Dalia

di lagertha95
(/viewuser.php?uid=986711)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto Primo: Come tutto è iniziato ***
Capitolo 2: *** Atto Secondo: Come tutto si è svolto ***
Capitolo 3: *** Atto terzo: Come tutto si è concluso ***



Capitolo 1
*** Atto Primo: Come tutto è iniziato ***


Salve a tutti/e! 
Sono Lagherta e questa è un'originale frutto di un vaggio nella memoria. Volendo potrebbe essere un What if? della mia vita, ma lasciamo perdere questo aspetto della storia.
Leggete e fatemi sapere, se vi va, che cosa ne pensate. 
Come ho detto, saranno tre atti.
Spero che vi piaccia!
Baci, Lagherta :*

 


Atto Primo
Come tutto è iniziato


 

Avevo 11 anni quando ho incontrato Rafael. Era il primo giorno di scuola e io ero arrivata per prima, sedendomi in un banco vicino alla finestra, in seconda fila. Rafael era arrivato per ultimo e il posto accanto a me era rimasto l'unico libero. Io non avevo amici, in quella classe, e lui neanche: eravamo soli e come tali ci siamo riconosciuti.

All'inizio erano solo poche parole scambiate sottovoce durante le lezioni. Poi erano diventati bigliettini passati sottobanco e scambi di merende, sorrisi complici e parole sussurrate all'orecchio.

Alla fine del primo anno delle medie eravamo diventati migliori amici, inseparabili. Ci prendevano in giro, perché eravamo un maschio e una femmina, dicevano che eravamo fidanzati, ma noi non davamo peso a quelle voci. Nessuno poteva capire quello che c'era tra noi e sinceramente non ci interessava quel che dicevano. Passammo l'estate lontani, ma ci sentivamo ogni giorno.

A settembre a me erano spuntate le tette e le mie forme si erano ammorbidite: dall'essere alta e magra e con i capelli corti ero diventata una ragazzina alta, con fianchi dolci e seno pronunciato. Anche i tratti del viso si erano ammorbiditi.
Rafael aveva guadagnato una ventina di centimetri in altezza e se fino a giugno in altezza lo superavo, a fine estate mi trovavo una decina di centimetri più in basso.
Il cambiamento fisico, almeno inizialmente, non aveva rappresentato un problema, ma evidentemente agli occhi degli altri era stato lampante che qualcosa era mutato.
Io non avevo visto come era cambiato il modo in cui Rafael mi guardava, ma mi ero resa conto che la sua vicinanza, che prima non mi aveva mai turbato, mi dava delle strane sensazioni: stomaco in subbuglio, calore, battito accelerato.
Avevamo ignorato tutto, l'uno di nascosto all'altra, fingendo che ogni cosa fosse rimasta come prima.

A gennaio, per il mio compleanno, Rafael mi aveva regalato una collanina: era d'argento e molto semplice. Aveva un ciondolo a sole che si spezzava nel mezzo. Io lo avevo spezzato e ne avevo dato metà a lui, che da una tasca del giubbotto aveva tirato fuori un laccio in caucciù a cui lo aveva appeso e che poi si era legato al polso sinistro.
Avevo compiuto 13 anni e non avevo idea di cosa significasse quella felicità assurda che sentivo nel cuore.

Per il suo compleanno, ad aprile, avevamo festeggiato in un ristorante vicino al mare. Come ogni compagnia di ragazzini adolescenti avevamo giocato al gioco della bottiglia. Quando Rafael aveva baciato a stampo Bianca, una nostra compagna di classe, io avevo sentito una stretta allo stomaco e una fitta vicina al cuore. Mi ero alzata, spezzando il cerchio e dicendo che dovevo andare in bagno mi ero rifugiata in riva al mare, sedendomi sulla spiaggia umida e osservando le onde.
Rafael mi aveva raggiunto, camminando in silenzio, dopo pochi minuti. Si era seduto di fianco a me e mi aveva abbracciato. Non erano servite parole.
Io mi ero lasciata stringere dalle sue braccia, inspirando il suo odore. Eravamo rimasti lì, abbracciati e in silenzio, finché la luna non era sorta e ci aveva inondati con la sua luce. In quel momento, Rafael aveva sciolto l'abbraccio, mi aveva fatto voltare verso di sé e aveva posato le sue labbra sulle mie.
Era stato il nostro primo bacio.

Ci eravamo messi insieme dopo quel primo bacio e ne erano seguiti molti altri, accompagnati da carezze e sfioramenti. Nulla di che, erano solo i primi approcci di due ragazzini all'alba dell'adolescenza, pieni di curiosità e privi di malizia.
Non eravamo durati molto, però. Dopo qualche mese avevamo litigato per colpa di un nostro amico e ci eravamo lasciati. Io avevo pianto per settimane e non ci eravamo rivolti parola per un mese intero, finché l'affetto che provavamo l'uno per l'altra era risultato più forte di un litigio e di una relazione finita male. Eravamo tornati amici e ci eravamo accontentati di quello.

Lui aveva incontrato una ragazza e io un ragazzo, ma le relazioni a 14 anni hanno la durata di una stella cadente in una notte d'estate e dopo pochi mesi entrambi ci eravamo lasciati. Avevamo avuto altre relazioni, più o meno durature, ma non funzionavano mai.

A 17 anni parlando avevamo capito di non aver provato, con gli altri, quell'elettricità che invece c'era stata tra noi due. Avevamo deciso di riprovarci, di tentare di nuovo di fare coppia.
Avevamo deciso di tastare il terreno, di non dire nulla a nessuno, di uscire un po' senza impegno per vedere come andava e poi decidere che fare.

Niente da fare. Funzionavamo meglio come amici. In un periodo io ero più propensa a instaurare una relazione, in un periodo non lo ero, volevo la mia libertà, volevo fare le mie esperienze. Ne parlammo e lui accettò di cessare quell'esperimento. Ci lasciammo e tornammo ad essere amici.
Non riuscivamo ad evitare di stare insieme, però. Io sentivo il bisogno quasi malato di averne l'odore addosso, di sentirne il sapore sulle labbra, di essere stretta dalle sue braccia. Non eravamo fidanzati, ma ci comportavamo come tali, con gelosie e litigi compresi.
E poi c'era la componente psicologica: separarmi da lui era come perdere un pezzo di me.

Ad un certo punto, però, arrivò Letizia. Una ragazzina più piccola di noi di qualche anno, bassina e rotondetta, che stravedeva per Rafael e che lo venerava. Non era brutta, anzi. Aveva degli splendidi occhi verdi e un sorriso solare ed era anche simpatica. Rafael cominciò a frequentarla e io vedevo che era felice. Mi feci da parte, anche perché lei mi vedeva come un pericolo per la sua neonata relazione e non voleva che Rafael avesse qualche tipo di rapporto con me.

Io mi ero fatta da parte, non senza soffrire, ma avevo detto chiaramente a Rafael che per lui ci sarei stata sempre, anche a costo di aspettare anni.

Era stato il nostro ultimo contatto: un caffè, un abbraccio e un “Mi mancherai” sussurrato contemporaneamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Atto Secondo: Come tutto si è svolto ***


Salve a tutti/e!
Ecco qua il secondo atto di questa breve storia.
Il prossimo sarà quello conclusivo. Forse, dipende un po' da come mi gira, ci potrà essere un epilogo.
Spero che questa storia, seppur breve, vi sia piaciuta.
Vi ringrazio, voi che leggete, perchè mi fate felice.
A presto, 
Baci Lagherta :*

 
 

Atto secondo
Come tutto si è svolto

 

5 anni dopo quell'ultimo abbraccio, ognuno di noi aveva la sua vita. Non ci eravamo più sentiti né visti, se non di sfuggita, e lui veniva trascinato via ogni volta da Letizia.
Io mi ero diplomata e iscritta all'Università. Mi ero trasferita in un'altra città, avevo incontrato un ragazzo e avevo avuto una relazione stabile di due anni che però si era conclusa perché lui voleva di più e a me invece piaceva come stavano andando le cose.
Rafael, a quanto ne sapevo, continuava a stare con Letizia, si era diplomato e aveva iniziato l'Università nella città vicina, il che significava che non si era trasferito.

Ero tornata a casa per un paio di settimane in cui non avevo lezioni. Mi mancava casa mia. Non solo i miei genitori e mio fratello, ma anche il paese in cui ero cresciuta. Crescere in un posto di mare e trasferirsi all'interno era stato un tantino difficoltoso e ogni tanto mi faceva piacere tornare e respirare l'aria salmastra, fare una passeggiata sul lungomare e ascoltare il rumore delle onde che si infrangono sulla riva.

Ogni mattina, alle 9, entravo in biblioteca e mi sedevo sempre al solito tavolo, vicino alla finestra e rivolta verso l'ingresso. Passavo ore e ore seduta a quel tavolo, il capo chino sui libri e le cuffie nelle orecchie, escludendo tutto il resto del mondo dalla mia piccola e personalissima bolla.
I primi giorni erano passati, tra la biblioteca e casa, tutto sommato tranquilli. Lo studio, la pausa alle 10 e mezzo, il pranzo, la pausa alle 16: giornate identiche le une alle altre.

Un pomeriggio, tornando dalla pausa caffè delle 16, al tavolo trovai un ragazzo seduto nel posto libero davanti al mio. Non stava studiando, non si era neanche tolto il giacchetto. Era semplicemente seduto, come se fosse in attesa. Lo osservai, mentre mi avvicinavo.
I capelli corti e castano scuro, le spalle larghe. Indossava un chiodo in pelle nera e dei jeans.
C'era qualcosa, forse nella postura, che mi sembrava familiare.
Quando mi misi a sedere e lo vidi in faccia, sulla mia bocca si aprì un sorriso.

“Rafael” sussurrai, un po' perché eravamo in biblioteca, un po' perché la gola mi si era seccata appena avevo messo a fuoco chi fosse quel ragazzo.

“Ciao, Dalia.” rispose lui, un sorriso malandrino che arrivava fino agli occhi.

Io non riuscivo a parlare. Proprio non ero in grado di formulare un pensiero logico. La mia mente era in pappa, la lingua sembrava fatta di legno. Nello stomaco volavano miriadi di farfalle e sentivo un calore dannatamente familiare che mi stava incendiando le guance.

“Che fai qui?” chiesi, cercando di darmi un contegno.

“Se intendi qui in generale, la risposta è che ci vivo. Se intendi qui in biblioteca, seduto al tuo tavolo, la risposta è un tantino più complicata.”

Stavamo continuando a sussurrare e la cosa iniziava a starmi stretta.

“Usciamo, per favore. Non mi va di restare qui e ho voglia di fumare una sigaretta.” dissi, risultando più caustica di quanto volessi.

Mi alzai e Rafael mi seguì. Uscimmo fuori dalla biblioteca e ci sedemmo su una panchina. Io non riuscivo a guardarlo in faccia. Mentre guardavamo ognuno di fronte a sé, io mi accesi una sigaretta, Rafael iniziò a parlare.

“Ti ho vista qua a studiare martedì. Non ero sicuro fossi tu, dal momento che non ci vediamo da quanto? 5 anni?” fece una pausa e io annuii, espirando. “Sei cambiata Dalia, ma ti ho riconosciuta comunque. Vuoi sapere come ho fatto?” chiese, voltandosi verso di me. Io annuii di nuovo e lui continuò. “Il modo in cui leggi. Quello non è cambiato dalla prima volta in cui ti ho visto, e parliamo di più di 10 anni fa, ormai. Tu non leggi semplicemente. Tu, sul foglio stampato, non vedi lettere che si uniscono a formare parole che insieme costituiscono frasi. Tu, in quei caratteri, vedi un mondo intero che pian piano ti si svela. E ti ci immergi, prendendo un bel respiro e poi andando in apnea. Ti isoli dal resto del mondo, come se esistessi soltanto tu e il volume che hai davanti.” sorride lievemente, al pensiero della fatica che aveva fatto per essere ammesso in quel mondo segreto che mi apparteneva. “Lo hai sempre fatto ed è per questo che ti ho riconosciuto. Hai tagliato i capelli, il viso ti si è fatto più affilato, hai cambiato modo di vestire. Ma il modo in cui crei una bolla tutta tua…questo non cambierà mai.”

Fu il mio turno di sorridere. Mi ricordavo benissimo quante volte lo avevo colto a fissarmi mentre leggevo, cercando di carpire il mio segreto, tentando di entrare nel mio universo. Io stessa lo avevo osservato, segretamente, per ore, al punto che sapevo distinguere i suoi passi da quelli di chiunque altro, che riconoscevo il suo odore ancora prima che lui arrivasse vicino a me, che conoscevo l'esatta posizione di ogni suo neo e cicatrice, il modo in cui aggrottava le sopracciglia quando qualcosa non gli tornava, come dormiva raggomitolato sul lato sinistro del letto. 
Lui conosceva me come se fossi parte di lui e io conoscevo lui come facesse parte di me: nonostante fossero passati anni, questo non era cambiato.

“Ti ho riconosciuta, ma non sapevo come approcciarti. Così ho aspettato la situazione giusta ed eccoci qui.” terminò, con un sorriso soddisfatto.

Io intanto avevo terminato la prima sigaretta e me ne ero accesa un'altra, porgendogli il pacchetto. Lui ne prese una, la accese e rimase in silenzio, aspettando che dicessi qualcosa.

“Perchè adesso?”

“In che senso scusa?”

“Voglio dire. Sono passati 5 anni. Non una telefonata, non un messaggio. Neanche gli auguri!”

“Neanche tu mi hai cercato, se non sbaglio.”

“Tu avevi Letizia. Sai che mi odia. Immagina il putiferio che avrei scatenato con un messaggio.”

“E tu hai Sebastian. La cosa è reciproca.”

“Io ho Sebastian da due anni. Negli altri tre tu non mi hai mai cercata! Sapevi dove studiavo, sapevi dove abitavo. Non ci hai nemmeno provato, ammettilo!”

“Ma ti senti? Neanche tu hai tentato di raggiungermi e ti nascondi dietro la scusa che io stavo con Letizia. Non colpevolizzarmi quando neanche tu hai agito diversamente.”

Cadde un silenzio imbarazzante. Nessuno dei due ammetteva che ci eravamo mancati reciprocamente, ma che avevamo paura di cercare l'altro nel caso in cui qualcosa fosse cambiato.

“Mi dispiace, Dalia. Ma cosa si scrive a qualcuno che ha fatto parte della tua vita nel modo in cui tu hai fatto parte della mia e che non si vede né si sente da anni?” mi disse, sfiorando la mia mano con la sua, in un tentativo di contatto.

“Non lo so. Io davvero non lo so.” risposi, lasciando che le nostre mani si sfiorassero, riassaporando quella scintilla che per tanti anni era stata ricercata inutilmente in altri contatti con altre mani.

“Mi sei mancata. Mi sei mancata come ti manca l'aria. Non ho mai trovato nessuno che fosse come te.” continuò Rafael, giocherellando con le mie dita, approfondendo quel contatto tanto agognato.

“Mi sei mancato anche tu. E Letizia che dice? Come sta?” chiesi, cercando di non mettere astio nel tono di voce.

“Non chiedere se non ti interessa la risposta.” rispose lui, citando una frase che gli avevo ripetuto tante volte, quando mi chiedeva qualcosa a proposito di un libro, più per il piacere di sentirmi tanto entusiasta che per vero interesse.

“E tu non rubare le frasi.” ribattei sorridendo. Le nostre mani, intanto, si erano intrecciate.

“Non c'è più nessuna Letizia, comunque” disse Rafael, con noncuranza.

“Ah. E adesso come si chiama?” chiesi, fremendo e cercando di nasconderlo.

“Nessuno. Con Sebastian come va?” rispose, cercando poi di deviare il discorso.

“Non va. Volevamo cose diverse. È finita diversi mesi fa.” dissi, sospirando.

Ci stavamo guardando negli occhi. Le mani continuavano a cercarsi, instancabili. Un soffio di vento spostò i miei capelli, scoprendomi il collo. Ormai erano anni che li portavo tagliati in un caschetto più corto dietro e più lungo davanti.
La mano libera di Rafael salì a sistemare i miei capelli dietro l'orecchio. Quel contatto, che risultò così intimo, mi diede i brividi.

“Hai freddo?” chiese Rafael, preoccupato da quel mio improvviso rabbrividire. Io scossi la testa, abbassando lo sguardo per non guardarlo negli occhi.

“No…” risposi. Ed era vero. Non avevo per nulla freddo, anche se avrei voluto essere meno sincera e rispondere di sì, solo per essere stretta in un suo abbraccio.

“Dalia…” e in quel momento, quando Rafael pronunciò il mio nome, capii che nel mio sguardo era leggibile ogni emozione che stavo provando.

Mi si avvicinò, come un gatto si avvicina ad un topolino, silenzioso e incantatore. Io ero immobile, bloccata su quella panchina, il viso ora rivolto verso di lui, gli occhi sognanti e le labbra socchiuse, come in attesa di un bacio.
Bacio che non tardò ad arrivare.

Siete mai andati al mare? Penso di sì.
Avete presente quando siete bambini e fate a gara con i vostri amici a chi va più in profondità oppure a chi trattiene di più il fiato?
Se lo avete presente, capirete alla perfezione cosa provai nell'esatto istante in cui le labbra di Rafael si poggiarono sulle mie.

Fu come riemergere da una lunga apnea, durata 5 anni.

Mi ricordo che quando eravamo bambini, io ero quella che riusciva a stare più a lungo di tutti gli altri sott'acqua. Me ne ero sempre vantata, sbeffeggiando chi dopo pochi secondi riemergeva annaspando.
Io riuscivo a stare sotto un paio di minuti. Non era molto, ma era abbastanza per vincere.
Mi ricordo che quando riemergevo, dopo quei 2 minuti o poco più, il bisogno di ossigeno era totale, ma mio padre mi aveva insegnato a prendere aria con grazia ed eleganza, ad assomigliare ad un delfino, più che ad un pesciolino fuor d'acqua. Per questo, quando tornavo in superficie, i miei respiri erano sempre ampi ed aggraziati, diversamente da quelli dei miei compagni che invece ansimavano rozzamente.

Fu un bacio innocente, lieve e delicato, privo inizialmente della passione dirompente che mi attanagliava l'anima. Dentro di me ardeva implacabile un fuoco, che era rimasto assopito per anni, e che adesso era stato nuovamente attizzato.

Fu un bacio che racchiudeva anni di nostalgia e orgoglio, rabbia e amore, tristezza e felicità.
Fu un bacio che pian piano che si approfondiva, diventava più emotivo. La passione si faceva strada nei nostri corpi, lasciando che le labbra si schiudessero per far incontrare le lingue, mentre le mani si cercavano instancabili.

Fu un bacio che lasciò spazio sia alla dolcezza del ritrovarsi e del riconoscersi che alla rabbia per essere stati abbandonati e messi da parte. Baci e morsi si alterarono, lasciando segni che nessuno dei due avrebbe mai più dimenticato. Le anime cercavano, in quello scontro, un momento di contatto, in cui urlarsi addosso, chiedendosi il perché avessimo desistito se poi nessuno dei due aveva dimenticato.

Quasi fossimo stati i protagonisti di un film, quando ci staccammo e riaprimmo gli occhi, intorno a noi era calata la sera.

“Devo andare a casa…” sussurrai, il naso che sfiorava quello di Rafael, le labbra ancora premute sulle sue.

“Di già?” chiese di rimando lui, senza scostarsi di un millimetro.

“È tardi e a casa mi aspettano.”

“Ci possiamo rivedere?”

“Sono in biblioteca tutti i giorni, per i prossimi 10 giorni. Quando vuoi mi trovi qua”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Atto terzo: Come tutto si è concluso ***


Salve a tutti/e!
Poche parole, giusto per chiudere questo piccolo viaggio.
Mi ha fatto piacere vedere che anche se non ci son stati commenti, la storia è stata letta. Quindi vi ringrazio e vi dico arrivederci.
Alla prossima, 
Baci Lagertha

 


Atto Terzo
Come tutto si è concluso


 
“Tanti auguri tesoro…” Rafael mi posa un bacio leggero sui capelli, corti esattamente come quando ci eravamo ritrovati.

Sono passati 10 anni da quel pomeriggio in biblioteca.
10 anni in cui ci siamo di nuovo scoperti e conosciuti.
10 anni in cui abbiamo capito, finalmente, che nonostante tutto e tutti non ci saremmo mai tolti dalla mente il pensiero dell'altro.
10 anni in cui abbiamo capito anche che la felicità risiedeva nelle piccole cose, come per esempio i nostri figli.

Aureliano e Rebeca, 5 e 3 anni.
Aureliano è nato 2 anni dopo il matrimonio. Longilineo e dai colori scuri, assomiglia molto a Rafael, anche se l'amore per la cultura l'ha ereditato da me.
Rebeca, nata 9 mesi dopo il nostro quarto anniversario di matrimonio, è una me in miniatura. I capelli sono color cioccolato fondente, anche se al sole hanno qualche sfumatura rossastra, gli occhi sono grandi e verdi, la pelle pallida. La vitalità l'ha ereditata dal padre.
Io e Rafael eravamo estremamente orgogliosi delle nostre piccole creature.

“Buon anniversario amore” rispondo, socchiudendo gli occhi e accoccolandomi sul suo petto.

“Che cosa vuoi fare oggi?”

“Voglio stare a letto tutto il giorno. Voglio guardare un sacco di film, mangiare pop corn, bere birra, fare l'amore…”

“La signora è ambiziosa. Sei sicura che avremo tempo per fare tutto?” sorride in mezzo ai miei capelli, e io sprofondo ancora di più tra i cuscini e il suo corpo caldo e profumato.

Strofino il naso sul suo petto, posandogli lievi baci un po' qui e un po' lì, scalandolo fino a raggiungere le sue labbra. Premo le mie sulle sue, solleticandole con la punta della lingua finché non le schiude e non mi fa entrare. Come ogni volta, tranne la mattina quando siamo costretti a scappare via per andare a lavoro, il bacio sembra infinito. Lentamente ci strofiniamo l'uno all'altra, i corpi in armonia, come se capissero senza parole ciò che l'uno vuole dall'altra.

“MAMMA! PAPÀ!”

Due piccoli tornadi ci si gettano addosso, inciampando tra le coperte e sprofondando tra i cuscini. Si piazzano in mezzo a noi e ci guardano sospettosi.

“Che cosa stavate facendo?” chiede Aureliano, mentre Rebeca ci squadra con i suoi enormi occhi smeraldini, in silenzio.

“Le coccole, piccoli impiccioni che non siete altro. Ci stavamo facendo le coccole.” risponde Rafael. “Ne volete anche voi, per caso?”

Neanche il tempo di finire la frase che dal groviglio di coperte emergono i corpicini fragili e minuscoli dei nostri figli che ci si gettano addosso riempiendoci di baci e coccole.
Circa un quarto d'ora dopo i bambini si sono addormentati – probabilmente era troppo presto per alzarsi ed è bastato pochissimo per farli crollare di nuovo – e io inizio a districarmi tra braccia e gambe e coperte, riuscendo miracolosamente a guadagnare l'orlo del letto e poi il pavimento. Nella penombra della stanza cerco di non inciampare.

“Dove stai andando?” il sussurro di Rafael mi arriva lieve vicino all'orecchio.

“A fare colazione, vieni con me?”

“Certo che sì, non ti lascerò mai più andare da nessuna parte senza di me.”

Ci dirigiamo in cucina, dove io metto sul fuoco un bollitore con il latte, mentre Rafael prepara la moka piccola e dà il via alla macchinetta dell'espresso.
Ecco, se c'è una cosa per cui non riusciamo proprio a trovare un compromesso, è il caffè. A me piace il gusto della moka, a lui quello dell'espresso, il risultato è stato che nella lista di nozze c'erano sia la moka che la macchina per espresso.

Quando il latte è caldo al punto giusto lo verso nelle tazze, poi Rafael aggiunge il caffè della moka nel mio e l'espresso nel suo, dopodichè ci sediamo in terrazza.
Lo guardo sorseggiare il caffè e mi viene da sorridere. Lui lo nota.

“Che c'è?” chiede.

“Nulla di che…piuttosto, sai ancora come si cambia un pannolino?”

Non faccio in tempo ad alzare lo sguardo, che Rafael mi è addosso, baciandomi in ogni punto scoperto. Le ultime parole che sento, sussurrate all'orecchio, sono “Questa volta il nome lo scelgo io…”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3718917