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Autore: Risa_chan    21/10/2017    1 recensioni
Amava Shittykawa da così tanto tempo che non sapeva dire quando aveva iniziato, niente avrebbe cambiato quel sentimento, nessuna lotta contro sé stesso avrebbe potuto vincere. Non centrava la pallavolo, l’essere cresciuti insieme o che fossero due opposti in tutto. Non era il karma o il destino. Non si erano scelti, ma le scelte compiute consapevolmente li aveva portati in quel preciso punto, perché era risaputo: “Delle strade che decidi di percorrere, conosci l’inizio ma non dove ti condurrà”.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Haikyuu!! AU Fest'
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Croce e delizia

 

 

L’arrivo

 
Il Viaggio sembrava non finire mai; era una serie infinita di strade tutte curve e tornanti immerse in distese di campi d’orzo e di ulivi, colline e pendii verdeggianti senza riuscire ad intravedere una casa abitata da uomini.  
«Guarda, Tobio-chan, le pecore!»
E sì, pecore e mucche a non finire.
Hajime guardò dallo specchietto retrovisore il bimbo sul seggiolone, ormai totalmente disinteressato al paesaggio, agli animali, perché l’unica cosa che desiderava era scendere, troppo stanco e stranito. Continuava a lamentarsi, ora perché aveva caldo, oppure sete, o gli scappava la pipì, -quando arriviamo papà? Manca molto? - e così via.
Nulla erano valsi i tentativi di distrazione di Toruu, perché davvero tutti e tre non ne potevano più.
Quell’estate avevano deciso di passare le vacanze estive non troppo lontano da casa, anziché al mare, avevano optato per una località termale immersa in campagna nei cui dintorni si potevano visitare molte città ricche di storia e di buon cibo.
No, non era andata così, non avevano deciso, piuttosto Toruu aveva messo su una lagna infinita per convincerlo a scegliere un luogo di villeggiatura da qualche parte che non fosse lo stesso villaggio turistico che frequentavano da ormai tre anni.
L’arrivo di Tobio aveva cambiato la loro vita radicalmente nelle abitudini, nelle cose da fare, nei ritmi; Avevano riassettato la loro vita a misura di bambino, di quel tesoro tanto desiderato che aveva reso la loro vita solo più ricca e piena.
Di sacrifici ne avevano fatti, e di nessuno se ne erano pentiti.  Avevano un sacco di progetti, per quando il loro figlio sarebbe stato più grande, ma per ora solo vacanze tranquille.
Toruu aveva trovato un appartamento in affitto grazie alla community di famiglie arcobaleno che frequentava. La possibilità di permettere a Tobio a di conoscere altre famiglie come la sua, quando a casa aveva ben poche occasioni, spinse Hajime ad accettare quella proposta.
 
 
Tuttavia non aveva idea che quel dannatissimo agriturismo fosse così fuori dal mondo!
Dopo un viaggio durato due ore era già mezz’ora buona che per cercare quell’appartamento, non vedevano altro che campi coltivati, e la sua pazienza iniziava ad esaurirsi.
«Non lo troveremo mai, pensiamo di accamparci in un fienile.»
Tobio rise, il suo compagno seduto accanto a lui non fu altrettanto divertito: «Che fesserie dici Iwa-chan?»
«Che probabilmente scemo come sei ti sei fatto fregare.»
«Cattivone…» cominciò a lamentarsi Toruu, poi però qualcosa attrasse la sua attenzione e con sguardo trionfante indicò un cartello, «eccolo! siamo arrivati!»
Iwazumi e Stupikawa felicemente sposati con un marmocchio pieno di moccoli nel sedile posteriore dell’auto verso una vacanza per famiglie felici, era il quadro più assurdo che avrebbe potuto immaginare di osservare.
Se un indovino gli avrebbe predetto un futuro così, probabilmente gli avrebbe riso in faccia e rivoluto i soldi in dietro. Invece quella era la sua vita, e non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo.
Amava Shittykawa da così tanto tempo che non sapeva dire quando aveva iniziato, niente avrebbe cambiato quel sentimento, nessuna lotta contro sé stesso avrebbe potuto vincere. Non centrava la pallavolo, l’essere cresciuti insieme o che fossero due opposti in tutto. Non era il karma o il destino. Non si erano scelti, ma le scelte compiute consapevolmente li aveva portati in quel preciso punto, perché era risaputo: “Delle strade che decidi di percorrere, conosci l’inizio ma non dove ti condurrà”.
Ma quanto doveva penare, solo Dio lo sapeva.
Erano partiti alle otto della mattina, ed erano arrivati alle tredici passate affamati come lupi. Tobio, appena sceso dall’auto, si era fatto prendere in braccio da Tooru, il quale non mancava mai di viziarlo e coccolarlo, benché poi passasse ore a bisticciarci, tanto che Hajime non riusciva a capire mai chi fosse il bambino in quel tafferuglio tra il padre o il figlio.
Tutte e due probabilmente.
A lui toccò le valigie, tre enormi valigie dal dubbio contenuto per quanto fossero pesanti anche da trascinare.
La prima donna, in quel momento impegnata a conversare amabilmente con la cinguettante proprietaria, aveva la mania di portarsi dietro un mucchio di roba inutile sostenendo che non erano degli incivili.
Perché, però, Tobio aveva una valigia gigante tutta per sé?
Hajime sudava sette camice trascinando i tre bagagli per le scale mentre sentiva Merdakawa filtrare con la signora del posto fin troppo compiaciuta.
«Eccoci! Questo è il vostro appartamento!» trillò allegra la signora.
«Lì c’è il frigo con dentro il latte, burro e un dolce per la prima colazione, che vi ricordo è compresa nel prezzo per l’intero soggiorno.» spiegò; aprì un’anta in cui erano contenute fette biscottate, biscotti secchi, e le marmellate, tutto rigorosamente sigillato.
Mentre parlava apriva i vari mobili e indicava il contenuto: «Da quest’altra parte, invece troverete pentole, piatti, bicchieri e tutto l’occorrente per cucinare.»
Era una stanza ampia e luminosa con le pareti dipinte di un colore caldo, un bel divano rosso e mobili di legno color caramello.
 Attraversarono la stanza per entrare nella camera: era divisa dalla cucina da una piccola zona notte oltrepassando un arco si trovava la stanza e il bagno.
 «la camera è pronta, la biancheria viene cambiata ogni settimana» spiegò la proprietaria aprendo la porta.
  C’era un grande letto e un lettino per Tobio, un armadio enorme e il comò di legno scuro; il bagno ampio e ristrutturato da poco: Le pareti erano ricoperte da mattonelle lunghe e strette bianche mentre quelle del pavimento avevo un rombo nero su sfondo bianco. Davanti la porta c’era il lavabo incastonato su un mobile di legno bianco con due casetti dai pomelli neri; sopra era posizionato un altro mobile quadrato con due ante con due vetri e due ripiani sottostanti; a sinistra un altro mobile alto e lungo, con specchio, a destra appendi asciugamano, e sotto un piccolo cestino di latta. La vasca era alla destra della porta, la finestra alta aveva un davanzale interno in cui era stata posta una bella pianta rampicante.
«Vi lascio ma se avete bisogno di me, chiamatemi per qualsiasi cosa.» esclamò prima di lasciarli.
Tobio aveva passato tutto il tempo stretto a Toruu con la testolina nascosta nel il incavo della sua spalla, sordo a tutti i complimenti dell’estranea.
«Che burbero che sei Tobio-chan, ogni tanto potresti essere più socievole.» affermò Oikawa baciandogli la testolina nera.
«No.» rispose il bambino scendendo dalle braccia del genitore, finalmente libero di guardarsi in torno e gironzolare felice di scoprire un posto nuovo.
 Hajime scoppiò a ridere guadagnandosi un’occhiataccia da parte del marito indispettito: «Non negare che il suo caratteraccio preoccupa anche te…» poi le sue labbra si piegarono in un sorrisetto impertinente: «beh, è colpa tua infondo, lo ha preso da te.»
«Aaah?! Non farmi incazzare…»
«Su, su… sistemiamo le valige e poi mangiamo!» esclamò allegramente Toruu guardandosi in torno in cerca di qualcosa, senza riuscire a trovarla.
Frugò fra le valige, tra le buste con i giocattoli e la borsa termica che avevano portato con loro. Haijime, spazientito gli chiese cosa diavolo stesse facendo, invece di aiutare lui a mettere in ordine.
«Cerco la valigia di Tobio-chan…»
«Non è una di queste tre?»
«Ma no, una è la tua, le altre due sono le mie. Quella di tuo figlio è quella con topolino.»
Iwazumi improvvisamente si ricordò di un trolley formato bimbo con un grosso topo sul da vanti incastrato in un angolo del bagagliaio, imprecò sonoramente e uscì ed andò verso l’automobile.
 
****
Impiegarono un altr’ora per disfare i bagagli, sistemare e mangiare, e riposarsi dal viaggio, poi finalmente erano pronti per andare alle terme e rilassarsi dopo una mattinata passata in viaggio. Per fare quello, però, bisognava rimettersi in macchina per raggiungere le terme situate vicino il piccolo centro della cittadina.
Così ripartirono.
Nella mente di Hajime le vacanze avevano un sapore dolce e fresco, fatte di relax e pace, non certo di fuoco e sudore.   
Dal sedile del guidatore scoccò un’occhiataccia a Merdakawa immerso in un lunghissimo monologo interiore, un flusso di coscienza interminabile – Oikawa adorava il suono della sua voce-  su quanto quei luoghi fossero affascinanti, impregnati di storia e mitologia.
Guardalo lì, sembra divertirsi lui, pensò stizzoso Hajime, è pieno di energie, come diavolo fa a non sudare?
Senza ammetterlo ad alta voce, quei luoghi erano davvero incantevoli; silenziosi, pieni di odori e profumi.  L’azzurro dell’orizzonte contrastava con le varie tonalità di verde degli alberi, col giallo dei campi di grano, e del marrone della terra bruciata dal sole.
«Il paesaggio ideale per un racconto di cavalieri magia e demoni!» esclamò infine pur di accaparrarsi l’attenzione di suo figlio, troppo annoiato dal viaggio di andata.
«Davvero papi? Me la racconti, papi, me la racconti?» saltellò da seggiolino dell’auto improvvisamente attento.
Tobio non era un bambino eccessivamente vivace, né troppo sorridente, al contrario, il broncio era la sua espressione di normalità. Era un bambino serio e scorbutico però ciò che gli piaceva veramente accendeva in lui una passione fuori dal comune.
«Mancherebbero le montagne fatate, però…» si lasciò scappare.
Toruu si grattò il mento pensieroso: «No, ma ci sono molte colline, ideali per costruire castelli fortificati, e verso ovest abbiamo il mare!» esclamò eccitato voltandosi verso i sedili posteriori per sorridere al loro prezioso bambino.
Quei discorsi ebbero il pregio di farli arrivare subito a destinazione, ma il primo problema che si presentò fu parcheggiare: era di domenica quando tutti desideravano passare una giornata rilassante a mollo e a prendere il sole.
Una gran fila di auto parcheggiate lungo la strada alla meno peggio arrivava fino alla strada principale, nonostante ci fosse un largo e polveroso parcheggio accanto all’entrata delle terme.  Non si trattava di uno stabilimento termale, ma delle piscine naturali a celo aperto: la zona era chiusa al traffico grazie ad una barra di ferro bianca e rossa, simile a quella dei passaggi a livelli.
Vicino all’entrata un bar ristoro in cui si poteva mangiare e bere: era costituita da una costruzione di legno, composta da tre vani che si affacciava sia dal lato della strada sia dal lato verso la piscina; una era la zona per prendere gelati, panini, stuzzichini vari, una era riservata alla caffetteria, e l’ultima era adibita a cucina, in cui i clienti prendevano le ordinazioni per i pasti caldi.  Tutto intorno alla casetta vi erano sedie e tavolini di acciaio, protetti da un tetto sorretto da colonne ricoperto di edera e di viti.
Il viottolo in terra battuta, pietroso in più in punti continuava fino ad allargarsi su uno spiazzo vicino alla parte più larga e ampia della sorgente di acqua termale; da quel punto potevano vedere la fenditura sulla collina da dove sgorgava l’acqua, questa scendendo verso la valle riempiva dei agglomerati rocciosi formando tante piccole vasche sovrapposte in cui l’acqua scorreva formando delle piccole cascate.
Le rive del lago erano affollate di gente, la maggior parte erano seduti a godersi il sole in acqua, altri arrostivano al sole distesi su asciugamani o su lettini pieghevoli.  Il rumore dell’acqua si confondeva con il chiacchiericcio e le risate della gente.  Una vivacità non invadente della quale non ci si poteva lamentare perché non era fastidiosa, eccessiva. Lì in mezzo era facile isolare ogni rumore e trovare il relax di cui si aveva bisogno.
Si dovettero arrampicare su un pendio roccioso prima di trovare un posticino all’ombra. Sistemarono bene asciugamani e zaini cercando di non lasciarli in bella vista mentre non potevano tenerli d’occhio.
«Perfetto, ora mettiamo tanta crema, mentre papino gonfia i braccioli!» esclamò Oikawa spremendo dal tubetto una generosa quantità di protezione solare.
Cosa ho fatto di male per meritarmi questo scemo?  Pensava Hajime mentre gonfiava i braccioli di suo figlio.
La verità è che lo ami più della tua stessa vita, e per lui sopporteresti qualsiasi cosa pur di appoggiarlo gli rispose il grillo nella sua testa.
La sua coscienza aveva ragione, ma lungi dal volerlo a mettere a sé stesso e men che mai ad alta voce, continuò a brontolare quasi per abitudine.
«Possiamo andare a fare il bagno, Tobio» disse Iwazumi, chiudendo il tappetto del secondo bracciolo che aveva finito di gonfiare.
«Aspetta,» lo fermò il marito mentre si stava spargendola crema sulla pelle già abbronzata, «dovresti mettere la protezione anche tu.»
«Non ne ho bisogno!» sbraitò l’altro, «che senso ha se andrà via con l’acqua?»
«Che uomo macho e rude, vero Tobio-chan?»
Il bambino sorrise e l’lanciò un’occhiata orgogliosa in direzione di Hajime: «il mio papà è il più forte del mondo!»
 Hajime prese la mano di suo figlio, non poco gongolante, ignorando deliberatamente il piagnucolio di Oikawa che li seguiva a ruota.   Si lamentava del fatto che anche lui era il suo papà fichissimo, però, a lui Tobio-chan non aveva mai detto nulla del genere.
«Ti voglio tanto bene anche a te, papi» esclamò allora il bimbo girandosi a guardare Toruu con qui occhioni blu così grandi che sembravano oceani senza fine.
Lo scemo smise di piangere per la frustrazione e passò direttamente alle lacrime di gioia, ma per fortuna di Iwazumi, riuscirono finalmente ad immergersi, e la discussione finì lì.
Hajime passò i braccioli a Tooru perché aiutasse Tobio a infilarli, così poterono finalmente immergere le membra stanche nelle acque calde della sorgente.
Iwa-chan chiuse gli occhi lasciandosi completamente immergere dal quel tepore, era un inaspettato sollievo dalla stanchezza accumulata durante il viaggio. Appoggiato su una grossa roccia spumosa e levigata dalla corrente, era teneramente cullato dalle risate di Tobio e Oikawa intenti a giocare più in là.
Poteva pur dire che ne era valsa la pena.
 
***
 
 
Invece, no, era solo una grossissima fregatura!  Perché mi sono lasciato convincere? era l’unico pensiero di Hajime, disteso sul letto, quasi ustionato dal sole.
Erano rientrati dopo aver passato il resto del pomeriggio a mollo in acqua.
«Smettila di brontolare Iwa chan,» gli fece notare Stupikawa mentre medicava la pelle scottata dal sole, «ti avevo detto di mettere la crema, ma tu non mi hai dato retta.»
«Non ho detto nulla!»
«I tuoi pensieri sono rumorosi.»
L’uomo disteso imprecò qualche impropero, sostenendo che non esistevano pensieri rumorosi. Però Toruu lo conosceva meglio di chiunque al mondo, sapeva interpretare i suoi silenzi, i suoi malumori come lui conosceva il vero significato dei suoi falsi sorrisi.
Erano talmente uniti che a volte si spaventava della simbiosi perfetta a cui erano arrivati dopo anni, di esperienze accumulate, erano un tutt’uno.
Ogni sguardo apparteneva all’altro come ogni altra attenzione, era esclusivamente per Toruu. Era il suo centro, e piuttosto di perderlo avrebbe preferito tagliarsi gambe e braccia, nonostante fosse vanesio e superficiale, pieno di cose stupide senza alcuna importanza. Ah! Quanto lo faceva arrabbiare! Così tanto da spaccargli la faccia, perché, beh, sapeva che era esattamente il contrario.
Conosceva bene la dedizione e il duro lavoro che Oikawa faceva ogni giorno per migliorarsi, quanto amore metteva nelle cose che amava davvero. Odiava vederlo fare lo scemo quando lui era tutt’altro che un idiota.
Era lì che si prendeva cura di lui, con sguardo concentrato, delicato per non fargli male: come sapeva essere generoso a volte, nessuno poteva eguagliarlo.
Era un essere umano così complicato e fragile, il suo Toruu, non poteva lasciarlo solo allo sbaraglio ma gli toccava prendersi cura di lui.
«Bene! Vedrai che starai meglio domani mattina!» esclamò Oikawa, «d’altronde le mie mani sono miracolose!»
 Iwazumi decise di zittirlo con un bacio, le botte potevano pure aspettare.
 

 
   
 
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