Ricordi d’infanzia

di Tizvil78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capricci ***
Capitolo 2: *** Il chierichetto ***



Capitolo 1
*** Capricci ***


                                                           CAPITOLO 1

- Finalmente a casa! -
Stavo rientrando dal lavoro e sospirai allegramente mentre stavo aprendo l’uscio di casa, non vedevo l’ora di rivedere la mia famiglia, quando senti gridare: - Va a letto e senza cena! - gridò mia moglie alla bimba.
Entrai e chiusi la porta. 
- Cosa succede? - chiesi, mentre  la piccola mi guardò gonfiando le guance per poi scappare in camera sua. Era una bambina vivace di sei anni, minuta, con occhi grandi e castani, i capelli lunghi castani raccolti a treccia, il corpo gracile raccolto in un pigiama rosa con su l’immagine di Barbie e le ciabattine a coniglietto sempre rosa per tenere al caldo i suoi piccoli piedini. Si chiamava Fiamma.
Faceva molto freddo, si alzò un forte vento freddo che si vedevano gli alberi spaccarsi quasi a metà. C’era un odore di pioggia.
- Ciao amore! - sospirò avvicinandosi a me sfiorandomi con la sua bocca la mia per poi staccarsi riprendendo così a parlare: 
- Niente! I soliti capricci - mi guardò quasi severa con i suoi occhi azzurri come il cielo, quasi indagatori. Era una donna alta un metro e sessanta, lunghi capelli biondi lisci che le cadevano elegantemente sulle spalle, le sue forme rotonde con un po’ di pancia. Era lei che governava la casa, puliva, stirava, lavava, cucinava e si occupava della piccola. Aveva un carattere dolce ma nello stesso tempo severa. Era solare e tutti le volevano bene, aveva un grande cuore perché se vedeva qualcuno in difficoltà non esitava ad aiutare ed era molto generosa e altruista.
- È tutta colpa tua lo sai? - brontolo. - Voleva un cagnolino perché qualcuno gliel’ho ha promesso. La vizi troppo! - mi fissò nei miei occhi neri profondi. - Viviamo in un appartamento e non possiamo permettercelo.
Scoppia a ridere, mentre lei mi guardò facendosi rossa di guancia dalla rabbia - Ecco sei sempre il solito! Appena ti dico qualcosa tu non fai altro che ridere! - si allontanò mentre io mi avvicinai al tavolo apparecchiato con una tovaglia bianca tutta ricamata di fiori fatta a mano da lei, spostai la seggiola in legno e mi sedetti per poi tornare serio: - Va bene! Ci parlerò - sopirai! 
- Cerca di non farti convincere - mi rimproverò arrivando con un piatto di risotto ai funghi.
- Lo sai che è molto brava a manipolarti! - Non risposi e mi apri una bottiglia di vino e ne versai il contenuto nel bicchiere bomabato con il piedistallo di vetro per poi berne un sorso.
- Vado a letto, ho un forte mal di testa per via di quella peste - si massaggiò le meningi e si incamminò verso la camera da letto che si trovava al piano superiore. 
- Buona notte! - le gridai. 
- Buon notte! - mi rispose.
Iniziai a consumare la cena, quando sentii chiudersi la porta della camera, mi alzai, andai in cucina e iniziai a cucinare il piatto preferito della bimba, hamburger e patine fritte.
- Si! Mi diletto e mi piace cucinare! - pensai tra me e me.
Accesi i due fornelli in acciaio, mi abbassai nel mobile bianco, dove mia moglie teneva le pentole e presi una piastra nera con il manico di acciaio e la misi sul fuoco a scaldarsi, poi presi una padella a nido dare con il manico nero e la misi da parte.
Andai nel frigo e presi il burro e ne mesi una piccola quantità, lo riposi subito nel frigo per poi prendere l’hamburgher, e metterlo nel burro sciolto che iniziò a sfrigolare. 
Misi su la pentola a nido d’ape sul fuoco e quando fu calda misi l’olio per friggere, mi avvicinai al freezer bianco, lo apri e presi una busta di patate già pronte, la apri e misi su una piccola quantità mentre l’olio sfrigolava.
Quando tutto fu pronto spensi, andai a prendere i due piatti preferiti della bimba, uno era rosa con l’immagine delle principesse Disney e ci misi l’hamburgher mentre nel secondo era un grazioso piatto con il disegno di un’unicorno con i colori dell’arcobaleno e lì misi le patate. Presi il ketchup dal frigo e ne misi un po’ e lo riposi.
Presi un bicchiere rosa nella cristalliera e la riempi di Coca - Cola. Misi il bicchiere sul tavolo per poi andare a prendere un vassoio bianco e rosa, riposi il tutto in bell’ordine e sali al piano superiore con in mano il vassoio, recandomi nella stanza della bimba.
Arrivai davanti alla porta e la vidi chiusa. La porta era bianca con un simpatico biglietto disegnato con due adulti, che sarei io con mia moglie, è un cerchio rosso con la barra rossa in mezzo.
Sorrisi dolcemente poi mi abbassai per appoggiare il vassoio per terra, mi alzai e iniziai a bussare schiarendomi la voce:
- Posso entrare? - Chiesi dolcemente ma non ottenni nessuna risposta.
- Guarda che entro! - La porta non era mai chiusa a chiave, sapeva che non doveva, così apri dolcemente la porta e quando fu quasi aperta senti la risposta :
- No! - Singhiozzava.
Mi abbassai per riprendere il vassoio e mi rialzai e senza dare peso alla risposta entrai e lo posi sul tavolino vicino al lettino rosa. Era una graziosa stanza, con le pareti viola e le stelline bianche, mentre il pavimento era rosa con dei pallini bianchi e le finestre rosa.
Mi guardai intorno e non vidi nessuno, poi girandomi verso il letto vidi un rigonfiamento che veniva sotto la coperta con i disegni delle fate.
- Mhm... chissà dove sarà la principessa Fiamma! - Risi e iniziai a cercarla facendo finta di niente. Poi mi avvicinai al letto e la trovai.
- Eccola qui! - sorrisi dolcemente mentre lei continuava a singhiozzare.
- La mamma è cattiva! - disse tra le lacrime.
- Non devi parlare così della mamma lo sai! - mi avvicinai a lei sdraiandomi e accarezzandole dolcemente la testolina.
-Invece si! Mi sgrida sempre ecco! - singhiozzo sempre più forte facendosi quasi paonazza.
- Shh!- Cercai di calmarla stringendola forte a me!
- Ti svelo un segreto, anche la mamma quando era piccola era monella sai? - le dissi.
- D-D’avvero?- si staccò da me con gli occhi gonfi di pianto.
- Si davvero! - la guardai teneramente con un tono dolce passandole due dita sulle guance paffutelle per asciugarle le lacrime: - ora basta piangere, vai a lavarti il visino che ti racconto
delle storielle di quando ero piccolo come te vuoi?-
- Si! - Annui facendo un cenno con la testa e senza farselo ripetere scese da letto andò nel suo bagno che era in camera e si sciacquo il viso.
Appena fini torno e coccolandola iniziai a raccontare.





                                   



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Capitolo 2
*** Il chierichetto ***


                                                  CAPITOLO II


Avevo all’incirca otto anni. 
Ero un bambino magro, mangiavo ma assimilavo visto che non stavo mai fermo, ero leggermente più alto dei miei e compagni, mi prendveno in giro.
- Meno male che sei alto - Mi dicevano.
- Perché? - Rispondevo.
- Così sai prima che tempo fa? - Sgnignazzavano.
Non rispondevo, li ignoravo e i miei compagni poi la smisero.
Avevo gli occhi neri e sguardo da furbetto, come dicevano i miei genitori, i capelli lisci e corti con la riga verso destra.
Era una domenica d’etstate, faceva molto caldo.
Mia madre mi fece indossare una camicia bianca a mani corta, i pantaloni neri e delle scarpe eleganti nere. 
Come ogni domenica si andava a messa, ma andavo prima per servire messa, visto che facevo il chierichetto.
Aarrivammo in macchina, anche se la chiesa distava dieci minuti da casa nostra.
Mio padre ci fece scendere a me e mia madre per andare a parcheggiare, da lì a poco ci sarebbe stato un matrimonio.
Mia madre indosso un telier blu scuro, con la gonna che arrivava sopra al ginocchio, le scarpe con il tacco leggermente alto dello stesso colore del vestito.
Era una donna molto dolce e premurosa. Aveva un po’ di pancia, non era molto alta, i suoi occhi scuri come i miei con un po’ di trucco appena visibile, le labbra piccole con un rossetto rosa appena visibile. Il suo nome era Rita.
Mio padre ci raggiunse. Era alto un metro e ottanta, la sua corporatura era robusta, non aveva la pancia ma aveva dei muscoli appena visibili, gli piaceva essere in forma. Indossava una camicia a righe nere e rosse nascosta in una giacca nera a manica lunga con i bottoni dorati, i pantaloni neri come la giacca e un paio di mocassini neri. Il suo nome era Stefano.
Sulla scalinata della chiesa c’era un tappeto rosso. La gente vestita tutta elegante parlavano tra di loro non facendo caso a noi, aspettando di entrare. Si respirava aria di festa.
Vedemmo lo sposo, i miei genitori si fermarono per parlare con lui, era un mio cugino alla lontana.
Indossava un elegantissimo vestito blu molto semplice con un fiore rosso sul taschino destro.
Salutai, stavo per dirigermi in sacrestia quando mia madre mi fermò dandomi un bacio sulla testolina ingellata. Ero figlio unico.
- Dai mamma! Sono grande ormai! - Mi guardai intorno sperando che nessuno mi vedesse.
- Mi raccomando fai il bravo! - Mi disse staccando la sua bocca dalla testa, mentre mio padre mi guardò severo.
- Hai capito? - Mi apostrofò mio padre con la sua voce profonda e severa lanciandomi un occhiataccia.
- Si, ho capito! - Guardai entrambi con occhi innocenti, ma ben altro avevo in testa.
- Speriamo! - Sospirò mia madre quasi rassegnata.
Finalmente mi lasciarono andare e raggiunsi il prete che mi stava aspettando con un altro bambino.
- Ben arrivato! - Mi sorrise il prete.
Era un uomo sulla cinquantina d’anni, minuto, i capelli brizzolati tagliati molto corti con la macchinetta, occhi piccoli e verdi come il mare e indossava un paio di occhiali.
Era dolce ma severo, tutti gli volevano bene. Mi aveva preso in simpatia che quasi mi dispiaceva per quello che stavo per fare.
Il suo nome era Don Dino.
- Lui è Paolo, ti aiuterà nella celebrazione! - Continuò presentandomi il bambino che era con lui.
- Piacere! - allungo la mano.
Era un bambino più o meno della mia stessa età, aveva i capelli biondi portati a caschetto, come si usava all’epoca, gli occhi azzurri. Aveva indosso una semplice maglia bianca a manica corta e un paio di jeans, come scarpe indossava un paio di scarpe da ginnastica bianche. Era piuttosto timido.
- Piacere io sono Tiziano!  - Strinsi la mano tutto contento di avere un nuovo amico.
- Bene! - il prete sorrise soddisfatto.
- Ognuno avrà i propri compiti. - Si schiarì la voce.
- Tu Tiziano terrai il cero! E mi raccomando! - Mi apostrofò dopodiché la sua attenzione si spostò sull’altro bambino.
- Tu invece Paolo terrai il libro! - Lo guardò 
- Va bene! - Rispondemmo insieme.
Il prete ci guardò soddisfatto, sorridendoci dolcemente e uscì precendendoci, mentre suonavano le campane.
Ci cambiammo mettendoci la tunica bianca con una croce rossa in mezzo.
- Ma quando inizia a cadere la c’era mi darai il cambio vero? - gli chiesi fissandolo.
- Certo! - Mi rispose ricambiando lo sguardo.
Dopo aver raggiunto l’accordo uscimmo anche noi e raggiungemmo il prete. Io mi misi a sinistra mentre l’altro a desta. La gente iniziò ad entrare, si sentivano i commenti che facevano, poi tutti pressero posto.
Lo sposo accompagnato dal testimone prese posto vicino all’altare, quando ecco che arrivò la sposa.
Parti l’Ave Maria di Schubert.
Tutti si girarono a guardarla a bocca aperta. Indossava un vestito leggermente scoperto sul seno in pizzo, stretto alla vita e largo alla fine, una coroncina argentea, i capelli a treccia spiga di grano e lo strascico che partiva dal fondo della schiena accompagnata dal padre. Era davvero bellissima.
Arrivata all’altare il padre la lascio al suo futuro marito sorridendo, ma si vedeva che era visibilmente emozionato.
Dopo averla lasciata iniziò la cerimonia.
Fin qui tutto bene, ma il guaio iniziò quando il prete lesse le scritture. 
Lo raggiungemmo e ci mettemmo davanti alla folla di fronte dove c’era al leggio. 
Una goccia iniziò a cadermi sulla mano, alzai lo sguardo e un altra goccia cadde.
- Ahi! - Esclamai forte dal dolore.
- Shhh! - Rispose il prete poi riprendere le letture.
Poi sottovoce mi rivolsi al mio amico.
- Tocca a te! - Gli dissi.
Non rispose, anzi mi fece spallucce.
- Shhh! - Ripete Don Dino.
Un altra goccia cadde.
- Dai! Mi sto bruciando! - Gli dissi sottovoce avvicinandomi all’orecchio.
- Dopo! - Mi rispose sussurrando.
- Fai il bravo! - Mi ripete il prete apostrofandomi.
Gli sposi mi fissarono, non capendo bene cosa stava succedendo. 
Alla terza goccia che cadde non ci pensai un minuto di più, mi facevano veramente male le dita e così gli tirai il vero in testa.
Paolo pianse e la sposa svenne. Io alzando la veste scappai da tutte le parti.
- Tanto non mi prendete! Sghignazzai, ma mi senti prendere da un orecchio.
Era mio padre! 
- Sei sempre il solito, non puoi stare un po’ bravo! - Alzò la voce sgridandomi.
- È colpa sua! Non voleva darmi il cambio! - Puntai il dito contro il bambino.
- Chiedi scusa! - Mi gridò fuori di se.
- No! - A quella risposta mi tirò un forte scapaccione sul di dietro.
Mia madre mi guardò quasi piangendo ma non disse una parola.
Il prete ormai disperato gridò dal microfono.
- Fuori! - Gridò dalla rabbia.
Cosi c’è ne andammo e non mettemmo più piede in quella chiesa.










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