The Steel City

di Fred511
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -VII/IX/MMXVII- ***
Capitolo 2: *** Messages. ***
Capitolo 3: *** Companions. ***
Capitolo 4: *** - Avviso ai Lettori - ***



Capitolo 1
*** -VII/IX/MMXVII- ***


Pioveva. Una pioggia leggera, cominciata da pochi minuti, quasi come se il mondo volesse sottolineare ciò che stavamo provando in quel momento. Ci eravamo rifugiati sotto l'entrata di un piccolo tempio massonico a nemmeno 500 metri dal parco dove amavamo sdraiarci e parlare del più e del meno, stretti in un abbraccio che ci scaldava dal lieve freddo di quella giornata. Eravamo in silenzio, entrambi con la paura di parlare, perché sapevamo che ormai ogni frase avrebbe solo fatto più male di quanto ce ne eravamo già fatti: non un male cattivo, come un insulto o una parola di troppo; un male d'amore, di quelli che si provano quando ormai tutto era destinato a finire. Ebbi il coraggio, anche se la mia gola non aiutava, di dire quelle poche parole che prima o poi dovevano essere dette: -E' questa, quindi, la tua scelta?-

Mi guardò con gli occhi di una persona che sapeva di aver appena perso una parte di sè. In quel momento, ebbi il dubbio se fossero più le gocce di pioggia a cadere dal cielo o le lacrime a scendere sulle sue guance. Non rispose, ma disse tutto quello che aveva da dire stringendomi ancora più forte e lasciandosi scappare qualche singhiozzo. Erano ormai le 12.30, tempo che io partissi per il lungo viaggio di ritorno verso casa. Non volevo andarmene, e tantomeno lei voleva sciogliere quell'abbraccio, forse unica cosa che al momento ci impediva di morire dentro. -Capisco- risposi senza aspettarmi suoi altri commenti: ormai così era andata, e dubito qualcosa potesse cambiare le carte in tavola. Le lasciai un bacio sulla fronte. -Non è l'ultima volta che ci vedremo, ma ho bisogno di tempo. Lo sai.- I singhiozzi divennero ancora più forti e numerosi. Mi fingevo, forte; sembrava non necessitassi nemmeno di piangere, ma dentro qualcosa si era frantumato in verità; cosa, non lo sapevo: il sogno di un noi, portato avanti per anni? tutte le promesse che ci eravamo fatti? sapere che mai più avrei provato il dolce sapore dei suoi baci? Forse tutto.

-Devo andare, piccola. So bene che non vorresti, e tantomento lo vorrei io. Ma si è fatto tardi.- Lasciò leggermente la stretta dell'abbraccio, per poi far cadere le sue mani nel vuoto. Feci lo stesso, ma nel far un passo indietro ripresi la sua mano destra da quella che era probabilmente un'incapacità di fare altri movimenti. -Tornerò, promesso.- Tenni la sua mano mentre mi allontanavo leggermente, per poi doverla lasciare facendola scivolare sulle mie dita. Scoppiò nuovamente a piangere: il mio cuore si spezzò proprio in quell'istante. Sapevo però che restare ancora avrebbe solo reso più difficile andarsene poi. Misi il cappuccio della mia felpa e, con lo zaino in spalla, tirai fuori le chiavi dell'auto parcheggiata a pochi metri da noi: inserite nella serratura, non resistetti a girarmi per guardarla ancora. Era così bella, Dio. Nessuna era come lei. Nessuna era capace di essere così dannatamente bella ed innocente allo stesso tempo. Non era un bello strumentalizzato, come se parlassimo di una ragazza alta con un bel fisico e gli occhi chiari. Era un bello canonico, che nella sua statura minuta e nei suoi occhi scuri ti rubavano il cuore e ti facevano pensare unicamente “cazzo, voglio baciarla un'altra volta”. Era però impossibile. Per quanto fossi innamorato di lei, e dico veramente innamorato, ormai il mio tempo era finito. Nessuno dei due sarebbe riuscito a stare completamente senza l'altro, ma il suo cuore non era più mio. E fu come sentire di aver perso tutto.



 

S.P.M
Piccola storia di un piccolo ragazzo di provincia.
Sono presenti tratti veritieri e altri dediti all'inventiva narrativa.
I luoghi descritti sono il più possibile presi dalla realtà,
per rendere tutta la storia ancora più veritiera.
Spero possiate apprezzare l'operato di uno scrittore in erba
che da tanto, ormai, non si siedeva più davanti un computer per raccontare
qualcosa al prossimo.
Buona lettura, e fatemi sapere che ne pensate!
Grazie in anticipo, Fred511

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Capitolo 2
*** Messages. ***


La vibrazione del cellulare mi fece riprendere da quello che era stato, probabilmente, il sogno ad occhi aperti più lungo della mia vita: non che fosse stato il primo, anzi, la mia mente divagava spesso in assurde vicende e supposizioni, del tipo “e se fossi figlio di Donald Trump?” oppure “come sarebbe la mia vita se una sera mi arrivasse la lettera di ammissione ad Hogwarts?”. Si, lo so. Bambinesco, quasi stupido. Eppure immaginare è parte della natura umana, così come la curiosità: sebenne questa possa portare a dei rischi, si cerca comunque di trovare risposta alle domande che tutti i giorni ci riempiono la testa; immaginare, invece, penso non porti a nessun danno. Ergo, perché porle resistenza e non lasciarci semplicemente trasportare da quegli attimi di fantasia a volte fanciullesca? Siano essi pessimistici od ottimistici. Questo era indubbiamente pessimistico, come diversi che avevo avuto recentemente, ma era solo per la situazione. Io volevo e speravo ben altro.

Buttai un occhio sul cellulare. 15.57. Erano ben 27 minuti che quelle immagini mi passavano davanti agli occhi. Ne rimasi quasi sorpreso, abbastanza da chiedermi come abbia fatto ad isolarmi dall'intero mondo così tanto ma non tanto da non riuscire a darmi risposta: accennai un sorriso senza nemmeno volerlo, nonostante la natura di quella che ormai potevo definire quasi “visione”. Era lei. Ancora seduto sulle lenzuola arancioni del mio letto, afferrai il cellulare per vedere chi mi avesse cercato: tasto home, swipe sul messaggio, tasto home nuovamente per il riconoscimento dell'impronta. E' incredibile quanto la tecnologia fosse progredita, in soli 18 anni: ricordo sempre come mio padre mi raccontava che, nato io, dovette fotografarmi con la sua kodak poiché i cellulari erano ancora cellulari, capaci solamente di ricevere ed inviare messaggi e chiamate. Aveva un Nokia 5110 arancione, se non erro. Ho sempre creduto che il mio amore per l'arancione fosse ereditato da lui.


Alex: “Ma dove sei? Ti stiamo aspettando.”


Io: “Ho avuto un contrattempo. Tempo 15 minuti e sono lì.”


Mi alzai dal letto. Ero già pronto, anche perché sarei dovuto uscire gia da 20 minuti buoni. Il tempo della visione, insomma. Mentre mi infilavo la scarpa destra, sentii il telefono vibrare ancora.


Alex: “Okay. Ricordati il mio portafogli.”


Io: “Okay.”


L'aveva lasciato da me la notte prima: non era insolito che, di sera, ci ritrovassimo a casa di uno di noi tanto per stare insieme. Videogiochi, insulti, tv, a volte fumavamo anche. Cose da teenagers.

Ripresi ad allacciarmi la scarpa che avevo infilato, quando un'altra vibrazione mi riportò al cellulare.


Bumpers: “Dove sei? Passa a comprare le sigarette per Alex, ha detto che hai il suo portafogli.”


Io: “Arrivo.”


Dannazione. Sono lì, insieme, perché diavolo mi devono scrivere in due quando può semplicemente farlo uno? E perché ogni volta Alex deve scrivere messaggi ad intervalli di risposte? Può per una volta scrivere tutto insieme? O almeno, messaggi separati ma non intervallati da mie risposte. Odio dover tornare alla stessa cosa più e più volte, che sia un problema serio o semplicemente rispondere ad un cazzo di messaggio. Non che io sia tanto meglio, anche perché scrivo discorsi in messaggi separati: lo trovo più comodo e più rapido, almeno le persone possono leggere nel frattempo che scrivo. Però cazzo, almeno scrivo più messaggi uno dietro l'altro. Tornai alle scarpe: un bel paio di converse nere, di quelle con il contorno e la punta di un bianco ghiaccio. Amo le converse, tanto che ne ho 4 paia diverse: marroni in pelle, un'edizione speciale che sono stato felicissimo di trovare in un negozio qua vicino; una paio bianche di tela; un altro paio nere, ma stavolta completamente; per finire, quelle che sto mettendo ora. Tutti mi dicono che facciano male alla postura, ma me ne sono sempre fregato. Sono comode e di stile. Finito di allacciare anche la scarpa sinistra, sentii un'altra vibrazione. “Se stavolta sono ancora loro, giuro che gli mando un bel vaffanculo per vocale”: presi il telefono. Sorrisi di nuovo. Era lei.

 

Demi: “Scusa il ritardo, ero uscita con il cane. Che combini?”

 

Io: “Tranquilla, finché è per quel dolcino di Pongo aspetto volentieri. - Sto per raggiungere gli altri, mi si è fatto tardissimo, argh! E tu? Sei a casa ora?”

 

Demi: “Ssi. - Penso leggerò un po', oppure continuerò la storia che sto scrivendo. - Tu che consigli?”

 

Io: “Scrivi! - Non vedo l'ora di leggere il tuo prossimo capitolo.”

 

Demi: “Dolce sei. - Allora comincio.”

 

Mi ha sempre detto che sono io quello bravo a scrivere, eppure leggendo la sua piccola storia mi sono reso conto di quanto lei fosse più brava di me. Era davvero incredibile, ma non voleva proprio capirlo. D'altronde, come tutti i complimenti che le facevo; ma so che, in cuor suo, apprezzava. E anche io.

Misi una felpa nera al volo, arraffai tutto ciò che dovevo prendere e uscii dalla stanza. A casa non c'era nessuno, entrambi lavoravano: Papà era caporeparto del settore di controllo qualità alla Youngstown Iron Sheet and Tube Co., una grande industria che lavorava metallo. Ai tempi, qui, il settore siderurgico poteva far concorrenza a quello di grandi città come Chicago o Cleveland: la chiamavano apposta “Steel City”. Ma negli anni buona parte dovette cessare la produzione a causa dell'economia che non girava: nonostante la fabbrica “di” papà sia oggi praticamente dimezzata, ancora lavora a grandi ritmi. Non male, ragazzi; mamma invece era una semplice impiegata in un negozio di alimentari qui vicino: un lavoro semplice, a mio dire anche pesante in certi aspetti, ma le piaceva stare a contatto con la gente. Presi le chiavi dell'auto dal ripiano affianco la porta ed uscii, sbattendo la porta per la fretta. Un ultimo messaggio prima di partire:

 

Io: “Hei, vengo da te invece che andare dagli altri?”

 

Entrai in macchina: una Dodge Coronet blu scuro del '69. Amo le auto. Soprattutto quelle classiche. La comprammo un annetto fa da un amico di papà, un po' sgangherata ma funzionante: pagammo solo 6000$, se non erro, una cifra non male. Mettiamone altri 2000$ per lavori di restauro vari, ed ecco la mia prima auto. Avrei voluto farla nero opaco, ma dato che andava riverniciato solamente una parte del posteriore, decisi di risparmiare e di lasciare il colore originale. Ogni tanto mi piaceva mettermici: sapete cosa intendo, aprire il cofano e vedere come le cose funzionavano; avevo preso le basi lavorando in un'officina d'estate, due anni fa, non lontano da qui. Forse 10 minuti di auto. Nonostante avessi ancora lacune, niente mi fermava dal voler imparare tutto il possibile sull'argomento. Era la cosa che preferivo. Un attimo prima di girare la chiave ed accendere il motore, sentii l'arrivo di un altro messaggio:

 

Demi: “Magari.”

 

Sorrisi di nuovo.

 

Io: “Allora arrivo subito.”

 

Era incredibile come fosse capace di farmi felice con una sola parola. Ero follemente innamorato di lei anche per questo.

 

 

 

S.P.M.

Ringrazio pubblicamente Clifford's_exence per il supporto che mi da.

L'autrice d'eccezione sei tu, che con la tua storia

hai saputo farmi tornare la voglia di scrivere.

Un_Named, a proposito, per chi fosse interessato a leggerla.

Ne vale la pena, parola mia.

Spero questo capitolo vi piaccia e, come sempre, se avete consigli e opinioni fatemi sapere!

Fred511

 

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Capitolo 3
*** Companions. ***


Abitavo appena ad est del centro della città. 8 minuti di auto senza traffico e, di solito, raggiungevo il luogo dove io e i ragazzi eravamo soliti incontrarci: il campo da baseball di Mill Creek Park, appena affianco le sponde del laghetto posto al centro di quest'ultimo. Anni fa veniva usato dalla Youngstown State University, ma cadde in disuso non appena ne costruirono uno più nuovo vicino al rettorato con tanto di Mc Donald a due passi: da quel momento, il vecchio campo era diventato un luogo di ritrovo per noi giovani, dato il suo grande spazio e la vicinanza al laghetto di cui prima vi parlavo; d'estate amavo rifiugiarmi sotto le enormi piante che lo circondavano per poi tuffarmi in acqua nei momenti più caldi. Nonostante fosse un laghetto, l'acqua non era affatto sporca. Probabilmente perché era collegato al fiume Mahoning che ne forniva continuamente di pulita.

Mi fermai poco prima del campo, nel bar dove eravamo soliti rifornirci: le sigarette per Alex, quelle per me ed una Redbull tanto perché non potevo farne a meno, quando uscivo. Presi la lattina dal frigorifero, la poggiai sul bancone e chiesi due pacchetti di Marlboro Light. 25$ in tutto. Da quando avevo letto che in Europa costavano dai 3 ai 6 dollari, ripensavo ogni volta al prezzo esorbitante che avevano in America: tutto dovuto alle tasse, che componevano qualcosa come il 60% e più del prezzo totale. Già che ci uccidiamo da soli, ce le fanno pure pagare care. Bastardi.

Ringraziai il commesso e tornai alla macchina. Dentro, stappai la Red Bull e il suo odore mi fece tornare il buon umore. Non so perché ero così “strano”: era una bella giornata, stavo per beccare i ragazzi, nessun problema in vista; magari era la visione di prima. Non ci feci più di tanto caso.

Feci qualche sorso prima di poggiare la lattina nello spazio apposito di fronte la leva del freno a mano, per poi ripartire. Tanti dicevano che la Red Bull avesse un'odore di medicina e un sapore stomachevole. A me piaceva un sacco.

 

Arrivai al campo in 12 minuti, compresa la sosta al bar. 3 prima del previsto. Considerando però i minuti persi nell'uscire, ero in perfetto orario con quello che avevo dato ai ragazzi. Li raggiunsi sulla nostra solita panchina, all'ombra di due grossi aceri secolari sul cui tronco, col tempo, avevano inciso le date di diversi eventi con i nomi dei presenti: il nostro primo pomeriggio lì, il lontano 12 maggio del 2013, nell'”estate” dopo il primo anno della Chaney High School dove ci eravamo conosciuti tutti; il nostro primo bagno nel laghetto, il 22 giugno del 2014; il primo spinello che ci eravamo fumati, proprio su quella panchina, il 5 luglio dello stesso anno: non eravamo soliti fumare marijuana, fatto sta che negli anni avremo fumato qualcosa come 15 spinelli, forse anche meno. Però ci sembrava bello ricordare quell'evento. In tutti e 3 i casi, i nomi erano gli stessi: Io, Alex, Bumper e Scotty.

 

Alex (Alexander) Langdon era il più giovane di noi, avendo un anno in meno: aveva guadagnato un anno iscrivendosi alle elementari con noi, essendo nato il 2 gennaio. Ormai nemmeno facevamo più caso a questo dettaglio, lo consideravamo spesso e volentieri un '98 come me e Bumper. Orfano dalla nascita, viveva con una famiglia adottiva in centro. Adoravo quel ragazzo: era molto sveglio, riuscendo sempre a tirar fuori le giuste parole in ogni situazione; ciò non toglie che avesse un animo comico, capace di farci sempre sbellicare. Diciamo era un po' il clown del gruppo. Una volta, da ubriaco, uscì dalla casa di Scottie in mutande alle 3 del mattino urlando che Kripton aveva bisogno di lui: si credeva Superman solamente perché aveva una grossa S ricamata proprio sul “pacco” dei boxer. Inutile fu spiegargli che Superman la S l'aveva ricamata sul petto e non sulle mutande; ancora ridevamo per quella storia. Inoltre, il suo essere “gingerhead” non passava mai inosservato: lui pensava di avere origini irlandesi, ma non ne era certo. Forse inglesi, al massimo. Comunque, non ce ne erano molte a Youngstown di persone come lui: media altezza, in forma, capelli rossi e lentiggini. A volte, in certe pose, assomigliava proprio a Ron Weasley.

 

Bumpers era l'unico mio coetaneo del gruppo e l'unico con cui fossi praticamente cresciuto insieme, abitando a poca distanza da me: il suo vero nome era Natan Drowes, ma lo chiamavamo Bumpers (paraurti) da quando, una volta, venne investito da un auto lungo la strada; era stato un attimo di disattenzione, non so, ma fatto sta che si ritrovò in mezzo alla strada e venne preso in pieno. Ci si gelò il sangue a tutti. Tempo nemmeno di correre da lui che già era di nuovo in piedi, un po' acciaccato ma senza nemmeno mezzo osso rotto. Anzi, si preoccupò più di controllare se avesse danneggiato la macchina, temendo di dover pagare i danni. Non abbiamo idea di come abbia fatto ad uscirne illeso, ma da quel giorno gli abbiamo affibiato eroicamente questo soprannome. A lui non dispiaceva. Era un tipo abbastanza serio, ma senza mancare di spirito; inoltre, poteva essere definito il tipico “gigante buono”: alto quasi due metri, fisico prorompente temprato da anni di football e mani talmente grandi che avrebbero potuto stringere tranquillamente la faccia di Alex. Eppure, non aveva mai alzato le mani su nessuno. Chiedeva addirittura scusa ogni volta che faceva sanguinare un altro giocatore in campo, durante le sue partite, in uno sport dove il sangue poteva scorrere come il sudore sulla fronte di un calciatore dopo 90 minuti di partita. Aveva anche la faccia “cattiva”, con le sue ciglia spesse e lo sguardo spesso aggrottato. Eppure, con uno dei suoi sorrisoni, si rivelava per il bonaccione che era.

 

Scotty, nomignolo per Scott Montgomery, era invece il nostro “adulto ancora ragazzo”: aveva 22 anni, lavorava in un Walmart appena fuori città ed era cugino di Bumpers. Alto anche lui ma dall'aspetto più composto, poteva essere definito un “nerd non nerd”: appassionato di videogiochi, fumetti, Star Trek, Star Wars e chi più ne ha più ne metta, ma non si preoccupava ad uscire e a divertirsi insiema a noi. A vederlo dall'esterno, anzi, sembrava uno che a ragazze aveva successo, e non si avrebbe avuto nemmeno torto: occhi azzurri, capelli castani mossi, un viso da angioletto e uno sguardo che scioglieva il cuore di ogni ragazza con cui flirtava; era un maestro nel flirt, ma purtroppo non sapeva gestire le relazioni che si creava. Praticamente era un donnaiolo senza volerlo.

Viveva da solo in una casetta appena fuori dal centro, ed era lì che andavamo sempre quando volevamo far un po' più di casino. Inoltre, essendo l'unico over-21 del gruppo, era lui che ci forniva sempre gli alcolici. Mi sono sempre chiesto perchè diavolo ci diano la patente a 16 anni e poi per farsi anche una birra si debba aspettare i 21. Che strano paese l'America.

 

Tornando a noi, mi avvicinai alla panchina dove gli altri mi aspettavano: la Red Bull l'avevo già finita nel tragitto macchina-gruppo e, pertanto, mi sembrò più che orario di accendersi una sigaretta. Lanciai ad Alex il suo pacchetto assieme al portafogli e presi l'accendino dalla tasca dei pantaloni. Il momento sigaretta era il momento del briefing, dove decidevamo cosa fare e cosa non fare in giornata.

 

Scottie: “Vogliamo andare a quella festa, allora?”

 

“Che festa?” chiesi io aggrottando le ciglia.

 

“Eleanore organizza un party a casa sua. I genitori sono fuori per una piccola vacanza. Ci divertiremo, ci sono anche le sue amiche e un sacco di altre belle pollastrelle. Ne stavamo parlando giusto appena prima che arrivassi.” mi spiegò Scottie.

 

Eleanore Ronalds era la ragazza più stravagante della scuola: ricca da far schifo, “capitano” della squadra di cheerleaders e ovviamente la più gnocca per i corridoi. Stranamente, non era così montata di testa come ci si possa immaginare, ne era una di quelle classiche stronzette che si sentono superiori a tutto e tutti. Ma sicuro il caratterino non gli mancava. Non le avevo mai parlato in 5 anni.

 

“Sicuro che, in caso, siamo i benvenuti? Non vorrei far figuracce, sai.” sottolineò Alex mentre si accendeva la sua sigaretta.

 

Scotty sorrise e rispose con tono sarcastico: “Non ti fidi di me? Pff.” - “Tranquillo, ho parlato con Jackie, la sua amica. Vi ricordate di Jackie vero? La tipa del parcheggio la notte del 4 lugl...”


“Si Scotty, ci ricordiamo di Jackie.” interrompemmo rispondendo in coro noi altri. Era solito citare le sue conquiste, ne andava quasi fiero. Anche se poi si vergognava di non riuscire a portare avanti due settimane di relazione. Però quella volta era stata effettivamente solo una botta e via.

 

“Beh, mi ha detto che siamo tutti e 4 benvenuti.” aggiunse.

 

Alex non tardò con il suo commento sempre azzeccato: “Beh, deciso allora. Magari stavolta ci portiamo a casa un bel premio anche noi. Vero, Leo?”.

 

Gli altri risero. Risi anche io. Mi prendevano spesso in giro perché era da molto tempo che non mi vedevano andare con una ragazza. Non che non mi si filassero.

 

“Magari stavolta sarà la mia volta buona, ahah” commentai.

 

Ma tanto sapevo che non l'avrei nemmeno cercata, una ragazza.

 

Io la mia principessa l'avevo già.

 

 

S.P.M.

Scusate l'ora in cui pubblico i nuovi capitoli,

ma è solo in queste ore piccole che trovo tempo e tranquillità per scrivere e.e

Spero vi sia piaciuto e che la storia stia proseguendo in modo apprezzabile!

Come sempre, non abbiate paura di lasciare un recensione!

Buona lettura, Fred511.

 

Ah, dimenticavo. C'è un dettaglio nel capitolo che ho voluto inserire appositamente

per “citarne” un altro. Magari qualcuno saprà trovarlo al primo colpo. Fatemi sapere se riuscite!

 

 

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Capitolo 4
*** - Avviso ai Lettori - ***


A causa di spostamenti vari per l'università, concomitanti con un brutto periodo e anche un leggero tocco di star male (brutto da dire, lo so, lol) purtroppo per un periodo non mi sarà possibile aggiungere nuovi capitoli. Spero che gli admin mi perdoneranno se, per dirvi questo, ho fatto un nuovo capitolo (si può fare? Non ne ho idea), ma ci tenevo perché in poco tempo siete stati comunque un sacco a leggermi. Spero non vi arrabbiate con me. A presto!

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