Una pista che scotta.

di The Custodian ofthe Doors
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I


 


 

Quando aveva deciso di seguire le orme di suo padre ed entrare anche lui nelle forze dell'ordine non aveva tenuto conto di quanto la fortuna possa essere cieca, o semplicemente di quanto lui stesso potesse essere stupido, o forse ancora di come il suo carattere tranquillo e ligio al dovere sarebbe stato non solo un grandissimo punto di forza ma anche una condanna a vita.
Se solo c'avesse riflettuto a suo tempo, con tutta probabilità, ora sarebbe un eremita disperso tra le montagne tibetane a farsi i beneamati affaracci suoi e non nell'ufficio del suo superiore ad osservare uno strano individuo dallo schermo del computer.
Ma era il monitor ad aver problemi con i pixel o quel tipo aveva addosso tutta la gamma di colori di paint?
I Capo Bureau Blackthorn stinse la mano attorno alla cornetta del telefono, << Senz'altro Signora, arrivederci.>> riattaccò guardandolo comprensivo, probabilmente si era chiesto anche lui la stessa cosa, ma poco dopo riacquistò il suo cipiglio serio per informarlo sulle ultime novità.

<< Lo abbiamo trovato nell'appartamento della vittima. Dice di essere un suo amico di vecchia data, che non lo sentiva da un paio di mesi ma cinque giorni fa lo ha contattato per telefono. Non era in casa e gli ha lasciato un messaggio in segreteria chiedendo un incontro il prima possibile, questione di vita o di morte, così dice. >>
Alexander tenne la schiena dritta e annuì, << Il giorno dell'omicidio.>> disse solo.
<< Esatto. Sembrava molto scosso quando l'agente Jordan l'ha trovato, ma è un soggetto piuttosto particolare e non mi stupirei se si venisse a scoprire che sta mentendo. Di certo sa molto più di ciò che dice ed i suoi precedenti non aiutano. Voglio che se ne occupi lei, il caso è suo.>>
Prese un fascicolo tra i tanti sulla scrivania e lo girò verso il giovane detective che cominciò a scorrere veloce la lista dei reati di cui era accusato il giovane.
Truffa, estorsione, ricatto, contrabbando, traffici illeciti. Proprietario di ben sette nightclub di cui uno particolarmente famigliare al giovane uomo.
<< Il Pandemonium.>> sussurrò appena.
<< Sono anni che cerchiamo di incriminare quell'uomo, abbiamo mandato agenti sotto copertura, controlli di ogni genere, sappiamo che in quel locale il sospettato porta avanti tutti i suoi traffici e Garroway giura di aver visto nel suo ufficio un quadro rubato meno di un anno fa.>>
<< E Ragnor Fell era un commerciante di merce rara sul mercato nero.>>
Annuì passandogli un altro fascicolo. << Quindi cosa ne deduci?>>
Alexander ci pensò su per qualche minuto, il suo cervello aveva già elaborato almeno tre teorie ma gli mancavano ancora degli elementi per riuscire ad aver il quadro completo.
<< Potrebbe essere stata una banale lite tra criminali, magari Fell gli aveva procurato una qualche merce ma l'altro ha capito che era falsa, che lo aveva ingannato, e lo ha ucciso. Oppure non riuscivano a mettersi d'accordo sul prezzo, la vittima poteva aver trovato un compratore migliore e si rifiutava di vendere a lui l'opera, lo ha ucciso e gli ha sottratto ciò che voleva. Spiegherebbe il disordine nella casa, avrà frugato per trovarlo. Potrebbe essere tornato giorni dopo sulla scena del crimine per non destare troppi sospetti.>> Incrociò le braccia al petto, pensieroso, ma il suo superiore non ci cascò.
<< Non ti convincono le tue stesse ipotesi Lightwood? >>
Scosse la testa, << Cosa avrebbe potuto guadagnarci uccidendolo? Se è vero quel che si dice e che quell'uomo ama l'arte e le cose raffinate, non avrebbe alcun senso uccidere il suo venditore di fiducia per un solo affare andato a monte, dev'esserci sotto dell'altro.>>
<< Oppure?>>
<< Oppure ha detto la verità. Fell era davvero suo amico, era nei guai e lo ha chiamato per un aiuto, ma è arrivato troppo tardi, lo ha trovato morto in casa sua ed è scappato. Ma come ha detto lei prima, Signore, sono sicuro che non ci sta dicendo la verità, o per lo meno, non tutta.>>
Il Capo lo guardò soddisfatto, << La tua prossima mossa, Detective?>>
Si alzò esibendosi in un conciso saluto formale,
<< Interrogare di persona Magnus Bane.>>


 


In famiglia, tra i suoi amici e anche al distretto, Alexander era quello reputato più tranquillo, diligente, serio e soprattutto la persona adatta da chiamare quando c'era un problema. Perché Alec manteneva una lucidità impressionante e analizzava con fredda chiarezza tutti gli eventi, prendendo inevitabilmente la decisione più giusta e più pratica. Nonché la meno pericolosa.
Quindi, di preciso, come c'era finito in sala interrogatori a sentire un pazzo criminale che da anni, anni, il capitano Garroway cercava di incriminare per tutti i suoi traffici illeciti ma da cui il suddetto pazzo criminale usciva sempre vincitore, ciarlare del suo gatto?

Il piccolo Presidente Miao a quanto pare aveva appena tre mesi, lo aveva trovato una notte di ritorno dal Pandemonium - “Uh, signor Detective, se passa da quelle parti venga a farmi un salutino.”- e non aveva avuto il cuore di lasciarlo per strada.
Era un peperino niente male, saltava ovunque e lo aveva costretto a cambiare già due tende.
Alexander si massaggiava la sella del naso ad occhi chiusi, domandandosi dove avesse sbagliato, finché non captò un nome famigliare.

<< - Ovviamente Rag mi ha subito detto che era una pessima idea. Secondo lui non so prendermi cura di me stesso, figurarsi di un'altra vita. Ringraziava sempre il cielo che non sono mai riuscito a mettere incinta nessuna- >>
<< Mi scusi, Mr Bane. Ma sono qui proprio per parlare di Ragnor Fell.>>
L'uomo davanti a lui si bloccò ad osservarlo. Un secondo, poi con un gesto vago della mano si lasciò cadere conto lo schienale.
<< Credevo di aver parlato a sufficienza di lui con il suo collega segugio.>>
<< Come scusi?>>
<< Ma si, Lucian! E' da tanto che il caro vecchio Luke cerca di trovare qualcosa che non va al mio povero locale. Ma posso assicurarle, Detective occhi belli, che sono sono un semplice imprenditore.>>
Alexander aggrottò le sopracciglia confuso, non sapendo se fosse perché aveva chiamato il Capitano per nome, con un nomignolo, perché aveva chiamato lui “detective occhi belli” o perché credeva davvero di convincerlo che fosse solo un imprenditore.
<< Accusato di spaccio, contrabbando, strozzinaggio e ricatto?>>
Si strinse nelle spalle, l'altro, << Cosa vuole che le dica, sono un tipo intraprendente. Soprattutto nell'attività fisica, ne faccio moltissima.>> continuò suadente facendogli l'occhiolino.
Alec deglutì e si tirò dritto con la schiena, un vago calore gli si diffuse sulle guance ma sperò vivamente che quello non se ne fosse accorto. Invano a quanto pare visto che gli sorrise soddisfatto.
<< Glielo giuro agente! Se vuole posso darle una dimostrazione pratica...>>
Un colpo di tosse, << Torniamo a Ragnor Fell. Dice di essere suo amico, lo ha contattato cinque giorni fa dopo mesi di silenzio, gli ha chiesto aiuto e lei si è precipitato a casa sua non appena ha sentito il messaggio.>>
<< Come ogni amico avrebbe fatto. Se fosse successo a lei come avrebbe reagito?>> ritorse l'uomo passandosi una mano inanellata tra i capelli acconciati ad arte e lucidi di… brillantini?
<< Si rende conto che la vittima l'ha contattata il giorno dell'omicidio?>>
<< Si, me lo ha detto Lucian quando è venuto tutto felice a trovarmi in cella, credo che da una parte ci sia rimasto male, voleva essere lui ad arrestarmi. >>
Sembrava che quell'individuo non prendesse nulla sul serio. Stavano parlando della morte di quello che, in teoria, sarebbe dovuto essere un suo caro amico, e lui pareva solo annoiato dal ripetere le stesse cose una seconda volta.
Alexander lo guardò con attenzione, studiandone i lineamenti morbidi ed asiatici, la pelle caramellata e luccicante, in parte per i glitter che vi erano sparsi sopra, in parte probabilmente per il sudore. Era liscia e priva di cicatrici, macchie o graffi. Le mani curate, le unghie perfette e persino coperte di smalto, senza un callo o qualcosa ad indicare che quell'uomo lavorasse manualmente.
No, i suoi vestiti ricercati ed impeccabili, i gioielli lucidi, i capelli acconciati, la pelle priva di segni, il volto truccato anche! Tutto in quell'uomo gli suggeriva una persona non avvezza a sporcarsi le mani, quindi, se era stato lui ad uccidere Fell era puramente il mandante e non l'assassino in se per sé.

<< Sono così interessante, Detective?>> La voce suadente e bassa dell'altro gli sfiorò l'orecchio riportandolo indietro alla realtà. Bane lo guardava divertito ma anche… curioso? Gli occhi dal taglio a mandorla non lo avevano abbandonato neanche per un istante ed Alec era abbastanza bravo nel suo lavoro per sapere con certezza che lo stava valutando, che aveva cominciato non appena era entrato in quella stanza e che forse avrebbe continuato anche quando si sarebbero rivisti.
Sarebbe successo?

<< Lei non è un assassino, Mr Bane.>>
Alzò le mani al cielo con fare drammatico, << Dio salvi la Regina! Finalmente qualcuno che ci capisce qualcosa. Perché non regala un po' di sale a Luke quando lo vede? Ne ha decisamente bisogno.>>
<< Ma sono più che sicuro che sia ugualmente coinvolto in questa faccenda.>>
<< Andiamo tesoro! Perché rovini tutto così? Stavi cominciando a piacermi davvero!>> Bane scosse la testa e si adombrò, << Ragnor è stato ucciso e voi siete qui a parlare con me invece di cercare il suo assassino. Ma no, perché sforzarsi, abbiamo Magnus Bane, sono anni che cerchiamo di accusarlo anche della fame nel mondo, a cosa ci serve il vero colpevole? La verità è che a voi poliziotti non interessa davvero la sua morte e io non starò qui un minuto di più a condividere il mio tempo con voi. Il mio amico merita giustizia.>> Si alzò con impeto dalla sedia, battendo la mano sul tavolo, il volto contratto in una smorfia irosa ma comunque molto affascinante.

Serio Alec? Affascinante?

Ma il detective non si scompose di una virgola. Aveva avuto a che fare in passato con veri assassini, con drogati, pazzi e violenti di ogni sorta, un uomo vestito di viola e blu, pieno di brillantini e truccato come un modello, per quanto sinceramente arrabbiato, non lo avrebbe certo intimorito.
<< E visto che merita giustizia lei ci sta negando volutamente delle informazioni che potrebbero portarci ad arrestare l'assassino?>>
Quella risposta così pacata sembrò stroncare l'impeto d'ira di Bane che si rimise seduto riprendendo l'espressione attenta di prima.
<< Non lo arrestereste comunque.>>
<< Quindi sa chi è stato?>> Alec si sporse verso di lui, gli occhi assottigliati attenti a non perdersi il minimo movimento del suo interlocutore.
Bane lo fissò senza fiatare, poi si avvicinò anche lui, << Potrei, ma non ne ho le prove.>>
<< Mi dica il nome allora.>>
Scosse la testa, << Non mi crederebbe, mi darebbe del pazzo probabilmente.>>
Di nuovo il silenzio, Alexander meditò sulle parole per lui sincere dell'uomo.
Probabilmente era una persona di spicco, o forse qualcuno di cui nessuno avrebbe mai sospettato. Un flashback passò veloce nella sua mente, neanche un'ora prima il Capo Blacktrone lo aveva ricevuto in ufficio ancora impegnato in una conversazione telefonica. Aveva chiamato il suo interlocutore “signora” e in tutto il palazzo del dipartimento di New York City c'era solo una donna che tutti chiamavano in quel modo e non per nome: Imogen Herondale.

Servizi Interni.

I pezzi scivolarono a loro posto cominciando a delineare i contorni di un puzzle troppo grande per poter esser viso per intero.
Una scintilla di comprensione gli illuminò lo sguardo, che in men che non si dica si fece più deciso. Fissò gli occhi in quelli verdi del sospettato che in un attimo aveva cambiato postura e atteggiamento. Lo guardava in attesa, l'espressione indecifrabile di chi ha capito che l'altro ha capito qualcosa ma non sa cosa, non sa se si deve fidare o meno.

<< Mi metta alla prova.>>

Magnus rimase sorpreso davanti a quella semplice frase, senza sapere cosa fare o come rispondergli.

Uno a zero per Alec.



 

Il caso era più complicato di quello che Alexander avrebbe potuto immaginare.
Tanto per cominciare Magnus Bane non era proprio così collaborativo: gli aveva detto che sospettava di un membro delle forze dell'ordine ma non gli aveva detto chi. Alec cominciava a sospettare che neanche lui conoscesse la vera identità dell'assassino e che lo stesse usando per arrivarci prima di lui. Voleva vendicare il suo amico, e questo lo capiva, ma se si fosse ostinato a non dirgli tutto quello che sapeva lo avrebbe picchiato. O lo avrebbe lasciato a Jace, si questo era senz'altro molto più divertente.
Aveva preso questa difficile decisione qualche giorno prima quando arrivato per l'ennesima volta nell'ufficio scintillante dell'uomo questo gli aveva chiesto novità sul caso ma si era stranamente dimenticato di portargli la registrazione del messaggio lasciatogli da Fell.
Ora, Alexander aveva tre fratelli con una spiccata propensione a far danni e a non farsi gli affari propri, due genitori autoritari che credevano di aver sempre ragione, degli amici ficcanaso e palesemente incapaci di non inciampare anche ad fermi, dei colleghi troppo fomentati, svariati superiori da ascoltare, una gatto e una coscienza che tentava periodicamente il suicidio. Aveva davvero tutte le carte in regola per sopportare le situazioni peggiori, per questo veniva spesso assegnato ai casi più delicati, ma se un criminale con una fedina penale più lunga della lista dei suddetti danni provocati dai suoi fratelli, che aveva informazioni su chi avesse ucciso un trafficante di opere d'arte, che sospettava che tale assassino fosse un poliziotto o comunque un membro delle forze armate e che aveva tali sospetti quando il capo degli Affari Interni telefonava al suo di capo ma si ostinava a far il gioco del gatto col topo… Beh, allora Alec gli avrebbe mandato contro un gatto più furastico di lui.
Così aveva fatto.

Era seduto sul divano di casa sua, quella sera tecnicamente avrebbe dovuto trovarsi al Pandemonium per parlare con quello che ad occhio e croce era diventato il suo informatore, ma prima di rincasare aveva fermato suo fratello Jace, un membro della SWAT, e gli aveva chiesto di andare all'appuntamento al suo posto.
<< Come mai? E' successo qualcosa con quel Bane?>> gli aveva domandato preoccupato come riusciva ad essere solo se si trattava dei suoi fratelli o di quel piccolo tornado rosso che era la sua ragazza. Alec aveva scosso la testa e piegato le labbra in quella smorfia che era il suo sorriso,
<< No, voglio solo che capisca che deve collaborare.>>
<< Quindi gli mandi contro me? Lo devo intimidire fratello?>> uno scintillio divertito gli illuminò lo sguardo.
<< Quindi gli presento qualcuno con la testa dura quanto la sua.>>
<< Non ti prende sul serio? Sei troppo gentile Alec, io te l'ho sempre detto.>>
<< Non è vero. Allora? Me lo fai questo favore o no?>>
Il ghigno di Jace non lo avrebbe mai stancato.
<< Per te bro, anche la Luna.>>

Si stava rilassando come non faceva da tempo, rimase sorpreso da quanto ne avesse bisogno, lo stava realizzando solo in quel momento.
Allungò la mano per prendere la bottiglia di birra, Jace era arrivato al locale neanche dieci minuti prima e Alec decise improvvisamente che avrebbe passato il resto del tempo, finché il fratello non avrebbe chiamato, a fissare il panorama fuori dalla finestra, senza fare niente.
Niente.
Niente se non pensare a quel caso.
Ragnor Fell era morto da quasi tre settimane ma non aveva fatto nessun progresso di sorta, non si era minimamente avvicinato alla soluzione, aveva solo quel dannato contorno.
Cosa sapeva per certo?
Da quanto avevano scoperto dai suoi tabulati e dagli spostamenti della carta di credito, del suo conto alle Kaiman, aveva ricevuto una grande somma di denaro neanche un mese prima della sua morte, probabile pagamento di qualche vendita redditizia.
Diciotto giorni dopo aver intascato i soldi chiama Magnus Bane dopo mesi di silenzio e gli chiede di incontrarsi, secondo Bane stesso. Ma cos'altro gli aveva detto in quel messaggio? Bane era rinomato per esser in grado di “far magie”, per le sue truffe, i traffici, i passaggi alla dogana, per i ricatti. Era una persona informata su tutto e Alec cominciava a pensare che la cosa più probabile era la seguente: Fell aveva avuto dei problemi con il suo venditore, doveva aver chiamato Bane per chiedergli cosa sapesse o se potesse aiutarlo a far sparire le sue tracce, o quelle del pagamento, trentacinque milioni, una cifra bella alta ma che ad Alec stonava terribilmente.
Si mise a ripeterlo a mezza voce senza neanche rendersene conto.
La casa era stata messa sottosopra, l'assassino probabilmente era uno solo ma c'erano più aggressori, qualcuno doveva averli aiutati perché la casa era piena di sensori e protezioni, se Fell aveva paura di qualcuno non lo avrebbe fatto entrare di sua spontanea volontà.
Il giorno dopo sarebbe passato a far una visitina ai laboratori informatici del dipartimento, Lewis avrebbe di sicuro dato risposta ad alcune delle sue domande.
Posò la birra sul bracciolo del divano e reclinò la testa sulla spalliera morbida e logora dal tempo, quel divano se l'era comprato dopo il diploma, se lo ricordava bene. Forse doveva alzarsi e andare a dormire, era distrutto, sarebbe crollato da lì a cinque minuti e il suo corpo invocava a gran voce il letto, per quanto i cuscini sfondati del sofà fossero comodissimi.
Si alzò di mala voglia per portare la bottiglia ancora mezza piena in frigo e poi dirigersi verso il bagno. Non mise neanche la mano sulla maniglia che il telefono prese a suonare, facendolo girare curioso verso il tavolo dove lo aveva abbandonato. Tornò sui suoi passi solo per vedere il nome di Jace lampeggiare davanti ad una foto di loro due assieme.
Ad onor del vero la scritta era “ Magnifico Jace Best Bro4Eva” ma Alec sorvolò perché non ce la faceva più a cambiare il nominativo ogni volta per trovarsi puntualmente nomi sempre più ridicoli e narcisistici l'attimo dopo.

Sempre meglio di “MagicJaceSexyGoldGod”.

Lasciò scorrere il pollice sullo schermo e portò il telefono all'orecchio.
<< Devo venire?>> domandò a bruciapelo saltando i convenevoli. Se Jace lo aveva chiamato alle undici di sera o aveva bisogno di qualcosa o doveva digli qualcosa.

<< Mio dio Detective! E me lo chiede così?! E stia attento a ciò che mi risponde perché le darò esattamente quello che chiederà.>>
Alec si bloccò, Church sdraiato sul piano del tavolinetto in salotto alzò appena il muso per osservarlo, sembrava che gli stesse chiedendo quale fosse il problema.
<< Magnus?>> Domandò alla fine dubbioso.
<< Alexander! Che bello, siamo arrivati a darci del tu! Non sai da quanto tempo lo stavo aspettando!>>
<< Io- n-non… perché ha il telefono di Jace?>> balbettò confuso.
<< Oh, no-no, avevamo appena superato quel gradino, non ricascarci Alexander, dammi del tu e basta. E comunque ho il telefono di Trace perché lui ha il tuo numero e io, dopo tre settimane che ci frequentiamo, ancora no.>>
<< M-ma, noi non ci frequentiamo.>> provò a fargli notare debolmente, << E si chiama Jace.>>
<< Si, si, come ti pare, un nome vale l'altro. A proposito! Perché ti ha registrato come “ Alec BBF”? Non lo sa che la sigla è “BFF”? Una b e due f, non il contrario, è best friend forever.>> puntualizzò l'altro e Alec se lo vide davanti agli occhi con quella sua espressione ovvia ed esasperata mentre si fissa le unghie. Lo sentì anche trafficare con le tasche e se lo immaginò a cercare la lima per aggiustare imperfezioni inesistenti.
<< Nella cover del telefono.>> gli disse senza pensarci. Un “Uhm?” molto esplicativo gli vibrò nell'orecchio, << Tieni una lima di riserva nella cover del telefono.>> non gli diede il tempo di rispondere ma sentì il singulto sorpreso che gli sfuggi dalle labbra. << Ed è giusto “BBF”, sta per Big Bro Forever, o almeno lo spero, qualche tempo fa quella f stava per “faboulus”.>>
Si poggiò con il sedere al bordo del piano dell'isola e attese una risposta che stentava ad arrivare.
Era riuscito a zittire Magnus Bane? Diamine, se solo lo avesse saputo prima gli avrebbe presentato Jace il giorno dell'interrogatorio.
<< Perché hai il telefono di Jace?>> chiese ancora.
Bane sembrò riprendersi, ignorando ovviamente la sua domanda, << E' tuo fratello davvero o è solo un “bro” di camerata?>> la sua voce suonò stranamente interessata ed Alec avrebbe quasi detto infastidita, ma non avrebbe avuto senso e come aveva appena fatto l'uomo, la ignorò.
<< Perché ha il telefono di Jace, Mr Bane?>> ritorse cercando di smuoverlo con quella stupida storia del “darsi del tu”. Funzionò.
<< Se te lo dico poi tu rispondi a me?>>
<< Non lo so.>>
<< Detective! Non sto scherzando.>>
<< Neanche io quando durante queste settimane ti ho chiesto cosa sapessi dell'omicidio di Ragnor Fell, o quando ti ho chiesto di farmi sentire la registrazione del messaggio in segreteria. Quando ti ho presentato due mandati di perquisizione ma il tuo avvocato li ha fatti declassare. Ogni volta tu sentivi le mie risposte e poi non rispondevi alle mie domane, perché io dovrei farlo con la mia vita privata?>>
Ecco, era cominciato, il suo piano era in atto e ora non poteva tirarsi indietro. Con calma si sporse di nuovo verso il frigo per riprendere la birra, chiuse l'anta spingendola con la bottiglia e saltò sull'isola.
Dall'altra parte della cornetta Bane tacque e Alec ripeté per la terza volta la stessa domanda.
<< Perché il mio poliziotto non si è presentato al nostro appuntamento e mi è arrivato un modello biondo e supponente che ha cominciato a farmi domande e a farfugliare sul fatto che da questo momento in poi sarà lui il mio agente di collegamento. Come se io fossi una spia poi!>> Ora non la poté ignorare, la voce di Bane gli giunse palesemente infastidita e Alec provò uno strano moto di soddisfazione.
Non voleva che ci fosse un altro agente di collegamento? Voleva lui? Sorrise.
Per poi rendersi conto che se anche Bane aveva detto “il suo poliziotto”, aveva anche chiamato Jace “un modello biondo” ed un po' si rabbuiò.
Ovvio che Bane avesse notato quanto fosse bello suo fratello.
<< Cosa cambia? Tanto con me non condividi comunque nessuna informazione. Che sia io o Jace il tuo collegamento non vi è differenza.>> La sua voce suonò vagamente amareggiata anche alle sue di orecchie, non volle immaginare come potesse essere attraverso un interfono, anche se magari l'aveva nascosta un poco.
<< Non essere triste fiorellino.>> o magari no, << Non è vero che non ti dico mai niente è che non so niente.>>
Alec inarcò un sopracciglio, sia per il nomignolo che per la palese bugia appena detta dall'uomo. Decise che era tardi e che era stanco, che aveva mandato Jace da lui per dargli una sorta di ultimatum e che non si sarebbe fatto incastrare dalla voce da serpente ammaliatore di quell'uomo.
<< Non chiamarmi così e non dirmi cazzate.>> Era stato più duro di quanto non avrebbe voluto ma se ne sarebbe preoccupato in un secondo momento, non ora, aveva deciso che se quel pagliaccio voleva giocare con lui allora avrebbe giocato alle sue regole, << Tu sai molto più di quanto non vuoi farci sapere. Non dici niente perché non ti fidi di noi, non ti fidi di me, sei convinto che appena il dipartimento scoprirà il nome del mandante insabbierà tutto perché si parla di un personaggio troppo importante. Stai seguendo una tua pista personale usando le informazioni che ti porto io ogni volta per avvicinarti sempre di più al tuo obbiettivo e vendicare a modo tuo Fell. Mi dai false informazioni e mi fai girare per tutta New York alla ricerca di un fantasma che non esiste, ci depisti, depisti il mio lavoro, mi fai ostruzionismo per tenermi lontano dalla soluzione.>> dall'altra parte del telefono arrivava solo silenzio, smorzato un poco dalla musica in sottofondo che copriva persino le voci delle persone riunite nel locale. Lo aveva lasciato di nuovo senza parole? Bene.
<< Hai già sprecato fin troppo del mio tempo, ho un'indagine da portare avanti. Per quanto tu ne possa pensare, ho un assassino da arrestare e potrebbe essere anche il presidente, ma se ha ucciso qualcuno dovrà risponderne davanti alla legge. Ridia il telefono al suo proprietario Mr Bane, se avrò bisogno di parlare con lei la convocherò al dipartimento per un interrogatorio ufficiale. Arrivederci.>>
Attaccò senza aspettare alcuna risposta e i sensi di colpa gli caddero addosso come una cascata.
Era stato troppo duro, quell'uomo aveva perso quello che sembrava essere il suo miglior amico, probabilmente aveva anche visto il suo cadavere ma era dovuto scappare da quella casa per non lasciare tracce ed essere poi sospettato d'omicidio, si stava impegnando per scoprire chi fosse l'assassino e vendicare una persona cara e lui gli aveva detto quelle cose -del tutto vere- estremamente dure e sgradevoli.
Si passò la mano sul volto e tornò verso il bagno, deciso ad infilare la testa sotto il lavandino e poi andare a dormire senza neanche asciugarsi i capelli.

Se si fosse fatto gli affari suoi, anni prima, ora non si starebbe rodendo il fegato sicuro di aver ferito i sentimenti di una persona che a mala pena conosceva.
Che schifo di vita che aveva.

<< Fottuti sensi di colpa, non potevano darne un po' anche a Izzy, Jace e Max? Tutti a me, eh?>>


 


 

I laboratori informatici si trovano al piano interrato, assieme ai laboratori scientifici e alla sala autopsie dove lavora sua sorella. Erano stati gli ultimi ad essere inseriti nell'edificio ma da una decina d'anni a questa parte lavoravano forse più di quanto non facessero gli altri uffici del dipartimento.
Simon Lewis era entrato a far parte della squadra informatica dopo essersi laureato alla Borwn, era un vecchio amico di Isabelle e Jace, nonché il fratello-non-fratello di Clary, la ragazza del biondo. Era un ottimo tecnico, un informatico capace ed un nerd senza speranze che si era appassionato alla tecnologia moltissimi anni prima, quando suo padre aveva lavorato con i primi mastodontici computer più lenti di quanto non fosse lui nel rendersi conto che qualcuno ci stesse provando. Peccato che il signor Lewis fosse morto d'infarto quando Simon era solo un bambino.

Gli batté una mano sulla spalla per richiamarlo. Lo vide sussultare e togliersi le cuffiette dalle orecchie prima di sorridergli raggiante.
<< Alec!>>
<< Lewis.>>
Storse la bocca e si sporse per afferrare una sedia e tirarsela vicina, facendogli cenno di sedersi,
<< Quando la smetterai di chiamarmi per cognome?>>
<< Quando non saremo a lavoro.>> gli rispose semplicemente, << Hai un attimo di tempo?>>
Il ragazzo gli sorrise ancora e annuì, << Per te sempre, cognato.>>
Fu il turno di Alec di storcere la bocca: solo perché suo fratello stava con sua “sorella” questo non faceva di loro due cognati, aveva anche provato a spiegarglielo più di una volta, ma il ragazzo era pressoché irremovibile.

<< Cosa posso fare per lei, Detective?>> gli chiese con tono ufficiale.
Alec alzò gli occhi al cielo.
<< Ho bisogno della pianta di casa di Ragnor Fell e dei suoi sistemi d'allarme.>>
Simon annuì per poi smanettare veloce sulla tastiera senza neanche guardarla.
<< Sospetti che l'assassino si sia introdotto in casa e che sia stato in grado di disattivare tutti gli allarmi?>>
<< Dev'essere così. A meno che Fell non lo abbia fatto entrare di sua spontanea volontà. Solo che se così fosse non avrei uno straccio di indizio. Non c'è apparentemente segno di forzatura, le porte erano semplicemente aperte, le finestre sigillate.>>
<< Speri che sia stato manomesso il sistema?>>
<< Si, avrebbero lasciato delle tracce in quel caso.>>
Simon si bloccò guardandolo perplesso, << Avrebbero?>>
<< Esatto. Comincio a pensare che non fosse un solo aggressore. Fell era in buona forma fisica, era molto alto e teneva delle armi per casa. Se l'assassino fosse stato uno solo sono sicuro che l'avrebbe fronteggiato.>>
<< Ma se fossero stati di più allora avrebbe dovuto arrendersi.>> Il ragazzo annuì comprensivo e tornò a fissare lo schermo, una smorfia si aprì sul suo volto ma più che disappunto parve confusione.
<< Cos'hai trovato?>>
<< E' strano.>>
<< Cosa?>> Alec si sporse sulla sedia a guardare la serie di numeri e codici che scorreva verde sulla sfondo nero della finestra del programma.
<< Vedi, questo sistema d'allarme è molto sofisticato, se qualcuno prova ad entrare in casa non scattano sirene o simili, si limita a registrare l'accesso e mandare un messaggio in tempo reale al proprietario. Ma è anche dotato di un sensore intelligente, tipo: se Fell aveva programmato una visita per quella mattinata gli sarebbe bastato inserire il nome del tipo ed il computer lo avrebbe cercato nel database, scannerizzato l'immagine e segnalato l'ingresso alla casa come la persona attesa. Capito?>>
Alexander sbatté un paio di volte le palpebre, << Praticamente come un bodyguard, se sei sulla lista segno che sei entrato ma non do allarmi?>>
<< Esatto!>>
<< E cosa ci sarebbe di strano?>>
<< Ecco, guarda qui.>> Indicò una fascia di numeri e poi li evidenziò con il mouse, << E' segnalato l'arrivo di un ospite per le tre di pomeriggio.>>
<< L'ora del decesso.>>
<< Si. Ma non c'è il nome del visitatore, c'è solo questa segnalazione che “sta arrivando un ospite”, ma niente di più. Ora però arriva il bello: se il tuo assassino fosse stato solo, come tutti pensano, il computer non avrebbe dato nessuna sorta di allarme, ma tu sei il super Detective della Omicidi Alexander Gideon Ligthwood e hai i super poteri che- >>
<< Simon. Il sunto.>>
<< Oh, certo, scusa, mi sono lasciato prendere la mano, eh. Dicevo, c'hai preso in pieno Alec. Se fosse stato solo uno non sarebbe scattato l'allarme, ma la fotocellula dei sensori ha registrato ben sette individui e ha mandato il messaggio a Fell. Dev'essersi spaventato perché subito dopo il sistema riceve l'ordine di sigillare tutte le casseforti e di mettere in sicurezza di dati sugli hard driver privati dell'uomo. >> Scorse giù la lista e gli mostrò un'altra stringa di comando, << Ma qui arriva davvero il bello, preparati. Pare che mentre si scatenava il pandemonio cibernetico nei pc Fell, un utente esterno, e anche decisamente bravo direi, bucava il firewall e sbloccava di prepotenza tutte le entrate e le cassette di sicurezza della casa, un contrordine di prima categoria e senza possibilità di disattivazione. Ha usato un IP anonimato, mi rimbalza per mezza America e poi schizza in Europa, ma ovviamente non ha fatto i conti con me e non appena il mio programmino finirà di girare potrò dirti l'ubicazione precisa del nostro hacker.>>
Alec rimase fermo a fissare la schermata piena di simboli e parole incomprensibili per lui, mentre i suo cervello lavorava veloce come i server del dipartimento.

Fell aspettava un solo visitatore, probabilmente il compratore, ma non ne conosceva il nome e le telecamere non lo avevano identificato. Bane era stato sul posto, ne erano sicuri perché lo aveva ammesso lui stesso, ma l'allarme non era scattato, Simon glielo avrebbe detto se ci fossero state altre intrusioni che non fossero quelle degli agenti e dei ragazzi della scientifica. Per di più, essendo amici, dubitava fortemente che la telecamera non l'avrebbe riconosciuto appena entrato nel suo raggio d'azione. Aveva ragione lui, Bane non era l'assassino.
Ma perché aveva portato così tanti uomini? Se l'oggetto da trasportare fosse stato molto grande di sicuro Fell avrebbe messo in conto la presenza di aiutanti, a meno che non fossero fuori ad aspettare ed il compratore li avesse chiamati quando i giochi si erano fatti pericolosi.
Stava per chiedere a Simon quando erano entrati gli altri sospetti, perso nei suoi ragionamenti, quando il ragazzo scoppiò in un'esclamazione sorpresa.

<< Cos'hai trovato?>>
Simon batté le palpebre, si tolse gli occhiali, ripulendoli prima di rimetterseli sul naso.
<< L'ordine di sblocco della casa di Fell è stato lanciato da un pc qui.>>
<< New York non è proprio una pozzanghera Lewis, riesci ad essere più preciso? Mi serve un indirizzo.>>
L'altro scosse la testa, << No, io- io intendo qui. Qui, qui Alec.>>
Lo sguardo del moro si fece improvvisamente più serio. << Non dire altro.>> stroncò sul nascere la sua prossima frase. << Ascoltami bene, okay?>>, Simon annuì, << Questi dati, puoi salvarli da qualche parte ed eliminarli poi dal server? Si? Elimina le tue ricerche, cancella tutto e non parlarne con nessuno. Se ti chiedono qualcosa mi hai mostrato la planimetria della casa e mi hai spiegato come funziona il sistema. Non dire nulla di più, non entrare nei dettagli. Con nessuno Simon. Nessuno.>>
Il ragazzo sbiancò, deglutendo per poi annuire, << Ti spedirò i file il- >>
<< No. Niente spedizioni. Se puoi stampali o mettili su pennetta. Ma non lasciarti tracce alle spalle.>>
Alexander si alzò dalla sedai allontanandosi a passi decisi, quando la voce di Simon gli giunse flebile e tremante,
<< Neanche ad Hodge? O al Capo Blacktrone?>>
Ci pensò per un lungo minuto, poi scosse la testa senza neanche voltarsi, << A nessuno Simon, neanche al tuo Rabbino.>>











 

Salve.
Questa storia è la prima di una serie thriller , un poliziesco, che segue gli eventi di un normale caso d’omicidio nella città di New Tork City. I ruoli e le gerarchie sono ovviamente quelle americane, ma la mia principale fonte d’informazione è Wikipedia, quindi se dovessero esserci imprecisioni gradirei mi deste una voce.
I personaggi sono loro, li conosciamo tutti, ma non assicuro che rimarranno sempre IC, lettore avvisato mezzo salvato.
Yo.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II


 


 

Quel caso lo stava logorando, Alec se ne rendeva perfettamente conto, ma non poteva mollare.
Seduto alla sua scrivani si rigirava le foto della scena del crimine tra le mani. La casa era tutta sotto sopra, la stanza in cui era stato ucciso Fell era probabilmente il suo studio, uno spazio ampio e ben arredato, con un grande tavolo di vetro su cui erano stati rovesciati i cassetti dei mobili vicini, assieme a carte e ad un vaso di fiori. Una sola striscia di parete divideva due grandi vetrate coperte da tendaggi terra di Siena, su quel muro spiccava una cassaforte vecchio stile, davanti una scrivania di legno massiccio ed una poltrona dallo schienale alto. Altri documenti, il computer, quella che credeva fosse una campana tibetana e a terra, al fianco della tavolata, una mezza colonna di legno scuro che probabilmente aveva accolto i cocci che giacevano a terra davanti a lei.
Sospirò senza capire cosa ci fosse di strano in quelle foto, cosa potesse mancare. Non c'erano vuoti sulle pareti, non c'era alcun indizio che facesse pensare che un oggetto ingombrante fosse stato rimosso, ogni camera era puramente messa a soqquadro e Alec non sarebbe mai riuscito a dire se mancasse o meno qualcosa.
Attirò la sua attenzione solo il candelabro su un comò vicino al divano, nel salone della casa: era abbastanza certo che quel tipo di arredamento andasse a coppia, sua madre ne aveva uno simile a casa, ed improvvisamente gli sorse il dubbio che fosse il suo occhi per nulla attento all'arte che non vedeva l'ovvio. Gli serviva una mano.



 

Casa di Clary Fray era un appartamentino piccolo ricavato dal piano superiore della palazzina dove abitavano i suoi genitori, quella che sarebbe dovuta essere la mansarda ma che offriva abbastanza spazio per una cucina, un bagno, un salone-studio e una camera da letto. L'indipendenza che tutti i ragazzi agognano e ma che non tutti si possono permettere.
Alec non aveva mai amato troppo Clarissa Fray, forse perché aveva letteralmente rapito suo fratello e a quei tempi -non che la cosa ora fosse cambiate- nessuno poteva toccargli Jace.
Poggiò il braccio sullo stipite della porta e la fronte su di esso, in attesa che la ragazza gli aprisse.
Con il tempo aveva imparato a sopportarla, poi ad apprezzarla ed ora era diventata una di quelle persone per cui Alec correva ad ogni chiamata, come per Izzy, come Jace o Max, come in fondo faceva anche con Simon, ma non c'era bisogno che il ragazzo lo realizzasse.

La porta si aprì facendolo sussultare, la faccia tondeggiante e lentigginosa di Clary gli regalò un sorriso a trentadue denti ed un abbraccio che quattro anni prima non si sarebbe mai permessa.

<< Pronta ad aiutarla Detective!>>
Alec alzò gli occhi al cielo, da quando lo avevano promosso i suoi amici non facevano altro che chiamarlo in quel modo, solo per prenderlo in giro in effetti.
<< Devo farti vedere delle foto, per un caso.>>
<< Oh! Ti aiuterò con delle indagini?>> gli occhi le brillarono per l'emozione, Clary amava l'azione sul campo ma era solo una disegnatrice di identikit, quando non lavora nella galleria di sua madre o per l'accademia, Jocelyn e Luke le avevano fatto promettere anni addietro che non si sarebbe mai messa nei guai e non si sarebbe mai immischiata con gli affari della polizia, con le indagini vere e proprie.
Bastava suo fratello alla OCCB.
E Alec non aveva la minima intenzione di fomentare la sua fantasia.
<< Non proprio Fray, non ti gasare. Ho bisogno di un occhio esperto d'arte, la mia vittima era un collezionista ed un venditore, vorrei capire se mancano dei pezzi e che valore hanno quelli ancora presenti.>> Si sedette sul divano macchiato di vernice secca ed estrasse le foto dal fascicolo che si è portato dietro, porgendogliele.
Clary le osservò con attenzione, concentrata su ogni minimo particolare ed Alec la vide sorprendersi e sobbalzare quando incontrava qualcosa a lei famigliare o che credeva perduto.
<< Era un ricettatore?>> gli chiese piano facendolo annuire, << Certo, questo Manet sembra vero, per quanto possa capirne da una foto, ma se è così sappi che è stato rubato da una collezione privata anni fa.>>
<< Non lo troverei strano. Che puoi dirmi del candelabro? So che non è proprio arte come la studi tu, ma credo che debba avere un gemello, ha un grande valore?>>
Clary scosse la testa, << No. Cioè, sicuramente ha un bel valore, sembra del diciassettesimo secolo circa, per i motivi e i decori floreali, e si, venivano fatti in coppia, ma è molto probabile che qualche ladro ne abbia rubato solo uno o che la tua vittima abbia trovato solo quello in vendita. Ma certo non vale quanto il Manet.>>

La porta si aprì pochi minuti dopo, quando i ragazzi erano ancora intenti ad esaminare le foto del corridoio e Clary stava letteralmente uscendo fuori di testa perché “se sono tutti originali ci si potrebbe aprire un museo!”. Jocelyn entrò in casa della figlia con un vassoio di mano carico di biscotti fumanti e anche se ormai era fine Giugno Alec non poté far a meno di ringraziare la donna per quell'intrusione gradita.
Anche se non era più un bambino ed il fatto che la signora Fray si ostinasse a portar loro sempre biscotti, torte e latte un poco lo indispettiva.

<< Non credete che sia ora di fare una pausa? Alec ho fatto di tutto per tenerla fuori dai giochi e tu le porti un invito diretto?>> Sorrise poggiando il vassoio davanti a loro e sedendosi sul pouf vicino al tavolo.
<< Mi spiace Jocelyn, mi serviva qualcuno esperto d'arte. Ma posso assicurarti che non corre nessun rischio, non sta indagando con me.>>
Il broncio di Clary avrebbe meritato una foto, Jocelyn le sorrise carezzandole la testa, << E' meglio così tesoro, il lavoro da poliziotto non fa per te.>>
Gli chiese poi un paio di quelle foto, del tutto decisa ad aiutarli ed iniziò ad esaminarle con loro.
Alec e Clary stavano discutendo sulla possibilità che l'oggetto mancante si trovasse dentro ad una cassaforte, che magari poteva essere un gioiello di non si sa quale nobile quando Jocelyn si fece scappare una foto di mano, saltando sull'attenti e sbrigandosi a recuperarla.
<< Scusa ragazzi, non mi ero accorta dell'ora! Ho un appuntamento con un cliente.>> Si sporse per dare un bacio in testa a Clary ed una carezza sulla spalla ad Alec. << Vorrei rimanere qui ad aiutarvi ma proprio non posso.>>
<< Nessun problema mamma, ci sono io qui ad aiutare Alec con le indagini!>>
<< Mi aiuti con le opere, non con le indagini. Nessun problema Jocelyn, grazie per tutto.>>
La donna gli sorrise un'ultima volta, estraendo il telefono dalla tasca dei pantaloni e sbrigandosi ad uscire dall'appartamento.

Alec si allungò verso il tavolino per prendere le foto che la donna stava esaminando e sospirò fissando la scena del crimine, la prima foto della pila. Tenne lo sguardo sugli schizzi di sangue sulle zampa della scrivania e sulla mezza colonnina di legno, sulla targa d'ottone fissatavi sopra e sull'enorme goccia rossa secca che sembrava guardarlo accusatoria, unica macchia sul rettangolo lucente.

Perché lo avevano ucciso?
Cosa avevano rubato?
Ma soprattutto:

Chi ha ucciso Ragnor Fell?



 

Lo avevano informato meno di un'ora prima: Catarina Loss, amica d'infanzia di Fell, era appena tornata da un viaggio in Perù e finalmente la si poteva interrogare.
Avevano cercato di contattare la donna non appena avevano trovato il cellulare della vittima, il suo numero risultava tra gli ultimi chiamati, assieme a quello di Bane. C'era voluto più del previsto però per rintracciarla e riportarla negli States.
A quanto ne sapeva era un'infermiera che lavorava al New York Presbyterian, il downtown Hospital, vicino al ponte di Brooklyn. Era stata in molti ospedali, richiesta in prestito per la sua capacità di trattare con le personalità più disparate sino ad approdare a Manhattan.
Si trovava proprio lì in quel momento, alla reception del Downtown, aspettando che un'infermiera finisse la sua telefonata per chiamare la signorina Loss al cerca-persone. La sala d'attesa era affollata e rumorosa, sentiva bambini piangere e voci di vario genere lamentarsi e si girò per osservare meglio l'ambiente circostante. Alexander aveva fatto qualche volta servizio negli ospedali quando era ancora una recluta, sapeva che i problemi si nascondevano ovunque e che sarebbero potuti sorgere da un momento all'altro, quindi era pronto ad andare in aiuto della giovane guardia che stava cercando di spiegare ad un uomo qualcosa di indefinito, se mai ce ne fosse stato bisogno.
La capo infermiera gli batté gentilmente la mano sulla spalla, indicandogli una figura femminile e completamente bianca avvicinarsi a loro.
Tra la divisa candida ed i capelli dello stesso colore legati in una coda alta un po' sbilenca, Catarina Loss si mimetizzava con le pareti spoglie dell'ospedale come lui di certo non riusciva a fare. La vide alzare lo sguardo ed indurire l'espressione del volto, gli si avvicinò a passo di marcia.

<< Sono in servizio agente, in questo momento non posso proprio parlarle.>>
<< E' una questione di pochi minuti signorina, sono il Detective Lightwood, della omicidi, vorrei farle qualche domanda su Ragnor Fell.>> si sporse verso di lei allungando una mano ma la donna lo ignorò, girando attorno al bancone per prendere delle cartelle.
<< Oh, so perfettamente perché è qui, Detective, ma cosa posso dirle io su Ragnor che lei non sia riuscito a scoprire durante queste settimane di indagini sfiancanti.>> Il sarcasmo nella sua voce era così marcato che Alec si sentì arrossire dalla vergogna.
Non aveva bisogno di un'altra persona che gli ricordasse quanto le sue indagini stessero facendo schifo.
La donna parve accorgersi del suo disagio e lo fissò sorpresa, chi si sarebbe mai immaginato che un Detective della omicidi arrossisse per le parole di un'infermiera qualunque che lo rimprovera per non esser ancora riuscito a scoprire l'assassino di un contrabbandiere?
Stava quasi per dirgli di farle avere una convocazione ufficiale, se proprio voleva parlarle, quando un grido spaventato si propagò per la sala d'attesa: un ragazzo sui venticinque anni era entrato nella sala barcollando, la guardia aveva provato a fermarlo e a farlo uscire fuori, stava spaventando i pazienti e se continuava a dar fastidio sarebbe stato costretto a scortarlo all'esterno lui stesso.
Poi il ragazzo gli strinse le mani sulle braccia e cominciò a farfugliare cose senza senso, dando il via ad una discussione che presto degenerò, soprattutto quando lo sconosciuto si piegò verso la guardia vomitando e questa lo spinse via schifata.
Il caos si impossessò presto di tutti i presenti e Catarina corse verso il giovane a terra chiamando le sue colleghe e chiedendo una barella, intralciata da tutti i pazienti che si erano alzati e sciamavano nell'ambiente. Un fulmine nero la sorpassò togliendo di mezzo la guardia e ordinandogli di occuparsi dei presenti, mentre si inginocchiava vicino al malato.
Alexander passò un braccio attorno alla vita del ragazzo e gli portò una mano sulla fronte, per scostargli i capelli sudati e sostenergli la testa nell'ennesimo conato.

<< Respira, sta tranquillo. Sei in ospedale, adesso ti portiamo al pronto soccorso, resisti.>>
Si voltò verso la guardia con un'espressione fredda da far paura, << Hai sentito quello che ti ho detto prima? Occupati dei presenti, calmali e tienili lontano da qui, sei capace di far almeno questo? O ti fa schifo anche parlare alla gente oltre che aiutarla?>>
Il ragazzo sembrò riprendersi e pieno di vergogna fece per avvicinarsi, << Non so chi ti credi di essere amico ma non prendo ordini da un civile. Quindi ti conviene allontanarti da qui e- >>
<< E cosa? Ci pensi tu? Oh, l'ho visto. E non so chi ti credi di essere tu, ma io sono il Detective Lightwood, recluta, e ti conviene fare quello che ti ho detto se non vuoi ritrovarti senza distintivo alla fine di questa giornata. Se sei entrato in polizia solo per la divisa e la pistola ti conviene anche sparire dalla mia vista prima che abbia le mani libere per sbatterti in prigione per omissione di soccorso. Se credi nelle forze dell'ordine e vuoi fare la tua parte, allontana i civili e calmali. Ora.>>
La giovane guardia lo fissò scioccata, poi balbettando frasi senza senso si girò ed eseguì gli ordini.
Catarina intanto aveva assistito alla scena sorpresa, mentre prendeva dalle mani della collega il kit per le flebo e s'avvicinava cercando di infilare l'ago nel braccio del ragazzo tremante. Questo si lasciò andare all'indietro, poggiando la schiena contro il torace di Alec che prontamente lo sollevò da terra prendendolo in braccio ignorando lo sforzo, avvicinandosi alla barella che stava arrivando e adagiandocelo sopra con delicatezza.
<< Ora si prenderanno cura di te, va bene?>>
Seppur mezzo svenuto il ragazzo annuì, allungando una mano per stringere quella di Alec che gli sorrise con fare rassicurante aiutando Catarina e l'altra infermiera a spingere via il lettino.
<< Grazie.>> mormora piano il ragazzo.
<< Come ti chiami?>> s'intromise allora Loss.
<< Jacke Montgomery.>> ma guardò fisso Alec, come se avesse paura che potesse sparire da un momento all'altro, << Io… >>
<< Tranquillo. Sono qui.>> gli strinse di più la mano, cercando comunque di non dar fastidio alle infermiere che si affaccendavano per collegarlo ai monitor, << Il mio nome è Alec. Sii sincero con me Jacke, cos'hai preso?>>
Catarina si bloccò sul posto, voltandosi di scatto verso il detective che sorrideva gentile al paziente e lo rassicurava. Si era reso conto che era un drogato?
Non sentì la risposta del ragazzo ma la sentì il dottore appena arrivato che mandò fuori dalla stanza il poliziotto ringraziandolo del pronto intervento, nonostante le proteste del giovane Jacke che chiedeva al moro di non lasciarlo lì da solo.
<< Appena il dottore ti avrà visitato verrò a vedere come stai, va bene?>> gli promise prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.

 

Quando l'infermiera Loss uscì dalla sala e si ritrovò il detective impegnato in una bella lavata di capo alla guardia di sicurezza ne rimase del tutto sorpresa.
Alec finì di sgridarlo e poi si voltò verso di lei, regalandole una smorfia che la donna interpretò come un tentativo di sorriso.

<< Come sta? E' stabile?>>
Ancora una volta lo sorprese, pensava che l'avrebbe subito sommersa di domande su Ragnor e invece si era interessato al ragazzo.
Annuì, << Nulla che una lavanda gastrica non ha potuto risolvere.>>
Anche Alec annuì e per un attimo vi fu silenzio.
<< Senta, io devo lavorare ora. >>
<< Quand'è l'orario di visita?>>
Parlarono all'unisono ma la domanda del moro lasciò l'infermiera di stucco.
<< Vuole davvero far visita al paziente?>>
Lo vide stringersi nelle spalle ed annuire, << Gli ho detto che sarei rientrato da lui non appena ne avessi avuto l'opportunità.>>
<< Lo so, c'ero anche io quando lo ha detto.>> pausa, << Vuole davvero vederlo? Lo sa che è un drogato?>> chiese quasi a sfidarlo. E quasi a raccogliere quella sfida Alexander aprì le spalle chiusesi dalla stanchezza e alzò la testa con una scintilla combattiva nello sguardo,
<< Vorrei vederlo davvero e so perfettamente che ha assunto sostanze stupefacenti, ma questo non vuol dire che non debba aver nessun conforto o qualcuno vicino a lui. Se l'ospedale è troppo occupato mi prenderò anche la responsabilità di contattare i suoi famigliari se ne ha.>>
Catarina Loss lo fissò ancora senza sapere cosa dire, colpita dalla fermezza della sua voce e dalla sua risolutezza. Chiunque se ne sarebbe andato appena saputo che il paziente era stabile, scaricato del peso della sua salute. Lui no.
Aveva visto la guardia di sicurezza, quel moccioso con un accenno di barba appena uscito dall'accademia, minacciare un ragazzo della sua stessa età forse, malato e palesemente bisognoso d'aiuto, di buttarlo fuori perché infastidiva i presenti in sala. Lo aveva visto spintonarlo via schifato dal vomito e per quanto potesse capire che chi non ci fosse abituato lo trovava disgustoso, non riuscì a non far il paragone con quel giovane uomo che era corso a sorreggere un drogato fregandosene del suo bel completo pulito, inginocchiarsi a terra e sostenerlo nei conati, lasciando che gli si poggiasse addosso e sollevandolo di peso per portarlo sulla barella, stringendogli la mano e rassicurandolo.
Aveva avuto molto a che fare con malati, criminali e poliziotti di ogni sorta, Catarina aveva lavorato come volontaria nelle cliniche più malfamate e negli ospedali più quotati, capendo che le persone veramente pronte ad aiutare e a sporcarsi le mani per il prossimo, per il loro lavoro, erano davvero poche.
Forse il Detective Lightwood era uno di questi.


 

Aveva finito il turno ed aveva chiesto ad una collega se l'agente di polizia che l'aveva aiutata prima fosse in sala d'attesa. Ci rimase davvero male quando le disse che non lo vedeva da molto tempo e che probabilmente se ne era andato via ore fa.
Rimase amareggiata da un'aspettativa andata così in fumo, forse non se ne sarebbe dovuta sorprendere troppo ma aveva davvero sperato che l'uomo incaricato di far giustizia per Ragnor fosse una brava persona, imparziale e gentile come si era mostrato prima il detective. Evidentemente Ragnor non poteva aver fortuna nella morte come non ne aveva avuta molta nella vita.
Avrebbe chiamato Magnus una volta arrivata a casa e gli avrebbe chiesto cosa sapeva lui.
Si passò una mano tra i capelli avviandosi verso la camera dove era ricoverato quel ragazzo, quel Jacke, arrestandosi davanti alla porta e aggrottando le sopracciglia.
Con chi stava parlando il ragazzo? Erano già riusciti a chiamare i parenti?
Aprì la porta dopo aver bussato piano e per l'ennesima volta quella giornata rimase imbambolata a fissare la scena davanti a lei: il paziente era seduto sul letto, la schiena poggiata su diversi cuscini messi con cura sul materasso reclinato, sembrava tranquillo anche se molto pallido, le flebo erano tutte al loro posto e i macchinari mostravano le pulsazioni regolari del cuore e delle altre funzioni vitali. Ma a scioccarla era il giovane uomo seduto sulla sedia vicino al letto, la giacca scura poggiata alla spalliera, la schiena dritta come un fusto torta verso di lei. Anche la sua pelle era pallida ma si vedeva lontano un miglio che era naturale e non malata. I capelli neri e scompigliati risaltavano in un contrasto accecante, come gli occhi di un abbagliante blu. Le labbra morbide piegate in un sorriso un poco impacciato, le guance arrossate, forse imbarazzato di esser stato trovato così, a ridere e scherzare con un perfetto sconosciuto. E Catarina ci mise un attimo per rendersi conto che l'imbarazzo non era dovuto tanto alla situazione in sé ma era rivolto tutto a lei e al fatto che il detective si sentisse in colpa per trovarsi lì invece che fuori a fare il suo lavoro, ad indagare.

<< Salve infermiera. Non ho avuto modo di ringraziarla prima.>> la voce rauca del ragazzo proruppe nel silenzio che era andato a crearsi e Catarina si riscosse.
<< Non ha niente di cui ringraziarmi, è il mio lavoro, lo faccio con piacere.>>
Lui le sorrise grato e allungò una mano per posarla sul braccio del poliziotto.
<< Alec ha detto la stessa cosa, ma gli ho fatto notare che non è il suo lavoro visto che non è un medico. Però, davvero, non so cosa dire.>>
<< Potresti assicurarci che non toccherai più una droga in vita tua. O magari assicurarmi che andrai al centro di disintossicazione.>> gli rispose con voce gentile il moro.
Il ragazzo scoppiò a ridere sprofondando nei cuscini, << Le pare giusto infermiera? E' più piccolo di me e riesce a fregarmi come se fosse mia madre.>>
Alexander arrossì e abbassò la testa imbarazzato, sbuffando, << Ho solo tre fratelli minori.>>
E i due ricominciarono a parlare come se si conoscessero da una vita mentre Catarina li guardava senza saper cosa dire.


Il caffè era caldo al punto giusto, andando incontro a Luglio si sopportava il calore della bevanda solo ed unicamente per ciò che era. Il carretto da cui avevano preso da bere era all'angolo dell'ospedale e il detective le chiese da che parte fosse casa sua per potersi avviare in quella direzione e non rubarle troppo tempo. Un'ennesima gentilezza che Catarina catalogò con attenzione nella mentre.

<< Ragnor era uno studioso d'arte, un appassionato a dire il vero. Amava studiare le opere e le storie che si nascondevano dietro di queste, ma non aveva proprio le spalle coperte, diciamo così. Era inglese, i suoi genitori si trasferirono qui in America negli anni novanta, Rag aveva a mala pena nove anni quando è arrivato, gli mancava l'Inghilterra. >> sorrise amaramente al ricordo dell'amico da piccolo, quel bimbetto così a modo e con quello strano accento che veniva sempre preso in giro da tutti. Non sapeva perché stesse raccontando quelle cose al detective Lightwood, forse perché voleva fargli capire chi era Ragnor, voleva che lo vedesse dal punto di vista umano e non come un banale criminale.
<< I suoi genitori lavoravano molto, il padre era insegnate e la madre infermiera, è lei che mi ha aiutata durante gli studi di infermieristica, erano delle brave persone e vivevano bene, ma non abbastanza bene da pagare l'accademia d'arte. Ragnor si mise a lavorare ogni estate da quando aveva dodici anni per potersi pagare la retta, non avrebbe mai ottenuto la borsa di studio perché non era cittadino americano e i posti per gli stranieri erano pochissimi e ambiti da molti. Rag era bravo a disegnare, molto più a modellare la creta o a progettare architetture, ma era più uno studioso che un artista vero e proprio e non poteva competere con ragazzi che avevano la mano di Michelangelo. Magnus, un nostro amico d'infanzia, è sempre stato più che benestante e gli propose anche di pagargli le rate, ma può ben immaginare che lui rifiutò, era suo amico perché gli voleva bene, non si sarebbe mai approfittato dei suoi soldi. >>
Alec annuì piano, quasi per paura di interrompere quel momento di racconto che si era andato a creare.
Non aveva chiesto nulla di specifico, le aveva offerto il caffè e poi le aveva chiesto chi fosse Ragnor Fell. La donna era parsa molto sorpresa dalla domanda ma gli aveva sorriso e cominciato a parlare del suo amico con voce lontana, immersa in chissà quale ricordo.
<< Ma ovviamente lavorare d'estate, ciò che può fare un adolescente poi, non bastava minimamente a pagare l'iscrizione, figurarsi una retta. Aveva quindici anni quando sentì degli uomini vicino casa sua parlare di una collezione privata in prestito ad una galleria d'arte a Brooklyn e di alcuni quadri che vi erano esposti. Parlavano di quanto costasse una stampa e Ragnor, che conosceva quella collezione e aveva pregato me e Magnus di accompagnarlo a vederla almeno un migliaio di volte fino a convincerci, gli disse che la stampa non valeva quanto il Manet esposto nella sala secondaria. Che il curatore dell'opera doveva essere un cretino perché per quanto quella stampa fosse famosa non raggiungeva comunque il valore storico e monetario del quadro.>>
Il ragazzo rimase sorpreso, << C'era un Manet a casa sua, una mia amica, anche lei appassionata d'arte, dice che è così bello da sembrare vero, ma che è impossibile perché fu rubato anni fa da una collezione privata.>> si lasciò sfuggire senza rendersene conto.
Catarina ridacchiò sotto i baffi e annuì. << Capitò che quegli stessi uomini, o altri, lo andassero a cercare altre volte. Gli regalavano i biglietti per le mostre più prestigiose e poi tornavano dopo che le aveva visitate per chiedergli cosa ne pensasse, se ci fossero opere antiche e cose simili. Finché un giorno, Gennaio dei nostri sedici anni, non si presentò Magnus con dei biglietti per una mostra fin troppo prestigiosa, asserendo che era tutto organizzato e che noi dovevamo solo andare a fare i finti altolocati, come disse lui. Durante la mostra incontrammo persino il padre di Mags e dopo i convenevoli si mise a parlare con Ragnor e a chiedergli cosa ne pensasse di ciò che aveva visto. Evidentemente rimase sorpreso dalle sue opinioni e gli propose di diventare suo consulente d'arte, lo avrebbe anche pagato.
Per un attimo Ragnor pensò che fosse tutta una trovata di Magnus per aiutarlo con le spese ma poi vide la sua faccia scioccata e capì che non ne sapeva niente.>>
<< Entrò così nel giro?>>
Lei sospirò e bevve un altro sorso di caffè.
<< Era un lavoro semplice, Ragnor poteva continuare tranquillamente a studiare per il diploma senza dover trascurare lo studio con i suoi lavori part-time. Gli incarichi potevano arrivare in ogni momento. Magnus si presentava con tre biglietti, alle volte quattro o più se uno di noi aveva un fidanzato, comprò addirittura dei completi eleganti per le occasioni più importanti. Andavamo a vedere le mostre, Ragnor studiava le opere, parlava anche con altri visitatori e tutti rimanevano stupiti dalla sua conoscenza nel campo.>>
<< Se ne erano così stupiti perché nessuno gli ha mai offerto un lavoro?>>
La donna rise amareggiata, << Perché quando scoprivano da dove veniva, che non aveva nessuno alle spalle, che non aveva un nome, la gente perdeva interesse. Era solo uno dei tanti ragazzini che aveva un sogno più grande di lui.
Usciti dai musei andavamo tutti a casa di Magnus, lì spesso incontravamo suo padre ma anche altri uomini. Ci chiedevano come fosse andata, com'erano le opere, cose simili. Poi il giorno dopo a casa di Ragnor arrivava una busta con dentro dei contanti, il suo stipendio per quella volta, e tutto continuava così, a ciclo.
Quando ci siamo diplomati Rag aveva abbastanza soldi per iscriversi all'accademia e per pagare le rette dei primi due anni.>>
Alexander sgranò gli occhi, guadagnava così tanto?
<< Diamine, non ho proprio capito niente della vita.>> borbottò sconcertato facendo sorridere dolcemente Catarina.
<< Era felicissimo di poter studiare arte e si sentì in dovere di ringraziare il suo “mecenate”, forse fu lì che sbagliò. Disse al signor Bane che gli doveva molto e che avrebbe cercato di sdebitarsi con lui, che avrebbe provato ad aiutarlo come poteva anche se non aveva da offrirgli molto.
Lui gli rispose che non gli doveva nulla, che aveva lavorato per ottenere quei soldi ma che non doveva credere che il loro “rapporto di lavoro” fosse concluso così. Ricordo che gli disse qualcosa tipo “adesso che andrai all'accademia sarai ancora più bravo e competente” o tipo che stava investendo su di lui. In pratica lo introdusse nell'ambiente dei collezionisti d'arte, dei compratori, degli antiquari… >>
<< Solo dal lato sbagliato della barricata.>>
<< Il mercato nero, si. Credo che Ragnor se ne sia accorto troppo tardi, o che forse lo avesse capito prima di noi ma che gli andasse bene, che alla fine si trattava sempre di gente che amava l'arte. Diceva sempre che se sei tanto folle da ricercare un oggetto sul mercato nero vuol dire che o ti hanno pagato tanto, o devi rimediare ad un errore, o sei davvero un appassionato.
Il Manet glielo regalò il Signor Bane, sa? Gli disse che se si fosse diplomato all'accademia con il massimo dei voti sarebbe potuto entrare nel suo ufficio e scegliere una qualunque delle opere lì presenti, gliela avrebbe regalata. Scelse il Manet. Non ci avevo mai pensato bene, ma ora che me lo ha detto lei credo che scelse quel quadro perché si ricordò della sua prima “consulenza” e che abbia capito tutto in quel momento, che lo abbia capito davvero. L'ha scelto come un simbolo credo.>>
Camminarono per un po' in silenzio, avvicinandosi alla fermata della metro e fermandocisi affianco mentre Alec si appuntava mentalmente di indagare più a fondo su Bane.
<< Com'era nell'ultimo periodo, se la passava bene?>>
<< Ha visto casa sua, ha visto quanta roba dal valore inestimabile c'è tra quelle quattro mura. Anche se avesse avuto problemi economici gli sarebbe bastato vendere qualcosa e poi ricomprarselo in un momento migliore. Ma no Detective, Ragnor non aveva problemi economici, anzi, aveva una vendita tra le mani, che stava fruttando anche piuttosto bene.>>
L'attenzione dell'altro s'acuì al solo sentire quella frase, << Speravo che avesse un affare in ballo.>>
<< Perché? Crede che c'entri qualcosa?>>
Annuì, << Sospetto che l'assassino fosse il compratore, potrebbero aver avuto da discutere sul prezzo o sull'opera in sé. Magari l'assassino voleva pagarlo di meno, o è rimasto deluso dell'oggetto quando se l'è trovato davanti. O il signor Fell potrebbe aver trovato un compratore migliore e si è rifiutato di consegnare il manufatto al primo.>>
Lei scosse la testa, << No, per quanto i soldi possano essere stati un suo chiodo fisso da piccolo ora non ne è- era, così attaccato. Faceva spendere milioni alla gente per l'opera in sé e per la fatica che lui aveva fatto per trovarla ma non era per nulla una di quelle persone che chiudono tutto in cassaforte, li ci teneva le rarità, i soldi li teneva in banca, li usava quando gli servivano senza remore, finanziava musei, associazioni. Era corretto però, se prendeva accordi con qualcuno non mandava tutto all'aria per una terza persona che gli offriva di più.>>
<< Quindi non trova neanche plausibile che abbiano litigato per il prezzo?>>
<< Quello forse si, non gli piace essere preso in giro, è corretto, gliel'ho detto, ma pretende anche che tale correttezza gli venga restituita.>>
Alexander evitò di farle notare che stava parlando del suo amico al presente, come se lui fosse ancora lì. Ascoltò con attenzione le sue parole e cercò di elaborare una possibile teoria.
<< Però- >> Catarina tentennò un attimo, indecisa se la cosa potesse essergli utile o meno.
<< Mi dica.>>
<< L'ho sentito il mese scorso, quando era impegnato a rintracciare l'opera che gli era stata richiesta, mi disse che questo ordine era strano, che il tipo doveva essere nuovo dell'ambiente perché gli aveva offerto una cifra spropositata per l'oggetto in questione.>>
<< Un neofita? Sa cosa avesse ordinato? A quanto ammontasse il pagamento?>>
<< Non so dirle nulla sull'opera in sé, so solo che era una composizione perché una volta l'ha chiamata così, e per quanto riguarda il pagamento so che ne aveva ricevuto metà d'anticipo e che l'altra metà l'avrebbe avuta ad affare concluso.>>
Il moro le rivolse un piccolo e timido sorriso, così in contrasto con il suo aspetto serioso, con la sua figura alta e scura che a Catarina fece quasi tenerezza.
<< La ringrazio infinitamente signorina Loss, mi ha dato un grandissimo aiuto parlandomi di lui.>>
<< Davvero? -fece poco convinta- e come può aiutarla sapere come si è pagato gli studi?>>
Alec lanciò il suo bicchiere vuoto nel cestino a circa quattro metri da loro con una precisione invidiabile, << Mi fa capire chi era, quali erano i suoi valori, come si rapportava al suo lavoro, ai soldi come mi ha detto poco fa. Come pensava anche, come avrebbe reagito in determinate situazioni e da quali si sarebbe potuto tirar fuori senza l'uso della violenza. Da quel che ne ho capito il signor Fell era un uomo intelligente e concentrato, che lavorava sodo ma non lo faceva solo per vivere, che si interessava a ciò che comprava e che l'apprezzava, non si limitava a sfruttarne il potere d'offerta. E' stata davvero d'aiuto.>>
La donna tirò su con il naso e gli sorrise, << Dovrebbe parlare con Magnus, siamo sempre stati noi tre ed io ero quella più distaccata da, beh… l'ambiente. Lui saprà di certo dirvi qualcosa di più.>>
Il detective sentì il bisogno di confortarla in qualche modo, ma non era bravo ad esprimere affetto fisico ai suoi conoscenti, figurarsi ad uno sconosciuto. Parlare con i famigliari delle vittime non era mai semplice e di solito mandavano lui perché rimaneva calmo e non era facile da coinvolgere, ma questo non significava che non provasse nulla.
<< Oh, mi creda, ho già avuto il piacere di incontrare il signor Bane.>>
Ad uno sguardo incuriosito Alec sospirò, << Lo abbiamo contattato subito, è stata l'ultima persona ad aver sentito il vostro amico, pare gli abbia lasciato un messaggio in segreteria chiedendogli di vedersi.>>
<< E non le ha detto nulla? Neanche quello che le ho detto io? Non ha parlato?>>
<< Certo, ha parlato molto. Del suo gatto soprattutto, o del suo parrucchiere. Qualcosa sul fatto che potrebbe aprirne uno tanto è esperto di tinte. Per il resto ho sprecato due settimane chiedendo di poter sentire la registrazione e facendo inutilmente avanti indietro dal suo locale. Il suo amico non ha molta fiducia nella polizia, mi ha fatto girare come una trottola per nulla.>>
<< Già, è completamente da Magnus. Mi scuso per lui, soprattutto perché le ha fatto perdere tempo prezioso.>> sembrava arrabbiata ed dispiaciuta in egual misura, aveva la stessa espressione di Izzy quando si riprometteva di dare una strigliata a Jace dopo che ne aveva fatta una delle sue.
Alec scosse la testa tranquillo, << Non ha nulla di cui scusarsi signorina Loss, posso capire la sua reticenza a condividere informazioni con la polizia. Specie se i miei colleghi cercano di arrestarlo da anni senza successo. Anche se credo che non gli perdonerò troppo facilmente di avermi mandato in una tintoria facendomi credere che il commesso avesse delle informazioni importanti mentre invece mi hanno solo consegnato il suo completo per una serata.>> provò a sdrammatizzare la situazione e vi riuscì. La donna rise piano ed annuì.
<< Ci penserò io a lui. Grazie. Davvero, per essersi interessato a Ragnor, per aver dato tanta importanza a chi era e non essersi limitato a pensare che fosse solo un criminale di meno. So che lavoro faceva il mio amico e non posso dire di averlo mai accettato come di non averlo mai criticato fin in fondo. E' stato una vittima degli eventi ed è riuscito a volgere il tutto a suo favore. Non voglio giustificarlo, ma non meritava di morire così. Non meritava di morire.>>
Gli strinse una mano piccola e pallida sul polso altrettanto chiaro e Alexander non poté evitare di rispondere al gesto prendendole delicatamente la mano.
<< Non ha sofferto. So che è una mera soddisfazione e che non aiuta ad alleviare il dolore, ma lui non ne ha provato. Il colpo è stato fatale ed istantaneo, non se n'è neanche accorto, non ha avuto la possibilità di realizzare ciò che stava succedendo.>>
Gli occhi le si inumidirono e ricambiò la stretta, << Gli hanno sparato, vero? Dice che non si è neanche spaventato?>>
Scosse la testa, << Chiunque sia stato non ha avuto neanche il coraggio di guardarlo in faccia, gli ha sparato di spalle e secondo il nostro esperto hanno usato un silenziatore. Non ha neanche avvertito lo sparo.>> si fermò un attimo, << Guardava la parete con la cassaforte, presumo che lei sappia di cosa sto parlando, c'erano delle foto sopra.>>
Un singhiozzo scappò dalle labbra di lei, che serrò le palpebre ed annuì, << C'erano le nostre foto di quando eravamo piccoli.>>
<< Visto? Siete stati l'ultimo pensiero di Ragnor. E' morto guardando chi amava.>>
Catarina scoppiò definitivamente a piangere e malgrado fosse una sconosciuta, malgrado fosse l'amica della sua vittima e avesse come minimo cinque anni più di lui, Alexander non poté far a meno di paragonarla a sua sorella e di stringerla in un abbraccio di quello che sperava fosse conforto.



 

Seduto alla sua scrivania Alec cercava di collegare i pochi indizi che aveva sul caso Fell. Parlare con Catarina lo aveva aiutato molto, su questo non c'era alcun dubbio, ora sapeva che l'uomo non si sarebbe messo a discutere sul prezzo, che non avrebbe accettato di vendere il manufatto a terzi solo per denaro e che ciò che gli era stato richiesto non valeva quanto lo stavano pagando per rintracciarlo. Che ci fosse qualcosa di più sotto? Che non fosse solo per l'opera in sé?
Ripensò anche alle informazioni che aveva trovato Simon, il sistema disattivato dal dipartimento, le sette persone coinvolte. Era praticamente il numero dei membri di una squadra d'assalto, la SWAT di Jace contava otto persone, per non lasciar mai solo qualcuno, ma se era veramente un pezzo grosso il mandante di quell'omicidio probabilmente i veri uomini d'azione erano i sei che lo aveva raggiunto più tardi. Ma chi poteva usufruire del personale del dipartimento senza destare sospetti e dover chiedere permessi? Sempre che poi fossero effettivamente membri della polizia, per quanto ne sapeva potevano essere anche un'associazione privata ingaggiata dal compratore per sicurezza.
La sua invece, di unica sicurezza, era che qualcuno aveva sfruttato i server dei laboratori informatici e che fosse il mandante o un semplice scagnozzo significava che nel dipartimento c'era una talpa che usava le loro risorse per aiutare i criminali nei loro affari.
Senza contare che all'inizio di tutta quella storia aveva sentito il Capo Blackthorn parlare con Imogen Herondale, con la Signora.
Sospirò.
La verità era che da solo non sarebbe riuscito ad arrivare da nessuna parte, se sospettava davvero che ci fosse un traditore nel dipartimento non sarebbe mai riuscito a scovarlo da solo. Aveva necessariamente bisogno di un aiuto dall'altro e se l'ipotesi di chiedere a suo padre gli si era affacciata per un attimo alla mente l'aveva subito cacciata via. Quando era entrato in accademia si era ripromesso, lo aveva giurato a sé stesso, che non avrebbe mai chiesto aiuto a suo padre a meno che non fosse la situazione stessa a richiedere la presenza del vicedirettore del corpo di polizia di New York City. Non avrebbe mai preso scorciatoie, avrebbe lavorato come tutti gli altri, anche con il triplo dell'impegno pur di dimostrare che non era un raccomandato.
Ma quella volta aveva comunque bisogno di un superiore e decise di puntare tutto sul proprio.

Andrew Blackthorn era sempre stato un buon poliziotto. Aveva cominciato il suo apprendistato all'accademia di New York assieme a suo padre e a molti altri che oggi dirigevano i vari reparti del dipartimento. Poi era stato trasferito a Los Angeles e una quindicina di anni dopo era tornato, quando gli era stato proposto il ruolo di Capo Bureau della sede centrale del NYCPD.
Alexander lo aveva avuto come istruttore durante varie lezioni e lo aveva trovato sempre un uomo giusto e attento, che si preoccupava di ognuno di loro in egual misura, che seguiva tutti con perizia e non facilitava la vita a nessuno.
Si fidava del suo superiore? Si.
Si fidava a tal punto da raccontargli che credeva ci fosse una talpa nel dipartimento, che operasse sotto il loro naso, che sfruttasse le risorse e le conoscenze dei loro specialisti per aiutare criminali impegnati in traffici illeciti? Beh, su questo avrebbe potuto discuterne.
La verità però era che non aveva gran scelta e tra tutti quanti lui era sicuramente il più indicato.
A meno che non volesse firmare la sua condanna a morte e andare direttamente dagli Affari Interni a sbandierare supposizioni prive di fondamenti. Sapeva perfettamente quali sarebbero potute essere le repliche dei suoi colleghi, aveva analizzato con attenzione tutti i fatti da ogni punto di vista, soprattutto quello legale. Dopotutto sua madre era il Procuratore, come avrebbe potuto ignorare la legge?
Se solo a suo tempo avesse deciso di seguire le orme della donna invece che quelle di suo marito a quest'ora non sarebbe stato con l'acqua alla gola in una piscina che solo lui vedeva.

Ma quando mai Alexander Lightwood ha fortuna in ciò che fa?
Meglio sorvolare.

Bussò alla porta dell'ufficio del Capo ed attese il permesso per entrare.
Blackthorn sembrò stupito di vederlo lì e lo fece accomodare con una luce sospettosa nello sguardo.

<< Ci sono novità Lightwood?>>
Alec prese un respiro profondo, aveva saltato anche i convenevoli, magnifico. Chissà che faccia da schifo doveva avere.
<< Non proprio signore, sono riuscito a restringere il campo delle ipotesi ma ho un sospetto che per quanto assurdo non riesco a togliermi dalla tesa e vorrei la sua più sincera opinione.>>
L'uomo fece un secco movimento con la testa, senza staccagli gli occhi di dosso.
<< Continua.>>
Cominciò a spiegargli ciò che aveva scoperto, come non credesse che fosse una semplice lite tra compratore e venditore, che non si aveva la più pallida idea di cosa fosse l'oggetto in questione, che il pagamento sarebbe dovuto avvenire in due parti ma che in ogni caso Fell credeva che il manufatto richiesto non costasse tanto quanto la cifra che gli era stata promessa. Di come la casa fosse piena di sensori e di come questi registrassero tutto ma anche di come fossero stati manomessi.
<< I tecnici sono riusciti a rintracciare l'hacker che ha disattivato il sistema d'allarme? >>
Alec deglutì, ora arrivava la parte difficile. << Si signore.>>
Blackthorn lo scrutò attentamente, << E non ti piace. L'identità di quell'uomo ti turba.>>
<< Non la sua identità, non quella signore, anche perché non siamo riusciti a scoprirla. E' il luogo da cui è stato inviato il comando che mi turba.>>
<< Il luogo?>>
<< Esatto. Secondo il Dottor Lewis l'indirizzo IP da cui è stato hackerato il sistema di sorveglianza di casa Fell proviene dal nostro laboratorio informatico.>>
Alexander non era mai stato tipo da girare intorno alle cose, anche quando erano pesanti o delicate come quella, e non trovò altro modo di dirglielo.
Sapeva cosa aveva appena fatto, la bomba che aveva sganciato. Aveva appena detto al suo superiore che i loro computer avevano aiutato un assassino ad uccidere. E non era ancora finita.
<< Il sistema registra tutte le entrate e le uscite dalla casa, Fell inseriva i nomi e il riconoscimento facciale li identificava. Ma quel giorno era stato registrato solo un ospite ignoto. Fell non conosceva il nome del suo compratore, forse si è presentato con uno pseudonimo, e le telecamere hanno rilevato l'arrivo di un uomo senza però far partire l'allarme. Allarme che si è attivato quando ha registrato anche la presenza di altri sei individui per poi essere disattivato da uno dei nostri computer.>>
Il Capo rimase in silenzio per un po', assimilando per bene le informazioni appena ricevute e giungendo alla stessa conclusione del detective:
<< Mi sta dicendo che abbiamo un infiltrato nel dipartimento che aiuta criminali ad aggirare difese elettroniche e cibernetiche. Si rende conto della gravità di questa accusa?>>
<< Si signore, me ne rendo perfettamente conto. Nonostante ciò mi è impossibile ignorarla.>>
<< Potrebbe essere sotto ricatto, chiunque sia, potrebbero minacciarlo con qualcosa.>>
<< Ho riflettuto anche su questa eventualità, ma mi risulta strano che nessun collega se ne sia reso conto. Sono ragazzi in gamba quelli del laboratorio informatico, ma sono topi da laboratorio, non sono abituati allo scontro diretto, ad affrontare criminali in prima persona, faccia a faccia. Se lo stessero minacciando qualcuno se ne sarebbe accorto.>>
<< Quindi reputi molto più probabile che agisca volontariamente.>>
<< O che sia così abile da sfruttare la sua posizione o il suo ruolo per far lavorare terzi ai suoi comodi senza dover dar spiegazioni di sorta e potendo tranquillamente obbligarli al silenzio come segreto professionale. Ciò spiegherebbe anche i sei uomini assieme all'assassino.>>
Andrew si sporse sulla scrivania, facendo leva sugli avambracci e avvicinandosi ad Alec, che nel frattempo si era spostato sul bordo della poltrona.
<< Sei membri fanno una squadra d'assalto.>>
<< Il dipartimento della città di New York ha più di venti squadre SWAT ma non escludo che si possa trattare di una squadra privata.>>
<< Hai idea di cosa significhi tutto ciò?>>
Aveva smesso di dargli del lei e lo stava fissando come aveva fatto quando aveva diretto le indagini su un possibile attacco terroristico due anni prima. Quello era lo sguardo del poliziotto, era il suo sguardo d'azione ed Alec ringraziò Dio e tutti gli angeli del paradiso per averci visto giusto ed essersi fidato di lui. Il Capo Bureau Blackthorn non lo aveva deluso neanche questa volta.
<< Si. Significa che abbiamo più di un criminale da consegnare alla giustizia.>>

Gli occhi dell'uomo brillarono a quell'affermazione.
A quanto pare, oltre a scegliere la persona giusta, aveva scelto anche le parole.




 




 

*OCCB: è la sigla per “'Organized Crime Control Bureau” che non è altro che l'ufficio per il controllo del crimine organizzato. Qui verrà spesso citata con la sua sigla, OCCB per l'appunto, o con l'abbreviazione “crimine organizzato”, ma si parlerà sempre della stessa unità.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III




 

Il Capo Bureau Blackthorn non gli aveva più detto nulla. Non che Alec si aspettasse che da un giorno all'altro l'uomo avrebbe fatto le sue indagini e tirato fuori il coniglio dal cilindro, ma quella storia stava già andando troppo per le lunghe secondo i suoi gusti. Era praticamente un mese che lavorava sul caso Fell, per la precisione trentadue giorni, in cui aveva scoperto poco e niente. No, va bene, in cui non aveva scoperto nulla ma si era limitato a restringere il campo delle sue ipotesi.
Era immerso nei suoi pensieri quando una mano gli batté sulla spalla facendolo sobbalzare, la penna che teneva in mano rotolò giù dal piano della scrivania ma venne prontamente afferrata da qualcuno.

<< Troppe grane per la testa Lightwood?>> la voce ferma e un poco beffarda di Jonathan gli arrivò alle orecchie con quella dannata famigliarità che accompagnava tutti i suoi vecchi compagni. Con lui aveva passato gli anni del liceo e poi quelli dell'accademia di polizia. Era il fratello maggiore di Clarissa, malgrado non avessero lo stesso cognome poiché i loro genitori avevano divorziato prima che la ragazza nascesse, e inizialmente la gelosia del giovane verso di lei aveva creato non pochi problemi tra lui e Jace. O almeno finché suo fratello non era sbottato e Morgenstern gli aveva urlato contro che non doveva osare far i suoi porci comodi con sua sorella.
Era stato estremamente imbarazzante in effetti, specie quando Alec si era fermato un attimo di più a fissare i lineamenti del ragazzo e vi aveva scorto molti punti in comune con la piccola nana rossa che tormentava la sua vita da anni.
Jonathan era un ragazzo alto e dalla figura slanciata ed atletica, con la pelle chiara ma non pallida da far paura come la sua; il volto affilato ma il naso dalla curva più morbida proprio come quello di Clary. Oh, e avevano anche la stessa arcata sopraccigliare. E gli occhi, anche quelli avevano lo stesso taglio, se non fosse che quelli della ragazza erano di un verde chiaro e brillante e quelli del fratello di un verde più scuro ed intenso. Come prato e bosco, ecco.
I capelli chiari, bianchi come il sale, lo classificavano in automatico come il figlio del Vice Commissario Valentine Morgenstern, un amico di vecchia data di suo padre e del suo capo.
Jonathan gli rimise la penna in mano e si poggiò alla scrivania con quell'espressione da schiaffi che, se non fosse stato temprato da una vita vicino a Jace, lo avrebbe innervosito come faceva con tutti coloro che avevano la sfortuna di incrociare la sua strada.

<< Stavo solo riflettendo.>> rispose a scoppio ritardato, facendogli un cenno di ringraziamento per la penna.
<< Dicono che hai per le mani un caso difficile.>>
<< Il caso Fell, si. Sta dando più problemi di quanti non avrei immaginato.>> sospirò e poggiandosi con la schiena alla poltrona.
<< Ho sempre pensato che una squadra investigativa dovesse essere composta da più elementi.>>
<< Siamo dispari e io ho sempre lavorato bene solo.>> cosa voleva adesso Morgenstern? Era venuto li solo per infastidirlo?
Il giovane parve quasi leggergli i pensieri, si sporse leggermente e piantò le mani sui braccioli della poltrona girevole.
<< E' vero che Bane è un indiziato? Che sospetti che ci sia lui dietro l'omicidio?>>
Alec lo guardò con espressione neutra prima di alzare un sopracciglio: era questo dunque?
<< Vuoi avere una motivazione per sbatterlo in galera.>> Non era una domanda e il biondo lo capì perfettamente perché annuì e si rimise dritto.
<< E' da quando sono entrato nella Crimine Organizzato che sento il nome di Bane volare da ogni dove, pare che quell'uomo riesca ad essere ovunque, dannazione. C'è un motivo per cui lo chiamano “il Sommo Stregone di Brooklyn”, fa davvero delle cazzo di magie.>>
<< Solo non a nostro vantaggio.>>
<< No.>> Sbuffò infastidito incrociando le braccia, << Il Capitano gli sta col fiato sul collo da così tanti anni che comincio a pensare lo conosca da quando è ragazzino.>> fece vagare lo sguardo per l'ufficio movimentato e poi lo fissò in quello azzurro di Alec: << Quindi dimmi Lightwood: potrò finalmente mettere Bane al fresco?>>
Alec sospirò stanco, non avrebbe avuto senso mentire, Jonathan averebbe potuto benissimo richiedere il fascicolo con i suoi rapporti e le note sul caso visto che coinvolgeva un suo sospettato, per di più non aveva nulla da nascondere.
<< Non lo so, anzi, comincio seriamente a credere che non c'entri nulla con l'omicidio di Fell. So che è stato sulla scena del crimine più volte, sospetto che abbia tolto degli oggetti personali dalla cassaforte che si trovava nella stanza dell'omicidio, ma non ho nulla di concreto per accusarlo. Tanto meno sospetti.>>
Morgenstern sembrò pensarci, << Idee sul motivo dell'omicidio? Perché lo hanno fatto fuori?>>
A quella domanda Alec si bloccò. Improvvisamente gli tornarono in mente tutte le sue teorie e i sospetti e si disse che Jonathan era capacissimo di minacciare qualcuno o di mettergli abbastanza paura da fargli hackerare il sistema d'allarme di un criminale pur di incastrarne un altro. Si domandò se sarebbe anche stato capace di uccidere una persona innocente solo per poter mettere le manette ad una storica spina nel fianco della sua divisione e la risposta che si diede fu agghiacciante.
<< Lightwood?>>
<< Si. Cioè, si ci sono, ma no, nessuna idea. Posso solo supporre che ci sia stata una compravendita andata male. Che il compratore abbia avuto da ridire sul prezzo o sulla merce stessa e che abbiano litigato per questo.>>
Non era una bugia, ma non era neanche la verità. Gli sembrava di essere sotto interrogatorio in quel momento. Ma sembrò una risposta soddisfacente e il biondo si diede una spinta contro il piano per rimettersi in piedi ed allontanarsi.
<< Poco male, prenderò quel bastardo con le mani nel sacco.>>

Quando ebbe svoltato il corridoio Alec si lasciò andare in un sospiro di sollievo.
Doveva cominciare a preoccuparsi di tutti i membri della Crimine organizzato? Anche del Capitano Garroway? La lista delle persone che odiavano Magnus Bane e che lo avrebbero voluto incastrare probabilmente sarebbe stata più lunga dell'elenco telefonico ma Alec sapeva che quello non era il motivo dell'omicidio. C'era ben altro sotto e se voleva vederci chiaro doveva continuare ad indagare.
Si alzò risoluto dalla scrivania e prese la pistola dal cassetto sistemandola sul fianco: aveva un appuntamento con qualcuno.


 

Simon cominciava a pensare che avrebbe dovuto accettare quel lavoro alla Apple che gli era stato proposto alla sua laurea invece di incaponirsi e andare a lavorare per le forze dell'ordine.
Fermo davanti al chiosco delle bevante si rigirava il suo frullato di banana e cioccolato tra le mani mentre Alec aspettava il suo solito caffè caldo.

<< Ma fanno dei corsi speciali per i poliziotti per insegnarvi a bere qualunque tipo di bevanda bollente anche con quaranta gradi all'ombra?>>
Alec aggrottò le sopracciglia confuso, << Siamo ad inizio Luglio Lewis, le temperature hanno appena cominciato a superare i venticinque gradi, non è possibile che ce ne siano quaranta all'ombra.>>
<< Sai, alle volte mi domando se tu sia davvero imparentato con i tuoi fratelli.>> sospirò il ragazzo sconsolato.
<< Qualche problema?>> fece minaccioso.
<< No-no-no-no! Per carità! Nessun problema! Mi piacciono le persone che non capiscono l'ironia. Pensa che il mio personaggio preferito di The Big Bang Theory è Sheldon! No, okay, è Raji, ma non puoi non adorarlo. Lui ha Cannella! Anche se Howard e Berny non scherzano ma- >>
<< Lewis.>>
<< Si?>>
<< Stai straparlando.>>
<< Oh, si, certo. Scusa.>> s'affrettò a bere un poco del frullato per tenersi occupato e seguì il moro lontano dal chiosco e dalle mura del dipartimento.

<< Allora, di cosa volevi parlarmi? Perché si, siamo amici da tanto ed è bello prendere qualcosa da bere insieme, ma non lo fai mai di solito. Non bere qualcosa, intendo invitarmi. Non che questo mi dia fastidio eh, ma non mi da neanche fastidio essere invitato.>>
Alec lo fulminò con lo sguardo e quello si zittì in un secondo.
<< Chiudi il becco Simon. Messaggio ricevuto.>>
<< Chiudi il becco e ascolta.>>
<< Okay, sarò super recettivo e- >>
<< Chiudi-il-becco.>> si arrestò e assunse quell'espressione minacciosa che faceva capitolare anche i criminali.
Alexander non era forse una persona di molte parole e chi lo conosceva poteva assicurare che fosse un gigante buono. Ma la verità era che trovarsi davanti un metro e novantacinque centimetri di poliziotto in borghese, con un fisico invidiabile anche se nascosto sotto i vestiti, che ti scrutava con quella faccia di marmo e lo sguardo ghiacciato, non era un'esperienza così gradita. Se poi ci si aggiungeva il fatto che una sua mano era grande circa come la tua faccia, che potevi urlargli contro i peggiori insulti e le minacce più terribili senza che lui battesse ciglio e che se provavi a toccarlo ti rigirava come un calzino e ti stendeva al tappeto con tanta violenza da farti rimpiangere di non esserti iscritto al corso di intaglio delle medie ed esser diventato un scultore di statuine cherokee era abbastanza per farti stare zitto ed eseguire ogni suo ordine.

Simon lo conosceva davvero da molto tempo, era ancora un ragazzino appena patentato all'ora e poteva dire di sapere come fosse fatto il giovane. Eppure ogni volta che vedeva quell'espressione non riusciva a dimenticarsi la prima volta che lui e Clary andarono a trovar Jace ed Izzy al loro liceo ed un tipo si era messo a fare il cretino con la sua amica. I ragazzi non erano ancora arrivati e Simon non era poi tutta questa gran presenza al tempo, aveva seriamente pensato che le avrebbe prese di santa ragione e poi era arrivato Alec. Alto anche a diciassette anni, bianco come un cadavere e nascosto in una felpa enorme e nera. Lo zaino stracarico di libri che quasi lo ingobbiva e l'aria di uno che le avrebbe prese bene come avrebbe fatto lui. Aveva intimato al ragazzo di togliersi dai piedi e questo, sbruffone, aveva allungato le mani per dargli una spinta. Alec aveva incassato e gli aveva ripetuto di andarsene. Una volta, due volte. Ad ogni parola corrispondeva uno spintone da parte del ragazzo che alla fine aveva provato ad afferrarlo per il collo della felpa. Quel giorno Simon aveva visto realizzarsi la più classica delle scene di un film: il bullo che prova a colpire il protagonista e quello che con una mossa da ninja si liberava, afferrava l'altro e lo sbatteva violentemente a terra.

Non sapeva dire perché ma era il ricordo che associava a quella faccia cupa. Era un avvertimento, l'avvertimento di una persona buona che avrebbe sopportato all'infinito prima di stenderti, ma che alla fine lo avrebbe fatto.
Era però al contempo rassicurante, un immagine forte e quasi protettiva. Simon sapeva che persona seria fosse il moro e non dubitava mai del suo giudizio: se in quel momento Alec lo guardava in quel modo poteva solo che esser per un affare delicato e complicato.
All'incirca quello che aveva scoperto qualche giorno prima.
Ora, per quel lavoro delicato, Alec chiedeva il suo aiuto e quello di nessun altro.
E Simon non lo avrebbe mai deluso.

<< E' per quella faccenda del tuo caso?>> la prese alla larga, senza specificare nella e il moro parve apprezzarlo. Annuì e gli fece cenno di continuare a camminare.
<< Non voglio parlarne alla centrale. I muri hanno occhi ed orecchie che arrivano a fin troppe persone.>>
<< Hai- hai scoperto altro?>> gli sudavano le mani anche con il frullato freddo tra di esse.
Una talpa al dipartimento.
Alec scosse la testa, << Non proprio. Nulla di concreto, troppo di vago. Sono solo supposizioni per il momento e sai meglio di me che con le parole non ci si fa molto.>>
<< Come posso aiutarti?>> lo chiese con sincero interesse e buona volontà, se c'era qualcuno che faceva il doppio gioco a casa sua voleva saperlo e voleva individuarlo al più presto. Aveva visto troppi film polizieschi per non sapere che il cattivo cerca sempre di scaricare la colpa su chi gli fa più comodo e lui aveva tanto la sensazione di essere uno di questi.
<< Hai modo di sapere se ci sono microspie o simili nel dipartimento? O nei computer. O in entrambi.>>
<< Vuoi che controlli se ci sono spie in tutto il dipartimento? Wow, Alec, si. Ce ne sono di sicuro! Gli Affari Interni ed il Bureau tengono sotto controllo praticamente tutte le sedi della polizia degli States, ne troverò a bizzeffe!>>
<< Non cominciare con le tue teorie complottistiche.>>
<< Non sono teorie!>> cominciò subito ad infervorarsi, << E' risaputo che gli organi governativi ricorrano allo spionaggio per controllare i loro sottoposti e persino i loro superiori.>>
<< Simon, non ho tempo per questo. Un uomo è stato ucciso lo stesso giorno in cui qualcuno ha usato i nostri computer per introdursi nel sistema d'allarme di casa sua e disattivarlo, permettendo l'accesso a sei soggetti in più del previsto. Guarda caso il numero di una delle nostre squadre d'assalto. Per di più ho sentito il Capo parlare con la Signora.>>
Alla sola menzione di quel nome il castano sbiancò.
<< Hai sentito Blackthorn parlare con Imogen Herondale? Il capo degli Affari Interni? Il Commissario Herondale?>>
Alec annuì grave e finì il suo caffè ormai tiepido in un sorso, << Spero tu capisca ora.>>
<< Cazzo.>>
<< Modera il linguaggio. Ma si, il sunto è quello.>> buttò il cartone e si voltò a fronteggiarlo, << Allora, sei in grado di dirmi se qualcuno spia i nostri computer o le conversazioni?>>
<< Ci vorrà un po', un bel po'. Soprattutto perché sono da solo e non posso utilizzare tutti i mezzi che mi servirebbero. Per il momento ti potrò dire solo delle linee telefoniche e dei pc.>>
<< Ma fai attenzione, se c'è veramente una talpa… >>
<< Rischio di farmi sotterrare, si, capito.>>
Rimasero per un po' in silenzio.
<< Certo… spero che non ci siano spie nell'ufficio di Luke, perché non vorrei proprio rischiare di sentire dei suoi incontri con Jocelyn. Dio santo, mi vengono i brividi solo a pensarci, sono un po' dei secondi genitori per me.>> cominciò pensieroso, << Insomma, magari mi ritrovo tra le mani una conversazione smielata o qualcosa di più spinto. No, no, che schifo! Cioè, non che schifo la cosa in sé, sono felice per loro se all'età ancora riescono a fare certi discorsi, solo che mi fa impressione. E se beccassi qualcos'altro? Tipo l'altro ieri ho visto Jocelyn al dipartimento, stava andando da Luke penso, no? E se hanno- >>
<< Se finisci la frase ti arriva un pugno sul naso. E te lo rompo. Sappilo.>> Alec lo fissò tra lo sconcertato e l'infastidito e Simon lo notò subito.
<< Ammettilo! Anche a te turba un immagine del genere!>>
<< A me turba anche la tua presenza o Jace che canta Madonna sotto la doccia. Clary che vuole arredarmi casa e mia sorella che dice di avermi comprato qualcosa l'ultima volta che è uscita a fare shopping. Mi turba mia madre che mi chiama per invitarmi a cena, mio padre che “vuole parlarmi da uomo a uomo” e Max che mi manda messaggi non troppo velati su quanto sia importante che rabbonisca i nostri genitori prima che lui gli mostri la pagella.>> alzò una mano per bloccarlo quando il ragazzo provò a parlare. << Mi turba la gente in generale, la politica e persino le decisioni più che discutibili che prende ogni dannata volta Jon Snow. Ma questo non ti autorizza a farmi immaginare il Capitano della OCCB e sua moglie impegnati in incontri privati.>>

Simon lo guardò in attesa, le labbra serrate tra di loro e gli occhi scintillanti per non si sa quale strano collegamento del suo cervello.
<< Va bene, parla.>> s'arrese alla fine Alec.
<< Wow! Era da quando Jace ha deciso di farsi la rasatura a fulmine per la scommessa con Izzy che non ti sentivo parlare così tanto di cose che non siano lavoro!>>
<< Ti avverto che sta scadendo il tempo, sto per tornare in ufficio.>>
<< Si, si! Ci sto! Aspetta un attimo. A parte il fatto che se la metti sotto questo punto di vista sei la persona più turbata della terra. E io me ne intendo visto che a sedici anni ero convinto che l'apocalisse zoombie stesse per arrivare e mi ero preparato con provviste ed armi per difendermi.>>
<< Non farmi ricordare quel periodo, ti prego.>> si lamentò il moro con una smorfia.
<< Okay, non ne parliamo più. Però c'erano i segnali pe- >>
<< Lewis!>>
<< Giusto, straparlo. Hai detto Snow e decisioni discutibili. Vieni a vedere l'ultima puntata di GOT da me questa sera? Ci sono anche gli altri, ordiniamo qualcosa e aspettiamo la mezzanotte per vedere che di che morte deve morire il nostro ignorante preferito. Ci stai?>>

Alexander sospirò, seriamente deciso a declinare l'invito e rimanere in ufficio a lavorare finché non lo avrebbero sbattuto fuori. Ma alla fine cedette e annuì.
Vedere le enormi cazzate di cui si rendeva protagonista Jon gli facevano credere di non essere il solo nei guai.

Dio, come sono messo male se mi aggrappo a queste cose.

<< Va bene.>>
<< Perfetto! Così cominciamo bene la settimana! E poi, già gli somigli abbastanza per aspetto, ma visto come ti stanno andando le indagini, sei proprio il perfetto Jon Snow.>>
Lo sguardo freddo del moro fece indietreggiare l'altro che pur non perdendo il sorriso decise saggiamente di mettersi fuori dalla portata del detective.
<< Se ti azzardi a dire che gli somiglio perché “non so niente”, è la volta buona che ti ritroverai sdraiato nudo davanti ad Izzy.>> lo minacciò con fare truce.
Simon deglutì ridacchiando nervoso, << Intendi sul tavolo dell'obitorio vero?>>
<< Esattamente lì.>>
<< Al freddo vicino alla barriera?>>
<< Al freddo dentro la barella.>>
<< Sarei un non-morto!>>
<< Saresti ancora vivo se sparissi dalla mia vista nei prossimi trenta secondi.>>
<< Quindi ci vediamo stasera da me alle nove? O a fine turno, quando puoi. Si, insomma, quando smetti di indagare- Ma se tu sei Jon chi è Daenerys?>>
<< Simon...>>
<< Ci servirebbe qualcuno con i capelli bianchi e un padre pazzo...>>
<< Venti secondi.>>
<< JONATHAN!>>
<< SIMON!>>
Il ragazzo alzò le braccia al cielo e si girò, incamminandosi verso il dipartimento,
<< Va bene, va bene, sto zitto. La verità è che non capisci il mio estro artistico. Non capisci niente Jon Snow!>> E detto questo accelerò il passo cominciando a far lo slalom tra i pedoni, sicuro che almeno quello avrebbe fatto desistere Alec dal tirar fuori la pistola e sparargli seduta stante.



La sera era arrivata relativamente presto. Alec aveva passato la maggior parte della giornata ad esaminare i registri contabili di Ragnor Fell e soprattutto a decifrarli. Aveva un calligrafia stretta ed ordinata ma così terribilmente elaborata che spesso doveva andare ad intuito. Ora capiva perché i ragazzi della manufatti rubati c'avevano messo così tanto a restituirgli i quaderni, probabilmente alla fine li avevano fotocopiati tutti e messi da parte per quando avrebbero avuto un attimo di tempo libero.
Ad Alec interessavano sostanzialmente gli ultimi mesi di lavoro dell'uomo. Aveva fatto una lista di nomi che ricorrevano spesso nell'elenco e li aveva confrontati con gli pseudonimi di criminali più o meno noti. Erano usciti fuori attori, politici, personaggi famosi, figure religiose, boss del crimine organizzato e semplice gente con talmente tanti soldi da non saper come spenderli se non comprando una statuina indù in giada sul mercato nero. Ma l'ultimo nome riportato non figurava mai nelle altre pagine e per di più era falso, ovviamente. Certo, poteva aver lui la fortuna di trovare subito un riconoscimento? Sebastian Verlac era un dottorando francese di economia alla Sorbona, che mai aveva lasciato l'Europa e che non aveva mai neanche preso un multa per eccesso di velocità o per aver parcheggiato in sosta vietata. Non poteva essere lui, dovevano avergli semplicemente rubato il nome per quella trattativa.
Si passò una mano sulla faccia sfinito. I sensori di casa Fell avevano registrato la presenza di un uomo più altri sei, ma chiunque avesse hackerato il sistema si era premurato di eliminare qualunque possibile immagine degli aggressori.
Non aveva niente. Okay, non era propriamente vero, però più che prove materiali che lo conducessero ad un sospettato aveva una sfilza infinita di eventi ed elementi da eliminare dalla lista. E alla fine, a forza di eliminare cose, sarebbe rimasta solo la soluzione giusto?
L'orologio segnava le dieci e mezza passate e l'ufficio si stava definitivamente svuotando. Chiuse i fascicoli e li riportò in archivio, il giorno dopo avrebbe dovuto continuare con quella tortura. Si stava quasi pentendo di aver accettato di lavorare da solo, quando era stato promosso detective erano in numero dispari e Alec aveva tranquillamente asserito di non aver problemi a non aver un partner. Ora avrebbe quasi voluto aver qualcuno con cui condividere la sua frustrazione, ma si sarebbe accontentato delle strane teorie dei suoi amici e delle intuizioni da grande detective di suo fratello.

Simon abitava a Brooklyn, a circa sei isolati dall'omonimo ponte, e trovare parcheggio da quelle parti non era mai facile. Era un quartiere relativamente tranquillo, abitato soprattutto da studenti e giovani della loro età, ancora agli albori delle loro carriere o indecisi su cosa fare della loro vita.
I ragazzi lo aspettavano tutti nel salotto, chi seduto sul divano e chi su Chewbecca, il tappeto marrone e peloso che il proprietario di casa era riuscito ad “accaparrarsi con le unghie e con i denti” al Comicon di quattro anni prima.
Non avevano ancora ordinato la pizza e fu la prima cosa che fecero non appena mise piede in casa.

<< Sei distrutto fratello, ancora niente?>> Jace gli diede una pacca sulla spalla, lasciandogli il suo solito angolo sul divano e facendosi più in là.
<< Quei registri sono terribili ed il mio uomo ha usato un nome falso per prendere appuntamento con la vittima.>>
<< Uh!>> la voce alta e forte di Isabelle gli perforò un timpano, facendolo saltare sul posto.
Sua sorella se ne stava davanti a lui con le mani sui fianchi lasciati scoperti dalla canottiera, la gonna di jeans la fasciava come un guanto e le caviglie parevano ancora più fine con quei tacchi.
<< State parlando di lavoro anche qui?>> scosse la testa facendo ondeggiare i capelli legati in una coda alta. Alec si soffermò un attimo ad osservare quel volto tanto famigliare e perfettamente truccato: Come diamine faceva a non sciogliersi?
<< Tranquilla, non ho niente da dire a riguardo.>> fece lui sconsolato.

<< Certo che non c'è niente! Tu non sai niente Jon Snow!>> Simon arrivò di gran carriera con delle bottiglie di birra sotto le braccia, in mano e con due lattine di coca cola bloccate sotto il mento.
<< Sarà la quinta volta che me lo dici Lewis, cambia battuta.>> Alec si mosse piccato, cercando una miglior posizione sul divano mentre Izzy toglieva le bottiglie di mano al ragazzo e poi gli dava un pugno sul braccio.
<< Ahio!>>
<< Non rattristare mio fratello!>>
<< Non lo rattristo! E' che assomiglia troppo a Jon, dai! Guardalo!>>

I due cominciarono a discutere su quanto Alec somigliasse effettivamente o meno a Jon Snow, del libro o del telefilm, la disputa vera stava tutta lì, ed il diretto interessato sospirò pesantemente facendo cenno al fratello di passargli una birra.
Poi Clary saltò su come una molla e corse verso la camera di Simon e ne tornò con degli scatoloni impilati gli uni sugli altri.

<< Guardate un po' cos'ho trovato in cantina dai miei? Sono i vecchi schizzi ed i progetti di mamma. C'è una quantità imbarazzante di targhe pacifiste e composizioni floreali che inneggiano all'amore! >> Lasciò cadere le scatole vicino al tavolinetto e si mise in ginocchio sul tappeto peloso, cominciando a rovistare tra le carte e ad allungare fogli e veline ai suoi amici.
C'erano davvero molte composizioni floreali e anche il bozzetto per una fontana di due tipi nudi che si baciavano, con l'acqua che usciva dalle loro corone di fiori.
Risero delle idee pacifiste di Jocelyn e anche del suo periodo Punk, fino a quando non trovarono una vecchia foto del gruppo d'amici della donna al tempo del liceo, forse qualche anno in più.
Izzy quasi si soffocò dalle risate alla vista della madre con le calze a rete strappate e gli stivali con il carrarmato, così come Simon rimase a bocca aperta a ritrovarsi davanti una versione più giovane di sé vecchia di almeno trent'anni con i jeans strappati e le catene alla cinta. O Valentine, il padre biologico di Clary, con la maglia bucata. Anche se tutti alla fine ammisero che la figura migliore la facevano Robert e quello che tutti sapevano essere Michael Wayland, il suo miglior amico, con le canottiere mezze strappate, il chiodo di pelle su una spalla e la cresta.

<< Oddio! Dobbiamo farne delle copie e ricattarli!>> Izzy rotolò sul tappeto tenendosi una mano sulla pancia e una davanti alla bocca.
<< Andiamo, sii indulgente con loro.>> Clary sembrò quasi singhiozzare, le lacrime agli occhi e le guance che le dolevano tanto stava ridendo.
<< Ora almeno sappiamo perché non ci hanno mai detto niente quando abbiamo attraversato il nostro di periodo punk.>>
<< Jace, noi abbiamo attraversato il periodo ghot, quello che è passato per il punk è solo Alec.>>
All'affermazione così scontata di Izzy, che sembrava avesse ripetuto quella frase almeno un centinaio di volte, Clary e Simon smisero subito di ridere e si voltarono di scatto verso i due fratelli.
Jace alzò le mani in segno di resa, << Posso solo dire che le croci e le ragnatele erano molto fighe al tempo e che quell'aria da spirito dannato era estremamente apprezzata dalle ragazze. Come tutto quel pizzo era apprezzato da noi ragazzi. Iz ti ricordi quel completo da lolita che ti eri comprata?>>
<< Non ce ne frega niente del vostro periodo ghot!>> Clary saltò sull'attenti sporgendosi verso Alec e bloccandogli la fuga poggiandogli le mani sulle ginocchia, << TU hai avuto un periodo punk?!>>
Imbarazzato Alec arrossì e distolse lo sguardo da quello verde e scintillante dell'amica, cercando appoggio dai fratelli che non gliene fornirono di nessun tipo.
<< Beh, si… insomma… punk proprio non era, non mi sono mai colorato i capelli e non sono andato a protestare contro il governo e la polizia…>>
<< Certo che non lo hai fatto, ti ci sei arruolato!>>
<< Taci Jace! Ci sono delle foto?>> la ragazza saltellò sul posto e si fece più vicina al moro, << Ti prego, ti prego Alec, dimmi che mettevi gli anfibi e i vestiti di pelle!>>
<< Oh, ha fatto molto di più! Non hai mai visto- >>
<< E quelli cosa sono?>> Alexander s'allungò di colpo verso uno scatolone, tirandone fuori un rotolo di carta millimetrata con un prototipo di una coppa sopra. << Guarda Simon, c'è scritto “Coppa Mortale” tipo il Santo Graal vero?>> il tentativo di distogliere l'attenzione da sé più banale e sfacciato del mondo andò a buon fino solo ed unicamente per merito di quello stupido collegamento che gli era balenato in quel momento.

Come da manuale Simon gli strappò i progetti di mano e li mise in controluce, esaminando la struttura rettangolare del piedistallo di legno, una mezza colonnina intagliata con una targa d'ottone ovale che ospitava sulla sua sommità una coppa di vetro opaco dalle rifiniture argentee.
Alec piegò le labbra in un mezzo sorriso soddisfatto mentre sentiva l'amico ciarlare di quanto la coppa potesse essere davvero il Santo Graal e che Dan Brown avesse scritto una delle opere migliori al mondo, su come in effetti quel semplice oggetto non doveva emozionare perché in verità era tutto un modificarsi di parole che derivava dal Sangue Reale della Maddalena e di Cristo stesso per poi proseguire con Indiana Jones e il tesoro dei Templari.
La confusione che si stava creando in quel momento era piacevole e famigliare, una nota stonata ma giusta nella sua ordinaria vita fatta di crimini efferati e morti violente, inganni e motivazioni al limite dell'umano. Soprattutto in quel periodo, con quel dannato caso Fell.
Chissà se l'uomo avrebbe apprezzato i bozzetti e le opere di Jocelyn, sempre che la donna ne avesse realizzato qualcuno ovviamente.
Sorrise ancora e si portò la birra alle labbra sollevato, erano tutti abbastanza distratti da non pensare più al suo periodo punk. Almeno non avrebbe dovuto raccontar loro dei tatuaggi e del grande segreto.


 

La mattina seguente era arrivato in ufficio con il presupposto di fare una lista dei nomi più importanti dei registri di Fell e di portarla al Capo. Poi avrebbe indagato un po' su questo povero Sebastian Velarc e magari avrebbe contattato l'ambasciata americana in Francia per poter far due chiacchiere con l'uomo e chiedergli se avesse mai avuto a che fare con dei cittadini Americani o con qualcuno che ne conoscesse. Sempre meglio di niente dopotutto.
Peccato che il suo magnifico piano d'azione si fosse infranto con l'arrivo della posta.
Alexander non riceveva posta al lavoro, la trovava una cosa poco professionale, anche se qualcuno dei suoi colleghi si faceva recapitare riviste o simili, alla fin fine molti di loro ci vivevano tra quelle mura, e smistare la posta formava le reclute alla pazienza. Così gli dicevano quando era toccato a lui almeno. Restava il fatto che il massimo che avesse ricevuto in ufficio fossero le convocazioni ufficiali per i processi, per i seminari d'aggiornamento, per i test semestrali al poligono o per gli incontri con lo psicoterapeuta quando capitava che un sospettato venisse ucciso. Erano le solite cose e tutte riguardavano il suo lavoro, quindi, cosa ci faceva una scatola rettangolare di circa quindici centimetri per sette, impacchettata con una carta argentata e sfarzosa, con un fiocco celeste. Sulla sua postazione?
Imbarazzante.
Controllò per l'ennesima volta che l'indirizzo fosse giusto ma non c'era via di scampo:

Alexander Gideon Lightwood, Detective della Omicidi,
1 Police Plaza, Manhattan, New York.”

Ma chi diavolo era?
Si rigirò il pacchetto tra le mani e notò qualcosa incastrato tra la carta.
Strappò l'impacco e trovò un biglietto appiccicato alla scatola di cartone.

<< Ehi, Lightwood, chi te lo manda?>>
L'agente Jordan gli passò vicino sorridendo e purtroppo attirando l'attenzione dei loro colleghi che si voltarono tutti interessati verso Alec.
Il moro scosse la testa e si strinse nelle spalle, << Non ne ho la più pallida idea.>>
<< Magari è qualcosa sul caso.>> Morgenstern spuntò come dal nulla, poggiato con la spalla allo stipite dell'entrata della sala con una tazza blu del dipartimento in mano.
Alec fece un mezzo verso incomprensibile e si decise ad aprire quella bustina così sgargiante per poi fissare senza capire la calligrafia elaborata e piene di fronzoli con cui era scritto il piccolo messaggio:

Al mio sexy Detective della Omicidi,
un piccolo pensierino da un altrettanto sexy bad boy. E' roba che scotta dolcezza, ti conviene sentirlo in privato e lontano da orecchie indiscrete. Non vogliamo traumatizzare nessuno noi.
XOXO.”

Jordan fissava il foglietto da sopra la sua spalla ma sembrava non capirci nulla per fortuna e preso dall'imbarazzo Alec si sbrigò a rimetterlo nella bustina, ma non prima che Jonathan, arrivatogli vicino silenzioso come un gatto, notasse quelle 'x' e quelle 'o' ed il cuore che li seguiva.
Il biondo cominciò a ridacchiare e gli batté una mano sulla schiena,
<< Oh, certo, proprio sul caso. E bravo Lightwood, chi l'avrebbe detto che sei tipo da regali romantici? >>
Alec abbassò la testa arrossendo e borbottando di farsi gli affari suoi mentre il resto dei presenti si univa al divertimento di Jonathan.

<< Ma tu non dovresti essere ad un altro piano a fare il tuo lavoro?>> gli chiese ancora imbarazzato ed infastidito da quella battuta.
Morgenstern si strinse nelle spalle e sogghignò ancora, << Stavo facendo una pausa.>>
<< E dovevi venirla a fare qui alla omicidi?>>
<< Che vuoi che ti dica Lightwood, qui avete il caffè più buono.>>
Probabilmente se non non lo avrebbero interrotto Alec avrebbe potuto suggerirgli un paio di posti molto interessanti su cui avrebbe potuto versarsi il caffè, ma la voce forte di Luke smorzò tutti i suoi propositi.

<< E quanto dura questa pausa ragazzo?>> Il Capitano guardò Jonathan con un sopracciglio alzato e l'espressione divertita che fece alzare gli occhi al cielo all'interpellato.
<< Ora, è finita ora. Io glielo dico Capitano, lei passa troppo tempo con mia madre, sta prendendo le sue stesse brutte abitudini.>> Il biondo passò vicino al suo superiore con la stessa faccia di un bambino a cui è stato appena tolto un giocattolo ma l'altro era così abituato a quel tipo di battute da parte sua che si limitò a sorridergli e dargli uno scappellotto dietro la nuca.

Alec alle volte si domandava come fosse il loro rapporto, sia lavorativo che non. Lucian era sposato con Joclyn da prima che nascesse Clary, ma Jonathan era già nato e dalle foto che aveva visto più di una volta a casa del Capitano era stato anche presente al matrimonio.
Jonathan, così come Clarissa, era figlio di Valentine Morgenstern e Jocelyn Fray, ma i due avevano divorziato circa ventitré o ventiquattro anni fa, quando il ragazzo aveva all'incirca due anni, forse qualcosa di meno visto che era più piccolo di Alec.
I due genitori avevano avuto la custodia condivisa del ragazzino ma non di Clary, che era cresciuta con Luke come figura paterna, malgrado chiamasse Valentine papà. E ad Alec tante volte era venuta voglia di chiedere come fosse avere un fratello ma non viverci tutti i giorni, o come fosse vivere con il proprio padre ma vedere un altro uomo vicino alla propria madre. O ancora cosa avesse spinto Jonathan a scegliere proprio la divisione in cui lavorava il suo patrigno e non buttarsi a capofitto nella corsa alla carriera per poter arrivare ai livelli di Valentine e occuparsi più di politica che di altro.
Jonathan e Lucian poi avevano un rapporto del tutto particolare, fatto di battute e calme chiacchierate, di farsi chiamare “recluta” o “agente” o “Capitano” invece che per nome. L'unico tabù era probabilmente proprio Valentine, l'ex migliore amico dell'uomo che aveva litigato con lui tempo addietro senza che nessuno ne capisse mai il motivo.
Si vociferava solo che forse la signora Morgenstern avesse tradito il marito con l'allora Tenente Garroway, ma erano tutte speculazioni senza prove.

<< Quindi chi è il pazzo innamorato che ti manda regali sul posto di lavoro, Lightwood?>>
Alec si riscosse dai suoi pensieri ed arrossì: aveva fatto coming out a diciotto anni, forse il periodo peggiore della sua vita, un vero inferno in terra che gli aveva rovinato quasi tutto l'ultimo anno di liceo, e anche se adesso non gli faceva più venire da vomitare l'idea di parlarne o che qualcuno facesse delle battute così, semplici e senza cattiveria, era ancora terribilmente imbarazzato da qualunque riferimento alla sua vita privata.

Quale vita privata poi?

<< Non so chi mi abbia mandato questo pacco ma credo che potremmo lasciare solo “pazzo” perché non sto sentendo nessuno al momento. E poi credo sia una presa in giro.>> lo borbottò a bassa voce come faceva sempre quando era in imbarazzo e Luke gli sorrise comprensivo.
No, okay, era più la faccia di uno che la sapeva lunga, che era consapevole che lo stessi prendendo in giro ma che vuole concederti l'onore di non parlarne.

Dannato uomo.

<< Oh, si, capisco.>> ecco, per l'appunto, << Sai, una volta anche Jocelyn mi mandava bigliettini o stupidaggini sul posto di lavoro. Me le faceva trovare in macchina o nell'ufficio. Mi veniva anche a trovare. Ah, si vede proprio che quando passa il tempo si diventa più pigri.>> Lo disse con una nota nostalgica nella voce e fu il turno di Alec di alzare un sopracciglio e fissarlo con aria scettica.
<< Ma di cosa si lamenta Capitano?>> Lo apostrofò con un mezzo sorriso storto sul volto, << Se Jocelyn è passata qui lunedì. Sono solo pochi giorni fa, già comincia a dare i primi segni di cedimento ?>>
Alcuni dei suoi colleghi risero, Jordan fece di tutto per nasconderlo davanti a Lucian ma con scarsi risultati.
Alec non faceva praticamente mai battute, ma quelle due o tre volte l'anno in cui decideva di aprire bocca per dire volontariamente qualcosa di divertente si poteva star certi che era mirato e molto sottile, un'ironia che spesso piaceva a tutti e non riusciva a non strapparti un sorriso.
Ma Luke questa volta, malgrado si fosse portato le mani al petto con un atto così drammatico e teatrale da risultare ancora più comico, gli diede una risposta che forse non si aspettava:
<< Oh! Ma io non c'ero lunedì al dipartimento, chi mai avrà incontrato Jocelyn? Ah! Ha un amante e io non ne sapevo niente! Che colpo al cuore!>>
Gli altri risero ancora più forte e anche Alec non poté evitare di sbuffare divertito dal naso prima che il Capitano richiamasse tutti all'ordine e tornasse a lavorare.
Alec si rimise ad osservare il pacco ma si bloccò poco prima di aprirlo.
Se Garroway non era al dipartimento lunedì cosa c'era venuta a fare Jocelyn? E poi, lunedì era il giorno in cui aveva portato a Clary le foto della casa di Fell, quando la madre della ragazza, che li stava aiutando, era corsa via per un appuntamento.
Aggrottò le sopracciglia pensieroso, era abbastanza certo che fosse successo tutto quel giorno, Simon gli aveva detto di aver visto la donna e ora Luke gli diceva che lui non era lì quando c'era stata lei. Ma per quale motivo Jocelyn sarebbe dovuta correre all'ufficio quando il marito non era presente? Chi avrebbe potuto incontrare?
Si diede mentalmente dello stupido, primo perché non erano affari suoi, secondo perché in quell'edificio lavorava anche il figlio della donna.
Sospirò, fare il detective lo portava ad interrogarsi anche delle cose più stupide e normali.
Scosse forte la testa per tornare al presente e si decise ad aprire la scatola sussultando e trattenendo a stento la sorpresa quando capì cosa c'era dentro.
Una cassettina a nastro di plastica, piccola e grigio-trasparente, non sembrava avere molto memoria ma Alec sapeva che c'era lo stretto indispensabile, ciò che un mese di attesa e due mandati non erano riusciti ad ottenere.
Richiuse il tutto e si concentrò meglio sul biglietto, arrossendo nel capire finalmente tutto il senso del messaggio e poi ritrovandosi a ringraziare Catarina Loss per aver fatto un miracolo.

Intascò cassetta e foglio e si rimise la giacca, era probabilmente uno dei pochi che si ostinava a tenere la cravatta anche con i 29 mefitici gradi che imperversavano su New York ma in quel momento non poteva importargliene meno del caldo.
Uscì a passo di marcia dall'ufficio, abbastanza calmo da non far incuriosire i suoi colleghi ma deciso quanto bastava per non essere fermato. Salì in macchina e si bloccò per un attimo, meditando di inserire la cassetta nella vecchia radio della sua altrettanto vecchia auto ma poi il dubbio che potessero esserci delle cimici anche lì gli fece accendere il motore e dirigersi verso casa.

Entrò nell'appartamento silenzioso e quasi gli sembrò estraneo a quell'ora del mattino, con la luce calda del mezzogiorno che la illuminava ed il suono del traffico dell'ora di punta.
Lanciò la giacca sul divano facendo sobbalzare il suo gatto che gli lanciò un'occhiata decisamente contrariata e poi quasi sorpresa.
<< Si, anche a me fa strano stare qui a quest'ora. >> gli rispose il moro allungandosi per grattargli la testa, << E' per lavoro, tranquillo, non stiamo per ricevere ospiti.>>
Il gatto sembrò accettare molto più la spiegazione che le coccole e chiuse gli occhi rimettendosi nella medesima posizione di prima.
Alec lo lasciò a sonnicchiare mentre cercava il suo vecchio stereo portatile, uno di quei modelli cicciottelli e tondeggianti, i primi che prendevano al radio, riproducevano le cassette e persino i cd, dandoti la possibilità di registrare persino qualcosa.
La trovò nel ripiano più basso del mobile nel corridoio, così impolverata che dubitò fortemente si sarebbe accesa. E in effetti si mise in moto solo per segnalargli che le pile erano scariche e spegnersi con un pixelato “good bye”.
Imprecando aprì lo sportelletto facendo quasi saltare la levetta, dentro di esso quattro grosse batterie a torcia sembravano fissarlo con aria di sfida. E dove le recuperava lui delle batterie così grandi nell'era dei cavetti usb e della carica ad induzione?

Si lasciò cadere sul pavimento con un verso di sconforto.
Aveva tra le mani la prova principale di quel caso, quella che probabilmente se avesse sentito un mese fa ora gli avrebbe già fatto risolvere tutto, quella che quel dannato di Magnus Bane si era tenuto fino alla fine, che neanche i mandati e i poliziotti erano riusciti a ottenere, con la banale scusa del “non so dove sia” poi, e ora? Ora che finalmente poteva sentire quel dannato messaggio in segreteria… lui non aveva quattro maledette torce che accendessero il suo stereo.

Dannato Magnus Bane, lo aveva detto?
Magnus Bane?
Magnus Bane!

Si alzò di colpo e lasciò tutto a terra, correndo in salone per riprendersi la giacca e gridare a Church che si sarebbero rivisti quella sera, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Il gatto fissò l'entrata con sguardo quasi rassegnato: dopotutto amava il suo umano proprio perché gli lasciava casa libera praticamente tutti i giorni della sua vita.
Si rimise a dormire.


 

Probabilmente, di tutti i modi in cui Magnus Bane avrebbe immaginato di rivedere il Detective Occhi Belli, tra questi non c'era l'opzione che si era appena realizzata.
Era nel bel mezzo del suo locale a leggere la lista dei liquori da ricomprare e dei nuovi cocktale che avrebbero proposto la prossima settimana, immerso nel buio confortante e fresco che le finestre oscurate e l'aria condizionata producevano, quando di punto in bianco la porta principale si era spalancata.
Si era voltato di scatto attirato dal suono per poi farsi ombra con la mano e cercare di capire chi fosse il cretino che gli aveva sfondato l'ingrasso e quanto gli avrebbe urlato contro quando individuò una figura alta e slanciata. In controluce l'uomo – perché se quella era una donna era come minimo una giocatrice di basket- gli apparve come un super eroe che arriva sulla scena del crimine e non appena quella stupida idea gli spuntò in testa riconobbe le spalle larghe e le gambe lunghe dello sconosciuto-non-poi-così-sconosciuto.
Come nei film più scontati quello avanzò verso il buio, portando con se l'abbacinante luce del mezzo della giornata, dissipando le tenebre come un angelo venuto dal cielo per sconfiggere i demoni dell'oltretomba.
Okay, stava un po' esagerando, ma a sua discolpa poteva dire di essere una persona con una fervida immaginazione.
Quello che ora era palesemente il detective della Omicidi Alexander Lightwood incedette nella sala senza preoccuparsi di richiudersi la porta alle spalle, che poco dopo lo fece lo stesso grazie alla molla cigolante che la reggeva.
Il poliziotto teneva lo sguardo fisso su di lui, senza batter ciglio o mostrare il minimo segno di disagio, proprio come quando lo aveva interrogato la prima volta. Ma Magnus sapeva che quel giovane fosse facilmente incline all'imbarazzo anche con le battute più stupide.
Battute che in quel momento non gli venivano proprio in mente. Anche nell'ombra quell'uomo pareva un angelo redentore giunto per portargli delle nuove. Da quando il detective era così deciso e così dannatamente sexy?
Beh, ammettiamolo, quello Maguns lo aveva notato giorni e giorni prima quando lo aveva interrogato, un adone del genere con la pelle di porcellana, i capelli neri come la notte e gli occhi di un blu così intenso da sembrar finto non potevano lasciarlo indifferente.

E' la mia combinazione preferita- pensò mordendosi il labbro- mea culpa, mea grandissima culpa.

Osservò la giacca aperta scivolare sui suoi fianchi ad ogni passo, la camicia bianca ed immacolata e la cravatta nera, monocromatica. Quell'uomo sembrava un Man in Black! Con quel portamento fiero, quella falcata lunga e quelle spalle… e le mani! Oh, Maguns aveva notato le mani grandi e dalle dita lunghe del poliziotto, arti callosi e disseminati di piccole cicatrici, ma perfettamente puliti. Non dubitava che potessero essere tanto forti da reggere una pistola ed il suo contraccolpo tanto quanto potevano esser delicate e gentili.
Come il suo proprietario del resto.
Aveva ricevuto due giorni prima la telefonata di Catarina, quella che stava aspettando da quando Ragnor era morto. Non era andata propriamente come si era aspettato: la sua amica lo aveva ampiamente rimproverato per non aver collaborato con il Detective Lightwood e aveva rimarcato quanto fosse stato meschino da parte sua far perdere tempo ad un giovane così gentile, educato e soprattutto corretto.
E se Catarina decideva che una persona era corretta significava solo che l'aveva presa in simpatia e che aveva tutte le carte in regola per diventare sua amica.

Perfetto, magari diventasse amica del detective qui, potrei sempre drogarlo e vedere se quelle mani sono davvero così favolose come sembrano.

Qualche colpo di tosse lo fece tornare al presente.
Lightwood era davanti a lui, la posa fiera di un principe e la figura imponente di un paladino. Fece scorrere lo sguardo su tutto quel ben di dio finché altri colpi di tosse lo costrinsero a concentrarsi sul suo volto.
Non che gli dispiacesse.

<< Mr Bane.>> salutò quello formale.
Ahi, forse non lo aveva ancora del tutto perdonato per quella storia dell'ostruzionismo.
<< Alexander! Pensavo che avessimo superato la parte del lei e avessimo deciso di darci del tu.>> fece comunque sorridendogli con fare affascinante.
Vide il giovane serrare le labbra ed aggrottare le sopracciglia prima di scuotere la tesa con un gesto rassegnato.
<< Non mi aspettavo semplicemente una sua chiamata quella volta.>>
<< Oh, giusto, volevi chiedere al tuo “bro” se dovevi venire o meno. Alla fine com'è andata? E' venuto, detective?>> un ghigno divertito e malizioso si aprì sul suo volto mentre quello del suo interlocutore andava in fiamme.
Com'era possibile che un poliziotto che conviveva con morti e criminali arrossisse per una battuta a sfondo sessuale?
Alec borbottò qualcosa di indefinito e Bane alzò un sopracciglio curioso,
<< Come hai detto fiorellino?>>
L'altro lo guardò male, riacquistando improvvisamente il contegno di prima, << Le ho già detto di non chiamarmi in quel modo.>>
Un gesto vago della mano, come a sottolineare l'ovvio: ovvero che non gli interessava cosa ne pensasse dei suoi nomignoli, << Si, si, come vuoi tu tesoro, ma prima? Cosa hai detto?>>
Lo vide drizzare la schiena e fissarlo con sguardo di sfida, una scintilla quasi ribelle come quella negli occhi dei ragazzini che decidono di rispondere male ai genitori.

Adorabile.

<< Ho detto “ne è a conoscenza chi deve”, e questa persona non è lei.>>
Anche l'altro sopracciglio schizzò in alto, sorpreso dalla piega che stava prendendo quella conversazione e deciso a giocare fino alla fine.
<< Ed è stato soddisfatto? Chi deve.>> chiese avvicinandosi di un passo al poliziotto.
Quasi saltò indietro quando una luce maliziosa illuminò quelle iridi blu, la smorfia storta che era il sorriso del detective si allargò in un ghigno che fece scivolare a Bane un brivido lungo la schiena e sotto i suoi pantaloni. Gli addominali gli diedero una contrazione volontaria e la salivazione aumentò di colpo.

<< Sono addestrato a sparare, Mr Bane, non baglio mai mira e non manco mai un colpo.>>

Sorpreso da quella rivelazione così sfacciata Maguns lo fissò palesemente a bocca aperta.

E da quando gli angeli fanno battute sporche sulla loro capacità di andare a segno?

Ma mentre lui si interrogava su cosa potesse nascondere il detective Lightwood dietro a tutta quella pacata compostezza, Alec si maledisse in tutte le lingue che conosceva – cinque per la precisione e che nessuno facesse battute a riguardo- per essere stato così diretto e per aver detto delle cose così imbarazzanti. Per di più Bane continuava a guardarlo in quel modo strano che lo faceva sentire tanto come un topo braccato da un gatto. O come doveva sentirsi il cheesburger di Jace quando il ragazzo tornava dalle esercitazioni con la SWAT. O in generale come se Bane volesse mangiarlo da un momento all'altro.
Fantastico, non avevano neanche cominciato a parlare sul serio e già quello lo voleva far fuori.
Se solo avesse capito come Bane premeditava di farlo fuori.

Imbarazzato e per nulla a proprio agio in quella situazione Alec alzò la mano destra in cui teneva saldamente stretta la cassetta e la portò al livello del suo volto.
Bane sussultò riemergendo dai suoi pensieri.
<< Oh! E' venuto qui per ringraziarmi del regalo? Le è piaciuto il biglietto Detective? Spero lo abbia conservato, l'ho scritto con tanto amore.>> Gli fece l'occhiolino e quasi si rilassò nel veder la risposta impacciata dell'uomo che si sbrigò a parlare per evitare che lui tirasse di nuovo il discorso verso lidi non proprio professionali.
<< Avrei preferito aver prima questa registrazione, probabilmente sarei già a metà delle mie indagini, ma apprezzo il gesto, si.>>
Maguns scosse la testa, << Lei è riuscito a capire qualcosa che è sfuggita a me?>> domandò curioso. Ma l'agente lo fissò dritto negli occhi e scosse la testa.
<< Non l'ho ancora sentita.>>
L'espressione accigliata di Magnus dovette valer più di molte parole perché il moro s'affrettò a continuare, << Ha forse un posto sicuro in cui poterla ascoltare?>>

Il proprietario del locale rimase ancora un po' a fissarlo con quella stessa espressione prima di realizzare il vero senso di quelle parole e stupirsene sinceramente: era arrivato sino a lì invece di sentire la registrazione al dipartimento perché aveva seriamente tenuto in considerazione le sue supposizioni e temeva che ci potesse essere una talpa nel suo ufficio? Era arrivato sino a lì, da lui, perché pensava che potesse offrirgli un luogo sicuro in cui esaminare le prove?
Si fidava di lui?

Magnus sogghignò pieno di un inaspettato e sorprendente orgoglio.

<< Hai scelto la persona giusta Alexander, il Sommo Stregone di Brookyn è al tuo servizio.>>




 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV


 

Hai un nuovo messaggio in segreteria:

<< Magnus, sono Ragnor. E' da un po' di tempo che non ci sentiamo e non avrei mai voluto che fosse in queste condizioni. Ho bisogno di vederti, il prima possibile. Non sto scherzando Mags, ho un affare in ballo ma c'è qualcosa che non quadra, che non mi convince per niente, sia nel compratore che nella merce. Il nome non è il suo, lui- è qualcosa di vecchio, dei nostri tempi, capisci? Mi da quella sensazione. E anche l'articolo che mi hanno richiesto mi puzza, non si paga così per un affare del genere, quella c- Senti, non voglio parlarne per telefono, ma ho davvero bisogno di te, sono finito in una partita di cui non conosco le regole. Rispondimi il prima possibile, è questione di vita o di morte Magnus. Richiamami. >>

La cassetta finì con un suono secco, riavvolgendosi in automatico mentre i due uomini rimanevano in perfetto silenzio, persi nei loro pensieri.
Alec tenne lo sguardo fisso nel vuoto, davanti a lui un tappeto dall'aria costosa ed un tavolino completamente di cristallo, su cui dava bella mostra di se un statuina greca di marmo rosa. Le mura dell'ufficio erano di un viola scuro ma cosparso di brillantini, scie di glitter che riflettevano la luce del lampadario dallo stile elegante, in acciaio, che capeggiava al centro della stanza. Eppure tutti quei colori Alec non li vedeva, non davvero, la sua mente era tutta protesa nell'analisi del messaggio che avevano appeno ascoltato per la… quanto? Decima? Dodicesima volta?
Fell era chiaramente spaventato, lo si sentiva dalla voce, tesa e vibrante, aveva parlato a scatti, interrompendosi proprio quando stava per dare delle spiegazioni più corpose. Ma lo capiva, neanche lui in una simile situazione avrebbe raccontato per telefono tutti i dettagli del caso. Cosa gli rimaneva ora?
Aveva capito che anche Fell indagando sul suo compratore aveva scoperto la truffa del nome, magari aveva anche indagato e a differenza sua forse aveva capito qualcosa. Ma cosa?
Come gli aveva detto Catarina Loss, invece, Fell era convinto che il prezzo che gli veniva pagato per quella merce era troppo alto, ma mentre lui aveva pensato ad un neofita, la vittima che era del giro molto più di quanto non lo sarebbe mai stato lui, aveva sentito puzza di bruciato.
E' qualcosa di vecchio, dei nostri tempi.”

<< A cosa si riferisce quando parla di qualcosa dei vostri tempi?>> chiese rompendo il silenzio, << Non mi sembrate così vecchi da poter parlare di epoche passate.>>
Bane gli dava le spalle, poggiato al muro vicino alla grande finestra chiusa dai tendaggi da cui spiava il mondo esterno. Se solo non fosse stato nascosto, Alec avrebbe visto il sorriso per nulla divertito che si era aperto sul suo volto.
<< Non siamo così vecchi, no… ma a volte, ripensandoci, paiono passati millenni.>>
Poggiò la testa contro il panno spesso sino a sentire la consistenza dura del vetro.
<< Cosa sa- cosa le ha detto Catarina su Rag? Mi ha detto che le ha raccontato chi era, com'è entrato nel giro, cosa ha fatto i primi tempi…>>
<< Mi ha detto che eravate amici d'infanzia, che lui voleva entrare all'accademia d'arte ma non poteva permetterselo e che entrò in quei giri quasi per caso. Prima erano solo consulenze, poi cominciarono a pagarlo e a comprargli i biglietti per le mostre, lo mandavano in ava scoperta. Mi ha anche detto che fu suo padre ad assumerlo.>> rispose prontamente Alec mantenendo però un tono di voce basso.
Bane sorrise di nuovo senza gioia, lasciandosi scappare un verso quasi di scherno.
<< Papà… già. >> Si voltò verso di lui e con falcate decise si portò davanti alla scrivania su cui si poggiò, << Parliamoci chiaro Detective, potete anche non avermi mai incastrato perché so fare il mio lavoro, ma sappiamo entrambi in cosa consista questo.>> gli diede solo un attimo per annuire e capire dove volesse andare a parare, poi continuò, << Di noi tre, che lei ha conosciuto, solo Cat è scampata “al giro”. Io e Rag, e anche un altro nostro amico, non ci siamo riusciti. Ragnor c'è entrato per caso, aveva bisogno di soldi per realizzare il suo sogno e studiare le mostre d'arte per poi comunicare quali fossero i pezzi più costosi non gli impediva di dormire la notte. Ci sono stati altri che sono finiti a fare questa vita perché non avevano altra scelta; alcuni si ripetevano che era solo per quel momento e poi è stato per tutta la vita. C'è chi c'è entrato per tirar fuori i fratelli o gli amici ma ha capita che questo mondo non ti lascia mai a meno che non sia lui a volerlo e sono dovuti rimanere dentro se non volevano dimenticarsi la faccia di chi amavano.>> incrociò le braccia al petto e puntò lo sguardo un un quadro alle spalle di Alec, posto proprio sopra al divano.
<< E lei?>> chiese quasi in un sussurro il moro.
<< Io sono figlio d'arte.>> una smorfia impertinente fece quasi venir voglia ad Alec di sorridere, ma si trattenne.
<< Ha ereditato il lavoro da suo padre?>>
<< Più o meno, non è lo stesso buisness, ma siamo lì con i giri di conoscenza. E' da molto che ha lasciato questo posto, si era stancato della vita nel nuovo mondo e ha deciso di tornarsene in quello vecchio, per vivere come un normale pensionato straricco farebbe.
Mh, bastardo fortunato.
Quando Rag ha parlato di qualcosa di vecchio credo si riferisse al periodo in cui papà era qui, quando noi non eravamo ancora nel giro. Ecco, così di divide la nostra vita Detective Lightwood, tra ciò che c'è stato prima di varcare la soglia di questo mondo, e ciò che c'è stato dopo.>>
Alec annuì.
Si, Ragnor Fell aveva ragione, si era ritrovato a giocare una partita di cui non conosceva le regole e purtroppo per Alec, alla dipartita dell'uomo, era toccato a lui prendere il suo posto.

Solo che io non so neanche a che gioco stiamo giocando, tu almeno ne ignoravi solo le regole.

<< Ha qualcosa in mente Detective?>> Magnus si diede una leggera spinta contro il piano di legno e si avvicinò lento ed elegante all'agente che se ne stava pensieroso sul divano di pelle scura.
Era davvero un bell'uomo, considerò di sfuggita osservando il moro strofinarsi il palmo di una mano con il pollice della gemella, perso in chissà quale ragionamento.
<< Detective?>> provò ancora, fermo davanti al tavolinetto di cristallo.
Studiò quel volto tanto pallido da sembrar un morto, un bellissimo morto, e cercò di immaginarselo come glielo aveva descritto Catarina, concentrato nell'aiutare uno sconosciuto, preoccupato per quello e poi a parlar con gentilezza e tranquillità con lo stesso. Non gli ci volle molto, ad occhio e croce quel giovane doveva essere il classico bravo ragazzo che fa sempre la cosa giusta, anche quando non gli conviene, quando potrebbe ferirlo o andare contro i suoi interessi.
Ed il semplice fatto che dopo un mese stesse ancora indagando sul caso di Ragnor gli confermava solo la sua teoria.
<< Alexander?>> Chiamò con più dolcezza, lasciando che il primo sorriso vero dell'ultima ora gli piegasse le labbra. Aggirò il tavolinetto e vi si sedette sopra, esattamente davanti all'agente che sussultò sorpreso, drizzando la schiena ed arrossendo ad averlo così vicino.

Una cosa abbastanza tenera, ammettiamolo.

<< Scusa?>> chiese colto alla sprovvista ed il sorriso di Magnus s'allargò.
<< A quanto pare bisogna sorprenderti per far si che dimentichi le buone maniere ed i toni ufficiali.>> Gli fece l'occhiolino, << Mi domandavo se sapessi dirmi qualcosa, se avessi qualche idea a riguardo. Di tutta questa storia, s'intende.>>
Alec spostò di nuovo lo sguardo nel vuoto ma annuì piano.
<< Pensavo… cosa potrebbe essere cambiato da oggi al passato? Magari si è reso conto che il cliente era stato in contatto con tuo padre, o se lo avesse visto a qualche mostra. O forse è stato il pezzo a fargli ripensare a quegli anni.>> sospirò chiudendo gli occhi e passando pollice ed indice a distendere le sopracciglia aggrottate. << Potrebbero esserci mille motivazioni valide, ma se fosse passato troppo tempo e quell'uomo fosse scappato?>>
A quella domanda Magnus si irrigidì: si, era passato un mese da quando Ragnor era morto, ma non poteva arrendersi così, non poteva lasciare il caso perché l'assassino aveva avuto l'opportunità di allontanarsi dallo Stato. Lui doveva indagare, doveva trovarlo, doveva incastrare quel-
<< Da che parte lo cerco? Non ho la minima idea di chi possa essere, mi toccherà battere a tappeto tutti gli Stati circostanti e poi gli altri.>> fece un verso lamentoso, << Già l'ambasciata in Francia non mi richiama, figuriamoci se vola dove non c'è estradizione.>>
Bane alzò un sopracciglio mentre il moro continuava a borbottare da solo di burocrazia e gente che scappa invece di rimanere ferma per farsi arrestare. Gli venne naturale ridacchiare e poi scuotere la testa per scacciare quella sensazione d'ilarità di cui però non riuscì a liberarsi.
<< Agente? Agente!>> lo chiamò con voce allegra schioccandogli una mano davanti al volto.
Alec saltò sull'attenti e lo guardò curioso, senza parlare.
<< Perché non prende un respiro profondo? Lo vuole un drink?>> Si alzò con un movimento fluido e si avvicinò al lucido bar privato che si trovava sul lato opposto della stanza.
<< Non bevo in servizio.>>
<< Vuole farmi credere che è corso da me nel suo orario di lavoro? Oh, Detective, sono così emozionato! L'ha fatto solo per vedermi? No, perché se sentiva la mia mancanza sappia che la prossima volta può anche arrestarmi, mi piacciono così tanto le manette!>> gli lanciò uno sguardo malizioso e gli fece l'occhiolino, mentre il moro arrossiva miseramente e cercava di rispondere in modo arguto.
Certo, ormai la sua battuta l'aveva fatta, sia mai che il suo cervelletto si degnasse i produrre qualche altra bell'affermazione per rispondere a tono a quell'uomo.
Si alzò stirandosi pieghe immaginarie del suo completo scuro e fece per andare a riprendersi la cassetta, prima di bloccarsi, far marcia indietro e dirigersi verso la porta.
<< Sono venuto qui perché lo reputavo il posto più sicuro per ascoltare la registrazione e perché ero certo sarebbe stato in grado di rispondere alle mie domande. >>
<< Uhg, non bello come l'ho descritto io, ma posso accontentarmi anche di questo per il momento. Dopotutto si è fidato di me.>>
Alec si bloccò con la mano sulla maniglia e osservò accigliato Bane, << Certo che mi fido di lei. Gliel'ho detto durante il nostro primo incontro: lei non è un assassino.>>
<< Vero.>> l'uomo si portò un bicchiere fregiato alle labbra, << Ma sono pur sempre un criminale.>> bevve un sorso e lo studiò, in attesa di cosa avrebbe controbattuto l'altro.
<< Non è il criminale della mia di indagine. Per me lei è l'amico della vittima che può aiutarmi a fare giustizia per un uomo innocente.>>
<< Oh, Alexander! Ragnor era tutto tranne innocente.>> Buttò giù tutto il contenuto del bicchiere e lo poggiò sul ripiano, << Ciò non toglie >> s'avvicinò << che ti sono molto riconoscente per le tue parole. E per quello che stai facendo per Ragnor. Grazie.>>
Erano a circa un metro di distanza ed Alec si ritrovò a deglutire un paio di volte più del dovuto sotto lo sguardo attento di quegli occhi verdi e dorati come quelli di un gatto.
<< Faccio solo il mio dovere.>>
L'altro scosse la testa, << No, stai facendo molto di più, stai facendo giustizia.>>
Imbarazzato il detective si strinse nelle spalle minimizzando la cosa, << Il mio dovere per l'appunto.>>
<< Magnifico, sei una di quelle persone incapaci di accettare un complimento, vero? Lo trovo assurdo visto il tuo aspetto, chissà in quanti ti fanno una corte spietata, dubito che tu arrossisca così per ogni sconosciuto che ti parla. Mi sentirei profondamente geloso Alexander, te lo dico, quel rossore è solo a mio appannaggio.>> il sorrisetto divertito che gli piegò le labbra fece alzare gli occhi al cielo al suo interlocutore che borbottò qualcosa a mezza bocca prima di schiarirsi la voce,
<< Tecnicamente tu sei un sconosciuto.>>
Magnus si illuminò, non sapeva bene se perché il detective si fosse deciso ad abbandonare il -lei- o per altro, << Lo ero, volevi dire! Adesso potresti almeno darmi il titolo di conoscente, ti aiuto con le domande scomode sul mondo del crimine.>>
<< E- ehm… quindi, consulente?>>
L'uomo quasi saltò sul posto, in una comica replica di un bambino a cui viene concesso di prendere un altro dolce dal buffet, allungò le mani e prese quella destra di Alec, stringendola e scuotendola con entusiasmo.
<< Esatto! Sono il tuo Consulente Criminale! Quindi tu sei il mio agente di collegamento, giusto?>>
<< Così sarebbe m- >>
<< Perfetto fiorellino! Allora non mi manderai più Jade, vero? Mi sta antipatico, sei tu il mio preferito.>>
<< Grazie?>>
<< Oh, no, grazie a te.>> fece con tono mellifluo, << La prossima volta che ci vedremo però ti lascerai offrire quel drink.>>
<< Te l'ho detto, non bevo in servizio. A dir la verità non bevo molto in generale.>>
<< Ma io non ho detto che il nostro prossimo incontro dovrà essere ufficiale, dolcezza.>>
Alec sospirò sconsolato anche se le sue guance dovevano essere chiazzate di rosso e non era proprio l'ideale per dare l'immagine di una persona infastidita dagli eventi.
<< Potresti smetterla di chiamarmi così?>> chiese piano.
<< In effetti per quando sei in servizio non è molto adatto, >> Alec tirò un sospiro di sollievo, << ma visto che i nostri incontri sono clandestini ed improvvisi, così brevi ed intensi, credo non ci sia problema di sorta.>> gli sorrise e lasciò la sua mano per portare la mancina su quella che l'agente aveva ancora sulla maniglia, spingendola verso il basso ed aprendo la porta.
<< Quindi ci rivedremo presto, Alexander?>>
Il moro lo guardò per un minuto senza parlare, immerso in chissà quali ragionamenti.
<< Non appena avrò qualcosa di concreto mi farò sentire. Magnus.>>



 

Quando giorni prima Alec aveva detto a Simon che tra le mille cose che lo turbavano rientravano i suoi genitori che lo invitavano a pranzo a casa loro o che volevano parlare con lui seriamente, non scherzava.
Alec aveva sempre vissuto nell'ansia degli incontri e dei discorsi con loro, fin da quando era piccolo e non si sentiva mai all'altezza dei suoi fratelli, sino a quando quel senso d'inferiorità non si era trasformato in disagio alla scoperta del suo orientamento sessuale. Vedere i suoi fratelli vivere con tanta naturalezza le proprie vite, vederli alzare gli occhi al cielo e protestare, battere i piedi e fare i bambini lo aveva costantemente fatto sentire diverso da loro, in una posizione più sfavorevole, in piedi sull'orlo di un cornicione che divideva ciò che era e ciò che i suoi si aspettavano sarebbe diventato. Per anni la frase “parliamo un po' Alexander” lo aveva fatto cadere in tali stati di panico da farlo sudare freddo e balbettare preda dei tremori. Sua madre pensava soffrisse di qualche malattia particolare e per quanto ne sapeva Alec solo il suo psicologo era riuscito a far passare quell'assurda idea dalla mente della donna e farle capire che no: suo figlio è solo timido e terribilmente spaventato da lei. Ad onor del vero infatti, chi lo spaventava più di tutti era sua madre, Robert Lightwood aveva paura di deluderlo, ma Maryse Trueblood in Lightwood, Procuratore Generale di New York City, aveva spesso popolato i suoi incubi infantili con le sue arringhe fatali e le sue occhiate di ghiaccio.
Le cose si erano protratte in un climx senza possibilità di ritorno fino ai suoi diciotto anni, periodo in cui, preso il coraggio a due mani, aveva prima confessato a Jace di essere gay e poi ne aveva parlato con i suoi, in particolar modo quando sua madre se ne era uscita con l'ennesima domanda su perché lui non le presentasse mai le sue fidanzate. In un primo momento, Max si divertiva a ricordare la faccia confusa di suo padre e quelle per nulla convinta della madre, Alec gli aveva risposto che, semplicemente, non ne aveva mai avuta una. Quando poi la donna aveva insistito su questo fronte, cominciando a parlargli di questa o quella figlia dei suoi colleghi, il moro era forse sbottato per la prima volta in vita sua dicendogli che nessuna di quelle ragazze gli piaceva.
Maryse aveva obbiettato che aveva dei gusti difficili.
Robert si era strozzato con il pollo e Jace non era potuto scoppiare a ridere solo perché era dovuto correre a battergli una mano sulla schiena.
Certo, l'apoteosi l'avevano raggiunta a Natale quando Alec aveva detto chiaro e tondo alla madre che “nessuna ragazza mi piace” e Robert si era nuovamente strozzato, con il vino stavolta, per poi borbottare alla moglie tra un colpo di tosse e un altro, che magari doveva presentargli qualche figlio dei suoi colleghi. Suggerimento andato a vuoto o ignorato dalla donna che aveva intavolato una discussione epica sul fatto che avesse diciotto anni e dovesse cominciare a guardarsi attorno e poi Alec si era alzato da tavola, fronteggiando la madre, e le aveva urlato con quanto fiato avesse in corpo “Sono Gay!”.
E li era finito il loro Natale.
Se ci pensava ancora aveva i brividi.
Gli stessi brividi che gli passarono lungo la schiena, con 30 gradi di temperatura ed un sole che spaccava le pietre ora che era davanti alla porta di casa sua.
In difesa di Maryse Alec doveva ammettere che dopo un iniziale guerra più o meno fredda, circa sei-sette mesi escluso il giorno del diploma, l'aveva presa piuttosto bene. Anche perché aveva smesso di tormentarlo sul piano sentimentale per buttarsi sul molto più proficuo piano lavorativo.

La porta si aprì prima ancora che potesse premere il pulsante d'ottone del campanello. Suo padre, una versione più bassa e più vecchia di sé, con l'espressione perennemente seria ed un velo di barba spruzzata di grigio a coprirgli mascella e guance, lo fissò da sotto le folte ciglia nere, gli occhi azzurri più chiari di quelli del figlio ma estremamente simili.
<< Ti ho visto dalla finestra.>> gli disse come a giustificazione, impacciato quasi come se dovesse spiegare perché aveva aperto al figlio senza che questo suonasse.
<< Grazie papà, tutto bene?>> continuò Alec con lo stesso tono impacciato entrando in casa e pulendosi i piedi sul tappeto.
L'uomo annuì, << Come sempre, molto lavoro da fare e molti incompetenti che non ne sono in grado.>> Si fermò ad osservarlo mentre si toglieva la giacca e l'appendeva al chiodo, << Almeno non ti ha aperto tua madre.>>
Quella frase buttata lì così, quasi a caso, gli fece di nuovo scendere i brividi lungo la schiena: quello era un chiaro segnale d'avvertimento, gli diceva “tua madre è sul piede di guerra per un motivo x preparati”. Gli regalò un sorriso tirato ed uscì dall'anticamera, << Cucina?>>
All'assenso del padre si diresse verso la camera da pranzo e poi oltre l'arcata che portava alla cucina.
<< Buon giorno.>> provò titubante fermandosi sulla soglia della stanza.
Maryse era in piedi davanti ai fornelli, con un grembiule color tortora a coprire la gonna a tubino crema e la camicia bianca. I capelli neri e lunghi erano legati in una crocchia severa e Alec si domandava come facessero lei e sua sorella a vivere perennemente affidando la loro stabilità ad un tacchetto delle dimensioni di cinque millimetri per cinque.
Concentrata su una padella la donna neanche si girò, << Buon giorno a te Alexander.>> continuò a cucinare finché non parve soddisfatta, poi si sciacquò le mani e si voltò verso il figlio, avanzando di qualche passo per poterlo stringere in un abbraccio leggero e dargli due baci sulle guance.
Il giovane abbozzò un sorriso chiedendole se volesse una mano ma lei scosse la testa e lo invitò a sedersi in salotto, in attesa che il pranzo finisse di cuocere.

<< Allora, ci sono progressi nel caso Fell?>>
Alec mandò giù il groppo che gli si era stretto in gola fino a quel momento: la stava aspettando al varco.
<< Si >> si costrinse a sputar fuori, << Finalmente l'ambasciata mi ha risposto e credo di aver capito dove indirizzare l'indagine.>>
Maryse fece un secco gesto del capo, << Sarebbe anche ora Alec, un'indagine d'omicidio che si protrae per così tanto tempo è solitamente destinata a rimanere irrisolta.>>
Robert, seduto sulla sua poltrona, alzò gli occhi al cielo come faceva spesso sua figlia, beccandosi un alzata di sopracciglio da parte della moglie.
<< Sei un avvocato Maryse, ne abbiamo già parlato, non sai come sia svolgere un'indagine sul campo, non puoi criticare.>>
<< Non sto criticando, sto esponendo un dato di fatto. Senza contare che anche noi avvocati indaghiamo.>>
<< Sulle prove che noi poliziotti vi diamo. Non è sempre lampante la soluzione di un caso.>>
L'epica lotta tra l'ordine e la giustizia sembrava star per rinascere dalle sue ceneri e Alec si domandò perché quel giorno ci fosse solo lui a pranzo alla vecchia base e non tutti gli altri. Max aveva diciassette anni, si era da poco diplomato, perché non era a casa a ciondolare come faceva sempre?
<< Un trafficante di merci rare ucciso alla vigilia della conclusione di un affare. Mi pare piuttosto ovvio in effetti chi sia il colpevole.>> continuò sua madre sul piede di guerra.
<< Magnifico, sai dirci anche nome e cognome?>> le rispose sarcastico il marito.
<< Sicuramente quel Fell teneva un registro contabile.>> si voltò verso Alexander come se avesse appena messo a segno un punto da metà campo, il moro sospirò.
<< Nome falso, già controllato.>>
Robert sogghignò soddisfatto.

Scusa mamma, non era neanche un tiro da due questo.

<< Hai controllato i sistemi d'allarme vero?>>
La voce di suo padre lo fece trasalire in un modo ben diverso da come aveva il potere di fare quella situazione ogni santissima volta.
Certo che aveva controllato i sistemi d'allarme e certo che aveva analizzato tutte le entrate e le uscite.

Forse dormirei il sonno dei giusti se non l'avessi fatto.

<< E cosa ne è risultato?>> lo richiamò la donna.
Alec si rimise dritto con la schiena, sollevandosi dai cuscini morbidi del sofà e schiarendosi la voce, l'espressione seria e pensierosa tipica degli uomini Lightwood che gli calava sul volto come una maschera:
<< Mi spiace mamma ma non posso parlare dei dettagli del caso.>> lo disse con una tale professionalità che si sentì soddisfatto di se stesso. Ma probabilmente tutta la professionalità del mondo non avrebbe fregato i suoi che lo guardarono improvvisamente attenti.
Maryse fece per dire altro, soppesando ogni minima ruga d'espressione sul volto del figlio, prima di essere stroncata sul nascere dal marito.
<< Maryse, non avevi lasciato qualcosa sul fuoco? Credo sia ora di sedersi in tavola.>>
Per il momento si era salvato.

 

Avrebbe dovuto sapere ormai che la sua fortuna era tanto altalenante quando fasulla.
Finito il pranzo suo padre lo aveva invitato nel suo studio per fare due chiacchiere, o così aveva detto, ma Alec lo sentiva lontano un miglio quando l'uomo voleva parlargli di cose serie.
Si ritrovò così seduto sulla poltrona che per tutta la sua vita era stata sinonimo di giudizio e spiegazioni, dove stava ogni volta che riportava un voto a casa o doveva scegliere che sport, che laboratorio, che lavoro scegliere.
Quella volta però c'era qualcosa di diverso, Robert pareva più intenzionato ad ottenere informazioni piuttosto che darne, ma se alla fine lo scambio sarebbe stato reciproco, Alexander decise che poteva starci.

<< C'è qualcosa che ti turba a proposito del caso.>> diretto come solo un Lightwood poteva essere. Persino i suoi fratelli, sempre così sfacciati e dritti in ogni loro parola, non avevano ereditato la stessa precisione ad azzeccare il bersaglio e la stessa disarmante sincerità che era propria di quell'uomo.

Ma dopotutto noi siamo cecchini.

<< Si.>> rispose secco e vide il padre annuire soddisfatto. Non gli piacevano i giri di parole, non piacevano a nessuno dei due, erano solo fiato sprecato, il tentativo di indorare la pillola o allontanarsi dal discorso principale.
<< Cosa.>>
Quello era il momento in cui Alec rispondeva alle sue curiosità, se fosse stato abbastanza esaustivo avrebbe ricevuto in cambio la stessa moneta.
<< Settimane fa chiesi a Lewis di mostrarmi i dati dell'allarme della casa. Ha un sistema particolare di riconoscimento facciale basato sul nome inserito nel database, ma questa volta il nome era fasullo e l'unica informazione che il computer ha ricevuto è stata la segnalazione di un accesso previsto per una data ora. Effettuato. Fell bloccò subito dopo tutti gli accessi della casa, ma un computer da remoto li disattivò e fece entrare altri sei individui.>> rimase in silenzio attendendo che suo padre metabolizzasse prima della batosta finale, un cenno con la mano e continuò. << Abbiamo rintracciato l'indirizzo IP e la sua fonte è un computer dei nostri.>>
Per qualche strano motivo la reazione di suo padre non lo stupì minimamente.
Robert rimase fermo con gli occhi puntati nei suoi, come se non gli avesse appena detto che c'era una probabile talpa nel dipartimento e aspettasse che continuasse a raccontare.
Poi realizzò che se un mese fa la Signora aveva chiama il suo capo, di certo doveva aver parlato anche con chi era sopra di lui, ergo suo padre.
Quindi, o la va o la spacca.
<< Ho sentito il Capo Blackthorn parlare con la Signora, c'è un indagine degli Affari Interni in corso? Devo far rapporto a lei?>> Lo chiese con sincera curiosità, aspettandosi una risposta dal Capo del Dipartimento e non da suo padre, ma questi si limitò ad annuire.
<< C'è altro?>>
Alec lo guardò in cerca di qualcosa nel suo volto ma non vi trovò niente.
<< Solo che la vittima aveva paura del compratore e sospettava della merce. Ha lasciato un messaggio in segreteria ad un amico e gli ha detto che tutto l'affare gli ricordava i suoi vecchi tempi, che mi è stato detto furono quelli in cui il padre di questo amico lavorava ancora nel giro.>>
Non seppe perché ma non riuscì a pronunciare il nome di Bane, inconsciamente si disse che se non l'avesse nominato sarebbe stato ancora al sicuro.
Al sicuro da cosa poi?
<< Chi è il suo amico e chi era suo padre?>> chiese comunque l'uomo.
<< Non conosco il nome del padre, ma l'amico di Fell è Magnus Bane.>>
Al solo sentir quel nome suo padre si espresse in quella reazione stupita che avrebbe dovuto sfoggiare prima. Lo vide sgranare gli occhi e aggrottare le sopracciglia, come se avesse rievocato un fantasma ormai scomparso da anni.
<< Bane è fuori dai giochi da molto tempo.>>
<< Lo so, mi è stato detto anche questo. Ho solo- >> tentennò e combatté inutilmente contro l'istinto di mordersi il labbro che aveva fin da bambino quando non era sicuro di qualcosa, << penso che l'assassino potrebbe essere un vecchio collega di Bane, magari qualcuno di così potente da poter minacciare un membro del dipartimento o addirittura comprarlo.>>
Robert chiuse gli occhi e si lasciò andare contro la spalliere dalla poltrona. Un gesto così stanco e sconfitto che Alexander non aveva mai visto fare a suo padre.
Si passò le mani sul volto in una sbiadita imitazione di ciò che faceva anche lui quando era preoccupato o aveva troppi pensieri per la testa, cose da non credere. Poi diede due colpi di tosse, reclinò la testa contro il cuscino e lo guardò di sottecchi.
<< Da sempre il dipartimento ha contatti nei giri criminali. Le soffiate arrivano in ogni momento, anonime o fatte da persone che conosci perfettamente ma devi far finta di non aver mai visto in vita tua. E' da qualche tempo che quelle che ci arrivano paiono… fiacche. Veniamo informati di piccoli traffici, di spostamenti di qualche chilo di coca o di qualche casa chiusa, ma non è mai nulla di troppo sostanzioso. E mentre noi corriamo dietro ai pesci gli squali continuano con i loro affari.
I dubbi sono cominciati a sorgere quando un nostro uomo sotto copertura in una gang è riuscito a mettere una cimice nell'ufficio del suo capo. Ha scoperto che stava per esser effettuata la vendita di una grossa partita di pasticche, ma lui, che è uno dei più fidati del boss, non ne sapeva niente.>>
Una morsa allo stomaco lo fece sbiancare, << Lo hanno scoperto?>>
Suo padre scosse la testa, << No, non lo hanno scoperto, non è compromesso. Siamo riusciti a intercettare la merce e ha mettere dentro un paio dei loro, ma l'agente è ancora operativo. Il problema principale è che quella cimice non doveva esser piazzata.>>
Alec aggrottò le sopracciglia, in che senso? << Come?>>
<< Questo senso. Nessuno aveva dato l'autorizzazione all'agente a posizionare una cimice nell'ufficio di quell'uomo, troppo rischioso, troppe conseguenze, è fortunato ad essere anche riuscito a recuperarla in tempo. Ma il fatto rimane: ogni spia che è stata piazzata in quel palazzo, nelle loro sedi, non veniva mai trovata ma non registrava neanche nulla di utile. L'unica che invece ha fatto centro… >>
<< E' stata una cimice piazzata per iniziativa dell'agente senza informare i suoi superiori della decisione presa.>>
Robert fece un cenno con il capo ed allargò la mani, come a dirgli “esattamente, hai colpito il punto”.
<< Ad Imogen questo non è passato inosservato, soprattutto visti i precedenti. Ha così deciso di aprire un indagine interna.
Ora tu mi vieni a dire che il sistema d'allarme della tua vittima è stato disabilitato dagli uffici del dipartimento. Non me ne stupisco, segue un filo logico di cui abbiamo già preso coscienza e di cui dovremmo sicuramente indagare di più. A chi hai riferito le tue scoperte?>>
<< Inizialmente solo Lewis lo sapeva. Gli ho detto di cancellare le sue ricerche e di mettermi tutti i dati su pennetta, l'ho chiusa in cassaforte. >> suo padre annuì d'accordo con le sue azioni, << Poi però mi sono ritrovato costretto a dirlo anche al Capo Blackthorn, c'erano troppi indizi che mi portavano a sospettare di un membro interno e lui ha concordato con me.>>
<< Hai fatto bene, Andrew è informato delle indagini degli Affari Interni, è stato uno dei primi che Imogen ha chiamato. E' una persona fidata, lo dimostra ogni giorno sul posto di lavoro e lo ha dimostrato ampiamente in passato. Hai detto a Lewis di tenere la bocca chiusa vero? Quel ragazzo è peggio di un pappagallo.>>
Alec condivise la smorfia di suo padre ma gli assicurò che nulla era trapelato.
<< Va bene.>> fece con fare definitivo l'uomo, << Riferirò quanto mi hai detto ad Imogen Herondale e a lei soltanto, se dovesse esserci una fuga di notizie sapremo a chi far capo.>>
<< Papà… >> continuò però Alec, << Ho chiesto a Simon di controllare se ci fossero trasmittenti nascoste per il dipartimento… se ci sarà una fuga di notizie non potrebbe essere stata registrata la mia conversazione con il Capo? O la tua con la Signora Herondale?>>
Robert scosse il capo, << I nostri uffici sono sicuri, li ha esaminati uno specialista dell'FBI.>>
Alec alzò le sopracciglia stupito e l'uomo invece una mano, come a bloccare qualunque parola.
<< Si, è necessario e si, ci fidiamo del Dottor Branwell.>>

Annuì e si alzò, pronto a congedarsi da quella stanza e da quel discorso quando suo padre lo sorprese con una domanda del tutto inaspettata,
<< Hai conosciuto Magnus Bane?>>
Tentennò, << Certo, l'ho anche interrogato.>>
L'uomo strinse le labbra pensieroso, << Mh.>>
<< Perché?>>
<< Che ti sembra? Ci vai d'accordo? Collabora?>>
<< Direi che è un personaggio particolare e molto scaltro ma no, per nulla collaborativo inizialmente.>>
<< Mh, e ora?>>
Alec espirò forte dal naso, crucciato, << Perché mi chiedi queste cose?>>
L'altro si strinse nelle spalle, << Curiosità. Sai, qualche settimana fa tuo fratello è andato a trovarlo nel suo locale e quando l'ho incontrato mi ha raccontato di quanto fosse arrabbiato Bane perché non c'era “il suo bel detective Occhi Blu”, ha detto che gli ha addirittura strappato il telefono di mano quando gli ha detto di avere il tuo numero. Oh, e che ti ha chiamato e finita la conversazione sembrava… come ha detto? Oh, si, “un bambino a cui viene negato il suo giocattolo preferito”, detto alla Jace, puoi immaginare, ma il senso è quello.>>
Il ragazzo fissava stupito suo padre: da quanto si sprecava per tutte quelle parole per- per cosa poi? Gli stava seriamente chiedendo che tipo fosse Bane per…

Dio no, ti prego. Lui no, no.

<<Quindi, che tipo è? Ci vai d'accordo ora?>>
Alec boccheggiò arrossendo, << E' un testimone, ci vado d'accordo quanto basta per concludere il caso. M-mi ha mandato la cassetta con la registrazione del messaggio di segreteria che gli ha lasciato Fell e- >>
<< Quindi il regalo che hai ricevuto in ufficio te lo ha mandato lui? Con dentro una prova ?>>
<< Hai parlato con Luke.>> non era una domanda, era una semplice affermazione, non poteva essere altrimenti se no… << No. Ti prego dimmi che tu hai parlato con Luke e non è stata mamma a pararci.>> si schiaffò una mano in faccia stropicciandosi gli occhi e non vide suo padre stringersi nelle spalle,
<< Passavo da quelle parti e ho fatto un salto a salutarlo.>>
<< E parlate di me quando vi incontrate?>>
<< Ti era arrivato un regalo. Volevo chiederti chi te lo aveva mandato, ma me lo hai detto tu.>>
<< Ti rendi conto che Bane è un criminale?>>
<< Sherlock Holmes era un drogato ma non vuol dire che non fosse una persona interessante.>>
<< Papà...>>
<< Sto solo dicendo che se è una persona interessante, quando chiuderai il caso- >>
<< Ha ripresto da te, ecco da chi. Izzy ha ripreso tutto da te. Altro che mamma. Senti, io me ne vado, okay? T-tu… tu sei anche il Capo del Dipartimento, mi stai incoraggiando a stringere legami di sorta con un criminale i- io, io… io n-n-non ci posso credere ch… >>
<< Era solo una domanda. Sono pur sempre tuo padre.>> fece quello innocente.
<< No. Papà, davvero. Grazie, ma no, non farlo.>>
<< Jace dice che è un bel tipo e se lo dice lui...>>
<< Ciao papà, vado a salutare la mamma e poi scappo a lavoro.>> cercò di tagliar corto Alec, sentiva non solo le guance ma anche il collo in fiamme e non voleva immaginare le condizione pietose in cui si trovava.
Fare delle insinuazioni del genere… su un testimone che era stato indiziato… un criminale per giunta!
Incurvò la schiena ed incassò la testa nelle spalle mentre marciava verso il bagno per darsi una sciacquata alla faccia e cercare di calmarsi.

Lui poteva anche essere la copia sputata di suo padre nell'aspetto e in tanti atteggiamenti, ma dopo ben venticinque anni di vita Alec aveva appena capito che la vena pettegola di sua sorella non derivava da sua madre e dalla sua capacità di farsi gli affari altrui per lavoro, no, assolutamente no.
I suoi fratelli, il triunvirato del gossip di casa Lightwood era presieduto nientepopodimeno che da Robert Lightwood.


 


 

Malgrado l'imbarazzo cocente che ancora lo attanagliava al sol ripensare all'ultima parte del discorso con suo padre, questo gli aveva fatto venire in mente anche molte altre idee.
Aveva mandato un messaggio a Simon in cui gli chiedeva se fosse riuscito a fargli quel favore, a cui il ragazzo aveva risposto con un esaustivo “quale favore”. Inutile dire come Alec avrebbe voluto spaccargli la testa e come lo avrebbe chiamato per insultarlo se subito dopo non gli fosse arrivato un altro messaggio che recitava:


 

Oh, quel favore. Il favore che dovevo farti. Il tuo personalissimo favore. Tu e il tuo favore. Quel favore?”

 

Alec lo avrebbe davvero ucciso.

 

[cit.]”

Ringrazia il tuo Dio che mi devi fare un favore e non prepararmi un veleno Lewis se no avrei fatto in modo che ci rimanessi secco.”

OMFG! Hai capito la citazione! Alec! Sono così felice!”
“ Squich- squich- squich- squiken!”

E' solo un messaggio ma ti assicuro che posso ferirti irrimediabilmente anche a parole”

Tu mi devi la mia ghianda. Hai mangiato tu la mia ghianda?”
 

Sono abbastanza sicuro che l'ordine fosse inverso. Allora? Devo venire fino al laboratorio ad appenderti al muro per farmi dare una risposta o pensi di riuscire ad essere serio per due secondi?”

Sono sempre serio io! E poi quel cartone non è apprezzato abbastanza.”

Zitto e sputa il rospo Kronk”

Ehi! Perché io Kronk! E tu chi sei? Yzma?”

No, sono lo scoiattolo. Devo chiamarti?”

Fa molto relazione clandestina”

Fa molto mia madre che minaccia Jace per waths app.”

Lo ha fatto? Cioè, Maryse sa usare wapp? Serio?”

Lewis, ricordati la mia promessa di farti trovare nudo davanti ad Izzy.”

Si, lo so, lo so. Tavolo delle autopsie e niente non-morti.
Ma no mio fedele Padawan, sto ancora operando :\”

Al massimo sei un Clone random. Non chiamarmi Padawan.”

E tu saresti un perfetto Imperatore!”

Quanto ti manca?”

Tre e quattro e ottantacinque.”

Non voglio risponderti.”

Lo hai chiesto tu!”

Lewis.”

Mi spieghi come riesci ad essere intimidatorio dicendo solo il mio nome anche per messaggio?”

Sto aspettando.”

Anche io!”
“ Forza.”
“ Non mi rispondi più?”
“ AAAAAAALEEEEEEC”
“ Non cederò così facilmente!
La forza è grande in me!”
“ Okay, no, ho fatto due livelli ma sono ancora in alto mare. Te lo avevo detto.”

Grazie Lewi, torna a fare il tuo lavoro ora.”

Che la forza sia con te Padawan”

Sta zitto Clone.”
 

Chiuse la conversazione con il castano e fissò per un tempo indefinito la lista dei suoi contatti.
Qualche giorno prima, precisamente quando aveva riportato la cassetta Bane, gli era arrivato un messaggio con un numero, un cuore e una faccetta che faceva l'occhiolino.
Lo aveva salvato come Magnus Bane. Nome e cognome, distaccato e professionale.
Le domande di suo padre tornarono prepotenti alla ribalta e Alec si morse la lingua sbattendo la testa contro il volante della sua auto, rischiando di beccare il clacson e svegliare tutta la stradina deserta in cui si era fermato.
Prese un respiro profondo e decise che no, non avrebbe tenuto un'altra discussione telefonica con Bane, la prima gli era bastata. Si, gli avrebbe mandato un messaggio.

Dove sei?” No, troppo diretta e poi pareva che avessero un appuntamento e l'altro fosse in ritardo.

Sei a lavoro?” Dio e questa? Pareva così intima, magari doveva dargli del lei?
“ Ciao, scusa se ti disturbo, avrei bisogno di parlarti. Sei al Pandemonium? No, no, no. Neanche questa.
Sospirò ancora e si grattò la nuca guardandosi attorno. Che doveva fare? Riprovò.

Buona sera-” Neanche questa. Non era più capace ad inviare un cavolo di messaggio?
Le sue maledizioni silenziose vennero interrotte dal sibilo della vibrazione che lo avvisava dell'arrivo di un messaggio. Da parte di Bane.

Salve mio bel detective, ho visto la tua iconcina segnalare in continuazione 'sta scrivendo' ma o mi stati dedicando un ode, cosa buona e giusta, o qualcuno qui è indeciso.”

Merda.

 

Cosa posso fare per te bocconcino?”

Non chiamarmi in quel modo”

 

Magnifico Alexander, magnifico, è proprio così che si risponde ad un messaggio, eccola la tanto decantata educazione di casa Lightwood.

 

Awwww! Ti ho mai detto quanto sei dolce quando metti il broncio? Scommetto che lo hai fatto!!”
“ Mi ti immagino anche a congratularti con te stesso per la rispostaccia. E mamma non dice niente?”

 

Certo, lo sfotteva pure lo stronzo.

 

Avrei delle domande da porti, stai lavorando? Posso rubarti qualche minuto?”

Puoi rubarmi anche le mutande se vuoi.”
“ Anche se no, quelle no. Non le porto ;)”


Alec deglutì: come c'erano arrivati lì?

 

E' una risposta affermativa? Posso passare in ufficio?”

Si, era una risposta affermativa signor detective. No, non puoi passare in ufficio.”
“ Non ci sono.”

Puoi dirmi l'orario in cui posso trovarti?”

Oh dolcezza! Ma tu mi hai già trovato! Sono libero e felice come una farfalla e solo soprattutto”
“ Ma non sono al Pandemonum, sono a casetta.”
“ Le mando la posizione detective, mi raggiunga qui. L'aspetto con ansia <3”


 

Il messaggio successivo lampeggiò nell'anteprima di un indirizzo di Brooklyn e Alec rimase a fissarlo per almeno cinque minuti.
Doveva davvero andare a casa sua?
Insomma, era già capitato che si recasse a casa di testimoni o sospettati per un controinterrogatorio o per chiedere delucidazioni. Era del tutto normale. Non c'era niente di strano.
Diede un'occhiata alla sua meta e lanciò il telefono sul sedile del passeggere imprecando a mezza voce. Questa era tutta colpa di suo padre e delle sue stupide insinuazioni. E di Jace che andava in giro dicendo che Magnus Bane era “un bel tipo” e di Lucian Garroway che diceva a suo padre che aveva ricevuto un regalo.

Fanculo tutti.

Ingranò la prima e si rinmerse nel traffico Newyorkese.

 

L'appartamento di Magnus Bane non lo sorprese per nulla. Si era immaginato un ambiente eclettico e sofisticato, elegante e anche tracotante lusso.
Certo, le numerose foto del proprietario di casa mezzo nudo a svariate feste non se le era proprio figurate, diciamo così, ma essere un buon poliziotto consiste anche nel non mostrarti troppo interessato a ciò che ti circonda o ti viene detto.
L'attico era però stranamente ospitale, come se fosse stato creato per accogliere molte persone o pochi e fidati eletti.
Alec si sedette rigidamente sul bordo del divano, deglutendo un poco a disagio mentre l'uomo, che gli dava le spalle intento a trafficare con le bottiglie dell'angolo bar, gli elencava una serie indefinita di nomi di bevande o cocktale di cui lui ignorava completamente l'esistenza.
Eppure gli pareva così brutto dirgli “Ma una birra non ce l'hai?”, sia perché sembrava davvero terribilmente maleducato, sia perché Alec non beveva in servizio.

<< Te l'ho già detto, sono in servizio.>> provò per l'ennesima volta ricevendo in risposta solo un movimento vago della mano.
Il detective sospirò e si diede un'altra occhiata intorno, soppesando quadri e statuine, ninnoli di vario genere e anche il grammofono che faceva bella mostra di sé vicino al camino. Dio santo, chi è che aveva un camino in un attico moderno di New York? Magnus Bane a quanto pare.
Stava cercando di sbirciare con quanta più discrezione possibile la libreria dell'altro quando una macchia bianca si piazzò proprio davanti all'ultimo scaffale in basso, esattamente quello che stava fissando Alec. Ma che diamine era quel coso?
Neanche avesse richiamato la sua attenzione a gran voce il coso si girò verso di lui, dando bella mostra di un piccolo triangolino rosa, dei baffi lunghissimi e degli attenti occhi gialli. Le orecchie erano minuscole, in scala al suo proprietario, ma quando si leccò le labbra la lingua gli parve sproporzionatamente grande.
Il gatto, perché quello era il coso bianco, annusò l'aria che lo circondava e poi cominciò ad incedere silenzioso verso di lui, ogni passo attutito dai cuscinetti morbidi e dallo strato di pelo di cui erano rivestite le zampe. Magnus intanto aveva preso delle bottiglie colorate e ne aveva versato in contenuto in uno shaker, cominciando a mescolare con grazia ed eleganza la bottiglia di metallo.
Okay, no, non è vero, cominciando ad agitarsi come se fosse lui stesso lo shaker.
Alec era abbastanza sicuro che per mescolare al meglio due liquidi non fosse necessario sculettare in quel modo e concentrarsi sul piccolo gomitolo di peli che gli si stava avvicinando e che continuava ad odorare l'aria come se tentasse di capire se fosse proprio lui la fonte dell'odore anomalo che sentiva, gli parve la soluzione migliore.
Sentiva la voce dell'uomo canticchiare a labbra chiude un motivetto un po' troppo incalzante e con la coda dell'occhio vide alzare le braccia in aria come se avesse in mano delle maracass. Magnifico.
Si riconcentrò sul gatto solo per vederselo saltare letteralmente sulle gambe e odorargli la giacca e la cravatta.
Titubante Alec provò ad allungare la mano, offrendo l'indice al naso microscopico del felino e sospirando di sollievo quando questo vi si sfregò contro. Aveva anche lui un gatto, sapeva che non doveva fare movimenti improvvisi o suoni sorpresi, a meno che non volesse una bella artigliata.
Peccato che forse non tutti lo ricordavano.

Bane si voltò finalmente verso il detective soddisfatto del suo spettacolino, aveva mescolato anche più del dovuto quel povero cocktale ma almeno si sarebbe goduto la faccia rossa ed imbarazzata del giovane uomo che sedeva sul suo divano. Faccia che non vide perché Lightwood pareva averlo ignorato per tutto il tempo per dedicare le sue attenzioni a… ?

<< PRESIDENTE!>>

Il gatto schizzò via dalle gambe di Alec alla velocità della luce, non prima di avergli piantato le unghie nelle cosce per aver una maggiore presa sul suo terreno di corsa.
Alec strinse le labbra ma non proferì parola, limitandosi a voltare la testa verso l'altro e fissarlo con un'espressione molto esplicativa.

Magnus gli sorrise un poco dispiaciuto, << Non dovevo urlare, eh?>>
Il moro scosse la testa sospirò, << Possiamo finalmente parlare? Hai il tuo drink ora.>>
<< Mh mh e se non fossi così ingessato ora lo avresti anche tu… il drink intendo.>> alzò un sopracciglio ammiccando e il detective strinse di nuovo le labbra, ignorando volutamente il sottinteso. Dopotutto quell'uomo riusciva a trovare doppi sensi e significati nascosti in ogni dannatissima frase.
<< Te l'ho già detto, non- >>
<< Quando sei in servizio, si, si, lo so.>> si lasciò cadere sulla poltrona, poggiando le gambe sul bracciolo e la schiena sull'altro, il bicchiere trasparente riempito di un liquido verde acido stretto tra le dita ingioiellate. << Cosa posso fare per il mio detective preferito?>>
Fu il turno di Alec di alzare un sopracciglio, << Perché, ne hai più di uno?>>
<< Oh! Non essere geloso tesoro, ho detto che sei il mio preferito, in assoluto. >> batté le ciglia in modo teatrale, << E poi l'altro è Luke- sono un grosso cane da tartufo- Garroway. Non c'è partita dolcezza, vinci a mani basse.>>
Alec annuì.
<< Soprattutto se sono abbassate verso certi lidi… >> continuò quello con tono casuale.
Il moro abbassò la testa sconsolato, << Ce la fai ad essere serio per due minuti?>>
Un gesto elegante della mano si sostituì alla risposta dell'uomo, ora intendo a sorseggiare piano il suo intruglio alcolico.
<< Mi servirebbe sapere se ci sono gang, gruppi, singoli o qualunque tipologia di associazione criminale che ultimamente riesce a scappare ai blitz della polizia o che riesca a nascondere gli affari più grandi. Anche se c'è qualcuno che si vanta di ciò nell'ambiente.>>

Magnus si tirò su di colpo sputacchiando il drink e tossendo, Alec ci mise poco ad alzarsi e dargli gentili colpi sulla schiena per aiutarlo a riprendersi, togliendogli anche il bicchiere di mano per evitare che se lo rovesciasse addosso.
<< Vai dritto al sodo tu eh? Non avresti tipo dovuto farmi un preambolo su come stesse andando il caso, su dove ti stessero portando le indagini e su quanto ti servirebbero determinate informazioni ma non sapessi dove prenderle? Tipo una cosa molto sottile in cui io, alla fine, mi sarei offerto di darti determinate notizie. E non solo ovviamente, se me lo chiedi posso darti anche il c- >>

<< Magnus!>> sbottò indignato il detective che era stato fermo a sentire quello sproloquio assolutamente non necessario. Tanto alla fine sarebbe stato quello il sunto del discorso, perché girarci attorno?

Parla quasi quanto Simon se parte.

<< Era solo una proposta la mia, un promemoria mettiamola così.>>
Alec tornò a sedersi sul divano, ora un po' più vicino all'imprenditore che si stava allungando verso il tavolinetto per riprendersi il bicchiere.
<< Puoi darmi queste informazioni o no?>>
Magnus sospirò scuotendo la testa, lo stesso atteggiamento di chi spiega per l'ennesima volta qualcosa ad un bambino,
<< Alexander, prima di chiedere certe cose si deve corteggiare il diretto interessato, fargli delle belle moine ed adularlo, offrirgli qualcosa in cambio. Mi stai chiedendo di dirti se i miei compagni, i miei amici, il mio mondo sta sfuggendo con più facilità al tuo. Mi stai chiedendo di tradire la loro fiducia, lo capisci vero? Potresti almeno spendere due paroline carine invece di sparare subito il fuoco più grande.>>
Il moro lo fissò per un secondo, rimuginando su quello che l'altro gli aveva appena detto e prima che Bane potesse continuare l'elenco delle cose che poteva fare per convincerlo, tra cui sarebbe sicuramente rientrato qualche favore sessuale, Alec lo batté sul tempo:

<< Magnus, ho bisogno di sapere se qualcuno sta scappando dalla polizia con più facilità del solito, perché potrebbe essere collegato al caso e ho bisogno di capire di chi posso fidarmi tra la gente del mio mondo. Sto chiedendo a te perché so che hai le capacità per trovare ciò che mi serve e dissipare i miei dubbi e perché mi fido di te e delle tue parole. Non potrei chiedere a nessun altro e non lo farei comunque. So che sei una persona corretta e che non sei solito tradire i tuoi compagni, ma ne ho davvero bisogno. Ho bisogno del tuo aiuto, puoi farlo?>>

Magnus osservò in silenzio il suo ospite, aveva detto tante belle parole ma ciò che gli rimbombava per la testa era solo una frase, come in un loop infinito: “Mi fido di te”. E subito al secondo posto: “Non potrei chiedere a nessun altro e non lo farei comunque.”
Dannazione se non lo aveva appena fregato con tutte le sue costosissime scarpe di Armani.

E non mi ha neanche dovuto adulare sul piano fisico, cazzo.

Alla fine chiuse gli occhi e prese un bel respiro.
<< Piaci a Presidente Miao.>>
Alec lo fissò senza capire, preso in contropiede.
<< Come scusa?>>
<< Piaci a Presidente Miao, il mio gatto. La palla di pelo che ti è saltata in braccio prima.>>
Il ragazzo annuì continuando a non capirci niente, << Beh, grazie? Ma questo co- >>

<< Al mio gatto non piace nessuno. Raph dice che non gli piaccio neanche io.>> Posò il drink ancora mezzo pieno di nuovo sul tavolo.
Io che non finisco un alcolico, come sta girando il mondo?
<< Ma tu gli piaci e a lui piacciono solo i migliori.>> lo guardò dritto in quegli occhi blu così grandi da parere infantili, così confusi da far tenerezza e al contempo così profondi da farlo rabbrividire. << E se uno dei migliori mi chiede un aiuto, se arriva a fidarsi di me più che dei suoi pari, allora io l'aiuterò.>>

Alec sembrò gonfiarsi di sollievo, un sorriso storto gli piegò le labbra e Magnus non riuscì a non ricambiare.

<< Grazie.>>

Dannazione Ragnor, guarda cosa mi tocca fare per te, fare la spia alla polizia. Stupido cornuto, non potevi morire d'infarto?

<< Non c'è di che fiorellino.>>


 

Magnus Bane era appena stato incastrato da due delle sei persone sulla faccia della terra che il suo piccolo ed infame gatto approvasse.

Una fitta dolorosa gli ricordò che il calcolo non era esatto: le persone erano cinque fino ad un mese fa, poi erano diventate quattro ed erano appena risalite al vecchio livello.
Un'altra fitta gli fece pensare che Ragnor sarebbe andato molto d'accordo con il detective.

Bastardo fortunato, sei riuscito a trovare l'unico angelo pronto a farti giustizia in mezzo a quest'inferno.

Magnus Bane non sapeva davvero quanto avesse ragione.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V




 

La notizia era su tutti i giornali. I TG ne parlavano in continuazione e pareva essere anche l'argomento preferito delle stazioni radiofoniche e di tutti i programmi televisivi possibili immaginabili.

BLIZ DELLA POLIZIA DI NEW YORK IN FUMO”

BUCO NELL'ACQUA PER IL PDNYC, I CRIMINALI SI BURLANO DI LORO”

INUTILE SOLLECITAZIONE DELLE SWAT DEL PDNYC, DOVE FINISCONO LE NOSTRE TASSE?”

IL CRIMINE ORGANIZZATO SFUGGE ALLE MAGLIE DELLA LEGGE”

Alec poteva ritenersi fortunato: di tutta quella bufera mediatica lui ne osservava solo la nube senza doverci entrare. La divisione omicidi non si occupava del crimine organizzato, degli spacciatori e dei contrabbandieri, quello era lavoro della OCCB e dalle facce da funerale dei suoi membri, dai ringhi che lanciava Lucian quando si provava a parlargli e le occhiate di puro fuoco omicida che scoccava a tutti Jonathan, beh… il danno non era stato minimamente doloroso quanto la beffa.
Anche Jace era con i capelli dritti, la sua squadra era stata una delle tre convocate per il bliz, lui ed i suoi uomini quelli che erano entrati dalla porta principale a fucili spianati, pronti a dover combattere contro un piccolo manipolo di spacciatori che pesavano e dividevano coca per farne pastiglie.
O almeno questo è quello che la fonte aveva detto loro.
Come se non bastasse, il Vice Comandate Morgenstern era nero di rabbia: stavano dietro a quella banda da mesi e quando finalmente erano riusciti ad intercettare uno dei loro magazzini qualcuno li aveva messi in fuga.
Le sue urla erano arrivate fino al suo piano, dritte dritte da quello della Crimine Organizzato, e assieme a quelle di Morgenstern c'erano state anche quelle di Garroway che intimava a l'uomo di farsi gli affari suoi e lasciarli lavorare.
Era inutile negarlo ed era inutile far finta di niente, ormai lo sapevano tutti. Se un informatore era riuscito a far arrivare una notizia del genere alla Centrale e subito dopo gli spacciatori si erano defilati, significava solo che ci fosse una spia nella polizia. Una spia che aveva fatto si che tutto l'OCCB fosse messo in ridicolo su stampa nazionale, e Alec credeva anche mondiale.
In tutto ciò l'unico lato positivo era forse che ora tutti cercavano la talpa e ogni azione ed informazione veniva controllata ed esaminata con maniacale attenzione.
La parte cattiva, oltre alla terribile onta sul distintivo di ogni poliziotto, era che gli Affari Interni giravano per gli uffici come avvoltoi in cerca di una preda, che bisognava giustificare anche un ritardo per colpa del traffico, che non ci si fidava più neanche dei propri compagni e che Morgenstern aveva deciso di spostare tutte le forze disponibili su questo caso, sulla caccia alla talpa.
Oh, e che ora sua madre, Mr.s Procuratrice Generale dello Stato di New York avrebbe avviato in cooperativa con la Signora Herondale un processo ufficiale per spionaggio, tradimento, truffa o quel che cavolo sarebbe stato.
Alec dubitava che se ne potesse aprire uno con l'accusa “per aver preso per il culo tutto il dipartimento” ma erano dettagli.

Ciò che più gli premeva in quel momento, in attesa davanti alla porta del Capo Blackthorn, era riuscire ad essere sollevato da quel caso. C'erano già più di venti investigatori, di diversa specializzazione, inquirenti ed ispettori in gara per la caccia all'uomo in blu senza volto, che aiuto avrebbe potuto portare lui, un semplice detective della omicidi? Non era mica morto qualcuno. Non ancora almeno. Non proprio, insomma, il caso Fell per lui era assolutamente collegato al tutto, ma gli altri non lo sapevano, giusto? Quindi non ne faceva parte ancora e lui avrebbe potuto-

<< Lightwood?>>
La segretaria del Capo Blackthorn l'osservò con apprensione.
<< Mi dica.>>
<< Stai bene? Hai una faccia terribile. Questo caso vi sta sfiaccando tutti vero?>>
Alec annuì imbarazzato, lui pensava a tutt'altro, ma non c'era bisogno che la donna lo sapesse.
<< Lo capisco, si sono presi gioco dell'intero Dipartimento, ma questo non vuol dire che dobbiate impazzire. Con la Signora in giro poi...>> la donna scosse la testa ed inforcò gli occhiali sorridendogli con affetto, << Entra pure ragazzo, il Capo può riceverti.>>

Quell'ufficio non gli era mai parso così soffocante come quel momento, c'erano decine di fascicoli e fogli impilati su ogni superficie piana e Alec dovette spostarne un bel mucchio sul divano per potersi sedere su una delle poltrone che fronteggiavano la scrivania.
Blackthorn non alzò neanche la testa, perfettamente consapevole dell'intera faccenda.

<< So già cosa stai per dirmi Ligthwood.>>
Alec attese poggiando le mani sulle ginocchia e guardandolo con un pizzico d'apprensione.
<< E' come mi avevi detto tu. Il Comandante Herondale è stata informata di tutto a suo tempo e così anche il Capo del Dipartimento. Tuo padre ti ha detto niente?>>
Se glielo chiedeva significava che Robert aveva parlato anche con lui, o forse era stata la Signora, fatto sta che Alexander non aveva nessuna intenzione di mentire al suo superiore.
<< Se intende le soffiate poco compromettenti ed il modo in cui è avvenuta l'unica degna di nota, si.>>
Andrew annuì e posò la penna, incrociando le mani sotto al mento e scrutandolo da sopra la montatura scura degli occhiali.
<< I nostri informatori non hanno mai comunicato nulla di utile, tutto ciò che venivano a sapere non era mai abbastanza. Poi arrivi tu e mi dici che il caso Fell è stato “aiutato” da un membro interno al dipartimento. Un mese dopo un bliz progettato nei minimi dettagli va in fumo. Ci sarebbero dovute essere partite di coca a sufficienza per soddisfare tutta la richiesta della costa est.>>
Alec si schiarì la gola e fece un secco segno con la testa, << Se mi è permesso azzardare un ipotesi Signore, direi che tutti e tre i casi sono in un qualche modo collegati tra loro. E proprio a questo proposito… so che è essenziale trovare la talpa nel dipartimento, ma ci sono già moltissimi agenti sul caso, molto più esperti e competenti di me. Senza contare gli Affari Interni. Per questo volevo chiederle di essere esonerato dal caso e poter tornare a dedicarmi all'omicidio di Ragnor Fell.>>
Aveva tentennato un po', se ne era reso conto e si era anche maledetto mentalmente, ma ormai aveva fatto. Dopotutto aveva chiesto un colloquio con l'uomo solo per poter chiedere ciò.
Lui lo scrutò con attenzione per un attimo, << Sai che ciò significa che tutti i tuoi possibili ritrovamenti e rilievi verranno spostati in secondo piano per esaminare le prove del Caso Bliz?>>

<< Sissignore, ne sono perfettamente consapevole, >> un sorrisetto amaro gli si aprì sul volto, << fortunatamente di nuovi indizi concreti ne ho meno di nulla. L'unica cosa di cui averi bisogno è un tecnico informatico. Il Dottor Lews mi ha già aiutato in passato, lo sa, ci basta una linea chiusa sicura e non la infastidiremo minimamente.>>
Andrew annuì con un cenno secco e abbassò gli occhi sui suoi fogli,
<< Aspettati una convocazione dagli Affari Interni. Non solo Imogen vorrà sapere perché non sei sul caso come tutto l'intero dipartimento, ma anche per parlare delle tue indagini sul caso Fell. Dopotutto sei stato praticamente il primo a fiutare la pista, prima ancora che questa si palesasse in modo così evidente.>> Fece un segno dritto sul foglio, voltò pagina, << Lewis è con te, ti consiglio vivamente di portartelo appresso e con “consiglio” intendo un ordine. Se la talpa dovesse rendersi conto che la stiamo attaccando su più fronti, per quanto quel ragazzo possa essere intelligente, non ce la farà a difendersi da un criminale vero.>>
Alec si alzò con un movimento fluido e rimise i fogli sulla sedia, << La ringrazio Capo.>>
Si voltò per avviarsi verso la porta ma l'uomo lo fermò.
<< Alexander, tuo padre ti ha accennato nient'altro? Come nomi che non conoscevi o modus operandi che possano ricordare questi eventi? >>
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia improvvisamente attirato da quella domanda,
<< No Signore, non ha fatto nessun nome. Casa nostra è sicura ed il suo studio protetto, ma non si sa mai chi potrebbe essere in ascolto.>>
Lo vide fargli un gesto vago con la mano, gli occhi puntati sul foglio ma la mente palesemente altrove.
<< Va bene, vai pure. E ricorda quello che ti ho detto: non entrare nel pallone se gli AI vorranno parlare con te. Sei il nostro primo staffettista.>>


 

Aveva avuto appena il tempo di uscire dall'ufficio e chiamare Simon per proporgli un caffè. Erano stati fuori dal Dipartimento per quanto? Dieci minuti? Il tempo necessario per dire all'altro di fare armi e bagagli, che da quel momento lo avrebbe seguito come un'ombra o sarebbe rimasto a casa sua a lavorare e che non doveva dire niente a nessuno. Erano tornati in ufficio, aveva fatto appena in tempo a togliersi la giacca e sedersi che una recluta gli aveva battuto sulla spalla informandolo che la Signora voleva parlare con lui, che era arrivato il suo turno.
Alexander aveva seguito con calma e imperturbabile tranquillità l'agente sino all'ultimo piano dell'edificio, dove la donna aveva stabilito la sua sede, con grandissima gioia di Morgenstern.
Individuò l'uomo a colpo d'occhio, alto e serio come solo lui poteva essere, gli ricordava da sempre un qualche sacerdote dedito a riti sacrificali, con i suoi capelli bianchi come il sale e che suo figlio aveva ereditato. Lo guardò a mala pena, giusto il necessario per scorgere il rispettoso saluto che gli rivolse.
Imogen Herondale invece era tutt'altra cosa. La prima volta che l'aveva vista Alec si era detto che la Lady di Ferro non avrebbe mai retto il suo confronto. Era alta per la sua età, forse un metro e settantacinque, con i suoi tacchi neri arrivava sicuramente al metro e ottanta e incuteva un certo timore reverenziale, con quei suoi completi sempre grigi e perfettamente stirati, senza neanche una piega. Erano in perfetta coordinazione con le sfumature dei suoi capelli, Alexander una volta si era fermato a pensare che la donna abbinasse proprio a quelli i suoi vestiti, che se l'avesse conosciuta quando era più giovane magari tutti i suoi abiti sarebbero stati neri, o forse di un austero blu, non aveva la più pallida idea di quale fosse l'originario colore della Signora. Ma poteva quasi scommetterci che tra qualche anno, quando quella chioma sarebbe diventata definitivamente bianca lo sarebbero stati anche i completi della sua proprietaria.
I suoi pensieri si persero quando l'agente aprì la porta e gli fece cenno di poter entrare.
Imogen Herondale lo aspettava seduta comodamente dietro a quello che era stato il tavolo delle riunioni, occupando non il poso a capo tavola ma un intero lato lungo. Teneva gli occhi fissi su di lui, le mani intrecciate sul piano coperto di documenti.
Gli riservò un'espressione ancora più imperturbabile di quella di Morgenstern e gli indicò con un gesto della mano la sedia di fronte a lui.

<< Si sieda pure Detective Lightwood, abbiamo parecchio di cui discutere.>>
La porta si chiuse alle sue spalle sulle note di quell'ultima velata minaccia.


 

Simon era rientrato nel laboratorio un po' eccitato ed euforico per quella situazione del tutto nuova ed un po' preoccupato.
Non gli capitava praticamente mai di uscire dal dipartimento, era un ingegnere informatico lui, un tecnico, un perito, che la mettessero come gli pareva loro, ma restava il fatto che il posto di Simon fosse dietro ad un monitor con un mouse in mano.
Rimise in fretta le cose nello zaino, facendo attenzione a non piegare il suo tappetino dei pokémon e ammiccando al dekstop su cui la Principessa Leia lo fissava puntandogli contro una pistola.

<< Non dirmi che hai finalmente deciso di buttare quel coso.>>
La voce divertita di un uomo lo fece girare di scatto ed arrossire per quella mezza domanda,
<< E' dei pokémon, la prima generazione, non è un “coso” e non lo butterò. >> Lo disse con ferma risoluzione anche se lo imbarazzava un poco dover difendere i suoi miti infantili.
<< Allora perché lo stai mettendo via? Non so se ti sei reso conto di che ore sono Simon, magari lavorare con la sede della west coast ti ha fatto venire il jet-lag ma il tuo turno non è ancora finito.>>
Hodge Starkweather era un uomo di circa quarant'anni, anno in più anno in meno, forse stava quasi sui quarantasette ma Simon non si era mai azzardato a chiedere e specificare. Era abbastanza convinto però che gli ultimi due anni passati, sulla torta che una delle sue colleghe portava sempre per il compleanno del loro capo sezione, ci fossero state sempre una cosa come… un numero imprecisato di candeline, ecco. Si, non si era mai messo a contarle a dir il vero. Ma non era certo colpa sua, insomma, chi è che si mette a contare le candeline su una torta che non è la propria?
Che poi, se la torta è la tua, perché ti viene così tanta voglia di contare tutte quelle dannatissime candeline che tanto già lo sai quan-

<< Simon?>>
Il ragazzo si riscosse velocemente dai suoi pensieri e sorrise un po' tirato al capo.

Si va in scena.

<< Mi hanno chiesto una mano fuori sede. Oddio, non proprio, hanno controllato il mio computer e mi mandano a lavorare da casa. Credo che siano convinti che così la talpa non potrà accedere ai miei file. Come se poi fosse una cosa tanto logica, credo che non abbiano la minima idea di come funzioni una connessione internet. Se hanno anche solo il dubbio che questo tipo possa essere bravo con i computer non basterà mandarmi in Cina per evitare che mi rintracci. Ma poi, mandano via solo me? Insomma, non è che pensano che la talpa sia io così se me ne vado dal laboratorio non posso fare danni? Eh? Hodge, ti prego, dimmi che non sono l'unico e che non credono davvero che io potrei mai- >>
<< No. No Simon, no. Non pensano che sia tu la talpa, sta tranquillo.>> L'uomo si era tolto gli occhiali massaggiandosi la sella del naso per poi far scorrere la mano sulla fronte tra i corti capelli marroni, già stressato dallo straparlare di Simon.

Beh, almeno Alec aveva ragione a dire che se mi fossi comportato così non mi avrebbe fatto domande.
No, aspetta. Alec a detto che se mi fossi comportato come sempre lo avrei irritato a tal punto che mi avrebbe buttato fuori a calci e accolto la mia dipartita con gioia!

Mentre rimuginava sulle parole dell'amico, con lo sguardo perso nel vuoto e l'espressione crucciata di chi sta pensando troppo, Starkweather gli lanciò un'occhiata di sottecchi, valutandolo.
Era strano che gli togliessero un membro operativo della sua sezione senza informarlo, perché poi proprio Lewis? Lo stavano togliendo dai giochi? Era ovvio che lo volessero lontano dai laboratori ma era anche ugualmente sicuro che non fosse lui il traditore, che non rappresentasse nessuna minaccia e che anche gli AI lo sapevano. Quindi perché allontanarlo?
Il ragazzo nel mentre si era riscosso e si era messo a ciarlare di possibili infiltrazioni da remoto, elencando tutti i metodi in cui, comunque, sarebbe stato in grado di accedere ai server del Dipartimento, ma Hodge non lo ascoltava più.
A cosa aveva lavorato Lewis di così importante ultimamente perché potesse essere reputato in pericolo se fosse rimasto in centrale? Le ipotesi erano solo due infatti: o sapeva qualcosa di troppo e lo stavano allontanando dalla potenziale talpa o era stato assegnato ad una mansione specifica che non doveva esser divulgata.
Lasciò che lo sguardo scivolasse verso l'entrata dei laboratori informatici, dalle cui pareti a vetro si potevano vedere chiaramente le scale. Ne seguì i gradini finché poté, poi alzò gli occhi verso il soffitto. Malgrado ci fossero piani e piani a dividerli, alcuni sottoterra come quello altri alla luce del sole, Hodge era volato sino all'ultimo piano, dove attualmente risiedeva il Capo degli Affari Interni nonché Commissario di Polizia Imogen Herondale e dove a qualche ufficio di distanza Valentine Morgestern stava sicuramente imprecando contro quanti più santi conoscesse per quella vicinanza obbligata e per quei dannati titoli scandalistici che sbeffeggiavano la polizia e tutta l'unità Crimine Organizzato.
Sì, si disse mentalmente, se qualcuno poteva dirgli perché Simon Lewis, brillante tecnico informatico ma non di certo il migliore in piazza, era stato assegnato al lavoro da casa, quello era senza dubbio il Vice Commissario Morgestern.


 


<< Tutto bene Lightwood?>>
Alec si voltò verso la porta aperta dell'ufficio del Vice Commissario Morgestern e si espresse in un conciso e rispettoso cenno del capo.
<< Sissignore, tutto bene.>>
L'uomo si allontanò dallo stipite della porta e lo raggiunse a passi lenti, le braccia incrociate e l'espressione pensierosa.
<< Sono arrivati ad interrogare anche i detective della omicidi ora? Tsk, stanno solo sprecando tempo, dovrebbero concentrarsi sulla Crimine Organizzato o sull'Antidroga, non disturbare voi.>>
<< E' la prassi signore, non ci lamentiamo e assecondiamo tutti gli ordini che ci vengono dati.>> Lo disse con sicurezza, perché era ciò che gli avevano insegnato all'Accademia a suo tempo: quando c'è un indagine degli AI non bisogna mai pensare di esserne fuori o che non si possono avere informazioni importanti, ciò che noi reputiamo superfluo può essere essenziale per terzi. E poi nessuno sano di mente avrebbe disertato un incontro con la Signora.
<< Sei un bravo poliziotto Lightwood, proprio come lo è stato tuo padre a suo tempo, quando eravamo ancora sul campo e non tutti dietro ad una scrivania a firmar scartoffie.>> Morgestern gli rivolse un sorriso appena accennato, ripensando quasi con malinconia ai giorni in cui era un agente operativo. << Si è concluso al meglio spero, il tuo colloquio.>>
Alec annuì con decisione e l'altro proseguì soddisfatto, << Ma scommetto che non potrai tornare al tuo lavoro, avevi il caso Fell vero? Una bella gatta da pelare, una rapina andata male se non sbaglio.>>
<< No Signore.>> Gli occhi scuri dell'uomo saettarono verso di lui attenti, le sopracciglia distese come se quella risposta in verità non lo avesse minimamente sfiorato.
<< Come?>>
<< Non è stata una rapina andata male. Siamo riusciti a fare un inventario degli averi di Fell e non manca niente. Sarei molto più propenso a sospettare di un affare conclusosi in maniera infelice, era un trafficante di merci rare dopotutto.>>
Gli aveva risposto di getto quando aveva negato la rapina ma fortunatamente era riuscito a salvarsi in contropiede con l'altra versione, che era anche più credibile di uno stupido furto. Senza contare che alla fin fine Valentine Morgestern lo conosceva, aveva fatto l'Accademia con suo figlio, sapeva ben o male com'era e quali erano i suoi principi e i suoi modi di fare, probabilmente l'avrebbe capito subito se avesse mentito.
<< Hai sospetti?>> era ovvio che pretendesse informazioni e come Vice Commissario poteva benissimo ordinargli di dirgli tutto, Alec scosse la testa.
<< Abbiamo rintracciato il nome del compratore ma si tratta di un furto d'identità, un buco nell'acqua. Nel messaggio vocale lasciato al suo amico chiede di incontrarsi per un aiuto, nessuna spiegazione. Un buco nell'acqua dietro l'altro, signore. Ho come la sensazione che presto verrò riassegnato.>> lo disse con una sincera nota di sconforto, anche se più che per le verità appena pronunciate quel tono era tutto per il colloquio con la Herondale.
L'uomo si produsse in un altro piccolo sorrisetto che lo rendeva tanto simile a suo figlio e gli assestò una pacca sulla spalla, << Non disperare, capita a tutti di non trovare un criminale nel corso della nostra carriera. Pensa sempre che la vittima è un altro criminale e non un povero innocente.>>
Alec aggrottò la fronte senza capire fino in fondo le parole del superiore.
<< Ma era comunque una persona signore, poteva anche essere un malvivente ma ciò che meritava era l'arresto, essere processato per i suoi crimini e poi imprigionato per tutti gli anni che si meritava. Sarebbe dovuto essere consegnato alla giustizia non alla morte.>> Lo sguardo penetrante che gli rivolse fece deglutire il ragazzo, che schiaritosi la voce continuò mantenendo una certa fermezza, << Sono entrato in polizia per far rispettare la legge, una legge che è uguale per tutti. Fell era un contrabbandiere ma chi lo ha ucciso è un assassino e come tale deve pagare per le sue azioni. La legge è dura- >>

<< Ma è la legge.>> Terminò Morgestern per lui. Lo fissò ancora e poi, insospettabilmente, sogghignò più convinto ed annuì.
<< Molto bene Detective, questo si che è lo spirito e la mentalità giusta per un uomo del nostro dipartimento, per un uomo di legge come te. Fai il tuo lavoro ragazzo e non rimanerci troppo male se ora non lo catturerai, questa specie è reticente, prova una volta il brivido di passarla liscia e non può far a meno di riprovare. Magari non lo troverai questa volta, con tutti i problemi che si sono sollevati di recente, ma sta sicuro che lo incriminerai.>>
Detto ciò si girò e facendogli un cenno con la mano tornò nel suo ufficio.
Alexander rimase per una manciata di minuti pietrificato sul posto, colpa delle parole che il Vice Commissario gli aveva appena rivolto sulla sua convinzione che non sarebbe riuscito a catturare l'assassino quella volta ma che sarebbe sicuramente riuscito a farlo in seguito. I criminali sono reticenti, questo lo aveva colpito ancora di più. Morgestern dava per scontato che questo sarebbe stato il suo primo fiasco ma che un giorno avrebbe rincontrato quell'uomo e lo avrebbe arrestato.
Ma ancora più di quello, ancora più delle parole del superiore, Alec vedeva come impresso a fuoco sulle sue retine il ghigno che aveva piegato quelle labbra fini e pallide.
Un brivido di ghiaccio gli scivolò lungo la schiena, come se qualcuno lo stesse fissando. Fece scattare gli occhi verso le scale, attirato come una calamita, ed un pensiero folle gli balenò per la mente. Come fumo, un'idea senza consistenza che però offuscava l'aria e vi lasciava il suo olezzo di bruciato, il sapore amaro del tabacco sulla lingua.
Non seppe mai dirsi perché, ma il ghigno di Morgestern gli fece temere per la sua incolumità, ma ancora di più per quella di Simon. Doveva portarlo fuori di lì al più presto.
La domanda ora era: quale posto sarebbe stato abbastanza sicuro?
 
 


 

Come gli fosse venuta quell'idea, se glielo avessero chiesto, non avrebbe saputo rispondere.
Perché era il posto più impensabile? Perché era come nascondere qualcosa in bella vista? Perché nessun poliziotto sano di mente avrebbe portato un ingegnere informatico a casa di un criminale?
Perché era dalle parti di Brooklin e se Simon non avesse smesso di parlare in trenta secondi netti avrebbe aperto la portiera della macchina e lo avrebbe lanciato fuori in corsa?
Se ci rifletteva con calma forse la risposta giusta era l'ultima, ma che nessuno osasse dire che Alexander Lightwood prendesse decisioni avventate per sfinimento.
Nessuno poteva sfinirlo. Lui era il fratello di Isabelle-nontengomailemieopinionipermeepretendosemprediaverragione- Lightwood e di Jace-sonouncretinopatentatomaguardacomesonofigosonobellocomeilsoleergomideviconcederetutto- Lightwood. Lui era iper paziente, era la pazienza fatta persona, era il dio della pazienza, il suo sangue era composto di emoglobina e pazienza, trasudava pazienza da tutti i pori, respirava disordine ed espirava pazienza. Lui avrebbe tirato un pugno in bocca a Simon Lewis se non avesse chiuso la suddetta bocca entro i restanti sei secondi che gli erano rimasti.

<< E avresti dovuto vedere che faccia a fatto Hodge! Secondo me se l'è bevuta. Anzi, no, non lo ha fatto, mi fissava come se sapesse tutto. Oddio Alec, lui sa tutto! E sa che gli ho mentito! Mi sono sentito come un peccatore in chiesa….che poi tecnicamente lo sarei pure perché io non vado in chiesa, non ci posso andare, forse non dovrei neanche fare paragoni del genere, non è educato. Sono davvero un maleducato si, mamma mi ucciderebbe se sapesse che faccio battute sulla religione e non voglio immaginare cosa mi direbbe il mio Rabino! Sarebbe così arrabbiato, pensi che sia come bestemmiare? Non ho mai bestemmiato in vita mia anche se Clary continua a dire che l'ho fatto quando abbiamo giocato a calcio, l'estate in cui tu ti sei ostinato a tenerti la maglia anche sotto il sole cocente. Che poi detto tra noi hai fatto bene perché noi ci siamo bruciati tutti. Quella volta Clary sbagliò mira e mi diede un calcio sulle palle terribile. Giura che quella volta io abbia bestemmiato, ma non l'ho fatto. Poi chiede a Jace e lui le da ragione, ma non vale, Jace giurerebbe il falso pur di mettermi in difficoltà. Non che io stia insinuando che lo abbia mai fatto, è un uomo di legge anche lui a modo suo. Non sto insultando tuo fratello! Anche se alle volte se le meriterebbe delle belle strigliate...avrebbe dovuto conoscere la Signora D- >>

Il telefono di Alec vibrò ed il ragazzo inchiodò di colpo, sterzando poi per una via a mala pena camminabile ancora più vuota di quella che stavano percorrendo in quel momento, e rischiando di far dare una capocciata sul cruscotto a Simon.

<< Ahi! Ma insomma! Ti pare questo il modo di guidare? E pensare che sei anche un poliziotto!>>
<< Tappati quella dannata fogna Lewis!>> Alec lo guardò in cagnesco mentre il ragazzo si tirava su gli occhiali e si stringeva la borsa con il computer al petto, intimidito dallo sguardo furente che si era appena beccato.
Lo vide smanettare con il cellulare e accigliarsi nel leggere il messaggio ricevuto.
Conosceva Alec da parecchi anni ormai, conosceva ancora meglio sua sorella e suo fratello a dir il vero, e ancora si stupiva del modo in cui riuscisse a guardare male la gente. Lui era abituato agli sguardi d'avvertimento di praticamente tutti, eppure Alexander era in grado di mettere al loro posto con una singola occhiata praticamente tutti, compresi Izzy e Jace. C'era riuscito persino con Jonathan, il fratello di Clary, una volta.

<< Chi ti scrive?>> domandò ingenuamente.
Il moro si riscosse e lo guardò, soppesando l'idea di dirgli la verità. In ogni caso avrebbe presto visto da chi lo stava portando.
<< La persona che ci ospiterà. Ti sto portando da lei.>>
<< Davvero? Credevo mi stessi riaccompagnando a casa.>>
<< Anche lui abita a Brooklin.>>
Simon si bloccò e si voltò a guardarlo, << Lui? >>
<< Così ho detto.>> replicò Alec impassibile facendo accigliare l'altro.
<< Mi stai portando a casa della tua ultima conquista? Lo sa chi sta per ospitare?>>
<< Un deficiente che non ragiona neanche a pagarlo e che apre bocca solo per il gusto di dargli fiato a quanto pare. In questo te e Jace siete molto simili. E no: non è la mia ultima conquista. Tutto il contrario in effetti.>> Si rimise nella strada principale e svoltò per riprendere il viaggio.
<< Non siamo simili io e Jace! Lo prendo come un insulto!>>
<< Esattamente come la prenderebbe lui. Uguali, che ti dicevo?>>
<< E non sono uno che non ragiona. Io ragiono tantissimo.>>
Alec si lasciò sfuggire un verso per nulla convinto, continuando a guidare senza prestare effettivamente attenzione a dove stesse andando. Era inquietante, si rese conto, che andasse già in automatico per tornare a quella casa.
<< Non fare quel verso di sufficienza con me Alexander Lightwood! Sto parlando seriamente.>> poi si rese conti di essersi scordato un pezzo: << Che vuol dire “tutto il contrario”?>>
Il moro lo ignorò inizialmente, fingendo di concentrarsi come non stava facendo per riportare alla mente la via esatta -che aveva perfettamente impressa a fuoco- e quando reputò di averlo lasciato abbastanza a cuocere nel suo brodo di mille e più opportunità nefaste ed assurde, poteva giurare di averlo sentito mormorare su prigioni ed assassini -non che ci fosse andato così lontano- si decise a rispondergli.

<< Vuol dire che ti porto nell'ultimo posto in cui ti cercherebbero. Se mai si mettessero a cercarti.>> si affrettò a specificare all'occhiata terrorizzata del castano.
Il povero Lewis non aveva la più pallida idea di dove si sarebbe ritrovato tra meno di 10 minuti.




 

Quando l'aitante Detective della omicidi gli aveva mandato un messaggio chiedendogli se per caso fosse in casa, Magnus aveva pensato a molte, moltissime cose. Quando poi il giovane uomo gli aveva chiesto un favore non indifferente, Magnus aveva gioito ancora di più.
Poi aveva aperto la porta di casa e si era trovato davanti un topo nerd con gli occhiali scappato dal laboratorio più vicino.

<< Sai Alexander, prima di prendere la seria decisione di adottare un animaletto avresti dovuto avvisarmi. Non è una cosa da prendere sotto gamba, è pur sempre la vita di un essere vivente. E come minimo mi sarei aspettato, non dico una proposta formale eh, ma sai...qualcosa...non abbiamo neanche superato la fase dei flirt e degli sguardi languidi. Dobbiamo arrivare ai baci bollenti e poi ai preliminari spinti. Segue un buon e sano rapporto orale e poi sesso selvaggio. Ecco, dopo di quello puoi potarmi un topolino in casa e sperare che io lo difenda da Presidente, ma nello nostre attuali condizioni non credo sia una buona idea. A meno che tu non voglia saltare a piedi pari tutto ciò che c'è in mezzo e fiondarti sul “sesso violento e selvaggio che farà cadere tutto il palazzo e verrà sentito anche dall'altra parte del mondo” prima citato.>>
Simon fissò tra il confuso e lo sbalordito l'uomo che gli stava dinnanzi: vestito con un pantalone dai toni violacei ed una maglia giallo acceso, il cui scollo era così abbondante che il castano si ritrovò a pensare fosse in realtà uno strappo strategico per mettere in mostra il torace glabo coperto a mala pena dalle collane che indossava. Osservò stupito il trucco preciso quasi a livello maniacale ed i capelli acconciati come lui non sarebbe mai stato in grado di fare. Ed in tutto ciò riconobbe la versione a colori del Magnus Bane che aveva visto nel video della sicurezza di Fell.

<< Sei passato da “sesso selvaggio” a “sesso selvaggio, violento e non so cos'altro”. Ti avevo chiesto se potevi farmi un favore e hai risposto di si. Lui è Simon Lewis, uno dei migliori tecnici informatici che abbiamo al dipartimento.>>
A differenza dell'altro, Alec non batté ciglio né per le parole dell'uomo né per il suo aspetto sgargiante, tutt'altro. Si fece avanti, mormorò un educato “con permesso” e lo trascinò all'interno di una delle abitazioni più lussuose che avesse mai visto in vita sua.
Il proprietario di casa alzò gli occhi al cielo con fare drammatico e si portò una mano alla fronte prima di chiudere la porta con un sonoro tonfo.
<< Sarai la mia rovina dolcezza!>>
Simon doveva ammettere che quel tipo era davvero troppo particolare per stare nella stessa stanza con il suo amico. Insomma, Alec era un tipo così ordinato e formale, quell'altro, oltre ad essere un criminale che Luke -l'uomo che praticamente lo aveva cresciuto e da cui era andato la prima volta che dovette farsi la barba- cercava di mettere in gattabuia da anni. Letteralmente.
Eppure se lo sarebbe immaginato più vecchio questo Bane, da come ne parlava l'uomo durante le cene o i pranzi in famiglia pareva che il conto in sospeso risalisse a parecchi, parecchi anni prima.

Intanto i due si erano messi a parlottare tra di loro, o meglio, Bane pareva lamentarsi e fare più allusioni sessuali di quante lui ne avesse sentite in tutta la sua intera esistenza e Alec gli rispondeva con una tranquillità ed una calma invidiabili, come se ci fosse abituato.
Un momento…

<< Da quanto voi due vi conoscete?>> se ne uscì così, di punto in bianco, bloccando il loro discorso e facendo voltare entrambi verso di lui.
Magnus si strinse nelle spalle, << Da un bel po' in effetti. Direi un mese e spicci. Insomma, abbiamo avuto il nostro momento di pausa di riflessione quando ho conosciuto Trace- >>
<< Quando gli ho mandato Jace nel suo locale per farlo parlare visto che con me pareva solo intenzionato depistami.>> spiegò spiccio il moro senza preoccuparsi di interromperlo.
<< Non cercavo di depistarti tesoro. O meglio, lo facevo fino a quando non ho capito che bellissimo fiorellino sei!>>
<< Intende quando la sua amica infermiera gli ha telefonato e gli ha intimato di rispondere seriamente alle mie domande.>> Rettificò ancora.
Magun lo fissò per un secondo senza parole, solo un secondo: << E tu come fai a sapere che Catarina mi ha minacciato?>>
Fu il turno di Alec di fissarlo con non-calanche e stringersi nelle spalle, << perché mi ha chiamato per chiedermi se effettivamente avevi eseguito.>>
<< Non sono un soldatino che esegue gli ordini.>> fece indignato quello, ricevendo un ennesimo stringersi di spalle in risposta.
<< Eppure lo hai fatto. Quindi mi sembra che a determinati ordini tu risponda in modo piuttosto efficiente.>>
Il padrone di casa gli sorrise improvvisamente malizioso, arricciando le labbra come se avesse appena sentito qualcosa di delizioso, << Oh, non sai quanto hai ragione. Mi piacciono gli uomini che comandano. A dir il vero mi piacciono anche quelli in divisa, ne hai una fiorellino? Potresti indossarla, venire qui da me, ammanettarmi da qualche parte e ordinarmi tutto quello che vuoi, eseguirò subito, agente.>> gli si avvicinò ammiccando, inclinando la testa verso la spalla destra e scrutandolo con attenzione, << Soprattutto se mi mostrasse l'arma in dotazione. Devo confessarle che ho un feticismo molto sviluppato per le armi di grosso calibro, signore. Lei preferisce pistola o fucile?>>
L'allusione fu così schifosamente sfacciata ed ovvia che Simon si sentì consecutivamente: di troppo, imbarazzato, molto imbarazzato, troppo imbarazzato, improvvisamente consapevole che magari Alec avrebbe anche potuto apprezzare il gioco di parole, per ritrovarsi ad immaginare la scena appena descritta da Bane. Arrossì con così tanta velocità da sentir il colpo di calore, come se l'afa soffocante di New York non bastasse a fargli girare la testa.
Tossì l'aria che non aveva nei polmoni e prese qualche respiro sincopato, mentre Alec accorgendosi della sua difficoltà si allontanava da Bane per battergli qualche colpo sulla schiena.

<< Per rispondere alla tua domanda, Magnus ha capito che non sono un poliziotto corrotto e che voglio effettivamente trovare l'assassino del suo amico circa una settimana fa e da allora mi aiuta come può.>>
<< Anche con favori in natura- >>
<< Non è assolutamente vero.>> Lo fece sedere sul divano come se quella fosse casa sua e gli tolse lo zaino di mano, poggiandolo con attenzione sul tavolinetto davanti a loro.
Intercettò lo sguardo preoccupato del castano e gli strinse gentilmente la mano sulla spalla,
<< Puoi fidarti Simon, è stato lui a dirmi a suo tempo che l'assassino, o almeno il mandante, era qualcuno in altro.>>
Simon fissò Alec apertamente stralunato: gli credeva ovviamente, se “Alexander sono una chioccia apprensiva verso tutti i miei pulcini”- ergo i miei fratelli e i loro amichetti del cuore- diceva che poteva fidarsi di qualcuno significava che era così. Alec non avrebbe fatto mai nulla per metterli in pericolo, se avesse anche solo pensato che Bane in un qualche modo poteva infastidirlo o intralciare il loro lavoro, adesso non sarebbero stati seduti in quel salone. Ma addirittura il moro lo aveva portato lì per essere al sicuro.
Solo una cosa lo aveva sconvolto più di tutta quell'assurda situazione, e si riferiva sia al caso Fell che a quell'incontro verbalmente a luci rosse.
<< Aspetta, t-tu...Alec tu hai- hai basato tutta la tua indagine sull'informazione che ti ha dato un sospettato al primo interrogatorio che gli hai fatto? Cioè, lui ti ha detto che il colpevole era un poliziotto e tu gli hai creduto e ti sei messo ad indagare?>>

Il silenzio cadde nella stanza.
Magnus osservò con sguardo accigliato la faccia confusa del quattrocchi e la schiena improvvisamente rigida del detective ma non osò aprir bocca.
D'altra parte Alec era rimasto letteralmente pietrificato dalle parole dell'amico, perché era esattamente ciò che era successo. Magnus Bane, famoso criminale indagato da anni, che riusciva sempre a sfuggire alla polizia, miglior amico della vittima, palesemente contrario alla polizia stessa, gli dice che secondo lui ad uccidere il suo amico è stato un uomo di legge e lui automaticamente gli crede.

Che cazzo ho fatto?

Batté le palpebre e fece per dire qualcosa, qualunque cosa che non uscì dalle sue labbra. La lingua improvvisamente intorpidita e la bocca secca furono solo la trasposizione reale della sua mente.
Come aveva potuto fare una cazzata così grande? Come aveva potuto fidarsi delle parole di un criminale senza batter ciglio? Un vero detective non lo avrebbe mai fatto, un qualunque poliziotto non lo avrebbe mai fatto, porca puttana.
Era un pessimo agente, questa era la verità, aveva abboccato all'amo e Magnus sarebbe anche potuto essere l vero assassino e magari lui gli aveva detto tutto ciò che sapeva e lui avrebbe potuto modificare prove ed eventi per risultare innocente.
Dio santo, che aveva fatto?

<< Alec?>> provò Simon titubante, allungando questa volta lui una mano per scuotere l'altro, ma senza successo.
Bane provò a fare un passo avanti, consapevole delle parole del nerd e dello stato di shock dell'altro. Davvero gli aveva creduto subito? A primo colpo? Senza fare ulteriori indagini?
Aveva sempre immaginato che dopo quell'interrogatorio Alexander fosse andato a parlare con qualcuno della OCCB, che avesse chiesto se c'era qualcosa di strano, ma non che avrebbe puntato subito quella pista senza batter ciglio.

<< Io- io ho seguito tutte le piste...ho… non è lui il colpevole, ne sono sicuro, io… >>
Lo smarrimento che trasudò la voce del poliziotto fece scattare Magnus che si sbrigò ad eliminare la distanza che lo separava da quello e si piegò verso di lui, rimanendo in equilibrio sulle punte delle sue costose scarpe di tela e posando delicatamente la mano sul ginocchio del moro.
<< Prendi un respiro profondo Alexander, non è successo poi nulla di così sconvolgente. Mi hai giudicato innocente e hai accettato la mia ipotesi come una di quelle più promettenti. Se può consolarti sei stata la prima persona a cui ho detto che secondo me Ragnor era stato ucciso da qualcuno in alto. Mi sono fidato di te come tu hai fatto con me.>>
Simon gettò un'occhiata preoccupata al poliziotto e al malvivente: quando gli ricapitava di vedere un detective della omicidi consolato con sincerità da uno dei trafficanti più attivi della costa est?
Sarebbero probabilmente rimasti così per ancora molto tempo se una testolina bianca non fosse improvvisamente apparsa tra le gambe di Alec, intenta a fiutare con attenzione i pantaloni puliti ma palesemente vecchi e le maniche della camicia che non si sapeva come il moro riusciva a tenere con tutto quel caldo. Quello che era palesemente un gatto si convinse che il giovane fosse un posto solido su cui arrampicarsi, come se stesse riconoscendo un giaciglio già provato, e con agilità saltò sulla coscia libera, ignorando la mano del padrone e strofinando il muso contro il braccio del detective.

<< Oh, ma tu guarda. Presidente spunta sempre fuori quando ci sei tu. Di solito per poterlo ammirare i miei ospiti devono sperare in un miracolo.>> Magnus allungò la mano e grattò la testa pelosa del cucciolo che parve da una parte apprezzare la coccola e dall'altra infastidirsi perché non era la mano che voleva.
Gli occhi felini dell'uomo sfiorarono quelli del gatto e poi si puntarono dritti in quelli blu di Alec,
<< A quanto pare fai miracoli Alexander.>> lo disse con un tono basso e gentile, un complimento che voleva cancellare l'inquietudine calata sull'uomo quando aveva realizzato la portata della sua azione.
Alec dal canto suo si risvegliò e abbassò la testa verso l'animaletto che gli miagolò richiedendo attenzione, << Ciao Miao, scusa se non ti ho salutato subito.>>
Bane si lasciò sfuggire una risata nasale: << Visto? Non abbiamo superato i flir e gli sguardi languidi e già il mio bambino ti ha accettato in questa casa e ti preferisce a me.>>
L'aria pesante era stata un poco stemperata e Magnus si alzò battendo la mano sulla coscia del moro per poi spolverarsi i pantaloni da polvere inesistente.
<< Bene, direi che se dobbiamo cominciare questo nostro rapporto lavorativo, qui ci serve qualcosa di fresco, fa così caldo che mi servirà un aiuto per uscire da questi dannati pantaloni. Non so proprio come tu faccia a tenerti quelle maniche lunghe Alexander, sei ufficialmente la persona più resistente che io abbia mai conosciuto e non puoi neanche immaginare che sollievo sia per me sapere che sei uno che regge anche le situazioni più bollenti!>> Sorrise sornione e si voltò verso il piano bar, raggiungendolo con passi eleganti e leggeri, << Questa volta lo accetti un buon Margarita fiorellino? Samuel tu sei minorenne, vero? Succo di frutta?>>


 


 

Erano di nuovo tutti e tre riuniti nel salotto del loft, Magnus stravaccato sulla sua poltrona con tre bicchieri vuoti allineati a terra, Simon a gambe incrociate sul tappeto, il computer aperto sul tavolo e le foto della scena del crimine e vari documenti spersi attorno. Alec passeggiava avanti e indietro rileggendo per l'ennesima volta foglio dopo foglio senza nessun risultato.
Fu il castano il primo a cedere, si lasciò cadere con le spalle contro il divano e si tolse gli occhiali, lanciandoli verso la tastiera del portatile e massaggiandosi la sella del naso su cui spiccavano i segni arrossati del nasello. La temperatura era cresciuta a dismisura in soli due giorni ed i capelli gli si appiccicavano alla fronte con una facilità disarmante. Simon lanciò di sottecchi uno sguardo ad Alec che si ostinava a portare la camicia nonostante Luglio avesse deciso di bruciare New York come se fosse già Agosto.
<< Mi fai caldo solo a guardarti.>> lo informò battendo le palpebre per metterlo a fuoco. Vide solo una massa non proprio definita sussultare, probabilmente stringendosi nelle spalle, per poi bloccarsi di colpo.
Magnus, che aveva abbandonato le camicie di lino in favore di una canotta strappata, una bandana rossa a tenergli i capelli alzati ed assorbire il sudore, mosse la mano a tentoni verso il pavimento, cercando un bicchiere pieno e bloccandosi nella sua azione solo quando sentì i passi di Alec arrestarsi.
<< Che hai trovato che non ti quadra tesoro?>>
Ma il moro non gli rispose e invece si girò verso Simon mostrandogli un foglio su cui evidentemente doveva esserci qualcosa che il ragazzo avrebbe dovuto vedere.
<< Cosa?>>
Il plico di fogli gli fu mollato senza troppa grazia sulle gambe e il castano fu costretto a stringere gli occhi per leggere quei segni leggeri e… lineari?
<< E' un disegno?>> chiese avvicinando ed allontanando il foglio, << Oh! Ecco dov'erano i disegni di Jocelyn!>>
<< In mezzo ai miei appunti sul caso? Come diamine ci sono finiti?>> Alec si sedette sul divano e lasciò andare la testa contro i cuscini, stanco morto e anche abbastanza irritato.
I colloqui con gli Affari interni non erano arrivati neanche a metà ma molti dei suoi colleghi erano stati riassegnati ai loro doveri e non alla folle corsa ad una talpa che nessuno di loro poteva identificare. Dopo aver portato Simon a casa di Magnus la prima volta ed essersi quasi fatto prendere da una crisi di panico dopo essersi reso conto dell'enorme puttanata che aveva fatto circa un mese prima, Alec aveva organizzato al meglio i compiti di ognuno di loro. Certo, non erano una squadra di chissà quale livello, un detective, un malvivente ed un programmatore, o un tecnico, o un nerd o quel che diavolo era Simon, ma restava il fatto che ora erano la sua squadra.
Una squadra non autorizzata apertamente dal dipartimento, Blackthron era stato piuttosto chiaro quando gli aveva detto che si, poteva usufruire degli agganci di Bane ma che non doveva dirlo in giro. Sospirò.
Guardò senza vederli davvero i bozzetti dei disegni che una Jocelyn studentessa d'arte aveva disegnato più di trent'anni prima, scrutando dall'alto anche il resto del caos che riempiva il tappeto pregiato ed il tavolino elegante. Gli erano bastati due giorni e già avevano stravolto la vita di quel poveraccio che li ospitava.
C'era da dire che forse Bane se lo meritava quel caos in casa, ora di certo comprendeva come aveva vissuto l'indagine Alec per un mese, con lui che non lo aveva minimamente aiutato ed i salti mortali che era stato costretto a fare per sfuggire all'attenzione generale, ma almeno l'uomo li stava aiutando.
Circa.
Si girò verso di lui giusto in tempo per vederlo scolarsi il fondo di quello che poteva essere il terzo come il dodicesimo drink della giornata. Con il braccio piegato verso l'alto metteva in evidenza il bracciale che gli stringeva il bicipite accennato e dava bella mostra dell'apertura gigantesca che si estendeva sul fianco della canottiera, arrivando quasi fino all'altezza dell'ombelico e aprendo uno scorcio sul costato ed il fianco abbronzati dell'uomo.
Che senso aveva mettersi una maglia del genere se non aveva stoffa sul lato?
Scosse la testa e si piegò per prendere altri fascicoli.
Bane aveva detto di aver chiamato qualcuno che avrebbe chiesto ad una fonte sicura se c'era qualcosa in giro sul mercato che veniva richiesto di più da qualcun altro, una ruota di pronomi indefiniti che gli aveva fatto girare la testa e non gli aveva dato la minima sicurezza che effettivamente avrebbe potuto ricevere delle risposte.
Girò i primi fogli e si ritrovò davanti la stampa della schermata dei dati bancari di Fell, una griglia in bianco e nero che mostrava gli ultimi spostamenti e le entrate dell'uomo, compresa quella mezza cifra che aveva ricevuto come pagamento anticipato. Se solo fossero stati in possesso dei documenti originali, del quaderno o del registro in cui Fell segnava i suoi rivenditori e cose simili, sapeva di chiedere troppo, però se entrare nella sua testa non lo avrebbe aiutato a scoprire il suo assassino, forse l'avrebbe aiutato a scoprire il suo acquirente.
Si voltò verso Magnus e lo fissò per un attimo, pensieroso.
<< Fiorellino, lo sai che mi eccito se mi fissi in quel modo intenso e ombroso.>> L'uomo gli sorrise e alzò le braccia incrociandole dietro la testa, mettendo così in mostra il corpo teso. Gli ammiccò distendendo le gambe sul bracciolo e alzando così anche il bacino.
<< Non cominciare Magnus. >> lo ammonì blandamente, ormai diventato già un abitudine, un'azione automatica. << Sai dirmi dove Fell scrivesse le sue compravendite?>>
<< Sul computer che avete requisito voi piedi piatti?>> rispose ironico, ma Alec scosse la testa.
<< No, non c'è nulla del genere sul suo computer, o meglio, c'è ma non è abbastanza, è solo una facciata o un promemoria semplificato. Io intendo proprio il suo registro, come l'agenda su cui scriveva tutto.>>
Magnus ci pensò su, poi schioccò le dita per attirare l'attenzione di Simon e gli fece cenno di lanciargli una delle lattine di coca seppellite della vaschetta del ghiaccio che gli stava di fronte. Il castano gli aveva fatto vedere la sua carta d'identità cinquantatré volte, l'uomo continuava a non accettare la sua maggiore età. Gli lanciò la bevanda e si imbronciò vedendolo stappare con i denti una bottiglia di un qualche liquore e versarne il contenuto per la metà di un bicchiere, allungandola con la coca cola frizzante e schiumosa.
<< Avete controllato i server?>>
I due si voltarono in contemporanea guardandolo senza capire.
Lui mosse la mano nell'aria e trangugiò tutto il bicchiere d'un fiato.
<< I server. Rag aveva una stanza nascosta dove teneva i suoi server e tutti i documenti e le informazioni che aveva su clienti e le merci. Lo avete analizzato no? Cosa ci avete trovato?>>
Il silenzio parlò per sé e Magnus alzò lo sguardo sui ragazzi, rimettendo dritta la bottiglia verde e guardandoli da sotto le ciglia lunghe.
<< Non lo avete fatto?>>
<< La domanda non è se l'abbiamo fatto o meno.>> fece Simon tentennante, << La domanda è: Ci sono dei server? Perché sono stato io ad analizzare il computer di Fell e non c'è assolutamente nulla del genere! C'è solo roba appuntata per metà o al volo, tipo un'agenda!>>
L'altro scosse la testa, << Si vede che non sei andato mai sul campo Sigmund e si vede anche che non sei stato tu il primo a giungere sulla scena Fiorellino bello. Non l'avete trovata la stanza dietro al quadro?>>
<< Quale quadro?>> chiesero in coro.
<< Quello gigantesco alla fine del corridoio prima del suo studio.>> continuò tranquillamente.
<< No, no. Ho le planimetrie della casa, ho tutto, davvero tutto, anche le posizioni dei circuiti e dei sensori del sistema d'allarme. Ma non c'è nessuna porta.>> Simon riprese al volo gli occhiali e ricominciò a smanettare sul pc richiamando cartelle e piantine dell'ambiente, collegandosi al circuito protetto che aveva installato lui stesso a casa di Bane, sostituendolo a quello vecchio della casa, certo buono e cablato da un bravo hacker, ma mai fico come il suo. Insomma, lui usava anche i programmi criptati del governo!
Magnus lo fissò alzando un sopracciglio e scuotendo ancora la testa con disapprovazione: cosa doveva fare lui con quei due bravi bambini che credevano fermamente a tutto ciò che vedevano?
<< Samuel, non te lo ha mai detto nessuno che non devi abboccare ad ogni cosa? Neanche tu fiorellino, anche se puoi abboccare ad altro… >> l'ennesimo occhiolino si trasformò in un broncio contrariato, stroncato sul nascere dall'occhiata gelida di Alexander che lo intimava neanche troppo velatamente a tapparsi la bocca o dire qualcosa di utile.
<< Rag dopo aver comprato casa si fece costruire una cabina nascosta. C'è una porta nascosta dietro al quadro della bella dama con il vestito grigio. Dentro c'è uno sgabuzzino di circa un metro per uno che contiene solo una botola che porta ad una stanzetta buia e di dubbio gusto che per anni Rag mi ha fatto credere contenesse giochini sadomaso, fruste, bende, catene e cose così, ma che poi ho scoperto essere solo una banalissima sala server.>>
Sorvolando il fatto che Ragnor Fell era stato così geniale da convincere il suo amico che avesse attrezzi del genere in casa solo per fargli fare mille viaggi mentali e poi abbatterlo brutalmente con la dura realtà, sapere che c'erano dei server che avrebbero potuto contenere tutto ciò di cui avevano bisogno fece saltare sull'attenti Alec, che mollò di colpo tutte le carte e s'affrettò a cercare il cellulare, consapevole di quale sarebbe stata la sua prossima mossa, finalmente.
<< Simon, prendi il portatile di riserva, Magnus tu mettiti le scarpe e smettila di bere.>> dettò perentorio avanzando verso l'attaccapanni e prendendo la sua giacca grigio fumo.
<< Andiamo a cercare i server?>> chiese zelante il ragazzo eseguendo gli ordini, felice ed emozionante di poter andare finalmente sul tanto agognato campo.
L'altro invece si limitò a fissare il detective infastidito, << Fiorellino, in che modo il mettermi le scarpe dovrebbe combaciare con lo smettere di bere?>>
<< Combacia dal momento che verrai con noi e che se malauguratamente uno dei miei colleghi dovesse beccarci sulla scena del crimine devi essere sobrio.>> ci fu una pausa e poi il moro si avvicinò al padrone di casa togliendo dalla sua portata la bottiglia verde e lanciandola malamente sul divano dopo essersi assicurato che fosse chiusa. << E poi bere troppo fa male, non vorrei doverti portare da Catarina in coma etilico. Il tuo fegato mi ringrazierà. Vi aspetto in macchina, sbrigatevi.>> E detto ciò imboccò la porta di casa e se la chiuse alle spalle di fretta.
Potevano sentire i suoi passi concitati sulle scale. Simon aspettò giusto il tempo della prima rampa prima di voltarsi verso Magnus con un sorriso sornione sul volto, tipico di chi la sa lunga.
Magnus invece era rimasto interdetto a fissare il punto in cui l'uomo era sparito e ci mise un po' a rendersi conto di quello sguardo insistente.
Infastidito da tutta quella situazione assottigliò lo sguardo e quasi gli ringhiò contro:

<< Cosa? >>
<< Niente. Non te ne sei reso conto?>> Simon stava letteralmente gongolando. Oh, c'era passato anche lui a suo tempo e ancora si ricordava lo sconcerto di quella prima volta. A suo tempo però c'era stata Isabelle a battergli una mano sulla schiena e spiegargli l'arcano. Ma lui non aveva tutta questa voglia di dirgli tutto subito e si limitò a tirarla un po' più per le lunghe.
<< Di cosa dovrei essermi accorto Stephan? Che mi ha appena ordinato di non bere perché se, Dio non voglia, incontriamo uno dei suoi amichetti c'è rischio che gli faccia fare brutta figura?>>
Oh, oh! Era davvero arrabbiato! Non aveva proprio capito nulla!
<< Non sorridere in quel modo Stanlee. Sto per picchiarti.>>
<< Non lo faresti mai, anche perché poi non sapresti mai cosa ha appena fatto Alec.>>
<< Non mi interessa!>> si girò e marciò verso la sua camera. Aveva appena deciso che c'avrebbe messo un'infinità di tempo a prepararsi, Lightwood sarebbe dovuto tornare su casa a prenderlo di peso e si sarebbe pure portato una bottiglia di gin appresso!
Il ridacchiare basso di quello stupido topo nerd lo raggiunse fin dentro la cabina armadio e non poté evitare di ringhiare di nuovo, cercando di concentrarsi sull'abbinare al meglio i suoi vestiti sino a giungere all'esasperazione.
Uscì a testa alta con delle semplici superga bianche, senza degnare di uno sguardo il ragazzo che lo seguiva fin troppo divertito dalla situazione.
Lo avrebbe ignorato, si lo avrebbe fatto sino a quando non avrebbero implorato il suo perdono.
<< Se continui così Alec salirà a prenderci di peso e dovrai subirti ancora quella cosa lì.>> Lo fece apposta, Magnus poteva giurarlo, Simon lo stava facendo apposta a parlare in modo così vago.
Masticò qualcosa che sembrò tanto un “ci provasse” a cui il ragazzo rispose prontamente.
<< Oh, non dubitare che lo faccia. Solo che poi dovresti anche subirti la sua faccia da cucciolo bastonato che non capisce perché lo stai trattando male e ci rimane male a sua volta. E ti assicuro che agli occhioni di Alec non resiste nessuno, neanche Jace. Beh, ad onor del vero Jace non resiste a nessuna richiesta di Alec, ma questi sono dettagli. Pensa che riesce a convincere persino Maryse e Robert, ma non sfodera mai la sua arma segreta contro i suoi perché lo trova riprovevole. Solo che certe volte lo fa e neanche se ne rende conto, non se ne rende mai conto e ciò non fa altro che farlo sembrare ancora più innocente e sinceramente confuso. Lo hai visto l'altra volta no? Quand- >>
<< Simon! Tappati quella boccaccia!>>
Il castano sorrise, << Allora lo sai il mio nome!>>
Un movimento seccato dell'altro, << Se lo meriterebbe, dopo quello che mi ha detto.>>
<< Ti ha detto una cosa bellissima a dir il vero, ma tu non lo conosci e quindi non lo hai capito. Io potrei dirtelo, però tu non vuoi saperlo… >>
Magnus sospirò affranto, sicuro che se quel deficiente avesse detto anche solo un'altra frase di puerile chiacchiericcio senza senso lo avrebbe defenestrato.
<< Cosa?>> ripeté come prima e Simon lo capì al volo.
<< “Il tuo fegato mi ringrazierà”.>>
<< Questo l'ho sentito anche io razza di imbecille.>>
<< Ehi! Non c'è bisogno di insultare!>> poi un trillo del telefono, << Oh, è Alec, chiede se ci siano problemi.>>
<< Fantastico, si preoccupa davvero tanto. E' proprio la tua balia Sigfrid, l'ho detto io che non sei maggiorenne.>>
<< Lo sono ti ho detto, lavoro per la polizia diamine! E comunque lo era anche per te.>>
Magnus afferrò le chiavi di casa con tutti i suoi ingombrati pendenti e si maledì per essere così indeciso e non fare mai una cernita di cosa lasciarci appeso e cosa no. Non gli sarebbero mai entrati nella tasca tutti quanti.
<< Maaagnus… >> cantilenò l'altro.
<< Ti prego, riesci ad estinguerti dalla mia vista almeno per dieci minuti?>>
Simon scoppiò a ridere come se quella fosse una battuta e non una preghiera di lasciar respirare le sue orecchie per quella decina di minuti e scosse la testa aprendo la porta di casa.
Gli passò vicino e gli poggiò una mano sulla spalla, << Ti reputa un aiuto valido per la sua indagine e ti vuole lucido. Se poi incontriamo qualcuno del dipartimento può giustificare il fatto che sei con lui come una cosa di lavoro, ma se sei ubriaco sarebbe solo dimostrazione di incompetenza portarti sulla scena del crimine e rischiare che tu faccia danni.>> batté qualche colpo ed uscì di casa, << Mi spiace per te Maguns, ma sei appena entrato tra i “pulcini” di Alexander-chioccia-Lightwood, da ora in poi preparati ad subire tutta la sua apprensione e le sue manie da fratello maggiore.>>
Si voltò e gli fece l'occhiolino.
<< Benvenuto nel club!>>

Magnus rimase a fissare la porta aperta mentre lentamente assimilava tutto quello che Simon gli aveva appena detto. Un improvviso sorriso compiaciuto gli piegò le labbra.
E così fiorellino si preoccupava per lui?

Alexander-chioccia-Lightwood?

Forse quel topo non era poi così stupido.
No, okay, era stupido, ma forse non così inutile.
<< Papà torna presto Presidente, fai il bravo, ti prometto che farò altrettanto. Oh, non preoccuparti, ho la “chioccia” più sexy del mondo a proteggermi.>>


 


 

Tornare in quella casa per Magnus era stato terribile, inutile negare la verità.
Era riuscito a dissimulare la sua ansia fino a quando non aveva sentito il pesante portone di ferro battuto e vetro colorato chiudersi alle sue spalle.
Simon era rimasto sbalordito da tutta quella ricchezza, nessun oggetto era stato toccato poiché le indagini erano ancora in corso e quella casa gli sembrava un parco delle meraviglie.
<< Clary impazzirebbe qui dentro!>> aveva esclamato in preda all'euforia dettata dalla sua prima vera indagine. Aveva curiosato per le stanze fino a trovare il famoso quadro e si era subito messo a smanettare per aprirlo, a quanto pare c'era un codice, ma nulla che uno come lui non potesse decriptare.
Magnus invece non si mosse. Osservava quel posto che gli era tanto famigliare, in cui era entrato così tante volte. Molti arredi aveva aiutato lui stesso a portarli in casa, come il divanetto verde nella nicchia alla sua sinistra, ricordava perfettamente quel giorno di quasi dodici anni fa, quando lui e Ragnor lo avevano sollevato con un carico extra sopra. Catarina aveva sfidato il loro orgoglio maschile asserendo che non sarebbero mai riusciti a sollevare la struttura di legno massello con lei sopra e i due amici si erano incaponiti a dimostrarle il contrario.
Quante volte aveva varcato quella soglia senza neanche degnare l'ingresso di uno sguardo? Quante volte aveva dato per scontati tutti quegli oggetti, tutti quei ricordi?
Aveva camminato scalzo sul marmo pregiato solo per infastidire Ragnor, aveva provato a scivolare giù del grande corrimano della scala che seguiva la curva dell'edificio e portava al secondo piano e per poco non si era fatto una vasectomia da solo. Quanto aveva riso Rag quella volta, mentre lui se ne stava accasciato a terra, se lo vedeva ancora, in pigiama e con un pacco di surgelati in mano. Cercava di passarglielo ma stava ridendo troppo e a ogni singulto s'allontanava un po'.
Lo aveva mandato al diavolo in tutte le lingue che conosceva, quella volta.
Alzò lo sguardo al soffitto dipinto, al piano superiore c'erano le camere da letto, la sua era la terza a destra e tantissime volte era rimasta occupata solo dai suoi vestiti perché lui se ne stava sul letto del suo migliore amico ad infastidirlo mentre leggeva, accendendo la tv e cercando i programmi più trash e stupidi che trovava solo per poterli commentare ad alta voce e distrarlo. Si addormentava sempre lì e la mattina dopo si risvegliava con quel cretino ancora poggiato ai cuscini a leggere.

Volevo leggere solo un altro capitolo Mags, ma sai come sono fatto. Un altro capitolo è diventato 'questo e poi basta' ma dopo sono entrato nel vivo della storia e non sono riuscito a fermarmi.”

Lo aveva rimproverato così tante volte, dicendogli che sarebbe diventato cieco a forza di leggere con poca luce. Finivano sempre per insultarsi e poi ridere delle assurdità che riuscivano a tirare fuori, come quando erano piccoli.
E ora? Ora chi lo avrebbe ripreso perché il marmo si macchiava? Perché, anche se era vetro spesso e resistente, sbattere la porta prima o poi l'avrebbe fatto crollare?

Non lanciare la porta Magnus! Quante volte ti ho detto di accompagnarla?”

Chi lo avrebbe sopportato mentre parlava di mille cose inutili e faceva battute così stupide da essere al limite del legale?

Hai un cervello, perché mi devi sempre affliggere con ste' cavolate? Vuoi dimostrarmi a tutti i costi che hai problemi mentali? Lo avevo già capito da me amico, ma ti voglio bene anche se sei un bambino speciale.”

Chi gli avrebbe tolto la bottiglia di mano e lo avrebbe rimproverato perché l'alcol non era la risposta a tutto?

Un giorno di questi andrai in coma etilico e io ti ritroverò mezzo morto nel tuo stesso vomito e mi prenderà un infarto. Sarò io a chiamare l'ambulanza e sarò io a passarti a Catarina che sarà morta di paura quanto me. Sarò io ad aspettare in sala d'attesa che lei esca e mi dica come stai. E se dovesse andare male sarò io che dovrò consolarla, che non potrò permettermi di crollare perché lo avrà già fatto lei! Pensa anche ai tuoi amici, cazzo! Quello schifo ti ucciderà! Io lo dico per te, perché ti voglio bene e mi preoccupo, lo sai. Sei la mia famiglia Magnus, non voglio seppellirti prima del dovuto.”

Già, peccato che alla fine quel compito era toccato a lui.

Una mano si posò delicata sulla sua spalla, un tocco leggero come una brezza primaverile che lo riscosse dai suoi pensieri e per un attimo lo illuse che Ragnor fosse di nuovo con lui, che lo stesse richiamando dagli incubi del suo passato.
Si voltò di fretta, speranzoso di ritrovare quei profondi occhi scuri e quei ridicoli capelli verde slavato, spaventato di farselo sfuggire e di non riuscire a vederlo in tempo.
<< Tutto bene Magnus?>>
Ma ciò che incontrò invece fu il volto gentile e preoccupato di Alexander, gli occhi blu intensi e luminosi -così pieni di vita e di segreti- che lo scrutavano con apprensione. Simon aveva avuto ragione da vendere, il ragazzo con i suoi diretti e spicci modi di fare stava cercando di prendersi cura anche di lui, nel suo personalissimo modo, s'intende.
Vide qualche ciocca scura muoversi quando l'altro si avvicinò un poco a lui per scrutarlo bene in faccia e sentì distintamente anche l'altra mano posarsi sul suo braccio.
Voleva parlare e dirgli che non aveva avuto tempo, non avevano avuto tempo, che non avrebbero più potuto fare tutte quelle cose che si erano prefissati di fare, che non si può morire a quell'età, non dopo che si era lottato tanto per arrivare dove si era, per avere una vita migliore. Voleva dirgli tutto ciò che non aveva detto a Ragnor, che era stupido e che erano cose stupide ma essenziali che lui aveva sempre dato per scontato, che sapeva che l'amico le sapeva ma che sentirsele dire ad alta voce valeva molto di più. Infinitamente di più.
Nella sua testa la voce della sua coscienza rise amareggiata delle sue sciocche realizzazioni, il suo lato più cinico gli diceva che gli stava bene, che se lo meritava e che ora poteva solo che prendersela con se stesso. Perché il tempo non gli era mancato per fare tutte quelle cose, erano stati loro a rimandarle per pigrizia o per comodità, non era stato l'assassino ad impedirgli di farle, era solo colpa loro. Ora solo colpa sua.
E glielo stava davvero per dire al detective, ma poi si rese conto che non riusciva più a vederlo in faccia, che tutta la sua visuale era coperta da uno sfondo bianco ma leggero. Mise a fuoco le fibre del tessuto, lino probabilmente. Allora il poliziotto non era così digiuno di materiali di moda.
Quando realizzò che quello che vedeva era la stoffa della camicia di Alexander capì anche che quella leggera linea nera che vedeva al lato del suo campo visivo doveva essere la sua cravatta e che il giovane lo aveva tirato a sé e lo stava abbracciando, stringendogli le braccia attorno alle spalle e tenendolo pressato contro il suo petto.
Non si rese conto di quanto gli servisse quella presa, quell'appoggio finché non capì anche perché lo stava abbracciando.
Chiuse gli occhi inspirando forte il profumo di panni puliti mischiato a quello più personale, intenso ed avvolgente ma al contempo fresco, della pelle dell'altro. Sentiva qualcosa pungere dietro alle palpebre, ma non avrebbe pianto, lo aveva promesso a sé stesso, a Catarina e a Ragnor stesso tanti anni fa: niente più lacrime a meno che non siano di felicità-

O perché sei stato così stupido a provare di nuovo a scivolare lungo il corrimano.”

Un singulto gli si bloccò in gola a quel ricordo e automaticamente strinse le braccia attorno alla vita del moro.

<< Non gli ho risposto. >>
Il suono uscì soffocato contro il tessuto leggero della camicia. Alec non osò muoversi, limitandosi a sostenerlo.
<< Avevo sentito la telefonata, ha provato a chiamarmi anche sul cellulare. Ma ero così offeso perché non si faceva sentire da mesi, sono io la- ero, ero io la dramaqueen del trio, dovevo far valere il mio “ruolo” e così l'ho ignorato.>>
Fece una pausa, forse sperando che Alexander lo bloccasse e gli dicesse che non era colpa sua, ma nessuna risposta arrivò alla sua confessione.
<< Avrei potuto parlarci un'ultima volta e invece l'ho volutamente ignorato. Se solo avessi risposto… >>
<< Se solo avessi risposto probabilmente ora starei indagando su un duplice omicidio.>>
<< Questo non vuol dire che doveva morire da solo!>> lo disse con veemenza cercando si staccarsi da lui, ma la presa delle sue braccia era troppo forte e lo costrinse di nuovo a poggiare la fronte contro il suo petto.
<< Nessuno merita di morire da solo Magnus. Però lui non lo era.>> allentò di poco la stretta solo per guardarlo in faccia: l'espressione preoccupata di prima ora cancellata da una più seria e risoluta.
<< Stava guardando le vostre foto, quelle dei suoi amici, della sua famiglia. Chi ci ama non ci lascia mai da soli Magnus, che sia ancora in vita oppure no. Quando ami qualcuno ti porti sempre un pezzo di lui con te. Non era davvero solo, forse lo era fisicamente, ma non davvero. E poi sono sicuro che non avrebbe mai voluto metterti in pericolo. Sono stato chiaro?>>
Non c'era ombra di dubbio che il detective credesse fermamente alle sue parole, come se anche lui avesse vissuto una situazione simile.
Magnus lo guardò sorpreso e l'altro sembrò capire al volo il filo dei suoi pensieri.
<< Mi hanno sparato una volta, quando non ero ancora un detective. E' una storia lunga, ma il sunto è questo: mi hanno sparato e per quanto in quel momento avrei desiderato con tutto me stesso che Jace o Isabelle fossero con me, fossero al mio fianco in un momento così terribile, per vederli un'ultima volta, ero anche immensamente sollevato di essere solo, che né loro né i miei compagni fossero con me. Perché ero sicuro che si sarebbero preoccupati per me, che avrebbero cercato di prestarmi soccorso o di portarmi al sicuro e che sarebbero stati sotto fuoco nemico, che avrebbero sparato anche a loro.>>
Gli regalò un sorriso impacciato e gli sfregò le mani sulle braccia come a scaldarlo, anche se facevano 30° fuori la villa era fresca come una cappella funebre.
<< Quindi credimi quando ti dico che è morto nel modo migliore, con chi amava sotto lo sguardo ma al sicuro lontano da quella situazione. Non è una grande consolazione, lo so, ma è il massimo che posso darti per ora. Abbi fiducia in me e la prossima volta invece di uno stupido aneddoto potrò dirti il nome del colpevole e quando lo manderanno in prigione.>>

Non sapeva di preciso cosa si dicesse in questi casi, quando qualcuno ti racconta qualcosa di così personale solo per cercare di farti stare meglio e fati capire che si va avanti, che non è tutto nero come lo si vede. La cosa più spontanea che gli riuscì fu il sorriso più grato che avesse fatto da molti anni. Mosse piano le mani ed afferrò quelle del poliziotto stringendole in una presa salda.
<< Ti ringrazio Alexander.>>
L'altro sbuffò, << E' Alec, ma almeno è sempre meglio di “fiorellino”.>>
La temperatura salì di qualche grado e Magnus non poté che ringraziarlo ancora con uno sguardo che fece arrossire un poco il moro.
<< Oh, non temere tesoro, posso trovarti tanti di quei nomi mille volte più imbarazzanti e stucchevoli che alla fine mi pregherai in ginocchio di chiamarti di nuovo fiorellino!>>
Lo disse con una nuova leggerezza nel cuore, anche se velata e sospesa precariamente sopra al cratere lasciato dalla morte del suo amico. Gli lasciò una mano ma rafforzò la presa sull'altra tirandosi dietro il detective e cominciando a ciarlare con la sua solita voce pimpante di tutte le meraviglie che offriva quella casa.

Era stato il luogo dei loro ritrovi, delle loro litigate, delle loro cavolate e fin troppe volte era stata “casa” più di quella in cui erano cresciuti con i loro genitori, se doveva ancora calcarne i pavimenti lo avrebbe fatto mostrando tutto il loro magnifico mondo e rendendo Ragnor orgoglioso di ogni suo singolo oggetto e imperfezione. Non avrebbe permesso a nessuno di trasformare la sua casa in un luogo di dolore quando era sempre stata piena di vita e di bellezza.
Non lo avrebbe mai fatto.
Per sé, per Catarina e per Ragnor.

Soprattutto per te, Rag.


 


 

Il quadro nascondeva davvero una porta per una stanza angusta che ospitava solo una botola. Che poi tanto botola non era, ma un'ampia apertura nel pavimento che si apriva automaticamente e permetteva l'accesso alla sala dei server.
Simon sembrava ancora più felice e non prese tempo a collegare il computer e scandagliare tutti i dati presenti.

<< Sono su un circuito chiuso a cui è possibile accedere solo collegandosi via cavo, intelligente come cosa, ormai andiamo tutti sul wifi, nessuno penserebbe a portarsi un cavetto, soprattutto non uno così vecchio. Il tuo amico doveva averne una scorta da qualche parte, se si rompeva uno non poteva certo andare al negozio dietro l'angolo a ricomprarlo!>>
<< Davvero emozionante Smigol, ora, per favore, potresti cercare quello che siamo venuti a cercare e fare il tuo dannato lavoro?>> chiese Magnus guardandosi attorno infastidito.
L'ambiente non aveva finestre, aveva il soffitto basso ed era illuminato solo dalle centinaia di luci dei grandissimi cervelloni li impilati. L'unica cosa che lo tratteneva dall'andarsene da quel covo di polvere e buttarsi sul divano d'avanguardia del salottino privato di Ragnor era vedere il bel detective occhi blu che si ostinava a stare in piedi ma era costretto a piegare la testa di lato.
A sua discolpa c'era da dire che c'aveva provato, il poliziotto, a piegarsi sulle ginocchia e poggiarvi sopra le mani per aver sostegno, ma forse Magnus aveva fatto un passo indietro e si era messo a fissare spudoratamente quel bel fondo schiena e forse il diretto interessato se ne era accorto e si era drizzato subito in piedi prendendosi una bella botta in testa.
Magnus ridacchiò improvvisamente più felice di prima mentre Simon cercava tra i vari dati quelli che gli interessano, gli ultimi mesi di lavoro di Ragnor per la precisione, e Alec annuiva a tutto quello che il ragazzo gli vomita addosso riuscendo anche a concentrarsi contemporaneamente sullo schermo e sui nomi che vedeva comparire, informando il tecnico che quella persona figurava altre quattro volte e che quell'indirizzo era fasullo perché in quella strada vi era tutt'altro.
Sembrava che la cosa alla fine avrebbe portato qualche buona nuova e -per quello che poteva permettersi- Magnus si rilassò contro la parete intonacata di bianco.
Diamine, pareva che quelle dannate luci blu si riflettessero il doppio su quei muri, ma almeno quel colore si abbinava bene agli occhi del detective e li facevano sembrare lanterne di carta accese nella notte. Molto poetico, doveva ammetterlo. Ed era meglio che li vedesse con questi termini filosofici o li avrebbe paragonati alle luci stroboscopiche e ai brillantini che coprono i corpi delle ballerine e sarebbe finito per far pensieri poco casti sul giovane davanti a lui mezzo nudo, lucido di glitter e oli, che ballava sensualmente sotto luci blu da discoteca che si riflettevano su un palo di liscio metallo argenteo.
Doveva chiedergli se sapesse ballare e se, come ricompensa per il suo aiuto, poteva chiedere una lapdance privata.

<< Clicca lì.>> Alec si piegò di nuovo in avanti, poggiando un braccio sulla spalla di Simon, ma il suo tono fu improvvisamente così perentorio che Magnus si sentì quasi costretto a staccare gli occhi dai suoi pantaloni grigi e a puntarli sullo schermo.
<< Sono le notizie raccolte nel corso dei precedenti cinque mesi su un oggetto particolare che pare provenire dritto dritto dal Medio Oriente. No, aspetta, dalla Russia? O forse dalla Romania? Ma che cavolo! Sta statuina è rimbalzata per mezzo Vecchio Mondo!>> Simon si passò una mano tra i capelli scompigliati e poi tornò a digitare veloce. Alec invece alzò un sopracciglio attento,
<< Statuina? Sappiamo cos'era la merce rintracciata da Fell?>>
Il ragazzo scosse la testa, << Possiamo ipotizzarlo: qui parla di un piedistallo in legno che sorregge un oggetto in vetro e argento. Pare che sia tipo un mosaico, ma non ne sono sicuro.>>
<< Un mosaico su un piedistallo?>> Il moro voltò la testa verso Magnus e questo si sentì estremamente considerato quando si rese conto che il giovane investigatore si stava rivolgendo a lui, affidandosi alle sue conoscenze in campo.
<< Potrebbe anche essere. Magari è un vaso o un piatto decorato, le tessere saranno in vetro e le linee di congiunzione in argento, come le vetrate delle cattedrali ma molto più costoso.>>
Il ragazzo tornò con lo sguardo allo schermo e per un attimo a Magnus parve una proiezione cibernetica uscita da quello stesso monitor. Poi lo vide irrigidirsi di colpo e la cosa non gli piacque per niente.
<< Che succede? Simon perché stai scorrendo così velocemente i file?>>
<< Non sono io! Non sto facendo niente è qualcuno da remoto.>> si bloccò colto dal panico, << Oddio mi hanno hackerato il sistema!>>
<< Bloccalo!>> Magnus saltò sul posto avvicinandosi allo schermo e cercando di immagazzinare più informazioni possibili.
<< Ci sto provando in tutti i modi! Ho attivato quattro firewall e una decina di codici criptati diversi sperimentati dal governo e ancora segretati! Dio, se Hodge scopre che li ho usati e che me li sono fatti fregare da degli hacker sono morto, mi spediranno davanti alla Corte Suprema con l'accusa di Alto Tradimento!>> Il ragazzo si mise le mani tra i capelli sconvolto, prima che l'asiatico gli desse uno schiaffo in testa e gli urlasse di non disperarsi ma di cercare di fermare tutto.
<< Non so cosa fare! Non ci riesco!>>
<< Stacca il cavo!>>
<< E' inutile è entrato nei server!>>
<< Sei un tecnico informatico, un programmatore, per l'amore del cielo! DEVI sapere cosa fare!>>
<< La fai facile tu! Non hai un tipo da non si sa dove che ti sta fottendo tutte le informazioni che hai appena- >>

Di colpo tutta la sala si spense, le mille luci delle gigantesche banche dati s'arrestarono ed il ronzio che aveva fatto da sottofondo alla loro permanenza cessò.
L'ultima cosa che videro fu l'immagine bloccata nei pixle dello schermo che andava lentamente scomparendo come la luce residua di una lampadina rotta che si fredda minuto dopo minuto rendendo la resistenza al suo interno priva di calore e luminosità.
L'immagine era una pagina d'appunti che l'hacker stava cercando di cancellare. Aveva avviato una ricerca per parole chiave e stava eliminando tutti i file che le contenevano, saltando da settore a settore. Sul monitor le parole più piccole erano già sparite, ma in grassetto potevano leggere ancora un luogo, un certo numero di merci ed una singola parola lontana da tutte le altre.
Poi anche quelle scomparvero come scintille che cadono nel buio ed assieme ad esso solo il silenzio rimase a far compagnia ai due.
<< Ce l'hai fatta?>> chiese titubante Magnus, << Ti prego, dimmi che sei stato tu, che sei riuscito a bloccarlo.>>
Simon deglutì a vuoto una boccata d'aria che non fece altro che incendiargli la gola e fargli salire le lacrime agli occhi per il dolore.
<< Io non ho fatto niente.>> pigolò con voce stridula.

<< Sono stato io.>>
I due si voltarono in contemporanea verso la loro destra, dove presumibilmente se ne stava in piedi Alec, che apparve dopo pochi secondi illuminato dallo schermo del suo telefono, con i cavi dell'alimentazione generale in mano.
Il castano lo guardò scioccato, battendo le palpebre senza sapere cosa fare.
<< Hai staccato la spina? Ma sei impazzito?!>> si passò le mani tra i capelli, cercando di mettere inutilmente a fuoco la situazione, << Adesso ci vorrà una marea di tempo per riavviarli tutti, non sono così moderni, hanno moltissima memoria ma sono come minimo di una decina d'anni fa! Staccando tutti ci hai praticamente negato l'accesso a tutte le informazioni che contenevano, se non le hai cancellate con lo sbalzo di corrente!>>
Magnus lo guardava impietrito, non poteva credere che una persona acuta come Alexander avesse fatto una cazzata del genere, lo sapevano anche i vecchi che non si doveva mai staccare la corrente di colpo ad un computer o c'era rischio di giocarsi tutti i suoi dati.
Eppure il moro pareva così calmo.
<< Meglio averli persi tutti che lasciarli nelle mani di un criminale che avrebbe cancellato tutti gli indizi. Hai detto che ad ogni server ci si accede distintamente tramite cavo, giusto? Questo vuol dire che solo quello su cui stavamo lavorando è parzialmente compromesso, ma, e dimmi se sbaglio, senza alimentazione anche il virus o ciò che è non può funzionare.>>
Ci fu di nuovo silenzio, poi Simon si lasciò cadere a terra frastornato ma evidentemente rincuorato dalla logica di quel discorso.
<< Si, grazie a Dio ha infettato solo questo server, gli altri sono a posto. Quando beccheremo quel bastardo ci faremo dire cosa ha inviato e lo elimineremo al primo colpo. >> Nel buio della stanza nessuno poté vedere la sua espressione, eppure Alec se lo immaginava perfettamente chiudere gli occhi rilassato e poi riaprirli di scatto, voltandosi nella sua direzione. << Perché è stato lui vero? Il tipo che stiamo cercando.>>
Alec sospirò, << Si, temo proprio di si. In un modo o nell'altro deve aver scoperto che eravamo qui e che stavamo mettendo le mani sui veri registri di Fell- >>
<< Per favore.>> Li interruppe Magnus, << Potreste chiamarlo per nome? Solo Ragnor, non Fell o “la vittima”, solo Ragnor. Rag se preferite. O “emerito cornuto” se non vi piace il suo nome. Ma non continuate a chiamarlo come un estraneo.>>
I due poliziotti annuirono in silenzio, poi accesero tutti le torce dei propri cellulari e uscirono dalla sala.
<< Come avrà fatto a rintracciarci se il circuito è chiuso?>> domandò di punto in bianco Alec.
L'altro si massaggiò il naso sotto gli occhiali e fece mente locale, prima di esibirsi in una magnifica smorfia e abbassare le spalle sconfitto.
<< Deve aver usato il mio portatile. Avrà superato le protezioni del sistema e attivato il wifi collegandosi alla rete di casa, a quelle dei vicini o più probabilmente a quella statale. Ci ha fregati con le nostre stesse risorse. Scusatemi, è colpa mia.>>
Una poderosa pacca sulla spalla lo fece quasi volare a terra, << Su con il morale Santana! Vedrai che ci rifaremo. Ho letto un indirizzo prima che tutto si bruciasse e credo proprio di sapere anche dove si trova.>>
Simon accennò un sorriso e poi si accigliò di colpo,
<< Ma Santana non è un nome da donna? Tipo di quella super figa e lesbica di Glee?>>
<< E' anche il nome di un musicista, genio.>> fece atono Alec passandogli vicino e sorpassandoli.
<< Bravissimo il mio fiorellino! Ah, dolce prezel al sale, lo sai vero che tutto questo vuol dire che spiano i nostri, anzi, i tuoi movimenti?>>
Alec neanche si girò e fece un gesto vago con la mano avviandosi verso la scena del crimine per ristudiarla per la millesima volta.
<< O che stanno tenendo sotto controllo i sensori della casa o magari Simon, non possiamo saperlo.>>
<< COSA?! Io? Perché io? Cosa c'entro ora?>>
<< Tipo tutto Sheldon?>>
<< M-ma… ma- >> Simon cominciò a parlare a vanvera di tutto e niente, mentre Magnus gli rispondeva seccato ma partecipe e Alexander si allontanava sempre di più, sino a giungere alla sua meta.
Non c'era niente di diverso ma qualcosa non gli quadrava in quella storia.
Se qualcuno li aveva scoperti voleva dire che o aveva una cimice addosso, cosa impossibile visto che aveva controllato più volte sia se stesso che Simon, o che veniva intercettato, o chi era a capo di tutto questo era davvero bravo con i computer.

O ha un complice che lo è.

In tutta quella storia, gli indirizzi letti, i nomi, le cifre, una sola cosa era rimasta scolpita nella testa del detective, come l'eco di un ricordo lontano che sapeva avrebbe dovuto fargli scattare un campanello d'allarme che però non riusciva a suonare completamente e non gli dava nessuna informazione utile.
Fissando gli oggetti della stanza fece scivolare lo sguardo sulla scrivania e sui frammenti di vetro chiaro e opaco che vi erano stati lasciati vicini. Li guardò per un attimo domandandosi distrattamente perché la scientifica non li avesse raccolti, ma la sua mente era effettivamente altrove e quel dettaglio, come tanti altri, gli fece solo ricordare per l'ennesima volta che tutti i suoi colleghi vedevano quel caso come una banale lite tra criminali finita con la morte di uno di questi.
Uno di meno.
Non chiuse gli occhi, li lasciò puntati su quei frammenti luminosi, forse residuo della colluttazione tra la vittima -Ragnor, è una persona, devo chiamarlo con il suo nome- e l'assassino.
Si congedò mentalmente da quella stanza che aveva visto vivo per l'ultima volta il suo proprietario, una persona che per quanto immischiata in traffici illeciti non aveva mai fatto del male a nessuno e non meritava di morire. Di finire dietro le sbarre si, pagare per i suoi crimini, ma non morire così.
Raggiunse i suoi compagni d'avventura e gli intimò brevemente di tornare a casa.

<< E come ci torniamo fiorellino?>> non fece neanche in tempo a finire la frase che Alec gli lanciò le chiavi della sua macchina.
<< Andate dritti a casa e chiudetevi lì. Spegnete internet, non lasciate nulla di violabile acceso. Io ho un affare da risolvere.>>
<< Dove devi andare?>> chiese Simon rimettendo il portatile nello zaino e guardando preoccupato l'amico.
Alec si voltò per fronteggiarli, lo sguardo serio e determinato di chi ha scelto la sua via e non ha intenzione di abbandonarla.

<< A fare un po' di domande ai piani alti. Credo sia giunto il momento di invertire i ruoli.>>


 


 

Digitò per l'ennesima volta la stringa di comando ma il computer non gli rispondeva più, così come il suo virus. Dovevano aver staccato la corrente, era impossibile che fossero riusciti a tener testa al suo programma così velocemente. Imprecò a denti stretti e batté i pugni sul tavolo, facendo sussultare la tastiera.
Doveva essere stato Alec ovviamente. Da bravo nerd votato ai computer e alla tecnologia, Simon non avrebbe mai pensato ad una soluzione così barbarica.
Però almeno adesso ne aveva la certezza: quei due stavano lavorando assieme al caso Fell e questo non prometteva nulla di buono.
Prese il palmare e mosse veloce il dito sulla schermo piatto, avviando una telefonata che non necessitò neanche di tre squilli prima di essere accettata.

<< Sono io. Si, esatto. Li ho seguiti e ho infettato il portatile di Lewis. No, ho cancellato quel che potevo. Significa che poi hanno tagliato il collegamento. La corrente, l'hanno staccata… beh c'è rischio che tutti i dati siano andati perduti, si, lo spero anche io. Non avevo la più pallida idea che ci fossero dei server segreti, sulla piantina non ci sono. Lo so, lo so che bisognava controllare sul posto, ma ci hanno mandato dei cretini e non potevo oppormi. In ogni caso avevo ragione: Lightwood sta indagando troppo a fondo. No t- … si… ma tu non lo conosci, io si. So che non mollerà per niente al mondo. Magari non sa cosa sta cercando, che acque sta smuovendo e dove vuole effettivamente andare a parare, ma che voglia solo catturare un assassino o meno ti assicuro che ha quasi sfiorato il centro. Non lo so, non posso dirlo con certe- si, va bene… sei tu il capo qui, fai come ti pare. Si, ho capito, ciao.>>

Si passò una mano sul viso e poi fissò il suo riflesso nello schermo nero del computer.
Aveva detto il vero, non lo conosceva e lo stava sottovalutando, non aveva la minima idea di quanto potesse essere testardo e cieco quel Lightwood, quanto fosse fermamente intriso di ideali di giustizia e patriottismo e tutte quelle puttanate lì.
Ma non era un suo problema, era lui il capo, facesse quello che reputasse più giusto.
Sperava solo che aggiustasse presto il tiro.


 


 

Alexander avanzò a passo di marcia verso l'ascensore, entrandovi appena arrivato e aspettando con pazienza di raggiungere il piano da lui selezionato.
Uscì dalle ante metalliche e si diresse spedito verso l'uscita, puntando poi in direzione del parco che si trovava a qualche isolato dal dipartimento.
Non gli fu difficile trovare il suo obbiettivo, lo stupido ragionamento che aveva fatto giorni prima pareva non essere più così tanto stupido.
Raggiunse la panchina che occupava e si fermò lì davanti salutando con cortesia.
<< Buon giorno anche a lei Detective Lightwood, la sua richiesta di colloquio sembrava piuttosto urgente.>>
<< Non sapevo a chi potermi affidare e ho pensato di puntare in alto, per essere al sicuro.>>
Annuì, << Lo è infatti. Come posso aiutarla?>>
<< Ho bisogno di un'informazione, forse più di una.>>
<< Mio caro ragazzo, di solito sono io a fare domande e le persone a darmi delle risposte.>>
<< Questa volta temo che i ruoli s'invertiranno.>> lo disse con sicurezza disarmante, così forte da convincere anche il suo interlocutore che però continuò a fissarlo imperturbabile per lunghi minuti.
Poi parlò, << Ebbene, mi dica ciò di cui ha bisogno di sapere, Detective.>>
Alec si concesse un attimo di respiro mentale in cui lasciò cadere le spalle ed esultò, senza lasciar trasparire alcuna emozione al di fuori. Si schiarì la voce e prese il coraggio necessario per porre quella domanda che con il viaggio in metro aveva assunto sempre più chiarezza, sempre più dettagli e particolari che ora lo spingevano verso un inquietante precipizio su cui non era sicuro di volersi affacciare.
Ma era pur sempre un poliziotto, un detective, lui faceva giustizia per chi non poteva farsene da solo, per chi necessitava del suo aiuto. Era un uomo di legge ma soprattutto di giustizia e non si sarebbe mai tirato indietro, per quanta paura potesse avere.

<< Vorrei sapere cosa ne sa lei del “Circolo”.>>

Il vento mosse i suoi capelli chiari e la camicia bianca che indossava sembrò improvvisamente più colorata dell'espressione sgomenta che assalì i lineamenti decisi del suo volto.
Quanto tempo era che non sentiva più quel nome? Anni sicuramente. Pensava che tutti se ne fossero dimenticati, che avrebbe potuto lasciarsi tutto alle spalle.

<< Credo proprio che io e lei abbiamo molto di cui parlare Lightwood.>>
 

Le porte dell'inferno si erano appena riaperte davanti ad Imogen Herondale e la Signora non sapeva se quella volta sarebbe riuscita ancora a scappare al loro richiamo o se l'avrebbero afferrata e trascinata nelle loro profondità.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI


 

Era seduto su una comoda poltrona di tessuto a coste, dai toni borgogna e l'aspetto pregiato. La Signora Herondale non aveva reputato opportuno convocarlo di nuovo nella Sala Riunioni all'ultimo piano del Dipartimento di polizia, avrebbe destato troppi sospetti e se tra di loro c'era davvero una talpa, cosa ormai accettata da tutti, sarebbe stato come mettergli un cartello luminoso sulla testa.
La donna entrò nel salottino portando con sé un vassoio d'argento su cui erano poste delle tazze ed una teiera fumante. Lo posò con attenzione sul tavolino basso davanti a lui e gli servì gentilmente il tea. Passarono pochi minuti a gustare la bevanda calda in silenzio, Alec non aveva osato chiedere alla donna se le facesse bene bere qualcosa di così bollente con quelle temperature, ma oltre che aver paura di sembrare scortese il ricordo delle usanze tipiche dei beduini nel deserto gli ricordò come un buon tea caldo poteva far miracoli contro la calura estiva. E chissà perché ce la vedeva benissimo Imogen Herondale vestita da viaggiatrice, magari sotto copertura tra le tribu nomadi del medio oriente. Per quanto lo riguardava quella donna poteva tranquillamente esser stata una spia al servizio della CIA che con il passare degli anni aveva chiesto un ruolo più tranquilli. Anche se non sapeva quanto potesse essere tranquilli il comando della polizia Americana.

<< Come è entrato a conoscenza di quel nome.>> gli chiese posando la tazza sul piattino sobrio.
Alec si mise seduto più dritto possibile, la sua schiena gli fece notare che più di così si sarebbe solo potuto spezzare, ma il ragazzo preferì non farci caso.
<< Come lei sa sono il responsabile del caso Fell. >> Magnus l'avrebbe perdonato se usava quel termine per le pratiche ufficiali, << Nel nostro primo colloquio le ho espresso le mie perplessità e i miei sospetti, ciò non è minimamente cambiato e ho continuato ad indagare su quel fronte. Il Capo Blackthron mi ha concesso l'aiuto del Dottor Lewis per l'indagine e l'ho prelevato per portarlo in un luogo sicuro.>>
<< Non mi pare di aver ricevuto richiesta per l'utilizzo di una delle nostre case sicure.>> il volto della donna era impassibile e solo un sopracciglio chiaro e curato si alzò, mostrando quel minimo di curiosità che lasciò trapelare.
<< No Signora, perché non ne ho fatte.>>
<< E dove avrebbe portato il Dottor Lewis negli ultimi quattro giorni?>>
Alec deglutì, ora arrivava il pezzo forte. Prese un respiro profondo e piantò lo sguardo in quello del suo superiore, non le avrebbe mai concesso il dubbio che non fosse sicuro delle sue azioni, che se ne vergognasse o addirittura pentisse.
<< A casa di Magnus Bane, dove sono sicuro che nessuno andrà a cercarlo o riuscirà a rintracciarlo.>>
Questa volta la donna non cercò neanche di nascondere il suo sbigottimento.
<< Lei ha portato un nostro Tecnico Informatico, addetto alla ricerca di informazioni su criminali coinvolti in un omicidio e potenzialmente in possesso di dati compromettenti a casa di un noto criminale e per giunta amico della vittima? A casa di Magnus Bane?>> si sporse verso di lui quasi allarmata e ad Alec venne naturale fare lo stesso, ma si trattenne dal poggiare una mano sulla sua per calmarla come faceva con sua sorella o sua madre.

Probabilmente me la staccherebbe a morsi.

<< No Signora. Ho portato un amico a casa di un uomo che ha appena parso il suo di più caro amico e che per trovare il suo assassino si è rivelato non solo disponibile ad aiutarci ma anche del tutto essenziale. Se non fosse stato per Magnus Bane non avremmo mai scoperto l'esistenza dei server privati di Fell e non saremmo mai risaliti al Circolo.>>
Imogen lo guardò ancora scioccata ma improvvisamente più seria di prima. Stava analizzando le sue parole e soppesandole con attenzione. Sicuramente non approvava le sue scelte, non approvava che non avesse chiesto il permesso al suo superiore e che avesse preso tutte queste iniziative, ma in un qualche modo assurdo e contorto pareva anche fidarsi di ciò che le aveva appena detto.

<< Continui.>>
Alexander sospirò di sollievo e non provò neanche a nasconderlo.
<< Bane inizialmente era molto reticente a collaborare, ma dopo aver interrogato una sua amica, l'ultima del trio che componeva assieme a Fell, è diventato molto più disponibile e mi ha fatto recapitare la cassetta con la registrazione dell'ultimo messaggio della vittima. Prima di allora, non so come, era riuscito a tergiversare e non consegnarla mai. Sospetto che abbia agganci sia in politica che tra qualche facoltoso avvocato. L'audio non diceva nulla di compromettente, solo che Fell era inquieto per la vendita e non comprendeva le motivazioni che spingessero il compratore a offrire una cifra così alta per un oggetto del genere.>>
<< Oggetto che presumo non solo sia scomparso ma anche a noi completamente ignoto.>>
<< Si Signora. Dopo aver analizzato il nastro comunque ho chiesto a Bane alcune informazioni che lui mi sta procurando e ho deciso di portare il dottor Lewis a casa sua per includerlo nelle nostre indagini ed aver un parere esterno e decisamente più interno all'ambito delle indagini. Le sue deduzioni sono quelle di un criminale spesso, ma sono molto acute e utili. E' stato lui a informaci dei server come le ho detto e quando sono uscito per andar ad esaminare la casa ho portato entrambi con me. Il Dottor Lewis è riuscito facilmente ad entrare prima nella sala e poi ad accedere ai database ma quando eravamo a metà della ricerca del primo server qualcuno ha forzato la connessione wifi del portatile di Lewis e ha immesso un virus nel server stesso, avviando una ricerca per parole chiave ed eliminando tutti i file che ne contenevano. L'ultima immagine che abbiamo potuto vedere riportava l'indirizzo di una struttura abbandonata poco fuori Brooklin, dei numeri di serie ed un nome, “Circolo”. >>
<< Il virus è riuscito a danneggiare anche gli altri computer?>>
<< No Signroa, vi si poteva accedere solo tramite cavo, ha potuto agire solo su quello a cui eravamo collegati, ma siamo riusciti a fermarlo.>>
<< Il Dottor Lewis ha reso inoffensivo il programma?>> chiese in fine massaggiandosi la fronte con una mano.
<< No.>> lo guardò male, << Ho staccato la corrente. Ci sarebbe voluto troppo per capire di che tipo di virus si trattava, per di più Simon aveva il suo portatile di riserva, non troppo potente e con i giusti programmi. Ho preferito rendere inutile il server piuttosto che lasciargli cancellare tutto.>>
La donna annuì come se al posto suo avrebbe fatto la stessa cosa e poi si sporse per bere un altro sorso di tea.
<< Allora adesso mi dica per quale motivo ha contattato proprio me per rispondere alle sue domande. Perché non ha chiesto al suo superiore o a suo padre, Detective Lightwood?>>
Il fatto che avesse citato suo padre e poi specificato il suo cognome forse voleva dirgli che sapeva perfettamente chi era lui e di quali appoggi avrebbe potuto godere. Peccato che non lo conoscesse per niente.

<< Anni fa, quando non ero neanche una recluta, entrai nell'ufficio di mio padre per lasciargli della posta e prima di andarmene vidi una cartella chiusa con un codice stampato in rosso. La targhetta citava “ Operazione Cicle” ed era ovviamente tanto segretata quando aggiornata di recente.>> allo sguardo interrogativo della donna s'affrettò a spiegare, << Alcune delle linguette che vi sporgevano erano nuove, mentre altre più consunte ed ingiallite.>>
Le labbra pallide della padrona di casa si inclinarono in un sorriso, << Si stava già preparando per i test d'ammissione all'Accademia?>> chiese quasi divertita.
<< Oh, no no, non ero ancora sicuro di cosa avrei fatto da grande. Dovevo aver circa tra i sette ed i nove anni al tempo.>>
<< E le è rimasto impresso per tutti questi anni?>>
Alec si strinse nelle spalle un po' impacciato, << Ho una buona memoria, e poi non capita tutti i giorni di vedere un documento segretato. Ero un bambino, la cosa mi emozionò molto, sentivo il peso del segreto ed ero orgoglioso di sapere una cosa su mio padre che i miei fratelli ignoravano.>>
La signora Herondale annuì lasciando che quel sorriso gli curvasse ancora per poco le labbra, poi si mise comoda con la schiena contro i cuscini ed intrecciò le mani, poggiando i gomiti sui braccioli lucidi.
<< L'Operazione Cirle è davvero un file segretato. Ad oggi sono solo venti le persone a conoscenza di questo caso ed alcune di loro sanno cos'è successo solo a grandi linee e solo perché parenti di coloro che ne rimasero coinvolti. Era un'operazione sotto copertura.
Da anni c'era un criminale, un boss mafioso a dir il vero, che era approdato sulle nostre coste e in breve era riuscito a dar vita ad una rete di traffici notevole che nessuno riusciva a sgominare.
Per questo decidemmo di inviare degli agenti sotto copertura in luoghi diversi e dotati di caratteristiche diverse.>> fece una pausa come se stesse riordinando le idee per decidere come proseguire il racconto e poi annuì leggermente.
<< Successe esattamente ventotto anni fa. Gli agenti presi in esame e selezionati erano quelli della nuova unità anti-crimine. Erano usciti dall'Accademia da poco, non avevano avuto il tempo né di farsi un nome né di stringere troppe amicizie, per di più venivano tutti da Quantico, avevano seguito l'addestramento speciale offerto dal Bureau e quindi non avevano contatti con le nuove reclute di New York.
Tra di loro c'era Valentine Morgestern, a capo degli “infiltrati”, Lucian Garroway, Robert Lightwood, Michael Wayland, Adrew Balckthorn e Stephen Herondale, mio figlio.>>
Alec batté un paio di volte le palpebre stupito. Il Vicecapo Morgestern, il Capitano Garroway, suo padre, il Capo Blackthron ed il figlio della Signora? Ma era tutta gente che ora lavorava al dipartimento. Eppure la donna aveva detto una ventina di persone, e tutti gli altri chi erano?
<< So che sono molti per una missione sotto copertura ma ognuno di loro, come ti ho detto, aveva un ruolo ed una storia specifica: Valentine era il figlio di un poliziotto che non era riuscito a superare l'Accademia. Lucian si fingeva un teppista del Bornx. Tuo padre e Wayland erano migliori amici, lo erano davvero, e rappresentavano quella classica coppia di scapestrati che non sanno cosa fare della loro vita. Poi c'era Blackthron, ex studente di giurisprudenza che non era riuscito a terminare gli studi e mio figlio, che si fingeva un viziato, ribelle ed insubordinato figlio di papà.
Avevano tutti il loro copione e hanno passato due anni in quel covo, facendo il loro dovere e aiutandoci a prevenire e sgominare le imprese più pericolose. -accennò un sorriso- tra tutti gli episodi di cui si sono resi protagonisti credo che il più bello rimarrà sempre quello che fece tuo padre nel Novembre del primo anno. Fu così spettacolare e credibile che avrebbe dovuto ricevere un Oscar.
Mh, credemmo tutti che stesse fingendo, solo quando quella storia finì ci rendemmo conto che non aveva finto per niente, che aveva fatto esattamente ciò che avrebbe fatto fuori da quell'inferno. Ogni volta che ci penso, ancora oggi, non posso far a meno di trovare il tutto divertente e poi terribilmente triste e doloroso, forse non avremmo dovuto mandare quei due assieme in missione.>> Il ragazzo fece per chiedere informazioni su quell'argomento appena accennato ed in modo così vago, ma lei scosse la testa e gli fece cenno di lasciarla proseguire.
<< Come ti ho detto rimasero sotto copertura due anni, ma la storia finì solo dopo altri cinque.
Per fartela breve, guadagnarono la fiducia del loro capo e riuscirono ad arrivare in alto nella gerarchia. Non ti dirò cosa hanno dovuto fare e ti consiglio caldamente di non giudicarli se mai leggerai quei fascicoli. Ma quando finalmente ebbero tutte le prove necessarie per sbattere quel bastardo in prigione per il resto dei suoi giorni ci portarono tutta la documentazione e l'allora procuratore Trueblood, tuo zio, il fratello di tua madre, poté finalmente iniziare un'inchiesta contro di lui. Lo avevamo in pugno, dovevamo solo prenderlo. Ma non andò come pianificato.
La notte del bliz in cui avremmo dovuto far irruzione nel loro deposito e arrestare tutta la banda lì riunita qualcosa andò storto.
Michael rimase ucciso sul colpo, tuo padre perse praticamente la testa ed uccise uno dei bracci destri del capo. Quell'uomo avrebbe di sicuro patteggiato e ci avrebbe rivelato molte più informazione di quanto non avremmo mai potuto sperare, ma se dicessi che qualcuno di noi si dispiacque per la sua morte mentirei. Il secondo a cadere fu Stephen. Non ho mai capito chi di quei bastardi lo abbia ucciso, ma resta il fatto che quando le acque si calmarono c'erano almeno una cinquantina di cadaveri in quello stabile e almeno venti erano poliziotti. >> Imogen si massaggiò stanca la tempia, poi proseguì. << La cosa non finì qui ovviamente. Tuo padre ne uscì distrutto, i suoi sensi di colpa per non aver protetto quello che reputava un fratello erano soffocanti quasi quanto quelli per la morte di Stephen. Mi venne a chiedere personalmente scusa perché l'ordine di entrata nel deposito era stato cambiato all'ultimo minuto e al posto di mio figlio ci sarebbe dovuto essere lui. Non gliene ho mai fatto una colpa. Valentine era intelligente, se al momento reputò saggio modificare la formazione ebbe di certo le sue motivazione.
Eppure a tuo zio la storia non piaceva, diceva che c'era qualcosa che non quadrava, parlava di dati statistici e di angolazioni, al tempo non ci affidavamo così tanto ai calcoli matematici e non lo prendemmo in considerazione quanto dovuto probabilmente. Tutto ciò che ci interessava era chiudere il caso e mandare finalmente quei poveri ragazzi a casa.
Non riuscimmo a fare neanche questo. Il processo si protrasse per cinque anni. Maxwell ebbe un mancamento mentre era in tribunale e cadde dalle scale. Finì in coma per sette mesi, morì poco dopo. Valentine e Jocelyn non sopportarono il peso del processo e di tutte le azioni di cui si era macchiato le mani lui durante quei due anni e divorziarono che il figlio maggiore aveva appena tre anni e la minore ancora non era nata. Mia nuora Amatis, la sorella di Lucian, non riuscì a rimanere a New York, a casa loro, e si trasferì in Alabama. Lucian litigò con Valentine e decise di lasciare l'anti-crimine per dedicarsi alla stradale. I tuoi genitori avevano perso i rispettivi fratelli e credo che se non fosse stato per te e i tuoi, di fratelli, anche loro avrebbero divorziato. Andrew volette mettere più distanza possibile tra tanta morte e la sua famiglia, aveva già tre figli all'epoca credo, e si trasferì a Los Angeles. I due tecnici informatici che seguirono il caso, Hodge Starkweather e Malcom Lewis, rimasero segnati dalle registrazioni e anche dai video che dovettero esaminare in quegli anni, furono testimoni di veri orrori. Starkweather rispose chiudendosi in laboratorio e rifiutandosi di scendere in campo. Lewis morì esattamente cinque anni dopo il processo, infarto.
L'altra persona a conoscenza dell'accaduto, forse perché fu proprio Amatis ad informarlo, fu mio nipote Will. Lui e Stephen erano cresciuti come fratelli e si era ripromesso di restare vicino ad Amatis, per aiutarla in tutto come avrebbe fatto il cugino.
Non è una cosa che ti aspetteresti di sentire da me presumo, ma questo caso fu maledetto e lo è tutt'ora. Ogni volta che sento quella parola uscire dalle labbra di qualcuno so per certo che sta per succedere una catastrofe.>>
Alec fissò lo sguardo nella tazza del tea che teneva in mano, non ricordava neanche di averla presa ed il calore che emanava non lo bruciava più.
Cosa aveva appena sentito? Come poteva un caso, la risoluzione di un caso, portarsi dietro tanta morte? E soprattutto, quanto possibilità c'erano che tutti i coinvolti in quell'operazione fossero riuniti nello stesso dipartimento? Con sconcertante ironia si rese conto che tutti loro, anche i morti, in un modo o nell'altro erano di nuovo coinvolti in quella storia: C'era il suo Capo, c'erano ben due Morgestern, c'era di nuovo un Maxwell, suo fratello che per fortuna era ancora troppo piccolo per rimanere invischiato in quegli affari. C'era Luke, c'era suo padre e c'era un Michael, il secondo nome di Jace; c'era sua madre e c'era Hodeg. C'era una Herondale, c'era di nuovo un Lewis.
Un brivido gli corse lungo la schiena quando si disse che mancava solo un posto per Magnus, coinvolto tanto quanto loro nel caso Fell.
Guardò Imogen con gli occhi sgranati, pieni di terrificante consapevolezza.
Perché in fondo già lo sapeva.

<< C-come… come si chiamava il criminale che arrestaste?>> domandò con voce bassa.
<< Non lo abbiamo catturato. Scappò durante il blitz, non chiedermi come.>> lo scrutò con attenzione e già solo questo gli fece calare una calma piatta e bagnata di sudore addosso: gli stava dando il tempo di prepararsi alla batosta finale.
<< Ma per rispondere alla tua domanda, l'uomo si faceva chiamare Asmodeus, lo avrai sicuramente sentito nominare, era reputato il criminale più pericoloso d'America, lo chiamavano anche “Il demone dei demoni” o il “Principe dei demoni” . E “Circolo” era il nome del giro d'affari che teneva. Un circolo vizioso che allungava i suoi rami in ogni ambito della malavita, dal contrabbando allo spaccio, dall'evasione fiscale alla corruzione, dall'omicidio alla tratta di umani. Scomparve dalla circolazione e non riuscimmo mai a prenderlo.>>
Alexander poggiò con attenzione la tazza sul tavolo, le mani gli tremavano ma furono comunque un ottimo sostegno per la sua testa.

In che cazzo di guaio mi sono andato a cacciare?

<< E perché Fell avrebbe dovuto aver il nome del Circolo tra i suoi documenti? Aveva si e no tre anni quando l'operazione ebbe inizio, non poteva conoscere Asmodeus, giusto? Ha detto che quell'uomo è scomparso dalla circolazione subito dopo il blitz, ciò vuol dire ventisei anni fa. Fell aveva trentuno anni quindi, si, ne aveva tre all'epoca.>> Rimuginò ad alta voce senza aspettarsi davvero una risposta e la signora Herondale lo lasciò fare, conscia che quello di parlare ad alta voce fosse uno dei metodi migliori per far chiarezza nella propria testa.
Quando pensò di avergli lasciato abbastanza tempo per deprimersi sul gomitolo di nodi su cui era andato ad impigliarsi riprese in mano la conversazione.

<< Ho detto che è scomparso dalla circolazione ma non che so con esattezza dove sia scomparso. Per quello che ne sappiamo potrebbe anche abitare ancora qui a New York e Fell potrebbe essere stato il suo esperto d'arte di fiducia, Asmodeus aveva moltissimi quadri ed opere preziose nel suo covo, gli piacevano le cose belle e non mi sorprenderebbe sapere che molte delle merci che hanno transitato sul mercato nero ora sono in suo possesso. >>
Alexander le gettò uno sguardo concentrato ed annuì, << Credo di sapere quale sia il mio prossimo obbiettivo.>>
Anche la donna annuì e si sporse per prendere la teiera ancora fumante.
<< Il mio consiglio è ovviamente di ripescare, con discrezione, i documenti relativi al caso e anche quelli all'operazione in sé, scommetto che entrambi i tuoi genitori ne conservino ognuno delle copie e sono sicura anche che se chiedessi a Lucian o a Andrew sarebbero più che disponibili a prestarti i loro. In ogni caso, avrai presto anche accesso ai miei. Ti sto affidando il compito delicato ed ingrato di capire se il caso Fell e quello della Talpa siano collegati ad un caso vecchio di ventotto anni, ma che porta con sé ancora fin troppi segreti. E' il caso di mio figlio Lightwood, non so se mi sono spiegata.>>
Si versò altro tea e poi né versò dell'altro anche a lui. Con un cenno deciso del capo parve esser soddisfatta dell'espressione seria che gli si era dipinta in volto.
<< Bene. Prima di tutto però, prendi un'altra tazza di tea, è Hearly Gray di alta qualità, viene coltivato sulle coste sud Italiane. Dimmi, preferisci le bevande calde o sei più un poliziotto da birra e ciambelle?>>
Il ragazzo la guardò improvvisamente confuso, la famosa faccia da cucciolo smarrito che Simon e i suoi fratelli millantavano tanto e che fece arricciare un angolo delle labbra della Signora.
<< Veramente non amo molto gli alcolici, preferisco di gran lunga un buon caffè.>>
La donna gli regalò finalmente un sorriso completo e, ripresa in mano la sua tazza con tanto di piattino, si riappoggiò allo schienale della poltrona.
<< Esattamente ciò che volevo sentirmi rispondere, Alexander. E dimmi, sei fidanzato?>>


 


 

Alec stava seriamente cominciando a pensare che tutte le persone che aveva sempre reputato più serie e più burbere, quell'anno, si sarebbero mostrate a lui in tutto il loro splendore da pettegole.
Prima suo padre che si interessava a “com'era Magnus Bane” perché quel coglione di suo fratello andava in giro dicendo che era un bel tipo.

E Jace non dice mai che qualcuno è un bel tipo.

Poi ci si metteva anche la Herondale con quelle sue domande palesemente da nonna che tortura il nipote con un terzo grado degno dei servizi segreti.
Anche se effettivamente la donna sapeva come interrogare qualcuno e probabilmente una capatina nella CIA l'aveva pure fatta.
La cosa più divertente di tutte era che quelle domande imbarazzanti non solo gli venivano fatte da persone che tutti credevano dei solidi e freddi pezzi di ghiaccio, ma anche dopo discorsi seri ed importanti.
Sospirò, almeno pareva che fosse simpatico al Commissario di Polizia, nonché capo degli Affari Interni.
Come se lui poi avrebbe mai approfittato di questa cosa.
Dannato senso della giustizia e dell'onore Lightwood, se l'era beccato tutto lui e ai suoi fratelli era rimasto solo il fascino e la bellezza impressionanti, il coraggio, la sfacciataggine e la forza. Bell'affare.

<< Grazie Dio, questa me la segno.>>

Aprì l'ennesima cartellina piena di resoconti sul Caso Circle e si avvicinò quelli sull'Operazione Circle. La Herondale aveva avuto ragione da vendere: non appena aveva chiesto ai suoi genitori di fargli avere i documenti sulle azioni poliziesche e su quelle legali intraprese ventotto anni fa i due si erano dimostrati subito disponibili. Dopo aver saputo perché li voleva.
Aveva ovviamente sorvolato il momento in cui portava Simon da Magns -e ce lo lasciava anche dannazione! Doveva chiamarli e vedere se erano ancora vivi o se Magnus alla fine aveva perso la pazienza e aveva trasformato Simon in cibo per il Presidente come aveva promesso di fare- in cui quest'ultimo li informava dei server e anche quello in cui aveva dovuto staccare la corrente perché erano stati hackerati. Ma per il resto, quelle poche informazioni che avevano ricevuto, gli erano bastate.
Con sconcerto si era reso conto di quanto i documenti in possesso dei suoi genitori fossero diversi sull'approccio alla situazione.
Il rapporto primario di suo padre sul blitz e sulla morte di Michael e Stephen è un tripudio di sensi di colpa. Quello di sua madre un trionfo di cinica e fredda obbiettività, volta solo a svolgere al meglio il compito che era stato di suo fratello.
La Signora non aveva scherzato quando aveva detto che il caso era maledetto e che tutti coloro che erano stati messi a parte della situazione erano finiti in un qualche modo feriti.
Cominciò dai sei agenti sotto copertura: Valentine e Jocelin avevano divorziato esattamente alla fine del processo, dalle date capì che Jonathan doveva avere tre anni, come lui, e che Clary ancora non era nata. Dai referti medici, soprattutto da quelli dello psicologo si rese conto che suo padre era davvero entrato in depressione, che la Herondale non lo aveva detto così, solo per fargli capire che era stato male. Lesse una lista infinita di sedute e di farmaci prescrittigli, antidepressivi e sonniferi per fargli superare la sindrome da stress post traumatico e anche un principio di sindrome del sopravvissuto. Lo lesse proprio nei documenti della Signora, cosa che era assente in quelli dei suoi genitori, che lo psicologo che si occupò di Robert segnalò il miglioramento dell'uomo l'anno della sua nascita: il referto medico indicava come la consapevolezza di essere padre, di doversi occupare di una nuova vita, di proteggerla come non era riuscito a fare con quello che reputava un fratello e con un caro amico lo stavano spingendo ad uscire dalla depressione, ad essere forte non per sé ma per il bambino.
Alec distolse lo sguardo da quelle righe, da una parte sentendosi in colpa per aver letto qualcosa di così privato e dall'altra fiero e quasi commosso nel rendersi conto dell'esser stato la causa della riabilitazione di suo padre.

Lo aveva fatto per me.

Si schiarì la gola con qualche colpo di tosse e tornò a concentrarsi sugli altri agenti coinvolti.
Sui documenti delle donne non vi era riportata la motivazione, dove veniva invece segnalato come un semplice “litigio”; ma nei documenti di suo padre c'erano appunti a penna a margine del foglio su, testuali parole:

- la grandissima cazzata fatta da Val. Stiamo andando tutti fuori di testa, ma lui ha davvero superato il limite. Non doveva comportarsi così, dire quelle cose. Non ad Ama.

Aggrottò le sopracciglia: Ama? Intendeva Amatis Herondale? La moglie di Stephen nonché sorella di Lucian?
Ah! Ma certo, era questo il motivo del litigio tra i due. Da quanto ne sapeva Valentine e Luke erano stati grandi amici, molto uniti. Ma poi, durante il processo, si erano allontanati sempre di più, fino a quando non era scoppiato un pesante litigio e avevano dovuti dividerli. Due anni dopo, quell'episodio era finito il processo. Altri due anni dopo, quando Clary era già nata, Luke e Jocelyn avevano cominciato una storia. Ricordava vagamente, dai suoi lontani e sfocati cinque anni, della regolarità con cui vedeva quei due assieme, finché una piccola Isabelle non aveva chiesto se fossero fidanzati e la signora Fray gli aveva risposto di si.
Sorrise a quel pensiero e all'immagine della sua sorellina, una versione miniata e con i codini alti che le rimbalzavano attorno al viso.
Mosse qualche foglio e continuò la sua lista.
I rapporti sulla morte di Stephen e Michael erano piuttosto confusi, alcuni differivano di interi pezzi, altri mancavano completamente. Aveva una copia di tutti i resoconti redatti da ogni agente coinvolto e capiva perfettamente che in una situazione del genere si prestasse più attenzione a determinate cose e non ad altra. Ma se c'era qualcosa in cui tutti e quattro i rimanenti agenti sotto copertura concordavano era l'ordine d'entrata nel magazzino: Il primo era stato Valentine, poi sarebbe dovuto entrare Michael che era un tiratore scelto, il più bravo del gruppo, e poi suo padre. All'ultimo però, e da nessuna parte era specificato il motivo, Robert fu sostituito da Stephen.
Con orrore si rese conto che se avessero rispettato la formazione originale, probabilmente né lui né i suoi fratelli sarebbero mai esistiti. Suo padre sarebbe morto quella sera di ventotto anni prima e nessuno di loro avrebbe mai visto la luce.
Passò avanti togliendosi quei pensieri dalla testa e rileggendo informazioni di cui era già a conoscenza: Luke aveva lasciato la sezione per dedicarsi alla stradale, e lui sapeva benissimo che otto anni dopo era stato richiamato alla Crimine Organizzato e aveva accettato il posto.
Andrew, gli faceva strano chiamare per nome il suo capo, era rimasto fino alla nascita del suo terzo figlio, due anni dopo il processo, poi aveva fatto richiesta di trasferimento a Los Angeles, per avere un po' di pace.
Maxwell Trueblood era morto per un banale incidente proprio verso la fine di quei cinque anni d'inferno burocratico. Aveva avuto un mancamento, un calo di pressione dovuto allo stress delle udienze, alla ricerca di Asmodeus per tutti gli States e per il sovraccarico di lavoro, forse anche per il peso delle sue azioni, per il coinvolgimento di suo cognato e del migliore amico di questo che, alla fine era uno di famiglia. Era caduto dalle scale ed era entrato in coma. La storia già la sapeva, sua madre gliela aveva raccontata quando era piccolo.
Per puro scrupolo si ripromise di controllare anche i referti medici dello zio.
I due tecnici informatici si erano rifiutati di diventare agenti operativi inizialmente e poi il padre di Simon era morto per un colpo al cuore quando lui aveva cinque anni e… cosa?
Controllò i registri di nuovo e batté le palpebre sospirando sfiancato: aveva letto male, aveva solo letto male, era un infarto, Malcom Lewis era morto d'infarto.
Afferrò la bottiglia dell'acqua e mandò giù grandi sorsate. Era fuori dal frigo da neanche un ora e già si stava scaldando.
Afferrò il collo della maglietta a maniche corte e lo strattonò per farvi passare un po' d'aria, quel pomeriggio il caldo era più tremendo della mattina. Sentiva il retro del ginocchio incollato al legno della sedia ed il pavimento su cui poggiava i piedi scalzi ormai non più piacevolmente fresco come prima. Church, il suo gatto, sembrava cercare una mattonella fresca tanto quanto il suo padrone e rotolava da un lato all'altro facendo il giro di tutto il salotto.
Doveva decisamente fare una pausa, magari anche una doccia visto che c'era. Infilò un dito sotto al fascicolo che aveva davanti per chiuderlo e afferrò contemporaneamente il telefono per chiamare quei due cretini chiusi al fresco in un super loft a Brookin. Scorse velocemente la rubrica trovando a colpo sicuro “Magnus Bane” e avviò la telefonata portandosi il cellulare all'orecchio e cominciando, nel mentre, a ordinare un po' quella marea di fogli che si ritrovava.
Pareva squillare a vuoto ma non trovava impossibile che l'uomo avesse lasciato l'apparecchio da qualche parte o che fosse impegnato in una qualche maratona con Simon. Sapeva perfettamente che quando non c'era lui a supervisionarli quei due non facevano niente.
Non demorse comunque e continuò nel suo lavoro fino a quando non incontrò un ennesimo rigo che lo lasciò pietrificato sul posto.
Aveva letto male di nuovo, ne era sicuro. Era colpa del caldo, non poteva essere.
Deglutì e si stropicciò gli occhi ma le parole non mutavano in alcun modo il loro significato.
Con una mano tramante spostò le carte che coprivano il resto del foglio e lo lesse con attenzione, come in trance, mentre un improvviso freddo lo colpiva in pieno ed i piedi nudi sul pavimento non sembrarono più piacevoli.
Il rumore che proveniva dal fono non lo scalfì minimamente, neanche la voce di Magnus che discuteva animatamente con Simon di tute spaziali e che lo chiamava prima felice, poi curioso ed in fine preoccupato riuscì a risvegliarlo dal gelo in cui era caduto.

Non posso essere così sfortunato. Dio, ti prego, non posso.

<< Fiorellino? Alexander, te lo devo dire, sto cominciando a preoccuparmi, stai bene? -Che succede? Alec sta bene? Oddio, pensi che possa essersi sentito male? Magari ha avuto un colpo di sole.- Alexander? So che non sei persona da scherzi del genere, per favore, potresti rispondermi? Anche un grugnito o un mugugnio mi vanno bene, solo per sapere che sei cosciente.>>

Signore, ti prego. Non a me, non davvero questo.

<< Alexander?! -Senti, prendi le chiavi della macchina, andiamo a casa sua. La so io la strada, mi sta facendo venire l'ansia- Simon, tappati quella fogna! Alec?>>

<< Non può essere...>> sussurrò con gli occhi sgranati.
<< Alec? Tesoro, non ho capito, puoi ripetere? - Ti ha risposto? Sta bene?- Si, mi ha risposto ma non ho capito. Alexander? Stai bene? Sei ferito o altro?>>

Alec chiuse gli occhi e si lasciò scivolare sul pavimento, la schiena contro il tavolo, le ginocchia piegate ed una mano a coprirsi il volto.
Se questo era il Karma allora in una precedente vita doveva sicuramente essere stato Hitler.



 

Sulla pagina ancora aperta dei documenti di Maxwell Trueblood sul Caso Circle erano riportati i dati in loro possesso sull'accusato.
In ordine erano elencati la sua data di nascita, il sesso, l'aspetto, la città in cui operava, il gruppo sanguino anche e i suoi legami parentali.
C'era il suo nome d'arte ed il motivo per cui lo chiamavano così.
E poi c'era il suo vero nome.


 

<< Mi toglieranno il caso. Mi sono rovinato da solo.>>
<< Alexander, non so di cosa tu stia parlando. Che cosa è successo? Che hai fatto?>>
Alec rise amaramente e rafforzò la presa sul telefono.
<< Ho giocato male le mie carte Magnus. Se ciò che penso è vero c'è rischio che mi tolgano il caso, o anche peggio.>>
Dal lato opposto della cornetta arrivò il silenzio, poi un'altra domanda, << Cosa c'è di peggio di farsi togliere il caso?>>
Non gli rispose subito, meditò su ogni variante e alla fine tutti i fili che aveva tirato in quel mese puntarono tutti verso un nodo fondamentale.

Merda.

<< Devo portarti via da lì Magnus, devo metterti al sicuro.>>


 


 


 


 


 


 


 


 

A piè di pagina, dopo l'elenco di tutte le nefaste imprese di cui si era reso colpevole Asmodeus, il demone dei demoni, il principe di questi, annotato di fretta come se non fosse così importante, come se solo alla fine si fossero resi conto che quella notizia era essenziale ai fini delle procedure legali, qualcuno aveva scarabocchiato il nome dell'uomo al cui carico era l'intero Caso Cricle.


 

- Il nome dell'accusato ai cui danni viene intrapreso questo processo dal Procuratore Generale di New York City Maxwell Trueblood, in data xx Xxx 199x, noto alle autorità e allo stato con lo pseudonimo di 'Asmodeus' è il signor Adam Bane. -”


 

Merda.






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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII


 

Se quasi due mesi fa gli avrebbero detto che avrebbe passato Luglio a casa di Imogen Herondale a discutere con lei del Caso Fell e di tutte le sue possibili implicazioni, Alec avrebbe ignorato il pazzo che avrebbe parlato.
Se gli avessero detto che la donna avrebbe ascoltato con attenzione tutto ciò che lui aveva da dirgli e alla fine avrebbe anche cercato di aiutarlo, non ci avrebbe creduto.
Se poi, per finire, la Signora gli avrebbe consigliato di tenersi le sue scoperte per sé e di dirle al massimo al suo capo, allora avrebbe seriamente pensato di essere lui il pazzo.
C'era da aggiungere il piccolo particolare che il suo primo indiziato, subito scagionato, che lo aveva prima intralciato e poi aiutato nelle indagini, che era il miglior amico della vittima, che suo padre gli aveva chiesto se fosse “un tipo interessante” -fingendo palesemente di non conoscerlo o di non aver riconosciuto il suo nome!- era il figlio del boss mafioso su cui si era basato tutto il primo vero e importante caso sotto copertura di cui suo padre e tutti i capi del suo Dipartimento avevano partecipato e che aveva segnato e distrutto in molti modi tutti i coinvolti.

E vaffanculo al karma.

Quella situazione era terribili e la cosa peggiore era che lui doveva affrontarla sostanzialmente da solo. Certo, aveva l'appoggio silenzioso di Blackthron e Herondale, di suo padre anche, c'erano i suoi fratelli che facevano il tifo per lui e poi Simon che lo aiutava con le informazioni legalmente reperibili e Magnus con quelle palesemente illegali. Ma a conti fatti era solo.
Con un principio di emicrania che, lo sapeva, tra pochi minuti sarebbe diventato “emicrania” e basta, Alec si maledisse per aver scelto la omicidi. Sarebbe dovuto andare alla stradale diamine, gente che si schianta con mezzi veloci o che schianta gli altri, nulla di così pericoloso.
Sperava.
Lasciò cadere la testa sul tavolo del suo salotto e sentì solo distrattamente Church miagolare comprensivo. Almeno il suo gatto era indipendente a livelli estremi, se avesse avuto un Presidente a caso avrebbe passato tutte quelle giornate a sventolarlo con un giornale.
Che il caldo stesse dando alla testa a tutti non era messo in dubbio da nessuno, ma Alexander sapeva perfettamente che tutti i suoi problemi erano totalmente scollegati dai dannati 34°C che New York City vomitava sulle proprie strade.
Grazie alla tipica fortuna che lo contraddistingueva da quando era nato, ora Alec si ritrovava ad avere per le mani un caso d'omicidio in cui la vittima era un noto rivenditore di merci rare, il cui miglior amico era il Magnus Bane sopracitato, che era stato introdotto nell'ambiente da Asmodeus il Principe dei demoni, che era stato al suo servizio per anni e che tra i proprio documenti privati e segreti aveva il nome “Circolo” che aveva mandato in panne tutta la sua indagine perché lo aveva rimandato ad un caso vecchio ventotto anni.
Un gemito di sconforto lasciò le sue labbra e preso da un moto di rabbia, sudato dalla testa ai piedi, si tolse la maglia e la lanciò con mala grazia lontano da sé.
Salvo poi alzarsi, raccoglierla, piegarla ordinatamente e poggiarla sullo schienale del suo vecchio divano su cui si lasciò cadere, apprezzando il piacevole contrasto della superficie parzialmente fresca contro la sua schiena nuda.
La cosa peggiore, in tutto questo giro della morte, era che la gente gli chiedeva informazioni e lui non poteva aprire bocca.
I suoi volevano sapere a cosa gli fossero serviti i loro vecchi documenti.
I suoi fratelli volevano sapere come stesse andando un “comune caso di omicidio”.
Il suo capo voleva sapere perché Simon era a casa di Magnus Bane.
Imogen Herondale voleva sapere quali fossero i progressi fatti.
Simon voleva sapere quando sarebbe potuto tornare alla normalità.
O quando “non sarà più agli arresti domiciliali in domicilio altrui.”
Magnus Bane voleva sapere perché credeva che fosse in pericolo.
E per concludere in bellezza, ultimo ma non meno importante: Alec voleva sapere che cazzo fare e perché fosse sempre così dannatamente sfigato.
Aveva già posto le sue belle domande a Robert, Maryse e al Capo Blackthron, tipo perché tutti non avessero reputato importante dirgli che Bane era il figlio di Asmodeus. Perché non glielo avesse detto Luke, o Jocelyn, o anche il Vicecapo Morgestern. C'era tanta di quella gente che avrebbe potuto dirgli “Ehi Alec, perché non controlli meglio il passato di Bane, anzi, perché non controlli suo padre?”, così, giusto per fargli avere un piccolo indizio da aggiungere al cumulo di indizi inesistenti che aveva già collezionato.
Ora si ritrovava a dover investigare sul caso presente e su quello passato, a cercare di capire se erano collegati e-

Un lamento uscì di prepotenza dalle sue labbra quando una strana pulsazione dolorosa cominciò a battergli sulla tempia sinistra.

<< Magnifico, mi ci mancava solo questo. Può andar peggio secondo te Church?>>
Il gatto lo guardò attentamente mentre si massaggiava la testa, sembrava quasi che lo stesse rimproverando, una cosa tipo “ Alec, stupido umano, può sempre andare peggio.”
Probabilmente avrebbe dovuto imparare dai film invece di fare sparate del genere a caso.
Prese il telefono e mandò un messaggio a sua sorella, chiedendogli se avesse tempo per un consulto professionale, ma proprio quando stava per lanciare via l'oggetto questo s'illuminò, vibrando debolmente.
Alec aggrottò la fronte nel leggere il nome sullo schermo: Simon?

<< Simon?>> chiese crucciato.
<< Ti giuro che non è colpa mia. Mi dispiace Alec, io c'ho provato, ti giuro, ma è stato tutto inutile. Gli ho anche detto che non lo sapevo ma lui mi ha rinfacciato che l'altra volta invece ho detto che ce lo avrei portato io. In effetti è assurdo che dopo tutti questi anni che ci conosciamo non lo sappia, ma ti giuro che ho provato a convincerlo in tutti i modi, ma lui niente. Niente! E tra l'altro, Magnus è un pericolo della strada, chi te l'ha data la patente? Fammi ind- ODDIO! Te la sei comprata vero?
-Sta zitto Sheldon!- Non puoi dirmi di star zitto dopo che mi hai quasi fatto schiantare contro una macchina! -Hai solo dato una craniata al vetro. Nulla che possa crearti danni, semmai sarà il mio finestrino a chiederti di pagarlo!- Questa era veramente cattiva. Se tu guidassi come si deve io non mi schianterei da nessuna parte. - Devo girare qui hai detto?- Non ho detto niente, ti ho solo detto di arrivare sulla quarantaduesima cavolo, ma non dobbiamo andare lì. -E allora che cazzo ci facciamo sulla quarantaduesima?- >>

Alec alzò un sopracciglio provando debolmente a parlare, ma venne brutalmente interrotto di nuovo dalla voce acuta di Simon.
<< Ci facciamo che da qui conosco una scorciatoia per arrivare ad un negozietto che Alec adora, almeno così sarà un po' più rabbonito.>>
<< Per cosa esattamente dovrei essere rabbonito?>>
<< - Non ha alcun diritto di essere rabbonito! Mi ha volutamente ignorato, non ha risposto alle mie domande e mi ha fatto prendere un infarto. Ho chiamato Raph per sapere com'è messa la mia assicurazione sulla vita, per colpa sua. Si stesse zitto e non si lamentasse!- Magari non ti ha detto niente perché non può? Gira a sinistra, ho detto a sinistra, davanti a quella vetrina -Non andremo a comprargli qualunque cosa dovremmo compragli! E ora dimmi dove cazzo è che abita!- Non guardare me deficiente! Guarda la strada! Oddio, no, è rosso, Mags, è rosso, è rosso, è rosso! È rosso! È ROSSO!>>
Il rumore di sottofondo di troppi clacson, imprecazioni varie -di cui una molto colorita di Magnus seguita da una mezza preghiera di Simon- e rumore di gomme che stridono assieme al rombare di un motore gli fecero pensare che forse, ma forse, era meglio che avesse scelto la omicidi e non la stradale.
<< Posso sapere cos- >>
<< BRUTTO PAZZO SCLERATO! CHE CAZZO TI PASSA PER LA TESTA!? CI SONO ANCHE IO IN MACCHINA SE VUOI ANDARTI A SCHIANTARE FALLO DA SOLO!
- NON ROMEPRE LE PALLE E APRI QUELLA FOTTUTA BOCCA SOLO PER DIRMI DOVE ABITA ALEXANDER!- >>

La discussione probabilmente sarebbe continuata per molto ancora, sino a quando non si sarebbero distratti a vicenda così tanto da andarsi davvero a schiantare da qualche parte. Quindi, dall'alto della sua maturità, della sua intelligenza, della pazienza e del buon senso che contraddistinguevano Alec e che fin troppe volte lo avevano visto come il povero cristo maturo incaricato di portar pace, calma e sicurezza tra i suoi scellerati fratelli e amici, ignorando le grida dei due e la cacofonia che usciva dall'interfono, Alexander prese un respiro profondo, si massaggiò gli occhi chiusi e attaccò.


 

Era rimasto venti minuti sdraiato sul divano a far nulla, troppi pensieri per la testa, troppi dubbi, troppe domande.
Simon e Magnus non sarebbero mai potuti arrivare da lui in così breve tempo e aveva anche la vaga sensazione che continuando ad urlarsi contro in quel modo non sarebbero mai arrivati e basta.
Si alzò solo per prendersi un'aspirina, con la speranza che gli facesse passare quella dannata emicrania, e scolarsi in un colpo solo tutta la bottiglia d'acqua che aveva lasciato in frigo dal giorno prima.
Quel caso lo stava sfiancando, gli succhiava le energie come una dannata sanguisuga e più cercava di tirarla via più quella affondava i denti nella sua carne. Gli ci mancava solo un Magnus Bane arrabbiato che pretendeva risposte ed un Simon altrettanto arrabbiato che non sarebbe mai più salito in macchina con il primo. Esattamente ciò di cui aveva bisogno, che bello.
Decise che era meglio chiudere tutti i fascicoli e metterli al sicuro, lontano da mani ed occhi indiscreti, magari in camera sua, e che poi si sarebbe ributtato sul divano ad aspettare che i due cretini lo raggiungessero.
Integri possibilmente, o per lo meno vivi.
Quando affondò di nuovo tra i cuscini lisi e chiuse gli occhi, si disse che sarebbe stato solo per dieci minuti.

Il campanello che suonava con insistenza lo fece saltare sul posto. Con una rapida occhiata verso l'esterno si rese conto che il sole era calato, seppur di poco, e che quindi i suoi ospiti avevano impiegato la bellezza di due ore per raggiungerlo.
Si alzò più stanco di prima e solo quando ebbe messo la mano sulla maniglia e l'ebbe abbassata di poco si rese conto di essere a petto nudo.
Scattò indietro senza rendersi conto di aver dato un colpo alla maniglia e di averla aperta, afferrando al volo la maglia lasciata sul divano ed infilandosela alla velocità della luce.


 

Dire che Magnus era arrabbiato sarebbe stato un eufemismo.
Dire che era incazzato nero avrebbe reso l'idea ma neanche troppo bene.
La verità era che Magnus odiava essere ignorato e se ciò accadeva quando si parlava della sua sicurezza lo odiava ancor di più.
Passare praticamente due ore in macchina con Simon ad urlarsi contro e ad insultarsi senza posa era stato inizialmente atavico. Quando poi aveva visto il nome sul citofono del palazzo, però, tutta la rabbia era rimontata più prepotente di prima.
E nulla, nulla, neanche i pasticcini contenuti nel vassoio gigante che Simon teneva precariamente tra le braccia, rischiando di cadere rovinosamente per la rampa di scale che, effettivamente, non vedeva, avrebbero mediato la sua furia.
La porta si era aperta con un sussulto e la prima cosa che l'uomo vide quando spinse via il pesante uscio fu la figura snella, muscolosa ed asciutta di Alexander scappare via, una macchia bianca nei colori caldi e scuri della casa. Ebbe uno scorcio velocissimo del torace candido del ragazzo, macchiato da delle forme scure, un luccichio all'altezza dei pettorali e poi la sua schiena definita che si contraeva seguendo il movimento delle braccia, intente ad infilare la maglia a maniche corte di un verde militare spento.

Okay, quello un po' la sua furia l'aveva mitigata. Ma solo mitigata!

Si riscosse velocemente e avanzò verso il salotto, l'ambiente era pulito e molto semplice, se non fosse stato per le librerie e le mensole stracolme di oggetti, foto, libri, souvenir e coppe traboccanti medaglie di vario genere e nastri blu, bianchi e rossi, Magnus avrebbe tranquillamente scambiato quella casa per disabitata. Il contrasto con il mobilio rustico e vissuto e tutti gli ingombri che occupavano le pareti era stranamente confortevole. Ecco, quello faceva di una casa una casa vissuta.
Anche se i colori erano un po' troppo spenti per i suoi gusti.
Simon scivolò silenzioso alle sue spalle e si diresse di gran carriera verso l'amico, mostrandogli fiero il vassoio di dolci con un sorriso smagliante.
<< Non ti arrabbiare, non ti arrabbiare, sono qui in pace e con tanti bigné ripieni di tutto quello che ti piace. Non siamo venuti qui con intenti bellici, che poi sarebbe un altro modo per dire che siamo in pace, ma soprattutto non vogliamo invadere il tuo territorio ed il tuo sacro ed isolato nido sperduto al settimo piano di una palazzina che, diamine Alec, sono quattro anni che dici che lo devono aggiustare quel dannato ascensore ma non lo fanno mai!>> mollò l'involucro tra le braccia del moro e tornò indietro solo per appendere lo zaino a uno dei chiodi vicino all'ingresso, occupandosi anche di chiudere la porta di casa e di far cenno all'altro di togliersi di lì e spostarsi in salone.
Magnus eseguì in automatico, troppo concentrato a scrutare le mille foto, a cercare di leggere i dorsi dei libri e le incisioni sulle coppe, a capire che immagine fosse rappresentata sulle medaglie d'oro, per cosa fossero quei nastri colorati.

<< Alec è il miglior arciere della East Coast!>>
<< Gareggiavo fino a diciotto anni, >> lo corresse Alec poggiando il vassoio sul tavolo che poco prima era stato ingombro di carte e fascicoli sul caso, << poi sono entrato in Accademia e ho dovuto lasciare.>>
<< Poi ha cominciato a tirare al poligono.>>
<< Anche quello dell'arco è un tipo di poligono alla fine.>>
<< Si, ma non spari proiettili! Anche se tu usavi delle dannatissime frecce vere, da brividi Magnus, te lo giuro. Una volta Jace ha fatto il cazzone e se n'è lanciata una sulla coscia. Non sai quanto sangue gli è uscito. Credo che se non ci fosse stato Alec quella volta Izzy si sarebbe improvvisata dottoressa e gli avrebbe estratto la freccia, avrebbe fatto ancora più danni, ma scommetto che avrei riso ancora di più.>>
Il detective lo fulminò con lo sguardo, << Eri nel panico tanto quanto lo erano gli altri. E Iz sapeva perfettamente che togliendo la punta avrebbe tolto anche l'unica cosa che fermava il flusso. Magnus? -fece poi- puoi sederti se vuoi, non c'è bisogno che rimani lì in piedi.>>
Il giovane si riscosse di colpo e lo guardò come se lo avesse notato solo in quel momento. Fissò il torace ampio su cui la maglia si era appiccicata per il sudore e, ancora una volta, si disse che tutto ciò poteva mitigare un po' la sua rabbia. Forse avrebbe dovuto dirglielo.

<< Sono molto arrabbiato Alexander, molto, moltissimo.>> Incrociò le braccia al petto e fece per dire qualcos'altro quando un miagolio basso e palesemente interrogativo attirò la sua attenzione.
Church teneva il muso voltato verso Alec, inclinando la testolina verso sinistra, in attesa di spiegazione che il ragazzo gli diede con tranquillità, come se stesse conversando con una persona.
<< Lui è Magnus Bane, è un mio nuovo amico.>> si abbassò per grattargli piano un orecchio scuro ed il gatto apprezzò, miagolando ancora in risposta, << Lui, invece, è Church, il mio gatto.>> continuò rivolto questa volta all'ospite.
Magnus lo guardò perplesso e non ebbe il tempo di dire nulla che, dopo aver miagolato ancora in segno di saluto, il gatto girò loro la coda e se ne andò ad accomodarsi sul piano della cucina, forse più fresco rispetto alle altre superfici.

<< Il tuo gatto è di poco parole come te.>>
Alec si strinse nelle spalle, << E' un ottimo coinquilino, la nostra è una convivenza felice.>> Si mise a sciogliere il nodo del pacco e poi tolse la carta, analizzando attentamente il contenuto.
Simon nel mentre si torceva le mani e si avvicinò all'amico con passo felpato.
<< Caffè, crema all'arancia, cioccolato, di tutti i tipi, vedi, sono in fila lì. Poi quello verde è il pistacchio e più giù c'è la crema di nocciole. Ah, fragole e frutti di bosco, la pesca lì, quell'altra è un'albicocca, credo, e quella piccola e aranciata è al rum.>> Sembrava che avesse paura che il moro gli dicesse che non andava bene e gli lanciasse il vassoio contro, ma Alec si limitò ad annuire e ringraziarlo fiocamente, per poi andare in cucina a prendere tovaglioli e bicchieri.
<< Magnus, ti piace la birra o preferisci altro?>>
Rimasto tutto il tempo ad osservare l'analisi del padrone di casa, con un moto di stizza per essere stato ignorato, di nuovo, alzò il mento verso l'alto e gli rispose piccato:
<< No grazie, non bevo in servizio.>> con il palese intento di infastidirlo.
Ma Alec non era lui e si limitò a stringersi ancora nelle spalle, << Succo di frutta?>>
<< No.>>
<< Acqua?>>
<< No grazie.>>
<< Vuoi un caffè?>>
<< Neanche, come se avessi accettato.>>
Simon alzò un sopracciglio chiedendogli silenziosamente a che gioco stesse giocando ed in modo molto maturo Magnus gli fece la linguaccia.
<< Va bene, Simon? Il solito?>>
<< Si grazie.>> sorrise lui, poi si girò verso l'altro, << vedi? È così che si risponde, con gentilezza ed educazione. Soprattutto se Alec ci ha accolti in casa senza cercare di ucciderci o senza imbracciare un'arma. >>
<< Lo dici come se fosse una cosa magnifica e che mai succede.>>
<< Infatti non succede! Magnus, la gente non entra in casa di Alec dopo solo due mesi che si conoscono. Devono passare anni prima che ti apra le porte della sua personalissima Lightwood Tower!>>
<< Senti Steuart, Alexander non è Iron Man e questa non è la Stark Tower. È un appartamento comune, neanche troppo bello e il signorino avrebbe dovuto aprirci in ogni caso o mi sarei messo a bussare fino a sfondargli la porta.>>
Alec tornò in salone con un vassoio di legno vecchio e scheggiato con sopra un bicchiere d'acqua e due bicchieri alti ricolmi di un liquido quasi bronzeo, con una densa schiuma brunita sopra.

<< E quello che diamine è?>> chiese l'asiatico lasciandosi cadere di peso sul divano liso.
<< Il solito!>> tubò allegro Simon impossessandosi di un bicchiere << Perché per quanto tu possa continuare a dire il contrario io sono maggiorenne e posso bere alcolici!>> Bevve un sorso di bibita lasciandosi due spesse linee di schiuma sotto il naso.
<< Lo vedo… >>
<< E' birra scura, coca e rum.>>
L'affermazione di Alec fece voltare Magnus di scatto verso di lui, allibito.
<< Come scusa? E che fine ha fatto tutta la tua integrità morale?>>
<< Bere un po', con moderazione, a casa propria non mina l'integrità morale di una persona.>>
<< Ma tu non bevi!>>
<< Non l'ho mai detto.>>
<< Si che lo hai detto!>>
<< Non bevo in servizio Magnus, ora non lo sono.>>
<< Hai una bottiglia di rum in casa?>>
<< Si.>>
<< E non bevi quello che ti faccio io?>>
<< Non bevo super alcolici.>>
<< Il rum lo è!>>
<< Ooookay!>> Simon posò la birra e allungò le braccia per dividere i due anche se non si erano neanche avvicinati. << Pausa, time out.>>
Si sedette sul bordo del divano e si sistemò gli occhiali con professionalità.
<< Allora: Alec beve pochissimo e non quando gli capita come fai tu. Ciò non toglie che qualcosina sia in grado di farla e di farla anche bene. Questa è tipo una delle cose più alcoliche che beve. Se non si conta alla festa del diploma di Jace e alle feste di tutti noi quando siamo diventati maggiorenni che lo abbiamo convinto a bere davvero tanto e nessuno di noi si as- >>
<< Lewis.>>
<< SI! Si, scusa. Dicevo. Alec beve e tutta quella roba là. Alec, Magnus è solo arrabbiato perché si è preoccupato tanto per te, perché ti sentiva male e si è spaventato, credeva che stessi avendo un infarto o cose de- >>
<< Sidmund!>>
<< Ma la volete smettere di interrompermi? Cosa provo a farlo il pacere se voi neanche mi ascoltate?>>
Magnus grugnì contrariato e scosse la testa, allungandosi verso Simon per rubargli il boccale ma senza successo. Il castano lo guardò malissimo e scalò di un posto per mettere al sicuro la sua bibita mentre Alec, sospirando affranto, allungava il proprio bicchiere all'ospite.
L'asiatico lo guardò per un attimo con fare sospetto, poi accettò volentieri la proposta, facendo molta attenzione a posare le labbra sullo stesso punto in cui si erano posate quelle di Alec e impegnandosi a non staccare mai lo sguardo dal suo.
<< In effetti è buono. Ha un retrogusto dolce, Alexander.>>
Alec arrossì leggermente, anche se con tutto quel caldo avrebbe facilmente potuto attribuire la cosa ai gradi di troppo, << E' la coca cola.>>
<< Non lo so, a me sembra un sapore del tutto nuovo, seppur delizioso.>> gli ammiccò con sguardo malizioso. Forse imbarazzarlo fino alla morte avrebbe potuto contribuire a stemperare quel clima così nocivo per la sua pelle: lo stress gli faceva venire le rughe e Alexander che gli diceva tutte quelle cose per telefono e non si degnava di dargli una risposta era sicuramente fonte di grandissimo stress.
<< Si, si, molto interessante, tutto quanto. Ora smettetela di flirtare per favore.>>
I due lo guardarono male: uno per essere stato interrotto, l'altro per quell'ingiusta insinuazione.
<< Allora, visto che non vuoi che io flirti con il fiorellino qui presente, il suddetto fiorellino potrebbe dirci cos'ha scoperto di così sconvolgente da farsi prendere un mezzo attacco di panico perché, non mentirmi Alexander, lo so che in quel momento volevi sparati e non mi piace per niente come cosa. Cosa hai scoperto?>>
Alec si bloccò con lo sguardo perso nel vuoto. Doveva dirgli davvero cosa aveva scoperto, quanto in fondo era arrivato a scavare e cosa si nascondesse dentro allo scrigno che aveva dissotterrato?
Si diede mentalmente dello stupido: non aveva dissotterrato un bel niente, aveva solo tolto abbastanza terra per vedere il coperchio della cassetta, non aveva neanche liberato ancora le maniglie, da quello al tirarlo in superficie e trovare la chiave per aprirlo c'era un mare in mezzo.
Prese un bel respiro e cominciò.
<< Ho fatto delle ricerche sui dati che siamo riusciti ad leggere prima di mettere in isolamento i server di Ragnor.>>
<< Intendi prima che staccassi brutalmente la corrente tagliandoci fuori dal sistema? Sia il virus che noi, sai. Che finché era solo il primo, magnifico! Ma poi ci siamo capitati di mezzo an- >>
<< Tappati la bocca Sonny.>>
<< Ma la volete smettere di interrompermi?>>
<< Vorreste far silenzio tutti e due e farmi spiegare?>>
I due si guardarono in cagnesco ma poi tornarono a prestargli attenzione.
Alec lanciò un'occhiata a Simon, sapendo che lui avrebbe capito subito cosa stava per dirgli e cercando di trasmettergli tutta la sicurezza che lui non aveva avuto in quel momento.
<< Ho chiesto informazioni alla Signora.>>
Il castano sgranò gli occhi mentre l'altro alzava un sopracciglio: << Non ti facevo un tipo religioso.>>
<< Non la Madonna, Magnus. Con “la Signora” intendiamo il capo degli Affari Interni non ché il gran capo della polizia, il Commissario Herondale.>> Simon batté le palpebre, << Non posso credere che tu sia andato direttamente da lei!>>
<< Era l'unica soluzione, Blackthorn avrebbe potuto dirmi che non poteva darmi informazioni a meno che lei non approvasse, in questo modo ho aggirato il problema delle autorizzazioni.>>
<< E bravo il mio monello, aggira le regole. Come sono orgoglioso di te, ancora un paio di settimane in mia presenza e comincerai ad attaccare le gomme sui monumenti, poi sarà il momento dei graffiti e poi andrai a protestare contro il sistema al grido di “A.C.A.B”.>> fece Magnus divertito.
<< Lascia stare Mags, sei arrivato tardi.>> borbottò l'informatico facendo voltare incuriosito l'uomo. Ma Alec richiamò l'attenzione generale e i due si videro costretti ad abbandonare le loro chiacchiere inutili.
<< Non ho infranto le regole, ho solo saltato un livello giungendo subito al dunque. Comunque, lei sapeva perfettamente di cosa stessi parlando, lo sapeva anche meglio di me.>>
<< Mi pare facile visto che nessuno di noi ha la più pallida idea di cosa siano quei nomi e quei numeri.>>
<< Gli indirizzi non ci interessano e neanche le date. Il nome invece, quello si.>>
<< “Circle?”, come può esserci utile?>>
Alec si schiarì la gola e tolse delicatamente il bicchiere mezzo vuoto dalle mani di Magnus per berne un lungo sorso rinfrescante.
<< Ricordi la registrazione in segreteria? Quando Ragnor ti ha detto che era qualcosa del vostro passato?>>
Il moro si accigliò facendosi improvvisamente più serio. Si mise seduto dritto ed annuì rigidamente.
<< Certo che lo ricordo, ho sentito quell'affare milioni di volte.>>
<< Aveva ragione lui. Avevi ragione te quando mi hai detto che si trattava del vostro passato, della vostra adolescenza.>> fece una piccola pausa più per prendere coraggio che per altro, poi sganciò la bomba.
<< “Circle” era un'operazione di polizia sotto copertura. Prendeva il nome da un giro di contatti e di forze criminali riunite sotto il comando di un solo uomo, che ne usufruiva come se fossero il suo personale “Circolo”.>> guardò Magnus dritto negli occhi, sperando che gli dicesse di aver capito e che non c'era bisogno di continuare, ma questo invece gli restituì lo stesso sguardo attento e teso di prima, incoraggiandolo a continuare con un cenno.
<< L'uomo in questione era un famoso malavitoso che comandava tutta la East Coast. Non è mai stato catturato e si dice che i suoi colpi, i suoi appoggi e le sue imprese fruttassero più delle tasse. Non sappiamo dove sia, anche se si ipotizza in Europa. Si faceva chiamare Asmodeus.>>
Vide Simon aggrottare le sopracciglia cercando di capirci qualcosa, forse ricordava gli innumerevoli casi a suo carico, i centinaia di mandati contro di lui o la sua fama, forse il suo nome gli ricordava qualcosa, un demone biblico o cose così. Ma era palese che non sapeva chi fosse.
Vide Magnus, invece, chiudere gli occhi e contrarre la mascella. I pugni si serrarono in sé stessi e Alec non fu mai tanto felice di aver tolto un bicchiere di mano a qualcuno, probabilmente lo avrebbe stretto sino a romperlo.
Non aveva voluto dire nulla di particolare, non voleva che Magnus si sentisse sotto pressione, che Simon capisse il collegamento e che si mettesse a fargli mille domande inopportune delle sue.
Con una gentilezza che, nonostante tutto, Magnus non riuscì ad ignorare si rese conto che Alec gli aveva dato l'opportunità di riconoscere quell'uomo come suo padre o di non farlo.
Anche se non era un uomo perfetto, neanche un gran che di uomo a dirla tutta, anche se erano stati spesso in conflitto e avevano avuto idee contrastanti, Magnus non poteva dire di odiare suo padre. Certo, non era molto presente e quando c'era lo viziava all'inverosimile, dandogli tutte assieme quelle attenzioni che di solito non riusciva a dargli. Non avrebbe mai negato di essere un figlio di papà, di essere uno schifoso moccioso viziato, assolutamente no. Suo padre non era stato perfetto ma era pur sempre suo padre e per quanto potesse essere un criminale dei peggiori che si era trasferito in Europa abbandonandolo in America con un impero da gestire, per quando si fosse lavato le mani da tutti i suoi problemi e lo avesse trascinato nel suo mondo senza l'opportunità di scegliere, era l'ultima persona rimastagli su questo mondo.

Che cazzo aveva combinato?

<< C- cosa c'entra con Rag?>> Non voleva saperlo davvero, non voleva rischiare di sentirsi dire che il suo miglior amico, quello che reputava un fratello, il fratello che non aveva mai avuto, fosse morto per colpa di suo padre.
Alec scosse la testa.
<< Non credo che lui c'entri direttamente. Non giungo sue notizie da anni e sono convinto che se fosse tornato qui in America tu me lo avresti detto. Ti sarebbe giunta voce, giusto?>>
Magnus lo guadò solo, perché proprio non lo sapeva se glielo avrebbe detto. Il suo passato era complicato ed ingarbugliato in troppi fili, troppe trame, c'era un mondo dietro di lui che il detective non poteva neanche immaginare. Gli stava chiedendo se lo avrebbe fatto probabilmente perché sapeva che Magnus se lo sarebbe tenuto per sé. Gli stava, di nuovo, dando l'opportunità di non dirlo, di sorvolare o di uscirsene con qualcosa tip o “avevo sentito che era tornato ma non credevo fosse vero”, una qualunque bugia.
<< Quindi cosa c'entra questo tipo, questo Asmodeus, in tutta sta storia?>> chiese Simon notando la tensione che si era formata tra i due. Non sapeva quale fosse il problema ma ebbe la delicatezza di farsi gli affari suoi.
<< Ragnor è stato avviato al nostro mondo da lui. Gli ha aperto le porte della vendita di opere d'arte e merci rare. Lui...pensi che Rag facesse parte del suo giro? Cioè, lo so per certo, ma credi che facesse proprio parte di questo “Circolo”?>> L'asiatico tentennò e Alec scosse di nuovo la testa.
<< Io credo di no. Non sappiamo quanto fosse vecchio quel file, cosa contenesse per esteso, ma ho una teoria, o almeno ne sto costruendo una a piccoli passi. Però mi manca sempre qualcosa.>>
<< Cosa? Che teoria? Andiamo Alec, non dirci le cose a metà!>>
<< Va bene, va bene.>> Alec si lasciò andare contro il divano e poi si passò una mano tra i capelli afflosciati dal sudore. << Ma non ne sono sicuro, ve lo ripeto.>>
<< Non ci importa, ci fidiamo del tuo istinto.>>
Simon annuì alle parole dell'altro e si fece più attento possibile.>>
Il moro sospirò: << Penso che il cliente di Ragnor fosse un vecchio socio di Asmodeus. Probabilmente è per questo che diceva che questo affare gli ricordava “il passato”. Deve aver riconosciuto in qualche modo l'uomo, magari non subito, gli diceva solo qualcosa, un ricordo vago. Credo che poi abbia indagato e dopo aver scoperto che la sua identità era falsa… si, credo che a differenza mia sia riuscito a trovare il collegamento tra quel Sebastian e il Circolo. E se lui l'ha scoperto… >>
<< E' possibile che se ne sia accorto anche quel bastardo e per paura di essere smascherato lo ha ucciso.>> saltò su indignato Magnus, << Ma che senso avrebbe avuto? Era un criminale anche lui, Ragnor non c'avrebbe guadagnato nulla nello smascherarlo!>>
<< Calmanti Magnus, adesso Alec ci spiegherà il resto… >>
<< Non mi interessa il resto! Io voglio sapere chi è lo stronzo che ha ucciso il mio amico e voglio saperlo ora!>>
Il silenzio calò nella stanza afosa e nessuno si mosse per una manciata di minuti, finché Magnus non ricadé a peso morto su sofà.
<< Non è così semplice Magnus. Per di più sono solo mie supposizioni e non posso mettermi a cercare tutti i nomi di quel Circolo e controllarli uno ad uno. Ci metterei una vita.>> gli spiegò pacato, poggiandogli una mano sulla spalla un po' titubante.
<< Ma ci siamo anche noi! Magnus può chiedere ai suoi contatti e io posso indagare dalla rete- >>
<< Di nuovo Simon, non è così semplice. Per di più non so se sarà possibile.>>
I due si voltarono di scatto verso di lui, allarmati.
<< Che vuol dire? Perché non dovrebbe essere possibile?>> fece Magnus.
<< Oddio. Ti prego, dimmi che non ti tolgono il caso e non lo classificano come irrisolto.>>
<< No, no, solo… Magnus? Non ti ricordi cosa mi hai detto la prima volta che ci siamo incontrati? In sala interrogatori?>>
L'uomo annuì facendo un cenno vago con la mano. << Ti ho parlato di Presidente.>>
<< Mi hai detto che anche se mi fossi messo ad indagare seriamente non avrei mai preso il colpevole perché era qualcuno troppo in alto.>>
<< E il Dipartimento è completamente a soqquadro per colpa di una talpa… >> continuò Simon sistemandosi gli occhiali. Gelò sul poso quando capì dove voleva andare a parare l'amico e batté le palpebre un paio di volte come se non volesse crederci. << I sistema d'allarme della villa è stato disattivato dai nostri computer, quindi sappiamo che la talpa sa come hackerare un sistema o ha l'autorità per richiedere che sia fatto e che non venga detto. Ci stiamo preoccupando di un infiltrato che aiuta le bande e Asmodeus era un boss della malavita che comandava la East Coast.>> si fermò e si prese la testa tra le mani, si scompigliò i capelli, si tolse e rimise gli occhiali sempre più nel panico.
<< L'assassino è un membro del Dipartimento che collabora con la criminalità organizzata da anni, che lo faceva anche in passato, che faceva parte del Circolo ma che ha continuato ad operare anche dopo la dipartita di Asmodeus. In pratica sono- quanti anni sono?>>
<< Dall'Operazione Circle? Quasi trent'anni.>>
<< COSA?! Sono trent'anni che un membro della polizia passa informazioni a quel mondo che dovrebbe combattere? Sono trent'anni che il dipartimento è compromesso? Alec ti rendi conto di quanti casi potrebbero essere stati insabbiati? Quanti innocenti imprigionati? Se questo tipo è davvero arrivato così in alto da essere intoccabile la metà delle celle di New York potrebbero essere piene delle persone sbagliate!>> gridò quasi Simon sudando freddo e di certo non per la temperatura asfissiante.
<< Credi che non c'abbia pensato? Lo so perfettamente Lewis. Tu invece ti immagini quanti casi chiusi con successo, con il vero colpevole dietro alle sbarre, potrebbero essere riaperti? Quanti di loro potrebbero far ricorso e chiedere un nuovo processo, la libertà vigilata, risarcimenti e Dio solo sa cosa con la scusa che ad occuparsi del loro caso fu la talpa o che abbia comunque manomesso le prove? Ogni singolo oggetto o informazione passata per le sue mani diventerebbe invalida, ogni cosa buona che ha fatto, se ne ha fatte, diventerà nulla. E più è in alto… >>
<< Più farà rumore quando cadrà.>> concluse Magnus per lui. Lo guardò dritto negli occhi e continuò con voce seria, << Alexander, sei consapevole che dicendo queste cose davanti a me stai rischiando molto?>>
Alec s'accigliò per un secondo, solo una frazione di secondo prima di scuotere la testa, << Mi fido di te, so che non userai queste informazioni per un tuo tornaconto personale.>>
<< Cosa ti fa essere così sicuro?>> lo sfidò.
<< Perché stiamo combattendo per dare giustizia al tuo amico. Perché tutto questo schifo ti tocca da vicino e non vuoi averci più niente a che fare. E, di nuovo, perché mi fido di te.>>
Il moro non distolse lo sguardo, sicuro delle sue parole e anche delle sue idee.
Stavano tirando fuori problematiche che aveva già affrontato, nel privato della sua mente e del caos che vi regnava in quel momento. Non aveva davvero intenzione di farli preoccupare così tanto, ma non poteva neanche tenerli all'oscuro di tutto. Che gli piacesse o meno quei due erano parte integrante della sua “squadra” e malgrado non ne avesse mai avuta una tutta sua, da dirigere o con cui collaborare, dividersi il peso del caso e di tutto ciò che ne derivava, sapeva che poteva dirgli ogni singola cosa che gli aveva detto.
Anche quello che aveva ancora taciuto.
<< Il problema principale ora è un altro.>>
Simon aggrottò le sopracciglia mente Magnus tenne lo sguardo perso nel vuoto.
<< Se il colpevole è davvero un membro della dirigenza del Dipartimento, se ha davvero riconosciuto Ragnor e lo ha ricollegato al Circolo, questo vuol dire che ha ricollegato anche Magnus a tutto quel mondo.>>
<< Anche tu sei entrato nei giochi sotto l'ala di Asmodeus?>> chiese ingenuamente Simon.
Bane scosse la testa e si lasciò sfuggire un mezzo sbuffo divertito. Era in ballo ormai no? Tanto valeva ballare.
<< Non proprio. Diciamo che più che sotto la sua ala ero al suo fianco. Asmodeus è mio padre.>>
Il castano sgranò gli occhi, boccheggiando senza sapere cosa dire. Probabilmente avrebbe cominciato con una sequela infinita di esclamazioni stupite e domande ma la sua mente arrivò con velocità disarmante alla stessa conclusione a cui li stava portando Alec. Cercò lo sguardo dell'amico e trovò quel blu così intenso e luminoso macchiato di preoccupazione e serietà.
<< Daranno la colpa a lui. >> soffiò piano osservando Alec annuirgli.
Magnus alzò la testa e si mosse a destra e sinistra per capirci qualcosa, << Cosa?>>
<< Se la talpa ha capito chi era Ragnor, che lo aveva riconosciuto, sicuramente avrà riconosciuto anche te. Insomma, sei il figlio dei suo ex capo no? Saprà perfettamente chi sei: Sei il candidato perfetto per questo omicidio, ecco chi. Una volta scoperto, se lo smascheriamo poi, farà di tutto per addossarti la colpa. Ti incastrerà.>>
L'uomo chiese muta conferma al detective che sospirò senza parlare.
<< E' per questo che temevi ti togliessero il caso. Che avevi paura per me.>> cominciò risoluto, capendo finalmente la direzione che stava prendendo quella situazione, << Scopriranno che hai collaborato con me, che molti indizi te li ho dati io o che ero presente la maggior parte delle volte che hai scoperto qualcosa. Ti sei rovinato da solo perché hai accettato e ricercato il mio aiuto e diranno che tutte le prove a cui sei giunto sono state manomesse da me, o inventate o addirittura cancellate. Ti diranno che ti ho portato dove volevo, che mi sto vendicando di qualcuno o qualche cazzata così e che ogni singola virgola del caso è invalidata perché c'ero io. C'ero sempre io. Sono io che ho rovinato questo schifo di caso.>> Magnus si alzò, sempre più infervorato dal suo discorso, sempre più arrabbiato da quella situazione. << Daranno anche la colpa a me. Diranno che sono stato io ad uccidere Ragnor, che- che- merda! >> si abbassò di colpo battendo i pugni sul tavolino e facendo sussultare i bicchieri poggiativi sopra. Uno ondeggiò pericolosamente, ripreso al volo da Simon che pregò silenziosamente Alec di calmare l'altro.
Il padrone di casa si alzò con la lentezza delle persone che sanno come sistemare una situazione, che sanno che non c'è fretta. Prese con delicatezza i polsi di Magnus e controllò che non si fosse fatto male. Poi lo guidò di nuovo sul divano e si piegò davanti a lui, proprio come l'asiatico aveva fatto giorni prima a casa propria. I ruoli si erano improvvisamente capovolti ma invece di far fronte ad un attacco di panico Alec doveva affrontarne uno d'ira puro e semplice.
<< Fai un respiro profondo e smettila di agitarti. Questo comportamento non ci porterà da nessuna parte, ne a me né a te. La tua rabbia rischierà solo di farci cadere in fallo. >> forse non era il miglior discorso d'incoraggiamento del mondo, ma se c'era una cosa che Alec aveva imparato con tre fratelli minori era che spesso, invece di rassicurarli che tutto sarebbe andato bene e loro non avevano colpe, il metodo migliore per farli sbloccare, per farli ragionare lucidamente, era puntare sull'orgoglio, sulla loro maturità, sulla loro importanza in una questione. Ora stava dicendo a Magnus che se non si fosse calmano, nonostante tutto, avrebbe rischiato di mandare in fumo il caso del suo amico.
Aveva deciso di puntare tutto su questo.

Punto su di te Ragnor, vedi di darmi una mano.

<< Adesso dobbiamo organizzare un piano, dobbiamo mettere le mani avanti e prevenire qualunque tipo di accusa. Devi comportarti da adulto e smettere di battere i piedi come un bambino, urlare ed arrabbiarti non ci aiuterà.>> aveva usato il plurale per sottolineare quanto in quella barca ci stessero entrambi, quanto a dirla tutta ci stavano in tre, perché Simon era in ballo con loro e non lo si doveva dimenticare.
<< Certo, ti pare facile a te.>>
<< No. Non mi pare facile e non lo è. Ma ascolta. Ora l'importante è capire il collegamento tra Ragnor e il Circolo. Io punterei tutto sull'operazione sotto copertura, quindi sui suoi membri. Non erano molti quelli a conoscenza dell'accaduto e alcuni di loro sono anche morti. Il cerchio si restringe e posso dirti che alcuni di loro non possono essere i mandanti dell'omicidio.
Indagherò per bene su questo caso e- >>
<< Indagheremo.>> Simon l'aveva bloccato con risoluzione, << Non ti lascerò ad immischiarti da solo in un pantano del genere. Tra tutti i coinvolti nell'operazione c'è la talpa e se è stata così brava da non farsi prendere per trent'anni vuol dire che sa come coprire le tracce. Sei un ottimo poliziotto Alec, credo tu sia il migliore, per me lo sei, e non ti abbandono contro un criminale del genere. Giochiamoci questa partita in due, okay?>>
Alec fissò il castano senza sapere cosa dire.
Un sorriso piegò le labbra di Magnus che annuì concorde.
<< Credo che ti servirà anche un aggancio ben informato se vuoi scavare tra i panni sporchi della PD, ci saranno molte cose che non ti verranno dette e molte che neanche loro sanno. Mio padre, lui si che è bravo a nascondere le tracce. Si, ti servirà qualcuno dal “lato oscuro” e guarda caso il sottoscritto è informatore con un bellissimo agente di collegamento. >>
Il moro rimase in silenzio, soppesando le parole dei due che gli parvero tanto sicure quanto impossibili da ignorare. Lo volevano aiutare, volevano indagare anche questo caso con lui, infilarsi, come aveva detto Simon, in questo nuovo pantano. Ad Alec sembrava molto più una palude infida piena di sabbie mobili, con tutti quei segreti, tutti quegli intrecci. Gli pareva di star vivendo un romanzo poliziesco, o magari uno di quelli che Isabelle leggeva da piccola, con gli intrighi di corte e gli amori segreti di principi ed eroi.
Solo che quello non era un libro, ma la realtà. Loro non erano personaggi fantastici, eroi e briganti, ma persone in cane ed ossa, che potevano morire e non avrebbero avuto un autore alle spalle pronto a correggere il tiro, tenendo il lettore con il fiato sospeso sino alla fine, quando il mago avrebbe salvato il cavaliere. Se fossero stati feriti solo la velocità dell'ambulanza nel raggiungerli e portarli in ospedale li avrebbe salvati.
Voleva davvero rischiare di far vivere tutto questo a quei due?
Inutile negare che ormai si era affezionato a loro. Simon lo conosceva da quando aveva sedici anni e lo aveva visto crescere, era uno di famiglia e Alec sapeva che sarebbe andato in capo al mondo per lui, che si sarebbe fatto sparare e che sarebbe morto pur di saperlo in salvo. Magnus… lui era un altro discorso. Era tecnicamente una di quelle persone che lui avrebbe dovuto arrestare eppure si era dimostrato proprio quello che spesso ci si dimentica essere un criminale: umano.
Magnus Bane era terribilmente umano, con le sue idee strampalate, le sue voglie assurde, i gusti eccentrici e le opinioni del tutto discutibili. Guidava male e passava con il rosso. Faceva battute sconce e beveva perché lo poteva fare. Si divertiva a prendere in giro il prossimo, faceva il forte e l'insensibile. Si arrabbiava perché il suo miglior amico era morto, voleva giustizia per lui. Si dimostrava completamente contrario alla giustizia, disinibito nei suoi confronti ed era la definizione primaria di “ostruzionismo”. Si bloccava davanti a casa del suo amico e rideva amareggiato della sua sfortuna, di quanto il fato fosse stato meschino con lui. Crollava, si sbriciolava sotto il peso di un lutto che non aveva potuto metabolizzare al meglio e che era stato improvviso, inaspettato.
Era così umano da far venire i brividi.
Chiuse gli occhi e si massaggiò le palpebre, facendo pressione sui bulbi che gli parvero quasi incandescenti.
<< Siete sicuri?>> sapeva la risposta ma voleva comunque sentirselo dire, poter ricordare quelle parole per dirsi, in un futuro momento, che non era completamente colpa sua, che ci si erano tirati dentro da soli più di quanto non avesse fatto lui all'inizio.
Le mani calde di Magnus gli si posarono sul volto, morbide come le sue erano state forse quando era bambino, con il piacevole contrasto tra il tepore dell'epidermide umida di sudore ed il fresco del metallo degli anelli. L'uomo gli tirò su il viso e non appena Alec aprì gli occhi si ritrovò davanti il ghigno pericoloso di Magnus Bane:

<< Oh, tesoro, non ti libererai di me così facilmente. Dico bene Steve?>>


 


 


 

Il primo passo era stato informare i ragazzi dell'Operazione Circle.
C'era stata qualche discussione sul fatto che suo padre ne avesse preso parte, che lo stesso valeva per Lucian e che poi, in un modo o nell'altro, anche Jocelyn e Maryse c'erano entrate. Peggio era stato quando Alec aveva dovuto dire a Simon che anche suo padre aveva fatto parte di quell'operazione, così come molti altri di cui si fidavano tutti ciecamente.
Magnus era stato impassibile ed irremovibile: voleva sapere l'alibi di ognuno di loro e a nulla erano valse le rassicurazioni che no, alcuni di loro non potevano proprio essere i mandanti.
Si erano così divisi i compiti: Simon e Magnus avrebbero indagato da casa del secondo, chiusi dentro e con una microcam nascosta sul pianerottolo e davanti alle entrate, per controllare chi si aggirava per quel palazzo e chi osava suonare alla porta del “sommo stregone di Brooklin”.
Sarebbero partiti dalle basi, le motivazioni che avevano spinto il Dipartimento ad avviare l'operazione e tutte quelle cose che, ad onor del vero, Alec già sapeva o reputava ovvie, forse grazie al suo lavoro, forse perché aveva già capito molto più di quanto non avrebbe voluto dai rapporti dei suoi genitori e dai loro appunti, dallo sguardo spento di suo padre nel parlare di Michael o in quello ancora ardente di rabbia per la perdita di Max di sua madre, dalla voce amareggiata di Imogen Herondale nel raccontare di suo figlio e suo nipote.
Accelerò il passo, schivando abilmente un'infermiera che correva verso di lui con un plico di fogli tra le mani. Si infilò nel primo ascensore che gli capitò ed attese con pazienza che facesse tutte le sue fermate prima di tonare indietro.
Controllò velocemente il telefono per vedere se sua sorella gli aveva risposto e se lo ricacciò in tasca sospirando sconfortato quando non vide nessuna notifica.
Era in ritardo anche quella volta, come sempre. Izzy aveva questa grandissima dote di far tardi per ogni singolo evento della sua vita che Alec, di tanto in tanto, con malignità e non senza poi sentirsi in colpa ed un pessimo fratello, si domanda quanti tir, quante auto, quanti incidenti o semplici scivolate che avrebbero potuto ammazzarla si era scampata Isabelle solo perché era in ritardo da tutta una vita.
Era successo quando aveva quattordici anni, Jace ne aveva quindici e lui era appena sedicenne e fresco di patente. Stavano aspettando Izzy in macchina, la chiave già inserita ed il motore acceso, mentre Jace si lamentava di quanto la sorella fosse lenta e lui gli ricordava quanto anche lui impiegasse nel prepararsi i tempi di una diva. Si era parcheggiato sul marciapiede opposto a quello di casa sua, già nella giusta direzione di marcia quando alla fine della strada, proprio sull'incrocio che ri- inmetteva il traffico nella via principale, un'utilitaria aveva bruciato uno stop e si era schiantata contro la coda di un camioncino.
Né lui né Jace avevano mai detto ad Isabelle che se fosse arrivata in tempo ci sarebbero stati loro al centro di quell'incrocio. Meglio non darle scusanti per il suo vergognoso ritardo.
Uscì dall'abitacolo e si diresse a passo di marcia verso la sala che gli era stata indicata, una piccola saletta d'aspetto con una parete a vetri da cui poté immediatamente individuare la chioma albina di Catarina Loss.
Aveva ottenuto i documenti sull'autopsia di Michael Wayland e Stephen Herondale, la Signora non aveva battuto ciglio a quella richiesta e si era limitata ad aprire un cassetto e tirar fuori le opportune cartelle, come se avesse solo atteso quel momento. Era stata invece più sorpresa quando aveva richiesto anche quelle di suo zio e del nipote della donna, ma ancora una volta non aveva fatto commenti e gli aveva comunicato che avrebbe fatto in modo di farglieli pervenire al più presto e da qualcuno di fidato.
Catarina, alla sua chiamata, era rimasta sorpresa e aveva fatto tutte le domande del caso. Alec era stato rapido e conciso: il caso di Ragnor era collegato ad un vecchio caso e se avesse scoperto qualcosa di nuovo su quello allora avrebbe sbloccato anche quello del suo amico. Gli ci era voluto un bel respiro e tanta buona volontà per raccontarle, seppur entro certi limiti, che il secondo caso coinvolgeva Asmodeus. Non era stato necessario spiegarle chi fosse. Non era stato necessario neanche chiederle un appuntamento, aveva proposto tutto lei.
Con Isabelle invece aveva parlato anche il giorno prima, quando i ragazzi erano piombati a casa sua. Aveva ben pensato che il parere di un medico legale sarebbe stato utile ed essenziale, che avrebbe notato quello che magari un'infermiera non era abituata a cercare e vedere, come tutti i segni post mortem e quelle cose lì.
Izzy era stata ben felice di aiutarlo, anche lei a patto di farsi spiegare cosa stesse succedendo ovviamente. Lei e Jace erano preoccupati per lui, per il suo lavoro, per il caso e anche per il fatto che avesse preso sotto sequestro Simon. Inutile dirle che non era sotto sequestro, così com'era stato inutile cercare di smuoverli e convincerli che andasse tutto bene. La ciliegina sulla torta era poi stato Max, che dall'alto dei suoi diciassette anni si era presentato a casa sua con la pizza e aveva annunciato che dovevano parlare. Tutti e quattro.
Alec si era trovato così, la sera precedente, seduto sul suo divano, dove solo poche ore prima era stato seduto Magnus in preda ad una crisi di nervi, a mangiare pizza e a sentirsi le prediche dei suoi fratelli che si preoccupavano per lui e non avrebbero accettato rispose semplici ed i “no comment”.
Aveva cercato di fargli capire che non poteva dirgli niente del caso ma ancora una volta non avevano demorso: erano figli di un poliziotto e di un avvocato, non poteva fregarli, sapevano perfettamente dove poteva fermarsi a raccontagli e dove poteva andar avanti.
Erano giunti ad un accordo alla fine ed Alexander aveva raccontato tutti i suoi tormenti da un paio di mesi a quella parte. Omettendo il giusto. Tipo tutte le uscite di Magnus ed il fatto che Simon rischiasse la vita ogni volta che il primo prendeva un qualunque mezzo.
Non era stato semplice raccontare di loro zio, di Michael e di come ne era uscito Robert, gli occhi di Max erano quasi schizzati fuori dalle orbite a sentire che il padre era caduto in depressione e Isabelle era rabbrividita a leggere la lista dei farmaci che erano stati prescritti non solo a lui ma a tutti i membri di quell'operazione.
Certo, questo spiegava molte cose, molte dinamiche tra i loro capi, ma non capivano ancora cosa ci fosse di losco e cosa gli interessasse a lui.
Solo allora Alec aveva accennato che qualcosa, in quei rapporti, non gli piaceva e che il giorno dopo sarebbe andato a richiedere i documenti dei deceduti. Jace aveva subito detto che in un qualunque momento, una chiamata, ma neanche, uno squillo, e lui sarebbe arrivato di corsa con la cavalleria. Max aveva giurato di tenere la bocca chiusa ma ti tendere le orecchie in casa, captare tutto ciò che dicevano i loro genitori e riferire. Quanto ad Iz, loro due avevano già un appuntamento per il giorno dopo.
Sorrise mesto a quel ricordo, i suoi fratelli erano sempre pronti ad aiutarlo in tutto, così come lo era lui. Non faticava minimamente ad ammetterlo, sarebbe morto per quei tre e avrebbe ucciso a sangue freddo, avrebbe probabilmente mentito e chissà cos'altro. Erano la sua roccia anche se non se ne rendevano conto, troppe volte Alec si era rimesso in piedi ed era andato avanti solo per loro, solo perché non li poteva mollare o dargli pesi, perché non voleva che passassero guai o avessero preoccupazioni di ogni sorta.
I suoi fratellini.
Si irritavano così tanto quando li chiamava in quel modo.
Il sorriso si allargò quando vide una chioma bruna spuntare dall'ascensore, la figura slanciata di Isabelle che ondeggiava sui tacchi alti, con quelle calze a righe che la facevano sembrare ancora più alta e filiforme.
Allungò un braccio per invogliarla ad abbracciarlo e lei non se lo fece ripetere due volte, lanciandosi tra le sue braccia e stringendolo forte come solo i Lightwood avevano la grazia di fare: quindi come un lottatore di Wraslig che sta per alzarti e farti una body slam rovesciata.

<< Sono tanto in ritardo?>>
<< Il solito Izzy, come minimo una trentina di minuti.>> la ragazza fece una smorfia, << Ma non ti preoccupare, ho detto a Catarina che ci saremo visti tra- cinque minuti.>>
La sorella gli diede un pugno leggero sul braccio, << Mi hai detto l'orario sbagliato!>>
<< Per farti arrivare in tempo. Catarina è un'infermiera, sta sacrificando la sua pausa per aiutarci, se fossi anche arrivata in ritardo sarebbe stato poco educato, non trovi?>>
Con un grugnito insofferente Isabelle non poté che dargli ragione e gli fece segno di andare, continuando a borbottare anche mentre lui abbozzava uno dei suoi sorrisi storti e faceva cenno a Catarina che fossero pronti.


 

Esaminare i referti medici di tutti i poliziotti coinvolti nel primo caso sarebbe stato troppo lungo e superfluo ma almeno per i principali dovevano impegnarsi.
Si divisero i compiti: Isabelle avrebbe analizzato i referti del patologo e Catarina quelli dei vari medici, aiutate entrambe da lui che si sarebbe destreggiato tra entrambe le cartelle.
Tristemente la cartella di suo padre era più piena di consulti psichiatrici che di medici di base, mentre quella di Luke e di Valentine vantavano indicazioni su eccessi di rabbia repressa e cose del genere.
Non c'era gran che su quel fronte ma l'infermiera si era rimessa ad esaminare ogni singola pagina di quei plichi e ad appuntarsi di tanto in tanto qualche informazione che le sembrava più importante o non le quadrava. Così come ad Izzy non quadravano alcune dinamiche della sparatoria: avevano letto i rapporti e si, è vero che erano sotto shock e che molti erano discordanti, ma c'era un semplicissimo problema di logistica che non capiva.

<< Cosa?>> le domandò Catarina alzando la testa dei suoi fascicoli e guardando con attenzione l'altra che scosse la testa.
<< Qui i referti indicano delle ferite che Herondale si sarebbe potuto procurare solo se avesse avanzato al centro della sala, ma il suo corpo è stato ritrovato dietro a delle casse.>>
<< Probabilmente i suoi compagni lo hanno ripreso e portato al sicuro, anche se non è servito a molto.>>
Alec annuì, << Si, ci sono delle tracce di sangue che conducono dietro alle casse.>> Sfogliò i fascicoli sino a trovare ciò che gli interessava, il verbale di Lucian, << Lo ha preso Luke e lo ha portato fuori dal raggio di fuoco. Le ferite erano troppo gravi, non si è salvato.>>
<< Che schifo.>> si lasciò sfuggire sua sorella guardando con disapprovazione le foto della scena del crimine, << Che schifo. Perché si deve morire per fare la cosa giusta?>>
<< Perché c'è chi vive facendo la cosa sbagliata, credo.>> le rispose mesto il giovane, togliendole con delicatezza la cartella di Michael di mano. Lesse le prime righe e poi aggrottò le sopracciglia.
Riprese al volo tutti i fogli che gli servivano e cominciò a leggerli attentamente, attirando l'attenzione delle due donne che si scambiarono uno sguardo interrogativo.
<< Che c'è?>> gli domandò la Loss.>>
<< Non va bene. I referti sono sbagliati.>>
<< I referti medici non sbagliano, c'è la documentazione fotografica.>>
<< Si, ma non sono concordi con i rapporti...>>
<< Erano nel mezzo di una sparatoria Alec, non credo che ricordino tutto alla perfezione.>>
Ma Alexander scosse la testa, << Non capisci Iz.>>
Lei alzò le mani al cielo e sbuffò esasperata. Erano lì da un'ora e non avevano concluso ancora nulla. << Illuminaci!>>
<< L'angolazione delle ferite. Michael deve essere stato colpito dall'alto- >>
<< Ci saranno stati cecchini arrampicati sui soppalchi. >> fece notare spiccia.
<< Gli dava le spalle Iz.>>
A quelle parole Catarina si drizzò di colpo ed Isabelle strappò i documenti di mano al fratello, esaminandoli e lasciando momentaneamente da parte quelli di Stephen Herondale su cui aveva lavorato sino a quel momento.
La videro leggere veloce ed attenta tutte le righe di quei fogli e poi irrigidirsi.
<< E' vero. Che dice il verbale?>>
<< Che lui, Valentine e Stephen sono andati avanti prima degli altri, che ci sono stati rumori di spari e che allora sono entrati tutti in gran carriera. Su quello di Valentine c'è scritto che ha visto Michael crollargli davanti agli occhi.>> Però ad Alec qualcosa non quadrava, insomma, come poteva non aver visto chi aveva sparato?
Isabelle chiese a Catarina quale fosse lo stato psicologico dei tre apri fila ma Alec non le stava più ascoltando. Fissava la foto del cadavere di Michael Wayland e si domandava come dovesse essersi sentito suo padre ad entrare in quel magazzino e trovarsi il suo miglior amico, suo fratello, steso morto sul pavimento sporco.
In un istante la chioma castana di Michael divenne quella bionda di Jace e al detective si gelò il sangue nelle vene. Poi lentamente quei capelli si scurirono e divennero la chioma scompigliata di Simon, gli occhiali rotti e lo sguardo vuoto. Era questo, questo era il mondo in cui stava trascinando il suo amico, sul campo, a rischio che si beccasse un proiettile perché qualche bastardo non voleva averlo tra i piedi.
Izzy annuì e commentò che con una simile situazione non poteva essere diversamente, che sicuramente erano tutti sotto shock in quel momento e che non dovevano essersene resi conto, magari erano stati loro e non l'avevano capito.
Non sapeva a cosa si riferisse ma non gli importava, continuava solo a fissare quel cadavere, a vedere Jace, Simon, Magnus e persino Max al posto del giovane Wayland, allora poco più grande di lui. Lo guardava con un intensità tale da vederselo sfocare davanti agli occhi.
Li chiuse e prese un respiro profondo.
No, a lui non sarebbe successo, avrebbe costretto quei due a portare il giubbotto antiproiettile anche in casa. Non avrebbe permesso che venissero feriti, che facessero la stessa fine di Michael e Stephen.
Le due intanto avevano accantonato i caduti del bliz e si erano concentrate sulle altre morti, quella da trauma cranico di suo zio, quella d'infarto di Malcom Lewis e quella in servizio di Will Herondale, anche se nessuna di loro aveva capito perché Alec ci tenesse tanto a rivedere anche i loro referti.
Alexander spostò lo sguardo da quelle foto alle donne davanti a lui, ripromettendosi che neanche loro si sarebbero fatte male in quella storia, nessuno ne sarebbe rimasto ferito. Anche se dubitava che entrambe avrebbero accettato di portare localizzatori gps e giubbotti antiproiettile sul lavoro, che sia per pura estetica come avrebbe asserito sua sorella o per comodità di movimenti come avrebbe detto la Loss. Doveva mettere entrambe sotto scorta forse? Si, forse l'avrebbe fatto, ne avrebbe parlato con la Signora. Anche se non avrebbe certo apprezzato la sua richiesta di kevlar per tutte quelle persone che non erano agenti.
Kevlar?
Ad Alec mancò il respiro e riportò gli occhi sulle foto. Le raggruppò tutte assieme e se le tenne strette nel fascicolo che aveva sulle gambe, per impedire alle sue gentili aiutanti di guardarle ancora e magari capire ciò che aveva capito lui.

Merda. Poteva andare peggio?


 


 


 

Ovviamente si.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII


 

Magnus si mosse ancora sulla poltrona e piegò il collo a destra e sinistra nel tentativo di distendere un po' i muscoli. Era seduto lì da almeno un paio d'ore, con dei fascicoli vecchi come Washington sulle gambe, alcuni vecchi quaderni d'appunti di Rag davanti, delle cartelline di suo padre a fianco ed una bottiglia di Martini a terra. E al diavolo Alexander che gli diceva di non bere, stava diventando stupido a confrontare tutti quei dannatissimi nomi, se entro dieci secondi netti non avesse trovato qualcosa di utile o non avesse avuto un'illuminazione divina, un segno o quel che cazzo è si sarebbe alzato in piedi e sarebbe andato a farsi fare un massaggio a quella magnifica spa sulla trentaduesima. E 'fanculo a tutti.
Lanciò uno sguardo a Simon, che se ne stava sdraiato a terra, vicino ad un Presidente particolarmente soddisfatto, entrambi dritti sotto il getto dell'aria condizionata. Il ragazzo stava smanettando come sempre al computer e non pareva molto entusiasta dei risultati che stava ottenendo, esattamente come lui.
Sospirò stancamente e si passò una mano sul volto, stando attento a non sbafare il rigo scuro d'eyliner che gli marcava l'occhio. Chissà se Alexander stava avendo più successo di loro con Catarina e sua sorella, lo sperava vivamente se no sarebbe stato un giorno sprecato.
Si alzò dalla poltrona e si stiracchiò, incamminandosi fuori da quella stanza ed attirando l'attenzione dell'altro che si limitò a guardarlo con fare interrogativo.

<< Che c'è Steve? Devo dirti anche quando vado in bagno? Posso espletare i miei bisogni fisiologici o credi che dovrei chiamare Alexander e chiedergli se è d'accordo?>>
Simon sbuffò, << Come sei melodrammatico, ho solo sperato che avessi trovato qualcosa di interessante.>> rotolò di lato e si sdraiò a pancia in su, Presidente Miao affianco a lui fece lo stesso con una simultaneità quasi disturbante.
Magnus fece una smorfia e si voltò, << State diventando sincronizzati, mi fate ribrezzo. Soprattutto tu Presidente, ti facevo più raffinato e invece prendi a modello un topo di laboratorio. Sei una delusione per la tua razza ed un dolore per il tuo papà, ti avverto.>>
Il castano ridacchiò e si mosse per grattare la pancia al gatto, << Tranquillo Palla di pelo, se ti butta fuori di casa ti ospito io. O magari lo farebbe Alec, insomma, già convive con Church, un coinquilino in più non lo disturberà. Anche se non so quanto convenga a te, Church è proprio come il suo padrone, o meglio, Alec è proprio come il suo gatto. No aspetta. Vabbeh, il sunto è quello, insieme ti metterebbero in riga.>> Il giovane continuò a chiacchierare con il gatto che rispondeva con fusa convincenti e Magnus li lasciò lì a chiacchierare mentre si dirigeva in bagno.

Tornò come meno voglia di prima nel salone ben arredato e vide che il tecnico era tornato già al lavoro. Con un moto di sconforto si ridiresse alla sua postazione, se almeno Simon fosse stato ancora impegnato a ciarlare con Presidente avrebbe avuto una scusa per rimandare il lavoro.
Non che non volesse farlo, trovare l'assassino di Ragnor era diventata la sua principale motivazione di vita in quei mesi, ma era davvero frustrante non aver niente per le mani anche se si cercava tanto.
Storse la bocca ai suoi stessi pensieri e si sentì improvvisamente in colpa: probabilmente questo era stato lo stato d'animo del detective per le prime tre settimane d'indagine, quando lui lo illudeva di dargli vere informazioni ed invece gli dava solo fumo.
Il quei giorni neanche lui aveva scoperto gran ché e la cosa lo aveva mandato su tutte le furie. Non poteva chiamare Catarina che stava Dio solo sapeva due con i volontari dell'ONU o della Croce Rossa o quel che diavolo era; aveva parlato con Raphael che era incazzato quanto lui se non di più, Magnus aveva sempre sospettato che tra Ragnor ed il messicano ci fosse qualcosa ma erano entrambi terribilmente ermetici in fatto sentimentale. Aveva parlato con tutti i suoi amici, aveva parlato con i suoi conoscenti e con tutti quelli che gli dovevano un favore. Niente, non aveva scoperto niente. Nessuno aveva fatto affari con Ragnor di recente e il compratore era ignoto a tutti quanti.
Aveva sperato di vedere la luce, più recentemente, quando Alexander gli aveva chiesto se ci fosse qualcuno che scappava con più facilità alla polizia, ma anche lì aveva fatto un buco nell'acqua. Beh, non proprio. Aveva semplicemente scoperto cose che già sapeva. Una banda del Queens che aveva come informatore un moccioso che abitava nell'appartamento di fianco a quello di un poliziotto di mezz'età, un borbottone che non faceva altro che lamentarsi con sua moglie di questo e quello. C'era un gruppo che operava a Central Park e che riusciva a vedere fumo da quelle parti perché le giovani reclute che pattugliavano la zona compravano da loro. Le solite cose, bazzecole, piccolezze che non avevano nessuna importanza.
Aveva anche ripensato agli ex collaboratori di suo padre, alcuni dei quali lavoravano ancora con lui e che quindi conosceva bene, ma poteva dire con certezza che fossero solo dannatamente bravi e prudenti, non avevano appoggi. Diavolo, lavoravano assieme, lo avrebbe saputo se c'era qualche facilitazione nei loro affari.
Si avvicinò alla poltrona e s'abbassò per prendere dalla scatola lasciata lì vicino altri documenti di Ragnor.
Alexander si era davvero arrabbiato quando aveva scoperto che la prima volta che era stato sulla scena del crimine, quando Ragnor era ancora riverso a terra in una pozza di sangue, aveva portato via alcune cose nella cassaforte. Se lo sentiva ancora addosso quello sguardo di ghiaccio che lo trapassava come una lama rovente, un ossimoro terribilmente azzeccato.


 

<< Che cosa significa “ho portato via delle cose da casa di Rag perché erano private e non volevo che le avesse la polizia?”>> Lo sguardo di Alec era diventato improvvisamente duro e Magnus si pentì tutto assieme di aver aperto bocca. O di non averlo fatto prima.
<< A mia difesa, fiorellino, posso dire che al momento non mi fidavo di- >>
<< Non azzardarti a chiamarmi 'fiorellino' in queste situazioni. Non sto scherzando Magnus, pensavo che avessimo appurato che questo non è un gioco. Mi stai davvero dicendo che hai nascosto delle prove importanti, roba privata di Ragnor, per tutto questo tempo?>> La sua voce era fredda come i suoi occhi e l'asiatico si ritrovò a deglutire conscio dell'enorme cazzata che aveva fatto.
<< Ahia, questa volta l'hai fatta grossa.>> bisbigliò Simon incassando la testa tra le spalle e curvando la schiena, come per prepararsi alla batosta che stava per riceve l'altro.
<< Sta zitto Solance.>>
<< Lascia perdere Simone e rispondi a me. Hai nascosto prove? Di nuovo Magnus?>>
<< Sono solo album fotografici, appunti personali e cose così, nulla di imp- >>
<< Come la registrazione in segreteria? Davvero?>> Alec era furibondo, non poteva crederci, non voleva crederci, lo aveva fatto ancora.
<< Ascolta Alexander… >>
<< No. Non ti fidi di me? >>
Era un'accusa bella e buona, gliel'aveva sparata in faccia con una spietatezza unica e con un distacco che gli ricordò quella loro prima terribile telefonata. Diavolo se lo aveva fatto arrabbiare.
Sospirò sconfitto, << Scusa.>>
<< Fai bene a sentirti in colpa.>>
<< Non ho detto questo!>>
<< Ti si legge in faccia Mags, accettalo.>>
<< Tappati quella cazzo di fogna tu.>>
<< Magnus!>> Alec aveva fatto un passo avanti e ora torreggiava su di lui come un angelo inquisitore e Magnus si sentì un piccolo, sporco peccatore che aveva confessato il falso.
<< Dimmi tutto. E non è una richiesta, è un ordine.>>
L'altro provò a replicare ma la faccia del moro si contrasse in un'espressione che lo fece desistere in fretta.
A quanto pare va il dolce e tenero Occhi Blu che arrossiva davanti ad un complimento innocente tanto quanto ad una battuta spinta aveva un lato nascosto.

E te lo credo che la gente confessa tutto con lui. Ti fa sta faccia e ti fa pentire pure di essere nato.

<< Quando sono arrivato a casa di Ragnor ho trovato la cassaforte, quella che sta in bella mostra nel suo studio, aperta e scombussolata. Dentro non ci teneva nulla di importante, te l'ho detto, solo cose personali come album fotografici, resoconti bancari, alcuni di qualche suo vecchio affare, dei pezzi più belli che aveva, c'è anche una serie di quadernini su cui da piccolo annotava tutti i quadri e le opere che vedeva a quelle famose mostre. Non volevo che la polizia trovasse anche le cose private di Rag e così me le sono portate via.>> Lo disse con un filo di voce e cercò di evitare lo sguardo di Alec che però si era fatto improvvisamente più attento e pensieroso.
<< Che ti sei ricordato?>> chiese Simon avvicinandosi ai due.
<< Nelle foto della scena del crimine, la cassaforte è chiusa. Sei stato tu?>>
Magnus ci pensò un attimo ma poi scosse la testa, << Si, forse si… oppure no. Sinceramente non so cosa ho fatto. Potrei averla benissimo chiusa dopo aver preso quello che c'era dentro o averla lasciata aperta.>>
<< Se dici che nelle foto è chiusa vuol dire che l'ha richiusa.>> fece notare piano il castano incrociando le braccia al petto e facendo balzare lo sguardo dall'uno all'altro dei suoi “colleghi”.
Il moro fece un cenno affermativo e poi riassunse quel suo sguardo di ghiaccio:
<< Prendi quella roba ed esaminala, tutta. Non voglio storie Magnus, non mi importa che ci sia solo “roba privata”, la esaminerai tutta, pezzo per pezzo o lo farà Simon. E se mi dirà che non lo hai fatto tu e non hai permesso neanche a lui di farlo, verrò io personalmente, sono stato chiaro?>>
<< Si agente, chiarissimo.>> aveva sbuffato quello sarcastico, ma non aveva proprio fatto la mossa giusta. Alec lo aveva incenerito sul posto.
<< Non sto scherzando. Con questo tuo bel colpo di genio hai rifatto esattamente ciò che hai fatto il mese scorso: ostruzionismo. Se ci vuoi aiutare non puoi dimenticarti queste cose.>>
Poi aveva intimato ad entrambi di mettersi al lavoro e li aveva sbattuti fuori da casa sua.
Simon lo aveva guardato male per tutto il ritorno in macchina, borbottando contrariato che non aveva mai visto Alec così arrabbiato se non in un paio di casi.

<< Bella mossa Mags, ora penserà che per un qualche motivo tu non ti fidi più di lui.>>
Magnus gli aveva detto di chiudere il becco ed era tornato a concentrarsi sulla strada, cercando di evitare lo stesso spettacolo alla Fasten and Fourious di quella mattinata.
Concentrato solo sul traffico e sugli stupidi sensi di colpa che quell'uomo riusciva a fargli
venire.


 

Infilò la mano senza neanche guardare cosa stava prendendo, si risedette mollemente sulla poltrona e osservò l'oggetto della sua fortunata pesca. Era un semplice e banale quaderno nero, grande all'incirca come un libro, con la coperta di spessa carta opaca. Sbuffò per l'ennesima volta, Ragnor sarà anche stato un grande appassionato ed esperto di arte ma in quanto ad oggettistica personale era proprio vecchio stile. Sarebbe davvero andato d'accordo con il detective della omicidi.
Abbandonò il quadernino sulle sue gambe e prese la bottiglia di Martini, stappandola alla svelta e bevendone un generoso sorso, prima di rimettere la mano nella scatola e tirare fuori altri quadernini. Sicuramente ce ne erano almeno una decina, se li ricordava, forse.
Eppure, non appena li ebbe sott'occhio, s'accigliò. Fissò quei semplici quadernini dalla copertina scura e lucida, plastificata, e poi quello dalla coperta opaca. Erano palesemente due marche diverse, ma Rag era un sentimentale attaccato alle tradizioni, se iniziava con uno stile finiva con quello.
Osservò meglio il quaderno, era più vecchio degli altri e solo quando si decise ad aprirlo capì perché: risaliva alla loro infanzia, anzi, all'adolescenza. Era uno dei primi quaderni degli appunti di Ragnor, ne era più che certo, c'erano delle indicazioni per un quadro.
Sorrise divertito quando si rese conto che era il Monet.
Continuò a sfogliarlo più per fare un salto nel passato che per effettivo interesse. Scorrendo le pagine senza davvero leggerle finché non incontrò un nome particolare. La confusione tornò per un secondo sul suo volto e si alzò di nuovo, afferrando il cellulare e cercando un numero in rubrica si diresse spedito in camera sua, ignorando completamente Simon che se ne stava a messaggiare con la sua piccola amichetta rossa mentre il portatile eseguiva i suoi calcoli per lui.
Il telefono squillò un paio di volte prima che un pesante insulto in spagnolo gli sfiorasse il timpano con gentilezza.

<< E' un piacere sentirti come sempre, mio caro. La tua soave voce ed i tuoi dolci toni gentili, quasi d'altri tempi sono un lieto canto per le mie orecchie.>>
<< Non rompere il cazzo, sono impegnato. Mi hai preso nel momento sbagliato, che vuoi?>>
<< Anche io sono felicissimo di sentirti Raphael, ce l'hai un minutino per il tuo amichetto preferito?>>
<< Non sei tu il mio preferito, ti supera un botto di gente. Direi che vieni subito dopo il diavolo.>>
<< Raphael! Sciacquati la bocca o lo dovrò dire a tua madre. Un buon cristiano non fa battute sul demonio o su chi per lui.>>
<< Ah, ma sta zitto e dimmi che ti serve, in fretta anche.>>
Un vago rumore di sottofondo distorse per un attimo la connessione, l'interfono gracchio ed un altro colorito insulto spagnolegiante si unì a quelli di prima.
<< Puoi dirlo forte amico, ma dove diamine sei?>> concordò prima di porgli la domanda.
<< Sono al lavoro Magnus, che-cosa-vuoi?>>
L'uomo s'imbronciò ma l'amico non poteva vederlo così gli palesò il suo fastidio con un sonoro verso di stizza. Rapahel lo mandò al diavolo di nuovo, urlò qualche ordine in un dialetto così stretto che nessuno lo avrebbe mai capito e poi borbottò di mano d'opera ignorante e scansa fatiche.
<< Non potrei volerti sentire solo perché mi manchi?>> domandò piccato.
<< Non insultare la mia intelligenza Bane, qui tra noi due sei tu il deficiente, non io.>>
<< Oh, e va bene, ma sappi che sei stato, continui ad essere e sarai sempre un dannatissimo maleducato bastardo.>>
<< Ne prenderò nota e lo aggiungerò alla lista delle cose che già sapevo.>>
<< Fai come ti pare, ma mettici affianco il mio nome e segna quanto io sia magnifico.>>
<< Sto davvero sprecando il mio tempo al telefono con te che parli di te stesso? E' successa una cosa simile un paio di anni fa, lo ricordo benissimo e non voglio replicare. Quindi ti decidi a dirmi cosa vuoi?>>
Magnus sospirò e prese un po' di tempo solo per innervosire di più l'amico.
<< Senti, ma ti ricordi mica un certo Vladimir? Monscosett- Mondson- Mos qualcosa?>>
Il silenzio che ne seguì era rotto solo dal rumore della città che arrivava soffocato oltre le finestre della casa e da un chiacchiericcio vago dall'altra parte del telefono.
<< Valdimir Mondscoija?>> disse in un sussurro.
<< Si, qualcosa del genere. Allora, non era tipo un tuo ve- >>
<< Madre de Dios Magnus tappati la bocca. Tagliati la lingua, facci un nodo, ma non-dire-niente.>> altro silenzio e poi un respiro pesante. << Dove sei ora?>>
<< A casa mia, perché?>>
<< Okay, ce la fai a venire al Pandemonium tra dieci minuti?>> sembrava particolarmente tirato e l'asiatico cominciò ad insospettirsi e ad agitarsi.
<< Non credo che il Pandemonium sia il posto giusto. Facciamo al magazzino di Lily?>>
<< Sto uscendo ora, muoviti.>> e riagganciò la telefonata.

Non gli era piaciuto per niente il tono di quella telefonata.
Per prima cosa Raphael sembrava impegnato più nello scaricare merce che nel sistemare gli affari del suo hotel, e già questa era una cosa strana visto che non usciva praticamente mai dall'ufficio. Poi il fatto che si fosse riferito ai suoi sottoposti con quel dialetto, che neanche lui poteva capire, gli fece sorgere il sospetto che non volesse coinvolgerlo in qualcosa.
Così come lo era lui e lo era stato Ragnor, anche Raphael era nel giro, solo su un fronte diverso dai loro. Se Magnus faceva scambi e favori, risolveva problemi e trovava merci e se Ragnor era un esperto d'arte in grado di recuperarti anche la Monna Lisa, Raphael offriva una cosa estremamente più preziosa: pace e anonimato. Se qualcuno riusciva a pagare i suoi servigi neanche la CIA poteva più rintracciarlo. Diventavi invisibile, meglio ancora, come morto.
Si passò innervosito il telefono da una mano all'altra.
Era solo una piccolissima coincidenza, solo una piccola nota a margine ma ormai, con tutta quella storia, anche il più insignificante dei dettagli gli metteva l'ansia. Cosa stava scaricando Raphael? Perché non voleva parlare per telefono?
Lanciò uno sguardo a Simon, ancora disteso sul tappeto ed espirò forte dal naso.
Non gli sarebbe piaciuto, Alexander non gli avrebbe mai permesso di andare da solo ad un appuntamento con Raphael, ma era anche vero che la sua presenza avrebbe insospettito troppo il messicano e non gli avrebbe detto più niente. Santiago si fidava della polizia quasi quanto lui.
Poteva dirlo a Simon, ma anche in questo caso la presenza del ragazzo avrebbe infastidito il suo amico e per di più non voleva averlo sulla coscienza. Da solo poteva muoversi indisturbato per New York, sfruttando i suoi appoggi, le sue scorciatoie, ma con quel nerd al seguito… No, non poteva portarlo con sé.
Guardò ancora il telefono e poi lo strinse con forza nella mano.
Marciò a passo di carica verso la sua cabina armadio e prese una sobria maglia nera, afferrò al volo il suo cappello dei Lakers e gli occhiali più scuri che aveva.
Quando gli passò davanti Simon ci mise un secondo a rendersi conto di cosa stava per fare l'altro e si alzò con sorprendente velocità, afferrandolo per un braccio.

<< Che credi di fare?>> gli chiese allarmato.
<< Ho ricevuto una telefonata da un amico, ha delle informazioni che potrebbero esserci utili ma vuole vedermi di persona. >> alzò una mano stroncando sul nascere qualunque protesta del castano,
<< Mi fido di lui Simon, lo conosco da una vita e so che è uno dei pochi che può aiutarci sinceramente.>>
Già il semplice fatto che lo avesse chiamato per nome lo aveva stordito, significava che era una faccenda seria, vero? Tentennò.
<< Lo hai detto ad Alec?>>
Magnus fece una smorfia, << Per sentirmi dire di aspettarlo e che verrà con me?>>
<< Ma non puoi andare da solo! Ascolta, vengo io con te- >>
<< No. Davvero. Sono onorato che tu ti sia offerto di accompagnarmi, che non vuoi lasciarmi da solo e tutte queste cose qui. Ma sto andando nel mio ambiente, tra i miei amici e avere un poliziotto alle calcagna non mi aiuterà a farli parlare. Per di più non mi muoverei con la stessa velocità, dovrei tenerti costantemente sott'occhio- >>
<< Non sono un bambino Magnus, ho fatto l'addestramento anche io, so come difendermi.>>
<< Lo so anche io, ma non si può mai sapere con certa gente, se non sei del giro neanche i tuoi amici ti possono proteggere. Specie se vesti di blu.>>
Stava perdendo tempo, doveva sbrigarsi o non avrebbe beccato Raphael e quello se ne sarebbe andato.
Simon parve combattere una lotta interiore non indifferente ma alla fine annuì.
<< Però dammi la tua posizione, per favore. Se tra un ora non sei di nuovo qui chiamo Alec e non accetto un no come risposta.>> il suo sguardo fermo fece desistere Magnus da qualunque protesta e sospirando gli disse l'indirizzo.
<< Se tardo ti mando un messaggio con qualcosa tipo “si”. Va bene?>>
Simon abbozzò un sorriso, << “Si”? Sei così scontato Bane?>>
<< Oh, va al diavolo Sigmund!>> gli diede le spalle alzando gli occhi al cielo e si avviò verso la porta, lasciando l'involucro sicuro che era il suo appartamento e riversandosi nelle strade di New York City.


 

Il magazzino dove si sarebbero dovuti incontrare era un po' fatiscente ma di certo perfettamente in linea con tutti i palazzi che lo circondavano.
Magnus non vide nessuna macchina parcheggiata fuori dal capannone ma non se ne fece un problema, anzi, poteva solo significare che Raphael era già arrivato e i suoi uomini se ne erano già andati.
Batté un paio di colpi ritmati sulla porta laterale e poi l'aprì senza aspettare una risposta, oltre la soglia, con le braccia incrociate ed un cipiglio per niente felice se ne stava Raphael Santiago in tutta la sua cupa presenza.

<< Sei in un mare di guai, vero?>>

Magnus aveva sorriso e poi si era richiuso la porta alle spalle.
La faccia del suo amico faceva schifo ma questo non era una novità: Raphael lavorava come uno schiavo sottopagato, peccato che il suo stipendio fosse circa il quadruplo di quello del Presidente.
E no, non stava parlando del suo gatto ma proprio del Presidente.
Gli fece cenno di togliersi di lì e si sedettero su un vecchio divano che sicuramente aveva visto tempi migliori ma almeno conservava tutte le molle al posto giusto.
Per una strana associazione di idee gli ricordò quello malandato e logoro, vissuto, dell'appartamento del detective, e pensare che lo aveva visto una volta sola.
Si concesse un piccolo sorriso e poi concentrò tutta la sua attenzione sull'amico.
<< Non proprio. Vuoi la versione abbreviata, quella corretta delle stupidaggini che girano, o quella lunga e completa?>> si lasciò scivolare verso lo schienale e Raphael gli fece un gesto vago con la mano.
<< Abbreviata ma completa. Le cazzate che girano non mi interessano, so filtrare le informazioni giuste dalle dicerie.>>
L'altro annuì e s'affrettò a spiegargli la situazione. Gli fece un quadro completo della morte di Ragnor e lo vide serrare la mascella ed indurire lo sguardo. Proseguì dicendogli come, inizialmente, avesse cercato in tutti i modi di depistare il detective Lightwood per poi essere letteralmente preso per le orecchie da Catarina e costretto a collaborare. Il fatto che la donna avesse preso a cuore il poliziotto fu sicuramente un punto a suo favore perché il messicano alzò un sopracciglio e sembrò tanto sorpreso quanto un minimo speranzoso di aver trovato un vero uomo di legge.
Gli spiegò in breve la registrazione, le conclusioni giuste di Alexander -ed il fatto che lo chiamasse per nome non sfuggì all'altro- dell'aiuto di Simon, dei server, del virus e poi del vecchio “Circolo” di suo padre.
Raphael non aprì bocca fino a quando Magnus non accennò alla scatola delle cose di Ragnor e ai suoi appunti di circa una quindicina d'anni prima.
Storse la bocca e lo guardò con una strana luce negli occhi.

<< Non ti ricordi proprio nulla di Vladimir?>> chiese attento alla sua risposta.
Magnus si strinse nelle spalle,<< Che era il tuo capo tipo. Quando non avevi ancora l'hotel, giusto?>>
Quello annuì e spostò lo sguardo sul pavimento polveroso, << Valdimir il massacratore. Lo chiamavano Dracula perché tagliava la gola a tutti quelli lo intralciavano o non gli stavano a genio. Li dissanguava e li lasciava davanti ai covi dei loro amici, davanti alla porta del loro capo, li faceva ritrovare alla polizia o ai famigliari. Era un folle, spietato, un vero criminale. Lo hanno catturato alla fine degli anni novanta. E' il caso che ha portato il culo del Vicecapo della PD dov'è ora.>>
<< E' ancora in prigione?>>
Un verso di scherno uscì dalle labbra dell'altro, << Dios, no, assolutamente no. New York era l'ultimo posto in cui si era stabilito. Hanno fatto in modo e maniera che venisse processato in Texas, dove aveva operato i primi anni.>>
<< Mh, pena di morte eh?>>
<< Puoi dirlo forte. Nessuno di noi è stato troppo dispiaciuto. Quando lo hanno beccato sapevamo che se fosse uscito ci avrebbe ammazzati tutti, uno per uno, solo perché erano riusciti ad arrivare a lui e noi non eravamo caduti per difenderlo. Bastardo.>>
<< Non capisco perché Ragnor doveva aver il suo nome segnato su quel quaderno però.>>
Raphael si strinse nelle spalle, << Non lo chiamavano Dracula solo per quel suo amabile vizietto. E neanche perché el hijo de puta era mezzo rumeno. Aveva una vera e propria ossessione per quei cazzo di vampiros, si faceva cercare edizioni vecchie di secoli in cui si parlava di quelle bestie del demonio, quadri che li rappresentavano.>> scosse la testa e sospirò pesantemente, << Non mi sorprenderebbe che Ragnor gli abbia fatto qualche consulenza. Dovresti provare a vedere se in passato ci sono state mostre che hanno ospitato pezzi del genere.>>
Il silenzio il avvolse per un attimo e poi Magnus lo ringraziò mestamente, assicurandogli che avrebbe seguito il suo consiglio.
Raphael lo guardò per un lungo istante, controllò il palmare e poi guardò di nuovo l'amico,
<< In che guai ti stai andando ad infilare Mags? Ti rendi conto di che nervi stai andando a toccare? Addirittura il vecchio Circolo di Asmodeo e il mio ex capo. Quei due sono stati in affari per anni, quanti altri mostri sacri della criminalità tirerai fuori? Vuoi risvegliare tutti i principi dell'inferno?>>
Magnus fece una smorfia, << Non c'è bisogno che sia tu a dirmelo Santiago, so che è un casino ma non sono io quello che ci rischia di più qui in mezzo.>>
<< Intendi il tuo amico poliziotto ed il nerd?>>
Un verso insofferente lasciò le labbra seccate dal caldo dell'asiatico, << Simon è al sicuro, Alexander si farebbe sparare in fronte pur di proteggerlo. E' proprio lui che mi preoccupa, sto cominciando a capirlo sempre di più ogni giorno che passa. Lo do quasi per certo che questa storia non finirà senza lui con una qualche ferita da arma da fuoco.>>
<< Tutto sta a vedere chi gli sparerà, se i nostri o i suoi.>>
<< Tutto sta a vedere a chi spareranno. Alexander è troppo bravo per farsi beccare.>>
L'amico lo guardò interrogativo, chiedendosi se non lo stesse idealizzando un po' troppo ma l'altro gli fece un cenno con la mano come a dirgli di dargli retta.
<< Il punto di domanda sarà solo tra chi ed il proiettile si metterà Occhi Belli.>>
<< Occhi Belli? Davvero? Beh, finché ti fa da scudo umano cosa ti preoccupa? Tu sei al sicuro, non è sempre questo che ti è importato? Tu al sicuro e tranquillo e gli altri ad ammazzarsi come vogliono?>>
Magnus tacque e dovette pensare seriamente alle parole del messicano.
Era quella la sua filosofia di vita no? Aveva sempre fatto in modo di essere al sicuro, dietro al suo bel muro protettivo, non gli era mai importato di chi morisse al posto suo o per lui.
Eppure, pensò, se ci fosse stato proprio il detective tra lui e la morte?
Non metteva in dubbio che Alexander sarebbe corso a proteggerlo, diamine era la definizione di poliziotto perfetto, solo che…
Con una strana lucidità si rese conto che se fosse morto per lui, per proteggerlo e non importava da chi, dal mondo di chi, Magnus non se lo sarebbe mai perdonato e avrebbe portato la sua dipartita sulle spalle per tutta la vita sino alla propria di morte.

Ho trovato l'unica persona corretta di New York, non è giusto che muoia per me. Non è giusto che muoia e basta, esattamente come Rag.

Guardò Raphael dritto negli occhi scuri e curiosi, c'era una patina di consapevolezza che lo lasciava sgomento e si rifletteva nei suoi di occhi.

<< Questa volta, mio caro, farò in modo e maniera che non ci sia nessun caduto.>>


 

Osservò la porta chiudersi e sospirò pesantemente.
Non aveva cavato un ragno dal buco, era questa la triste verità.
Tolse il telefono dai pantaloni e sbloccò lo schermo, trovando tra le chiamate rapide sia il numero di Alexander, e Dio non voglia era perfettamente consapevole che se lo avesse chiamato il quel momento entro pochi minuti sarebbe piombato in quel magazzino pronto a strangolarlo con le sue stesse mani; ed il numero di Simon.
Sorrise domandandosi da quando quei due erano rientrati tra le sue chiamate più frequenti ed un po' si rattristò, pensando che un paio di mesi prima c'erano solo Catarina, Ragnor e Raphael in quella lista.
Oh, si, e il numero delle emergenze di suo padre, come scordarlo.
Spostò il dito sul numero di Simon senza però cliccarci sopra. Adesso chi gli diceva che aveva rischiato di farsi beccare da chiunque avesse ammazzato Rag per un pugno di mosche?
Storse il naso e si lasciò sfuggire un lamento infantile, non voleva litigare con il topo e non voleva sentirsi fare la ramanzina da un minorenne, soprattutto non voleva sapere quanto, come e in che modo Alexander si sarebbe infuriato per la sua avventatezza per poi fargli il culo a stelle e strisce.
Sospirò e pigiò sullo schermo avviando la telefonata e controllando l'ora prima di avvicinarsi l'apparecchio all'orecchio.
Erano passati dieci minuti, poteva uscire lui adesso.
Il telefono squillò un paio di volte, poi la voce ansiosa di Simon gli vibrò nell'orecchio:

<< Sei sano e salvo? Sei vivo? Hai scoperto qualcosa o mi hai fatto inutilmente morire di paura per tutti i precedenti- cinquantadue minuti?>>
Magnus alzò gli occhi al cielo e spinse via la porta di lamiera, << Sono sano e salvo, sono vivo e ciò che ho scoperto è interessante.>>
<< E inerente con il nostro caso? Quello di Ragnor o quello del Circolo, o solo interessante per te?>>
Si morse la lingua, quel dannato nerd o era più perspicace di quello che credeva, o stava passando troppo tempo con lui e ormai aveva imparato almeno a fiutare i suoi metodi di distrazione.
<< Non sono cose di cui parlare al telefono Steve.>>
<< Quindi è un “interessante solo per me”. Fantastico! No, dico davvero, mi sono mangiato tutte le unghie per niente.>>
<<
Dio, che cosa disgustosa. Tu e le tue unghie non toccate il mio tappeto.>>
<< Ci sto sdraiato sopra Mags…>>
<< Fa lo stesso, non lo toccare o mi tiri i fili. E quanto questa storia sarà finita ti porto dalla mia manicure. Non è una proposta, è un ordine.>>
<< Non prenderò impegni per “quando questa storia sarà finita”.>> Lo sentì sbuffare dall'altro lato della linea e si ritrovò a sogghignare divertito. Uscì dal cancello semi rotto e si guardò attorno per controllare che la strada fosse libera.
<< Bravo Sephtimius. Hai anche sentito il nostro fiorellino?>>
<< Vuoi sapere se l'ho informato della tua enorme cazzata e se lui mi ha sbroccato per telefono?>>
<< Detto così sembra peggio della realtà, ma si, in sunto si. Comunque potresti dirgli che sto bene.>>
<< Oppure potresti chiamarlo tu, informarlo e dirglielo di persona.>> propose divertito.
Magnus fece un'ennesima smorfia e si accigliò quando un riflesso fastidioso gli colpì gli occhiali, voltò il viso alla vetrina di un negozio chiuso e si specchiò un attimo per vedere le sue condizioni pietose. Quel caldo lo stava distruggendo.
<< E farmi fare la paternale via telefono?>>
<< Sarebbe in luogo pubblico, non potrebbe urlarti contro e non potrebbe insultarti o ricordarti quanto questo caso sia delicato e pericoloso.>>
<<
Quindi mi suggerisci di chiamarlo e dirgli che- >> si bloccò lasciando scemare la frase mentre aguzzava la vista e si avvicinava alla vetrina sporca ed opaca ma che gli ridava un perfetto riflesso della sua figura e dell'ambiente circostante. Si abbassò gli occhiali sul naso sudato, ignorando la voce di Simon che gli suggeriva prima cosa dirgli e poi gli domandava se lo stesse ascoltando.
<< Ma che diavolo?>>
Un puntino luminoso brillava sulla sua spalla, più precisamente da qualcosa dietro la sua spalla, in alto, una finestra.
<< Magnus? Mi senti? >>

Fu un attimo, Magnus ci mise una frazione di secondo a capire cosa fosse quell'insolito luccichio.
Ma spesso “una frazione di secondo” è tutto ciò che serve affinché sia troppo tardi.

Lo sparo rimbombò per tutto l'isolato deserto. Stormi di uccelli si alzarono in volo scappando spaventati quando la vetrina andò in frantumi sotto il peso del corpo che gli era crollato contro.
Una pioggia di schegge rifletterono il cielo di un azzurro sbiadito dalla calura estiva, bordate da un rosso denso e vischioso.


 

<< Magnus? Magnus! Cos'è stato? Magnus?! Mi senti? Rispondimi cazzo! Che succede? Magnus? Magnus? Magnus!>>







 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX


 


 

Correva più velocemente possibile, schivando tutti i curiosi che si erano riuniti alla fine dell'isolato e saltando di volata una carrozzina lasciata per storto sul marciapiede. Poggiò il piede sul copertone di un'auto e ci salì sopra senza troppe cerimonie, estraendo il distintivo dalla cinta lo allungò verso l'agente che gli stava venendo incontro per fermarlo.

<< Detective Lightwood, omicidi.>> non gli diede neanche il tempo di replicare, scivolò sul cruscotto e corse sotto il nastro giallo teso.
Vedeva le volanti parcheggiate e l'assembramento degli uomini della scientifica che vorticavano verso l'angolo della strada come mosche.
Un brivido gli scese lungo la schiena ed il sudore gli si congelò tutto addosso. Vide una figura alta ed imponente che poteva essere solo quella di Luke e un campanello d'allarme cominciò a suonare nella sua mente. Se avevano chiamato lui voleva dire che avevano riconosciuto la vittima. Non avevano chiamato una persona qualunque della OCCB, ma il Capo Garroway.

<< Merda.>> Si rimise a correre fregandosene dell'impressione che poteva dare a chi lo stava osservando.
Non poteva essere successo davvero, non davvero. Doveva starsene a casa, tranquillo e al sicuro a lavorare su quei dannatissimi documenti che aveva preso da casa di Fell. Non doveva andarsene in giro per New York con un pazzo che cercava di addossargli la colpa per l'omicidio del suo amico. Se l'assassino era davvero stato in contatto con suo padre poteva essere stato un suo amico come un suo nemico, poteva volersi vendicare di tutti gli scagnozzi di Asmodeus, Magnus aveva una freccia scintillante sulla testa, non poteva andarsene in giro.
Lucian lo intercettò quando era a meno di cinque metri dall'angolo, lanciò uno sguardo verso la scena del crimine e poi gli si avvicinò, costringendolo a fermarsi.
<< Alec- >>
<< Sta bene? Dimmi come sta? Lo hanno preso? E' grave? Voglio andare con lui in ospedale, non c'è bisogno dell'agente di scorta, ci salgo io sull'ambulanza. Devo- io devo vedere… Dio santo, doveva rimanere a casa sua. E' colpa mia, se solo fossi rimasto- >>
L'uomo gli mise le mani sulle spalle e lo costrinse a calmarsi, facendolo indietreggiare sino a spingerlo contro il cofano di una volante e farcelo sedere.
<< Ora ti devi calmare. Fai respiri profondi.>>
Alec cercò di fare come gli era stato detto e il Capo Garroway ne sembrò estremamente sollevato. Probabilmente anche lui si era reso conto che Alexander stava andando in una mezza crisi di panico e se ne era anche sorpreso: Lightwood era un detective della omicidi, era uno dei più giovani ma certo uno dei migliori. Dopo quattro anni sul campo non poteva credere che fosse così agitato per una sparatoria. Soprattutto visto il soggetto implicato.
<< Cosa ne sai? Chi ti ha avvisato?>> chiese con calma.
<< Simon. Mi ha chiamato e mi ha detto che mentre era al telefono con lui ha sentito uno sparo, un rumore di vetri e Magnus non gli rispondeva più.>>
L'uomo aggrottò le sopracciglia. Simon?
Sapeva che il ragazzo, quella sottospecie di figlioccio per lui, era stato assegnato al caso di Alec, glielo aveva detto Andrew così come gli aveva detto di tenerselo per sé, ma cosa c'entrava con questa storia? E poi, al telefono con Bane? Doveva rimanere a casa sua?

<< Alec, perché Simon era al telefono con Bane e perché ti stai dando la colpa di quanto è successo?>>
Il moro si morse il labbro frustrato, strappandosi le pellicine e drizzando il collo nel vano tentativo di vedere qualcosa oltre quella montagna d'uomo e l'angolo del palazzo.
<< Non posso dirti molto.>> provò diplomaticamente.
Poi fissò lo sguardo negli occhi verdi e confusi del poliziotto. Lo conosceva da una vita, era stato al suo matrimonio, quando avevano fatto coming out gli aveva dato una pacca sulla spalla e si era messo a ridere, sostenendo che da quel momento in poi sarebbe andato sempre lui a parlare con le indiziate, soprattutto le spogliarelliste. Non aveva mai dato motivo di dubbio, era sempre stato corretto. I suoi genitori si fidavano di lui, Simon si fidava di lui e anche Alec si fidava.
Prese la sua decisione.

<< Non ti piacerà quello che ti dirò e non sarà neanche tutto.>> lo vide drizzare le spalle e farsi terribilmente serio e guardingo.
Alec incrociò le dita e sperò di far la cosa giusta, di giocarsi bene almeno questa di mano.
<< Ma prima, per favore Luke, fammi vedere Magnus.>>
L'uomo lo scrutò con attenzione, soppesando le sue parole, il tono della sua voce, la sua agitazione, la sua postura e probabilmente anche la sua espressione apprensiva.
<< Lo hanno portato via neanche dieci minuti fa. Jordan è sull'ambulanza con lui. Vieni, ti porto in ospedale, abbiamo molto di cui parlare a quanto pare.>>


 


 

L'uomo scese dal vagone della metro con tranquillità ed estrasse il telefono dalla tasca continuando a camminare. Pigiò veloce il dito sul tasto verde e avviò una chiamata che venne presa entro breve.

<< Ha fatto?>>
Storse la bocca al solo sentire quella voce così supponente, e pensare che c'erano persone che la reputavano ammaliante ed affascinante. Un tempo l'aveva pensato anche lui.
<< Ha fatto ma non ha risolto. Era al telefono con qualcuno, i soccorsi sono stati chiamati immediatamente e per nostra sfortuna una volante era nei paraggi ed è corsa a dargli il primo soccorso. Possiamo solo sperare che ci siano complicazioni e che i medici non facciano il loro lavoro.>>
<< Allora vedi che sia così.>> fu la risposta perentoria.
<< Certo, come no, adesso corro al DownTown e chiedo chi deve operare Magnus Bane, perché chiunque sia non deve salvarlo ma lasciarlo morire, anzi, se ce lo ammazzano sul tavolo operatorio è anche meglio.>> Fece quello sarcastico.
Dall'altro lato arrivò solo un ringhio basso. Era incredibile come riuscisse a dimostrarsi alle volte tanto intelligente e furbo e altre un ragazzino viziato che batte i piedi. Ormai, doveva ammetterlo, si era ritrovato troppe volte a non sopportarlo più, ma purtroppo era in ballo e non poteva ritirarsi.
Non che avrebbe voluto farlo, s'intende.

<< Non usare quel tono con me.>> lo reguardì con asprezza, << Almeno il deficiente che ha sbagliato mira, di quello puoi occupartene no? Fallo sparire dalla circolazione.>>
Mormorò un vago consenso e poi aspettò che l'altro continuasse.
<< Se non puoi far niente per Bane, vedi di trovare quel dannato Circolo.>>




 

Luke aveva ascoltato in silenzio tutta la storia, tutto il resoconto che Alexander gli aveva fatto, anche se gli era costato molto. Si era dovuto mordere la lingua per non chiedere, per non interrompere, per non dire. Neanche un'esclamazione sorpresa era uscita dalle sue labbra.
Il giovane uomo che gli sedeva di fianco sembrava un po' più rilassato di prima, forse perché aveva potuto finalmente dire tutto a qualcuno, forse perché si stavano avvicinando sempre di più all'ospedale e di li a poco avrebbe rivisto Bane. Ancora non aveva capito che rapporto ci fosse tra quei due, se avessero stretto amicizia o Alec si fosse solo sentito responsabile per lui.
Forse, dovendo azzardare, avrebbe detto la prima.
Prese un profondo respiro e rimuginò su quanto gli aveva detto.
Il Circolo. Di nuovo.
Quella dannata operazione aveva rovinato la vita di tutti loro, nessuno escluso.
Crisi di panico, depressione, gestione della rabbia, disturbi vari, sindrome del sopravvissuto, lutti, divorzi, trasferimenti, dimissioni… li aveva rovinati senza possibilità di redenzione ed ora tornava alla carica.
Alec aveva ragione, quel ragazzo non era uno sprovveduto e malgrado Luke fosse convintissimo che a 25 anni non si era ancora adulti, che si era appena uomini, non poteva negare quanta maturità il moro aveva e avesse sempre dimostrato, il suo acume e la sua intelligenza. Con un moto di affetto pensò che molta della sua famosa attenzione ai dettagli derivasse da tutte quelle volte che aveva controllato i fratelli o li aveva tolti dai guai. Si concesse un piccolo sorriso, poi tornò al presente.

Quindi Fell era stato ucciso da un vecchio collega di Asmodeus, quel dannato mostro che malgrado la distruzione che si era portato dietro con il suo impero non era morto schiacciato sotto quelle stesse macerie. Il bastardo era scappato e Lucian ancora non capiva come avesse fatto.
C'aveva pensato così tanto, intere notti ed interi giorni e l'unica cosa che gli rimbombava sempre nella mente era un immagine sfocata e lontana nel tempo.
Un magazzino sporco e che puzzava di polvere da sparo e sangue. Valentine con i capelli bianchi come la sua faccia, sporchi entrambi di sangue e con quello sguardo scuro perso nel vuoto, un fantoccio. Andrew poggiato ad una cassa, che pareva sostenere da solo tutto il peso del cielo, che sembrava stesse per crollare e lasciar che la volta celeste e la terra si scontrassero.
Lui era fermo vicino al corpo esanime di Stephen, suo cognato era riverso a terra, il torace imbrattato di rosso, la pelle cadaverica, gli occhi spalancati nella morte.
E poi c'era Robert, inginocchiato tra la polvere ed il sangue, che disperato si stringeva al petto il corpo privo di vita di quello che era stato suo fratello, chiamandolo senza posa, chiedendogli di aprire gli occhi, di non lasciarlo. Lo ricordava piangere senza vergogna nel suo dolore, ripetergli ancora e ancora che non poteva finire così, che non poteva lasciarlo, non poteva lasciarlo…


 

<< Ti prego. Ti prego Mich, apri gli occhi, resisti, arrivano i soccorsi. Mich? Apri gli occhi, per favore. Non lasciarmi così. E' colpa mia, è tutta colpa mia. Dovevo entrare io, dovevo prendermele io quelle pallottole. Ti prego. Non lasciarmi. Michael… è colpa mia… è tutta colpa mia… me lo avevi detto...>>

“Me lo avevi detto”.
Queste le immagini che da ventotto anni popolavano periodicamente i suoi incubi.
Queste le parole che più delle preghiere sconnesse e deliranti di un fratello distrutto da dolore gli rimbombavano per la testa.
Oh, gli aveva chiesto spiegazioni, poi. Gli aveva domandato perché fosse colpa sua, se fosse semplicemente perché l'ordine d'entrata era stato cambiato o meno, ma in quel periodo, in quei primi anni, Robert non era neanche l'ombra di sé.
E come sarebbe potuto esser il contrario?
Maledetto, quel caso, quell'operazione, quel blitz e quell'uomo. E tutto ciò che ne era derivato.
Si schiarì la gola e cercò le parole giuste con cui iniziare a parlare, grato ad Alec che non gli stava mettendo fretta e non lo tempestava di domanda.

Non sarebbe da lui. Tutti i criminali che interroga li prende per sfinimento.

Optò per la verità cruda e crudele.
<< Quell'operazione è maledetta.>>
Alexander annuì, glielo aveva ripetuto la Herondale e anche i suoi genitori.
<< Ne siamo tutti usciti peggio di come ne siamo entrati, il che è normale, si, quando finisci un'operazione sotto copertura sei distrutto ma… quella è stata la nostra maledizione, la nostra “notte della verità”. Tutta la nostra vita, le nostre carriere, sono culminate in quella notte dannata.>>
Fissò per un attimo la strada senza vederla, gli ingorghi del traffico newyorkese che lo trascinavano lontano negli anni per poi sbatterlo nel presente.
<< Il nostro equilibrio ed i legami che ci legavano si spezzarono. Chi perse persone amate, chi morì anche senza essere stato direttamente coinvolto in quelle vicende. Non so se hai letto tutti i fascicoli, tutti resoconti, ma se è così, per favore, non giudicarci.>>
Alec scosse la testa, << Non mi azzarderei mai a farlo, sarebbe troppo facile da fuori.>>
Luke gli diede ragione.
<< Era già complicata come ce l'avevano posta, sapevamo a cosa andavamo incontro ma eravamo appena usciti da Quantico e credevamo di essere imbattibili, di avere una marcia in più. E per molto tempo è stato davvero così. I primi mesi eravamo perfetti, recitavamo le nostre parti come dei perfetti commedianti. Solo che quando si porta in scena per troppo tempo lo stesso personaggio si comincia ad assimilarne le caratteristiche, senza rendersene conto.
Ci ritrovavamo così negli attimi di solitudine a renderci davvero conto di ciò che avevamo detto e fatto, di come ci eravamo comportati senza batter ciglio. A ripensarci ora mi faccio schifo da solo.
I primi colpi sono arrivati alla fine del primo anno: il dipartimento non ci aiutava, voleva sempre che li informassimo dei traffici più importanti ma non potevamo farlo, non con tutti, perché ci avrebbe smascherati. Eravamo in sei lì dentro, ti rendi conto di cosa vuol dire coordinare sei persone? Se beccavano uno di noi, in automatico, beccavano tutti. Ma la burocrazia non può capire, quelli ai piani alti che se ne stanno sulle loro comode e sicure poltrone… per questo ho sempre rifiutato di far carriera politica, non fa per me, ho troppo rancore verso quella gente.>> Sospirò.
<< Non tutti la pensano così però. Mio padre, il Capo Balcktrhon, il Vicecapo…>>
<< Tuo padre lo capisco, anche Andrew alla fine. Il primo non voleva più vedere una sola ferita da arma da fuoco, ha avuto problemi con la vista del sangue per non so quanti anni. Andrew invece ha una famiglia numerosa, lo stipendio da Detective non gli bastava, se pensi poi anche ai problemi dei figli...ma Val… lui, beh, forse dovevo aspettarmelo.>>
Alec lo guardò di sottecchi e prese coraggio per porre una domanda che non avrebbe voluto fare davvero.
<< Sui documenti di mio padre… c'è scritto qualcosa su un litigio tra di voi, che vi hanno dovuto dividere.>> lasciò la frase in sospeso ma da come l'uomo si irrigidì capì sia che si aspettava quella domanda, sia che gli faceva quasi ribrezzo rispondervi.
<< Disse delle cose, a mia sorella. Lei era la moglie di Stephen, si erano sposati quasi un anno prima dell'operazione. Posso capire che era distrutto, che non ce la faceva più, che il suo matrimonio con Jocelyn stesse finendo e che quella fu solo la scintilla che fece scoppiare il fuoco, che si accanì contro Ama perché era la prima che gli capitò sotto mano… ma non le chiese mai scusa, non si rimangiò mai quanto detto. Amatis era a pezzi, come tutti noi del resto, ma quando lo rivide dopo che Imogen gli aveva spiegato quanto era successo, perse la testa: lo accusò della morte di Stephen, gli disse che era tutta colpa sua, che aveva cambiato l'ordine dell'entrata, che non li aveva preparati a dovere, che era il capo dell'operazione e aveva mandato i suoi uomini a morire.
Val non reagì bene: le disse cose terribili, come non fosse colpa sua se suo marito era un incompetente, se si era fatto ammazzare perché non era abbastanza bravo, che non era colpa sua se aveva preferito morire piuttosto che tornare da lei… cose pesanti che ci fecero litigare e dividerci per sempre. Per di più sono sempre stato molto amico di Jocelyn e in quel periodo cercavo di starle vicino il più possibile perché era nato Jonathan da poco e stavano pensando anche al divorzio, Val mi accusò di averlo tradito, io come amico e lei come moglie. Fu davvero la goccia che fece traboccare il proverbiale vaso. Venimmo alla mani e ci beccammo una nota disciplinare. Io abbandonai l'OCCB e chiesi di essere messo alla stradale. Valentine puntò alla politica, divorziarono definitivamente e qualche tempo dopo nacque Clary . Credo che tu ricorda il mio matrimonio, no?>> gli sorrise cercando di spezzare la tensione e Alec annuì restituendogli il sorriso, conscio di quanto dovesse essere dura per lui parlare di quelle cose.
<< Sai, è stato proprio alla stradale che ho incontrato Bane, o meglio, che l'ho rincontrato. Lo avevo visto di sfuggita una volta che era ancora piccolo, credo che Valentine e Stephen siano stati gli unici a vederlo davvero. A questo punto penso che tu lo sappia, Bane è- >>
<< Il figlio di Asmodeus, si. E avrei gradito saperlo prima. Avrei potuto muovermi meglio e invece ora sono in un pantano perché nessuno di voi ha pensato fosse utile dirmi che Bane e Fell erano legati ad un giro ancora più grande di quello che ipotizzavo.>> disse con tono improvvisamente duro.
L'uomo si accigliò, << Perché sei nei guai? Pensavo che Bane fosse il tuo uomo.>>
Alec scosse la testa, negando. << No, non è lui, nella maniera più assoluta.>>
<< Ma era sulla scena del crimine e- >>
<< Era il miglior amico di Fell, lo aveva chiamato per un aiuto, non si sentivano da mesi. Ma tutti abbiamo subito puntato il dito verso di lui perché era più comodo.>> fissò male il capo della OCCB e sembrò tanto un genitore che faceva la paternale al figlio. Luke dovette ammetterlo: si sentì improvvisamente mortificato. Come faceva un ragazzino di 25 anni a fargli venire i sensi di colpa?

Il grande talento di Alexander Lightwood, ora capisco quello che dicono Simon e Clary.

<< Quindi?>>
<< Quindi qualcuno ha cercato di incastrarlo e se la talpa è davvero collegata a questo omicidio faranno di tutto e di più per addossargli la colpa.>> spiegò spiccio sperando che l'agente arrivasse alla sua stessa conclusione.
Luke annuì, << E dato che ti sei fatto aiutare da lui tutte le prove saranno invalidate perché ti diranno che le ha compromesse per scamparla.>>
<< E se, in caso contrario, trovassi davvero la talpa… >>
<< Tutti i casi a cui lui ha preso parte verrebbero riesaminati o invalidati e ci sarebbero centinaia di processi, centinaia di ricorsi ed accuse. Gente che doveva stare dietro le sbarre avrà l'opportunità di uscire.>>
Il silenziò calò nell'abitacolo ed Alec si voltò sul sedile per guardare in faccia il suo superiore.
<< Che devo fare Luke? >> glielo chiese con così tanta sincerità, con così tanto bisogno che qualcuno lo aiutasse a capire a fare una scelta, che a Lucian fece tenerezza.
Capiva il suo problema: doveva decidere se sbattere dietro alle sbarre un uomo, per questa volta, innocente e quindi tenere in piedi tutti i casi risolti del vero colpevole – sempre che fosse un agente operativo- o se assicurare un assassino alla giustizia ma mostrare al mondo intero quanto questa sia terribilmente soggetta a contraffazione. Senza contare che se fosse stato davvero un membro di spicco si sarebbe messo contro una serie di personaggi altrettanto importati che avrebbero cercato di screditarlo con tutti i loro mezzi. Era difficile persino per lui una scelta così, per quanto la logica gli suggerisse che la risposta era semplice.

E lui era un poliziotto da trent'anni, non da cinque.

Lo guardò dritto negli occhi e prese un respiro profondo, lo stava forse condannando a morte come era successo con Michael, Stephen, Malcom, Maxwell e Will? Alla distruzione come ogni cosa toccata da quel maledetto Circolo? Ne avrebbe sopportato il peso?
Lo guardò, lo guardò davvero ed ebbe la sua risposta:

<< Fai la cosa giusta.>>

Il suo sguardo si fece deciso e serio, ogni traccia di smarrimento ed innocenza scomparsa, il poliziotto, l'uomo che era in lui lo fissò con un'intensità quasi destabilizzante e per un momento Lucian si soffermò a pensare quanto non avrebbe mai desiderato trovarsi sulla sua strada, quanto non voleva essere al posto del bastardo che continuava a rovinargli la vita da trent'anni precisi. Quanto non sarebbe mai voluto essere sulla linea di fuoco di quegli occhi blu. Gli occhi della legge.

No, non della legge. Della giustizia.
 

<< Lo farò.>>


 


 

Catarina voleva morire.
Non era un bel pensiero, non lo era assolutamente, ma se nel giro di due mesi uno dei tuoi migliori amici viene ucciso e all'altro gli sparano tutta questa voglia di restare ad affrontare il mondo non è che usciva fuori.
Non era potuta entrare in sala, non lo aveva neanche visto. Era riuscita a scorgere una barella che scivolava veloce sul pavimento liscio come un veliero sul mare calmo. Solo un nugolo di infermieri e paramedici a seguirlo.
Isabelle Lightwood le era rimasta vicina per tutto il tempo, dopo aver chiamato il suo amico ancora bloccato a casa di Magnus, i suoi fratelli, i suoi genitori, la marina, il KGB e Dio solo sapeva chi altro. Alla fine l'aveva lasciata solo per andare a recuperare quel Simon, quel santo ragazzo che era al telefono con Magnus quando gli avevano sparato e che aveva fatto arrivare i soccorsi ad una velocità impressionante. Si, Catarina sarebbe rimasta sola anche per ore per far si che il giovane potesse arrivare in ospedale e stritolarlo in un abbraccio.
Si stava davvero preoccupando però: Alec era corso via quasi un'ora fa, probabilmente era rimasto bloccato nel traffico, forse sulla scena del crimine, ma in quel momento l'avrebbe tanto voluto aver al suo fianco, pronto a sorriderle gentilmente come aveva fatto settimane prima con quello sconosciuto, dicendole che si sarebbe sistemato tutto. Lo aveva visto così agitato, era impallidito di colpo, come se poi fosse una cosa possibile! Più che impallidire Alexander Lightwood diventava quasi cianotico.
Sospirò pesantemente e si girò di scatto quando sentì le porte del corridoio aprirsi di colpo.
Alec entrò in gran carriera, seguito da un uomo dalla corporatura massiccia ed una folta chioma castana. Dal suo abbigliamento capì che era anche lui un poliziotto e probabilmente anche uno al comando… aveva un aria famigliare, sembrava quasi…
<< Agente Garroway?>> chiese confusa.
L'uomo le sorrise con educazione, << Signorina Loss, è da molto che non la vedo.>>
<< Dall'ultima volta che avete arrestato Magnus e che sono dovuta venire a pagargli la cauzione.>> disse lei asciutta, concentrando poi tutta la sua attenzione sul moro.
<< Scusa se c'ho messo tanto, siamo rimasti imbottigliati sul ponte.>> poi si guardò attorno e notò l'assenza di sua sorella, << Izzy?>>
<< Ha detto che andava a prendere Simon. Il poverino era fuori di testa, credo abbia avuto un crollo nervoso o una crisi isterica. Voleva venire qui da Mags.>> spiegò lei lasciandosi cadere contro lo schienale della panca.
Alec le si avvicinò e si sedette affianco a lei, Lucian rimase invece in piedi, un po' in disparte come a volergli dare privacy.
<< Cosa ti hanno detto?>> chiese cauto.
<< Che gli hanno sparato, credo al torace ma non ne sono sicura. Non mi hanno fatto vedere la cartella, non sembra neanche esserci, pare che l'abbia un agente che l'ha scortato.>>
Il ragazzo si accigliò: perché Jordan avrebbe dovuto prendere la cartella medica di Bane?
Gettò un'occhiata al Capo della Crimine organizzato, certo che avesse comunque sentito ciò che avevano detto e che potesse rispondere alle sue domanda, ma lui si limitò ad una scrollata di spalle.
<< Va bene, ce la faremo dare da lui allora. Conosco Jordan, ti assicuro che è un agente validissimo. E' amico di Simon e sicuramente è arrivato per primo perché sarà stato lui a chiamarlo. Quindi, se Simon lo ha mandato a prestar soccorso a Magnus invece di chiamare una volante qualunque… penso sia chiaro quanto ci fidiamo di lui.>>
Catarina sembrò rilassarsi a quelle parole ed annuì, chiudendo un attimo gli occhi.
Ora dovevano solo aspettare.


 

Isabelle e Simon erano arrivati prima che Magnus uscisse dalla sala operatoria.
Il ragazzo sembrava in iperventilazione e inutili furono i tentativi di calmarlo, finché Alec non lo minacciò pesantemente:

<< Ti avverto Lewis, se non ti calmi e non cominci a respirare come si deve, Luke dovrà firmare un verbale in cui mi accuserà di percosse aggravate contro paziente psichiatrico. E non sarà bello né spiegare perché ho picchiato un pazzo né perché sei ridotto così male da non poterti sottoporre ad una perizia.>>

Le fantasiose minacce di Alec avevano sempre funzionato e anche questa volta non fecero cilecca.
Fortunatamente poi arrivò Clary e non ci fu bisogno di inventarsi altro.
Era seduto nella sala ristoro dell'ospedale, Catarina di fianco a lui sembrava spossata ma reggeva fin troppo ben il colpo. Aveva preparato il tea per tutti, tranne per Simon, che avevano imbottito di camomilla e forse, forse, di qualche goccia di calmante.
Gli sorrise di punto in bianco dicendogli quanto fosse strano vedere tutte quelle persone riunite lì per Magnus.
A ben rifletterci, pensò Alec, c'era quasi tutta la sua famiglia: C'era Isabelle e c'era Jace. Clary si era fatta accompagnare da sua madre e ora lei e Luke se ne stavano in disparte a parlottare, probabilmente delle varie implicazioni del caso, della possibilità che se fosse stato riaperto avrebbero dovuto ritestimoniare. Poi c'era Simon, che se ne stava mezzo svenuto su una sedia di plastica accanto a Jordan. Davanti a loro era seduto suo padre, al telefono, probabilmente, con la Herondale e a quanto aveva sentito, forse sarebbe arrivato persino il suo Capo.
Scosse piano la testa e accennò ad un piccolo sorriso:

<< Non so quanto gli farebbe piacere sapere chi è qui fuori ad aspettarlo. Magari avrebbe preferito i suoi amici. Forse gli facciamo paura proprio noi, questo dispiego di forze dell'ordine tutte ammassate in sala d'attesa.>>
Catarina ridacchiò, << Oh, invece farebbe la drama queen come suo solito, ne sarebbe deliziato di tutto questo pubblico. E poi non credere, anche se i nostri amici non amano le forze dell'ordine, per vedere come stiamo e starci vicini affronterebbero anche tutto il dipartimento. Sono sicura che vedremo presto sia Raphael che Lily. Scommetterei anche su Melinor e su Quinn. Oh, e Malcom, anche lui verrà di certo. Spero solo non si presenti anche Camille.>> concluse quasi con orrore.
Fu il turno di Alec di ridacchiare, << Ex fidanzata?>>
<< Te ne ha parlato? >> sembrava sorpresa. Lui scosse la testa.
<< No, ma mi ha ripetuto più volte come fosse “libero come una farfalla” e dalla tua faccia ho fatto il collegamento più logico.>>
Catarina si strinse nelle spalle, << Camille è una spina nel fianco, meglio perderla che trovarla, ti giuro.>>
Si concessero entrambi qualche risolino divertito e poi tornarono in silenzio, sino a quando Jordan non bussò contro il telaio della porta e attirò la loro attenzione.
<< Alec, tuo padre e Luke ti vorrebbero parlare.>>
Il moro si accigliò ma seguì l'agente senza protestare, sino ad una stanzetta che ospitava dei letti a castello, forse per chi faceva i turni più sfiancanti.
Guardò i due uomini e poi si voltò verso la porta, da cui stava entrando in quel momento Simon:
<< Ho chiesto a Izzy, Clary e Jocelyn di far compagnia a Catarina. Non sono responsabile di Jace però, a lui non ho detto niente.>>
Robert fece un gesto vago con la mano e lo incitò ad entrare.
<< Che succede?>> chiese subito Alec non appena la porta si fu chiusa.
Jordan lanciò un'occhiata a Simon e il ragazzo annuì schiarendosi la voce, << Glielo devo dire io?>>
<< Dirmi cosa?>> domandò assottigliando lo sguardo e facendosi più attento.
L'altro deglutì, << Magnus… >> lasciò in sospeso la frase per abbastanza tempo da prendersi uno scappellotto da parte di Luke.
<< Non mettergli più ansia di quanta già non ne abbia.>>
<< Ehi! Anche io ero in ansia, ma poi mi sono calmato.>> fece con superiorità.
<< Ti abbiamo messo il diazepam nella camomilla, Sim...>> borbottò Kay a bassa voce.
<< Che avete fatto?!>> si voltò quello scandalizzato.
<< Vuoi deciderti a dirmi che succede o devo attaccarti all'appendiabiti?>> lo stroncò subito Alec minaccioso, avanzando d'un passo verso di lui.
Nessuno si mosse nella stanza, né per fermarlo né per aiutare Lewis. Alla fine il castano annuì intimorito.
<< Gli hanno sparato alla spalla, ma lo hanno preso di striscio.>>
Uno strano senso di calma gli scivolò addosso. Gli parve quasi di aver ingoiato un liquido caldo e dolce che gli si espanse per tutto il torace, irradiandosi per ogni terminazione sanguigna e nervosa. Respirò a pieni polmoni senza rendersi conto di averlo fatto piano, quasi sottovoce, per tutta l'ora precedente.
<< Da quanto lo sai e perché non me lo hai detto.>> non era una domanda, solo l'elenco dei punti a cui Simon doveva rispondere ed il ragazzo si affrettò a farlo, incoraggiato da un'occhiata di Luke.
<< Da un bel po', a dirla tutta da quando è successo. Kay è arrivato sul posto e mi ha detto che la ferita era superficiale- Sia ben chiaro! Io ti avevo già chiamato in quel momento e ti avevo detto che gli avevano sparato! Solo che- >>
<< Che hai pensato bene di farmi prendere un infarto non dicendomi niente?>>
Il castano abbassò la testa mortificato, << Io avrei voluto dirtelo, solo che… >>
<< Solo che?>>
<< Gli è stato dato ordine di non farlo.>> Robert prese la parola spazientito, << Hanno chiamato sia me, che Lucian, che Andrew che Imogen. E' stata lei ad ordinargli di stare zitto e far credere a tutti che Bane fosse gravemente ferito. Jordan è entrato con lui in pronto soccorso e ha sottratto il referto medico.>>
Alec guardò a lungo suo padre cercando di capre dove volesse andare a parare. Poi un fulmine a ciel sereno:

<< Per far credere a chiunque ci controlli che Magnus è ferito gravemente e magari anche in pericolo di vita. Se sanno che sta per morire cercheranno di completare il lavoro, e verranno in ospedale, quindi li beccheremo. O lo lasceranno stare sperando che la natura faccia il suo corso.>>
Sospirò e si avvicinò ad uno dei letti, per sedervici sopra e prendersi la testa tra le mani, stanco di tutta quella storia.
Simon gli si avvicinò tentennando, ma poi si sedette al suo fianco e prese coraggio per porgli quella domanda che tanto lo opprimeva:

<< Quindi pensi che lo vogliono uccidere per colpa di suo padre?>>
Il moro ci pensò su per un po', poi scosse la testa, << Non credo Simon. Ma credo invece che sia tutto collegato al Circolo.>> alzò di poco la testa per poter guardare suo padre e Lucian, << Anche l'omicidio Fell. Ormai ne sono sicuro: Ragnor deve aver riconosciuto nel suo compratore un ex collega di Asmodeus, o un suo contatto, non lo so. L'assassino credeva di passare inosservato, magri neanche voleva chiedere a lui ma sapeva che era l'unico che poteva recuperargli ciò che voleva. Quando ha realizzato che Fell lo aveva scoperto lo ha ucciso. Poi Magnus si è presentato sulla scena del crimine e non dev'essergli parso vero, era il capro espiatorio perfetto. Avrà pensato che lo avremmo subito arrestato ed incriminato solo perché è Magnus Bane, ma io invece non avevo collegato il loro passato se non come amici e mi sono fatto aiutare da lui. In un modo o nell'altro deve averlo scoperto e pensando che forse mi avrebbe portato alla verità ha cercato di farlo fuori.>> sospirò pesantemente, << No, suo padre non c'entra se non indirettamente. Questa storia ruota tutta attorno ad un banale quanto sfortunato riconoscimento. Se Fell non avesse collegato il cliente al passato sarebbe ancora vivo e noi non sapremmo niente di talpe e spie nel dipartimento. Dico bene?>>
Fu Robert ad annuire e passarsi una mano sugli occhi, stanco quasi come il figlio, molto più di lui in modo diverso.
<< Per questo abbiamo deciso di tenere Bane qui in ospedale solo per lo stretto indispensabile. Finiti i tempi d'osservazione lo porteremo in una casa sicura sino alla fine del caso e l'inizio del processo. E- alzò una mano per bloccare sul nascere le proteste del figlio- lo so che vorrai andare con lui. Imogen ne è già al corrente e ha detto che è sicura che ti dimostrerai un ottimo agente di scorta. Purché tu continui ad indagare nel frattempo.>>
Alec gli rivolse un sorriso sinceramente grato ed annuì, restando però fermo su quel materasso anche quando gli altri si congedarono ed uscirono dalla sala, finché non rimasero solo i due Lightwood.
L'uomo avanzò verso di lui e prese il posto di Simon, sedendosi in una posa identica a quella del figlio.
<< Lucian mi ha detto che avete parlato dell'operazione Circle. Mi ha spiegato anche cosa gli ha detto… me lo ha spiegato anche Imogen e comprendo perché non me ne hai parlato direttamente. Hai agito come un poliziotto, non ti rimprovero niente Alexander, anche se mi sarebbe piaciuto sapere tutto dall'inizio so che eri legato.>> non provò neanche a guardarlo in faccia e proseguì a parlare, << So anche che vorresti farmi delle domande… che hai letto i fascicoli, i miei e quelli di tua madre sicuramente, chissà che terribile impressione devo averti fatto...per di più avrai visto anche le mie cartelle cliniche… >>
<< Si, ho letto tutte le cartelle e tutti i rapporti, ma come ho detto a Luke, non mi permetterei mai di giudicarvi, non oserei mai, non voglio neanche immaginare di trovarmi nelle vostre stesse condizioni…e poi… -arrossì un poco- è vero che hai cominciato ad uscire da… dal tuo periodo più nero, quando sono nato io?>>
Robert rise senza gioia, << E' davvero educato da parte tua chiamarlo in quel modo, ma credo che non bisogna temere di chiamare le cose con il loro nome, quindi facciamolo: depressione. Sono stato in cura da uno psichiatra per quasi cinque anni, tutti quelli dell'inchiesta, perché ero depresso dalla morte di Michael, da quella di Stephen e da tutto ciò che avevamo fatto.>> si voltò verso di lui questa volta, le mani protese nel nulla, le guardò, guardò lui e poi si fissò definitivamente sui suoi palmi.
<< Non importa quante volte le lavi, le mie mani sono sporche di sangue e lo saranno per sempre.>>
Seguì un silenzio denso e pesante, poi l'uomo continuò:

<< Quando abbiamo organizzato il blitz c'era un ordine d'entrata: primo Valentine, poi Michael e poi io. Eravamo i tiratori scelti, io e Mich, eravamo i migliori e per quanto Stephen fosse bravo non ho mai capito cosa spinse Valentine a farlo passare avanti a me. Mi sono detto che forse pensava che io non fossi abbastanza bravo in un eventuale corpo a corpo, o magari voleva far andar per primi quelli che interpretavano la parte dei più intelligenti, dei più assennati. Avevamo delle parti sai? Te lo hanno detto? Beh, loro erano quelli teoricamente più “riflessivi”, ma allora avrebbe dovuto scegliere Andrew… non lo so Alec, sono anni, trent'anni che me lo chiedo e non capisco. Ho solo una certezza: sarei dovuto morire io al posto di Stephen.>> rise di nuovo, un verso strozzato che parve più uno sbuffo, << Tua madre mi prendeva a sberle ogni volta che lo dicevo, mi rinfacciava che se fosse stato così a quell'ora la vedova sarebbe stata lei. Ma io ero in un tunnel buio che pareva senza uscita e solo quando mi ha detto di essere incinta ho cominciato a pensare che invece un modo per tornare in superficie ci fosse. Quindi si: ho cominciato a guarire dalla depressione con la tua nascita. Avevi un anno quando ho smesso di prendere gli antidepressivi. Io non volevo che fossi figlio unico come lo ero stato io e anche Maryse era ferma nella convinzione che non volesse che un giorno tu restassi solo. Ho smesso di prendere quella roba perché non volevo influenzasse il concepimento o qualunque altra cosa. L'anno dopo è nato Jace.>>
Alec sorrise, << Jonathan Michael.>>
<< Già.>>
Stettero ancora in silenzio, entrambi a ragionare sulle parole appena dette.
Poi Alexander si voltò verso il padre,<< Perché non mi hai detto di Bane?>>
Quello ridacchiò, << Tuo fratello mi ha preso in contropiede, lo devo ammettere. Però la verità è che non volevo segnarlo, non volevo credere che fosse come il padre, non volevo credere che i figli fossero uguali ai genitori perché… forse perché non volevo credere che i miei di figli, specialmente te, potessi essere uguale a me.>>
<< Eppure ci somigliamo molto, anche caratterialmente.>>
Questa volta Robert rise di cuore e poi scosse la testa, << Dio, no Alec, non ci somigliamo molto. Non vedere come sono ora, dovresti fare il paragone su com'ero prima… somigliavo molto più a Jace che ha te.>>
Il ragazzo alzò un sopracciglio. << Vuoi farmi credere che ti vestivi da ribelle, andavi in discoteca sino alla mattina ascoltando musica da spaccare i timpani e bevevi come un alcolista?>>
<< No, devo ammettere che per il tratto da alcolista ha ripreso tutto da tua madre, non puoi neanche immaginare come regga bene l'alcol Maryse, a me viene la sbornia triste.>>
<< Beh, almeno ora so da chi devo andare a lamentarmi sia per i caratteri dissoluti dei miei fratelli sia per la mia “sbronza triste”.>> continuò a scherzare il moro, poi si ricordò, << Ho visto una foto di voi da giovani, vestiti da punk. Jace e Izzy dicono che è per questo che non ci avete mai detto troppo durante i nostri di periodi di ribellione.>>
<< I tuoi fratelli non sono mai stati punk, non insultiamo la classe, erano delle bambolette gotiche.>> Alec rise. << E il tuo periodo di ribellione tua madre ringrazia ancora il cielo durante le sue preghiere perché lo abbia fatto terminare. Se fosse durato un po' di più saresti andato in giro a protestare contro il sistema e ti saresti affiliato a Greenpeace.>>
Alec rise ancora ma scosse la testa, cercando di protestare e far notare a suo padre quanto fosse melodrammatico.
<< Come Iz, ecco da chi ha ripreso anche questo tratto.>>
L'uomo gli sorrise, << Me lo diceva sempre Mich che ero troppo teatrale alle volte.>> poi si rabugliò. << Lo fossi stato un po' meno forse non sarebbe morto.>>
<< Non darti colpe che non hai, non sei stato tu a sparargli.>>
Roberto scosse la testa. << Vero. Ma potevo proteggerlo però, potevo fare qualcosa, lui… >> si fermò lasciando scemare la frase. Dentro di lui un grande scontro s'aggitava, scegliere cose dire o non dire, se fosse giusto o meno. Poi espirò e decise che suo figlio meritava di sapere, soprattutto perché era impantanato in quel caso quasi quanto lui.

<< Qualche tempo prima, già dalla fine del primo anno, Michael cominciò a dirmi che qualcosa non gli piaceva, che aveva una strana sensazione. Io gli dissi di non pensarci, che eravamo da talmente tanto tempo lì dentro che ci stavano venendo le paranoie. Mi diede ragione sino a metà anno, poi ricominciò a dirmi che qualcosa non gli quadrava e allora, più per tranquillizzarlo che per altro gli dissi che doveva darmi delle indicazioni più precise e che avremmo controllato.
Secondo lui alcune delle nostre soffiate, di quelle che comunicavamo, non arrivavano complete o come minimo mancava sempre una certa parte di quello che avevamo individuato.
Indagammo, ci provammo e scoprimmo che uno degli scagnozzi di Asmodeus arrotondava il salario rubando merce al suo capo. Non finì bene per quel tipo e noi ci calmammo momentaneamente. Solo che Michael non si dava pace, continuava a ripetermi che non era lui, che quel tipo poteva aver rubato qualcosa ma che non poteva manomettere le nostre soffiate. Credemmo addirittura che ci intercettassero ma niente anche su quel fronte: Hodge controllò tutti i sistemi più e più volte fino alla nausea, lo faceva così spesso che ormai era diventato un automa. Fu Malcom, il padre di Lewis, ad accorgersi di una piccola microspia piazzata su Valentine, ma era in un paio di scarpe che non usava spesso e quindi non serviva a molto. La eliminammo comunque ovviamente.
Michael continuò a dirmi che aveva questa strana sensazione sino alla fine, sino al blitz, e a quel punto credo che lo avesse detto anche agli altri. Era la fine dei giochi, non lo avrebbero preso per pazzo e si poteva fare di tutto praticamente, eravamo alla resa dei conti.>> giocò con la fede dorata, girandola attorno al dito un paio di volte prima di abbozzare un sorriso sbilenco come quello di Alec.
<< Non riesco a togliermi dalla testa che se fossi stato più attento, se avessi scoperto ciò che Michael solo intuiva, forse sia lui che Stephen sarebbero ancora vivi.>>
Il ragazzo attese con pazienza che il padre continuasse il racconto e quando si rese conto che non lo avrebbe fatto si decise a porre le sue domande.
<< E gli altri? Zio, il signor Lewis, il nipote della Herondale.>>
Robert scosse ancora la testa. << Max morì per colpa di una stupidaggine: cadde dalle scale per un calo di zuccheri, si ritrovò con un trauma cranico che costrinse i medici a metterlo in coma farmacologico. Morì mesi dopo. Malcom, cinque anni dopo la fine dell'inchiesta ebbe un infarto. Will invece morì in servizio.>>
<< Allora perché la Signora dice che sono tutti collegati?>>
<< Perché era tutta gente coinvolta in un modo o nell'altro nel caso. Max era procuratore generale. Malcom ebbe l'infarto dopo che ritrovò una cartella risalente ai due anni sotto copertura, a Will invece sparò un malvivente qualche mese dopo che aveva deciso di rivedere i documenti del cugino per aiutare Amatis a togliere quella roba da casa. E' maledetto, capisci?>>
Alec annuì. << Lo dite tutti.>>
<< Perché è vero.>>
Tacquero un poco, poi Robert gli diede una pacca sul ginocchio e si alzò, incitandolo a seguirlo per andare a parlare con gli altri.
Solo quando fu sulla porta il figlio lo richiamò, ancora seduto sulla branda.

<< Che c'è?>>
<< E' una domanda stupida, lo so, non dovrei neanche fartela forse ma ormai mi è entrata in testa e non riesco a togliermela.>> cominciò tentando di giustificarsi.
<< Dimmi.>> fece tranquillo il padre.
<< Quella notte, prima del blitz, voi venivate da una casa sicura, o comunque da un posto dove vi eravate preparati giusto? Armi, munizioni, protezioni.>>
<< Esatto, un vecchio magazzino abbandonato ma sicuro.>> annuì.
<< Di che erano fatti i vostri giubbotti antiproiettile, com'erano?>>
Robert ci rifletté sopra per un momento, forse stupito dalla domanda ma deciso a rispondere con precisione.
<< In kevlar, perché? >>
Alec trattenne il fiato ma suo padre non lo vide nella semioscurità della stanza.

<< Niente, curiosità.>>


 

Non lo avevano spiegato agli altri, ovviamente. Gli venne solo detto che Magnus era fuori dalla sala operatoria e che era andato tutto bene. In privato, a Catarina, decisero di dire che le ferite dell'amico non erano così preoccupanti e che lo avrebbero spostato in una casa sicura, certi che la donna si sarebbe fatta uccidere invece di rivelare la verità.
Ebbero tutti l'obbligo di star zitti in ogni caso e non appena fu possibile si fiondarono nella camera sorvegliata del malato.

Magnus se ne stava tranquillo sul letto bianco, con la spalla sinistra fasciata di tutto punto e la vestaglia dell'ospedale pallida quasi quanto Alec. Dormiva beato smaltendo ancora i postumi dell'anestesia e il detective si sentì in dovere di passare un braccio attorno alle spalle di Catarina e di sorreggerla mentre si portava una mano al cuore ed espirava sollevata.
Fece cenno ai suoi famigliari di lasciarli da soli e permise solo a Simon di rimanere in camera, gli altri se ne andarono con la promessa di farsi dare notizie sulla salute dell'uomo.
Jace lanciò un'occhiata d'intesa al fratello poco prima di uscire dalla stanza, il messaggio era chiaro: “poi ne parliamo”, Alec era perfettamente consapevole che non se la sarebbe cavata con una pizza e quattro chiacchiere in compagnia come l'ultima volta.


 


 

La prima cosa che avvertì fu un intenso odore di pulito, forse anche troppo pulito. Si strofinò una mano sugli occhi, assonnato, per poi bloccarsi e rendersi conto della cavolata appena fatta. Guardò allarmato il suo palmo ma rimase interdetto: nessuna macchia di trucco? E dove diamine erano i suoi anelli?
Delle voci sommesse attirarono la sua attenzione, mise a fuoco la stanza d'ospedale dov'era e poi due figure alla finestra, che gli davano le spalle.
Una era alta, dal portamento eretto e quasi formale avrebbe detto, se non fosse stato per la posa rilassata delle spalle e per la testa, che pendeva leggermente di lato, inclinata verso la seconda figura. Teneva le mani dietro alla schiena, tirando una giacca scura che gli faceva caldo solo a guardarla. Non ebbe bisogno neanche di osservare bene i capelli scuri dell'uomo, chi altri poteva tenere la giacca del completo a New York, a luglio, con più di 36 gradi?
Alexander Lightwood stava parlando con quello che era palesemente Simon Lewis, la sua posa più nervosa, lo sguardo perso fuori dalla finestra, sul traffico della DownTown, la mano destra che in continuazione andava ad alzare gli occhiali che gli scivolavano sul naso per il sudore.
Non capì cosa si stessero dicendo e per un secondo non capì neanche perché era lì.
Poi ricordò i documenti di Ragnor, i suoi vecchi quaderni degli appunti, il nome di Dracula, la telefonata e poi l'incontro con Raphael che gli diceva di stare in guardia. La via isolata, la vetrina scura e sporca. Il suo riflesso, un luccichio, lui che si avvicinava per osservare meglio e vedere un punto luminoso che usciva da una finestra.
Si era sbilanciato, forse troppo in avanti, e quando aveva sentito lo sparo era saltato verso il vetro senza neanche rendersene conto. Un dolore bruciante gli aveva incendiato la spalla e poi tante piccole punture, le schegge di vetro probabilmente, che lo ferivano un po' ovunque. La botta contro il pavimento di cemento era stata quella finale: era svenuto.
Si massaggiò la testa e poi, con delicatezza, si passò le dita su tutto il volto, cercando di capire l'entità dei danni che avevano fatto quei vetri spietati e sicuramente così sporchi da trasmettergli qualche malattia. Gliel'avevano fatta l'antitetanica? E l'antirabbica? Sperava vivamente di si.
Fece una smorfia infastidita ma la sua attenzione venne subito attratta dal detective della omicidi. Vide le spalle di Alexander irrigidirsi improvvisamente, il collo distendersi e la schiena portarsi nella posizione più dritta possibili. Le mani si strinsero una sul polso dell'altra e se Simon provò a chiamarlo debolmente, per non disturbare lui di certo, Alec lo ignorò completamente.

<< Ben svegliato.>> disse solo nel suo normale tono di voce.
Simon si voltò di scatto e Magnus lesse tutto il sollievo nei suoi occhi nocciola.
Poveraccio, erano al telefono quando gli avevano sparato, chissà che colpo si era preso.
Provò a sorridergli nel suo solito modo affascinante ma non servì a niente, il castano neanche lo vide, due secondi dopo si era fiondato sul letto per abbracciarlo e digli quanto si era preoccupato, quanta paura gli aveva messo e come fosse felice che stesse bene. Alexander li osservava da lontano con un sorriso indulgente sul volto, per nulla intenzionato a salvarlo, come se reputasse quell'eccesso d'affetto la giusta punizione per essere uscito di casa senza avvertirlo.

Cazzo, me lo ero dimenticato che non sapeva niente.

Forse la sua espressione fu così palese che non avrebbe dovuto sorprendersi di vederlo serrare la mascella, indurire lo sguardo ed annuire una singola volta con un cenno secco del capo.
<< Simon, lascialo o dovranno rimettergli i punti e questa volta non gli permetterò di anestetizzarlo.>>
Il ragazzo si ritrasse e fissò Magnus un po' dispiaciuto, sia per averlo stritolato, sia per non poterlo aiutare in quella situazione.
<< Se farmi abbracciare da te significa evitare che papà mi sgridi torna immediatamente qui Samuel.>>
Simon ridacchiò ma si fece indietro, poi guardò Alec e poi di nuovo lui: il suo sorriso si era ampliato ed aveva assunto una sfumatura un po' sadica.
<< Allora andrò a chiamare Catarina e dirle che ti sei svegliato. Buona fortuna!>> scomparve alla velocità della luce e l'asiatico ebbe appena il tempo di mormorare un “traditore” che Alexander aveva già chiuso la porta e si era avvicinato al piano ai piedi del letto, versando un bicchiere d'acqua e porgendoglielo.
<< Devi reintegrare liquidi, è importante dopo un intervento.>>
Magnus sorrise, << E tu lo sai perché ti hanno sparato, giusto? Non mi hai mai detto com'è successo, mi piacerebbe davvero ta- >>
<< Non provarci. Non mi freghi in questo modo. Sono un detective, Magnus, e se questo non bastasse, mio padre è un poliziotto, mia madre è un avvocato e io sono fratello maggiore. So quando la gente cerca di sviare un discorso ed il semplice fatto che finora ti abbia concesso di farlo non vuol dire che non me ne sia mai reso conto.>>
Gli fece cenno di bere ed aspettò, controllando che svuotasse il bicchiere prima di poggiarlo al suo posto e sedersi sulla sedia vicino al letto.
<< Dovevi dirmelo.>>
L'altro sospirò e chiuse gli occhi, << Mi avresti fatto andare?>>
<< No.>> rispose subito senza esitazione. << E non avrei sbagliato.>>
<< Non sapevo di essere seguito, non lo avevano fatto o me ne sarei accorto. Qualcuno deve avergli detto dove stavo andando e mi hanno aspettato fuori.>> cominciò già innervosito. I farmaci lo rendevano lento e gli davano la sensazione di muoversi nel fango.
<< O potrebbero averti rintracciato.>>
<< Ho usato la linea sicura di Simon.>> si giustificò subito, come se lui non c'avesse pensato.
<< Magnus, >> cominciò Alec pacato, << il fatto che la tua linea ed il tuo dispositivo siano sicuri non implica che lo siano anche quelli dei tuoi contatti. Una linea telefonica è sicura quando non è rintracciabile, quando è privata. Noi non abbiamo una linea, abbiamo dei telefoni non rintracciabili. Se chiami me, Simon, mio padre, il Capo Blackthron o persino mio fratello la tua telefonata sarà quasi impossibile da rintracciare perché il segnale rimbalzerà per mille ripetitori. Se chiami un tuo amico arriverà dritto a lui e sapranno cosa vi dite, non dove sei certo, ma cosa vi dite e dove avete appuntamento si.>>
L'uomo lo guardò quasi ferito da quella realizzazione, << Vuol dire che ho rischiato di far ammazzare anche Raphael?>> chiese piano.
Alec scosse la testa, << Non gli sarebbe servito a niente ucciderlo se non scatenare l'ira di tutto il suo hotel di morti.>>
Si lasciò sfuggire un sussulto sorpreso. << Sai chi è?>>
Lui alzò un sopracciglio, << Scherzi?>>
<< Come fai a conoscerlo?>>
<< Chi non conosce Raphael Santiago? E poi scusa, secondo te che cosa ho fatto per tutto il tempo in cui sei stato addormentato? Mi sono girato i pollici? Ho risposto a più telefonate sul tuo telefono che sul mio in un anno. Santiago sembrava vagamente in colpa per non averti riportato personalmente a casa. Mi ha chiesto di riferirti che spera vivamente che tu muoia di colera o di una qualunque malattia orribile, lunga e deteriorante e che la prossima volta che ti sparano sarà meglio che sia una cosa definitiva o ci penserà lui.>>
Magnus lo guardò apertamente sorpreso, non capendo il perché di tutta quella situazione.
Non perché Raphael gli augurasse la morte, questo era normale, ma perché il detective si era sprecato a rispondere al suo telefono e non lo aveva semplicemente spento.

<< Perché se fossi stato io quello a chiamare per sapere come stavi avrei voluto che qualcuno mi rispondesse e mi desse delle informazioni.>> rispose semplicemente.
<< Avresti chiamato per sapere come stavo?>> chiese quindi alzando lui un sopracciglio.
<< Sono corso dal DownTown alla zona industriale di Brooklin, credo di aver quasi travolto una carrozzina e sono abbastanza sicuro di essere salito in piedi su un auto per scansare la folla. Se non fosse stato per Luke sarei tornato qui a piedi solo per mandartici personalmente all'altro mondo.>>
Eppure la minaccia neanche poi così velata dell'ultima frase non fu praticamente presa in considerazione da Bane che invece sogghignò, << Ti sei messo a correre?>>
<< Simon mi ha chiamato e mi ha detto che ti avevano sparato, cosa avrei dovuto fare?>>
<< E hai quasi investito una carrozzina?>>
<< Era in mezzo alla strada, il bambino lo aveva in braccio la madre ma non puoi lasciare il passeggino al centro del marciapiede.>>
<< E sei salito su una macchina...>>
<< La gente era accalcata vicino alla banda gialla. Non riuscivo a passare così sono salito sull'unico rialzo che mi avrebbe permesso di svettare sopra a tutti e farmi vedere dagli agenti di pattuglia.>>
<< Ma se non ci fosse stato Luke saresti tornato a piedi. Aspetta: ma ci sei anche arrivato a piedi?>>
<< No, ho preso un taxi, la macchina era al parcheggio e c'avrei messo troppo a prenderla. Ma si, corro abbastanza veloce.>>
Il ghigno di Magnus ora gli occupava tutta la faccia e non riuscì a trattenersi dal continuare con le sue domande.
<< Eri preoccupato per me?>>
Alec lo guardò come se fosse stupido e forse un po' lo era se gli chiedeva una cosa del genere.
<< Ti hanno sparato. Certo che ero preoccupato.>>
<< Così tanto da farti Brooklin-DownTonwn a piedi di corsa?>>
<< Quando spararono a Jace la prima volta mi feci Upper East Side- Queens a piedi.>>
Finalmente Magnus si lasciò sfuggire un suono deliziato dalle labbra screpolate, << Oh, fiorellino! Hai paragonato la mia sparatoria a quella di tuo fratello? Ma allora mi ami veramente!>> batté le mani ancora più divertito ma sul volto di Alexander non passò né sorpresa, né imbarazzo né fastidio.
<< Certo, ormai sei mio amico, ne dubitavi forse?>>

Magnus si bloccò, le mani ancora unite, gli occhi sgranati puntati su quelli blu del giovane che lo guardò con sincerità e tranquillità, come se avesse solo ribadito un dato di fatto.
Una scintilla divertita gli colorò il viso, poggiò la mani sulle ginocchia e vi fece leva per alzarsi, mentre Magnus rimase imbambolato, balbettando a tratti frasi e parole spezzate.
Alexander si sedette sul bordo del letto e diede uno sguardo ai monitor che registrarono l'aumento delle pulsazioni dell'uomo, si concesse un sorriso.

<< Mi reputi tuo amico? M-m-ma… ma io, io sono un criminale, un malvivente- >>
<< Indisponente e palesemente contrario alla polizia, un ostruzionista che mi ha fatto girare a vuoto per settimane. Che mi ha aperto le porte di casa sua e mi sta aiutando con un caso per dar giustizia al suo amico. Che ospita Simon nella stanza degli ospiti anche se finite sempre per addormentarvi sul divano facendo maratone di telefilm. Che gli compra la coca cola perché lo vede ancora troppo piccolo. Che mi ha consolato quando mi sono reso conto di essermi fatto trascinare troppo dagli eventi. Che mi ha mostrato casa di Ragnor con tutto l'orgoglio che sono sicuro avrebbe avuto il suo proprietario. Che fa battute stupide, che s'impegna ogni giorno per dimostrarmi che il suo quoziente intellettivo è ancora più basso di quanto pensassi, che sbuffa e che trova informazioni che io non mi sarei mia sognato di trovare. Che chiama Simon per assicurarlo che l'incontro è andato bene e che ha paura di chiamarmi e dirmi le cose perché sa di essere uno schifoso viziato che crede di poter far tutto quello che vuole ma poi si ricorda che non è solo in questa storia e che deve preoccuparsi anche per noi.
Come potresti non essere mio amico?>> gli chiese infine dolcemente.
Magnus non aprì bocca, stralunato da quelle parole e anche profondamente colpito.
Chi era stata l'ultima persona ad elencare pregi e difetti che aveva ma ad asserire che nonostante tutto fossero amici?
Raphael. E da quanto si conoscevano? Quindici? Vent'anni?
E da quanto conosceva il detective? Due mesi?

<< Io non so che dire.>>
Alec rise di cuore facendogli sciogliere un peso che aveva nel petto e che neanche si era reso conto di portare.
Si sporse verso di lui e lo abbracciò con ferma delicatezza, facendo attenzione alla sua spalla e a tutti i fili che lo collegavano ai monitor.
Il senso di calore che gli si irradiò nel petto Magnus stentò a ricollegarlo a qualcosa. Non ricordava davvero quando avesse provato una sensazione simile, forse mesi, anni prima. Forse quando era andato a riprendere Catarina in aeroporto dopo quasi sei mesi che non si vedevano. Forse quando Ragnor gli aveva fatto vedere per la prima volta casa sua dicendogli che era di tutti loro. Forse quando un piccolo Raphael aveva picchiato quei ragazzini e si era messo tra lui e loro, intimandogli di lasciar in pace il suo amico. Forse quando suo padre tornava a casa dopo mesi e mesi e lo prendeva in braccio, stringendolo e dicendogli quanto gli fosse mancato il suo mostriciattolo.
Chiuse gli occhi e ricambiò la stretta, forse un po' più forte di quanto non fosse quella del moro, aggrappandosi quasi a lui e lasciandosi andare contro il torace ampio del giovane che lo sostenne senza difficoltà, che non fece una piega quando nascose il volto contro la sua spalla e come un macigno gli cadde addosso la consapevolezza che gli avevano sparato, che avevano cercato di ucciderlo.
Alec non lo lasciò neanche quando un singulto gli scappò dalle labbra e quando cominciò a tremare sotto la realizzazione di ciò che era successo ore prima. Che gli avevano sparato, gli avevano sparato.

Mi hanno sparato. Potevo morire, potevo morire.

La stretta del detective si fece più forte, lo avvolse ancor di più e lo cullò in quel momento di dolore e paura, di sconcertante verità dei fatti.
Tutto assieme, tutto troppo assieme, si poteva dire?
Con respiri tremuli Magnus strofinò il volto contro il colletto della camicia bianca dell'altro, inspirandone quel mix di odori puliti che aveva sentito giorni addietro nell'atrio di casa di Ragnor.
Ragnor che non c'era più, che gli avevano sparato esattamente come era successo a lui ma che a differenza sua non era stato così fortunato da scampare al proiettile.
Non riuscì a trattenere le prime lacrime e neanche i singhiozzi che ne seguirono.
Che fosse perché avesse capito che aveva rischiato di morire, che ancora si fosse ridetto che il suo amico non sarebbe più tornato indietro, che aveva messo in pericolo tutti coloro che gli rimanevano, Catarina, Raphael, persino Simon; che avesse realizzato di punto in bianco che Alec, se fossero stati assieme, si sarebbe beccato la pallottola al posto suo o che avesse fatto mille altri ragionamenti, Magnus non avrebbe saputo dirlo. Sapeva solo che anche lui era umano e che tutti quegli eventi, quella paura, quella rabbia, quel dolore non poteva sopportarli, non da solo.

Ma forse da solo non lo era più.

Alec non si mosse, non parlò e non fece nulla, lasciandolo sfogare e sorreggendolo, proteggendolo in un momento di fragilità estrema che poche volte l'altro si era concesso, sino a quando non parve calmarsi.

<< Sono felice che tu stia bene, mi hai davvero fatto preoccupare. Quindi per favore, non farlo mai più, okay? Ora ci sono io qui, puoi contare su di me. Ci penso io. Ci sono io.>>

Magnus scoppiò di nuovo a piangere e questa volta, avrebbe potuto dire che fosse per gratitudine o probabilmente per lo stesso nuovo ed insensato affetto che provava il detective per lui e che era incredibilmente ricambiato.


 

No, non era più solo.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X


 


 

Si chiuse la portiera alle spalle ed avanzò verso la casa ben tenuta.
Controllò di nuovo l'indirizzo solo per sicurezza e poi diede uno sguardo al telefono per vedere se c'erano stati problemi mentre lui era in viaggio.
Sospirò sconfortato quando si ritrovò la sequela di messaggi, alternati, di Simon e Magnus sul gruppo di whats app creato qualche giorno prima dal castano. Litigavano per qualcosa di stupido, come sempre, e chiedevano a lui di dire rispettivamente all'altro che avesse ragione e che doveva smetterla. Visualizzò solo per fargli capire che aveva visto e non rispose per rendergli più chiaro che non gli interessavano le loro assurde liti su non voleva neanche sapere cosa.
Scorse il messaggio di Clary che gli chiedeva un favore solo perché sapeva perfettamente che Jace aveva combinato qualcosa e che la rossa voleva che lui gli facesse cambiare idea.
Si fermò solo quando incontrò l'icona del gruppo dei suoi fratelli e si accigliò, che volevano?


 

Max
Siete tutti liberi questa sera?


 

Izzy
Certo!


 

Magnifico JaceBastBro4Eva
Come da accordi litbro.

Alec se Calry ti scrive ignorala.


Izzy
Cioè fai come fai sempre.


 

Max
Alec! Che persona terribile sei? Come puoi ignorare Clary?


 

Magnifico JaceBastBro4Eva
Sento dell'ironia nelle tue parole…


 

Max
Al massimo la leggi…


 

Izzy
BOOOM! Becca e porta a casa!

Alec non capì che cavolo stavano combinando quei tre.

Sta sera cosa?
Perché come da accordo?
Ora che mi hai detto di ignorarla leggerò subito cosa vuole.
Io non ignoro Clary.
Si era ironia.
Jace mi sorprende che tu l'abbia capito.
Max non fare il puntiglioso, che sai perfettamente che poi si ricorda che è un bambino speciale e ci rimane male.
Iz, la prossima volta il diazepam lo do a te, non a Simon. Calmati.


 

Scrisse tutto alla velocità della luce, un elenco di cose che voleva sapere e che, ne era certo, i suoi fratelli c'avrebbero messo un po' per rispondere.
Soprattutto se si mettevano a discutere su “come” rispondergli sul loro di gruppo. Come se lui non sapesse che avevano una chat senza di lui. Purtroppo per Alec i suoi amati fratellini avevano deciso di fare dei gruppi per ogni “formazione” come la chiamavano loro.
Quindi c'era il : “LightwoodBrothers”, dove c'erano tutti. Il “ BlackLightwoods” dove mancava solo Jace. Il “BastBadBoys” senza Izzy, il “TheBigger” senza Max e per finire i “YungerbutBetter” senza di lui.
E Alec c'avrebbe scommesso il distintivo che in quel preciso istante la chat dell'ultimo gruppo stesse scoppiando.
Lanciò un'ultima occhiata all'anteprima della discussione tra Magnus e Simon e poi mise la vibrazione e si apprestò a bussare alla porta.

Casa Herondale era semplice ma pulita. Ad aprirgli era stata una donna molto bella ma decisamente più giovane di quanto non si aspettasse. Quella si presentò come Tessa Gray, la moglie del defunto Will Herondale, nonché cognata della padrona di casa. Amatis invece somigliava per molti versi a Luke e Alec non dovette stupirsene più di tanto.
Furono entrambe molto gentili con lui e gli offrirono una bevanda fresca mentre lui, a grandi linee e senza scendere nel dettaglio, raccontava loro perché fosse andato a fargli visita e cosa ciò avrebbe comportato.
Stranamente nessuna delle due parve voler saperne di più, probabilmente essere mogli, sorelle anche, di poliziotti aveva insegnato loro a non porre troppe domande e ad accontentarsi di ciò che potevano sapere.
Ascoltarono attentamente ogni singola parola, ogni evento così come glielo presentava Alec e alla fine chiesero solo come potevano aiutarlo a mettere definitivamente il punto a quella storia.

<< Vorrei sapere se potete dirmi qualcosa che non so.>> chiese con delicatezza.
Amatis si strinse nelle spalle, << Non so cosa potrei dirti. Ero a conoscenza dell'operazione solo perché Step mi aveva detto che lo avevano selezionato e che quella era una grande opportunità. Lui e Lucian erano così felici… anche gli altri, sai, li conoscevo da molto tempo, da quanto erano adolescenti e pensare a come li ha ridotti quel caso mi fa ancora venire i brividi.
A raccontarmi tutto fu Imogen. Quella povera donna soffrì tanto quanto me, mh, che egoista che sono, lei ha perso un figlio, avrà sofferto anche più di me. Non potrò mai saperlo, per fortuna o sfortuna che sia. >> disse amaramente.
Tessa affianco a lei annuì. << Will non c'entrava niente invece. Capisco perché Imogen te ne abbia parlato, effettivamente in un certo senso è “legato” al caso ma in modo indiretto.
Successe circa un paio d'anni dopo la fine del processo. Will non ha mai accettato la morte del cugino, erano cresciuti inseme, come fratelli e la cosa lo ha distrutto anche se voleva mostrarsi forte e non lo avrebbe mai ammesso. Amatis aveva lasciato New York che il processo era ancora in corso, quell'anno morì il procuratore generale, l'avvocato- >>
<< Maxwell Trueblood, era mio zio.>> soffiò piano Alec. Le due donne lo guardarono con lo sguardo di chi capisce cosa voglia dire perdere una persona cara, poi Tessa continuò a raccontare.
<< Ama ci chiamò chiedendoci di aiutarla a togliere i documenti di Stephen dalla loro vecchia casa.>>
<< Non ho mai avuto il coraggio di venderla… >> constatò a bassa voce la donna, rivolta a nessuno.
<< Come ho detto, erano passati un paio d'anni ed eravamo felici che si fosse sentita finalmente pronta per affrontare la cosa, anche se a piccoli passi. Will decise di occuparsi dei documenti di lavoro perché aveva paura che potesse esserci qualcosa di riservato che andasse consegnato alle autorità e subito dopo divenne strano.>>
<< Cosa trovò?>> chiese Alec attento.
Amatis si strinse nelle spalle e scosse la testa. << Nulla che io non avessi visto e che fosse riservato. Non è mai tornato a casa in quei due anni, non ha mai usato il suo studio. Ci entravo solo io per dare una spolverata e per lasciare le lettere che mi mandava.>>
<< Le scriveva della corrispondenza?>> sorpreso guardò la donna aspettandosi che negasse, che gli dicesse di no, che aveva capito male e che nessuno sano di mente manderebbe delle lettere alla propria moglie quando è sotto copertura. Eppure la donna annuì.
<< Venivano sempre da posti diversi, le lasciava in alcuni luoghi prestabiliti e poi Malcom o Hodge me le consegnavano. Alle volte dentro c'erano altre lettere indirizzate a sua madre o a Will, ma non c'è mai stato niente di sospetto, le leggevo attentamente.>>
<< E non l'ha mai colpita qualcosa? Una frase, una parola, un riferimento… >>
<< No, erano solo lettere in cui mi diceva quanto gli mancassi, come fosse dura, come se la stesse cavando Luke, cosa facevano gli altri, se ogni tanto c'era qualcosa di cui ridere o essere felici. Mi aveva mandato delle foto persino.>>
Un campanello suonò nella mente del giovane e si voltò cauto verso l'altra donna.
<< Suo marito ha visto quelle foto? Lei crede sia possibile che si sia reso conto di qualcosa che vuoi magari avete ignorato o a cui avete dato poca importanza?>>
La castana ci pensò per molto tempo, teneva lo sguardo fisso nel suo, il volto leggermente girato come se stesse cercando di ricordare cose distanti eoni.
<< C'era una foto di tutti loro con “gli abiti di scena”, quando si erano integrati nel gruppo. O di lui con un altro membro della sua squadra, mai con qualcuno del giro, con qualche criminale vero. Credo… ce n'era anche una in un hotel?>> chiese rivolta ad Amatis ma lei scosse la testa.
<< Era in un ufficio. Quella me la mandò perché erano tutti vestiti per bene, erano stati invitati dal loro capo a non so quale evento organizzato da lui e si erano ritrovati tutti assieme da quel mostro per scortarlo personalmente.>>
<< Potrei...vedere quella foto?>>
Amatis sospirò stanca. << Certo, ma non credo ci troverai nulla di utile.>> Si alzò e si diresse sicura verso una credenza, prendendovi da dentro uno scatolone di cartone pesante e frugandovi alla ricerca di qualcosa.
<< Era lo scatolone fatto da Will, lo portò a casa ed esaminò uno ad uno tutti i documenti che c'erano dentro.>> spiegò l'altra. Alec annuì e poi si protese in avanti quando gli venne passata la foto.

Ritraeva tutti e sei i giovani uomini che erano stati al centro di quel tornado. Tutti vestiti bene con completi di sartoria, sicuramente pagati dal loro capo, ma palesemente di stampo mafioso. Sembravano usciti da un film di Tarantino e Alec capì perché aveva voluto inviarla alla moglie, per farla sorridere, per fargli vedere “cosa gli toccava fare”.
Erano in un ambiente arioso, dalla moquette rossa che non faceva altro che aumentare l'opulenza di quella sala, dove una scrivania in legno antico troneggiava davanti ad un muro su cui era appeso un quadro che Alec riconobbe solo perché lo aveva visto a casa di Fell: la dama con il vestito grigio. A quanto pareva il Monet non era stato l'unico regalo che Amodeus aveva fatto a Ragnor.
Vedeva poi l'ombra di un uomo, probabilmente quello che aveva scattato la foto e… cos'era?
Avvicinò la fotografia al proprio volto e cercò di mettere a fuoco qualcos'altro. Sul bordo della finestra, nello spazio lasciato aperto dalle tende, si poteva vedere in lontananza un parco, probabilmente quello di Brooklin. Il cancello era aperto e parcheggiato lì davanti, assieme ad altre macchie ed un paio di vecchie moto, c'era un furgone bianco e sporco. O almeno gli sembrava da come era sgranata la foto.
Che fosse quella la cosa che aveva visto William Herondale e che lo aveva fatto insospettire?
<< Posso tenerla per un po'? Vorrei farla vedere ad una persona, poi gliela riporterò, glielo giuro.>>
Amatis gli sorrise senza gioia, << Puoi tenerla quanto ti serve, non preoccuparti.>>
La ringraziò ed infilò la foto nella tasca interna della giacca.
<< Dopo aver messo in ordine i documenti quindi, suo maritò cominciò a comportarsi in modo strano?>>
La signora Gray si lasciò cadere contro i cuscini del divano, Alec la vide giocare con gli anelli che portava al dito come spesso faceva suo padre e rimase per un attimo bloccato a fissare le sue mani: entrambe al dito anulare portavano un anello di fidanzamento ed una fede. Probabilmente la donna si era risposata.
Si ritrovò a sorridere. Almeno una delle due era riuscita ad andare avanti e a trovare di nuovo l'amore.
<< Esatto. Riprese in mano il caso anche se non voleva dirmelo apertamente. Non lo ha mai fatto ma io l'ho capito. Stava indagando su qualcosa che, secondo lui, non quadrava. Ricordo che chiamava spesso Hodge e Malcom per chiedergli qualcosa. Il primo sembrava aver il terrore anche solo di rivangare il passato. Il secondo aveva due figli piccoli da crescere ma provò comunque ad aiutarlo come poteva.
Alla fine anche Will si è fatto ossessionare dal caso: era stanco, nervoso, suscettibile, scattava per tutto e spesso non dormiva. Quando incontravamo qualcuno che aveva preso parte all'operazione lo guardava come se cercasse di leggergli l'anima. Alla fine era così teso che i suoi riflessi non furono abbastanza pronti. Venne colpito da un malvivente durante una sparatoria. Due spacciatori erano arrivati alle armi e nel tentativo di fermarli Will è morto.>> lo disse con amarezza ma anche con una sfumatura nella voce che non lo convinse.
Forse non ci credeva neanche lei?
Evitò di chiedere se credesse che era stato ucciso per metterlo a tacere, eppure la cosa sembrava lasciata per aria, così, proprio per farlo giungere a quella conclusione.
<< Va bene. Vi ringrazio molto per il vostro tempo. Vi prometto che cercherò di tenervi il più lontane possibili da questo caso e anche dall'eventuale processo che ne potrebbe derivare.>>
<< No.>> disse improvvisamente risoluta Amati alzandosi. In quel momento gli parve così simile a Luke che se la immaginò benissimo vestita da ufficiale o magari al fianco della Signora.
<< Sono anni che mi domando per quale motivo sia morto mio marito, se per una sua disattenzione, per colpa di Valentine che non ha diretto bene l'operazione, perché uno di quei bastardi gli ha sparato o semplicemente perché era destino. Ho perso la persona che amavo, non vedo quasi più mio fratello, la mia famiglia si è sgretolata per colpa di un caso di cui non saprò mai tutti i dettagli e di cui mi sono state e mi sono ancora taciute troppe cose. Ma se scoprirete cos'è successo, qualunque cosa sia successa, anche se Stephen è inciampato e si è sparato da solo, io voglio saperla. Voglio mettere fine a questa storia e dare finalmente pace all'uomo che amo.>>
Alec la guardò ammirato e si alzò in piedi anche lui per porgerle la mano. Lo fece esattamente come avrebbe fatto se ci fosse stato un uomo davanti a lui, anche se la cosa suonò estremamente misogina persino alla sua mente, Alec non si vergognava a dire che aveva sempre un occhio di riguardo per le donne, che non si comportava mai con gli stessi modi spicci e spesso duri che assumeva con un uomo. Che probabilmente le avrebbe stretto la mano delicatamente prima, quasi per paura di ferirla, ma che invece, ora, era più che convinto nello stringerle la mano come avrebbe fatto con il suo Capo o con Luke o con suo padre. Gliela strinse in modo saldo e forte, una stretta ed una promessa, un accordo preso. Risoluto. Un giuramento d'onore, il suo di onore.

<< Allora la chiamerò appena saprò qualcosa>>




Era già in macchina quando sentì dei colpi al vetro. Dalla parte del passeggero Theresa Gary gli faceva cenno di abbassare il finestrino e lui eseguì.
<< Come fa a stare con i vetri chiusi con questo caldo?>> proruppe asciugandosi la fonte.
Alec le sorrise ed accennò alla propria giacca, << Deformazione professionale, ormai non sento più niente.>> la guardò curioso, << Ho forse dimenticato qualcosa?>>
La donna scosse la testa e poi si guardò intorno nel chiaro movimento di chi non è sicuro di dire una cosa sensata o meno.
<< Può dirmi tutto quello che vuole signora.>> Alec conosceva fin troppo bene quell'espressione, spesso i testimoni credevano di aver visto cose impossibili o inimmaginabili e si vergognavano a dirlo alle autorità, ma lui sapeva quanto invece tutto fosse possibile. Anche la cosa più assurda.
<< Quando Will è morto non ho toccato i suoi di documenti per mesi. Poi quando mi sono decisa a farlo ho messo tutto via senza guardare. Il mio attuale marito era il miglior amico di Will, >> aspettò come una sua reazione, un suo biasimo ma Alec rimase impassibile, non era affar suo con chi si sposava o in chi aveva trovato la felicità dopo la dipartita del marito. La invitò a proseguire.
<< Ci siamo sposati tre anni dopo la morte di Will. All'anniversario della sua morte, il primo anno in cui eravamo sposati, Jem decise che doveva rivedere tutte le sue cose e metterle in ordine, che Will non meritava di aver tutto chiuso in anonimi scatoloni ma che invece avrebbe preferito che venissero usate. Prima che Will morisse… io ho dei figli, James...il mio primogenito si chiama come Jem e lui voleva che prendesse le cose di suo padre, che non fossero sprecate.
Trovammo una lettera, un plico di fogli a dir il vero, indirizzati a Malcom Lewis e glieli consegnammo senza neanche aprirli. Erano tra le sue cose di lavoro e se erano indirizzati a lui un motivo c'era. >> rimase in silenzio per un po', poi sospirò. << L'anno dopo Malcom ebbe un infarto e morì. Non riesco a non pensare che potremmo averlo ucciso noi. Non- non materialmente, ma che abbiamo rimesso in piedi la maledizione di quel dannato circolo. So che è assurdo… >>
<< Non lo è.>> la rassicurò subito Alec, << capisco la sua preoccupazione. Forse c'erano documenti inerenti al caso. Conosco il figlio di Lewis, Simon, è un mio amico e lavora proprio come il padre nel reparto informatico del dipartimento, chiederò a lui.>>
Tessa annuì e si morse un labbro. << Posso chiederle un favore?>> domandò quasi in un sussurro.
<< Se posso volentieri.>>
<< Se dovesse scoprire che Malcom è davvero morto per colpa nostra, perché gli abbiamo dato quei documenti- >>
<< Signora, non c'è nessuna maledizione… >>
<< Non ne sono così convinta sa? Però se in mezzo a quelle carte ci dovesse essere qualcosa che spinse Malcom a fare qualunque cosa che poi lo portò all'infarto… può chiedere scusa a suo figlio da parte mia? Anzi, può farlo appena lo vede?>>
Alec la guardò a lungo e poi annui. << Senz'altro signora Gray.>>
<< La ringrazio… sa, lei somiglia molto a suo padre e anche a sua madre per tantissimi versi. Eppure ha lo stesso sguardo gentile che aveva Michael e gli stessi occhi luminosi che aveva Robert quando stava con lui. Spero che ora Rob guardi lei e i suoi fratelli come un tempo guardava il suo, di fratello.>> gli disse con una nota amara e nostalgica nella voce.
Alexander le regalò un sorriso dolce e sincero, che riuscì ad incrinare la corazza di dolore che il ricordo aveva ricostruito attorno al cuore della donna, per poi farla crollare.
<< Lo fa. Un caso maledetto non può distruggere l'amore di un genitore.>>


 


 

<< Ho detto di no.>>
<< Non mi interessa.>>
<< Non ho intenzione di cedere.>>
<< Non puoi portarti tutta quella roba.>>
<< Si che posso!>>
<< No che non puoi!>>

Catarina alzò gli occhi al cielo e poi continuò a mettere in ordine il disastro che c'era a casa di Magnus. Simon, che era arrivato al loft assieme a lei, era impegnato in una litigata via web cam con Magnus, in ospedale e al telefono con Raphael che ogni tanto, dal vivavoce, lanciava qualche lamentoso segno di compatimento verso Simon che cercava inutilmente di far capir a Magnus che no, non poteva portarsi tutto il guardaroba a presso. Ovunque sarebbe andato.
Prese un paio di riviste e da lì cadde una ricevuta che la fece ghiacciare sul posto. Era un ordine per un traffico di alcolici che sarebbe arrivato direttamente da Cuba, uno dei soliti lavoretti di Magnus. Lanciò uno sguardo a Simon e vedendolo troppo impegnato a litigare si sbrigò ad infilarsi il foglio in tasca.
Come poteva quel cretino lasciare cose del genere in giro con due poliziotti per casa? Si, insomma, Catarina era convintissima che né Simon né Alec avrebbero denunciato il suo amico -il loro amico, ora lo era di tutti e tre- ma questo non significava che potesse lasciare i suoi “appunti di lavoro” ovunque.
Lanciò uno sguardo allo scatolone che era stato posizionato sulla poltrona, quello con dentro le cose di Ragnor e si avvicinò con non-calanche, frugandoci dentro. Osservò un paio di piccoli album fotografici pieni di foto loro, di quando erano piccoli, di vacanze fatte assieme e trattenne qualche lacrima solo perché, in quel momento, il suo compito era quello di togliere di mezzo tutte le cose possibilmente compromettenti per i suoi amici.
E se fosse venuto qualche agente a fare qualche sopralluogo ora che Magnus non poteva rifiutare di aprire la porta di casa?
No, scosse la testa e si rimise a cercare.
Trovò i vecchi quaderno d'appunti di Ragnor, come gli aveva raccontato Mags, ma poi sfiorò una copertina ruvida e la tirò fuori, aprendola con attenzione. Era vecchia e consunta e ospitava probabilmente i primi veri traffici di Rag. Sorrise, se la ricordava quella calligrafia, era così famigliare, eppure non aveva niente a che vedere con quella ordinata ed elegante del Ragnor di ora… che era stato. Lesse velocemente dei nomi e si accigliò, si ricordava anche quelli, ma… Strinse la presa sul quadernino e se lo mise sotto braccio, voltandosi poi verso la sua borsa ed infilandocelo dentro lesta.
Simon ancora discuteva con Magnus e l'infermiera si lasciò scappare un risolino divertito. Che se la vedessero da soli, la lotta per il guardaroba di Magnus non era mai stata vinta da nessuno, il povero dottor Lewis se ne sarebbe presto accorto. Era impossibile farlo ragionare se si parlava di oggetti che avrebbero influito sul suo aspetto o sul suo comfort. Nessuno, non lei, non Rag o Raphael, non Lily che era fissata quasi quanto lui, neanche Quinn o persino suo padre lo avevano mai convinto a non portare con sé, anche per viaggi piccoli, un numero spropositato di vestiti.

Un rumore proveniente dal pc la fece voltare incuriosita. Vide il volto del suo amico illuminarsi con un sorriso ampio che fece solo distendere le labbra e mettere più in risalto il lucido del burrocacao che si era messo. I dottori gli avevano vietato di truccarsi e Magnus si era adattato come poteva, con creme idratanti e cose simili.
Un acuto quanto sollevato “Alexander!” arrivò dritto dritto dall'altoparlante, Catarina fece appena in tempo a voltarsi e vedere l'amico salutare in fretta Raphael, che lei era convintissima avesse attaccato almeno da mezz'ora o più probabilmente avesse lasciato al comunicazione attiva ma abbandonato il telefono da qualche parte.


 

<< Sto discutendo con Simmons, mi sta facendo arrabbiare, puoi dirgli qualcosa tu? I dottori dicono che non mi devo agitare.>> continuò con un broncio degno di un moccioso di cinque anni.
Altri rumori di sottofondo, come stoffa che viene spostata.
<< E' la cosa più vicina al mio nome che tu abbia mai detto.>>
<< Come diamine fai a stare ancora in giacca e cravatta? Andiamo fiorellino, oggi c'è l'allerta meteo, sfioreremo i 40 gradi!>>
<< Ci siamo già arrivati.>> comunicò la voce lontana di Alec, poi una mano entrò al limitare del campo visivo, Magnus si fece più in là sul letto ed il detective tirò su il lenzuolo per non sedersi con i vestiti sul materasso pulito. Il suo volto fece capolino nell'inquadratura.
<< Simon non far arrabbiare Magnus, non può agitarsi, gli si alza la pressione- >> Magnus annuì soddisfatto, << e poi diventa più molesto del solito e sono io che me lo devo subire.>>
Il “povero malato” si voltò di scatto verso l'altro. << Alexander!>> fece scandalizzato mentre né Simon né Catarina riuscivano a trattenere le risate.
Il moro lo guardò con una calma invidiabile, << Si, è il mio nome di battesimo, lo conosco.>>
Quello scosse la testa, << Dovresti stare dalla mia parte.>>
<< Gli ho detto di non farti arrabbiare, come mi hai chiesto tu.>> alzò un sopracciglio e si voltò verso lo schermo, << perché litigavate? Cioè, questa volta per cos'è? >> chiese con la tranquillità di chi c'è abituato a quei teatrini.

E non è neanche un mese che quei due si conoscono.

Simon si tirò su gli occhiali e poi si passò una mano tra i capelli per cercare di toglierseli dalla fronte. << Stiamo discutendo su cosa possa o meno portare con sé.>>
<< Ciò di cui ha bisogno.>> sentenziò semplicemente Alec.
Magnus proruppe in un verso di trionfo, << AH! Hai sentito Occhi Belli qui? Ha detto ciò di cui ho bisogno.>>
<< E hai bisogno della collezione autunno-inverno di Prada?>>
<< Certo.>>
<< E' estate diamine! Ti sei appena lamentato che Alec sta in completo!>>
<< Non si può mai sapere.>>
<< E di quindici paia di scarpe che mi dici?>>
<< Per ogni evenienza.>>
<< Ho contato cinquantatré camice di seta, venti di lino, otto canotte di pelle, sedici con disegni vari. Quindici bermuda, una ventina di Skinni, altrettanti pantaloncini e non ti ho chiesto neanche quante mutande vuoi!>> fece Simon scocciato.
Ma Magnus, con la sua solita faccia da schiaffi lo guardò perplesso. << Più che altro mi vorrai dire che non abbiamo parlato di giacche, di gilett, le mie maglie a rete, e le collane, ah, ho una borsa a parte per i gioielli, Cat sa dov'è. Le scarpe tutte nelle loro scatole, si le conservo. I calzini! Dio non voglia che mi si macchino con il sudore. Ho una linea di profumi sul mobile del bagno. I miei trucchi non li tocchi, li prende Catarina e- >>
<< Non ti porterò nulla di tutto ciò!>>
<< Non puoi rifiutarti!>>
<< Magnus?>>
Alec lo richiamò piano e quello si voltò subito sorridendogli.
<< Si dolcezza?>>
<< Permetti?>> gli chiese con gentilezza. Magnus gli passò il portatile.
<< Lewi ascoltami bene perché te lo ripeterò solo una volta.>> cominciò serio e già lì l'asiatico pregustava gli ordini perentori del suo bel poliziotto. Quanto gli piaceva quando prendeva il comando? Lo aveva mai detto quanto?

Cosa posso farci? Ho un debole per gli uomini in divisa, ne ho per gli uomini autoritari e anche per quelli timidi e dolci.
Se poi sono timidi, dolci, in divisa, provvisti di manette e con una curiosa inclinazione al comando…

<< Prendi tutto ciò che Magnus ti ha chiesto.>> Simon lo guardò scioccato, Catarina scosse la testa, già lo sapeva sarebbe finito così. Magnus sorrise ancor di più.
<< Metti tutto in ordine di importanza, ciò che credi servirà di più prima e per ultimo quello che pensi servirà di meno.>>
<< Come il completo di Armani e le scarpe di pelle?>> domandò piano lui, sconfitto.
<< Si, esatto, prima le cose di tutti i giorni e poi le altre. In ordine. Poi preparati.>> tutti lo guardarono curiosi. << Appena esco di qui passo a casa mia, prendo il borsone dell'accademia e te lo porto. Ci farai entrare ciò che puoi e basta. Tutto il resto lo rimetti a posto.>>
Il silenzio calò sia nella camera d'ospedale che nel salotto di casa Bane.
Poi Magnus pigolò piano. << Cosa?>>
Lo sconforto di Simon si trasformò presto in un ghigno soddisfatto e vagamente sadico.
<< Sapevo che la tua esperienza con Jace e Izzy non ti avrebbe fatto abbassare il capo!>>
<< Ma Alexander!>> tuonò Magnus. << A me quelle cose servono tutte!>>
<< No.>> Alec lo guardò seriamente, scordandosi per un attimo il pc ed i due dall'altro lato. << Andremo in un appartamento da cui non potrai uscire fino a nuovo ordine, il che potrebbe essere una settimana come un mese. E' per la tua sicurezza, non fare storie. Non andremo in discoteca, non andremo al mare, non andremo a serate di gala. Starai in casa con me e non metterai il naso fuori di lì a meno che tu non sia scortato o irriconoscibile, quindi non con indosso uno solo dei tuoi soliti capi. Perciò ora decidi, hai tre possibilità: o Simon fa di testa sua e riempie il borsone che gli porterò dopo. O scegli con criterio un massimo di venti maglie, cinque camice, cinque pantaloni e due paia di scarpe. O non ti porterai nulla e ti metterai i miei di vestiti. Sono sicuro che le cose di prima dell'accademia ti stiano, forse un po' larghe sulle spalle, ma nulla di insopportabile.>> Alec alzò le sopracciglia come a fargli intendere che non aveva altra scelta e poi si alzò dal letto, recuperando la brocca dell'acqua e versandosene un bicchiere mentre osservava di sottecchi la cartella medica.
Magnus rimase fermo imbambolato e poi balbettò qualcosa sul fatto che non poteva trattarlo così. Una sola occhiata di Alec e abbassò il capo, fulminando Simon nello schermo che rideva.

Catarina, dietro al castano, era pietrificata dallo shock. Ora Magnus si sarebbe arrabbiato davvero.
E invece no. Cos'aveva fatto Alec? Lo aveva solo guardato a quanto pare perché non aveva sentito nessuna parola.
Si avvicinò al pc e alzò il volume, sedendosi sul bordo del divano per godersi meglio la scena. Non poteva credere che lo avesse convinto così facilmente.

<< Mi stai dicendo che potrei infilarmi nei tuoi pantaloni fiorellino?>> chiese malizioso, deciso a riprendersi almeno su quel fronte.
Alec lo guardò senza proferir parola, bevve la sua acqua e poi fece tranquillo, << E' più probabile che tu riesca ad entrare dentro ad una mia maglia e che poi te ne vada in giro in mutande.>>
Lo disse con una faccia tosta invidiabile e Magnus si maledisse da solo: passava troppo tempo con lui, ormai non si scandalizzava più per i suoi doppi sensi e riusciva a rispondere con la stessa faccia da poker che usava lui. Glielo disse, per correttezza.
<< Passi troppo tempo con me, stai diventando insensibile.>>
Il moro sorrise in modo poco rassicurante e Bane si ritrovò a chiedersi cosa si fosse perso.
<< Ma come? Ti ho detto che probabilmente girerai in mutande con le mie maglie addosso e mi dai dell'insensibile? Pensavo che mi avresti fatto qualche battuta su possibili feticismi nel vedere “giovani ed affascinanti uomini” mezzi nudi.>> si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito a cui l'altro non riuscì a rimanere immune. Scoppiò a ridere.
<< Passi decisamente troppo tempo con me! Ma almeno hai ragione su una cosa: sto divinamente in gonna, ho delle gambe da modello, giuro, quindi il tuo desiderio di vedermi con qualcosa di tuo indosso, come una fidanzatina con la camicia del proprio uomo a fargli da vestito, è un ottimo ed assolutamente approvato feticismo!>>
Risero tutti e due e anche gli altri non riuscirono a trattenersi.
Li lasciarono lì a continuare a ridacchiare e si lanciarono uno sguardo d'intesa.
<< Alec pare molto più rilassato oggi, non trovi?>> fece Catarina.
<< Si… il che è tutto dire visto che andava dalle vedove Herondale.>>
<< Forse è rilassato proprio per questo: è stato in mezzo a tanto dolore e brutti ricordi e poi è tornato qui a casa e ha tirato un sospiro di sollievo, sicuro che quel cretino di Magnus gli avrebbe fatto pensare a tutto tranne che ha problemi veri.>>
Simon si strinse nelle spalle e si buttò sul divano vicino alla donna.
<< Non fai come ti ha detto Alec?>> chiese lei. Simon scosse la testa e chiuse gli occhi.
<< Lo fa anche con i suoi fratelli, con tutti quanti. Dice a me o a Clary di fare le valige al posto loro o che le farà lui stesso. Jace, Izzy e pure Max se la fanno sotto al solo pensiero e scelgono lo stretto indispensabile. Secondo standard normali. Se seguissero quelli di Alec andrebbero in giro con un cambio per cinque giorni e laverebbero ogni sera ciò che hanno portato la mattina.>>
Catarina rise. << E' così impostato Alec?>>
L'altro la imitò, << Na. Fa il duro solo perché non vuole che si preoccupino di cose inutili o che si carichino di stupidaggini, ma se poi vogliono qualcosa in più e in valigia da loro non c'entra se la prende lui. Jace una volta era convintissimo di aver lasciato le scarpe nuove a casa e invece le aveva Alec. O quando Clary si compra dodicimila souvenir e non sa dove metterli è sempre Alec ad aprire la propria valigia e trovare posto. Insomma, credo sia l'unica persona al mondo che parte con tutti i propri oggetti incastrati al millimetro e torni allo stesso modo. Ed è Jace l'ossessivo compulsivo eh.>>
La donna si distese come lui e chiuse gli occhi. << Da come ne parli devi conoscerli da molto. E devi volergli anche molto bene.>>
<< Oh, è così infatti. Avevo sedici anni quando li ho conosciuti. Prima Jace e Izzy, poi Alec. Non era proprio così prima, sai? Ora lo vedi risoluto e forte, ma quanto l'ho conosciuto se ne stava sempre in disparte, proteggeva i suoi fratelli, gli guardava le spalle ma si confondeva con lo sfondo, cercava di essere invisibile e di non farsi notare. Era… insicuro. Lo so, è assurdo paragonato a com'è diventato, ma è così. Era caricato di mille aspettative e molte le ha ancora. Toglie sempre il peso dalle spalle dei ragazzi, lo fa anche con me e Clary e pensa che non ce ne rendiamo conto… >> sospirò divertito ed aprì gli occhi solo per farli vagare nel vuoto. << Voleva essere perfetto per i suoi genitori, per i suoi fratelli, per chi lo circondava...non credo abbia mai fatto una cosa per se stesso sino all'accademia. E' stata la sua prima imposizione, Maryse voleva che facesse legge come lei, ma Alec ha sempre avuto l'animo del super eroe, che arriva e salva tutti, che sta in prima fila ma solo per prendersi i colpi peggiori e far andar avanti gli altri. Io gli dico sempre che è un tank che si finge arciere...mi becco uno scappellotto di solito.>>
Rimasero in silenzio per un po', poi Catarina decise di chiedere una cosa che gli frullava in mente da molto. << Ha una fidanzata? Non l'ho mai sentito parlare della sua vita privata se non dei suoi fratelli. O è uno sposato con il lavoro?>>
Simon rise di gusto, << Dio, no. Non ha una fidanzata e il lavoro più che sposarlo lo ha preso sotto la sua ala come fa con ogni dannata cosa a cui tiene. E in ogni caso, non avrebbe una fidanzata, no signore. Una delle cose che lo rendeva insicuro era proprio questo. Cercava di fingersi “normale”, mhpf, come se poi avesse qualcosa di sbagliato. Va in giro a dire a tutti che non devono vergognarsi di ciò che sono e che devono vivere la vita solo per sé stessi e poi lui è il primo che non lo fa. Fece coming out l'anno dopo che lo conobbi. O forse è più preciso dire quel Natale. Credo che sia stato il Natale peggiore della sua vita. Izzy e Jace vennero a far capodanno con noi e a quanto ne so avevano provato per giorni a farlo uscire dalla sua camera inutilmente.>>
Lei annuì pensierosa.<< Non lo avrei mai detto. Però si vede che è una persona sensibile.>>
<< Più di quanto non voglia ammettere. Ma non va sottovalutato: Alec è una delle persone più forti che abbia mai conosciuto. Ha passato così tanto tempo a soffrire in silenzio che ormai è quasi inscalfibile.>>
Probabilmente non aveva mai sentito Simon fare un discorso così serio e da come glielo aveva descritto Magnus si aspettava molto di più un prototipo di adolescente troppo cresciuto che una persona così. Ne fu piacevolmente sorpresa.
<< E cos'è che lo scalfisce invece?>>
<< Le persone che ama.>> disse sicuro. Si mise seduto per bene e guardò la donna negli occhi, serio. << Non bisogna mai toccare ad Alec chi ama. Che sia un parente o un amico, toccalo e lui ti ammazza, lo fa davvero. Ora anche Magnus è suo amico e posso assicurarti che chiunque proverà a fargli del male se ne farà a sua volta molto. Il tipo che gli ha sparato deve solo pregare che lo trovino prima che ci riesca Alec.>>
Catarina resse lo sguardo e tutta la seria sincerità di quelle parole, annuì.
<< Sono sicura che lo difenderà da ogni cosa.>>
<< Oh, no, non lo difenderà.>> fece lui. Cat lo guardò accigliata: ma se aveva appena detto…
<< Lo proteggerà, il che è ben diverso. E' di più. Alec difende tutti, ma protegge solo chi ama.>>

Catarina sorrise comprendendo il senso di quella specificazione.
A quanto pare Magnus aveva ragione: erano davvero riusciti a trovare l'unico angelo in mezzo all'inferno.


 


 

Si chiuse la porta del bagno alle spalle, rilassato da quella doccia fresca e abbastanza carico per affrontare una serata di chiacchiere insopportabili.
Guardò l'orologio e si fece due calcoli: era perfettamente in orario e quella volta c'erano buone possibilità che lo fossero anche i suoi fratelli visto che venivano con Max.
Decise di sistemare un po' di cosa, tipo togliere i vari fascicoli del caso che erano rimasti impilati sul tavolo e anche la foto che gli aveva dato la signora Herondale.
Prese il riquadro lucido in mano e lo fissò con attenzione. Era la prima volta che lo faceva da quella mattina e per quanto provasse a capire cosa ci fosse di sbagliato non ci riusciva.
Il problema era ovviamente sullo sfondo, la striscia di macchine parcheggiate davanti all'entrata del parco. Delle utilitarie, una macchina sportiva, c'era una volante di passaggio, quel furgone… eppure era solo un normalissimo furgone, perché lo ossessionava tanto? Probabilmente perché stava diventando paranoico e gli pareva che tutti i mezzi che potessero essere usati per un pedinamento fossero effettiva...mente…
Batté le palpebre e non riuscì a credere di essere stato così stupido. Non riuscì a credere che nessuno prima di lui lo avesse capito e sperò, lo sperò vivamente, che tutto ciò fosse successo perché nessuno aveva mai visto la foto.

Il citofono che suonava lo fece saltare sul posto. S'affrettò ad infilare la foto nel fascicolo in cima alla pila e portarli tutti in camera sua. Tornò di corsa indietro ad aprire ai fratelli ed attese che si facessero tutti e sei i piani di scale, prima di vederli sbucare affannati e carichi di cibi.

<< Prima o poi lo dovrete far aggiustare quel cazzo di ascensore. >> proruppe Jace caracollando in casa.
<< Buona sera anche a te.>> Alec si spostò e diede un bacio su una guancia ad Izzy, che tutta ondeggiante, sui suoi tacchi a spillo, si toglieva qualche ciuffo dalla faccia.
<< Ho un tacco dodici Alec, non posso farmi su e giù tutte quelle scale in continuazione.>> si lamentò.
<< Meno male che devi farti solo andata e ritorno allora.>> ignorò la sua protesta e si sporse per dare un buffetto a Max e togliergli il cartone delle birre dalle mani e anche la busta con le altre bibite dal polso, << Ciao piccoletto, ti hanno lasciato le cose più pesanti?>>
Max si strinse nelle spalle e poi scosse la testa, portando subito le mani alla faccia quando gli occhiali rischiarono di volargli via per il movimento troppo repentino, << Lo sai com'è Mr “Sono nella SWAT e quindi sono il più forte di tutti”, parla parla e poi non conclude niente.>>
Alec gli sorrise e chiuse la porta con il gomito. << Ti si sono riallentati gli occhiali?>>
<< Non è vero! Ho portato le pizze io! È Iz quella a mani vuote!>> urlò Jace dalla cucina.
<< Sono l'unica donna qui in mezzo, ho diritto a scaricarvi tutti i pesi. E poi la pizza non supera i due chili!>> i mezzani cominciarono a bisticciare come loro solito ma i due mori invece li ignorarono dirigendosi tranquilli verso il tavolo e continuando a chiacchierare per conto loro.
<< Si, poi che me li stringi? Non so che fine abbia fatto il mio set di cacciaviti. Mi sa che l'ho prestato a mamma per sistemarsi i suoi e poi Dio solo sa dove li ha rimessi.>>
<< A posto ovviamente.>> Alec posò le bibite sul piano, << Secondo la sua logica.>>
Max gli diede ragione e lanciò senza troppo interesse uno sguardo alla cucina, da cui proveniva rumore di cartone e di metallo, cassetti che sbattevano e bicchieri che tintinnavano.
<< Andate a lavarvi le mani prima!>> urlò il maggiore senza distogliere lo sguardo alle bottiglie che stava sistemando.
<< Si mamma!>> fu il coro che gli rispose. Lui sbuffò ed il fratellino sorrise.
<< Almeno su questo sono in accordo, no?>>
<< Sono sempre in accordo se si tratta di irritarmi, farmi preoccupare o convincermi a coprirli. Anzi: siete sempre d'accordo.>>
Il ragazzino si strinse nelle spalle e solo quando sentì la porta del bagno aprirsi si concesse di avvicinarsi al fratello con aria guardinga.
<< Ti giuro che questa volta gli ho detto di non tirare troppo la corda. Loro dicono che non c'ero e che non ti ho visto ma personalmente penso siano affari tuoi.>>
Alec alzò un sopracciglio, poi annuì. << Quindi è questo? Mi avete invaso casa solo perché mi sono preoccupato per un amico a cui hanno sparato? Vogliono farmi il terzo grado, loro? A me?>>
Quello si strinse nelle spalle. << Io sono qui solo perché mi hanno detto che ti sei preso un colpo e che l'hai presa come una cosa personale, che non sei riuscito a proteggere qualcuno sotto la sua responsabilità. Oh, e perché papà dice che tra poco parti per una missione in cui non potrai aver contatti con nessuno per un po'. Sai quanto non mi piace non potervi sentire quando mi va.>> glielo disse seriamente e si concesse un sorriso un po' tirato, accettando di buon grado l'invito del fratello a farsi abbracciare.
<< Lo so, mi dispiace Max ma non posso fare altrimenti. Questo caso è più difficile del previsto, sta andando a parere in luoghi che non avrei mai voluto toccare.>> lo strinse un po' e gli diede un bacio sulla testa. Anche se era cresciuto e se ormai aveva diciassette anni.

<< Ehi! Perché a lui l'abbraccio e a me niente?>>
Jace arrivò in salotto e si bloccò con le braccia incrociate, Izzy sorrise e gli passò di fianco con il naso all'insù. << A me mi ha baciata!>>
Il biondo gli fece la linguaccia, << Non si dice “a me mi”, ignorante! E dovresti anche essere quella più istruita tra tutti noi diamine, sei l'unica laureata!>> avanzò verso Alec e lo guardò con la sua miglior espressione da cucciolo bastonato. Il moro sbuffò una risata nasale e diede un paio di pacche a Max per farlo allontanare, prima che l'altro lo schiacciasse lanciandoglisi contro.
Non appena il più piccolo si fu spostato Jace si fiondò immediatamente tra le braccia del fratello e con uno slancio che Alec si aspettava, e che fortunatamente aveva imparato sin da piccolo a sostenere, gli saltò letteralmente in braccio, stringendogli le gambe attorno ai fianchi e le braccia al collo.
Gli altri risero divertiti e Alec passò un braccio sotto il sedere del fratello, per sostenerlo come si faceva con tutti i bambini, mentre con la mano libera gli carezzava i capelli scompigliati ad arte ed un po' afflosciati dal caldo e se lo avvicinava per dargli un bacio su una tempia.

<< Il mio orso albino.>> lo prese in giro bonariamente, ricevendo in cambio solo una stretta più forte, la faccia di Jace seppellita contro il suo collo e più risate da parte degli altri due.
Izzy scomparve un attimo in cucina per ripescare i cartoni della pizza, le forbici ed il rotolo dello scottez, guardando con finta disapprovazione il biondo ancora ancorato al più grande.

<< Altro che orso, è un dannato koala! Jace, molla Alec, ora.>>
<< No! E' mio, sono arrivato prima io!>>
<< Tecnicamente c'era prima io...>> fece Max cominciando a tagliare la prima pizza che gli capitò sotto mano.
<< Non ci provare nano!>> Jace voltò di poco la testa, riprendendo a respirare, << Sto parlando di diritto di nascita io. Tu sei arrivato nove anni dopo, io sono stato il primo fratellino e sono anche il suo preferito. Quindi, tra anzianità e grado di magnificenza vi batto tutti a mani basse. >> rafforzò ancora di più la stretta la collo di Alec ed il moro si esibì in un teatrale verso strozzato per far capire all'altro quanto lo stesse soffocando.
<< Non dire cazzate, sono io la sua preferita. E scendi, che lo stai ammazzando.>>
<< Lui non si lamenta.>> protestò.
<< Certo che non si lamenta, non gli arriva l'aria ai polmoni!>> fece la ragazza battendo il piede a terra con insistenza.
<< Se è per questo neanche parla più, tanta è la concentrazione che gli serve per reggerti. In effetti ti vedo un po' ingrassato.>> lo punzecchiò Max, battendo il cinque ad Izzy.
Jace si portò una mano al cuore, rischiando per altro di sbilanciare Alec, e lo fissò con aria addolorata.
<< Mi hanno detto che sono grasso! Aaaaaleeeec! Mi prendono in giro solo perché sono bello e loro non potranno mai essere al mio livello!>>
Risero tutti e quattro e poi Alec fece scendere il fratello a terra, dandogli un paio di pacche sulla schiena e lasciandosi sfuggire quanto lui e Magnus sarebbero potuti andare d'accordo. Due regine del dramma e della vanità.
Isabelle alzò un sopracciglio, lanciando uno sguardo d'intesa ai fratelli che colsero entrambi al volo, il più grande ammiccando pronto e battagliero, il più piccolo sospirando e scuotendo la testa.
<< A proposito di Magnus...>
Alec sospirò. Lo aveva fatto apposta, per togliersi subito il dente.
<< No Isabelle. Non me la sono presa troppo, mi sono solo sentito imbrogliato da una persona a cui avevo espressamente detto di stare a casa per la sua sicurezza. Non mi ha neanche avvertito e benché io non lavori quasi mai in squadra sono abbastanza sicuro che al suo interno si comunichi, non si faccia di testa propria. Poteva morire e mandare tutto il caso all'aria.>>
<< E perché?>> fece Jace serio, << Avresti continuato ad indagare.>>
<< Gli avrebbero scaricato addosso ogni colpa e mi avrebbero costretto a chiuder il caso.>>
<< Simon dice che facevi paura la telefono.>> continuò Izzy.
Max alzò un sopracciglio, la bocca piena di pizza. << Hai urlato?>>
Alec scosse la testa. << Certo che no. Sia che non è da me.>>
<< Ha solo detto “dammi l'indirizzo e non ti muovere”. Simon dice che la sua voce era glaciale e che ha avuto paura che se la sarebbe presa anche con lui.>>
<< Oh, quello l'ho fatto. Lui sapeva dove stesse andando Magnus e non mi ha avvertito. Perché quei due cretini sono diventati amici e fanno comunella alle mie spalle per non farsi fare la giusta lavata di capo che si meriterebbero per ogni loro cazzata.>>
<< Ahio!>> fece Jace allora, << Comincia ad infervorarsi, è proprio una cosa seria. Mi stai dicendo che tratti Lewis e Bane allo stesso modo?>> chiese curioso.
<< Sono egualmente stupidi, quindi si, stesso trattamento.>>
<< Hai appena detto che ci somigliamo nei modi di fare.>> gli fece notare il biondo. L'altro annuì.
<< Infatti anche te e Simon siete uguali. Vi lamentate delle stesse cose, tenete alle stesse persone, avete le stesse opinioni, vi indignate per gli stessi insulti e per gli stessi paragoni e- prima che tu mi interrompa, statti zitto e ascolta perché stai facendo anche le sue stesse espressioni- rispondete a queste cose allo stesso modo.>> concluse soddisfatto dello sguardo infastidito del fratello.
<< Non siamo uguali! Lo prendo come un insulto.>>
<< Visto? Identici. Mi ha detto la stessa cosa lui settimane fa.>> si sporse per prendere la pizza e poi si sedette sul divano. << Accettalo. Così finalmente abbiamo anche capito cosa ci trovi Clary in te ed in lui.>>
Jace lo fissò male, si prese una birra e a sfregio l'aprì contro il bordo del tavolo vecchio e rovinato del salotto, solo perché sapeva che Alec non voleva. Infatti lo fissò con lo stesso sguardo e poi rincarò la dose:
<< Anche i vostri gesti di protesta sono gli stessi. Simon ha fatto la stessa cosa quando gli ho detto che avevate le stesse fisime.>>
Izzy alzò gli occhi al cielo esasperata. Non sapeva se Alec avesse portato volontariamente il discorso su quell'argomento per allontanarlo da lui, se Jace se ne fosse accorto o meno, ma a le non la davano a bere.
<< Okay, okay. Canestro per Alec, come minimo questi erano due tiri da centro campo. Jace accettalo, ti ha schiacciato. Palla al centro e buoni. Possiamo tornare all'argomento principale? No, perché a loro protrai anche negarlo, ma eri con me quando Simon ti ha chiamato e se n'è accorta anche Catarina che sei diventato cianotico.>>
<< Cavolo sei sbiancato?>> chiese Max sorpreso.
<< Mi ha chiamato Simon Lewis, il re delle frasi inconcludenti e dei giri di parole, per dirmi che l'uomo con cui sto lavorando da mesi e che è potenzialmente a rischio di tutto è uscito per andare ad incontrare un suo amico con cui ha parlato al telefono su una linea non protetta. Mi ha detto che gli hanno sparato e che lo aveva sentito in diretta. Hai una vaga idea di come sia la voce impanicata di Simon? Perché se non lo sai te lo dico io: uno schifo. Già di norma non lo capisci, poi invece di dirti cosa è successo ti sommerge con le sue teorie pessimistiche su come stia morendo male una persona. Cosa avresti fatto al mio posto tu?>> domandò in fine rivolto alla sorella.
Jace mandò giù un boccone e alzò le mani, lo spicchio di pizza che penzolava pericolosamente verso il basso. << Sta volta ha ragione lui. Può anche essersi fatto di mille colori, ma Lewis ha il potere di farti credere che una persona è andata in coma solo perché ha sbattuto contro uno sportello e ora dice che gli fa male la testa.>> E l'idea era più che realistica visto che era successo davvero.
La sorella continuò a guardarlo male e Max prese un respiro profondo, deciso più che mai a mettere un punto a quella storia e ha godersi la serata con tutti i suoi fratelli prima che uno di questi diventasse irraggiungibile a tempo indeterminato.
<< Va bene, va bene, mettiamo in chiaro la questione una volta per tutto, okay?>> si sporse per posare la crosta della sua pizza sul cartone e poi si sfregò le mani per togliersi la farina e le briciole di dosso. << Credo che il punto focale di tutta questa storia sia che ci siamo stupiti del tuo affiatamento con questo Magnus, che a quanto ne so io è un criminale che Luke cerca di mettere in gabbia da anni.>>
<< Tipo da quando era più piccolo di te...>> borbottò Jace rubando la povera crosta abbandonata.
<< Esatto. Noi ti vediamo come un poliziotto perfetto Alec, nel bene o nel male tu sei quello che rispetta sempre le regole e che fa tutto “come si deve”, quindi è stato strano non solo saperti assieme ad uno dei cattivi, ma che da questo c'avevi pure portato Simon e che ci lavori assieme perché sai che ti può aiutare e non perché te lo hanno imposto.>> lanciò un'occhiataccia ad Izzy che stava per interromperlo e se il suo sguardo non fu sufficiente, perché era pur sempre il fratello minore, ci pensò Alec a stroncala con un cenno della mano appena accennato.
A volte, pensò Max, suo fratello non si rendeva conto del potere che riusciva ad esercitare sulla gente e dallo sguardo di Jace anche il biondo dovette pensare la stessa identica cosa. Continuò.
<< Ci siamo stupiti, te l'ho detto. Presumo che abbia fatto qualcosa che ti abbia portato a fidarti di lui, o magari hai visto la situazione da un'altra prospettiva, o è successo qualcosa non lo so.>>
<< Abbiamo solo trovato un punto d'incontro comune. Da lì abbiamo cominciato a collaborare sempre più a stretto contatto finché non è sorto il problema di dove portare Simon e ho pensato che casa di Magnus sarebbe stato l'ultimo posto in cui qualcuno lo avrebbe cercato. Ha accettato di ospitarlo in casa sua e di lavorare giorno dopo giorno al suo fianco. Ci siamo rimessi all'opera con l'aiuto di Lewis ora e abbiamo semplicemente imparato a conoscerci. Siamo diventati una buona squadra.>> spiegò con semplicità.
I suoi fratelli si guardarono e poi guardarono lui.
<< Quindi...siete amici ora?>> chiese Jace piano, << Insomma, io me lo ricordo con un broncio da poppante perché non ti eri presentato tu al Pandemonium al posti mio...>>
<< Me lo ricordo, me lo hai raccontato e lo hai raccontato anche a papà...>>
Isabelle si batté una mano in fronte e Max sgranò gli occhi, << Lo hai detto a papà e non a me?>>
<< Non è questo il punto- >> provò di nuovo il biondo.
<< Oh, no. Il punto è che gli hai detto che era “un bel tipo” e papà mi ha fatto una specie di terzo grado come se ci stessi uscendo e non se lo stessi interrogando per un caso di omicidio.>> scrutò con attenzione gli altri, lo sguardo di rimprovero che fece abbassare il capo a tutti, << Per altro ho capito finalmente, dopo venticinque anni, da chi avete ripreso la vena pettegola. Non me lo sarei mai aspettato da papà. Trovo ingiusto che io mi sia preso la parte cupa e seria di entrambi e a voi siano andate tutte le parti migliori.>>
Max gli sorrise un po' in colpa. << E' perché tu sei un bravo fratellone e ti sei preso il peggio per lasciare a noi il meglio, no?>>
<< Davvero papà ti ha fatto il terzo grado?>>
<< Più che altro Jace, gli hai detto davvero che Bane è un bel tipo. No perché, e se te lo dico io Max ci puoi credere, quello non è un bel tipo.>>
I fratelli maggiori si accigliarono.
<< Non è figo come me ma non è neanche brutto, diamine Iz, si che è un bel tipo, io non mi spreco a dirlo per chi non se lo merita!>> protestò Jace.
<< Non dire così, ci rimarrebbe molto male. E poi è un bell'uomo.>> fece in contemporanea Alec.
Gli occhiali calarono lenti sul naso del ragazzo che fissava a bocca aperta il più grande dei quattro. Jace annuì concorde per poi rendersi conto di ciò che il fratello aveva detto e girarsi di colpo verso di lui. Izzy si limitò ad alzare un sopracciglio e poi sorridere.
<< Ah, si? Lo reputi “un bell'uomo”? Neanche ragazzo, proprio uomo?>>
<< Ha 29 anni, penso che ormai lo si debba definire un uomo, no?>>
<< Hai detto che è bello?>> continuò il minore tirandosi su gli occhiali.
<< E' la pura verità, non sto dicendo nulla di strano o di inventato. Oggettivamente Magnus è bello.>> si strinse nelle spalle e fece per prendere un altro spicchio di pizza. Jace lo fermò.
<< Oh, no, no, no. Tu non dici mai a nessuno che è bello!>>
<< Te lo ripeto in continuazione ogni volta che mi chiedi come stai.>>
<< Io non valgo, sono tuo fratello ed è conoscenza globale la mia estrema bellezza.>> lo stroncò subito, << E non valgono neanche Iz, Max o i ragazzi.>>
<< E comunque- >> continuò la ragazza, << io stavo per dire che non è bello, Magnus Bane è un dannatissimo adone sceso in terra! Ma che dico! E' un diavolo tentatore quell'uomo! Max, dovresti vederlo, piacerebbe anche a te… beh in effetti non credo che esista qualcuno a cui Magnus non piaccia.>>
Il ragazzo scosse la mani e si mise più dritto. << Momento. Time out.>> guardò tutti i suoi fratelli uno ad uno e poi si fissò sul maggiore. << Mi stai dicendo che: un criminale che ha cercato di farti ostruzionismo per un mese, ha poi deciso di aiutarti e si è unito alla tua causa a tal punto da far si che diventaste amici. Il vostro rapporto si è consolidato sino a far sì che ti fidassi così tanto di lui da portarci Simon-riesco-a-morire-male-anche-da-fermo-Lewis e lasciarcelo. E poi si è evoluto al punto che ti preoccupi per lui come faresti con...come faresti con i tuoi amici? Fino a metterlo al livello di Simon stesso e quindi anche di Clary, e per di più mi dici anche che è bello?>>
Silenzio. Alec annuì.
<< Cazzo, perché deve essere un criminale? Sarebbe stato l'uomo della tua vita!>>

Isabelle si batté di nuovo una mano in faccia, domandandosi dove i geni di sua madre avessero sbagliato nel concepimento dei suoi fratelli. Pareva che Max e Jace avessero la delicatezza di un elefante in una cristalleria. Certo, anche lei alle volte non scherzava, ma più per esasperazione che per altro. Quanto ad Alec… lui era anche fin troppo delicato alle volte, solo che aveva il brutto vizio di dire sempre le cose in modo sincero. Seppur con tatto.
Il moro fissò ad occhi sgranati il fratellino, battendo freneticamente le palpebre e boccheggiando in cerca di una risposta sensata.
<< Io… >>
<< Ma certo! Basterà farlo pentire e farlo passare dal lato giusto! A quel punto nessuno potrà rinfacciarti nulla. Perché è questo il problema no? Andiamo Alec! È praticamente una storia da romanzo rosa!>> rincarò la dose il ragazzino. Jace annuì.
<< Il protagonista che incontra un cattivo che però è in fondo umano e dopo varie peripezie fa in modo che questo si fidi di lui. Poi la storia va avanti, i due si avvicinano e alla fine il cattivo lascia il suo vecchio mondo per aiutare il buono a fare la cosa giusta. Poi passa dalla parte del bene.>>
<< Si, e magari vivono anche felici e contenti… >> mormorò Izzy prendendo un pezzo di pizza e mordendolo senza grazia, l'espressione imbronciata di chi si domanda perché, perché deve avere due fratelli così stupidi? Guardò Max e scosse la testa con disapprovazione, da lui non se la aspettava una sparata del genere.

<< Ma siete stupidi?>>
La domanda più che lecita di Alec rimase nell'aria per un po', poi il moro prese un cipiglio serio che non piacque a nessuno.
<< Io e Magnus collaboriamo perché il suo miglior amico è stato ucciso da un criminale che probabilmente sta dando problemi al Dipartimento. Vogliamo entrambi giustizia, seppur per motivi diversi, e abbiamo trovato questo punto d'incontro. E si, mi trovo bene a lavorare con lui, anche se non ci sono abituato. Mi trovo bene a discutere assieme a lui e Simon e stiamo facendo piccoli ma importanti passi mano a mano che l'indagine prosegue. Posso dire che abbiamo stretto amicizia? Si, in un certo senso si. Che io mi preoccupi per lui, per la sua incolumità e per ciò che fa? Certo! Ma non ci siamo mai trovati in un contesto privato o scollegato completamente dal caso quindi non vedo come possiate insinuare una cosa del genere.>> Si alzò e lanciò il fazzoletto stropicciato sul tavolo. Fulminò Isabelle che aveva provato ad aprir bocca per rabbonirlo con uno sguardo di fuoco.
<< No. Assolutamente no. Non voglio sentire nessuna delle vostre insinuazioni o dei vostri commenti. Sono sorpreso che possiate pensare una cosa del genere di qualcuno che, a conti fatti, è un mio collega. E' un illazione sulle mia capacità di tenere diviso lavoro e vita privata e non lo accetto.>>
<< Ma Alec, noi non stiamo dicendo che è una cosa negativa. Lo so che è un tipo particolare, l'ho conosciuto Magnus… ma anzi, trovo che sia un bene che tu riesca finalmente a trovare- >>
<< Non terminare la tua frase Isabelle.>> la voce fredda del fratello maggiore fece rizzare i peli sulle braccia a tutti e tre. << E' un bene che io abbia finalmente trovato qualcuno che possa piacermi? E' questo giusto? Ascoltatemi bene tutti e tre, perché non mi ripeterò: sono stanco di sentirvi immischiare continuamente nella mia vita privata. Lo facevate prima che mi dichiarassi pensando che avessi paura delle ragazze ed era tanto imbarazzante quanto umiliante sapere che i miei fratellini mi credevano terrorizzato da possibili rapporti. Lo è stato quando vi ho detto che ero gay e avete cominciato ad indicarmi ogni dannatissimo ragazzo che ci passava di fronte. E non mi importa che lo facciate in buona fede, ve lo ripeto, è umiliante. Mi sento come se foste convinti che io sia un incapace che non sa neanche cosa vuole e cosa gli piace e quindi voi dobbiate sobbarcarvi la responsabilità di trovarmi qualcuno. Vi sembrerà assurdo ma lo so fare da me. Se ho intenzione di sentirmi con qualcuno lo faccio, se non ne ho voglia, sono impegnato o al momento non trovo nessuno di interessante non lo faccio. Esattamente come voi. Non ho bisogno di stupidi appuntamenti organizzati, non ho bisogno di frecciatine, di sentirmi dire “provaci almeno Alec” perché ci ho provato e solo perché non l'ho detto a voi non vuol dire che non sia successo.>> Mosse veloce una mano e zittì Jace che già stava per protestare indignato.
<< Non sono come te, come voi, non mi vanto di ogni persona che conosco, con cui esco o con cui faccio altro- si Izzy, anche questo musone cupo, antipatico e asociale di tuo fratello scopa.>>
Max saltò sul posto, più per aver sentito una parola così volgare lasciare la bocca di suo fratello maggiore che per la cosa in se per sé. La ragazza si limitò a fissarlo allucinata.
<< Ogni volta che vi dico che ho un amico mi rompete le scatole con stupidi doppi sensi. Solo perché sono gay non vuol dire che non possa aver amici maschi. Specie se questi amici lo sono diventati da poco, se non abbiamo davvero un rapporto e se sono legati al lavoro.>>
Gli altri lo guardarono a testa bassa, i volti dispiaciuti e anche colpevoli per le parole dettegli dal maggiore.
Fu Max il primo a schiarirsi la voce. << Scusa.>>
<< Si, scusa Alec. È la stessa cosa che fate voi quando vi dico che ho un novo amico, mi prendete in giro chiedendomi se è davvero solo un amico e io mi arrabbio. E ora lo faccio con te.>>
<< Lo fai da una vita Iz.>> sentenziò il primogenito, ma il semplice fatto che avesse usato di nuovo un nomignolo era una buona cosa.
<< Però...>> fece Jace tentennante, << a me sembrava davvero che ci fosse qualcosa tra te e Bane. Insomma, l'ho conosciuto che era quasi ferito dal non vederti lì. Poi da com'eri terrorizzato per la sua salute… ho visto come ti preoccupi e come lo tratti e mi pare quasi, ecco, famigliare.>> il biondo lo guardò con sincerità e Alec si rimise seduto con un sospiro pesante.
<< Magnus sa farsi voler bene. È petulante, insopportabile e una vera drama queen, ma sa anche essere gentile, spiritoso e acuto. È un ottimo aiuto e si è comportato sempre benissimo anche con Simon.>> si accigliò, << Se non si conta la volta che si sono quasi andati a schiantare con la macchina.>>
<< Quindi? Com'è questo Bane?>> chiese ancora il ragazzo.
Alec ci pensò su un po' e poi si strinse nelle spalle. << E' un amico a cui tengo, così come tengo a Simon. Per ora non credo di aver altre parole per descriverlo, vi va bene?>>
Annuirono tutti e dopo un attimo Jace lo guardò dritto negli occhi, sembrando improvvisamente serio.
<< Sono contento però, che tu abbia trovato una persona che ti tenga testa e ti faccia essere a tuo agio. Non capita spesso no? Che sia un amico o che diventi altro è comunque un buon acquisto, me lo lasci dire?>>
Alec gli sorrise piano, sfinito da quella conversazione, << Si, te lo concedo.>>
<< E mi concedi una domanda anche a me?>> si intromise Max. << Se non fosse un criminale, se non fosse immischiato nel caso e non steste lavorando assieme. Se tipo lo avresti incontrato in un bar e foste diventati amici come persone normali, ti sarebbe piaciuto?>>
Il moro ci pensò, allungò la mano per prendere uno spicchio di pizza e ne morse la punta, masticando piano e ragionando.
Si strinse nelle spalle. << Se siamo diventati amici in questa situazione probabilmente lo avremmo fatto anche in una più tranquilla. O forse no, forse è stato proprio tutto questo caso a portarci ad andar d'accordo e nella vita “normale” non ci saremo mai presi. Non posso dirtelo Max.>>
Quello scosse la testa,<< Voglio sapere se sarebbe stato il tuo tipo o no fratello.>>
Gli occhi blu di Alec indugiarono in quelli scuri del fratellino ma non cercò minimamente di mentire, non era da lui e non ne aveva motivo. << Ha molti tratti che mi attirano e che riscontrano la mia… approvazione? Si può dire? Lo trovo un bell'uomo, intelligente e alla mano. Ma ha anche molti difetti c'è da dire, spesso gli stessi che avete voi, forse è per questo che riesco a gestirli bene. Probabilmente si, potrebbe essere in linea con il mio “tipo”.>> finì la fetta in due morsi, ricordando a tutti i suoi fratelli come non fosse saggio sfidarlo ad una gara a chi si infila più marshmellow in bocca, lo avevano fatto, Alec vinceva sempre e non solo perché non era così stupido da ficcarseli in gola come Jace o da aspirarli per le troppe risate come Izzy.
Max si scosse di dosso il ricordo della loro ultima gara e annuì soddisfatto.
<< Beh, allora spero per te che rimaniate amici.>>
Alec annuì. << Ora, volete continuare con questa solfa o pensate che potremmo parlare di tutto quello che non potrete dirmi nei prossimi tempi. Tipo, cominciamo da perché dovevo ignorare Clary? Jace? Allora? Vogliamo vedere perché sei così stupido da cacciarti sempre nei guai?>>
Il biondo mise il broncio, incrociando le braccia al petto e mostrando i bicipiti gonfi, borbottò qualcosa che suonò molto come “Stupida rossa, non sa tenersi una cosa per sé.”
Gli altri risero e Alec li guardò tutti con un immenso affetto negli occhi.
Erano dei rompi palle invasivi, stupidi, ottusi alle volte. Non si facevano gli affari loro, non pensavano prima di parlare, credevano di detenere il sapere supremo ed erano stupidi, lo aveva già detto?
Ma diamine, quanto gli voleva bene.

 


 

Chiuse il borsone e se lo caricò su una spalla, pronto per uscire dalla sua camera e andare a rinchiudersi in un appartamento simile al suo sino a data da destinarsi.
Gettò un occhiata alla stanza e annuì soddisfatto, le persiane erano chiuse così come le imposte, Church adorava dormire al buio.
Entrò nel corridoio e chiuse bene la porta del bagno, fece un giro in cucina per controllare che il gas fosse chiuso e poi che il suo gatto avesse cibo e acqua, anche se i suoi fratelli si sarebbero alternati per andare a controllarlo e vedere come stava.
Gli faceva sempre strano abbandonare la sua piccola e confortevole dimora. Lo sapeva che ci sarebbe tornato, che non sarebbe stato per sempre, ma proprio come quando si era chiuso la porta della sua cameretta alle spalle e poi il portone di casa dei suoi genitori, ogni singola volta Alec si sentiva come in procinto di iniziare una nuova e ignota avventura.
Si avvicinò al gatto che lo aspettava seduto sul piano della cucina, perfettamente dritto e con il muso rivolto verso di lui. Gli carezzò piano la testa e poi la schiena e quando vide che il felino andava incontro alla sua mano per farsi coccolare si concesse un sorriso e lasciò la borsa a terra per renderlo in braccio.
Church accettò quell'abbraccio facendo le fusa, gli strofinò il muso sotto il mente e miagolò piano, come a salutarlo.

<< Torno il prima possibile Church, tu fai il bravo come sempre e non dar troppo peso a quello che diranno o faranno quei tre mocciosi troppo cresciuti, okay? Li conosci, sai come sono fatti.>>
Il gatto miagolò ancora ed Alec si decise a poggiarlo sul piano. Gli diede un bacio sulla testolina e sorrise quando il felino alzò la zampa per premerla contro la sua guancia, come un adolescente imbarazzato dalle troppe effusioni del genitore, che non vuole farsi strapazzare ancora troppo perché ormai è grande.
Alec rise quasi e gli strofinò la testa, abbassandogli il pelo arruffato.
<< A presto, bada tu a casa e anche ai ragazzi quando capitano qui.>>
Si rimise il borsone in spalla e uscì di casa, tirandosi delicatamente dietro l'uscio e girando più volte la chiave nella toppa.
Fissò la tavola di legno malandata e si disse che, finita quella storia, l'avrebbe ridipinta, magari di un bel colore acceso.
Alzò le sopracciglia sorpreso dal suo stesso pensiero, poi il telefono vibrò e concedendosi un mezzo sorriso rispose sospirando.

<< Se stai per dirmi che le valigie non sono ancora pronte ti rinnoverò la mia minaccia.>> cominciò senza lasciare all'altro possibilità di parlare.
Uno sbuffo sommesso gli arrivò chiaro alle orecchie. << Stavo solo per chiederti a che punto eri fiorellino, sei un malfidato e sei anche malvagio. Perché mi ricordi quella tua terribile proposta? So che potrebbe essere- anzi, no, che è sicuramente eccitante immaginare l'oggetto dei propri desideri con indossi i propri vestiti, ma qui con me c'è ancora Sammy e non vorrei che sentisse mamma e papà organizzare giochi di ruolo.>> poi un rumore come di vento e una nuova voce si aggiunse alla telefonata. << - State parlando di veri giochi di ruolo? Roba seria intendo?- >>
<< Ovvio che è “roba seria”,
per chi ci hai presi?>>
<< - Non per due appassionati di GDR! Insomma, dovete andare in un posto sicuro no? Non potete mica uscire- >>

Alec sospirò sconfortato e cominciò a scendere le scale. << Lewis, pensa al doppio senso della frase, capiscila e poi vai a fare il tuo lavoro o ciò che devi. Tu, Magnus, smettila di dargli corda e prenderlo in giro. Siete peggio di due bambini.>>
<< -Un attimo, mi stava prendendo in giro? Oh, andiamo Mags! Io credevo davvero che faceste qualcosa di figo dal vero, ti ci vedo bene a te come uno stregone e ad Alec come Ranger!>>
<< Ma io sono uno stregone, chiedi in giro ragazzino, so fare magie in molti campi. Soprattutto in quelli di seta, non so se mi spiego… >>
<<
Sto per riattaccare.>>
<< No! Mi serve davvero sapere tra quanto sei qui, ho il tempo di farmi i capelli?>>
<< Probabilmente se non mi avessi chiamato l'avresti anche avuto. Sto per salire in macchina, ci metto venti minuti traffico permettendo, ti bastano?>>
Un breve silenzio ronzò nel fono, lasciando ad Alec il tempo di immaginare la faccia di Magnus contratta in una smorfia infastidita, non gli piaceva mai correre, lo sapeva.
<< Non è che puoi passare a quel negozietto che ti piace tanto prima? Così allunghi un po'.>>
<< Magnus, abito nella DownTown, mi stai chiedendo di salire sino all' Upper East Side e poi tornare indietro verso Brooklin?>> gli domandò fermandosi davanti al portabagagli della sua auto e lanciandovi dentro il borsone. Tenne il telefono tra la spalla e l'orecchio, il capo inclinato e lo sguardo che saettava, più per abitudine che per altro, da un lato all'altro della strada, controllandone i passanti e le vetture in transito.
<< Beh, alla fine non è tanto distante no? Ci si arriva in fretta all'Up Town da Lower East Side… >>
<< Stai tergiversando Magnus e io sono già in macchina. Sto per chiudere il telefono e da quel momento avrai venti minuti netti. Sei pronto?>>
<< Sono seccato, ecco cosa sono. I miei capelli saranno uno schifo.>>
<< Nessuno tranne me li vedrà e ti assicuro che non dirò nulla a riguardo. Lo prometto.>>
Sentì l'uomo sbuffare per l'ennesima volta e mormorare qualcosa di incomprensibile per lui ma che fece comunque scappare qualche risolino a Simon. Lo mise di buon umore e pigiando il tasto della chiamata in viva voce mise in moto e si immise nel traffico.
<< Va bene fiorellino, hai vinto tu. Tra venti minuti da me...e sarebbe anche una bella cosa se solo non ci fosse anche Solomon, qui… - Ti ho sentito sai? Smettila di prendermi in giro, lo so che in verità mi vuoi bene!- >> Come loro solito i due cominciarono a borbottare e discutere di nulla e Alec alzò gli occhi al cielo, indeciso se spegnare o meno il telefono.
Quella non sarebbe certo stata la sua prima missione di scorta o di protezione, ma non aveva mai dovuto proteggere un testimone a cui avevano già cercato di fare la pelle, non erano cose dalla Omicidi, se no occupava la polizia carceraria e spesso persino i cacciatori di taglie. Jace si era ritrovato a far da scorta ad un pericoloso trafficante, ma lui era della SWAT e poi, se non sbagliava, aveva sentito più di una volta Luke e Jonathan chiacchierare di quell'incontro o quell'indiziato. Lui si limitava ad arrivare sulla scena del crimine, ad esaminare gli indizi, investigare e consegnare il colpevole alla giustizia.
Rallentò al semaforo rosso ed attese, pensieroso.
Sapeva le regole di base, sapeva come doveva comportarsi e anche come proteggere Magnus, come avrebbe voluto proteggerlo a dir il vero, specie dopo quello che gli era successo la settimana prima. La verità è che non riusciva a capire come conciliare la sua idea di sicurezza a l'investigazione. Non sarebbe più potuto andare in giro a chiedere informazioni, ad esaminare le prove ed era anche per questo che Simon gli aveva procurato una copia di ogni singolo indizio in loro possesso, ma non era lo stesso, se lo sentiva.
D'altra parte, con chi altro avrebbe dovuto confrontarsi? Aveva parlato con le vedove e con i superstiti, avrebbe dovuto parlare con sua madre forse ma poi la cosa sarebbe andata troppo sul personale e c'era rischio che gli togliessero il caso, già la chiacchierata con suo padre era stata rischiosa, vista da fuori. Scosse la testa: lui stava indagando sul caso Fell, non sul Circolo, doveva ricordarselo.
Poi d'improvviso si ricordò di ciò che aveva scoperto all'ospedale, di ciò che gli aveva detto Robert e anche della foto che gli aveva dato Tessa Gray. Chiuse gli occhi per un attimo e poi li puntò sulla luce rossa, almeno Magnus avrebbe avuto il tempo di farsi quei dannatissimi capelli. Se solo non lo sentisse ancora al telefono a litigare con Simon...forse lasciare quei due insieme per così tanto tempo non era poi stata un'idea tanto geniale. Sospirò.
<< Ho già superato la svolta per l'ospedale, vedo il ponte in lontananza Magnus, stai sprecando tempo.>>
<< No! Vai più lento! È tutta colpa di Sigfrid che mi blocca e non mi fa lavorare!>>
<< - Lavorare? Ma se ti devi solo asciugare i capelli e metterci quella assurda gelatina brillantinata. Diamine Mags, sembra uscita direttamente da Grees, chi te l'ha venduta? John Travolta?- >>
<< Non osare insultare la mia cera!>>

Alec riprese ad ignorarli, domandandosi solo con quale coraggio Magnus accendeva il phon con 40 gradi in città. E poi si lamentava di lui che portava la giacca.
Abbassò velocemente lo sguardo sulla sua maglietta e storse le labbra in un piccolo sorrisetto sbilenco, sarebbe stata la prima volta che lo vedeva senza il completo, se non si conta la volta che erano piombati in casa sua, chissà cosa avrebbe detto.
Si strofinò una mano mezza sudata sul torace, cercando di smuovere un po' il tessuto e si lasciò sfuggire un verso infastidito quando l'indice gli si impuntò su un pettorale. Controllò di nuovo la maglia e storse definitivamente le labbra, questa volta per il disappunto: quella maglia era troppo fina e gli si appiccicava al petto anche se era di qualche taglia più grande della sua, di questo passo si sarebbe visto tutto.
Si maledisse un attimo per quella sua bella trovata e poi riportò lo sguardo sul traffico completamente bloccato del Brookin Bridge. A quell'ora si camminava a passo d'uomo e se allungava il collo poteva scorgere alcune macchine ferme sulla corsia d'emergenza. Sicuramente qualcuno aveva fuso il motore e non avrebbe faticato a credere anche a qualche gomma scoppiata, tra il metallo della struttura e l'asfalto della strada quel ponte era come un gigantesco spiedino da grigliata incandescente che collegava un pezzo di terra all'altro.
Prese quel momento d'attesa come un segno del destino che forse avrebbe concesso all'altro, se avesse spento il telefono tipo in quello stesso istante, di potersi acconciare i capelli e forse anche truccare. Malgrado sperasse vivamente che evitasse visto che gli aveva più volte ripetuto che non dovevano dare dell'occhio.
Poi il suo sguardo si perse nel traffico finché non incontrò un furgoncino bianco e gli si congelò il sangue nelle vene. Un contrasto che non gli diede nessun sollievo se non quello di farlo sentire come in preda ad un mare agitato e fargli venire da vomitare.
A pensarci ora era una cosa fin troppo logica, quello nella foto era sicuramente il furgoncino dove i tecnici spiavano i ragazzi e le conversazioni più importanti, ma allora perché era così importante? Lui non ne aveva la certezza ovviamente, eppure se lo sentiva, come sotto pelle. Era un normalissimo furgoncino bianco, probabilmente di una qualche lavanderia della zona, non lo sapeva, e si vedeva pure male da lontano in quella foto però… però Alec era sicurissimo che c'entrasse qualcosa, che Stephen Herondale aveva visto quello stesso qualcosa e che per questo si era sbrigato a consegnare la cartella a Malcom Lewis.
Ecco, forse sarebbe dovuto andare a parlare con la signora Lewis, ma poi così facendo avrebbe rischiato di risvegliare ricordi poco piacevoli, dopotutto l'uomo era morto d'infarto non per colpa del caso, maledizione o meno.
Si passò una mano sul volto, stanco mentalmente e anche affaticato fisicamente da quella calura. Stava raggiungendo vette di paranoia davvero assurde, si aggrappava ad ogni singola cosa che gli paresse fuori posto o strana, tutto ciò che gli saltasse all'occhio era un indizio ormai.
Rimise in moto la macchina che aveva spento quando vide gli stop della vettura avanti a lui illuminarsi, ingranò la prima e avanzò sulla lingua d'asfalto rovente.
Probabilmente alla fine di quel caso sarebbe andato dallo psicologo, poco ma sicuro, o c'era rischio che si portasse dietro manie di persecuzione e Dio solo sapeva cosa per il resto della sua vita.
Gli tornò poi improvvisamente in mente una cosa successa anni fa, quando era poco più di un bambino e Jace e Izzy avevano voluto a tutti i costi giocare con il tubo dell'acqua in giardino. Si ricordò di come li avesse costretti a togliersi da sotto l'albero anche se questo era perfettamente sano e non vi era nessun animale sopra, come i suoi fratelli protestassero perché non volevano stare al sole e anche di come aveva preso Max in braccio, allora appena di tre anni, e lo avesse allontanato da quella zona. Poi Jace si era lamentato che l'acqua non usciva più, Izzy era saltata via da sopra il tubo e la botta di pressione era stata così forte da farlo scappare di mano al bambino. Il becco della pompa aveva colpito una delle casette di legno attaccate all'albero e questa era caduta dritta dritta dove prima stavano i suoi fratellini.
Quando erano accorsi i genitori a vedere cosa aveva combinato e Izzy gli aveva spiegato che prima erano proprio lì ma che Alec li aveva fatti togliere senza un apparente motivo, alle occhiate stupite e sollevate dei due il moro aveva risposto con una stretta di spalle, le guance rosse d''imbarazzo ed un piccolo e pigolante “ Non lo so, me lo sentivo che non dovevano stare lì”.
Sua madre gli aveva sorriso dicendogli che era istinto fraterno quello, che captava i possibili pericolo per gli altri anche senza capirlo davvero. Suo padre gli aveva detto che per lui era istinto e basta e ciò non cambiava la situazione: Alec aveva sempre avuto questo sesto senso e se mai qualcosa lo avesse insospettito, malgrado la gente lo contrastasse o gli dicesse che era tutta immaginazione, lui doveva rimanere fedele a ciò che sentiva e tirare dritto.

<< Fidati sempre del tuo istinto Alec e non ascoltare gli altri. Le persone sbagliano, l'istinto di rado lo fa.>>

Alec continuò a guidare mentre quel ricordo scivolava via dalla sua mente.
Sua madre e suo padre avevano ragione, come sempre si disse ironicamente: se il suo istinto gli indicava con una freccia luminosa quel furgoncino allora c'era da indagarci sopra.
Avrebbe controllato di nuovo tutti i documenti e cercato qualche accenno alle vetture usate durante il caso, magari avrebbe anche chiesto a Simon di controllare il traffico attorno a casa Fell, così per scrupolo.
Ora doveva solo arrivare da Magnus e portarlo al sicuro.


 

Alla fine c'aveva messo più di venti minuti per arrivare al loft, ma aveva detto “traffico permettendo” e non si stupì troppo di trovare l'uomo ancora intento a fissare le sue valigie con un paio di maglie poggiate sul braccio, come se stesse cercando di capire come farcele entrare.
Ad aprirgli era stato Simon, con uno stupido inchino da maggiordomo, informandolo che “il signore” era al momento nella sua cabina armadio. Per poi specificare che con il caos che aveva fatto tutto il loft era diventato la sua cabina armadio.

<< Non vedo l'ora che te lo porti via così posso tornare a casa mia. Anzi, aspetta, no, non tornerò a casa mia, mi tocca andare da Clary. Il grande Capo ha detto che non posso stare in un luogo in cui non potrei riceve immediato soccorso qual ora ne avessi bisogno. È stato un tantino inquietante se devo dirlo. Oh, comunque potremmo sentirci sulla nostra linea sicura, perché io non so assolutamente dove si trovi il luogo in cui state andando. Non lo so, no. E penso che ti servirà qualcuno sano di mente con cui parlare per sopravvivere a questa convivenza forzata, un po' come a me sei servito tu.>>
<< Quindi intendi che mi metterai in contatto con uno psicanalista e non mi farai parlare con nessuno dei miei parenti o dei miei amici?>>
<< Perché dovrei metterti in contatto con uno psicanalista e non farti parlare con nessuno dei tuoi parenti o dei tuoi amici?>> chiese il castano perplesso.
<< Perché mi hai appena detto che mi servirà qualcuno sano di mente con cui parlare.>> Si incamminò verso la camera da letto del padrone di casa senza neanche dare la possibilità a Simon di ribattere, poi aggiunse. << O Church, puoi sempre organizzarmi una chiamata skype con lui. Credo che sia il membro della mia famiglia più sano di mente ed intelligente che io abbia. Alle brutte puoi sempre farmi parlare con il Capo Blackthron.>>
Si immaginò perfettamente il broncio infantile dell'amico ma non si sprecò neanche a girarsi. Marciò verso la sua meta fermandosi solo per prendere al volo in braccio Presidente e grattagli la testa come sapeva piacere sia a lui che ha Church. Poi si fermò sullo stipite della porta e osservò la stanza a soqquadro, Magnus al centro di essa, a torso nudo e con delle camicie appese al braccio.
Si soffermò a guardare il cerotto che copriva la spalla e per un attimo gli risalì la stessa nausea che lo aveva assalito in macchina. Poi Magnus si girò e qualunque cosa stesse pensando divenne inutile.
L'uomo gli sorrise quasi con una punta di imbarazzo, come i bambini beccati con in mano la scatola di biscotti prima di sedersi a tavola.
<< Lo so, avrei dovuto già aver tutto pronto ma davvero non so dove mettere queste.>> Ammiccò verso le camicie e Alec sospirò scuotendo la testa ma lasciandosi sfuggire un lieve fremito di labbra. Spinse Presidente Miao sulla sua spalla e prima che Magnus gli potesse dire che il suo gatto non era abituato a stare sulla spalla di nessuno, che dalla sua cadeva sempre o si lanciava graffiandolo, il gattino si tenne in perfetto equilibro e Alec poté togliergli le camicie di mano. Le piegò con attenzione e con una precisione millimetrica che Maguns probabilmente non avrebbe mai avuto, arrivando a fare un quadratino irrisorio che andò ad infilare con facilità nella grande valigia aperta.
Per un secondo l'uomo si diede dello stupido: certo che sulle spalle di Alexander Presidente Miao stava comodamente in piedi, quel ragazzo aveva una schiena da nuotatore.
Osservò con attenzione rapace i muscoli tendersi sotto la maglia fine, malgrado fosse palesemente più larga del dovuto. Più larga ma non più lunga visto che si arricciò mostrando una lunga e pallida, quasi cangiante, linea di pelle bianca. Avrebbe potuto far vagare lo sguardo sulle cosce muscolose messe in risalto da quei jeans vecchi che gli si stringevano contro i fianchi e su quel sedere che neanche Michelangelo sarebbe stato in grado di scolpire, ma tutta la sua attenzione si catalizzò su delle punte nere che intravedeva sotto la stoffa.
Le aveva già notate quando erano andati a casa sua, se la ricordava bene quel muro bianco ricoperto di segni neri ma lì per lì, non sapeva neanche lui come fosse stata possibile la cosa, li aveva lasciati perdere. Diamine! Lui era Magnus Bane come aveva fatto ad ignorare dei tatuaggi su una persona così palesemente tranquilla, gentile, ligia al dovere e… e…andiamo! Alexander era il poliziotto perfetto, non poteva avere tatuaggi! Non senza che lui lo sapesse.

<< Continuerai a fissarmi il sedere ancora per molto o pensi di potermi rispondere?>>
La voce del giovane lo riscosse e Magnus colse la palla al balzo.
<< Ti sembrerà strano tesoro ma non fissavo il tuo bellissimo e perfetto fondo schiena. Dovrebbero tipo farci un poema, una ballata, non so “Ode al culo perfetto di Alexander” che ne dici?>>
<< Puoi fare di meglio.>> si rialzò e Magnus si rese conto che aveva chiuso la valigia, più un modo per digli che non gli avrebbe permesso di portare altro che una vera e propria premura pensò.
<< Certo che posso fare meglio, ma prima dovrei vederlo nella sua interezza e magnificenza. Nudo ovviamente.>>
Alec scosse la testa e portò una mano verso il gatto che ancora se ne stava appollaiato sulla sua spalla come un pappagallo.
<< Quindi? Sei pronto?>> ripeté il detective.
<< Da quando hai un tatuaggio?>> lo ignorò Magnus.
<< Ne ha più di uno a dir il vero, credo sia la persona con più tatuaggi che conosco e li ha da quando ha...quanti anni avevi? Io ti ho conosciuto che già ne aveva cinque.>>
Simon spuntò sulla soglia della stanza con un barattolo di gelato in mano. Ormai era di casa e prendeva e faceva quello che voleva.
Maguns sgranò gli occhi. << Già ne avevi cinque?>>
<< Presumo che voglia dire che possiamo andare.>>
<< Non sviare! Quanti anni avevi quando hai fatto il primo?>>
<< Non credo sia così importante saperlo.>> Alec afferrò la maniglia della valigia e Magnus già sapeva che sarebbe rimasto inchiodato a terra e che avrebbe subito tutto il suo interrogatorio.
Purtroppo per lui, dopo quasi due mesi, non aveva ancora capito quanto fosse forte il ragazzo, che sollevò senza problemi tutta la valigia da terra e neanche fece scorrere le rotelle sul pavimento.
Magnus si parò davanti alla porta assieme a Simon ed il moro, vedendoli, si fermò roteando gli occhi al cielo.
<< Simon mi ha conosciuto che avevo diciassette anni. Ne avevo quattro all'epoca, mi feci il quinto che ancora non eravamo poi così in confidenza e la prima volta che uscì l'argomento erano passati mesi, si era ben cicatrizzato e così dissi di averne cinque, punto.>>
<< Cosa sono?>> chiese l'asiatico.
<< E il primo quando lo avevi fatto?>> continuò Simon.
<< Possiamo parlarne un'altra volta? O in macchina magari.>>
Magnus annuì soddisfatto mentre l'altro storceva il naso.
<< Ma io non ci sono in macchina con voi...>>
<< Vuol dire che appena ci saremo sistemati ti manderò un messaggio con tutto ciò che mi avrà detto!>>
Il ragazzo apparve abbastanza soddisfatto e fece marcia indietro per andare a sdraiarsi sotto l'aria condizionata.
Magnus invece sorrise furbesco e si avvicinò al poliziotto per prendere il proprio gatto.
Passò le braccia attorno al collo pallido di Alexander che non si rese conti di aver trattenuto il respiro per quell'improvviso avvicinamento.
Le unghie curate e smaltate di nero dell'uomo passarono sui capelli scuri del giovane per poi affondare nel pelo chiaro del felino. Sorrise al gatto ma quando distolse lo sguardo ne incontrò uno più grande e più limpido e si bloccò, improvvisamente consapevole della vicinanza che si era creata.
Rimasero bloccati in quel modo per una manciata di minuti ma Magnus si sentiva come ipnotizzato da quegli occhi blu. Era un colore così intenso da sembrare quasi finto, poteva vedere una moltitudine di fili chiari o scuri che si intrecciavano tra di loro. La sua mente li paragonò veloce a grotte di ghiaccio, anfratti scintillanti che nascondevano ognuno un segreto prezioso che probabilmente lui non avrebbe mai scoperto.
Dischiuse le labbra secche dal caldo per dire qualcosa ma il miagolio di Presidente fece saltare entrambi e l'uomo di sbrigò a togliere il gatto dalle spalle del detective per poi stringerselo al petto, come se potesse essere una protezione da qualcosa o da qualcuno.
<< Sono pronto.>> riuscì solo a dire.
Il moro annuì, macchie paonazze gli coloravano le guance ed il collo e Magnus si domandò sino a dove arrivasse quel rossore, se si perdesse sulle scapole o sfiorasse i pettorali.
Distolse lo sguardo e scosse la testa, mollando Presidente quando miagolando infastidito gli piantò le unghie nel braccio per farsi lasciare.

<< E' così che saluti papà? Potremmo non vederci per mesi e tu vuoi che il nostro ultimo ricordo assieme sia con te che mi graffi perché non apprezzi il mio affetto? Presidente vieni immediatamente qui e amami, non puoi comportarti così. Sei un bambino cattivo e viziato, passi troppo tempo con Silvan!>> grato al suo gatto per avergli dato un motivo per voltare le spalle al ragazzo e andarsene, spezzando quella strana tensione che era andata creandosi tra di loro, si diresse alla rincorsa del felino continuando a sgridarlo.
Alec invece chiuse gli occhi e si diede del cretino.

Si Alec, complimenti, continua così, crea momenti di imbarazzo puro e così schifosamente denso da essere tagliato con il coltello, vai.

Si passò veloce una mano sul volto, sentendolo accaldato ma imponendosi di credere che fosse solo il calore ad averlo reso rosso come un peperone. Solo quello. Non il fatto che Magnus gli si fosse avvicinato così tanto, per prendere il suo gatto poi.
Masticò un'imprecazione a mezza bocca, maledicendo i suoi fratelli. Perché era tutta colpa loro, se non avessero messo su quel penoso teatrino con quei “oh Alec, sono così felice che finalmente tu abbia trovato qualcuno” e quelle enormi cazzate sul far diventare buono Magnus, se si fossero stati zitti e non avessero infilato il dito nella piega costringendolo a ripetere che era un bell'uomo e che aveva alcuni tratti che lo attiravano molto -alla vigilia della loro convivenza forzata poi!- a quell'ora Alec non si sarebbe fatto tutti quei problemi ad aver l'asiatico così vicino.
Va bene, si sarebbe comunque imbarazzato, ma solo ed unicamente per quella palese infrazione del suo spazio vitale personale. Non perché Magnus Bane era bello e gli si era avvicinato troppo.

È bello...come i bambini delle elementari. Perfetto, davvero perfetto. Questi si che sono i presupposti giusti per una scorta. Magnifico, davvero.

Chiuse ancora gli occhi e poi li riaprì, ripetendo l'azione per un paio di volte prima di stringere il manico della valigia, enormemente sproporzionata per ciò che stavano andando a fare, e dirigersi in sala da pranzo dove gli altri lo attendevano.
Sarebbe stata una convivenza molto lunga.

 







 

Salve lettore.
Siamo arrivati al terzultimo capitolo, epilogo escluso.
Sono le battute finali e spero che qualcuno si sia fatto un’idea di chi sia il colpevole del Caso Fell e cosa sia successo durante l’Operazione Circle.
Grazie a tutti coloro che hanno letto la storia fin qui, l’hanno inserita tra le seguite, le preferite e le ricordate. E grazie anche a quei buoni diavoli che hanno perso tempo a recensire.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI


 

Il viaggio in macchina era stato più movimentato di quello che aveva previsto.
Tanto per cominciare per far entrare la valigia di Magnus nel porta bagagli avevano dovuto togliere il borsone di Alec e schiaffarlo sui sedili posteriori dell'auto.
L'uomo aveva fissato la sacca della palestra con un sopracciglio alzato in una muta domanda a cui Alec aveva risposto semplicemente dicendogli che avevano una lavatrice in casa.
Avevano discusso un poco sulla faccenda, sul fatto che molti dei capi di Magnus andassero lavati a mano e anche sul fatto che quella era un'ottima occasione per imparare a far il bucato, perché non avrebbero avuto servizio in camera e certo Alec non avrebbe lavato le costosissime camicie di seta di Magnus a mano solo perché non potevano sopportare la “brutalità del cestello di metallo che gira”. Parole dell'uomo.
Poi Magnus si era illuminato come un albero di natale e aveva ricordato al giovane che doveva parlargli dei suoi tatuaggi.
Alec aveva alzato gli occhi al cielo ma accettato la cosa, gliel'aveva promesso dopotutto.

<< Ho fatto il primo che avevo quattordici anni.>> disse semplicemente.
Il silenzio avvolse per un attimo l'abitacolo scaldato dal sole impietoso del mezzogiorno e se non fosse stato una persona estremamente elegante la mascella di Magnus avrebbe toccato il pavimento.
<< Come scusa?>>
<< A quattordici anni. Avevo appena iniziato la High school ed erano le due settimane di pausa di Novembre, ricordo che calcolai alla perfezione i mesi che mi sarebbero serviti per guarire e come avrei nascosto il tatuaggio. Lo feci due giorni prima del Thanksgiving, da quel momento mi sarei messo solo maglioni e felpe e nessuno mi avrebbe visto senza maglia.>>
<< Quindi ti sei tatuato sulla schiena? No, aspetta, la domanda vera è: chi è il pazzo che tatuò un ragazzino di 14 anni?>>
Alec storse la bocca e si limitò a borbottare un basso “il tatuatore ha creduto che ne avessi sedici” che Magnus faticò a registrare.
Il moro si schiarì la voce e ripeté.
<< Credeva che avessi sedici anni. Gli ho detto che non avevo la carta d'identità perché l'avevano i miei e non volevano che ne abusassi. In ogni caso ero nel Bronx e non è che mi abbiano poi fatto tutte ste' domande.>>
Magnus non sembrò affatto sollevato da quelle parole e si girò sul sedile per poterlo vedere ben in volto e scorgere ogni traccia di menzogna. Che non c'era però.
<< Okay, >> cominciò piano << quindi mi stai dicendo che a quattordici anni hai organizzato tutto un piano diabolico per andare nel Bronx a farti fare un tatuaggio all'insaputa dei tuoi genitori e che te lo hanno fatto e tu lo hai nascosto per… per quanto? Quando ti hanno beccato?>>
<< Non lo hanno fatto. A sedici anni gli dissi che mi sarei fatto dei tatuaggi e basta.>>
<< Alexander! Ma cosa mi stai raccontando? Chi sei tu in verità? O chi eri prima di diventare questo bel soldatino sexy che sei ora?>> chiese quasi allarmato.
Alec roteò gli occhi e poi gli lanciò uno sguardo come a dirgli “sei serio?”. Riprese a parlare.
<< In quel periodo non è che andassi troppo d'accordo con i miei, abbiamo cominciato a parlare un po' di più quando ha diciotto anni ho- >> si bloccò di colpo e si schiarì la gola, gli zigomi gli si tinsero lentamente ma inesorabilmente di rosso e lui sospirò.
<< Non andavamo d'accordo. Ogni persona ha avuto il suo momento di odio profondo verso il mondo, il mio è andato dai tredici ai diciotto anni.>>
<< E poi?>> domandò a bassa voce l'altro, come se avesse paura di rovinare quel momento di confessione e confidenza che si era andato a creare. Era forse la prima volta che lo sentiva parlare in prima persona di qualcosa del suo passato, se non si conta quella volta a casa di Ragnor quando gli raccontò di quando gli avevano sparato. O quando gli aveva raccontato della volta in cui la pallottola se la beccò suo fratello. Di solito era Simon ad uscirsene con qualche piccolo segreto sul giovane Lightwood, lui non era di quelle persone che amava parlare di sé questo lo aveva capito sin dall'inizio.
<< Poi mi sono calmato penso.>> sorrise nostalgico. << I miei fratelli dicono di aver avuto un “periodo punk”, la verità è che sono cresciuti nel momento del goth e poi in quello degli emo.>>
<< Una piaga per l'umanità diamine.>> fece lui schifato. Alec sorrise di nuovo.
<< Si. Qualche mese fa Clary ha trovato delle vecchie cose di sua madre e tra queste c'era una foto di quando erano adolescenti tutti loro del gruppo. Loro si che erano punk.>>
<< E tu cosa sei stato? Io sono stato fuorviato da Bad di Michael Jackson, per un periodo mi sono vestito solo come lui. Non sai quanti guanti ho a casa.>>
Questa volta il detective rise di gusto e Magnus se ne compiacque, gli piaceva farlo ridere e anche sentirlo ridere, gli dava soddisfazione.
<< Io ho seguito i miei genitori, sia mai che riesco a fare qualcosa di testa mia.>> un verso di scherno gli scivolò dalle labbra prima che il tono s'abbassasse come se stesse parlando con sé stesso e non con l'altro. Magnus si accigliò ma non osò parlare.
<< Non c'è molto da raccontare. Ero arrivato a quell'età in cui vedi tutti i torti che ti vengono fatti, tutte le ingiustizie e non vedi nulla a tuo favore. Ero il maggiore, di altri tre fratelli. Non avevo cugini e tutti mi ripetevano che avrei dovuto comportarmi in un modo o fare una determinata cosa. Ho retto sino ai tredici anni, ma alla fine della Middle, poco prima della pausa estiva, avevo già l'acqua alla gola e sono scoppiato. Ho progettato tutto “il piano” per farmi un tatuaggio e ho smesso di dire ai miei genitori quel poco che gli dicevo prima.>> rise brevemente, una risata di naso che sembrò di nuovo di puro scherno verso sé stesso. << Loro la presero solo come una cosa passeggera, ero appena entrato nell'adolescenza ed erano convinti che fosse solo “il periodo nero” di ogni bambino che deve diventare adulto.>>
<< Non pare una cosa che diresti tu. Mamma o papà?>> domandò Magnus sistemandosi meglio sul sedile e spostando la cintura rovente che gli stava segando una spalla.
Alec gli concesse uno sguardo rapido, divertito. << Mamma ovviamente. Lei sapeva già tutto anche se ero il primo dei suoi figli ad affrontare la cosa. Papà brancolava nel buio e non capiva che cavolo avessi. A sua discolpa posso dire che è stato più attento e recettivo per altre cose.>>
<< Tipo? E poi cosa fecero? Ti hanno lasciato a cuocere nel tuo brodo?>>
<< Oh, in pratica si. Mia madre è diventata un po' più rigida, forse perché ero quello che obbediva sempre ad ogni comando senza fare storie.>>
<< Non dirmi che hai iniziato a fare il ribelle e ad urlarle contro!>>
<< No, continuavo ad ascoltare quello che mi diceva, se la cosa mi sembrava sensata facevo in quel modo se no poi facevo di testa mia. Quello è stato il periodo in cui il mio armadio ha cominciato a diventare monocromatico. Mamma probabilmente non ha mai accettato che io mi sia interessato più al lavoro di papà che al suo. Voleva che facessi giurisprudenza e che diventassi avvocato come lei. Come puoi ben vedere è finita diversamente.>>
<< Quindi eri un bambino ribelle! Ho indovinato!>> Magnus ridacchiò cercando di immaginarsi un Alexander adolescente, con la cresta da punk e il tirapugni di ferro.
<< No, è che non mi sono mai fatto beccare. A differenza di Jace e Izzy, li dovevo coprire sempre io. E poi non è che facessi chissà cosa. Mi sono fatto dei tatuaggi, vestivo di nero, portavo scarponi da combattimento e mi sono rifiutato di seguire i corsi di preparazione per legge. Tutto qui.>>
Maguns lo guardò attentamente, << Quanti ne hai?>>
<< Una ventina.>> rispose prontamente il moro e lo guardò sogghignando alla sua faccia stupita.
<< Sono per la maggior parte simboli particolari o cose importanti per me. Il primo è stato il nodo celtico della fratellanza. L'ho fatto pensando ad una cosa che avrei amato per sempre e che avrei portato con me in ogni luogo senza mai abbandonarla, qualunque cosa fosse successa.>>
<< I tuoi fratelli.>> annuì Magnus, << E gli altri?>>
<< Ho un paio di rune, sempre celtiche e altre di altre culture. Ho una freccia- >>
<< Tatuata sulla pancia che indica verso il basso?>> chiese divertito ma Alec scosse la testa ridacchiando come lui a quella domanda.
<< Assolutamente no. Ho il mio numero di matricola. Si, quello da agente, è lo stesso che porto ora e per me è importante. Ho la bandiera americana- >>
<< Patriottista… >>
<< Si, lo sono. Amo il mio paese e sono fiero di proteggerlo.>>
<< E poi? Uno per il tuo gatto te lo sei fatto?>> fece con leggerezza non aspettandosi un si come risposta.
<< Ho il profilo del suo muso sulla caviglia.>>
<< Mi stai prendendo in giro!>>
<< No. >> Alec rise della sua espressione scioccata e scosse la testa, << Arrivati all'appartamento te lo faccio vedere se vuoi.>>
<< Puoi farmi vedere tutto quello che desideri tesoro.>> ammiccò l'altro e Alec gli diede un pugno leggero sulla spalla. Magnus rise.
<< Che altro, su, illuminami.>>
<< Una croce. Non fare commenti. Una runa angelica di una vecchia legenda che mi raccontava sempre mia nonna. Ho… ne ho no tra le scapole e puoi un prisma sul costato. Ci sono i nomi dei miei fratelli. La data di quando mi hanno sparato vicino alla cicatrice. Sono diversi.>>
Magnus rimase fermo, pensieroso.
<< Che c'è?>> domandò questa volta Alexander alzando un sopracciglio, lo sguardo che si alternava dalla strada all'uomo.
<< Lo ha detto in modo strano.>>
<< Cosa?>> chiese ancora.
<< “Prisma”. Sembrava che ci fosse qualcosa dopo ma che ti sia fermato in tempo. Capisco che quello prima ancora tu non voglia dirmelo, dev'essere molto personale e non voglio insistere. Ma perché hai un prisma? E perché proprio prisma e non cristallo? Come lo distingui?>>
Alexander deglutì un paio di volte, la gola secca per il caldo e forse anche per la preoccupazione di ciò che stava per dire. Se ne vergognava a dir il vero.
Poi si diede dello stupido: Magnus non lo avrebbe preso in giro per una cosa del genere, non lui. Non dopo che lo aveva visto distrutto in casa del suo amico e in lacrime in ospedale. Non si sarebbe permesso prima di ridere di lui e di una cosa così delicata, figurarsi dopo tutto quello che era successo.
<< Alexander?>> lo richiamò quello ed Alec scosse ancora la testa per darsi coraggio.
<< L'ho fatto a diciotto anni. Dopo Natale.>> Magnus non gli chiese perché quella specificazione e lo lasciò parlare, concentrato sulle sue parole, sembrava che gli stesse per rivelare un segreto, la sensazione e la tensione nell'aria erano quelle e lui non avrebbe fatto nulla per metterlo a disagio.
Magnus era una drama queen con i fiocchi, che amava essere al centro dell'attenzione e avere tutti i riflettori su di sé, far battute e mettere in imbarazzo la gente, ma sapeva quando poteva farlo e far ridere e quando invece avrebbe ferito irrimediabilmente l'altro. Questo era uno di quei casi.
<< Mia madre mi diede il tormento quel Natale, voleva che conoscessi alcune delle figlie dei suoi colleghi, diceva che probabilmente saremmo finiti nello stesso college e che era un bene farsi degli amici. Papà provò anche a dirgli di presentarmi qualche figlio dei suoi colleghi ma lei lo ignorò. Diceva che a diciotto anni avrei dovuto cominciare a pensare a cosa avrei dovuto fare della mia vita, a trovare una compagna che potesse accompagnarmi prima nel percorso dello studio, “un'avventura che avremmo condiviso assieme” e poi magari per tutta la vita.>> prese un profondo respiro e poi lo lasciò andare. << Te l'ho detto, mio padre non mi avrà capito prima, ma dopo lo fece meglio di lei. Si propose lui stesso di accompagnarmi dal tatuatore quando gli dissi cosa mi sarei voluto fare.>> un sorriso gli piegò le labbra e Magnus non riuscì a rimanerne immune.
<< Perché il prisma?>> domandò in fine.
Alec prese di nuovi fiato, preparandosi alla battuta finale.
<< Perché...credo che scelsi proprio quello perché siamo tutti uguali, avevo bisogno di ricordarmelo ogni volta che fosse stato necessario. Tutti quanti siamo uguali, non abbiamo niente di diverso dagli altri. Come i prisma tutti quanti noi filtriamo la luce che ci attraversa e solo a quel punto ci differenziamo, lasciando passare un colore o un altro.>> Magnus ascoltò rapito quel pensiero filosofico e una piccola scintilla si accese sul fondo della sua mente. Non riuscì a non increspare un angolo delle labbra, un sorriso quasi di sollievo che lì per lì non si spiegò e sul quale neanche si interrogò.
<< Ed il tuo che colori lascia filtrare, Alexander?>>
La macchina si fermò davanti ad un edificio come tanti, parcheggiata vicino al marciapiede. Alec spense il motore e si voltò a fronteggiare Magnus faccia a faccia.
Puntò gli occhi diritti in quelli dell'uomo, con un fuoco che forse gli aveva visto solo una volta.

Orgoglio.

Si disse Magnus, consapevole di ciò che avrebbe detto il giovane prima ancora che lo facesse.

<< Tutti i colori dell'arcobaleno.>>


 


 

L'appartamento non era niente di ché, un semplicissimo appartamento, spazioso, con due camere da letto, un salone ampio, cucina ed un bagno. C'era anche la vasca e ciò non fece altro che permettere a Magnus una serie di battute su come utilizzarla che Alec si sarebbe voluto sparare.
Era ancora perso in quello che aveva raccontato all'uomo e non lo vedeva davvero mentre questo girava per gli ambienti e paragonava le camere per decidere quale prendere.
Si era esposto troppo? Aveva detto troppo? Gli aveva rivelato uno dei momenti più delicati della sua vita, quando aveva fatto coming out con la sua famiglia, quando suo padre aveva bussato alla sua porta dopo giorni che non ne usciva e gli aveva chiesto solo se poteva stare con lui, semplicemente seduto sul letto, in silenzio.
Lo aveva fatto per due giorni e quando poi Alec, quasi impazzito dai sensi di colpa, da ciò che aveva fatto, la delusione che gli aveva dato, gli aveva chiesto perché fosse lì con lui, perché non lo rimproverasse, aveva ricevuto la risposta più enigmatica che l'uomo gli aveva mai dato.

<< Non ci sono stato la prima volta, c'ho messo troppo per accettarlo e quando poi finalmente si è risolto tutto, quando ho capito che non c'era niente di diverso da prima, era già troppo tardi.>>

Con il passare degli anni aveva creduto che si riferisse a qualche amico del liceo, qualcuno che magari era morto. Poi attorno ai suoi ventidue anni, durante una cena come tante, quando al tavolo con loro c'erano anche Luke e Jocelyn, l'uomo se ne uscì ricordando di quando Robert e Michael avevano litigato, l'anno prima che cominciasse l'accademia. Di come avessero fatto pace prima del ballo di fine anno e di come poi avessero deciso di continuare quel percorso assieme.
E lì Alec aveva capito che suo padre parlava di Michael Wayland e non di un ragazzo a caso.
Riportò l'attenzione su Magnus che trascinava la sua pesante valigia verso la camera di destra e l'unica cosa che gli venne spontanea da fare fu superarlo e controllare che la finestra non fosse troppo grande o che fosse comunque poco esposta.

<< C'ho pensato anche io signor detective, va bene questa? Non da' su un muro fortunatamente ma non c'è nessun grande edificio davanti, il parco ti va bene?>> Magnus si fermò, poggiò una mano sul fianco, pareva quasi un super eroe in viaggio.
Alec sorrise debolmente e annuì, dileguandosi poi verso la sua di camera.
Ma poco prima di entrarvi una mano gli si chiuse sul polso. Magnus lo guardò per un attimo quasi preoccupato, poi il suo solito sguardo impertinente e malizioso brillò negli occhi da gatto.

Ecco cosa, ha proprio gli occhi come quelli dei gatti.

<< Che dici, ora che siamo al coperto me lo fai vedere?>> ammiccò alzando ed abbassando le sopracciglia con fare cospiratorio.
Gli ci volle un po' per rendersi conto a cosa si riferisse e l'aria confusa che prese fece ridacchiare Magnus che lo trovò estremamente simile ad un bambino.
<< Il tatuaggio di Church?>> chiese quasi titubante.
<< Beh, se vuoi, anche quel bel culo Michelangiolesco di cui parlavamo prima.>> il ghigno si ampliò e Alexander arrossì.
<< Non avevi detto una volta “che neanche Michelangelo saprebbe scolpire”?>> ritrose imbarazzato.
<< Oh, adesso vuoi anche le specifiche? Mi dispiace Alexander ma finché non me lo fai vedere al naturale, quindi bello e nudo come mamma lo ha fatto, non posso dire se potrebbe o meno averlo scolpito Michelangelo. >> poi ebbe pietà di lui e scosse la testa divertito, << Ma per il momento mi accontento della tua caviglia, si.>>
Alec sorrise impacciato e gli fece cenno di entrare in camera. Buttò il borsone a terra e poi si sedette sul letto. Si tolse la scarpa e arrotolò il pantalone per scoprire meglio la pelle bianca.
Come su una tela immacolata, senza neanche un neo, spiccava la linea morbida e sinuosa del profilo del muso di un gatto, un po' accentuato sul naso proprio come Church. Senza neanche rendersene conto Magnus allungò la mano e percorse il contorno del segno nero con la punta dell'indice, realizzando cosa aveva appena fatto solo quando la pelle si ricoprì di piccole bollicine, come la pelle di un oca.
Sorrise e alzò lo sguardo, << Non soffrirai mica il solletico, vero fiorellino?>>
Alec si sbrigò a scuotere la testa. << Sono solo particolarmente sensibile sulla pelle tatuata e tu hai le unghie affilate.>>
Magnus si lasciò cadere a terra, sedendosi a gambe incrociate e tirando fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni. Lo mosse davanti al volto del detective, mostrandogli la cover che dal giallo limone sfumava al verde lime.
<< Certo che sono affilate, le ho limate prima di venire qui! Non lo sai che ho sempre una lima con me, nella cover del telefono?>>
Quel palese rimando alla loro prima telefonata fece sorridere il ragazzo che si sciolse da quella blanda tensione che lo aveva riempito di brividi.
<< Si, credo di ricordare qualcosa del genere.>> concesse sorridendo rilassato.
Magnus si aprì in un sorriso grande e luminoso, ma per nulla rassicurante.
Batté le mani e poi una luce fin troppo maliziosa gli illuminò lo sguardo.
<< Lo sapevo! E ora che ne dici di toglierti quella brutta maglia e farmi vedere anche gli altri? E ti prego fiorellino, dimmi che ne hai anche sulle gambe e che per questo potrò assistere ad uno spogliarello completo!>>


 


 

Se qualcuno gli avesse chiesto come avevano passato quel primo giorno avrebbe ricevuto due risposte completamente diverse: Alec avrebbe detto “parlando di tatuaggi”, Magnus “ammirando i muscoli di fiorellino che però non ha voluto togliersi la maglia”. Con tanto di sbuffo infastidito al termine.
Sistemarsi in quell'appartamento così anonimo era stato più semplice del previsto. Alla fine avevano già passato diverse giornate chiusi nello stesso ambiente a lavorare e la cosa non li aveva infastiditi.
Aveva scoperto, Alec, che Magnus era un buon cuoco, soprattutto di piatti esotici, ma che non amava troppo cucinare perché si doveva sporcare le mani e poi gli rimaneva tutto sotto le unghie.
Mentre Magnus si era reso conto che il preciso ed ordinato Alexander non era poi così ossessionato dall'ordine come credeva. Per lo meno non così tanto da lavare tempestivamente i piatti appena usati.
Si era andata via via creando una routine che non avrebbe dovuto essere così facile da creare, o almeno questo era quello che pensava Magnus e che stava dicendo anche a Catarina, in contatto con lui direttamente dal telefono di Simon, che si era gentilmente offerto di prestarlo alla donna per parlare con l'amico.

<< Non me lo aspettavo, dico solo questo.>>
<< Magnus, lavorate insieme da due mesi- uno, si si, lo so, me lo ricordo che hai fatto il cretino all'inizio.>> Si corresse subito con voce scocciata.
<< Non ho fatto il cretino! Solo non mi fidavo di lui.>>
<< Perché non ci avevi parlato.>>
Magnus sbuffò e si lasciò cadere sul divano. << Mi ha interrogato tesoro, si che c'ho parlato.>>
<< Lo hai ascoltato quella volta o ti sei limitato a vomitagli contro tutto il tuo granissimo ideale da “abbasso le forze dell'ordine”?>>
<< Anche tu eri molto per la quale mi pare… >> ritorse il ragazzo. Si immaginò la sua amica scuotere la testa rassegnata.
<< Io però l'ho ascoltato.>>
<< Dopo che lui si è rivelato per il cavaliere senza macchie e senza paure che è. Il mio piccolo principino...dici che se comincio a chiamarlo “principe azzurro” se la prende a male?>> Si sistemò meglio sul divano e poggiò i piedi sul bracciolo.
La casa era vuota, Alexander era uscito per fare la spesa e comprare altre cose utili per la casa e gli aveva detto di non muoversi da lì, non uscire sul balcone in pieno giorno, non far danni e non far nulla che potesse ritenere divertente perché era automaticamente sinonimo di guai.
Si rese conto che la donna non gli stava rispondendo e alzò un sopracciglio.
<< Cat? Tesoro, ci sei? Che è successo? Ti hanno chiamata?>> chiese tranquillo, abituato a quelle conversazioni stroncate a metà perché il cerca persone dell'amica cominciava a stridere ininterrottamente.
<< Lo hai detto davvero?>>
<< Cosa?>>
<< “Il mio piccolo principino”? Magnus mi devo preoccupare? O meglio devo preoccuparmi per la virtù di Alec?>>
Il giovane uomo mosse la mano in aria, come a scacciare una mosca e poi sospirò.
<< Non credo ci sia nulla a cui attentare dolcezza. Con la mercanzia che si porta appresso dubito che qualcuno non abbia già provveduto a fargli una bella revisione.>>
<< Non hai risposto alla mia domanda.>>
<< No, non ti devi preoccupare. È qui per proteggermi, figurarsi se gli passa per la testa di fare due salti in allegria.>> ci pensò su un attimo, << Anche se una volta, quando venne da me per sentire la registrazione, mi fece una battuta estremamente a sfondo sessuale e sulle sue capacità di andare a segno che se ci penso mi vengono ancora i brividi e se ci penso troppo intensamente e mi immagino come potrebbe metterla in pratica potrei ritrovarmi ora con un bell'alzabandiera che forse non gradiresti.>>
<< Aspetta, Alexander Lightwood, il detective della omicidi, che fa battute del genere?>> chiese lei scettica.
<< Ti giuro Cat, davvero. Mi ha detto che è un poliziotto e che è addestrato a sparare e che non sbaglia mira e non manca mai un colpo.>>
<< Cioè ti ha detto che sa fare il suo lavoro?>>
<< Na, storia lunga, allora: la prima volta che mi ha chiamato pensava che fossi suo fratello e mi ha chiesto “devo venire”, io quella volta ho ritirato fuori la cosa, gli ho chiesto se era venuto, lui mi ha risposto che lo sapeva chi di dovere e che non ero io, così io gli ho chiesto se almeno quel qualcuno ne era rimasto soddisfatto e lui se n'è uscito co sta' battuta.>>
Silenzio. Poi un fruscio, Catarina stava annuendo. << Palesemente a sfondo sessuale, palesemente riferita al fatto che anche se sembra un angelo sceso in terra è capace di andare a segno e non ha mai sbagliato sino ad ora. E bravo il nostro detective!>>
<< Già. E poi Cat, ha la schiena coperta di tatuaggi, l'avresti mai detto?>>
<< No!>>
<< Si invece! Ma non mi ha voluto far vedere quello che aveva sul torace. Secondo me lo imbarazza togliersi la maglietta. Magari pensa che poi potrei farci su pensieri sporchi e richiamare alla mente la sua immagine mezza nuda quando sono impegnato in un cinque contro uno.>>
<< Cosa che ovviamente faresti.>>
<< Ovviamente, certo. Ma come ci siamo finiti a parlare di quanto mi piacerebbe poterlo usare come fantasia sessuale?>>
<< Parlavamo di principi azzurri e io ti ho chiesto se eri serio.>>
<< Certo che lo sono, perché me lo chiedi?>>
Ci fu altro silenzio ma questa volta lo seguì un sospiro.
<< Non è che ti sei preso una mezza sbandata Mags?>>
Il giovane si pietrificò sul divano, con la testa penzoloni oltre il bordo del cuscino e le gambe sullo schienale.
Lui cosa?
<< Io cosa?>>
<< Ti sei preso una sbandata per Alec.>> Catarina si sedette in un posto più appartato e tutti i suoni di sottofondo svanirono. << Il che sarebbe anche piuttosto semplice, non te ne farei una colpa, insomma, lo abbiamo visto tutti. È davvero un angelo sceso in terra quel ragazzo. Ha delle spalle impressionanti, com'è in maglietta?>>
<< Sono due taglie più grandi di lui minimo, ma si, ha delle spalle impressionanti. Non sai le cose che mi vengono in mente… chissà come dev'essere aggrapparsi a quelle spalle o conficcarci le unghie. E quel bacino...dio santo Cat ha un culo che meriterebbe un ode divina, gli ci darei un morso ogni volta che mi passa vicino.>>
<< Lo stai facendo Mags.>>
<< No tesoro, se stessi affondando i miei bei dentini appuntiti su quelle chiappe lo saprei.>>
<< No, intendevo che ne stai parlando proprio come parli di tutte le tue cotte.>>
Magnus ci pensò un poco sopra, poi scosse la testa e si mise dritto.
<< Na, ti sbagli, il punto è un altro.>>
<< Illuminami.>>
<< Da quando sto lavorando con loro, quindi un mese, non ho più potuto portarmi a casa nessuno, ho passato poco tempo al locale e questo si è tradotto con quaranta magnifici giorni di astinenza. Capisci? È letteralmente una quaresima che non scopo.>>
Catarina ridacchiò, << Quindi mi stai dicendo che è mera attrazione fisica? Che se ci andassi a letto poi non ti importerebbe più di lui perché ti sei tolto lo sfizio?>>
<< Beh, no. Se è bravo a letto tanto quanto è bello penso che lo sfizio non mi passerebbe mai.>>
Le risate furono più forti quella volta. << Ma?>> domandò comunque subdola la donna.
Magnus si fermò di nuovo a ragionare. Ma?
Ma non credeva che gli sarebbe bastato, o meglio, che poi non gli sarebbe più importato di lui.
Volente o nolente il giovane detective si era ricavato un posticino nel suo cuore a suon di occhiatacce, risposte pacate e sospiri. Scavava un angolino in più ogni volta che sopportava qualche sua stramberia o che era in grado di reggere una sua scenata, un'uscita poco carina, ogni volta che lo riportava con i piedi a terra o lo rimetteva al suo posto con la sfacciata e disarmante sincerità che solo lui aveva.
Si passò una mano tra i capelli e respirò forte.
Ma?
Ma non se lo sarebbe tolto dalla testa. Piaceva a Presidente – e Raphael continuava a dire che al suo gatto non piaceva neanche lui- era entrato nelle grazie di Catarina e anche in quelle dello spagnolo quando aveva risposto al suo telefono, in ospedale, ed aveva retto tutta la sua agitazione ed il suo carattere di merda. Aveva fatto in modo che i suoi amici potessero andare a trovarlo senza l'ansia della polizia a piantonare la stanza ed era stata la prima persona che lo aveva convinto a non portarsi tutto l'armadio appresso. E poi lo aveva visto piangere e non aveva fatto un fiato. Si era solo preoccupato per lui.
Che con una notte di fuoco la sua attrazione passasse o meno la verità era che ormai ci si era affezionato e non gli sarebbe piaciuto per niente doversi immaginare un futuro a venire senza di lui tra i piedi. Persino senza Simon sarebbe stato ormai inconcepibile, il che era assurdo!
Espirò afflitto.
<< No, non mi basterebbe.>>
<< Quindi è una cotta?>>
<< Cosa sono, un liceale? No che non è una cotta. Ma di sicuro l'attrazione c'è.>>
<< E secondo me è reciproca.>> annuì Catarina.
<< Dici?>> fece allora mordicchiandosi il labbro. Poi si rese conto di ciò che stava facendo e si batté una mano in faccia.
<< Ti hanno dato uno schiaffo?>> chiese perplessa l'altra.
<< Me lo sono dato da solo. Mi stavo mordendo un labbro per la frustrazione.>>
<< E la frustrazione è perché non sai se Alexander potrebbe interessarti anche su quel piano o perché ormai passi talmente tanto tempo con lui che hai preso i suoi vizi?>> Catarina capiva sempre tutto al volo, non c'era niente da fare, e la cosa era quasi irritante.
<< Pensi davvero che la cosa sia reciproca?>>
<< Non avevi detto di non essere un liceale? Mi sembra di essere tornata a diciotto anni, quando mi chiedevi se pensavo davvero che Camille avrebbe ricambiato i tuoi sentimenti. Uno schifo Magnus, mi viene da vomitare solo a pensarci.>>
Anche lui fece una smorfia disgustata e rise quando Catarina imitò un conato di vomito.
<< Smettila di ricordarmi quella puttana.>>
<< Giusto, pensiamo agli angeli.>> la donna prese un respiro, preparandosi a parlare, << Ascolta Mags, in questo momento siete in una situazione un po' particolare. Lì siete al sicuro, nessuno vi conosce, nessuno vi vede e nessuno vi tocca, è un po' un angolino felice e potete, tecnicamente, fare quello che vi pare.>>
<< Ora il “ma” è per te, lo sai vero?>>
<< Ma ricordati chi siete. Lui è un poliziotto che si sta occupando del caso della morte di Ragnor che a quanto pare è legato ad una vecchia operazione in cui era coinvolto tuo padre. Potrebbero parlare di conflitto di interessi, di plagio, di non so cosa ma di tutto. E se poi voi aveste una relazione solida ti ricordo che lavoro fa lui e che lavoro fai t- >>
<< Wo, wo wo! Frena il cavallo. Chi ha parlato di relazione seria? Io voglio solo farmi una sana cavalcata su quello stallone di razza. Per rimanere in tema.>>
Anche se non poteva vederla Catarina scosse la testa e puntò nel nulla il suo sguardo di disapprovazione e un po' anche di dispiacere: a quanto pareva il suo amico non si era proprio reso conto di quanto avesse cominciato a far affidamento sul detective.
<< Va bene. >> concesse per non farlo agitare, << Allora posso solo augurarti di riuscirci e di non farti disarcionare. Per restare in tema. >> gli fece il verso. << Oh! E sellalo il cavallo prima di partire al galoppo.>>
Magnus alzò un sopracciglio. << Davvero? A ventinove anni devo ancora sentirmi fare il discorso sul' “usate le protezioni” e sesso sicuro?>>
<< Si, devi sentirtelo dire visto che una volta una tipa ti ha detto che era in cinta di te e tu le hai creduto quando neanche avevate fatto roba.>>
<< Concesso cara. Vedrò cosa fare e non ti preoccupare, non cadrò da cavallo. Ti lascio libera, vai e goditi la tua pausa. Oh, e saluta Steve! Un bacio cara!>>
Riattaccò senza neanche aspettare una risposta e Catarina sospirò.
<< Mi dispiace Magnus ma credo che tu sia già caduto.>> si alzò e fissò lo schermo del cellulare dove Simon aveva messo come sfondo una foto sua con un sorridente ed agghindato Magnus ed un rassegnato ma sereno Alec. Fissò i due dietro al castano ed il modo in cui l'amico teneva il braccio attorno al collo del moro, il modo in cui quello teneva il suo di braccio attorno alla vita dell'asiatico per non farlo cadere e poi scosse la testa. << Ed il cavaliere si è pure fermato per farti risalire in sella.>>


 


 

Alec passò in mezzo al reparto delle bevande e prese senza neanche pensarci il succo di frutta all'ananas, quel coso schifosamente dolce che Magnus beveva come fosse acqua. Poi il suo all'ace e poi fissò i preparati per il milkshack e per il tea freddo. Lanciò uno sguardo al carrello e si rese conto che la maggior parte delle cose erano tutte da consumarsi fredde. Quel caldo stava dando un colpo duro alla sua buona dieta alimentare.
Sospirò e spinse il carrello alla corsia successiva, osservando con occhio attento l'esposizione di biscotti e cereali e afferrandone qualche scatola.
Aveva lasciato Magnus a casa a parlare con Catarina e sperava vivamente che la donna lo tenesse impegnato per molto tempo, così non si sarebbe annoiato e non avrebbe finito per fare qualche cazzata delle sue.
Svoltò la corsia e puntò verso il reparto frigo. Rimase a fissare i surgelati ed aprì un'anta solo per prendere il gelato panna e cioccolato con cui erano entrati in fissa da un paio di giorni a quella parte.
Stava davvero cominciando a fare la spesa in automatico? Dando per scontato cosa avrebbe preferito Magnus tra due prodotti? Bene, che cosa magnifica, stava diventando abitudinario, gli sembrava quasi di essere tornato ai tempi dell'accademia, quando condivideva la camera con altre tre reclute che chiamava “coinquilini”.
<< Mi sono fatto un coinquilino, bello.>> borbottò continuando a percorrere le file di scaffali.
Qualche trillo del telefono lo distrasse. Si fermò per recuperarlo dalla tasca dei pantaloni e lo portò all'orecchio senza neanche controllare chi fosse.
<< Pronto?>>
<< Lightwood, sei a casa?>> chiese la voce ferma del capo Blackthorn.
<< Ciao zio, come va?>> rispose invece il ragazzo riprendendo a fare la spesa con tranquillità.
Avevano deciso, prima della partenza, che ogni volta che il Capo lo averebbe chiamato quando lui si sarebbe trovato in un luogo pubblico, lo avrebbe chiamato “zio”.
L'uomo dall'altro capo del telefono annuì. Si sentì un fruscio, quindi dei movimenti ed uno sfregare di penna sulla carta. Non era solo a quanto pareva.
<< Ci sono persone vicino a te?>>
<< Sono a fare la spesa. Mag è a casa a parlare con sua sorella.>> fece bloccando il telefono tra spalla e orecchio e confrontando due confezioni di salsa barbecue.
<< E' al sicuro?>>
<< Si, certo.>>
<< Bene. Quindi presumo che la signorina sia con Lewis in questo momento.>>
<< Esatto. Non avevi comunque detto che avresti mandato uno dei ragazzi? >> si accigliò, il Capo gli aveva assicurato che Catarina sarebbe stata tenuta sott'occhio dagli agenti semplici di turno all'ospedale, era cambiato qualcosa?
<< Certamente, volevo solo accertarmi che stesse usando una linea sicura.>>
<< Oh, si. Ho sentito anche Simon prima di uscire. Ci sono novità?>> Chiese ansioso di sentirsi dire di si, << Come vanno le cose a casa?>>
Dall'altro capo del telefono sentì un sospiro. << Ti metto in viva voce, così te lo spiegherà bene Imogen.>>
Un beep gli sturò un timpano, poi delle voci. << Agente Lightwood.>>
<< Ciao nonna.>> sorrise mentre pronunciava quelle parole, era stata la donna stessa a dirgli di rivolgersi a lei con quel titolo quando si telefonavano e Jace, così così come tutti gli altri, erano rimasti allibiti da quella proposta e anche un po' invidiosi della confidenza che il detective poteva fare alla Signora.
<< Ciao Alexander.>> salutò la voce di suo padre.
<< Ciao papà.>>
<< Sta procedendo tutto per il meglio?>> chiese ancora l'uomo.
Alec annuì.<< Si, come stavo dicendo a zio ho lasciato Mag a casa che parlava con sua sorella, ma credo fosse una conversazione a tre perché c'era anche Simon con Cat.>> a quanto pareva quella era giornata di telefonate multiple.
<< Hai notato nulla di sospetto?>> s'intromise la donna.
<< No, va tutto a gonfie vele. Lui si sta rivelando un coinquilino più tranquillo di quanto non avrei potuto immaginare. Anche se adesso è immerso nello studio e non è riuscito a mettere il naso fuori di casa neanche una volta.>> si assicurò che i tre dall'altra parte capissero che era riuscito a non farlo andare in giro per pub o locali come invece era suo solito fare l'uomo e sentì dei mormorii di approvazione.
<< Ma davvero, dato che ci siete tutti, perché non mi dite come vanno le cose a casa? Ci sono novità? Mamma? I ragazzi? Tutto bene? E lo zio Luke?>> calcò su quel nome per far capire che voleva sapere se la OCCB avesse scoperto qualcosa di nuovo ed aspettò paziente fermandosi davanti al frigo con i ghiaccioli. Lanciò uno sguardo vago e quando individuò quelli misti allungò la mano per metterli nel carrello. Poi puntò verso il reparto alcolici, solo una birra si disse.
<< Tua madre è tesa ma cerca di non farlo vedere. I tuoi fratelli sono sempre gli stessi e fanno sempre gli stessi danni.>> cominciò veloce suo padre. << Per quanto riguarda Luke ed il caso, te ne parlerà meglio Imogen.>>
Un leggero schiarirsi di voce lo raggiunse e lo costrinse a riprendere in mano il telefono. Sarebbe stata una cosa lunga, se lo sentiva e già gli stava venendo un crampo al collo.
<< Lucian non ha fatto progressi, anzi, si può dire il contrario. Siamo riusciti a bloccare l'informazione prima che arrivasse alla stampa ma c'è stato un altro buco nell'acqua. Una soffiata troppo grande per essere vera, abbiamo mandato degli agenti in borghese a controllare ed in fatti era falsa. Per fortuna la SWAT non era ancora partita e siamo riusciti a fermarla in tempo.>>
<< Era sicuro? Glielo aveva detto un amico?>>
<< No, è stata una soffiata anonima. Quasi otto stock di mentanfetamina, come ho detto un colpo troppo grande per essere vero.>>
<< Tutto questo in una settimana?>> domandò allibito. Se ne andava per sette giorni e succedeva il panico.
Andava poi, era nel Queens, mica in Colorado.
<< Si, esatto. La cosa è parsa sospetta anche a noi, troppo palese. Ma abbiamo anche notizie positive. Qualche giorno fa è arrivata un'altra soffiata anonima, anche se poi tanto anonima non lo era.>>
Alec si accigliò. << In che senso?>>
<< Diciamo che un onesto alberghiere ha pensato fosse interessante per noi sapere che uno dei suoi clienti ha chiesto una sua consulenza per un amico che veste di blu.>>
Questa volta si bloccò proprio nel mezzo della corsia: Raphael Santiago aveva fatto una telefonata anonima alla polizia avvertendoli che qualcuno aveva cercato i suoi servigi per un poliziotto?
<< Ho capito bene?>>
<< Se non sei stupido, e non credo proprio che sia il tuo caso ragazzo, direi che hai capito alla perfezione.>> ci fu una pausa. << Tu hai niente da dirci?>>
Riprese a spingere il carrello, diretto verso le casse. << Ho guardato le foto che ho portato da casa, mi sono reso conto di averne anche una di zia Tessa, nonna.>> Calcò bene sulle ultime parole. << Quella con papà e gli zii tutti insieme, vestiti come dei gangster, per quella festa di tanti anni fa, te la ricordi? Forse di ventotto anni fa.>> specificò aspettando un segno d'assenso.
<< Si.>> rispose flebilmente suo padre, capendo al volo a cosa si riferisse.
<< Ecco, mi è venuto un dubbio, ma che uno di loro aveva un furgoncino bianco? Lo stava cercando Simon ma ha detto che non ne trova nessuno come dice lui.>> si rendeva perfettamente conto che quel discorso non aveva senso ma sperava vivamente che suo padre capisse la sua richiesta.
<< I ragazzi ne usavano uno delle poste per seguirci di tanto in tanto. Alle volte cambiavano per non farsi scoprire.>> silenzio. << Perché? Ne hai visto uno vicino casa?>>
<< No, no.>> si affrettò a rispondere. << Curiosità mia, insomma, ho visto la foto e qualcosa non mi quadrava.>> continuò abbassando la voce mentre si metteva in fila.
<< Tutto qui Lightwood? Curiosità?>> chiese con voce gracchiante la Herondale e Alec scosse la testa, prima di assicurarle che si, era solo curiosità, gli stavano prendendo le paranoie ormai.
Sorrise alla vecchietta avanti a lui che si era girata a guardarlo e poi portò lo sguardo sul carrello strapieno. Forse avrebbe fatto meglio a fare meno spesa.
<< Fingerò di crederti.>> sentenziò la donna. << Altri progressi?>>
<< Sono bloccato in casa a studiare, ma per il momento ho solo eliminato tutte le cose superflue e visto che è un mese o più che accumulo informazioni e poi le filtro direi che non ho fatto assolutamente progressi.>> sospirò.
<< Oh, non dire così giovanotto, anche trovare le cose più utili da studiare è importante.>> lo consolò la vecchietta davanti a lui. Alec le sorrise.
<< La ringrazio signora.>>
La donna parve molto soddisfatta sia dal sorriso gentile del bel giovane sia dalla sua educazione, gli regalò anche lei un sorriso tutto rughe e cipria e poi si concentrò sulla sua spesa.
<< Fai strage di cuori Lightwood?>> domandò divertito Blackthorn.
<< No zio.>> borbottò imbarazzato.
<< In ogni caso.>> riprese la parola la Herondale, << Stai attento a Bane e controllalo. So che non sei una balia ma per questa volta dovrai accettarne il ruolo, cerca di intrattenere Bane e non farlo annoiare troppo o Dio solo sa cosa potrebbe combinare quell'uomo.>>
<< Oh, non succederà, studia anche lui con me.>> La fila era scorsa e Alec si dovette rimettere il telefono tra spalla e orecchio mentre impilava ogni cosa sul nastro trasportatore. << Ha ancora i quaderni degli appunti da controllare, è più che impegnato. In ogni caso certo, me ne occuperò io.>>
<< Bene, allora credo che sia tutto. Ci aggiorneremo e al più presto se dovesse succedere qualcosa di interessante.>>
<< Vale lo stesso per me.>>
<< Buona giornata Alexander.>> fece poi la donna con voce improvvisamente più dolce, << E stai attento, mi raccomando.>>
Le guance del ragazzo si colorarono un poco di rosso e annuì, << Si nonna. Anche a te.>>
<< Ti salutano anche i tuoi fratelli e tua madre.>> continuò il padre.
<< Ciao anche a te papà. E a te zio, salutate tutti da parte mia.>> si ritrovò a sorridere a quei saluti così informali e a tanta attenzione nei suoi confronti.
Chiuse la conversazione e si ritrovò davanti allo sguardo complice della vecchietta che lo precedeva. << E' dura stare lontano da casa eh?>> gli domandò.
Alec sospirò pesantemente e poi sorrise mesto. << Non sa quanto signora.>>


 


 

Magnus si sventolò con il giornale senza ottenere alcun effetto. Era seduto a terra con la testa poggiata contro il divano, fuori dall'appartamento il sole stava calando ma sembrava quasi che il tramonto, con i suoi colori accecanti e cocenti, avesse reso ancora più incandescente la stanza. Alec diceva che era un'illusione ottica, che si stava facendo condizionare dalla gamma cromatica.
Magnus aveva ribattuto dicendo che uno che veste solo di nero non poteva parlargli di gamme cromatiche. Il moro aveva fatto un cenno vago con la mano ed era tornato a leggere i suoi fascicoli.
Erano due settimane che stavano chiusi in quell'appartamento. Alec lo aveva fatto uscire un paio di volte ma obbligandolo a vestirsi in modo anonimo, mettersi uno stupido berretto e degli occhiali da sole. Oh, si certo, e niente trucco o brillantini.

<< Devi essere comune Magnus.>>
<< Ma io non sono comune! Io sono magnifico!>>
<< Vedi di esserlo un po' di meno se vuoi continuare ad uscire da qui e a farlo sulle tue gambe.>>

Sbuffò e studiò di sottecchi il giovane: se ne stava seduto su quella sedia da almeno quattro ore, si era alzato solo per andare in bagno, una volta lo aveva contato, e due per riempire la bottiglia d'acqua che teneva sul tavolo di fianco al pc.
Era a piedi nudi, poteva vedere perfettamente il tatuaggio del suo gatto sulla caviglia destra ed uno strano simbolo concentrico sul malleolo sinistro. Ma non faceva male tatuarsi su un osso?
Risalì con lo sguardo sui polpacci scoperti ed inclinò la testa di lato per osservarli meglio: diamine se erano muscolosi, un calcio da quelle gambe ti staccava la testa.
Portava poi degli anonimi pantaloncini da pugile grigi, che avevano visto sicuramente tempi migliori, ed una maglia che forse un tempo era gialla ma che ora verteva anche lei sul grigio.
Poteva vedere la linea bagnata di sudore della schiena, tutta la fascia centrale su cui la maglia si era attaccata ai muscoli e si domandò come riuscisse a tenersela addosso.

Fa caldo solo a guardarlo e scommetto che se fossimo stati ancora “a casa” avrebbe continuato a portare camicia e giacca.

Il giovane alzò una mano passandosela tra i capelli scompigliati e ancora umidi dall'ultima volta che, andando in cucina a riempirsi la bottiglia d'acqua, aveva infilato la testa sotto il rubinetto.
Non poteva vedere bene il volto, coperto in parte dalle ciocche cadenti, ma se lo immaginava perfettamente, concentrato e con le sopracciglia aggrottate.
<< Che fai?>> chiese con voce lamentosa.
<< Quello che dovresti fare anche tu, lavoro.>> rispose senza neanche alzare lo sguardo dai fogli.
<< Ho caldo. Fa caldo. Come fai a lavorare?>> Magnus si lasciò scivolare a terra ma neanche il pavimento gli dava refrigerio.
<< Sono abituato a lavorare in ogni condizione. Questa è una delle sottili differenze tra me e te.>>
<< Sono il padrone di me stesso, decido da me quando è umanamente impossibile lavorare. E quando fanno quaranta gradi alle otto di sera è davvero inumano lavorare.>> Alec continuò ad ignorarlo. << Andiamo fiorellino, hanno dato anche l'allerta meteo! La tv dice di non affaticarsi troppo e risparmiare energie. Le senti tutte le ambulanze che viaggiano nei dintorni? Credo che la cara vecchia Mela non abbia mai avuto un numero così alto di chiamate al 911 per colpi di calore, svenimenti e infarti come le sta avendo in questo periodo. Proprio ora che fa così caldo dovevi portarmi via dal mio loft?>>
Il moro tolse un paio di figlio e li mise da parte, su una pila ordinata lontano da lui, non gli servivano a nulla. << Non sto faticando, sto leggendo, quindi non mi sforzo. E poi sono abituato a tutto questo caldo, da quando lavoro ogni estate c'è un periodo in cui o i condizionatori si rompono o c'è un picco di corrente e per dare il buon esempio contro gli sprechi ci viene vietato di accenderli.>>
Magnus saltò a sedere indignato. << E lo possono fare?>>
Alec si strinse nelle spalle. << Lo fanno.>>
Sbuffando l'altro si rimise a terra e allargò le braccia, premendo il palmo contro il pavimento.
<< Per la storia del mio loft che mi dici?>>
<< E' per la tua sicurezza.>>
<< Ti giocherai questa carta ancora per molto?>> rotolò su un fianco e poggiò la testa sulla mano.
<< Si, perché è vero.>> poi masticò una mezza imprecazione che fece alzare un sopracciglio all'asiatico.
<< Che c'è che non va, Muffin?>>
Lo vide sfogliare veloce un plico di fogli, prenderli in massa e sbatterli quasi con rabbia sul tavolo, nella pila delle cose inutili o controllate. << Simon. Gli avevo detto di far sparire quella roba e lui ovviamente mi ha ignorato.>>
<< Che è?>>
<< Vecchi disegni di Jocelyn, la madre di Clary, l'amica di Simon, la rossa no?>>
<< Tesoro, so anche il gruppo sanguigno di Clary, ho passato quasi un mese a casa con quel topo occhialuto.>> rotolò a pancia in giù. << Ho caldo.>>
<< Togliti la maglia.>> disse il moro senza neanche guardarlo.
Non riusciva a credere che dopo due settimane non avesse cavato un ragno dal buco.
Aveva chiesto a Simon di controllare quel camioncino ma come gli avevano detto, Hodge e Malcom Lewis si erano alternati in più vetture per non farsi scoprire.
Rimaneva poi la pista del kevlar, ma quella non l'aveva ancora detta a nessuno.
Prese un quaderno che utilizzava per gli appunti sul caso e sfogliò per l'ennesima vola le pagine dove aveva disegnato alla ben e meglio la sequenza della sparatoria, non gli quadrava, non gli quadrava per niente. E la cosa che gli dava più fastidio era che stesse rivedendo il caso del Circolo e che non stesse facendo neanche un passo avanti sul caso Fell. Lo sapeva che i due erano collegati, che risolvendone uno avrebbe probabilmente risolto l'altro, ma ancora non capiva in che modo.
Un fruscio e qualcosa che gli cadeva sulla spalla lo distrassero solo un poco. Afferrò l'oggetto e lo rispedì al mittente.
<< Non lanciarmi la roba addosso, sto cercando di capirci qualcosa qui.>> fece irritato.
<< Ma ho caldoo-o.>> si lagnò ancora Magnus, ora a torso nudo.
<< Ti ho detto di toglierti la maglia se senti caldo. Non mi scandalizzerò se ti vedrò in topless.>> fece ironico Alec passandosi una mano in faccia stanco. Che cavolo doveva fare? Non ci stava più capendo niente.
La foto dei ragazzi vestiti a festa gli tornava sempre in mente e non riusciva proprio a togliersela, gridava “ehi, guarda me! Sono importante! Guardami e capisci cosa nascondo!”. Ma cosa nascondeva?
L'avevano scattata perché stavano per andare a fare da scorta ad una festa. Poi Stephen l'aveva mandata alla moglie che l'aveva lasciata tra le sue carte finché Will non aveva controllato i documenti e preparato una cartella da mandare a Malcom Lewis. Perché proprio a lui? Perché non a Hodge che lavorava ancora stessa sezione?
Poi Herondale era morto e anni dopo, il secondo marito di Tessa Gray aveva trovato quel plico e lo aveva spedito al legittimo destinatario.
Aggrottò le sopracciglia e cercò la cartella medica di Will e quella di Malcom. Il padre di Simon era morto quasi due mesi dopo aver ricevuto quei fogli, con dentro quella foto poi.
Sfogliò la prima cartella. Colpo da arma da fuoco al torace, dritto al cuore. Ma non era durante un inseguimento contro dei teppistelli? Avevano avuto il tempo di fermarsi e mirare al cuore di un poliziotto esperto? Erano stati loro terribilmente fortunati e lui infinitamente sfortunato?
Un altro oggetto morbido gli volò contro. Lo lanciò a terra senza neanche sforzarsi di rimandarlo da Magnus.
<< Mags, sto lavorando, davvero.>> fece assorto leggendo per l'ennesima volta il referto medico di Lewis. Gli venne un dubbio e si avvicinò anche quello di suo zio.
<< E io ho caldo Alec, davvero.>> L'uomo se ne stava in mutande ore, le sue bellissime mutande verdi a tema hawaiano.
<< C'è il gelato in freezer.>> disse sovrappensiero.
C'era scritta la stessa stupida formula di rito su entrambi i referti, come aveva fatto a non accorgersene? Forse proprio perché era di rito.
Andò alle pagine seguenti e lesse che erano state ritrovate tracce di calmante nel sangue di suo zio. Per quanto potesse essere efficace il test del sangue negli anni novanta e per quanto l'uomo potesse essere stressato non si ricordava di aver letto niente del genere nei documenti di sua madre. E suo zio poteva essere bravo quanto voleva a nascondere le cose, magari era riuscito anche a tenerselo per sé e non dire a nessuno che faceva uso di medicinali, ma non avrebbe mai potuto farla franca a sua madre. Maryse Trueblood fiutava ogni cosa da chilometri di distanza. Se avesse anche solo sospettato che il fratello non riusciva a reggere la pressione del caso non dubitava che si sarebbe fatta il minimo scrupolo nel mettere le mani nella sua borsa o nei suoi cassetti, se non addirittura in casa sua.
Perché allora ce ne erano così tanti? Perché in dose così massiccia? Era andato in tribunale per delle pratiche, non aveva una seduta, perché era così agitato da dover prendere tutti quei calmanti?
<< Il gelato ce lo siamo finito oggi a pranzo.>> lo informò con teatrale sofferenza Magnus, alzandosi per andar a curiosare nel frigo.
<< Allora prendi il succo.>>
<< Non è abbastanza freddo.>> si lamentò.
<< Mettici il ghiaccio.>>
<< Ma poi si annacqua.>>
<< Mettilo un attimo in freezer.>>
<< Il succo troppo ghiacciato non sa di niente.>> insistette l'altro.
Alec alzò gli occhi al cielo. << Allora ti attacchi Magnus e soffri. Vatti a fare una doccia.>>
L'uomo incrociò le braccia al petto e lo guardò malissimo. << La doccia è un sollievo effimero, ti illude che stai bene e poi passi dall'essere bagnato d'acqua fredda a sudore puzzolente e appiccicoso.>>
Il moro strinse i pugni un paio di volte e si impose di respirare e rispondere con calma: lui stava arrivando ad una svolta, dopo giorni di vuoto, alle otto e venti di sera, sudato fradicio, impossibilitato a togliersi la maglia, sommerso di scartoffie, lontano da tutti i suoi normali contatti e mezzi che avrebbero potuto aiutarlo, e quel dannato rompipalle si lamentava anche di come girava la Terra attorno al Sole.
<< Ti sei tolto la maglia?>>
<< E' la prima cosa che ti ho lanciato. Ti vedo molto attento.>> fece quello ironico.
Alec scosse la testa. << Non voglio sapere qual'era la seconda.>> poi pensò. << Guarda bene, dovrebbero esserci ancora ghiaccioli.>>
Magnus roteò gli occhi ma si mise comunque all'opera, lasciandolo alle sue febbricitanti conclusioni.
La soluzione che gli veniva in mente era che quei calmanti, Maxwell, non li aveva presi di sua spontanea volontà. Si congelò sul posto.

Lo hanno drogato.

Non poteva crederci, non voleva crederci. Chi diamine avrebbe potuto farlo? Asmodeus non si trovava, non c'era traccia di lui nell'intero continente. Era salvo e lontano dalla morsa della legge, che senso avrebbe avuto uccidere il procuratore? A meno che…
A meno che Michael non avesse avuto ragione e c'era qualcuno che li aveva scoperti e che aveva informato Bane prima del blitz.
Si animò di colpo e prese a sfogliare tutti i documenti che aveva a portata di mano. L'ultima persona con cui Michael Wayland aveva parlato prima del blitz era l'allora Capo Herondale, ma nei giorni precedenti aveva fatto diverse comunicazioni alla squadra mobile. Che avessero piazzato una ricetrasmittente lì?
Scorse altri fogli. Stephen aveva mandato quella foto alla moglie. Will c'aveva visto qualcosa che lei non aveva capito e aveva chiesto aiuto a Malcom, ma di nuovo, perché lui e non Hodge? Poi dei criminali da due soldi erano riusciti a sparare un colpo perfetto al cuore del poliziotto. Anni dopo dei documenti indirizzati a Lewis gli venivano finalmente consegnati ed un uomo in perfetta forma fisica, senza problemi e nessun precedente di cardiopatia personale o famigliare, aveva un infarto e moriva.
No, no, non andava bene, non capiva, non ci riusciva proprio. Gli mancava un pezzo fondamentale e non riusciva a trovarlo.
Sentì indistintamente Magnus chiedergli qualcosa ma non lo ascoltò. Mosse la mano in aria e gli disse di chiudere la bocca.
Prese le foto del cadavere di Lewis e le esaminò con attenzione, per quanto gli facesse impressione vedere un corpo che somigliava terribilmente ad un suo amico. Doveva trovare quel tassello mancante.

Magnus quasi non poteva crederci, lo stava ignorando? Gli aveva detto davvero di stare zitto?
Indispettito lo fissò male, pensando al modo migliore per vendicarsi.
Anche se aveva terribilmente caldo ed era difficile pensare con quella temperatura proibitiva. Si sarebbe volentieri messo il ghiacciolo nelle mutande invece di mangiarselo.
Drizzò di colpo la testa e sorrise furbesco, oh, forse un modo per fargliela pagare al suo bel occhi blu c'era. E sarebbe stato terribilmente imbarazzante per lui, il peggio del peggio.
Armeggiò un attimo e poi si preparò alla sua parte.
Si poggiò contro lo stipite della porta della cucina e cominciò a mangiare il suo ghiacciolo.

<< Dolcezza, ti sta fumando la testa, lo vedo da qui, perché non fai una pausa?>> chiese gentile.
L'altro scosse il capo. << Non posso. Ci sono vicino, me lo sento, ma non capisco cosa mi manca.>>
<< Un attimo di respiro Alexander, ecco cosa ti manca. Sei lì da quattro ore, ti sei alzato solo tre volte, la tua curva dell'attenzione sta cadendo sempre più a picco. E poi fa caldo, come fai a tenerti quella maglia?>> domandò dando un un morso al ghiaccio impregnato di sciroppo.
<< Si che sento caldo, ma è meglio che non me la tolga.>> rispose quello frustrato.
<< Non mi scandalizzerò se ti vedrò in topless.>> Gli fece il verso divertito.
<< Ah-ah.>> fece infatti il detective senza voglia. << Forse mi ci vuole qualcosa di fresco.>>
<< Quando prima mi hai brutalmente intimato di stare zitto ti stavo chiedendo proprio questo. Lo vuoi anche tu?>> chiese sogghignando.

Dio quanto si stava divertendo.

<< Si, grazie.>> Alec si abbandonò con la schiena contro la sedia e, afferrato il colletto della maglia, la strattonò per farci passare aria.
<< Che gusto?>>
<< Fragola.>> disse senza esitazione.
Magnus alzò un sopracciglio. << Mi prendi in giro? Se me lo avessi chiesto cinque minuti fa ti avrei accontentato, ma l'ultimo l'ho preso io.>>
Alec sbuffò. << Che c'è rimasto?>>
<< Limone, ananas e mandarino.>>
Il moro storse la bocca e chiuse gli occhi. << Allora niente, non mi piacciono.>>
Fu il turno di Magnus di sbuffare, sperando di non sembrare troppo divertito. << Vuoi il mio?>> propose.
Come da copione Alec si tirò su e si girò verso di lui per dirgli che non c'era bisogno, che ne avrebbe fatto a meno, quando si congelò guardandolo.
Lo vide battere un paio di volte le palpebre, poi arrossire violentemente e alzare lo sguardo per puntarlo dritto nel suo.
<< Lo capisco che faccia caldo, lo sento. E so anche di essere stato io a dirtelo, ma Magnus, almeno le mutande potevi evitare di togliertele.>>
Magnus allargò il suo ghigno mostrando di denti scintillanti in un sorriso quasi ferino. Fece molta attenzione a non distogliere lo sguardo da quello del detective e si portò il ghiacciolo alle labbra, succhiandone leggermente la punta. Tutto lo sciroppo scomparve lasciando schiarire i cristalli di ghiaccio.
Una goccia scivolò lungo le dita, colando sul polso e poi sull'avambraccio e Magnus fu lesto a leccarla via.
Alec deglutì e voltò la testa di lato.
<< Allora? Vuoi il mio?>> continuò l'altro.
Il moro scosse la testa.

Dannato bastardo.

<< N- no, no, fa niente, mi prendo il succo.>> sperò che non avesse notato come avesse balbettato.
<< Bene.>> Ovviamente se n'era accorto.
<< Bene.>>
<< Puoi venire a prenderlo quando vuoi.>> calcò sulla parola ammiccando e tornò a mangiare il suo ghiacciolo.
<< Si, ora arrivo. A prendere il succo di frutta.>> si alzò impacciato e chiuse il portatile solo per fare qualcosa e non sembrare un completo deficiente.
Un completo deficiente che si era ritrovato davanti un uomo oggettivamente bello e nudo, esposto in tutto il suo fottutissimo splendore e con un ghiacciolo dalle dubbie forme e anche dal dubbio colore che gli colava sulle mani… e che il prima citato dannato bastardo si leccava via.
Bene, almeno se fosse morto l'avrebbe fatto con qualcosa di piacevole sotto lo sguardo.
Camminò verso di lui un po' infastidito, un po' imbarazzato e sentendosi decisamente ingannato.
Arrivò fino a mezzo metro dall'uomo e si impose di essere serio e disinteressato.

Freddo e distaccato Alec, come se non te ne fregasse nulla.

<< Mi fai passare?>> chiese gentilmente, battendosi mentalmente il cinque per come la sua voce era sembrata tranquilla.
Magnus sogghignò, << Sicuro di non volere qualcosa di più freddo? Possiamo condividerlo.>> ammiccò con il ghiacciolo verso di lui, allungando la mano per mettergli il dolce davanti alla faccia ma poi abbassò di poco il braccio costringendolo ad abbassare anche il suo fuoco visivo per seguire il movimento.
Alec alzò di nuovo la testa, fissandolo torvo, non appena i suoi occhi sfiorarono il ventre piatto e la fascia muscolare del trasverso addominale. A che gioco voleva giocare?
No, a che gioco stavano già giocando?
<< Non avevi detto che, tra i gusti che c'erano, la fragola era il tuo preferito?>> domandò lui con falsa ingenuità, sbattendo quelle lunghe ciglia da dannatissimo cerbiatto che si ritrovava.
Ah, quindi era quello il gioco? “Vediamo come reagisce Alexander se gli sbatto davanti tutto il mio decantato corpo da favola?”

Da quanto penso come lui?

Oh, poco male, se Magnus voleva giocare, allora l'avrebbe accontentato. Cosa poteva andare storto dopotutto?
<< Si, è il mio gusto preferito. Mi piacciono le cose dolci.>> Fece un passo avanti, << Specie i frutti rossi, hanno un retrogusto aspro.>>
Magnus alzò le sopracciglia divertito. << Quindi vuoi condividere? Anche se non so se questo rispecchi i tuoi gusti, è solo estremamente dolce.>>
Mosse ancora il ghiacciolo davanti al naso del poliziotto ma questa volta non riuscì a fargli abbassare lo sguardo.
Poi Alec mosse veloce la mano e gli bloccò il polso in una stretta sicura. Tenne gli occhi fissi in quelli sorpresi dell'altro e lentamente se lo avvicinò alle labbra, inclinando il braccio per poter spostare il ghiacciolo ed arrivare proprio all'arto dell'asiatico. Leccò il profilo della mano, spostò le dita per pulire il polso, poi tirò verso di sé per esporre l'avambraccio e lambì la pelle sino alla piega del gomito, seguendo la scia che le gocce sciolte avevano tracciato sulla pelle scura dell'altro.
Magnus lo fissò allibito, coprendosi di brividi da quando Alec gli aveva afferrato il polso sino a quando staccò la lingua calda dal suo braccio, schiudendo le labbra che serrò di colpo quando il moro si leccò le sue.

1 ad 1 pari per Alec.

<< Si, in effetti è parecchio dolce. Ma potrebbe anche piacermi.>>
Se piegò le labbra nel suo mezzo sorriso storto e sembrò estremamente sicuro di ciò che aveva appena fatto, nella sua mente Alec poteva figurarsi perfettamente un mini sé che batteva violentemente la testa contro un immaginario pannello di controllo fumante per il caldo. Era andato in corto circuito, o per lo meno ci stava andando, era sulla buona strada.
Che cazzo aveva fatto? Possibile che quando c'era di mezzo quell'uomo finiva sempre per fare qualche enorme puttanata?

Oh, ma si Alec, se Magnus vuole giocare sporco allora facciamolo anche noi. Si, ottima idea, mi pare proprio la cosa giusta da fare, un pensiero molto maturo.

Si maledisse in tutte le lingue che conosceva – sempre cinque- e pregò di non aver superato la linea, di non aver oltrepassato il limite. Tipo che se Magnus gli rifilava un pugno in piena faccia se lo meritava. Okay, non ci sarebbe mai riuscito perché Alec era allenato come minimo dieci volte più di lui, ma questi sono dettagli, sarebbe rimasto fermo a farsi picchiare probabilmente.

O almeno questo era quello che si ripeteva mentre Magnus lo fissava allibito.
L'uomo ringraziò come minimo tutte e divinità delle religioni di cui era a conoscenza per il semplice fatto che Alexander continuava a tenere lo sguardo nel suo e non lo aveva minimamente abbassato verso il suo bacino. C'era movimento da quelle parti, lo sentiva, rischiava di eccitarsi come una scolaretta ai primi approcci. Vergognoso e deplorevole per Magnus Bane.
Non se lo sarebbe mai immaginato, non da parte sua, una mossa così esplicita ed avventata. Ma no, cosa stava dicendo, non era avventata e non si sarebbe neanche dovuto sorprendere come stava invece facendo: se c'era una cosa che aveva imparato su Alec in tutto quel tempo, oltre che era pessimo ad abbinare i colori, che non amava parlare di sé, che amava alla follia la sua famiglia e credeva sinceramente nel suo lavoro, era che non mentiva mai. Alec era sempre sincero, era un uomo di fatti e non di parole e ancora una volta, invece di imbastire qualche stupida battuta, si era limitato ad agire e a constatare quanto quel ghiacciolo di una marca sconosciuta fosse incredibilmente dolce, come se stessero parlando di quello poi.
Scrutò con attenzione quelle iridi blu e le trovò accecanti come quella volta nel suo locale. E proprio come allora la luce del sole che si spandeva alle sue spalle lo faceva sembrare un angelo redentore sceso dal cielo per fargli scontare tutti i suoi peccati.
Così sudato, con la maglia che gli si attaccava addosso, i capelli scompigliati e la pelle bianca incendiata dall'imbarazzo e dai raggi del sole morente, Alexander Lightwood gli apparve come la cosa più bella di questo mondo. Un tesoro che per troppo tempo aveva ignorato e che finalmente riusciva a riportare alla luce.
E se c'era una cosa che Magnus sapeva di sé era quale maledetto avido ingordo fosse.

Perdonami, chiunque tu sia, perché ho peccato. Di ingordigia, di avidità e solo tu sai quanto di lussuria. Mea culpa, mea grandissima culpa.

Con un gesto secco tirò a sé il braccio e costrinse Alec a sbilanciarsi in avanti, finendogli inevitabilmente contro e facilitandogli le cose. Si spinse verso le sue labbra, cercandole con bramosia prima di riuscire a trovarle e premervi contro le sue.
Erano labbra morbide ma screpolate dal caldo torrido, come una meringa croccante fuori ed estremamente morbida all'interno.
Fece scorrere la lingua su quelle belle labbra ed un moto di sollievo si espanse nel suo petto quando sentì una pressione uguale e contraria tornargli indietro, liberandolo di un peso, un respiro trattenuto, che non si era neanche reso conto di aver serrato nella gola.
La stretta di Alec si fece più salda e fu lui a tirarlo ancora verso di sé, consentendo a Magnus di poggiare una mano sulla sua spalla sino a farla scivolare sulle clavicole e poi giù sul pettorale gonfio di muscoli e d'affanno. Esplorò la bocca dell'altro, seguendo la corona dentaria e constatando quando fossero affilati quei denti, quanto quel sorriso gentile ed impacciato nascondesse la forza ferina della mandibola di un predatore, divertendosi ad intrecciarsi con il muscolo gemello e scostandosi sorpreso solo quando la sua mano incontrò qualcosa di troppo duro ed estremamente estraneo nell'esplorazione del corpo del poliziotto.
Si distanziò riprendendo fiato, godendo nel volto accaldato del giovane e dei suoi occhi lucidi, languidi e scintillanti. Fissò le labbra già gonfie ed irrorate di sangue e poi fece scorrere lo sguardo sulla maglia sudata, passando delicatamente le dita sul pettorale, indugiando lì dove si sarebbe dovuto trovare il capezzolo nel tentativo di capire che cosa c'era di tanto strano.
Alzò di nuovo il volto e incontrò le sguardo divertito ed un po' imbarazzato del moro.
<< Te l'ho detto che ho avuto il mio momento punk.>>
Magnus batté le palpebre senza capire.
<< E Simon ti ha detto che non mi tolgo mai la maglietta al mare.>>
Alzò un sopracciglio, quello non era proprio il momento adatto per farlo pensare a Simon, rischiava davvero di distruggere tutta quella tensione sessuale che si era creata e di interrompere tutto quel bel flusso sanguigno che stava discendendo verso le sue parti basse.
Alec si lasciò sfuggire una risata di naso, tanti piccoli sbuffetti che resero quella scena estremamente famigliare e diedero a Magnus un senso di tranquillità e complicità che non credeva esser necessario ma che c'era, era evidente ed era anche piacevole.
Alzò anche l'altro sopracciglio ed infilò senza indugio le mani sotto alla maglia dell'altro, arrivando subito ai pettorali e cercando l'areola e poi i-
Sgranò gli occhi quando si rese conto di cosa stava toccando e lo guardò allibito.
<< Hai...>> lasciò la frase in sospeso e Alec rise rilassato, completamente a suo agio, alzando una mano e mostrandogli indice e medio.
<< Due.>>
Magnus aprì la bocca ora seriamente scioccato. Si sbrigò a lanciare il ghiacciolo nel lavandino, ad afferrare il bordo della vecchia maglia e a tirarla via, oltre la testa spettinata del ragazzo, puntando dubito lo sguardo sul petto.
E lì, in bella vista sul torace candido, segnato da eleganti linee nere che firmavano i nomi dei suoi fratelli e poi da quelle quasi dall'effetto trasparente dei raggi luminosi del prisma, adagiati sulle areole scure, stavano due cerchietti d'argento.
Magnus deglutì un improvviso eccesso di salivazione davanti a tutto quel ben di Dio, agli addominali definiti e agli obliqui marcati, alla linea decisa dello stomaco, ai pettorali marmorei e a quei pircing.
Cosa gli stava passando per la mente in quel momento nemmeno lui lo sapeva. Però cazzo se non era da sesso violento e selvaggio quel corpo.
<< Che c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Sto scoprendo che tutte le volte che riesco a farti star zitto è in modi che non avrei mai immaginato funzionassero.>>
La voce ci Alexander gli arrivò calda e bassa, un suono roco che gli riportò alla mente prima la sua discussione con Catarina e poi l'episodio in sé per sé.
Sollevò piano, con la punta delle dita, gli anelli e avvertì il respiro pesante del moro soffiargli sul volto. Alzò lentamente il suo mentre le mani scivolavano verso il ventre e poi sui fianchi del giovane. Si concesse un lungo sguardo ai bicipiti gonfi e alla freccia nera che vi era disegnata sul destro; verso il collo rimasto elegante nonostante, sicuramente, tutti gli allenamenti estenuanti intrapresi dal suo proprietario. E quando finalmente arrivò al viso, alla mascella delineata, il mento aristocratico, alle labbra rosee, il naso dritto e la fronte alta, le sopracciglia folte ma rilassate, quando superò gli zigomi imporporati e si lasciò incantare da quei meravigliosi, limpidi, lucidi, languidi ed eccitati occhi blu, Magnus credette opportuno morire in quel momento e lasciare che quello fosse il suo ultimo ricordo, o fare in modo di rendere i successivi momenti indelebili.
Si strinse al giovane passandogli le braccia attorno al collo, infilando le mani tra i capelli e beandosi della sensazione di potere che lo invase quando Alec reclinò la testa all'indietro per andar in contro alle sue carezze.
<< Allora, a quanto ricordo eri un ottimo cecchino che non sbagliava mai mira.>>
Alexander abbassò lo sguardo senza muoversi dalla sua posizione, e vedersi fissare così, “dall'alto”, da quelle pozze blu, gli fece mordere un labbro e pregustare già cosa sarebbe potuto succedere di lì a poco.
Tolse una mano da quella massa scompigliata, tracciò di nuovo il profilo del collo e quello delle clavicole, passò sui pettorali indugiando sui pircing e poi su ogni fascia addominale, sino a tirare una linea dritta verso l'ombelico, attorno ad esso, e seguire il percorso indicatogli gentilmente dalla peluria scura che andava tuffandosi verso i pantaloni larghi.
Intrufolò le dita oltre l'elastico del bermuda e poi oltre quello dei boxer, scivolando tra i ricci dell'inguine sino a stringere la presa sul sesso del giovane.
Alexander chiuse per un attimo gli occhi beandosi di quella pressione e della mano che gli massaggiava la cute. Poi socchiuse le palpebre e spiando la visione davanti a lui si permise di ammirare quel corpo offertogli così apertamente, ogni muscolo delineato con gentilezza, una pelle liscia e priva di imperfezioni ed ogni singola fibra che gridava “prendimi”.
Incontrò finalmente gli occhi ammaliatori di quel diavolo tentatore, studiandone le sfumature verdi, l'anello quasi marrone che le racchiudeva e le mille venature dorate che le impreziosivano come pietre rotte le cui crepe erano state riempite di oro fuso. Come potevano essere così belli? E come poteva lui, davanti a tutto quello spettacolo, a quelle attenzioni, non riuscire a pensare a null'altro se non che avrebbe potuto passare il resto del tempo anche solo a fissarli?
Strinse le mani attorno ai fianchi dell'uomo e li fece correre sino al suo fondo schiena, arpionando quei glutei sodi in una stretta possessiva e tirandolo a sé, facendo in modo che il suo bacino cozzasse contro il proprio e la sua mano.
Si passò la lingua sulle labbra e lo vide, forse inconsciamente, emulare il suo gesto.

<< Se è per questo vado anche sempre a segno.>> gli sussurrò con voce roca, come se gli stesse rivelando un segreto.
Le labbra perfette di Magnus si aprirono in un sorriso che di malizioso aveva troppo e che troppo anche gli prometteva.
<< Sono sempre stato affascinato dalle armi di grande calibro.>> lo provocò.
<< Allora è una fortuna che le sia capitato per agente di scorta un cecchino, Mr. Bane.>> resse il gioco.
Magnus lo guardò compiaciuto. << Vuoi avere proprio l'ultima parola fiorellino?>>
Una scintilla di sfida animò invece gli occhi blu di Alec.
<< Cosa posso dirti, ho la testa dura.>>
<< Spero che tu abbi anche altro di duro.>>
<< Questo me lo dovrai dire tu.>> Si abbassò per sfiorargli le labbra, << Non lo sai che le armi più potenti necessitano di materiale più resistente per reggere il colpo?>>
Magnus rise e lo baciò, << Passi decisamente troppo tempo con me.>>
Il ghigno di Alec si fece pericoloso, mostrando quei denti candidi come una fila di zanne che non erano poi così scontate sul bel volto di un angelo.
<< Credimi Magnus, dopo questa non ce ne passerò mai abbastanza.>>


 

*

 

Alec rilassò i muscoli lasciandosi sprofondare nel cuscino sgualcito. Prese un paio di respiri profondi e chiuse gli occhi, stanco ma completamente appagato. Per una volta essere sudato non gli pesava così tanto.
Una mano si poggiò sul suo petto, correndo al pricing e giocandoci delicatamente mentre il proprietario di tale mano si poggiava con il mento sulla spalla opposta.
<< Potresti smettere? È una sensazione strana sentire il metallo che si muovo nella carne.>>
Magnus alzò un sopracciglio e si issò su un braccio per sporgersi e posare un bacio sulla zona incriminata.
<< Scusa piccolo ed invitante capezzolino, non volevo irritarti.>>
Alec alzò gli occhi al cielo e poi il capo per fissarlo, << Non l'hai detto davvero?>>
L'uomo ridacchiò ma poi si avvicinò per posargli un altro bacio, questo sulle labbra socchiuse del moro.
<< L'ho detto e lo ripeto. Bisogna aver rispetto dei capezzoli, sono sexy.>>
<< Sono utili se ti ci vuoi fare un pircing.>>
<< Non ha fatto male?>> si informò l'altro tornando a sdraiarsi.
Alec si strinse nelle spalle. << Non più di quanto non possa farlo qualcos'altro, credo.>>
Un verso pensieroso ed un po' lamentoso sfuggì all'uomo mentre cercava di sistemarsi al meglio, << Non più di quanto possa farlo il mio fondo schiena ora.>> lo guardò e si finse imbronciato, << Quando hai parlato di arma di grande calibro non pensavo che fosse anche un'allusione alla sua potenza di fuoco. >> scosse la testa ma non poté evitar di ridere alla faccia imbarazzata di Alec.
<< Oh, andiamo fiorellino! Qualche ora fa non sembravi così pudico, specie quando hai- >>
<< Si, evitiamo di rivangare certe cose. Dirle mi imbarazza più che farle.>> fece spiccio e sincero come sempre.
La risata di Magnus riempì di nuovo la camera e Alec lo seguì, seppur con un tono più basso, massaggiandosi una spalla e poi alzandosi a sedere per cercare di sbirciarne le condizioni.
Magnus seguì il suo gesto con lo sguardo e sorrise.
<< Sai, qualche tempo fa discutevo con Catarina proprio di come sarebbe dovuto essere reggersi a queste spalle.>> alzò un braccio e con la mano sfiorò prima i segni rossi sulla pelle pallida del ragazzo, lasciati dalle sue belle unghie curate, e poi il profilo del tatuaggio che copriva le scapole sino quasi a metà schiena.
Erano delle ali, piume sottili come il filo, di un bianco che si distingueva dalla pelle solo perché più sporco, come un grigio leggero, un nero sbiadito. Erano disegnate con maestria, con un realismo quasi fastidioso per quanto intenso.
<< Chi te le ha fatte?>> chiese piano, cambiando completamente argomento.
<< Tu. Neanche un'ora fa, credo.>> rispose quello ironico, ma Magnus scosse la testa.
<< Intendevo le ali, mon ange.>> sorrise divertito.
Alec si voltò per guardarlo, lasciando stare la sua schiena martoriata e osservando per un attimo l'uomo affianco a lui nel letto.
Era davvero bello, Magnus Bane. Anche dopo ora passate a rotolarsi nelle lenzuola e a sfidarsi a stupide dimostrazioni di forza fisica, per dimostrare chi dei due avesse più muscoli e chi li sapesse usare meglio, una pura e semplice sfida di testosterone. Era bello anche con i capelli stravolti, succhiotti grandi come palline da ping pong addosso e null'altro che il suo sorriso seducente a coprirlo.
Fletté le gambe poggiandosi le mani in grembo e richiamò alla mente la seduta di quasi otto ore in cui aveva realizzato quel tatuaggio.
<< Lo stesso uomo che mi tatua da una vita. Mi ha fatto il primo e ha fatto tutti gli altri diciannove.>>
Magnus alzò un sopracciglio, senza lasciare che la sua mano scivolasse via dal corpo caldo del giovane. << Il tipo del Bronx che ti dava sedici anni quando ne avevi quattordici?>>
Annuì. << Si, lui. Poi glielo dissi che non ne avevo così tanti e lui si mise a ridere. Mi disse che avevo avuto fegato a presentarmi lì da solo, poco più che adolescente, la prima volta e a tornarci in seguito. Alla fine divenne un'abitudine. Mi chiama addirittura quando ha qualche problema con la polizia o con altro.>> lo disse con affettò e Magnus non poté ignorarlo. Alexander era davvero una persona che si affezionava alle tipologie di personalità più diverse e che né teneva in gran conto la fiducia e la lealtà.
<< E' stato molto bravo, ha una mano davvero delicata.>>
<< Vero. Ma questo è l'unico che non mi disegnò lui personalmente.>>
L'uomo alzò un sopracciglio e lui sorrise. << Lo ha disegnato Jocelyn, la madre di Clary. Che se non lo sai, o se Simon non te lo avesse mai detto, è la moglie di Luke.>>
<< Oh, quell'uomo è un piaga! Mi perseguita anche a letto!>> si lamentò Magnus facendo scorrere la mano sino al polso del giovane e stingendolo, come se cercasse appoggio per resistere ad uno svenimento.
Alexander rise e scosse la testa, le ciocche nere s'abbassarono un poco e ricaddero pesanti sul volto accaldato del ragazzo. << E' una donna un po' particolare ma simpatica. Certo, ha delle vere e proprie manie di protezione verso la figlia, ma se vedi che lavoro ha finito per fare il primo… >>
<< Alexander!>> lo rimproverò << Già mi citi Luke-cane-da-tartufo-Garroway, ricordami anche di quel piccolo figlio del demonio di Morgenstern, è un rompipalle con i fiocchi, mi sorprendo che nessuno gli abbia ancora sparato… >>
<< E' il figlio del Vice Commissario e il figlioccio del Capo della OCCB, chi gli sparerebbe mai?>>
<< Io. Mi offro volontario.>>
<< Non fare così, alla fine Jonathan è più simpatico di quanto non sembri. Se preso in un contesto del tutto distaccato dal lavoro, da ambienti competitivi e … è meglio di quanto non sembri, ecco.>>
Magnus rise sotto i baffi e poi strattonò il suo polso per farlo abbassare verso di lui e rubargli un bacio leggero che ben presto si approfondì.
Alec poggiò una mano al lato della testa dell'altro e si sistemò meglio, premendo il torace candido contro quello ramato di Magnus. Beandosi di quel contatto caldo ma non fastidioso si concessero entrambi un momento di tranquillità ed intimità.
Quando Alexander si sollevò di nuovo, un po' per prendere fiato un po' perché consapevole che se avessero continuato di quel passo avrebbero finito per intraprendere il quarto round, e lui non era proprio sicuro di averne ancora la forza o di aver ancora qualcosa in corpo, si passò la lingua sulle labbra e si rese conto di quanta sete gli fosse venuta.
<< Fare sesso violento e selvaggio prosciuga in molti sensi, eh fiorellino? Per lo meno adesso possiamo prendere in considerazione seriamente l'idea di adottare quel topo di Seely. Se avessimo affrontato questo “problema” giorni fa adesso il poverino non sarebbe così confuso nel vedere i suoi papà che non vivono sotto lo stesso tetto.>> gli fece notare Magnus con espressione seria che non fece altro che farlo ridere di più.
Quanto stava ridendo quel giorno? O quando aveva riso in generale da quando era cominciata la collaborazione con Magnus e Simon?
Forse troppo, ma non è che gli dispiacesse così tanto, anzi.
<< Sono quasi sicuro che quella volta avessi aggiunto molti più stadi prima di arrivare a questo e anche molti più aggettivi per definirlo.>>
<< Flirt bollenti, limonate dure e sesso orale.>> alzò un sopracciglio e si tirò a sedere anche lui. << Non so se te ne sei accorto forellino ma credo che ce le siamo fatte tutte di filato in tre ore e spicci.>> ammiccò lanciando un occhiata al suo bassoventre e facendolo arrossire.
<< Oh, andiamo! Sono abbastanza sicuro che entrambi abbiamo appena avuto uno degli orgasmi più appaganti della nostra vita! Non puoi arrossire per uno stupido riferimento ad un pompino!>>
Alec roteò gli occhi solo per nascondere il suo imbarazzo e cambiò discorso. << Non avevi detto di aver sete?>>
<< No, non l'ho detto, ma ora che lo fai tu posso asserire che berrei volentieri un bel bicchiere di champagne. Ma che dico! Ne berrei una coppa intera!>>

Una scossa elettrica scosse tutta la figura di Alexander. Il sudore gli si freddò sulla pelle e congelò ogni terminazione nervosa del suo corpo, mentre un allarme assordante gli risuonò nella testa.

Cosa?

<< C- cosa?>> chiese titubante.
Magnus, impegnato ad esaminare il morso che si ritrovava sulla coscia destra, non percepì la tensione nella sua voce e ripeté tranquillo: << Che berrei un'intera coppa di champagne, non credo che potrei accontentarmi di un flute.>>
Come una molla caricata troppo Alec saltò giù dal letto e quasi non cadde inciampando nei suoi pantaloncini.
Senza pensare minimamente a coprirsi, non in un momento come quello, non quando aveva finalmente capito, si precipitò in soggiorno lasciandosi alle spalle un confuso Magnus che si ritrovò a fissare la schiena del moro contratta.
Sembrava quasi che quelle ali fremessero per spalancarsi e spiccare il volo.

Si diresse al tavolo coperto ancora di documenti e cercò freneticamente le foto della scena del crimine, in particolare quelle della scrivania di Ragnor e le scrutò con attenzione.

Dimmi di no, dimmi che mi sto sbagliando.

Masticò un'imprecazione e poi cercò altri fogli, nella pila di quelli scartati, facendone volare via qualcuno finché non individuò quello giusto ed il suo mondo cominciò a girare.

Dio santo…

<< No… >>
Una mano gentile si poggiò sulla sua spalla nuda, Magnus si sporse in avanti per osservare i fogli che Alec aveva accumulato davanti a sé e si accigliò, andando a prendere l'ultimo ripescato.
Era un progetto, di quelli che Simon aveva mischiato ai documenti veri e proprio, uno di quelli della madre di Clary se non sbagliava. Eppure lui lo conosceva.
Gettò un'occhiata alle foto di casa di Ragnor e individuò al volo quello che riconobbe come un oggetto sin troppo famigliare.

<< Io lo conosco. Questa composizione intendo.>> disse ponendosi al fianco di Alexander, la mano poggiata sulla sua spalla che inconsciamente saliva al collo del giovane e ai suoi capelli, massaggiandogli il cuoio capelluto come si era reso conto lo rilassasse di più.
<< Davvero?>> chiese il ragazzo solo in parte conscio di quanto quelle carezze lo stessero tranquillizzando e gli stessero facendo evitare una crisi di panico in piena regola.
<< Si. Era nell'ufficio di mio padre. Lo teneva al fianco della sua scrivania, proprio come lo è ora nella foto di casa di Rag. Lo portò via con sé quando andò in Grecia, gli piaceva davvero tanto e ci mise molto a procurarselo perché il suo precedente proprietario non glielo voleva vendere. >> si strinse nelle spalle e Alec spinse indietro la sedia per lasciargli più spazio di manovra. L'uomo lo prese come un invito e gli si sedette in braccio, piegando il braccio dietro la sua testa per continuare a carezzare quella del moro.
<< Ma non era così, ovviamente era integro. C'era sopra una gigantesca coppa di vetro opaco rifinita d'argento. La targhetta era quadrata e sopra c'era scritto “La Coppa Mortale” se non sbaglio. >> Alzò il disegno di Jocelyn e glielo mostrò. Alec lo osservò come se non l'avesse mai fatto prima.
<< Era identica a questa, solo che la targhetta aveva un'altra forma, ovvero quella che ha nelle foto di casa di Rag.>>
Alexander strinse la mani sul bordo del tavolo mentre immagazzinava tutte quelle informazioni e tutti i punti nella sua testa andavano collegandosi alla perfezione.
Troppo perfettamente.
Come aveva fatto a non rendersene conto? Come poteva non aver capito subito il collegamento così banale, così basilare?

<< Lo hai capito?>> la voce di Magnus lo riportò alla realtà. Aveva smesso di accarezzargli i capelli e si era voltato verso di lui, a fissarlo con tutta la serietà che aveva e che quel momento richiedeva.
<< Si, lo hai capito. Hai capito chi ha ucciso Ragnor.>> continuò sicuro, << E hai capito anche cos'è successo ventotto anni fa, vero Alexander?>>
Alec deglutì e avrebbe tanto voluto distogliere lo sguardo da quello dell'uomo ma non ci riuscì, rimase incatenato a quegli occhi da gatto come lo era stato per quelle ore precedenti, come lo era stato tantissime volte in quei giorni, in quelle settimane e in quei due mesi.
Magnus lo guardava con una consapevolezza che Alec aveva visto solo in volto alle persone a lui più legate, a quelle più care, a coloro che dopo una vita assieme lo avevano capito, magari da poco o forse sin dal principio. Magnus lo aveva capito e Alec si sentì forte di quel pensiero come non si sarebbe mai stato in grado di spiegarsi.
La sicurezza che lo prendeva quando doveva agire, quando doveva fare qualcosa di delicato o pericoloso; quella che gli scivolava addosso quando era il panico attorno ma lui era consapevole di dover mantenere la calma si impossessò del suo sguardo. Annuì e fece cenno all'altro di alzarsi.
E anche se nudo, in tutta la sua fisica magnificenza, con lo sguardo ardente di una convinzione, di una missione, più grande di lui, Alexander sembrava un eroe che stava per scendere in campo per una qualche mortale sfida.
<< Si, finalmente ho capito.>> Gli diede le spalle e si incamminò a passo deciso verso la sua camera. << E non mi piace per niente.>>
Con la schiena muscolosa vergata di nero e di grigio, le spalle dritte e la testa alta, con le ali che seguivano silenti ogni movimento di quella pelle lattea, Magnus credette davvero di star vedendo un angelo guerriero pronto per la battaglia decisiva.

E non dubitava che le anime dannate che sarebbero finite sulla sua strada sarebbero state disintegrate dal fuoco purificatore che bruciava degli occhi blu del suo personale angelo guerriero.











 

l Aggiornamento postumo: se volete sapere cos'è successo nella casa sicura cliccate sull'asterisco che trovate tra il "prima" e il "dopo" e leggete cosa hanno fatto quei due in una notte che scotta.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII


 


 

Si erano vestiti in fretta e furia ed erano corsi in macchina, diretti a colpo sicuro verso il loft di Magnus dove, secondo i calcoli di Alec, doveva trovarsi ancora il famigerato “Circolo”.
Era più che certo che l'assassino di Ragnor avesse cercato il quaderno di Asmodeus e che avesse capito dove fosse nascosto. Ed evidentemente lo aveva capito anche Ragnor che era riuscito a nasconderlo. Certo, perché se lo avessero trovato probabilmente nessuno avrebbe cercato di uccidere Magnus e loro ora non starebbero correndo per le strade di New York come dei pazzi.
Svoltò velocemente a sinistra ignorando un semaforo e facendo lanciare un'imprecazione sonora e colorita all'uomo che si aggrappò alla maniglia della portiera per evitare di essere scaraventato verso Alec.
<< E meno male che ero io quello che guidava male.>> disse stringendo i denti e cercando di recuperare un minimo di stabilità, ciò che gli serviva per chiamare Simon e digli di muovere il culo e correre al dipartimento.
<< Ho seguito lezioni di guida veloce e anche di guida acrobatica, volendo potrei farti un salto mortale sul ponte e ricadere in piedi.>> rispose lapidario scartando una berlina che procedeva a velocità normale e rimediandosi una squillata si clacson che Magnus reputò anche troppo gentile.

Forse i lampeggianti che ha acceso sul cruscotto servono a mitigare l'indignazione generale.

<< Ti stai vantando. Fammi capire, quando sei in ansia tendi a elencare le tue molte qualità senza la solita straziante modestia?>>
<< Quando sono in ansia tendo a farmi gli affari miei. Quando sono in azione, come ora, tendo ad essere conciso e sincero.>>
<< Quindi se ti chiedessi se sono la tua miglior scopata di tutta la vita tu mi risponderesti sinceramente?>> domandò ancora tenendo il telefono premuto contro l'orecchio.
<< Si. >>
<< Bene. Sono la miglio scopata della tua vita?>>
Una sterzata brusca gli fece capire improvvisamente cosa intendeva Simon quando diceva che lui guidava come Fast and Furious. Peccato che Alexander fosse il Dom Toretto della situazione.
<< Ti ho già risposto Bane, non farmi ripetere.>> Con un drift degno di questo nome passò un intero incrocio e buttò giù una mezza bestemmia nel trovarsi il cartello di lavori in corso davanti.
Magnus sorrise a quella risposta e fece anche per replicare, se solo la sterzata successiva non lo avesse fatto schiantare contro il vetro, mentre Simon rispondeva finalmente al telefono sulle note di un “ Porca troia” abbaiato da Alexander.

<< Alec? Alec sei tu? Perché mi chiami alle undici di sera dal telefono di Magnus?>>
<< Non è lui che ti chiama, sono io e per quale dannatissima ragione c'hai messo così tanto a rispondere?>>
<< Perché Alec ha imprecato?>> chiese cocciuto il ragazzo ignorando la sua domanda.
<< Sta guidando e io sto per morire di morte violenta. Dove sei?>>
<< Ma Alec guida benissimo e non si arrabbia mai in macchina...>>
<< Molto interessante, pensi di riuscire a rispondere ad almeno una delle mi- >>
<< Simon! Alza il culo ovunque tu sia e corri in centrale. Portati dietro Luke se è a casa, chiama i miei, chiama Blackthorn e pure la Herondale. Muoviti.>> urlò Alec facendo il pelo ad una macchina che a differenza loro usciva regolarmente da una traversa.
<< Ah.. Ah! Cazzo! Avete scoperto qualcosa? Hai capito chi è stato!>> seguì una serie di suoni scoordinati e rumorosi, la voce di Clary in sottofondo che chiamava a gran voce la madre e anche il padrino mentre informava l'amico che avrebbe chiamato subito Jace così avrebbe avvertito i suoi genitori. << Sto andando a prendere la macchina. Guida Luke, quindi saremo in dipartimento in cinque minuti netti. Come corrono quelli della stradale nessuno lo fa.>> altri rumori. << Devo portare il pc e tutto vero? Ci vediamo lì?>>
<< No. >> fece lapidario Alec per poi imprecare ancora evitando la coda ad un semaforo invadendo la corsia opposta.
<< Stiamo andando a casa mia, anche se sembra che tutta la fottuta città si sia messa contro di noi. Di questo passo dovremmo attraversare Manatthan per arrivare a Brooklin.>>
<< Avete scelto il giorno sbagliato per avere un'illuminazione divina, ci sono i lavori su tutte le arterie principali che collegano i due quartieri, c'è stato un corto circuito per il caldo.>> rumore di una porta che si chiude, poi del motore di una macchina. In sottofondo la voce di Luke che parlava con Andrew e quella di Clary concitata che pregava Jace di sbrigarsi perché era davvero importante.
<< Passate per l'aeroporto e poi prendete la Statale, da Rosdale la più vicina è la 147th Ave, tirate dritti per Bet Pkwy e poi arrivate alla 678, è la strada più veloce se non beccate qualche incidente.>> li informò Simon mentre il rumore di tasti copriva quello della macchina.
Luke intimò a Simon di mettere il viva voce, poi parlò. << Ho avvisato il quartier generale, c'era Jonathan ancora in servizio e mi ha assicurato che avrebbe chiamato Imogen appena attaccato con me. Alec- >>
<< Vaffanculo, porca puttana!>> Interruppe la voce del moro che fece calare il silenzio, in parte lo sbigottimento generale nel sentire il più grande dei Lightwood imprecare in questo modo, in parte perché a Magnus era volato il telefono di mano e se lo era perso sui sedili posteriori della macchina.
Voci attutite dai rumori della strada arrivarono ai due ed il più grande fece anche per slacciarsi la cinta e andare a recuperare l'oggetto, quando Alec tolse la mano dal cambio per afferrarlo per la maglia e tirarlo a sedere.
<< Non ti conviene proprio. >> alzò la voce. << Andate in centrale e poi chiamatemi sul mio telefono. Ora non vi sentiamo.>> Sperò vivamente che loro invece ci riuscissero e dopo poco il suono di una telefonata interrotta li raggiunse.
Magnus guardò preoccupato il ragazzo, studiandone i lineamenti tesi e quasi rabbiosi. Non metteva in dubbio il fatto che il detective stesse ricostruendo gli avvenimenti di entrambi i casi man mano che andavano avanti e che ciò che stesse capendo non era nulla di buono.
<< Alexander? È così disastrosa la cosa?>> si maledisse per il tono pigolante con cui gli era uscita la domanda, come se fosse spaventato di quello che stavano per fare, di ciò che avrebbero trovato. Non che non lo fosse, ma sbatterlo così in faccia al giovane, sapendo quando era attento alla sua incolumità non era una cosa che gli facesse piacere.
La velocità della macchina infatti diminuì e Alec si voltò per guardarlo, improvvisamente consapevole che c'era anche lui in macchina e che se per quanto lo riguardava quella situazione era abbastanza comune per Magnus doveva essere tutto nuovo e sconvolgente.
Lo guardò con rammarico, con biasimo per sé stesso e gli chiese scusa.
Magnus scosse la testa. << Non è colpa tua. Solo- >> si interruppe e si ritrovò a mordersi il labbro come ormai aveva imparato a fare da Alec stesso. Questa volta non si preoccupò di nasconderlo, << Solo non fare l'eroe, okay? Se dovessero esserci problemi… io so cavarmela, è il mio mondo, ci sono nato e cresciuto. E se non posso prevedere che un cecchino mi spari in una strada come un'altra posso gestire un criminale che mi punta contro un'arma.>> lo disse con serietà, stringendo la mano attorno al polso destro del giovane.
Alec resse il suo sguardo e si fece di nuovo più serio che mai.
<< Un criminale, si… ed un poliziotto?>>


 

Simon scese dal suw quasi cadendo tanto era di fretta. Si portò appresso il portatile rischiano di rovesciare tutto il contenuto dello zaino a terra, ma la voce di Clary che gli diceva di andare, che avrebbe recuperato lei tutto ciò che si era dimenticato, lo convinsero a mettere le ali ai piedi e correre verso l'entrata del dipartimento dove Jordan lo aspettava muovendosi nervosamente sul posto. Luke gli fu subito di fianco.
<< La Herondale è arrivata pochi minuti fa. Il capo Blackthorn sta arrivando, era solo a casa con i figli e ha voluto svegliarli e dirgli come comportarsi, non si è mai troppo prudenti.>>
L'uomo annuì. << Robert? >>
<< Credo arriverà a breve e presumo che ci sia anche il Procuratore con lui.>>
Salirono le scale che conducevano al secondo piano, dove si trovava la stradale, per chiedere che nessuna volante fermasse l'auto di Alec, anche se era munita di lampeggianti, e soprattutto di non seguirla.
Luck ordinò a Simon di sistemarsi nel suo ufficio e non appena l'ebbe fatto il castano non perse tempo a chiamare Alec e dopo pochi squilli rispose Magnus.
<< Simon, dovresti chiamare più spesso in queste situazioni, così ho una scusa per mettere le mani addosso ad Alexander.>> disse quello con voce forzatamente allegra, in sottofondo Alec rispose con un “come se non lo avessi già fatto abbastanza” che Simon decise di ignorare.
<< Cosa succede? Che hai capito? Cosa sta succedendo?>> chiese in fretta recuperando tutte le cartelle che potevano servirgli.
<< Sappiamo dove si trova il quaderno del Circolo >> fece Alec.
<< Alexander lo sa, lo ha capito lui, io non c'ho capito un cazzo finché non me lo ha spiegato.>>
<< Si, si, non importa ora, poi daremo il merito a chi se lo merita.>>
<< E' una ripetizione caro.>>
<< Lascialo stare Sim, è solo agitato. È una storia un po' lunga ma vedrò di darti la versione breve e concentrata...>>
Simon si mise comodo per quel poco che glielo permetteva la tensione ed ascoltò con interesse ciò che gli veniva detto. Sgranò gli occhi ai passaggi più salienti e una rabbia sorda gli montò dentro quando Alec arrivò alla fine di ciò che secondo lui era successo. Quando giunse a come era morto Ragnor, quasi non lo sentiva più.
<< Simon >> fece di punto in bianco la voce di Magnus, << C'è una chiamata da parte del capo di Alexander, devo attaccare e rispondere a lui, tu non fare cazzate, okay?>>
<< Simon ti prego, già devo preoccuparmi per Magnus, non farmi preoccupare anche per te più di quanto già non lo sia. Cerca Clary e Jace e stai con loro, scommetto che ci sarà anche Isabelle, vai da loro.>>
Il castano mormorò un assenso. Non voleva dargli più pene di quante non ne avessero già, sapeva che gli avevano raccontato tutto per primo perché si fidavano di lui, perché lo reputavano parte di tutto quel casino e quasi si sentivano in dovere di informarlo. Perché aveva indagato con loro e aveva il diritto di sapere. Ma questo non cancellava i sentimenti che gli si agitavano in petto, tutte le idee, i possibili futuri che si aprirono davanti ai suoi occhi, tutto ciò che era ormai perso, irrecuperabile e chi, soprattutto chi, aveva fatto in modo che questo fosse possibile.
Strinse i pugni.
<< Non sono mica Jace che fa danni solo respirando.>> buttò sul ridere, capendo perfettamente quanto ne avessero bisogno in quel momento, tutti quanti. << Piuttosto state attenti voi, non ho la minima idea di come si componga un elogio funebre, figuriamoci due di cui uno sicuramente sarebbe di un eroe cittadino...anche se forse tuo fratello mi ruberebbe la parte.>> sottolineò ovvio.
Si fece serio. << State attenti e tornate sani e salvi, specie tu Alec, non fare l'eroe.>>
<< E' quello che gli ho detto anche io.>>
<< Non farò l'eroe. Sono un poliziotto, quindi è questo che farò: il poliziotto.>>
<< Lo so. Solo, davvero, state attenti e tornate da noi. Buona fortuna.>>
<< Non sai quanto bisogno ne abbiamo Simon.>>
La telefonata si chiuse sulla scia della frase di Alec, mentre il ragazzo chiudeva con un gesto secco il pc e si avviava verso la porta, diretto ai piani interrati dove si trovava il laboratorio informatico e dove era sicuro avrebbe trovato, a breve, tutte le persone immischiate in quel maledetto caso.


 

Robert lasciò cadere le braccia, svuotato di ogni forza. Seduta alla scrivania di Andrew Imogen Herondale teneva gli occhi puntati sul telefono da cui usciva la voce di Alexander che, aiutato da Magnus che gli ricordava di tanto in tanto alcuni passaggi, ascoltava le deduzioni ora terribilmente ovvie e logiche del giovane.
Andrew invece se ne stava alle sue spalle, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre Luke, seduto sul divano, chiudeva ed apriva i pugni in un disperato tentativo di frenare la sua rabbia, come gli aveva insegnato il terapeuta.
Chi invece pareva congelato sul posto era Maryse, la schiena dritta, le spalle aperte e le mani posate in grembo come tante volte faceva suo figlio maggiore quando era furioso a livelli così alti da non poter essere contenuti neanche conficcandosi le unghie nei palmi.

Non ci credeva, non voleva crederci.

<< Il sistema di sicurezza di Fell è stato disattivato da un hacker professionista ed è partito proprio dai nostri server. Le persone in gradi di fare una cosa del genere sono poche e abbiamo fatto il grave errore di pensare che fosse qualcuno appena arrivato, che era stato minacciato magari o direttamente comprato. Ma è sempre stato lui. Poi ha saputo che Simon era stato assegnato ad un caso che avrebbe seguito in prima persona, ha messo un virus spia sul suo portatile, ma sapendo perfettamente che non avrebbe mai usato quello su cui aveva tutti i dati e che in ogni caso era più protetto che mai, ha mandato il virus su quello di scorta, usato proprio per questo genere di lavori, perché sacrificabile. Quando il pc si è allacciato ad una cella nei pressi di casa di Ragnor ha acceso da remoto il wifi del portatile costringendolo a collegarsi alla linea Statale e l'ha usato come tramite per infettare i server di Fell facendo partire una ricerca per nome che avrebbe cancellato ogni file che riportava il termine “circolo”. Solo che non poteva sapere che i server erano vecchi e tutti scollegati tra loro, che non era possibile accedervi e che erano solo delle grandissime banche dati. Così ne ha infettato solo uno e malgrado non sia riuscito a fare il suo lavoro è stato più che soddisfatto della mia soluzione di staccare la corrente. Sapeva che non avremmo mai potuto riavviarlo e recuperare i dati a meno che non avessimo saputo con certezza di che virus si trattasse e come abbatterlo a primo colpo. Non avremmo rischiato di perdere più informazioni di quante non abbiamo già rischiato di perderne.>>
Ci fu un rumore sordo che nessuno riuscì ad identificare tranne Luke che per un attimo tornò quasi sereno e chiese con voce divertita:
<< Quello che ho sentito eri tu che sbandavi contro un idrante?>>
Maryse sgranò gli occhi preoccupata mentre suo marito rimaneva immobile, scollegato dal mondo.
<< Mi spiace, non avevo margine di manovra.>> cominciò a giustificarsi prima che Magnus prendesse la parola, << Certo che non avevi margine! Hai tagliato Kew Gardens di netto!>>
<< Appunto, non avevo margine. Mi spiace per i guai in cui sto lasciando la stradale.>>

<< Questo non è il momento per dispiacersi per nessuno. Continua Alexander.>> fece perentoria la Signora.
Si sentirono dei colpi di tosse. << Quando l'attacco ai server è andato male ha capito che l'unico modo per trovare il Circolo era tenerci sott'occhio, ma non sapendo come fare o più semplicemente non riuscendoci perché non riusciva ad individuarci in nessuna casa sicura e neanche a casa mia o di Simon ha deciso di mettere i nostri contatti sotto intercettazione. Finché si è trattato di noi non ha avuto possibilità: sappiamo come comportarci e molti dei nostri amici e parenti hanno a che fare con la polizia, sappiamo tutti che la prima regola è non indicare il luogo in cui ci troviamo su una linea non sicura. Ma quando Magnus ha chiamato Raphael è stato facile rintracciarlo. Non ha sparato finché c'era ancora Santiago perché avrebbe scatenato una rivolta di tutto il suo clan e di troppe persone che gli gravitano attorno e usufruiscono dei suoi servigi, ma quando Magnus è stato solo ha cercato il punto più adatto e ha provato a sparargli. >>
<< Ma non c'è riuscito perché l'ho visto riflesso nella vetrina. E' però girata la notizia che mi avessero ferito a morte e che fossi in gravi condizioni.>>

<< Allora perché non hanno cercato di ucciderti? >> chiese Blackthorn.
<< Per colpa nostra anche.>> disse Alec svoltando per Forest Park e maledicendo l'ora tarda che aveva fatto chiudere la strada che tagliava il parco. << Si ricordi di chi stiamo parlando, è stato un gioco da ragazzi per lui controllare i turni delle reclute e delle scorte, ha visto quanto fosse blanda la protezione di Magnus, ha visto che non era in terapia intensiva e ha fatto due più due. Non dubito anche che si sia limitato a chiedere a qualche agente di ritorno dal piantonamento in che condizioni fosse il paziente. Capito che stava bene, che non correva rischi ha anche capito che gli stavamo tendendo una trappola, che Simon doveva essere ancora a casa sua e che quindi, in ogni caso, non avrebbe potuto né ucciderlo né andare a recuperare il quaderno a casa di Magnus.>>
Ancora rumori poco rassicuranti e Magnus se ne uscì con una sequela di insulti degni di uno scaricatore di porto. << Se qualcuno se lo stesse domandando abbiamo appena driffato in Myrtle Ave e credo seriamente che Alexander abbia fatto fuori una cassetta della posta e pure il lampione vicino.>>
Imogen intrecciò le mani e vi poggiò sopra il mento. << Quello che non ci hai ancora detto Lightwood è come tutto ciò sia collegato al Circolo.>>
Gli altri presenti la guardarono accigliati, come se reputassero quella domanda ridicola, ma Alec capì al volo ciò che intendeva la donna ed annuì al suo stesso telefono, tenuto in precario equilibrio da Magnus che cercava disperatamente di attaccarsi alla maniglia per non volare via ad ogni curva nonostante la cintura di sicurezza.
<< In tutti i rapporti che ho letto ho trovato accenni a ricerche e indagini durante l'operazione perché uno degli infiltrati aveva uno strano presentimento. Michael Wayland sospettava che ci fosse qualcosa che non stava andando secondo i piani. Lo disse a te papà e indagaste il giusto per scoprire che un tirapiedi di Asmodeus >> a sentir quel nome Magnus sobbalzò << rubava della merce che contrabbandavano. L'uomo venne eliminato ma Michael non si calmò comunque. Sui vostri rapporti, in momenti diversi viene indicata la cosa, prima tu papà, poi lei Capo ed in fine Luke. Ce ne sono cenni anche nel suo Signora e qualcosa in quello di Malcom Lewis e di Hodge.>>


 

Camminava con inesorabile lentezza verso il corridoio, diretto all'ascensore più vicino, cercando in tutti i modi rimanere calmo, di non dare di matto.


 

<< Quando indagarono tutti assieme l'unica cosa che trovarono fu una microspia in un paio di scarpe di Valentine, un paio elegante che non metteva mai. Fu eliminata.>>


 

Entrò nell'ascensore e premette il pulsante in automatico, senza neanche dover vedere dove fosse. Prese dei respiri profondi e cercò di darsi una regolata.


 

<< Ma ancora, Michael non era convinto che tutto fosse finito. Ma né lui allora né io adesso avevamo capito cosa ci fosse di sbagliato. Credo che alla fine Michael abbia parlato anche con Stephen e lui, consapevole come Michael di ciò che stava succedendo, di cosa sarebbe potuto succedere, mandò quella foto a sua moglie, come assicurazione.>>


 

Quell'ascensore non era mai stato così lento. Si fermò di colpo e quasi saltò per l'ansia.
Entrò un suo collega e gli fece cenno con il capo, che venne ricambiato subito. Quando poi le porte stavano per chiudersi ci si infilò una mano ed entrò una donna in completo, pigiando un tasto sopra a quello dove sarebbe andato lui. In automatico lo stupito macchinario tornò sui suoi passi, risalendo un paio di piani.


 

<< Dopo aver chiesto aiuto a tutti, evidentemente, Michael chiese ai due tecnici che li seguivano qualcosa di specifico, sono sicuro avesse un sospetto e che abbia chiesto delle cose ben specifiche, indicazioni troppo chiare per essere fraintese, per poter permettere a chiunque di avere un dubbio su chi fosse il suo bersaglio. Lui lo ha capito e ha avvertito chi di dovere, ecco come fece Asmodeus a fuggire, come il blitz andò male. Vi aspettavano ed erano pronti ad accogliervi.>>


 

Scesero tutti dall'ascensore e lui tirò un sospiro di sollievo. O almeno prima di alzare lo sguardo sulla parete di vetro davanti all'anta: riflessa affianco c'era l'immagine dell'altro ascensore che scendeva velocemente proprio al suo stesso piano.
Direttamente da quello della Omicidi.

 

<< E gli altri? Maxwell, Will, Malcom… >> chiese Maryse con un filo di voce.
<< Ricomponiamo gli eventi>> Alec fece una brusca frenata prendendo Forest Ave per Ridgewood, era già a Brooklin, ora doveva solo raggiungere casa di Magnus. << Il blitz finisce come tutti noi sappiamo. Una decina di agenti rimangono uccisi compresi Wayland e Herondale. Asmodeus scappa. Comincia il processo e tutti quanti sono tenuti a scrivere un rapporto su ciò che successe.
Prima della fine del processo però, quando sembrava che si fosse giunti alla fine, il Procuratore muore. Nelle sue cartelle mediche è indicato che nel suo sangue furono ritrovate tracce di un tranquillante, le dosi però erano troppo elevate per una prescrizione medica e anche per un uso personale. Quindi o ne era dipendente, cosa piuttosto assurda perché scommetto che tu l'avresti capito subito mamma- >> Maryse annuì concorde con il figlio, improvvisamente più tesa di prima. Forse Alec stava per confermarle una delle sue più grandi paure. << O è stato drogato.>> Terminò lasciando tutti nel silenzio più assoluto.
Superò delle macchine sulla corsia di destra e si prese altri insulti che ignorò, concedendo le sue attenzioni solo all'espressione cinerea di Magnus che comunque annuì per fargli intendere che stesse bene e che poteva continuare.
Giunse all'incrocio di Forest Ave con Metropolitan Ave e svoltò verso quella.
<< Credo che la versione corretta sia quest'ultima, quindi mi viene naturale pensare che avesse scoperto qualcosa, qualche discrepanza o addirittura che Michael avesse messo a parete dei suoi dubbi anche lui e che finalmente lo zio avesse trovato delle prove a conferma. Rimane il fatto che lo drogarono e che quando arrivò su quella scalinata non gli servì altro che una spintarella. Guarda caso c'era proprio lui con lo zio quel giorno.>>
<< Il bastardo… gli ha prestato anche il primo soccorso. È stato lui a chiamare l'ambulanza e poi me, l'ho anche ringraziato, gli ho detto che non doveva rimproverarsi di nulla, che aveva fatto tutto il possibile.>>
<< In un certo senso l'ha fatto. Credo che il suo scopo fosse quello di farlo morire d'overdose. Ma i calmanti non sono come i sonniferi e zio Max non si è addormentato sino a perdere conoscenza.>>
<<
Non giustificarlo Alexander.>> fece lei furente e Andrew mosse una mano per farle cenno di tacere.
<< Non lo sto giustificando, seguo solo la sua logica.>> disse piccato il ragazzo, quasi indignato che sua madre potesse pensare una cosa del genere. << Quando poi è finito in coma ha ben pensato di metterlo a tacere una volta per tutte. Ora gli rimanevano solo poche persone da sistemare.>>
<< Perché non ha mai provato ad uccidere me?>> chiese flebilmente suo padre, parlando per la prima volta da quando quella telefonata era cominciata.
Alec sospirò dal fono del telefono. << Credo tu lo sappia papà.>> disse solo.
E Robert lo sapeva, certo che lo sapeva. Era così distrutto dagli eventi, si colpevolizzava così tanto che non aveva pensato neanche per un attimo che la pista fiutata da Michael fosse giusta e portasse proprio in casa loro. Il detective riprese a parlare.
<< Allora però zio aveva già parlato con lei Capo e le aveva consigliato di lasciare la città il prima possibile. Questo perché Michael aveva parlato anche con lei e a differenza di papà, che in quel momento ancora si incolpava della morte dei suoi compagni, lei era più lucido per capire la situazione. Perché le disse di andarsene?>>
Andrew si drizzò di colpo, schiarendosi la voce. << Mi disse che stava per chiudere il caso, ma che era più sicuro per me allontanarmi appena possibile, appena la mia presenza non sarebbe più servita. Mi disse che dovevo pensare alla mia famiglia. Solo questo. Ho sempre pensato che temesse ritorsioni dai scagnozzi di Asmodeus, che ciò che gli avrebbe fatto chiudere tutto era collegato a me, qualche mio incarico quando ero sotto copertura, non so. Ma avevo tre figli piccoli ed il quarto in arrivo, ho solo pensato di essere un bersaglio più facile da raggiungere.>>
<< Non era solo quello. >> lo corresse subito Alec. << Anche se adesso non se lo ricorda, allora Michael deve averle detto qualcosa che se fosse uscita fuori non avrebbe smascherato il colpevole ma avrebbe indirizzato le ricerche verso di lui perché sarebbe stata più chiara la corrente seguita da Wayland.
Quando lei si trasferì Amatis Herondale decide di
sistemare le cose del marito e chiese aiuto a William e Theresa Herondale. Will si propose di occuparsi dei documenti di lavoro di suo cugino per evitare che le donne incappassero in qualche rapporto scabroso o qualche altra operazione delicata. Trovò però la famosa foto e colse al volo lo stesso pensiero che colse il cugino.>> Al sentir nominare sua sorella Luke saltò sul posto, mentre la Herondale strinse le mani e digrignò i denti. << Stephen e William erano cresciuti assieme, come fratelli, e quindi è facile immaginare che ragionassero in modo simile o che comunque comprendessero gli atteggiamenti dell'altro.
Nella foto eravate ritratti tutti voi sei, nell'ufficio di Asmodeous, la cui finestra dava sul parco di Brooklin. Da li si poteva vedere in lontananza una striscia di macchine parcheggiate, tra cui un camioncino bianco. Era anonimo e innocuo e neanche si vedeva bene, ma se foss
i uno scommettitore dire che era lo stesso che veniva usato per seguire i ragazzi ed intercettarli. Ed è tutta lì la matassa di questo nodo.>>


 

Appena le porte metalliche gli offrirono abbastanza spazio per uscire si fiondò fuori da esse e quasi cadde a terra. Lanciò uno sguardo ansioso all'altro ascensore, osservando il contatore che mangiava un piano dietro l'altro. Si rimise in piedi e camminò a passo spedito verso l'ufficio.


 

<< Sono sicuro che quel giorno non fosse in programma nessun intercettazione. Vi sareste diretti ad un evento pubblico e quindi avrebbero potuto tenervi d'occhio direttamente lì. Un buon modo anche per vedervi fisicamente e magari per mettere in piedi qualche scena.
Probabilmente Stephen doveva vere dei dubbi come Michael ma a differenza sua, che lo disse a te papà, lui se lo tenne per sé finché non fu proprio Michael a parlargli. Vista la foto i suoi dubbi divennero certezze, i loro dubbi, e la mandò alla moglie.
Will la trova, capisce dov'è il danno ma fa l'errore fatale di chiedere proprio alla persona sbagliata se le sue supposizioni fossero giuste.>>

Imogen scosse la testa. << O forse lo fece di proposito. Will era una testa calda e anche una testa dura. Probabilmente voleva smascherarlo, metterlo con le spalle al muro e costringerlo a confessare.>>
<< Ma non ci riuscì. E poco dopo gli spararono, scommetto che fu proprio lui ad ingaggiare quei teppisti. E scommetto anche che erano assassini esperti.>>


 

Raggiunse la porta di vetro e puntò dritto alla sua scrivania prima che una voce lo bloccasse sul posto.
<< Ehi, vecchio mio! È da un po' che non ti vedo qui in ufficio, dove sei stato questi giorni?>>

 

<< Will anche era stato eliminato e visto che era andato direttamente da lui dubitava fortemente che ci fossero altri a conoscenza della cosa. Era sicuro che non lo avesse detto a sua moglie, non voleva metterla in pericolo, né lei né i figli piccoli. Ma non aveva fatto i conti con la previdenza di Will che fece una cartella da inviare a Malcom, probabilmente glie l'avrebbe spedita appena tornato dal lavoro. La cartella rimase quasi cinque anni tra i documenti di William e solo quando sua moglie ed il suo miglior amico trovarono la forza per sistemare tutti i suoi effetti personali il plico arrivò a Malcom Lewis.>>


 

<< Mi dispiace ma non è proprio il momento. Sono terribilmente di fretta, ho un incarico da svolgere.>> disse velocemente, scartando l'uomo che parve sorpreso da quella risposta.
<< Oh, va bene. Volevo solo dirti che Simon è tornato. L'ho visto arrivare di corsa con Garroway e le sue donne. Erano tutti molto preoccupati in effetti, è successo qualcosa?>>
Quelle parole lo bloccarono.
Lewis era tornato? E con lui c'era anche Lucian?
<< C'erano solo loro due?>> chiese voltandosi di colpo, improvvisamente dimentico di quel fantomatico incarico.
L'uomo si accigliò. << Beh, si… ho visto arrivare Blackthorn e prima di lui Lightwood.>>
<< Procuratore, Capo o detective?>>
<< I coniugi. Alexander non si vede in giro da due settimane, da quello che so ha avuto un incarico dalle parti di Staten Island.>> fece quello sempre più confuso. << E' arrivata anche la Signora e non sembrava per niente felice, come al solito.>>
Anche la Herondale? Perché si erano riuniti tutti a quell'ora?

 

<< Non aprirono neanche il pacco, me lo ha detto la signora Gray.
A questo punto però, una volta scopertone l'interno, Malcom deve aver chiamato la persona sbagliata e nel suo caso non credo proprio ci sia la possibilità che l'abbia fatto di proposito. Si fidava di lui, era sicuro che lo avrebbe aiutato, probabilmente era anche sconvolto per ciò che aveva scoperto. Si incontrarono ma a quel punto uccise anche lui. Sulle foto dell'autopsia si può notare un piccolissimo punto rosso sul palmo destro. Potrebbe essersi punto in un qualunque modo ma visto ciò che è successo a Max credo che si possa supporre che quello fosse stato fatto intenzionalmente dall'assassino. Lo avrà avvelenato con qualche tossina che gli ha provocato l'arresto cardiaco. Ancora una volta era lui l'unico presente e ha asserito che Malcom ha cominciato ad accusare un dolore sotto il braccio sinistro e che poi si è accasciato al suolo.>>

Ormai era su Grand Street, vedeva da lontano l'incrocio per Morgan Ave e da lì sarebbero arrivati in breve tempo a Greenpoint, dove abitava Magnus.
<< Allora, tutti coloro che potevano smascherarlo erano morti. Tutti coloro che avrebbero potuto capire o che ci erano andati vicini non potevano più parlare. Rimaneva solo il problema del diario del Circolo e quando è stato possibile recuperarlo si è adoperato per entrare nel sistema di sicurezza della casa, ignorando però che Ragnor aveva programmato l'arrivo del suo compratore e che aprendo tutte le porte di forza aveva lasciato dietro di sé una traccia indelebile. Da qui in poi sapete com'è andata.>>


 

Un rumore di tacchi annunciò l'arrivo di ospiti ed entrambi gli uomini si voltarono in quella direzione, prima che lui si affrettasse a raggiungere il suo pc e ad accedervi. Doveva cancellare tutto il prima possibile o per lui sarebbe stata la fine.
<< Signora! Buona sera, possiamo aiutarla in qualche modo?>>
<< Si, può sbrigarsi a recuperare tutto ciò che il suo collega sta cercando di occultare.>>
A quelle parole si voltò di scatto e fece appena in tempo a vedere la figura alta e slanciata di Maryse lanciarglisi contro prima di essere sbattuto violentemente a terra.
<< Figlio di puttana me lo hai ammazzato! Hai ucciso Max! TU! Brutto lurido verme traditore!>> La donna lo prese per il colletto e lo sbatté a terra ma non ebbe neanche il tempo di dargli un pugno che due braccia forti la presero per la vita e la tirarono via.
Lucian teneva a fatica Maryse lontana dall'uomo che lentamente si rialzò da terra, massaggiandosi la nuca e guardando ad occhi sgranati il Procuratore Generale di New York, con i capelli scompigliati e l'aria da una che se solo fosse stata lasciata libera lo avrebbe fatto a pezzi.
<< Non so di cosa tu stia parlando Maryse.>> fece diplomatico, ritrovando a fatica la voce.
<< Oh, io invece credo proprio che tu lo sappia. >> Ringhiò Luke senza voler accennare a lasciare la donna.
Intanto l'Ispettore Lovelance avanzò titubante tra i presenti e si affrettò poi a raggiungere il pc del collega quando la Herondale abbaio di sbrigarsi.
Pigiò qualche tasto e aprì delle finestre, ma quando si voltò scosse la testa. << Non c'è niente qui.>> L'uomo guardò eloquente gli altri, alzando un sopracciglio come a fargli notare che non potevano accusarlo di nulla perché non c'era nulla sul suo computer.
<< Lì no, ma ho già copiato tutti i suoi dati, sia di lavoro che privati, su un cloud protetto e su una memoria esterna. Non è più su quel pc, certo, ma ora è su quelli di tutto il dipartimento.>>
Simon uscì fuori da uno dei divisori presenti del laboratorio informatico, camminando sino a raggiungere il centro della stanza e poi il suo mentore. Non si fermò, non guardò nessuno, tenne gli occhi fissi in quelli dell'uomo e quando questo provò a parlare, a giustificarsi forse, ad accampar scuse di qualunque genere, non gliene diede tempo.
Simon caricò il braccio e gli sferrò un pugno in piena faccia. Il rumore del naso che si rompeva impattando contro le nocche del giovane risuonò per tutto l'ambiente e mandò il bersaglio dritto a terra, svenuto.
<< Questo è per mio padre, stronzo.>>

Hodge Strkweater giaceva privo di sensi sul pavimento del laboratorio informatico del Dipartimento di Polizia di New York


 

Scesero dalla macchina di volata ma Alec alzò un braccio e fermò Magnus che già cercava le chiavi di casa.
<< Cosa?>> fece quello.
Il moro si limitò ad un cenno della testa verso il portone socchiuso. Avanzò a passo sicuro verso l'uscio, portando una mano dietro la schiena. Magnus non riusciva a staccare gli occhi dall'anta e sobbalzò solo quando un clic che conosceva fin troppo bene lo fece voltare verso Alexander. Il detective teneva una glock stretta nella mano destra, ora che l'aveva vista riuscì anche ad individuare un paio di caricatori nella tasca.
<< Quando l'hai presa quella? E poi l'arma d'ordinanza della polizia non è la Berretta?>> chiese quasi allarmato.
<< Prima di uscire, e ho sempre un caricatore di riserva in macchina. >> voltò un attimo la testa per guardarlo. << Cosa c'è? Pensavi che venissi a proteggerti senza portarmi una pistola?>> Avanzò e spinse di poco la porta per assicurarsi che non ci fosse nessuno al suo interno: l'atrio era vuoto.
<< E poi la vera domanda è perché riconosci le tipologie di pistola.>>
<< Perché mi è capitato di usarne, no?>> gli rispose con un ironia tesa d'ansia.
Alec lo fissò per un lungo istante, come se stesse decidendo una cosa della massima importanza e delicatezza.
<< Sai sparare?>> gli chiese poi a bruciapelo.
Magnus impallidì. Gli veniva da vomitare e gli sembrò che il mondo cominciasse a girare vorticosamente.
<< Magnus? Stai male?>> due passi e Alec tornò verso di lui, gli poggiò una mano sulla guancia e lo scrutò con attenzione. << Rimani qui.>> sentenziò alla fine.
Lui scosse la tesa. << No, non ti lascio andare da solo.>>
<< Tremi. In questo momento non mi saresti di nessun aiuto.>> lo disse con voce dura ma l'uomo sapeva che lo stava facendo per farlo irritare e lasciarlo andare da solo. Scosse ancora la testa anche se gli costò un mezzo conato.
<< No. Ho detto di no Alexander. Non importa, anzi, ce la giocheremo a nostro vantaggio. Diremo che siamo venuti a cercare il diario, che forse abbiamo un'idea di dove si trovi e- >>
<< Così ti costringerà a dirgli dove si trova e poi ti pianterà una pallottola in fronte?>> chiese freddo.
<< Non glielo dirò, so trattare molto meglio di quello che credi.>> fu lui questa volta ad usare un tono duro. Magari non era un poliziotto addestrato ad affrontare i criminali, ma lo era lui stesso, un criminale, e sapeva come parlare, come negoziare e come ottenere ciò che voleva.
Alec lo scrutò prima di chiedergli con tono di sfida. << E se ti minacciasse?>>
<< Gli dirò che può uccidermi e non trovare mai il diario o lasciarmi in vita e contrattare con me.>>
<< Potrebbe sempre ucciderti e poi cercare da sé il quaderno.>>
<< So che non permetterai mai a nessuno di farmi del male.>> incrociò le braccia al petto irritato.
<< Ci riusciresti anche con una pistola puntata alla testa?>> lo sfidò ancora.
<< Lavoro meglio sotto pressione.>> continuò testardo.
<< E con una pistola puntata alla mia di testa?>> chiese in fine.
Magnus si congelò e lo guardò sperduto.
Il moro lo prese per le spalle e lo scosse. << Lo so che sei in grado di trattare, è il tuo lavoro. E so anche che farò qualunque cosa perché tu ne esca incolume, ma cerca di capire il mio punto di vista. Se proverà a toccarti io glielo impedirò, ma se dovesse uccidermi non potrei più proteggerti, capito? E se tu non sei pronto a puntare la mia vita, a dirgli che non te ne importa nulla e che mi può sparare, non ti farò entrare con me.>>
Cosa? Cosa gli aveva appena detto? Non aveva senso.
Un brivido gli percorse la schiena, poi un altro ed un altro ancora. I tremiti divennero più forti e con un moto di rabbia spinse via il poliziotto, solo per poi riavvicinarsi e dargli un altro spintone.
<< Sei un cazzo di deficiente! È proprio questo che intendevamo io e Simon quando ti abbiamo detto di non fare l'eroe! Era questo!>> continuò sibilando velenoso come un serpente. << Che cazzo mi rappresenta “devi dirgli che non te ne importa nulla e che mi può sparare”?>> s'avvicinò per provare a dargli un'altra spinta ma questa volta Alec lo bloccò, il metallo freddo del calcio della pistola premuto contro il suo polso gli fece venir voglia di prendere quel dannato aggeggio e lanciarlo lontano da loro.
<< Non sto facendo l'eroe!>> la voce di Alexander era più alta della sua ma non meno rabbiosa. << Dentro casa tua potrebbe esserci lo stronzo che ha tradito mio padre ed i suoi colleghi! Potrebbe esserci l'uomo che ha ucciso mio zio, il nipote della Herondale e il padre di Simon. E sappiamo tutti e due che potrebbe non essere solo. Solo gli stessi che hanno ucciso Ragnor. Solo quelli che hanno ordinato il tuo omicidio! Magnus!>> mollò la presa sui suoi avambracci solo per prenderlo per il collo della maglia e strattonarlo con forza. << Non posso permettermi che ti succeda qualcosa! Non ci penserà due volta ad ammazzarti se capirà che non gli sei utile. Lo capisci questo?>> Lo liberò con una spinta e si frappose tra lui e l'ingrasso.
Magnus lo guardò stordito e più incazzato di prima. Si rimise dritto e lo fronteggiò come l'uomo che era, come era giusto che fosse.
<< Bene, notizia dell'ultima ora Detective, neanche io posso permettere che succeda qualcosa a te. Siamo insieme in questa merda di situazioni. Lo siamo da quando ti sei presentato al mio locale con la registrazione di Rag e quando mi hai detto che ti fidavi di me. Nel momento in cui mi hai dato fiducia, come un poliziotto non dovrebbe e non ha mai fatto nei miei confronti, il tuo bell' io è diventato un noi! E se quel figlio di puttana capirà di poter usare me per costringerti a fare qualunque cosa sarai tu quello inutile. Lo capisci questo?>>
Gli prudevano le mani, aveva una voglia incalcolabile di sferrargli un pugno in piena faccia, dritto sul quel bel naso, s'immaginava già gli occhi del giovane sgranarsi per la sorpresa ed il dolore.
Si fissarono in cagnesco per quelli che parvero minuti. Poi Alec, senza distogliere lo sguardo dal suo, scosse la testa.
<< Sono il quello in servizio, sono io che posso decidere se la mia vita è sacrificabile o meno.>>
<< Non dire cazzate! Per quanto ne sappiamo potrebbe anche non esserci nessuno in casa e il portone è solo rimasto socchiuso! Magari ci stiamo sputando contro veleno per nulla ma in ogni caso questa bella conversazione mi ha fatto capire che coglione sei.>> avanzò verso di lui e fece per spostarlo, << E ora fammi entrare in casa mia.>>
Non riuscì però neanche a muoverlo, Alec gli mise una mano sul petto e lo spinse via e a quel punto Magnus non ci vide più.
Caricò il pugno e lo scagliò dritto verso il volto del moro che con una mossa di una velocità disarmante gli afferrò il polso e glielo girò dietro la schiena, spingendolo in avanti sino a farlo scontrare contro la fiancata della macchina.
<< E questo invece ha fatto capire a me che grandissima testa di cazzo sia tu.>> Lo premette con forza contro il metallo quando l'uomo provò a ribellarsi, serrando la presa al polso, conscio di quanto potesse far male e di come il dolore lo avrebbe fatto fermare.
<< Non verrai con me. Casa tua potrebbe essere vuota o no, ma non mi interessa: rimarrai qui fuori perché sei un civile e non costringermi ad ammanettarti. Tu- >> gli si mozzò improvvisamente la voce in gola.
Il suo sguardo era caduto inavvertitamente sul collo di Magnus e ora fissava una macchia violacea che si spandeva per il muscolo teso verso la spalla.
<< Tu… >> provò ancora e se Magnus era furioso fino ad un attimo prima ora era preoccupato.
Si odiò da solo per quel repentino cambio di sentimenti verso il detective della omicidi ma non poté farne a meno, voltò la testa quel tanto che la presa gli permetteva e cercò di capire cosa stesse fissando l'altro.
La sua spalla. Cosa c'era sulla sua spalla? Non portava collane, aveva una semplice canotta e tutto quello che riusciva a scorgere era una macchia scura, come un livido. No, non un livido.

Come un succhiotto?

Sentì di punto in bianco una pressione dietro alle scapole. Alexander aveva poggiato la fronte contro la sua schiena e ora prendeva respiri profondi e quasi tremanti.

<< Alexander?>> provò piano a chiamarlo l'uomo.
L'altro non rispose subito. << Sono un cretino.>> lo sussurrò più a sé stesso che a lui e Magnus non provò neanche a replicare perché in quel momento era profondamente d'accordo con lui.
<< Questo caso è davvero maledetto. Sto facendo una cazzata dietro l'altra. Prima mi sono concentrato subito sulla tua ipotesi, poi ti ho coinvolto nel caso, ti ho reso un bersaglio e ho portato Simon da te. Ti ho praticamente fatto sparare e poi non sono neanche riuscito a fare il mio lavoro.>>
Anche se stava elencando una serie di cose su cui avevano già discusso e che Magnus trovò a dir poco ridicole, riuscì comunque a capire il filo conduttore dei suoi pensieri e non riuscì ad impedire ad altri brividi di scivolargli nello stomaco.
<< Non sono stato un buon agente di scorta, non ho fatto il mio lavoro…io… non avrei dovuto, mi sarei dovuto ricordare che eri un mio protetto non- >> lasciò la frase a metà ma l'uomo non aveva intenzione di fargliela passare liscia.
<< Non? Non cosa, Alexander?>> domandò piano mentre la presa sul suo polso si faceva più lenta sino a cadere nel vuoto.
Era combattuto, si sarebbe voluto girare e guardare il giovane in faccia ma al contempo non voleva guardarlo se avesse dovuto dire qualcosa che non avrebbe voluto sentire.

Temo che i cretini qui siano due Alexander.

<< Non avrei dovuto dimenticarmi che ero lì per proteggerti, che sei un testimone e non...non… una persona qualunque della mia vita.>>
Forse la scelta di parole era completamente sbagliata, eppure ancora una volta Magnus capì il loro senso e ne fu profondamente sollevato. Si rese conto che quei brividi erano proprio di sollievo e di aspettativa.
<< Intendi,>> cominciò con la bocca secca, leccandosi le labbra screpolate, << intendi che mi vedi come un normalissimo ragazzo che avresti potuto incontrare in un pub? Un amico… magari… che ormai “mi vuoi bene” Alexander?>>
Sentì i capelli scuri del ragazzo sfiorargli il collo, aveva alzato la testa e si era rimesso dritto.
Con la stessa mano che prima lo aveva costretto in una presa dolorosa gli catturò gentilmente il polso arrossato e lo fece girare. Teneva comunque lo sguardo basso, continuando a passare il dito sui segni lasciati dalla sua stessa mano.
<< Scusa, non volevo farti male.>> pigolò.
Magnus si strinse nelle spalle. << Io volevo colpirti.>>
<< Ma io dovrei proteggerti, non ferirti.>>
Un sospiro pesante soffiò sui capelli scuri del giovane detective, mentre la mano libera di Magnus saliva lentamente ad appoggiarsi al suo volto e lo costringeva ad alzare lo sguardo.
Lo fissò e gli sorrise, gentile e bello come il sole del pomeriggio.
<< Sei proprio un supereroe Alexander. Mi stia proteggendo, lo hai fatto da quando abbiamo cominciato a lavorare assieme in molti modi diversi e so perfettamente che piaga io possa essere certe volte.>> un angolo delle labbra del moro si alzò e Magnus se ne compiacque come ogni volta che lo faceva ridere, << Lo so che vuoi proteggermi, lo so che è il tuo lavoro ma ancor di più che è nella tua indole, che è un istinto per te. Ma come io e Simon non ti abbiamo lasciato indagare da solo quando hai capito quanto schifo ci fosse in questo caso, ora non ti lascerò andare da solo in un luogo in cui potrebbe esserci un assassino o anche più di uno. Per l'amore del cielo sono io il più grande qui! >> cercò ancora di farlo ridere ed una piccola scintilla passò negli occhi blu del detective che però poi si fece di nuovo… triste quasi.
<< Io… non vorrei che ciò che è successo questa sera ti faccia sentire più in dovere nei miei confronti.>> provò Magnus.
Alec a quel punto alzò di colpo la testa, lo sguardo ardente di un sentimento che l'uomo non riuscì a riconoscere a pieno, ma in cui scorse rabbia, risentimento, orgoglio e forse mille altre emozioni.
<< Se stai per dirmi che non è successo nulla d- >>
<< No. No, ascolta… questo non è il momento migliore per parlarne e neanche il luogo. >> forse aveva tirato troppo la corda, forse aveva fatto il passo più lungo della gamba o qualunque cazzata si dicesse in quei casi. Si maledisse in ogni caso, per buona misura.
<< Non so che abitudini hai tu, ma io non vado a letto con il primo che mi passa davanti.>> lo disse come un rimprovero aspro, lo stava rimproverando per aver pensato che per lui quella notte non sarebbe valsa nulla.
<< Non dico questo.>> cominciò diplomatico. << Ma dobbiamo tener in conto vari fattori e, per quanto io sappia che tu mi vuoi davvero bene Alec, per quanto anche io te ne voglia moltissimo e mi sia affezionato a te in un modo che non avrei mai ritenuto possibile, concorderai con me che non si possa parlare d'amore.>>
Alec stette in silenzio per un po', poi annuì convinto. << Sei insopportabile, farei prima a spararmi in bocca se mi innamorassi di te.>> disse lapidario e Magnus ci rimase. Lo fissò sbattendo le palpebre e ne sarebbe rimasto quasi ferito e non avesse capito cosa aveva appena fatto Alexander.
<< Però non dubitare neanche per un secondo che ora tu sia mio amico, che io tenga a te e che a livello affettivo per me ora tu sia a livello di Simon. Anche se con lui non ci andrei mai a letto.>> scosse la testa quasi schifato e Magnus non poté non dargli ragione. << Ma capisci anche che questo ti mette automaticamente nella lista delle persone che io non voglio e non permetterò mai che vengano ferite.>> glielo disse con tutta la serietà di cui era capace.
Un ghigno si aprì sul bel volto dell'uomo. << Nessuno vorrebbe che tanta magnificenza venisse rovinata e al momento credo che gli unici segni che io possa accettare a sfregiare la mia pelle perfetta siano i tuoi succhiotti grandi quanto una casa, fiorellino.>> gli fece l'occhiolino e Alec si sgonfiò, come se avesse trattenuto troppa tensione per troppo tempo.
<< Ma ti prego.>> continuò imperterrito lui. << Dimmi che oltre che nella giustizia credi fermamente anche negli scopamici.>>
Il moro batté le palpebre come aveva fatto lui solo pochi minuti prima.
Scosse la testa. << Te l'ho detto che sei un coglione?>>
Magnus ghignò di nuovo, << No, quello l'ho detto io a te. Tu mi hai detto che sono una testa di cazzo.>>
<< E' la verità.>>
<< Si ma anche l'originale non è male, no?>>
<< Non mi hai appena fatto una battuta sui tuoi attributi ora.>> lo guardò male.
<< No. Era tutta incentrata sul mio pene tesoro, non su tutti gli attributi.>>
Alec scosse ancora la testa, ma ora sorrideva più rilassato.
O almeno lo fece finché un suono di vetri rotti ed una mezza imprecazione arrivarono attutiti da dentro lo stabile.
Avevano passato così tanto tempo a litigare che si erano completamente dimenticati di dove si trovassero e cosa dovessero fare.
Erano stati due deficienti, se c'era davvero l'assassino nel loft aveva avuto tutto il tempo di cercare in ogni singola stanza.
E lui che aveva anche corso come mai in vita sua lasciandosi alle spalle il panico stradale.
Alec scattò in avanti ma si bloccò sulla soglia dell'atrio voltandosi verso Magnus. Pareva indeciso su ciò che stava per fare, ma poi la risolutezza si impossessò del suo sguardo ed un ennesimo brivido percorse l'asiatico: Alexander era entrato in modalità agente, gli apparve di nuovo come l'angelo guerriero che aveva visto in casa e si immaginò alla perfezione le ali tatuate sulla sua schiena muoversi, flettersi ed aprirsi oltre le spalle. Gli parve di immaginarsi il prisma su suo scostato cominciare a roteare su se stesso spandendo i raggi della luce che lo colpiva in ogni direzione, a dissipare il buio e la notte, a scacciare le ombre ed illuminare il loro cammino.
Poi la sua voce mortalmente calma e ferma gli arrivò alle orecchie.

<< Sai sparare?>> ripeté quella domanda che aveva dato il via a tutta la discussione e Magnus ci mise poco per annuire.
Prese al volo l'arma che il giovane gli lanciò, mentre questo controllava quella di riserva sulla caviglia.
<< Bene. >> sentenziò cominciando ad avanzare nel buio. << Se dovessi averne l'occasione, spara all'inguine.>>
Magnus lo seguì lesto, alzando un sopracciglio. << Mi stai dicendo che devo spararli sulle palle?>>
<< No, all'inguine.>> ripeté lui a bassa voce.
<< Perché lì?>> bisbigliò l'altro di rimando.
Alec si fermò con un piede già sul primo gradino e si voltò a guardarlo. << Perché con un colpo all'arteria inguinale ci si impiega sei secondi netti a morire dissanguati.>>
Anche in quel semibuio il detective vide Magnus impallidire e si affrettò a poggiargli una mano sulla spalla per rassicurarlo.
<< Non dovrai farlo, se tutto va per il meglio nessuno di noi sparerà un solo colpo. >>
<< E se dovesse andare male?>> chiese temendo la risposta.
Vide gli occhi blu scintillare nell'oscurità della tromba delle scale e non gli piacque per niente la sfumatura pericolosa che presero, la sensazione di pericolo che gli diedero.
<< Se dovesse andar male probabilmente verrà sparato un solo colpo.>>
<< Che vuol dire?>>
Alexander gli strinse la spalla e poi ricominciò a salire con la pistola ben salda tra le mani.
<< Che quando sparo io miro sempre in mezzo agli occhi. E non sbaglio mai.>>


 


 

La porta della casa di Magnus era socchiusa, non una sola lama di luce filtrava dall'uscio e se non avessero saputo dove guardare, se non avessero cercato il minimo segno di stranezza, non si sarebbero neanche accorti che era aperta. Magari qualcuno era anche passato lì di fronte ma non si era accorto di niente.
Alec respirava piano ma con tranquillità, in momenti come quelli era una calma liquida quella che gli colava nello stomaco e gli riempiva i polmoni come ossigeno fluido. Strinse un poco la presa sull'arma solo perché allontanò la mano sinistra da questa per spingere lievemente la porta d'ingresso e sbirciare nel loft poco illuminato.
Sentiva i respiri falsamente controllati di Magnus, l'uomo si stava sforzando di farlo piano, senza farsi sentire, ma in un qualche modo quello gli dava una certa sicurezza: così agitato Magnus sarebbe stato super recettivo e se anche sarebbe saltato ad ogni minimo sospiro non si sarebbe fatto prendere impreparato da nulla.
Per un attimo il detective esaminò tutte le possibilità a sua disposizione: In quel loft potevano esserci gli stessi uomini che si erano presentati a casa di Ragnor, così come poteva esserci Hodge stesso. Quando aveva chiamato Simon aveva messo in conto che lui, avvisando gli altri e facendoli correre in centrale, avrebbe in qualche modo allarmato l'uomo. Era quindi logico che questo avesse capito ciò che Alec stesso aveva intuito per poi mandare qualcuno a recuperare il quaderno prima di loro.
Sperava quasi che ci fosse lui, una pallottola su un braccio, alla spalla come a Magnus magari, nessuno glie l'avrebbe tolta a quel bastardo.
Alzò la mano facendo cenno di procedere ma si bloccò non appena capì che nessuno lo stava seguendo. Si voltò per guardare il compagno e questo gli restituì uno sguardo perplesso, alzando un sopracciglio.
<< Che c'è? >> gli domandò a bassissima voce.
Alec ripeté il gesto e Magnus si mise dritto sempre più scocciato da quella situazione.
<< Che dovrebbe rappresentarmi, Alexander? >>
<< Vuol dire “andiamo” o “muoversi”. Dio santo Magnus, non li vedi i film polizieschi?>> fece il moro aggrottando le sopracciglia e scuotendo la testa.
Magnus lo fulminò. << Vuoi metterti davvero a discutere dei miei gusti televisivi ora?>>
<< No, ma non posso dirti cosa dobbiamo fare, devi capire i miei cenni.>>
<< E non potevi insegnarmeli prima?>> la sua voce salì di poco ma si mise subito una mano sulla bocca, capendo il suo stesso errore.
<< Ssssh! È questo, è proprio per questo motivo che non volevo venissi con me!>> ribadì Alec ma scuotendo subito dopo ancora la testa. Litigare per questo non gli sarebbe stato di nessun utilità, non in quel momento. << Facciamo così, >> propose, << questo >> fece il cenno di prima << è un “muoversi”, la direzione te la dico sul momento. La mano alzata è “stop”. Verso il basso è “abbassati”. Se ti dico “ore qualcosa” è la direzione in cui devi guardare.>>
<< Questo lo posso capire da me!>>
<< Allora potevi capirmi anche prima!>>
Si guardarono in cagnesco per alcuni secondi, poi di nuovo un rumore.
Qualcuno imprecò e poco dopo si sentì il soffio di un gatto che scappava infastidito.
<< Dannato gatto!>>
Magnus si irrigidì e poi scattò verso la porta, pronto per correre in soccorso dell'animale e anche già pronto per scartare Alexander ed entrare a forza, anche se non era la cosa giusta da fare.
Peccato che avesse ancora sottovalutato i riflessi del detective e questo lo avesse preso al volo per la vita, tirandoselo contro il petto e passandogli un braccio attorno al collo e bloccandolo con ferma decisione.
<< Lasciami!>> soffiò come il suo gatto.
<< No.>> gli disse lapidario lui.
<< Non puoi tenermi per sempre, sono- >>
<< Magnus, ti ho tenuto incollato ad un muro mentre cercavi di ribaltare la posizione. Posso tenerti bloccato con una presa di autodifesa collaudata.>> strinse un po' di più la presa attorno alla sua gola e quando Magnus provò di nuovo a strattonarsi piegò il polso e gli passò una mano tra i capelli.
<< Se ora entri lì così rischi di farti ammazzare. Presidente non gli da' fastidio, non rischia niente, non gli converrebbe. Sprecherebbero un colpo per nulla.>> provò a spiegargli.
<< Presidente non è nulla!>> ribatté quello indignato.
<< Per noi no, per loro si. E poi- >> si bloccò non appena sentì il rumore di un oggetto, probabilmente un libro, che cadeva a terra e poi un'altra imprecazione.

<< Per l'Angelo!>>

Alec non si mosse. Guardò la porta, spostò di fretta l'uomo rischiando di farlo sbattere contro la parete e poi, esattamente come aveva fatto Magnus prima, si slanciò verso l'entrata del loft con la pistola abbassata.
Magnus osservò la scena allibito.
<< E poi sarei io quello che fa cazzate!>> sibilò inacidito seguendo il poliziotto.
Avrebbe voluto dirgliene di tutti i colori, farlo sentire in colpa come sapeva che si sarebbe sentito per aver fatto proprio ciò per cui lo aveva rimproverato ma si trattenne solo perché rimase shoccato dalle condizioni di casa sua.
Il salone era stato messo completamente a soqquadro: i cuscini del divano erano stati tirati su, tutti i cassetti e gli sportelli aperti, i libri tirati giù dalla libreria ma almeno impilati sul pavimento. Non c'era nulla di rotto, ma era certo che Catarina non avesse lasciato quel caos quando se ne era andata due settimane prima.
Cercò con lo sguardo Presidente ma pensò che si fosse nascosto sotto il banco della cucina come faceva sempre quando lo sgridava.
Alec invece se ne stava al centro del salone, lo sguardo puntato verso le camere, dalla porta della sua si vedeva una figura in piedi, di schiena. Era chinata verso il suo cassettone e cercava evidentemente qualcosa.
Da ciò che poteva dedurne non doveva essere troppo vecchio, anzi, doveva essere decisamente giovane, forse persino come Alexander. Aveva la schiena curvata ma poteva intuire facilmente che normalmente fosse dritta come un fusto e che le spalle che ora vedeva ricurve erano larghe e mai chiuse. Quel ragazzo emanava sicurezza di sé da ogni fibra del suo corpo, ma non la stessa sicurezza calma e consapevole di Alec, quella di chi sa cosa sta facendo, come e perché, la sicurezza di una persona esperta e saggia, magari anche ben addestrata. No, quel tipo, chiunque fosse era probabilmente arrogante e sprezzante di tutto ciò che lo circondava, magari anche una persona sfacciata, che si credeva migliore degli altri.
Si alzò di poco solo per spostare sul piano una cartellina, quella che Magnus riconobbe contenere le bollette di casa, e per un attimo un flash di capelli chiari balenò nella camera da letto semibuia.
Vide Alexander fare un passo avanti e si sbrigò a prenderlo per un polso e fermarlo.
Il moro però alzò una mano, fissava il giovane ma gli sembrava molto più rilassato di prima. Si voltò di poco e scosse la testa.
“ Va tutto bene” mimò con le labbra, poi sciolse la sua presa e avanzò ancora.
L'intruso sembrava non essersi accorto di nulla ed Alec gli fece cenno di mettersi dietro la parete, pensando che quando avrebbe rivelato la sua presenza il terzo uomo avrebbe potuto spaventarsi e magari attaccarli. Non avrebbe riconosciuto Magnus forse ma era impossibile che non riconoscesse lui.
Strinse comunque le dita contro il calcio della pistola, inserendo senza rendersi conto l'indice sul grilletto.
Prese un respiro profondo e poi lasciò uscire l'aria.

<< Jonathan?>>

Lo chiamò con cautela, quasi avesse paura di spaventarlo.
Il giovane si girò di scatto, alzando la pistola ma senza puntargliela contro.
Gli occhi verde scuro lo fissarono analizzando tutta la sua figura, poi espirò anche lui, rilassando le spalle e passandosi la mano libera tra i capelli bianchi come il sale.
<< Lightwood. Dannazione, mi hai fatto prendere un colpo!>> Abbandonò il cassetto e gli si avvicinò. << Che diamine ci fai qui? Sparisci per settimane, mesi anche, e poi appari così a buffo a casa di un sospettato? Per giunta di un sospettato di un tuo caso.>> lo scrutò quasi con fastidio, ma Alec c'era abituato e si strinse nelle spalle.
<< Hai detto bene, un mio caso. Avevo delle cose da fare, proprio per l'omicidio di Ragnor Fell. Piuttosto, tu che ci fai qui? Non credo che tu abbia un mandato, o saresti venuto la mattina, con una scorta magari.>>
Lui si strinse nelle spalle. << Non mi serve una scorta e non volevo perdere tempo. >>
<< Rimane il fatto che tu non abbia un mandato. Sei entrato qui forzando la porta.>> lo disse con sicurezza e gli restituì la stessa occhiata indagatrice che lui gli aveva lanciato.
<< E tu che ne sai?>>
<< Lo so. Sarei stato informato. Lo sarebbe stato il Capo Blackthorn e poi di conseguenza io. Anche perché non penso che tu abbia nulla contro Bane.>> avrebbe voluto incrociare le bracci al petto ma una strana sensazione gli formicolava sulla nuca.
<< Va bene, mi hai beccato.>> alzò le mani e fece un sorrisetto fastidioso, arrogante proprio come era il suo proprietario.
<< Allora che ci fai qui?>> insistette.
<< Ero in centrale sta sera. Mi hanno detto che la vecchia lista dei contatti di Asmodeus si trovava qui, a casa del figlio, che anche altri lo sapevano e che andava recuperata al più presto.>> si strinse nelle spalle ma era sincero come poche volte Alec lo aveva visto.<< Penso che tu capisca l'importanza di quel coso, scoprire tutti i colleghi del Principe dei Demoni ci darebbe una spinta enorme verso l'arresto di individui che sono scappati per una vita alla legge.>>
Alec lo fissò un attimo, poi annuì, un po' più tranquillo.
<< Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?>> gli chiese allora il biondo.
<< Sono quello che ha chiamato per dire dove si trovava il diario del Circolo.>> sospirò e poi si voltò verso Magnus, ancora nascosto dietro al muro. << Appena ho capito siamo corsi qui. Ho avvisato Blackthorn, Lucian e mio padre. C'era anche la Herondale in centrale.>>
Jonathan alzò un sopracciglio. << Siamo?>>
Alec annuì e fece cenno all'uomo di avvicinarsi. << Si e mi dispiace informarti che il tuo sospettato è invece un collaboratore.>>
Magnus uscì dal suo nascondiglio e si ritrovò faccia faccia con niente di meno che Jonathan Morgenstern, che scattò sul posto, facendo cenno di alzare le braccia contro di lui ma bloccandosi con una sola occhiata ad Alexander. Sorrise: a quanto pare anche gli stronzi come Morgenstern rispettavano il suo bel fiorellino.
Il biondo lo guardò con sufficienza e poi rise senza gioia, un sorriso tra l'ironico ed il cinico a piegargli le labbra fini e pallide. << A quanto pare il mondo sta proprio girando per un altro verso. Sai quanto tempo è che Luke cerca di prendere questo qui?>>
<< Da quando avevo diciannove anni, anche se prima cercava di farmi “passare dal lato buono”. Sarebbe magnifico vederti Morgenstern, ma mi hai distrutto casa e quindi non me la sento proprio di fare convenevoli educati. >>
Jonathan continuò a sorridere. << Beh, l'ho sempre detto che il capo è troppo buono.>> poi guardò Alec, << Almeno una spiegazione me la merito?>>
<< Secondo me no.>> borbottò Magnus fulminandolo ed incrociando le braccia al petto.
Il moro allungò una mano per poggiargliela sulla spalla con una confidenza che non passò indifferente all'altro.
Alzò un sopracciglio. << Ah. Quindi è per questo che sei sparito. Eri da qualche parte a fare da guardia del corpo a lui?>>
Alec annuì. << Si. Ho indagato sul caso Fell e ho capito che Magnus non c'entra nulla, è stato tirato in ballo, hanno cercato di scaricare su di lui la colpa. Speravano che arrestassimo lui, saltando alle conclusioni senza indagare a fondo. >>
Il biondo non ne parve né sorpreso né infastidito. << Vederlo dietro le sbarre non mi avrebbe fatto schifo.>> confessò senza vergogna.
<< Anche a costo di lasciare un assassino a piede libero per New York?>> lo sfidò Alec.
Lui si strinse nelle spalle. << Intanto lui avrebbe pagato.>>
<< Non per i suoi crimini.>> osservò cocciuto.
<< Ehi, io non ho mai ucciso nessuno.>> ci tenne a specificare Magnus avvicinandosi inconsciamente ad Alec.
<< No, ma hai fatto ben altro. >> lo guardò male Jonathan, poi dovette sentirsi troppo addosso lo sguardo di rimprovero di Alexander, perché si voltò verso di lui, continuando a parlare. << E poi i criminali sono reticenti, avresti finito per ritrovare l'assassino e lo avresti messo in galera dopo.>>
Ad Alec formicolò ancora la nuca, aveva la spiacevole sensazione di aver degli occhi puntati contro. Occhi spietati ed indagatori, quelli di un predatore che sta studiando la sua preda solo per capire come attaccarla al meglio. E Jonathan, in piedi davanti a lui, era solo un altro predatore che lo stava distraendo.
La frase che gli aveva appena detto gli ricordò terribilmente qualcos'altro, ma in quel momento, per quanto si sforzasse, non riusciva a richiamare alla mente la scena, la voce, il volto di chi le aveva pronunciate. Eppure se solo lo avesse capito...si sentiva proprio come quando non aveva ancora capito tutto, era ad un passo dalla soluzione ma gli mancava un tassello.
Allentò e strinse la presa sulla pistola e si rese conto di aver il dito sul grilletto. La sensazione del metallo ormai caldo ma rigido contro il polpastrello gli diede una sicurezza che non avrebbe dovuto volere: era armato e poteva difendersi. Poteva difendere sia sé stesso che Magnus. Soprattutto Magnus. Ma da cosa?
Fece vagare lo sguardo nella stanza e con non-calanche gettò anche un'occhiata all'arma di Morgenstern, accorgendosi che anche lui la teneva bene salda ma, a differenza sua, l'indice non era sul grilletto.

Bene, avrò un vantaggio, seppur infinitesimale.

Quei suoi pensieri lo gelarono. Perché avrebbe voluto avere un vantaggio su di lui.
Si stava innervosendo, era in allerta anche se conosceva perfettamente la persona davanti a lui, anche se era un ambiente che conosceva e in cui sapeva muoversi certo meglio dell'altro.
<< Senti, adesso usciamo di qui. Sigilliamo la casa, ci torneremo domani con calma e con la luce a nostro favore. Potremmo portare quelli della scientifica e non avremmo neanche bisogno del mandato perché ci sarà Magnus stesso ad autorizzarci.>>
L'uomo lo guardò con aria curiosa, evidentemente aveva captato il suo stato d'animo e non ne comprendeva la motivazione.
Jonathan almeno non se ne rese conto.
<< Non penso sia una buona idea. Abbiamo una talpa al dipartimento, te lo sei scordato? Potrebbe essere proprio tra la scientifica e portandoli qui domani potremmo fare il suo gioco. O potrebbe entrare qualcuno questa notte.>> obbiettò.
<< Chiamiamo una pattuglia e facciamogli sorvegliare la casa.>> tentò ancora.
<< Certo, così se passa un collega e gli dice che è qui per ordine di qualcuno lo lasciano andare.>> fece quello ironico.
<< Ci rimango io allora. Chiamiamo una pattuglia, facciamo venire a prendere Magnus e poi chiedo a Jace di fare la guardia qui con me. Magari anche qualcuno dei suoi colleghi, qualcuno di cui si fida ciecamente.>>
<< Lightwood, sbaglio o vuoi andartene da qui il prima possibile? Anzi, no. >> Lo guardò attentamente, fin troppo, cercando di capire qualcosa di ciò che si agitava nella sua testa. << Non vuoi cercare ora il quaderno. Perché?>>
In quel momento Alec non avrebbe saputo spiegarglielo, avrebbe farfugliato di sensazioni, di istinto.

E mi è sempre stato detto di non ignorarlo.

<< Ascoltami, scommetto che tu conosca alla perfezione il Caso Circle, che sappia cosa è successo e come sono andate le cose. Il caso Fell è collegato a quello.>> deglutì e ringraziò il cielo che Magnus avesse fatto un altro passo vicino a lui, più erano vicini meglio era, l'aria stava diventando elettrica, la sensazione di essere fissato non lo abbandonava e gli stava dando sempre più fastidio.
Si sentiva come se avesse una pistola puntata alla testa.
<< Non è andata come riportato sui verbali però. >> continuò, sperando che in quel modo il giovane capisse ciò che stava provando a fare. << Qualcuno del gruppo tradì gli altri. Asmodeus riuscì a scappare perché gli fecero una soffiata, la stessa persona che ora si trova all'interno del dipartimento e aiuta i criminali a sfuggire a voi della crimine organizzato. A quel tempo nessuno ci pensò, ma Michael Wayland invece lo aveva capito. Ha cercato di dirlo a mio padre ma lui ha indagato nella direzione sbagliata. Poi provò a dirlo a Stephen Herondale e lui, previdente, lasciò un indizio. Durante il processo mio zio capì cos'era successo e per questo lo uccise- >>
<< Chi è. Dimmi chi è. Perché ci stai girando intorno e mi stai facendo venire il nervoso.>> lo stroncò Jonathan, ora agitato quasi quanto lui.
Alec prese un respiro. << Hodeg. Era con mio zio quando è morto. Lui lo aveva scoperto e così Hodge lo ha prima drogato con dei calmanti, sperando morisse d'overdose, ma il quantitativo era troppo basso e così lo spinse giù dalle scale. Quando entrò in coma finì il lavoro. Poi toccò a William Herondale, fece in modo che dei criminali gli sparassero perché lui lo aveva affrontato di petto, lo aveva accusato e quindi lo doveva eliminare. Per ultimo il padre di Simon, Will Herondale si era rivolto a lui per aver conferma dei suoi sospetti e Malcom Lewis, ingenuamente fidandosi del suo collega, andò a parlare con lui. Hodge lo avvelenò con qualche tossina che gli provocò l'arresto cardiaco.>>
<< E cosa c'entra con Fell? Perché lo avrebbe ucciso.>> si mosse sul posto, inquieto, lanciando sguardi attenti alle finestre e anche alla porta, ancora aperta, come temesse potesse arrivare qualcuno.
<< Ha cercato il quaderno del Circolo per anni probabilmente. Doveva esserci anche lui su quelle pagine e se fosse uscito fuori sarebbe stato portato davanti agli Affari Interni, magari anche davanti alla corte Marziale. Ha collaborato con Asmodeus, quell'uomo è stato accusato di traffico d'armi con terroristi e gang di ogni tipo, con militanti privati, sarebbe stata la fine per lui. Deve aver finalmente capito dove Asmodeus aveva nascosto l'agenda, sono sicuro che avrà cercato di comprarla e si è rivolto a Fell, il miglior ricettatore di opere d'arte sul mercato nero a New York.>> Si spostò verso Magnus, sfiorandogli con la mano la sua, facendogli fare automaticamente un passo verso la cucina. << Lo ha comprato ma quando è stato il momento di ritirarlo ha fatto un casino con il sistema d'allarme. Fell aveva già programmato il sistema per far accedere a casa un soggetto dal volto ignoro, perché la telecamera era collegata ad un programma di riconoscimento facciale. Lui però ha aperto di forza tutti i passaggi e ha messo in allarme il sistema. >>
<< Ma la telecamera lo ha comunque inquadrato e poi, quando si sono trovati faccia a faccia Fell lo ha riconosciuto come un vecchio tirapiedi di Asmodeus, per cui aveva lavorato lui stesso, giusto?>> chiese sempre più preso da quella spiegazione, mentre cercava freneticamente di ricomporre i pezzi come Alec aveva cercato di fare per due mesi. << Quindi, capendo che Fell lo potrebbe ricattare lo uccide, mette a soqquadro la casa cercando il quaderno del Circolo ma non lo trova da nessuna parte. Eppure c'è una cosa che non quadra. >> lo fissò pensieroso << Hodge era un tecnico, ai tempi del Caso Circle, non era autorizzato ad uscire dall'unità mobile, figurarsi ad aver contatti con il soggetto. Come ha fatto a farsi plagiare? Come ha fatto ad incontrarlo?>>
Alec fece per parlare, per dirgli cos'era successo, quale fosse quel passo che gli sfuggiva, già preparandosi alla sua reazione, ma non riuscì a dir nient'altro che un tenue “ Infatti non è successo…” che un nuovo personaggio si aggiunse alla scena.

<< Questa è una storia che non avrei mai voluto sentir raccontare.>>
Tutti e tre si voltarono verso l'ingresso della casa, sobbalzando.
Valentine Morgenstern se ne stava al centro dell'uscio, le spalle rilassate così come il suo volto e la sua intera postura. Avanzò nel loft e scosse la testa, un'espressione rattristata sul volto che non convinse nessuno dei presenti.
<< Hodge è sempre stato un uomo ambizioso, molto più di quanto non possa sembrare, ma arrivare a tanto… >> scosse ancora la testa rassegnato. << Chissà cosa gli offrì Asmodeus per portarlo dalla sua parte, se magari lo ha minacciato o se gli ha solo promesso ciò che più desiderava.
Quell'uomo era un mostro ragazzi, non giudicate troppo duramente il comportamento di Hodge, era giovane e appena uscito dall'accademia. >>
<< Ha ucciso tre persone.>> rispose freddo Alec, muovendo le dita con lentezza per trovare quelle di Magnus. Le strinse e lo tirò leggermente dietro di sé. << Avrebbe potuto chiedere aiuto, far in modo che gli altri scoprissero che lo stava ricattando. Se invece lo ha fatto di sua volontà non merita la minima giustificazione.>>
Valentine lo scrutò attento e poi sorrise. << Sempre un ligio uomo di legge, Lightwood. E anche molto capace.>> avanzò ancora nella sala. << Però hai fatto un errore.>>
Tutti e tre non si persero neanche una sua mosse, l'uomo si muoveva come se fosse il padrone della scena.
<< Quale.>> disse solo Alec.
<< Ti sei fatto fregare dal figlio del Principe dei Demoni.>> disse solo.
Lo sguardo di Jonathan volò subito su Magnus che invece assottigliò il suo fissando Morgenstern con un risentimento di cui non si credeva capace, viscerale, quasi antico.
Quell'uomo gli ricordava qualcosa, ma cosa?
<< Non mi sono fatto fregare. Ho indagato e ho trovato la soluzione del problema. Non sbaglio quando dico che Hogde ha disattivato il sistema d'allarme e non sbaglio neanche a sospettare che sia stato lui a guidare l'attacco cibernetico ai server della vittima.>>
<< No. >> concesse l'altro. << Ma ti sei fatto fregare su un altro fronte. Non hai niente di cui rimproverarti, è il tuo primo caso importante, e lo è soprattutto perché si ricollega ad una vecchia operazione molto più delicata e grande, ma non ti è parso incredibilmente strano che proprio Fell sia morto? Che con tutti gli esperti presenti nel continente, l'assassino si sia rivolto proprio a lui? Lo hai detto tu stesso che Fell era “il migliore di New York”, ma non il migliore d'America. Perché chiedere proprio a lui?>> cominciò a fare il giro della sala da pranzo, uscendo dall'ingresso e facendo scricchiolare le suole nuove sul parquet lucido. << Magari perché sapeva di potersi fidare di lui? Che non avrebbe fatto domane? Magari perché erano amici?>>
Magnus si fece avanti rabbioso. << Non avrei mai potuto far del male a Ragnor! Proprio perché era mio amico e proprio per questo mi avrebbe sommerso di domane e io non avrei potuto evitarle!>>
Alec lo riprese per un braccio, cercando di farlo tornare dietro di lui, ma Magnus si scostò con furia e in quel momento il moro non poteva certo atterrarlo con qualche mossa di lotta, non davanti ai due Morgenstern.
Valentine gli rivolse a mala pena un'occhiata compiaciuta, era felice di aver provocato quella reazione dell'asiatico.
<< Certo, come ho fatto a non pensarci. E dimmi allora, se eravate tanto amici, perché non vi sentivate da mesi? È quello che hai detto durante il tuo interrogatorio, no? Che Fell ti aveva chiamato dopo mesi di silenzio ma tu non gli avevi risposto. Perché non lo hai fatto? Forse perché, dopo aver chiesto al tuo amico di trovarti un vecchio pezzo appartenuto a tuo padre, dopo che lui ti aveva sommerso di domande a cui tu non avevi potuto non rispondere, avevate litigato?>>
Sempre più alterato Magnus strinse i pugni, senza neanche rendersi conto che la destra teneva ancora saldamente la pistola. Aveva una voglia matta di tirare un pugno in bocca a quel bastardo che ora camminava per casa sua come se ne fosse il padrone.

Come se fosse il padrone del fottutissimo mondo.

<< No.>> disse solo in un sibilo acido.
<< No?>> gli fece il verso, poi scosse la testa nella perfetta imitazione di qualcuno che sente negare l'evidenza. << Dimmi Jonathan >> interpellò il figlio, << dopo quello che ho detto, cosa puoi dedurne?>>
Il biondo si riscosse, come se fino a quel momento fosse stato immerso nei suoi pensieri e batté una sola volta le palpebre. << Che probabilmente Bane ha detto a Fell che voleva il vecchio diario di suo padre, magari per raggiungere il suo stesso livello di fama e di potere. Fell evidentemente invece capiva quando poco fosse raccomandabile andare a smuovere certe acque e ha cercando di convincerlo del contrario. Avranno litigato penso, come hai detto tu. Poi Hodge ha cercato anche lui il quaderno, Fell lo ha trovato e si è anche ritrovato a dover scegliere se consegnarlo ad un poliziotto o ad un criminale. Non so come ragionasse quell'uomo ma è possibile che Hodge gli abbia offerto più di quanto non avrebbe potuto far Bane e che abbia scelto di consegnare il diario a Hodge. Bane lo ha scoperto ed il giorno dell'incontro è andato a casa di Fell, lo ha affrontato, hanno litigato e lui gli ha sparato.>>
Completamente bianco in faccia e con una tremenda voglia di vomitare Magnus scosse la testa con vigore. << No, non avrei mai potuto fargli una cosa del genere. Non avrei mai potuto...>>
<< Non è andata così. Magnus è innocente.>>
La voce di Alexander risuonò nel loft come una bomba. Padre e figlio si voltarono verso di lui immediatamente mentre Magnus lo fece con lentezza, donandogli un'occhiata colma di riconoscenza.
Le sue parole trasudavano certezza, era fermamente convinto di quello che stava dicendo e non avrebbe ammesso repliche.
<< Ammetto che non è stato il testimone più collaborativo della storia, che abbia cercato di sviare le indagini e di farmi girare a largo dalla soluzione. Ma lo ha fatto perché come ogni persona del suo mondo >> gli lanciò un'occhiata di scuse per quello << non crede nella legge e voleva farsi giustizia da solo, voleva vendicare il suo amico. Ma quando ha capito che anche io cercavo il colpevole, che lo cercavo davvero, ha cominciato ha collaborare. È lui che mi ha detto dei server segreti, lui che mi ci ha portato. Gli hanno sparato. Se fosse stato lui il mandante che senso avrebbe avuto?>>
Valentine gli sorrise indulgente. << E' molto onorevole da parte tua credere nella buona volontà delle persone Alexander, ma lo hai detto tu stesso: ha cercato di portarti sulla strada sbagliata.>>
<< Ed i server?>> chiese Jonathan a sorpresa.
<< Quella dev'essere stata una fortuita coincidenza. Hodge controllava il portatile di Lewis mentre Bane invece cercava di trovare un modo per convincere Lightwood ad indagare anche sul caso Circle, a cercare il quaderno. Ha pensato bene che portandoli hai server avrebbero scoperto dei documenti di Fell su quel caso e che la polizia si sarebbe subito fiondata su quel particolare. È un caso maledetto, ha portato via tanto al dipartimento e non è ancora chiaro cosa sia successo.>>
Alec scosse la testa. << No, non è così. Magnus non c'entra nulla, glielo ripeto. Non in questo caso almeno. Non ha ucciso lui Fell.>>
<< Mi spiace molto per te ragazzo. >> fece allora l'uomo sospirando. << A quanto pare ciò che si dice su Magnus Bane è vero, riesce seriamente a convincere chiunque a fare ciò che vuole.>>
Desolato lasciò cadere le spalle e poi guardò suo figlio. << Ormai è impossibile fargli cambiare idea, Bane gli ha messo in testa che lui è innocente e che è stato Hodge ad uccidere Fell. Ma il nostro Lightwood è un uomo di fatti, ed una volta messo davanti a questi sono sicuro che capirà il suo errore. >> fece un gesto con la mano. << Arresta il colpevole Jonathan. >> ordinò con voce quasi triste, come se gli dispiacesse che Alexander non comprendesse la verità.
<< No.>>
<< No!>>
Saltarono in contemporanea Alec e Magnus. Ma se il primo alzò solo la mano per bloccare il biondo, sperando di riuscire a convincerlo, a spiegargli cos'era successo realmente, Magnus non ebbe alcun dubbio che lui, da casa sua, non ne sarebbe uscito che in due modi: in manette o morto.
Alzò la pistola e la puntò contro Jonathan, che immediatamente rispose alzando anche lui l'arma.
Alec avanzò verso di loro ma fu prontamente fermato dalla mano di Valentine che gli si poggiò sulla spalla.
<< Rimani qui ragazzo. Se Bane non è stupido non rischierà di farsi uccidere. Jonathan era uno dei migliori tiratori dell'accademia Bane, non sbaglierà il colpo.>>
Magnus strinse la presa sulla sua pistola e sorrise. << Se è per questo, alla distanza a cui siamo, non lo farò neanche io. Non ho la minima intenzione di farmi arrestare e accusare di un crimine che non ho commesso. Potete accusarmi di mille altre cose e saranno tutte vere, ma non sono mai stato e mai sarò un assassino.>>
Jonathan lo fissò male. << E vuoi dimostrarlo puntandomi un'arma contro?>>
<< Beh, vedi, dalle mie parti quando uno minaccia di portarti via con la forza in genere ci si difende come si può.>>
<< Non lo farai Bane, non ti lascerò scappare ancora.>>
<< Trovo davvero commovente che tu sia così attaccato a me. Quindi ti andrebbe bene di accusarmi per un qualcosa che non ho fatto e non il vero assassino?>>
<< Hodge verrà comunque arrestato per cospirazione, tradimento, ricettazione, omicidio preterintenzionale e Dio solo sa cos'altro. Finirà in prigione a vita se non lo condanneranno a morte. Tu invece andresti in giro tranquillo e beato come se niente fosse.>>
Alec sgranò gli occhi: quindi gli credeva? Credeva che non fosse stato Magnus ad uccidere Ragnor?
Improvvisamente si ricordò dove aveva sentito la frase che prima il biondo aveva pronunciato. L'aveva detta proprio il padre, quando era uscito dall'ufficio della Signora, dopo il colloquio.

Perché lui sapeva. Ha sempre saputo.

L'aria era pesante di caldo, d'afa e di tensione e Alexander avvertì di nuovo quel pizzicorio alla nuca, quei brividi che gli colavano nello stomaco, i peli delle braccia che gli si alzavano ed anche i capelli corti dietro al collo. Avvertì la schiena bruciargli come quando aveva appena fatto il tatuaggio, sembrava quasi che le ali si stessero muovendo, che fremessero in attesa di muoversi, dell'azione.
Con una preveggenza che sarebbe stata ricordata per anni, prima ancora che si potesse effettivamente muovere, quando Jonathan e Magnus si guardavano con le pistole puntate l'una verso l'altro, bloccati in uno stallo all'americana, Alexander seppe già cosa sarebbe successo.
Con un movimento fulmineo si liberò dalla presa di Valentine, che per quanto leggera fosse lo inchiodava lì dov'era, lontano da Magnus. Alzò il braccio armato e con il polso colpì quello del Vice Commissario che già si stava alzando, il pollice poggiato sulla sicura della sua glock. Gli fece deviare la traiettoria proprio mentre il perno scattava all'indietro e lasciava la canna libera di sparare il colpo. Si lanciò verso Magnus placcandolo alla vita e buttandolo a terra, in direzione del divano dove lo trascinò di peso dopo che il colpo sparato dall'uomo gli aveva trafitto la spalla, quella opposta a dove era stato ferito l'asiatico.
Nella caduta anche Magnus sparò un colpo che andò a conficcarsi da qualche parte nel pavimento, dando però il via ad una serie di altri colpi che crivellarono il divano.
L'imbottitura volò in aria e Alec ne approfittò per sporgersi oltre il bordo del sofà e sparare due colpi d'avvertimento, molto vicini agli altri due che si sbrigarono a nascondersi dietro lo stipite della porta della cucina e dietro a quello che conduceva alle camere.
Jonathan poteva anche essere uno dei migliori tiratori dell'Accademia, ma Alec era il migliore.
<< Non fare lo sciocco Lightwood! È solo un criminale, non hai nessun dovere nei suoi confronti!>> disse a voce alta Valentine.
Alec si mise seduto conto lo schienale del divano e imprecò mentalmente quando toccandosi la spalla la trovò sporca di sangue.
<< Mi è stata affidata la sua incolumità signore e per questo farò di tutto per proteggerlo.>>
<< Non dire cazzate!>> sbottò Jonathan << E' stato lui a sparare per primo, che incolumità vuoi proteggere?>>
<< Non è stato lui. >> disse cominciando ad arrabbiarsi anche lui << Tuo padre ha alzato la pistola e ha tolto la sicura, se non mi fossi mosso gli avrebbe sparato un colpo diritto in testa.>>
Magnus affianco a lui, che era sempre più bianco ad ogni sparo che sentiva ed ogni minuto che passava, assunse un colorito quasi verdognolo e si strinse la pistola al petto, serrandola in una morsa ferrea tra entrambe le mani.
<< Stavo per puntargli la pistola contro per convincerlo ad abbassare la sua, come vi insegnano all'accademia: se qualcuno punta la pistola contro un collega o un civile gliela si deve ripuntare contro, la pressione psicologica è più forte di qualunque altra cosa.>>
Alec si morse il labbro, sapeva cosa stava facendo il Vice Commissario, lo aveva capito: cercava di motivare al meglio tutte le sue azioni, tutte le sue parole per sembrava nel giusto agli occhi del figlio. Voleva convincerlo che Magnus lo avesse soggiogato, che lo avesse plagiato per fargli credere alla sua versione della storia e non a quella che sarebbe dovuta essere la verità.
Doveva prendere tempo.
<< La stessa pressione psicologica che aveva Hodge? La stessa che lo ha spinto ad uccidere tre persone? Lo sta giustificando?>> domandò sibillino, calcando sulle ultime parole.
Si voltò verso Magnus mentre Valentine cominciava a parlare di come doveva essersi sentito Hodge, di come Asmodeus doveva averlo convinto e tante altre cose a cui prestò solo mezzo orecchio.
<< Ascolta, devi uscire di qui e correre al sicuro. Chiama Simon e digli di mandarmi rinforzi. Probabilmente uno dei due cercherà di seguirti ma li bloccherò io, d'accordo?>>
L'altro scosse la testa, le labbra serrate e livide.
<< Magnus… ti prego. Sta cercando di convincere suo figlio che sparati sia la cosa giusta.>> soffiò debolmente, tutta la disperazione che poteva permettersi di provare in quel momento racchiusa nel suo nome e in quella supplica.
<< Non posso… >> pigolò piano lui << Non ce la faccio, non ce la faccio a reggermi in piedi...>> e allora abbassò lo sguardo e Alec si sentì morire.
La coscia destra dell'uomo era macchiata da un'enorme chiazza rosso scuro. Uno dei proiettili doveva averlo colpito e lui non se ne era neanche reso conto.
Si tolse la maglia bucata e proprio come anni prima aveva fatto con Jace gliela legò sulla ferita. Ogni movimento un'agonia di fuoco che gli si contorceva nella spalla.
<< Fai pressione. Fai pressione lì e resisti. Ti porterò fuori di qui al più presto. >>
Magnus annuì e nel frattempo cercò qualcosa, mentre Alec finiva di sentire tutte quelle cazzate che l'uomo stava sparando.
<< …Hodge era al dipartimento in quel momento, non avrebbe mai potuto uccidere Fell- >>
<< Non è stato lui infatti.>> lo stroncò Alec, sbirciando da dietro il bracciolo e notando l'espressione sorpresa di Jonathan e quella piatta di Valentine.

Questo non te lo aspettavi, vero bastardo?

<< Vedo che cominci a ragionare.>> fece accondiscendente Valentine annuendo.
<< Hai cambiato idea?>> gli domandò invece Jonathan guardingo.
Alexander colse al volo quella nota nella sua voce. Forse suo padre non lo conosceva bene come credeva, forse non aveva mai tollerato debolezze da parte sua o forse Alec lo aveva solo imparato a conoscere durante gli anni sfiancanti dell'accademia, fatto sta che si rese immediatamente conto che il biondo tentennava. Jonathan non era sicuro delle parole del padre, non lo convincevano e Alec pensò che ciò fosse anche merito di Luke, che con la sua presenza e i suoi modi di fare gli aveva insegnato a guardare oltre gli schemi, a farsi domande anche su fatti che sembravano ovvi.
E Jonathan Morgenstern non era certo stupido.
<< No, sono certo che non è stato Magnus- >> cominciò prima di essere interrotto.
<< Lightwood ma ti senti? Lo chiami anche per nome. Quell'uomo ti ha fatto il lavaggio del cervello.>> sospirò Valentine.
<< Ho passato due settimane chiuso in casa con quest'uomo, signore, sarebbe stato davvero terribile doverlo chiamare “signor Bane” per tutto il tempo. Non sono il suo maggiordomo.>> ribatté infastidito da quell'intrusione.
Magnus abbozzò un sorriso lasciando cadere la mano a terra. << Sarebbe magnifico se fosse il mio schiavetto, fiorellino. >> soffiò con un filo di voce, appena udibile dal moro.
Alec gli rivolse un sorriso sincero che per un attimo sembrò cancellare tutta quell'assurda situazione, poi si ricompose voltandosi di nuovo verso il bordo del divano.
<< E so anche chi è stato ad uccidere Fell e perché non ha trovato il quaderno.>>
Un verso sprezzante arrivò dalla cucina, Valentine doveva trovare tutta quella situazione piuttosto divertente. << Certo che non lo ha trovato, lo ha preso Bane dopo aver ucciso Fell.>> fece ovvio.
Alec scosse la testa anche se nessuno poteva vederlo. << No, era nella cassaforte. Quella dietro alla scrivania di Ragnor, messa in bella mostra, un posto insospettabile.>> disse deciso il moro.
<< Questo è falso. >> sentenziò Valentine << Nella cassaforte non c'era niente di importante, dentro non c'erano altro che vecchi quaderni pieni di appunti su opere d'arte e degli album fotografici.>>
Se solo avesse potuto vederlo in quel momento, l'uomo si sarebbe di certo fatto un passo indietro e si sarebbe nascosto dietro a qualcosa: sul volto di Alexander si aprì un sorriso ampio ed affilato, una luce cocente gli illuminò lo sguardo, una cattiveria che non sarebbe dovuta appartenere ad un viso d'angelo come il suo e che rese quasi insopportabile la piega crudele dei suoi lineamenti e quella della sua voce, che trasudava un cinismo pari solo al senso di vittoria che vi vibrava in ogni parola:

<< E lei come fa a saperlo, visto che quei quaderni e quegli album li ha rubati Magnus e la scientifica ha trovato la cassaforte vuota?>>

Il silenzio denso della sera estiva si propagò anche nel loft, neanche un respiro disturbava la coltre pensante che era caduta su quelle mura, non il lontano passare delle macchine o qualche sirena.
Magnus fissò il volto di Alexander e lo trovò di una bellezza cruda. Come un stupido si ritrovò a pensare che quella doveva essere stata la stessa crudele e terribile espressione dell'Arcangelo Michele quando cacciò Adamo ed Eva dall'Eden.
Bellissimo, il massimo della bellezza del frutto divino ed il massimo della cattiveria.
Il moro si mosse di poco, accovacciandosi sulle caviglie, immune persino al dolore dell'arto ferito in quel momento, lanciando uno sguardo di freddo calcolo in direzione della porta.
<< Era scritto sul tuo fascicolo Alexander, ho letto tutto ciò che hai scritto.>>
La voce di Valentine interruppe il silenzio, tornando ad essere impovvisamente gentile.
<< Ma io non l'ho scritto. L'ho scoperto neanche tre settimane fa e l'ho comunicato via telefono solo al Commissario Herondale. >> calcò sul titolo della donna, per fargli capire che lo aveva detto solo a qualcuno più in alto di lui. << E lei era da sola, ne suo studio privato a casa sua. Mi sta forse dicendo che intercetta le telefonate del Commissario della polizia?>> lo sfidò con la stessa freddezza di tono del suo sguardo.
<< Allora deve avermelo detto lei… >> provò ancora l'uomo.
<< Sbagliato anche questo.>> lo stroncò subito Alec. << Vede, per molto tempo mi sono domandato perché la Signora avesse coinvolto praticamente tutti coloro rimasti in vita che avevano partecipato all'Operazione Circle, ma non lei e Hodge. Era ovvio che avrebbe interpellato il Capo Blackthorn perché è colui a cui faccio riferimento. Era anche abbastanza logico che lo dicesse a mia madre, che è il Procuratore Generale di New York. Ma perché a mio padre e Luke si e a voi due no?>> lasciò per un attimo che la domanda permeasse nella mente di Jonathan. Sapeva che tutta la situazione sarebbe dipesa dal suo schieramento. Erano uno contro uno e lui doveva anche preoccuparsi di Magnus che per quanto armato non poteva correre, se Jonathan avesse capito che il padre mentiva si sarebbe rivoltato contro di lui.
<< Poi ho capito che lei, alla Herondale, non piaceva e probabilmente non era mai piaciuto.
Certo, si può pensare che non la sopportasse perché era lei a dirigere l'operazione in cui morì suo figlio, ma non è per questo che non la sopporta. È una cosa a pelle, un istinto. La Signora, per istinto, sa di non doversi fidare di lei e così ha fatto.
Penso che abbai avuto i primi dubbi proprio durante i due anni sotto copertura, scommetto che si è resa conto che lei, più degli altri, interpretava troppo bene il suo ruolo. La tenne sotto controllo ma non riuscì mai a trovare nulla. Ora capisco perché.>> disse sicuro di aver l'attenzione di tutti, compresa quella di Magnus.
<< Per settimane intere mi sono domandato cosa ci fosse che non quadrava, dove fosse la falla. Ho imparato a memoria i vostri documenti, tutti i verbali e solo oggi mi sono reso conto che nel suo manca una cosa fondamentale: tutti ad un certo punto scrivono che Michael Wayland li aveva messi a parte di una sua sensazione, il sospetto che qualcuno sapesse di loro. Tutti quanti: tranne lei.
Mi sono domandato perché e la risposta inizialmente è stata “perché non ne ha avuto tempo”.>>
<< Esattamente… sapevo che aveva qualche dubbio ma non- >>
<< Eviti di interrompermi. >> lo freddò Alexander sporgendosi di poco dal suo nascondiglio.
<< Ho detto “inizialmente”. Poi però ho parlato con la vedova Herondale e ho scoperto una foto che non avrebbe dovuto avere e che invece il marito le aveva invitato: rappresentava voi sei in abiti eleganti, nell'ufficio di Asmodeus. Sullo sfondo c'era una finestra da cui si vedeva una striscia di macchine davanti al parco di Brooklin. Tra queste macchine c'era un camioncino bianco e per molto tempo mi è sfuggito ciò che sfuggì anche a Will Herondale. Stephen mandò quella foto a sua moglie come garanzia. Riconobbe il furgoncino come uno dei mezzi usati dai tecnici e si rese anche conto che quel giorno nessuno avrebbe dovuto seguirli. Sareste stati in mezzo ad altra gente, vi avrebbero potuto tenere sotto controllo in mille modi diversi, non c'era bisogno di rischiare facendovi seguire. Un'altra cosa importante di quella foto sono le sue scarpe, signore. Tra i veri documenti risulta che da un controllo sui vostri indumenti, di tutti e sei, è risultato che un paio di sue scarpe, eleganti e che non usava quasi mai, avevano una cimice. Guarda caso le stesse scarpe che indossava in quella foto e guarda caso il giorno in cui avrebbe incontrato i suoi capi, senza dare dell'occhio, per sapere le direttive da tenere. Hodge era appostato con l'unità mobile per registrare ciò che la polizia diceva e non il crimine.>>
<< Questo dimostra solo che Hodge è la talpa e che lo era anche allora.>> disse con voce fredda di rabbia.
<< Non corra, non ho ancora finito. Questo è ciò che mi ha detto la foto di Amatis Herondale, ma non è l'unica prova che ho.
All'inizio di questo caso sapevo solo che la vittima aveva cercato un oggetto sul mercato nero. Che era una cosa particolare ma che il compratore gli aveva offerto troppo per quella cosa in particolare. Poteva essere un neofita forse, ma Fell era un esperto e capì subito che il prezzo era così alto perché il suo compratore voleva assicurarsi di ottenere proprio quell'oggetto. Quando riuscì a rintracciarlo e se lo ritrovò sotto mano però, lo riconobbe come una vecchia opera presente nell'ufficio di Asmodeus.
In quello stesso periodo però, sua figlia >> e al sentir tirare in ballo Clary Jonathan si drizzò come se lo avessero pungolato << ebbe la bella idea di rispolverare i vecchi progetti di sua madre. A quanto pare Jocelyn progettò una composizione di una coppa di vetro opaco ed argento su un piedistallo di legno, una mezza colonna scura con una targhetta in ottone che recitava- >>
<< La Coppa Mortale...>> disse Jonathan senza rendersene conto.
<< Esatto. A quanto pare la coppa è stata prodotta e ora, se permette, le spiego cosa ho capito: non era Hodge quello che voleva più di quanto il dipartimento potesse dargli, ma era lei. Lei si mise in combutta con Asmodeus e vendette letteralmente i suoi compagni. Ma gli serviva qualcuno che lo coprisse e così ha coinvolto Hodge, manipolabile e debole di volontà. Michael lo ha capito ma forse troppo tardi. Lo disse a Stephen e lei, all'ultimo momento, cambiò l'ordine d'entrata nel magazzino per lasciare mio padre fuori con gli altri. Stephen e Michael non sono stati uccisi dagli scagnozzi di Bane. Avevano due ferite ravvicinate che furono imputate ad un attacco a sorpresa ma che invece furono inferte proprio da lei. Portavano il giubbotto antiproiettile, solo da una distanza minima o con un grande calibro sarebbero riusciti a trapassarlo, e non è il nostro caso. Lasciò scappare Asmodeus e rimase in contatto con lui per tutto il tempo del processo. Ora so che quell'uomo non abbandonò mai l'America, non abbandonò mai Brooklin e così avete continuato a lavorare assieme. Scommetto che un giorno è andato a casa sua e ha visto la composizione di Jocelyn. Se ne dev'essere innamorato, aveva gusto per queste cose, la voleva ma lei non poté dargliela perché lei e Jocelyn stavate divorziando e non voleva complicare le cose. Ma Asmodeus non accettava mai un no come risposta e la fece trafugare dal magazzino in cui Jocelyn portò le sue cose quando se ne andò di casa. Lo tenne con sé per anni, vi nascose dentro il suo diario del Circolo ma un giorno, dopo che si era trasferito in Europa, qualcuno lo rubò e finì sul mercato nero. Ancora, scommetto che lei lo abbia riconosciuto tra una lista di oggetti rubati che Jonathan aveva per un caso, quello del collezionista di quasi due anni fa.
C'ha messo tantissimo per trovare un compratore, non poteva sceglierne uno famosissimo e si rivolse a Ragnor non sapendo che anche lui aveva lavorato per Bane e che quando vide l'opera capì a chi apparteneva e chiamò Magnus per dirglielo.
Il giorno della consegna lei ha cercato il quaderno ma non lo ha trovato. Ragnor lo aveva trovato prima di lei e lo aveva messo al sicuro nella sua cassaforte tra i suoi quaderni di vecchi lavori. Quando si è rifiutato di dirgli dove si trovasse, negando di averlo, lei gli ha sparato. Alle spalle, come il vile vigliacco che è. Come ha sparato a Michael e a Stephen. Come ha consigliato ad Hodge di eliminare Max, Will e Malcom quando questi hanno scoperto troppo. Come ha cercato di uccidere Magnus e come ha appena provato.
Non è Hodge la talpa del dipartimento, è lei. >> tacque per un attimo. << O forse mi sbaglio?>>
Prese un respiro profondo e si affacciò.
Il volto di Jonathan era una maschera di cera, pallido e quasi nauseato. Quello di Valentine esprimeva solo odio e rabbia.
Un verso di scherno uscì dalle sue labbra. << Intelligenti come quel frocio di Wayland ne ho conosciuti pochi.>> Si spostò verso lo stipite della porta e vi si fermò al centro. << E stupidi come tuo padre, che lo seguiva in ogni sua mossa, che assecondava ogni sua richiesta, ancor di meno. Mi sorprende che si sia sposato e che non sia morto suicida per i sensi di colpa, ci avevo seriamente sperato.>> fece un passo e si fermò ancora. << Non capiva cosa stessi facendo e ha provato a chiedere aiuto a tutti. A Luke lo ha solo accennato, aveva paura che con la nostra amicizia mi avrebbe avvertito. Andrew intelligentemente si fece gli affari suoi, tuo padre non pensò neanche per un attimo che il problema fossi io e Stephen...lui era testardo come lo è sua madre e come lo era suo cugino. Quello sciocco affrontò Hodge, gli disse che sapeva ma non lo uccise all'istante. Sciocco appunto, il caro vecchio Hodge nasconde più assi di quanto non si potrebbe mai credere.
E poi, quando finalmente ritrovo il Circolo… arrivi tu, stupido ragazzino. A quanto pare deve essere una prerogativa della tua specie ficcare il naso negli affari altrui.>> gli sputò quelle parole contro come se fossero veleno, schifato anche solo nel pronunciare i nomi di quelli che erano stati i suoi amici più cari.
<< Ma ora non devo più preoccuparmi e proprio grazie a te. Hanno catturato Hodge, quello stupido mi ha chiamato prima, terrorizzato… lo accuseranno di tutto e io sarò pronto a smentire ogni accusa contro di me. La cimice nella mia scarpa? La mise lui. Il progetto di Jocelyn? Oh, lo sappiamo tutti che al tempo Hodge cercava di compiacere mia moglie in ogni modo, probabilmente proprio per arrivare a me. Deve aver rubato lui la statua per Asmodeus. Quanto a Fell… ha ucciso anche lui. Bane invece ha provato a scappare con il quaderno, ha sparato dei colpi e noi abbiamo risposto al fuoco. Sei rimasto coinvolto nella sparatoria, colpito da fuoco amico perché questo rifiuto umano ti ha usato come scudo e tu, buono e gentile fino alla fine, non volevi credere che l'uomo che ti aveva aiutato durante tutto il caso fosse in realtà il colpevole e non hai avuto la prontezza di riflessi per toglierti, congelato dalla delusione...abbiamo fatto di tutto per salvarti, ma la ferita era troppo grave.>>
Non gli diede neanche il tempo di controbattere, di scatto corse verso il divano ed Alec ebbe solo il tempo di voltarsi e pararsi davanti a Magnus. Alzare la pistola con il braccio ferito che tremò e diede all'uomo da possibilità di dargli un calcio e farla volare via.
Si sarebbe potuto alzare e scappare, lo sapeva, ma Magnus no, non con la gamba in quelle condizioni.
Valentine gli sorrise deliziato da quella visione. Lo aveva preso in trappola come un gatto fa con un topo.
<< Ovviamente anche Bane è morto, dopo essersi fatto scudo con il tuo corpo ti ha lasciato cadere e noi gli abbiamo sparto. Ti piace come storia?>>
<< In effetti ha qualche falla e sembra un po' banale. >> rispose con una disinvoltura che non si sentiva di avere, in ginocchio, dietro ad un divano, a coprire un uomo quasi svenuto e con una pistola puntata contro.
Eppure aveva avuto la forza di sputar fuori una risposta che sarebbe piaciuta molto a Magnus.
La mano debole dell'uomo gli cadde sul polpaccio, proprio come se volesse fargli sapere quanto stesse apprezzando quelle parole sprezzanti, quelle ultime battute della sua parte prima che il sipario si chiudesse su quella scena, definitivamente per loro.
<< Mi pare molto da trama mediocre di un filmetto giallo di serie b. Sono sicuro che con tutti i casi che ha insabbiato o modificato può fare di meglio. O forse va bene così, almeno riconosceranno quanto tutto ciò sia assurdo per quanto stupida apparirà la sequenza dei fatti.>>
Valentine lo guardò con una fare quasi isterico e gli sferrò un colpo di calcio della pistola in volto.
Alec girò la testa per l'impatto ma gli venne subito sollevata a forza dall'uomo che lo afferrò per i capelli.
Neanche un ora prima una mano molto più morbida era affondata tra quelle stesse ciocche, aggrappandocisi per motivi ben diversi. La differenza lo fece quasi sorridere.
<< Sei proprio il degno figlio dei tuoi genitori, sempre ad aver l'ultima parola. Chissà chi dei due dirà il tuo elogio funebre.>>
Alec gli sputò il sangue in faccia, una macchia rossa a sporcare il viso ed i capelli cinerei dell'uomo.
<< Lo farà Jace, Isabelle e Max lo aiuteranno a comporlo forse. Magari Izzy no, sarà troppo triste. O se no ci penserà Simon. Mi ha detto che se lo sarebbe litigato con Jace proprio mentre andava la Dipartimento con Luke. Lui sa tutto, Simon sa ogni singola cosa che abbiamo scoperto.>> Ghignò una fila di tenti affilati colorati di sangue << Può ucciderci ed inventare la miglior storia che sia in grado di inventare, ma non può vincere. Negli scacchi questo si chiama “scacco matto”. Può uccidere i pedoni, gli alfieri e anche la regina, ma il re è in salvo.>>
Con un moto di rabbia Valentine gli sferrò un altro colpo.
<< Posso uccidere anche lui, non mi faccio scrupoli a schiacciare gli insetti. Magari morirà d'infarto come il suo defunto padre.>>
<< E' necessario?>>
La voce di Jonathan arrivò come qualcosa di estraneo a tutto il resto. Valentine si voltò a guardarlo come se non capisse cosa stesse dicendo ed il ragazzo si fece avanti.
<< E' necessario ucciderli? Sia lui che Bane che Lewis?>> ripeté.
Alec tossì un grumo di sangue. << No, non è necessario uccidere né Magnus né Simon. Sono io l'unico tester credibile, Magnus è un criminale, è la sua parola contro quella del Vice Commissario. Simon può essere facilmente plagiato da chiunque.>> lo disse con una serena logica e Magnus avrebbe tanto voluto avere un può di forza in più per picchiarlo, per prenderlo e sbatterlo contro un muro o rompergli tutti i suoi vasi in testa. Che diamine stava facendo?
Valentine si voltò a guardare lui, pensieroso e poi annuì. << Certo, potrei sempre lasciare Bane in vita, la colpa ricadrebbe tutta su di lui, finirebbe in prigione e chi lo sa, magari il vecchio Hodge si salva un'accusa di omicidio.>>
<< E Lewis?>> ripeté ancora il biondo.
A quell'ennesima domanda l'uomo si girò per la seconda volta a guardarlo, infastidito.
<< Ciò che va fatto va fatto Jonathan, non fare il codardo. Quel Lewis non è importante così come non lo è Lightwood. Questa tua stupida domanda… tutti questi ideali di dover mettere in prigione la gente...questi scrupoli...è tutta colpa di quel maledetto cane randagio di Lucian, è colpa sua, stando con lui stai diventando un avanzo proprio come lo è quel figlio di puttana. Una vita non vale più di un'altra o di ogni altra cosa a questo mondo. Il prezzo lo detta l'importanza che ha per te.
Che delusione, mi fa quasi ribrezzo pensare a come ti sei fatto rovinare da quell'individuo. Perché è questa la verità, ti sta rovinando e ti sta rendendo un debole, proprio come tua madre. Non ha retto la pressione dell'inchiesta, non ha avuto il coraggio di starmi vicina in un momento così delicato per me e se n'è andata quel quel bastardo...ha anche avuto la faccia tosta di chiedere il tuo affidamento e di dare a Clarissa il suo cognome. Tua sorella è rovinata tanto come te. Si è accoppiata a quell'altro avanzo di galera che è suo fratello… >> la voce dell'uomo era viscida e schifata, se si fosse girato e avesse vomita nessuno se ne sarebbe stupido.
Jonathan invece lo guardava senza espressione, nessuno avrebbe saputo dire cosa si agitava dietro a quegli occhi scuri che in quel momento sembravano quasi neri.
Stette in silenzio, un passo dietro al padre e questo non lo degnò più di uno sguardo, riportando l'attenzione su Alexander.
<< Tuo padre dovrebbe ringraziarmi, lo sto liberando da una vergogna senza fine. Proprio come lo era il suo miglior amico.>> piegò le labbra in una smorfia. << Le ultime parole? Vuoi dire qualcosa di bello, magari da riferire a tua madre, si commuoverà tantissimo se saprà che è stata il tuo ultimo pensiero.>>
Alec lo guardò fisso negli occhi, senza mai distogliere l'attenzione.
<< Mi sono concesse due domande?>> Chiese con voce pacata.
L'uomo annuì. << Ma si, mi sento magnanimo.>>
<< Mi sparerai alle spalle come hai fatto con Ragnor o lo farai guardandomi in faccia, come hai fatto con Michael e Stephen?>>
Valentine assottigliò lo sguardo. << Michael e Stephen, per quanto fossero degni compagni di Lucian, erano pur sempre poliziotti e meritavano un rispetto che quel Fell non si sarebbe potuto guadagnare neanche in una vita. Anche tu sei un poliziotto che crede nella legge e nella giustizia, quindi ti sparerò di fronte.>> fece scattare di nuovo la sicura, quando l'avesse rinserita Alec non se lo domandò. << La tua seconda domanda?>>
<< E' per Magnus.>> disse solo, quello gli fece cenno di fare, permettendogli di girarsi verso l'uomo che se ne stava debole seduto a terra, in una pozza di sangue.
Gli controllò alla svelta la ferita e strinse di nuovo il nodo, poi gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo, carezzandogli piano gli zigomi e poi le labbra secche.
Magnus aprì completamente gli occhi con uno sforzo che gli costò molto, battendo le palpebre velocemente per togliersi quella patina opaca che li copriva e poter ammirare Alexander in tutta la sua delicata e prorompente bellezza. Se quella era davvero l'ultima volta che si sarebbero visti, l'ultima volta che lo avrebbe visto vivo, se lo voleva imprimere a fuoco nella mente.
Con un moto di tristezza pensò che la lista delle persone che piacevano a Presidente sarebbe di nuovo calata. Che il suo piccolo gatto, nascosto chissà dove, non lo avrebbe più rivisto, che magari Catarina o Raphael si sarebbero occupati di lui. Catarina...la sua cara amica, avrebbe perso un'altra persona importante della sua vita e in un tempo troppo breve per essere umanamente possibile da sopportare.
Guardò Alexander come se lo guardasse per la prima volta, stupendosi ancora di quanto quel ragazzo somigliasse ad un angelo. Lo sguardo gli scivolò sul suo petto, sul prisma che filtrava la luce bianca rendendola di mille colori.
<< Ehi.>> lo chiamò piano Alec, facendogli alzare il volto. << Devi tenere duro, okay?>> continuò sussurrando, per farsi sentire solo da lui. << Lo sai che stanno arrivando i rinforzi, chiameranno anche un'ambulanza. Tu devi solo stringere i denti e resistere finché non arrivano, va bene?>>
<< Non farlo… >> soffiò solo, senza forze. << Non fare l'eroe.>> prese un respiro e provò a sorridere. << Anche se lo hai già fatto, vero?>> chiese retorico.
Alec anche sorrise, un barlume di luce in mezzo a quella notte buia e rovente.
<< Forse si, perdonami.>> lo fissò per un lungo istante << E di a Simon che è stato bravissimo in questo caso, che potrebbe passare alla Omicidi anche lui. E a Izzy e a Jace, a Max, di ai miei fratelli che gli voglio un bene dell'anima, dillo anche ai miei genitori. E al Capo, a Luke anche alla Herondale se ci riesci, digli che non è stata colpa loro. Parla con Simon, lui ti crederà.>>
<< E' la parola di un criminale contro quella di un Vice Commissario...>> gli ricordò.
<< E' la parola di un amico contro quella di un sospettato.>> precisò lui.
Magnus sospirò, avrebbe tanto voluto stringerlo a sé, magari baciarlo un'ultima volta.
<< Sarebbe troppo egoistico chiederti di pensarmi? >> domandò poi Bane.
Alec gli sorrise e il mondo divenne un po' più bello. << Lo sarebbe, ma lo è anche ciò che ti ho detto prima, non trovi?>> si riferiva sicuramente alla loro discussione. Pareva avvenuta secoli prima ma era successo forse un ora fa. Magnus deglutì.
<< Forse abbiamo detto entrambi un botto di cazzate.>>
<< Forse, ma credo sia troppo tardi ormai.>> gettò uno sguardo a Morgenstern, in piedi dietro di lui, in attesa come un boia.
<< La tua domanda, agente Lightwood?>> lo prese in giro Magnus, per l'ultima volta.
<< Risponderai sinceramente?>> gli chiese allora il moro.
Magnus annuì. << Sono solito dire la verità quando sono ubriaco e quando sto per svenire o morire dissanguato.>>
Il pollice delicato ma calloso del detective passò ancora sulle sue labbra, il respiro bollente del giovane gli bruciava il volto ma Magnus vi respirò dentro come se fosse ossigeno puro.
<< Sono la miglior scopata della tua vita?>> gli chiese allora sussurrando sulle sue labbra.
L'uomo spalancò gli occhi a quella citazione e gli sorrise con una gioia amara che, se fosse sopravvissuto, si sarebbe portato dietro per tutta la vita.
<< Oh Alexander, mio bell'Angelo, temo che tu sia stato molto di più.>> rispose senza aver la forza di far altro se non posargli un bacio leggero sulle labbra.


 

Le strade di Greenpoint erano stranamente deserte. Nel quartiere erano risuonati dei colpi di pistola e nessuno aveva osato mettere piede fuori di casa.
Due macchine della polizia erano parcheggiate davanti ad un palazzo degli anni sessanta. Le finestre erano tutte buie salvo per quelle del loft.
C'era ancora silenzio in quella strada quando dei colpi di pistola riempirono l'aria.
Poi la notte sprofondò ancora nel silenzio denso e afoso di quell'estate e neanche il vento osò proferir parola.





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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


!Attenzione! Capitolo decisamente lungo, armarsi di buona pazienza.



 








Capitolo XIII


 


 

Il camioncino della SWAT era arrivato appena prima dell'ambulanza, ma quando anche questa arrivò Jace non si stupì nel vedere Catarina Loss scendere di corsa dal portellone posteriore.
Simon, le corse incontro e l'abbracciò, dopo tutto quello che era successo la donna era diventata un'amica fidata. Avevano condiviso due settimane di ansia e di preoccupazione, attaccati al telefono dell'informatico a parlare con Alec e Magnus sulla linea sicura. Trovarsela lì in quel momento gli dava un po' di forza.
Un rumore di tacchi attirò l'attenzione della squadra mobile, tutta riunita attorno al loro capo che già dava direttive su come si sarebbero dovuti muovere. Da dentro la casa non arrivava un solo rumore e la Herondale non si fece problemi nel passare in mezzo alla SWAT con la pistola stretta in mano.
Dietro di lei anche Robert, Lucian e Andrew indossavano il giubbotto antiproiettile e tenevano saldamente le loro armi.
Maryse era accorsa sulla scena con le due Fray, era stato impossibile per tutti convincerla che non poteva stare sul luogo di una possibile sparatoria.
Clary, di fianco alla madre, era al telefono con Izzy, impalata davanti alle porte del pronto soccorso del DownTowun.

<< Signora!>> il capo della SWAT provò a chiamare la Herondale ma lei gli fece un cenno secco con la mano.
<< Garroway davanti con me, Lightwood fuoco di copertura, spara per uccidere, Blackthorn, stesso ordine. >> neanche si voltò. << Lightwood!>> chiamò ancora e se non fosse stato per Simon che gli era corso vicino e lo aveva spinto in avanti, Jace non avrebbe mai capito che la donna si stesse riferendo a lui.
<< Sissignora?>> fece interrogativo, teso come la corda di un violino.
<< Vieni con noi, tu e altri due tuoi compagni, gli altri che restino di guardia, coprite eventuali uscite secondarie.>>
Catarina fece un passo avanti, la valigia del pronto soccorso stretta in mano, << Noi aspettiamo qui?>> domandò a Simon che per tutta risposta annuì.
<< Si, non siamo armati, non possiamo essere di nessun aiuto.>>
<< Quindi aspettiamo?>> continuò nervosa.
<< Aspettiamo.>> ripeté. << E speriamo.>>


 

Salirono le scale silenziosi come ombre, Jace e i suoi colleghi guardarono con sconcerto quei quattro muoversi con una grazia ed una sicurezza che non avrebbero mai immaginato avessero. Soprattutto visto che erano tutti in completo o come minimo con scarpe di pelle. Loro, con gli stivali da combattimento e tutta l'attrezzatura, facevano quasi fatica a salire su quei gradini lisci e consunti, come potevano quattro agenti ormai d'ufficio essere più bravi e più agili di tre agenti scelti ed addestrati?
Si muovevano in un sincrono perfetto, come se si leggessero nella mente, e poco dopo Blackthorn gli fece cenno di rimanere fuori dall'appartamento.
Provarono a protestare: erano loro quelli armati fino ai denti, non quei quattro pezzi da museo.
Lo sguardo glaciale del Capo Bureau li fece arrestare di colpo.
<< C'è mio fratello lì dentro… >> provò debolmente Jace, per non farsi sentire.
<< Ed è per questo che dovete rimanere qui.>> sibilò l'uomo.
Poi si schierarono davanti alla porta aperta del loft. Da quella posizione sembrava vuoto, nulla si muoveva ma potevano scorgere sul pavimento delle macchie rosse e anche piuttosto larghe.
Robert si irrigidì alle spalle di Lucian e cercò lo sguardo della Herondale per aver il permesso di agire.
Un singolo cenno della testa ed i quattro entrarono con le armi spianate, gli agenti della SWAT si appiattirono contro il muro, nascondendosi dalla lama di luce che proveniva dall'interno.

<< Agente Lightwood?>> chiamò la Herondale.
Nessuno rispose ma poco dopo dei movimenti attirarono al loro attenzione.
Da dietro al divano uscì un gattino bianco ma sporco di sangue, fissò i quattro intrusi e gli soffiò contro, gonfiando il pelo come se volesse attaccare, come se volesse difendere qualcuno.

<< Dannato gatto, sta zitto una buona volta. >> un soffio di voce, che tutti riconobbero all'istante.
Luke sbatté le palpebre e abbassò di poco la pistola.
<< Jonathan?>> chiese perplesso.
Ancora dei rumori, gli agenti avanzarono nel salone e intravidero subito delle gambe dietro al sofà. Si sbrigarono a girargli attorno e si trovarono davanti ad una scena che mai avrebbero immaginato:

Magnus Bane era seduto a terra, ormai privo di sensi. La gamba destra mostrava una profonda ferita da arma da fuoco, coperta alla ben e meglio da una legatura di fortuna, ormai zuppa di sangue. Teneva la mano allungata verso il secondo corpo riverso a terra, come se avesse voluto toccarlo un'ultima volta.
Alexander era steso a pancia in su, dalle scie di sangue attorno a lui qualcuno doveva averlo girato. Aveva il volto sporco di sangue e anche tumefatto, lo avevano di certo picchiato. La spalla destra era anch'essa ferita, così come lo era il costato, un proiettile aveva sfondato la cassa toracica su cui Jonathan teneva premute le mani ed un pezzo di stoffa, gorgoglianti entrambi di sangue.
Il ragazzo era pallido più del solito, i capelli bianchi parevano fili smorti, le mani gli tremavano, forse per lo sforzo di applicare la giusta pressione per fermare l'emorragia.
Nella mano sinistra di Alec faceva ancora bella mostra una pistola, così come al fianco del biondo e così come nella mano di Valentine.
L'uomo invece era a pancia in giù, nessuno si era fatto lo scrupolo di girarlo e cercare di tamponare le sue ferite che ormai avevano allargato una pozza di sangue sotto il suo torace e sotto il suo volto. La faccia girata mostrava un perfetto foro circolare al centro degli occhi.
Lucian venne scansato di forza da Robert che si precipitò al fianco del figlio. Mise una mano sulla spalla dell'altro ragazzo e questo si sforzò di voltarsi per guardarlo in faccia, affaticato e provato da tutto ciò che era successo in quell'ora.
<< Non ho potuto fare di più, avrei voluto chiamare l'ambulanza ma appena ho tolto una mano il sangue ha ricominciato a zampillare.>> disse con voce tremula, ogni traccia della solita arroganza sparita nel nulla.
L'uomo annuì e mise le mani sulle sue. << Toglile, ci penso io, tu hai fatto tutto ciò che potevi Jonathan, grazie.>>
Nel frattempo Luke si era avvicinato a Magnus e stava osservando le ferite, Andrew rientrò subito dopo in casa annunciando che aveva mandato i ragazzi a chiamare i paramedici. Diede una pacca al collega e lo spinse verso il suo figliastro, mentre lui si chinava su Bane per far pressione sulla ferita alla gamba come Robert faceva con quella al costato del figlio.
Imogen invece si era avvicinata al Vice Commissario e lo scrutava dall'altro. Calciò via la pistola dalla mano fredda del cadavere e lo guardò con odio.
<< Cos'è successo?>> domandò senza voltarsi.
Lucian tese le braccia verso Jonathan, in una normale situazione si sarebbe limitato a dargli qualche pacca sulla spalla e a dirgli che aveva fatto tutto il possibile, ma quella volta, morto a terra, c'era il padre del giovane, il suo ex miglior amico, ed era troppo scioccato dalla vista del suo corpo per sorprendersi quando il biondo si lasciò cadere contro di lui, svuotato di ogni energia.
Il ragazzo provò a parlare ma i passi dei paramedici interruppero qualunque possibile spiegazione.
Catarina si fiondò in casa e corse subito da Magnus, ringraziando con un muto cenno il Capo Blackthorn e pregandolo di farsi da parte, concentrata sul suo lavoro. Alzò lo sguardo verso Alec e sbiancò: se Magnus aveva perso molto sangue, era svenuto e respirava a fatica, il torace di Alexander neanche si muoveva.
Un brivido gli scese lungo la schiena e pregò di sbagliarsi, pregò che quel ragazzo non avesse solo le sembianze di un angelo ma che ne avesse anche uno che lo proteggeva e che in quel momento teneva le sue mani su quelle di suo padre. Pregò che il giovane non si unisse a quelle schiere, non quel giorno, non in quel modo.
Mise un laccio emostatico sopra la ferita di Magnus e cambiò quella che pareva una vecchia maglietta con garze pulite. Il paramedico di fianco a lei sistemò la lettiga e prese l'uomo per le spalle, le disse di sbrigarsi e di aiutarlo a metterlo sulla tavola. Era così impegnata che gli ci volle qualche secondo per rendersi conto che il terzo paramedico sulla scena aveva urlato ad uno dei ragazzi della SWAT di chiamare un'altra ambulanza e di avvertire il pronto soccorso del DownTown di preparare due sale operatorie.
Poi un suono strozzato la fece voltare di colpo verso Alexander.
<< Mi ha capito signore?>> ripeté il paramedico a Robert senza che questo riuscisse a muoversi.
Cosa stava succedendo?
Il suo collega gli passò le cinghie da assicurare attorno al corpo di Magnus ma rimase con le orecchie tese verso gli altri, ogni singola persona in quella casa era attenta a ciò che stavano dicendo Lightwood ed il dottore.
<< Ma se le tolgo l'emorragia… >> non finì neanche la frase che il paramedico gli disse severo:
<< Tolga le mani!>>
Robert eseguì all'istante e Catarina si sentì morire quando avvertì il suono di qualcosa che si alzava, come percorso da una forte energia, e poi si riabbassava.
Imogen Herondale era avanzata sino all'uomo e gli aveva poggiato fermamente le mani sulle spalle, come a trattenerlo.
Catarina si concesse solo un'occhiata prima di tirare su Magnus di peso e preferì non averlo mai fatto.
Alec era ancora a terra, ora lontano anche da suo padre. La ferita alla spalla e quella al costato erano una macchia unica di sangue che fuoriusciva ad ogni scarica di corrente, mentre il paramedico cercava di rianimarlo.
Vide la faccia apatica del padre, gli occhi azzurri come quelli del figlio ma spenti, privi di ogni vita, opachi come se vi fosse passato sopra un pesante strato di polvere. Fissavano vitrei il giovane, il corpo mezzo nudo percorso dalle cariche del defibrillatore, di un pallore mortale.
Aveva le mani sporche di sangue, se ne erano impregnati i polsini della camicia e poi buona parte delle braccia, ma Robert pareva non farvi caso, proprio come Jonathan, che pareva indossare dei fini ed impalpabili guanti rossi, abbandonato tra le braccia del patrigno.
Poi Catarina si voltò e si concentrò sulle rampe da scendere.
Quando oltrepassò la soglia di casa di Magnus pregò, pensando che forse non sarebbe servito a nulla, ma che in quel momento la speranza era l'unica cosa che si poteva permettere.

 

Jace era stato rispedito in strada non appena aveva intravisto il corpo di Magnus. Aveva visto il sangue che filtrava da sotto il divano e si era detto che era troppo, era davvero troppo per una persona sola a meno che Magnus non fosse morto dissanguato. Ma non era possibili, non poteva esserlo, perché se Magnus era morto significava che lo era anche Alec.
Era perfettamente consapevole che prima di premettere a qualcuno di ferire Magnus Alec si sarebbe fatto ammazzare, lo sapeva per certo. Così come sapeva che lo avrebbe fatto per lui, per i suoi fratelli, per Simon e persino per Clary.
La verità era che pur di salvare una vita Alexander si sarebbe immolato in ogni caso, non importava se fosse un parente, un amico o uno sconosciuto: se un innocente rischiava di morire Alec rischiava a sua volta tutto per far si che non succedesse.
Vide Catarina e l'altro paramedico uscire dal portone e salire sull'ambulanza con cui erano arrivati, domandandosi perché se ne andassero e non aspettassero anche l'arrivo di Alec, sicuramente quel deficiente sarebbe voluto andare con Magnus, non lasciarlo solo anche se c'era la sua migliore amica.
Perché non sentiva la sua voce protestare? Papà forse lo aveva convinto a rimanere nell'appartamento e spiegargli cos'era successo? E poi, di chi era il terzo corpo che aveva intravisto? Gli pareva famigliare ma non riusciva a capire chi fosse.
<< Perché Alec non scende?>> la voce tesa di Simon espresse la sua stessa domanda e Jace avrebbe voluto mettersi in ginocchio su quel marciapiede e pregare per un qualunque segno, per qualcosa che gli facesse capire che tutto andava bene.
Passi pesanti risuonarono nell'atrio e poco dopo uscirono Lucian e Jonathan, lasciando allibiti tutti i presenti.
Jocelyn corse verso suo figlio ma si bloccò non appena vide le condizioni in cui versava il giovane: Aveva i vestiti e le mani sporchi di sangue e con gli occhi verdi persi nel nulla non degnò sua madre neanche di uno sguardo.
Si sottrasse dalla presa di Luke e avanzò verso sua sorella, fissandola con quello che a Jace parve tanto rammarico, come se cercasse di chiederle scusa ma non trovasse le parole per farlo.
Pronta come non l'avrebbe neanche immaginato la ragazza si sporse in avanti e abbracciò il fratello che le strinse le braccia attorno ai fianchi e sprofondò in viso nella piega del suo collo, tra quella massa enorme di ricci rossi.
La sua schiena venne scossa da piccoli tremiti e malgrado nessun suono lasciasse la sua bocca poterono tutti intuire che stesse piangendo.
Fu Maryse ad interrompere quel silenzio, si avvicinò con passi concitati al poliziotto e lo guardò con ansia.
<< Alexander?>> chiese solo.
Il volto di Lucian era una maschera come quello del figlioccio, si girò e fissò le finestre illuminate del loft, poi riabbassò lo sguardo su tutti loro. Lo posò su Maryse e su Jace, al suo fianco; su Simon vicino a Jocelyn e su Clary, che lo fissava di rimando da oltre la spalla del fratello.
Deglutì.
<< Sta combattendo.>> disse solo. Ma se la sua maschera rimase intatta quella di Maryse si crepò.
Strinse le labbra livide e allungò una mano per prendere al volo quella di Jace che la sostenne quando ebbe un mancamento.
<< Non anche lui...già Max...Michael e i ragazzi… non anche lui. Quel maledetto, maledettissimo caso...>> cominciò a sussurrare cercando di riprendere il controllo, tirando respiri lunghi e lenti.
Al fianco di sua madre il biondo si piegò verso terra, come se le ginocchia non lo reggessero più.
Un freddo inesistente spazzò la via, Jace avvertì come una corda tirarsi dal centro del suo petto dritta verso l'esterno. Qualcuno gli dava colpi decisi e continui, come se cercassero di strappargliela di dosso e farlo precipitare oltre un baratro che non vedeva.
Non avrebbe avuto il minimo dubbio se qualcuno glielo avesse chiesto: l'altro capo di quella corda era legata al cuore di suo fratello e fremeva ad ogni colpo che l'affaticato organo cercava di dare.
Ringraziò il cielo che Isabelle non fosse lì presente, perché non sapeva come avrebbe reagito la sorella, non sapeva se sarebbe svenuta, se avrebbe dato di matto come solo Izzy sapeva fare o se avrebbe urlato disperata.
Sapeva che Max sarebbe rimasto imbambolato a fissare un punto, forse proprio le finestre dell'appartamento. Sarebbe stato scollegato dal mondo, apatico finché non avesse visto il corpo del fratello-

Alec, finché non avesse visto Alec, non il corpo. È vivo. È vivo.
Lo saprei se no.

Chiuse gli occhi e si aggrappò alla mano della madre come lei si aggrappava alla sua.
Uno stridere di gomme ed una seconda ambulanza arrivò sul posto. I paramedici scesero senza neanche aspettare che il veicolo si fermasse, corsero su per le scale con attrezzatura e lettiga, consapevoli e sicuri nel loro lavoro.
Scomparvero per le scale e tornarono neanche venti minuti dopo, lasciando i presenti congelati dalla scena, dalla vista del corpo di un giovane legato alla tavola arancione, il torace normalmente bianco imbrattato di sangue, due fori neri e gorgoglianti sulla spalla e sul costato. Era intubato ed il paramedico che era stato con lui sino a quel momento premeva con attenzione la pompa dell'ossigeno, costringendo i polmoni di Alec a comprimersi ed espandersi, a respirare.
A vivere.
Passarono davanti a tutti e poggiarono subito la lettiga vicino alla barella a terra. Quando lo sollevarono per poggiarlo sul lettino un liquido denso e grumoso come il miele colò dal fianco del ragazzo, mostrando ai presenti la pozza che si era andata ad accumulare sul materiale plastificato.
In una sequenza di azioni che parve durare un secondo Robert, Andrew ed Imogen scesero dalle scale e si precipitarono in strada.
Maryse non riuscì a dire neanche una parola quando il marito le passò di fianco, con le braccia impregnate del sangue del figlio, aiutando i paramedici a spingere la barella nell'ambulanza e salendo con loro.
Si lanciarono solo uno sguardo prima che i portelloni si chiudessero e la donna seppe che qualunque cosa sarebbe successa il suo bambino non sarebbe stato solo.
Osservarono il veicolo sfrecciare via a sirene spiegate, infrangendo tutti i possibili limiti di velocità e nonostante questo senza andare abbastanza veloce per i gusti di tutti i presenti.
Clary chiamò debolmente Simon, dicendogli di chiamare Izzy ed avvertirla che stavano arrivando anche se probabilmente la dottoressa era già corsa all'arrivo di Magnus e lo aveva portato in sala operatoria.
Pregò che non le capitasse di vedere il fratello. Sperò che non le consentissero di entrare in sala operatoria con lui. A dirla tutta, pregò che non la lasciassero entrare in nessuna delle due, anche se Izzy era un medico chirurgo dei più bravi, una cardiologa con i fiocchi che aveva deciso di dare un ultimo servizio a chi era già morto facendo il patologo forense per la polizia.

<< Che cosa è successo?>> Maryse lo chiese con voce tremante. Ora che aveva visto Alec, ora che lo aveva visto andare via coperto di sangue e aveva rivisto in suo marito lo stesso sguardo perso di quando era morto Michael, solo una grande rabbia stava montando lentamente dentro di lei.
Andrew si strinse nelle spalle, lanciando occhiate all'entrata del palazzo, come se stesse aspettando che un'altra persona scendesse. Lucian aveva allungato una mano verso Jocelyn e le aveva preso la sua, stringendola leggermente.
<< Cosa ci fa Jonathan qui?>> insistette la mora.
A sentir chiamare il suo nome il ragazzo si alzò lentamente dalla sua posa. Clary gli passò le mani sul volto, guardandolo preoccupata. Lui abbozzò un sorriso.
<< Non credo che avrai tutte queste premure per me tra poco… >>
<< Che vuol dire?>> chiese lei confusa. Poi guardò gli altri e girò di colpo la testa nella direzione in cui erano sparite le autoambulanze. Sgranò gli occhi. << Sei stato… >> lasciò la frase in sospeso ma tirò subito un sospiro di sollievo quando il fratello scosse la testa.
<< Che-cosa-è-successo.>> scandì con più rabbia Maryse, tentando di divincolarsi dalla presa del figlio. Jace serrò la mano della madre e la guardò con una preghiera nello sguardo che mai gli aveva visto. Il volto stravolto di suo figlio la fece tentennare, tornò d'un passo indietro e lo abbracciò, anche se aveva la divisa indosso, il giubbotto e tutto il resto.
Rimaneva il suo bambino, il suo bambino terrorizzato per la sorte del fratello.
<< Quando Alec ha telefonato in centrale per avvertire di aver trovato il posto in cui era nascosto il diario di Asmodeus e del suo Circolo, Jonathan ha avvertito suo padre.>> La voce della Signora riscosse tutti.
<< Perché? Non ne era stato informato da voi?>> chiese titubante Jocelyn.
La Herondale scosse il capo. << Non ho mai comunicato nessuna informazione del caso Fell e dei progressi di Alec con il caso del Circolo per tutta la durata delle indagini. Ho tagliato Valentine fuori da tutto.>> cercò lo sguardo di Maryse e lo trovò subito << Così come Hodge.>>
Quell'ultima frase fece fremere la mora che, come un lampo a ciel sereno, capì tutti quei dettagli di cui il figlio aveva parlato al telefono ma che non sembravano combaciare con il profilo del tecnico.
Non era stato Hodge ad uccidere Fell…
<< Valentine… è stato lui, vero?>> chiese allora.
Jocelyn tremò e cercò l'appoggio del marito. << No, non può essere. Perché avrebbe dovuto farlo, non aveva alcun interesse… >> farfugliò senza senso.
Ma Jonathan annuì invece. Si staccò definitivamente dalla sorella ed avanzò verso il Commissario della Polizia di New York. Si aprì la camicia con un gesto secco, facendo saltare i bottoni incrostati di sangue e lasciando vedere a tutti ciò che portava sotto.
Attaccato al suo torace con dell'adesivo medico c'era un rettangolo piccolo e piatto, collegato con un filo ad una piastrina nera, vicino alle clavicole.
Un registratore.
Se lo strappò di dosso come aveva fatto con la maglia e lo schiaffò malamente nelle mani della donna.
<< Si invece. È stato lui. Era lui fin dall'inizio. Ha ucciso Fell quando lui lo ha riconosciuto e si è rifiutato di consegnargli il quaderno. Ha aiutato Hodge a coprire gli omicidi del Procuratore Trueblood, dell'agente Herondale e del dottor Lewis. Ha fatto il doppio gioco durante l'operazione Circle. Michael Wayland se ne era accorto, lui e Stephen Herondale erano arrivati molto vicini ad incastrarlo e lui ha cambiato l'ordine d'entrata nel magazzino per poterli avere entrambi alla sua mercé ed ucciderli. È stato lui anche a far questo. Stando a quello che dice Alec li ha freddati a distanza ravvicinata. Lui ha cercato di eliminare Bane, la prima volta e anche oggi. Se non fosse stato per Alec probabilmente si sarebbe preso una pallottola in testa mentre parlava con me.>> Si voltò verso Clary e la guardò con aperto rammarico. << Scusa. Ho provato a dire al Commissario che non era vero, che non poteva essere papà. Le ho detto che potevo provarlo, mi sono fatto mettere quel registratore certo che avrei provato la sua innocenza… e invece ho solo registrato tutto il suo vero volto. Si è rivelato per il verme che era alla fine. Non ho avuto scelta.>>
Clary scosse la testa senza capire. << Che vuol dire che lo hai registrato? Valentine è qui? Lui- lui è nel loft di Magnus?>>
<< Perché non è qui? Perché quel figlio di puttana non è qui, ammanettato ed in ginocchio? È Lui che ha sparato a mio figlio, no?>> Maryse si voltò verso Lucian, fronteggiandolo con una furia che avrebbe voluto abbattere tutta su Morgenstern, ma l'uomo scosse la testa.
<< E' morto.>> disse fredda Imogen ed il silenzio cadde ancora.
La Signora fece un cenno a Jonathan, incitandolo a spiegare la dinamica dei fatti e lui annuì, stanco.
<< Ero a controllare la casa, cercavo il quaderno. Era stato papà a mandarmici. Poi è arrivato Alec, mi ha spiegato che era stato lui ad individuare la posizione di quell'affare e che Bane non era un sospettato ma un collaboratore. Poi è arrivato pa- Valentine, è arrivato lui e ha cominciato a parlare. Diceva che Bane aveva fatto il lavaggio del cervello ad Alec, che Hodge non era il vero assassino ma che era proprio Bane. Era così convincente… ma Alexander non si è fatto mettere a tacere e ha spiegato come sono andati i fatti. Valentine ha provocato Bane, lui si è arrabbiato, aveva una pistola, una di ordinanza quindi credo che glie l'avesse data Alec per difendersi. Fatto sta che quando mi ordina di arrestarlo, lui me la punta contro, rimaniamo un po' in stallo poi, non so perché e neanche come abbia fatto, Alec ha capito che Valentine sta per sparare e si butta su Bane, mandandolo dietro al divano. Partono degli spari, credo che Bane sia rimasto ferito alla gamba in quel momento. Valentine si è messo ha parlare e Alec gli ha dato corda, credo per medicare Bane, ma era me quello che cercavano di convincere.>> si fermò, un'espressione di puro risentimento e delusione verso sé stesso, scosse la testa. << Alla fine Alec ha cominciato a spiegare cos'era successo, ha ricollegato tutti i punti, alla perfezione… >> lo disse con sincera ammirazione, quasi non ci credesse di come tutto filasse in modo preciso.
<< E ti ha convinto?>> chiese piano Clary, riavvicinandosi a lui.
Jonathan scosse la testa. << Mi aveva convinto già prima.>> si lasciò sfuggire un verso sprezzante. << Gli è bastato guardarmi in faccia e dirmi che Bane era innocente e io gli ho creduto. Era pronto a morire per difendere quell'uomo, per dare alla giustizia il vero assassino e non un innocente. Non si sarebbe accontentato di un compromesso e non lo ha fatto.>> si passò la mano sul volto, sfumando gli schizzi di sangue che gli macchiavano le guance.
<< Poi p- Valentine si è stufato e si è buttato contro il divano dove erano nascosti.
Bane era ferito alla gamba e non si poteva muovere. Alec sarebbe potuto scappare ma non lo ha fatto, si è parato davanti all'altro e ha anche provato ad alzare la pistola, ma era ferito al braccio destro, un tentennamento e papà gli ha dato un calcio. Gli stava per sparare, lo avrebbe fatto, dritto al cuore, poi sarebbe toccato a Bane e dopo ancora voleva uccidere te.>> fece indicando Simon con un cenno del capo. Il ragazzo trasalì, Jace allungò un braccio nella sua direzione, come se cercasse di confortarlo.
<< E quel deficiente...>> continuò con rimprovero Morgenstern scuotendo la testa, << Si mette a dire che non è importante uccidere né te né Bane, che tu sei troppo malleabile e che la tua testimonianza può essere abbattuta e che Bane non è credibile perché è un criminale, che l'unico tester pericoloso è lui e che non c'è alcun bisogno che vi ammazzi.>>
Fissò gli occhi verde scuro in quelli castani di Simon e lui abbassò la stesa per non far vedere come fossero lucidi.
<< Ha cercato di fare l'eroe...gli avevo detto di non farlo. Glielo avevamo fatto promettere tutti e dure.>>
<< Non ha cercato.>> gli fece eco Jonathan << Lo ha fatto. Valentine gli ha concesso due domande. Alla prima gli ha chiesto se gli avrebbe sparato di spalle come il codardo che era o se lo avrebbe guardato in faccia.>> Maryse e Jace drizzarono la schiena in un egual moto di orgoglio verso le ultime parole di Alec, il petto gonfio e lo sguardo lucido ma bruciante di un sentimento che sempre avrebbero associato al giovane.
<< La seconda non l'ho sentita, era per Bane. Ma credo che gli abbia detto di riferirvi qualcosa. Che Simon lo avrebbe aiutato perché era la parola della verità data ad un amico e cose del genere.>> sembrò per un attimo in imbarazzo. << Spero che quei due possano avere la possibilità di riparlarsi.>>
Lo disse con una sincerità che lasciò a bocca aperta tutti coloro che lo conoscevano. Un gesto d'umanità così palese da parte sua non se lo aspettava nessuno.
Imongen soppesò il registratore da una mano all'altra.
<< Hai detto che Alexander era disarmato. Come hai fatto?>> chiese solo.
Andrew e Luke capirono subito la domanda e anche alcuni dei membri della SWAT. Gli altri parvero solo ancora più confusi.
<< Gli ho sparato al fianco io.>> confessò il biondo. Guardò la sorella e per l'ennesima volta gli lanciò uno sguardo di scuse.
Aveva appena ammesso di aver sparato a loro padre.
Ma se Clary fosse sconvolta più per l'azione intrapresa dal fratello o per la morte di quell'uomo che non l'aveva mai davvero amata, riconoscendola come il segno della rottura tra lui e la moglie e come il simbolo della nuova famiglia della donna, per giunta con il suo miglior amico, non avrebbe saputo dirglielo.
A passi svelti raggiunse ancora il fratello maggiore e cercò la sua mano, stringendola con forza, incurante del sangue secco che le graffiava la pelle delicata come spesso faceva la sua vernice.
<< Ed il colpo alla testa?>> continuò la donna.
<< In testa dove?>> fece Maryse.
<< In mezzo agli occhi?>> domandò Jace.
Gli altri annuirono.
<< Scommetto che è stato Alexander.>> proruppe a voce bassa Andrew. << Era il miglior tiratore scelto dell'accademia.>> concluse senza nascondere l'orgoglio nelle sue parole.
<< Non so come abbia fatto, la sua pistola era lontana, ma posso ipotizzare che quando si è piegato su Bane abbia preso la sua. >> concesse Jonathan, << Poi si è girato e non c'è stato molto tempo per pensare: Valentine ha mirato al cuore, io ho cercato di sparare prima di lui. L'ho preso e credo che questo gli abbia fatto sbagliare mira, colpendo comunque Alexander. Lui invece ha alzato la mano sinistra e gli ha sparato un colpo dritto in mezzo agli occhi. Con la mano sinistra, appena dopo che gli avevano sparato e già con un'altra pallottola in corpo… io non so come ci sia riuscito...>> terminò.
Il silenzio che li avvolse era fittizio. Ormai le autopattuglie di supporto erano arrivate e gli agenti avevano già cominciato ad isolare la zona.
Cosa fosse successo con precisione forse nessuno lo avrebbe mai capito. Tutti troppo impegnati a ragionare su come avesse fatto Alec a prendere il Vice Commissario al centro preciso tra le arcate oculari. Tutti a domandarsi se fosse possibile per un cecchino destrorso sparare con la sinistra, se la necessità avesse fatto virtù o se ad un passo dalla morte tutto il nostro talento e la nostra forza si concentrino per dar vita ad un ultimo, spettacolare, infallibile colpo.
Jace guardò il cielo buio, l'aria afosa che non faceva altro che incollargli ancora più stanchezza e debolezza addosso. Sentiva ancora quella corda che tirava, ogni minuto che passava sempre più debolmente e non osò domandarsi se fosse perché suo fratello fosse ormai in salvo ed il pericolo era passato o se fosse perché il suo cuore si indeboliva battito dopo battito.
Fisso il cielo in cerca della luna ma la trovò oscurata. Lontana dalla sua vista come ora lo era Alec.

<< Il mio Alec è un super eroe, combatte fino alla fine e non sbaglia mai. Non abbandona mai gli amici.>> sussurrò.

Il vago ricordo di un gioco al lago, che sfumava poi nella terribile notte in cui si prese la sua prima pallottola, gli fece venire dei brividi che nascose con fermezza.
Questa volta però non era lui quello che aveva bisogno d'aiuto, che veniva salvato.
Questa volta non sarebbe arrivato né un piccolo Alec armato di frecce a ventosa né un Alec appena adulto armato di pistola e pronto a portarlo lontano dalla sparatoria, dai paramedici.
Questa volta non c'era Alec pronto a salvarlo dai suoi demoni. Non c'era Izzy con il lazo della verità di Wonder Woman o Max a battere le mani e saltellare perché avevano sconfitto il cattivo.
Alec non lo avrebbe preso al volo mentre saltava giù dalla vecchia barchetta.
Alec non lo avrebbe rimproverato per non essersi messo il giubbotto antiproiettile.
Alec non si sarebbe tolto la camicia per bendargli le ferite e lui non lo avrebbe preso in giro per il mese successivo ricordandogli quando avere un giubbotto in kevlar senza niente sotto fosse da Rambo.
Alec non se lo sarebbe stretto ad un fianco, sparando con precisione micidiale tutti i proiettili del suo caricatore dritti nella testa di qualche stronzo che cercava di ammazzarli.
Alec non gli avrebbe detto di resistere, che erano quasi in salvo, che c'era lui lì e che sarebbe tutto andato bene, che non avrebbe permesso il contrario.
Alec era in una sala operatoria a combattere, combattere davvero questa volta, da solo, senza che nessuno di loro potesse aiutarlo o stagli vicino, per la sua vita.

<< E i super eroi non muoiono mai Alec, vedi di ricordartelo.>>


 

Isabelle avrebbe voluto vomitarsi anche l'anima in quel momento.
Max era seduto di fianco a lei, con la mano destra stretta nella sua, su quelle sedie sbiadite della sala d'attesa.
Non l'avevano fatta entrare in sala con Magnus, l'avevano ringraziata per il supporto medico iniziale ma poi le avevano fatto notare come l'uomo non presentasse ferite al torace, e quindi non avesse bisogno di un cardiochirurgo, né fosse ancora fortunatamente una salma che necessitasse di un patologo forense.
Neanche Catarina, seduta alla sua sinistra, era potuta entrare in sala. Le avevano detto che non poteva assistere all'operazione di un suo amico, che già era andata sul posto e non avrebbe dovuto farlo e che era troppo agitata per poter essere utile. Una stoccata finale che l'aveva costretta al silenzio.
Davanti a lei c'era quel messicano dal carattere impossibile che era andato a trovare Magnus in ospedale tante volte. Teneva un rosario stretto tra le mani e pregava a testa bassa e occhi chiusi. Quando l'aveva vista le aveva detto che avrebbe pregato Dio anche per suo fratello, che non si sarebbe scordato del giovane che troppe volte stava salvando la vita del suo miglior amico. E che neanche il Signore lo avrebbe dimenticato.
Ma quello che probabilmente versava nelle condizione peggiori, provato e pallido come se fosse lui il ferito, era di certo suo padre: era arrivato forse venti minuti dopo che Magnus era entrato in sala operatori, forse di più, forse di meno, il tempo in quel momento non le era favorevole e Izzy non riusciva e non aveva voglia di quantificarlo.
Aveva abbracciato lei e poi Max, chiedendogli perché fosse qui e non a casa con la nonna Phoebe. Lui si era limitato a dirgli che la nonna lo aveva mandato via a calci, dicendogli che non doveva chiederle il permesso per andare a vegliare suo fratello, doveva farlo e basta.
Poi aveva guardato Catarina, le aveva posato una mano sul capo in una carezza paterna e si era seduto vicino a Raphael, davanti a loro.
Robert aveva fissato le mani congiunte del messicano e lui si era voltato a guardarlo. Poi l'uomo si era passato una mano attorno al collo e aveva tirato fuori dalla camicia una collana d'oro con una croce. Se l'era tolta e si era messo nella stessa posizione .
Stavano lì, a testa china, a pregare, da quando erano arrivati.
Il padre non aveva detto loro una singola parola su Alec, ma per Isabelle non era stato difficile intuire che il sangue che aveva addosso fosse quello del fratello.
<< Catarina… >> chiamò piano, cercando di non disturbare gli uomini davanti a lei.
La donna si voltò appena a guardarla, chiedendole con uno sguardo cosa volesse.
<< In che condizioni era Alec?>> domandò ancora.
Lei continuò a fissarla per alcuni istanti. << Vuoi la versione medica o quella semplice?>>
Izzy si strinse nelle spalle. << Quella vera.>>
Anche Max alzò la testa, voltandosi verso di loro. Non aveva gli occhiali, che teneva appesi al collo, e per un attimo Catarina si domandò se quello non fosse lo stesso aspetto che aveva Alexander a diciassette anni, se anche Max un giorno sarebbe stato bello come un angelo o se invece avrebbe preso un aspetto più sbarazzino come quello di Izzy, più sicuro come quello di Jace. Si domandò -e pregò di no- se Max sarebbe stato paragonato al fratello maggiore un giorno, se i suoi genitori, guardandolo a trent'anni, avrebbero pensato che Alec sarebbe stato proprio così a quell'età.
<< Gli hanno sparato ad una spalla e al costato. Non so se il proiettile lo ha trapassato da parte a parte ma di certo ha un polmone collassato. Ha perso parecchio sangue.>> disse in fine con voce piatta, incapace di provare più qualunque sentimento che non fosse stanchezza e sconforto.
Max la guardò come se non la vedesse, scrutando quella macchia sfocata che era l'infermiera e quella che era sua sorella.
Non era solo la mancanza delle lenti a non fargli vedere il mondo. Suo fratello era chiuso in una sala, steso su un tavolo di metallo, probabilmente con il torace aperto e con più di un medico impegnato a togliere frammenti, cucire tessuti, fermare emorragie.
Come stava? Andava tutto bene?
Non si sentiva più le mani, nell'ospedale non faceva caldo ma lui si sentiva tutto intorpidito, come se si fosse scollegato dal mondo, come se non fosse davvero lì, come se non fosse davvero possibile.

Gli altri erano arrivati circa un'ora prima che uno dei chirurghi uscisse dalla zona delle sale operatorie.
L'uomo si era tolto la bandana che portava sul cranio calvo e aveva fissato quel bizzarro gruppo di persone davanti a lui.
Un giovane uomo messicano ed un signore bianco che pareva un settantenne nel corpo di un cinquantenne, entrambi impegnati a pregare con un rosario ed una semplice collana con una croce in mano. Vicino a lui un ragazzo con gli occhiali che pareva mormorare versi in quello che gli pareva ebraico. Un'infermiera con i capelli bianchi come il suo volto, una ragazza con i capelli neri raggomitolata su una poltrona al fianco di un ragazzino con gli occhi chiusi ed un paio di occhiali da vista appesi al collo della maglia. Due donne ed un uomo in completo, tutti in religioso silenzio. Un uomo dall'aspetto massiccio seduto vicino ad una donna con i capelli rossi e a quella che presumeva fosse sua figlia, con gli stessi capelli fiammeggianti, che teneva la testa reclinata sulla spalla di un ragazzo bianco nei colori come l'infermiera, con le stesse gigantesche macchie di sangue addosso e la camicia strappata. Ed in fine un ragazzo con i capelli biondi che non faceva altro che far avanti ed indietro per il corridoio.
Si voltarono tutti verso di lui, in sincrono. Alcuni si alzarono, altri trattennero il respiro, strinsero la mano della persona che gli sedeva di fianco o si limitarono a fissarlo.
L'uomo prese un respiro profondo: sarebbe stata dura questa.
<< Siete qui per Magnus Bane?>> domandò poi.
La donna con i capelli neri si sgonfiò, non era evidentemente lui che aspettava, e lo stesso fecero il ragazzino, il biondo e la mora. L'uomo bianco che pregava non mutò minimamente la sua espressione, gli altri sembravano invece ansiosi in ogni caso. Il messicano si tirò in piedi ed allungò la mano verso l'infermiera. Il ragazzo con gli occhiali invece sussultò e fu il biondo ad avvicinarsi a lui e mettergli una mano sulla spalla.
<< Si?>> chiese piano la donna dai capelli bianchi.
<< Lei è una parente?>>
<< Non ne ha qui. Siamo i suoi amici più stretti.>> disse spiccia e il medico annuì.
<< L'operazione è andata bene. Siamo riusciti a bloccare l'emorragia. Chiunque gli abbia dato un primo soccorso ha fatto un buon lavoro, anche se con mezzi molto rudimentali presumo. Ha avuto fortuna, la fasciatura che gli avevano fatto era abbastanza stretta da rallentare il flusso sanguigno. Fortunatamente era un emorragia venosa e non arteriosa. Glielo ripeto, ha avuto fortuna e anche un buon primo soccorso.
Ha perso comunque molto sangue, abbiamo dovuto fargli diverse trasfusioni. Ma ora è stabile.>>
Catarina si portò una mano al cuore e tirò un sospiro di sollievo, Raphael, al suo fianco, le strinse il polso in una presa morbida ma salda. Magnus era in salvo.

<< E dell'altro paziente? Sa dirci nulla?>> Imogen Herondale fece un passo avanti, arrivando davanti al medico e guardandolo con calma attesa, era facile intuire che fosse abituata a queste situazioni.
L'uomo lanciò uno sguardo alle sue spalle. Aveva riconosciuto la donna, sapeva che era il Commissario della polizia di New York e si chiese improvvisamente chi fosse l'uomo che aveva appena operato e chi fosse quello nella sala affianco alla sua.
<< Non so dirle nulla al momento, ma potrei andare a chiedere.>> propose gentile.
Lei fece un secco segno con la testa. << Gliene saremo tutti grati.>>
<< Quando potremo vedere Magnus?>> chiese d'impulso Simon, alzandosi in piedi nonostante Jace tentasse di farlo restare seduto.
<< Ora sta riposando, devono sistemare la camera e collegarlo ai macchinari. Quando tornerò le darò informazioni più precise.>>
Detto ciò si voltò e tornò nel reparto, sparendo alla vista di tutti.
Simon si avvicinò a passo lento a Catarina.
<< Possiamo solo aspettare, vero?>> le domandò con voce debole.
Lei annuì. << Come mi hai detto tu prima Simon, possiamo solo aspettare e sperare.>>


 

 

Tutto il suo campo visivo era occupato da un'enorme massa arancione. Gli sembrava quasi di guardare una tenda posta davanti ad una finestra e gli ci volle un poco per rendersi conto che erano le sue palpebre chiuse.
Aprì faticosamente gli occhi, sentendo nelle orecchie un ronzio famigliare, così come l'odore di pulito fin troppo forte.
Si portò istintivamente una mano sulla spalla a cui gli avevano sparato ma la trovò libera da ogni benda o costrizione.
Tirò un sospiro di sollievo, tutta quella storia era stata tutto un brutto incubo, ecco la verità. Si, si era addormentato dopo quella nottata così impegnativa e ora era solo rimbambito.
Allungò la mano verso la sua destra, sicuro di trovare un altro corpo di fianco al suo, ma ciò che toccò fu invece freddo metallo.
Con un moto di improvvisa lucidità si tirò seduto e subito si pentì di averlo fatto.
Una stilettata gli arrivò dritta dalla coscia sino al cervello, la sensazione di essere un foglio di carta retto da puntine e che, improvvisamente, tutte quelle venissero tirate in una direzione diversa.
Abbassò lo sguardo sulla coperta bianca che copriva le sue gambe e la tolse di colpo, senza preoccuparsi del rumore insistente che continuava a produrre qualcosa alla sua destra. Non se ne rese conto perché faceva troppo male, le bende bianche si erano puntinate di rosso, piccoli ed insignificanti pallini che però gli fecero capire che sebbene i punti avessero retto al suo movimento brusco avevano comunque infastidito la pelle sensibile su cui erano stati messi con molta cura.
Strinse le mani attorno al ginocchio, proprio sotto alla fasciatura e chiuse gli occhi, serrando la mascella tentando di ignorare il dolore.
Perché non c'era nessuno lì con lui? Perché nessuna infermiera era accorsa alla sua camera per controllare le sue sicuramente altissime pulsazioni?
Con uno sforzo non indifferente si rimise sdraiato e prese lunghi respiri profondi.
Aprì gli occhi con lentezza e cercò di fare mente locale.
Erano circa le due del pomeriggio, ignorava di quale giorno ma sperava vivamente di essere ancora ad Agosto. Forse era il giorno dopo la sparatoria? Ma allora perché i suoi amici non erano in camera con lui come quando gli avevano sparato la prima volta? Poteva capire Catarina che aveva i turni, ma insomma, Simon non aveva niente da fare ora che avevano scoperto il colpevole e anche Alec non-

Sgranò gli occhi mentre la consapevolezza gli scivolava nella mente senza pietà.
Immagini frammentarie gli lampeggiarono dietro agli occhi, impresse a fuoco nella sua retina.
La corsa in macchina, la spiegazione sul tecnico che aveva cercato di cancellare i server si Ragnor e che aveva ucciso tre persone nel corso dei passati ventott'anni. Ricordava la discussione fuori dal portone di casa sua, la rabbia che gli era montata dentro e anche quella che aveva letto negli occhi di Alec. Ricordava la presa ferrea e dolorosa sul suo polso e poi il metallo freddo della macchina contro cui il detective lo aveva premuto per immobilizzarlo. Ricordava come si fosse bloccato, che lo aveva fatto perché...perché teneva a lui e non voleva che rimanesse ferito… Dio...quanto doveva essersi autoflaggellato Alexander per quel proiettile? Si ricordava di averlo guardato, nascosti dietro al suo divano, e di aver visto una macchia rossa che si allargava sulla sua pelle bianca, scoperta perché il giovane gli stava legando la propria maglia alla gamba per bloccare l'emorragia. E la sua di ferita? Cosa ne era stato? No, non voleva pensarci.
Si portò una mano agli occhi e premette i polpastrelli sui bulbi in fiamme.
Vide Valentine Morgenstern apparire come un mostro davanti a loro e Alec mettersi sulla sua traiettoria per proteggerlo. Le loro parole...quel bastardo aveva colpito il suo bel viso e nonostante tutto Alec aveva avuto la forza di sputargli in faccia e di rispondergli a tono.
E poi? E poi si era girato verso di lui, ma cosa gli aveva detto?
No, no...no! Non poteva esserselo dimenticato, non poteva aver scordato le ultime parole che gli aveva detto Alexander, lui…
 

<< Ehi.>> lo chiamò piano Alec, facendogli alzare il volto. << Devi tenere duro, okay?>> continuò sussurrando, per farsi sentire solo da lui.

 

La voce di Alec gli arrivò lontana ma incredibilmente chiara, il dolore alla gamba si allargò risalendo sul fianco e mozzandogli il respiro.

 

<< Non farlo… >> soffiò solo, senza forze. << Non fare l'eroe.>> prese un respiro e provò a sorridere. << Anche se lo hai già fatto, vero?>> chiese retorico.
<< Forse si, perdonami.>>


 

Il suo Alexander, il suo dannatissimo eroe.
Si premette la mano sul fianco, gli pareva di aver corso una maratona e di essere rimasto a corto d'ossigeno.
Tra tutti quei fili che aveva collegati addosso c'era qualcosa che lo potesse stordire, che gli potesse far dimenticare il dolore, l'ansia e l'agonia che stava provando in quel momento?
Dov'erano le infermiere quando servivano?
Si voltò verso i macchinari cercando il campanello ma non lo trovò. Sentiva un gran fracasso attorno a sé, con tutti quei suoni acuti era convinto di star per avere un infarto o un collasso come minimo.
Ma che diamine stava succedendo? Perché c'era tutto quel caos?
Cercò di girarsi il più possibile per spiare oltre la finestra di vetro della sua porta. Nel corridoio vedeva un gran fermento e sentiva le voci concitate di uomini e donne chiamarsi gli uni con gli altri.
Poi tra tutto quel marasma sentì qualcosa di vagamente famigliare.
La voce di un uomo, un giovane più che altro, superò tutte le altre, urlando che non si sarebbe mosso da dove si trovava finché non gli avrebbero strappato dalle braccia qualcosa.
Con una nota di tristezza si rese conto che ad essere tanto famigliare era il panico ed il dolore che trasudavano da quelle parole. Chiunque fosse stava perdendo qualcuno di caro, qualcuno che amava e non lo voleva accettare. C'era sconfitta nella sua voce tanto quanto c'era rabbia, speranza e testardaggine.
Forse era con la sua fidanzata, o magari con sua moglie o sua sorella. Forse lei era ridotta davvero male e lui non accettava l'idea di perderla anche se il suo cervello lo aveva già messo in conto. Era l'egoismo, il puro egoismo di non voler lasciar andare qualcuno, anche se soffriva.
Non seppe se sperare che quella persona, chiunque fosse, sopravvivesse o venisse finalmente lasciata alle braccia gentili della morte.

 

<< Sarebbe troppo egoistico chiederti di pensarmi? >> domandò poi Bane.
Alec gli sorrise e il mondo divenne un po' più bello. << Lo sarebbe, ma lo è anche ciò che ti ho detto prima, non trovi?>>

 

Si riscosse e cercò di prendere ancora fiato, di respirare con più calma, come Caterina aveva insegnato a tutti loro quando aveva cominciato il suo corso da infermiera, inutilmente.
Allungò la mano alla cieca, voleva parlare con qualcuno, voleva che un qualunque individuo di quel fottutissimo ospedale entrasse nella sua stanza e rispondesse alle sue domande.
Che giorno era? Quanto aveva dormito? Cos'era successo? Ma soprattutto: dov'era Alexander?
Sforzò la mente, si costrinse a ricordare, a focalizzare il momento.
Stava parlando con il ragazzo, lui gli teneva il volto tra le mani e l'unica cosa a cui pensava Magnus era quanto fosse bello, quanto fosse un angelo sceso in terra e quanto avrebbe voluto dargli un ultimo bacio.
Forse in un'altra vita avrebbero avuto una possibilità, loro due. Forse si sarebbero incontrati per strada o sul lavoro. Forse Magnus avrebbe organizzato una delle sue feste e Alec ci si sarebbe ritrovato trascinato dai fratelli e lui lo avrebbe comunque notato tra tutti, avrebbe comunque visto i suoi occhi nel buio della sala, la sua figura sullo sfondo mentre cercava di confondersi con la parete.
Forse sarebbero stati normali, non sarebbero appartenuti a due mondi così simili, estremamente vicini ma impossibilitati a toccarsi.
O forse si stava solo facendo mille film, mille problemi perché era solo, gli andava a fuoco la gamba e voleva che gliela togliessero, che gliela amputassero. Voleva i suoi amici, voleva che qualcuno aprisse la finestra e gli facesse entrare ossigeno nella stanza, anche se rovente, anche se bruciante come lo era stata tutta quella fottuta estate.
Voleva Catarina al suo fianco che lo rimproverava di non agitarsi e Raphael che gli diceva che era un cretino e che lo avrebbe ammazzato lui con le sue stesse mani quella volta, che glielo aveva promesso.
Voleva Simon che gli si fiondava addosso e lo abbracciava perché lo aveva spaventato a morte e voleva Alexander.
Dio quanto voleva Alec. Adesso, in quel preciso istante. Voleva Alec.
La porta si aprì e ne entrò una donna sulla quarantina, con al divisa rosa ed il volto preoccupato.
<< Signor Bane!>> lo chiamò come se lo conoscesse da una vita, se sapesse perfettamente chi fosse. << Si calmi, i suoi valori stanno schizzando a mille.>>
Ma Magnus la ignorò, spiò il mondo oltre la porta e si rese conto che qualcosa non andava, che c'erano delle macchie scure a terra e troppa agitazione.
<< Magnus? Mi hai capita? Devi respirare profondamente, va tutto bene, sei al sicuro.>>
La voce di Alexander di mischiò a quella della donna, i suoi occhi blu tinsero quelli scuri dell'infermiera ed improvvisamente era di nuovo nel suo loft, di nuovo a fissare la schiena di Alec mentre lui chiedeva se gli avrebbe sparato di fronte o alle spalle.
<< Cosa- cosa succede? Che giorno è? Al- >> cominciò a farfugliare prima che una strana sensazione di calma lo invadesse.
Oh, dovevano avergli aumentato il dosaggio di morfina.
<< Ti hanno sparato caro. >> cominciò dolcemente la donna spostandogli le ciocche dal volto ma senza carezzargli i capelli.
Magnus gliene fu immensamente grato: nessuno poteva toccargli i capelli.
<< Ti hanno portato qui due giorni fa, era notte fonda e sei stato operato d'urgenza. L'operazione è andata benissimo ma hai perso molto sangue e questo ti ha indebolito. >> si affaccendò attorno a lui, controllando valori e paragonandoli o segnandoli sulla cartella appesa ai piedi del letto.
<< La gamba…>> disse solo allungando la mano per posarla sulle bende.
Lei annuì. << Si, ti hanno sparato alla gamba, ma sei stato molto fortunato, era un emorragia venosa, se fosse stata arteriosa ti saresti dissanguato in poco tempo.>>
<< All'inguine.>> si ricordò di punto in bianco Magnus, un po' più lucido in quel mondo sfocato che stava diventando la camera d'ospedale. << Se spari ad una persona all'inguine si dissangua in sei secondi netti.>>
L'infermiera annuì ancora e alzò un sopracciglio guardandolo come una mamma che scopre qualcosa di troppo. << E tu come lo sai?>>
<< Alec. >> pronunciare a voce quel nome gli fece fremere tutto il corpo. << Alec mi ha detto di farlo. Se ero in pericolo.>>
<< E' un buon consiglio. Lo hai fatto?>>
<< No. Mi ha detto che non ce ne sarebbe stato bisogno, che ci avrebbe pensato lui… >>
Il sonno lo stava lentamente avvolgendo, un coperta calda che non aveva nulla a che fare con i soffocanti 40 gradi di quei giorni.
Aprì la bocca per chiedere qualcosa ma ancora una volta delle grida lo superarono.
La donna guardò preoccupata la porta e poi chiamò qualcuno. Apparve il volto di una ragazzetta, non doveva avere più di venticinque anni, era preoccupata quanto la collega e con il camice sporco di sangue.
<< Vi serve una mano?>>
<< Ci servirebbe qualcuno abbastanza grande da placcare il fratello, ci sta dando filo da torcere.>>
<< Cosa succede? Non dirmi che si è riaperta… >> chiese in un soffio di sconforto.
La ragazza annuì. << Stiamo già preparando la sala operatoria. Il dottor Klee sta arrivando ora per prepararsi.>>
<< Va bene, corri.>> le disse in fine con un gesto secco della mano che fece sparire l'altra.
Magnus aggrottò le sopracciglia. << Che succede?>> domandò come aveva fatto l'infermiera.
Questa si voltò a guardarlo e sospirò ancora, il suo dispiacere era palese.
<< Un paziente. Poverino, non fa che entrare ed uscire dalla sala operatoria. Aveva delle brutte ferite ma i danni peggiori li stanno facendo i frammenti d'osso che si sono sparsi per il corpo.>> andò ad aprirgli le tende e poi tornò a guardarlo, gli sorrise. << Ma non preoccuparti per lui, da come ha combattuto questi giorni e come continua a combattere sono sicura che avrà la meglio.>>
Magnus la fissò senza vederla davvero, gli pareva una palese bugia detta solo per non farlo angustiare più del dovuto. << Come fa ad esserne così sicura?>>
<< Oh, sono vent'anni che faccio questo lavoro caro, lo so per certo.>>
<< Non mi sta dicendo una balla solo per non farmi pensare che qualcuno sta morendo?>>
Lei lo osservò attentamente, di certo più presente di quanto non lo fosse Magnus che si stava aggrappando con tutte le sue forze a quel brandello di lucidità che gli restava.
<< Non sono solita mentire quando si tratta della vita altrui.>>

 

<< Risponderai sinceramente?>> gli chiese allora il moro.
Magnus annuì. << Sono solito dire la verità quando sono ubriaco e quando sto per svenire o morire dissanguato.>>

 

Chiuse forte gli occhi e poi li riaprì.
<< Ora riposa e non pensare a lui, te l'ho detto, è un guerriero.>> fece per andarsene ma Magnus la chiamò sulla soglia della porta.
<< Come si chiama?>> chiese solo.
Lei non pronunciò parola e Magnus continuò.
<< Se lui… se quel ragazzo dovesse morire o se invece dovesse farcela… come si chiama? Vorrei ricordarmelo...vorrei ricordare qualcuno che ha lottato così strenuamente...è importante no? È giusto credo...>> farfugliò ancora.
Non aveva senso o forse si. Il mondo ormai era una macchia grigia e confusa e Magnus ebbe appena il tempo di sentire quel nome prima di essere risucchiato nel vortice del sonno indotto.
 

<< Alexander. Si chiama Alexander ed è un poliziotto.>>


 


 

Nella penombra del salotto vide il volto affaticato di Alec sorridergli come se fosse l'essere più bello del mondo.
Sentì il pollice delicato e calloso del giovane passargli sulle labbra, ne sentì la pressione contro la carne ed il lieve sfregare della pelle abrasa. Avvertì il respiro bollente di Alexander bruciare la pelle sensibile del suo volto, lo sentì intriso del suo profumo fresco ma anche di quello più pungente del sudore, della polvere da sparo e di quello ferroso del sangue. Tantissimo sangue.
Suo, del ragazzo, di entrambi.
Eppure era ossigeno, era tutto ciò di cui aveva bisogno per respirare e continuare a vivere. Perché era vita, era sicurezza e tranquillità, sapeva che finché il detective fosse rimasto lì con lui non gli sarebbe mai successo niente di brutto. Sarebbe potuto rimanere sveglio anche solo per pura ripicca, solo per guardare quegli occhi blu così belli e così luminosi malgrado l'inferno in cui si trovavano.
Ed un angelo non dovrebbe mai vedere l'inferno, anche se Alexander, Magnus lo sapeva, doveva averlo visto già fin troppe volte.

Quando riaprì gli occhi non ci mise molto a far mente locale. Spalancò le palpebre già consapevole del luogo in cui si trovava, già pienamente cosciente di ciò che era successo, dei due giorni passati, della riuscita del suo intervento, delle sue condizioni. Del ragazzo che entrava ed usciva dalla sala operatoria per colpa dei frammenti ossei che si erano sparsi nel suo corpo, di quel giovane che combatteva strenuamente, del fratello che urlava perché non voleva lasciarlo.

<< Alexander…?>> chiese in un soffio di voce e subito una figura si mosse.
Non fece molto, alzò semplicemente il capo biondo e lo fissò con quegli occhi dorati, del colore dell'ambra filtrata dal sole.
Jace era seduto sulla poltroncina vicino al suo letto, i gomiti impuntati sulle ginocchia e la testa bassa tra le mani.
<< Ehi.>> gli disse solo, in un modo così maledettamente simile a suo fratello e Magnus dovette trattenere l'istinto di farglielo notare. Dalle condizioni in cui versava non credeva fosse in grado di affrontare una conversazione del genere. Non lo erano entrambi ad essere sinceri.
<< Come ti senti? A parte lo schifo e tutto.>> continuò il biondo.
Magnus lo guardò per un attimo e poi si strinse nelle spalle, la mano era andata automaticamente alla sua coscia, a sfregare la ferita, ma Jace individuò il movimento e si alzò, con uno sforzo non indifferente, per prendergli il polso e fermare il suo gesto.
La sua mente doveva proprio giocargli brutti scherzi perché rivide Alexander afferrargli delicatamente quello stesso polso e massaggiarlo, proprio sui segni rossi che lui stesso gli aveva provocato.
<< Sono vivo.>> si risolse a dire. << Lui come sta?>> chiese invece ansioso.
Jace lo lasciò e si accasciò di nuovo sulla poltrona. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con lentezza.
<< È appena rientrato in sala operatoria. È la quinta volta da quando lo hanno portato qui.>>
<< Cos'ha?>> domandò con i cuore in gola.
Il monitor cominciò a suonare con più frequenza e Jace aprì gli occhi per controllare. Sospirò:
<< Se ti agiti in questo modo non ti dirò niente. Se scopre che ti ho fatto prendere un infarto Alec mi ammazza.>>
Fu immensamente grato al giovane di sentirlo parlare di suo fratello al presente e al futuro, ne aveva bisogno, non poteva sentir proprio lui darlo già per spacciato.
<< Gli hanno sparato alla spalla. La clavicola comunque si aggiusterà, lentamente ma lo farà. Era bella distrutta, il proiettile è uscito dall'altra parte.>> si strofinò per l'ennesima volta la faccia, sembrava che si fosse appena svegliato ma Magnus non dubitava che in realtà non avesse dormito affatto.
<< Il colpo al torace è stato più duro. Per fortuna tra i suoi buoni riflessi e la prontezza di Jonathan di sparare al padre il colpo ha deviato e non ha preso il cuore. Però ha comunque frantumato due costole e bucato il polmone. Lo hanno intubato, non gli basta respirare solo con quello che gli è rimasto. Dicono che una volta fuori pericolo dovrà tenere la maschera dell'ossigeno come minimo per un mese.>>
Cadde il silenzio e nessuno osò interromperlo, almeno finché Jace non lo guardò con insistenza, chiaro segno che stesse per chiedergli qualcosa e probabilmente non gli sarebbe piaciuto rispondere.
<< Cosa ti ha detto? Jonathan dice che prima di farsi sparare ha voluto parlare con te. Cosa ti ha detto?>>
Magnus lo guardò di rimando e si concentrò, cercando davvero di ricordarsi cosa gli avesse detto il detective prima di quella sequela di spari, cercando di ignorare anche le parole del biondo, quel “prima di farsi sparare”. Chiuse gli occhi.
<< Che dovevo resistere.>> soffiò. << Che dovevo tenere duro perché i soccorsi stavano arrivando.>> aprì le palpebre e si trovò davanti un sorriso quasi doloroso per quanto accecante. Era come il sorriso di Alexander, solo più aperto, più forte e scintillante. Non quel piccolo miracolo, quel tesoro custodito tra la piega storta delle labbra e le guance pallide, non il segreto che lo aveva sconvolto alla sua prima rivelazione. Era ovvio che Jace era tanto abituato a sorridere quanto non lo era Alec e Magnus si chiese perché, quale fosse la differenza tra i due fratelli.
<< Fa sempre così. Arriva quando pensi che sia tutto perduto, quando credi di non aver altre possibilità o quando stai per cedere, quando meno te lo aspetti. Lui arriva, ti guarda male perché ti sei comportato esattamente come ti aveva detto di non comportarti, ti prende per un orecchio e ti riporta a casa.>> glielo disse con traboccante affetto, con fiera sicurezza, con orgoglio fraterno e anche di più.
Amore. Ogni singola sillaba che lasciava le labbra del biondo per descrivere suo fratello era amore colato. Era amore denso e lucido come il miele. Scintillante di diamante e caldo come le fiamme. Era un amore che suggellava un legame ancestrale che forse Magnus non avrebbe mai capito e che invidiò profondamente. Forse perché, si disse, la persona con cui aveva avuto, in passato, un rapporto più simile a quello dei fratelli Lightwood era proprio Ragnor. O forse, gli suggerì sibillina la sua mente affaticata, era perché quello stesso viscerale amore trasudava copioso anche dalle labbra del moro quando parlava di Jace.
<< Mi ha detto anche di dire a Simon che aveva fatto un ottimo lavoro e che sarebbe potuto diventare un buon detective. Di dire a te e i tuoi fratelli che vi vuole un bene dell'anima e- >>
 

<< Sono la miglior scopata della tua vita?>>
 

<< E?>> lo incalzò il biondo. Anche se si stava controllando non era difficile notare lo strato lucido che si era formato sui suoi occhi.

Magnus deglutì.
<< Lui...poi… anche ai vostri genitori… e ai vostri capi, di dirgli che non era colpa loro… di parlare con Simon perché lui mi avrebbe creduto...>>
Jace annuì e abbassò di nuovo la testa, troppo preso dai suoi pensieri per rendersi conto della tempesta che si stava scatenando nella testa dell'uomo steso sul letto.
Si lasciò sprofondare tra i cuscini e chiuse gli occhi nel disperato tentativo di ricordare e afferrare più immagini possibili, più suoni, odori, sensazioni.
Sentì le propria paura, quella di morire, quella di essere ucciso, di venir accusato della morte di Ragnor. Quella di veder morire Alec e di sapere che se non si fossero mai incontrati lui non sarebbe stato in quella situazione.
Ricordò la sensazione delle mani del giovane sulla sua ferita, sul suo volto, sulle sue guance e sulle sue labbra ma poi ricordò le labbra del moro sul suo collo, il tocco delicato che scendeva sulla spalla e che la mordeva prima piano e poi più forte.
Avvertì il calore incendiargli il petto, le carezze morbide e al contempo ruvide di quelle mani che vagavano per il suo corpo e cercò di allontanarle, di non pensarci.
Non voleva ricordare Alexander abbandonato tra le lenzuola del suo letto, non lo voleva ricordare bello ed eccitante come il suo personale dio del sesso. Voleva vedere l'angelo, voleva ricordare quella creatura piumata sporca di sangue, pronta a morire.
Voleva ricordare che sapore avessero avuto le sue labbra un attimo prima che Valentine lo prendesse malamente per la spalla e lo costringesse a girarsi, sparandogli senza esitazione proprio come, senza esitazione, Alec aveva preso la pistola dalle sue mani e aveva piantato un proiettile dritto alla testa di quel bastardo.
Si vide davanti agli occhi ciechi il corpo del detective scosso da un colpo che non avrebbe dovuto ricevere, lo vide cadere in avanti mentre Jonathan lo chiamava a gran voce e lui invece non riusciva a far uscire neanche una sillaba.
Osservò il biondo inginocchiarsi accanto al collega e voltarlo a faccia in su, lasciando libera vista del torace nudo macchiato di sangue, mentre lui lo poggiava delicatamente a terra e poi faceva pressione con le mani proprio sulla ferita, sporcandole come se le avesse immerse dentro ad una latta di colore.

<< E poi?>> fu ancora la voce di Jace a riportarlo alla realtà.
Il sole si era abbassato ma non era ancora scomparso, doveva aver dormito per lo mento altre sei ore e solo in quel momento realizzò che se Alec era “appena rientrato in sala operatoria” significava che lo stavano aprendo per la seconda volta in quel giorno.
Una fitta terribile gli spezzò il respiro all'idea della pelle martoriata dei lembi della sua ferita. Quante volte lo avevano ricucito?
<< Poi cosa?>> chiese stanco quanto lo era il poliziotto.
<< Cos'altro è successo? Jonathan ha detto che sperava che aveste avuto altro occasioni per parlarvi… pareva quasi imbarazzato… lui poi. Cos'è successo?>>
Lo guardò e poi abbassò lentamente le palpebre, assaporando quella sequenza di scene che ormai ricordava alla perfezione e che dubitava avrebbe mai dimenticato.
Prese un respiro profondo cercando le parole giuste per diglielo, per dire a quel ragazzo che aveva chiesto a suo fratello, pronto per il patibolo, di pensare a lui, a lui solo e non alla sua famiglia. Di pensare a lui, che voleva essere il suo ultimo pensiero come Magnus stesso stava cercando di imprimerselo a fuoco nella mente per far sì che Alexander fosse il proprio.
Così schifosamente romantico...se ne rendeva conto solo in quel momento. Lui poi, Magnus Bane romantico.
Ah, cosa gli aveva fatto quell'angelo con la pistola…

<< Poi sono solo stato così egoista da volere il mio bell'angelo solo per me un'ultima volta.>> si decise a dire.
Jace lo osservò e poi gli regalò un mezzo sorriso del tutto simile a quello di suo fratello. Avrebbe voluto dargli un pungo in faccia e dirgli di non farlo, che quel sorriso poteva permetterselo solo Alec. Che avevano troppi tratti in comune, che glielo ricordava troppo.
Ecco, Jace triste e addolorato era estremamente simile all'Alec di tutti i giorni.
<< Sai, penso proprio che in un'altra vita sarebbe stato tutto perfetto.>> Si alzò dalla poltrona lasciando Magnus interdetto per quelle parole.
Cosa? Pensava davvero che lui ed Alec…? E non aveva detto niente sul suo gesto? Aveva capito?
Jace aveva assistito anche alla loro prima telefonata, ma allora c'era meno di niente tra loro due, che il biondo già al tempo avesse intuito come si sarebbe potuto sviluppare un loro possibile rapporto?
Confuso lo guardò avvicinarsi alla porta ed aprirla piano.
<< Peccato che non sia questa di vita.>> disse amaramente Magnus.
Jace si fermò sull'uscio e si voltò a guardarlo:
<< No. Questa vita è andata forse, ma ricordati una cosa: la vita, la mia, la tua, quella di chiunque altro, riparte ogni volta che decidiamo noi di farlo. Ogni volta che vogliamo cambiarla e che ci impegniamo per farlo. In questa vita siete stati piuttosto sfortunati, vero, ma se c'è qualcosa… qualcosa che non sia mera attrazione fisica, qualcosa per cui varrebbe la pena lottare e faticare, che se coltivata crescerebbe e darebbe i suoi frutti… beh, allora non so te, ma per me sarebbe un ottimo motivo per ricominciare a vivere da capo, non credi?>> gli sorrise con semplice sincerità, per un momento non più il solito vanesio ed arrogante ragazzo montato e sicuro di sé ma solo un fratello che tiene a quell'altra metà di sé, fatta di sangue e codice genetico comune, e che farebbe e fa tutto per lui.
<< Solo, non dargli false speranze, se pensi che non possa nascere nulla, allora non fargli credere che sia possibile. Alec ci protegge sempre, lo fa con me, con Izzy e con Max. Noi gli siamo stati fin troppo addosso con tutta quella storia… >> continuò vago, non volendo impelagarsi in fronti che aveva già toccato con il diretto interessato e per cui aveva preso una bella ramanzina ed anche una bella dose di sensi di colpa. << però la verità è che vogliamo solo che sia felice. Ha messo per tanti, troppi anni la nostra felicità prima della sua. Dopo quello che vi è successo in questi mesi… non voglio scoprire se ci passerebbe sopra con serenità o se ricomincerebbe a guardare il mondo con la stessa diffidenza e la stessa paura di soffrire che aveva a diciotto anni.>>
Lo guardò ancora ed improvvisamente arrossì, come faceva Alec e come, ci scommetteva, facevano anche Isabelle e Max.
<< E non azzardarti neanche a dire in giro che ho detto queste cose. Negherò fino alla morte, spergiurerò sulla bandiera Americana se ce ne sarà bisogno e poi ti ammazzerò con le mie stesse mani. Io non ho detto niente, tu non hai sentito niente.>>
Magnus sogghignò. << Paura di parlare di sentimenti biondino?>> lo prese in giro.
Jace gli fece il dito medio e se ne andò borbottando che sarebbe tornato a controllarlo solo quando sarebbe stato addormentato.
<< Non ce n'è bisogno.>> specificò lui ma il ragazzo scosse la testa. << Davvero, non devi sentirti in obbligo.>>
<< Non è un obbligo, è un favore.>>
Il moro alzò un sopracciglio e l'altro scosse la testa.
<< Alec è rimasto con te per tutto il tempo quanto ti hanno sparato la prima volta. Il favore lo faccio a mio fratello, non a te. Vorrebbe saperti in compagnia o per lo meno sorvegliato a vista. Ha questa dannata indole da super eroe...>>
<< E da angelo custode, non credi?>>
<< Oh, io lo vedo più come un angelo vendicatore, ti lancia certe occhiate di fuoco quando non fai quello che vuole...>> ridacchiarono entrambi a quello stupido scambio di battute.
Poi passò un infermiere che Jace doveva conoscere perché gli fece un cenno con la mano e scappò dietro al pover'uomo, pronto per tartassarlo di domande su suo fratello e l'operazione.
Rimasto solo nella camera anonima dell'ospedale Magnus si mise a fissare i raggi infuocati che entravano prorompenti dalla finestra. Gli sarebbe piaciuto vedere qualcuno davanti a quella luce, irradiato come di un'aureola fiammeggiante, magari con quelle belle ali grigie che si muovevano sinuose sui muscoli, seguendo la pelle pallida e vergata di mille simboli.
Chiuse gli occhi e le chiazze di luce apparvero sullo sfondo arancione delle sue palpebre.
<< Eh si mon ange, sei stato proprio molto di più.>>


 

 

Tutte le più importanti testate giornalistiche riportavano il grande scandalo: il Vice Commissario della Polizia di New York Valentine Morgenstern era morto durante una sparatoria a casa di un famoso uomo d'affari sospettato di vari crimini mai provati.
Giravano molte teorie su cosa fosse successo quella notte: c'era chi sosteneva che il Vice Commissario avesse cercato un'opera d'arte sul mercato nero per riuscire a riconquistare sua moglie, ora sposata con il Capo dell'OCCB e che il venditore, riconoscendolo lo aveva ricattato, portando l'uomo ad ucciderlo pur di non essere scoperto.
Altri dicevano che in verità Morgenstern aveva una relazione con il miglior amico della vittima, ovvero il proprietario del loft in cui era morto, Magnus Bane, e che l'imprenditore fosse sotto scorta perché la polizia credeva che sapesse più di quanto non dicesse.
C'era chi sosteneva che in verità l'uomo fosse morto per un banale incidente, non si era identificato prima di far irruzione nell'abitato e la scorta lo aveva ucciso.
C'era anche chi sosteneva che invece fosse stato eliminato perché scomodo, che avesse amici in posti in cui non avrebbe dovuti averne e che lo aveva fatto fuori loro.
La deposizione ufficiale del Dipartimento era stata rilasciata ai media pochi giorni dopo la sua morte.

Il Commissario Imogen Herondale era apparsa sulla rete nazionale con la sua austera figura ed il suo sguardo di ferro. Il completo grigio perla che indossava perfettamente abbinato con i capelli.
<< Nella notte dello scorso venerdì il Vice Commissario Morgenstern è rimasto coinvolto in una sparatoria a Greenpoint. È con profondo rammarico da parte dell'intero Dipartimento di New York che vi informo che Morgenstern aveva preso contatti con un contrabbandiere di merci rare per appropriarsi di un articolo presente sul mercato nero. Questa sua grandissima mancanza di rispetto verso il suo lavoro, verso il suo Stato, la sua Nazione e anche verso il mondo dell'arte gli è costata ben cara.>>
<< Perché è stato ucciso?>> domandò uno dei reporter presenti al comunicato.
<< Morgenstern era sicurissimo che il signor Bane, stretto amico della vittima, fosse a conoscenza della sua identità. Ha cercato di eliminare anche lui, arrivando ad irrompere in casa sua. Fortunatamente il signor Bane era sotto la protezione di uno dei migliori agenti del nostro Dipartimento, il Detective della Omicidi Alexander Lightwood. È stato il Detective a proteggere Bane durante tutte le indagini che ha condotto sul caso Fell e a salvarlo dalla furia cieca di Morgenstern.>>
<< Quindi si è trattato di un errore? Il detective Lightwood non voleva uccidere il Vice Commissario?>> chiese qualcun altro.
<< Nessun poliziotto americano o di qualunque altro Stato vorrebbe mai uccidere qualcuno. Siamo rappresentanti della legge, crediamo nella giustizia e nell'ordine ed immoliamo noi stessi ed i nostri compagni per la protezione della nostra Nazione. Malgrado anche il nostro albero dia mele marce, nessuno di noi spara per uccidere a meno che non sia necessario per la salvezza di persone innocenti. Il Detective Lightwood si è trovato costretto a decidere tra la vita del suo testimone, indifeso, ferito e disarmato, e quella di un uomo che aveva tradito il suo giuramento e tentava di uccidere qualcuno solo perché avrebbe potuto rovinare il suo nome.>> la sua voce era stata decisa e senza la minima esitazione, sembrava quasi che sfidasse chiunque a contraddire le sue parole. Ed il semplice fatto che avesse fatto riferimento a tutti gli agenti come “noi” e non come “loro” faceva chiaramente intendere a tutti che lei si reputava parte di quel meccanismo non meno di quanto non lo era un semplice poliziotto di pattuglia.
<< Come si svolgerà il processo?>>
<< Per rispetto alla famiglia e per evitare speculazioni sul caso, più di quanto di certo ce ne saranno già in circolo, il processo si terrà a porte chiuse. Sono già in preparazione i documenti e le accuse che presto il Procuratore Trueblood formalizzerà contro Valentine Morgenstern. >>
<< Ma il Procuratore Trueblood non è imparentata con il Detective Lightwood?>>
<< È sua madre, esatto. Ma proprio per la tipologia del caso siamo sicuri non ci saranno favoritismi o problemi di alcun tipo. Si tratta solo di formalizzare i capi d'accusa e presentarli al Giudice. Le prove contro Morgenstern sono schiaccianti ed in ogni caso si parla di un accusato deceduto, non ci sarà una formalizzazione della pena o simili. Non ci sarà nessun tester contro cui “accanirsi” se è questo che vi preoccupa. Per altro il Procuratore sarà affiancato dagli agenti degli Affari Interni e della Disciplinare. Abbiamo preso ogni tipo di precauzioni, anzi, è più corretto dire che il Procuratore stesso le ha prese, richiedendo la supervisione di tutti i documenti da lei prodotti nel presente e nel futuro. Questo caso verrà gestito come l'ex Vice Commissario non è stato in grado di fare: con metodo, giustizia e nel nome della legge.>>
Ci furono una serie di flash e degli applausi, poi tra tutto quel vociare una domanda arrivò alle orecchi della donna e di tutti i presenti, facendo calare il silenzio.
<< E cosa ne è stato del Detective Lightwood? Perché non è presente anche lui oggi?>>
Tutta l'attenzione si spostò dal giornalista alla Signora che strinse le labbra in una piega rigida.
<< Purtroppo mi ritrovo addolorata nell'informarvi che il Detective Lightwood si trova ancora in ospedale, in prognosi riservata. È rimasto ferito durante la sparatoria, per proteggere il suo testimone. Ha subito due colpi, alla spalla e al torace. Posso solo dirvi che sono giorni che sta lottando con tutte le sue forze. Possiamo solo pregare per lui. Che Dio lo protegga e che protegga anche l'America.>>



 

Settembre spazzava le vie di New York con la stessa impietosa forza con cui Agosto ne aveva incendiato le strade. Il vento era stata una manna dal cielo, aveva sciolto il caldo che soffocava la città e aveva permesso a tutti respirare nuovamente aria fresca e non quel miasma bollente che il terreno esalava quell'estate.
Mesi prima, quando ancora doveva prepararsi per le vacanze, per il sole cocente della West Coast e tutte le cose belle che quell'altro lato d'America poteva offrirgli, non avrebbe mai e poi mi immaginato come sarebbe andata a finire.
Ripensò a come era cominciato tutto quel casino, ad una telefonata mancata, ad un messaggio in segreteria che forse avrebbe potuto cambiare ogni cosa. Un caso di omicidio, uno come un altro.
Solo che il soggetto era un po' particolare.
Ragnor… chi avrebbe mai creduto che avrebbe seppellito il suo amico prima di compiere trent'anni? Lui no di certo.
Il suo funerale era stato un colpo fin troppo forte, null'altro che l'anticipazione di quello che sarebbe stato il calvario che lo avrebbe colto nei mesi successivi. Rimpiangeva Giugno e il fastidio che aveva provato verso il suo amico che non si faceva sentire da troppo per colpa del lavoro.
Rimpiangeva fin troppe cose ad essere sincero.
Al secondo, di funerale, non era riuscito ad andare.
Avrebbe voluto, davvero, avrebbe voluto essere lì con ogni fibra del suo corpo, a guardare quella bara scendere nella terra e poi venir coperta da tre metri di detriti. Sarebbe stata la fine, il punto di tutta quella vicenda, di quella storia che non avrebbe mai voluto cominciare a leggere.
Avrebbe anche voluto quasi che piovesse quel giorno. Invece c'era stato un sole che spaccava le pietre. Forse se fosse stato al cimitero avrebbe sudato come poche volte, forse la ferita gli avrebbe fatto male perché non poteva tenere la gamba distesa. In ogni caso i medici glielo avevano proibito, non era nelle condizioni adatte, non poteva andarsene in giro quattro giorni dopo che gli avevano sparato, non avrebbe retto tutte le sollecitazioni del viaggio.
E se da una parte era incazzato nero perché non aveva potuto presenziare, dall'altra ne era quasi felice: malgrado fosse un grandissimo figlio di puttana, Magnus Bane non era irrispettoso verso la morte, proprio non poteva esserlo. E se anche non era una persona religiosa, gli sarebbe parso del tutto inappropriato passare un'intera funzione funebre con un gigantesco ghigno stampato in faccia e andare a sputare sulla bara.
Probabilmente non sarebbe stato carino nei confronti di Luke o di quella piccola macchia rossa che era Clary. Forse più di tutti non lo sarebbe stato nei confronti di Jonathan che, anche se aveva scoperto quale lurido bastardo fosse suo padre -finalmente avrebbe aggiunto Magnus- era ancora sconvolto all'idea di aver ucciso suo padre.

Peccato che fosse stato Alexander ad uccidere Valentine.

Ci aveva pensato parecchio, doveva ammetterlo. Il colpo del giovane Morgenstern sarebbe bastato a fermare l'uomo, ma avrebbe costretto il figlio a scegliere se prestare soccorso al genitore e tamponare la ferita in attesa dell'arrivo dell'ambulanza, facendo così morire dissanguato Alec; o correre proprio dal detective e lasciar morire l'altro.
Magnus personalmente avrebbe scelto mille volte Alexander, ma a differenza sua, che la vedeva solo dal lato sadico della faccenda, Alec si doveva esser reso conto che in quel modo il giovane avrebbe convissuto per sempre con la colpa di aver lasciato morire uno dei due per salvare l'altro. Di non essere riuscito a fare il suo dovere.
Ed era infinitamente grato che il suo bell'angelo avesse avuto una mira così precisa e perfetta.
Il referto medico, da quanto gli avevano raccontato Simon e Isabelle, era piuttosto chiaro: morte sopraggiunta per colpo di arma da fuoco alla testa.
Avevano anche speculato su quanto fosse stato magnifico quel colpo, da manuale proprio. Ma poi Simon aveva fatto notare all'amica quanto fosse poco carino essere felici della morte del padre di un'altra loro amica e Izzy aveva deciso di smetterla di parlare di morte e di puntare sulla prossima collezione autunnale.
Sospirò. Il giorno del funerale di Valentine però sarebbe rimasto per sempre nei suoi ricordi anche per un altro motivo. Quello era stato il primo giorno in cui aveva rivisto Alexander dopo la sparatoria.
Se lo ricordava perfettamente, come se fosse ancora davanti ai suoi occhi, sdraiato nella penombra di quella corsia d'ospedale.
Era in terapia intensiva, non lo avevano messo in camera perché poteva avere un collasso da un momento all'altro. C'erano solo delle tende tirate a dividerlo dagli altri pazienti e Magnus aveva dovuto pregare la sua infermiera di fiducia, la cara Laura, di portarlo da lui anche solo per dieci minuti.
Okay, quella volta aveva implorato anche solo un secondo, ma la donna era stata decisamente magnanima. Aveva fatto portare una barella nella sua stanza e lo aveva aiutato a stendersi su quella, non era ancora abbastanza in forze per una sedia a rotelle, la sua gamba, ancora, non poteva essere piegata.
Ed Alec se ne stava lì, immobile, collegato a molte più macchine di quanto non lo fosse lui. Non aveva la maglia,il torace era completamente avvolto in fasce dalle grandi macchie giallognole, probabilmente il disinfettante chirurgico. Era mortalmente pallido ed aveva quel gigantesco tubo infilato in gola, i lacci ed anche lo scotch medico a tenergli l'intubazione fissata al volto.
Si era fatto mettere al suo fianco, davanti a delle macchine che riportavano le pulsazioni, la pressione, i respiri e Dio solo sapeva cos'altro. Aveva allungato una mano per sfiorarli le labbra screpolate e violacee e poi l'aveva fatta salire tra i capelli scuri e scompigliati. Erano morbidi e pensò che qualcuno, probabilmente Isabelle stessa o sua madre, doveva averglieli lavati o assillato talmente tanto le infermiere affinché lo facessero da aver vinto quella piccola battaglia.
Più tardi Simon gli avrebbe confessato che in verità erano stati lui e Jace, che ci si era messo proprio il biondo e che lui c'aveva messo il carico da novanta sparando cifre inventate sull'igiene negli ospedali e tutto finché l'infermiera, proprio la sua Laura, santa donna, non li aveva presi per un orecchio e li aveva buttati fuori dal reparto a calci, urlandogli che ci avrebbe pensato lei purché se ne stessero zitti e fuori dalle palle.
Letteralmente.
Si ricordava come fosse fredda la sua pelle, come fosse così… sbagliato.
Ad ogni braccio aveva attaccate delle flebo, una di un liquido trasparente e l'altra di sangue, lo stavano riempiendo di trasfusioni ma ancora non era tornato al livello normale.
E poi altri tubi, questi che uscivano dalle bende e che servivano per drenare il sangue in eccesso.
Lo aveva fissato senza sapere cosa dire, cosa fare, come comportarsi.
Solo una macchia di colore spiccava in tutto quel bianco e quel nero: il tatuaggio del prisma.
Era coperto in parte dalle bende, non poteva vedere il cristallo in sé ne il raggio bianco, ma poteva vedere la linea violacea che copriva la parte inferiore del pettorale sinistro, qualche sfumatura di blu e poi, qualche centimetro più sotto un bordo rosso.
Aveva allungato ancora la mano, togliendola dai capelli del giovane per poggiarla sul suo cuore, carezzando piano i resti del tatuaggio e le bende che tenevano la pelle compressa ed unita, nella speranza che non venisse più aperta.
Sperò anche che il proiettile non avesse preso il prisma, che non avesse rovinato quel capolavoro così importante per Alexander, che lo rappresentava e gli dava coraggio.
Laura era tornata per riportarlo in camera qualche minuto dopo e Magnus le aveva fatto promettere che lo avrebbe riportato a far visita al ragazzo. Dio santo, aveva promesso di fare tutta la dannata riabilitazione e di non sforare mai, in quel momento avrebbe promesso anche di dar fuoco al suo armadio o di rasarsi a zero.
Era uscito dall'ospedale quasi un mese dopo. Simon e Raphael lo avevano riaccompagnato a casa e gli era sembrato più che ovvio che quei due sarebbero diventati amici e che avrebbero continuato ad insultarsi per il resto della vita. Ne fu felice: probabilmente nessuno sarebbe mai riuscito a rimpiazzare Ragnor nella vita del messicano, ma avere nuovi amici ti permetteva di dimenticare, almeno un po', quanto facesse schifo questo mondo e quanto avevi perso.
Aveva mantenuto la sua promessa, per poter far visita ad Alec aveva seguito alla lettera tutte le indicazioni dei medici e non aveva mai mollato il ritmo. La sua riabilitazione era ancora lunga, anche se ormai stava in piedi senza stampelle non poteva passare troppo tempo dritto, non poteva posare il peso sulla gamba e doveva allenarla continuamente per non far atrofizzare il muscolo.
Almeno il suo tono generale ne stava giovando.
Alexander aveva ripreso conoscenza quasi due settimane dopo il loro primo incontro, altre due prima che lui venisse dimesso. Era stata una vera e propria agonia, durante quei diciassette giorni era stato rioperato altre quattro volte e Jace era quasi svenuto una di queste, sfiancato dalle notti insonni che stava passando, costantemente al capezzale del fratello, alternandosi con i genitori e gli altri fratelli ma rimanendo comunque sempre presente, ed anche dal colpo che si era preso quando la pressione sanguigna del moro era schizzata così in alto da fargli uscire il sangue non solo dalla ferita riaperta, da naso e bocca ma anche dalle orecchie per finire in bellezza con gli occhi.
Se Jace Michael Lightwood non era morto quel giorno di Agosto non lo avrebbe ammazzato più nulla, ne era certo.
Quando poi, i primi giorni di Settembre, Alec aveva aperto gli occhi e si era ritrovato in una stanza d'ospedale, ormai non più in pericolo e quindi lontano dalla terapia intensiva, fasciato, bloccato ed intubato, chiunque fosse capitato da quelle parti aveva potuto assistere ad una delle scene più incredibili possibili. Non solo perché il ragazzo non avesse fatto un fiato e non avesse cercato di strapparsi di bocca i tubi di plastica, non si fosse agitato e avesse mantenuto una calma invidiabile, ma perché probabilmente, nessuno avrebbe mai più visto Robert e Jace Lightwood piangere in quel modo.
Li aveva sentiti dalla sua camera, Simon e Clary erano rimasti interdetti nel sentire un pianto così forte, domandandosi come lui quale povero paziente avesse appena abbandonato questo mondo, ma Izzy non aveva avuto esitazioni ed era corsa immediatamente fuori dalla camera, riconoscendo subito la voce del fratello.
Si era fatto aiutare a sedersi sulla sedia a rotelle e poi i ragazzi lo avevano spinto verso il corridoio, un ammasso di infermieri fermi davanti ad una camera a loro fin troppo familiare.
Aveva temuto il peggio? Ovvio che si.
Si sarebbe mai aspettato di vedere ciò che aveva visto? Assolutamente no.
Isabelle era ferma impalata vicino a suo padre, una mano premuta sul cuore, gli occhi lucidi traboccanti di lacrime come quelli blu dell'uomo.
Di un blu accecante e vivo, un colore così devastante che solo un'altra persona da loro conosciuta poteva vantare.
Robert piangeva silenzioso, abbandonato su quella poltrona come se non avesse la forza di alzarsi e muovere un solo dito, come se solo la mano di sua figlia lo tenesse sveglio ed ancorato a quella stanza.
Jace invece era completamente sdraiato sul letto di Alec, lo teneva stretto a sé e piangeva singhiozzi rumorosi e forti come colpi di cannone.
Se non fosse stato per la luce che brillava nello sguardo vivido del padre, Magnus avrebbe scommesso che Alexander fosse appena morto e che il fratello, distrutto, non riuscisse a staccarsi dal suo corpo.
Poi però qualcosa si era mosso. Una mano pallida come quella di un fantasma si era poggiata sulla testa del biondo, un'altra mano sulla sua schiena, compieva gesti lenti e apparentemente molto faticosi, cercando di calmare il fratello e di farlo rilassare.
Nessuno di loro dubitava che se avesse potuto parlare gli avrebbe detto che non era niente, che stava bene, di stare tranquillo, che ora era lì con lui. Oh, il suo dolce Alexander, sicuramente avrebbe cercato in tutti i modi di consolare i suoi famigliari e anche Simon che si era praticamente accasciato alle sue spalle, tenendosi solo alle maniglie della sedia, piangendo anche lui ma cercando di mantenere un certo contegno.
Contegno che certo non aveva avuto il piccolo di casa Lightwood quando era arrivato di corsa all'ospedale, seguito sorprendentemente da Jonathan Morgenstern che, saputa la notizia dalla sorella, si era offerto di andare a prendere il ragazzo e portarlo il più velocemente possibile al DownTown Hospital.
Maryse era arrivata poco dopo scortata da niente di meno che Lucian e Andrew. Non passò neanche un'ora che persino la Signora si era presentata al capezzale del giovane detective.
Dopo quello erano passati altri dodici giorni prima che i grossi tubi di plastica che gli permettevano di respirare fossero stati sostituiti dalla maschera ma nonostante questo Alexander non era riuscito a parlare ancora per un bel po'.
Dire che si era comportato in modo maturo sarebbe stato mentire. Magnus aveva passato buona parte del tempo a sbattere i piedi a terra e urlare che voleva vedere Alexander ed aveva continuato finché non gli avevano dato l'autorizzazione.
Almeno non sarebbe vissuto con il rimpianto di non avergli parlato dopo la sparatoria. Era da non crederci, il poliziotto aveva anche avuto il coraggio di chiedergli scusa, si era incolpato della sua ferita come Magnus aveva pensato avrebbe fatto. Se non gli aveva rifilato un pugno in bocca era solo per via del grandissimo sollievo che provava nel sentire quella voce bassa e rauca lasciare le labbra secche del giovane.

Sospirò ancora e si maledisse, sembrava un dannato personaggio di un dannato romanzo per adolescenti, tutto sospiri e pensieri tristi.
Abbracciò con lo sguardo tutto il salone e si trascinò sino al sofà nuovo. Gli avevano riconsegnato casa a tempo record per la polizia di New York, ma questo forse lo doveva proprio a Maryse Trueblood e alla Herondale, quelle due donne, assieme, facevano davvero paura e dubitava fortemente che qualcuno avesse ancora solo osato dir loro che il loft era la scena di un crimine ancora non archiviato.
Per il divano invece avrebbe dovuto ringraziare Isabelle che lo aveva scelto e Luke, Jace e Simon che erano stati costretti a trasportarlo su per le scale perché non entrava nell'ascensore.
Davanti a lui era steso un grande tappeto dagli intrecci colorati, serviva a nascondere la macchia che il sangue di Valentine aveva lasciato. Avrebbe dovuto cambiare tutto il parquet ma la verità era che non riusciva a tollerare l'idea di togliere un'altra di macchia. Ruotò il dorso e fissò il pavimento dietro al mobile: se la sua gamba aveva lasciato una tracia relativamente piccola anche grazie al pronto bendaggio di Alec, il ragazzo invece aveva donato a quel legno fin troppo del suo sangue.
La pozza in cui era riverso Alexander era grande e pareva più scura delle altre. Gli faceva male guardarla, ricordare che qualcuno era quasi morto lì, che qualcuno a cui teneva era quasi morto, ma al contempo non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Sospirò per l'ennesima volta e poi si imbronciò subito, infastidito dal suo stesso comportamento.
Forse avrebbe potuto prendere il pc e cercare una nuova casa, non era poi così sicuro che sarebbe stato in grado di vivere dove quel figlio di puttana era morto.
Magari poteva farsi aiutare da Raphael, aveva un cazzo di albergo, se non la conosceva lui la situazione immobiliare di New York non la conosceva nessuno.
Allungò la mano verso il tavolinetto cercando di prendere il telefono e quando sbloccò la schermata principale rimase come un deficiente a fissare lo schermo.
Era una foto di forse due mesi prima, ritraeva lui, Simon ed Alec. Quanto tempo era passato?
Poteva Luglio essere una vita fa?
Guardò le loro facce e si disse che al tempo, tutto ciò che era successo, non se lo sarebbe mai aspettato. Ma se tanto lo aveva fatto soffrire quella storia, tanto gli aveva dato.
Sorrise e pigiò sulla rubrica, su uno dei suoi contatti rapidi.
Due squilli e la voce alta e fastidiosa di Simon proruppe dal fono, a quanto pareva impegnato a litigare con Jace, come sempre.
Si chiese per un attimo cosa dovevano combinare quei due da adolescenti e come sarebbe stato se si fossero conosciuti da bambini. Rabbrividì e diede qualche colpo di tosse infastidito.
<< Magnus! Ehi bello, come stai? Tutto apposto? Hai- JACE TOGLITI DAL CAZZO!>>
Magnus allontanò il telefono dall'orecchio: << Che sono bello è un dato di fatto Selwin, ma grazie, questa uscita felice ti ha fatto guadagnare punti, quindi di al platinato lì presente di lasciarti in pace perché hai ragione tu, da parte mia ovvio.>>
Un suono vittorioso arrivò dall'altro lato e poi Simon si sbrigò riferire le parole di Magnus che venne prontamente mandato al diavolo. La voce di Izzy rise a quella risposta e l'uomo credette di sentire anche lo squittio divertito di Clary.
<< Cosa posso fare per te, o sommo stregone di Brooklin?>> domandò con giocosa riverenza il ragazzo.
<< Vorrei uscire e fare un po' di shopping per la nuova casa che sicuramente comprerò. Volevo chiamare Raphael ma poi mi sono detto che solo con lui rischierei di avere un esaurimento nervoso e che quindi, potevo avere un esaurimento nervoso ma divertirmi chiamando anche te.>>
Non poteva vederlo ma si immaginò perfettamente il volto allegro di Simon che annuiva.
<< Ma certo! Hai fatto la scelta giusta! È da un po che non vedo quella sottospecie di vampiro, esce mai alla luce del sole? È messicano no, non dovrebbe aver problemi di ustione. A meno che non sia tipo fotosensibile. No, aspetta, quelli sono i pannelli e sono fotovoltaici. Izzy? Si dice fotosensibile? Per le persone! No? Va beh io lo dico comunque. Cosa? Magnus vuole fare shopping- >> non terminò la frase, un urlo acuto trapassò il timpano di Magnus e fece scappare un fulmine bianco via dal solone.
Isabelle strappò il telefono di mano a Simon e gridò sovreccitata. << Ommiodio! Magnus! Ti prego, posso venire anche io? E Clary! Anzi! Veniamo tutti, tanto Jace si è comprato una jeep per compensare altre mancanze, c'entriamo tutti e pure il tuo amico sociopatico!>> Magnus si accigliò, non sapeva quanto Raphael sarebbe stato felice di quella definizione. << Oh e poi c'entra anche la tua sedia a rotelle. No, non provarci! Se vuoi stare tutto il giorno in giro non puoi stare anche in piedi, quindi portiamo anche quella, va bene? Magnifico! Ti passiamo a prendere tra un'ora e poi passiamo anche da Santiago! A dopo!>> Chiuse la conversazione senza neanche dargli il tempo di rispondere ma lo lasciò comunque con un sorriso.
Forse aveva perso un amico, forse aveva rischiato di perderne più di uno – forse aveva rischiato di perdere qualcosa di più di un amico- ma ne aveva guadagnati molti altri.
Purtroppo per lui tutti nel braccio della legge, ma erano dettagli, gli avrebbe fatto comodo un appoggio da quelle parti prima o poi.
Si lasciò sfuggire il ventesimo sospiro di quella giornata, ma a differenza degli altri questo era divertito. Magari dopo lo shopping si sarebbe potuto far portare in ospedale a far una visita ad Alec e sentire se gli avevano detto quando l'avrebbero dimesso.
Sorrise involontariamente e chiuse gli occhi.
Le cose stavano prendendo, ancora una volta, una piega del tutto inaspettata, ma incredibilmente gradita.



 

Il processo era terminato alla fine di Novembre e Magnus si era stupito della delicatezza con cui era stato trattato il tutto. Non un solo giornale aveva scoperto dell'esistenza del Diario del Circolo, nessuno aveva saputo che Valentine Morgenstern, per una vita, aveva fatto il doppio gioco. Hodge Starkwheater invece aveva patteggiato, come era ovvio che fosse. Era stato mandato in una prigione di media sicurezza con l'imposizione di non parlare. Era stato accusa di omicidio ovviamente e ci sarebbe rimasto per tutta la vita dietro a quelle sbarre, ma non avrebbe detto una sola parola sul diario a meno che non volesse rischiare di ritrovarsi nella prigione di ADX Florence.
Magnus aveva dovuto testimoniare ma non aveva avuto la minima paura di farlo, anzi, fremeva quasi all'idea di salire al banco dei testimoni dalla parte del “bene” per una volta.
Era stato interpellato prima per il caso Fell e poi per il caso Circle, occupando in entrambi posizioni abbastanza importanti seppur completamente diverse.
Anche Alexander aveva testimoniato e vederlo arrivare in aula su una sedia a rotelle, scortato da un infermiere e con ancora la bombola d'ossigeno al seguito gli aveva fatto più male del dovuto. E c'era da dire che aveva anche infiammato di più gli animi di tutti i giurati. Gli era stato concesso di non presentarsi, viste le sue ancora delicate condizioni, ma il detective si era impuntato: era pur sempre il suo caso e non si sarebbe perso il processo per niente al mondo.
Si rammaricava solo di aver ucciso Valentine e di non averlo consegnato alla giustizia come si era inizialmente ripromesso di fare.
Nessuno in quell'aula lo biasimò per questo. Molti invece stimarono la sua incredibile fiducia verso la legge nonostante fosse stato proprio uno dei suoi maggiori esponenti ad averlo ridotto in quello stato.
Prima di uscire dalla seduta, Magnus aveva intercettato il suo sguardo: vederlo sorridere impacciato ma fiducioso come lo era sempre stato, senza più quella stupida maschera a coprirgli la bocca, ma solo i tubicini al naso, gli aveva illuminato la giornata solo un po' di meno di quanto non avesse fatto l'occhiolino che gli aveva lanciato dal lato opposto della sala.
Si era ritrovato a sorridere come un deficiente. Catarina aveva scosso la testa senza speranze e Simon, che si era precipitato da lui, gli aveva chiesto cosa fosse quella faccia da ebete prima di voltarsi nella direzione giusta, scorgere Alexander che parlava con sua madre e con l'avvocato incaricato di portar avanti il caso Fell. Si era voltato di nuovo e lo aveva guardato con l'espressione di chi la sapeva lunga. In compenso non aveva aperto bocca.

Si avvicinò alla finestra del suo ufficio, spiando le decorazioni natalizie che la strada sottostante sfoggiava. Non che il suo locale fosse diversamente addobbato, per carità, ma in quel momento lo infastidivano solo. Ad essere sinceri lo infastidiva anche il buon umore della gente.
Non gli andava di parlare con nessuno, Catarina si era preoccupata che fosse per la gamba, ma ormai la sua coscia era guarita alla perfezione. La ferita era ancor visibile certo, c'avrebbe messo mesi per riassorbirsi e Magnus la stava aiutando con generose quantità di oli e creme varie per la cicatrizzazione e l'elasticità dei tessuti e tutte quelle puttanate lì, ma no, non gli faceva male, non più.
Il problema era che il caso era stato ufficialmente chiuso una settimana fa e lui non aveva praticamente sentito più nessuno. O meglio: non aveva più sentito chi gli interessa va di sentire.
Erano rimasti in contatto durante tutti quei mesi, ma tra il caso, gli appelli, le sedute in aula e la riabilitazione il massimo della loro conversazione si era svolta fuori dalle porte chiuse del tribunale. Si erano scambiati messaggi di tanto in tanto, per sapere come andavano gli esercizi, se ci fossero novità, ma la verità era che la maggior parte delle informazioni Magnus le riceveva da Simon.
Era stato lui a dirgli che, verso la prima metà d'Ottobre Max aveva dovuto dar prova della sua patente portando di corsa il fratello all'ospedale più vicino perché accusava dolori troppo simili a quelli che precedevano ogni dannato collasso che aveva avuto. Era stato Simon a dirgli che era rimasto ancora un frammento, nascosto alle lastre per colpa di una costola e che lo avevano dovuto aprire di nuovo. Simon, non Alexander.
Non era neanche infastidito, no, era di pessimo, pessimo umore. Le vacanza, il periodo natalizio, gli ricordavano che in genere le feste venivano passate in famiglia e con le persone che più si amava. Non dubitava che Lewis sarebbe piombato nel suo loft per fargli gli auguri e portargli il suo regalo, ma dubitava invece che sarebbe stato un certo bel moro a farlo.
E poi la stoccata finale: il giorno prima il detective era ufficialmente ritornato in servizio. Come era possibile? Chi era il deficiente che aveva acconsentito? Era a mala pena in grado di reggersi in piedi senza stampelle, alle volte gli mancava ancora il respiro e loro lo rimandavano in ufficio? Certo, da quello che gli avevano detto Clary e Simon, in chiamata in viva voce assieme, Alec era tornato al dipartimento con l'obbligo di non lasciare la sua scrivania, se voleva lavorare poteva solo firmare scartoffie, ma questo non cambiava che non poteva essere già in pista, non di nuovo, non così presto.
Ma quel dannato coglione di sicuro doveva aver rotto talmente tanto le palle da farsi reintegrare.
O forse si era limitato a quella sua faccia da cucciolo triste e ferito e magari la Herondale stessa si era fatta sciogliere il cuore e gli aveva proposto quel compromesso.
Non lo sapeva e neanche gli interessava, sapeva solo che gli rodeva il culo in modo indecente.
Oh, e che non voleva lavorare.
Aveva già ricevuto la visita del suo avvocato, cosa assolutamente sgradita visto che voleva discutere con lui le implicazioni della sua partecipazione al caso, ma certo era stato peggio della visita di quel tipo con le nuove proposte di alcolici attualmente in voga nella grande mela. Quello era stato piacevole quasi, salvo poi ricordarsi che non avrebbe potuto bere nulla sino a Natale e anche lì o un bicchiere di rosso o uno di champagne. Erano seri? Come poteva sopravvivere così? Neanche l'alcol!
Si massaggiò le tempie e strinse i denti quando dall'interfono collegato al bancone gli arrivò la voce del suo barista che lo informava che stava salendo al suo ufficio qualcun altro, asserendo di aver appuntamento con lui.
Del tutto inatteso come gli altri.
Masticò un imprecazione ricordandosi troppo tardi che, si, aveva appuntamento ed era con il marmista per cambiare la copertura del piano bar. Dio, si sarebbe sparato.
No, okay, sparato no. Non avrebbe più toccato una pistola in vita sua.
Decise in quel momento che avrebbe scelto il marmo più scuro, cupo e nero che poteva offrirgli. Non gli importava né se sarebbe stato il più costoso o il più scadente. Doveva essere nero come il suo umore.
Qualcuno bussò alla porta e Magnus avrebbe voluto non rispondere, ma si limitò ad appoggiare la fronte contro il vetro e mormorare un pigro “avanti”, prima di sentire la porta aprirsi e richiudersi poco dopo alle sue spalle.
<< Glielo dico subito, voglio il marmo più scuro che ha. Nero, possibilmente nero e privo di luce, la deve risucchiare la luce, deve sembrare un buco nero. Può anche non essere un marmo, non mi interessa. Ma davvero: nero. Assolutamente nero. Nero come la mia- >>

<< Come la sua anima? La prego Mr Bane, non dica certe sciocchezze, non davanti a me almeno.>>

Magnus fece un gesto vago con la mano, come a voler dire all'uomo di non parlare a vanvera e che lui non aveva la più pallida idea delle condizioni della sua anima quando si rese conto di conoscere quella voce e si congelò sul posto.
<< Direi che più che altro ne ha troppi di colori, non crede?>> insistette l'uomo.
Lui deglutì invece, incapace di muoversi ma perfettamente in grado di immaginarsi il volto del suo interlocutore in quel momento.
<< Oh, suvvia, non mi dica che l'ho lasciata senza parole. Allora avevo ragione, tutte le volte che riesco a farti star zitto è in modi che non avrei mai immaginato funzionassero.>>
A quella frase si riscosse.
Il caldo soffocante d'Agosto ritornò prepotente su di lui sciogliendolo dal freddo improvviso che lo aveva ghiacciato. Furono brividi bollenti quelli che scossero tutto il suo corpo e lo fecero voltare verso la fonte di quella voce. Ed eccolo lì: bello ed immortale come un angelo, con la sua giacca scura, la camicia bianca e la cravatta nera, un Man in Black, un super eroe sotto copertura che si poggiava con la spalla buona contro la parete, cercando sostegno che forse le sue gambe ancora non riuscivano a dargli ma che ormai non erano più così instabili da richiedere l'ausilio delle stampelle. Con quella massa di capelli arruffati dal vento, le sopracciglia folte arcate in perfetta armonia con quegli occhi blu come il cielo limpido nelle notti d'estate e in quello spazzato dal vento feroce d'inverno. Le labbra chiare piegate in un mezzo sorriso storto che era suo, suo e di nessun altro.
Si era sbagliato: il ghigno di Jace c'assomigliava, ma non sarebbe mai stato bello come quello di Alexander.
Il suo Alexander, lì in piedi davanti a lui.
Sano e salvo e così dannatamente vivo.
Magnus batté un paio di volte le palpebre in cerca di respiro, in cerca di parole. Deglutì ancora un eccesso di saliva.
<< Non mi pare che tu sia a petto nudo. Quello si che riesce a farmi stare zitto.>> si risolse a dire in fine.
Alec sorrise si staccò dalla parete con una spintarella. Magnus finse di non vederlo traballare leggermente e l'altro non parve rendersene conto.
<< Fa freddo ormai e poi lo sai che sono in grado di tenermi la maglia addosso anche con quaranta gradi alle otto di sera.>> ritorse.
Oh, stava facendo riferimento proprio a quella sera? Così? Partivano subito con i ricordi belli.
Gli piaceva, oh se gli piaceva l'idea, e a quanto pare piaceva anche al suo corpo visto come si coprì in breve tempo di pelle d'oca.
<< Vero… ma sei molto meglio senza.>>
<< Mi stai dicendo che sto male vestito?>> scherzò il moro e Magnus scosse la testa.
<< Ti sto dicendo che stai meglio senza maglietta. Ma ad essere sinceri non sei male neanche completamente nudo.>> ammiccò lui ritrovando la sua solita verve e compiacendosi del leggero rossore che aveva colorato le guance del detective.
<< Come stai?>> gli chiese a sorpresa quello.
Magnus si strinse nelle spalle. << Lo sai, sto bene. Te l'avrò detto un miliardo di volte.>>
<< Me lo hai detto per messaggio, quando potevi rifilarmi una balla e io potevo permetterti di dirmene. Ora dimmelo davvero.>> propose avanzando ancora, prima di fermarsi davanti a lui.
Lo vide aprire e chiudere la mano e seppe con certezza che avrebbe voluto toccarlo, che stava lottando contro l'istinto di alzare il braccio e posargli una carezza sul volto, o forse sistemargli un ciuffo scappato via dalla piega perfetta dei suoi capelli.
<< Sto bene Alexander.>> cominciò, ma poi non se la sentì di mentire completamente. << Fisicamente non potrebbe andare meglio.>>
Alec lo fissò con sguardo attento. << Ed emotivamente?>>
Quel grandissimo bastardo. Emotivamente, non psicologicamente, come per tutti, come per chiunque si domandasse se farsi sparare due volte a distanza di un mese scarso fosse sfiancante. No, lo stronzo aveva puntato dritto al dunque. Come sempre, come solo lui sapeva fare. E lo aveva fatto perché-

Perché mi conosce.

Si ritrovò a sorridere, una piega dolce che curvò le sue labbra verso l'alto.
<< Potrei stare meglio. Ma non è così per tutti?>> domandò retorico.
Alec annuì ma non proferì altra parola.
<< Tu come stai invece? Fisicamente ed emotivamente?>> lo incalzò allora.
<< Potrei stare meglio, ma per entrambi. Ho ancora qualche problema con il braccio, la spalla non regge gli stessi pesi che reggeva prima, ma per il dottore con la giusta riabilitazione e una grande dose di impegno potrò riacquistarne del tutto l'uso.>>
<< Il polmone?>>
<< Sono senza ossigeno. Guarito perfettamente. Dalle lastre si vede appena una linea ma essendo un tessuto molto irrorato di sangue sparirà in tempi brevi.>> gli disse come se lo avesse ripetuto mille volte, una frase di stampo medico di certo, che diceva tutto e niente.
<< Per la parte emotiva cosa mi dici? Insomma, ti hanno fatto un test psicologico prima di rimetterti in mano una pistola o sei rientrato solo perché sei il detective più sexy del dipartimento?>>
Alexander si morse il labbro e Magnus avrebbe tanto voluto farlo al posto suo.
<< Tenente...>> soffiò piano il moro. L'altro lo guardò senza capire. << Ho passato il controllo psicologico, la Signora mi ha obbligato a farne due a dirla tutta, psicologico e psichiatrico, non voleva rimandarmi al dipartimento a meno che non le dicessero che era importante per la mia psiche. Insomma, capiva come mi sentivo bloccato a casa, ma non voleva che facessi qualche cavolata...>> farfugliò ancora, evidentemente in imbarazzo e sempre più rosso in faccia.
<< Alexander? Tesoro, cosa hai detto prima?>> gli chiese lui gentile.
L'occhio gli cadde di nuovo sulle mani del giovane, così lunghe e pallide che per un attimo le rivide sporche di sangue mentre stringevano una pistola fumante. Si riscosse.
<< Che ho passato i test?>>
<< Prima ancora dolcezza.>> disse continuando a guardargli le mani.
Non vide lo sguardo ansioso del moro o se lo fece non gli diede impressione di averlo fatto.
<< Tenente.>> ripeté con più sicurezza Alec.
A quel punto gli fu impossibile non alzare lo sguardo. Alexander aveva chiuso gli occhi, forse per prendere forza e dire quell'unica parola.
<< Come?>>
<< Mi fanno Tenente. A Gennaio. Devono organizzare la cerimonia, vogliono che sia il Sindaco a darmi la gratifica o qualcosa del genere, non lo so. Vengo ora dall'ufficio della Herondale e… io… non l'ho ancora detto a nessuno. Volevo dirlo a… non lo so, sono salito in macchina e sono arrivato qui. Volevo solo dirtelo.>> strinse con forza le mani e alla fine Magnus capì che anche lui non poteva resistere ancora per molto.
<< Poi toccarmi.>> disse solo.
Alec spalancò gli occhi, quei giganteschi occhioni blu, come quelli di un cucciolo o di un cerbiatto o di un angelo. Non lo sapeva di che colore avessero gli occhi gli angeli ma era certo che se fossero stati blu non sarebbero stati neanche lontanamente belli come quelli del detective.
Rimasero a fissarsi per un attimo, poi la mano del giovane si alzò piano, tremante. Troppo tardi Magnus si rese conto che era il braccio a cui gli avevano sparato, che era il destro e che doveva star facendo una fatica notevole. Allungò la sua di mano e gli andò incontro. La strinse in una presa salda e la sostenne in tutta il suo viaggio verso la sua guancia. Lì ve la premette contro e chiuse gli occhi, assaporando quel calore che ricordava ancora così vividamente.
L'ultima volta che Alec gli aveva posato una mano sul volto era stata la notte della sparatoria.
<< Sei venuto a dirlo prima a me?>> domandò senza osare aprire gli occhi.
Sentì un fruscio e lo immaginò annuire.
<< Perché?>> chiese solo.
Attese con pazienza la risposta, godendo di quel tepore così famigliare da sembrar provenire da ricordi infantili.
<< Perché è anche, anzi, soprattutto grazie a te che ho ricevuto la promozione. Me l'hanno data per i servizi resi alla città di New York, al corpo della polizia e per lo spirito di sacrificio verso civili ed innocenti o qualcosa di simile, sinceramente non la stavo più seguendo a quel punto.>> la mano tremò e Magnus seppe che il ragazzo stava ridacchiando. Lo imitò ed aprì finalmente gli occhi.
Erano sfere verdi come le schegge del topazio, come le creste del muschio che disegnava arabeschi incantevoli sulle rocce delle foreste vergini. Screziati d'oro, che ne riempiva ogni crepa. Contornati da un anello quasi marrone, trapuntato di mille riflessi. C'era tutta la forza dirompente della natura lì dentro, tutta la vita della terra che non cercava altro che specchiarsi nella volta celeste sopra di lei.
E non era forse proprio la mitologia ad insegnare quanto fosse potente il legame che univa Gea ad Urano? Quanto la terra ricercasse il cielo, protendendo le proprie braccia, gli alberi e le montagne verso di esso, mentre l'altro provava a sfiorarla con i suoi venti e le lacrime della sua pioggia?
Non era forse verso il cielo che i vulcani eruttavano tutto il fuoco della terra ed non era forse verso di essa che i cielo scagliava i suoi fulmini?
Rimasero a fissarsi per un tempo che parve eterno ed effimero assieme. Ma lo sapevano, sapevano perfettamente che non sarebbero potuti rimanere così per sempre e alla fine Magnus si ricordò cosa gli avesse detto Catarina mesi addietro, come gli avesse ricordato che facevano parte entrambi di mondi che non potevano unirsi se non annullandosi a vicenda.
Sapeva perfettamente che anche Alec ne era cosciente e si costrinse a chiedergli ciò che più gli premeva.
<< Perché sei qui?>>
Il moro lo guardò, non riusciva a far altro, ipnotizzato di colori caleidoscopici delle sue iridi, dalla sfumatura ramata della sua pelle, la stessa calda del caramello liquido e bollente. Incantato dai lineamenti regali di quell'uomo. Oh, se suo padre era un principe dell'Inferno che aveva lasciato la sua corona al figlio, questo faceva di Magnus un principe a sua volta? O forse un re visto come era prosperato il suo impero e la sua fortuna? Alexander non ne aveva la più pallida idea, ma sapeva che era vero, Dio se non lo era, Magnus era un dannatissimo re degli inferi, pronto ad aprirgli un mondo che lui non aveva mai neanche sperato di poter vedere. Eppure, per lui, un viaggio all'inferno se lo sarebbe fatto più che volentieri.
Prese un respiro profondo.
Non poteva chiedergli di mollare tutto ciò che aveva, tutto il proprio mondo per seguirlo nel suo, non c'era modo di tirar un diavolo in paradiso così come non si poteva portare un angelo all'inferno. Ma la verità, che Alec aveva imparato a sue spese, è che fin troppe volte tra le nuvole dell'eden si nascondono angeli le cui ali sono state costruite strappandole ad altri, e che altrettante volte, tra le fiamme della dannazione ci sono diavoli pronti ad aiutarti solo perché è giusto così.
Alla fine, la verità era che non esisteva paradiso o inferno, ma che tutti loro si affrontavano su un unico terreno, un purgatorio che non guardava in faccia a nessuno.
E Alexander, sebbene non fosse una persona vanitosa o supponente, sapeva di non essere stupido e sapeva anche come aggirare il problema.
Espirò e portò la mano sinistra all'interno della sua giacca.
<< I caso Fell e anche il caso Circle sono ormai risolti, ma questa bella avventura ci ha lasciato un regalo forse indesiderato.>>
Ne estrasse un agenda nera, di pelle ruvida, consunta e vagamente vecchia. Sembrava essere passata per mille mani e a Magnus parve così famigliare…
<< L'agenda di papà?>> chiese confuso.
Alec annuì. << Qui dentro ci sono riportati i nomi di tutti i clienti, i colleghi, gli alleati, i nemici e chiunque abbia intrattenuto rapporti di ogni genere con Asmodeus. Solo che non ci sono molti particolari. L'ho studiata in questi mesi, la Signora l'ha affidata a me, credo non volesse farmi uscire del tutto di senno lasciandomi a far niente. Ho capito ben o male come sono elencati i nomi, cosa significano alcune parole e alcuni segni, ma la verità è che è una codificazione molto personale.>> lasciò la frase in sospeso, come se si aspettasse che lui la completasse.
Magnus lo guardò serio, le sopracciglia aggrottate e la fronte corrugata. Con un gesto del capo lo spronò a continuare.
<< Il fatto è che io non conosco Asmodeus. Non ho la minima idea di come pensasse o a cosa fosse più interessato e legato. Simon è già in squadra con me, passerà ufficialmente alla Omicidi, te lo ha detto, vero? Anche se gli avevano proposto di fare dei corsi e degli esami per prendere il posto di Hodge. Beh, fatto sta che abbiamo già cominciato a lavorare ma ci manca qualcosa.>>
La mano che ancora poggiava sulla sua guancia scivolò sul collo, le dita lunghe andarono a solleticargli il capelli corti dietro la nuca. Magnus rabbrividì ma non distolse lo sguardo pensieroso da quello fermo e lucido del moro.
<< Ci manca un altro punto di vista, qualcuno che sappia com'è l'ambiente e come muoversi. E poi, sai come si dice?>> gli sorrise, un sorriso che l'uomo trovò magnifico ma per nulla rassicurante, come quello che gli aveva regalato sulla soglia della cucina della casa sicura.
<< Come si dice?>> gli chiese senza rendersi conto di essersi sporto verso di lui, di avvicinarsi ogni momento di più, che gli stava andando incontro proprio come stava facendo il detective.
<< Squadra che vince non si cambia.>> disse Alec ad un soffio dalle sue labbra. << Che dice Mr Bane, le andrebbe di collaborare ancora con la polizia di New York City?>>
La mani di Magnus si posarono in automatico sui fianchi del giovane, tirandoselo contro mentre sul suo volto si apriva un ghigno divertito.
<< Non so, sarebbe sempre lei il mio agente di collegamento, Detective Lightwood?>>
<< Tenente. E no, non sarei il suo agente di collegamento.>> Magnus si ritrasse un poco, sorpreso da quelle parole, ma la mano di Alec sulla sua nuca lo costrinse a tornare verso la sua bocca.
<< In questo caso sarei il suo superiore. Accetta di diventare un consulente del Dipartimento, nello specifico assegnato alla mia squadra?>>
L'uomo si leccò le labbra, sfiorando anche quelle del moro tanto erano vicini.
<< Dio fiorellino, lo sai che amo quando tiri fuori la tua indole da dominatore e comandi tutti a bacchetta, sei davvero sexy, non so come riesca a trattenermi dallo strapparti i vestiti di dosso.>>
<< Lo prendo per un si?>> così vicini gli occhi di Alec parevano più luminosi di tutte le luci natalizie che addobbavano New York.
Senza più resistere, anche perché non ce n'era bisogno, non aveva più senso, si tuffò finalmente verso le labbra del poliziotto, annullando quella distanza irrisoria e riassaporandole dopo troppo tempo.
<< Mon Ange, per te è sempre si.>>


 


 


 

Fine.


















 

Salve!
Direi che con questa abbiamo finito, no? È una bella soddisfazione portare a termine una long, non c’è che dire.
Giunti a questo punto non posso far altro che sperare che questo racconto vi sia piaciuto, che i miei ragazzi, le loro storie, il loro mondo e le loro avventure vi abbiano coinvolto e fatto vivere un po’ di quell’emozione, di quell’ansia e quell’impazienza che ogni poliziesco dovrebbe riuscire a trasmettere.
Ringrazio chi ha seguito la storia capitolo per capitolo, chi l’ha fatto tutto assieme o a pezzi. A chi l’ha inserita tra le preferite, le ricordate e le seguite. Ed un grazie particolare anche a tuti coloro che si sono presi il disturbo di ritagliarsi un angolo di tempo per recensire.
“Una pista che scotta” finisce qui: l’assassino è stato trovato, il diario ritrovato, giustizia fatta.
Grazie ancora, lettere, e come diceva un certo Linus Caldwell, ci si rivede quando ci si rivede.

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