L'ottava Piaga

di Raptor Pardus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1 ***
Capitolo 2: *** Giorno 2 ***
Capitolo 3: *** Giorno 37 ***
Capitolo 4: *** Giorno 38 ***
Capitolo 5: *** Giorno 41 ***
Capitolo 6: *** Giorno 1041 ***



Capitolo 1
*** Giorno 1 ***


L’ottava Piaga

 
Giorno 1
 
Il sistema Verris era uno dei più infimi agglomerati planetari ai bordi della Federazione Terrestre.
Situato nella Frangia Orientale, non lontano dai confini con l’Impero, aveva poco da offrire alla razza umana, non fosse stato per due pianeti, i più interni del sistema binario, che erano incredibilmente ricchi di metalli pesanti, tanto da ricoprirsi in breve tempo di immense miniere, ognuna con i propri stabilimenti di estrazione, raffinazione, rifornimento e mantenimento, grandi complessi grandi quanto metropoli che davano lavoro ai pochi coloni che avevano deciso di abitarne le impervie superfici.
Quei due mondi-miniera, da soli, riuscivano a sostenere una grossa fetta del fabbisogno minerario della Federazione, e per questo erano ben difesi da un imponente apparato militare di stanza sul sesto pianeta del sistema, un pianeta abitabile e ospitale, ma ben lontano dalla ricchezza e dalla maestosità dei sistemi del Nucleo Interno, bersaglio durante la guerra appena terminata di continui attacchi da parte dell’Impero.
Jaco aveva visto un’intera città bruciare in pochi minuti, durante la guerra, sotto il fuoco improvviso di un solo vascello alieno, apparso dal nulla sopra le loro teste e scomparso nel giro di qualche secondo.
Non era stato nemmeno tanto tempo prima, un anno, forse due, non ricordava bene.
Le giornate in miniera ti fanno perdere facilmente la cognizione del tempo.
Il lavoro, considerata la paga, non era nemmeno così malaccio, specie perché era comunque in buona parte automatizzato, e il rancio che fornivano a mensa era più che passabile, anche se nessuno osava interrogarsi sull’effettiva composizione delle derrate provenienti da Verris VI.
Dall’alto dei suoi vent’anni scarsi aveva già smesso di chiedersi quali altri mondi nascondessero le stelle, o cosa ci fosse oltre il cielo sopra le loro teste.
Vedere le strade in fiamme ti convince facilmente a nascondere la testa sottoterra e a metterla fuori di rado.
Ecco perché era finito in miniera, insieme al resto della gioventù ribelle di Verris, un’orda di orfani, fuggiaschi e sbandati che avevano preferito scavare nel buio di una grotta piuttosto che servire su una nave da guerra in qualche sperduto angolo dell’Orlo Esterno.
A Jaco non dispiaceva essere un signor nessuno, finché poteva ritenersi al sicuro.
Certo, ritenere una miniera un luogo sicuro era un enorme azzardo, ma la galassia da qualche decennio a questa parte stava regalando scherzetti sempre più sorprendenti che ogni volta stravolgevano qualsiasi metro di paragone.
Come la sacca di gas che la sua squadra aveva appena forato.
Jaco bestemmiò sonoramente e aprì un collegamento radio con la centrale a diverse centinaia di metri sopra le loro teste.
<< Qui trivella 249, presenza di gas, dobbiamo interrompere l’estrazione. >> comunicò passando una mano guantata sulla visiera del suo casco, ripulendola della polvere sollevata dall’enorme escavatrice circolare posta contro la parete del tunnel.
<< Ricevuto 249, sigilliamo il vostro tunnel finché non rimettete tutto a posto. >> rispose il tecnico dall’altra parte dell’apparecchio.
<< Il livello di anidride solforosa continua a salire. >> comunicò un suo compagno intento a controllare il buco largo quattro metri aperto nella parete rocciosa, da cui il gas continuava a fuoriuscire.
La trivella lentamente fermò la corsa della sua ruota dentata e arretrò dolcemente, prima di spegnersi del tutto.
<< Avanti con gli aspiratori, aumentare la potenza. >> ordinò il caposquadra.
Ci volle mezz’ora abbondante per aspirare tutta l’anidride in eccesso negli appositi serbatoi, in modo da spedirla dritto verso la centrale di stoccaggio, da dove poi sarebbe stato usato per i più svariati scopi.
<< Chi vuole dare un’occhiata? >> chiese il minatore affacciato al foro aperto dalla trivella. << Abbiamo fatto un bel buco. >>
Jaco si avvicinò al compagno insieme al caposquadra, incuriosito.
Oltre la parete perforata si apriva un androne circolare ricco di minuscole concrezioni scure, così largo che di trivelle là dentro ce ne sarebbero entrate almeno quattro, forse più, tutte in fila.
L’intera sala faceva da cappello ad un pozzo poco più stretto, così profondo che non se ne vedeva la fine.
La poca luce della loro attrezzatura spariva nell’immensa gola davanti a loro, una voragine che sprofondava nel mantello del pianeta.
<< Cromite? >> chiese il quarto membro della squadra, abbandonando il suo posto di guida sulla trivella.
<< Sembra di sì. Meglio far venire un tecnico a confermare. Jaco, comunica di riaprire il tunnel e avvisa che abbiamo aperto una nuova camera. >> rispose il caposquadra.
Jaco batté le palpebre, catturato dallo spettacolo apparso davanti a lui, e tornò alla realtà, mettendo velocemente mano al retrogrado apparecchio assegnato alla sua squadra.
<< Muoviti, e dì che per oggi non possiamo continuare, dobbiamo allungare il nastro. >> concluse il caposquadra guardandolo torvo mentre maneggiava goffamente la radio.
Gli altri membri della squadra ringraziarono per la pausa pranzo anticipata e si avviarono verso l’uscita.
 
Per compensare il turno ridotto, Jaco fu spedito alle baie di attracco, dove una mano in più era sempre richiesta, per aiutare il personale lì presente.
Gli enormi hangar, dentro cui atterravano le astronavi cariche di rifornimenti e pronte a riempire le loro stive con container pieni di lingotti e trafilati, erano sempre attivi e pieni di movimento.
Fissare le enormi tettoie aprirsi sotto il cielo stellato e vedere le enormi gru a ponte passare sopra i vascelli appena attraccati era uno spettacolo interessante, anche se non così frequente come i suoi capi speravano.
In quel momento, all’interno dell’hangar 16, Jaco stava assistendo all’attracco di un cargo di grosso tonnellaggio proveniente da Verris VI, contenente le loro razioni mensili.
Non appena la nave fu agganciata alle molle d’ormeggio magnetiche e le gru a ponte furono posizionate sulle stive scoperchiate, i lavori di scarico cominciarono, lasciando che l’equipaggio di venti uomini scendesse a terra e si dirigesse con calma verso la mensa.
Dalla sua postazione, in cima ai comandi di un braccio meccanico che correva da una parte all’altra della zona container, Jaco si fermò un attimo per vedere i cosmonauti, sigillati dentro i loro scafandri spaziali, scendere lungo la banchina e uscire dall’hangar, sparendo dietro le porte delle camere di pressurizzazione.
Doveva sbrigarsi subito, se voleva raggiungerli e chiacchierare con loro, per avere notizie dall’unico pianeta civilizzato del sistema.
Sapere come se la passavano su Verris VI era sempre interessante, specie perché progettava di spendere tutti i propri risparmi su quel mondo non appena avesse ottenuto il permesso di ferie, e sapere come muoversi e dove andare era fondamentale.
Il turno passò più in fretta del previsto, lasciandogli il tempo di provare a trovare i nuovi arrivati in mensa, prima che andassero a dormire.
In realtà, sarebbero ripartiti due giorni dopo, ma Jaco non voleva sprecare neanche un attimo del tempo che poteva passare con una sua recente conoscenza, che sperava sempre di trovare a bordo di quegli enormi portacontainer.
Mensa e alloggi erano abbastanza distanti dagli hangar, oltre gli stabilimenti di raffinazione di quel complesso, oltre gli uffici amministrativi locali e oltre gli ingressi delle miniere, ma per fortuna la monorotaia collegava tutti quegli ambienti in maniera parecchio efficiente, con due stazioni per ogni ala del complesso.
I locali della mensa erano tristemente vuoti, ma lui non aveva per nulla intenzione di lasciar perdere. Gli alloggi dedicati agli equipaggi in transito erano i più vicini alla mensa, per non ostacolare una partenza improvvisa, quindi non doveva faticare molto per raggiungerli.
Chiedere quali cuccette fossero state appena assegnate non fu difficile, né raggiungere quella occupata dalla persona che cercava.
Fortunatamente, da sola.
Bussò delicatamente sulla porta, attendendo sovraeccitato una risposta.
Niente.
Bussò di nuovo, lievemente più forte.
Ancora nulla.
Jaco abbassò lo sguardo, scuro in volto.
Chissà dov’era ora.
<< Posso farmi la doccia in pace? >> chiese lei aprendo improvvisamente la porta, un cipiglio severo in volto.
Era la ragazza più bella che avesse mai visto, l’unica presenza femminile in quella miniera.
I lunghi capelli neri, tinti di azzurro neon sulle punte, le cadevano umidi sulla spalla destra, nuda, coprendo la liscia pelle bruna e ancora ricoperta di minuscole perle d’acqua.
Poco sotto la tempia rasata, dalla nuca fino al polso sinistro, scorreva tutta una serie di minuti tatuaggi neri, come una fine cesellatura sul suo corpo scolpito.
<< Ehi, Virgo… >> la salutò Jaco sorridendo, prima che il suo sguardo divenisse vacuo e il tepore dell’imbarazzo iniziasse ad avvampargli le orecchie.
La ragazza lo fissò seccata, indugiando per un secondo sulla soglia.
Indossava solo un candido asciugamano che le copriva i fianchi e la vita, lasciando scoperti, quanto bastava per far viaggiare l’immaginazione, cosce e seno.
<< Dai, entra, idiota. >> disse lei afferrandolo per il polso e tirandolo dentro la sua temporanea sistemazione.
<< Come… come è andato il viaggio? >> chiese lui farfugliante, cercando di reprimere i suoi più bassi istinti.
<< Al solito, dieci ore a fissare i soli dietro vetri polarizzati. Una noia. >> rispose lei raggiungendo il suo borsone poggiato sul letto e sfilandosi l’asciugamano di dosso.
<< Scusa se ti disturbo... >> continuò Jaco distogliendo lo sguardo imbarazzato mentre lei gli tirava l’asciugamano in faccia e si vestiva rapidamente, dandogli le spalle.
<< Nah, non ti preoccupare. >> disse lei infilandosi culottes e pantaloni, neri e aderenti, che non nascondevano minimamente nessuna delle curve del suo sinuoso e snello corpo. << Come va la vita in miniera? >>
<< Oh, il solito. Abbiamo bucato un altro camino oggi. >> rispose lui togliendosi l’asciugamano bagnato dal volto. << Che si racconta in città? >>
<< Molto, a dire la verità. C’è fermento nella capitale, qualcosa di grosso in ballo, ma non so dirti cosa. >> disse lei infilandosi un maglioncino grigio e voltandosi.
<< Non indossi…? >> chiese Jaco incuriosito, un’espressione da ebete in faccia.
<< No. >> tagliò corto lei, mordendosi impercettibilmente lo scuro e sottile labbro superiore, i grandi occhi celesti ridotti a due fessure, quasi un segno di sfida. << Dicevo, sono partiti diversi convogli militari, però non si sa il motivo, e non vogliono dirlo. >>
<< Oh, già altri problemi con l’Impero? >> disse Jaco grattandosi il naso, evitando il contatto visivo con la ragazza davanti a lui.
<< Dubito. Mi offri un caffè? >> chiese la ragazza sedendosi sul letto e indossando due bassi anfibi neri.
<< Sarebbe il numero…? >>
<< Sette. Allora, offri? >> rispose lei afferrando una corta giacchetta scura e avviandosi verso il corridoio a grandi falcate, come fosse una puledra scalpitante.
Lei aveva a malapena due anni più di lui, ed era una tipa dannatamente tosta, come aveva concordato all’unanimità la squadra di scavo di Jaco indugiando a lungo con lo sguardo sul fondoschiena della ragazza.
Lui aveva sentito il cuore accelerare come l’aveva vista per la prima volta, mentre lei attraversava il corridoio della mensa otto mesi prima, durante una delle sue soste mensili all’interno dello stabilimento minerario.
Per un breve periodo, a causa di un eccesso produttivo della miniera, le sue visite erano addirittura divenute settimanali, cosa di cui Jaco aveva approfittato per avvicinarla e iniziare a farci amicizia, riuscendoci in un tempo sorprendentemente breve, colpa anche il fatto, probabilmente, che lì in mezzo, tra tutti quei minatori rudi e gravati dal lavoro pesante, era tra i più giovani.
Virgo si era rivelata una ragazza particolarmente aperta, dal carattere deciso, a tratti anche fin troppo vivace e, soprattutto, dannatamente carina.
Per fortuna, lei non sembrava accorgersi di quanto Jaco si rincretinisse in sua presenza, o molto più probabilmente, ci passava sopra con raffinata e ben celata eleganza, forse perché in fondo non le dispiaceva avere un dispensatore gratis di caffè e alcol all’interno della struttura, o forse perché apprezzava parlare con qualcuno diverso dai soliti cosmonauti che la accompagnavano nei suoi quotidiani viaggi tra lune e pianeti.
<< Ah, il ciondolo… >> disse Virgo piegandosi rapida sul letto e afferrando una sottile collana argentata posta sopra il borsone, un minuscola u dorata, sormontata da un punto. << Mi aiuti? >>
Lei si voltò, offrendogli la nuca, e Jaco afferrò delicatamente la minuscola catenina dalle sue mani con un groppo in gola, neanche fosse una reliquia rara.
Quanto era idiota.
Chiuse il ciondolo, che lei aveva sempre indossato da quando l’aveva conosciuta, al terzo tentativo, mordendosi la lingua e strizzando gli occhi per lo sforzo.
<< Fatto, andiamo? >> concluse infine trionfante.
Lei si voltò per un attimo, sorrise maliziosa, sempre con quell’aria di sfida negli occhi, e uscì dalla stanza.
Già, era un grandissimo idiota.
<< È un sacco di tempo che mi chiedo perché lo indossi sempre. >> disse lui seguendola nel corridoio, mentre lei indossava la giacca azzurra della sua uniforme e infilava le mani nelle tasche troppo vicine al suo petto.
<< È un vecchio regalo di mio padre. Dovrebbe essere di sua madre, e prima ancora della madre di sua madre, e così via, nei secoli dei secoli… >> rispose lei guardando oltre la vetrata polarizzata il suolo roccioso e aspro del piccolo pianeta, la mente probabilmente altrove.
<< E che significa? >> incalzò lui, sperando di riuscire a strapparle qualche racconto lungo abbastanza da perdersi nelle sue parole.
<< Oh, è una lettera in un antico alfabeto terrestre. Papà diceva che serviva a ricordare le nostre origini, ma non ho mai seguito i deliri del mio vecchio. >>
<< E allora perché la indossi? Affezionata alla nonna? >> chiese lui, sperando di strapparle una risata.
<< No. >> rispose lei improvvisamente fredda, fermandosi a fissare una stella cadente che attraversava la sottile atmosfera e si spegneva in qualche cratere in mezzo al freddo deserto ferroso spazzato dai raggi solari. << Mio padre è sparito nella purga di Varus, è ciò che mi è rimasto di lui. >>
<< Ah. >> rispose Jaco, gli occhi sbarrati e la pessima sensazione di aver toccato un tasto dolente.
<< Hai espresso un desiderio? >> chiese lei riprendendo a camminare.
<< Perché? >>
<< Stella cadente. >>
<< Non l’ho vista. >>
<< Ma sei cieco. >>
Jaco guardò fuori.
Le stelle erano appena visibili nel morente cielo ocra, nascoste dalle luci dei complessi industriali.
<< Dai, ti muovi? >> lo richiamò lei, inclinando la testa e fissandolo intensamente, ferma davanti alla porta del successivo corridoio.
Jaco si morse il labbro e riprese a camminare, seguendola docilmente verso la mensa.
 
<< Quindi ti sei deciso a unirti a noi? >> chiese lei poggiando la tazza termica in acciaio sull’asettico piano metallico che usavano come tavolo.
Jaco si grattò la nuca.
<< Il contratto mi scade fra quattro mesi, ci sto pensando. È che mi trovo bene qui. >>
<< Ma scherzi? Non sei fatto per scavare sassi. Dai, non ci vuole nulla a diventare cosmonauta. >> insistette lei inspirando a fondo i fumi del caffè bollente. << I mercantili sono sicuramente meglio di questo buco. >>
<< Lo so. L’idea mi alletta, però… >>
<< Però? Non hai le palle per affrontare il cambiamento, ammettilo. >>
<< Vogliamo vedere? >> rispose lui, le orecchie in fiamme.
Era incredibile come Virgo sapesse premere i tasti giusti, riducendolo ad una maledettissima marionetta di cui reggeva i fili.
Lo faceva sentire stupido, ma non sapeva resistere.
<< Cos’è, una scommessa? Mi piacciono le scommesse. >> disse lei, strizzando di nuovo gli occhi e leccandosi quasi di nascosto il labbro superiore.
<< A me no. >> bofonchiò Jaco imbronciato, incrociando le labbra.
<< Beh, deciditi. >>concluse lei avvicinando la tazza alla bocca.
Le porte della mensa si schiusero, facendo entrare una gran moltitudine di uomini, tutti cosmonauti imbarcati sui mercantili attraccati in quella stazione, che affollarono rapidamente il locale.
Qualche minatore incuriosito seguiva la folla che si andava accalcando intorno ad un bancone, su cui l’addetto alla gestione dello spazioporto era salito e da cui stava richiamando l’attenzione di tutti i presenti.
<< Che succede? >> si chiese Virgo alzando la testa dalla sua tazza, sorpresa e incuriosita da una tale folla.
Jaco si voltò per osservare meglio la scena.
<< Signori! Signori, un attimo di attenzione! >> urlò l’ufficiale sbracciandosi finché il brusio che i presenti generavano non cessò del tutto. << È appena arrivato un comunicato importane da Verris VI, vi chiedo di mantenere la calma. Il pianeta è stato posto sotto quarantena, quindi tutti i voli in partenza sono stati cancellati. Per ragioni di sicurezza è stato inviato un contingente militare verso il nostro spazioporto, per ispezionare ogni nave attualmente attraccata. >>
<< Il perché della quarantena? >> chiese un capitano non troppo distante dal tavolo eletto a palco.
<< Epidemia, non è stato specificato altro. >> rispose l’ufficiale.
<< Non mi piace. >> mormorò Jaco.
<< Vorrei vedere. >> rispose Virgo finendo il suo caffè.
La ragazza si alzò e fissò la porta.
<< Io mi faccio un giro, vieni con me o hai da lavorare? >> chiese, infilandosi le mani in tasca.
<< No, per oggi ho finito. Ti accompagno. >> disse lui alzandosi, mentre la ressa continuava ad aumentare, colpa anche l’avvicinarsi dell’ora di cena.
Quella notte Jaco fece fatica ad addormentarsi, e passò diverse ore steso al buio a invidiare la resistenza alla caffeina di certa gente di sua conoscenza.
Di questo passo la mattina dopo in miniera ci sarebbe arrivato strisciando.

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Capitolo 2
*** Giorno 2 ***


Giorno 2
 
Il ricognitore FSS “Scellestus Primus” atterrò nella baia 27 in silenzio, nascosto dall’ombra della notte che andava cedendo il posto al cielo ocra del nuovo giorno.
Non appena i ganci magnetici ne bloccarono lo scafo all’interno dell’hangar e le pompe d’aria portarono l’ossigeno a livelli accettabili, la rampa di accesso laterale si aprì, calando fino alla spoglia banchina.
In silenzio, perfettamente inquadrati in colonna, duecento soldati discesero dalla nave marciando, gli elmi aperti sopra le teste e fucili e zaini in spalla, fermandosi in perfetto ordine sull’approdo grigio. Il capitano al comando della compagnia ordinò l’attenti, e i soldati scattarono.
Dalla nave scese un brizzolato colonnello, le braccia incrociate dietro la schiena, i passi lenti e ampi sulla rampa di metallo.
Ad accoglierlo, in piedi sulla banchina, vi era la dirigenza del complesso industriale, quattro uomini quasi tremanti di fronte a tale schieramento di forze.
<< Salve, sono il direttore Cassius, al vostro servizio. >> disse una dei quattro uomini, un signore di mezza età dalla calvizie incipiente e dalle narici arrossate, porgendo la mano al colonnello.
<< Colonnello Lyucos. >> rispose l’ufficiale stringendo energicamente la mano del direttore e quindi anche quelle dei restanti tre uomini. << Possiamo accomodarci nel vostro ufficio? >>
<< Certo, se volete seguirmi... >> disse il direttore facendo strada.
<< I miei uomini occuperanno questa baia, sarà il nostro quartier generale. Inizieremo le ispezioni non appena avremo l’elenco di tutti i vascelli attraccati. >> proseguì il colonnello incamminandosi verso i corridoi.
<< Certo, provvederò subito. Ora, se mi è permesso chiedere, potrei sapere esattamente cosa ha colpito la capitale? >> chiese il direttore.
<< Sono impossibilitato a dirvelo, signore. Sappiate solo che per il momento i suoi uomini posso continuare a lavorare, ma non garantisco che ciò possa continuare in futuro. >> rispose il colonnello con fare quasi annoiato.
<< La situazione è tanto grave? >>
<< Io non l’ho detto. >>
Il piccolo drappello sparì nella stazione di collegamento, diretto verso gli uffici, e i soldati iniziarono a preparare il loro centro operativo, pronti a entrare in azione, mentre ormai, fuori dalla baia, i due soli facevano capolino oltre l’orizzonte.
 
Jaco sbadigliò sonoramente, appannando la visiera del suo casco, tornando ad agganciare rulli di appoggio all’interno della slitta fissata a terra.
Installare nastri trasportatori era un’operazione noiosa ma necessaria per permettere il trasporto di tutti i minerali che la trivella estraeva dalla roccia.
Il camino che aveva scoperchiato il giorno prima, quello dove attualmente si trovavano, era probabilmente il più grande che il giovane minatore avesse mai visto.
Entro sera avrebbero iniziato a estrarre cromite anche da lì, deturpando quella meraviglia naturale.
Illuminati dai fari della trivella, i quattro uomini, insieme a una seconda squadra di supporto, procedevano spediti a installare un pannello dietro l’altro, giunto dopo giunto, nastro dopo nastro.
I potenti fari della trivella si affievolirono, dando qualche segno di cedimento.
<< Da quanto non fate manutenzione alla trivella? >> chiese il capo della squadra di supporto al loro.
<< Mese scorso, va che è una meraviglia. >> rispose il caposquadra.
I proiettori persero di nuovo potenza, spegnendosi del tutto.
<< Ok, passare alle torce personali, ragazzi. Jaco, butta un occhio al generatore. >> comunicò l’uomo alla radio.
<< Vado, capo. >> rispose Jaco poco entusiasta.
Farsi mezzo chilometro a piedi, al buio, con tutto quel dannato scafandro addosso, non era proprio piacevole.
<< Attenti a non cadere nel vuoto. >> comunicò il caposquadra mentre Jaco attraversava il foro nella parete, appositamente allargato, e iniziava a camminare lungo il grande corridoio scavato nel corso degli anni.
Ci mise dieci minuti a raggiungere il generatore ausiliario, piazzato in una piccola nicchia su un lato della galleria che proseguiva per almeno altri due chilometri prima di raggiungere il pozzo principale da cui si raggiungeva, tramite appositi ascensori, il cono d’ingresso dell’intero complesso.
Jaco si avvicinò al piccolo generatore, da cui si diramavano due fasci di cavi, in direzioni opposte.
Era ancora in funzione, come dimostrava il ronzio sommesso che emanava nell’aria rarefatta della galleria.
Il problema doveva essere nella trasmissione fra il loro nodo e quello centrale, il che significava che anche gli impianti di ventilazione, se non avessero risolto presto il problema, avrebbero dato forfeit.
Uno dei due fasci di cavi emetteva scintille, non troppo distante dalla nicchia, in direzione del pozzo principale.
Jaco si avvicinò cauto, cercando nel buio l’origine delle scintille.
Doveva sbrigarsi, o sarebbe dovuto tornare indietro al buio.
Il cavo di rifornimento, un cordone di rame e materiali isolanti spesso venti centimetri, era stato tranciato di netto, sguainato e lasciato lì in contatto con il troncone rimanente, che creava piccoli lampi col vicino conduttore.
Quindi erano in riserva, e la riserva stava andando sprecata.
Perfetto.
Ma cosa poteva aver fatto danni del genere, su un pianeta disabitato?
<< Capo, il cavo di rifornimento è tranciato a monte del generatore, che sta lavorando regolarmente. Lo spengo e cerco altri danni. >> comunicò alla radio, spostando col piede il cavo danneggiato, allontanandolo dal generatore.
<< Ricevuto. Cosa può essere stato? >> rispose il caposquadra.
Jaco sollevò il cavo ormai inerte e osservò il taglio.
<< Sembrerebbe un seghetto meccanico, o forse morsi. >>
<< Sabotatori o qualcuno è semplicemente un coglione? >>
<< Non so dirti, capo. >> concluse Jaco terminando la connessione e cambiando frequenza dalla piccola centralina che teneva legata alla cinta.
<< Base, qui trivella 249, sospendere erogazione energia. >>
<< Ricevuto, 249, che è successo? >>
<< Cavo tranciato. >>
<< Ma che… >>
Jaco chiuse la connessione e reimpostò la frequenza.
Si riavvicinò al generatore e alzò la leva di accensione, spegnendo così la macchina.
<< Abbiamo batterie di ricambio sulla trivella, vero? >> chiese seguendo il corso del cavo che lo riportava indietro, verso il camino.
<< Sì, ma non bastano per tutti. >> rispose il caposquadra all’altro lato dell’apparecchio.
<< Allora conviene iniziare a evacuare il tunnel, non abbiamo gli attrezzi per riuscire a riparare tutto. >> continuò Jaco, fermandosi davanti ad altre incisioni sulla guaina scura del cavo principale.
I danni sembravano molto più contenuti questa volta.
Afferrò il cavo con una mano e lo sollevò lievemente, scoprendo che era molto più pesante del previsto.
Un’ombra sgusciò fuori dal cavo, nascondendosi rapida nel buio.
Jaco lanciò un urlo e fece un passo indietro.
La cosa era sparita, strisciata chissà dove.
<< Matthaeus, c’è qualcosa. >> comunicò alla radio, guardandosi intorno, i sensi in allerta.
<< Cosa? >> rispose il caposquadra.
<< Non lo so, forse un ratto Serrykiano. >>
<< Ti mando qualcuno, vedi di ammazzare quel bastardo. >>
<< Matt, non ne sono sicuro, non vedo un cazzo qui. >>
<< Smettila di pisciarti addosso, Jaco, arriviamo. >>
Jaco si riavvicinò al cavo danneggiato, sollevandolo con cautela.
Era estremamente leggero, troppo.
La guaina cedette su un lato, spezzandosi.
Girò ciò che gli era rimasto in mano, la gola improvvisamente secca.
L’interno del cavo era stato completamente asportato, per una profondità di almeno mezzo metro.
Gettò il tubo per terra e lentamente arretrò, muovendosi verso il camino.
<< Matt, i ratti Serrykiani fanno sparire il rame? >> domandò preoccupato.
<< Jaco, smettila di intasare le frequenze, cazzo! Stiamo arrivando! >>
Qualcosa strisciò contro il suo stivale, facendolo saltare sul posto.
Jaco strillò e pestò il piede.
Nulla.
Era solo nell’immensa galleria.
Iniziò a correre in direzione dei suoi compagni, finché non prese in piena faccia il petto di Jeremus, il pilota della trivella, e finì steso al suolo.
 
<< Ti giuro che c’era qualcosa. >> ripeté Jaco per la dodicesima volta da quando era stato portato fuori dalla miniera.
<< I ratti Serrykiani non possono sopravvivere a quest’atmosfera e poi, suvvia, come ci sarebbe arrivato fin qui? Te lo sarai immaginato. >> rispose il capo tecnico di turno nella sala comandi.
<< Allora non era un ratto, però qualcosa mi ha toccato la gamba e ha tranciato i cavi elettrici. >> insistette il ragazzo massaggiandosi il polpaccio.<< Quel coso mi ha bucato uno stivale. >>
<< Come avrebbe fatto? >> chiese il tecnico, cercando di non ridergli in faccia.
<< Non lo so, ma adesso c’è un taglio sopra la caviglia. >> rispose Jaco alzando il piede.
<< Vai a riposarti, farò rapporto al direttore. Tu hai la giornata libera. >>
Jaco si alzò e uscì dalla stanza, rincuorato dal poter andare a cercare la compagnia di Virgo.
Matthaeus, Jeremus e Laester, l’ultimo minatore della squadra, fissarono il tecnico, preoccupati.
<< E adesso? Il ragazzo non può dire così tante cazzate. >> commentò il caposquadra.
<< Cerchiamo di mantenere la calma, innanzitutto. >> insistette il tecnico. << Ci sono militari nella base e potrebbero risultare interessati a quanto accaduto oggi, quindi ne devo prima parlare col direttore. La squadra di supporto tornerà laggiù a riparare il cavo, voi siete spostati alla trivella 71 in supporto alla squadra principale. >>
<< Va bene. >> rispose Matthaeus, facendo cenno agli altri di seguirlo fuori dalla stanza.
Il tecnico si massaggiò la fronte.
<< È la volta buona che fermano la produzione, me lo sento. >> disse tra sé e sé prima di alzarsi e dirigersi verso gli uffici del direttore, dove sicuramente lo attendeva una lavata di capo non da poco.
Ma qualcuno doveva pur farlo.
 
I sei minatori entrarono nella galleria 249 col fiato sospeso, illuminando il lungo e scuro corridoio con le loro deboli torce personali.
Uno degli uomini, un addetto alla sicurezza, fece scattare la pompa del proprio fucile elettrico e si guardò intorno.
<< Avanti, sbrigatevi e torniamo su. >> disse poco cordiale, iniziando a camminare nella galleria buia seguendo lo spesso cavo di rame addossato ad una parete.
Ci misero un po’ a raggiungere il generatore, costretti a muoversi a piedi a causa della mancanza di corrente là in fondo.
<< Questo dovrebbe essere il giunto. >> osservò il caposquadra indicando un punto del cavo poco distante dal troncamento. << Inserite il nuovo tratto da qui. >>
Due uomini staccarono il settore danneggiato e ne iniziarono la sostituzione.
Altri tre uomini proseguirono fino al successivo guasto, ripetendo la stessa operazione.
<< Dobbiamo finire di montare i nastri? >> chiese la guardia, desideroso di levare al più presto le tende.
<< Chiedo alla base. >> rispose il caposquadra, portando una mano alla centralina della radio. << Leo, raggiungi il camino in fondo alla galleria e controlla che materiale c’è rimasto. >>
<< Ricevuto, capo. >>
L’uomo cambiò frequenza mentre gli altri due operai si rialzavano, avendo concluso il loro lavoro.
<< Base, qui supporto. Possiamo rientrare o dobbiamo completare l’installazione del nastro? >>
> rispose il tecnico alla radio.
<< Un attimo, vi do conferma. >> rispose il caposquadra chiudendo la comunicazione. << Avete finito col cavo là in fondo? >>
<< Ci serve un altro giunto, qui c’è più casino di quello che è stato detto. >>
<< Marcus, raggiungili. Io resto al generatore. >>
L’uomo si mise una delle bobine portate là sotto in spalla e raggiunse i suoi compagni poco distanti.
<< Base, qui supporto, ancora cinque minuti. >>
<< Ricevuto. >>
I due uomini attesero in silenzio il ritorno dei loro compagni, finché la radio non gracchiò di nuovo.
<< Riparazioni ultimate. >>
<< Ricevuto. Base, vai con la corrente. >>
La radio non rispose.
<< Base? >>
<< Uscite da lì immediatamente. >> rispose dopo poco il tecnico, palesemente preoccupato.
<< Che succede? >>
<< Stanno arrivando i militari là sotto, hanno ordinato l’immediata evacuazione del tunnel. >>
<< Ok ragazzi, tutti fuori! >> ordinò il caposquadra facendo segno alla guardia di radunare gli uomini.
<< Avanti, tutti fuori, soldati in arrivo. >>
<< Siamo in strada. >> rispose un minatore, subito prima che il fascio di luce della sua torcia fendesse il buio.
Altre due torce brillarono.
<< Avanti, andiamo. Dov’è Leo? >> chiese il caposquadra quando furono tutti riuniti.
<< Non è tornato dal camino. >>
Il caposquadra guardò la guardia e mise mano alla centralina.
<< Leo, mi senti? Torna immediatamente indietro. >>
Nessuno rispose.
<< Leo? >>
Rimasero ancora senza risposta.
<< Dovremmo andare a cercarlo. >> osservò il caposquadra.
<< No. >> rispose la guardia. << Gli ordini sono di uscire immediatamente, se gli è successo qualcosa lo aiuteranno i militari. >>
<< Col cazzo che lo lascio qua sotto, probabilmente gli si è solo rotta la radio. >>
<< Troppo incidenti in questo tunnel, non mi piace. Non mi hanno mandato quaggiù per farvi da balia a caso. >> continuò la guardia.
<< E allora fai il tuo dovere! >>
La guardia fissò uno ad uno i minatori.
<< Teoricamente siamo fuori dalle mie mansioni ordinarie. >>
<< Fanculo le tue mansioni, dammi quel fucile. >> disse il caposquadra.
<< No. >>
<< Va’ al diavolo. Marcus, con me. Voi andate. >>
I due uomini sparirono, inghiottiti dal buio.
<< Oh, dannazione! Dite alla base di riattivare la corrente, io seguo quei due. >> disse la guardia, lanciandosi dietro ai due operai.
I due uomini rimasti si guardarono e fecero spallucce, voltandosi e dirigendosi verso l’uscita.
 
Jaco fissò i cento militari lentamente sprofondare sottoterra, trasportati dal vasto montacarichi che collegava la base del cono di accesso al pozzo principale.
<< Non mi piace. >> disse, poggiando i gomiti al davanzale di ferro, osservando la scena oltre il vetro.
<< A me lo dici? Hanno sequestrato la nostra nave. >> rispose Virgo, poco dietro di lui, appoggiata al muro. << Dai, andiamo a bere qualcosa. Qui mi annoio. >>
<< Torneo di freccette? >> chiese Jaco rimettendosi dritto.
<< Serio? Ci sto. >>
Il crepitio di un interfono risuonò per tutto il sito.
<< Attenzione, l’accesso alle baie di attracco è stato vietato. Tutto il personale è pregato di rimanere all’interno della zona abitativa. >>
<< Che cazzo sta succedendo? >> si chiese Virgo, inquieta.
<< Sentito? Andiamo al pub, dai. >> le disse Jaco afferrandole il braccio.
I due abbandonarono lo scavo, diretti verso il palazzo delle mense, mentre una sirena iniziava a ululare poco distante, segnalando la chiusura della miniera.
 
<< Quattro uomini dispersi. Ottimo. >> osservò il colonnello, guardando torvo il capo tecnico della sala comandi. << I suoi operai sono molto coraggiosi, vedo. >>
<< Mi scuso per l’inconveniente. >> disse il direttore, di fianco al colonnello, in maniera affettata, strofinando una contro l’altra le mani sottili e agili.
<< Abbiamo già richiamato tutti gli altri uomini, non si ripeterà nulla del genere. Certo, sapere cosa sta succedendo ci aiuterebbe nel gestire la situazione. >>
<< Speri che non debba aprire il fuoco qui dentro, direttore. >> disse il colonnello uscendo dalla sala. << O farà meglio a trovarsi un nuovo impiego. >>
 
Jaco piazzò una freccetta proprio al centro del tabellone, battendo di poco il risultato della ragazza.
<< Dannato. >> disse lei recuperando i suoi dardi.
<< Non mi batte nessuno qui. >> le rispose Jaco, gonfiando orgoglioso il petto.
Virgo prese posizione e tirò, centrando in pieno il bersaglio e facendo cadere la freccia dell’avversario.
Dal bancone, dove alcuni minatori erano intenti a bere, giunse qualche profonda risatina sommessa.
<< Fai meno il galletto. >> disse Virgo ridacchiando mentre Jaco fissava a bocca spalancata il risultato della ragazza.
<< Tutta fortuna… >> balbettò lui, andando a recuperare le sue freccette.
Una sirena iniziò a ululare.
Jaco si voltò e fissò la ragazza.
<< Questo non è il fine turno. >>
Virgo si bloccò sul posto.
<< Che cos’è? >> chiese Virgo, pesando ogni parola.
<< L’allarme. >> rispose secco il barista.
<< Ma non è la sequenza della miniera. >> osservò Jaco, fermo sul posto, i battiti in aumento.
<< I moli. >> disse uno degli avventori, alzando assorto la testa dal boccale.
Virgo scattò in direzione della porta, rapida come un felino.
Jaco si lanciò al suo inseguimento, gettando a terra le freccette che ancora teneva in mano.
<< Virgo, aspetta! >> le urlò dietro, mentre la ragazza lo distanziava sempre più, diretta verso la stazione della monorotaia.
<< Dai, muoviti! >> disse lei fermandosi ad un bivio. << Da che parte? >>
<< A destra. >> rispose Jaco ansimando, afferrandola per una spalla. << Vai più lenta, non riesco a starti dietro. >>
Lei riprese a correre, subito inseguita dal ragazzo, e si lanciò nella grande porta d’accesso della stazione della monorotaia, salendo sul primo vagone in partenza per il settore industriale.
Jaco, seduto accanto a lei, ansimava, riprendendo fiato.
<< Ci sono… ci sono. Non ho le gambe allenate. >> disse, ricomponendosi sul sedile della piccola carrozza.
Virgo stringeva il pugno, picchiettando con l’altra mano il ginocchio.
<< Virgo… >> disse lui toccandole la mano.
Lei sobbalzò, sottraendosi al contatto, come un felino spaventato.
<< Fai il minatore e non reggi una corsetta? >> disse poco dopo, rilassando il corpo e distendendo i muscoli.
Lui la fissò nei chiarissimi occhi celesti.
<< Il lavoro è meno faticoso di quanto si possa pensare, in realtà. >> rispose sgranchendosi la schiena. << Stai tranquilla, staranno combinando qualcosa i militari. >>
<< È proprio questo che mi preoccupa. >>
La carrozza entrò nella stazione successiva e frenò dolcemente, aprendo le porte.
<< È il distretto industriale. Scendiamo qui. >> disse Jaco.
<< Giusto. >> disse lei scuotendo la testa. << I militari. >>
<< Vieni, conosco un corridoio laterale per arrivare alle baie. >> continuò lui, guidandola attraverso i macchinari industriali, attraverso passerelle sospese nel vuoto e tubature roventi, attraversando magazzini pieni di container, serbatoi sigillati e silos alti quanto palazzi.
<< Dove credete di andare? >> chiese un soldato bloccando loro la strada. << Tornate immediatamente indietro. >>
Virgo piantò i piedi e fissò furente prima Jaco, poi il militare.
<< Cosa sta succedendo? >>
<< Non mi è permesso parlare, signorina. >>
Rumori di spari arrivarono alle loro orecchie.
Erano praticamente arrivati, solo due porte e una camera di decompressione li separavano dalle baie.
Il rumore di un’esplosione fece voltare il soldato che con le braccia alzate impediva loro di avanzare.
<< Sei sempre convinta di voler andare a vedere? >> chiese Jaco, sperando che l’amica rispondesse negativamente.
<< Sì. >>
Virgo provò a superare il soldato, che si girò di nuovo verso di lei e la spintonò.
<< Tornate indietro, ora! Non lo ripeterò di nuovo. >>
Altri spari, urla e versi animali giunsero dagli hangar.
<< Virgo, torniamo indietro. >> implorò Jaco.
Virgo era sempre più spaventata, ma continuava a rimanere ferma, i piedi ben saldi al suolo.
Il soldato chinò il capo, ascoltando la radio integrata nel suo elmetto, poi imbracciò il fucile e tolse la sicura.
<< Allontanatevi immediatamente, non garantisco per le vostre vite. >>
Altre urla, rumore di lamiere piegate, urla più vicine.
<< Virgo… >> ripeté Jaco.
La ragazza fece un passo indietro, cedendo finalmente terreno.
Il militare si allontanò, sparendo tra i macchinari, diretto verso l’ingresso delle baie.
<< Virgo, se gli hangar erano sigillati… >> continuò Jaco, tirando la ragazza per un braccio.
Il rumore di paratie sfondate, il gorgoglio raggelante di un lanciafiamme, squittii e versi grotteschi lo interruppero.
Virgo fece un altro passo indietro e si voltò, liberando il braccio e iniziando a correre.
<< Dicevi? >> chiese, allontanandosi dai combattimenti.
<< Dicevo che le camere di decompressione non lo sarebbero state! >> le urlò Jaco, che correva dietro di lei.
<< State cosa? >>
<< Sigillate! >>
Rumori dietro di loro, di artigli sul metallo.
Nessuno dei due osò voltarsi.
Svoltarono a destra e si infilarono in un altro corridoio più largo.
Le porte a scomparsa si chiusero dietro di loro.
Jaco si mise a macchinare con una pulsantiera, finché non riuscì a far scattare un allarme.
<< Raggiungi la monorotaia, vai! >> urlò a Virgo continuando a macchinare con la pulsantiera.
<< Muoviti, cretino! Non ti lascio indietro. >> rispose lei afferrandolo per una spalla e trascinandolo via.
Non ci misero molto ad attraversare i magazzini e arrivare alla monorotaia, finalmente al sicuro.
<< Secondo te cosa sono? >> chiese Jaco mentre il vagone si metteva in moto e tornava silenzioso e rapido verso il distretto abitativo.
<< Non lo so. Qualcosa di alieno, grosso e cattivo. >> rispose Virgo scura in volto. << Non bastava rimanere bloccati in questa cazzo di miniera… >>
<< I militari ci proteggeranno. Se la situazione peggiora… possiamo raggiungere un altro complesso, se non perdiamo gli uffici amministrativi. >>
<< E come? >> chiese Virgo, un po’ più tranquilla.
<< Nella miniera ci sono dei rover esplorativi, possiamo fare rifornimento e andarcene. >>
<< Jaco, quanti uomini ci sono qua dentro? >>
Jaco si ammutolì.
<< Troppi. >> rispose abbassando lo sguardo.
Non potevano lasciarli lì, o portarli tutti con loro.
Stava ragionando come un ragazzino.
Quando raggiunsero la prima fermata, all’altra estremità del distretto industriale, una luce rossa lampeggiò nel vagone, e la carrozza proseguì senza fermarsi.
Sicuramente c’era un nesso tra quanto accaduto nel tunnel 249 e l’incedente appena avvenuto nello spazioporto, ma cosa fosse questo nesso nessuno poteva dirlo.
Se non i militari, che però si rifiutavano di parlare e probabilmente erano stati in buona parte massacrati.
Il loro vagone sorvolò l’immensa cupola, sotto la quale si trovava l’ingresso per i tunnel, e scivolò fino alla seconda stazione, subito sopra l’ingresso della zona mineraria.
<< Scendiamo qui, abbiamo sbagliato fermata. >> disse Jaco alzandosi.
<< Perché? >> chiese Virgo seguendolo nel corridoio retrattile che collegava la carrozza alla stazione.
<< C’era un incrocio, saremmo arrivati vicinissimi agli uffici del direttore. >>
<< Non importa, la torre di comando è più vicina, no? >>
Jaco si avviò verso il corridoio rialzato che collegava il distretto minerario a quello amministrativo.
<< Hai ragione, andiamo. >>
La torre di comando, non molto distante, era in fermento.
I tecnici sembravano impazziti, correvano da un parte all’altra urlandosi ordini l’un l’altro, cercando di capire quanto fosse compromesso il distretto industriale, quanti danni avesse subito lo spazioporto e quanto era minacciata la loro centrale elettrica.
Al centro della sala, circondati dai alcuni ufficiali e da una schiera di ingegneri e addetti della sicurezza, vi erano il direttore ed un brizzolato e alto colonnello dallo sguardo gelido, quasi perfido.
L’ufficiale guardò i due giovani con disprezzo mentre gli addetti alla sicurezza bloccavano loro il passo e ordinavano loro di tornare indietro.
Qualcuno poggiò una mano sulla spalla di Jaco, che al contatto si voltò di scatto.
Matthaeus e gli altri due membri della sua squadra erano di fronte a lui, per nulla sorpresi di vederlo lì.
<< Matthaeus, cosa ci fai qui? >> chiese Jaco.
<< Ci ha convocato il direttore. Ti cercavamo da un pezzo, dov’eri? >> chiese Matthaeus avanzando e facendo segno alle guardie di farlo passare.
Gli uomini della sicurezza si fecero da parte, lasciando passare i quattro minatori, ma bloccarono Virgo prima che potesse fare un solo passo e chiusero di nuovo la catena umana, tra le aspre proteste della ragazza.
Jaco si voltò preoccupato, cercando gli occhi di lei.
<< Jaco, lascia perdere la ragazza. >> gli disse Laester, accennando insieme agli altri un mezzo inchino di fronte al direttore del complesso e al brizzolato colonnello.
<< Direttore. >> salutò Matthaeus.
Il direttore fece un cenno con la testa e guardò il colonnello.
<< Questi sono i minatori del tunnel 249, loro hanno avvistato quella creatura. >> riferì al militare.
<< Cosa avete visto? >> chiese brusco il colonnello senza neanche presentarsi.
Matthaeus, Jeremus e Laester indicarono tutti Jaco.
<< Sa tutto lui. >> dissero quasi in coro, facendosi da parte.
<< Avanti, ragazzo, parla. >> insistette l’ufficiale.
<< Oh… non ho… ok, c’era un verme grosso quanto il mio braccio, l’ho visto di sfuggita, al buio. Era dannatamente rapido e ha reciso i cavi dell’elettricità senza friggersi, ha letteralmente divorato l’interno del cavo, e… mi ha tagliato uno scarpone. >> rispose Jaco, buttando fuori tutto d’un fiato quanto aveva da dire, dopo aver trovato il giusto coraggio.
<< Ti ha ferito? >> chiese il colonnello.
<< N-no. >>
<< Sei fortunato a non aver perso un piede. >>
<< Eh? >>
<< Penso sia arrivato il momento di spiegare cosa sta succedendo, dato che a quanto pare il mio complesso è praticamente sotto assedio. >> intervenne il direttore, sottolineando la sua proprietà sullo stabilimento, le mani sui fianchi, visibilmente irritato.
Il colonello si voltò e fissò il direttore. Improvvisamente il suo sguardo rivelava una profonda stanchezza.
<< Va bene. >> disse, sbuffando. << Da dove cominciare… una razza aliena infestante sta imperversando per la Frangia Orientale. >>
Tutti rimasero in silenzio, in attesa di altre informazioni.
<< Non sappiamo esattamente da dove venga, ma presumiamo da qualche sistema esterno alla Federazione. Se le nostre osservazioni sono giuste, si nascondono nelle nostre astronavi, creano delle specie di formicai giganti, si riproducono velocemente e hanno dimostrato di possedere una dieta ben più variegata di quella umana, se capite cosa intendo.  >>
<< Verris VI? >> chiese Jaco, interrompendo il vecchio ufficiale.
<< Infestato anch’esso, secondo gli ultimi rapporti. La situazione è critica, abbiamo perso le comunicazioni con molti sistemi e temiamo che l’infestazione possa raggiungere il Nucleo Interno. >>
<< Quanto è grave la situazione qui, invece? >> chiese Matthaeus, anticipando il direttore.
<< Parecchio. >> rispose il colonnello. << Deve essere arrivata una larva a bordo di una delle vostre astronavi, nidificando in una delle baie, e temiamo che qualche spora si sia infiltrata nel vostro pozzo. Al momento però stiamo riuscendo a contenere la loro avanzata. >>
Tutti si guardarono, affranti.
Ogni via di fuga era stato loro tagliata, e comunicare con qualche altro impianto o col vicino pianeta-capitale era sicuramente inutile.
<< I miei uomini non riusciranno a difendere tutta questa gente a lungo, da soli. Direttore, ho bisogno che armi i suoi operai. >>
<< Vuole una milizia? Ho minatori, non soldati! Sarebbero carne da macello! >> sbottò il direttore, alterandosi.
<< Possiamo organizzarci, dobbiamo parlare tra di noi. >> disse Matthaeus, tranquillamente appoggiato al muro, ben più lucido. << Però… non abbiamo armi. >>
<< Dovremo arrangiarci, ci sarà modo di convertire qualche macchinario nel vostro distretto produttivo per fabbricare armi artigianali. >> rispose il colonnello.
<< Possiamo provarci… >> confermò Matthaeus. << … ma quelle bestie hanno occupato il distretto, o sbaglio? >>
<< Non tutto, grazie ai miei soldati. Creeremo un perimetro difensivo. >>
<< Siamo obbligati a farlo. >> osservò Jeremus. << O quelli arrivano alla centrale elettrica. >>
<< E significherebbe addio elettricità, addio ossigeno e addio acqua. >> disse Matthaeus, annuendo.
<< Bene allora, comunicate quanto necessario ai vostri uomini, direttore. Io devo radunare i miei. >> concluse il colonnello.
Il direttore annui, scuro in volto, e fece segno a Matthaeus e alla sua squadra di andare.
I quattro superarono di nuovo la catena di guardie e si diressero verso gli alloggi.
Virgo attendeva, visibilmente arrabbiata, all’uscita della sala di comando.
<< Devo dirti un sacco di cose. >> disse Jaco, sperando che la ragazza non lo aggredisse.
Lei annuì con la testa e fece segno di fare strada, senza dire una sola parola.

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Capitolo 3
*** Giorno 37 ***


Giorno 37
 
I soldati attendevano dietro alla barricata improvvisata che bloccava la porta, in mezzo ad una delle due larghe e brevi gallerie che collegavano il distretto produttivo a quello amministrativo.
<< Arrivano? >> chiese un minatore, stringendo tra le mani il suo improvvisato fucile mitragliatore e sbirciando nervoso oltre le casse e i barili che componevano il loro raffazzonato riparo.
<< Non ancora, saranno qui a momenti. >>
Iniziare a produrre armi si era rivelato più facile del previsto, avendo tutti quei macchinari a disposizione.
Il problema era la scarsità di materie prime, specie per la polvere da sparo, e così avevano ottenuto un impeccabile linea di sparachiodi ad aria compressa, ben lontane da essere veri fucili. I minatori in compenso si erano rivelati combattenti capaci e resistenti, e incredibilmente non erano andati troppo nel panico una volta messi al corrente della situazione.
Nonostante tutto, poteva andare peggio.
Il rumore di passi li mise in allerta.
Puntarono le armi e attesero.
Da dietro un angolo sbucarono due uomini che correndo venivano verso la loro direzione.
I sei uomini a difesa del varco si fecero da parte, lasciando che i due fuggiaschi saltassero oltre la barricata e si mettessero al riparo, permettendo loro di sigillare il portellone al termine della galleria.
<< E gli altri? >> chiese il minatore tornando al suo posto.
<< Morti. >> rispose Jaco, riprendendo fiato dopo la corsa.
L’altro uomo che era fuggito con lui, un militare, si tolse l’elmetto e fissò il suo commilitone.
<< Abbiamo perso il magazzino, c’è un varco nel perimetro. >>
<< Già noto, gli altri hanno ripiegato sulle posizioni della centrale. >>
<< Non resisteremo ancora a lungo di questo passo. >> disse Jaco, nascondendo il volto tra le mani.
<< Torniamo al comando, noi. >> continuò il soldato afferrando il ragazzo per un braccio e trascinandolo via dal fronte.
<< Non crollare, ragazzo, ci servi vigile. >> gli disse mentre camminavano nel corridoio buio.
Per risparmiare energia avevano disattivato tutti i servizi non necessari, sperando che gli alieni non tagliassero le condutture di rifornimento.
Più volte avevano dovuto respingere assalti lungo il precario fronte che erano riusciti a stabilire tra i macchinari e i forni, perdendo ogni volta molte vite.
Jaco ricordava ancora il primo scontro, con immenso orrore, quando il tremore delle loro falcate aveva annunciato il loro arrivo sugli inermi uomini a difesa dell’ingresso meridionale.
Ricordava l’essere orribile che gli si era parato davanti, un grottesco rettile alto almeno un metro, ricoperto da una spessa corazza di chitina lucida e scura, dal collo sottile e dal cranio allungato sotto la cui placca frontale trovavano posto sei minuscoli occhi neri e due file di affilatissimi denti posti su una mandibola paurosamente elastica, grondanti saliva infetta e sangue. La bestia si reggeva su due zampe artigliate, bilanciandosi con la lunga coda uncinata, terminante in un letale arpione avvelenato. Altre due paia di zampe terminavano invece in due coppie di artigli a falce, dannatamente affilati, un paio ben più sviluppato dell’altro che, quasi atrofizzato, era spesso ritirato al petto dalla creatura, per difesa.
Jaco ne aveva contati a decine, centinaia, forse anche migliaia durante i terribili scontri, e più loro diminuivano, più le creature aumentavano di numero.
Persino i soldati tremavano quando udivano gli schiocchi che quei mostri generavano con le fauci e con la lingua, o i loro gorgoglii innaturali, o anche il semplice graffiare degli artigli sul vibrante metallo del pavimento e delle pareti, quando correvano veloci e agili tra i macchinari a caccia di prede.
In branchi letali e affamati si muovevano per la struttura, cacciando con malizioso piacere gli sfortunati che perdevano la strada.
Come potevano sperare di sopravvivere contro una tale forza della natura, da soli?
Sarebbero stati spazzati via, e nessuno si sarebbe mai interrogato sulla loro scomparsa.
La disperazione serpeggiava sempre più tra gli uomini, anche se non volevano darlo a vedere.
La loro debole roccaforte era lugubre, un letamaio dove gli operai attendevano ammassati il loro turno per morire al fronte, mangiando razioni misere e dormendo uno sopra l’altro.
Come avevano potuto accettare le condizioni di Haacto Lyucos, che ora col pugno di ferro li comandava, senza niente e nessuno a ostacolarlo?
Degli altri complessi industriali sparsi sulla superficie del piccolo pianeta ancora nessuna notizia, nonostante fosse ormai un mese che provavano vanamente a contattarli.
Erano soli.
Jaco fu accompagnato in infermeria, dove controllarono il suo corpo e attesero che la sua mente si riprendesse, poi fu spedito all’ingresso della miniera, da solo, mentre il soldato che lo aveva portato fin lì era già sparito, tornato probabilmente sui suoi passi.
L’ingresso della miniera era stato fortificato ben diversamente da qualsiasi altra difesa costruita all’interno del complesso: una palizzata metallica era stata innalzata tutt’intorno al cono d’ingresso, praticandovi poi numerose feritoie e anche diverse postazioni rialzate, oltre a un cammino di ronda discontinuo e traballante. Altre due linee trincerate erano state create nella spaziosa galleria che collegava la cupola della miniera al complesso, e anche la fermata dalla monorotaia, posta sopra l’ingresso della cupola, era stata fortificata.
In realtà tutto quel dispiegamento di forze pareva eccessivo a Jaco, considerando che finora nulla era uscito dal pozzo e che tutte quelle difese sottraevano uomini e risorse alle difese della zona industriale, costantemente sotto attacco. I soldati erano scesi là subito prima che lo spazioporto cadesse, ma non avevano avuto il tempo di verificare quale tipo di minaccia si nascondesse là sotto, anche se il colonnello continuava a ripetere che una minaccia c’era, e Jaco non poteva che dargli ragione.
Mentre attendeva la fine del turno, nascosto all’interno della piccola stazione tranviaria, da dove doveva sorvegliare tutta la piana rocciosa e costellata di piatte colline e vasti avvallamenti, fu colto dal sonno, un sonno segnato dagli incubi e dall’irrequietezza.
Molte notti era rimasto sveglio, torturato dalla paura e, quando finalmente trovava un po’ di pace, la sua mente non smetteva di tormentarlo, neppure nel mondo dei sogni.
In quel momento, all’interno della sua mente, un’ombra lo inseguiva per la miniera, un demone che lo perseguitava di luogo in luogo, man mano che il sogno evolveva.
Mentre galleggiava su una immensa, piatta distesa d’acqua, attendendo che l’ombra lo afferrasse e lo trascinasse nelle profondità oceaniche annegandolo, una mano toccò la sua spalla, scuotendolo.
Strizzando gli occhi, Jaco tornò alla realtà, faticando a mettere a fuoco il volto che gli si parò davanti.
<< Ci sei? Ringrazia che ti abbia trovato io e non qualche militare. >> disse Virgo con un’occhiata di rimprovero, le braccia incrociate, il fucile a tracolla.
<< Ehi, Virgo… come va? Stai meglio? >>
<< Sì, ha smesso di sanguinare. >> disse lei sorridendo amaramente.
<< Bene. Anche tu spedita qui a passare il tempo? >>
<< A quanto pare… >> rispose, avvicinandosi alla vetrata che dava sull’esterno della cupola e appoggiandosi coi gomiti allo stretto davanzale, fissando il cielo ocra là fuori.
Sbuffò, trascinando i piedi, poi si voltò.
<< Non possiamo restare qui senza far niente, attendendo che qualcuno ci venga a salvare. >>
<< E cosa dovremmo fare? Uscire dalla porta principale? >> chiese Jaco mettendosi in piedi, la mente ancora un po’ annebbiata dal sonno.
<< No… parlavi di rover un tempo, o sbaglio? >>
<< Sì, ma li avranno fatti a pezzi per riciclarne i componenti. >>
<< Dannazione. >> sbottò Virgo sbattendo un pugno sul davanzale metallico. << Siamo condannati. >>
<< Virgo… >>
<< Ho detto che sto bene. >> rispose lei brusca.
Jaco rimase in un angolo, a fissarla, in attesa che accadesse qualcosa.
<< Hanno ucciso metà dei soldati, hanno ucciso il mio equipaggio, hanno ucciso… quante persone? >> chiese lei dopo un po’.
<< Non lo so. Il tuo capitano… non era sopravvissuto? >>
<< Si è sparato in bocca oggi. >> rispose lei mordendosi le labbra e guardando altrove, evitando gli occhi dell’amico. << E pensare che io dovevo essere lì con loro. >>
<< Non ringrazi di essere ancora viva? >> chiese lui sfrontato, cercando di stuzzicarne l’ira, come sempre aveva stupidamente fatto da quando era ragazzino.
Preferiva vederla arrabbiata che triste.
<< Dovrei ringraziare che loro siano morti? >>
Virgo scosse la testa e si tolse il fucile di dosso.
<< Sono stanca di tutto questo. >>
Jaco le si avvicinò lentamente, cercando le parole giuste.
<< Sai, credo che avrei dovuto accettare la tua offerta, un mese fa. Avrei potuto lasciare questo lavoro e andarmene con te altrove. Magari ora saremmo al sicuro… >>
<< O forse saremmo stati solo in pericolo da qualche altra parte, non è un problema solo nostro, questo. >> rispose lei, fissandolo provocatoria.
Lui sentì il cuore accelerare, pompando sangue carico d’adrenalina in circolo.
Sentiva le orecchie avvampare, e le mani gli tremavano, ma cercò di nascondere l’agitazione.
<< Non hai paura di sprecare tempo, sapendo cosa ci aspetta? >>
<< No. >>
Lui si avvicinò, cercando di rimanere lucido, eppure la testa gli diceva solo “lanciati o muori” ripetuto come un mantra, e lui sapeva che aveva ragione, perché non gli rimaneva che una sola possibilità, e perderla adesso sarebbe stato uguale a morire, nessuna differenza.
<< Virgo… >>
Ormai le era di fronte.
<< Dimmi. >> disse lei.
“Fallo” gli disse il cervello.
Jaco afferrò la testa della ragazza e si avvicinò repentino, poggiando le sue labbra su quelle di lei.
Lei non si ritrasse, ma al contrario schiuse la bocca e insinuò la lingua nella sua, ricambiando dolcemente il gesto.
Lui mantenne il contatto e, vedendo le difese dell’amata abbassarsi, si lanciò di nuovo, facendo scorrere la sua lingua verso le morbide labbra scure della donna, che ancora sostenne il bacio, e poi si scostò gentilmente.
Jaco fissò Virgo negli occhi, in quei chiari occhi dolci che trovava così belli.
Lei gli mise una mano sulla bocca, quasi una carezza.
<< Non ora. >> disse, lasciandosi scappare un riso leggero, lieve.
La mano passò dolcemente dalle labbra ai capelli castani del ragazzo, prendendo a giocare con un dito coi suoi ricci ribelli.
<< No. >> continuò Virgo, abbassando la mano e volgendo lo sguardo altrove, sottraendosi al contatto ma continuando a sorridere debolmente.
Lui rimase fermo dove l’aveva baciata, ipnotizzato dall’odore della ragazza che ancora si sentiva addosso.
<< Capita a tutti, tranquillo. >> concluse lei, recuperando la sua arma e avviandosi sulle scale di metallo che collegavano la fermata all’ingresso della cupola sotto di loro.
L’allarme risuonò per tutto il complesso, rompendo la bolla in cui i due si erano isolati.
<< Che significa? >> chiese lei tornando indietro.
<< Non lo so, ma è quello della miniera. >> rispose Jaco scuotendo la testa, risvegliandosi dalle sue fantasie erotiche.
Virgo imbracciò il suo fucile, attivando il piccolo compressore che lo alimentava.
Jaco sentì la terra tremare mentre si voltava per attivare l’interfono della stazione.
<< Guarda! >> urlò puntando il dito oltre il vetro.
Virgo si voltò, sbarrando gli occhi.
<< Che fanno? >> disse, la voce strozzata dal terrore.
Le bestie erano uscite dallo spazioporto e ora sciamavano per la superficie del pianeta, libere.
<< Come cazzo fanno a respirare? >> squittì Jaco con voce stridula, dimenticando che lo spazioporto era scollegato da un mese.
Gli alieni avevano raggiunto la cupola e si stavano lanciando sulle sue pareti, cercando di scalarle.
O forse sfondarle.
Jaco trasalì.
<< Dobbiamo andarcene di qui! >> urlò, lanciandosi verso le scale.
Rumore di spari arrivò dal corridoio, insieme al rumore di artigli sul metallo e ai sibili inquietanti di quelle creature.
<< Merda! >> si lasciò sfuggire Virgo non appena sentì le urla delle sfortunate vittime risalire le scale. <<  Sono sotto di noi! >>
Jaco scese qualche gradino e guardò in basso, verso le altre quattro rampe di scale che li separavano dalle trincee alleate.
Ombre si stavano muovendo verso di loro.
<< Sul vagone, ora! >> urlò Jaco risalendo rapidamente fino al pianerottolo.
Virgo raggiunse la consolle di comando e abbassò una leva, aprendo meccanicamente le porte dei due connettori che collegavano vagone e stazione.
Jaco si lanciò nello stretto corridoio e chiuse i portelli non appena la ragazza fu accanto a lui.
<< E ora? >> chiese lei, nascondendosi dietro le paratie del mezzo.
Jaco alzò la testa, spiando cosa stava accadendo ancora nell’edificio.
<< Virgo, guarda verso la cupola. >>
Lei si voltò, sbriciando verso l’esterno.
<< Jaco… sono entrati. >> disse, la voce scossa da un singhiozzo.
Jaco si alzò e si voltò nella sua direzione, guardando fuori.
Gli alieni avevano sfondato gli spessi pannelli metallici della cupola e si stavano riversando a frotte nei fori così creati, sparendo all’interno della miniera, calpestandosi a vicenda pur di lanciarsi nelle molteplici brecce.
Numerose come cavallette, si ammassavano alla base della struttura e ne scavavano le fondamenta, cercando sempre più percorsi per penetrarla.
Il vagone ebbe un violento scossone, e un ruggito li fece voltare, urlando spaventati.
Una di quelle bestie era là, aveva sfondato il vetro della stazione, e tentava con i suoi artigli a rasoio di rompere i vetri della cabina.
<< Portaci via di qui! >> urlò Virgo puntando il fucile contro il portellone che il mostro rischiava di sfondare.
Jaco raggiunse la consolle e azionò i comandi manuali, e il vagone iniziò lentamente a muoversi, scivolando lungo il suo binario verso gli alloggi.
Virgo abbassò l’arma e inspirò a fondo.
Jaco rimase in silenzio.
Si sentiva le mani ancora sporche di sangue, avvertiva ancora il terrore che era serpeggiato tra lui e i suoi compagni quando le creature li avevano attaccati nei magazzini, abbattendoli uno dopo l’altro.
Lui era fuggito, insieme ad altri pochi, e si era messo in salvo, mentre altri erano rimasti ed erano morti.
Era un codardo.
Arrivarono alla stazione degli alloggiamenti in silenzio, gli sguardi bassi, abbattuti.
Furono accolti da alcuni minatori di guardia lì, e furono spediti nei loro alloggi.
Si erano salvati solo perché la corrente non era stata tolta alla monorotaia, proprio in previsione di simili necessità e, ancora una volta, entrambi avevano agito da vigliacchi.
Non ci volle molto per scoprire che la cupola era caduta, e i mostri si erano riversati nel pozzo come una marea.
Qualche ora più tardi il colonnello radunò gli uomini nell’edificio della mensa e tenne un discorso.
<< Quest’oggi gli alieni hanno superato le nostre difese dell’area di immagazzinamento, e in seguito hanno lanciato un attacco sul collegamento settentrionale. >> cominciò, in piedi sopra un tavolo. << Le continue ondate nemiche hanno sfondato le nostre linee e hanno fatto breccia nella zona mineraria, attaccandola sia dall’interno del complesso che dall’esterno. >>
Il colonnello fece una pausa, valutando in silenzio la reazione della folla.
I pochi militari ancora in grado di combattere rimasero impassibili, mentre gli operai iniziarono a borbottare, irrequieti.
<< La fornitura di ossigeno alla zona di immagazzinamento è stata sospesa, mentre la zona di produzione rimane rifornita, in quanto controlliamo ancora la centrale energetica e gli stabilimenti annessi. Purtroppo, la produzione di armi è destinata a cessare, poiché mancano ormai le materie prime, e le razioni sono ormai al minimo. >>
I borbottii all’interno della sala si spensero uno dopo l’altro.
<< Perciò, miei compagni in armi, vi chiedo un immenso sacrificio: riprendiamo la miniera e sterminiamo i bastardi che ci hanno ridotto così. Sono con le spalle al muro, chiusi in una trappola che si sono creati da soli. >>
<< Ma ci servono scafandri! >> urlò un minatore.
<< Stiamo recuperando tutti gli scafandri disponibili dal distretto industriale, altri verranno recuperati quando l’anticamera della cupola sarà riconquistata. >> rispose il colonnello. << So di chiedervi molto, ma situazioni disperate richiedono scelte drastiche. >>
<< Più che drastiche, disperate. >> mormorò Virgo.
Jaco non rispose, rimanendo assorto nei suoi pensieri.
<< È inutile aspettare la morte nella speranza che qualcuno venga a salvarci, è il momento di attaccare ed estirpare questo cancro! Sono chiusi, non conoscono un terreno che voi stessi avete plasmato! Non hanno speranza, la vittoria sarà nostra! Chi è con me? >> concluse eccitato il colonnello, cercando di toccare i suoi ascoltatori nell’orgoglio.
La folla si lanciò in un boato di esultanza.
Jaco alzò la testa e rallentò il respiro che andava accelerando.
Sì, anche lui avrebbe combattuto, anche lui avrebbe finalmente fatto la sua parte.

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Capitolo 4
*** Giorno 38 ***


Giorno 38
 
Tutto era pronto per la battaglia.
Gli uomini, sigillati dentro i loro scafandri sporchi di terra scavata per anni, attendevano il segnale del colonnello, pronti ad entrare in azione sotto la guida dei soldati in testa alla truppa.
Non un passo indietro, non quel giorno.
Jaco inspirò a fondo e strinse la spalla dell’uomo davanti a lui, pronto a farsi trascinare e spingere nella mischia, nel caso le sue gambe lo avessero tradito nel momento del bisogno.
Virgo, dietro di lui, appoggiò la mano sulla sua spalla, pronta a seguirlo.
Jaco strizzò gli occhi e rifiutò di guardarsi indietro, non sapeva dire se perché si sentisse tradito o perché non voleva mostrare la paura che il suo volto vomitava copiosamente.
La voce del colonnello risuonò per tutto il distretto attraverso l’interfono, un ultimo augurio di buona fortuna seguito dall’ordine di agire.
Il portellone davanti a loro si aprì con un sibilo, sollevandosi rapido, mentre alle loro spalle, dal centro di comando, ordinavano la chiusura di qualsiasi via di fuga.
Uno dei soldati in testa alla schiera alzò un pugno alto sopra le loro teste e ordinò di avanzare, e gli uomini si lanciarono insieme, come una marea, nel corridoio deserto.
Una dopo l’altra ispezionarono tutte le stanze che li separavano dal loro obbiettivo: le vie d’accesso al distretto industriale e a quello minerario.
Raggiungere l’accesso industriale, sulla loro sinistra, fu una cosa rapida e priva di intoppi.
Forzare le porte per poter sigillare di nuovo l’area fu più difficile, ma riuscirono comunque a chiudere l’unico grande accesso che impediva loro di poter togliere l’ossigeno agli edifici ormai abbandonati. Persino il generatore, nella sicurezza che tutte le creature aliene si fossero spostate nella miniera, era stato lasciato a sé stesso e alle sue macchine automatizzate, per concentrare in quell’assalto qualsiasi uomo disponibile.
Quando giunsero davanti alla grande galleria che li avrebbe condotti alla cupola una seconda compagnia, proveniente dagli edifici della mensa, si unì a loro, pronta a procedere verso il centro.
Coi fianchi assicurati, le due compagnie raggiunsero le camere di depressurizzazione alla fine di quel tunnel e con molta fatica, ricollegando i cavi giusti e ripulendo i binari di scorrimento, riuscirono a riattivare i portelloni della galleria, bloccati dall’assalto alieno ma fortunatamente non troppo danneggiati.
Sigillato il distretto amministrativo, il comando poté finalmente pompare ossigeno nella galleria, dando modo agli uomini di ricaricare le limitate bombole dei loro scafandri e delle loro corazze.
Quando furono di nuovo pronti ripresero ad avanzare, ancora tutti aggrappati al compagno davanti a loro, i ranghi serrati, le file compatte.
Superata l’anticamera, furono finalmente nella cupola, ormai ridotta a una volta semidistrutta che a malapena si reggeva in piedi. Tutt’intorno al cono di ingresso vi erano i resti della linea di difesa, sfondata in più punti, macerie, veicoli distrutti e tanto sangue, incrostato sui muri e per terra, in pozze ormai secche e vuote.
Di cadaveri, però, nemmeno l’ombra.
Quei mostri avevano divorato qualsiasi cosa fosse commestibile, non lasciando nulla, nemmeno le carcasse dei loro simili.
Le due squadre attraversarono l’anello di cinta e raggiunsero il montacarichi industriale che li attendeva all’ingresso del cono. Assicuratisi che funzionasse ancora, iniziarono la discesa verso il pozzo, dove non sapevano in realtà cosa li attendesse.
L’oscurità li inghiottì, incurante dello loro torce, e poco a poco la temperatura iniziò ad aumentare. Il ventre della bestia pulsava, loro lo avvertivano, sentivano il lieve tremore che attraversava le pareti del pozzo.
Quando raggiunsero il primo livello di tunnel fermarono il montacarichi, ispezionando rapidamente l’anello di gallerie che si aprivano intorno a loro, completamente vuote.
Il nervosismo iniziava a pervadere gli uomini, risalendo lungo le loro spine dorsali.
Sentivano qualcosa, rumori dal fondo del pozzo, clangore di artigli che cozzano sulle corazze e urla di agonia, i rumori di un combattimento, lontani, ma nitidi, amplificati dalle pareti di roccia.
Jaco rabbrividì, sentendo le gambe improvvisamente pesanti.
Virgo, ancora dietro di lui, strinse la mano intorno alla sua spalla, fino a fargli male, facendogli stringere i denti e costringendolo a guardare avanti.
“Non un passo indietro” Si ripeté Jaco, gonfiando il petto come un mantice.
Al secondo livello ancora nulla, se non la più completa desolazione.
Ormai tutti apparivano confusi e irrequieti. Perso ormai l’impeto iniziale, si erano resi conto che qualcosa non andava.
Dopo altri tre livelli finalmente trovarono i primi cadaveri, nello stupore generale.
Possibile che le bestie avessero iniziato a uccidersi tra di loro, in mancanza di altro cibo?
No, sarebbe bastato risalire il pozzo e avrebbero trovato altra carne: loro.
L’opzione rimasta era difficile da accettare, però non poteva che essere terribilmente vera.
Qualcosa di più grosso stava uccidendo quelle creature, qualcosa che le aveva attirate in quel pozzo, forzandole a dirigere in quel punto tutti i loro assalti.
La paura ora serpeggiava tra gli uomini mentre il montacarichi continuava la sua corsa, accompagnato dai rumori del combattimento, sempre più forti, sempre più vicini, sempre più terribili.
I tremori, incostanti, si facevano più violenti, come tuoni in un temporale: le pareti vibravano e gemevano, torcendosi sotto i colpi martellanti dell’incubo che li attendeva sul fondo del pozzo, flettendosi ad ogni scossa, come agitate da un terremoto.
Più scendevano, più i cadaveri delle creature aumentavano di numero e dimensione mentre, nascosti nelle ombre, con gli sguardi assassini, potevano scorgere i sopravvissuti che come spazzini saprofagi macellavano i resti dei loro compagni e ne mangiavano le carni, ignorando palesemente la minaccia che proveniva dall’elevatore.
Uno degli esseri si voltò verso di loro, richiamato dalla luce, e li guardò intensamente coi suoi sei occhi neri, immobile, finché non aprì le fauci e iniziò a sibilare, mostrando loro la lunga e sottile lingua uncinata.
I soldati diedero l’ordine di non sparare, ma mantennero le armi puntate contro la creatura, che continuò a fissarli finché non furono spariti oltre il bordo del pozzo.
Jaco deglutì, la gola secca e dolorante, e cercò di non pensare a quanto appena visto, sperando che la sua immagine non lo tormentasse nelle notti a venire.
Se ce ne fossero state.
Più scendevano, più spazzini incontravano, ma i soldati continuavano a trattenere gli uomini, attratti dai rumori della battaglia, incuriositi da cosa avrebbero trovato sul fondo.
Una bestia alta due metri, ben più grossa e imponente delle altre, apparve dall’imboccatura di una galleria.
La sua postura era molto più eretta, la cresta chitinosa del suo cranio ben più sviluppata.
Li fissò affamato, mentre scendevano, la bava che colava dai suoi denti aguzzi, poi puntò contro di loro uno dei suoi affilati artigli e fischiò, facendo schioccare la lingua rapido, producendo un suono aspro e gutturale.
Un minatore aprì il fuoco, tra le urla dei suoi compagni, mancandolo.
Dai vari anelli che costellavano il pozzo si affasciarono migliaia di teste sibilanti, pronte a massacrarli. I soldati iniziarono a sparare, mentre le prime creature sui livelli più in alto si lanciavano nel vuoto contro di loro. Gli uomini, ammassati uno addosso all’altro, urlavano e sparavano contro le creature che cadevano loro addosso, trascinandoli in fondo al pozzo in quell’attacco sucida.
Uno dei mostri atterrò proprio in mezzo alla piattaforma, spazzando con la coda l’aria intorno a sé, spingendo gli uomini oltre il bordo dell’elevatore, infilzando col suo uncino i malcapitati che trovava a tiro. Chi veniva colpito si accasciava presto al suolo, gemendo e vomitando sangue, piegato in due dagli spasmi, schiacciato dalle zampe del mostro e dai suoi stessi compagni.
Jaco era alle spalle dell’essere, sufficientemente lontano. Il compagno davanti a lui fece un passo indietro, spingendolo verso il bordo, costringendo Virgo ad affondare nuovamente con forza le unghie nel suo scafandro, fino a spezzarsele, e spingendo per non venire lanciata giù dalla piattaforma.
Con un enorme sforzo, spinse giù l’amico e puntò l’arma oltre la spalla dell’uomo davanti a loro, prese la mira e sparò.
Il proiettile colpì la spessa corazza del mostro e rimbalzò saettando contro il casco di un altro minatore, che piegò la testa e si portò le mani alla visiera forata prima che l’alieno si voltasse e gli infilzasse il cranio con uno dei suoi quattro lunghi artigli.
Un soldato puntò la sua arma contro la testa della bestia e la crivellò di colpi, finché l’essere non si accasciò a terra guaendo e schiacciando i resti delle sue vittime.
Gli uomini, ansimando, ripresero fiato e una volta ripresisi dallo shock, non senza faticare, spinsero il pesante cadavere giù dal montacarichi.
L’attacco delle creature era terminato, per loro fortuna.
Un urlo risalì lungo il pozzo, un ruggito di dolore inumano che si spense in un lamento.
Un immenso serpente sfondò la parete del pozzo, la testa corazzata e la mascella spaccata in due, sanguinante. I sei grossi artigli in cui terminavano i suoi arti sembravano atrofizzati rispetto alle dimensioni del corpo, ricoperto di sangue e viscere, lacerato in più punti da squarci profondi e mortali.
Jaco fissò sbalordito la scena, osservando la creatura cadere nel vuoto del pozzo e venire inghiottita dall’oscurità, dalla testa alla lunga coda uncinata, sparendo nelle viscere della miniera.
Per quanto differente, quella creatura aveva troppi elementi in comune con gli alieni che avevano messo a ferro e a fuoco il complesso, ma perché avessero ucciso un loro simile, Jaco probabilmente non lo avrebbe mai scoperto.
Il montacarichi si fermò bruscamente con uno scossone che rischiò di far perdere loro l’equilibrio.
I binari dovevano essere danneggiati, o forse erano i cavi elettrici, nessuno sapeva dirlo.
Scesero dall’elevatore fermo in mezzo a due livelli e con molta fatica raggiunsero l’anello poco sopra le loro teste.
I militari dissero che dovevano raggiungere il tunnel scavato da quella creatura, tre livelli più sotto, e i minatori non se lo fecero ripetere.
Facendosi strada tra i cadaveri, avanzarono di rampa in rampa fino alla galleria.
Più volte qualche creatura tentò di assaltarli, sbucando all’improvviso dai tunnel laterali, riducendo sempre più le loro file.
Jaco deglutì di nuovo quando raggiunsero l’entrata indicata dai militari, affianco alla voragine aperta dal serpente gigante.
Il tunnel 249.
Entrarono cauti, dopo aver ridistribuito armi e munizioni, e proseguirono in silenzio, superando presto la deviazione aperta dal mostro che aveva sfondato la parete ed eliminando le possenti creature corazzate che si paravano loro davanti. Ben più robuste delle altre, ben più sulla difensiva, esse sembravano proteggere qualcosa, come animali territoriali.
Forse i militari ci avevano preso, grazie al loro addestramento erano riusciti a trovare la fonte dei loro mali, se ciò fosse stato possibile.
Jaco si guardò intorno.
In quanti erano rimasti ormai?
Meno di un centinaio.
Un tempo erano migliaia.
Quanti morti si erano lasciati dietro…
Seguendo il nastro trasportatore scomposto e distrutto, avanzarono fino in fondo alla galleria, dove li attendeva l’immenso camino. Gli apparati di ventilazione risparmiavano loro il tanfo di morte e putrefazione che doveva pervadere tutta la miniera, fortunatamente, ma l’atmosfera che li circondava era comunque lugubre, come fosse il sogno di un pazzo.
La trivella, distrutta, giaceva riversa alla fine della galleria, proprio di fronte all’ingresso del camino, illuminato debolmente dalle loro torce.
L’antro in cui entrarono era ben diverso da come lo avevano lasciato un mese prima: il baratro senza fondo che dominava il centro della sala era stato riempito di resti umani e alieni, cibo semi-digerito e liquidi corporei, che traboccavano dall’immensa vasca in cui erano stati rigettati; il fondo della sala era stato scavato, creando una sorta di abside, dove alcune creature attendevano in silenzio, quasi stessero dormendo, qualcosa che si nascondeva nell’ombra della cripta.
Gli uomini puntarono le torce, col fiato sospeso, illuminando il fondo di quella sinistra cattedrale.
Un’orribile creatura, alta forse quattro metri, giaceva addormentata al centro della cripta, ferita e ricoperta ancora del sangue e delle viscere del suo avversario, accudita dalle altre creature minori, simili in tutto e per tutto a lei.
Persino i soldati trasalirono non appena il petto della creatura si mosse, mentre essa respirava lentamente nel sonno profondo.
Altre mostruosità corazzate si voltarono contro di loro, ringhiando minacciose.
Un soldato mise mano al piccolo lanciamissili che teneva a tracolla, lentamente, evitando di fare movimenti bruschi e attirare l’attenzione delle bestie.
L’essere aprì la spessa palpebra orizzontale che copriva uno dei suoi occhi neri e fissò gli uomini dall’altro lato della pozza.
Jaco sentì il sangue gelarglisi nelle vene, e improvvisamente i piedi non risposero più ai suoi comandi.
Nessuno riusciva più a muoversi, troppo spiazzato dalla vista del padre di quei mostri che ora, sveglio, li osservava, guardandoli incuriosito come un gatto che gioca con la preda appena catturata.
L’essere ruotò su stesso e lentamente si alzò, ergendosi in tutta la sua statura, allargando le zampe anteriori e mostrando le terribili lame che pendevano dai sui arti.
Aprì la bocca, allargando la mascella elastica, e, con la lingua penzoloni, espirò.
<< Io… vi… vedo… >> gorgogliò, trascinando ogni sillaba pronunciata a fatica, quasi fossero le sue prime parole.
“Parla” si disse Jaco, poco prima che la vescica lo tradisse.
Il soldato si inginocchiò e imbracciò il lanciamissili, puntandolo contro la testa del mostro.
<< Fuori di qui! >> urlò prima di premere il grilletto.
Il missile iniziò la sua corsa in una nuvola di fumo, lanciato a velocità supersonica contro il suo bersaglio, ma l’essere si abbassò fulmineo, chiudendosi a riccio, ed evitando il colpo.
Gli uomini si diedero alla fuga disordinata mentre l’essere si rialzava e avanzava verso di loro, calandosi nella vasca di liquami fino al collo, rovesciandone il contenuto all’esterno, attraversandola a grandi falcate e calando le sue grinfie sulle inermi prede in fuga.
Jaco individuò Virgo che arretrava verso l’uscita e si lanciò nella sua direzione, gettando per terra, durante la sua corsa, qualsiasi peso inutile. Afferrò la ragazza e saltò oltre la soglia di quella sala, tornando nella galleria.
L’essere era risalito sul bordo e li stava inseguendo, schiacciando coloro che finivano sotto le sue zampe. Entrato nella galleria, avanzò verso di loro ruggendo.
<< Il… mio… nido! >> urlò l’essere con rabbia, alternando ogni parola ad un rantolio.
Alcuni si fermavano sul posto, sparando e venendo uccisi rapidamente dalla creatura e dai suoi servi, altri inciampavano e cadevano, venendo lasciati indietro, ormai spacciati.
Nel caos più totale, solo alcuni riuscirono a raggiungere il pozzo dove, tre livelli più in alto, li attendeva il montacarichi.
Jaco spense la torcia dell’elmetto e si fece guidare dai fasci di luce dei compagni sparsi intorno a lui. Virgo, avvinghiata al suo braccio, fece lo stesso, lasciando che il buio li nascondesse al loro predatore.
Mentre risalivano il secondo anello un tentacolo spuntò da una galleria e afferrò uno degli uomini più avanti, trascinandolo nell’oscurità, e poi ancora, su un’altra vittima, e ancora.
Alcuni soldati si fermarono e aprirono il fuoco sull’ingresso della galleria, illuminandola con le fiammate dei loro fucili mitragliatori.
Illuminata dai lampi, Jaco vide una grossa e goffa creatura, nell’aspetto simile ad una gigantesca tartaruga terrestre, lenta nella camminata ma incredibilmente rapida nell’usare la lunga lingua uncinata che si ritrovava come tentacolo, ingerendo intere le prede che riusciva ad afferrare, assicurandosi che non fuggissero dalla sua larga bocca con le due piccole zampe ai lati della sua testa. Il carapace dorsale era rialzato, separato dal resto del corpo, e grondava una strana mucosa di un giallo malato.
Un soldato fu afferrato e rapidamente inghiottito, ma nel breve istante che ebbe ancora riuscì ad afferrare una granata dal suo cinturone e ad attivarla.
La creatura, appena chiuse l’enorme bocca, emise uno sbuffo di fumo e si accasciò al suolo, il ventre esploso.
Jaco e Virgo superarono la carcassa e proseguirono verso la loro unica salvezza, mentre il mostro alle loro spalle si fermava e ruggiva, dando sfogo alla sua rabbia.
Finalmente raggiunsero l’elevatore, dove alcuni sopravvissuti si erano già radunati, e si calarono lungo lo sperone roccioso fino a raggiungere la piattaforma.
Attesero qualche secondo, finché nel pozzo non tornò il buio.
<< Siamo tutti? Andiamo! >> urlò un soldato, facendo segno ai minatori di mettere in moto.
Non potevano sapere quanti ne stavano lasciando indietro.
La pedana non si mosse, bloccata.
<< Qualcosa deve aver bloccato i binari! >> disse un minatore, dirigendosi verso il bordo della piattaforma e guardando di sotto.
<< Corda! >> ordinò un altro, facendo segno di sbrigarsi.
Dal fondo del pozzo sentivano le creature che stavano risalendo, sibilanti.
<< Veloci! >> urlò qualcuno, mentre il primo minatore afferrava la corda e la annodava intorno ad uno dei moschettoni dello scafandro, calandosi quindi al di sotto della piattaforma.
<< Voi… non… scappate! >> urlò il mostro nascosto nell’oscurità.
La pedana si mosse verso l’alto, e gli uomini che tenevano la corda, legata ai loro scafandri, si sentirono strattonare. A fatica issarono il loro salvatore a bordo, subito prima che questi perdesse la presa urlando, trascinato giù da uno degli alieni.
Le creature si muovevano più rapidamente di loro, lungo gli anelli del pozzo, e ogni volta che li raggiungevano si lanciavano nel vuoto pur di portare con loro qualche vittima, nonostante i continui tentativi di respingere i loro assalti da parte dei sopravvissuti.
Le munizioni iniziavano a scarseggiare ormai, batterie e ossigeno andavano esaurendosi, ma la fine del pozzo era ancora lontana.
Uno di quegli esseri si lanciò verso la piattaforma, proprio davanti a Jaco, all’esterno del gruppo, ma fece un salto troppo corto. Si aggrappò alla piattaforma, cercando di issarsi su di essa, annaspando coi suoi artigli sul piano metallico.
Jaco non ebbe il tempo di allontanarsi, prima che una delle temibili lame scorresse contro la sua gamba, recidendo il tessuto rinforzato dello scafandro.
Gemendo per il dolore, il ragazzo cadde all’indietro, afferrandosi la coscia ferita, mentre Virgo imbracciava un’arma e, insieme ad altri uomini, eliminava la creatura.
Jaco iniziò a boccheggiare, preso dal panico, sentendo l’aria venirgli meno.
Virgo si chinò su di lui e lo strinse a sé, cercando di calmarlo.
Ormai erano fuori dal pozzo, nel cono di accesso, al sicuro.
Nella cupola, ad attenderli, vi erano altri uomini armati, pronti a coprire loro la ritirata.
Il colonnello, malamente infilato in uno scafandro troppo grande per lui, la pistola in pugno, ordinò ai suoi di aiutare i feriti non appena il montacarichi si fermò alla fine della sua corsa, e i pochi sopravvissuti vennero tutti trascinati via, mentre gli uomini ancora abili a combattere si prepararono a respingere la controffensiva nemica.
Le creature sbucarono qualche secondo dopo, lanciandosi sulle difese che già una volta avevano espugnato, veloci e numerose, venendo rapidamente falciate dal fuoco delle mitragliatrici.
Presero la prima linea e ne massacrarono i difensori, mentre i sopravvissuti arretravano oltre le paratie della galleria, verso la salvezza.
Jaco avanzava zoppicando, sostenuto da Virgo, gemendo per il dolore che la ferita alla gamba gli provocava. Per ogni passo che loro due facevano le creature guadagnavo metri interi di terreno, avvicinandosi sempre più paurosamente.
I portelloni erano davanti a loro, buona parte dei superstiti li aveva già superati, protetti dal fuoco dei soldati.
Lyucos li raggiunse e afferrò Jaco, aiutandolo a camminare.
Ormai erano dentro, con le creature alle loro spalle.
Il portellone calò, sigillando il corridoio, mettendoli finalmente al sicuro, mentre dall’altra parte provenivano i tonfi e i ticchettii dei mostri che si gettavano sulle pesanti paratie d’acciaio e provavano a sfondarle coi loro artigli.
<< È finita. >> commentò il colonnello togliendosi il casco, con un tono amaro nella voce.
Tutti si liberarono il volto e inspirarono a fondo l’aria artificiale del complesso, e iniziarono a prestare i primi soccorsi ai superstiti, mentre ancora le creature picchiavano contro il metallo, nel vano tentativo di entrare.
Poco dopo, improvvisamente, smisero.
Un soldato si avvicinò ad uno dei tanti spioncini che correvano lungo la spessa lastra di metallo e guardò fuori.
<< Si ritirano. >> sbottò stupito voltandosi verso i suoi compagni. << Tornano nella miniera. >>
Jaco avvertì l’improvviso bisogno di cambiarsi i pantaloni.

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Capitolo 5
*** Giorno 41 ***


Giorno 41
 
<< È andata meglio del previsto. >> si ripeté per l’ennesima volta il direttore, grattandosi la barba ispida che ora ornava il suo mento, stravaccato su una delle tante sedie della mensa.
<< Già, meglio del previsto. Pensavo non sarebbe tornato nessuno da quel pozzo, e invece… >> replicò il colonnello Lyucos, guardando verso gli uomini seduti intorno ad un tavolo vicino, scuri in volto, sporchi e malmessi. << Invece abbiamo quasi ucciso la mente del nido. >>
<< Quasi. >> sottolineò il direttore, piegandosi in avanti e poggiando entrambi i gomiti sul tavolo.
<< Quegli uomini sarebbero morti in ogni caso, ho solo dato loro la possibilità di morire in maniera rapida e onorevole, e guarda cosa sono stati in grado di fare. >>
<< Sopravvivere? >>
<< No. >> rispose il colonnello, avvicinandosi al suo interlocutore dall’altra parte del tavolo. << Hanno distrutto la covata, se ci hanno visto giusto là in fondo. Da quanto non subiamo un attacco? >>
Il direttore guardò il colonnello, un folto sopracciglio inarcato.
<< E questo significherebbe? >>
<< Che abbiamo guadagnato un bel po’ di giorni. Quelle… cose stanno perdendo tempo prezioso a riorganizzarsi là sotto, mentre noi abbiamo ripreso la struttura. Io la considero una vittoria. >>
<< Io ho perso quasi tutti i miei operai. Mi perdoni se personalmente io la penso in maniera diversa. >> rispose acido il direttore puntando le nocche sul tavolo e alzandosi.
Lyucos guardò l’uomo uscire dalla sala, fece una smorfia di disappunto e si slacciò uno dei bottoni del doppio petto della sua uniforme.
 
Jaco attendeva su un letto nell’infermeria che succedesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Nonostante la ferita non fosse per nulla grave – un dannato graffio, nulla di più – era costretto a restare in infermeria per evitare che infezioni sconosciute potessero diffondersi tra i pochi uomini che ancora vivevano nel complesso minerario, relegato come un prigioniero in quella stanza.
Poteva pure essere che l’unico medico rimasto avesse ragione, ma ciò non toglieva che lì dentro, bloccato su un letto, si annoiava da morire.
Virgo ogni tanto veniva lì per parlare, aggirando magicamente qualsiasi controllo, di solito dopo pranzo, con in mano sempre la stessa tazza di caffè, sempre più annacquato, ma oltre quello, la cosa più eccitante che lui faceva durante tutto l’arco della sua giornata era andare al cesso.
Virgo…
Si sentiva così stupido, così cretino.
Ancora non riusciva a credere di aver potuto fare una cosa del genere.
Quasi quasi rimpiangeva di non essere rimasto a morire là sotto, sbranato dagli alieni e coi pantaloni sporchi di piscio.
Sì, sarebbe stato meglio morire.
 
Virgo aprì il piccolo stipetto nella cucina della mensa.
<< Ma porca… finito pure qui. >> sbottò prima di richiudere la credenza e abbandonare sconsolata il locale.
Niente più lussi per loro, non rimaneva quasi più nulla all’interno del complesso, se non qualche barattolo di insipido cibo sottovuoto.
Inutile era stato cercare in lungo e in largo nei magazzini del distretto industriale e dello spazioporto, le creature aliene avevano spazzolato qualsiasi cosa che riuscissero a masticare.
Forse, se i calcoli erano giusti e avevano fortuna, ne avevano ancora per una settimana.
Poi avrebbero iniziato a morire di fame, e probabilmente qualche disperato avrebbe proposto di darsi al cannibalismo, ma non sarebbe stato che un palliativo per ritardare la loro fine.
Attraversò la sala mensa per tornarsene in camera fissando i pochi superstiti rimasti sparsi intorno ad alcuni tavoli, parlottando sommessamente e guardando torvi in direzione di un altro tavolo poco distante dai loro, dove erano seduti i due uomini che stavano guidando quella disperata resistenza.
“Cazzo, sembra un barbone” pensò Virgo guardando il direttore del complesso alzarsi e abbandonare la sala prima di lei. Il colonnello rimase seduto al tavolo, lo sguardo perso nel vuoto, la giacca sbottonata, visibilmente stanco.
Virgo gli si avvicinò lentamente, lo sguardo fisso su di lui, come un gatto incuriosito da qualcosa di nuovo e sconosciuto. Non aveva mai parlato con un ufficiale.
Lui la fissò mentre lei gli si sedeva di fronte, sorpreso dalla presenza femminile.
<< Allora, che si dice? >> chiese lei, vagando con lo sguardo sul soffitto della stanza.
L’uomo rimase in silenzio, gli occhi prima spenti ora improvvisamente illuminati da un minuscolo bagliore.
<< Cos’è, mai visto una cosmonauta? >> continuò lei, poggiando gli occhi sul naso aquilino del militare.
Lui scosse la testa e si raddrizzò sulla sedia.
<< Non in una miniera. >> rispose secco, ma in qualche modo divertito.
<< Sì, brutto posto per restare rinchiusi un mese, vitto e alloggio spartani e tutti ti guardano il culo. >>
L’ufficiale ridacchiò impercettibilmente e si lisciò i folti baffi un tempo ben curati.
<< Prende la situazione abbastanza alla leggera, non crede? >>
<< Moriremo tutti, tanto vale godersi quanto resta invece di restare in un angolo a piangersi addosso. >> rispose lei facendo spallucce.
<< Non ha tutti i torti. Anche se, con un tale punto di vista, mi sorprende che nessuno abbia tentato… >>
<< Di stuprarmi? No, mi conoscono bene qui, e i suoi soldati hanno dimostrato di saperlo tenere nei pantaloni. Incredibile, non l’avrei mai detto. >>
<< Mi perdoni se le sono sembrato rude, non volevo mancarle di rispetto. >>
<< Non si preoccupi, direi che la situazione ci permette perfettamente di passarci sopra. >>
Il colonello sorrise di nuovo, lieve, prima di alzarsi e riabbottonarsi l’uniforme.
<< Devo ammettere che è stato un piacere parlare con lei, ma è meglio che ora io torni a svolgere le mie funzioni. >>
<< Che paroloni. >> concluse lei inarcando un sottile sopracciglio scuro.
Il colonnello sorrise.
<< Lei è davvero una persona bizzarra. >> le disse facendo un cenno col capo e voltandosi.
Virgo attese che uscisse dalla sala e poi si gettò contro lo schienale della sua sedia e poggiò gli scarponi ancora sporchi di fango e sangue sul tavolo.
<< Che noia. >> disse tra sé e sé.
Tolse i piedi dal tavolo, si alzò e fece un giro per la sala, osservando gli altri uomini, radunati come accoliti intorno ai loro altari, intenti a pregare in silenzio di poter vedere la pallida alba del giorno seguente.
“Speranze vane” pensò Virgo, “Preghiere inutili”.
In pochi borbottavano, svelando chissà quali segreti oscuri ai compagni, condividendo la rivelazione che dava loro speranza e coraggio.
Nulla di tutto quello aveva senso, né lo aveva mai avuto.
Vaneggiamenti di un pazzo.
“Forse Jaco ha bisogno di compagnia” si disse. “Magari pomiciamo di nuovo.”
L’idea non le dispiaceva poi così tanto, considerando che l’altra opzione era guardare il soffitto e parlare di sassi.
Cazzo, se ne aveva le tasche piene di sassi.
 
Lyucos si aggiustò l’uniforme ed entrò nella sala comando, ormai svuotata del caos quotidiano che un tempo vi regnava.
Pochi addetti ancora sedevano alle postazioni, tenendo sotto controllo i sistemi di depurazione di aria e acqua, i generatori elettrici e le telecamere di sicurezza della miniera, o almeno le poche che funzionavano ancora.
Erano ormai tre giorni che non risaliva nulla dal pozzo, eppure c’era qualcosa che aleggiava nell’aria, il senso di pericolo costante che ormai aveva impregnato le pareti di quel luogo, uno spettro che nessuno dei presenti là dentro si sarebbe mai tolto di dosso.
 Lyucos fece qualche passo avanti e raggiunse la sua postazione al centro della sala, su una poltrona rialzata.
<< Ancora nulla dal pozzo, signori? >>
<< No, colonnello. >> rispose uno degli addetti.
<< Speriamo che continui così per molto, allora. >>
Finché i pannelli fotovoltaici non iniziavano richiedere manutenzione, lì dentro c’era poco da fare, se non continuare a fissare gli schermi o ritrasmettere a intervalli regolari l’S.O.S alla radio, nella speranza che l’antenna del loro trasmettitore non si fosse danneggiata.
<< Colonnello! >> esclamò un tecnico mentre ritrasmetteva per l’ennesima volta il segnale. << La radio! Riceviamo qualcosa! >>
<< In vivavoce, ora! >> ordinò il colonnello alzandosi in piedi.
<< Qui FSS “Venator”, mi ricevete? >> esordirono gli altoparlanti.
<< Forte e chiaro, “Venator”! Parla il colonnello Haacto Lyucos, a capo dei superstiti di questa stazione. >> rispose entusiasta il colonnello.
 << Bene, colonnello Lyucos, è il capitano Leto che vi parla. Mi sa dire quanti uomini ci sono con lei? >>
<< Meno di cento, capitano, purtroppo non ho le stime precise a portata di mano, abbiamo subito drastiche perdite negli ultimi giorni. >>
<< Bene, colonnello, raduni tutti i superstiti allora, le inviamo uno shuttle per evacuarla, passo e chiudo. >> concluse il capitano prima di interrompere la trasmissione.
Il colonnello rimase per un attimo inebetito, sicuro che quanto appena successo fosse stata un’allucinazione.
Batté le palpebre ripetutamente, poi fissò i tecnici, increduli anche loro.
<< Cosa aspettate? Suonate l’allarme, tutti in sala mensa ora! E rifornite di ossigeno tutto il complesso! >>
 
Virgo entrò nella piccola stanza d’ospedale camminando sulle punte dei piedi, come una provetta ballerina.
Cosa alquanto difficile date le calzature che indossava.
Jaco sonnecchiava nel suo letto, accanto alla finestra, il volto turbato dagli incubi.
Virgo si avvicinò e ne scrutò i lineamenti delicati, i folti capelli ribelli, la pelle liscia e olivastra, gli occhi grandi, vagamente a mandorla.
Il viso di un ragazzo di città, non quello di un temprato minatore.
Lui non meritava di trovarsi lì, nessuno lo meritava, ma la galassia si era dimostrata crudele più e più volte.
Aveva forse approfittato troppo di quel ragazzo?
No, aveva solo provato a portarlo via di lì, lui aveva malamente frainteso.
Sul serio voleva baciarlo di nuovo?
Probabilmente no.
Chinò il viso sul suo orecchio.
<< Jaco… >> sussurrò giocosa.
Lui spalancò gli occhi e afferrò fulmineo il polso della ragazza.
<< Sono qui! >> esclamò terrorizzato, facendo sparire il sorriso dal volto di lei.
L’allarme risuonò per tutto il complesso, richiamando la loro attenzione.
L’interfono si attivò, comunicando a tutti gli uomini, feriti compresi, di abbandonare le proprie postazioni e raggiungere la sala mensa.
<< Ho bisogno di una stampella. >> disse Jaco, spostando le lenzuola e mettendosi seduto sul letto.
Virgo fissò la sua gamba fasciata, nuda.
Sembrava gonfia.
<< Vieni con me, ti aiuto io. >> gli disse lei, infilando la testa sotto il suo braccio.
Insieme raggiunsero la mensa, dove il colonnello e il direttore li attendevano, fecero la conta e si assicurarono che fossero tutti presenti.
Il colonnello comunicò che stavano per essere tutti salvati, notizia che venne accolta con fragorose urla di gioia, e che avrebbero dovuto tutti trovare ognuno una tuta sigillata per poter entrare nello spazioporto. Gli uomini indossarono gli scafandri risparmiati dalla battaglia e le armature dei soldati ancora integre e subito si diressero verso lo spazioporto, attraversando tutto il distretto industriale.
Per ragioni che sia a Jaco sia a Virgo sfuggirono, il colonnello aveva ordinato di far tornare il centro in piena funzione, addirittura mandando in sovraccarico i filtri per l’ossigeno.
Lo spettacolo che trovarono negli hangar fu desolante.
Tutte le navi attraccate erano state danneggiate da esplosioni, le attrezzature erano andate completamente distrutte, gli stessi tetti erano stati in parte divelti, in parte erano crollati sulle baie sottostanti.
<< Ma hanno sparato dei razzi qui dentro? >> chiese Jaco a Virgo, senza ottenere risposta.
Nel cielo stellato videro brillare i reattori di un trasporto pesante militare, in discesa rapida verso di loro, mentre le pareti della struttura iniziavano a vibrare.
Ma non erano i motori del velivolo.
Presto l’aria fu invasa dai sibili e dal rumore degli artigli sul metallo.
Le creature aliene erano dietro di loro, ancora distanti, di nuovo libere.
<< Alla baia 16, muoversi! >> ordinò il colonnello, in testa al gruppo.
Raggiunsero l’hangar vuoto e attesero, mentre un operaio raggiungeva la sala di comando e apriva le paratie per far entrare il mezzo in sicurezza.
Dovevano essere dannatamente veloci.
Quando il VTOL atterrò fu accolto da un applauso scrociante, e così furono accolti i militari che scesero dal portellone posteriore una volta che esso fu abbassato.
I superstiti salirono rapidamente a bordo, dove li attendeva una squadra medica e un uomo di mezza età, le spalle larghe e il volto squadrato, con indosso l’uniforme senatoriale e un respiratore a coprire naso e bocca.
<< Il colonnello Lyucos? >> domandò il politico ai superstiti mentre il portellone si richiudeva e il VTOL riprendeva il volo.
<< Sono io. >> disse il colonnello facendosi avanti.
<< Lei è fortunato, signore. Solo altre tre strutture hanno dato segni di vita su questo pianeta. >>
<< Non è stata solo questione di fortuna. >> rispose il colonnello, guardando con fare interrogativo il volto dell’uomo.
<< Oh, colonnello, ma la fortuna non è ancora finita, le voglio fare una proposta… >> proseguì il senatore, togliendosi di dosso il respiratore.
<< Non ora, devo parlare col capitano Leto. >> disse il colonnello sfilandosi di dosso il casco e dirigendosi verso la cabina di pilotaggio.
L’uomo lo fissò allontanarsi, poi estrasse da sotto la giacca un orologio da taschino.
<< Oh, va bene. C’è tempo, tanto. >> commentò, seguendolo.
Jaco si tolse il casco e guardò Virgo, che stava sciogliendosi i capelli, finalmente rilassata come non la vedeva da un mese.
<< È finita, vero? >> chiese, quasi in un sussurro.
<< Non ancora, temo. Però basta pensarci. >> rispose lei.
<< Non sappiamo nemmeno cosa sono, o da dove vengono. E guarda… >>
<< Sai, ho proprio voglia di cioccolata, ma non quella roba sintetica che producono nell’Orlo Esterno, quella vera che circola nel Nucleo. Tu hai mai mangiato cioccolata? >> lo interruppe Virgo.
Dietro di loro, a terra, la creatura guardò il cielo furente, sibilando per un ultima volta verso le sue prede, circondata dai suoi guerrieri che ormai sciamavano per tutta la base.
Guardò il velivolo umano sparire nel cielo, poi puntò i suoi sei occhi neri ancora più in alto, sopra la sua testa.
Poteva avvertirlo, il corpo in caduta libera su di loro, portava morte.
Ordinò di tornare sottoterra, alla tana, pur sapendo che il tempo era poco.
Poi la bomba toccò terra ed esplose, radendo al suolo l’intero complesso e vaporizzando qualsiasi cellula all’interno dell’immensa sfera di fuoco che generò.

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Capitolo 6
*** Giorno 1041 ***


Giorno 1041
 
Il pesante velivolo atterrò sulla distesa priva di vita, librandosi a pochi centimetri dal suolo grazie ai suoi due reattori posteriori.
La squadra di fanteria scese dal mezzo e si schierò intorno ad esso, in attesa che i droni esplorassero completamente la zona mentre altri trasporti atterravano intorno a loro, ricoprendo la piana di mezzi e fanti.
<< Il bombardamento orbitale ha avuto pieno successo. >> affermò in Khorsiano il capitano Imperiale al suo comunicatore. << Procediamo a ripulire i nidi. >>
I fanti avanzarono serrati, un’immensa linea lunga quanto tutta quella che un tempo doveva essere una florida pianura e invece ora era una distesa deserta, sterile, morta.
Ad una estremità di quella landa potevano vedere i resti di una città umana, un piccolo agglomerato di gusci vuoti e spezzati.
Uno dei droni mandati in avanscoperta inviò un segnale di pericolo, preannunciando l’assalto nemico.
<< Locuste, davanti a noi, avanzano numerose. >> comunicò il capitano alla sua unità, che prese posizione e rimase in attesa del contatto visivo, mentre il terreno iniziava a vibrare, in un rapido crescendo.
<< Ricordate, mirate prima ai centurioni, i gregari sono una minaccia secondaria. >> disse sempre in Khorsiano un delegato dell’Unione scendendo dal trasporto, alto nel suo carapace immacolato, l’elmo crestato e privo di occhi.
<< Torni nel veicolo, i suoi consigli non ci servono. >> gli rispose scontroso l’ufficiale Imperiale.
<< Suvvia, sono sicuro che questa nostra alleanza possa evolvere in qualcosa di costruttivo, se solo voi lo permetteste. >> continuò il Volosiano con fare mellifluo, avvicinandosi all’alleato.
Il Khorsiano aprì la celata dell’elmo e staccò un elettrovisore dalla sua cintura.
<< Arrivano, tenersi pronti! >> sbraitò.
Le Locuste apparvero all’orizzonte, dietro alcune basse e brulle colline solitarie.
<< Centomila unità almeno, rilevati diversi ductor. Inviare esoscheletri! >> continuò l’Imperiale, mentre i soldati si preparavano a resistere all’urto.
L’artiglieria iniziò a sparare, macellando le bestie nelle prime linee, presto calpestate dalla compagne dietro di loro.
<< Il loro nido non deve essere molto lontano se ci attaccano così numerose e così dirette. >> osservò il Volosiano.
Il capitano abbassò l’elettrovisore e alzò un braccio, indicando i resti della città.
<< Lì dentro, quartieri meridionali, proprio davanti a noi. >>
<< Ah, avete già un piano per abbattere il loro rex? >>
<< Ovviamente, noi siamo solo un diversivo. >>
Il Volosiano guardò il cielo sopra la cittadina, notando a malapena le scie luminose che scendevano veloci verso i palazzi distrutti.
<< Esoscheletri, vero? >>
<< Già. >>
Le Locuste erano ormai a portata.
<< Aprire il fuoco! >> ordinò il capitano.
Un pioggia di plasma piovve sui piccoli gregari e sui loro centurioni, vomitato da migliaia di fucili e cannoni, e subito si consumò il massacro.
 
L’esoscheletro d’assalto atterrò pesantemente in mezzo all’androne di un palazzo di tre piani, sfondando un soffitto dopo l’altro.
<< Fate attenzione ai pretoriani e avvisate se individuate gli auctor. >> comunicò il suo pilota al resto della squadra.
<< Ricevuto, khorsik. Siamo dietro di te. >> rispose la radio.
Ruotò la piccola testa del suo esoscheletro fino a farle fare un giro completo, scansionando l’intera stanza.
Zona libera.
Abbatté un altro muro e ripeté l’operazione, cercando il suo bersaglio, da qualche parte davanti a lui.
<< Khorsik, ho trovato la covata. >> comunicò un suo sottoposto alla radio.
<< Convergiamo sulla tua posizione. >> rispose il pilota azionando i reattori dorsali dell’esoscheletro e uscendo dall’edificio con un lungo balzo.
Attraversò la strada planando e atterrò alla base di un alto grattacielo ormai distrutto e crollato su sé stesso.
Tre gregari gli vennero incontro, correndo sulle loro sottili zampe, i due lunghi artigli alti sopra le teste deformi.
Spostò la mano destra sulla cloche sferica e la sua armatura alzò immediatamente un braccio, puntando automaticamente contro la creatura più vicina. Una leggera pressione e il suo getta-plasma a fusione infiammò l’aria davanti a lui, avvolgendo nel fuoco i due mostri, che crollarono al suolo squittendo e crepitando. Il terzo e ultimo gregario saltò in alto, superando indenne le fiamme e lanciandosi verso il suo braccio meccanico.
In un attimo lui ruotò il torso e alzò il braccio sinistro, mollando un pugno in pieno volto alla creatura in volo, che si schiantò a terra, davanti ai suoi piedi. Alzò una gamba meccanica e schiacciò l’orrendo essere, ponendo fine alla sua breve vita.
Carne da macello, nient’altro, ecco cosa erano i gregari, carne da macello spinta avanti dai centurioni, i loro fratelli maggiori, per espandere il dominio del loro signore, il rex, l’essere che dominava quel branco, un orrendo mostro subdolo, maligno e dannatamente intelligente.
L’unico essere che competeva in quanto a intelligenza e malvagità con una tale mostruosità era il solitario venator, un mastodontico verme che nessuno avrebbe mai voluto incontrare.
Il Khorsiano sfondò il muro davanti a lui e penetrò nel grattacielo, dirigendosi rumorosamente verso il seminterrato buio.
Dove avrebbe dovuto trovare il vano di corsa dei grandi ascensori che attraversavano tutto il palazzo scoprì invece una larga voragine, profonda chissà quanto, sul cui bordo lo attendevano altri tre suoi compagni, sigillati all’interno delle loro corazze meccaniche.
<< Andiamo, khorsik? >> arrivò alla sua radio.
<< Affermativo. >> rispose l’alieno saltando all’interno del pozzo.
Atterrò alcune centinaia di metri più in basso, rallentando la caduta coi suoi propulsori, e attivò i sensori notturni, guardandosi rapidamente intorno.
<< Pretoriani! >> avvertì, mentre il visore termico mostrava un ingente numero di fonti di calore non troppo lontane, proprio sulla loro strada.
I mostri corazzati il caricarono muggendo, sicuri della protezione dell’oscurità.
Le loro mitragliatrici dimostrarono che si sbagliavano.
<< Khorsik, è una mia impressione o questi esseri stanno diventando più resistenti? >> chiese uno dei suoi soldati respingendo con un pugno una di quelle creature e crivellandola di proiettili.
<< Inspessiscono le loro corazze, si adeguano alle nostre armi. >> osservò il comandante. << Non sono per niente stupide. Andiamo, il rex non è lontano. >>
Un tentacolo volò rapido verso di loro, afferrando la testa di uno degli esoscheletri e staccandola di netto.
<< Auctor! >> urlò il comandante, attivando la gondola di missili agganciata alla spalla della sua armatura e sparando contro l’oscurità.
<< Non vedo più niente! >>
<< Khorsik, dietro di noi! >>
Un altro tentacolo volò contro di loro, afferrando il braccio destra della sua corazza, tirando per staccarlo.
Il Khorsiano puntò i piedi e tirò verso di sé, resistendo all’attacco.
<< Per l’Impero! >> urlò, mentre gli enormi quadrupedi che li avevano attaccati uscivano dall’oscurità e sollevavano il carapace, espellendo dalle loro schiene centinaia di bozzoli viscidi.
Altri pretoriani si lanciarono contro di loro, protetti dalle lingue uncinate dei compagni più grandi.
I bozzoli si schiusero, liberando orribili larve vermiformi che zampettando sui loro minuscoli artigli, scalarono gli esoscheletri da guerra Imperiali e iniziarono a roderne le corazze lucide con gli affilatissimi denti, accecando i piloti ormai alla mercé del travolgente nemico.
 
L’enorme ductor arretrò, circondato dai fanti Imperiali, ruggendo feroce contro i suoi cacciatori e schiantando uno dei suoi possenti artigli sullo scafo di un trasporto che cadde pesantemente al suolo.
Un carro poco distante fece fuoco, aprendo uno squarcio di venti centimetri di diametro nel petto della creatura, che si alzò in tutta la sua statura e portò i quattro arti anteriori al petto, vacillando per poi cadere all’indietro e schiantarsi al suolo.
<< Notizie dei suoi soldati in città? >> chiese il delegato Volosiano scendendo dal trasporto sul quale si trovava e avvicinandosi al cadavere del mostro.
<< No, ma ho inviato rinforzi. >> rispose il capitano Khorsiano, subito dietro di lui.
<< Devo forse far intervenire i miei militari? >> continuò il Volosiano, chinandosi a guardare meglio la testa della bestia.
<< No, possiamo benissimo gestire da soli la situazione. >> sbottò burbero il capitano schiacciando la zampa recisa di un gregario sotto il piede ungulato. << Il sistema Verris può considerarsi disinfestato, ormai. >>
<< Non canti vittoria troppo presto, maut khorosh. >> disse il Volosiano alzandosi. << Ci sono due pianeti minerari che non abbiamo ancora controllato. >>
<< Pianeti inospitali. Se la Piaga li ha raggiunti, si sarà estinta da sola per mancanza di cibo. La Federazione Terrestre può già tornare a riprenderseli. >> osservò il Khorsiano incrociando le braccia.
<< Mi perdoni se dubito di ciò che dice, ma le Locuste hanno più volte dimostrato di poter autosostenersi senza problemi. >>
<< Vedremo allora. >>
<< Vedremo. >>
 
Jaco aprì gli occhi e inspirò a fondo.
Di nuovo un incubo.
Si alzò dalla cuccetta e si tolse la maglia intrisa di sudore, dirigendosi zoppicante verso il bagno della loro cabina.
Camminare senza un muscolo non era per niente facile, ma o quello o si faceva amputare la gamba infetta, e non avevano abbastanza soldi per permettersi una protesi decente.
Si sciacquò il viso al lavandino e si guardò nel piccolo specchio rettangolare posto sopra di esso.
Diamine se era invecchiato in tre anni.
Certo, vedere la Galassia trasformarsi in un inferno non ti aiuta certo a rimanere giovane.
La Piaga aveva imperversato per il braccio di Orione e oltre come la peste aveva fatto secoli prima sulla Terra, divorando lune, mondi e sistemi, obliando per sempre interi settori.
Nell’Impero non se la passavano meglio, dato che quella razza di mostri era arrivata dal braccio Esterno, oltre i loro confini, e anche all’interno dell’Unione Volosiana c’erano stati focolai d’infestazione.
Quanti danni erano riusciti a fare, e tutto senza nemmeno poter viaggiare più veloci della luce.
Bastava una meteora scambiata per stella cadente, o un’astronave con una larva nascosta nella stiva, e addio pianeta, ricoperto di nidi di Locuste in meno di trenta ore, nidi che per giunta entravano come niente in competizione per cibo e territorio.
Erano stati messi in ginocchio da degli esseri che assomigliavano più a dinosauri o a formiche che a loro, era quasi ironico.
Quasi.
Se ne sarebbero mai liberati? Forse no, considerando quante spore dormienti potevano esserci ancora a fluttuare nello spazio, in attesa che qualche campo gravitazionale le attirasse.
Si sgranchì le scapole e tornò sempre zoppicando verso il letto, aprendo prima un piccolo stipo metallico accanto ad esso per cercare una maglietta pulita.
Virgo dormiva ancora, accoccolata contro la parete, i piccoli piedi nudi lasciati scoperti dalle lenzuola bianche. Jaco scivolò con lo sguardo sulla curva creata dal suo fianco, godendosi lo splendore della sua bellezza.
Un ticchettio attraversò il muro, facendolo voltare.
Era solo nella penombra che pervadeva la stanza, se si escludeva la ragazza che stava dormendo nel suo letto.
Il ticchettio passò di nuovo, seguito da un impercettibile gorgoglio.
Qualcosa camminava nelle tubature.
Forse stava diventando paranoico, forse si stava semplicemente immaginando tutto.
Forse stava ancora dormendo e quella era soltanto un’altra tortura dei demoni dei suoi incubi.
Un altro gorgoglio.
No, qualcosa c’era, non se lo stava immaginando.
Aprì silenziosamente la porta che dava sul corridoio e uscì dalla cabina, dirigendosi silenzioso verso la guardiola di quel ponte.
Una giovane soldatessa dal naso schiacciato e dai folti ricci ramati, legati in una voluminosa crocchia, sedeva stravaccata davanti agli schermi delle telecamere di sicurezza, prossima ormai a cedere al sonno.
Scosse la testa e si stropicciò un occhio non appena lui bussò alla porta spalancata della sua postazione.
<< Che c’è? >> chiese lei poco cordiale, cercando di trattenere uno sbadiglio.
<< Ho sentito qualcosa muoversi all’interno della parete. >>
<< Per l’ultima volta, signore, la nave è sicura. Non ci sono né larve, né secutor, né venator, può stare tranquillo. Torni a dormire, il viaggio per Rigel è ancora lungo. >>
<< Quando è stato fatto l’ultimo controllo? >> chiese Jaco, insistente.
<< Una settimana dopo la partenza, a questo punto se ci fosse stata davvero una larva a bordo l’astronave sarebbe già stata spezzata in due da un venator troppo cresciuto, non crede? >> replicò lei, stanca ormai di quella discussione.
<< E se si fosse introdotta una spora durante il viaggio? È già successo. >> continuò Jaco.
<< Va bene, signore, chiederò al comando di controllare. Torni a letto ora! >>
Signore.
Era davvero così vecchio?
Tornò in camera poco convinto e si rimise a letto, infilandosi sotto le leggere lenzuola e poggiando il braccio sul fianco dell’amante, cercando di riprendere sonno, cullato dal lieve ronzio dei motori della grande astronave militare dove si trovavano, in viaggio verso una nuova casa, verso una nuova vita nel Nucleo interno, dove sarebbero stati al sicuro finché Umani, Khorsiani e Volosiani non fossero stati certi di aver debellato per sempre la Piaga.
“E chissà…” pensò Jaco socchiudendo gli occhi e lasciando che i suoi demoni tornassero a sussurrargli dolci parole. “Forse è la volta buona che i Tre Imperi mettano da parte le divergenze e trovino il modo di convivere in pace.”
E nel freddo siderale dello spazio profondo, accompagnato dalla luce di infinite stelle, Jaco si addormentò. E ormai abbandonato alla nebulosa nebbia del sonno, ripensò a tutto quello che gli era successo nel corso della sua ancora breve vita, e reputò di essere un uomo molto fortunato.

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