SIK - Lost&Found

di Mistral
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part I ***
Capitolo 2: *** Part II ***
Capitolo 3: *** Part III ***
Capitolo 4: *** Part IV - Ending Theme ***



Capitolo 1
*** Part I ***


Dedicata al mio fratellino

Dedicata al mio fratellino

Avrei voluto pubblicarla per il tuo compleanno,

ma purtroppo l’ispirazione non ha collaborato…

Ti voglio bene!

 

 

SIK

Lost & Found

 

 

Part I

 

Sangue e spade e urla e morte… visioni troppo orrende per chiunque, anche sotto il sole tiepido di aprile, mentre il vento stacca dai rami i petali di ciliegio e li fa cadere sul terreno insanguinato, purezza rosa che si macchia di cruento carminio.

E un bambino di forse sei, sette anni, con il kimono sporco e strappato, immobile in mezzo al massacro, gli occhi vitrei spalancati sull’orrore, guarda senza più parole, non trovando un perché a quello che è successo. Tutto attorno a lui ora tace, non c’è più nemmeno lo stormire delle fronde a riempire il silenzio di morte che si è creato: adesso che loro se ne sono andati, nel villaggio non c’è più anima viva, ci sono solo lui e quell’uomo con quella strana croce.

 

Il bambino è in piedi, sulla veranda ingombra di cadaveri. Ce ne sono tanti attorno a lui: cadaveri di mostri deformi e spaventosi che gli sono comparsi davanti all’improvviso, quasi squarciando dall’interno i corpi degli uomini che lo stavano assalendo.

Il bambino è in piedi, sulla veranda ingombra di cadaveri. Impugna una spada troppo grande per lui, grondante sangue denso e nero, che cola lentamente a terra, scivolando sulla lama ricurva, corrosa dal tempo. Eppure, tra le sue mani quella katana rovinata è divenuta un’arma letale, quasi dotata di vita propria e il piccolo spadaccino si è come sentito guidare da lei mentre combatteva contro quei mostri.

Il bambino è in piedi, sulla veranda ingombra di cadaveri. Alle sue spalle la parete della casa è sfondata e la stanza completamente a soqquadro. Il prezioso sostegno d’ebano della spada è spezzato in due e rovesciato sul tatami, accanto il fiore di loto che il maestro teneva sempre in una ciotola, miracolosamente intatto, i suoi petali bianco latte schizzati di sangue.

 

Il vento scompiglia appena i capelli del piccolo e gli agita la cintura del kimono; null’altro in lui si muove: neppure un battito di ciglia, nemmeno quando l’altro gli si avvicina. L’uomo ha circa trent’anni e l’aria un po’ trasandata, ma non cattiva; anche lui ha gli abiti sporchi di sangue e un po’ di fiatone – si è battuto con tutte le sue forze contro quei mostri che hanno assalito il dojo, nonostante lì non conoscesse nessuno.

Avanza lentamente verso il bambino, sorridendogli per non spaventarlo, ma questi non dà neppure segno di vederlo. Nei suoi occhi non c’è più traccia di emozione, sembrano liquidi, come se trattenessero in sé tutte le lacrime che il piccolo non riesce (o non vuole?) versare. Si ferma a qualche passo di distanza, senza salire sui gradini della veranda, e rimane immobile cercando inutilmente di catturare lo sguardo del ragazzino.  Poi allunga lentamente la destra per instaurare un qualche contatto con lui.

 

“Sei stato davvero bravo, ometto. Ma adesso rilassati, è tutto finito… io sono Froi Tiedoll, tu come ti chiami”?

 

Nessuna reazione, come se le sue parole fossero state portate via dal vento; l’uomo, preoccupato, scuote appena la testa, ma poi si fa attento quando vede la katana tremare leggermente nella piccola mano e le iridi chiare allargarsi, come se il bimbo d’istinto avesse percepito un pericolo imminente.

Quando anche Tiedoll intuisce la minaccia, si getta verso di lui, ma non ha nemmeno il tempo di lanciargli un avvertimento che una lama gli trapassa il petto, e subito ne viene estratta dall’akuma che la manovra. Il piccolo spalanca le labbra in un grido senza voce e le gambe gli cedono, mentre lascia la presa sulla spada. 

Rapidamente l’esorcista conficca nel terreno lo scalpello che porta alla vita e lo colpisce con forza.

 

“Maker of Eden, attivazione! Art!”

 

Un rigoglioso albero, avvolto da una luce biancastra, germoglia in pochi istanti alle sue spalle e da esso si forma un gigantesco burattino, che il generale manda ad occuparsi dell’akuma sopravvissuto. Lui invece vuole prendersi cura del bambino, cercare di fare qualcosa per lui, anche se deve ammettere che teme per la sua vita. Il piccolo è inginocchiato a terra e respira pesantemente, un rivolo di sangue che gli cola dalla bocca.

Tiedoll gli si accosta e accenna a prenderlo per le spalle per farlo sdraiare ma, prima che possa fare il minimo gesto, viene investito da un’esplosione di sangue proveniente dal petto del piccolo. Preoccupato, gli scosta il kimono e, all’altezza del cuore, vede scurirsi un simbolo tracciato sulla pelle chiara, una sorta di tatuaggio. Quello strano segno sembra brillare di luce propria, quasi fosse vivo… fa distendere a terra il bambino, che ora ha perso completamente conoscenza, e gli apre la casacca, osservando allibito la ferita aperta dalla lama del mostro rimarginarsi lentamente.

Tiedoll non sa cosa pensare: un momento prima, quando aveva visto il piccolo venir quasi manovrato dalla sua spada e abbattere gli akuma che lo assalivano, non aveva avuto dubbi che si trattasse di un’Innocence che aveva trovato il suo compatibile.

Ora però non sa come spiegare questo fenomeno, cui si aggiunge un dettaglio incomprensibile e per certi versi inquietante: quando l’esorcista alza gli occhi, vede infatti il fiore di loto dai petali insanguinati rilucere dello stesso sinistro bagliore del tatuaggio sul petto del ragazzino, il quale ancora giace  incosciente con il capo sulle sue ginocchia.

Riporta lo sguardo sul piccolo, sulla sua pelle chiarissima, ora perfettamente intatta sotto lo sporco e il sangue rappreso, e sul suo viso dai tratti così delicati, quasi femminili. Il tatuaggio sul suo petto ha smesso di brillare, così come il loto, e il suo corpo è scosso da lievi movimenti e contrazioni involontarie dei muscoli: sta riprendendo conoscenza e probabilmente il dolore comincia a farsi forte, adesso che la tensione si è sciolta.

 

“Ehi, riesci a sentirmi?”

 

Gli accarezza delicatamente la fronte, scostandogli dal viso la lunga frangia scura, che il sangue e il sudore hanno appiccicato alla pelle; subito però il bambino spalanca gli occhi, ora non più liquidi, ma freddi come il ghiaccio, e con un movimento rapidissimo si tira su e si allontana da lui, puntandogli contro la spada. Ha il respiro affannato e non riesce ad alzarsi in piedi, ma nello sguardo con cui fissa Tiedoll non c’è una briciola del tremore (dovuto forse alla fatica) con cui pure impugna la katana: sembra una giovane pantera ferita, pronta a tutto per difendersi dai cacciatori.

L’esorcista lo guarda allibito: non si aspettava una reazione del genere, ma soprattutto è rimasto colpito dalla velocità dei suoi movimenti. Alza entrambe le mani, per dimostrargli che non ha intenzioni ostili e nel frattempo allunga lo sguardo dietro le sue spalle, per accertarsi che non ci siano altri akuma in agguato.

 

“Calmati, ragazzo mio: non c’è alcun bisogno di puntarmi contro la spada. Non voglio farti del male…”

 

Il bimbo sembra non sentirlo nemmeno. Non abbassa la katana, né stacca gli occhi da lui, pur continuando a far saettare lo sguardo attorno, per tenere sotto controllo la situazione: è visibilmente spaventato, di questo l’esorcista se ne rende conto, e la cosa lo addolora. Tiedoll prende un respiro profondo, cercando le parole adatte per spiegarsi, ma il piccolo lo previene.

 

“Chi sei? Cosa vuoi da me?” Il tono è deciso, sebbene la voce sia debole, come se avesse urlato tanto da non avere più forza di parlare.

 

Il generale ignora senza fatica la palese ostilità e diffidenza che sente irradiarsi dal ragazzino: è abituato a trattare con i bambini e sa quanto sia difficile conquistarsi la loro fiducia. E con lui non sarà diverso, anzi, sarà forse un compito ancora più arduo, visto cosa gli è capitato. Sorride di nuovo e si sistema i grandi occhiali rotondi.

 

“Mi chiamo Froi Tiedoll e sono un generale della Dark Religious. Sono in missione per cercare delle persone speciali che siano in grado di usare un’arma molto potente, chiamata Innocence… e, da quel che ho visto, tu sei uno di loro. Posso sapere il tuo nome?”

 

L’uomo si rende conto, con una punta di soddisfazione, che il bimbo ha seguito con un certo interesse il suo discorso. Lo vede alzarsi in piedi, un po’ insicuro sulle gambe, e abbassare appena la spada. Stringe gli occhi e lancia uno sguardo di sfuggita al burattino bianco alle spalle dell’esorcista, ma la sua espressione non si rilassa minimamente. Tiedoll deve riconoscergli che ha un carattere davvero forte: un qualunque altro suo coetaneo (e non solo) al suo posto sarebbe già crollato.

 

“Questa… Innocence di cui parli… a cosa serve?”

L’esorcista abbozza un sorriso. “È un po’ complicato da spiegare. Comunque, per farla breve, possiamo dire che serve per distruggere delle creature chiamate akuma…” davanti all’occhiata poco convinta del bambino, aggiunge riluttante “I mostri che ti hanno attaccato, quelli erano tutti akuma”

 

A quelle parole, il ragazzino stringe la presa sull’elsa della katana e la consapevolezza di quel che è accaduto, forse troppo atroce per essere già interamente presente ai suoi occhi, si fa strada prepotente in lui, contraendogli i lineamenti in una smorfia dolorosa, repressa a fatica.

Vedendolo in quello stato, Tiedoll vorrebbe far cadere quel discorso (non ritiene che il piccolo sia pronto a parlare del massacro da cui è appena scampato), ma per rispetto alla determinazione e alla forza che gli legge nello sguardo, continua a spiegare.

 

“L’Innocence è un’arma potente, ma molto esigente: sono pochi quelli che la possono utilizzare e comunque anche un compatibile deve faticare per imparare a dominare la propria Innocence. Ecco, guarda, la mia è questa…” Muovendo appena lo scalpello, fa avvicinare l’enorme burattino bianco al bambino, il quale per tutta risposta gli punta contro la spada.

“Io non voglio combattere con questi cosi!”

 

Quella risposta stizzita prende il generale in contropiede; una mezza risata maschera la sua sorpresa per la reazione del piccolo e la constatazione ammirata di trovarsi di fronte ad un ragazzino eccezionale: non aveva mai incontrato nessuno che alla sua età non fosse rimasto affascinato dai suoi burattini.

 

“Ma tu non dovrai utilizzarli” lo rassicura con un sorriso “Loro sono la mia Innocence…” aggiunge poi, disattivando il Maker of Eden e risistemandosi lo scalpello alla cintura “…la tua, a quanto ho potuto vedere, risiede nella tua spada e sarà con quella che combatterai”

 

Quando Tiedoll tace, si aspetta che il bimbo sia felice di sapere che potrà continuare ad utilizzare la sua katana. Invece lui lo sorprende di nuovo, oscurandosi in volto e scuotendo la testa. Alza la spada davanti a sé e la fissa con quei suoi occhi di ghiaccio, induriti da un dolore troppo grande per i suoi pochi anni.

 

“Questa spada non è mia” lo informa poi, con un tono che vorrebbe essere neutro ma che non riesce a celare un sottofondo indefinibile, tra il rammaricato e l’angosciato “È del maestro e lui ha sempre proibito a chiunque di usarla, quindi non posso tenerla”

“Ma lei ha scelto te” replica pacato l’esorcista “Vuole che sia tu ad impugnarla in battaglia. E sono certo che anche il tuo maestro lo vorrebbe, perché era un uomo saggio”

 

Forse è quel verbo al passato che sottintende una realtà troppo dura da accettare, o forse semplicemente i troppi riferimenti a quel maestro che il bambino potrebbe aver visto morire davanti ai suoi occhi – questo Tiedoll sa che non lo saprà mai, ma di certo anche la resistenza pur notevole del piccolo sta per spezzarsi. Lo vede stringere i denti e tremare, poi di scatto si gira e inizia a correre verso l’edificio principale.

Il generale lo segue, pur senza sforzarsi di raggiungerlo, costringendosi a stare un passo indietro anche quando il ragazzino, chiaramente sotto shock, tenta ossessivamente di rimettere in piedi, al suo posto sull’armadietto, il supporto d’ebano della katana, spezzatosi in due durante l’attacco degli akuma. Ma le mani gli tremano troppo e i frammenti mancanti, sparpagliati sul tatami, fanno il resto.

Alla fine riesce in qualche modo nel suo intento, ma quando prova a posare la spada sul palchetto, dopo avervi collocato accanto anche il loto, la fragile struttura cede di nuovo, trascinando a terra sia la katana che il fiore.

Il bambino assiste sgomento, non trovando più la forza fare nulla; rimane immobile per qualche istante, poi fulmineo colpisce con un calcio l’armadietto in legno, sfondandolo completamente. L’uomo a quello scatto d’ira sussulta e accenna ad abbracciare il piccolo per calmarlo, ma questi rovescia indietro la testa, lasciandosi andare ad un urlo straziante e all’apparenza interminabile, che gela Tiedoll sul posto per il carico di angoscia che porta con sé.

Quando la voce lo abbandona, il suo grido si trasforma in un lamento sommesso e infine il ragazzino sembra calmarsi. L’esorcista gli posa delicatamente una mano sulla spalla e cerca di confortarlo, sorridendogli rassicurante.

 

“Ora basta, giovanotto… lo so che è dura, ma devi…”

“Cosa ne vuoi sapere tu?!”

 

Tiedoll vorrebbe provare a rispondere, ma le parole gli muoiono sulle labbra di fronte a quella replica rabbiosa del bambino e all’occhiata agghiacciante che gli lancia subito prima di scappare via, portando con sé la katana, l’unica cosa in questo mondo di cui sembra gli importi ancora.

Il generale tira un profondo sospiro, però non accenna a seguirlo: è palese che il piccolo sta negando con tutte le sue forze quello che pure è sicuramente ben chiaro anche ai suoi occhi, e che in questo momento vuole stare da solo. L’esorcista adesso può soltanto aspettare che il bimbo si calmi e che gli permetta di farsi aiutare a superare quel trauma.

Tiedoll si alza in piedi spolverandosi la veste e scuote la testa.

Nel frattempo, la cosa migliore che può fare è cercare di cancellare il più possibile i segni della carneficina: anche quello potrebbe essere un modo per dare una mano al ragazzino.

Lo sguardo gli cade sul loto insanguinato, ancora perfetto come se fosse stato appena raccolto, nonostante ormai da qualche ora non sia più immerso nell’acqua. Quel fiore ha qualcosa di strano, l’esorcista ne è convinto. E poi quel bagliore che l’ha avvolto mentre quell’altrettanto strano tatuaggio sul petto del bambino gli salvava la vita… quando lo raccoglie da terra con delicatezza, uno dei petali, colorato interamente di rosso dal sangue del piccolo spadaccino, si stacca dal loto. Il generale lo osserva cadere disegnando una lenta spirale nell’aria e rinsecchire non appena toccato il tatami: sì, decisamente non si tratta di un fiore qualsiasi. Lo poggia con attenzione su quel che rimane dell’armadietto e inizia a riordinare il dojo devastato.

 

 

 

 

Sik è il nome del simbolo  tatuato sul petto di Kanda che, nella religione induista, è uno dei quattro mantra principali.

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Capitolo 2
*** Part II ***


Dedicata al mio fratellino

ima di lasciarvi alla lettura, mi sembra doveroso fare una piccola precisazione.

Questa fanfic è stata concepita nella sua interezza prima che uscisse la Night 186 in cui è descritto il passato di Kanda e non tiene quindi conto di quanto rivelato nell'ultimo capitolo.

 

 

SIK

Lost & Found

 

 

Part II

 

L’alba nel villaggio, in quella mattina di aprile, è fredda e assurdamente silenziosa. Tiedoll siede nella sala comune, accanto alla brace viva nel focolare. Sulle ginocchia ha un album di schizzi, ancora desolatamente bianco; chi lo conosce lo troverebbe strano, ma in fondo non lo è, perché lui ama dipingere gli spettacoli grandiosi della natura, cogliendone la bellezza e la pace, e non c’è niente di tutto ciò in un villaggio annientato da una furia omicida inesplicabile. Così la matita continua a sorvolare il foglio immacolato senza mai posarvisi.

La pesante teiera di rame lancia un fischio acuto e l’artista le concede un’occhiata distratta; posa il blocco con un sospiro e poi la toglie dal fuoco, mettendo in infusione le foglie per il the.

Fuori il cielo sembra incerto tra il grigio e l’azzurro, e la luce dà al paesaggio un aspetto freddo e metallico. L’esorcista fa scivolare lo sguardo sulla striscia di cortile inquadrata dal pannello in carta di riso lasciato aperto: tutto è immobile, colmo di un silenzio pesante che nemmeno un passero ha il coraggio di spezzare traversando il cielo. Per quanto la sera prima abbia cancellato la maggior parte dei segni del massacro, Tiedoll non ha potuto ripulire completamente il troppo sangue sparso. Le macchie scure che ancora impregnano in molti punti il terreno rimangono come angoscioso, incancellabile rimando della tragedia.

 

C’è solo un rumore che all’improvviso rompe il silenzio, un rumore che, in fondo, l’uomo non ha fatto altro che aspettare di sentire da quando si è svegliato. Rumore di passi, i passi incerti di un bambino, che cercano di farsi via via più sicuri man mano che si avvicinano. Tiedoll riesce quasi ad immaginarselo che strofina gli occhi mentre cammina ancora un po’ addormentato, cercando di rimettere su quella maschera dura della sera prima. Ma non dev’essere facile per lui: in fondo non ha forse nemmeno sette anni e ha passato una notte terribile, tormentato dagli incubi di una strage che avrebbe shockato uomini ben più temprati. Il generale l’ha sentito urlare nel sonno per ore eppure, quando gli compare davanti, con indosso una casacca pulita e la katana legata alla cintura, il suo volto sembra di porcellana: non un sorriso né una lacrima – solo quell’apparenza impenetrabile, come se la sua mente fosse in realtà troppo lontana (o ancora troppo sconvolta) per avere una qualsiasi reazione.

 

Al vederlo l’esorcista gli sorride affabile, offrendogli una tazza di the appena fatto, poi prova a riempire quel silenzio troppo pesante che c’è tra loro e attorno a loro, cianciando qualcosa sui dolcetti di riso che ha trovato nella dispensa. Tiedoll continua a parlare, con una leggerezza sempre più stonata e irritante persino alle sue stesse orecchie, sebbene il bambino non dia nemmeno segno di considerare reale la sua presenza in quella stanza. Si muove come un automa, con gli occhi vuoti e le labbra strette in una linea sottile che è l’esatto equilibrio tra un sorriso e un broncio, senza però riuscire neanche ad essere un’ espressione infastidita: semplicemente non è un’espressione. Quel bel viso ormai non è nulla più che un viso morto, specchio di un’anima altrettanto morta. L’uomo tace.

Sempre in rigoroso silenzio, il ragazzino accetta il the che l’esorcista gli porge, senza però alzare lo sguardo su di lui neppure per un istante. Poi prende un dolce e va a sedersi compito all’angolo della lunga tavola, in quello che probabilmente era il suo posto in quanto allievo più giovane della palestra. Osservandolo, Tiedoll si sente stringere il cuore per lui.

Quando il piccolo finisce di mangiare, si alza e ringrazia per la colazione con un lieve inchino, così come impongono le regole del dojo. Poi si avvia velocemente alla porta, ed è a quel punto che il generale non riesce più a sopportare il suo ostinato mutismo.

 

“Ehi giovanotto…” È costretto a rivolgersi a lui così perché, se n’è reso conto solo ora e con un po’ di rammarico, il bimbo non gli ha ancora detto il suo nome. Sentendosi chiamare il ragazzino si volta, ma nemmeno in questo caso il suo volto assume una qualche espressione. “…posso sapere dove stai andando?”

“Ad allenarmi” Un risposta ridotta all’essenziale, senza più ombra di incertezza nella voce. E subito scivola via, non curandosi nemmeno di un’eventuale obiezione dell’uomo alla sua decisione - perché in fondo, questo Tiedoll l’ha capito benissimo, lui non conta niente, anche se gli ha salvato la vita.

 

Il generale prende un profondo sospiro, poi decide di seguirlo nel cortile antistante; il bambino ha già iniziato ad allenarsi con la spada, le pantofole di feltro lasciate ordinatamente in un angolo e una benda sugli occhi per concentrarsi meglio.

Ad ogni suo passo dalla terra impregnata di sangue di sollevano piccole nuvolette di polvere, e i suoi piedi nudi si stanno rapidamente sporcando di nero e rosso. La casacca sta scivolando fuori dalla cintura un po’ allentata, scoprendogli il petto e il tatuaggio scuro; l’uomo non può fare a meno di concentrare lì lo sguardo, riflettendo sugli eventi inesplicabili di cui è stato testimone il giorno prima.

Tiedoll scuote la testa e osserva il cielo, che nel frattempo si è rannuvolato ancora di più, facendosi di un cupo grigio piombo mentre da nord ha cominciato a soffiare un vento freddo: non sembra proprio una giornata di primavera. Ma in fondo, considera poi riportando gli occhi sul giovane spadaccino, spesso la realtà è capace di stupirti al di là di ogni previsione...

 

L’esorcista si accomoda su un ceppo di legno lì accanto e si mette a seguire l’allenamento del ragazzino. Deve riconoscere che è davvero bravo per la sua età e dai suoi movimenti traspare anche una certa eleganza, oltre a tutta la sofferenza e l’angoscia che sta provando, sebbene non l’ammetterà mai - Tiedoll tuttavia, abituato da buon artista ad osservare e scavare sotto la superficie, non ha bisogno di parole per capire.

 

Il bambino continua per ore i suoi esercizi; sembra che non si stanchi mai e il generale, da parte sua, non si stanca di guardarlo, mentre le ombre proiettate dal sole nascosto dietro le nubi pian piano si accorciano. È quasi mezzogiorno quando l’uomo si alza e accenna a tornare verso la cucina, per cercare di mettere assieme qualcosa per il pranzo. Muovendosi è certo di non aver fatto praticamente alcun rumore, eppure è evidente che il piccolo si è accorto di lui, perché fa una pausa appena più lunga tra una sequenza e l’altra, voltando per un istante la testa nella sua direzione A Tiedoll è sembrato quasi che esitasse un attimo, accennando anche a seguirlo, per poi lasciar perdere (forse per orgoglio) e riprendere ad esercitarsi.

L’esorcista, che per qualche secondo si era illuso che qualcosa si fosse smosso in quel bambino testardo e tenace, scuote mestamente la testa e si incammina con il capo chino, assorto nei suoi pensieri.

 

Dietro di lui il ragazzino, quando è ben certo che l’uomo sia lontano, si ferma e si sfila la benda dagli occhi; quegli occhi chiarissimi che oggi, forse per effetto del cielo nuvoloso, hanno assunto striature color cobalto, da cui sembra emergere il dolore sordo e cupo che sta provando, benché sappia tenerlo così ben celato in quelle gelide pozze azzurre.

Il bambino segue per un attimo la schiena dell’altro, finché non sparisce tra la vegetazione, quindi fa scivolare lo sguardo sulla punta della sua spada e poi sui petali di ciliegio, laceri e insanguinati, che il vento freddo trascina con sé sul terreno in mulinelli polverosi.

 

Ora che per un attimo ha abbassato la guardia con se stesso, immagini orrende esplodono nella sua mente con una violenza brutale e lo trafiggono vigliaccamente alle spalle. Nel profondo del suo cuore sconvolto e ferito, lui si chiede (e forse se lo chiederà per sempre) perché non abbia potuto morire in quel momento assieme al maestro…

La katana inizia a tremare nella sua mano e la presa spasmodica sull’elsa non serve a calmare quel tremolio.  Per quanto lui ci provi a dominarsi e a non lasciarsi prendere dal panico, quei ricordi fanno troppa paura.

 

I banditi… i mostri… sono tanti, troppi… crudeli… tutti gli uomini validi hanno preso le armi, ma stanno soccombendo…

Nell’armeria non ci sono più spade… io sono solo un bambino, non ho una spada…

Qui sala comune, è rimasta la tua katana, maestro… però… l’hai detto tante volte che quella non si può usare… ma io devo combattere… devo difendere tutti…

Perdono, maestro… ho impugnato la tua spada…

Maestro, i mostri sono qui… maestro mi hanno colpito… hanno ucciso tutti… non ti ho difeso… scusami… maestro…

 

Il bambino spalanca gli occhi di scatto, poi lascia cadere la spada e si stringe la testa con le mani, respirando affannosamente. È certo di non essersi addormentato, eppure ha appena rivissuto, come in un incubo dannatamente troppo realistico, il massacro degli abitanti del dojo.

Solo le prime fredde gocce di pioggia che iniziano a cadere e la voce di quello strano uomo che lo sta chiamando per il pranzo riescono a scuoterlo; mordendosi a sangue il labbro perché il dolore lo aiuti a recuperare la calma, il ragazzino raccoglie la katana, si infila le scarpette di feltro e corre, il più lontano possibile da quella visione mostruosa.

 

È solo quando arriva nei pressi dell’edificio principale dove (lo intuisce dai rumori che sente) quel tizio che si è presentato come esorcista lo sta aspettando per mangiare, che il piccolo riprende il contatto con la realtà: l’altro è lì dentro che canticchia una canzone dalle parole incomprensibili e lui non vuole fargli vedere il suo turbamento, quindi deve assolutamente riuscire a riprendere il controllo di sé, come gli ha sempre insegnato il maestro.

Si ferma a pochi passi dalla veranda, mentre la pioggia fine e gelida gli appiccica alla pelle i capelli e i vestiti; chiude gli occhi e inizia a inspirare profondamente, finché non sente la tensione allentarsi e il cuore rallentare ed è di nuovo in grado di reggere il peso della maschera che il giorno prima, davanti ai cadaveri dei suoi compagni, ha deciso di portare per sempre.

Il ragazzino che, pochi minuti dopo, entra nella sala comune ha di nuovo un viso di porcellana, sebbene allo sguardo di Tiedoll non sfuggano le sottili crepe di quella facciata. Tuttavia il generale preferisce non fare domande, limitandosi a sorridergli e invitarlo a sedersi al tavolo, dove l’aspetta una ciotola di minestra.

Il pranzo segue lo stesso identico copione della colazione, l’unica differenza è che adesso l’esorcista non si sforza nemmeno di intavolare una conversazione. Quando il bambino termina di mangiare, si alza in fretta e inizia a raccogliere le stoviglie sporche, dirigendosi poi verso una piccola porta che dà sul retro. L’uomo lo osserva interessato e, prima che esca, lo richiama.

 

“Posso sapere dove stai portando quei piatti, ragazzo mio?”

Lui volta appena la testa e risponde brevemente, con un tono assolutamente incolore. “Nelle cucine, dove verranno lavati”

A quelle parole, Tiedoll scuote la testa. “E chi li laverà? Qui siamo rimasti solo tu ed io… perché non vuoi accettarlo?”

 

Ma il bambino non lo sente nemmeno, perché si allontana velocemente prima ancora di concludere la frase. Il generale lo segue in silenzio, fino ad un locale piuttosto angusto, con il pavimento in pietra; una rapida occhiata gli è sufficiente per capire che quelle sono le cucine del dojo. Il ragazzino sta posando le stoviglie in un acquaio, anch’esso di pietra, mentre sul bancone centrale ci sono ancora tracce dei preparativi per la cena; preparativi che nessuno concluderà mai, perché gli uomini che il giorno prima hanno lasciato in tutta fretta gli attrezzi da cucina per impugnare le spade in difesa della loro casa ormai sono tutti morti…

Probabilmente il bimbo deve aver avuto lo stesso pensiero perché, appena si è voltato per uscire e lo sguardo gli è caduto sui taglieri e le ciotole pieni di cibo lasciati lì, le sue iridi gelide hanno cambiato per un attimo espressione. Anche se guarda subito da un’altra parte per poter riprendere immediatamente il controllo di sé, il suo turbamento non sfugge agli occhi attenti del generale, che stavolta non vuole lasciarlo scappare: non può continuare per sempre a negare quel che è successo per paura di soffrire, sebbene anche accettarlo sia doloroso.

 

Tiedoll fa in modo di incrociare gli occhi chiari del piccolo e lo fissa serio. “Adesso hai capito che è inutile portare qui quelle stoviglie?”

Il bambino non risponde, ma nemmeno riesce a sostenere lo sguardo severo dell’uomo, facendo scivolare il proprio sul pavimento.

“Nessuno le laverà” continua poi l’esorcista “perché qui non c’è più nessuno. Sono stati tutti uccisi”

 

Sentendo pronunciare apertamente quelle parole, il ragazzino è costretto ad accettare nella sua interezza un verità che, per quanto già palese, ora non può più essere ignorata: se lo dice anche quel forestiero che gli abitanti del dojo sono stati tutti sterminati, lui non può più ingannare se stesso, continuando a raccontarsi (in una bugia sempre meno credibile con il passare delle ore) che in realtà gli avvenimenti del giorno prima sono stati solo un brutto sogno.

Si tormenta il labbro con i denti, riuscendo però a dominare il tremito delle mani e le lacrime che sente pungergli gli occhi. Non deve, non vuole piangere. Scuote leggermente la testa, provando per l’ennesima volta e senza successo a smentire l’evidenza,  poi si lancia verso la porta. L’unica cosa che vuole adesso è prendere la spada e tornare ai suoi esercizi, non gli importa di nient’altro.

Il generale però non gli permette di oltrepassare la soglia, perché lo blocca per un braccio.

 

“Dove vai, giovanotto? Guarda che scappare non serve a niente, anzi è solo peggio... fai l'uomo!”

Il bambino si sente punto sul vivo da quella frase, come se il forestiero gli stesse dando del codardo. Libera con uno strattone il polso dalla sua presa e lo fissa. “Io non sto scappando” scandisce, reprimendo la rabbia nella voce “Vado ad allenarmi. Il maestro avrebbe voluto così e io ho promesso di rispettare le sue volontà” conclude poi con il solito tono freddo.

“Credi davvero che il tuo maestro avrebbe voluto vederti restare qui da solo, a ripetere all’infinito gli stessi esercizi e a portare nell’acquaio piatti sporchi che nessuno laverà? Credi che avrebbe voluto vederti sprecare così il tuo talento e la tua vita?” Tiedoll sa che le sue parole gli stanno facendo male e se ne rammarica, ma sa anche che diversamente non riuscirà mai a scuoterlo. Si interrompe un istante, preparandosi a calare il colpo finale. “Così facendo, non solo non rispetti le volontà del tuo maestro, ma addirittura è come se lo uccidessi di nuovo con le tue stesse mani”

“Ucciderlo… con le mie mani…?” Il ragazzino ripete lentamente quell’ultima frase, che per lui suona come la peggiore delle accuse. La maschera si è frantumata e dagli occhi sbarrati, in cui il ghiaccio si è sciolto in un attimo, una singola lacrima scivola incontrollata sulla sua guancia.

Vedere quella lacrima, per Tiedoll è una vittoria e una sconfitta insieme. Si sente stringere il cuore e si inginocchia per abbracciare il bambino, il quale ancora fissa il vuoto con sguardo vacuo. Mentre si china, Maker of Eden sfiora la katana che l’altro porta alla cintura e, in quel breve contatto, entrambi brillano di una strana luce, ma il generale è troppo preoccupato per notare l’insolito fenomeno.

“Fidati di me: vieni alla sede della Dark Religious. Diventa un esorcista e dedica la tua vita a distruggere i mostri che hanno sterminato i tuoi cari…” ogni traccia di severità è sparita dalla sua voce mentre tiene tra le braccia il ragazzino “Credimi, è la cosa migliore… e sono certo che il tuo maestro sarebbe fiero di te, ometto!” conclude con un sorriso.

Proprio quando il generale ha creduto di essere finalmente riuscito a vincere la diffidenza del bambino, questi lo prende di sorpresa, sciogliendosi con foga dal suo abbraccio. “Non parlare del maestro! Tu non ne sai niente!” esclama poi, prima di scappare definitivamente via sotto la pioggia. Il bagliore che ha avvolto le loro Innocence mentre erano vicine è scomparso, ora che lui se n’è andato.

 

Tiedoll rimane seduto per terra, la schiena dolorante per l’urto contro lo stipite, e si raddrizza gli occhiali. Decisamente quel ragazzino non ama il contatto fisico, considera tra sé con un sorriso. Dal canto suo, lui ci ha rimediato una botta e probabilmente una buona dose di risentimento da parte del piccolo, ma almeno è riuscito a fargli accettare la realtà. E forse anche a convincerlo a seguire la strada migliore possibile per lui – o molto probabilmente l’unica, vista la sua natura di compatibile.

 

Nel cortile intanto, sotto la pioggia ormai battente e il rombo cupo dei tuoni, il bambino cerca inutilmente di sfogare sul tronco di un albero tutta la sua frustrazione (della quale non riesce nemmeno a capire l’origine). Ma nei suoi calci e nei pugni non c’è nulla della sua solita eleganza, né i colpi hanno la velocità e la precisione che in genere sa metterci; mani e piedi gli si stanno riempiendo di graffi ed escoriazioni e il dolore è sempre lì, ad opprimergli il cuore e annebbiargli la mente.

Nella sua testa si inseguono confuse le immagini atroci del massacro e quelle della desolazione, cui è ridotto il villaggio e che finora ha fatto finta di non vedere; il suo cervello poi le stravolge, colorandole di tinte se possibile ancora più angosciose, e le unisce alle parole severe di quell’uomo che non conosce, che è piombato nella sua vita solo il giorno prima e che ora vuole strapparlo a quel poco che gli è rimasto, per farlo diventare… che cosa? Cosa ne sarà di lui, ora che ha perso tutto?

I ricordi gli fanno male, tanto da farlo quasi vomitare, ma gli fa ancora più paura rendersi conto che non ha la minima idea di cosa lo aspetta per il futuro.

Tirando un calcio un po’ più alto degli altri, si sbilancia all’indietro e il piede d’appoggio scivola sull’erba bagnata, facendolo finire seduto. Per la stizza picchia un pugno a terra, con l’unico risultato di graffiarsi le nocche, poi finalmente prende fiato, cercando di calmarsi e di mettere ordine nei suoi pensieri.

Rabbia, impotenza, paura, incertezza… nemmeno riesce più a capire cosa prova in quel momento. Fino al giorno prima, la sua vita scorreva tranquilla secondo gli insegnamenti del maestro, mentre il domani per lui era solo una prospettiva indistinta, in cui però aveva la certezza che ci sarebbero stati i suoi compagni e una spada. E tanto gli bastava.

E adesso? Adesso è stato tutto cancellato, annientato, distrutto…

Un altro pugno a terra, fili d’erba e una margherita solitaria schiacciati dalla violenza del suo colpo.  Stringe i denti e contrae ogni muscolo del corpo, l’acqua gelida ormai gli ha inzuppato i vestiti e ha bagnato il suo viso di finte lacrime che lui ha deciso di non versare mai più, ma non è riuscita a lavar via quel peso che gli opprime il cuore.

Artiglia il terreno, le unghie che scavano quattro lievi solchi paralleli, subito cancellati dalla pioggia. E adesso lui si sente esattamente come quei segni nella polvere, talmente fragile da poter essere annullato in un attimo. E non vuole che finisca così, perché il maestro gli ha sempre insegnato a lottare. Proprio per questo, proprio in quel momento, seduto nel cortile deserto di un villaggio annientato, da solo in mezzo al temporale, il giovane spadaccino prende la decisione di far diventare la sua vita molto più che un segno nella polvere.

Si alza in piedi, allacciandosi alla cintura la katana che aveva appoggiato tra le radici dell’albero e va a cercare il forestiero: ha deciso di seguirlo fino alla sede di quella Dark Religious di cui gli ha tanto parlato, per diventare un esorcista e vendicare così la memoria del maestro, sterminando i mostri che hanno distrutto la sua casa.

 

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Capitolo 3
*** Part III ***


Dedicata al mio fratellino

Piccola nota: ho ripubblicato la Part II leggermente modificata perché mi ero accorta che nel testo era rimasta un’incongruenza dovuta alla prima stesura della fic. Non è niente di eclatante, ma vi consiglio di rileggere anche il capitolo precedente ^^

 

 

SIK

Lost & Found

 

Part III

 

Quando il ragazzino lo trova, Tiedoll è seduto nella sala principale accanto al braciere, con una tazza di the in mano. Sta parlando con un uomo vestito di bianco, la cui immagine si proietta incerta nell’aria tramite un bizzarro oggettino nero con le ali. Quando l’esorcista sente scorrere il pannello di riso, interrompe bruscamente la comunicazione e rivolge al nuovo venuto quel suo strano sorriso, che il piccolo non ha ancora capito se interpretare come benevolo o (per qualche strana ragione) sottilmente derisorio. 

Il bambino è bagnato fradicio, eppure dalla sua figuretta esile traspaiono una dignità e una forza che il generale non può fare a meno di ammirare. In questo momento, sebbene sappia che sarebbe terribilmente inopportuno, vorrebbe poterlo immortalare in un ritratto. Ma c’è un’altra cosa in lui che Tiedoll nota immediatamente: come il giorno prima, quello strano tatuaggio sul suo petto sta facendo il proprio lavoro e le abrasioni che ha sulle mani e sui piedi si stanno rimarginando a vista d’occhio. La cosa strana è che lui sembra non accorgersi di quel che gli sta succedendo – e forse, riflette l’uomo, non è il caso di sconvolgerlo ulteriormente facendoglielo notare. Così si limita a sorridergli e ad indicargli il cuscino accanto al suo, vicino al fuoco.

 

“Vieni a sederti qui, giovanotto, così ti si asciugheranno più in fretta i vestiti”

 

Il ragazzino esita un attimo, pur senza che nulla di quell’esitazione trapeli sul suo viso, poi si toglie le scarpette e si avvicina.  Si siede composto, posa la spada a fianco a sé e accetta il the con un brevissimo inchino.

I due si guardano negli occhi per qualche istante, poi all’improvviso il piccolo sbotta.

 

“Ehi esorcista, dov’è che vorresti portarmi?”

Il generale abbozza un mezzo sorriso, cercando di mascherare la soddisfazione per quella domanda. “Dove un ottimo combattente come te potrà esprimersi al meglio: alla sede della Dark Religious, un’organizzazione il cui unico scopo è distruggere gli akuma”

“E perché vuoi proprio me?” Se il giovane spadaccino è interessato alla conversazione, l’occhiata sbieca con cui accompagna quella domanda lo cela alla perfezione.

“Perché tu, ragazzo mio, sei stato scelto da Dio per essere un Suo apostolo e Lui…”

“Io non credo in Dio”

A quella risposta, Tiedoll rimane incerto, ma cerca di sforzarsi di non darlo a vedere e prosegue: “…Lui ti ha donato l’Innocence, che ha preso dimora nella tua spada. Alla sede c’è un gruppo di scienziati molto abili che si occuperà di trasformarla nell’arma anti-akuma con cui combatterai”

Sentendo quella spiegazione, il bambino afferra la katana e la stringe a sé. “Nessuno deve mettere le mani sulla spada del maestro!”

“Stai tranquillo, non verrà danneggiata. Gli scienziati si limiteranno ad estrarne l’Innocence e poi ti sarà restituita”

 

Il ragazzino non sembra essere del tutto convinto, ma si rende conto, nella sua posizione, di non poter discutere con lui. Allenta appena la stretta sulla spada e regala all’uomo un altro sguardo in tralice. Quello in risposta gli sorride rassicurante.

 

“Fidati, ragazzo mio, andrà tutto bene. Piuttosto, mi vuoi raccontare come il tuo maestro è venuto in possesso di questa katana così particolare?”

 

Il bambino non risponde subito; prende un respiro profondo, lasciando vagare lo sguardo fuori, verso l’orizzonte reso indistinto dalla foschia umida. Continua a piovere sempre più forte e in lontananza le cime delle montagne sono coperte di neve.

Alla fine riporta gli occhi (di nuovo così incredibilmente freddi) sull’esorcista e inizia a parlare, con voce bassa e monotona: è evidente che raccontare quella storia non gli fa piacere.

 

“Quando sono arrivato qui, il maestro mi ha subito raccontato di questa spada. Diceva che non era appartenuta da sempre al dojo, ma che gliel’aveva consegnata un viandante tanti anni prima”

Tiedoll aggrotta la fronte – non si aspettava un racconto del genere. Per un attimo, alla sua mente si affaccia inspiegabilmente il viso del generale Cross, ma l’esorcista, notando anche il lieve inarcare di sopraciglia del suo giovane interlocutore, allontana subito quel pensiero assurdo e torna a concentrarsi sulla conversazione. “Ti ha detto chi era?”

“Non credo che qualcuno sapesse il suo nome. Comunque questo tizio, diceva il maestro, si era raccomandato anche di tenere sempre un fiore di loto accanto alla spada… «Il perché lo capirete tra qualche anno», aveva detto a tutti, prima di andarsene ridendo”

“E il tuo maestro ha fatto come gli aveva detto questo sconosciuto? Perché si è fidato?”

Il bambino si stringe nelle spalle. “Il maestro si fidava della gente - si fidava di tutti, finché i fatti non gli davano torto…” il tono con cui lo dice fa capire al generale che invece il ragazzino che ha di fronte la pensa molto diversamente e la cosa non può non strappargli un sorriso “…e poi, da quando quella spada è arrivata qui il dojo ha prosperato. Evidentemente seguire le istruzioni di quell’uomo serviva, oltre che non costare molta fatica”

“Capisco…” commenta meditabondo l’esorcista, carezzandosi il mento con una mano “Posso farti un’altra domanda, ragazzo mio? Capitava di frequente che il villaggio venisse attaccato come è successo ieri?”

 

Tiedoll non è convinto dell’opportunità di porre al ragazzino un quesito del genere ma, d’altro canto, sa benissimo che alla Sede Centrale vorranno sapere tutto di quella faccenda e, di sicuro, loro non avrebbero alcun riguardo per i sentimenti del piccolo. Quindi meglio che lui abbia già tutte le risposte, evitando al bimbo lo stress dell’interrogatorio.

Il ragazzino fortunatamente non sembra turbato dalla domanda (o, se lo è, lo maschera alla perfezione). Abbassa per qualche secondo gli occhi sulla spada, come per riordinare le idee, poi risponde senza tentennamenti.

 

“Da un po’ di tempo a questa parte, le scorrerie dei briganti erano aumentate, ma non abbiamo mai avuto problemi a respingerle. L’attacco di ieri però…” la voce gli trema appena, in un istante di comprensibile esitazione “…erano molti più del solito, forse sono arrivati in due gruppi, uno dopo l’altro. E soprattutto… non si erano mai visti dei mostri come quelli che hanno…”

“Basta così, giovanotto” lo interrompe dolcemente il generale, sfiorandogli appena un braccio “Non c’è bisogno che ti sforzi di parlare. Quando te la sentirai continueremo il discorso. E chissà che non possa aiutarci a capire perché quegli akuma sono piombati qui così in forze ieri…”

A quelle parole, una scintilla di rabbia attraversa per un attimo lo sguardo impenetrabile del bambino. “Se possiamo trovare chi ha mandato qui quei mostri, facciamolo subito” lo dice con risolutezza glaciale, senza dare il minimo spazio al tumulto di emozioni che di sicuro si agita dentro di lui.

“Ammiro il tuo autocontrollo, sai ragazzo? Hai le qualità per diventare un guerriero eccezionale”  Quel complimento inatteso e sincero coglie di sorpresa il giovane spadaccino, che tuttavia non dice nulla. Tiedoll accenna un sorriso, poi prosegue: “Spiegami esattamente cosa hai fatto durante l’attacco. So che per te può essere difficile, ma cerca di non dimenticare nulla, anche i particolari che ti sembrano insignificanti, va bene?”

 

Il ragazzino annuisce appena con la testa, poi inizia il suo racconto, tirando lentamente le fila dell’orrore che ha vissuto.

 

“In caso di attacco, io che so-… ero il più piccolo del dojo dovevo restare al sicuro con gli anziani qui nella sala comune, mentre gli altri si occupavano della difesa” La sua voce è ferma, ma ogni verbo al passato che si costringe a pronunciare per lui è come un ostacolo da sormontare “Ieri però… gli assalitori erano così numerosi che anche i guerrieri più vecchi sono stati costretti a prendere le armi. Io sono rimasto qui da solo, ma capivo che le cose non si stavano mettendo bene per noi…”

 

Si ferma e china la testa, stringendo i pugni. Tiedoll vorrebbe fargli delle domande, ma si rende conto che, se lo interrompesse, probabilmente lui non troverebbe più la forza di riprendere il discorso. Dopo qualche istante, il bimbo rialza lo sguardo e torna a parlare, il tono fattosi assolutamente impersonale, gelido come i suoi occhi.

 

“Avevo visto giusto e infatti dopo un po’ i banditi sono arrivati anche da me… quando hanno spalancato il pannello, fuori ho visto i miei compagni impegnati in furiosi combattimenti e molti erano già stati uccisi. Quelli che sono entrati qui erano in quattro. A quel punto ho agito d’istinto e ho… preso la spada del maestro, l’unica arma che avevo a disposizione…”

 

Solo il ricordo di quella che lui considera una disobbedienza imperdonabile riesce a incrinargli la voce, ma subito ogni traccia di emozione si spegne nelle sue parole.

Il generale sospira profondamente; gli dispiace costringerlo a ricordare quegli avvenimenti dolorosi, ma non può farne a meno. E, se la sua teoria è giusta, ora siamo arrivati al punto più importante, quindi deve prendere in mano la conversazione.

 

“Dimmi giovanotto, hai notato qualche fatto strano quando hai impugnato la katana?”

 

Il bambino a quella domanda inarca le sopracciglia: sembra dubbioso ed esita e già Tiedoll sta per buttare via la sua ipotesi sull’Innocence. Poi però il piccolo fa una smorfia, come se non fosse proprio sicuro di quel che sta per dire; l’esorcista lo sprona con lo sguardo.

 

“Mi è parso di vedere come una luce verde che la avvolgeva, ma è durata solo un attimo… poi quando mi sono girato per affrontare i banditi, dietro di loro ho visto sopraggiungere subito dopo quei mostri… gli akuma…”

L’uomo accenna di sì con la testa e sorride. “Questo non fa che confermarmi che all’interno della tua spada è contenuta un’Innocence e che tu sei il suo compatibile. Quando l’hai presa in mano, essa ha reagito alla tua presenza e si è attivata, trasformandosi da semplice katana in arma in grado di distruggere gli akuma, capisci? Dopo cos’è successo?”

 

Il ragazzino, di fronte a quella spiegazione ha l’aria perplessa, ma preferisce non fare domande. In questo momento per lui la cosa più importante è capire cosa può fare per vendicare il maestro, non gli importa nulla della teoria che sta dietro a quel qualcosa.

 

“Gli… akuma hanno puntato dritto su di me. Ho avuto appena il tempo di fare due passi verso il centro della stanza che uno di loro mi ha lanciato contro… non so, sembrava una sfera di energia…” Si interrompe, quasi si aspetti che l’esorcista lo prenda in giro per quella definizione così fantasiosa. Invece l’uomo lo guarda soddisfatto, continuando ad annuire e fregandosi il mento con la mano. “A quel punto ho sentito le mie braccia muoversi da sole e alzare la katana come scudo davanti a me. Non so come sia successo, ma ho parato il colpo, anche se l’impatto è stato così violento da sbalzarmi all’indietro. Credo di aver pestato la testa contro l’armadietto e poi… non ricordo bene, è tutto confuso...”

 

Faccio fatica ad alzarmi... mi gira la testa e sento male alla spalla sinistra. Sicuramente è colpa della botta, ma devo reagire...

La spada, la katana del maestro mi sta guidando... è lei che combatte usando il mio corpo... maestro, sei tu che mi stai proteggendo?

Io sono ancora troppo debole per difendere tutti... aiutami tu, maestro... dammi la forza di lottare...

 

L'espressione di Tiedoll si fa pensosa mentre cerca di ricollegare quello che gli ha detto il ragazzino con ciò che ha visto il giorno prima.

Probabilmente non dimenticherà mai la prima immagine che ha avuto del piccolo spadaccino: il modo in cui ha abbattuto i due akuma, grossi il doppio di lui, che l'avevano stretto al muro, il suo viso trasformato in una maschera di sangue per la ferita alla tempia e quello sguardo così inespressivo.

Tutto il racconto del bambino ha suggerito al generale una teoria che, se confermata, metterebbe la Sezione Scientifica (e non può non pensare al giovane Reever, così entusiasta e così brillante) di fronte ad un mistero affascinante da risolvere. Si alza, con le labbra si incurvano appena in un sorriso, e si avvicina all'armadietto sfasciato, su cui è posato alla bell'e meglio quell'inquietante loto macchiato di carminio.  Alle sue spalle, sente gli occhi del ragazzino che non lo lasciano un istante mentre esamina entrambi gli angoli appuntiti della struttura; è su uno di essi, come immaginava, che il bimbo deve aver picchiato la testa. Il colpo poi avrà fatto finire per terra il fiore, sul quale sono cadute delle gocce di sangue... e il cerchio si è chiuso.

Lo sconosciuto che ha portato qui la spada raccomandandosi di tenervi accanto un fiore di loto - riflette Tiedoll, ammirato, scacciando di nuovo l’importuna immagine di Cross dalla sua mente - probabilmente sapeva che si trattava di un'Innocence... e probabilmente, sapendo che prima o poi il nuovo apostolo sarebbe giunto lì, ha predisposto tutto questo perché questi venisse protetto. Un potere curativo infuso nel loto, attivabile solo attraverso il sangue del compatibile che viene poi marchiato con un tatuaggio... beh, un meccanismo così complesso e capace di leggere in un futuro così lontano testimonia che quel misterioso viandante aveva capacità fuori dal comune.

 

Un silenzio pesante è calato tra loro da quando il ragazzino ha smesso di parlare, perdendosi forse nei suoi incubi insanguinati fatti di mostri e morte, e l'uomo ha iniziato a seguire il filo confuso di un ragionamento, che si dipana a fatica nei meandri di un racconto in bilico tra un passato recente troppo orrendo e uno remoto troppo incredibile. Fuori piove ancora forte e lo scroscio del temporale ovatta l'atmosfera, mentre grosse gocce di pioggia rimbalzano sulla veranda di legno impregnata di sangue e acqua.

D'un tratto Tiedoll scuote la testa, come se avesse messo un puntello in più alla sua costruzione mentale, ma non fosse convinto del risultato. Guarda il bimbo con un'espressione indecifrabile negli occhi e poi accenna un sorriso. Lui ricambia con un'occhiata tra l'indifferente e l'infastidito, che l'altro sta imparando a riconoscere come sua, poi fa una domanda che, seppur prevedibile, il generale avrebbe volentieri evitato ancora per un po'.

 

“Allora, da quello che ti ho detto hai capito qualcosa di più su chi ha mandato gli akuma?”

L'uomo sospira, gli pesa dovergli dare una delusione. “Per adesso no, ragazzo, e non sarà una cosa semplice. Però ho capito perché sei ancora vivo...” Il bambino stringe gli occhi e lo fissa; il suo sguardo si fa talmente gelido e affilato che sembra possa trapassarlo, ma non dice una parola. Tiedoll si sforza di rimanere impassibile. “Da dove ricominciano i tuoi ricordi, dopo che hai battuto la testa?”

La perplessità del giovane spadaccino per quel quesito inaspettato si riflette nelle sue iridi cerulee, che però non perdono nulla della loro freddezza. “Ricordo confusamente i combattimenti, la tua voce che diceva qualcosa, forse di rassicurante... subito dopo tu ti sei lanciato verso di me... e poi ricordo una lama che da dietro mi ha... trapassato... da parte a parte...”

 

La voce gli si spegne, quando si rende conto dell'apparente assurdità di quello che ha appena detto: è stato trafitto a morte da una spada, eppure ora è vivo e vegeto, senza neppure un graffio. Recupera a fatica la sensazione evanescente del dolore provocatogli da quella ferita, letale per chiunque - ma non per lui, e si porta la mano allo stomaco.

Si slaccia in fretta il kimono, scoprendosi il petto alla ricerca almeno di una cicatrice lasciatagli dalla lama che avrebbe dovuto ucciderlo; ma la sua pelle chiara è perfettamente intatta, l'unico segno che porta è un marchio nero all'altezza del cuore. Quando il bambino rialza la testa e guarda Tiedoll, i suoi occhi spalancati dicono molto di più delle sue parole sull'incredulità (e forse anche la paura) che in quel momento si agita dentro di lui.

Un lampo sfregia all’improvviso il cielo color piombo, straziandolo con mille graffi, subito cancellati dal fragore sordo di un tuono.

 

“Esorcista... perché sono vivo?”

“Quel tatuaggio e il fiore che il tuo maestro teneva accanto alla katana, sono loro che ti hanno salvato la vita”

 

Il ragazzino osserva di sottecchi il loto alle sue spalle e quindi abbassa lo sguardo sul segno che gli occupa buona parte del lato sinistro del petto, coprendolo con una mano. “Ecco cos'era il dolore che ho sentito quando sono caduto... non era la botta...” mormora poi sottovoce.

L'uomo annuisce appena, pensoso. “Sì, probabilmente era il marchio che ti si è impresso sulla pelle quando il tuo sangue ha bagnato i petali del fiore. Ora la tua vita è protetta dal misterioso potere curativo di quel tatuaggio e del loto e col tempo arriveremo anche a comprenderne tutti i segreti, stanne certo”

 

Il bambino accenna di sì con la testa, ma si capisce che è ancora incredulo di fronte a quello che ha appena scoperto; il seguito del discorso dell'esorcista, però, catalizza tutta la sua attenzione.

 

“Quanto agli akuma e al perché del loro attacco... non è esatto dire che non so chi li ha mandati” Tiedoll è restio a dire tutto al ragazzino, teme che possa interpretare le sue parole nel senso sbagliato, ma d'altro canto non gli sembra giusto nascondergli la verità “C'è un essere malvagio che crea e controlla gli akuma, mandandoli poi in giro per il mondo; però escludo che lui in questo caso sia coinvolto. Ma devi sapere un’altra cosa riguardo agli akuma: queste creature maledette odiano profondamente l’Innocence, e tuttavia ne sono attratte. Di conseguenza è ragionevole supporre che quelli che ieri hanno attaccato il villaggio siano stati richiamati dal risveglio di quella contenuta nella tua spada quando tu l'hai impugnata”

“Quindi... è colpa mia se quei mostri hanno attaccato il villaggio? Se io non avessi disubbidito al maestro prendendo la sua spada non sarebbe successo nulla!”

 

Come l'uomo temeva, il bimbo ha riversato su di sé tutta la responsabilità del suo destino di compatibile; l'esorcista cerca inutilmente un modo per calmare l'angoscia che sente salire nella sua voce. “Ma tu l'hai fatto a fin di bene ragazzo, per difendere i tuoi compagni...”

 

Il giovane spadaccino lo ignora e prosegue il suo ragionamento, che però prende una piega imprevista, atroce per le conseguenze cui condannerebbe il piccolo se questi volesse svilupparlo concretamente nella sua interezza (e Tiedoll non ha dubbi che lo farà), mentre la maschera di porcellana dietro cui celava le sue emozioni si frantuma e cade un pezzo per volta.

 

“Se io non avessi preso la spada, gli altri avrebbero respinto l'attacco come sempre e tutti sarebbero ancora vivi... se quella spada non fosse mai arrivata qui, non sarebbe successo nulla! La colpa è mia e di quello sconosciuto che consegnò la katana al maestro tanti anni fa...”

 

Sentendo quelle parole, dette con un tono sempre più alto e che vanno pericolosamente verso una conclusione che il generale non vorrebbe raggiungessero, Tiedoll prova con pazienza a calmare il ragazzino.

 

“Se non fosse stato per quell'uomo e per la spada che ha lasciato qui, ora tu saresti morto giovanotto... pensaci!”

“Sarebbe stato meglio se fossi morto io e il villaggio si fosse salvato”

 

Un'affermazione pesantissima sulle labbra di un bimbo di nemmeno sette anni, pronunciata con un tono assolutamente alieno da qualsiasi sentimento - e proprio per questo sicuramente ragionata e convinta. Proprio per questo ancora più terribile.

La facciata di freddezza che il piccolo ha voluto costruirsi dopo l'orrore che ha vissuto è ormai svanita, così come svanite sono anche quelle emozioni violente che l'hanno fatto scattare in piedi nella foga del parlare: davanti a sé Tiedoll vede ormai l'anima più intima di quel bambino, un'anima svuotata, fredda come la morte dalla quale è scampato il suo corpo.

 

“Io ho pagato il mio errore vedendo morire il maestro e i miei compagni, e ora farò pagare a quell'uomo la sua parte di colpa uccidendolo con le mie mani. Esorcista, portami alla tua sede, fammi diventare uno sterminatore di akuma, così che io possa girare il mondo, rivoltarlo da cima a fondo e trovare quel bastardo”

Di fronte a quella determinazione, il generale non può che chinare la testa. Prende un sospiro profondo e chiude gli occhi.

“Partiamo domattina all'alba” dice infine, sottovoce, prima di alzarsi ed uscire sotto la pioggia incessante.

 

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Capitolo 4
*** Part IV - Ending Theme ***


Dedicata al mio fratellino

Quarta e ultima parte di questa fic. Ho cercato di far venire al pettine un po' di nodi, ma non so quanto si capisca... ^^"

Grazie a tutti quelli che hanno seguito e recensito.

 

 

SIK

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Part IV

Ending Theme

 

La mattina dopo, Tiedoll viene svegliato, come il giorno precedente, dal silenzio assoluto che regna nel villaggio, ma anche dalla luce chiara che filtra attraverso i sottili pannelli di carta.

La sera prima, le parole del ragazzino che continuavano a vorticargli in testa gli hanno impedito di addormentarsi e così ha disegnato per ore al chiarore incerto di una lanterna, fino a crollare per la stanchezza. Ancora un po’ intontito per il sonno si tira seduto, trovandosi tutto dolorante per aver dormito direttamente sdraiato sul tatami, i fogli dei suoi schizzi sparpagliati attorno a lui sul pavimento. Mentre li raccoglie, non può fare a meno di notare le forme contorte e le tinte cupe di quei disegni, stupendosi di essere stato proprio lui a farli: evidentemente, conclude, il racconto di quel bambino e la discussione che hanno avuto subito dopo l'hanno segnato più di quanto avesse immaginato.

 

Sospira profondamente e scuote la testa, mentre si dirige verso la sala comune per preparare la colazione per entrambi; arrivato lì trova il fuoco acceso, la teiera già calda e accanto un piatto con degli strani dolci spalmati di marmellata, ma del piccolo spadaccino non c’è traccia. Il generale non riesce a trattenere un sorriso commosso, mentre se lo immagina intento a dare l’addio a tutti gli angoli del dojo cui è più affezionato.

Mangia in fretta e poi va a raccogliere le sue poche cose, aspettandosi da un momento all'altro di veder sopraggiungere il suo giovane allievo (già lo pensa come tale e si ripromette che, arrivato al Quartier Generale, farà di tutto perché lo affidino alle sue cure) così da poter partire al più presto: il viaggio sarà lungo, impiegheranno almeno quattro mesi a raggiungere il cuore dell'Europa dove si trova la sede della Dark Religious, ma l'esorcista conta di sfruttare quel tempo per poter cominciare ad addestrare il bambino - anche se, da quel che ha visto, sembra che se la sappia già cavare egregiamente.

 

Quando la sacca è pronta si siede sulla veranda ad aspettare; ascolta il vento che scivola lentamente tra le piante e le gocce d’acqua che cadono dalle fronde, dando l’impressione a chi passi sotto le chiome degli alberi che la pioggia non sia ancora cessata nonostante il sole. Il cortile è silenzioso e tranquillo e, guardandolo in quel momento, Tiedoll stesso fa fatica a credere che quello sia il medesimo luogo che, due giorni prima, ha fatto da scenario al massacro forse più orrendo di cui è stato costretto ad essere testimone da quando ha iniziato a fare l’esorcista. Eppure le tracce di sangue che, a dispetto del forte temporale, ancora impregnano la terra scura non mentono.

Mentre il generale percorre lentamente il perimetro dello spiazzo, non riesce a togliersi da davanti agli occhi le immagini dell’attacco degli akuma e quelle del bambino che fino a quel momento non si è visto; la sua espressione si incupisce. Non è preoccupato per lui, razionalmente sa di non averne motivo, però non gli piace che ancora non si sia fatto vivo, benché il sole sia già alto e la sera prima avesse dimostrato di aver fretta di partire (fretta dettata da ragioni terribili, che l’uomo capisce ma non comprende, e tuttavia rispetta).

Lo sguardo gli scivola su un sentiero stretto il cui inizio si perde tra le felci, passando quasi inosservato; più per impegnare il tempo che per reale curiosità, l’esorcista inizia a seguirlo, nel suo inerpicarsi serpeggiante su per un lieve pendio, allargandosi man mano fino a far presagire la presenza di un prato sulla sommità. Arrivato a metà strada, Tiedoll vede in alto, al termine della salita, la figura sottile del suo futuro allievo stagliarsi nitida contro il cielo azzurrissimo e sgombro di nubi.

 

Il bambino è in piedi, immobile; la casacca candida che indossa, lunga fino alle ginocchia e decorata da inserti blu, colpita dai raggi del sole sembra di un bianco ancora più abbagliante, anche a contrasto con i suoi capelli corvini. Sta con il viso rivolto verso l’orizzonte, là dove oltre la foschia si intravede la vallata  e in fondo l’oceano; il generale si affretta a raggiungerlo, ma anche quando arriva nel prato sulla cima della collina il ragazzino non si muove, quasi che non l’avesse nemmeno sentito arrivare (ma l’uomo sa che non è così).

Rimangono entrambi in silenzio per qualche istante, a sentire il vento che soffia forte piegando l’erba e le foglie degli alberi e modellandole al suo capriccio, poi il piccolo si volta appena verso l’altro.

 

“Ehi esorcista… quant’è grande il mondo oltre quel mare?”

 

Sentendo quelle parole, il generare accenna un sorriso che però non riesce a distendersi come dovrebbe e vorrebbe: perché Tiedoll si è reso conto che, benché quella domanda rifletta un’ingenua curiosità infantile, perfettamente consona al bimbo che l’ha sollevata, lui l’ha pronunciata con un accento incolore e distaccato – perché sa che la risposta a quella domanda (per quanto sia impossibile averne una) condizionerà i progetti di vendetta che sta costruendo e su cui baserà la sua intera vita. Prima di rispondere, l’esorcista sospira.

 

“Molto grande, ragazzo mio…”

“Non importa. Io lo troverò lo stesso, quel bastardo”

 

La replica ha lo stesso tono monocorde di prima, ma con in più una determinazione sorprendente.

Osservando quegli occhi di ghiaccio, quel viso di porcellana senza espressione e sentendo quella voce fredda, il generale capisce, con una chiarezza disarmante e dolorosa, che il bambino che ha davanti ormai non può più essere definito tale. La sua infanzia è bruscamente terminata nell’arco di due giorni e lui si è fatto già quasi adulto, perché ha preso per intero sulle sue esili spalle il peso della sua vita e ha deciso di portarlo da solo su qualunque strada sceglierà di percorrere.

Quando l’aveva incontrato appena scampato al massacro del suo villaggio, Tiedoll si era ripromesso che l’avrebbe aiutato a superare quel trauma, ma ora si rende conto con amaro sgomento che non solo lui non ha nessuna intenzione di farsi aiutare, ma che forse non ne ha più nemmeno bisogno.

L’uomo fa scivolare lo sguardo dalla sua figura, lasciandolo vagare tra l’erba alta punteggiata di fiori rossi.

 

“Ci sono davvero tanti papaveri in questo prato…”

 

È un commento futile il suo, fatto solo per riempire con qualche frase insignificante un silenzio che, altrimenti, nella sua testa sarebbe dominato da troppe riflessioni difficili da gestire.

Eppure il ragazzino sembra prenderlo molto sul serio, perché si volta anche lui ad osservare i fiori smossi dal vento.

 

“L’altra mattina quando sono venuto qui non ce n’era neanche uno… sono fioriti dopo il massacro. Il maestro diceva sempre che quando un uomo buono viene ucciso ingiustamente, nasce un papavero che si tinge del rosso del suo sangue”[i]

 

A quella risposta mesta, il generale rimane un attimo incerto poi abbozza un sorriso. Non conosceva quella leggenda sui papaveri, ma soprattutto non si aspettava che uno come lui, all’apparenza così distaccato (ma chissà com’era quel bambino prima che succedesse tutto questo), si interessasse di cose del genere.

 

“Vedrai giovanotto, faremo in modo che non fioriscano più papaveri”

Una smorfia amara e disincantata increspa per un attimo le labbra del piccolo. “Credo sia impossibile, esorcista”

“Forse hai ragione tu” conviene l’altro, mentre il suo sorriso si allarga un poco “Ma nulla ci impedisce di crederci e provarci, no?” Poi intreccia le mani dietro la schiena e comincia a scendere lentamente per il pendio “Coraggio, mettiamoci in cammino…”

 

Il giovane spadaccino si gira e lo osserva sospettoso per un istante prima di seguirlo, la katana troppo lunga che strascica rumorosamente sul terreno; e per alcuni minuti quello è l’unico suono che spezza il silenzio caduto tra loro.

 

“Giovanotto, credo sia meglio che tu inizi a portare la spada sulla schiena, altrimenti finirà per rovinarsi a furia di essere trascinata per terra” fa notare pacato Tiedoll. E lo dice tutto d’un tratto, senza nemmeno voltarsi, ma la sua voce tradisce il sorriso paterno che gli sta illuminando il viso.

 

Il ragazzino non risponde, ma si sente punto sul vivo da quell'osservazione. Si ferma di botto in mezzo al sentiero e velocemente si toglie la katana dalla cintura per allacciarsela di traverso sul dorso; quando ha terminato l’operazione, prova con un po’ di incertezza a sfoderare l’arma, un’espressione infastidita sul viso a celare un grazie per il suggerimento che l’esorcista non sentirà mai pronunciare.

Nel frattempo l’uomo rimane immobile e continua a dargli le spalle, perché intuisce che il suo scontroso allievo non gradirebbe essere osservato né tantomeno aiutato in quella sua prima piccola sfida.

Pochi istanti dopo, il bambino con la spada ora legata sulla schiena lo supera velocemente e lo incita con un cenno del capo a fare presto.

 

“Arrivo ragazzo mio, so che hai fretta… perché non mi precedi e inizi a recuperare i tuoi bagagli?”

A quella domanda, il piccolo si ferma e allunga a fianco a sé il braccio destro. Al generale che lo osserva perplesso, fa notare il braccialetto di perline di pietra dura che ha al polso. “È questo tutto il mio bagaglio, esorcista”

Tiedoll annuisce e gli si affianca. “Allora andiamo, giovanotto. Il viaggio fino alla sede della Dark Religious sarà lungo”

 

 

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Quattro mesi dopo

 

Una riunione in piena estate alle tre del pomeriggio è veramente un supplizio e, se i suoi colleghi hanno intenzione di star lì a crepare di caldo e noia discutendo di cose totalmente inutili… beh, affari loro. Cross Marian, a dispetto del suo nome e delle vesti che indossa (la talare e la divisa da generale dell’Ordine), non ha intenzione di morire per una qualsivoglia causa come fece Nostro Signore – il cui esempio dovrebbe in teoria imitare. Ma solo in teoria.

Ha appena annunciato a tutti che non ne può più di sentire i latrati di Leverrier e che preferisce uscire a fumarsi una sigaretta e così ha fatto, ignorando platealmente le proteste dell’Ispettore. Adesso se ne sta beatamente seduto sul parapetto di marmo che si apre sul cielo terso, a cercare ogni minimo refolo di vento che gli dia sollievo dall’afa quando, dalla penombra oltre cui si perde l’angolo del corridoio, vede sbucare un bambino con la divisa da esorcista, una katana sulla schiena e i capelli raccolti in un codino basso. Il generale salta giù dalla balaustra e osserva il nuovo arrivato con aria di scherno.

 

“Ehi, da quando in qua prendiamo anche i mocciosi?”

 

L’altro non risponde, ma si limita a regalargli un’occhiata gelida; sta per proseguire per la sua strada quando nota le bordure dorate sull’uniforme che l’uomo (stranamente) indossa. È un generale, quindi un suo superiore, e gli insegnamenti che il suo maestro gli ha trasmesso mentre viveva ancora felice al dojo non gli permettono di lasciarselo alle spalle e ignorarlo, benché la tentazione sia tanta, vista la sua strafottenza. Si ferma e accenna un lieve inchino, poi un saluto freddo e formale.

 

“Buongiorno generale”

Cross sorride, ma stavolta non sta deridendo il ragazzino, sebbene le sue parole possano farlo pensare. “Allora ce l’hai la lingua per parlare, eh?”

 

Il giovane spadaccino stringe i denti per costringersi a non rispondere a tono a quel tizio, giudicando più saggio passare oltre. Ma non fa in tempo a fare che pochi passi, poi il suo istinto allenato lo avverte di una minaccia. Con un movimento che, in quattro mesi di allenamento, si è fatto fluido ed elegante, estrae la katana e si volta di scatto, andando ad incrociare la lama con la canna bianca della pistola che l’altro esorcista gli sta puntando contro.

Quando le due Innocence si toccano, in un cozzare fastidioso di metallo contro metallo, entrambe vengono avvolte da uno strano bagliore, che si spegne non appena il ragazzino allontana stupito la sua spada. Anche se vorrebbe chiedere spiegazioni in merito, nulla traspare dalla sua espressione corrucciata, mentre continua a fissare Cross con occhi gelidi e senza abbassare la guardia.

Il generale, dal canto suo, scoppia in una risata e ripone la propria arma nella fondina che tiene legata alla coscia. Il bambino lo guarda sospettoso.

Sul viso del generale si allarga un sorriso sincero e soddisfatto.

 

“Ottimi riflessi, ragazzo. Dimmi un po’, come ti chiami?”

Lo spadaccino rinfodera la katana, ma non si rilassa minimamente, continuando a sostenere senza apparente difficoltà lo sguardo dell’uomo. “Il maestro mi ha sempre insegnato che è buon uso presentarsi prima di chiedere a qualcuno di fare altrettanto”

L’esorcista ride di nuovo. “Il tuo maestro era uno che sapeva come va il mondo. Bene, allora. Io sono Marian Cross”

Il più giovane annuisce appena, ma non fa in tempo nemmeno a dire una parola che l’altro ricomincia a parlare. “No aspetta, ragazzo, non dire niente. Facciamo così: se tra un mese sarai ancora vivo, allora vorrà dire che dovrò imparare il tuo nome”

Il ragazzino stringe gli occhi e lo fissa; se è rimasto stupito dalla proposta dell’uomo non lo dà affatto a vedere.

“D’accordo generale. A tra un mese dunque” Afferma infine con voce sicura, prima di andarsene senza più aggiungere una parola.

 

Mentre il bambino si allontana, Cross lo segue con lo sguardo, una luce strana nelle iridi castane. “Devo dire che tutto ha funzionato alla perfezione, anzi forse meglio di quanto avevo previsto… difficilmente quell’Innocence avrebbe potuto avere compatibile migliore”

 

Ha appena finito di parlare, quando Tiedoll esce dalla sala in cui si sta tenendo la riunione. L’altro generale al vederlo inarca le sopracciglia, mostrandosi teatralmente stupito. “Ehi Froi, sei scappato anche tu da quel mortorio?” domanda, accendendosi una sigaretta e buttando subito in alto una nuvola di fumo.

L’artista sospira, poi risponde con pazienza, come se stesse parlando ad un bimbetto capriccioso. “Mi hanno mandato a chiamarti, Marian… dobbiamo…” Ma sul finire della frase la sua voce si spegne, quando nota la sagoma minuta del suo allievo poco prima che questi scompaia giù dalle scale al termine del lungo corridoio. Un sorriso affettuoso si disegna sul suo viso.

Cross se ne accorge e sorride ambiguo, accennando con la testa al bimbo.

“Ci ho parlato un attimo fa. Hai avuto fortuna a trovare quel ragazzino… credimi, farà strada”

L’altro annuisce lentamente. “Ha un carattere difficile, ma certo non gli si può imputare nulla visto quello che ha passato… però sono convinto anch’io che abbia delle potenzialità”

“Ne ha molte più di quante immagini, Froi” Una risposta sibillina, sciolta in un’altra risata. Poi il generale se ne va, incamminandosi nella direzione opposta a quella presa dal giovanissimo spadaccino.

 

Rimasto solo, Tiedoll si stringe nelle spalle e scuote la testa. “Marian, Marian… so che in realtà sai molto di più di questo e che non mi dirai nulla. In fondo, noi tutti siamo poco più che pedine di una tua misteriosa strategia. Ma va bene così, l’importante è che tu mi permetta di prendermi cura di Yu-kun… quel bambino se lo merita, dopo tutto. Anche se lui non lo ammetterà mai”

Un sorriso gli illumina il volto mentre il generale rientra dai colleghi ad annunciare che, per l’ennesima volta, Cross Marian è sparito e non presenzierà alla fase finale della riunione.


 

NOTA: Il tema dei papaveri come ricordo di una persona scomparsa non è tutta farina del mio sacco, quindi mi sembra giusto dare i credits a chi se li merita. Nel costruire questa metafora sono stata influenzata in primis da una canzone meravigliosa quale “La guerra di Piero” di De Andrè e poi da una fic che lessi tempo fa, pubblicata sempre qui su EFP ma nel fandom di Slayers, vale a dire “Papaveri” di Fren. Il mio ovviamente non intende essere un plagio, ma solamente un omaggio a due opere che, seppur diversissime, mi sono rimaste entrambe nel cuore.

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