Everybody's on the Run.

di Part of the Masterplan
(/viewuser.php?uid=313536)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Somewhere down the road. ***
Capitolo 2: *** As a friend, as a known enemy. ***
Capitolo 3: *** The roller (I) ***
Capitolo 4: *** Karma Police. ***
Capitolo 5: *** Flashbax. ***
Capitolo 6: *** Waiting for the rapture. ***
Capitolo 7: *** If I had a gun. ***
Capitolo 8: *** Forever and a day. ***



Capitolo 1
*** Somewhere down the road. ***


“Era il ’93, se non sbaglio… Gli Oasis avevano appena iniziato, noi stavamo andando ad esplorare gli Stati Uniti… Sai, quando ti immagini tutto prima. Quanto sarà figo, quanta ispirazione troverai, Torno a casa e faccio il disco più rivoluzionario della mia cazzo di vita” picchietta la cenere giù dalla balaustra, gli occhi azzurri inseguono qualcosa in lontananza, come se stesse rievocando il passato e quelle sensazioni “E poi ti ritrovi là e ti sbattono in faccia il fatto che non sei niente. Non sei un cazzo, per gli americani. Perché loro hanno il grunge. Grunge ovunque. Non c’è nient’altro” quasi con malinconia, scrolla le spalle “E’ come se non parlassero altra lingua, e noi che non avevamo un cazzo che fosse in comune con loro eravamo… Inascoltati” sospira. “Poi tutta la cosa di Kurt ha iniziato a fottermi il cervello, dico sul serio. Ero terrorizzato e ossessionato da quanto la fama o la tua vena artistica potessero mangiarti e ucciderti. E a questo aggiungici che mi facevo di roba pesante, pesante davvero.”
“Stavi con Justine, no?”
Annuisce “Non so se sia stata la mia dannazione o la mia salvezza. Ma aveva catturato il momento in cui stavo iniziando con la spirale dell’ossessione per tutta quella roba di Cobain. Voi siete stati più fortunati,” sorride “eravate più spensierati.”
“Sono stati gli anni migliori della mia vita”, sono io a sorridere e a lasciar cadere la cenere, guardando altrettanto lontano.
Spalla a spalla con Damon Albarn.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** As a friend, as a known enemy. ***


Sfinita. Dal ritmo dei pensieri, frenetici e poi di colpo calmi, piatti, una nebbia statica di incertezza.
Gli Oasis non esistono più.
Ho ripreso le vecchie abitudini, alla faccia della riabilitazione, sputando in faccia alla salute. Un posto in prima classe costato un’infinità di dollari, il cocktail più potente che esiste e una pasticca di sonnifero. Mentre l’alcol scendeva in gola, sentivo solo il freddo bastardo che puoi provare in estate quando qualcosa ti fa fuori da dentro. Lo senti di più, il freddo dentro, d’estate.
Mi sono addormentata subito. Mi sono risvegliata, stordita, apatica, è stato solo un sogno?
Non c’è prima classe per quel vuoto dentro.
Gli Oasis non esistono più, a me manca il respiro.
Tredici ore di volo ti impongono di essere isolata dal mondo, perché sul mondo ci voli. Bentornata a terra, Sally. Bagna i tuoi piedi americani nella bastarda pioggia di Londra.
Ritorni sempre quando ti chiama, eh?
Bentornata, Sally.
In aeroporto, istintivamente, tiro sulla testa il cappuccio nero della felpa. Gli occhiali da sole mi coprono il viso per buona parte. In lontananza vedo l’autista, regge il solito cartello. Cecilia Harrison, recita. Nomi inventati, cognomi in codice. E’ passato così tanto dall’etichetta sulla porta di quel monolocale a Londra?
Alzo la testa, uno schermo trasmette un notiziario 24 ore su 24, intervallato dalla solita pubblicità. E proprio mentre i miei occhi catturano quelle immagini, spuntano sullo schermo i volti dei due Gallagher.
Oasis split.
Non c’è niente accanto a me che io non possa maledire.
“Buongiorno”
“Buongiorno, Mrs.”
Non ci diciamo nient’altro. Prende la mia valigia, lo ringrazio con lo sguardo. Qualcuno mi osserva, faccio finta di niente. Salgo in macchina e mi allungo sul sedile. Dentro di me il passato si mescola al presente, l’amore all’odio, i ricordi alle facce conosciute e quelle perse dopo un drink. Ritorna la droga, ritornano i concerti. Ho passato la mia vita essendo gli Oasis. Ora, cosa sono?
Quando la berlina nera dai vetri oscurati accosta al marciapiede, noto immediatamente un gruppo nevrotico di fotografi che si agita davanti al cancello d’entrata. Sospiro. Sospiro forte.
“Mrs., vuole che la accompagni dentro?”
“Non vorrei mai esporre qualcuno al pubblico ludibrio. Soprattutto se non è colpa nostra tutto questo”.
Incamero l’aria nei polmoni. Inizia una nuova era, proprio oggi. Per la prima volta nella mia vita devo affrontare da sola il peso del personaggio di Noel e delle sue azioni. So che posso farlo, le mie spalle sono abbastanza larghe per questo. Scendo, l’autista mi ha già lasciato tra le mani il trolley. “Torna a casa, ti prego, salvati da questa merda” gli sussurro, mentre sistemo gli occhiali da sole. Con determinazione, a testa bassa, mi faccio strada al cancello ed entro. Alcuni di loro mi si buttano addosso, sparandomi il flash in faccia. Non reagisco. Sono inerme e contemporaneamente fortissima. Il mio volto non mi tradisce, il mio corpo rimane saldo sul suo percorso. Solo quando mi richiudo la porta di casa alle spalle, il rumore esterno viene risucchiato da un mondo parallelo che sa di fumo, buio e alcol.
“Finalmente sei qui”. Mi abbraccia con calma serafica, il suo calore umano stride con la mia debolezza. Sono un fascio di nervi, mentre le sue braccia mi stringono a sé, una dolcezza insolita.
“Perché?” gli domando.
“Mi conosci, Sally. E conosci la situazione. Liam ha esagerato. Ha esagerato fino al punto di non ritorno… E’ finita”.
Mi guardo intorno, sono senza forze. Le tende tirate, pesanti, conferiscono all’ambiente una connotazione statica, immobile.
In testa mi chiedo solo perché.
“Sally?”
Mi volto. Ha sempre pronunciato così il mio nome? L’ha sempre detto così o ha cambiato modo di avermi tra le labbra? Perché in fondo io sono Sally, Sally degli Oasis. E adesso?
“Sally?” mi chiama ancora. I miei occhi lo mettono a fuoco, allungato sulla poltrona con un paio di jeans e una felpa. “Stai bene? Mi stai ascoltando?”
“Che c’è?” gli domando, indaffarata a togliermi gli occhiali e a scagliarli sul tavolo.
“Sei arrabbiata”, constata con tono asciutto.
“Sì, Cristo, Noel. Sono incazzata. Sono delusa. Perché?”
“Sono volate parole, parole pesanti. Poi sono volate chitarre. Frutta. Delle strafottute prugne, Sally”, ridacchia come se non fosse più affar suo. In effetti, a conti fatti, non lo è.
Non ho percezione dello spazio e del mio corpo, so solo che potrei accasciarmi a terra da un momento all’altro.
“Perché mi hai voluta fin qui? Vuoi che parli con Liam?”
“Ho lasciato gli Oasis. Ti ho voluta qui perché ti amo e perché sei la mia compagna. Perché non c’è altra persona che vorrei qui”.
“Io non voglio stare qui”, mi scappa tra le labbra, veloce e impunito. “Gli Oasis sono miei, sono dei vostri fan. Cosa siamo noi adesso?”
Noel scuote la testa, paziente. “Gli Oasis, prima di tutto, sono io. Voi non avete scritto le canzoni, voi non avete registrato gli album, voi non avete fatto materialmente niente che sia degli Oasis. Gli Oasis non esistono più perché io non ero più gli Oasis. Che cazzo devo fare? Prendervi per il culo e tirare avanti in quel manicomio? Sai che cazzo significa aver a che fare con Liam? Parli perché è sempre stato il tuo adorato Weetabix e perché lui, con te, è tutt’altro”.
“Quindi è colpa di Liam”.
“Lo è”.
“E perché sei così calmo? Come cazzo fai a essere così calmo?”.
“Perché sono sollevato, Sally. Perché quella prigione non è più una prigione. Sono sollevato della fine di quel circo. Vuoi un po’ di gin?”.
“Vai a fare in culo”.
Mi alzo, strattonando la borsa, e mi chiudo in bagno sbattendo la porta. Mi tremano le mani, mentre afferro una sigaretta dal pacchetto e la accendo con urgenza. Lo specchio davanti a me mi restituisce l’immagine di una donna – non più una ragazzina – provata dalle sue stesse emozioni, vittima inerme, come vent’anni fa.
A ogni rottura una chiamata.
A ogni chiamata, i miei chilometri sopra l’Oceano.
Sto vivendo di riflesso di una luce troppo grande? Noel si impone per essere il re?
La mia mano afferra il telefono, lampeggia un messaggio.
 
Sicuro che tu sia già a Londra. Ho bisogno di te, Sally. Luv ya, LG.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The roller (I) ***


Il cancelletto metallico scatta e la guardia del corpo, un omone di colore grosso due volte me, mi fa entrare con un gesto sbrigativo. Dietro di me i fan degli Oasis accampati sul cemento sono in uno stato di incredulità che li fa piombare nel silenzio più assoluto dopo aver sbraitato urla senza senso. Mi sento come ad un funerale.
E' Nic ad aprirmi la porta, mi stringe a sé e mi guarda negli occhi: "Liam è di là, speravo saresti passata. Vuoi qualcosa?"
"Un gin", le rispondo muovendomi a memoria nella villa. Me lo trovo davanti, seduto sulla poltrona in pelle che intorno a lui sembra più un trono che una semplice seduta. 
"Blondie", si alza di scatto, allungandosi verso di me. Mi viene da piangere, mi mordo un labbro e lo abbraccio forte.  "Weetabix".
Rimaniamo stretti l'uno nelle braccia dell'altra per un tempo che non riesco a quantificare. "Mi dispiace, Sal. Mi dispiace davvero. Io... E' stato lui, capisci. Cazzo"
"Va tutto bene", e mentre lo dico non ci credo neanche io.
"E' stato tutto così confuso. Le chitarre, la frutta, gli insulti... Anais, tu, Meg, eravamo a Parigi..."
Ora non è più un funerale, ora sembra il delirio sotto anestesia. E' l'alcol, è la droga. Erano gli Oasis.
"Cos'è successo, Liam?"
"Abbiamo litigato. Questa volta non era come le altre", afferra una ciocca di miei capelli come faceva da bambino. "Questa volta aveva deciso di andarsene"
"Perché lo dici?"
"Perché era chiaro. Stava aspettando. Non ci sopportava più. Non voleva più vivere gli Oasis"
Ci stacchiamo l'uno dall'altra. Lui ritorna al suo posto, io mi accomodo sul divano accanto a lui. La pelle nera del divano è fredda sulle mie cosce lasciate nude dagli shorts, bollenti dal caldo di agosto. 
"Mi ha detto che non sono più io, che ho rovinato tutto. Ce l'aveva con la mia cazzo di voce"
Sto in silenzio, fisso un punto davanti a me. Intanto lui continua, nella sua ricostruzione personale, un castello di carte crollate a terra, mischiate, bruciate. "Ha iniziato ad accusarmi di aver rovinato tutto e allora sai io cosa gli ho detto, che aveva rovinato tutto lui. Io mi sono sfanculato la voce e la gola, ma lui cazzo, lui s'è sfanculato la vita. Ha messo al mondo una figlia con una fottuta pazza con manie di protagonismo, ti ha rovinato la vita, ti ha spedita in America a vivere e non è neanche stato capace di portarti indietro. Ha mandato a fare in culo tutto per la cazzo di testa malata che è. Genio di stocazzo. Ti ha lasciata sola invece di stare con te per sempre, ti rendi conto, blondie?"
"Tutto questo non ha niente a che fare con gli Oasis"
"Per me sì. Nessuno mi insegna a vivere se ha rovinato la vita a te"
"Io ora sto bene, Liam"
"Ma non è sempre stato così, cazzo, blondie, smettila di giustificarlo sempre. Sono un coglione, è vero, ma mi rendo conto delle cose più di quanto tu creda. E comunque, blondie, ascoltami... Mi ascolti?"
"Sì, Liam"
"Ok. Stanno arrivando i ragazzi"
Lo guardo interrogativa. "Eh?"
"I ragazzi. Gem, Andy, Chris..."
Scuoto la testa. "Non capisco, Liam"
"Ricominciamo. Senza Noel".
"Non sono neanche passate ventiquattro or-"
"- E io ho deciso che torniamo sul palco senza quel cazzone di merda"
"E io perché sono qui?"
"Il nostro progetto ha bisogno di una fotografa, credo. Per chi cazzo vuoi fare le foto, eh? I Pearl Jam? Smettila e prendi i nostri fottuti soldi"
"Quanti?"
"Eh?"
"Quanti soldi?"
"Quanti cazzo di soldi vuoi blondie, l'importante è averti qui"
Un attimo di silenzio, i passi di Nic e il gin che oscilla nel bicchiere.
"Avete delle canzoni pronte?"
"Cosa credi, che le abbia solo il tuo uomo?"

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Karma Police. ***


Angolo dell'autrice
E' da così tanto tempo che non scrivo di Noel e Sally che riprendere a farlo è stato doloroso e impagabile. Mi prendo questo piccolo spazio prima di un capitolo a cui tengo moltissimo per ringraziare chi in questo pazzo percorso mi ha letta e spronata. Vi sono grata dal profondo del cuore. Sono giorni in cui Noel Gallagher è l'unico a farmi compagnia e dovevo a Sally il ritornare a continuare la loro storia. 
Qualche giorno fa ho scoperto che senza il mio consenso 'You sing, you shout, you turn the world around' è stata copiata dalla prima all'ultima parola su Wattpad e dolore e rabbia sono stati un motore per riprendere da qui, da dove avevo lasciato. 
Come sempre, I'll see you somewhere down the road. 

Sally.

Settembre 2007
Entriamo nell’ampio salone di questa meravigliosa vineria, gioiello incastonato tra il verde delle colline californiane in cui si produce il miglior vino del Paese. I pavimenti sono di legno chiaro e delle ampie vetrate rivestono interamente le pareti della stanza, investendola di una luce dolce e naturale che rischiara l’ambiente. Il caldo dell’estate che è in procinto di finire mi ha permesso di mettermi un vestito lungo color corallo, mentre Noel è nel suo migliore completo blu e mi allunga un calice di vino, “Per iniziare bene”, mi sorride. I tavoli, ordinatamente predisposti sotto la guida di Jackie, sono decorati con delle orchidee al centro di ognuno, le tovaglie lunghe e bianche, i segnaposto scritti con un’elegantissima calligrafia che sa di altri tempi.
Aspettiamo Kate, Michael e Vicky, rallentando il passo, mentre Nic mi supera stringendomi il braccio: “Tesoro, iniziamo a prendere posto, vi aspettiamo là”. Le sorrido e Liam passa incurante oltre, con la sua camminata storta e sgraziata, sembra padrone della sala come lo è del palco. Credo che nella sua testa stia pensando qualcosa di simile a “Let’s fuckin’ rock this place”.
La cerimonia è stata meravigliosamente emozionante. Le promesse di Jackie e poi quelle di Chris, due che si amano dell’amore più genuino e semplice, ennesimo esempio di come anche persone come noi, una volta ogni tanto, possano essere “giuste” per qualcun altro. Sorrido al pensiero, voltandomi verso Noel che sta prendendo in giro la piccola Victoria, con il suo vestitino rosa.
“Forza, principessina, qui tutti abbiamo fame!”
Quella gli fa la linguaccia, facendolo ridere spontaneamente. Sposto lo sguardo da Vicky a chi sta salendo l’ultima rampa di scale di marmo in un completo grigio chiaro. Il mio sorriso si smorza, come se si raffreddasse. Matthew con al suo fianco la nuova compagna, una ragazza approssimativamente della mia età con i capelli scuri e gli occhi verdi, in un abitino azzurro. Mi vede, mi sorride appena. Noel muove un passo avanti, conscio di cosa stia per accadere, e tende la mano a mezz’aria, rivolto verso di lui.
“Matt, vero?”, serio, gli stringe la mano.
“Sono io. Piacere di conoscerti, Noel”.
“Piacere mio. C’è un pazzo nell’altra stanza, non preoccuparti, è solo mio fratello”.
Matt ride, girandosi verso di me: “Ciao, Sally”, avvicina la guancia alla mia, “lei è Ashley”.
“Ciao, Ashley, piacere”, le stringo vigorosamente la mano, mentre lei mi saluta con comprensibile freddezza e si rivolge poi a Noel con una languida presentazione che si scontra con un impassibile accento mancuniano. I due salutano poi Kate e Mick e io e Noel prendiamo Vicky con noi, portandola al nostro tavolo.
“Sei stato cortese con lui”.
“Sally, luv, noi siamo la coppia reale in confronto a tutta questa gente. Il re e la regina del Britpop. Siamo superiori”, sghignazza indicandomi i nostri posti. Io e Nic siamo in mezzo ai nostri rispettivi compagni che oggi sembrano stranamente andare d’accordo. Prendono in giro qualcuno, salutano qualcun altro, ho l’agrodolce impressione che Jackie sia una delle poche persone ad unirli fuori dalla vita lavorativa. Mi chiedo se non ci fossero eventi del genere, come sarebbe questo rapporto. O meglio, com’è questo rapporto, perché non si può fare affidamento solo sui matrimoni per riunire due fratelli e sperare che non si azzuffino.
“I fratelli Gallagher al matrimonio di Jackie, se me l’avessero detto appena trasferita a Londra non ci avrei mai creduto!” Barbara ride appoggiando le mani curate allo schienale della sedia di fronte a me.
“Siamo venuti perché pensavamo di dover suonare qualcosa e fare qualche soldo extra. Possiamo suonare la fottuta Wonderwall, eh, Ourkid?” Liam sorride sornione.
“In effetti potremmo, nel caso il prossimo album non sia il migliore al mondo. Ma ho qualche dubbio a riguardo”, Noel raccoglie l’imbeccata, piazza il suo tiro e sorseggia un po’ di champagne.
“Anche se, Barbara, Noel ha in serbo parecchie canzoni che sono capolavori e non vuole lasciare agli Oasis, sai cosa intendo, no?”
“E’ vero, Noel?” quella sposta lo sguardo su Noel, che si sistema sulla sedia.
“Non so di cosa stia parlando… Come sempre, aggiungerei”.
“Sì che lo sai, hai tutte quelle canzoni lì dalla prima volta che hai lasciato un nostro tour. Per cosa cazzo le tieni da parte? Per fare i soldi da solo?”
“Meglio farli con le canzoni che con le polo, Liam”.
“Lo dici solo perché non sai vestirti bene quanto me”.
“Se andate avanti così giuro sul Manchester City che vi faccio mettere con il culo su una sedia e vi faccio cantare tutto il giorno”, il mio tono è apparentemente rilassato e divertito, ma sia Liam che Noel colgono il mio nervosismo e la mia richiesta implicita.
“Come vedi, Barbara, lui si veste bene, io scrivo capolavori, e abbiamo due compagne meravigliose. Potremmo volere qualcosa di più dalla vita?”
“No, non credo”, conclude Liam baciando Nicole. Barbara scoppia a ridere e posa un bacio sulla fronte di Vicky, prima di lasciarsi prendere per mano dalla sorella di Tim che sta confabulando qualcosa riguardo ai menù.
“Che sia la prima e l’ultima scenetta del cazzo che fate. Scendete dal vostro piedistallo e ricordatevi che oggi è la giornata di Jackie. Se non vi va bene, tornate in albergo”.
Un attimo di silenzio scende tra noi, ognuno fissa un punto diverso della stanza. Vedo con la coda dell’occhio Liam che, in ritardo, cerca di obiettare qualcosa, ma Noel lo fulmina con lo sguardo. Poi, sotto la tovaglia, sento la sua mano calda circondare la mia e stringerla. Ricambio la stretta, nascondendo un sorriso. Sento che la tempesta si è placata, che forse ora torneranno a essere le due persone amabili e divertenti che sono.
 
Agosto 2009
This is what you get
When you mess with us
For a minute there, I lost myself
I lost myself
 
Seduta sullo sgabello della cucina, ascolto i Radiohead fissando una tazza di the davanti a me.
“Che cazzo di lagna Thom Yorke. Buongiorno, luv”, Noel arriva alle mie spalle, posandomi un bacio sulla testa e abbassando il volume della radio. Thom Yorke diventa un sottofondo impercettibile.
“’Giorno.”
“Da quant’è che se qui?”
“Mmm… Doveva ancora sorgere il sole.”
“Mi guarderai in faccia prima o poi?”
Alzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi azzurri. Azzurri e così calmi, da farmi incazzare ancora di più.
“Sei incazzata vedo.”
Annuisco, “Parecchio.”
“Lo so”, dice accendendo il fornello sotto il bollitore, “sicuramente non sei l’unica nel mondo.”
“Io più di altri”, lo interrompo.
“Tu più di altri dovresti capirmi, luv.”
“Sinceramente no, non ti capisco.”
“Perché non vuoi. Se ti togliessi dalla testa che gli Oasis sono stati tutta la nostra vita e, cazzo, è vero, lo sono stati, e provassi a pensarci da professionista sapresti benissimo che lavorare con Liam è un fottuto incubo.”
“Mi ha chiesto di fargli da fotografa.”
“Chi? Thom Yorke?”, lancia uno sguardo alla radio.
“Liam.”
Scoppia a ridere, con una mano sulla pancia. Genuinamente divertito dalla notizia, spensierato, quasi.
“Che foto dovresti fargli scusa? Alle fottute polo che vende in negozio?”
“Ricominciano senza di te.”
Sorride, “That’s fucking hilarious.”
Sospiro, infilando il viso nella tazza.
“Ci stai pensando?”
“Ad accettare?”, scrollo le spalle. “Non lo so. Neanche vorrei essere qui.”
Versa l’acqua bollente nella tazza e si appoggia al ripiano davanti a me, fissandomi negli occhi. “Perché non vuoi essere qua?”
“Perché sono sfinita da voi due. Dall’essere messa sempre in mezzo. Parla con uno, raggiungi l’altro, uno sta zitto, l’altro scappa dai tour, uno non ha più la voce, l’altro si isola dalla band… Cazzo, siete un circo.”
“Ecco perché ho fatto quello che ho fatto”, mi indica con il dito teso. “Ecco lì. Perché non ho più voglia di tutto questo.”
“Liam dice che hai dato di matto quando ha menzionato me.”
“Certo, certo che ho dato di matto quando ha menzionato te, cazzo, Sally. Io gli parlo della sua voce – porca puttana è un cantante, di cos’altro deve curarsi? – e lui tira fuori te, e Meg, e la cazzo di San Francisco e io che non so stare al mondo.”
Scrollo le spalle.
“Tu non sei la ragione per cui ho lasciato gli Oasis. Sei l’unico motivo per cui siamo durati così tanto. Perché ci hai sempre ricordato chi eravamo e da dove venivamo. Ma poi c’è altro.”
“Cos’altro?”
“Il rispetto del lavoro, ce l’hanno insegnato le nostre madri. Se un ragazzo paga 70 sterle per venire a vederci e il cantante è a malapena in grado di fare una canzone, dove cazzo va il mio lavoro? Io scrivo le canzoni, io produco l’album, io lavoro al mixaggio, io faccio le prove, io mi preoccupo di tutto. Tutto, cazzo. Con Liam sembra di avere una fottuta scimmia con deficit dell’attenzione ormai. Non riesce a rigare dritto per venti minuti. Se devo fare il solista in una band, tanto vale che lo faccia per i cazzi miei.”
“Mi dispiace.”
“Per cosa?”
“Per tutto. Odio che siamo arrivati qua. Lo capisco, in qualche modo so che hai ragione. Ma, cazzo, odio quando hai ragione così. Lo-odio.”
Si fa scappare un sorriso. “In qualche modo lo odio anche io, Sally. Ma ho guadagnato una cosa impagabile: la fottuta libertà. Sono libero di fare cosa voglio, di scrivere la musica che voglio, di fare tutte le prove del mondo. Se voglio, pubblico un album senza uno straccio di testo, solo con la musica. Io che suono solo una fottuta nota. Se va male, mi faccio una risata e continuo a godermi i miei soldi e la possibilità di fare cosa cazzo voglio. Sono libero dalla macchina da soldi degli Oasis.”
“Ti senti bene?”
“Fottutamente, divinamente, bene.”
“A me non riesce ancora.”
You take your time, luv.”
Il suono del telefono mi avvisa dell’arrivo di un messaggio, è Deborah.
“Non è mezzanotte, là?”
“Sì… Sarà qualcosa di urgente.”
Mi allungo sul ripiano recuperando l’iPhone.
 
Buongiorno Sally. Riunione con i grandi capi, oggi. Ho novità interessanti, chiamami domani e ne parliamo. Mi dispiace per gli Oasis – spero tutto ok.
 
Ti chiamo domani, very much needed.
 
Non appena invio la risposta, il telefono inizia a squillare. La suoneria, Songbird, parla da sé. Noel bestemmia, lasciando la stanza. Io non mi muovo dal mio posto.
“Pronto?”
“Cazzo sei mattiniera.”
“Non ho dormito tutta la notte.”
“A chi lo dici.”
“Non faccio che pensare a cosa cazzo vi è successo.”
“Ah, no”, indovino un sorriso, “io penso che non vedo l’ora di salire sul palco e far sentire a tutti che cazzo di canzoni abbiamo tirato fuori. Devo tornare sul palco e far vedere a tutti…”
“Cosa? Chi sono gli Oasis senza Noel?”
“Gli Oasis sono nati senza Noel, direi che i Beady Eye staranno benone anche senza un nano dalla testa troppo grossa che dà ordini.”
“Beady Eye?”
“Nome inventato ieri sera. Tre giorni che ci siamo sciolti e sono già pronto a ripartire. How fuckin’ top is that?”
Sorrido. Dallo sfinimento, dagli sproloqui, dall’amore.
“Hai pensato alla proposta?”
“Sì, Weetabix, ogni minuto.”
“E…?”
“Non lo so.”
“Che palle che sei. Non diventerai mica testa di cazzo come quell’idiota che ti scopi?”
“Liam…”
“Ok, ok, scusa… Però, ecco, io vorrei proprio che ci fossi con noi.”
“Dammi ancora un po’ di tempo.”
“Tutto quello che vuoi. Non so se hai notato che più invecchio più divento figo, però, ecco, non prenderti vent’anni per decidere. Luv ya.”
Interrompe la conversazione, senza lasciarmi la possibilità di controbattere.
Mi chiedo se Thom Yorke non abbia bisogno di una fotografa.
 
“Cosa farai? Ci hai pensato?”
Aspiro avidamente la mia Benson. Mi brucia la gola. “Di nuovo le Benson? Tanto vale che riprendi a drogarti, cristo”, sbotta, tagliente, Kate.
“Se mi fossi anche privata delle Benson, questa volta, ne sarei uscita peggio che in overdose.”
“Tra l’altro, dove sei?”
“Fuori.”
“Fuori?”
“Sì, sono uscita di casa, sto camminando. Sono finita a Marylebone, magari vado ad Hyde Park.”
“Fai un remake di Songbird, secondo me The Chief apprezza.”
Rido e mi sento stupida a farlo, ma Kate ride con me.
“Comunque, Kate, non lo so cosa farò. Vorrei accettare, perché non esiste una persona al mondo a cui io sia più legata che Liam. Lo sai. Voglio che questo suo progetto vada alla grande, riesca a fare un sacco di soldi e un successo enorme –“
“Ma sai anche che se lavora come Noel dice che lavori, è già tanto se il progetto decollerà.”
“Già”, ammetto. “Io non lo farei per soldi, io per Liam lavorerei anche gratis. Però capisco Noel. E conosco la mia maniacalità, che è come quella di Noel. Quanto resisterei con Liam e i suoi colpi di testa?”
“Poco. Fidati di me, che vi conosco tutti.”
Sbuffo, faccio un altro tiro.
“Hai sentito Jackie?”
“Sì… Jackie, la mamma di Noel e Liam, mia mamma… Sembra sia morto qualcuno.”
“E’ morto un qualcosa di molto importante.”
“E il carnefice, porca troia, non è mai stato così in pace col mondo come adesso.”
Kate sospira, sento Vicky in sottofondo. “Sally, non avete – non abbiamo – più vent’anni. Parlatevi sinceramente, ma ricordatevi chi siete. Lascia perdere le canzoni e l’amore per cosa erano gli Oasis. Pensa alle persone.”
Una delle perle di saggezza di Kate, in formato tascabile e sempre pronte all’uso.
It’s not in what you say, it’s in what you do. Grazie Kate, senza te non so dove sarei.”
“Potrei dire lo stesso. Ci sentiamo domani, fammi sapere quando prenderai una decisione. Ciao sweetie.”
Continuo a camminare, sovrappensiero. Passo davanti ad un negozio dove qualche mese fa abbiamo comprato un cardigan grigio, di cui Noel si è prontamente vantato con Chris Moyles su BBC Radio 1 prima delle date di Wembley. Sorrido. Forse do per scontata una vita che ho sempre sognato. Forse, nel tempo, ho imparato che non sono mai soddisfatta davvero.
 
Quando entro in casa il piano di sotto è immerso nel silenzio, mentre al piano di sopra si può sentire una chitarra acustica suonata con tanta sicurezza da sembrare un disco registrato. E’ una melodia che non mi è familiare, ma posso sentirne il testo.
 
And I'll go insane
If you don't save my soul
For rich or poor
You don't speak no more
Don't pray for me
If I'm not here when you return
'Cause if there's a God
You'll be crashing when you burn
A still white light
That shines upon the world
Don't lift the cold
Singing out sha la la la la

 
Prendo una birra dal frigo e ritorno al mio posto, seduta al bancone della cucina guardando il giardino che cambia colore all’imbrunire. Alba e tramonto, e tutto quello che accade in mezzo.
Non so se mi abbia sentita tornare, ma non voglio distoglierlo dal suo mondo. La musica l’ha sempre salvato e forse adesso ognuno di noi ha bisogno della propria dimensione. Di un po’ di lontananza e un po’ di pace.
Compongo il numero di Deborah, certa che sia già in ufficio, tra le prime ad arrivare e a mettere le mani su quella poltiglia allungata che chiama caffè.
“Ciao blondie, come stai?”
“Ciao Deborah… Uh, come quando la band della tua vita si scioglie.”
“Mi dispiace. Non so come ci si possa sentire, ma immagino faccia abbastanza schifo.”
“Già. Raccontami queste grandi novità, tirami su il morale.”
“Uh, allora… Da dove inizio…”, percepisco calma e serenità nella sua voce, ma sono certa ci sia qualcosa in più. “Ieri ho parlato con i grandi capi. Stanno progettando dei cambiamenti di lungo periodo e tra questi ci sarà, ovviamente, il sito web. Aggiungici anche la transizione che vogliono fare a livello di contenuti… Sarà un continuo, costante, cambiamento. Però, e non so se te ne ho parlato… Beh, voglio cambiare anche io.”
“Mmm, direi che non me ne hai parlato.”
Sorride, “Sì, Sally. E’ da più di quindici anni che ogni mattina entro in questo ufficio prima di tutti gli altri e non ricordo l’ultima volta che ho preso una macchina fotografica in mano. Ho deciso di prendermi un anno sabbatico e al ritorno si vedrà. Mi hanno proposto dei posti da direttore creativo nella moda… Perché no.”
“Direi che non suona affatto male. Ma cosa c’entra con me?”
“Ho fatto una proposta ai grandi capi, che in realtà ci avevano già pensato. Hanno mandato me come ambasciatore e lo sai, non porto pena ma solo belle cose – o almeno spero. Vogliono te come head of photo department.”
“Prego?”, un fulmine a ciel sereno.
“Tutte le foto passeranno da te, tutte le decisioni in quell’ambito. L’intero dipartimento risponderà a te. Numero cartaceo e sito web, posso giurare che il lavoro non farà che aumentare negli anni. Pagano bene, te lo garantisco, è tutto direttamente proporzionale a stress e responsabilità.”
“Niente che io non abbia vissuto negli anni Novanta.”
“Ti vogliono proprio per quello. Sei la fotografa con più esperienza nel mondo musicale e live, hai girato l’Europa a scattare foto di paesaggio e architettura, insomma se non avessero chiesto a te mi sarei incazzata.”
Sospiro e bevo un sorso di birra, “E’ una notizia incredibile in un momento di merda.”
“Lo so Sally. Hai molto sul piatto al momento. Prenditi il tuo tempo per decidere, se dovessi rifiutare potrai comunque continuare a fare ciò che già fai. A meno che il programma non sia tornare a Londra…”
“E chi lo sa qual è il programma, Deb.”
“Ti chiamo tra un paio di giorni, che dici? Pensaci su.”
Prendo un’altra bottiglia di birra dal frigo e salgo lentamente al piano di sopra, la melodia continua imperterrita e me lo ritrovo davanti, di spalle, seduto sul letto. Come vent’anni fa, nella sua camera curvo sulla sua chitarra. Più di vent’anni fa, penso a quanto lo amo.
“Noelie.”
Si gira, il suo volto cambia da cupo a sorridente. Stanco, ma sorridente. Appoggia la chitarra sul letto e allunga il braccio verso la bottiglia di birra. “Grazie”, sussurra.
“Ho chiamato Deborah, ci sono novità.”
“Che novità?” aggrotta le sopracciglia.
“Mi offrono il posto come head of photo a Rolling Stone.”
Il suo volto si allarga in un moto di sorpresa. “Well done, luv.”
“Grazie.”
Allungo la mano verso di lui, che la stringe tra le sue dita calde e dai polpastrelli ruvidi.
“Hai un sacco di proposte sul tavolo”, sorride sornione.
“Così sembra”, porto la birra alle labbra. “Vuoi farmene una anche tu?”
“Mi sa che sbaraglierei la concorrenza.”
Rido, “Addirittura? Quanti soldi pensi di offrire alla tua fotografa?”
“Più che ad una fotografa, io pensavo ad una moglie. Sally, vuoi sposarmi?”

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Flashbax. ***


“Qui ci sono tutte le foto, spero ci sia qualcosa di buono.”
“Le scegliamo insieme?”
Si ferma, ruotando su sé stessa. “Lo faresti? Cioè… Se sei impegnata…”
“Prima impari a scremarle da sola, prima io mi libero un po’ di tempo”, le sorrido. “Prendi la sedia, mettiti qui vicino a me.”
Inserisco la chiavetta USB mentre Audrey prende posto. “Chi lo faceva con te?”
“Cosa?”
“Chi selezionava le foto con te?”
“Uh, era più complicato di così. Ma ho fatto la mia gavetta, e lì c’era chi le selezionava al posto mio. Poi mi hanno dato una libertà tale per cui ero io a decidere che cosa andava bene e cosa no.”
“Te l’ha data Noel, quella libertà?”
Scrollo le spalle, “Chissà.”
Sul mio schermo si aprono infinite icone, ognuna rappresenta una fotografia. Sospiro, apprestandomi all’ennesimo paio d’ore a friggermi gli occhi davanti ad uno screen.
Il mio iPhone inizia a trillare, al centro della scrivania. Lo sollevo.
Noelie
“Sally, vuoi sposarmi?”
Lo lascio ricadere sulla scrivania, avvicinandomi al pc. “Allora, queste che cos’hanno che non va?”
Audrey non risponde, tanto che mi volto verso di lei per controllare che non si sia addormentata. “T’è venuto un ictus o mi rispondi?”
Lei ride, spostando lo sguardo al mio iPhone, che ora recita: Chiamata persa Noelie (7)
“Sette chiamate perse?”
“Può arrivare anche a venti, te lo dico per esperienza.”
“Perché non gli rispondi?”
“Sto lavorando e dovresti anche tu. Queste foto”, allungo l’indice verso lo schermo “cos’hanno che non va?”
Songbird inizia a suonare, sempre dal mio cazzo di iPhone.
“Pronto?”
“Ciao blondie, hai ricevuto la mail?”
Prontamente apro la finestra delle mail sul desktop, ce n’è una dal fotografo dei Beady Eye. “Yap, qui davanti a me.”
“Vanno bene?”
“Appena finisco di lavorare, Weetabix, mi faccio sentire.”
“Uhm, ok. Però fai in fretta. Secondo me io sono venuto proprio bene. Luv ya.”
Audrey mi guarda divertita, mentre do sfoggio del mio miglior turpiloquio mancuniano. “Non ti mollano un attimo, eh.”
“Liam non mi molla da quando è nato”, sorrido. “Allora, queste foto?”
“In quelle secondo me c’è un problema di luce. E queste”, si allunga raggiungendo il mouse ed indicandone altre “non mi convincono per la composizione.”
“Brava ragazza, vedi che iniziamo da qualcosa.”
Il lavoro di selezione, certosino e corredato da spiegazioni e aneddoti, ci porta via un paio d’ore. E’ quasi ora di cena quando consiglio ad Audrey di andare a casa a riposarsi.
“Tu… Stai bene, vero?” si ferma sulla porta, guardandomi con i suoi grandi occhi curiosi.
“Sì, perché?”, domando sorridendo. “Ti sembra che non stia bene?”
“Sei… Sfuggente.”
“E’ un’arte che si impara con gli anni. Buona serata, cutie.”
Quando ho accettato questo lavoro, Deborah mi ha fatto trovare sulla scrivania – quella che era stata sua per dieci anni – una bottiglia di whiskey con un biglietto che recitava: Per quelle sere di solitudine in cui intorno è silenzioso e hai un sacco di pensieri per la testa. Break a leg, blondie.
Apro l’armadietto alle mie spalle, recuperando la preziosa bottiglia e un bicchiere tanto tozzo da poter sfondare una porta. Negli anni Novanta avrei testato il mio pensiero, incazzata e in costante ricerca di una maschera appropriata per il mondo esterno, lanciando bottiglia e bicchiere in giro per la stanza, ma ho una certa età e soprattutto una posizione da mantenere.
Lascio scivolare in gola il primo sorso, aprendo sullo schermo le foto dei Beady Eye. Sono incazzata, rabbiosamente, come quando avevo vent’anni. Mi accendevo e mi spegnevo in un lampo, Kate suggerirebbe che la cocaina non aiutava. Era impossibile non sapere cosa mi passasse per la testa, ma con il tempo, con l’esperienza, ho vestito e addobbato quella ribellione con il silenzio, il contegno, la pazienza, qualche volta il mutismo. Un ribollire di sentimenti che si agitano sotto la superficie e in apparenza, una maturità finalmente conquistata.
Sono state dette troppe parole, “per fortuna almeno con te non vola della fottuta frutta”, risultato di un dualismo che ho vissuto tutta la vita: le canzoni o la realtà? Oasis o vita di ogni giorno? Da quella semplice perla di saggezza di Kate, si è alimentata la lista infinita di tutte quelle occasioni in cui avremmo potuto e non abbiamo fatto. In bilico tra il condizionale di una vita da condividere e scelte nette, portate avanti su una corsia parallela che, di quando in quando, collideva con la mia. Attraversare Oceani ad uno schiocco di dita, sposare un’altra donna, farci una figlia, comparire, scomparire, dedicare una canzone davanti a migliaia di persone e poi scappare a Las Vegas per un matrimonio lampo. Sciogliere gli Oasis e farmi salire a bordo della fortunata ciurma che deve raccogliere i pezzi, sempre in bilico tra The Chief e Weetabix. Tra un’anima gemella e un fratello mai avuto. Tra l’amore di un’esistenza intera e un legame che va oltre quello di sangue.
Mi manca così tanto che qualche volta mi chiedo se sono capace a respirare.
Avvallo tutte le decisioni dei fotografi dei Beady Eye, una mail asciutta e un messaggio di rassicurazione a Liam.
Ingollo l’ultimo sorso di whiskey e avvio la chiamata. I miei occhi incontrano un appuntamento segnato di rosso sul calendario, dopodomani.
“Alla buon’ora… Se mi fosse venuto un attacco di cuore e ti avessi chiamato per chiedere aiuto ora sarei morto stecchito e mi avresti sulla coscienza.”
“Sono dall’altra parte del mondo, se per caso ti viene un infarto chiama prima Kate, per cortesia.”
“Ciao, luv.”
“Ciao, Noelie.”
Il primo round si è concluso.
“Oggi sei arrivato a sette chiamate, non è il modo di affrontare una pausa.”
“Io non ho mai concordato a questa stronzata della pausa. Io non voglio nessuna pausa tra me e te.”
Sospiro. “Te l’ho chiesta per rimettere assieme i pezzi.”
“Sì, ma mi ha già rotto i coglioni. Pausa finita.”
Mi fa sorridere.
“Dimmi un po’, ne vale la pena?”
“Cosa?”, mi allungo sulla scrivania per spegnere il computer.
“Stare in ufficio fino a tardi, davanti a uno schermo, magari sei pure sola… E aver rifiutato la rockstar più bella del mondo dall’altra parte della cornetta?”
“Quando vedo che fotografa sta diventando Audrey… Sì, Chief.”
Una sonora bestemmia mi fa scoppiare a ridere. “Non ti ho rifiutato, ti ho spiegato di cosa avevo bisogno in quel momento. Mi avevi comprato un brillante, per caso?”
“Assolutamente no e a questo punto mai te lo comprerò. Ma sono volate parole importanti.”
“Già. Ma almeno abbiamo lasciato stare il cestino della frutta.”
Leave alone my bloody oranges”, tossicchia. “Non posso tornare indietro nel tempo, Sal. Posso solo rigare dritto adesso.”
“Ho riascoltato Flashbax, questa mattina.”
“Da uno degli album più di merda che potessi fare, cazzo, che gran scelta blondie.”
“Chissà quando capirai che certi album sono di merda solo per te, ma per noi significano il mondo…”
“Pff. Comunque, quale illuminazione hai avuto riascoltando There’s nothing wrong in my world/These things they really don’t matter now?”
“Niente di particolare. L’ho fatto per sentire la tua voce. Per sentirti più vicino.”
“Ah, che stronzata, luv. Avresti potuto chiamare. O, per la cronaca, accettare di sposarmi.”
“Quando la finirai con questa storia del matrimonio?”
Indovino un tiro di Benson. “Quando il mio ego si sarà ripreso dal rifiuto.”
“Ah, quindi mai…”
“Quando mi sposerai andrà meglio, ne sono certo.”
Lascio che la porta dell’edificio mi si chiuda alle spalle e decido di camminare fino a casa. Una passeggiata sotto un cielo americano terso dopo la consueta nebbia delle sei.
“Sai cosa mi hanno proposto di fare dopodomani?”
“Good Lord, basta con queste proposte. Un altro che vuole sposarti?”
“Mi intervistano. La donna dietro le foto di Rolling Stone. E’ stato Matt a proporlo.”
“Matt… Matt as in “il tuo ex fidanzato”?”
“Precisamente… Sarà lui a intervistarmi.”
“Porco cazzo credevo di averle viste tutte fino a oggi e invece… Glielo dirai che hai rifiutato la mia proposta di matrimonio? Mi stupisco non sia ancora uscito da nessuna parte.”
“Mmm, la scorsa settimana i tabloid rumoreggiavano di una crisi tra noi.”
“E certo, perché io sembro un miserabile con la barba incolta che va a fare la spesa mentre tu sei strafiga per le vie di San Francisco in giubbotto di pelle e jeans a zampa.”
“Normale amministrazione”, ridacchio.
“Blondie, lo sei davvero.”
“Cosa?”
“Strafiga. Sei davvero bella come sei sempre stata ai miei occhi, anche quando per anni non ci siamo visti. Non è che mi passa quella cosa, se ti interessa. Cioè, lo sai che farei sesso con te ogni ora della mia fottuta vita, vero? Magari solo qualche pausa per scrivere le canzoni…”
“E guardare il football”, sorrido. “Lo stesso vale per me, Noelie. Non c’è bisogno che ce lo diciamo.”
“Ogni tanto sì. Sto scrivendo parecchio in questi giorni.”
“Quando sentirò qualcosa?”
“Quando rimetterai il culo a Londra e deciderai di sposarmi.”
“E io che pensavo che per convincermi saresti venuto in California.”
“Preferirei rompermi un posacenere sulla testa.”
 
Entro in sala riunioni sfoggiando una t-shirt nera con un’esplicativa scritta all’altezza del seno: oasis. Lui mi aspetta, seduto a capotavola, immerso nella lettura dei suoi appunti. Mentre porta la tazza alle labbra per bere il primo di molti caffè della giornata, mi vede e mi sorride.
“Vedo che usiamo ancora le magliette per trasmettere messaggi.”
“Sono più un portafortuna”, sorrido allungandomi verso di lui, posando un bacio sulla guancia. “Ciao Matt.”
“Ciao, Sally. Che bello vederti.”
“Anche per me. E grazie per essere venuto fin qui.”
“Dovere! Sono stato io a proporre l’intervista e dovevo comunque muovermi per incontrare i grandi capi.”
“Ok,” mi siedo accanto a lui, impostando il telefono in modalità silenziosa. “Come funziona?”
“Come sempre”, posiziona verso di me il registratore portatile. “Ti registro per non perdermi pezzi e perché vorrei fosse una chiacchierata e non una lezione universitaria in cui io prendo appunti.”
“Ho una condizione –”
“Scordatelo, le domande sugli Oasis te le faccio.”
“Ah, chissenefrega. La mia condizione è che tu non faccia nessun taglio a ciò che dico. Nessun editing creativo delle mie parole. Qualsiasi modifica passa prima da me”, accanto al registratore, appoggio un foglio che enuncia le mie condizioni. “Firma e procediamo.”
“Wow. Sei arrivata preparata.”
“Ti ho mai detto che stavo con un avvocato? Storia lunga… Comunque, conosco gli altri e conosco te. Siete capaci di creare da zero citazioni solo per vendere qualche copia in più.”
“Tipo…” si porta la biro alle labbra, “Spero che muoia di AIDS?”
“Non farmi innervosire, rischi di far saltare tutto.”
Mi sorride, firmando il foglio che ripongo tra i miei appunti.
“Iniziamo?”
 
Sally ha un nome che, per ogni figlio degli anni Novanta, parla da sé. È entrata in Rolling Stone quando c’erano ancora le Torri Gemelle, Johnny Cash era ancora vivo e gli Oasis non si erano ancora sciolti. Lunghi capelli biondi, piglio dittatoriale, fiero accento mancuniano. La Regina del Britpop.
Da qualche settimana è diventata head of photography di Rolling Stone, mettendo a disposizione un’esperienza maturata in anni passati sotto un palco e sul tour bus degli Oasis. Da quando ha lasciato l’Inghilterra, più o meno ogni servizio fotografico fatto ad artisti leggendari, ha la sua firma. Andate a prendere i numeri che avete collezionato e controllate.
Ho voluto intervistarla, per farvi conoscere chi c’è dietro alle immagini di RS ormai da qualche anno e chi è la donna che è un’ispirazione e una guida nel Rolling Stone di domani.
 
M: Sally, da Manchester a Head of Photography, com’è stato questo percorso?
S: Di mezzo ci sono stati i ruggenti anni Novanta e i più consapevoli anni Duemila. Sono nata a Burnage, un sobborgo di Manchester dove le prospettive di vita non sono rosee e la maggior parte dell’anno piove. Ho studiato fotografia e l’ho vissuta sulla mia pelle: sono stata mesi in giro per l’Europa a scattare, ad affinare il mio stile. Al mio ritorno sono diventata fotografa degli Oasis fino a marzo del 2000, quando sono diventata una delle fotografe di Rolling Stone e da qui non me ne sono più andata.
 
M: Hai vissuto il Britpop con i protagonisti indiscussi e hai vissuto gli Oasis ogni giorno, dalla nascita della band al successo mondiale. Cosa ti ha dato quell’esperienza?
S: Non è stata solo un’esperienza, è stata l’essenza della mia vita. Qualcosa che molto spesso le persone non capiscono del nostro attaccamento agli Oasis è che non erano solo una band. Erano un modo di vivere – sono un modo di vivere. Soprattutto in quel periodo, soprattutto per noi, era un dualismo continuo: Oasis e Blur, City e United. Senza gli Oasis non so cosa sarei e probabilmente, non sarei qui ora. Ho fotografato Maine Road, Knebworth, Wembley e tutto ciò che c’è stato in mezzo. Sono una privilegiata.
 
M: Per chiunque abbia sentito almeno una volta una canzone degli Oasis, il tuo nome è una leggenda. Come ci si sente ad essere la musa ispiratrice di uno dei più grandi cantautori inglesi?
S: Chi te lo dice che sia io la musa? (ride, ndr)
 
M: Non guardiamo al passato. Com’è il presente di Sally qui a Rolling Stone?
S: Bellissimo e sfidante. Curare la fotografia di un colosso dell’editoria come RS è un onore e una responsabilità di cui mi prendo cura con ciò che mi contraddistingue di più: abnegazione e passione. Ho la fortuna di collaborare ogni giorno con creativi e fotografi incredibili.
 
M: Come si è evoluta la tua fotografia da quando, ventenne, fotografavi in giro per l’Europa a oggi?
S: Credo che sia stata l’evoluzione della mia persona. A vent’anni ero molto più precipitosa, spesso cercavo dei contrasti netti, mi innervosivo se non arrivavano momenti che ai miei occhi sembravano iconici. Poi ho attraversato una fase di silenzio profondo, di contatto con me stessa, e mi sono resa conto che sono i piccoli dettagli, quelle piccole cose disseminate ovunque, che rendono una foto davvero potente. Capace di trasmettere qualcosa. Con il tempo credo di aver imparato ad apprezzare di più tutto ciò che c’è intorno.
 
M: Hai anche scattato nella moda, vero?
S: Sì, qualche anno fa e mi capita ancora di fare qualcosa, ma solo perché me lo chiede la mia amica Mossie (Kate Moss, ndr). In generale non lo sento come un ambiente affine a me, ma credo sia una contaminazione che mi fa del bene. Mi ispira per gli abiti e per il livello a cui arriva la composizione di uno shooting. Non so se hai presente gli Oasis, ma non brillavano per coreografie.
 
M: Però uno dei due fratelli Gallagher un piede nella moda ce l’ha messo…
S: Le polo sono ottime, te le consiglio (ride, ndr).
 
M: Per una fiera mancuniana come te, com’è la vita a San Francisco?
S: Sorprendentemente a San Francisco ho trovato la mia dimensione. L’avevo scoperta di sfuggita nel ’94, nel 2000 è diventata casa mia. E lo è diventata rapidamente, mi ha accolta, credo che spesso mi abbia protetta e si sia presa cura dei miei ricordi. Niente è come la mia Inghilterra, ma San Francisco mi ha permesso di diventare una donna senza mai giudicarmi.
 
M: Progetti per il futuro?
S: E’ appena iniziata la mia avventura in questa nuova veste, l’obiettivo per il futuro prossimo è quello di fare bene e di condurre il dipartimento di fotografia di RS dove merita. In un futuro più lontano, chissà… Magari mi sposo.
 
Un nuovo giorno è sorto, da qualche ora, nella Perfida Albione.
Calcolo, posso farlo approssimativamente, quanto possa metterci per aprire gli occhi e mettere le mani sulla rivista che gli è stata recapitata a casa, in anteprima.
Oggi tutti leggeranno la mia intervista. Lui lo farà ancora prima di bere la sua tazza di the.
Suona il telefono dell’ufficio, rispondo con un sorriso.
“Pronto?”
“Non solo te lo scopi che, vabbè, sai solo tu cosa ci vedi in quel nano di merda, ma lo sposi pure?”
Liam Gallagher forse ci ha messo di più a recuperare una copia della rivista, ma sicuramente di meno a chiamarmi.
“Liam…”
“Pensavi fosse il tuo maritino, eh?”
“Sì. E comunque, se proprio vuoi saperlo, ho rifiutato Noel.”
“Prego?”
“Io-ho-rifiutato-la-proposta-di-matrimonio-di-Noel.”
“E hai accettato la mia offerta di lavoro.”
“Tecnicamente no… Vi faccio da consulente.”
“Consulente dei miei coglioni! Ho vinto io!”, ride a crepapelle.
“Liam, non era una gara.”
“Aaaah, no, certo, perché OurKid non perde mai! Coglione!”
“Liam –”
“E allora perché hai detto quella cosa nell’intervista?”
“Perché un giorno mi piacerebbe che si realizzasse.”
“Con OurKid?”
“E con chi altro?”, sorrido.
Un attimo di silenzio. Un grugnito. “Lo sai che mi ha spaccato una chitarra, vero?”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Waiting for the rapture. ***


Camminiamo spedite lungo l’infinito corridoio del LAX Airport. Gente in infradito che trascina i piedi, assonnata, turisti incontenibili che corrono verso l’uscita, una ragazza emozionata attende il fidanzato con un cartello divertente, un autista tiene svogliatamente in mano un foglio. Io e Audrey, ormai abituate alle trasferte insieme, procediamo a memoria con delle dinamiche ormai ampiamente consolidate e tutte nostre.
Le indico lo Starbucks che giganteggia poco lontano.
All the coffees are available” sorrido.
“Eh?”
“E’ ciò che ripete in continuazione Noel quando gli dico che voglio andare da Starbucks.”
Lei sorride, scuotendo la testa. “Ogni tanto mi chiedo se esista al mondo più amore di quello che tu provi per Noel Gallagher.”
“Certo che esiste. Il nostro amore per il City”, avanzo nella coda. “Buongiorno, un caffè extra large e…” mi volto verso Audrey invitandola a ordinare. “Uh, per me un cappuccino e un muffin al cioccolato”, sorride portandosi l’indice alle labbra.
“Grazie mamma Rolling Stone”, striscio la carta aziendale attendendo il nostro ordine. Audrey, intanto, prende posto ad un tavolino poco lontano, concentrandosi poi sullo schermo del suo telefono.
“Tutto ok, babe?”
Mugugna, afferrando il suo cappuccino formato famiglia. Il telefono inizia a squillare. “Arrivo subito.”
La osservo allontanarsi e discutere animatamente con il suo interlocutore. Osservo anche io il mio telefono, attenta più del solito alle notifiche sul mio schermo. In questi giorni è Noel a lasciare che le mie chiamate perse si accumulino e mi è necessario più di un lungo respiro per ricordarmi la sacralità dello spazio che ci siamo concessi. O che mi sono presa.
“Chi era?”
“L’albergo… Ci hanno tolto le stanze nell’attico.”
“Che rottura di coglioni”, sbotto infilando gli occhiali da sole. “E perché?”
“Apparentemente dei VIP all’ultimo momento hanno richiesto quella parte di albergo.”
“Chi cazzo è, Obama? Il fottuto Bill Clinton? David Bowie? Vabbè, poco male, babe… Un motivo in più per tornare ancora prima a Frisco e non starcene troppo qui.”
“Pensavo ti piacesse Los Angeles”, infila un dito in bocca dopo aver raccolto meticolosamente le briciole del suo dolcetto dal tovagliolo.
“Mi piace… Ma è alienante, no? Siamo quasi a Natale e qui sono tutti in infradito. E’ una buffonata.”
Quella ride, “Beh, da voi fa freddo tutto l’anno, piove, è grigio…”
“Aiuta l’introspezione”, sorrido bevendo un altro sorso.
“Ritorni a Manchester per Natale?”
Scuoto la testa, “Non credo. Abbiamo tanto lavoro, mia mamma verrà qui, siamo stati invitati tutti a casa di Jackie a festeggiare con il clan dei Baker a Tiburon.”
“E il tuo futuro marito?”, il viso scompare nel bicchiere.
“Quello che da qualche giorno ignora le mie chiamate? Starà sul divano di casa a grugnire contro le feste comandate aspettando le partite del Boxing Day.”
Poso lo sguardo sulla gente che scorre intorno a noi. Ogni tanto, da qualche parte, un groppo di tristezza infinita mi attanaglia lo stomaco. E’ come se avessi le vertigini per un profondo vuoto all’altezza del cuore. Ho bisogno di respirare con la bocca aperta, incamerare aria. A volte temo siano gli attacchi di panico che ritornano, la cocaina che vuole ancora dire la sua. Poi razionalizzo. E’ il passato, l’effetto ancora impercettibile ma ben presente della centrifuga degli anni Novanta. Tengo stretto ogni ricordo perché ogni singolo momento è stato bellissimo. E l’ho amato con tutta me stessa.
“A cosa pensi?”
“La mia prima volta negli Stati Uniti. 1994. Io e Noel in ogni aeroporto ci mettevamo a osservare gli aerei che atterravano e decollavano. Abbiamo scoperto il mondo così.”
“Io non lo so perché hai messo questa distanza tra voi, ma secondo me a lui non piace.”
“Non piace neanche a me, babe. Ma ho vissuto riflettendo la sua luce per vent’anni.”
Lascio cadere quest’amara riflessione tra noi come il telefono nella borsa.
“Davvero?”, si pulisce le labbra. “Perché a me sembra che tu abbia le capacità di brillare anche senza Gallagher senior.”
Sorrido, sistemando la carta di credito aziendale tra le altre.
“Andiamo? All’UCLA ci stanno aspettando.”
Audrey annuisce sovrappensiero, controllando ancora una volta il telefono.
 
“Buonasera. Rolling Stone, avevamo le camere nell’attico –”
“Oh, mi dispiace moltissimo. Ho parlato questa mattina con la persona che ha fatto le prenotazioni. E’ stata un’emergenza, abbiamo dei VIP che ci hanno chiesto categoricamente di riservare l’attico… Vi abbiamo comunque assegnato delle camere eccellenti”, il manager dell’albergo lussuosissimo e centrale che il nostro magazine ci riserva ogni volta che ci troviamo a Los Angeles è formale, ma comunque molto dispiaciuto.
“Me l’ha detto la mia collega, ma… VIP? C’è Barack Obama nel nostro albergo?”
Arrossisce, portandosi una mano alle labbra, “Non posso rivelarglielo, mi dispiace.”
“Insomma, se c’è il nostro Presidente credo di avere diritto a sapere… Oppure c’è l’FBI che ci controlla?”, ridacchio.
“Niente di tutto questo… No, niente di tutto questo, signora.”
“Allora non è Barack Obama”, gioco con la carta magnetica della stanza.
“Però troverà un regalo nella sua stanza, signora.”
“Un regalo?”
“Sì, gli ospiti dell’attico vorrebbero scusarsi per il disguido.”
Scoppio a ridere, “Maledetto Barack, che gentiluomo. La mia collega le ha già prenotato la cena, vero?”
“Sì, signora. Avete un tavolo già riservato per le 20.”
“Vado a vedere il regalo”, sorrido.
Passo spedita davanti ad una porta chiusa su cui una targhetta recita “PRIVATO – NON ENTRARE”. Dietro alla porta due persone stanno dialogando, rallento il passo nella speranza di accontentare la mia curiosità.
“Ha dimenticato qualcosa, signora?” alle mie spalle l’instancabile direttore mi controlla meglio dei servizi segreti.
“Non trovavo l’ascensore!”, rispondo senza voltarmi. Audrey, intanto, mi raggiunge trafelata dal parcheggio. “Hai già chiesto per la cena?”
“Confermata alle 20. Sembra che quelli che ci hanno rubato le stanze nell’attico ci abbiano lasciato un regalo.”
“Figo”, i suoi occhi si illuminano. “Mi faccio una doccia e vengo da te, così parliamo degli appuntamenti di oggi.”
L’ascensore inizia a salire.
“Brad Pitt ha confermato per lo shooting?”
Quella annuisce, recuperando il telefono dalla tasca posteriore dei jeans. “La cover con Sean Penn è piaciuta un sacco.”
“E ci mancherebbe.”
Sorride, “Come ti è sembrato oggi?”
“Bello, no?” dlin, procediamo lungo il corridoio verso le nostre stanze. “Poi chi mai avrebbe pensato che mi avrebbero offerto un workshop in università. Dovrò affinare il mio accento yankee.”
“Ne hai di pratica da fare, allora”, ride.
Strisciamo le carte magnetiche sulle porte delle rispettive stanze comunicanti e vengo investita da un intenso profumo di fiori freschi. Mi affaccio sul salottino che precede la camera da letto e mi manca il fiato: la camera è tappezzata di rose rosse. Un biglietto stampato, sul tavolino accanto allo svuotatasche di design, recita: Spero che le rose possano regalare una vista migliore di quella dell’attico. Grazie per la comprensione.
“Comprensione un cazzo”, sussurro a denti stretti, osservando più da vicino le rose che riempiono ogni spazio vuoto tra gli arredamenti.
“Qui non c’è nessun regalo!” sento piagnucolare Audrey dietro la porta scorrevole che fa comunicare le due stanze.
“Guarda qua”, la invito a entrare. Si ferma con la bocca aperta, esclamando solo “Che cazzo! Hai idea di chi sia?”
Le allungo il bigliettino, lei lo legge e lo rilegge. “Non ci sono indizi. Però sembra una persona gentile.”
“Già.”
“Io un’idea ce l’ho”, alza un sopracciglio maliziosa.
“Chi?”
“Un certo attore tenebroso inglese che da qualche anno fa il pirata e l’ultima volta che ti ha vista non ti ha tolto gli occhi dalle tette.”
“Johnny Depp?”, scoppio a ridere. “Ma cosa dici…”
“Intanto delle tette io me ne sono accorta e tu no… Eri troppo impegnata a spiegargli come immaginavi lo shooting.”
“E’ il mio lavoro.”
“Anche bere gintonic insieme dopo le sette di sera è lavoro?”
“Conosco Johnny dagli anni Novanta…”
“E lui conosce te”, mi fa l’occhiolino. “Vado a farmi la doccia.”
Sgambetta nell’altra stanza canticchiando.
“Secondo te Barack Obama potrebbe mandare tutte queste rose?”
“Johnny Deeeeep!” la sento urlare ridendo.
 
Negli alberghi in giro per il mondo non siamo mai stati gli ospiti modello. Una volta Noel lanciò fuori dalla finestra un televisore, Liam molto spesso sparava Revolution al massimo e si metteva a ballare con i fan, adoranti, sotto il balcone. Dopo un po’ di tempo lo si percepiva nelle espressioni dei volti dello staff, il fatto che fossimo un uragano. Arrivavamo, e che Dio gliela mandasse buona per sopravviverci con meno danni possibili.
Con la maturità di questi anni mi rendo conto che potevamo essere insopportabili, sicuramente imprevedibili, ma non riesco a non giustificarci. Era tutto lì, sul piatto. Se volevamo, bastava chiedere di più. Io solitamente mi accontentavo della stanza più semplice che ci fosse, a patto che fosse pulita. Liam no. Liam pretendeva gli eccessi e il lusso. Noel esigeva che tutto procedesse come voleva lui, dalla consegna delle camere al servizio dei pasti. A ridosso dei concerti, quando non era così fatto da perdere la concezione del tempo, ci metteva in riga come un esercito.
Ci siamo abituati rapidamente agli hotel extra lusso e ad ogni comodità immaginabile, eppure i ricordi più belli che ho sono quelli in cui scappavamo, o in cui facevamo cose normali. Stare seduti per terra a fumare e mangiare patatine direttamente dal pacchetto, sgattaiolare fuori nel bel mezzo della notte a insaputa di Tim e Alan per vagare per la città, sbronzarci in qualche bar in cui non saremmo stati riconosciuti, dividerci in squadre e giocare a nascondino nei corridoi, improvvisare concerti e ballare fino a quando non ci girava la testa. Mi mancano gli Oasis, ammetto a me stessa con nostalgia.
“Non hai la sensazione di essere osservata?”
Audrey addenta un pezzo di carne, “A dire il vero no. Mi sa che è tutto nella tua testa.”
“Sarà…”
“E’ figo quello che ci hanno proposto per gli eventi, ma un workshop alla UCLA tutto tuo è ancora più incredibile”, porta il bicchiere alle labbra, il Chianti che ho ordinato viene dimezzato.
“Il contatto era di Jackie, ha proposto questa cosa ed è piaciuta.”
“Beh, so che sono di parte, ma la vostra rubrica è uno spasso.”
“Grazie, babe. E i tuoi progetti come vanno?”, addento un cubetto di avocado.
Scrolla le spalle, “Bene. Bene? Non lo so. E’ incredibile essere una fotografa a RS, anche se ancora agli inizi… Però non so, sbaglio a voler fare qualcosa di più? Qualche live in più, magari un tour?”
“Uh, non pensavo diventasse una riunione interna”, le sorrido. “Scherzo, stai tranquilla. Farò in modo di assegnarti più live, ma ti mando in tour con una band solo se diventi una libera professionista assunta da una band. E conosco più di una band che trarrebbe molto giovamento da una presenza come la tua.”
“I Beady Eye?” le si illuminano gli occhi.
“No, Liam ha già i suoi fotografi e non ti metterei mai nelle diatribe famigliari dei Gallagher… Ma ci sono tanti contatti, parecchi li hai anche tu in prima persona. Decidi cosa vuoi fare, però.”
“A me piace lavorare con te.”
“Anche a me, sweetie, ma se lo vuoi, dobbiamo pensare alla tua carriera.”
“E se facessimo qualcosa insieme?”
“Un progetto insieme?”
“Perché no… In fondo mi hai aiutata per la mia tesi.”
“Sì, è vero, l’ho fatto…”
“Una Guinness, signora”, il cameriere lascia un boccale pieno di birra di fronte al mio piatto.
“Non l’ho ordinata, anche se la apprezzo molto.”
“E’ un regalo di un nostro ospite.”
“E chi è?” mi guardo intorno curiosa. “E’ qui?”
“Non posso dirglielo, signora. Buona serata.”
“Sono i fottuti servizi segreti, Audrey. Io ne sono certa, io –”
In fondo alla stanza, al bancone del bar, due occhi mi fissano divertiti. Non so se è sempre stato lì o se lo vedo in questo momento per la prima volta.
Accanto alla Guinness c’è un bigliettino che recita: Vuoi vedere l’attico più tardi?
Sorrido, complice. Porto il boccale alle labbra, gustando un lungo sorso. “Il nettare degli dèi.”
“Sei diventata strana”, osserva Audrey. “E’ Johnny Depp vero? Cosa dice il bigliettino? E poi, comunque, sinceramente, da amica… Depp rispetto a Gallagher è un universo diverso.”
“Perché mi tratti come se fossi single?”
Guardo alle sue spalle. Ha piegato la testa, la bocca socchiusa in un ghigno.
“Perché lo sei. Sei in pausa… E’ il preludio ad essere single.”
“Chi lo dice?”
“Chiunque sia stato in una relazione più di una settimana.”
“E tutto il discorso del mio amore per Gallagher come l’unico esistente al mondo?”
“Sal, perdonami, ma una sana scopata con Depp non te la faresti? Sei in pausa…”, scrolla le spalle ridacchiando.
“Mettiamo che sia Johnny Depp, che per inciso ho visto nudo in un lontano 1997 –”
“ – No, no, no, slow down. Tu, tu hai visto nudo Johnny Divino Depp e siamo qui da anni a struggerci per Noel Gallagher? Porco cazzo, Sal”, beve l’ennesimo bicchiere di vino.
“Non era la nudità il punto”, gioco con le dita intorno all’orlo della birra. Alzo lo sguardo, mi sento così osservata da arrossire. “Mettiamo che sia Johnny Depp, dicevo… Dopo una sana scopata cosa accade?”
“Ma che ne so, te ne fai un’altra. E poi ci dimentichiamo Gallagher. Non esiste niente di più facile di una pausa da smaltire dall’altra parte del mondo. Lui sarà irrimediabilmente triste”, si porta una mano al petto melodrammatica “e scriverà un sacco di canzoni lamentose e si comprerà una nuova casa.”
“Lo fai sembrare Eddie Vedder.”
Mi indica con il coltello, “A proposito di gente con cui farsi una sana scopata!”
“Taglialegna del cazzo, lui e le sue camicie a quadri. Chissà quando si rivelerà l’autore di tutti questi regali…”, la stuzzico.
“Io sono certa ti aspetti più tardi nel suo attico, il buon Jack Sparrow. Tanto domani abbiamo l’aereo di ritorno tardi.”
“Non volevi parlare di lavoro? O continuiamo a immaginare la mia vita sessuale con Johnny Depp?”
Due occhi tanto profondi da sembrare brillanti mi si sono piantati addosso da un po’, accompagnati da un sorriso divertito ed estremamente sexy. Sento caldo e mi passo una mano tra i capelli, spingendo il petto in fuori volutamente teatrale, fingendo di stiracchiarmi. Gioco con una ciocca di capelli, mi conosce a memoria, sa di cosa profumano i miei boccoli biondi e come gli scivolano tra le dita. Come se qualcuno l’avesse colpito alle spalle, lo vedo fare uno scatto in avanti. Sorride di nuovo, riprende a fissarmi, passandosi il pollice sul labbro inferiore.
Si ferma il tempo.
 
Esco dall’ascensore su di giri. Meglio della cocaina, penso tra me e me, elettrizzata e con il cuore in gola. Mi fermo, la mano a mezz’aria per bussare. Inspiro, espiro. La luce calda del corridoio ronza nel silenzio. Nello stesso istante si apre la porta, rivelando una camicia bianca risvoltata ai gomiti, i pantaloni scuri e un sorriso strafottente e bellissimo.
“Stavo per iniziare da solo.”
“Non ci provare.”
Non mi lascia finire la frase, tirandomi a sé con forza, le mani sul mio sedere. Il bacio più irruente, violento e sensuale che potrebbe darmi. La sua bocca cerca la mia con insistenza, come se la scoprisse per la prima volta. Mi manca l’aria.
“Le rose?”
“Dovevo andare all in.”
Lo zittisco con un bacio, le mie mani hanno già iniziato ad esplorare il suo corpo.
“Non ho mai amato parlare”, sussurra.
“Non avrei voglia di ascoltarti”, sorrido delineando il suo profilo con la punta dell’indice.
“Quanto mi sei mancata, blondie.”
Gli sto già sbottonando la camicia, concentrata sulla sua pelle chiara. “Come feed me, and then bring me down”, sussurro prima di condurlo per mano verso la camera da letto padronale in un attico vista Los Angeles.
 
Da una certa età in poi, gran parte dei miei risvegli sono stati accompagnati da melodie più o meno conosciute. Le percepivo prima ancora di svegliarmi davvero, ogni tanto si mescolavano ai miei sogni, a immagini a cui cercavo di rimanere aggrappata ancora un po’.
Una luce bianca e accecante mi investe dalle finestre che affacciano sulla città. Sussurro un improperio prima di rendermi conto che al mio fianco non c’è nessuno, le lenzuola sono arrotolate al fondo del letto. Los Angeles è un paradosso, scorre ma sembra sempre immobile. Nel traffico, negli stereotipi, nella megalomania.
Mi alzo sbadigliando e mi avvolgo nel lenzuolo, trascinando i piedi sul pavimento. La figura che conosco meglio al mondo, casa mia. Due spalle strette piegate su un pezzo di carta e una chitarra accanto.
“Buongiorno Noelie.”
Si volta sorridendo. Il sorriso più bello che io abbia mai visto. Si alza, in silenzio, e mi regala un bacio lungo e appassionato. “Tu non dovresti essere qui.”
“Hai ragione”, sbuffo. “Che cazzo di ore sono? Devo recuperare Audrey e tornare a Frisco e –”
“ – Intendevo che devi tornare di là, con me”, ha già preso l’orlo del lenzuolo tirandolo verso di sé.
“Forse dovremmo parlare”, inizio a baciarlo sul collo, percorrendo il bordo della t-shirt blu. “Parlare delle tue sorprese… Della nostra pausa… Di Johnny Depp…”
“Cosa cazzo c’entra il fottuto Johnny Depp adesso?”
Scoppio a ridere. “Poi te lo racconto. Posso raccontartelo dopo?”
“Cosa devi fare adesso?”
“Cosa devi fare tu, adesso.”
 
“E così non era Johnny Depp”, Audrey non se ne capacita, giocando con la bottiglietta d’acqua tra le mani.
“Vorrei ricordarti che sono qui presente, fotografa dei miei coglioni”, sbotta colui che non è Johnny Depp dall’altra parte del corridoio tra i sedili della prima classe.
“Ehi!” riprendo Noel. “Tu lascia stare Audrey e tu, sweetie, dagli tregua.”
Quella si mette a ridere. “Sei così tanto dittatoriale e così tanto insicuro, Noel Gallagher?”
“Con tutti i soldi che ho, luv, non so cosa farmene delle insicurezze. Hai visto che cazzo di sventola ho per moglie?”
“Non è ancora tua moglie. Magari le viene voglia di rivedere nudo Johnny Depp.”
“Hai visto Johnny Depp nudo?”, il suo tono di voce si alza appena.
“1997, ritorno da Mustique, tu e Meg Mathews eravate in un idillio d’amore –”
“ – Cosa cazzo c’entra quel fenomeno da baraccone con te e Johnny Depp?”
“Che a Mustique ci sono stata anche io, ospite di Johnny e Mossie. Lo sai che si faceva il bagno nudi da quelle parti…”, sorrido.
“Ah, quindi anche lui ha visto te nuda. Molto bene.”
“Si vede che la stai prendendo bene, Chief!”, dal suo cantuccio accanto al finestrino Audrey rincara la dose. Lui la incenerisce con lo sguardo.
“Noelie…”
“Non Noelie-me.”
“Smettila e pensa che stai tornando a San Francisco con me e prima e dopo quel 1997 mi hai vista nuda qualche volta in più di Johnny Depp.”
Audrey si tappa le orecchie chiudendo gli occhi, “Non voglio ascoltarvi!”
Lui si volta con uno scatto, recuperando l’aria da gatto sornione. “Dovrei rimpinguare le mie miglia in prima classe, mi accompagni in bagno? Credo che la nostra piccola petulante californiana sappia sopravvivere anche senza di noi.”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** If I had a gun. ***


“Pensavo tornassi a letto.”
In piedi di fronte alla finestra, sorseggio una tazza di caffè stringendomi nella vestaglia. Pensieri che si dileguano rapidi, come la nebbia intorno al Golden Gate. “Devo andare a lavorare,” mi volto lasciando che mi tiri a lui “a differenza tua. Buongiorno, Noelie.”
“Io lavoro ogni singolo giorno della mia vita, senza pause, è tutto qui”, picchietta con l’indice sulla tempia e mi posa un bacio sulla fronte.
“Per quanto sia stato incredibile fare sesso e nient’altro in questi giorni –”
“ – Avevamo qualche arretrato”, mi interrompe.
Annuisco, “Dovremmo parlare, non credi?”
Scrolla le spalle e si immerge alla ricerca del suo the preferito nel pensile della cucina. “Se lo dici tu.”
“Lo dico io.”
Posiziona il filtro nella tazza, accedendo la fiamma sotto il bollitore. “Ok, quindi? Mi inviti a cena? Offri tu?”
“Sai cosa ti dico? Che io”, rivolgo il dito a me “lavoro tutto il giorno, mentre tu starai qui a cercare ispirazione. Preparala tu la cena.”
“Ehi, ehi, ehi… Non sono un maschilista del cazzo però, insomma… Io non preparo la cena.”
“Sei un maschilista del cazzo e mi aspetto di trovare una deliziosa cena su questo tavolo stasera”, ci appoggio una mano sopra e, nel farlo, afferro un plico di fogli che avevo abbandonato lì prima di partire per Los Angeles. “Ora vado a cambiarmi.”
Non gli lascio possibilità di rispondere, rimane immobile a fissarmi con la bocca aperta.
“Chiudi la bocca. L’acqua è pronta. Cerca di recuperare l’uso della parola per stasera”, lo sfotto uscendo dalla stanza.
“Fanculo, blondie.”
 
“Quando glielo dirai? Perché hai intenzione di dirglielo, vero?”
Armeggio con il telefono collegando gli auricolari, e inizio a camminare spedita verso l’ufficio. “Per ora tutti i documenti sono nella mia borsa con me, glielo dirò stasera a cena.”
“Porca troia, quanto la prenderà male…”
“Fammi capire,” sventolo la mano in aria, vengo interrotta. “Abbassa la voce, blondie. Non sarai a Londra ma sei pur sempre un’osservata speciale. I tabloid sono zeppi delle vostre foto all’aeroporto a fare i fottuti piccioncini. Chi se lo immaginava che il dittatore sapesse ancora ridere.”
“Cristo,” apro il pacchetto di Marlboro Light, una sigaretta tra le labbra, il primo tiro è tanto nervoso che devo tossire.
“Sai ancora fumare o Gallagher con tutte le scopate che vi siete fatti ha compromesso le tue capacità respiratorie?”
Scoppio a ridere, “Ma cazzo, come ti viene in mente… Comunque, volevo dire… Insomma, in tutti questi anni lui si è fatto la sua vita, andato e venuto come preferiva, e io non posso decidere di rimanere qui?”
“Stanno spostando Rolling Stone a Los Angeles? E’ per quello che avrai un nuovo appartamento… Non sarai più a San Francisco.”
Mi manca il fiato.
“Sal?”
“Sì, sì, ci sono… Io…”
“E’ questo quello che facevi davvero a Los Angeles, vero? L’incontro all’UCLA ti è servito per tenere impegnata la tua amica.”
Mi aggrappo alla mia sigaretta rallentando il passo.
“Dovresti parlarne con Noel, sai?”
“Sì… Sì, gli parlerò anche di questo.”
“Soprattutto di questo.”
“Lo so. E’ che… Voglio rimanere negli Stati Uniti perché sono diventata ciò che sono qui. Quando Noel non c’era, ho rimesso assieme i pezzi qui”, la voce mi si incrina, non riesco ancora a parlare degli attacchi di panico, degli effetti dei farmaci, del dolore della mancanza.
“Nessuna argomentazione da parte mia. Però parla a Noel, perché tu sei l’unica persona al mondo che ascolta e vorrà sapere tutto. Magari è già venuto a saperlo.”
“Di Rolling Stone? Non credo. E’ ancora tutto discusso internamente, per ora a San Francisco siamo rimasti noi fotografi e poco altro. Ma dal nuovo anno, il prossimo mese insomma, mi aspetterà una nuova vita a Los Angeles, porca puttana. E indovina a chi tocca dirlo ai fotografi?”
“Sono le responsabilità del capo, dovresti saperlo…”, ride. “Noel rimarrà lì per Natale?”
“Sì è già autoinvitato dai Baker.”
“Ci manchi qui. Manchi molto a Liam.”
“Mi manca anche lui. Lo sento quasi ogni giorno per i Beady Eye… Temo non si sia preso abbastanza tempo per soffrire per il lutto degli Oasis.”
“Lo credo anche io. Ma noi ci siamo per lui, vero?”
“Siamo la sua rete di sicurezza. Per sempre.”
Rimaniamo un attimo in silenzio, mi era mancato anche questo.
Blondie?”
“Mmm?”
“Mi erano mancate queste chiamate. Mi sei mancata tu.”
“Lo so, Paulie. Mi sei mancato tanto anche tu.”
“Non mi hai sostituito con Gem, vero?”
“Finiscila di dire stronzate e vai a dormire.”
 
In un’atmosfera di surreale silenzio, recupero la bottiglia di whiskey regalatami da Deborah. Sarà di casa ancora per pochi giorni, qui.
I magazine fanno sempre più fatica nel mondo di oggi e così la divisione americana ha deciso di concentrarsi a Los Angeles, decisione che, per quanto odiata, comprendo benissimo. Pensavo che Audrey la prendesse peggio, in fondo il suo posto di lavoro, insieme al mio, è garantito. Ma alcuni dei ragazzi verranno lasciati andare e mi chiedo se non stia tornando il momento di imbracciare la macchina fotografica per qualche live e fare un po’ meno la manager. Sembra così lontana l’eccitazione prima di salire sul palco, la folla alle mie spalle, l’energia che possono creare migliaia di persone unite indissolubilmente alla loro band. Gli Oasis più di tutti erano la testimonianza di quel legame quasi di sangue, come l’amore per una squadra di calcio: devoto, insondabile, indescrivibile. Mi manca quell’unione, mi mancano i miei riti, mi manca condividerli con i miei amici di sempre.
Alle mie spalle Audrey percorre il corridoio con una cartellina in mano, impegnata a leggerne il contenuto non si rende conto del mio aperitivo personale.
Osservo, nella penombra, come ho sempre fatto. Come ho sempre saputo fare magistralmente. Noel sapeva dove trovarmi senza esitazione. Entrava in una stanza e mi piantava gli occhi addosso: io diventavo il riflesso dell’ambiente circostante e da me capiva tutto, subito.
Il pensiero di tornare a casa e trovarlo ad aspettarmi mi terrorizza e mi emoziona. E’ stato così facile ritrovarsi dopo mesi, stravolti dalla mancanza e dall’eccitazione di volerci così tanto. Dopo tutto questo tempo. Ma non abbiamo più vent’anni e l’effetto dei medicinali a farci dimenticare le cose, ed è necessario che capiamo a che punto siamo. E dove vogliamo andare.
Sposto lo sguardo sulle foto che ci hanno scattato i paparazzi all’aeroporto. She is love, recita il titolo, riprendendo quello di una canzone del repertorio recente dei Gallagher. Di colpo, un pensiero che non mi ha mai sfiorata negli ultimi anni, mi si pianta in testa: sua figlia vede queste cose? Sa chi sono? Chi pensa che io sia? Cosa le ha detto quel concentrato di nevrosi e cocaina di sua madre?
 
Non sembra guardare al passato con rabbia Noel Gallagher, atterrato nella serata di martedì a San Francisco insieme alla sua compagna ed ex fotografa degli Oasis.
 
Sorrido. Per quanto ancora la gente si divertirà ad associare il mio nome e Don’t Look Back in Anger? Non avete un po’ più di fantasia, cazzo?
Il mio iPhone annuncia l’arrivo di un messaggio.
Io e Nic ti aspettiamo a Capodanno, non puoi dire di no. Ti abbiamo già comprato i biglietti. Luv ya. LGx
L’ennesima discussione da portare a tavola stasera.
 
Si può sentire la melodia della chitarra acustica dalle scale e nel tornado temporale che vivo praticamente ogni giorno, mi ritorna in mente quell’appartamento piccolo e spartano a Londra, con il campanello che recitava Harrison e il vicino grasso che si lamentava del riff dei T-Rex. Quell’attacco di dolore improvviso causato dai medicinali dopo l’incidente, lui che suona Slide Away in cucina pensando che io non lo senta, tenendomi lontana quella canzone per poi cantarmela sottovoce facendomi addormentare. Noel e Sally.
Quando apro la porta di casa, la sua musica e un delizioso profumo mi investono.
“Sono a casa!”
“Ciao luv.”
In tuta, coricato sul divano, mi sorride indicandomi il tavolo apparecchiato. Il cibo italiano mi fa nutrire non pochi sospetti.
“E’ tutta farina del tuo sacco?”
“Certo,” mette su la sua faccia buffa. “Ho sempre saputo fare gli spaghetti.”
“Peccato che quelli siano gnocchi. Almeno leggi sulle vaschette del take away prima di raccontare palle. C’è lo zampino di Jackie o sbaglio?”
“Le ho chiesto solo qualche consiglio…”
Scuoto la testa. “Buon dio, Gallagher… Quanto sei pigro. Fammi mettere qualcosa di più comodo e mangiamo.”
“Ma a me piaci così.”
“Ma i tacchi sono scomodi per mangiare!” urlo dalle scale.
Un attimo di silenzio, indovino D’Yer Wanna Be a Spaceman strimpellata, facendola, magicamente, diventare Don’t Think Twice It’s Alright. Mi siedo sul primo gradino delle scale, ascoltando la sua voce accompagnare gli accordi e procedere a memoria. Una canzone perfetta per lui.
“Bob Dylan? Mi vizi…”
Lascia la chitarra sul divano, prendendomi per mano mi avvicina a lui e mi bacia lentamente. “La cena può aspettare, vero?”, sussurra.
“Noelie G”, scuoto la testa. “Neanche negli anni Novanta mi volevi così tanto.”
“Non è vero, negli anni Novanta se non avessi avuto una band da mandare avanti ti avrei presa in ostaggio per anni.”
Scoppio a ridere, “Mangiamo questo adorabile cibo italiano preparato con amore dal ristorante ad un isolato da qui.”
“Jackie mi ha detto che è il migliore e contando quanto ho speso, lo spero.”
“Quanto ti devo?” lo prendo in giro.
“Tranquilla,” storce le labbra. “Puoi sdebitarti più tardi in camera da letto.”
“Wow, costa così tanto?”
Ride, versando il vino nei bicchieri disposti sul tavolo.
“A Capodanno tornerò a Londra.”
“Era ora che ti decidessi a tornare e a lasciare questo paese di megalomani del cazzo.”
“Sono stata invitata a festeggiare dall’altro Gallagher.”
“Paul? Beh, non siete mai stati migliori amici ma si vede che –”
“Liam. Lui e Nic mi hanno invitata da loro.”
You gotta be kiddin’.”
“Non ho ancora capito come fare, Noelie… Come gestirvi.”
“Ci puoi gestire che passi la tua vita con me e lo incontri una volta al mese come i cazzo di carcerati.”
“Noel…”
“Sarebbe più facile se lo odiassi, sai?”
“Sì, ma non sarebbe la nostra famiglia… La famiglia Gallagher.”
Sorride, quel sorriso che conosco bene che vuol dire Questa te la faccio passare, ma solo perché sei tu. Allunga la mano sul tavolo, stringendomi le dita.
“Famiglia, eh”, scuote appena la testa, concentrando la sua attenzione sul piatto davanti a sé.
“Hai visto le nostre foto sul Daily Mirror? Il cazzo di titolo She is love”, infilzo uno gnocco con la forchetta.
“Hanno una fantasia disarmante.”
“Oggi ci ho pensato… Forse crederai che sia stupido che mi accada solo adesso ma… Mi sono chiesta di Anais.”
“What about her?”
Sospiro, “Sa chi sono? Vede questi articoli? Cosa le dice sua madre?”
Si lascia andare sullo schienale della sedia, facendo spallucce. “Non so cosa le dica sua madre, sinceramente non me ne frega un cazzo. Ma io le ho parlato di te e lei mi ha chiesto chi fossi. Ha quasi nove anni, è piuttosto sveglia.”
“E cosa le hai detto?”
“Le ho detto che sei la mia fidanzata e che ti amo molto e che quando sarà il momento vi conoscerete.”
“Quando sarà pronta?”
“Quando sarai pronta tu, luv. Lei è così tanto curiosa che ti conoscerebbe anche oggi stesso.”
Annuisco in silenzio.
“So che quando è nata non era il nostro periodo migliore e so anche che il fatto che sua madre sia Meg non ci aiuterà… Ma è mia figlia e io voglio creare una famiglia con te, quindi vorrei che la conoscessi prima o poi. Senza fretta.”
“Senza fretta”, ripeto.
“Allora, di cosa volevi parlare?”, l’espressione sul suo volto manifesta apprezzamento per il cibo. “Perché con questa storia del Capodanno non hai iniziato proprio bene, lasciatelo dire.”
“Di noi…”
“Beh, è facile. Tu ami me, io amo te, decidiamo un giorno in cui sposarci e finiamo sta telenovela del cazzo.”
Sorrido, “Io ho deciso di rimanere qui, Noelie.”
Alza un sopracciglio, “Quando l’hai deciso, di grazia?”
Mi appoggio allo schienale, sospirando, “Sono quasi dieci anni che sono qui e da questo posto ho avuto il meglio. Sempre e solo il meglio.”
“Quindi io devo venire a vivere qui?”
“Io dovrei venire a vivere a Londra?”
“Beh, luv… E’ pur sempre casa tua.”
Scrollo le spalle, “Manchester è casa mia. San Francisco è casa mia. Londra è stata casa mia per necessità, non perché lo sia per diritto acquisito.”
“E’ casa tua perché ci vivo io, per il momento.”
“Per il momento?”
“Volevo parlarti di trasferirci verso la campagna, un giorno non troppo lontano. Giardino, silenzio, spazio per entrambi…”
“Noelie…”, incamero aria nei polmoni. I suoi occhi, serissimi, sono il luogo nel mondo che mi fa sentire immortale. Sono sempre stati così. “Da gennaio la sede di Rolling Stone a San Francisco chiuderà.”
“Allora era vero…”
“Cosa?”
“Credi che non sappia cosa succede qui?”
Scrollo le spalle, “Saremo spostati a Los Angeles. Il mio affitto sarà coperto dall’azienda per ora. Però c’è anche altro…”
“Ah, bene. Hai deciso qualcos’altro in mia assenza di vitale importanza per la nostra relazione?”
“Ho deciso di comprare questa casa. E’ stato il posto che mi ha vista rinascere e mi ha permesso di farlo sempre essendo al sicuro. Lo devo a me stessa… Alla Sally che è arrivata qua distrutta dai medicinali… e da te.”
“Da me”, sussurra, lasciando cadere la forchetta sul tavolo. I bicchieri tintinnano.
“Sì, anche da te, Noel. O vogliamo fare finta che non sia così?”
Sospira, alzando lo sguardo verso il soffitto. “E’ una bella casa, questa. Se vuoi comprarla è giusto che tu lo faccia. Mi ci sono affezionato anche io.”
Mi coglie di sorpresa, tanto che lo osservo come se da un momento all’altro potesse trasformarsi in un essere dotato di maturità, comprensione e assenza di turpiloquio.
“A te va bene, quindi.”
“Perché non dovrebbe? Basta che la paghi coi tuoi soldi.”
“Ovviamente”, gli sorrido. Questa volta sono io a raggiungere la sua mano sul tavolo.
“Quindi quali sono i piani? Ti trasferisci a Los Angeles il mese prossimo e…”
“Inizierò a lavorare da lì, vedremo com’è.”
“Tu sai che Dave non è capace a vivere in Inghilterra, vero?”
“Non capisco cosa c’entri Dave Sardy ora.”
“Non appena sarà registrato, mixeremo l’album a Los Angeles. Insomma, conosco posti peggiori in cui passare il mio tempo.”
“Quindi per quanto dovremo ancora fare i pendolari?”, porto l’indice alle labbra.
“Più o meno un anno, niente di che.”
“Oggi in ufficio pensavo che mi piacerebbe tornare sotto il palco. A scattare per le band.”
“Peccato, a saperlo prima qualche mese fa avevo una band per cui avresti potuto lavorare”, ridacchia cercando il mio sguardo. Quando si scontra con il mio broncio, torna serio. “Non ci si può ancora scherzare sopra, eh?”
“Non potremo mai scherzarci sopra, Noel.”
Alza le mani in segno di resa, stringendosi nelle spalle. “Si parla anche di matrimonio questa sera, o fingiamo che io non abbia fatto una proposta?”
“Con tutto quello che abbiamo discusso stasera, vuoi parlare del matrimonio?”
“Beh, insomma… Diamoci un orizzonte temporale, ecco.”
“Dopo il tuo album. Fai uscire il tuo primo album da solista, piazzalo in cima alle classifiche, fai un tour mondiale e quando avrai finito ci sposiamo.”
“Altri due o tre anni, almeno.”
“Da quando sei disposto a mettere un matrimonio davanti alla carriera?”
“Da quando sei disposta a mettere la carriera davanti ad un matrimonio?”
Sorrido, “Ho imparato da te, Noelie G. Anche Bonehead stamattina mi ha detto che –”
“Ah, ci mancava anche il fottuto Bonehead. Continui a confidarti con uno che la prima volta che ha sentito Champagne Supernova ha pianto come una mammoletta?”
Alzo gli occhi al cielo, “Lascialo in pace, per una volta.”
“Ok, Sal. Va bene. Dopo il tour mondiale del mio primo album.”
“Ma solo se lo piazzi al numero uno.”
Ride, “Mi vedi preoccupato, per caso?”
“Beh, non so ancora cosa ci sarà dentro. Magari decidi di suona una sola nota per tredici tracce da quindici minuti.”
Si alza in piedi, liscia i pantaloni della tuta e raggiunge la chitarra.
 
If I had a gun I’d shoot a hole into the sun
And love would burn this city down for you
If I had the time, I’d stop the world to make you mine
And everyday would stay the same with you.
 
Give you back a dream
Show you now what might have been
If all the the tears you cried would fade away
I'll be by your side
When they come and say goodbye
We will live to fight another day
 
Excuse me if I spoke too soon
My eyes have always followed you around the room
'Cause you're the only God that I will ever need
I'm holding on
And waiting for the moment to find me
 
Dal retro della mente, il 1994 e Las Vegas sotto di noi.
 
“Cosa faresti se avessi una pistola?”
“Una pistola?”
“Una pistola.”
“Che cazzo di domanda è?”
“Io penso che sparerei su questa città del cazzo. Su tutto. Vorrei distruggere tutta questa merda.”
“Lo dici solo perché ti senti distrutta.”
 
“Mi hai risposto con qualche anno di ritardo.”
“Ho sempre avuto problemi col tempo.”

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Forever and a day. ***


“Buongiorno. Lei sarebbe…?”
Dietro ad un omone in completo blu e cravatta scura c’è Noel, in tuta, appollaiato sulla sedia che legge il giornale. Senza alzare lo sguardo, procede con le presentazioni “Sally, lui è Dominic, il mio avvocato. È un fottuto bulldozer. Dominic, she’s my lovely blondie.”
Dominic allunga la mano verso di me cordialmente “Buongiorno Sally, finalmente la conosco.”
“Piacere”, una stretta decisa “ha già sentito parlare di me?” domando aprendo il frigo “Qualcosa da bere?”
“No, grazie”, sventola la mano in aria “beh, sì, è impossibile non aver sentito parlare di lei.”
“Dominic si accertava che tu stessi bene negli Stati Uniti.”
“Io stavo benissimo”, mi verso un bicchiere di succo di frutta “di cosa si occupava riguardo alla mia vita, Dominic?”
Scrolla le spalle “Cose burocratiche… Mi assicuravo che non avesse problemi di natura legale.”
“Ne ha già uno a cui badare”, indico l’uomo alle sue spalle “non sono io ad aver bisogno di controllo.”
“Lo faceva perché glielo chiedevo io. Non volevo che avessi nessun tipo di problema” interviene Noel dopo aver bagnato le labbra nel the “Non prendertela con Dom, faceva solo quello che gli chiedevo.”
“Allora grazie Dominic. Le sarò molto riconoscente quando mi faranno causa per aver copiato le foto alla pubblicità della Coca Cola” ridacchio spostando lo sguardo su Noel.
“Non sei simpatica”, con una smorfia.
I’d like to teach the world to sing in perfect harmony… Ah, Dom, lei è così fortunato ad occuparsi di questo uomo.”
Dominic guarda Noel imbarazzato, senza muovere un muscolo, ma quello gli sorride “Stai tranquillo, Dom, è tipico di blondie. Se non fosse insopportabile, non la vorrei ancora qui a girare per casa.”
“A che ora ci aspettano in studio?”
“Tra circa un’ora”, interviene prontamente Dominic.
“Bene, allora devo andare a prepararmi”, osservo prima di ultimare il contenuto del mio bicchiere e lasciarlo cadere nel lavandino. “Sicuro che non posso offrirti niente, Dominic?”
“Luv, lo pago profumatamente, non è necessario che gli diamo per forza altro.”
Alzo gli occhi al cielo, teatralmente, assestando una pacca sulla spalla dell’avvocato prima di dirigermi verso le scale.
Oggi accompagnerò Noel alla Sour Mash Records, l’etichetta discografica che ha fondato durante gli affollati anni Duemila. Inizieremo a delineare tutto ciò che serve per il nuovo album. Non ho ancora sentito praticamente niente, Noel è estremamente felice e spensierato riguardo a questo disco. Io, dal canto mio, non sono mai stata più nervosa. Dormo male e il pensiero di tornare a breve negli Stati Uniti, con una nuova sede e un nuovo ufficio, mi terrorizza.
Mi sto stendendo la crema sul viso quando alle mie spalle compare lui, vedo la sua immagine riflessa nello specchio. Mi fissa, con un mezzo sorriso sulle labbra, in silenzio.
“Che c’è?”
Da dietro la porta fa spuntare una pagina di giornale, vedo che la foto ritrae due donne, ma non capisco di cosa si tratti.
“Cos’è?”
“Niente in particolare, stavo ammirando le tue cosce alla festa di Capodanno organizzata dal minore dei Gallagher…”
“Siamo io e Nic?”
“Precisamente.”
“Hai visto che bel vestito leopardato che aveva? Ne vorrei uno simile.”
“Sinceramente sono rimasto a fissare che cazzo di sventola sei.”
Mi metto a ridere, lui ride di rimando. “Ti diverti quando vedi i paparazzi, vero?”
“Li odio, li disprezzo… Ma mi fanno molto ridere.”
Ritorno a concentrarmi sui prodotti per il viso, ma Noel la pensa diversamente. Mi cinge la vita, baciandomi il collo. “Abbiamo ancora un po’ di tempo…”
“No, Noelie, siamo già in ritardo”, cerco le sue labbra. Il suono del mio iPhone ci interrompe, Audrey lampeggia sullo schermo.
Rispondo rapidamente, mentre passo il mascara sulle ciglia: “Posso richiamarti tra qualche minuto? Appena salgo in macchina.”
Noel fa nuovamente capolino alla porta del bagno, ora ha il suo parka preferito tra le mani.
“Ma non dovrebbe essere a dormire?”
“Sono giornate del cazzo per lei.”
“A quanto pare anche per te, non so quand’è stata l’ultima volta che ti ho vista dormire davvero.”
“Sai benissimo cosa ci aspetta, Noelie. Tra qualche giorno sarò là anche io.”
“Devi proprio?”
“Devo proprio.”
“Ma io ho bisogno di una fotografa.”
“Non ne hai bisogno adesso, luv. Quando ne avrai bisogno, saprai a chi chiedere.”
 
Riprendo per l’ennesima volta a leggere il foglio davanti a me. Non riesco a concentrarmi, la mia attenzione ritorna sempre alla finestra e alla nebbia di Londra, pesante come un cappotto sullo spoglio giardino interno.
“Ciao.”
Una voce giovane alle mie spalle mi fa girare, sorpresa. Farei fatica a indovinare il nome di questa bambina, se non fosse la copia in miniatura di suo papà. Mi si mozza il respiro e le mani, improvvisamente, sembrano anestetizzate.
Dieci anni. Dieci anni da quella mattina in cui la sua nascita è coincisa con la mia partenza. Le nostre nuove vite. Il gennaio del 2000 era esattamente come questo gennaio: grigio, spento. Avevo sempre addosso gli occhiali da sole, io e Noel non ci parlavamo neanche più e i primi mesi di disintossicazione erano ciò che di più difficile avessi mai vissuto.
Quella mattina Anais Gallagher usciva infagottata tra le braccia di una giovane dottoressa, io schiacciavo a terra l’ultima Benson della mia vita inglese.
“Ciao. Tu devi essere Anais”, le sorrido.
Lei annuisce, nel suo cappottino di Burberry e gli stivaletti di gomma di Gucci. “Tu sei Sally. Ti riconosco dalla foto.”
“Quale foto?”
“Mio papà ha una tua foto nella custodia della chitarra. Sei tu di spalle, girata solo un po’, hai i capelli biondi come i miei”, afferra una treccina di capelli color camomilla “Papà dice che eri molto giovane lì, che te l’ha fatta lui.”
Annuisco, “Ricordo quella foto. Piacere, sono Sally.”
“Anais Gallagher”, mi stringe la mano e avvicinandosi non posso che notare ancora di più la somiglianza con Noel. Gli stessi occhi, il profilo del naso, le labbra carnose. Solo i capelli non sono i suoi, così biondi e setosi.
“Posso sedermi?”, domanda con l’inglese impostato e preciso parlato dalla Regina. Mi fa sorridere.
“Certo,” le giro una sedia, avvicinandola a me. “Papà ti sta aspettando?”
Scuote la testa, “Non credo, ma mamma deve andare via per qualche giorno quindi forse posso stare con lui.”
“C’è anche tua mam-“
“Anais?”, un urlo dal corridoio mi gela il sangue. Non ho mai più visto Meg Mathews dalla notte che ha segnato per sempre le nostre vite. Non ricordo molto di quegli anni, sicuramente ricordo ancora meno di quella sera. Ma le sensazioni di pancia, l’istinto di autoconservazione, lottare o scappare, vivere o lasciarsi ammazzare, quello me lo ricordo bene. Improvvisamente ho voglia di vomitare, la nausea mi prende la gola.
“Anais?”
“Sono qui, mum!”
Un lungo cappotto bianco e una Birkin fanno ingresso nella stanza. Il tempo per Meg Mathews è passato, il primo pensiero che mi attraversa la mente.
“Ah, sei qui, buongiorno -“, si interrompe con il dito a mezz’aria, incredula. Probabilmente non si aspettava di vedermi o forse, dopo tutto questo tempo, è ancora un’ottima attrice drammatica.
“Ciao Meg.”
“Sally”, lo stesso disprezzo del primo giorno che mi incontrò, oggi è mitigato dalla maturità acquisita nel tempo. “Scusa, non mi aspettavo di vederti qui.”
“A chi lo dici.”
“Finalmente ho conosciuto Sally!”, interviene Anais, smorzando la tensione.
“Finalmente”, ripete Meg con sguardo assente. “Stai bene?”
Annuisco, “Non c’è male. E tu?”
Scrolla le spalle, “Meglio, dopo parecchio tempo. Ma credo tu capisca cosa intendo”, passa una mano sulla manica del cappotto, scoprendo un Cartier. Quello che le regalò Noel dopo Knebworth, o almeno così dice la leggenda. “Noel è da queste parti?”
“È andato a controllare della strumentazione con i ragazzi… Posso essere utile?”
Sospira. “Sono in ritardo, devo andare via un paio di giorni, è stata una cosa dell’ultimo minuto… Anais può stare con lui? Con voi, intendo”, si corregge rapidamente, come se si fosse appena scottata la lingua.
“Certo, non c’è problema”, sorrido guardando Anais.
“Ha le sue cose nello zainetto”, indica un piccolo zaino rosa di Prada ai suoi piedi, “il resto è già nella sua camera a casa.”
“Tutto chiaro”, alzo il pollice, giocando nell’altra mano con la penna.
“Allora, mio piccolo tesoro, mumma va via qualche giorno ma torna presto. Tu fai la brava.”
Anais annuisce, una ciocca di sottili fili biondi le ciondola davanti agli occhi. Meg gliela sistema dietro l’orecchio, accarezzandole il viso. “Ti chiamo questa sera, ok?”
Anais annuisce di nuovo, sorridendo. “Buon viaggio mumma.”
Meg le posa un bacio sulla fronte, rivolgendosi a me il suo sguardo torna ad essere assente. “Buona giornata, Sally.”
“Buon viaggio.”
Alza la mano e inforca gli occhiali da sole di Versace, lasciando dietro di sé un’intensa scia di profumo alla vaniglia e una bimba di quasi dieci anni che mi guarda affascinata.
“Papà parla sempre di te.”
“Davvero?”
Annuisce, “In continuazione. Dice che sei il suo angelo custode.”
Sorrido, ritornando con lo sguardo sul fottuto documento della Sour Mash. Sento lo sguardo di Anais su di me, grave come solo lo sguardo di un Gallagher sa essere.
“Cos’è quella?”, chiede indicando una cartellina che riporta la scritta a pennarello NG NEW ALBUM
“Una parte del mio lavoro”, afferro la cartellina aprendola. All’interno ci sono foto, ritagli, disegni e il mio studio sul concept grafico del nuovo album. “Sono alcune mie idee per il nuovo album di tuo papà.”
Osserva rapita le foto del deserto americano. “Dov’è qui?”
“Questa è la Death Valley, in California.”
“Dove vivi tu?”
“Io vivo sull’Oceano, ma sì, vivo in California.”
“Mi ci porterà papà un giorno?”
“Non vedo perché non dovrebbe.”
“Tu che lavoro fai?”
“Faccio la fotografa.”
“Come quelli che fanno le foto alle modelle? Io faccio la modella.”
Sorrido, “Come quelli che fanno le foto alle modelle come te. Ho fatto foto anche a Mossie.”
Gli occhi le si illuminano, “Figo!”
Un pensiero sembra attraversarle la mente, poi ritorna su di me: “Hai fatto anche tante foto agli Oasis vero?”
“Ero la loro fotografa ufficiale.”
“Ti piaceva?”
“Era la cosa più bella del mondo.”
Annuisce. Le mie risposte sembrano averla convinta.
“Sei bella. Mi piacciono i tuoi capelli.”
“A me piacciono molto i tuoi. E anche il tuo maglioncino.” La mia osservazione la inorgoglisce, perché me lo mostra ridendo, “Davvero?”
Dal fondo del corridoio sento che si avvicinano delle voci, Anais si aggrappa al tavolo per indirizzare la sedia girevole verso la porta. Tra gli stralci di conversazione, sento Noel dire a Dave “Voglio un parere di Sally prima di darti una conferma, voglio sapere cosa ne pensa lei.”
Fa il suo ingresso sorridendo, ma la vista di sua figlia tramuta il sorriso in un’espressione stupita. “Ciao piccola! Cosa ci fai qui?”, le posa un bacio sui capelli biondi, abbracciandola.
“Ciao papà. Mamma è dovuta andare via quindi ha chiesto se potevo stare con te e Sally ha detto sì.”
Lui sposta lo sguardo verso di me, accigliato: “Mamma ti ha portato qui?”
Io annuisco, Anais procede con la spiegazione: “Sì, poco fa. Mi sa che ha provato a chiamarti. Comunque è fino a domenica sera, perché lunedì c’è scuola.”
“Ma certo Nai. Io e Sally però dovremo lavorare…”
“Lo so, lo so”, alza gli occhi al cielo.
Dave è rimasto in silenzio ad osservare la scena, gli occhi puntati a captare le mie reazioni. Mi fa l’occhiolino ed entra in scena spezzando il nervosismo di Noel, ben nascosto agli occhi della figlia ma chiaramente visibile nella mascella serrata e l’unghia del dito medio che tormenta le cuticole del pollice.
“Sally ho bisogno di te. Ti prego di’ anche tu a Noel che possiamo fare tutto il mixaggio a LA… non ce la faccio a stare qui. Non con questo tempo.”
Mi metto a ridere, “Nessuno sarebbe più felice di me di avervi per mesi a LA. Tu ti ci troveresti bene?”
Noel mi sorride sornione: “Conosco posti ben peggiori in cui lavorare. E poi ci sei tu.”
“La pre-produzione la farete qui, hai bisogno di qualcuno dei miei, Noel?”
Scuote la testa, “Direi di no. Ormai sai come lavoro, no? Vorrei fare dell’editing a LA però. Mi piacciono gli archi che mi hai fatto sentire.”
“Ok, non c’è problema”, risponde Dave guardando verso il soffitto. “Ora bisogna iniziare a mettere insieme i pezzi, Noel.”
“Era ora”, mi lascio scappare in un sussurro.
Lui si sfrega le mani, ridendo: “Non vedo l’ora, cazzo.”
“Non ti ho mai visto così rilassato.”
“Me la sto godendo, Dave” si porta le mani incrociate dietro la nuca.
“Papà hai la pancia”, Anais scoppia a ridere indicando il lembo di pelle lasciato scoperto dalla polo azzurra e io rido con lei. Lui ci incenerisce, “Le biondine qui fanno le furbe, Dave.”
“Cosa vuoi dire a queste due…” ci sorride. “Sono la tua fortuna.”
Noel annuisce, guardandomi dritto negli occhi. Si avvicina alla mia sedia, prendendo una ciocca di capelli tra le dita. Li modella, come ha sempre fatto, un gesto spontaneo che lo calma, e calma anche me. “C’è tutto?”, indica il foglio davanti a me.
“Direi di sì, ma posso portarlo a casa per ricontrollare? Non sono riuscita a concentrarmi.”
“Sei stanca?”
Annuisco, passandomi la mano sugli occhi, “Abbastanza.”
“Gallagher, fai fare le ore piccole alla tua fotografa?”, ridacchia Sardy.
“Ci sarei anche io qui, eh…” Anais alza la mano, arrossendo.
Io scuoto la testa, “Sardy cosa pensi! Lavoro la notte per stare dietro al fuso orario di Los Angeles per RS.”
“Ah, lavora ancora per quelli?”, chiede Dave ridendo rivolto a Noel.
“Ancora per poco.”
 
“Sono piena”, Anais si porta le mani sulla pancia muovendole con movimenti circolari. Il labbro inferiore è leggermente unto dal cibo cinese che ha mangiato con gusto seduta alla penisola della cucina.
“Vuoi ancora un po’ di Coca Cola?”
Lei annuisce, allungando il bicchiere verso suo padre, mentre io mi verso l’ennesimo bicchiere d’acqua della serata.
“Niente vino?”
Scuoto la testa, “Non ne ho voglia.”
“Tu non hai voglia di un bicchiere di vino, chissà dove cazzo finiremo.”
“Devo mettermi a lavorare e sono stanca, con un bicchiere di vino mi troveresti a dormire qui sopra.”
“Magari ti farebbe bene.”
Scrollo le spalle come a dire Forse sì.
“Papà l’hai dedicata a lei Don’t look back in anger?”
La voce della verità e dell’innocenza sale sul palco e mette sotto i riflettori il suo pungente, sarcastico, sociopatico padre.
“Sì, direi di sì.”
“E tante altre canzoni?”
“Quasi tutte”, un lieve rossore gli colora le guance. Porta la bottiglia di birra alle labbra, prendendo tempo.
“Sei sempre stato innamorato di lei?”
“Quante domande Nai. Come mai?”
“E’ la prima volta che la vedo e vi conoscete da quando siete nati… Solo a me sembra strano?”
“Nai, è più complicato di quanto sembri.”
“Non hai ancora risposto alla mia domanda, comunque”, trangugia l’ultimo sorso di Coca Cola.
“E io ti ripeto che non è semplice come credi che sia. Fidati di me. Sai che ti dico che Sally è il mio angelo custode?”
Quella annuisce.
“Ecco. Non si tratta di essere o meno innamorati, si tratta di essere così fortunato da una persona così sulla faccia della terra.”
“E mamma?”
“Io e tua mamma ci siamo voluti molto bene, Nai.”
“E non ve ne volete più?”
“Certo che ci vogliamo bene, abbiamo te.”
Sospira. “Secondo me la fate più incasinata di quello che è.”
Sorrido, impilando i piatti sporchi. Scuoto impercettibilmente la testa. Dieci anni dopo quel giorno, Anais Gallagher risolve le nostre vite sentimentali con una riflessione tanto semplice da risultare disarmante.
“Cara filosofa dei miei stivali, vai a metterti il pigiama e lavati i denti, torna qua quando sei pronta per andare a dormire.”
“Posso guardare un po’ l’iPad?”
Noel sospira, “Vai a mettere il pigiama e poi lo guardiamo insieme.”
Scende precipitosamente dalla sedia, correndo verso le scale. Istintivamente alzo la voce per farmi sentire. “Fai attenzione a non cadere!”
Noel mi sorride, “Stasera puoi mandare affanculo il lavoro e stare con me?”
“Farò del mio meglio, Noelie.”
Prende i piatti e li posa nel lavello, poi si volta accigliato. “Tu sei felice, no?”
“Non capisco la domanda.”
“Intendo… il lavoro che hai. Sei felice?”
“Questo spostamento a Los Angeles mi fa paura, credo che tu ormai l’abbia capito. Ma ho vissuto cose più spaventose di questa. Per ora sono solo in ansia.”
“Mi dispiace luv.”
“Oggi ho affrontato la tua ex moglie e tua figlia, avrei bisogno di una medaglia d’onore solo per questo.”
Sorride, scuotendo la testa. “Mi dispiace anche che tu abbia dovuto vivere quella testa di cazzo.”
“It’s fine.”
“No, non lo è. Se deve correre dall’altra parte del Paese per andare a farsi scopare o a tirare su della coca, non è un problema né mio, né tuo, né tantomeno di Nai.”
“Credo si sia ripulita… O almeno, questo racconta sui giornali. Insieme al condividere una caterva di vostre foto nel magico mondo di Twitter.”
Si batte una mano sulla fronte, teatralmente, inanellando un improperio dopo l’altro. “Porca puttana.”
“Credo viva ancora molto nella favola del rock’n’roll che si è costruita e in cui tu sei l’elemento principale.”
“Renditi conto fin dove può spingersi la follia…”
Mi allungo sul ripiano raggiungendo le sue mani. Le stringo e ogni ansia, ogni paura si dissolve. Mi sento forte, mi sento amata. “In qualche modo la capisco, sai? L’hai portata in cima al mondo e ora abituarsi al mondo normale non è facile per una come lei.”
“Quello in cui vive lei non è un mondo normale, luv.”
“Meg ha ancora il Cartier di Knebworth al polso.”
Noel scuote la testa, “Ce l’ha la persona sbagliata.”
“Io non ho mai voluto un Cartier.”
“Lo so. Ma erano le parole incise sopra quello che contava davvero. Forever and a day. Non so come venne a sapere di quel Cartier e… E io come sempre non ho avuto le palle di dire come stessero davvero le cose. E lo diedi a lei.”
“Noel, ci hai fatto una figlia con quella donna… il Cartier è davvero l’ultima delle cose che vi può legare.”
Scrolla le spalle, “Avrei comunque dovuto regalarlo a te.”
“Hai messo il mio cazzo di nome in una canzone che è conosciuta anche nel più stronzo e remoto angolo della terra. Non credo ci sia competizione con quello.”
“A dimostrazione che sono un genio.”
“Un genio…”
“Un fottuto genio molto innamorato.”
Gli mostro la lingua, mi sorride. “Molto innamorato, blondie. Davvero molto.”
“Anais mi ha detto che mi ha riconosciuta dalla foto che hai nella custodia della chitarra.”
Per l’ennesima volta oggi, Noel Gallagher arrossisce. “Ho quella foto dei primi anni Novanta sempre con me. Ne ho qualcuna tua, nostra. Ma quella è sempre stata nella custodia della chitarra, aprirla e vedere i tuoi occhi, i tuoi capelli, sapere che eri nuda nel letto con me… E’ ciò che di più reale esiste per me.”
Le lacrime mi imperlano le ciglia, sento che potrei scoppiare a piangere come una bambina.
“Perché hai gli occhi lucidi blondie?”
“Piango in continuazione in questi giorni…”
“Una fottuta mammoletta, come Bonehead!”, ride di gusto, avvicinandosi e stringendomi tra le braccia, le labbra appoggiate sulla mia fronte e le mani che, con dolcezza, mi accarezzano i capelli.
“Sei l’unica persona di cui io abbia realmente mai avuto bisogno nella mia vita, per questo sei il mio angelo custode.”
Il mio iPhone suona, lo zittisco con un movimento brusco, lasciandomi cullare dal respiro di Noel.
“Abbracciate anche me?”, una voce impertinente e un pigiama di seta rosa si intrufolano tra me e il fottuto genio del Britpop. Anais sa di dentifricio e profumi costosi e i suoi capelli biondi mi fanno il solletico.
You’re the only God that I will ever need.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3688291