SONO CRESCIUTO IN UNA NOTTE

di bahir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 0 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 + MAKING OF ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 + MAKING OF ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 + MAKING OF ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 + MAKING OF ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 + MAKING OF ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 + MAKING OF ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 + MAKING OF ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 0 ***


A Francesca, nur dei miei occhi.
 
Casa. Un pigro pomeriggio di domenica. C'è tanta acqua sospesa nell'aria. Spero piova, perché quando c'è troppa umidità diventa tutto più difficile. Le cose importanti, intendo. Suonare il pianoforte ad esempio. Atsu è di sopra. La sento camminare in camera sua. E' nervosa come me. 
Strano, -questo pensiero mi attraversa la mente- in Giappone piove sempre.
Tutti mi chiamano Michelino degli Angeli. Questo mi fa ridere. Voglio dire, sembra un cognome! Come se fossi stato concepito in cielo....ma le cose stanno diversamente. Mio padre è fiammingo. Da lui ho ereditato capelli rosso scuro. Mia madre era libanese e aveva occhi verde-azzurri come il mediterraneo davanti a Beirut.
Mi piacevano gli occhi di mia madre. Ma i miei occhi sono più scuri. Non blu, non grigi. Qualcosa nel mezzo.
Mi sarebbero piaciuti occhi verdi o castani. Gli occhi castani sono caldi.
Parlando di occhi, ad Atsu è andata molto peggio. Ha occhi colore del ghiaccio ed è bella come un angelo in fiamme.
Per questo c'è una spiegazione molto noiosa e scientifica: si tratta di un difetto ereditario della pigmentazione cutanea. Può presentarsi a livello di cute ed occhi un parziale albinismo. A me non sembra di ricordare Atsu come una bambina malata. Ma siamo cresciuti accanto ad un medico, perciò può darsi che lui la curasse con attenzione senza che ne fossi consapevole.
Quando ero bambino mi è stato spiegato che in realtà tutti noi avremmo iridi di quel colore se non fosse per il pigmento che le ricopre, che io mi sono sempre divertito ad immaginare simile alla polvere colorata che ricopre le ali delle farfalle. Atsu è stata adottata, penso che il mistero delle sue iridi trasparenti non verrà mai svelato. Magari è una bella storia... La prima volta che la incontrai aveva otto anni. Non avevo mai visto una bambina giapponese e meno che mai una persona dagli occhi così chiari. Pare che mi sia nascosto tra le braccia del medico e non abbia avuto il coraggio di dirle nulla. Avevo paura a guardarla negli occhi all'inizio.
Il mio nome è dovuto al fatto che ho un senso per la musica e i numeri. Non c'è differenza tra le due cose. Intuisco entrambe con facilità. Ma il mio cuore batte per la musica.
Se l'aria non fosse così soffocante suonerei. Mi piace suonare, come a un bambino piace andare in bicicletta. Mi dà fiducia riprodurre gesti appresi in passato. Il fatto che ci sia un ritmo c'entra qualcosa credo. Imparare nuovi brani invece mi rende nervoso. Voglio arrivare subito alla fine. E poi sogno. Sogno per tutta la notte quando imparo qualcosa di nuovo e la mattina mi sveglio malissimo.
Mio padre se ne accorge subito. Forse proprio perché è mio padre. Ma mi dà fastidio, mi sembra un’intrusione. Se sa che sogno forse sa anche cosa sogno. Non ci vuole molta immaginazione, a volte parlo nel sonno. Devo aggiungere che ho diciassette anni. E che il fatto di essere cresciuto accanto ad Atsu non è stato un ostacolo per un amore che mi ha ustionato da quando ero bambino.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


Se devo dire qualcosa di Kainu, l'unico commento che mi viene in mente è questo: è una persona serena. Era sereno il giorno in cui lo ho pestato e lo è rimasto dopo. Col nome che gli hanno dato i suoi genitori o sei sereno o vieni preso di mira dallo psicologo scolastico.
Invece lui è cresciuto con lineamenti regolari e un colorito dorato come se per lui splendesse costantemente il sole, in barba alle vaghe aspettative gotiche dei suoi genitori. Devo aggiungere che è stato amato dal primo momento in cui è germogliato nella pancia di sua madre.
Non ci sono ombre nel suo passato ed è cresciuto dritto come una lancia. Mi sono sempre piaciute le persone così, neanche l'incidente diplomatico con Atsu ha minimamente cambiato le cose.
Anzi il primo motivo che mi ha avvicinato a lui è stato proprio questo, è stato il primo ad accettare con naturalezza il legame tra me ed Atsu, molto prima che io e lei fossimo in grado di farlo. Quando ho attaccato briga solo perché ero pieno di rabbia lui c'era, evitando il peggio.
Quando Atsu era distante da me e io mi sentivo soffocare, era lì.
Non so quanto io sia riuscito ad essere presente nella sua vita. Lui non ha mai chiesto un granchè, è stato per me un paesaggio familiare, sempre presente alla periferia del mio mondo, me ne sono reso conto solo quando siamo cresciuti.
Non so se la definizione "fratello maggiore" calzi. In certi momenti sembrava che avessimo la stessa età, altre volte lui sembrava molto più grande di me. Questa distanza mi infastidiva ma a volte era palpabile come un muro. A volte invece era necessaria, giustificava l'autorità che lui ha sempre avuto su di me.
Che non gli ho mai perdonato e di cui lui non ha mai abusato. Ha avuto tutto l'equilibrio che è mancato a me nell'adolescenza...probabilmente averlo vicino in quegli anni mi ha fatto bene. Non so proprio da dove venga tutto questo autocontrollo. In certi momenti ho pensato che gli sarebbe dato di volta il cervello tutto in una volta, così mi sarei potuto togliere la soddisfazione di dirgli “Benvenuto, era ora!”. 
I giorni in cui il pensiero di Atsu mi pesava lui riusciva ad alleggerirmi. Il suo modo di vedere le cose era così semplice che a volte mi facevo raccontare la mia vita da lui e allora mi sembrava tutto a posto.
Quando parlo di incidente diplomatico, mi riferisco alla prima volta - ed in definitiva anche l'ultima- in cui Atsu è stata aggredita da un ragazzo a causa del suo aspetto. Il ragazzo era Kainu e all'epoca io avevo quindici anni.
Atsu quel giorno era tornata infuriata da scuola e si era chiusa in camera sua. Un ragazzo la aveva toccata, non si era riusciti a cavarle altro di bocca. Ricordo che in casa spirava un'aria di tempesta. Atsu era così arrabiata da avere uno sguardo terrificante. Alla sera era entrata in camera mia, dopo essersi chiusa nel mutismo per ore. Io che stavo studiando mi ero sollevato a guardarla. Mi aveva guardato con occhi taglienti e mi aveva detto "E' stato Kainu". Poi si era richiusa nella sua stanza. 'Se solo vivesse altrove ed avesse una famiglia normale ora io non rischierei di far incazzare mio padre e di deludere Raphael!' pensai in un momento di rabbia. Purtroppo Bahir si stava già allontanando da noi e Atsu aveva occupato la stanza accanto alla mia.
Kainu era alto almeno quindici centrimetri più di me. Mi avrebbe sfilettato, era evidente. Ma l'occhiata di Atsu non lasciava dubbi, voleva che io facessi qualcosa al riguardo. Meglio una ramata di botte piuttosto che vedere la delusione impressa nelle iridi ghiacciate di Atsu. 
Il mattino dopo a scuola andai a cercare Kainu. Che mi diede una ramata di botte. Tuttavia non mi serbò alcun rancore, aveva capito che non avevo altra scelta. In seguito sarebbe diventato il mio più leale confidente. 
La sera, mentre Raphael mi medicava una lacerazione sul viso, sentivo il suono della risata cristallina di Atsu provenire dal piano di sopra. L'incidente con Kainu sembrava archiviato per sempre. Rigirandomi tra le coperte per trovare una posizione nella quale non mi facesse male la faccia, trovai nel mio letto un fiore di carta di riso. 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 + MAKING OF ***


Non posso continuare se non parlo di lui. Ma non so mai da dove cominciare...se il rapporto con Atsu a volte mi dava delle preoccupazioni, quello con Bahir è sempre stato al di là del mio controllo.
L'unico pensiero che mi consola è che forse per lui era la stessa cosa.
Se io mi sono trovato questo nome addosso -Michelino degli angeli- è a causa sua. E' stato lui a chiamarmi così la prima volta, non mi ricordo neanche quanto tempo fa.
Bahir è un nome arabo e significa 'che sparge luce'....quante volte ho sentito questa frase?
I miei ricordi riguardo a lui sono confusi e dilatati ma quando cercava di spiegare qualcosa di sè iniziava sempre così, come se dovesse giustificare la sua esistenza. Mi faceva paura. Eppure non ho mai pensato di separarmi da lui.
Dire che mi faceva paura forse non rende l'idea. Mi terrorizzava in modo viscerale, in ogni momento, costantemente io percepivo la sua estraneità. Io e lui eravamo inseparabili, forse agli occhi degli altri eravamo amici. So solo che quando prendeva una decisione io ero automaticamente coinvolto. Senza alcuna possibilità di scelta. Ma le sue non erano alzate di testa da ragazzino. Erano tragedie in più atti.
Ha sempre preteso da me una lealtà assoluta. A volte stargli vicino era un tormento, ma avevo ottimi motivi per sforzarmi. Il primo era Atsu. Almeno così cercavo di giustificarmi.
Loro due erano fratello e sorella. Entrambi adottati. A volte ho pensato che l'unica parte di sè che lui mi abbia mai concesso di amare sia stata sua sorella. Mi ha chiesto il mondo in cambio.
Ecco come ho passato la mia adolescenza: Atsu che prepara il tè, Kainu sdraiato sul divano ad ascoltare musica e Bahir che mi guarda come se fossi la sua ombra. Perché è così che lui mi ha sempre percepito: come un'appendice della sua anima e un prolungamento del suo corpo. Come gli angeli che sono solo un'emanazione dell'amore di Dio. Io ho amato Bahir profondamente ma a volte desideravo non averlo mai incontrato. Guardando indietro, il passato mi appare come una allucinazione. Allora non lo sapevo ma quella attrazione elettrochimica che mi trascinava verso di lui col tempo si sarebbe trasformata, diventando qualcosa di diverso. Lui aveva carisma, ne ha sempre avuto ma quando eravamo adolescenti questa cosa era assolutamente fuori controllo. In certi momenti lo aggredivo, non capivo esattamente cosa volesse da me. Sospettavo che neppure lui lo sapesse. Ma qualunque cosa fosse, si trattava di qualcosa di enorme, assoluto, svincolato da tempo e spazio, Che sarebbe evaporato nei miei ultimi istanti di vita cosciente. Ecco cosa voleva da me, lui. Pensavo che avrebbe fatto qualunque cosa per prendere il meglio che avevo da dargli, anche usando cesoie affilate per estrarlo se fosse stato necessario. Mi sentivo un involucro. E' difficile in queste situazioni muovere un'accusa diretta. Di cosa avrei potuto accusando? Inoltre io ero del tutto catturato da lui. E non dipendeva solo da lui. Ero io a volergli stare accanto.  Anche se a volte era doloroso. Qualcosa in lui, di unico e irripetibile, mi aveva indotto ad abbassare tutte le difese. E lui, col suo istinto di animale da preda, lo aveva capito. Nonostante ciò non lo ho mai odiato. Sono certo di averlo sempre amato con lo stesso slancio.
I due fratelli sono stati accolti da bambini ed il padre adottivo, Nagare, li ha sempre trattati con grande affetto. Addirittura crescendo Bahir ha assunto dei lineamenti che ricordavano quelli del padre. Il che a me è parso piuttosto sinistro, mentre in famiglia si scherzava apertamente su questa somiglianza tardiva. L’affetto che ha sempre unito loro tre mi ha portato a considerare in modo relativo i legami di sangue. Io in certe fasi mio padre non potevo vederlo neanche in cartolina. Ma nei momenti bui mio padre ha fatto per me quello che nessuno ha avuto il coraggio di fare: mi ha portato via il pianoforte. Solo lui ha capito quanto la vista dello strumento mi tormentasse.

Making of...CAPITOLO 2
Buongiorno (ormai sera...) a tutti! Ho deciso di aggiungere qualche riga per chiaccherare con chi è interessato riguardo a ciascun capitolo. Tanto per rendere più interattiva l'esperienza!Finalmente entra in scena Bahir, il personaggio a cui devo il mio nickname. Quando c'è di mezzo lui, tutto si complica, ed il fatto che non vaghi in tutti i capitoli a far danni è davvero un sollievo! Questo è stato uno dei capitoli che ho riscritto il maggior numero di volte, voi penserete; Ah, sì? Comunque è orrendo! 
A parte gli scherzi, Bahir è piuttosto a sè stante come personaggio e l'unico con cui ha un rapporto stretto è proprio lo sfortunato protagonista! Questa storia mi accompagna da anni, calcolo di aver iniziato a scriverla più o meno una decina di anni fa ed alcuni capitoli sono stati scritti ad anni di distanza dai precedenti, creando non pochi problemi di incoerenze. Più o meno a metà della storia mi sono arenata, arrivando letteralmente ad un punto morto. Il titolo originale era "Dieci Qualità". Non riuscendo più a scrivere una riga, ho accantonato la storia. La scorsa estate, probabilmente a causa di uno shock termico, mi sono svegliata con un nuovo titolo. Da lì in poi è stata tutta discesa ed i rimanenti dieci capitoli si sono sostanzialmente scritti da soli. Un saluto ed arrivederci al prossimo capitolo.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 + MAKING OF ***


Adoro settembre, in certi giorni sembra che l'estate possa durare per sempre. Ma in fondo lo sai che sta per finire, che bisogna approfittare di ogni giorno perché non sai quando inizierà a piovere. Perciò le pulizie non sono esattamente il mio passatempo preferito, specie in questo periodo dell'anno. Tuttavia stanno dando tutti una mano e non posso tirarmi indietro.
La casa dove viviamo è piuttosto grande. Non è merito di mio padre, questo posto apparteneva a suo padre prima di lui e da tre generazioni riesce a tenere insieme una famiglia davvero singolare. Siamo disfunzionali, ma con stile.
Dall'ingresso che è occupato da un pianoforte a coda, trascinato qui dalla marea dopo una lunga carriera in  sala di registrazione, si aprono tre stanze.
La prima sulla sinistra è la stanza di mio padre. Luminosa, pulita e pressoché priva di mobili. Gli spartiti stanno chiusi in un baule in salotto, per questo la stanza conserva un aspetto ordinato. Anche la vita di mio padre ad una valutazione superficiale può apparire così. La carriera piena di soddisfazioni, prima come musicista, poi come direttore di orchestra. Nel baule della sua vita: un divorzio con una donna giapponese, il primo figlio, bello e dotato, che a poco meno di trent'anni possiede un ristorante famoso in tutta la città, il secondo matrimonio con una donna libanese che è morta dopo pochi anni di vita comune per un infarto cardiaco e gli ha lasciato un secondo figlio. Io. Dopo la morte di mia madre mio padre si è concesso la crisi depressiva che meditava da alcuni anni e mi ha affidato a Raphael. Non proprio un esperto in materia di allevamento della prole. Diciamo che suona ad orecchio...
Raphael vive nella stanza accanto a quella dove dorme mio padre. Così per farsi prescrivere gli antidepressivi mio padre non deve fare tanta strada. Raphael è medico e in pratica in casa lo vediamo la mattina e la sera. La sua stanza è invasa da libri di medicina. Studia continuamente. Come sia rimasto arenato qui non mi è chiaro. Probabilmente dopo una tempesta le correnti lo hanno portato qui, come è successo al pianoforte. Non ho mai indagato nel dettaglio le circostanze, so solo che lui e mio padre si conoscevano perché Raphael gli diagnosticò a colpo d'occhio una artrite alla mano. Mio padre dal canto suo capì con uno sguardo che quel brillante internista non riusciva a camminare dritto alle nove del mattino. Come gli venne in mente di mettere suo figlio di pochi mesi tra le braccia di un aspirante alcolista non mi è chiarissimo. Eppure in qualche modo ha funzionato. La mia presenza ha obbligato Raphael a reagire in un momento in cui la sua vita si stava sgretolando ed il suo tasso alcolemico iniziava a mettersi tra lui e il suo lavoro. Ovviamente per evitare di dover assistere al decesso di un infante e all'accartocciarsi di un giovane adulto (contestualmente nominato suo medico privato mentre tentava di darsela a gambe) mio padre ha invitato Raphael a stare da noi 'per un pò'. Raphael invece gli ha prescritto la mirtazapina. Così almeno non sarebbe dovuto tornare a casa la sera dopo una lunga giornata in ospedale, dovendo rianimare mio padre dopo un tentato suicidio.
La terza stanza è la cucina, la mia stanza preferita perché attorno a quel tavolo si sono sedute tutte le persone importanti nella mia vita. Sul divano del soggiorno ha dormito centinaia di volte Bahir. Bahir che quando dormiva ascoltava sempre la musica in cuffia. Ho conosciuto Bahir e Atsu in questa stanza. Adottati da un amico di mio padre e catapultati nella mia esistenza come due piante voraci. Si sono presi tutto quello che avevo da dare. Ma la prima volta che ci siamo conosciuti io stavo rannicchiato nelle braccia di Raphael e li guardavo con sospetto. Ero piuttosto possessivo ed il complesso di Edipo che ho nei confronti di Raphael lo supererò attorno agli ottant'anni, sarà la demenza senile a liberarmi di questo problema. Avevo capito che i due fratelli non avevano occhi che per Nagare, il loro padre adottivo. Lo seguivano come due goffi anatroccoli. Nessuno voleva portarmi via Raphael, ma nel dubbio io mi ero seduto sulle sue ginocchia, sorvegliandoli come se avessi avvistato dei cacciatori di frodo nella mia riserva naturale. Mi ero alzato quando li avevo visti uscire dalla porta di casa.
Al piano di sopra ci sono due stanze. Sulla sinistra si trova la mia stanza che a fasi alterne è semplicemente un casino. Ma di tanto in tanto mi faccio coraggio e riordino il disastro, per evitare che lo faccia Raphael mentre mio padre è girato. Altre volte Raphael entra nella mia stanza, scava fino a trovarmi sotto la trapunta e mi obbliga a ripulire sotto minaccia di bruciare tutto quello che non sarà piegato e sistemato nel giro di venti minuti. Allora mi alzo e mentre inizio ad affrontare il disordine primordiale che ha trasformato la mia stanza in un piccolo mare agitato gli consiglio di provare qualche stabilizzatore dell'umore. 
La stanza sulla destra prima apparteneva al mio fratello acquisito, Akira. Quello bello e dotato, per intenderci. Non ho avuto un rapporto esattamente idilliaco con lui.  Da alcuni anni lui è andato a vivere per conto suo, in ogni caso praticamente vive nel suo ristorante. Con il suo socio in affari. Mentre mio fratello mi innervosisce, Santiago mi mette immediatamente a mio agio. Inoltre quando sono insieme, mio fratello si comporta in modo decisamente più umano con tutti. Ora quella stanza è diventata la stanza di Atsu, che da alcuni anni fa la spola tra casa sua e casa mia con la benedizione di mio padre. Non che non abbia un posto dove tornare, ma da quando Bahir se ne è andato lei ha cercato un'altra persona che la facesse sentire al sicuro. E da un lato è così, dall'altro non poteva mettersi in peggiore pericolo. Ma non ho il coraggio di dirglielo. Quando litighiamo lei scaraventa i suoi vestiti in una borsa e urla con la sua voce incantevole da soprano brillante "Basta, me ne torno a casa!". Adora scappare di casa ed ha un debole per le scene drammatiche. Dopo un paio di giorni torna. Per fortuna casa sua sta dietro l'angolo, se no sarebbe uno strazio andarla a prendere. Nessuno ha il coraggio di opporsi a queste migrazioni continue, nel timore che Atsu smetta di parlare o si rimetta a piangere. Quindi siccome fare le valigie in continuazione sembra darle grande serenità, tutti noi tolleriamo questa situazione. L'immagine di Atsu col suo borsone sulla soglia di casa che annuncia a tutti che se ne torna a casa mi accompagnerà per tutta la vita. In genere Raphael le dice qualcosa tipo "Quando torni, prenderesti il latte?" rovinando tutto. Al che lei chiude la porta con uno strattone, indirizzandogli qualche commento. Ha sempre avuto il riguardo di farlo in giapponese.
Io prego solo che il dosaggio degli antidepressivi non venga mai scalato in modo sostanziale.
Perché solo un idiota potrebbe non accorgersi della mia inclinazione verso Atsu.
MAKING OF…CAPITOLO 3
Eccoci di nuovo metaforicamente accanto al camino a fare due chiacchere! Questo capitolo è stato scritto dopo il termine della storia originale e nasce a seguito della recensione di angelroses87 (attendo nuove osservazioni, sei la mia critica ufficiale!) che mi ha fatto notare quanto nei primi capitoli i rapporti di parentela tra i vari personaggi fossero incomprensibili! Quindi in questo capitolo Michelino tenta di mettere un po' d’ordine nella propria casa e nella propria famiglia. Fallendo paurosamente in entrambi i casi!

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 + MAKING OF ***


Ritorno al presente. Sono le sei e ventotto, mi sono svegliato due minuti prima della sveglia col pianto disperato di Atsu nelle orecchie.
Respiro un momento col cuore che mi pulsa nelle tempie per cercare di capire se è un suono reale o se me lo sto immaginando….dopo qualche secondo non lo sento più e tiro un respiro di sollievo.
Silenzio con un moto di stizza la sveglia e vado in bagno. Incontro Raphael che mi squadra con un'occhiata critica "Levataccia?". Lui è vestito, sorridente e pronto per uscire. Lo odio.
Gli getto uno sguardo in tralice "Primo giorno di scuola", commento asciutto.
Raphael solleva gli occhi al cielo come a dire 'lo so perfettamente'. Prima di pensare mi scappa detto "posso restare a casa?"
Raphael mi guarda stupito. Poi con un sorriso aggiunge "E permettere a tutti quei ragazzi di gettare sguardi lubrici ad Atsu? La conosci, farebbe una strage"
Lo so che devo andare ma oggi ho l'impressione che qualcosa andrà storto. Non voglio fare il ragazzino paranoico ma è così.
Sospiro, fronteggiando l'inevitabile. "A che ora torni?" chiedo con tono polemico e lamentoso.
Prima di parlare Raphael mi passa una mano tra i capelli, carezzandomi dolcemente la testa. "Lo sai perfettamente a che ora torno. Ora muoviti, chevalier"
Poi aggiunge ironico "E tagliati quei capelli o i tuoi compagni ti prenderanno per una ragazzina". Lo sapevo, quando pronuncia una parola francese, sta per arrivare la mazzata.
A colazione studio Atsu con diffidenza. Per non attirare l'attenzione ha deciso di indossare lenti a contatto colorate ma per me che sono abituato ai suoi occhi di neve il risultato è sottilmente inquietante.
"Non ti ricorderai mai di metterle tutti i giorni."
Mi risponde con un'alzata di spalle.
Fiuta il mio nervosismo come un segugio. Normalmente mi risponderebbe in modo impertinente.
Mi dispiace farle pesare il mio cattivo umore. "A me piace molto il colore dei tuoi occhi" dico per distendere l'atmosfera.
Atsu mi fa un mezzo sorriso e se ne va. Lei oggi andrà a piedi con un'amica.
Io invece vado con Kainu, ha finito di rimettere a nuovo la sua moto che dopo l'ultimo incidente era stata dichiarata in prognosi riservata.
Mentre salgo mi dice "Mi raccomando, mentre guido non mi tirare troppo indietro"
"Non ci sperare", replico asciutto.
Quando arriviamo nell'atrio pieno di persone che non conosco qualcuno si gira a guardarmi.
Lo sguardo è sempre lo stesso, pensano di aver visto male e si soffermano a guardarmi con più attenzione.
Fossi al posto loro farei lo stesso, non mi sento offeso o aggredito.
Sulla sclera sinistra e sulla tempia corrispondente ho un nevo blu. Da vedere sembra uno schizzo di inchiostro, mi ricordo di qualche bambino che quando ero piccolo ha tentato di pulirmelo via con un fazzoletto, con mio immenso divertimento.
Quando la gente mi guarda cerco di sorridere in modo rassicurante. Ma oggi non ho rassicurazioni da sorridere. Arriviamo in classe e troviamo ancora qualche posto libero. Io e Kainu ci sediamo vicini e davanti a noi si sistema Atsu. Accanto a lei si siede una ragazza con lineamenti molto regolari che in un primo momento non noto minimamente.
Mentre inizia la lezione penso vagamente che Atsu debba conoscerla. Si guardano con curiosità e a quel punto realizzo che Atsu non ha idea di chi sia. Allora mi soffermo a guardarla meglio.
Non la si nota perché ha lineamenti davvero neutrali, mi ricorda uno degli angeli di Leonardo da Vinci.
Sembra che stia decidendo qualcosa, penso che potrebbe alzarsi e andarsene in qualsiasi momento eppure per qualche motivo non lo fa. Atsu da parte sua non fa nulla per metterla a disagio, il che è veramente strano.
Anzi direi che sono entrambe molto tranquille. Dopo la prima metà della lezione Atsu appoggia la testa sul banco. Mentre tento di seguire la lezione sento crescermi dentro l'irritazione...per quanto sia noioso questo insegnante non è il caso di mettersi a dormire con la testa sul banco. Qualcuno dei ragazzi seduti vicini a noi prende a fissare con insistenza Atsu... Getto un'occhiata a Kainu che mi guarda perplesso.
Guardo l'orologio e penso che con un po’ di buona fortuna sarà la campana a svegliarle e potrò evitare di dare un calcio alla sedia di Atsu.
La ragazzina sembra intontita ma sembra reggere al sonno meglio di Atsu. Cerco di attirare la sua attenzione mentre l'insegnante si avvicina ad Atsu. È più gentile di quanto il suo aspetto non lasci immaginare e si limita a scrollarla dolcemente.
"Tutto bene?" Atsu si muove ma certamente non è sveglia. Solleva la testa e guarda l'insegnante. Mi sembra che la sua faccia sia priva di espressione. Dopo qualche minuto di silenzio la lezione riprende, cerco di tenere Atsu sveglia canticchiando sottovoce l'aria di un'opera che lei non sopporta, la Madama Butterfly.
Durante la ricreazione la tiro su dalla sedia con uno strattone.
"Svegliati Atsu! Cosa diavolo ti succede?"
Lei mi guarda ma non mi allontana. "Non lo so, mi sento come se il mio corpo fosse addormentato…ma io sono sveglia" Ha un'espressione preoccupata.
La ragazzina è ancora seduta. Con orrore noto che mentre noi parlavamo lei si è assopita sul banco. Kainu la scuote. "Avanti, tirati su. Mi senti?" Kainu si inginocchia in modo da poterla vedere in faccia. "Come ti chiami?" le chiede.
Lei risponde "Materia"
Kainu mi guarda perplesso, crede di aver capito male "Ma che nome è?"
Sto pensando a vuoto "Ma stai male?". Sono indeciso, forse dovrei chiamare un medico.
Questo mi ricorda Raphael......come ogni medico che si rispetti non c'è mai quando serve. Guardo Atsu e decido di sedermi vicino a lei per evitare che dia una facciata sul banco. "Materia spostati dietro"
Materia non si muove di un millimetro. Non ha sentito o non ha capito? La lezione comincerà tra poco e abbiamo già attirato troppo l'attenzione. Kainu la solleva per un braccio e la trascina dietro. Dalla bocca di Materia esce un mugolio infastidito ma non si oppone. Sembra di pezza.
Non so di cosa trattasse la lezione di oggi. Passo tutto il tempo ad ascoltare il respiro di Atsu, quando rallenta troppo la guardo e comincio...'un bel dì vedremo...'
Non so come se la cavi Kainu con la ragazzina, lo sento ad un certo punto sospirare "Non sarà che il tuo è un nome arabo che significa guai?"
Finalmente arriva il momento di andare a casa. Abbandonare le ragazze al proprio destino è escluso a meno di non volerle ritrovare già qui domani mattina. "Allora Materia, dove abiti?"
Materia mi guarda perplessa. "Posso tornare a casa da sola, sai?"
Questa risposta pungente mi rianima, forse è più sveglia. "Stavi per addormentarti, lo sai? Cosa vi sta succedendo?"
Materia parla con lentezza "Non lo so. Io neanche la conosco" indica Atsu. "Ma mi sono seduta vicino a lei è mi sono sentita subito tanto tranquilla da non riuscire più ad alzarmi".
 Atsu non sembra voler aggiungere commenti. Mi guarda con un'aria irritata della serie 'andiamo a casa?'
Prima la guardava come se le fosse caduta la luna in grembo, ora sembra aver perso ogni interesse.
Dopo aver accompagnato Materia a casa per un tratto, torniamo a casa. Atsu crolla sul divano e dorme un sonno esausto. Non cerco neppure di svegliarla per il pranzo. Più tardi tento di scuoterla ma piagnucola, la trascino in qualche modo in camera sua mentre penso a cosa dire a mio padre. La guardo preoccupato. Mi torna in mente che Atsu da bambina dormiva dodici ore per notte e le erano appena sufficienti. Se durante la giornata accadeva qualcosa che la colpiva o la rendeva felice, poteva dormire anche più a lungo. Un giorno colpì in malo modo la schiena. Dormì venti ore, svegliandosi praticamente senza dolore. Raphael per scherzare le diceva che era narcolettica. Per lei il sonno è sempre stato fondamentale, più del cibo. Quindi forse non sta succedendo niente di grave. Ha solo trovato una che le somiglia. Ma ho l’impressione che Materia possa assomigliare a chiunque.
Quando torna a casa Raphael gli giro attorno fino a che non ottengo la sua attenzione.
Con un sospiro si siede sul divano e mi guarda. Ora che è in casa, seduto accanto a me penso che non sia successo nulla di grave. Dopotutto Atsu è al sicuro di sopra che dorme. Ridimensiono gli avvenimenti di oggi nell'ambito del bizzarro e mi siedo a tavola con lui. Gli racconto brevemente quello che è successo e lui mi assicura che darà un'occhiata ad Atsu dopo cena. Mentre mangiamo le lasagne che Raphael ha cucinato sono invaso da una piacevole sensazione di generalizzata fiducia nel futuro...non so se dipenda dalle lasagne, dalla capacità di Raphael di tranquillizzare chiunque o dal fatto che siamo soli come non succedeva da un po’. La cucina è illuminata a giorno e ogni cosa sembra al suo posto. Le tovagliette sembrano irradiare serenità.
Finito di mangiare si siede sul divano e mi chiede come è andata la giornata mentre scorre distrattamente il giornale che sta sulle sue ginocchia.
Ci appoggio la testa sopra e comincio a lamentarmi in modo aspecifico di tutto ma lo faccio più che altro per ascoltare la mia e la sua voce. Dopo un po’ chiudo gli occhi e lo ascolto mentre mi racconta qualche sciocchezza in inglese e mi sfiora la faccia con le lunghe dita da pianista che ha. Sono a kilometri da quello che è successo oggi e solo poco prima di addormentarmi serenamente nel mio letto mi rendo conto che Atsu oggi non mi ha preparato il tè.
CAPITOLO 4…MAKING OF
Finalmente si entra nel vivo. Questo capitolo è quello che più di tutti mi ha dato perplessità. Se vi sembra fumoso e poco convincente…avreste dovuto leggerlo prima. Ma Materia è proprio così: inconsistente. Anche la narrazione purtroppo ne risente. Pensavo che, scrivendo una storia, si potesse plasmare i personaggi a proprio piacimento. Invece non è stato affatto così. Questi personaggi si sono impossessati della storia ed hanno fatto quello che hanno preferito. Ed io li ho conosciuti mano a mano che la storia cresceva sotto i miei occhi. 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 + MAKING OF ***


Da adolescenti avremmo dato preoccupazione a chiunque. A tredici anni Atsu piangeva sempre e quasi non parlava, io facevo a botte col mio fratellastro e Bahir ci guardava come se fossimo parti del suo corpo.
Raphael ci osservava con attenzione. Questo mi ha aiutato immensamente. Sapere che per lui ero la persona più preziosa di questo mondo. Che dovevo assolutamente vivere.
Tuttavia il rapporto che legava Raphael e me non riusciva a bilanciare la fortissima attrazione che provavamo per questo ragazzo. Era inutile, io in particolare avevo energia da vendere ma non avevo un centro. Era Bahir il centro del mio universo. Se Atsu si accontentava di esistere solo quando suo fratello era accanto a lei, io avevo completamente dimenticato cosa significasse vivere senza di lui. Quell’energia particolare che portava con sé era destinata a smorzarsi nell’età adulta ma a sedici anni lui era un buco nero. E io non avevo la forza di resistere. Non so se lui fosse consapevole dell’influenza che aveva su di noi. Almeno in parte doveva esserlo. Perciò quando ci portò in una casa vuota e ci diede delle lame in acciaio doveva essere consapevole del pericolo.
Accadde molti anni fa. A me sembra sia passato un sacco di tempo. Ma i ricordi di quel giorno mi catapultano in un eterno presente. È estate ma non ricordo un caldo soffocante. Siamo in campagna ed accanto alla casa dove ci troviamo c’è un pozzo. In fondo al pozzo c’è dell’acqua, lancio dei sassi. Nel primo pomeriggio saliamo al primo piano in un ampio salone. La casa è vuota e disabitata. Quella casa appartiene al padre adottivo di Bahir. Non capisco perché la tengano vuota ma ogni tanto andiamo lì con la scusa di far prendere aria alle stanze. Io adoro andarci. Mi sembra che l’atmosfera crepiti, come se stesse per accadere qualcosa di straordinario.  Quel pomeriggio siamo soli in casa, Nagare è sceso nel paese vicino per comprare della vernice. Ha con sé una corda, forse deve occuparsi del tetto. Ci siamo seduti per terra a guardare la luce estiva che si riflette sul pavimento di pietra. Bahir sta parlando con una voce che sembra provenire dal bosco vicino. Sapevo che Nagare aveva portato delle lame dal Giappone e che le aveva date al figlio. Bahir praticava il kendo perciò il padre non doveva aver avuto particolari esitazioni. Eppure adesso lui le vuole dare a noi. Le ha nascoste in casa. Il padre le aveva chiamate “I sette giudizi universali”. Bahir ci dice che quelle lame ora sono nostre. E che ovunque andiamo dovranno seguirci. Mentre Atsu guarda la sua lama che pare un gioiello io guardo lui. “Perché ci lasci le cose più preziose che hai?”.
“Perché io non posso tenerle. Per me sono un pericolo. Ma l’idea di lasciarvi senza protezione mi disturba”.
Atsu solleva lo sguardo “Stai pensando di abbandonarci?”.
Bahir risponde “È proprio quello di cui sto parlando Momo. Mi sembra di non percepire nessun confine tra me e voi. Prima mi sembrava meraviglioso. Stare da solo mi era insopportabile. Ma ora…mi spaventa. Mi sembra malsano. E avere con me le katane mi preoccupa. Se continuo così mi sveglierò con una di quelle lame nella pancia ai piedi del tuo letto o di quello di Michail.”
Atsu si alza di scatto in piedi e guarda suo fratello con astio. “Se questo è quello che avevi da dire, tanto valeva tacere”. Quando Atsu lascia la stanza gli occhi di Bahir si posano su di me.
“Non dovevi dire una cosa del genere”.
“Ma la penso con tutto me stesso. Più passa il tempo più questo pensiero si fa pesante. Tu non ti senti in trappola? Non amerò mai nessuno come voi ma in questo momento il mio amore è diventato un banco di nebbia. Non vedo dove iniziate voi e dove finisco io… eppure non lo faccio in modo consapevole. Atsu a volte si spaventa. Se ne va come ha fatto adesso. Traccia un limite. Invece tu Michail non lo fai. Tra me e te questo legame è anche più forte. Io vado sempre più veloce e ho paura di sfracellarmi da qualche parte. Con te accanto. Non lo sopporterei.”
“Stai pensando di morire? Ma io senza di te non riesco a respirare!”
“Non voglio morire! Ma se resto accanto a te ora ti trascino giù. Voglio andare lontano da te e vedere se posso vivere comunque”
Mi sento esausto. Mi siedo sul pavimento. Come se mi stessero estraendo metri di intestino dall’addome. Dove sarà Atsu? Ora il pensiero del pozzo mi fa paura. Guardo Bahir come se mi stesse portando via tutto. Lo sta facendo. Se lo ha detto lo farà. Mi aggrappo a lui che ora è seduto su un gradino e appoggio il mio viso sul suo ventre. Lui mi lascia fare. Mentre gli serro le braccia attorno ai fianchi aspiro il suo odore. Forse è l’ultima occasione. Mi accarezza la testa. Mi prendo il tempo per piangere tutte le mie lacrime.
“Senza di te non respiro”. Non so quante volte glielo ripeto.
Quando usciamo dalla casa è sera. Nagare e Atsu stanno preparando la partenza. Nagare sa cosa è successo. Il figlio gli deve aver detto qualcosa. Scommetto che è d’accordo sulla partenza. Raphael sarà contento, penso con rabbia. Atsu non dice una parola. Io ho mal di testa. Bahir e Nagare parlano sottovoce. Mi attraversa la mente un pensiero. Che questa idea sia partita dagli adulti che abbiamo intorno. Che la sua lontananza avrebbe fatto bene a tutti. L’idea delle lame è stata sua, invece. Lui se ne va ma non lascerebbe mai noi senza protezione. So che doveva andarsene. Neppure io avrei voluto vederlo spegnersi accanto a me ma non riesco ad accettare che per vivere abbia dovuto allontanarsi da noi. I primi giorni senza di lui coincidono con la comparsa delle palpitazioni che mi faranno compagnia per anni. 
Da allora vivo trattenendo il fiato.
CAPITOLO 5…MAKING OF
Entrano in gioco degli oggetti su cui Michelino avrà la sfortuna di inciampare più di una volta. Momo (il nomignolo di Atsu con cui il fratello affettuosamente le si rivolge) sembra più capace del nostro protagonista di sottrarsi all’influenza elettrica del fratello…Cosa dire? Bahir deve trovare la sua strada lontano da Michail. Ma la verità è che non vorrebbe mai lasciarlo.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 + MAKING OF ***


Mi sveglio contemporaneamente alla suoneria della sveglia ma con la fastidiosa sensazione che sia solo una coincidenza.
Il cuore mi sta schizzando fuori dal petto mentre il suono che ho nelle orecchie si indebolisce e poi scompare senza che io sia riuscito a individuarlo. 
O Raphael mi prescrive dei beta bloccanti o me li procuro da solo.
Mentre mi lavo la faccia decido che un giorno sarò un vecchio che non avrà più voglia di andare da nessuna parte e allora mi prenderò un cane che come me sarà vecchio e non avrà più voglia di andare da nessuna parte e non avremo bisogno di guinzagli.
La prospettiva non so perché mi rasserena molto. A colazione ho una gradevole sorpresa: mio padre ha fatto i pancakes. Solo che lo sciroppo (con cui ha tentato di disegnare una faccetta sorridente) è colato in modo inquietante e più che un caloroso buongiorno sembra la rappresentazione di un'ematemesi massiva.
Reprimo il pensiero inopportuno mentre Raphael infila una siringa nel contenitore dello sciroppo d'acero, aspira e inietta direttamente nello spessore della mia frittella con un unico, fluido movimento. Perché invece che penne nel taschino quest'uomo ha siringhe da emogasanalisi?
Lo guardo. "Aveva bisogno con urgenza di una trasfusione" replica severo Raphael.
Il mio pancake ha un aspetto orribile adesso. 
Causa eccessiva rapidità di infusione lo sciroppo d'acero cola fuori gorgogliando. "Finiscila di giocare al dottore. Ma non te li fanno rimborsare i materiali che usi per queste cazzate?"
Mangio la mia colazione mentre Atsu, fresca come una rosa mi avverte che la moto di Kainu è di nuovo in riparazione.
La guardo con curiosità. "Sei sveglia adesso? Ieri eri davvero in coma, sai?"
Atsu mi guarda perplessa "Sto bene. Ieri non potevo fare a meno di dormire...era insopportabile resistere. Ho sognato un sacco"
Strano, Atsu non sogna mai. "E cosa sognavi?"
Non mi guarda mentre risponde "Cose di quando eravamo piccoli. Di tanto tempo fa...io piangevo spesso, vero?"
La guardo. Vorrei dirle che piangeva tanto spesso che il suono mi si è scolpito nella mente in modo indelebile.
Per un paio di secondi sono indeciso, poi abbandono l'idea.
"Tutte le ragazzine piangono. Esattamente come tutti i ragazzini fanno a botte"
"Stai cercando di giustificarti? Voi ragazzi avete tanta rabbia in corpo che il sangue vi scorre al contrario! Forse è colpa di noi ragazze che piangiamo in modo inconsolabile. Non sapete che fare e vi arrabbiate"
"Teoria interessante. Ora muoviti, passiamo a prendere anche la ragazzina di nebbia che hai incontrato ieri"
"Aspetta, non hai sentito la parte migliore del mio sogno!"
Mentre sollevo la borsa dei libri mi parte una tachicardia imbarazzante per l'adrenalina che in un momento mi intossica il sangue. "Ah, sì?"
"C'erano cinque giardini a cui si poteva accedere da una ripidissima gradinata di mattonelle rosse...il primo giardino era una lunga strada costeggiata da alberi e immensa nella luce dorata del pomeriggio più perfetto che puoi immaginare; il secondo giardino era uno scorcio trai monti imbiancati di neve verniciati da un tramonto rosso sangue; il terzo giardino era un lungo sentiero di ciottoli immerso nel nulla e che si estendeva all'infinito; il quarto giardino era un aggrovigliarsi di stradine e botteguccie che vendevano cose incredibili......il quinto giardino era un albero gigantesco di pietra vivente la cui sommità era immersa in una tempesta di neve perenne!" Mentre il mio battito cardiaco torna nell'intervallo di normalità chiedo ad Atsu qualche particolare del suo sogno per dimostrarle che la stavo ascoltando.
Mentre camminiamo penso sovrappensiero che Kainu non è con noi. Forse ha già raggiunto Materia.
Mentre giro l'angolo e li vedo, lei seduta distrattamente sui gradini di una scala e lui subito dietro di lei non posso fare a meno di stupirmi di come lei si sia rapidamente infilata nella nostra vita. Come se ci fossimo dimenticati di lei per un po’ per poi semplicemente ritrovarla al posto giusto.
Io sono una persona diffidente, Atsu persino paranoica con gli estranei. Materia sembra meno densa degli altri esseri umani. Forse è per questo che dà l'impressione di esserci sempre stata.
Kainu mi saluta e comincia a raccontarmi della sua moto. Atsu e Materia camminano vicine e parlano a bassa voce. 
Come fanno a capirsi? Io sono due passi dietro di loro e le sento appena bisbigliare.
Mentre con un orecchio seguo il brusio delle loro voci, con l'altro ascolto Kainu che mi racconta dell'ennesima riparazione necessaria al motore di Penelope.
Tipico di Kainu....chiedetegli in che circostanze ha perso la verginità e si lancerà in una serie di ipotesi attendibili quanto le promesse di un ubriaco ma anche addormentato si ricorderebbe quante volte ha sostituito le candele di Penelope. Questa riparazione gli costerà un occhio della testa, d'altronde tra poco Atsu compirà gli anni e io ho un progetto ambizioso: siccome regalarle un anello è fuori discussione a meno di non voler essere costretto a un cambio di residenza, l'unica soluzione è comprarle un kimono.
Un kimono di seta pura completo di obi in broccato e sottoveste costa una fortuna. Per questo aspetto con ansia ottobre.
Mio fratello tornerà dalle vacanze e riaprirà il ristorante. 
Ci sono due cose che mio fratello adora fare: nell'ordine cucinare e rompermi le palle. Quando lavoro per lui come cameriere ha modo di fare entrambe le cose contemporaneamente e so che non resisterà.
Inoltre nel suo ristorante io sono una celebrità e alcune persone prenotano solo i tavoli di cui mi occupo io.
Se Penelope ha bisogno di riparazioni anche Kainu sarà costretto ad accettare il lavoro e in due sarà ancora più divertente.
Chiaramente mio fratello non vede l'ora di reclutarmi ma il nostro rapporto è troppo lirico perché lui mi possa offrire il lavoro in modo ragionevole. 
Prima litigheremo, poi ci copriremo di insulti facendo vaghi accenni alle virtù delle rispettive madri e infine ci metteremo d'accordo su una cifra che mi costringerà ad orari interminabili, tali che Raphael sarà costretto di tanto in tanto a venirmi a ripescare nella dispensa del ristorante dove finirò per appisolarmi.
A questo punto Raphael lascerà cadere dall'alto accenni e spunti di riflessione sull'argomento "sfruttamento minorile". Il mio stipendio crescerà di pari passo con l'irritazione del mio fratellastro e guadagnerò nell'ultimo mese più soldi di quanti non mi siano necessari.
Questo è il grande piano. Salvo contrattempi.
Quando qualche giorno dopo mio fratello torna dalle vacanze il mio piano sembra un bel sogno che come una nuvoletta si dissolve di fronte alla prosaica, violenta, rivendicativa ed infinitamente irritante realtà.
Atsu si chiude in camera sua (anche se Akira al riguardo ha qualcosa da ridire), la peonia appassisce e Raphael indossa gli occhiali con la montatura in acciaio per mettere una distanza tra sé e lo spettacolo che gli si para davanti. 
Il giornale lo legge in soggiorno, non posso più appoggiare la testa sulle sue ginocchia.
Il tè si materializza davanti alla porta di camera mia per le cinque, contenuto dentro a un termos.
È tè solubile, una vera porcheria. Molto, molto inquietante.
Alla sera sul divano del salotto trovo un piumino d'oca e un cuscino. È da almeno un decennio che non dorme più in questa casa...le terre emerse cominciano ad apparirmi un po’ inospitali.
Odio modificare le mie abitudini. Ma odio di più mio fratello. L'aria è distesa quanto una pallina di carta stagnola. È questo l'effetto che fa Akira.
Sposto i miei libri sul tavolo della cucina e mentre mi siedo Raphael stacca un momento gli occhi dall'articolo che sta leggendo e li solleva verso di me. 
Un sorriso rapido come un raggio di luna tra le nubi gli attraversa il viso. 
Quando Atsu esce dalla sua stanza per andare in bagno le faccio notare che sono le cinque e un quarto. 
Me lo devo fare da solo questo diavolo di tè? Oppure devo bere quella brodaglia immonda nel thermos?
Quando sento queste parole uscire dalla mia bocca non credo alle mie orecchie. Mentre l'acqua bolle l'atmosfera sembra distendersi. 
Forse è merito del vapore ma Atsu si siede accanto a me e rimaniamo seduti a tavola fino all'ora di cena.
Il giorno dopo mio padre svela l'arcano. Mio fratello ha deciso di tinteggiare il suo appartamento e starà un paio di giorni da noi in attesa che la pittura sia asciutta. 
Per me può bersela tutta la sua cazzo di vernice.
Basta che porti il suo maledetto culo fuori da qui. Appena posso lancio un'occhiata al napalm a mio padre.
Questa è la mia casa. Non accetto l'atmosfera di desolazione che spira in casa in queste ore.
"Potevi avvertirmi!" gli sibilo in faccia.
"Michail finiscila. Tuo fratello qui può tornare quando vuole. Argomento chiuso"
"....."
 
La mattina dopo Akira viene a cercarmi in salotto. Pensavo che almeno fossimo d'accordo sul rimanere in acque internazionali. Questa è una vera e propria invasione di campo.
Mi giro immediatamente verso di lui. Mi ha sorpreso alle spalle troppe volte, oramai ho imparato che uno come Akira è meglio averlo davanti alla faccia piuttosto che dietro alla schiena.
"Ciao fratellino"
"Akira"
"Rilassati Michelino. Non ho voglia di scatenare una rissa" Fantastico. 
Siamo già passati ai diminutivi. Riguardo alla sua dichiarazione il vero significato è 'se volessi potrei farlo e tu non potresti farci proprio nulla'.
Cerco di rilassarmi. Sta cercando di innervosirmi e io voglio quel dannato lavoro. Ripenso alla mia prima immersione subacquea. Il trucco è mantenere il controllo, il resto è una sciocchezza.
Prendo un bel respiro e mi preparo a staccare il boccaglio. Manners. Semplicissimo.
"Alla tua età dovrebbe esserti passata la voglia di corpo a corpo con altri maschi"
Ma che diavolo sto dicendo?!?
Akira mi guarda prima stupito, poi perplesso. Sulla mia faccia ci sono più o meno le stesse espressioni.
Mi fissa indeciso se pestarmi o chiedermi se va tutto bene. Ho voglia di chiudermi in un barattolo di conserva per il resto della mia vita.
Dopo avermi dato una lunga occhiata mi informa che tra due settimane il ristorante riaprirà. 
Io non faccio commenti. Se sarò io a chiedergli di assumermi si sentirà in diritto di mercanteggiare. Mentre ci fissiamo io sto valutando come rispondergli.
“Allora, sei disponibile?” mi chiede con malagrazia.
“Devo consultare la mia agenda” gli soffio in faccia. Non posso credere di averlo detto davvero! Adesso basta, esci dal mio corpo!
Akira mi fissa perplesso e sul suo bel volto orientale si fa largo un dubbio: che il suo fratello acquisito abbia iniziato ad alzare il gomito.
“Quando la hai consultata, fammi sapere”. A questo punto esce dalla stanza, non prima di aver spento la sua sigaretta nel vaso dove tengo la mia piantina grassa. Tanto la piantina Atsu adora la cenere.
A cena stiamo già discutendo dei dettagli; probabilmente alcuni clienti hanno già prenotato i tavoli affidati a me. Per questo le trattative sono state inaspettatamente semplici. 
In effetti al ristorante ci copriamo di insulti in modo ricercato ed elegante e molti clienti vengono per assistere a questi siparietti. 
Anche il fatto che il mio fratello acquisito ed il suo socio di nome Santiago siano dei draghi a cucinare il pesce ovviamente ha il suo peso. 
Quando lavoro lì mi sento sereno: stare solo con Akira sarebbe davvero ansiogeno. Mentre Santiago è un bel ragazzo cileno, di buon carattere e dalla risata facile. 
Anche nei momenti di maggior carico riesce sempre a lavorare serenamente. Con una risata ridimensiona qualsiasi problema. 
Vederli lavorare uno accanto all’altro mi ha fatto rivalutare mio fratello che ho sempre ritenuto un uomo aggressivo e buono a nulla. 
Ho il sospetto che siano innamorati perciò mi vergogno come un cane per ciò che ho detto alcuni minuti fa. Ma in realtà non lo so: il rapporto tra me ed Akira è così difficile che non sono nella posizione di indagare la sua vita privata.
CAPITOLO 6 …MAKING OF
Buon Natale a tutti! A breve vedremo Michail alle prese col suo lavoro part-time e soprattutto col suo esigentissimo datore di lavoro. Akira non ha un ruolo enorme nella storia ma lui e Santiago mi sono molto cari. 
Difatti dedico addirittura due capitoli a quella che è una piccola parentesi che ha il solo scopo di mettere in luce i rapporti tra Michelino ed il fratello acquisito.
Il personaggio di Santiago nasce a dodici metri di profondità e prende le mosse da un ragazzo cileno che faceva immersioni subacquee. 
Mi sono riservata di inserirlo nella storia, qualora fossi sopravvissuta all’immersione.  

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 + MAKING OF ***


Mentre attendiamo che arrivino i primi ospiti riguardo le immagini dei campioni di broccato di seta che mi hanno inviato via mail. 
Sono uno più bello dell’altro, impossibile scegliere. Peccato solo non poter toccare la stoffa. 

Santiago sta cucinando un capitone. Adora cucinare questo tipo di pesce. Ama i pesci grassi.
 Taglia finemente delle erbette che hanno un’aria deliziosa.
“Non ti pago per guardare nel vuoto, Michail” mi redarguisce mio fratello.
“Mi paghi perché sto da dio con l’abito da sala” taglio corto io.
Entro in sala e mi occupo di far brillare i calici da vino. In un altro ristorante mi avrebbero chiesto di coprire in qualche modo il nevo blu. 
Mio fratello invece mi assilla perché io indossi sempre camicie bianche, in modo che il nevo sia ancora più evidente. 
Non per mettermi in imbarazzo, lo fa perché il ristorante ha le sue peculiarità: il sorriso caloroso di Santiago, la cura maniacale nella scelta delle materie prime, il cameriere con lo schizzo d’inchiostro in faccia.
Alle otto in punto arrivano gli ospiti del mio primo tavolo. Li accolgo con un sorriso e faccio un inchino educato a tutta la famiglia. 
Bacio la manina rugosa della donna più anziana, che so essere la capofamiglia. È una donna molto in gamba, dopo la morte del marito ha tenuto insieme una famiglia che andava a rotoli. 
I discendenti invece sono un branco di coglioncelli arricchiti. Scorto la vecchietta a capotavola, gli altri familiari ci seguono vociando.
“Allora Michail, tuo padre ti ha promesso in sposa quella bambina giapponese indimenticabile?” mi chiede la candida vecchietta.
“Mio padre non sembra troppo incline ad accettare una simile richiesta…metta una buona parola per me, se può” le rispondo con un sorriso e con un piccolo sospiro penso ‘Magari fosse così facile’.
Terminato questo breve scambio di battute, inizio a raccogliere le ordinazioni. 
Per fortuna tutti vogliono un antipasto, così coordinare le ordinazioni non diventerà un incubo. 
Comunque anche se così non fosse, riusciremmo comunque a gestire perfettamente la situazione, perché siamo dannatamente bravi.
Entro in cucina e sciorino con rapidità fastidiosa le ordinazioni ad Akira, che si volta verso Santiago dicendogli “Scusa, tu hai sentito qualcosa?”
Prendo le bottiglie di vino in cantina. Almeno sanno scegliere un buon vino, penso, mentre estraggo le bottiglie una dopo l’altra. 
Torno in sala e dopo aver stappato la bottiglia, servo la nonnina. Che lascia respirare per un po' il vino prima di assaggiarlo.
“Tuo padre è troppo rigido, tanto è inutile opporsi all’inevitabile. Se fossi mio nipote, saresti già fidanzato con lei da almeno un anno “mi dice, osservando il tenue riflesso verde del vino dorato.
“Fantastico. Può adottarmi?” rispondo prontamente.
In questo posto la storia tra me ed Atsu è assurta al rango di leggenda, non abbiamo niente da invidiare a Romeo e Giulietta. Anche questo fa parte del fascino del locale.
La nonnina ride in modo grazioso. Io servo tutti gli altri invitati. Terminato di versare il vino, porto gli antipasti. 
I piatti sono uno più bello dell’altro. Niente da dire, Akira è un artista.
Mentre entro a prendere l’ultima tornata di antipasti Akira mi chiede “Come sta la vecchina cilena?”
“Bene direi. Dice che il vino sa di tappo” detto questo giro i tacchi e me ne vado. Giusto in tempo per evitare lo strofinaccio che mio fratello mi tira dietro. Non ha tutti i torti, penso. 
Comunque non si vede tutti i giorni un tappo da millesettecento euro. Lunga vita ai vini Chardonnay.
Due uomini arrivano lievemente affannati. Mi avvicino e stringo loro la mano.
“Non dovevate affrettarvi, il tavolo ve lo avrei tenuto comunque” dico loro con affetto.
“Tuo fratello ci sgrida se arriviamo in ritardo” ridacchia uno dei due.
“Lasciate perdere il cuoco, è un disutile. Stiamo cercando un rimpiazzo” ghigno.
“Ignorate il cameriere, farnetica” asserisce la voce di mio fratello. Mi prende per la collottola e mi scrolla con grazia.
I due uomini sono amici di mio padre, primo violino e pianoforte della sua orchestra. 
Mio fratello mi stacca la mano destra dalla nuca per stringere la mano ad entrambi. Fatto questo torna in cucina.
Io li scorto al tavolo e senza chiedere nulla porto loro un Pinot Grigio. Teniamo sempre almeno una bottiglia per loro, che sono pazzi per i vini italiani. E non avvertono mai prima di arrivare… La dolce vita.
Entro in cucina a prendere i primi piatti per la famiglia cilena. Hanno ordinato il risotto alle canocchie, il profumo ha letteralmente invaso tutta la cucina. 
Sopra i piatti è stato sparso un trito di erbe, la cui composizione esatta è nota solo a Santiago. 
Porto i piatti in tavola con la serenità di sapere la mia porzione al sicuro che mi aspetta in cucina.
Quando arrivo in cucina Santiago mi chiede “È arrivato il violinista di Hamelin?”
“Si ed ha portato con sé il pianoforte. Lo sai che quei due pazzi come primo vogliono sempre e solo pasta con le sarde”
Santiago sorride ed alza gli occhi al cielo. Mio fratello gli dà una spallata affettuosa mentre salta degli spaghetti allo scoglio. 
Quei due non me la contano giusta…Approfittando del momento di tranquillità mangio il mio risotto. È dannatamente buono, maledizione. 
Bevo solo acqua perché con tutto il movimento che faccio l’alcool mi stordirebbe in un minuto. Li osservo con attenzione, per condividere uno spazio così denso d’attività ci vuole una sintonia straordinaria. 
Come fanno a lavorare gomito a gomito senza scontrarsi mai?
“Posso avere un altro po' di erbette?” chiedo a Santiago, che mi accontenta subito.
“Decurtaglielo dallo stipendio” suggerisce mio fratello.
Termino il mio pasto e mi godo lo spettacolo. Ora inizia il bello. Torno ai tavoli, i cileni vogliono il grongo, la specialità di Santiago. 
Questo pesce non gode di grande stima da parte dei critici di cucina. Perché non lo hanno mai mangiato nel nostro ristorante. 
La carne di questo pesce, normalmente considerato poco pregiato, va cucinata in modo molto particolare. 
Santiago lo avvolge in un sudario di burro e mentuccia e lo riveste di alluminio. 
Ora il grongo sembra un serpente d’argento. Mi è capitato una volta di mangiarne da solo uno intero. 
I due musicisti fanno una richiesta molto particolare: vogliono caviale cotto in latte di papavero. E che diavolo è?! Uno dei due è russo, sentirà probabilmente la mancanza della tundra.
Torno in cucina e lascio l’ordinazione ad Akira. Lui solleva lo sguardo e fissandomi con alcune ciocche di capelli scuri che gli danzano sulla fronte mi dice “Dì a quello stronzo che io il caviale lo servo solo crudo”. 
Detto questo impugna un coltello, lo pianta sul tagliere e si gira. 
Chiunque riuscirà ad estrarre quella lama dal tagliere diventerà il nuovo re d'Inghilterra.
Mi giro verso Santiago che ridacchia. Dopo pochi minuti porto in tavola un vassoio di caviale. Attorno al caviale, contenuto in una coppa di ghiaccio, 
Akira ha preparato delle corone concentriche di piccole fette di patata, uova che non sembrano proprio di gallina e piccole crespelle rotonde, che so essere un piatto tipico russo. 
Porto poi in tavola burro e limone.
La serata prosegue con un ritmo intenso ma non sfiancante. I miei ospiti terminano la cena e vengono sostituiti da altri. 
Mi trovo ad affrontare dei baiani agguerriti che vogliono assaggiare la moqueca di granchi. Niente di più facile. 
Santiago ha una adorazione per la cucina baiana. Quando sente l’ordinazione esce dalla cucina e viene personalmente a dare il benvenuto agli ospiti. 
Parla con loro uno spagnolo fluido, che non sono in grado di seguire. 
Poi arrivano due giapponesi, conoscenti di Akira. Lui prepara zuppa di miso con ostriche e poi una seconda portata di sushi e sashimi.
Verso le undici abbiamo terminato di servire gli ospiti. Gli altri camerieri sono già andati via. Akira e Santiago cenano e io mangio un dolce che nessuno ha avuto il coraggio di ordinare: la gelatina di fagioli rossi. 
In realtà non è male, è l’aspetto che scoraggia. Vedere i fagioli che galleggiano nella gelatina è abbastanza sconvolgente all’inizio. 
Non aiuto mai a riordinare la cucina. Me ne vado sempre mentre i due chef mangiano la cena. Secondo me mi mandano via perché vogliono stare soli dopo una giornata di lavoro. 
Nessuno mi toglie dalla testa che quei due siano innamorati uno dell’altro. 
Arriva a prendermi Raphael che saluta rapidamente mio fratello e Santiago. 
Arrivato a casa mi infilo sotto le coperte, pronto per un viaggio di sola andata nel regno dei sogni. Raphael entra un momento nella mia stanza e mi copre le spalle con la trapunta. Io che sono ancora nel dormiveglia, lo saluto con un brontolio. 
Lui mi lascia una tazza di latte caldo col miele, io faccio il sostenuto e lo ignoro. Aspetto che sia uscito e la bevo. 
Ora sono davvero pronto ad entrare in coma.  
CAPITOLO 7…MAKING OF
Da quanto tempo! Scrivere questo capitolo mi ha fatto venire una voglia irrefrenabile di pesce! 
Ah, non me mangio mai quanto vorrei. Finalmente una parte della storia in cui conosciamo qualche lato positivo di Akira…ne ha qualcuno, ammettiamolo. 
Solo che caratterialmente è un sociopatico. Per fortuna Santiago è l’esatto opposto.  

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 + MAKING OF ***


Piove a dirotto e sono appena tornato a casa fradicio come un pulcino.
Tra poco andremo a festeggiare il compleanno di Atsu e io ho una buona occasione per darle il mio regalo lontano da occhi indiscreti. 
Mentre mi asciugo i capelli penso che ho una gran voglia di fumare una sigaretta ma da quando Raphael ha smesso mi sento una carogna ogni volta che ne tiro fuori una dal pacchetto. 
Peraltro il suo colorito è ancora vagamente cinereo e suppongo che stasera non mangerà un granché.
Quando vado in camera di Atsu la trovo circondata da pacchetti di tè e fiori di carta di riso...le sue amiche la conoscono e non l'hanno delusa ma mi dispiace, quest'anno non c'è storia.
Noto tra le altre cose un piccolo origami a forma di gru...la carta usata per fabbricarlo è fittamente ricoperta da caratteri svolazzanti in un inchiostro azzurro brillante. 
Mi sembra la calligrafia di Materia, la cantatrice di oracoli.
Magari c'è scritto cosa accadrà stasera. In effetti non mi dispiacerebbe un piccolo suggerimento.
Atsu mi guarda e io le metto tra le braccia l'involto che contiene il kimono. 
Già dal peso capisce di cosa si tratta. Non dice una parola ma quando lo apre e vede la stoffa azzurro ghiaccio le sfugge un sussurro.
Senza sollevare lo sguardo mi dice "Lo voglio indossare stasera".
"Stasera è una dichiarazione di guerra" dico con sincerità.
"Allora da stasera siamo in guerra" ammette.
 
Mentre esco da camera sua per darle modo di cambiarsi trovo gli altri in sala. 
Ci sono lumi e candele dappertutto.
Raphael è sul divano e guarda con distacco il vaso di dolci appoggiato sul tappeto. 
Per lui è più bello da vedere che da mangiare. Eppure il suo sguardo ha un che di languido.
Kainu, Materia e gli altri invitati invece hanno intenzioni diverse e diversi tipi di tè con cui accompagnare il contenuto del vaso nel paradiso dei dolciumi. 
Vedo tazze e teiere appoggiate disordinatamente dovunque e riconosco il profumo di tè verde al gelsomino, rosso alla mandorla, nero alla rosa.
Nel vaso vedo confetti argentati, violette glassate, petali di rosa secchi, frutta secca e brinata, datteri enormi, mandorle caramellate, biancomangiare, cioccolatini, delizie turche, pasticcini arabi a base di pistacchi e pasta di mandorle con profonde crisi di identità. 
Questo è un dono di Raphael, è così bello che per almeno un paio di minuti resto a guardare perché voglio imprimermi la scena nella memoria senza dimenticare nulla. 
Dalla finestra si vede la luna.
Poi mi siedo e dopo essermi procurato una tazza di tè alla mandorla comincio a mangiare i dolci con gli altri.
 
Rimproverandoci per aver mangiato troppi dolci decidiamo di andare a piedi al ristorante. 
Nevica ma il freddo è secco. Con il cappotto si sta benissimo.
Credo sia la prima volta che vado a mangiare nel ristorante di Kira. In genere ci lavoro. 
Sono certo che abbia preparato qualcosa di speciale per Atsu. 
Non sembra ma le vuole bene.
Quando Atsu è scesa in soggiorno io ho rischiato la sincope, mio padre la fibrillazione. 
È bella da togliere il fiato ed è così evidente che il kimono è il mio regalo per lei che nessuno si prende il disturbo di chiedere chi glielo abbia portato. 
Durante la cena (in stile giapponese tradizionale, ovviamente) Atsu sorride beata nel suo involucro di seta mentre io guardo ovunque meno che verso mio padre.
Oggi è una giornata felice e non mi va di vedere l'espressione del suo viso. 
Ho tutto il resto della vita per godermela. La zuppa di miso con ostriche mi piace mentre il mollusco che mi portano subito dopo mi impressiona un po’. 
Armeggio con le bacchette. Si è chiuso in un risentimento di sali di calcio e non ha intenzione di uscirne.
"E come faccio a tirarlo fuori?" Chiedo a mio fratello mentre viene a portare il tè.
"Alla tua età dovresti aver già imparato come si fa...ma forse non ho capito a cosa tu ti stia riferendo Michail. A proposito...carino il kimono, discreto."
"La prossima volta che mi interesserà sentire il tuo parere te lo chiederò!" gli sibilo posando con una certa malagrazia le bacchette sul tavolo.
"Attento a non farti salire la pressione adesso se no più tardi come te la cavi?" mi soffia dolcemente in faccia
"Problemi di questo genere iniziano ad essere più frequenti alla tua età, giusto?" ricambio.
"Già ma siccome non si può sempre contare sulla fortuna del principiante ho preparato una cena ricca di sostanze vasodilatanti per facilitarvi, Michelino."
Raphael è allibito dalla crudele franchezza di mio fratello e il mollusco che era riuscito ad estrarre dalla conchiglia gli va per traverso.
La cena procede tra occhiatacce, allusioni e doppi sensi che Akira ed io ci sussurriamo tra una portata e l'altra.
Quando finalmente Akira si siede con noi per mangiare non nota il wasabi che ho infilato tra il riso e il pesce del suo sushi. 
Una piccola dimostrazione della mia abilità con le bacchette, fratellino, gli sussurro all'orecchio.
Onestamente è una quantità da cavallo e siccome il proprietario del ristorante ci tiene alla qualità non è la pasta insapore che trovate di solito. 
Non è un condimento ma un biglietto di sola andata per il Pronto Soccorso più vicino.
Akira ha la prontezza di sputare il boccone nel piatto non appena si accorge di cosa contiene. 
Mi guarda con rabbia mentre un ghigno sadico mi si allarga sulla faccia. 
Non posso farci nulla...strano, di solito ho un controllo migliore della mia mimica facciale.
Se è per questo ho anche caldo. Dicono che non ci sia bevanda più dissetante del tè...cerco di sollevare il coperchio della teiera da cui ho bevuto solamente io, mi rendo conto solo adesso.
Ho un lieve giramento di testa che mi costringe ad appoggiarmi allo schienale della sedia. 
C'è qualcosa che non va nel mio corpo ma è cominciato tutto in modo così subdolo che non mi sono accorto di niente.
Penso rapidamente a cosa possa avermi propinato il mio fratellino. 
Non può essere nulla di molto velenoso o pericoloso. Cerco di suonarmi convincente mentre faccio queste speculazioni.
E comunque Raphael è seduto accanto a me. Quando sollevo gli occhi verso di lui mi sta già guardando e mi fa cenno di seguirlo, aiutandomi ad alzarmi.
Mi porta in bagno, mentre camminiamo sento una sensazione di capogiro. Mi sta venendo nausea.
"Si può sapere che hai fatto per far arrabbiare tuo fratello?"
Non riesco a rispondere alla domanda perché in modo assolutamente involontario ho iniziato a respirare più profondamente. Sto per vomitare. 
Il che è una fortuna, come mi fa notare Raphael tirandomi indietro i capelli.
Ma io adesso sto male. So che tra poco sarà passato ma io ora sto male da morire e non riesco a vedere al di là di questo. Mi appoggio a lui, sono fradicio di sudore.
Quando riesco a tirarmi su dopo aver vomitato Raphael mi passa un fazzoletto. "Congratulazioni" mi comunica con un sorriso" per la tua prima sbornia"
Cosa? Tutto qui? Alcool? Io onestamente pensavo a cose come la varechina o l'antigelo. 
Per un momento ho avuto davvero paura. Scopro che da ubriaco sono paranoico. 
Strano, il vino e la birra non mi hanno mai procurato un simile malessere. 
Il sakè non ha una gradazione alcolica molto elevata. Avrà messo etanolo puro nella mia teiera, quello psicopatico?
Adesso tutto sommato non sto malissimo. Non ho più nausea. Vorrei una camicia pulita ma non si può avere tutto dalla vita. 
Ora ho capito di che vasodilatatori parlasse Akira. Mi lavo la faccia mentre Raphael dopo essersi assicurato che io stia bene torna al tavolo. 
Mentre mi guardo allo specchio col viso ancora gocciolante mi viene in mente che nel mio armadietto c'è una camicia di ricambio. In quel momento entra Kainu che mi dà una rapida occhiata. 
"Mi dispiace Michail, non mi sono accorto di nulla"
"Forse perché non guardavi nella mia direzione..." replico asciutto. Perché questo cattivo umore, non è mica la mia balia.
"...Vado a prenderti la camicia. Hai proprio un'espressione da depravato quando sei ubriaco, lasciatelo dire" mi dice col sorriso sulle labbra. 
Lui da ubriaco ha un dolcissimo sorriso da angelo.
Mi tolgo la camicia e mi lavo con l'acqua e il sapone del lavandino. 
Il sapone liquido arriva direttamente dal Giappone, ha un odore buonissimo ma indescrivibile. Atsu lo aveva chiamato Aura di Kyoto in maggio. 
Non sono mai stato a Kyoto ma se questo è l'aroma che si respira mi viene da pensare che il viaggio valga la pena.
Se falliremo sarà per il sapone liquido, lo dico sempre. Ma in questo momento il profumo mi è di conforto.
Finalmente arriva la mia camicia. Mentre me la abbottono mi rendo conto della mia incoordinazione.
Le mani non mi rispondono, merito dell’alcool? Stasera tutti si aspettano che io suoni qualcosa. La rabbia mi dà alla testa...Questa me la paga. 
"Come faccio a suonare?" chiedo a Kainu. Ho la voce strozzata dal livore.
Kainu mi aiuta coi bottoni e torniamo a sederci al momento giusto. Sta arrivando il dolce, una torta di rose di dimensioni epiche.
Atsu si gira nella mia direzione con uno sguardo interrogativo. Io mi guardo le mani e penso di usarle per strangolare Akira. 
Raphael mi allunga la sua fetta di dolce. "niente di meglio di un pò di zucchero per far passare la sbornia". 
Si, d'accordo ma sentendomi suonare tutti stasera noteranno la differenza. 
Volevo suonare qualcosa di speciale per lei stasera. È il modo migliore e più semplice per dirle tutto. 
Ero indeciso tra diversi brani ma alcuni sono semplicemente impossibili da eseguire in queste condizioni.
Dico addio all'Improvviso Fantasia di Chopin… Lo ho studiato per settimane.
Avrei giusto la curiosità di sapere se lo ha fatto apposta.
La cena è finita. Andiamo a casa. Cammino accanto a Raphael, le mani nascoste nel cappotto. Non so cosa dire.
Ho bisogno di almeno un paio d'ore. O di una lavanda gastrica.
A casa ci sediamo sul tappeto a bere altro tè. Atsu in realtà si accuccia perché col kimono non può fare altro.
Sembriamo tutti in attesa. In questi momenti generalmente se sono in vena mi alzo e vado a sedermi davanti al pianoforte. 
Atsu mi guarda. Non posso. Mi alzo e vado a sedermi davanti al pianoforte.
Penso a qualche brano lento con cui cominciare per guadagnare tempo. Kainu mi raggiunge con una chitarra.
Non conosco il suo repertorio ma per quanto mi riguarda può anche suonare Nella Vecchia Fattoria.
Comincia con un brano che non conosco ma che sicuramente è un flamenco. 
È ritmato ma più che da ballare sembra da ascoltare. Quando finisce io suono le Onde di Einaudi. 
Lo suono più lentamente di quanto non farei di solito ma non mi fido di me. 
Nonostante questo non inciampo e quando finisco non posso fare a meno di sorridere. 
Raphael contribuisce con Scarborough Fair che canta assieme a Materia. 
Mi piace molto sentirlo suonare, non conosce una nota e non riconoscerebbe una chiave di basso neanche se andasse a sbatterci contro in autostrada ma ha un ottimo orecchio. 
Ogni brano è in realtà un pezzo unico.
Poi canta da solo in francese, accompagnandosi con un motivo che sospetto essere totalmente inventato.
Quando da bambino imparavo a suonare il pianoforte mi sono accorto che aveva l'orecchio assoluto. 
Per la cronaca il mio orecchio non è fine quanto il suo ma è migliorato molto sentendolo cantare. 
Perché cercavo di andargli dietro con il pianoforte. 
Il significato del testo della canzone è grosso modo "non ho una lira ma essendo in una foresta non importa". 
Ci vorrebbe un violino e non una chitarra ma l'effetto non cambia, mette allegria.
Poi tocca me, suono la colonna sonora di un film che ad Atsu è piaciuto molto. 
Di questo brano ci sono più versioni, ne scelgo una mediamente complicata e vedo come va.
 Tutto sommato me la cavo bene e vado a una velocità ragionevole.
Atsu e Materia invece decidono di recitare alcune sinistre filastrocche che so essere inglesi. 
Anche io me ne ricordo alcuni pezzi, Atsu ne andava pazza da bambina e termino per loro alcuni versi che non ricordano. 
Curioso come mi siano rimaste in testa.
Credo che mi tormenteranno in sogno per i prossimi tre anni. 
Attacchiamo con Alice nel Paese delle Meraviglie, di cui Materia e Kainu conoscono diversi brani a memoria. 
Da lì a tirare in ballo i migliori aneddoti della nostra infanzia c'è pochissimo.
Ogni tanto suono qualche pezzo che mi viene in mente mentre sento gli altri parlare.
Mio padre in tutto questo non dice una parola. Mi guarda col lucido distacco di uno che ha sempre avuto la soluzione sotto gli occhi e finché ha potuto la ha deliberatamente ignorata.
Ora non ho voglia di pensarci.
È il momento. Ora sono sveglio. Domani forse non avrò più voglia di suonare. 
Non credo che mio padre permetterà a me ed Atsu una felice convivenza sotto lo stesso tetto. Onestamente al posto suo non so cosa farei. 
Non sono sicuro neanche di quello che farò di qui a poche ore.
E attacco.
CAPITOLO 8…MAKING OF
Il vaso di dolci è ispirato ad un ricordo reale. E quella notte si vedeva davvero la luna dalla finestra.
La colonna sonora che Michelino suona per Atsu è ‘Comptine d’un Autre Eté’ di Yann Tiersen. 
Il secondo brano (quello su cui termina il capitolo) è Rue des Cascades dello stesso compositore.  

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