Dream On

di queenjane
(/viewuser.php?uid=758690)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dream On ***
Capitolo 2: *** Incomplete ***
Capitolo 3: *** Oscar ***
Capitolo 4: *** Enfant Martyre ***
Capitolo 5: *** Little One - Piccolino ***
Capitolo 6: *** Miracle ***
Capitolo 7: *** To The End ***
Capitolo 8: *** Sit Tibi Terra Levis ***



Capitolo 1
*** Dream On ***


Si tolse le forcine di squisita fattura, che le assicuravano le lunghe ciocche alla crocchia che soleva portare.
Tutto  quello che aveva era splendido, dalla biancheria di lino e batista alle lenzuola di seta con il suo monogramma.
Per non tacere dei vestiti, che ordinava da Worth e Paquin, gli equivalenti della sua epoca della famosa mademoiselle Bertin, che aveva vestito Marie Antoniette.
 I suoi passi parevano seguire i suoi, la regina austriaca si era librata con la grazie di una farfalla sui pavimenti che lei aveva percorso oggi, ammirando la famosa Galleria degli Specchi, per non tacere delle fontane che avevano zampillato, in fastosi zampilli.
I  giardini di Versailles erano una meraviglia, come quelli di Babilonia, le foglie che viravano nel rame e nell’oro, quando avevano visitato Parigi le migliaia di alberi presenti sulle strade che avevano percorso erano stati ornati da fiori artificiali di ippocastano, appositamente creati..
 Sorrise nello specchio, flettendo indietro la testa dorata, gli occhi grigio azzurri assorti e remoti. Anche Antonietta era stata bionda, con grandi occhi, dotata di grazia ed eleganza, brillante in ogni occasione, lei invece in pubblico arrossiva, la sua timidezza cronica era percepita come arroganza, il suo delizioso incarnato, che gli inglesi chiamavano “pesche e panna” diventava orribile.
Si alzò, andando verso il letto a baldacchino, con stupendi e raffinati tendaggi, Antonietta doveva avere pensato che certo era splendido. Come la trovata dell'ambasciatore francese di regalarle un arazzo di Gobelin con la regina e i suoi figli, lo avrebbe messo nel suo salotto arredato nei toni del malva e del lilla, nel suo prediletto palazzo di Alessandro, a Carskoe Selo, sua residenza preferita.
 Alessandra Feodorovna si addormentò sorridendo.
Era il 1896, era in viaggio con suo marito per le corti di tutto il continente europeo dopo la solenne incoronazione di Mosca.
Era zarina di Russia, moglie di Nicola Secondo, sposato per amore, giovane e avvenente.
La sola cosa che mancava a rendere completa la sua gioia era un figlio maschio, nel novembre precedente aveva dato alla luce la sua prima figlia, Olga.
 Un erede.
Mancava solo un maschio per rendere completa la sua gioia, la sua vita, la sua infanzia era stata triste, la madre e la sorella più piccola morte di difterite quando aveva sei anni, il padre quando ne aveva venti, per non tacere della lunga lotta per sposare Nicola, erano trascorse molte stagioni infelici prima del loro fidanzamento, dei suoi dolci baci che avevano sciolto il gelo che le serrava il cuore.
Per lei era un onore dormire in quelle stanze, appunto, mentre il suo seguito lo considerava un cattivo segno, come la scelta di regalarle quel particolare arazzo.
 La regina austriaca aveva avuto una tragica morte, sulla ghigliottina, dopo che la rivoluzione del 1789 le aveva tolto il suo titolo, il marito ed i figli, schernita, derisa, umiliata fino al suo ultimo giorno.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Incomplete ***


1899. 
In Russia,a venti chilometri circa da San Pietroburgo,sorgeva  Carskoe Selo, ovvero il villaggio dello zar, pieno di splendide dimore, tra cui il suo favorito palazzo di Alessandro
Lo zar Nicola II  di solito accontentava la zarina in tutto, anche troppo dicevano i più nei minimi come nei massimi, rispettava la sua preferenza di vivere nel posto di cui sopra, come che mangiasse i suoi prediletti biscotti inglesi, a letto, prima di dormire.
Come si sosteneva avesse fatto Luigi XVI con la sua consorte.


Alessandra aveva occhi chiari, di un colore stupendo e cangiante, che esprimevano tutte le sue emozioni.
Era bella, alta e sottile.
Ritratti e busti mostravano il suo fascino, al pari di quello della sovrana francese.
Cercava di fare del bene, la corte russa, famosa per i suoi fasti, non la comprendeva, lei aveva un alto senso del giusto e dello sbagliato, una ferrea moralità e non comprendeva come i russi apprezzassero più il lusso e l’ostentazione  che a compiere il proprio dovere, giorno per giorno, con modestia
La ritenevano goffa, provinciale, inadatta al suo ruolo.
La chiamavano Nemka, ovvero la Tedesca, la denigravano, a partire dalla famiglia, era una straniera, come la principessa Asburgo appellata l’Austriaca ancora prima del suo arrivo a Versailles, dalle zie zitelle del marito, nomignolo presto famoso e diffuso.
Antonietta si rifugiava nella vita privata, soggiornava al Petit Trianon, Alessandra preferiva, senza misura, la quiete della sua famosa mauve room a un ballo scintillane.
Ecco di nuovo il profumo di lillà, i vasi pieni, mescolati al suo profumo preferito White Rose e alle sigarette che fumava, nei momenti di quiete che di fretta, ovvero sempre, una sigaretta appresso l’altra.
Quella era la sua stanza preferita, piena di mobili ordinati per corrispondenza ai grandi magazzini inglesi Marple’s.
Cosa  che aveva prodotto altra frecciata ai suoi danni, che bisogno aveva di ordinare quegli acquisti quando disponeva delle squisite collezioni e degli splendidi arredi dei palazzi dei Romanov? Era e rimaneva una Hausfrau, una casalinga in tedesco,una piccola borghese, anche in quello si palesava la sua inadeguatezza.
Scocciava gli economi del palazzo per le spese, ma non conosceva nemmeno il prezzo delle patate del vicino mercato.

Alessandra osservò il pianoforte verticale su cui andava strimpellando Tatiana, la seconda delle sue bambine, dalla chaiselongue ove era adagiata, lo sguardo appuntato sulla parete colma di foto, della madre Alice, di sua nonna la regina Vittoria di Inghilterra e paesaggi della Germania e della Gran Bretagna, un quadro dell’Annunciazione e un arazzo Gobelin che rappresentava Maria Antonietta e i suoi figli, dono dell’ambasciata francese.
Si posò la mano sul ventre tondo, era la terza gravidanza e confidava nel maschio, nell’erede, anche se sapeva della possibilità di trasmettere il “morbo inglese”, ovvero l’emofilia.
Aveva avuto un fratellino, Guglielmo Federico, morto a tre anni, per le complicanze di quella patologia.
Non ci pensava, non voleva pensarci..
Tutto si sarebbe risolto.
Almeno LEI aveva consumato subito il matrimonio, senza attendere sette anni e tre mesi come la regina Asburgo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Oscar ***


Francia luglio 1902
Aveva tutto.
Una sfolgorante apparenza.
Un marito che l’amava e che amava a sua volta, ricchezze e gioielli, quattro splendide figlie in salute.
Era giovane e bella.
Mancava solo un erede.
Quello che quasi una donna su due poteva offrire al marito le era continuamente negato.
Quando, l’anno avanti, era nata Anastasia, Nicky aveva dovuto passeggiare a lungo, per calmarsi, stampandosi poi un sorriso di circostanza sul viso e congratularsi con lei.
E tanto la criticavano, denigravano e compativano, voci e pettegolezzi si sprecavano come decenni prima su Maria Antonietta, per le spese  e le turpitudini.
Dovere di una sovrana è assicurare eredi al trono, essere modesta e riverente, non immischiarsi di politica.
Un libello anonimo, stampato nel 1700 per l’Austriaca, che conteneva quelle frasi era apparso sulla sua scrivania, nessuno ne conosceva il mandante, ironizzò che lo stesso, spiacevole evento era capitato pure a Elisabetta d’Austria, la celebre Sissi.
Un dubbio onore.
Forse era davvero perseguitata dalla sfortuna, la sua incoronazione a Mosca si era conclusa con una tragedia, come le nozze di Luigi XVI e Antonietta, per non tacere che aveva sposato Nicola poche settimane dopo la morte di suo padre, lo zar, Alessandro III.
La sposa in lutto, la chiamavano.
Non badarci, il maschio arriverà, si impose.
Distraiti, sei di nuovo in Francia, in visita ufficiale, lontana da Pietroburgo e dai pettegolezzi.
Tranquilla.. anche tu hai delle amiche, fidate, come le ebbe Antonietta, la principessa di Lamballe, sua cognata, la principessa Elisabetta.. Spera che non ti capiti invece un soggetto come Oscar François de Jarjayes, di cui ti hanno raccontato la storia oggi, è il 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia del 1789.
Ultima e sesta figlia di un generale, era stata allevata come un maschio, l’erede, che aveva intrapreso una sfolgorante carriera militare, guadagnando attestati di stima e benemerenza, oltre che una intima amicizia con la sovrana austriaca.
Salvo guidare la presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789, morendo poco dopo per le lesioni.
Un sogno.
Un’epopea.
Non fosse stato per il comandante Oscar la Rivoluzione non avrebbe avuto inizio, le avevano detto.
Aveva gli occhi azzurri, come il mare oceano,  l’uniforme blu con candidi decori ed un cuore immenso
Troppi rimandi.
Tuo marito non alleverà nessuna delle vostre figlie come un maschio, avrai un bambino.
Anche le sue bambine avevano splendide iridi azzurre.
E il sole sfolgorava alto, sopra i campi dorati di grano, portando il fruscio di un tempo trascorso, echi di passi e rombare di cannoni 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Enfant Martyre ***


Nel 1904, la notizia dell’attacco giapponese giunse per telegramma, senza dichiarazioni.
Pleve, ministro degli esteri, ne fu lieto, riteneva che una piccola guerra vittoriosa fosse l’ideale per distogliere l’attenzione dai problemi interni, stimolando i patrioti e stroncando gli oppositori.
Santa Madre Russia aveva interesse a espandersi in Asia e il barbaro, pagano Giappone sarebbe stato stritolato

Fu guerra, comunque,  sanguinaria e rovinosa, un conflitto che acuì i problemi interni, portando scioperi e rivolte e sedizione, i giapponesi sconfiggevano i russi senza rimedio.


Era il 12 agosto 1904, la zarina sedeva sul suo divano, ingrossata e oppressa da emicrania e cattivi presagi, pochi giorni avanti si era rotto uno specchio in mille frammenti senza che nessuno lo avesse sfiorato, si era staccato mentre lei vi passava davanti, toccandosi protettiva il ventre ormai enorme.

Cose che capitano, peccato che i russi fossero molto superstiziosi, era certo un cattivo segno, per il bimbo.
Si sperava in un erede  per la legge salica, solo un maschio poteva ereditare il trono.
Verso le 12 mattutine  percepì i noti dolori del parto, il quinto, dopo una oretta giunse il tanto atteso bambino.
Alle una lo Zar si inchinò dinanzi a lei, che ancora non sapeva l’esito, appariva così debilitata che nessuno aveva osato darle la bella notizia e la lesse sul viso del marito.
“Non può essere, è davvero un maschio?”
“Sì.. Aleksej..” come il padre di Pietro il Grande, sovrano preferito dello Zar, fin qui nulla di male, tranne che era stato anche il nome del figlio di Pietro il grande, che aveva complottato contro suo padre, morendo poi per suo ordine.
Lo zarevic chiedeva udienza, nel 1781, quando Antonietta aveva dato alla luce il primo delfino, Luigi Giuseppe, il re  suo marito le aveva detto che il Delfino chiedeva udienza, come lo zarevic, adesso.




Telegrammi di congratulazioni piovevano a ritmo serrato, padrino onorario era ogni soldato e ufficiale dell’esercito, oltre all’imperatore tedesco e al principe di Galles, lo zarevic ebbe il titolo onorario di colonnello di molti reggimenti, e nastri e decorazioni. E i doni e i regali .. Addirittura un elefante.
Il battesimo venne celebrato il 3 settembre, un piovoso martedì a Peter Hof, residenza imperiale.

Lo portava tra le braccia la principessa G., guardarobiera imperiale, su un cuscino d’oro, assicurato alle spalle della madrina da una fascia dorata, e per precauzione aveva delle suole antiscivolo. Era avvolto in un mantello d’oro, ricamato di ermellino, come era uso, per l’erede al trono.. Che pianse forte, come un bambino comune, quando venne immerso nell’acqua battesimale.
Per tradizione russa, i genitori erano assenti al battesimo, tuttavia, finita la cerimonia, l’imperatore giunse in chiesa. Sia lui che l’imperatrice erano nervosi, che temevano che la principessa potesse far cadere l’infante o che l’anziano sacerdote affogasse il bimbo nel fonte battesimale.



A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti  aveva sorriso per la prima volta.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Little One - Piccolino ***


1907 ..aveva fatto  la sua comparsa   Rasputin,   le cui preghiere parevano avere effetti taumaturghi, i suoi gesti e le sue parole recavano pace e conforto
Come i re francesi, che guarivano con il tocco delle mani dalla scrofola, era magico.
  Raccomandato  dal vescovo Feofan e dal confessore dello zar, pareva davvero un uomo di Dio, un mistico che seguiva la dottrina dei vecchi credenti, un gruppo scismatico, dichiarato abnorme, le dottrine erano irrituali, assurde, praticare il peccato e pentirsi per salvarsi,  troppo eccessivi e zelanti.
Il siberiano pareva incarnare  la semplicità, la purezza che la zarina apprezzava, era il semplice mugik, il contadino russo che era un tramite divino.
Irradiava dolcezza e calore, era un uomo di Dio, rozzo e primitivo, pareva incarnare la primitiva purezza del popolo russo, veniva dalla Siberia e vantava di avere avuto visioni, avere scorto la Madonna e di essere stato un pellegrino fino al monte Athos, in Grecia (certo che vi era stato, un lungo soggiorno all’estero per scappare dai crimini di cui era accusato, furto e stupro e imbrogli).
Sapeva parlare, incantare ancora meglio,  un camaleonte che sapeva leggere dentro le persone, intuire i loro bisogni e le segrete debolezze, scrutava con occhi di carbone e celava i suoi pensieri dietro la lunga barba sporca.
Ma sapeva guarire,  i suoi interventi, i suoi miracoli furono confermati da troppe persone e non erano solo mere coincidenze.
Alla fine, dopo che i medici non potevano darle più speranze, Alix fece del santone il baluardo contro l’emofilia del figlio, ascoltando i suoi consigli e farneticazioni.
Il primo figlio maschio di Luigi XVI e Antonietta era stato visitato, per auspicare una miracolosa guarigione, da ciarlatani e stregoni, si parlava di preghiere di Cagliostro e vari altri, oltre che di un stretto regime medico..
Alessandra non poteva, non voleva, avere altri figli,  quattro femmine, due aborti, prima di Alessio, le statiche congiuravano contro di lei.
Sarebbe rimasto il suo unico maschio,  il più amato.
Dopo la diagnosi, la sua salute era declinata rapidamente, non era una malata immaginaria, che soffriva di nervi, come dissero poi, le sue indisposizioni un motivo di ricatto
Per quanto monitorato a vista, era impossibile prevenire ogni minimo incidente. Sbattere un polso, un gomito contro una sedia, od un mobile causava esiti terrificanti.
 Le  emorragie articolari erano le peggiori, i nervi erano compressi, con dolori atroci e solo la morfina avrebbe attenuato gli spasmi.
Tuttavia i medici, per evitare dipendenze, non la somministravano, così che il suo unico rimedio era svenire per fuggire dal dolore.
Il sangue corrodeva le ossa, i tessuti e le cartilagini, tanto da fare assumere agli arti posizioni contorte, con angoli innaturali, che scemata la crisi,  era poi costretto a letto per settimane e a usare apparecchi ortopedici, appunto, per correggere la situazione.
Tanto, pur sorvegliato a vista, trovava sempre una via di fuga e si feriva spesso, con esiti quasi estremi.
Per paradosso, sfidava la malattia, il suo carattere vivace mal sopportava i limiti imposti dalla sua condizione.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Miracle ***


Nel settembre 1912, la famiglia imperiale si recò a caccia nelle tenute polacche di Spala, un classico,  dopo che Alessio era rimasto a letto qualche giorno per una botta alla gamba sinistra, mai appurato se il suo malore derivava dall’urto contro una vasca o lo scalmo di una barca, che in verità non lo sapeva nemmeno lui.
Si era ripreso abbastanza in fretta, tuttavia,  e la zarina decise che poteva imparare meglio il francese, che Spala offriva ben pochi diversivi, oltre alla caccia, che il bambino non praticava di certo.
I suoi studi, irregolari a causa della malattia, erano molto indietro, non certo per colpa sua, quando stava male la convalescenza era spesso lunga, ma quando era in salute non stava fermo, si annoiava nel dovere restare seduto e ascoltare le lezioni.
Era troppo intelligente, bisognoso di stimoli e non solo di nozioni, usare un frustino o picchiarlo sulle mani per indisciplina erano strumenti educativi coevi che su lui non sarebbero mai stati applicati.
Per distrarlo, la zarina decise di portarlo a fare un giro in carrozza, insieme alla imprescindibile Anna Vyribova.
Gli urti e  gli scossoni gli provocarono spasmi di dolore, si lamentava di un malessere allo stomaco e alla gamba sinistra, quando rientrarono era praticamente svenuto per il dolore.
L’emorragia era ripresa, intensa, violentissima.
Ma Alessio resisteva, senza cedere, la sua sopravvivenza lasciava di stucco, come quella di Luigi Giuseppe, primo figlio maschio di Luigi XVI e Maria Antonietta, non mollava la vita, mai.
Gli somministrarono l’estrema unzione. E sopravisse, un guerriero combattente, pur se la ripresa fu lunga, dura e logorante.
Sua madre era convinta che le preghiere di Rasputin, lo pseudo monaco che veniva dalla Siberia lo avessero aiutato, quello predicava la virtù del peccare per salvarsi dal peccato, un istrione e un donnaiolo. I suoi scandali erano la favola della capitale e della Corte.
Un bugiardo, come il conte di Cagliostro, cui si era rivolta Maria Antonietta, per cercare di alleviare le sofferenze del figlio.
A nulla serviva.
Entrambe erano bollate come nemiche della terra del loro sposo, frivole, malevole e spendaccione, che si davano daffare per i loro parenti, Antonietta per il fratello imperatore, Alessandra per il cugino imperatore, il Kaiser Guglielmo.
Intriganti e capri espiatori, accusate di ogni bassezza e crudeltà.  
Un iriacolo che i figli non mollassero, che un emofiliaco, come Alessio, avesse passato la prima infanzia, era un miracolo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** To The End ***


Siamo come i secchi del mulino, uno sale, l’altro scende, uno è pieno, l’altro è vuoto, è la legge della fortuna che nulla possa durare a lungo nello stesso e medesimo stato”, così la mia vita.

L’infanzia funestata dalle morti e dalle tragedie.

Un matrimonio per amore, con lo zar di tutte le Russie, quattro amate figlie fino al mio Aleksey, il mio orgoglio.
La mia gioia e la mia tragedia.

Il rapporto con padre Grigory, per me era un uomo di Dio, per altri un diavolo incarnato.

Sono stata una principessa, un’imperatrice, una madre, una moglie, una sorella di misericordia, ora una prigioniera, semplicemente Alessandra Feodorovna Romanova.
L’INCOMPRESA.
Come Maria Antonietta, da subito la chiamarono la straniera, la cagna austriaca, le attribuirono mille amanti e turpitudini, come me.
Mi chiamano la Nemka bliad, la meretrice tedesca, o sostengono che abbia fatto il bagno nel sangue dei miei nemici.
Che idiozia.
 

Un decreto del governo provvisorio sancì per i Romanov lo stesso trattamento economico dei soldati,  600 rubli al mese, 4.200 per sette persone sarebbe stato sufficiente, peccato che la cifra doveva servire per  i membri del personale, cuochi, dame valletti e quanto altro.  
 Lo zar preparò un budget, in base al quale si trovò a licenziare dieci persone. Li avrebbero serviti comunque, ma questo significava la povertà. 
I pasti erano poco imperiali, burro e caffè erano stati considerati lussi inutili di cui i Romanov potevano fare a meno. Il pranzo era una minestra, carne o pesce, del vino, a cena, carne, verdura, alle volte pasta.  Gli abitanti di Tolbosk, saputo della situazione, inviarono  caviale, dolci, uova e pesce fresco, doni del cielo per la zarina.
Era la fede che li faceva andare avanti, giorno per giorno, potevano portare via ogni cosa, ma non le “nostre anime”, scrisse Alessandra alla sua amica Anna.  Perdonare i nemici, non cercare vendetta, trarre la forza di non cedere alle avversità, che questa vita non è nulla, a confronto dell’eternità. Olga ne scrisse in una poesia privata, cercava di capire la vita e sapeva di comprendere molto poco.
“Abbiate timore per le vostre anime, non per i vostri corpi. San Paolo”
 Nella sua ultima lettera a Anna Vyribova , Alessandra aveva scritto che l’atmosfera era elettrica, che la tempesta era in arrivo, ma Dio era pietoso e avrebbe avuto pietà di loro, le anime in pace, tutto “sarebbe stato per volontà di Dio”
Note
La definizione al principio è del romanzo spagnolo  “La Celestina”, pubblicato intorno al 1502, che trovo molto pertinente per la vicenda di Alessandra Feodorovna Romanova.
Lo zarevic Aleksey soffriva di emofilia, malattia che gli aveva passato sua madre, pareva che Rasputin, ovvero padre Grigory,  alleviasse le sue sofferenze.
Durante la prima guerra mondiale, Alessandra lavorò come infermiera volontaria insieme alle due figlie maggiori, nelle sue lettere si definiva sorella di misericordia.
Lo zar abdicò nel marzo del 1917, fu fatto prigioniero assieme alla moglie e ai figli, in condizioni sempre più barbare e disumane.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sit Tibi Terra Levis ***


 Al principio dell’estate 1918  la guerra tra l’armata rossa dei bolscevichi e i bianchi favorevoli alla monarchia aveva coinvolto tutto il paese, si combatteva, una battaglia senza regole o lealtà.
Lenin, il cui fratello maggiore era stato assassinato per avere tentato di uccidere lo zar Alessandro III, era della linea di pensiero che, ove si fosse presentata l’occasione, era basilare per la politica sterminare la famiglia imperiale.

Domenica 14 luglio venne detta la messa a casa Ipatiev, prigione della famiglia imperiale,  dopo la funzione tutti i Romanov baciarono la croce.

Il tempo era estivo, caldo e afoso fin dal mattino.
Il 16 luglio 1918  passarono la giornata come di consueto, uscirono in giardino nel pomeriggio. La zarina lesse il Vecchio Testamento con sua figlia Tatiana, i libri dei profeti Amos e Abdia. “In questo giorno – oracolo del Signore Dio- farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno. Cambierò la vostra festa in un lutto e tutti i vostri canti in lamenti .. ne farò come un lutto per un figlio unico e la sua fine sarà come un giorno di amarezza” [8,9-10]
E la sera, dopo cena,  giocarono a carte, andando a letto verso le dieci e trenta.
Il 17 luglio, molto presto, un contadino che abitava in viale Voznenskij nelle  stanze a pianterreno di una dimora che sorgeva dinanzi a casa Ipatiev uscì in giardino per un bisogno.  Sentì  degli spari soffocati che provenivano dalla cantina della dimora di cui sopra, il rumore di un furgone Ford in moto, tornò dentro subito. Il suo compagno di stanza gli chiese se avesse sentito, lui rispose che aveva udito delle detonazioni, entrambi avevano capito. Non parlarono oltre, poco tempo dopo i cancelli di casa Ipatiev si aprirono e un furgone  piombò fuori a gran velocità.
Li fucilarono tutti, gli imperatori, le figlie, lo zarevic, la domestica, il cuoco, il medico e un valletto.
Alessandra fu la prima a morire, una pallottola le attraversò il cranio, aveva avuto appena il tempo di farsi il segno della croce.
Furono smembrati e sepolti in una fossa senza nome, un carnaio da cui sarebbero stati dissepolti molti anni dopo.

Alessandra, Nicola e tre delle figlie vennero risepolti nella cappella di Santa Caterina nella cattedrale dei Santi Piero e Paolo, all’interno dell’omonima fortezza di San Pietroburgo nel 1998, con una solenne cerimonia.
Nel 2000, i membri della famiglia dell’ultimo Zar vennero canonizzati come "portatori di passione" dalla Chiesa ortodossa russa. 
Il Palazzo di Alessandro, dimora dell’ultimo zar, è oggi aperto al pubblico, vi è ancora esposto l’arazzo di Gobelin di Maria Antonietta con i suoi figli che ornava le stanze di Alessandra.

 
Sit tibi terra levis

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3709078