Twenty-eight

di Esse Pi
(/viewuser.php?uid=113264)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. In The Middle Of The Night ***
Capitolo 2: *** II. A Little Connection Between Them ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVII ***
Capitolo 28: *** XXVIII ***
Capitolo 29: *** XXIX ***
Capitolo 30: *** XXX ***
Capitolo 31: *** XXXI ***
Capitolo 32: *** XXXII ***
Capitolo 33: *** XXXIII ***



Capitolo 1
*** I. In The Middle Of The Night ***


Twenty-eight

Twenty-eight

 

In The Middle Of The Night

(2005)

 

Uscì da quella casa maledicendo il motivo per cui c’era entrata. Non aveva proprio voglia di quella festa, eppure ce l’avevano portata. Ma la cosa più stupida era che lei c’era andata senza nemmeno opporre troppa resistenza. Solo all’inizio aveva iniziato a ritrarsi, ma non seppe come, ci si era ritrovata dentro. Tutti gli amici se n’erano andati – persino Chiara – e lei non aveva potuto fare altro che divertirsi ad assaggiare tutti i peggiori intrugli che i suoi compagni di università avevano creato a partire da delle semplici bottiglie di Vodka, rum e chissà che altro. Certo, anche quelli da soli non erano proprio quel che a rigor di logica si sarebbe definito “salubre”, quindi immaginava già cosa sarebbero diventati quei pochi ingredienti mischiati tra loro. Però aveva iniziato a bere, e se lei iniziava a bere, difficilmente smetteva.

Solo quando rischiò di prendere a botte un ragazzo più giovane che cercava di palparle il sedere, si costrinse ad abbandonare quella casa con l’intenzione di tornare alla sua, ma già dopo qualche metro passato a barcollare ed ad appoggiarsi a qualche macchina per non cadere del tutto per terra, rifletté su quanto fosse stata idiota. Come poteva sperare di raggiungere casa in quelle condizioni? Era vero che era il centro storico e le macchine non potevano passarci come se fosse un’autostrada, ma c’era il rischio dietro ad ogni angolo vista l’ora tarda. Come minimo erano le cinque del mattino, e il giorno dopo aveva pure lezione alle nove.

Imprecò e si accostò al muro con una mano, seguendo il perimetro con il tatto per andare avanti, gli occhi aperti le facevano aumentare il mal di testa già assillante. Non doveva bere così tanto. Maledì la sua coinquilina per non esserle stata vicina e poi maledì se stessa per la sua indole a dare sempre la colpa agli altri.

No, in effetti c’era qualcuno a cui dare veramente la colpa, ma solo ricordare il suo nome la faceva imbestialire ancora di più, quindi preferì lasciare i suoi pensieri già contorti e sempre più astratti, prendere il sopravvento.

Camminò per metri senza sapere nemmeno dove si stesse dirigendo, quando finalmente, guardandosi con fatica attorno, riconobbe il luogo. Raggiunse il portone di vecchio legno che vedeva appannato sulla sua destra e tentò di raggiungere il campanello. Premette il bottone una volta, ma nessuno le rispose e lei, per la frustrazione, diede un calcio al muro davanti a sé con i suoi stivali marroni.

Si fece male, così male che si accucciò e si coprì il piede destro con le mani, facendo pressione come per far passare il dolore, ma fu inutile. Anche in quel caso non mancarono le maledizioni lanciate alla stessa persona innominabile che l’aveva portata a ridursi così, ovviamente indirettamente, ma era comunque responsabile e lei mai e poi mai avrebbe permesso che sfuggisse alle conseguenze che lei doveva subire per come era stata trattata.

Si rialzò con gli occhi lucidi per il piede che ancora sentiva pulsare e premette ancora il pulsante, questa volta più a lungo: almeno dieci secondi.

“Chi cazzo è a quest’ora?” rispose una voce ostile, leggermente appesantita e biascicata.

“Aprimi.” Disse lei senza nemmeno degnarsi di chiedere scusa per il disturbo.

“Nemmeno fossi l’ultima persona sulla terra.” Decretò la voce, riappendendo il citofono e chiudendo la conversazione con un rumore secco.

Lei batté un piede per terra – ricordandosi solo in quel momento la pulsazione che non era ancora del tutto passata – e imprecò, premendo nuovamente il bottone del campanello.

Questa volta, non ottenne risposta da quell’oggetto, ma dal balcone sopra di lei che si aprì violentemente e da cui apparve un ragazzo con addosso solo i pantaloni di una tuta nera. La ragazza nemmeno si preoccupò di pensare al fatto che stesse dormendo.

“Aprimi, pezzo di imbecille!” urlò.

“E stai zitta, che dormono tutti qui!” berciò lui in risposta. “Poi danno la colpa a me e mi buttano fuori di casa.”

“Tanto sei al nero là dentro!” ribatté lei, indicandolo come per minacciarlo. A guardare verso l’alto, barcollò ed andò a sbattere contro la macchina che si trovava dietro, per poi cadere per terra.

“Merda…” mormorò il ragazzo esasperato. “Perché vieni a rompere i coglioni proprio a me? Cosa ti ho fatto?”

“Vuoi proprio che te lo ricordi?” ringhiò lei, restando seduta per terra a massaggiarsi la schiena che aveva battuto. Si mise poi a gambe incrociate e rialzò la testa verso di lui. Tanto, più in terra di così non poteva andare.

“Che palle.” Fece lui. “Aspetta che vengo.” Acconsentì. “E intanto tirati giù la gonna che ti si vedono le mutande. Non vorrei che un malintenzionato possa stuprarti mentre scendo le scale.” E tornò dentro, chiudendo le porte del terrazzo dietro di sé.

“Ah, ora ti preoccupi anche per me?” continuò a gridare lei. L’idea che lui potesse essere accusato di disturbatore della quiete pubblica non poteva che farle piacere. “Peccato che facendo così non sembri altro che un ipocrita! Stronzo!” continuò imperterrita, forse aiutata anche dall’alcool che poteva benissimo aver preso il posto del sangue nelle sue vene. “Sappi solo che se non vieni subito ad aprirmi, mi attacco al campanello a peso morto! Non ti farò più dormire! Te lo giuro!” si passò una mano tra i corti capelli rossicci e si tolse un piccolo ciuffo da davanti agli occhi.

“Ma stai zitta!” gli rispose lui, aprendo il vecchio portone con un fragoroso rumore meccanico. Pure quel fastidioso scricchiolio che ne seguì, sapeva di antico. “Possibile che tu non faccia altro che lamentarti? E poi si può sapere cosa ci fai a quest’ora sotto casa mia?” le si avvicinò e la prese per un braccio, costringendola ad alzarsi. Aveva addosso un giacchetto che si doveva essere messo per l’occorrenza.

“Mi so alzare da sola.” Si impuntò lei, facendo resistenza, gli occhi serrati.

“Ma non farmi ridere, non ti reggi nemmeno in piedi.” La riprese lui, facendola alzare con uno strattone. La ragazza cascò in avanti e sbatté contro di lui, che le afferrò le spalle con le braccia. L’allontanò da sé e le mise una mano intorno alla vita per sorreggerla, mentre lei cercava di spingerlo via. “Ma che cazzo fai?”

“Non ti voglio!” rispose lei con una smorfia di disgusto.

“E allora perché diavolo sei venuta sotto casa mia?” insistette lui, iniziando ad arrabbiarsi. La strinse ancora di più e le fece varcare la soglia del portone, per poi chiuderlo con la mano libera.

Lei iniziò a puntare i piedi per terra per non farsi trascinare e tolse bruscamente la mano del ragazzo dal suo fianco. Lui con un’alzata di spalle l’accontentò, e lei cadde all’indietro, sbattendo la schiena contro lo stretto muro bianco dell’ingresso di quel piccolo e vecchio palazzo. In nemmeno mezzo secondo, si ritrovò a terra. Di nuovo.

“Ma sei cretino?” urlò lei, cercando di alzarsi.

“Ti ho solo fatto un favore, quindi vedi di non rompere troppo.” E le voltò le spalle.

“Aspetta, dove vai?”

“A letto.” Rispose schietto senza voltarsi.

“Stronzo! E mi lasci così?” lo accusò. Non tentò nemmeno di rialzarsi, tanto sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Aveva decisamente bevuto troppo. Era già tanto che avesse raggiunto quella casa.

“Ma sei scema?” si girò per guardarla superiore. Sembrava del tutto disinteressato a ciò che lei stava passando e questo non poteva altro che aumentare la sua frustrazione.

“Idiota! Aiutami!”

Lui la osservò con espressione dubbiosa per qualche istante, poi sospirò e si avvicinò a lei. La prese per un braccio e se lo passò intorno al collo, mentre con l’altra mano l’afferrò per la vita, facendola alzare.

“Lo faccio solo perché trovarsi un cadavere di prima mattina nell’ingresso, non sarebbe proprio il massimo.” Spiegò lui.

La ragazza sospirò. Perché alla fine finiva sempre così? Perché alla fine lui l’aiutava sempre? Lei, che faceva sempre di tutto per essere stronza nei suoi confronti, non otteneva altro che il contrario. Che lo facesse apposta? Non lo sapeva, eppure, sebbene odiasse essere aiutata da lui, questa volta non oppose resistenza e si lasciò accompagnare per le scale, fino a raggiungere la porta del suo appartamento. Con la mano che prima la sosteneva per la vita, prese il mazzo di chiavi che si era infilato in tasca del giacchetto ed aprì, per poi entrare con lei vicino.

Chiuse la porta con un piede e la condusse nella sua camera da letto.

“Stai qui.” Le disse, facendola sedere sul letto.

Lei lo guardò indugiando sull’espressione da adottare. Dapprima aveva provato ad aggrottare la fronte, ma in pochi secondi si ritrovò a non saper più controllare i muscoli facciali, e la sua espressione assunse un’aria ferita. Gli occhi divennero senza che lei volesse lucidi e supplicanti, mentre osservava il ragazzo darle le spalle ed uscire dalla stanza. Lui non l’aveva guardata dritta negli occhi nemmeno una volta. Non aveva nemmeno chiesto come stesse. Non aveva voluto sapere niente di lei.

“Aspetta.” Lo chiamò con voce flebile.

Lui si girò e lei abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole.

“Che c’è? Non ti sei ancora stancata di lamentarti?” fece lui, appoggiandosi allo stipite della porta, aprendo la cerniera del giacchetto. Sotto non aveva niente. Le era corso incontro senza nemmeno mettersi una maglia, solo il giacchetto.

Le parole che avrebbe voluto urlare per difendersi dai suoi occhi che non osavano guardarla, le morirono in gola. O forse fu l’alcool che la obbligò ad inghiottirle. Alzò lo sguardo su di lui e sperò che lui facesse altrettanto. Ma non fu così: i suoi occhi stavano guardando il letto, non lei.

“Senti…” tentò di iniziare un discorso. Non sapeva cosa avrebbe detto, né cosa voleva dire. La sua bocca tremava e sentiva dentro di sé il suo stomaco agitarsi ed impedirle di formulare un qualche discorso che potesse contenere una minima parvenza di serietà.

“Non voglio sentire scuse o qualcosa del genere.” Tagliò corto lui. “Non ora.” E finalmente alzò i suoi occhi verdi su di lei, che provò una fitta strana, non seppe se al cuore o allo stomaco.

Lei osservò quegli occhi di quel colore unico. Li invidiava e…

“Mettiti sotto le coperte e dormi. Domani mattina ti riaccompagno nel tuo appartamento.” E si passò una mano tra i disordinati capelli neri. Li portava così da non sapeva nemmeno quanto. Forse, non avevano mai avuto un ordine.

Lei annuì, passandosi una mano sul viso, per poi sospirare. Si tolse il giacchetto e lo posò sul letto.

“Non avevi una borsa?” domandò lui.

La ragazza sgranò gli occhi.

Cacchio!

“L’ho dimenticata!” esclamò. Come minimo non l’avrebbe nemmeno più ritrovata. Avrebbe dovuto rifare tutti i documenti proprio come quando le rubarono il portafoglio. L’unica cosa che aveva imparato da quell’esperienza – tenere i documenti in altri posti per evitare di doverli rifare per ogni volta che le avrebbero rubato il portafoglio in futuro – si era rivelata del tutto infruttuosa, visto che questa volta l’intera borsa era stata smarrita.

“Tranquilla,” sospirò lui, come se si aspettasse una cosa del genere da una come lei. “La andiamo a cercare domani.”

A quelle parole, lei sembrò calmarsi e rilassò i muscoli.

“Be’, allora grazie.” Disse, nascondendo il suo sguardo imbarazzato con un sorriso abbozzato.

Lui sembrò apprezzare quel tentativo di sorriso e gliene regalò uno per contraccambiare, ma ciò che lei non calcolò minimamente era il suo potere disarmante ed ammaliante. Un altro movimento strano da parte del suo stomaco la fece irrigidire.

Poi vomitò.

_______________________

Bene, finalmente ho deciso di pubblicarla! Allora, inizio le mie note d'autrice con un piccolo avvertimento: questo è solo il prologo, diciamo che la storia subirà un piccolo salto temporale verso il futuro (garantisco che non sarà come Lost!) e quindi la vera storia troverà inizio solo dal prossimo aggiornamento.

Detto questo, passo a spiegarvi come sono giunta a scrivere qualcosa di simile, perché nei prossimi capitoli troverete una situazione un po' particolare... Anzi, sapete cosa? Ve la spiegherò la prossima volta, perché potrei rovinarvi l'effetto sorpresa ;)

 

Be', che dire di più? Spero che il prologo vi abbia invogliato e che continuerete a seguirmi!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. A Little Connection Between Them ***


A Little Connection Between Them

A Little Connection Between Them

(2011)

 

Aprì la porta e il campanello che Sofia vi aveva appeso suonò, avvisando l’uomo del loro arrivo. La donna posò la borsa sul mobiletto che affiancava il piccolo ingresso dell’appartamento e si tolse il giacchetto lungo di velluto che si era comprata proprio il giorno precedente. Aveva riscosso, e quindi era un’usanza prendere per sé almeno un oggetto. Ovviamente non aveva voluto spendere più di una trentina di euro, quindi non sapeva fino a quanto sarebbe durato, visto tutti i maltrattamenti che gli avrebbe fatto sopportare.

“Sofia, torna qui.” La chiamò la donna, appendendo il giacchetto all’attaccapanni.

“Ma volevo salutare papà!” trillò lei in risposta, affacciandosi alla porta della cucina con i suoi capelli neri che le dondolavano sulle spalle.

“E papà voleva salutarla prima di subito.” Rise l’uomo, prendendola in braccio e stringendola forte a sé. “Come è andata all’asilo, piccola?” Le domandò, dopo averle schioccato un grande bacio in fronte.

“Bene! Ho colorato!” rispose con un sorriso. “Guarda!” e gli mostrò le mani tutte sporche di mille colori, prova evidente delle sue parole.

La donna rise, sistemandosi i capelli rossicci dietro l’orecchio. Si avvicinò alla bambina e le tolse il giacchettino verde con l’aiuto dell’uomo, che le sfilò prima una manica e poi l’altra. Tornò nell’ingresso per posarlo insieme al proprio e si guardò un istante allo specchio, sistemandosi il colletto della camicia bianca che sporgeva dal maglione beige che indossava.

“Mamma deve tornare a lavorare oggi pomeriggio, quindi fai la brava con papà, mi raccomando.” Le accarezzò la testa corvina. I suoi capelli lunghi e mossi ricordavano tanto quelli del padre. Purtroppo non aveva preso il suo colore degli occhi, ma non poteva dispiacersi: li aveva comunque di un blu intenso che chissà quale loro gene portava. Lei, dopotutto, li aveva marroni e lui verdi.

Lei annuì energicamente, stringendo le braccia intorno al collo dell’uomo.

“Ancora indaffarata in quel progetto?” si informò lui, rivolgendosi alla donna, seguendola in cucina con Sofia ancora in braccio, che giocava con i cordini della felpa rossa che indossava.

“Eh, già.” Confermò stanca la donna. “Sono due settimane che io e Chiara seguiamo Pietro in ogni suo bizzarro particolare per la costruzione della casa. E dovresti sentire le proteste dei committenti!” Sospirò, aprendo il frigo per vedere se erano rimasti degli avanzi della sera precedente. Anche in quell’occasione lei non c’era stata ed era stato l’uomo a cucinare tutto. “Penso che prima o poi non risponderò più delle mie azioni e lo prenderò a calci.”

“Perché?” chiese innocente Sofia, piegando la testa di lato e fissandola con aria interrogativa e curiosa.

“Perché il capo per cui lavoro cambia idea ogni giorno e la mamma non sa ancora come deve disegnare la casa.” Spiegò, chiudendo il frigo ed andando verso la bambina. Aprì le braccia e fece segno all’uomo di farla tenere in braccio un po’ anche a lei. Lui gliela passò e Sofia si aggrappò subito alla spalla della madre, tornando però ad analizzare quei cordini rossi della felpa, tirandone prima uno e poi l’altro.

“Sofia, poi tocca a mamma sistemarli se li tiri fuori tutti.” La rimproverò dolcemente il padre.

“Ma tanto non li tiro fuori.” Rispose senza guardarlo, presa com’era a rigirarseli tra le mani.

“Allora va bene.” Le sorrise.

“Mamma, ho fame.” Li informò poi la piccola, sgambettando per scendere. La donna la accontentò e lasciò che si dirigesse verso il solito sportello in basso a sinistra della stanza per prendere il suo pacchetto di biscotti preferiti.

“Sofia,” la mise in guardia lei. “Sai la regola, vero?”

La bambina annuì mesta e recitò a memoria: “Prima di pranzo, solo un biscotto.”

“Esatto.”

“Però ho fame.” Si lamentò lei.

“Sì, ora si mangia.” La consolò lei, aprendo un altro sportello, prese una pentola e la riempì d’acqua, per poi accedere il fuoco del fornello più grande ed aspettare che bollisse. “Francesco, prepari tu il sugo?” chiese all’uomo.

Lui annuì, tirando fuori una padella dal cassetto sotto il forno e vi fece un cerchio di olio, per poi prendere i pomodori dal cesto delle verdure in frigorifero. Ne sbucciò un paio e li tagliò in piccoli pezzi prima di metterli a cuocere nella padella insieme a qualche spezia.

La donna finì di apparecchiare, aiutata dalla figlia, e si sedette poi su una sedia ad osservare Francesco prendere in braccio Sofia per farle girare il sugo con il mestolo di legno. Era ormai una cosa quotidiana e a Sofia piaceva tantissimo sentirsi grande e dare una mano. Quando ogni tanto veniva portata da sua madre, adorava aiutarla a lavare i piatti sporchi che non entravano in lavastoviglie. Era una bambina adorabile. Iperattiva, certo, ma dopotutto, aveva quattro anni, quindi era più che normale.

Appoggiò il mento alle mani incrociate che aveva sul tavolo e li osservò con un dolce sorriso sulle labbra.

“Ah, Elisa,” la chiamò l’uomo. Lei alzò la testa e rispose con un mugolio di assenso. “Oggi pomeriggio viene Daniela.” La informò. La donna non poté che sentire una strana fitta inappropriata allo stomaco. Odiava quella donna e di certo non voleva che sua figlia potesse stare con lei. Nonostante tutto questo, però, sapeva che i suoi erano discorsi troppo egoistici: Francesco poteva fare quello che voleva. Non erano affari suoi, quelli.

“Ok, ma lo sai cosa penso.” Gli disse cercando di nascondere l’ansia. E che dire, poi, di Sofia? Lei per prima doveva starci lontana.

L’uomo sospirò come spazientito e mise per terra la bambina, che protestò battendo il piccolo piede per terra.

“Elisa, non posso dipendere sempre dai tuoi orari.” Le fece notare, aggrottando la fronte e diventando più serio. “Anche io ho una vita, non solo tu.”

E chiamala vita, pensò sarcastica, sbuffando.

“Mamma, papà, non litigate ancora!” li rimproverò lei, indicandoli con il dito indice, proprio come facevano loro quando lei combinava – o era in procinto di architettare – qualche guaio. “Sennò vi metto in punizione.”

I due si guardarono e sorrisero per le parole della bambina. Era sempre lei a riparare ai loro errori che preannunciavano – anche se involontariamente – una lite. Non era loro intenzione stare sempre a discutere su tutto – o almeno, non sua: per quanto riguardava Francesco, non sempre riusciva a capire cosa avesse per la testa, nonostante tutti quegli anni in cui avevano vissuto insieme – ma la situazione che si erano costruiti intorno non permetteva che tutto andasse proprio lisco come l’olio.

“Allora chiamo Daniela e le dico di rimandare.” Disse. Elisa non poté che trarre un silenzioso sospiro di sollievo, ma sapeva che questa beatitudine sarebbe durata solo qualche giorno. Presto Daniela sarebbe approdata lo stesso in quella casa, ma Elisa avrebbe cercato di portare Sofia con sé, se mai questo giorno fosse giunto.

 

***

 

L’aveva chiamata solo un’ora prima per avvisarla del cambiamento di programma, aggiungendo che si sarebbero potuti vedere, ma non a casa sua. Daniela sembrava capire e acconsentì di cambiare il luogo di ritrovo, invitandolo nel suo appartamento di periferia. Era un palazzo moderno, il suo, Francesco ne era un vero esperto, laureato anche lui in Architettura, proprio come Elisa, e a suo parere anche molto interessante per i suoi snodi ai vari piani, con vetrate luminose proprio in corrispondenza dei punti cardinali più significativi e decisamente ben strutturato.

Salì con l’ascensore fino al terzo piano, dove Daniela lo stava aspettando. I suoi lunghi capelli biondi erano sciolti sulle spalle, ondeggianti, quasi provocanti, mentre le sue labbra rosse risaltavano sulla pelle candida. Sembrava quasi una bambola, bella, forse delicata, ma non in quel momento, infatti tutto avrebbe potuto far pensare tranne che fosse fragile, delicata e indifesa. La fronte era aggrottata, gli occhi socchiusi in due minacciose fessure e la bocca storpiata in una curva tagliente. Francesco sospirò, entrando fugacemente nel suo appartamento arredato in stile moderno e si sdraiò sul divano, contando quanto ci avrebbe messo la donna prima di inveire contro di lui.

“È colpa di Elisa, vero?” mani ai fianchi, tono burbero e l’accusa pronta da chissà quanto, visto che non aveva impiegato nemmeno cinque secondi a sbottare. “Perché diamine non vuole che stia anche un po’ con Sofia?”

“Be’, lo sai come la pensa al riguardo.” Alzò le spalle lui, cercando di apparire più tranquillo possibile. Daniela era una donna affascinante, provocante, bellissima, ma quando assumeva quell’aria truce faceva paura. Sembrava quasi dotata di una forza divina che le avrebbe dato il potere di scatenare l’Apocalissi solo con un battito di ciglia.

“Ma è anche tua figlia, santo cielo! Perché non glielo fai capire?”

Lui le offrì una mano, che lei accettò scocciata, e la fece sedere affianco a sé, avvolgendole le spalle con un braccio, mentre lei appoggiava la testa sulla sua spalla, placando la sua ira magicamente. In realtà Francesco sapeva bene quanto lui potesse influire sul suo comportamento. E sapeva altrettanto bene come lei dipendesse totalmente da lui. Non era tanto che l’aveva conosciuta – quattro mesi – ma da subito lei gli era caduta ai piedi, in tutti i sensi. Quello che più di tutto lo colpì, fu però il modo in cui lei tentava di nascondere il suo interesse, apparendo involontariamente impacciata, goffa e buffa. L’aveva conquistato, insieme alla sua sensualità.

“Dani, io non voglio litigare sul possesso di Sofia.” Spiegò, iniziando a massaggiarle una spalla, mentre lei gli prese l’altra mano tra le sue, giocherellando mansueta con le sue dita. “Finché starà bene in questa situazione, non vedo perché si debba forzarla a scegliere.”

“Ma sono io che non sto bene in questa situazione.” Esclamò sconcertata. Lo guardò negli occhi, come se volesse fargli capire quello che provava. “Non capisci che un giorno Elisa si sposerà con Marco e si porterà via Sofia?”

“Se hai intenzione di usare la tua psicologia con me, sappi che questa volta non abbocco.” Ghignò, sapendo bene quale effetto potesse avere quel suo sorriso su di lei.

“Non sto usando nessuna psicologia, France.” Abbassò lo sguardo, continuando a muovere le sue dita con dolcezza sulla sua mano. “Sto solo cercando di farti capire come la penso al riguardo.”

“Distruggendo la mia famiglia?” Ironizzò.

“Francesco,” lo guardò seria lei. “Loro sono una parte della tua famiglia.”

“Sono lo stesso la mia famiglia.” Si impuntò lui. Sapeva che era una pessima scelta, ma non gli piaceva quando lei si incaponiva per fargli accettare le sue parole. E soprattutto non gli piaceva che la sua famiglia potesse essere tirata in ballo in una discussione in cui non entrava, in particolare la piccola Sofia.

Lei, come prevedibile, si scansò bruscamente da lui, squadrandolo come se l’avesse offesa pesantemente. Aprì la bocca pronta a ribattere, ma non le usciva niente se non che borbottii disconnessi, al che chiuse gli occhi e respirò profondamente, senza tornare ad avvicinarsi, nonostante lui avesse allungato un braccio per accorciare le distanze tra loro.

“Mi fai perdere la pazienza quando fai così!” esordì accigliata, alzandosi dal divano e tornando a guardarlo dall’alto verso il basso, le mani nuovamente sui fianchi nel suo atteggiamento da prima donna fallita.

“Sei tu che hai iniziato la discussione, Dani.” Chiarì lui, incrociando le braccia al petto, capendo all’istante l’inutilità del tentativo di riavvicinarla.

“Ti sbagli!” replicò lei, puntandogli un dito contro, che lui scacciò come una fastidiosa mosca. “Io non volevo discutere, volevo solo parlare tranquillamente!”

“Come al solito, il tuo tranquillamente si è alzato di qualche ottava.” Già, se veniva attaccato, rispondere era qualcosa che gli veniva automatico, con tutti i pro e i contro, come appunto quello sguardo lampeggiante che le attraversò gli occhi, ma se c’era una cosa che tutti e due avevano imparato dopo quattro mesi di rapporto, era che se avessero continuato a essere entrambi in balìa dei loro istinti peggiori, non ne sarebbero usciti tanto facilmente, quindi Daniela fece un respirò ancora più profondo e tornò a guardarlo tristemente negli occhi.

“Ma non capisci che Elisa non ti vuole togliere le mani di dosso?”

Lui la guardò aspettando che continuasse il suo monologo, che come da manuale, serviva a spiegare le sue ragioni oltre che a sfogarla. “Voi non state più insieme, giusto? E allora perché deve sempre mettersi in mezzo tra noi? Io voglio conoscere tutto di te, anche tua figlia.” I suoi occhi iniziarono a luccicare e Francesco le allungò nuovamente una mano, capendo esattamente quale fosse il momento più opportuno per tentare di riconciliare le cose tra loro. “Dopotutto, Sofia è la bambina dell’uomo che amo.” Si accoccolò contro il suo petto, stringendo tra le mani la sua camicia a quadri che più spesso Elisa aveva definito da boscaiolo, ma che gli aveva comprato lei stessa, sostenendo che gli stesse bene. Francesco abbracciò la donna e le massaggiò la schiena con una mano.

“Lo so che ci stai male per questo.” Mormorò lui, soffocando la sua voce tra i capelli dorati di Daniela. “Ma, per piacere, non entrare più in questa faccenda. Per Sofia, io e Elisa siamo mamma e papà e anche se non siamo sposati, non vuol dire che non si possa essere dei modelli per lei. Elisa non vuole che tu ci stia troppo vicina perché teme di poter essere sostituita.”

“Francesco, quando lei andrà a vivere con Marco, si porterà dietro Sofia.” Insistette lei.

“Di questo non c’è niente di certo. La questione non è ancora stata tirata in ballo e noi volutamente non vogliamo parlarne.” Poi sospirò. “Ma, sì, arriverà anche quel momento. Comunque sarà sempre una cosa che riguarda me e Elisa, capito?”

Daniela annuì, strusciandosi contro il suo petto. “Scusa la sfuriata.” Mormorò colpevole.

“Non importa, Dani.” Rise per smorzare quel momento di tristezza. “Lo so come sei fatta, con tutti i pregi e i terribili difetti.”

“Ehi, perché l’aggettivo esalta solo i difetti?” lo guardò falsamente ostile, arricciando le labbra come per sfidarlo a ribattere.

“Perché i tuoi difetti sono molto sensuali.” Le sorrise malizioso. “Soprattutto se siamo in prossimità di finire a fare sesso.”

Lei si tirò su e si mise a cavalcioni su di lui.

“E pensi che questo sia uno di quei momenti?”

Lui la cinse per i fianchi e l’avvicinò a sé, baciandola. “Decisamente.”

 

***

 

“Mamma!” trillò eccitata. “Guarda! Guarda!”

Elisa le si avvicinò e si sporse oltre la spalla della piccola, che, in piedi su una sedia della cucina, stava ritagliando la pasta per i biscotti con le formine che le aveva dato lei. Era raggiante all’idea di potersi sporcare le mani e impasticciare la tavola.

“Che bello, tesoro!” le sorrise, abbracciandola e schioccandole un baciò sulla guancia.

“Guarda! Questo è un elefante!” e prese in mano il biscotto ancora crudo per farglielo vedere meglio. “Vedi? Ha il naso lungo!”

“Attenta, però,” l’avvertì lei, abbassandole il braccio. “Vanno cotti prima di prenderli in mano, sennò si rompono.”

“Sì, allora non li tocco più,” esclamò. “Ma guarda bello questo!” zampettava sulla sedia, mentre Elisa ancora la teneva stretta tra le braccia per non farla cadere. “Questo è un pesce!” Poi si sbilanciò sul tavolo afferrando un'altra formina e guardandola dubbiosa. “E questo cosa è?”

Elisa gliela prese dolcemente di mano e la capovolse, per poi renderla alla piccola. “Secondo te cosa è?”

“Una barca!” e subito lo pestò contro un altro pezzo di pasta, creando una nuova forma per i biscotti.

Elisa raccolse tutti i trucioli che Sofia aveva sparso per tutto il tavolo e tornò a impastarli per non buttare via niente, quindi con il mattarello stese di nuovo la pasta, permettendo alla bambina di disegnare delle stelle e delle luce, squittendo per i risultati che otteneva. Si allontanò ed accese il forno per farlo scaldare a sufficienza e cuocere i biscotti, e mentre si sedeva su una sedia ad osservare Sofia che si divertiva a imprimere le varie forme a sua disposizione sulla pasta, pensò a quanto era stato meglio aver annullato la riunione del pomeriggio piuttosto che far venire Daniela.

Non era una persona cattiva e non aveva nemmeno l’intenzione di esserlo, ma Elisa non riusciva a sopportarla. Si era presa la briga di ispezionare ogni sua idea al riguardo, persino pensare che inconsciamente era ancora attaccata a Francesco, ma si era anche distrutta l’ipotesi, perché Francesco era già stato con altre ragazze, aveva avuto molte – forse addirittura troppe – relazioni da quando si conoscevano, e mai nessuna di quelle ragazze, magari tranne un paio, erano riuscite a irritarla a tal punto. Più volte si era chiesta se fosse un problema suo o di Daniela, ma più tentava di pensare razionalmente a quella donna, più vedeva che tutti i difetti che Elisa le trovava, non potevano essere sufficienti a farle provare tutta quella diffidenza nei suoi confronti.

Daniela era bella – bionda, con grandi occhi azzurri e le labbra di un rosso quasi finto, ma tutta genuina – era intelligente e si era laureata in psicologia seguendo perfettamente la sua tabella di marcia, restando sempre in pari con gli esami e non aveva mai scombussolato troppo la propria media. Erano tutte notizie apprese da Francesco, che più volte le parlava dei suoi successi per smorzare quella rabbia che Elisa non cercava nemmeno più di nascondere.

“Lo sai cosa dicono delle bionde, no? Sono tutte sceme.” Esordiva Elisa ogni tanto.

“Vero, ma solo quelle tinte, Dani è naturale. E poi è una psicologa, scema non lo è di certo.” La sbeffeggiava puntualmente lui, vincendo sempre su quelle discussioni e riuscendo sempre a difenderla.

Per quanto, però, lui potesse stare dalla sua parte per evitare che in occasioni del tutto sconvenienti Elisa potesse anche solo provare ad attaccar briga con Daniela, lei non riusciva a pensare che quella donna quasi fosse inopportuna in un momento come quello, un momento che per Sofia voleva dire molto, perché erano i suoi anni della scoperta, della capacità di apprendimento. Stava crescendo. E aveva bisogno della più totale attenzione da parte di entrambi i genitori.

Elisa guardava sua figlia continuare a giocare con la pasta, preparando le forme più strane per i biscotti, divincolandosi sulla sedia per raccogliere le formine più lontane, facendo sobbalzare Elisa per la paura che potesse cadere a terra. Sofia aveva un’aria così allegra che quasi faceva invidia. Sorrideva e ridacchiava per ciò che stava creando con così tanto impegno e se veniva male, aveva imparato ad accartocciare quel pezzo di pasta e a rimetterla nell’impasto generale, che Elisa avrebbe poi sistemato.

Da quanto Francesco non vedeva più quello che vedeva Elisa? E non solo in senso letterale. Da quando Daniela era entrata nella sua vita – e di conseguenza anche nella loro, sebbene Sofia ancora non l’avesse incontrata di persona – Elisa aveva notato che di giorno in giorno, Francesco usciva sempre più spesso. Era questo che non sopportava: Daniela lo stava allontanando.

Elisa sospirò. Le sarebbe piaciuto veramente dire certe cose, ma non poteva, perché vedeva con i propri occhi quanto Francesco in realtà ce la mettesse tutta per trovare sempre spazio per loro. Ogni volta che tornava a casa, era sempre disponibile e non si dimostrava mai stanco, mai una volta aveva mormorato che non richiedesse le sue donne, come le chiamava lui. Con nessun’altra usava quell’appellativo, solo con loro due, e questo rincuorava Elisa, che al solo pensiero tornava a sorridere, sentendosi fiera ed orgogliosa, oltre che contenta di aver scelto di percorrere quella strada irta di spine ed in salita. Tutte le sere, Francesco si sedeva sul divano con Sofia in braccio, facendosi raccontare tutto quello che aveva fatto. Ed era sempre lui a metterla a letto, per poi tornare da Elisa e parlare con lei, che dopo una giornata di devastante lavoro, quasi non vedeva l’ora di tornare dalla sua famiglia e sentirsi coccolata.

Francesco era una persona dalle mille facce. Era sempre il solito, perché tutte quelle innumerevoli facce erano una parte di Francesco, sebbene non sempre era semplice scinderle e approfittare di un suo atteggiamento in particolare. Lui era una persona ‘libera’, che viveva alla giornata, che faceva in un abbondante novanta percento delle volte di testa sua, che quasi sempre era la scelta migliore. Per quanto enigmatico, infantile, spavaldo e strafottente potesse mostrarsi la maggior parte delle volte, mandando su tutte le furie Elisa, Francesco era anche gentile, serio all’occasione, e capace di capire quando era necessario il suo aiuto.

Alla fine di tutto l’elenco dei pregi di Francesco, Elisa si sentì quasi uno schifo. Anche rispetto a Marco, lei era quella casinista, quella permalosa che sarebbe stata in grado di mantenere il muso per giorni, quella che dava sempre troppo spazio all’istinto anche dopo un’elevatissima dose di paranoie che avrebbero mandato in tilt centinaia di cervelli. Era circondata da uomini straordinari e per un attimo si ritrovò a chiedersi se li meritasse seriamente. Quando poi pensò che erano stati loro ad accettare la sua vicinanza, sorrise, riuscendo a pensare che allora forse non era quel danno umano che più volte sua madre le aveva rinfacciato di essere. Magari era indispensabile che per una donna come lei fossero necessari degli uomini come loro, tanto per equilibrare il baratro che li divideva.

Quei pensieri la misero decisamente più di buon umore di quando Francesco era uscito, tranquillizzandola e facendola tornare a sorridere allegra, avvicinandosi alla bambina per poter aiutarla a concludere quella sua prelibata creazione pasticciera.

“Mamma, stasera li facciamo mangiare a papà, va bene?”

“Certamente!” e le schioccò un bacio sulla fronte, mentre inseriva la prima teglia piena nelle guide del forno. Sofia la raggiunse e si affacciò al vetro caldo per osservare la sua opera durante la cottura e lei si sedette per terra a fianco a lei, prendendo la piccola tra le braccia e facendola sedere sulle sue gambe.

L’unico pensiero che balenò nella testa di Elisa fu che quel tenero quadro di famiglia sarebbe stato perfetto solo con la presenza di Francesco al suo fianco.

________________________

Et voilà! Il secondo capitolo è tutto per voi (è un po' lungo, ma non fateci l'abitudine)!

Allora, vi avevo detto che vi avrei spiegato la situazione, tanto per farvi entrare nel pieno della storia. Ebbene, ecco qui: tutto è nato da un sogno che feci un annetto fa - e infatti questa storia è nata dai vari pensieri che ne sono seguiti! - praticamente una donna tornava a casa e una bambina le andava incontro chiamandola mamma. Al suo fianco c'era un uomo che lei sentiva di conoscere perfettamente, ma che non le era così vicino come poteva sembrare agli occhi di un estraneo. Insomma, pensando e ripensando a questa immagine che mi aveva particolarmente affascinata, ho trovato il modo di crearci una storia intorno.

Come avete potuto vedere, la storia si svolge nel presente (diciamo un piccolo futuro, che con il passare del tempo e degli aggiornamenti non lo sarà nemmeno più), e tutta la vicenda è incentrata su due protagonisti principali, che ovviamente ne passeranno delle belle, soprattutto la nostra Elisa, tra risate, sbronze, pianti e ricordi del passato.

 

Be', spero vi sia piaciuto il capitolo ;)

Al prossimo aggiornamento,

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


Nuova pagina 1

“Veramente noi preferivamo tutt’altro…” La voce di Cristina Bernardi era lieve, quasi avrebbe preferito non azzardarsi ad aprire bocca, ma dopo aver visto il progetto che Pietro Orlandi le aveva messo sotto gli occhi non si era potuta trattenere.

“Già, quello a cui eravamo giunti l’altra volta poteva essere un buon punto di partenza.” Intervenne Giacomo Bernardi, suo marito, nonché figlio di buona famiglia con molti soldi sulle spalle, e quindi una delle tante prede preferite del capo di Elisa.

“Sì, ma non è adatto ad un’epoca come questa.” Ribatté Orlandi, dondolandosi sulla sua sedia di pelle nera, mentre guardava con aria di sfida quella coppia, che fissava il progetto per niente convinta. Elisa e Chiara erano attorno al tavolo in silenzio. Nemmeno a loro andava bene quella rivoluzione che aveva messo in atto Pietro, ma non potevano opporsi. Vicino a loro anche Emanuele Rossini e Antonio Della Rosa osservavano le modifiche apportare il progetto in un silenzio quasi tombale, se non fosse che ogni tanto si lasciavano sfuggire un brusio di approvazione.

“D’accordo,” sospirò Giacomo. “Ma non potrebbe almeno tornare sui propri passi e discutere con noi delle prossime idee?” I suoi occhi scuri trasudavano un’irrefrenabile voglia di lasciare quella stanza seduta stante, ma sua moglie lo stava magicamente trattenendo con una mano attorno al suo braccio. “Non mi piace che in nostra assenza lei proponga variazioni che non rispecchiano il progetto iniziale.”

“Ascoltate, io so come prendere il meglio dalle strutture, e in questo modo vi garantisco che il gioco di luci ed ombre sarà molto suggestivo, nonché con un effetto molto intrigante nel contesto ambientale.” Ribatté Orlandi senza esitazioni, incrociando le braccia al petto.

“Ok, abbiamo capito.” Respirò profondamente l’uomo. “Ma a noi non piace!” stava perdendo le staffe. “Mettiamola su un piano di gusti personali: questo labirinto di muri che si intrecciano potrebbero essere suggestivi per qualcosa di molto più imponente, ma non sono adatti ad una casa che al massimo prevede una decina di stanze!”

“Se permettete,” si intromise Rossini. “L’architetto Orlandi sa di cosa parla. Dopo aver analizzato il luogo in cui realizzare l’edificio, ha optato per questa soluzione in chiave moderna, che in periferia potrà godere del massimo splendore, dal momento che si sa, il moderno è per le metropoli o la periferia delle antiche città.”

Elisa guardò l’orologio che teneva al polso con disgusto, mentre sentiva quelle parole. Rossini, purtroppo, era un leccaculo sfrontato, capace di vedere sempre il meglio nei progetti del capo, anche quando il meglio era pressoché inesistente. Erano le sei e mezzo, e lei era già in ritardo di un’ora abbondante. Doveva andare a prendere Sofia da sua madre, che sicuramente non avrebbe resistito a recitarle la sua irresponsabilità. Se a questo presentimento più che fondato aggiungeva anche la sua più totale intolleranza a quelle stronzate che Orlandi continuava a sparare senza ritegno, poteva benissimo vedersi proiettata in una serata all’insegna dei nervi a fior di pelle che solo un miracolo avrebbe potuto domare.

“Se permette lei,” stava replicando Bernardi. “Noi siamo venuti in questo studio con un’idea precisa, gliel’abbiamo mostrata e ci era stato detto che non c’era alcun problema, che la realizzazione non avrebbe previsto troppe modifiche e tutta un’altra serie di frasi simili, che ora – se permettete – ci sembra fossero tutte cazzate.”

“Giacomo, calmati…” aveva sussurrato Cristina.

“No, ora basta!” si liberò dalla mano della moglie e batté la mano sul tavolo. “Non so come siete abituati a lavorare qui, tutti voi, ma noi siamo abituati che se delle cose non ci vanno bene, allora ce ne andiamo. Troveremo un altro studio.” E si alzò. “Vieni, Cristina.”

“No, aspettate!” li aveva richiamati Della Rosa, altro leccaculo patentato. “Non fate così, tornate qui e ne parliamo.”

“Non per dire, ma ne avete parlato anche troppo. Se loro se ne vogliono andare li capirei benissimo.” Si lasciò sfuggire Elisa, ricevendo una gomitata da Chiara che le fece strabuzzare gli occhi per le parole pronunciate senza prima pensare alle conseguenze.

“Elisa.” Orlandi digrignò i denti, voltandosi verso di lei. “Non iniziare a peggiorare le cose come al tuo solito.”

“Oh, sì, scusi.” Abbassò lo sguardo con stizza. Ma poi ci pensò: ormai aveva parlato, perché non continuare? Tanto difficilmente sarebbe stato peggio, visto che a stento si riusciva a trattenere. Sarebbe stata la volta in cui finalmente avrebbe potuto rinfacciargli la sua incapacità. “No, mi rimangio le scuse.” Si alzò in piedi, mentre Chiara la guardava come se fosse totalmente impazzita. “I Bernardi sono venuti qui con una precisa idea in mente.” Chiarì. “Proseguire su quell’idea di base mi sembra il minimo!”

“De Angelis!” si scandalizzò Della Rosa.

“Le propongo una cosa.” Si schiarì la voce. “E la propongo anche a voi.” Guardò i Bernardi che la fissavano quasi apprezzando la sua ribellione. Era strano, ma la loro attenzione e quella parvenza di riconoscenza che Elisa leggeva nei loro occhi, quasi le davano la forza di continuare a parlare. “Passi a me il progetto, me ne occuperò io.”

“Non dire idiozie.” La derise Pietro, seguito a ruota dai suoi lecchini. “Pensi di avere le capacità?”

“Fino a prova contraria sono laureata in architettura.”

“Non con il massimo dei voti, però.”

Per un attimo la vista di Elisa si annebbiò, rischiando così di cadere in balìa dei suoi peggiori istinti omicidi. Che senso aveva rinfacciarle una cosa simile? Era incinta e ovviamente si sentiva spossata, aveva dovuto passare un anno stressante e incredibilmente pesante, affrontando tutto quel periodo che solitamente le donne affrontano con il loro compagno. Lei invece era sola e spaventata, per non dire che sua madre le aveva praticamente voltato le spalle, ritenendola una disgraziata. Come poteva anche solo sperare di laurearsi con il massimo dei voti?

“A noi va bene.” Intervenne Giacomo, facendo tornare la lucidità tra i pensieri di Elisa.

“Davvero?”

“Sì,” le sorrise Cristina. “Ci sembra una buona idea.”

“Diciamo che sarebbe l’unica cosa che ci potrebbe trattenere in questo studio.” Aggiunse il marito, rivolto a Pietro, come se volesse sfidarlo a replicare per bocciare quella proposta.

Orlandi, infatti, aprì e chiuse la bocca un paio di volte, boccheggiando in cerca di una risposta che non trovò, poi sospirò e chiuse gli occhi con rabbia. “D’accordo. De Angelis, il progetto è tutto tuo.” Lo disse quasi come se fosse stato un ringhio, Elisa non ci badò, non riuscendo a trattenere un sorriso di vittoria che ad un’occhiata inteneritrice di Pietro svanì all’istante.

La riunione si concluse così, senza più una parola. I Bernardi le strinsero la mano con riconoscenza e se ne andarono, più allegri di come fossero entrati nell’ufficio qualche ora prima, e Elisa, sebbene si sentisse elettrizzata per la vincita di quel giorno, non poté che ritenersi una vera idiota che si era rovinata da sola. Certo, aveva già assistito interamente a diversi progetti, ma questa volta sarebbe stata la sua firma a contare, sarebbe stata tutto sotto la sua responsabilità e, soprattutto, aveva appena soffiato un progetto al suo capo, che di certo avrebbe fatto di tutto per farglielo pesare.

Mentre Chiara le saltava al collo entusiasta per le palle che aveva mostrato a tutti i presenti, Elisa si trovò a ripensare su quello che aveva fatto: si era scavata la fossa con le sue stesse mani.

 

***

 

Era sera, il sole stava tramontando e lei era in ritardo. Aveva detto a sua madre che sarebbe andata a prendere Sofia verso le cinque, ma erano le sette e si era completamente dimenticata persino di chiamarla. Avrebbe potuto scusarsi dicendo che il suo capo l’aveva trattenuta fino all’esaurimento della sua pazienza per esporle i piani del progetto a cui stava lavorando con i Bernardi, i clienti di cui si stava occupando al momento, ma sua madre non le avrebbe mai creduto. Lei si era giocata la più totale fiducia di sua madre rimanendo incinta e a meno che non potesse tornare indietro nel tempo ed evitare quel particolare, ora doveva solo subirne le amare conseguenze, che ovviamente la signora Anna Pratellesi-De Angelis nemmeno accennava a smorzare per farle passare inosservate.

Suonò al campanello per annunciare la sua visita, dopo aver corso su per le scale perché l’ascensore era occupato all’ultimo piano, e suo padre le aprì subito, mostrandole un cordiale sorriso di benvenuto.

Elisa entrò, senza capacitarsi di come suo padre potesse essere caduto vittima di una vipera come sua madre, ma a quelle domande, lei lo sapeva, non ci sarebbe mai stata risposta. Entrò nell’ampio ingresso decorato da finissimi quadri di autori famosi, indubbiamente delle copie, e arrivò nella grande sala, dove sua madre, nella più totale nobiltà, indossava uno dei suoi perfetti vestiti da aristocratica, in accordo con anche la preziosa acconciatura arrotolata che si faceva ogni mattina a scapito di ogni cosa. Più volte si era trattenuta dal farle presente che lei altro non era che una semplice donna vissuta nel più semplice dei modi e che a risultare tanto altezzosa ci guadagnava solo un seguito di malelingue.

“Puntuale come al solito, Elisa.” Non mancò dal farle notare, muovendosi sulla sua sedia a dondolo nei pressi di un finto camino in pietra.

“Scusa, mi hanno trattenuto.”

“Come al solito.”

Elisa sbuffò, per poi guardarsi in giro per cercare Sofia.

“È in camera mia che dorme.”

Senza rivolgerle ulteriori parole uscì dalla sala e si diresse verso la camera da letto della madre, trovando la piccola Sofia accoccolata su se stessa, a pancia sotto e le mani rannicchiate contro il petto che dormiva beata. Le si sedette affianco e le passò una mano tra i capelli corvini sorridendo. Subito, quasi come se non stesse aspettando altro, la bambina si svegliò e si attaccò con gioia al collo della madre.

“Mamma!” esclamò euforica. “Ti ho aspettato tanto!”

“Sì, scusa Sofi, ma la mamma ha avuto da fare.” Le porse una mano per farla scendere dal letto, ma lei reclamava di essere presa in braccio, ed Elisa la accontentò. Ripercorsero il corridoio, incrociando il padre che le salutò entrambi adorante. Dacché si ricordava Elisa era sempre stato un uomo burbero, ma da quando era nata Sofia, la sua maschera di uomo pauroso – ma non per questo cattivo – dell’orco che sembrava essere, si era sciolta come neve al sole, rivelando un omone buono come il pane che non faceva altro che sorridere cordiale e allegro ogniqualvolta che si trovava insieme a sua nipote.

“Ciao nonno!” lo salutò, ruotando la manina, mentre anche Elisa lo salutava con un bacio sulla guancia.

Non si affacciò per salutare sua madre, quel giorno era già abbastanza stanca per sorbirsi le sue lamentele, ma Sofia scalciò perché venisse messa giù, corse dalla nonna e le stampò un sonoro bacio su una guancia, ma Anna rimase imperterrita, solo per pochi secondi tirò le labbra in mezzo sorriso e diede due buffetti alla piccola, che ne rimase soddisfatta.

“Oggi l’hai trovata proprio nera, eh, Eli.”

“Già, parlaci tu, papà. Io per oggi me ne voglio lavare le mani.”

“D’accordo, ma promettimi che cercherai di essere più carina con lei.”

“Non mi sprecherò a ricordarti come lei possa sempre distruggere la mia felicità anche con solo uno sguardo, quindi finché non mi sarà passato questo momentaccio, è meglio che io e lei non ci si veda per un po’.” E con quella spiegazione tendente all’isterico per non poter avere la stessa fortuna della sorella – ora felicemente sposata, anche lei con una bambina che come approdava in quella casa veniva ricoperta dalle feste più calorose, quando a lei veniva diretto solo uno sguardo di sufficienza – mise il giacchetto alla bambina ed uscì da quella casa. Francesco più volte le aveva fatto notare che lei ingigantiva le cose senza osservare troppo la realtà, ma lei avrebbe scommesso che se lui si fosse trovato nella sua stessa posizione, non avrebbe fatto altrimenti.

Ma dovette ricredersi: Francesco non era il tipo da prendersela per cose del genere. Con il carattere che si ritrovava, e che più volte Elisa gli aveva invidiato, lui si sarebbe fatto scivolare tutto alle spalle, aspettando il momento migliore per tornare a fare la sua trionfale entrata nella vita delle persone.

Elisa uscì di casa salutando nuovamente suo padre e con Sofia in braccio scese per le scale, per poi raggiungere la macchina e tornare finalmente a casa dopo quella massacrante giornata.

 

***

 

Quella giornata non era iniziata nel migliore dei modi e non aveva accennato a migliorare, nemmeno dopo ore di estenuante lavoro insieme a quel folle del suo capo, che pur di non progettare la semplice e classica casetta d’amore per i neo sposini Bernardi, le stava provando tutte. E per cosa? Soldi, ovviamente. Si era veramente stancata di appoggiarlo in ogni sua ridicola modifica all’edificio, che lo faceva sembrare simile al museo di Bilbao. Chiara quel giorno non c’era, aveva dei problemi in famiglia, con suo marito, e aveva deciso di prendersi una settimana di ferie non pagate per tentare di sistemare il loro rapporto con tranquillità e razionalità, senza essere troppo frustrata anche a causa del lavoro.

Elisa lo sapeva, o meglio: lo sperava. Sarebbe andata via da quello studio. Avrebbe fatto altri concorsi, sarebbe tornata a studiare, malgrado fosse la cosa che più tra tutte le alternative sul suo futuro odiava. Ma, sì, se l’Orlandi Junior – perché il vero capo dello studio, l’Orlandi Senior, passava soltanto un paio di giorni al mese in ufficio a controllare i vari incarichi – non avesse cambiato modo di fare, lei avrebbe alzato i tacchi e dopo avergliene piantato uno nel petto come un paletto contro i vampiri, avrebbe abbandonato quel posto.

E quella sera sua madre era stata proprio inopportuna. Era sempre stata inopportuna, ma quella sera in particolar modo si era ritrovata a dire quel poco che disse proprio a sproposito, e Elisa dovette sforzarsi di lasciare il sorriso sulle labbra in presenza di Sofia, mentre avrebbe volentieri preso a testate il volente, cercando così almeno di non pensare a niente per un po’.

Una volta arrivata a casa, trovò Francesco sul terrazzo mentre fumava una sigaretta, e prima che la piccola lo vedesse, lei si annunciò con un eloquente e sottointeso invito a smettere.

“Ecco le mie donne!” esclamò quindi lui, entrando euforico nella sala, chiudendo la porta a vetri dietro di sé e prendendo al volo la bambina che si era lanciata contro di lui. “Cosa avete fatto di bello, oggi?”

“Io ho giocato con nonno!” rispose Sofia, per poi lasciarsi conquistare da un grande sbadiglio.

“Hai sonno, eh, piccolina?” le baciò il naso e la portò verso camera sua. “Hai già mangiato?”

Elisa li vide scomparire nella stanza oltre il corridoio e si buttò a peso morto sul divano bianco della sala, con ancora il giacchetto addosso e la borsa in spalla. Chiuse gli occhi e sospirò. Quella era decisamente la serata più stancante di quel mese, ma dovette ammettere che tornare a casa e trovarsi di nuovo in quel piccolo appartamento intriso di calore e di odore di famiglia, la rilassò quasi completamente. Ne aveva proprio bisogno di vedere come Francesco e Sofia fossero sempre di buon umore, riuscendo il più delle volte a contagiare con la loro energia anche Elisa. Stava ancora pensando alla scena che le avevano proposto qualche minuto prima con un sorriso forse ebete, o forse soltanto felice, quando Francesco tornò con il giacchetto verde mela della bambina e lo posò all’attaccapanni, per poi dirigersi verso il divano e prendere Elisa per le spalle. Iniziò a massaggiargliele come solo lui sapeva fare e come tante volte lei ne aveva approfittato – in passato anche con scuse, solo per poter avere un contatto con lui.

“Sei tutta rigida, Eli.” Sussurrò, continuando a strusciare le sue mani su di lei. “Togliti il cappotto, così mi riesce meglio.” Lei non se lo fece ripetere due volte e si spogliò, rimanendo con la camicia a righe bianche e celesti che dopo una giornata come quella era da frullare senza alcun ripensamento nella lavatrice. “Che ti è successo oggi?”

“Di tutto.” Mormorò lei. Decisamente quel massaggio le ci voleva tutto. “Prima Orlandi, poi mia madre…”

“Raccontami, tanto stasera sono tutto per te.” Sorrise arrogante. Elisa non lo poteva vedere in viso, ma già si aspettava di trovarlo con quel suo sorriso gongolante per la battuta.

“Daniela ti ha lasciato?” esultò con stanchezza lei.

“Per tua sfortuna no.” Ghignò sottosfatto.

Elisa chiuse gli occhi e sospirò, sperando di far apparire quel sospiro del tutto normale, ma molto probabilmente Francesco se ne era accorto, perché sospirò a sua volta. Lui era sempre stato per lei, nel bene e nel male, la sua ancora di salvezza in ogni occasione. Era sempre stato presente, era presente anche al parto di Sofia, sebbene nemmeno pochi minuti dopo dovette uscire per non vomitare, ma c’era – e anche perché lei non gli avrebbe mai perdonato l’assenza – ma quella Daniela lo stava allontanando. Elisa lo sentiva, le notti in cui si rigirava nel letto senza trovarlo erano aumentate, il tempo che lui passava con la sua famiglia era quindi diminuito. Lei non voleva assolutamente fargli fraintendere i suoi pensieri, non voleva assolutamente fargli credere che lei lo avrebbe sempre voluto al suo fianco. No, non era ammissibile, sapeva benissimo che avrebbe chiesto troppo e non sarebbe stato giusto da parte sua. Tuttavia, tra tutte quelle con cui era stato, Daniela era proprio la peggiore. Non avrebbe detto niente, non avrebbe nemmeno fiatato, se avesse continuato a stare con Silvia, o Martina, o Caterina, o Alice… Ma proprio una come Daniela doveva trovare ora?

“Non ti sarai addormentata, vero?” le sussurrò all’orecchio, facendola sussultare.

“No.” Negò. “No, stavo riflettendo.”

“Su cosa?” le sue mani ancora la cullavano verso quello stato di tepore che precedeva il sonno. Non si era addormentata, ma se lui avesse continuato, lo avrebbe fatto molto presto. E non se ne sarebbe dispiaciuta.

“Niente di che. Lavoro, sai…” sviò. “A proposito, tu?”

Francesco sollevò le mani dalle sue spalle e già Elisa ne sentiva la mancanza, fece il giro del divano e si sedette affianco a lei.

“Ultimamente Nicola si sta occupando dei nuovi clienti con una foga incredibile. Non pensavo che un tipo come lui potesse arrivare a fare la notte in bianco solo per buttare giù un paio di idee.”

“E tu?”

“Io faccio da tappezzeria, al momento. Cioè, ovviamente tra poco dobbiamo pagare l’affitto dello studio, gli attrezzi, i muratori che ci seguiranno nei lavori.” Ridacchiò. “Non so nemmeno se ce la faremo a fronteggiare tutte queste spese.”

“Non mi sembra una costatazione così divertente.”

“Lo so, ma io la trovo buona.” Le sorrise, prendendo una mano di Elisa che teneva intrecciata all’altra sulla pancia e giocherellando con le sue dita. “Vedi, io ho sempre amato fare un lavoro che mi permettesse un po’ di vivere alla giornata.”

“France, potrei capire il ragionamento se tu fossi un cantante di strada, un attore alle prime armi, o altro di questo genere, ma sei un architetto. Costruisci le case!” sbuffò. “Non puoi permetterti di fare cazzate, l’architetto è un lavoro serio.”

“E io non ho intenzione di sottovalutarlo.” Le sorrise. “Volevo solo dire che mi piace non avere troppi programmi per il futuro. A mio parere, quello che succede senza essere previsto è molto più eccitante di quello che affronti, sapendo già che dovevi affrontarlo.”

“Lo sai che non ho mai condiviso queste tue teorie stravaganti.”

“Perché sei troppo piantata in terra, Eli.” Ridacchiò, portandosi una sua mano alla bocca e lasciandoci un piccolo bacio. “Dovresti fare un po’ più di testa tua, essere più intraprendente, cercare quello che vuoi veramente.”

“E chi ti dice che quello che voglio non ce l’abbia già?” ritrasse la mano da quelle di Francesco.

“Be’, a vederti stasera non mi sembra che tu sprizzi gioia da tutti i pori.” La squadrò.

Lei sospirò. Aveva ragione, ma per quanto lui potesse essere un uomo dalle grandi vedute, dalla mentalità più che aperta, sempre pronto ad accettare il futuro per quello che era, lei era più concreta. Non era colpa sua se doveva frenare la voglia di mandare al diavolo tutto lo studio in cui lavorava, e non era colpa sua se doveva frenare l’istinto di dire chiaramente a sua madre quello che pensava, semplicemente se avesse fatto come le diceva la sua parte irrazionale, avrebbe perso lavoro, soldi e sua madre. Per questo era piantata in terra. E Francesco questo sembrava non capirlo.

“Eli, ora io vado a letto.” Le diede un bacio in fronte. “Buonanotte.” La salutò, prima di rinchiudersi in camera loro.

Lei chiuse nuovamente gli occhi e si portò le mani sul viso. Dopo essere rientrata a casa, dopo aver visto Sofia e Francesco insieme e dopo essere stata con lui per una mezz’ora, tutto il peso di quella giornata sembrava essersi volatilizzato. O almeno, a livello mentale, perché addosso si sentiva una stanchezza che nemmeno volendo avrebbe potuto nascondere a se stessa. Decise di seguire l’iniziativa di Francesco e trascinarsi in camera pure lei. Un po’ di riposo era esattamente quello che le ci voleva.

__________________________________

Bene, eccomi qua con il terzo capitolo. Qui entrano in scena altri personaggi "fondamentali" della storia, tra cui i Bernardi, che avranno un ruolo molto importante, ma che ovviamente non vi anticipo ;) Il capitolo, diciamo, che è un po' di passaggio: serve soprattutto per far notare certi atteggiamenti dei personaggi, il contesto in cui vivono, lavorano...

Be', aspetto dei vostri commenti per sapere cosa ne pensiate!

(BeaR, secondo me troverai una frecciatina ad una nostra brutta conoscenza anche in questo capitolo!)

 

Ps: non è adorabile la piccola Sofia? *-*

 

Al prossimo capitolo!

 

S.P.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


Nuova pagina 1

“Senti,” la sua voce tradiva un certo imbarazzo e Elisa fu quasi contenta di sentirlo. “Perché devo essere io a vederti in queste posizioni da contorsionista, se poi non posso approfittarne?”

“Ma piantala, France!” schioccò la lingua, mentre alzava una gamba per continuare a depilarsi. “Hai avuto anche tu la tua occasione, peccato che poi tu non l’abbia saputa cogliere.” Il ronzio del silk epil riempiva la stanza e le loro chiacchiere stavano raggiungendo livelli decisamente poco consoni alla loro situazione in ambito sentimentale, ma almeno Sofia non era lì, l’avevano portata a passare la nottata da sua madre, e questo permetteva almeno meno disagio.

“Vuoi ritornare ancora su quella storia?” Francesco non era mai stato un buon attore, e la sua esasperazione parve la cosa più falsa mai vista quella serata, sebbene un fondo di verità la celasse ugualmente. “Ti ho già spiegato ogni cosa, cavolo! Sei tu che -”

“No,” lo fermò, avvicinando il viso alla gamba per vedere che non avesse lasciato alcun superstite. “Non ho intenzione di litigare nuovamente sul passato.” Francesco, appoggiato alla finestra per fumare una sigaretta, contrariamente alla volontà di Elisa, che non si risparmiava qualche occhiata truce nella sua direzione, la osservò sfacciato, aspettando che andasse avanti. “Tra poco uscirò con Marco e non ho voglia di farmi trovare scocciata. Non voglio farlo innervosire, anche perché poi è peggio per tutti e due.”

“Quindi hai intenzione di farci sesso, stasera?” soffiò via il fumo.

“Già.” Lo guardò beffarda, avvicinandosi all’interno coscia con la macchinetta. Lo sguardo di Francesco era chiaramente sofferente alla vista della tortura a cui si stava sottoponendo Elisa. “Ma tanto tu sei con Daniela, quindi non mi sembra tu faccia molto di differente.” Buttò lì con indifferenza, sebbene la questione le bruciasse molto in realtà.

“Ovvio.” Ghignò sfrontato. “Mentre tu vedi di contenerti, ho idea che Marco non sia scatenato quanto lo sei tu.”

“Cosa ne sai di come sia fatto lui?” lo fulminò, per poi fare una smorfia per l’interno coscia più sensibile.

“Voi donne siete le creature più masochiste che possano esistere.”

“E lo siamo per voi, guarda l’ironia.”

“Marco apprezzerà.” Spense la sigaretta ormai esaurita in un bicchiere d’acqua. “E forse, sentendo le tue gambe lisce potrebbe anche sciogliersi.” La stava punzecchiando in piena regola, e come sempre lei ci cascava.

“Ma che ne sai tu!”

“Oh, Elisa!” sogghignò. “Non ti pare che quell’uomo abbia un palo in culo?”

“La tua finezza mi sorprende sempre, France.” Sospirò lei, spegnendo la macchinetta, per poi scendere dal letto su cui era seduta ed andare a staccare il filo dalla presa. “Proprio come la tua maturità.”

“Se non sbaglio, però, fu proprio la mia maturità a farti innamorare di me.” La stava guardando con un sorrisetto furbo, il più malizioso che avrebbe potuto mostrare in una situazione del genere, e Elisa dovette trattenersi dal tirargli il silk epil che ancora aveva in mano proprio in mezzo agli occhi.

“In cinque anni sono cambiata.” Rispose con dignità.

“Ho capito, stasera non hai voglia di parlare…” si lamentò, buttandosi sul letto.

“Parlare?” inarcò un sopracciglio lei. “Ma se mi stai attaccando su ogni fronte!” sbottò. “Vuoi per caso litigare anche per cosa mi devo mettere stasera?”

“Sì, io ti consiglierei qualcosa che ti copra totalmente, in modo da fargli perdere la voglia di spogliarti.”

Elisa imitò una risata per niente convinta, andando verso l’armadio di fronte a Francesco e mettendosi a scegliere, invece, qualcosa di decente. “Molto divertente, France! Vuoi dire che spogliarmi è una tua priorità?” tentò di sfidarlo, guardandolo audace, ma Francesco non era il tipo da imbarazzarsi a certe occhiate. Anzi, un tipo come lui ne approfittava per rigirare la frittata a suo vantaggio, proprio come in quel preciso momento che si era alzato e le aveva posato le mani sui fianchi, coperti solo da un fine accappatoio, sotto al quale indossava solo la biancheria.

“Tu lo vorresti?” le soffiò all’orecchio.

“Francesco!” lo allontanò bruscamente. “Cazzo, hai ventott’anni! Non sei più un ragazzino arrapato! Piantala!”

Lui indietreggiò e sorrise tirato, leggermente impaurito, forse, dalla sua espressione estremamente seria, ma come poteva non esserlo? Quei giochetti andavano bene qualche anno fa, ma ora erano del tutto inopportuni per almeno tre buoni motivi: erano cresciuti, avevano una figlia e – il più importante di tutti – lei stava con Marco e lui con Daniela. Non stette ad elencarli esplicitamente, perché dalla sua occhiata inteneritrice glieli aveva praticamente urlati senza emettere alcun suono e dall’espressione esasperata di Francesco, capì che lui doveva aver recepito il messaggio.

“D’accordo, niente scherzi.” Disse, passandosi una mano tra i capelli neri.

“Era l’ora che lo capissi, diamine!”

“Ok, allora io vado via.” E le diede le spalle, uscendo dalla camera. Una volta sull’uscio si voltò per guardarla e continuò: “Sono pronto da venti minuti e pensavo di darti un passaggio in macchina, ma te la lascio, vado in moto, tanto ho capito che non ce la faremo mai ad uscire allo stesso orario. Mi faresti solo fare tardi.”

“Già,” lo salutò con una mano, tornando ad immergersi con la testa nel suo armadio. “Divertiti con la bionda.”

“E tu attenta a non rompergli il palo che si tiene dentro.”

“France,” sospirò rassegnata, tornando a guardarlo. “Sembri un adolescente…”

“Li porto bene i miei anni, eh?” le fece un occhiolino ammiccante ed uscì di camera. Ma in pochi secondi tornò dentro e si avvicinò a lei, che sorrise, sapendo bene cosa l’aspettava. Francesco posò le sue labbra sul suo collo, scostando con una mani i capelli rossicci che lo coprivano. “Scusa,” le sorrise. “Avevo dimenticato di salutarti.” Ed uscì definitivamente, lasciando Elisa sola nella stanza, mentre con una mano si copriva il suo bacio sul collo.

 

***

 

Marco aveva sempre avuto un tempismo impeccabile, e alle otto e mezzo spaccate aveva suonato al campanello, facendo saltare il cuore in gola a Elisa, che stava ancora cercando di scegliere la biancheria da abbinare all’abito nero che avrebbe indossato. Provocante o innocente? Ancora nel dubbio, gli aveva aperto ed invitato a sedersi sul divano mentre lei, ancora in accappatoio, tornava in camera per finire di vestirsi, optando per un intimo che trasudasse innocenza, come quello bianco, munito però di un efficace push up. Niente pizzi e niente trasparenze, Marco non era il tipo, effettivamente.

Cenarono in un ristorante in periferia che ultimamente stava ricevendo discrete critiche positive sulla gestione e sul cibo, ed Elisa dovette ammettere che era tutto vero: mangiò tanto e bene, senza ovviamente avere possibilità di pagare la sua parte. Se fosse uscita con Francesco poteva addirittura succedere che lui si dimenticasse il portafoglio a casa, ma con Marco una scena del genere non si sarebbe mai verificata. Lui era incredibilmente perfetto.

Quando finalmente lui l’accompagnò fuori dal ristorante e la condusse in macchina, Elisa avrebbe pensato che la prossima meta fosse casa sua, ma pochi minuti dopo, Marco deviò dall’usuale viale che conduceva al suo appartamento, continuando a girare intorno alla rinomata periferia della città.

“Dove stiamo andando?”

“È una sorpresa, tesoro.” Le sorrise.

Ed era veramente una sorpresa: Marco l’aveva portata in un localino davvero grazioso all’esterno, decorato con eleganza e che Marco indubbiamente non si era lasciato sfuggire.

“Ha aperto da poco.” Spiegò. “Conosco uno dei proprietari perché è stato mio cliente.”

Elisa si trovò a meravigliarsi ancora una volta per la quantità di persone che Marco sembrava conoscere per merito del suo lavoro. Nemmeno lei, per quanto potesse essere brava a trattare con le persone, aveva mai riscosso così tanto successo.

“Vieni, entriamo, che fa fresco fuori.” Le porse un braccio e lei lo accettò volentieri, entrando all’interno di quel locale come un’aristocratica coppia sposata. Per un momento Elisa pensò che un tubino come il suo non fosse stato proprio l’ideale per un luogo come quello – già Marco ne era rimasto piacevolmente sorpreso, una volta uscita di camera, ma Chiara l’aveva quasi obbligata a comprarlo qualche tempo fa, e lei aveva visto quell’uscita come l’occasione giusta per indossarlo – ma una volta varcata la soglia, si era rilassata nel trovare le luci un po’ offuscate e la penombra che la metteva a suo agio per non dare troppo nell’occhio. Per quanto fosse stata sua l’idea di indossarlo, non poteva negare che fosse molto vistoso e la mettesse leggermente in imbarazzo.

Marco la distolse dai suoi pensieri mettendole una mano sulla schiena e incitandola con un sorriso a seguirlo verso un tavolo. Posarono i cappotti su un divanetto e lei si accoccolò tra le sue braccia, aspettando da bere e ascoltando le parole dolci che lui le sussurrava all’orecchio mentre la carezzava sulla spalla scoperta.

“Stasera sei davvero bellissima, Eli.”

Lei sorrise e si sporse per baciarlo. “Grazie.”

“Non te l’avevo mai visto questo vestito. È nuovo?”

“Sì, lo comprai qualche settimana fa in centro con Chiara.”

“Dovresti farle scegliere i vestiti molto più spesso.” Rise.

“Non ti piace come mi vesto?” lo provocò maliziosa.

“No, no! Ci mancherebbe!” rispose prontamente, sorridendo cordiale. “Ma la tua amica sa esattamente come accentuare la tua bellezza.” Le sfiorò con una mano il collo e le portò il viso vicino al suo. Lei lo seguì bramosa di quel bacio che stava per unirli, ma una voce imbarazzata li avvisò che i loro drink erano arrivati e un altrettanto imbarazzato Marco tossicchiò un “grazie”, per poi allontanarsi da lei e slacciarsi il primo bottone della camicia che indossava. Elisa lo fissò nella poca luce di quell’angolino in cui si erano appartati e sorrise. Marco era proprio un bell’uomo. Aveva tre anni più di lei, era alto, aveva spalle larghe e un fisico davvero discreto. Teneva al suo aspetto, proprio come a voler piacere sempre a Elisa, che decisamente apprezzava. E poi era una persona gentile. Forse la più gentile che avesse mai conosciuto. Era rispettoso, generoso… Molto probabilmente Marco non aveva difetti.

“Che c’è?” la guardò, offrendole il bicchiere fresco.

“Niente, ti guardavo.” Gli sorrise, cercando di apparire sensuale. Voleva ancora il bacio di prima.

I suoi occhi scuri brillarono nell’ombra e le si avvicinarono, mentre un sorriso bianchissimo appariva sul suo viso dai lineamenti virili e spigolosi.

“Ti va di ballare?” le chiese poi, passandole una mano sulle spalle e avvicinandola a sé.

Elisa si rassegnò: il bacio non sarebbe arrivato.

“Sono un’incapace.” Si lamentò lei, che più per la paura del ballo, aveva paura che i suoi piedi non reggessero a lungo. Aveva sbagliato a tirare fuori nuovamente quei sandali: le stavano massacrando il mignolo del piede. Se le aveva messe via, c’era un motivo.

“Ti insegno io.” E le offrì la mano, alzandosi dal divanetto e attendendo che lei accettasse. Certamente lei non avrebbe mai avuto il coraggio di sottrarsi ai suoi modi da gentiluomo. Con Marco le sembrava quasi di vivere in una fiaba, in cui il dolce principe andava a salvare la principessa da una spiacevole situazione, conquistandola con la sua nobiltà d’animo e le sue maniere gentili. Strinse la mano nella sua e si alzò, seguendolo al centro della piccola pista da ballo, aggirando qualche altra coppia che già da un po’ dondolava davanti a loro. La musica che in quel momento riempiva l’aria era dolce, lenta e sembrava proprio fare al caso loro, e per coronare quel quadro, lui l’avvicinò a sé e le cinse i fianchi con le mani, mentre lei passava le sue mani intorno al collo. Rivolse lo sguardo a Marco e lo fissò intensamente negli occhi. Lei sapeva cosa voleva, e con quello sguardo audace, anche Marco l’aveva capito, e infatti si era chinato su di lei, posando le labbra sulle sue, regalando quel bacio che Elisa attendeva da qualche minuto. La cosa più strana del rapporto con Marco, ma che allo stesso tempo l’affascinava, era come lui desiderasse sempre voler prendere l’iniziativa, sebbene più volte lei lo incitasse.

“Ma tu guarda!” E la romantica magia si ruppe all’istante. “Marco! Sei riuscito persino a convincerla a ballare? Quanto l’hai fatta bere?”

Elisa si allontanò da Marco forse troppo bruscamente e osservò inorridita Francesco davanti a sé. “Cosa ci fai tu qui?”

Subito Daniela fece capolino dietro di lui, con addosso un vestitino scollato e scosciato, che lasciava generosamente intravedere le sue curve. A guardarla, Elisa provò l’impulso di avvicinarsi a lei e tirarglielo un po’ più su perché non cadesse scoprendo il seno, come invece sembrava fare da un momento all’altro. Ovviamente Francesco non poteva che esserne felice: la stava palesemente mangiando con gli occhi, e quella sua mano sul culo di Daniela non poteva essere fraintesa.

“Cosa ci fai tu qui, forse.” Le sorrise lui.

“Sono con Marco.” Rispose sbuffando, cercando la mano dell’uomo, che gliela concesse per poi passarle un braccio intorno alla vita, come a voler mettere dei paletti ben visibili tra loro.

“E io con Dani.” La strinse a sé, sorridendo come al suo solito.

“Vi va di unirvi a noi?” propose Marco, sbalordendo Elisa per la sua incredibile capacità diplomatica.

“Se è solo per bere qualcosa.” Ghignò, per poi piegare la testa e baciare Daniela sul collo, che lo allontanò divertita.

Marco li guardava interdetto e Elisa poteva benissimo capire il motivo. Con lui le battute erano sempre smorzate, raramente riusciva ad afferrarle per quello che erano, perché lui era una persona seria, poco propensa ai doppi sensi e alle battute di pessimo gusto che solitamente si lanciavano lei e Francesco per il solo gusto di stuzzicarsi. Tuttavia, questa sua particolarità le piaceva, perché lo mostrava per l’uomo maturo che era, le dava sicurezza, quasi come se con lui, anche lei potesse elevarsi ad un livello superiore, senza abbassarsi a rispondere alle provocazioni del ragazzo.

Si concessero solo quel ballo, perché poi Marco la guidò nuovamente verso il loro tavolo, seguiti da Francesco che non faceva altro che stuzzicare Daniela con dei piccoli morsi all’orecchio. Elisa provò un moto di ribrezzo nel vederli in atteggiamenti così intimi, quello non era né il posto né il momento adatto per dare scena, soprattutto quando Marco era stato così gentile da invitarli addirittura a bere qualcosa con loro, venendo ripagato solo con una buona dose di maleducazione.

Elisa si costrinse ad agire e tossì come se avesse un catarro in gola che avrebbe potuto sputare addosso a loro in ogni istante, riacquistando così l’attenzione dei due allupati che aveva di fronte, mente Marco le massaggiava la schiena come se volesse in qualche modo farle forza.

“Scusate,” sorrise Francesco. “Ma Dani ha già bevuto così tanto che non posso non approfittarne.” Scherzò, tornando a baciare la ragazza sul collo. Nonostante tutta la sensualità che sembravano emanare da ogni singolo poro, Elisa notò quel sorriso sghembo, quel ghigno che più volte compariva sul viso di Francesco, accompagnato dal tipico sguardo seducente ed intenso, quando voleva dimostrare qualcosa e tutt’a un tratto le loro effusioni non la toccarono più, quasi fosse più tranquilla, quasi come se quel sorriso sfrontato, reso ancora più arrogante dalla situazione, fosse per lei.

Tutto ebbe un improvviso cambiamento quando però anche Daniela sembrava voler fare la sua parte, iniziando a leccare – Elisa avrebbe tanto voluto che quel termine fosse una metafora – l’orecchio di Francesco, per poi scendere giù fino al collo, mentre lui sorrideva appagato. Elisa li stava guardando infastidita, arricciando il naso e scoprendosi quasi disgustata da quella scena da porno amatoriale che stavano bellamente mostrando loro. E senza pensarci due volte, forse per vendetta, o forse solo per distogliere lo sguardo, si voltò verso Marco, impossessandosi avidamente delle sue labbra.

“E-Elisa, tesoro…” si scansò Marco, chiaramente imbarazzato, il cui rossore era riconoscibile anche al buio del locale. Subito lei si pentì di quella colossale cazzata e distolse lo sguardo colpevole. “Senti,” si schiarì la voce, avvicinandosi a lei. “Se vuoi possiamo andare a casa e -”

“No, scusa, Marco.” Mormorò dispiaciuta.

“Oddio, France!” l’urlo tra il divertito e l’esasperato di Daniela rapì la sua attenzione. Francesco la stava guardando con il suo ghigno beffardo, con il retrogusto di quella soddisfazione che solitamente mandava in bestia Elisa. Ma ora non solo la stava mandando in bestia, era proprio incazzata. Si sentiva irrigidita e li fissava truce, quasi sperando che sparissero dalla sua vista in quel preciso istante.

Daniela intanto si era allontanata e si stava divincolando con le mani dietro la schiena. Elisa sapeva benissimo cosa fosse successo: quell’idiota le aveva sganciato il reggiseno. Malignamente, Elisa si trovò sorpresa che Daniela ne indossasse uno, e continuò a guardarla irritata, ricordandosi come anche a lei Francesco avesse giocato quegli scherzi. Una delle conseguenze più imbarazzanti fu quando prima di un esame lui l’abbracciò per farle forza e con un abile gesto, le aprì il gancio del reggiseno. Mentre si avviava verso il professore si era sentita il tessuto, prima stretto e fasciante, più leggero, scostante… Non ebbe tempo e la capacità di allacciarselo in un momento simile e dovette affrontare quaranta minuti di orale con le braccia sigillate al suo corpo per evitare che gli uomini che aveva di fronte potessero notare quel piccolo particolare.

“Non sei minimamente originale.” Si lasciò sfuggire Elisa, guardandolo con sufficienza.

“Ti manca che a te non lo sganci più?” Ammiccò malizioso. “Con quel vestito potrei anche fare un’eccezione.”

Marco, affianco a lei, trasalì e quasi si strozzò con il drink analcolico che stava bevendo.

“Che diavolo stai dicendo?” sibilò, socchiudendo gli occhi con rabbia.

“Scherzavo!” alzò le mani in segno di resa. “Tranquilla!”

“France…” la voce roca e sensuale di Daniela lo distrasse nuovamente. “Andiamo?” Lui non esitò nemmeno un attimo, alzandosi e prendendo per mano la ragazza. Si avvicinò a Elisa e le soffiò un mezzo bacio in fronte, per poi condurre Daniela verso l’uscita del locale.

Lei rimase interdetta e incapace di rilassarsi completamente, anche una volta rimasta di nuovo sola con Marco. Vedere Francesco insieme a quella bionda era sempre una sfida contro il suo autocontrollo, e Elisa non sapeva per quando avrebbe potuto continuare a resistere. Era al limite estremo.

“Ehi, vuoi andare via anche tu?” La voce delicata e gentile di Marco, che si era abbassato verso di lei e le aveva posato una mano sulla schiena, la fece rabbrividire.

“D’accordo.” Gli sorrise grata. Fece per alzarsi, ma proprio in quel momento, il locale venne inondato dalle note di una nuova musica lenta e sensuale.

“Prima concedimi un altro ballo.” Le offrì l’usuale mano galante che lei accettò entusiasta. La guidò quindi con naturalezza verso il centro della piccola sala da ballo e l’abbracciò, muovendosi secondo precisi e semplici passi che Elisa inizialmente trovava troppo rigidi, ma la mano calda di Marco e il suo sussurrare indicazioni la sciolsero e lei si ritrovò a seguire i movimenti di Marco senza alcuno sforzo, se non quello di stare in piedi con quei sandali.

Con Marco tutto sembrava semplice, tutto sembrava bello e perfetto. Lui si avvicinò per baciarla e lei gli andò incontro, smettendo di ballare per alzarsi in punta dei piedi e accorciare la distanza dalle sue labbra. Tuttavia cercò un bacio forse troppo passionale, perché Marco si scostò, mettendo fine a quel momento romantico che si era creato tra di loro. Elisa indietreggiò dandosi della stupida e cercò di fuggire dal suo sguardo. Quella davvero non era serata: prima Francesco e ora lei che non ne combinava una giusta. Ma il suo attimo di depressione autolesionista venne interrotta dalle grandi mani di Marco che la presero per le spalle, accompagnandola nuovamente al loro tavolo. Presero le loro rispettive giacche dal divanetto su cui le avevano lasciate, uscirono dal locale e salirono in macchina. Lui continuava a sorriderle, ma lei si sentiva a disagio, non capendo cosa volesse dire. Lo conosceva da un anno, ormai, ma certi suoi comportamenti ancora non riusciva a decifrarli e per tutto il viaggio di ritorno si sentì tesa, consolata solo dalla mano destra di lui che invece di tenere il cambio della sua Audi, stringeva la sua mano.

Non la riaccompagnò a casa, come ormai pensava che finisse la serata, ma parcheggiò sotto casa sua, per poi scendere e girare velocemente intorno alla macchina per aprirle lo sportello. Mano nella mano entrarono nel suo splendido e lussuoso appartamento all’ultimo piano di una palazzina medievale perfettamente ristrutturata. Elisa stava decisamente rivalutando la serata e quando, una volta chiusa con un piede la porta, Marco le prese il viso tra le mani per baciarla appassionatamente, quasi come se non riuscisse più a trattenersi, lei ne ebbe la netta certezza. I loro baci li condussero nella sua camera e Elisa si buttò sul letto, trascinandolo addosso a sé. Si rotolò di lato ed invertì le parti, prendendo soddisfatta il comando della situazione.

_______________________________

Bene, gente, anche questo capitolo è concluso! E possiamo dire che la serata si è conclusa bene per tutti i personaggi tirati in ballo in questo aggiornamento, no? Uhm, sinceramente non so che altro aggiungere di efficace per potervi salutare decentemente... Solitamente parlo e stra-parlo, ma oggi sono proprio a secco di parole! Vabbé, vorrà dire che tutte le mie chiacchiere saranno per i prossimi capitoli! ;)

 

Alla prossima, gente!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***


Nuova pagina 1

“Francesco, davvero, non la posso tenere.”

“Elisa, d’accordo che sono suo padre, ma tu come madre non puoi scaricarla così.”

“Ma io devo andare in ufficio, non posso portarla dietro!” Era un quarto d’ora abbondante che stavano discutendo su chi potesse guardare Sofia, ed Elisa riproponeva la domanda con il tono sempre più simile ad una supplica. Francesco non aveva ancora capito che da quando lei aveva proposto di prendere nelle proprie mani il progetto dei Bernardi, la sua presenza in ufficio era diventata fondamentale, non poteva più pensare di prendere un pomeriggio di permesso per stare con la piccola. Per la mattina non c’era mai stato problema, perché Sofia andava all’asilo, ma il pomeriggio dovevano occuparsene loro, soprattutto quel giorno, che sua madre era andata a fare una visita di controllo in ospedale e non sapeva bene a che ora sarebbe tornata.

“Elisa, anche io ho i miei impegni, ho anche io una vita!” sbottò Francesco, roteando gli occhi esasperato e cadendo sul divano quasi privato delle forse, come se quella discussione lo facesse stancare oltre il limite di sopportazione.

“E perché? Io no?” ribatté sbuffando lei.

“Ascolta, Sofia è nell’altra stanza, non voglio che ci senta litigare.” Riprese a parlare con calma il ragazzo. “Già la nostra situazione è difficile, ci manca solo che degeneri ulteriormente.”

“Lo so, lo so, non c’è bisogno che tu tiri fuori questa scusa ogni volta.” Elisa si portò una mano sul viso, attenta a non rovinarsi il trucco. “Ma se ti chiedo un favore una volta ogni tanto, potresti anche vedere di aiutarmi!” continuò imperterrita, ferma sulla sua decisione. Si stava trattenendo di urlargli contro che era un imbecille patentato quando faceva così, ma, sebbene fossero solo parole tanto per far sbollire la frustrazione di quel pomeriggio, l’idea che Sofia li avesse potuti sentire li stava frenando entrambi.

“Una volta ogni tanto?!” ribatté Francesco, anche lui smorzando la potenza della sua voce. “Ma se nelle ultime due settimane per andare al lavoro l’hai lasciata da me o da tua madre almeno la metà delle volte!”

“Senti,” replicò a tono duro, avvicinandosi a lui per farsi capire senza troppi problemi. “Io ci tengo al mio lavoro. Con i soldi che guadagni tu come privato alle prime armi non ci facciamo molto, lo capisci? Ho bisogno di lavorare pure io, e visto che guadagno di più, è bene che tu mi appoggi! E dopo aver ottenuto anche questa sorta di aumento, ora più che mai non posso fare altrimenti.”

“Lo sai quanto me che le tue sono solo cazzate, Elisa.” Rispose Francesco con un’espressione impassibile. “Non so perché tu faccia così, ma sappi solo che non è corretto, né nei confronti di Sofia, che viene scaricata come se fosse un oggetto, né nei miei, che per te dovrei farmi in quattro per ogni tua pretesa.” Quelle parole la colpirono forse più del dovuto e sentirsi dare della madre irresponsabile le fece mancare il fiato per qualche secondo, accelerando i suoi battiti cardiaci. “Ma quanto sono io a chiederti qualcosa,” continuò lui. “Allora casca il mondo!”

Elisa si allontanò da lui cercando di nascondere quanto la sua risposta potesse averla ferita, gli diede le spalle e si diresse verso l’attaccapanni, prendendo il giacchetto lungo di velluto che si era comprata qualche settimana fa, ed indossandolo.

“Francesco, senti, sono in ritardo.” Disse con tono piatto. “Per favore, non voglio discutere per un altro minuto di più.” Si interruppe per assumere un’espressione più vivace e con tono allegro salutò la figlia, che le corse incontro e mise a tacere definitivamente quella discussione che più volte aveva creato tensione tra loro due. Elisa schioccò un bacio sulla fronte della bambina per poi sistemarle un attimo le codine che le aveva fatto la mattina e che ora si stavano lentamente allentando, e aprì la porta. “Ne riparleremo un altro giorno.” Mormorò rivolta a Francesco, che seduto sul divano, dandole le spalle non rispose che con un altro sussurro quasi impercettibile.

“Sì, certo. Come sempre…”

 

***

 

Era arrivata in ufficio con cinque minuti di ritardo e si stava già maledicendo per aver anche solo iniziato a discutere con Francesco. Sapeva che sarebbe andata a finire così, che lui avrebbe continuato ad andarle contro qualunque cosa lei avesse detto e che le avrebbe fatto perdere tempo. Certe volte le veniva da pensare che lui lo facesse apposta di comportarsi così, che si divertisse a vederla in difficoltà, perché quei discorsi saltavano fuori ogni volta che lei era in ritardo o aveva impegni inderogabili. Però sapeva che sotto tutte quelle sue accuse, Francesco aveva ragione. Ultimamente Elisa non faceva altro che pensare al lavoro, ma cosa avrebbe dovuto fare altrimenti? Doveva ripartire da zero con la casa dei Bernardi – che tra l’altro quel giorno erano in ritardo, l’avevano avvertita con una mail, che lei però lesse solo una volta entrata in ufficio ed acceso il computer – e Orlandi le aveva pure dato una scadenza. Non era possibile conciliare tutto senza ripercussioni. E in questo caso, le ripercussioni cadevano sulla sua famiglia. Non era certo una bella situazione, lei lo capiva benissimo, come capiva che quando lui le diceva di avere una vita intendeva che in quel periodo non aveva fatto altro che assecondarla per permetterle di avere più tempo da dedicare al progetto, ma anche lui aveva un lavoro e – dovette ammettere a malincuore – anche una vita sentimentale che rischiava di finire da un momento all’altro se lei non avesse allentato le corde tra loro due.

“Ehi, ti vedo pensierosa.” La voce di Chiara fu come una manna dal cielo. “A cosa stai pensando?” Elisa non avrebbe chiesto altro: doveva assolutamente confidarsi con qualcuno che la conoscesse e capisse i suoi problemi. E nessuno era meglio di Chiara Lamberti, sua vecchia amica dell’università e vecchia coinquilina, assunta nel suo stesso studio a distanza di qualche mese. Si era laureata in più tempo rispetto a Elisa, ma solo perché aveva più tempo a disposizione. Se Elisa avesse aspettato un altro po’, avrebbe potuto partorire davanti ai professori.

“È Francesco…” si lamentò, offrendo una sedia all’amica. “Abbiamo discusso nuovamente. Io non so più che fare, Chiara.” Iniziò a girare sulla sedia della scrivania con evidente imbarazzo. Non era certo colpa sua se la loro vita coniugale era un abominevole schifo. Con la nascita di Sofia avevano deciso in comune accordo di rimanere uniti per il suo bene, e non era ammissibile che ora Francesco volesse tirarsene fuori.

“Forse dovresti parlare chiaramente a Francesco.”

“E cosa dovrei fare di più, scusa? Io gli ho già detto tutto quello che avevo da dirgli.”

“Sì, ma immagino già la scena: tu che urli – anzi, se c’era Sofia, tu soffiavi – e lui che, sicuramente seduto sul divano, visto quanto gli pesa il culo in certe occasioni, ti risponde con una calma da far invidia.”

“Immagini bene, ma la questione rimane.” Sospirò Elisa, iniziando a torturarsi le pellicine delle dita. Era un suo terribile vizio: quando era agitata, in ansia o comunque sotto stress, le sue dita erano destinate a diventare il suo metodo di scaricare la tensione, venendo torturate e mordicchiate senza ritegno.

“Non vorrei essere troppo cattiva a proporti una cosa del genere, ma non pensi che sarebbe l’ora di separarsi da lui?”

Elisa si voltò verso di lei e la guardò sgranando gli occhi. “Cosa?”

“Sì, perché se tanto continuaste così, l’unica cosa che otterreste sarebbe una discussione infinita, che con il tempo potrebbe anche degenerare, e credo che Sofi prima o poi ne risentirebbe personalmente.”

“Non vorrei arrivare a tanto, Chiara.” Ammise Elisa, tornando a fissarsi le mani. “Io… Io non saprei cosa fare senza Francesco. Lui è stato con me tutti questi anni…”

“Ma ora hai Marco, tesoro!” le sorrise dolcemente lei. “Anche lui è sempre lì per te.”

“Sì, ma Marco non conosce la mia famiglia, non sa cosa voglia dire vivere la mia vita, non sa quali siano i miei riti quotidiani…”

“Solo perché tu non gli hai mai dato l’occasione di conoscerli.” Le posò una mano sulla spalla come per farle forza. “Quante volte l’hai invitato a rimanere da te?”

“Mai.”

“Ecco, prova invece a farlo rimanere.”

“Ma c’è Sofia. Non voglio che lei possa vedere qualche altro uomo che non sia suo padre nella sua vita.” E dopo tutte quelle scenate che lei non si risparmiava di fare a Francesco perché Daniela non varcasse quella porta in presenza della piccola, sarebbe stata davvero ipocrita se poi lei avesse lasciato avvicinare Marco alla figlia. Era anche una sorta di rispetto, pensava. Come lei non sopportava Daniela, magari anche Francesco non sopportava Marco, anche se quelle erano più pensieri campati in aria, che idee fondate, visto che lui non le aveva mai dato modo di sospettare qualcosa di simile. Tuttavia, questo non cambiava che per una semplice questione di coerenza, se Daniela non stava con Sofia, anche Marco non poteva.

“Ascolta, ora ti faccio una domanda davvero seria: pensi mai che Marco ti chiederà di sposarlo?”

Elisa dovette aspettare qualche istante per metabolizzare l’inaspettata domanda che le aveva rivolto l’amica. Non ci aveva mai pensato, sinceramente,  e dovette aspettare per riordinare le idee e trovare una risposta esauriente. “Be’, stiamo insieme solo da un anno, forse -”

“Non importa,” la interruppe. “Proiettati in un futuro, forse nemmeno tropo lontano, e immaginati la scena. Tu che risponderesti?”

“Che potrei finalmente avere la famiglia che ho sempre desiderato.” Abbozzò mezzo sorriso all’idea di riuscire finalmente ad avere una situazione familiare più normale, senza problemi esterni dai suoi componenti.

Ecco, appunto. E non ti vedi in una nuova casa, tu, lui e Sofia?“

“Eccome se mi ci vedo.” Aveva quasi ritrovato il sorriso. Quell’immagine era qualcosa di quasi sfuggente, ma più ci pensava, più le sembrava quasi reale.

“Visto?” sorrise entusiasta Chiara. “Quindi prima o poi la piccola dovrà conoscerlo! Dovrà passare un po’ di tempo con lui.”

“Ma come ho vietato a Francesco di farle conoscere Daniela come sua ragazza, non posso farle conoscere Marco.” Il punto, a vedere la situazione in maniera più razionale, era sempre quello.

“Presentateli come amici di mamma e papà.” Le fece l’occhiolino.

“È la cosa più assurda che abbia mai sentito.” Ridacchiò Elisa, sebbene pensasse che l’idea non fosse totalmente da cassare.

“Davvero?” si meravigliò Chiara, per poi acquistare nuovamente il suo sorrisetto saccente di chi la sa lunga. “Perché io ho sentito anche di un accordo tra due persone non sposate – entrambe con altri partner – che però vogliono continuare a vivere insieme, sotto lo stesso tetto, solo per la figlia.”

Elisa perse per un attimo il suo sorriso e la guardò stupita. Sì, effettivamente di cose strane lei ne aveva fatte, dovette ammettere a se stessa. Forse, per il fatto che le aveva fatte per se stessa, per non ritrovarsi sola, ma le sembravano quasi normali. Sentì una risatina nascerle in gola, ma la trattenne. Forse era un’idea assurda, ma ne avrebbe dovuto parlare anche a Francesco.

 

***

 

Quando propose di volersi occupare della casa dei Bernardi, di certo non immaginava che poi avrebbe dovuto renderne conto a Pietro. Infatti quell’uomo, con un ghigno sulla faccia che indicava tutta la sua superiorità e la voglia non fargliela passare liscia, le bocciava qualunque conclusione a cui erano giunti dopo ore di lavoro lei e la coppia di neo sposini. Diceva che una facciata del genere non avrebbe permesso l’illuminazione dovuta ad una stanza e che quindi doveva rivedere la disposizione delle aperture in base alla norma che prevedeva una determinata quantità di luce per metro quadrato. Oppure non trovava opportuno il rapporto pedata-alzata che lei aveva calcolato per rendere la scala più comoda da salire. Era un continuo scontro che Elisa era destinata a perdere. E ovviamente si sentiva una vera merda a dover parlare a Giacomo e Cristina delle correzioni a cui era stato sottoposto il progetto.

“Mi dispiace davvero tanto.” Mormorava. “La cosa che più mi dà fastidio è che è tutto a norma!” iniziava quindi ad alterarsi. “Le ho controllate io stessa, anche due volte in certi casi! È quell’imbecille che non mi vuole dare carta bianca, accidenti!”

“Si calmi, Elisa.” Rispondeva Cristina, con i suoi dolcissimi modi da donna educata. “Capiamo quanto possa essere difficile andare avanti, ma quello che fa è già tanto.”

“L’unica cosa è che se continuiamo così,” sospirava ogni volta Giacomo. “Ci troveremo costretti a cambiare studio. Non possiamo ritardare troppo per la costruzione della casa.”

“Lo capisco, cercherò di impegnarmi maggiormente affinché si possa riuscire a realizzarla.”

“Lei fa già abbastanza, non si preoccupi troppo per noi.”

Elisa ormai si era affezionata ai Bernardi, che tornavano sempre anche dopo averle fatto capire che per loro sarebbe stato meglio cambiare studio, e questo la rendeva fiera, sapendo che loro contavano su di lei.

Purtroppo giornate di quella stazza erano estremamente pesanti e lei tornava a casa sempre più spossata. Si dava la colpa, non avrebbe dovuto proporre una cosa tanto spavalda, eppure non era riuscita a tenere la bocca chiusa e queste ora erano le conseguenze. Non tanto seguire quella coppia, che anzi le stava anche simpatica, quanto dover fronteggiare Pietro per ogni cambiamento che apportava al progetto.

“Ti vedo distrutta anche oggi, ma cosa fai in ufficio?” ridacchiò Francesco. “Ti hanno messo a spaccare le pietre?”

“Magari…” sospirò Elisa, togliendosi il giacchetto di velluto e mettendolo all’attaccapanni. “Forse spaccare pietre non mi ridurrebbe così. Pietro è un bastardo! Critica tutto quello che faccio, non mi lascia in pace nemmeno per la posizione delle finestre, ti rendi conto?” E alla fine non aveva resistito: sbottò gesticolando in aria come una pazza, convinta che se l’avesse fatto in presenza di Pietro Orlandi non si sarebbe accontentata di smanacciare, ma avrebbe iniziato con il mettergli le mani intorno al collo e a stringere finché l’ultimo sibilo di stronzaggine non fosse uscito dalla sua bocca.

Per tutto il tragitto studio-casa aveva pensato a cosa dire a Francesco per scusarsi della scenata – perché alla fine era sempre così: lei che si scusava anche se in cuor suo sapeva di avere ragione, almeno in parte, e lui che accettava magnanimo quelle sue parole e tutto tornava come prima, ovviamente fino alla futura e inevitabile discussione – ma una volta ricevuta quella domanda e averlo visto allegro, pensò che doveva essere stato l’effetto terapeutico di Sofia che l’aveva reso di buon umore e fatto sbollire la rabbia.

“E dire che ci sei anche andata a letto.” Sogghignò lui – rincuorando Elisa per non dover passare una notte intera a discutere – prendendola per mano e conducendola seduta sul divano affianco a lui, mentre le massaggiava un braccio per farla calmare. Era incredibile come le sue mani potessero avere un potere tanto grande su di lei. Ogni volta che la toccava, Elisa si sentiva più leggera, più tranquilla. Le piaceva che Francesco si occupasse ancora di lei.

“Così pare. Io non ricordo niente.” Si affrettò a rispondere. Di certo non faceva figura trovarsi sul passato un uomo come lui: forse bello, forse famoso, forse ricco, ma decisamente una testa di cazzo bell’e buona! “E certamente se fossi stata in me, non l’avrei mai fatto.”

“Dovresti deciderti a smettere di bere, allora.”

“Se dici così, mi fai passare per un’alcolizzata.” Scherzò.

“Be’, non lo sei?” la guardò strafottente, mentre si avvicinava per lasciarle un bacio sulla guancia, come per evitare di scatenare la sua ira, che nelle condizioni in cui si trovava non ci sarebbe nemmeno voluto troppo.

“No.” Rispose secca, tentando di mettere così fine al discorso. “Ah, ma dove è Sofia?” si ricompose sul divano, guardandosi attorno.

“In camera sua che gioca con le bambole. Ha detto che era un gioco da femmine e che io non potevo entrare.” Disse, alzando le spalle.

“Vado a salutarla. E poi ricordami che devo dirti una cosa.”

“Devo avere paura?”

“Non credo, perché?”

“Mi sarei preparato psicologicamente, durante la tua assenza.”

“No, tranquillo, puoi anche fare a meno di Daniela. Torna pure a fare del salutare zapping.” Gli sorrise per poi bussare alla porta della bambina. “Sofi, la mamma è tornata, perché non vieni a salutarla?”

“Mamma!” trillò da dentro la stanza lei, andando ad aprirle. “Lo sai?”

“Cosa, tesoro?” la prese in braccio, baciandole la fronte.

“Stella ora dorme, ma prima ha dato un bacio a Carlo!” sorrise eccitata, quasi come se fosse stata una cosa proibita ma che aveva lo stesso fatto.

“Chi è Stella?” Elisa sapeva che Carlo era il nome del bambolotto maschio, perché era anche un bambino con cui la piccola giocava sempre all’asilo – lei lo chiamava il suo fidanzato.

“Stella! La mia bambola!” esclamò quasi come se fosse stata una cosa ovvia.

“Ma non si chiamava Sofia come te?”

“No, prima. Ora si chiama Stella perché a Carlo piace di più quel nome.”

“Ah, ok, ho capito.” Le sorrise dolcemente. “Che vuoi fare ora? Continuare a giocare o venire a preparare da mangiare con me e papà?”

“Ma hai sentito?” la riprese Sofia. “Stella dorme, quindi non posso giocare!” disse come se fosse la cosa più naturale al mondo. Elisa quasi invidiava l’innocenza e l’ingenuità dei bambini, a cui basta poco per divertirsi e non hanno nessun problema che impedisca loro di vivere in tranquillità. Le sarebbe tanto piaciuta tornare all’infanzia, ed era per questo che adorava Sofia così tanto: sua figlia aveva la capacità di farla tornare bambina.

“Allora vieni, tesoro.” La mise per terra e le porse una mano. “Andiamo a preparare da mangiare.”

Tornò con la piccola nella sala dove Francesco era ancora seduto sul divano a seguire una partita di basket da un canale satellitare che non prevedeva il doppiaggio, e Sofia gli saltò addosso, distraendolo da un canestro di Lebron James, tirandolo per la maglia perché andasse in cucina con loro. Ed una volta tutti insieme, si misero al lavoro per preparare da mangiare.

 

***

 

“Di cosa mi volevi parlare prima?”

“Cosa?” Elisa si stava asciugando i capelli con un asciugamano. Aveva appena finito di fare la doccia e ora si stava preparando per andare a letto bella fresca.

“Prima hai detto che ti dovevo ricordare di dirmi una cosa.” Francesco era sdraiato sul letto con i suoi boxer a quadri addosso, il torso nudo e il bel fisico muscoloso in mostra senza pudore. Si era allungato verso di lei per attendere risposta e la guardava con occhi vivaci e curiosi, degni del bambino che si teneva sempre dentro. Per un attimo – e per evitare di dar corda agli inopportuni ormoni – pensò di spegnere totalmente il riscaldamento, costringendolo a coprirsi, ma ne avrebbe sofferto pure lei, in ogni senso.

“Ah, no, ecco…” Ripensare all’idea di Chiara, per un attimo la fece tentennare. Certo, avrebbe voluto che Marco conoscesse Sofia, ma sapere che questo si sarebbe dovuto estendere anche a Daniela era fastidioso. “Oggi… Oggi ho parlato un po’ con Chiara.” Disse infine. Avrebbe preferito non farne parola, ma quell’idea era pulsante e insistente nella sua testa e sembrava proprio che non volesse essere ignorata. In Elisa si stavano fronteggiando due mentalità: quella di vecchio stampo, che vietava un qualunque altro incontro di genere maschile e femminile che avrebbe potuto compromettere la loro già delicata situazione familiare, e quella nata dall’idea di Chiara. Vinse la seconda: “Mi ha proposto di far conoscere Daniela e Marco a Sofia.”

Francesco sgranò gli occhi sbalordito per qualche istante, per poi aspettare che continuasse a parlare, come a spiegargli quel suo improvviso cambiamento su un argomento che solitamente nemmeno voleva toccare. “Così tu non potrai più dire che Daniela ti tratta male per colpa mia.” Concluse, stizzita. Gli voltò le spalle e iniziò a frugare nel cassetto della biancheria.

“Ammetti che lo fai più per te stessa che per me?” Quelle parole la costrinsero a girarsi nuovamente verso Francesco, che la stava guardando sfacciato, inarcando un sopracciglio e sorridendo sghembo.

“No!” la replica sparata automaticamente dal cervello non ebbe il tempo di subire la revisione dovuta per la sincerità. “Cioè,” dovette correggersi, tossicchiando per nascondere l’imbarazzo. “È ovvio che anche io voglia che Marco la conosca, però anche tu ne avrai da guadagnare.” Non osò alzare lo sguardo su di lui, sentendosi giudicata fin dentro l’anima dai suoi occhi verdi e saccenti.

“D’accordo, e vedrò di non pensare al fatto che fai tutto più per te stessa che per gli altri.” Fu il tono scherzoso che la fece tornare in sé, senza troppi problemi di imbarazzo o di violenza nei suoi confronti.

“Ma smettila!” lo riprese, sorridendo e tirandogli l’asciugamano bagnato addosso.

“Ti faccio sentire una merda, eh?” la guardava soddisfatto.

“E anche tanto.” Gli concedette.

“Bene, era il mio obiettivo.” Ridacchiò, per poi prenderla per un braccio e trascinarla sul letto assieme a lui. Lei cadde senza preavviso e si scosse per sistemarsi l’accappatoio senza lasciare generose visuali del suo corpo, e poi lo guardò divertita. Lui le lasciò un baciò sul naso e si stese affianco a lei. “Mi piace stuzzicarti.”

“Sì, l’hai sempre detto e l’hai sempre fatto.”

“Sono un uomo di parola.”

“E anche un bastardissimo idiota.” Aggiunse sorridendo. Poi un lampo di coscienza la fece irrigidire. “Ricordo perfettamente cosa solitamente succede quando siamo a questo punto, quindi evitiamo di rovinare tutto per una voglia irrazionale, d’accordo?”

“Uhm… Ok.” Rispose lui, prendendo atto della sua decisione. “Ma così bagnata mi ispiravi davvero tanto.”

“France!” si stizzì lei, alzandosi a sedere e dandogli una pacca sulla spalla. Era sempre il solito ragazzino non cresciuto. Il solito Peter Pan che aveva conosciuto sei anni fa.

“Ok, la smetto, Eli, non voglio ritenermi responsabile di corruzione.” Ghignò ritraendosi verso la sua parte di letto.

“Fingerò di non aver sentito.”

Nonostante quelle parole le fossero uscite quasi come una sfida, non poté che essere felice di avere un rapporto come quello con lui. In fin dei conti, dopo tutto quello che avevano passato, si sarebbe quasi aspettata che lui la lasciasse sola senza pensarci due volte, e invece erano ancora insieme, sotto lo stesso tetto, uniti come amici e ancora più uniti da una figlia che entrambi amavano. Sapere poi che lui si divertiva con lei proprio come un tempo, la faceva sorridere, perché in cuor suo si rivedeva qualche anno indietro, quando ancora non sapeva come sarebbero andate le cose e si sentiva libera di vivere il presente per quello che era con Francesco.

____________________________

Et voilà, gente! Nuovo capitolo! Dopo una litigata che sembra essere l'ennesimo "battibecco", qualcosa di routine, la nostra Elisa è confusa per l'idea che Chiara le ha messo in testa. Diciamo che la parte dell'egoista un po' ce la fa, ecco. Non la difendo né la accuso, lei è fatta così: dopo quello che ha passato, volere una vita felice, una famiglia unita - una vera famiglia - le sembra più che giusto. Francesco ovviamente la smaschera subito, ma anche lui da una parte ne è contento.

 

Mi piace la piega che sta prendendo la storia, sapete? Certo, è già tutta abbozzata su carta, ma scrivere particolare per particolare è qualcosa che mi rende fiera di questi personaggi, perché vedo come agiscono quasi avessero una volontà propria!

Ad ogni modo, non mi sto ad intrufolare maggiormente nella loro testa, va', anche loro hanno diritto alla loro privacy, visto che noi tutti possiamo leggere i loro pensieri a tutte l'ore del giorno ;)

Alla prossima puntata!

 

Ah! Sappiate che prima o poi ci sarà un missing moment riguardo la notte in cui Elisa è stata con Pietro Orlandi, come cita Francesco in questo capitolo! Metterò il link non appena sarà conclusa, così vedrete anche qualche scena inedita ;)

 

EDIT 28/12/10: Ecco a voi il missing moment a cui accennavo: Twenty-six: Avventura di una notte di mezza Estate. Buona lettura!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI ***


Nuova pagina 1

“L’hai drogata?”

Daniela lo stava guardando incredula, sdraiata sul letto con una mano sul suo petto nudo. Aveva i capelli arruffati per quel momento di passione che aveva preceduto quella sua affermazione, e Francesco non poté non pensare a quanto fosse terribilmente sexy in quello stato.

“No, ti giuro che ha fatto tutto di testa sua.” Le scostò qualche ciocca dal viso e gliela passò dietro l’orecchio, mentre lei, più tranquilla, appoggiava la testa al suo petto. “A quanto mi ha detto, dev’essere stata Chiara a metterle la voglia di far incontrare Marco e Sofia.”

“Quindi dovrei erigere una statua a questa Chiara, no?”

“Già.” Le accarezzò una spalla, muovendo l’indice in tanti piccoli cerchi che portarono Dani quasi a fare le fusa.

“Pensi che possa piacere a Sofia?”

Francesco sorrise a quella domanda. Per quanto Daniela fosse una donna forte, era incredibile come poteva imbarazzarsi e cercare sempre conferme quando trattava di argomenti più seri e delicati, come ad esempio proprio conoscere sua figlia.

“Certamente. Sei bella, la colpirai sicuramente!” ridacchiò.

“Ah, quindi le potrei piacere solo per l’aspetto?” si mise a sedere con un movimento brusco, facendo pressione con una mano sul petto di Francesco, che dovette accusare il colpo – dopotutto, se l’era cercato. Lui però le prese il viso tra le mani e la condusse vicino a sé, per poi farla tacere con un bacio.

“Lo sai che scherzo, Dani.” Le sussurrò, prima di scostarsi per baciarle la guancia, poi l’orecchio ed infine mordicchiarle il lobo.

“France, non posso intrattenere un discorso serio, se tu fai così.” Gemette.

“E secondo te perché lo faccio, io?” sorrise malizioso.

“Sei un idiota.” Sospirò, mentre chinava la testa per rendergli quei piccoli morsi sul collo.

“Lo so.” L’avvolse con le braccia e si rotolò sopra di lei, intrappolandola tra il materasso e il suo corpo.

“Oh, no, France.” Si divincolò lei. “Sei incredibile! Togliti, voglio una volta tanto fare un discorso serio.” Protestò. “Se fai così mi destabilizzi!”

“Ok,” sospirò, arrendendosi. Scivolò affianco a lei, passandole un braccio intorno alla vita sottile e la guardò negli occhi, aspettando che parlasse.

“Sei sicuro che questa faccenda però non interessi solo Marco?” Lui la guardò senza capire. “Cioè,” farfugliò, mettendosi un altro ciuffo di capelli dietro l’orecchio, con fare imbarazzato. “Non è che lei ti ha proposto quest’incontro solo per far conoscere a Sofia Marco? Sei sicuro che l’invito si estendesse anche a me?”

Lui annuì, mangiandosi con gli occhi quella timidezza che raramente Daniela lasciava trapelare dai suoi gesti, dalle sue parole. Lei era una donna incredibile: era bella, intelligente, capace di sorprenderlo in ogni occasione, sapeva quando era il tempo di giocare e quando quello di essere seri, proprio come in quel momento. Lo affascinava, lei cadeva ai suoi piedi ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, ma faceva quasi di tutto per non farlo a vedere, apparendo vulnerabile e quasi buffa. Le piaceva.

“E quando sarebbe questa cena?”

“Elisa mi ha accennato alla settimana prossima.”

“Vuoi che prepari qualcosa? Non lo so, un dolce, un contorno…”

“No, anzi. Se tu lo facessi, credo che Eli si arrabbierebbe. Lei ama avere tutto sotto controllo, e sapere di avere qualcuno che le preclude questa possibilità la manda in bestia.”

“Per questo non mi sopporta? Pensa che io potrei soffiarle via oltre che te anche la figlia?”

“Forse, sei tu la psicologa tra noi.” Le sorrise, baciandola sul mento.

“Allora penso di aver ragione.”

“Però non ci hai mai parlato a fondo per poter arrivare a certe conclusioni.”

“Lo so, però il mio sesto senso non sbaglia quasi mai.”

“Sei molto modesta.” Sussurrò con voce calda e roca, avvicinandosi al suo collo. Sapeva che Daniela avrebbe resistito per molto poco, quando lui usava quel tono, e di certo lui non si risparmiava di usare quelle palle curve. Tra meno di un’ora sarebbe dovuto tornare a casa, perché Elisa doveva uscire con Marco e gli aveva chiesto di tenere Sofia, visto che non aveva voglia di vedere sua madre. Gli aveva detto che in una giornata così bella, iniziata nel migliore dei modi, lei sarebbe riuscita senza alcuno sforzo a metterla di cattivo umore e rovinare la sua uscita con Marco. Francesco le aveva creduto, conosceva da molto tempo Anna e sapeva quanto velenosa poteva essere se le prendeva la voglia di mettere bocca su ogni cosa. Raramente lui si presentava da lei per portarle Sofia, e tutte le volte – perché se ne sarebbe accorto se così non fosse stato – lei non gli aveva risparmiato una ramanzina di un quarto d’ora abbondante che gli rinfacciava di essere un poco di buono, di aver messo incinta sua figlia, di averle rovinato la vita e di conseguenza di aver rovinato la vita a lei. Ovviamente Francesco non ci dava mai troppo peso, ma sentirsi attaccare su tutta la linea in pochi minuti era frustrante, anche perché ribattere era fuori discussione. Ogni volta che usciva da quella casa si sentiva addosso una voglia matta di sfogarsi che l’avrebbe potuto far scoppiare se non avesse fatto qualcosa, e infatti solitamente si rintanava in palestra per un paio d’ore non appena avesse avuto del tempo libero.

Fu la mano audace di Daniela a distrarlo da quei pensieri e Francesco non avrebbe voluto altro, perché pensare a quella vecchia megera in un momento simile avrebbe potuto fargli passare tutta l’eccitazione. Accettò l’intraprendenza di Dani e si lasciò guidare dai suoi gesti, per poi attendere il suo momento per ricambiare il favore.

 

***

 

Marco la stava aspettando appoggiato alla sua Audi grigia metallizzata. Appena uscì dal palazzo le tolse il fiato: sembrava uno di quei modelli che pubblicizzano auto posando sensuali mentre un fotografo li riprende. Già, giusto il fotografo mancava, perché quella camicia bianca con i primi due bottoni aperti, quei jeans dall’aria trasandata – ma sicuramente di marca – quelle scarpe nere sportive ma allo stesso tempo eleganti, e soprattutto quell’espressione da bello impossibile che aveva sul viso era davvero qualcosa di sublime. Elisa dovette trattenersi per non saltargli al collo e non mangiarselo a suon di baci, accontentandosi di un bacio a fior di labbra quando lo raggiunse sul ciglio della strada. Lui le aprì la portiera come un perfetto cavaliere del ventunesimo secolo e girò intorno alla macchia per posizionarsi alla guida. Era terribilmente impeccabile ed Elisa lo preferiva in gran lunga in quella tenuta tra lo sportivo e l’elegante, che in giacca e cravatta come amava vestirsi lui, per darsi quell’eleganza degna degli uomini d’affari, o nel suo caso, di un avvocato.

“Sofia è da tua madre?”

“No, c’è Francesco in casa.” Rispose, convincendosi che sarebbe stato meglio adottare una tecnica di distrazione onde evitare figure in sua presenza. Si schiarì la voce e distolse lo sguardo da Marco, guardando davanti a sé la strada che stavano percorrendo.

“Ma non avevi detto che era da Daniela?”

“Sì, ma non volevo andare da mia madre.”

“Perché?” chiese con aria innocente. “Non mi sembra che tua madre sia quella strega che dipingi sempre tu.”

Elisa sospirò, sapendo benissimo il motivo di quelle sue parole. Marco non stava mentendo solo per ingraziarsi la donna, era estremamente sincero, ma questo era dovuto al fatto che con lui sua madre era un angelo. L’aveva invitato qualche mese fa ad un pranzo di Pasqua, presentandolo alla sua famiglia e Anna Pratellesi-De Angelis non si era lasciata sfuggire l’occasione per dimostrarsi la donna più apprezzabile del mondo. Sorrideva sempre, gli offriva da mangiare ancor prima che lui finisse il cibo che aveva nel piatto, gli faceva i complimenti, lo ringraziava per essersi interessato alla sua figlia minore – come se Elisa fosse un rifiuto della società, come se fosse una merda scansata da tutti – e molte altre cose del genere. Lei però non aveva mai avuto il coraggio di dirgli come erano messe veramente le cose tra loro, soprattutto per due motivi principali: il primo era che non aveva lei in prima persona voglia di parlare della madre, e poi perché da una parte sperava seriamente che uno come Marco potesse piacerle. Il timore che lui conoscesse la vera Anna Pratellesi-De Angelis e scappasse a gambe levate era ancora presente.

Dopo qualche minuto in macchina, Marco si accostò e fece scendere Elisa. Camminarono qualche minuto, mano nella mano, finché non giunsero all’inizio del viale alberato lungo il fiume che caratterizzava la città. Era un posto stupendo e rilassante. Tutto intorno al percorso vi erano dei grandi alberi da cui filtrava la luce ed il calore del sole ed Elisa doveva ammettere che in autunno la bellezza di quel luogo raggiungeva l’apice: i colori gialli e arancioni delle foglie degli alberi in autunno davano un senso di calore, di intimità più che in estate.

Mentre camminavano incontrarono ogni sorta di coppia, perché quel viale era la meta preferita delle coppie, che fossero di anziani o di ragazzini. Tutti camminavano contenti, abbracciati e alimentavano il loro amore con scenette romantiche come il tramonto sul molo oltre il viale e le chiacchiere sulle panchine di pietra nascoste tra gli alberi. Era davvero un gran bel posto. Tempo fa, Elisa era solita passeggiare lì con Sofia, per fare due passi all’aria fresca, e ancor prima le ci era capitato di andarci con Francesco. Era stato lui a convincerla della magia di quel luogo, portandocela una delle prime volte che uscirono, sebbene – Elisa lo scoprì dopo – le intenzioni del ragazzo non combaciassero perfettamente con le sue. La prima volta che Elisa rimise piede in quel viale con Marco, quasi le tremarono le gambe, perché come con lui, anche con Francesco proprio lì avvenne la prima manifestazione di amore in pubblico: si erano appartati dietro al tronco di un grande albero e si erano scambiati il loro primo bacio intriso di passione, uno di quei baci che faceva perdere il controllo a Elisa, e che una vecchiettina interruppe accusandoli di essere in atteggiamenti peccaminosi e del tutto inadatti ad un luogo come quello.

Le nacque una risata a quel ricordo e Marco rise insieme a lei, pensando però che trovasse divertente quello che le stava raccontando.

“Capito? È assurdo!”

Elisa tentò di ricostruire il discorso recuperando quelle parole che ogni tanto aveva sentito nel suo rivangare i vecchi tempi, e ne dedusse il resoconto di una dei suoi ultimi casi: suo padre – avvocato come lui e per cui Marco lavorava – gli aveva passato una lite tra due condomini che litigavano riguardo a chi spettasse il posto auto più vicino all’entrata.

“Queste cause solitamente vengono svolte da altri addetti, io sono un avvocato penale, però ultimamente ce n’erano troppe accumulate e me ne hanno affidate alcune anche a me.” Le stava spiegando. “E devo essere sincero: passare da un caso penale ad uno civile è davvero strano.”

“Posso immaginare.” Gli sorrise, prendendolo per un braccio e appoggiandosi a lui, che la guidò verso una panchina sulla riva del fiume. Il sole era in procinto di tramontare, dando al cielo una pennellata di rosso che andava a sovrapporsi all’azzurro limpido di quel giorno. Da quanto Elisa non si sentiva così bene? Dopo Francesco, aveva avuto poche storie serie, perché quasi nessuno aveva accettato il fatto che lei fosse già madre a quell’età. Quella responsabilità spaventava molti, e Elisa dovette prenderne atto. Ci fu solo Davide che riuscì a scioglierla, a conquistarla, accettando oltre che Elisa stessa, anche Sofia. Era molto importante per lei sentire di essere amata quanto la figlia da un uomo e pensava che quella sarebbe stata la volta buona per lei. Purtroppo qualche mese dopo i sentimenti che li univano avevano iniziato a sfumare, lasciando spazio solo all’affetto, così si lasciarono. Fu solo trovando Marco che lei poté tornare a sentirsi serena, amata… Solo lui era riuscito a farle provare nuovamente tutte quelle sensazioni che ogni donna corteggiata si aspetta.

Nel ripensare a quanto stesse bene, alzò lo sguardo su di lui, incontrando i suoi occhi scuri che la guardavano senza capire. Era stupito, ma il sorriso che lei gli offrì lo fece sciogliere e si chinò per rubarle un casto bacio, per poi lasciarle la mano che ancora stringeva nella propria, e le passò un braccio intorno alle spalle, attirandola a sé. Lei poggiò la testa sulla sua spalla e rimasero in silenzio per qualche istante, cullati da quella brezza leggera che annunciava l’imminente calare del sole.

Francesco non era mai stato così romantico. Il suo romanticismo era spesso e volentieri legato al sesso e di certo non reggeva il paragone con Marco. Il massimo a cui si era spinto era portarla a giro per la città, mostrandole luoghi a lei del tutto sconosciuti sebbene vi abitasse da sempre, ma si fermava lì. E purtroppo Elisa aveva scoperto a sue spese che quello non era romanticismo.

“Elisa, basta pensare a lui.”

Furono quelle parole a distrarla e a farla trasalire. Era incredibile come Marco sapesse leggerle dentro con una facilità inumana.

“Come scusa?” farfugliò, cercando di ridacchiare come a nascondere il suo danno. Purtroppo le uscì solo una ridata nervosa che la incriminò senza ritegno.

“Sei con me adesso.” Le sussurrò.

Elisa si diede della stupida ad aver reagito in preda al panico. Dopotutto stava solamente facendo un paragone in cui Marco aveva stracciato su ogni fronte Francesco, non aveva di che preoccuparsi, e tantomeno niente che dovesse indurla a farfugliare scuse.

“Sì, hai ragione.” Sorrise lei, stringendosi nuovamente contro il suo petto. “Sai,” volle spiegargli. “Stavo pensando che nessuno era mai stato così gentile e romantico con me. Nemmeno Francesco.”

“È per questo che non stai con lui.” Il sapere che aveva superato il livello di romanticismo di Francesco sembrava averlo aiutato in autostima. Elisa ridacchiò, evitando di dirgli che non era quello il motivo per cui non stava con lui. Non era stata lei a lasciarlo. “Senti,” iniziò Marco, dandole un bacio sulla fronte. “Ti va una serata al ristorante in centro?”

Elisa si trovò a lottare per decidere quale sillaba avesse dovuto pronunciare. Da una parte non avrebbe voluto altro: passare ancora un po’ di tempo con quell’uomo che l’amava nonostante i suoi mille difetti, senza farle pesare la sua situazione familiare… Dall’altra aveva un motivo a cui, in effetti, teneva di più.

“Mi dispiace,” rispose. “Ma è tardi. Sofia e Francesco mi aspettano a casa.” Il sole stava tramontando davanti ai loro occhi e quello era il segnale che lei doveva tornare, l’incantesimo di quella romantica uscita era svanito, proprio come Cenerentola allo scoccare della mezzanotte – una mezzanotte un po’ anticipata, in questo caso – perché lei l’aveva promesso a Sofia.

Marco la guardò per qualche istante con un’espressione indecifrabile ed Elisa soffrì nel vedergliela. Le sembrava che tutto d’un tratto quello che lei faceva non andasse più bene, che il preferire la sua famiglia a lui delle volte gli pesasse, che il voler tenere lontana da lui Sofia lo infastidisse. Da quando lo conosceva, Marco non gliel’aveva mai detto – non era il tipo da esternare così facilmente i suoi sentimenti, lui preferiva tenerseli dentro – ma glielo lasciava intuire dal modo in cui aggrottava la fronte, dal suo sguardo intenso. Era come se le sue buone maniere, radicate in lui sin dalla nascita, gli impedissero di pronunciare quelle parole.

Elisa avrebbe voluto cancellare quella sua espressione dal viso accettando l’invito, ma non lo fece volutamente. Lei non era il tipo da gradire tutte quelle attenzioni e i ristoranti di grande classe non le piacevano, sembravano pretendere atteggiamenti troppo sofisticati per lei, e Marco questo lo sapeva, però le aveva sempre confessato che alla donna che amava non voleva mai far mancare niente. Andava fiero di potersi permettere il costo di una cena in un ambiente come quello, rendendo così Elisa una donna che meritava tali attenzioni. E lei, in cuor suo, se ne sentiva lusingata. Tuttavia, davanti alla voglia di far tornare il suo tipico dolce sorriso sul viso di Marco, Elisa si decise a proporgli un’altra soluzione, un altro invito.

“Ehi, che ne dici di venire da noi Martedì prossimo a cena?”

Non ricevette subito una risposta, perché sembrava che lui dovesse metabolizzare per bene le parole che aveva appena sentito. “Nel senso con te e Sofia?” si illuminò.

“Sì, ma anche con Francesco e Daniela.” Specificò. Di certo non dire niente non sarebbe stata una bella sorpresa da fargli, una volta che fosse entrato in casa sua. “Saremo solo noi cinque.” Gli sorrise dolcemente, aspettando una sua conferma che potesse avere il potere concludere in bellezza quell’uscita.

“Avrei preferito essere solo con te e tua figlia, ma credo proprio che mi accontenterò.” Anche lui sorrise, rendendo Elisa elettrizzata all’idea, che gli saltò addosso, abbracciandolo e baciandolo con passione.

Forse per quella notizia che Elisa gli aveva dato e che lui aspettava ormai da un anno, forse per il momento romantico, lui ricambiò con la stessa passione, cingendola per i fianchi e cercando le sue labbra con bramosia.

Quella era sicuramente la conclusione migliore che poteva avere la loro uscita.

 

***

 

“Ciao, mamma!” una raggiante Sofia le andò incontro come un missile, aggrappandosi ad una gamba e saltellando euforica.

“Ciao, tesoro!” la salutò sorridendo anche lei, trasportata dalla sua energia. “Cosa succede?”

“Papà mi ha fatto un disegno bellissimo!” la prese per una mano e trotterellò verso la sala, dove Francesco era seduto sul pavimento con fogli e matite vicino a sé. “Guarda!” Elisa approfittò del momento in cui Sofia la liberò per togliersi il cappotto che non aveva fatto in tempo a togliersi prima, catturata immediatamente da quella vivacità che riusciva sempre a metterla di buon umore – anche se quel giorno in particolare non ne avrebbe avuto bisogno, visto come era stata bene con Marco.

Sofia afferrò il foglio dal pavimento e lo sventolò davanti ai suoi occhi ed Elisa dovette afferrarlo per poterlo vedere nitidamente. Francesco aveva sempre avuto una dote incredibile per il disegno, soprattutto quello a mano libera, mentre in quello geometrico era incredibilmente caotico, tutto il contrario di lei, che non riusciva a fare due linee diritte senza l’aiuto di righe e squadre. In quel foglio c’era uno schizzo del volto di Sofia, con le sue codine, il suo sorriso birichino e il piccolo naso all’insù. Francesco gliene aveva fatti tantissimi dacché era nata, aveva tantissimi raccoglitori pieni di schizzi, suoi, di Sofia, della madre, del padre, amici, e anche paesaggi… tutti fatti con qualunque cosa avesse a portata di mano. Anche sparsi a giro per casa c’erano dei suoi disegni incorniciati.

“Mamma, anche io da grande disegnerò così?”

“Se ti eserciti, sì.” Le sorrise. “Ascolta, tesoro,” si chinò verso di lei, passando il foglio a Francesco. “La mamma va a fare la doccia, vieni con me?”

“Anche a me piacerebbe fare la doccia con mamma.” Mugolò in risposta Francesco, guardandola con occhi supplichevoli. Sofia rise a quell’espressione almeno tanto quanto Elisa strabuzzò gli occhi alla sua affermazione.

“Sì, anche papà fa la doccia con noi!” esultò la piccola, ignara del maliziosissimo doppio senso, di cui Francesco stava ancora ghignando soddisfatto.

“Ehm, no, Sofi.” Tentò di dissuaderla da quella sua euforia. “La doccia è piccola, dai, andiamo.” E le offrì una mano.

“Papà, allora vai tu con la mamma, io vado dopo!” propose come generosa alternativa.

“Amore, io e papà siamo troppo grandi, non ci stiamo lo stesso lì.” Le sorrise.

“Davvero?” si intromise Francesco spudoratamente. “Allora devono aver cambiato da poco le grandezze standard dei servizi.”

“France, ti proibisco di fare altre battute.” Lo squadrò minacciosa.

“Ok, ok, scherzavo!” si arrese, sogghignando.

“Vado a spogliarmi, puoi aiutare tu Sofia?” disse quindi lei, dirigendosi verso  la camera. Francesco annuì e prese la piccola in collo, sparendo nella piccola stanza di Sofia.

Elisa si sedette un attimo sul letto, nascondendosi il viso tra le mani. Possibile che Francesco avesse sempre la battuta pronta in ogni momento? Ma soprattutto, possibile che avesse sempre la battuta a sfondo sessuale pronta in ogni momento? Elisa sospirò: per quanto quelle sue battute la mettessero terribilmente in imbarazzo se dette in occasioni del tutto inopportune, non potevano che farle piacere. Era un po’ come tornare a qualche anno prima.

Si alzò e iniziò a spogliarsi. A ripensarci, loro non avevano mai fatto sesso nella doccia, una volta lui era piombato in casa sua quando ancora studiavano e le aveva proposto una cosa del genere, visto che proprio in quel momento lei stava andando in bagno, ma lei lo confinò sul divano e lo minacciò di amputazione del suo gingillo se anche avesse solo provato ad entrare nel bagno. Con Marco invece l’avevano fatto, o almeno, ci avevano provato, perché mentre lui era in bagno, lei si era intrufolata nella cabina insieme a lui, che all’inizio – in evidente imbarazzo – si stupì, per poi iniziare a baciarsi. Peccato che lui scivolò battendo la testa contro il muro e facendo cadere anche lei, che picchiò l’anca contro il rivestimento di ceramica. Lui si ritrovò con un bernoccolo in fronte e lei con un livido violaceo su un fianco. Da quel momento aveva evitato di fare ulteriori agguati del genere e accontentarsi del classico sesso a letto, perché aveva capito che Marco purtroppo non era il tipo di uomo che amava queste manifestazioni di sesso selvaggio.

Fu il bussare alla porta di Sofia che la fece tornare al presente, senza trattenere una risatina all’immagine che aveva appena rievocato, così – rimanendo in biancheria – si mise l’accappatoio addosso e uscì, prendendo la piccola per mano e dirigendosi verso il bagno.

“Certo che se Marco ti vedesse così, non so se gli si rizzerebbe ancora!” Francesco glielo diceva sempre e lei tutte le volte sospirava, esasperata ma divertita. Sapeva di essere ridicola a mettersi l’accappatoio con ancora i calzini addosso, tenuti dentro le ciabatte da piscina, ma per utilità non aveva mai smesso di farlo.

“Le calze mi pizzicano.” Ribatté come sempre. “Preferisco di gran lunga i calzini quando le calze non sono indispensabili. E poi così posso togliermi tutta la biancheria in bagno in una volta.”

Francesco rise, trascinando anche Sofia ed Elisa in quell’ilarità. A volte Elisa pensava se certe cose sarebbero state le stesse anche con Marco, e tutte le volte cercava di non rispondersi.

_____________________________________

Altro capitolo! Il prossimo sarà quello "cruciale", diciamo, ma anche questo non è male, no? Alla fine, anche se è un capitolo di passaggio, mostra comunque degli aspetti abbastanza rilevanti al fine della storia, ovvero come si comportano i vari personaggi con i rispettivi partner. E un po' anche le loro paranoie ;) Che dite? La serata prevederà qualche guaio? Be', si saprà solo con il prossimo aggiornamento! E già che ci sono, vi faccio gli auguri di tutto: Natale, anno nuovo e - perché no? - anche Befana! Anche se, sì, è verissimo, sono in super ritardo! Ma meglio tardi che mai, no? ;)

 

Ah, sappiate che ho pubblicato anche una piccola scena inedita su questa storia, Twenty-six: Avventura di una notte di mezza Estate. Parla di quella fantomatica notte di passione tra la nostra Elisa e il suo tanto amato capo, Pietro Orlandi. Cosa è realmente successo quella sera? Leggete e scoprirete!

 

Alla prossima, gente!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII ***


Era armata di una padella incand

Era armata di una padella incandescente e non aveva paura di usarla. Un colpo, se non in faccia, proprio sulla nuca, proprio come un battitore di baseball. Questo era solo uno dei tanti attacchi che Elisa stava premeditando da quando Daniela aveva messo piede in casa loro. Lei stava cucinando e Francesco ebbe la brillante idea di mandare la bionda ad aiutarla – come se lei non fosse autosufficiente – e da quel momento lei non aveva fatto altro che criticarla.

“Ah, tu usi il basilico? Ma non è troppo?” storceva il naso. “Io solitamente faccio così, guarda.” E la scansava, impossessandosi della padella e mettendosi a cucinare come se fosse lei la padrona di casa. Purtroppo tutto questo era successo perché Gianluca, un collega di Francesco, l’aveva chiamato al cellulare per delle pratiche che non riusciva a sistemare, e lui aveva pensato bene di far avvicinare la madre di sua figlia a quella con cui andava a letto.

Mi sembra giusto! Ringhiava contro il ragazzo ogni volta che lo vedeva dalla porta della cucina, ancora intento a dare istruzioni per telefono.

Per un attimo avrebbe voluto addirittura andare a svegliare Sofia perché Daniela la lasciasse cucinare in pace, ma si sentì meschina solo ad averlo pensato. Tuttavia almeno nell’arrivo immediato di Marco ci sperava. Magari si sarebbe messo a parlare con Daniela e l’avrebbe allontanata.

E forse fu proprio quel desiderio espresso con un’intensità che avrebbe potuto causarle addirittura mal di testa, che fece suonare il campanello quasi con insistenza. Elisa corse ad aprire e non riuscì a trattenersi nel baciare Marco, suo salvatore e scoglio per suoi istinti omicidi.

“Marco, vieni,” lo afferrò bruscamente per una mano. “Voglio farti salutare Daniela.” Molto probabilmente sorriso più falso non esisteva, e la falsità era incrementata dai denti serrati che, se si fossero trovati ad una distanza inferiore di qualche centimetro, avrebbero potuto morderla proprio alla carotide come un perfetto vampiro assetato di sangue.

Marco salutò la psicologa con lieve imbarazzo, forse dovuto all’atteggiamento innaturale di Elisa, ma lei sperò che tramite quello lui avesse capito la sua silenziosa richiesta: aiuto!

“Sofia?” chiese lui guardandosi intorno impaziente.

“Scusa, dorme ancora e io non me la sento di svegliarla.” Rispose Elisa. In effetti Sofia avrebbe potuto essere fondamentale per farle avere un po’ di respiro.

“No, mamma. Sono sveglia.” Poco distante da loro, una bambina con i capelli neri scompigliati e una tutina arancione stava strusciando i piedi verso di loro, mentre con una mano si stropicciava gli occhi, assonnata. Elisa per un attimo sperò che la piccola non avesse visto il bacio che aveva dato a Marco, ma poi pensò che l’avrebbe vista, se fosse già stata sveglia.

Elisa le corse incontro e la prese in braccio, carezzandole dolcemente i capelli per sistemarglieli un po’, e dandole un caloroso bacio sulla guancia. Poi voltò lo sguardo verso Daniela e Marco che si erano incantati a guardare la piccola ed Elisa quasi se ne compiacque. Per un attimo si sentì orgogliosa di avere tutta per sé una creaturina come lei, che suscitava l’invidia di altre persone.

“Sofi, vieni, andiamo a cambiarci.” E si voltò, ma all’istante le venne un’idea. Tornò a guardare Daniela e leggermente in imbarazzo le porse la domanda: “Senti, vuoi venire anche tu?”

La sua reazione da una parte se l’aspettava, ma ritrovarsi una Daniela – che fino a poco tempo fa era disposta a sopprimere per allontanarla da sé – sorridente, entusiasta e riconoscente la spiazzò. Elisa dovette proprio ammetterlo: era una bella donna, e se sorrideva era ancora più bella.

“Marco, ti dispiace se aspetti qui? Torniamo subito.” Gli disse.

“Non ti preoccupare, ci penso io a lui.” Francesco li aveva raggiunti, ora libero da ulteriori impegni. Sorpassò Elisa, sussurrandole un “grazie” insieme ad un bacio sulla guancia che fece ridacchiare Sofia, e passò un braccio intorno a Marco. “Collega,” esordì. Elisa avrebbe voluto sotterrarsi comprendendo a quale campo si riferisse Francesco con quell’appellativo. “Che ne dici di sostituire le donne in cucina?”

Vedendo Marco e Francesco lasciare la sala, Elisa non poté che mettersi l’anima in pace e almeno per un po’ si sarebbe sentita più tranquilla. Tra l’altro sapeva molto bene quanto entrambi fossero dei cuochi provetti, quindi non c’era nemmeno da temere che potessero mandare a fuoco la cucina, e mentre sentiva loro armeggiare con pentole e padelle, lei condusse Daniela nella cameretta di Sofia.

La stanza era piccola, ma conteneva benissimo il letto, un armadio e un tavolo su cui lei amava disegnare. Dopotutto, non le serviva molto di più. L’aveva arredata insieme a Francesco dopo la nascita della bambina, e entrambi avevano optato per non usare il classico color rosa confetto che solitamente veniva associato ad una bambina, così si erano buttati su colori più neutri: avevano tinto le mura di giallo, dipingendo qualche piccola nuvola o rondine, con un verde pallido. Anche Sofia, ora che era un po’ più grande, si era divertita a disegnare un albero in un angolo della stanza, sebbene non fosse proprio uscito nel modo migliore. Daniela, però, quando Sofia glielo mostrò fiera del suo lavoro, l’apprezzò molto.

“Ehi, artista,” la chiamò, sedendosi sul letto con lei affianco, mentre Elisa sceglieva dei vestiti dall’armadio. “Lo fai anche a me un disegno bello come quello?”

Sofia non rispose subito, e Elisa si voltò per capire. Sorrise osservando come la bambina guardasse in estasi Daniela, sembrava ammaliata e la guardava con la bocca leggermente aperta, come se fosse meravigliata di trovarsela davanti.

“Sei bellissima!”

Daniela arrossì. Fu incredibile come Elisa rimase stupita di quel rossore sulle guance candide della donna, eppure era arrossita, come se quel complimento seriamente la stesse lusingando.

“Mamma, hai visto come è bella?” si girò verso di lei e la guardò insistente, ed Elisa non poté mentire.

“Hai ragione.” La prese in braccio e si sedette affianco alla donna. “Lei e il signore che è di là sono amici di mamma e papà. Dille un po’ come ti chiami.”

“Sofia! Ho quattro anni, sai?” si vantò con orgoglio.

“Allora sei grande, eh!” le sorrise Daniela.

Sofia sgambettò per potersi avvicinare a Daniela, che quasi aveva paura che potesse cadere, così allungò le braccia per sorreggerla mentre camminava sul letto, poi Sofia si mise seduta in braccio a lei e le iniziò a mostrare i disegni della stanza. Elisa intanto era tornata a cercare una maglietta da abbinare ai piccoli pantaloni rossi che aveva trovato, e guardandosi alle spalle provò una strana fitta al petto, come se fosse un presagio, una visione che avrebbe volentieri fatto a meno di trovarsi davanti agli occhi. Eppure Sofia sembrava così felice… E forse era proprio quello il fatto che la disturbava. Non avrebbe mai pensato che Sofia potesse essere così tranquilla con Daniela, che era ai suoi occhi una perfetta estranea. Quasi avrebbe preferito che si mostrasse scostante, impaurita da quelle nuove presenze in casa loro.

“Ehi, voi, siete pronte?” Francesco aveva appena bussato alla porta e Sofia corse ad aprirgli.

“Papà, guarda come è bella questa signora!”

“Sofi, ha solo un anno più di me, non è vecchia!” ridacchiò lui, entrando e prendendola in braccio, seguito da un Marco esitante davanti alla porta. “Chiamala Daniela, è il suo nome.”

Forse la sua espressione la tradì più del dovuto, ma mentre Elisa era lì a guardare come Francesco e Daniela potessero sembrare una famiglia con la loro figlia, Marco le si avvicinò, togliendole quella maglietta bianca che stava sempre più cadendo sgualcita verso il basso.

“Ehi, Elisa, tutto bene?” le sussurrò all’orecchio. Non osò niente di più perché – nonostante il bacio passionale che l’aveva colto alla sprovvista qualche minuto fa – Marco sapeva bene la regola che vigeva per quella serata: lui e Daniela erano solo amici.

“Sì, sì, sto bene.” Gli sorrise, forse un po’ troppo tirata, ma si voltò subito per chiudere il cassetto dell’armadio, in modo da non dover affrontare quello sguardo intenso che solitamente assumeva Marco quando voleva tirarle fuori qualcosa che lei celava gelosamente. Poi si allontanò da lui, richiamando Sofia perché si facesse cambiare i vestiti.

 

***

 

A cena le cose andarono meglio, anche perché Elisa si sistemò affianco a Sofia, che si era già sistemata vicino a Francesco, costringendo Daniela a sedersi ben due posti più in là, rendendo tutti gli argomenti più sopportabili e quasi apprezzabili. Il quasi indicava la prepotenza e l’arroganza con cui Francesco il più delle volte alludesse a doppi sensi che provocavano seri danni a tutti i presenti – Sofia esclusa, che si era messa a giocare con i cordini del cappuccio della maglietta. Daniela più volte, infatti, l’aveva esortato con un paio di gomitate, concludendo la campagna contro la sua sfacciataggine con un’occhiata di fuoco che convinse Francesco ad evitare certi argomenti. Matematicamente, Elisa avrebbe voluto che continuasse, non tanto per andare sempre conto a Daniela, e nemmeno per assistere a tutti i litri di acqua che a Marco puntualmente andavano di traverso, ma semplicemente perché le piaceva essere al centro delle attenzioni di Francesco se nei paraggi c’era Daniela.

Era innegabile, ormai: Elisa non la sopportava. Aveva provato – era innegabile anche il fatto che ci avesse provato – ad avvicinarsi a lei, ma c’era qualcosa che ancora l’allontanava. Come se fossero due calamite della stessa carica messe a contatto: si respingevano. Francesco aveva già bocciato questa sua teoria facendole notare che era lei che la spingeva e Daniela tentava solo di resisterle, per poi arrabbiarsi con lui.

“Francesco, come va il tuo studio privato?” chiese quindi Marco con la sua solita ed immancabile diplomazia che costrinse tutti a cambiare argomento.

“Be’, ancora dobbiamo trovare un modo per catturare qualche preda, sai, abbiamo bisogno di un passaparola che ci permetta di iniziare il nostro periodo di ascesa.” Rispose, sorseggiando un bicchiere di vino rosso che accompagnava la carne alla griglia che aveva preparato Elisa – fortunatamente senza l’intralcio di Daniela.

“Vuoi che ti faccia un po’ di pubblicità con qualche cliente dello studio?” propose.

“No, no, grazie. Non siamo messi così male.” Rise. Elisa sapeva che quello che in realtà voleva dire Francesco era che non accettava aiuti esterni. Se c’era una cosa che aveva capito in tutti questi anni, oltre al fatto che Francesco aveva una scorta infinita di personalità che gli donavano un’incoerenza davvero sfacciata, era che lui amava fare da solo. Gli aiuti esterni non lo entusiasmavano. Anche solo per chiedere informazioni stradali: piuttosto si perdeva.

“E tu, Daniela?” si rivolse quindi a lei.

“Tutto come sempre, Marco.” Rispose con gentilezza. “Io non mi occupo di persone con gravi problemi, sono solo lì per ascoltare i pazienti e cercare di capire la causa di certi atteggiamenti.”

“Ho avuto un cliente che ti nominò una volta.”

“Davvero? Chi?”

“Un certo Alberto Tocchi, lo conosci?”

“Oh, sì, veniva da me qualche mese fa. Poi si trasferì e cambiò studio.”

“Sì, me lo disse, infatti quello che lo portò da me fu il divorzio dalla moglie.”

“Non passavano un bel momento. Era il motivo per cui veniva allo studio. Diciamo che oltre alla moglie amava l’alcol.”

“Eli, perché non vai anche tu da Daniela per questo?” la schernì Francesco.

“Cosa?” lo fulminò seduta stante.

“Sì, dovete sapere che lei ha un’attrazione fatale per l’alcol. Soprattutto la vodka.” Spiegò agli altri.

“France!” urlò sommessa, cercando di catturare il suo sguardo per fargli capire che anche Sofia era lì con loro.

“Ma tanto è impegnata a giocare con quei cordini.” Le sorrise beffardo, sussurrando a denti stretti. “Sapete,” continuò rivolto agli altri. “Una volta, quando s’era ancora all’università, andò ad una festa e si ubriacò talmente tanto che venne sotto casa mia.” Elisa si coprì il viso con le mani. Sapeva esattamente cosa era successo quella sera. Avrebbe voluto ribattere sul motivo per cui era a quella festa e aveva bevuto come una spugna, ma per rispetto di Marco – di Daniela le fregava il giusto – stette zitta, sopportando quell’umiliazione senza aprire gli occhi. “Non si reggeva in piedi e così la portai dentro casa.” Iniziò a ridere. “Sembrava essersi calmata – perché quando Elisa si ubriaca si scatena: rutta, urla, impreca, ringhia e delle volte morde pure! – quindi me ne andai, ma non feci in tempo a fare due passi che sentii un verso davvero nauseante.”

“Ti prego… No…” piagnucolò Elisa, senza riuscire ad alzare gli occhi sugli altri presenti.

“Mi vomitò sul letto.”

Daniela non si trattenne, ridendo come se quell’aneddoto fosse stata la cosa più esilarante sentita in vita sua – Elisa in realtà sospettava che volesse solo prenderla per il culo – e anche Marco si trattenne a stento, mascherando la risata con leggeri colpi di tosse, per poi coprirsi la bocca con il tovagliolo.

“Ok, grazie per aver raccontato questa mia ingloriosa avventura,” si affrettò a dire. “Che ne dite se si cambia discorso?”

“Anche io una volta mi ubriacai al punto di vomitare.” Iniziò Marco.

“Evviva l’eleganza della serata.” Sospirò ironica Elisa.

“Ero con degli amici, stavamo tornando a casa da un locale, o almeno, così ci sembrava, sta di fatto che ci siamo trovati nel centro storico della città, davanti a quella fontana che a forma di maiale, l’avete presente? Vicino al fiume.” Francesco annuì e Elisa poteva ben capire il perché. A pensarci, poteva usare quel pensiero per riscattarsi. “Insomma, passammo lì vicino e uno disse: ‘guardate! Un maiale che vomita!’ e alla vista di quello che in realtà era il getto d’acqua che usciva dalla bocca della statua, il mio stomaco diciamo che ha avuto una reazione del tutto inaspettata, e feci altrettanto.”

“Anche Francesco ha avuto brutte esperienze con quella fontana.” Ghignò Elisa. “Una volta che si tornava da un pub le corse incontro e ci montò sopra, facendo finta di cavalcarla.”

Francesco si mise a ridere al ricordo. “E il bello fu che di lì stava proprio in quel momento passando un poliziotto!” continuò lui, rubandole la parola. “Insomma, scesi dal maiale -”

Cadesti.” Lo corresse Elisa.

“Sì, è vero, cascai nella fontana e tutto bagnato presi Elisa per un braccio e scappammo a gambe levate, mentre quel poliziotto iniziava a rincorrerci!” Le sue parole suscitarono un’ilarità generale, e Elisa l’invidiò per come riusciva a ridere sopra le sue figure di merda, cosa che invece lei non era mai riuscita – e mai ci sarebbe riuscita – a farlo. “La serata si concluse che io e Eli ci rintanammo in un viottolo, sotto un balcone, al buio. Il poliziotto passò oltre senza vederci e noi presi dall’adrenalina di quella corsa ci mettemmo a ridere poco dopo senza badare al casino che stavamo facendo durante la notte.”

“Beccammo una secchiata d’acqua da una vecchietta dal balcone sotto cui ci eravamo nascosti!” concluse Elisa, catturata da quel momento di risa.

“Sì, eravamo entrambi completamente bagnati! Anche se io lo ero di già.”

“E infatti ti beccasti una febbre da cavallo!”

“Ma tanto c’era qualcuno che si occupava di me.” Si rivolse a Elisa con il suo solito sguardo malizioso. Senza che lei se ne rendesse conto, calò il silenzio intorno alla tavola e lei si ritrovò a boccheggiare in cerca di argomenti che potessero distrarre l’attenzione di tutti, ovviamente invano.

“Mamma, ma c’è il dolce?” si intromise Sofia.

La sua voce fu come la manna dal cielo ed Elisa si promise di comprarle un nuovo pupazzo per come con quella semplice richiesta riuscì a salvarla da tutti quegli sguardi, mentre Francesco sogghignava divertito.

“Certo, chi vuole il dolce?”

“Che dolce c’è?” si informò Daniela.

“Perché, sei a dieta?” si lasciò sfuggire Elisa.

“No, io non ne ho bisogno.” Le sorrise arrogante, appoggiando il mento alle dita incrociate che teneva sul tavolo.

Elisa scivolò in cucina appena in tempo per evitare di lanciarle una forchetta dritta in un occhio, e una volta da sola sospirò di sollievo. Come gli era venuto in mente a quell’imbecille di tirare fuori in un momento come quello l’allusione a cosa era successo? Voleva forse che Marco se ne andasse immediatamente da quella casa? Be’, c’era quasi riuscito! Ci sarebbe mancato che lui raccontasse anche di come era nata Sofia! Quello sarebbe stato il massimo, pensò con sarcasmo Elisa, per poi darsi due lievi schiaffi sul viso e prendere la torta dal frigo, al richiamo di Francesco: “Sei stata inghiottita da quel dolce?”

Fortunatamente, una volta tornata a tavola il discorso precedente era già stato sostituito dai risultati del campionato americano di Basket.

“Ho visto proprio ieri una serie di replay dei canestri di Lebron James!” stava esclamando Francesco proprio in quel momento.

“Io il basket lo seguivo con Michael Jordan. Con lui, ho smesso pure io.” Confessò Marco, alzandosi per aiutare Elisa a portare la torta, non perché fosse pesante, ma la sua galanteria aveva radici profonde.

“Come si può smettere di amare uno sport solo per l’assenza di un giocatore?” lo derise Francesco. Elisa lasciò che fosse Marco a tagliare il semplice semifreddo che era andata a comprare per mancanza di tempo, e si mise ad ascoltare lo sproloquio di Francesco sul basket. Ne era sempre stato un appassionato. Forse anche troppo. Tempo fa giocava in una piccola squadra di quartiere nella sua città natale, ma dopo essersi trasferito per frequentare l’università dovette abbandonare tutto. Certe volte, sempre qualche anno fa, Elisa, passando la sera tardi dal parco vicino il fiume, vedeva dei ragazzi riunirsi per giocare a pallacanestro e più volte si era fermata a guardarli da lontano, e molto più precisamente, a guardare lui. Le piaceva la passione che metteva sempre in ogni azione, la concentrazione che accompagnava ogni passo, ogni tiro, ogni smarcamento. E più di tutto le piaceva l’espressione di vittoria che mostrava quando la palla entrava nel cesto. Si ricordò come una volta anche lui si accorse della sua presenza e le sorrise, mentre delle provocanti goccioline di sudore gli scorrevano sul collo, sulle braccia…

“Elisa, hai sentito?”

“Eh?” Francesco la stava guardando curioso, la bocca arricciata in un angolo in un mezzo sorrisetto beffardo che la fece arrossire e contemporaneamente perdere un battito. A ripensarci, Elisa si rese conto suo malgrado che non era stato solo quel sorriso a farle avere quella reazione.

“No, l’abbiamo persa.” Annunciò Francesco, suscitando una risata sommessa da parte degli altri. “Chissà per quale tangente è partita.”

“Scusate, stavo solo pensando.” Ribatté Elisa, arricciando le labbra e fingendosi offesa. Sofia ridacchiò a quell’espressione e lei non poté che scarruffarle i capelli, divertendola ancora di più. Marco poi le offrì un piatto con una piccola fetta di torta che Elisa porse alla bambina e poi accettò la sua porzione.

“Ti stavo chiedendo se ti ricordi che fine ha fatto il mio pallone da basket.” Riprese Francesco, parlando a bocca piena e mostrando tutta la sua finezza.

“Penso che sia rimasto da mia madre.” Rispose lei, dopo aver deglutito. “Sofia l’ha voluto portare da lei qualche settimana fa.”

“Sì, è da nonna!” confermò la piccola. “Ho quasi rotto un bicchiere con quello e lei me l’ha preso.” Ridacchiò, poi.

“Ah, allora ricordati di prenderlo la prossima volta, sempre che non l’abbia bucato, conoscendola.” Mormorò l’ultima parte con tono cupo e tornò ad abbuffarsi con la seconda fetta di torta.

Il resto della serata continuò con tranquillità, senza ovviamente omettere varie frecciatine di Francesco che in un modo o nell’altro riuscivano sempre a far trasalire tutti i presenti per motivi tutti differenti, ma Elisa si disse che alla fine non era stata per niente una cattiva idea organizzare una cena del genere. Dando retta al consiglio di Chiara aveva fatto conoscere Sofia a Marco e allo stesso tempo aveva sistemato le cose tra Francesco e Daniela, per quanto le desse fastidio ammetterlo.

Prima che tutti andassero via, Sofia iniziò a sbadigliare e a strusciarsi gli occhi, così Elisa la prese in braccio e si diresse verso la sua cameretta, ma dopo nemmeno un paio di passi, la voce timida di Daniela la fermò. “Non è che… Sì, posso darle anche io la buonanotte?”

Elisa avrebbe egoisticamente voluto risponderle di no, ma non sarebbe stato giusto. Daniela alla fine non le aveva mai fatto niente di male, non aveva motivo di vietarle anche una cosa del genere. Che cosa poteva accadere? Che gliela rubasse dalle mani e scappasse via? Elisa si diede dell’idiota e annuì, sorridendo, mentre Sofia insisteva per andare a letto. Con un esploit di gentilezza – forse dovuto all’influenza indiretta di Marco – Elisa le fece prendere in braccio Sofia, che effettivamente avrebbe preferito non essere passata come un oggetto da una persona all’altra, perché si lamentò sbuffando, ma una volta tra le braccia di Daniela si calmò di nuovo e la donna la teneva quasi come se fosse la cosa più fragile avesse mai avuto tra le mani. Entrarono nella sua piccola stanza e lei si sedette sul letto con la piccola in braccio, mentre Elisa cercava il pigiama da metterle.

“Mamma, non voglio lavarmi i denti oggi.” Borbottò Sofia, comodamente tenuta da Daniela.

“D’accordo, tesoro, per oggi facciamo un’eccezione.” Sospirò sorridente lei, tornando da loro. Prese nuovamente Sofia e la fece stare in piedi sul letto, mentre le sfilava la maglia e i pantaloni.

Una volta cambiata, la bambina gattonò fino ad infilarsi sotto le coperte, lasciando che Elisa e Daniela le dessero la buonanotte con un bacio sulla fronte. Quando poi loro stavano per uscire, Sofia le fermò. “Mamma, ma Daniela poi torna?”

Elisa rimase qualche istante interdetta. La sua mente venne proiettata in un futuro in cui quella donna avrebbe avuto libero accesso a quella casa e a Sofia; si vedeva in un angolo a guardarle giocare. Non le piaceva per niente quella prospettiva, ma la risposta pronta di Daniela, fortunatamente, l’allontanò da quei pensieri masochistici.

“Mi farebbe piacere. Vedremo.” E le sorrise, aspettando che Elisa uscisse per prima, per poi seguirla e raggiungere Marco e Francesco, che nel frattempo avevano traslocato sul divano, poco distante. Senza alcun ritegno, Daniela si accoccolò contro Francesco, e Elisa ci mise la mano sul fuoco che Marco, vedendo una scena come quella, si stava rilassando. Anche lui l’abbracciò e lei si lasciò avvolgere dal suo braccio muscoloso. Sembravano tutti e quattro tornati all’età adolescenziale, in cui tutte le coppie volevano far vedere di essere tali, come se volessero in un certo senso marcare il territorio, ed Elisa dovette ammettere che quell’abbraccio era decisamente meglio di quelle frecciatine ambigue ed enigmatiche che più volte Francesco, qualche anno fa, le rivolgeva, quindi, seguendo l’esempio spudorato di Daniela – anche se con un po’ più di dignità e pudore – si appoggiò a Marco, lasciandosi cullare dal suo respiro caldo e costante.

_________________________

Come al solito sono puntuale come un orologio scassato, però aggiorno, eh!

Be', che dire? La cena è andata, Francesco e Daniela sembrano felici e lo sono anche Elisa e Marco. Tutto sembra procedere bene! E qui casca l'asino, perché sennò non ci sarebbe storia ;) Allora, gente, voi che vi aspettate? Cosa succederà a questo punto, che tutto pare rosa e fuori? - e lo sembrerà anche per altri due o tre capitoli, sebbene seminerò qualche briciola di pane che le menti più acute potranno individuare senza troppi problemi.

In questo aggiornamento, inoltre, avete visto un'allusione al primo capitolo, anche se ancora non viene spiegato niente di niente. Eh, be', tutto sta nello spiegare cosa è successo in passato tra Francesco e Elisa - e cosa succederà. Sotto con le ipotesi! Ovviamente hanno avuto una bambina, quindi... Insomma, qualcosa hanno fatto! ;) Ma chissà cosa prevede questo "passato" che certe volte spunta fuori, altre volte no... Eh, via, non resta che continuare a seguire i vari (e lenti) aggiornamenti!

Ah, vi annuncio una piccola chicca: molto probabilmente con la chiusura di questa storia, inizierò a pubblicare "23 - Twenty-three", ovvero il prequel (?), non so nemmeno come si scriva XD In pratica mi piacerebbe affrontare il periodo in cui Elisa e Francesco si sono conosciuti e come le cose si sono evolute tra loro. Potrebbe essere un'impresa immensa e senza fine, ma incrociamo le dita!

 

Ok, e dopo tutte queste news che immagino freghino il giusto, vi saluto gente!

Ringrazio mary028 per il commento che ha lasciato - sappi che anche io vorrei che succedesse una cosa del genere! Non sai che tristezza dover scrivere tutt'altro, seguendo ciò che mi sono prefissata per la trama! E... grazie! :) - quindi ringrazio anche  tutti quelli che hanno messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate/odiate/fritte/impanate e vi saluto!

 

Alla prossima!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII ***


Francesco era già andato a letto

Francesco era già andato a letto da un po’, forse per farli rimanere soli o forse per la stanchezza, e dopo aver salutato magicamente Marco, Elisa lo raggiunse in camera. Era come suo solito stravaccato per niente elegantemente sul letto, supino, il torso rigorosamente nudo, proprio come amava stare nonostante le temperature autunnali. Lo guardò per quell’istante di troppo che solitamente riservava a Marco, così si impose di distogliere lo sguardo ed andarsi a cambiare. Si infilò, quindi, la maglia a mezze maniche dei Muse – il suo gruppo preferito – e andò in bagno per lavarsi e togliersi le lenti che correggevano la sua miopia. Prima di infilarsi sotto le coperte si ricordò che il giorno dopo aveva appuntamento con i Bernardi nel pomeriggio, perciò sarebbe stato saggio almeno dare un’ultima occhiata ai documenti di cui avrebbero dovuto discutere. Spense la luce grande e accese la lampadina dell’abat-jour. Lanciò un’ultima occhiata alla sua sinistra e osservò il torace ben delineato di Francesco alzarsi ed abbassarsi con un ritmo lento. Quante volte l’aveva visto così e quante volte il suo cuore perdeva un battito nel ricordare quello che c’era stato tra di loro? Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Forse, ma Elisa non faceva niente per allontanarlo dai suoi occhi, anzi… Certe volte quasi lo cercava, come se volesse la conferma che lui fosse ancora lì, affianco a lei. Quei giorni, però, stavano diminuendo. Quasi due volte ogni settimana lui si fermava a dormire da Daniela e in quei giorni Elisa sentiva la sua mancanza come non mai. Sì, non si vergognava a dirlo: dipendeva da lui, ma non nel senso che tutti avrebbero pensato sentendoglielo dire, dipendeva da lui perché lui c’era sempre stato in tutti i suoi momenti più importanti di quella sua nuova vita da madre. Lui era sempre stato al suo fianco, l’aveva aiutata, l’aveva consolata… E, Elisa poteva almeno pensarlo, l’aveva amata. Tuttavia, da quando c’era Daniela, lei lo sentiva più lontano. E non era vero, perché lui era sempre lì fisicamente, viveva ancora con lei, eppure quel senso di abbandono, o meglio, quella paura, non riusciva proprio a scacciarla dalla mente.

“Ehi, alla fine sei riuscita a venire.” La voce calda e roca di Francesco la fece sobbalzare per lo spavento, come se fosse stata beccata a commettere uno dei più grandi tabù del mondo – che in quel momento si poteva riassumere in “fissare sfacciatamente Francesco”.

“Sì.” Annuì, voltando bruscamente la testa dal suo corpo nudo accanto a sé. Lui non la stava guardando, ma sembrava come se potesse vedere anche attraverso le palpebre che erano calate pesantemente sui suoi occhi.

“Ti sei divertita stasera?” Le chiese, il tono sempre troppo eccitante. Elisa si diede della stupida: possibile che riuscisse a fare certi pensieri perversi anche se aveva per sé un uomo attraente come Marco? Poi sospirò. Che poteva farci lei se Francesco era schifosamente attraente anche se gli avessero messo addosso un grembiulino rosa fotonico e un vestitino da zitella acida? Che fosse nudo, vestito, a pois, Francesco aveva un fascino irresistibile.

“Sì.”

“Sei capace di elaborare una risposta un po’ più sofisticata?” la schernì ridacchiando.

Elisa si voltò di scatto per rispondergli per le rime e colpirlo con il fascicolo che aveva in mano, ma i suoi occhi verdi puntati contro di lei con quell’aria divertita la immobilizzarono.

“France, ti odio quando fai così.” Soffiò, tornando sui documenti.

“Lo so.” Rise. “Ma mi piace vederti in difficoltà.”

“Quante volte me l’avrai detto? E quante volte ti avrò risposto sempre la stessa cosa?”

“Troppe, infatti non ti ascolto più.”

“Sospettavo una risposta del genere.”

“Insomma, mi sembra che la serata sia andata molto bene, no?” cambiò discorso, mettendosi su un fianco e guardandola, reggendosi la testa con una mano.

“Sì, pensavo peggio.”

“Pensi sempre troppo, tu. Dovresti rilassarti. E sai cosa? Secondo me dovremmo rifarla.”

“Lo dici per Daniela?” si era fatta stupidamente seria.

“Anche.” Lui invece non mostrava il minimo interesse a quel suo cambiamento e Elisa pensò fosse dovuto al fatto che ormai Francesco era fin troppo abituato ai suoi cambiamenti d’umore nei confronti di quella donna.

“Ti ha detto che le è piaciuta?”

“Già, era felicissima di aver conosciuto Sofia. Pensava che una cosa del genere non sarebbe mai successa, se non passando sul tuo cadavere.”

Quindi la bella psicologa mi voleva morta, pensò sarcastica Elisa, mentre soffiava un’amara risata.

“Bene, vedremo.”

“Tu pensi che a Marco farebbe piacere rivederla?”

“È probabile.” Non volle sbilanciarsi per non essere poi costretta ad ammettere che per far felice lui, avrebbe dovuto far felice anche Daniela, ma ancora una volta si trovò a darsi della stupida, cercando di far prevalere la parte razionale su quella irrazionale. Lei era la madre di Sofia, perché avrebbe dovuto temere che quella donna bionda potesse prendere il suo posto? Daniela l’aveva vista solo quella volta, Sofia era cresciuta con lei, invece. I suoi timori erano totalmente infondati. Se lo ripeteva spesso come se fosse un mantra, ma c’era sempre un bagliore di paura che ogni tanto faceva capolino ogni volta che il pensiero di Daniela si avvicinava a quello di Sofia.

“Non trovi che una serata tranquilla come questa possa accontentare un po’ tutti?”

Per quanto ti riguarda, forse. L’avrebbe voluto dire sentitamente, ma si trattenne. Non era quello che Francesco si aspettava da lei. Non rispose al ragazzo, rimase in silenzio falsamente concentrata sui documenti che gli occhi nemmeno percepivano, presi com’erano a non voltarsi verso di lui.

Ogni tentativo di mantenersi calma e rilassata però venne vanificato da quelle labbra calde e umide che si posarono delicatamente sulla sua guancia. Non solo il cuore le saltò in gola, presa alla sprovvista, ma anche il fiato la tradì.

“Grazie per come ti sei comportata con Daniela.” E si accoccolò contro si lei, abbracciandola per la vita con un braccio. Certamente, non era la prima volta che succedeva, Francesco usava trattarla così ogni volta che era felice di qualcosa, che voleva ringraziarla, ma quei momenti in quel periodo erano diventati così rari che quando avvenivano erano qualcosa di unico. Elisa si sentiva come riportata all’intimità passata, alla sensazione di essere amata in un modo o nell’altro da Francesco, proprio come quando la loro pseudo-storia era iniziata.

Lei gli passò una mano tra i capelli corvini ed indubbiamente spettinati e giocò con una ciocca, sapendo quanto lui amasse quel genere di coccole. Sorrise nel vederlo così serafico, certe volte era proprio un bambino. Un bambino particolarmente seducente, però. Senza ombra di dubbio, se Marco avesse visto quella scena, sarebbe andato su tutte le furie e lei avrebbe subìto per la prima volta la sua furia incontrollata, ma lei non gliel’avrebbe detto, perché se Marco era l’uomo che lei amava, Francesco era ormai una parte di lei, e Elisa non avrebbe mai potuto farne a meno.

 

***

 

“Elisa, tesoro, tu devi smetterla di dormire abbracciata a Francesco!” Chiara non voleva sentire scuse. Le aveva sempre ripetuto fino alla nausea cosa pensava della loro situazione e tutte le volte Elisa aveva smentito contando sulla carta che lei non avrebbe mai capito quello che veramente c’era tra loro.

“Chiara, piantala, dai. E poi è successo solo ieri sera!”

“E anche il mese scorso e se non sbaglio anche la settimana prima.” Sbuffò l’amica, sedendosi sulla scrivania.

“Invece con Roberto come va?”

“Il tuo tentativo di cambiare discorso è fallito miseramente, carissima. Lasciatelo dire, con me non hai speranze, finché non mi dici tutto di ieri sera, io non mi schiodo da questa scrivania, nemmeno quando arriveranno Cristina e Giacomo.”

“Sai che bello lavorare con te che mi copri mezzo schermo del pc e stai seduta sul mouse.”

“Appunto, avanti, sputa il rospo.”

“Non è successo niente di che, davvero.” Elisa si appoggiò alla spalliera imbottita della sedia. “Abbiamo parlato, ho rischiato di colpire volontariamente Daniela con ogni oggetto contundente che avevo a portata di mano, Francesco mi ha ringraziato invece per tutto il resto che le ho permesso di fare con Sofia,” iniziò ad elencare sulle dita, guardando il soffitto come per fare mente locale di tutto quello che era successo. “Marco ha chiacchierato – potrei aggiungere finalmente tranquillamente – con Francesco, abbiamo parlato delle nostre avventure di vomito e alcol, France non perdeva occasione di farmi impallidire davanti alle sue battute, Sofia -”

“Eli, ti sei resa conto che hai nominato Francesco ben tre volte all’interno di un discorso?”

“E allora?”

“E allora basta! Vai via di casa, vai a vivere da Marco!” sbottò Chiara, indicandola pericolosamente con la stilografica che le aveva regalato lei stessa per il compleanno scorso.

“Ma non è successo niente.” Chiara sembrava non voler capire.

“Per ora!” continuò imperterrita lei. “Ma prima o poi finirete di nuovo a fare sesso, e questa volta non sarà solo la storia del nostro bel Vanni a finire, ma anche la tua.”

“Ma noi non andiamo più a letto insieme da anni.”

Chiara finse un colpo di tosse decisamente troppo marcato per apparire reale e la guardò saccente. “Allora devo aver sentito male quando mi raccontasti del suo scorso compleanno, oppure della volta che glielo chiedesti tu? Oppure quando -”

“Sì, ok, ho capito.” Mise le mani avanti. “E lo so anche io che è successo più volte in questi anni,” sospirò Elisa. Sapeva che se dava corda a Chiara, si sarebbe presto ritrovata sommersa da una valanga di parole e accuse contro la sua situazione. Questo non voleva dire che Chiara fosse arrabbiata in un qualche modo con lei, anzi… Lei voleva solo il suo bene, gliel’aveva detto più volte, per questo cercava di spronarla a lasciare quella complicata faccenda di Francesco Vanni alle spalle. “Ma da quando sto con Marco non è mai successo niente.”

“Ok, ma se succederà, non venire a piangere.”

Elisa la guardò tra il dolce e l’esasperato.

“Ma lo sai che scherzo!” rimediò Chiara. “Io ci sarò sempre per te, tesoro!” le saltò addosso con la sua solita foga.

“A parte con Roberto.” La rimbeccò scherzosamente Elisa. Prima di essere marito di Chiara, Roberto si vedeva con lei, e l’aver scoperto che aveva il piede in due staffe fu una ragione più che valida per mollarlo seduta stante. Ciò nonostante lei e Chiara non si parlarono per un mese intero, ma poi si costrinsero a chiarirsi e tutto tornò come prima, anche perché lei nel frattempo aveva iniziato a vedersi con un altro.

“Guarda, non parliamo di Roberto, per piacere.” Sbuffò l’amica, tornando a sedersi composta sulla scrivania.

“Ancora nessun progresso?”

“Per niente. L’altro giorno avevamo iniziato a parlare, ma sua sorella ha chiamato come sempre nel momento più sbagliato – io non so come faccia quella donna! È sempre pronta ad intervenire quando meno lo richiedi!”

“Troverete un’altra occasione, dai.”

“Lo spero bene, Eli.” Sospirò Chiara. “Sono due anni che stiamo insieme e quasi uno che siamo sposati… Sai, dicono che molte coppie non arrivano al secondo anno di matrimonio.”

“Non iniziare a fare certi discorsi, eh!” la minacciò Elisa. Sebbene le sorridesse, sapeva che la questione in realtà era molto seria.

“Ehm, se volete, torniamo più tardi.” La voce di Giacomo Bernardi le fece voltare quasi di colpo.

“Oh, no, ma figurati!” esclamò Elisa, buttando giù dalla scrivania l’amica, che salutò i due clienti e si sistemò più diligentemente affianco a lei. “Stavamo parlando mentre vi aspettavamo, niente di che. Prego accomodatevi.”

“Grazie.” Cristina, con la sua impeccabile eleganza, si sedette su una delle due sedie poste di fronte alla scrivania di Elisa e ascoltò in silenzio, mentre Elisa esponeva le ultime novità sul progetto. Aveva controllato fino all’una di notte quei documenti che Pietro le aveva rifilato con la scusa di appurare che tutte le sue idee fossero in regola – e Francesco le aveva più volte mormorato che avrebbe dovuto mandare in culo Orlandi e tutto il suo studio – per poi dare un’ultima occhiata quella mattina. Era stato un lavoro lungo, noioso ed estremamente stancante, ma una volta controllato tutto, Elisa si poté ritenere più che soddisfatta: questa volta Pietro non avrebbe potuto criticarle niente.

“Be’, immagino che così vada più che bene, no?” le sorrise Giacomo. Era incredibile come quell’uomo riuscisse a mantenere il buon umore nonostante le innumerevoli modifiche che Pietro aggiungeva senza ritegno ad ogni revisione del progetto.

“Certamente. Ho controllato personalmente ogni cosa, ogni foglio… Tutto è a norma. Dovremo essere pronti per preparare il cantiere.” E con una stretta di mano riconoscente, i Bernardi si affidarono nuovamente alla sua esperienza, facendo accrescere l’autostima e il coraggio in Elisa per andare ad affrontare una volta per tutte Pietro Orlandi.

 

***

 

“Fede! Dove hai messo le carte?”

Una ragazza rotondetta entrò nella stanza sbuffando, mentre con lo sguardo squadrava chi l’aveva appena chiamata. “France, che vuol dire quel tono accusatorio?”

“Fede, le carte fino a stamattina erano qui.” Sospirò lui, indicando il tavolo vicino alla sua scrivania. “Dove le hai messe?”

A posto.” Gli sorrise irritata. “Non è quello il posto per le carte del territorio. E lo sai.”

“Ma mi servivano! Non le avevo messe a posto perché tanto le avrei riprese in mano.”

“Be’, non mi sembrava che fosse tua intenzione, visto che a distanza di un paio d’ore erano ancora lì.”

“Su, su, ragazzi, calma!” Gianluca era puntuale come un orologio svizzero ad intervenire nelle questioni che sarebbero degenerate di lì a poco, riuscendo sempre a trovare una soluzione. “Fede, a distanza di due ore uno può anche non usarle, non le paghiamo mica a tempo. E France,” gli passò una mano intorno alle spalle. “Lo sai com’è fatta Federica, non puoi tutte le volte andarle contro.”

Indubbiamente quella sorta di ramanzina non riusciva a celare la risata che piano piano gli stava uscendo dalle labbra, proprio come a Francesco e di conseguenza a Federica. Quei battibecchi erano all’ordine del giorno, oltre che il loro modo di comunicare. Dopotutto erano giovani, si conoscevano da anni e non riuscivano a stare mezzo minuto in silenzio senza stuzzicare chi avevano vicino, proprio come stava facendo Francesco con Federica in quel momento.

“Vi ho sentito, brutti idioti.” Fede fece una linguaccia ad entrambi e si infilò nel magazzino, uscendone con due rotoli di carta che posò sul tavolo di Francesco. “Ecco le tue carte, bello.” Gli fece l’occhiolino. “E mettile a posto dopo!” lo indicò truce con un dito cicciottello, mentre spariva in direzione di Nicola, sulle note della solita solfa: “Fede, dove hai messo la stampa del prospetto che avevo lasciato sulla scrivania?”

“Hai sentito Corrado Rossi?” chiese Gianluca a Francesco, sedendosi sulla propria sedia davanti al pc acceso.

“No, sapevo che se ne doveva occupare Nicola. Non era lui che un paio di giorni fa disse che l’avrebbe chiamato?” imitò l’amico e si sedette a sua volta alla sua postazione, muovendo il mouse per tornare a sistemare alcuni dettagli sul progetto che aveva riproposto al computer. Aprì le carte del territorio e digitò le informazioni necessarie mentre Fede tornava nella loro stanza sbuffando.

“Nicola dice che non trova più la sua stampa.”

“E scommetto che questa volta non l’hai nemmeno toccata.”

“È chiaro!” protestò Federica, crollando sul piccolo divano di eco-pelle alla parete della stanza. “Se l’avessi preso, saprei esattamente dove potrebbe essere.”

“Ah, Fede, sai se Nicola ha sentito Corrado Rossi?”

“Eh? Boh.” Alzò le spalle. “So solo che aveva detto che doveva chiamarlo.”

“Nico!” Francesco chiamò l’amico dalla sua stanza e un’esile figura bionda e barbuta – tanta barba almeno quanti pochi capelli – fece capolino con un’espressione tra il frustrato e l’esasperato. “L’hai chiamato il signor Rossi?”

“Cazzo!” si batté una mano sulla fronte, serrando gli occhi. “Scusate, ragazzi! Me lo sono completamente dimenticato! Stavo facendo questa stampa del cavolo – che non trovo nemmeno più – e proprio mi è passato di mente!”

“Come al solito, Nico.” Lo derise Fede, alzandosi e oltrepassandolo. “Tranquillo, dai, ci penso io.”

“Grazie, Fede! Sei un angelo!” le andò dietro lui, scomparendo di nuovo oltre il muro.

“Certo, certo, solo quando non tocco le tue cose.”

“Ovvio.”

“France, tempo fa avevo fatto uno schizzo ad una tizia, Lorena qualcosa, hai più avuto sue notizie?” Gianluca era tra tutti e quattro il più serio, non certo serio in quanto personalità, ma sul lavoro non ce n’era per nessuno. Era stata sua l’idea di mettere su quello studio, lo studio di Architetti Quadri – estratto a sorte tra varie proposte e che loro spiegavano come se fosse il nome del fondatore – e per questo si sentiva tra tutti il più responsabile dell’insufficienza sul lavoro. Più volte Francesco gli aveva detto di non preoccuparsi, che avevano solo bisogno di agganciare i clienti giusti, e tutto veniva con il tempo, ma lui, per quanto annuisse e lo ringraziasse delle sue parole, continuava a impegnarsi oltre ogni limite. E a vederlo così attivo, anche gli altri non riuscivano ad essere da meno.

“Lorena Guerrini?” Gianluca annuì. “Niente di niente.” Sorrise amareggiato. Gianluca certe volte contava un po’ troppo sul suo fascino per accalappiare clienti belle, giovani e ricche, ma anche Francesco aveva una reputazione da mantenere e finché era libero, poteva anche scegliere di flirtare con loro, ma ora che era impegnato doveva darsi una calmata, e infatti quella Lorena non si era più fatta viva.

“E Daniela Lombardi ha più chiesto niente?” lo guardò malizioso. Francesco aveva conosciuto Daniela durante un appuntamento proprio in quello studio perché lei faceva le veci del suo capo, che voleva rivedere il progetto dell’edificio in cui lavorava per poterne apportare delle modifiche. Era stata la sua caduta all’uscita (quando lui l’accompagnò alla porta e lei, per farsi vedere per niente toccata dai suoi sorrisi provocanti, non vide lo scalino, cadendo senza la minima grazia per terra) che li avvicinò più di quello che sarebbe successo normalmente.

“Certamente! E tu sapessi quello che mi chiede.” Quella sua risposta satura di altrettanta malizia riuscì a strappare una grassa risata all’amico, che si distrasse dai suoi oneri e venne convinto a intrattenere qualche chiacchierata più spontanea.

“Hai detto che Elisa l’aveva invitata a casa vostra. Come è andata?”

“Molto bene, Dani era entusiasta. E Eli è stata fantastica, anche se certe volte le si leggeva un’occhiata di fuoco verso di lei.” Ridacchiò, ripensando a come durante la cena ogni tanto si lanciavano battute velenose reciproche. “Ma penso che non si possa chiedere di più per ora.”

“Be’, però anche tu ci stai mettendo del tuo per non far ingranare la storia.”

“E che dovrei fare più di così?” fece spallucce. “Cercare di accelerare le cose mi sembra eccessivo. E poi non voglio.”

“No, no, non dico questo.” Lo guardò più serio del dovuto e Francesco capì all’istante dove volesse arrivare.

“Ah, no, non chiedermelo nemmeno. Sai come la penso al riguardo.”

“E infatti non te lo chiedo proprio perché lo so.” Gli sorrise quindi. “Quello che vorrei chiederti è altro.”

“E cosa? Sentiamo.”

“Ti va bene così?”

“Che razza di domanda è?” inarcò un sopracciglio sospettoso, ridacchiando perplesso, mentre fissava l’amico, che si passò una mano tra i fitti ricci castani con lieve imbarazzo.

“Continuare a vivere con Elisa e Sofia, ed avere Daniela. Ti va bene così? O vorresti altro?”

“Immagino che la tua vena drammatica ne risentirà, ma ti assicuro che mi va bene così.”

“Sicuro?”

Francesco annuì coscienzioso. “Elisa ha Marco, io sono decisamente di troppo. Per questo ho Daniela.”

Lo squillare del telefono troncò la replica di Gianluca sul nascere e Francesco si scoprì quasi sollevato da quell’interruzione. Mentre l’amico prendeva accordi per un appuntamento con un certo signor Ferretti, Francesco tornò al suo schermo nero con il progetto colorato ben visibile al centro; tuttavia, invece che il solito ronzio delle voci degli amici di sottofondo, le sue orecchie erano come ossessivamente piantate ad ascoltare quelle parole che ormai aveva in testa: “Ti va bene così?”

____________________

Rullo di tamburi, gente: tururururururururu

 

Ta-daan! Here I am! Eh, era davvero un bel po' che non mi facevo più viva, vero? Purtroppo lo studio ogni tanto deve avere priorità su tutto il resto...

Bene, che dire di questo capitolo? Diciamo che un po' più "movimentato" lo è. In pratica succede poco, però ve lo devo dire, scrivere scene con il gruppo di amici di Francesco è bellissimo! Tutte le volte che leggo l'ultima parte di questo capitolo, mi sento decisamente soddisfatta! C'è tutta un'idea dietro questi quattro ragazzi, ognuno con una propria personalità, con un loro aspetto fisico - ovviamente! - ma tutti e quattro pazzi! Pazzi, pazzi come potrebbero essere quattro ragazzi rimasti a vivere i loro vent'anni. Non che questo debba essere preso come segno di immaturità, io ho voluto anzi sottolineare la loro spensieratezza, la loro voglia di divertirsi. In un certo senso, la loro voglia di non crescere. Sono un po' tutti degli eterni Peter Pan ;) Mi piace molto questa caratteristica in una persona, quindi ho voluto suddividerla tra loro.

... Rileggendo, mi faccio paura per quello che scrivo! Fondamentalmente non avevo mai messo così in chiaro le caratteristiche di questi quattro scemi! :)

Ok, via, forse è il caso di piantarla con queste riflessioni un po' troppo astratte. Ringrazio, quindi, killyourself per aver commentato il capitolo precedente, sperando che la prima parte di questo aggiornamento, almeno un minimo, ti abbia accontentato! Ti dirò, anche io smanio nello scrivere scene come quelle!

 

E ora, gente... Bye bye! Al prossimo capitolo! ;)

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX ***


Nuova pagina 1

“Chiara, sta arrivando l’Orlandi Senior!” Caterina, spettegolatrice cronica e faccia-da-schiaffi patentata, la superò velocemente con chioma bionda ossigenata scarruffata e le sue tipiche labbra truccate di un rosso così acceso da oscurare totalmente il colore degli occhi. Si rifugiò composta e stranamente attiva alla sua scrivania, mentre il passa parola avveniva a velocità supersonica, creando il panico generale.

“Cosa succede?” chiese Cristina.

“Sta arrivando Luciano Orlandi, il capo dello studio.” Spiego Elisa, scacciando Chiara dalla scrivania. “Viene solo un paio di volte al mese, guarda che tutti si lavori nel migliore dei modi, fa un discorso di incoraggiamento e poi si rinchiude nella stanza di suo figlio per parlare di non si sa bene cosa.”

“È una sorta di rituale mensile, insomma.” Ridacchiò Chiara, sgusciando sulla sua poltrona e accendendo il computer.

“Ah, ma noi…?”

“No, tranquilli.” Sorrise loro Elisa. “Anzi, se rimanete forse farete fare più figura a tutti noi. Orlandi potrà così vedere che lavoriamo.” Ridacchiò.

“D’accordo.” Giacomo si sistemò più comodo sulla sedia e tornò quindi ad osservare le carte con planimetrie, prospetti e sezioni che Elisa stava mostrando loro, in modo da mettere a punto ogni minimo dettaglio e partire definitivamente con la richiesta del cantiere. Cominciarono dalla pianta del pian terreno e lessero tutte le quote della casa, facendo caso ai vari aggetti perché fossero precisi al millimetro. Elisa aveva detto ai Bernardi che volendo era un lavoro che poteva benissimo fare da sola con altri assistenti – purché non fossero Emanuele Rossini e Antonio Della Rosa ma i due neo-sposini sembravano essersi affezionati a lei proprio come amici, e le chiesero di restare un po’ per curiosità, un po’ per aiuto.

“Gente, forza, lavorate!” esortò Lorenzo Puccini, un urbanista che come compito principale aveva quello di catalogare tutte le varie modifiche ai progetti, una sorta di schedario umano, niente a che vedere con la sua laurea più che sudata e meritata.

Come per magia, il silenzio si impossessò quasi violentemente del grande ambiente riempito da qualche scrivania qua e là, sistemata a scacchiera sotto rigido ordine del grande capo. Con il passare del tempo, sebbene la tensione non fosse minimamente diminuita, dei passi si facevano sempre più rumorosi. Era strano come quell’uomo potesse mettere in agitazione, ma Luciano Orlandi era conosciuto come una persona dalla pazienza inesistente e dalla lingua tagliente, e in sua presenza il lavoro era più precario che con la supervisione di Orlandi Junior.

La maniglia della porta ruotò e comicamente tutti trattennero il fiato. Un uomo basso e grasso, dall’aspetto però vivace e quasi simpatico, entrò ballonzolando, come se fosse contento di questa sua visita improvvisa, che ovviamente aveva avuto le sue soffiate. La porta si chiuse dietro di lui per la molla installata allo stipite e Pietro, quasi attirato fuori dal suo studio per l’innaturale silenzio nello studio, andò incontro al padre, accogliendolo con un caloroso sorriso.

“Papà, come vedi, tutto procede a meraviglia! Proprio come ti avevo detto al telefono.” Elisa ci avrebbe messo la mano sul fuoco: Luciano Orlandi metteva ansia anche al figlio. Era chiaro come il sole da come Pietro si era dimostrato stranamente così allegro e accondiscendente verso tutte le timide richieste dei suoi collaboratori mentre il padre faceva il suo tipico giro tra le scrivanie.

“E loro?” Elisa non dovette nemmeno aspettare l’accenno di Chiara che subito sintonizzò le orecchie verso i due uomini alle sue spalle. Era palese che stessero parlando di loro, visto che ad ogni passo il tono dei due aumentava e si faceva più nitido.

“Papà, loro sono Giacomo e Cristina Bernardi. Sono qui per discutere sulla costruzione della casa che -”

“Bernardi, avete detto?” lo interruppe il padre senza il minimo ritegno, rivolgendosi a Giacomo e Cristina, che lo stavano guardando senza capire bene quale espressione utilizzare in sua presenza e davanti ad una domanda del genere.

“Sì.” Rispose quindi con più neutralità possibile, Giacomo.

“Siete parenti di Domenico Bernardi?” Continuò.

“Sì, è mio padre.”

“Oh!” esclamò tutto rallegrato. “Ma allora io ti conosco!” stava ormai parlando solo con Giacomo. “Ti ricordi di me?”

Il ragazzo tentò di ricordare, fissando l’uomo con attenzione, ma dalla sua espressione era palese che quella fisionomia non gli dicesse niente.

“Sì, ragazzo! Ora quanti anni hai? Trenta?”

“Trentadue.”

“Santo Cielo, come sei cresciuto! Mi ricordo che quando tuo padre lavorava in banca eri alto più o meno così!” e misurò all’incirca un metro da terra. “E vedo che ti sei anche sposato.” Occhieggiò curioso anche Cristina, che gli sorrise nella sua timidezza. “Come sta tuo padre?” tornò subito alla carica con le domande, senza nemmeno dargli il tempo di rispondere con un misero monosillabo.

Elisa, intanto, si stava guardando intorno sentendosi osservata, e infatti poté notare gli occhi di tutti puntati alla sua scrivania, soprattutto ai suoi clienti, che sembravano essere stati presi sotto l’ala protettiva del grande capo. Ovviamente Della Rosa e Rossini stavano in un angolo a crepare d’invidia: la loro sfacciataggine nel leccare culi non aveva potuto niente contro l’incontro inatteso a cui tutti stavano assistendo, ed Elisa dovette ammettere che questa situazione le sembrava avere un retrogusto dolce, come se fosse arrivata anche per lei il suo riscatto, il suo lasciapassare per un qualcosa di più grande e soddisfacente.

“Mi lasci dare un’occhiata al progetto.”

Elisa non fece in tempo a contemplare e crogiolarsi nei suoi sogni di gloria, che la voce biascicata per la pappagorgia e l’abbondante grasso che ricopriva il suo collo – facendolo quasi scomparire dalla vista – la riportò quasi bruscamente alla realtà. Luciano Orlandi l’aveva sfrattata dalla sedia quasi come se lei fosse parte dell’arredamento. Aveva preso il suo posto sulla poltrona e ora si stava rigirando le tavole con tutte le indicazioni della futura casa tra le mani, mormorando parole incomprensibili e storcendo certe volte il naso.

“Pietro, ma qui perché -”

“Il lavoro è stato affidato a Elisa De Angelis, papà.” Intervenne prima che l’uomo potesse dire altro. Pietro afferrò Elisa per un braccio e l’avvicinò al padre, che la guardò quasi come se fosse stata una piccola e fastidiosa mosca.

Da dietro la spalla dell’Orlandi Senior, Elisa poté vedere Chiara che tremava dalla rabbia, perché ovviamente anche lei aveva compreso il motivo di tanta pubblicità al suo lavoro: salvarsi il culo nel caso qualcosa fosse andato storto. E infatti così successe: “Signorina De Angelis, ma lei ce l’ha una laurea?” il tono non prometteva niente di buono, era come se lui le si rivolgesse con aria di sufficienza, del tutto disinteressato a qualunque risposta lei gli avesse dato, perché lui aveva già idealizzato che tipo di persona Elisa poteva essere, senza nemmeno pensare di parlarle per conoscerla. Era questa una delle tante caratteristiche della famiglia Orlandi che lei di più odiava, insieme all’innaturale percezione di sé stessi come Dèi scesi in terra.

“Certo,” rispose diplomatica lei.

“Quindi è un architetto?” era quasi riluttante.

“Sì.”

“E non le è venuto in mente di creare una forma un po’ più armonica, un po’ più sinuosa per questa casa?” L’accusa l’aveva trafitta proprio in pieno petto. Dopo settimane di lavoro per cercare di accontentare Pietro e tutte le sue astruse richieste, dopo giorni di lavoro per cercare di andare incontro anche alle esigenze dei Bernardi, ecco che i suoi sogni di gloria si sfracellavano al suolo in tanti minuscoli frammenti al suono di quel rimprovero.

“Be’, veramente, signore,” tentò di spiegare. “Ci sono state molte divergenze sulla struttura dell’edificio, ma abbiamo tutti pensato che questa soluzione potesse essere -”

“No, io qui,” e afferrando una penna dalla tazza, regalo di Sofia che Elisa teneva orgogliosa sulla scrivania, circondò tutte le finestre. “Io metterei qualcosa di più luminoso.” E subito partì con degli esempi troppo filosofici per parere reali. “S’immagini lei stessa la mattina: lei scende in cucina per fare colazione, e invece del buio, cosa trova ad attenderla? La natura. La natura, signorina! Le finestre vanno ingrandite, permettendo così alla natura di entrare all’interno dell’abitazione, di renderla più calda, più accogliente.” Elisa rimase imbambolata davanti a quella teoria un po’ troppo eccentrica per i suoi gusti, avrebbe tanto voluto rispondergli che la casa sarebbe dovuta sorgere alla periferia della città, in un lotto di terra già esistente e compreso tra altre due villette, quindi la storia della natura era relativa, visto il contesto urbano che si sarebbero trovati intorno. “E anche qui, ma dai!” fece con tono quasi scandalizzato. “Ma che rapporto è questo per degli scalini! Sono troppo bassi!”

Elisa si morse un labbro. Aveva trovato una soluzione egregia, a suo parere – e anche secondo i Bernardi. Anche Pietro alla fine gliel’aveva approvata, ma ora quell’uomo che quasi si sarebbe fatto prima a saltarlo che a girargli intorno – come da sempre lo aveva definito Chiara – le stava rivoluzionando ancora una volta tutto il progetto. Si sentì quasi mancare quando pensò che pochi minuti fa era riuscita a farsi approvare tutto da Pietro, riuscendo così a compilare i moduli che sarebbero serviti per iniziare a creare il cantiere per la costruzione.

L’Orlandi Senior segnò sia sui prospetti che sulle sezioni – oltre indubbiamente che sulle piante – tutta una serie di errori che avrebbero necessitato una correzione perché a suo parere, creando altre strutture, in certi punti “doveva succedere qualcosa”, proprio come erano soliti dire tutti i professori di progettazione. “Doveva succedere qualcosa”, ma cosa? Lui le aveva rovinato totalmente il lavoro di intere settimane, se non mesi, e ora si divertiva anche a fare l’enigmatico per farla sentire ancora più stupida?

Un moto di rabbia venne represso a stento e Elisa cercò con tutte le sue ultime forze di scusarsi per la sua inesperienza e di tentare a cercare delle soluzioni adatte.

“Non tentare, signorina. Lei deve farlo e basta.” E le sorrise, quasi come se volesse farle capire che tutto quello che aveva fatto, l’aveva fatto per lei, per il bene di aver voluto aiutare il prossimo, quando in realtà lui altro non aveva fatto che massacrarlo, il prossimo.

 

***

 

Corse per le scale sentendo già la voce di sua madre che le faceva notare, con un tasso di veleno decisamente troppo elevato per un essere umano, che era nuovamente in ritardo. Dopo quella giornata proprio non la richiedeva, ma doveva andare a prendere Sofia, non poteva lasciarla dai suoi per tutta una notte solo perché non era proprio in vena di sentire la petulante voce della madre. Sofia, tesoro, guarda cosa mi tocca sopportare per te! Ironizzò mentre conquistava l’ultimo scalino e si accingeva a suonare il campanello dell’appartamento, sistemandosi la borsa che le era caduta dalla spalla nella salita.

Suo padre le venne ad aprire come di consuetudine – forse a sua madre pesava troppo il sedere per percorrere quei miseri dieci metri che la separavano dalla sua sedia a dondolo alla porta.

“Ciao, papà.”

“Ciao, Eli. Mamma è in salotto con la piccola.” La fece entrare, prendendole il giacchetto che lei stava posando frettolosamente su una sedia.

“Grazie – scusa per il ritardo.”

“Oh, non ti preoccupare, oggi tua madre è di buon umore.”

“E a cosa devo l’onore?” chiese sarcastica, incamminandosi verso la sala, osservata dagli occhi di tutti quei personaggi dipinti alle pareti.

“Non saprei, oggi ha chiamato Annalisa, sua sorella. Evidentemente le ha fatto piacere sentirla. Sai, è sola… Non vede la famiglia da anni ormai.”

Elisa si fermò davanti alla porta della stanza. Già sentiva la voce vivace e trillante di Sofia agitarsi per la sua presenza.

“Papà, se mamma volesse rivedere gli zii potrebbe sempre prendere un treno e raggiungerli. Quanto mai sarà? Due orette?”

“Elisa, Anna è stanca. Lo vedi anche tu che non si muove mai.” La giustificò come al solito e lei ebbe un moto di rabbia verso quelle parole. Sua madre stava male perché non si muoveva mai, non il contrario. Se lei avesse seriamente voluto prendere in mano le sue condizioni e decidere di non stare seduta tutto il giorno su quella sedia di legno davanti al finto caminetto, a quest’ora poteva uscire senza pensarci due volte e andare a prendere il treno. Ma non disse niente di tutto questo. Sapeva che suo padre era troppo premuroso con Anna. Il saperla stanca, affaticata, dopo una giornata di ozio completo, per lui era sintomo di malattia. Non la voleva far sforzare inutilmente, diceva lui, e sua madre si era adagiata sugli allori, sapendo di poter contare sempre sul marito. Elisa sentiva che questa situazione non avrebbe portato niente di buono, ma dopotutto sua madre era una delle persone più testarde al mondo, e se lei per prima non l’avesse voluto, nessuno avrebbe potuto farla alzare da quella sedia. Solo quando doveva andare dal parrucchiere, o a fare due passi una volta alla settimana, allora sì che si metteva d’impegno per farsi vedere per la persona aristocratica che non era, ma che pensava d’essere.

“Papà, io non dico niente, ma sai cosa ne penso di questa sua situazione. Anche Arianna te l’ha detto tante volte.”

Il padre sospirò e la superò per aprirle la porta. In cuor suo, Elisa sapeva che anche lui pensava esattamente le stesse cose, ma per amore di sua madre, non aveva il coraggio di contraddirla. Un amore un po’ paradossale, secondo lei.

“Sofi, guarda chi c’è.” Le sorrise e la bambina corse incontro alla madre con un sorriso a trentadue piccoli denti.

“Tesoro!” la salutò Elisa prendendola in braccio proprio mentre la piccola le saltava addosso. Un tempismo impeccabile, come sempre.

“Grazie per avermi chiesto come stia.” La voce acida della madre si fece strada tra le due.

“Prego, mamma.” Le rispose spavalda.

“Oh, Elisa, mai una volta che si possa parlare tranquillamente, io e te.” Sbuffò lei, dondolandosi su quella sedia.

“Be’, offrimi un argomento e vediamo.”

“Hai più sentito Marco?” la sua disinvoltura nel farsi gli affari degli altri era incredibile.

“Sì, mi ha chiamato proprio mentre venivo qui.”

“Mamma, Marco è il tuo amico? Quello che è venuto a mangiare con la signora bella?”

“Sì, tesoro.” Annuì, carezzandole la testa con un gesto dolce.

“Sofia ha conosciuto Marco?” si sbalordì Anna.

“Sì, abbiamo fatto una cena noi cinque.”

“Quindi anche con Francesco.” Sottolineò irritata lei.

“Sì, anche Francesco.” Elisa odiava affrontare argomenti del genere con Sofia vicino. Non voleva che sua figlia potesse capire la loro situazione familiare. Aveva passato cinque anni cercando di farle apparire tutto felicemente normale, purtroppo sua madre aveva una dote straodinaria nel rompere sempre le uova nel paniere nel momento meno opportuno.

“Sofi, vieni di qua?” E come la manna scesa dal cielo, suo padre riuscì ad allontanare la piccola da quella discussione, lasciando Elisa e sua madre da sole. La bambina, infatti, trotterellò verso il nonno entusiasta e uscì dalla stanza.

“E prima che te lo chieda, no, Marco è stato presentato come amico, quindi Sofia continua a non sapere niente.”

“Elisa, prima o poi dovrai anche sposarlo, Marco.” Anna non avrebbe voluto altro. Lo aveva conosciuto ad un pranzo di Pasqua, quando Sofia era con Francesco e Elisa ebbe la brillante idea – di cui ancora si pentiva – di presentarlo ai suoi genitori. Sua madre ne era rimasta totalmente ammaliata, ma per lei, sicuramente tutti sarebbero andati meglio di Francesco.

“Quando arriverà il momento lo farò.”

“E lui ancora non si è fatto avanti?”

“Mamma!” sbottò Elisa, senza riuscire più a trattenersi. Non sopportava che lei si intromettesse così spudoratamente nella sua vita privata. “Stiamo insieme da poco più di un anno! È troppo presto per parlare di matrimonio, cavolo!”

“Ehi, non rispondere così a tua madre! Non ti ho educato per questo!”

“Se è per questo, anche per non rimanere incinta senza essere sposata.” La sbeffeggiò senza ritegno. Tanto, offendersi per offendersi, poteva farlo anche lei da sola.

“Farò finta di non aver sento, Elisa.” Ribatté autoritaria. “E sappi che io e tuo padre ci siamo sposati dopo un anno esatto. E dopo sei nata tu.”

“Erano altri tempi, mamma. E non tirare in ballo Francesco.”

“Cara, Francesco devi togliertelo dalla testa!”

“Mamma, è il padre di Sofia!”

“Appunto, è il padre! Non tuo marito.”

“Ho capito che mi vuoi vedere sistemata, ho capito che non puoi nemmeno vedere Francesco, e ho capito che vorresti che sposassi Marco, ma – accidenti, mamma! – pensa a me! La situazione non è facile! Ho una figlia, e si dà il caso che non sia figlia dell’uomo che molto probabilmente sposerò.”

“Motivo in più per allontanarti da Francesco finché sei in tempo. Potresti trovarti intrappolata in una vita che non ti merita. Tu sei intelligente, Elisa, sei bella, sei anche una brava persona... Perché vuoi rovinarti la vita in una situazione del genere?”

“E perché tu non vuoi capire che Sofia soffrirebbe, se non avesse più accanto a sé suo padre?” urlò, accorgendosi solo troppo tardi di aver alzato troppo la voce. Sperò che suo padre avesse portato la piccola più lontano della cucina, la stanza adiacente a quella.

“Sei tu che hai voluto iniziare questa farsa, Elisa!”

“Mamma, io –”

“Se tu non avessi proposto questa idiozia di vivere come una perfetta famiglia felice, tutto questo non accadrebbe, tu saresti sposata con un uomo che ti merita, tua figlia non avrebbe problemi a separarsi da un uomo che si è solo divertito con te una notte e io sarei molto più contenta!”

“Non parlare di Francesco così.” Ruggì a denti stretti. Le tremavano le mani e le gambe per la voglia che aveva di allontanarsi da quella donna, proprio come succedeva tutte le volte che iniziavano quel discorso. “E poi di cosa saresti più contenta, scusa? Del fatto che non avresti più niente che ti possa sfigurare? Che non potresti più dire che mi sono rovinata la vita e non potresti più passare per la madre modello che ti eri prefissata di essere?” sibilò.

“Non essere sciocca, Elisa. Lo sai che non è vero.”

“Certe volte penso quasi che tutto quello che ho fatto, l’ho fatto esclusivamente per compiacere te, proprio come scegliere l’università. Io avrei voluto fare Lingue, viaggiare, andare all’estero!”

“A fare cosa? Te l’ho detto tante volte: tu hai il dono del disegno, del progettare, perché avresti dovuto rovinarti?”

“Perché insieme a me ti saresti sentita rovinata pure tu!” e detto questo, non volle né aggiungere un’altra parola, né sentire le repliche della madre. Uscì dalla sala trattenendo a stento le lacrime e mordendosi il labbro per evitare di far trapelare qualche singhiozzo. Quella giornata era una giornata di merda. Aveva quasi litigato con Pietro e ora anche sua madre ci si metteva a dirle cosa fare. Certe volte si domandava se la propria vita fosse mai stata sua.

Andò a chiamare Sofia senza pensare due volte se salutare o meno sua madre, e una volta messo il giacchetto alla bambina, si infilò il suo e uscì di casa, salutando frettolosamente il padre, che sospirò rassegnato alle sue spalle.

___________________

Lo so, lo so, il ritardo non è scusabile - ancora una volta - però questo è ciò che sono riuscita a fare. Gli esami si accavallano quasi sadicamente l'uno all'altro e mi ritrovo davvero poco tempo da dedicare a questa storia. Mi dispiace davvero tanto. Spero solamente che questi capitoli, sebbene arrivino a distanza di anni luce l'uno dall'altro, possano piacervi e farvi continuare a seguire questa storia :)

E per concludere con quel tipico velo di mistero che potrebbe portare ulteriore curiosità alla vicenda, ecco una "rivelazione": questo è l'inizio della fine! Sì, lo so, molto catastrofica come frase, ma presto capirete cosa intendo. Però, potrebbe anche essere la fine dell'inizio e l'inizio di un altro inizio. La fine della fine dell'inizio iniziato e poi finito! XD

Ok, basta, la termodinamica dà al cervello...

Al prossimo aggiornamento!

 

EDIT 18/05/11: Altro Missing Moment di questa storia! Come è nato il nome dello studio di Francesco? E cosa altro è successo in quel periodo? Qua la risposta: Twenty-seven: Studio Quadri!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X ***


Nuova pagina 1

“Scusa il ritardo, Eli, mi hanno trattenuto in ufficio.”

“Tranquillo,” gli diede un bacio. “Anche io sono appena arrivata.”

“Meglio.” Le sorrise. Lei ne approfittò per prendergli la mano e arrotolarsi al suo braccio, mentre lui la guidava per le stradine del centro. Marco l’aveva chiamata nemmeno tre ore prima, invitandola a cena fuori, ma lei aveva inizialmente rifiutato, sentendosi troppo stanca. Sua madre di certo non aveva aiutato a rilassarsi. Era tornata a casa e ne aveva parlato con Francesco, come sempre, ma all’improvviso Daniela l’aveva chiamato e lui aveva ben visto di mollarla lì sul divano, andandosene in camera per parlare con quella psicologa bionda, proprio mentre Elisa si stava sfogando e aveva bisogno di essere ascoltata. Nemmeno gli disse niente, riprese in mano il cellulare e chiamò Marco, accettando l’invito a cena. Nell’ora che seguì, in cui lei era già fin troppo impegnata a decidere cosa mettersi, ebbe anche il tempo per litigare con Francesco, che le rinfacciò che quella sera lei sarebbe dovuta stare a casa, visto che aveva rifiutato l’uscita con Marco.

“Ho cambiato idea, ok?”

“L’hai fatto di proposito!”

“E a te cosa cambia?”

“Cambia che avevo giusto accettato di uscire con Dani, ecco cosa cambia!”

“Non urlare che c’è Sofia di là!”

“Senti, guarda, fa’ come ti pare. Per oggi ne ho davvero abbastanza.”

Si erano lasciati così, senza nemmeno un saluto, un semplice gesto, il solito bacio… Per un nanosecondo la coscienza di Elisa sembrò volersi suicidare, conscia che ultimamente non veniva nemmeno più ascoltata, ma l’immagine di Francesco che si allontanava per parlare con Daniela, senza che lei avesse potuto sentirli la mandava in bestia. Era una cosa insopportabile, proprio come lasciarla sola sul divano mentre stavano parlando. Quella donna arrivava sempre al momento meno opportuno. Non seppe spiegarsi come avesse potuto farsela sembrare piacevole in certi momenti un paio di settimane fa, durante quella cena che avrebbe dovuto sistemare le cose tra tutti loro, ma ora era tornata esattamente la solita situazione di sempre: il solo sentire il nome di quella donna, faceva venire i nervi a fior di pelle a Elisa.

“Insomma, Eli, che te ne pare?”

“Eh?” si era lasciata trasportare troppo dai suoi pensieri, senza ascoltare nemmeno una parola di quello che diceva Marco. Ultimamente le succedeva fin troppo spesso, e Elisa doveva darsi una controllata.

“Eri partita per uno dei tuoi viaggi, eh?” scherzò lui, stringendola più a sé.

“Sì, scusa, Marco.” Mormorò dispiaciuta, accarezzando con la mano quella di lui che le cingeva la vita. “Stavo ripensando ad oggi pomeriggio: l’Orlandi Senior oggi ha dato il meglio di sé.”

“E di Francesco che mi dici?”

“France? Che c’entra Francesco?” inarcò un sopracciglio stupita, mentre varcavano la soglia del ristorante italiano dall’aspetto rustico che erano soliti frequentare.

“Solitamente quando ti estranei è perché per un motivo o per l’altro, pensi a lui.”

“Non è vero.” Gli sorrise, leggermente titubante e preoccupata. Le era parso come se dopo un anno, la sua capacità di mentire senza farsi sgamare da nessuno fosse andata a farsi fottere e ora si sentiva quasi scoperta e vulnerabile.

Lui la guardò eloquente, mentre si accomodavano al tavolo riservato a loro.

Elisa sospirò, sapendo che non c’era scampo da quegli occhi scuri così profondi ed indagatori. “Sì, ok, c’entra anche lui, ma non ne voglio parlare.”

“Perché?”

“Perché sì.” Si passò una mano sugli occhi, stando attenta a non rovinarsi il trucco. “Per piacere, Marco, non voglio che tu entri in queste faccende, non è il caso.”

“Eli, ci conosciamo da un anno.” Il suo tono emanava una ovvietà tale che mise alle strette Elisa. “È naturale che io voglia sapere cosa ti succede.”

“Sì, ma è una cosa da niente, dai.” Cercò di dissuaderlo invano. Il fatto che lui facesse l’avvocato era anche una carta a suo sfavore: quante possibilità c’erano che lui lasciasse perdere qualcosa a cui era interessato?

“Non ti sembra, però, che sia il caso di dirmele certe cose?”

Il suo cuore fece un tuffo giù per lo stomaco e sembrava del tutto intenzionato a rimanerci. “Come scusa?”

“Voglio dire, perché vuoi continuare a tenermi all’oscuro della tua vita con Francesco?”

“Se parli così, mi sembra quasi che tu creda che si faccia chissà cosa, io e lui.” Lui non replicò e continuò a fissarla con lo sguardo serio, così serio che Elisa ci mise un attimo a sbiancare. Le parole iniziarono ad affollarsi nella sua bocca, nel tentativo di trovare qualcosa con cui ribattere e difendersi da quelle accuse. “Non crederai sul serio che -” si coprì il viso con le mani e si abbandonò sulla sedia, mentre i capelli le cascavano in avanti, concedendole un fragile muro per difendersi da quegli occhi. “Marco,” disse senza scoprirsi. “Non posso credere che tu sia arrivato a pensare certe cose.”

“A mia discolpa posso dire che non è stata tutta farina del mio sacco.”

Era tremendamente doloroso sentire la voce di Marco, sempre così dolce e gentile, farsi tutto d’un colpo dura e insistente.

“E cosa ti ha portato a fare tali conclusioni, allora?”

“Tu.”

Elisa si liberò dai capelli che si erano frapposti tra di loro e lo guardò ferita. “Io? E come avrei potuto? Ho sempre cercato di non parlarti di lui, ti ho sempre tenuto alla larga da quel lato della mia vita.”

“Proprio per questo, l’hai fatto.”

“Ma cosa -”

“Nascondendomi il tuo rapporto con Francesco, mi porti a pensare cose che non vorrei.”

“Ma l’hai visto tu stesso in che rapporti siamo! Alla cena, per esempio!”

“Ad essere sinceri, alla cena mi è parso che andaste molto d’accordo.”

“Questo non mi sembra un crimine. Dopotutto Francesco è il padre di Sofia!”

“Elisa, ascolta -”

“No, tu ascolta.” Lo interruppe, armata del coraggio per difendere la famiglia. “Io non so come siamo arrivati a parlare di questo, ma per piacere ora basta. Non voglio litigare anche con te, stasera.”

“Hai litigato con Francesco, quindi?”

“Sì, ok?” sbottò lei, mordendosi un labbro. “Ho litigato con lui, capito? Ecco cosa ti nascondevo, e non sempre tutto è rosa e fiori tra di noi. Se non siamo sposati e non viviamo felici e contenti, non credi che ci sia un motivo?”

Marco rimase confinato nel suo silenzio per qualche istante, per poi sospirare e passarsi una mano sul viso. “Sì, scusa, non volevo arrivare a questo punto.”

“Sì, nemmeno io.” Rispose dura.

Proprio in quel momento il cameriere fece la sua comparsa con i menù in mano, interrompendo definitivamente le loro parole.

Il resto della serata sarebbe potuta essere definita anche piacevole, ma quell’aria di tensione era ben percepibile e frenava ogni sorta di gesto romantico tra loro, che si erano trovati di colpo separati non più da un semplice tavolo rotondo, ma da questioni in sospeso che li avrebbero perseguitati finché non avrebbero chiarito.

 

 

***

 

“Ma… Ma Pietro!”

“Sì, è così, Elisa.”

“Ma avevi detto -”

“Lo so cosa avevo detto, ma ora c’è stato un cambiamento.”

Elisa cadde a peso morto sulla sedia dalla quale si era alzata per avere più forza nel replicare la notizia di Orlandi. Quel pomeriggio aveva continuato ininterrottamente a sistemare gli ultimi dettagli con Giacomo e Cristina, e ora quell’idiota si permetteva di toglierle il progetto? Ma quando mai! Lei si era fatta in quattro, forse anche in otto, per poter portare a termine quel lavoro, sottostando a tutte le critiche di Pietro e quegli altri due suoi leccapiedi, e ora lui usciva con questa decisione. Elisa ebbe un capogiro e chiuse gli occhi un momento, il tempo di respirare profondamente per cercare di riprendere il controllo sulla situazione, ma più che altro, su se stessa.

“Ma…” le parole le morirono in gola, non tanto perché non sapeva cosa dire, quanto perché voleva dire – urlare – così tante offese tutte insieme, che alla fine nessuna le uscì dalle labbra. “Ma…”

“Piantala di mormorare sempre la solita sillaba.” Sospirò Pietro. “E sappi che non devi avercela con me.”

“Ah, no?” soffiò una risata nervosa. “Perché, sai, se non ricordo male, eri d’accordo sull’affidarmi il progetto. Però pensavo quasi di prendermela con Della Rosa, o perché no? Anche Rossini si offrirebbe bene!”

“Elisa, ascolta.” Cercò di calmarla, avvicinandosi come avrebbe potuto avvicinarsi ad una tigre affamata. “Mio padre ha visto il progetto e… lo sai com’è fatto.”

“Ma tu avevi detto che me ne occupavo io!” urlò lei, ritrovando la capacità di sputare addosso a Pietro tutto quello che si teneva dentro. “Mi avevi dato carta bianca! E più volte ti sei anche intromesso più del dovuto!”

“Elisa, mio padre è del vecchio stampo!” insistette Pietro, gesticolando in aria.

“E chi se ne frega!” ruggì lei, aggrottando la fronte. “Perché deve venire fuori proprio ora e rompermi i coglioni con quelle sue idee strampalate!”

“Perché i Bernardi sono un’ottima fonte di guadagno, li conosce… Insomma, devi capire!”

“Guadagno o non guadagno, se continuate a rompere i coglioni così, tu e tuo padre, li perderete seduta stante! Non capite che certe persone vorrebbero anche altro, che costruzioni in acciaio ed irregolari che fanno venire la nausea come se fossimo su delle montagne russe solo a guardarle? Lo capisci, Pietro? Eh?”

“Elisa, calmati!” sbottò lui, il tono autorevole.

“No che non mi calmo! Questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso, Pietro.” Non sapeva se le lacrime che stava trattenendo fossero di rabbia per i Bernardi o per la sconfitta sul lavoro, ma ci sarebbe mancato davvero poco perché non scoppiasse definitivamente, dando sfogo anche ad un pianto degno di nota che i suoi colleghi le avrebbero rinfacciato a vita, proprio come quando si ritrovò ad aver fatto sesso con quell’uomo che ora si mangiava le unghie per trovare una soluzione e calmarla.

“Ma si può sapere perché te la prendi tanto?”

Errore, il suo pensare l’aveva portato a porre la domanda sbagliata. E questo voleva solo dire che Elisa sarebbe scoppiata troppo presto per poter pensare di agire secondo un certo raziocinio.

“Perché me la prendo?!” sgranò gli occhi. “Ma ti rendi conto della stupidità della domanda? Ma certo, se non ci arrivi te lo spiego…” rise nervosa, tentando di respirare profondamente. “Non puoi fare sempre come ti pare – o come ti dice tuo padre – tu hai degli obblighi verso i tuoi clienti e verso i tuoi subordinati, me in questo caso. Non puoi pretendere di stravolgere ogni minima cosa solo per puro piacere di poter mostrare il tuo potere qua dentro.” Senza rendersene conto si era alzata gli era andata incontro, indicandolo furiosa con il dito indice a pochi centimetri dal suo viso.

“Eli, forse ora stai esagerando.” Deglutì, come se avesse paura che avesse potuto trafiggerlo con quell’unghia proprio in quell’istante.

“E non chiamarmi Eli!” tuonò. “No, Pietro, non esagero! Mi hai fatto passare settimane a controllare e modificare i dettagli più insulsi in quel cazzo di progetto, mi hai schernito davanti ai tuoi leccaculo come se non valessi un soldo bucato, mi hai sommerso di scartoffie da controllare perché mi hai definita ignorante, inesperta e negligente, cosa che mi sembra di aver smentito ogni volta che ho messo piede in questo studio. Ho lavorato giorno e notte, ho controllato, modificato, persino rivoluzionato lo schizzo di partenza secondo il tuo volere, e ora che finalmente siamo arrivati al punto di svolta, tu che fai? Ti rivolgi a tuo padre e mi togli tutto quello su cui ho lavorato fin’ora? Mi stai facendo fare la figura dell’inetta, dell’incompetente!”

“Eli-sa, ascolta, è stato mio padre a chiedermi di mostrargli quel lavoro. Fosse stato per me, avresti potuto continuare come più ti pareva.”

Certo, e tutte quelle critiche a ciò che facevo? Non riuscì a pronunciare quelle parole perché il pianto che si teneva dentro avrebbe potuto prendere il sopravvento, e quello era decisamente il momento più inappropriato.

“Lo sai,” continuò Orlandi, indietreggiando sulla sua sedia. “È lui a comando di questo studio. Anche se sta a casa e mi ha lasciato le redini di tutto, lui ne è ancora il capo.”

“Be’, sai cosa, allora?” si incupì. “Non credo di voler più lavorare per qualcuno che ancora non è capace di prendere da sé delle decisioni.”

“Non vorrai mica…?”

“Sì, mi licenzio.”

“Oh, dai, Elisa, non dire cazzate. Dai, proverò a parlare con mio padre, torna di là dai Bernardi e facciamo finta di niente.”

“No, non mi importa più niente di questo fottutissimo progetto! Io mi licenzio!”

Pietro si lasciò sfuggire una risata spavalda, come a sfidarla a prendere sul serio le sue parole e lei, accettando la sfida, gli voltò le spalle e uscì dal suo ufficio senza più fiatare con i presenti, che la stavano guardando ammutoliti, evidentemente al corrente della conversazione urlata in quelle quattro mura solo qualche attimo prima. Elisa si diresse alla sua scrivania, attorno alla quale i Bernardi erano ancora seduti e la aggirò per prendere la borsa e il giacchetto alle spalle della sua postazione al computer.

“Elisa…” mormorò Cristina, guardandola dispiaciuta. “Guardi che se è per colpa nostra, lasci perdere, ci rivolgeremo in alternativa ad un altro studio. Non faccia pazzie.”

“Non faccio pazzie, do solo una svolta alla mia vita, voltando le spalle a gente negligente.”

“Eli, tesoro, perché non vai a casa e ti riposi?” Intervenne Chiara, correndole incontro e prendendola per le spalle. “Domani, quando torni, ne riparliamo.”

“No, non hai capito: io domani non torno, e nemmeno dopo domani, e tra una settimana, un mese. Io mi licenzio. Non voglio più sentir parlare della famiglia Orlandi in vita mia.” Schiarì ogni parola come se con esse volesse imprimere tutta la sua forza di volontà, dopodiché si infilò il giacchetto e senza proferire parola, si incamminò verso l’uscita, lasciando dietro di sé solo il suono dei suoi tacchi che colpivano il pavimento lucido di quello studio.

 

***

 

“Elisa, che ti succede?” Francesco strabuzzò gli occhi non appena la vide comparire sulla soglia della porta.

“France…” piagnucolò lei, trascinandosi in casa come se non avesse più una forza in corpo. E non era nemmeno un paragone troppo azzardato, visto che si sentiva spossata all’inverosimile. Se avesse corso la maratona di New York a zoppetto, avrebbe avuto più energie.

Francesco l’accompagnò sul divano e l’aiutò a togliersi il giacchetto, buttandolo alla rinfusa sullo schienale e accogliendo Elisa, che si buttò senza troppi problemi tra le sue braccia. In quel momento non le importava più della litigata della sera precedente, che si erano portati dietro anche quella mattina, salutandosi a suon di mugugni poco affettuosi, in quel momento le importava solo non sentirsi sola, sentirsi rassicurata, vicino a qualcuno. E Francesco era quel qualcuno. Lo abbracciò stretto, iniziando a piangere le lacrime che aveva trattenuto dallo studio e per tutto il tragitto in auto. Pianse per la rabbia, per la cazzata senza eguali che aveva appena fatto, pianse perché era stanca. Erano fin troppi i motivi per cui stava piangendo, e di certo se si fosse messa ad elencarli, non si sarebbero fermati a questioni di lavoro. Piangeva anche per le parole che si erano scambiati lei e Marco la sera prima, piangeva per come sua madre la trattava, per come lei avrebbe voluto invece essere trattata, piangeva per Francesco, per come si stava allontanando e per come avrebbe voluto continuare ad averlo vicino.

“Eli,” la chiamò lui, stringendola a sé e massaggiandole la schiena, mentre appoggiava il mento sulla sua testa per poterla stringere ancora di più. Lei avrebbe voluto rispondergli, ma anche la semplice risposta a quel sussurro le moriva in gola, sopraffatta da quei singhiozzi che le impedivano quasi di respirare. Stritolò la maglia di Francesco tra le mani come se stesse cercando in lui la forza che a lei mancava. E lui stava tentando di trasmettergliela tramite quel contatto colmo di comprensione e sentimento.

“Cosa è successo, Eli?” Continuò a chiederle, ma lei non riusciva a calmarsi. Sembrava che le lacrime che in anni ed anni non erano mai state piante, ora venissero fuori tutte insieme. Anni e anni di lacrime soppresse, ora bagnavano la maglia a righe di Francesco. Doveva essere un regalo di Daniela, perché lei non gliel’aveva mai vista. E a quel pensiero, pianse ancora di più.

____________________________________

 

Gente, questa è una svoltona! A cosa porterà? Eh, come al solito non vi rispondo, starà a voi scoprirlo, leggendo :D Posso solo dire che questo sarà il punto di partenza di qualcosa di grosso. In bene o in male? Magari anche entrambi...

No, via, voglio smettere di parlare senza giungere mai ad una conclusione concreta. Passo quindi a ringraziare nuovamente le due persone che hanno commentato lo scorso capitolo, aggiungendo che questo aggiornamento lo devo a Elle__r, che mi ha spronato con delle mail, pensando invece che avessi interrotto la pubblicazione. Be', posso capirlo: sono un caso disperato in quanto a rispettare orari... Scusate ancora il ritardo, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

 

Aggiungo dicendo che nel mentre ho pubblicato un altro missing moment. Twenty-seven: Studio Quadri. Buona lettura, nel caso ci diate un'occhiata :)

 

Alla prossima,

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI ***


Nuova pagina 1

“Ehi, guarda che quando ti dissi di fare di testa tua, mica pensavo che saresti arrivata a licenziarti!” ridacchiò Francesco, forse più per una semplice tecnica di difesa che altro. Lui non sopportava trovarsi in situazioni malinconiche. Lui era una persona solare e i momenti tristi – Elisa ormai l’aveva imparato – erano evitati da lui come la peste. Non che non ce ne fossero, ma Francesco faceva sempre di tutto per sdrammatizzare, per far apparire il danno più superficiale. Talvolta si concedeva di dare dei consigli, ma era raro che il sorriso fuggisse dalle sue labbra, nonostante insieme ne avessero passate di tutti i colori.

Elisa invidiava questa parte del suo carattere. Avrebbe dato il mondo per poter affrontare quelle questioni esattamente come lui, con razionalità e una discreta abilità di rigirare i problemi a suo vantaggio.

“Non l’ho fatto perché l’avevi detto tu, France.” Chiarì Elisa, ispirando profondamente per la terza volta. Non appena Elisa si era ripresa un minimo, subito dopo il pianto incontrollato in cui era sfociata al suo ritorno a casa, Francesco era andato a prendere Sofia da Anna, avevano mangiato tutti insieme come se non fosse successo niente, tra sorrisi e risate, e una volta messa a letto Sofia, Elisa era scoppiata nuovamente alla domanda di Francesco: “Mi dici cosa ti è preso?”

“Non ce la facevo più a lavorare là dentro!” continuò lei, il naso tappato come se avesse avuto il raffreddore. “Mi sembrava che ogni cosa che facessi non andasse bene!”

“Non penso fosse soltanto una tua idea.” Concordò Francesco, passandole una mano su una spalla con il tentativo di infonderle forza. “Gli altri che ti hanno detto?”

“Gli altri chi?” mormorò Elisa, seduta su una sedia della cucina. Era scoppiata proprio mentre stava sparecchiando, e ci mancò poco che i piatti che aveva in mano cadessero tutti in mille pezzi per le mani tremanti e la presa che le venne meno. “Mia madre – ho paura anche solo di guardarla. Sicuramente sa già tutto, non so come. E Marco che potrebbe dire? Che sono una stupida! Che ho perso il lavoro inutilmente! Ma io non ce la faccio ad essere calma e razionale come lui! O come te! Io agisco senza pensare!” e continuò a sbrodolarsi insulti con convinzione, suscitando una piccola risata da parte di Francesco, che si alzò dalla sedia di fronte a lei e si posizionò alle sue spalle, iniziando a massaggiarle con dolcezza.

“Sì, confermo che più volte hai agito un po’ troppo istintivamente,” le sorrise. “Ma questa volta era per una buona causa, Eli. Lo dicevi tu stessa, no, che non ce la facevi più a lavorare per uno come Pietro.”

“Lo so, ma ora sono senza lavoro!” il labbro inferiore le tremava vistosamente e la voce le usciva tremula e biascicata. Non era il massimo dell’eleganza, dovette ammettere, e fu lieta di sapere che vicino a lei, in quel momento, c’era Francesco e non Marco. Francesco ormai aveva visto ogni aspetto di lei. E non solo metaforicamente. Che figura avrebbe fatto con Marco?

“Vorrà dire che ne troverai un altro, Eli.” La incoraggiò lui. “L’importante è che tu ti rimetta in sesto. Quindi smettila di piangere e fai la persona matura.”

“Assurdo come queste parole possano uscire dalla tua bocca.” Lo sbeffeggiò, la voce ancora non del tutto nitida.

“Visto? Se mi ci metto, sono un pozzo di saggezza.” Si elogiò, ghignando.

“Allora dovrei ringraziarti per questa tua più unica che rara perla di saggezza?”

“Esattamente.” E le schioccò un bacio sulla guancia. “Che ne dici se ora si va a letto?” e la oltrepassò per anticiparla.

“E la cucina chi la mette a posto?”

“Tu. Tanto domani non hai niente da fare, no?” le strizzò l’occhio, sorridendo sfacciato come sempre. Elisa gli sorrise riconoscente e lo seguì. Francesco era una persona meravigliosa, era in grado di portarla a ridere su una questione che fino a pochi minuti prima l’aveva condotta a piangere spudoratamente davanti a lui come una bambina – come Sofia – senza darsene pena, forse perché sapeva quale fascino possedesse, o forse perché sapeva che lei si fidava di lui. Elisa non sapeva da dove venisse tutta quella sua arroganza, ma certamente in una situazione del genere, inverosimilmente, l’apprezzava.

 

***

 

“Cosa? Ma sei completamente impazzita, Elisa?!” Nemmeno quando le aveva confessato di essere rimasta incinta, sua madre aveva reagito così. In quel caso era sbiancata e se ne era andata in camera sua come se fosse il fantasma di se stessa, mentre questa volta sembrava non volersi risparmiare alcun commento al riguardo. Era andata a portare Sofia all’asilo e poi era passata solo per vedere come stesse, visto che quella mattina il padre l’aveva chiamata dicendo che era più stanca del solito – ovviamente tenendo nascosta la telefonata ad Anna. Non seppe come le scappò di bocca quella notizia, ma forse era stata semplicemente la voglia irrefrenabile di contrastare la madre che la portò a urlargli addosso il suo licenziamento. E ora ne stava subendo le conseguenze. “Ti rendi conto di ciò che hai fatto? Lo sai che un superiore non si deve mai contraddire! Sei stata stupida! Ora hai trent’anni, chi mai ti prenderebbe a lavorare?”

“Appunto perché ho trent’anni troverò un altro lavoro, mamma!”

“E come farai? I lavori non piovono dal cielo!”

“Studierò,” rispose risoluta, benché l’idea la faceva rabbrividire per il ribrezzo. Non aveva mai amato studiare, ci era sempre stata costretta per fini superiori, e sempre per quei fini, allora, sarebbe tornata a farlo. “E farò concorsi. Di certo non mi metto a piangere!” replicò fingendosi beffarda. Se solo le avesse svelato che la sera prima era crollata tra le braccia di Francesco, sfociando in un pianto isterico, lei non solo l’avrebbe massacrata con commenti sul suo comportamento, ma avrebbe anche potuto tirare in ballo nuovamente Francesco, il suo rapporto con lui, Marco… E le sue parole velenose non si sarebbero certo risparmiate alla sua incoscienza.

“Fa’ come ti pare, Elisa!” tirò su il naso con superiorità, chiudendo gli occhi. “Dopotutto l’hai sempre fatto, no?” quella frecciatina tagliente la colpì proprio al petto, causandole una fitta inaspettata che la fece boccheggiare per qualche istante. Possibile che sua madre fosse sempre così pungente quando si trattava di lei? Eppure con Arianna non si comportava così!

“Puoi anche andare a studiare, ora.” E tornò a dondolarsi senza più guardarla.

Elisa trattenne a stento un ruggito e si defilò dall’appartamento, venendo però bloccata dal padre, che in silenzio aveva assistito alla scenata della moglie dal divano. “Eli, se hai bisogno di qualcosa – soldi, tutto quello che vuoi – sai che ci siamo.” Le sorrise dolcemente.

“Grazie, papà.” Gli sorrise di ricambio, cercando di mostrarsi determinata, quando sarebbe bastato un abbraccio per farla crollare ancora una volta miseramente. “Ma voglio cavarmela da sola. Non voglio che nessuno si preoccupi per me. Sono adulta, posso trovare una soluzione.”

“Come vuoi, tesoro, sappi che non devi peritarti a chiedere niente, d’accordo?” Le passò una mano sulla testa e le diede un bacio in fronte come saluto, lasciandola poi tornare a casa. Elisa ringraziò la sua non ancora curata goffaggine per certe smancerie con le figlie, e si voltò, chiamando l’ascensore per tornare a casa, sebbene prima avrebbe dovuto fare un salto in edicola per trovare degli annunci di lavoro. Si sarebbe accontentata di poco, all’inizio, ma avrebbe comunque dovuto darsi da fare da subito. Non potevano andare avanti con il poco stipendio di Francesco.

 

***

 

“Grazie per essere passata, Chiara.” Mormorò Elisa, asciugandosi gli occhi bagnati.

“Figurati, Eli. Volevo passare anche ieri sera, ma Roberto ha tirato fuori l’ennesima lite e sono rimasta a casa, passando una serata all’insegna di urla, minacce e pianti.”

Erano entrambe sedute sul divano, le gambe incrociate e una bella tazza di tè fumante tra le mani per riscaldarle dalle temperature che di giorno in giorno si facevano sempre più fredde. Sembravano essere tornate a qualche anno prima, quando vivevano insieme e frequentavano ancora l’università. Quelli sì che erano bei tempi, pensava Elisa, sorseggiando cautamente il tè bollente.

“Insomma, anche tu non sei messa molto meglio, eh?”

“Già, sembra che sia una cosa contagiosa: prima io con Roberto, e ora tu. Forse non avresti dovuto starmi così vicina.” Ridacchiò, suscitando una piccola risata anche in Elisa. Poi Chiara si incupì e parlò con tono serio: “Sai, Roberto non lo capisco più.” Confessò l’amica, sospirando e appoggiando la schiena alla spalliera del divano con aria esausta. “Non riesco più a farmi capire da lui, si litiga sempre, anche su delle cazzate che prima nemmeno guardavamo.”

“Forse proprio perché prima non le chiarivate, ora siete arrivati a questo punto.” Azzardò Elisa, guardando Chiara.

“Non lo so. Potrebbe benissimo essere quello il motivo, come anche chissà che altro. Quando provo a chiedergli come vada, lui dice che è tutto a posto, e poi dal niente trova un argomento per rinfacciarmi come faccia schifo in quanto moglie, casalinga e donna in sé. Insomma, mi distrugge!”

Elisa non sapeva cosa dire. Sapeva che Roberto era un tipo particolarmente permaloso, quasi sempre sul piede di guerra, ma non pensava che dopo un anno di matrimonio potesse arrivare a tanto. Era anche vero che Chiara aveva un carattere molto schietto, ma si amavano. Agli occhi di tutti, la loro storia era quasi invidiabile. Scherzavano, ridevano, si piacevano. E ora sembravano essersi esauriti, senza più niente che potesse accumunarli. Non c’era una causa precisa – o così sembrava a Chiara – e non saperla, non faceva altro che alimentare le fiamme tra loro, continuando ad accusarsi reciprocamente di qualsiasi cosa per ribattere alle accuse dell’altro.

“Avete provato ad andare –”

“Da quegli psicologi di merda non ci vado nemmeno morta!” ribatté prontamente. “Voglio che i nostri problemi si risolvano da soli!” insisté. “Anche perché, diamine, prima di sposarci siamo stati insieme ben due anni!”

“Chiara, lo sai che non mi piace dire queste cose, ma forse aveva ragione mia madre: era troppo presto.”

“Da quando in qua dai ragione a tua madre? Non eri tu che dicevi che lei aveva torto a priori?” per quanto quell’affermazione avesse tutta l’aria di una vera e propria accusa, Elisa ridacchiò. In cinque anni di convivenza, lei e Chiara avevano instaurato un rapporto di sincerità molto profondo, e soprattutto fondato su una regola: “schiettezza prima di tutto”.

“Hai ragione, ma dopotutto erano solo due anni.” Continuò Elisa, sorseggiando ancora un po’ di tè.

Chiara sospirò e si passò una mano sul viso. “Eli, guarda, ti giuro che al momento potrei anche credere a tutto questo. Voglio dire, sì, forse eravamo troppo giovani, avevamo ventisette anni, ma ti garantisco che quando me lo chiese, lui era sincero. E anche io lo sono stata nel rispondergli. Mica potevo immaginare che le cose potessero andare così! È iniziato a cadere tutto a rotoli poco alla volta: prima la proposta di andare a vivere da lui – che fortunatamente sta sempre in città – poi il dover stare attenta, da parte mia, ad essere la donna perfetta, quando lui in quanto a perfezione lasciava un po’ a desiderare, poi le piccole richieste che non esaudiva mai, e quindi le accuse reciproche quando era lui a chiedermi qualcosa e io non potevo.” Ricordò a malincuore. “Diamine, Elisa, ma se io ti chiedo di andare a fare la spesa perché l’Orlandi mi sta trattenendo in ufficio, non mi sembra tutto questo sacrificio, no?” Elisa annuì, dandole ragione. “Ecco, per lui invece era come se gli stessi chiedendo un rene!”

“Non so davvero che dirti.” Ammise Elisa, tristemente. Non le piaceva sentire come Chiara stesse male nella vita che si era scelta, sebbene dovesse ammettere con se stessa che sentire parlare Chiara dei suoi problemi, poteva usufruire dell’effetto terapeutico indiretto di non pensare ai suoi.

“Nemmeno io so cosa dirmi. Ma facciamo così. Pensiamo ad altro, ok?” le sorrise, passandole una mano sulla spalla. Elisa trovò quasi ironico come Chiara si preoccupasse maggiormente per lei che per se stessa. A parte la scenata di pianto incontrollato in cui si era egregiamente esibita Elisa appena vide comparire alla porta la sua amica, tutta quella mattina era stata dedicata al matrimonio di Chiara e Roberto, eppure lei continuava a consolarla.

“D’accordo, ma non voglio che l’argomento successivo possa essere anche solo lontanamente ricondotto a me, alla mia vita e al lavoro che non ho più.”

“Andata.” Le sorrise Chiara. “Che ne dici di un più che salutare pettegolezzo su una certa psicologa bionda?”

“Non vorrei dirtelo, ma Daniela in un certo senso fa sempre parte della mia vita.”

“Allora guardiamo la faccenda in quell’altro senso.” Le strizzò l’occhio complice.

Per il resto della mattinata, Daniela non fece proprio una bella figura.

 

***

 

“Elisa, tesoro, raccontami tutto!” quella preoccupazione incredibilmente ottavata nella voce di Marco la colse alla sprovvista. Il cellulare le era squillato con la solita voce di Matthew Bellamy, proprio pochi minuti dopo che Chiara aveva lasciato l’appartamento e Elisa aveva risposto, senza riuscire a reprimere un sospiro. Non aveva ancora detto niente a Marco perché sapeva come avrebbe potuto reagire, e troppe attenzioni e il suo attaccamento morboso in quel momento non erano richieste.

“Ciao, Marco,” disse lei, tornando ad accoccolarsi sul divano dell’appartamento vuoto. Francesco era al lavoro, sebbene Elisa dovette costringerlo ad uscire di casa. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto, ma lei gli aveva vietato categoricamente di farla sentire compatita. “Come hai fatto a saperlo?” volle chiedere.

“Mi ha chiamato tua madre.” Spiegò. “Sembrava scocciata e insistente perché ti parlassi per farti ragionare.” Elisa sospirò una seconda volta. Possibile che quella donna non potesse farsi un minimo di affari suoi? “Ma appena l’ho saputo, non me la sono sentita di farti una paternale, Eli.” Mormorò lui. “Dimmi, come stai?”

“Be’, potrei stare meglio.” Farfugliò. Improvvisamente, la preoccupazione di Marco ebbe quasi magicamente l’effetto di rilassarla. Forse era perché nonostante l’ultima discussione lasciata in sospeso, lui ancora era lì per lei, le era ancora vicino, non le aveva voltato le spalle come lei si sarebbe aspettata. Ma in effetti, Marco non era quel tipo di persona: Marco sapeva quando era giusto comportarsi da principe azzurro e quando ritirarsi. E in quel momento, Elisa se lo immaginava proprio come il perfetto Prince Charming di tutte le più belle storie di amore, con tanto di costume sfarzoso di un fotonico azzurro acceso, pronto ad andare in groppa al suo bianco destriero dalla sua amata nel momento del bisogno. “Stamattina è venuta Chiara qui. Abbiamo parlato e mi ha distratta un po’.”

“Bene, mi fa piacere.” Lo sentì sorridere e lei si sentì trasportata in quel sorriso premuroso, sorridendo a sua volta. “Senti, potresti aprirmi? Sono davanti alla tua porta.”

Elisa sgranò gli occhi incredula. Marco era sempre capace di stupirla con i suoi modi galanti. Quella settimana più volte le aveva raccontato nell’infinito lavoro che aveva sulle spalle, e malgrado tutto era andato da lei. Si sentì in colpa per non poterlo ripagare al meglio, e soprattutto per come si erano lasciati l’ultima volta. Lui era una persona straordinariamente eccezionale e Elisa quasi sentiva di non meritarselo.

Si alzò quindi dal divano e corse ad aprirgli, saltandogli addosso non appena se lo vide davanti. Lui l’afferrò per la vita e le diede un bacio sulla guancia, mentre lei si vergognava ad essere sempre la principessa incomprensibile che faceva dannare il bel principe biondo e vestito di tutto tiro, sgattaiolato via dal lavoro per poter stare con lei. Le lacrime che sentiva pungerle gli occhi non sapeva bene da cosa fossero scaturite, ma molto probabilmente erano di felicità per poter contare su una persona tanto buona come lui.

“Ehi, calmati, tesoro.” La portò sul divano e si sedettero insieme, mentre Elisa faticava ad allentare la presa anche solo per farlo respirare più facilmente. “Dai, raccontami tutto.” Iniziò a massaggiarle la schiena per infonderle coraggio e Elisa dovette sforzarsi per non crollare anche con lui in un pianto senza ritegno. Stranamente però, il motivo questa volta sarebbe stato differente. Quasi avrebbe preferito che Marco la guardasse negli occhi e le dicesse senza indugio che era stata una stupida – come sua madre – piuttosto che tutte quelle attenzioni, perché facendo così Marco quasi sembrava innalzarsi ad un livello troppo elevato per una come lei. Ma Marco era fatto così, dovette ricredersi, continuando ad abbracciarlo, affondando la testa sul suo petto: lui non voleva vederla soffrire, questo Elisa l’aveva imparato, per questo le stava così vicino, e lei sentiva nel profondo che se lui non ci fosse stato, forse sarebbe stato peggio, perché Francesco aveva Daniela, non poteva sempre stare con lei, e senza Marco Elisa non avrebbe più avuto nessuno, ritrovandosi sola.

___________________________

Il ritardo non è giustificabile nemmeno questa volta, purtroppo, lo so. È vero, ci sono stati appelli estivi che mi hanno tenuta impegnata in uno studio matto e disperatissimo dell'ultima ora - ovviamente, perché l'organizzazione per me è inesistente e lo riconosco sempre a mie spese... - ma effettivamente qualche giorno prima un po' di tempo avrei potuto trovarlo. Scusate ancora!

Intanto vi annuncio che il peggio deve ancora venire. O il meglio, a seconda dei punti di vista :) Non vi dirò altro, non voglio fare spoiler. Mi piacerebbe cogliervi si sorpresa e non sembrarvi per niente banale, quindi aspetto commenti su ciò che leggerete! Ci conto!

 

Grazie ancora a Elle__r per aver recensito lo scorso capitolo, e... Passo e chiudo!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XII ***


Nuova pagina 1

La porta dell’appartamento si aprì quasi violentemente e Francesco entrò tra la rabbia e la stanchezza. Era scuro in volto, ma sembrava non volerlo far vedere. Subito Elisa si allontanò da Marco, ancora vicino a lei, intento anche lui a sfogliare riviste con annunci di lavoro. Sul tavolino, una piccola teiera fumante faceva loro compagnia. Ormai il tè era per Elisa una vera e propria droga e il fatto che fosse un eccitante nemmeno la toccava.

“Ah, vedo che hai visite.” Disse Francesco, togliendosi il giacchetto di pelle e mettendolo all’attaccapanni, per poi scarruffare di sfuggita i capelli a Elisa, che sentì le dita fredde sulla sua guancia quasi come se quel suo gesto volesse celare in realtà una carezza. Era andato in moto, poteva scommetterci, e come al solito non si era portato i guanti. Se le temperature fossero diminuite ulteriormente, Francesco poteva anche congelarsi le dita senza riuscire più ad usarle in futuro, pensò Elisa, prendendo nota mentale di regalargli un paio di guanti al più presto.

“Sì, scusa, non ti ho avvertito.” Mormorò lei. “Vuoi unirti a noi?” propose, girandosi verso di lui, osservandolo mettere su un pentolino d’acqua sul fuoco – anche lui ormai totalmente succube del tè. “Ma non dovevi vederti con Daniela nel pomeriggio?” le sorse il dubbio.

“Sì… Ma ci siamo visti per poco.”

“Perché hai capito di non sopportarla più? Per questo hai quella faccia?” sospirò lei, ricordandosi troppo tardi della presenza di Marco per quel genere di battute. Raramente capitava che lui assistesse alle loro conversazioni, ma ogni volta Elisa percepiva il suo disagio, quindi evitava di farsi vedere così sfacciata nei confronti di Francesco.

“No… Questa faccia è dovuta al lavoro.” Disse, sedendosi sul divano affianco a Elisa, che venne immediatamente avvolta dalle braccia di Marco, quasi volesse marcare il territorio.

“Cosa è successo?”

“Niente di che.” Alzò le spalle con rassegnazione, per poi passarsi una mano sugli occhi. Era davvero stanco, Elisa poteva capirlo anche solo dal suo tono di voce. “Non preoccuparti.”

“Be’, però tu ti presenti a casa con una fronte così aggrottata…! Ti sentirà la testa per giorni!” tentò di sdrammatizzare Elisa. Lei non era in una posizione tale da poter risultare tranquilla – la sconfitta contro Pietro Orlandi ancora bruciava – ma capiva perfettamente che Francesco non avrebbe mai accennato ai suoi problemi con Marco nelle vicinanze. Già era difficile che li rivelasse ad Elisa stessa, di certo con Marco non ne avrebbe fatto parola nemmeno sotto tortura.

“Mi vendicherò su quei tre coglioni, allora.” E si passò una mano sugli occhi con stanchezza. Elisa ci avrebbe messo la mano sul fuoco: quella era un esempio perfetto di cazzata. Francesco non era mai stato bravo a raccontare frottole, per quanto ci si impegnasse nel trovare tutti i dettagli, ma le sue espressioni lo tradivano sempre. O forse ormai era solo un sesto senso di Elisa sviluppatosi con la loro convivenza?

“Che sia qualcosa di tremendo. A vedere da come stai, loro non sono affatto stati clementi con te.” Continuò, con un certo tono di scherno, quasi a sfidarlo a trovare altri dettagli con cui arrampicarsi sugli specchi.

“Non ti facevo così sadica. Mi stupisci ogni giorno di più. Non è che domani scoprirò che riesci a tenere una palla in equilibrio sul naso?” la guardò stancamente divertito.

“Mica sono una foca!”

“Be’, l’aspetto ce l’hai.” Soffiò una mezza risata, mentre Elisa rise quasi tranquillamente. Marco assisteva alla loro conversazione in silenzio, sempre più vicino a lei, che per questo si sentiva in evidente imbarazzo, peritandosi però a dire qualunque cosa che potesse fargli allentare la presa sulla sua pancia. Era ovvio che Francesco lo mettesse a disagio – e forse anche più del semplice disagio – ma Elisa non poteva rompere tutti i rapporti con lui solo perché Marco era presente. Francesco, dopotutto, era pur sempre il padre di Sofia e l’uomo che viveva con lei.

“Sei sempre il solito, France.” Borbottò Elisa, stringendosi a Marco con un’espressione di falsa offesa dipinta sul viso. Stavano scherzando, entrambi lo sapevano bene, ma la poca partecipazione – praticamente nulla – di Marco a quella loro conversazione le diede da pensare che era giunto il momento di piantarla lì. “Allora poi mi dirai a cosa era davvero dovuta quella tua faccia quando sei entrato.”

“Sì, sì, certo.” La liquidò lui, alzandosi dal divano e dirigendosi in camera. “Quando bolle il tè, chiamami, che poi vado a prendere Sofi.”

“Eli, io torno a lavoro.” Senza troppi giri di parole, o richieste implicite di venire trattenuto, Marco si alzò dal divano e indossò il lungo cappotto scamosciato.

Elisa lo seguì con lo sguardo, mortificata. “Non te la sarai presa per la presenza di Francesco, vero?” Gli chiese, seguendolo e prendendolo per un braccio. “Non sapevo che sarebbe tornato nel pomeriggio, mi aveva detto che doveva trovarsi con Daniela.”

“No, tranquilla,” le sorrise, passandole una mano sul viso. Elisa apprezzò molto il suo comportamento, sebbene vedesse chiaramente che Marco non le stava dicendo la verità. Evidentemente la faccenda che avevano lasciato in sospeso qualche sera prima non si era conclusa affatto. Ma avrebbe dovuto aspettarselo: una questione così complicata non poteva venire accantonata da un giorno all’altro senza nemmeno parlarne più. “Devo solo portare a termine qualche scartoffia che mi sono lasciato alle spalle.” Spiegò lui, quasi come se fosse una difesa ulteriore al suo sorriso che, poco mancava, scomparisse definitivamente dal suo viso.

“Ah, d’accordo.” Annuì lei. La convinzione nelle sue parole era tanta quanta quella di Marco: nulla. “Allora ti chiamo io, va bene. E grazie per oggi. Mi ha fatto davvero tanto piacere che tu sia venuto per tenermi compagnia.” Gli sorrise, sperando che quella reale gratitudine potesse anche solo minimamente migliorare il loro saluto.

“Di niente, Eli.” E uscì concedendole solo un frettoloso bacio sulle labbra. Era stato freddo, proprio come le sue labbra.

 

***

 

Fu la telefonata di sua madre, desiderosa di sapere se Marco le avesse detto esattamente quello che Anna stessa avrebbe voluto ripeterle per l’ennesima volta, a farle perdere il controllo. Fu una discussione durata forse nemmeno cinque minuti, in cui Elisa berciò contro sua madre ad una velocità tale che nemmeno si rese conto di quello che le aveva detto. Si ricordava solo il concetto: “mi sono rotta i coglioni di te e delle tue prediche!” Aveva riagganciato ancor prima che lei potesse ribattere, ed Elisa già sapeva che questo significava solo altri problemi in vista. Prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa sua strisciando per chiedere scusa a sua madre e a promettere in tutte le lingue a lei note che una cosa del genere non sarebbe più successa – più o meno come capitava ogniqualvolta che tra loro arrivavano ad un limite di sopportazione.

Si era quindi buttata sul letto e si era coperta il viso con un braccio, spossata all’inverosimile, visto che tutto sommato non poteva nemmeno dire di essere stanca a causa del lavoro. Ma sapeva che in realtà tutta quella stanchezza, altro non era che psicologica. Quella mattina aveva pianto per l’ennesima volta davanti a Francesco, che stava esaurendo la scorta dei suoi metodi consolatori, aveva litigato con sua madre, poi si era depressa insieme a Chiara per un paio di orette abbondanti, per poi concludere il pomeriggio con quel saluto inespressivo da parte di Marco. Ah, e c’era da mettere in conto anche la telefonata di sua madre – come se le urla di quella mattina non fossero già state sufficienti. Insomma, una bella dose di stress che in quel momento proprio non era richiesta.

Mentre Elisa aspettava che Francesco tornasse con Sofia, nemmeno pensò che fosse il caso di andare a preparare la cena. Era troppo stanca, spossata, incapace di pensare solo ad alzarsi dal letto, su cui era caduta a peso morto non appena aveva chiuso la chiamata con sua madre. Avrebbe dovuto prendere in mano la situazione, però. Non era da lei piangersi addosso. Ok, si era licenziata, e allora? Avrebbe trovato un altro lavoro! E anche migliore, molto più retribuito e molto più piacevole.

Fu con questa inaspettata grinta in corpo che si alzò e iniziò ad apparecchiare la tavola.

Sofia e Francesco tornarono proprio mentre lei preparava la pentola per lessare le patate e la piccola si precipitò in cucina per poterle essere d’aiuto, come solitamente amava fare, mentre Francesco si era messo a preparare degli invitanti crostini con prosciutto cotto e stracchino.

“Non ci stanno molto bene con le patate lesse.”

“Ma ti piacciono, no?” aveva risposto lui. “Stasera ne hai bisogno, dai.” E con un occhiolino le diede un piccolo bacio in fronte. Elisa quasi pensò di approfittare della sua situazione per farsi coccolare un po’ da Francesco, ma ci ripensò non appena le venne in mente l’espressione tendente al freddo di Marco. Prima di crogiolarsi nel piacere, era meglio sistemare le cose con lui, forse.

“Non dovevi uscire con Daniela?” buttò lì Elisa, aspettando che Sofia andasse in sala a colorare i suoi album.

“Sì, dovevo.” Rispose sintetico lui, spalmando la crema rosata su un pezzetto di baghette.

“Cosa è successo?”

“Niente.”

“E devo crederci?”

“Solo se vuoi.”

“France,” smise di sbucciare l’ultima patata e lo guardò seria, le mani ai fianchi. “Dopo tutto questo tempo, anche io ho imparato a capire ogni tuo atteggiamento. Avanti, spiegami cosa è successo? È stata ancora colpa mia? Che ho fatto?”

“Smettila di assumerti sempre la colpa.” La zittì lui. “Sono questioni tra me e Daniela. E poi -”

“Mamma, papà! Guardate che bello!” si intrufolò in cucina Sofia, sventolando energeticamente l’immagine di una tartaruga colorata di viola e verde. “È una tartaruga magica!”

“Che brava, Sofi!” le andò incontro Francesco, prendendola in braccio e regalandole un sonoro bacio sulla guancia. “Come ti è venuta in mente?”

“L’ho sognata stanotte!”

E mentre Francesco si allontanava dalla cucina, Elisa non poteva far a meno di pensare a cosa potesse essere successo. È vero, conosceva Francesco da tanti anni, ma ogni volta il suo comportamento era fin troppo enigmatico, incomprensibile. Avrebbe voluto continuare a parlare di quell’argomento, perché se c’era una cosa che non sopportava era non essere messa al corrente di quello che gli accadeva. Lui sapeva ogni cosa di lei – perfino le date del suo ciclo mestruale! – ma lei non sapeva tutto di lui, perché Francesco non amava parlare di sé. Lo faceva solo raramente e Elisa amava quei momenti come poche cose al mondo. Per quanto Francesco potesse essere forte, sicuro di sé, arrogante… Vedere le sue fragilità era parte di se stesso.

 

***

 

“La puoi piantare di fissarmi così? Non riesco a dormire.”

“Lo so, per questo continuo. E non ho intenzione di piantarla tanto facilmente.”

“Che palle, Elisa.” Si voltò bruscamente, dandole le spalle e incurvandosi quasi a nascondere la testa dalla sua vista – magari pensava seriamente che se lei avesse continuato a guardarlo incessantemente a quel modo, avrebbe potuto leggergli la mente.

Elisa sbuffò, ma rimase ferma nella sua posizione, senza cedere di un millimetro: sdraiata su un gomito e la testa appoggiata alla mano per poter vedere Francesco senza troppi problemi.

Non c’era stata più occasione di parlare della faccenda da quando Sofia li aveva interrotti, e per quanto insistente potesse essere da parte sua, Elisa sapeva che ciò che Francesco le nascondeva era qualcosa molto importante per lui, altrimenti gliel’avrebbe già detto. Purtroppo lui era ostinato a non proferire parola almeno tanto quanto lo era lei nel non voler far cadere il discorso un’altra volta.

“Sei ancora lì, eh…” sospirò lui, prendendo il cuscino e coprendosi la testa. “Per piacere, voglio dormire, e con te che mi fissi a quel modo non ci riuscirò mai!”

“Allora dimmi cosa è successo con Daniela e io mi metto buona sotto le coperte e ti prometto di non infastidirti per tutto il resto della notte.”

“Non sarebbe vero: russi.”

“Non è vero!” gli colpì una spalla con la mano. “Io non russo, forse tu, ma non io!”

“Oh, sì che russi! E dovresti sentirti!” ghignò lui.

Elisa comprese solo in quel momento il suo vano tentativo di cambiare discorso, per questo raddoppiò la dose di colpi sulla spalla del ragazzo, che ridacchiò e si voltò nuovamente verso di lei.

“Ascolta, davvero, mi fai dormire?”

Elisa sospirò, buttandosi di colpo con la testa sul cuscino e si passò una mano sugli occhi, già privi di lenti a contatto e quindi anche più rilassati. “Non vuoi proprio dirmelo?”

“Eli, se fosse stato così importante, te l’avrei detto, no?”

“No, tu fai esattamente il contrario: le cose importanti non me le dici mai, anche in passato era così, quindi non pensare di fregarmi. Ormai ti conosco meglio delle mie tasche.”

“Allora se sai che non ti dirò niente, perché continui ad insistere?” si fece serio lui, guardandola negli occhi. Elisa si sentì svanire dentro quello sguardo verde, le sembrava di essere inghiottita da quell’espressione così dura che quasi le mancò il fiato per rispondere e il suo cuore aumentò i battiti. Lui respirava lentamente, quasi a volersi controllare, quasi come se stesse per scoppiare, ma era solo apparenza, perché Francesco non era mai scoppiato, solo in un’occasione l’aveva fatto, un’occasione così lontana che Elisa nemmeno volle rivangare – quello ormai faceva parte del loro disastrato passato insieme. Ma quella sua aria seria pareva pericolosa e Elisa si sentì costretta ad abbandonare la sua posizione tanto a lungo difesa. Non voleva iniziare un’altra discussione con Francesco e mentre si copriva con le coperte, confidava che un giorno lui le sarebbe venuto a dire cosa le nascondeva di così misterioso.

“Tu che mi dici, con Marco le cose come vanno?”

Elisa venne colta alla sprovvista da quella domanda. “Ma non volevi dormire?”

“Mi è passato il sonno.” Mugugnò, avvicinandosi a lei e passandole un braccio intorno alla vita. Lei si irrigidì e quasi ebbe paura che lui se ne potesse accorgere e dire qualcosa al riguardo.

“France, per piacere, ora sono io che voglio dormire.”

“Be’, prima tu mi hai molestato psicologicamente con quel tuo sguardo, lascia ora che lo faccia io, no?”

“No, buonanotte.” E si scansò dal suo abbraccio per andarsi ad arrotolare sul bordo del letto. Era la sua fine, se lui si fosse avvicinato, lei sarebbe caduta senza esitazione per terra.

“D’accordo, sappi però che mi sono accorto di come si è comportato oggi. E lasciati dire che non aveva proprio l’aria di essere entusiasta di me.”

“Questo perché lo sai che non sopporta vedermi con te, e poi la questione non ci sarebbe nemmeno stata, dal momento che tu saresti dovuto essere da Daniela. E questo ci riporta alla fatidica domanda.” Si voltò verso di lui, tentando di ribaltare le posizioni, ma i grandi occhi di Francesco la bloccarono, facendo vacillare la sua determinazione, che ad un colpo di tosse improvvisato, però, tornò a fare capolino. “Cosa è successo con lei?”

“Ah, Elisa, ma perché sei così insistente?” si passò una mano sugli occhi e si fece cadere sul letto a peso morto, facendo cigolare le doghe del letto.

“Facciamo un patto per stasera, allora.” Propose lei, fissandolo. “Io non ti chiedo più di Daniela e tu non ti immischi nella mia vita.”

“Come vuoi. Volevo solo fare conversazione.”

“Sugli affari miei.” Precisò lei.

“Be’, tu la volevi fare sui miei, cosa cambia?”

“Non è questo, io volevo solo sapere -” gli occhi di Francesco su di lei, in attesa che continuasse a confessare il suo vero motivo di preoccupazione, però, la fecero esitare e questa volta la sua determinazione si assopì del tutto. “No, niente. Hai ragione, buonanotte.” E si girò dandogli le spalle.

Francesco aveva ragione come al solito: lei non voleva parlare della situazione con Marco, non voleva raccontargli del periodo di crisi che stava attraversando anche con lui ad intervalli sempre più frequenti. E per di più sempre più a causa di Francesco. Era assurdo come il loro rapporto stesse sempre più precipitando senza poter far apparentemente niente per salvarlo. Era iniziato qualche giorno prima a cena, poi sembrava essersi sistemato a causa del suo licenziamento, ma subito era crollato nuovamente. Doveva chiarire con lui, doveva parlargli, non poteva andare avanti così, anche perché era una questione che la stava sempre più distruggendo, se sommata a tutti gli altri problemi che in quel periodo si stava portando sulle spalle. E forse per Francesco era la stessa cosa: magari anche lui aveva dei seri problemi con Daniela – ma come dargli torto! – e il non volerne parlare era più che comprensibile, se paragonato a ciò che provava Elisa.

L’unica differenza era che lei avrebbe davvero voluto che Francesco una volta tanto le confidasse qualcosa, ma lei non era ammessa nella sua vita privata, mentre lui sembrava avere il passepartout nella sua, entrando ed uscendo quando voleva. E forse questo accadeva perché… Lui era parte della sua vita privata.

_______________________________

Ebbene sì, sono ancora viva! E ho postato! Incredibile, vero? Non so nemmeno più quanto sia passato dall'ultimo aggiornamento. Sicuramente troppo, come al solito...

Ad ogni modo, qui iniziano ad esserci i segni di un imminente "catastrofe". Vediamo se qualcuno di voi riuscirà a capire cosa sia ;)

 

E detto questo, veloce come non mai, vi lascio all'attesa del prossimo capitolo! Ovviamente prima ringrazio tutti coloro che hanno letto fino qui!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XIII ***


Nuova pagina 1

“Sei così pallido da far invidia a un cadavere.” Furono queste parole di Federica ad accoglierlo nello studio Quadri, quella mattina alle nove e spiccioli. Non che gliene fregasse qualcosa del suo commento, Fede era una persona che non si faceva scrupoli a sbattere sul muso le sue parole alle persone, e lui non era il tipo da rimanerci male, ma quella mattina si sentiva investito in pieno da quelle parole. Era vero, purtroppo. E forse non stava nemmeno tanto bene. Non fisicamente – lui era un mostro in quel senso, il suo sistema immunitario era una fortezza inattaccabile (certe volte) – ma psicologicamente.

“Lo so.” La salutò con un cenno del capo, superandola e sedendosi stancamente sul divano della sua stanza. “Userò più fondotinta domani.”

“Bravo.” Ridacchiò lei, entrando nel magazzino per prendere una cartella di fascicoli per Nicola. “Ehi, ma vuoi anche quelli del 2009 o bastano quelli dell’anno scorso?”

“Ma se ti avevo detto di prendere anche quelli del 2008!” Nicola varcò la porta del suo ufficio sbuffando, mentre deglutiva quella che doveva essere la sua colazione quotidiana. “Per una volta che so esattamente quello che devo fare, ti ci metti tu a non capire niente, Fede!”

“Se tu non biascicassi le parole – e buttassi almeno giù il boccone mentre parli – sarebbe tutto più facile, sai?” si mise le mani ai fianchi rotondi e lo guardò superiore. “Pulisciti qui,” si indicò il proprio angolo della bocca. “Hai ancora le briciole della brioche che ti sei mangiato.” Nicola provvide ed entrò nel magazzino per prendere i cataloghi, fermandosi quasi istantaneamente. “Ehi, dove li hai messi?”

“Qui, idiota.” E gli offrì tutti e quattro i raccoglitori che cercava, mostrandogli quel suo sorriso derisorio e scarruffandogli i già pochi capelli con una mano cicciottella. “Ah, se non ci fossi tu a rallegrarmi le giornate, Nico!” e se ne andò ancheggiando, innalzando in aria due dita in segno della vittoria appena conquistata.

“Che palle, Fede.” Bofonchiò lui, seguendola nell’altra stanza e lasciando che il silenzio tornasse a regnare intorno a Francesco, che si tolse il giacchetto gettandolo in malo modo su una sedia di fronte alla sua scrivania. Si stravaccò esausto sulla poltrona e chiuse gli occhi per qualche istante, respirando quella poca aria di tranquillità di cui aveva bisogno.

“Mi sono perso qualcosa?” Gianluca fece capolino dalla porta del bagno, mentre il rumore dello sciacquone faceva loro sottofondo. “Ho sentito Nico e Fede brontolare come al solito.”

“Niente, tranquillo, era il loro solito battibecco.” Si passò una mano sugli occhi. “Esilarante battibecco, aggiungerei. Fede non gliene fa passare una.”

“Peccato, avrei voluto assistere.” Ridacchiò l’altro, tornando alla sua scrivania.

“Ce ne saranno molti altri.”

“Anche tu mi pare ne hai appena avuto uno, eh?” gli chiese senza troppi giri di parole.

“Oh, fosse solo un battibecco nemmeno ci starei a pensare.” Il tono che si trovò ad usare gli fece pensare che il sarcasmo usato contro se stesso doveva essere proprio il fondo.

“E cosa è successo?”

“Elisa si è licenziata.” Gianluca non riuscì a rispondere e si limitò a strabuzzare gli occhi, per poi passare ad un’espressione tra il confuso, il divertito e il preoccupato, un mix tanto elaborato che difficilmente sarebbe stato in grado di ripetere. “Già, l’avrei fatta pure io una faccia del genere, ma Elisa s’è messa a piangere come una fontana. È stato possibile scherzarci sopra solo dopo un po’. Dovevi vedere come era stravolta.”

“Ma perché…?”

“Ha detto che non sopportava più quell’idiota dell’Orlandi.” Francesco si chinò per accendere la ciabatta che dava corrente al suo computer e tutti gli hardware ad esso collegati. “E istintivamente s’è ritrovata a licenziarsi.”

“Per quanto non possa sopportare Pietro, non è stata un po’ troppo avventata?” si grattò la testa Gianluca, muovendo il mouse per togliere dalla modalità stand-by il suo portatile.

“Gliel’ho detto pure io, ma non mi è sembrato il caso di farla pensare a quanto troppe volte sia istintiva, non pensi? Era distrutta, e già sua madre ha parlato abbastanza, come al solito. Anna è una che finché può, non si risparmia colpi.”

“E hai quest’aspetto a causa di Elisa?” non c’era dubbio che fosse una domanda, la sua, ma era altrettanto evidente che si aspettasse tutt’altra risposta, da quella affermativa che poteva sembrare.

Infatti Francesco negò, sospirando. “È Daniela.” Ammise.

“Chissà perché me lo sarei aspettato.” Commentò ironico. “Che è successo?”

“Avranno litigato ancora una volta a causa di Elisa.” Intervenne Federica, riportando uno dei voluminosi raccoglitori che aveva preso nemmeno dieci minuti prima dal magazzino. “Vedi che poi non gli servivano i dati del 2008?” aggiunse saccente.

“Mi spiegate perché qui dentro tutti vi interessate ai fatti miei?” sorrise Francesco, sebbene la domanda non fosse così superficiale.

“Perché sei l’unica persona che qua dentro è in grado di fornirci sempre storie interessanti!” rispose semplicemente Federica, arrampicandosi su uno scaleo per riporre in ordine obbligatoriamente cronologico il fascicolo.

“Lasciala perdere, cosa è successo con Daniela?” si intromise anche Nicola, raggiungendoli.

“Mah, niente di che.” Restò sul vago Francesco. Non tanto perché fosse una vera risposta, quanto perché parlare dei suoi problemi sentimentali davanti a troppe persone lo metteva estremamente a disagio.

“Sì, dai,” convenne Gianluca. “Ti avrà solamente buttato fuori di casa.” Alzò le spalle con noncuranza, mentre Francesco si sentì colpito e affondato – per la seconda volta. Non seppe se era pura casualità o solamente la stramaledetta capacità di Gianluca di capirlo al volo, ma ci aveva proprio preso.

Purtroppo la sua reazione inaspettata lo tradì: “Oh, ma allora è un problema serissimo, questa volta!” esclamò Fede.

“Cacchio, Vanni! E ora che farai?”

“Innanzitutto, non ci voglio pensare,” si alzò, guardandoli tutti e tre minaccioso, senza però nascondere un abbozzo del suo solito ghigno, più di circostanza che altro. “E poi non dovevate consultare il piano strutturale per conto dei Farina?”

“Che palla al piede che sei, France!” sogghignò Fede, prendendo Nicola per una manica e trascinandolo via con sé. “Sappi solo che tanto Gianluca poi ci racconta tutto!” e lo salutarono con una pernacchia.

Francesco si lasciò scappare una risata. “Ma che lavoro monotono sarebbe senza quella bomba di energia che è Fede?”

Anche Gianluca ridacchiò, per poi tornare a concentrarsi su quello sfondo nero con le sezioni della villetta dei Farina, programma più volte insultato e ancora odiato.

“Non dici niente?”

“Che vuoi che ti dica?”

“Se sto facendo la cosa giusta.” Sospirò Francesco, cadendo ancora una volta tra le braccia della sua poltrona imbottita. “Due sere fa dovevo uscire con Daniela, ma Elisa è tornata a casa in lacrime e ho posticipato la serata a ieri.” Raccontò. “Ma quando sono andato a prenderla ieri verso le cinque mi ha sbrodolato addosso una montagna di insulti – e credo che Elisa se ne sia pure accorta, anche se non so come.”

“Spero tu sia stato zitto e abbia fatto il colpevole.”

“Per un po’.” Confessò Francesco, dandosi ancora una volta dello stupido. “Ma dopo ha iniziato a dare della troia a Elisa, al fatto che mi volesse sempre con sé…”

“France, posso permettermi di -”

“Io ho ribattuto dicendo che avevo scelto io di rimanere, non me l’aveva chiesto lei. E poi ti giuro che Eli mi ha fatto una pena incredibile a vederla così, non potevo lasciarla sola.”

“E io giuro che se Elisa ti sentisse dire una cosa del genere, ti picchierebbe a sangue.”

“Già, poi mi taglierebbe le palle e le appenderebbe al muro come trofeo.” Si derise da solo.

“Piuttosto cruenta come immagine,” disse Gianluca toccandosi i suoi preziosi gioielli, quasi a voler sdrammatizzare la situazione. “Ma rende l’idea.”

“Ad ogni modo non me la sento di lasciarla così, anche perché con Marco non mi sembra che vada così bene come vorrebbe far credere, e ha anche litigato nuovamente con Anna, te l’ho detto.” Continuò a raccontare, dondolandosi sulla sedia.

“Ho capito, ma non è che ha ragione Daniela?” ipotizzò Gianluca.

“Perché, scusa?” lo guardò serio. “Tu avresti lasciato Marianna da sola in un attacco di pianto isterico?”

“Primo, Marianna è mia moglie, non l’avrei lasciata per vedermi con un’altra.” Ribatté vincente lui. “Secondo, France, tu stai con Daniela. Non con Elisa.”

“Proprio perché sto con lei, dovrebbe smetterla di comportarsi così.” Rispose. “Cosa è? Gelosia? E di cosa? Se io e Elisa non siamo sposati, ci sarà un motivo, no?”

“Prova a dirlo a Daniela, non a me. Faresti meglio a chiarire con lei, tanto per non farle venire un esaurimento nervoso nell’attesa. Sai, è psicologa, ma ognuno i propri problemi non li capisce da solo.”

“Credi che non ci abbia provato a dirle tutto questo?” si lamentò. “Ma sai cosa? Forse è bene così.” Continuò risoluto. “Magari non è la persona adatta a me.”

Gianluca lo guardò e Francesco giurò che gli avrebbe volentieri detto altro, ma come aprì la bocca, la richiuse, lasciando ricadere la sua replica nel silenzio. Avrebbe voluto chiedergli cosa stesse per dirgli, ma allo stesso tempo, quasi credeva di saperlo già. Lasciò anche lui cadere il discorso, tornando a concentrarsi sulla cartina morfologia digitalizzata della zona in cui sarebbe sorta la villetta dei Farina.

“Ti dispiace se metto un po’ di musica?”

“No, fai pure.”

E ottenuto il permesso, Francesco accese le casse del vecchio stereo, riempiendo l’aria delle note dei Led Zeppelin.

 

***

 

Avrebbe volentieri dato ascolto ai consigli di Gianluca, ma tanto già sapeva che sarebbe stato tutto inutile, dopotutto era vero: se Daniela non capiva, significava che non era adatta a lui. Cosa aveva di così complicato la sua situazione familiare da infastidirla così tanto? Elisa era come se fosse sua sorella, e come fratello lui non avrebbe potuto fare niente se non starle vicino in questo periodo. Aveva perso il lavoro, era triste, si sentiva inutile e per di più non voleva ammettere niente di tutto questo: era ovvio che lui volesse aiutarla in qualche modo. E Daniela non lo capiva. Per questo ora Francesco era seduto scomposto sul divano, il telecomando in mano, e gli occhi sfuggenti sullo schermo mentre mandava avanti i canali senza nemmeno guardarli.

Stava pensando a cosa fare, ma forse era proprio meglio non fare niente. Le cose avevano preso quella piega da sole, magari si sarebbero aggiustate allo stesso modo, anche perché in quel periodo Daniela era talmente velenosa che avrebbe potuto ucciderlo anche con un soffio. Preferiva aver salva la pelle e ritardare il confronto letale. Ed era proprio quello che prevedeva di fare per almeno un paio di giorni.

“France, tutto bene?” Elisa era appena uscita dal bagno, avvolta in un accappatoio giallo canarino e si stava asciugando i capelli con un asciugamano viola, un’accozzaglia di colori davvero particolare e degna della ragazza. Lo stava guardando leggermente preoccupata, ma allo stesso tempo anche solare. Proprio prima di andarsi a lavare gli aveva confessato che sapeva quanto gli costava rimanere con lei, ma che l’apprezzava.

“Sì, sì.” Annuì con convinzione, guardandola. I piccoli piedi bianchi le sbucavano dalle ciabatte da piscina a pois verdi e rossi, mentre le unghie di un colore indefinito tra il viola e il nero spiccavano per il contrasto.

“Che ti hanno fatto i miei piedi?” borbottò Elisa, avvicinandosi a lui.

“Niente, ammiravo la tua interessante scelta cromatica.” Le offrì un braccio per sedersi affianco a sé. “Sai, dà all’occhio.”

“Dici?” si sedette sul divano e si prese un piede in mano. “A me piacciono i colori che contrastano tra loro.”

Fu strano come guardarla in quella sua bizzarra tenuta potesse rilassare Francesco, che le sorrise dolcemente e le passò un braccio intorno alle spalle, facendole posare la testa sulla sua spalla.

“France, sono tutta bagnata…” mormorò lei, stringendosi l’accappatoio sul seno, come ad evitare che lui potesse adocchiare qualcosa di inopportuno.

“Meglio, così evitiamo i preliminari.” Ghignò lui, guadagnando un’affettuosa gomitata tra le costole.

“Sì, così non dovrai sforzarti più del necessario.”

“Che vuoi dire? Che non ne sono capace?” la sfidò, guardandola con il suo sorriso storto. Ogni tanto Francesco si chiedeva se Elisa sapeva di arrossire ancora in sua presenza, ma non gliel’aveva mai chiesto, volendo godere della sua goffaggine nel riuscire a fare l’indifferente.

“Lasciamo perdere, va’.” Lo liquidò Elisa, allontanandosi da lui per dirigersi in camera.

“Guarda che se vuoi ti do la prova che non è vero!” scherzò, urlandole dietro, ridacchiando, per poi tornare al suo serale zapping, mentre sentiva Elisa nella loro camera rovistare tra le grucce dell’armadio. Molto probabilmente sarebbe uscita con Marco.

Francesco non ebbe nemmeno il tempo di sospirare e pensare che in effetti avrebbe davvero fatto molto meglio ad andare da Daniela a parlare, che il campanello suonò.

“France, puoi andare tu? Sono ancora mezza nuda!” Gli urlò lei dalla camera.

“Faresti più figura che vestita!” le rispose, spegnendo la televisione ed alzandosi. Ma contrariamente alle sue aspettative, quando aprì la porta non vide nessun Marco dai capelli biondi perfettamente ingellati, dai vestiti altrettanto perfetti e dal tempismo che spaccava – ancora una volta perfettamente – il secondo. No, davanti a lui c’era una Daniela affannata, struccata e coi capelli legati in una abbondante coda alta. Aveva addosso dei semplici jeans ed una felpa, probabilmente Francesco non l’aveva mai vista in quelle condizioni troppo casalinghe.

“Dani,” esclamò lui, facendole segno di entrare, ma lei non si mosse dalla soglia della porta, guardandolo tra il minaccioso e il frustrato. “Che hai?”

“Cosa ho? Cosa ho?!” urlò sommessamente lei, riducendo gli occhi a due piccole fessure azzurre. Arricciò il naso e le labbra in un sibilo molto più che velenoso e batté un piede a terra. “Ti stai ancora chiedendo cosa abbia, quando io in realtà ti ho aspettato per giorni e tutt’ora speravo che tu ti facessi vivo per chiedermi scusa?”

Quella raffica di parole colpì Francesco del tutto impreparato, portandolo a rispondere con l’espressione peggiore che avrebbe potuto trovare: “Eh?”

Daniela ruggì un’imprecazione a denti stretti, mentre serrava gli occhi e stringeva i pugni. La borsa le cadde dalla spalla e lei non fece niente per sistemarsela, presa com’era a fulminarlo con lo sguardo. “Dillo che l’ami ancora, porca miseria!” urlò. “Dillo e io mi tolgo dalle palle!”

“Dani,” la prese per le spalle, cercando di calmarla e non far sentire le loro parole a tutto il palazzo, che già li guardava male per la loro situazione familiare. “Ascolta, stai calma, entra, ti offro qualcosa e parliamo, d’accordo?”

“D’accordo un cazzo!” sputò lei, scansando violentemente le mani di Francesco con un brusco movimento delle braccia. “Tu non capisci niente! Sei uno stronzo! Io ti ho assecondato una volta, poi un’altra, e anche ieri sera, quando sei venuto e poi hai deciso che era meglio tornare a casa perché ‘Elisa sta passando un brutto periodo’, parole testuali!”

“Ma è vero, te l’ho detto.” Replicò con una calma molto vicina al limite, ricordandosi come già la sera precedente lei gli aveva urlato parole molto simili – motivo che l’ha portato a tornarsene a casa più infuriato che mai.

“Perché diavolo fai tutto questo per lei?” continuò però lei imperterrita.

“France, che succede?” la domanda di Elisa lo costrinse a prendere Daniela per le spalle e a spingerla nel corridoio. “Niente, esco un attimo.” E si chiuse la porta alle spalle, mentre Daniela respirava ancora più faticosamente davanti ai suoi occhi.

“Ora la difendi pure?”

“Cosa c’è da difendere, Daniela?” la guardò serio, incrociando le braccia al petto. Era scocciato, non sopportava queste scenate di gelosia, soprattutto perché succedeva sempre che lei lo attaccava su ogni fronte, costringendolo certe volte a risponderle con parole che non avrebbe mai voluto dirle. “Stai esagerando, calmati.”

“No che non mi calmo!” l’espressione del suo viso iniziò a tremare e da arrabbiata quale era, ora era fin troppo vicino al pianto imminente. “Ti rendi conto che io non ce la faccio più?” tirò su col naso. “Io vengo sempre dopo Elisa, dopo le sue richieste di rimanere a casa per stare con Sofia, dopo la sua voglia di stare con la sua famiglia, e anche dopo il suo licenziamento. Io sono stufa, France.” Ora i suoi occhi quasi lo supplicavano di risponderle, ma Francesco proprio non sapeva come. Era assurdo come una situazione così semplice per lui potesse creare certe complicazioni nel rapporto con Daniela. E non solo con lei. Era sempre stato così da quando le donne con cui usciva scoprivano della presenza di Elisa nella sua vita.

“Daniela, te l’ho detto tante volte.” Si passò una mano sul viso, per poi guardarla dolcemente, sfoderando tutto il suo lato pentito, consapevole che il novanta per cento delle volte funzionava per calmarla, per farla ragionare. “Elisa è una carissima amica,” iniziò, prendendole una mano nella sua e guardandola intensamente negli occhi. “Io e lei abbiamo condiviso molte più cose di quel che tu possa immaginare -”

“Certo, come anche l’aver fatto sesso!” Purtroppo questo era quel fottutissimo dieci per cento che presto avrebbe mandato Francesco in bestia.

“Abbassa la voce, Elisa potrebbe sentirti e non ho voglia di litigare anche con lei.” Sibilò, cercando al tempo stesso di respirare con regolarità.

“Ah, è così, eh! Con me puoi benissimo litigare come ti pare, tanto io sono Daniela, non Elisa!” urlò se possibile ancora più forte, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso. “Che senta pure, allora! Che sappia che stiamo litigando per colpa sua! Come sempre, del resto!” si stava sgolando e la signora Bianchi, la classica vicina di casa impicciona e pettegola, si affacciò di soppiatto alla porta, osservandoli come un paparazzo. Se solo Francesco non fosse stato così impegnato a non rovinare la sua storia con Daniela, a cercare di salvarla in parte, avrebbe volentieri chiuso il naso di quella donna nella porta, per poi aprirla improvvisamente e sbattergliela dritta in faccia.

“Daniela, ora basta,” cercò di essere dolce, ma allo stesso tempo di imporsi per non peggiorare ulteriormente le cose – anche se sarebbe stata un’impresa alquanto impossibile. “Non piangere, facciamo così: domani vengo da te e ne parliamo con calma, ok?”

“Sono tre giorni che dici che verrai per stare con me e non sei nemmeno mai uscito di casa, se non per dirmi che volevi rimanere con Elisa!” gli rinfacciò. “Ma per chi mi hai preso?” piangeva. “Per la tua donna di scorta? Quando le cose non vanno bene con Elisa, allora ci sono io?”

“Daniela, dai, piantala. Lo sai che non è vero.” Provò ad avvicinarsi e a posarle una mano sulla spalla, pregando un qualsiasi Dio in cui non credeva di fargliela passare anche per questa volta. “Ti garantisco che è solo un periodo, presto finirà tutto e noi torneremo come prima. Elisa ha perso il lavoro, ma si sta impegnando per trovarne un altro.” Le raccontò, avvicinandosi piano piano a lei, abbracciandola sempre con cautela, ma riuscendo a raggiungere il suo obbiettivo. “Proprio oggi mi ha detto che aveva trovato il modo di fare un colloquio in un agenzia di design.”

“France,” Daniela lo abbracciò a sua volta, nascondendo il viso sul suo petto e piangendo senza più ritegno. “Giurami che non mi farai più stare così.”

Francesco non seppe con quale forza di volontà si convinse a non rinfacciarle che aveva fatto tutto da sé, ma almeno per quella volta, era riuscito a calmare quell’uragano di gelosia che Daniela evidentemente si portava dentro da tempo. “Certo, Dani.”

Lei lo abbracciò più forte e continuò a piangere, mentre la signora Bianchi, soddisfatta della visione gratuita a cui aveva assistito, tornava a rintanarsi in casa sua.

“Scusa…” sussurrò poi lei. Francesco sorrise lievemente e si abbassò per darle un bacio sulla fronte, riuscendo a calmarla definitivamente. Solo il cellulare di Francesco li interruppe, vibrando inaspettatamente e mettendo fine alla loro riconciliazione.

“Domani non lavoro, ti aspetto in mattinata a casa mia, ok?” Gli sorrise lei, baciandolo a fior di labbra e andandosene.

Francesco aspettò che scendesse le scale del loro piano e poi aprì la porta dell’appartamento, rispondendo al telefono e tirando un sospiro di sollievo che lo sfiatò completamente.

__________________________________

Bene, gente, eccoci nuovamente qui! Che dite, troppo tardi? Be', si effettivamente sì, lo è... Ma meglio tardi che mai, no? Sì, è vero: lo ripeto tutte le volte, scusate, e alla fine mi ritrovo sempre a pubblicare a mesi di distanza. Chiedo venia!
Ad ogni modo, ecco a voi il nuovo capitolo. La situazione, come potete vedere voi stessi, non è proprio la migliore. Dite che Francesco e Daniela riusciranno a parlare? A chiarire? Ed Elisa avrà mai un nuovo lavoro? Be', aspettate il prossimo capitolo, intanto se volete lasciare un commento con eventuali ipotesi, sappiate che io sarei felicissima di leggerli :)

 

E detto questo, approfitto di questo aggiornamento per ringraziare chiunque continui a leggere questa storia malgrado tutti i miei mostruosi ritardi, coloro che ogni tanto commentano, e ringrazio anche quelli che si sono persi per la via, perché ovviamente un po' di colpa è anche mia e della mia incapacità di rispettare le scadenze.


E concludo augurandovi un Buon Natale - anche se in ritardo - e un Felice Anno Nuovo! Tanto i Maya non hanno ragione! C'è ancora tanto tempo per poter vedere questa storia conclusa! ;)

Auguri ancora, e Buone Feste! Occhio a non ingozzarvi troppo, che finiremo poi per muoverci rotolando!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIV ***


Era notte

Era notte, forse. Elisa non lo sapeva. Poteva anche già essere mattina. Si ricordava solo di essere uscita con Marco, di essere andata fuori a cena con lui e aver ordinato dal costosissimo menù qualcosa che non la mettesse in difficoltà e in soggezione mentre mangiava. Poi…? Sì, aveva chiamato Francesco avvertendolo che non sarebbe tornata a casa la notte. Marco l’aveva portata nel suo appartamento. Avevano fatto l’amore ed erano rimasti abbracciati tutta la notte. Elisa non poté che pensare come si sentì la prima volta che dormì con qualcuno. Per rispetto nei confronti di Marco, cercò di non pensare al nome che in realtà aleggiava davanti ai suoi occhi, nell’oscurità della stanza, ma l’immagine di Francesco era ben presente davanti ai suoi occhi chiusi. Per quanto bello potesse essere stato, era stata una nottata orribile. Aveva dormito malissimo e la mattina dopo si era svegliata con un cerchio alla testa e il torcicollo. Non gliel’aveva mai detto, ma pensava che da parte sua anche Francesco avesse passato una nottataccia, perché per tutto il resto della giornata non aveva fatto che massaggiarsi il collo, ruotando la testa con aria stanca e lievemente dolorante. Soffocò una lieve risata al ricordo. Nessuno dei due disse niente al riguardo, pensando che fosse stata una nottata magica per ognuno, e forse era stato meglio così, perché l’incantesimo aveva avuto modo di prolungarsi almeno di qualche giorno.

In quel momento, invece, Elisa si sentiva bene. Benissimo. Era sdraiata tra le muscolose braccia di Marco, la schiena contro il suo petto, che si alzava e si abbassava ritmicamente, mentre sentiva il suo caldo respiro sulla nuca, scoperta dai capelli rossicci per non respirarli nel sonno, come gli aveva scherzosamente detto lui stesso, mettendoglieli sul cuscino. Ogni tanto lui si muoveva, rimanendo sempre con il braccio fermo sulla sua pancia, talvolta facendolo scivolare sul fianco, ma tornando sempre ad avvolgerla. Anche Francesco ogni tanto dormiva abbracciato a lei, ma era… Scomodo. Marco era perfetto. Più tempo passava insieme a lui, più lo pensava quasi come se fosse stata una verità indiscutibile.

“Ehi…” mormorò al suo orecchio con voce calda e profonda. Elisa aprì lentamente gli occhi, sorridendo.

“Ehi…” sussurrò lei, intrecciando le dita con le sue. Poi si voltò tra le sue braccia e lo guardò in tutta la sua bellezza mattutina. Le venne in mente la famosa favola di Apuleio, in cui si narra di un bellissimo Dio, Amore. Vide la testa bionda e la bella chioma stillante ambrosia e il candido collo e le rosee guance, i bei riccioli sparsi sul petto e sulle spalle.

“Perché ridi?” le baciò la fronte, carezzandole una guancia nella penombra della stanza.

“Mi hai fatto venire in mente una storia.”

“Ah sì? Quale?”

“La favola di Amore e Psiche.”

“Molto bella.” Convenne lui, gli occhi ancora chiusi, ma rilassati, proprio come le labbra. Elisa avrebbe voluto mordergliele, farle sue ancora una volta, ma si trattenne solo per il calore di quell’atmosfera che li avvolgeva come se fosse la loro unica protezione dal freddo invernale che c’era fuori dalla finestra. Si strinse ancora più a lui, abbracciando quel petto vigoroso e posando su esso una guancia.

“Mi è sempre piaciuta.” Continuò Elisa, chiudendo gli occhi a sua volta. “Quando ero alle superiori, imparai pure a memoria il momento in cui Psiche vede Amore.”

“Sapresti recitarmelo?”

“Nemmeno morta.” Arrossì lei.

“Eh dài!” la supplicò, sollevandole il mento con la mano. Si guardarono negli occhi. “Io ti ho dedicato molte poesie.”

“Ma tu hai l’animo del poeta.”

“Magari anche tu.” E le baciò il naso.

Elisa sorrise e soffiò una lieve risata, mentre lui giocava coi suoi ricci rossi. Si prese il tempo necessario per ricordarsi a grandi linee le parole, poi parlò: “Fu così che l’innocente Psiche, senza accorgersene, s’innamorò di Amore. E subito arse di desiderio per lui e gli si abbandonò sopra e con le labbra schiuse per il piacere, di furia, temendo che si destasse, cominciò a baciarlo tutto con baci lunghi e lascivi.” Sì, un po’ si vergognava, ma in quel momento di intimità, dove c’erano solo lei e lui, nudi, abbracciati, felici… Niente poteva rovinare quel momento. E lei si sentiva protetta, sicura, tra le sue braccia. Per questo aveva parlato, aveva recitato. L’aveva fatto per lui. E per se stessa.

Con Francesco non avrebbe mai potuto svelarsi così tanto. Lui l’avrebbe sicuramente presa in giro, magari dandole della secchiona o della romantica diabetica. No, con Francesco lei non avrebbe mai trovato il coraggio di dedicargli dei versi, dei passi dei suoi libri preferiti, perché per quanto lui potesse conoscerla, era troppo infantile. Lei non aveva bisogno di un altro bambino, aveva Sofia che le occupava tutto il tempo con la sua irrefrenabile energia che la portavano a sentirsi orgogliosa di essere madre. Lei non aveva bisogno di Francesco. Lei aveva bisogno di Marco, di sentirsi amata, di sentirsi protetta, al sicuro.

“Quando ce l’hai il colloquio?” Chiese Marco, passando con una leggerezza impressionante e allo stesso tempo rilassante l’indice sul braccio scoperto di Elisa.

“La prossima settimana.”

“Hai trovato altri posti?”

“No, purtroppo sembra che sia destinata a rimanere disoccupata.” Si rattristì.

“Vieni a lavorare da me.” Elisa ridacchiò. Marco era fin troppo disponibile. Francesco non le avrebbe mai offerto un lavoro nel suo stesso studio. Era troppo egocentrico per pensare anche alle sue difficoltà. Apprezzava molto che le dedicasse il tempo che solitamente riservava a Daniela, ma da lui non poteva aspettarsi molto di più.

“Non ho le competenze per farlo.”

“Be’, potresti sempre essere la mia assistente personale.”

“Oh, l’assistente del capo…” mormorò maliziosa, sorridendo audace, alzando la testa per guardarlo. Anche lui la stava guardando, ma i suoi occhi non sembravano aver colto la malizia che accompagnava i suoi.

“Non ti piace?”

“Oh, no, no.” Si ritrasse subito lei, incassando la testa sul suo petto. “È che non voglio poi essere un peso.”

“Non saresti un peso, tesoro.” Le alzò il viso con una mano. “Sarei più che felice di passare quanto più tempo possibile con te.” E la baciò a fior di labbra, sussurrando due parole proprio un soffio prima di toccare le sue. “Ti amo.”

Elisa portò le braccia intorno al suo collo e lasciò che lui le scivolasse sopra, proprio come la notte prima.

Non appena si allontanarono per riprendere fiato da quel bacio intriso di passione, Elisa ebbe la possibilità di rispondere: “Ti amo anch’io.”

Sì, Francesco tutto quello non avrebbe mai potuto darglielo.

 

***

 

Il trillo elettronico del cellulare era qualcosa di assolutamente fastidioso, più di un trapano che cercava di entrare nel cervello. Eppure pensava addirittura di averlo spento, se non messo in modalità silenziosa. E invece era là, nella sua borsa a proclamare tutta la sua piena attività, strombazzando una delle sue canzoni preferite, ma che proprio in quel momento aveva iniziato ad odiare profondamente.

Maledetto Matthew Bellamy!

“Scusa, Marco, devo andare a rispondere.” Si sottrasse dal suo abbraccio, in cui era stata cullata per chissà quanto tempo e, con il lenzuolo che l’avvolgeva, raggiunse barcollando la borsa ai piedi del letto. Frugò per qualche istante, fino a che la suoneria frenetica non aumentava di volume, costringendola a serrare gli occhi e se avesse potuto anche le orecchie. “Pronto.” Rispose disgustata.

Ma dove cazzo sei?”

“Ehi, Mister Finezza! Che accidenti chiami a quest’ora?” protestò lei, strusciandosi gli occhi assonnati, mentre Marco si metteva seduto sul letto, guardandola preoccupato.

A quest’ora? Ma se sono le undici passate!” continuò Francesco, adirato. Poteva vederlo gesticolare scompostamente le mani in aria. “Vieni a tenere Sofia!”

“Ma non è andata all’asilo?”

Non c’è voluta andare perché dice di aver litigato con un bambino.”

“Potevi portarla da mia madre, allora!”

“È in ospedale a fare degli esami! Dovresti saperlo!” sibilò lui, chiaramente irritato. “Quindi torna subito qui, perché devo uscire assolutamente.”

“Oh, calmati, eh! Vedi di chiedere le cose con tranquillità e vedrai che ti vengo incontro.”

Non devi venirmi incontro! Devi catapultarti subito qui, chiaro? Ti ho lasciato sfogare la lussuria per una notte e una mattina abbondante, ora per piacere, vieni a tenere Sofia mentre io cerco di salvare il salvabile con Daniela!”

“Vai da lei?” non era per niente entusiasta all’idea.

Sì, e sono già in ritardo. Tra dieci minuti dovrei essere da lei!”

“Potevi chiamarmi prima, allora!” sbuffò lei, iniziando la sua marcia in cerchio nel centro della stanza. Marco intanto si era alzato e si era infilato i boxer neri e stretti che aveva raccolto in fondo al letto.

Ma sei scema? Sei tu che dovevi essere qui un’ora fa al massimo! Raffredda i tuoi bollenti spiriti e fai la persona matura!

“Ah!” esclamò sull’orlo della lite. “E così sarei io la persona immatura, eh? Certo, non sei tu, che non fai altro che combinare casini anche con la persona con cui dici di stare insieme! ”

Francesco grugnì qualcosa violentemente dall’altra parte del telefono, nonostante sembrasse quasi che volesse trattenersi. Poi Elisa lo sentì sospirare e respirare profondamente contro l’apparecchio.

Ascolta, Elisa.” Iniziò con voce più bassa, ma non meno irritata. “Lo so, sono un emerito coglione. Me l’hai già detto non so quante volte,” continuò. Elisa poteva vederselo davanti mentre camminava con una mano sul viso, intento a strusciarsi gli occhi come gesto di autocontrollo. “Ma questa volta è una cosa seria. Per piacere, vieni qui.”

Quelle parole pronunciate da Francesco quasi con sofferenza, rimasero indigeste a Elisa, che si sentì subito colpevole per come l’aveva trattato. Era tutta colpa del suo carattere di merda! Ecco cos’era! Perché aveva dovuto attaccarlo così, senza nessuna ragione apparente. Apparente, eh, appunto…

“Sì, scusa, d’accordo.” Mormorò lei, fermandosi vicino alla finestra e scostando le tende per vedere il sole che timidamente cercava si oltrepassare il grigio delle nuvole. “Arrivo.” Premette il pulsante rosso e chiuse la chiamata, riponendo il cellulare nella borsa e iniziando a cercare i vestiti per la stanza. La sera precedente non si erano molto trattenuti e di certo in occasioni del genere non si fermavano di certo a piegare ciò che si toglievano in preda alla voglia di stare insieme, lei in particolar modo.

“Vai già via?” Le domandò Marco, avvicinandosi e abbracciandola da dietro, dopo che lei ebbe indossato la biancheria. “Volevo prepararti la colazione.” E le regalò un bacio sul collo.

“Non posso, scusa.” Si allontanò lei, afferrando la gonna nera dalla sedia vicina al letto ed infilandosela. Si mise poi a cercare le calze che avrebbe appallottolato nella borsa.

“Cosa voleva Francesco?”

“No, niente.” Sviò lei. Ci mancava solo che si mettessero a discutere su Francesco, così, tanto per rovinare quel meraviglioso momento che avevano appena passato insieme.

“Non è vero.” La prese in contropiede lui, prendendola per un braccio per evitare che scappasse ancora per cercare le scarpe. “Lo vedo quando c’è qualcosa che non va.”

“Marco,” lo guardò supplicandolo. “Davvero, non mi va di parlarne.” Lui allentò la presa e lei si allontanò nuovamente.

“Elisa, perché non mi vuoi mai parlare di quello che succede tra te e Francesco?”

“Perché non c’è niente da raccontare, Marco!” si spazientì lei, scuotendo esasperata la camicia in aria. “Quante volte te lo dovrò ripetere prima che tu lo capisca?”

“E quante volte te lo devo ripetere io che invece voglio che tu me ne parli?”

“No, ascolta, sono già in ritardo. Lasciamo la discussione ad un altro momento, d’accordo? Non mi va di rovinare tutto.” Si infilò la camicia e il piccolo gilet coordinato con la gonna, per poi passarsi una mano tra i capelli guardandosi allo specchio della stanza. Si strusciò una mano sotto gli occhi per togliere quel trucco sbavato che le conferiva un’aria da tossicodipendente e si voltò nuovamente verso Marco.

“Elisa, succede sempre così.” Disse, abbassando lo sguardo. “Tutte le volte che finiamo a parlare di Francesco litighiamo -”

“Per questo io non voglio proprio entrare in argomento. Lo capisci?” continuò lei, prendendo la borsa da terra.

“Elisa, ho capito, ma lo vedi quanti discorsi abbiamo lasciato in sospeso? Anche qualche giorno fa al ristorante è successa la stessa cosa.”

“Lo so! E non credere che non me ne ricordi o che ne sia felice! Lo so! Prima o poi ne parleremo,” lo guardò dispiaciuta, mentre ruotava la maniglia della porta. “Ma non ora.”

Marco non disse più niente, solamente la guardava, forse triste, forse rassegnato, fermo vicino al letto, mentre lei gli voltava le spalle, la borsa in mano e nemmeno il minimo tentativo di nascondere la sua colpevolezza. “Scusa, ti chiamo io stasera.” E lo lasciò nella camera da letto da solo, chiudendo la porta dietro di sé.

 

***

 

Daniela era sulla porta ad aspettarlo. Sembrava un doberman in attesa del segnale per attaccare, accigliata, la fronte aggrottata e le labbra serrate. Non era un bel periodo per lei, Francesco glielo poteva leggere non solo in viso, ma anche da come era vestita. Una tuta grigio topo con nemmeno un paio di scarpe ai piedi. I vestiti per Daniela riflettevano il suo stato d’animo, e quel giorno poco ci mancava dall’essere totalmente nera.

Entrò a capo chino nell’appartamento e posò il casco vicino al divano. Per un po’ si guardò attorno, dubbioso se accomodarsi o rimanere in piedi, visto che Daniela, una volta chiusa la porta, non sembrava per niente intenzionata a rilassarsi. E le sue battute e i suoi atteggiamenti pregni di maliziosa sensualità non avrebbero aiutato in quel momento.

“Hai intenzione di rimanere così tutto il tempo?” fece lei, atona. “Siediti.”

“Immagino che la questione sia molto più lunga del previsto, allora.”

“Già.” Non si sedette affianco a lui, prese una sedia dalla cucina adiacente e la posizionò davanti al divano, per poi accomodarcisi a gambe accavallate. Pareva tanto una seduta delle sue, ci mancava solo la cartellina in mano per prendere appunti e lui che si sdraiasse sul divano.

“Hai un punto da cui partire?”

“Ma mi prendi per scema?” Francesco tornò a pochi secondi prima, cercando di scovare l’involontaria offesa che avrebbero potuto celare le sue parole, ma non ve n’era traccia. “Pensi che tutta questa scenata sia inutile e infantile, vero?”

“Ma… Veramente io non ho detto niente.” Le fece notare lui, cercando di soppesare le parole per renderle più leggere e prive di eventuali allusioni al suo comportamento.

“Però lo pensi.”

“Ascolta, puoi smetterla di essere la Dottoressa Lombardi? Vorrei parlare con Daniela, se possibile.” Si fece più serio.

“Piantala di fare battute, lo sai che non le richiedo in momenti come questi.”

“E tu lo sai che io non richiedo il tuo comportamento da psicologa quando si litiga.”

“Quindi stiamo litigando, eh.”

“Be’, a me sembra così.”

“Volevo sapere quanto a cuore ti stesse questa faccenda. Non pensavo che la soluzione che avresti trovato fosse proprio litigare. Io volevo soltanto parlare ragionevolmente.”

“Allora parliamo!” esclamò, tendente all’esasperato. Allargò le braccia come per farle segno di iniziare.

“Non riesci a prendere sul serio questa faccenda.”

“Smettila di parlare come se sapessi tutto quello che mi frulla in testa.” Roteò gli occhi, per poi passarsi una mano sul viso. “Perché sarei venuto qua, oggi, se non mi importasse della nostra storia.” La guardò dritto negli occhi. “Se non mi importasse di te.”

Daniela vacillò per un istante, quasi incapace di replicare. Abbassò, quindi la testa e alzò gli occhi su di lui con una certa timidezza, come se da una parte si sentisse colpevole.

“Lo so perché ti senti così, Dani.” Continuò lui, abbassando la voce, ora più calma e calda. Per un attimo pensò di alzarsi per abbracciarla, ma la guardia ancora alta di Daniela gli impose di rimanere al suo posto. “E mi dispiace che tu non riesca a capire.” Scosse lentamente la testa, rammaricato. Sì, dovette ammetterlo, quella era solo una tattica, ma per parlare con Daniela, per riuscire a raggirare quella sua barriera inattaccabile, era necessario farle deporre tutte le armi, e una delle strategie era quella di farla sentire in colpa.

“Se capisci, se non vuoi perdermi… Se ti importa di noi, allora perché continui a non fare niente?” biascicò lei, sul principio di un pianto trattenuto.

“Ascoltami,” insistette, dando un finto colpo di tosse per schiarirsi la gola. “Te lo ripeto e voglio che questa volta tu guardi la situazione da un punto di vista esteriore rispetto al nostro.” Daniela annuì, seppur incerta. “Elisa è la madre di mia figlia.” Sottolineò come prima cosa. “È come se tu avessi una figlia a tua volta con un uomo che però non ami più. Elisa è stata licenziata, ha perso il lavoro e si sente responsabile. Ha pianto una sera intera. Immaginati cosa faresti se al padre di tua figlia succedesse qualcosa del genere.” Daniela fece per parlare, ma Francesco la interruppe ancor prima di farle pronunciare il primo suono. “Considera che tra voi due rimane un legame molto forte, perché fondamentalmente lui è colui che hai amato.”

“Ma con cui non sto più insieme. Non mi permetterei mai di chiedergli di vivere una vita che non vuole solo perché è legato a me da una figlia.” Replicò dura lei, soffiando un singhiozzo.

“Ma lo vuoi capire che Elisa è fin troppo orgogliosa per pensare di chiedermi di consolarla?” sbottò Francesco, sospirando. “Sono stato io a voler rimanere. Io le voglio bene e visto lo stato in cui era, non ho saputo lasciarla in balìa delle lacrime.”

“Me l’hai già detto.” Piagnucolò Daniela. “Ma lo capisci che lei se ne approfitta?”

“Ma perché devi dire certe cose?”

“Perché poteva mandarti via, invece che trattenerti, se sapeva che dovevi uscire.”

“Non lo sapeva, non gliel’ho mai detto per non metterle altra ansia addosso.”

“Ah, quindi nemmeno ti sei preso la briga di informarla!” urlò lei, alzandosi dalla sedia e indicandolo, mentre lottava per mantenere un’espressione arrabbiata, invece che lasciarsi conquistare dal pianto isterico.

“Ok, basta.” Francesco batté esasperato le mani sulle gambe e si alzò dal divano. Non c’era verso di farle capire niente. “Non vuoi capire, è inutile continuare così.”

“No, aspetta!” lo prese per un braccio. “Non abbiamo finito.”

“Io sì. Ho tentato in tutti i modi di spiegarti cosa è successo – e non solo in questo ultimo periodo.” La guardò dall’alto in basso, la fronte aggrottata e lo sguardo serio. Ora si stava seriamente fracassando le palle a forza di ripetere sempre e solo le stesse cose. Pensava che Daniela potesse essere abbastanza matura e aperta per comprendere, se non alla prima, alla seconda, ma evidentemente si sbagliava di grosso. “Hai sempre sostenuto che Elisa mi allontanasse da te, nemmeno fosse la Circe del ventunesimo secolo! E io ti ho sempre risposto che lei ha Marco, non ha mai tentato di trattenermi!”

“Ho capito!” lo strinse più forte per il braccio, quasi come se non volesse che sparisse da un momento all’altro oltre la porta. “Però anche tu dovresti capirmi.”

“Io ho capito benissimo che non la sopporti, ma devi metterti in testa che Elisa sarà sempre nella mia vita – c’è Sofia.”

“Sì, ma -”

Francesco si era trattenuto finché aveva potuto, ma il parlare, il discutere con lei, non faceva altro che fargli montare il nervoso. Per questo scoppiò: “Se io ed Elisa non stiamo insieme, ci sarà un motivo, non credi?”

_________________________________________

Ok, sì, sono ancora viva, tranquilli!
Bene, diciamo che questo capitolo mostra un po' tutte le crepe dei vari rapporti... Elisa non se la cava troppo bene con Marco, quando c'entra Francesco. E si potrebbe dire esattamente la stessa cosa per lui con Daniela. A cosa porterà tutto questo? Be', se avrete la pazienza di aspettare il prossimo capitolo, qualche risposta la troverete ;)

E detto questo, colgo l'occasione di ringraziare Amnesia Brezza che hanno commentato lo scorso capitolo!

Vi saluto, gente! Alla prossima!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XV ***


Nuova pagina 1

“Se questo è zuccherato, io sono la Gioconda!”

“Magari fossi così silenziosa!”

“Dove sono le mie bustine di zucchero?”

“Le avrai ingoiate senza accorgertene – confezione inclusa.”

“Stai attento, Nicola, perché se le trovo te le infilo su per il culo una per una!”

“Stai attenta tu, Fede. Sai quanto è pericolosa la roba che gli esce dal culo. Se gli uscisse dalla bocca sarebbe peggio.”

“Oh, oh, chi ha chiesto il tuo parere, Gianlu?”

“Accetta la realtà, Nico, fai schifo.”

“Cosa c’entra questo con il caffè amaro, ora?”

“Assolutamente niente, ma è piacevole rinfacciartelo ogni volta.”

“Ma andate tutti in cu-”

Il silenzio piombò nella stanza come se qualcuno avesse disinserito l’audio da quella scena da sit-com. Tutti e tre si girarono verso la porta che si era appena chiusa, senza emettere alcun suono, un po’ incerti su come agire.

Francesco era appena entrato e nel silenzio più totale, si stava spogliando, appoggiando disordinatamente il giacchetto di pelle sullo schienale del divanetto dell’ingresso, insieme al casco. Si strusciò le mani infreddolite tra loro e guardò gli amici alzando un sopracciglio. “Be’?” Sicuramente Gianluca aveva già raccontato loro tutto ciò che sapeva.

“Ehm,” farfugliò Federica. “Tutto bene?”

“Affatto.” Ammise, la sua espressione serafica straordinariamente inopportuna fece sospirare i presenti. “L’incontro con Daniela è stato un disastro, ma almeno sono ancora vivo. Questo basta.”

“Quindi?” azzardò Nicola, timidamente.

“Quindi tenterò ancora, magari capirà.” Sospirò, tendente al rassegnato, sfiorando l’indifferente.

“Se vuoi vado a dirgliene quattro io, a quella! Non ci si comporta così!” iniziò a berciare Federica, agitando pericolosamente la tazza di caffè che aveva in mano.

“Non cambierebbe granché, è più testarda di Elisa.”

“E basta con questa Elisa, France! Hai anche scartavetrato i coglioni, eh!” sbottò lei.

Francesco le sorrise e le rubò il caffè di mano, per poi allontanarsi e dirigersi alla sua scrivania. Tre paia di occhi continuarono a seguirlo curiosi, per poi essere scacciati da una sua occhiata esasperata. Vide Federica correre verso il suo giacchetto lasciato disordinatamente sul divano, come un’ape sul miele, e sistemarlo sull’attaccapanni, per poi prendere il casco e riporlo nel ripostiglio adiacente. Molto probabilmente non avrebbe voluto fare altro dacché lui aveva messo piede nell’ufficio: ridacchiò svogliatamente per la sua mania dell’ordine. Solo Gianluca rimase nella stanza, chiudendo la porta e sedendosi alla sua scrivania.

“Allora?” chiese dopo qualche istante.

Francesco smise di sorseggiare il caffè amaro e respirò profondamente. Posò quindi il bicchiere sulla scrivania e si girò verso di lui. “Mi ha detto che non se la sente di continuare.”

“E basta?”

“No.” Francesco odiava il modo in cui Gianluca sembrava averlo ormai inquadrato. Non poteva mai nascondergli niente. Era frustrante. Sospirando per l’ennesima volta in pochi minuti, si tirò su la manica sinistra della maglietta e mostrò il braccio all’amico.

“Porca miseria!” esclamò Gianluca, tossicchiando per non sfociare in una risata. “E questo quando è successo?”

Francesco si guardò nuovamente quei graffi che gli decoravano il braccio e spiegò: “Quando le ho detto che era più brava a letto che con le parole.”

Gianluca aveva la risata a fior di labbra, ma riuscì a trattenersi, diventando per di una tonalità rossastra per lo sforzo. Francesco se lo sarebbe aspettato e poco ci mancava che non scoppiasse a ridere pure lui.

“Te la sei cercata, però.” Replicò lui, passandosi una mano sul viso e deglutendo, con se potesse ingoiare così anche quella risata sfacciata.

“Sì, ma tu non hai idea di come sia insopportabile Daniela quando non vuole capire.” Al ricordo di quello che aveva affrontato solo il giorno prima, ancora gli montava il nervoso. “Ti giuro che mi sono anche trattenuto.”

“France, lo sai che le donne sono così. Daniela in particolare.”

“Daniela è la peggiore.”

Gianluca gli sorrise da amico. “Cosa hai intenzione di fare ora?”

“Voglio provare a parlare nuovamente con lei.” Confessò. “Non voglio che finisca così. Lei merita di essere capita. E la stessa cosa vale per me.”

Parole sante, Nicola vedi di prendere un po’ di lezioni da Francesco!” la voce saccente di Federica sbucò da oltre la porta, facendo roteare gli occhi ad entrambi, che si lanciarono un’occhiata divertita.

Senti chi parla! Non eri tu che l’altra sera si era armata di scopa perché avevo sbagliato a riempire il barattolo del sale?” protestò lui.

Ma sì, allora iniziamo a rivoluzionare le ricette culinarie! Perché la prossima volta non cuciniamo una frittata dolce? O perché no, facciamo una torta del nonno salata, va’! Vediamo poi se farai più attenzione a versare lo zucchero nel barattolo giusto! C’è anche scritto a lettere cubitali sopra!

Potevi farlo da sola, allora!” la sormontò con il tono della voce.

L’avrei fatto volentieri, se non fossi stata impegnata a pulire il latte con cui avevi visto bene di inondare la cucina!

Non sapevo che il latte bollisse così!” si discolpò, stizzito.

Francesco e Gianluca si alzarono dalle rispettive sedie e aprirono la porta della stanza, ritrovandosi una Federica seduta per terra, aizzante un furioso dito indice contro il nasone di Nicola, inginocchiato affianco a lei. Chissà perché, ma Francesco notò che se la porta fosse stata chiusa, i loro occhi si sarebbero trovati proprio alla giusta altezza della serratura.

“Questo perché non cucini mai e vieni sempre a mangiare a sbafo da me, brutto pezzo di cretino!”

“Gianluca, ma lo senti anche tu quanto amore c’è nell’aria?” li interruppe Francesco, con un mezzo ghigno malefico sulle labbra.

“Uhm, a dire il vero io…” annusò l’aria. “Nicola, hai sganciato di nuovo?” lo guardò schifato.

“Santo cielo, sì!” si tappò il naso Federica, alzandosi in piedi con una velocità straordinaria e correndo ad aprire tutte e cinque le finestre dell’ufficio.

“Ma diavolo, Nico, stavate addirittura facendo dei discorsi seri! Ti sembra questo il momento di evacuare?”

“Se continua, siamo noi che evacuiamo l’edificio, France.” Si intromise Federica, la testa fuori dalla finestra.

“Perché noi? Buttiamolo solamente fuori, no?” ribatté Francesco, raggiungendo l’amica e sporgendosi a sua volta. “Mi domando perché siamo sempre noi a dover subire queste violenze. Fa anche freddo!”

“Vai da Gianluca, vedrai che sarà più che felice di scaldarti.” Borbottò Nicola, tentando un ribaltamento di frittata.

“Sì, Gianlu, vieni qui e abbracciami!” Pigolò Francesco, allargando le braccia.

“Piuttosto ammalati.” Lo liquidò istantaneamente lui.

“Fede, abbracciami tu.” Si riscattò Francesco, abbracciando Federica per le spalle, in quanto le loro altezze avevano qualche decina di centimetri di differenza. Poi, starnutendo egregiamente, Francesco decise che sarebbe tornato nel suo studio, seppur in apnea. “Nico, sappi che prima o poi ti si metterà un tappo al culo.” Lo minacciò, andando all’attaccapanni e infilandosi il giacchetto, per poi tornare alla sua postazione.

Tutti gli altri lo seguirono, Federica con anche la sciarpa, e la giornata di lavoro iniziò per tutti e quattro. Francesco già sapeva che quella sarebbe stata una lunga giornata, perché quella sera sarebbe tornato da Daniela, che lei lo avesse voluto o meno.

 

 

***

 

“Oddio, Elisa!” la voce di Chiara suonava estremamente spaventata. “Dimmi che stai bene! Cosa è successo?”

“Ehi, tranquilla!” cercò di calmarla, mentre prendeva la teiera e la riempiva con l’acqua dell’acquaio, tenendo il cellulare tra la spalla e l’orecchio. “Avevo solo dimenticato il cellulare a casa, non preoccuparti.”

Mi hai fatto prendere un colpo!

“Anche a me! Ventisette chiamate in due ore mi hanno fatto pensare il peggio!” ribatté, sorridendo. “Fortuna che so che sei un caso patologico!” ridacchiò, mettendo la teiera sul fornello e andandosi a sedere sul divano della sala.

Sì, ma solo con te.” Sospirò l’amica. “Mi farai prendere un infarto uno di questi giorni.”

“Perché dimentico il cellulare a casa?” alzò un sopracciglio perplessa. Chiara non l’avrebbe visto, ma dal tono di voce lo avrebbe immaginato. “Un tempo nemmeno c’erano i cellulari, pensa come avresti fatto!”

“Ringrazio il Cielo per avermi fatta nascere in quest’epoca, allora.”

“Io invece vorrei farne a meno, molte volte.” Confessò Elisa.

Ad ogni modo, dov’eri?” chiese Chiara, alludendo sicuramente ad un’uscita con Marco. “Avrei potuto interrompere qualcosa?”

“No,” rispose, diventando più seria. “Mi aveva chiamato mio padre.” Spiegò, passandosi una mano sul viso. “Tanto lo sapevo che se chiamava ad ore così insolite, c’era da spaventarsi!” commentò, tra lo sconforto e la paura che ancora non l’aveva completamente abbandonata.

Oddio, Elisa, cosa è successo?” si preoccupò Chiara.

“Mia madre si è sentita male di nuovo.” Disse. “Ha avuto un altro attacco d’asma. Questa volta era molto più forte, ha detto papà. Mi ha chiamato perché aveva finito una delle medicine che prende solitamente per far diminuire la tachicardia. Ovviamente tra tutti e due si erano presi un bello spavento, e quando mi ha chiamato tutto scosso sono corsa fuori.”

Capisco. Ora come sta tua madre?”

“Oh, dovevi vederla! Appena sono arrivata ha avuto il fegato di dirmi che nemmeno se avessi guidato un triciclo, sarei potuta arrivare così tardi.”

Non so che dire…” ammise Chiara, lasciando trapelare una leggera risata.

“Dillo a me!” sospirò Elisa. “Per colpa sua penso di aver bruciato qualche semaforo, oltre che aver rischiato la vita.” Rise amaramente. “E quando sono arrivata, non dico che stesse bene, ma non sembrava proprio avesse avuto quell’attacco spaventoso che mi aveva detto papà al telefono.”

“Ma dai, alla fine è meglio così no?”

“Certamente, però mi hanno fatto prendere un colpo per niente.”

“Anche loro non credo che siano stati bene in quel momento, dai.”

“Sì, hai ragione…” ammise Elisa, sentendo la teiera fischiare alle sue spalle. “Uffa,” si lamentò, alzandosi dal divano. “Quanto vorrei che mia madre fosse un po’ più… Umana!”

“È fatta così, Eli.” Le sorrise Chiara. “Dovresti andarle incontro, anche perché secondo me nemmeno lei è felice di discutere sempre con te.”

“Be’, e che dovrei fare? Lasciarmi offendere gratuitamente?” Inserì una bustina di tè nella teiera e si appoggiò al banco della cucina mentre aspettava che la sua droga fosse pronta.

“No, ma seguire forse più la filosofia del ‘vivi e lascia vivere’, forse.”

“Sì, ok, dai,” Elisa dichiarò il discorso concluso. Non le piaceva discutere di sua madre, perché fondamentalmente sapeva come era fatta, così come sua madre sapeva come fosse fatta lei. Era un circolo vizioso: entrambe testarde ed entrambe ostinate a voler prevalere sull’altra. “Su, dimmi tu ora: perché mi avevi chiamata?” prese la teiera con la presina per non scottarsi e versò un po’ di tè nella tazza presa dalla credenza sopra la testa.

No, volevo solo aggiornarti di un fatto un po’ – ecco, sì – strano.”

“Strano?” alzò un sopracciglio, prendendo la tazza e tornando sul divano.

Sì, be’…” anche Chiara sembrò essere impegnata a prepararsi qualcosa, a sentire dai rumori che provenivano dal cellulare.

“Tè?” chiese divertita Elisa.

Esattamente.” Rispose falsamente scocciata lei. “Sappi che non ti perdonerò mai di avermi attaccato questa tua mania.”

“Ok, dai, sputa il rospo.”

“No, ecco…” farfugliò. “Da una parte sono contenta, però dall’altra – sai, visto il periodo che correva – non so quanto sia stato giusto. E se poi pensi che fino all’altro giorno -”

“Chiara,” la interruppe Elisa, sorseggiando il tè. “Potresti essere un po’ più comprensibile?”

“Sì, certo.” Ridacchiò. “Be’, ieri sera Roberto è tornato a casa prima del previsto. Quando sono arrivata io, l’ho visto ai fornelli – ti giuro Eli, quasi non credevo ai miei occhi!”

“E non cucinava solo per sé?” la prese in giro lei.

“È questo quello che mi ha sconvolta! Aveva preparato un pasticcio di patate con tanto di sformato di cavolo – lo sai che è fissato con la salute, quello scemo! Però la sua pancia è sempre lì, come se ormai lui ci si fosse affezionato!”

“E…?” la incoraggiò ad andare avanti, sempre più vinta dalla curiosità che più volte le aveva causato figure di merda improponibili ed allo stesso tempo indimenticabili.

“E mi ha detto che si scusa per tutto quello che è successo tra noi ultimamente.” Cinguettò Chiara. “Ha detto che in questura lo stavano facendo dannare, che c’era in ballo un trasferimento e avevano proposto lui, che invece non voleva accettare per poter rimanere qui. In effetti la Marchigiani non può fare tutto quello che vuole solo perché è il capo!” Elisa non poteva vederla, ma gli occhi sognanti di Chiara, il suo tono eccitato, inebriato e innamorato facevano capire perfettamente a Elisa in che stato si trovasse in quel momento l’amica. Era nuovamente innamorata e felice con suo marito. E questo non poteva che essere la notizia migliore in quegli ultimi giorni, in cui tutto sembrava cadere a rotoli inesorabilmente. “Insomma, abbiamo parlato tutta la serata. A quel punto anche io mi sono scusata per non essere risultata molto comprensiva nei suoi confronti, e alla fine ci siamo chiariti, abbiamo ammesso le nostre colpe e…”

“E…?” ripeté Elisa. “La vuoi piantare con questa suspance?”

“Abbiamo fatto l’amore.” Rivelò, quasi imbarazzata. “Capisci? Era quasi un mese che nemmeno ci si rivolgeva la parola, se non per urlarci contro offese… E ieri sera è successo.” Si stava struggendo al solo ricordo, Elisa poteva vederla come se fosse esattamente davanti a lei.

“Chiara, non hai idea di come mi renda felice questa notizia!” trillò Elisa, posando la tazza di tè sul tavolino di fronte. “E oggi?”

“Stamattina si è svegliato prima lui e mi ha portato la colazione a letto.”

“Oh, che bello!” anche Elisa venne contagiata da tanta dolcezza. Si ricordò dell’ultima volta che anche Marco le portò la colazione a letto e di come lei si fosse sentita la donna più amata al mondo. Se solo le cose tra lei e Marco avessero potuto risolversi senza degenerare, questa volta sarebbe stata lei a portargli la colazione a letto. Purtroppo il modo in cui l’aveva lasciato l’ultima volta non portava a prevedere niente di simile. Si erano solo sentiti per telefono, ma la situazione non era molto migliorata.

“Sì, infatti!” esultò Chiara dall’altro capo del telefono. “Stavo pensando di cucinare io qualcosa a lui, stasera. Tu che dici?”

“Che sei una cuoca provetta e sicuramente gli farà piacere.”

“Però non so cosa fargli!” si lamentò. “Voglio dire, sempre verdure no! Pensavo a qualcosa con la carne, anche, ma per fare qualcosa di buono, il fattore ‘salute’ non è che sarà totalmente rispettato.”

“Sono sicura che apprezzerà lo stesso, Chiara.”

“Io conto proprio sull’effetto sorpresa!” Ridacchiò Chiara. “E poi, senti qui, pensavo di aggiungere anche una portata…”

Non era strano che Elisa partisse per mete distanti ed inesplorate rispetto all’argomento trattato, ma questa volta, più che mai, aveva bisogno di pensare. Doveva chiamare Marco e chiedergli di vedersi, perché non ce la faceva più a lasciare tutto in sospeso. Sentiva il bisogno irrefrenabile di accoccolarsi tra le sue braccia, farsi riscaldare dal suo corpo atletico… Sì, doveva fare qualcosa.

___________________________

Eccomi di nuovo qua! Capitolo molto... Uhm... Come definirlo? Un po' di passaggio, no? Cioè, fondamentalmente non succede niente, però si capisce molto - e ammettetelo, non è divertente leggere di quel gruppo di ragazzi dello Studio Quadri? Mi piacerebbe molto essere la loro assistente! Ahahah, giusto per farmi quattro risate per ogni loro idiozia!

Ma a parte questo, spero vi sia piaciuto ;) Che almeno un sorriso sia riuscito a strapparvelo!

E passando ai ringraziamenti, dedico un grossissimo grazie a Brezza, a cui ho pure dimenticato di rispondere nel commento - faccio schifo, scusate! E soprattutto, scusa a te, Brezza! Provvedo immediatamente!

 

Ora vi lascio nuovamente per un tempo indeterminato! Al prossimo capitolo, gente!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XVI ***


Nuova pagina 1

“France!” esclamò Elisa, Sofia in braccio, vedendolo entrare in casa. “Sei fradicio! Cosa ti è successo?”

Francesco starnutì, coprendosi il viso con le mani nude e rosse per il freddo. “Ho preso l’acqua in moto.” Spiegò, togliendosi il giacchetto completamente bagnato, così come i pantaloni e la felpa che indossava. “Fatemi andare a stendere questi in bagno,” disse superandole. “Faccio una doccia calda, così potrò tornare in forma per le mie donne.” Sorrise, facendo l’occhiolino, per poi entrare in bagno con un altro sonoro starnuto. Chiuse la porta dietro di sé e si spogliò, buttando tutti i vestiti nella vasca.

Addirittura le mutande… Commentò esasperato. Che giornata di merda.

Aprì il getto d’acqua calda e si appoggiò al termosifone acceso per riprendere un po’ di calore. Se non fosse tornato a casa in tempo, sarebbe morto assiderato. Gli bruciavano le mani da quanto erano congelate. Si guardò allo specchio da lontano e si vide decisamente spossato. Soppresse una ricca serie di imprecazioni per quello che aveva dovuto passare quel pomeriggio, per poi passarsi una mano sugli occhi e sospirare.

Dopo ciò che era successo, come poteva sperare che tutto si potesse sistemare con un appostamento sotto casa sua? Nemmeno nelle sue migliori aspettative lei gli avrebbe aperto, ed infatti non lo aveva fatto, lasciandolo sotto la pioggia per più di mezz’ora. E lui, coglione, c’era rimasto, irremovibile, nonostante il freddo che si insinuava sempre più invadente sotto i suoi vestiti, come le prime gocce di pioggia. Quel giorno era davvero determinato a parlarle, a cercare di farla ragionare – di nuovo – ma Daniela si era dimostrata più testarda del previsto.

Entrò nella cabina della doccia e rimase immobile sotto l’acqua per qualche minuto, cercando di catturare tutto il calore che il getto potesse trasmettergli con le gocce che gli colpivano la schiena, ancora infreddolita, così come il resto del corpo. Non negava che gli sentisse persino la testa.

Alle tre aveva salutato quegli altri per prendere la moto ed andare da Daniela. Faceva già freddo e il cielo prometteva abbondante pioggia, ma non si era lasciato convincere. Dopotutto un po’ d’acqua non gli avrebbe fatto niente. Ne aveva presa così tanta in tutta la sua vita, che un acquazzone in più non avrebbe fatto la differenza. Solo la moto ne avrebbe risentito, ma se ne sarebbe occupato a tempo debito. Aveva quindi suonato all’appartamento di Daniela e aveva aspettato che lei rispondesse. Sapeva che era in casa perché il Mercoledì lavorava solo la mattina. E poi le serrande erano aperte.

Chi è?”

“Sono io.”

Fottiti.

Quelle furono le uniche parole che si rivolsero in tutto il pomeriggio. Lui aveva continuato a suonare, senza ricevere risposta, rimanendo impalato sotto le sue finestre, appoggiato alla moto, il casco in mano, le chiavi nell’altra e con la pioggia che batteva violentemente contro il suo corpo. Non aveva nemmeno la sciarpa, se l’era dimenticata allo studio perché Gianluca l’aveva voluta usare come protezione antigas. L’aveva vista affacciarsi ogni tanto alla finestra, controllare che ci fosse ancora, guardarlo con espressioni indecifrabili, ma sicuramente tra il ferito e l’incazzato, e poi svanire nuovamente. Aveva provato a suonare diverse altre volte per tutto il pomeriggio, senza insistere oltre. Le ultime citofonate nemmeno ricevettero la sua visita alla finestra e da lì a poco, Francesco decise di andarsene. Si mise il casco, montò in sella alla moto e avviò il motore, che soffrì per l’acqua che aveva preso. Per tutti i venti minuti di tragitto, Francesco patì un freddo micidiale, che lo portarono all’insensibilità delle mani in meno di qualche minuto. Solo grazie al calore dell’acqua della doccia riuscì nuovamente a sentirle. Le mosse come per accertare che i muscoli funzionassero ancora e prese a lavarsi, lanciando ogni tanto qualche colpo di tosse, accompagnato da starnuti. Si sentiva uno schifo, in tutti i sensi.

“France,” gli bussò alla porta Elisa. “Tutto bene? È quasi mezz’ora che sei lì dentro.”

“Sì, cioè, no,” farfugliò. “Non mi sento granché bene. Tu prepara pure da mangiare, io non ho fame.” Disse sciacquandosi il sapone di dosso.

“Sicuro?” chiese conferma. “Guarda che se vuoi ti preparo del riso bianco oppure un po’ di brodo caldo…”

“No, non preoccuparti.” Tossì. “Vado a letto e con una bella dormita mi riprendo.” Elisa non rispose, ma Francesco sapeva fin troppo bene che era ancora appostata lì alla porta, preoccupata. Era tipico di Elisa: rimanere vicino alle persone bisognose anche se loro non le chiedevano niente. E paradossalmente se qualcuno avesse fatto lo stesso con lei, lei sarebbe andata su tutte le furie. “Lo sai che ho un fisico indistruttibile!” aggiunse, quindi, beffardo.

“Come vuoi.” Lo accontentò, senza berla.

Francesco uscì dalla doccia e si asciugò con l’accappatoio, per poi rintanarsi in camera, passando prima da Sofia, che stava disegnando sul tavolino della sala, e accarezzandole dolcemente i capelli legati in due trecce. “Oggi niente bacio della buonanotte, Sofi,” si scusò. “Non voglio attaccarti qualcosa.”

“Perché, papà?” domandò lei, guardandolo innocente.

“Perché credo di essermi preso il raffreddore.” Le sorrise, mentre lei si faceva preoccupata. “Niente di grave!”

“Aspetta, allora! Mamma ti fa il brodo, così passa tutto!”

“No, tranquilla, vado a fare una bella dormita. Buonanotte, piccola.” E le scarruffò i capelli, facendola ridacchiare.

“Ehi,” Elisa gli si avvicinò e gli prese un braccio per fermarlo. “Sicuro che vada tutto bene?”

“Sì, Eli.” Le sorrise. “Se vuoi ti aspetto sveglio, così poi si gioca un po’ al paziente e l’infermiera.” Propose sfacciato, alzando le sopracciglia e mordendosi un labbro, ammiccante.

“Ma piantala, che fra poco nemmeno stai in piedi.”

“Oh, ma anche da sdraiato… Anzi, forse è addirittura -”

“France! Fila a letto e dormi!” si stizzì Elisa, spingendolo verso la camera e guardandolo seria, per poi sciogliersi in un dolce sorriso. “È incredibile come tu possa essere sempre così scemo nonostante ti senta male.”

Francesco ridacchiò e le diede un bacio in fronte, per poi sfociare in uno starnuto imprevisto.

“France! Che schifo!”

“Scusa, non era programmato!”

“Ci manca solo che mi attacchi qualcosa! Domani mattina ho il colloquio!” borbottò lei, allontanandosi.

“Ah, te l’hanno anticipato?”

“Sì, mi hanno chiamato stamattina.”

“In bocca al lupo, allora.”

“Crepi.” Gli sorrise. “Ora vai a riposarti.”

Francesco non se lo fece ripetere e si chiuse in camera. Per quanto potesse essere inopportuno pensare una cosa del genere in quel momento, si sentì fortunato a condividere parte della sua vita con una persona come Elisa. Era in momenti come quelli che aveva seriamente bisogno della sua vicinanza: lei sapeva esattamente come comportarsi. E sebbene certe volte potesse cadere nell’insopportabile, ficcando il naso in questioni che non la riguardavano, sapeva che lei ci sarebbe stata sempre.

 

 

***

 

“France.” Chiuse la porta alle sue spalle, facendo attenzione a non far cadere il piatto che aveva in mano. Subito tornò ad afferrarlo saldamente anche con la sinistra, avvicinandosi al letto. Francesco era steso supino, le coperte che gli arrivavano sotto il naso. Non lo richiamò, probabilmente stava dormendo. Posò il piatto sul comodino e si abbassò su di lui, posandogli una mano sulla fronte. Scottava. Ma avrebbe dovuto immaginarselo, quella sera aveva gli occhi rossi e lucidi. L’eventualità di essersi fatto una canna non era proprio la più quotata, visto gli starnuti e la tosse che presentava. Doveva essersi preso proprio una bella influenza, ad andare in moto sotto la pioggia, però sembrava dormire tranquillamente.

Elisa pensò che il brodo ormai non avesse più molto senso. Afferrò quindi il piatto per portarlo in cucina e metterlo in frigo, ma venne trattenuta dalla mano di Francesco che le prese la maglia che usava da pigiama. “No, lascialo qui.” Mormorò con gli occhi ancora pesanti.

“Scusa, ti ho svegliato?”

“No, ho il naso tappato e non riesco a respirare molto bene.”

“Vuoi misurarti la febbre?”

Francesco scosse lievemente la testa, declinando l’offerta. “Meglio non saperlo. Se scoprissi di averla, starei peggio.”

“Non ho mai capito questa tua filosofia e penso che non la capirò mai.”

“Non importa.” Le sorrise, sollevandosi sul gomito destro per prendere il piatto dalle mani di Elisa. “Ma come farei senza la mia balia preferita?”

Elisa lo guardò roteando gli occhi, sorridendo quasi lusingata. Le piaceva che Francesco avesse bisogno di lei. Si sedette sul letto, affianco a lui, e lo guardò mentre si appoggiava al muro della parete con un cuscino dietro la schiena e sorseggiava il brodo con il cucchiaio.

“Mi è sempre piaciuto l’impegno che metti nel versare l’acqua nella pentola per fare il brodo.” Scherzò, sapendo che quello altro non era che uno di quei dadi comprati al supermercato e bolliti in acqua.

“Che volevi? Che ti preparassi un brodo fatto in casa?”

“È più genuino, sai? Si devono sempre offrire le cure migliori ai malati.”

“Ma piantala. Bevi e stai zitto.”

“Sì, anche perché parlare col brodo in bocca non so quanto possa essere conveniente.”

Elisa ridacchiò, meravigliandosi per la facilità con cui Francesco ogni volta riusciva a farla ridere. Le sarebbe piaciuto essere più spigliata, essere come lui. Lo guardava mentre si portava il cucchiaio alla bocca, ingoiando il brodo quasi avidamente. E poi lui starnutì: il piatto gli vacillò nella mano destra, la meno salda, e si rovesciò parzialmente addosso a lui, sul copriletto e sulle lenzuola, così come quello che aveva in bocca raggiunse anche la maglia di Elisa. Con un tempismo d’eccezione, lei riuscì a prendere dalle sue mani il piatto ed impedire che un secondo starnuto lo facesse rovesciare completamente e si allontanò da Francesco per posarlo sul suo comodino.

“Ops…” Francesco si guardò attorno assumendo un’espressione quasi dispiaciuta, ma Elisa gli vedeva chiaramente la risata affiorare sulle labbra, proprio come stava succedendo a lei, e in pochi secondi si ritrovarono a ridere beatamente entrambi. Elisa gli passò un pacchetto di fazzoletti per soffiarsi il naso, per poi controllare il lago che si era creato sul piumone.

“Che palle! Mi sono bagnato i boxer.”

“O ti sei pisciato addosso per lo spavento.”

“Uhm…” ponderò Francesco. “Vuoi annusare per controllare? Io ho il naso tappato.”

“France!” voleva suonare scocciata, ma stava ridendo. “Dai, aiutami a cambiare le coperte.”

“Non lo puoi fare domani?” la supplicò.

“Vorresti dormire qui?” ed indicò la zona bagnata.

“Si possono togliere e riscaldarci a vicenda.”

Elisa alzò un sopracciglio. “Sei serio?” lo riprese.

Lui annuì con convinzione.

“Sei incredibile.” Si passò una mano sul viso, sospirando. “Forza, togli le coperte.” Gli disse, mentre lei ne afferrava di pulite dall’armadio.

“Ma sono malato!” protestò lui, come un bambino.

“Non mi importa.” Lo liquidò lei.

“Sei perfida.” Sogghignò.

Elisa non aveva mai amato fare le faccende domestiche, era qualcosa che spesso e volentieri la spremevano di ogni energia e le impediva di fare poi qualsiasi altra cosa. E lei con altrettanta frequenza riusciva sempre a trovare qualcosa di meglio da fare, lasciando che fosse Francesco la donna di casa. Ma quella scena comica, di Francesco con i boxer a scacchi macchiati del brodo giallognolo, mentre sfilava le federe dai cuscini e buttava tutto in un angolo, le fece venire il buon umore per andare ad aiutarlo.

Impiegarono quasi un quarto d’ora a rifare il letto, un quarto d’ora che aveva visto Elisa imprigionata nel lenzuolo bagnato, presa alla sprovvista da un attacco di Francesco, e una cuscinata come vendetta che quasi causò il crollo e la rottura dell’abat-jour e il definitivo rovesciamento del piatto con brodo, che bagnò il tappeto ai piedi del letto dalla parte di Elisa.

“Eli, fai più danni della grandine.”

“No, il piatto poteva rompersi, ma non è successo.” Precisò lei, asciugando con le lenzuola già da lavare, la pozza che si era creata.

“Solo perché hai avuto culo.” Schioccò lui la lingua, mettendosi le mani dietro la testa, mentre la guardava indaffarata.

Elisa rise, per poi prendere tutte le coperte e portarle in bagno, ma Francesco la fermò. “Dammi, tanto mi vado a fare una doccia, ho il brodo tutto addosso.”

“Questo perché dormi nudo.”

“Lo faccio per te, quindi non criticare troppo.” Ghignò, per poi posarle un bacio sulla guancia e sorpassandola, starnutendo di nuovo.

Mentre Francesco faceva la doccia, Elisa aveva sistemato il letto, preso uno straccio bagnato all’acquaio della cucina e pulito la zona di allagamento da brodo sul pavimento.

Si cambiò la maglia e si mise quindi sotto le coperte pulite giusto quando Francesco rientrava in camera con il suo accappatoio verde.

“Copriti gli occhi, potresti rimanere ammaliata.” Disse, andando a prendere dal suo cassetto dei nuovi boxer, per poi rimanere totalmente nudo per indossarli.

“Non vedrei niente di nuovo.” Borbottò lei, restando comunque girata, fissandosi le mani che teneva in grembo.

“Oh, sei sempre più audace!” la prese in giro, sdraiandosi nuovamente sul letto.

“Da quando stavamo insieme, sono cambiata.”

“Lo so io dove sei cambiata.” Ammiccò con il suo solito sorrido strafottente e beffardo. “Quando ci siamo conosciuti non avresti nemmeno saputo dove mettere le mani.” Elisa si voltò bruscamente, trovandosi però Francesco che si mordeva il labbro inferiore, sorridendo malizioso. Dovette ingoiare le offese, sentendosi la gola più secca del previsto.

“Ma tu non ti imbarazzi mai a parlare di certe cose?” farfugliò, arrossendo.

“No, dovrei?”

“Sì!”

Francesco ridacchiò, per poi stendersi al fianco di Elisa ed abbracciarla. “Grazie del brodo, anche se ne ho bevuto solo due cucchiaiate.”

“Prego.” Rispose lei, sbuffando stizzita. “E non starmi così vicino, pensa a Daniela.”

“Daniela mi ha mollato, non preoccuparti.”

“Dev’essere stata la bambolina voodoo che feci l’altro giorno.” Scherzò Elisa.

“Non credo, non sei mai stata troppo abile con le maledizioni.” La stroncò senza ritegno. “Sai sennò quante morti avresti provocato? Professori, l’Orlandi, tua madre, me…” Elencò sulle dita, facendo ridere Elisa di gusto. “E poi Daniela sembra aver avuto ragioni più grosse.”

Fu come una doccia fredda. Elisa tentò di analizzare bene quello che aveva appena sentito, le parole, il tono. Sembrava stesse raccontando una cosa da nulla.

“Cosa?” chiese lei, senza sapere nemmeno che intonazione adottare per quella domanda. “Io pensavo scherzassi.”

“E invece no,” ribadì lui, stringendosi ancora di più a lei. “Quindi ora sono tutto tuo. Fai di me quello che vuoi.”

“Piantala, France.” Voleva sembrare autoritaria, ma la voce la tradiva, facendola apparire dispiaciuta. “Cosa è successo? Magari non ti ha lasciato veramente, forse voleva solo un attimo di pausa, no?” azzardò dopo un po’, iniziando ad accarezzargli i capelli, mentre lui disegnava cerchi sul braccio di Elisa.

Lui alzò le spalle e per qualche attimo non rispose. “Boh, magari invece era qualcosa che doveva accadere.”

Qualcosa che doveva accadere?” lo scimmiottò. “Ma non sei tu a non credere al destino e tutta questa roba? Non hai sempre detto che sei tu a sceglierti la vita?”

“Ehi, ehi, piano con questi pensieri troppo filosofici, ora.” Si lamentò Francesco, corrugando la fronte e piagnucolando come un bambino. “Sono malato, non ho la testa per ragionarci.”

Elisa scioccò la lingua sorvolando sulle sue scuse. Aveva capito: Francesco non voleva parlarne e, contrariamente a come avrebbe fatto ogni qualunque altra volta, decise che non era il caso di insistere. Questa era una questione ben più grave. Gliene avrebbe parlato lui quando se la sarebbe sentita.

Francesco trattenne uno starnuto e si girò un momento per recuperare il pacchetto di fazzoletti di carta per soffiarsi il naso, ed Elisa non poté che pensare che forse la causa del suo raffreddore fosse proprio Daniela. Lo guardò e sospirò tra sé e sé, e nonostante tutto, si rese conto di essere felice di accoglierlo nuovamente tra le braccia – il pacchetto di fazzoletti questa volta vicino – e sentire nuovamente il suo respiro raffreddato su di sé. Si accoccolò, abbracciandolo, quindi spense la luce dall’interruttore vicino al letto.

Forse quella non era stata una delle giornate migliori per Francesco, ma Elisa dovette ammettere che, paradossalmente, per lei, sì.

_________________________________________________

Ok, gente, rieccomi qui col nuovo capitolo! Devo essere sincera, questo è uno dei miei preferiti, soprattutto la prima parte, in cui vediamo un po' cosa sia successo a Francesco a causa di Daniela.

Da questo momento in poi, ci sarà una concatenazione di eventi più o meno belli, a seconda di chi vi sarà coinvolto.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e come al solito, prima di sparire nuovamente a tempo indeterminato, ringrazio le due anime pie che hanno commentato lo scorso capitolo: Brezza e Faithboss! Grazie! :)

 

Alla prossima!

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** XVII ***


Nuova pagina 1

Era strano, nostalgico, ma la sensazione di svegliarsi abbracciata a Francesco era sempre qualcosa che Elisa ancora non aveva intenzione di dimenticare tanto facilmente. Non tanto per qualche sentimento che molti avrebbero potuto fraintendere, ma perché Francesco aveva la capacità di riscaldarla, di proteggerla come quasi nessuno in vita sua aveva mai saputo fare. E poi Francesco l’aveva vista in tutte le peggiori situazioni della sua vita – dai pianti disperati, ai rutti di apprezzamento, passando dalla sala parto tra urla e molto altro – quindi non doveva nemmeno preoccuparsi di come apparire la mattina appena svegliata. Per questo era diverso stare con Marco: con lui Elisa sentiva di dover essere impeccabile, proprio come lo era sempre lui, mentre con Francesco non era così. Ormai lui la conosceva e lei non gli poteva nascondere alcun lato del suo carattere. In un certo senso era spacciata, ma nell’altro era decisamente molto più rilassante.

Nonostante tutti questi pensieri in favore di Francesco, Elisa dovette ammettere che quella era stata una delle notti più terribili della sua vita. Le sentiva il collo e aveva dormito tutto il tempo con la testa sul suo gomito spigoloso, quindi anche ogni posizione che aveva tentato di cambiare non aveva portato ad alcun miglioramento. E poi Francesco si era mosso tutta la notte sino a farla finire sul bordo del letto. In conclusione, stava per cadere, aveva il torcicollo e non aveva dormito quasi per niente, sia per le posizioni scomode che aveva assunto, sia per il russare di Francesco nell’orecchio a causa del naso chiuso – oltre che qualche starnuto che gli era scappato nella notte.

“France…” tentò di svegliarlo quel minimo che bastava per infastidirlo e farlo rotolare qualche centimetro verso il suo lato del letto, ma lui sembrava non muoversi, sebbene mugolasse per il disturbo. “Dai, France…” lo spinse lievemente per le spalle. Elisa alzò la voce un altro po’ e lo spinse con tutto il suo corpo. “Ehi, sto per cadere!” urlò sommessa, non voleva effettivamente svegliarlo, bastava che le facesse spazio. E le era andata bene che non le avesse rubato tutta la coperta, visto il freddo che l’attanagliava alle gambe ogni mattina.

Finalmente Francesco si decise a collaborare e si voltò verso il centro del letto, spostandosi soltanto dalla sua posizione di lato a quella supina. Non era effettivamente una conquista soddisfacente, per Elisa, che ancora si ritrovava sul bordo. Qualcosa però catturò la sua attenzione. Una grossa cosa. Una cosa che per lei non avrebbe decisamente dovuto esserci.

“France!”

“Che c’è!” rispose infastidito, gli occhi ancora chiusi e la voce impastata dal sonno.

“Ehm…” Elisa si tappò gli occhi e si ributtò giù sul cuscino – ora libero da Francesco.

“Che palle, Eli.” Bofonchiò. “Prima mi svegli e poi non mi dici niente.” Era scocciato, ma dopotutto non era colpa di Elisa se lui… Be’…

“France…” sospirò.

Lui si mosse, probabilmente per capire cosa volesse dire Elisa, e capì.

“Ah.” Sbadigliò.

Ah e basta? Vattene in bagno!” lo scansò.

“Sicura di non volerne approfittare?” ridacchiò con la voce pastosa, mettendosi nella sua parte destra del letto.

“Sicuramente Daniela l’avrebbe fatto, no?” si lasciò sfuggire lei, tappandosi poi la bocca, sapendo di aver osato troppo.

“Sì,” rispose tranquillamente lui, cogliendo Elisa alla sprovvista per l’indifferenza con cui parlava della questione. Se lei fosse stata in lui, come minimo ora starebbe sprofondando nella depressione più totale, dopotutto cinque mesi sono sempre tanto tempo. “Sai, credo che mi mancherà per queste cose.” Aggiunse pensieroso, sebbene Elisa ne vedesse il lato ironico.

“Ma piantala!” lo scacciò dal letto con una pedata. “Fila in bagno, va’.”

“Ehi, guarda che non sono un appestato.” Replicò lui, stropicciandosi gli occhi ancora pesanti e vogliosi di sonno. “Questo è tutto segno di salute!” disse fiero.

“Sì, lo so, però…”

“Guarda che un tempo hai anche -”

“Sì, lo so cosa ho fatto un tempo!” lo anticipò, mettendo le mani avanti e arrossendo violentemente. Sapeva bene cosa aveva fatto, cosa avrebbe voluto fare e cosa avrebbe fatto in quel momento se Francesco non se ne fosse andato seduta stante.

“A Marco non succede mai l’alzabandiera?”

“Sì, ma… È diverso!”

“Oh! Ma senti lì!” scherzò.

“France.” Lo minacciò con l’indice sfoderato e puntato contro di lui come un’arma. “Se non vai in bagno, te lo taglio.”

“E dai, Eli,” ghignò lui. “Dovresti sentirti lusingata, no? Sai, dicono che non sia solo qualcosa di fisiologico, ma anche riguardante sogni erotici.”

“E chi mi dice che sia io che hai sognato?”

“Ti piacerebbe esserlo?”

“No.” Tagliò corto lei, coprendosi il viso con le coperte, che avrebbero preso fuoco a contatto col calore che emanava, se Francesco avesse continuato a fare allusioni del genere. Lo sentì uscire dalla stanza con un sonoro starnuto, per poi tirare su col naso. Per quanto potesse dirne lui, sicuramente quella nottata di sonno non gli era bastata per riprendersi. E conoscendolo, lui avrebbe negato con altezzosità, dando mostra della sua vena teatrale sempre pronta a colpire.

E non ci volle poco perché lei avesse la conferma sulle sue condizioni: sentì crollare, se non il mondo, almeno uno scaffale intero in direzione del bagno. Subito Elisa scattò in piedi – dopo un ingrato capogiro – e raggiunse Francesco. La luce era accesa ad inquadrarlo mentre cercava di alzarsi da terra, ricoperto di asciugamani, mentre sul pavimento giacevano innocenti boccette di profumo fortunatamente integre, pacchetti di fazzoletti, dei rotoli di carta igienica e chissà quanti altri tubetti di creme.

“Cosa ti hanno fatto di male questi oggetti?” chiese lei, offrendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.

“Niente.” Biascicò lui, togliendosi gli asciugamani che gli coprivano il viso. A guardarlo meglio, Elisa si preoccupò ancora di più. Aveva gli occhi ancora lucidi, come la sera prima, per di più era pallido. Nella penombra della camera non se n’era accorta, ma Francesco non stava per niente bene. “Ho solo avuto un capogiro e mi sono aggrappato alla prima cosa che ho trovato per non cadere.”

“Be’, complimenti per l’esito.” Commentò. “Chi raccoglie tutto, ora?” Francesco la guardò con occhi supplicanti – Elisa sospettava con una vaga certezza che si stesse approfittando delle sue condizioni di salute e sospirò. “D’accordo, faccio io.” Poi si ricordò: “Ma dopo!” ed uscì dal bagno, chiudendo la porta dietro di sé. Lo sentì tirare su col naso. “E poi lavati!”

Tornando verso la camera, vide il mucchio di fogli che si era messa a studiare negli ultimi giorni per eventuali colloqui e subito prese una decisione. Quando si trattava di Francesco, finiva sempre così. Prima o poi avrebbe dovuto smetterla di comportarsi ingenuamente. Di certo per Marco non sarebbe stata una buona cosa.

 

 

***

 

Non si era accorta di essersi nuovamente addormentata. Per di più si sentiva davvero stanca, quindi la piccola dormita di certo non le era dispiaciuta. Anzi, avesse avuto più tempo, avrebbe continuato a dormire. Purtroppo doveva alzarsi per portare Sofia all’asilo, il che avrebbe previsto una doccia, preparare la colazione e vestirsi. Doveva ammettere di non avere molta voglia e Sofia sarebbe potuta benissimo rimanere a casa.

Fu questione di secondi e anche quella decisione fu presa: avrebbe continuato a dormire. Purtroppo non fu la buona idea che sperava, perché tutt’un tratto si sentì immensamente colpevole per il colloquio di quella mattina. Anche se chiudeva gli occhi, non riusciva a pensare ad altro. Era quasi una condanna, ma effettivamente aveva ragione la sua coscienza – su questo non c’erano dubbi. Si alzò di controvoglia e si stiracchiò, notando Francesco nuovamente addormentato sulla sua parte del letto. Aveva le coperte tirate fin sotto il naso. Gli si avvicinò e gli posò delicatamente una mano sulla fronte: era caldo. La febbre non sarebbe scesa per un po’.

Non fece in tempo ad aprire la porta di camera che Sofia le si mostrò davanti, già pimpante di prima mattina. Elisa guardò l’ora: erano solo le nove e mezzo e lei era già in piedi, il coniglietto rosso per mano e un sorriso stupito.

“Mamma! Allora sei sveglia!” disse. “È tutto per terra, nel bagno!”

Elisa le fece segno di abbassare la voce e la prese per mano, allontanandosi dalla camera dove Francesco ancora dormiva. “Papà sta ancora male, non disturbiamolo.”

“Perché sta male?” si preoccupò la bambina, andando in cucina con la madre.

“Ti ricordi che ieri pioveva e papà è tornato a casa tutto bagnato?” La bambina annuì. “Ha preso freddo, per questo ora ha bisogno di riposarsi.” Le spiegò. “Quindi quando ti dico di coprirti bene perché è freddo mi devi ascoltare, capito?” le sorrise. “Vuoi il latte, Sofi?”

“Sì – e papà non ti ha ascoltato?”

“Già, ha voluto fare di testa sua e ora sta male.”

“Fai il brodo, allora!” propose entusiasta Sofia, arrampicandosi su una sedia intorno al tavolo.

“Sì, a pranzo brodo per tutti.” Le diede un bacio in fronte e poi si allontanò a preparare il latte per la piccola, afferrando anche la scatola dei biscotti al cioccolato nello sportello in basso a sinistra da farle rosicchiare nel mentre.

“Ma non si va all’asilo?” chiese Sofia, d’un tratto.

“No, oggi io e papà siamo a casa. Volevi andarci?”

“No,” negò con fare superiore e – Elisa sospettava – tendente allo scocciato. “Carlo ha dato un bacio a Rachele e io non lo voglio più vedere.” Aggiunse quasi indifferente. Le sembrava di parlare con Francesco, per come affrontava l’argomento di fine-relazione.

“Ah, che cattivo!” commentò Elisa. “E perché l’ha fatto?”

Sofia fece spallucce. “Ha detto che Rachele è più bella di me perché ha i capelli gialli.”

“A me piacciono più le bambine con i capelli neri come i tuoi.”

“Perché i miei capelli sono come quelli di papà, vero?”

Elisa si sorprese per le parole appena sentite dalla piccola, ma non poteva negare. Non sapeva come, ma la bambina aveva colto un particolare decisamente curioso – e anche veritiero. “Sì,” le sorrise. “Mi piacciono i capelli di papà e anche i tuoi.” Le si avvicinò e glieli accarezzò dolcemente, sedendosi affianco alla piccola, mentre il latte si scaldava sul fornello.

“A me piacciono i tuoi, mamma.” Disse lei, prendendo una ciocca dei capelli rossi di Elisa e spazzolandola con le sue piccole mani.

“Anche a me piacciono quelli della mamma.”

Elisa si voltò di scatto, sull’orlo di un attacco di cuore. Più che per le parole inattese, lo spavento era dovuto a quello che Francesco avrebbe potuto sentire del loro discorso.

“France!” esclamò lei, una mano al petto per ordinare al cuore di rilassarsi. Davanti a lei, un Francesco moribondo stava barcollando nella sua direzione avvolto da un accappatoio a righe verdi e gialle. “Non dormivi? E perché indossi un accappatoio?”

“Non ci riesco, ho il naso tappato.” Si lamentò, sedendosi in cucina. “Ho freddo ed è stata la prima cosa che ho trovato di caldo nell’armadio.” Spiegò.

Elisa non poté che soffermarsi a guardarlo meglio e soffocare una risata. Per quanto non stesse bene, la sua aria di bambino spensierato e stravagante non accennava minimamente a diminuire. Lui era la prima e unica persona che lei vedeva indossare un accappatoio come vestaglia.

“Mamma,” trillò Sofia. “Dài il latte caldo a papà, ha detto che ha freddo. Io lo prendo dopo.”

“No, tranquilla, posso aspettare.” Le sorrise lui.

“Ma così poi stai meglio!” insistette. “E poi mamma ha detto che a pranzo fa il brodo!”

“Be’, speriamo di riuscirlo a bere questa volta.” Sogghignò lui.

“Se non altro al tavolo dovresti fare meno danni.” Gli rispose Elisa, prendendo il latte dal tegamino sul fornello e versandolo in una tazza. Poi la passò a Francesco, che ringraziò Sofia, e ne mise a fare un altro po’.

“Il colloquio a che ora ce l’hai?”

Ecco, la domanda peggiore che poteva fare, Francesco ovviamente l’aveva fatta così, a bruciapelo e cogliendola totalmente impreparata. Elisa boccheggiò qualche secondo, guadagnando tempo con un: “Eh?” per raccogliere una scusa passabile – fortuna che gli dava le spalle.

“Non avevi un colloquio stamattina?”

“Ah, sì,” annuì, rimanendo voltata verso l’acquaio, mettendosi a preparare la macchinetta del caffè per trovarsi impegnata. “Me l’hanno posticipato.” Rispose, per poi augurarsi di passarla liscia. Era una sua qualità impressionante: riuscire a sparare cazzate, ottenendo solo che le si ritorcessero contro. “Non so ancora quando mi faranno sapere. Forse domani.” Bugia immensa, ma se le sue dita erano ben incrociate, tendenti all’annodate, Francesco non avrebbe fatto ulteriori domande.

“Oggi stiamo tutti a casa insieme!” esultò Sofia, prendendo un biscotto dalla confezione sul tavolo.

“Già.” Le sorrise Elisa. Il battito cardiaco aveva accelerato inappropriatamente, spostandosi dal petto alle orecchie. No, se Marco l’avesse saputo non sarebbe stato per niente contento.

 

***

 

Era insopportabile. Insopportabile quanto il ronzio della più fastidiosa zanzara potesse aver mai sentito. E lo sentiva nelle orecchie a volumi sempre più alti. Cercava di non pensarci, ma sembrava non sentire altro.

“Questo è il tuo maledetto Matthew Bellamy.” Farfugliò alzandosi pesantemente dal letto. Aveva ancora gli occhi chiusi, non riusciva ad aprirli a causa del sonno. Poco male, il trillo metallico del cellulare di Elisa lo guidava, e lui lo seguiva con intenzioni non del tutto apprezzabili. Solo quando ci fu davanti, aprì mezzo occhio, tanto per vedere chi fosse che rompeva i coglioni a quell’ora antelucana – che scoprì essere quasi mezzogiorno dal display del telefonino – e non poté che ridere dell’appellativo fin troppo calzante che inconsciamente aveva affibbiato allo scocciatore: Marco. Si guardò intorno, ma Elisa non era nella stanza e solo quando le sue orecchie si furono adattate al trillo insistente del cellulare, Francesco poté sentire anche il rumore della doccia, sotto la quale molto probabilmente c’era Elisa.

Avrebbe voluto chiudergli la chiamata in faccia, ma visto che era Marco, e che Elisa non c’era, voleva un po’ divertirsi.

“Pronto.” Rispose atono.

“Francesco?”

“Aspetta, controllo sulla carta d’identità, non ne sono sicuro.”

“Piantala, passami Elisa.” Lo liquidò lui.

“Sta facendo la doccia.” Disse. “Stanotte s’è bagnata.”

Marco farfugliò qualche parola sconnessa, per poi sospirare e riprendere il discorso. “Per favore, mi passi Eli? Volevo sapere come era andato il colloquio di oggi.”

“Gliel’hanno spostato. Domani le faranno sapere.”

“No, ce l’ha oggi.” Replicò Marco.

“Evidentemente non ti ha informato, perché gliel’hanno posticipato.” Si fece altezzoso Francesco, appoggiandosi con un’anca al mobile su cui era posato il cellulare in carica.

“Non credo.” Insistette lui. “Domani dobbiamo uscire, se avesse dovuto aspettare una chiamata importante, non credi che me l’avrebbe detto?”

“Forse se l’è dimenticato.” Ipotizzò sarcastico. “Sai, succede anche a me con cose di cui non mi importa molto.” Fece teatralmente, per poi essere interrotto da un brutale starnuto inaspettato.

“O forse ha detto una cazzata a te – e piantala di dire certe cose, lo sai che non apprezzo.”

“E a che fine avrebbe dovuto raccontarmi una cazzata?” tirò su con il naso, momentaneamente sprovvisto di fazzoletti.

Ehm…” Marco non riuscì a ribattere e boccheggiò per qualche secondo. “Non saprei…”

“Un altro punto per me.” Esultò senza entusiasmo, ma piuttosto con la voglia di chiudere la telefonata e tornare a letto – anche perché doveva andare a soffiarsi il naso.

Piantala, passami Elisa.” Si spazientì Marco.

“Sta facendo la doccia.”

“Dille allora di chiamarmi appena ha finito.”

“Se lo ricorderò.” Sbuffò.

“Sì, d’accordo, ho capito, richiamo io.” Sospirò nuovamente. Era ma lui a dover sospirare, pensò, non Marco. Come faceva Elisa a stare con uno insistente come quel Silvestri?

“Bravo, vedi che impari?” lo prese in giro, tirando su col naso. “Ora ti lascio, amore, ti amo.” Continuò imperterrito Francesco.

“Io no. Ciao.”

La chiamata si chiuse così, e Francesco soffiò mezza risata, pensando a come Marco aveva iniziato a saperlo prendere in tutti i suoi aspetti. Avrebbe dovuto studiare altri metodi per avere sempre l’ultima parola.

Posò il cellulare nuovamente sul mobile e tornò a letto, soffiandosi il naso col fazzoletto che teneva sotto il cuscino. Provò ad addormentarsi nuovamente, sebbene le note della suoneria di Elisa ancora gli rimbombassero in testa. E mentre cercava di pensare ad altro per liberare la mente da quella cantilena, gli sembrò di avere un dejà-vu: tutto ora aveva più senso, anche se non l’avrebbe mai confidato ad Elisa. La stessa cosa era successa cinque anni fa, proprio in circostanze analoghe, così analoghe che quasi gli sembrava di riviverle. Era strano anche solo pensarlo, ma da Elisa c’era da aspettarselo, lei c’era sempre per lui. C’era stata cinque anni fa, proprio come c’era quel giorno. E ancora una volta, sarebbe stata lei a rimetterci.

“Ah, sei sveglio.” Gli sorrise, aprendo la porta di camera, mentre si asciugava i capelli probabilmente con l’asciugamano verde fotonico che era in bagno – incredibile come potessero attirarla i colori accesi. “Spero di non averti svegliato, ho fatto più piano possibile.” Chiuse nuovamente la porta alle sue spalle, spegnendo l’interruttore del corridoio confinante, ma non accese la luce della loro camera, e Francesco avrebbe giurato che l’avesse fatto sapendo quanto lui la odiasse appena sveglio. E infatti ancora una volta Elisa ne risentì. O meglio, a risentirne fu il suo piede – forse proprio il mignolo, come capitava nel peggiore dei casi – perché Francesco sentì un colpo seguito a ruota da un’imprecazione a denti stretti.

“Eli?” si preoccupò, cercandola nella penombra.

“Tutto bene, tutto bene.” Pianse, per poi allontanarsi in direzione dell’armadio per cercare col tatto biancheria e qualcosa da mettersi. Francesco seguì la sua sagoma per tutto il tempo, guardandola mentre si toglieva l’accappatoio sul suo lato del letto e spalmarsi la crema anticellulite sulle gambe, come ogni mattina dopo la doccia. Lui le aveva sempre detto che quelle creme non erano altro che cazzate, ma lei non gli aveva mai dato ascolto, facendo come al solito di testa sua. Anche questa volta lo pensò, ma quando aprì bocca, le chiese tutt’altro: “Ha chiamato Marco,” iniziò. “Ha detto che il colloquio l’avevi stamattina.”

Il profilo di Elisa si voltò nel buio della stanza e sembrava guardarlo. Lui non poteva vederne l’espressione, ma conoscendo Elisa da un bel po’, ormai, avrebbe giurato che fosse stupita, e magari ora stesse ringraziando l’ombra per non essere stata vista direttamente.

“No,” disse lei dopo un po’. “Me l’hanno posticipato, te l’ho detto.”

Francesco sospirò. Era inutile, lei non l’avrebbe mai confessato. “Eh, infatti gliel’ho detto.” Rispose, dandogliela vinta. Se non altro non poteva che ringraziarla, sapeva bene che, come cinque anni fa, lei non l’aveva fatto altro che per lui. Per quanto Francesco potesse non essere d’accordo con le sue scelte, ormai non poteva farci niente. Ed Elisa di certo non gliel’avrebbe permesso.

 

________________

Ci siete rimasti, eh! Non vi aspettavate un aggiornamento così vicino al precedente! Dovete il merito a  _V a l e_, che mi ha incentivato a pubblicare direi più e più volte! Grazie! :)

Ovviamente c'è anche da ringraziare tutte le altre che hanno commentato lo scorso capitolo: Faithboss, Brezza e SYLPHIDE88! Grazie per il sostegno che mi date! Lo apprezzo tantissimo e sono stra contenta che vi piaccia la storia!

Detto questo, be', c'è poco da dire. Elisa ha fatto... qualcosa di grosso, ecco. E Francesco ovviamente lo sa. Prossimamente scoprirete cosa, ma una descrizione precisa non so ancora se verrà fatta, visto che l'idea di scrivere il "prequel" di questa storia in realtà c'è ancora - sebbene sia molto molto molto lontana... Nel caso però mi ricreda e non la scrivessi, non preoccupatevi, gente, perché pubblicherò in alternativa un missing moment per scrivere di quel periodo! ;)

E ora vi saluto!

Alla prossima!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** XVIII ***


Non che ne avesse voglia

Non che ne avesse voglia, ma vista la decisione presa, era un obbligo a cui non poteva sottrarsi, quello di cercare offerte di lavoro e studiare per eventuali ed utopici colloqui. Era come se la sua coscienza si fosse imposta tutta insieme, dopo giorni di totale assenza. Be’, magari avrebbe dovuto tornare un po’ prima ed evitare che la sua irrazionalità prendesse il sopravvento, pensò Elisa, buttando svogliatamente un blocco di fogli con vari appunti sul tavolino e stiracchiandosi: era stanca e ovviamente non aveva voglia di prendere in mano un altro articolo con tanto di approfondimento del regolamento d’attuazione del codice degli appalti. E Sofia non aiutava, saltellando per la casa, chiedendole di colorare insieme a lei. Fortuna che al momento si era rintanata in camera a giocare con le bambole – un gioco da grandi a cui Elisa non avrebbe dovuto assistere.

Francesco era tornato in camera da un po’, molto probabilmente stava dormendo in quel momento. Per un attimo Elisa si perse a rivangare quelle poche parole che lui le aveva detto riguardo il suo rapporto con Daniela. Mordicchiava il tappo della penna come se fosse un cane con la rosica, a causa dello stress, e mentre se la rigirava in bocca, pensierosa, non poté che avvertire una fitta all’idea che lei potesse essere la causa della loro rottura.

Ci manca solo che mi senta colpevole per loro! Chiuse gli occhi con foga ed allontanò quel pensiero per far spazio ad altre nozioni che avrebbe dovuto stipare nel poco spazio rimasto libero nel cervello, afferrando quel fascicolo che adocchiava con ribrezzo. Come minimo Daniela c’entrava qualcosa con il raffreddore – come si ostinava a chiamarlo lui, mentre Elisa pensava più ad una bella e grossa influenza – anche se Francesco non le aveva detto niente. Nella testa di Elisa si stava sempre più affollando l’idea di una Daniela tiranna, con tanto di zanne aguzze e occhi indemoniati.

Ok, aveva bisogno di una pausa. Non era il caso di continuare a studiare mentre la mente non faceva che farle vedere quella psicologa inopportuna reggere un frustino come scettro. Scaraventò nuovamente il fascicolo sul tavolo, senza sentirsi in colpa per i maltrattamenti che gli stava facendo subire, e si alzò, dirigendosi anche lei in camera. Non che avesse sonno, voleva solo non fare niente. E stare stesa sul letto era una delle cose che amava incondizionatamente. Chissà che poi il sonno non sarebbe sopraggiunto davvero: da una parte ci sperava.

Francesco era steso sul letto supino, una gamba sotto le coperte e una fuori, mentre teneva tra le mani i fazzoletti come se fossero la cosa più preziosa potesse aver mai trovato in vita sua. Aveva la bocca aperta, molto probabilmente per il naso tappato che non gli permetteva di respirare tranquillamente.

Si mise anche lei sotto le coperte, dando le spalle a Francesco e togliendosi gli occhiali e l’elastico che le teneva i capelli tirati indietro, in modo che non le dessero fastidio nello studio, quindi spense la luce che aveva momentaneamente acceso per evitare di amputarsi manualmente il mignolo del piede, incontrastata vittima di ogni scontro con spigoli e porte.

“Ero sotto casa sua.”

Nemmeno chiuse gli occhi, che li sgranò quasi impaurita, se non sorpresa di sentire quelle parole provenire da oltre le sue spalle. Le ci volle qualche istante per collegare il tono – nonostante la strana cadenza tendente all’abbattuto – al fatto che Francesco fosse effettivamente sveglio. Le note nasali e l’intonazione pressoché inesistente, fecero capire a Elisa che non stava ancora così bene come lui avrebbe voluto far credere.

“Cosa?”

“Quando mi sono bagnato sotto la pioggia,” disse lui. “Ero sotto casa sua.”

“Sotto casa di Daniela?” non che quella domanda avesse bisogno di una conferma, ma voleva esserne certa al cento per cento, riuscendo così a dare veramente la colpa di quello che Francesco stava passando proprio a lei, esattamente come il suo cervello le stava proponendo da tutta una mattinata.

“Ho aspettato sotto la pioggia non so quanto perché mi aprisse.”

“E non l’ha fatto.” Elisa trasse la conclusione dalle logiche conseguenze. Lui annuì di nuovo, stringendosi nelle spalle quasi con indifferenza. “Perché?” si voltò verso di lui per guardarlo.

“Dice che la sto mettendo in secondo piano.” Il viso di Francesco era ben visibile anche nella penombra della stanza. La stava guardando vago, con gli occhi lucidi per la febbre. Ed Elisa non riuscì a distogliere lo sguardo, una volta che lui decise di posare quei suoi occhi, quegli occhi verdi che riuscivano, in un modo o nell'altro, sempre a mozzarle il fiato, su di lei. “Dice che ti preferisco a lei.”

Elisa sentì il cuore cadere a peso morto all’altezza dello stomaco, con conseguente fitta che le fece sgranare gli occhi, oltre che accelerare il respiro. Lui la stava guardando serio, come se cercasse una risposta. Ma lei che avrebbe dovuto dirgli? Di certo lei non aveva fatto niente. Lei aveva altro a cui pensare. Quelle parole però la riscaldarono, suonavano come qualcosa che aveva sempre cercato, ma mai trovato e quasi sperò che fosse tutto vero, e non semplici paranoie della psicologa bionda. Boccheggiò qualche volta, prima di riuscire a dar voce alle parole. “E… Ed è vero?” ma si pentì subito di averle pronunciate.

Ancora lo sguardo di Francesco era fisso nel suo, ancora in cerca di quella fantomatica risposta che nemmeno lui probabilmente riusciva a darsi. Era quasi come se la cercasse nei suoi occhi. E per un attimo, Elisa tornò a sentirsi importante per lui. Importante come sembrava esserlo stato cinque anni fa, quando tutto era iniziato. E finito.

Francesco però interruppe quell’intensa connessione e abbassò lo sguardo, nascondendo il colore dei suoi occhi. Non rispose, Elisa poteva sentire solo il suo respiro, oltre che i propri battiti cardiaci rimbombare nelle orecchie.

Sapeva che non doveva crederci, che non doveva neanche solo pensarci, ma non poté impedirsi ulteriormente di frenare quel piccolo pensiero, il più forte tra tutti quelli contrastanti: non poté che associare quel gesto di Francesco ad un’ammissione, una confessione che magari anche lui si rifiutava di prendere in considerazione, proprio come le ordinavano i pensieri più razionali che erano stati ben scavalcati dalla sua irrazionalità. Ma fu questione di secondi, perché come se il raziocinio la stesse prendendo a schiaffi per risvegliarla, Elisa chiuse gli occhi e se li strusciò, come a voler abbandonare un sogno alle spalle e svegliarsi nuovamente nella realtà intorno a lei. Lui era solo abbattuto per il brutto periodo che stava passando con Daniela. In tutti gli anni che Elisa lo conosceva, non l’aveva mai visto così a terra. Le fece male ammettere che probabilmente questa Daniela fosse veramente importante per lui. Per Elisa era una sconfitta, si sentiva messa in disparte, ora più che mai.

“La ami, vero?” non si accorse nemmeno delle parole che le uscirono dalla bocca finché non le sentì.

Francesco impiegò qualche istante di troppo a rispondere. “Le volevo bene, sì.”

“Gliel’hai mai detto?”

“Sì.”

“E lei?”

“Ne era felice. Proprio come quando lo dico a te.” Le sorrise. Elisa non sopportava vederlo in quello stato… Ed era tutta colpa della febbre! Quel suo aspetto spossato, quei suoi occhi lucidi, l’affannamento… Era tutto dovuto alla febbre, che faceva apparire Francesco più sensuale di come già le appariva normalmente. Le parole che pronunciava, altro non erano che la ciliegina sulla torta di quel suo atteggiamento involontario che però le stava mostrando senza il minimo ritegno. Le pause ad effetto altro non erano che pause per prendere fiato a causa del naso tappato, e lo sguardo serio, altro non era che lo sguardo assonnato.

Elisa doveva darsi una calmata. I suoi pensieri troppo speranzosi e rivanganti il passato dovevano darsi una calmata. Ma soprattutto, i suoi ormoni dovevano darsi una calmata.

“Ma lo sai che ho sempre avuto problemi a capire cosa provo.” Aggiunse. Elisa pensò di aver sentito male quando sentì una parvenza di risata soffiarle sul braccio, ma non poté che prenderne atto: Francesco non riusciva a prendere sul serio la questione. O forse la prendeva davvero sul serio, ma non voleva darlo a vedere. E a pensarci, Elisa pensò che la seconda opzione fosse quella che più si addiceva a Francesco.

“Già.” Rispose rassegnata. “Ma questo non è un motivo sufficiente per chiuderti fuori casa.”

“Penso che mi abbia voluto dire che è finita, te l’ho detto.” Alzò le spalle, sfiorando la linea dell’indifferenza, impressionando ancora una volta Elisa per la facilità con cui lui ne stesse parlando a parole.

“Ma cosa dici?” lo scosse dolcemente lei. “Basta solo che vi chiariate. Tanto lo so, dopo aver fatto sesso, voi sarete ancora più contenti di prima.” Aggiunse con una certa vena di sarcasmo velenoso.

“No, basta.” La contraddisse Francesco. “Ho lasciato correre troppe cose.” Si passò una mano sul viso, per poi chiudere gli occhi, la testa sul braccio piegato sul cuscino. Elisa lo guardava, dubbiosa se dire quello che pensava oppure no. Di certo Francesco in quello stato destabilizzava un bel po’ e lei non poté negare di iniziare a sentire più caldo del solito. “Se lei non vuole capire, è inutile che io le ripeta le stesse cose.”

“Forse era solo il momento sbagliato.” Infine parlò. Avrebbe voluto non farlo, ma riconobbe l’egoismo del gesto e volle fare il contrario per liberarsi dal senso di colpa. “Sai, forse aveva solo bisogno di stare un po’ sola a pensare.”

“E quindi dovrei tornare da lei nonostante tutto?” le chiese nella sua più totale indifferenza, gli occhi ancora chiusi e il respiro irregolare per riuscire a respirare mentre parlava.

“Provaci.” Propose Elisa. “Chiamala.” Se da una parte le sembrava di darsi la zappa sui piedi, dall’altra la poca coscienza che tentava ancora di farsi valere le rinfacciò che lei avrebbe dovuto stare lontano da Francesco e pensare di più a Marco.

“Di certo non ora.”

“Come vuoi…” sospirò Elisa.

Il silenzio li avvolse per qualche minuto, minuto in cui Elisa decise di chiudere gli occhi a sua volta, visto che Francesco non sembrava intenzionato a continuare quel discorso. Be’, poteva capirlo, ma poteva anche essere che la stanchezza dovuta alla febbre l’avesse fatto addormentare quasi improvvisamente.

“Ehi,” e come succedeva ogni volta che Elisa pensava di sapere cosa frullasse nella testa di Francesco, ecco che lui la prendeva in contropiede.

“Dimmi.” Aprì nuovamente gli occhi, trovandosi davanti quelli verdi di Francesco.

“Vieni a lavorare da me.”

E questo non era un semplice contropiede, questa era una secchiata d’acqua gelida addosso. Avrebbe pensato che piuttosto si invertisse la rotazione della Terra o che Francesco giurasse di non fare più battute a sfondo sessuale, piuttosto che una proposta del genere.

“Eh?” fu l’unico suono che uscì dalle labbra aperte per lo stupore di Elisa.

La penombra della stanza non rendeva giustizia al colore degli occhi del ragazzo, ma Elisa li poteva vedere molto bene, erano lì, davanti a lei, sebbene fossero lucidi, erano sinceri. Non c’era traccia di una potenziale presa per il culo degna di Francesco.

“Vieni a lavorare con me, Gianluca, Nicola e Fede.” Ripeté. “Non hai più un lavoro e non ti piace studiare.” Tagliò corto. “E hai perso l’unica possibilità che ti era capitata tra le mani.”

“Ma cos-” Elisa trasalì. “No, te l’ho detto: il colloquio è stato -”

“Non prendermi per scemo,” sospirò Francesco, lasciandosi sfuggire un piccolo sorriso. “Lo so cosa hai fatto.” Elisa si sentì avvampare. “Di nuovo.”

“Di nuovo?” ripeté Elisa, senza connettere alla realtà. “Non intendi mica…?”

“Certo che intendo l’esame di Scienza delle Costruzioni.” E da quello sguardo non si scappava. Elisa provò a nascondersi dietro una mano, ma era inutile, sentiva lo sguardo di Francesco fissarla roventemente.

“Oh…”

“Pensavi che non me ne fossi accorto?” soffiò una risata, avvicinandosi a lei e abbracciandola. “Sei veramente senza speranze.” La canzonò, mentre lei ancora teneva le mani sul viso.

“E allora potevi evitare di farmi montare cazzate su cazzate.” Mormorò tra l’imbarazzo e la vergogna, alzando lo sguardo diffidente su di lui, che la guardava a sua volta con occhi assurdamente vivaci, visto il discorso che aveva preceduto quella rivelazione. “Non facevi prima a dire che sapevi tutto, brutto stronzo?”

“E dove stava il divertimento?”

“Ah, già,” schioccò la lingua lei. “Dimentico sempre che ti piace prenderti gioco delle sventure degli altri.”

“Ehi, guarda che hai fatto tutto da sola, Eli.” Ridacchiò.

Lei, in risposta, non si sprecò ad elaborare frasi sensate. Si limitò a borbottare parole che a lei stessa parevano sconnesse e incoerenti, ma tanto bastava per far capire a Francesco sempre la stessa cosa: con te è inutile anche solo discutere di certe cose!

Lui la cullò ironicamente, mentre lei continuava imperterrita a mostrargli il broncio.

“Smettila, che mi attaccherai qualcosa.” Si allontanò lei. Non avrebbe voluto, ma qualcosa l’aveva spinta a farlo prima che se ne rendesse effettivamente conto.

“Ah, già, domani devi uscire con Marco.” Ruotò gli occhi, sospirando, sebbene lo facesse con sarcasmo. “Cosa gli dirai di questa faccenda?”

“Niente.” Rispose chiara e concisa, abbassando lo sguardo e sentendosi enormemente colpevole. Non avrebbe dovuto agire come invece aveva fatto irrazionalmente, troppo velocemente perché la parte razionale del suo cervello le potesse dare della stupida – offesa che le stava ripetendo all’orecchio da almeno una mattinata intera – e ora doveva solo subirne le conseguenze.

“Marco non è scemo, Eli.” La rimproverò Francesco. “Se ne accorgerà prima o poi.”

“Sì, lo so.” Dovette ammettere, sospirando tristemente. Ma come poteva dire a Marco di aver perso il colloquio per stare con Francesco, che si sentiva male. Lui aveva bisogno di lei, era pure crollato in bagno per un capogiro! Elisa però non era convinta che Marco potesse stare zitto davanti una cosa del genere. In fondo gliene aveva fatte passare tante, questa sarebbe stata la più grossa ed Elisa aveva proprio esagerato.

“Accetta la mia proposta.” La voce di Francesco si insinuò nelle sue orecchie tentatrice, quasi a volerla persuadere che quella fosse la giusta via da seguire. Magari aveva ragione, magari no. Elisa avrebbe voluto, ma allo stesso tempo sentiva che era qualcosa di azzardato, troppo azzardato per poter essere affrontato senza ripercussioni. “Allora?” Insistette Francesco, abbracciandola nuovamente.

“France,” iniziò Elisa, sentendo dentro di sé due schieramenti incredibilmente avversi che non le davano una nitida visuale della questione. “Ci penserò, d’accordo?” Lui la guardò annuendo, forse comprendendo il conflitto interiore che la preoccupava. Lo apprezzò, contenta che lui non le facesse ulteriori pressioni. Gli sorrise e accettò di accoccolarsi nuovamente tra le sue braccia. “A patto che tu chiami Daniela.” Aggiunse. Personalmente, avrebbe esultato al sapere di non avere più quella psicologa bionda tra i piedi, ma sapeva che in fondo a Francesco importava di lei, sebbene lui facesse finta di niente. Magari quel suo modo di fare altro non era che una copertura, una messinscena ai suoi veri sentimenti. Elisa l’aveva sempre pensato dacché lo conosceva, ma non era mai riuscita a capire, perché lui per primo sviava con discorsi irraggiungibili ed enigmatici. Ma dopotutto, se non avesse seriamente tenuto a Daniela, non avrebbe preso tutta quell’acqua per stare appostato sotto casa sua.

____________________________

Et voilà! Nuovo capitolo! Su, non ho fatto tantissimo ritardo, vero? ;)
So che in questo capitolo pare non accada niente, ma in realtà è un po' il contrario. Ci sono indizi per ciò che accadrà e anche qualche briciola di ciò che è accaduto ormai cinque anni or sono.

Devo essere sincera: è stata un'impresa scriverlo! Francesco è un personaggio complesso, sebbene non sembri, e spero di aver descritto il suo comportamento senza sforare troppo dal personaggio che mi sono fatta di lui. Voglio dire, l'ho reso ambiguo volutamente e infatti Elisa non sa bene come comportarsi... Be', ovviamente le interpretazioni a ciò che accade tra loro due spetta a voi, non mi piace imporvi il mio punto di vista! Vediamo un po' che ne pensate!

 

Ora ringrazio _V a l e_, Franzie_Temp97 e Brezza per i commenti lasciati nello scorso capitolo (grazie, grazie, grazie!) e vi saluto!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** XIX ***


Si erano dati appuntamento alle

Si erano dati appuntamento alle quattro alla torre del vecchio castello della città e ovviamente lei era in ritardo. Era una condanna: anche se avesse iniziato un’ora in anticipo a prepararsi, ci sarebbe stato qualcosa che le avrebbe impedito di essere puntuale – o Sofia che versa la caraffa dell’acqua, o lei stessa che si macchia la maglia appena messa, o Chiara che chiama per raccontarle di Roberto, o proprio come quel giorno, Francesco che pareva essere sull’orlo di un collasso – cosa che non gli impedì comunque di fischiarle dietro quando lei, nuda per aver appena terminato la doccia, era corsa a prendergli una bustina di zucchero per cercare di fargli riguadagnare un po’ di energia. Più ci pensava, più Elisa realizzava di essere stata palesemente presa in giro dai modi di fare di quell’idiota.

E così era arrivata, finalmente, alla torre, dove Marco stava già indubbiamente e pazientemente aspettando. E dire che si era pure dimenticata di avvertirlo. Era proprio senza speranza. Non se lo meritava per niente un uomo come Marco.

“Ehi, eccoti.” Le sorrise lui, facendola sorridere di rimando, sebbene imbarazzata. Lui le prese la mano e si incamminò verso il viale alberato della città.

Era una giornata piuttosto cupa e triste, osservò Elisa, e faceva anche decisamente freddo. Entrambi vestivano con sciarpa e cappello. Solo Marco aveva i guanti – che si era puntualmente tolto per poterla tenere per mano – mentre lei aveva rinunciato a cercarli vista l’ora mostruosa che aveva toccato prima di uscire.

“Scusa il ritardo.” Mormorò lei.

“Tranquilla. Lo so che sei un caso perso.” Ridacchiò.

“Be’, grazie, allora.” Mise un finto broncio, sebbene non le riuscisse essere totalmente spontanea. Aveva quel piccolo tarlo che le trapanava il cervello da quando Francesco gliel’aveva fatto notare: cosa avrebbe dovuto dire a Marco, riguardo il colloquio che aveva saltato? E soprattutto, avrebbe dovuto a dire a Marco il vero motivo?

“E il colloquio?”

Ecco, perfetto, sospirò Elisa, con la voglia irrefrenabile di seppellirsi seduta stante per non affrontare la domanda, o con l’alternativa di fermarsi a battere violentemente la testa contro un muro delle case del centro storico, sperando di cadere in coma il più presto possibile. Avrebbe preferito fronteggiare sua madre che Marco, almeno con lei avrebbe iniziato ad urlare e la cosa si sarebbe conclusa come al solito: loro due che non si sarebbero rivolte la parola per almeno un paio di giorni, se non di più. Ma con Marco… Non avrebbe potuto sostenere il suo sguardo che l’avrebbe imprigionata, guardandola con compassione – o peggio: delusione. Si sentiva attaccata e braccata, senza via di fuga, senza scampo. E i suoi occhi che guardavano ovunque, tranne che davanti a sé, oppure Marco, e il sorriso tirato che aveva mostrato non appena aveva realizzato la domanda che Marco le aveva rivolto, dovevano essere segnali che una persona come lui – un avvocato – non si sarebbe lasciato sfuggire tanto facilmente.

Cacchio! Perché diavolo era rimasta con quell’imbecille di Francesco? Perché diavolo non l’aveva lasciato a se stesso. Cavolo, aveva un raffreddore, non il colera o la peste bubbonica! Era grande e vaccinato, poteva benissimo curarsi da solo. Eppure lei gli era rimasta vicino. Ora poteva solo sperare che Marco non si arrabbiasse troppo.

“Il colloquio…” iniziò a farfugliare con la disinvoltura di una bambina che sapeva di aver combinato un danno non indifferente e di essere stata appena scoperta. “Be’, sai…” E poi, non seppe come, le rimbombò come una cannonata nelle orecchie la voce di Francesco: “Vieni a lavorare da me.

“Non l’avevi oggi?” Chiese Marco, per poi sfociare in un’espressione sbigottita e quasi stupita. “Ah, è vero!” esclamò, cogliendo Elisa totalmente alla sprovvista. “Francesco mi ha detto che te l’avevano posticipato, vero? Ti hanno chiamata?”

“Ah, no, ecco…” Che cacchio aveva detto Francesco a Marco? “Ancora no.”

“Non saresti dovuta rimanere a casa, allora?”

“No, non importa.” Gli sorrise. Le sembrava di assistere alla conversazione da un punto di vista esterno a loro due, da quanto si sentiva il sangue gelare e la testa sempre più vuota. Cosa poteva inventarsi? E soprattutto perché doveva per forza inventarsi qualcosa? Aveva così tanta paura della reazione di Marco da sentirsi costretta a raccontare un sacco di balle? Ma che razza di relazione era diventata la loro, allora? “C’è Francesco a casa.” Però stava continuando a mentire. “Se chiamano, risponde lui.” E non sembrava intenzionata a smettere.

“Ah, quindi?” insistette lui, svoltando a sinistra per imboccare finalmente il viale alberato che si colorava di colori caldi, visto le giornate sempre più corte.

Elisa deglutì. Si sentiva una perfetta idiota. Il suo cervello, alleatosi con sua coscienza la stava offendendo senza mezzi termini, facendole perdere il filo del discorso per cercare di migliorare la situazione. “Quindi… Francesco mi ha offerto un lavoro.” Disse tutto d’un fiato. Non sapeva se avesse chiuso o meno gli occhi, ma la tensione e la coda di paglia le annebbiarono la vista, come se lei stessa si rifiutasse di guardare avanti, cercando di nascondersi dagli occhi delusi di Marco. La sua presa salda sulla propria mano però non vacillò, rimase dolce e calda. Lentamente, Elisa si voltò verso di lui per capire quale reazione si sarebbe fatta strada nei suoi occhi, ma lui semplicemente la stava guardando come si potrebbe guardare la donna amata in un qualsiasi momento di smarrimento. Uno smarrimento però che aveva fini pennellate della tanto temuta delusione di cui Elisa non riusciva a sopportare il peso.

“Ti ha offerto un lavoro?” ripeté. Era ovvio che non stava aspettando altro che una risposta a quella affermazione.

“Sì,” sorrise Elisa, pregando che il suo sorriso potesse anche vagamente sembrare veritiero. “Proprio ieri sera.” Aggiunse. “Visto che del colloquio ancora non si sapeva niente. Lui ha pensato di trovarmi un lavoro.”

Marco, la presa ancora salda sulla sua mano, la portò a sedersi su una delle panchine di pietra che costeggiavano il viale, rivolgendosi verso il fiume che si riempiva di colori autunnali.  “Quindi andrai a lavorare per lui?”

“Credo di sì.” E la sua parte razionale tentò l’ennesimo suicidio, consapevole della sua più totale inutilità.

“Te l’ho offerto pure io un lavoro, Elisa.” Disse Marco, sospirando. Non aveva alzato la voce, e tantomeno sembrava arrabbiato. Ma il tono era duro, quasi ferito. “Perché hai accettato quello di Francesco e non il mio?”

Elisa si sentì in gabbia: qualunque cosa avesse provato a dire, sarebbe parsa come una scusa. Ma se l’era cercata, quindi non poteva far altro che chinare la testa e annuire, sapendo che Marco aveva decisamente tutte le ragioni del mondo schierate dalla sua parte.

Non aveva ancora risposto a Francesco riguardo la proposta, l’aveva lasciato col dubbio, sebbene non appena gliel’aveva sentita pronunciare, Elisa non avrebbe voluto altro che dire di sì. Però aveva pensato a Marco, e si era sentita combattuta. Se avesse dovuto mettere a confronto le due proposte di lavoro indubbiamente quella di Francesco era più allettante, non tanto per poter stare vicino a lui – anzi, con il brutto tempo che tirava nella sua relazione con Marco, non avrebbe dovuto fare che allontanarsi da Francesco il più possibile.

“Be’, perché rientra più nelle mie competenze.” Aveva osato Elisa. Da una parte era vero: non ci si vedeva proprio in tailleur a portare posta e caffè. Certo, avrebbe potuto rimanere affianco a Marco praticamente tutto il tempo, ma trovava più allettante lavorare per Francesco e il suo gruppo di amici. “Marco, io non sono brava a portare caffè e a fare fotocopie. Non avrei fatto alcuna facoltà, altrimenti.” Tentò di giustificarsi.

Marco sospirò, passandosi una mano sul viso come per mantenere il controllo, e a quel gesto Elisa si sentì privata di ogni difesa. Da quando lo conosceva, non l’aveva visto mai, nemmeno una volta, perdere il controllo. E di certo non avrebbe mai voluto vederlo. Per questo e per la paura di aver drasticamente passato il limite, il suo cuore iniziò a battere in maniera sfrenata, quasi a volerle far capire con linguaggio Morse la grande cazzata a cui stava andando incontro. “Elisa,” iniziò lui, per poi liberarsi lo sguardo dalla propria mano e dirigendolo tutto verso di lei, inchiodandola come solo lui aveva la capacità di fare. “Il lavoro che ti ho offerto era un lavoro altamente qualificato. Avresti dovuto catalogare documenti, ordinare gli archivi… Nessun servizio da sguattera.”

Si vedeva chiaramente che Marco stava facendo di tutto per non dare corda ai suoi sentimenti più profondi, quelli che forse lui mai aveva mostrato, se non a sé stesso. Ed ora Elisa lo sentiva vacillare, come se nemmeno lui fosse più in grado di trattenerli. Lo vedeva da come la guardava e lo sentiva nella tensione che li aveva avvolti, quasi separandoli da quell’atmosfera autunnale e calda che invece regnava in tutto il viale alberato che li incorniciava.

“Ma…”Basta, non dire più niente! “Ma il mio posto, le mie conoscenze…” No. “Sono tutte cose nell’ambito dell’architettura!” perché stava così deliberatamente scavalcando ogni campanello d’allarme che percepiva ovunque, in Marco e in se stessa? “Per quanto non possa piacermi come lavoro dei sogni, io sono un architetto.” Stava continuando come se qualcosa la spingesse e allo stesso tempo tentava di fermarsi, ma era come una valanga di neve: ormai aveva preso velocità e niente avrebbe potuto fermarla. “Se ho l’opportunità di tornare in quel campo, perché me lo proibisci?”

“No,” il tono di Marco fu tagliente come una lama di un coltello, e la trafisse nel petto, nello stomaco e in gola, bloccandole il fiato per qualche secondo che le sembrò eternamente lungo. Lo sguardo duro di Marco l’aveva bloccata e la sua fronte aggrottata sembrò quasi spaventosa. Elisa non l’aveva mai visto così arrabbiato. Ma non era solo arrabbiato, perché era come se dentro Marco, una moltitudine di sentimenti stessero vorticando a velocità paurosa, senza permettergli di chiarire l’espressione con una sola emozione. Elisa vedeva nel volto di Marco la rabbia, ma anche la paura, la frustrazione e la delusione. E quando Marco parlò, fu come un’esplosione dirompente, inaspettata e spaventosamente dolorosa: “Tu così hai solo l’opportunità di stare più vicino a Francesco, ecco cosa.”

Fu un attimo, un attimo fin troppo fulmineo per permettere ad Elisa di capire cosa si stesse agitando dentro di lei. Ma in quell’attimo si ritrovò ad indietreggiare e ad alzare la voce in espressione di quello che più sospettava: “Ma dillo che sei geloso marcio di Francesco!” urlò, tentando di tenere la voce tremante per qualcosa di molto simile alla rabbia più bassa che poteva. “Dillo, così una volta che l’avrai ammesso ti sentirai più sollevato!”

E Marco non tardò a rispondere, trascinato in quel vortice di accuse che – per attacco o per difesa – erano uscite violentemente dalle sue labbra. “Sì, d’accordo?” sbottò, allargando le braccia. “Sono geloso di Francesco!” ammise con irruenza. “Ma dammi torto, Elisa! Lui vive con te, avete una figlia, vi conoscete da anni… E io chi sono?” non passarono che pochi secondi da quel suo slancio d’ira, che già sembrò calmarsi, o meglio: rassegnarsi. “Sono solo un uomo che conosci da poco più di un anno, che ha visto tua figlia solo una volta, oppure sempre e solo in fotografia.” Iniziò, abbassando lo sguardo sulle mani che aveva raccolto sulle gambe. “Non ho nemmeno il permesso di entrare in casa tua quando voglio farti una sorpresa.” Fece una pausa che Elisa non si sentì di interrompere. Non si toccavano più, e lui nemmeno la guardava. “Per uscire, devi avere il permesso di Francesco, come se fosse tuo padre. O peggio,” la guardò con tristezza negli occhi. “Tuo marito.”

Questa volta fu il turno di Elisa a distogliere lo sguardo agli occhi di Marco, troppo spogliata delle sue difese, soprattutto quelle che il più delle volte le rivolgeva Marco stesso.

“Marco, piantala.” Chiuse gli occhi e solo dopo averli riaperti riuscì ad elaborare qualche pensiero coerente. Ma la coerenza di Elisa il più delle volte non rispecchiava la razionalità che avrebbe dovuto adottare nei momenti più importanti. Anzi, la coerenza, per quanto determinata potesse essere, seguiva perlopiù il filo della sua irrazionalità. E questa volta non faceva eccezione. “Piantala, perché mi stai facendo davvero infuriare!” sibilò. Non le piaceva che Marco potesse alludere a Francesco in quel modo. Non era rispettoso nei suoi confronti, visto tutto quello che aveva passato e sopportato. Per di più questa era una discussione che riguardava loro due. Loro due e basta. L’allusione a Francesco in quel modo aveva ferito Elisa più del dovuto. E Marco se ne accorse.

“Bene!” soffiò pure lui. “Allora infuriati!” le urlò sommessamente. “Perché se urlando è l’unico modo per parlare con te, allora urla! Grida, ruggisci!” e nuovamente sembrò calmarsi. Non era proprio nella natura di Marco alzare la voce, litigare con qualcuno a cui teneva con tanto sangue alla testa. Lui era una persona estremamente e quasi eccessivamente razionale, quadrata. “Elisa,” sospirò. “Io voglio chiarire questa faccenda.”

“Ma cosa c’è da chiarire?” lo supplicò Elisa. “Te l’ho detto un’infinità di volte che io e Francesco non stiamo insieme!” gli prese le mani nelle sue e lo guardò con occhi imploranti, feriti dalle parole di Marco. E molto più feriti dalle proprie. “Non devi vederlo come una minaccia!” continuò, spostando le sue mani, ora, sul suo viso. Lo guardò negli occhi, volendoci annegare, inebriare nuovamente dentro, come aveva sempre fatto dacché lo conosceva. “Io sto con te.” Gli sussurrò. “Amo te.” Cercò di sorridere. “Sono tua, capisci?”

Marco sospirò e distolse lo sguardo dagli occhi di Elisa, afferrandole delicatamente le mani con le sue ed allontanandosele dal viso. Lei non oppose resistenza.

“Elisa, io ho seriamente bisogno di conferme.” Quando sollevò di nuovo gli occhi su di lei, erano colmi di tristezza. “Non puoi lasciarmi sempre in disparte ogni volta che Francesco ti chiama o ti impedisce di venire da me.”

Elisa accettò le sue ragioni. Le aveva sempre e solo immaginate, sospettate, ma non le aveva mai prese in considerazione seriamente, contando sull’infinita pazienza di Marco.

“Lo so,” disse. “Ma tu devi capire che la mia situazione non è facile.”

I loro occhi si rispecchiavano l’un l’altro, guardandosi come per convincere sia se stessi che l’altro. Cercavano entrambi un aiuto, un sostegno reciproco, qualcosa che potesse far capire a tutti e due che potevano andare avanti ed affrontare questa situazione insieme, senza voltarsi le spalle, anzi, prendendosi per mano e confidando in una soluzione.

“Sì,” mormorò Marco, posando una mano sul viso di Elisa, accarezzandone la pelle liscia e cosparsa di lentiggini. “Lo so.” Elisa si appoggiò alla sua mano e chiuse gli occhi, portando la propria su quella grande di Marco. “Scusami.”

“No,” negò lei. “Sono io che devo scusarmi.” Disse. “Ho alzato troppo la voce. Ho esagerato.”

Lui le prese il viso con entrambe le mani e lo attirò a sé, per poi sfiorarle le labbra con le sue. Elisa si accorse che aveva bramato quel bacio dacché era iniziata la loro discussione, come segno di riappacificazione e di perdono da parte di tutti e due, ma sapeva che un solo bacio non poteva bastare a sanare quella crepa che sembrava essersi insinuata tra loro.

__________________________

Ed eccomi qui, gente, con Marco che sbotta dopo la bellezza di diciannove capitoli! Be', si meritava anche lui ad una sfuriata, no? Detto fra noi, questo capitolo mi piace, perché - sebbene in minima parte - mostra che anche Marco alla fin fine ha le cosiddette "palle". Oh! Anche lui ha da difendersi, in un modo o nell'altro.
Non mi dilungo maggiormente perché tanto il capitolo parla da sé, mi sembra. Quindi vi lascio con i dovuti ringraziamenti alle tre persone che hanno commentato lo scorso capitolo (SYLPHIDE88, _V a l e_ e Brezza) e vi saluto!

Un bacio! :)

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** XX ***


Nuova pagina 1

“Perché non c’è più rispetto per i malati?” ringhiò Francesco, strisciando verso la porta d’ingresso per mettere fine a quell’assordante trillo del campanello. Faceva anche freddo e si era dimenticato di indossare la felpa, visto che l’accappatoio era stato costretto ad un lavaggio d’urgenza la sera scorsa a causa di un incontro troppo ravvicinato con un sugo di pomodoro bollente. “Chiunque tu sia, smetti o ti denuncio.”

“Che bel benvenuto, France.” Il sorriso divertito di Gianluca gli si parò davanti quasi improvvisamente, facendo roteare gli occhi a Francesco, che gli cedette il passo per farlo entrare.

“Ciao, Gianlu.” Lo salutò, chiudendo poi la porta dietro di sé e scivolando sul divano.

“Come stai?”

“Come l’uomo che corse la maratona di New York usando solo i pollici.”

“Ah, interessante. Mi domando se sia veramente esistito questo tizio.” Si sedette sul divano, affianco a Francesco.

“No, ma se fosse esistito, mi sentirei esattamente come lui. Non ho nemmeno la forza di andarmi a tagliare la barba. E poi stavo dormendo.” Grugnì.

“Uhm, ti ho colto in un momento di profonda meditazione, allora.”

“Ovvio.”

“E piantala di fare il cadavere!” gli dette una vigorosa patta sulla spalla, facendo schizzare Francesco in piedi. “E ringrazia che non abbia fatto venire quegli altri due.”

“Ah, già, un coglione è più che sufficiente.” Si massaggiò la spalla. “Cazzo, Gianlu, mi hai rotto una clavicola!”

“Ma va’!” fece un vago gesto con la mano, mostrando il suo scarso interesse per il dolore di Francesco. “Federica ti avrebbe stritolato così tanto che te ne avrebbe rotte due.” Ridacchiò.

“Come sei riuscito a non farli venire?” si sedette nuovamente sul divano. Era stato trascinato fuori dalle coperte con violenta forza, dovuta al suono trapanante del campanello della porta. Stare a torso nudo non aiutava a sentire meno freddo.

“Quando sono uscito, Nicola era in bagno.” Francesco annuì comprendendo la gravità della situazione. “E ho detto a Federica che nello stanzino qualcuno aveva sbagliato a rimettere a posto i dati dei Farina.”

“Non ti chiedo nemmeno chi mai potrebbe essere stato a farlo.” Ghignò.

“Be’, a mali estremi, estremi rimedi.” Alzò le spalle Gianluca. “Ah, però Fede si è accorta del mio tentativo di sabotaggio.” Sospirò, aprendo la borsa. “E mi ha detto di darti lo stesso questo.” Prese una piccola confezione cilindrica, avvolta nella carta da pacchi con tanto di teneri orsacchiotti che esclamavano una buona guarigione al diretto interessato. “Purtroppo ho la sensazione di sapere già cosa contiene.” Commentò tra la risata e la rassegnazione.

Francesco accettò il pacchetto e lo scartò, per poi rimanere a fissare l’oggetto con una mezza risata sulle labbra.

“Fino alla fine ho sperato che fosse un ombrello.” Disse Gianluca, osservando il vibratore che Francesco nel frattempo aveva tolto dalla confezione e aveva azionato, facendolo muovere in maniera quasi inquietante.

“Oh,” esclamò Francesco teatralmente. “Guarda che carini sono stati!” rise. “Pensano a noi due in ogni occasione!” Gianluca alzò un sopracciglio con fare sospettoso. “Che dici, la prossima volta che facciamo i nostri giochetti, lo usiamo?” rise sguaiatamente, mettendogli il vibratore blu puffo sotto il naso, mentre Gianluca cercava di scansarlo con la mano.

“Zio Luca!” e fu come un attimo: un proiettile dai capelli corvini si scagliò contro Gianluca, mentre Francesco si lanciava dalla parte opposta del divano per nascondere il vibratore sotto il cuscino più vicino.

“Ehi, pulce, come stai?” Lui la prese in braccio e la fece saltellare sulle gambe, portandola a ridacchiare. Francesco apparve nuovamente composto al suo fianco, ora con un insolito cuscino dietro la schiena, il sorriso a denti stretti e una minaccia di morte per quei due coglioni che per poco non avevano turbato l’innocenza della sua piccola Sofia.

“Di’ a Federica e Nicola che appena torno li ammazzo.” Gli sussurrò all’orecchio, per poi sfociare in un assordante starnuto che fece sobbalzare Gianluca per lo spavento. “Scusa, ma colpiscono quando meno te lo aspetti. Sono starnuti ninja.” Aggiunse poi, passandosi la mano sotto il naso.

“Ma fai schifo!” berciò Gianluca. “Che esempio dai alla povera Sofi?”

“Perché?” ridacchiò Sofia, trovando quello starnuto qualcosa di esilarante.

“Sofi, vai a prendere un pacchetto di fazzoletti a tuo padre, per piacere.” Le disse, quindi, facendola scendere dalle gambe. La bambina corse verso il bagno e tornò poco dopo, così velocemente che non diede il tempo a Francesco di nascondere in maniera migliore il vibratore che ancora continuava a tenere dietro la schiena.

“Grazie, Sofi.” Disse Francesco, accettando il pacchetto di fazzoletti che la piccola gli aveva offerto. “Cavolo, questo starnuto mi ha rintronato persino il cervello.” Commentò tra sé e sé. Sofia poi tornò da Gianluca e gli chiese di tornare sulle sue gambe e lui non poté che accontentarla.

“Insomma, France,” riprese lui. “Come va?”

Francesco odiò l’amico e la sua capacità di riuscire a dire tutto quello che aveva da dire con solo una domanda, una così semplice domanda che quasi disarmava.

“Eh, lo sapessi…” si grattò la testa, mentre Sofia iniziava a giocare con le chiavi che aveva preso dalla tasca della giacca di Gianluca.

“Posso…?” adocchiò la bambina con l’allusione del permesso per poter essere più esplicito e Francesco, dopo un attimo di riflessione, decretò che tanto Sofia non avrebbe capito, quindi annuì, acconsentendo alle tanto odiate domande dell’amico. “Qualche sviluppo con lei?” e arricciò le labbra come a voler sembrare sensuale per far capire a quale lei si stesse riferendo, facendo scattare la risata di Sofia per la smorfia che aveva assunto, e Francesco subito dopo.

“No, non ancora. E non so nemmeno se succederà mai.” Confessò Francesco.

“France,” sospirò Gianluca. “Te l’ho detto tante volte, quindi non sto a ripetertelo per ovvi motivi.” Ed indicò Sofia con lo sguardo. “Ma dovresti sapere che sarebbe l’ora di prendere una decisione.”

“E che decisione vuoi che prenda, scusa?” alzò le spalle Francesco, per poi assumere l’espressione del tipico starnuto improvviso, che però non arrivò. Sospirò scocciato. “Mi sembra che la decisione sia fin troppo evidente e già direzionata.” Elisa aveva Marco, su questo non ci pioveva, e Daniela era ormai parte del passato, sebbene fossero passati solo pochi giorni da quando si erano visti l’ultima volta. Che decisione doveva prendere, se non quella di mollare tutto e iniziare nuovamente tutto da capo?

“E ti va bene così?”

“Mi spieghi perché mi riproponi sempre questa domanda ogni volta che si entra in una discussione del genere?” alzò un sopracciglio sospettoso, mentre incrociava le braccia al petto, il fazzoletto sempre in una mano, pronto all’uso.

“Tu che dici?” lo guardò saccente.

“Che scassi anche parecchio i co-” si zittì all’istante, ricordandosi di Sofia. “…comeri!”

Gianluca sfociò in una sonora risata. “I cocomeri?”

“Perché lo zio Luca rompe i cocomeri?” intervenne Sofia. “Non gli piacciono?” Francesco ridacchiò alzando le spalle. “Zio Luca, non ti piacciono i cocomeri?”

“Be’, vedi…” farfugliò, cercando di controllarsi.

“Ma non li devi rompere!” lo rimproverò con il dito indice sollevato. “Mamma dice sempre che il cibo non si spreca!”

“È vero, ha ragione la mamma.” Le sorrise, accarezzandole i capelli, per poi guardare Francesco, serrando le labbra per non tornare a ridere istericamente.

“Ecco, allora non rompere più i cocomeri! Sennò lo dico a mamma!”

“Eh, sarà dura…” commentò Francesco, allungandosi sul divano e mettendosi le mani dietro la testa.

“D’accordo, pulce.” Ridacchiò Gianluca. “E a parte i cocomeri,” riprese, guardando Francesco. “Che dici di tutto il resto? Elisa ha trovato qualcosa?”

Francesco si ricompose, facendosi improvvisamente serio. Non che la questione fosse drammatica o particolarmente importante, però era vero che aveva fatto quella proposta ad Elisa senza nemmeno consultare gli altri, cosa che tutti e tre – Nicola, Federica e Gianluca – gli avrebbero fatto pesare a vita, perché se era vero che continuavano ad impicciarsi dei suoi fatti personali, con questa confessione lui non avrebbe più avuto vita, pugnalato sempre a tradimento dalle loro allusioni. Si sporse in avanti e poggiò i gomiti sulle ginocchia, intrecciando le dita delle mani tra loro.

“Be’, ecco,” si schiarì la voce. “Credo forse di essere stato troppo avventato.”

“Tu?” lo guardò scettico. “Quando mai non saresti avventato?”

“No, intendo che ho fatto una proposta ad Elisa che forse a voi potrebbe non andare particolarmente a genio.”

Gianluca rifletté un momento sulle parole e tornò a guardarlo, aspettando che continuasse. Chissà perché ma Francesco sentiva che già sapesse tutto. “Ho proposto ad Elisa di venire a lavorare da noi.”

Gianluca non rispose subito. Con una mano teneva sempre Sofia sulle gambe, mentre con l’altra iniziò a grattarsi il mento, coperto da un leggero strato di barba che lo faceva sembrare più vecchio di quello che era. “Forse dovremmo parlarne anche con gli altri.” Disse infine.

“Sì, lo so che non è proprio l’idea migliore in questo momento.” Sospirò. “Non è che gli affari vadano bene e non abbiamo tutti quei soldi che pensavamo di fare coi nostri sogni di gloria, però,” lo guardò serio. “Almeno finché non trova un vero lavoro, penso che possa essere una buona soluzione, non credi?”

“Scusa se te lo chiedo, France.” Si schiarì la voce. “Ma se tanto Elisa dovrà comunque trovare un altro lavoro, perché riempirle la giornata con il nostro studio invece che lasciarla libera di studiare e cercare annunci – e poi non aveva un colloquio in questi giorni?”

“La faccenda è complicata, lunga e noiosa.” Lo affossò per evitare il discorso.

“Annoiami, dai.” Gli sorrise vincente.

“Be’, sappi solo che ha rifatto come cinque anni fa.”

“Ah,” capì. “Ma questa volta era un colloquio di lavoro!” aggiunse Gianluca, leggermente perplesso.

“Appunto per questo le ho offerto il posto.” Sospirò ancora Francesco, passandosi una mano tra i capelli, per poi buttarsi nuovamente contro la spalliera del divano, ricordandosi del cuscino dietro la schiena.

“Oh, ora ho capito!” esclamò Gianluca. Francesco non poté che roteare gli occhi intravedendo un velo di malizia nello sguardo dell’amico. Tanto lo sapeva che avrebbe frainteso tutto. Come al solito, d’altronde. “Ti sei sentito in colpa per averle fatto perdere il colloquio.”

“Ma figurati.” Schioccò la lingua. “Ha fatto tutto di testa sua, io che c’entro?” alzò le spalle e sperò che Gianluca non insistesse come al solito. “Lo facevo solo per non farla sentire totalmente inutile.”

Gianluca fece una smorfia come a celare la risata imminente e Francesco roteò gli occhi esasperato, sapendo già che questa se la sarebbe legata al dito per poi riproporgliela come arma di ricatto nei momenti più inopportuni. “Lei che ha detto al riguardo?” Chiese poi.

“Che ci avrebbe pensato.” Se io avessi chiamato Daniela. Per un attimo Francesco si meravigliò di aver pensato a quella precisazione, fino a quel momento non gli era più balenato in mente, dimenticandosi completamente delle parole di Elisa.

“E se accettasse?”

“Te lo sto chiedendo per questo.”

“Ma nel caso accettasse e a noi non andasse bene?”

“Oh, ma piantala!” schioccò la lingua. “Tanto lo so che vi andrebbe bene!”

“E allora perché ce lo chiedi?”

“Per pura cortesia.” Puntualizzò Francesco, assumendo un’aria superiore, boicottata tuttavia da uno starnuto che lo portò a rendersi conto che aveva effettivamente bisogno di mettersi qualcosa addosso. “Scusa un attimo.” Si alzò e si diresse in camera, aprì l’armadio e prese la prima maglia che trovò, indossandola senza pensarci troppo. Fu solo dopo essersi visto distrattamente allo specchio, che riconobbe quella maglia: era la maglia a righe che gli aveva regalato Daniela qualche mese fa. L’aveva indossata tante volte – e altrettante volte Daniela gliel’aveva tolta. Sorrise sghembo: era strano pensare a Daniela senza poterla più avere vicina, perché da un certo punto di vista, la storia con Daniela era una delle più lunghe che lui avesse mai avuto. Per questo si voltò, prese il cellulare che giaceva sul comodino e cercò il suo numero nella rubrica. Aspettò qualche squillo e nell’attesa, gli sembrò che ciò che stava facendo fosse effettivamente la cosa più giusta da fare. Non seppe dire se fosse qualcosa che si sentiva dentro da tanto tempo o fosse solo questione di un momento di pazzia, ma non ebbe un attimo di tentennamento. Sapeva che sarebbe stato difficile riallacciare i rapporti, dopo quello che era successo, ma a lui non piaceva lasciare le cose a metà. C’era in ballo una relazione che era degenerata di giorno in giorno senza possibilità di salvataggio, era giusto quindi tentare di salvare il salvabile. Almeno per un’ultima volta.

“Ciao, Dani. Sono Francesco. Senti, lo so che le cose tra noi ultimamente si sono… complicate, ma – che dici? – possiamo trovarci per parlarne?” Sospirò, passandosi stancamente una mano sugli occhi. “Richiamami.”

_____________________

Gente, questo è uno dei miei capitoli preferiti! Non vi permetto di insultarlo, oh! Ahahah, ovviamente scherzo, ma è vero che secondo me è uno dei più belli: qualche occhio attento potrebbe trovarci delle riflessioni di Francesco importanti per capire il suo comportamento :)

Ok, dai, è tardi e tra poco andrò a pranzo, quindi ringrazio velocemente chi ha commentato lo scorso capitolo (SYLPHIDE88, _V a l e_ e Brezza) e tutti coloro che leggono in silenzio! :)

Alla prossima!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** XXI ***


Nuova pagina 1

Entrò in casa sentendosi stanca, quasi avesse il peso delle parole pronunciate con violenza a Marco sulle proprie spalle. Si tolse il cappotto e si guardò allo specchio. Pure il suo riflesso non accennava a darle quel minimo sostegno sul suo aspetto, mostrandole un’Elisa dall’espressione pressoché inesistente. Avrebbe volentieri mollato tutto e tutti per dormire giorni interi e sperare che al suo risveglio tutti quei problemi si fossero risolti da soli, senza ripercussioni. Certo, avrebbe voluto questo, come avrebbe voluto anche trovare un lavoro al più presto, oppure far capire a sua madre che lei non era quel disastro umano che le veniva rinfacciato da lì a cinque anni. E avrebbe voluto trovarsi la spalla di Francesco pronta ad accogliere un suo pianto liberatorio. Invece in sala vedeva solo delle matite su un tavolo, un inizio di disegno – molto probabilmente con anche la mano di Francesco, visto i tratti di un viso troppo sofisticati perché l’avesse fatto la piccola Sofia senza aiuto – e della carta da regalo con orsacchiotti sul divano. Si domandò a cosa fosse dovuta, ma quella sera nemmeno aveva tutta quella voglia di scoprirlo. Magari era un regalo per Sofia.

E subito un pensiero la bloccò all’istante, facendole sgranare gli occhi ed andare in cerca di prove con lo sguardo per tutto l’ingresso e la sala. Si avvicinò al divano e guardò se sotto quella carta sgualcita ci fosse qualcosa di compromettente, ma non trovò niente. Si sedette affondando la schiena contro un cuscino e chiuse gli occhi.

Che stupida, pensò. Daniela e Francesco avevano litigato, non era possibile che lei fosse venuta lì quel giorno. Quello non poteva essere un regalo per Sofia da parte sua, anche perché Elisa sapeva che Francesco non l’avrebbe fatta entrare in casa sapendo che Sofia era lì. O almeno ci contava. No, desiderava disperatamente che fosse così.

Si passò una mano sugli occhi e sospirò, per poi alzarsi e dirigersi verso la camera della piccola. Erano le sette e un quarto, molto probabilmente Sofia ora stava dormendo dopo aver mangiato i suoi biscotti di nascosto.

E infatti la trovò arrotolata su se stessa con ancora il pacchetto dei biscotti al cioccolato in mano. Aveva delle briciole sulla bocca e sulle guancie, così Elisa si apprestò a toglierle delicatamente con la mano, disturbandole evidentemente il sonno per le smorfie che Sofia fece, mugolando qualcosa. Elisa sorrise, accarezzandole poi i capelli. Era proprio bellissima, sua figlia. Le sollevò dolcemente la testa e poi le gambe per poterla coprire con il piumone. Fortuna che era già in tenuta da letto, con il suo pigiamino rosso acceso. Prese poi la confezione dei biscotti, togliendogliela di mano e non appena posò le labbra sulla fronte della piccola, lei si mosse.

“Mamma,” mugolò con voce assonnata. “Ne ho mangiato solo uno.” Disse, allungando la mano verso il pacchetto. “Però poi papà dormiva,” spiegò, sbadigliando. “E io avevo fame.”

Elisa le carezzò una guancia. “Hai ancora fame, Sofi?” La piccola annuì lentamente, stropicciandosi gli occhi per svegliarsi. “Allora, vieni. Ti preparo qualcosa. Cosa vuoi?”

“Il brodo, così lo porti anche a papà.” Rispose per poi gattonare verso Elisa e chiedere di essere presa in braccio. Lei l’accontentò e la portò con sé in cucina, facendola poi sedere su una sedia, mentre prendeva la pentola da riempire con l’acqua da far bollire.

“Cosa hai fatto oggi?”

“Ho disegnato!” una volta in piedi le ci volle veramente troppo poco per riprendere le energie, infatti era già tornata al suo tono trillante ed entusiasta. “E poi è venuto lo zio Luca!”

“Ah, davvero? E cosa avete fatto?”

“Io gli ho fatto vedere i miei colori, però lui parlava sempre con papà!”

“Avranno parlato di lavoro, amore.” Si sedette sulla sedia affianco alla piccola.

“No, lo zio diceva che rompe i cocomeri perché non gli piacciono!” protestò la piccola.

“Cocomeri?” ripeté Elisa.

Sofia annuì. “Sì, ma io gli ho detto che non si spreca il cibo, vero, mamma?”

“Sì, brava.” Le si avvicinò per darle un bacio in fronte. “E dopo? Perché papà non ti ha preparato da mangiare?”

“Perché dorme!” rispose con voce sommessa, mettendosi un dito davanti alla bocca e farle segno di non fare rumore. “E io sono grande!”

“Certo che sei grande,” le sorrise. “Però potevi andarlo a svegliare, no?”

“No, perché è stanco! È malato!”

“Sì, ma ora sta meglio.”

“Perché ha bevuto il brodo!” esclamò Sofia, contenta.

Elisa ripensò alla fine che aveva fatto il brodo della prima sera e ridacchiò. “Sì, il brodo l’ha aiutato a guarire un po’.”

“E poi guarda cosa ho trovato!” scese dalla sedia con entusiasmo, quasi impaziente di mostrarle qualcosa. Elisa si sporse verso la sala, curiosa di sapere cosa le avrebbe portato la piccola, ma quando la vide ritornare in cucina le prese un colpo: tutto si sarebbe aspettata – una palla, un vecchio disegno, una foto, un calzino! – ma non un vibratore blu puffo! Sofia era tutta contenta di quello strano oggetto, mentre lo esaminava rapita da quella strana forma che Elisa avrebbe preferito non vedesse mai – o almeno, non ora! Le prese l’oggetto dalle manine e se lo portò dietro la schiena, sorridendo tirata per non cedere ad un attacco di iperprotezione isterica. Cosa diavolo ci faceva un vibratore in casa loro? Ma nemmeno concretizzò la domanda, che già la risposta le si parò davanti agli occhi con un’ovvietà che aveva dell’impressionante. Subito la carta da regalo con gli orsacchiotti e la presenza di Gianluca vennero collegati, e il risultato di quell’unione l’aveva proprio dietro la schiena, mentre Sofia si lamentava per riaverlo. “Ma l’ho trovato io!” brontolava, mettendo il muso e girando intorno a lei, che tentava di nasconderlo girandosi a sua volta.

“Sofia, ascolta, questo non è una cosa per una bambina.”

“Ma l’ho trovato!”

“Sì, ho capito, ma questo è di… papà.” Rispose tra la preoccupazione e la risata, senza sapere se quella scena fosse più tragica che comica, ma si convinse che non poteva permettersi tentennamenti del genere con Sofia nei paraggi. Lei era una bambina di quattro anni e quell’oggetto non aveva niente a che fare con quella fascia d’età. E in qualità di madre, avrebbe voluto che Sofia mai avesse avuto a che fare con quello.

Disperata per l’insistenza della figlia, ripose il vibratore in un un’anta della dispensa in alto, affinché Sofia non potesse raggiungerlo e per farsi perdonare di averle tolto di mano quel suo tesoro afferrò il suo cellulare dalla tasca e glielo porse.

“Tieni, guarda.” Sofia sembrò scettica all’idea, guardando il cellulare con una certa indifferenza. Ma come Elisa lo fece illuminare con qualche tasto, la bambina parve affascinarsi subito al nuovo gioco. “Vuoi chiamare la nonna?” Sofia annuì energicamente e Elisa le lasciò il cellulare, accucciandosi al suo fianco per farle vedere cosa digitare per selezionare il numero. Poi le fece avviare la chiamata e le lasciò portare all’orecchio il telefonino.

“Ciao, nonna!” la sentì trillare, per poi partire a camminare alla volta della sala come una ragazzina troppo grande per la sua età.

Elisa tirò un sospiro di sollievo e si passò una mano sugli occhi, appoggiandosi all’acquaio. Possibile che ogni volta che Francesco incontrava uno di quei tre coglioni, ci fosse un problema? Tempo fa Sofia si era messa in testa che era divertente indicare le persone e urlare loro contro: “hai sganciato!” senza ovviamente capirne il significato. Portarla a giro era particolarmente imbarazzante, oltre che divertente in certe occasioni, come quando lo disse alla madre – sebbene Elisa avesse dovuto subire una ricca paternale per il modo in cui educava sua figlia.

Aprì quindi lo sportello per appurare che non fosse stato tutto un brutto scherzo della stanchezza, e una volta appurato che il vibratore blu puffo fosse ancora lì, con quello strano ed inquietante interruttore pronto ad azionarsi quasi inavvertitamente, pensò che non le sarebbe fregato assolutamente niente di svegliare Francesco. Malato o non malato, che almeno facesse le sue schifezze con il Varinelli di nascosto.

 

***

 

Non fu facile mettere a letto la piccola Sofia, un vulcano di energia dopo aver addirittura mangiato. Per ogni anno che cresceva, sembrava sempre meno soggetta al potere della camomilla, quasi come se al contrario bevesse del caffè. Dovette essere paziente e particolarmente attenta a dissuadere le insistenti domande sul suo tesoro per tutto il resto della sera. Ma ora poteva anche lei andare a letto, sebbene prima avesse in programma una piccola deviazione di percorso.

Si accostò al fianco di Francesco, mettendosi in ginocchio proprio davanti al suo lato del letto. Posizionò l’imbarazzante oggetto gommoso tra il collo e la spalla della sua vittima e lo azionò, facendo schizzare Francesco – ancora insonnolito – a sedere in meno di qualche secondo. “Ma che cazz-”

“Tieni.” Glielo buttò addosso, tra l’accigliato e il rassegnato. “Questo deve essere di tua moglie.

Francesco si guardò intorno senza capire, come se non vedesse niente e ancora non riuscisse a connettersi con la realtà. “Eh?” la guardò confuso.

Elisa riprese il vibratore in mano e glielo tirò con più violenza addosso, colpendolo al petto nudo. “Ma sei imbecille o cosa?”

“Ahia!” protestò lui, massaggiandosi il punto dolorante. “Ma che vuoi?” La sua voce aveva ancora una tonalità nasale dovuta al raffreddore.

Elisa afferrò per la terza volta il vibratore e glielo mise sotto il naso, azionandolo. “Questo.”

Francesco lo guardò interrogativo, per poi mettere a fuoco Elisa. “Lo vuoi?” inarcò un sopracciglio, gli occhi ancora socchiusi per essere stato svegliato violentemente. Se solo avesse avuto i riflessi più attenti, Francesco avrebbe previsto l’unica risposta non verbale che avrebbe potuto ricevere alla sua domanda, ma in quello stato non poté far niente contro la raffica di colpi gommosi che iniziarono a colpirlo ripetutamente sulle spalle e sulle braccia, con cui lui stava cercando di difendersi.

Elisa, infine, accese la luce e Francesco emise un lamento di supplica, coprendosi gli occhi ancora assonnati dalla potenza di quel chiarore inaspettato.

“Apri gli occhi ed ascoltami bene.” L’ordine non venne minimamente considerato da Francesco, che continuava a coprirsi gli occhi con mugolii imploranti. “E dai, France!” sospirò Elisa, facendo crollare all’istante la finta maschera di collera nei suoi confronti. “Anche Sofia è più ricettiva la mattina!”

“Ma è notte fonda!” protestò lui, senza guardarla, gli occhi ancora coperti dalle mani.

“Non sono nemmeno le nove, scemo.” Sbuffò, tirandogli l’ultimo colpo con il vibratore sul braccio. Si sedette quindi affianco a lui a peso morto. D’un tratto si sentì pesante.“Comunque di’ al tuo amico Gianluca che questi scherzi andavano bene prima. Ora dovrebbero pensare al fatto che c’è Sofi.”

“Veramente è stata un’idea di Fede e Nico.” Precisò Francesco, gli occhi ancora chiusi e nascosti sotto le mani.

“Sempre della banda è.” Tagliò corto lei.

Forse fu per la sua mancanza di emozioni con cui concluse quella frase, forse per il senso di spossatezza che sembrava emanare da quando aveva messo piede in casa, oppure per il silenzio che si era venuto a creare, che Francesco si scoprì il volto e si mise a sedere. Aveva gli occhi ancora socchiusi per il sonno che gli era stato strappato così brutalmente.

“Dimmi che c’è.” Disse piano. La sua voce risuonava calda e gentile, mentre le toccava la schiena con la mano sinistra, sistemandosi più vicino a lei. Il massaggio che aveva iniziato a farle le fece provare dei brividi lungo la spina dorsale, ma Elisa non volle badarci, troppo impegnata a resistere alla sensazione di asfissia che si sentiva addosso. La mano di Francesco sembrava volerle infondere la forza di cui aveva bisogno.

“Tante cose.” Sospirò. “Ho litigato con Marco.” Disse infine. La distrazione dovuta al ritrovamento del vibratore svanì proprio come era nata: improvvisamente. La mano di Francesco passò dalla schiena alle spalle e l’invito ad appoggiarsi a sé venne accolto da Elisa ancor prima che Francesco potesse aprir bocca. Posò la testa alla sua spalla nuda, fissando le coperte sgualcite per quella piccola rissa amichevole di pochi minuti prima, mentre Francesco ora l’abbracciava anche con l’altro braccio. “E non è stato come le altre volte,” iniziò, sentendosi la voce interrotta. Non erano né lacrime né singhiozzi. Era una lieve forma di rabbia e frustrazione contro se stessa. Era lei che aveva sbagliato tutto. “Era veramente arrabbiato!” serrò gli occhi, tentando di non ripensare al tono della sua voce, al suo volto contratto. La pioggia fuori sembrava farsi sempre più violenta, quasi a volerle urlare che era stata una stupida a comportarsi così. Marco non lo meritava. E lei non meritava lui.

Francesco non aprì bocca per tutto il tempo, lasciando che Elisa si sfogasse, venendo ripresa solo dalle accuse della pioggia che sentiva da oltre il vetro della finestra chiusa. La sua mano continuava però a massaggiarle la schiena, invitandola a restare lì, tra le sue braccia, facendole capire che lui era lì, pronto ad asciugarle le lacrime, se mai avesse pianto.

“Pensi che abbia fatto male ad accettare la tua proposta di lavoro?” Pronunciò quelle parole timorosa della risposta. Non aveva mai detto a Francesco che aveva accettato, più o meno quanto invece l’aveva rivelato a Marco. Forse la sua proposta ora non sarebbe più stata valida.

Francesco respirò profondamente prima di aprire bocca e risponderle. “Se è quello che vuoi, perché pensi di aver fatto male?”

“Marco non la pensava come te.” Disse solamente. Fissava la coperta sgualcita come se fosse magnetica per i suoi occhi, ma nemmeno la metteva a fuoco, semplicemente non riusciva a muoversi, incatenandosi all’abbraccio di Francesco come la sua ancora di salvezza.

“Avrà avuto i suoi motivi.” Replicò lui con altrettanta loquacità, mentre il silenzio tornava ad essere interrotto soltanto dalla pioggia.

Si sentiva un grosso peso sul cuore, qualcosa che se non se ne fosse liberata, l’avrebbe fatta morire per asfissia, soprattutto nei confronti di Marco. Eppure era lei stessa a voler che rimanesse proprio lì, dentro di sé, impaurita dalla reazione di Marco. Sapeva che aveva sbagliato, sapeva che non doveva fargli tutto quello, e aveva bisogno di dirlo a qualcuno per non rimanere vittima del suo senso di colpa. “Anche lui mi aveva offerto un lavoro.” Disse infine, ma Francesco non fiatò, come se stesse aspettando spiegazioni, oppure semplicemente non gli interessava. Lei continuò: “Me lo offrì prima di te, ma non l’ho nemmeno preso in considerazione.”

“Cosa vuoi che ti dica?” sospirò Francesco, stringendola a sé. “Sono più bello, è ovvio che tu mi preferisca a lui.” Elisa abbozzò un sorriso, contenta di non aver sentito da parte sua un’accusa per ciò che aveva fatto. Già bastava la sua coscienza. “Immagino che tu abbia avuto le tue buone ragioni per aver fatto così, no?” aggiunse.

Elisa annuì, aggrappandosi al suo braccio. Di ragioni ne aveva tante, e tutte differenti tra loro. Addirittura contraddittorie. Ma non sapeva di preciso cosa fosse stata la scintilla che aveva innescato la sua decisione. Sembrava che più ci pensasse, più lei si volesse autoconvincere di aver fatto la scelta giusta in base a ragionamenti che nemmeno le sembravano tanto corretti.

Fu in quel momento, per questa sua confusione, questo suo disordine interiore, che chiuse gli occhi e si lasciò cadere totalmente tra le braccia di Francesco. Lasciò la mente libera di vagare su altre mete, senza costringerla a fossilizzarsi su quella questione. Pensò a Francesco, a come fosse sempre lì per lei. E pensò anche a Sofia, a sua figlia che somigliava così tanto a Francesco. Pensò a lei e al suo voler diventare brava a disegnare come il padre. Pensò al vibratore, finito chissà dove, e alla fine che gli avrebbe fatto fare nel cestino dell’immondizia. Pensò che non aveva mangiato e che avrebbe dovuto preprarare qualcosa. Ma pensò anche che aveva sonno e non aveva voglia di fare più niente.

______________________

Ebbene sì, gente, sono ancora viva! Mi scuso immensamente per questo ritardo - un po' per lo studio, un po' per la mia vita reale, un po' per i cambiamenti inaspettati (e decisamente appassionanti) - ma ora sono tornata! Aggiungo che questo capitolo, purtroppo o per fortuna, è stato molto difficile da scrivere, non tanto per la "sceneggiatura", quanto per ciò che mi premeva inserire, ma che ho dovuto traslare ad un altro tempo... Anche se non avete capito, non importa, sappiate solo che sono stata indecisa fino alla fine sulla sorte di questo aggiornamento. Se continuo a pensarci, potrei avere un cambiamento d'idea anche ora e rivedere la vicenda a questo punto della storia! Meglio quindi che chiuda qui il capitolo e passi oltre - mi pare di aver comunque trovato un buon compromesso coi vari personaggi: sì, ho riunito in un'assemblea i miei bimbi e ho discusso con loro il futuro di queste pagine! Ahahah

 

Ok, su, ora vi lascio, ringraziando come sempre chi ha commentato (SYLPHIDE88, Brezza, Aaaaannie e _V a l e_), chi segue in silenzio e che nonostante tutti i ritardi continua a farlo :)

E visto che siamo in periodo di feste, ne approfitto per augurare a tutti un Buon Natale (in ritardo - anzi, facciamo che abbia detto: "Spero che abbiate tutti passato un Buon Natale!") e un Felice Anno Nuovo! :D

 

Alla prossima, gente!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** XXII ***


Nuova pagina 1

“È assurdo!” borbottò Elisa, mentre saliva le scale. “Dimmi tu se non è assurdo!”

“Secondo me stai esagerando.” Commentò svogliatamente Francesco, seguendola, le mani dietro la testa e l’aria annoiata.

“Non osare interrompermi!” si girò di scatto, minacciandolo con un dito ben puntato contro di lui, che tolse le mani da dietro la testa per usarle come difesa contro quello che poteva diventare l’arma di un delitto, se ben indirizzato contro la sua gola.

“Va bene, va bene!”

“Siamo già in ritardo di dieci minuti,” continuò Elisa, lasciandosi alle spalle la prima rampa di scale. “E tutto perché dovevi sistemarti quegli stupidi peli che ti ritrovi sulla faccia!”

“Ma non ti sembra che così sia ancora più sexy?” ammiccò lui, ridacchiando.

“No, sei solo più imbecille!” calpestò l’ultimo scalino come se sotto il suo piede ci fosse Francesco e respirando profondamente, si schiarì la gola. Quindi aspettò che Francesco tirasse fuori le chiavi dalla tasca del giacchetto e aprisse la porta. Solo in quel momento tutta la rabbia le scivolò via di dosso, lasciando via libera al tentennamento. Francesco parve accorgersene e ritrasse le chiavi dalla serratura.

“Ma sei proprio sicuro che…” mugolò, gli occhi fissi sullo zerbino – che recitava un “Oh, no! Not you again!” –  e le mani con le dita intrecciate.

“Ma sì,” schioccò la lingua, per poi sorriderle. Elisa sentiva il suo sorriso dal suono del suo respiro, ma non ebbe ancora il coraggio di guardarlo. Non lo avrebbe fatto finché anche gli altri non l’avessero accettata seriamente, e non tramite parole indirette pronunciate svariate volte da Francesco. “Te l’ho già detto, a loro sta bene. Tranquilla.” Inserì nuovamente la chiave ed aprì la porta.

Nemmeno a farlo apposta, tre facce fin troppo curiose e sfacciate li accolsero a pochi centimetri dalla porta. Stavano origliando, non c’erano dubbi.

Elisa alzò gli occhi su Francesco, che apparve scocciato, seppur divertito. Alzò un sopracciglio e li guardò quasi come se aspettasse una giustificazione, mentre loro sembravano piuttosto intenti a scrutare il suo viso e il suo nuovo look. Francesco incrementò la potenza della sua occhiataccia e finalmente Federica parlò: “Oh, vabbé,” roteò gli occhi. “Parlo io, che questi, contrariamente a quello che si credono d’essere, non hanno le palle.” Si schiarì la voce. “Avevamo sentito infilare la chiave nella serratura e toglierla.” Iniziò, mentre Nicola si alzava nuovamente in piedi e si schioccava la schiena – “Non ho più l’età per certe cose…” – “E lo sai come siamo fatti!” quella frase sembrò voler concludere la giustificazione. Al che Francesco sospirò rassegnato ed entrò, seguito dallo sguardo incerto degli altri due, mentre Elisa rimaneva sulla soglia, incerta se seguirlo o meno. “Oh, saremo subito da te, Elisa,” continuò Federica. “Ma prima voglio scoprire cosa è successo al Vanni.” La liquidò così in fretta, che quasi Elisa ne fu felice, non sentendosi addosso nessuna strana faccia inquisitoria. Entrò sollevata e si chiuse la porta alle spalle, mentre si toglieva il cappotto di velluto e lo appendeva all’attaccapanni dell’ingresso.

“Su, Vanni, vogliamo spiegazioni!” gli batté le mani Nicola, quasi a spronarlo.

“Ma che spiegazioni!” li scacciò con una mano come se fossero fastidiosissime mosche. “Ho solo lasciato allungare un po’ la barba!”

“E i baffi.” Precisò Gianluca.

“Be’, sai, quando uno non ha voglia di radersi…” sospirò Francesco.

“Sembri Van Dyck!” commentò Federica, deridendolo. Elisa non poté che riderne.

“No, al massimo una capra.” Obiettò Nicola. “O una pessima imitazione di Tony Stark. Ma sono più per la capra.”

Elisa osservava la scena alle loro spalle: c’era Federica che non faceva altro che toccargli la barba, urlando che voleva solo appurare che fosse vera. Nicola si vantava che tanto non sarebbe mai arrivato ad averla folta come la sua – e Francesco lo sminuiva obiettando che il suo bel viso non era adatto ad una barba brutta come la sua, che al contrario si addiceva perfettamente ai suoi lineamenti.

“Fede, spostati, che dobbiamo fotografare questo momento.” Anche Gianluca sembrava divertirsi come un matto, sfoderando la sua compatta grigia metallizzata che si portava sempre appresso.

“No, aspetta, Gianlu!” gridava lei. “Voglio una foto con Van Dyck!” e lo prendeva per il collo per farlo abbassare, troppo bassa per poter essere alla sua altezza in una foto, mentre Nicola sbucava immancabilmente da dietro facendo il segno delle corna sulla testa di Francesco.

“Questa finisce dritta incorniciata nell’ingresso.” E scattò, mentre Elisa non poté più trattenere le risate. Guardava quella scena quasi con nostalgia, ricordandosi come fossero quei giorni di università in loro compagnia, mentre imparava a conoscere Francesco e il suo mondo.

E soprattutto guardava Francesco, ammettendo che effettivamente non era male il suo nuovo aspetto. Lo rendeva un po’ più trasandato, più selvaggio. E più affascinante. Ciò non toglieva che per sistemarsi quei due peli più lunghi sotto il naso e sotto il mento ci avesse messo la bellezza di venti minuti, finendo per arrivare in ritardo al suo primo giorno di lavoro, sebbene sembrasse proprio che la questione non importasse a nessun’altro che a lei.

Be’, meglio così…

Seguì i suoi nuovi colleghi in quella che sembrava essere la stanza di Francesco e Gianluca e si sedette su una delle sedie solitamente offerte ai clienti, assistendo serafica a quella scenetta da cabaret.

Solo quando il telefonò squillò nell’altra stanza, Federica li lasciò, seguita da Nicola, che annunciò di dover andare in bagno.

“Elisa,” la chiamò infine Gianluca. “Da quanto tempo!” le offrì una mano, per poi tirarla a sé in un caloroso abbraccio.

“È vero, Gianluca.” Sorrise. “Tutto bene – più o meno.” Una volta libera dall’abbraccio si sistemò i capelli dietro l’orecchio e tornò a sedersi sulla sedia, mentre Gianluca si appoggiò alla scrivania di fronte a lei e Francesco si accomodò sulla sua poltrona, accendendo il pc.

“Sì, France mi ha detto cosa è successo.” Annuì. “Pietro è decisamente una testa di cazzo – passami il termine.”

“Oh, ma io non ho dubbi in merito.” Sorrise, convenendo sull’affermazione. “Purtroppo devo essermene accorta troppo tardi.”

“Sì, perché di momenti in cui avresti dovuto accorgertene ce ne sono stati tanti… Come quella festa in cui -”

“Ok, piantala, France, non voglio ricordare.” Lo frenò con una mano, sebbene lui ridesse ancora sotto i baffi.

“Ad ogni modo,” riprese Gianluca. “Per noi è un piacere averti qui. Non siamo certo all’altezza dello Studio Orlandi, ma ce la stiamo mettendo tutta. Abbiamo solo bisogno di una rampa di lancio.” Le sorrise. “Tra l’altro – passando a questioni più serie e concrete – Francesco ti avrà detto che i soldi non abbondano quanto pensassimo, vero?”

“Sì, sì, ma non temere.” Lo anticipò. “Questa sarà solo una mia collocazione temporanea, no?” volle mettere le mani avanti. Sapeva che l’intero studio si barcamenava a stento tra ricavi e spese. Uno stipendio in più sarebbe stato un brutto colpo da sopportare per tutti loro.

“Sì, certo. Però pensiamo di aver trovato una soluzione.” Le sorrise. Elisa lo guardava senza capire, e con la coda dell’occhio vide che anche l’attenzione di Francesco era stata attirata dalle parole dell’amico. “Ora, non sarebbe molto legale, ma pensavamo di aumentare lo stipendio a Francesco, in modo da aiutarvi a superare le spese per qualche tempo.”

“Oh, no, non potete!” lo bloccò, troppo stupita e, in fondo, anche grata per la generosità.

“Sì, infatti, Gianlu.” Si intromise anche Francesco. “Smettila ancor prima di andare avanti.”

“No, tranquilli.” Li calmò. “Ne abbiamo parlato qualche giorno fa io e gli altri.”

“E a me non avete detto niente.” Si impuntò Francesco, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi a loro.

“Ovvio, altrimenti non avresti mai acconsentito.” Li interruppe Nicola, lasciando alle sue spalle il rumore dello sciacquone.

“Appunto per questo non avreste dovuto fermarvi all’istante? Se lo sapevate…!”

Elisa si sentì estremamente in imbarazzo. Non voleva assolutamente pesare sulle spalle degli altri, per giunta sapendo che nemmeno loro se la passavano tanto bene in quanto a denaro. Sapeva bene che non sarebbe stata pagata, o almeno, nemmeno aveva pensato alla questione. Lo faceva se non altro per aiutare Francesco, facendo qualcosa che sapeva fare. Dopotutto, una persona in più sarebbe stata utile.

“Ma scusate,” li interruppe. “Tutto questo non ha senso.” Cercò di sorridere, sebbene non sapesse quale espressione assumere, lottando tra la gratitudine e un briciolo di rabbia per tutto quello che aveva combinato con la sua irrazionalità. “Io mi sono licenziata.” Spiegò. “Ho la liquidazione, mica sono senza un soldo!” Francesco annuì.

“E per quanto durerà?”

“Non lo so,” alzò le spalle, indispettita. “Ma non vorrei certo restare disoccupata per il resto della vita! Prima o poi troverò un altro lavoro e tornerò a guadagnare!”

Tutti la guardarono senza dire niente, quasi come se valutassero la sua replica.

“Elisa ha ragione,” convenne Francesco, avvicinandosi a lei, per poi posarle una mano sulla spalla, quasi come a volerla ringraziare. Elisa era più che sicura che nemmeno lui volesse tutto questo. “Ce la caveremo,” sorrise. “Mica siamo sul lastrico! Ci sono i genitori di Elisa, i miei, i risparmi in banca…” elencò.

Gianluca si grattò il mento coperto di barba e sospirò. “Siete proprio sicuri?”

“Certamente.” Annuirono.

“Sicuri di cosa?” ora anche Federica era tornata nella stanza. “Erano i Farina, dobbiamo richiamarli.”

“Non hanno accettato.” Disse semplicemente Nicola.

“Perché?”

“Perché non siamo dei morti di fame e piuttosto andremmo a vivere da Anna, prima di chiedere i soldi a voi.” Scherzò Francesco.

“Oh,” si alterò Federica. “Ma fate un po’ quel che volete!” e li lasciò con una sonora pernacchia, tornando nell’altra stanza.

“Allora siamo d’accordo?” batté le mani Francesco, a concludere la faccenda.

“Be’, è rimasto tutto come prima.” Commentò Gianluca.

“Esattamente.” Gli sorrise Francesco.

“Sì, ok,” annuì Nicola. “Se a voi sta bene così…” e anche lui lasciò la stanza per raggiungere Federica.

“Sì, grazie.” Rispose Elisa.

“Ok, France, ma per qualunque problema… Lo sai.” Sorrise Gianluca.

“Sì, chiedo. Grazie.”

“Bene, allora ora torniamo alle questioni vere e proprie.” Annunciò Francesco. “Chi le illustra il progetto dei Farina?”

“Guarda, Nicola è appena uscito dal bagno.” Iniziò Gianluca, indirizzandola nell’altra stanza. “Ha un’autonomia di quasi due ore. Puoi stare abbastanza tranquilla.”

“Ha ancora quel problema?” si stupì Elisa, al tempo stesso anche divertita.

“Elisa, lui c’è nato e ci morirà con quel problema!” Rise, mentre entravano nella stanza di Nicola e Federica. Naturalmente non era sua intenzione non farsi sentire, per questo Nicola lo mandò a quel paese e Federica schioccò la lingua infastidita, prendendo Elisa per un braccio e lasciando che Gianluca e Nicola si offendessero amichevolmente.

________________________________

Due mesi sono un'immensità! Lo so, lo so! Scusate! Ma meglio tardi che mai, no? :D

So che non c'entra granché, ma - uhuhuhuh! - qui Francesco cambia look! Da faccino di bimbo, tutto liscio liscio come una pesca, si fa crescere barba e baffi! - Sì, sono una fan di barba e baffi - non alla Gimli, eh, non esageriamo, ma un po' ci sta tutta, che dite? ;)

Come al solito ringrazio chi ha commentato (Brezza e Syl88, grazie! - Scusate, non ho risposto ai vostri commenti! Provvederò immediatamente!) e anche tutti coloro che dopo tutto questo tempo continua a seguirmi!

 

Alla prossima, gente!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** XXIII ***


Nuova pagina 1

“No, aspetta.” Le mise una mano davanti al viso ad una distanza così ravvicinata che Elisa non riusciva a metterla a fuoco. “Cioè, fammi capire bene.” Con l’altra si massaggiava la tempia sinistra, gli occhi chiusi e la fronte aggrottata. “Ora lavori da Francesco?” spalancò gli occhi con un vigore tale da metterle paura, portandola ad indietreggiare sul divano, sebbene avesse la schiena già attaccata allo schienale.

“Già.” Fu la sua semplice risposta, mentre tirava giù la mano di Chiara per trattenerla nelle sue mani, come a volerle dire indirettamente che aveva tutto sotto controllo. O almeno, Elisa pensava che così avrebbe dovuto dirle, ma più che un’affermazione sua, in realtà avrebbe voluto che fossero gli altri a dirla a lei.

“Da quanto, scusa?” Chiara la guardava come se stesse parlando in un’altra lingua, concentrata su tutte le sue parole, muggendo assensi per niente convinta.

“Ormai tre giorni.”

“E perché tu avresti aspettato tre giorni per venire qui a dirmelo?”

“Perché -” perché sono stupida, ecco perché! Sì, non c’era dubbio: era proprio stata una stupida. Solo per rispondere a quella domanda, i suoi occhi vagarono all’interno del salotto di Chiara ad una velocità impressionante, come se avesse potuto individuare un qualunque minuscolo oggetto che le avrebbe dato la scusa buona per passare bene agli occhi dell’amica, senza doversi sorbire tutta la serie di insulti che personalmente si era rivolta molte volte. Ma era inutile: sapeva di essere colpevole e voleva condividere quella colpa, voleva togliersi quel peso che si sentiva portare dietro da giorni ormai. “Perché avevo paura, Chiara!” rispose lamentandosi e accasciandosi sul divano piagnucolando. “Perché sono stupida e tutte le decisioni che prendo sono sbagliate!” continuò. “E perché avevo paura che anche tu mi dicessi quello che già so.”

“Ovvero?”

“Che sono un’idiota!”

“Allora se lo sai, qual è il problema?” ironizzò Chiara, sebbene la sua espressione rimanesse quella di un certo disappunto.

“Sai,” Elisa si tirò su con aria riflessiva. “Una buona amica a questo punto dovrebbe metterti una mano sulla spalla - così” e le fece vedere il movimento, portando la propria mano sulla spalla di Chiara e dandole dei leggeri colpi. “E dirle che non è vero e che andrà tutto bene.”

“Ma è vero.” Le fece notare con cinismo.

“Lo so che è vero, per questo chiedevo conforto!” tornò a buttare la testa sul divano, come se pesasse tonnellate. Chiuse gli occhi e si portò una mano sul viso. “Sono stupida, una completa stupida, un’ineguagliabile stupida!”

“Sì, direi che questo concetto tu l’abbia capito adeguatamente.” Sospirò Chiara, questa volta addolcendo il tono. Le massaggiò un ginocchio e le dette due pacche sulla coscia. Elisa tornò a guardarla supplicante. “Ma cosa ci posso fare se sei un disastro, Eli?” il rimprovero espresso con il sorriso sulle labbra sembrò più rassicurante del previsto. “Ma dimmi,” tornò seria. “Marco come l’ha presa, questa notizia?”

Elisa sospirò. “Non mi ci far pensare, guarda.” Schioccò la lingua. “Voglio dire, lo so! È tutta colpa mia!” si indicò disprezzandosi. “Ma davvero, mi ha fatto sentire una merda.”

“Be’, tesoro,” Chiara si riaddolcì. “Cerca di capirlo. Hai detto che anche lui ti ha offerto un lavoro.” Elisa annuì mestamente. “Mettiti nei suoi panni: cosa avresti fatto se il tuo fidanzato avesse accettato di lavorare insieme alla sua ex?” Elisa la guardò senza dire niente, ma conoscendo esattamente la risposta da dare a quella domanda. L’aveva sempre saputa. “Non ci staresti bene, vero?”

“Chiara, dici che dovrei farla finita?”

“Di far cosa?” si agitò Chiara.

“Di andare a lavorare da Francesco.”

“Oddio, Elisa, per un attimo mi hai fatto pensare il peggio!” si mise una mano sul petto, come per far calmare il battito del suo cuore. “Credevo volessi lasciare Marco!”

“No!” si scandalizzò Elisa.

“No, no, infatti.” Sospirò sollevata.

“Quindi?”

“Non lo so, Eli.” Iniziò Chiara. “È ovvio che per amor di Marco dovresti stare con lui, però devi fare come preferisci, come vuoi tu.” Elisa si sentì colpita in pieno dalle parole di Chiara. Pensò se un meteorite fluttuante nello spazio sarebbe stato più indolore, se fosse accidentalmente caduto sulla sua testa proprio in quell’istante. “È ovvio che il campo dell’architettura tu lo conosca di più, ma cosa vuol dire?” fece spallucce. “Nemmeno vieni pagata!”

“Eh, lo so…” non c’era dubbio che la bilancia pendesse a favore di Marco. Tutto era a favore suo. E tutto sembrava essersi rivoltato contro di lei. “Ma… magari posso dare una mano lo stesso, no?” tentò di sorridere incoraggiante.

“E come scusa?” la guardò scettica, mentre il fischio della teiera sul fuoco iniziava a farsi sentire.

“Be’, facendo il lavoro di un quinto membro dello studio senza essere pagata, appunto.” Espose la sua risposta con tale incertezza, che Chiara nemmeno si perse in futili sospiri, alzandosi e andando in cucina per poi tornare con due tazze di tè fumante.

“Elisa, ascoltami.” Le porse una tazza, per poi tornare a sedersi sul divano. “Non ti pagano, vai a lavorare da loro e non hai tempo di cercarti un nuovo lavoro.” Elencò. “Dimmi tu come puoi voler continuare così.”

“Ma -” tentò di controbattere.

“Tu ora dovresti stare a casa a guardare annunci, a fare colloqui, capito?”

Lo sguardo di Elisa si fece nuovamente sfuggente per l’amica.

“Cosa c’è?” il sospiro questa volta le venne così spontaneo che Elisa non poté che sospirare a sua volta. L’espressione di Chiara era rassegnata, come se nessun’altra cosa avrebbe potuto coglierla di sorpresa. Ma Elisa non ne era tanto sicura. Anzi, avrebbe scommesso tutto ciò che aveva che quella rivelazione le sarebbe costata cara.

“A dir la verità, un colloquio l’avevo ottenuto.” Iniziò, contorcendosi le mani attorno alla tazza calda.

“Ma…?” la spronò ad andare avanti Chiara.

“Ma non ci sono andata.” Confessò.

Chiara si immobilizzò e continuò a guardarla. “Non farmi scherzi, Elisa, perché potrei non reggerne altri.” La minacciò.

“Sai cosa?” la guardò tentando di mostrarsi arrogante, sebbene la sua intenzione non fosse altro che evitare di entrare anche in quel discorso. “È meglio che non ti dica niente.” Le sorrise tirata, sorseggiando il tè e bruciandosi puntualmente.

“Eh, no, carina!” la fermò Chiara. “Hai iniziato e ora finisci.” Si impuntò.

Elisa guardò Chiara come se volesse supplicarla di non farla andare oltre. Di tutta quella conversazione sapeva di aver sempre sbagliato. E anche in questo caso non c’era niente che potesse far pensare anche vagamente il contrario. “Be’, vedi…” iniziò, posando gli occhi sul tè fumante davanti a sé. “Francesco era -”

“Oddio,” Chiara si portò una mano sugli occhi. “Quel nome non preannuncia mai niente di buono.” Mormorò. “Non chiamerò mai mio figlio Francesco, sappilo.”

“Sì, ma non è colpa sua…” tentò di recuperare. “Quella sera era stato mollato da Daniela e -”

“No, aspetta.” Chiara si immobilizzò di nuovo con la mano a due centimetri dal suo naso. “Francesco e Daniela si sono lasciati?”

Elisa annuì, nascondendo il viso dentro la tazza.

“Santo Cielo, ma noi non ci sentiamo solo da una settimana!” esclamò sull’orlo di un attacco di iperventilazione.

“Sì, ma non è questo il punto.”

“Oh, sì che è questo il punto!” prevalse Chiara. “È sicuramente questo il punto!”

“Lasciami finire di raccontare, dai.” Supplicò Elisa.

“Sì, ok, ok,” sorseggiò il tè. “Finisci, voglio proprio vedere cosa mai potrà accadere ora.” E come se avesse una bottiglia di rum in mano, bevve ancora.

“Ti dicevo, Daniela l’ha lasciato -”

“Mi chiedo perché…” commentò sarcastica.

“Oh, ma mi lasci finire?”

“Sì, sì, vai.” E bevve ancora. “Dovrò andare in bagno prima che tu finisca di raccontare, se continuo così…”

“Insomma, per cercare di parlarle, France è andato a casa sua, ma lei non ha sentito storie e l’ha lasciato sotto la pioggia per non so quanto. Quando poi è tornato a casa, Chiara, dovevi vedere in che stato era!” si rattristì. “Non faceva che starnutire e tossire – come al solito, non s’è voluto misurare la febbre – e stava male. Si vedeva che stava male, Chiara.”

“Oddio.” La interruppe nuovamente Chiara. “Ho un dejà-vu.” Si toccò la fronte, chiudendo gli occhi ed appoggiandosi completamente alla spalliera del divano. “Elisa, dimmi che non hai fatto come per l’esame di Scienza.”

Il silenzio rispose per lei. Colpita ed affondata.

“Eh, no, eh!” piagnucolò Chiara. “Elisa, questo no! Posso capire a quel tempo, con tutta la faccenda di Francesco di qui, Francesco di là… Ma ora hai Marco! Non puoi comportarti in questo modo! Lui non c’entra niente! Scordati di Francesco!” Chiara cercava di guardarla negli occhi, ma Elisa non riusciva a sostenere il suo sguardo, ritrovandosi a fuggire verso la parete oltre la spalla di Chiara, se non i suoi piedi, la tazza di tè, le sue mani, il tappeto… Tutto tranne che la verità che vedeva negli occhi dell’amica. “Elisa,” era quasi supplicante. “Io lo dico per te: pensa a Marco.”

Era vero. Ed Elisa questo lo sapeva. L’aveva sempre saputo. E come se niente fosse, aveva iniziato una discesa verso tutto ciò che c’era di sbagliato. Con una lunga catena di eventi, si era ritrovata a fare tutto ciò che Marco non avrebbe potuto tollerare a lungo. Aveva passato il limite.

“Elisa,” la voce seria di Chiara richiamò la sua attenzione. “Posso farti una domanda?” Elisa annuì. “Sei ancora innamorata di Francesco?”

_________________________________________________________

Ullallà! Nuovo capitolo! Direi che questa volta abbia mantenuto un ritardo - perché sempre ritardo è - ancora nell'umano! Sono stata abbastanza brava, su! Mi faccio i complimenti! u.u
Che dire? Questo capitolo è... È! Chiara conosce troppo bene Elisa e non si lascia sfuggire niente, ed Elisa? Quanto si conosce? Eh, vedremo...!
Personalmente questa parlata mi piace molto, perché mette a nudo un po' tutti i problemi che Elisa si ritrova ad affrontare dentro la sua testa, sebbene alcuni non avrebbero nemmeno dovuto nascere, se non fosse per quella "lunga catena di eventi" che lei stessa ha creato...

E detto questo, sennò mi perdo troppo in chiacchiere, saluto e ringrazio come al solito tutti coloro che continuano a seguire questa storia, in particolare Brezza e Faithboss, che hanno commentato lo scorso capitolo :)
Spero che anche questo possa esservi piaciuto e vi auguro una buona Domenica - sperando che il tempo migliori nei prossimi giorni perché ho voglia di uscire dal letargo invernale (Primavera, dove sei?? Mi manchi!!)

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** XXIV ***


Nuova pagina 1

“Sei sicura che a Francesco vada bene?”

“Sì, non preoccuparti.” Lo guardò cercando di rassicurarlo. Ma non era Marco da rassicurare, quanto se stessa. Aveva detto a Francesco che avrebbe portato Sofia a fare una passeggiata lungo il viale alberato, aveva accennato ad una compagnia, ma non si era dilungata su chi fosse, divagando su informazioni riguardanti la villetta dei Farina, sebbene qualche occhiata saccente di Francesco l’avesse messa con le spalle al muro. Ma lei aveva continuato a chiedere informazioni sugli orari di lavoro, in modo da non disturbare i lavori con la sua assenza. E ora stavano camminando nel calore del sole al tramonto nel bel mezzo del pomeriggio, avvolti da una luce ambrata che provava a scaldarli mentre si tenevano tutti e tre per mano.

“Lo chiedo perché mi hai permesso di vedere Sofia così poche volte che questa improvvisata pare quasi irreale.”

“Cosa vuol dire irreale, mamma?” la piccola la tirò per il cappotto per avere la sua attenzione.

“Irreale è… È qualcosa che non esiste.” Le sorrise.

“Mamma, Babbo Natale è irreale?” si fermò, intristita.

“Oh, che domande sono queste?” le rispose sorpresa e leggermente allarmata, chinandosi verso di lei e accarezzandole dolcemente una guancia, semi coperta dalla grande sciarpa che la proteggeva dal freddo invernale.

“Rachele ha detto che Babbo Natale non esiste!”

“Tu ci credi a Babbo Natale?” si intromise dolcemente Marco.

“Sì! Mi porta sempre tanti regali! Tutti belli!” si girò verso di lui e gli sorrise euforica.

“Allora Babbo Natale esiste.” Ricambiò il sorriso. Elisa non poté che sorridere a sua volta. Quella dolce incurvatura delle sue labbra era qualcosa di talmente tenero che avrebbe voluto averle con sé per sempre. “Nessuno può dirti in cosa credere e in cosa non credere. Se Rachele non ci crede, dille che non sa cosa si perde.” E le strizzò un occhio, complice.

“A lei non arrivano i regali?”

“Forse sì, ma non saranno mai magici come i tuoi!” le offrì di essere presa in braccio e lei accettò con foga.

“I miei regali sono magici?” ripeté con innocente entusiasmo, portandosi le piccole mani alla bocca, in segno di sbigottimento.

“Certamente! Sai come arriva Babbo Natale?”

“Con la slitta!”

“E vola nel cielo!”

“Mamma!” trillò eccitata Sofia. “Hai sentito?” la tirava per la sciarpa.

“Certo che ho sentito.” Le sorrise. “Ti ricordi che anche nonno te lo disse? La slitta trainata da renne…?”

“È vero!” sorrise. “Anche nonno sa che Babbo Natale è magico!” e si mise a zompettare allegra intorno a loro finché la sua attenzione non venne catturata da un piccolo cagnolino che una signora anziana teneva al guinzaglio. “Mamma, guarda che bello!” e si catapultò quasi istantaneamente dal cucciolo.

“Marco, sappi che la manderò da te, quando scoprirà la verità.”

“Posso quindi sperare in un futuro lontano che noi staremo ancora insieme?” La voce calma – sebbene mal celasse una pennellata di tristezza tra le parole – di Marco la prese in contro piede, facendole trattenere il fiato per qualche secondo di troppo. “Eli, lo so perché hai voluto uscire con me e Sofia.”

“Cosa?” si sentiva messa alle strette.

“Non fare la finta tonta.” Le sorrise. “Lo so che stai cercando di sistemare le cose tra noi. E questo lo apprezzo.” Continuava. “Lo sai che a me fa sempre piacere stare con te e Sofi…” Elisa trovò difficoltà a riprendere una respirazione tranquilla e ritmata. “Ma non so se questo può bastare a sistemare i nostri rapporti.”

Fu come una doccia fredda. E il peggio era che Elisa se l’aspettava, sebbene non avesse mai pensato che Marco arrivasse a dirglielo così direttamente, cogliendola quasi impreparata. Lo sapeva anche lei che quella tattica non saprebbe passata naturale agli occhi di Marco, visti i precedenti, ma aveva voluto tentare lo stesso. Sapeva anche che lui si struggeva vicino a Sofia, per questo aveva pensato che potesse essere una buona idea. Solo non sospettava che lui arrivasse ad essere così diretto. Si trovò interdetta su cosa rispondergli e borbottò delle scuse, celate da sorrisi tremolanti.

“Lo so che stai facendo tutto questo per cercare di riappacificarci.” Le sorrise, prendendole una mano e mettendosela nella sua tasca del cappotto, mentre Sofia chiacchierava animatamente con la signora e il suo cagnolino dal pelo arruffato. “Però Sofia non c’entra niente in tutto questo. È una faccenda che riguarda solo te e me. E Francesco, se vuoi.” A quel nome Elisa aggrottò la fronte, mostrandosi ostile a tirarlo in ballo ogni volta che loro cercavano di affrontare un argomento serio. “Ascolta,” sospirò, per poi sorriderle ancora nella sua maniera calda e rassicurante. “Non voglio più tornare su questo discorso, oggi. Però sarei felice di parlarne – da soli, questa volta.”

Elisa si sentì colpevole. Aveva tentato un sotterfugio di cattivo gusto, sperando che Marco potesse utopicamente abboccare. Ma Marco non era scemo, questo Elisa lo sapeva. E apprezzava che lui gliel’avesse detto. Si sarebbe sentita perfida, effettivamente, se lui non se ne fosse accorto, mentre ora, sebbene si sentisse idiota, almeno poteva contare sul fatto di aver messo tutte le carte in tavola, perché Marco aveva ragione: anche lei voleva sistemare le cose tra loro. Solo che non sapeva nemmeno da dove iniziare.

“Oh, Elisa?”

Per un attimo avrebbe voluto far finta di non sentire quella voce che l’aveva chiamata, vogliosa di regalare un bacio a Marco per la bella persona che era, ma non appena collegò il tono a Cristina Bernardi, si voltò e li salutò cordialmente, mentre Marco si avvicinava a Sofia per richiamarla, visto che sembrava intenzionata a seguire la signora e il suo cane fino a casa loro.

“Cristina, Giacomo!” sorrise. “Che sorpresa!” strinse loro la mano e si sistemò la sciarpa che Sofia prima le aveva allungato.

“Già, come sta?”

“Molto bene, grazie – mi dia del tu.”

“La cosa è reciproca, allora.” Le sorrise gentilmente Cristina. “Oh, ma che bella bambina!” esclamò poi, notando la piccola Sofia per mano a Marco che si nascondeva timida dietro le sue gambe. “Come ti chiami?” si chinò verso di lei.

“Sofia.” Biascicò lei, piegando la testa di lato come ad esaminare la bella donna che si trovava di fronte.

“Che bel nome!” le sorrise. “E quanti anni hai?” Sofia si guardò una mano, tirò su quattro dita e gliele mostrò. “Allora sei grande, eh?” Sofia annuì e pian piano iniziò ad allontanarsi da Marco per osservare i due signori, nonostante non gli lasciasse la mano, mentre Elisa la guardava orgogliosa. Sentiva come se i complimenti che facevano a sua figlia, fossero rivolti a lei.

“Non sapevo che avessi una figlia, Elisa.” Commentò Giacomo.

“Sì, effettivamente non si direbbe.”

“Che bella famiglia, che siete!” sorrise entusiasta.

Elisa fu colpita da quelle innocue parole come da dei dardi appuntiti, proprio dritto al cuore. Loro non erano una famiglia. Non una vera famiglia. Ma… Lo sarebbero potuti diventare?

“Oh, no,” sorrise Marco, con tutto il suo splendore, richiamando Elisa alla realtà, trascinata via di forza da quel pensiero. “Io non sono suo padre.”

“Ah, no?” si tappò la bocca Cristina, quasi vergognandosi di ciò che aveva detto. “Oddio, pensavo di sì, mi scusi.”

“Non si preoccupi.” Continuò con la sua tipica tranquillità, Marco.

“Sì, papà è a casa!” puntualizzò Sofia.

“Ehm, Elisa,” Giacomo sembrò voler intervenire per evitare quell’imbarazzo che si sarebbe potuto creare a partire da quell’ambiguità. “Posso permettermi di chiederti cosa è successo in ufficio da quel giorno?”

“Sì, sì, ma non c’è molto da sapere.” Rispose, voltandosi un attimo per prendere Sofia in braccio, insistente di poter essere messa allo stesso livello degli occhi degli adulti. “Mi sono licenziata – e mi dispiace di avervi lasciato così,” continuò sentendosi colpevole. “Non è stato per niente professionale, lo so.”

“Oh, non preoccuparti,” ridacchiò Giacomo. “Ti abbiamo seguita. Anche noi ce ne siamo andati. Fondamentalmente quell’Orlandi non c’è mai piaciuto. Era mio padre che ce l’aveva consigliato.”

“Oh, bene, allora non mi sentirò più in colpa.” Sorrise, sistemandosi meglio Sofia tra le braccia, mentre si divincolava per prendere il lembo della sua sciarpa e tornare a giocare con i fili di lana, mentre Marco le sistemava la sua, che si stava allentando.

“Ha già trovato un nuovo impiego?”

“Be’,” Elisa cercò di soppesare le parole. Dopotutto non poteva dimenticare di avere Marco lì vicino. “Al momento do una mano ad un amico in un altro studio di architetti, lo studio Quadri, mentre cerco annunci.”

“Be’, allora in bocca al lupo! Speriamo che riesca a trovare un altro lavoro.” Le sorrise Giacomo, porgendole la mano per salutarla.

“Crepi!” gli strinse la mano, contorcendosi per Sofia ancora in braccio. “Arrivederci!”

I Bernardi la superarono dopo aver salutato Marco – e soprattutto Sofia, che sembrava aver fatto discretamente colpo sui due – ed Elisa si trovò un po’ a provare rimorso per il modo in cui li aveva trattati. In fin dei conti avrebbe anche potuto finire di portare a termine il loro progetto, prima di andarsene.

“Erano loro per cui lavoravi al progetto, allora.” Concluse Marco.

“Sì,” annuì. “Scusa se non ti ho presentato adeguatamente…” aggiunse sommessa, cercando di non attirare l’attenzione della piccola, che pareva ancora ammaliata dai fili di lana della sciarpa per prestare loro attenzione. “È che il discorso aveva preso una piega più complicata del previsto e non avevo voglia di spiegare a loro come stavano le cose.” Si sentì stupida a sentirsi in dovere di spiegare il motivo per cui non aveva detto semplicemente ai Bernardi chi fosse veramente Marco, senza pensare magari che lui avrebbe potuto prenderlo come un riguardo nei confronti di Sofia. E quel pensiero, arrivato purtroppo in ritardo in confronto alle sue parole, la fece sentire ancora più meschina.

“Non preoccuparti.” Le massaggiò la schiena, senza soffermarsi troppo, visto che Sofia era in braccio ad Elisa. “Lo so perché l’hai fatto.” Le sorrise, un sorriso che Elisa non vedeva da un po’.

Forse non tutto era perduto, allora.

 

_________________________________
Saaaaalve! Sono mesi che non mi faccio più sentire, lo so... Chiedo venia! Ad ogni modo, ecco qui, tutto per voi, il nuovo capitolo! E sappiate che mi piace veramente tanto, perché è l'inizio di qualcosa :)
Si notano certi atteggiamenti dei personaggi e una casuale svolta nella storia che porterà la fortuna di... Eh, figuratevi se ve lo dico! ;)

Ad ogni modo, ringrazio Syl88 e Brezza, grazie mille per i vostri commenti (e scusate se non ho risposto! Rimedio seduta stante!!)

Tra l'altro, Brezza mi ha fatto venire in mente un piccolo sondaggio per tutti voi: cosa pensate che sia successo nel passato di Elisa e Francesco? Be', ovviamente hanno avuto una bambina, quindi almeno quello è chiaro ;) Attendo le vostre risposte - mi fa sempre piacere scoprire cosa pensiate e cosa vi porta a pensare questa storia! Qualche briciola l'ho seminata qua e là, chissà che non l'abbiate raccolta egregiamente! :)
 

E detto questo, vi lascio! Al prossimo capitolo! E siete autorizzati a mandarmi mail minatorie perché aggiorni il prima possibile!

 

Grazie a tutti!

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** XXV ***


Nuova pagina 1

“Ma perché non mi fai mai finire di parlare!” Dopo nemmeno un paio di fortuite ore di timido sole, stava nuovamente piovendo e lei era entrata nel palazzo correndo per non bagnarsi, il cellulare all’orecchio e i nervi a fior di pelle.

Perché non capisci, Elisa! Non puoi continuare così! Hai idea di quanto potrebbe risentirne la piccola Sofia?” sua madre anche quella volta non si stava risparmiando colpi. “Ti stai dimostrando davvero immatura! Pensa a tua figlia!

“Lo faccio, mamma! E guarda che non sono affatto immatura! Ho anche trovato un lavoro! Se tu mi avessi lasciato finire di parlare, te l’avrei detto già da tempo, ormai!” salì l’ultimo scalino, trovando la signora Tiberi affacciata di soppiatto alla porta, evidentemente attirata dalla sua voce adirata e alta. Sofia, ancora attaccata alla sua sciarpa di lana, sembrava ora averne abbastanza di quella telefonata: “Mamma, mi scappa la pipì!”

Hai trovato un lavoro? E cosa? Cassiera? Donna di servizio?”

“Sì, ora saluto la nonna, amore – E se anche fosse? Sempre un lavoro sarebbe, non credi?” Pestò un piede per terra sullo zerbino, le chiavi già in mano, ma troppo presa dalla conversazione per aprire la porta ed entrare in casa. Voleva oltrepassare la soglia di casa con quella conversazione alle spalle.

Ma non puoi! Hai una laurea, Elisa!

“C’è molta gente che seppur avendo una laurea si ritrova a pulire i marciapiedi! E mica sono da meno!”

“Mamma, apri, dai!” iniziava a saltellare la piccola.

Non iniziare a fare la predica su come va il mondo, Elisa! Oggi proprio non lo richiedo! – No, Luigi, non abbasso la voce! Elisa deve capire che ha torto!

“Non ho torto, mamma! Sei tu che non vuoi capire!” Sospirò, accarezzando la testa di Sofia e dicendole con lo sguardo che avrebbe aperto subito.

Elisa, non incaponirti contro di me! Sappi che – No, Luigi, ti ho detto che non la smetto!”

“D’accordo, mamma. Richiamami quando ti sarai calmata. Mi sta chiamando Sofia. Ciao.”

Non è vero, Elisa! Stai tentando solo di chiudere la conversazione! Lo so!”

“Mi dispiace, devo andare, ciao. Saluta papà.” E chiuse la conversazione. Il diversivo di Sofia – capitato a pennello – serviva per non poterle rinfacciare di averle chiuso il telefono in faccia.

Inserì quindi la chiave nella toppa, notando la signora Tiberi soddisfatta che rientrava in casa, e oltrepassò la porta, mentre Sofia schizzava come una saetta verso il bagno. Chiudendola alle spalle, chiedendo scusa alla piccola Sofia, sospirò di sollievo: sua madre non era mai stata piacevole da sopportare, ma in quel periodo era molto più crudele del solito. Sembrava godere nel vederla sprofondare nel niente, quasi come se non si aspettasse altro che Elisa si prostrasse ai suoi piedi dicendole che aveva ragione. Ma anche se l’avesse avuta, piuttosto Elisa si sarebbe messa a camminare sui carboni ardenti.

E per di più c’era la faccenda di Sofia e Marco. Non era passata nemmeno un’ora che erano usciti insieme tutti e tre e ancora Elisa non sapeva come dirlo a Francesco. Stava calpestando tutte le sue regole imposte con la forza contro Francesco e Daniela, a suo favore. Avrebbe dovuto dirglielo che aveva portato Sofia a fare una passeggiata con Marco, dopotutto era sua figlia – e soprattutto perché tanto Sofia gliel’avrebbe detto lo stesso, peggiorando forse la situazione.

“Oh, le mie donne!” Francesco si affacciò dalla cucina con un grande sorriso sulle labbra. “Dov’è andata Sofi?”

“In bagno.” Si tolse il cappotto di velluto che per poco non si sarebbe rovinato sotto la pioggia, e si sistemò il maglione allo specchio lì vicino. Poi si avvicinò a Francesco per vedere cosa stesse facendo – l’odorino era molto invitante. “Cosa combini?”

Francesco le rispose con un bacio sulla fronte, avvinghiandosi teatralmente a lei, pungendola con la sua nuova barba.

“Ehi, mi fai male, France!” si ribellò lei, senza troppo entusiasmo.

Lui subito si allontanò e la scrutò negli occhi. “Che hai?”

Elisa si morse il labbro inferiore coi denti e distolse lo sguardo. Se non gliel’avesse detto si sarebbe sentita peggio, quindi aprì bocca e parlò: “Sono uscita con Marco e Sofia.”

“E?”

E?” lo guardò confusa. “E non ti dà fastidio che abbia portato Sofia con lui?”

“Sì, molto.” La sua sincerità la disarmò, soprattutto perché aveva mantenuto una tranquillità invidiabile nel risponderle. “Ma che posso farci, ormai? Siete usciti insieme, è un po’ tardi per chiedermi che ne penso.”

Il rumore dello sciacquone annunciò loro che Sofia sarebbe tornata e che sarebbe stato meglio terminare lì la conversazione – almeno per il momento. Elisa sentiva un bisogno estremo di spiegargli perché l’avesse fatto, il motivo per cui non gli avesse detto niente. Non voleva che Francesco si arrabbiasse, perché anche se non lo dimostrava, Elisa era sicura che se la fosse presa.

***

 

“France…” lui non aveva più tirato fuori la questione e lei si era sentita in dovere di farlo. Non che le avesse tenuto il broncio o altro, anzi, la cena era stata piacevole e all’insegna del buon umore, soprattutto quando Sofia aveva parlato del cagnolino e aveva iniziato a chiedere di prenderne uno. “Sei ancora sveglio?”

Elisa aveva appena finito di mettersi la crema anticellulite e si era voltata giusto per vedere Francesco steso prono, gli occhi chiusi.

“No.” Decretò lui, mormorando qualche parola indistinta e girando la testa dall’altro lato.

“Ah, ok.” Si zittì. Ci mancava solo che lui fosse nervoso. Già era una questione delicata. Elisa, quindi, si sistemò sotto le coperte e spense la luce dell’abat-jour.

“Io continuo a dirtelo: quella crema è del tutto inutile.” La voce assonnata di Francesco le fecero sgranare gli occhi – da un lato anche per la paura, visto che aveva aspettato che fossero al buio per coglierla di sorpresa. “Tanto la cellulite ce l’hai. Non credo che ti andrà via grazie a quella roba. E poi, guarda, dacché ti conosco l’hai sempre avuta, quindi ormai c’ho fatto l’abitudine.”

“Sei diventato chiacchierone, eh, ora!” borbottò irritata. Francesco sapeva benissimo quanto lei odiasse tornare sulla questione cellulite/smagliature/brufoli. Eppure quell’imbecille continuava! “Tornatene a dormire.” Lo liquidò.

“Ma eri tu che mi volevi parlare.” Lo sentì voltarsi.

“Prima. Ora non più.”

“Ma va’, ora hai messo il muso?” Elisa non gli rispose volutamente. “Sei peggio di Sofia… Be’, da qualcuno doveva pur prendere, lei.” Ghignò. E dire che fino a pochi minuti prima era quasi in stato comatoso.

“Dai, che volevi dirmi?” la punzecchiò ancora, ottenendo solo dei ringhi da parte di Elisa, che sentendosi oltraggiata dalle sue battute su argomenti tabù, non aveva davvero più la testa per scusarsi. L’avrebbe fatto al più presto – perché l’avrebbe fatto – ma non in quel momento.

“Si tratta della faccenda di Marco e Sofia, vero?”

Colpita e affondata, cara Eli!

“Te l’ho già detto prima: non preoccuparti, non sono arrabbiato.” Continuò. “Certo, non nego che mi abbia dato fastidio, ma ormai l’hai fatto. Dopotutto è anche tua figlia, puoi decidere benissimo con chi farla stare. Ti conosco, sei molto responsabile per questo. Potevi almeno dirmelo, però, ecco. Non dico di chiedermi il permesso – cosa che invece avresti preteso tu e anche con dovuto anticipo – ma avvisarmi almeno, sì.”

Elisa non rispose. Si strinse al cuscino e alle coperte. Francesco aveva la straordinaria dote di passare da un argomento all’altro mantenendo la sua incredibile indifferenza. Stava parlando di problemi molto seri proprio con lo stesso spirito di cui prima parlava della cellulite.

“Vi siete divertiti?” le domandò.

Elisa non rispose ancora, non sapeva più se fosse perché fosse ancora offesa oppure perché si sentisse colpita dritto al cuore, ad ogni modo non aveva parole.

“E dai! Potresti anche rispondermi!” le si avvicinò e le cinse la vita con un braccio, iniziando a farle il solletico sulla pancia – mossa sleale!

“France, piantala!” iniziò ad agitarsi lei, mentre le sue dita sfioravano i fianchi e l’ombelico con la destrezza di chi la sa lunga sui suoi punti deboli. “France!” gridò sommessa. “C’è Sofia che dorme!”

“Guarda che sei tu che la svegli, se continui a fare quegli urletti!” ghignò soddisfatto.

E tanto alla fine era sempre così: Francesco riusciva sempre a ottenere quello che voleva, quando si trattava di lei.

Elisa si girò verso di lui e gli regalò un sonoro schiaffo sulla spalla che lo fece smettere con una lunga serie di guaiti teatrali.

“Quanto sei manesca!” borbottò, massaggiandosi la spalla dolorante.

“Colpa tua che non la smettevi quando te lo dicevo io!” nel buio i suoi occhi brillavano vispi.

“Oh, bene,” le sorrise. “Finalmente ora mi parli.”

Elisa lo guardò per un momento con uno sguardo omicida saettante negli occhi, per poi sospirare e acconsentire a parlare.

“France, ti odio quanto fai così…”

“Lo so.” Ghignò, tornando ad abbracciarla. “Su, che volevi dirmi?” La sua voce ora si fece calda ed accogliente, invitandola a sfogarsi.

“Be’, volevo scusarmi per non averti detto niente – anche se a questo punto non so quanto tu te lo meriti ancora.” Sputò velenosa, per poi guardarlo e calmarsi. “Sì, insomma,” riabbassò lo sguardo, vergognandosi. “Con Marco non va molto bene ultimamente, lo sai. Pensavo che un po’ di tempo con Sofia avesse potuto sistemare le cose.”

“E ha funzionato?”

“Forse.” Alzò le spalle. “Alla fine sembrava davvero più tranquillo. Lo so quanto ci tiene lui a stare con Sofi, per questo l’ho portata con noi.”

“Be’,” la strinse, lasciandole un bacio sulla fronte. “Sono contento che le cose si stiano sistemando per te.”

Elisa sentì una nota stonata in quelle sue parole. Evidentemente la storia di Daniela per lui non era ancora finita. E di certo il fatto che lui si dimostrasse più appiccicoso del solito poteva essere collegato a tutto questo. Dopotutto non era da lui chiedere di parlare, di essere ascoltato. Lui aveva un modo tutto suo di comportarsi in ogni occasione. Probabilmente il cercare il suo affetto era il modo di superare questa delusione.

“Ehi, ascolta…” Elisa cercò l’attenzione di Francesco, anche se la sua proposta non è che proprio le andasse a genio. “E se provassi a fare come me?”

“A darmi la crema anticellulite?” ridacchiò. “Uhm, secondo me le mie gambe sono perfette così, che dici?” E sollevò una gamba, mettendola fuori dalle coperte e toccandosela.

“E piantala, France!” gli spinse la gamba giù con un colpo. “Lo sai cosa intendo!”

“Sì, sì, avevo capito, Eli.” Si riaccomodò sotto le coperte e tornò ad abbracciarla. “Ma non mi piace l’idea di usare Sofia per sistemare cose che non la riguardano. Non è giusto nei suoi confronti.”

Elisa si sentì pugnalata violentemente al petto. Dopotutto lei aveva fatto proprio così. Eppure, in cuor suo, non ci vedeva niente di male a passare un pomeriggio con Marco e Sofia.

“Sai,” fu un tentativo di cambiare discorso. Non si sentiva a suo agio a proseguire su quel sentiero. “Oggi ha chiamato mia madre.”

Francesco sbuffò. “Ma con tutte le persone che potevi nominarmi, proprio tua madre? Avrò gli incubi stanotte!”

“Lo so, anche io.” Sospirò lei. “Ha iniziato ad attaccarmi come al solito, senza mezzi termini. Meno male che c’era Sofia che doveva andare in bagno, sennò non avrei saputo come chiuderle il telefono in faccia.” Si agitò. “Mi fa sentire una tale stupida, quando fa così…!”

“Eli, non sei stupida.” La interruppe lui. “Devi smettere di credere a tutto quello che ti dice tua madre.”

“Lo so,” mugolò. “È che se ci pensi, mia madre non è mai dalla mia parte. Continua a rinfacciarmi quanto l’abbia delusa… E non è bello, France!”

“Ma pensa che ci sono qua io ad aiutarti a superare tutto.” Disse teatralmente, soffiandole una risata tra i capelli rossicci. “Dopotutto abbiamo passato tante cose insieme.”

“E guarda come siamo finiti.” Aggiunse lei, ironica.

“Be’, a tutte le cose succedono conseguenze.”

“Sì, ma guardiamo in faccia la realtà: tu hai problemi con Daniela per colpa mia, Marco sembra si tenga dentro la voglia di urlare che quello che faccio non è giusto, mia madre non fa altro che dirmi che sto rovinando la mia vita e -”

Sei felice?” La domanda di Francesco le arrivò come una secchiata d’acqua gelida.

“Eh?”

“Puppa.”

La ginocchiata pericolosamente vicina ai suoi preziosi gioielli lo intimò a tornare serio. “Voglio dire, nonostante tutto quello che ti dicono gli altri, tu sei felice?”

“Non capisco.”

“Guarda una tua giornata tipica. Cosa fai? Ti alzi, prepari la colazione insieme a me, svegli Sofi – sempre che non si sia svegliata prima di noi – vai a lavorare, hai degli amici. Poi vedi Marco, stai con lui. Torni a casa, giochi con Sofia… ” Elencò sulle dita, che teneva oltre la schiena di Elisa, ancora tra le sua braccia. “Tutto questo di rende felice?”

Elisa dovette ammetterlo: “Molto.”

“Allora non devi preoccuparti di quello che ti dicono gli altri. Prova a spiegare loro le ragioni che ti portano a fare quello che fai. E se loro non ti vogliono ascoltare di certo non sono problemi tuoi. Prima o poi, se sono persone che tengono seriamente a te, lo capiranno e non ribatteranno più.”

Quelle parole la colpirono e la riscaldarono come solo le parole di Francesco sapevano fare. Come era possibile che lui avesse sempre le parole giuste in ogni occasione? Le parole per ringraziarlo le morirono in gola, facendo affiorare un magone di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Incassò la testa tra le braccia di Francesco e lo abbracciò stretto, cercando di fargli capire quanto fosse importante la sua presenza per lei. E nonostante tutto quello che aveva detto, nonostante sua madre che non tentava altro che disarcionarla dalla sua vita, nonostante il brutto periodo con Marco, Francesco era sempre dalla sua parte. Su di lui era sicura che avrebbe sempre potuto contare.

Posò la fronte sul suo petto, sentendo la sua mano continuare a toccarla sulla schiena, per poi spostarsi sul fianco. Francesco si divertiva a stuzzicarla in quella maniera, ma quella sera andò oltre: la sua mano si spinse oltre la maglietta dei Muse e si insinuò tra i seni, per poi toccarle la schiena nuda, attraversata da una serie di brividi che la portarono a respirare più profondamente. Inarcò la schiena ed aderì completamente a Francesco, che con l’altra mano le scostava i capelli dal viso, avvicinando il suo e sfiorandole le labbra, prima con un dito, poi con il naso ed infine con le proprie. Elisa sorrise al solletico che la sua barba le provocava e gliele morse delicatamente, portando un braccio sulla sua nuca e avvicinandolo a sé. Non voleva che si allontanasse. E infatti Francesco non si allontanò, posando ora le sue labbra sul collo di Elisa e iniziando a mordicchiarla, mentre lei cercava di farlo smettere senza troppa volontà.

Intanto la mano esploratrice di Francesco aveva iniziato a scendere verso le mutandine, sfiorandole esperto quelle zone sensibili proprio sopra l’elastico. E proprio mentre trattenne il fiato per resistere a quelle provocazioni, sospirò e gli allontanò la mano con la sua, stringendogliela e continuando a respirargli sul collo.

“Non posso, ho il ciclo.”

Francesco sembrò ritrarsi ad un livello più casto, senza però permetterle di allontanarsi da lui, continuando a stringerla tra le braccia e lasciandole dei baci tra i capelli fino a farla addormentare.

 

___________________________________

Ma salve! Quanto sarà passato? Un'era e mezzo? Un'eternità e tre quarti? Più o meno, eh... Scusate! E lo so che le scuse non reggono - nel senso, di motivi ne avrei anche un po', ma cinque minuti per pubblicare qualcosina, visto che ho capitoli in avanzo per un po', avrei potuto trovarli...

Non mi dilungo in chiacchiere, anche perché direi che questo capitolo parli da sé - e forse sarete voi a parlare, chissà! ;)
 

Ringrazio Brezza, che come al solito segue appassionatamente la storia e spero in una sua futura recensione per sapere cosa ne pensa!

 

Al prossimo capitolo!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** XXVI ***


Si svegliò frastornata

Si svegliò frastornata. Le ci volle qualche secondo per rintracciare gli occhiali sul comodino e mettere a fuoco la stanza. E molto meno per rendersi conto che doveva andare in bagno. Si sentiva la testa leggera, ma allo stesso tempo confusa, e la spiegazione la trovò ben presto nel ricordo del sogno che aveva fatto quella notte. Effettivamente non faceva bene dormire nello stesso letto di Francesco – era normale fare poi sogni erotici su di lui.

Andò poi in cucina e dirigendosi verso il frigorifero, notò un post-it scritto con la calligrafia di Francesco. Si sistemò gli occhiali sul naso e lesse: “Lezioni di shopping con il Varinelli!” Si immaginò quei due scemi a giro per la città, saltando da un negozio di elettronica all’altro e si ritenne fortunata di non essere con loro. L’ultima volta che tornarono dal loro shopping, Francesco portò a casa un pelapatate, dicendo che era in offerta e che magari avrebbe fatto comodo – alludendo ovviamente alla pessima battuta a sfondo sessuale. Elisa per poco non glielo tirò dietro. Paradossalmente, il pelapatate però era ancora nel cassetto della cucina, insieme a quello che già avevano.

Guardò l’ora con la coda dell’occhio sul display del microonde mentre apriva il frigorifero per prendere il latte da mettere sul fuoco. Erano le dieci e mezzo e Sofia ancora dormiva. Per quanto potesse essere strano, era comunque l’ora di svegliarla.

Entrò nella sua stanza e la trovò quatta quatta in un angolo, per poi schizzare in piedi e guardarla con uno sguardo evasivo.

“Cosa stai facendo, tesoro?”

“Disegno.” Rispose semplicemente, alzando le spalle con un’indifferenza tale da insospettire Elisa.

“Mi fai vedere cosa?” le si avvicinò, convinta che stesse nascondendo qualcosa.

Il labbro inferiore di Sofia iniziò a tremare, mentre lei tentava nonostante tutto di mantenere un’espressione tranquilla. Quando finalmente Elisa la raggiunse, vide la manina svelta di Sofia che tentava di nascondere qualcosa sotto il letto.

“Cos’è? Fai un po’ vedere.” Le sorrise. Qualunque cosa avesse fatto, sicuramente non l’aveva fatta con cattive intenzioni, questo per Elisa era poco ma sicuro.

“Un disegno.” Rispose biascicando, in imbarazzo e con il labbro tremulo.

Elisa si chinò per prendere l’oggetto che aveva tirato sotto il letto e non appena lo riconobbe sospirò, addolcita da ciò che vide.

“Sofi, questa è l’agenda di papà.” Le disse, vedendola annuire, conscia. “Lo sai, vero, che non devi prenderla.” La bambina annuì, mentre gli occhi le divennero lucidi. “Qui c’è il lavoro di papà, se glielo rovini poi lui si arrabbia, eh!” E la invitò ad abbracciarla, visto che stava per piangere. “Perché l’hai preso?”

Sofia corse tra le braccia della madre e mugolò: “Perché volevo regalare un disegno a papà!”

Elisa le sorrise dolcemente, carezzandole la testa corvina e dicendole di non piangere. “Dove l’hai trovato? Lo rimettiamo a posto, ora, ok?” Prese in braccio Sofia e andarono in sala dove la bambina le indicò il tavolino davanti al divano. Elisa sospirò: era ovvio che Sofia l’avesse preso, visto che Francesco l’aveva lasciato a giro.

Terminato quel momento tendente al pianto, Elisa portò la piccola in cucina e aspettò che il latte fosse caldo al punto giusto, per poi versarlo in due tazze e fare colazione con lei.

 

***

 

“Se le porti un altro pelapatate penso che potrebbe tirartelo dietro. O infilarlo in posti poco consoni.”

“No, no, niente pelapatate, questa volta.” Mormorà Francesco in risposta, guardandosi intorno curioso, alla ricerca dell’ennesimo acquisto da sottoporre all’ira di Elisa. “Sai cosa ci vorrebbe?” Gianluca non rispose, quasi avesse paura della risposta. “Della materia prima!”

“Materia prima?” ripeté senza capire Gianluca, sebbene parve rendersi conto di cosa intendesse non appena chiuse la bocca.

Patate!” esordì Francesco in gloria, mentre l’amico si passava una mano sul viso, sospirando.

“Fai come ti pare, tanto le palle sono tue.” Alzò le spalle Gianluca, abbandonando Francesco alla sua ricerca infantile.

“No, aspetta, mi abbandoni qui?” lo inseguì, posando lo strano mestolo di legno dalla forma ambigua che aveva individuato nel reparto “casa”.

“Esattamente.” Gianluca girò nel reparto “elettronica” e raggiunse lo scaffale dei mouse. Scelse tra quelli più economici, guardandone un paio che Francesco gli aveva offerto, dopo averne letto le caratteristiche.

“Come va con Marianna?” chiese con un’alzata di spalle. Sapeva che Gianluca avrebbe capito il punto a cui voleva arrivare, ma effettivamente non aveva mai avuto le palle per tirare fuori la questione senza giri di parole introduttive.

“Cosa è successo?” fin troppo velocemente, l’amico arrivò al punto e Francesco ridacchiò. Forse stavano insieme troppo a lungo. Pareva non avere nemmeno più il margine dell’incertezza: Gianluca sapeva proprio tutto di lui.

“Ieri sera stavo per fare l’amore con Elisa.” Disse.

“E cosa te l’ha impedito?” non sembrava preoccupato, quanto consapevole, mentre si rigirava tra le mani degli accessori per il portatile. E Francesco sapeva bene il motivo di quella sua reazione apparentemente distaccata. Dopotutto gliel’aveva detto molte volte. E non solo lui.

“Ha il ciclo.” Fece nuovamente spallucce, infilandosi le mani in tasca e trascinandosi dietro l’amico con passo svogliato e indifferente.

“Capisco.” Annuì, mentre posava l’ennesimo hard disk, commentando tra sé e sé che non doveva farsi ingannare dalle offerte lampeggianti sui prodotti.

Francesco aspettò qualche minuto in silenzio prima di riprendere la parola. “Tutto qui?”

Gianluca sospirò. “France,” lo guardò negli occhi, grattandosi il mento coperto dalla barba. “Mi sembri un adolescente, quando fai così.” Schioccò la lingua. “Cosa vuoi che ti dica?” alzò le spalle. “Lo sai anche tu, no? Elisa ha Marco. Tu sei storia passata.” Sospirò. “Se vuoi sentire dei pareri, lo sai: chiama Fede e non te la togli più di dosso.”

Passarono dei minuti in silenzio, come se nessuno dei due volesse più parlare. Francesco, dal canto suo, avrebbe solo voluto sapere un concreto parere di Gianluca. Certo, sapeva cosa pensasse l’amico di tutta quella storia con Elisa, ma aveva bisogno che qualcuno gli ponesse la domanda cruciale per sentirsi pronunciare quella risposta che cercava, nonostante tutte le opinioni degli altri. E forse fu proprio quel silenzio che portò Gianluca a girarsi, la fronte aggrottata e le dita ticchettanti al fianco, in attesa di una risposta: “Pare che tu voglia obbligarmi a chiedertelo!”

“Dici?”

“Sì, il tuo silenzio è assordante, certe volte.”

“Parli come una donna.”

Gianluca parve non voler considerare quel commento e andò al punto: “Insomma…?”

“No, non mi sarei fermato.”

“Trai da solo le tue conclusioni, allora.” E per quanto potesse sembrare una risposta indifferente e tendente al disinteressamento, Gianluca gli aveva svelato un mondo che Francesco – forse per paura, forse per incapacità – non vedeva. L’amico gli dette una pacca sulla spalla e gli sorrise, facendo cadere quella sua aria superiore. “Dovresti essere sollevato, no?” ghignò.

Francesco si sentì effettivamente sollevato da quelle parole, ma non fece in tempo a sfociare in una risata liberatoria, che quella gli si bloccò in gola come un seme di cocomero andato di traverso. Forse era proprio vero che quando una cosa andava male, ce n’era sempre un’altra pronta ad andare peggio. E il peggio lo stava fissando con uno sguardo confuso, immobile a qualche metro di distanza, con una borsa porta-computer rosa in mano, dietro un sipario di capelli biondi. Si sentiva i suoi occhi azzurri puntati contro, quasi come se avessero voluto indurlo ad avvicinarsi. Quelle labbra rosse erano socchiuse, incapaci di coordinarsi in un saluto, seppur sussurrato.

Ma fu Gianluca ad avere la reazione di stupore che sarebbe stata più consona per Francesco, che invece si zittì e dopo un fugace cenno con la testa, si voltò nella direzione opposta, interrompendo così quella breve connessione tra i loro sguardi.

Gianluca, rimasto più del dovuto a fissare la donna, lo rincorse e lo prese per un braccio per farlo voltare.

“Ma… Non le dici niente?” chiese, confuso.

“Che dovrei dirle?” alzò le spalle indifferente. “Ha avuto la sua occasione per ascoltarmi e non l’ha colta.” Erano passate quasi due settimane dacché le aveva lasciato quel messaggio nella segreteria telefonica. Il tempo per rispondergli era stato più che sufficiente e il fatto che non avesse provveduto, era stata una chiara risposta che confermava la fine del loro rapporto. Su questo Francesco ormai non aveva dubbi: erano successe troppe cose nel frattempo.

_______________________________________________

 

E rieccomi! Lo so, mi davate per dispersa e pensavate che la storia fosse bell'e lasciata a se stessa, ma in realtà non lo è! E forse questa cosa mi farà odiare ulteriormente con commenti del tipo: "E allora perché non hai più aggiornato!"

Eh, bella domanda... Alla fine sono sempre stata presa da altri impegni e ho sempre lasciato in secondo piano la pubblicazione, sebbene abbia continuato a scrivere capitoli - e questo spero vi rincuori :)
Ad ogni modo, dopo questa mia fugace ammissione di colpa e la virtuale lapidazione pubblica da parte vostra, vorrei ringraziare Brezza che nonostante tutto ha continuato a riportare commenti fin'ora - spero continuerai a farlo! Adoro i tuoi commenti! :D

E... Insomma, be', spero abbiate gradito! Alla prossima!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** XXVII ***


Nuova pagina 1

“Insomma, con Roberto come va?” Elisa alzò gli occhi dalla tazza di tè, nel farle quella domanda. “Avevi detto che le cose andavano sempre meglio, ma poi non ci siamo più sentite.”

“Sì, sì, lo so.” Annuì Chiara, mentre Sofia le mostrava tutto il suo repertorio di disegni colorati. “Ma vorrei ricordarti che tra noi, dovrei essere io a chiedere a te come vadano le cose, Eli.”

Elisa non rispose, osservando le piccole foglie galleggiare nella tazza calda, come alternativa allo sguardo dell’amica. Non era né saccente né arrogante, né tantomeno voleva sembrare arrabbiata o irritata dal suo modo di fare. “So che vorresti sapere di lui, ma ultimamente le cose vanno bene.” L’allusione a Francesco era trasparente.

“Sai che questa cosa potrebbe essere molto più preoccupante di tante altre che tu abbia mai detto?” sospirò Chiara, sorseggiando il tè, mentre Sofia le passava un nuovo disegno da dover apprezzare.

“Piantala, sai che non mi piace quando parli così.”

“Perché? Non è forse vero che invece che far andar bene le cose con lui, dovresti pensare a qualcun altro?”

“Proprio di lui volevo parlarti, infatti.” Disse. “Ma tu come al solito punti a Francesco!”

“Francesco è papà?” si intromise Sofia, posando un nuovo foglio sulle gambe di Chiara.

“Sì, tesoro.” Le sorrise, carezzandole i capelli. “Chiara voleva sapere come stesse.” E squadrò l’amica per sfidarla a dire il contrario.

“Papà sta bene!” trillò la piccola. “Ora non è più malato!” Quel cambiamento di discorso le fece dimenticare di tutto il blocco di disegni che ancora stava per terra, pronto per essere mostrato a Chiara. Chiese di salire sulle gambe di Elisa e venne accontentata.

“Insomma, aggiornami.” Sospirò Chiara, senza nascondere un sorriso.

“Ieri sono uscita con Marco.” Chiara annuì, sorseggiando. “E mi sono portata dietro Sofia.” E a quel punto, Chiara rischiò di strozzarsi con il tè, sgranando gli occhi e tossendo, battendosi una mano sul petto come per aiutarsi ad ingoiare.

“Cosa?” disse poi, sfiatata.

“Sì, siamo uscite con Marco – vero Sofi?” si chinò sulla bambina e le sorrise, dandole un bacio in fronte.

“Sì! Marco è bello!”

“Già, Marco è davvero bello.” Convenne Elisa.

“E allora perché sei ancora qui…” si lamentò in un mormorio soffocato, per non farsi sentire dalla piccola. Poi si schiarì la voce. “E vi siete divertiti?”

“Sì! Ho giocato con un cagnolino!” esultò Sofia.

“E com’era?” si interessò Chiara, per rendere partecipe anche Sofia della conversazione.

“Era piccolo piccolo! Bianco! E marrone! E nero! E aveva le orecchie così!” e mimò delle orecchie a punta con gli indici delle mani.

“Bello!” le sorrise. “Me lo disegneresti?”

Sofia molto probabilmente non aspettava altro. Saltò giù dalle gambe della madre, che si chinò per evitare che cadesse e si facesse male nell’euforia che l’aveva conquistata. Sofia prese nuovamente il blocco da disegno, trovò una pagina bianca e si mise a disegnare con le matite colorate.

Elisa la guardò sognante, mettendosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio con una mano, mentre con l’altra ancora teneva la tazza di tè fumante. In Sofia rivedeva una parte della personalità di Francesco che l’aveva sempre affascinata. Come lei, infatti, anche Francesco si buttava su nuove avventure con un’euforia ed una sincerità impagabile. Era qualcosa che oltre ad affascinarla, in effetti, invidiava. Ed era felice che Sofia ne avesse preso quest’aspetto.

 “Insomma, Eli,” continuò Chiara. “Mi dicevi di Marco.” E la guardò ammiccante, senza che Elisa capisse. “Si vede che le cose migliorano, eh?”

“Dici?” alzò un sopracciglio. Si domandò se l’effetto di Sofia avesse potuto avere una ripercussione così evidente sul loro rapporto, ma di certo non se ne lamentava. Almeno qualcosa, ora, stava prendendo la giusta piega.

“Eh, già.” Sogghignò, indicandosi il collo con l’indice.

Elisa non capì. “Che fai?”

“Il succhiotto, Eli.” Le spiegò, questa volta stupita. “Non hai visto?” rise. “C’avete dato dentro, eh!”

E la tazza di tè le cadde dalle mani, rompendosi sul pavimento e schizzando qualche foglio di Sofia, che se ne lamentò amaramente. Elisa assimilò solo in quel momento tutto quello che pensava di aver soltanto sognato e si coprì il segno sul collo con una mano. Non ebbe la prontezza di riflessi nell’evitare che le mani perdessero la presa sulla tazza di coccio, ma fortunatamente Chiara prese Sofia in braccio – le lacrime agli occhi e la piccola bocca tremante per lo spavento – allontanandola dalle schegge che avrebbero potuta ferirla. E mentre lei appurava che non si fosse fatta niente, Elisa si accorse del danno causato dalla sua goffaggine. Corse in cucina a prendere uno straccio dal mobile sotto l’acquaio e tornò ad assorbire quel poco tè che bagnava il pavimento della sala. Poi prese una scopa e raccolse i pezzi della tazza. Si scusò, quindi, con Chiara e prese nuovamente in braccio Sofia, che si lamentava per i suoi disegni.

“Scusa, amore!” l’abbracciò. “Mi è sfuggita la tazza dalle mani…”

“Perché bruciava, vero?” tirò su col naso.

“Eh… Sì, bruciava, infatti.”

“Vedevo il fumo.” 

“Ora sistemiamo anche i tuoi disegni, amore.”

“Basta solo lasciarli asciugare, Sofi.” Le disse Chiara sorridente. “Poi profumeranno di tè!” le fece l’occhiolino.

Sofia parve tranquillizzarsi all’idea, e scalciò per scendere e portare i disegni sulla terrazza, affinché si asciugassero prima, ma Chiara la fece desistere, dicendo che era meglio portarli nella vasca in bagno, dal momento che fuori prometteva pioggia e i disegni avrebbero potuto sciuparsi ancora di più.

Quando, poi, la situazione tornò alla normalità e Sofia si rimise a disegnare, Chiara guardò Elisa con rassegnazione, sospirando ancora. “Io non voglio chiederti niente – la tua reazione è stata fin troppo ovvia.”

Elisa si sentì un peso premerle proprio sul petto, affaticandola nel respirare. “Il bello è che io pensavo di aver solo sognato.”

“No, il bello sarà nasconderlo a Marco, tesoro.” Scosse la testa. “Ma non sarete mica andati fino in fondo, vero?” si assicurò Chiara.

Elisa negò. “Ho il ciclo.”

“Penso che sia la prima volta che  ringrazio le mestruazioni per aver impedito a qualcuno di fare sesso.” Alzò gli occhi al cielo.

“Sì, le ringrazio pure io.”

Chiara finì di bere il tè, tornando a guardare Elisa, questa volta seriamente. “Ripensandoci, una domanda ce l’avrei. Posso?”

Elisa acconsentì, sebbene sapesse che, come tutte le domande di Chiara, la risposta non sarebbe stata affatto semplice.

“Se tu non le avessi avute, che avresti fatto?”

Elisa ci pensò, senza però arrivare alla conclusione desiderata. Dopotutto, come non si era resa conto di cosa fosse successo, come poteva dire se si sarebbe fermata ugualmente? Se il sogno fatto quella notte fosse corrisposto alla realtà, no, molto probabilmente non si sarebbe fermata. Tutto era così eccitante e nostalgico, che non credeva la sua coscienza si sarebbe fatta avanti. E se l’avesse fatto, lei non le avrebbe dato ascolto. Ma lei stava con Marco. Non poteva tradirlo così. Non era giusto e non se lo meritava.

Quando guardò nuovamente l’amica, pronunciò la risposta che le sue orecchie avrebbero voluto sentire, ma che i suoi occhi negarono, così come avrebbe fatto lei stessa, se avesse avuto il coraggio di essere sincera.

 

 

***

***

 

Il cellulare di Francesco ormai stava suonando per la terza volta in poche ore, senza che lui vi prestasse attenzione, lasciandolo sfogare con quella suoneria metallica che inondava la sua stanza fastidiosamente. Federica gli aveva persino urlato di mettere almeno la vibrazione, se proprio fosse intenzionato a non considerarlo, per poi mandarlo in  culo con una nobile alzata di dito medio. Doveva avere il ciclo.

“Perché non rispondi?” sospirò esasperato Gianluca, mentre Fede si affacciava nella stanza con sguardo assassino per aver sentito ancora quelle note standard del suo cellulare.

“Perché so chi è e non mi importa.” Disse semplicemente, alzando le spalle con indifferenza.

“Almeno fai come t’ha detto Fede – effettivamente è snervante.”

“Visto che non sono l’unica a pensarlo, idiota?” urlò lei dalla sua stanza. Il ciclo le doveva aver fatto sviluppare l’udito in maniera impressionante. Faceva quasi paura.

Francesco ridacchiò, mentre pensava alla quotatura della pianta della villetta dei Farina. “Ti dirò,” sussurrò, quasi a prendersi gioco di Fede. “Non mi dispiace sentire sbuffare Fede così pesantemente da farle quasi tirare giù le mura che separano le nostre stanze.”

“Pensa almeno a Nico, che è di là con lei!”

“Già pensa a me!” il suono dello sciacquone, ora meno attutito dalla porta aperta del bagno, segno che finalmente vi era uscito, avvisò del suo ritorno tra loro.

“Tu pensa a noi e spruzza un po’ di deodorante per ambiente.” Lo rimbeccò Gianluca, cacciandolo dalla stanza con una mano, come ad incitarlo a fare al più presto, tanto per non far espandere l’odore per il resto dello studio.

“E sta’ attento a non scambiare lo spray con la schiuma da barba come facesti in casa nostra – sembrava avesse nevicato in bagno.”

“Ma se nemmeno c’è la schiuma da barba, qui!” replicò stizzito.

“Lo so, ma è bello rinfacciartelo.” Rise Francesco, mentre un bip metallico lo avvertiva che era stato lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica.

Il fatto che Francesco nemmeno avesse preso in mano il telefono, spinse Gianluca a fargli un’ulteriore domanda. “Be’? Non l’ascolti?”

“Te l’ho detto: so chi è e non mi importa. ” Cantilenò.

“Santo Cielo, Vanni!” sbottò Fede, entrando nella stanza. “Ormai lo sappiamo tutti chi sia!” sbatté le mani sulle gambe, irritata. Francesco la guardò scherzosamente interrogativo, spingendola a proseguire. “È Daniela – Gianlu ci ha detto che l’avete incontrata al centro commerciale.” Specificò.

“Vi avrà anche detto di come abbiamo già parlato là, allora.” Smise di lavorare al pc per guardarla saccente.

“Be’, effettivamente questo no.” Si mise le mani cicciottelle ai fianchi rotondi e si sporse verso l’amico con espressione alterata. “Mi domando perché. Eh, Varinelli?”

Gianluca sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. “Perché non si sono nemmeno salutati. Lui le ha voltato le spalle e se n’è andato, ecco perché non te l’ho detto, Valentini.”

“Non vi siete nemmeno salutati?” ripeté incredula, voltandosi verso Francesco, che annuì con tranquillità, le mani sotto il mento e lo sguardo saccente sempre sul volto. “Perché?”

“Perché non avevo niente da dirle. Ed ecco perché – te lo dico prima ancora che tu mi faccia la domanda – non le rispondo al telefono e non ascolto i suoi messaggi.” E tanto per rendere ancor più evidente la sua vittoria su quella discussione, allargò le braccia in segno trionfante e si lanciò su un intonato “Ta-dan!”, che fece roteare gli occhi a Federica e agli altri due presenti.

“Ma almeno ascolta cosa vuole dirti, no?” continuò imperterrita Federica. “Dopotutto tu eri il primo a cui giravano le palle quando lei non ti ascoltava. Vuoi abbassarti al suo livello?”

Francesco la guardò socchiudendo gli occhi, come a volerla analizzare. “Non cadrò in questi subdoli giochetti psicologici. Sono immunizzato da cinque mesi di relazione con una psicologa.”

“Motivo in più per mostrarti superiore.”

“No, motivo in più per fare come mi pare e fra poco smettere di ascoltare pure te.”

“Ma cosa ti costa?”

Francesco sospirò, prese il cellulare, entrò nella sua segreteria telefonica e lo porse con un gesto scocciato a Federica. “Tieni, ascolta pure le sue lamentele – io di certo non lo farò – almeno si può dire che le sue parole non siano state pronunciate invano.”

Indubbiamente Federica gli prese il cellulare dalla mano con altezzosità e se lo portò all’orecchio, ascoltando un messaggio che a vedere dalle sue molteplici espressioni adottate durante tutto l’ascolto, doveva essere molto contorto.

“Che dice?” si volle informare Nicola, ora seduto su una delle sedie di fronte alla scrivania di Francesco, che si portò una mano sul viso. Non ce la faceva più a sopportare questa storia. Daniela era ormai un capitolo chiuso, sigillato e, se avesse potuto, anche dimenticato.

“Aspetta, non è ancora finito.” Lo zittì con una mano, concentrandosi sulle parole registrate nella segreteria.

“Ma quanto dura?” sospirò. “Saranno cinque minuti che chiacchiera.”

“E s’è trattenuta, immagino.” Commentò Francesco, ricordandosi come i suoi monologhi potevano obbligarlo ad ascoltarla anche per molto più tempo.

“Allora, che dice?” insistette Nicola, picchiettando sul braccio di Fede.

“Che vuole parlare con il Vanni, per chiarire e dirgli quello che pensa di loro.” Disse schioccando la lingua. “Ora mi fai finire di sentire?” lo fulminò con lo sguardo.

“Va bene, va bene, mica bisogna essere così cattivi, eh!” Poi si rivolse verso Francesco. “Tutto questo tempo per dire solo questo?” alzò un sopracciglio scettico.

Francesco annuì conscio dello sconforto che Nicola provava. I primi mesi furono duri anche per lui.

Finalmente Fede gli restituì il cellulare, per poi essere catturata dalla mano di Nicola che la guardò ammiccando al resto della registrazione.

“Quanto sei noioso, Nico!” sbuffò. “E pettegolo.” Lui la guardò rassegnato. “Dice che vorrebbe parlare, dirgli che inizia a capire perché tu,” – e si voltò per guardare Francesco – “abbia detto quel che hai detto e che magari anche lei aveva torto. Effettivamente non ha mai detto di aver sbagliato…” meditò. “Piuttosto diceva che forse aveva sbagliato e che magari non aveva sempre ragione.”

“È un tipo orgoglioso.” Spiegò Francesco. “Non lo dirà mai.”

“Ma soprattutto – sai cosa, Vanni?” l’espressione di Federica si fece stranamente gongolante, attirando l’attenzione anche di Gianluca, che pareva fare la persona seria. “Daniela ha parlato di un tuo messaggio che le lasciasti un paio di settimane fa. Che lo ascolta dacché vi siete rivisti praticamente fino a impararlo a memoria.” Sorrise soddisfatta. “Com’è che noi tutti non se ne sapeva niente?”

“Sì, com’è che non c’hai mai detto niente?” si unì Nicola.

Francesco alzò un sopracciglio, spazientito. “È un messaggio che le lasciai – sì, ormai quasi due settimane fa. Le volevo dire di trovarci per parlare – ma due settimane fa.” Gianluca lo interruppe con un sospetto colpo di tosse e Francesco lo guardò con la coda degli occhi come a sfidarlo a dire qualcosa. Ci mancava che venisse fuori anche cosa era successo con Elisa solo il giorno prima.

“E chi se ne frega!” Federica batté le mani sulla sua scrivania. “Ci vuole tempo per metabolizzare queste cose!”

“Primo,” Francesco iniziava a stancarsi di questa discussione. “Due settimane è troppo tempo. Secondo: ormai è acqua passata. Terzo: non sono affari tuoi.”

“Posso dirlo?” obiettò Fede, che ovviamente voleva l’ultima parola. “Ragazzi, posso dirlo?” guardò prima Nicola e poi Gianluca, che annuirono mestamente. “Smettila di pensare ad Elisa e cerca di salvare il rapporto con Daniela!” lo indicò con un minacciosissimo dito indice e gli occhi socchiusi.

“Hai mai pensato che magari io non voglia?”

Federica era pronta a ribattere sulla scia della minaccia precedente, ma il telefono dello studio ebbe la prontezza di suonare giusto per interromperla e far arrivare Francesco in base, salvandolo.

Gianluca rispose, mentre Francesco si dilettava in linguacce infantili, tanto per far innervosire Federica ed alimentare la sua ira, perché tanto alla fine era così che si concludeva ogni loro battibecco. Non era arrabbiato, sebbene avesse fatto volentieri a meno di quella discussione: in quel periodo, sentire parlare di Daniela gli dava fastidio. Tra loro era finita – lo sapeva lui e lo sapeva lei, sebbene ancora non si rassegnasse. Dopotutto, fu proprio lei a chiudere la relazione. Certo, forse si stava solo abbassando al suo livello, intestardendosi di non volerle parlare, proprio come le aveva detto Federica, ma non riusciva a inghiottire tutti i suoi sforzi mai ripagati. Perché avrebbe dovuto dargliela vinta? Non aveva ragione lei e lui non era intenzionato a dargliela. Era giusto che anche lei capisse i suoi errori. E a certi errori, non ci sono soluzioni. Era giusto che capisse anche questo.

“Ragazzi, non ci crederete,” esultò Gianluca, chiudendo la chiamata. Il suo viso illuminato da un sorriso trionfante portò quei pensieri a svanire in pochi secondi, ottenendo l’attenzione di tutti i presenti: “Abbiamo dei nuovi clienti!”

____________________________________________

Un aggiornamento così veloce non ve lo sareste mai aspettato, eh! Ta-daaaan! E invece eccomi, con questo capitolo tutto vostro!

Ehhh, le cose si stanno un po' complicando per tutti... Personaggi "vecchi" tornano in scena, gli altri intanto vanno avanti, altri dovranno fare i conti con quello che è successo...! Insomma, come pensate che andrà avanti? Che pensate possa succedere?

Ringrazio come sempre Brezza, e vi lascio alla prossima puntata! ;)

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** XXVIII ***


Nuova pagina 1

“Guarda che non mi avrebbe dato alcun fastidio, te l’ho detto.”

“Lo so, ma mio padre voleva passare un po’ di tempo con lei.” Spiegò Elisa, passando i piatti da lavare a Marco, che li sciacquava sotto il getto dell’acquaio e poi li infilava in lavastoviglie.

“Non c’entra mica Francesco, vero?” si insospettì, voltandosi a guardarla negli occhi. Non era né di pessimo umore né tantomeno triste. Era preoccupato: conoscendo Marco, era probabile che si sentisse in colpa di eventuali litigi tra loro due, sebbene Elisa sospettasse malignamente che gli avrebbero in realtà fatto piacere.

“No, no, no.” Forse esagerò con le negazioni, ma il solo sentir pronunciare il suo nome, le fece portare automaticamente le mani al foulard beige che teneva intorno al collo. “Francesco non ha detto niente.” Non troppo vero, ma nemmeno totalmente falso.

Marco parve accontentarsi di questa risposta e terminò di caricare la lavastoviglie, per poi prendere Elisa per la mano e portarla sul divano. Si sedettero vicini e si accoccolarono, mentre lui le massaggiava dolcemente una spalla, abbracciandola.

“Era tutto squisito, Marco.” Sorrise lei, la testa appoggiata a lui.

“Per te, questo e altro.”

“Sai, mi sminuisci,” ridacchiò. “Io non sono così brava in cucina.”

“Vorrà dire che ci siamo trovati: io sarò pure bravo ai fornelli, ma tu sai come mantenere una famiglia.” Elisa ebbe un battito mancato, soltanto averlo sentito parlare di famiglia le aveva provocato una reazione tale che ebbe paura di affrontare quell’argomento. Si sistemò meglio il foulard e deglutì. Si sentì divisa come non mai: da una parte non avrebbe voluto altro che parlare del suo futuro con Marco, ma dall’altra… Non in quel momento. La sua testa era troppo piena di pensieri per cercare soltanto di dare priorità ad uno di essi. Si spingevano, si sfidavano su chi dovesse prevalere, ma nessuno la dava vinta all’altro, tanto che Elisa cominciava a sentire un vago mal di testa.

“C’è qualcosa che non va?” chiese Marco, fin troppo attento. Tutte quelle attenzioni che solitamente le rivolgeva, la lusingavano. Ma – no – non in quel momento.

“No, no” negò, sorridendo forse troppo falsamente, vista l’incrinatura delle labbra di Marco. “Cioè, ho solo… Mal di testa.” E si passò una mano sulla fronte, per poi farla scendere impercettibilmente sul foulard, come ad appurare che ci fosse ancora e non giocasse qualche fatale scherzo come allentarsi e scivolare via dal suo collo.

“Sicura che tu stia bene?” si preoccupò. Le posò una mano sulla fronte, quasi ad emulare il suo precedente gesto. “No, non sei calda, però sei pallida, tesoro.”

“Non so, forse Francesco mi ha attaccato qualcosa…” buttò lì Elisa, pensando di svicolare dalla conversazione, ma giunse troppo tardi all’ambiguità che aveva offerto a Marco. “Sì, be’, perché – lo sai, no? Mi pare di avertelo detto – Francesco ha avuto la febbre in questi giorni e -”

“No, non lo sapevo.” Marco non pareva preoccupato per la salute di Francesco, quanto forse per l’improvviso nervosismo di Elisa. O forse era semplicemente la sua coscienza che lo fece apparire più sospettoso del solito? Dopotutto Marco non era un tipo da ficcare il naso nella sua vita con tale invadenza. Piuttosto si rinchiudeva nel suo tipico silenzio ferito.

“Be’, sì, si è preso un brutto raffreddore quando Daniela l’ha lasciato e -”

“Francesco e Daniela si sono lasciati?”

Elisa si catapultò sul pensiero di un immediato suicidio: più parlava più sembrava scavarsi la fossa con le sue mani. Forse Marco era l’unico a non saperne niente. Ovvio, si disse, lei era la prima a non volergli mai raccontare niente di Francesco per evitare discussioni sull’argomento, ma alla fine questi suoi tentativi di salvaguardia del suo rapporto con Marco le si stavano rivoltando contro come il vento durante una bufera, che le scarruffava i capelli e le bloccava il fiato in gola per la forza con cui l’avvolgeva nella sua burrascosa scia.

“Be’, sì, ma è successo ormai due settimane fa, quindi…”

“Due settimane fa?” il tono di Marco si faceva più incredulo ogni volta che ripeteva le parole di Elisa, cosa che a lei iniziava quasi a dare fastidio. “E perché non me l’hai mai detto?”

Ecco, perché? “Be’…” lo sguardo fisso sulle sue mani, sebbene non le mettesse a fuoco, misero in evidenza tutto il suo imbarazzo. Che poi, perché avrebbe dovuto provare imbarazzo? Non erano cose che li riguardassero, dopotutto. Erano questioni tra Francesco e Daniela, loro non c’entravano affatto.

Decise di dirgli esattamente quelle parole.

“No, no” Marco indietreggiò. Parve rendersi conto della situazione, o così sperò Elisa. “Però mi chiedo perché tu non me l’abbia detto, ecco. Sembra quasi tu me l’abbia voluto nascondere…” Indubbiamente le speranze di Elisa di sfracellarono al suolo in una miriade di schegge appuntite, che la trafissero piena al petto, mozzandole il fiato a metà.

“Ma perché… Io – lo sai…” la mano le si posò automaticamente sul foulard. “Non ti parlo mai di Francesco. E non lo faccio perché non voglio che lui – ecco – si intrometta nelle nostre vite, capito?” pareva quasi una domanda rivolta a se stessa, che a Marco.

“Sì, lo capisco, ma, vedi,” tentennò Marco. “Be’, questa è una cosa grossa.”

Elisa sapeva perfettamente dove volesse andare a parare Marco. E sapeva anche che aveva ragione. Più che ragione. La prova era proprio sotto i suoi occhi, nascosta solo da una striscia di tessuto beige.

“Sì, lo so… Scusa.” L’intonazione che assunse era fin troppo ferita per una questione del genere, se vista agli occhi di un estraneo. Dopotutto Elisa, se avesse solamente taciuto sulla novità di Francesco, non aveva certamente commesso un errore fatale. Era il succhiotto che rendeva tutta la situazione più complicata.

“No, dai, Eli,” Marco le posò una mano sotto il mento per farle volgere lo sguardo dentro verso i suoi occhi ed Elisa si sentì mancare, quando la mano di Marco mosse pure il foulard, senza fortunatamente mostrare quel marchio lussurioso sulla sua pelle. Per la prima volta, Elisa sentì che il suo cuore non stava battendo per la vicinanza di Marco, ma per quella di Francesco, così inopportunamente presente, sebbene fosse a casa loro a guardare una delle sue partite di Basket.

E mentre Marco si accontentava di poterla almeno baciare per concludere quella romantica serata, Elisa non poté che ringraziare il più volte maledetto ciclo per potersene stare sulle sue con una scusa più che credibile.

 

***

 

Per tutto il giorno aveva fatto finta di niente in presenza di Francesco e sembrava che lui avesse intenzione di fare altrettanto. Ma non poteva andare avanti così, aveva la sensazione che il succhiotto le pulsasse sempre di più ogni volta che il suo pensiero sorvolava quello che sarebbe potuto succedere in camera da letto la sera scorsa. La mattina non si erano visti, il pomeriggio aveva parlato con Chiara e Francesco era in ufficio, e la sera lei era andata da Marco. Si erano incrociati forse un’ora in tutta la giornata, ma adesso che era tornata a casa, era necessario parlare: le parole sembravano volerle uscire di bocca indipendentemente dalla sua volontà, chiedevano spiegazioni e soprattutto cercavano un motivo per cui Elisa non dovesse sentirsi colpevole per ciò che aveva fatto.

Entrò in casa e si tolse il giacchetto di velluto, gettandolo svogliatamente sulla spalliera del divano – poi l’avrebbe messo a posto. Sofia non c’era, era ancora dai nonni perché lei e Francesco non si erano sentiti per accordarsi per la notte e nonno Luigi era parso particolarmente contento di passare un po’ di tempo con lei – e anche nonna Anna, sebbene non lo ammettesse mai.

Passando affianco al mobile del telefono, Elisa vide lampeggiare la spia della segreteria telefonica, quindi la premette per ascoltare il messaggio mentre andava in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua.

France, scusa se ti chiamo anche qui,” la voce di Daniela le fece andare l’acqua di traverso, portandola a tossire. Poggiò rumorosamente il bicchiere sul tavolo – su cui vi erano posati ben due sacchi di patate – ed iniziò a picchiarsi il petto per riprendere fiato, mentre Francesco accorreva assonnato verso di lei: “No, no, no! Perché hai azionato la segreteria?”

“Avevo visto dei messaggi,” rantolò Elisa, tornando a respirare più o meno regolarmente, qualche colpo di tosse qua e là. “Pensavo potessero essere messaggi per me! Mica ci viene scritto per chi sono!”

“Che palle! È tutto il giorno che mi perseguita!” Francesco barcollò verso il telefono e spense l’apparecchio e così la voce di Daniela, che lo pregava di incontrarla per parlare, oppure di risponderle almeno ad uno dei messaggi o delle chiamate.

“Perché ha ripreso a chiamarti con questa insistenza?” il tono di Elisa sfiorava lo scocciato, ma cosa aveva da essere scocciato?, si domandò, dopotutto non erano affari suoi quello che succedeva a Francesco. Se Elisa avesse dovuto preoccuparsi della vita di un uomo, quella sarebbe dovuta essere la vita di Marco, non di Francesco: lui poteva fare tutto quello che voleva, persino rimettersi con Daniela! Anzi, forse sarebbe stato addirittura meglio, così si sarebbero allontanati e situazioni come quella… No! Non volle terminare la frase. Anche se aveva già pensato ad una cosa simile, non volle più pensarci.

“Perché mi ha visto al centro commerciale stamani.” Francesco si accasciò sul divano, la mano sugli occhi e un atteggiamento spossato di chi non avrebbe voluto che tornare a dormire.

“Cioè, fammi capire,” Elisa lo seguì e si sedette sul divano vicino a lui. “Ti ha visto solo stamattina e da allora continua a tartassarti?” Francesco annuì. “E cosa vi siete detti?”

“Niente.”

Niente? Non ci credo. Perché continuerebbe a cercarti, se non vi siete detti niente?”

“Proprio perché non ci siamo detti niente continua a cercarmi.” Le spiegò, afflosciandosi su di lei, che si irrigidì, dimenticando per un brevissimo lasso di tempo ogni cosa, dal motivo della reazione del suo corpo a cosa volesse Daniela. Ma durò un attimo, fortunatamente.

“Su, tirati su…” lo spinse lontano da sé, mentre lui opponeva resistenza con tutto il suo peso. “Dai, France…” Si lamentò Elisa.

“Perché?” Si lamentò col suo tipico mugolio. “Ho voglia di coccole.”

“E allora fattele fare da Daniela!” sbottò Elisa, il tono più stridulo del normale.

Francesco si ritrasse silenziosamente, guardandola tra la serietà e la preoccupazione. “Che hai?”

Elisa aggrottò la fronte e cercò di non fare caso ai battiti del cuore improvvisamente accelerati. “Non ho niente.”

“Lo so che non è vero, Eli.”

“No, dico davvero, non ho niente.” E fece per alzarsi, ma Francesco la prese per un braccio e la fece tornare seduta sul divano affianco a sé.

“Credo di sapere a cosa corrisponda il tuo niente.” E le indicò il foulard che ancora aveva intorno al collo.

Elisa tentennò, per poi sfociare in uno stato confusionale che forse fortunatamente la fece sfogare. “Se lo sai, allora perché fai finta di niente?” Era sull’orlo di un pianto. “Sono stata tutta la sera con l’ansia che Marco lo vedesse! Non è giusto! Perché l’hai fatto?” sentiva gli occhi bruciare per le lacrime che tentava invano di trattenere, più per la rabbia che per qualunque altro sentimento. “Non ne avevi il diritto!” Si liberò dalla sua stretta e si alzò dal divano, mentre Francesco le faceva notare che lui era arrivato fino a quel punto senza riscontrare nessun segnale di opposizione da parte sua, ma Elisa non volle sentirlo e si rinchiuse in camera, buttandosi sul letto ancora vestita. Roteò gli occhi esasperata quando sentì la maniglia ruotare, ricordandole che divideva quella stanza con Francesco.

“Ehi…” sussurrò lui, varcando la soglia. Lei non rispose e quindi lui si avvicinò, stendendosi sul suo lato del letto e abbracciandola da dietro. Elisa si dimenò per qualche istante, ma vedendo che Francesco non sembrava intenzionato a lasciarla, rinunciò, dapprima sbuffando, poi sospirando.

“France…” mormorò. “Perché l’hai fatto?”

Anche Francesco sospirò, forse in attesa di una risposta che non aveva, oppure per un qualche altro motivo che Elisa non sapeva. “Non credo ci sia un vero motivo. È successo e basta.”

“Ma io sto con Marco, non ne avevi il diritto.”

“Lo so, scusa.”

“È inutile che tu ti scusi.”

“Lo so.”

“Ormai è successo.”

“Lo so.”

“Marco non se lo merita.”

“Lo so.”

“E piantala di dire ‘lo so’, mi dài sui nervi!” soffiò, muovendosi bruscamente sotto il suo braccio per fargli capire che la cosa non le stava bene.

Rimasero in silenzio per un po’, lui abbracciato a lei, e lei totalmente inerme, stanca per la tensione che si era portata appresso per tutta la serata passata con Marco, che pian piano la stava accompagnando verso il sonno. Ma non voleva addormentarsi, voleva parlare, di cosa non lo sapeva – del succhiotto? Di Daniela? Era arrabbiata o era solo triste? Cosa le stava frullando in testa di preciso? Quali erano quei pensieri che si affollavano così violentemente nella sua testa da farla comportare così?

“Ehi, sei ancora arrabbiata?” Francesco pareva veramente dispiaciuto.

“Non lo so.” Ammise lei.

“Vuoi piangere?”

“Non lo so.”

“Vuoi parlare?”

“Non lo so.”

“Anche tu in quanto monotonia non sei male, eh!”

“Ti rendo pan per focaccia.”

“Sai che se analizzi la frase attentamente significa che tu ne guadagni, rispetto a me?”

“Sai che non me ne frega niente?”

“Su, dài, cercavo di scherzare!”

“Non mi pare il caso, France.” Lo liquidò Elisa per qualche altro istante. “Sai…” iniziò tentennante. Non sapeva se era giusto o meno dirglielo, non sapeva nemmeno se la frase le sarebbe seriamente uscita di bocca o le sarebbe morta in gola. Erano pensieri privati, dopotutto, ma se solo ci rimuginava un attimo, effettivamente si ritrovava a pensare che se ne avesse dovuto parlare con qualcuno, questo qualcuno non sarebbe potuto essere che l’altra persona coinvolta nella faccenda, ovvero proprio lui, Francesco. Per questo si fece coraggio ed andò avanti. “Quando stamattina mi sono svegliata, pensavo fosse stato tutto un sogno.”

“Cosa? Il fatto che avessimo quasi rifatto l’amore?” Elisa annuì. Forse era stupido cercare di analizzare le parole di Francesco, ma notò subito il termine da lui usato: “amore”, non “sesso”. E lui diceva sempre “sesso”. “Be’”, continuò Francesco. “Dopotutto non è così strano ricascarci. L’abbiamo già fatto in diverse occasioni – anche dopo la nascita di Sofia.”

“Sì, ma questa volta è diverso.”

“Perché?”

“Perché ora sto con Marco. Io non stavo con nessuno quando è ricapitato.”

“Cosa c’entra?”

“C’entra tanto, invece, France. Io sto con Marco – l’ho quasi tradito!” o forse l’aveva tradito e basta, senza il “quasi”? Dopotutto, se non avesse avuto il ciclo, per come ragionava, avrebbe continuato, non si sarebbe fermata a pensare ai pro e ai contro. La sua testa era decisamente altrove. “E lui non se lo merita. Io pensavo di averlo solo sognato… E un conto è sognarlo, un conto è averlo fatto sul serio!”

“Ma noi non abbiamo fatto niente.”

“Non è vero!” si tolse il foulard. “Questo non è niente, France! Questo è un succhiotto! E me l’hai fatto tu! E ci siamo baciati! Sono stata tutta la sera incapace di essere me stessa perché avevo paura che lo notasse!”

Francesco parve prendere fiato per dire qualcosa, ma Elisa non sentì niente.

“France,” continuò quindi lei. “Io non voglio rovinare il mio rapporto con Marco. Lui è l’unica persona che abbia trovato che mi accetti per come sono, per i miei difetti, per la mia situazione – sebbene, sì, ammetto che ogni tanto vorrebbe non farlo: glielo leggo negli occhi.” Elisa sospirò. “Per piacere, voglio che tutto questo non venga più fuori, voglio far finta che non sia successo niente tra noi ieri sera.”

Anche Francesco sospirò. “Be’, mi pare che tu l’abbia già fatto.”

“E infatti voglio che lo faccia pure tu.” Era determinata, non voleva compromettere niente. Sapeva e riconosceva parte della colpa, nonostante continuasse a ripetersi che, per difesa o per semplice verità, quello che era successo le pareva solo un sogno nostalgico. “Capito?”

Francesco annuì, stringendosi a lei e appoggiando la testa sulla sua schiena. Per l’ennesima volta parve voler dire qualcosa, ma ancora una volta, Elisa pensò che fosse solo una sua sensazione.

“Sì, ho capito.”

____________________________________

E anche se in ritardo, rieccomi qui con il ventottesimo capitolo! Ventotto, eh! Bello, mi piace questo numero!

Insomma, le cose tra Francesco ed Elisa sono sempre più caotiche: prima si avvicinano, poi si allontanano, poi uno allontana l'altro e viceversa. Non avranno mai pace...!

E come al solito un grazie grande come la pazzia che aleggia in questa storia (soprattutto da parte di Elisa) a Brezza, che puntuale come sempre, segue e commenta! Grazie grazie grazie!

 

Al prossimo capitolo!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** XXIX ***


Nuova pagina 1

“Fede, dove hai messo i dati dei Farina?” Fu questo il classico benvenuto che ricevette Elisa, entrando nell’ufficio insieme ad un silenzioso Francesco. Erano tre giorni – Elisa li aveva contati – che Francesco pareva meno loquace, ma non con tutti, solo con lei. Ed Elisa sapeva perfettamente a cosa attribuire quella situazione.

“Dove vuoi che li abbia messi, Nico? A posto!” la sua immancabile risposta stizzita fu segno della quotidianità. E a Elisa, malgrado quel periodo, piaceva. Piaceva decisamente molto. Posò il giacchetto nell’ingresso, come aveva espressamente richiesto Federica – sebbene nessuno degli altri l’avesse mai considerata – e andò nell’ufficio di Francesco e Gianluca, dove le avevano ritagliato un posto vicino alla finestra con tanto di tavolo provvisorio e sedia. Non era provvista di computer fisso, ma il suo fedelissimo portatile la serviva più che dignitosamente per ciò che le avevano affidato.

E tutto procedeva in tranquillità: il lavoro per la casa dei Farina veniva portato avanti, mentre Gianluca tentava di mettersi in contatto con dei nuovi possibili clienti – purtroppo sembrava che la conversazione non andasse proprio a suo vantaggio. Fu solo verso metà mattinata, un’oretta dopo l’arrivo di Elisa e Francesco allo studio, che il campanello suonò e Federica trillò come avrebbe fatto Sofia all’arrivo di Babbo Natale, per poi catapultarsi subito alla porta esaltata.

“Cosa succede?” Chiese Elisa, allungando il collo verso l’ingresso.

“Non lo so, ma potrebbero essere i nuovi clienti.” Mormorò Gianluca, alzandosi e dirigendosi anche lui alla porta.

“Benvenuti!” Esordì Federica, cinguettando. Li invitò ad entrare e ad accomodarsi nella stanza di Francesco e Gianluca, poiché quest’ultimo era solitamente il membro del gruppo che gestiva i contatti con i clienti, essendo il più diplomatico e il più affidabile.

Non appena le due persone entrarono nella stanza, Elisa alzò lo sguardo e, non seppe se per felicità o sorpresa, o magari entrambe, si fece scappare un urletto un po’ troppo infantile – dovette ammetterlo – ma totalmente giustificato: davanti a lei Cristina e Giacomo Bernardi sorridevano ai presenti, per poi individuarla in fondo alla stanza e salutarla con gentilezza, soprattutto Cristina.

“Salve!” sorrise Elisa, aggirando la scrivania e andando a stringere la mano alla coppia. “Come state?”

“Molto bene, grazie.” Rispose cordialmente Cristina, stranamente loquace rispetto al ricordo che aveva Elisa di lei nell’ufficio di Pietro Orlandi. Evidentemente il cambiamento dell’ambiente le aveva giovato.

“Vi conoscete?” Chiese Federica, curiosa.

“Sì, provengono dallo studio Orlandi, erano miei clienti.” Spiegò Elisa.

Anche Francesco si avvicinò al gruppo, sfuggendo al silenzio di quei giorni e parve connettere i racconti di qualche mese fa di Elisa con la coppia ora davanti a lui. Effettivamente, se avesse connesso prima, Francesco gliel’avrebbe detto ed Elisa si sarebbe potuta preparare meglio all’incontro.

“È stata Elisa a consigliarci di venire qui da voi.” Aggiunse Giacomo.

“Oh, davvero?” si illuminò Federica.

“No, vabbè, non esagerate,” sorride modesta lei. “Vi ho semplicemente detto dove stavo ora…”

“Ma vista la buona impressione che ci avevi fatto nell’altro studio, ci siamo detti: “perché non provare?” Ed eccoci qui.”

“Be’, non posso che ringraziarvi per la fiducia, allora!” Sorrise Elisa, sentendo la sua autostima crescere a dismisura. Era contenta non solo per le loro belle parole nei suoi confronti, ma soprattutto che loro si fossero, forse, affezionati a lei, in un modo o nell’altro, portandoli a rintracciarla e a mettere ancora una volta la proposta per la loro casa nelle sue mani.

“Ah, fuori dal palazzo abbiamo incontrato una signora che ci ha dato questo.” Giacomo estrasse dalla tasca della giacca un fagottino di stoffa bianco, legato con un nastrino rosso. Cristina rise al ricordo. “Quando è uscita ci ha visti guardare i campanelli, le abbiamo detto che cercavamo il vostro studio e lei ha subito tirato fuori dalla borsa questo sacchetto, dicendo che visto che voi non andate mai da lei, allora sarebbe l’ora che sia lei a farsi avanti.”

“Oddio, la signora Torelli!” esclamò esasperata Federica. “È una donna che abita nel palazzo,” spiegò. “Cerca sempre di invitarci per una tazza di tè e dei biscotti.”

“Soprattutto quando incontra il Vanni.” Aggiunse ridacchiando Nicola.

“Com’è che io non l’ho mai incontrata?” mormorò Elisa.

“La incontrerai, tranquilla.” Sospirò Federica. “Placcherà pure te.”

“Vero, ma non state lì sulla porta! Prego!” Gianluca offrì delle comode sedie di fronte alla sua scrivania ai due giovani sposi e un caffè, che solo Giacomo accettò volentieri. “I biscotti potete tenerli, non sono velenosi.” Sorrise, per poi sedersi alla sua scrivania, di fronte a loro. “Insomma, raccontatemi un po’: cosa cercavate?”

“In realtà, sarò sincero,” iniziò Giacomo. “Siamo venuti in questo studio proprio perché sapevamo della presenza di Elisa e speravamo che con lei, che aveva già lavorato al nostro progetto, avremmo potuto un minimo velocizzare i tempi, senza dover ripartire da capo.”

“Be’, ovviamente,” si intromise Elisa. “Dovremmo fare qualche passo indietro dal punto in cui eravamo arrivati nell’altro studio, perché dovremmo richiedere tutti i permessi, ricreare il progetto… Cioè, un po’ di cose ci sono comunque fa rifare.”

“Certamente, questo l’avevamo già messo in conto, ma speravamo che la questione potesse essere più veloce in quanto il progetto era già definito. Basterebbe ripartire da quello, senza troppe variazioni o sorprese.” Disse, alludendo chiaramente agli interventi non richiesti dell’Orlandi Senior.

“Su questo non ci saranno problemi.” Sorrise, per poi allontanarsi e lasciare che fosse Gianluca a prendere le redini per tutte le questioni amministrative che lei, francamente, non sopportava molto svolgere.

Tornò alla sua scrivania e non appena si sedette, Francesco le si avvicinò e le passò una mano sulla schiena. Non era propriamente il primo contatto che avevano da qualche giorno – dacché avevano parlato e chiarito quali fossero i loro limiti reciproci – ma sicuramente era uno dei più profondi che Elisa recepì, in quanto pareva un ringraziamento, un contatto che pareva mormorarle: “sono fiero di te”. E per quanto potesse suonarle strano, Elisa in quell’istante avrebbe solamente voluto alzarsi e abbracciarlo, un po’ perché le mancava che tra loro non ci fosse più fisicità, un po’ perché quella situazione la riempiva di gioia ed orgoglio. Ma soprattutto perché sentiva Francesco allontanarsi, e questo le faceva male. Le mancava.

 

***

 

Era strano come il passare del tempo l’avesse avvicinata a Cristina. Elisa si ricordava il suo comportamento, il suo silenzio, soprattutto, quando erano clienti allo studio Orlandi. Probabilmente quell’ambiente incuteva così tanto terrore che le reprimeva ogni slancio vitale. E invece ora erano diventate amiche, trovandosi anche molto simili per certe cose. Mangiavano insieme quando le loro visite coincidevano con il suo orario di lavoro e si trovavano spesso a ridere per le stesse cose. Fede si faceva sempre vedere un po’ altezzosa, quasi a rimarcare la sua superiorità in quanto regina dello studio, ma ci volle poco per farla sciogliere e farsi coinvolgere dalla dolcezza di Cristina.

Nonostante tutto, i loro discorsi non erano mai andati sul personale, rimanendo sempre su un piano molto superficiale ed innocuo. O almeno, non subito, perché proprio quando meno se l’aspettava, Elisa si sentì seguire da Cristina alla sua scrivania, lasciando tutti gli altri intorno al tavolo della stanza di Federica e Nicola, intenti a valutare il progetto.

“Scommetto che l’amico a cui dai una mano di cui parlavi tempo fa è il Vanni.”

Elisa perse un battito e strabuzzò gli occhi, totalmente colta alla sprovvista da una simile affermazione. Il fascicolo che aveva in mano le cadde a terra, sparpagliando tutti i fogli per terra – fortuna che la maggior parte, almeno, era spillata insieme!

“Be’, sì,” sorrise, cercando di apparire naturale – che poi? Perché doveva darle così fastidio una domanda del genere? “Ma ultimamente non siamo più in così buoni rapporti.” Spiegò subito, quasi a farle capire che non voleva andare oltre con la questione. Dacché ne avevano parlato, lei e Francesco non avevano più toccato l’argomento, non parlando quasi più di sé, se non per cose strettamente importanti come il “vado da Marco”, “oggi sono distrutta” o  il classico sospiro che avrebbe portato l’inizio di una conversazione tra i due, ma che veniva sempre volutamente scambiato per uno sbuffo qualunque. Effettivamente la situazione non le piaceva, ma era stata lei a mettere quei paletti, era ovvio, quindi, che dopo ciò che era successo il loro rapporto dovesse ridimensionarsi. Anche la sera, quando andavano a letto, non si toccavano quasi più, se non casualmente durante la notte, svegliandosi ed allontanandosi quasi fossero respinti l’uno dall’altra. Ma ovviamente non era così: come poteva Elisa respingere fino a quel punto, anche dopo un gesto involontario, la presenza di Francesco? Una presenza così ingombrante che le era stata vicina per così tanti anni? Ma era anche vero che lei stava con Marco: Francesco o non Francesco, non era di lui che doveva preoccuparsi, quando della persona con cui stava e che doveva amare più di qualunque altra oltre a Sofia.

“Sì, lo vedo.” Ammise Cristina, il tono un po’ colpevole, rigirando il cucchiaio nella tazza di té che le aveva offerto Federica qualche minuto prima. Probabilmente stava pensando che non avrebbe dovuto tirare fuori la questione.

“Lo vedi?” chiese sorpresa Elisa. Come poteva vederlo? Lei non conosceva Francesco e non sapeva quale fosse il loro rapporto. Lei e Cristina non avevano mai parlato di affari personali.

“Sì,” le sorrise dolcemente, quasi come se la domanda curiosa di Elisa l’avesse portata a pensare che poi, forse, non aveva fatto troppo male a chiedere una cosa simile. Parve rasserenarsi. “Si vede da come tu lo guardi e da come lui ti guarda.” Elisa rimase colpita da quelle parole. Sì, era vero, ogni tanto le cadeva l’occhio su Francesco e sulle sue mansioni, ma non pensava che qualcuno potesse vederla e arrivare a capire una cosa del genere. Evidentemente il silenzio di Cristina nascondeva una capacità di osservazione oltre ogni aspettativa. “Ma non vi guardate mai allo stesso tempo.”

“Che vuoi dire?”

“Semplicemente che sono un po’ triste per voi.” Le sorrise, prendendo la sedia di fronte alla scrivania di Francesco e portandola vicino ad Elisa, che a sua volta si sedette sulla sua. “Si vede che vi volete bene, ma non so per quale motivo non riuscite a dirvelo.”

Tutto questo poteva essere scaturito dal fatto che Cristina non sapesse di lei e Marco, magari quando l’aveva visto aveva pensato che fosse – chissà! – suo fratello, dal momento che le aveva detto che non erano una famiglia. Non c’era nemmeno stata una carezza o uno sguardo da innamorati tra loro, ma questo perché c’era Sofia… Probabilmente Cristina aveva frainteso tutta la situazione e pensava che Elisa amasse Francesco. Forse pensava addirittura ad un amore reciproco – che ingenua!

Però su una cosa aveva ragione: lei voleva bene a Francesco.

“Non ti facevo così saggia.” Confessò dopo un po’.

“Chissà,” sorrise, nascondendosi dietro la tazza. “Magari la gravidanza porta anche superpoteri.”

“Sei incinta?” Elisa sgranò gli occhi, ancora una volta sorpresa dalle sue parole.

“Eh, già.”

“Auguri, allora!”

“Grazie.” Era sempre tranquilla, anche nell’affrontare un argomento che aveva fatto emozionare Elisa.

“Da quanto lo sai?”

“Un paio di settimane.”

“Ma allora cosa bevi caffè!” la rimproverò.

“Non è caffè, è tè.” Ridacchiò. “Deteinato, tra l’altro.”

“Ma Giacomo lo sa?” si insospettì, dal momento che nessuno dei due lo sbandierava ai quattro venti.

“Certamente.” Le sorrise. “Ovviamente è stato il primo a cui l’ho detto. Funziona così, no? È naturale che sia il padre a saperlo per primo.” Il suo sorriso disarmò totalmente Elisa, facendola commuovere. Per lei non fu così, anzi, probabilmente il padre di Sofia fu proprio l’ultimo a sapere della sua presenza dentro di lei.

“Sono così contenta…”

“Non metterti a piangere, Elisa, suvvia! Sono cose che succedono! Anche a te è successo!” cercò di distrarla, probabilmente più perché altrimenti avrebbe attirato l’attenzione degli altri, e Cristina non era una persona che amava attirare l’attenzione su di sé, ma forse anche perché presto anche lei si sarebbe messa a piangere dalla commozione.

In quel momento, Elisa sentì ancora di più la mancanza di Francesco: lui era solito prenderla sempre in giro quando si commuoveva per cose del genere. L’essere da sola, il sentirlo così lontano, le fecero venire voglia di averlo invece vicino a sé, magari a stringerla come aveva sempre fatto per anni al suo rientro a casa, a farle un bel massaggio sulle spalle. Le mancava terribilmente.

Decise che quella sera gli avrebbe parlato.

________________________________________

Ok, probabilmente avrete dato questa storia per morta e sepolta... Ma non è così! È lenta nell'aggiornamento, ma esiste e persiste in tutto il suo splendore! (Ovviamente io sono di parte! Eheh!)

Ad ogni modo, il legame tra Francesco ed Elisa è sempre più complicato. Sembra un gomitolo di lana caduto per terra e vittima di teneri giochi felini che l'hanno portato ad ingarbugliarsi il più possibile, creando nodi stretti e irrisolvibili. Certamente anche loro stessi ci mettono un bell'impegno per crearsi questi problemi, eh!

Ma sappiate che prima o poi si chiariranno tutti! Sono testardi, quindi ci vorrà un po' prima che i personaggi decidano di parlarsi apertamente, senza la paura di esporre le proprie emozioni, ma alla fine ce la faranno! Ne sono sicura! ;)

 

E detto questo, ringrazio come sempre Brezza, che continua a seguirmi e a farmi sempre contenta con i suoi commenti!

 

Un saluto a tutti! Ed al prossimo capitolo!

 

S.P.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** XXX ***


Nuova pagina 1

 

“Elisa, sei sicura che sia tutto a posto?”

“Sì, sì, certo.” No, non era vero. Niente era a posto in quel periodo, ma che avrebbe dovuto dirgli? Ah, Marco, lo sai che io e Francesco abbiamo quasi fatto sesso?

“Ti vedo strana, ultimamente.” Marco pareva veramente preoccupato e come al solito, la sua preoccupazione non faceva che infastidire Elisa. Quando realizzò la cosa, le sembrò di essere addirittura più meschina: Marco le dava fastidio.

“Eh, sì, forse, sai, è per il lavoro…” buttò lì, accorgendosi troppo tardi che aveva imboccato una strada irta di spine.

“Già, il lavoro.” Bubbolò Marco, aumentando la velocità. Avevano appena finito di cenare in un ristorante fuori città, bello, elegante, ma niente di cui Elisa avesse veramente voglia. Lo faceva perché sapeva che a Marco piaceva.

“Cosa mi racconti, allora?” cercò di cambiare argomento lei, senza nemmeno sapere su cosa andare a vertere. Era paradossale non riuscire a trovare un qualunque spunto per una conversazione. Non volle iniziare a pensare il peggio, ma forse questo suo atteggiamento era dovuto al peso che si sentiva sulle spalle, no? L’unica cosa che aveva in testa era quel suo tradimento, non riusciva a pensare ad altro, era un chiodo fisso da giorni, forse settimane – fortunatamente non si erano visti così spesso da fargli notare quel suo atteggiamento.

“Cosa vuol dire?” ridacchiò Marco, sebbene la sua voce suonasse di un tono quasi incredulo. “Ti ho raccontato tutto quello che ho fatto in ufficio, dei miei genitori che hanno deciso di partire per una crociera sul Nilo e dello studio che ha vinto una grossa causa, che avrei dovuto dirti di più?”

“Ah, no, no, certo, era per fare conversazione…” Elisa seguì la sua falsa risata e si mise a guardare fuori dal finestrino, chiudendosi in un silenzio un po’ imposto, un po’ inevitabile. Erano a corto di argomenti. Non era mai successo. Dopo nemmeno solo un anno, non sapevano nemmeno più di cosa parlare. O meglio: il suo cervello sembrava non riuscire ad elaborare nient’altro che un pensiero. Si odiava. Marco non si meritava tutto questo.

Intanto la macchina scorreva sulla strada illuminata dalla luce dei lampioni, silenziosa e veloce. Forse passarono minuti, forse no, ma nessuno dei due emise più un suono durante la via del ritorno.

Elisa avrebbe passato la notte da Marco, ma vista la tensione che sembrava esserci tra loro, non sapeva nemmeno più se ne avesse voglia. Questi pensieri di improvviso allontanamento da lui le fecero paura.

Arrivarono a destinazione e sempre nel silenzio, Marco parcheggiò, scese ed aprì la portiera ad Elisa, con la solita galanteria mista ad eleganza. Salirono all’ultimo piano della palazzina medievale perfettamente ristrutturata in cui abitava Marco ed entrarono nell’appartamento.

Non appena la porta si chiuse e loro si tolsero i cappotti, Marco sospirò, quasi fosse esausto.

“Elisa, dobbiamo parlare.”

Elisa si pietrificò. Marco non aveva mai pronunciato quelle parole. Mai. E sebbene non fosse il momento giusto per pensare una cosa del genere, capì perché i ragazzi guardassero a quelle parole come al male: in un attimo le passarono davanti agli occhi gli ultimi avvenimenti, sentendosi addosso tutto il peso di ciò che aveva fatto. Cosa le avrebbe detto Marco? Se n’era accorto? Aveva sentito qualcuno parlare della cosa? Chi? E come? Lei ne aveva parlato solo con Francesco! Che gliel’avesse detto lui? No, non sarebbe da lui.

Marco le fece segno di accomodarsi sul divano del salotto, mentre lui si sedette sulla poltrona poco distante, quasi a voler guardarla meglio negli occhi. Elisa si accomodò, il cuore con i battiti accelerati.

“Elisa, ascolta,” fece una pausa, quasi a cercare le parole migliori, anche se Elisa supponeva che ci avesse già pensato per tutto il tragitto. “Sei strana in questo periodo. Voglio dire, sei sempre stata strana a modo tuo, ma ora sei proprio… Non sei più tu.” Elisa lo guardò soffrendo. “Sei assente, sei evasiva…”

“Marco, mi dispiace…”

“Sì, lo so, ma vedi…” fece un’altra pausa. “Io ci sto male.”

Fu come un colpo al cuore.

“Io non so se voglio andare avanti così. E ho dei dubbi su di noi.”

Elisa boccheggiò in cerca di parole che non trovava, voleva dirgli tutto, voleva togliersi questo peso, ma sapeva che se avesse parlato, allora, sì, quella sarebbe stata veramente la fine. Cosa poteva dire per spiegarsi, per fargli capire che non voleva veramente arrivare a quel punto? E senza volerlo, le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi.

“È un po’ che ci penso,” continuò Marco. “Anche la storia con Francesco, il tuo non volermi mai dire niente di voi… Io capisco il perché, me l’hai detto più volte, ma per quanto io mi sforzi – cerca di capirmi – purtroppo non ce la faccio. Sono geloso. Tu con lui hai un rapporto che non hai con me, e mi sento escluso da questo rapporto. Paradossalmente, mi sembra che per quanto io possa aver provato a capirti, tu non abbia mai provato a capire me. E sono pensieri che finalmente mi sono deciso a dirti, perché tutte le volte che litighiamo per queste cose, alla fine, sì, facciamo pace, ma è un qualcosa che non superiamo mai, facciamo solo finta che non ci sia. È un problema che rimane sempre esattamente lì, tra di noi.”

“Marco, io…” ma non seppe come continuare.

“Cosa?”

“Io…” piangeva nel silenzio lasciato dalle parole di Marco. Lo sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, ma aveva sempre negato quella sensazione, aveva sempre fatto finta che non fosse vero, che magari la situazione fosse recuperabile. Mentre ora, sentirsi addirittura dire che lei non voleva capirlo… Era come se tutto le stesse scivolando via dalle mani senza la possibilità di cercare una soluzione. E la possibilità se la negava lei stessa, non riuscendo ad essere sincera con lui.

“Elisa, hai qualcosa da dire?” Non era un tono di sfida, era quasi un incoraggiamento a parlare, come se anche lui volesse che lei lo facesse per salvare la loro relazione.

“Sì, e non so da dove partire…” Disse soltanto.

“Abbiamo tutto il tempo…”

“Mi…” tirò su col naso. “Mi stai lasciando?”

“Non lo so.”

Si sentì mancare il fiato.

“Io non vorrei, ma sto male in questa situazione. E purtroppo non ti vedo fare niente per sistemarla.”

“Marco, io…” Lui la guardò, aspettando che lei finisse il discorso, ma dalla sua bocca non uscirono che singhiozzi. “Io non volevo che andasse a finire così!” pianse. “Io ho sempre fatto solo quello che credevo giusto per noi! Non ti ho mai voluto parlare di Francesco perché lui non c’entra niente con noi – quante volte te l’ho detto? Sei tu che non mi capisci!” non erano quelle le parole che voleva dire, e non era assolutamente il tono accusatorio quello che voleva usare, ma quelle parole le scapparono come cavalli indòmiti contro il viso ferito di Marco. “Francesco fa parte della mia vita come te! Perché non capisci? E perché finiamo sempre a parlare di lui? Lo capisci che sei tu la persona che amo?”

Anche Marco si mise a piangere, ed Elisa pianse ancora di più nel vedere la sua reazione. Era un uomo grande e grosso, e vederlo così affranto le faceva più male che le sue parole. Quel suo pianto era il segno che anche lui aveva sofferto in quelle settimane, che anche lui era stato tormentato dai pensieri. Ed era tutta colpa di Elisa: lei questo non riusciva a perdonarselo.

“Scusa…” Elisa si trascinò fino a lui e l’abbracciò, cercando di fargli capire quanto potesse essere importante per lei averlo vicino. “Scusa…” Avrebbe voluto che quell’abbraccio potesse infondergli quelle certezze che lui cercava e lei non riusciva a dargli. Lei doveva crescere e capire che non aveva bisogno di Francesco, ma di una figura solida e sicura che l’avrebbe protetta dal mondo e non lasciata confusa in mezzo ad un mare di emozioni. Lei doveva aver bisogno di Marco. “Scusa…”

Si abbracciarono. Davvero. Sinceramente. Non si dissero più niente, solo piansero. Marco si alzò e si sedette sul divano vicino ad Elisa e l’abbracciò ancor più stretta, un abbraccio che sapeva ci pace, ma anche di addio.

 

***

 

Erano ben sette giorni, una settimana. Ben una settimana in cui lei e Francesco si rivolgevano giusto quelle dieci parole giornaliere, senza preoccuparsi più l’uno dell’altro. Era strano. Forse la cosa più strana che avrebbe mai potuto pensare. Certo, non che fosse il suo punto fisso – era stata con Marco almeno la metà del tempo di quell’ultimo periodo – ma lavorare con lui e passare quelle serate in sua presenza senza parlare era straziante. Ma forse, più che straziante, era, appunto, strano. Strano perché per anni si erano detti tutto. Anche quando litigarono pesantemente, prima della nascita di Sofia, tutto sommato non avevano fatto altro che urlarsi contro offese di ogni genere, ma finita la sfuriata occasionale, tornavano a considerarsi civilmente, sebbene con vari messaggi subliminari, tra i quali l’abusatissima alzata del dito medio in ogni occasione.

Questa era la prima volta che i loro rapporti non oltrepassavano la semplice educazione. Certo, lei avrebbe voluto che tutto tornasse come prima, ma come avrebbe potuto?

Se non altro, però, si disse, avrebbe potuto iniziare col parlarne.

“France…” sussurrò una volta a letto. Dormivano dandosi le spalle. Non si voltò, volle solo appurare che lui fosse sveglio.

“Dimmi.” Era sveglio.

“Come va?”

“Va.”

“Ok…”

E tutto si interruppe.

“Tu come stai?” chiese dopo un po’ lui.

“Non benissimo.”

Lui non disse niente.

“Mi manchi.” Confessò Elisa.

Si sarebbe aspettata che lui si girasse e l’abbracciasse, ma non successe niente. Erano ancora schiena contro schiena, nessuno dei due accennava a fare un movimento. Forse era davvero meglio così…

“Sai,” continuò. “Oggi ho parlato con Cristina: è incinta.” Come parlare ad un muro. “Mi ha fatto tornare in mente quando nacque Sofi.” Soffiò un sorriso. “Ero diventata un cocomero coi piedi da ippopotamo. Lei è troppo perfetta per potersi trasformare così – non riesco a vedercela. Era proprio felice, però, quando me l’ha detto. Io invece ricordo che mi sentii mancare, non ero decisamente pronta ad una cosa del genere. Lei dice che Giacomo sia felicissimo, è stato il primo a saperlo. Invece ricordo che tu fosti l’ultimo – chi te lo disse? Chiara? O te lo urlai io? Non ricordo… Non eravamo pronti, nessuno dei due lo era. Eppure, se vedo Sofia ora, secondo me abbiamo proprio fatto un buon lavoro. È bellissima e perfetta. Secondo me ce la invidiano.” Sorrise ancora, orgogliosa. “Però, sai?” deglutì. “Forse tutto questo è veramente sbagliato. Forse la nostra situazione è veramente assurda. Non voglio che lei cresca male per colpa nostra. Dopotutto noi non siamo una famiglia, io e te non siamo sposati e non credo che lo saremo mai. Non so nemmeno se possa esistere una situazione come la nostra, paragonabile alla vita che facciamo noi. Alla fine, la nostra è tutta apparenza. Io sono la madre e tu sei il padre, ma non stiamo insieme e fingiamo di essere una perfetta famiglia felice. E invece dietro a tutto questo tu hai i tuoi problemi con un’altra donna, io ho i miei con Marco e Sofia crede invece che sia tutto normale. O forse ancora non se ne rende conto. E allora perché farle credere che tutto questo vada bene così? Forse siamo ancora in tempo per porre rimedio a tutto questo…” dove la stavano portando quei pensieri? Li aveva sempre avuti? “Dopotutto, come puoi spiegare ad una bambina di quattro anni che la mamma ed il papà non si amano come una mamma ed un papà normali? Che hanno ognuno qualcun altro da amare? Sì, certo, ci sono molti bambini con i genitori separati, divorziati… Ma noi viviamo tutti insieme sotto lo stesso tetto. È un po’ come se la prendessimo in giro, non ti pare? E mi domando se sia giusto tutto questo. Forse ha veramente ragione mia madre… Forse ho sbagliato tutto nella vita. Però, a me non sembra di averlo fatto. Voglio dire, dal punto di vista di un estraneo, posso capire che non sia una situazione semplice – anche per noi che ci siamo dentro non è facile destreggiarci – però non mi sembra che Sofia ne risenta. Lei è felice. Perché rovinare tutto? Eppure, se ci penso, mi sento in mezzo a due fuochi e non so cosa fare: forse sto facendo tutto per egoismo. Forse sono solo io che voglio continuare questa situazione, questa recita, ed in realtà dovrei smetterla. Avrei magari dovuto smetterla già anni fa. Probabilmente non avrei dovuto nemmeno dirti che ero incinta, lasciarti perdere da subito e fare come se non ti avessi mai incontrato, sperare che tu non ti accorgessi di niente e non ti sentissi responsabile per quel che era successo. Però è anche vero che io sono contenta di come siano andate le cose. Forse sono veramente egoista. E alla fine di tutto, è Marco quello che ne risente di più. Certe volte mi sembra proprio che lui non mi meriti. Io faccio veramente di tutto per tenerlo lontano da questa situazione, ma lui sembra non capire. Sembra invece che ne voglia fare parte. Ma come può voler far parte di una situazione incasinata come la nostra?” ora aveva il nodo alla gola e la voce le tremava. “Come può voler stare con me, quando alla prima occasione potrei tradirlo con te? Lui non si merita niente di tutto questo. Lui è troppo buono per stare con me… Eppure se penso che potrebbe lasciarmi, mi sento presa dal panico. Io non voglio che mi lasci. Io lo amo. Ma non voglio nemmeno cambiare le cose, perché prima tutto andava bene. In questo ultimo periodo, invece, tutto cade a rotoli. Prima io e lui stavamo bene, non c’erano problemi, ora invece, qualunque cosa dica o faccia, mi sembra di prenderlo in giro e finiamo sempre per litigare. E anche noi due. Prima andava tutto bene… Cosa è successo? Perché siamo arrivati ad una cosa simile?” ricacciò indietro le lacrime. “France, noi abbiamo quasi fatto sesso. Di nuovo. E questa volta è più grave, perché prima siamo sempre stati soli, ora io non lo sono più, ora io sto con Marco. E voglio continuare a stare con lui, ma questa storia si è incrinata a causa di tutta una serie di piccoli dettagli che mi si sono ritorti contro. Io ho sempre volutamente evitato di parlare di te, del tuo lavoro e delle nostre chiacchierate, dei tuoi massaggi, dei tuoi abbracci, ma pare che più il tempo passi, più tutto questo non faccia altro che rovinare la mia relazione con lui. E pensare che io ho fatto tutto questo perché invece succedesse l’esatto contrario. Lui pare che non lo capisca. Lui pensa che io abbia fatto tutto questo per nascondergli una qualche relazione segreta con te. Lui soffre di questa situazione e non è giusto. Non lo merita davvero. E forse non merita nemmeno me, perché io sono questo casino. Sono io che ho proposto questa cosa, ho proposto io di vivere tutti insieme come una famiglia… Ma perché mi sentivo sola! Avevo bisogno di te, di averti vicino! E tu ci sei sempre stato!” purtroppo le lacrime vinsero sulla sua forza di volontà, e lei si rannicchiò tra le coperte, coprendosi il viso col lenzuolo, come per sparire. “Ci sei sempre stato per me e per Sofia. Perché allora dovrei allontanarti? Anche tu hai fatto dei sacrifici! Anche per te non è stato facile vivere in questo modo! Lo capisco! Ma abbiamo affrontato insieme tutti i momenti brutti, e abbiamo affrontato insieme anche quelli belli! E ora siamo arrivati a non parlarci più. E tutto per una voglia cieca e insensata! È questo che non capisco! Perché? Perché siamo arrivati a fare una cosa del genere? Ci piace rovinarci la vita? Perché non possiamo semplicemente fare finta che non sia successo niente e tornare a come eravamo prima? Senza alcun attrito tra di noi. È vero, alla fine non abbiamo fatto sesso, ma ci siamo andati vicini, ci siamo baciati… E questo è tradimento! Questo Marco non deve saperlo! Ma io non voglio nascondergli le cose, non voglio più nascondergli niente. E visto che ancora non siamo riusciti a risolvere i nostri problemi, io non voglio dirgli cosa sia successo. Peggiorerebbe inevitabilmente tutto. È ovvio che sia così! Chi è lo stupido che nonostante un tradimento continuerebbe a voler stare con qualcuno? Per quanto Marco sia buono, non se lo merita. Non voglio che lo sappia…” Tirò su col naso. “Mi sento un’egoista, un’ipocrita… Lui non se lo merita…” e il pianto ebbe il sopravvento. Si era veramente sfogata di tutto, qualunque cosa le passasse per la mente l’aveva espressa senza pensarci due volte.

Strinse il lenzuolo tra le mani, vinta dai singhiozzi e da una certa stanchezza, sebbene non seppe spiegarsi il motivo anche di una velata leggerezza. In fondo, forse, le aveva fatto bene sfogarsi, ma non aveva portato a niente. Certo, che si aspettava? Che lo sfogo potesse riparare a tutti problemi?

No, certamente, però intanto sembrava che uno ne trovasse soluzione, perché sentì Francesco voltarsi verso di lei ed abbracciarla da dietro. Non disse niente – magari proprio perché non c’era niente da dire, ma stette fermo così, dietro di lei, abbracciandola, finché lei non parve calmarsi, per poi lasciarsi cullare dal tepore e dalla presenza di Francesco, concedendosi il sonno che prima sembrava quasi impossibile da raggiungere.

__________________________________________________________________

Eccomi!

Ok, gente, questo capitolo è abbastanza pesante, ma effettivamente la situazione non poteva continuare ad essere allegra e scherzosa. Tra le vite dei nostri personaggi si annidano anche scene tristi come queste, purtroppo. Elisa, soprattutto, sta passando davvero un periodo molto brutto, poverina...! Certo, anche a France capitò di non stare bene, se vi ricordate, ma loro due hanno un modo di affrontare i problemi decisamente diverso: mentre France, non si sa come, riusciva a gestire bene o male la situazione, Elisa ora si fa irrimediabilmente coinvolgere da tutte le emozioni, senza riuscire più a capire niente...

Non so se capita anche a voi, quando i problemi sembrano arrivare tutti insieme: passate periodi tranquilli, sereni e tutt'a un tratto, ecco che da ogni fronte iniziate a vedere dei nuvoloni grigi di pioggia, che alla fine formano tutti insieme una grande tempesta.

Be', questa è la tempesta di Elisa.

 

E detto questo, ringrazio come al solito Brezza, che come sempre non manca mai dal commentare i capitoli (Grazie, grazie, grazie!) e saluto tutti gli altri lettori silenziosi che noto comunque seguire questa storia. Spero che nonostante questi capitoli un po' più cupi - ed i miei mostruosi ritardi - non mi abbandoniate!

 

Al prossimo capitolo!

 

S.P.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** XXXI ***


Quella mattina sembrava un giorn

Quella mattina sembrava un giorno di tanti anni fa, quando svegliandosi affianco a lui, tutto sembrava superabile e per niente importante. In realtà non era così, ma quella sensazione al risveglio sembrò placare ogni ansia. Il ricordo dei giorni precedenti sembravano lontani e annebbiati, come se fossero successi chissà quanto tempo prima. Francesco dormiva dandole le spalle, ma lei non sentiva più quell’aria di oppressione, anzi, si sentiva tranquilla.

Si girò e accese l’abat-jour, sapendo che Francesco odiava essere svegliato dalla forte luce della stanza. Guardò la sveglia e vide che erano soltanto le sette – nello specifico le sei e cinquantasette, la sveglia ancora non aveva suonato, ma sarebbe stata questione di minuti.

Si alzò e si infilò la vestaglia per il leggero freddo che si sentiva addosso, andò in bagno, fece una doccia veloce e al ritorno trovò Francesco nel suo tentativo di risveglio tra mugolii e stiracchiamenti.

“Buongiorno.” Lo salutò, avvicinandosi all’armadio per prendere la biancheria pulita.

“Buongiorno.” Si lamentò lui, tenendo ancora gli occhi chiusi. “Hai lasciato suonare la sveglia ad oltranza, Eli. Hai rischiato che la schiantassi contro il muro.” Mormorò con tono sfinito e falsamente minaccioso.

“Mi sono svegliata prima ed ero andata a fare la doccia, mica ho attentato alla tua vita!”
“Ma sei sempre tu a spengerla! Invece oggi mi hai lasciato in balìa del tuo Bellamy, accidenti a lui!”

“Non offendere Matthew!” replicò lei, altezzosa. “E poi immagino quanto sforzo ti sia costato, eh!” lo prese in giro. Poi si sedette sul suo lato del letto, illuminato dalla fioca luce dell’abat-jour e si spogliò, per afferrare il barattolo della crema anticellulite. Quello scambio di battute la fece sorridere: sembrava che tutto fosse tornato come prima.

“Lo sai che quella roba non servirà mai a niente, vero?” Si insinuò lui tra i suoi pensieri.

“E che te ne frega?”

“Era semplicemente un’osservazione. Alla fine spendi un sacco di soldi per un prodotto inutile. La cellulite sarà parte di te per sempre.” Il coperchio del barattolo colpì la testa di Francesco come risposta. “Ahi! Potevi colpirmi in un occhio!”

“Così non mi avresti più rotto le palle con le tue osservazioni, non vedendo!”

“Resta il fatto che abbia ragione!” Rise lui, rendendole senza forza il coperchio, colpendola alla schiena nuda. “Uhm, comunque noto che hai messo su un po’ di ciccia, eh, Eli!”

Elisa si voltò di scatto, tra lo sdegnato e l’infuriato, ricordandosi solo dopo di essere senza reggiseno. Si coprì con le mani e si rivoltò dall’altra parte. “Imbecille! Fatti i cazzi tuoi!”

“Eh, ma quando ti toccavo i fianchi,” continuò lui divertito. “Non erano così. Certo, li hai sempre avuti belli rotondi, ma ora…!”

“Smettila!” soffiò un urlo, allungando furiosamente un braccio all’indietro, alla cieca, cercando di colpirlo con qualche sonoro schiaffo. “E poi non devi essere tu a commentare i miei fianchi!”

“Era a puro titolo informativo!” ridacchiò. “Marco non avrebbe mai il coraggio di dirtelo!”

“Lascia in pace Marco!”

“Ma almeno sono sincero! Apprezza!”

“Sono sincera pure io: sei un imbecille!”

“Però ti piace, questo imbecille, vero?”

“Stronzo.” Sibilò Elisa, infilandosi il reggiseno per avere una minima copertura dai suoi occhi e riprendendo a spalmarsi la crema sulle cosce.

“E dillo!” le si avvicinò, punzecchiandola sulla schiena ancora scoperta.

“Piantala!” lo scacciò come una mosca fastidiosa. “Accidenti a me! Devo imparare a vestirmi in bagno! Nemmeno fossi una prigioniera in casa!”

“Uh, ti piaccio!”

“Ma perché non torni a rompere le palle a Daniela?” si scostò, andando a spegnere la luce, per poter negare a Francesco ulteriori battute.

Forse fu il nero della stanza, forse fu quella frase a coglierlo alla sprovvista, che Francesco rimase un attimo in silenzio e poi rispose: “Forse hai ragione.” Ammise. “Dovrei darle la possibilità di parlare.”

“Be’, alla fine era quello che volevi tu da lei.”

“Già, ma sai cosa ho capito in questi giorni?” Elisa mugolò per portarlo a continuare. “Che in realtà credo non mi importi più granché di lei.”

“Come puoi dirlo?” Si sedette nuovamente sul letto. Francesco era arretrato verso il suo lato del letto e sembrava intenzionato a rimanerci. “È passata solo qualche settimana dacché non vi sentite più.”

“Appunto.” Convenne lui. “E non è strano che solo dopo così poco tempo io dica una cosa del genere?” Elisa annuì. “Per questo dico che forse non mi importa così tanto di lei. Altrimenti ora sarei ancora qui a pensare che mi manca e che vorrei fare qualcosa per lei.” Elisa pensò che effettivamente il suo ragionamento non fosse così tanto campato per aria. Aveva un senso. Anche se triste. “Mi ricordo che quando decidemmo di lasciarci -” Elisa si schiarì la voce con fare scocciato e Francesco capì. “Sì, ok, quando ti lasciai, mi ricordo che pensai alla cosa per molto più tempo.”

“Che c’entra? Erano altri tempi e il nostro rapporto magari era differente. Mi dicesti che era la prima volta che provavi ad avere una storia duratura con una persona. Ci sta che fossi confuso.” Le sue parole nascosero tuttavia una certa quantità di vanto. Purtroppo questo paragonarsi a Daniela era qualcosa che nonostante tutto rimaneva radicato in lei.

“Forse hai ragione, ma questo mio menefreghismo mi fa pensare.”

“Non so cosa dirti, France…” Finì di infilarsi la biancheria e riaccese la luce. Il volto di Francesco però non era triste come lei avrebbe pensato che fosse. Anzi, era stranamente tranquillo. “L’unica cosa che mi viene da farti notare, però, è che tutti avrebbero bisogno di dire ciò che pensano. Il fatto che Daniela non te l’abbia permesso, non significa che anche tu debba comportarti come lei.” Francesco la guardava come se cercasse di indagare il vero senso di quelle parole. “Alla fine cosa potrebbe mai succedere? O cambi idea, ed allora potresti esserne felice, oppure semplicemente perderesti giusto qualche ora in sua compagnia e capiresti che quello che pensi è giusto e ne avresti semplicemente la conferma, no?”

Francesco continuò a scrutarla con quel suo fare enigmatico ed Elisa sperò di cavarsela. Non era affatto contenta di buttarlo nuovamente tra le braccia di Daniela. Lei non le era mai piaciuta. Avrebbe voluto pensare che lo facesse per il bene di Francesco, ricordandosi come fosse abbattuto quando le raccontò dell’accaduto, ma non era nemmeno per quello che le vennero fuori quelle parole. In cuor suo sapeva che le aveva pronunciate per se stessa, per lei e per Marco: se Francesco fosse tornato con Daniela, lei avrebbe potuto cercare di abituarsi all’idea e potersi finalmente dedicare con tutta se stessa a Marco. Senza ulteriori tentazioni.

 

***

 

“Sai, sono contento che tu me l’abbia chiesto.” Il sorriso di Marco in quel momento era più prezioso dell’oro. Dopo quella mostruosa discussione avuta qualche giorno prima, vederlo sorridere spensierato era magnifico. E poi aveva un bel sorriso, meritava di sorridere sempre, lui.

Erano andati a fare una passeggiata lungo il molo, quel pomeriggio, dopo il lavoro. Ormai Marco si era abituato all’idea che Elisa lavorasse con Francesco, o quanto meno non ne parlava più – cosa che effettivamente non significava proprio che gli andasse a genio, ma quanto meno che non ritirasse sempre fuori quella faccenda. Elisa gli aveva addirittura chiesto di farsi venire a prendere: una tattica alquanto subdola, ma pensava in questo modo di introdurlo poco alla volta in quel suo mondo, in modo da mostrargli esattamente quel che succedeva mentre lavorava. Ed infatti alle cinque spaccate di quella giornata il campanello dello studio aveva suonato, Elisa era andata ad aprirgli e l’aveva fatto salire ed accomodare – con Federica e Nicola che lo guardavano di soppiatto borbottando tra loro chissà cosa – mentre lei spengeva il computer e si rivestiva, pronta per uscire.

“Sei incredibile. Ti emozioni sempre per cose piccole piccole!” rise Elisa, mano nella mano, gustandosi il tramonto color arancio e rosso davanti a loro. Tra qualche minuto il sole sarebbe sparito oltre l’orizzonte e loro sarebbero partiti per tornare a casa, passando prima a riprendere Sofia dai nonni. Era stata una proposta di Elisa, l’aveva chiesto a Francesco per ogni evenienza, e Marco aveva accettato. Come pure Francesco, contrariamente a quel che potesse aspettarsi lei. Elisa era decisa a cambiare in meglio il rapporto con Marco. L’amava e voleva che lui pian piano entrasse a far parte anche della vita della piccola Sofia, e questo voleva dire fargliela vedere più spesso. Si sentiva egoista ad aver proposto a Francesco questa cosa, dal momento che con Daniela ancora le cose non sembravano sistemarsi – ed Elisa, in una minuscola parte di sé sospirava di sollievo per questo – e lei non avrebbe così dovuto dividere sua figlia anche con lei. Le chiamate di Daniela non cessavano, sebbene sembrassero essersi fatte più rade. E Francesco sembrava ancora intenzionato a non dargliela vinta. Ormai erano settimane – da denuncia! – che andava avanti questa storia ed  Elisa decise che non ne avrebbe più voluto sapere niente. Lei stava con Marco, e Marco meritava tutte le sue attenzioni, comprese quelle di Sofia. Per questo ora sarebbe andato con lei a prenderla, per poi accompagnarle a casa e salutarle – sebbene avesse già messo dei paletti per come salutarsi davanti agli occhi di Sofia.

“Per te saranno piccole cose, ma per me sono importantissime.” Le sorrise lui, abbracciandola e posando dolcemente le sue labbra su quelle di Elisa, come segno di riconoscimento.

Elisa era felice.

E quando il sole tramontò, loro si diressero verso la macchina di Marco, che guidò con una tranquillità invidiabile e giunsero alla casa dei nonni in nemmeno un quarto d’ora. Sapeva che con Sofia, avrebbe dovuto trattenersi, sicché prima di scendere lo guardò, gli sorrise e gli prese il viso tra le mani, avvicinandolo a sé. Lo baciò come non si erano baciati per tanto tempo, il cuore a mille. Poi si guardarono negli occhi e si sorrisero.

Quindi scesero e si incamminarono verso il portone, Elisa suonò e salirono non appena venne loro aperto.

Lei fu la prima a mettere piede nell’appartamento, davanti all’occhio vigile di Anna, che la guardava con aria seccata – indubbiamente riferendosi a quella mezz’ora di ritardo sull’orario previsto. Ma non appena anche Marco entrò nell’appartamento, Anna si illuminò e sorrise calorosamente all’ospite.

“Marco! Che bella sorpresa!”

“Salve, Anna, come sta?” Le dette due baci sulle guance e lei lo incitò ad accomodarsi, facendosi dare il cappotto. Elisa dovette fare tutto da sé.

“Oh, be’, insomma, ecco io -”

“Che succede, Anna? Chi c’è, che non ho sentito?” Luigi si affacciò da dietro la porta del salotto con Sofia in braccio, sorridendo ai due, mentre la piccola scalciava per farsi mettere a terra appena li vide. “Oh, salve, Marco, Elisa!”

“Mamma!” Sofia si fece prendere in braccio da lei e le dette un bacio sulla guancia. “Nonno mi ha portato a vedere i treni!” Elisa le rivolse un’espressione sorpresa ed euforica come la sua, per poi salutare e far presente che non si sarebbero trattenuti oltre.

“Oh, no, prego, prego accomodatevi in cucina, che vi offriamo qualcosa!” trillò Anna, come se avesse sempre fatto così in presenza di Elisa. Fece per farglielo notare, ma lo sguardo di suo padre la fece sospirare e deglutire l’osservazione.

“Grazie, Anna,” sorrise Marco. “Mi stava dicendo?”

“Che si va avanti con i nostri acciacchi, purtroppo.” Sospirò con espressione melodrammatica. “Vuoi una tazza di tè, Marco?”

“No, grazie, prenderò un bicchier d’acqua, ho un po’ la gola secca.” E rivolse uno sguardo ad Elisa, che per la prima volta notò una nota di malizia nei suoi commenti. Provò una sensazione forse ancor più potente della felicità. “Ma non dica così,” riprese lui. “Sembra in forma smagliante.”

“Tu sei un adulatore, Marco!” Ridacchiò Anna. “Luigi, perché non sei come lui?”

“Eh, perché non sono così?” schioccò la lingua lui, rassegnato, per poi lanciare uno sguardo divertito ad Elisa.

“Siamo vecchi, Marco, è normale che ci sia qualche acciacco alla nostra età.”

“Mamma, dài, non fare così, cambiamo discorso, eh, che dite?” non le piaceva sentire certe cose. Sapeva che i problemi di salute affliggevano tutte le persone anziane, ma il pensare a tutte le brutte cose che avevano i suoi genitori, le metteva solo tanta ansia.

“Perché vorresti cambiare discorso? È bene affrontare la realtà, Elisa. Ieri sono dovuta andare in ospedale per fare l’ennesimo controllo al cuore, visto che due mattine fa mi sono svegliata col fiatone e il cuore che batteva forte. Tuo padre ha dovuto chiamare subito il medico perché mi ero impaurita! Perché non dovrei parlarne?”

“Allora parlane, scusa…” sbuffò lei. Era inutile, lei non sarebbe mai entrata nelle sue grazie come Marco.

“Ma ora sta bene, Anna?” chiese Marco, preoccupato.

“Sì, sto bene, grazie per averlo chiesto, Marco, tu sì che sei una persona che si preoccupa per noi.”

Touché, pensò Elisa, aggrottando la fronte.

“Devo solamente prendere altre medicine. Non ne tengo più il conto, sono troppe. Prima o poi morirò per queste e non per i problemi che avrei senza!” e rise. Elisa trovò la battuta di pessimo gusto e non rise, mettendosi a fare il solletico alla piccola Sofia che si divertiva coi suoi capelli.

Quella conversazione durò altri dieci minuti, toccando argomenti come quello che avrebbe cucinato quella sera Anna, il rincaro dei prezzi nei supermercati, il fatto che ora tutti si dessero alla criminalità, che addirittura al telegiornale avevano fatto un servizio su una grande banda di ladri che sembrava imprendibile – questione che scatenò tutta una serie di avvertimenti e cautele da parte di Anna nei confronti di Marco: “Mi raccomando, non uscire mai da solo! Lo so che sei grande e forte, ma se ti succedesse qualcosa, non saprei che fare!”, facendo sbuffare Elisa, come se fosse normale preoccuparsi degli altri e non di lei. Poi Anna virò egregiamente su come fossero sempre lieti i giorni in cui aveva ospiti, perché nessuno andava mai a trovarla, facendo sentire in colpa persino il povero Marco, che si scuso per le sue assenze. “Ma no, Marco! Tu che colpa ne hai? Anzi, piuttosto è colpa di Elisa che non ti porta mai qui!”

Appunto.

Per grande gioia di Elisa, fortunatamente Sofia iniziò a brontolare per la fame ed Elisa colse al volo quell’interruzione. Salutò i genitori, come Marco e Sofia, e scesero, mentre Anna urlava dalle scale: “E torna a trovarci, Marco!”

“Poi dovrai spiegarmi come fai!” bubbolò lei, Sofia in braccio.

“Be’, io non ho avuto bambini a ventiquattr’anni.” Ridacchiò lui.

“Oh, oggi fai scintille con le battute! Che t’è successo?” lo sbeffeggiò.

“Sì, effettivamente mi sento ispirato. Perché, ti dispiace?”

“No, no, macché! Anzi!” lo rassicurò. Dopotutto era sempre Marco, pensò Elisa.

Salirono in macchina ed imboccarono la via di casa. Elisa era decisamente più che felice.

 

______________________________

Bu! Sono tornata! Scusate la mia assenza, spero che questo capitolo possa farmi perdonare - ancora!

Insomma, da nero a bianco: il capitolo scorso pareva una tragedia, mentre ora sembrano tutti felici e contenti. Che sia la fine di tutto? No, sarebbe una storia insulsa, quindi preparatevi bene: Winter is coming (giusto per citare una serie a caso).

 

Ad ogni modo, capitolo tranquillo, lo so, ma necessario - soprattutto dopo quello precedente.

E dunque, non ho molto altro da dire, sicché vi saluto tutti, ringraziando come sempre Brezza, che è sempre presente ad ogni mio aggiornamento, fedelissima sia a Francesco che ad Elisa! Grazie! :)

 

Un saluto comunque a tutti coloro che mi leggono!

 

Al prossimo capitolo!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** XXXII ***


Era veramente tentato di chiuder

Era veramente tentato di chiuderle quell’ennesima chiamata in faccia, ma si trattenne, sebbene lo facesse a stento.

“Ancora?” Gianluca lo guardò sbalordito. “Non mi capacito di tutta l’insistenza che sta dimostrando!” disse. “Guarda che magari è da apprezzare una così tanta determinazione in una ragazza, France.”

“Ho già pensato anche a questa, ma ci sono molte altre cose da considerare, non solo la sua determinazione, Gianlu.” E bevve un altro sorso di tè.

“Vero anche questo.” Sospirò lui. “A quante chiamate è arrivata?”

“Questa è la seconda della giornata.”

“Be’, per essere le tre, direi che si sta ridimensionando!” ridacchiò Federica, entrando nella loro stanza con una pennina usb. “Questa è l’ampliamento per i Bernardi, Nicola li ha chiamati mezz’ora fa per decidere un giorno in cui incontrarsi. Penso sia stato deciso Giovedì prossimo, a voi andrebbe bene?”

“Penso di sì.” Annuì Gianluca. “Non ricordo quando devo andare dai genitori di Marianna a pranzo – uno di questi giorni è il compleanno del fratello – ma tanto io non sono essenziale, l’importante è che ci sia Elisa.”

“Sì, sì, lei dovrebbe esserci, ora la chiamo e vi confermo.” Disse Francesco, finendo la sua tazza di tè. Prese il cellulare, evitò di considerare la chiamata senza risposta di Daniela e chiamò Elisa.

“Pronto?”

“Non guardi mai il display?”

“Stavo parlando con Chiara, che c’è?”

“Ci sei Giovedì prossimo?”

“Mattina o pomeriggio?”

“Mattina o pomeriggio?” chiese agli altri nello studio.

“Mattina o pomeriggio?” Urlò Federica a Nicola, nell’altra stanza.

“Mattina!” rispose lui, urlando.

“Mattina.” Ripeté Federica.

“Mattina.” Riferì Francesco divertito.

“Sì, ormai avevo capito dacché aveva risposto Nicola.” Ridacchiò anche lei.

“Allora, ci sei?”

“Sì, perché?”

“Ci sono i Bernardi, così gli mostriamo l’ampliamento che chiedevano.”

“Ah, perfetto! Sì, sì, ci sono!”

“D’accordo, ci si vede stasera, allora.”

Certo, che vuoi da cena?” si informò.

“Vuoi davvero metterti a cucinare?” chiese sbalordito Francesco. “Vuoi mandarci tutti all’ospedale? O vuoi incendiare la cucina? A cosa stai mirando? Sappi che non ho un soldo, non ricaverai niente dalla mia morte.”

Quanto sei scemo! Mi era venuta voglia di cucinare e volevo preparare qualcosa, ma se ti dimostri così scettico riguardo le mie capacità, allora muori di fame, tanto non siamo sposati e non me ne viene nulla lo stesso anche se morissi!”

“Che gentile!”

Dovere.”

“Dai, cucino io quando torno.”

“Come vuoi, ciao! Saluta gli altri!”

“Ok, tu saluta l’antipatica lì con te. Ciao.” E buttò giù, sentendo di sottofondo un “Vanni merda” inneggiato da Chiara.

Il silenzio creatosi nella stanza gli puzzò abbastanza da fargli tirare su lo sguardo e osservarsi attorno. Fede e Gianluca si guardavano, mentre Nicola era affacciato alla porta che scrutava la situazione.

“Accidenti, Vanni…” mormorò Federica, il tono tra il divertito e il pauroso. “Ma ti sei sentito mentre parlavi con Elisa?”

Francesco lì guardò uno per uno con uno sguardo esausto. “Su, fuoco a volontà.” Roteò gli occhi.

“Dillo tu.” Fede dette una gomitata a Gianluca, che gliela ridette mormorando: “No, dillo tu!”

“O ditelo e fatela finita.” Sospirò Francesco.

“Sembravate una coppia sposata!”

“No, sembravamo una coppia che ha una figlia e che vive insieme da anni, ormai.” La corresse. Non aveva voglia di sentirsi dire certe cose. Sembrava che tutto avesse un peso diverso dacché Elisa gli aveva parlato quella notte di ormai quasi una settimana fa.

“No, caro Vanni. Ti conosciamo da anni e non ti avevamo mai sentito fare una conversazione così con lei.” Continuò imperterrita Federica, incrociando le braccia al petto e alzando il naso in aria.

“Pensala come vuoi.”

“Certo!” ribatté Federica, mentre Francesco si rimetteva a lavorare al computer per isolarsi dai loro commenti. Purtroppo quel silenzio che aleggiava nella stanza lo infastidiva quasi più dei loro discorsi.

“Oh! Insomma, dite quello che volete e poi andatevene!” sbottò.

“Non è un amore, il Vanni, quando si innervosisce?” ridacchiò Federica, prendendosi le mani e mettendole sotto il mento con fare sognatore.

“Ti ammazzo.” Sibilò Francesco.

“Tornando seri,” tossì Gianluca. “La domanda è questa: perché sei così con Elisa e non con Daniela? Da dove arriva tutta questa tua apprensione per lei, mentre l’altra la snobbi come se non sapessi nemmeno chi sia?”

Francesco si ammutolì. Ma che cazzo! Saranno stati affari suoi? Perché quei tre dovevano sempre impicciarsi degli affari che non li riguardavano? “Perché con Daniela è finita, mentre con Elisa ci vivo.”

“E basta?” lo sguardo di Gianluca era micidiale. Colpito. E affondato. Al solito. Che palle!

“Ok, ora mi avete rotto le palle.” Sospirò. “Sapete cosa? Alla prossima chiamata di quell’altra, allora rispondo, ok? Così sarete tutti più felici e smetterete di rompermi le palle con questi stupidi discorsi. Che dovrei fare? Non considerare più Elisa? Mica è colpa sua se comunque dobbiamo mangiare. Aveva proposto lei di cucinare qualcosa, mica io! Io ho semplicemente detto che avrei potuto farlo io perché so che lei -”

Il telefono squillò e Francesco sudò freddo. Il silenzio non accennava a svanire e Francesco si sentì gli occhi di tutti e tre puntati addosso ad intermittenza: lui ed il cellulare. Il cellulare e lui. E il suono metallico della suoneria preimpostata che lui non aveva mai avuto voglia di cambiare, era incessante. Sembrava aumentare di volume, trapanargli le orecchie.

“E che cazzo! Ok, avete vinto!” prese il telefono. Tanto prima o poi avrebbe dovuto per forza parlarle. Era l’ora che anche lei capisse che tra loro era finita. Totalmente. E che non poteva molestarlo con tutte quelle chiamate al giorno. Sarebbe andato a chiedere un’ordinanza restrittiva!

Premette il tasto d’attivazione della chiamata e si portò il cellulare all’orecchio, guardando in cagnesco gli altri presenti nella stanza, che recepirono il messaggio senza ulteriori ammonimenti. Uscirono quasi di corsa dalla stanza e chiusero la porta, sebbene Francesco poté immaginarseli accostati contro la porta, magari con dei bicchieri, ad origliare.

“Pronto.” Rispose tendente allo scocciato.

France…?” la voce di Daniela tentennò, come colta alla sprovvista. Be’, poteva immaginarselo: non le aveva risposto per settimane, lasciando che lei chiamasse senza sosta.

“Che c’è?”

“Sei arrabbiato?”

“Sinceramente non so come dovrebbe sentirsi una persona perseguitata da tutte quelle tue telefonate al giorno. Arrabbiata, infastidita, esaurita, disturbata, seccata, molestata, scocciata, incazzata – ti bastano?”

Scusa…” il tono così lieve lo fece sospirare.

“Dimmi che vuoi, su.”

Io?” balbettò lei.

“Be’, non ho chiamato io.”

Sei freddo.” Lui non rispose e lei continuò dopo un po’. “Ascolta, possiamo vederci per parlare?”

“Perché dovrei dirti di sì, visto quel che hai fatto tu?”

Vuoi abbassarti al mio livello?” mugolò. Era strano sentirla così remissiva.

“In realtà non volevo proprio risponderti.” Era cattivo, lo sapeva. Ma era incazzato con gli altri che origliavano e con lei che lo aveva perseguitato per settimane. Effettivamente cosa gli aveva impedito di denunciarla?

Poi sospirò. Lui non era una persona cattiva, era solo arrabbiato. Un po’ con tutti e anche con se stesso per essersi arrabbiato con tutti. Lo infastidiva reagire d’istinto senza sapere perché. E reagiva d’istinto proprio perché non capiva cosa avesse in testa. Perché si comportava così?

Dopotutto anche Elisa gli aveva detto di dare una seconda possibilità a Daniela. O quanto meno di vedersi per parlare. Già, lei gliel’aveva detto. Gli dava fastidio.

Si avvicinò alla porta e dette un sonoro schiaffo contro il legno, sentendo tre diversi “ahi!” dall’altra parte. Ok, quelli avevano ricevuto la punizione che meritavano. Ora poteva calmarsi un po’ e tornare se stesso.

“Scusa,” disse. “È che questa situazione mi scoccia.” Ecco, ora andava meglio.

Capisco…” mormorò tristemente. Non sembrava nemmeno lei.

“Comunque,” si schiarì la voce. “Ok, volevi parlare.” Riprese il discorso. “Va bene, dimmi dove e quando e parleremo.”

Davvero?” sembrò rianimata.

“Sì.” Ma lui non aggiunse altro. Dentro di sé sapeva di accontentarla senza volontà. Ok, voleva parlare e avrebbero parlato. Ma era inutile dire altro, non sarebbero state belle cose. O almeno, non per lei. Lui forse avrebbe almeno risolto questo problema.

Si sentì un po’ una merda a considerare Daniela un problema, ma era anche vero che ultimamente si sentiva così tanti pensieri addosso che non aveva né voglia né l’intenzione di occuparsi anche di lei. Semplicemente lei non era tra i suoi pensieri – tranne quelle volte che il cellulare squillava, e comunque non erano bei pensieri, quelli.

Oh, ok,” borbottò lei, come un bambino insicuro dei propri passi. “Dove vuoi andare?

“Un qualunque bar andrà bene.”

Ah, un bar…

“Be’, che ti aspettavi? Una cena?”

Daniela non rispose. Sì, si aspettava una cena. Ma lui non se la sentiva: se la serata fosse andata male – e lui sapeva che per lei sarebbe andata male – loro avrebbero dovuto continuare a stare insieme per tutta un’interminabile cena a guardarsi mangiare sapendo già la conclusione di quell’uscita. Non era il caso, sarebbe stato solo imbarazzante ed inutile. Perché stare male per una stronzata?

“Che ne dici di vederci domani alle cinque al bar vicino a casa tua?”

Ah, domani alle cinque” forse aveva un impegno. “No, dài, ok, alle cinque al Bar di Gianni va bene.”

“Se hai da fare, si rimanda.”

No, no, non ho da fare.” Mentiva, Francesco lo sapeva. Trapelava l’insicurezza dal tono delle parole.

“Ok, allora a domani.”

Ok.”

“Ciao.”

Ciao.”

E chiuse la chiamata. Niente di più e niente di meno.

___________________________________________________________

Ehi! Gente, sono tornata! Come al solito, non ci speravate più, lo so, ma rieccomi finalmente qui con un nuovo capitolo!

E... Insomma? Che reazioni susciterà tutto questo? Rientra in scena un "vecchio" personaggio! Ta-daaan!

 

Vedremo come andrà avanti, insomma! Secondo voi, che succederà?

 

E non avendo più molto altro da dire, passo ai ringraziamenti per i commenti lasciati: grazie a Brezza, che come al solito arriva puntualissima! E grazie anche alla nuova Neverwas! Provvederò a rispondervi anche singolarmente, eh! Ora che sono tornata attiva per un po', cercherò di rimettermi in pari con tutto!

 

Detto questo, vi saluto di nuovo!

Grazie di avermi seguito e soprattutto di non avermi abbandonata!

 

Un bacio!

 

S.P.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** XXXIII ***


“Accidenti, Eli…” Chiara la guardava con espressione stupita, ma conoscendola c’era una pennellata di divertimento nei suoi occhi, quel divertimento che sapeva di presa in giro, ma anche di scomoda verità che a lei non sfuggiva mai. “Ma ti sei sentita mentre parlavi col Vanni?”

Elisa, posò il telefono sul tavolino della sala, vicino a Sofia che disegnava, e riprese in mano la tazza di tè che aveva posato per rispondere alla chiamata. Guardò Chiara con fare interrogativo. “Che vuoi dire?”

“Sembravate una coppia sposata!”

Elisa schioccò la lingua. Ecco dove voleva andare a parare. “No, sembriamo una coppia che ha una figlia e che vive insieme da anni ormai.” E poi indicò con lo sguardo Sofia, che sembrava concentrata sul disegno di un pesce con le ali. Certo era ancora piccola e, sebbene sentisse, non capiva, ma non era bello parlare di quelle cose davanti a lei.

“Non prendermi in giro, Eli.” Scosse la testa Chiara. “Ho solo una domanda.”

Elisa sospirò. “Falla.”

“Perché con lui e non con l’altro?” i nomi erano volutamente taciuti.

“Perché io vivo con lui e non con l’altro. E dovremmo pur cenare, no?” rispose con ovvietà.

“Ma prima o poi vivrai con l’altro, no?”

“Con chi vivi mamma?” si intromise Sofia, girandosi e guardandola. Era incredibile come fosse sempre attenta a tutto quello che pareva non ascoltare e che invece sentiva benissimo.

“No, amore, si parlava di un film.” Le rispose lei, carezzandola sui capelli.

“Ah, ok!” e tornò al disegno.

“Ma almeno posso chiederti come vada con l’altro?”

“Tutto bene, quello.” Ed era sincera. In quegli ultimi giorni andava veramente tutto bene. Quella sensazione di estasi si incrinava solo se pensava a quello che era successo con Francesco, ma non voleva pensarci. Tutto andava bene, ora, quindi non doveva pensarci. “Sembra che tutto stia andando per il meglio. Sono contenta.”

“Se me lo dici con quella faccia da ebete posso solo pensare che sia vero.” Sorrise Chiara.

“Sì, è proprio vero.”

“Bene, quindi a quando le nozze?” la stuzzicò l’amica.

“Chiara! Lo sai che non voglio parlare di queste cose!” sbuffò, sparendo dietro la tazza di tè fumante. “Dimmi piuttosto di Roberto.”

“No, dài, non ho voglia. Non voglio parlare di Roberto.” Sembrò chiudersi.

“Eh? E perché?”

“Davvero, non ho voglia di parlarne, ti annoierei.” Era evasiva.

“Ah, ok, come vuoi, però sei strana, Chiara, posso dirtelo?” si fece sospettosa Elisa, scrutandola da oltre la tazza che aveva in mano.

Chiara sospirò. Sembravano che le parti tra le due fossero state invertite: ora era Chiara che non voleva parlare della sua vita privata ed Elisa quella che faceva domande, però al contrario di Chiara, Elisa sapeva quando era l’ora di smetterla e non insistere per non urtare la sensibilità dell’altra.

“Ok,” sbottò. “Va bene, ti racconto di Roberto. Vuoi proprio sapere cosa penso?” Elisa annuì, ma non era sicura di sapere cosa pensare della cosa. Era raro vedere Chiara tentennante, insicura… E non era mai una buona cosa. “Roberto è… Strano. Non lo capisco certe volte. Ti dissi che era cambiato, mi aveva preparato la cena, no?”

“Sì.”

“Eh, e invece ogni tanto – non così frequentemente, eh! Pensa che proprio una settimana fa era proprio quello di sempre ed abbiamo passato una notte meravigliosa insieme, abbiamo fatto l’amore proprio come i primi tempi in cui ci si frequentava! – però, ecco, ogni tanto cambia. Diventa freddo, non mi risponde nemmeno quando gli faccio una domanda… Sembra arrabbiato, insomma.” Fu una sensazione durata un istante, ma Elisa pensò che in realtà Chiara avesse da dire molto più di quel semplice dubbio.

“Però, ecco, sarà successo, boh, tre, quattro volte e basta nell’ultimo mese.”

“Vabbè, dài, le giornate no capitano a tutti. Magari è successo qualcosa a lavoro.”

Chiara si ammutolì per qualche secondo. E per una persona come Chiara, ammutolirsi non era una cosa normale.

“Che c’è?”

Chiara tentennò, ma finalmente parlò: “Oh, Eli, io non vorrei iniziare a diventare paranoica, ma ho dei… dubbi.” Mormorò, quasi a disagio, rigirandosi la sua tazza di tè tra le mani. Sembrava non trovasse pace con la posizione della tazza.

“Dubbi?”

“No, dài, lascia perdere.” La liquidò.

“Come posso lasciar perdere, dopo quello che hai detto?” Elisa non voleva essere insistente, ma si sentiva preoccupata per qualcosa che Chiara stava palesemente nascondendo.

“Sì, davvero, non chiedermi più niente.” Si fece mogia, accasciandosi sul divano e sospirando. Sembrava volesse rimangiarsi pure le poche parole pronunciate, come se le fossero scappate senza che lei avesse voluto.

“Ok…” Elisa si ritrasse, prese la sua tazza di tè e bevve un sorso, per poi girarsi verso Sofia, che stava colorando il disegno canticchiando una delle canzoni dei programmi per bambini.

Vedere Chiara in quello stato la faceva sentire priva di certezze. Lei era una persona determinata che non si faceva mai mettere i piedi in testa da nessuno, al contrario di Elisa. Era raro vederla così abbattuta. Forse solo un’altra volta l’aveva vista in quello stato, ma era successo così tanto tempo fa che nemmeno si ricordava il motivo. O forse addirittura non gliel’aveva mai confessato.

“Ho il sospetto che Roberto abbia un’altra.”

Le parole di Chiara, pronunciate tutte d’un fiato e con tono afflitto, colsero Elisa del tutto impreparata. Si girò incredula verso l’amica e la guardò come se avesse detto un’assurdità. Un tempo non sarebbe stato nient’altro che una conferma di come fosse infedele Roberto, ma dacché stava con Chiara era cambiato. O così aveva sempre pensato. Sì, certo non le era mai andato a genio,

ed effettivamente spesso si era chiesta come due persone così differenti potessero stare insieme. Magari avevano trovato un loro equilibrio. Chi era lei per giudicare? Soprattutto vista la situazione che la circondava. E poi lei era di parte: voleva bene a Chiara come se fosse sua sorella, per questo non accettava il fatto di vederla in quello stato per colpa di un uomo come Roberto. Però lei in più di un’occasione si era dimostrata capace di tenerlo a bada, di farsi rispettare. Forse erano davvero fatti l’uno per l’altra, chissà. Certe dinamiche lei non le aveva mai capite fino in fondo. Il fatto che Elisa non lo tollerasse più di tanto non avrebbe dovuto implicare giudizi sul marito della sua amica.

“Lo so che sono stupida a pensarlo, però lo penso. E non so come smettere di pensarlo. Il Puccini dice che esagero, magari non è niente, ma io -”

“Il Puccini?” ripeté con aria sfuggente. Aveva già sentito quel nome. “Lorenzo? L’urbanista degli Orlandi?”

“Sì, perché?”

“Erano secoli che non lo sentivo più nominare!” sorrise.

“Be’, continuando a lavorare per loro, ho dovuto trovare altre persone con cui parlare.” Alzò le spalle, rispondendo con mezzo sorriso. “Da quando te ne sei andata, sei diventata la sua eroina, sai?”

“E che dice lui di questa storia?”

“Che devo smetterla di darmi della stupida.”

“Oh, Chiara, non sei stupida… Se hai questi dubbi, sicuramente ti devono essere venuti fuori da qualcosa. Cosa è successo?” Le mise una mano sulla gamba.

“L’altro giorno non trovavo il mio cellulare e dovevo mandare un messaggio a mio padre, sicché ho preso il suo, ho mandato il messaggio e quando mio padre ha risposto, sono andata tra i messaggi ricevuti e ho trovato una certa Eleonora M. che gli aveva scritto alle nove di sera: “ Ok, a dopo”. Capisci?” Si stava agitando, parlava velocemente e a voce sempre più alta, distogliendo l’attenzione di Sofia dal disegno. Forse l’aver finalmente confessato questa sua paura l’aveva portata ad aprirsi ulteriormente, arrivando ad infervorarsi per l’accaduto.

“Zia Chiara, chi è Eleonora?”

“Una collega di Zio Roberto, tesoro.” L’anticipò Elisa, sapendo bene cosa sarebbe potuto scappare dalla bocca di Chiara, in quello stato.

“Oddio…” Chiara tentennò, fissando il vuoto. “Ora che mi ci fai pensare, c’è davvero una collega di Roberto che si chiama Eleonora!” si ricordò Chiara. “È la marescialla – si dice marescialla?"

“Ma non sei nemmeno sicura che sia lei.” Cercò di farla ragionare.

“E chi vuoi che sia questa Eleonora M.?” Si agitò ancora. Poi sembrò rendersi conto tutt'a un tratto della sua agitazione e sospirò. "Scusa, Eli, ma non ragiono più quando penso a questa cosa.” Sospirò, posando sul tavolo la tazza di tè. “Non so veramente come smettere di pensarci. È come un tarlo…” Aveva gli occhi lucidi.

“Ma che ne sai che non sia stata una risposta ad una convocazione? Dopotutto è qualche grado superiore a Roberto, questa tipa che dici, che ne sai che non fosse per lavoro.”

“Alle nove di sera gli mandi un messaggio di convocazione?” replicò scettica. “E Roberto quella sera stessa, dopo aver mangiato in assoluto silenzio è uscito senza dirmi troppe spiegazioni.” Fece quasi per aggiungere altro, ma si trattenne e sospirò.

Elisa non seppe che dirle. Non era mai stata brava a rincuorare le persone. Ad ascoltarle sì, ma rincuorare era diverso: era necessario trovare le parole giuste e non sempre lei le aveva. Poteva offrire conforto con un abbraccio, ma le parole proprio no.

E tutte queste – poche – informazioni, se accostate alla figura di Roberto, effettivamente non promettevano niente di buono.

“Io… Eli, io non saprei che fare se mi avesse tradita.” Era triste. “Io lo amo, Eli, non voglio che lui se ne vada. Lo so che non hai mai avuto troppa stima di lui per quel che successe tra noi per colpa sua, ma con me lui è sempre stato diverso.” si appoggiò contro lo schienale del divano e si coprì il viso con le mani, quasi per chiudere gli occhi e riprendere il controllo.

“Chiara, mi dispiace… Provare a chiederglielo immagino sia inutile.” Rifletté Elisa.

“Maddai! Chi è lo stupido che dopo aver tradito, alla domanda: “mi hai tradito?” risponderebbe con un sì?” Rispose sarcastica.

“Per quel che ne so, potrebbero anche esistere persone del genere, ma questo non dà una migliore immagine di sé per la sincerità della risposta.”

“Suvvia, Elisa. Lo sai anche tu che non mi confesserebbe mai una cosa del genere!”

Elisa non volle commentare ulteriormente, ma sapeva quanto Roberto potesse essere falso. Dopotutto, quando stava con lei – che poi, si frequentavano, non è che stessero proprio insieme come lei e Marco ora! L’idea di aver avuto un passato con una persona come Roberto le fece venir voglia di sottolineare a modo la distanza che separava una persona come Roberto da una come il suo Marco – mica le disse che si vedeva pure con Chiara. Furono loro due a scoprirlo, reciprocamente, parlandone e riconoscendo nel loro reciproco partner la stessa persona. Non era difficile immaginarsi che Roberto tradisse Chiara, purtroppo. Francesco da sempre era stato convinto che il loro matrimonio non sarebbe durato e spesso si era domandato perché si fossero addirittura sposati.

“Già, purtroppo, lo penso anch’io…”

Chiara guardò l’amica, sospirando. Non era delusa dalla sua risposta, era delusa da tutta la situazione. Aveva gli occhi tristi.

“Eli, cosa dovrei fare? Che poi ci sono giorni in cui è irascibile per ogni cosa – te l’ho detto – ed altri che invece è un tesoro, che è il mio Roberto…”

“Non lo so, l’unica cosa che ti direi è parlare con lui. Dopotutto siete sposati, conterà pure qualcosa, no?”

Chiara soffiò una risata amara e la guardò come si può guardare una bimba ancora troppo piccola per capire la vita. “Elisa, se il fatto di essere sposati contasse qualcosa, non mi ritroverei in questa situazione.” Elisa dovette ammettere che avesse ragione. “Io, guarda, proverò a parlargli, ma non so come potrà finire questa storia. Secondo me non sarà un lieto fine.”

“Mi dispiace…” mormorò Elisa, bevendo un altro sorso di tè. Poi si accorse che Chiara non aveva la sua tazza in mano. La indicò e le chiese se l’avesse finito e ne volesse un altro po’.

“No, grazie, Eli. Nemmeno ho finito la tazza.” Rifiutò gentilmente. “Ma hai cambiato tè?”

“No, è sempre il solito, perché?”

“Non so, questo mi sembrava avesse un sapore più amaro.” Storse il naso. Anche Chiara, come Elisa, non amava i sapori troppo forti.

“Forse c’hai messo poco zucchero.”

“Due cucchiaini non sono poco zucchero. Sono i soliti.”

“Be’, io ce ne metto tre.”

“Allora sarà tutta questa situazione…” roteò gli occhi. Elisa sorseggiò dell’altro tè, triste per l’amica. “Accidenti a lui! Riesce persino a farmi odiare il tè.”

_______________________________________

Rieccomi! Salve a tutte! Scusate se sono stata via per così tanto tempo, purtroppo la realtà mi risucchia. E ho dovuto anche inventarmi un modo per pubblicare diverso dal solito perché non sono più in grado di utilizzare il vecchio programma (infatti si nota la differenza di layout, purtroppo...). Ad ogni modo, eccomi qua! Capitolo prevalentemente incentrato sulla nostra Chiara, ma spero vi sia piaciuto ugualmente!

E prima di svanire nuovamente, voglio ringraziare Brezza per aver lasciato un commento, come sempre, e spero che anche voi, oh lettori silenziosi, abbiate apprezzato!

Al prossimo capitolo!

Un bacio!

S.P.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=585610