Acqua

di Witchlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


La finestra chiusa tremò sotto la forza del vento. Fuori pioveva ormai da ore e quella che era iniziata come una pioggerellina di poco conto si era rapidamente trasformata in un temporale in piena regola. La pioggia scrosciava con forza, riempiendo con il suo rombo la piccola stanza bianca di calce: se anche qualcuno avesse voluto parlare, sarebbe stato impossibile portare avanti una conversazione.

Lina lanciò un’occhiata alle ombre distorte che la luce delle candele proiettava sui muri e si strinse le braccia attorno al petto, tremando. La sedia sulla quale era seduta tradì uno scricchiolio discreto, ma nessuno se ne accorse a eccezione di Talya, la consorella che sedeva al suo fianco. La donna le rivolse un sorriso mesto e la giovane deglutì, riportando lo sguardo sul pagliericcio sul quale giaceva Issa. La ragazza, vent’anni appena compiuti, aveva iniziato a mostrare i primi segni della malattia soltanto una settimana prima, ma erano bastati pochi giorni perché la sua salute peggiorasse drasticamente. Le macchie rosate che le erano comparse su mani e piedi si erano presto trasformate in ulcere che le avevano divorato gambe e braccia, il lieve mal di testa che la tormentava da qualche giorno si era aggravato e tramutato in una paralisi che le impediva di piegare il collo e aprire la bocca, il suo cuore aveva lentamente abbandonato il suo battito regolare per assumere un ritmo erratico e imprevedibile. Quello che la stava uccidendo, però, era il liquido che le si era raccolto nei polmoni e che le impediva di ottenere l’ossigeno necessario per vivere. A ogni respiro stentato, dal torace della poveretta giungeva un gorgoglio umido che faceva accapponare la pelle a chi lo udiva. Lina rabbrividì nuovamente, grata per il rumore della pioggia che le impediva di udire quel sibilo sinistro.

Anche se lei e Issa non erano mai state in rapporti particolarmente stretti, Lina provava pena per quella ragazza timida e laboriosa che, per sua sfortuna, avrebbe lasciato la vita terrena decisamente troppo presto. Mentre studiava di soppiatto le sue braccia pallide avvolte dalle bende, la giovane si chiese, non per la prima volta, se ci fosse una vita, dopo la morte. Sebbene fosse nell’Ordine da ormai dieci anni, Lina non si era ancora fatta un’idea precisa su quel particolare argomento: i suoi studi non erano ancora riusciti a far chiarezza su ciò che accadeva all’essenza di una persona una volta che il cuore smetteva di battere e la coscienza svaniva.

Accanto a lei, le sue consorelle tenevano per lo più il capo chino. Alcune stavano pregando, comprese Lina, altre erano probabilmente assorte in pensieri più complessi. Riflessioni filosofiche sul senso della vita, forse, oppure formule sperimentali che potessero guarire quel morbo comparso dal nulla che aveva già mietuto molte vittime.

La giovane si guardò le mani, flettendo le dita e fissando distrattamente l’ombra azzurrognola dell’inchiostro che mille lavaggi non erano riusciti a eliminare. La malattia non era contagiosa, si disse, leggermente rassicurata. Se lo fosse stata, i morti sarebbero stati molti di più: anche all’interno della loro confraternita, dove il caso di Issa era già il terzo dall’inizio dell’anno. La sua origine rimaneva però ancora avvolta nel mistero, il che rendeva impossibile prevenirla. C’era chi sosteneva che fosse provocata da una qualche sostanza disciolta nell’acqua, chi da un’esalazione nell’aria, chi dal consumo di carne proveniente da bestie malate e chi, ancora, credeva che il morbo fosse da attribuire a un qualche maleficio o incantesimo. Non vi era alcuna prova o indizio che facesse pendere l’ago della bilancia verso l’una o l’altra ipotesi e i Sapienti del regno brancolavano nel buio.

A volte, nelle sue riflessioni notturne, Lina immaginava di essere lei la persona che avrebbe finalmente trovato la cura per sconfiggere quel male crudele e salvare la vita a centinaia di innocenti. Ogni volta, però, la luce dell’alba portava immancabilmente con sé la consapevolezza che quei vaghi desideri non erano altro che fantasie: i suoi talenti erano altri. La botanica, per esempio, o, curiosamente, l’innata capacità di orientarsi in un luogo mai visto prima.

Il suono nitido e penetrante di una campanella d’argento la riscosse da quei pensieri e, guidata da un riflesso spontaneo, Lina si alzò di scatto dalla sedia. Le altre persone che, fino a quel momento, avevano vegliato sull’inferma fecero lo stesso e, come un sol uomo, dieci donne – giovani e anziane allo stesso modo – si diressero con passi rapidi e silenziosi verso la porta, evidentemente desiderose di lasciarsi alle spalle quella piccola stanza umida dove già si intravvedeva l’ombra della morte.

Non appena furono uscite, altre dieci consorelle scivolarono nella stanza e presero posto attorno alla malata: quel rituale si sarebbe ripetuto fino a quando la Vecchia, o chi per essa, fosse venuta e avrebbe portato via con sé la sfortunata fanciulla.

Uscendo dall’infermeria, Lina ebbe l’impressione di entrare in un altro mondo, un mondo più leggero e quasi privo di ombre. Malgrado quel mese di maggio si fosse rivelato più piovoso del consueto, i grandi camini presenti in ogni stanza erano accesi e il calore delle fiamme scacciava l’umidità, esaltando il profumo delle grandi travi in legno d’abete lasciate a vista sul soffitto. La giovane chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni quell’odore famigliare e gradito, lasciando che il tepore del fuoco allontanasse anche la sensazione di disagio che aveva provato nell’infermeria. Subito si sentì meglio e, dopo qualche istante, riaprì gli occhi, facendo mente locale per cercare di ricordare quali fossero i suoi impegni per la giornata.

Quando era entrata in infermeria era appena suonata la seconda ora del pomeriggio. Ogni turno di assistenza alla malata durava un’ora e questo significava dunque che, prima di poter tornare in biblioteca e dedicarsi allo studio, Lina avrebbe dovuto dare il suo contributo per la sopravvivenza della Congrega. Quella settimana era di turno in lavanderia.

Con una smorfia di disappunto al pensiero di dover trascorrere un’ora con le mani immerse nell’acqua fredda del lavatoio, la giovane si incamminò verso le scale che conducevano nel seminterrato, dove si trovava il locale adibito a lavanderia. Il lungo corridoio che conduceva alle scale era decorato da innumerevoli arazzi e dipinti, ma Lina vi sfilò davanti senza degnarli di uno sguardo: li conosceva come le sue tasche, ormai, ed era convinta che essi non potessero riservarle più alcuna sorpresa.

Giunta circa a metà corridoio, però, la ragazza si fermò e, com’era sua abitudine, volse lo sguardo al terzo pannello del ciclo del “Mondo Antico”, una serie di dipinti che rappresentavano il Continente Occidentale come esso era prima della venuta dei Primi Re. Il quadro in questione era piccolo e buio, dipinto con pennellate decise, quasi rabbiose, e rappresentava una foresta cupa, piena di muschi ed alberi dai rami contorti. Lina lo aveva notato subito quando, a quindici anni, era entrata a far parte dell’Ordine. Quando una consorella anziana le aveva mostrato quella che, da allora in poi, sarebbe stata la sua casa, l’attenzione della ragazzina ne era stata subito attratta. A colpirla non era stata la vegetazione scura e selvaggia, ma piuttosto la moltitudine di minuscoli particolari che l’artista vi aveva inserito. Nel dipinto era infatti presente una fauna variegata i cui rappresentanti più numerosi erano senza alcun dubbio gli uccelli: corvi, gazze, picchi, merli, pettirossi, persino gli occhi di brace di un gufo acquattato nei recessi di un vecchio tronco e la sagoma di uno sparviero che si stagliava nel fazzoletto di cielo che si intravvedeva tra le fronde nere.

Dopo aver lanciato un rapido sguardo al corridoio deserto, Lina si avvicinò al dipinto fino a sfiorarne la superficie con il naso, socchiudendo gli occhi per mettere a fuoco i dettagli. Ogni volta che lo guardava, aveva l’impressione di scoprire un particolare nuovo – o forse di ritrovarne uno notato tempo addietro e poi dimenticato. In un certo senso, era come se il quadro fosse vivo, una finestra su un altro tempo e un altro luogo. Anche in quell’occasione, Lina sorrise notando una minuscola cincia il cui brillante piumaggio giallo e celeste illuminava un angolo particolarmente buio. Che carina, pensò, provando un moto di tenerezza per quella bestiolina fatta di tela e colore a olio che la osservava con microscopici occhi neri.

Subito dopo, il suo senso del dovere tornò a farsi sentire e la giovane si allontanò dal dipinto, raggiungendo le scale e percorrendole a piccoli passi rapidi. Quando giunse al locale adibito a lavanderia, Lina arricciò il naso, resistendo alla tentazione di strofinarlo per proteggerlo dal sentore pungente del sapone grezzo. Le due donne che erano già al lavoro accanto al lavatoio le fecero un cenno di saluto, mentre la terza, accucciata accanto a una cesta piena di panni sporchi, le rivolse un ampio sorriso. «Eccoti qui!» le disse, a mo’ di saluto. «Come sta Issa?»

«Sempre uguale» replicò laconica Lina.

Subito, il bel volto della ragazza che le aveva posto quella domanda si rabbuiò e Lina si sentì in dovere di consolarla. Anche se non poteva essere molto più giovane di lei – la sua effettiva data di nascita era sconosciuta – Ibbi era ancora una novizia. Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse in schiavitù, era stata affrancata dal suo padrone morente, guadagnando la libertà, ma ritrovandosi sola al mondo, senza un posto da chiamare casa. La sua naturale curiosità – unitamente a una certa dose di disperazione – l’avevano fatta avvicinare all’Ordine sino a spingerla a entrare a far parte di una Congrega.

Era già da qualche mese che lei e Lina condividevano la stanza e, fino a quel momento, nessuna delle due aveva mai avuto motivo di lamentarsi dell’altra.

Chinandosi per raccogliere una federa che era sfuggita dal cesto che Ibbi teneva tra le ginocchia, Lina si voltò verso la compagna con un sorriso di circostanza. «Il primo medico le ha dato delle droghe molto forti» sospirò. «Se non altro, in questo momento non soffre più.»

Ibbi annuì, appena rinfrancata, e allungò alla ragazza di fronte a lei un grosso pezzo di sapone giallastro, rivolgendole uno sguardo di scusa. Solitamente, la giovane non sarebbe stata esonerata dal servizio di lavanderia, ma, qualche giorno prima, le sue mani avevano iniziato a screpolarsi. Quella che nelle prime, terribili ore era stata interpretata come la prima manifestazione della malattia che stava uccidendo Issa si era poi rivelata una banale dermatite da contatto, un malanno passeggero che aveva però lasciato le mani della ragazza piene di bolle dolorose che mal sopportavano il contatto con il sapone grezzo utilizzato in lavanderia. Ibbi era stata così incaricata di portare su e giù dalle scale le pesanti ceste contenenti il bucato e i panni da lavare, un compito che svolgeva con lo stesso entusiasmo con cui affrontava qualsiasi mansione le fosse affidata.

Con un sorriso tirato, Lina prese il sapone e la federa che aveva appena raccolto da terra e si voltò verso il vecchio lavatoio di pietra, cercando un punto in cui l’asse di legno su cui avrebbe insaponato i panni non fosse troppo scheggiata. Poi immerse la federa nell’acqua, cercando di non pensare a quanto il gorgoglio dell’aria che fuggiva verso la superficie le ricordasse quello prodotto dai polmoni di Issa.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Tre giorni dopo

«A me ha fatto schifo: dobbiamo proprio assistere anche noi?»

Lina alzò gli occhi al cielo davanti all’ennesima lamentela di Danah, una delle due giovani novizie che erano sotto la sua responsabilità. «Non ti verrà chiesto di assistere a tutte le autopsie», spiegò, cercando di mantenere la calma, «ma è possibile che, di tanto in tanto, tu debba aiutare i medici, quindi è meglio che cominci a farci l’abitudine.»

«Ma è una cosa disgustosa» insistette la ragazza, passandosi una mano tra i capelli troppo corti per essere raccolti nella crocchia tipica delle consorelle dell’Ordine. Perché le fossero stati tagliati era un mistero che Lina non aveva alcuna intenzione di indagare. «La puzza, poi, era tremenda. Se ci ripenso, mi viene ancora da vomitare.»

«A me non ha dato poi così tanto fastidio» si intromise la dolce e paffutella Eda, con la sua voce morbida e pacata. «È stato interessante.»

Danah emise un suono di esasperazione e allungò il passo, distanziando di qualche metro la compagna e la tutrice. Lina scosse la testa, osservando le spalle ossute della quindicenne fremere d’indignazione. Non sarebbe durata molto, quella. La vita all’interno della congrega era piena di soddisfazioni, ma non era per tutte: quando lei vi aveva fatto ingresso, alla stessa età delle sue due pupille e contro la sua volontà, aveva passato alcuni mesi in preda al senso di smarrimento e alla paura. Anche allora, dopo dieci anni, c’erano giorni in cui si chiedeva se fosse davvero quella, la strada che gli Dèi intendevano indicarle.

Eda, invece, era decisamente promettente. Aveva la pazienza e la dolcezza che le avrebbero consentito di non contrariare i suoi superiori e, allo stesso tempo, la natura l’aveva fornita di una mente pronta e analitica che le permetteva di studiare a fondo ciò che la circondava.

Notando che la sua allieva ribelle non accennava a rallentare il passo, Lina la richiamò: «Danah! A sinistra! Stiamo andando nella sala comune, non nel vostro dormitorio.»

«Lo so» fu la risposta soffocata, ma comunque piccata, che giunse dall’adolescente. Quando arrivò alla grande porta scura della sala comune, però, Danah si fermò, come se il pensiero di aprirla di persona la intimorisse. Con un minuscolo sorriso soddisfatto, Lina la raggiunse e la spalancò, facendo cenno alle due ragazze di entrare.

Non aveva mai amato particolarmente la grande sala circolare in cui le consorelle si riunivano ogni volta che la Superiora aveva qualche comunicazione importante da fare. Se d’inverno lo scuro legno di noce che ricopriva ogni superficie poteva, se non altro, dare l’illusione di emanare un certo tepore, la giovane trovava che d’estate quell’ambiente cupo fosse soffocante, privo di luce e di correnti d’aria.

Buona parte delle donne che risiedevano nella Congrega avevano già preso posto sulle numerose file di panche che, situate su diversi ordini di gradinate, scendevano ad anelli concentrici sino al palchetto posto al centro della sala. A ogni minimo movimento, le vetuste travi del pavimento scricchiolavano, dando vita a un singolare concerto di gemiti e cigolii che faceva accapponare la pelle delle braccia a Lina.

«Forza» disse la giovane, individuando una panca ancora vuota. «Mettiamoci lì.» Quando le ragazze si furono sedute, Lina si guardò attorno e indirizzò un cenno di saluto a Ibbi, che si era sistemata su una panca di fronte a lei, poi cercò con gli occhi la Superiora.

Grete di Altavilla era una donna sulla cinquantina, alta e dritta come un fuso. Malgrado la corporatura asciutta e mascolina, i capelli ormai grigi e gli occhi scuri più infossati di quanto fossero stati in gioventù, Lina trovava che ci fosse un che di attraente nel volto della donna, un’eleganza rigida e onesta che raramente aveva scorto altrove. O forse era l’ammirazione che provava per lei a fargliela percepire come tale, la cieca fiducia che riponeva nelle sue decisioni ragionate e mai dettate dal pregiudizio. Anche in quei giorni difficili, quando nemmeno tutta la sapienza racchiusa tra le mura della Congrega sembrava in grado di dare risposte agli interrogativi a cui si trovavano a far fronte, Grete era sempre stata assolutamente onesta e trasparente con le sue consorelle.

Quando tutte le donne che si trovavano in condizione di poter abbandonare le loro occupazioni furono giunte nella sala comune, la Superiora si alzò dalla panca sulla quale si era accomodata e raggiunse il palco. Lina notò che i suoi movimenti parevano essere leggermente più rigidi del solito, come se la stanchezza di quei giorni iniziasse a farsi sentire.

La donna non ebbe bisogno di compiere alcun gesto per attirare l’attenzione delle compagne: quando si era levata in piedi, anche gli scricchiolii erano cessati e sul locale era sceso un silenzio pressoché assoluto. «Veniamo subito al punto» esordì Grete, con la sua voce ferma e limpida. «Questa mattina si è conclusa l’autopsia sul corpo della nostra consorella. Com’era facile aspettarsi, i polmoni apparivano irritati e carichi d’acqua.»

Lina annuì inconsciamente, ricordando quello che aveva visto quando i medici avevano sezionato il corpo di Issa.

«Anche attorno al cuore è stata rinvenuta una notevole quantità di liquido. I reni erano sensibilmente ingrossati, mentre non abbiamo riscontrato alcun tipo di anomalia negli altri organi. Riteniamo che le ulcere a livello degli arti siano ricollegabili alla sofferenza renale, mentre non abbiamo trovato alcuna spiegazione per la paralisi dei nervi del cranio, dal momento che l’encefalo si presentava, per quanto abbiamo avuto modo di vedere, nella norma.»

«Anche in questo caso, non abbiamo rilevato alcuna origine evidente del male. Se non fosse per il numero di casi che si stanno riscontrando in tutto il regno, saremmo portate a credere che si tratti di una malattia che si origina spontaneamente all’interno dell’organismo di una persona con una predisposizione naturale a svilupparla, senza che alcun fattore esterno la scateni.»

Nell’udire quelle parole, Lina appoggiò il mento a una mano, pensierosa. Era evidente che ci fosse qualcosa che, fino a quel momento, era sfuggito alla loro attenzione. La Superiora aveva ragione: i casi registrati erano troppi – e in continuo aumento – perché la malattia non fosse causata da un agente esterno.

«Prima di convocarvi, ho discusso in privato con le nostre sorelle medico», continuò Grete, indicando con una mano le due donne che sedevano alle sue spalle, «e, insieme, abbiamo deciso di prendere alcuni provvedimenti che potrebbero farci capire meglio l’origine della malattia. Come ben sapete, ci siamo già concentrate su fattori come l’acqua e il cibo, ma senza alcun risultato. Da oggi, ci concentreremo sulle eccezioni, sulle piccole abitudini anomale che alcune di noi potrebbero avere.»

Il silenzio fu spezzato da alcuni bisbigli confusi, ma la Superiora non si lasciò distrarre. «Sarebbe bello pensare che quello di Issa sarà l’ultimo caso all’interno della nostra Congrega, ma sappiamo tutte che non sarà così. Per questo voglio che ciascuna di voi annoti in modo dettagliato e minuzioso ciò che fa giorno per giorno: ciò che mangia, quello che beve, tutte le attività che svolge. Voglio sapere quello che toccate, respirate, maneggiate. Quando il prossimo caso si manifesterà, avremo un diario accurato di ciò che quella persona ha fatto negli ultimi tempi: se risulterà qualche attività che la distingue dalle altre, ci concentreremo su quella.»

Tutt’intorno a Lina, le donne ondeggiarono il capo e si scambiarono commenti sottovoce, apparentemente approvando la decisione della Superiora. Sebbene ne vedesse il senso, invece, la ragazza avvertì una sensazione di disagio calare su di lei: malgrado si sforzasse costantemente di migliorarsi, era terribilmente sbadata. Era solita fare le cose sovrappensiero, lasciandosi guidare dalla routine: difficilmente sarebbe riuscita a ricordarsi di annotare sul diario ogni più piccola azione.

Ecco, me la sento. Sarò io, la prossima ad ammalarmi, e il mio diario sarà così pieno di buchi che non ci caveranno nulla di buono.

Deglutendo nervosamente e tormentandosi i polsini della camicia con la punta delle dita, Lina tornò a concentrarsi sulla Superiora.

«Spero che vi rendiate tutte conto dell’importanza di quello che vi chiedo. Conto sulla vostra totale collaborazione» continuò Grete, soffermandosi in particolare sulle novizie e sulle ragazze più giovani. Quando ebbe raccolto il consenso di tutte, la Superiora riprese a parlare. «Dal momento che ci troviamo tutte raccolte qui, voglio approfittarne per ragguagliarvi su altri fatti che stanno accadendo nel nostro regno e che richiedono la nostra attenzione.»

«Giungono voci di strani fenomeni e di strani avvistamenti che, a quanto pare, starebbero avendo luogo nelle province più remote. Al momento, la maggior parte delle segnalazioni ci arrivano da Porto della Neve, Campo dei Fiori e dal Distretto delle Colline Blu, ma, proprio questa mattina, ci è giunta notizia che un ragazzino è stato ucciso da una bestia sconosciuta poco lontano da Forte delle Acque, nella provincia delle Foreste Grigie.»

«Inoltre, come accennato, pare che si stiano verificando fenomeni apparentemente inspiegabili: incendi che divampano nei campi, appiccati da mani invisibili, alberi che sembrano nascere e crescere nel corso di una notte, fiumi che deviano il loro corso senza apparente ragione.»

Davanti a quelle parole, le donne presenti nella sala non batterono ciglio, restando silenziosamente in attesa di istruzioni.

«Chiedo a tutte coloro che non stanno lavorando per trovare una cura alla malattia dell’acqua di dividersi in gruppi di lavoro e di esaminare i resoconti custoditi nella nostra biblioteca, alla ricerca di qualche traccia che suggerisca che fatti del genere si sono già verificati in passato. Ciò che sta accadendo ha certamente una spiegazione, ed è nostro compito trovarla. Nel pomeriggio vi assegnerò l’argomento sul quale concentrarvi.»

Le donne annuirono e Lina strinse le mani in un pugno, mentre un brivido di eccitazione le correva lungo la schiena. Silenziosamente, la ragazza pregò di essere assegnata al gruppo che si sarebbe occupato di determinare la natura degli attacchi da parte di bestie feroci, in parte perché, prima di trasferirsi nella Capitale, la sua famiglia aveva vissuto nel Distretto delle Colline Blu, e in parte perché era da sempre profondamente affascinata dal mondo animale.

Lina allungò le gambe verso il centro della sala, stiracchiandosi discretamente, e poi fece scorrere uno sguardo tutto intorno a sé, cercando di capire se fosse giunto il momento di alzarsi e ritornare alle proprie occupazioni quotidiane. Proprio in quel momento, però, Grete parlò di nuovo. «Infine, devo mettervi al corrente di un’ultima cosa. Una settimana fa, la principessa Adlyn è scomparsa. Come ben sapete, la ragazza non è nelle condizioni di muoversi senza l’aiuto di un’altra persona: considerando che la sparizione è avvenuta nel cuore della notte, quando si trovava nei suoi quartieri, abbiamo motivo di pensare che qualcuno l’abbia rapita.»

Un mormorio scandalizzato si diffuse nella sala. Lina sgranò gli occhi, sgomenta. Sebbene della principessa sapesse       molto poco – solo che aveva sedici anni e che, qualche anno prima, era stata colpita da una malattia che l’aveva resa cieca -  tutti coloro che avevano avuto a che fare con lei ne parlavano come di una ragazza deliziosa. Saperla in pericolo la rattristava.

«Naturalmente», continuò la Superiora, «non sta a noi occuparci delle ricerche: questo è compito delle Guardie Reali. Tuttavia, vorrei chiedervi di spendere una preghiera e un pensiero per lei. La scienza e lo studio possono arrivare solo fino a un certo punto: oltre a quel confine, è necessario affidarsi a una sapienza superiore.»

Lina abbassò gli occhi, sperando che la donna non facesse in tempo a scorgere lo scetticismo che si era disegnato sul suo volto.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Due giorni dopo

Quella mattina, la pioggia che era caduta abbondantemente nei giorni precedenti cessò, lasciando il posto a un sole che già annunciava l’arrivo dell’estate imminente. I suoi raggi chiari e forti facevano brillare i colori resi più vivi dalle recenti precipitazioni, ma riempivano anche l’atmosfera di una calura umida e persistente, che si appiccicava alla pelle e mozzava il fiato a chi aveva la sventura di trovarsi in un luogo non sufficientemente ventilato.

Seduta accanto a Ibbi su un vecchio muretto a secco, Lina guardava le pecore brucare placide a qualche decina di metri da lei e nel frattempo cercava, con una mano, di allentare la pressione che il colletto inamidato della divisa le esercitava sulla trachea.

Odiava il caldo. Le toglieva ogni energia e le lasciava solamente la voglia di accasciarsi a terra alla ricerca di un poco di frescura. Con un sospiro esausto, la ragazza si passò una mano sulla nuca, trovandola calda e sudaticcia, e cercò di sollevare un altro po’ la crocchia in cui aveva raccolto i capelli. Inutilmente.

Al suo fianco, Ibbi diede un ultimo morso alla mela che aveva prelevato dalla dispensa e poi se ne gettò il torsolo alle spalle, facendolo scomparire tra gli arbusti bassi e fitti che ricoprivano il dolce pendio che scendeva verso la valle del fiume Adro. Poi alzò il viso verso il cielo terso, sorridendo.

Lina si chiese come fosse possibile che l’amica apparisse così a suo agio sotto al sole cocente. I suoi vestiti erano perfettamente inamidati, non una sola goccia di sudore era visibile sulla sua pelle e i suoi capelli corvini, anch’essi raccolti nella crocchia d’ordinanza, erano lisci e lucenti come ossidiana, senza una virgola fuori posto. La giovane provò un brivido di gelosia: non aveva certo bisogno di specchiarsi, per sapere che la sua chioma color ruggine non era nemmeno lontanamente disciplinata come quella della compagna e, anzi, si ribella all’acconciatura in cui l’aveva costretta in un’esplosione di sottili fili rossastri che le davano l’aspetto di una ragazzina appena emersa da un cespuglio di rovi.

Ma cosa importa? Si chiese, passandosi distrattamente una mano sul capo. Dopotutto, una donna consacrata alla Sapienza non doveva preoccuparsi del suo aspetto fisico. Subito dopo, però, la ragazza scosse il capo: chi sperava di prendere in giro? Nonostante i suoi sforzi, non era ancora riuscita a soffocare del tutto la sua naturale vanità. Forse quando sarò più vecchia, si disse, speranzosa.

Incuriosita dal suo movimento improvviso, Ibbi si voltò a guardarla. «Cosa c’è?» le chiese, inclinando il capo di qualche grado. Lina si strinse nelle spalle. «Niente» mentì. «Ho solo caldo.»

La giovane bruna annuì, alzando nuovamente gli occhi sull’azzurro abbagliante del cielo. «Già» esalò. «E dire che, fino a ieri, diluviava! Comunque a me non dà poi così tanto fastidio, tutto questo caldo: probabilmente è perché la mia famiglia veniva dal Deserto dei Cristalli. Loro dovevano per forza esserci abituati, alle alte temperature.»

«Mh-mh.» Lina annuì, ma senza incontrare lo sguardo della compagna. Come lei stessa le aveva rivelato nei primi tempi in cui avevano condiviso la camera, Ibbi non aveva mai conosciuto i suoi genitori, né alcun altro parente. Di conseguenza, non aveva alcuna prova che la sua famiglia venisse proprio dagli aridi deserti rocciosi del Primo Continente. In verità, la tonalità ambrata della sua pelle scura, i suoi lisci capelli neri, gli zigomi ben delineati e i suoi occhi bruni, dalla forma un po’ allungata, lasciavano piuttosto intravvedere una certa somiglianza con i tratti somatici degli abitanti dei Monti del Cielo, la regione glaciale che si estendeva nella zona più settentrionale del Continente Antico. Se alla ragazza piaceva però pensare di essere nata sotto il rovente sole del sud, lei non vedeva alcuna ragione per contraddirla.

Senza lasciarsi scoraggiare dalla tiepida reazione della compagna, Ibbi si sistemò meglio sul muretto e poi si voltò a guardarla. «Ma senti un po’… non ti ho più chiesto come stanno andando le tue ricerche! Hai scoperto qualcosa di interessante?»

Lina soffocò uno sbuffo sprezzante. «Proprio per niente» borbottò. «Abbiamo spulciato decine e decine di vecchi tomi solo per scoprire quello che in fin dei conti sapevamo già: a meno che non ci sia all’opera qualcosa di molto strano, un albero ha bisogno di almeno un paio di anni per crescere in quel modo. Non è una cosa che può avvenire in una notte sola, così, come se nulla fosse.» Quasi senza rendersene conto, la giovane fece oscillare nervosamente le gambe, colpendo le vecchie pietre del muretto con il tacco dei suoi stivaletti. Malgrado le sue speranze, la Superiora non l’aveva assegnata ai casi di attacchi da parte di bestie feroci, bensì a quelli di apparizioni di piante in luoghi più o meno improbabili. Il fatto che, almeno fino a quel momento, le sue ricerche si fossero rivelate del tutto infruttuose non faceva altro che aumentare la sua insofferenza.

«Capisco» commentò la ragazza bruna, abbassando lo sguardo sulle piccole piante grasse che crescevano ai piedi del muretto. Dopo qualche istante riprese a parlare, abbassando leggermente la voce, quasi si sentisse un poco a disagio. «E se ci fosse effettivamente all’opera qualcosa di strano?» chiese, guardando di sottecchi la compagna per studiarne la reazione. «Voglio dire, non sarebbe poi così improbabile, se si prendono in considerazione tutte le cose che stanno accadendo in questi tempi. C’è questa malattia che nessuno è in grado di capire o spiegare, ci sono questi animali che nessuno sembra aver mai visto prima d’ora, sembra che gli alberi abbiano preso l’abitudine di muoversi nottetempo, senza contare tutti gli strani fenomeni naturali e, naturalmente, il rapimento della principessa…»

«Cosa c’entra il rapimento della principessa?» la interruppe Lina, confusa.

Ibbi sollevò una spalla. «Be’, è una discendente degli Antichi Re e…»

«… ed è anche un membro della famiglia reale» sbottò l’altra ragazza, sarcastica. «Sono certa che nessuno ha pensato al riscatto che potrebbero chiedere per restituirla alla sua famiglia sana e salva.»

Ibbi la fissò per un istante, poi il suo viso si contrasse in una smorfia. «Vedila come vuoi, ma, se penso a tutta questa storia, io ho come uno strano presentimento. E comunque non sono certo l’unica a parlare di incantesimi e malefici… anzi, è una teoria abbastanza diffusa.»

«Sì, tra gli ignoranti!» ribatté Lina, rivolgendole uno sguardo severo. Poi, notando l’espressione offesa della compagna, il suo viso si addolcì. «Senti», sospirò, «io non dico che la magia non esista, però credo che sia un errore tentare di usarla come spiegazione per qualsiasi cosa che non riusciamo a spiegarci in altro modo. Quello che sta accadendo potrebbe essere una semplice serie di coincidenze e, dando la caccia a streghe e stregoni, correremmo il rischio di non arrivare mai alla verità.»

«Gli alberi che si muovono sono una coincidenza?» la provocò Ibbi.

Lina si strinse nelle spalle, leggermente contrariata dall’interruzione. «Gli alberi che crescono così velocemente sono effettivamente strani, ma potrebbe esserci una spiegazione. Così come per tutto il resto. La malattia potrebbe avere delle cause perfettamente naturali – anzi, verosimilmente è proprio così -  le bestie sconosciute potrebbero non essere poi così sconosciute, Adlyn potrebbe essere stata rapita da qualche squilibrato, e via dicendo.» La giovane lasciò sfumare la frase, consapevole che quello non era certo il modo migliore per concludere la sua difesa, ma non trovandone comunque uno migliore.

Ibbi parve sul punto di ribattere, ma la sua attenzione fu sviata dalle pecore che, improvvisamente, presero a muoversi irrequiete. Gli agnelli si strinsero al fianco delle madri e dal gregge si levarono una serie di belati allarmati, mentre le bestie si riunivano in un gruppo compatto.

«Che gli prende?» chiese la giovane bruna, confusa. Lina si alzò in piedi e si guardò attorno, cercando di determinare cosa avesse messo in allarme gli animali. Attorno a lei, la campagna appariva tranquilla, senza alcun movimento sospetto in vista. Solo, sopra alla sua testa, alcune cornacchie sfrecciarono nel cielo, gracchiando. «Sembra che qualcosa le abbia spaventate» disse allora, aggrottando la fronte. «Ma, onestamente, non capisco cosa.»

«Un lupo?» azzardò Ibbi.

Lina fece per negare, ma poi strinse le labbra, incerta. Quanto vorrei avere un cane, adesso, pensò, lanciando un pensiero carico di nostalgia al vecchio cane da pastore che era morto l’anno precedente e che non era mai stato sostituito. Sebbene quanto ipotizzato dall’amica le sembrasse improbabile, non aveva mai avuto a che fare con un lupo – men che meno con un intero branco di quegli animali – e dunque non era in grado di individuarne la presenza con un certo anticipo. «Non dovremmo vederlo?» chiese allora, facendo scorrere lo sguardo sul paesaggio davanti a lei, quasi completamente privo di vegetazione.

Rapida, Ibbi balzò sul muretto. «Se venisse da dietro…» sussurrò, fissando con gli occhi socchiusi i cespugli fitti che coprivano il pendio alle loro spalle. Lina la imitò, ma non vide alcun movimento ad eccezione dello svolazzare concitato degli insetti.

Tutto d’un tratto, le pecore presero a colpire il terreno con gli zoccoli in un gesto che tradiva paura e inquietudine crescente. Di fronte a quell’atteggiamento di cui non capiva la ragione, la ragazza si sentì scossa da un brivido di nervosismo. Prima che potesse fare alcuna congettura, però, la mano di Ibbi si strinse attorno al suo polso. «Senti un po’…» fece la giovane, alzando il naso al vento e annusando l’aria.

Lina inspirò a fondo e, immediatamente, notò quello che in un primo momento le era sfuggito. Ora che ci faceva caso, avvertiva chiaramente il sentore di qualcosa di famigliare: era vago e leggero, indubbiamente distante, ma cionondimeno inconfondibile. «Fumo?» chiese, guardando Ibbi in cerca di conferma.

Quella annuì, mentre sul suo volto si dipingeva un’espressione preoccupata. «Non sarà mica un incendio, vero?»

La giovane scosse il capo. Se in un’altra occasione avrebbe sorriso del pessimismo dell’amica, in quella circostanza non poté fare a meno di ripensare a ciò che aveva appreso negli ultimi giorni, agli incendi che, senza alcun motivo apparente, erano scoppiati in aperta campagna. Fino a quel momento tutti gli incidenti erano avvenuti in regioni periferiche, ma quella consapevolezza non era sufficiente per fugare tutti i suoi timori. «Probabilmente è solo un camino acceso o un contadino che brucia un po’ di foglie», mormorò, «ma è comunque meglio tenere gli occhi aperti.»

Senza farselo ripetere, Ibbi balzò giù dal muretto e si diresse rapidamente verso il luogo in cui le pecore si erano radunate, superando l’unico albero che, con la sua chioma rigogliosa, ostruiva in parte la visuale. Portandosi una mano sopra agli occhi per schermarli dal sole, la ragazza si guardò attorno. «Boh, io non vedo fumo da nessuna parte» annunciò. «Non vedo proprio…» le parole le morirono in gola e Lina si alzò così velocemente che rischiò di inciampare nell’orlo della gonna. Tutt’intorno a loro, i confini delle cose parevano essersi fatti più sfumati e, sebbene non avvertisse alcun cambio di temperatura, la giovane aveva l’impressione di guardare il mondo attraverso la lente deformante del caldo intenso. L’odore di erba bruciata si fece più pungente e Lina soffocò un colpo di tosse.

«Da dove viene?» chiese Ibbi, con una nota di paura nella voce. Deglutendo, l’altra giovane spostò lo sguardo su di lei. «Non ne sono sicura», ammise, «ma è meglio rientrare. Raduniamo il gregge e torniamo alla Congrega.» Così dicendo, si diresse verso uno degli animali più vicini a lei, una vecchia femmina con una caratteristica macchia scura sul muso, una sorta di lacrima nera che le dava un’espressione perennemente triste. Era la matriarca del gregge e Lina sapeva che gli altri animali l’avrebbero seguita dovunque.

«Tu stai attenta che non rimanga indietro qualche agnello» disse, lanciando un’occhiata a Ibbi. Le pecore erano adesso visibilmente spaventate e si muovevano bruscamente, di scatto, improvvisando dei tentativi di fuga che si spegnevano ancora prima di iniziare. Quando Lina afferrò il collare della vecchia femmina, questa diede un tale strattone che la ragazza rischiò di finire terra. «Buona» sussurrò, stringendo tra le dita la spessa striscia di cuoio consumata dall’utilizzo prolungato.

Quello che fino a pochi istanti prima non era stato che un vago tremolio appena percettibile nell’aria iniziava ormai ad assumere contorni sempre più definiti, delineandosi in spire azzurrine o grigiognole. L’odore acre che permeava l’ambiente non lasciava più alcun dubbio su quale fosse la natura della materia che le circondava, eppure Lina continuava a non capire da dove provenisse quel fumo. Esso pareva infatti generarsi in assenza di fiamma, quasi risalisse dalle profondità della terra o nascesse dalla stessa aria.

Mentre la ragazza era concentrata nel tentativo di capire da quale direzione provenisse il fumo, la pecora che stava trattenendo per il collare scartò di lato e la travolse, colpendola con il dorso morbido, ma, al contempo, sorprendentemente saldo. Lina fece appena in tempo a lanciare un’esclamazione di sorpresa e poi cadde a terra, sull’erba ancora umida di pioggia. Al movimento della matriarca, anche tutte le altre bestie scattarono, lanciandosi in un galoppo pesante e disordinato. Istintivamente la giovane gridò e si rannicchiò su se stessa nel tentativo di proteggersi dagli zoccoli che si schiantavano sul terreno.

Per alcuni interminabili secondi, tutto fu solo una foresta di zampe bianche, lana, fango e fumo tutt’intorno; poi, quando anche gli ultimi animali le furono sfrecciati accanto, Lina si mise a sedere, stupita di ritrovarsi viva e in buona salute.

«Stupide bestie» sibilò, alzandosi lentamente in piedi e sistemandosi con gesti secchi la gonna bagnata e stropicciata. Improvvisamente, la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato e pungolò la nuca e la ragazza aggrottò la fronte, rendendosi conto che il silenzio che era sceso attorno a lei era un po’ troppo profondo.

«Ibbi?» chiamò. «Ibbi!»

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Capitolo 4
*** 4 ***


«Ibbi» chiamò di nuovo, mentre il cuore prendeva a batterle più forte. Il fumo era più denso, ora; il suo odore talmente penetrante che gli occhi presero a lacrimare e dovette tossire più volte per liberare la gola da quel sentore acre. Non ricevendo nessuna risposta dall’amica, Lina abbassò istintivamente lo sguardo a terra, cercando di superare la barriera grigia che ricopriva il terreno.  E se fosse caduta? Si chiese, preoccupata. Se le pecore l’avessero calpestata?

Il fatto di non riuscire a vedere con precisione ciò che la circondava la confondeva e disorientava, ma a ogni istante che passava, la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava si faceva sempre più netta. La ragazza si portò una mano su bocca e naso, cercando di proteggerli, e poi si diresse verso il punto in cui aveva visto Ibbi per l’ultima volta. Quando lo raggiunse, però, non trovò altro che erba calpestata ed escrementi di pecora. Che abbia inseguito il gregge? Si chiese allora, con una punta di speranza.

Poi, veloce com’era apparso, il fumo prese a diradarsi, senza che nessun alito di vento venisse a disperderlo. Nel giro di pochi minuti, l’aria tornò limpida e tersa com’era stata quando le pecore avevano iniziato a dare i primi segni di nervosismo. Non v’era alcuna traccia di ciò che era successo e, se non fosse stato per il fatto che sia Ibbi che gli animali erano scomparsi, Lina avrebbe creduto di essere stata vittima di un’illusione.

La giovane restò immobile per qualche istante, stringendo inconsapevolmente i pugni sul tessuto della gonna e interrogandosi sul da farsi. La cosa più logica sarebbe stata tornare alla Congrega e denunciare l’accaduto: ciò a cui aveva appena assistito era senz’ombra di dubbio la prova che le stranezze degli ultimi tempi non erano più confinate alle remote regioni periferiche, ma avevano iniziato a manifestarsi anche lì, nel cuore del regno. D’altro canto, però, se tendeva le orecchie, poteva ancora sentire il tintinnio dei campanacci delle pecore – un suono che si faceva però sempre più debole man mano che le bestie si allontanavano. E se Ibbi le avesse inseguite? Anche se, formalmente, l’altra ragazza non era sotto la sua responsabilità, Lina sentiva comunque di doversene fare carico. Se, da un lato, il tempo trascorso insieme l’aveva portata ad affezionarsi a lei, dall’altro le aveva permesso di conoscerla a fondo: Ibbi non era il tipo di persona che si poteva abbandonare a se stessa a cuor leggero. Anche se aveva sempre avuto la convinzione che le persone cresciute in un ambiente difficile – come Ibbi, appunto – fossero in grado di badare a se stesse meglio di quelle che erano cresciute in un ambiente tutto sommato privilegiato, la giovane doveva ammettere che lei, figlia di mercanti, pareva comprendere il mondo meglio dell’amica, che affrontava la vita con una leggerezza e un’innocenza sconcertanti.

Non posso lasciarla da sola, decise, su due piedi. Senza contare, aggiunse una parte della sua mente che avrebbe preferito ignorare, che non hai nessuna prova che Ibbi abbia inseguito gli animali. E se fosse semplicemente scomparsa nel nulla? E se qualcuno – o qualcosa – l’avesse portata via? Anche questi sono eventi inspiegabili, dopotutto.

La giovane scosse con decisione il capo, rifiutandosi di pensare a quell’eventualità priva di ogni fondamento. Non perderti in congetture assurde, quando hai a portata di mano una spiegazione perfettamente plausibile, si rimproverò.

Inspirando a fondo, Lina puntò gli occhi nella direzione verso la quale erano corse le pecore. C’era un villaggio, a pochi chilometri da lì. Sarebbe arrivata solo alle porte del centro abitato, decise. Se avesse ritrovato la compagna, bene, altrimenti avrebbe fatto ritorno alla Congrega senza di lei e avrebbe dato l’allarme. Non si sarebbe immischiata in cose più grandi di lei: le donne consacrate alla Sapienza non potevano abbandonare i confini della propria Congrega. Perché il mondo non poteva e non doveva corromperle, ma anche perché, al di fuori della protezione dell’Ordine, avrebbero potuto andare incontro a mille pericoli.

Ma arrivare fino ai confini del pascolo non mi metterà in pericolo, decise la ragazza, raccogliendo il proprio bastone e avviandosi di buon passo sulla traccia lasciata dagli animali in fuga. Più si allontanava dal muretto a secco che segnalava la fine dei terreni della Congrega, e più avvertiva un senso di inquietudine aggrovigliarsi nel suo stomaco. Eppure sentiva di dovere andare. Solo fino alle porte del villaggio, non oltre.

Pietrarossa, si disse. Si chiama Pietrarossa e sopravvive grazie al commercio di lana e tessuti grezzi. Il fatto di ripetersi nozioni apprese in biblioteca le dava l’illusione di conoscere un po’ meglio un mondo che aveva abbandonato per sempre a soli quindici anni, spinta dalla pressione di sua madre, del suo patrigno e dei suoi cinque fratelli maggiori.

Un improvviso scivolone su un sasso instabile la costrinse a concentrarsi un po’ di più su quello che aveva sotto i piedi. Davanti a lei, il terreno declinava piuttosto rapidamente, ma la curvatura della dorsale su cui si trovava era tale che la ragazza non aveva modo di vedere che a poche centinaia di metri di distanza. Raccogliendo la gonna con una mano per procedere più speditamente, Lina scese zigzagando lungo il sentiero, ora facilmente distinguibile, che attraversava il pendio erboso costellato da enormi massi appuntiti. La gente del posto, che non riusciva a spiegarsi come quei giganteschi blocchi di roccia fossero arrivati lì, li aveva ribattezzati “Sassi delle Fate”, supponendo che questi fossero stati lasciati lì da qualche forza sovrannaturale.

Lina si prese qualche istante per riflettere su come quel fatto fosse l’ennesima riprova che, spesso, la gente ricorreva a magia e superstizione per spiegarsi ciò che non riusciva a comprendere, e poi si rimise in cammino. Lo scampanellare che l’aveva guidata fino a lì era ora stabile, indice che le pecore si erano fermate, e lo stomaco della giovane fu attraversato da una fitta d’inquietudine: e se Ibbi non fosse stata lì? Forse ha fatto ritorno alla Congrega, si disse, ma poi scartò quell’ipotesi. Il sentiero che partiva dal pascolo e che conduceva alla Congrega procedeva in linea retta per un ampio tratto e il tempo che aveva passato immersa nel fumo era stato troppo breve perché Ibbi avesse potuto percorrerlo e scomparire dalla sua vista.

Dopo poche decine di metri, il sentiero scollinò e la giovane giunse improvvisamente in vista dell’abitato di Pietrarossa. Ciò che catturò maggiormente la sua attenzione, però, fu l’enorme gregge di pecore radunato nei prati antistanti al villaggio. Queste non sono tutte mie, constatò, confusa. Non senza una certa apprensione, Lina notò che tra gli animali si aggiravano alcuni uomini – probabilmente pastori – mentre ai margini del gregge erano in attesa alcune persone che i mantelli blu identificavano come Guardie Reali. La loro presenza in quel luogo la sorprese non poco, ma la ragazza vide che non aveva senso attendere oltre: inspirando a fondo per farsi coraggio – non era più abituata a trattare con persone che non fossero le sue consorelle – si incamminò verso il gregge.

Dovrei forse segnalare la mia presenza? Si chiese, a disagio. Per sua fortuna, pochi istanti dopo un anziano pastore sollevò gli occhi dalle pecore e incrociò i suoi.  «Buongiorno» lo salutò, cercando di nascondere il proprio nervosismo.

L’uomo si tolse il cappello dalla testa e inclinò leggermente il capo nella sua direzione. «Buongiorno a te… sorella?» Il saluto suonò quasi come una domanda e, automaticamente, le mani di Lina volarono ai suoi capelli, cercando di dar loro una parvenza di ordine.

«Ehm… credo che alcune di queste pecore siano mie» fece, riducendo al minimo l’obbligo di fare conversazione.

«Lo credo anch’io» convenne l’uomo. «Ci sono piombate addosso all’improvviso. Erano tutte spaventate, come se stessero scappando da qualcosa.»

Lina si accorse che l’attenzione dei presenti – o per lo meno di quelli a portata d’orecchio – era tutta su di lei e la cosa la fece arrossire. «È per caso… per caso, con loro è arrivata anche una mia consorella?» chiese, aggirando la domanda che, pur indirettamente, il pastore le aveva posto. Anche se confuso dal cambio di argomento, quello scosse il capo. «No, erano sole.»

Nell’udire quella risposta, un’ondata di sconforto si abbatté su di lei, e la cosa dovette essere evidente, perché una guardia le si avvicinò. «C’è qualche problema?» Lina tossicchiò appena, per assicurarsi che la sua voce fosse salda, poi alzò lo sguardo sull’uomo, che la superava in altezza di più di una testa. Quando però provò a parlare, sentì che le parole le morirono in gola. «È possibile» ammise infine, con un sorriso.

La guardia – che, a un’occhiata più attenta, non dimostrava molti anni più di lei – parve cogliere la sua riluttanza a parlare davanti a tutti e le fece cenno di seguirlo in disparte. «Dunque?» le chiese poi, con un tono che fece correre un’onda di irritazione lungo la schiena della ragazza. Dieci anni di isolamento le avevano quasi fatto dimenticare la supponenza delle Guardie Reali e dei soldati in generale.

«Io e la mia compagna stavamo sorvegliando le pecore nei pascoli della nostra Congrega» replicò, indicando con un gesto la direzione dalla quale era arrivata. «Ad un tratto, gli animali hanno iniziato a innervosirsi e di punto in bianco ci siamo trovate avvolte dal fumo.»

«C’è stato un incendio?» la interrogò il soldato. Dopo un attimo di esitazione, Lina scosse il capo. «Non ne ho visto traccia. Il fumo è apparso all’improvviso, quasi… dal nulla.»

Negli occhi chiari dell’uomo passò un lampo allarmato e, anche se fu veloce a nasconderlo, Lina intuì che quel soldato sapeva di più di quanto non avesse rivelato sino a quel momento. «Hai parlato di una compagna?» le chiese lui. La giovane annuì. «Sì. Siamo state insieme, a pochi metri l’una dall’altra, fino a quando è arrivato il fumo. Poi, quando si è diradato e io sono ancora stata in grado di vedere attorno a me, Ibbi non c’era più. Ho pensato che avesse inseguito le pecore, ma…» Lina non concluse la frase, ma allargò le braccia con aria desolata.

«Com’è questa donna? Puoi descriverla?» La guardia si guardò attorno, come se stesse cercando di identificare una persona mai vista prima. E come se qui non fossero tutti uomini, aggiunse mentalmente la ragazza. «Ha più o meno la mia età» disse, comunque. «È un po’ più bassa di me, ha la pelle scura – ma non scurissima – e capelli e occhi neri. E, naturalmente, è vestita come me.»

L’uomo annuì. «Dovrebbe essere abbastanza riconoscibile» commentò. Lina fece una smorfia. «È quello che temo» le scappò detto. Il soldato le rivolse uno sguardo incuriosito e lei si pentì subito di quell’esternazione. «Era una schiava, un tempo, e… non conosce bene il mondo.» Lui la guardò come se si aspettasse di sentirla proseguire, ma Lina non aggiunse altro: non desiderava discuterne con uno sconosciuto.

Davanti al suo silenzio, l’uomo si strinse nelle spalle. «Bene. Vorrà dire che la cercheremo e, quando l’avremo trovata, la riaccompagneremo alla vostra Congrega. Nel frattempo, tu puoi recuperare le tue bestie: chiedi a qualche pastore di aiutarti.» Lina annuì, ma qualcosa, nel profondo del suo animo, le impedì di fare quello che le era appena stato suggerito. Questa persona sa qualcosa che io non so, si disse, mordicchiandosi pensosamente l’interno di una guancia. E se fosse stato a conoscenza di qualche dettaglio utile per le loro ricerche? Non era forse suo preciso dovere perseguire la conoscenza sempre e comunque?

Notando la sua immobilità, l’uomo le lanciò uno sguardo stranito, poi le rivolse un cenno di saluto e fece per girare sui tacchi, ma, quasi senza rendersene conto, Lina si protese verso di lui e lo trattenne afferrandolo per una manica. «Chiedo scusa, ma non ho potuto fare a meno di notare che la menzione del fumo apparso dal nulla non sembra averti colto di sorpresa.»

Gli occhi del soldato si appuntarono per una frazione di secondo sulle dita della giovane, poi risalirono sul suo viso. «Negli ultimi tempi se ne stanno verificando parecchi, di eventi del genere.»

«Anche così vicini alla Capitale?» lo interrogò Lina. Sul volto della guardia comparve l’ombra di un sorriso. «No» ammise. «Mai così vicini alla Capitale, che io sappia. Ma ci sono state delle avvisaglie…»

Quelle parole catturarono immediatamente l’attenzione della giovane. «Di che tipo?» chiese, cercando di tenere a bada l’eccitazione che si era impossessata di lei.

«Non credo che sia opportuno discuterne in questa sede» replicò il soldato, in un tono che lasciava chiaramente intendere che, più che la sede, era la compagnia a non convincerlo del tutto. Piccata, la giovane lasciò la presa che aveva sugli abiti dell’uomo e incrociò rigidamente le braccia. «Con tutto il rispetto, vorrei farti notare che, se sai qualcosa al riguardo, sei tenuto a comunicarlo all’Ordine.»

Senza battere ciglio, l’uomo sostenne il suo sguardo. «Lo so. Il mio Capitano avrà cura di fare avere alla tua Superiora tutte le informazioni in nostro possesso. Io, comunque, sono qui per occuparmi di altro.»

Improvvisamente, Lina sorrise, felice di avere occasione di dimostrare la propria superiorità. «Della Principessa, immagino.» Il soldato sgranò gli occhi, stupito, anche se, in realtà, c’era ben poco di sorprendente nel fatto che l’Ordine fosse a conoscenza di un evento tanto importante. «Ve ne state occupando anche voi?» chiese.

Lina fece per dire che no, Grete di Altavilla aveva semplicemente chiesto loro di pregare per la ragazza, ma, intravvedendo l’occasione di scoprire qualcosa di più a proposito di quanto stava accadendo, si strinse nelle spalle. «In un certo senso» disse, vaga.

L’uomo si avvicinò di un passo, costringendola a piegare ancora di più il collo per poterlo guardare in faccia. «E…?» la incalzò. «Avete scoperto qualcosa?»

Pur sapendo che si trattava di un atteggiamento potenzialmente pericoloso, Lina sollevò appena un angolo della bocca. «Non credo che sia il caso di parlarne qui» rispose, facendo eco a ciò che lui le aveva detto poco prima. Il soldato la fissò per qualche istante, poi scosse il capo. «Mi sembra giusto» borbottò. «Stammi a sentire», riprese poi, fissandola negli occhi come per giudicare la sua reazione, «ti propongo una cosa. Potresti venire con me a dare un’occhiata al villaggio, per vedere se troviamo la tua amica o se, per lo meno, incontriamo qualcuno che l’ha vista. Nel frattempo, ne approfittiamo per scambiare due parole: tu mi dici quello che sai, e io, in cambio, ti dico quello che so io.»

La giovane lo guardò di sottecchi. Un tempo sarebbe arrossita, se un uomo le avesse fatto una proposta del genere, vedendoci chissà quale secondo fine, ma in quel momento non ci vide altro che un tentativo – anche piuttosto goffo – di aggirare una qualche regola non scritta. La prospettiva, però, era allettante, doveva ammetterlo. Se fosse riuscita a portare a casa qualcosa di concreto, forse Grete le avrebbe tolto il caso delle piante dalla crescita misteriosa e le avrebbe permesso di dedicarsi a qualcosa di più eccitante.

D’un tratto, il viso di Ibbi le balenò davanti agli occhi. Stava solo perdendo tempo, lo sapeva bene: non c’era modo che la ragazza fosse sfilata accanto ai pastori, non vista, e fosse entrata nel villaggio. Forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere il suggerimento della guardia e a correre alla Congrega per dare l’allarme.

Però… solo pochi minuti. Mezz’ora al massimo, si ripromise. Sento quello che questo tizio ha da dirmi e poi torno a casa, senza perdere altro tempo. Del resto, se Ibbi non è alla Congrega, probabilmente c’è ben poco che possiamo fare, così, su due piedi.

Annuendo come per convincersi che quella fosse la decisione giusta, Lina incontrò di nuovo gli occhi del soldato. «Va bene» disse. «Andiamo.»

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Capitolo 5
*** 5 ***


Di tanto in tanto, il soldato al suo fianco le rivolgeva la parola, ma lei non gli prestava alcuna attenzione. Man mano che si avvicinavano alle porte del villaggio, la giovane avvertiva un senso d’angoscia montarle nel petto. Erano passati troppi anni dall’ultima volta che si era spinta oltre i confini della Congrega e l’idea di trovarsi di punto in bianco circondata da gente sconosciuta la metteva decisamente a disagio.

Non c’è motivo di preoccuparsi, si disse, abbassando lo sguardo sui propri piedi per evitare di incrociare quello di alcuni pastori che stazionavano a pochi metri da lei. Sono persone normali, uguali identiche a quelle che conoscevo da ragazzina. Era sicuramente vero, cionondimeno era consapevole che gli abiti che indossava l’avrebbero immediatamente identificata come consorella dell’Ordine: il fatto che si trovasse fuori dalla Congrega era una cosa sufficientemente insolita da attirare l’attenzione degli abitanti del villaggio, e l’idea di trovarsi al centro di decine e decine di sguardi sconosciuti la faceva sudare freddo.

Quando giunsero a pochi metri dall’antica porta di pietra che segnalava l’ingresso del villaggio – dovevano esserci state delle mura, una volta, lì, ma erano quasi completamente scomparse – la ragazza rallentò inconsciamente il passo, mentre il suo stomaco si contraeva in una serie di piccoli, sgradevolissimi crampi.

«Vieni?»

Senza che se ne rendesse conto, Lina era rimasta indietro di alcuni metri e l’uomo che la stava accompagnando si era fermato a guardarla, sul volto un’espressione confusa. «Sì» esalò lei, schiarendosi poi la voce per renderla più ferma. Non renderti ridicola, si rimproverò, spingendo avanti il mento e raddrizzando le spalle. Risoluta, la giovane si diresse a passi decisi verso la guardia e poi la superò, varcando così le porte del villaggio. Aveva percorso appena pochi metri sul selciato irregolare che rivestiva quella che doveva essere la strada principale, quando un senso di famigliarità la investì, inatteso. L’odore di fumo e di cibo, simile a quello che respirava ogni giorno nella Congrega, eppure così diverso, la riportò immediatamente ai giorni della sua infanzia, quando era solita passare le giornate accovacciata su una delle botti che suo padre portava al mercato. Il ricordo – quasi dimenticato, ma gradito – le riscaldò il petto e lei si sentì un po’ meno fuori posto.

Rilasciando un respiro che non si era nemmeno accorta di aver trattenuto, la giovane alzò lo sguardo verso il cielo limpido, osservando dal basso il netto contrasto tra le pareti bianche delle case, tutte uguali, e gli scuri tetti di ardesia che le orlavano. Non erano abitazioni ricche, lo vedeva chiaramente, ed erano nettamente più piccole di quella in cui aveva vissuto un tempo, ma c’era un che di dignitoso negli usci ordinati e nei fiori gialli e scarlatti che adornavano le finestre. Distrattamente, Lina pensò che non sembrava un brutto posto in cui vivere, quello.

Dopo un istante di indecisione, il soldato le fece cenno di seguirlo e si incamminò lungo la via, inoltrandosi verso il cuore del piccolo villaggio. Man mano che si allontanava dall’ingresso, Lina diveniva sempre più consapevole del modo in cui la osservava la gente: chi con curiosità, chi con diffidenza, chi, addirittura, quasi con timore. Quella consapevolezza fu sufficiente a far svanire gran parte delle sensazioni positive che aveva provato fino a qualche istante prima, e la ragazza si ritrovò ben presto a stringere nervosamente il grembiule tra le mani. Quando la tensione iniziò a diventare troppa, si accostò al suo accompagnatore. «Mi guardano tutti» mormorò, quasi a pregarlo di fare qualcosa.

Lui le rivolse uno sguardo sorpreso – sembrava non essersi nemmeno reso conto delle attenzioni di cui era lui stesso marginalmente oggetto – poi scrollò le spalle, ostentando indifferenza. «Be’, è normale. Non è che quelle come te ci vengano spesso, da queste parti.»

Lina alzò gli occhi al cielo di fronte a quell’ovvietà, trattenendosi a stento dallo sbuffare. «Lo so, ma mi mette comunque a disagio essere osservata in questo modo. Sembra addirittura che dia loro fastidio» si lamentò, accennando con il capo a un gruppetto composto da due donne e un uomo che, all’ombra di un porticato, la osservavano di sottecchi.

«Ma no» replicò il soldato. «Ti guardano così solo perché non sono abituati a vedere molti estranei. Comunque, non è un male: se la tua compagna è stata da queste parti, qualcuno l’avrà certamente notata. Basterà fare qualche domanda.» Così dicendo, si diresse verso le tre persone che lei gli aveva indicato. I tre si affrettarono a distogliere lo sguardo e, per un istante, Lina provò un moto di gratitudine nei suoi confronti: era alto, notò, per la prima volta e, anche se era piuttosto snello e meno imponente di alcuni uomini con cui aveva avuto a che fare in passato, la divisa che indossava esercitava comunque un vago effetto intimidatorio sulle persone che gli stavano attorno. Adesso non mi fissate più, eh? Pensò, con un fremito di soddisfazione.

All’oscuro di quei pensieri, il soldato aveva raggiunto i tre sconosciuti e aveva rivolto loro un saluto. «Avete visto una donna della Congrega, di recente?» chiese loro, quando Lina gli si avvicinò. Una delle donne la scrutò da capo a piedi, poi si rivolse alla guardia. «A parte lei?»

Il soldato sgranò gli occhi chiari, come se non si fosse aspettato una domanda tanto sciocca, e Lina sbottò: «A parte me, ovviamente.» Aveva usato lo stesso tono che era solita riservare a Danah nei suoi momenti peggiori, ma, anche se lo sguardo offeso della sconosciuta le fece capire che la cosa non era passata inosservata, non riuscì a dispiacersene.

«No, non l’abbiamo vista» si intromise la seconda donna, un po’ più anziana. «Se posso darvi un consiglio, andate alla Locanda del Gallo D’Oro: se si cerca un’informazione, quello è il posto migliore per trovarla.»

Lina scosse la testa, scettica. «Dubito che Ibbi sia andata alla locanda» disse, alzando lo sguardo sul soldato. Dubito anche che sia venuta al villaggio, aggiunse, poi, mentalmente, ma si guardò bene dal dirlo. Non voleva separarsi da lui prima di scoprire qualcosa di più a proposito di quello che le aveva accennato fuori dal villaggio.

«La Locanda del Gallo D’Oro è il posto in cui va chi ha voglia di scambiare due parole» insistette la donna più anziana. «La tua compagna forse non è lì, ma forse ci troverete qualcuno che l’abbia vista.»

«Cosa vuoi fare?» chiese la guardia, guardando la ragazza. «Vuoi provare ad andare alla locanda o preferisci girare ancora un po’ per strada?» La giovane esitò, soppesando le due opzioni. Se, da un lato, non trovava particolarmente allettante l’idea di sedere a un tavolo con un uomo sconosciuto, alla mercé della curiosità degli avventori del locale, dall’altro doveva ammettere che, così facendo, sarebbe stato molto più facile intavolare una conversazione che le permettesse di scoprire ciò che più le interessava.

«Andiamo alla locanda» decise, allora. «Se non altro, vorrei approfittarne per magiare qualcosa: non ho ancora pranzato» mentì, prima di aggiungere, a bassa voce: «Credo che non abbia molto senso girare a vuoto per le strade: se nessuno ha visto Ibbi, devo tornare alla Congrega e dare l’allarme senza perdere altro tempo.»

A quelle parole, il compagno delle due donne, che fino a quel momento non aveva parlato, le rivolse un’occhiata penetrante. «Dare l’allarme?» ripeté. «È successo qualcosa?»

«Non è successo nulla» replicò immediatamente la guardia, impedendo a Lina di rispondere lei stessa. «La ragazza stava badando ad alcune pecore, si è allontanata per cercare un agnello e potrebbe essersi persa. Hai detto che si è trasferita alla vostra Congrega da poco, non è così?» chiese, poi, rivolgendosi alla giovane. «Sì, è così» confermò lei, lentamente, lanciando un’occhiata tagliente all’uomo, che l’aveva sorpresa con quella menzogna.

Quando si furono allontanati dal gruppetto, la guardia la prese per un polso e la fece avvicinare a sé. «Stai attenta a non parlare troppo» le disse, chinandosi verso il suo orecchio. Il tono non era minaccioso, ma quell’avvertimento fece comunque scattare una scintilla di rabbia nel petto della ragazza. «E perché mai?» ribatté, liberandosi dalla presa con uno strattone deciso. «Tanto, ben presto si accorgeranno anche loro che stanno succedendo delle cose strane. Ammesso che non se ne siano già accorti, se, come dici tu, ci sono già state delle avvisaglie, da queste parti.»

Lina gli rivolse un’occhiata di sfida, ma lui si limitò a scuotere il capo, guardandola con un mezzo sorriso. «Non sai davvero come funziona il mondo, vero?» le chiese, con una tale aria di compatimento che, per un istante, la giovane credette di vedere rosso. Per una frazione di secondo, fu tentata di dire che lei il mondo lo conosceva molto meglio di lui, grazie tante, visto e considerato che lei passava la vita a studiare e lui, con ogni probabilità, non sapeva nemmeno scrivere il suo nome, ma poi si trattenne. No, non si sarebbe abbassata a tanto. Avrebbe mantenuto la calma, come il suo ruolo richiedeva e come era abituata a fare, e così facendo gli avrebbe fatto intendere tutta la sua superiorità. «Se lo dici tu…» commentò allora, sussiegosa, degnandolo solo di una mezza occhiata. L’uomo parve sul punto di ribattere, ma poi scosse nuovamente il capo e tornò a dirigersi verso la sua meta.

Vista dall’esterno, la Locanda del Gallo D’Oro era un edificio come tutti gli altri, riconoscibile solamente dall’insegna rappresentante un galletto dorato appesa sopra alla porta. Una volta varcata la soglia, Lina tirò un sospiro di sollievo nel notare che il locale era semi deserto: c’erano solo un paio di avventori sparsi qui e là e gran parte dei tavoli di legno chiaro erano vuoti. Quello che doveva essere il locandiere, un uomo sulla cinquantina che zoppicava vistosamente dalla gamba sinistra, si avvicinò loro. «Buon pomeriggio» li salutò, con una nota di incertezza nella voce. «Posso esservi d’aiuto?»

«Vorremmo mangiare qualcosa» fece il soldato, prontamente. «E vorremmo sapere se hai visto un’altra donna della Congrega, oggi.»

«No, non l’ho vista» replicò distrattamente l’uomo. Mentre lo diceva, i suoi occhi erano fissi sul volto di Lina e la giovane distolse lo sguardo, a disagio, sentendo le orecchie in fiamme. Dopo qualche istante, si azzardò a guardare ancora in direzione del locandiere e sul suo volto notò un’espressione concentrata. «Beh?» fece allora, più aspramente di quanto avrebbe voluto. Immediatamente, il locandiere si riscosse e arretrò di un passo, con una risatina imbarazzata. «Non vorrei sembrare inopportuno, ma… sei mai stata al mercato di Balma?» chiese.

Lina aggrottò la fronte, confusa. Lo ricordava, il mercato di Balma. Era il più grande mercato del Nord, un luogo che suo padre visitava una volta all’anno. L’aveva accompagnato, qualche volta. «In verità, sì. Ma è da molto tempo che… l’ultima volta avrò avuto dieci o undici anni, credo.» L’oste annuì. «Se posso chiedere: vieni dalla nostra Congrega, vero? La tua famiglia è di queste parti?» Leggermente infastidita da quell’interrogatorio, la giovane incrociò lo sguardo del soldato, che si strinse nelle spalle. «No, a dire il vero non sono di queste parti.» replicò, secca. «Sono nata nel Distretto delle Colline Blu. Se sono qui, è solo perché mia madre si è risposata e ora vive nella Capitale.»

Per nulla scoraggiato dalla scontrosità della ragazza, il locandiere si aprì in un gran sorriso. «Non è che, per caso, sei la figlia di Ivor di Pian dell’Alba?» La domanda la lasciò a bocca aperta e il locandiere interpretò correttamente il suo silenzio stupito. «Lo sapevo!» esultò. «Conoscevo tuo padre, tanto tempo fa. Cercava di rifilarmi sempre del vino scadente, spacciandolo per un’ottima annata, ma, sotto sotto, era un brav’uomo. Tu, comunque, sei identica a tua madre: è per questo che ti ho riconosciuta. Avevo sentito che eri entrata nell’Ordine, ma non mi aspettavo certo di trovarti qui.»

Istintivamente, Lina strinse tra le dita una ciocca ramata che era sfuggita dall’acconciatura e le penzolava davanti agli occhi. «Non è vero che sono identica a mia madre» protestò. L’oste le rivolse un sorriso placido. «Capelli a parte, s’intende. Ma hai la sua stessa faccia. Anche l’espressione è la sua.» Davanti a quell’osservazione, Lina arrossì: non amava particolarmente essere paragonata a sua madre, ma, sfortunatamente, sapeva che il locandiere aveva ragione. Da suo padre aveva preso solo i capelli rossi, ma i lineamenti, le lentiggini e gli occhi scuri erano una chiara eredità materna; e non c’era nulla che lei potesse fare per cambiare quella verità. Cercando di evitare che l’uomo continuasse a chiederle della sua famiglia – un discorso che preferiva evitare, se poteva – la giovane si strinse nelle spalle. «Sì, be’, immagino sia vero. Comunque, come dicevamo, sono qui per cercare una mia compagna che si è persa: sei certo di non averla vista?»

A quella domanda, l’oste si fece più serio. «Era vestita come te, immagino.» Quando Lina annuì, l’uomo scosse il capo, con un’espressione dispiaciuta sul volto. «No, purtroppo non ho visto nessuna consorella: né oggi, né nei giorni scorsi. È vero però che oggi sono stato piuttosto impegnato e non ho avuto molto tempo di fare conversazione: perché non vi sedete e non mangiate qualcosa? Nel frattempo, io proverò a fare qualche domanda agli altri clienti.»

Prima che la ragazza potesse dire che non era il caso che lui si scomodasse – poteva benissimo farle lei, le domande – il soldato si lasciò scivolare sulla sedia più vicina. «Mi sembra un’ottima idea» disse, alzando lo sguardo sul locandiere. Quando quello si allontanò con un sorriso soddisfatto, Lina rimase immobile per qualche istante, indecisa sul da farsi. Le poche persone presenti nel locale la stavano fissando e lei si affrettò a sedersi, sentendosi piuttosto stupida.

«Non avevo idea che tu conoscessi il padrone di questo posto» le disse il soldato, quando si fu accomodata. Per qualche motivo, la giovane credette di avvertire una lieve sfumatura d’accusa, nelle sue parole. «E infatti non lo conosco» ribatté. «Mio padre però era un commerciante di vino piuttosto rinomato e viaggiava molto… immagino avesse diverse conoscenze sparse per il regno. Non ricordo mi abbia mai parlato di questo tizio, ma sono passati diversi anni da quando è morto e io mi sono ormai dimenticata molte cose.»

Notando che il soldato continuava a fissarla, Lina sbuffò, spazientita. «Non mi pare che la cosa abbia una qualche importanza, comunque. Parliamo piuttosto del fatto che Ibbi non è qui.» Davanti al suo tono bellicoso, la guardia si rilassò contro lo schienale della sedia, sollevando un gomito per trovare una posizione comoda. «Il fatto non pare stupirti» commentò, osservando la sua reazione.

La ragazza abbassò gli occhi sul tavolo, un po’ in imbarazzo. «Be’, in effetti credo sia improbabile che sia entrata nel villaggio: perché avrebbe dovuto farlo?» chiese, mentre una fitta di preoccupazione le attraversava lo stomaco, ricordandole che la sua compagna – la sua amica – era scomparsa nel nulla e lei stava perdendo tempo con un soldato sconosciuto, anziché correre alla Congrega e dare l’allarme.

«Non saprei» replicò la guardia. «Perché sei qui, allora?»

Lina incontrò il suo sguardo e, per una frazione di secondo, si chiese se fosse il caso di fidarsi di lui. Aveva degli occhi terribilmente chiari, quasi color ghiaccio e, per qualche motivo, lei aveva sempre provato una certa diffidenza nei confronti delle persone con gli occhi azzurri. «Immagino valesse comunque la pena fare un tentativo» sospirò. «Se Ibbi non è qui, significa che è sparita nel nulla in mezzo a quel fumo nato dal niente: poco fa, tu hai detto che non è il primo evento del genere ad essere avvenuto vicino alla Capitale, ma che ci sono state delle avvisaglie. Bene, voglio sapere a cosa ti stavi riferendo: se Ibbi è scomparsa, ogni particolare può esserci utile per tentare di ritrovarla.»

«Mi pare logico» convenne lui, placido. «In cambio, tu mi racconterai ciò che sai a proposito della scomparsa della Principessa: se non erro, i patti erano questi.»

Improvvisamente, Lina si accorse di aver fatto un piccolo, trascurabile errore: non si era preparata alcuna fandonia da rifilare al soldato in cambio delle informazioni che avrebbe ottenuto da lui. Perché lei, della sorte di Adlyn, non sapeva assolutamente niente.

 

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