.” Mormorò con gli occhi ancora
pesanti.
“Scusa, ti ho svegliato?”
“No, ho il naso tappato e non riesco a
respirare molto bene.”
“Vuoi misurarti la febbre?”
Francesco scosse lievemente la testa,
declinando l’offerta. “Meglio non saperlo. Se scoprissi di averla, starei
peggio.”
“Non ho mai capito questa tua filosofia
e penso che non la capirò mai.”
“Non importa.” Le sorrise, sollevandosi
sul gomito destro per prendere il piatto dalle mani di Elisa. “Ma come farei
senza la mia balia preferita?”
Elisa lo guardò roteando gli occhi,
sorridendo quasi lusingata. Le piaceva che Francesco avesse bisogno di lei. Si
sedette sul letto, affianco a lui, e lo guardò mentre si appoggiava al muro
della parete con un cuscino dietro la schiena e sorseggiava il brodo con il
cucchiaio.
“Mi è sempre piaciuto l’impegno che
metti nel versare l’acqua nella pentola per fare il brodo.” Scherzò, sapendo che
quello altro non era che uno di quei dadi comprati al supermercato e bolliti in
acqua.
“Che volevi? Che ti preparassi un brodo
fatto in casa?”
“È più genuino, sai? Si devono sempre
offrire le cure migliori ai malati.”
“Ma piantala. Bevi e stai zitto.”
“Sì, anche perché parlare col brodo in
bocca non so quanto possa essere conveniente.”
Elisa ridacchiò, meravigliandosi per la
facilità con cui Francesco ogni volta riusciva a farla ridere. Le sarebbe
piaciuto essere più spigliata, essere come lui. Lo guardava mentre si portava il
cucchiaio alla bocca, ingoiando il brodo quasi avidamente. E poi lui starnutì:
il piatto gli vacillò nella mano destra, la meno salda, e si rovesciò
parzialmente addosso a lui, sul copriletto e sulle lenzuola, così come quello
che aveva in bocca raggiunse anche la maglia di Elisa. Con un tempismo
d’eccezione, lei riuscì a prendere dalle sue mani il piatto ed impedire che un
secondo starnuto lo facesse rovesciare completamente e si allontanò da Francesco
per posarlo sul suo comodino.
“Ops…” Francesco si guardò attorno
assumendo un’espressione quasi dispiaciuta, ma Elisa gli vedeva chiaramente la
risata affiorare sulle labbra, proprio come stava succedendo a lei, e in pochi
secondi si ritrovarono a ridere beatamente entrambi. Elisa gli passò un
pacchetto di fazzoletti per soffiarsi il naso, per poi controllare il lago che
si era creato sul piumone.
“Che palle! Mi sono bagnato i boxer.”
“O ti sei pisciato addosso per lo
spavento.”
“Uhm…” ponderò Francesco. “Vuoi
annusare per controllare? Io ho il naso tappato.”
“France!” voleva suonare scocciata, ma
stava ridendo. “Dai, aiutami a cambiare le coperte.”
“Non lo puoi fare domani?” la supplicò.
“Vorresti dormire qui?” ed
indicò la zona bagnata.
“Si possono togliere e riscaldarci a
vicenda.”
Elisa alzò un sopracciglio. “Sei
serio?” lo riprese.
Lui annuì con convinzione.
“Sei incredibile.” Si passò una mano
sul viso, sospirando. “Forza, togli le coperte.” Gli disse, mentre lei ne
afferrava di pulite dall’armadio.
“Ma sono malato!” protestò lui, come un
bambino.
“Non mi importa.” Lo liquidò lei.
“Sei perfida.” Sogghignò.
Elisa non aveva mai amato fare le
faccende domestiche, era qualcosa che spesso e volentieri la spremevano di ogni
energia e le impediva di fare poi qualsiasi altra cosa. E lei con altrettanta
frequenza riusciva sempre a trovare qualcosa di meglio da fare, lasciando che
fosse Francesco la donna di casa. Ma quella scena comica, di Francesco
con i boxer a scacchi macchiati del brodo giallognolo, mentre sfilava le federe
dai cuscini e buttava tutto in un angolo, le fece venire il buon umore per
andare ad aiutarlo.
Impiegarono quasi un quarto d’ora a
rifare il letto, un quarto d’ora che aveva visto Elisa imprigionata nel lenzuolo
bagnato, presa alla sprovvista da un attacco di Francesco, e una cuscinata come
vendetta che quasi causò il crollo e la rottura dell’abat-jour e il definitivo
rovesciamento del piatto con brodo, che bagnò il tappeto ai piedi del letto
dalla parte di Elisa.
“Eli, fai più danni della grandine.”
“No, il piatto poteva rompersi, ma non
è successo.” Precisò lei, asciugando con le lenzuola già da lavare, la pozza che
si era creata.
“Solo perché hai avuto culo.” Schioccò
lui la lingua, mettendosi le mani dietro la testa, mentre la guardava
indaffarata.
Elisa rise, per poi prendere tutte le
coperte e portarle in bagno, ma Francesco la fermò. “Dammi, tanto mi vado a fare
una doccia, ho il brodo tutto addosso.”
“Questo perché dormi nudo.”
“Lo faccio per te, quindi non criticare
troppo.” Ghignò, per poi posarle un bacio sulla guancia e sorpassandola,
starnutendo di nuovo.
Mentre Francesco faceva la doccia,
Elisa aveva sistemato il letto, preso uno straccio bagnato all’acquaio della
cucina e pulito la zona di allagamento da brodo sul pavimento.
Si cambiò la maglia e si mise quindi
sotto le coperte pulite giusto quando Francesco rientrava in camera con il suo
accappatoio verde.
“Copriti gli occhi, potresti rimanere
ammaliata.” Disse, andando a prendere dal suo cassetto dei nuovi boxer, per poi
rimanere totalmente nudo per indossarli.
“Non vedrei niente di nuovo.” Borbottò
lei, restando comunque girata, fissandosi le mani che teneva in grembo.
“Oh, sei sempre più audace!” la prese
in giro, sdraiandosi nuovamente sul letto.
“Da quando stavamo insieme, sono
cambiata.”
“Lo so io dove sei cambiata.” Ammiccò
con il suo solito sorrido strafottente e beffardo. “Quando ci siamo conosciuti
non avresti nemmeno saputo dove mettere le mani.” Elisa si voltò bruscamente,
trovandosi però Francesco che si mordeva il labbro inferiore, sorridendo
malizioso. Dovette ingoiare le offese, sentendosi la gola più secca del
previsto.
“Ma tu non ti imbarazzi mai a parlare
di certe cose?” farfugliò, arrossendo.
“No, dovrei?”
“Sì!”
Francesco ridacchiò, per poi stendersi
al fianco di Elisa ed abbracciarla. “Grazie del brodo, anche se ne ho bevuto
solo due cucchiaiate.”
“Prego.” Rispose lei, sbuffando
stizzita. “E non starmi così vicino, pensa a Daniela.”
“Daniela mi ha mollato, non
preoccuparti.”
“Dev’essere stata la bambolina voodoo
che feci l’altro giorno.” Scherzò Elisa.
“Non credo, non sei mai stata troppo
abile con le maledizioni.” La stroncò senza ritegno. “Sai sennò quante morti
avresti provocato? Professori, l’Orlandi, tua madre, me…” Elencò sulle dita,
facendo ridere Elisa di gusto. “E poi Daniela sembra aver avuto ragioni più
grosse.”
Fu come una doccia fredda. Elisa tentò
di analizzare bene quello che aveva appena sentito, le parole, il tono. Sembrava
stesse raccontando una cosa da nulla.
“Cosa?” chiese lei, senza sapere
nemmeno che intonazione adottare per quella domanda. “Io pensavo scherzassi.”
“E invece no,” ribadì lui, stringendosi
ancora di più a lei. “Quindi ora sono tutto tuo. Fai di me quello che vuoi.”
“Piantala, France.” Voleva sembrare
autoritaria, ma la voce la tradiva, facendola apparire dispiaciuta. “Cosa è
successo? Magari non ti ha lasciato veramente, forse voleva solo un attimo di
pausa, no?” azzardò dopo un po’, iniziando ad accarezzargli i capelli, mentre
lui disegnava cerchi sul braccio di Elisa.
Lui alzò le spalle e per qualche attimo
non rispose. “Boh, magari invece era qualcosa che doveva accadere.”
“Qualcosa che doveva accadere?”
lo scimmiottò. “Ma non sei tu a non credere al destino e tutta questa roba? Non
hai sempre detto che sei tu a sceglierti la vita?”
“Ehi, ehi, piano con questi pensieri
troppo filosofici, ora.” Si lamentò Francesco, corrugando la fronte e
piagnucolando come un bambino. “Sono malato, non ho la testa per ragionarci.”
Elisa scioccò la lingua sorvolando
sulle sue scuse. Aveva capito: Francesco non voleva parlarne e, contrariamente a
come avrebbe fatto ogni qualunque altra volta, decise che non era il caso di
insistere. Questa era una questione ben più grave. Gliene avrebbe parlato lui
quando se la sarebbe sentita.
Francesco trattenne uno starnuto e si
girò un momento per recuperare il pacchetto di fazzoletti di carta per soffiarsi
il naso, ed Elisa non poté che pensare che forse la causa del suo raffreddore
fosse proprio Daniela. Lo guardò e sospirò tra sé e sé, e nonostante tutto, si
rese conto di essere felice di accoglierlo nuovamente tra le braccia – il
pacchetto di fazzoletti questa volta vicino – e sentire nuovamente il suo
respiro raffreddato su di sé. Si accoccolò, abbracciandolo, quindi spense la
luce dall’interruttore vicino al letto.
Forse quella non era stata una delle
giornate migliori per Francesco, ma Elisa dovette ammettere che,
paradossalmente, per lei, sì.
_________________________________________________
Ok, gente, rieccomi qui col nuovo
capitolo! Devo essere sincera, questo è uno dei miei preferiti, soprattutto la
prima parte, in cui vediamo un po' cosa sia successo a Francesco a causa di
Daniela.
Da questo momento in poi, ci sarà una
concatenazione di eventi più o meno belli, a seconda di chi vi sarà coinvolto.
Spero che anche questo capitolo vi sia
piaciuto, e come al solito, prima di sparire nuovamente a tempo indeterminato,
ringrazio le due anime pie che hanno commentato lo scorso capitolo: Brezza
e Faithboss! Grazie! :)
Alla prossima!
S.P.
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Capitolo 17 *** XVII ***
Nuova pagina 1
Era strano, nostalgico, ma la sensazione di
svegliarsi abbracciata a Francesco era sempre qualcosa che Elisa ancora non
aveva intenzione di dimenticare tanto facilmente. Non tanto per qualche
sentimento che molti avrebbero potuto fraintendere, ma perché Francesco aveva la
capacità di riscaldarla, di proteggerla come quasi nessuno in vita sua aveva mai
saputo fare. E poi Francesco l’aveva vista in tutte le peggiori situazioni della
sua vita – dai pianti disperati, ai rutti di apprezzamento, passando dalla sala
parto tra urla e molto altro – quindi non doveva nemmeno preoccuparsi di come
apparire la mattina appena svegliata. Per questo era diverso stare con Marco:
con lui Elisa sentiva di dover essere impeccabile, proprio come lo era sempre
lui, mentre con Francesco non era così. Ormai lui la conosceva e lei non gli
poteva nascondere alcun lato del suo carattere. In un certo senso era spacciata,
ma nell’altro era decisamente molto più rilassante.
Nonostante tutti questi pensieri in favore di
Francesco, Elisa dovette ammettere che quella era stata una delle notti più
terribili della sua vita. Le sentiva il collo e aveva dormito tutto il tempo con
la testa sul suo gomito spigoloso, quindi anche ogni posizione che aveva tentato
di cambiare non aveva portato ad alcun miglioramento. E poi Francesco si era
mosso tutta la notte sino a farla finire sul bordo del letto. In conclusione,
stava per cadere, aveva il torcicollo e non aveva dormito quasi per niente, sia
per le posizioni scomode che aveva assunto, sia per il russare di Francesco
nell’orecchio a causa del naso chiuso – oltre che qualche starnuto che gli era
scappato nella notte.
“France…” tentò di svegliarlo quel minimo che
bastava per infastidirlo e farlo rotolare qualche centimetro verso il suo lato
del letto, ma lui sembrava non muoversi, sebbene mugolasse per il disturbo.
“Dai, France…” lo spinse lievemente per le spalle. Elisa alzò la voce un altro
po’ e lo spinse con tutto il suo corpo. “Ehi, sto per cadere!” urlò sommessa,
non voleva effettivamente svegliarlo, bastava che le facesse spazio. E le era
andata bene che non le avesse rubato tutta la coperta, visto il freddo che
l’attanagliava alle gambe ogni mattina.
Finalmente Francesco si decise a collaborare
e si voltò verso il centro del letto, spostandosi soltanto dalla sua posizione
di lato a quella supina. Non era effettivamente una conquista soddisfacente, per
Elisa, che ancora si ritrovava sul bordo. Qualcosa però catturò la sua
attenzione. Una grossa cosa. Una cosa che per lei non avrebbe decisamente
dovuto esserci.
“France!”
“Che c’è!” rispose infastidito, gli occhi
ancora chiusi e la voce impastata dal sonno.
“Ehm…” Elisa si tappò gli occhi e si ributtò
giù sul cuscino – ora libero da Francesco.
“Che palle, Eli.” Bofonchiò. “Prima mi svegli
e poi non mi dici niente.” Era scocciato, ma dopotutto non era colpa di Elisa se
lui… Be’…
“France…” sospirò.
Lui si mosse, probabilmente per capire cosa
volesse dire Elisa, e capì.
“Ah.” Sbadigliò.
“Ah e basta? Vattene in bagno!” lo
scansò.
“Sicura di non volerne approfittare?”
ridacchiò con la voce pastosa, mettendosi nella sua parte destra del letto.
“Sicuramente Daniela l’avrebbe fatto, no?” si
lasciò sfuggire lei, tappandosi poi la bocca, sapendo di aver osato troppo.
“Sì,” rispose tranquillamente lui, cogliendo
Elisa alla sprovvista per l’indifferenza con cui parlava della questione. Se lei
fosse stata in lui, come minimo ora starebbe sprofondando nella depressione più
totale, dopotutto cinque mesi sono sempre tanto tempo. “Sai, credo che mi
mancherà per queste cose.” Aggiunse pensieroso, sebbene Elisa ne vedesse il lato
ironico.
“Ma piantala!” lo scacciò dal letto con una
pedata. “Fila in bagno, va’.”
“Ehi, guarda che non sono un appestato.”
Replicò lui, stropicciandosi gli occhi ancora pesanti e vogliosi di sonno.
“Questo è tutto segno di salute!” disse fiero.
“Sì, lo so, però…”
“Guarda che un tempo hai anche -”
“Sì, lo so cosa ho fatto un tempo!” lo
anticipò, mettendo le mani avanti e arrossendo violentemente. Sapeva bene cosa
aveva fatto, cosa avrebbe voluto fare e cosa avrebbe fatto in quel momento se
Francesco non se ne fosse andato seduta stante.
“A Marco non succede mai l’alzabandiera?”
“Sì, ma… È diverso!”
“Oh! Ma senti lì!” scherzò.
“France.” Lo minacciò con l’indice sfoderato
e puntato contro di lui come un’arma. “Se non vai in bagno, te lo taglio.”
“E dai, Eli,” ghignò lui. “Dovresti sentirti
lusingata, no? Sai, dicono che non sia solo qualcosa di fisiologico, ma anche
riguardante sogni erotici.”
“E chi mi dice che sia io che hai sognato?”
“Ti piacerebbe esserlo?”
“No.” Tagliò corto lei, coprendosi il viso
con le coperte, che avrebbero preso fuoco a contatto col calore che emanava, se
Francesco avesse continuato a fare allusioni del genere. Lo sentì uscire dalla
stanza con un sonoro starnuto, per poi tirare su col naso. Per quanto potesse
dirne lui, sicuramente quella nottata di sonno non gli era bastata per
riprendersi. E conoscendolo, lui avrebbe negato con altezzosità, dando mostra
della sua vena teatrale sempre pronta a colpire.
E non ci volle poco perché lei avesse la
conferma sulle sue condizioni: sentì crollare, se non il mondo, almeno uno
scaffale intero in direzione del bagno. Subito Elisa scattò in piedi – dopo un
ingrato capogiro – e raggiunse Francesco. La luce era accesa ad inquadrarlo
mentre cercava di alzarsi da terra, ricoperto di asciugamani, mentre sul
pavimento giacevano innocenti boccette di profumo fortunatamente integre,
pacchetti di fazzoletti, dei rotoli di carta igienica e chissà quanti altri
tubetti di creme.
“Cosa ti hanno fatto di male questi oggetti?”
chiese lei, offrendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
“Niente.” Biascicò lui, togliendosi gli
asciugamani che gli coprivano il viso. A guardarlo meglio, Elisa si preoccupò
ancora di più. Aveva gli occhi ancora lucidi, come la sera prima, per di più era
pallido. Nella penombra della camera non se n’era accorta, ma Francesco non
stava per niente bene. “Ho solo avuto un capogiro e mi sono aggrappato
alla prima cosa che ho trovato per non cadere.”
“Be’, complimenti per l’esito.” Commentò.
“Chi raccoglie tutto, ora?” Francesco la guardò con occhi supplicanti – Elisa
sospettava con una vaga certezza che si stesse approfittando delle sue
condizioni di salute e sospirò. “D’accordo, faccio io.” Poi si ricordò: “Ma
dopo!” ed uscì dal bagno, chiudendo la porta dietro di sé. Lo sentì tirare
su col naso. “E poi lavati!”
Tornando verso la camera, vide il mucchio di
fogli che si era messa a studiare negli ultimi giorni per eventuali colloqui e
subito prese una decisione. Quando si trattava di Francesco, finiva sempre così.
Prima o poi avrebbe dovuto smetterla di comportarsi ingenuamente. Di certo per
Marco non sarebbe stata una buona cosa.
***
Non si era accorta di essersi nuovamente
addormentata. Per di più si sentiva davvero stanca, quindi la piccola dormita di
certo non le era dispiaciuta. Anzi, avesse avuto più tempo, avrebbe continuato a
dormire. Purtroppo doveva alzarsi per portare Sofia all’asilo, il che avrebbe
previsto una doccia, preparare la colazione e vestirsi. Doveva ammettere di non
avere molta voglia e Sofia sarebbe potuta benissimo rimanere a casa.
Fu questione di secondi e anche quella
decisione fu presa: avrebbe continuato a dormire. Purtroppo non fu la buona idea
che sperava, perché tutt’un tratto si sentì immensamente colpevole per il
colloquio di quella mattina. Anche se chiudeva gli occhi, non riusciva a pensare
ad altro. Era quasi una condanna, ma effettivamente aveva ragione la sua
coscienza – su questo non c’erano dubbi. Si alzò di controvoglia e si
stiracchiò, notando Francesco nuovamente addormentato sulla sua parte del letto.
Aveva le coperte tirate fin sotto il naso. Gli si avvicinò e gli posò
delicatamente una mano sulla fronte: era caldo. La febbre non sarebbe scesa per
un po’.
Non fece in tempo ad aprire la porta di
camera che Sofia le si mostrò davanti, già pimpante di prima mattina. Elisa
guardò l’ora: erano solo le nove e mezzo e lei era già in piedi, il coniglietto
rosso per mano e un sorriso stupito.
“Mamma! Allora sei sveglia!” disse. “È tutto
per terra, nel bagno!”
Elisa le fece segno di abbassare la voce e la
prese per mano, allontanandosi dalla camera dove Francesco ancora dormiva. “Papà
sta ancora male, non disturbiamolo.”
“Perché sta male?” si preoccupò la bambina,
andando in cucina con la madre.
“Ti ricordi che ieri pioveva e papà è tornato
a casa tutto bagnato?” La bambina annuì. “Ha preso freddo, per questo ora ha
bisogno di riposarsi.” Le spiegò. “Quindi quando ti dico di coprirti bene perché
è freddo mi devi ascoltare, capito?” le sorrise. “Vuoi il latte, Sofi?”
“Sì – e papà non ti ha ascoltato?”
“Già, ha voluto fare di testa sua e ora sta
male.”
“Fai il brodo, allora!” propose entusiasta
Sofia, arrampicandosi su una sedia intorno al tavolo.
“Sì, a pranzo brodo per tutti.” Le diede un
bacio in fronte e poi si allontanò a preparare il latte per la piccola,
afferrando anche la scatola dei biscotti al cioccolato nello sportello in basso
a sinistra da farle rosicchiare nel mentre.
“Ma non si va all’asilo?” chiese Sofia, d’un
tratto.
“No, oggi io e papà siamo a casa. Volevi
andarci?”
“No,” negò con fare superiore e – Elisa
sospettava – tendente allo scocciato. “Carlo ha dato un bacio a Rachele e io non
lo voglio più vedere.” Aggiunse quasi indifferente. Le sembrava di parlare con
Francesco, per come affrontava l’argomento di fine-relazione.
“Ah, che cattivo!” commentò Elisa. “E perché
l’ha fatto?”
Sofia fece spallucce. “Ha detto che Rachele è
più bella di me perché ha i capelli gialli.”
“A me piacciono più le bambine con i capelli
neri come i tuoi.”
“Perché i miei capelli sono come quelli di
papà, vero?”
Elisa si sorprese per le parole appena
sentite dalla piccola, ma non poteva negare. Non sapeva come, ma la bambina
aveva colto un particolare decisamente curioso – e anche veritiero. “Sì,” le
sorrise. “Mi piacciono i capelli di papà e anche i tuoi.” Le si avvicinò e
glieli accarezzò dolcemente, sedendosi affianco alla piccola, mentre il latte si
scaldava sul fornello.
“A me piacciono i tuoi, mamma.” Disse lei,
prendendo una ciocca dei capelli rossi di Elisa e spazzolandola con le sue
piccole mani.
“Anche a me piacciono quelli della mamma.”
Elisa si voltò di scatto, sull’orlo di un
attacco di cuore. Più che per le parole inattese, lo spavento era dovuto a
quello che Francesco avrebbe potuto sentire del loro discorso.
“France!” esclamò lei, una mano al petto per
ordinare al cuore di rilassarsi. Davanti a lei, un Francesco moribondo stava
barcollando nella sua direzione avvolto da un accappatoio a righe verdi e
gialle. “Non dormivi? E perché indossi un accappatoio?”
“Non ci riesco, ho il naso tappato.” Si
lamentò, sedendosi in cucina. “Ho freddo ed è stata la prima cosa che ho trovato
di caldo nell’armadio.” Spiegò.
Elisa non poté che soffermarsi a guardarlo
meglio e soffocare una risata. Per quanto non stesse bene, la sua aria di
bambino spensierato e stravagante non accennava minimamente a diminuire. Lui era
la prima e unica persona che lei vedeva indossare un accappatoio come vestaglia.
“Mamma,” trillò Sofia. “Dài il latte caldo a
papà, ha detto che ha freddo. Io lo prendo dopo.”
“No, tranquilla, posso aspettare.” Le sorrise
lui.
“Ma così poi stai meglio!” insistette. “E poi
mamma ha detto che a pranzo fa il brodo!”
“Be’, speriamo di riuscirlo a bere questa
volta.” Sogghignò lui.
“Se non altro al tavolo dovresti fare meno
danni.” Gli rispose Elisa, prendendo il latte dal tegamino sul fornello e
versandolo in una tazza. Poi la passò a Francesco, che ringraziò Sofia, e ne
mise a fare un altro po’.
“Il colloquio a che ora ce l’hai?”
Ecco, la domanda peggiore che poteva fare,
Francesco ovviamente l’aveva fatta così, a bruciapelo e cogliendola totalmente
impreparata. Elisa boccheggiò qualche secondo, guadagnando tempo con un: “Eh?”
per raccogliere una scusa passabile – fortuna che gli dava le spalle.
“Non avevi un colloquio stamattina?”
“Ah, sì,” annuì, rimanendo voltata verso
l’acquaio, mettendosi a preparare la macchinetta del caffè per trovarsi
impegnata. “Me l’hanno posticipato.” Rispose, per poi augurarsi di passarla
liscia. Era una sua qualità impressionante: riuscire a sparare cazzate,
ottenendo solo che le si ritorcessero contro. “Non so ancora quando mi faranno
sapere. Forse domani.” Bugia immensa, ma se le sue dita erano ben incrociate,
tendenti all’annodate, Francesco non avrebbe fatto ulteriori domande.
“Oggi stiamo tutti a casa insieme!” esultò
Sofia, prendendo un biscotto dalla confezione sul tavolo.
“Già.” Le sorrise Elisa. Il battito cardiaco
aveva accelerato inappropriatamente, spostandosi dal petto alle orecchie. No, se
Marco l’avesse saputo non sarebbe stato per niente contento.
***
Era insopportabile. Insopportabile quanto il
ronzio della più fastidiosa zanzara potesse aver mai sentito. E lo sentiva nelle
orecchie a volumi sempre più alti. Cercava di non pensarci, ma sembrava non
sentire altro.
“Questo è il tuo maledetto Matthew Bellamy.”
Farfugliò alzandosi pesantemente dal letto. Aveva ancora gli occhi chiusi, non
riusciva ad aprirli a causa del sonno. Poco male, il trillo metallico del
cellulare di Elisa lo guidava, e lui lo seguiva con intenzioni non del tutto
apprezzabili. Solo quando ci fu davanti, aprì mezzo occhio, tanto per vedere chi
fosse che rompeva i coglioni a quell’ora antelucana – che scoprì essere quasi
mezzogiorno dal display del telefonino – e non poté che ridere dell’appellativo
fin troppo calzante che inconsciamente aveva affibbiato allo scocciatore: Marco.
Si guardò intorno, ma Elisa non era nella stanza e solo quando le sue orecchie
si furono adattate al trillo insistente del cellulare, Francesco poté sentire
anche il rumore della doccia, sotto la quale molto probabilmente c’era Elisa.
Avrebbe voluto chiudergli la chiamata in
faccia, ma visto che era Marco, e che Elisa non c’era, voleva un po’ divertirsi.
“Pronto.” Rispose atono.
“Francesco?”
“Aspetta, controllo sulla carta d’identità,
non ne sono sicuro.”
“Piantala, passami
Elisa.” Lo liquidò lui.
“Sta facendo la doccia.” Disse. “Stanotte s’è
bagnata.”
Marco farfugliò qualche parola sconnessa, per
poi sospirare e riprendere il discorso. “Per favore, mi passi Eli? Volevo
sapere come era andato il colloquio di oggi.”
“Gliel’hanno spostato. Domani le faranno
sapere.”
“No, ce l’ha oggi.”
Replicò Marco.
“Evidentemente non ti ha informato, perché
gliel’hanno posticipato.” Si fece altezzoso Francesco, appoggiandosi con un’anca
al mobile su cui era posato il cellulare in carica.
“Non credo.”
Insistette lui. “Domani dobbiamo uscire, se avesse dovuto aspettare una
chiamata importante, non credi che me l’avrebbe detto?”
“Forse se l’è dimenticato.” Ipotizzò
sarcastico. “Sai, succede anche a me con cose di cui non mi importa molto.” Fece
teatralmente, per poi essere interrotto da un brutale starnuto inaspettato.
“O forse ha detto una cazzata a te – e
piantala di dire certe cose, lo sai che non apprezzo.”
“E a che fine avrebbe dovuto raccontarmi una
cazzata?” tirò su con il naso, momentaneamente sprovvisto di fazzoletti.
“Ehm…” Marco non riuscì a ribattere e
boccheggiò per qualche secondo. “Non saprei…”
“Un altro punto per me.” Esultò senza
entusiasmo, ma piuttosto con la voglia di chiudere la telefonata e tornare a
letto – anche perché doveva andare a soffiarsi il naso.
“Piantala, passami Elisa.” Si
spazientì Marco.
“Sta facendo la doccia.”
“Dille allora di chiamarmi appena ha finito.”
“Se lo ricorderò.” Sbuffò.
“Sì, d’accordo, ho capito, richiamo io.”
Sospirò nuovamente. Era ma lui
a dover sospirare, pensò, non Marco. Come faceva Elisa a stare con uno
insistente come quel Silvestri?
“Bravo, vedi che impari?” lo prese in giro,
tirando su col naso. “Ora ti lascio, amore, ti amo.” Continuò imperterrito
Francesco.
“Io no. Ciao.”
La chiamata si chiuse così, e Francesco
soffiò mezza risata, pensando a come Marco aveva iniziato a saperlo prendere in
tutti i suoi aspetti. Avrebbe dovuto studiare altri metodi per avere sempre
l’ultima parola.
Posò il cellulare nuovamente sul mobile e
tornò a letto, soffiandosi il naso col fazzoletto che teneva sotto il cuscino.
Provò ad addormentarsi nuovamente, sebbene le note della suoneria di Elisa
ancora gli rimbombassero in testa. E mentre cercava di pensare ad altro per
liberare la mente da quella cantilena, gli sembrò di avere un dejà-vu: tutto ora
aveva più senso, anche se non l’avrebbe mai confidato ad Elisa. La stessa cosa
era successa cinque anni fa, proprio in circostanze analoghe, così analoghe che
quasi gli sembrava di riviverle. Era strano anche solo pensarlo, ma da Elisa
c’era da aspettarselo, lei c’era sempre per lui. C’era stata cinque anni fa,
proprio come c’era quel giorno. E ancora una volta, sarebbe stata lei a
rimetterci.
“Ah, sei sveglio.” Gli sorrise, aprendo la
porta di camera, mentre si asciugava i capelli probabilmente con l’asciugamano
verde fotonico che era in bagno – incredibile come potessero attirarla i colori
accesi. “Spero di non averti svegliato, ho fatto più piano possibile.” Chiuse
nuovamente la porta alle sue spalle, spegnendo l’interruttore del corridoio
confinante, ma non accese la luce della loro camera, e Francesco avrebbe giurato
che l’avesse fatto sapendo quanto lui la odiasse appena sveglio. E infatti
ancora una volta Elisa ne risentì. O meglio, a risentirne fu il suo piede –
forse proprio il mignolo, come capitava nel peggiore dei casi – perché Francesco
sentì un colpo seguito a ruota da un’imprecazione a denti stretti.
“Eli?” si preoccupò, cercandola nella
penombra.
“Tutto bene, tutto bene.” Pianse, per poi
allontanarsi in direzione dell’armadio per cercare col tatto biancheria e
qualcosa da mettersi. Francesco seguì la sua sagoma per tutto il tempo,
guardandola mentre si toglieva l’accappatoio sul suo lato del letto e spalmarsi
la crema anticellulite sulle gambe, come ogni mattina dopo la doccia. Lui le
aveva sempre detto che quelle creme non erano altro che cazzate, ma lei non gli
aveva mai dato ascolto, facendo come al solito di testa sua. Anche questa volta
lo pensò, ma quando aprì bocca, le chiese tutt’altro: “Ha chiamato Marco,”
iniziò. “Ha detto che il colloquio l’avevi stamattina.”
Il profilo di Elisa si voltò nel buio della
stanza e sembrava guardarlo. Lui non poteva vederne l’espressione, ma conoscendo
Elisa da un bel po’, ormai, avrebbe giurato che fosse stupita, e magari ora
stesse ringraziando l’ombra per non essere stata vista direttamente.
“No,” disse lei dopo un po’. “Me l’hanno
posticipato, te l’ho detto.”
Francesco sospirò. Era inutile, lei non
l’avrebbe mai confessato. “Eh, infatti gliel’ho detto.” Rispose, dandogliela
vinta. Se non altro non poteva che ringraziarla, sapeva bene che, come cinque
anni fa, lei non l’aveva fatto altro che per lui. Per quanto Francesco potesse
non essere d’accordo con le sue scelte, ormai non poteva farci niente. Ed Elisa
di certo non gliel’avrebbe permesso.
________________
Ci siete rimasti, eh! Non vi aspettavate un aggiornamento
così vicino al precedente! Dovete il merito a _V a l e_, che mi ha
incentivato a pubblicare direi più e più volte! Grazie! :)
Ovviamente c'è anche da ringraziare tutte le altre che
hanno commentato lo scorso capitolo: Faithboss, Brezza e
SYLPHIDE88! Grazie per il sostegno che mi date! Lo apprezzo tantissimo e
sono stra contenta che vi piaccia la storia!
Detto questo, be', c'è poco da dire. Elisa ha fatto...
qualcosa di grosso, ecco. E Francesco ovviamente lo sa. Prossimamente scoprirete
cosa, ma una descrizione precisa non so ancora se verrà fatta, visto che l'idea
di scrivere il "prequel" di questa storia in realtà c'è ancora - sebbene sia
molto molto molto lontana... Nel caso però mi ricreda e non la scrivessi, non
preoccupatevi, gente, perché pubblicherò in alternativa un missing moment per
scrivere di quel periodo! ;)
E ora vi saluto!
Alla prossima!
S.P.
|
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Capitolo 18 *** XVIII ***
Non che ne avesse voglia
Non che ne avesse voglia, ma vista la
decisione presa, era un obbligo a cui non poteva sottrarsi, quello di cercare
offerte di lavoro e studiare per eventuali ed utopici colloqui. Era come se la
sua coscienza si fosse imposta tutta insieme, dopo giorni di totale assenza.
Be’, magari avrebbe dovuto tornare un po’ prima ed evitare che la sua
irrazionalità prendesse il sopravvento, pensò Elisa, buttando svogliatamente un
blocco di fogli con vari appunti sul tavolino e stiracchiandosi: era stanca e
ovviamente non aveva voglia di prendere in mano un altro articolo con tanto di
approfondimento del regolamento d’attuazione del codice degli appalti. E Sofia
non aiutava, saltellando per la casa, chiedendole di colorare insieme a lei.
Fortuna che al momento si era rintanata in camera a giocare con le bambole – un
gioco da grandi a cui Elisa non avrebbe dovuto assistere.
Francesco era tornato in camera da un
po’, molto probabilmente stava dormendo in quel momento. Per un attimo Elisa si
perse a rivangare quelle poche parole che lui le aveva detto riguardo il suo
rapporto con Daniela. Mordicchiava il tappo della penna come se fosse un cane
con la rosica, a causa dello stress, e mentre se la rigirava in bocca,
pensierosa, non poté che avvertire una fitta all’idea che lei potesse essere la
causa della loro rottura.
Ci manca solo che mi senta colpevole
per loro! Chiuse gli occhi
con foga ed allontanò quel pensiero per far spazio ad altre nozioni che avrebbe
dovuto stipare nel poco spazio rimasto libero nel cervello, afferrando quel
fascicolo che adocchiava con ribrezzo. Come minimo Daniela c’entrava qualcosa
con il raffreddore – come si ostinava a chiamarlo lui, mentre Elisa
pensava più ad una bella e grossa influenza – anche se Francesco non le aveva
detto niente. Nella testa di Elisa si stava sempre più affollando l’idea di una
Daniela tiranna, con tanto di zanne aguzze e occhi indemoniati.
Ok, aveva bisogno di una pausa. Non era
il caso di continuare a studiare mentre la mente non faceva che farle vedere
quella psicologa inopportuna reggere un frustino come scettro. Scaraventò
nuovamente il fascicolo sul tavolo, senza sentirsi in colpa per i maltrattamenti
che gli stava facendo subire, e si alzò, dirigendosi anche lei in camera. Non
che avesse sonno, voleva solo non fare niente. E stare stesa sul letto era una
delle cose che amava incondizionatamente. Chissà che poi il sonno non sarebbe
sopraggiunto davvero: da una parte ci sperava.
Francesco era steso sul letto supino,
una gamba sotto le coperte e una fuori, mentre teneva tra le mani i fazzoletti
come se fossero la cosa più preziosa potesse aver mai trovato in vita sua. Aveva
la bocca aperta, molto probabilmente per il naso tappato che non gli permetteva
di respirare tranquillamente.
Si mise anche lei sotto le coperte,
dando le spalle a Francesco e togliendosi gli occhiali e l’elastico che le
teneva i capelli tirati indietro, in modo che non le dessero fastidio nello
studio, quindi spense la luce che aveva momentaneamente acceso per evitare di
amputarsi manualmente il mignolo del piede, incontrastata vittima di ogni
scontro con spigoli e porte.
“Ero sotto casa sua.”
Nemmeno chiuse gli occhi, che li sgranò
quasi impaurita, se non sorpresa di sentire quelle parole provenire da oltre le
sue spalle. Le ci volle qualche istante per collegare il tono – nonostante la
strana cadenza tendente all’abbattuto – al fatto che Francesco fosse
effettivamente sveglio. Le note nasali e l’intonazione pressoché inesistente,
fecero capire a Elisa che non stava ancora così bene come lui avrebbe voluto far
credere.
“Cosa?”
“Quando mi sono bagnato sotto la
pioggia,” disse lui. “Ero sotto casa sua.”
“Sotto casa di Daniela?” non che quella
domanda avesse bisogno di una conferma, ma voleva esserne certa al cento per
cento, riuscendo così a dare veramente la colpa di quello che Francesco stava
passando proprio a lei, esattamente come il suo cervello le stava proponendo da
tutta una mattinata.
“Ho aspettato sotto la pioggia non so
quanto perché mi aprisse.”
“E non l’ha fatto.” Elisa trasse la
conclusione dalle logiche conseguenze. Lui annuì di nuovo, stringendosi nelle
spalle quasi con indifferenza. “Perché?” si voltò verso di lui per guardarlo.
“Dice che la sto mettendo in secondo
piano.” Il viso di Francesco era ben visibile anche nella penombra della stanza.
La stava guardando vago, con gli occhi lucidi per la febbre. Ed Elisa non riuscì
a distogliere lo sguardo, una volta che lui decise di posare quei suoi occhi,
quegli occhi verdi che riuscivano, in un modo o nell'altro, sempre a mozzarle il
fiato, su di lei. “Dice che ti preferisco a lei.”
Elisa sentì il cuore cadere a peso
morto all’altezza dello stomaco, con conseguente fitta che le fece sgranare gli
occhi, oltre che accelerare il respiro. Lui la stava guardando serio, come se
cercasse una risposta. Ma lei che avrebbe dovuto dirgli? Di certo lei non aveva
fatto niente. Lei aveva altro a cui pensare. Quelle parole però la riscaldarono,
suonavano come qualcosa che aveva sempre cercato, ma mai trovato e quasi sperò
che fosse tutto vero, e non semplici paranoie della psicologa bionda. Boccheggiò
qualche volta, prima di riuscire a dar voce alle parole. “E… Ed è vero?” ma si
pentì subito di averle pronunciate.
Ancora lo sguardo di Francesco era
fisso nel suo, ancora in cerca di quella fantomatica risposta che nemmeno lui
probabilmente riusciva a darsi. Era quasi come se la cercasse nei suoi occhi. E
per un attimo, Elisa tornò a sentirsi importante per lui. Importante come
sembrava esserlo stato cinque anni fa, quando tutto era iniziato. E finito.
Francesco però interruppe quell’intensa
connessione e abbassò lo sguardo, nascondendo il colore dei suoi occhi. Non
rispose, Elisa poteva sentire solo il suo respiro, oltre che i propri battiti
cardiaci rimbombare nelle orecchie.
Sapeva che non doveva crederci, che non
doveva neanche solo pensarci, ma non poté impedirsi ulteriormente di frenare
quel piccolo pensiero, il più forte tra tutti quelli contrastanti: non poté che
associare quel gesto di Francesco ad un’ammissione, una confessione che magari
anche lui si rifiutava di prendere in considerazione, proprio come le ordinavano
i pensieri più razionali che erano stati ben scavalcati dalla sua irrazionalità.
Ma fu questione di secondi, perché come se il raziocinio la stesse prendendo a
schiaffi per risvegliarla, Elisa chiuse gli occhi e se li strusciò, come a voler
abbandonare un sogno alle spalle e svegliarsi nuovamente nella realtà intorno a
lei. Lui era solo abbattuto per il brutto periodo che stava passando con
Daniela. In tutti gli anni che Elisa lo conosceva, non l’aveva mai visto così a
terra. Le fece male ammettere che probabilmente questa Daniela fosse veramente
importante per lui. Per Elisa era una sconfitta, si sentiva messa in disparte,
ora più che mai.
“La ami, vero?” non si accorse nemmeno
delle parole che le uscirono dalla bocca finché non le sentì.
Francesco impiegò qualche istante di
troppo a rispondere. “Le volevo bene, sì.”
“Gliel’hai mai detto?”
“Sì.”
“E lei?”
“Ne era felice. Proprio come quando lo
dico a te.” Le sorrise. Elisa non sopportava vederlo in quello stato… Ed era
tutta colpa della febbre! Quel suo aspetto spossato, quei suoi occhi lucidi,
l’affannamento… Era tutto dovuto alla febbre, che faceva apparire Francesco più
sensuale di come già le appariva normalmente. Le parole che pronunciava, altro
non erano che la ciliegina sulla torta di quel suo atteggiamento involontario
che però le stava mostrando senza il minimo ritegno. Le pause ad effetto altro
non erano che pause per prendere fiato a causa del naso tappato, e lo sguardo
serio, altro non era che lo sguardo assonnato.
Elisa doveva darsi una calmata. I suoi
pensieri troppo speranzosi e rivanganti il passato dovevano darsi una calmata.
Ma soprattutto, i suoi ormoni dovevano darsi una calmata.
“Ma lo sai che ho sempre avuto problemi
a capire cosa provo.” Aggiunse. Elisa pensò di aver sentito male quando sentì
una parvenza di risata soffiarle sul braccio, ma non poté che prenderne atto:
Francesco non riusciva a prendere sul serio la questione. O forse la prendeva
davvero sul serio, ma non voleva darlo a vedere. E a pensarci, Elisa pensò che
la seconda opzione fosse quella che più si addiceva a Francesco.
“Già.” Rispose rassegnata. “Ma questo
non è un motivo sufficiente per chiuderti fuori casa.”
“Penso che mi abbia voluto dire che è
finita, te l’ho detto.” Alzò le spalle, sfiorando la linea dell’indifferenza,
impressionando ancora una volta Elisa per la facilità con cui lui ne stesse
parlando a parole.
“Ma cosa dici?” lo scosse dolcemente
lei. “Basta solo che vi chiariate. Tanto lo so, dopo aver fatto sesso, voi
sarete ancora più contenti di prima.” Aggiunse con una certa vena di sarcasmo
velenoso.
“No, basta.” La contraddisse Francesco.
“Ho lasciato correre troppe cose.” Si passò una mano sul viso, per poi chiudere
gli occhi, la testa sul braccio piegato sul cuscino. Elisa lo guardava, dubbiosa
se dire quello che pensava oppure no. Di certo Francesco in quello stato
destabilizzava un bel po’ e lei non poté negare di iniziare a sentire più caldo
del solito. “Se lei non vuole capire, è inutile che io le ripeta le stesse
cose.”
“Forse era solo il momento sbagliato.”
Infine parlò. Avrebbe voluto non farlo, ma riconobbe l’egoismo del gesto e volle
fare il contrario per liberarsi dal senso di colpa. “Sai, forse aveva solo
bisogno di stare un po’ sola a pensare.”
“E quindi dovrei tornare da lei
nonostante tutto?” le chiese nella sua più totale indifferenza, gli occhi ancora
chiusi e il respiro irregolare per riuscire a respirare mentre parlava.
“Provaci.” Propose Elisa. “Chiamala.”
Se da una parte le sembrava di darsi la zappa sui piedi, dall’altra la poca
coscienza che tentava ancora di farsi valere le rinfacciò che lei avrebbe dovuto
stare lontano da Francesco e pensare di più a Marco.
“Di certo non ora.”
“Come vuoi…” sospirò Elisa.
Il silenzio li avvolse per qualche
minuto, minuto in cui Elisa decise di chiudere gli occhi a sua volta, visto che
Francesco non sembrava intenzionato a continuare quel discorso. Be’, poteva
capirlo, ma poteva anche essere che la stanchezza dovuta alla febbre l’avesse
fatto addormentare quasi improvvisamente.
“Ehi,” e come succedeva ogni volta che
Elisa pensava di sapere cosa frullasse nella testa di Francesco, ecco che lui la
prendeva in contropiede.
“Dimmi.” Aprì nuovamente gli occhi,
trovandosi davanti quelli verdi di Francesco.
“Vieni a lavorare da me.”
E questo non era un semplice
contropiede, questa era una secchiata d’acqua gelida addosso. Avrebbe pensato
che piuttosto si invertisse la rotazione della Terra o che Francesco giurasse di
non fare più battute a sfondo sessuale, piuttosto che una proposta del genere.
“Eh?” fu l’unico suono che uscì dalle
labbra aperte per lo stupore di Elisa.
La penombra della stanza non rendeva
giustizia al colore degli occhi del ragazzo, ma Elisa li poteva vedere molto
bene, erano lì, davanti a lei, sebbene fossero lucidi, erano sinceri. Non c’era
traccia di una potenziale presa per il culo degna di Francesco.
“Vieni a lavorare con me, Gianluca,
Nicola e Fede.” Ripeté. “Non hai più un lavoro e non ti piace studiare.” Tagliò
corto. “E hai perso l’unica possibilità che ti era capitata tra le mani.”
“Ma cos-” Elisa trasalì. “No, te l’ho
detto: il colloquio è stato -”
“Non prendermi per scemo,” sospirò
Francesco, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso. “Lo so cosa hai fatto.”
Elisa si sentì avvampare. “Di nuovo.”
“Di nuovo?” ripeté Elisa, senza
connettere alla realtà. “Non intendi mica…?”
“Certo che intendo l’esame di Scienza
delle Costruzioni.” E da quello sguardo non si scappava. Elisa provò a
nascondersi dietro una mano, ma era inutile, sentiva lo sguardo di Francesco
fissarla roventemente.
“Oh…”
“Pensavi che non me ne fossi accorto?”
soffiò una risata, avvicinandosi a lei e abbracciandola. “Sei veramente senza
speranze.” La canzonò, mentre lei ancora teneva le mani sul viso.
“E allora potevi evitare di farmi
montare cazzate su cazzate.” Mormorò tra l’imbarazzo e la vergogna, alzando lo
sguardo diffidente su di lui, che la guardava a sua volta con occhi assurdamente
vivaci, visto il discorso che aveva preceduto quella rivelazione. “Non facevi
prima a dire che sapevi tutto, brutto stronzo?”
“E dove stava il divertimento?”
“Ah, già,” schioccò la lingua lei.
“Dimentico sempre che ti piace prenderti gioco delle sventure degli altri.”
“Ehi, guarda che hai fatto tutto da
sola, Eli.” Ridacchiò.
Lei, in risposta, non si sprecò ad
elaborare frasi sensate. Si limitò a borbottare parole che a lei stessa parevano
sconnesse e incoerenti, ma tanto bastava per far capire a Francesco sempre la
stessa cosa: con te è inutile anche solo discutere di certe cose!
Lui la cullò ironicamente, mentre lei
continuava imperterrita a mostrargli il broncio.
“Smettila, che mi attaccherai
qualcosa.” Si allontanò lei. Non avrebbe voluto, ma qualcosa l’aveva spinta a
farlo prima che se ne rendesse effettivamente conto.
“Ah, già, domani devi uscire con
Marco.” Ruotò gli occhi, sospirando, sebbene lo facesse con sarcasmo. “Cosa gli
dirai di questa faccenda?”
“Niente.” Rispose chiara e concisa,
abbassando lo sguardo e sentendosi enormemente colpevole. Non avrebbe dovuto
agire come invece aveva fatto irrazionalmente, troppo velocemente perché la
parte razionale del suo cervello le potesse dare della stupida – offesa che le
stava ripetendo all’orecchio da almeno una mattinata intera – e ora doveva solo
subirne le conseguenze.
“Marco non è scemo, Eli.” La rimproverò
Francesco. “Se ne accorgerà prima o poi.”
“Sì, lo so.” Dovette ammettere,
sospirando tristemente. Ma come poteva dire a Marco di aver perso il colloquio
per stare con Francesco, che si sentiva male. Lui aveva bisogno di lei, era pure
crollato in bagno per un capogiro! Elisa però non era convinta che Marco potesse
stare zitto davanti una cosa del genere. In fondo gliene aveva fatte passare
tante, questa sarebbe stata la più grossa ed Elisa aveva proprio esagerato.
“Accetta la mia proposta.” La voce di
Francesco si insinuò nelle sue orecchie tentatrice, quasi a volerla persuadere
che quella fosse la giusta via da seguire. Magari aveva ragione, magari no.
Elisa avrebbe voluto, ma allo stesso tempo sentiva che era qualcosa di
azzardato, troppo azzardato per poter essere affrontato senza ripercussioni.
“Allora?” Insistette Francesco, abbracciandola nuovamente.
“France,” iniziò Elisa, sentendo dentro
di sé due schieramenti incredibilmente avversi che non le davano una nitida
visuale della questione. “Ci penserò, d’accordo?” Lui la guardò annuendo, forse
comprendendo il conflitto interiore che la preoccupava. Lo apprezzò, contenta
che lui non le facesse ulteriori pressioni. Gli sorrise e accettò di
accoccolarsi nuovamente tra le sue braccia. “A patto che tu chiami Daniela.”
Aggiunse. Personalmente, avrebbe esultato al sapere di non avere più quella
psicologa bionda tra i piedi, ma sapeva che in fondo a Francesco importava di
lei, sebbene lui facesse finta di niente. Magari quel suo modo di fare altro non
era che una copertura, una messinscena ai suoi veri sentimenti. Elisa l’aveva
sempre pensato dacché lo conosceva, ma non era mai riuscita a capire, perché lui
per primo sviava con discorsi irraggiungibili ed enigmatici. Ma dopotutto, se
non avesse seriamente tenuto a Daniela, non avrebbe preso tutta quell’acqua per
stare appostato sotto casa sua.
____________________________
Et voilà! Nuovo capitolo! Su, non ho
fatto tantissimo ritardo, vero? ;)
So che in questo capitolo pare non accada niente, ma in realtà è un po' il
contrario. Ci sono indizi per ciò che accadrà e anche qualche briciola di ciò
che è accaduto ormai cinque anni or sono.
Devo essere sincera: è stata un'impresa
scriverlo! Francesco è un personaggio complesso, sebbene non sembri, e spero di
aver descritto il suo comportamento senza sforare troppo dal personaggio che mi
sono fatta di lui. Voglio dire, l'ho reso ambiguo volutamente e infatti Elisa
non sa bene come comportarsi... Be', ovviamente le interpretazioni a ciò che
accade tra loro due spetta a voi, non mi piace imporvi il mio punto di vista!
Vediamo un po' che ne pensate!
Ora ringrazio _V a l e_,
Franzie_Temp97 e Brezza per i commenti lasciati nello scorso capitolo
(grazie, grazie, grazie!) e vi saluto!
S.P.
|
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Capitolo 19 *** XIX ***
Si erano dati appuntamento alle
Si erano dati appuntamento alle quattro
alla torre del vecchio castello della città e ovviamente lei era in ritardo. Era
una condanna: anche se avesse iniziato un’ora in anticipo a prepararsi, ci
sarebbe stato qualcosa che le avrebbe impedito di essere puntuale – o Sofia che
versa la caraffa dell’acqua, o lei stessa che si macchia la maglia appena messa,
o Chiara che chiama per raccontarle di Roberto, o proprio come quel giorno,
Francesco che pareva essere sull’orlo di un collasso – cosa che non gli impedì
comunque di fischiarle dietro quando lei, nuda per aver appena terminato la
doccia, era corsa a prendergli una bustina di zucchero per cercare di fargli
riguadagnare un po’ di energia. Più ci pensava, più Elisa realizzava di essere
stata palesemente presa in giro dai modi di fare di quell’idiota.
E così era arrivata, finalmente, alla
torre, dove Marco stava già indubbiamente e pazientemente aspettando. E dire che
si era pure dimenticata di avvertirlo. Era proprio senza speranza. Non se lo
meritava per niente un uomo come Marco.
“Ehi, eccoti.” Le sorrise lui,
facendola sorridere di rimando, sebbene imbarazzata. Lui le prese la mano e si
incamminò verso il viale alberato della città.
Era una giornata piuttosto cupa e
triste, osservò Elisa, e faceva anche decisamente freddo. Entrambi vestivano con
sciarpa e cappello. Solo Marco aveva i guanti – che si era puntualmente tolto
per poterla tenere per mano – mentre lei aveva rinunciato a cercarli vista l’ora
mostruosa che aveva toccato prima di uscire.
“Scusa il ritardo.” Mormorò lei.
“Tranquilla. Lo so che sei un caso
perso.” Ridacchiò.
“Be’, grazie, allora.” Mise un finto
broncio, sebbene non le riuscisse essere totalmente spontanea. Aveva quel
piccolo tarlo che le trapanava il cervello da quando Francesco gliel’aveva
fatto notare: cosa avrebbe dovuto dire a Marco, riguardo il colloquio che aveva
saltato? E soprattutto, avrebbe dovuto a dire a Marco il vero motivo?
“E il colloquio?”
Ecco, perfetto, sospirò Elisa, con la
voglia irrefrenabile di seppellirsi seduta stante per non affrontare la domanda,
o con l’alternativa di fermarsi a battere violentemente la testa contro un muro
delle case del centro storico, sperando di cadere in coma il più presto
possibile. Avrebbe preferito fronteggiare sua madre che Marco, almeno con lei
avrebbe iniziato ad urlare e la cosa si sarebbe conclusa come al solito: loro
due che non si sarebbero rivolte la parola per almeno un paio di giorni, se non
di più. Ma con Marco… Non avrebbe potuto sostenere il suo sguardo che l’avrebbe
imprigionata, guardandola con compassione – o peggio: delusione. Si
sentiva attaccata e braccata, senza via di fuga, senza scampo. E i suoi occhi
che guardavano ovunque, tranne che davanti a sé, oppure Marco, e il sorriso
tirato che aveva mostrato non appena aveva realizzato la domanda che Marco le
aveva rivolto, dovevano essere segnali che una persona come lui – un avvocato –
non si sarebbe lasciato sfuggire tanto facilmente.
Cacchio!
Perché diavolo era rimasta con
quell’imbecille di Francesco? Perché diavolo non l’aveva lasciato a se stesso.
Cavolo, aveva un raffreddore, non il colera o la peste bubbonica! Era grande e
vaccinato, poteva benissimo curarsi da solo. Eppure lei gli era rimasta vicino.
Ora poteva solo sperare che Marco non si arrabbiasse troppo.
“Il colloquio…” iniziò a farfugliare
con la disinvoltura di una bambina che sapeva di aver combinato un danno non
indifferente e di essere stata appena scoperta. “Be’, sai…” E poi, non seppe
come, le rimbombò come una cannonata nelle orecchie la voce di Francesco: “Vieni
a lavorare da me.”
“Non l’avevi oggi?” Chiese Marco, per
poi sfociare in un’espressione sbigottita e quasi stupita. “Ah, è vero!”
esclamò, cogliendo Elisa totalmente alla sprovvista. “Francesco mi ha detto che
te l’avevano posticipato, vero? Ti hanno chiamata?”
“Ah, no, ecco…” Che cacchio aveva detto
Francesco a Marco? “Ancora no.”
“Non saresti dovuta rimanere a casa,
allora?”
“No, non importa.” Gli sorrise. Le
sembrava di assistere alla conversazione da un punto di vista esterno a loro
due, da quanto si sentiva il sangue gelare e la testa sempre più vuota. Cosa
poteva inventarsi? E soprattutto perché doveva per forza inventarsi
qualcosa? Aveva così tanta paura della reazione di Marco da sentirsi costretta a
raccontare un sacco di balle? Ma che razza di relazione era diventata la loro,
allora? “C’è Francesco a casa.” Però stava continuando a mentire. “Se chiamano,
risponde lui.” E non sembrava intenzionata a smettere.
“Ah, quindi?” insistette lui, svoltando
a sinistra per imboccare finalmente il viale alberato che si colorava di colori
caldi, visto le giornate sempre più corte.
Elisa deglutì. Si sentiva una perfetta
idiota. Il suo cervello, alleatosi con sua coscienza la stava offendendo senza
mezzi termini, facendole perdere il filo del discorso per cercare di migliorare
la situazione. “Quindi… Francesco mi ha offerto un lavoro.” Disse tutto
d’un fiato. Non sapeva se avesse chiuso o meno gli occhi, ma la tensione e la
coda di paglia le annebbiarono la vista, come se lei stessa si rifiutasse di
guardare avanti, cercando di nascondersi dagli occhi delusi di Marco. La sua
presa salda sulla propria mano però non vacillò, rimase dolce e calda.
Lentamente, Elisa si voltò verso di lui per capire quale reazione si sarebbe
fatta strada nei suoi occhi, ma lui semplicemente la stava guardando come si
potrebbe guardare la donna amata in un qualsiasi momento di smarrimento. Uno
smarrimento però che aveva fini pennellate della tanto temuta delusione di cui
Elisa non riusciva a sopportare il peso.
“Ti ha offerto un lavoro?” ripeté. Era
ovvio che non stava aspettando altro che una risposta a quella affermazione.
“Sì,” sorrise Elisa, pregando che il
suo sorriso potesse anche vagamente sembrare veritiero. “Proprio ieri sera.”
Aggiunse. “Visto che del colloquio ancora non si sapeva niente. Lui ha pensato
di trovarmi un lavoro.”
Marco, la presa ancora salda sulla sua
mano, la portò a sedersi su una delle panchine di pietra che costeggiavano il
viale, rivolgendosi verso il fiume che si riempiva di colori autunnali. “Quindi
andrai a lavorare per lui?”
“Credo di sì.” E la sua parte razionale
tentò l’ennesimo suicidio, consapevole della sua più totale inutilità.
“Te l’ho offerto pure io un lavoro,
Elisa.” Disse Marco, sospirando. Non aveva alzato la voce, e tantomeno sembrava
arrabbiato. Ma il tono era duro, quasi ferito. “Perché hai accettato
quello di Francesco e non il mio?”
Elisa si sentì in gabbia: qualunque
cosa avesse provato a dire, sarebbe parsa come una scusa. Ma se l’era cercata,
quindi non poteva far altro che chinare la testa e annuire, sapendo che Marco
aveva decisamente tutte le ragioni del mondo schierate dalla sua parte.
Non aveva ancora risposto a Francesco
riguardo la proposta, l’aveva lasciato col dubbio, sebbene non appena
gliel’aveva sentita pronunciare, Elisa non avrebbe voluto altro che dire di sì.
Però aveva pensato a Marco, e si era sentita combattuta. Se avesse dovuto
mettere a confronto le due proposte di lavoro indubbiamente quella di
Francesco era più allettante, non tanto per poter stare vicino a lui – anzi, con
il brutto tempo che tirava nella sua relazione con Marco, non avrebbe dovuto
fare che allontanarsi da Francesco il più possibile.
“Be’, perché rientra più nelle mie
competenze.” Aveva osato Elisa. Da una parte era vero: non ci si vedeva proprio
in tailleur a portare posta e caffè. Certo, avrebbe potuto rimanere affianco a
Marco praticamente tutto il tempo, ma trovava più allettante lavorare per
Francesco e il suo gruppo di amici. “Marco, io non sono brava a portare caffè e
a fare fotocopie. Non avrei fatto alcuna facoltà, altrimenti.” Tentò di
giustificarsi.
Marco sospirò, passandosi una mano sul
viso come per mantenere il controllo, e a quel gesto Elisa si sentì privata di
ogni difesa. Da quando lo conosceva, non l’aveva visto mai, nemmeno una volta,
perdere il controllo. E di certo non avrebbe mai voluto vederlo. Per questo e
per la paura di aver drasticamente passato il limite, il suo cuore iniziò a
battere in maniera sfrenata, quasi a volerle far capire con linguaggio Morse la
grande cazzata a cui stava andando incontro. “Elisa,” iniziò lui, per poi
liberarsi lo sguardo dalla propria mano e dirigendolo tutto verso di lei,
inchiodandola come solo lui aveva la capacità di fare. “Il lavoro che ti ho
offerto era un lavoro altamente qualificato. Avresti dovuto catalogare
documenti, ordinare gli archivi… Nessun servizio da sguattera.”
Si vedeva chiaramente che Marco stava
facendo di tutto per non dare corda ai suoi sentimenti più profondi, quelli che
forse lui mai aveva mostrato, se non a sé stesso. Ed ora Elisa lo sentiva
vacillare, come se nemmeno lui fosse più in grado di trattenerli. Lo vedeva da
come la guardava e lo sentiva nella tensione che li aveva avvolti, quasi
separandoli da quell’atmosfera autunnale e calda che invece regnava in tutto il
viale alberato che li incorniciava.
“Ma…”Basta, non dire più niente!
“Ma il mio posto, le mie conoscenze…” No. “Sono tutte cose nell’ambito
dell’architettura!” perché stava così deliberatamente scavalcando ogni
campanello d’allarme che percepiva ovunque, in Marco e in se stessa? “Per quanto
non possa piacermi come lavoro dei sogni, io sono un architetto.” Stava
continuando come se qualcosa la spingesse e allo stesso tempo tentava di
fermarsi, ma era come una valanga di neve: ormai aveva preso velocità e niente
avrebbe potuto fermarla. “Se ho l’opportunità di tornare in quel campo, perché
me lo proibisci?”
“No,” il tono di Marco fu tagliente
come una lama di un coltello, e la trafisse nel petto, nello stomaco e in gola,
bloccandole il fiato per qualche secondo che le sembrò eternamente lungo. Lo
sguardo duro di Marco l’aveva bloccata e la sua fronte aggrottata sembrò quasi
spaventosa. Elisa non l’aveva mai visto così arrabbiato. Ma non era solo
arrabbiato, perché era come se dentro Marco, una moltitudine di sentimenti
stessero vorticando a velocità paurosa, senza permettergli di chiarire
l’espressione con una sola emozione. Elisa vedeva nel volto di Marco la rabbia,
ma anche la paura, la frustrazione e la delusione. E quando Marco parlò, fu come
un’esplosione dirompente, inaspettata e spaventosamente dolorosa: “Tu così hai
solo l’opportunità di stare più vicino a Francesco, ecco cosa.”
Fu un attimo, un attimo fin troppo
fulmineo per permettere ad Elisa di capire cosa si stesse agitando dentro di
lei. Ma in quell’attimo si ritrovò ad indietreggiare e ad alzare la voce in
espressione di quello che più sospettava: “Ma dillo che sei geloso marcio di
Francesco!” urlò, tentando di tenere la voce tremante per qualcosa di molto
simile alla rabbia più bassa che poteva. “Dillo, così una volta che l’avrai
ammesso ti sentirai più sollevato!”
E Marco non tardò a rispondere,
trascinato in quel vortice di accuse che – per attacco o per difesa – erano
uscite violentemente dalle sue labbra. “Sì, d’accordo?” sbottò, allargando le
braccia. “Sono geloso di Francesco!” ammise con irruenza. “Ma dammi torto,
Elisa! Lui vive con te, avete una figlia, vi conoscete da anni… E io chi sono?”
non passarono che pochi secondi da quel suo slancio d’ira, che già sembrò
calmarsi, o meglio: rassegnarsi. “Sono solo un uomo che conosci da poco più di
un anno, che ha visto tua figlia solo una volta, oppure sempre e solo in
fotografia.” Iniziò, abbassando lo sguardo sulle mani che aveva raccolto sulle
gambe. “Non ho nemmeno il permesso di entrare in casa tua quando voglio farti
una sorpresa.” Fece una pausa che Elisa non si sentì di interrompere. Non si
toccavano più, e lui nemmeno la guardava. “Per uscire, devi avere il permesso di
Francesco, come se fosse tuo padre. O peggio,” la guardò con tristezza negli
occhi. “Tuo marito.”
Questa volta fu il turno di Elisa a
distogliere lo sguardo agli occhi di Marco, troppo spogliata delle sue difese,
soprattutto quelle che il più delle volte le rivolgeva Marco stesso.
“Marco, piantala.” Chiuse gli occhi e
solo dopo averli riaperti riuscì ad elaborare qualche pensiero coerente. Ma la
coerenza di Elisa il più delle volte non rispecchiava la razionalità che avrebbe
dovuto adottare nei momenti più importanti. Anzi, la coerenza, per quanto
determinata potesse essere, seguiva perlopiù il filo della sua irrazionalità. E
questa volta non faceva eccezione. “Piantala, perché mi stai facendo davvero
infuriare!” sibilò. Non le piaceva che Marco potesse alludere a Francesco in
quel modo. Non era rispettoso nei suoi confronti, visto tutto quello che aveva
passato e sopportato. Per di più questa era una discussione che riguardava loro
due. Loro due e basta. L’allusione a Francesco in quel modo aveva ferito Elisa
più del dovuto. E Marco se ne accorse.
“Bene!” soffiò pure lui. “Allora
infuriati!” le urlò sommessamente. “Perché se urlando è l’unico modo per parlare
con te, allora urla! Grida, ruggisci!” e nuovamente sembrò calmarsi. Non era
proprio nella natura di Marco alzare la voce, litigare con qualcuno a cui teneva
con tanto sangue alla testa. Lui era una persona estremamente e quasi
eccessivamente razionale, quadrata. “Elisa,” sospirò. “Io voglio chiarire questa
faccenda.”
“Ma cosa c’è da chiarire?” lo supplicò
Elisa. “Te l’ho detto un’infinità di volte che io e Francesco non stiamo
insieme!” gli prese le mani nelle sue e lo guardò con occhi imploranti, feriti
dalle parole di Marco. E molto più feriti dalle proprie. “Non devi vederlo come
una minaccia!” continuò, spostando le sue mani, ora, sul suo viso. Lo guardò
negli occhi, volendoci annegare, inebriare nuovamente dentro, come aveva sempre
fatto dacché lo conosceva. “Io sto con te.” Gli sussurrò. “Amo te.” Cercò di
sorridere. “Sono tua, capisci?”
Marco sospirò e distolse lo sguardo
dagli occhi di Elisa, afferrandole delicatamente le mani con le sue ed
allontanandosele dal viso. Lei non oppose resistenza.
“Elisa, io ho seriamente bisogno di
conferme.” Quando sollevò di nuovo gli occhi su di lei, erano colmi di
tristezza. “Non puoi lasciarmi sempre in disparte ogni volta che Francesco ti
chiama o ti impedisce di venire da me.”
Elisa accettò le sue ragioni. Le aveva
sempre e solo immaginate, sospettate, ma non le aveva mai prese in
considerazione seriamente, contando sull’infinita pazienza di Marco.
“Lo so,” disse. “Ma tu devi capire che
la mia situazione non è facile.”
I loro occhi si rispecchiavano l’un
l’altro, guardandosi come per convincere sia se stessi che l’altro. Cercavano
entrambi un aiuto, un sostegno reciproco, qualcosa che potesse far capire a
tutti e due che potevano andare avanti ed affrontare questa situazione insieme,
senza voltarsi le spalle, anzi, prendendosi per mano e confidando in una
soluzione.
“Sì,” mormorò Marco, posando una mano
sul viso di Elisa, accarezzandone la pelle liscia e cosparsa di lentiggini. “Lo
so.” Elisa si appoggiò alla sua mano e chiuse gli occhi, portando la propria su
quella grande di Marco. “Scusami.”
“No,” negò lei. “Sono io che devo
scusarmi.” Disse. “Ho alzato troppo la voce. Ho esagerato.”
Lui le prese il viso
con entrambe le mani e lo attirò a sé, per poi sfiorarle le labbra con le sue.
Elisa si accorse che aveva bramato quel bacio dacché era iniziata la loro
discussione, come segno di riappacificazione e di perdono da parte di tutti e
due, ma sapeva che un solo bacio non poteva bastare a sanare quella crepa che
sembrava essersi insinuata tra loro.
__________________________
Ed eccomi qui, gente, con Marco che
sbotta dopo la bellezza di diciannove capitoli! Be', si meritava anche lui ad
una sfuriata, no? Detto fra noi, questo capitolo mi piace, perché - sebbene in
minima parte - mostra che anche Marco alla fin fine ha le cosiddette "palle".
Oh! Anche lui ha da difendersi, in un modo o nell'altro.
Non mi dilungo maggiormente perché tanto il capitolo parla da sé, mi sembra.
Quindi vi lascio con i dovuti ringraziamenti alle tre persone che hanno
commentato lo scorso capitolo (SYLPHIDE88, _V a l e_ e Brezza)
e vi saluto!
Un bacio! :)
S.P.
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Capitolo 20 *** XX ***
Nuova pagina 1
“Perché non c’è più rispetto per i
malati?” ringhiò Francesco, strisciando verso la porta d’ingresso per mettere
fine a quell’assordante trillo del campanello. Faceva anche freddo e si era
dimenticato di indossare la felpa, visto che l’accappatoio era stato costretto
ad un lavaggio d’urgenza la sera scorsa a causa di un incontro troppo
ravvicinato con un sugo di pomodoro bollente. “Chiunque tu sia, smetti o ti
denuncio.”
“Che bel benvenuto, France.” Il sorriso
divertito di Gianluca gli si parò davanti quasi improvvisamente, facendo roteare
gli occhi a Francesco, che gli cedette il passo per farlo entrare.
“Ciao, Gianlu.” Lo salutò, chiudendo
poi la porta dietro di sé e scivolando sul divano.
“Come stai?”
“Come l’uomo che corse la maratona di
New York usando solo i pollici.”
“Ah, interessante. Mi domando se sia
veramente esistito questo tizio.” Si sedette sul divano, affianco a Francesco.
“No, ma se fosse esistito, mi sentirei
esattamente come lui. Non ho nemmeno la forza di andarmi a tagliare la barba. E
poi stavo dormendo.” Grugnì.
“Uhm, ti ho colto in un momento di
profonda meditazione, allora.”
“Ovvio.”
“E piantala di fare il cadavere!” gli
dette una vigorosa patta sulla spalla, facendo schizzare Francesco in piedi. “E
ringrazia che non abbia fatto venire quegli altri due.”
“Ah, già, un coglione è più che
sufficiente.” Si massaggiò la spalla. “Cazzo, Gianlu, mi hai rotto una
clavicola!”
“Ma va’!” fece un vago gesto con la
mano, mostrando il suo scarso interesse per il dolore di Francesco. “Federica ti
avrebbe stritolato così tanto che te ne avrebbe rotte due.” Ridacchiò.
“Come sei riuscito a non farli venire?”
si sedette nuovamente sul divano. Era stato trascinato fuori dalle coperte con
violenta forza, dovuta al suono trapanante del campanello della porta. Stare a
torso nudo non aiutava a sentire meno freddo.
“Quando sono uscito, Nicola era in
bagno.” Francesco annuì comprendendo la gravità della situazione. “E ho detto a
Federica che nello stanzino qualcuno aveva sbagliato a rimettere a posto i dati
dei Farina.”
“Non ti chiedo nemmeno chi mai potrebbe
essere stato a farlo.” Ghignò.
“Be’, a mali estremi, estremi rimedi.”
Alzò le spalle Gianluca. “Ah, però Fede si è accorta del mio tentativo di
sabotaggio.” Sospirò, aprendo la borsa. “E mi ha detto di darti lo stesso
questo.” Prese una piccola confezione cilindrica, avvolta nella carta da pacchi
con tanto di teneri orsacchiotti che esclamavano una buona guarigione al diretto
interessato. “Purtroppo ho la sensazione di sapere già cosa contiene.” Commentò
tra la risata e la rassegnazione.
Francesco accettò il pacchetto e lo
scartò, per poi rimanere a fissare l’oggetto con una mezza risata sulle labbra.
“Fino alla fine ho sperato che fosse un
ombrello.” Disse Gianluca, osservando il vibratore che Francesco nel frattempo
aveva tolto dalla confezione e aveva azionato, facendolo muovere in maniera
quasi inquietante.
“Oh,” esclamò Francesco teatralmente.
“Guarda che carini sono stati!” rise. “Pensano a noi due in ogni occasione!”
Gianluca alzò un sopracciglio con fare sospettoso. “Che dici, la prossima volta
che facciamo i nostri giochetti, lo usiamo?” rise sguaiatamente, mettendogli il
vibratore blu puffo sotto il naso, mentre Gianluca cercava di scansarlo con la
mano.
“Zio Luca!” e fu come un attimo: un
proiettile dai capelli corvini si scagliò contro Gianluca, mentre Francesco si
lanciava dalla parte opposta del divano per nascondere il vibratore sotto il
cuscino più vicino.
“Ehi, pulce, come stai?” Lui la prese
in braccio e la fece saltellare sulle gambe, portandola a ridacchiare. Francesco
apparve nuovamente composto al suo fianco, ora con un insolito cuscino dietro la
schiena, il sorriso a denti stretti e una minaccia di morte per quei due
coglioni che per poco non avevano turbato l’innocenza della sua piccola Sofia.
“Di’ a Federica e Nicola che appena
torno li ammazzo.” Gli sussurrò all’orecchio, per poi sfociare in un assordante
starnuto che fece sobbalzare Gianluca per lo spavento. “Scusa, ma colpiscono
quando meno te lo aspetti. Sono starnuti ninja.” Aggiunse poi, passandosi la
mano sotto il naso.
“Ma fai schifo!” berciò Gianluca. “Che
esempio dai alla povera Sofi?”
“Perché?” ridacchiò Sofia, trovando
quello starnuto qualcosa di esilarante.
“Sofi, vai a prendere un pacchetto di
fazzoletti a tuo padre, per piacere.” Le disse, quindi, facendola scendere dalle
gambe. La bambina corse verso il bagno e tornò poco dopo, così velocemente che
non diede il tempo a Francesco di nascondere in maniera migliore il vibratore
che ancora continuava a tenere dietro la schiena.
“Grazie, Sofi.” Disse Francesco,
accettando il pacchetto di fazzoletti che la piccola gli aveva offerto. “Cavolo,
questo starnuto mi ha rintronato persino il cervello.” Commentò tra sé e sé.
Sofia poi tornò da Gianluca e gli chiese di tornare sulle sue gambe e lui non
poté che accontentarla.
“Insomma, France,” riprese lui. “Come
va?”
Francesco odiò l’amico e la sua
capacità di riuscire a dire tutto quello che aveva da dire con solo una domanda,
una così semplice domanda che quasi disarmava.
“Eh, lo sapessi…” si grattò la testa,
mentre Sofia iniziava a giocare con le chiavi che aveva preso dalla tasca della
giacca di Gianluca.
“Posso…?” adocchiò la bambina con
l’allusione del permesso per poter essere più esplicito e Francesco, dopo un
attimo di riflessione, decretò che tanto Sofia non avrebbe capito, quindi annuì,
acconsentendo alle tanto odiate domande dell’amico. “Qualche sviluppo con lei?”
e arricciò le labbra come a voler sembrare sensuale per far capire a quale
lei si stesse riferendo, facendo scattare la risata di Sofia per la smorfia
che aveva assunto, e Francesco subito dopo.
“No, non ancora. E non so nemmeno se
succederà mai.” Confessò Francesco.
“France,” sospirò Gianluca. “Te l’ho
detto tante volte, quindi non sto a ripetertelo per ovvi motivi.” Ed indicò
Sofia con lo sguardo. “Ma dovresti sapere che sarebbe l’ora di prendere una
decisione.”
“E che decisione vuoi che prenda,
scusa?” alzò le spalle Francesco, per poi assumere l’espressione del tipico
starnuto improvviso, che però non arrivò. Sospirò scocciato. “Mi sembra che la
decisione sia fin troppo evidente e già direzionata.” Elisa aveva Marco, su
questo non ci pioveva, e Daniela era ormai parte del passato, sebbene fossero
passati solo pochi giorni da quando si erano visti l’ultima volta. Che decisione
doveva prendere, se non quella di mollare tutto e iniziare nuovamente tutto da
capo?
“E ti va bene così?”
“Mi spieghi perché mi riproponi sempre
questa domanda ogni volta che si entra in una discussione del genere?” alzò un
sopracciglio sospettoso, mentre incrociava le braccia al petto, il fazzoletto
sempre in una mano, pronto all’uso.
“Tu che dici?” lo guardò saccente.
“Che scassi anche parecchio i co-” si
zittì all’istante, ricordandosi di Sofia. “…comeri!”
Gianluca sfociò in una sonora risata.
“I cocomeri?”
“Perché lo zio Luca rompe i cocomeri?”
intervenne Sofia. “Non gli piacciono?” Francesco ridacchiò alzando le spalle.
“Zio Luca, non ti piacciono i cocomeri?”
“Be’, vedi…” farfugliò, cercando di
controllarsi.
“Ma non li devi rompere!” lo rimproverò
con il dito indice sollevato. “Mamma dice sempre che il cibo non si spreca!”
“È vero, ha ragione la mamma.” Le
sorrise, accarezzandole i capelli, per poi guardare Francesco, serrando le
labbra per non tornare a ridere istericamente.
“Ecco, allora non rompere più i
cocomeri! Sennò lo dico a mamma!”
“Eh, sarà dura…” commentò Francesco,
allungandosi sul divano e mettendosi le mani dietro la testa.
“D’accordo, pulce.” Ridacchiò Gianluca.
“E a parte i cocomeri,” riprese, guardando Francesco. “Che dici di tutto il
resto? Elisa ha trovato qualcosa?”
Francesco si ricompose, facendosi
improvvisamente serio. Non che la questione fosse drammatica o particolarmente
importante, però era vero che aveva fatto quella proposta ad Elisa senza nemmeno
consultare gli altri, cosa che tutti e tre – Nicola, Federica e Gianluca – gli
avrebbero fatto pesare a vita, perché se era vero che continuavano ad
impicciarsi dei suoi fatti personali, con questa confessione lui non avrebbe più
avuto vita, pugnalato sempre a tradimento dalle loro allusioni. Si sporse in
avanti e poggiò i gomiti sulle ginocchia, intrecciando le dita delle mani tra
loro.
“Be’, ecco,” si schiarì la voce. “Credo
forse di essere stato troppo avventato.”
“Tu?” lo guardò scettico. “Quando mai
non saresti avventato?”
“No, intendo che ho fatto una proposta
ad Elisa che forse a voi potrebbe non andare particolarmente a genio.”
Gianluca rifletté un momento sulle
parole e tornò a guardarlo, aspettando che continuasse. Chissà perché ma
Francesco sentiva che già sapesse tutto. “Ho proposto ad Elisa di venire a
lavorare da noi.”
Gianluca non rispose subito. Con una
mano teneva sempre Sofia sulle gambe, mentre con l’altra iniziò a grattarsi il
mento, coperto da un leggero strato di barba che lo faceva sembrare più vecchio
di quello che era. “Forse dovremmo parlarne anche con gli altri.” Disse infine.
“Sì, lo so che non è proprio l’idea
migliore in questo momento.” Sospirò. “Non è che gli affari vadano bene e non
abbiamo tutti quei soldi che pensavamo di fare coi nostri sogni di gloria,
però,” lo guardò serio. “Almeno finché non trova un vero lavoro, penso che possa
essere una buona soluzione, non credi?”
“Scusa se te lo chiedo, France.” Si
schiarì la voce. “Ma se tanto Elisa dovrà comunque trovare un altro lavoro,
perché riempirle la giornata con il nostro studio invece che lasciarla libera di
studiare e cercare annunci – e poi non aveva un colloquio in questi giorni?”
“La faccenda è complicata, lunga e
noiosa.” Lo affossò per evitare il discorso.
“Annoiami, dai.” Gli sorrise vincente.
“Be’, sappi solo che ha rifatto come
cinque anni fa.”
“Ah,” capì. “Ma questa volta era un
colloquio di lavoro!” aggiunse Gianluca, leggermente perplesso.
“Appunto per questo le ho offerto il
posto.” Sospirò ancora Francesco, passandosi una mano tra i capelli, per poi
buttarsi nuovamente contro la spalliera del divano, ricordandosi del cuscino
dietro la schiena.
“Oh, ora ho capito!” esclamò Gianluca.
Francesco non poté che roteare gli occhi intravedendo un velo di malizia nello
sguardo dell’amico. Tanto lo sapeva che avrebbe frainteso tutto. Come al solito,
d’altronde. “Ti sei sentito in colpa per averle fatto perdere il colloquio.”
“Ma figurati.” Schioccò la lingua. “Ha
fatto tutto di testa sua, io che c’entro?” alzò le spalle e sperò che Gianluca
non insistesse come al solito. “Lo facevo solo per non farla sentire totalmente
inutile.”
Gianluca fece una smorfia come a celare
la risata imminente e Francesco roteò gli occhi esasperato, sapendo già che
questa se la sarebbe legata al dito per poi riproporgliela come arma di ricatto
nei momenti più inopportuni. “Lei che ha detto al riguardo?” Chiese poi.
“Che ci avrebbe pensato.” Se io
avessi chiamato Daniela. Per un attimo Francesco si meravigliò di aver
pensato a quella precisazione, fino a quel momento non gli era più balenato in
mente, dimenticandosi completamente delle parole di Elisa.
“E se accettasse?”
“Te lo sto chiedendo per questo.”
“Ma nel caso accettasse e a noi non
andasse bene?”
“Oh, ma piantala!” schioccò la lingua.
“Tanto lo so che vi andrebbe bene!”
“E allora perché ce lo chiedi?”
“Per pura cortesia.” Puntualizzò
Francesco, assumendo un’aria superiore, boicottata tuttavia da uno starnuto che
lo portò a rendersi conto che aveva effettivamente bisogno di mettersi qualcosa
addosso. “Scusa un attimo.” Si alzò e si diresse in camera, aprì l’armadio e
prese la prima maglia che trovò, indossandola senza pensarci troppo. Fu solo
dopo essersi visto distrattamente allo specchio, che riconobbe quella maglia:
era la maglia a righe che gli aveva regalato Daniela qualche mese fa. L’aveva
indossata tante volte – e altrettante volte Daniela gliel’aveva tolta. Sorrise
sghembo: era strano pensare a Daniela senza poterla più avere vicina, perché da
un certo punto di vista, la storia con Daniela era una delle più lunghe che lui
avesse mai avuto. Per questo si voltò, prese il cellulare che giaceva sul
comodino e cercò il suo numero nella rubrica. Aspettò qualche squillo e
nell’attesa, gli sembrò che ciò che stava facendo fosse effettivamente la cosa
più giusta da fare. Non seppe dire se fosse qualcosa che si sentiva dentro da
tanto tempo o fosse solo questione di un momento di pazzia, ma non ebbe un
attimo di tentennamento. Sapeva che sarebbe stato difficile riallacciare i
rapporti, dopo quello che era successo, ma a lui non piaceva lasciare le cose a
metà. C’era in ballo una relazione che era degenerata di giorno in giorno senza
possibilità di salvataggio, era giusto quindi tentare di salvare il salvabile.
Almeno per un’ultima volta.
“Ciao, Dani. Sono Francesco. Senti, lo
so che le cose tra noi ultimamente si sono… complicate, ma – che dici? –
possiamo trovarci per parlarne?” Sospirò, passandosi stancamente una mano sugli
occhi. “Richiamami.”
_____________________
Gente, questo è uno dei miei capitoli
preferiti! Non vi permetto di insultarlo, oh! Ahahah, ovviamente scherzo, ma è
vero che secondo me è uno dei più belli: qualche occhio attento potrebbe
trovarci delle riflessioni di Francesco importanti per capire il suo
comportamento :)
Ok, dai, è tardi e tra poco andrò a
pranzo, quindi ringrazio velocemente chi ha commentato lo scorso capitolo (SYLPHIDE88,
_V a l e_ e Brezza) e tutti coloro che leggono in silenzio! :)
Alla prossima!
S.P.
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Capitolo 21 *** XXI ***
Nuova pagina 1
Entrò in casa
sentendosi stanca, quasi avesse il peso delle parole pronunciate con violenza a
Marco sulle proprie spalle. Si tolse il cappotto e si guardò allo specchio. Pure
il suo riflesso non accennava a darle quel minimo sostegno sul suo aspetto,
mostrandole un’Elisa dall’espressione pressoché inesistente. Avrebbe volentieri
mollato tutto e tutti per dormire giorni interi e sperare che al suo risveglio
tutti quei problemi si fossero risolti da soli, senza ripercussioni. Certo,
avrebbe voluto questo, come avrebbe voluto anche trovare un lavoro al più
presto, oppure far capire a sua madre che lei non era quel disastro umano che le
veniva rinfacciato da lì a cinque anni. E avrebbe voluto trovarsi la spalla di
Francesco pronta ad accogliere un suo pianto liberatorio. Invece in sala vedeva
solo delle matite su un tavolo, un inizio di disegno – molto probabilmente con
anche la mano di Francesco, visto i tratti di un viso troppo sofisticati perché
l’avesse fatto la piccola Sofia senza aiuto – e della carta da regalo con
orsacchiotti sul divano. Si domandò a cosa fosse dovuta, ma quella sera nemmeno
aveva tutta quella voglia di scoprirlo. Magari era un regalo per Sofia.
E subito un
pensiero la bloccò all’istante, facendole sgranare gli occhi ed andare in cerca
di prove con lo sguardo per tutto l’ingresso e la sala. Si avvicinò al divano e
guardò se sotto quella carta sgualcita ci fosse qualcosa di compromettente, ma
non trovò niente. Si sedette affondando la schiena contro un cuscino e chiuse
gli occhi.
Che stupida,
pensò. Daniela e Francesco avevano litigato, non era possibile che lei fosse
venuta lì quel giorno. Quello non poteva essere un regalo per Sofia da parte
sua, anche perché Elisa sapeva che Francesco non l’avrebbe fatta entrare in casa
sapendo che Sofia era lì. O almeno ci contava. No, desiderava disperatamente che
fosse così.
Si passò una
mano sugli occhi e sospirò, per poi alzarsi e dirigersi verso la camera della
piccola. Erano le sette e un quarto, molto probabilmente Sofia ora stava
dormendo dopo aver mangiato i suoi biscotti di nascosto.
E infatti la
trovò arrotolata su se stessa con ancora il pacchetto dei biscotti al cioccolato
in mano. Aveva delle briciole sulla bocca e sulle guancie, così Elisa si
apprestò a toglierle delicatamente con la mano, disturbandole evidentemente il
sonno per le smorfie che Sofia fece, mugolando qualcosa. Elisa sorrise,
accarezzandole poi i capelli. Era proprio bellissima, sua figlia. Le sollevò
dolcemente la testa e poi le gambe per poterla coprire con il piumone. Fortuna
che era già in tenuta da letto, con il suo pigiamino rosso acceso. Prese poi la
confezione dei biscotti, togliendogliela di mano e non appena posò le labbra
sulla fronte della piccola, lei si mosse.
“Mamma,” mugolò
con voce assonnata. “Ne ho mangiato solo uno.” Disse, allungando la mano verso
il pacchetto. “Però poi papà dormiva,” spiegò, sbadigliando. “E io avevo fame.”
Elisa le carezzò
una guancia. “Hai ancora fame, Sofi?” La piccola annuì lentamente,
stropicciandosi gli occhi per svegliarsi. “Allora, vieni. Ti preparo qualcosa.
Cosa vuoi?”
“Il brodo, così
lo porti anche a papà.” Rispose per poi gattonare verso Elisa e chiedere di
essere presa in braccio. Lei l’accontentò e la portò con sé in cucina, facendola
poi sedere su una sedia, mentre prendeva la pentola da riempire con l’acqua da
far bollire.
“Cosa hai fatto
oggi?”
“Ho disegnato!”
una volta in piedi le ci volle veramente troppo poco per riprendere le energie,
infatti era già tornata al suo tono trillante ed entusiasta. “E poi è venuto lo
zio Luca!”
“Ah, davvero? E
cosa avete fatto?”
“Io gli ho fatto
vedere i miei colori, però lui parlava sempre con papà!”
“Avranno parlato
di lavoro, amore.” Si sedette sulla sedia affianco alla piccola.
“No, lo zio
diceva che rompe i cocomeri perché non gli piacciono!” protestò la piccola.
“Cocomeri?”
ripeté Elisa.
Sofia annuì.
“Sì, ma io gli ho detto che non si spreca il cibo, vero, mamma?”
“Sì, brava.” Le
si avvicinò per darle un bacio in fronte. “E dopo? Perché papà non ti ha
preparato da mangiare?”
“Perché dorme!”
rispose con voce sommessa, mettendosi un dito davanti alla bocca e farle segno
di non fare rumore. “E io sono grande!”
“Certo che sei
grande,” le sorrise. “Però potevi andarlo a svegliare, no?”
“No, perché è
stanco! È malato!”
“Sì, ma ora sta
meglio.”
“Perché ha
bevuto il brodo!” esclamò Sofia, contenta.
Elisa ripensò
alla fine che aveva fatto il brodo della prima sera e ridacchiò. “Sì, il brodo
l’ha aiutato a guarire un po’.”
“E poi guarda
cosa ho trovato!” scese dalla sedia con entusiasmo, quasi impaziente di
mostrarle qualcosa. Elisa si sporse verso la sala, curiosa di sapere cosa le
avrebbe portato la piccola, ma quando la vide ritornare in cucina le prese un
colpo: tutto si sarebbe aspettata – una palla, un vecchio disegno, una foto, un
calzino! – ma non un vibratore blu puffo! Sofia era tutta contenta di
quello strano oggetto, mentre lo esaminava rapita da quella strana forma che
Elisa avrebbe preferito non vedesse mai – o almeno, non ora! Le prese l’oggetto
dalle manine e se lo portò dietro la schiena, sorridendo tirata per non cedere
ad un attacco di iperprotezione isterica. Cosa diavolo ci faceva un vibratore
in casa loro? Ma nemmeno concretizzò la domanda, che già la risposta le si parò
davanti agli occhi con un’ovvietà che aveva dell’impressionante. Subito la carta
da regalo con gli orsacchiotti e la presenza di Gianluca vennero collegati, e il
risultato di quell’unione l’aveva proprio dietro la schiena, mentre Sofia si
lamentava per riaverlo. “Ma l’ho trovato io!” brontolava, mettendo il muso e
girando intorno a lei, che tentava di nasconderlo girandosi a sua volta.
“Sofia, ascolta,
questo non è una cosa per una bambina.”
“Ma l’ho
trovato!”
“Sì, ho capito,
ma questo è di… papà.” Rispose tra la preoccupazione e la risata, senza
sapere se quella scena fosse più tragica che comica, ma si convinse che non
poteva permettersi tentennamenti del genere con Sofia nei paraggi. Lei era una
bambina di quattro anni e quell’oggetto non aveva niente a che fare con
quella fascia d’età. E in qualità di madre, avrebbe voluto che Sofia mai avesse
avuto a che fare con quello.
Disperata per
l’insistenza della figlia, ripose il vibratore in un un’anta della dispensa in
alto, affinché Sofia non potesse raggiungerlo e per farsi perdonare di averle
tolto di mano quel suo tesoro afferrò il suo cellulare dalla tasca e
glielo porse.
“Tieni, guarda.”
Sofia sembrò scettica all’idea, guardando il cellulare con una certa
indifferenza. Ma come Elisa lo fece illuminare con qualche tasto, la bambina
parve affascinarsi subito al nuovo gioco. “Vuoi chiamare la nonna?” Sofia annuì
energicamente e Elisa le lasciò il cellulare, accucciandosi al suo fianco per
farle vedere cosa digitare per selezionare il numero. Poi le fece avviare la
chiamata e le lasciò portare all’orecchio il telefonino.
“Ciao, nonna!”
la sentì trillare, per poi partire a camminare alla volta della sala come una
ragazzina troppo grande per la sua età.
Elisa tirò un
sospiro di sollievo e si passò una mano sugli occhi, appoggiandosi all’acquaio.
Possibile che ogni volta che Francesco incontrava uno di quei tre coglioni, ci
fosse un problema? Tempo fa Sofia si era messa in testa che era divertente
indicare le persone e urlare loro contro: “hai sganciato!” senza
ovviamente capirne il significato. Portarla a giro era particolarmente
imbarazzante, oltre che divertente in certe occasioni, come quando lo disse alla
madre – sebbene Elisa avesse dovuto subire una ricca paternale per il modo in
cui educava sua figlia.
Aprì quindi lo
sportello per appurare che non fosse stato tutto un brutto scherzo della
stanchezza, e una volta appurato che il vibratore blu puffo fosse ancora lì, con
quello strano ed inquietante interruttore pronto ad azionarsi quasi
inavvertitamente, pensò che non le sarebbe fregato assolutamente niente di
svegliare Francesco. Malato o non malato, che almeno facesse le sue schifezze
con il Varinelli di nascosto.
***
Non fu facile
mettere a letto la piccola Sofia, un vulcano di energia dopo aver addirittura
mangiato. Per ogni anno che cresceva, sembrava sempre meno soggetta al potere
della camomilla, quasi come se al contrario bevesse del caffè. Dovette essere
paziente e particolarmente attenta a dissuadere le insistenti domande sul suo
tesoro per tutto il resto della sera. Ma ora poteva anche lei andare a
letto, sebbene prima avesse in programma una piccola deviazione di percorso.
Si accostò al
fianco di Francesco, mettendosi in ginocchio proprio davanti al suo lato del
letto. Posizionò l’imbarazzante oggetto gommoso tra il collo e la spalla della
sua vittima e lo azionò, facendo schizzare Francesco – ancora insonnolito – a
sedere in meno di qualche secondo. “Ma che cazz-”
“Tieni.” Glielo
buttò addosso, tra l’accigliato e il rassegnato. “Questo deve essere di tua
moglie.”
Francesco si
guardò intorno senza capire, come se non vedesse niente e ancora non riuscisse a
connettersi con la realtà. “Eh?” la guardò confuso.
Elisa riprese il
vibratore in mano e glielo tirò con più violenza addosso, colpendolo al petto
nudo. “Ma sei imbecille o cosa?”
“Ahia!” protestò
lui, massaggiandosi il punto dolorante. “Ma che vuoi?” La sua voce aveva ancora
una tonalità nasale dovuta al raffreddore.
Elisa afferrò
per la terza volta il vibratore e glielo mise sotto il naso, azionandolo. “Questo.”
Francesco lo
guardò interrogativo, per poi mettere a fuoco Elisa. “Lo vuoi?” inarcò un
sopracciglio, gli occhi ancora socchiusi per essere stato svegliato
violentemente. Se solo avesse avuto i riflessi più attenti, Francesco avrebbe
previsto l’unica risposta non verbale che avrebbe potuto ricevere alla sua
domanda, ma in quello stato non poté far niente contro la raffica di colpi
gommosi che iniziarono a colpirlo ripetutamente sulle spalle e sulle braccia,
con cui lui stava cercando di difendersi.
Elisa, infine,
accese la luce e Francesco emise un lamento di supplica, coprendosi gli occhi
ancora assonnati dalla potenza di quel chiarore inaspettato.
“Apri gli occhi
ed ascoltami bene.” L’ordine non venne minimamente considerato da Francesco, che
continuava a coprirsi gli occhi con mugolii imploranti. “E dai, France!” sospirò
Elisa, facendo crollare all’istante la finta maschera di collera nei suoi
confronti. “Anche Sofia è più ricettiva la mattina!”
“Ma è notte
fonda!” protestò lui, senza guardarla, gli occhi ancora coperti dalle mani.
“Non sono
nemmeno le nove, scemo.” Sbuffò, tirandogli l’ultimo colpo con il vibratore sul
braccio. Si sedette quindi affianco a lui a peso morto. D’un tratto si sentì
pesante.“Comunque di’ al tuo amico Gianluca che questi scherzi andavano bene
prima. Ora dovrebbero pensare al fatto che c’è Sofi.”
“Veramente è
stata un’idea di Fede e Nico.” Precisò Francesco, gli occhi ancora chiusi e
nascosti sotto le mani.
“Sempre della
banda è.” Tagliò corto lei.
Forse fu per la
sua mancanza di emozioni con cui concluse quella frase, forse per il senso di
spossatezza che sembrava emanare da quando aveva messo piede in casa, oppure per
il silenzio che si era venuto a creare, che Francesco si scoprì il volto e si
mise a sedere. Aveva gli occhi ancora socchiusi per il sonno che gli era stato
strappato così brutalmente.
“Dimmi che c’è.”
Disse piano. La sua voce risuonava calda e gentile, mentre le toccava la schiena
con la mano sinistra, sistemandosi più vicino a lei. Il massaggio che aveva
iniziato a farle le fece provare dei brividi lungo la spina dorsale, ma Elisa
non volle badarci, troppo impegnata a resistere alla sensazione di asfissia che
si sentiva addosso. La mano di Francesco sembrava volerle infondere la forza di
cui aveva bisogno.
“Tante cose.”
Sospirò. “Ho litigato con Marco.” Disse infine. La distrazione dovuta al
ritrovamento del vibratore svanì proprio come era nata: improvvisamente. La mano
di Francesco passò dalla schiena alle spalle e l’invito ad appoggiarsi a sé
venne accolto da Elisa ancor prima che Francesco potesse aprir bocca. Posò la
testa alla sua spalla nuda, fissando le coperte sgualcite per quella piccola
rissa amichevole di pochi minuti prima, mentre Francesco ora l’abbracciava anche
con l’altro braccio. “E non è stato come le altre volte,” iniziò, sentendosi la
voce interrotta. Non erano né lacrime né singhiozzi. Era una lieve forma di
rabbia e frustrazione contro se stessa. Era lei che aveva sbagliato tutto. “Era
veramente arrabbiato!” serrò gli occhi, tentando di non ripensare al tono della
sua voce, al suo volto contratto. La pioggia fuori sembrava farsi sempre più
violenta, quasi a volerle urlare che era stata una stupida a comportarsi così.
Marco non lo meritava. E lei non meritava lui.
Francesco non
aprì bocca per tutto il tempo, lasciando che Elisa si sfogasse, venendo ripresa
solo dalle accuse della pioggia che sentiva da oltre il vetro della finestra
chiusa. La sua mano continuava però a massaggiarle la schiena, invitandola a
restare lì, tra le sue braccia, facendole capire che lui era lì, pronto ad
asciugarle le lacrime, se mai avesse pianto.
“Pensi che abbia
fatto male ad accettare la tua proposta di lavoro?” Pronunciò quelle parole
timorosa della risposta. Non aveva mai detto a Francesco che aveva accettato,
più o meno quanto invece l’aveva rivelato a Marco. Forse la sua proposta ora non
sarebbe più stata valida.
Francesco
respirò profondamente prima di aprire bocca e risponderle. “Se è quello che
vuoi, perché pensi di aver fatto male?”
“Marco non la
pensava come te.” Disse solamente. Fissava la coperta sgualcita come se fosse
magnetica per i suoi occhi, ma nemmeno la metteva a fuoco, semplicemente non
riusciva a muoversi, incatenandosi all’abbraccio di Francesco come la sua ancora
di salvezza.
“Avrà avuto i
suoi motivi.” Replicò lui con altrettanta loquacità, mentre il silenzio tornava
ad essere interrotto soltanto dalla pioggia.
Si sentiva un
grosso peso sul cuore, qualcosa che se non se ne fosse liberata, l’avrebbe fatta
morire per asfissia, soprattutto nei confronti di Marco. Eppure era lei stessa a
voler che rimanesse proprio lì, dentro di sé, impaurita dalla reazione di Marco.
Sapeva che aveva sbagliato, sapeva che non doveva fargli tutto quello, e aveva
bisogno di dirlo a qualcuno per non rimanere vittima del suo senso di colpa.
“Anche lui mi aveva offerto un lavoro.” Disse infine, ma Francesco non fiatò,
come se stesse aspettando spiegazioni, oppure semplicemente non gli interessava.
Lei continuò: “Me lo offrì prima di te, ma non l’ho nemmeno preso in
considerazione.”
“Cosa vuoi che
ti dica?” sospirò Francesco, stringendola a sé. “Sono più bello, è ovvio che tu
mi preferisca a lui.” Elisa abbozzò un sorriso, contenta di non aver sentito da
parte sua un’accusa per ciò che aveva fatto. Già bastava la sua coscienza.
“Immagino che tu abbia avuto le tue buone ragioni per aver fatto così, no?”
aggiunse.
Elisa annuì,
aggrappandosi al suo braccio. Di ragioni ne aveva tante, e tutte differenti tra
loro. Addirittura contraddittorie. Ma non sapeva di preciso cosa fosse stata la
scintilla che aveva innescato la sua decisione. Sembrava che più ci pensasse,
più lei si volesse autoconvincere di aver fatto la scelta giusta in base a
ragionamenti che nemmeno le sembravano tanto corretti.
Fu in quel
momento, per questa sua confusione, questo suo disordine interiore, che chiuse
gli occhi e si lasciò cadere totalmente tra le braccia di Francesco. Lasciò la
mente libera di vagare su altre mete, senza costringerla a fossilizzarsi su
quella questione. Pensò a Francesco, a come fosse sempre lì per lei. E pensò
anche a Sofia, a sua figlia che somigliava così tanto a Francesco. Pensò a lei e
al suo voler diventare brava a disegnare come il padre. Pensò al vibratore,
finito chissà dove, e alla fine che gli avrebbe fatto fare nel cestino
dell’immondizia. Pensò che non aveva mangiato e che avrebbe dovuto preprarare
qualcosa. Ma pensò anche che aveva sonno e non aveva voglia di fare più niente.
______________________
Ebbene sì, gente, sono ancora viva! Mi
scuso immensamente per questo ritardo - un po' per lo studio, un po' per la mia
vita reale, un po' per i cambiamenti inaspettati (e decisamente appassionanti) -
ma ora sono tornata! Aggiungo che questo capitolo, purtroppo o per fortuna, è
stato molto difficile da scrivere, non tanto per la "sceneggiatura", quanto per
ciò che mi premeva inserire, ma che ho dovuto traslare ad un altro tempo...
Anche se non avete capito, non importa, sappiate solo che sono stata indecisa
fino alla fine sulla sorte di questo aggiornamento. Se continuo a pensarci,
potrei avere un cambiamento d'idea anche ora e rivedere la vicenda a questo
punto della storia! Meglio quindi che chiuda qui il capitolo e passi oltre - mi
pare di aver comunque trovato un buon compromesso coi vari personaggi: sì, ho
riunito in un'assemblea i miei bimbi e ho discusso con loro il futuro di queste
pagine! Ahahah
Ok, su, ora vi lascio, ringraziando come sempre chi
ha commentato (SYLPHIDE88, Brezza, Aaaaannie e _V a l e_),
chi segue in silenzio e che nonostante tutti i ritardi continua a farlo :)
E visto che siamo in periodo di feste, ne approfitto
per augurare a tutti un Buon Natale (in ritardo - anzi, facciamo che
abbia detto: "Spero che abbiate tutti passato un Buon Natale!") e un
Felice Anno Nuovo! :D
Alla prossima, gente!
S.P.
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Capitolo 22 *** XXII ***
Nuova pagina 1
“È assurdo!” borbottò Elisa, mentre
saliva le scale. “Dimmi tu se non è assurdo!”
“Secondo me stai esagerando.” Commentò
svogliatamente Francesco, seguendola, le mani dietro la testa e l’aria annoiata.
“Non osare interrompermi!” si girò di
scatto, minacciandolo con un dito ben puntato contro di lui, che tolse le mani
da dietro la testa per usarle come difesa contro quello che poteva diventare
l’arma di un delitto, se ben indirizzato contro la sua gola.
“Va bene, va bene!”
“Siamo già in ritardo di dieci minuti,”
continuò Elisa, lasciandosi alle spalle la prima rampa di scale. “E tutto perché
dovevi sistemarti quegli stupidi peli che ti ritrovi sulla faccia!”
“Ma non ti sembra che così sia ancora
più sexy?” ammiccò lui, ridacchiando.
“No, sei solo più imbecille!” calpestò
l’ultimo scalino come se sotto il suo piede ci fosse Francesco e respirando
profondamente, si schiarì la gola. Quindi aspettò che Francesco tirasse fuori le
chiavi dalla tasca del giacchetto e aprisse la porta. Solo in quel momento tutta
la rabbia le scivolò via di dosso, lasciando via libera al tentennamento.
Francesco parve accorgersene e ritrasse le chiavi dalla serratura.
“Ma sei proprio sicuro che…” mugolò,
gli occhi fissi sullo zerbino – che recitava un “Oh, no! Not you again!”
– e le mani con le dita intrecciate.
“Ma sì,” schioccò la lingua, per poi
sorriderle. Elisa sentiva il suo sorriso dal suono del suo respiro, ma non ebbe
ancora il coraggio di guardarlo. Non lo avrebbe fatto finché anche gli altri non
l’avessero accettata seriamente, e non tramite parole indirette pronunciate
svariate volte da Francesco. “Te l’ho già detto, a loro sta bene. Tranquilla.”
Inserì nuovamente la chiave ed aprì la porta.
Nemmeno a farlo apposta, tre facce fin
troppo curiose e sfacciate li accolsero a pochi centimetri dalla porta. Stavano
origliando, non c’erano dubbi.
Elisa alzò gli occhi su Francesco, che
apparve scocciato, seppur divertito. Alzò un sopracciglio e li guardò quasi come
se aspettasse una giustificazione, mentre loro sembravano piuttosto intenti a
scrutare il suo viso e il suo nuovo look. Francesco incrementò la potenza
della sua occhiataccia e finalmente Federica parlò: “Oh, vabbé,” roteò gli
occhi. “Parlo io, che questi, contrariamente a quello che si credono d’essere,
non hanno le palle.” Si schiarì la voce. “Avevamo sentito infilare la chiave
nella serratura e toglierla.” Iniziò, mentre Nicola si alzava nuovamente in
piedi e si schioccava la schiena – “Non ho più l’età per certe cose…” – “E lo
sai come siamo fatti!” quella frase sembrò voler concludere la giustificazione.
Al che Francesco sospirò rassegnato ed entrò, seguito dallo sguardo incerto
degli altri due, mentre Elisa rimaneva sulla soglia, incerta se seguirlo o meno.
“Oh, saremo subito da te, Elisa,” continuò Federica. “Ma prima voglio scoprire
cosa è successo al Vanni.” La liquidò così in fretta, che quasi Elisa ne fu
felice, non sentendosi addosso nessuna strana faccia inquisitoria. Entrò
sollevata e si chiuse la porta alle spalle, mentre si toglieva il cappotto di
velluto e lo appendeva all’attaccapanni dell’ingresso.
“Su, Vanni, vogliamo spiegazioni!” gli
batté le mani Nicola, quasi a spronarlo.
“Ma che spiegazioni!” li scacciò con
una mano come se fossero fastidiosissime mosche. “Ho solo lasciato allungare un
po’ la barba!”
“E i baffi.” Precisò Gianluca.
“Be’, sai, quando uno non ha voglia di
radersi…” sospirò Francesco.
“Sembri Van Dyck!” commentò Federica,
deridendolo. Elisa non poté che riderne.
“No, al massimo una capra.” Obiettò
Nicola. “O una pessima imitazione di Tony Stark. Ma sono più per la capra.”
Elisa osservava la scena alle loro
spalle: c’era Federica che non faceva altro che toccargli la barba, urlando che
voleva solo appurare che fosse vera. Nicola si vantava che tanto non sarebbe mai
arrivato ad averla folta come la sua – e Francesco lo sminuiva obiettando che il
suo bel viso non era adatto ad una barba brutta come la sua, che al contrario si
addiceva perfettamente ai suoi lineamenti.
“Fede, spostati, che dobbiamo
fotografare questo momento.” Anche Gianluca sembrava divertirsi come un matto,
sfoderando la sua compatta grigia metallizzata che si portava sempre appresso.
“No, aspetta, Gianlu!” gridava lei.
“Voglio una foto con Van Dyck!” e lo prendeva per il collo per farlo abbassare,
troppo bassa per poter essere alla sua altezza in una foto, mentre Nicola
sbucava immancabilmente da dietro facendo il segno delle corna sulla testa di
Francesco.
“Questa finisce dritta incorniciata
nell’ingresso.” E scattò, mentre Elisa non poté più trattenere le risate.
Guardava quella scena quasi con nostalgia, ricordandosi come fossero quei giorni
di università in loro compagnia, mentre imparava a conoscere Francesco e il suo
mondo.
E soprattutto guardava Francesco,
ammettendo che effettivamente non era male il suo nuovo aspetto. Lo rendeva un
po’ più trasandato, più selvaggio. E più affascinante. Ciò non toglieva
che per sistemarsi quei due peli più lunghi sotto il naso e sotto il mento ci
avesse messo la bellezza di venti minuti, finendo per arrivare in ritardo al suo
primo giorno di lavoro, sebbene sembrasse proprio che la questione non
importasse a nessun’altro che a lei.
Be’, meglio così…
Seguì i suoi nuovi colleghi in quella
che sembrava essere la stanza di Francesco e Gianluca e si sedette su una delle
sedie solitamente offerte ai clienti, assistendo serafica a quella scenetta da
cabaret.
Solo quando il telefonò squillò
nell’altra stanza, Federica li lasciò, seguita da Nicola, che annunciò di dover
andare in bagno.
“Elisa,” la chiamò infine Gianluca. “Da
quanto tempo!” le offrì una mano, per poi tirarla a sé in un caloroso abbraccio.
“È vero, Gianluca.” Sorrise. “Tutto
bene – più o meno.” Una volta libera dall’abbraccio si sistemò i capelli dietro
l’orecchio e tornò a sedersi sulla sedia, mentre Gianluca si appoggiò alla
scrivania di fronte a lei e Francesco si accomodò sulla sua poltrona, accendendo
il pc.
“Sì, France mi ha detto cosa è
successo.” Annuì. “Pietro è decisamente una testa di cazzo – passami il
termine.”
“Oh, ma io non ho dubbi in merito.”
Sorrise, convenendo sull’affermazione. “Purtroppo devo essermene accorta troppo
tardi.”
“Sì, perché di momenti in cui avresti
dovuto accorgertene ce ne sono stati tanti… Come quella festa in cui -”
“Ok, piantala, France, non voglio
ricordare.” Lo frenò con una mano, sebbene lui ridesse ancora sotto i baffi.
“Ad ogni modo,” riprese Gianluca. “Per
noi è un piacere averti qui. Non siamo certo all’altezza dello Studio Orlandi,
ma ce la stiamo mettendo tutta. Abbiamo solo bisogno di una rampa di lancio.” Le
sorrise. “Tra l’altro – passando a questioni più serie e concrete – Francesco ti
avrà detto che i soldi non abbondano quanto pensassimo, vero?”
“Sì, sì, ma non temere.” Lo anticipò.
“Questa sarà solo una mia collocazione temporanea, no?” volle mettere le mani
avanti. Sapeva che l’intero studio si barcamenava a stento tra ricavi e spese.
Uno stipendio in più sarebbe stato un brutto colpo da sopportare per tutti loro.
“Sì, certo. Però pensiamo di aver
trovato una soluzione.” Le sorrise. Elisa lo guardava senza capire, e con la
coda dell’occhio vide che anche l’attenzione di Francesco era stata attirata
dalle parole dell’amico. “Ora, non sarebbe molto legale, ma pensavamo di
aumentare lo stipendio a Francesco, in modo da aiutarvi a superare le spese per
qualche tempo.”
“Oh, no, non potete!” lo bloccò, troppo
stupita e, in fondo, anche grata per la generosità.
“Sì, infatti, Gianlu.” Si intromise
anche Francesco. “Smettila ancor prima di andare avanti.”
“No, tranquilli.” Li calmò. “Ne abbiamo
parlato qualche giorno fa io e gli altri.”
“E a me non avete detto niente.” Si
impuntò Francesco, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi a loro.
“Ovvio, altrimenti non avresti mai
acconsentito.” Li interruppe Nicola, lasciando alle sue spalle il rumore dello
sciacquone.
“Appunto per questo non avreste dovuto
fermarvi all’istante? Se lo sapevate…!”
Elisa si sentì estremamente in
imbarazzo. Non voleva assolutamente pesare sulle spalle degli altri, per giunta
sapendo che nemmeno loro se la passavano tanto bene in quanto a denaro. Sapeva
bene che non sarebbe stata pagata, o almeno, nemmeno aveva pensato alla
questione. Lo faceva se non altro per aiutare Francesco, facendo qualcosa che
sapeva fare. Dopotutto, una persona in più sarebbe stata utile.
“Ma scusate,” li interruppe. “Tutto
questo non ha senso.” Cercò di sorridere, sebbene non sapesse quale espressione
assumere, lottando tra la gratitudine e un briciolo di rabbia per tutto quello
che aveva combinato con la sua irrazionalità. “Io mi sono licenziata.” Spiegò.
“Ho la liquidazione, mica sono senza un soldo!” Francesco annuì.
“E per quanto durerà?”
“Non lo so,” alzò le spalle,
indispettita. “Ma non vorrei certo restare disoccupata per il resto della vita!
Prima o poi troverò un altro lavoro e tornerò a guadagnare!”
Tutti la guardarono senza dire niente,
quasi come se valutassero la sua replica.
“Elisa ha ragione,” convenne Francesco,
avvicinandosi a lei, per poi posarle una mano sulla spalla, quasi come a volerla
ringraziare. Elisa era più che sicura che nemmeno lui volesse tutto questo. “Ce
la caveremo,” sorrise. “Mica siamo sul lastrico! Ci sono i genitori di Elisa, i
miei, i risparmi in banca…” elencò.
Gianluca si grattò il mento coperto di
barba e sospirò. “Siete proprio sicuri?”
“Certamente.” Annuirono.
“Sicuri di cosa?” ora anche Federica
era tornata nella stanza. “Erano i Farina, dobbiamo richiamarli.”
“Non hanno accettato.” Disse
semplicemente Nicola.
“Perché?”
“Perché non siamo dei morti di fame e
piuttosto andremmo a vivere da Anna, prima di chiedere i soldi a voi.” Scherzò
Francesco.
“Oh,” si alterò Federica. “Ma fate un
po’ quel che volete!” e li lasciò con una sonora pernacchia, tornando nell’altra
stanza.
“Allora siamo d’accordo?” batté le mani
Francesco, a concludere la faccenda.
“Be’, è rimasto tutto come prima.”
Commentò Gianluca.
“Esattamente.” Gli sorrise Francesco.
“Sì, ok,” annuì Nicola. “Se a voi sta
bene così…” e anche lui lasciò la stanza per raggiungere Federica.
“Sì, grazie.” Rispose Elisa.
“Ok, France, ma per qualunque problema…
Lo sai.” Sorrise Gianluca.
“Sì, chiedo. Grazie.”
“Bene, allora ora torniamo alle
questioni vere e proprie.” Annunciò Francesco. “Chi le illustra il progetto dei
Farina?”
“Guarda, Nicola è appena uscito dal
bagno.” Iniziò Gianluca, indirizzandola nell’altra stanza. “Ha un’autonomia di
quasi due ore. Puoi stare abbastanza tranquilla.”
“Ha ancora quel problema?” si stupì
Elisa, al tempo stesso anche divertita.
“Elisa, lui c’è nato e ci morirà con
quel problema!” Rise, mentre entravano nella stanza di Nicola e Federica.
Naturalmente non era sua intenzione non farsi sentire, per questo Nicola lo
mandò a quel paese e Federica schioccò la lingua infastidita, prendendo Elisa
per un braccio e lasciando che Gianluca e Nicola si offendessero amichevolmente.
________________________________
Due mesi sono un'immensità! Lo so, lo
so! Scusate! Ma meglio tardi che mai, no? :D
So che non c'entra granché, ma -
uhuhuhuh! - qui Francesco cambia look! Da faccino di bimbo, tutto liscio liscio
come una pesca, si fa crescere barba e baffi! - Sì, sono una fan di barba e
baffi - non alla Gimli, eh, non esageriamo, ma un po' ci sta tutta, che dite? ;)
Come al solito ringrazio chi ha
commentato (Brezza e Syl88, grazie! - Scusate, non ho risposto ai
vostri commenti! Provvederò immediatamente!) e anche tutti coloro che dopo tutto
questo tempo continua a seguirmi!
Alla prossima, gente!
S.P.
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Capitolo 23 *** XXIII ***
Nuova pagina 1
“No, aspetta.” Le mise una mano davanti
al viso ad una distanza così ravvicinata che Elisa non riusciva a metterla a
fuoco. “Cioè, fammi capire bene.” Con l’altra si massaggiava la tempia sinistra,
gli occhi chiusi e la fronte aggrottata. “Ora lavori da Francesco?” spalancò gli
occhi con un vigore tale da metterle paura, portandola ad indietreggiare sul
divano, sebbene avesse la schiena già attaccata allo schienale.
“Già.” Fu la sua semplice risposta,
mentre tirava giù la mano di Chiara per trattenerla nelle sue mani, come a
volerle dire indirettamente che aveva tutto sotto controllo. O almeno, Elisa
pensava che così avrebbe dovuto dirle, ma più che un’affermazione sua, in realtà
avrebbe voluto che fossero gli altri a dirla a lei.
“Da quanto, scusa?” Chiara la guardava
come se stesse parlando in un’altra lingua, concentrata su tutte le sue parole,
muggendo assensi per niente convinta.
“Ormai tre giorni.”
“E perché tu avresti aspettato tre
giorni per venire qui a dirmelo?”
“Perché -” perché sono stupida, ecco
perché! Sì, non c’era dubbio: era proprio stata una stupida. Solo per
rispondere a quella domanda, i suoi occhi vagarono all’interno del salotto di
Chiara ad una velocità impressionante, come se avesse potuto individuare un
qualunque minuscolo oggetto che le avrebbe dato la scusa buona per passare bene
agli occhi dell’amica, senza doversi sorbire tutta la serie di insulti che
personalmente si era rivolta molte volte. Ma era inutile: sapeva di essere
colpevole e voleva condividere quella colpa, voleva togliersi quel peso che si
sentiva portare dietro da giorni ormai. “Perché avevo paura, Chiara!” rispose
lamentandosi e accasciandosi sul divano piagnucolando. “Perché sono stupida e
tutte le decisioni che prendo sono sbagliate!” continuò. “E perché avevo paura
che anche tu mi dicessi quello che già so.”
“Ovvero?”
“Che sono un’idiota!”
“Allora se lo sai, qual è il problema?”
ironizzò Chiara, sebbene la sua espressione rimanesse quella di un certo
disappunto.
“Sai,” Elisa si tirò su con aria
riflessiva. “Una buona amica a questo punto dovrebbe metterti una mano sulla
spalla - così” e le fece vedere il movimento, portando la propria mano sulla
spalla di Chiara e dandole dei leggeri colpi. “E dirle che non è vero e che
andrà tutto bene.”
“Ma è vero.” Le fece notare con
cinismo.
“Lo so che è vero, per questo chiedevo
conforto!” tornò a buttare la testa sul divano, come se pesasse tonnellate.
Chiuse gli occhi e si portò una mano sul viso. “Sono stupida, una completa
stupida, un’ineguagliabile stupida!”
“Sì, direi che questo concetto tu
l’abbia capito adeguatamente.” Sospirò Chiara, questa volta addolcendo il tono.
Le massaggiò un ginocchio e le dette due pacche sulla coscia. Elisa tornò a
guardarla supplicante. “Ma cosa ci posso fare se sei un disastro, Eli?” il
rimprovero espresso con il sorriso sulle labbra sembrò più rassicurante del
previsto. “Ma dimmi,” tornò seria. “Marco come l’ha presa, questa notizia?”
Elisa sospirò. “Non mi ci far pensare,
guarda.” Schioccò la lingua. “Voglio dire, lo so! È tutta colpa mia!” si indicò
disprezzandosi. “Ma davvero, mi ha fatto sentire una merda.”
“Be’, tesoro,” Chiara si riaddolcì.
“Cerca di capirlo. Hai detto che anche lui ti ha offerto un lavoro.” Elisa annuì
mestamente. “Mettiti nei suoi panni: cosa avresti fatto se il tuo fidanzato
avesse accettato di lavorare insieme alla sua ex?” Elisa la guardò senza dire
niente, ma conoscendo esattamente la risposta da dare a quella domanda. L’aveva
sempre saputa. “Non ci staresti bene, vero?”
“Chiara, dici che dovrei farla finita?”
“Di far cosa?” si agitò Chiara.
“Di andare a lavorare da Francesco.”
“Oddio, Elisa, per un attimo mi hai
fatto pensare il peggio!” si mise una mano sul petto, come per far calmare il
battito del suo cuore. “Credevo volessi lasciare Marco!”
“No!” si scandalizzò Elisa.
“No, no, infatti.” Sospirò sollevata.
“Quindi?”
“Non lo so, Eli.” Iniziò Chiara. “È
ovvio che per amor di Marco dovresti stare con lui, però devi fare come
preferisci, come vuoi tu.” Elisa si sentì colpita in pieno dalle parole di
Chiara. Pensò se un meteorite fluttuante nello spazio sarebbe stato più
indolore, se fosse accidentalmente caduto sulla sua testa proprio in
quell’istante. “È ovvio che il campo dell’architettura tu lo conosca di più, ma
cosa vuol dire?” fece spallucce. “Nemmeno vieni pagata!”
“Eh, lo so…” non c’era dubbio che la
bilancia pendesse a favore di Marco. Tutto era a favore suo. E tutto sembrava
essersi rivoltato contro di lei. “Ma… magari posso dare una mano lo stesso, no?”
tentò di sorridere incoraggiante.
“E come scusa?” la guardò scettica,
mentre il fischio della teiera sul fuoco iniziava a farsi sentire.
“Be’, facendo il lavoro di un quinto
membro dello studio senza essere pagata, appunto.” Espose la sua risposta con
tale incertezza, che Chiara nemmeno si perse in futili sospiri, alzandosi e
andando in cucina per poi tornare con due tazze di tè fumante.
“Elisa, ascoltami.” Le porse una tazza,
per poi tornare a sedersi sul divano. “Non ti pagano, vai a lavorare da loro e
non hai tempo di cercarti un nuovo lavoro.” Elencò. “Dimmi tu come puoi
voler continuare così.”
“Ma -” tentò di controbattere.
“Tu ora dovresti stare a casa a
guardare annunci, a fare colloqui, capito?”
Lo sguardo di Elisa si fece nuovamente
sfuggente per l’amica.
“Cosa c’è?” il sospiro questa volta le
venne così spontaneo che Elisa non poté che sospirare a sua volta. L’espressione
di Chiara era rassegnata, come se nessun’altra cosa avrebbe potuto coglierla di
sorpresa. Ma Elisa non ne era tanto sicura. Anzi, avrebbe scommesso tutto ciò
che aveva che quella rivelazione le sarebbe costata cara.
“A dir la verità, un colloquio l’avevo
ottenuto.” Iniziò, contorcendosi le mani attorno alla tazza calda.
“Ma…?” la spronò ad andare avanti
Chiara.
“Ma non ci sono andata.” Confessò.
Chiara si immobilizzò e continuò a
guardarla. “Non farmi scherzi, Elisa, perché potrei non reggerne altri.” La
minacciò.
“Sai cosa?” la guardò tentando di
mostrarsi arrogante, sebbene la sua intenzione non fosse altro che evitare di
entrare anche in quel discorso. “È meglio che non ti dica niente.” Le sorrise
tirata, sorseggiando il tè e bruciandosi puntualmente.
“Eh, no, carina!” la fermò Chiara. “Hai
iniziato e ora finisci.” Si impuntò.
Elisa guardò Chiara come se volesse
supplicarla di non farla andare oltre. Di tutta quella conversazione sapeva di
aver sempre sbagliato. E anche in questo caso non c’era niente che potesse far
pensare anche vagamente il contrario. “Be’, vedi…” iniziò, posando gli occhi sul
tè fumante davanti a sé. “Francesco era -”
“Oddio,” Chiara si portò una mano sugli
occhi. “Quel nome non preannuncia mai niente di buono.” Mormorò. “Non
chiamerò mai mio figlio Francesco, sappilo.”
“Sì, ma non è colpa sua…” tentò di
recuperare. “Quella sera era stato mollato da Daniela e -”
“No, aspetta.” Chiara si immobilizzò di
nuovo con la mano a due centimetri dal suo naso. “Francesco e Daniela si sono
lasciati?”
Elisa annuì, nascondendo il viso dentro
la tazza.
“Santo Cielo, ma noi non ci sentiamo
solo da una settimana!” esclamò sull’orlo di un attacco di iperventilazione.
“Sì, ma non è questo il punto.”
“Oh, sì che è questo il punto!”
prevalse Chiara. “È sicuramente questo il punto!”
“Lasciami finire di raccontare, dai.”
Supplicò Elisa.
“Sì, ok, ok,” sorseggiò il tè.
“Finisci, voglio proprio vedere cosa mai potrà accadere ora.” E come se avesse
una bottiglia di rum in mano, bevve ancora.
“Ti dicevo, Daniela l’ha lasciato -”
“Mi chiedo perché…” commentò
sarcastica.
“Oh, ma mi lasci finire?”
“Sì, sì, vai.” E bevve ancora. “Dovrò
andare in bagno prima che tu finisca di raccontare, se continuo così…”
“Insomma, per cercare di parlarle,
France è andato a casa sua, ma lei non ha sentito storie e l’ha lasciato sotto
la pioggia per non so quanto. Quando poi è tornato a casa, Chiara, dovevi vedere
in che stato era!” si rattristì. “Non faceva che starnutire e tossire – come al
solito, non s’è voluto misurare la febbre – e stava male. Si vedeva che stava
male, Chiara.”
“Oddio.” La interruppe nuovamente
Chiara. “Ho un dejà-vu.” Si toccò la fronte, chiudendo gli occhi ed
appoggiandosi completamente alla spalliera del divano. “Elisa, dimmi che non hai
fatto come per l’esame di Scienza.”
Il silenzio rispose per lei. Colpita
ed affondata.
“Eh, no, eh!” piagnucolò Chiara.
“Elisa, questo no! Posso capire a quel tempo, con tutta la faccenda di Francesco
di qui, Francesco di là… Ma ora hai Marco! Non puoi comportarti in questo modo!
Lui non c’entra niente! Scordati di Francesco!” Chiara cercava di guardarla
negli occhi, ma Elisa non riusciva a sostenere il suo sguardo, ritrovandosi a
fuggire verso la parete oltre la spalla di Chiara, se non i suoi piedi, la tazza
di tè, le sue mani, il tappeto… Tutto tranne che la verità che vedeva negli
occhi dell’amica. “Elisa,” era quasi supplicante. “Io lo dico per te: pensa a
Marco.”
Era vero. Ed Elisa questo lo sapeva.
L’aveva sempre saputo. E come se niente fosse, aveva iniziato una discesa verso
tutto ciò che c’era di sbagliato. Con una lunga catena di eventi, si era
ritrovata a fare tutto ciò che Marco non avrebbe potuto tollerare a lungo. Aveva
passato il limite.
“Elisa,” la voce
seria di Chiara richiamò la sua attenzione. “Posso farti una domanda?” Elisa
annuì. “Sei ancora innamorata di Francesco?”
_________________________________________________________
Ullallà! Nuovo capitolo! Direi che
questa volta abbia mantenuto un ritardo - perché sempre ritardo è - ancora
nell'umano! Sono stata abbastanza brava, su! Mi faccio i complimenti! u.u
Che dire? Questo capitolo è... È! Chiara conosce troppo bene Elisa e non si
lascia sfuggire niente, ed Elisa? Quanto si conosce? Eh, vedremo...!
Personalmente questa parlata mi piace molto, perché mette a nudo un po' tutti i
problemi che Elisa si ritrova ad affrontare dentro la sua testa, sebbene alcuni
non avrebbero nemmeno dovuto nascere, se non fosse per quella "lunga catena di
eventi" che lei stessa ha creato...
E detto questo, sennò mi perdo
troppo in chiacchiere, saluto e ringrazio come al solito tutti coloro che
continuano a seguire questa storia, in particolare Brezza e Faithboss,
che hanno commentato lo scorso capitolo :)
Spero che anche questo possa esservi piaciuto e vi auguro una buona Domenica -
sperando che il tempo migliori nei prossimi giorni perché ho voglia di uscire
dal letargo invernale (Primavera, dove sei?? Mi manchi!!)
S.P.
|
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Capitolo 24 *** XXIV ***
Nuova pagina 1
“Sei sicura che a Francesco vada
bene?”
“Sì, non preoccuparti.” Lo guardò
cercando di rassicurarlo. Ma non era Marco da rassicurare, quanto se stessa.
Aveva detto a Francesco che avrebbe portato Sofia a fare una passeggiata lungo
il viale alberato, aveva accennato ad una compagnia, ma non si era dilungata su
chi fosse, divagando su informazioni riguardanti la villetta dei Farina, sebbene
qualche occhiata saccente di Francesco l’avesse messa con le spalle al muro. Ma
lei aveva continuato a chiedere informazioni sugli orari di lavoro, in modo da
non disturbare i lavori con la sua assenza. E ora stavano camminando nel calore
del sole al tramonto nel bel mezzo del pomeriggio, avvolti da una luce ambrata
che provava a scaldarli mentre si tenevano tutti e tre per mano.
“Lo chiedo perché mi hai permesso di
vedere Sofia così poche volte che questa improvvisata pare quasi irreale.”
“Cosa vuol dire irreale, mamma?” la
piccola la tirò per il cappotto per avere la sua attenzione.
“Irreale è… È qualcosa che non esiste.”
Le sorrise.
“Mamma, Babbo Natale è irreale?” si
fermò, intristita.
“Oh, che domande sono queste?” le
rispose sorpresa e leggermente allarmata, chinandosi verso di lei e
accarezzandole dolcemente una guancia, semi coperta dalla grande sciarpa che la
proteggeva dal freddo invernale.
“Rachele ha detto che Babbo Natale non
esiste!”
“Tu ci credi a Babbo Natale?” si
intromise dolcemente Marco.
“Sì! Mi porta sempre tanti regali!
Tutti belli!” si girò verso di lui e gli sorrise euforica.
“Allora Babbo Natale esiste.” Ricambiò
il sorriso. Elisa non poté che sorridere a sua volta. Quella dolce incurvatura
delle sue labbra era qualcosa di talmente tenero che avrebbe voluto averle con
sé per sempre. “Nessuno può dirti in cosa credere e in cosa non credere. Se
Rachele non ci crede, dille che non sa cosa si perde.” E le strizzò un occhio,
complice.
“A lei non arrivano i regali?”
“Forse sì, ma non saranno mai magici
come i tuoi!” le offrì di essere presa in braccio e lei accettò con foga.
“I miei regali sono magici?” ripeté con
innocente entusiasmo, portandosi le piccole mani alla bocca, in segno di
sbigottimento.
“Certamente! Sai come arriva Babbo
Natale?”
“Con la slitta!”
“E vola nel cielo!”
“Mamma!” trillò eccitata Sofia. “Hai
sentito?” la tirava per la sciarpa.
“Certo che ho sentito.” Le sorrise. “Ti
ricordi che anche nonno te lo disse? La slitta trainata da renne…?”
“È vero!” sorrise. “Anche nonno sa che
Babbo Natale è magico!” e si mise a zompettare allegra intorno a loro finché la
sua attenzione non venne catturata da un piccolo cagnolino che una signora
anziana teneva al guinzaglio. “Mamma, guarda che bello!” e si catapultò quasi
istantaneamente dal cucciolo.
“Marco, sappi che la manderò da te,
quando scoprirà la verità.”
“Posso quindi sperare in un futuro
lontano che noi staremo ancora insieme?” La voce calma – sebbene mal celasse una
pennellata di tristezza tra le parole – di Marco la prese in contro piede,
facendole trattenere il fiato per qualche secondo di troppo. “Eli, lo so perché
hai voluto uscire con me e Sofia.”
“Cosa?” si sentiva messa alle strette.
“Non fare la finta tonta.” Le sorrise.
“Lo so che stai cercando di sistemare le cose tra noi. E questo lo apprezzo.”
Continuava. “Lo sai che a me fa sempre piacere stare con te e Sofi…” Elisa trovò
difficoltà a riprendere una respirazione tranquilla e ritmata. “Ma non so se
questo può bastare a sistemare i nostri rapporti.”
Fu come una doccia fredda. E il peggio
era che Elisa se l’aspettava, sebbene non avesse mai pensato che Marco arrivasse
a dirglielo così direttamente, cogliendola quasi impreparata. Lo sapeva anche
lei che quella tattica non saprebbe passata naturale agli occhi di Marco, visti
i precedenti, ma aveva voluto tentare lo stesso. Sapeva anche che lui si
struggeva vicino a Sofia, per questo aveva pensato che potesse essere una buona
idea. Solo non sospettava che lui arrivasse ad essere così diretto. Si trovò
interdetta su cosa rispondergli e borbottò delle scuse, celate da sorrisi
tremolanti.
“Lo so che stai facendo tutto questo
per cercare di riappacificarci.” Le sorrise, prendendole una mano e mettendosela
nella sua tasca del cappotto, mentre Sofia chiacchierava animatamente con la
signora e il suo cagnolino dal pelo arruffato. “Però Sofia non c’entra niente in
tutto questo. È una faccenda che riguarda solo te e me. E Francesco, se vuoi.” A
quel nome Elisa aggrottò la fronte, mostrandosi ostile a tirarlo in ballo ogni
volta che loro cercavano di affrontare un argomento serio. “Ascolta,” sospirò,
per poi sorriderle ancora nella sua maniera calda e rassicurante. “Non voglio
più tornare su questo discorso, oggi. Però sarei felice di parlarne – da soli,
questa volta.”
Elisa si sentì colpevole. Aveva tentato
un sotterfugio di cattivo gusto, sperando che Marco potesse utopicamente
abboccare. Ma Marco non era scemo, questo Elisa lo sapeva. E apprezzava che lui
gliel’avesse detto. Si sarebbe sentita perfida, effettivamente, se lui non se ne
fosse accorto, mentre ora, sebbene si sentisse idiota, almeno poteva contare sul
fatto di aver messo tutte le carte in tavola, perché Marco aveva ragione: anche
lei voleva sistemare le cose tra loro. Solo che non sapeva nemmeno da dove
iniziare.
“Oh, Elisa?”
Per un attimo avrebbe voluto far finta
di non sentire quella voce che l’aveva chiamata, vogliosa di regalare un bacio a
Marco per la bella persona che era, ma non appena collegò il tono a Cristina
Bernardi, si voltò e li salutò cordialmente, mentre Marco si avvicinava a Sofia
per richiamarla, visto che sembrava intenzionata a seguire la signora e il suo
cane fino a casa loro.
“Cristina, Giacomo!” sorrise. “Che
sorpresa!” strinse loro la mano e si sistemò la sciarpa che Sofia prima le aveva
allungato.
“Già, come sta?”
“Molto bene, grazie – mi dia del tu.”
“La cosa è reciproca, allora.” Le
sorrise gentilmente Cristina. “Oh, ma che bella bambina!” esclamò poi, notando
la piccola Sofia per mano a Marco che si nascondeva timida dietro le sue gambe.
“Come ti chiami?” si chinò verso di lei.
“Sofia.” Biascicò lei, piegando la
testa di lato come ad esaminare la bella donna che si trovava di fronte.
“Che bel nome!” le sorrise. “E quanti
anni hai?” Sofia si guardò una mano, tirò su quattro dita e gliele mostrò.
“Allora sei grande, eh?” Sofia annuì e pian piano iniziò ad allontanarsi da
Marco per osservare i due signori, nonostante non gli lasciasse la mano, mentre
Elisa la guardava orgogliosa. Sentiva come se i complimenti che facevano a sua
figlia, fossero rivolti a lei.
“Non sapevo che avessi una figlia,
Elisa.” Commentò Giacomo.
“Sì, effettivamente non si direbbe.”
“Che bella famiglia, che siete!”
sorrise entusiasta.
Elisa fu colpita da quelle innocue
parole come da dei dardi appuntiti, proprio dritto al cuore. Loro non erano una
famiglia. Non una vera famiglia. Ma… Lo sarebbero potuti diventare?
“Oh, no,” sorrise Marco, con tutto il
suo splendore, richiamando Elisa alla realtà, trascinata via di forza da quel
pensiero. “Io non sono suo padre.”
“Ah, no?” si tappò la bocca Cristina,
quasi vergognandosi di ciò che aveva detto. “Oddio, pensavo di sì, mi scusi.”
“Non si preoccupi.” Continuò con la sua
tipica tranquillità, Marco.
“Sì, papà è a casa!” puntualizzò Sofia.
“Ehm, Elisa,” Giacomo sembrò voler
intervenire per evitare quell’imbarazzo che si sarebbe potuto creare a partire
da quell’ambiguità. “Posso permettermi di chiederti cosa è successo in ufficio
da quel giorno?”
“Sì, sì, ma non c’è molto da sapere.”
Rispose, voltandosi un attimo per prendere Sofia in braccio, insistente di poter
essere messa allo stesso livello degli occhi degli adulti. “Mi sono licenziata –
e mi dispiace di avervi lasciato così,” continuò sentendosi colpevole. “Non è
stato per niente professionale, lo so.”
“Oh, non preoccuparti,” ridacchiò
Giacomo. “Ti abbiamo seguita. Anche noi ce ne siamo andati. Fondamentalmente
quell’Orlandi non c’è mai piaciuto. Era mio padre che ce l’aveva consigliato.”
“Oh, bene, allora non mi sentirò più in
colpa.” Sorrise, sistemandosi meglio Sofia tra le braccia, mentre si divincolava
per prendere il lembo della sua sciarpa e tornare a giocare con i fili di lana,
mentre Marco le sistemava la sua, che si stava allentando.
“Ha già trovato un nuovo impiego?”
“Be’,” Elisa cercò di soppesare le
parole. Dopotutto non poteva dimenticare di avere Marco lì vicino. “Al momento
do una mano ad un amico in un altro studio di architetti, lo studio
Quadri, mentre cerco annunci.”
“Be’, allora in bocca al lupo! Speriamo
che riesca a trovare un altro lavoro.” Le sorrise Giacomo, porgendole la mano
per salutarla.
“Crepi!” gli strinse la mano,
contorcendosi per Sofia ancora in braccio. “Arrivederci!”
I Bernardi la superarono dopo aver
salutato Marco – e soprattutto Sofia, che sembrava aver fatto discretamente
colpo sui due – ed Elisa si trovò un po’ a provare rimorso per il modo in cui li
aveva trattati. In fin dei conti avrebbe anche potuto finire di portare a
termine il loro progetto, prima di andarsene.
“Erano loro per cui lavoravi al
progetto, allora.” Concluse Marco.
“Sì,” annuì. “Scusa se non ti ho
presentato adeguatamente…” aggiunse sommessa, cercando di non attirare
l’attenzione della piccola, che pareva ancora ammaliata dai fili di lana della
sciarpa per prestare loro attenzione. “È che il discorso aveva preso una piega
più complicata del previsto e non avevo voglia di spiegare a loro come stavano
le cose.” Si sentì stupida a sentirsi in dovere di spiegare il motivo per cui
non aveva detto semplicemente ai Bernardi chi fosse veramente Marco, senza
pensare magari che lui avrebbe potuto prenderlo come un riguardo nei confronti
di Sofia. E quel pensiero, arrivato purtroppo in ritardo in confronto alle sue
parole, la fece sentire ancora più meschina.
“Non preoccuparti.” Le massaggiò la
schiena, senza soffermarsi troppo, visto che Sofia era in braccio ad Elisa. “Lo
so perché l’hai fatto.” Le sorrise, un sorriso che Elisa non vedeva da un po’.
Forse non tutto era perduto, allora.
_________________________________
Saaaaalve! Sono mesi che non mi faccio più sentire, lo so... Chiedo venia! Ad
ogni modo, ecco qui, tutto per voi, il nuovo capitolo! E sappiate che mi piace
veramente tanto, perché è l'inizio di qualcosa :)
Si notano certi atteggiamenti dei personaggi e una casuale svolta nella storia
che porterà la fortuna di... Eh, figuratevi se ve lo dico! ;)
Ad ogni modo, ringrazio Syl88 e Brezza, grazie
mille per i vostri commenti (e scusate se non ho risposto! Rimedio seduta
stante!!)
Tra l'altro, Brezza mi ha fatto venire in mente un piccolo sondaggio per tutti
voi: cosa pensate che sia successo nel passato di Elisa e Francesco? Be',
ovviamente hanno avuto una bambina, quindi almeno quello è chiaro ;) Attendo le
vostre risposte - mi fa sempre piacere scoprire cosa pensiate e cosa vi porta a
pensare questa storia! Qualche briciola l'ho seminata qua e là, chissà che non
l'abbiate raccolta egregiamente! :)
E detto questo, vi lascio! Al prossimo capitolo! E
siete autorizzati a mandarmi mail minatorie perché aggiorni il prima possibile!
Grazie a tutti!
S.P.
|
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Capitolo 25 *** XXV ***
Nuova pagina 1
“Ma perché non mi fai mai finire di
parlare!” Dopo nemmeno un paio di fortuite ore di timido sole, stava nuovamente
piovendo e lei era entrata nel palazzo correndo per non bagnarsi, il cellulare
all’orecchio e i nervi a fior di pelle.
“Perché non capisci, Elisa! Non puoi
continuare così! Hai idea di quanto potrebbe risentirne la piccola Sofia?”
sua madre anche quella volta non si stava risparmiando colpi. “Ti stai
dimostrando davvero immatura! Pensa a tua figlia!”
“Lo faccio, mamma! E guarda che non
sono affatto immatura! Ho anche trovato un lavoro! Se tu mi avessi lasciato
finire di parlare, te l’avrei detto già da tempo, ormai!” salì l’ultimo scalino,
trovando la signora Tiberi affacciata di soppiatto alla porta, evidentemente
attirata dalla sua voce adirata e alta. Sofia, ancora attaccata alla sua sciarpa
di lana, sembrava ora averne abbastanza di quella telefonata: “Mamma, mi scappa
la pipì!”
“Hai trovato un lavoro? E cosa?
Cassiera? Donna di servizio?”
“Sì, ora saluto la nonna, amore – E se
anche fosse? Sempre un lavoro sarebbe, non credi?” Pestò un piede per terra
sullo zerbino, le chiavi già in mano, ma troppo presa dalla conversazione per
aprire la porta ed entrare in casa. Voleva oltrepassare la soglia di casa con
quella conversazione alle spalle.
“Ma non puoi! Hai una laurea, Elisa!”
“C’è molta gente che seppur avendo una
laurea si ritrova a pulire i marciapiedi! E mica sono da meno!”
“Mamma, apri, dai!” iniziava a
saltellare la piccola.
“Non iniziare a fare la predica su
come va il mondo, Elisa! Oggi proprio non lo richiedo! – No, Luigi, non abbasso
la voce! Elisa deve capire che ha torto!”
“Non ho torto, mamma! Sei tu che non
vuoi capire!” Sospirò, accarezzando la testa di Sofia e dicendole con lo sguardo
che avrebbe aperto subito.
“Elisa, non incaponirti contro di
me! Sappi che – No, Luigi, ti ho detto che non la smetto!”
“D’accordo, mamma. Richiamami quando ti
sarai calmata. Mi sta chiamando Sofia. Ciao.”
“Non è vero, Elisa! Stai tentando
solo di chiudere la conversazione! Lo so!”
“Mi dispiace, devo andare, ciao. Saluta
papà.” E chiuse la conversazione. Il diversivo di Sofia – capitato a pennello –
serviva per non poterle rinfacciare di averle chiuso il telefono in faccia.
Inserì quindi la chiave nella toppa,
notando la signora Tiberi soddisfatta che rientrava in casa, e oltrepassò la
porta, mentre Sofia schizzava come una saetta verso il bagno. Chiudendola alle
spalle, chiedendo scusa alla piccola Sofia, sospirò di sollievo: sua madre non
era mai stata piacevole da sopportare, ma in quel periodo era molto più crudele
del solito. Sembrava godere nel vederla sprofondare nel niente, quasi come se
non si aspettasse altro che Elisa si prostrasse ai suoi piedi dicendole che
aveva ragione. Ma anche se l’avesse avuta, piuttosto Elisa si sarebbe messa a
camminare sui carboni ardenti.
E per di più c’era la faccenda di Sofia
e Marco. Non era passata nemmeno un’ora che erano usciti insieme tutti e tre e
ancora Elisa non sapeva come dirlo a Francesco. Stava calpestando tutte le sue
regole imposte con la forza contro Francesco e Daniela, a suo favore. Avrebbe
dovuto dirglielo che aveva portato Sofia a fare una passeggiata con Marco,
dopotutto era sua figlia – e soprattutto perché tanto Sofia gliel’avrebbe detto
lo stesso, peggiorando forse la situazione.
“Oh, le mie donne!” Francesco si
affacciò dalla cucina con un grande sorriso sulle labbra. “Dov’è andata Sofi?”
“In bagno.” Si tolse il cappotto di
velluto che per poco non si sarebbe rovinato sotto la pioggia, e si sistemò il
maglione allo specchio lì vicino. Poi si avvicinò a Francesco per vedere cosa
stesse facendo – l’odorino era molto invitante. “Cosa combini?”
Francesco le rispose con un bacio sulla
fronte, avvinghiandosi teatralmente a lei, pungendola con la sua nuova barba.
“Ehi, mi fai male, France!” si ribellò
lei, senza troppo entusiasmo.
Lui subito si allontanò e la scrutò
negli occhi. “Che hai?”
Elisa si morse il labbro inferiore coi
denti e distolse lo sguardo. Se non gliel’avesse detto si sarebbe sentita
peggio, quindi aprì bocca e parlò: “Sono uscita con Marco e Sofia.”
“E?”
“E?” lo guardò confusa. “E non
ti dà fastidio che abbia portato Sofia con lui?”
“Sì, molto.” La sua sincerità la
disarmò, soprattutto perché aveva mantenuto una tranquillità invidiabile nel
risponderle. “Ma che posso farci, ormai? Siete usciti insieme, è un po’ tardi
per chiedermi che ne penso.”
Il rumore dello sciacquone annunciò
loro che Sofia sarebbe tornata e che sarebbe stato meglio terminare lì la
conversazione – almeno per il momento. Elisa sentiva un bisogno estremo di
spiegargli perché l’avesse fatto, il motivo per cui non gli avesse detto niente.
Non voleva che Francesco si arrabbiasse, perché anche se non lo dimostrava,
Elisa era sicura che se la fosse presa.
***
“France…” lui non aveva più tirato
fuori la questione e lei si era sentita in dovere di farlo. Non che le avesse
tenuto il broncio o altro, anzi, la cena era stata piacevole e all’insegna del
buon umore, soprattutto quando Sofia aveva parlato del cagnolino e aveva
iniziato a chiedere di prenderne uno. “Sei ancora sveglio?”
Elisa aveva appena finito di mettersi
la crema anticellulite e si era voltata giusto per vedere Francesco steso prono,
gli occhi chiusi.
“No.” Decretò lui, mormorando qualche
parola indistinta e girando la testa dall’altro lato.
“Ah, ok.” Si zittì. Ci mancava solo che
lui fosse nervoso. Già era una questione delicata. Elisa, quindi, si sistemò
sotto le coperte e spense la luce dell’abat-jour.
“Io continuo a dirtelo: quella crema è
del tutto inutile.” La voce assonnata di Francesco le fecero sgranare gli occhi
– da un lato anche per la paura, visto che aveva aspettato che fossero al buio
per coglierla di sorpresa. “Tanto la cellulite ce l’hai. Non credo che ti andrà
via grazie a quella roba. E poi, guarda, dacché ti conosco l’hai sempre avuta,
quindi ormai c’ho fatto l’abitudine.”
“Sei diventato chiacchierone, eh, ora!”
borbottò irritata. Francesco sapeva benissimo quanto lei odiasse tornare sulla
questione cellulite/smagliature/brufoli. Eppure quell’imbecille continuava!
“Tornatene a dormire.” Lo liquidò.
“Ma eri tu che mi volevi parlare.” Lo
sentì voltarsi.
“Prima. Ora non più.”
“Ma va’, ora hai messo il muso?” Elisa
non gli rispose volutamente. “Sei peggio di Sofia… Be’, da qualcuno doveva pur
prendere, lei.” Ghignò. E dire che fino a pochi minuti prima era quasi in stato
comatoso.
“Dai, che volevi dirmi?” la punzecchiò
ancora, ottenendo solo dei ringhi da parte di Elisa, che sentendosi oltraggiata
dalle sue battute su argomenti tabù, non aveva davvero più la testa per
scusarsi. L’avrebbe fatto al più presto – perché l’avrebbe fatto – ma non in
quel momento.
“Si tratta della faccenda di Marco e
Sofia, vero?”
Colpita e affondata, cara Eli!
“Te l’ho già detto prima: non
preoccuparti, non sono arrabbiato.” Continuò. “Certo, non nego che mi abbia dato
fastidio, ma ormai l’hai fatto. Dopotutto è anche tua figlia, puoi decidere
benissimo con chi farla stare. Ti conosco, sei molto responsabile per questo.
Potevi almeno dirmelo, però, ecco. Non dico di chiedermi il permesso – cosa che
invece avresti preteso tu e anche con dovuto anticipo – ma avvisarmi almeno,
sì.”
Elisa non rispose. Si strinse al
cuscino e alle coperte. Francesco aveva la straordinaria dote di passare da un
argomento all’altro mantenendo la sua incredibile indifferenza. Stava parlando
di problemi molto seri proprio con lo stesso spirito di cui prima parlava della
cellulite.
“Vi siete divertiti?” le domandò.
Elisa non rispose ancora, non sapeva
più se fosse perché fosse ancora offesa oppure perché si sentisse colpita dritto
al cuore, ad ogni modo non aveva parole.
“E dai! Potresti anche rispondermi!” le
si avvicinò e le cinse la vita con un braccio, iniziando a farle il solletico
sulla pancia – mossa sleale!
“France, piantala!” iniziò ad agitarsi
lei, mentre le sue dita sfioravano i fianchi e l’ombelico con la destrezza di
chi la sa lunga sui suoi punti deboli. “France!” gridò sommessa. “C’è Sofia che
dorme!”
“Guarda che sei tu che la svegli, se
continui a fare quegli urletti!” ghignò soddisfatto.
E tanto alla fine era sempre così:
Francesco riusciva sempre a ottenere quello che voleva, quando si trattava di
lei.
Elisa si girò verso di lui e gli regalò
un sonoro schiaffo sulla spalla che lo fece smettere con una lunga serie di
guaiti teatrali.
“Quanto sei manesca!” borbottò,
massaggiandosi la spalla dolorante.
“Colpa tua che non la smettevi quando
te lo dicevo io!” nel buio i suoi occhi brillavano vispi.
“Oh, bene,” le sorrise. “Finalmente ora
mi parli.”
Elisa lo guardò per un momento con uno
sguardo omicida saettante negli occhi, per poi sospirare e acconsentire a
parlare.
“France, ti odio quanto fai così…”
“Lo so.” Ghignò, tornando ad
abbracciarla. “Su, che volevi dirmi?” La sua voce ora si fece calda ed
accogliente, invitandola a sfogarsi.
“Be’, volevo scusarmi per non averti
detto niente – anche se a questo punto non so quanto tu te lo meriti ancora.”
Sputò velenosa, per poi guardarlo e calmarsi. “Sì, insomma,” riabbassò lo
sguardo, vergognandosi. “Con Marco non va molto bene ultimamente, lo sai.
Pensavo che un po’ di tempo con Sofia avesse potuto sistemare le cose.”
“E ha funzionato?”
“Forse.” Alzò le spalle. “Alla fine
sembrava davvero più tranquillo. Lo so quanto ci tiene lui a stare con Sofi, per
questo l’ho portata con noi.”
“Be’,” la strinse, lasciandole un bacio
sulla fronte. “Sono contento che le cose si stiano sistemando per te.”
Elisa sentì una nota stonata in quelle
sue parole. Evidentemente la storia di Daniela per lui non era ancora finita. E
di certo il fatto che lui si dimostrasse più appiccicoso del solito poteva
essere collegato a tutto questo. Dopotutto non era da lui chiedere di parlare,
di essere ascoltato. Lui aveva un modo tutto suo di comportarsi in ogni
occasione. Probabilmente il cercare il suo affetto era il modo di superare
questa delusione.
“Ehi, ascolta…” Elisa cercò
l’attenzione di Francesco, anche se la sua proposta non è che proprio le andasse
a genio. “E se provassi a fare come me?”
“A darmi la crema anticellulite?”
ridacchiò. “Uhm, secondo me le mie gambe sono perfette così, che dici?” E
sollevò una gamba, mettendola fuori dalle coperte e toccandosela.
“E piantala, France!” gli spinse la
gamba giù con un colpo. “Lo sai cosa intendo!”
“Sì, sì, avevo capito, Eli.” Si
riaccomodò sotto le coperte e tornò ad abbracciarla. “Ma non mi piace l’idea di
usare Sofia per sistemare cose che non la riguardano. Non è giusto nei suoi
confronti.”
Elisa si sentì pugnalata violentemente
al petto. Dopotutto lei aveva fatto proprio così. Eppure, in cuor suo, non ci
vedeva niente di male a passare un pomeriggio con Marco e Sofia.
“Sai,” fu un tentativo di cambiare
discorso. Non si sentiva a suo agio a proseguire su quel sentiero. “Oggi ha
chiamato mia madre.”
Francesco sbuffò. “Ma con tutte le
persone che potevi nominarmi, proprio tua madre? Avrò gli incubi stanotte!”
“Lo so, anche io.” Sospirò lei. “Ha
iniziato ad attaccarmi come al solito, senza mezzi termini. Meno male che c’era
Sofia che doveva andare in bagno, sennò non avrei saputo come chiuderle il
telefono in faccia.” Si agitò. “Mi fa sentire una tale stupida, quando fa
così…!”
“Eli, non sei stupida.” La interruppe
lui. “Devi smettere di credere a tutto quello che ti dice tua madre.”
“Lo so,” mugolò. “È che se ci pensi,
mia madre non è mai dalla mia parte. Continua a rinfacciarmi quanto l’abbia
delusa… E non è bello, France!”
“Ma pensa che ci sono qua io ad
aiutarti a superare tutto.” Disse teatralmente, soffiandole una risata tra i
capelli rossicci. “Dopotutto abbiamo passato tante cose insieme.”
“E guarda come siamo finiti.” Aggiunse
lei, ironica.
“Be’, a tutte le cose succedono
conseguenze.”
“Sì, ma guardiamo in faccia la realtà:
tu hai problemi con Daniela per colpa mia, Marco sembra si tenga dentro la
voglia di urlare che quello che faccio non è giusto, mia madre non fa altro che
dirmi che sto rovinando la mia vita e -”
“Sei
felice?” La domanda di Francesco le arrivò come una secchiata d’acqua
gelida.
“Eh?”
“Puppa.”
La ginocchiata pericolosamente vicina
ai suoi preziosi gioielli lo intimò a tornare serio. “Voglio dire, nonostante
tutto quello che ti dicono gli altri, tu sei felice?”
“Non capisco.”
“Guarda una tua giornata tipica. Cosa
fai? Ti alzi, prepari la colazione insieme a me, svegli Sofi – sempre che non si
sia svegliata prima di noi – vai a lavorare, hai degli amici. Poi vedi Marco,
stai con lui. Torni a casa, giochi con Sofia… ” Elencò sulle dita, che teneva
oltre la schiena di Elisa, ancora tra le sua braccia. “Tutto questo di rende
felice?”
Elisa dovette ammetterlo: “Molto.”
“Allora non devi preoccuparti di quello
che ti dicono gli altri. Prova a spiegare loro le ragioni che ti portano a fare
quello che fai. E se loro non ti vogliono ascoltare di certo non sono problemi
tuoi. Prima o poi, se sono persone che tengono seriamente a te, lo capiranno e
non ribatteranno più.”
Quelle parole la colpirono e la
riscaldarono come solo le parole di Francesco sapevano fare. Come era possibile
che lui avesse sempre le parole giuste in ogni occasione? Le parole per
ringraziarlo le morirono in gola, facendo affiorare un magone di cui avrebbe
fatto volentieri a meno. Incassò la testa tra le braccia di Francesco e lo
abbracciò stretto, cercando di fargli capire quanto fosse importante la sua
presenza per lei. E nonostante tutto quello che aveva detto, nonostante sua
madre che non tentava altro che disarcionarla dalla sua vita, nonostante il
brutto periodo con Marco, Francesco era sempre dalla sua parte. Su di lui era
sicura che avrebbe sempre potuto contare.
Posò la fronte sul suo petto, sentendo
la sua mano continuare a toccarla sulla schiena, per poi spostarsi sul fianco.
Francesco si divertiva a stuzzicarla in quella maniera, ma quella sera andò
oltre: la sua mano si spinse oltre la maglietta dei Muse e si insinuò tra i
seni, per poi toccarle la schiena nuda, attraversata da una serie di brividi che
la portarono a respirare più profondamente. Inarcò la schiena ed aderì
completamente a Francesco, che con l’altra mano le scostava i capelli dal viso,
avvicinando il suo e sfiorandole le labbra, prima con un dito, poi con il naso
ed infine con le proprie. Elisa sorrise al solletico che la sua barba le
provocava e gliele morse delicatamente, portando un braccio sulla sua nuca e
avvicinandolo a sé. Non voleva che si allontanasse. E infatti Francesco non si
allontanò, posando ora le sue labbra sul collo di Elisa e iniziando a
mordicchiarla, mentre lei cercava di farlo smettere senza troppa volontà.
Intanto la mano esploratrice di
Francesco aveva iniziato a scendere verso le mutandine, sfiorandole esperto
quelle zone sensibili proprio sopra l’elastico. E proprio mentre trattenne il
fiato per resistere a quelle provocazioni, sospirò e gli allontanò la mano con
la sua, stringendogliela e continuando a respirargli sul collo.
“Non posso, ho il ciclo.”
Francesco sembrò ritrarsi ad un livello
più casto, senza però permetterle di allontanarsi da lui, continuando a
stringerla tra le braccia e lasciandole dei baci tra i capelli fino a farla
addormentare.
___________________________________
Ma salve! Quanto sarà passato? Un'era e
mezzo? Un'eternità e tre quarti? Più o meno, eh... Scusate! E lo so che le scuse
non reggono - nel senso, di motivi ne avrei anche un po', ma cinque minuti per
pubblicare qualcosina, visto che ho capitoli in avanzo per un po', avrei potuto
trovarli...
Non mi dilungo in chiacchiere, anche
perché direi che questo capitolo parli da sé - e forse sarete voi a parlare,
chissà! ;)
Ringrazio Brezza, che come al
solito segue appassionatamente la storia e spero in una sua futura recensione
per sapere cosa ne pensa!
Al prossimo capitolo!
S.P.
|
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Capitolo 26 *** XXVI ***
Si svegliò frastornata
Si svegliò frastornata. Le ci volle
qualche secondo per rintracciare gli occhiali sul comodino e mettere a fuoco la
stanza. E molto meno per rendersi conto che doveva andare in bagno. Si sentiva
la testa leggera, ma allo stesso tempo confusa, e la spiegazione la trovò ben
presto nel ricordo del sogno che aveva fatto quella notte. Effettivamente non
faceva bene dormire nello stesso letto di Francesco – era normale fare poi sogni
erotici su di lui.
Andò poi in cucina e dirigendosi verso
il frigorifero, notò un post-it scritto con la calligrafia di Francesco. Si
sistemò gli occhiali sul naso e lesse: “Lezioni di shopping con il Varinelli!”
Si immaginò quei due scemi a giro per la città, saltando da un negozio di
elettronica all’altro e si ritenne fortunata di non essere con loro. L’ultima
volta che tornarono dal loro shopping, Francesco portò a casa un
pelapatate, dicendo che era in offerta e che magari avrebbe fatto comodo –
alludendo ovviamente alla pessima battuta a sfondo sessuale. Elisa per poco non
glielo tirò dietro. Paradossalmente, il pelapatate però era ancora nel cassetto
della cucina, insieme a quello che già avevano.
Guardò l’ora con la coda dell’occhio
sul display del microonde mentre apriva il frigorifero per prendere il latte da
mettere sul fuoco. Erano le dieci e mezzo e Sofia ancora dormiva. Per quanto
potesse essere strano, era comunque l’ora di svegliarla.
Entrò nella sua stanza e la trovò
quatta quatta in un angolo, per poi schizzare in piedi e guardarla con uno
sguardo evasivo.
“Cosa stai facendo, tesoro?”
“Disegno.” Rispose semplicemente,
alzando le spalle con un’indifferenza tale da insospettire Elisa.
“Mi fai vedere cosa?” le si avvicinò,
convinta che stesse nascondendo qualcosa.
Il labbro inferiore di Sofia iniziò a
tremare, mentre lei tentava nonostante tutto di mantenere un’espressione
tranquilla. Quando finalmente Elisa la raggiunse, vide la manina svelta di Sofia
che tentava di nascondere qualcosa sotto il letto.
“Cos’è? Fai un po’ vedere.” Le sorrise.
Qualunque cosa avesse fatto, sicuramente non l’aveva fatta con cattive
intenzioni, questo per Elisa era poco ma sicuro.
“Un disegno.” Rispose biascicando, in
imbarazzo e con il labbro tremulo.
Elisa si chinò per prendere l’oggetto
che aveva tirato sotto il letto e non appena lo riconobbe sospirò, addolcita da
ciò che vide.
“Sofi, questa è l’agenda di papà.” Le
disse, vedendola annuire, conscia. “Lo sai, vero, che non devi prenderla.” La
bambina annuì, mentre gli occhi le divennero lucidi. “Qui c’è il lavoro di papà,
se glielo rovini poi lui si arrabbia, eh!” E la invitò ad abbracciarla, visto
che stava per piangere. “Perché l’hai preso?”
Sofia corse tra le braccia della madre
e mugolò: “Perché volevo regalare un disegno a papà!”
Elisa le sorrise dolcemente,
carezzandole la testa corvina e dicendole di non piangere. “Dove l’hai trovato?
Lo rimettiamo a posto, ora, ok?” Prese in braccio Sofia e andarono in sala dove
la bambina le indicò il tavolino davanti al divano. Elisa sospirò: era ovvio che
Sofia l’avesse preso, visto che Francesco l’aveva lasciato a giro.
Terminato quel momento tendente al
pianto, Elisa portò la piccola in cucina e aspettò che il latte fosse caldo al
punto giusto, per poi versarlo in due tazze e fare colazione con lei.
***
“Se le porti un altro pelapatate penso
che potrebbe tirartelo dietro. O infilarlo in posti poco consoni.”
“No, no, niente pelapatate, questa
volta.” Mormorà Francesco in risposta, guardandosi intorno curioso, alla ricerca
dell’ennesimo acquisto da sottoporre all’ira di Elisa. “Sai cosa ci vorrebbe?”
Gianluca non rispose, quasi avesse paura della risposta. “Della materia prima!”
“Materia prima?” ripeté senza capire
Gianluca, sebbene parve rendersi conto di cosa intendesse non appena chiuse la
bocca.
“Patate!” esordì Francesco in
gloria, mentre l’amico si passava una mano sul viso, sospirando.
“Fai come ti pare, tanto le palle sono
tue.” Alzò le spalle Gianluca, abbandonando Francesco alla sua ricerca
infantile.
“No, aspetta, mi abbandoni qui?” lo
inseguì, posando lo strano mestolo di legno dalla forma ambigua che aveva
individuato nel reparto “casa”.
“Esattamente.” Gianluca girò nel
reparto “elettronica” e raggiunse lo scaffale dei mouse. Scelse tra quelli più
economici, guardandone un paio che Francesco gli aveva offerto, dopo averne
letto le caratteristiche.
“Come va con Marianna?” chiese con
un’alzata di spalle. Sapeva che Gianluca avrebbe capito il punto a cui voleva
arrivare, ma effettivamente non aveva mai avuto le palle per tirare fuori la
questione senza giri di parole introduttive.
“Cosa è successo?” fin troppo
velocemente, l’amico arrivò al punto e Francesco ridacchiò. Forse stavano
insieme troppo a lungo. Pareva non avere nemmeno più il margine dell’incertezza:
Gianluca sapeva proprio tutto di lui.
“Ieri sera stavo per fare l’amore con
Elisa.” Disse.
“E cosa te l’ha impedito?” non sembrava
preoccupato, quanto consapevole, mentre si rigirava tra le mani degli accessori
per il portatile. E Francesco sapeva bene il motivo di quella sua reazione
apparentemente distaccata. Dopotutto gliel’aveva detto molte volte. E non solo
lui.
“Ha il ciclo.” Fece nuovamente
spallucce, infilandosi le mani in tasca e trascinandosi dietro l’amico con passo
svogliato e indifferente.
“Capisco.” Annuì, mentre posava
l’ennesimo hard disk, commentando tra sé e sé che non doveva farsi ingannare
dalle offerte lampeggianti sui prodotti.
Francesco aspettò qualche minuto in
silenzio prima di riprendere la parola. “Tutto qui?”
Gianluca sospirò. “France,” lo guardò
negli occhi, grattandosi il mento coperto dalla barba. “Mi sembri un
adolescente, quando fai così.” Schioccò la lingua. “Cosa vuoi che ti dica?” alzò
le spalle. “Lo sai anche tu, no? Elisa ha Marco. Tu sei storia passata.”
Sospirò. “Se vuoi sentire dei pareri, lo sai: chiama Fede e non te la togli più
di dosso.”
Passarono dei minuti in silenzio, come
se nessuno dei due volesse più parlare. Francesco, dal canto suo, avrebbe solo
voluto sapere un concreto parere di Gianluca. Certo, sapeva cosa pensasse
l’amico di tutta quella storia con Elisa, ma aveva bisogno che qualcuno gli
ponesse la domanda cruciale per sentirsi pronunciare quella risposta che
cercava, nonostante tutte le opinioni degli altri. E forse fu proprio quel
silenzio che portò Gianluca a girarsi, la fronte aggrottata e le dita
ticchettanti al fianco, in attesa di una risposta: “Pare che tu voglia
obbligarmi a chiedertelo!”
“Dici?”
“Sì, il tuo silenzio è assordante,
certe volte.”
“Parli come una donna.”
Gianluca parve non voler considerare
quel commento e andò al punto: “Insomma…?”
“No, non mi sarei fermato.”
“Trai da solo le tue conclusioni,
allora.” E per quanto potesse sembrare una risposta indifferente e tendente al
disinteressamento, Gianluca gli aveva svelato un mondo che Francesco – forse per
paura, forse per incapacità – non vedeva. L’amico gli dette una pacca sulla
spalla e gli sorrise, facendo cadere quella sua aria superiore. “Dovresti essere
sollevato, no?” ghignò.
Francesco si sentì effettivamente
sollevato da quelle parole, ma non fece in tempo a sfociare in una risata
liberatoria, che quella gli si bloccò in gola come un seme di cocomero andato di
traverso. Forse era proprio vero che quando una cosa andava male, ce n’era
sempre un’altra pronta ad andare peggio. E il peggio lo stava fissando con uno
sguardo confuso, immobile a qualche metro di distanza, con una borsa
porta-computer rosa in mano, dietro un sipario di capelli biondi. Si sentiva i
suoi occhi azzurri puntati contro, quasi come se avessero voluto indurlo ad
avvicinarsi. Quelle labbra rosse erano socchiuse, incapaci di coordinarsi in un
saluto, seppur sussurrato.
Ma fu Gianluca ad avere la reazione di
stupore che sarebbe stata più consona per Francesco, che invece si zittì e dopo
un fugace cenno con la testa, si voltò nella direzione opposta, interrompendo
così quella breve connessione tra i loro sguardi.
Gianluca, rimasto più del dovuto a
fissare la donna, lo rincorse e lo prese per un braccio per farlo voltare.
“Ma… Non le dici niente?” chiese,
confuso.
“Che dovrei dirle?” alzò le spalle
indifferente. “Ha avuto la sua occasione per ascoltarmi e non l’ha colta.” Erano
passate quasi due settimane dacché le aveva lasciato quel messaggio nella
segreteria telefonica. Il tempo per rispondergli era stato più che sufficiente e
il fatto che non avesse provveduto, era stata una chiara risposta che confermava
la fine del loro rapporto. Su questo Francesco ormai non aveva dubbi: erano
successe troppe cose nel frattempo.
_______________________________________________
E rieccomi! Lo so, mi davate per dispersa e pensavate
che la storia fosse bell'e lasciata a se stessa, ma in realtà non lo è! E forse
questa cosa mi farà odiare ulteriormente con commenti del tipo: "E allora perché
non hai più aggiornato!"
Eh, bella domanda... Alla fine sono sempre stata
presa da altri impegni e ho sempre lasciato in secondo piano la pubblicazione,
sebbene abbia continuato a scrivere capitoli - e questo spero vi rincuori :)
Ad ogni modo, dopo questa mia fugace ammissione di colpa e la virtuale
lapidazione pubblica da parte vostra, vorrei ringraziare Brezza che
nonostante tutto ha continuato a riportare commenti fin'ora - spero continuerai
a farlo! Adoro i tuoi commenti! :D
E... Insomma, be', spero abbiate gradito! Alla
prossima!
S.P.
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Capitolo 27 *** XXVII ***
Nuova pagina 1
“Insomma, con Roberto come va?” Elisa
alzò gli occhi dalla tazza di tè, nel farle quella domanda. “Avevi detto che le
cose andavano sempre meglio, ma poi non ci siamo più sentite.”
“Sì, sì, lo so.” Annuì Chiara, mentre
Sofia le mostrava tutto il suo repertorio di disegni colorati. “Ma vorrei
ricordarti che tra noi, dovrei essere io a chiedere a te come vadano le cose,
Eli.”
Elisa non rispose, osservando le
piccole foglie galleggiare nella tazza calda, come alternativa allo sguardo
dell’amica. Non era né saccente né arrogante, né tantomeno voleva sembrare
arrabbiata o irritata dal suo modo di fare. “So che vorresti sapere di lui,
ma ultimamente le cose vanno bene.” L’allusione a Francesco era trasparente.
“Sai che questa cosa potrebbe essere
molto più preoccupante di tante altre che tu abbia mai detto?” sospirò Chiara,
sorseggiando il tè, mentre Sofia le passava un nuovo disegno da dover
apprezzare.
“Piantala, sai che non mi piace quando
parli così.”
“Perché? Non è forse vero che invece
che far andar bene le cose con lui, dovresti pensare a qualcun altro?”
“Proprio di lui volevo parlarti,
infatti.” Disse. “Ma tu come al solito punti a Francesco!”
“Francesco è papà?” si intromise Sofia,
posando un nuovo foglio sulle gambe di Chiara.
“Sì, tesoro.” Le sorrise, carezzandole
i capelli. “Chiara voleva sapere come stesse.” E squadrò l’amica per sfidarla a
dire il contrario.
“Papà sta bene!” trillò la piccola.
“Ora non è più malato!” Quel cambiamento di discorso le fece dimenticare di
tutto il blocco di disegni che ancora stava per terra, pronto per essere
mostrato a Chiara. Chiese di salire sulle gambe di Elisa e venne accontentata.
“Insomma, aggiornami.” Sospirò Chiara,
senza nascondere un sorriso.
“Ieri sono uscita con Marco.” Chiara
annuì, sorseggiando. “E mi sono portata dietro Sofia.” E a quel punto, Chiara
rischiò di strozzarsi con il tè, sgranando gli occhi e tossendo, battendosi una
mano sul petto come per aiutarsi ad ingoiare.
“Cosa?” disse poi, sfiatata.
“Sì, siamo uscite con Marco – vero Sofi?”
si chinò sulla bambina e le sorrise, dandole un bacio in fronte.
“Sì! Marco è bello!”
“Già, Marco è davvero bello.” Convenne
Elisa.
“E allora perché sei ancora qui…” si
lamentò in un mormorio soffocato, per non farsi sentire dalla piccola. Poi si
schiarì la voce. “E vi siete divertiti?”
“Sì! Ho giocato con un cagnolino!”
esultò Sofia.
“E com’era?” si interessò Chiara, per
rendere partecipe anche Sofia della conversazione.
“Era piccolo piccolo! Bianco! E
marrone! E nero! E aveva le orecchie così!” e mimò delle orecchie a punta con
gli indici delle mani.
“Bello!” le sorrise. “Me lo
disegneresti?”
Sofia molto probabilmente non aspettava
altro. Saltò giù dalle gambe della madre, che si chinò per evitare che cadesse e
si facesse male nell’euforia che l’aveva conquistata. Sofia prese nuovamente il
blocco da disegno, trovò una pagina bianca e si mise a disegnare con le matite
colorate.
Elisa la guardò sognante, mettendosi
una ciocca di capelli dietro l’orecchio con una mano, mentre con l’altra ancora
teneva la tazza di tè fumante. In Sofia rivedeva una parte della personalità di
Francesco che l’aveva sempre affascinata. Come lei, infatti, anche Francesco si
buttava su nuove avventure con un’euforia ed una sincerità impagabile. Era
qualcosa che oltre ad affascinarla, in effetti, invidiava. Ed era felice che
Sofia ne avesse preso quest’aspetto.
“Insomma, Eli,” continuò Chiara. “Mi
dicevi di Marco.” E la guardò ammiccante, senza che Elisa capisse. “Si vede che
le cose migliorano, eh?”
“Dici?” alzò un sopracciglio. Si
domandò se l’effetto di Sofia avesse potuto avere una ripercussione così
evidente sul loro rapporto, ma di certo non se ne lamentava. Almeno qualcosa,
ora, stava prendendo la giusta piega.
“Eh, già.” Sogghignò, indicandosi il
collo con l’indice.
Elisa non capì. “Che fai?”
“Il succhiotto, Eli.” Le spiegò, questa
volta stupita. “Non hai visto?” rise. “C’avete dato dentro, eh!”
E la tazza di tè le cadde dalle mani,
rompendosi sul pavimento e schizzando qualche foglio di Sofia, che se ne lamentò
amaramente. Elisa assimilò solo in quel momento tutto quello che pensava di aver
soltanto sognato e si coprì il segno sul collo con una mano. Non ebbe la
prontezza di riflessi nell’evitare che le mani perdessero la presa sulla tazza
di coccio, ma fortunatamente Chiara prese Sofia in braccio – le lacrime agli
occhi e la piccola bocca tremante per lo spavento – allontanandola dalle schegge
che avrebbero potuta ferirla. E mentre lei appurava che non si fosse fatta
niente, Elisa si accorse del danno causato dalla sua goffaggine. Corse in cucina
a prendere uno straccio dal mobile sotto l’acquaio e tornò ad assorbire quel
poco tè che bagnava il pavimento della sala. Poi prese una scopa e raccolse i
pezzi della tazza. Si scusò, quindi, con Chiara e prese nuovamente in braccio
Sofia, che si lamentava per i suoi disegni.
“Scusa, amore!” l’abbracciò. “Mi è
sfuggita la tazza dalle mani…”
“Perché bruciava, vero?” tirò su col
naso.
“Eh… Sì, bruciava, infatti.”
“Vedevo il fumo.”
“Ora sistemiamo anche i tuoi disegni,
amore.”
“Basta solo lasciarli asciugare, Sofi.”
Le disse Chiara sorridente. “Poi profumeranno di tè!” le fece l’occhiolino.
Sofia parve tranquillizzarsi all’idea,
e scalciò per scendere e portare i disegni sulla terrazza, affinché si
asciugassero prima, ma Chiara la fece desistere, dicendo che era meglio portarli
nella vasca in bagno, dal momento che fuori prometteva pioggia e i disegni
avrebbero potuto sciuparsi ancora di più.
Quando, poi, la situazione tornò alla
normalità e Sofia si rimise a disegnare, Chiara guardò Elisa con rassegnazione,
sospirando ancora. “Io non voglio chiederti niente – la tua reazione è stata fin
troppo ovvia.”
Elisa si sentì un peso premerle proprio
sul petto, affaticandola nel respirare. “Il bello è che io pensavo di aver solo
sognato.”
“No, il bello sarà nasconderlo a Marco,
tesoro.” Scosse la testa. “Ma non sarete mica andati fino in fondo, vero?” si
assicurò Chiara.
Elisa negò. “Ho il ciclo.”
“Penso che sia la prima volta che
ringrazio le mestruazioni per aver impedito a qualcuno di fare sesso.” Alzò gli
occhi al cielo.
“Sì, le ringrazio pure io.”
Chiara finì di bere il tè, tornando a
guardare Elisa, questa volta seriamente. “Ripensandoci, una domanda ce l’avrei.
Posso?”
Elisa acconsentì, sebbene sapesse che,
come tutte le domande di Chiara, la risposta non sarebbe stata affatto semplice.
“Se tu non le avessi avute, che avresti
fatto?”
Elisa ci pensò, senza però arrivare
alla conclusione desiderata. Dopotutto, come non si era resa conto di cosa fosse
successo, come poteva dire se si sarebbe fermata ugualmente? Se il sogno fatto
quella notte fosse corrisposto alla realtà, no, molto probabilmente non si
sarebbe fermata. Tutto era così eccitante e nostalgico, che non credeva la sua
coscienza si sarebbe fatta avanti. E se l’avesse fatto, lei non le avrebbe dato
ascolto. Ma lei stava con Marco. Non poteva tradirlo così. Non era giusto e non
se lo meritava.
Quando guardò nuovamente l’amica,
pronunciò la risposta che le sue orecchie avrebbero voluto sentire, ma che i
suoi occhi negarono, così come avrebbe fatto lei stessa, se avesse avuto il
coraggio di essere sincera.
***
***
Il cellulare di Francesco ormai stava
suonando per la terza volta in poche ore, senza che lui vi prestasse attenzione,
lasciandolo sfogare con quella suoneria metallica che inondava la sua stanza
fastidiosamente. Federica gli aveva persino urlato di mettere almeno la
vibrazione, se proprio fosse intenzionato a non considerarlo, per poi mandarlo
in culo con una nobile alzata di dito medio. Doveva avere il ciclo.
“Perché non rispondi?” sospirò
esasperato Gianluca, mentre Fede si affacciava nella stanza con sguardo
assassino per aver sentito ancora quelle note standard del suo cellulare.
“Perché so chi è e non mi importa.”
Disse semplicemente, alzando le spalle con indifferenza.
“Almeno fai come t’ha detto Fede –
effettivamente è snervante.”
“Visto che non sono l’unica a pensarlo,
idiota?” urlò lei dalla sua stanza. Il ciclo le doveva aver fatto sviluppare
l’udito in maniera impressionante. Faceva quasi paura.
Francesco ridacchiò, mentre pensava
alla quotatura della pianta della villetta dei Farina. “Ti dirò,” sussurrò,
quasi a prendersi gioco di Fede. “Non mi dispiace sentire sbuffare Fede così
pesantemente da farle quasi tirare giù le mura che separano le nostre stanze.”
“Pensa almeno a Nico, che è di là con
lei!”
“Già pensa a me!” il suono dello
sciacquone, ora meno attutito dalla porta aperta del bagno, segno che finalmente
vi era uscito, avvisò del suo ritorno tra loro.
“Tu pensa a noi e spruzza un po’ di
deodorante per ambiente.” Lo rimbeccò Gianluca, cacciandolo dalla stanza con una
mano, come ad incitarlo a fare al più presto, tanto per non far espandere
l’odore per il resto dello studio.
“E sta’ attento a non scambiare lo
spray con la schiuma da barba come facesti in casa nostra – sembrava avesse
nevicato in bagno.”
“Ma se nemmeno c’è la schiuma da barba,
qui!” replicò stizzito.
“Lo so, ma è bello rinfacciartelo.”
Rise Francesco, mentre un bip metallico lo avvertiva che era stato
lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica.
Il fatto che Francesco nemmeno avesse
preso in mano il telefono, spinse Gianluca a fargli un’ulteriore domanda. “Be’?
Non l’ascolti?”
“Te l’ho detto: so chi è e non mi
importa. ” Cantilenò.
“Santo Cielo, Vanni!” sbottò Fede,
entrando nella stanza. “Ormai lo sappiamo tutti chi sia!” sbatté le mani sulle
gambe, irritata. Francesco la guardò scherzosamente interrogativo, spingendola a
proseguire. “È Daniela – Gianlu ci ha detto che l’avete incontrata al centro
commerciale.” Specificò.
“Vi avrà anche detto di come abbiamo
già parlato là, allora.” Smise di lavorare al pc per guardarla saccente.
“Be’, effettivamente questo no.” Si
mise le mani cicciottelle ai fianchi rotondi e si sporse verso l’amico con
espressione alterata. “Mi domando perché. Eh, Varinelli?”
Gianluca sbuffò, passandosi una mano
tra i capelli. “Perché non si sono nemmeno salutati. Lui le ha voltato le spalle
e se n’è andato, ecco perché non te l’ho detto, Valentini.”
“Non vi siete nemmeno salutati?”
ripeté incredula, voltandosi verso Francesco, che annuì con tranquillità, le
mani sotto il mento e lo sguardo saccente sempre sul volto. “Perché?”
“Perché non avevo niente da dirle. Ed
ecco perché – te lo dico prima ancora che tu mi faccia la domanda – non le
rispondo al telefono e non ascolto i suoi messaggi.” E tanto per rendere ancor
più evidente la sua vittoria su quella discussione, allargò le braccia in segno
trionfante e si lanciò su un intonato “Ta-dan!”, che fece roteare gli occhi a
Federica e agli altri due presenti.
“Ma almeno ascolta cosa vuole dirti,
no?” continuò imperterrita Federica. “Dopotutto tu eri il primo a cui giravano
le palle quando lei non ti ascoltava. Vuoi abbassarti al suo livello?”
Francesco la guardò socchiudendo gli
occhi, come a volerla analizzare. “Non cadrò in questi subdoli giochetti
psicologici. Sono immunizzato da cinque mesi di relazione con una psicologa.”
“Motivo in più per mostrarti
superiore.”
“No, motivo in più per fare come mi
pare e fra poco smettere di ascoltare pure te.”
“Ma cosa ti costa?”
Francesco sospirò, prese il cellulare,
entrò nella sua segreteria telefonica e lo porse con un gesto scocciato a
Federica. “Tieni, ascolta pure le sue lamentele – io di certo non lo farò –
almeno si può dire che le sue parole non siano state pronunciate invano.”
Indubbiamente Federica gli prese il
cellulare dalla mano con altezzosità e se lo portò all’orecchio, ascoltando un
messaggio che a vedere dalle sue molteplici espressioni adottate durante tutto
l’ascolto, doveva essere molto contorto.
“Che dice?” si volle informare Nicola,
ora seduto su una delle sedie di fronte alla scrivania di Francesco, che si
portò una mano sul viso. Non ce la faceva più a sopportare questa storia.
Daniela era ormai un capitolo chiuso, sigillato e, se avesse potuto, anche
dimenticato.
“Aspetta, non è ancora finito.” Lo
zittì con una mano, concentrandosi sulle parole registrate nella segreteria.
“Ma quanto dura?” sospirò. “Saranno
cinque minuti che chiacchiera.”
“E s’è trattenuta, immagino.” Commentò
Francesco, ricordandosi come i suoi monologhi potevano obbligarlo ad ascoltarla
anche per molto più tempo.
“Allora, che dice?” insistette Nicola,
picchiettando sul braccio di Fede.
“Che vuole parlare con il Vanni, per
chiarire e dirgli quello che pensa di loro.” Disse schioccando la lingua. “Ora
mi fai finire di sentire?” lo fulminò con lo sguardo.
“Va bene, va bene, mica bisogna essere
così cattivi, eh!” Poi si rivolse verso Francesco. “Tutto questo tempo per dire
solo questo?” alzò un sopracciglio scettico.
Francesco annuì conscio dello sconforto
che Nicola provava. I primi mesi furono duri anche per lui.
Finalmente Fede gli restituì il
cellulare, per poi essere catturata dalla mano di Nicola che la guardò
ammiccando al resto della registrazione.
“Quanto sei noioso, Nico!” sbuffò. “E
pettegolo.” Lui la guardò rassegnato. “Dice che vorrebbe parlare, dirgli che
inizia a capire perché tu,” – e si voltò per guardare Francesco – “abbia
detto quel che hai detto e che magari anche lei aveva torto. Effettivamente non
ha mai detto di aver sbagliato…” meditò. “Piuttosto diceva che forse
aveva sbagliato e che magari non aveva sempre ragione.”
“È un tipo orgoglioso.” Spiegò
Francesco. “Non lo dirà mai.”
“Ma soprattutto – sai cosa, Vanni?”
l’espressione di Federica si fece stranamente gongolante, attirando l’attenzione
anche di Gianluca, che pareva fare la persona seria. “Daniela ha parlato di un
tuo messaggio che le lasciasti un paio di settimane fa. Che lo ascolta dacché vi
siete rivisti praticamente fino a impararlo a memoria.” Sorrise soddisfatta.
“Com’è che noi tutti non se ne sapeva niente?”
“Sì, com’è che non c’hai mai detto
niente?” si unì Nicola.
Francesco alzò un sopracciglio,
spazientito. “È un messaggio che le lasciai – sì, ormai quasi due settimane fa.
Le volevo dire di trovarci per parlare – ma due settimane fa.” Gianluca
lo interruppe con un sospetto colpo di tosse e Francesco lo guardò con la coda
degli occhi come a sfidarlo a dire qualcosa. Ci mancava che venisse fuori anche
cosa era successo con Elisa solo il giorno prima.
“E chi se ne frega!” Federica batté le
mani sulla sua scrivania. “Ci vuole tempo per metabolizzare queste cose!”
“Primo,” Francesco iniziava a stancarsi
di questa discussione. “Due settimane è troppo tempo. Secondo: ormai è
acqua passata. Terzo: non sono affari tuoi.”
“Posso dirlo?” obiettò Fede, che
ovviamente voleva l’ultima parola. “Ragazzi, posso dirlo?” guardò prima Nicola e
poi Gianluca, che annuirono mestamente. “Smettila di pensare ad Elisa e cerca di
salvare il rapporto con Daniela!” lo indicò con un minacciosissimo dito indice e
gli occhi socchiusi.
“Hai mai pensato che magari io non
voglia?”
Federica era pronta a ribattere sulla
scia della minaccia precedente, ma il telefono dello studio ebbe la prontezza di
suonare giusto per interromperla e far arrivare Francesco in base, salvandolo.
Gianluca rispose, mentre Francesco si
dilettava in linguacce infantili, tanto per far innervosire Federica ed
alimentare la sua ira, perché tanto alla fine era così che si concludeva ogni
loro battibecco. Non era arrabbiato, sebbene avesse fatto volentieri a meno di
quella discussione: in quel periodo, sentire parlare di Daniela gli dava
fastidio. Tra loro era finita – lo sapeva lui e lo sapeva lei, sebbene ancora
non si rassegnasse. Dopotutto, fu proprio lei a chiudere la relazione. Certo,
forse si stava solo abbassando al suo livello, intestardendosi di non volerle
parlare, proprio come le aveva detto Federica, ma non riusciva a inghiottire
tutti i suoi sforzi mai ripagati. Perché avrebbe dovuto dargliela vinta? Non
aveva ragione lei e lui non era intenzionato a dargliela. Era giusto che anche
lei capisse i suoi errori. E a certi errori, non ci sono soluzioni. Era giusto
che capisse anche questo.
“Ragazzi, non ci crederete,” esultò
Gianluca, chiudendo la chiamata. Il suo viso illuminato da un sorriso trionfante
portò quei pensieri a svanire in pochi secondi, ottenendo l’attenzione di tutti
i presenti: “Abbiamo dei nuovi clienti!”
____________________________________________
Un aggiornamento così veloce non ve lo
sareste mai aspettato, eh! Ta-daaaan! E invece eccomi, con questo capitolo tutto
vostro!
Ehhh, le cose si stanno un po'
complicando per tutti... Personaggi "vecchi" tornano in scena, gli altri intanto
vanno avanti, altri dovranno fare i conti con quello che è successo...! Insomma,
come pensate che andrà avanti? Che pensate possa succedere?
Ringrazio come sempre Brezza, e
vi lascio alla prossima puntata! ;)
S.P.
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Capitolo 28 *** XXVIII ***
Nuova pagina 1
“Guarda che non mi avrebbe dato alcun
fastidio, te l’ho detto.”
“Lo so, ma mio padre voleva passare un
po’ di tempo con lei.” Spiegò Elisa, passando i piatti da lavare a Marco, che li
sciacquava sotto il getto dell’acquaio e poi li infilava in lavastoviglie.
“Non c’entra mica Francesco, vero?” si
insospettì, voltandosi a guardarla negli occhi. Non era né di pessimo umore né
tantomeno triste. Era preoccupato: conoscendo Marco, era probabile che si
sentisse in colpa di eventuali litigi tra loro due, sebbene Elisa sospettasse
malignamente che gli avrebbero in realtà fatto piacere.
“No, no, no.” Forse esagerò con le
negazioni, ma il solo sentir pronunciare il suo nome, le fece portare
automaticamente le mani al foulard beige che teneva intorno al collo. “Francesco
non ha detto niente.” Non troppo vero, ma nemmeno totalmente falso.
Marco parve accontentarsi di questa
risposta e terminò di caricare la lavastoviglie, per poi prendere Elisa per la
mano e portarla sul divano. Si sedettero vicini e si accoccolarono, mentre lui
le massaggiava dolcemente una spalla, abbracciandola.
“Era tutto squisito, Marco.” Sorrise
lei, la testa appoggiata a lui.
“Per te, questo e altro.”
“Sai, mi sminuisci,” ridacchiò. “Io non
sono così brava in cucina.”
“Vorrà dire che ci siamo trovati: io
sarò pure bravo ai fornelli, ma tu sai come mantenere una famiglia.” Elisa ebbe
un battito mancato, soltanto averlo sentito parlare di famiglia le aveva
provocato una reazione tale che ebbe paura di affrontare quell’argomento. Si
sistemò meglio il foulard e deglutì. Si sentì divisa come non mai: da una parte
non avrebbe voluto altro che parlare del suo futuro con Marco, ma dall’altra…
Non in quel momento. La sua testa era troppo piena di pensieri per cercare
soltanto di dare priorità ad uno di essi. Si spingevano, si sfidavano su chi
dovesse prevalere, ma nessuno la dava vinta all’altro, tanto che Elisa
cominciava a sentire un vago mal di testa.
“C’è qualcosa che non va?” chiese
Marco, fin troppo attento. Tutte quelle attenzioni che solitamente le rivolgeva,
la lusingavano. Ma – no – non in quel momento.
“No, no” negò, sorridendo forse troppo
falsamente, vista l’incrinatura delle labbra di Marco. “Cioè, ho solo… Mal di
testa.” E si passò una mano sulla fronte, per poi farla scendere
impercettibilmente sul foulard, come ad appurare che ci fosse ancora e non
giocasse qualche fatale scherzo come allentarsi e scivolare via dal suo collo.
“Sicura che tu stia bene?” si
preoccupò. Le posò una mano sulla fronte, quasi ad emulare il suo precedente
gesto. “No, non sei calda, però sei pallida, tesoro.”
“Non so, forse Francesco mi ha
attaccato qualcosa…” buttò lì Elisa, pensando di svicolare dalla conversazione,
ma giunse troppo tardi all’ambiguità che aveva offerto a Marco. “Sì, be’, perché
– lo sai, no? Mi pare di avertelo detto – Francesco ha avuto la febbre in questi
giorni e -”
“No, non lo sapevo.” Marco non pareva
preoccupato per la salute di Francesco, quanto forse per l’improvviso nervosismo
di Elisa. O forse era semplicemente la sua coscienza che lo fece apparire più
sospettoso del solito? Dopotutto Marco non era un tipo da ficcare il naso nella
sua vita con tale invadenza. Piuttosto si rinchiudeva nel suo tipico silenzio
ferito.
“Be’, sì, si è preso un brutto
raffreddore quando Daniela l’ha lasciato e -”
“Francesco e Daniela si sono lasciati?”
Elisa si catapultò sul pensiero di un
immediato suicidio: più parlava più sembrava scavarsi la fossa con le sue mani.
Forse Marco era l’unico a non saperne niente. Ovvio, si disse, lei era la prima
a non volergli mai raccontare niente di Francesco per evitare discussioni
sull’argomento, ma alla fine questi suoi tentativi di salvaguardia del suo
rapporto con Marco le si stavano rivoltando contro come il vento durante una
bufera, che le scarruffava i capelli e le bloccava il fiato in gola per la forza
con cui l’avvolgeva nella sua burrascosa scia.
“Be’, sì, ma è successo ormai due
settimane fa, quindi…”
“Due settimane fa?” il tono di Marco si
faceva più incredulo ogni volta che ripeteva le parole di Elisa, cosa che a lei
iniziava quasi a dare fastidio. “E perché non me l’hai mai detto?”
Ecco, perché? “Be’…” lo sguardo fisso
sulle sue mani, sebbene non le mettesse a fuoco, misero in evidenza tutto il suo
imbarazzo. Che poi, perché avrebbe dovuto provare imbarazzo? Non erano cose che
li riguardassero, dopotutto. Erano questioni tra Francesco e Daniela, loro non
c’entravano affatto.
Decise di dirgli esattamente quelle
parole.
“No, no” Marco indietreggiò. Parve
rendersi conto della situazione, o così sperò Elisa. “Però mi chiedo perché tu
non me l’abbia detto, ecco. Sembra quasi tu me l’abbia voluto nascondere…”
Indubbiamente le speranze di Elisa di sfracellarono al suolo in una miriade di
schegge appuntite, che la trafissero piena al petto, mozzandole il fiato a metà.
“Ma perché… Io – lo sai…” la mano le si
posò automaticamente sul foulard. “Non ti parlo mai di Francesco. E non lo
faccio perché non voglio che lui – ecco – si intrometta nelle nostre vite,
capito?” pareva quasi una domanda rivolta a se stessa, che a Marco.
“Sì, lo capisco, ma, vedi,” tentennò
Marco. “Be’, questa è una cosa grossa.”
Elisa sapeva perfettamente dove volesse
andare a parare Marco. E sapeva anche che aveva ragione. Più che ragione. La
prova era proprio sotto i suoi occhi, nascosta solo da una striscia di tessuto
beige.
“Sì, lo so… Scusa.” L’intonazione che
assunse era fin troppo ferita per una questione del genere, se vista agli occhi
di un estraneo. Dopotutto Elisa, se avesse solamente taciuto sulla novità di
Francesco, non aveva certamente commesso un errore fatale. Era il succhiotto che
rendeva tutta la situazione più complicata.
“No, dai, Eli,” Marco le posò una mano
sotto il mento per farle volgere lo sguardo dentro verso i suoi occhi ed Elisa
si sentì mancare, quando la mano di Marco mosse pure il foulard, senza
fortunatamente mostrare quel marchio lussurioso sulla sua pelle. Per la prima
volta, Elisa sentì che il suo cuore non stava battendo per la vicinanza di
Marco, ma per quella di Francesco, così inopportunamente presente, sebbene fosse
a casa loro a guardare una delle sue partite di Basket.
E mentre Marco si accontentava di
poterla almeno baciare per concludere quella romantica serata, Elisa non poté
che ringraziare il più volte maledetto ciclo per potersene stare sulle sue con
una scusa più che credibile.
***
Per tutto il giorno aveva fatto finta
di niente in presenza di Francesco e sembrava che lui avesse intenzione di fare
altrettanto. Ma non poteva andare avanti così, aveva la sensazione che il
succhiotto le pulsasse sempre di più ogni volta che il suo pensiero sorvolava
quello che sarebbe potuto succedere in camera da letto la sera scorsa. La
mattina non si erano visti, il pomeriggio aveva parlato con Chiara e Francesco
era in ufficio, e la sera lei era andata da Marco. Si erano incrociati forse
un’ora in tutta la giornata, ma adesso che era tornata a casa, era necessario
parlare: le parole sembravano volerle uscire di bocca indipendentemente dalla
sua volontà, chiedevano spiegazioni e soprattutto cercavano un motivo per cui
Elisa non dovesse sentirsi colpevole per ciò che aveva fatto.
Entrò in casa e si tolse il giacchetto
di velluto, gettandolo svogliatamente sulla spalliera del divano – poi l’avrebbe
messo a posto. Sofia non c’era, era ancora dai nonni perché lei e Francesco non
si erano sentiti per accordarsi per la notte e nonno Luigi era parso
particolarmente contento di passare un po’ di tempo con lei – e anche nonna
Anna, sebbene non lo ammettesse mai.
Passando affianco al mobile del
telefono, Elisa vide lampeggiare la spia della segreteria telefonica, quindi la
premette per ascoltare il messaggio mentre andava in cucina per prendersi un
bicchiere d’acqua.
“France, scusa se ti chiamo anche
qui,” la voce di Daniela le fece andare l’acqua di traverso, portandola a
tossire. Poggiò rumorosamente il bicchiere sul tavolo – su cui vi erano posati
ben due sacchi di patate – ed iniziò a picchiarsi il petto per riprendere fiato,
mentre Francesco accorreva assonnato verso di lei: “No, no, no! Perché hai
azionato la segreteria?”
“Avevo visto dei messaggi,” rantolò
Elisa, tornando a respirare più o meno regolarmente, qualche colpo di tosse qua
e là. “Pensavo potessero essere messaggi per me! Mica ci viene scritto per chi
sono!”
“Che palle! È tutto il giorno che mi
perseguita!” Francesco barcollò verso il telefono e spense l’apparecchio e così
la voce di Daniela, che lo pregava di incontrarla per parlare, oppure di
risponderle almeno ad uno dei messaggi o delle chiamate.
“Perché ha ripreso a chiamarti con
questa insistenza?” il tono di Elisa sfiorava lo scocciato, ma cosa aveva da
essere scocciato?, si domandò, dopotutto non erano affari suoi quello che
succedeva a Francesco. Se Elisa avesse dovuto preoccuparsi della vita di un
uomo, quella sarebbe dovuta essere la vita di Marco, non di Francesco: lui
poteva fare tutto quello che voleva, persino rimettersi con Daniela! Anzi, forse
sarebbe stato addirittura meglio, così si sarebbero allontanati e situazioni
come quella… No! Non volle terminare la frase. Anche se aveva già pensato
ad una cosa simile, non volle più pensarci.
“Perché mi ha visto al centro
commerciale stamani.” Francesco si accasciò sul divano, la mano sugli occhi e un
atteggiamento spossato di chi non avrebbe voluto che tornare a dormire.
“Cioè, fammi capire,” Elisa lo seguì e
si sedette sul divano vicino a lui. “Ti ha visto solo stamattina e da allora
continua a tartassarti?” Francesco annuì. “E cosa vi siete detti?”
“Niente.”
“Niente? Non ci credo. Perché
continuerebbe a cercarti, se non vi siete detti niente?”
“Proprio perché non ci siamo detti
niente continua a cercarmi.” Le spiegò, afflosciandosi su di lei, che si
irrigidì, dimenticando per un brevissimo lasso di tempo ogni cosa, dal motivo
della reazione del suo corpo a cosa volesse Daniela. Ma durò un attimo,
fortunatamente.
“Su, tirati su…” lo spinse lontano da
sé, mentre lui opponeva resistenza con tutto il suo peso. “Dai, France…” Si
lamentò Elisa.
“Perché?” Si lamentò col suo tipico
mugolio. “Ho voglia di coccole.”
“E allora fattele fare da Daniela!”
sbottò Elisa, il tono più stridulo del normale.
Francesco si ritrasse silenziosamente,
guardandola tra la serietà e la preoccupazione. “Che hai?”
Elisa aggrottò la fronte e cercò di non
fare caso ai battiti del cuore improvvisamente accelerati. “Non ho niente.”
“Lo so che non è vero, Eli.”
“No, dico davvero, non ho niente.” E
fece per alzarsi, ma Francesco la prese per un braccio e la fece tornare seduta
sul divano affianco a sé.
“Credo di sapere a cosa corrisponda il
tuo niente.” E le indicò il foulard che ancora aveva intorno al collo.
Elisa tentennò, per poi sfociare in uno
stato confusionale che forse fortunatamente la fece sfogare. “Se lo sai, allora
perché fai finta di niente?” Era sull’orlo di un pianto. “Sono stata tutta la
sera con l’ansia che Marco lo vedesse! Non è giusto! Perché l’hai fatto?”
sentiva gli occhi bruciare per le lacrime che tentava invano di trattenere, più
per la rabbia che per qualunque altro sentimento. “Non ne avevi il diritto!” Si
liberò dalla sua stretta e si alzò dal divano, mentre Francesco le faceva notare
che lui era arrivato fino a quel punto senza riscontrare nessun segnale di
opposizione da parte sua, ma Elisa non volle sentirlo e si rinchiuse in camera,
buttandosi sul letto ancora vestita. Roteò gli occhi esasperata quando sentì la
maniglia ruotare, ricordandole che divideva quella stanza con Francesco.
“Ehi…” sussurrò lui, varcando la
soglia. Lei non rispose e quindi lui si avvicinò, stendendosi sul suo lato del
letto e abbracciandola da dietro. Elisa si dimenò per qualche istante, ma
vedendo che Francesco non sembrava intenzionato a lasciarla, rinunciò, dapprima
sbuffando, poi sospirando.
“France…” mormorò. “Perché l’hai
fatto?”
Anche Francesco sospirò, forse in
attesa di una risposta che non aveva, oppure per un qualche altro motivo che
Elisa non sapeva. “Non credo ci sia un vero motivo. È successo e basta.”
“Ma io sto con Marco, non ne avevi il
diritto.”
“Lo so, scusa.”
“È inutile che tu ti scusi.”
“Lo so.”
“Ormai è successo.”
“Lo so.”
“Marco non se lo merita.”
“Lo so.”
“E piantala di dire ‘lo so’, mi dài sui
nervi!” soffiò, muovendosi bruscamente sotto il suo braccio per fargli capire
che la cosa non le stava bene.
Rimasero in silenzio per un po’, lui
abbracciato a lei, e lei totalmente inerme, stanca per la tensione che si era
portata appresso per tutta la serata passata con Marco, che pian piano la stava
accompagnando verso il sonno. Ma non voleva addormentarsi, voleva parlare, di
cosa non lo sapeva – del succhiotto? Di Daniela? Era arrabbiata o era solo
triste? Cosa le stava frullando in testa di preciso? Quali erano quei pensieri
che si affollavano così violentemente nella sua testa da farla comportare così?
“Ehi, sei ancora arrabbiata?” Francesco
pareva veramente dispiaciuto.
“Non lo so.” Ammise lei.
“Vuoi piangere?”
“Non lo so.”
“Vuoi parlare?”
“Non lo so.”
“Anche tu in quanto monotonia non sei
male, eh!”
“Ti rendo pan per focaccia.”
“Sai che se analizzi la frase
attentamente significa che tu ne guadagni, rispetto a me?”
“Sai che non me ne frega niente?”
“Su, dài, cercavo di scherzare!”
“Non mi pare il caso, France.” Lo
liquidò Elisa per qualche altro istante. “Sai…” iniziò tentennante. Non sapeva
se era giusto o meno dirglielo, non sapeva nemmeno se la frase le sarebbe
seriamente uscita di bocca o le sarebbe morta in gola. Erano pensieri privati,
dopotutto, ma se solo ci rimuginava un attimo, effettivamente si ritrovava a
pensare che se ne avesse dovuto parlare con qualcuno, questo qualcuno non
sarebbe potuto essere che l’altra persona coinvolta nella faccenda, ovvero
proprio lui, Francesco. Per questo si fece coraggio ed andò avanti. “Quando
stamattina mi sono svegliata, pensavo fosse stato tutto un sogno.”
“Cosa? Il fatto che avessimo quasi
rifatto l’amore?” Elisa annuì. Forse era stupido cercare di analizzare le parole
di Francesco, ma notò subito il termine da lui usato: “amore”, non “sesso”. E
lui diceva sempre “sesso”. “Be’”, continuò Francesco. “Dopotutto non è così
strano ricascarci. L’abbiamo già fatto in diverse occasioni – anche dopo la
nascita di Sofia.”
“Sì, ma questa volta è diverso.”
“Perché?”
“Perché ora sto con Marco. Io non stavo
con nessuno quando è ricapitato.”
“Cosa c’entra?”
“C’entra tanto, invece, France. Io sto
con Marco – l’ho quasi tradito!” o forse l’aveva tradito e basta, senza il
“quasi”? Dopotutto, se non avesse avuto il ciclo, per come ragionava, avrebbe
continuato, non si sarebbe fermata a pensare ai pro e ai contro. La sua testa
era decisamente altrove. “E lui non se lo merita. Io pensavo di averlo solo
sognato… E un conto è sognarlo, un conto è averlo fatto sul serio!”
“Ma noi non abbiamo fatto niente.”
“Non è vero!” si tolse il foulard.
“Questo non è niente, France! Questo è un succhiotto! E me l’hai fatto
tu! E ci siamo baciati! Sono stata tutta la sera incapace di essere me stessa
perché avevo paura che lo notasse!”
Francesco parve prendere fiato per dire
qualcosa, ma Elisa non sentì niente.
“France,” continuò quindi lei. “Io non
voglio rovinare il mio rapporto con Marco. Lui è l’unica persona che abbia
trovato che mi accetti per come sono, per i miei difetti, per la mia situazione
– sebbene, sì, ammetto che ogni tanto vorrebbe non farlo: glielo leggo negli
occhi.” Elisa sospirò. “Per piacere, voglio che tutto questo non venga più
fuori, voglio far finta che non sia successo niente tra noi ieri sera.”
Anche Francesco sospirò. “Be’, mi pare
che tu l’abbia già fatto.”
“E infatti voglio che lo faccia pure
tu.” Era determinata, non voleva compromettere niente. Sapeva e riconosceva
parte della colpa, nonostante continuasse a ripetersi che, per difesa o per
semplice verità, quello che era successo le pareva solo un sogno nostalgico.
“Capito?”
Francesco annuì, stringendosi a lei e
appoggiando la testa sulla sua schiena. Per l’ennesima volta parve voler dire
qualcosa, ma ancora una volta, Elisa pensò che fosse solo una sua sensazione.
“Sì, ho capito.”
____________________________________
E anche se in ritardo, rieccomi qui con il
ventottesimo capitolo! Ventotto, eh! Bello, mi piace questo numero!
Insomma, le cose tra Francesco ed Elisa sono sempre
più caotiche: prima si avvicinano, poi si allontanano, poi uno allontana l'altro
e viceversa. Non avranno mai pace...!
E come al solito un grazie grande come la pazzia che
aleggia in questa storia (soprattutto da parte di Elisa) a Brezza, che
puntuale come sempre, segue e commenta! Grazie grazie grazie!
Al prossimo capitolo!
S.P.
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Capitolo 29 *** XXIX ***
Nuova pagina 1
“Fede, dove hai messo i dati dei
Farina?” Fu questo il classico benvenuto che ricevette Elisa, entrando
nell’ufficio insieme ad un silenzioso Francesco. Erano tre giorni – Elisa li
aveva contati – che Francesco pareva meno loquace, ma non con tutti, solo con
lei. Ed Elisa sapeva perfettamente a cosa attribuire quella situazione.
“Dove vuoi che li abbia messi, Nico? A
posto!” la sua immancabile risposta stizzita fu segno della quotidianità. E a
Elisa, malgrado quel periodo, piaceva. Piaceva decisamente molto. Posò il
giacchetto nell’ingresso, come aveva espressamente richiesto Federica – sebbene
nessuno degli altri l’avesse mai considerata – e andò nell’ufficio di Francesco
e Gianluca, dove le avevano ritagliato un posto vicino alla finestra con tanto
di tavolo provvisorio e sedia. Non era provvista di computer fisso, ma il suo
fedelissimo portatile la serviva più che dignitosamente per ciò che le avevano
affidato.
E tutto procedeva in tranquillità: il
lavoro per la casa dei Farina veniva portato avanti, mentre Gianluca tentava di
mettersi in contatto con dei nuovi possibili clienti – purtroppo sembrava che la
conversazione non andasse proprio a suo vantaggio. Fu solo verso metà mattinata,
un’oretta dopo l’arrivo di Elisa e Francesco allo studio, che il campanello
suonò e Federica trillò come avrebbe fatto Sofia all’arrivo di Babbo Natale, per
poi catapultarsi subito alla porta esaltata.
“Cosa succede?” Chiese Elisa,
allungando il collo verso l’ingresso.
“Non lo so, ma potrebbero essere i
nuovi clienti.” Mormorò Gianluca, alzandosi e dirigendosi anche lui alla porta.
“Benvenuti!” Esordì Federica,
cinguettando. Li invitò ad entrare e ad accomodarsi nella stanza di Francesco e
Gianluca, poiché quest’ultimo era solitamente il membro del gruppo che gestiva i
contatti con i clienti, essendo il più diplomatico e il più affidabile.
Non appena le due persone entrarono
nella stanza, Elisa alzò lo sguardo e, non seppe se per felicità o sorpresa, o
magari entrambe, si fece scappare un urletto un po’ troppo infantile – dovette
ammetterlo – ma totalmente giustificato: davanti a lei Cristina e Giacomo
Bernardi sorridevano ai presenti, per poi individuarla in fondo alla stanza e
salutarla con gentilezza, soprattutto Cristina.
“Salve!” sorrise Elisa, aggirando la
scrivania e andando a stringere la mano alla coppia. “Come state?”
“Molto bene, grazie.” Rispose
cordialmente Cristina, stranamente loquace rispetto al ricordo che aveva Elisa
di lei nell’ufficio di Pietro Orlandi. Evidentemente il cambiamento
dell’ambiente le aveva giovato.
“Vi conoscete?” Chiese Federica,
curiosa.
“Sì, provengono dallo studio Orlandi,
erano miei clienti.” Spiegò Elisa.
Anche Francesco si avvicinò al gruppo,
sfuggendo al silenzio di quei giorni e parve connettere i racconti di qualche
mese fa di Elisa con la coppia ora davanti a lui. Effettivamente, se avesse
connesso prima, Francesco gliel’avrebbe detto ed Elisa si sarebbe potuta
preparare meglio all’incontro.
“È stata Elisa a consigliarci di venire
qui da voi.” Aggiunse Giacomo.
“Oh, davvero?” si illuminò Federica.
“No, vabbè, non esagerate,” sorride
modesta lei. “Vi ho semplicemente detto dove stavo ora…”
“Ma vista la buona impressione che ci
avevi fatto nell’altro studio, ci siamo detti: “perché non provare?” Ed eccoci
qui.”
“Be’, non posso che ringraziarvi per la
fiducia, allora!” Sorrise Elisa, sentendo la sua autostima crescere a dismisura.
Era contenta non solo per le loro belle parole nei suoi confronti, ma
soprattutto che loro si fossero, forse, affezionati a lei, in un modo o
nell’altro, portandoli a rintracciarla e a mettere ancora una volta la proposta
per la loro casa nelle sue mani.
“Ah, fuori dal palazzo abbiamo
incontrato una signora che ci ha dato questo.” Giacomo estrasse dalla tasca
della giacca un fagottino di stoffa bianco, legato con un nastrino rosso.
Cristina rise al ricordo. “Quando è uscita ci ha visti guardare i campanelli, le
abbiamo detto che cercavamo il vostro studio e lei ha subito tirato fuori dalla
borsa questo sacchetto, dicendo che visto che voi non andate mai da lei, allora
sarebbe l’ora che sia lei a farsi avanti.”
“Oddio, la signora Torelli!” esclamò
esasperata Federica. “È una donna che abita nel palazzo,” spiegò. “Cerca sempre
di invitarci per una tazza di tè e dei biscotti.”
“Soprattutto quando incontra il Vanni.”
Aggiunse ridacchiando Nicola.
“Com’è che io non l’ho mai incontrata?”
mormorò Elisa.
“La incontrerai, tranquilla.” Sospirò
Federica. “Placcherà pure te.”
“Vero, ma non state lì sulla porta!
Prego!” Gianluca offrì delle comode sedie di fronte alla sua scrivania ai due
giovani sposi e un caffè, che solo Giacomo accettò volentieri. “I biscotti
potete tenerli, non sono velenosi.” Sorrise, per poi sedersi alla sua scrivania,
di fronte a loro. “Insomma, raccontatemi un po’: cosa cercavate?”
“In realtà, sarò sincero,” iniziò
Giacomo. “Siamo venuti in questo studio proprio perché sapevamo della presenza
di Elisa e speravamo che con lei, che aveva già lavorato al nostro progetto,
avremmo potuto un minimo velocizzare i tempi, senza dover ripartire da capo.”
“Be’, ovviamente,” si intromise Elisa.
“Dovremmo fare qualche passo indietro dal punto in cui eravamo arrivati
nell’altro studio, perché dovremmo richiedere tutti i permessi, ricreare il
progetto… Cioè, un po’ di cose ci sono comunque fa rifare.”
“Certamente, questo l’avevamo già messo
in conto, ma speravamo che la questione potesse essere più veloce in quanto il
progetto era già definito. Basterebbe ripartire da quello, senza troppe
variazioni o sorprese.” Disse, alludendo chiaramente agli interventi non
richiesti dell’Orlandi Senior.
“Su questo non ci saranno problemi.”
Sorrise, per poi allontanarsi e lasciare che fosse Gianluca a prendere le redini
per tutte le questioni amministrative che lei, francamente, non sopportava molto
svolgere.
Tornò alla sua scrivania e non appena
si sedette, Francesco le si avvicinò e le passò una mano sulla schiena. Non era
propriamente il primo contatto che avevano da qualche giorno – dacché avevano
parlato e chiarito quali fossero i loro limiti reciproci – ma sicuramente era
uno dei più profondi che Elisa recepì, in quanto pareva un ringraziamento, un
contatto che pareva mormorarle: “sono fiero di te”. E per quanto potesse
suonarle strano, Elisa in quell’istante avrebbe solamente voluto alzarsi e
abbracciarlo, un po’ perché le mancava che tra loro non ci fosse più fisicità,
un po’ perché quella situazione la riempiva di gioia ed orgoglio. Ma soprattutto
perché sentiva Francesco allontanarsi, e questo le faceva male. Le mancava.
***
Era strano come il passare del tempo
l’avesse avvicinata a Cristina. Elisa si ricordava il suo comportamento, il suo
silenzio, soprattutto, quando erano clienti allo studio Orlandi. Probabilmente
quell’ambiente incuteva così tanto terrore che le reprimeva ogni slancio vitale.
E invece ora erano diventate amiche, trovandosi anche molto simili per certe
cose. Mangiavano insieme quando le loro visite coincidevano con il suo orario di
lavoro e si trovavano spesso a ridere per le stesse cose. Fede si faceva sempre
vedere un po’ altezzosa, quasi a rimarcare la sua superiorità in quanto
regina dello studio, ma ci volle poco per farla sciogliere e farsi
coinvolgere dalla dolcezza di Cristina.
Nonostante tutto, i loro discorsi non
erano mai andati sul personale, rimanendo sempre su un piano molto superficiale
ed innocuo. O almeno, non subito, perché proprio quando meno se l’aspettava,
Elisa si sentì seguire da Cristina alla sua scrivania, lasciando tutti gli altri
intorno al tavolo della stanza di Federica e Nicola, intenti a valutare il
progetto.
“Scommetto che l’amico a cui dai
una mano di cui parlavi tempo fa è il Vanni.”
Elisa perse un battito e strabuzzò gli
occhi, totalmente colta alla sprovvista da una simile affermazione. Il fascicolo
che aveva in mano le cadde a terra, sparpagliando tutti i fogli per terra –
fortuna che la maggior parte, almeno, era spillata insieme!
“Be’, sì,” sorrise, cercando di
apparire naturale – che poi? Perché doveva darle così fastidio una domanda del
genere? “Ma ultimamente non siamo più in così buoni rapporti.” Spiegò subito,
quasi a farle capire che non voleva andare oltre con la questione. Dacché ne
avevano parlato, lei e Francesco non avevano più toccato l’argomento, non
parlando quasi più di sé, se non per cose strettamente importanti come il “vado
da Marco”, “oggi sono distrutta” o il classico sospiro che avrebbe portato
l’inizio di una conversazione tra i due, ma che veniva sempre volutamente
scambiato per uno sbuffo qualunque. Effettivamente la situazione non le piaceva,
ma era stata lei a mettere quei paletti, era ovvio, quindi, che dopo ciò che era
successo il loro rapporto dovesse ridimensionarsi. Anche la sera, quando
andavano a letto, non si toccavano quasi più, se non casualmente durante la
notte, svegliandosi ed allontanandosi quasi fossero respinti l’uno dall’altra.
Ma ovviamente non era così: come poteva Elisa respingere fino a quel punto,
anche dopo un gesto involontario, la presenza di Francesco? Una presenza così
ingombrante che le era stata vicina per così tanti anni? Ma era anche vero
che lei stava con Marco: Francesco o non Francesco, non era di lui che doveva
preoccuparsi, quando della persona con cui stava e che doveva amare più di
qualunque altra oltre a Sofia.
“Sì, lo vedo.” Ammise Cristina, il tono
un po’ colpevole, rigirando il cucchiaio nella tazza di té che le aveva offerto
Federica qualche minuto prima. Probabilmente stava pensando che non avrebbe
dovuto tirare fuori la questione.
“Lo vedi?” chiese sorpresa
Elisa. Come poteva vederlo? Lei non conosceva Francesco e non sapeva quale fosse
il loro rapporto. Lei e Cristina non avevano mai parlato di affari personali.
“Sì,” le sorrise dolcemente, quasi come
se la domanda curiosa di Elisa l’avesse portata a pensare che poi, forse, non
aveva fatto troppo male a chiedere una cosa simile. Parve rasserenarsi. “Si vede
da come tu lo guardi e da come lui ti guarda.” Elisa rimase colpita da quelle
parole. Sì, era vero, ogni tanto le cadeva l’occhio su Francesco e sulle sue
mansioni, ma non pensava che qualcuno potesse vederla e arrivare a capire una
cosa del genere. Evidentemente il silenzio di Cristina nascondeva una capacità
di osservazione oltre ogni aspettativa. “Ma non vi guardate mai allo stesso
tempo.”
“Che vuoi dire?”
“Semplicemente che sono un po’ triste
per voi.” Le sorrise, prendendo la sedia di fronte alla scrivania di Francesco e
portandola vicino ad Elisa, che a sua volta si sedette sulla sua. “Si vede che
vi volete bene, ma non so per quale motivo non riuscite a dirvelo.”
Tutto questo poteva essere scaturito
dal fatto che Cristina non sapesse di lei e Marco, magari quando l’aveva visto
aveva pensato che fosse – chissà! – suo fratello, dal momento che le aveva detto
che non erano una famiglia. Non c’era nemmeno stata una carezza o uno sguardo da
innamorati tra loro, ma questo perché c’era Sofia… Probabilmente Cristina aveva
frainteso tutta la situazione e pensava che Elisa amasse Francesco. Forse
pensava addirittura ad un amore reciproco – che ingenua!
Però su una cosa aveva ragione: lei
voleva bene a Francesco.
“Non ti facevo così saggia.” Confessò
dopo un po’.
“Chissà,” sorrise, nascondendosi dietro
la tazza. “Magari la gravidanza porta anche superpoteri.”
“Sei incinta?” Elisa sgranò gli occhi,
ancora una volta sorpresa dalle sue parole.
“Eh, già.”
“Auguri, allora!”
“Grazie.” Era sempre tranquilla, anche
nell’affrontare un argomento che aveva fatto emozionare Elisa.
“Da quanto lo sai?”
“Un paio di settimane.”
“Ma allora cosa bevi caffè!” la
rimproverò.
“Non è caffè, è tè.” Ridacchiò.
“Deteinato, tra l’altro.”
“Ma Giacomo lo sa?” si insospettì, dal
momento che nessuno dei due lo sbandierava ai quattro venti.
“Certamente.” Le sorrise. “Ovviamente è
stato il primo a cui l’ho detto. Funziona così, no? È naturale che sia il padre
a saperlo per primo.” Il suo sorriso disarmò totalmente Elisa, facendola
commuovere. Per lei non fu così, anzi, probabilmente il padre di Sofia fu
proprio l’ultimo a sapere della sua presenza dentro di lei.
“Sono così contenta…”
“Non metterti a piangere, Elisa,
suvvia! Sono cose che succedono! Anche a te è successo!” cercò di distrarla,
probabilmente più perché altrimenti avrebbe attirato l’attenzione degli altri, e
Cristina non era una persona che amava attirare l’attenzione su di sé, ma forse
anche perché presto anche lei si sarebbe messa a piangere dalla commozione.
In quel momento, Elisa sentì ancora di
più la mancanza di Francesco: lui era solito prenderla sempre in giro quando si
commuoveva per cose del genere. L’essere da sola, il sentirlo così lontano, le
fecero venire voglia di averlo invece vicino a sé, magari a stringerla come
aveva sempre fatto per anni al suo rientro a casa, a farle un bel massaggio
sulle spalle. Le mancava terribilmente.
Decise che quella sera gli avrebbe
parlato.
________________________________________
Ok, probabilmente avrete dato questa
storia per morta e sepolta... Ma non è così! È lenta nell'aggiornamento, ma
esiste e persiste in tutto il suo splendore! (Ovviamente io sono di parte! Eheh!)
Ad ogni modo, il legame tra Francesco
ed Elisa è sempre più complicato. Sembra un gomitolo di lana caduto per terra e
vittima di teneri giochi felini che l'hanno portato ad ingarbugliarsi il più
possibile, creando nodi stretti e irrisolvibili. Certamente anche loro stessi ci
mettono un bell'impegno per crearsi questi problemi, eh!
Ma sappiate che prima o poi si
chiariranno tutti! Sono testardi, quindi ci vorrà un po' prima che i personaggi
decidano di parlarsi apertamente, senza la paura di esporre le proprie emozioni,
ma alla fine ce la faranno! Ne sono sicura! ;)
E detto questo, ringrazio come sempre
Brezza, che continua a seguirmi e a farmi sempre contenta con i suoi commenti!
Un saluto a tutti! Ed al prossimo capitolo!
S.P.
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Capitolo 30 *** XXX ***
Nuova pagina 1
“Elisa, sei
sicura che sia tutto a posto?”
“Sì, sì, certo.”
No, non era vero. Niente era a posto in quel periodo, ma che avrebbe dovuto
dirgli? Ah, Marco, lo sai che io e Francesco abbiamo quasi fatto sesso?
“Ti vedo strana,
ultimamente.” Marco pareva veramente preoccupato e come al solito, la sua
preoccupazione non faceva che infastidire Elisa. Quando realizzò la cosa, le
sembrò di essere addirittura più meschina: Marco le dava fastidio.
“Eh, sì, forse,
sai, è per il lavoro…” buttò lì, accorgendosi troppo tardi che aveva imboccato
una strada irta di spine.
“Già, il
lavoro.” Bubbolò Marco, aumentando la velocità. Avevano appena finito di cenare
in un ristorante fuori città, bello, elegante, ma niente di cui Elisa avesse
veramente voglia. Lo faceva perché sapeva che a Marco piaceva.
“Cosa mi
racconti, allora?” cercò di cambiare argomento lei, senza nemmeno sapere su cosa
andare a vertere. Era paradossale non riuscire a trovare un qualunque spunto per
una conversazione. Non volle iniziare a pensare il peggio, ma forse questo suo
atteggiamento era dovuto al peso che si sentiva sulle spalle, no? L’unica cosa
che aveva in testa era quel suo tradimento, non riusciva a pensare ad altro, era
un chiodo fisso da giorni, forse settimane – fortunatamente non si erano visti
così spesso da fargli notare quel suo atteggiamento.
“Cosa vuol
dire?” ridacchiò Marco, sebbene la sua voce suonasse di un tono quasi incredulo.
“Ti ho raccontato tutto quello che ho fatto in ufficio, dei miei genitori che
hanno deciso di partire per una crociera sul Nilo e dello studio che ha vinto
una grossa causa, che avrei dovuto dirti di più?”
“Ah, no, no,
certo, era per fare conversazione…” Elisa seguì la sua falsa risata e si mise a
guardare fuori dal finestrino, chiudendosi in un silenzio un po’ imposto, un po’
inevitabile. Erano a corto di argomenti. Non era mai successo. Dopo nemmeno solo
un anno, non sapevano nemmeno più di cosa parlare. O meglio: il suo cervello
sembrava non riuscire ad elaborare nient’altro che un pensiero. Si odiava. Marco
non si meritava tutto questo.
Intanto la
macchina scorreva sulla strada illuminata dalla luce dei lampioni, silenziosa e
veloce. Forse passarono minuti, forse no, ma nessuno dei due emise più un suono
durante la via del ritorno.
Elisa avrebbe
passato la notte da Marco, ma vista la tensione che sembrava esserci tra loro,
non sapeva nemmeno più se ne avesse voglia. Questi pensieri di improvviso
allontanamento da lui le fecero paura.
Arrivarono a
destinazione e sempre nel silenzio, Marco parcheggiò, scese ed aprì la portiera
ad Elisa, con la solita galanteria mista ad eleganza. Salirono all’ultimo piano
della palazzina medievale perfettamente ristrutturata in cui abitava Marco ed
entrarono nell’appartamento.
Non appena la
porta si chiuse e loro si tolsero i cappotti, Marco sospirò, quasi fosse
esausto.
“Elisa, dobbiamo
parlare.”
Elisa si
pietrificò. Marco non aveva mai pronunciato quelle parole. Mai. E sebbene non
fosse il momento giusto per pensare una cosa del genere, capì perché i ragazzi
guardassero a quelle parole come al male: in un attimo le passarono
davanti agli occhi gli ultimi avvenimenti, sentendosi addosso tutto il peso di
ciò che aveva fatto. Cosa le avrebbe detto Marco? Se n’era accorto? Aveva
sentito qualcuno parlare della cosa? Chi? E come? Lei ne aveva parlato solo con
Francesco! Che gliel’avesse detto lui? No, non sarebbe da lui.
Marco le fece
segno di accomodarsi sul divano del salotto, mentre lui si sedette sulla
poltrona poco distante, quasi a voler guardarla meglio negli occhi. Elisa si
accomodò, il cuore con i battiti accelerati.
“Elisa,
ascolta,” fece una pausa, quasi a cercare le parole migliori, anche se Elisa
supponeva che ci avesse già pensato per tutto il tragitto. “Sei strana in questo
periodo. Voglio dire, sei sempre stata strana a modo tuo, ma ora sei proprio…
Non sei più tu.” Elisa lo guardò soffrendo. “Sei assente, sei evasiva…”
“Marco, mi
dispiace…”
“Sì, lo so, ma
vedi…” fece un’altra pausa. “Io ci sto male.”
Fu come un colpo
al cuore.
“Io non so se
voglio andare avanti così. E ho dei dubbi su di noi.”
Elisa boccheggiò
in cerca di parole che non trovava, voleva dirgli tutto, voleva togliersi questo
peso, ma sapeva che se avesse parlato, allora, sì, quella sarebbe stata
veramente la fine. Cosa poteva dire per spiegarsi, per fargli capire che non
voleva veramente arrivare a quel punto? E senza volerlo, le lacrime iniziarono a
sgorgarle dagli occhi.
“È un po’ che ci
penso,” continuò Marco. “Anche la storia con Francesco, il tuo non volermi mai
dire niente di voi… Io capisco il perché, me l’hai detto più volte, ma per
quanto io mi sforzi – cerca di capirmi – purtroppo non ce la faccio. Sono
geloso. Tu con lui hai un rapporto che non hai con me, e mi sento escluso da
questo rapporto. Paradossalmente, mi sembra che per quanto io possa aver provato
a capirti, tu non abbia mai provato a capire me. E sono pensieri che finalmente
mi sono deciso a dirti, perché tutte le volte che litighiamo per queste cose,
alla fine, sì, facciamo pace, ma è un qualcosa che non superiamo mai, facciamo
solo finta che non ci sia. È un problema che rimane sempre esattamente lì, tra
di noi.”
“Marco, io…” ma
non seppe come continuare.
“Cosa?”
“Io…” piangeva
nel silenzio lasciato dalle parole di Marco. Lo sapeva che prima o poi sarebbe
arrivato quel momento, ma aveva sempre negato quella sensazione, aveva sempre
fatto finta che non fosse vero, che magari la situazione fosse recuperabile.
Mentre ora, sentirsi addirittura dire che lei non voleva capirlo… Era come se
tutto le stesse scivolando via dalle mani senza la possibilità di cercare una
soluzione. E la possibilità se la negava lei stessa, non riuscendo ad essere
sincera con lui.
“Elisa, hai
qualcosa da dire?” Non era un tono di sfida, era quasi un incoraggiamento a
parlare, come se anche lui volesse che lei lo facesse per salvare la loro
relazione.
“Sì, e non so da
dove partire…” Disse soltanto.
“Abbiamo tutto
il tempo…”
“Mi…” tirò su
col naso. “Mi stai lasciando?”
“Non lo so.”
Si sentì mancare
il fiato.
“Io non vorrei,
ma sto male in questa situazione. E purtroppo non ti vedo fare niente per
sistemarla.”
“Marco, io…” Lui
la guardò, aspettando che lei finisse il discorso, ma dalla sua bocca non
uscirono che singhiozzi. “Io non volevo che andasse a finire così!” pianse. “Io
ho sempre fatto solo quello che credevo giusto per noi! Non ti ho mai voluto
parlare di Francesco perché lui non c’entra niente con noi – quante volte te
l’ho detto? Sei tu che non mi capisci!” non erano quelle le parole che voleva
dire, e non era assolutamente il tono accusatorio quello che voleva usare, ma
quelle parole le scapparono come cavalli indòmiti contro il viso ferito di
Marco. “Francesco fa parte della mia vita come te! Perché non capisci? E perché
finiamo sempre a parlare di lui? Lo capisci che sei tu la persona che amo?”
Anche Marco si
mise a piangere, ed Elisa pianse ancora di più nel vedere la sua reazione. Era
un uomo grande e grosso, e vederlo così affranto le faceva più male che le sue
parole. Quel suo pianto era il segno che anche lui aveva sofferto in quelle
settimane, che anche lui era stato tormentato dai pensieri. Ed era tutta colpa
di Elisa: lei questo non riusciva a perdonarselo.
“Scusa…” Elisa
si trascinò fino a lui e l’abbracciò, cercando di fargli capire quanto potesse
essere importante per lei averlo vicino. “Scusa…” Avrebbe voluto che
quell’abbraccio potesse infondergli quelle certezze che lui cercava e lei non
riusciva a dargli. Lei doveva crescere e capire che non aveva bisogno di
Francesco, ma di una figura solida e sicura che l’avrebbe protetta dal mondo e
non lasciata confusa in mezzo ad un mare di emozioni. Lei doveva aver bisogno di
Marco. “Scusa…”
Si
abbracciarono. Davvero. Sinceramente. Non si dissero più niente, solo piansero.
Marco si alzò e si sedette sul divano vicino ad Elisa e l’abbracciò ancor più
stretta, un abbraccio che sapeva ci pace, ma anche di addio.
***
Erano ben sette
giorni, una settimana. Ben una settimana in cui lei e Francesco si rivolgevano
giusto quelle dieci parole giornaliere, senza preoccuparsi più l’uno dell’altro.
Era strano. Forse la cosa più strana che avrebbe mai potuto pensare. Certo, non
che fosse il suo punto fisso – era stata con Marco almeno la metà del tempo di
quell’ultimo periodo – ma lavorare con lui e passare quelle serate in sua
presenza senza parlare era straziante. Ma forse, più che straziante, era,
appunto, strano. Strano perché per anni si erano detti tutto. Anche
quando litigarono pesantemente, prima della nascita di Sofia, tutto sommato non
avevano fatto altro che urlarsi contro offese di ogni genere, ma finita la
sfuriata occasionale, tornavano a considerarsi civilmente, sebbene con vari
messaggi subliminari, tra i quali l’abusatissima alzata del dito medio in ogni
occasione.
Questa era la
prima volta che i loro rapporti non oltrepassavano la semplice educazione.
Certo, lei avrebbe voluto che tutto tornasse come prima, ma come avrebbe potuto?
Se non altro,
però, si disse, avrebbe potuto iniziare col parlarne.
“France…”
sussurrò una volta a letto. Dormivano dandosi le spalle. Non si voltò, volle
solo appurare che lui fosse sveglio.
“Dimmi.” Era
sveglio.
“Come va?”
“Va.”
“Ok…”
E tutto si
interruppe.
“Tu come stai?”
chiese dopo un po’ lui.
“Non benissimo.”
Lui non disse
niente.
“Mi manchi.”
Confessò Elisa.
Si sarebbe
aspettata che lui si girasse e l’abbracciasse, ma non successe niente. Erano
ancora schiena contro schiena, nessuno dei due accennava a fare un movimento.
Forse era davvero meglio così…
“Sai,” continuò.
“Oggi ho parlato con Cristina: è incinta.” Come parlare ad un muro. “Mi ha fatto
tornare in mente quando nacque Sofi.” Soffiò un sorriso. “Ero diventata un
cocomero coi piedi da ippopotamo. Lei è troppo perfetta per potersi trasformare
così – non riesco a vedercela. Era proprio felice, però, quando me l’ha detto.
Io invece ricordo che mi sentii mancare, non ero decisamente pronta ad una cosa
del genere. Lei dice che Giacomo sia felicissimo, è stato il primo a saperlo.
Invece ricordo che tu fosti l’ultimo – chi te lo disse? Chiara? O te lo urlai
io? Non ricordo… Non eravamo pronti, nessuno dei due lo era. Eppure, se vedo
Sofia ora, secondo me abbiamo proprio fatto un buon lavoro. È bellissima e
perfetta. Secondo me ce la invidiano.” Sorrise ancora, orgogliosa. “Però, sai?”
deglutì. “Forse tutto questo è veramente sbagliato. Forse la nostra situazione è
veramente assurda. Non voglio che lei cresca male per colpa nostra. Dopotutto
noi non siamo una famiglia, io e te non siamo sposati e non credo che lo saremo
mai. Non so nemmeno se possa esistere una situazione come la nostra,
paragonabile alla vita che facciamo noi. Alla fine, la nostra è tutta apparenza.
Io sono la madre e tu sei il padre, ma non stiamo insieme e fingiamo di essere
una perfetta famiglia felice. E invece dietro a tutto questo tu hai i tuoi
problemi con un’altra donna, io ho i miei con Marco e Sofia crede invece che sia
tutto normale. O forse ancora non se ne rende conto. E allora perché farle
credere che tutto questo vada bene così? Forse siamo ancora in tempo per porre
rimedio a tutto questo…” dove la stavano portando quei pensieri? Li aveva sempre
avuti? “Dopotutto, come puoi spiegare ad una bambina di quattro anni che la
mamma ed il papà non si amano come una mamma ed un papà normali? Che hanno
ognuno qualcun altro da amare? Sì, certo, ci sono molti bambini con i genitori
separati, divorziati… Ma noi viviamo tutti insieme sotto lo stesso tetto. È un
po’ come se la prendessimo in giro, non ti pare? E mi domando se sia giusto
tutto questo. Forse ha veramente ragione mia madre… Forse ho sbagliato tutto
nella vita. Però, a me non sembra di averlo fatto. Voglio dire, dal punto di
vista di un estraneo, posso capire che non sia una situazione semplice – anche
per noi che ci siamo dentro non è facile destreggiarci – però non mi sembra che
Sofia ne risenta. Lei è felice. Perché rovinare tutto? Eppure, se ci penso, mi
sento in mezzo a due fuochi e non so cosa fare: forse sto facendo tutto per
egoismo. Forse sono solo io che voglio continuare questa situazione, questa
recita, ed in realtà dovrei smetterla. Avrei magari dovuto smetterla già anni
fa. Probabilmente non avrei dovuto nemmeno dirti che ero incinta, lasciarti
perdere da subito e fare come se non ti avessi mai incontrato, sperare che tu
non ti accorgessi di niente e non ti sentissi responsabile per quel che era
successo. Però è anche vero che io sono contenta di come siano andate le cose.
Forse sono veramente egoista. E alla fine di tutto, è Marco quello che ne
risente di più. Certe volte mi sembra proprio che lui non mi meriti. Io faccio
veramente di tutto per tenerlo lontano da questa situazione, ma lui sembra non
capire. Sembra invece che ne voglia fare parte. Ma come può voler far parte di
una situazione incasinata come la nostra?” ora aveva il nodo alla gola e la voce
le tremava. “Come può voler stare con me, quando alla prima occasione potrei
tradirlo con te? Lui non si merita niente di tutto questo. Lui è troppo buono
per stare con me… Eppure se penso che potrebbe lasciarmi, mi sento presa dal
panico. Io non voglio che mi lasci. Io lo amo. Ma non voglio nemmeno cambiare le
cose, perché prima tutto andava bene. In questo ultimo periodo, invece, tutto
cade a rotoli. Prima io e lui stavamo bene, non c’erano problemi, ora invece,
qualunque cosa dica o faccia, mi sembra di prenderlo in giro e finiamo sempre
per litigare. E anche noi due. Prima andava tutto bene… Cosa è successo? Perché
siamo arrivati ad una cosa simile?” ricacciò indietro le lacrime. “France, noi
abbiamo quasi fatto sesso. Di nuovo. E questa volta è più grave, perché prima
siamo sempre stati soli, ora io non lo sono più, ora io sto con Marco. E voglio
continuare a stare con lui, ma questa storia si è incrinata a causa di tutta una
serie di piccoli dettagli che mi si sono ritorti contro. Io ho sempre
volutamente evitato di parlare di te, del tuo lavoro e delle nostre
chiacchierate, dei tuoi massaggi, dei tuoi abbracci, ma pare che più il tempo
passi, più tutto questo non faccia altro che rovinare la mia relazione con lui.
E pensare che io ho fatto tutto questo perché invece succedesse l’esatto
contrario. Lui pare che non lo capisca. Lui pensa che io abbia fatto tutto
questo per nascondergli una qualche relazione segreta con te. Lui soffre di
questa situazione e non è giusto. Non lo merita davvero. E forse non merita
nemmeno me, perché io sono questo casino. Sono io che ho proposto
questa cosa, ho proposto io di vivere tutti insieme come una famiglia… Ma
perché mi sentivo sola! Avevo bisogno di te, di averti vicino! E tu ci sei
sempre stato!” purtroppo le lacrime vinsero sulla sua forza di volontà, e lei si
rannicchiò tra le coperte, coprendosi il viso col lenzuolo, come per sparire.
“Ci sei sempre stato per me e per Sofia. Perché allora dovrei allontanarti?
Anche tu hai fatto dei sacrifici! Anche per te non è stato facile vivere in
questo modo! Lo capisco! Ma abbiamo affrontato insieme tutti i momenti brutti, e
abbiamo affrontato insieme anche quelli belli! E ora siamo arrivati a non
parlarci più. E tutto per una voglia cieca e insensata! È questo che non
capisco! Perché? Perché siamo arrivati a fare una cosa del genere? Ci piace
rovinarci la vita? Perché non possiamo semplicemente fare finta che non sia
successo niente e tornare a come eravamo prima? Senza alcun attrito tra di noi.
È vero, alla fine non abbiamo fatto sesso, ma ci siamo andati vicini, ci siamo
baciati… E questo è tradimento! Questo Marco non deve saperlo! Ma io non voglio
nascondergli le cose, non voglio più nascondergli niente. E visto che ancora non
siamo riusciti a risolvere i nostri problemi, io non voglio dirgli cosa sia
successo. Peggiorerebbe inevitabilmente tutto. È ovvio che sia così! Chi è lo
stupido che nonostante un tradimento continuerebbe a voler stare con qualcuno?
Per quanto Marco sia buono, non se lo merita. Non voglio che lo sappia…” Tirò su
col naso. “Mi sento un’egoista, un’ipocrita… Lui non se lo merita…” e il pianto
ebbe il sopravvento. Si era veramente sfogata di tutto, qualunque cosa le
passasse per la mente l’aveva espressa senza pensarci due volte.
Strinse il
lenzuolo tra le mani, vinta dai singhiozzi e da una certa stanchezza, sebbene
non seppe spiegarsi il motivo anche di una velata leggerezza. In fondo, forse,
le aveva fatto bene sfogarsi, ma non aveva portato a niente. Certo, che si
aspettava? Che lo sfogo potesse riparare a tutti problemi?
No, certamente,
però intanto sembrava che uno ne trovasse soluzione, perché sentì Francesco
voltarsi verso di lei ed abbracciarla da dietro. Non disse niente – magari
proprio perché non c’era niente da dire, ma stette fermo così, dietro di lei,
abbracciandola, finché lei non parve calmarsi, per poi lasciarsi cullare dal
tepore e dalla presenza di Francesco, concedendosi il sonno che prima sembrava
quasi impossibile da raggiungere.
__________________________________________________________________
Eccomi!
Ok, gente, questo capitolo è abbastanza pesante, ma
effettivamente la situazione non poteva continuare ad essere allegra e
scherzosa. Tra le vite dei nostri personaggi si annidano anche scene tristi come
queste, purtroppo. Elisa, soprattutto, sta passando davvero un periodo molto
brutto, poverina...! Certo, anche a France capitò di non stare bene, se vi
ricordate, ma loro due hanno un modo di affrontare i problemi decisamente
diverso: mentre France, non si sa come, riusciva a gestire bene o male la
situazione, Elisa ora si fa irrimediabilmente coinvolgere da tutte le emozioni,
senza riuscire più a capire niente...
Non so se capita anche a voi, quando i problemi
sembrano arrivare tutti insieme: passate periodi tranquilli, sereni e tutt'a un
tratto, ecco che da ogni fronte iniziate a vedere dei nuvoloni grigi di pioggia,
che alla fine formano tutti insieme una grande tempesta.
Be', questa è la tempesta di Elisa.
E detto questo, ringrazio come al solito Brezza,
che come sempre non manca mai dal commentare i capitoli (Grazie, grazie,
grazie!) e saluto tutti gli altri lettori silenziosi che noto comunque seguire
questa storia. Spero che nonostante questi capitoli un po' più cupi - ed i miei
mostruosi ritardi - non mi abbandoniate!
Al prossimo capitolo!
S.P.
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Capitolo 31 *** XXXI ***
Quella mattina sembrava un giorn
Quella mattina sembrava un giorno di
tanti anni fa, quando svegliandosi affianco a lui, tutto sembrava superabile e
per niente importante. In realtà non era così, ma quella sensazione al risveglio
sembrò placare ogni ansia. Il ricordo dei giorni precedenti sembravano lontani e
annebbiati, come se fossero successi chissà quanto tempo prima. Francesco
dormiva dandole le spalle, ma lei non sentiva più quell’aria di oppressione,
anzi, si sentiva tranquilla.
Si girò e accese l’abat-jour, sapendo
che Francesco odiava essere svegliato dalla forte luce della stanza. Guardò la
sveglia e vide che erano soltanto le sette – nello specifico le sei e
cinquantasette, la sveglia ancora non aveva suonato, ma sarebbe stata questione
di minuti.
Si alzò e si infilò la vestaglia per il
leggero freddo che si sentiva addosso, andò in bagno, fece una doccia veloce e
al ritorno trovò Francesco nel suo tentativo di risveglio tra mugolii e
stiracchiamenti.
“Buongiorno.” Lo salutò, avvicinandosi
all’armadio per prendere la biancheria pulita.
“Buongiorno.” Si lamentò lui, tenendo
ancora gli occhi chiusi. “Hai lasciato suonare la sveglia ad oltranza, Eli. Hai
rischiato che la schiantassi contro il muro.” Mormorò con tono sfinito e
falsamente minaccioso.
“Mi sono svegliata prima ed ero andata
a fare la doccia, mica ho attentato alla tua vita!”
“Ma sei sempre tu a spengerla! Invece oggi mi hai lasciato in balìa del tuo
Bellamy, accidenti a lui!”
“Non offendere Matthew!” replicò lei,
altezzosa. “E poi immagino quanto sforzo ti sia costato, eh!” lo prese in giro.
Poi si sedette sul suo lato del letto, illuminato dalla fioca luce
dell’abat-jour e si spogliò, per afferrare il barattolo della crema
anticellulite. Quello scambio di battute la fece sorridere: sembrava che tutto
fosse tornato come prima.
“Lo sai che quella roba non servirà mai
a niente, vero?” Si insinuò lui tra i suoi pensieri.
“E che te ne frega?”
“Era semplicemente un’osservazione.
Alla fine spendi un sacco di soldi per un prodotto inutile. La cellulite sarà
parte di te per sempre.” Il coperchio del barattolo colpì la testa di Francesco
come risposta. “Ahi! Potevi colpirmi in un occhio!”
“Così non mi avresti più rotto le palle
con le tue osservazioni, non vedendo!”
“Resta il fatto che abbia ragione!”
Rise lui, rendendole senza forza il coperchio, colpendola alla schiena nuda.
“Uhm, comunque noto che hai messo su un po’ di ciccia, eh, Eli!”
Elisa si voltò di scatto, tra lo
sdegnato e l’infuriato, ricordandosi solo dopo di essere senza reggiseno. Si
coprì con le mani e si rivoltò dall’altra parte. “Imbecille! Fatti i cazzi
tuoi!”
“Eh, ma quando ti toccavo i fianchi,”
continuò lui divertito. “Non erano così. Certo, li hai sempre avuti belli
rotondi, ma ora…!”
“Smettila!” soffiò un urlo, allungando
furiosamente un braccio all’indietro, alla cieca, cercando di colpirlo con
qualche sonoro schiaffo. “E poi non devi essere tu a commentare i miei fianchi!”
“Era a puro titolo informativo!”
ridacchiò. “Marco non avrebbe mai il coraggio di dirtelo!”
“Lascia in pace Marco!”
“Ma almeno sono sincero! Apprezza!”
“Sono sincera pure io: sei un
imbecille!”
“Però ti piace, questo imbecille,
vero?”
“Stronzo.” Sibilò Elisa, infilandosi il
reggiseno per avere una minima copertura dai suoi occhi e riprendendo a
spalmarsi la crema sulle cosce.
“E dillo!” le si avvicinò,
punzecchiandola sulla schiena ancora scoperta.
“Piantala!” lo scacciò come una mosca
fastidiosa. “Accidenti a me! Devo imparare a vestirmi in bagno! Nemmeno fossi
una prigioniera in casa!”
“Uh, ti piaccio!”
“Ma perché non torni a rompere le palle
a Daniela?” si scostò, andando a spegnere la luce, per poter negare a Francesco
ulteriori battute.
Forse fu il nero della stanza, forse fu
quella frase a coglierlo alla sprovvista, che Francesco rimase un attimo in
silenzio e poi rispose: “Forse hai ragione.” Ammise. “Dovrei darle la
possibilità di parlare.”
“Be’, alla fine era quello che volevi
tu da lei.”
“Già, ma sai cosa ho capito in questi
giorni?” Elisa mugolò per portarlo a continuare. “Che in realtà credo non mi
importi più granché di lei.”
“Come puoi dirlo?” Si sedette
nuovamente sul letto. Francesco era arretrato verso il suo lato del letto e
sembrava intenzionato a rimanerci. “È passata solo qualche settimana dacché non
vi sentite più.”
“Appunto.” Convenne lui. “E non è
strano che solo dopo così poco tempo io dica una cosa del genere?” Elisa annuì.
“Per questo dico che forse non mi importa così tanto di lei. Altrimenti ora
sarei ancora qui a pensare che mi manca e che vorrei fare qualcosa per lei.”
Elisa pensò che effettivamente il suo ragionamento non fosse così tanto campato
per aria. Aveva un senso. Anche se triste. “Mi ricordo che quando decidemmo di
lasciarci -” Elisa si schiarì la voce con fare scocciato e Francesco capì. “Sì,
ok, quando ti lasciai, mi ricordo che pensai alla cosa per molto più
tempo.”
“Che c’entra? Erano altri tempi e il
nostro rapporto magari era differente. Mi dicesti che era la prima volta che
provavi ad avere una storia duratura con una persona. Ci sta che fossi confuso.”
Le sue parole nascosero tuttavia una certa quantità di vanto. Purtroppo questo
paragonarsi a Daniela era qualcosa che nonostante tutto rimaneva radicato in
lei.
“Forse hai ragione, ma questo mio
menefreghismo mi fa pensare.”
“Non so cosa dirti, France…” Finì di
infilarsi la biancheria e riaccese la luce. Il volto di Francesco però non era
triste come lei avrebbe pensato che fosse. Anzi, era stranamente tranquillo.
“L’unica cosa che mi viene da farti notare, però, è che tutti avrebbero bisogno
di dire ciò che pensano. Il fatto che Daniela non te l’abbia permesso, non
significa che anche tu debba comportarti come lei.” Francesco la guardava come
se cercasse di indagare il vero senso di quelle parole. “Alla fine cosa potrebbe
mai succedere? O cambi idea, ed allora potresti esserne felice, oppure
semplicemente perderesti giusto qualche ora in sua compagnia e capiresti che
quello che pensi è giusto e ne avresti semplicemente la conferma, no?”
Francesco continuò a scrutarla con quel
suo fare enigmatico ed Elisa sperò di cavarsela. Non era affatto contenta di
buttarlo nuovamente tra le braccia di Daniela. Lei non le era mai piaciuta.
Avrebbe voluto pensare che lo facesse per il bene di Francesco, ricordandosi
come fosse abbattuto quando le raccontò dell’accaduto, ma non era nemmeno per
quello che le vennero fuori quelle parole. In cuor suo sapeva che le aveva
pronunciate per se stessa, per lei e per Marco: se Francesco fosse tornato con
Daniela, lei avrebbe potuto cercare di abituarsi all’idea e potersi finalmente
dedicare con tutta se stessa a Marco. Senza ulteriori tentazioni.
***
“Sai, sono contento che tu me l’abbia
chiesto.” Il sorriso di Marco in quel momento era più prezioso dell’oro. Dopo
quella mostruosa discussione avuta qualche giorno prima, vederlo sorridere
spensierato era magnifico. E poi aveva un bel sorriso, meritava di sorridere
sempre, lui.
Erano andati a fare una passeggiata
lungo il molo, quel pomeriggio, dopo il lavoro. Ormai Marco si era abituato
all’idea che Elisa lavorasse con Francesco, o quanto meno non ne parlava più –
cosa che effettivamente non significava proprio che gli andasse a genio, ma
quanto meno che non ritirasse sempre fuori quella faccenda. Elisa gli aveva
addirittura chiesto di farsi venire a prendere: una tattica alquanto subdola, ma
pensava in questo modo di introdurlo poco alla volta in quel suo mondo, in modo
da mostrargli esattamente quel che succedeva mentre lavorava. Ed infatti alle
cinque spaccate di quella giornata il campanello dello studio aveva suonato,
Elisa era andata ad aprirgli e l’aveva fatto salire ed accomodare – con Federica
e Nicola che lo guardavano di soppiatto borbottando tra loro chissà cosa –
mentre lei spengeva il computer e si rivestiva, pronta per uscire.
“Sei incredibile. Ti emozioni sempre
per cose piccole piccole!” rise Elisa, mano nella mano, gustandosi il tramonto
color arancio e rosso davanti a loro. Tra qualche minuto il sole sarebbe sparito
oltre l’orizzonte e loro sarebbero partiti per tornare a casa, passando prima a
riprendere Sofia dai nonni. Era stata una proposta di Elisa, l’aveva chiesto a
Francesco per ogni evenienza, e Marco aveva accettato. Come pure Francesco,
contrariamente a quel che potesse aspettarsi lei. Elisa era decisa a cambiare in
meglio il rapporto con Marco. L’amava e voleva che lui pian piano entrasse a far
parte anche della vita della piccola Sofia, e questo voleva dire fargliela
vedere più spesso. Si sentiva egoista ad aver proposto a Francesco questa cosa,
dal momento che con Daniela ancora le cose non sembravano sistemarsi – ed Elisa,
in una minuscola parte di sé sospirava di sollievo per questo – e lei non
avrebbe così dovuto dividere sua figlia anche con lei. Le chiamate di Daniela
non cessavano, sebbene sembrassero essersi fatte più rade. E Francesco sembrava
ancora intenzionato a non dargliela vinta. Ormai erano settimane – da
denuncia! – che andava avanti questa storia ed Elisa decise che non ne
avrebbe più voluto sapere niente. Lei stava con Marco, e Marco meritava tutte le
sue attenzioni, comprese quelle di Sofia. Per questo ora sarebbe andato con lei
a prenderla, per poi accompagnarle a casa e salutarle – sebbene avesse già messo
dei paletti per come salutarsi davanti agli occhi di Sofia.
“Per te saranno piccole cose, ma per me
sono importantissime.” Le sorrise lui, abbracciandola e posando dolcemente le
sue labbra su quelle di Elisa, come segno di riconoscimento.
Elisa era felice.
E quando il sole tramontò, loro si
diressero verso la macchina di Marco, che guidò con una tranquillità invidiabile
e giunsero alla casa dei nonni in nemmeno un quarto d’ora. Sapeva che con Sofia,
avrebbe dovuto trattenersi, sicché prima di scendere lo guardò, gli sorrise e
gli prese il viso tra le mani, avvicinandolo a sé. Lo baciò come non si erano
baciati per tanto tempo, il cuore a mille. Poi si guardarono negli occhi e si
sorrisero.
Quindi scesero e si incamminarono verso
il portone, Elisa suonò e salirono non appena venne loro aperto.
Lei fu la prima a mettere piede
nell’appartamento, davanti all’occhio vigile di Anna, che la guardava con aria
seccata – indubbiamente riferendosi a quella mezz’ora di ritardo sull’orario
previsto. Ma non appena anche Marco entrò nell’appartamento, Anna si illuminò e
sorrise calorosamente all’ospite.
“Marco! Che bella sorpresa!”
“Salve, Anna, come sta?” Le dette due
baci sulle guance e lei lo incitò ad accomodarsi, facendosi dare il cappotto.
Elisa dovette fare tutto da sé.
“Oh, be’, insomma, ecco io -”
“Che succede, Anna? Chi c’è, che non ho
sentito?” Luigi si affacciò da dietro la porta del salotto con Sofia in braccio,
sorridendo ai due, mentre la piccola scalciava per farsi mettere a terra appena
li vide. “Oh, salve, Marco, Elisa!”
“Mamma!” Sofia si fece prendere in
braccio da lei e le dette un bacio sulla guancia. “Nonno mi ha portato a vedere
i treni!” Elisa le rivolse un’espressione sorpresa ed euforica come la sua, per
poi salutare e far presente che non si sarebbero trattenuti oltre.
“Oh, no, prego, prego accomodatevi in
cucina, che vi offriamo qualcosa!” trillò Anna, come se avesse sempre fatto così
in presenza di Elisa. Fece per farglielo notare, ma lo sguardo di suo padre la
fece sospirare e deglutire l’osservazione.
“Grazie, Anna,” sorrise Marco. “Mi
stava dicendo?”
“Che si va avanti con i nostri
acciacchi, purtroppo.” Sospirò con espressione melodrammatica. “Vuoi una tazza
di tè, Marco?”
“No, grazie, prenderò un bicchier
d’acqua, ho un po’ la gola secca.” E rivolse uno sguardo ad Elisa, che per la
prima volta notò una nota di malizia nei suoi commenti. Provò una sensazione
forse ancor più potente della felicità. “Ma non dica così,” riprese lui. “Sembra
in forma smagliante.”
“Tu sei un adulatore, Marco!” Ridacchiò
Anna. “Luigi, perché non sei come lui?”
“Eh, perché non sono così?” schioccò la
lingua lui, rassegnato, per poi lanciare uno sguardo divertito ad Elisa.
“Siamo vecchi, Marco, è normale che ci
sia qualche acciacco alla nostra età.”
“Mamma, dài, non fare così, cambiamo
discorso, eh, che dite?” non le piaceva sentire certe cose. Sapeva che i
problemi di salute affliggevano tutte le persone anziane, ma il pensare a tutte
le brutte cose che avevano i suoi genitori, le metteva solo tanta ansia.
“Perché vorresti cambiare discorso? È
bene affrontare la realtà, Elisa. Ieri sono dovuta andare in ospedale per fare
l’ennesimo controllo al cuore, visto che due mattine fa mi sono svegliata col
fiatone e il cuore che batteva forte. Tuo padre ha dovuto chiamare subito il
medico perché mi ero impaurita! Perché non dovrei parlarne?”
“Allora parlane, scusa…” sbuffò lei.
Era inutile, lei non sarebbe mai entrata nelle sue grazie come Marco.
“Ma ora sta bene, Anna?” chiese Marco,
preoccupato.
“Sì, sto bene, grazie per averlo
chiesto, Marco, tu sì che sei una persona che si preoccupa per noi.”
Touché,
pensò Elisa, aggrottando la fronte.
“Devo solamente prendere altre
medicine. Non ne tengo più il conto, sono troppe. Prima o poi morirò per queste
e non per i problemi che avrei senza!” e rise. Elisa trovò la battuta di pessimo
gusto e non rise, mettendosi a fare il solletico alla piccola Sofia che si
divertiva coi suoi capelli.
Quella conversazione durò altri dieci
minuti, toccando argomenti come quello che avrebbe cucinato quella sera Anna, il
rincaro dei prezzi nei supermercati, il fatto che ora tutti si dessero alla
criminalità, che addirittura al telegiornale avevano fatto un servizio su una
grande banda di ladri che sembrava imprendibile – questione che scatenò tutta
una serie di avvertimenti e cautele da parte di Anna nei confronti di Marco: “Mi
raccomando, non uscire mai da solo! Lo so che sei grande e forte, ma se ti
succedesse qualcosa, non saprei che fare!”, facendo sbuffare Elisa, come se
fosse normale preoccuparsi degli altri e non di lei. Poi Anna virò egregiamente
su come fossero sempre lieti i giorni in cui aveva ospiti, perché nessuno andava
mai a trovarla, facendo sentire in colpa persino il povero Marco, che si scuso
per le sue assenze. “Ma no, Marco! Tu che colpa ne hai? Anzi, piuttosto è colpa
di Elisa che non ti porta mai qui!”
Appunto.
Per grande gioia di Elisa,
fortunatamente Sofia iniziò a brontolare per la fame ed Elisa colse al volo
quell’interruzione. Salutò i genitori, come Marco e Sofia, e scesero, mentre
Anna urlava dalle scale: “E torna a trovarci, Marco!”
“Poi dovrai spiegarmi come fai!”
bubbolò lei, Sofia in braccio.
“Be’, io non ho avuto bambini a
ventiquattr’anni.” Ridacchiò lui.
“Oh, oggi fai scintille con le battute!
Che t’è successo?” lo sbeffeggiò.
“Sì, effettivamente mi sento ispirato.
Perché, ti dispiace?”
“No, no, macché! Anzi!” lo rassicurò.
Dopotutto era sempre Marco, pensò Elisa.
Salirono in macchina ed imboccarono la
via di casa. Elisa era decisamente più che felice.
______________________________
Bu! Sono tornata! Scusate la mia assenza, spero che
questo capitolo possa farmi perdonare - ancora!
Insomma, da nero a bianco: il capitolo scorso pareva
una tragedia, mentre ora sembrano tutti felici e contenti. Che sia la fine di
tutto? No, sarebbe una storia insulsa, quindi preparatevi bene: Winter is
coming (giusto per citare una serie a caso).
Ad ogni modo, capitolo tranquillo, lo so, ma
necessario - soprattutto dopo quello precedente.
E dunque, non ho molto altro da dire, sicché vi
saluto tutti, ringraziando come sempre Brezza, che è sempre presente ad
ogni mio aggiornamento, fedelissima sia a Francesco che ad Elisa! Grazie! :)
Un saluto comunque a tutti coloro che mi leggono!
Al prossimo capitolo!
S.P.
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Capitolo 32 *** XXXII ***
Era veramente tentato di chiuder
Era veramente tentato di chiuderle
quell’ennesima chiamata in faccia, ma si trattenne, sebbene lo facesse a stento.
“Ancora?” Gianluca lo guardò
sbalordito. “Non mi capacito di tutta l’insistenza che sta dimostrando!” disse.
“Guarda che magari è da apprezzare una così tanta determinazione in una ragazza,
France.”
“Ho già pensato anche a questa, ma ci
sono molte altre cose da considerare, non solo la sua determinazione, Gianlu.” E
bevve un altro sorso di tè.
“Vero anche questo.” Sospirò lui. “A
quante chiamate è arrivata?”
“Questa è la seconda della giornata.”
“Be’, per essere le tre, direi che si
sta ridimensionando!” ridacchiò Federica, entrando nella loro stanza con una
pennina usb. “Questa è l’ampliamento per i Bernardi, Nicola li ha chiamati
mezz’ora fa per decidere un giorno in cui incontrarsi. Penso sia stato deciso
Giovedì prossimo, a voi andrebbe bene?”
“Penso di sì.” Annuì Gianluca. “Non
ricordo quando devo andare dai genitori di Marianna a pranzo – uno di questi
giorni è il compleanno del fratello – ma tanto io non sono essenziale,
l’importante è che ci sia Elisa.”
“Sì, sì, lei dovrebbe esserci, ora la
chiamo e vi confermo.” Disse Francesco, finendo la sua tazza di tè. Prese il
cellulare, evitò di considerare la chiamata senza risposta di Daniela e chiamò
Elisa.
“Pronto?”
“Non guardi mai il display?”
“Stavo parlando con Chiara, che
c’è?”
“Ci sei
Giovedì prossimo?”
“Mattina o pomeriggio?”
“Mattina o pomeriggio?” chiese agli
altri nello studio.
“Mattina o pomeriggio?” Urlò Federica a
Nicola, nell’altra stanza.
“Mattina!” rispose lui, urlando.
“Mattina.” Ripeté Federica.
“Mattina.” Riferì Francesco divertito.
“Sì, ormai avevo capito dacché aveva
risposto Nicola.” Ridacchiò
anche lei.
“Allora, ci sei?”
“Sì, perché?”
“Ci sono i Bernardi, così gli mostriamo
l’ampliamento che chiedevano.”
“Ah, perfetto! Sì, sì, ci sono!”
“D’accordo, ci si vede stasera,
allora.”
“Certo, che vuoi da cena?” si
informò.
“Vuoi davvero metterti a cucinare?”
chiese sbalordito Francesco. “Vuoi mandarci tutti all’ospedale? O vuoi
incendiare la cucina? A cosa stai mirando? Sappi che non ho un soldo, non
ricaverai niente dalla mia morte.”
“Quanto sei scemo! Mi era venuta
voglia di cucinare e volevo preparare qualcosa, ma se ti dimostri così scettico
riguardo le mie capacità, allora muori di fame, tanto non siamo sposati e non me
ne viene nulla lo stesso anche se morissi!”
“Che gentile!”
“Dovere.”
“Dai, cucino io quando torno.”
“Come vuoi, ciao! Saluta gli altri!”
“Ok, tu saluta l’antipatica lì con te.
Ciao.” E buttò giù, sentendo di sottofondo un “Vanni merda” inneggiato da
Chiara.
Il silenzio creatosi nella stanza gli
puzzò abbastanza da fargli tirare su lo sguardo e osservarsi attorno. Fede e
Gianluca si guardavano, mentre Nicola era affacciato alla porta che scrutava la
situazione.
“Accidenti, Vanni…” mormorò Federica,
il tono tra il divertito e il pauroso. “Ma ti sei sentito mentre parlavi con
Elisa?”
Francesco lì guardò uno per uno con uno
sguardo esausto. “Su, fuoco a volontà.” Roteò gli occhi.
“Dillo tu.” Fede dette una gomitata a
Gianluca, che gliela ridette mormorando: “No, dillo tu!”
“O ditelo e fatela finita.” Sospirò
Francesco.
“Sembravate una coppia sposata!”
“No, sembravamo una coppia che ha una
figlia e che vive insieme da anni, ormai.” La corresse. Non aveva voglia di
sentirsi dire certe cose. Sembrava che tutto avesse un peso diverso dacché Elisa
gli aveva parlato quella notte di ormai quasi una settimana fa.
“No, caro Vanni. Ti conosciamo da anni
e non ti avevamo mai sentito fare una conversazione così con lei.” Continuò
imperterrita Federica, incrociando le braccia al petto e alzando il naso in
aria.
“Pensala come vuoi.”
“Certo!” ribatté Federica, mentre
Francesco si rimetteva a lavorare al computer per isolarsi dai loro commenti.
Purtroppo quel silenzio che aleggiava nella stanza lo infastidiva quasi più dei
loro discorsi.
“Oh! Insomma, dite quello che volete e
poi andatevene!” sbottò.
“Non è un amore, il Vanni, quando si
innervosisce?” ridacchiò Federica, prendendosi le mani e mettendole sotto il
mento con fare sognatore.
“Ti ammazzo.” Sibilò Francesco.
“Tornando seri,” tossì Gianluca. “La
domanda è questa: perché sei così con Elisa e non con Daniela? Da dove arriva
tutta questa tua apprensione per lei, mentre l’altra la snobbi come se non
sapessi nemmeno chi sia?”
Francesco si ammutolì. Ma che cazzo!
Saranno stati affari suoi? Perché quei tre dovevano sempre impicciarsi degli
affari che non li riguardavano? “Perché con Daniela è finita, mentre con Elisa
ci vivo.”
“E basta?” lo sguardo di Gianluca era
micidiale. Colpito. E affondato. Al solito. Che palle!
“Ok, ora mi avete rotto le palle.”
Sospirò. “Sapete cosa? Alla prossima chiamata di quell’altra, allora rispondo,
ok? Così sarete tutti più felici e smetterete di rompermi le palle con questi
stupidi discorsi. Che dovrei fare? Non considerare più Elisa? Mica è colpa sua
se comunque dobbiamo mangiare. Aveva proposto lei di cucinare qualcosa, mica io!
Io ho semplicemente detto che avrei potuto farlo io perché so che lei -”
Il telefono squillò e Francesco sudò
freddo. Il silenzio non accennava a svanire e Francesco si sentì gli occhi di
tutti e tre puntati addosso ad intermittenza: lui ed il cellulare. Il cellulare
e lui. E il suono metallico della suoneria preimpostata che lui non aveva mai
avuto voglia di cambiare, era incessante. Sembrava aumentare di volume,
trapanargli le orecchie.
“E che cazzo! Ok, avete vinto!” prese
il telefono. Tanto prima o poi avrebbe dovuto per forza parlarle. Era l’ora che
anche lei capisse che tra loro era finita. Totalmente. E che non poteva
molestarlo con tutte quelle chiamate al giorno. Sarebbe andato a chiedere
un’ordinanza restrittiva!
Premette il tasto d’attivazione della
chiamata e si portò il cellulare all’orecchio, guardando in cagnesco gli altri
presenti nella stanza, che recepirono il messaggio senza ulteriori ammonimenti.
Uscirono quasi di corsa dalla stanza e chiusero la porta, sebbene Francesco poté
immaginarseli accostati contro la porta, magari con dei bicchieri, ad origliare.
“Pronto.” Rispose tendente allo
scocciato.
“France…?” la voce di Daniela
tentennò, come colta alla sprovvista. Be’, poteva immaginarselo: non le aveva
risposto per settimane, lasciando che lei chiamasse senza sosta.
“Che c’è?”
“Sei arrabbiato?”
“Sinceramente non so come dovrebbe
sentirsi una persona perseguitata da tutte quelle tue telefonate al giorno.
Arrabbiata, infastidita, esaurita, disturbata, seccata, molestata, scocciata,
incazzata – ti bastano?”
“Scusa…” il tono così lieve lo
fece sospirare.
“Dimmi che vuoi, su.”
“Io?” balbettò lei.
“Be’, non ho chiamato io.”
“Sei freddo.” Lui non rispose e
lei continuò dopo un po’. “Ascolta, possiamo vederci per parlare?”
“Perché dovrei dirti di sì, visto quel
che hai fatto tu?”
“Vuoi abbassarti al mio livello?”
mugolò. Era strano sentirla così remissiva.
“In realtà non volevo proprio
risponderti.” Era cattivo, lo sapeva. Ma era incazzato con gli altri che
origliavano e con lei che lo aveva perseguitato per settimane. Effettivamente
cosa gli aveva impedito di denunciarla?
Poi sospirò. Lui non era una persona
cattiva, era solo arrabbiato. Un po’ con tutti e anche con se stesso per essersi
arrabbiato con tutti. Lo infastidiva reagire d’istinto senza sapere perché. E
reagiva d’istinto proprio perché non capiva cosa avesse in testa. Perché si
comportava così?
Dopotutto anche Elisa gli aveva detto
di dare una seconda possibilità a Daniela. O quanto meno di vedersi per parlare.
Già, lei gliel’aveva detto. Gli dava fastidio.
Si avvicinò alla porta e dette un
sonoro schiaffo contro il legno, sentendo tre diversi “ahi!” dall’altra parte.
Ok, quelli avevano ricevuto la punizione che meritavano. Ora poteva calmarsi un
po’ e tornare se stesso.
“Scusa,” disse. “È che questa
situazione mi scoccia.” Ecco, ora andava meglio.
“Capisco…” mormorò tristemente.
Non sembrava nemmeno lei.
“Comunque,” si schiarì la voce. “Ok,
volevi parlare.” Riprese il discorso. “Va bene, dimmi dove e quando e
parleremo.”
“Davvero?” sembrò rianimata.
“Sì.” Ma lui non aggiunse altro. Dentro
di sé sapeva di accontentarla senza volontà. Ok, voleva parlare e avrebbero
parlato. Ma era inutile dire altro, non sarebbero state belle cose. O almeno,
non per lei. Lui forse avrebbe almeno risolto questo problema.
Si sentì un po’ una merda a considerare
Daniela un problema, ma era anche vero che ultimamente si sentiva così tanti
pensieri addosso che non aveva né voglia né l’intenzione di occuparsi anche di
lei. Semplicemente lei non era tra i suoi pensieri – tranne quelle volte che il
cellulare squillava, e comunque non erano bei pensieri, quelli.
“Oh, ok,” borbottò lei, come un
bambino insicuro dei propri passi. “Dove vuoi andare?”
“Un qualunque bar andrà bene.”
“Ah, un bar…”
“Be’, che ti aspettavi? Una cena?”
Daniela non rispose. Sì, si aspettava
una cena. Ma lui non se la sentiva: se la serata fosse andata male – e lui
sapeva che per lei sarebbe andata male – loro avrebbero dovuto continuare a
stare insieme per tutta un’interminabile cena a guardarsi mangiare sapendo già
la conclusione di quell’uscita. Non era il caso, sarebbe stato solo imbarazzante
ed inutile. Perché stare male per una stronzata?
“Che ne dici di vederci domani alle
cinque al bar vicino a casa tua?”
“Ah,
domani alle cinque…”
forse aveva un impegno. “No, dài, ok, alle cinque al Bar di Gianni va bene.”
“Se hai da fare, si rimanda.”
“No, no, non ho da fare.”
Mentiva, Francesco lo sapeva. Trapelava l’insicurezza dal tono delle parole.
“Ok, allora a domani.”
“Ok.”
“Ciao.”
“Ciao.”
E chiuse la chiamata. Niente di più e
niente di meno.
___________________________________________________________
Ehi! Gente, sono tornata! Come al solito, non ci
speravate più, lo so, ma rieccomi finalmente qui con un nuovo capitolo!
E... Insomma? Che reazioni susciterà tutto questo?
Rientra in scena un "vecchio" personaggio! Ta-daaan!
Vedremo come andrà avanti, insomma! Secondo voi, che
succederà?
E non avendo più molto altro da dire, passo ai
ringraziamenti per i commenti lasciati: grazie a Brezza, che come al
solito arriva puntualissima! E grazie anche alla nuova Neverwas!
Provvederò a rispondervi anche singolarmente, eh! Ora che sono tornata attiva
per un po', cercherò di rimettermi in pari con tutto!
Detto questo, vi saluto di nuovo!
Grazie di avermi seguito e soprattutto di non avermi
abbandonata!
Un bacio!
S.P.
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Capitolo 33 *** XXXIII ***
“Accidenti, Eli…” Chiara la guardava con espressione stupita, ma
conoscendola c’era una pennellata di divertimento nei suoi occhi, quel
divertimento che sapeva di presa in giro, ma anche di scomoda verità che a
lei non sfuggiva mai. “Ma ti sei sentita mentre parlavi col Vanni?”
Elisa, posò il telefono sul tavolino della sala, vicino a Sofia che
disegnava, e riprese in mano la tazza di tè che aveva posato per rispondere
alla chiamata. Guardò Chiara con fare interrogativo. “Che vuoi dire?”
“Sembravate una coppia sposata!”
Elisa schioccò la lingua. Ecco dove voleva andare a parare. “No, sembriamo
una coppia che ha una figlia e che vive insieme da anni ormai.” E poi
indicò con lo sguardo Sofia, che sembrava concentrata sul disegno di un
pesce con le ali. Certo era ancora piccola e, sebbene sentisse, non capiva,
ma non era bello parlare di quelle cose davanti a lei.
“Non prendermi in giro, Eli.” Scosse la testa Chiara. “Ho solo una
domanda.”
Elisa sospirò. “Falla.”
“Perché con lui e non con l’altro?” i nomi erano volutamente taciuti.
“Perché io vivo con lui e non con l’altro. E dovremmo pur cenare, no?”
rispose con ovvietà.
“Ma prima o poi vivrai con l’altro, no?”
“Con chi vivi mamma?” si intromise Sofia, girandosi e guardandola. Era
incredibile come fosse sempre attenta a tutto quello che pareva non
ascoltare e che invece sentiva benissimo.
“No, amore, si parlava di un film.” Le rispose lei, carezzandola sui
capelli.
“Ah, ok!” e tornò al disegno.
“Ma almeno posso chiederti come vada con l’altro?”
“Tutto bene, quello.” Ed era sincera. In quegli ultimi giorni andava
veramente tutto bene. Quella sensazione di estasi si incrinava solo se
pensava a quello che era successo con Francesco, ma non voleva pensarci.
Tutto andava bene, ora, quindi non doveva pensarci. “Sembra che tutto stia
andando per il meglio. Sono contenta.”
“Se me lo dici con quella faccia da ebete posso solo pensare che sia vero.”
Sorrise Chiara.
“Sì, è proprio vero.”
“Bene, quindi a quando le nozze?” la stuzzicò l’amica.
“Chiara! Lo sai che non voglio parlare di queste cose!” sbuffò, sparendo
dietro la tazza di tè fumante. “Dimmi piuttosto di Roberto.”
“No, dài, non ho voglia. Non voglio parlare di Roberto.” Sembrò chiudersi.
“Eh? E perché?”
“Davvero, non ho voglia di parlarne, ti annoierei.” Era evasiva.
“Ah, ok, come vuoi, però sei strana, Chiara, posso dirtelo?” si fece
sospettosa Elisa, scrutandola da oltre la tazza che aveva in mano.
Chiara sospirò. Sembravano che le parti tra le due fossero state invertite:
ora era Chiara che non voleva parlare della sua vita privata ed Elisa
quella che faceva domande, però al contrario di Chiara, Elisa sapeva quando
era l’ora di smetterla e non insistere per non urtare la sensibilità
dell’altra.
“Ok,” sbottò. “Va bene, ti racconto di Roberto. Vuoi proprio sapere cosa
penso?” Elisa annuì, ma non era sicura di sapere cosa pensare della cosa.
Era raro vedere Chiara tentennante, insicura… E non era mai una buona cosa.
“Roberto è… Strano. Non lo capisco certe volte. Ti dissi che era
cambiato, mi aveva preparato la cena, no?”
“Sì.”
“Eh, e invece ogni tanto – non così frequentemente, eh! Pensa che proprio
una settimana fa era proprio quello di sempre ed abbiamo passato una notte
meravigliosa insieme, abbiamo fatto l’amore proprio come i primi tempi in
cui ci si frequentava! – però, ecco, ogni tanto cambia. Diventa freddo, non
mi risponde nemmeno quando gli faccio una domanda… Sembra arrabbiato,
insomma.” Fu una sensazione durata un istante, ma Elisa pensò che in realtà
Chiara avesse da dire molto più di quel semplice dubbio.
“Però, ecco, sarà successo, boh, tre, quattro volte e basta nell’ultimo
mese.”
“Vabbè, dài, le giornate no capitano a tutti. Magari è successo
qualcosa a lavoro.”
Chiara si ammutolì per qualche secondo. E per una persona come Chiara,
ammutolirsi non era una cosa normale.
“Che c’è?”
Chiara tentennò, ma finalmente parlò: “Oh, Eli, io non vorrei iniziare a
diventare paranoica, ma ho dei… dubbi.” Mormorò, quasi a disagio,
rigirandosi la sua tazza di tè tra le mani. Sembrava non trovasse pace con
la posizione della tazza.
“Dubbi?”
“No, dài, lascia perdere.” La liquidò.
“Come posso lasciar perdere, dopo quello che hai detto?” Elisa non voleva
essere insistente, ma si sentiva preoccupata per qualcosa che Chiara stava
palesemente nascondendo.
“Sì, davvero, non chiedermi più niente.” Si fece mogia, accasciandosi sul
divano e sospirando. Sembrava volesse rimangiarsi pure le poche parole
pronunciate, come se le fossero scappate senza che lei avesse voluto.
“Ok…” Elisa si ritrasse, prese la sua tazza di tè e bevve un sorso, per poi
girarsi verso Sofia, che stava colorando il disegno canticchiando una delle
canzoni dei programmi per bambini.
Vedere Chiara in quello stato la faceva sentire priva di certezze. Lei era
una persona determinata che non si faceva mai mettere i piedi in testa da
nessuno, al contrario di Elisa. Era raro vederla così abbattuta. Forse solo
un’altra volta l’aveva vista in quello stato, ma era successo così tanto
tempo fa che nemmeno si ricordava il motivo. O forse addirittura non
gliel’aveva mai confessato.
“Ho il sospetto che Roberto abbia un’altra.”
Le parole di Chiara, pronunciate tutte d’un fiato e con tono afflitto,
colsero Elisa del tutto impreparata. Si girò incredula verso l’amica e la
guardò come se avesse detto un’assurdità. Un tempo non sarebbe stato
nient’altro che una conferma di come fosse infedele Roberto, ma dacché
stava con Chiara era cambiato. O così aveva sempre pensato. Sì, certo non
le era mai andato a genio,
ed effettivamente spesso si era chiesta come due persone così differenti
potessero stare insieme. Magari avevano trovato un loro equilibrio. Chi era
lei per giudicare? Soprattutto vista la situazione che la circondava. E poi
lei era di parte: voleva bene a Chiara come se fosse sua sorella, per
questo non accettava il fatto di vederla in quello stato per colpa di un
uomo come Roberto. Però lei in più di un’occasione si era dimostrata capace
di tenerlo a bada, di farsi rispettare. Forse erano davvero fatti l’uno per
l’altra, chissà. Certe dinamiche lei non le aveva mai capite fino in fondo.
Il fatto che Elisa non lo tollerasse più di tanto non avrebbe dovuto
implicare giudizi sul marito della sua amica.
“Lo so che sono stupida a pensarlo, però lo penso. E non so come smettere
di pensarlo. Il Puccini dice che esagero, magari non è niente, ma io -”
“Il Puccini?” ripeté con aria sfuggente. Aveva già sentito quel
nome. “Lorenzo? L’urbanista degli Orlandi?”
“Sì, perché?”
“Erano secoli che non lo sentivo più nominare!” sorrise.
“Be’, continuando a lavorare per loro, ho dovuto trovare altre persone con
cui parlare.” Alzò le spalle, rispondendo con mezzo sorriso. “Da quando te
ne sei andata, sei diventata la sua eroina, sai?”
“E che dice lui di questa storia?”
“Che devo smetterla di darmi della stupida.”
“Oh, Chiara, non sei stupida… Se hai questi dubbi, sicuramente ti devono
essere venuti fuori da qualcosa. Cosa è successo?” Le mise una mano sulla
gamba.
“L’altro giorno non trovavo il mio cellulare e dovevo mandare un messaggio
a mio padre, sicché ho preso il suo, ho mandato il messaggio e quando mio
padre ha risposto, sono andata tra i messaggi ricevuti e ho trovato una
certa Eleonora M. che gli aveva scritto alle nove di sera: “ Ok, a dopo”. Capisci?” Si stava agitando, parlava velocemente e a
voce sempre più alta, distogliendo l’attenzione di Sofia dal disegno. Forse
l’aver finalmente confessato questa sua paura l’aveva portata ad aprirsi
ulteriormente, arrivando ad infervorarsi per l’accaduto.
“Zia Chiara, chi è Eleonora?”
“Una collega di Zio Roberto, tesoro.” L’anticipò Elisa, sapendo bene cosa
sarebbe potuto scappare dalla bocca di Chiara, in quello stato.
“Oddio…” Chiara tentennò, fissando il vuoto. “Ora che mi ci fai pensare,
c’è davvero una collega di Roberto che si chiama Eleonora!” si ricordò
Chiara. “È la marescialla – si dice marescialla?"
“Ma non sei nemmeno sicura che sia lei.” Cercò di farla ragionare.
“E chi vuoi che sia questa Eleonora M.?” Si agitò ancora. Poi
sembrò rendersi conto tutt'a un tratto della sua agitazione e sospirò.
"Scusa, Eli, ma non ragiono più quando penso a questa cosa.” Sospirò,
posando sul tavolo la tazza di tè. “Non so veramente come smettere di
pensarci. È come un tarlo…” Aveva gli occhi lucidi.
“Ma che ne sai che non sia stata una risposta ad una convocazione?
Dopotutto è qualche grado superiore a Roberto, questa tipa che dici, che ne
sai che non fosse per lavoro.”
“Alle nove di sera gli mandi un messaggio di convocazione?” replicò
scettica. “E Roberto quella sera stessa, dopo aver mangiato in assoluto
silenzio è uscito senza dirmi troppe spiegazioni.” Fece quasi per
aggiungere altro, ma si trattenne e sospirò.
Elisa non seppe che dirle. Non era mai stata brava a rincuorare le persone.
Ad ascoltarle sì, ma rincuorare era diverso: era necessario trovare le
parole giuste e non sempre lei le aveva. Poteva offrire conforto con un
abbraccio, ma le parole proprio no.
E tutte queste – poche – informazioni, se accostate alla figura di Roberto,
effettivamente non promettevano niente di buono.
“Io… Eli, io non saprei che fare se mi avesse tradita.” Era triste. “Io lo
amo, Eli, non voglio che lui se ne vada. Lo so che non hai mai avuto troppa
stima di lui per quel che successe tra noi per colpa sua, ma con me lui è
sempre stato diverso.” si appoggiò contro lo schienale del divano e si
coprì il viso con le mani, quasi per chiudere gli occhi e riprendere il
controllo.
“Chiara, mi dispiace… Provare a chiederglielo immagino sia inutile.”
Rifletté Elisa.
“Maddai! Chi è lo stupido che dopo aver tradito, alla domanda: “mi hai
tradito?” risponderebbe con un sì?” Rispose sarcastica.
“Per quel che ne so, potrebbero anche esistere persone del genere, ma
questo non dà una migliore immagine di sé per la sincerità della risposta.”
“Suvvia, Elisa. Lo sai anche tu che non mi confesserebbe mai una cosa del
genere!”
Elisa non volle commentare ulteriormente, ma sapeva quanto Roberto potesse
essere falso. Dopotutto, quando stava con lei – che poi, si frequentavano, non è che stessero proprio insieme come lei e Marco
ora! L’idea di aver avuto un passato con una persona come Roberto le fece
venir voglia di sottolineare a modo la distanza che separava una persona
come Roberto da una come il suo Marco – mica le disse che si vedeva pure
con Chiara. Furono loro due a scoprirlo, reciprocamente, parlandone e
riconoscendo nel loro reciproco partner la stessa persona. Non era
difficile immaginarsi che Roberto tradisse Chiara, purtroppo. Francesco da
sempre era stato convinto che il loro matrimonio non sarebbe durato e
spesso si era domandato perché si fossero addirittura sposati.
“Già, purtroppo, lo penso anch’io…”
Chiara guardò l’amica, sospirando. Non era delusa dalla sua risposta, era
delusa da tutta la situazione. Aveva gli occhi tristi.
“Eli, cosa dovrei fare? Che poi ci sono giorni in cui è irascibile per ogni
cosa – te l’ho detto – ed altri che invece è un tesoro, che è il mio Roberto…”
“Non lo so, l’unica cosa che ti direi è parlare con lui. Dopotutto siete
sposati, conterà pure qualcosa, no?”
Chiara soffiò una risata amara e la guardò come si può guardare una bimba
ancora troppo piccola per capire la vita. “Elisa, se il fatto di essere
sposati contasse qualcosa, non mi ritroverei in questa situazione.” Elisa
dovette ammettere che avesse ragione. “Io, guarda, proverò a parlargli, ma
non so come potrà finire questa storia. Secondo me non sarà un lieto fine.”
“Mi dispiace…” mormorò Elisa, bevendo un altro sorso di tè. Poi si accorse
che Chiara non aveva la sua tazza in mano. La indicò e le chiese se
l’avesse finito e ne volesse un altro po’.
“No, grazie, Eli. Nemmeno ho finito la tazza.” Rifiutò gentilmente. “Ma hai
cambiato tè?”
“No, è sempre il solito, perché?”
“Non so, questo mi sembrava avesse un sapore più amaro.” Storse il naso.
Anche Chiara, come Elisa, non amava i sapori troppo forti.
“Forse c’hai messo poco zucchero.”
“Due cucchiaini non sono poco zucchero. Sono i soliti.”
“Be’, io ce ne metto tre.”
“Allora sarà tutta questa situazione…” roteò gli occhi. Elisa sorseggiò
dell’altro tè, triste per l’amica. “Accidenti a lui! Riesce persino a farmi
odiare il tè.”
_______________________________________
Rieccomi! Salve a tutte! Scusate se sono stata via per così tanto tempo, purtroppo la realtà mi risucchia. E ho dovuto anche inventarmi un modo per pubblicare diverso dal solito perché non sono più in grado di utilizzare il vecchio programma (infatti si nota la differenza di layout, purtroppo...). Ad ogni modo, eccomi qua! Capitolo prevalentemente incentrato sulla nostra Chiara, ma spero vi sia piaciuto ugualmente!
E prima di svanire nuovamente, voglio ringraziare Brezza per aver lasciato un commento, come sempre, e spero che anche voi, oh lettori silenziosi, abbiate apprezzato!
Al prossimo capitolo!
Un bacio!
S.P. |
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