Croce e delizia

di Risa_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo ***
Capitolo 2: *** Il primo giorno di Vacanza ***



Capitolo 1
*** L'arrivo ***


Croce e delizia

 

 

L’arrivo

 
Il Viaggio sembrava non finire mai; era una serie infinita di strade tutte curve e tornanti immerse in distese di campi d’orzo e di ulivi, colline e pendii verdeggianti senza riuscire ad intravedere una casa abitata da uomini.  
«Guarda, Tobio-chan, le pecore!»
E sì, pecore e mucche a non finire.
Hajime guardò dallo specchietto retrovisore il bimbo sul seggiolone, ormai totalmente disinteressato al paesaggio, agli animali, perché l’unica cosa che desiderava era scendere, troppo stanco e stranito. Continuava a lamentarsi, ora perché aveva caldo, oppure sete, o gli scappava la pipì, -quando arriviamo papà? Manca molto? - e così via.
Nulla erano valsi i tentativi di distrazione di Toruu, perché davvero tutti e tre non ne potevano più.
Quell’estate avevano deciso di passare le vacanze estive non troppo lontano da casa, anziché al mare, avevano optato per una località termale immersa in campagna nei cui dintorni si potevano visitare molte città ricche di storia e di buon cibo.
No, non era andata così, non avevano deciso, piuttosto Toruu aveva messo su una lagna infinita per convincerlo a scegliere un luogo di villeggiatura da qualche parte che non fosse lo stesso villaggio turistico che frequentavano da ormai tre anni.
L’arrivo di Tobio aveva cambiato la loro vita radicalmente nelle abitudini, nelle cose da fare, nei ritmi; Avevano riassettato la loro vita a misura di bambino, di quel tesoro tanto desiderato che aveva reso la loro vita solo più ricca e piena.
Di sacrifici ne avevano fatti, e di nessuno se ne erano pentiti.  Avevano un sacco di progetti, per quando il loro figlio sarebbe stato più grande, ma per ora solo vacanze tranquille.
Toruu aveva trovato un appartamento in affitto grazie alla community di famiglie arcobaleno che frequentava. La possibilità di permettere a Tobio a di conoscere altre famiglie come la sua, quando a casa aveva ben poche occasioni, spinse Hajime ad accettare quella proposta.
 
 
Tuttavia non aveva idea che quel dannatissimo agriturismo fosse così fuori dal mondo!
Dopo un viaggio durato due ore era già mezz’ora buona che per cercare quell’appartamento, non vedevano altro che campi coltivati, e la sua pazienza iniziava ad esaurirsi.
«Non lo troveremo mai, pensiamo di accamparci in un fienile.»
Tobio rise, il suo compagno seduto accanto a lui non fu altrettanto divertito: «Che fesserie dici Iwa-chan?»
«Che probabilmente scemo come sei ti sei fatto fregare.»
«Cattivone…» cominciò a lamentarsi Toruu, poi però qualcosa attrasse la sua attenzione e con sguardo trionfante indicò un cartello, «eccolo! siamo arrivati!»
Iwazumi e Stupikawa felicemente sposati con un marmocchio pieno di moccoli nel sedile posteriore dell’auto verso una vacanza per famiglie felici, era il quadro più assurdo che avrebbe potuto immaginare di osservare.
Se un indovino gli avrebbe predetto un futuro così, probabilmente gli avrebbe riso in faccia e rivoluto i soldi in dietro. Invece quella era la sua vita, e non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo.
Amava Shittykawa da così tanto tempo che non sapeva dire quando aveva iniziato, niente avrebbe cambiato quel sentimento, nessuna lotta contro sé stesso avrebbe potuto vincere. Non centrava la pallavolo, l’essere cresciuti insieme o che fossero due opposti in tutto. Non era il karma o il destino. Non si erano scelti, ma le scelte compiute consapevolmente li aveva portati in quel preciso punto, perché era risaputo: “Delle strade che decidi di percorrere, conosci l’inizio ma non dove ti condurrà”.
Ma quanto doveva penare, solo Dio lo sapeva.
Erano partiti alle otto della mattina, ed erano arrivati alle tredici passate affamati come lupi. Tobio, appena sceso dall’auto, si era fatto prendere in braccio da Tooru, il quale non mancava mai di viziarlo e coccolarlo, benché poi passasse ore a bisticciarci, tanto che Hajime non riusciva a capire mai chi fosse il bambino in quel tafferuglio tra il padre o il figlio.
Tutte e due probabilmente.
A lui toccò le valigie, tre enormi valigie dal dubbio contenuto per quanto fossero pesanti anche da trascinare.
La prima donna, in quel momento impegnata a conversare amabilmente con la cinguettante proprietaria, aveva la mania di portarsi dietro un mucchio di roba inutile sostenendo che non erano degli incivili.
Perché, però, Tobio aveva una valigia gigante tutta per sé?
Hajime sudava sette camice trascinando i tre bagagli per le scale mentre sentiva Merdakawa filtrare con la signora del posto fin troppo compiaciuta.
«Eccoci! Questo è il vostro appartamento!» trillò allegra la signora.
«Lì c’è il frigo con dentro il latte, burro e un dolce per la prima colazione, che vi ricordo è compresa nel prezzo per l’intero soggiorno.» spiegò; aprì un’anta in cui erano contenute fette biscottate, biscotti secchi, e le marmellate, tutto rigorosamente sigillato.
Mentre parlava apriva i vari mobili e indicava il contenuto: «Da quest’altra parte, invece troverete pentole, piatti, bicchieri e tutto l’occorrente per cucinare.»
Era una stanza ampia e luminosa con le pareti dipinte di un colore caldo, un bel divano rosso e mobili di legno color caramello.
 Attraversarono la stanza per entrare nella camera: era divisa dalla cucina da una piccola zona notte oltrepassando un arco si trovava la stanza e il bagno.
 «la camera è pronta, la biancheria viene cambiata ogni settimana» spiegò la proprietaria aprendo la porta.
  C’era un grande letto e un lettino per Tobio, un armadio enorme e il comò di legno scuro; il bagno ampio e ristrutturato da poco: Le pareti erano ricoperte da mattonelle lunghe e strette bianche mentre quelle del pavimento avevo un rombo nero su sfondo bianco. Davanti la porta c’era il lavabo incastonato su un mobile di legno bianco con due casetti dai pomelli neri; sopra era posizionato un altro mobile quadrato con due ante con due vetri e due ripiani sottostanti; a sinistra un altro mobile alto e lungo, con specchio, a destra appendi asciugamano, e sotto un piccolo cestino di latta. La vasca era alla destra della porta, la finestra alta aveva un davanzale interno in cui era stata posta una bella pianta rampicante.
«Vi lascio ma se avete bisogno di me, chiamatemi per qualsiasi cosa.» esclamò prima di lasciarli.
Tobio aveva passato tutto il tempo stretto a Toruu con la testolina nascosta nel il incavo della sua spalla, sordo a tutti i complimenti dell’estranea.
«Che burbero che sei Tobio-chan, ogni tanto potresti essere più socievole.» affermò Oikawa baciandogli la testolina nera.
«No.» rispose il bambino scendendo dalle braccia del genitore, finalmente libero di guardarsi in torno e gironzolare felice di scoprire un posto nuovo.
 Hajime scoppiò a ridere guadagnandosi un’occhiataccia da parte del marito indispettito: «Non negare che il suo caratteraccio preoccupa anche te…» poi le sue labbra si piegarono in un sorrisetto impertinente: «beh, è colpa tua infondo, lo ha preso da te.»
«Aaah?! Non farmi incazzare…»
«Su, su… sistemiamo le valige e poi mangiamo!» esclamò allegramente Toruu guardandosi in torno in cerca di qualcosa, senza riuscire a trovarla.
Frugò fra le valige, tra le buste con i giocattoli e la borsa termica che avevano portato con loro. Haijime, spazientito gli chiese cosa diavolo stesse facendo, invece di aiutare lui a mettere in ordine.
«Cerco la valigia di Tobio-chan…»
«Non è una di queste tre?»
«Ma no, una è la tua, le altre due sono le mie. Quella di tuo figlio è quella con topolino.»
Iwazumi improvvisamente si ricordò di un trolley formato bimbo con un grosso topo sul da vanti incastrato in un angolo del bagagliaio, imprecò sonoramente e uscì ed andò verso l’automobile.
 
****
Impiegarono un altr’ora per disfare i bagagli, sistemare e mangiare, e riposarsi dal viaggio, poi finalmente erano pronti per andare alle terme e rilassarsi dopo una mattinata passata in viaggio. Per fare quello, però, bisognava rimettersi in macchina per raggiungere le terme situate vicino il piccolo centro della cittadina.
Così ripartirono.
Nella mente di Hajime le vacanze avevano un sapore dolce e fresco, fatte di relax e pace, non certo di fuoco e sudore.   
Dal sedile del guidatore scoccò un’occhiataccia a Merdakawa immerso in un lunghissimo monologo interiore, un flusso di coscienza interminabile – Oikawa adorava il suono della sua voce-  su quanto quei luoghi fossero affascinanti, impregnati di storia e mitologia.
Guardalo lì, sembra divertirsi lui, pensò stizzoso Hajime, è pieno di energie, come diavolo fa a non sudare?
Senza ammetterlo ad alta voce, quei luoghi erano davvero incantevoli; silenziosi, pieni di odori e profumi.  L’azzurro dell’orizzonte contrastava con le varie tonalità di verde degli alberi, col giallo dei campi di grano, e del marrone della terra bruciata dal sole.
«Il paesaggio ideale per un racconto di cavalieri magia e demoni!» esclamò infine pur di accaparrarsi l’attenzione di suo figlio, troppo annoiato dal viaggio di andata.
«Davvero papi? Me la racconti, papi, me la racconti?» saltellò da seggiolino dell’auto improvvisamente attento.
Tobio non era un bambino eccessivamente vivace, né troppo sorridente, al contrario, il broncio era la sua espressione di normalità. Era un bambino serio e scorbutico però ciò che gli piaceva veramente accendeva in lui una passione fuori dal comune.
«Mancherebbero le montagne fatate, però…» si lasciò scappare.
Toruu si grattò il mento pensieroso: «No, ma ci sono molte colline, ideali per costruire castelli fortificati, e verso ovest abbiamo il mare!» esclamò eccitato voltandosi verso i sedili posteriori per sorridere al loro prezioso bambino.
Quei discorsi ebbero il pregio di farli arrivare subito a destinazione, ma il primo problema che si presentò fu parcheggiare: era di domenica quando tutti desideravano passare una giornata rilassante a mollo e a prendere il sole.
Una gran fila di auto parcheggiate lungo la strada alla meno peggio arrivava fino alla strada principale, nonostante ci fosse un largo e polveroso parcheggio accanto all’entrata delle terme.  Non si trattava di uno stabilimento termale, ma delle piscine naturali a celo aperto: la zona era chiusa al traffico grazie ad una barra di ferro bianca e rossa, simile a quella dei passaggi a livelli.
Vicino all’entrata un bar ristoro in cui si poteva mangiare e bere: era costituita da una costruzione di legno, composta da tre vani che si affacciava sia dal lato della strada sia dal lato verso la piscina; una era la zona per prendere gelati, panini, stuzzichini vari, una era riservata alla caffetteria, e l’ultima era adibita a cucina, in cui i clienti prendevano le ordinazioni per i pasti caldi.  Tutto intorno alla casetta vi erano sedie e tavolini di acciaio, protetti da un tetto sorretto da colonne ricoperto di edera e di viti.
Il viottolo in terra battuta, pietroso in più in punti continuava fino ad allargarsi su uno spiazzo vicino alla parte più larga e ampia della sorgente di acqua termale; da quel punto potevano vedere la fenditura sulla collina da dove sgorgava l’acqua, questa scendendo verso la valle riempiva dei agglomerati rocciosi formando tante piccole vasche sovrapposte in cui l’acqua scorreva formando delle piccole cascate.
Le rive del lago erano affollate di gente, la maggior parte erano seduti a godersi il sole in acqua, altri arrostivano al sole distesi su asciugamani o su lettini pieghevoli.  Il rumore dell’acqua si confondeva con il chiacchiericcio e le risate della gente.  Una vivacità non invadente della quale non ci si poteva lamentare perché non era fastidiosa, eccessiva. Lì in mezzo era facile isolare ogni rumore e trovare il relax di cui si aveva bisogno.
Si dovettero arrampicare su un pendio roccioso prima di trovare un posticino all’ombra. Sistemarono bene asciugamani e zaini cercando di non lasciarli in bella vista mentre non potevano tenerli d’occhio.
«Perfetto, ora mettiamo tanta crema, mentre papino gonfia i braccioli!» esclamò Oikawa spremendo dal tubetto una generosa quantità di protezione solare.
Cosa ho fatto di male per meritarmi questo scemo?  Pensava Hajime mentre gonfiava i braccioli di suo figlio.
La verità è che lo ami più della tua stessa vita, e per lui sopporteresti qualsiasi cosa pur di appoggiarlo gli rispose il grillo nella sua testa.
La sua coscienza aveva ragione, ma lungi dal volerlo a mettere a sé stesso e men che mai ad alta voce, continuò a brontolare quasi per abitudine.
«Possiamo andare a fare il bagno, Tobio» disse Iwazumi, chiudendo il tappetto del secondo bracciolo che aveva finito di gonfiare.
«Aspetta,» lo fermò il marito mentre si stava spargendola crema sulla pelle già abbronzata, «dovresti mettere la protezione anche tu.»
«Non ne ho bisogno!» sbraitò l’altro, «che senso ha se andrà via con l’acqua?»
«Che uomo macho e rude, vero Tobio-chan?»
Il bambino sorrise e l’lanciò un’occhiata orgogliosa in direzione di Hajime: «il mio papà è il più forte del mondo!»
 Hajime prese la mano di suo figlio, non poco gongolante, ignorando deliberatamente il piagnucolio di Oikawa che li seguiva a ruota.   Si lamentava del fatto che anche lui era il suo papà fichissimo, però, a lui Tobio-chan non aveva mai detto nulla del genere.
«Ti voglio tanto bene anche a te, papi» esclamò allora il bimbo girandosi a guardare Toruu con qui occhioni blu così grandi che sembravano oceani senza fine.
Lo scemo smise di piangere per la frustrazione e passò direttamente alle lacrime di gioia, ma per fortuna di Iwazumi, riuscirono finalmente ad immergersi, e la discussione finì lì.
Hajime passò i braccioli a Tooru perché aiutasse Tobio a infilarli, così poterono finalmente immergere le membra stanche nelle acque calde della sorgente.
Iwa-chan chiuse gli occhi lasciandosi completamente immergere dal quel tepore, era un inaspettato sollievo dalla stanchezza accumulata durante il viaggio. Appoggiato su una grossa roccia spumosa e levigata dalla corrente, era teneramente cullato dalle risate di Tobio e Oikawa intenti a giocare più in là.
Poteva pur dire che ne era valsa la pena.
 
***
 
 
Invece, no, era solo una grossissima fregatura!  Perché mi sono lasciato convincere? era l’unico pensiero di Hajime, disteso sul letto, quasi ustionato dal sole.
Erano rientrati dopo aver passato il resto del pomeriggio a mollo in acqua.
«Smettila di brontolare Iwa chan,» gli fece notare Stupikawa mentre medicava la pelle scottata dal sole, «ti avevo detto di mettere la crema, ma tu non mi hai dato retta.»
«Non ho detto nulla!»
«I tuoi pensieri sono rumorosi.»
L’uomo disteso imprecò qualche impropero, sostenendo che non esistevano pensieri rumorosi. Però Toruu lo conosceva meglio di chiunque al mondo, sapeva interpretare i suoi silenzi, i suoi malumori come lui conosceva il vero significato dei suoi falsi sorrisi.
Erano talmente uniti che a volte si spaventava della simbiosi perfetta a cui erano arrivati dopo anni, di esperienze accumulate, erano un tutt’uno.
Ogni sguardo apparteneva all’altro come ogni altra attenzione, era esclusivamente per Toruu. Era il suo centro, e piuttosto di perderlo avrebbe preferito tagliarsi gambe e braccia, nonostante fosse vanesio e superficiale, pieno di cose stupide senza alcuna importanza. Ah! Quanto lo faceva arrabbiare! Così tanto da spaccargli la faccia, perché, beh, sapeva che era esattamente il contrario.
Conosceva bene la dedizione e il duro lavoro che Oikawa faceva ogni giorno per migliorarsi, quanto amore metteva nelle cose che amava davvero. Odiava vederlo fare lo scemo quando lui era tutt’altro che un idiota.
Era lì che si prendeva cura di lui, con sguardo concentrato, delicato per non fargli male: come sapeva essere generoso a volte, nessuno poteva eguagliarlo.
Era un essere umano così complicato e fragile, il suo Toruu, non poteva lasciarlo solo allo sbaraglio ma gli toccava prendersi cura di lui.
«Bene! Vedrai che starai meglio domani mattina!» esclamò Oikawa, «d’altronde le mie mani sono miracolose!»
 Iwazumi decise di zittirlo con un bacio, le botte potevano pure aspettare.
 

 

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Capitolo 2
*** Il primo giorno di Vacanza ***


Il primo giorno di Vacanza

 
 
Se il difetto più grande di quell'appartamento era la distanza dal centro, il suo pregio migliore era la quiete tipica della campagna. Un piccolo paradiso in mezzo al verde, all'ombra di grossi alberi posti davanti alla casa per coprire la vista dalla strada.
Hajime con la sua famiglia   stava comodamente seduto a fare colazione sulla terrazza, godendosi l’aria fresca del mattino.  Sorseggiava il caffè pigramente, guardando Tobio mangiare latte e cereali, con un cipiglio concentrato: il bambino cercava di prendere tutti i cereali rimasti con una sola cucchiaiata, senza però riuscirci.
Toruu era impegnato a leggere vari dépliant sulle mete da visitare, stranamente in silenzio, con gli occhiali dalla montatura quadrata e color oro in bilico sul naso.  Era bello Toruu, con quell'espressione seriosa, i capelli spettinati gli davano quell'aria da bambino troppo cresciuto. Nessuna immagine costruita al dettaglio, niente cerimonie inutili, solo e semplicemente Oikawa, come quando erano bambini senza segreti a dividerli.  Non c’erano cose non dette tra loro, in vero, era lo stesso Shittykawa il mistero più grande per lui; era la persona con i suoi minacciosi demoni interiori che spesso nascondeva: la sua ambizione e l’infantile terrore di non aver abbastanza talento per riuscire a raggiungere i suoi obiettivi, lo portavano a commettere azioni assurde ed incomprensibili o l’ottusità nel non voler comprendere principi  basilari come “La squadra più forte  non è quella con il giocatore migliore ma quella con i sei giocatori più forti”.
Altrimenti, non esisteva una sola cosa che Oikawa Toruu poteva pensare di riuscire a nascondere a Iwazumi Hajime. 
Iwa-chan appoggiò la tazzina sul piattino prima di stendersi sullo schienale della sedia godendosi la pace che c’era in quella mattina estiva; ma fu solo un attimo passeggero come una pausa prima della tempesta.
Dall’appartamento del piano inferiore arrivò un trambusto infernale: voci sguaiate che si sovrapponevano l’una con l’altra, il pianto di un bambino e altri rumori di sottofondo non identificabili. Sembrava che dentro l’appartamento ci fosse un numero spropositato di gente oppure una mandria di animali
Sconcertante fu scoprire che a fare quel macello era una famiglia con bambini come la loro.

«Masazumi, Aki smettetela di litigare! Avete spaventato Nori…» urlò qualcuno sopra ogni altro rumore peggio di una Banshee con il mal di gola, «non piangere tesoro, mamma è qui…» continuò non contenta del casino che i suoi figli già stavano facendo, che nemmeno un concerto Rock avrebbe potuto eguagliare.
«Fumi ti vuoi alzare da quel maledettissimo letto!!» chiamò la voce con quanto fiato aveva pur di sovrastare il baccano di quei marmocchi.

Kami, per favore, ti prego…  Hajime si mise a pregare mentalmente, sperando in vano che fossero in partenza, che fosse un’allucinazione o uno scherzo, o qualsiasi cosa purché tutto finisse lì.

«Cosa diavolo sta succedendo?» si inserì una terza voce assonnata, la quale sembrava venire da un altro pianeta oppure fosse sorda tanto da non essere riuscita ad accorgersi del finimondo che accadeva a pochi metri da lei.
Tobio dallo spavento si era accucciato sotto il tavolo, aggrappandosi alla sua gamba non contento quanto lui dei loro vicini.
 Anche Toruu aveva sollevato il volto dal libricino con sguardo sorpreso; si sistemò gli occhiali sul naso diritto e fine, un attimo dopo sorrise allegro: «Che bello, potremo fare amicizia con qualcuno di simpatico!»

«Non dirai sul serio, spero?!»
 
Domanda sbagliata alla persona sbagliata, perché Toruu si alzò e si affacciò sorridendo alle persone sottostanti: «Buon giorno vicini!»

«Oh! Buon giorno! Stiamo facendo un macello, vi abbiamo disturbato?» sentì dire la voce.

«Ma no, tranquilla!  dammi pure del tu,» replicò Oikawa, «mi chiamo Toruu, piacere di fare la tua conoscenza!» si presentò con affascinante affabilità, centrando il bersaglio.
Una risatina compiaciuta sprizzò dalla gola della banshee: «Mi chiamo Noriko, piacere mio!»
 
Addio pace, addio…
Iwazumi si trovò trascinato in convenevoli, chiacchiere e presentazioni di cui avrebbe fatto benissimo a meno. Se ne stava a braccia conserte cercando disperatamente di distrarsi con il panorama, pur di non risultare sgarbato e scortese o ne avrebbe pagato le conseguenze fino a data da destinarsi.  Concretamente per l’eternità.
Noriko era una ragazza alta dai capelli lunghi e scuri, gli occhi da cerbiatto, mentre sua moglie Fumi era un tipetto minuto dai folti ricci biondi e due occhi azzurri; Avevano tre figli, Masazumi 10 anni, Aki di otto e per ultima Nori di 9 mesi.
La bambina saltellava allegra fra le braccia di Toruu affascinata anche lei dai modi gentili di quel demone demente per cui nessuna donna riusciva a vedere la sua reale faccia. Tobio non sembrava prendere molto bene la presenza dell’intrusa estranea. Lanciava occhiate torve alla bimba rimanendo sempre aggrappato ai pantaloni dell’alzatore.

«Siamo arrivati ieri pomeriggio. Abbiamo fatto già un salto alle terme ieri, stamattina avevamo intenzione di fare un giro in torno, voi che programmi avete?»

«ah! Non abbiamo ancora deciso, sapete, con tre bambini non…Masazumi, non dare fastidio a tuo fratello!»

«Non gli ho fatto nulla, è lui che ha cominciato!»

«Non m’importa, smettetela tutti e due!»

Toruu continuava sorridere eppure era evidente come la situazione fosse ingestibile, imperterrito aveva preso la ferrea decisione di fare amicizia con quella famiglia scalmanata, elevandola a compagni di vacanza per il resto del soggiorno.  Invitò le due ragazze a cenare insieme quella sera ad un ristorante del paese.

«Che bella idea! C’è anche un parco giochi, con macchinine, mini golf, e altri giochi per i bambini, potremmo andare insieme, no?» esclamò Fumi.

Non vedo l’ora!  Pensò Hajime senza osare pronunciare parola, pessimo con le bugie sarebbe trapelato il suo malcontento. Rimasero d’accordo di ritrovarsi fuori dal agriturismo per l’ora di cena. Le ragazze avrebbero pensato a prenotare in un buon ristorante.
 
 
***
 
La meta scelta fu Sagara una bellissima città antica arroccata su un’altura per sovrastare la vallata circostante; era principalmente conosciuta per il castello medioevale del vecchio centro cittadino.  Fatto di roccia e legno, aveva al suo interno bellissimi giardini, e una vasta collezione di mobili antichi.  Al suo interno, invece, era visitabile l’armeria in cui venivano conservate armi di varie epoche.
Manco a farlo a posta la parte nuova della città aveva un ricco assortimento di negozi per spolpare turisti sempre troppo solerti nel buttare via il denaro faticosamente guadagnato in un anno di duro lavoro.
Toruu Oikawa rientrava perfettamente in questa categoria di persone.
Dopo la visita al castello, Iwazumi e Tobio furono trascinati al centro per negozi: ne visitarono un numero spropositato, tra outlet, grift famose, profumerie.
L’idiota era estremamente vanitoso e attentissimo sia al suo aspetto sia nei modi di comportarsi.  Era maniacale fin dalla preparazione; ore impiegate per sistemare i capelli o anche solo per scegliere cosa indossare, come abbinarlo.
Era accattivante e brillante, ma era anche un grandissimo stronzo. Sapeva essere terrificante e meschino.  Era intelligente e astuto; era un asso a comprendere le persone individuando sia i punti di forza sia le debolezze. Chiunque lo conosceva davvero faticava a volerlo come amico, benché fosse solo una provocazione. Toruu era una di quelle persone capaci di tirare fuori il meglio negli altri, a far emergere il massimo potenziale delle persone che aveva intorno.  Nel momento in cui qualcuno guadagnava la sua lealtà, quella era assoluta.
Dietro quell’apparente superficialità si nascondeva una forte insicurezza, sempre dissimulata da un atteggiamento frivolo e indisponente.
Quando amava, tuttavia, lo faceva con tutto sé stesso.
 
Erano entrati da Macy’s store e in quel momento Tobio era nelle grinfie di Toruu perché provasse anche lui l’ebrezza dello shopping compulsivo. L'attività non sembrava riuscire a cogliere l’interesse del bambino, anzi, sembrava sul punto di scoppiare in una crisi isterica.

«Non fare i capricci, Tobio-chan!» esclamò un esasperato Shittykawa.

«No! Voglio andare via, ho fame, papi!» rispose testardo il figlio.

«Lo so, amore mio. Ti prometto che facciamo presto,» Oikawa sorrideva accarezzando la testa di Tobio, «provi solo questo giacchetto perché quello che hai non ti entra più, ormai sei un bimbo grande!»
Il complimento sortì l’effetto sperato perché il bambino acconsentì a provare l’indumento incriminato.
Sicuramente l’alzatore ci sapeva fare molto di più di Hajime con i bambini: sapeva persuadere Tobio ad andare a letto, fare il bagno, convincerlo a mettere a posto i giochi o qualsiasi altra cosa.
Takeru, sosteneva, era stato un banco di prova importantissimo: «Tobio a confronto non è nulla, sai? È molto obbediente ed assennato.»

Uscirono dal negozio con il portafoglio sensibilmente più vuoto, diretti verso una tavola calda qualsiasi per pranzare.
Raggiunsero una piazza circolare abbastanza grande, con una fontana al centro che zampillava acqua azzurra.  Era una zona ricca di localini con i tavoli coperti da tovaglie a quadretti posti all'esterno protetti dal sole da tendoni o con vere e proprie verande in legno.  C’erano anche pizzerie, fast food, bar e gelaterie.

«Papà, guarda i piccioni! Possiamo dargli da mangiare?» chiese Tobio indicando con la piccola manina uno stormo che sostava sul terreno.
Hajime stava per rispondergli che era meglio di no, quando si accorse che Oikawa era rimasto in palato qualche metro più in giù ad osservare un punto fisso sulla sua spalla destra.
Perché rimane impalato? Che gli è preso?  Si chiese mentalmente Iwazumi, tornando suoi passi. Chiamò un paio di volte il compagno, ma non ebbe risposta: «Oi! Ti vuoi dare una mossa?»
Stava ormai per spazientirsi quando quel deficiente lo degnò di una risposta penosa: «E’ una camicia di Hermès, ti rendi conto?»

Uh? 
Stava per chiedergli cosa stesse blaterando quando gli occhi verdi del ragazzo focalizzarono quale fosse il problema: c’era un enorme macchia sulla camicia di Shittykawa provocata da un piccione che aveva deciso di liberarsi proprio nel punto in cui sotto c’era il marito.  
Toruu non la smetteva di piagnucolare sul ormai rovinato capo firmato.

«Al diavolo la camicia di Hermès, chi se ne frega, smettila di frignare!»

«Perché non sai quanto ci è costata…»

Registrò quella risposta con qualche secondo di ritardo, poi, Hajime alzò una mano in segno di resa: «No, non voglio saperlo.»

Nel frattempo Tobio, piccolo demonio, non la smetteva di ridere; trovava quella scena tremendamente divertente.
 
Dopo l’incidente “cacca di piccione” la giornata proseguì liscia come l’olio, fecero una bella passeggiata in un bellissimo parco attrezzato con tante attività per bambini, mangiarono un gelato prima di rimettersi in auto per tornare al loro appartamento.
Hajime non aveva dimenticato l’appuntamento che avevano preso con la famiglia del piano di sotto: non ne aveva nessuna voglia, tanto più dopo aver litigato con Toruu a riguardo alla montagna di vestiti che aveva acquistato.
Era vero, c’era anche lui; era lì con il corpo, fermo in mobile cambiando ogni tanto posizione, sperando che l’altro finisse in fretta. Non c’era davvero con la testa, lui odiava lo shopping, odiava le commesse invadenti, odiava passare ore per capire se scegliere un pantalone coloro cachi oppure color melanzana.
Secondo Iwazumi non c’era molta differenza, non andava per il sottile, sceglieva velocemente lo stretto indispensabile per poi fuggire. La verità era che quei posti lo mettevano a disagio.
 Ad ogni modo, non aveva fatto caso al contenuto delle buste che il compagno aveva in mano, almeno solo giunti a casa, quando per caso aveva buttato l’occhio dentro i sacchetti.

«Non mi va di continuare questa discussione, Iwa-chan. Prepariamoci o faremo aspettare i nostri nuovi amici.»
La parola amici è quanto mai esagerata   fu la risposta che l’asso non pronunciò.

Alle otto precise trovarono Fumi e Noriko ad attenderli con le loro adorabili pesti per raggiungere il ristorante prenotato dalle due donne la stessa mattina.
 
***
 
Dall’esterno il ristorante aveva un bell’aspetto, curato e ordinato, malgrado fosse già pieno di clienti. Si sedettero al loro tavolo, scelsero quello che volevano dal menu, poco dopo ordinarono.
Toruu chiacchierava amabilmente con le mamme contrariamente dal compagno e dal figlio; Tobio e Hajime erano muti come tombe, quasi non si muovevano. Il primo non aveva nessun’intenzione di stringere amicizia con gli altri bambini, mentre Iwazumi preferiva lasciar parlare il suo compagno, poiché da sempre poco interessato alle chiacchiere inutili.
 Oikawa era bravissimo a far conversazione, le due donne lo guardavano incantate, le faceva ridere, le lusingava; discussero della loro giornata, da dove venivano, quale lavoro svolgevano.

«Fumi-chan possiede un negozio di fiori! È un’esperta di Ikebana, le sue sono opere d'arte,» raccontava sua moglie con un luccichio negli occhi molto famigliare a Hajime, «Io invece faccio la contabile in una azienda…» continuò.

Più il tempo passava più la conversazione si spostava su argomenti più personali, come il loro coming out, il modo in cui si erano conosciuti, il matrimonio e la nascita dei bambini.
Noriko e Fumi si erano sposate molto giovani; dopo aver lasciato la loro casa e gli studi avevano deciso di mettere su una famiglia loro perché non ne avevano più una. Toruu fu colpito da questo fatto, quasi ferito nel personale: sapere che ci fossero genitori incapaci di accettare i loro figli, per ciò che erano, lo rendeva triste.
Ma questo lo sapeva solo il suo asso.

«Un nostro amico ha donato lo sperma perché sapeva quanto era importante per noi avere dei bambini».

Noriko annuì sorridendo raggiante: «Ce lo ha proposto lui, è stato un gesto bellissimo e non saremo mai abbastanza riconoscenti.»«Qual è stata la vostra esperienza?» chiese allora Fumi allegra.

Iwazumi guardò il ragazzo accanto a lui appoggiare le braccia sul tavolo, mettersi le mani sotto il mento prima di rispondere con un dolce sorriso: «C’era una volta…»
 

 Note

Buona sera cari lettori e lettrici... No vabbè così sembro del tutto scema. Ricominciamo. Buon salve!  Sono felice di annunciare il secondo capitolo di "Crocie e Delizia". E' stato come un parto podalico, uno di quelli difficili, ma sono soddisfatta. Il che non è una buona notizia! :P
Veniamo alle notizie importanti, si fa per dire: i luoghi qui citati sono del tutto inventati.  Come per la fanfiction " Fa che  un ramo ne adotti un altro" ho deciso di ambientare questo racconto in universo neutro, totalmente di fantasia. In realtà ciò che lo ha inspirato è stato un mio breve soggiorno a Satrunia in Toscana.  Fin da subito  ero indecisa se ambientarlo in Italia - quindi fare viaggiare la nostra insolita famiglia fino in Italia- oppure nel Sol levante. Siccome, tra i due litiganti il terzo gode, ho optato per un luogo di fantasia. 
Mi sono impegnata, per entrambi i capitoli ( e contiunerò a farlo con il terzo)  nell'accuratezza, sia  dello stile  sia  della trama: non so se ci sono riuscita, la sentenza finale è la vostra.
a presto
Risa

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