Ombre dal passato di Aya88 (/viewuser.php?uid=15888)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Capitolo I
Questo
capitolo è dedicato a Urdi
perché mai avrei creduto che qualcuno volesse leggere una
mia eventuale storia,
ad hachi92 perché mi recensisce ovunque,
e a ryanforever perché
mi lascia quasi sempre un commento. Grazie e spero che vi piaccia.
^_^
Una macchina
grigia procedeva a ritmo spedito lungo una strada extraurbana, che prima di
raggiungere la città costeggiava ampie distese di campagne coltivate; in
lontananza si distinguevano il caratteristico verso dei grilli, unico suono nel
silenzio della notte, e le sagome di alcuni casolari messe in evidenza dal
contrasto tra il fondo scuro del cielo e le luci che illuminavano l’interno.
Il conducente della vettura non poteva fare a meno di pensare che tutto
sembrasse tranquillo, perfettamente nella norma, e avrebbe anche continuato a
crederlo, se non fosse stato per gli improvvisi colpi di pistola che colpirono
la parte alta del veicolo, rendendo la sua guida meno stabile. Gli spari e
l’alterato andamento dell’auto strapparono al sonno la donna e la giovane
ragazza dai capelli rosa che erano insieme all’uomo.
“Che cosa sta succedendo, Isoshi?”
“Papà, ma sono degli spari?”
“Non preoccupatevi, ci penso io, voi restate giù” le ammonì, cercando di
tranquillizzare loro e nello stesso tempo se stesso.
Le due donne obbedirono immediatamente alle sue parole e si abbassarono il più
possibile sui sedili per sfuggire alla traiettoria delle pistole.
Nel frattempo Isoshi Haruno tentò di seminare gli inseguitori, ma il suo
tentativo risultò vano; ben presto si accasciò sul volante e la vettura uscì
fuori strada. L’ultima cosa di cui si
rese conto la figlia fu lo schianto
contro il riparo al lato della strada, poi seguì il buio totale.
Sakura
si svegliò di soprassalto, gli occhi verdi sbarrati, il respiro affannato e il
cuore che martellava rapido contro il petto, e come ogni volta attese
pazientemente il ritorno alla normalità; ormai quella routine si ripeteva da
due mesi.
Sei anni fa suo padre, commissario di polizia, aveva lavorato su un caso di
spaccio di droga, e le sue indagini lo avevano reso un elemento scomodo per la
malavita organizzata, che aveva pensato bene di eliminare il problema con un
attentato in piena regola, un attento che aveva causato la morte d’entrambi i
sui genitori. Per sopportare il dolore dovuto alla loro scomparsa ingiusta,
all’età di diciotto anni aveva maturato la decisione di entrare in polizia;
consegnare i criminali alla giustizia le dava l’impressione di punire quelle
persone che, per i propri interessi, non avevano avuto il minimo scrupolo a
portarle via le persone più importanti della sua vita.
In tal modo aveva creduto davvero di riuscire a superare il proprio passato, ma
la sua era stata solo una convinzione illusoria; infatti, da quando si era
trovata ad indagare su un caso di droga, i ricordi e gli incubi legati alla
notte dell’attento erano tornati prepotentemente, e allontanarli era stato
impossibile. Per sua fortuna aveva però trovato qualcuno in grado di darle la
forza per andare avanti e non cedere di nuovo alla sofferenza, ed era
perfettamente consapevole che non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza.
A quel pensiero rivolse lo sguardo alla sveglia sul comodino e si rese conto
che tra non molto sarebbe arrivato; pensò allora ad un modo per mostrargli la
sua gratitudine e il primo che le venne in mente fu quello di preparare un
caffé.
Forse era una scelta molto semplice, ma in fondo anche i piccoli gesti hanno la
loro importanza.
Naruto
Uzumaki, capelli biondi e occhi azzurri, guidava per raggiungere la collega diventata
negli ultimi mesi qualcosa di più.
Se gli avessero chiesto come erano nati i sentimenti che provava verso di lei,
avrebbe risposto che tutto era successo senza un motivo logico; infatti la
prima volta in cui l’aveva vista il suo cuore aveva accelerato inspiegabilmente
i battiti, e da allora non era più riuscito a rallentare quel ritmo.
Si era tratto, insomma, del tradizionale colpo di fulmine, e quando il loro
rapporto si era trasformato in qualcosa di più dell’amicizia, aveva creduto che
mai sarebbe stato più felice.
Non appena raggiunse la sua destinazione, uno degli appartamenti di un palazzo
al centro di Konoha, parcheggiò nel primo posto trovato, prese i cornetti
comprati nel bar più vicino a casa sua, e scese dall’auto spinto da un
impellente desiderio di vederla; infatti, quando giunse sul pianerottolo e
bussò, i pochi minuti che fu costretto ad aspettare gli sembrarono un’eternità.
Nel momento in cui Sakura aprì la porta, si trovò di fronte un Naruto
sorridente e con la busta dei cornetti in bella mostra, e non poté non
contraccambiare con un altro sorriso.
“Ciao, ti stavo aspettando” furono le prime parole che gli rivolse.
“E io non vedevo l’ora di vederti”disse il poliziotto, facendo qualche passo in
avanti e posandole un leggero bacio sulle labbra. “Ho anche portato dei
cornetti caldi, e adesso li mangiamo tutti. Non dobbiamo lasciarne nessuno a
quel baka di Sasuke” continuò entrando nell’appartamento.
“Certo che non lo sopporti proprio” osservò Sakura, mentre richiudeva la porta
alle loro spalle.
Ma no, il nostro è uno splendido rapporto d’amicizia” replicò Naruto in tono
semiserio.
“Beh, se lo dici tu?” disse l'altra con una leggera nota di scetticismo nella
voce” Comunque vieni che ho messo su un caffè per noi due” continuò.
“Sul serio! E’ davvero un pensiero carino, Sakura-chan. E poi con i cornetti è
perfetto!” esclamò l’altro.
“Già, è vero” affermò la ragazza sorridendo e dirigendosi verso la cucina.
Solo in quel momento Naruto si rese conto che Sakura indossava ancora il
pigiama e che i suoi capelli erano leggermente in disordine, e capì che doveva
essere successo di nuovo; allora la raggiunse e, fermandola per un polso, la
fece girare e l’attirò dolcemente a sé.
Sulle
prime la ragazza risultò alquanto sorpresa, poi notò lo sguardo preoccupato del compagno e lasciò che le sue braccia le cingessero i fianchi.
“Quell’incubo è tornato ancora,non è vero?” sussurrò Naruto a pochi centimetri
dal suo volto.
“Si… ma ora ci sei tu ed è tutto a posto. Non preoccuparti” replicò l’altra
cercando di tranquillizzarlo.
“Come faccio a non preoccuparmi. Io ti amo”.
Quest’ultime
parole, pronunciate in modo così semplice e diretto da risultare disarmanti,
indussero la giovane ad accennare un sorriso.
“Anch’io ti amo, ma ora sto bene. Sul serio” disse con tono deciso.
“Va bene” disse Naruto dopo qualche istante, appoggiando la fronte a quella
della ragazza e socchiudendo gli occhi.
Sapere che aveva sofferto e che lui non si era trovato al suo fianco per
aiutarla era sempre difficile da sopportare, e pur di rimediare avrebbe voluto
non sciogliere quell’abbraccio, farle capire in tal modo che lui c’era.
La stessa Sakura, indubbiamente rassicurata dal contatto con Naruto, desiderava
in cuor suo che non s’interrompesse, ma ben presto la caffettiera iniziò a
fischiare e l’aroma del caffè a diffondersi nella stanza, costringendo i due a
separarsi.
“A quanto pare dobbiamo darci una mossa”affermò il poliziotto, mentre la ragazza si
dirigeva verso i fornelli. “ Anche perché rischiamo di arrivare allo stesso
orario di Kakashi”
“Ma se dovrebbe essere già in ufficio?” chiese Sakura senza capire cosa
intendesse dire il compagno.
“Beh, certo. Sarebbe così se la sua mente funzionasse secondo i meccanismi dei
comuni mortali” rispose Naruto, strappandole un sorriso amaro.
Uno starnuto può essere dovuto a diverse motivazioni, ma le uniche che in quel
momento vennero in mente a Kakashi Hatake furono due: la prima il principio di
un raffreddore, la seconda che qualcuno stesse parlando male di lui.
Si trattava d’ipotesi entrambe credibili se si consideravano le condizioni
atmosferiche dei giorni precedenti e la sua irreparabile attitudine al ritardo,
tuttavia essere un poliziotto lo spinse a considerare solo quella che poteva
essere spiegata razionalmente; quindi scartò la prima possibilità e optò per la
seconda. E pensò che sicuramente avrebbe dovuto prendere le opportune
precauzioni, perché con le indagini in corso giorni di permesso erano
totalmente fuori discussione.
Era ancora immerso in tali pensieri, quando il suono improvviso del cellulare
lo distolse da essi; non potendo rispondere liberamente, aprì la telefonata e
attaccò il viva voce.
“Si può sapere che fine hai fatto?” chiese una voce piuttosto alterata.
“Come sempre buongiorno Sasuke”
ribatte l’altro per nulla sorpreso dall’atteggiamento del collega.
“Sarebbe un buon giorno se tu fossi
già in ufficio, Kakashi”
“Si, lo so, ma c’era un incidente e quindi…”
“Non inventarti scuse, Hatake” l’interruppe bruscamente ”Grazie al tuo ennesimo
ritardo ho dovuto consegnare ancora una volta, al posto tuo, il rapporto
sull’ultimo caso”
“Beh, pensa al lato positivo” cercò di sdrammatizzare l’uomo “La tua diligenza
ti farà notare agli occhi di Tsunade e, credimi, la sua stima è un ottimo
lasciapassare per un futuro posto da commissario”
“Tsunade conosce già le mie capacità; non c’è bisogno d’altro. Piuttosto vedi
di sbrigarti” replicò Sasuke in tono asciutto e lapidario, chiudendo senza
preavviso la telefonata.
Kakashi capì che aveva sbagliato completamente mossa; lavorava in coppia con
Sasuke da più di un mese e non aveva ancora la minima idea di come
prenderlo.
Nel
suo ufficio il commissario di Konoha, una donna sui quarant’anni, capelli
biondi e occhi nocciola, leggeva il rapporto che le era stato appena consegnato
e pensava con soddisfazione che si trattava di un ennesimo caso risolto
brillantemente.
Tale osservazione nascondeva però anche un fondo d’amarezza: Tsunade sapeva
perfettamente che la cosa non avrebbe riscosso il minimo interesse presso le
alte sfere, considerando che da alcuni mesi a quella parte le indagini sullo
spaccio di droga erano diventate la priorità assoluta.
Tutto aveva avuto inizio dopo che alcuni studenti del liceo scientifico di
Konoha si erano sentiti male, e soprattutto dopo che una ragazza era morta per
overdose, episodi che avevano arrecato gravi danni all’immagine perfetta che il
sindaco Danzou intendeva dare della città, in vista di una sua prossima
candidatura alle elezioni regionali.
Poiché quest'ultima rappresentava un’opportunità che un tipo ambizioso come lui
non si sarebbe mai lasciato sfuggire, immediatamente erano cominciate le
pressioni affinché la faccenda si risolvesse velocemente, cosa che era
risultata molto difficile.
Il primo mese d’indagini era stato speso tra inutili tentativi di raccogliere informazioni,
lottando contro la diffidenza e la paura degli studenti, e piste che si erano
rivelate un buco nell’acqua, senza contare che con i casi di cui avevano dovuto
occuparsi giornalmente era stato impossibile concentrare l’attenzione su un
solo problema.
Ciò aveva generato inevitabilmente critiche in merito alla sua conduzione delle
indagini e alla competenza dei suoi uomini, almeno fino a quando l’idea di
Shikamaru d’infiltrarsi sia tra gli studenti sia tra il corpo docente era
riuscita a tranquillizzare la situazione.
La calma così raggiunta era però durata ben poco; infatti la trovata di Nara,
pur essendo geniale, aveva bisogno di tempo per dare dei buoni risultati, una
riflessione che purtroppo per i suoi nervi sfuggiva alla mente di Danzou.
Ormai n’aveva la certezza assoluta: detestava i politici.
Possedevano, forse innata, la pessima abitudine di costruire castelli di
sabbia, e di scaricare la propria frustrazione sugli altri nel momento cui tali
castelli erano sul punto di crollare miseramente insieme alla rispettabilità
che su di essi si basava.
Rendendosi conto di uscire da tali riflessioni gravemente demoralizzata,
Tsunade pensò che parlare con Jiraiya, per quanto a volte riuscisse ad
irritarla ancora di più, in quel momento non potesse che esserle d’aiuto;
infatti, qualunque cosa accadesse, lui non smetteva mai di credere in lei e
nelle sue capacità. E forse questo era uno dei motivi per cui l’amava.
Mentre
faceva oscillare leggermente la matita e lanciava degli sguardi furtivi fuori
dalla finestra, Ino Yamanaka sapeva di aver sbagliato completamente
valutazione.
Inizialmente aveva creduto che indossare nuovamente le vesti di studentessa del
liceo sarebbe stato divertente, ma non aveva considerato che per rendere la
recita perfetta avrebbe dovuto seguire le lezioni, e soprattutto sostenere
interrogazioni e compiti in classe. Quest’ultimi rappresentavano degli incubi
che avrebbe preferito non dover rivivere, anche se per finta, tuttavia ormai
era lì e non poteva più tirarsi indietro.
In quel momento stava ascoltando distrattamente la lezione d’inglese, che si
svolgeva tra brevi accenni alla letteratura e continui riferimenti alla vita e
ai miracoli del professore, e fu immensamente grata al suono della campanella
per essere giunto ad interrompere quella piacevole tortura.
Mentre tra i banchi iniziavano a diffondersi i consueti mormori di fine ora,
puntuale come sempre partì la pillola di saggezza del professore.
“Ragazzi ricordate: la campanella non è la fine di un incubo, ma l’inizio di un
altro*” disse riponendo i libri nella propria borsa e apprestandosi a lasciare
l’aula.
Passati alcuni istanti a chiedersi il motivo per cui lo ripetesse ogni santa
volta visti i risultati, Ino rivolse i propri pensieri all’ora successiva,
sorridendo con un pizzico di malizia.
A breve sarebbe arrivato Shikamaru, e già pregustava l’idea di metterlo in
difficoltà; non sarebbe stato facile, ma almeno avrebbe avuto un passatempo con
cui divertirsi. E sapeva che Shika non se la sarebbe presa, in fondo erano
amici da una vita e lui era perfettamente consapevole che non lo faceva con
cattiveria.
Negli stessi momenti, fuori da un’aula non molto lontana, la persona in
questione, che era stata costretta a spiegare per la terza volta il grafico di
una funzione goniometrica, malediceva se stesso e le sue idee geniali.
Quando era stato scelto l’infiltrato tra il corpo docente, l’unico ad esserne
ritenuto in grado era stato lui, perché aveva frequentato la facoltà di
matematica, cosa che non aveva potuto nascondere in alcun modo anche grazie al
gentile intervento di Ino.
Ciò che però nessuno aveva voluto considerare era che solo dopo un anno aveva
abbandonato gli studi a causa della sua congenita pigrizia, quella stessa
pigrizia che aveva reso la spiegazione e le correlate risposte fornite agli
studenti un onere insopportabile.
Anche Shikamaru aveva quindi considerato la campanella una gran liberazione;
l’unico problema consisteva nel fatto che, non avendo quel giorno nessun ora
libera tra una lezione e l’altra, possibilità che durante il resto della
settimana gli era stata concessa per agevolarlo nelle indagini, non aveva modo
di recuperare le forze necessarie per continuare ad affrontare tutto quello
sforzo.
Tale situazione lo rendeva molto nervoso e sentiva l’immancabile bisogno di una
sigaretta; era proprio sul punto di accenderla, quando la voce di Sabaku no
Temari l’interruppe bruscamente.
La conosceva da poco, ma già aveva capito che quella donna era un’incredibile
seccatura.
“Non azzardarti a fumare nei corridoi, Nara. Fino a prova contraria siamo dei
professori e dobbiamo dare il buon esempio. E se proprio non vuoi degnarti di
uscire, avvicinati almeno alla finestra. Non è molto lontana da dove ti trovi
in questo momento”
“Non dovresti essere ad insegnare quella splendida lingua che è il francese,
Sabaku?” ribatté Shikamaru in tono pacato, mentre riponeva al loro posto
accendino e sigaretta.
“Così come tu dovresti essere già in 3 A. L’unica differenza tra noi due è che io
stavo per raggiungere la mia classe, tu invece perdevi tempo” rispose Temari
prendendolo in contropiede.
Rendendosi conto che discutere con lei non avrebbe portato a nessun risultato
se non a peggiorare la sua situazione neurologica, il novello professore di
matematica evitò di replicare e si avviò verso la propria aula, mentre Temari,
per nulla indignata dal suo comportamento, lo seguiva, o perlomeno questo era
la convinzione di Shikamaru.
“Si può sapere perché adesso mi stai seguendo?” le chiese lanciandole una breve
occhiata.
“Non mi sognerei mai di fare una cosa simile. Semplicemente la mia classe è
vicina alla 3 A.
Sai com’è? Lavorando nella stessa scuola a volte può capitare. Non è così
incredibile” replicò Temari senza scomporsi.
Dopo una simile risposta Shikamaru comprese che quel mese da infiltrato gli
stava davvero facendo perdere colpi e preferì non aggiungere altro.
Mentre i due raggiungevano le rispettive mete completamente indifferenti di
fronte alla presenza dell’altro, Ino, uscita durante l’attesa, non riuscì a non
provare un irrazionale moto di gelosia misto a rimpianto e delusione.
Tra
il telefono che squillava spesso, cittadini che giungevano per i motivi più
disparati, porte che si aprivano e si chiudevano, e le parole scambiate tra i
vari poliziotti, o per distrarsi o per questioni strettamente lavorative, non
si poteva per nulla affermare che al commissariato di Konoha regnasse la calma
e il silenzio.
Tuttavia, secondo Sasuke Uchiha, niente era tale da ostacolare il normale
svolgimento delle attività giornaliere, niente tranne la voce squillante che
spesso risuonava nei corridoi, e a proposito della quale non era ancora
riuscito a darsi una spiegazione, pur non essendo una persona stupida.
Non capiva cosa avesse tanto da urlare, e soprattutto cosa avesse fatto di male
per ritrovarsi come collega Naruto Uzumaki, dopo averlo già sopportato alla
scuola di polizia.
Conscio del fatto che i suoi interrogativi difficilmente avrebbero trovato una
risposta, Sasuke giunse alla conclusione che non gli restava altro da fare se
non porre fine a quello strazio il più in fretta possibile. Uscì quindi dal suo
ufficio, raggiunse l’ingresso del commissariato ed individuò la fonte dei suoi
problemi immersa in una conversazione con un agente, mentre Sakura sceglieva
uno snack al distributore.
A parte un falso allarme di rapina quella mattinata si stava svolgendo in modo
piuttosto piatto.
“Abbassa il volume, baka. Anche se oggi non c’è molto da fare, non hai il
diritto di attentare alla mia sanità mentale” disse Sasuke in tono atono.
Colto alla sprovvista Naruto non seppe inizialmente cosa replicare e, quando
era sul punto di farlo, ogni sua parola fu troncata sul nascere dall’arrivo di
Kakashi
“Ragazzi, abbiamo il primo caso della giornata” esordì l’uomo dai capelli
argentati ”Se n’occuperanno Naruto e Sakura. Tsunade ha pensato che la cosa
renderà contento qualcuno dato che si tratta di un omicidio” continuò.
“Sul serio? E’ interessante!” esclamò Naruto.
“Naruto, un omicidio non è interessante, è drammatico!” ribatte Sakura
scioccata, dopo aver abbandonato ogni proposito di uno spuntino.
“Già, hai ragione, scusa tesoro. Mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo”
disse il poliziotto sinceramente dispiaciuto. Si era reso conto che parlare in quei
termini di un omicidio, soprattutto davanti a lei, era stato un comportamento
decisamente indelicato e stupido. Più tardi avrebbe dovuto trovare
assolutamente un modo con cui farsi perdonare. “ Comunque di chi si tratta?”
continuò.
“Un imprenditore della zona: Hiashi Hyuga. E’ stato trovato morto nel suo
ufficio” rispose Kakashi in modo breve e conciso.
“Hiashi Hyuga, ma non si tratta di uno degli uomini più influenti di konoha?”
chiese Sakura.
“Già e non è difficile che abbia avuto dei nemici, ma non possiamo restare qui
a formulare ipotesi, Sakura. Quindi andate. E’ nella zona nord della città,
vicino al cinema Zeus” replicò l’uomo asciutto.
“Ovvio che andiamo, Kakashi, ma non c’è bisogno di essere così bruschi, tanto
il morto non scappa” disse Naruto afferrando per un braccio Sakura, turbata
dalla risposta dell’uomo, e avviandosi verso l’uscita.
Mentre i due si allontanavano, Kakashi pensò allo sguardo offeso della ragazza
e si diede mentalmente dell’idiota. Se voleva davvero recuperare un rapporto
con lei, stava sbagliando completamente: aggiungere incomprensioni a quelle già
esistenti non avrebbe portato da nessuna parte.
*
Questa
frase non è mia, ma di un mio professore del liceo. E' un
piccolo omaggio.
Personaggi
comparsi nel capitolo
Sakura Haruno:anni 23,
agente al commissariato
di Konoha da 2 anni, lavora in coppia con Naruto
Naruto Uzumaki: anni 25, ispettore al commissariato
di Konoha, lavora in
coppia con Sakura.
Kakashi Hatake:anni 29, ispettore sostituto di
Shikamaru,
lavora in coppia
con Sasuke.
Sasuke Uchica: anni 25, ispettore al commissariato
di Konoha,
lavorava in
coppia con Shikamaru e attualmente con kakashi.
Tsunade:anni 40, commissario di Konoha, fidanzata
con Jiraiya.
Ino Yamanaka: anni 23, agente al commissariato di
Konoha, lavorava con
Naruto e Sakura, infiltrata tra gli studenti, amica
d’infanzia di Shikamaru.
Shikamaru Nara: anni 25, ispettore al commissariato
di Konoha,
infiltrato tra i docenti, amico d’infanzia di Ino
Angolo
dell’autrice
Questa
fanfiction è il primo racconto che scrivo in assoluto e
quindi vi prego di
accettarla nei suoi limiti narrativi e di realismo, sperando ovviamente
di
riuscire a superarli man mano che andrò avanti. Passando al
capitolo, si tratta
di un’introduzione dei personaggi principali della storia in
cui compariranno
quasi tutti quelli del manga. Se per caso risulterò OOC vi
chiedo di dirmelo,
così provvederò ad inserire
l’avvertimento. Quanto ai paring, c’è un
po’ di
tutto. Una scena NaruSaku che sperò non sia risultata troppo
sdolcinata, un
accenno TsunadeJiraiya e il triangolo ShikaInoTema (non credevo che far
parlare
Temari e Shika fosse così divertente).
Detto questo, non aggiungo altro perché credo di avervi
già tediato abbastanza
^_^
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
cc
Mi sento abbastanza bene,
solo che mi
sono ricordata un po’ del passato.
Nonostante
il
verde fosse scattato da alcuni minuti erano ancora fermi al semaforo;
infatti
qualcuno di estremamente geniale aveva avuto la brillante idea di
parcheggiare
in seconda fila ed ostacolare così la circolazione. Ne
erano seguiti un inevitabile rallentamento e il suono fastidioso dei
clacson, e con quest’ultimo erano iniziate anche le imprecazioni
di Naruto.
Quell’atteggiamento era sempre stato al di fuori d’ogni sua comprensione:
suonare come degli ossessi non rappresentava affatto la formula magica che
avrebbe sbloccato d’incanto la situazione. Ma nessuno sembrava pensarla come
lui.
Mentre cercava di rassegnarsi all’evidenza che anche per quel giorno nulla
sarebbe cambiato, la ragazza al suo fianco era completamente indifferente a ciò
che accadeva all’esterno.
Da quando avevano lasciato il commissariato, i suoi
pensieri erano rivolti esclusivamente al comportamento di Kakashi e
gradualmente il turbamento iniziale si era trasformato in rabbia ed indignazione.
Come sempre aveva provato a far finta di niente, ma non ci era riuscita; non era assolutamente in grado di accettare che fosse così freddo e brusco nei suoi confronti. Quando si sarebbe giustamente aspettata il suo sostegno, il poliziotto era sparito senza una valida motivazione, pertanto quell'atteggiamento le riusltava del tutto ingiusto e inopportuno. Ogni volta che rifletteva sulla questione, si
rendeva conto che il risentimento e il dolore per quell’amicizia naufragata
incomprensibilmente non si erano attenuati per niente. L’unico
modo per non
continuare a stare male sarebbe stato quello di convincersi in modo
definitivo
che Kakashi l’aveva sempre considerata solo la figlia del suo
superiore; ma
quell’idea, maturata a causa dell’allontanamento
ingiustificato dell’uomo e confermata apparentemente dalla
situazione attuale, risultava un’alternativa ancora
più dolorosa.
L’andamento delle vetture aveva da poco ripreso un ritmo regolare, quando la
voce di Naruto la distolse dal suo stato di estraniamento.
“Sakura, ci stai ancora pensando?” le chiese “Dai, non devi prendertela tanto.
Non lo conosco bene, però non credo che lo faccia volontariamente. E poi non
succede spesso” continuò, cercando di tranquillizzarla.
Conoscendo i sentimenti di Sakura, quella era l’unica cosa che riusciva a fare;
non aveva mai sofferto a causa della sua amicizia con Sasuke e gli risultava
davvero difficile darle un consiglio concreto.
“Hai ragione Naruto. Non ci penso più” gli rispose la ragazza dopo alcuni
secondi, rivolgendogli un sorriso. Non voleva che quella storia facesse stare
male anche lui, perché non lo meritava assolutamente dopo l’aiuto che le aveva
fornito.
Con la fatidica
domanda era calato nell’aula un silenzio quasi innaturale, e ancora una volta
Temari non riusciva a darsene una spiegazione, dato che a differenza dei suoi
colleghi aveva sempre l’abitudine di avvertire i propri allievi prima di
un’interrogazione.
Era davvero triste rendersi conto di come la sua benevolenza non fosse ben
accetta.
“Mi raccomando, ragazzi, non accalcatevi, c’è tempo per tutti” disse, posando
lo sguardo da una parte all’altra della stanza e sperando invano che qualcosa
cambiasse.
“Eh, va bene” sospirò amareggiata dopo alcuni istanti “ Anche questa volta sarò
costretta a scegliere io “
Detto questo, si sedette, avvicinò a se il registro già aperto e iniziò a
scorrere con il dito la lista dei nomi. Per un breve istante ebbe la tentazione
di chiamarlo, ma subito l’allontanò e ripiegò sull’ultimo studente dell’elenco,
un ragazzo magro e con gli occhiali, che si alzò dal banco e raggiunse
titubante la cattedra, imprecando mentalmente contro la gentilezza dei suoi
compagni di classe.
“Alors, comme on peut consideré Baudelaire dans le panorama litteraire? Et pour
quelle raison?” chiese la professoressa, iniziando l’interrogazione con delle
domande canoniche.
“ Baudelaire …Baudelaire est consideré comme le père.. le père de la poesie
moderne”rispose incerto il ragazzo, per poi continuare con sempre maggiore
sicurezza.
Mentre ascoltava l’allievo e poneva altri quesiti per sondarne la preparazione,
Temari non riuscì a non rivolgere lo sguardo alla persona a cui aveva pensato
poco prima; ne osservava i capelli rossi leggermente arruffati e gli occhi di
un verde intenso, quegli stessi occhi che a lungo gli aveva invidiato, perché
rappresentavano un’eredità che la loro madre aveva trasmesso solo a lui, lui
che con la sua nascita n’era stato la causa della morte.
Non ricordava più quanti anni avesse trascorso ad odiarlo, giungendo persino a
desiderare che non fosse mai nato, non lo ricordava perché erano stati molti, e
perché per lei non avevano più importanza; infatti col tempo aveva compreso
quanto fosse stato ingiusto il suo comportamento, anche se dettato dal dolore,
e l’unica cosa che in quel momento contava era il presente e la possibilità di
recuperare un rapporto, una possibilità offertale dal suo trasferimento a
Konoha.
Quando un anno prima aveva ottenuto un posto fisso nel liceo scientifico della
città, sapere che suo padre e suo fratello vi vivevano da alcuni anni
aveva rappresentato un motivo in più per non lasciarsi sfuggire
quell’occasione, e sebbene si rendesse conto che il suo desiderio era
egoistico e difficile da realizzare, certezza confermata dallo sguardo che
Gaara le rivolgeva ogni volta che cercava di avvicinarlo o semplicemente
durante le ore di lezione, non avrebbe rinunciato facilmente, perché senza
quella speranza la sua vita sembrava avere meno senso.
Se il ragazzo dai capelli rossi l’avesse guardata negli occhi, avrebbe colto in
essi dolore, rimorso e paura di rimanere disillusa, ma i suoi pensieri erano
rivolti altrove.
In quel momento Gaara stava cercando di trovare una scusa convincente per
giustificare al professore dell’ora successiva la sua prolungata assenza
dall’aula; infatti doveva incontrare Sasori per ricevere un nuovo rifornimento
di droga, e la faccenda aveva bisogno del suo tempo.
Anche se fino ad allora nessuno si era mai accorto di nulla, era comunque
necessario essere prudenti, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti.
Tale considerazione difficilmente gli permetteva di capire perché suo cugino
continuasse a volerlo incontrare nella scuola e non in un posto più sicuro, ma
forse Sasori riteneva una garanzia il fatto che lo spaccio di droga fosse
considerato come qualcosa di perfettamente normale dalla maggior parte dei
giovani.
Per quanto lo riguardava non aveva mai trovato niente d’interessante nel
danneggiarsi fisicamente e mentalmente per poche ore di sballo, e se aveva
accettato la proposta del cugino, lo aveva fatto solo perché quest’ultimo aveva
saputo far leva sulla sua fragilità.
Ricordava ancora molto bene il giorno d’inizio Aprile in cui Sasori era
riuscito a convincerlo.
Seduto sul
muretto di fronte alla palestra,nella parte posteriore della scuola,Gaara
cercava di godersi un attimo di pace dopo le prime ore di lezione; infatti,
anche se le vacanze di Pasqua erano durate appena una settimana,per lui
riprendere il ritmo di tutti i giorni era comunque una tragedia.
Lasciava che la luce del sole lo colpisse,assaporando la sensazione di calore
che gli trasmetteva e ascoltando il vento leggero frusciare fra le
piante, e solo quando una voce stranamente familiare lo chiamò, si
costrinse ad abbandonare la rigenerante compagnia della natura.
Dopo essersi alzato, cercò il proprietario di quella voce,individuandolo in un
uomo dai capelli rossi e dagli occhi nocciola, e per un momento pensò di essere
vittima di un’allucinazione: suo cugino Sasori aveva lasciato Suna quando
lui aveva dieci anni, e da allora non l’aveva più visto, quindi non riusciva a
credere che fosse a Konoha e stesse
cercando lui.
“Ehi,Gaara, sembra che tu abbia visto un fantasma”esordì la persona in
questione con un tono quasi beffardo.
“Credo che la mia sia una reazione perfettamente normale. Ciò che è strano è
che tu compaia all’improvviso dopo tanti anni e che mi stia cercando. Non mi
sembra che abbiamo mai avuto un gran rapporto” ribatté il ragazzo asciutto,
dopo aver messo da parte la sorpresa iniziale.
“Bella risposta, cuginetto” disse l’altro compiaciuto ”Comunque non devi
preoccuparti, perché sono qui per i tuoi interessi” continuò serio.
“I miei interessi?”domandò Gaara insospettito da tale affermazione più di
quanto non lo fosse già per la sua presenza.
“Già,proprio così” rispose l’uomo per nulla infastidito dal suo
atteggiamento diffidente ”Vorrei proporti un lavoretto che ti può procurare dei
bei soldi”
“Non mi interessa” disse il ragazzo prima che Sasori potesse aggiungere altro.
Sapeva che in passato il cugino aveva avuto problemi con la giustizia, e non
intendeva avere nulla a che fare con lui, soprattutto dopo quelle parole; stava
quindi per andarsene,rientrando in palestra,quando la voce dell’uomo lo bloccò.
“Non vorrai dirmi che preferisci continuare a vivere sulle spalle di un padre,
che non ti perdonerà mai la morte della moglie?”chiese Sasori in tono
chiaramente provocatorio.
Non appena tale domanda fu udita da Gaara, produsse nel suo cuore un colpo
sordo,che fu seguito immediatamente dall’affollarsi dei ricordi.
Lo sguardo pieno d’odio e gli atteggiamenti freddi di sua sorella; le mancate
carezze e il distacco del padre nei primi anni della sua vita; l’iniziale
incapacità di comprendere e la graduale acquisizione di consapevolezza; la
sofferenza, la solitudine, l’odio verso tutti ma anche il senso di colpa. Si
trattava di sentimenti attenuati dal tempo e dai cambiamenti avvenuti, ma
ugualmente difficili da cancellare.
Fu quindi il prevalere del passato sul presente a spingerlo a quella
risposta,una risposta in netta contrapposizione col comportamento tenuto
fino a quel momento.
“Va bene,lo farò. Di che cosa si tratta?”disse inespressivo,girandosi verso
l’uomo.
“Spacciare droga nella scuola. Non credo che sia molto difficile. Per i
dettagli ci vediamo oggi pomeriggio nel parco non lontano dal liceo”replicò
l’altro.
Gaara gli rivolse lapidarie parole di assenso e cominciò a dirigersi per la
seconda volta verso l’edificio scolastico, ma nuovamente qualcosa lo costrinse
a tornare sui propri passi.
Il rumore di un oggetto non identificato che cadeva al suolo aveva allarmato i
due cugini.
Al ricordo di quel suono si sovrappose la voce di Temari che lo rimproverava, e
ciò lo riportò al presente.
“Gaara. Dato che stai prestando molta attenzione alla lezione, potresti, per
favore, aiutare il tuo compagno di classe,la cui memoria a breve termine ha
evidentemente qualche problemino, a spiegare l’importanza della poesia “L’art
poétique” di Varlaine? En français, s’il vous plaît” stava dicendo la
giovane donna con un tono tra il serio e l’ironico.
Il ragazzo le rispose spiegando il valore programmatico del componimento, con
una luce di rancore negli occhi, ma senza lasciare trapelare un tale sentimento
dai suoi gesti o dal suo modo di esprimersi.
Con il gomito
appoggiato sulla scrivania, la mano a sostenere il capo e gli occhi fissi sul
giornale, aperto da alcuni minuti alla stessa pagina, Kakashi stava avendo la
conferma di quanto non avere nulla da fare potesse risultare snervante, perché
inevitabilmente c’era tempo per riflettere, ed inevitabilmente finiva per
pensare a ciò che era accaduto; infatti, dopo la reazione ingiustificata avuta
di fronte alle parole della collega, continuava a rimproverarsi per quel
comportamento impulsivo così lontano dal suo carattere.
Sebbene sapesse che l’unico ad aver sbagliato era stato lui, e quindi si rendesse
conto che il distacco mantenuto da Sakura nei suoi confronti era perfettamente
normale, quella situazione gli faceva male ugualmente e lo portava ad agire
in modo irrazionale. Tutta
colpa di quel sentimento ricomparso da quando si erano ritrovati casualmente a
lavorare insieme, o meglio mai sparito, nonostante tutto.
“Kakashi, tutto a posto?” gli chiese all’improvviso Sasuke, appena rientrato
nel loro ufficio.
“Cosa?”rispose l’altro con un espressione leggermente basita, per poi
riassumere una posizione composta.
“Come cosa? Ti ho già chiamato una volta e non mi hai sentito, inoltre avevi lo
sguardo completamente assente; quindi chiedevo se andava tutto bene” spiegò il
collega.
“Che fai, Sasuke, ti preoccupi per me?” domandò ironicamente l’uomo con i
capelli argentati.
“Semplicemente è nel mio interesse che la persona con cui lavoravo ci sia con
la testa,Kakashi. Soprattutto se dobbiamo occuparci di un caso di omicidio; ci
hanno appena chiamato da una palestra non lontana dal distretto, e il medico
legale è già sul posto”ribatté l’Uchica, senza raccogliere la provocazione
dell’altro poliziotto e passando direttamente alla questioni lavorative.
“Un altro omicidio. Sembra che oggi non avessero nulla da fare se non andare in
giro ad uccidere la gente” constatò Kakashi, chiedendosi se fosse meglio
rimanere seri o buttarla sullo scherzo.
Senza giungere ad una risposta, si alzò dalla sedia, indossò il giubbotto
precedentemente abbandonato sullo schienale, e seguì Sasuke che stava già
lasciando l’ufficio, dopo aver risposto alle sue parole solo con un breve cenno
d’assenso.
I due ispettori impiegarono una ventina di minuti per raggiungere la loro
destinazione; si trattava di un edificio di medie dimensioni con un discreto
spazio antistante per il parcheggio, frequentato da atleti professionisti ma
anche da gente comune che sfruttava alcune ore della giornata per mantenersi in
esercizio fisico.
Appena entrarono nella palestra, venne loro incontro un agente che li condusse
verso gli spogliatoi, dove era stato ritrovato il corpo senza vita di un
giovane atleta. Nella stanza il medico legale, una donna dai corti capelli
neri, era chinata ad esaminare il cadavere, mentre un uomo sui quarant’anni
piangeva e si disperava senza riuscire a controllarsi. “Non è giusto…una
giovane vita spezzata così…nel fiore degli anni, povero ragazzo” borbottava tra
i singhiozzi e le lacrime, coprendosi con le mani il volto.
Un simile comportamento, la bizzarra tuta verde che indossava, e gli insoliti
capelli a caschetto davano al suo aspetto un che di buffo, pur nella
drammaticità della situazione.
Notando lo sguardo perplesso di Sasuke, Kakashi capì che avrebbe dovuto
prendere in mano la situazione.
“Per favore Sasuke, inizia a fare qualche domanda in giro” disse per prima cosa
al collega, che non se lo lasciò ripetere due volte, e poi continuò
rivolgendosi all’agente che li aveva guidati fin lì “Scusa, puoi accompagnare
il signore fuori di qui? Cerca un po’ di calmarlo, grazie”
“Certo, ispettore” gli rispose l’altro, per poi condurre lontano dalla scena
del delitto Gai Maito, proprietario della palestra.
Dopo aver dato quelle disposizioni, l’uomo dai capelli argentati rivolse la sua
attenzione alla povera vittima distesa a terra in modo scomposto e con il capo
insanguinato reclinato di lato; accanto ad essa la dottoressa, ormai terminati
i primi accertamenti, lo stava guardando con un leggero sorriso.
“Certo che ti riesce davvero bene dare degli ordini, Hatake; sembra quasi che
non lo siano” affermò la donna.
“Beh, ho sempre pensato che essere autoritari non favorisca le indagini,
Shizune-san. Una buona collaborazione è molto più utile” le rispose. “Comunque
quale è la causa della morte?” domandò.
“Non ci sono molti dubbi su questo. Il ragazzo è inciampato nel borsone, che
si trova vicino ai suoi piedi, e ha sbattuto il capo contro lo spigolo della
panca, morendo praticamente sul colpo”rispose Shizune, fornendogli anche una
dinamica degli avvenimenti molto plausibile.
“Grazie per l’analisi sullo svolgimento del delitto; osservando bene, credo che
sia la più attendibile. E probabilmente non è stato un omicidio volontario ma
un litigio finito male”disse Kakashi sinceramente grato alla dottoressa, dato
che quella mattina aveva già impiegato molte energie mentali per analizzare se
stesso. “Solo un’ultima cosa: più o meno quale è l’ora del decesso?”.
“Tra le nove e le undici. Per una maggior precisione bisogna però attendere
l’autopsia” rispose la donna.
Il poliziotto stava per dire che avrebbero atteso i risultati, quando Sasuke
tornò nello spogliatoio per comunicargli le informazioni raccolte.
“Per farla breve, sembra che il nipote del proprietario, un certo Rock Lee, che
è anche un pugile professionista, sia stato visto uscire dagli spogliatoi verso
le dieci e mezza, e lasciare poco dopo la palestra alquanto sconvolto” spiegò
l’Uchiha senza alcun preambolo.
“Buon lavoro, Sasuke. Ora non ci resta che rivolgerci allo zio per convocare
questo Lee in commissariato, e sperare che gli esiti dell’autopsia ci siano
d’aiuto”affermò Kakashi, sorvolando sulla leggera espressione di stizza che era
passata sul volto del collega alle sue prime parole.
“Il proprietario è l’uomo che prima era qui presente,Kakashi” intervenne
Shizune, risultando per la seconda volta utile ai due poliziotti “Per quanto
riguarda l’autopsia, se ne parla stasera. Ora, scusatemi, ma devo andare. Buona
fortuna per le indagini” continuò, per poi dirigersi verso l’uscita.
“Grazie per l’aiuto, Shizune-san” disse Kakashi prima che la donna lasciasse la
stanza.
Quest’ultima sorrise a quelle parole, e poi si girò verso l’uomo per
rispondergli.
“Non c’è di che, mi fa piacere potervi essere utile. Però, dopo un mese di
collaborazione, credo che il san sia superfluo. Se non lo usassi più, mi
renderesti davvero felice. Volevo dirti solo questo. Ci vediamo” replicò, per
poi lasciare definitivamente soli i due ispettori.
“Sembra che la dottoressa ti abbia messo gli occhi addosso” commentò atono
Sasuke.
“Forse” mentì l’altro.
Si era, infatti, reso perfettamente conto del particolare interesse che la
donna mostrava nei suoi confronti, e non poteva negare che la cosa gli facesse
piacere, tuttavia in quel momento aveva tutt’ altro per la testa.
Mentre il corpo della giovane vittima veniva portato via, i due poliziotti
lasciarono anch’essi lo spogliatoio e, dopo aver chiesto a Gai Maito di
avvertire il nipote che dovevano fargli qualche domanda, tra la sorpresa e le
sommesse proteste dello stesso, tornarono in commissariato.
Personaggi comparsi nel capitolo
Temari no Sabaku: anni 26, docente di lingua
francese nel liceo scientifico di Konoha, sorella di Gaara.
Gaara no Sabaku: anni 18, frequenta il liceo di
konoha, spaccia
all’interno della scuola.
Gai Maito:anni 40, proprietario di una palestra
della città.
Rock Lee: anni 25, nipote di Gai Maito, pugile
professionista, frequenta
la palestra dello zio.
Shizune: anni 28, medico legale, collabora spesso
con il commissariato
di Konoha.
Angolo
dell’autrice
Prima di tutto la frase iniziale
è
tratta da Fruits Basket, e l’ho lasciata al femminile per non
alterarla, ma si
riferisce a più personaggi. Mi è sembrata adatta
a questo capitolo, poi
giudicate voi. Passando alla storia, si è saputo qualcosina in
più su Kakashi e Sakura, ho
introdotto un nuovo caso e vi ho presentato la storia di Temari e
Gaara, uno
dei “passati” più tristi della ff,
secondo me. E per chi lo stesse chiedendo Kankuro non esiste, perché
sinceramente non
sapevo come inserirlo; inoltre ho alterato decisamente la fisionomia
della
madre di Gaara. Perdonatemi qusete piccole esigenze di copione.Infine
ringrazio
anche chi ha messo la fic tra i preferiti.
Saku_piccina 93: prima di tutto sono
contenta
che la fic ti ispiri, poi riguardo alle coppie mi dispiace ma
sono già
stabilite, però nessuno dice che alla fine non saranno
quelle che ti piacciono.
Spero che continuerai lo stesso a seguirmi.^_^
Urdi: che dire..
grazie mille per i complimenti e sono davvero felice che la trovi ben
scritta;
personalmente ci vedo dei problemi nei dialoghi, nel passaggio da essi
ai
pensieri dei personaggi o dai pensieri alla narrazione.. troppo bruschi
a
volte, poi le descrizioni sono praticamente assenti. Forse sono un
po’
paranoica, ma devo comunque migliorare, ce la metterò tutta
^_^. Dopo queste osservazioni
tecniche passiamo alla storia. E’ un’au poliziesca
e spero di riuscire a dare
realismo alle indagini(forse dovevo scegliere qualcosa di
più normale, ma
l’idea mi affascinava molto), anche se alla fine è
soprattutto una cornice alla
storia dei vari personaggi, sono felice che il rapporto tra Sakura e
Kakashi ti
abbia incuriosita, e poi devo darti una brutta notizia.. i poliziotti
me li
immagino in borghese e quindi nulla divisa per il nostro amato Kakashi.
Tuttavia dalla tua osservazione ho pensato ad un capitolo dove te lo
presenterò
proprio in divisa e che mi permetterà di spiegare il passato
comune di Kakashi
e Sakura; quindi grazie per averla fatta. Spero che ti sia piaciuto
anche
questo capitolo.
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo ff
Gli
uffici amministrativi della ditta immobiliare Hyuga, che aveva a Konoha quasi
il monopolio nel settore, erano collocati in un palazzo di media altezza lungo
una strada occupata principalmente da negozi; quindi trovare un parcheggio
nelle vicinanze risultò praticamente
impossibile, e ciò procurò nel biondo alla guida, che aveva sperato in un po’
di tranquillità dopo la prolungata sosta al semaforo, un moto d’insofferenza
tale che la ricerca giunse a buon fine solo grazie alle indicazioni di Sakura.
Ma
sfortunatamente le difficoltà avevano deciso di perseguitare i due poliziotti.
Quando
raggiunsero l’edificio, infatti, furono costretti a farsi largo tra i
giornalisti che affollavano l’ingresso in cerca d’informazioni; tuttavia Naruto
si mostrò imperturbabile e liquidò le domande che gli furono poste agitando
leggermente la mano destra e scuotendo il capo in senso di diniego. La
motivazione di tanto autocontrollo era molto semplice: l’esperienza gli aveva
insegnato che sottolineare che non poteva sapere nulla sarebbe stato
praticamente inutile, e quindi preferiva rimanere completamente indifferente. Mentre
lo seguiva, Sakura pensò che era ancora più bello se assumeva un atteggiamento
serio, e lasciò che un sorriso apparisse sulle sue labbra per poi sparire
rapidamente; infatti non era il momento più opportuno per simili pensieri.
Non
appena giunsero nell’ufficio del titolare della ditta, da dove il corpo esanime
dell’uomo era ormai stato portato via, Naruto chiese un resoconto del primo
sopraluogo al giovane agente presente sul posto, che era stato incaricato dal
medico legale di comunicare ai colleghi il risultato dell’esame sul cadavere.
‘La
dottoressa è giunta alla conclusione che Hiashi Hyuga è morto per alcuni colpi
al ventre di un’arma acuminata, che però non siamo ancora riusciti a trovare’
spiegò brevemente.
‘Chi
ha ritrovato il cadavere?’ domandò il poliziotto biondo.
‘La
segretaria’ replicò rapido l’altro, per poi illustrare meglio lo svolgimento
dei fatti ‘ La donna doveva consegnare dei documenti, e quando ha bussato senza
ricevere alcuna risposta, insospettita è entrata, e ciò che si è trovata di
fronte non è stato per nulla un bello spettacolo ’ continuò enfatizzando
l’ultima frase.
‘Per
favore, amico, stringi,non abbiamo tutta la giornata ’ lo bloccò bruscamente
Naruto, guadagnandosi da parte di Sakura un’occhiataccia e una veloce gomitata
che gli fece sfuggire un’esclamazione di dolore.
‘Sì,
mi scusi ispettore‘ proseguì l’agente piuttosto imbarazzato ‘ Comunque la segretaria
ha visto l’uomo accasciato sulla sedia e
la figlia che lo guardava sconvolta e con le mani sporche di sangue’.
‘E
dove si trova quest'ultima in questo momento?’ intervenne Sakura.
‘L’ho
fatta accomodare nella sala qui affianco,perché ho pensato che avesse bisogno
di calma ’ rispose il ragazzo.
‘Buon
idea’ commentò Naruto, per poi rivolgersi alla collega ’Sakura prova a vedere
se riesce a dirti qualcosa, intanto io
faccio qualche domanda ai dipendenti e agli addetti delle pulizie ’.
‘Va
bene’ replicò l’altra.
Seduta
su una sedia della sala d’aspetto e scossa da un leggero tremore, Hinata Hyuga
teneva le mani chiuse a pugno sulle ginocchia, sperando ingenuamente che quel
gesto riuscisse a restituirle in parte la stabilità emotiva, ed inespressiva
fissava il pavimento senza realmente vederlo; infatti, ciò che aveva davanti
agli occhi non erano le mattonelle bianche, ma i momenti in cui il suo falso
equilibrio si era spezzato e poi ricostruito su una base ancora più illusoria.
Per anni, aveva accettato la freddezza del padre, le continue insistenze per
dei voti degni della futura erede dell’azienda, e il disprezzo che appariva nei
suoi occhi quando non era in grado di soddisfare le sue aspettative; aveva
volontariamente deciso di sopportare, giungendo persino a reprimere le proprie
aspirazioni, e tutto perché aveva compreso il dolore che quel comportamento
nascondeva, e soprattutto perché il cuore non aveva voluto rinunciare
facilmente alla speranza di ricevere un po’ d’amore. Tuttavia, era stato
sufficiente un unico giorno per creare una frattura che solo la sua debolezza
aveva reso invisibile.
Qualche
settimana prima, la professoressa di storia e filosofia aveva annunciato ai
propri allievi che alla fine del mese si sarebbe svolta una giornata
d’orientamento universitario e gli aveva propinato un discorso sull’utilità e
sull’importanza della loro partecipazione, un discorso che Hinata aveva seguito
con finto interesse, poiché sapeva bene che il suo futuro era già stato
tracciato. Eppure, quel giorno, si era ritrovata lo stesso ad ascoltare un
professore che illustrava agli studenti presenti l’offerta formativa e gli
sbocchi professionali della facoltà di Beni Culturali. Non si era resa conto
con precisione di come fosse successo, ma sicuramente ogni inibizione psicologica
era crollata miseramente; forse si era stancata di aspettare invano.
Tale scelta,
anche se presa irrazionalmente, fu in grado di trasmetterle la determinazione
necessaria per opporsi finalmente a suo padre; infatti la sera stessa, prima
che entrasse per l’ennesima volta in quella maledetta stanza, trovò il coraggio
di fermarlo e di esprimere il desiderio a lungo tenuto nascosto.
‘Padre, posso
parlarti?’ esordì, meravigliandosi di se stessa.
Come la figlia
anche Hiashi si sorprese del tono privo di incertezza,ma girandosi verso di lei
mostrò il solito sguardo di pacata indifferenza e attese silenzioso che la
ragazza continuasse.
‘Stamattina
all’orientamento universitario ho preso una decisione ’ proseguì Hinata
guardandolo dritto negli occhi. ‘Dopo il diploma intendo iscrivermi a Beni
Culturali'
‘Che cosa?’
chiese il padre senza più nascondere il suo stupore.
‘Voglio
iscrivermi a Beni Culturali’ ribadì l’altra.
Di fronte a
quelle parole ripetute nuovamente senza esitazioni Hiashi sentì la collera
comparire velocemente e , senza riuscire a reprimerla , afferrò con violenza la
figlia per le spalle.
‘Qualunque cosa
tu voglia, tutto è già stabilito ’ sibilò a pochi centimetri dal suo volto, per
poi spingerla a terra in malo modo ed allontanarsi come se nulla fosse
successo.
Completamente
scioccata dalla reazione del padre e con un terribile groppo alla gola, Hinata
si rese conto di essere stata una vera sciocca a credere che esporgli il suo
sogno avrebbe cambiato qualcosa, ma non riusciva più ad accettare una simile
ingiustizia; quindi si alzò, si diresse
verso l’ingresso e con le lacrime agli occhi uscì, inconsapevole che sua
sorella Hanabi l’aveva vista.
Il rumore delle
macchine che sfrecciavano velocemente sul cavalcavia giungeva alle orecchie di
Hinata attutito; in balia del dolore e dei desideri aveva solo cercato
d’allontanarsi il più in fretta possibile da quella casa e quindi completamente
intirizzita subiva le conseguenze del suo gesto impulsivo.
Dopo aver
abbandonato l’abitazione, aveva vagato a lungo per le strade della città e
infine si era rifugiata sotto quel ponte con un’enorme confusione nella mente e
nel cuore.
Da una parte non
voleva tornare indietro, voleva lasciarsi alle spalle quella vita priva
d’affetti e basata su continue imposizioni, ma dall’altra sapeva che fuggire,
ammesso che ci fosse riuscita, non le avrebbe concesso nessuna aspettativa e
che soprattutto non aveva senso, perché non avrebbe trovato altrove l’amore
paterno che continuava a desiderare nonostante la crepa che quella giornata
aveva creato.
Alla fine
quest’ultime considerazioni, in bilico tra pragmatismo e ragione del cuore,
ebbero il sopravvento, e quando vide giungere la polizia, la ragazza non pensò
minimamente di scappare.
‘Hinata’
incominciò Sakura, riportandola bruscamente al presente.
Avendo
vissuto l’esperienza della perdita di un genitore, la poliziotta aveva scelto
di rivolgersi a lei in modo informale, perché agire diversamente avrebbe solo
creato un distacco capace di rendere ancora più impenetrabile la barriera
innalzata dalla sofferenza, e ciò non avrebbe aiutato né la ragazza né le
indagini.
‘Credi
di poter rispondere ad alcune domande?’ continuò dopo una breve pausa e nel
modo più delicato possibile.
La giovane Hyuga, destabilizzata ancora di più
da quel tuffo nei ricordi, alzò leggermente il volto rivolgendole uno sguardo
che esprimeva completo smarrimento, ma non riuscì a pronunciare alcuna parola;
rendendosi conto delle difficoltà della ragazza, Sakura preferì non inferire
con quesiti che non avrebbero ricevuto nessuna risposta.
‘Se
non ci riesci, non devi preoccuparti. Puoi anche venire domani in commissariato
’ le disse.
‘Sì,
io non…’ balbettò Hinata chinando il capo e serrando gli occhi bianchi; le
emozioni che avviluppavano tenacemente il suo cuore facevano troppo male.
Davanti
a quella reazione Sakura provò un subitaneo moto di compassione che cercò di
reprimere velocemente, perché aveva compreso, verificandolo in prima persona,
che la cosa peggiore è scorgere in chi ti circonda la commiserazione,
soprattutto se si tratta di completi estranei.
‘Hinata-sama’
esordì all’improvviso una voce.
Le
due ragazze si voltarono sorprese verso la soglia, dove un’anziana donna
osservava preoccupata la scena.
‘Yumi’
rispose Hinata flebilmente.
‘Keiko-san
mi ha avvertita e mi sono precipitata qui ’ spiegò l’altra mentre si affrettava
a raggiungerla.
‘Mi
scusi signora, chi è?’ chiese Sakura.
‘Lavoro
in casa Hyuga come governante e se non le dispiace vorrei portare Hinata-sama a
casa. Ha bisogno di calma ’ replicò la donna leggermente irritata e posando su
di lei gli occhi castani indecifrabili.
‘Certo,
non c’è nessun problema, però domani dovrebbe presentarsi al commissariato per
alcune domande ’ disse la poliziotta.
‘Sì,
non si preoccupi ’rispose sbrigativa la governante, per poi invitare Hinata a
seguirla.
Mentre
le due lasciavano la sala, Sakura pensò che l’atteggiamento dell’anziana donna
era alquanto strano, ma annoverò subito quell’idea tra le impressioni prive di
fondamento, perché si rendeva conto che in quel momento la sua mente era
confusa dai sentimenti negativi emersi dal passato; quindi evitò qualsiasi
deduzione e si diresse nel corridoio, dove sospirando appoggiò la schiena alla
parete e attese l’arrivo di Naruto, che la raggiunse dopo una ventina di
minuti.
‘Allora,
hai scoperto qualcosa?’ gli chiese quando si avvicinò, sperando che quella
volta non si accorgesse di nulla.
‘Magari’
rispose Naruto con una leggere smorfia sulle labbra ’Qui nessuno ha visto una
persona comportarsi in modo sospetto o estranea all’ambiente lavorativo. Hanno
solo fatto riferimento alla figlia perché generalmente non veniva dal padre in
ufficio, ma questo non significa nulla. Potrebbe essere venuta per qualsiasi
motivo. Piuttosto ti ha detto qualcosa?’.
‘No,
era troppo sconvolta, senza contare che è andata via quasi subito con la
governate. Sembra che l’abbiano avvertita dell’accaduto. Tuttavia le ho chiesto
di venire domani in commissariato ’ replicò omettendo qualsiasi riferimento
alle sue impressioni.
‘Beh,
hai fatto bene, Sakura, però oltre all’interrogatorio dobbiamo raccogliere
delle informazioni sulla situazione familiare degli Hyuga. Forse ne esce fuori
qualche elemento utile per dare un indirizzo alle indagini dato che così siamo
praticamente in alto mare, senza contare che l’arma del delitto sembra
scomparsa ’affermò il biondo.
‘Certo,
capisco, potremmo fare delle domande ai vicini, però come mai hai escluso a
priori qualche odio legato all’ambiente di lavoro?’ gli domandò l’altra.
‘Perché
credo che sia poco credibile. Pensaci bene. Se così fosse, non l’avrebbero
ucciso proprio in ufficio rischiando di diffondere sospetti che difficilmente
non avremmo preso in considerazione, e inoltre ho chiesto,ma sembra che nessuno
avesse problemi con il capo. Quindi esclusa quest’ipotesi, la famiglia è una
seconda possibilità su cui non possiamo non soffermarci, anche se il luogo
dell’omicidio mi lascia ugualmente perplesso ’ le spiegò ‘ Comunque per le
domande ai vicini se ne parla oggi pomeriggio, perché adesso si va a mangiare
qualcosa e non si discute ’ continuò, cambiando improvvisamente argomento e
facendo crollare ogni apparenza di serietà nonostante il tono della voce.
‘Cosa?’
esclamò Sakura stupita, ma il collega non le diede retta e si avviò subito
verso le scale con un sorriso sulle labbra.
‘Naruto?’
lo richiamò alzando leggermente la voce.
‘Ho
detto che non si discute ’ replicò deciso il poliziotto senza voltarsi verso di lei
o fermarsi.
Trascorsi
alcuni istanti Sakura scosse il capo e lo seguì rassegnata alla sua
imprevedibilità e per nulla infastidita: Naruto era fatto così e ciò lo rendeva
speciale ai suoi occhi, senza contare che le aveva permesso nuovamente di
allontanare ogni brutto pensiero.
Al
liceo scientifico di Konoha le lezioni volgevano ormai al termine e Asuma
Sarutobi, professore di educazione fisica, trascorreva quell’ultima mezzora
lontano da occhi indiscreti e in compagnia della sua fidanzata Kurenai Yuhi. A
causa dei corsi di recupero che la donna avrebbe tenuto nel pomeriggio, i due
avrebbero potuto vedersi solo la sera e tale situazione, senza quell’incontro,
sarebbe risultata all’uomo insostenibile.
Mentre
le accarezzava dolcemente i lunghi capelli neri e il viso posato da alcuni
minuti contro il suo petto, l’osservava silenzioso e si meravigliava nuovamente
che amasse proprio lui; infatti, non era ancora riuscito a capire che cosa una
donna raffinata e dotata di cultura come lei trovasse di speciale in una
persona che aveva voluto fare dello sport la sua vita e che per giunta aveva
fallito miseramente. Non essendo in grado di trovare una risposta convincente,
ogni volta temeva che quella piacevole illusione, che pure durava da cinque
anni, si sarebbe spezzata da un momento all’altro, una paura che gli impediva
di esprimere apertamente il desiderio di sposarla nato negli ultimi mesi.
‘Asuma’
lo chiamò all’improvviso la donna ‘Allontana immediatamente dalla mente quel
pensiero. Non sei inferiore a nessuno ’ affermò perentoria, guardandolo negli
occhi.
‘Come
l’hai capito?’ domandò sorpreso l’altro.
‘Se
in certe situazioni resti a lungo silenzioso, il motivo è sempre lo stesso.
Ormai ti conosco ’ rispose Kurenai, accompagnando l’ultima frase con un sorriso
che riscaldò il cuore dell’uomo.
‘Aspetta’
continuò, fermando così Asuma prima che
la baciasse ‘Sei davvero sicuro che non ci sia nessun problema se rimani ancora
qui con me?’.
‘Sì,
non preoccuparti ’ replicò in tono calmo il professore ‘ In palestra c’è Iruka
e nei pressi del campetto Baki, quindi i ragazzi sono sotto controllo ’spiegò.
‘Va
bene ’ disse tranquillizzata la donna, per poi lasciare che le distanze tra i
loro visi si azzerassero completamente.
Gaara,
che apparentemente seguiva con un gruppo di compagni la partita di calcio in
corso di svolgimento nel campetto, in realtà stava aspettando l’arrivo di Sai,
il ragazzo moro che l’aiutava a diffondere la droga nella scuola, e pertanto
indirizzava a ritmo regolare degli sguardi furtivi verso la soglia della
palestra, purtroppo ignaro che la persona oggetto della sua ricerca aveva
raggiunto il luogo dell’incontro attraverso un percorso alternativo e
l’osservava da alcuni minuti silenzioso e con un sorriso beffardo sulle labbra.
Quest’ultimo,
infatti, poiché provava un certo divertimento nel vedere sul volto del collega un’espressione spazientita, non
aveva trovato nessun motivo per interrompere immediatamente quell’attesa, e
mentre si compiaceva di un simile comportamento, pensava che gli sarebbe
dispiaciuto non avere più la possibilità di fare innervosire il ragazzo dai capelli rossi, essendo
sicuro che dopo gli ultimi avvenimenti la polizia non avrebbe tardato a
scoprirli.
Tale
certezza, che normalmente avrebbe messo in allarme qualsiasi criminale, a Sai
non procurava nessuna preoccupazione, perché essa rientrava fin dall’inizio nei
suoi piani.
Quando
l’anno prima aveva ascoltato il dialogo tra i due cugini, nella sua mente
calcolatrice si era subito fatta strada l’idea che una storia di droga
all’interno dell’istituto avrebbe fatto crollare l’immagine perfetta della
città che suo zio Danzou intendeva costruire per soddisfare le proprie
ambizioni politiche, e inoltre aveva pensato che l’arresto del nipote l’avrebbe
screditato, mettendo in discussione l’educazione che era stato in grado di
impartirgli e di cui amava vantarsi.
Si
era insomma reso conto che il meccanismo perverso dell’opinione pubblica gli
avrebbe permesso di vendicarsi di uno zio che l’aveva sempre considerato un
fardello insopportabile, e per questo aveva lasciato cadere volontariamente
l’album da disegno.
Nel
momento in cui il ragazzo si ritenne soddisfatto, decise finalmente di chiamare
Gaara, che si voltò nella sua direzione con un’espressione stupita che si
trasformò velocemente in una di stizza.
‘Si
può sapere da dove vieni e perché ci hai messo tanto?’ lo ammonì chiaramente
innervosito.
‘Si
tratta di una lunga storia ’ replicò vago Sai con tono calmo e con il solito
falso sorriso sulle labbra.
Dopo
tale risposta Gaara, rassegnato all’atteggiamento fuori d’ogni logica del moro,
preferì non aggiungere altro e si diresse immediatamente verso gli spogliatoi
della palestra.
Una
volta che li ebbero raggiunti, Sai rimase all’esterno a controllare la
situazione, mentre l'altro ragazzo vi entrò per dividere la droga in due parti uguali
e riporre una di esse nel borsone che il pomeriggio precedente, durante le
attività sportive, aveva nascosto in uno degli armadietti.
Generalmente
sbrigavano quelle incombenze pratiche a casa di Sai, dato che lo zio era spesso
assente, ma quel giorno erano stati costretti ad agire diversamente, perché il
ragazzo era impegnato a scuola con un corso di potenziamento, situazione che
non aveva fatto slittare la data della consegna.
Terminate
le operazioni senza nessuna complicazione, i due ragazzi si separarono e
lasciarono la scuola immergendosi nella confusione seguita al suono della
campanella.
Personaggi
comparsi nel capitolo
Hinata
Hyuga: anni 22,
studentessa
universitaria, figlia di Hiashi Hyuga,il titolare di una ditta
immobiliare.
Asuma
Sarutobi: anni 35,
professore di educazione
fisica, fidanzato con Kurenai Yuhi.
Kurenai Yuhi:
anni 34,
professoressa di
italiano, compagna di Asuma.
Sai: anni 19, nipote del sindaco di Konoha Danzou,
spaccia nella scuola in
collaborazione con Gaara.
Angolo
dell’autrice
Prima di
tutto mi scuso con chi segue la fic per il mostruoso ritardo, ma
l’università
sottrae tempo e soprattutto energie mentali, senza contare che ho
rivisto mille
volte il caso Hyuga prima di apprestarmi a scrivere il capitolo. Detto
questo.
spero che il risultato sia quantomeno accettabile e che soprattutto le
riflessioni dei personaggi risultino credibili(tipo i ragionamenti
investigativi di Naruto, per me resta ancora un mistero il
perché sia andata a
complicarmi la vita con un poliziesco, mah ^_^).
Passando
alla storia, ormai ho presentato tutti i personaggi centrali,a parte
qualcun
altro che comparirà successivamente per ragioni di trama(
è pur sempre un
giallo), ed è finita la parte iniziale
di questa prima giornata che si prospetta piuttosto
intensa; rivelazioni
sul passato di Naruto in vista^_^. Infine vorrei tranquillizzare i fans
di
Sasuke, per quanto il personaggio del manga non mi vada a genio, qui
siamo in
un’ Au e quindi avrà il suo ruolo, con Naruto e
non solo.
Sperando
che il capitolo sia piaciuto, passo alle recensioni.
shandril: sono felice
che la lettura sia piacevole e soprattutto che
le vicende personali interessino dato che rappresentano il centro della
storia,
al di là dell’ambientazione poliziesca^_^
Sull’eventuale svolta KakaSaku, tengo
la bocca cucita; per capirci qualcosa ci vorrà un
po’(dopo che questi due casi
verranno risolti per la precisione). Spero che mi seguirai lo stesso^_^
Urdi: finalmente
sono riuscita a
pubblicare il capitolo(favorita da un ‘filone’ eh
eh) e spero che l’ attesa
ti sembri ben ricompensata, personalmente non ne sono sicura,
nonostante ci
abbia messo tanto tempo per scriverlo, va be^_^ Comunque sei scusata
per ovvie
ragioni e grazie per i complimenti e il tuo sostegno morale. Su Kakashi
e
Sakura dovrai aspettare ancora, però posso dirti che non
c’è stata nessuna
relazione in passato per un motivo che poteva già intuirsi,
ma sono contenta
che non sia avvenuto^_^ Grazie ancora e un bacio.
hachi92: sono contenta
che hai trovato il
tempo per leggere questa fic, che ho dedicato a te come l’ho
dedicata a Urdi
perché senza le vostre recensioni mi sarei fermata a
‘Ciò che rimane ’ molto
probabilmente^_^. Mi fa piacere che ti piaccia per
l’ambientazione che ho
scelto, anche se non so quanto sarò in grado di essere
credibile, e per quanto
riguarda Gaara, tranquilla perché non ha avuto problemi
prima. Sulle coppie
spero di non deluderti troppo^_^ Un bacio e alla prossima!!
|
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
Capitolo IV
Dedicato a
storyteller lover alias
Vale,
perchè si è assunta l'onere di essere la mia beta.
Un abbraccio per l'esame, tesoruccia^_^
Durante
l’attesa Sakura si era ritrovata a sfogliare una copia del quotidiano che ogni
mattina Izo-san portava nei loro uffici, per invogliarli nel tempo libero ad
una lettura costruttiva; dopo essersi soffermata sulle principali notizie
politiche, evitando accuratamente il solito articolo di fondo filo-governativo,
aveva iniziato a leggere nella sezione culturale la presentazione di una mostra
impressionista, che da lì a breve si sarebbe svolta in una città non lontana da
Konoha.
Per
un momento era stata sfiorata dall’idea di visitarla, ma subito l’aveva
allontanata, perché sapeva che Naruto, anche se non lo avesse dimostrato
apertamente, si sarebbe sicuramente annoiato. Terminata la lettura
dell’articolo, chiuse il giornale piegandolo in due e lo ripose sulla scrivania
accanto al computer; stava poi per alzarsi con l’intenzione di prendere un
caffè, quando sentì la voce di Ino.
“Ma
guarda un po’. Mentre mi sorbisco cinque lunghe ed interminabili ore di
lezione, qui si batte la fiacca; è davvero molto gratificante” disse
ironicamente la nuova arrivata, mentre si avvicinava alla collega, che in tre
anni di collaborazione era diventata anche un’amica fidata.
“Ino”
replicò sorpresa ” Non ti ho proprio sentito arrivare”.
“Me
ne sono accorta; eri decisamente assorta nella lettura ” commentò l’altra,
sedendosi e portando sul petto i lunghi capelli biondi raccolti in una coda “
Si trattava di un articolo così interessante?” domandò.
”Beh,
sì, lo era, ma lasciamo stare” rispose Sakura, liquidando sbrigativa la
questione “Piuttosto, come è andata la giornata? Qualche progresso nelle
indagini?” chiese poi con quell’ansia che ogni volta, contro la sua volontà, si
associava alla domanda.
Col
trascorrere delle settimane, infatti, aveva finito inevitabilmente per sperare
sempre di più in una risposta che non fosse del tutto negativa, perché prima
avrebbero risolto quel maledetto caso, e prima la situazione sarebbe ritornata
alla normalità: gli incubi col tempo si sarebbero dileguati, e con l’assenza di
Kakashi forse non ci sarebbe più stato il ricordo di un’amicizia a tormentarla.
“Purtroppo
no. Oggi avrei dovuto approfittare dell’ora di educazione fisica, ma non avevo
la testa. So quanto sia importante per te che questa faccenda si concluda il
più in fretta possibile, e mi dispiace” rispose dopo alcuni istanti l’amica,
desolata per quella situazione e nello stesso tempo assalita dalle emozioni che
aveva provato nel vedere Shikamaru insieme alla professoressa Sabaku.
“Ehi,
Ino, per me non è un problema se non riesci a scoprire nulla, volevo solo
sapere della tua mattinata di lavoro, che poi ciò riguardi anche i miei
problemi personali non c’entra. Non pretendo assolutamente niente, né da te né
da Shikamaru, e non voglio che tu ti senta in colpa o qualcosa di simile” disse
Sakura in tono deciso, mentre odiava se stessa; quel giorno riusciva unicamente
a far preoccupare le persone a cui voleva bene e non lo sopportava.
“Ma
cosa intendevi con 'non avevo la testa’ ? Cosa è successo?” domandò poi
allarmata da quell’affermazione.
“Semplicemente
sono una stupida,Sakura” replicò sommessamente l’altra, chiudendo le mani a
pugno e abbassando lo sguardo triste sulla scrivania “ So che prima o poi
Shikamaru potrebbe innamorarsi di qualcuno, eppure continuo ancora a non
confessargli i miei sentimenti, sempre per paura. Sono solo una sciocca
ragazzina,ecco cosa sono” concluse amaramente storcendo le labbra.
Nonostante
si rendesse conto di quanto il suo comportamento potesse risultare infantile,
soprattutto considerando che erano trascorsi diversi anni da quando aveva
capito di amarlo, non era ugualmente in grado di allontanare dal suo cuore il
timore di rovinare la loro amicizia con la verità.
“Ino”
affermò Sakura, spingendola a distogliere gli occhi azzurri dalla superficie di
legno “I sentimenti non sono razionali. Possiamo anche essere consapevoli che
certi nostri comportamenti sono sbagliati,ma non è lo stesso per il nostro
cuore; in simili casi non credo che ci sia qualcosa da considerare stupido”.
“Sì,
è vero, però non ha senso continuare così. Non posso aspettare qualcosa che
potrebbe anche non verificarsi; devo trovare il coraggio necessario” disse la
poliziotta bionda. “Comunque grazie per aver tentato di tirarmi su di
morale,Sakura” continuò accennando un sorriso.
“Beh,se
ci fossi riuscita,sarebbe stato meglio” replicò l’altra, sentendosi inadeguata.
“L’
importante è che tu ci abbia provato” la tranquillizzò Ino.
In
un altro ufficio del distretto di Konoha gli interlocutori erano sempre due
amici legati da diversi anni di conoscenza, ma la discussione seguiva binari
completamenti differenti.
Naruto,
in piedi di fronte all’Uchiha impegnato a lavorare a computer, cercava invano
di convincerlo ad aiutarlo.
“Dai,
Sasuke, non ti sto chiedendo qualcosa di impossibile ” insistette ancora nel
tentativo di vincere le sue resistenze.
“Infatti
non mi sembra di aver detto questo ” rispose atono l’altro, senza interrompere
la propria attività. “ Te lo ripeto. Devo controllare dei nominativi per il caso
della palestra e possibilmente dovrei riuscirci prima dell’interrogatorio,
quindi non ho tempo. Inoltre potevi chiedere l’indirizzo degli Hyuga durante il
sopraluogo; sarebbe stata la cosa più ovvia ”
Il
poliziotto biondo sbuffò leggermente, incrociando le braccia sul petto.
“Questo
lo so anch’io, ma non posso farci nulla se al momento non ci ho pensato” si
difese. “Certo che sei sempre il solito
noioso” gli fece poi notare rassegnato.
“Si
può dire lo stesso per la tua testa dura ” replicò Sasuke senza scomporsi “
Comunque puoi usare anche il tuo pc, piuttosto di portare avanti questa
polemica inutile” continuò poco dopo.
“Oh,
beh, scusa, se avevo pensato di chiederti un favore,dato che sei più pratico
con internet” rispose irritato.
“Perdonate
l’intromissione, ragazzi” intervenne all’improvviso kakashi, ritornato da
alcuni istanti nell’ufficio.
L’uomo
dai capelli argentati che era stato presente all’inizio della conversazione
aveva, infatti, previsto che l’Uchiha non avrebbe ceduto alla richiesta del
collega, e quindi aveva deciso di cercare egli stesso l’indirizzo, così da
risolvere il più in fretta possibile uno dei consueti battibecchi tra i due
poliziotti.
Quest’ultimi
gli prestarono immediatamente attenzione; Naruto represse il nervosismo che
l’atteggiamento dell’amico gli aveva procurato, mentre Sasuke tralasciò
momentaneamente le proprie ricerche.
“Izo-san
è stato molto disponibile e mi ha permesso di trovare l’ubicazione di casa
Hyuga” continuò avvicinandosi all’ Uzumaki.
Dopo
quelle parole Sasuke, resosi conto che la questione non gli interessava,
ritornò a concentrarsi sul proprio lavoro.
“
Ah,grazie” esclamò sorpreso Naruto, prendendo il foglietto che Kakashi gli
porgeva.
“Di
niente” rispose l’altro, per poi dirigersi verso la propria scrivania.
“Aspetta
un momento” lo fermò però il biondo dopo alcuni istanti, intenzionato a
sfruttare l’occasione. L’uomo a quel richiamo si voltò e attese che il collega
continuasse, incrociandone lo sguardo.
“Senti
Kakashi… io non posso conoscere le tue motivazioni, né mi interessano, però
credo che dovresti chiederle scusa” disse in tono pacato ma fermo, sicuro di
non dover chiarire la sua affermazione. “Ovviamente il mio vuole essere solo un
consiglio, ma spero che ci penserai. Comunque grazie ancora per l’indirizzo,
ora devo proprio scappare. Ci vediamo” concluse, lasciando successivamente la
stanza.
L’ispettore
Hatake, fermo al centro dell’ufficio, non era per nulla sorpreso da quelle
parole, anzi sapeva perfettamente che prima o poi le avrebbe sentite uscire
dalla sua bocca, ma a differenza di Naruto si rendeva conto che la situazione
non era così semplice.
C’era,
infatti, la possibilità che insieme alle scuse Sakura pretendesse giustamente
dei chiarimenti, e sebbene in alcuni momenti si ritrovasse a desiderare di
spiegarle ogni cosa, sentiva di non averne il diritto; non voleva rischiare di
rovinare un presente in cui la ragazza sembrava aver trovato finalmente la
felicità e la tranquillità.
Dopo
un rapido pranzo in un locale nei pressi dell’istituto scolastico, Temari aveva
cercato un’aula non occupata dagli studenti per correggere tranquillamente
alcuni compiti in classe, attività con cui aveva deciso di impiegare il tempo
prima dell’inizio di una conferenza sul francese contemporaneo che si sarebbe
svolta nello stesso liceo.
Aveva
appena finito di visionare il secondo elaborato, quando ricevette la telefonata
che attendeva da diversi giorni; suo
padre le confermava finalmente la cena che più volte
avevano rimandato, a causa dei rispettivi impegni e perché avevano voluto
attendere quello che si illudevano di definire il momento più opportuno.
Quella
notizia assunse gradualmente una consistenza reale nella mente della giovane
donna che si trovò a fronteggiare un’inquietudine crescente nonostante avesse
desiderato quel momento; infatti le paure che aveva cercato di relegare in
fondo al proprio cuore tornarono prepotentemente a tormentarla.
Quando
aveva iniziato a maturare l’idea di quella cena, si era resa perfettamente
conto che rappresentava un rischio, perché avrebbe potuto rivelarsi un utile
punto di partenza ma anche rendere tutto più complicato; tuttavia aveva deciso
lo stesso di tentare, poiché l’atteggiamento del fratello non le lasciava altra
scelta. In quel momento prevaleva, però, il timore che stesse sbagliando e ad
esso si univa anche quello per la reazione di Gaara, ancora ignaro dell’incontro.
Non
riusciva a cancellare dalla mente l’idea che il ragazzo le avrebbe rivolto
parole sprezzanti, parole giustificabili ma
inevitabilmente difficili da sopportare; era sempre stata considerata una
persona forte, ma non sapeva fino a che punto lo sarebbe stata in quella
situazione.
Pervasa
inevitabilmente dell’ansia e per tanto incapace di ritornare a concentrasi sui
lavori dei propri allievi, abbandonati ormai da alcuni minuti al proprio
destino, Temari si alzò dalla sedia emettendo un sospiro, raccolse poi i fogli
sparsi sulla cattedra e lasciò l’aula dirigendosi verso la sala professori.
Giunta
a destinazione entrò nella stanza e con gesti più meccanici che consapevoli si
avvicinò al proprio cassetto riponendovi i compiti, senza accorgersi
minimamente della presenza di Shikamaru che non appena l’aveva vista si era
chiesto dove fosse finita la sua buona stella.
Quest’ultimo
aveva infatti progettato di sfruttare la mezz’ora precedente ai corsi di
recupero per porre nel modo meno sospetto possibile delle domande e Temari
rappresentava l’ultima persona che avrebbe scelto, considerando l’innata
capacità della donna di infastidirlo con poche battute e soprattutto la cattiva
reputazione che aveva di lui – un perenne
annoiato disinteressato del mondo l’aveva sentita definirlo durante una
conversazione con Kurenai Yuhi; tuttavia la propria professionalità gli impedì
di rinunciare ad un’opportunità per raccogliere informazioni utili.
“Temari”
la chiamò allora, sperando di non incontrare delle difficoltà.
Convinta
fin a quel momento di essere sola la professoressa spalancò leggermente gli
occhi sorpresa di sentire il proprio nome, poi, cercando di allontanare i
pensieri che la turbavano, si voltò per identificare il proprio interlocutore.
“Shikamaru?”
disse con un tono interrogativo che esprimeva stupore.
“Beh,
si, fino a prova contraria è il mio nome” rispose neutro l’ispettore, che aveva
ormai abbandonato la sedia su cui era seduto.
“Indubbiamente”
replicò rapida l’altra “Solo mi meraviglia trovarti qui”.
“Stavo
aspettando l’inizio dei corsi di recupero” le spiegò ”Comunque, già che ci
sono, ti posso chiedere una cosa?” continuò per portare subito la conversazione
sull’argomento che gli interessava.
“Tu
che fai delle domande?” gli chiese Temari ancora una volta colta alla
sprovvista e senza alcuna traccia di ironia; non era per nulla dell’umore
adatto per farne.“E di cosa si tratta?”.
“Oggi
nei corridoi mi è capitato di sentire alcuni studenti accennare ad una ragazza
morta di overdose all’interno della scuola e vorrei sapere qualcosa in più. Non
so se dei miei allievi l’abbiano
conosciuta, ma eventualmente delle
informazioni potrebbero aiutarmi a comportarmi nel modo più opportuno, se in
classe dovesse essere affrontato l’argomento” rispose, preferendo giustificare
la propria richiesta con una motivazione lavorativa piuttosto che con un
interresse personale, così da non destare nessuna sorta di sospetto nella
donna.
“Capisco”
affermò, infatti, quest’ultima senza considerare strana la sua spiegazione.
“Per quanto mi riguarda, posso solo dirti le impressioni che mi ero fatta su
Matsuri durante qualche supplenza e quando la vedevo in 5 B” continuò seria.
“Come
mai in 5 B?” chiese Shikamaru dissimulando l’interesse che provava per quella
informazione.
“Semplicemente
conosceva alcune ragazze della classe, e dai sorrisetti e le frasi che si
scambiavano sembrava che venisse soprattutto per vedere Gaara…credo che avesse
una cotta per lui, ma questo non è importante” replicò, abbassando lo sguardo e
fissando un punto imprecisato davanti a sé mentre pronunciava le ultime frasi.
Nel
far riferimento al fratello era stata assalita dal rimpianto per quel legame
che aveva ciecamente rinnegato; avrebbe voluto sapere il più possibile della
vita di Gaara - chi fossero i suoi amici, di chi fosse innamorato, quali
fossero i suoi sogni e le sue aspirazioni -, ma nello stesso tempo si rendeva
conto di averlo capito troppo tardi, qualunque sarebbe stato l’esito della
cena.
Scosse
allora il capo nel vano tentativo di scacciare l’amarezza e tornò a guardare
Shikamaru, il quale sorpreso dall’atteggiamento inconsueto della collega
riportò la conversazione sull’argomento iniziale.
“In
effetti non lo è…” mentì “Comunque cosa volevi dire prima che t’interrompessi?”.
“Ecco…” cominciò Temari, mentre recuperava il
filo iniziale dei suoi pensieri. “Sostanzialmente Matsuri mi sembrava una
ragazza piuttosto timida, tuttavia cercava sempre di partecipare durante le
discussioni che si creavano in classe ed si mostrava molto disponibile con
tutti. Era come se sentisse il bisogno di farsi accettare…non so se ci fossero
delle motivazioni reali, se il suo comportamento avesse origine nella
situazione familiare o qualcosa di simile, però questa sua necessità potrebbe
essere la stesa ragione che l’ha portata a scegliere la droga. Ovviamente si
tratta solo di una mia opinione, non posso esserne sicura” concluse
sottolineando l’opinabilità delle sue affermazioni.
“Si,
certo, chiederò anche a qualche altro collega. Grazie lo stesso” rispose in modo
cordiale l’ispettore.
“Figurati.
Ora scusami, ma devo seguire una conferenza che inizierà a breve” disse la
donna, per poi andarsene.
Rimasto
nuovamente da solo Shikamaru si ritrovò a pensare di essere stato fortunato,
infatti Temari avrebbe potuto senza problemi considerare insolita la sua
disinformazione, dato lo scalpore che la morte di Matsuri aveva suscitato a
Konoha e che ancora continuava a provocare a distanza di mesi; tuttavia ciò che
provava in quel momento non era soltanto sollievo, ma con sua incredulità anche
una vena di preoccupazione.
Nonostante
Itachi Uchiha si fosse sdraiato sul letto con la sola intenzione di riposare
erano stati sufficienti pochi minuti per scivolare nelle ombre mutevoli del
sonno, capaci di lambire i sentimenti più reconditi dell’animo umano e di
dargli forma, popolando il momentaneo distacco dalla realtà con sogni o incubi.
Inconsapevolmente
era sprofondato in un mondo dall’atmosfera sfumata, dove si confondevano ricordi e illusioni: i dolci
lineamenti di sua madre illuminati da un sorriso confortante; l’espressione
rapita di suo fratello Sasuke, poi imbronciata dopo l’ennesima promessa
infranta; il volto di suo padre deformato dal dolore della morte; un sereno
quadro familiare perduto ma agognato; una riconciliazione irrealizzabile.
Quando
la sequenza di immagini mentali si interruppe, l’uomo si risvegliò col respiro
irregolare per l’intensità delle emozioni che avevano turbato il suo riposo;
l’amara nostalgia, il vano desiderio struggente e il senso di colpa dominati in
quindici lunghissimi anni ormai lo assalivano sempre più spesso, in un modo o
nell’altro.
Nel
tentativo di calmarsi e di alleviare la sensazione di pesantezza che lo
pervadeva chiuse gli occhi, si portò una mano tra i capelli scuri scostando le
ciocche che ricadevano sulla fronte e assaporò la luce calda del sole, che
entrava dalla finestra e gli illuminava il viso pallido. Trascorse così diversi
minuti, riuscendo a recuperare un po’ di pace, e quando sentì il leggero
cigolio della porta che si apriva lanciò una rapida occhiata al nuovo arrivato;
come era prevedibile si trattava di Kisame, l’uomo con cui da molti anni
spacciava all’interno della discoteca Alba e con il quale aveva stabilito
qualcosa di molto simile ad un rapporto d’amicizia, se per pura necessità non
avrebbe però saputo dirlo.
“Scusa,
non intendevo disturbarti” esordì quest’ultimo.
“Non
c’è nessun problema, non stavo dormendo” spiegò Itachi, dopo essersi tirato su
sedendosi sul letto “Piuttosto ci sono novità?” continuò col capo chino mentre
metteva le pantofole.
Kisame
esitò indeciso sul tono da utilizzare, poi scelse di rispondergli in modo
neutro senza nessuna coloritura ironica o scherzosa.
“Si,
un’oretta fa è tornato Sasori e ci ha comunicato che stasera Madara sarà ospite
del locale”.
“Capisco”
disse poco dopo l’altro, celando alla perfezione l’insofferenza.
Dopodiché si alzò annunciando che
avrebbe fatto una doccia, proposito che aveva rimandato in precedenza a causa
del sonno improvviso, e si diresse verso il bagno; mentre lo seguiva con lo
sguardo, Kisame sperò che la notizia appena ricevuta non influisse sull’umore
di Itachi rendendolo più distaccato del solito, poi pensò che avrebbe raggiunto
molto volentieri Morfeo.
La
piccola stanza adibita allo svolgimento degli interrogatori era arredata in
modo semplice ed essenziale; un tavolo non molto grande e circondato da due
sedie occupava la zona centrale, illuminata a sufficienza da una finestra,
mentre sulle pareti spoglie era appeso un unico quadro rappresentante lo stemma
della polizia, quasi a voler marcare la funzione del luogo.
Rock
Lee si soffermò con delusione ad osservare proprio quell’emblema e fu allora
che l’ispettore Uchiha lo raggiunse e gli si sedette di fronte.
“Salve
Lee” esordì in un tono né troppo confidenziale né eccessivamente distaccato;
sebbene Sasuke si trovasse a ricoprire un ruolo d’autorità i due avevano
pressappoco la stessa età.
“Salve”
ricambiò l’altro con voce sommessa.
“Immagino
che tu abbia saputo della morte di Aizawa Daisuke?”.
“Si,
me l’hanno detto”.
“Bene,
allora possiamo passare alle domande” spiegò il poliziotto consapevole che il
pugile non avrebbe potuto dire altro, ma dovendo pur cominciare in qualche
modo.
“Quali
erano i tuoi rapporti con la vittima?” chiese per prima cosa.
“Ecco…
io e Daisuke frequentavamo entrambi la palestra di mio zio, ma non posso dire
che fossimo amici. Ci incontravamo solo nelle ore di allenamento e mi è
capitato poche volte di incontrarlo fuori”.
“Avete
mai avuto qualche discussione?”.
“Beh,
Daisuke, in effetti, era un tipo piuttosto litigioso e qualche volta ci è
capitato di discutere… ma tutto finiva lì” rispose Lee, spinto poi
dall’amarezza che provava a distogliere momentaneamente lo sguardo da quello di
Sasuke.
“Ho
capito” affermò quest’ultimo notando la cosa “Ora dovresti dirmi dove eri tra
le dieci e le undici di stamattina?” continuò proseguendo con il quesito
indubbiamente più spinoso.
“Ero
in palestra, ma poi me ne sono andato. Non saprei dire che ora fosse però” gli
spiegò lo sportivo pronto ad una simile domanda.
“Come
mai hai lasciato la palestra?”.
“Ho
avuto un impegno improvviso”.
“E
di che cosa si trattava per la precisione? Dato che alcuni testimoni ci hanno
riferito di averti visto piuttosto sconvolto, non credo che fosse un semplice
imprevisto” disse l’Uchiha interessato alla risposta e alla reazione
dell’interrogato.
“Beh…
ecco… si… era urgente” biascicò Lee lentamente, per poi continuare in modo
chiaro “Un mio amico mi ha chiamato perché aveva avuto un incidente con la
macchina ed ho cercato di raggiungerlo il più in fretta possibile”.
“Dove
sarebbe avvenuto?”.
“Poco
fuori di Konoha”.
“Va
bene, per ora può bastare” disse il poliziotto dopo alcuni istanti,
insospettito dal tentennamento iniziale del pugile e annotando mentalmente di
chiedere conferma del sinistro alla stradale “Devi però tenerti disponibile per
qualsiasi evenienza” spiegò poi, mentre si alzava.
“Si,
certo” rispose il pugile abbandonando la propria sedia in qualche modo
sollevato. Su
esortazione di Sasuke venne poi accompagnato da un agente all’uscita del
commissariato, mentre l’ispettore raggiungeva il collega per comunicargli le
informazioni raccolte e le sue considerazioni a proposito.
Note
dell'autrice
E
finalmente posto. Non posso far altro che stendere un velo
pietoso
sull'enorme ritardo, ma è successo tutto e di
più,sorry^_^
Riguardo al capitolo e alla fic in generale, le rivelazioni su Naruto
sono
rimandate al prossimo capitolo, dove spero di riuscire a trattare bene
gli
argomenti in ballo, e abbiamo avuto qualche new entry (in particolare
Itachi
per la gioia di qualcuno^_^) . Detto questo passo a rigraziare coloro
che hanno
messo la fic nei preferiti e chi segue: bacinaru, hachi92,
Saku_piccina93,
sasusakuxxx, Urdi, Gweiddi
at Ecate.
Urdi: tesoro, finalmente ho postato, contenta? ^_^
'I sassi in direzioni
completamente opposte' mi avrebbero tromentato a lungo se non mi avessi
chiarito il significato, e riguardo agli incasinamenti, sì,
l'intreccio è molto incasinato, spero di non
perdermi nei suoi fili o
meglio di tirare fuori lo stesso qualcosa di decente. Sono felice di
aver
trattato bene Naruto(spero di riuscirci anche nel prossimo
capitolo^_^) e
che ti sia piaciuto, tra l'altro è piaciuto un
sacco anche a me. Dico
così. perchè sono io che scrivo, ma i personaggi
a volte si comportano da soli.
E tu lo sai bene. Un bacio e un abbraccio!! p.s. la camomilla
è
servita^_^
hachi92: oh, Kikina, donna impegnata, ti adoro!!!
Sono davvero contenta
di riuscire a farti immergere nella lettura e spero che il caso Hyuga
riesca ad
appassionarti con i suoi particolari. Prossimamente, ma anche in questo
capitolo,
puoi indossare senza problemi i panni del detective conan
e io ti
auguro buona fortuna. Rriceverò un 'disgraziata' anche da te
oltre che dalla
beta? staremo a vedere eh eh baci ^_^
|
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Capitolo V Non
puoi odiare una persona fino a quando non capisci
come
diventerebbe la tua vita se l’amassi.
(Jodi
Picoult, Senza lasciare traccia)
Come
era prevedibile l’abitazione degli Hyuga era ubicata in uno dei quartieri più
noti e ricchi di Konoha, dove era possibile imbattersi in bar e locali
raffinati, negozi dai prezzi inaccessibili e uomini d’affari vestiti di tutto
punto. Per raggiungere la zona, i due poliziotti impiegarono un buon quarto
d’ora e fu Sakura a guidare la vettura, così da risparmiare al collega un altro
stress da parcheggio e ripagarlo delle preoccupazioni che durante la mattinata
gli aveva procurato. Dal
canto suo, Naruto gradì molto tale decisione perché ebbe l’opportunità di
osservare l’amata in tutto il suo splendore, e ciò con l’inevitabile effetto di
imbarazzarla. Quando
riuscirono, infatti, ad individuare l’edificio che cercavano e a trovare un
buon posto dove sostare, la ragazza spense l’automobile, lasciò scivolare le
mani dal volante alle ginocchia e si voltò verso di lui con le gote arrossate e
uno sguardo che esprimeva disorientamento.
“Hai
finito, vero?” Gli chiese con tono di finto rimprovero.
“Di
fare cosa?” Replicò l’altro candidamente ma con un’espressione sorniona sul
volto.
Sakura
emise allora un sospiro divertita, chiudendo gli occhi e reclinando leggermente
il capo, poi sentì la mano di Naruto scompigliarle con dolcezza i capelli e la
sua voce che la invitava a seguirlo. Pervasa da una sensazione di calore,
incurvò le labbra in un sorriso, pensando che avrebbe voluto serbare per sempre
i ricordi di simili momenti spensierati in modo da poterli contrapporre a
quelli dolorosi. Sentendosi rassicurata e protetta da questa idea scese
dall’abitacolo e raggiunse in fretta il collega, che l’aspettava all’ingresso
del palazzo.
I
due chiesero informazioni al portiere, un uomo basso e tarchiato, che li
indirizzò al secondo piano; lì si avvicinarono alla porta sulla destra, che
presentava una targa color oro con la scritta ‘Famiglia Hoshima’, e bussarono.
Nel giro di pochi minuti giunse ad aprirli una giovane donna, i capelli
raccolti in uno chignon e indosso un classico tubino grigio ricoperto da un
grembiule bianco privo di fronzoli. Nel trovarsi di fronte i due giovani la
cameriera rimase alquanto stupita, poiché la sua datrice di lavoro non aveva né
figli né nipoti; ma, quando il poliziotto biondo le mostrò il proprio
distintivo, intuì subito il motivo della loro presenza e li lasciò entrare. Come
era sua abitudine, accompagnò gli ospiti in salotto esortandoli ad accomodarsi
sul divano e annunciando che avrebbe avvertito la padrona di casa, poi si
allontanò mentre i due si sedevano seguendo il suo invito.
Durante
il tempo d’attesa, l’attenzione di Naruto si concentrò sui diversi elementi che
costituivano l’arredamento lussuoso della sala. Oltre che sul divano in tessuto
damascato e dalla tinta color sabbia, di cui osservò i raffinati arabeschi
dorati, il ragazzo indugiò con lo sguardo sui tappeti turchi in seta, sulle
eleganti tende bianche, sul tavolo ovale adornato con candelabri in argento,
sul mobile intarsiato con sportelli a specchio e soprattutto sul pendolo a muro
posto proprio di fronte a lui. Non aveva mai visto dal vivo nessuno di quegli
oggetti di pregio, ma l’orologio con il suo andamento ritmico e scintillante lo
aveva praticamente affascinato. Seduta al suo fianco, Sakura notò l’espressione
meravigliata e di pura curiosità che ne dipingeva il volto, e le sembrò quasi
di avere davanti un bambino alle prese con l’esplorazione di una casa
abbandonata, dove ogni piccolo particolare poteva rivelargli un segreto
affascinante. Inizialmente il paragone di Naruto con un fanciullo investigatore
la indusse a pensare che dopotutto la realtà non era molto diversa, ma ben
presto si insinuò nella sua mente un’altra considerazione: l’atteggiamento del
collega poteva in qualche modo avvalorare l’idea che aveva maturato da quando
si frequentavano anche al di fuori dell’ambiente lavorativo, e cioè che il
giovane non avesse avuto una vita agiata.
Era
giunta a tale conclusione mettendo insieme diversi frammenti, dall’ordine che
regnava nell’appartamento del poliziotto alle sue buone capacità culinarie,
dalla cura con cui l’aveva visto svolgere alcune faccende domestiche alla parte
dello stipendio che versava a sua madre. Ovviamente era anche possibile che la
sua supposizione non trovasse nessun fondamento logico in quegli elementi,
tuttavia non era riuscita ad accantonarla, tanto che avrebbe cercato di
dissipare i suoi dubbi se Naruto non si fosse mostrato sfuggente sulla sua vita
familiare. Insistere sull’argomento le era invece sembrato invadente, e ne era
ancora convinta, sebbene in quel momento avrebbe voluto sapere tutto. All’improvviso
avvertì una strana sensazione e, non riuscendo a darle un nome, la scacciò per
rivolgere di nuovo la sua attenzione al partner, che continuava a fissare le
oscillazioni del pendolo. Dopo aver controllato rapidamente che non arrivasse
nessuno, si girò di lato puntellandosi con una mano sul sedile del divano e lo
chiamò. Naruto interruppe la propria contemplazione e si voltò a guardarla
ritrovandosi a pochi centimetri dal viso della ragazza.
“Puoi
aspettare quanto vuoi, ma l’orologio non farà cucù.” Lo canzonò quest’ultima
con bonaria ironia.
Sulle prime il poliziotto rimase spiazzato, poi, vedendo
comparire un sorriso sulle sue labbra, colse il significato che esse
sottintendevano e si portò una mano dietro il capo imbarazzato.
“Ah, ma certo.”
Si affrettò a dire a mo’ di scusa.
Sakura
provò l’istinto irrazionale di baciarlo- un Naruto impacciato era sempre troppo
buffo-, tuttavia si trattenne con un tempismo provvidenziale; proprio in quel
momento, infatti, giunse la padrona di casa, che non avrebbe affatto
considerato un buon biglietto da visita trovarli in atteggiamenti intimi.
Era
una donna sulla cinquantina, bassa e di corporatura minuta, il viso segnato
ormai da alcune rughe insistenti, che insieme agli zigomi alti e a due scuri
occhi indagatori creavano un’espressione perspicace e seria. La stessa serietà era
avvertibile nel tono di voce con cui esordì, scusandosi per averli fatti
attendere.
Costretti
a recuperare un po’ di professionalità, i due poliziotti si alzarono subito,
cercando di nascondere il proprio disagio per la
situazione. Istintivamente si chiesero se la donna avesse intuito qualcosa, ma
nulla nei suoi atteggiamenti lo lasciava trapelare.
“Si
figuri, non c’è problema, anzi, ci scusi lei per il disturbo, ma purtroppo
dobbiamo farle delle domande.” Disse l’ispettore, ritornando a concentrarsi
sull’indagine.
“Sì,
lo immaginavo. La notizia sulla morte del signor Hyuga si è diffusa rapidamente.”
Rispose quella, per poi andare a sedersi sulla poltrona che affiancava il
divano invitandoli a fare altrettanto.
“Qualunque
cosa vogliate sapere sono a vostra completa disposizione, sperando davvero di
potervi essere utile”.
“Grazie.
Anche noi lo speriamo”.
La
volontà di collaborare era sempre un buon inizio, pensò Naruto mentre la
ringraziava.
“Cosa
sa dirci sulla situazione familiare degli Hyuga?” Continuò.
“A
essere del tutto onesta non è una storia
piacevole.” Cominciò la donna già preparata alla domanda, cercando di soppesare
le parole.
“Quando
la signora Hyuga è morta, più o meno otto anni fa, la sua scomparsa è stata un
duro colpo per il marito e per le povere figlie. Ha spezzato la loro serenità.
Certo, la perdita di un genitore, soprattutto di una
madre, finisce sempre per cambiare la vita di una famiglia, però, vedete… “.
Si
interruppe brevemente, consapevole di dover introdurre un argomento spinoso.
“Il
signor Hyuga non ha trovato altro modo per affrontare il dolore se non
l’alcool”.
“Cosa?
Era un alcolista?” Intervenne Sakura perplessa.
Non
si sarebbe mai aspettata che un uomo distinto e con una certa notorietà potesse
avere un simile vizio senza che la sua immagine pubblica ne risentisse; ma,
evidentemente, la faccenda era stata tenuta ben nascosta.
“Sì,
sfortunatamente è così.” Le confermò la loro interlocutrice.
“E
come fa a saperlo con certezza, signora?” Chiese Naruto atono.
Con
il suo lavoro era facile imbattersi in storie simili, ma sentire pronunciare la
parola alcool non lo lasciava mai indifferente: ogni volta una fitta
impercettibile, e in quel caso inevitabile.
“Beh,
la gente ama parlare, e c’è da dire che ne ha avuto modo.” Spiegò la donna.
“Ormai
da diversi anni, una sera sì e una no, il signor Hyuga tornava a casa ubriaco,
accompagnato da qualche dipendente della ditta. Non era affatto un mistero”.
“Capisco.
E riguardo ai rapporti con le figlie o con altri parenti? E’ a conoscenza di
qualcosa?”.
“Ogni
tanto mi è capitato di parlare con Yumi, la loro governante.
Dopo la morte della madre è stata lei ad occuparsi quasi a tempo pieno delle
due ragazze. Da quello che ho potuto capire c’erano dei problemi con la più
grande, cioè con Hinata, ma non saprei dirne il
motivo. Fatto sta che qualche anno fa è anche scappata. Poi, ecco, non so se è
importante…”.
“Che
cosa, signora? Anche il più piccolo particolare può essere importante.” Insistette
l’ispettore.
Per
quanto non gli piacesse, quella che si andava profilando sembrava una buona
strada.
Al
suo fianco anche Sakura intuiva la necessità di approfondire, ma nello stesso
tempo sentiva che il tono inespressivo di Naruto era piuttosto strano.
“Mi
riferisco alla notte in cui Hinata fu riportata a casa dalla polizia, dopo la
tentata fuga.” Continuò la padrona di casa.
“Eravamo
quasi tutti nel cortile in quel momento, e il signor Hyuga diede uno schiaffo
alla figlia. Sicuramente si trattò di un gesto legato alle contingenze, per
sfogare la preoccupazione, però i più maligni hanno voluto vedere nella passività
della ragazza qualcosa di più. Insomma hanno iniziato ad insinuare che la
picchiasse, ma davvero, per me, è solo un’illazione, un’infamia senza alcun
fondamento” Concluse con un certo fervore.
E
intanto il poliziotto avrebbe preferito non sapere, sebbene rientrasse nel suo
dovere.
“Non mi ha convinto.” Esordì Sasuke già
seduto alla propria scrivania da un bel pezzo.
Apparentemente non sorpreso, l’ispettore Hatake staccò lo sguardo dal computer
per rivolgerlo al collega; anche lui sul lavoro non dava particolare prova di
loquacità, ma la silenziosità dell’Uchiha in certi casi restava davvero un
mistero incomprensibile.
“Sasuke, capisco che prima risolviamo il
caso e meglio è, ma se chiarissi le tue affermazioni sarebbe molto utile.” Disse
cercando di non dare alla sua osservazione il tono di un vero e proprio
rimprovero. Dalla risposta che seguì capì però che il suo tentativo era
fallito.
“Stavo per farlo, tranquillo.” Replicò
l’altro secco, per poi continuare come se nulla fosse, con totale professionalità.
Da quando era entrato in quel distretto, non si era mai sbilanciato nel
mostrare le proprie sensazioni, se non con piccolissimi segnali che
scomparivano ben presto nel nulla.
“Il ragazzo” Disse, “afferma di aver
conosciuto la vittima solo relativamente all’ambiente sportivo e di aver
lasciato agitato la palestra per via di un amico che aveva avuto un incidente.
L’incidente sarebbe avvenuto a nord di Konoha. Comunque i suoi atteggiamenti
non mi hanno convinto, per me mentiva.”
“Capisco. Vediamo di controllare subito
questo presunto alibi, allora.” Rispose Kakashi. “Ho un amico tra quelli della stradale e
oggi doveva essere di turno. Lo chiamo subito”.
Come al solito Tenzo era al momento
giusto nel posto giusto, pensò tra sé e sé.
“Intanto io vado un attimo da Izo-san.
Prima mi ha fermato e sembrava che dovesse dirmi qualche cosa.” Lo informò
Sasuke, vago come tutte le volte che oscillava tra verità e menzogna.
Kakashi annuì, poi avviò la telefonata
mentre il collega lasciava l’ufficio; nel giro di alcuni minuti una voce
familiare interruppe lo squillare a vuoto del cellulare.
“Ohi, Kakashi! Che è successo per
chiamarmi nell’orario lavorativo? Una bomba oppure un sequestro?” Chiese quella
ironicamente.
“Ciao, Ten. Sempre molto divertente. Ma
mi dispiace deluderti, si tratta di un semplice incidente”.
“Ma va, tanto per cambiare, direi”.
“Dipende. Se è avvenuto realmente, sì.
Altrimenti può esserci piuttosto utile. Dovrebbe essere successo nella zona
nord di Konoha, tra le nove e le undici di stamattina”.
“Uhm, fammi pensare un attimo… un
incidente da quelle parti mi risulta, però era verso mezzogiorno. Sì, più tardi
non poteva essere”.
“Perfetto. Grazie mille. Sempre molto
disponibile”.
“Se, figurati, e il do ut des dove lo metti. Mi devi una birra al più presto”.
L’ispettore non ebbe nessuna difficoltà
nell’immaginare il sorriso beffardo con cui l’uomo all’altro capo del telefono
aveva sicuramente pronunciato quella frase.
“Praticamente” Continuò quello in tono
più serio, “riuscivamo di più a vederci quando lavoravi nel distretto di Oito
che ora che sei a Konoha”.
“Hai ragione. Appena possibile, allora.
Ciao Ten e grazie ancora”.
Così congedato l’amico, Kakashi staccò
la telefonata e subito dopo Shizune attirò la sua attenzione.
“Telefonata di
lavoro?” Gli chiese la donna.
“Buongiorno, Shizune. Sì, era per un
indagine. Ma immagino che anche tu sia qui per questo”.
“Beh, sì. Se poi qualcuno volesse prendere il telefono non solo per il lavoro, il
mio numero lo conosce”. Ammiccò maliziosamente l’altra mentre avanzava verso di
lui; senza attendere un permesso o qualcosa di simile, si accomodò sulla sedia
di fronte alla scrivania dell’ispettore.
“Gli dirò di tenerlo a mente”. Replicò
pacato Kakashi, e non mentiva. Forse avrebbe dovuto pensarci seriamente,
accantonare il passato e proiettarsi nel futuro. Peccato che prima della sua
testa dovesse riuscire a convincere il suo cuore.
“Lo spero.” Disse la dottoressa
sorridendo. “Comunque, tornando al lavoro, credo che
l’autopsia possa esservi molto utile”.
“Come mai?” Domandò il poliziotto con
interesse.
“Allora, prima di tutto la fascia oraria
del delitto si può restringere tra le dieci e le undici, ma la cosa più
importante è un’altra: la vittima faceva uso di anabolizzanti. Insomma,
trattandosi di un pugile professionista, siamo chiaramente nel doping e dunque
nell’illegalità. Ma di sicuro non devo insegnarti il tuo lavoro, scusami”.
“Non preoccuparti. Comunque
indubbiamente può aiutarci. Grazie per i risultati molto rapidi”.
“Di nulla, dovere. Ah, a proposito,
avverti i tuoi colleghi che riguardo all’autopsia di Hiashi Hyuga sapranno
tutto domani mattina. Doveva occuparsene un mio assistente, ma c’è stato un
disguido, mi dispiace.”
Shizune imprecò mentalmente; odiava
scusarsi per le mancanze degli altri, tanto più se c’entrava Kabuto.
Quell’idiota era sparito praticamente nel nulla, lasciandole uno striminzito
biglietto in cui l’informava solo che sarebbe tornato l’indomani senza fornire
giustificazioni. Ma alla fin fine la colpa era anche un po’ sua; dopo quell’incomprensibile
notte di sesso di alcuni mesi prima, purché la lasciasse in pace aveva permesso che si prendesse
troppe libertà.
Kakashi intuì dal volto adombrato della
donna che qualcosa non andava; ma, quando le chiese se ci fosse qualche
problema, ella negò e allora preferì non insistere. Si limitò unicamente a
salutarla e a vederla andar via. Poi, rimasto solo, cercò di ricollegare i
frammenti raccolti.
Come era riuscito a capire Sasuke, Rock
Lee aveva mentito; la sua agitazione non aveva nulla a che fare con l’incidente
utilizzato come alibi, ma doveva avere un’altra causa. Le possibilità potevano
essere principalmente due: o il ragazzo aveva ucciso senza realmente volerlo,
probabilmente dopo un litigio relativo agli anabolizzanti, oppure ritrovando il
corpo aveva lasciato la palestra per paura di essere incolpato, e anche
quell’ultima eventualità implicava che il giovane fosse coinvolto nel doping,
altrimenti non avrebbe avuto motivo di scappare.
Insomma, in entrambi i casi, la sua
posizione non era affatto buona. Ciò che dovevano cercare di capire era
l’entità della diffusione delle sostanze dopanti nella palestra e il ruolo
preciso che queste avevano avuto nell’omicidio. Al ritorno di Sasuke si sarebbe
accordato con lui sul come.
La giornata era cominciata senza dubbio
nel migliore dei modi: una nuova pressione dall’affabile sindaco di Konoha e
due casi di omicidio, o presunti tali, su cui indagare. Molto probabilmente, se
non avesse creduto nel suo lavoro e ancora di più nel suo ruolo di commissario,
avrebbe trascorso la maggior parte del tempo con un pessimo umore. Ma era stata
soprattutto la chiacchierata con Jiraya, prima per via telefonica, poi al bar
di fronte al distretto, a rimetterla in sesto. Dimostrazioni di fiducia a
parte, aveva saputo come distrarla, spostando la conversazione dagli iniziali
dettagli lavorativi- inevitabile effetto collaterale di una relazione con il
responsabile della scientifica- ad argomenti più piacevoli, contornandoli con
le sue solite battute deficienti.
Nel ricordarne una delle ultime, sorrise increspando leggermente le labbra, poi posò
lo sguardo sulla cornice argentata che racchiudeva una vecchia fotografia;
l’aveva scattata un amico durante una gita in montagna, immortalandoli
teneramente abbracciati contro il tronco di un pino. Se si fosse accorta del
fotoreporter in erba, non si sarebbe mai fatta ritrarre in quegli
atteggiamenti; ma, in fondo in fondo, non le dispiaceva avere un'istantanea che
le ricordasse simili momenti di dolcezza, motivo per cui continuava a lasciarla
sulla sua scrivania. Che poi alcuni incauti si fossero visti
scoccare delle temibili occhiatacce, per aver osservato quella foto con
insistenza o per aver semplicemente posto delle domande al riguardo, era per il
commissario un mero dettaglio.
Quando avevano organizzato la scampagnata, lei e
Jiraya stavano insieme da poco più di un anno, con l’ombra
di Dan che ancora
incombeva su di loro. Avevano dovuto lottare duramente per
allontanarla, con continue cadute e crisi, rimettendo ogni volta in
discussione
il loro rapporto; però, ormai, il peggio sembrava
superato. Che cosa le impedisse allora di compiere
un ultimo passo ancora non lo capiva. La donna non esitò ad
accantonare quel quesito a cui solo il suo cuore avrebbe
potuto trovare una risposta. Dopodiché si alzò
dalla sedia per andare ad informarsi su come procedessero le indagini,
ma un
deciso bussare alla porta anticipò le sue intenzioni.
“Avanti.” Disse rimanendo in piedi.
“Scusi il disturbo, commissario. Siamo
appena tornati e abbiamo delle notizie piuttosto importanti.” Esordì Sakura
varcando la soglia dell’ufficio.
Dietro di lei attendevano Naruto e
Sasuke.
“Certo, ragazzi, venite.”
“Allora,
io torno dopo?” Chiese l’ispettore Uchiha.
“No, tranquillo, resta pure Sasuke. Un
parere in più fa sempre bene. E poi sarai già qui per ragguagliarmi
sull’omicidio della palestra”.
Il poliziotto annuì, poi entrò seguendo
i due colleghi e chiuse la porta dietro le loro spalle.
“Dunque, cosa avete scoperto
interrogando i vicini?” Chiese il commissario.
“Sembra che a causa della morte della
moglie il signor Hyuga avesse preso il vizio dell’alcool e che i rapporti con
la figlia maggiore non fossero dei migliori. Alcuni anni fa è anche scappata di
casa, ma non sappiamo se ciò sia legato all’alcolismo del padre.” Spiegò Naruto,
con il maggior distacco possibile.
“Inoltre” Intervenne Sakura, “tra i
vicini girava voce che la picchiasse, ma tutto era partito da un semplice
schiaffo, troppo poco per supporre che fosse la verità.”
“Vero, un pettegolezzo non può essere
attendibile. Anche se considerando gli elementi, cioè i problemi d’alcool e la
fuga, non possiamo escludere l’ipotesi a priori.” Commentò Tsunade.
“Però l’interrogatorio alla ragazza ci
potrà aiutare a capire, ora non mi sembra utile soffermarci su questo
dettaglio.” Replicò l’ispettore Uzumaki.
“Solo perché non abbiamo testimonianze
concrete. Comunque, sì, è certamente più utile iniziare ad avanzare delle prime
ipotesi su ciò che è accaduto”.
L’affermazione della donna ebbe
l’effetto di alimentare la tensione che Naruto covava dentro di sé; invano
stava tentando d’arginarla da quando aveva lasciato l’appartamento.
“Come mi avete riferito questa mattina” Continuò
il commissario, “la ragazza era sulla scena del delitto con le mani sporche di
sangue. Ora, o può averlo trovato già morto, oppure, considerando la situazione
familiare non facile, essere stata lei stessa ad ucciderlo.”
“Per poi rimanere lì senza andare via
subito?” Ribatté il poliziotto, la calma apparente che sfumava gradualmente.
“Può essere stato un raptus di rabbia
che ha sconvolto anche la giovane”.
“Probabilmente rabbia legata all’odio
maturato nel corso degli anni.” Aggiunse Sasuke intervenendo nella
conversazione.
D’istinto Naruto strinse i pugni.
“Questo perché non avete visto in che
stato era!” Esclamò brusco.
“In effetti dovresti concentrarti su ciò
che è accaduto prima del vostro arrivo sul posto.” Gli fece notare il collega,
abituato ormai ai suoi modi.
“Ma al di là di questo… ” Cercò poi di
dirgli Tsunade, ma si interruppe vedendolo volgersi di scatto verso l’amico dai
capelli corvini.
“Perché per te non esistono sfumature,
non è così Sasuke? O è tutto bianco o è tutto nero. Il resto non rientra nella
tua comprensione.” Sbottò quello, chiaramente alterato.
“Chi sta commettendo un errore sei tu.
La comprensione e il perdono non sono una dote di tutti e soprattutto non sono
sempre possibili.” Ribatté prontamente l’altro, calmo ed impassibile.
Colpito e affondato, Naruto conficcò ancora di più le unghie nella pelle,
mordendosi anche il labbro inferiore, la determinazione che svaniva dal suo
sguardo così come il volto di Sasuke dal suo campo visivo. Con un misto di
perplessità e inquietudine Sakura sussurrò il nome del collega. Perché diavolo
non era mai facile con lui capire se davvero qualcosa non andava? Si chiese tra sé e sé, ormai del tutto
confusa.
“Ispettore Uzumaki.” Intervenne il
commissario con tono autoritario, aggrottando leggermente le sopracciglia.
“Farò finta di non aver né visto né sentito, però non voglio che una situazione
simile si ripeta. E’ chiaro?”
Grazie ai suoi anni di esperienza non le
risultava affatto difficile interpretare la reazione agitata del subordinato,
ma per quella volta avrebbe soprasseduto; voleva continuare a dargli fiducia,
nel periodo della loro collaborazione era riuscito a guadagnarsela.
Il giovane uomo si rivoltò verso la
donna, cessando di torturarsi labbra e palmi e tornando a guardarla.
“Sì.” Annuì.
Il blu dei suoi occhi offuscato da ombre.
“Perfetto. Tornando alle indagini
stavamo solo facendo delle ipotesi, non ci sono elementi che possiamo definire
prove schiaccianti. Forse sarà necessario anche porre domande agli amici della
ragazza, sia vecchi che recenti. Per il momento attendiamo che la scientifica
trovi l’arma del delitto, se c’è, purtroppo le ricerche non hanno ancora
prodotto risultati. Inoltre c’è l’interrogatorio di domani, dovremo tentare di
scoprire il più possibile. Con questo è tutto. Potete andare.”
Così congedati Naruto e Sakura
lasciarono l’ufficio.
Mentre la luce della luna e delle prime
stelle dava lentamente il cambio a quella solare, in una piccola aula del pian
terreno trascorreva l’ultimo quarto d’ora dei corsi pomeridiani.
Seduta dietro la cattedra, con le
braccia conserte e la schiena appoggiata contro la spalliera della sedia,
Kurenai Yuhi attendeva che i propri allievi terminassero di tradurre alcune
frasi in latino, scrutandoli con gli occhi cremisi. Indubbiamente il suo rapporto con gli
studenti era sempre stato buono, nei loro confronti cercava di non essere né
troppo severa né troppo amichevole, insomma di stabilire la giusta distanza; e
tale comportamento si era rivelato nel tempo piuttosto fruttuoso, conferendole
una evidente sicurezza nel trattare giorno dopo giorno con i ragazzi.
Da qualche tempo, però, la tormentava il
timore che essere una buona insegnante non sarebbe stato sufficiente per saper
crescere un figlio; un bambino di cui avrebbe dovuto occuparsi tutti i giorni,
ventiquattro ore su ventiquattro, e a cui avrebbe dovuto trasmettere non solo
il sapere ma anche una moralità e dei valori. Non è che non cercasse in qualche
modo di farlo anche con i propri alunni, ma nel momento in cui sarebbe stata
madre la responsabilità maggiore nell’educare alla vita suo figlio sarebbe
ricaduta solo ed esclusivamente su di lei.
Suo
figlio. Lasciò
che quelle due semplici parole scivolassero nella sua mente come una dolce
speranza, adagiando con delicatezza una mano sul ventre ancora piatto, ma che
già ospitava una nuova vita. Immediatamente, però, fu assalita
dall’inquietudine. Doveva trovare assolutamente il coraggio
di mettere al corrente Asuma della situazione, ma l’eventualità che lui potesse
sposarla solo perché incinta rendeva fragile la sua determinazione. Aveva una terribile paura di scoprire
che l’amore dell’uomo non fosse abbastanza forte da superare i suoi dubbi e le sue insicurezze e giungere all’idea di costruire
una famiglia insieme al di là di eventi non previsti. Con amarezza, si chiese
dove fosse finita la complicità che costituiva uno degli aspetti più belli del
loro rapporto, un rapporto che a quelle condizioni rischiava a lungo andare di
deteriorarsi.
Come
un pennello guidato dalle mani di un abile artista,
così la luce rosata del tramonto tingeva l’orizzonte, impregnando le candide
nuvole con il suo colore. Diversi anni prima, Minato avrebbe sicuramente colto
in quello scenario qualcosa di poetico, magari ritrovandovi la fulva chioma di
sua moglie, ma ora, seduto nella cucina di una modesta abitazione di periferia,
l’osservava con freddezza attraverso i vetri opachi di una finestra. Esso non era nient’altro che
un semplice indizio atmosferico, che gli permetteva di capire che momento della
giornata fosse; ormai la cognizione del tempo gli sfuggiva totalmente. Ciò che
invece rimaneva chiara e limpida, sempre sotto gli occhi, era la sua disfatta:
una bottiglia di sakè e un bicchiere ripetutamente riempito e scolato. Non
avrebbe saputo dire quanti ne avesse bevuti da quella mattina, ormai aveva
perso il conto. E meno male che aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai
ricominciato; una promessa che la vita aveva tramutato in una vana speranza.
Ma, evidentemente, i figli di alcolisti avevano il destino segnato, o quanto
meno sua madre aveva determinato il suo. Lanciò
un ultimo sguardo al cielo che accoglieva il calare del sole, poi mandò giù tutto
d’un fiato anche l’ennesimo bicchiere; il
liquido trasparente che si disperdeva nel suo organismo così come la forza di
reagire tra quelle quattro mura.
Nel
frattempo, lungo una via fiancheggiata da fabbricati, un bambino biondo di nome
Naruto correva per raggiungerlo il più in fretta possibile, sollevando nuvole
di polvere dalla strada mal asfaltata. Al petto teneva stretto un quaderno come se si trattasse di un oggetto
prezioso, e per lui aveva effettivamente quel valore: un bel voto da mostrare
con orgoglio ai genitori.
Correva
sempre più veloce, scansando i pochi passanti che intralciavano il suo
tragitto, e quando intravide la propria
abitazione, ad ogni passo che gli consentiva di avvicinarsi il suo cuore ignaro
sussultava di gioia. Raggiunte le scale che l’avrebbero condotto all’interno, si fermò per recuperare un respiro regolare,
poi entrò in casa e si precipitò in cucina, trovandovi suo padre volto di
spalle. Cercò di richiamarne l’attenzione.
“Papà,
sono tornato ed ho una sorpresa.” Disse mentre sul suo volto si allargava un
sorriso.
La
voce del figlio arrivò a Minato come un eco lontano, distorto dall’influsso
dell’alcool.
“Oggi
la maestra di matematica ha corretto degli esercizi che abbiamo fatto in classe
e ci ha messo il voto.” Spiegò entusiasta Naruto.
Poi,
non notando alcuna reazione evidente, si avviò verso il tavolo al centro della
stanza, ma l’uomo si alzò improvvisamente e lui si bloccò speranzoso.
Sfortunatamente, però, gli occhi che incrociò erano inespressivi, del tutto
assenti, un blu familiare risucchiato del vuoto; davanti a sé Minato avrebbe
potuto avere qualsiasi altro bambino.
Naruto
rimase interdetto da quello sguardo, tuttavia insistette tendendo verso il
padre il quaderno, ma ancora una volta ricevette indifferenza e freddezza. Nel
silenzio più totale trascorsero istanti che gli apparvero interminabili, in
attesa di una parola e di un gesto che non sarebbero mai arrivati. Come se
nulla fosse, l’uomo lo superò
lasciandolo solo, e quell’assenza valse più di mille parole sferzanti:
l’oggetto prezioso ormai abbandonato sul pavimento e un viso dai tratti
infantili rigato dalle lacrime. Fu questa scena che Kushina ritrovò tornando a casa dopo
una stressante giornata di lavoro.
Il primo ad uscire dall’ufficio di
Tsunade fu Naruto, che piuttosto rapidamente si diresse verso lo spogliatoio.
Quest’ultimo rappresentava per lui l’unico parte del commissariato capace, fin
dall’inizio della sua carriera come semplice agente delle volanti, di
trasmettergli un senso di pace e tranquillità, di cui in quei momenti aveva
indubbiamente bisogno: un rifugio accogliente che mitigasse il dolore del passato.
Per potergli parlare e riuscire a capire cosa stesse succedendo, Sakura fu praticamente costretta a pedinarlo, e
quando l’ebbe finalmente raggiunto il poliziotto sedeva su una panca di legno
poco distante da una fila di armadietti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e
le mani a sostenere il capo. La ragazza sostò un po’ davanti alla porta per
raccogliere le idee, poi gli si avvicinò e si sedette al suo fianco. Per una
volta voleva essere lei ad aiutarlo.
“Cosa c’è che non va?” Chiese
sommessamente, posandogli una mano sulla spalla sinistra.
A quella pressione delicata Naruto tornò
in posizione retta, lasciando scivolare le braccia sulle gambe. Aveva
un’espressione malinconica e lo sguardo che fissava un punto imprecisato nel
vuoto; il ricordo di un giorno lontano era sempre vivo nella sua memoria e nel
suo cuore.
“Mio padre… anche mio padre era un
alcolista. Avevo dieci anni quando iniziai a capire come stavano realmente le
cose.” Disse mestamente dopo altri minuti di silenzio.
“Sua madre beveva, e anche lui da
giovane ci era cascato, così quando perse il lavoro ricominciò a farlo.
Probabilmente si sentiva un fallito, non lo so… quello che invece vedevo con
certezza era la sua presenza-assenza e il dolore di mia madre.”
Ormai ritirata la mano, Sakura ascoltava
il suo racconto, mentre la sensazione avvertita durante l’interrogatorio di
quel pomeriggio iniziava ad insinuarsi nuovamente nel suo animo.
Intanto Naruto continuava con difficoltà
crescente.
“Lei… lei ha cercato in tutti modi di
aiutarlo, tutti. Ma una sera l’ha quasi picchiata e…”
Chinò il capo chiudendo per alcuni
istanti gli occhi, cercando di contenere la sofferenza.
“Sì, io… io credo di averlo odiato,
Sakura, non posso negarlo. E mi sono sentito liberato e sollevato quando io e
mia madre ce siamo andati da quella casa”.
Ogni parola che pronunciava era una
stilettata, ma sentiva il bisogno di sfogarsi.
“Eppure, quando è morto investito da un
auto è stato come sprofondare. Mio padre non c’era più, non c’era più
possibilità che le cose cambiassero. Era tutto finito. Se… se ero giunto ad
odiarlo era solo perché non avevo mai smesso di volergli bene davvero.”
Esternando quell’ultima consapevolezza
alcune lacrime amare scesero prepotentemente lungo il suo volto; e Sakura capì.
Si sentiva in colpa, in qualche modo era stata un’egoista. In quei mesi c’erano
stati solo lei e i suoi problemi, aveva rivelato a Naruto la parte più
difficile e dolorosa del suo passato e lui aveva saputo starle accanto, capirla
e consolarla.
Lei, invece, si era fermata davanti alle
reticenze del compagno, avendo paura di essere invadente, mentre avrebbe dovuto
capire che esse nascondevano una sofferenza profonda e per questo cercare di
sapere. Cavolo, se lo amava doveva aver voglia di conoscere tutto di lui,
gioie, speranze, ma anche timori e dolori, impegnandosi per abbattere ogni tipo
di barriera. Era la condivisione quello che avrebbe dovuto costituire la base
di un vero rapporto di coppia.
“Comunque Sasuke ha ragione. Non tutte
le situazioni sono uguali, quindi…” Disse Naruto una volta aver recuperato un
certo controllo, ma non ebbe modo di proseguire il suo pensiero.
Sakura fece scivolare una mano sulla
guancia destra dell’ispettore fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli
dorati, l’altra sul fianco sinistro fino ad accarezzargli la schiena, con
dolcezza ma anche piuttosto velocemente, mentre il bacio che seguì fu irruente.
Messa da parte la sorpresa iniziale, Naruto accolse senza remore la lingua della
ragazza intrecciandola ripetutamente alla sua, avvertendo chiaramente il calore
e la passione che attraverso quel contatto intimo ella voleva comunicargli. E
ricambiò abbracciandola, immergendo le dita nei suoi soffici capelli rosati e
sfiorandone la pelle delicata del viso. Quando si staccarono per riprendere
fiato, i loro sguardi si incrociarono nel silenzio. A spezzarlo fu il giovane
uomo con un ‘grazie’, facendo poi notare alla compagna che era stata un po’
avventata considerando che poteva arrivare chiunque. Lei gli diede
amorevolmente del deficiente e appoggiò il volto nell’incavo del suo collo.
Con la schiena contro la parete esterna
dello spogliatoio, Kakashi pensò che per la seconda volta nel corso della
giornata Naruto aveva detto in sua presenza una cosa azzeccata.
Certo che però era incredibile, che
l’ironia gli riuscisse in quel frangente era sorprendentemente assurdo;
coglierli proprio mentre si scambiavano effusioni era stato indubbiamente un
duro colpo.
Per una buona volta nella sua vita avrebbe preferito riuscire a
mandare al diavolo la propria coscienza per lasciarsi andare ai sentimenti,
giusti o sbagliati che fossero.
Rapido, recuperò il cellulare dalla
tasca destra dei pantaloni e inizio a visionare la rubrica in cerca del numero
della dottoressa Shizune. Subito dopo, però, si sentì un vile per aver pensato
a lei anche solo per un istante. Ripiegò allora su Tenzo: molto meglio una
classica birra tra amici per dimenticare le pene d’amore.
Note
dell’autrice
Se
avete pensato ad un miraggio, vi comprendo perfettamente e non posso che
chiedervi mille volte scusa. I tempi di aggiornamento sono davvero mostruosi, e
se penso che ho scritto la maggior parte di questo capitolo nel giro di una
settimana mi arrabbio io stessa. Ma purtroppo va così, l’università mi toglie
molto tempo e quest’anno ci sarebbe anche la tesi (sperando che tutto fili
tranquillo^^).
Insomma
non so quando scriverò il seguito, ma la fic non sarà interrotta, questo è poco
ma sicuro.
Passando
alla storia in sé, finalmente è venuto fuori il passato di Naruto e mi
raccomando non siate inclementi verso Minato(non è colpa sua, ma delle esigenze
di copione^^) e nemmeno con Sasuke, come suo amico voleva calmarlo e l’ha fatto
nell’unico modo in cui sapeva o era in grado di poterlo fare. Il mondo gira alla rovescia se
sto difendendo l’Uchiha^^, ma al di là di questo tenetelo d’occhio.
E
dulcis in fundo Kakashi. Credo che già si fosse capito, ma da questo capitolo è
sicuramente chiaro che sia innamorato di Sakura e che quindi la fic è una
NaruSakuKaka. Probabilmente qualcuno mi odierà perché ancora non si capisce
nulla sul suo passato comune con Sakura, ma in teoria non manca molto per
scoprirlo^^ Detto questo, rispondo alle recensioni.
Urdi: Tesoro,
su Kakashi vai tranquilla, anch'io sono fissata con lui, quindi non
c'è nessun problema^^ In questo capitolo non si capisce ancora
niente, però almeno sappiamo che era ed è innamorato di
Sakura. Che sia positivo o negativo, a te il giudizio, ma di
sicuro per lui è un guaio, dato che lo torturo. E di Naruto, che
ne pensi? Dici che è abbastanza IC, io non ne sono troppo sicura
o_o
Spero inoltre che la
comparsata di Tenzo sia stata di tuo gradimento, forse tornerà
molto presto, mai dire mai. Comunque grazie per gli incoraggiamenti, ti
adoroXD
brave: Tutti
questi complimenti in poche righe potrebbero uccidermi, ma scherzi
a parte, grazie milleXD Spero di non aver ucciso te con questo
capitolo, mi risulta che il NaruSaku non sia particolarmente di tuo
gradimento, mentre qui c'è ne un alto contenuto direi(piccola
vedetta contro Kishi e gli ultimi risvolti del mangaXD). Però,
non è detto che sia sempre così, chi lo sa^^
story: Bene,
la maturità è passata da una vita, su msn ci siamo
sentite, cosa sia successo a kakashi un po' l'hai dedotto, ne
deduco che l'energia della nostra madre terra ci ha messo un po' ad
arrivare a me, che dici?^^ Comunque grazie sempre per i
complimeti(flluido, ricercato e sobrio, wow*_*) e sono contenta di
essere riuscita a centrare il rapporto di quei due testoni,
perchè lo sono, non c'è nulla da fare. Itachi devo vedere
come intormetterlo insieme alla sua storia, cavolini, perchè i
personaggi da gestire sono così tanti? Il mio amore per le cose
semplici^^ Ma ovviamente amo di più te, questo è poco ma
sicuro. Un bacione caraXD
Sefira: Mi
dispiace di averti fatto attendere un sacco di tempo, ma grazie mille
per le recensioni. Spero che il capitolo ti sia piaciutoXD
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Capiolo VI
CAPITOLO
VI
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasfoma,
ma qualcosa resta anche uguale
Molti anni prima, quando la sua vita
percorreva ancora binari prestabiliti, non si sarebbe mai sognato di
frequentare assiduamente una discoteca; era un ambiente che non si adattava alla sua indole tutto sommato calma
e pacata, tanto più che gli eccessi che lo contraddistinguevano sfuggivano alle
regole di buon senso che la sua educazione gli aveva trasmesso. Tuttavia, nel
giro di pochi istanti, ogni cosa era cambiata capovolgendosi come un treno
deragliato, e lui era finito addirittura a viverci in un locale notturno, a
contatto ogni sera con la vendita fin troppo liberale di alcolici e lo spaccio
impunito di sostanze stupefacenti; d’altronde, chi gestiva quel posto non
sapeva cosa fossero gli scrupoli di coscienza.
Con la schiena appoggiata ad un pilastro
e la braccia conserte, Itachi osservava la pista da ballo gremita come sempre
da una folla che si scatenava al ritmo frenetico della musica, sotto luci
multicolori che si accendevano e si spegnevano ad intermittenza. Dalla sua
posizione poteva vedere chiaramente il bancone del bar, intorno a cui nella più
totale tranquillità, Kisame aveva già venduto diverse dosi di droga con
trattative veloci che non gli avevano sottratto più di qualche minuto.
Più volte, assistendo a quella scena, si
era reso conto con una certa inquietudine che, fino a quando sarebbe stato
considerato una routine, la criminalità avrebbe sempre avuto facilità d’azione.
E anche quella sera una simile riflessione si insinuò a tradimento nella sua
mente, ma fece in modo di scacciarla subito, perché senza libertà di scelta
pensare era solo dannoso e controproducente.
Quindi tornò a scrutare la situazione
generale con distacco, imponendosi di accantonare qualsiasi questione morale, e
la sua attenzione ricadde su un ragazzo dai lunghi capelli grigi raccolti in
una coda e un paio di occhiali ad accompagnare gli occhi scuri. Lo vide
avvicinarsi a Kisame, scambiare con lui due parole e poi ordinare un cocktail
al barman. Non era certo la prima volta che lo intravedeva, ma solo allora si
chiese cosa sapesse dei traffici illegali dello zio, il noto proprietario della
discoteca. Forse aveva colto nella sua espressione qualcosa di diverso, o semplicemente
era la presenza di Madara che lo induceva a scorgere dappertutto segreti e
sotterfugi.
Come richiamato dai suoi pensieri, un
dipendente del locale lo raggiunse, salutandolo formalmente, poi lo avvertì che
lo attendevano nell’aria privata, consapevole di non dover fornire nessuna
ulteriore spiegazione. Itachi rimase a fissarlo per qualche istante, in
silenzio, celando sotto l’apparenza apatica l’insofferenza per quella notizia
prevedibile, poi si staccò dal pilastro e avanzò leggermente.
“Ho capito.” Annuì congedandolo.
E mentre il giovane si allontanava
ritornando al suo lavoro, lui si ripeté per l’ennesima volta di lasciarsi
scivolare addosso qualunque provocazione, diretta o velata, avrebbe dovuto
subire. Poi abbandonò la postazione che aveva scelto un’ora prima, ben conscio
di non poterla occupare a lungo, e si diresse in una zona molto distante dalla
pista da ballo, dove individuò la saletta che gli interessava, riconoscibile
dagli scagnozzi vestiti di nero all’ingresso. Questi lo lasciarono entrare
senza fare alcuna storia. Dentro due uomini lo aspettavano seduti comodamente
su un divano ad angolo, l’uno di fronte all’altro, davanti ad un tavolino basso
e ad una bottiglia di buon vino rosso. Il proprietario Orochimaru, col volto
pallidissimo illuminato da inquietanti occhi color ambra e incorniciato da lunghi
capelli neri, faceva ondeggiare il liquido rosato muovendo con delicatezza il
bicchiere che aveva nella mano destra, mentre Madara Uchiha, colui che aveva
stravolto la sua vita, posò il proprio non appena lo vide e gli rivolse uno
sguardo in cui Itachi lesse la consueta soddisfazione.
“Benvenuto tra noi, caro nipote. E’
trascorso molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, così ho pensato di
dover rimediare. E devo dire che ti trovo bene, mi fa molto piacere.” Esordì,
con un tono e un’espressione che riproponevano la solita affettata gentilezza. “Prima
che arrivassi” continuò poi, sapendo che non avrebbe ricevuto nessuna risposta,
“stavamo parlando degli ultimi avvenimenti. La polizia è sempre un problema da
non trascurare, tanto più se tra chi indaga vi è il tuo caro fratellino.”
Ecco che arrivava la prima provocazione,
pensò Itachi; e come si era ripromesso poco prima cercò di ignorarla, ma non aveva
fatto i conti con i ricordi.
“Qualche giorno fa ho anche visto una
sua intervista, sembrava molto sicuro di sé e padrone della situazione, niente
a che vedere con il bambino di una volta.”
Ancora parole, parole inclementi, che
colpivano il bersaglio. Non l’aveva visto crescere Sasuke, non aveva potuto
farlo, e Madara lo sapeva perfettamente. Di lui gli rimanevano solo immagini
sfocate, bloccate dal tempo perduto; un bambino di dieci anni silenzioso e
solitario, ma capace di illuminarsi davanti a qualcosa che suscitava il suo
interesse o davanti ad una promessa di uscire insieme, oppure concentrato nello
svolgere i compiti scolastici, speranzoso di ottenere un suo complimento. Frammenti
che volavano confusi nella memoria, e che quando si era imbattuto
nell’intervento al telegiornale avevano rischiato di disintegrasi come se non
fossero mai esistiti. Aveva dovuto faticare davvero molto per riconoscerlo; il
poliziotto che rispondeva ai quesiti con tono distaccato e professionale non
sembrava avere niente di suo fratello, al di là della capigliatura che ricadeva
in ciocche scomposte sulla fronte. In lui aveva visto solo freddezza, troppa, e
ne aveva avvertito tutta la responsabilità; era riuscito a difendere la sua
vita ma non la sua anima dal dolore. Ripensando ai fotogrammi di due giorni prima,
succedutisi davanti ai suoi occhi opachi, un violento senso di colpa calò su di
lui opprimendolo. Conservò tuttavia un’espressione imperturbabile, mentre
soffocava nel pugno destro, stretto fino a fare male, la frustrazione.
“Comunque” disse Madara, apparentemente
noncurante dell’effetto delle sue parole, “finché i nostri contatti nel liceo
di Konoha non vengono scoperti possiamo stare tranquilli, senza contare che non
c’è nient’altro che leghi lo spaccio di droga alla discoteca Alba.”
“Tuttavia bisognerebbe prevenire ogni
rischio.” Intervenne il proprietario del locale, rimasto fino a quel momento in
silenzio ad assecondare la pressione psicologica del collega d’affari.
Depose poi anche lui il proprio
bicchiere sul piccolo tavolino cessando di tormentare il vino.
“Forse sarebbe opportuno trovare un
altro posto dove nascondere la droga e non più qui.” Spiegò.
“Sì, è un’idea. Tu che ne pensi,
Itachi?”
Lo spacciatore provò un muto disappunto
per essere stato interpellato, ma rispose in modo da non concedergli ancora
soddisfazione.
“Può essere utile.” Commentò atono.
“Bene, allora vedrò cosa posso fare.
Adesso, però, direi di passare ad altro. Una bella partita a carte è quello che
ci vuole”. Replicò Madara, alzandosi dal divano seguito a ruota da Orochimaru.
Poi, con un mezzo sorriso quasi
beffardo, invitò anche Itachi a partecipare, ma questo rifiutò con finta
cortesia per liberarsi dall’insostenibile situazione. E chiusasi finalmente la
porta alle spalle, pensò che aveva bisogno di qualcosa di fortemente alcolico,
così da scogliere il turbamento e recuperare un equilibrio.
.
Quella mattina, dopo pochi giorni di
tregua, il freddo pungente era tornato di nuovo ad avvolgere la città,
infrangendo le illusioni di chi aveva interpretato il leggero aumento delle
temperature come il presagio di un inverno meno rigido del solito. Il fastidio
e la noia però non avevano avuto vita lunga, sommersi ben presto dalle
incombenze quotidiane.
L’ispettore Sasuke Uchiha non era stato
tra coloro a sprecare un solo secondo del suo tempo in preoccupazione simili; anzi,
come suo solito, si era alzato molto presto e aveva sbrigato con calma tutte le
operazioni mattutine, registrando il cambiamento climatico per puro e semplice
senso pratico, così da recuperare dall’armadio una maglia più pesante ed
aggiungere all’abbigliamento di tutti i giorni una sciarpa blu. Dopodichè era
uscito di casa per immergersi in una nuova intensa giornata di lavoro, come
faceva ormai da cinque anni a quella parte, inseguendo criminali e fantasmi del
passato, fantasmi che si insinuarono nei suoi pensieri al secondo sbadiglio che
non riuscì a trattenere, mentre attendeva impaziente uno dei suoi informatori,
seduto su una fredda panchina del parco spoglio e quasi deserto.
La notte precedente era rimasto fino a
tardi nell’archivio del commissariato, sfogliando con Izo-san dossier e
schedari, per trovare tracce che riconducessero ad un'unica persona,
l’ossessione della sua vita nel bene e nel male; e la stanchezza ne era uno dei
postumi inevitabili.
Nel ripensare a quelle ricerche
notturne, il ricordo lontano di Itachi lo colpì all’improvviso procurandogli un
familiare tremore di sentimenti confusi.
La strada più semplice sarebbe stata
quella di considerarlo morto nel preciso istante in cui aveva ucciso il loro
padre, ma volente o nolente non era stato in grado di recidere il legame che li
univa, ne aveva solo cambiato la forma. Da quando la realtà l’aveva travolto
con tutta la sua durezza, si era prefissato l’obiettivo di sbatterlo in galera,
volontà che si era rinsaldata nello scoprire i contorni della verità che ancora
sfuggivano. Avrebbe ricordato per sempre il giorno in cui si era presentato da
lui e da sua madre Hito Yashima, uno dei più stretti collaboratori del padre
nella gestione dell’azienda di trasporti, così come avrebbe rammentato per
sempre ogni sua singola parola.
Stando al racconto dell’uomo, di cui non
aveva avuto alcun motivo di dubitare, in tutti quegli anni egli era sparito per
timore di ritorsioni da parte della criminalità organizzata; era, infatti, l’unico
ancora in vita a sapere che grazie alla complicità di organizzava il lavoro
degli autisti, tra cui lo stesso Itachi, la ditta era stata utilizzata come
copertura di un traffico illegale di droga. Ovviamente anche Fugaku Uchiha l’aveva
scoperto, ed era quello il reale motivo per cui era morto, non un inspiegabile comportamento
del figlio maggiore, come avevano concluso gli inquirenti prima di archiviare
il caso.
Sasuke aveva ascoltato attentamente
quella nuova verità, senza porre alcuna domanda, sebbene se ne affollassero
tante nella sua testa. Quando poi la conversazione era ripiegata sul perché l’uomo
li avesse cercati solo in quel momento e dove fosse stato in quel lungo
periodo, l’iniziale interesse era ormai svanito, e il diciottenne si era perso
a contemplare il fumo che usciva dalle tazze di tè caldo, confuso e costernato.
Avrebbe sfogato la rabbia e il dolore solo un’ora dopo, nella solitudine della
sua camera, sferrando un calcio violento contro il muro e reprimendo a fatica
lacrime amare. Anche la debole speranza che Itachi non volesse davvero uccidere
si era dissolta in una bruciante illusione: suo fratello non era altro che uno
sporco criminale. Un consapevolezza che gli era entrata dentro come un cancro
insanabile, seppellendo sotto cumuli di odio e rancore l’ultimo residuo di
amore per la figura ideale che aveva colorato la sua infanzia.
L’ispettore Uchiha abbassò lo sguardo,
freddo e impenetrabile come quella mattina d’inverno, fissando apparentemente l’erba
del prato, poi chiuse gli occhi e espirò, cercando di purificarsi dalle scorie
del passato. Fu però la voce di chi stava aspettando ad aiutarlo maggiormente
nel suo intento, spazzando via in un attimo ogni possibile pensiero.
“Buongiorno, ispettore. Non abbiamo
dormito molto?” Gli chiese l’informatore mentre si sedeva al suo fianco,
iniziando a sfogliare una rivista senza un reale interesse.
Sasuke sobbalzò, riaprendo le palpebre
di scatto e ritornando all’istante in posizione eretta; perso nelle proprie
sensazioni, non si era accorto minimamente dell’arrivo dell’uomo.
Si ammonì mentalmente per quella
distrazione, sebbene fosse giustificata, poi riprese il giornale abbandonato
sulla panchina e finse di leggere un articolo in prima pagina, ripetendo uno
schema ormai abituale. In commissariato era, infatti, lui ad avere i principali
contatti tra gli informatori, per via delle sue segrete ricerche personali, e
nella maggioranza dei casi li incontrava per ricavare notizie utili per le
indagini.
“Allora, hai saputo niente di questo
possibile spaccio di anabolizzanti?” Domandò atono senza alcun preambolo.
L’altro non rispose subito, ma girò con
calma un’altra pagina.
“Ho parlato con alcune vecchie
conoscenze e sembra effettivamente che ci sia. Va avanti da qualche mese.” Disse
poco dopo.
“Conosci qualcuno che vi è coinvolto
direttamente?”
“Sì, ci ho avuto a che fare tempo fa. Si
chiama Kaito Oshiba.”
“Bene. E sai dove possiamo trovarlo?”
“Questo purtroppo no, però so che
frequenta la palestra.”
“Ok, meglio di niente”. Commentò Sasuke,
piegando in due il giornale e simulando di interessarsi a qualcosa scritto in
fondo alla pagina. “E… riguardo al solito?” Chiese poi incerto.
Non poteva fare a meno di porre quel
quesito, sebbene avesse iniziato la conversazione allontanando l’angoscia
legata all’argomento.
“Nulla, ispettore. Mi dispiace. Evidentemente
non è nel mio giro.”
“Capisco.” Replicò, soffocando un’ennesima
volta la delusione.
Poi si alzò dalla panchina e lasciò da
solo l’altro uomo, che lo guardò andare via osservandolo con espressione seria.
Che un poliziotto ricercasse in modo così ossessivo un criminale, con cui tra
l’altro sembrava avere un qualche rapporto di parentela, non gli lasciava pensare
a nulla di buono.
Un brivido improvviso salì veloce lungo
la spina dorsale e Ino si strinse nelle spalle, maledicendo il tessuto ancora
troppo leggero del suo pigiama. Subito si voltò per cercarne la causa, e la
individuò nella finestra della cucina lasciata incautamente aperta, quindi si
affrettò ad alzarsi dalla sedia e si precipitò a chiuderla, per poi rimanere a
fissare il panorama esterno con cipiglio contrariato. Avrebbe preferito una
cornice diversa per quella giornata, invece la natura non aveva voluto
assecondare le sue aspettative: il cielo coperto da nubi grigie, con pochissimi
spiragli per la luce solare, contribuiva solo a metterla di pessimo umore.
Sbuffò annoiata, riportando dietro le
orecchie alcune ciocche di capelli biondi, liberati durante la notte dalle
costrizioni dell’abituale coda di cavallo. Poi ritornò allo yogurt magro
abbandonato in fretta e in furia, si sedette di nuovo e immerse il cucchiaino
nel contenitore di plastica con un pizzico di nervosismo. Delle stupide
condizioni atmosferiche non avrebbero influito sui suoi progetti, così come non
lo avrebbe fatto nessun altro aspetto della realtà esterna; esistevano solo
lei, Shikamaru e il loro rapporto, doveva ficcarselo in quella stupida testa
che si ritrovava.
Finì di consumare l’esigua colazione per
cui più volte Sakura la rimproverava, poi liberò la tavola dai pochi resti e si
recò in camera da letto, recuperando la divisa scolastica dalla sedia e
vestendosi con cura davanti allo specchio dell’armadio. Al termine ammirò
soddisfatta la sua immagine riflessa per qualche istante, poi raggiunse il bagno
dove sistemò e rilegò i capelli.
Infine, tornò nella cucina che fungeva
anche da soggiorno, vagando con lo sguardo per tutta la stanza; niente sembrava
essere fuori posto, eccetto alcune foto sparse sul tavolino vicino al divano.
Da quando viveva anche lei a Konoha, di
solito cenava sempre insieme a Shikamaru, sia per salvarlo dall’arte noiosa dei
fornelli, sia per stare un po’ da soli dopo una lunga giornata di lavoro,
chiacchierando tranquillamente del più e del meno. La sera prima, invece,
l’aveva congedato con la finta scusa della stanchezza, nascondendo dietro un
mezzo sorriso i pensieri che fluivano veloci, dal rimprovero all’amico per la
sua scarsa perspicacia in certe faccende alla difficoltà di pronunciare due
semplici parole. Poi era entrata in casa, e la prima cosa che aveva fatto era
stata ricercare un vecchio album fotografico. Aveva sentito il bisogno
improvviso di riguardare quella familiare successione di istanti, per
intravedere attraverso di essa il filo lineare e a volte contorto del loro
rapporto, tutto ciò nella speranza di trovare il coraggio per prepararsi ad un
possibile cambiamento. E così era accaduto. Raccolse le foto, sottratte dal
raccoglitore per poterle osservare meglio, le riunì insieme e andò a riporle
nel primo cassetto della scrivania. L’avrebbe ricollocate al loro posto
originario non appena ne avrebbe avuto l’occasione. Indossò il giubbotto e
prese lo zaino ancora chiuso dal suono dell’ultima campanella, uscì dall’appartamento
e raggiunse quello di Shikamaru al piano sottostante.
Mentre attendeva che l’amico venisse ad
aprirla, si ricordò di quando a scuola ci andavano seriamente e delle attese a
volte snervanti nel vicolo dove vivevano. Dopo minuti che apparivano
interminabili a causa della consapevolezza di essere già in ritardo, lo vedeva
arrivare sbadigliando e con lo sguardo assonnato, incurante del tempo che
scorreva quasi fosse un particolare insignificante, E anche quella mattina, a
conferma di come certe abitudini non cambiano mai, una scena non dissimile si
presentò alla sua vista.
“Non c’era… bisogno di suonare due volte.”
La salutò l’ispettore, interrotto da uno sbadiglio che nascose a stento con la
mano sinistra, mentre con l’altra reggeva una cartella marrone.
Ino sollevò un angolo della bocca in un
sorrisetto ironico.
“Lo immagino.” Replicò. “Ora però
sbrighiamoci che tanto per cambiare è tardi.”
Shikamaru mugugnò come risposta qualcosa
di incomprensibile, poi chiuse a chiave la porta di casa e la seguì giù per le
scale.
Raggiunta la macchina nel parcheggio retrostante
la palazzina, ognuno salì al proprio posto, lui a quello di guida, lei al
fianco del conducente. Come avevano stabilito da quando lavoravano sotto
copertura, il collega l’avrebbe accompagnata in un parco a due isolati dalla
scuola per poi raggiungere l’istituto da solo, così da evitare il sorgere di spiacevoli
collegamenti tra di loro.
Man mano che si avvicinavano alla prima
meta di quel viaggio in auto, Ino avvertiva l’agitazione aumentare sempre di
più. Durante la notte precedente, mentre si rigirava nel letto senza riuscire a
prendere sonno, aveva meditato a lungo su come introdurre la questione, su
quale sarebbe stato il suo primo gesto, su cosa avrebbe detto o fatto subito
dopo; ma, in quei minuti, tutto ciò che aveva programmato non sembrava aiutarla
in nessun modo. Riusciva solo a guardare fuori dal finestrino e a lanciare
qualche breve occhiata al profilo dell’autista.
Tuttavia, quando svoltarono in una
traversa e i primi alberi del parco furono visibili in lontananza, cercò di
scuotersi dallo stato di impotenza in cui era scivolata: o si dava una mossa
ora, o avrebbe difficilmente ritrovato il coraggio, pensò tra sé e sé.
“Shikamaru, cosa pensi dei cambiamenti?”
Fu l’unica cosa che fu in grado di dire, con un leggero tremore nella voce che
sperò passasse inosservato.
Ancora intontito dalla stanchezza
l’ispettore non lo percepì, né diede particolare peso alla domanda
considerandola una delle tante.
“Beh, possono essere positivi ma anche
negativi, dipende.” Rispose in modo fin troppo scontato; e Ino gli avrebbe
volentieri dato un pugno in testa per scoprire dove fosse in quel momento il
suo rinomato quoziente intellettivo.
“Già, è il ‘dipende’ il problema.”
Commentò la ragazza dopo qualche istante, continuando ad osservare l’esterno.
Quando però la vettura iniziò a
rallentare, provò a tenere a bada la tensione che provava e a raccattare tutta
la determinazione che le era possibile; strinse i pugni sulle ginocchia e si
lasciò andare ad un respiro profondo.
Shikamaru accostò al ciglio della strada
e, accortosi dello strano comportamento dell’amica, voltò il capo verso di lei,
incrociando così due grandi occhi azzurri che lo fissavano con decisione. Totalmente spiazzato dal gesto
imprevisto e dalla vicinanza non proferì nessuna parola, ma si limitò a
guardarla disorientato, senza avere molto tempo per formulare una qualsiasi
congettura.
Tutto si svolse infatti in pochi
istanti: Ino gli circondò il viso con entrambe le mani, abolì gli ultimi
centimetri che li separavano, e premette con irruenza la lingua contro le sue
labbra, dando inizio ad un bacio che lui non ebbe la lucidità né per ricambiare
né per respingere; chiuse solo gli occhi d’istinto. E quando la ragazza scappò,
scendendo velocemente dal veicolo ed evitando accuratamente di guardarlo negli
occhi, Shikamaru rimase immobile con le mani bloccate sul volante, senza che la
spiegazione di ciò che era successo prendesse forma nella sua mente, costretto
per prima cosa a fare i conti con il battito accelerato del suo cuore.
Chi invece aveva le idee ben chiare sul
bacio a cui aveva casualmente assistito era Sai. Aveva sospettato fin dall’inizio che quei due
avessero qualcosa che li unisse, e quella mattina ne aveva avuto la conferma.
La richiesta di Tsunade gli era giunta praticamente
tra capo e collo. Kakashi infatti non era arrivato in commissariato da neanche
un quarto d’ora, quando la donna l’aveva fatto chiamare e gli aveva chiesto di
affiancare Naruto e Sakura durante l’interrogatorio di Hinata Hyuga.
Non potendo intuire il motivo della scelta,
l’ispettore ne era rimasto confuso e sorpreso; tuttavia, pur ignorandone le
ragioni ed essendo consapevole che la situazione gli avrebbe di sicuro procurato
un disagio, non se l’era sentita di rifiutare. La sua professionalità lo spingeva
ad affidarsi alle direttive del proprio superiore, oltre ad imporgli categoricamente
di separare lavoro e vita privata.
Ciononostante, si rese conto presto che quella
deontologia, o come diavolo si chiamava, sarebbe servita a ben poco, in
particolare dopo la scena a cui aveva assistito la sera precedente.
Raggiunto l’ufficio dei due colleghi, trovò
Sakura che sedeva di profilo, osservando tranquillamente il cielo plumbeo al di
là del vetro quasi appannato della finestra. All’improvviso la ragazza sbadigliò,
coprendosi la bocca con una mano mentre distendeva l’altro braccio all’indietro,
poi si stropicciò un occhio in un gesto infantile.
Di fronte a quella scena l’espressione
dell’uomo si addolcì, rapita dai ricordi. Anche una delle volte che si erano
incontrati nel commissariato di Oto il sonno faceva ricadere i suoi effetti su
di lei. Non appena l’aveva vista, Kakashi l’aveva chiamata per conoscere il
motivo della sua visita, e lei era arrossita vistosamente, imbarazzata per il
frangente in cui era stata colta, ma non si era dispensata dal rivolgergli un
caldo sorriso. Erano così rimasti a discorrere del più e del meno fino
all’arrivo del padre di Sakura, con quella calma e quella confidenza che, come
ormai accadeva spesso, l’ispettore si ritrovò a rimpiangere, conscio che la
reazione della collega sarebbe stata del tutto diversa. Velocemente si riscosse
dalla malinconia e bussò per segnalare la sua presenza.
Quando la ragazza identificò chi sarebbe
stato il suo interlocutore, si irrigidì in modo impercettibile, assalita dal
disagio e da una sottile agitazione; era così tutte le volte che si trovava da sola
con lui.
“Ciao.” La salutò l’uomo entrando,
mentre lei si sforzava di controllarsi e concentrarsi sul lavoro, tagliando
fuori tutto il resto. “Scusa il disturbo, ma ci sono delle novità sul caso
Hyuga.“
“Che novità?” Chiese Sakura, domandandosi
tra sé e sé cosa c’entrasse l’ispettore con il loro caso.
“Il commissario mi ha chiesto di darvi
una mano durante l’interrogatorio con la figlia di Hiashi Hyuga.” Le spigò.
“Eh… E perché?” Disse, aggrottando leggermente
le sopracciglia.
“Questo non l’ho so, non ha voluto
spiegarmi la ragione.” Rispose Kakashi, replicando così al suo prevedibile
stupore. Nella mente di Sakura, però, non tardò a farsi largo ciò che a lui sfuggiva:
evidentemente Tsunade era a conoscenza o aveva intuito il coinvolgimento
personale di Naruto, pertanto aveva preferito chiedere la collaborazione di
qualcun’altro.
Con preoccupazione si chiese come
l’avrebbe presa; e l’ispettore notò subito l’ombra che oscurò il suo volto,
avvertendo la gelosia, il rimorso e la rassegnazione confondersi in un unico sentimento
improvviso. Sebbene non cogliesse la vera sfumatura del problema, non aveva
bisogno di altro per capire che il nodo centrale era l’Uzumaki, e vederla in
pensiero per lui non lo faceva sentire affatto bene. Tuttavia, parlò con il
solito tono calmo, cercando addirittura di tranquillizzarla in qualche modo.
“Comunque il commissario ha convocato Naruto
per comunicarglielo. Di sicuro a lui spiegherà i motivi senza problemi; il caso
è vostro, non aveva motivo di informare anche me su di essi.”
Sakura assentì a quelle parole, cercando
di allontanare ogni pensiero apprensivo.
“Nel frattempo”, continuò Kakashi,
preferendo non dilungarsi oltre sulla questione, “pensavo che potessi fornirmi qualche dettaglio in
più, soprattutto su quando siete andati in azienda. Sull’atteggiamento della
ragazza, per esempio.”
“Ecco, ovviamente era sconvolta, chiusa
nel suo dolore. Non è riuscita a dirmi nulla praticamente, neanche una parola.”
Gli spiegò la poliziotta dopo pochi istanti, sovrapponendo alla sua risposta l’inevitabile
ricordo di quando si era trovata lei a vivere quella stessa sofferenza, ma non
permise che esso prendesse il sopravvento.
“Capisco. E aveva qualche macchia di
sangue sui vestiti? Il commissario mi ha detto che è stata lei a trovare il
corpo esanime.”
“No, non mi sembra. Stando all’agente
presente sul posto aveva le mani sporche di sangue, ma quando l’ho vista erano
pulite, evidentemente le avrà lavate.”
“Uhm… mi chiedo perché avrebbe dovuto
toccare il padre, cioè, proprio dove era stato ferito.” Disse l’uomo
pensieroso.
“Beh, potrebbe anche aver toccato
qualcos’altro. In effetti sulla scrivania vi erano degli schizzi di sangue, per
fare un esempio.” Affermò Sakura con una leggera nota di dissenso nella voce.
“Sì, anche questa è una possibilità.”
Replicò prontamente Kakashi. “Ma tu non credi che possa essere stata lei ad
ucciderlo?” Le chiese poi.
“Eh, no, non è questo. In realtà non lo
so.” Rispose la ragazza, abbassando per un istante lo sguardo.”Il fatto è che
la sua colpevolezza sembrerebbe la strada più semplice.”
“Capisco. Evidentemente anche troppo
semplice.” Terminò per lei l’ispettore, dopo che uno dei preziosi insegnamenti
di Isoshi Haruno aveva sfiorato la sua memoria.
“Ricorda
Kakashi, se un’ipotesi è la più ovvia, evidentemente lo è anche troppo.” Gli aveva detto
una sera, una delle tante volte in cui l’aveva invitato a cena per discutere
con calma di un’indagine. E la reazione di Sakura gli lasciò intuire che, ascoltando
le sue parole, anche lei era stata colpita da quel ricordo che in un modo o
nell’altro li univa.
“Già.” Disse infatti la collega con
amarezza, reclinando il capo e spezzando il silenzio teso che era calato su di
loro. “Io ho bisogno di un caffè.” Continuò, alzandosi ma senza risollevare lo
sguardo.
Superò la scrivania e si diresse verso
la porta, ma quando passò al fianco dell’uomo questo la bloccò, circondandole
un polso con una presa ferma ma delicata. Sakura dilatò le pupille per la
sorpresa, poi le puntò su di lui con una chiara richiesta di spiegazione.
Kakashi si perse allora nel verde dei suoi occhi, assaporando i nuovi istanti
di silenzio, mentre si chiedeva fra sé e sé perché dovesse essere così
difficile lasciarsi andare. Animato da sentimenti contrastanti, le spostò lentamente
i capelli dal viso, sfiorandole la guancia destra con le dita, e all’improvviso
le parole di Tenzo della sera precedente si insinuarono con prepotenza nella
sua mente, sopraggiungendo a dare man forte alla sua titubanza.
“Ma
sei sicuro che sia perché non senti di averne il diritto? Non è che forse hai
ancora paura di farla soffrire?”
Non appena gli erano stati posti quei
quesiti l’avevano messo in crisi e lo stavano facendo anche in quel momento: il
problema erano i sentimenti di Sakura o lo era lui? Non ne aveva la più pallida
idea. E, pensandoci bene, non era nemmeno sicuro di voler sapere la risposta.
Sistemò una ciocca rosata di capelli
dietro l’orecchio della ragazza, poi ritrasse il braccio e le liberò finalmente
il polso. Sussurrò un debole ‘scusa’ e abbandonò l’ufficio lasciandola nella
più totale confusione.
Un’ora dopo, rivolgendosi più a Naruto
che a lui, Sakura comunicò che avrebbe seguito l’interrogatorio attraverso il
vetro della saletta attigua, in modo da non creare altra inutile pressione su
Hinata Hyuga. Ascoltando la sua spiegazione, Kakashi ebbe la conferma di aver
fatto un’altra cavolata. Sulla scia del ricordo di quello che per lui non era
stato solo una guida nel lavoro di poliziotto, ma anche il primo a fargli
riprovare il calore di una vera famiglia, si era lasciato andare di nuovo
all’istinto, dimenticandosi della sua proverbiale razionalità. Sperò vivamente
che quel gesto impulsivo non compromettesse nulla. Naruto, invece, ignaro dei
possibili motivi, elogiò la buona idea della collega, che gli indirizzò un
mezzo sorriso per poi accingersi a lasciarli da soli. Kakashi la fissò per qualche
istante mentre dava loro le spalle, imponendosi di abbandonare una volta per tutte
ogni pensiero che non fosse attinente all’indagine.
“Forza, vediamo di iniziare.” Disse allora
con tono deciso, voltandosi verso l’altro poliziotto.
“Sì, certo.” Rispose questo, che
accantonata l’irritazione iniziale era tutto sommato contento di quella
collaborazione.
Entrarono così nella stanza dove si
svolgevano di solito gli interrogatori; all’interno, Hinata li attendeva seduta
compostamente, le mani incrociate sulle gambe e lo sguardo perso tra i pensieri
e i ricordi, dopo che aveva indagato per un po’ quell’ambiente asettico e
impersonale. Udendo il cigolio della porta che si apriva, si voltò subito verso
i due uomini sentendosi in qualche modo sollevata, un sollievo destinato a
durare ben poco. Tra di loro riconobbe senza alcuna difficoltà il poliziotto
biondo che aveva incrociato in azienda, scendendo le scale insieme a Yumi. Si
era soffermata su di lui solo per qualche attimo, mentre lottava contro il
dolore acuto che provava, eppure gli era rimasto lo stesso impresso. Fu proprio
lui a rivolgerle la parola per primo.
“Scusaci per l’attesa.” Esordì Naruto
avvicinandosi al tavolo, mentre Kakashi richiudeva la porta.
“Non… non c’è problema.” Balbettò lei
flebilmente, spezzando il monosillabismo che aveva caratterizzato l’ultimo
giorno.
“Io sono Naruto Uzumaki, e questo è l’ispettore
Hatake.” Continuò il poliziotto, sedendole di fronte e indicando con un cenno
della mano il collega che lo raggiungeva. “Sappiamo che è un pessimo momento,
ma dobbiamo farti delle domande.”
Hinata si limitò ad annuire con un breve
movimento del capo.
“Allora. Come mai eri in azienda ieri
mattina? E ricordi più o meno verso che ora sei arrivata?”
“Io credo fossero intorno alle dieci. Tornavo
dall’università.” Rispose la ragazza, ma solo dopo alcuni istanti di silenzio
in cui aveva cercato di non agitarsi ripensando al corpo esanime di suo padre. “Volevo
comunicargli il risultato dell’esame di Economia aziendale, lui ci teneva.”
Spiegò, con un tono di voce che andò smorzandosi sulle ultime parole.
Naruto rimase colpito da quell’informazione,
amareggiato che il caso Hyuga dovesse ricordargli in un modo o nell’altro il
momento più buio della sua vita, tuttavia si scompose il meno possibile.
“E… perché non hai atteso che ritornasse
a casa, oppure la pausa pranzo?” Chiese ancora.
Hinata però non rispose subito: cosa
avrebbe potuto dire? Che quello probabilmente era l’unico momento della
giornata in cui poteva trovarlo sobrio?
“Ecco, io semplicemente non ci ho
pensato. Sapevo che avrebbe voluto essere messo al corrente.” Disse. Finché
poteva evitarlo, non voleva lei stessa infangare l’immagine di suo padre.
“Dalle nostre indagini, però, risulta
che non eravate affatto in buoni rapporti. E quando è così generalmente ogni
cosa è più difficile.” Obiettò Kakashi, scrutandola.
Come unica reazione, la ragazza piegò le
dita sottili in un gesto che era il riverbero di un dolore sordo. Non si era
illusa che la polizia non lo avesse scoperto, ma parlare con degli estranei dei
problemi chiusi dentro di sé da anni era difficilissimo.
“Quindi, andare ad interromperlo sul
posto di lavoro, non ha pensato che avrebbe generato qualche discussione?.”
Continuò l’uomo.
“No, io… io speravo gli interessasse… questa
volta l’esame era andato bene.” Articolò lei con difficoltà, lo sguardo basso.
“Questo vuol dire che era il profitto
universitario il motivo principale dei vostri litigi?”
“Sì.”
“E immagino che l’alcolismo di suo padre
non aiutasse.” Insisté l’ispettore.
A quel punto Hinata fu avvolta del tutto
dalla costernazione; ingenuamente aveva sperato che almeno quell’aspetto non
saltasse fuori durante l’interrogatorio.
“E magari ieri, al di là di cosa avesse
da dirgli, suo padre non ha voluto lo stesso ascoltarla. Forse aveva già
bevuto, era irascibile, lei ha provato a spiegarsi, ma lui l’ha trattata male
ancora una volta, così …” La incalzò Kakashi.
“No! Non è così!” Lo interruppe la
ragazza con voce strozzata dallo sconforto, sollevando il capo e fissandolo con
gli occhi velati dalle lacrime. “Non è andata così, era già morto.” Concluse.
Poi si coprì il volto con entrambi le
mani, curvandosi leggermente in avanti.
Osservandola, Naruto non poté far a meno
di essere dispiaciuto per lei, ma nello stesso tempo capiva perfettamente che
era stato necessario. E proprio per quello, diversamente da Hinata, non fu
sorpreso dal gesto di Kakashi. L’ispettore infatti si alzò e si avvicinò a lei,
poggiandole una mano su una spalla. “Il peggio passerà.” Disse nel modo più
rassicurante che poteva.
La ragazza si raddrizzò, asciugandosi
qualche lacrima.
“Sa chi avrebbe potuto avere un conto in
sospeso con suo padre?” Le domandò l’uomo dopo qualche istante, ritornando al
suo posto ma senza risedersi.
“No, non lo so.” Gli rispose quando fu
sicura di non balbettare.
“E avete qualche parente, per caso?”
“Sì, ma non abbiamo più rapporti da un
pezzo, e poi vivono lontano da Konoha da quello che so.”
Ricevute quelle ultime informazioni Kakashi
annuì, poi invitò Naruto ad accompagnarla all’uscita del commissariato,
esortazione che il poliziotto eseguì con piacere. E quando furono nei pressi
dell’uscita, rassicurò ancora la ragazza dicendole che avrebbero preso di
sicuro l’assassino. Hinata gli fu riconoscente per quelle parole,
ringraziandolo con un leggero rossore sulle guance.
Affinché il battito del suo cuore
riacquistasse un ritmo normale e i suoi neuroni collaborassero per elaborare
finalmente un pensiero che non fosse frammentario, erano stati necessari
diversi minuti, o meglio era stato necessario il suono prolungato di un
clacson, che puntava a sbloccare un ingorgo poco lontano. Si era così riscosso
dallo stato catatonico in cui era scivolato, aveva ripreso il comando della
vettura e con esso il tragitto verso l’edificio scolastico. Da quel momento e
per le prime ore di lezione, due domande avevano ronzato con insistenza nella
sua testa: come cavolo aveva fatto a non capire mai nulla, e soprattutto cosa
provava lui. Poiché non era riuscito ad accantonarle in nessun modo, aveva
deciso di ritagliarsi un po’ di tempo per riflettervi con calma, per la
precisione fumandosi una rilassante quanto nociva sigaretta. Peccato che
l’accendino non volesse saperne di funzionare, in ciò favorito dalla pioggia
leggera e dall’umidità. Fu solo l’intervento provvedenziale di Asuma a salvarlo
dal sopraggiungere dell’impazienza. Vedendolo in difficoltà, il professore
accostò la fiamma stabile del proprio accendino davanti al suo viso.
“A volte sono degli aggeggi infernali.”
Esordì.
Il poliziotto si voltò per capire chi
fosse, poi si tolse la sigaretta dalle labbra e approfittò della fonte di
calore offertagli dall’uomo.
“Grazie.” Rispose, prima di accogliere
nel proprio corpo l’effetto piacevole della nicotina.
Rimasero così in silenzio per qualche
minuto, ognuno immerso nei propri pensieri, fermi sotto una piccola tettoia
sufficiente a coprirli dalla pioggia.
“Quale è il problema?” Chiese ad un
certo punto Asuma.
Preso alla sprovvista, Shikamaru gli
rivolse uno sguardo interrogativo a cui l’uomo non tardò a dare una risposta: “Se
si sente il bisogno di una sigaretta, per giunta sotto la pioggia, può esserci
qualcosa che non va.”
Di fronte a quella spiegazione, l’ispettore
pensò che avrebbe potuto senza problemi ribattere, adducendo come scusa il non
volersi sorbire un’altra ramanzina, ma scelse di non mentire; il professore di
educazione fisica riusciva ad ispirargli a fiducia. Tornò ad osservare l’acqua
piovana cadere con insistenza su alcune macchine parcheggiate davanti all’atrio
della scuola, creando nell’aria fredda altri cerchi di fumo che si disfacevano
velocemente.
“Stamattina ho capito qualcosa di cui
non mi ero mai accorto, e adesso non so come comportarmi. Mi ha confuso.”
Confessò.
Asuma ascoltò attentamente le sue
parole, scrutandone anche l’espressione seria in cui lesse un’ombra di
preoccupazione, e tirò le proprie conclusioni.
“Capisco. Deve essere una persona
importante questa donna.” Commentò.
Sebbene sorpreso per la seconda volta,
Shikamaru non perse tempo per capire come fosse riuscito a cogliere la natura
del suo problema, ma sfruttò l’occasione che gli veniva offerta per sfogarsi.
“Sì, lo è.” Disse dopo una breve pausa.
“E non vorrei ferirla. Solo che per riuscirci dovrei almeno capire me stesso.”
Cosa più facile a dirsi che a farsi,
terminò tra sé e sé. Eppure sapeva che doveva, perché se Ino aveva deciso di
dichiararsi, mettendo in pericolo la naturalezza del loro rapporto, lui doveva
quanto meno non tormentarla anche con la sua indecisione.
All’improvviso, nitide come se non
fossero passate due ore, fu avvolto dalle sensazioni di quel bacio imprevisto: la
pressione delle dita affusolate sulla sua pelle, il calore della lingua che
cercava la sua, la morbidezza delle labbra premute contro la sua bocca: un
inevitabile rossore fece la sua comparsa. Shikamaru reclinò subito il capo
fissando il suolo, e per camuffare il vero motivo del suo gesto lasciò cadere
della cenere. Che in realtà fosse più semplice di quanto pensasse? Fu la
domanda che emerse dalla confusione che provava.
“Eh, già.” Sospirò intanto l’uomo al suo
fianco, spegnendo la sua sigaretta che era ormai un mozzicone nella sabbia di
un posacenere. “In un modo o nell’altro, le donne ci mandano in crisi.”
Affermò, ripensando al tipo di problema che aveva spinto anche lui a fumare
sullo sfondo di quella giornata uggiosa, consentendogli di intuire lo stato
d’animo del presunto collega.
“Comunque, al di là di tutto, concediti
il tempo necessario. Con i sentimenti bisogna essere cauti, gli errori di
valutazione possono mettere ancora più a rischio i rapporti.” Concluse dopo
qualche istante di silenzio. E si chiese se lui invece non stesse commettendo
uno di quegli errori prolungando troppo la sua insicurezza.
“Lo terrò a mente. Grazie per il
consiglio.” Lo ringraziò Shikamaru con sincerità.
Nel frattempo l’innominata della
conversazione, lasciate da parte le complicazioni sentimentali della sua vita, cercava
di concretizzare qualcosa nell’ambito delle indagini, mettendo a frutto le
informazioni raccolte. Nelle ultime settimane aveva puntato ad inserirsi nel
migliore dei modi all’interno delle dinamiche della sua classe e dell’istituto
in generale, e aveva prestato molta attenzione a ciò che si diceva, sia in aula
che nei corridoi, individuando così i soggetti più propensi all’uso di droga anche
dopo i recenti avvenimenti. Quel giorno aveva scelto di seguire due ragazze,
con cui diverse volte si era trovata a parlare, simulando di incontrarle per
puro caso nei bagni durante la ricreazione.
“Heilà, ragazze! Come va?” Le salutò
avvicinandole con un sorriso sulle labbra.
Le studentesse fumavano tranquillamente,
ben nascoste da una parete che divideva l’ambiente in due parti.
“Oh, Ino. Ciao.” Ricambiò il saluto la
più mingherlina delle due. “Beh, compiti, interrogazioni e quella stronza di latino.
Insomma, il solito.” Rispose concisa, concedendosi poi un’altra boccata di
fumo.
“Capisco.” Commentò la poliziotta, poi si
appoggiò al bordo del lavandino dietro di sé puntellandosi con le mani. “Io
invece sempre grane con il deficiente di matematica.” Aggiunse.
Il che non trovava certo riscontro nella
realtà scolastica, ma loro non potevano saperlo.
“Immagino, la matematica è una seccatura
e i prof ancora di più. La nostra fortunatamente è spesso latitante.”
Intervenne la ragazza rimasta inizialmente in silenzio. “Ma comunque queste
sono cose secondarie, stasera piuttosto discoteca. Giusto, Mariko?” Continuò
ammiccando verso l’amica.
“Puoi contarci, Ran.” Replicò
prontamente l’altra. E Ino decise di prendere la palla al balzo.
“Buona idea. Anch’io stavo pensando di
andarci, sapete. Solo che… “ Si interruppe gettando un’occhiata verso l’entrata
del bagno, come a sincerarsi che non arrivasse nessuno, poi proseguì abbassando
la voce e con tono di intesa: “Ecco, mi chiedevo se sapeste dove potrei
procurami una dose. Per un po’ di sballo, insomma.”
“Beh, anche in discoteca, qualcuno c’è
sempre.” Rispose Mariko, senza battere ciglio di fronte a quella richiesta.
“Oh, certo, questo lo so. Però vorrei
arrivarci già in forma.” Precisò
meglio Ino, strizzando l’occhio. ”Non è che forse conoscete qualcuno della
scuola a cui potrei rivolgermi?” Chiese.
“Uhm, capito.” Disse Ran, spegnendo il
mozzicone della sua sigaretta sotto la suola della scarpa. “Personalmente
preferisco fuori, ma comunque so che c’è Sabaku no Gaara, della 5 B.”
“Oh, perfetto, so chi è!” Esclamò la poliziotta,
mentre esultava interiormente per un altro indizio che legato a quello di
Shikamaru creava una prova da cui proseguire. “Grazie per la preziosa
informazione, ragazze.” Almeno qualcosa in quella giornata andava per il verso
giusto, pensò.
Conoscendolo ci sarebbe dovuta arrivare
immediatamente, nel preciso istante in cui Jiraya era entrato nel suo ufficio
senza alcun preavviso ed era avanzato verso di lei, agitando in aria con
perfetta noncuranza una cartellina di plastica, come se il foglio in essa contenuto
fosse qualcosa di insignificante e non il rapporto della scientifica. Se il suo
intento fosse stato comunicarle ciò che la sua squadra aveva scoperto, di certo
non si sarebbe scomodato a raggiungere il commissariato, ma si sarebbe limitato
ad una semplice telefonata. Tuttavia, alla comparsa della sua lunga chioma
albina e del suo volto dai tratti marcati, non aveva pensato a nulla di tutto
quello, era solo stata contenta che fosse lì. La notte precedente, infatti, si
era addormentata prima che lui rientrasse e quella mattina erano entrambi
scappati al lavoro in fretta in furia, senza aver un attimo per loro. Così
aveva finito per cedere ancora una volta alle idee poco opportune dell’uomo, scelta
per cui in quei minuti si rimproverava, sebbene fossero dei minuti
piacevolissimi.
Quasi seduta sulla scrivania, sentiva le
mani di Jiraya esplorarle tranquillamente la schiena e il suo respiro caldo
accarezzarle la pelle del collo alternandosi alla pressione leggera delle sue
labbra. Non poté evitare di lasciarsi andare ad un sospiro di piacere, poi
riaprì gli occhi nocciola posando lo sguardo sulla spalla dell’altro
poliziotto.
“Tra poco vengono per un rapporto.”
Sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio.
L’uomo interruppe la sequenza di baci,
la guardò e depositò ancora un altro bacio sulle labbra della donna. “Beh,
sarebbe una bella scena da scrivere, quindi perché non sperimentarla prima.”
Disse con un sorrisetto malizioso. Poi tentò di abolire di nuovo la distanza
tra i loro visi, ma Tsunade lo allontanò da sé bruscamente.
“Sei il solito pervertito! Se non smetti
di scrivere quelle indecenze, prima o poi ti mollo!” Sbottò stizzita. Non
poteva farci assolutamente nulla: l’hobby di Jiraya non le andava affatto a
genio, soprattutto se doveva interferire con la loro vita sentimentale.
“Ma…” Farfuglio l’uomo, preso alla
sprovvista da quella reazione, poi si affrettò a riparare. “Io stavo
scherzando. Non dicevo sul serio.”
Tsunade lo scrutò ancora per qualche
istante con cipiglio contrariato.
“Per questa volta farò finta di
crederti.” Replicò poi, decidendo di liquidare la questione.
Gli diede le spalle e recuperò la
cartellina dalla scrivania, aprendola per dare una lettura veloce al rapporto;
un semplice diversivo per non continuare la conversazione, dato che ne
conosceva già il contenuto. Jiraya intuendolo sospirò rassegnato.
“Va bene. Ci vediamo stasera allora.”
Disse, per poi avviarsi verso l’uscita. “Mi raccomando non lavorare troppo.”
Aggiunse.
Il commissario distolse lo sguardo dal foglio
e lo rivolse alla schiena dell’uomo che si allontanava.
“A dir il vero, sei tu che stai tornando
tardi ultimamente.” Gli rispose.
Lui si fermò e si voltò verso di lei.
“E’ una ruota che gira, mia cara.”
Affermò. Poi aprì la porta, ritrovandosi davanti Naruto e Sakura, li salutò e
uscì, permettendo loro di entrare nell’ufficio.
“Se Jiraya-san era qui, ciò vuol dire
che è arrivata la relazione della scientifica?” Esordì il poliziotto biondo,
con una domanda che aveva in realtà il tono di una constatazione.
“Già. E serve a ben poco.” Rispose
Tsunade, sedendosi e riabbandonando la cartellina al suo destino. “Sono
riusciti a trovare l’arma del delitto, un semplice coltello. Era stata gettata
dalla finestra dell’ufficio della vittima, finendo tra i secchi della spazzatura.
Il guaio è che non vi è nessuna impronta digitale.” Lo informò con sguardo
serio.
“Non ci sono impronte?!” Ripeté Naruto
sorpreso. “Quindi… quindi sembrerebbe essere un delitto premeditato.” Concluse
poco dopo, in parte sollevato.
“Sembrerebbe.” Gli fece eco la donna. “Voi
invece cosa avete scoperto?”
“Ecco, sì. In pratica abbiamo un alibi
da verificare, che potrebbe combaciare con l’orario datoci dall’autopsia. Però,
c’è da dire che Hinata Hyuga sembrava sincera, anche sotto pressione.” Riferì
il poliziotto, riassumendo i punti essenziali dell’interrogatorio.
“Inoltre il giorno dell’omicidio la
ragazza era del tutto sconvolta. Per essere stata lei, dovrebbe essere
un’attrice perfetta. Ma mi sembra difficile.” Intervenne Sakura, andando a
sostenere e a meglio definire le parole del collega.
“Sì, potrebbe essere.” Disse Tsunade, dopo
qualche istante di meditazione. “Però, prima di tutto, verificate l’alibi, non
si può mai sapere. Poi, vedete voi.” Concluse.
Note dell'autrice
Prima
di tutto qualche nota tecnica: la citazione iniziale è di
Lavoisier ed è chiaramente adattata(che l'autore non me ne
voglia^^); l'esame che sostiene Hinata non so se esista realmente ma mi
serviva un nome per far capire di che facoltà si trattasse;
all'inizio il vetro-specchio non c'era, l'ho creato adesso, quindi se
non ve lo ricordate è normale(appena posso modifico e cì
sarà anche nella prima scena in cui compare la stanza degli
interrogatori).
Per
il resto, scusate il solito ritardo nel postare, ma l'università
prima di tutto, e comunque il capitolo è molto ricco di nuovi
dettagli e di crisi psicologiche, soprattuto. Spero che ciò mi
possa far perdonare. Intanto ringrazio chi segue la fic e chi la
preferisce, in particolar modo slice, storyteller lover e Urdi, grazie mille per il vostro sostegno, ragazze.XD
storyteller lover: mora,
tu già hai letto e già sai^^ in questo capitolo
c'è qualcosa su Sakura, anche se solo qualche imput, ma
arriverà il moemento, tranquilla^^ di sigreti qui se ne scoprono
altri(Uchiha brothers sopratutto) anche se in parte, per altri bisogna
attendere eheh Kakashi non ha finito soffrire, haimè, e
sono contenta che il rapporto tra Naruto e Sakura ti piaccia, sono
molto carini insieme^^Un bacione!
Urdi: così mi sciolgo io, però *_*
il risultato finale dello scorso capitolo mi ha sodisfatta, come anche
quello di quest'ultimo(a parte che sono più di 10 pagine e per
me è una vera conquistaXD), però addirittura
strepitoso... insomma grazie, me emozionata *_* Naruto e
Sakura, è vero, sn molto pucci e mi è
paiciuto descriverli(mi fa davvero piacere che risultino
realistici^^), e ora con Kakashi che si è mezzo scoperto,
chissà che succederà, comunque come hai visto Tenzo ci ha
messo lo zampinoXD Riguardo a Minato, sono contenta di essere riuscita
a dare un'idea realistica dell'alcolismo, di cui fortunatamente nn ho
esperienze dirette, però in effetti anch'io non colpevolezzo
totalmente Minato dato che anche lui nasconde sofferenza, alla fine
è il personaggio tipo di questa storia, con luci e ombre, e sono
felice di essere riuscita in un modo o nell'altro a far
arrivare questo aspetto. Il pezzo con Kureani mi è venuto
molto spontaneo, quasi da solo, e di sicuro non potrei mai pensare ad
un plagio^^ Infine, come vedi, anche in questo capitolo ci
sn anche gli altri personaggi, anzi mi rendo conto che sn davvero
tanti, non so come faccio a gestirli considerando che ognuno ha i suoi
drammi e i suoi misteri, speriamo in bene. Grazie ancora per i
complimeti, cara, un bacioneXD
slice: non
dite cose sempre belle, altrimenti mi monto... sì, come no, tu
lo sai che è leggeremnte difficile^^ però sn super
contenta che vi piaccia ciò che scrivo, con tutti gli intrighi
intrigosi che in questo capitolo vengono in parte sciolti, o
meglio,no,ma diciamo che gli elementi ci sn quasi tutto per poter
intuire qualcosina. Fatemi sapere cosa ci aveto capito, caso maiXD
Come vedi, questo capiotolo è molto più lovvoso e
c'è Itachi e Sasuke(che a detta di story risulta sopportabile,
mannaggià, io che rendo Sasuke sopportabile, è quasi una
barzellettaXD), poi c'è InoShika e Kakasaku...è
super incasinato con tutti sti personaggi^^ Grazie mille per il
sostegno, un bacioneXD
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
Capitolo VII CAPITOLO VII
“Si può sapere che cavolo di fine
hai fatto, Kabuto?! Ho letto il tuo biglietto. Domani è arrivato da un pezzo ma
non ti sei ancora fatto vivo. E’ inammissibile che tu sparisca in questo modo.
Il nostro è un lavoro, non un gioco!” La voce alterata di Shizune
giungeva alle sue orecchie non distorta, nitida, pur attraverso il tramite
artificiale del cellulare, ed era piacevole ascoltare quel suono dolce, ancora
più dolce per la sfumatura di nervosismo che lo colorava, così vicino, come se
la donna fosse accanto a lui e non in un ufficio di medicina legale nel centro
della città. Le sue labbra si piegarono in un sorriso malizioso, adombrato da un
velo di malinconia, mentre lasciava che Shizune riempisse il silenzio del bar
in cui si trovava e alleviasse ancora una volta il senso di oppressione che
aveva dentro. Il rapporto che
aveva istaurato con lei era iniziato come un gioco, con battutine ironiche e
divertenti battibecchi, sulla scia della inevitabile confidenza che lavorare
insieme ogni giorno comportava e della innegabile attrazione fisica che
provava; era bella, di una bellezza semplice e spontanea, un particolare che
non gli era sfuggito. Poi, qualcosa era cambiato, cercare e scoprire la verità
sul lavoro di suo zio, il circolo vizioso di affetto e dipendenza che si era
palesato davanti al suo cuore talmente vivido da far male, il bisogno di farne
a meno; quel legame aveva assunto un’altra forma, era diventato ciò che gli
permetteva di non cadere nel vuoto, o che semplicemente lo illudeva che il
vuoto fosse un rischio evitabile. Ma anche se fosse stata una semplice
illusione, quando si confondeva come in quel momento con ricordi e sensazioni
tutt’altro che irreali, si sentiva bene; mentre la donna si impegnava a
rimproverarlo per la scarsa professionalità e la superficialità che il suo
comportamento denotava, la sua mente era altrove, intenta ad affiancare alla
voce che gli parlava un viso annebbiato dal piacere e un corpo caldo e
accogliente. Non avrebbe dimenticato quella notte di sesso tanto facilmente,
una notte che sarebbe rimasta solo lì, relegata nella sua memoria, senza un
seguito. Per un tacito accordo, l’accaduto era stato etichettato come un errore
e lui non si era opposto; imporre qualcosa di fittizio non l’avrebbe liberato
dal vicolo cieco in cui era rinchiuso. Si sarebbe accontentato di starle a
fianco giorno dopo giorno, di vederla di volta in volta seria e concentrata, sorridente,
arrabbiata, e di godere delle sue reazioni. Così come stava facendo da quando
era iniziata quella telefonata. “Ma mi stai ascoltando?!” Sbottò
ad un certo punto la donna, insospettita dalla mancanza prolungata di una
risposta. “Sì, sto ascoltando.” Le disse,
spezzando il mutismo. “Ho avuto semplicemente un contrattempo, torno appena
posso.” “Che vuol dire appena posso?! Il
più in fretta possibile, Kabuto. Già ho tollerato abbastanza la situazione. E’
chiaro?” L’uomo sorrise di nuovo; il tono
perentorio le si addiceva perfettamente. “Chiaro.” Assentì. Quando poi Shizune interruppe la
comunicazione, ripose il cellulare sul bancone soffermandosi a fissare il
liquido trasparente contenuto nel bicchiere a pochi centimetri dal suo viso. Nonostante avesse trascorso quasi
tutta la notte e le prime ore mattutine all’Alba, non era riuscito praticamente
a chiudere occhio, tranne che per qualche insignificante ora, in cui aveva
ceduto a un sonno turbato dall’inquietudine. L’unica soluzione che aveva intravisto
era stata quindi rintanarsi in quel locale poco frequentato per riflettere con
calma, aiutato magari da un po’ di rilassante alcool; si era immediatamente
reso conto che la proposta di suo zio, qualunque ne fossero le intenzioni,
vincolarlo al silenzio o coinvolgerlo finalmente nella sua attività segreta,
aveva messo a rischio la svolta che stava cercando di dare alla propria vita, e
non voleva che accadesse. Più del silenzio, però, più del sakè e
dell’intricarsi continuo dei pensieri, era stata la conversazione appena
conclusa a rinsaldare la sua scelta. Forse passava semplicemente da una
necessità ad un’altra, ma per la prima volta non sentiva quella necessità come
un peso, come qualcosa di controproducente. Lasciò una banconota accanto al
bicchiere, poi si alzò e abbandonò il bar.
Il cadere della pioggia era divenuto fitto
ed insistente, incupendo ancora di più l’atmosfera che avvolgeva il fermento
della vita cittadina nell’ora di punta. Le autovetture intasavano le vie del
centro e la maggior parte dei negozianti abbassavano le serrande per rialzarle nel
pomeriggio, mentre i passanti si affrettavano a raggiungere le rispettive mete
al riparo degli ombrelli. Sakura, intanto, cercava il suo senza
successo, con un’espressione spazientita sul volto, pressata dall’idea che Naruto
l’aspettasse giù in macchina. Aveva controllato all’ingresso e in soggiorno per
poi passare nella sua camera, ma nulla; quell’aggeggio sembrava davvero sparito.
Tentò allora di rovistare tra i suoi ricordi, sulle tracce di un input che le
permettesse di rammentare dove diavolo l’avesse nascosto. Pensierosa si sedette sul letto,
adagiando i palmi delle mani sulla coperta. E se per caso l’avesse dimenticato
da qualche parte? Se non si sbagliava l’ultima volta che era piovuto risaliva
ad una settimana prima, e i posti in cui era stata una settimana prima non erano
molto diversi dal solito. Che l’avesse magari lasciato da Ino? Cercò di
ricostruire mentalmente tutte le azioni di quando era andata a trovarla. Era il
suo giorno libero, e la possibilità di qualche ora di reciproche confidenze
l’aveva spinta ad accettare di buon grado la proposta della collega. Ricordava
di aver lasciato l’ombrello zuppo d’acqua all’entrata e di averla seguita in
cucina per un tè. Lo scrosciare della pioggia aveva accompagnato la loro
conversazione, rendendo ancora più confortante il tepore dell’abitazione e il
liquido caldo della bevanda. Quando se ne era andata, però, non pioveva più,
non poteva sbagliarsi, perché aveva avvertito con piacere dei timidi raggi
solari riscaldarle una guancia. E probabilmente era stato proprio quello il
motivo per cui le era passato di mente di recuperare l’ombrello, ormai privato
della sua utilità col ritorno del sole. Non c’erano molte altre possibilità,
salvo che non l’avesse abbandonato involontariamente in qualche negozio.
Restava il fatto che doveva rassegnarsi a ripararsi in altro modo dall’acqua
piovana. Sbuffò annoiata, augurandosi che almeno
le condizioni meteorologiche fossero favorevoli; quel giorno ci mancava solo una
bella doccia naturale, oltre alle indagini che sembravano ritornare ad un punto
morto e il gesto di Kakashi a cui non riusciva ad attribuire un senso, così
come non vi riusciva con le sue sensazioni. Si morse leggermente il labbro
inferiore, tesa al ricordo di qualche ora prima e in parte arrabbiata con se
stessa. Non si sarebbe aspettata che l’uomo la fermasse mentre incerta fuggiva
dai ricordi, ma soprattutto non avrebbe creduto che il battito del suo cuore
accelerasse all’improvviso nell’averlo così vicino, lo sguardo fisso su di lei
e il tocco leggero delle dita sulla pelle. Dai giorni in cui era ripiombato
nella sua vita, aveva provato a fare chiarezza, a definire nettamente quello
che continuava a legarla a lui, ma quei pochi istanti sembravano aver confuso
di nuovo tutto. Strinse i pugni stropicciando il tessuto del copriletto, il
volto adombrato dall’amarezza; non poteva e non voleva avere ancora dubbi. Poi
sospirò, tentando di liberarsi dalla stretta dell’ansia, consapevole che non
avrebbe risolto nulla in cinque minuti e che soprattutto non fosse il momento
opportuno per perdersi in simili pensieri. Se fosse ritornata da Naruto con
segni di turbamento e lui avesse intuito qualcosa, non se lo sarebbe assolutamente
perdonata, perché non sapeva se sarebbe riuscita a tenere per sé quel nuovo
stato di incertezza. Si rialzò allora, affrettandosi ad uscire
dall’appartamento per raggiungere il collega, sforzandosi durante il tragitto
di sgombrare la mente. Giunta in strada, fuori dal portone del palazzo, si
avvicinò veloce all’autovettura e aprì la portiera ritrovandosi davanti il
volto sereno di Naruto. “Allora? Trovato?” Le chiese. “No, niente da fare.” Rispose Sakura,
mentre si sedeva richiudendo fuori dall’abitacolo l’aria fredda, così come ogni
pensiero fatto poco prima. “Non abbiamo tempo per passare anche da te, speriamo
che smetta.” Continuò, piacevolmente confortata dal calore generato dal
condizionatore. “Sì, dai, vedrai che smetterà, o al
massimo facciamo una corsa.” Disse l’altro con leggerezza, mettendo in moto.
Poi sì concentrò sul traffico in attesa del momento propizio per immettersi
nella fila di macchine. “Hai ragione.” Assentì la collega poco
dopo, incurvando le labbra in un mezzo sorriso e osservandolo con una luce di
dolcezza negli occhi: quando era con lui sembrava sempre tutto così semplice.
Lo fissò in silenzio per qualche altro breve istante, poi si voltò anche lei a
guardare la strada, pronta se necessario a supportarlo con dei consigli,
durante il percorso che li avrebbe condotti all’università. Su indicazione di
Tsunade, intendevano trovare una conferma alla versione fornita da Hinata Hyuga,
confidando in un po’ di disponibilità e di fortuna. In commissariato avevano
già verificato via internet che l’esame si era effettivamente svolto e che
l’orario d’inizio poteva giustificare l’arrivo della ragazza in azienda verso
le dieci; c’era solo da controllare se l’avesse davvero sostenuto e più o meno a
che ora. L’ateneo era ubicato fuori Konoha, quindi
per arrivare a destinazione i due poliziotti impiegarono una buona mezz’ora e,
andando in parte incontro alle loro attese, il tempo migliorò leggermente. Nonostante
il cielo fosse ancora chiuso da scure coltri di nubi, la pioggia sembrò voler
offrire una sorta di tregua, facendosi meno martellante. Riuscirono così a non
bagnarsi eccessivamente, coprendosi il più possibile con giubbotto e sciarpa,
mentre si dirigevano verso la prima entrata visibile. Quando furono finalmente
all’interno dell’edificio, provarono un innegabile sollievo di fronte
all’immediato cambio di temperatura e, mentre si godevano quell’istante di
ristoro, si ricomposero per recuperare un aspetto presentabile, che non
includeva certamente capelli arruffati e un abbigliamento stile eschimese. Iniziarono
poi a percorrere i corridoi piuttosto affollati dell’università, accompagnati da
un brusio di sottofondo. Gli studenti, probabilmente in attesa del proprio
turno, sostavano davanti alle aule parlando tra di loro, scambiandosi veloci consigli
o forse solo evitando di pensare troppo all’esame. Tra di essi, Naruto individuò
un gruppetto che gli appariva più rilassato degli altri e, dopo aver messo
Sakura al corrente della sua intenzione di fermarsi, si avvicinò per cercare di
ottenere quella che in commissariato avevano ritenuto la prima indispensabile
informazione da procurarsi, ovvero dove si trovasse la presidenza della facoltà
di economia. Un ragazzo bassino e con gli occhiali non tardò a soddisfare la
sua richiesta, fornendogli le indicazioni necessarie per raggiungerla. Il poliziotto,
dopo aver ascoltato attentamente le sue parole tentando di non perdere nessun
passaggio, lo congedò ringraziandolo per l’aiuto, un aiuto che si rivelò tutto
sommato utile. Arrivare a destinazione non comportò infatti eccessive
difficoltà, salvo la necessità di porre qualche altra domanda per essere sicuri
di non aver imboccato la strada sbagliata. Quel giorno, la presidenza era quasi
deserta e si resero conto che ciò avrebbe permesso loro di non dare troppo
nell’occhio. Attesero tuttavia che i pochi ragazzi in fila avessero risolto le proprie
urgenze, poi entrarono. “Salve.” Esordì Naruto, rivolgendosi ad
una ragazza che gli venne incontro. “Scusate il disturbo, ma siamo della
polizia e avremmo bisogno di un aiuto.” Continuò mostrando il distintivo. “Oh… ma certo. Ditemi pure.“ Gli rispose
quella, sorpresa dalla notizia, ma anche leggermente compiaciuta di poter dare
una mano alle forze dell’ordine. “In pratica, ci servirebbero i verbali
di un esame che si è svolto ieri. L’esame sarebbe quello di Economia aziendale.” “Ho capito, ora chiedo subito. Aspettate
solo qualche minuto.” Disse la giovane, prima di sparire all’interno di un
ufficio. Quando poi ritornò da loro, portava con
sé una cartellina e alcuni fogli verdi; prese uno di quest’ultimi e lo porse al
poliziotto. “Ecco quello che cercavate. Vi sono
riportati i nominativi dei candidati che hanno sostenuto l’esame, più gli
argomenti che sono stati trattati durante la prova, ma immagino che vi
interessino soprattutto i primi.” Spiegò con tono sicuro. Naruto annuì e la ringraziò, dopodiché inizio
a visionare il documento insieme a Sakura, che gli si era accostata. Il nome di
Hinata Hyuga risultava effettivamente nell’elenco e per la precisione in
seconda posizione, quindi non solo aveva davvero dato quell’esame, ma,
considerando l’orario di inizio, appariva anche realistico che l’avesse
terminato in tempo per trovarsi in azienda verso le dieci, se non addirittura
più tardi. Insomma, la versione che la studentessa aveva fornito durante
l’interrogatorio sembrava combaciare con la realtà dei fatti. Terminata la
veloce lettura del verbale, i due poliziotti si scambiarono uno sguardo, da cui
intuirono di essere giunti alla stessa conclusione. Naruto restituì allora il
foglio, rinnovando i ringraziamenti per la disponibilità, poi uscì dall’ufficio
seguito dalla collega. “In sostanza, possiamo dire che l’alibi
è verificato.” Le disse, solo quando ebbero raggiunto un punto appartato
dell’androne che ospitava la presidenza della facoltà, così da poter tirare le
somme della loro rapida indagine senza attirare l’attenzione di nessun curioso. “Beh, sì, sicuramente è difficile che
possa essere stata lei dato l’orario che risulta dall’autopsia.” Confermò
Sakura. “Però, questo significa anche che siamo di nuovo al punto di partenza.”
Constatò poi con un pizzico di stanchezza. Quella che all’inizio era una
possibilità si era rivelata una dato certo e, nonostante fosse contenta per
Hinata Hyuga, per quel giorno avrebbe preferito poter mettere un punto fermo
almeno nel campo lavorativo. “Fa nulla, se era la strada sbagliata è meglio
così, no?” Affermò Naruto con un inevitabile senso di liberazione, sollevando
le braccia e incrociando le mani dietro la nuca. “Comunque, quello che possiamo
fare è solo tornare all’azienda e ricominciare da lì.” Le spiegò con tono
rilassato, e Sakura si lasciò andare ad un sorriso; non poteva certo dimenticare
che su quel caso si erano proiettate ombre lontane che lo facevano soffrire e sentire
finalmente che ne parlava con una voce priva di note stonate riusciva in un
modo o nell’altro a mettere in secondo piano tutto il resto. “Già,
hai ragione.” Gli rispose, sperando ingenuamente che l’amarezza che aveva
caratterizzato la confessione del giorno prima non tornasse mai più a offuscare
la sua consueta solarità. “Andiamo, allora, e speriamo che abbia
smesso del tutto di piovere, così ci risparmiamo un’altra corsa.” Concluse il
poliziotto con un chiaro accenno al loro movimentato arrivo all’università. Raggiunsero quindi nuovamente il parcheggio
e quella volta, per loro fortuna, poterono avventurarsi tra le file di macchine
in sosta con tutta calma, confortati dal sole che timidamente faceva capolino
tra le nuvole. All’improvviso, mentre camminavano uno affianco all’altro,
vennero fermati da una voce, o meglio dal noioso proprietario di quella voce,
pensò con disappunto Naruto. “Hei, scusa, bellezza. Vai via?” Chiese
un ragazzo sulla ventina, sporgendosi dal finestrino di un’auto blu e
indirizzando uno sguardo malizioso a Sakura. Il poliziotto lo fissò subito in malo
modo, infastidito da quel brusco apprezzamento, ma si riprese altrettanto velocemente
e agì prima ancora che la collega potesse replicare qualcosa. “No, mi dispiace, abbiamo altro da
fare.” Disse sbrigativo, per poi mettere un braccio intono alle spalle della
ragazza e baciarla con perfetta noncuranza. Pochi istanti dopo, si sentì
distintamente apostrofare con un ‘Ma guarda questo!’, mentre il rumore del
motore annunciava che la sua strategia aveva sortito l’effetto sperato e che il
disturbatore li liberava dalla sua inutile presenza. “E così, alla fine, se ne è andato lui.”
Osservò a conclusione di quel bacio imprevisto, con un’espressione malandrina
sul viso. Sakura non riuscì a trattenere una
risata. “Sei incredibile.” Sussurrò. Per risposta, il poliziotto si grattò il
capo socchiudendo leggermente gli occhi, senza dire nulla, poi riprese a
camminare come se nulla fosse, diretto finalmente alla macchina. Prima di seguirlo, la ragazza rimase
ferma per un po’ ad osservarlo seria. Qualunque cosa la legasse ancora a
Kakashi, voleva molto bene a Naruto e i momenti che viveva con lui ogni giorno riuscivano
innegabilmente a farla stare bene; tutto era così naturale, spontaneo, i punti
d’ombra venivano spazzati via senza alcuna difficoltà, semplicemente condividendoli,
e un rapporto simile era quello di cui sentiva di aver bisogno, in quel periodo
della sua vita così come in futuro, un rapporto che con l’Hatake le risultava
difficile intravedere.
Il ristorante non era per nulla
affollato, solo il leggero chiacchiericcio che si levava dai pochi tavoli
occupati smorzava il silenzio e l’attesa di Asuma, alleandosi con il solitario
fluire dei suoi pensieri. Aveva indubbiamente scelto quel posto perché era il
più pratico da raggiungere, dato la sua vicinanza all’istituto scolastico, ma
che fosse anche il luogo dove aveva incontrato Kurenai per la prima volta non
era ai suoi occhi, e probabilmente non lo sarebbe stato nemmeno a quelli della
donna, un aspetto secondario. Non sapeva di preciso che cosa le avrebbe detto
durante quella sorta di appuntamento improvvisato, ma la molla che aveva fatto
scattare l’idea di un pranzo fuori casa era perfettamente in rilievo nella sua
memoria, impressa da una fitta improvvisa di smarrimento e di sofferenza
riflessa, come un’immagine calcografica impressa da una matrice: uno sguardo
perso a contemplare qualcosa a lui ignoto e un’espressione cupa e meditativa. Era stato un fulmine a ciel sereno.
Kurenai era appena tornata a casa dopo i corsi di recupero pomeridiani, lui
usciva dalla cucina per andarle incontro, e in quei pochi istanti trascorsi
sulla soglia della porta, ignara di essere osservata, la donna aveva palesato
un malessere di cui prima di allora non aveva colto nessuna avvisaglia, perché troppo
chiuso nella sua personale insicurezza, in dubbi e timori sul loro rapporto. Quello
il motivo del carattere improvviso dell’amara scoperta - perché la conosceva
abbastanza per legare il turbamento evidente nel suo aspetto solo a futili
contingenze - ma forse nel contempo la causa stessa del problema. Era giunto a
quella possibile conclusione anche grazie alla chiacchierata di qualche ora
prima con Shikamaru; ascoltando le confidenze del collega, tra l’odore acre del
fumo e dell’asfalto bagnato dalla pioggia, ciò che in modo nebuloso si era
insinuato nella sua coscienza la sera prima aveva iniziato ad acquistare
contorni sempre più chiari, fino a delinearsi in modo netto con le riflessioni che
il dover aspettare l’arrivo di Kurenai gli aveva concesso di svolgere. Stava
pensando da dove potesse cominciare per farle capire che per lui la loro storia
era molto importante, che nonostante le sue paure ci credeva davvero, quando la
vide entrare nel locale, i lunghi capelli neri che le ricadevano morbidamente
sulle spalle, le iridi cremisi che indagavano l’ambiente alla sua ricerca, e
avvertì un tuffo al cuore. Si era concentrato così tanto su di lei e sul loro
rapporto, con un fondo costante di inquietudine riverbero della paura di
perderla, che averla lì, a pochi metri di distanza, bella e dolce come sempre, sembrava
un dono prezioso, unico. Sarebbe stato davvero uno stupido se se lo fosse
lasciato sfuggire. Kurenai impiegò qualche istante prima di
scorgere dove fosse seduto, poi avanzò tra i tavoli per raggiungerlo. Era venuto
a cercarla in aula un’ora prima della fine delle lezioni, generando un
invitabile mormorio tra i banchi, e con evidente imbarazzo, non aveva molto probabilmente
calcolato la vivace curiosità degli studenti, l’aveva informata che avrebbero
pranzato in quel ristorante, senza fornirle una spiegazione chiara. Sulle prime
era rimasta spiazzata, in parte piacevolmente colpita da quella proposta, poi però
aveva cercato di coglierne la motivazione e in qualche modo si era sentita un
po’ in colpa. La sera prima, mentre era bloccata nel traffico, si era
soffermata ad osservare un bambino che davanti ad una vetrina, con pressante insistenza,
tentava di convincere suo padre a comprargli un giocattolo e per un breve
istante aveva immaginato Asuma in quella situazione, provando un’improvvisa
tristezza, a cui si era poi lasciata andare non appena era rientrata a casa, con
la schiena contro la porta dell’appartamento. Forse l’uomo aveva assistito a
quel suo momento di debolezza, traendone la diretta conseguenza che ci fosse qualche
problema, nonostante durante la serata dal suo comportamento non fosse
trapelato nulla. Per quanto fosse dispiaciuta che ne fosse venuto a conoscenza
in quel modo, sapeva anche che eludere il problema non avrebbe portato a nulla
di buono, così, mentre si avvicinava, ribadì a se stessa che doveva trovare il
coraggio di esternare quello che aveva pensato e provato in quell’ultimo
periodo. “Ciao.” Lo salutò abbozzando un sorriso.
“Scusa il ritardo, ma il preside mi ha trattenuta. Doveva parlarmi di alcune
classi.” Si giustificò mentre si sedeva. “Tranquilla, non fa nulla. In fin dei
conti nessuno ci mette fretta.” Rispose Asuma, apparentemente calmo. “Vero. Hai già ordinato qualcosa?” Domandò
la donna. “Sì, ho chiesto del ramen. Ho pensato
che andasse bene anche per te. Altrimenti posso…” “No, no, va benissimo.” Lo interruppe,
addolcendo lo sguardo. Una delle prime cose che l’aveva colpita
di lui era stato proprio il suo atteggiamento premuroso. Era uno dei suoi primi
giorni a Konoha e alcuni colleghi, a cui si era unito in un secondo momento
anche Asuma, l’avevano invitata a magiare qualcosa con loro. Il cameriere aveva
fatto confusione nel segnare le prenotazioni, così si era ritrovata del
misoshiru al posto del sushi, e lui si era offerto gentilmente di invertire le loro
pietanze in modo da risolvere velocemente l’inconveniente. Era la prima volta
che l’incontrava e il suo gesto le era rimasto impresso. Che fosse un caso o
meno, si trovavano proprio nello stesso ristorante di cinque anni prima, e il
loro incontro era iniziato con una situazione in qualche modo accostabile a
quella di allora. Quelle coincidenze le fecero pensare che forse, parlando,
sarebbero riusciti davvero ad allontanare le nuvole che vedeva avanzare verso
il loro cielo. Proprio in quel momento giunse il cameriere con le loro
ordinazioni. L’uomo adagiò un vassoio al centro del tavolo e domandò se
desiderassero altro, ricevendo un pacato diniego, quindi se ne andò lasciandoli
soli, mentre i due insegnanti si dedicavano alle ciotole di ramen fumanti, provando
ad accantonare momentaneamente ogni pensiero. Fu Kurenai a riprendere dopo un
po’ di tempo la conversazione, almeno per
esprimere un veloce apprezzamento sulla qualità del cibo. “Cucinano sempre bene qui.” Disse con
leggero sorriso. “Sì, è vero. Non è cambiato per niente.”
Assentì l’altro, poi indugiò fissandola negli occhi più a lungo del solito, un
brivido di tensione che gli attraversava il petto. “Comunque io… volevo
chiederti scusa.” Poche parole che furono seguite da un
silenzio denso, denso di aspettative e speranze, di voglia di capirsi e riparare,
mentre Asuma cercava il modo giusto per proseguire e Kurenai attendeva di
sapere che cosa le avrebbe detto. “Scusami se in questo periodo ho finito
per chiudermi in me stesso,” continuò l’uomo “se intrappolato nelle mie
insicurezze ti ho forse dato l’impressione di dubitare di noi.” D’istinto allungò una mano verso di lei
fino a sfiorarne con le sue le dita affusolate; la donna, intenerita dalle parole
e dal gesto, lasciò che il calore della mano di Asuma avvolgesse con dolce
decisione la propria, non senza un mutamento lieve ma chiaramente percepibile nel
battito del suo cuore. “Ma io ti amo davvero e voglio costruire
la mia vita insieme a te, nonostante le mie stupide paure.” Dichiarò, con un
leggero rossore sul viso. Kurenai esitò, divisa tra sentimenti
contrastanti: le affermazioni dell’uomo sembravano rispondere ai pensieri dell’ultimo
mese, alleviando le preoccupazioni che l’avevano gettata in uno stato di
confusione, eppure quell’alone di incertezza che in ogni modo sentiva persistere
non riusciva a rassicurarla del tutto. “Asuma, temo che questa insicurezza
possa prima o poi rompere qualcosa. E…” E per costruire una famiglia c’è bisogno
di basi solide, il nostro bambino ne ha bisogno, avrebbe voluto continuare, ma non
ne trovò la forza. Abbassò invece lo sguardo, risentita verso se stessa;
nonostante ciò che si era prefissata per quell’incontro, non riusciva a
confessare l’unica semplice verità che doveva rappresentare la priorità. Nell’ascoltarla Asuma avvertì una
piccola fitta a cui rispose senza smettere di stringerle la mano, bensì
aumentando leggermente la pressione di quel gesto di unione, sperando che anche
quello servisse per farle capire quanto per lui fosse importante. La donna reagì tornando a guardarlo
negli occhi, di nuovo in attesa delle sue parole. “Hai ragione. D’ora in poi cercherò di
allontanare una volta per tutte stupidi pensieri.” Le disse l’altro con tono serio.
“Io non voglio perderti.” Continuò dopo qualche istante di silenzio. Kurenai rimase a fissarlo per un po’ con
espressione riflessiva, poi abbozzò un sorriso, avvolta da una sensazione di
calore, in qualche modo tranquillizzata dal proposito che l’affermazione
dell’uomo conteneva e dalla dolcezza che le stava dimostrando. Pensò che doveva
assolutamente trovare il momento giusto per dirgli che era incinta, che non
poteva e non voleva più nasconderlo, ignara che in quello stesso istante anche Asuma
stava pensando di doverle rivelare al più presto qualcosa.
Sasuke era ritornato in ufficio con
un’espressione apatica, o meglio quella era stata l’impressione che Kakashi aveva
ricevuto non appena l’aveva visto entrare, sebbene quell’apatia potesse facilmente
confondersi con il suo solito atteggiamento serio e distaccato. Perfettamente
consapevole che il giovane collega non si sarebbe mai lasciato andare a
qualsiasi sorta di confidenza, tanto più con qualcuno che a conti fatti non
conosceva per nulla, aveva preferito evitare qualsiasi domanda o osservazione a
proposito, limitandosi a chiedere un semplice ragguaglio sull’incontro avuto
con l’informatore. Avevano potuto così accordarsi sulla mossa successiva da
compiere per proseguire quella che era una delle tante partite a carte che intraprendevano
quotidianamente, mossa che consisteva in una piccola visita di cortesia a Kaito
Oshiba, che come avevano verificato rientrava
effettivamente tra gli iscritti alla palestra dove era avvenuto l’omicidio. L’abitazione dello spacciatore faceva
parte di un condominio in una piccola zona residenziale, ad una mezz’oretta dal
commissariato. Quando arrivarono al complesso abitativo, i due poliziotti individuarono
per prima cosa la guardiola del portiere e chiesero quale fosse l’appartamento
della persona che cercavano, ottenendo l’informazione senza troppe difficoltà. Gli
alloggi correvano tutto interno ad un cortile interno, affacciandosi su di
esso, perfettamente visibili con le loro facciate d’intonaco bianco, separate
dal vuoto da un ballatoio ed una ringhiera metallica. Quello che interessavo
loro si trovava nell’ala destra del palazzo, al secondo piano, e lo raggiunsero
tramite una scala interna. Dopo aver scambiato un rapido sguardo d’intesa con
il collega, Sasuke suonò il campanello, poi attese con una leggera impazienza che
il loro prossimo interlocutore si facesse vivo. Forse, inconsciamente, vedeva
quell’incontro non solo come la semplice fase di un’indagine, ma anche come
un’opportunità per allargare il campo della sua ricerca personale, che più
passava il tempo e più gli appariva infruttuosa. Si affrettò ad allontanare quel
pensiero dalla sua mente, posticipando qualsiasi riflessione sulle eventuali conseguenze
dell’arresto che avrebbero compiuto a breve. La porta dell’appartamento si aprì nel giro
di qualche istante e di fronte a loro si presentò un uomo sulla trentina, non
molto alto ma dalla corporatura piuttosto robusta, che lasciava facilmente
intuire la sua professione di pugile o quanto meno la passione per il pugilato.
Peccato che i suoi interessi non si limitassero ad una sana pratica sportiva,
pensò Kakashi osservandolo. “Salve. Il signore Kaito Oshiba?” Esordì. L’uomo scrutò in silenzio chi chiedeva
di lui, sforzandosi di ricordare se li avesse visti da qualche altra parte, ma
non riuscì a ricollegare i visi dei due ai poliziotti della mattina precedente,
così rispose senza avere sentore di nulla e con voce un po’ seccata. “Sì, sono io. E voi chi sareste?” Disse. “Polizia, signor Oshiba. Dovremmo
scambiare due chiacchiere.” Rispose l’Hatake serio, mentre mostrava il
distintivo per avvallare la sua affermazione. A quelle parole lo spacciatore si
irrigidì in maniera quasi impercettibile, lasciando trapelare l’improvvisa
ansia solo dal leggero indurirsi dei lineamenti del volto, dettaglio che non
sfuggì alla capacità di osservazione dell’ispettore. Tentò però di rimanere calmo,
perché per esperienza sapeva bene che agitarsi avrebbe gettato su di lui più
sospetti di quelli che gli inquirenti potevano già avere; inoltre, comportarsi nel modo più naturale
possibile poteva rappresentare una buona via d’uscita proprio per il fatto che la
loro presenza davanti a casa sua non implicava necessariamente che avessero
delle prove rilevanti. “E a che proposito?” Domandò allora,
cercando di conservare ancora un tono annoiato in modo da celare il suo cambio
d’umore. “Credo che lo sappia
perfettamente, a che proposito.” Intervenne deciso Sasuke. “No, mi dispiace, non saprei
proprio di che cosa…” Provò a replicare l’altro con finta noncuranza, dopo aver
spostato lo sguardo sul secondo poliziotto. “Io non ne sarei così sicuro.” Lo
interruppe però Kakashi, attirando nuovamente su di sé l’attenzione. ”Volendo,
qualche argomento su cui parlare si trova lo stesso.” “O altrimenti si può sempre cercare
qualcuno più loquace.” Concluse l’Uchiha al posto del collega. Fin dall’inizio, erano perfettamente
consapevoli di non poter mettere il loro interlocutore davvero sotto pressione,
dal momento che non avevano in mano nulla di concreto, ma solo informazioni e
indizi che necessitavano di riscontri oggettivi, un’impresa non semplice; così,
come avevano concordato in ufficio, avevano tentato di giocarsi la carta di un
innocuo bluff, affidandosi al potere di convinzione del loro ruolo
istituzionale e alla malafede del pugile. “Nessuno si lascerebbe sfuggire
una buona occasione per alleggerire la propria posizione.” Spiegò dopo qualche
istante di silenzio l’ispettore dai capelli argentati. La puntualizzazione gettò lo
spacciatore nell’incertezza; forse, la polizia sapeva davvero qualcosa che
poteva metterlo nei guai. “Sempre… sempre che ci sia una
posizione da alleggerire.” Rispose, tuttavia, sperando che si stesse sbagliando. “Beh, di certo non abbiamo tempo
da perdere con chi non vuol parlare.” Osservò l’Hatake con tutta calma, dopodiché
attese una reazione che non arrivò, per tanto si rivolse a Sasuke. “Mi sa che allora
possiamo andare.” Gli disse. L’altro non tardò ad assentire con
un rapido cenno del capo, poi imitò il collega dando le spalle al loro interlocutore
e iniziando ad allontanarsi dall’appartamento. Neanche pochi passi, però, e il
pugile li richiamò; se ormai erano a conoscenza della storia delle anfetamine, non
sarebbe comunque rimasto fuori dalle indagini, quindi tanto valeva collaborare e
subire il minore dei mali. “Aspettate. Forse… forse posso
darvi una mano.” A quelle parole le labbra di
Kakashi si incurvarono in un sorrisetto compiaciuto, mentre Sasuke provò un
innegabile senso di liberazione; detestava tirare per le lunghe con un criminale
da quattro soldi, tanto più se aveva fretta di giungere ad una conclusione. “Così va meglio.” Disse l’Hatake,
tornando indietro verso l’uomo. “Penso sia inutile specificare di cosa stiamo
parlando.” “Insomma, a questo punto,
possiamo arrivare direttamente al punto”. Continuò l’Uchiha aggrottando le
sopracciglia. ”Chi spaccia con te nella palestra? E Aizawa Daisuke era
coinvolto?” “Sì. Eravamo noi due a gestire tutto,
insieme ad Akira Hayase. E all’inizio anche il nipote del proprietario.”
Rispose lo spacciatore dopo qualche istante di esitazione; sputare il rospo con
gli sbirri non era dopotutto qualcosa che gli risultava semplice. “Che vuol dire all’inizio?”
Chiese ancora il poliziotto. Tutta quella messa in scena era
servita a fargli ottenere l’informazione che speravano, quindi non restava
altro che ottenere ulteriori dettagli, in vista anche di un nuovo
interrogatorio. “Niente, quell’idiota si è
semplicemente tirato indietro.” Gli spiegò l’uomo con una evidente nota di
disprezzo nella voce. “Uhm, io sarei cauto su chi
definire un idiota.” Sentenziò Sasuke. “Ora, però, ci segua gentilmente in
commissariato.” Disse, poi, avanzando verso il pugile mentre recuperava rapido le
manette da una tasca interna del giubbotto, senza che il gesto passasse inosservato. Kaito Oshiba arretrò d’istinto; consapevole
tuttavia che quella era la conclusione inevitabile, non oppose resistenza ma si
lasciò arrestare, augurandosi di non aver fatto una grande cavolata. Le parole
successive del poliziotto non contribuirono però a sostenere quella speranza. “Ovviamente è meglio per lei che
non abbia nulla a che fare con l’omicidio di ieri.” Affermò l’ispettore, nel
stesso momento in cui il ferro delle manette stringeva i polsi del pugile,
bloccandoli.
Accantonata definitivamente
l’ipotesi della colpevolezza di Hinata Hyuga, i due poliziotti non avevano
potuto fare altro che ripartire dalla dinamica dell’omicidio e da eventuali
testimoni. Ripensando a che cosa potesse essergli sfuggito la prima volta,
Naruto si era ricordato di aver posto alla segretaria del signor Hyuga, Keiko
Suzuki, nient’altro che una o due domande a causa dell’evidente stato di
confusione in cui versava, informazione che aveva subito fatto scattare nella
mente di Sakura l’interruttore per un’intuizione. Quando la governante di casa
Hyuga si era presentata per prendere Hinata aveva affermato di essere stata
avvertita dell’accaduto proprio da una certa Keiko-san, che con buone
probabilità doveva essere la stessa segretaria. Erano quindi giunti alla
conclusione che qualcosa non quadrasse e che fosse opportuno verificare; così,
l’edificio sede degli uffici amministrativi della ditta svettava di nuovo di
fronte a loro in tutta la sua altezza, con qualche invitabile ed insistente giornalista
appostato davanti all’entrata. Naruto sbuffò, infastidito
all’idea di poter essere importunato, ma per sua fortuna nessuno parve
attribuire particolare peso alla loro presenza, permettendo ai due poliziotti
di entrare con tutta tranquillità nel palazzo; evidentemente, se qualcuno era
presente anche il giorno dell’omicidio, non li avevi riconosciuti. Raggiunsero
allora il secondo piano, dove riuscirono a rintracciare senza alcun problema la
persona che cercavano, la quale sedeva alla propria scrivania nella stanza che
precedeva l’ufficio della vittima, intenta a visionare dei documenti. “Scusi il disturbo.” Esordì
Naruto, dopo aver bussato alla porta nonostante fosse aperta. La donna, i lunghi capelli legati
in una coda e un paio di occhiali sul viso affilato, spostò la sua attenzione
su di lui e l’espressione che gli mostrò rivelava una lieve sorpresa e
nient’altro; nessuna traccia di preoccupazione sembrava turbarla, alimentando
la possibilità che avesse qualcosa da nascondere. “Salve, ispettore.” Rispose,
avendolo riconosciuto immediatamente. “Come mai qui?” “Salve. Potrei farle la stessa
domanda.” Rispose il poliziotto, poi
entrò e si avvicino alla donna seguito dalla collega. “Beh, veda. Purtroppo ci sono
delle pratiche che non possono essere lasciate in sospeso. Le stavo recuperando
per darle ad Hiroshima-san, uno stretto collaboratore del povero signor Hyuga.”
Spiegò pacata. “Capisco.” Assentì Naruto.
“Comunque siamo qui perché dovremmo chiederle alcune informazioni.” A quella richiesta la segretaria
non si tirò indietro, ma diede la più totale disponibilità. “Ieri, più o meno tra le nove e
le dieci, è sempre rimasta in ufficio o le è capitato di allontanarsi?” Chiese
l’ispettore. Prima di rispondere la donna
cercò di fare mente locale, ripercorrendo velocemente con la memoria i vari
passaggi della giornata precedente. “Ecco, in realtà sono stata
assente per circa una mezz’ora, ora che ci penso. Mi ha chiamato Yumi-sama, la
governante del signor Hyuga, e mi ha chiesto se gentilmente potevo prenotare il
ristorante per il capo al suo posto. Non ho ben capito il perché, ma pare che
non potesse, così me ne sono occupata io.” “Ed era proprio necessario che si
allontanasse? Non poteva semplicemente chiamare?” Intervenne Sakura, insospettita
come Naruto da quella nuova coincidenza. “No, signorina. Il ristorante che
il capo era solito frequentare è piuttosto fiscale su queste cose. Non saprei
spiegarle il motivo preciso, ma richiede una prenotazione in un certo senso diretta.” “Quando poi è ritornata in
azienda, ha notato qualcosa di strano? Magari qualche documento fuori posto.
Oppure le è sembrato di scorgere la presenza di qualcuno?” Domandò ancora l’altro
poliziotto. “No, nulla, ispettore.” Affermò
la segretaria, poi abbassò leggermente lo sguardo. “Ho solo portato delle
pratiche al signor Hyuga e l’ho trovato accasciato sulla sedia.” Disse con tono
malinconico. “Va bene lo stesso, non si
preoccupi. Vedrà che riusciremo a trovare il colpevole, il suo aiuto ci è stato
molto utile.” Replicò Naruto con espressione decisa, dopo aver avuto un attimo di
esitazione di fronte allo sconforto della donna. “Un’ultima domanda, poi la
lasciamo al suo lavoro. Per caso è stata lei ad avvertire dell’accaduto la
governante?” “Eh… no. Io non sono riuscita a
chiamare nessuno dopo la scena che mi sono trovata davanti agli occhi. E’ stato
infatti un mio collega a telefonare alla polizia.” Chiarì la segretaria. I due poliziotti la ringraziarono
di nuovo per la disponibilità dimostrata, poi lasciarono l’ufficio. Scesi in
strada, si allontanarono il più possibile dall’entrata dell’edificio in modo da
essere fuori dal raggio d’azione dei giornalisti e poter fare il punto della
situazione senza correre il rischio di essere disturbati o di concedere
involontariamente qualche pericolosa soffiata. “Insomma, non sembra che la
segretaria nasconda qualcosa.” Iniziò Sakura quando ritenne che fossero
abbastanza lontani. “La governante, invece, è piuttosto sospetta. Ha
chiaramente mentito sul come fosse venuta a conoscenza dell’omicidio e
oltretutto il suo atteggiamento mi era parso subito un po’ brusco.” Argomentò. “Già, non me la conta giusta.”
Concordò Naruto, mentre appoggiava la schiena contro la facciata di un palazzo
incrociando le braccia sul petto. “Il punto più importante, però, è scoprire se
anche la scusa del ristorante fosse una frottola, se insomma si trovasse qui
nei paraggi e quello fosse un modo per allontanare un testimone scomodo.”
Precisò, con espressione seria e meditativa. La collega lo osservò in silenzio
per qualche istante; quell’atteggiamento tra il posato e lo spavaldo gli donava
tremendamente. Accantonò, però, rapidamente quei pensieri. “Uhm, forse potremmo chiedere i
tabulati di casa Hyuga.” Disse. “Se scoprissimo che non ha chiamato la
segretaria da lì, potremmo avere un indizio in più per supporre che l’abbia
fatto da qualche posto qui vicino.” “Sì, quella dei tabulati mi
sembra una buona idea.” Rispose l’ispettore. “Però, se individuassimo da dove ha
potuto telefonare, avremmo qualcosa di più concreto in mano.” Detto ciò, iniziò a scrutare gli
edifici dall’altro lato della strada per trovare un bar o qualcosa di simile;
nel breve tragitto che avevano percorso fino a quel momento non ne aveva notato
nessuno. Sakura non ebbe difficoltà ad intuire che cosa stesse facendo, così,
quando Naruto riprese a camminare, lo seguì senza chiedere nulla, supportandolo
nella sua ricerca. Non appena videro un bar, decisero di fare subito un
tentativo sperando che la fortuna fosse dalla loro parte. Il locale, benché
avesse riaperto da meno di un’ora, era già abbastanza frequentato; i tavoli
posizionati all’aperto erano occupati da
alcuni ragazzi in attesa delle proprie ordinazioni o in procinto di
effettuarle. I poliziotti li superarono entrando nel bar, dove quello che doveva
essere il gestore rimproverava un giovane barman per aver sbagliato la
preparazione di un drink. Attesero che le acque si calmassero, dopodiché si
avvicinarono al bancone e si presentarono, chiedendo poi a chi era stato di
turno anche la mattina precedente se una donna anziana avesse domandato di
poter fare una telefonata e con loro sollievo ricevettero una risposta
positiva.
Con Kaito Oshiba già dietro le
sbarre, in una delle celle a disposizione del commissariato, e Akira Hayase in
procinto di essere arrestato dai colleghi delle volanti, non rimaneva che far
confessare la verità a Rock Lee su quanto accaduto la mattina precedente.
Avevano quindi provveduto a convocarlo nuovamente per un secondo e si
auguravano ultimo interrogatorio. “Sei proprio sicuro di non
conoscere il signor Oshiba?” L’ispettore Uchiha riformulò la
domanda già posta all’inizio nel tentativo di ricevere una risposta differente,
ma senza alcun risultato. “No, io… ve l’ho detto, gli avrò
parlato qualche volta, forse.” Ribadì infatti il pugile, per quanto impacciato.
“Strano.” Osservò Kakashi, seduto
alla destra del giovane. “Lui sembra conoscerti abbastanza bene invece. Pare
che aveste degli affari in comune.” Sulle prime Rock Lee non capì che
cosa il poliziotto intendesse, ma non appena vi arrivò ebbe la forte sensazione
di essere in un vicolo cieco. “Non ho idea di cosa possa avervi
detto.” Provò a mentire ancora una volta, provocando un sospiro di irritazione da
parte di Sasuke . “Ti conviene decisamente smettere
di dire frottole.” Ribatté quest’ultimo con tono drastico. “Così peggiori solo
la situazione. Ci hai mentito sull’incidente che ti avrebbe costretto ad
abbandonare la palestra e continui a farlo adesso.” “Il mio collega ha ragione. E’ più
saggio iniziare a dire la verità.” Intervenne l’Hatake. “Kaito Oshiba ha già fatto
il tuo nome tra le persone coinvolte nello spaccio di anabolizzanti e non
abbiamo motivo di non credergli, dato che si è fatto arrestare senza fare
storie. Inoltre ci ha detto che ti sei anche tirato indietro. Magari è per
questo che hai litigato con Aizawa Daisuke ieri mattina.” Di fronte alle affermazioni del
poliziotto Rock Lee abbassò lo sguardo e strinse i pugni; era deluso e
arrabbiato, gli ultimi mesi erano stati segnati solo ed esclusivamente da
scelte sbagliate, una dietro l’altra, a coronamento del fallimento che era la
sua vita e a cui non era stato in grado di porre un argine. “Non
posso farci nulla se hai smesso di spacciare per non deludere ancora di più lo
zietto.” Le parole di Daisuke riecheggiarono nella sua
mente, quasi ad amplificare il senso di inutilità e di colpa che l’attanagliava.
Poggiò i gomiti sul tavolo adagiando il capo tra le mani. “Io gli avevo chiesto
semplicemente una dose per una sfida imminente e di poterla pagare dopo.”
Iniziò a raccontare con voce sommessa.” Lui mi disse che a quelle condizioni
non poteva darmela, poi inferì sul fatto che mi fossi tirato indietro, disse
che non avrei avuto quel problema se non l’avessi fatto e… sottolineò che avevo
smetto di spacciare per non deludere ancora di più mio zio.” Rimase in silenzio
per qualche istante, le unghie che si conficcavano nei palmi. Confessare tutto l’avrebbe
solo liberato da un peso, pensò, mentre soffocava il dolore che provava. “Gli anabolizzanti mi aiutavano a
vincere le gare. La forza di volontà, senza delle buone capacità, non serve a
nulla, nonostante quello che pensa mio zio.” Disse, tornando a guardare i due
poliziotti con espressione abbattuta. “Se avesse scoperto che mi dopavo
ne sarebbe rimasto deluso e ancora di più se avesse saputo che spacciavo.
Quando Daisuke me l’ha ricordato con il suo solito sorriso beffardo non ci ho
visto più e l’ho spinto. Ma non volevo ucciderlo, è stato un incidente. C’era
il suo borsone a terra e...” “Sì, questo lo sappiamo.” Lo
interruppe Kakashi. “Riuscirai sicuramente ad ottenere delle attenuanti.”
Spiegò, poi fece segno ad un agente di portarlo via.
Quando poterono finalmente
esaminare i tabulati che avevano richiesto, Naruto e Sakura trovarono una
definitiva conferma alla loro ipotesi: da casa Hyuga non risultava nessuna
chiamata indirizzata alla ditta tra le nove e le dieci, chiamata che invece era
stata effettuata dal telefono del bar. Con un nuovo dato concreto alla mano, decisero
di fare visita alla governante nella speranza di concludere il caso e contro
ogni loro aspettativa non si trovarono di fronte ad un atteggiamento freddo e
riluttante. Quando li vide sulla soglia di casa, infatti, l’anziana donna li
fece entrare ed accomodare senza problemi, e Sakura ne notò l’espressione del
volto, diversa dalla prima volta che l’aveva incontrata, avrebbe osato dire provata.
Fu Yumi stessa ad iniziare la conversazione, senza tergiversare con ulteriori
convenevoli o con domande superflue. “Immagino già perché siate qui.” Esordì
con tono calmo. “Per fortuna al momento Hinata non c’è, possiamo parlare
tranquillamente.” “Quindi credo che non ci sia
bisogno di girarci intorno.” Disse Naruto in qualche modo sollevato, sebbene
sorpreso dall’atteggiamento della donna. “No, direi di no.” Rispose
quest’ultima, seria. “Perché l’ha fatto?” Fu la
domanda diretta dell’ispettore. La governante abbassò il capo
fissando il vuoto davanti a sé. Aveva deciso che avrebbe confessato tutto
quando Hinata era tornata a casa dopo l’interrogatorio, visibilmente turbata,
ed era scoppiata a piangere tra le sue braccia, non appena le aveva chiesto
come fosse andata, sfogando probabilmente solo in quegli istanti tutta la
pressione e il dolore che aveva dentro. Non poteva sopportare di vederla
soffrire in quel modo, non era quello che voleva ottenere. “Per lui era come se non
esistesse, soprattutto dopo la morte della signora.” Cominciò, posando sul
poliziotto uno sguardo indecifrabile, distante, perso forse in un mare di ricordi.
”Da quel momento le figlie non sono diventate altro che dei fogli bianchi,
fogli su cui leggere un numero che aveva il solo scopo di soddisfarlo, di
soddisfare il suo orgoglio e riempire il suo vuoto. E ovviamente Hinata, con le
sue difficoltà scolastiche, era per lui solo una continua delusione.” Nell’ascoltare quelle parole
Naruto provò insieme un moto di tristezza e di rabbia; comprendeva il discorso
della governante, l’amore che trapelava da esso, ma non avrebbe mai potuto
condividerne le conseguenze, e non solo per il ruolo istituzionale che
ricopriva. “E cosa pensa di aver ottenuto
col suo gesto?” Domandò dopo qualche istante di silenzio. “Anche nelle
situazioni più buie c’è sempre una strada alternativa, per quanto percorrerla
possa apparire la scelta più difficile. Basta trovare la forza di farlo. Così ha
solo troncato ogni opportunità, piuttosto di lottare per renderla possibile.” E
mentre parlava pensava al coraggio di sua madre, il coraggio di allontanarsi
dall’unico uomo che avesse mai amato e di crescere un figlio da sola, e insieme
all’incidente che aveva troncato senza via di scampo la vita di suo padre.
Quando Kaito Oshiba e Akira
Hayase videro Sasuke davanti le sbarre della cella che li ospitava provarono una
inevitabile sorpresa, poiché non credevano di avere qualcos’altro da aggiungere
a quello che avevano già detto, e infatti non tardarono a scoprire che il
motivo che l’aveva portato fin lì aveva ben poco a che fare con il loro caso. “Nel vostro giro conoscete un
certo Itachi Uchiha?” Chiese l’ispettore saltando ogni preambolo. I due spacciatori mostrarono
qualche attimo di perplessità di fronte a quella richiesta inaspettata, ma gli risposero nel giro di qualche istante
senza alcuna obiezione. Quello che il poliziotto ricevette, però, non fu ciò
che desiderava. Deluso dall’ennesimo esito negativo della sua ricerca, trattenne
la stizza che lo pervadeva sotto un’espressione indifferente e si allontanò in
totale silenzio; quando fu sicuro di essere solo, sferrò un calcio pieno di
rabbia contro il muro. Sembrava inesistente, Itachi sembrava essere un
fantasma, pensò, eppure quelle lettere misteriose, che ancora custodiva nel
cassetto di una scrivania, l’avevano condotto a Konoha e non poteva rassegnarsi
all’idea che anch’esse fossero totalmente inutili. Note dell'autrice Credo
che dovrei solo nascondermi dato l'immenso ritardo... posso solo dire
che è stato un anno molto impegnato e ho fatto il prima possibile ^^'
Spero che almeno il capitolo possa piacervi e ricompensare un po'
l'attesa eterna. Comunque, siamo precisamente a metà della storia, il
prossimo sarà un capitolo di transizione, ma ci saranno alcuni nodi che
verranno al pettine, uno in particolare, poi l'altra metà della fic,
sperando di non metterci altri due anni. Precisazioni da fare non ce ne
sono, dovrebbe essere tutto chiaro, e spero che alcnui fatti abbiano
una pervenza di realismo. Ah, poi c'è da segnalare che Kabuto è
decisamente OOC; il suo ruolo nella storia è del tutto diverso dal
manga e questo è il risultato, spero che però sia almeno riconoscibile
u_u Con
questo finisco di tediare, ovviamente grazie mille a chi preferisce o
segue la storia e a chi trova il tempo per commentare ^^ |
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Capitolo 8 *** Capitolo VIII ***
Capitolo VIII
Capitolo dedicato ad Urdi, perchè una delle sue prime recensioni
mi ha fatto ideare tutta la prima parte, per la precisione la richiesta di un Kakashi in divisa^^
Quando si era svegliato, non appena le nebbie del sonno
che gli intorpidivano i sensi si erano dissipate del tutto, Kakashi si
era tirato a sedere sul letto soffermando lo sguardo stanco sulla
visuale concessa dalla piccola finestra della sua camera. Il cielo era
insolitamente terso per una mattina di metà gennaio, soprattutto dopo
una settimana di piogge pressoché continue; di sicuro, fuori l’aria era
fredda e pungente come al solito, ma scoprire un tempo sereno, quando
invece il calendario segnava il ritorno di una triste ricorrenza, gli
aveva lasciato un senso d’amaro in bocca maggiore di quello che già
provava ogni volta in quel particolare giorno dell’anno. Non diversi
erano i pensieri che gli affollavano la mente mentre sedeva alla
scrivania del suo ufficio qualche ora dopo, scrutando di nuovo il
paesaggio esterno con un’espressione seria e rassegnata. Che le
condizioni atmosferiche dovessero intonarsi con il suo stato d’animo
era dopotutto una pretesa stupida oltre che egoistica, un’ulteriore
dimostrazione della sua incapacità di svincolarsi dal passato. In
momenti come quelli avrebbe dovuto preferire giornate che gli
ricordassero che la vita va avanti, che i ricordi dolorosi non possono
condizionare in eterno, invece non vi riusciva; i tenui raggi solari e
l’azzurro sgombro di nuvole lo facevano sentire come una nota stonata
all’interno di una melodia.
“Oggi è uscita proprio una bella giornata, non è vero?”
Una voce catturò la sua attenzione legandosi inconsapevolmente alle sue
riflessioni; Kakashi non ebbe difficoltà a riconoscerla e si voltò
quasi subito verso il proprietario.
“Buongiorno, Naruto.” Disse pacato, una maschera di normalità calata
sul volto. “Almeno questo inverno ci offre qualche tregua ogni
tanto…”
“Già, speriamo che continui così. Comunque, volevo sapere dove è
Sasuke.” Gli domandò il collega, arrivando direttamente al motivo
primario della sua presenza.
“Dovrebbe essere con Izuki-san per la deposizione di una denuncia. Ma
se hai bisogno di qualcosa, puoi anche chiedere a me.” Rispose
l’Hatake, pur non avendo in realtà grande voglia di darsi da fare per
aiutarlo, qualunque cosa gli servisse.
“Ah, no, non preoccuparti. E’ che ieri l’ho visto un po’ strano e
volevo parlargli.” Spiegò Naruto, mentre si portava una mano dietro la
nuca scompigliando leggermente i capelli biondi. “Sai se per caso è
successo qualcosa di particolare?” Chiese poi, superato un attimo di
incertezza.
“Beh, ecco, no. Non mi sembra, o quantomeno io non ho notato nulla di strano.”
“Capisco.” Farfugliò il poliziotto biondo. “Magari lo cerco più tardi.
Grazie per l’informazione.” Continuò in modo più distinto, poi gli
rivolse un sorriso leggero e sparì così come era arrivato. Kakashi
rimase a fissare perplesso per qualche istante l’ingresso prima
occupato dal collega; a volte quel ragazzo lo spiazzava, se da una
parte riusciva a brontolare per un non nulla invadendo l’ufficio di
interminabili chiacchiere, dall’altro in certi momenti si mostrava
serio e sfuggente. Chissà, forse era stata proprio quell’oscillazione,
quella compresenza nel suo carattere di tratti così diversi senza che
ciò implicasse un’eccessiva sbavatura a colpire Sakura, pensò, con un
pizzico di amarezza. Si appoggiò totalmente allo schienale della sedia
sospirando. Nell’ultima settimana non si erano quasi mai scambiati una
parola e, sebbene fosse naturale che lei passasse più tempo e parlasse
soprattutto con Naruto in quanto partner nel lavoro e nella vita, non
riusciva a liberarsi dall’opprimente sensazione che il timore di aver
commesso un errore irreparabile fosse fondato, oltre che da quel
costante strato di gelosia che era incapace di coprire e nascondere
sotto ragionamenti razionali. Provò un attimo di sollievo rendendosi
conto che almeno per quel giorno non avrebbe dovuto sopportare una
fitta improvvisa nel notare il suo sguardo sfuggente, poi si pentì
subito di quel pensiero; il motivo per cui la collega non era in
commissariato non era affatto qualcosa di piacevole e come sei anni
prima sentì di essere nel posto sbagliato; piuttosto che chiuso in un
ufficio avrebbe voluto essere al suo fianco, chiederle di dare voce al
dolore che c’era nel suo cuore, di condividerlo con lui in quel momento
ed ogni volta che ne avrebbe avuto bisogno, come non aveva avuto il
coraggio e la forza di fare quando Sakura avrebbe desiderato anche il
suo sostegno. Il rimorso per le sue scelte sbagliate lo assalì con
violenza, insieme alla amara consapevolezza che non si potesse
riavvolgere il nastro e tornare indietro, e anche i ricordi non
tardarono a dar man forte colpendolo a tradimento.
Mentre annodava la cravatta, Kakashi
fissò il proprio riflesso nello specchio, che gli restituiva l’immagine
di un volto segnato dalla stanchezza. Gli ultimi giorni erano stati
lunghi e difficili; la morte improvvisa di Isoshi Haruno e di sua
moglie, le indagini preliminari, le insistenti richieste dei
giornalisti e le visite in ospedale l’avevano travolto completamente,
agitando nel suo animo una miriade di sentimenti e nella sua mente
mille domande. Si chiese se sarebbe riuscito a trovare un punto fermo
in mezzo alla confusione che provava. Osservò poi la divisa che aveva
addosso, mentre ne chiudeva la giacca che bottone dopo bottone aderiva
sempre più al suo corpo. Da quando era entrato a far parte
dell’investigativa non l’aveva più indossata, iniziando a lavorare
quotidianamente in borghese, ma se dovevano essere come quella le
situazioni in cui doveva rimetterla avrebbe preferito mille volte
lasciarla a marcire nell’armadio. Ricordava ancora in modo chiaro il
fastidio verso i poliziotti che avevano partecipato al funerale di suo
padre, verso le loro uniformi così perfette, così eleganti
nell’alternanza di bianco e blu, mentre il suo cuore di bambino ferito
deformava e dipingeva di nero ogni cosa. Quel giorno lontano, con tutto
il dolore che aveva dentro, non avrebbe mai pensato di seguire la
stessa strada che aveva portato Sakumo Hatake a morire in una
sparatoria; ma la vita, con il suo alto grado di imprevedibilità,
l’aveva condotto ad una scelta differente e in quegli istanti si
trovava a sopportare uno dei lati più duri del mestiere di poliziotto:
il funerale di un collega, di una guida, ma soprattutto di un amico.
Sperando che fosse una delle poche volte, se non addirittura l’ultima,
recuperò il berretto sistemandolo sulla chioma argentata, ignorando i
ciuffi ribelli che non si adeguavano alla costrizione dell’indumento,
poi indossò i guanti bianchi poggiati sul comodino e uscì di
casa.
Qualche ora più tardi, sotto lo
scrosciare di una pioggia inclemente, fissava con sguardo spento la
bara di Isoshi Haruno che come quella di sua moglie veniva calata
lentamente in una fossa, mentre i mazzi di rose adagiati al suolo,
piegati dall’acqua sferzante, non potevano offrire nient’altro che un
debole omaggio. Come quei poveri fiori, anche il carattere ufficiale
che aveva contraddistinto la cerimonia funebre aveva avuto l’intento di
onorare ciò che il commissario era stato, ma per tutto il tempo il
valore che ogni gesto racchiudeva l’aveva sfiorato solo
superficialmente, quello che invece l’aveva assalito e ancora non
l’abbandonava era un forte senso di disagio. Non doveva essere lui a
vivere quel momento, a dare l’ultimo saluto al suo superiore, o
quantomeno non doveva essere da solo; Sakura, l’unica persona che ne
aveva il vero diritto, era costretta in ospedale, in coma, ignara
dell’evolversi degli eventi. Quello era il funerale di suo padre, dei
suoi genitori, e si rendeva conto che in futuro il non essere stata
presente le avrebbe dato la spiacevole sensazione di aver perso
qualcosa di importante, per quanto doloroso. Strinse i pugni guantati
con forza, nel vago tentativo di scaricare rabbia, dolore e
frustrazione. L’ultima volta che aveva parlato con i medici, si erano
mostrati ottimisti sul suo risveglio, sebbene non sapessero indicare
con certezza un quando, ma pensarla immobile in un letto, priva di
sensi, mentre la vita, la propria vita, scorreva senza la
tranquillizzante e dolce consapevolezza del suo sorriso, lo costringeva
a lottare contro un incombente senso di vuoto. Dal giorno
dell’incidente, la paura di perderla si era conficcata in profondità
nel suo cuore come una spina irremovibile; prima di quella
interminabile settimana, non aveva ancora realizzato quanto si fosse
legato a lei, quanto la sua presenza gli fosse divenuta indispensabile,
aggirando le paure e i timori che lo attanagliavano al solo pensiero di
aprirsi veramente all’amore. Mentre la fredda terra iniziava a
seppellire il ricordo materiale dei coniugi Haruno, Kakashi pensò che
incontrarli aveva smosso qualcosa dentro di lui, che solo pochi anni
prima niente sarebbe riuscito a farlo uscire dal guscio che lo chiudeva
in se stesso, rendendolo felice e creando le premesse per il nascere di
un affetto sincero come quello che provava per loro e per Sakura e di
ciò gli era grato; ma, proprio per quel senso di gratitudine e per la
fiducia che avevano dimostrato nei suoi confronti, sentiva che sarebbe
stato un imperdonabile tradimento farsi trascinare in modo
incondizionato dal suo cuore, perché nonostante tutto gli era difficile
credere che ogni suo problema relazionale si fosse davvero risolto,
mettendo al riparo Sakura dal soffrire anche a causa sua.
Erano trascorsi sei anni e, nonostante quella volta si fosse illuso che
qualcosa potesse essere sul serio cambiato, quel guscio protettivo
sembrava essere ancora lì, percorso da diverse incrinature ma non
frantumato, una difesa che continuava a paralizzare i suoi desideri.
Ricordi e vecchie riflessioni avevano finito per far affiorare quella
risposta che si era rifiutato di fornire alla sua coscienza il giorno
prima; se anche in quel momento non ci fosse stata quell’insolente
paura ad avvincerlo a sé, molto probabilmente avrebbe esternato i suoi
sentimenti baciandola, nonostante la ragione non avesse tardato ad
ammonirlo, ricordandogli come al solito la relazione con l’ispettore
Uzumaki e il tempo perso. Si passò stancamente una mano tra i capelli.
Qualunque cosa volesse, l’insicurezza che si trascinava dietro
l’avrebbe sempre ostacolato e forse in quel caso era meglio così; ormai
gli sembrava evidente che recuperare un rapporto con Sakura era
qualcosa di difficile, perché per entrambi non sarebbe mai stata solo amicizia,
come il recente comportamento di lei gli
confermava, e se avesse forzato la situazione, tentando di
lottare contro la sua debolezza, quest’ultima sarebbe sempre stata
un’ombra che in una eventuale relazione avrebbe finito per causare alla
collega inutile sofferenza. Con Naruto, invece, sembrava davvero felice
e quella era dopotutto la cosa più importante. Sospirò debolmente;
quella storia e il suo opprimente senso di dejà vu a lungo andare
l’avrebbero fatto impazzire. Per la prima volta, si sentì sollevato
all’idea che il suo incarico a Konoha fosse qualcosa di temporaneo; una
volta risolto il caso di spaccio di droga, tutto sarebbe diventato per
fortuna un ricordo destinato a sfumare gradualmente. A quell’ultima
considerazione, seguì la suoneria del cellulare che interruppe
definitivamente il flusso dei suoi pensieri, procurandogli un subitaneo
moto di gratitudine. Recuperò il telefono per leggere il contenuto del
messaggio appena arrivato e si ritrovò di fronte ad un invito da parte
di Shizune: Dal momento che
rischierei di aspettare in eterno, ti aspetto stasera verso le nove,
nel bar davanti il commissariato, e non sono ammesse obiezioni, e
nemmeno ritardi se possibile. A presto!
Il poliziotto sorrise di fronte alla determinazione e allo spirito di iniziativa dimostrato dalla donna.
Tutte le volte che ritornava ad Oto, Sakura evitava ogni deviazione da
quelle che erano le tappe irrinunciabili della sua visita, si limitava
ad incontrare sua nonna, aggiornandola con un resoconto più o meno
dettagliato sugli ultimi avvenimenti, e a trascorrere del tempo sulle
tombe dei suoi genitori, mentre il resto della città era come se non
esistesse; la scuola, la stazione, i negozi del centro, il
commissariato, tutti quei luoghi che avevano accompagnato la sua
adolescenza erano avvolti da un cono d’ombra, dove la sua mente li
relegava per non essere assalita con prepotenza da un ingestibile
vortice di ricordi. Uno dei motivi per cui non si era opposta quando
sua nonna aveva deciso di vendere l’appartamento dei suoi era proprio
quello, non essere intrappolata contro la sua volontà da una rete di
immagini lontane; preferiva custodirle nel suo cuore, attingendo ad
esse ogni qualvolta ne sentisse il bisogno, piuttosto che dover
sopportare il dolore sferzante delle cose improvvise e incontrollabili,
come gli incubi notturni che nell’ultimo periodo avevano ripreso a
turbarla. Nel corso di quei sei anni, erano sempre piombati senza
preavviso, spezzando con bruschezza l’incoscienza del sonno e sfibrando
il suo corpo; forse, solo quella volta, il loro ritorno aveva delle
motivazioni lampanti che poteva indagare razionalmente, ma la
situazione non si era rivelata molto diversa dal solito: capirne il
perché non le serviva per ricevere il colpo dei ricordi senza
conseguenze, per quanto potesse ragionavi sopra, venire travolta nel
bel mezzo della notte dal dolore e dal senso di vuoto di allora,
amplificati dal buio e dal silenzio della sua camera, l’angosciava e la
sfiniva, rendendo le giornate di lavoro e la compagnia pressoché
costante di Naruto un dolce sostegno a cui abbandonarsi con fiducia.
Ringraziò mentalmente ciò che Konoha era ormai diventata per lei, poi
cercò di ricacciare fuori dall’abitacolo i tristi pensieri che vi erano
entrati non appena aveva imboccato la prima strada di Oto; l’unica cosa
che doveva contare quel giorno era salutare i suoi genitori, come non
aveva potuto fare in occasione del loro funerale. Era trascorso un
altro anno senza di loro; ma, sebbene il tempo che ancora avrebbero
potuto condividere insieme pesasse come un macigno, voleva che per una
volta fossero i momenti felici del passato e le cose belle che le
avevano trasmesso a prevalere, e non l’assenza creata dalla loro
scomparsa prematura e che lo scorrere degli anni non avrebbe mai
colmato davvero.
Sospesa tra malinconia e voglia di andare avanti, lasciò che anche
quell’ultimo pensiero volasse via, sostituito dalla più pressante
ricerca di un posto dove sostare, e non appena ne trovò uno disponibile
si affrettò ad approfittare dell’occasione propizia. Liquidata la
questione parcheggio, raggiunse l’ingresso del cimitero fermandosi come
di consueto al chioschetto di fiori antistante; quando la vide, la
proprietaria la riconobbe immediatamente e le rivolse un sorriso
bonario, mentre le chiedeva se anche quella volta le orchidee andassero
bene. Sakura assentì e in attesa che la donna preparasse i soliti due
mazzi di fiori replicò alla sua gentilezza ponendole qualche domanda
sulla giornata di lavoro, poi allontanandosi la ringraziò e la salutò
cordialmente. Tutta quelle azioni abituali, pensò, il viaggio in auto,
il perdersi nei propri pensieri e sentimenti, la ricerca del
parcheggio, l’atteggiamento confidenziale della fioraia, tutto in
qualche modo assurdo riusciva a tranquillizzarla, in uno strano
equilibrio tra ricordi dolorosi e quotidianità. Scosse lievemente il
capo per allontanare simili riflessioni e ribadì a se stessa che quel
giorno doveva pensare solo ed esclusivamente al lascito positivo del
passato, sperando nel fondo del suo cuore di poter trasformare quel
proposito estemporaneo in qualcosa di duraturo. Percorse le stradine
interne del cimitero con calma, i rumori confusi della città che
sparivano risucchiati dal silenzio che avvolgeva il luogo, infranto
solo dal fruscio del vento tra gli alberi; le tombe, l’una accanto
all’altra, segnavano il percorso con i loro semplici e geometrici
profili in contrasto con l’intreccio libero di linee e curve degli
ideogrammi. Si fermò dove riposavano i suoi genitori, fissando per
qualche istante i loro nomi incisi, nomi come tanti per chi passava
casualmente ma carichi di ricordi per lei, poi adagiò i due bouquet
sulle lapidi e chiudendo gli occhi recitò una preghiera silenziosa.
Quando tornò a guardare le tombe davanti a sé, lasciò che giorni
lontani riaffiorassero nella sua mente. Nonostante le difficoltà che
implicava il lavoro di suo padre, gli orari talvolta improponibili, le
assenze, i possibili trasferimenti, erano sempre stati una famiglia
molto unita; al di là delle normali ed inevitabili discussioni
quotidiane, aveva sempre potuto contare su di loro, sulla complicità
preziosa di sua madre, capace di intuire subito le sue preoccupazioni,
e sulle raccomandazioni sibilline di suo padre, che ogni volta sembrava
aver già previsto da tempo quello che sarebbe accaduto. Per quel motivo
avevano litigato spesso, perché i suoi interventi le apparivano
costantemente fuori luogo, così come costantemente era stata costretta
a dargli ragione. Si soffermò di nuovo sui caratteri che componevano il
nome di Isoshi Haruno, chiedendosi se per caso, tra le tante cose, si
fosse accorto anche di ciò che nutriva nei confronti di Kakashi.
Nonostante l’atteggiamento amichevole e protettivo che l’uomo
dimostrava verso il giovane poliziotto, restava pur sempre un collega e
provare qualcosa per lui l’aveva fatta sentire a disagio, rendendo
sempre più complicato il comportamento da tenere quando si trovavano
tutti e tre insieme; ma, nonostante la difficoltà, l’esigenza più
pressante era allora il suo adolescenziale sogno d’amore.
Si morse il labbro inferiore, le iridi smeraldine improvvisamente offuscate da un velo di malinconia.
Poteva ritornare su quei sentimenti ogni volta che voleva, ma la verità
restava una sola: gli eventi avevano stravolto tutto, accelerando o
forse troncando ogni sviluppo, e ciò che la lasciava più perplessa era
non saperne la motivazione.
Era ritornata alla vita da alcuni
giorni, giorni in cui avrebbe dovuto respirare l’aria fresca a pieni
polmoni, godere della luce del sole, per quanto tiepida, e ascoltare
avidamente ogni piccolo suono, considerando tutto come un dono
prezioso, invece continuava a desiderare solo di sprofondare ancora nel
sonno senza coscienza a cui qualcuno aveva deciso con crudeltà di
strapparla; avrebbe preferito mille volte l’oblio senza fine del coma
piuttosto che il vuoto terribile che le si spalancava attorno
soffocandola. Non appena era riuscita a realizzare dove si trovasse e a
legare i ricordi confusi dell’incidente allo sguardo di sua nonna
annebbiato dal dolore, l’immagine del suo mondo era andata in
frantumi insieme al suo cuore, e ogni slancio mentale fuori delle
quattro mura dell’ospedale si trasformava in una passeggiata su quei
frammenti, schegge di vetro che si conficcavano a fondo nella carne.
Serrò gli occhi in una smorfia di sofferenza, la guancia pallida
immersa nel cuscino: il colore del cielo, le cime degli alberi, tutto
ciò che c’era al di là di quella stanza era un colpo sordo; la vita
scorreva tranquillamente come se niente fosse accaduto e reimmergersi
nel suo flusso le appariva impossibile, benché l’incontro quotidiano
con il personale medico e le visite che riceveva le dimostrassero che
non poteva fuggire dalla realtà per sempre. Prima o poi avrebbe dovuto
affrontarla, ma in quel momento voleva solo cercare di dormire, e forse
ci sarebbe anche riuscita, se non fosse stato per la televisione che
l’infermiera aveva insistito per accendere, suggerendo che l’avrebbe
aiutata a distrarsi, e a cui invece non aveva lanciato nemmeno uno
sguardo. All’inizio stavano trasmettendo un programma di cucina, o
almeno così le era sembrato prima di perdersi di nuovo in se stessa.
Riaprì gli occhi per trovare il telecomando, forse abbandonato sul
comodino, ma la sigla del telegiornale la spinse a volgere lo sguardo
verso la tv con una improvvisa fitta di paura, paura di sapere. Dopo i
pochi accenni di sua nonna, non aveva chiesto più nulla sulla notte
d’incubo che aveva spezzato la vita dei suoi genitori, perché sentiva
che scoprire i dettagli dell’accaduto sarebbe stato ancora peggio e non
sapeva se l’avrebbe sopportato. Cercò il telecomando per spegnere, ma
la notizia arrivò prima che potesse sedersi sul letto, allungare il
braccio e afferrarlo: “Proseguono ancora le indagini sulla morte del
commissario Isoshi Haruno. La polizia continua a sostenere il
coinvolgimento diretto della yakuza nella sparatoria in cui l’ufficiale
ha perso la vita insieme alla moglie. Stando alle ultime indiscrezioni
sembrerebbe che la vittima, recentemente impegnata con uno spaccio di
droga di una certa rilevanza, avesse ricevuto da tempo delle pesanti
minacce…”
Sakura strinse i pugni con forza,
mentre la voce del giornalista che continuava il suo servizio sfuggiva
alla sua percezione e nella sua testa rimaneva solo l’ultima frase da
lui pronunciata a pulsare dolorosamente; che c’entrasse la criminalità
organizzata l’aveva capito fin dal primo sparo che era giunto ad
infrangere il silenzio, strappandola al sonno verso cui il viaggio in
auto l’aveva spinta, ma che l’attentato potesse trattarsi di un
pericolo calcolato era un macigno che inaspettato cadeva sul suo cuore.
Pensò con amarezza all’unica persona che ai suoi occhi avrebbe potuto
fare qualcosa per impedirlo e che forse non aveva fatto proprio nulla,
probabilmente per il rispetto delle regole. Abbassò il capo, lo sguardo
vacuo che si perdeva tra le pieghe delle lenzuola bianche, mentre
cercava di controllare la confusione che aveva dentro. Fu in
quell’istante che bussarono e che la porta della stanza si aprì senza
che se ne accorgesse; il giovane poliziotto dai capelli argentati
appena arrivato capì subito che qualcosa non andava, così la chiamò
avvicinandosi lentamente al letto. Per un attimo la ragazza si stupì di
sentirne la voce proprio quando era entrato all’improvviso nei suoi
pensieri, poi però l’angoscia e l’amara delusione ripresero il
sopravvento, mescolandosi ad una nascente irritazione per la sua
presenza.
“Dimmi che non è vero.” Disse, con
una voce che le suonò assurdamente calma, mentre incapace di voltarsi e
guardarlo continuava a fissare il nulla.
Kakashi rimase perplesso di fronte a
quella richiesta repentina e vaga, ma non tardò ad intuire dalla
televisione accesa che mandava in onda il notiziario delle dodici che
dovesse collegarla ad eventuali informazioni sulla morte del
commissario.
“Che cosa hanno detto?” Le chiese dopo qualche istante di silenzio.
“Minacce, che papà avesse già
ricevuto delle minacce.” Rispose Sakura, la morsa intorno al suo cuore
che diveniva sempre più stretta, incrinando ogni apparenza di
autocontrollo; nel vano tentativo di attenuare il dolore e ricacciare
indietro le lacrime chinò ancora di più il capo e chiuse gli occhi,
prima di esplodere riversando contro di lui il terrore del vuoto e
l’impotenza che l’assalivano costantemente dal primo giorno di quella
nuova realtà.
“Dimmi che non li hai lasciati
morire, dimmi che hai fatto qualcosa, qualsiasi cosa per evitarlo!”
Proruppe rivolgendogli finalmente uno sguardo, ma con il volto ormai
segnato dal pianto. “Papà si era affezionato a te, non eri un semplice
collega per lui, ti… ti avrebbe dato ascolto se avessi insistito. Si
fidava di te, io… mi fidavo di te!” Continuò tra la rabbia e la foga
della disperazione.
Kakashi l’ascoltò in silenzio,
apparentemente impassibile, ogni parola che arrivava veloce e precisa
come un coltello affilato, ma pur nel dolore silenzioso che le parole
della ragazza gli procuravano l’unico gesto che avrebbe voluto compiere
in quel frangente era abbracciarla e stringerla forte, uno stupido e
improduttivo gesto egoistico. Quanto a lungo sarebbero durati quei
nuovi sentimenti che provava? Erano davvero così forti come aveva
pensato in quei giorni? Avrebbero mai avuto la forza di sconfiggere le
sue paure ed insicurezze? Troppe domande e nessuna risposta certa.
Forse, anche con Sakura, la cosa migliore che poteva fare era quella
che gli riusciva meglio, ovvero scappare prima di causare danni
irreparabili, e magari, per una volta, il suo allontanarsi dagli altri
sarebbe stato d’aiuto. Abbassò lo sguardo per qualche istante, poi si
voltò a fissare lo squarcio di cielo e nuvole visibile dall’unica
finestra di quella stanza d’ospedale; se avesse incrociato le sue iridi
color smeraldo ferite, sapeva perfettamente che non ci sarebbe
riuscito.
“Era in ogni caso un mio superiore, il mio compito consisteva nel rispettare le sue scelte.” Disse atono.
In realtà, sorprendendo anche se
stesso, aveva cercato più volte di convincerlo ad organizzare una
scorta, sebbene con scarsissimi risultati, ma la verità aveva ormai
poca importanza; era disposto ad accollarsi la rabbia e se necessario
anche l’odio di Sakura, se ciò poteva servirle per scaricare il dolore
piuttosto che tenerselo dentro, come stava facendo da quando si era
risvegliata dal coma a causa forse della mancanza di qualcuno ben
definito con cui prendersela e sfogarsi.
“Mi dispiace.” Sussurrò, desiderando solo di sparire.
Mi dispiace.
Due parole che riecheggiavano ancora nella sua testa, come allora
completamente prive di senso. Quel giorno l’aveva detestato con tutta
se stessa, per ciò che apparentemente non aveva fatto, per la sua
risposta secca e il suo atteggiamento indecifrabile e scostante, e gli
aveva quasi intimato di andarsene, forse urlandogli contro, non lo
ricordava più distintamente. Tuttavia, quando era rimasta sola, aveva
sentito ampliarsi il vuoto che la circondava, incapace di capire se
stesse peggio perché l’aveva delusa o perché in quel momento non
riusciva più ad immaginare al suo fianco la persona che dopotutto
amava. Aveva trascorso così due anni, in balia di sentimenti
contrastanti, e il giorno in cui aveva scoperto come erano realmente
andate le cose la situazione non era migliorata affatto; da una parte
avrebbe voluto potergli parlare, dissipare i mille dubbi e le mille
domande che la verità aveva fatto sorgere, dall’altra la mancanza di un
sostegno in cui sperava si era colorata di risentimento, gli stessi
sentimenti che aveva ritrovato pressoché intatti quando l’uomo era
giunto a Konoha, senza riuscire a capire se dovesse legarli ad una
amicizia o ad un amore.
Scosse il capo con un pizzico di amarezza; quale fosse la motivazione
che aveva spinto Kakashi ad allontanarsi e che cosa quella ignota
motivazione avesse impedito non doveva avere più importanza, doveva
accantonare tutto e concentrarsi solo sul presente, presente che aveva
nome Naruto. Credeva di aver messo definitivamente quel punto fermo già
una settimana prima, ma evidentemente non era così semplice come
sperava.
Giorno dopo giorno, quella settimana si era rivelata nient’altro che un
accumulo di stress e inquietudine e la ragione era una soltanto, una
ragione che era insieme un grosso punto interrogativo. Escludendo le
questioni lavorative, non aveva con Shikamaru una conversazione che
fosse tale dal giorno in cui si era decisa a metterlo di fronte alla
realtà del proprio cuore; non si sarebbe certo aspettata qualcosa di
molto diverso, in particolare dopo così poco tempo, ma il silenzio teso
e imbarazzato, che calava improvviso a riempire il vuoto tra di loro,
lo sguardo che evitava di incrociare troppo a lungo il suo, gli
atteggiamenti distaccati, tutto quello era un peso difficile da
sopportare, soprattutto se si soffermava a pensare che potessero
rappresentare solo un preludio. Seduta sulla fredda gradinata della
palestra, Ino avvolse le braccia intorno alle gambe, poggiando il mento
sulle ginocchia, le iridi offuscate dall’amarezza. Di fronte a quel
casino in cui si era cacciata con le sue stesse mani, buttarsi nel
lavoro era paradossalmente un ottimo modo per rilassarsi, benché in
quella fase delle indagini il compito che le spettava fosse
estremamente delicato; doveva tener d’occhio i movimenti di Sabaku no
Gaara cercando di scoprire il più possibile, come per esempio il suo
complice e il modo di mettersi in contatto con i suoi fornitori, e non
poteva permettersi di insospettirlo, il minimo errore e avrebbe mandato
all’aria la fatica di due lunghi mesi.
Tra il brusio dei ragazzi che chiacchieravano tranquillamente del più e
del meno, o tentavano di ripetere in vista dell’ora successiva, e il
rumore della palla che volava da una parte all’altra del campo di
pallavolo, accompagnata da qualche urlo d’incitamento tra i giocatori,
la poliziotta cercò di non perdere di vista lo spacciatore, così da
ricondurre la propria mente sul giusto percorso e liberarsi dalla
fastidiosa stretta allo stomaco che pensare a Shikamaru le causava.
Senza sollevare il capo, posò di nuovo lo sguardo sul ciuffo rosso del
ragazzo seduto a diversi metri da lei, due file più in basso; il
giovane era circondato da alcuni compagni di classe, ma non concedeva
loro molta attenzione, piuttosto sembrava stesse aspettando qualcuno o
qualcosa con un certo nervosismo, perché, con le braccia conserte,
tormentava una gamba percuotendola ritmicamente con le dita. Ino si
rimise in posizione eretta, attese lo scorrere di qualche istante per
non rendere troppo insolito il proprio atteggiamento, poi si sedette
sul bordo chinando lievemente in avanti il busto e puntellandosi con le
mani, in modo da poterlo osservare da una prospettiva migliore; fu così
che riuscì a cogliere quale fosse approssimativamente la direzione del
suo sguardo e seguendola si ritrovò ad osservare un familiare volto
pallido.
Incapace di trattenere lo stupore, sgranò gli occhi e dischiuse le
labbra; quando aveva accettato di infiltrarsi nell’istituto, aveva
messo in conto tutte le possibilità, tutte tranne quella di dover
sospettare anche del nipote del sindaco. Prima di giungere a
conclusioni affrettate, però, e far rientrare quel particolare nel
novero degli errori ingenui, tentò di valutare con scrupolo la
situazione; dall’altra parte della palestra, il ragazzo sedeva su una
panchina con il suo consueto album da disegno, e a parte lui c’erano
solo Iruka-sensei, in piedi a pochi passi dalla rete per arbitrare la
partita, e un altro studente intento forse a fare il tifo per i propri
compagni.
La poliziotta recuperò il libro di storia che aveva portato con sé per
qualsiasi evenienza ed iniziò a sfogliarlo con finto interesse,
scrutando al di là del bordo della copertina che cosa accadesse. La sua
attenzione era subito stata catturata da Sai perché era l’unico che
appariva indifferente a ciò che lo circondava, interessato solo alla
sua matita e al suo foglio, insomma un atteggiamento che poteva
giustificare l’irritazione di Gaara se quest’ultimo stava aspettando un
segno proprio da lui; tuttavia, non poteva neanche escludere a priori
il coinvolgimento del ragazzo smilzo seduto al suo fianco. Attese di
ricevere una conferma ai suoi dubbi, in un verso o nell’altro, e quando
finalmente vide il disegnatore richiudere l’album, gettare uno sguardo
alla gradinata ed alzarsi per poi dirigersi verso gli spogliatoi,
accompagnato da uno sbuffo dello spacciatore che controllava
dall’inizio di quell’ora e che non tardò a lasciare il suo posto, capì
che la sua prima impressione non era sbagliata. Nel momento in cui fu
sicura di non essere notata da nessuno dei due, soprattutto da Sai,
richiuse il manuale che aveva tra le mani, riabbandonandolo al freddo
giaciglio a cui l’aveva sottratto poco prima, si augurò mentalmente
buona fortuna e si apprestò a seguirli,
mettendo su la più convincente maschera da studentessa alla ricerca del
bagno che le riusciva. Non poteva affatto immaginare che qualsiasi
maschera sarebbe servita a ben poco.
Lo studente dall’insolito incarnato chiaro l’aveva infatti osservata
per la maggior parte del tempo, immortalandola attraverso le linee
scure tracciate dalla sua mano, spostando ogni tanto lo sguardo da lei
a Gaara. Non ci aveva messo molto a capire che lo stesse tenendo
d’occhio, deducendone anche che qualcuno le avesse fornito il suo nome,
di certo uno studente ignaro di star parlando con una poliziotta e non
con una sua coetanea. Per quanto lo riguardava, invece, aveva
compreso la vera identità di Ino da un bel po’, così come quella del
loro nuovo professore di matematica; gli era bastato mettere insieme i
pezzi, ovvero il loro simultaneo arrivo nell’istituto, guarda caso
quando suo zio pressava la polizia affinché facesse qualcosa di più
efficace e veloce, i loro contatti furtivi e gli stralci di
conversazione che aveva origliato, il tutto supportato da una
telefonata di suo zio con un assessore. Ovviamente, l’idea di avvertire
anche il collega non l’aveva sfiorato per nulla, un po’ per i suoi
motivi personali, un po’ perché aveva intravisto nella faccenda un
risvolto divertente, e mentre camminava pochi passi dietro Gaara,
sicuro di essere seguito da Ino, ne era ancora più convinto. Quando
entrarono nello spogliatoio maschile, lasciò di proposito la porta
socchiusa, così da facilitare alla poliziotta il compito di origliare;
era a suo modo piacevole giocare a guardie e ladri con la
consapevolezza di essere lui stesso a gestire quel gioco ad insaputa
dei diretti interessati.
“Perché ci hai messo così tanto ad alzarti da quella panchina?” Lo
rimproverò l’altro spacciatore con tono spazientito e sguardo
accigliato, contribuendo solo a dilettarlo ancora di più.
“Urgenza artistica.” Si giustificò lui, con l’accenno di un sorrisetto malizioso che rendeva ancora più debole la sua scusante.
Gaara sospirò rassegnato, sperando di liberarsi il più in fretta
possibile da quella seccatura che gli era stata affibbiata.
“Lasciamo perdere…” Mormorò. “Piuttosto, mi ha contattato Sasori
l’altro giorno.” Riprese poco dopo incrociando le braccia sul petto.
“Per farla breve, dobbiamo incontrarci lunedì prossimo per la consegna.”
“Uhm, capisco. E ci incontriamo sempre qui in palestra nell’ora di
educazione fisica?” Domandò Sai, ponendo quel quesito per il terzo
partecipante a quella conversazione e non certo per se stesso.
“Beh, sì, come al solito… non vedo perché tu me lo chieda.” Replicò
infatti il ragazzo dai capelli rossi, inarcando le sopracciglia in una
espressione interrogativa e leggermente perplessa.
“Niente, così, magari volevano cambiare…”
“A quanto pare no, ma di questo già avevamo parlato, mi sembra.” Disse
Gaara continuando a trovare strane le sue parole, ma non aveva voglia
di sprecare altro tempo e fiato a causa sua, già ne aveva sprecato
troppo per i suoi gusti. “Comunque questo è quanto.” Si affrettò a
concludere.
E prima che potesse compiere un solo passo verso la porta dello
spogliatoio, Ino si scostò dallo stipite contro cui si era appiattita e
tornò velocemente in palestra.
Quando era uscita da casa, a Temari era sembrato che quella sera
facesse più freddo del solito, ma se sulle prime aveva ritenuto che
quell’impressione corrispondesse alla realtà oggettiva, ora che era
seduta in un salotto ben riscaldato, di fronte a suo padre che non
vedeva da diversi anni e in attesa di suo fratello, si rendeva conto
che era legata solo ed esclusivamente al suo stato d’animo. Si sentiva
innegabilmente tesa ed inquieta, ma soprattutto aveva una tremenda
paura, paura di scoprire come sarebbe andata a finire quella cena, e la
situazione peggiorava man mano che il ticchettio dell’orologio scandiva
lo scorrere dei minuti, avvicinando il momento in cui Gaara sarebbe
arrivato, sempre se fosse arrivato. Strinse un pugno, conficcando le
unghie nel palmo della mano; quella possibilità equivaleva a un netto
rifiuto e metterla in conto faceva ancora più male, tuttavia il
tentativo di scacciarla dalla sua testa aveva sortito scarsi risultati,
a quanto pareva.
“Comunque a momenti dovrebbe arrivare, non preoccuparti.” Disse
l’avvocato no Sabaku come se avesse intercettato il filo dei pensieri
di sua figlia, dopo aver concluso alcune considerazioni sul suo lavoro
d’insegnate, su cui si era incentrata buona parte della loro
conversazione. “Quando l’ho chiamato, mi ha detto che era con degli
amici, ma sarebbe tornato appena possibile. Non mi è sempre facile
capire che combini, a causa dei miei impegni lavorativi, ma non è mai
capitato che saltasse la cena o cose simili.” Spiegò.
Temari apprezzò lo sforzò di tranquillizzarla, sebbene ci fossero punti
che non tornavano, come i presunti amici e il fatto che quella non
fosse una cena come tante, ma evitò di sottolinearli, sforzando le
labbra in un debole sorriso, e annuì; in fondo, doveva tentare di
essere un po’ ottimista, così come cercava di esserlo l’uomo seduto
sulla poltrona accanto al camino, anch’egli consapevole degli errori
commessi ma con la speranza di poter rimediare.
Calarono alcuni istanti di silenzio, riempiti solo dallo scoppiettio
del fuoco, dall’incrocio dei loro sguardi e dai riflessi della fiamma
sui lineamenti segnati dall’età e sui capelli rossi di suo padre.
Nel frattempo, davanti alla porta dell’appartamento, Gaara rimaneva
immobile accostato al parapetto del ballatoio, fissando inespressivo le
venature della superficie di legno, indeciso su cosa fare. Se era
giunto fin lì, non era certo perché scalpitava dalla voglia di
partecipare a quell’assurda riunione familiare, ma solo perché fuori
faceva troppo freddo e non voleva congelarsi continuando a vagare per
le strade del quartiere senza una meta, né tanto meno rintanarsi in
qualche locale circondato da gente sconosciuta e rumorosa. Forse,
avrebbe potuto passare la serata seduto sulle scale, un’alternativa
senza dubbio più allettante di dover sopportare la fastidiosa presenza
di sua sorella, più di quanto non facesse già a scuola; tuttavia, le
conseguenze di un simile gesto sarebbero state quasi sicuramente una
discussione con suo padre e una relativa punizione, cose che avevano su
di lui lo stesso effetto di un’interrogazione andata male, cioè nullo,
ma che in ogni caso preferiva evitare.
Fu quell’ultima considerazione che lo spinse a suonare il campanello.
Quando la domestica gli aprì, senza nemmeno un cenno di saluto le disse
lapidario che sarebbe andato direttamente in sala da pranzo ed entrò in
casa superandola con aria indifferente. Intendeva ridurre al minimo il
tempo del loro incontro e quella rappresentava la prima mossa, la
seconda sarebbe stata abbandonare la cena il più in fretta possibile
con una scusa qualsiasi.
Dal momento in cui aveva messo piede nel condominio, o forse dalla
stessa telefonata di suo padre, dentro di lui si era messo in moto un
meccanismo che tendeva a trasportare tutto su un binario più
rassicurante, e quell’ultima pianificazione ne era l’ennesima traccia;
affrontare quella situazione era per lui solo svincolarsi da un
problema pratico, e non piuttosto essere costretto a confrontarsi in
modo diretto con un macigno di solitudine e sofferenza che affondava le
radici nella sua infanzia, un macigno che iniziò ben presto a premere
contro quello strato di razionalità sotto cui l’aveva inconsciamente
seppellito.
Il primo colpo venne dal vederli tutti e due insieme, apparentemente
tranquilli e disinvolti, come se non fossero passati anni dal loro
precedente incontro; suo padre lasciò che fosse Temari ad entrare per
prima e, poggiandole una mano su una spalla, le indicò dove sedersi,
ricevendo in cambio quello che Gaara interpretò come un’espressione
sorridente ma che in realtà era solo una camuffata smorfia di
tensione.
“Ci è voluto un po’, ma ci siamo tutti.” Disse l’uomo, mentre si
accomodava a sua volta, poi li scrutò in silenzio per un po’, cercando
le parole giuste per proseguire, commosso dal poter avere per una volta
tutte e due i suoi figli a tavola con lui. “So che essere qui insieme
oggi non è semplice, ma sono convinto che, se c’è la volontà, non sia
mai troppo tardi per riparare ai propri errori.” Continuò, parlando ad
entrambi, ma rivolto in primo luogo al ragazzo alla sua destra, che
assottigliò lo sguardo in un’espressione torva, perché quegli errori
avevano comportato giorni di opprimente silenzio, chiuso nella sua
stanza o circondato da domestiche insignificanti.
L’avvocato notò la sua reazione, ma sperò che i fatti potessero contare
più delle parole, la stessa speranza che attraversò in quegli istanti
l’animo di sua figlia. Prima che potesse aggiungere altro, arrivò la
domestica a servirli e gli unici suoni che riempirono la sala furono
quelli metallici del vassoio e delle ciotole, accompagnati dalla voce
della donna, che terminato il proprio compito tornò subito in cucina.
“Allora, come è andata la giornata a scuola?” Domandò l’uomo quando
furono di nuovo soli, tentando di intavolare una conversazione il più
normale possibile.
L’unica risposta che ricevette da Gaara fu però un ‘come al solito’
mugugnato, mentre il ragazzo si affrettava a recuperare le bacchette
per accontentare il suo stomaco, che all’odore del cibo aveva iniziato
a reclamare, e andarsene da lì velocemente; ciò che voleva era
rinchiudersi nella sua camera e soffocare nel sonno quel dolore sordo
che la premessa di suo padre e l’aria di familiarità della sua domanda
tendevano solo a far diventare rumoroso e molesto.
“In effetti, oggi è stata una giornata tranquilla.” Intervenne Temari,
nell’intento di evitare che calasse di nuovo un silenzio teso ed
improduttivo, e forse a causa dell’ansia che provava non fece
particolare attenzione al valore che poteva essere attribuito alle
proprie parole. “Non ci sono state interrogazioni, né qualche problema
particolare, da come mi hanno riferito i colleghi.” Spiegò, e dopo
pochi istanti suo fratello lasciò cadere le posate e con un gesto di
stizza si alzò sbattendo la ciotola sul tavolo. Il primo e unico
significato che riusciva a dare alle sue frasi e in particolare
all’ultima, supportato da momenti in cui l’aveva casualmente sentita
chiedere informazioni su di lui ad altri professori, era quello di
un’intrusione nella sua vita da parte di una persona che per quanto lo
riguardava sarebbe dovuta rimanerne lontana anni luce, così come
ne era rimasta fuori praticamente dal giorno successivo alla sua
nascita.
Mantenne lo sguardo basso, fissando con occhi vuoti il riso caduto
fuori dalla scodella, indeciso se dire qualcosa o meno. Potevano fare
quello che volevano, mostrarsi pentiti, tentare di ricreare
un’atmosfera da famiglia, comportarsi in modo gentile nei suoi
confronti, ma la verità restava una e una soltanto: per lui ormai era
troppo tardi; aveva trascorso così tanto tempo a logorarsi nel dolore
che i loro atteggiamenti e le loro intenzioni apparivano ai suoi occhi
false e insignificanti.
Rimanendo in silenzio, lasciò finalmente quella stanza.
Avevano trascorso la serata chiusi in casa, godendosi il dolce tepore
diffuso dal riscaldamento e qualche ora libera dai problemi lavorativi
e occupata solo da loro due. Erano passati da una tranquilla cena
accompagnata da una lunga chiacchierata all’inizio di un film, prima di
finire inevitabilmente a baciarsi sul divano e a proseguire tra le
lenzuola di un più comodo letto. Tsunade, con il capo poggiato contro
il petto di Jiraya, fece salire lentamente una mano dal fianco
dell’uomo fino al torace, rassicurata dal suo braccio intorno alle
spalle, ricordando con un lieve sorriso i momenti di quella che era
stata una piacevole lotta. Il compagno, tutt’altro che addormentato, le
sfiorò una guancia con la punta delle dita e strinse la sua mano,
fermandola quasi all’altezza del cuore; distolse lo sguardo dal
soffitto e incrociò quello nocciola della donna, che al suo movimento
aveva istintivamente sollevato il viso verso di lui.
“Pensavo dormissi…” Sussurrò lei, con voce rilassata e ancora un po’
assonnata, e si stupì di scoprire un’espressione insolitamente seria;
aggrottò interrogativa le sopracciglia.
“Qualcosa non va?” Gli domandò.
Jiraya la fissò in silenzio per qualche istante. Non era da lui essere
teso, tanto più quando era a letto con una donna, ma da quando era
cominciata quella serata aveva in mente un preciso progetto e, ora che
era giunto il momento di attuarlo, non era più così calmo e sicuro come
quando l’aveva ideato. In precedenza avevano già parlato di ciò che
intendeva chiederle, ma l’avevano fatto solo per scherzo o comunque non
troppo seriamente, come una remota possibilità, difficile da mettere
subito in conto dopo che ci avevano messo già tanto per stabilizzare il
loro rapporto. Ormai, però, credeva che fosse trascorso tutto il tempo
necessario, e sperò che fosse lo stesso anche per Tsunade.
“No, niente.” Disse tentando di rilassarsi, poi avvicinò il volto al
suo e la baciò, un breve incontro di labbra e lingue che fu però
sufficiente a infondergli un po’ di determinazione.
“Torno subito.” Mormorò, per poi scendere dal letto.
Di nuovo tranquilla, la donna lo lasciò andare e sprofondò con la testa
nel cuscino, coprendosi meglio; senza più il calore del corpo di Jiraya
a circondarla faceva indubbiamente più freddo, per cui si augurò che
tornasse davvero al più presto, cosa che in effetti avvenne. Un debole
fruscio e il tintinnio di un paio di chiavi furono gli unici suoni che
percepì prima di avvertire le coperte sollevarsi di nuovo e il
materasso abbassarsi sotto il peso dell’uomo; ne capì la ragione solo
quando, voltandosi verso di lui, si ritrovò a guardare una piccola
scatola blu arrotondata, che sortì l’effetto di bloccarle in gola
qualsiasi parola. Si limitò quindi a sollevarsi su un braccio,
mantenendo con l’altro il lenzuolo intorno al busto, e a posare su di
lui gli occhi lievemente sgranati, segno evidente della sua
perplessità. L’uomo alzò un angolo della bocca in un incerto sorriso,
poi aprì la confezione e le mostrò l’anello in essa contenuto.
“Vuoi sposarmi?” Le chiese senza alcun preambolo, per lui del tutto inutile, e rimase in attesa della sua risposta.
“Jiraya… “ Biascicò Tsunade, tornando a fissarlo con una stretta alla
bocca dello stomaco, che finiva per sminuire quella sensazione
improvvisa di calore che le aveva invaso il petto.
Nonostante sapesse che l’idea del matrimonio ronzava nella testa
dell’uomo così come nella sua da diverso tempo, non si sarebbe
aspettata di ricevere la proposta così da un momento all’altro, perché
quell’eventualità aveva sempre condiviso il suo spazio con qualche
ombra, ombre che a quanto sembrava nell’ultimo periodo in lui si erano
dileguate, e troppo immersa nel proprio lavoro non se ne era nemmeno
accorta. Era in momenti simili che non sopportava le incombenze della
propria professione, così come inconsapevolmente non le sopportava per
un altro motivo, un motivo che l’avrebbe aiutata a definire in che cosa
si erano trasformate le ombre che si trascinava dietro da anni; ma, in
quel frangente, mentre si domandava ancora una volta cosa le impedisse
di dire il fatidico sì, non riuscì a farlo affiorare in superficie.
Pensò solo a cause che rientravano nel tranquillo campo della
razionalità.
“Ecco, io non lo so…” Disse, spezzando il silenzio pesante che si era
creato, con il capo ormai basso e il volto coperto dai lunghi capelli
biondi sciolti sulle spalle.
“Credi ancora che sia presto?” Domandò l’uomo atono, dopo aver ingoiato
un inevitabile grumo di delusione, che nemmeno il no secco e ben
udibile che ricevette come risposta e lo sguardo deciso che Tsunade gli
rivolse riuscirono a fargli digerire del tutto, per quanto
allontanassero un fantasma da quella camera.
“E allora qual è il problema?” Domandò ancora.
“Non lo so.“ Ripeté lei. “Forse è che in fondo stiamo bene anche così, e non vedo cosa potrebbe cambiare, poi alla nostra età…”
“Quindi ora sarebbe troppo tardi?!” La interruppe Jiraya con un
principio d’irritazione nella voce, aggrottando le sopracciglia. “Non è
che ci sia un’età precisa per il matrimonio, Tsunade, e quello che
cambierebbe è che tu saresti mia moglie, insomma qualcosa di ufficiale
e in qualche modo definitivo, che mi permetterebbe anche di tutelarti.”
Spiegò tutto d’un fiato, dopo una breve pausa necessaria per non cedere
a un tono brusco.
La donna cadde di nuovo nel mutismo, consapevole di essere in fallo,
perché incapace di dare una risposta chiara a una proposta che in fondo
non le era dispiaciuto sentirsi fare. La risposta che cercava avrebbe
potuto suggerirgliela la fitta improvvisa accusata alla parola
‘tutelarti’, ma non fu in grado di spiegarsela razionalmente. Provò un
senso di sollievo solo quando Jiraya le posò sulla sua guancia una mano
forte e calda, sollevandole leggermente il mento con un dito e
offrendole un’espressione seria ma serena.
“Ma soprattutto è perché ti amo, e sarò uno stupido, ma lo voglio
scritto anche su un foglio di carta.” Disse deciso, piegando le labbra
in un sorriso che sciolse definitivamente la tensione che li aveva
avvolti.
“Posso pensarci un po’?” Chiese Tsunade dopo qualche istante. “Il tempo
di chiarirmi le idee…” Spiegò, e anche se Jiraya avrebbe preferito un
finale diverso per quella conversazione, annuì ugualmente, consapevole
che pretendere una certezza subito avrebbe comunque portato a qualcosa
che non voleva. Richiuse la scatola blu e la appoggiò sul comodino,
sperando di poterla riaprire con più fortuna, poi riabbracciò la donna
al suo fianco e si sdraiò di nuovo con lei sul letto, con l’unico
intento quella volta di abbandonarsi al sonno.
Note dell'autrice
Dunque, sono passati sei mesi, mi dispiace u_u L'unica
nota positiva è che in compenso ho pianificato meglio la seconda parte
delle storia, cosa che spero mi aiuterà a scriverla più rapidamente.
Questo capitolo è leggermente depressivo, però c'è anche un po' di
fluff qua e là , è angst fluff, insomma. Spero vi piaccia^^
Grazie a chi ha recensito e a chi ha messo la fic tra i preferiti o tra i seguitiXD
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Capitolo 9 *** Capitolo IX ***
Capitolo IX
Come
aveva immaginato non appena aveva ricevuto il messaggio di Shizune,
trascorrere la serata con lei si era rivelato piacevole, anzi molto
piacevole; oltre alla bella presenza, la dottoressa era indubbiamente
una donna intelligente e simpatica, e per la prima volta aveva avuto
modo di apprezzare quelle sue caratteristiche anche fuori dall’ambito
lavorativo, chiacchierando tranquillamente in un ristorante. I problemi
erano sorti quando l’aveva riaccompagnata a casa, per la precisione nel
momento in cui, fermi in macchina sotto il suo appartamento, aveva
permesso che lo baciasse, convinto che quello potesse essere un buon
modo per distrarsi ed iniziare a voltare pagina, convinzione che si era
dimostrata nell’immediato un errore di valutazione; se infatti aveva
afferrato per le spalle la donna, scostandola da sé, non era stato per
mettere in chiaro, come spesso gli capitava, che non poteva assicurare
nient’altro che del sesso, ma per troncare in modo categorico ogni
possibile prosieguo. Era stato allora che aveva compreso quanto il suo
cuore e la sua mente si prendessero gioco di lui e quanto grave fosse
la sua situazione.
Mentre sedeva, in attesa di un caffè, al tavolino di quello stesso bar
in cui aveva incontrato Shizune la sera prima, non poteva fare a meno
di ritornare su quelle constatazioni. Prima di giungere a Konoha
credeva, se non di aver vinto le proprie paure, di esservi almeno molto
vicino, gliel’aveva fatto credere prima di tutto il non affievolirsi,
pur con il passare degli anni, dell’amore che provava per la giovane
collega, un dato di fatto a cui si era affiancata la minore difficoltà
nell’istaurare dei rapporti che andassero al di là del semplice
contatto lavorativo; tuttavia, era stato sufficiente un incontro troppo
ravvicinato con Sakura per far riaffiorare quelle paure dal nulla, o
almeno così aveva pensato. Se infatti temeva ancora di non riuscire a
dedicarsi ad una relazione stabile, abitudine che a suo tempo Isoshi
Haruno gli aveva apertamente rinfacciato in un istinto paterno di
protezione, perché diavolo si era trattenuto? In teoria, niente avrebbe
dovuto impedirgli di pronunciare quelle poche frasi che in gioventù gli
erano servite per tutelarsi da eventuali recriminazione e a cui negli
ultimi anni aveva ricorso per premettere che il suo cuore tendeva
altrove. La spiegazione più semplice e convincente che riusciva a darsi
era che non ci fosse più il grande bisogno di lottare per lasciarsi
andare e quindi cercare in una donna qualcosa che andasse al di là di
una notte, una spiegazione che smentiva però le conclusioni a cui era
giunto solo ventiquattro ore prima e lo riportava al punto partenza.
Non che la cosa gli dispiacesse, in fondo, perché poteva offrire
qualcosa di più sicuro a Sakura, ma oscillare da una considerazione
all’altra, incapace di capire facilmente se stesso, motivo a cui poteva
attribuire la titubanza avuta nel baciarla, non era esattamente il
massimo.
Si massaggiò la nuca, scrutando il liquido nero che gli era stato
servito pochi minuti prima; come aveva sospettato, quella bevanda non
sarebbe servita a sciogliere almeno un po’ lo stress interiore che
provava, come invece avrebbe potuto fare un bicchierino di sakè, ma
purtroppo doveva entrare in servizio a breve, o meglio sarebbe dovuto
già essere in commissariato, e non poteva bere nulla di alcolico.
Sospirò, afferrando il manico della tazzina.
Era inutile perdersi ancora nel labirinto della propria mente, perché
quella uscita imprevista con Shizune aveva senza dubbio contribuito a
mettere un definitivo punto fermo in modo molto drastico; bloccarsi in
determinati frangenti non gli era mai successo e rappresentava
l’indizio lampante non solo del vero stato delle sue difese, ma anche
del non poter più reggere quella situazione di stasi, una situazione
che si trascinava da più di un semplice mese, sebbene in quell’ultimo
periodo fosse diventata meno sostenibile. Doveva assolutamente
sforzarsi di raccattare una volta per tutte il coraggio per scavalcare
le sue remore e dire alla collega tutta la verità. Se poi avesse
ricevuto un rifiuto, qualunque ne fosse stato il motivo, l’avrebbe
accettato e avrebbe cercato di andare avanti per la propria strada,
mettendoci una grossa pietra sopra, quella volta con più convinzione.
Sollevò un angolo della bocca in un sorriso amaro; era incredibile come
si fosse ridotto a causa di quella ragazza e dell’idea di averla dopo
tanto tempo così vicina.
Bevve in un sorso il caffè, trovandone piacevole il sapore amaro, e fu
in quell’istante che il suo cellulare iniziò a squillare, con perfetto
tempismo. Appena possibile lo recuperò dalla tasca dei pantaloni
leggendo sul display il nome di Tenzo e rimanendo leggermente
sorpreso; tutto al più, si sarebbe aspettato una telefonata di Sasuke,
pronto a rimproverarlo per il suo ennesimo ritardo, oppure una di
Shizune, sebbene nel suo caso ritenesse più probabile la volontà di
avere un confronto diretto. Incapace di immaginare cosa volesse
l’amico, rispose senza indugio.
“Ciao, Tenzo. Qualcosa non va?” Domandò diretto.
“Eh, perché qualcosa non dovrebbe andare?” Replicò l’uomo all’altro
capo del telefono, spiazzato ma non tanto, abituato come era alla sua
perspicacia. “Comunque buongiorno.”
“Beh, perché sto per entrare in servizio e lo sapevi, quindi credo che
non mi avresti chiamato se non fosse strettamente necessario.” Spiegò
l’Hatake.
“Sì, come so che sicuramente starai ancora perdendo tempo in un bar, se
non sei addirittura a casa, considerando i tuoi programmi per ieri
sera. Anzi, poi mi racconti, ora invece ho una specie di soffiata da
farti.”
A quella risposta Kakashi aumentò il suo grado di attenzione, contento
di poter evitare l’argomento che era stato oggetto dei suoi pensieri
fino a pochi istanti prima.
“In pratica, stamattina presto c’è stato un incidente e nell’auto che
proveniva da Konoha abbiamo trovato della droga. Potrebbe essere solo
una remota possibilità, ma ho pensato che la cosa potrebbe rivelarsi
utile per voi. Il problema è che il sinistro è avvenuto nell’aria di
competenza del commissariato di Kurara, ma se qualcuno si facesse un
giro casualmente da queste parti, potremmo evitare che le cose si
complichino. Mi trovo sul posto, all’imbocco della statale 56, datti
una mossa.”
Dopo aver illustrato in modo rapido la situazione e la motivazione
della sua chiamata, Tenzo riattaccò senza attendere una conferma,
conscio che l’ispettore non avrebbe rifiutato il suo aiuto;
quest’ultimo, avendo capito perfettamente che l’altro non poteva
restare a lungo al cellulare, soprassedé sul leggero fastidio causato
dalla chiusa un po’ brusca e si soffermò a riflettere un attimo sulla
notizia ricevuta. Indubbiamente era molto lontana dal rappresentare una
sicurezza, ma qualora ci fosse stata davvero una coincidenza tra la
droga trovata da Tenzo e quella che avevano a loro disposizione,
avrebbero potuto considerarla in piena regola un colpo di fortuna che
gli sarebbe servito per incrementare la loro probabilità di successo e
velocizzare i tempi, e lui avrebbe dovuto offrire quantomeno una birra
all’amico per sdebitarsi. Si alzò dal tavolino e si affrettò a pagare,
così da raggiungere il commissariato prima possibile.
Ci aveva rimuginato su tutta la notte, o meglio fino a quando non era
crollata per la stanchezza tra le braccia di Morfeo, cosa che poteva
senza problemi essersi verificata prima di quanto credesse, se teneva
conto del gioco perverso che, nei momenti meno opportuni, la mente
metteva in atto manipolandola percezione del tempo. Dopo che Kakashi
aveva liquidato il suo bacio con la fastidiosa quanto inoppugnabile
frase ‘Mi dispiace, ma possiamo essere solo amici’, aveva ingoiato con
estrema difficoltà un grumo di imbarazzo, poi aveva biascicato qualche
monosillabo in segno di comprensione ed era scesa in fretta e in furia
dalla macchina, turbata. Con sua sorpresa, però, in ciò che l’agitava
c’entrava ben poco il rifiuto dell’uomo, ricevuto dopo che era stata
lei stessa ad invitarlo e a dar luogo a quell’approccio intimo; anzi,
nonostante l’avesse desiderato con una certa insistenza, come una
scomoda ed inattesa visitatrice, le era venuta incontro
l’insoddisfazione, nello stesso momento in cui scorrevano fugaci le
sensazioni provocate da quel contatto. Era stato senza alcun dubbio
piacevole, Kakashi era un bell’uomo e ne era attratta, altrimenti non
sarebbe arrivata fino a quel punto, eppure non sembrava essere ciò che
il suo cuore voleva davvero. Quella constatazione l’aveva spiazzata, se
non addirittura sconvolta, e ne era sempre più sicura man mano che i
sentimenti confusi della sera prima acquisivano dei contorni più
chiari.
Sollevò con un dito il margine destro del primo foglio di una cartella
clinica; avrebbe dovuto leggerla con attenzione e invece aveva appena
gettato uno sguardo alle righe di ideogrammi, incapace di soffermarsi
sul loro contenuto, mentre un unico e terribile dato di fatto la faceva
da padrone nei suoi pensieri: era intrappolata in un grosso guaio,
tanto più grosso perché sentiva che gli sforzi della sua parte
razionale sortivano scarsi effetti. C’erano diverse ragioni per
respingere mille miglia lontano ciò che non avrebbe mai creduto di
provare per un certo quattrocchi di sua conoscenza. Prima di tutto era
un suo assistente, ed era perfettamente consapevole che in ambito
lavorativo la voce di una eventuale relazione poteva quanto meno
generare situazioni spiacevoli e imbarazzanti per entrambi; era poi più
giovane di lei, anche se di poco, una realtà che comunque avrebbe
potuto creare difficoltà anche fuori, e già il solo pensiero di dover
sostenere sguardi o parole cariche di pregiudizio la sfiniva; inoltre,
aveva un carattere sfuggente, era menefreghista e presuntuoso, a volte
scostante, altre ingombrante al punto da essere irritante.
Esalò un sospiro di stanchezza e rassegnazione; avrebbe dovuto
considerare il carattere di Kabuto il no principale e invece finiva per
metterlo in fondo alla lista, anteponendo fattori che a conti fatti
erano qualcosa di marginale in un rapporto di coppia, elementi esterni
che potevano solo aggravare una situazione già precaria di suo. Se solo
non avesse saputo da che cosa dipendessero in gran parte i suoi modi di
fare, se solo avesse ignorato la storia di quel bambino solo,
sopraffatto da un legame di dipendenza e affetto divenuto col tempo
asfissiante per la sua unilateralità, forse sarebbe stato diverso,
forse non ci sarebbe stato un bicchiere di troppo e una notte di sesso,
forse non si sarebbe trovata in quel momento nel suo ufficio a pensare
a lui.
Per un attimo, nella vana ricerca di qualcosa o qualcuno con cui
prendersela, che non fosse se stessa, il collega o il destino avverso
che li aveva fatti conoscere, provò un moto di nervosismo nei confronti
di Kakashi; chi diavolo aveva per la testa, perché qualcun’altra doveva
esserci, per non poter accettare il suo palese interessamento e
aiutarla a dimenticare la persona meno adatta, almeno per la sua sanità
mentale, che potesse esserci nei paraggi? Forse, gliel’avrebbe chiesto
per liberarsi dal pizzico di curiosità femminile che in parte quella
domanda racchiudeva, lo avrebbe fatto non appena avesse avuto un po’ di
tempo per parlargli e chiarare quanto accaduto la sera prima. Qualunque
decisione avrebbe preso riguardo a Kabuto, non le sarebbe dispiaciuto
istaurare con il poliziotto almeno un rapporto amichevole, qualcosa che
andasse al di là di collaborazioni lavorative, collaborazioni che tra
l’altro non sarebbero durate per sempre.
Immersa in quell’ultima considerazione, non notò la presenza della
causa materiale dei propri recenti tormenti, fino a quando non divenne
troppo ravvicinata per passare inosservata; all’improvviso, entrarono
nel suo campo visivo un’ombra che ostacolò l’illuminazione
garantitagli da una finestra e una mano che si appoggiò al bordo
della scrivania, a pochi centimetri dal suo braccio. D’istino sollevò
il busto leggermente piegato in avanti, trovandosi ad aderire con la
schiena al petto dell’uomo alle sue spalle; si irrigidì, mentre la sua
spina dorsale venne percorsa da una scossa di tensione, accelerata
quando avvertì un respiro caldo sul suo collo, segno che di cosa fosse
la debita distanza quell’idiota non ne aveva la più pallida idea.
“E’ interessante la cartella clinica?” Le chiese ironico, e Shizune si
morse il labbro inferiore per il nervoso; perché doveva essere così
altamente detestabile, perché doveva comportarsi così sul posto di
lavoro, e soprattutto perché diavolo quella situazione non era solo ed
esclusivamente spiacevole? Richiuse con un gesto rapido il
documento che aveva sotto mano, lo afferrò e scattò in piedi con un
movimento brusco, voltandosi verso di lui e colpendogli tutt’altro che
gentilmente il torace con la cartellina semirigida.
“Dato che è così interessante, te la leggi all’istante e nel lasso di
tempo più breve possibile mi riferisci le tue conclusioni, ponderate
però, non buttate lì a caso.” Gli intimò seria, con una chiara nota di
irritazione nella voce, riflesso preciso della sua
espressione.
Kabuto non poté evitarsi di piegare le labbra in un sorriso malizioso.
“Sarà fatto.” Replicò, guadagnandosi uno sbuffo da parte della donna,
che per salvaguardare quella mattina il suo equilibrio psicofisico
abbandonò l’ufficio, senza aggiungere più una
parola.
Quando Kakashi era entrato in ufficio, non aveva dato tempo a Sasuke di
aprire bocca per la consueta ramanzina, che l’istantanea occhiataccia
scoccatagli lasciava presagire, ma gli aveva imposto di sbrigarsi
perché non avevano molto tempo a disposizione e, per non compromettere
l’andamento della giornata di lavoro, aveva addolcito quell’ordine
dettato dall’urgenza aggiungendo che gli avrebbe spiegato tutto in
macchina. Nonostante la prima reazione di disappunto, per un tipo come
il collega abituato a rispettare le procedure, era riuscito a
convincerlo puntando sulla possibilità di giungere più facilmente a quelli che potevano essere i
responsabili principali dello spaccio, una possibilità che non sarebbe
affatto dispiaciuta al commissario, per istinto di sopravvivenza, e al
sindaco, per brama di potere.
Favoriti per buona parte del tragitto dalla scorrevolezza del traffico,
raggiunsero abbastanza in fretta il luogo del sinistro, dove evitarono
la fila di macchine determinata dal parziale blocco della polizia
stradale accostandosi sul ciglio opposto della strada, al di là delle
vetture incidentate, alla giusta distanza per non ostacolare
ulteriormente la viabilità.
Fu Tenzo a venire loro incontro, sollevando leggermente a mo’ di saluto
il berretto blu che aveva tra le mani, per poi rimetterlo sul capo.
“Vedo che ogni tanto mi dai retta.” Disse rivolto a Kakashi, non appena
gli fu abbastanza vicino, e l’amico non ebbe difficoltà a cogliere, nel
tono apparentemente serio, la seconda ironica allusione al suo ritardo
cronico.
“Anche troppo, direi.” Ribatté pacato, poi gli presentò rapidamente il
collega e gli chiese di spiegargli un po’ meglio la situazione.
“Beh, niente.” Iniziò Tenzo. “Non c’è molto altro da aggiungere,
Kakashi, sempre che non ti interessino le modalità dell’incidente.
Prima che l’ambulanza lo portasse via, ho avuto modo di parlare con
l’unico sopravvissuto, nella cui macchina abbiamo trovato la bustina di
droga, e mi ha confermato che lui e il suo amico tornavano da un locale
di Konoha. Era sotto shock, quindi non è riuscito a dirmi altro, ma
credo che sia sufficiente per un inizio.”
“Capisco, potrebbe esserci utile interrogarlo in effetti, qualora…”
“Prima di ogni cosa, dovremmo attendere le analisi della scientifica
sulla droga.” Lo interruppe con tono freddo l’Uchiha, ancora un po’
seccato dall’essere stato coinvolto in qualcosa di poco ortodosso.
“Come intendete procedere affinché ciò avvenga?” Continuò, sollevando
il punto centrale di quell’incontro.
L’ispettore Hatake sospirò interiormente; per quanto il collega avesse
compreso l’utilità di quel sotterfugio, non riusciva affatto a
comportarsi senza complicazioni quando non era totalmente d’accordo.
“Ecco, per non sollevare grossi problemi,” intervenne Tenzo al suo
posto “pensavo di ritardare solo un altro po’ nell’avvertire il
distretto di Kurara, il tempo necessario per permettervi di affrontare
la questione con il vostro commissario. Sicuramente ha più autorità di
me per trattare con chi di dovere.”
“D’altronde siamo arrivati sul posto e abbiamo elementi che ci inducono
a pensare che la droga provenga da Konoha. Tsunade-sama potrà
facilmente far appello su questo affinché la droga sequestrata ci
pervenga direttamente, senza allungare i tempi.” Spiegò Kakashi,
sperando che Sasuke si accontentasse e non facesse altre storie.
“Uhm, capito.” Biascicò quello, poi soffermò lo sguardo serio sul
collega. “Ci parli tu col commissario, però, e a questo punto, prima
torniamo in distretto, meglio è.” Disse asciutto.
“Non c’è problema.” Commentò l’altro atono, sollevato per non aver
ricevuto obiezioni. “Comunque come si chiama il ragazzo rimasto in
vita?” Domandò poi, rivolto all’amico.
“Kiba Inuzuka. Dovrebbe essere di Kurara, ma nel caso abbiate
difficoltà a trovare un recapito fammi sapere.” Rispose Tenzo, prima di
essere richiamato a gran voce da una collega.
“Ce la fai, Ten?” Lo rimbrottò quella, le braccia conserte e
un’espressione poco rassicurante sul volto. “Abbiamo ancora qualche
rilievo da fare, non dimenticartelo.”
L’uomo sospirò insofferente, abbassando leggermente il capo e socchiudendo gli occhi.
“Non è una chiacchierata di piacere, Anko. Comunque ora arrivo.” Le
disse con un pizzico di esasperazione, dopo essersi voltato verso di
lei. “Mi chiedo che bisogno ci sia di urlare a pochi passi di
distanza.” Si confidò poi con l’Hatake.
“Io ho notato il Ten, in realtà.” Affermò l’ispettore con una luce di divertimento nello sguardo.
“Eh, non farti strane idee, Kakashi, non c’è nulla da dire.” Scattò
l’altro sulla difensiva, tradito però dal tono lievemente concitato.
“Uhm, vedremo.” Mormorò. “Comunque grazie per le informazioni e per
l’appoggio. Ci sentiamo appena possibile.” Disse poi per congedarlo.
Tenzo assentì con un breve cenno del capo e un ‘va bene’, dopodiché lo
salutò e tornò al proprio lavoro, mentre i due poliziotti di Konoha
raggiungevano la loro autovettura.
La prima ora di lezione volgeva ormai al termine, ora che Ino aveva
trascorso a fingere interesse verso le spiegazioni della professoressa
di lettere, tracciando ghirigori sul foglio di un quaderno, mentre la
sua mente pianificava come eseguire nel modo migliore l’ordine che il
commissario le aveva impartito il giorno prima, quando si era svolta
una breve quanto intensa riunione sui recenti sviluppi delle indagini e
su come avrebbero dovuto portare avanti quella che sembrava essere la
fase finale. Nelle sue orecchie risuonavano ancora le parole precise
pronunciate dalla donna: Cerca di avvicinarti a Sai Shimura, dobbiamo
essere sicuri che l’appuntamento non venga spostato prima di compiere
qualsiasi mossa. Mi raccomando, però, stai attenta a non insospettirlo,
sii il più naturale possibile.
“Non insospettirlo ed essere il più naturale possibile.” Mormorò tra sé
e sé per l’ennesima volta, così come per l’ennesima volta la riposta
che si diede fu che era più facile a dirsi che a farsi.
L’unico contatto che aveva avuto con il ragazzo da quando si era
infiltrata nella scuola si era limitato al buongiorno appena entrava in
classe e a qualche sporadica battuta durante il resto della giornata,
sia perché il tipo era piuttosto riservato, sia perché, probabilmente
da perfetta idiota, l’aveva escluso a priori dalla lista dei
sospettati. Sarebbe stato impossibile, quindi, che interagire in modo
diverso con lui e così all’improvviso potesse apparire perfettamente
normale; oltretutto, Sai gli sembrava abbastanza intelligente da
intuire che sotto ad un inaspettato interessamento da parte di una
compagna di scuola potesse esserci qualcosa di tutt’altro che innocuo
per lui che era uno spacciatore ricercato dalla polizia.
Sospirò adagiando la matita sul banco; in ogni caso, non aveva altra
scelta, doveva tentare, e sperò che come tutti gli adolescenti della
sua età il ragazzo collegasse il suo approccio a ben celate ragioni
sentimentali, possibilità che si sarebbe impegnata a rendere altamente
realistica. L’unico spunto che le era venuto per attaccare bottone
tirava in gioco la passione per il disegno del giovane, testimoniata
dall’assidua presenza al suo fianco di un album. Tutte le volte che
l’aveva trovato alle prese con quel raccoglitore di fogli bianchi, con
un briciolo di curiosità si era chiesta che cosa immortalassero i suoi
disegni, quali ne fossero i soggetti, e considerando come si erano
messe le cose, fin dall’inizio avrebbe fatto bene a non tenere per sé
quella domanda, a cui si augurava di ricevere riposta a breve.
Quando il suono della campanella giunse ad annunciare la fine della
lezione, approfittò del momento di rilassamento e confusione tipico del
cambio d’ora per agire; si alzò dal proprio banco e si diresse verso
quello di Sai, due file più avanti, poi quando gli fu vicino e due
occhi scuri si posarono su di lei, sistemò dietro le orecchie alcune
ciocche dorate ribelli e ammorbidì le labbra in un sorriso.
“Ciao. Come va?” Lo salutò ilare. “Stamattina ho notato che prima che
arrivasse la prof stavi disegnando qualcosa.” Continuò dopo una breve
pausa, mentre una luce di curiosità attraversava lo sguardo del
compagno di classe.
“Già, come il più delle volte.” Le rispose quest’ultimo con tono calmo,
e la poliziotta si allarmò leggermente, ma si riprese subito cercando
di prendere la palla al balzo.
“Eh, sì, in effetti mi ha sempre incuriosita la cosa, ma pensavo di
poter risultare invadente.” Replicò, abbassando un po’ il capo mentre
pronunciava le ultime parole, poi si passò una mano tra i capelli,
accarezzando la coda che li raccoglieva, gesto con cui intendeva
simulare un presunto imbarazzo.
Sai aggrottò le sopracciglia, con sulla punta della lingua la frase con
cui ribattere, ma non lasciò che giungesse a destinazione, interessato
ad ascoltare la scusa che la ragazza si sarebbe inventata per
giustificare il suo comportamento.
“Tuttavia certe cose non si possono rimandare in eterno,” disse lei
dopo un po’, tornando a fissarlo con un sorriso incerto e gli occhi
lievemente socchiusi, “quindi posso guardare i tuoi disegni? Se non ti
dà fastidio ovviamente.”
Dopo quella richiesta, per rimarcarne l’implicito messaggio, Ino
appoggiò le dita al bordo del banco lasciando scivolare il palmo della
mano sulla superficie lignea e lo guardò dritto negli occhi.
Lo spacciatore, tremendamente divertito dalla situazione, piegò le labbra in un’espressione maliziosa.
“Forse ora non è il caso… è appena entrato il professore di
matematica.” Spiegò, e alle sue parole seguì la voce di Shikamaru che
invitava gli studenti a sedersi di nuovo ai propri posti.
Per un attimo la poliziotta tentennò, quella volta davvero imbarazzata
all’idea di dover flirtare alla presenza dell’amico, ma poi si ripeté
che dopotutto si trattava solo ed esclusivamente di lavoro, così
rivolse al ragazzo un altro finto sorriso e gli chiese se poteva
occupare il banco libero al suo fianco, ottenendone il consenso senza
alcuna difficoltà. Recuperò solo un quaderno e una penna dal proprio
posto ormai abbandonato e si sedette velocemente.
Il suo spostamento non passò inosservato al nuovo arrivato, che
adagiata la borsa con alcuni libri sulla cattedra gettò uno sguardo
stanco ai presenti in aula, lasciandosi andare ad un sospiro, come
tutte le volte che era in procinto di iniziare una lezione, ma quella
volta la spossatezza che provava andava al di là della fatica di
elaborare un discorso su argomenti che aveva abbandonato diversi anni
prima, per giunta davanti ad un pubblico per nulla attento, cosa che
distraeva anche lui; in quel momento avrebbe voluto essere nel suo
ufficio, indaffarato con un’indagine ordinaria, con Sasuke che elargiva
le sue supposizioni con tono asciutto e aria saccente e Ino che sbucava
ogni tanto a chiedergli come andava la giornata, se non si trovavano a
collaborare su qualche caso, ma soprattutto avrebbe voluto la calma e
il tempo necessari per riafferrare il filo che lo legava alla
poliziotta bionda, seduta dove in teoria non avrebbe dovuto.
Ne incrociò le iridi cerulee per un istante, come tacito consenso a
qualsiasi azione volesse compiere, poi recuperò l’eserciziario e
annunciò che quel giorno avrebbero fatto pratica, in religioso
silenzio, con le funzioni, ignorando che si sarebbe pentito presto di
quella decisione. Gli studenti
accolsero la notizia con un certo sollievo, ben lieti di sfuggire ad
una opprimente interrogazione, quindi non se lo fecero ripetere una
seconda volta e presero nota del numero delle pagine e degli esercizi
che il professore dettò loro, man mano che sfogliava le pagine del
libro e scrutava i numeri e i segni matematici che le ricoprivano.
Terminato il suo compito, già troppo gravoso per i suoi gusti,
Shikamaru si sedette incrociando le braccia sul petto e accasciandosi
contro lo schienale della sedia. Avrebbe preferito trascorrere
quell’arco di tempo contemplando un bel cielo limpido ornato da candide
nuvole, ma dal momento che in quel periodo dell’anno era difficile
ricevere una simile concessione, si sarebbe accontentato di osservare i
ragazzi con le teste sui quaderni e le calcolatrici a portata di mano,
evitando se possibile di appisolarsi. Non tutti, però, intendevano
svolgere il compito loro assegnato, e non tardò ad accorgersene.
Piuttosto di rintracciare gli esercizi dal libro ormai aperto, quello
di Sai ovviamente, Ino appoggiò una guancia contro una mano
puntellandosi con un gomito sul banco e torse lievemente il busto verso
il ragazzo al suo fianco.
“Allora, posso?” Sussurrò incurvando le labbra e addolcendo lo sguardo.
Lo spacciatore la fissò in silenzio per un istante, poi l’assecondò
prendendo l’album dalla cartella e porgendoglielo; la poliziotta lo
afferrò mormorando un ‘grazie’ e, senza ricomporsi, lo adagiò sulla
superficie lignea, l’aprì e inizio a sfogliarlo. Osservò i disegni che
riempivano le pagine senza fretta, concedendo ad ognuno il tempo
necessario per essere apprezzato, e dovette ammettere che il loro
autore aveva talento, per quel poco che ne capiva. I soggetti
misteriosi che avevano attirato la sua curiosità erano semplici ma non
banali: qualche scorcio paesaggistico, ritagli cittadini, un gatto alle
prese con un gomitolo di lana, oppure intento a dormire pacificamente,
alcuni ritratti. Fu uno di quest’ultimi a farle sgranare gli occhi per
la sorpresa, generando un moto di divertimento nel ragazzo seduto al
suo fianco, che durante la sua esplorazione aveva spostato più volte lo
sguardo dal quaderno a lei, curioso di leggere le reazioni sul suo
volto, proprio in attesa di quel momento.
“Mi piacciono i bei soggetti.” Si giustificò con perfetta naturalezza,
quando Ino si girò verso di lui alla ricerca di una spiegazione.
Forse un suo ritratto su quell’album avrebbe dovuto allarmare la
poliziotta, ma la situazione l’aveva così presa in contropiede che quel
pensiero non la sfiorò; si ritrovò solo ad arrossire contro la sua
volontà e a pensare che quel particolare era senza alcun dubbio un
punto a suo favore, insomma la conseguenza più immediata che poteva
dedurre, e ne approfittò subito.
Assottigliò lo sguardo in un’espressione provocante, poi allungò il
braccio libero verso Sai sfiorando con le dita affusolate la sua mano
ferma su una pagina dell’eserciziario.
“Potrei anche essere disponibile per un altro ritratto, però
consapevole questa volta.” Suggerì con voce morbida; una proposta che
fece comparire sul volto del proprio interlocutore un altro sorriso per
nulla innocente.
“Per me va bene.” Accettò quello, con un tono piatto che non impedì a Ino di provare il gusto dolce di una piccola vittoria.
La ragazza appoggiò definitivamente la mano sulla sua, come a
sottolineare il piacere per l’accordo ricevuto, un gesto che a
Shikamaru apparve superfluo ed eccessivo, insomma perfettamente
evitabile, così come riteneva evitabile l’incrocio di sguardi e la
vicinanza eccessiva per i suoi gusti, o almeno quello era ciò che lo
spingeva a pensare il contorcersi di qualcosa non identificato
all’interno del suo stomaco, sensazione che lo tormentava da alcuni
minuti, mentre la sua parte razionale gli faceva notare che in fondo
era lavoro e quindi opportunismo e finzione, in modo però troppo
labile.
“Yamanaka, vieni alla lavagna.” Disse infatti, con un tono più duro di
quanto avrebbe immaginato, incapace di tollerare oltre la situazione, e
quando Ino si avvicinò alla cattedra guardandolo perplessa e
leggermente infastidita, l’ispettore si rese conto che l’unico aspetto
positivo era la consapevolezza di aver trovato la risposta che cercava,
perché per il resto quella settimana avrebbe avuto qualche problema.
“Quindi sei riuscito a parlargli?” Chiese Sakura, replicando al
brontolio confuso di Naruto sulla idiozia di
Sasuke.
“Insomma… è il solito idiota!” Borbottò seccato l’uomo al suo fianco, lo sguardo sempre fisso sulla strada.
“Questo l’avevo intuito.” Commentò l’altra, cercando di non far notare il divertimento generato da quella risposta.
Nonostante i loro frequenti battibecchi, sapeva che l’Uchiha occupava
un posto importante nella vita del collega, e non voleva certo dargli
l’impressione di trattare con leggerezza quello che per lui era
qualcosa di preoccupante.
“In pratica, se ne è uscito con le solite storie, che non ha nessun
problema, che mi sono immaginato tutto e che anche se fosse non sono
affari miei. Insomma, parafrasando ‘ho qualche problema, ma stanne
fuori, perché non ho voglia di parlarne’.” Le spiegò Naruto.
“Ho capito. E non hai la minima idea di cosa possa essere?” Domandò.
“Uhm, forse c’entrerà in qualche modo sempre suo fratello, poi boh, non
saprei.” Rispose lui, con una scrollata di spalle, guadagnandosi
un’occhiata interrogativa da parte della poliziotta, totalmente
all’oscuro dell’esistenza di un fratello.
Non si era, in effetti, mai interessata molto a Sasuke Uchiha al di là
del poliziotto e del collega con cui collaborare su alcuni casi, tanto
che l’unica informazione più privata che aveva su di lui riguardava
l’amicizia con Naruto.
“Fratello?”
“Eh, sì… è una storia lunga.” Disse il collega, stirando le labbra in
una smorfia, una reazione che Sakura interpretò come l’indizio che
quella lunga storia fosse anche spiacevole, per cui preferì non
chiedere altro, evitando di mettere il naso in faccende che non la
riguardavano.
“Capito, comunque magari prova a riparlargli affrontando la questione
con più calma.” Gli consigliò, ricevendo come risposta un sommesso ‘ci
proverò’ accompagnato da un’espressione tesa, che le fece desiderare di
poter spazzare via quell’ansia che il poliziotto provava.
Allungò un braccio accarezzandogli con la mano una guancia.
“Vedrai che è solo un momento, gli passerà.” Tentò di tranquillizzarlo,
e si sentì sollevata quando vide i suoi lineamenti ammorbidirsi e
l’ombra di un sorriso fare la sua comparsa.
“Grazie, Sakura-chan.” Affermò con tono deciso, voltandosi leggermente
verso di lei mentre rallentava l’autovettura. “L’ho mai detto che ti
amo?” Chiese dopo una brevissima pausa.
Di fronte a quella domanda e al suo sguardo dolce, la ragazza ebbe la
netta sensazione di sprofondare; la felicità per la sua espressione
finalmente più rilassata era risucchiata con inclemenza dal senso di
colpa per la confusione che l’aveva assalita di nuovo contro la sua
volontà, esattamente il giorno prima.
“Sì, ma pensa a guidare.” Lo rimproverò bonariamente, senza permettere
che calasse un silenzio inopportuno, mentre cercava di seppellire in
fondo al suo cuore quell’attimo di tentennamento, così come quello
avuto davanti alla tomba dei suoi genitori; ciò che voleva era lì
davanti a lei, racchiuso nel calore e nella speranza che l’uomo seduto
al suo fianco le trasmetteva ogni volta, e non avrebbe lasciato che
l’intrusione di qualcosa che non c’era mai stato e che non ci sarebbe
mai stato glielo lasciasse sfuggire dalle mani.
Lo scrutò per qualche altro istante mentre tornava a concentrarsi sulla
guida, poi si immerse totalmente nei propri pensieri, ribadendo a se
stessa che quella sarebbe stata davvero l’ultima volta in cui avrebbe
ripercorso le stesse identiche riflessioni. Anche Naruto intanto non
pensò di continuare la conversazione, dal momento che mancava poca
strada da percorrere e si sentiva ormai in parte alleggerito dal peso
della preoccupazione, avendo potuto sfogarsi con
qualcuno.
Gli ultimi minuiti che li separarono dalla loro meta trascorsero quindi immersi nel silenzio.
Quando giunsero all’ospedale, dopo aver chiesto informazioni alla prima
infermiera incrociata nel pronto soccorso, i due poliziotti raggiunsero
la stanza in cui era ricoverata la ragazza con cui avrebbero dovuto
parlare, in seguito ad una denuncia per violenza sessuale ricevuta in
mattinata.
Trovarono la giovane sdraiata in un letto, con i lunghi capelli castani
sciolti sul cuscino e gli occhi chiusi; l’avrebbero creduta
addormentata se non fosse stato per la mano che stringeva quella del
ragazzo seduto su una sedia accanto a lei, molto probabilmente la
stessa persona che aveva chiamato al commissariato.
“Buongiorno.” Esordì Naruto dopo aver bussato, catturando subito la
loro attenzione. “Siamo della polizia.” Spiegò entrando, e provò un
attimo di sorpresa quando incrociò lo sguardo candido del ragazzo, che
alzatosi si volse verso i nuovi arrivati.
“Buongiorno.” Rispose inespressivo, scrutandoli serio.
“Se è possibile, vorremmo fare qualche domanda.” Continuò il
poliziotto, accantonando almeno momentaneamente la curiosità per il
colore familiare di quegli occhi.
Il giovane si voltò di nuovo verso la compagna alla ricerca di un consenso.
“Tenten?”
“Per me va bene, Neji.” Disse la ragazza con voce sommessa.
“Ovviamente non sei obbligata a dirci tutto, solo ciò che ti senti di
dire.” Intervenne Sakura, ormai al fianco del collega, e ottenne un
cenno del capo in segno d’assenso.
“Dove sei andata ieri sera?” Le chiese allora.
“All’Alba, una discoteca di Konoha.” Rispose l’altra, poi avvertì
formarsi un improvviso groppo alla gola al solo pensiero di aggiungere
altro.
Strinse tra le dita le lenzuola bianche stropicciandole, un gesto che
racchiudeva oltre al dolore anche un pizzico di rabbia; non si era mia
sentita così impotente e insignificante, ma per quanto fosse difficile,
per quanto avesse solo voglia di sprofondare nel sonno, non voleva che
il responsabile rimanesse a piede libero.
“Per caso è stato qualcuno che lavora al locale?” Domandò ancora l’agente di polizia.
Nonostante si fosse accorta della reazione della sua interlocutrice,
era consapevole che prima avrebbero avuto qualcosa di concreto da cui
partire e prima avrebbero potuto esserle in qualche modo d’aiuto.
Incapace di esprimersi a parole, Tenten si limitò ad un nuovo piccolo
movimento del capo, socchiudendo leggermente gli occhi nocciola,
fornendo così ai due poliziotti una conferma che avrebbe indubbiamente
reso molto più semplici le loro indagini.
“Sai il suo nome?" Chiese Naruto, ricevendo come risposta dopo qualche istante un 'no' sommesso. "Capisco. E mica te la sentiresti di fare un identikit? Ci sarebbe certamente d’aiuto.” Proseguì allora.
“Potremmo far venire qualcuno qui, magari oggi pomeriggio, oppure puoi
venire più in là in commissariato.” Continuò Sakura per cercare di non
metterle fretta.
La ragazza soppesò le due proposte, trovando la forza di prendere una
decisione solo quando sentì la mano calda e rassicurante di Neji
appoggiarsi di nuovo sulla sua; lo fissò per qualche istante negli
occhi, quegli occhi apparentemente inespressivi che tuttavia erano in
grado di tranquillizzarla, poi si sforzò di sciogliere il nodo che le
impediva di parlare.
“Oggi pomeriggio va bene.” Affermò con un leggero tremore nella voce,
decisa a mettere un punto fermo a quella storia il prima possibile.
“Ok, allora faremo così. Grazie per avere risposto alle nostre domande.” Disse allora il poliziotto.
“Grazie a voi.” Mormorò Tenten.
L’ora di spacco era sempre una liberazione, quel giorno poi che non
aveva niente su cui indagare avrebbe dovuto esserlo di più, peccato
però che le cose stessero diversamente; il fatto che qualcun altro
svolgesse quel compito anche per lui e soprattutto il come ciò
avvenisse non lo mettevano affatto di buon umore. L’aveva realizzato
più o meno da due ore, e conviverci non era ancora tanto semplice.
Forse, avrebbe fatto meglio a pensare all’altro aspetto della faccenda,
in qualche modo più tranquillizzante. Se si impegnava, gli sembrava di
vedere davanti ai suoi occhi il filo del suo rapporto con Ino, non
lineare come l’aveva sempre considerato, ma contorto, al punto che la
sua estremità gli era sfuggita dalle dita e per fortuna era bastata una
piccola spinta per recuperarla. Se così non fosse stato, forse un
giorno se ne sarebbe pentito, rimproverandosi per la propria incertezza
e indecisione, così come per l’inefficacia che il suo rinomato
quoziente intellettivo dimostrava nelle questioni sentimentali. Non
aveva mai lontanamente intuito cosa l’amica provasse in realtà per lui;
la sua presenza al suo fianco era diventata così preziosa e
insostituibile, così naturale e indispensabile, che immaginare che ci
fosse dell’altro non alterava il suo posto nella propria vita.
Nell’ultima settimana, aveva temuto di perdere quello che avevano e di
farla soffrire contro la propria volontà, e ciò l’aveva paralizzato,
portandolo a creare una distanza assurda tra di loro. Non vedeva l’ora
di azzerarla di nuovo quella distanza, anche se, riflettendoci, non
sapeva da che parte cominciare, quali parole usare, come comportarsi, o
forse lo sapeva, ma la sola idea lo faceva sentire già in quell’istante
terribilmente impacciato.
Stravaccato su una sedia nella sala professori, era totalmente perso in
quei pensieri che si accorse dell’arrivo della collega di francese solo
quando questa appoggiò la borsa sul tavolo a cui era seduto,
gettandogli uno sguardo stanco e inespressivo, per poi avvicinarsi al
proprio cassetto in cerca probabilmente di materiale inerente alle
lezione successiva. Quella situazione gli trasmise una sensazione
di dejà vu e impiegò qualche secondo a trovare ciò a cui ricollegarla,
ovvero un ricordo che risaliva ad una settimana prima, quando attendeva
qualcuno da sfruttare per ricavare informazioni utili alle indagini.
Come allora, era chiaro che qualcosa non andava, altrimenti l’avrebbe
ripreso per il suo atteggiamento da scansafatiche o per qualunque altra
cosa lei ritenesse fuori luogo, come capitava la maggior parte delle
volte in cui si incrociavano.
Rimase per qualche istante incerto su cosa fare, se chiederle quale
fosse il problema, oppure non interferire rimanendo in disparte; la
seconda opzione era indubbiamente la più comoda, quella che gli evitava
di invischiarsi in una situazione che con alte probabilità non avrebbe
saputo gestire - sembrava quasi che quel giorno situazioni simili lo
avessero preso di mira – ma si era talmente abituato in quel mese ad
essere infastidito dai suoi rimproveri che vederla apatica e silenziosa
gli dispiaceva. Non appena quel pensiero prese forma nella sua mente,
non poté fare a meno di considerarlo l’ennesimo segnale che gli
indicava che negli ultimi tempi stava ammattendo.
“Qualcosa non va?” Domandò serio, troncando ogni altra riflessione su
quel punto, mentre si ricomponeva per dare meno l’impressione di
disinteressamento totale del mondo, come avrebbe detto lei.
Recuperate alcune fotocopie e richiuso il cassetto, Temari si voltò
verso di lui con cipiglio interrogativo, spiazzata dal suo intervento.
“Da quando ti interessa qualcosa, Nara?” Replicò secca, con la voglia
di parlare ai minimi storici, tanto più su questioni personali. “E
comunque è tutto a posto, e pure se non fosse così non sono certo
affari tuoi.” Continuò, avvicinandosi al tavolo.
“Mah, non sembrava.” Biascicò Shikamaru, distogliendo lo sguardo dalla
donna, già pentito di non essersene rimasto in silenzio. “Scusa se sono
stato invadente.” Disse scrollando le spalle, e la professoressa si
sentì fuori luogo e un po’ in colpa.
Non credeva che il collega potesse essersela presa per davvero, ma
quella era un’altra prova della sua incapacità di comportarsi nel modo
giusto, come gli aveva dimostrato la sera prima anche lo scatto d’ira
di Gaara, chiuso nel suo impenetrabile mutismo.
Si morse il labbro inferiore, nervosa, mentre infilava i fogli che
aveva in mano nella borsa e la richiudeva con un pizzico di
rabbia.
“Scusa tu, invece.” Sussurrò dopo un breve sospiro. “In realtà non è
giornata, ma non ho alcuna voglia di parlarne.” Confessò, gli occhi
acqua marina fissi sul tessuto in pelle.
Notando il tono grave, Shikamaru la guardò di sottecchi, in parte
curioso, in parte con sua sorpresa lievemente preoccupato; Temari gli
era sempre sembrata una donna sicura di sé, con la situazione sempre
sotto controllo e le idee ben chiare, ma a quanto pareva aveva anche
lei le sue debolezze, una considerazione ovvia che però non l’aveva mai
sfiorato e che in quegli istanti giungeva con le sue dirette
conseguenze. Per la seconda volta perplesso di fronte ad un
interessamento che non credeva di provare, si massaggiò la nuca con una
mano.
“Non importa.” Disse per liquidare la questione, poi si alzò tornando a
rivolgerle direttamente la sua attenzione. “In ogni caso, a volte è
meglio non tenersele dentro le cose.” Consigliò, mentre i ricordi
andavano alla chiacchierata avuta tempo addietro con Asuma.
“Eh, certo, magari una confidenza davanti ad un caffè.” Commentò
pessimista Temari, incapace di credere che parlare avrebbe potuto
alleviare la sensazione di claustrofobia che avvertiva al solo pensiero
del fiasco in cui si era risolta la cena della sera prima.
“E’ un’idea.” Replicò l’altro, sorvolando sul tono scettico della
collega, persistendo nel suggerire qualcosa che a lui in fondo era
risultato utile.
Quell’ultimo scambio di battute giunse intanto alle orecchie di Ino, da
pochi istanti ferma sulla soglia della sala professori, e privo di
contestualizzazione, la ragazza l’interpretò come l’inequivocabile
invito per un caffè, un invito che il poliziotto non aveva affatto
tardato ad accettare. D’istinto strinse un pugno e assottigliò lo
sguardo, lottando contro il bruciore della delusione e della gelosia;
più tentava di fare un passo avanti e più aveva l’impressione di
rimanere indietro. Ingoiò un grumo di tensione, ricordando a se stessa
che era lì per lavoro, poi bussò.
“Scusate il disturbo… io volevo parlare con il professore.” Esordì col
tono più calmo e naturale che le riuscì, spingendo i due professori a
voltarsi verso la porta.
Vedendola, Shikamaru si sentì sollevato, perché la sua presenza in
quella stanza implicava la sua lontananza da Sai, nello stesso tempo
però si rese conto che l’argomento della prossima conversazione non
poteva che essere lo stesso spacciatore e forse anche la reazione che
aveva avuto in classe, e se la prima opzione lo seccava, la seconda lo
metteva a disagio.
“Ma certo, non credo proprio abbia qualcosa da fare adesso.” Rispose
Temari prima che il collega potesse aprire bocca, con una frase che
inconsapevolmente contribuì ad alimentare l’errata supposizione della
poliziotta, sebbene fosse stata pronunciata senza nessuna particolare
intonazione.
Mentre la professoressa li lasciava soli, Ino tentò di reprimere
l’amarezza; per quanto fosse difficile, se non avesse ricevuto un
segnale diverso da parte di Shikamaru, avrebbe dovuto accettare
definitivamente l’idea che l’ispettore potesse frequentare una donna
che non fosse lei.
Prima di iniziare a parlare, provvide a socchiudere la porta, sia per
tutelare la loro conversazione da occhi e orecchie indiscrete, come
faceva sempre, sia per sfruttare quegli attimi di silenzio per
stabilizzare il suo stato d’animo.
“Scusa se ho interrotto la vostra conversazione.” Si giustificò con
tono inespressivo, mentre si voltava lentamente verso di lui, così da
evitare almeno per quei primi istanti di guardarlo dritto negli occhi.
Nell’ascoltare la premessa dell’amica Shikamaru inarcò le sopracciglia
interrogativo, dal momento che le indagini venivano prima di tutto,
cosa che Ino sapeva bene, e quindi le scuse oltre che inutili erano
insolite.
“Comunque credo di essere riuscita ad agganciare il ragazzo senza
insospettirlo,” continuò l’altra, passando subito alle questioni di
lavoro “anzi ho anche recuperato un invito a casa sua per domani.”
“A casa sua?” Le domandò in modo un po’ brusco l’ispettore, perplesso e
in parte allarmato, ricevendo uno sguardo confuso da parte della
collega. “Non è proprio il massimo, lo sai, vero?” proseguì dopo una
breve pausa “Se ti sbagliassi e sospettasse qualcosa, o comunque
cominciasse a insospettirsi mentre sei lì?”
“Eh, stai dicendo che non sono in grado di valutare le situazioni?” Replicò Ino pacata, benché provasse una certa irritazione.
“Non ho detto questo.” Disse Shikamaru con tono fermo ma tranquillo,
cercando di non portare quella discussione sopra le righe; erano a
scuola e non potevano assolutamente permettersi di attirare
l’attenzione. “Sto solo ipotizzando che potresti trovarti in
difficoltà, dal momento che…”
“E quale sarebbe l’immensa differenza di grazia?” Sbottò l’altra, accigliandosi, senza concedergli il tempo di concludere.
“A volte può anche mancarci qualche elemento, Ino, quindi in ogni
valutazione un margine di dubbio dobbiamo sempre metterlo in conto.”
Spiegò l’ispettore, poi si affrettò a mettere un freno alla situazione,
consapevole che il suo tentativo di non farla degenerare era fallito.
“Comunque, forse è meglio se ne continuiamo a parlare altrove.”
“Eh certo, le reazioni a cavolo te le puoi concedere solo tu!” Commentò
con tono asciutto la poliziotta, ormai nervosa, seccata dall’aria
saccente dell’amico.
“E tra l’altro senza un motivo, dato che hai altri interessi.” Continuò
dopo un po’, con il capo leggermente reclinato di lato per non
incrociare il suo sguardo, mentre tutti i sentimenti che l’avevano
assalita da quando era giunta davanti a quella stanza le chiudevano lo
stomaco.
Nella mente di Shikamaru, intanto, i vari tasselli si ricomponevano in
un unico pezzo: l’espressione strana che era apparsa sul viso della
collega mentre la professoressa di francese se ne andava, le scuse
fuori luogo e la voce insolitamente atona con cui erano state
pronunciate, quell’ultima frase; si trattava di elementi che gli
facevano pensare che Ino avesse tratto delle conclusioni affrettate,
partendo tra l’altro da una situazione dai contorni vaghi.
“Comunque, sì, è meglio se me ne torno in classe, è passato già troppo
tempo.” Annunciò la poliziotta, poi fece per andarsene, ma l’uomo la
trattene per un polso.
“Aspetta un attimo. Noi… ” Incominciò quello, prima di venire interrotto per la seconda volta.
“Qualcuno potrebbe vederci, professore.” Disse concisa Ino, continuando a non guardarlo.
Per quanto non si aspettasse il suo gesto, per lei non c’era lo stesso
più niente da aggiungere, né sul piano lavorativo, né soprattutto su
quello privato, se mai Shikamaru avesse voluto affrontare davvero quel
punto; se il solo pensiero di ascoltare un’altra pillola di saggezza
dal suo intelligente superiore la faceva arrabbiare, quello di sorbirsi
qualche scontata frase da amico le procurava un dolore sordo. Si sentì
quindi molto sollevata, quando l’uomo la liberò dalla sua stretta
permettendole di lasciare la sala professori.
Note dell'autrice
Non
sono passati nemmeno due mesi dall'ultimo aggiornamento, posso avere un
biscotto come premio? Magari due? Ok, no, scherzi a parte, sono
contenta di non aver fatto passare altri sei mesi e spero che possa
andare avanti così, anche se sta per iniziare un periodo super
incasinato a causa dell'uni e quindi non so, farò quel che posso^^ Per
ora, mi auguro che questo capitolo sia piaciuto, come credo si noti
contiene alcuni punti di svolta: Kakashi ha più o meno smesso di
tormentarsi, Shizune ha cominciato a farlo, Ino e Shikamaru non
chiedete a me perchè fanno tutto da soli, Sakura mi
fa pensieri threesome (come già da qualche capitolo, ma non so perchè
mentre scrivevo mi è sembrata una scoperta preoccupante u_u) e gli
ultimi due casi sono all'orizzonte, di cui uno ha fatto sbucare Tenzo
in carne e in ossa con connesso accenno AnkoTenzo, per la gioia di
qualcuno, spero. Insomma, la cosa più importante di queste righe
inutili è che stiamo per entrare nella parte più rilevante di questa
storia, d'ora in avanti ci sarà sempre qualche 'punto', diciamo così^^
Smetto di tediare, e ringrazio chi ha recensito e chi ha messo la fic nei preferiti o seguitiXD
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Capitolo 10 *** Capitolo X ***
Capitolo X
Di ritorno dall’ospedale, Naruto e Sakura si erano
fermati in commissariato giusto il tempo necessario per scoprire
l’indirizzo della discoteca Alba, poi si erano diretti alla loro nuova
meta. Consultandosi su come procedere nelle indagini, avevano deciso di
recuperare una lista del personale ed effettuare una ricerca negli
archivi digitali, dove speravano di trovare qualche precedente penale
e, di conseguenza, foto da confrontare appena possibile con
l’identikit. In caso contrario, sarebbe stato necessario trascorrere
una o più serate da presunti clienti, un’alternativa che a Naruto non
sarebbe affatto dispiaciuta, ma, che considerati i maggiori tempi di
attuazione, avevano lasciato come piano di riserva.
Per arrivare al locale dovettero raggiungere una zona
periferica, ben collegata però con le strade che mettevano in
comunicazione la città con quelle limitrofe, una scelta di ubicazione
che apparve all’ispettore ben studiata; ciò che invece lo spinse a
storcere il naso, una volta giunti all’ingresso, fu una locandina che
reclamizzava uno dei prossimi eventi, per la precisione una serata
all’insegna dello streap tease e rivolta solo ad un pubblico femminile.
Dal canto suo, non avrebbe mai e poi mai permesso a Sakura di assistere
a qualcosa di simile; il solo pensiero che la collega potesse guardare
in un certo modo un altro uomo, per giunta mezzo nudo, lo seccava
incredibilmente.
“Qualcosa non va?” Gli chiese l’oggetto dei suoi
pensieri, accortasi dell’espressione contrariata che era comparsa
all’improvviso sul suo viso.
Come risposta il ragazzo le indicò con l’indice il
manifesto e le rivolse un’occhiata
seria.
“Tu non ci andresti ad una serata simile, vero?”
Sakura lo scrutò perplessa, poi si voltò a guardare
meglio il volantino pubblicitario cadendo in un silenzio imbarazzato,
almeno fino a quando non sbottò infastidita con un lieve rossore ad
imporporarle le guance.
“Che razza di domande sono, in questo momento poi?“
“Beh, legittima curiosità.”
“Eh, non mi sembra curiosità la tua… e comunque non
vedo ormai che motivo avrei di andarci.” Replicò la poliziotta,
distogliendo lo sguardo e incrociando le braccia al petto mentre
pronunciava le ultime parole.
L’altro avrebbe volentieri approfondito l’ormai utilizzato
dalla compagna, ma prima che potesse riaprire bocca un ragazzo che
usciva dal locale e che aveva udito parte della loro conversazione li
interruppe.
“C’è qualche problema, ragazzi?” Chiese con un mezzo sorrisetto sghembo, avendoli scambiati per una semplice coppia.
“Eh, no, è tutto apposto, i problemi più che altro li
cerchiamo altrove.” Ribatté l’ispettore senza scomporsi, intenzionato a
rimediare al disagio di Sakura per l’intromissione e il tono vagamente
ironico del nuovo arrivato, sia per lei che per mettersi al riparo da
un prevedibile rimprovero.
Mostrò poi il distintivo come tacita presentazione.
“Lavori qui, giusto? Avremmo bisogno di parlare con un responsabile.”
Il giovane mutò l’espressione scanzonata in una stupita
e confusa; conscio di aver fatto una ben poco idilliaca figura, si
scusò e annunciò che avrebbe chiamato subito qualcuno, poi si affrettò
a rientrare nella discoteca. Quando ritornò dopo alcuni minuti, lì
accompagnò da un uomo sulla trentina, dai corti capelli rossi che
mettevano in risalto un intenso sguardo nocciola. Lo presentò come
Sasori-san e tornò al suo lavoro dietro al bancone, dove riprese a
sistemare alcolici, seccato di aver perso una pausa-sigaretta.
“Cosa porta la polizia da queste parti?” Esordì intanto l’altro membro dell’Alba con tono calmo.
“Per essere brevi, in seguito ad una denuncia stiamo
indagando su un caso di stupro, che sembra essersi verificato proprio
qui.” Spiegò Naruto con altrettanta tranquillità, fornendo le
informazioni strettamente necessarie.
“Capisco, e come posso aiutarvi?” Annuì impassibile il
suo interlocutore, conscio di non poter esimersi da una placida
collaborazione, benché avesse tutti gli interessi di tenere i
poliziotti il più lontano possibile dal locale.
Il suo autocontrollo non venne meno neanche alla
richiesta successiva dell’ispettore, che gli domandò una lista completa
del personale per raccogliere appena possibile qualche testimonianza.
Creare le basi per un collegamento tra i membri dell’Alba e le forse
dell’ordine non era indubbiamente la migliore delle prospettive;
tuttavia, confidando sulle precauzioni prese e sulla protezione di cui
godevano grazie a Madara Uchiha, assentì per la seconda volta senza
battere ciglio. Chiese loro di attendere il tempo necessario, poi sparì
in un ufficio.
Non appena furono soli, Sakura fece un passo verso il collega, avvicinandosi di più a lui.
“Speriamo sia davvero attendibile.” Gli sussurrò ad un orecchio.
Naruto si voltò leggermente con aria seria.
“Beh, un’omissione non andrebbe affatto a loro vantaggio.”
Nell’incrociare a distanza così ravvicinata il suo
sguardo sicuro, la poliziotta si ritrovò ad arrossire e a sorridergli,
poi però si ricordò di dove fossero e del ragazzo che li aveva
interrotti fuori dalla discoteca, sempre fermo dietro al bancone, e si
impose di riconquistare un contegno idoneo alla situazione.
“Hai ragione.” Disse sempre a voce bassa.
“Ma, in caso contrario, sarebbe divertente doverci
venire da clienti.” Commentò l’altro con una chiara nota di entusiasmo
nella voce.
“Uhm, certo, magari ad una serata con spogliarello,
vero?” Replicò Sakura piegando le labbra in un’espressione maliziosa,
decisa a vendicarsi della domanda imbarazzante che le aveva rivolto
all’ingresso.
La concitata e goffa difesa del collega di fronte a
quell’ipotesi la fece poi scoppiare in una sommessa risata, mandando
all’aria il proposito di pochi istanti prima. Quella piacevole
interruzione si spezzò però all’improvviso, quando notò un misto di
stupore e turbamento comparire sul volto di Naruto. Preoccupata, gli
chiese se ci fosse qualche problema e, come risposta, l’ispettore si
voltò in direzione del barista, in quel momento intento a parlare con
un uomo dai lunghi capelli neri raccolti in una coda. Rimase subito
colpita dai lineamenti familiari del nuovo arrivato; se non fosse stato
per due profonde occhiaie che rimarcavano il taglio e il colore scuro
degli occhi, sarebbe stato praticamente identico a Sasuke Uchiha.
Benché confusa da quella somiglianza e dalla reazione del
compagno, capì che doveva essere stato il nome pronunciato poco prima
dal ragazzo al bancone ad aver attirato l’attenzione dell’altro
poliziotto, che assisteva alla conversazione immobile e con una
percepibile tensione. Era consapevole che le mancassero gli elementi
necessari per comprenderne il motivo, ma sentì di dover fare qualcosa
per tranquillizzarlo. Gli mise allora una mano sulla spalla e lo chiamò
con tono deciso, riuscendo così a sottrarlo a quello insolito momento
di concentrazione, prima che l’uomo oggetto del loro interesse si
accorgesse di essere osservato.
“Qualunque sia il problema, calmati ora. Ne parliamo
dopo, va bene?” Gli mormorò incoraggiante mentre si voltava di nuovo
verso di lei.
Consapevole che la collega avesse ragione, Naruto
annuì, accantonando momentaneamente i pensieri che l’avevano assalito.
Pochi istanti dopo ritornò Sasori, che non ebbe alcun sospetto su
quanto avvenuto, e consegnò loro la lista che avevano cercato. Quando
furono finalmente in macchina, i due poliziotti ripresero il discorso
interrotto.
“Lo conoscevi?” Esordì Sakura. “Hai avuto quella reazione prima che tu lo vedessi, quindi…”
“Itachi… questo è il nome del fratello di Sasuke. Non
mi ha mai mostrato una sua foto, però la somiglianza è così lampante
che non posso pensare sia solo una coincidenza di nome.” Le spiegò
l’ispettore, accasciato sul sediolino e con lo sguardo fisso davanti a
sé.
Lei lo guardò incerta per qualche istante; quella
mattina, quando era uscita fuori l’esistenza di un fratello, non aveva
voluto approfondire, ma ormai la situazione era diversa e forse avrebbe
potuto domandare qualcosa senza risultare invadente.
“E Sasuke non sapeva che lavorasse a Konoha?” Si
permise allora di chiedere, cercando una motivazione plausibile per la
sorpresa dimostrata dal collega.
Calarono alcuni lunghi istanti di silenzio prima che quest’ultimo continuasse.
“No, dato che lo sta cercando da una vita solo per sbatterlo in galera.”
Del tutto spiazzata dalla risposta ricevuta, Sakura non
riuscì a formulare alcun pensiero compiuto, né tanto meno ad aprire
bocca per domandare qualcos’altro.
La proposta di Asuma era giunta del tutto inaspettata,
proprio mentre si era affacciata nella sua mente l’idea che fosse il
momento giusto per parlargli, l’ennesimo momento giusto di quella
settimana. Avevano da poco finito di pranzare, quando l’aveva spiazzata
comunicandole che voleva portarla in un certo posto. Presa dai suoi
pensieri, era scivolata lentamente dalla confusione alla curiosità,
finendo per acconsentire con un breve sorriso, tentando poi di scoprire
in anticipo quale fosse la loro meta, ma con scarsi risultati. Un po’
per l’alone di mistero che aveva avvolto quell’invito, un po’ per il
pensiero rassicurante che fosse stato lui per la seconda volta ad
invitarla a fare qualcosa, si era lasciata quindi guidare con piacere
nella seconda parte di quella giornata. Guardò di sottecchi i
lineamenti marcati dell’uomo al suo fianco, affacciato al parapetto
fumando la consueta sigaretta, mentre ripeteva a se stessa che era
sciocco continuare a impantanarsi nell’incertezza; avrebbe dovuto
semplicemente fidarsi di lui e delle sue parole, come aveva sempre
fatto, anche perché la nuova vita che cresceva dentro di lei non era
affatto un dubbio alla ricerca di conferma o una domanda alla ricerca
di una risposta, ma una certezza che non voleva rinnegare e che
soprattutto non poteva restare ancora nascosta.
Distolse lo sguardo prima che l’altro potesse
accorgersi che qualcosa turbava i suoi pensieri e tornò a godersi il
panorama che il punto più alto della città offriva loro.
Quando aveva capito che erano diretti proprio lì, al
belvedere che aveva assistito da silenzioso testimone all’inizio
ufficiale della loro relazione, aveva provato una innegabile sorpresa,
e si ritrovò a chiedersi di nuovo se la scelta di quel posto avesse
qualche motivo particolare o fosse una semplice coincidenza favorita
dal ritorno timido del sole. Quel giorno al ristorante, Asuma le aveva
detto chiaramente che voleva costruire la sua vita con lei,
un’affermazione che l’aveva indubbiamente tranquillizzata e che in quel
frangente la spingeva a scorgere qualcos’altro nel loro essere insieme
ad osservare lo stesso quadro sfocato di cinque anni prima, le stesse
abitazioni lontane allietate a tratti da schizzi di verde.
Sospirò con un pizzico di stanchezza.
Si sentiva un po’ una stupida a sperare in una classica
scena da film romantico a lieto fine; dopotutto, sapeva bene che la
vita non era una favola, che, per quanto lo si desiderasse, non
rispecchiava quasi mai le aspettative, quindi era sciocco pretendere
che seguisse quello che ai suoi occhi sarebbe stata la successione più
logica degli eventi. Già il viso serio di Asuma e la stretta della sua
mano calda, mentre pronunciava quelle semplici ma significative parole,
erano in fondo qualcosa di prezioso, un segnale importante considerando
l’insicurezza che lo aveva sempre perseguitato; volere che fosse lui ad
avanzare la fatidica proposta rimaneva a quel punto solo un desiderio
in qualche modo infantile.
Cercò di raccattare una volta per tutte il coraggio
necessario per dirgli finalmente quello che doveva dirgli, ma proprio
quando stava per aprire bocca fu l’uomo a
parlare.
“Qualcosa non va?” Le chiese quello con una nota di
preoccupazione nella voce, scrutandola serio mentre allontanava la
sigaretta dalle labbra.
Sorpresa per l’interruzione improvvisa dei propri
pensieri, Kurenai si voltò verso di lui con un’espressione disorientata
sul viso, incrociandone lo sguardo e trovandolo stranamente
intenso. “Eh, no, è tutto apposto.” Si affrettò però a
tranquillizzarlo, abbozzando poi un sorriso; non voleva fornirgli
motivi di apprensione, perché sentiva che in realtà era tutto
perfettamente chiaro tra di loro e che solo un ultimo passo sarebbe
stato sufficiente per far emergere quella chiarezza anche alla luce del
sole.
“Ero solo un po’ sovrappensiero perché, ecco, avrei
qualcosa da dirti… ma non è un problema.” Spiegò abbassando leggermente
il capo a metà frase, alla ricerca del modo giusto per metterlo al
corrente di ciò che il loro futuro avrebbe incluso tra circa sette
mesi.
Spiazzato da quella affermazione, Asuma le gettò uno
sguardo interrogativo; era convinto che si fossero già detti tutto la
settimana prima, ma forse, così come lui aveva omesso il desiderio che
nell’ultimo periodo aveva esacerbato la sua insicurezza, anche Kurenai
celava ancora qualcosa. Valutò la situazione per qualche istante,
giungendo alla conclusione che se si fosse dato una mossa, accantonando
quel pizzico di nervosismo che lo avvolgeva, con alta probabilità anche
per lei sarebbe stato più semplice parlargli.
“Avrei dovuto dirtelo da un pezzo, in realtà, ma mi
sono lasciata prendere dai dubbi.” Proseguì la donna dopo una breve
pausa, tornando a guardarlo negli occhi, ma prima che potesse
aggiungere altro il compagno l’interruppe.
“Forse, proprio per questo, dovrei parlare prima io.” Disse con tono serio ma tranquillo.
Kurenai lo scrutò confusa, senza riuscire ad attribuire
un significato preciso a quelle parole, poi lo vide spegnere la
sigaretta, premendo quello che era quasi un mozzicone sul muretto, e
gettarla nel cestino dietro di lui. Quando i loro sguardi si
incrociarono di nuovo, rimase in silenzio, in attesa. Stranamente, in
quell’istate le sembrava che nella sua mente ci fosse solo il vuoto, un
vuoto in grado di far sparire l’eventualità che poco prima aveva
respinto, ma non di dissolverla per il suo cuore, che traduceva
l’indeterminatezza di quella frase in un battito più accelerato e una
sensazione di calore all’altezza del petto.
“Nell’ultimo periodo, chi ha perso tempo inutile credo
di essere stato solo io.” Affermò Asuma, mentre allungava una mano
verso di lei, accarezzandole una guancia e scostandole alcune ciocche
scure dal viso.
Non sapeva se si trattasse di un’impressione legata al
momento o un semplice dato di fatto, ma trovava che fosse più bella del
solito e, per un attimo, si soffermò ad ammirare il colore insolito dei
suoi occhi.
“Ho finito per rendere tutto più difficile e mi
dispiace, ma voglio metterci un punto.” Continuò dopo un po’, senza che
gli sfuggissero la perplessità e l’agitazione ben leggibili sul volto
della donna.
Lasciò scivolare la mano sulla sua spalla, mentre
infilava l’altra nella tasca della giacca per recuperare la scatolina
che vi aveva nascosto la sera prima. Per quanto avesse immaginato più
volte come si sarebbe comportato in quel preciso istante, provava un
terribile imbarazzo; ingoiò un grumo di tensione e strinse il
contenitore tra le dita prima di tirarlo fuori definitivamente.
“Certe situazioni non fanno proprio per me, mi mettono
a disagio, però… so anche che voglio trascorrere il mio futuro con te.”
Disse mostrandole l’anello con un lieve rossore sul viso.
Alla vista di quel piccolo simbolo, Kurenai ebbe la
sensazione che qualcosa sparisse all’improvviso; la preoccupazione,
l’angoscia, il tormento delle continue riflessioni, tutto ciò che aveva
già deciso di lasciarsi alle spalle sembrò essere ancora più lontano di
pochi minuti prima.
“Asuma…” Biascicò, con nella voce un misto di stupore e felicità.
Forse, nonostante tutto, ogni tanto la vita poteva
anche esaudire qualche desiderio, pensò tra sé e sé, poi fece scivolare
un braccio intorno al collo dell’uomo e lo baciò con foga stringendosi
contro il suo petto. Quando dopo un po’ si allontanarono, si
scambiarono uno sguardo che valse per entrambi più di mille parole.
“Devo prenderlo come un sì?” Chiese Asuma piegando le
labbra in un’espressione serena, ormai sicuro della risposta che
avrebbe ricevuto.
“Direi di sì.” Replicò la donna con un sorriso,
finalmente più rilassata. “Ora, però, credo che sia il mio
turno.”
“Già, che dovevi dirmi?” Si informò l’altro scrutandola curioso, del tutto ignaro della notizia che lo attendeva.
“Ecco, diciamo che il tuo futuro non dovrai trascorrerlo solo con me, ma anche con qualcun altro.”
Sulle prime l’uomo non capì a che cosa quelle parole
alludessero, ma quando nella sua mente acquistarono un senso
compiuto, sgranò gli occhi per la sorpresa.
“Con qualcun altro intendi che… cioè tu… noi… “
Kurenai sorrise di fronte alla sua dolce confusione, abbracciandolo di nuovo.
“Sì, più o meno tra sette mesi saremo noi e un bambino.” Confermò.
In quell’istante, Asuma pensò che era solo felice, che
nonostante il carattere improvviso di quella scoperta, nonostante le
responsabilità che essere marito e padre avrebbe comportato, non
avrebbe voluto essere in nessun altro posto. Non tardò quindi a
baciarla, un altro bacio che li unì di nuovo in un silenzio ricco di
emozioni e speranze.
Sistemare la situazione con Kakashi, quell’obiettivo
era ben chiaro nella sua mente, ma metterlo in pratica le appariva
molto più complicato. Se solo avesse avuto a disposizione un buon
motivo di lavoro, avrebbe potuto iniziare senza troppo imbarazzo una
conversazione destinata a scivolare su questioni personali. La fortuna,
però, continuava a non essere dalla sua parte.
Ferma davanti all’ingresso del commissariato, Shizune
si lasciò andare ad un sospiro di auto incoraggiamento e ad una
scrollata di spalle, perfettamente consapevole che tergiversare non le
avrebbe garantito un atteggiamento disinvolto. Entrò quindi
nell’edificio e domandò ad un agente se l’ispettore fosse nel suo
ufficio, ottenendo una risposta affermativa. Quando giunse davanti alla
porta, trovò l’uomo intento ad esaminare il contenuto di una cartellina
rossa e soprattutto da solo, un dettaglio che le procurò un indubbio
sollievo; non dover escogitare un modo per parlargli senza nessuno
intorno toglieva un prima problema.
Con un pizzico di sicurezza in più, bussò per attirarne l’attenzione.
Lo sguardo che in risposta si posò su di lei passò da
un’iniziale inespressività ad una luce di comprensione; il poliziotto
mise da parte i documenti e si alzò.
“Scusami per il disturbo.” Esordì la dottoressa.
“Non preoccuparti, piuttosto immagino che tu sia qui per ieri sera.” Le disse lui conciso, arrivando dritto al punto.
Shizune annuì stirando le labbra in una mezza smorfia, poi si avvicinò a passo lento alla scrivania.
“Ecco, io… volevo chiarire che per me… ”
“No, prima che tu dica qualsiasi cosa, devo essere io a
chiederti scusa per quanto successo.” L’interruppe Kakashi serio. “Ho
finito per farti credere qualcosa che non può esserci.”
“Beh, suppongo che la colpa sia anche mia per aver forzato la situazione.” Replicò l’altra ormai ferma.
Nonostante il suo sguardo sfuggente, che imputò
all’imbarazzo della situazione, il poliziotto si tranquillizzò davanti
al tono calmo di mera costatazione; era infatti consapevole che era
stata lei a racchiudere le maggiori speranze nel loro appuntamento e
per quel motivo il ricordo della sua fuga concitata dalla macchina lo
aveva fatto preoccupare ogni volta che il suo pensiero era scivolato
verso il loro prossimo incontro.
“Nessuno mi ha costretto ad accettare, quindi non porti
il problema.” Disse con l’intento di sollevarla da ogni tipo di
responsabilità.
Shizune gli rivolse un debole sorriso condito da un
pizzico di rassegnazione; se proprio glielo concedeva, non le
dispiaceva ritenerlo l’unico colpevole per essere finita nelle grinfie
di Kabuto.
“Eh, già.” Sospirò, poi, notando negli occhi dell’uomo
la perplessità per la sua reazione, si affrettò a proseguire. “Ma
davvero, ormai non ha importanza, cioè, diciamo che la serata mi è
servita per capire determinate cose, per cui per quanto mi riguarda
possiamo metterci una pietra sopra. Ero venuta soprattutto per dirti
questo.”
Kakashi la scrutò a metà tra la curiosità e la
sorpresa; a quanto sembrava, non era l’unico ad aver ottenuto qualche
vantaggio dalla situazione spiacevole che si era venuta a creare, una
consapevolezza che contribuì a rassicurarlo ulteriormente.
“Inoltre, se anche per te va bene, non mi dispiacerebbe
avere almeno un rapporto di amicizia al di fuori del lavoro.” Propose
intanto l’altra, il disagio inziale ormai alle spalle, finendo così per
spiazzarlo una seconda volta.
“Beh, non mi sembra una cattiva idea.” Acconsentì lui
dopo qualche istante di silenzio, considerando in fin dei conti
quell’atteggiamento maturo.
“Eh, bene, allora in amicizia puoi levarmi una
curiosità.” Sorrise di nuovo Shizune, quella volta con malizia. “Chi
hai per la testa?”
La domanda inaspettata mise in difficoltà il
poliziotto, che imbarazzato non rispose subito e si portò una mano
dietro il capo scompigliando appena i già ribelli capelli argentati.
“È una storia lunga.” Disse poi nel tentativo di glissare la questione, con un’espressione di apparente indifferenza sul viso.
Sapeva di non poter negare dopo la figuraccia della
sera prima, ma non aveva nemmeno la grande voglia di parlarne,
tantomeno in ufficio.
Di fronte alla sua reazione la dottoressa provò un’innegabile soddisfazione, compiaciuta per l’affidabilità del proprio intuito.
“Beh, potremmo prenderci un caffè e parlarne con calma, se non sei impegnato.” Suggerì.
“Il tempo di un caffè credo di avercelo, ma magari parliamo d’altro.” Rispose l’ispettore accettando a metà l’invito.
Quel secondo tentativo di elusione spinse Shizune a
desistere per non risultare petulante; si limitò ad approvare il
compromesso rimandando il proposito di scoprire qualcosa ad un secondo
momento. Lasciarono così l’ufficio e raggiunsero il distributore
all’ingresso del commissariato, dove in attesa della bevanda calda
chiacchierarono del più e del meno attirando la curiosità di alcune
agenti.
“Hai visto? Forse allora è vero che sono usciti
insieme…” Sussurrò una ragazza bionda alla collega che camminava al suo
fianco, sollevando all’altezza del viso i documenti che portava con sé.
“Eh, probabile, evidentemente c’è chi può.” Sospirò l’altra tra l’invidia e la rassegnazione.
Sakura, appena giunta nell’atrio, incrociò le due
poliziotte finendo con l’intercettare il loro breve scambio di commenti
e nel volgere lo sguardo verso quella che era anche la sua meta non
ebbe difficoltà a intuire di chi parlassero, così come non l’ebbe il
suo stomaco che si contrasse all’improvviso. Vedere Kakashi conversare
con una certa confidenza era qualcosa di insolito che rendeva
realistica l’ipotesi formulata dalle colleghe e quel pensiero era stato
elaborato molto più velocemente dal suo fisico che dalla sua mente. Si
morse il labbro inferiore per ricacciare indietro quella sensazione,
rifiutandosi di approfondirla, di porsi inutili domande. Abbandonò
l’idea del caffè e decise di ritornare subito da
Naruto.
La riunione con il commissario non aveva avuto per
Shikamaru l’esito sperato; benché si fosse augurato che l’idea
azzardata di Ino venisse respinta, Tsunade aveva finito con
l’acconsentire, pur con la premessa di ricorrere alle giuste
precauzioni. Dal canto suo, avrebbe preferito qualsiasi altra opzione,
persino prolungare ancora la loro missione di copertura nella scuola,
piuttosto che mandare la collega nella tana del lupo. Poco gli
importava che andare a casa di Sai Shimura rientrasse perfettamente
nell’opera di avvicinamento e rendesse più semplice il controllo del
suo cellulare, la riteneva lo stesso una scelta poco prudente, senza
contare che alcuni elementi restavano per lui sospetti, dalla porta
dello spogliatoio socchiusa al ritratto presente nell’album dello
spacciatore. Aveva anche provato a sollevare tali obiezioni, ricevendo
però le risposte che temeva: quegli elementi erano solo deboli dettagli
e nel caso ci fossero stati problemi niente gli avrebbe impedito di
arrestare il ragazzo e forzarlo a collaborare. Era stato così costretto
ad accettare le decisioni del commissario senza poter aggiungere altro.
Se ci avesse provato, era sicuro che l’irritazione di Ino nei suoi
confronti sarebbe solo aumentata, perché avrebbe interpretato la sua
insistenza come un voler mettere ancora in dubbio le sue capacità.
Rafforzò la presa sul volante, scaricando con quel
gesto parte dello stress che provava; lottare contro la testardaggine
dell’amica era come sempre stancante e, in quel momento complicato per
il loro rapporto, lo era ancora di più. Continuò a fissare serio la
strada davanti a sé. Non vedeva l’ora di risolvere la fastidiosa
questione in sospeso che c’era tra di loro, così da spazzare via tutta
la tensione che rendeva più difficile comprendersi e tornare finalmente
ad essere il destinatario di un suo sorriso. La situazione creatasi
dopo la discussione nella sala professori era stata davvero dura da
sopportare e il solo pensiero che una Ino silenziosa e desiderosa di
stare lontano da lui potesse diventare la normalità gli chiudeva lo
stomaco con una morsa dolorosa.
Premette di più il piede sull’acceleratore, ansioso di
percorrere l’ultimo tratto di strada il più in fretta possibile. Non
ricordava di aver mai sentito un così forte bisogno di vederla come in
quegli istanti e, anche se incontrarla avrebbe significato affrontare
la sua difficoltà nel gestire questioni sentimentali, per la prima
volta quel problema gli appariva un ostacolo superabile.
Quando il palazzo dove vivevano apparve in lontananza,
provò non solo un innegabile senso di sollievo, ma anche un inizio di
agitazione, che lo spinse a intimare al proprio cuore di non fare
brutti scherzi prima ancora di arrivare nell’appartamento dell’amica.
Piuttosto di raggiungere la zona retrostante la palazzina, decise di
parcheggiare nel primo posto libero disponibile. Si fermò accostando al
marciapiede, scese dall’autovettura e la chiuse con un giro veloce di
chiavi, poi lanciò uno sguardo alla finestra illuminata del terzo
piano. Istintivamente, si chiese che cosa facesse Ino in quell’istante,
se magari pensasse a lui o se invece dormisse per non pensare oltre a
quella giornata, ma accantonò subito la domanda, conscio che l’avrebbe
scoperto a breve. Sospirò per imporsi di mantenere la calma e si
affrettò a raggiungere la sua meta finale.
Quando finalmente ebbe davanti a sé l’amica, assisté
alla reazione che aveva previsto: prima due occhi azzurri sgranati per
lo stupore, poi un’espressione seria e contrariata.
“Che ci fai qui?” Esordì lei con evidente disappunto.
Anche se non si aspettava di rincontrarlo prima
dell’indomani, non aveva alcuna voglia di innervosirsi ancora e
soprattutto di provare una nuova bruciante delusione.
“Se mi fai entrare, vorrei parlarti.”
“Non vedo che bisogno ci sia...”
“Il bisogno c’è. Posso entrare?” Insisté Shikamaru con tono fermo.
Ino lo scrutò incerta; non era ordinario per lui
replicare in modo drastico e giunse quasi a credere che fosse lì per
compiere un gesto decisivo per il loro rapporto. Nel giro di pochi
istanti, però, rigettò lontano quella possibilità a suo avviso
illusoria e ricondusse l’atteggiamento dell’uomo a motivi lavorati;
essendo anche lei una polizotta, sapeva bene che tensioni personali
potevano influire negativamente e che dissiparle era in ogni caso la
scelta migliore. Con rassegnazione si morse l’interno della guancia e
si spostò dal vano dalla porta, lasciandolo entrare.
“Comunque stavo preparando qualcosa per cenare. Andiamo
di là.” Disse atona, quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo,
poi, senza attendere nemmeno un piccolo cenno di assenso, lo superò e
si recò in cucina.
Sollevato per aver raggiunto quel primo traguardo,
Shikamaru la seguì più tranquillo di quanto avesse pensato pochi minuti
prima e, varcando la soglia di un’altra stanza di quella casa che
conosceva alla perfezione, immediatamente pensò che l’odore proveniente
dai fornelli era come al solito invitante. Se i suoi sensi non lo
ingannavano, una pentola bolliva a fuoco lento con al suo interno
carne, spaghetti e un po’ di cipolla, ingredienti in attesa di essere
raggiunti da qualche verdura. Vide, infatti, l’amica avvicinarsi ad un
tagliere e riprendere ad affettare qualcosa di non identificato. Si
sedette al suo posto abituale e rimase ad osservarla mentre eseguiva
quella semplice e veloce operazione, con i lungi capelli biondi
raccolti in una coda che ondeggiavano sulla schiena in corrispondenza
dei movimenti delle braccia. Sarebbe potuta sembrare una serata come
tante, se non fosse stato per il silenzio totale che li avvolgeva e il
ricordo di una lunga settimana di cene solitarie alle spalle. Il
desiderio pressante che tornasse tutto come prima lo indusse ad
riaprire per primo la conversazione.
“Riguardo a stamattina, non era mia intenzione
criticare la tua capacità di giudizio, volevo solo che fossi più
prudente.” Affermò, partendo dalla questione per lui relativamente più
semplice da affrontare.
Ino non rispose, ma sollevò il tagliere e con un
movimento secco della lama del coltello fece cadere i pezzi di verdura
nella pentola, un gesto che l’amico interpretò come un tacito segno di
stizza. Incapace di capire cosa avesse detto di irritante non aggiunse
altro, mentre la poliziotta pensava che aveva fatto bene a non tirare
conclusioni affrettate dalla sua visita.
“Tsunade-sama ha già detto che in ogni caso non ci
saranno problemi con le indagini, quindi è inutile parlarne ancora.”
Gli disse apparentemente tranquilla, le mani ormai appoggiate al piano
di marmo dopo aver rimesso giù gli utensili da cucina.
Di fronte al suo persistente atteggiamento di chiusura
Shikamaru sospirò di stanchezza, poi si alzò deciso a mettere in chiaro
una volta per tutte cosa lo preoccupasse davvero. Accortasi del suo
spostamento, l’altra si voltò e gli indirizzò uno sguardo serio, in
attesa di cosa avrebbe detto.
“Sì che è utile, invece, perché non è questo il punto.”
Replicò il collega mentre faceva qualche passo verso di lei. “Ciò che
mi interessa non sono le indagini, mi interessa piuttosto che non ti
succeda niente.”
A quelle parole Ino si trovò involontariamente ad
arrossire, sebbene non dovesse esserci nulla di strano nel sentirle
pronunciare da un amico d’infanzia, considerando poi i rischi del loro
mestiere. Non poté fare a meno di provare la stessa incertezza di
quando l’altro aveva insistito per entrare, ma di nuovo si rifiutò di
volare con la fantasia e cogliere nelle sue affermazioni sfumature
inesistenti. Shikamaru notò il rossore improvviso comparso sulle sue
guance e soprattutto il dubbio momentaneo nelle sue iridi azzurre,
rimanendo un po’ amareggiato quando al loro posto comparve
un’espressione disillusa, in netto contrasto con quanto avrebbe
desiderato.
“Già, almeno questo da te posso averlo.” Disse lei con
tono amaro dopo qualche istante di silenzio, a metà tra la delusione e
la consapevolezza di non poter pretendere l’impossibile, mentre le
attraversava la mente l’immagine del collega in compagnia della
professoressa di francese.
Il suo sguardo malinconico e sfuggente fu per
l’ispettore un pugno nello stomaco; in quell’istante una settimana di
indecisione non gli sembrò semplicemente lunga, ma un
abisso di tempo inaccettabile. Avanzò allora di un altro passo e
allungò una mano verso il suo viso in un gesto impacciato, ribadendo a
se stesso che non avrebbe mai più commesso l’errore di offuscare i suoi
lineamenti con l’ombra della tristezza. Quando Ino avvertì il tocco
inaspettato delle sue dita sulla pelle, sbarrò gli occhi per lo stupore
e tornò lentamente a guardarlo, incapace quella volta di essere
abbastanza razionale da incatenare in una visione pragmatica l’agitarsi
inconsulto del suo cuore.
“Non solo questo.” Sussurrò Shikamaru, poi si sforzò di
lasciarsi guidare semplicemente dal battito accelerato che gli
riscaldava il petto, così da soffocare l’imbarazzo che in simili
situazioni il troppo pensare gli causava.
Fece scivolare la mano che sfiorava la guancia
dell’amica dietro il suo capo, immergendola nei capelli morbidi, e le
cinse un fianco con l’altra, attirandola a sé in un bacio che entrambi
attendevano. Lo attendevano fin dall’uggiosa mattina in cui il filo del
loro rapporto si era teso col rischio di spezzarsi e, in quel momento
di stasi, giunse inevitabile ad avvolgerli una dolce sensazione di
liberazione. Superato un primo istante di confusione, Ino approfondì
con foga l’incontro dello loro lingue e lo abbracciò forte, salendo
piano con le mani lungo la sua schiena per poi fermarsi a stringere tra
le dita la maglia che indossava. Sentiva il bisogno pressante di
accertarsi che quel contatto imprevisto tra i lori corpi non fosse più
solo un sogno destino a rimanere tale. Dal canto suo, Shikamaru non si
tirò indietro; averla così vicino da percepire la morbida consistenza
delle sue forme e il suo profumo lo faceva sentire innegabilmente bene,
oltre ad essere più piacevole di quanto immaginasse. Si diede
dell’idiota per aver messo così tanto tempo a capire cosa provasse,
rischiando di perdere tutto.
Fu solo il brontolio più intenso della pentola e un
odore di bruciato che li indusse ad allontanarsi. Si fissarono negli
occhi per un breve ma intenso istante, mentre i loro respiri si
confondevano in un silenzio più significativo di mille parole, poi Ino
si girò con un pizzico di fastidio verso la responsabile
dell’interruzione e spense subito il gas. L’ispettore intuì senza
problemi le possibili implicazioni della sua azione e non gli
dispiacque affatto.
“Questa pentola ha un tempismo peggiore del tuo.” Lo punzecchiò la collega con un sospiro divertito, ancora volta di spalle.
Anche se la battuta ironica sottolineava il tempo
sprecato, il tono leggero con cui era stata pronunciata non aveva più
nessuna traccia dell’amarezza e dell’angoscia palpabili nella sua voce
poco prima che si baciassero. Tale costatazione rilassò Shikamaru
ancora di più, mentre si faceva strada nel suo animo quella piacevole
sensazione di normalità e naturalezza che nell’ultima settimana era
stata un ricordo lontano.
“Suppongo di sì.” Assentì, grattandosi leggermente il
capo, con lo sguardo fermo sul suo profilo, impaziente di rivedere il
suo viso finalmente sereno.
Dopo qualche istante Ino assecondò il suo desiderio; si
voltò di nuovo verso di lui e gli mostrò il sorriso che le increspava
le labbra sottili.
“Ma si può rimediare.” Disse maliziosa, riferendosi
tanto al ritardo del collega nell’arrivare ad una decisone quanto
all’intralcio causato dalla pentola.
Ricevuta così una conferma alla sua precedente
congettura, l’ispettore non si lasciò sfuggire quell’invito indiretto;
si appoggiò con le mani al piano della cucina, sfiorandole i fianchi
con le braccia, e azzerò per la seconda volta la distanza tra i loro
corpi con un nuovo bacio, augurandosi che non ci fosse nessun’altra
interruzione.
Dopo aver trascorso l’intero pomeriggio a tormentarsi
su quale fosse la scelta più giusta, Naruto era fermo davanti alla
porta dell’appartamento di Sasuke già da qualche minuto, alla ricerca
del modo più adatto per iniziare quella che sarebbe stata, non aveva
alcuna difficoltà a prevederlo, una impegnativa e tesa conversazione.
Sebbene anche Sakura gli avesse consigliato di dirgli quanto accaduto
all’Alba, sapeva infatti che era mille volte più complicato del normale
trattare con l’Uchiha quando l’argomento era suo fratello. Stanco di
pensare, tirò un sospiro profondo e bussò, consapevole che eseguire
qualcosa di prestabilito in situazioni spinose come quella non era
affatto il suo forte. Quando venne ad aprirgli, l’amico lo accolse con
un’espressione annoiata.
“Naruto… perché sei qui a quest’ora?” Chiese con tono scocciato.
“Uhm, perché? Non mi dirai che stavi già dormendo, vero?”
“No, non dormivo, però…”
“Ecco, allora non c’è problema se ti faccio un po’ di
compagnia.” Lo liquidò sbrigativo Naruto, entrando senza concedergli il
tempo di opporsi.
Sasuke represse il fastidio per la sua invadenza sotto
uno sbuffo di rassegnazione e richiuse la porta con la speranza di
liberarsene tutto al più nel giro di un’ora, poi lo seguì mentre
avanzava a passo sicuro nel suo appartamento, ostentando quella
disinvoltura che dimostrava i lunghi anni di amicizia che li univano.
“Non avresti una ragazza con cui passare la serata
piuttosto di venire a rompere me?” Gli domandò più come costatazione
che come lamentela.
“Uff, che palle, Sasuke! Non lo sai che l’ospitalità è sacra?” Borbottò l’altro in risposta.
L’ispettore Uchiha aggrottò le sopracciglia e lo scrutò
scettico; più che un ospite, in quel momento gli sembrava un invasore.
Le sue azioni successive non gli fecero cambiare idea. Lo vide,
infatti, addentrarsi in cucina e impossessarsi di stipi e fornelli,
blaterando qualcosa sull’utilità di un buon tè caldo nel periodo
invernale. Stufo di trovare una logica nel suo comportamento, Sasuke si
sedette e gli lasciò campo libero, in attesa che la sua irruenza si
placasse. Mentre recuperava tutto il necessario per preparare la
bevanda, Naruto non smise di parlare, rimproverandolo per aver mangiato
troppo tardi, come una padella ancora calda gli suggeriva, ed
elargendogli consigli su che tipo di tè comprare in futuro. In un
momenti diverso, l’Uchiha gli avrebbe volentieri fatto notare che gli
orari della sua cena così come i suoi acquisti non erano un suo
problema, ma per quella volta non disse nulla; preferiva che si
concentrasse su questioni futili piuttosto che tornasse a chiedergli
cosa lo tormentava negli ultimi giorni. Ciò che, invece, non comprese
subito fu che averlo lì a riempire con la sua voce il proprio
appartamento e ad allontanare le facili elucubrazioni notturne lo
alleggeriva dal peso invisibile ma perfettamente percepibile che da
lunghi anni gravava sul suo cuore. Se ne rese in parte conto solo
quando all’improvviso tornò il silenzio e con esso una sgradevole
sensazione di vuoto. Inarcò allora un sopracciglio posando uno sguardo
serio e perplesso sulla schiena dell’amico, intento ad osservare le due
tazze con le bustine di tè ormai in infusione. Attese qualche istante
prima di domandargli che diavolo avesse e ridestarlo da quell’insolito
mutismo. Naruto sospirò e chiuse i pugni per allontanare la tensione,
poi decise di arrivare dritto al punto.
“Credo di aver visto tuo fratello Itachi.” Lo informò conciso.
Di fonte alla notizia improvvisa Sasuke sgranò gli
occhi per lo stupore e aprì leggermente la bocca come per dire
qualcosa, ma le parole gli si fermarono in gola, intrappolate tra
l’incredulità e un principio di agitazione. Aveva trascorso tanti anni
nell’attesa di ascoltare una frase simile, oscillando tra speranza e
disillusione, e ora che quel momento era finalmente giunto aveva
difficoltà a crederlo vero. Strinse con forza la superficie lignea
sotto le proprie mani, sforzandosi di mantenere la calma.
“Dove l’avresti visto?” Disse con voce roca non appena ne fu in grado.
Pronto psicologicamente ad un seguito ben diverso da
quella reazione pacata, l’altro poliziotto si voltò verso di lui e lo
fissò dritto in volto.
“Stamattina alla discoteca Alba. Ci sono stato per
delle indagini e ad un certo punto il barista ha chiamato Itachi un
uomo dai lunghi capelli neri e con delle evidenti occhiaie. Tra la
lista dei dipendenti compariva con un cognome diverso, però ti
assomigliava davvero molto.” Gli spiegò, fornendo una descrizione che
per l’ispettore Uchiha equivalse ad una conferma.
“Una discoteca? Qui a Konoha?” Domandò quello alla
ricerca di un’ulteriore certezza dopo anni di lettere anonime, mentre
il battito del suo cuore accelerava sotto effetto
dell’adrenalina.
Quando ricevette un cenno di assenso dal collega,
incapace di rimanere seduto come se nulla fosse si alzò puntellandosi
sul tavolo.
“E dove si trova?!” Esclamò impaziente.
Naruto non rispose subito, ma aggrottò le sopracciglia scrutandolo serio.
“Sasuke, vedi di non fare qualche cazzata.” Disse poi
con tono grave, un tono così insolito per lui da intensificare il
fastidio dell’amico per la risposta già di per sé brusca.
“E che cazzo vuoi saperne tu di cosa devo fare?!”
Sbottò quello con rabbia, lanciandogli un’occhiata torva. “È
impossibile che tu possa capire qualcosa!”
Il poliziotto biondo tirò un sospiro di rassegnazione e
stanchezza; sin dall’inizio aveva previsto l’attacco affilato di quella
non nuova recriminazione e, per quanto ogni volta lo ferisse
l’impossibilità di comprendersi fin in fondo, era consapevole che
ribattere sarebbe servito solo a peggiorare la situazione. Evitò quindi
di appesantire la conversazione con altre questioni personali.
“Ti devo ricordare che stiamo indagando su un caso di
droga da più di due mesi?” Gli fece notare sia per impedire che si
mettesse nei guai sia per tutelare la fatica dell’ultimo periodo di
lavoro. “Se tuo fratello è ancora coinvolto con lo spaccio, questa
discoteca potrebbe anche essere legata con le nostre indagini e
un’azzardata azione individuale rischierebbe di mandare tutto all’aria.”
Costretto ad incassare il suo sensato ammonimento,
Sasuke abbassò lo sguardo e conficcò le unghie nei palmi delle mani;
finalmente vicino all’obiettivo che perseguiva dal giorno lontano della
morte di suo padre, il solo pensiero di dover ancora aspettare gli
procurava frustrazione.
“Capisco che sia difficile, ma cerca di aspettare
almeno un giorno. Per domani dovremmo riuscire a sapere se la droga che
tu e Kakashi avete recuperato è compatibile e se può provenire
dall’Alba. In tal caso i tuoi interessi e le indagini combacerebbero e
potresti arrestare Itachi senza problemi per nessuno.” Proseguì Naruto
nella speranza di calmarlo e farlo ragionare.
Immaginava cosa potesse provare in quegli istanti, non
molti giorni prima anche il suo passato si era confuso con il caso di
cui si stava occupando, ma come poliziotti avevano il dovere di
anteporre a loro stessi l’interesse generale. Il consenso seccato che
ricevette in risposta gli fece capire che il collega stava pensando la
stessa cosa.
Note dell'autrice
Devo nascondermi da eventuali pantofole volanti, mi sa, ci ho messo di nuovo cinque mesi e passa, chiedo venia u_u
Putroppo per il possimo capitolo
credo che sarà anche peggio, tra tirocinio e tesi perirò, quindi per
ora godetevi quanto accaduto in questo capitolo ^^' Finalmente
due dei tanti nodi si sono sciolti e per quanto riguarda Asuma e
Kurenai questa dovrebbe essere la loro ultima apparizione.
Non penso di dover dire altro,
tranne che Sakura è un problema vivente e che nella scena finale non
c'è traccia di narusasu (lo specifico, non si sa mai^^')
Un grazie ad un Urdi e slice per le
recensioni, alla beta che ha betato tutto in tempi veloci e a chi ha
aggiunto la storia in preferiti o seguite.
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Capitolo 11 *** Capitolo XI ***
CAPITOLO XI
Qualche timido raggio di sole invernale le illuminava i
capelli sciolti sulle spalle, creando un affascinante gioco di riflessi
dorati. Quella mattina Shikamaru sarebbe rimasto ad osservarla per ore
se avesse potuto. Le scostò alcune ciocche dal viso, accarezzando con
lo sguardo i lineamenti delicati immersi nell’incoscienza del sonno,
gli occhi chiusi e le labbra leggermente aperte in un’espressione
serena. La netta sensazione di aver perso tempo, causando sofferenze e
turbamenti inutili ad entrambi, lo colpì per l’ennesima volta, ma la
scacciò velocemente lasciando spazio ai ricordi vividi della notte
appena trascorsa.
Le sfiorò la guancia con le dita,
iniziando a percorrere con calma il suo profilo, l’incavo del collo, la
spalla e il braccio disteso lungo il fianco. Appena notò piccoli
segnali di risveglio si abbassò per darle un bacio a fior di labbra,
poi azzardò ad approfondirlo ottenendo la reazione sperata: il soffio
di un sorriso e l’incontro delle loro lingue. Sentì subito le mani
affusolate di Ino muoversi; immergersi prima nei suoi capelli, poi
scendere lente lungo la schiena per stringerlo in un abbraccio che
aveva un senso di liberazione e aspettativa. Non avevano bisogno di
parole per essere sicuri di condividere in quegli istanti la stessa
felicità. Si baciarono senza fretta, confondendo i loro respiri in uno
solo e scambiandosi brevi sguardi di intesa, mentre si dedicavano
carezze reciproche. Avrebbero volentieri trascurato gli impegni
giornalieri se solo non avessero avuto la consapevolezza della loro
importanza.
Con un sospiro a metà tra la
soddisfazione e la rassegnazione, Ino acconsentì all’interruzione di
quei piacevoli momenti, si lasciò avvolgere dalle braccia di lui e
reclinò il capo sul suo petto, sfiorandone con le dita la peluria
leggera e la pelle accaldata. Non ricordava più per quanto tempo avesse
desiderato di risvegliarsi così al suo fianco, stretta al suo corpo
nudo e con le sue mani tra i capelli. Di sicuro non avrebbe mai
immaginato che potesse avvenire in modo
movimentato.
“Non ti facevo così intraprendente
di primo mattino.” Sussurrò esternando in parte i suoi pensieri, una
nota di ironia nella voce e un sorriso canzonatorio sulle labbra.
“Neanch’io.” Rispose Shikamaru con sincerità, ignorando la frecciatina.
Sorpresa e incuriosita dalla sua replica, la poliziotta si sollevò su un gomito per guardarlo dritto negli occhi scuri.
“Quindi abbiamo scoperto qualcosa sul DNA Nara.” Affermò divertita.
Si protese poi a baciarlo di nuovo,
facendo scorrere lentamente una mano sui suoi pettorali fino a
toccargli il viso. L’ispettore strinse le dita di lei tra le sue,
prolungando il più possibile quel nuovo contatto, dopodiché le permise
di alzarsi anche se con un pizzico di disappunto. Per un attimo sperò
con tutto se stesso che la giornata di lavoro si concludesse in fretta
e pacificamente, così da potersi ritrovare di nuovo sdraiato in un
letto con lei senza alcun tipo di pensiero. Le parole di Ino gli
ricordarono però che quel giorno non si prospettava affatto
tranquillo.
“Ora conviene muoverci o arriviamo
in ritardo. E oggi non posso proprio, devo beccare Sai. Non vorrei che
si sia dimenticato che oggi pomeriggio ci dobbiamo incontrare.” Disse
Ino mentre si vestiva.
Shikamaru rimase a fissare i suoi
movimenti accompagnati dal lieve ondeggiare dei capelli, lottando
contro l’agitazione che l’aveva assalito con prepotenza. Credeva di
aver accettato l’idea di quella missione improvvisata, invece essa
riusciva ancora a preoccuparlo più di quanto immaginasse. Trasse un
sospiro, sforzandosi di razionalizzare e recuperare il controllo su se
stesso e sulla situazione. In quanto ispettore, aveva la possibilità di
organizzare nel modo più sicuro possibile l’incontro della collega con
lo studente ed era quello che avrebbe fatto, senza cedere a nessuna
protesta.
“Allora, hai intenzione di vestirti anche tu oppure no?” Chiese Ino girandosi all’improvviso verso di lui.
Shikamaru non rispose, ma al suo
silenzio faceva da contrappunto una rapida elaborazione mentale sulla
strategia più adatta per la riuscita della sua idea. Il corrugarsi
repentino delle sopracciglia di Ino e il suo sguardo indagatore puntato
addosso lo spinsero però a rimandare la sua pianificazione, restio a
sostenere una eventuale discussione proprio in quel momento. Emise un
mugugno di assenso e si decise finalmente ad alzarsi.
Il silenzio non gli si addiceva;
sentir pronunciare da Naruto solo qualche parola era talmente insolito
da apparire addirittura bizzarro. Se non ne avesse conosciuto le
ragioni, Sakura sarebbe potuta anche scoppiare a ridere; invece il
borbottio ancora incerto della caffettiera amplificava l’ansia che il
suo atteggiamento le trasmetteva. Quando era arrivato l’aveva salutata
con un lieve bacio sulle labbra, prima di esternare in un veloce e
frammentario resoconto i dubbi e i timori che gli aveva lasciato
l’incontro della sera prima con Sasuke. Si era poi seduto al tavolo
della cucina, accettando la proposta di un caffè caldo, ed era rimasto
lì a rimuginare, alcuni fogli tra le mani e un’espressione pensierosa
sul viso.
Col diffondersi dell’aroma intenso
della bevanda, Sakura tolse la caffettiera dal fornello e riempì due
tazzine, accompagnando quei gesti automatici con il desiderio di
tranquillizzarlo. Anche se si conoscevano poco, confidava nella
professionalità e nel buon senso dell’ispettore Uchiha. Nonostante le
questioni personali, era sicura che non avrebbe messo in pericolo se
stesso e tanti mesi d’indagini, così come ne era perfettamente
consapevole anche Naruto. Doveva solo trovare il modo per rinsaldare in
lui una simile certezza.
Lo raggiunse e appoggiò un vassoio
a pochi centimetri dal suo naso, distogliendolo senza alcun preavviso
dalle sue meditazioni e riservandogli un’occhiata velata di disappunto.
“Allora, hai finito di pensare?
Sono sicura che tra qualche altro istante potrebbe sbucare lo stesso
Sasuke a dirti che sei troppo silenzioso!” Esordì con tono di finto
rimprovero.
Il compagno la fissò sorpreso per
tutto il tempo necessario a metabolizzare il significato delle sue
parole, poi si scusò abbozzando un sorriso.
“Mi dispiace, stamattina non sono
di compagnia. Comunque sì, lo so, Sasuke ci penserà una volta in più
prima di commettere qualche cavolata. Tuttavia quando si tratta di suo
fratello diventa sempre tutto più difficile e non riesco a non
preoccuparmi.” Spiegò prima di accantonare i fogli che stava esaminando.
“Anche se non conosco tutta la
situazione, posso capire perché tu sia preoccupato.” Replicò la giovane
donna dopo qualche istante, recuperando la sua tazzina. “Però se ti ha
dato la sua parola, credo che dovresti fidarti di lui.”
“Uhm, Sasuke non dà parole, ma
soltanto mugugni di assenso.” Commentò l’ispettore con aria distratta,
lo sguardo perso nel liquido scuro.
Bevve in due sorsi veloci il caffè e tornò ad incrociare lo sguardo della collega.
“In ogni caso lo terrò a bada nei prossimi giorni.” Disse con voce sicura e un’espressione incoraggiante.
Sakura si chiese come diavolo fosse
riuscito a ribaltare la situazione; sembrava essere lei e non lui ad
aver bisogno di qualche rassicurazione. Si lasciò andare a un sospiro
interiore, un misto di sollievo e rassegnazione, poi, finalmente più
serena, si concentrò sui suoi ragionamenti.
“Con molta probabilità Tsunade
riceverà già oggi i risultati delle analisi della scientifica e, se
l’esito è quello che speriamo, sono pronto a scommettere che è proprio
l’Alba la discoteca da cui proviene la droga. Se sarà così, non potrò
nascondere la questione di Itachi.” Spiegò Naruto con perfetta calma.
“Credi che sia davvero il caso di
informare il commissario? Potrebbe decidere anche di escluderlo dalle
indagini per il suo coinvolgimento.” Obiettò la collega.
“No, non lo farà, Sasuke è pur
sempre uno dei migliori poliziotti del commissariato, oltre al fatto
che ha condotto le indagini fin dall’inizio. Quello che è sicuro è che
eviterà di affidargli compiti individuali ed è meglio così per lui e
per le nostre indagini.”
“Forse hai ragione. Comunque,
secondo te, l’Alba può essere davvero uno dei poli dello spaccio? Sulla
lista dei dipendenti non c’era nessuno che avesse dei precedenti
penali. Certo, il cognome del fratello di Sasuke era diverso, però
considerando i suoi precedenti potrebbe essere solo il suo
caso.”
L’ispettore rimase per qualche
istante in silenzio, come intento a raccogliere i diversi pensieri che
gli attraversavano la mente, poi riprese i fogli abbandonati e glieli
passò.
“Potrebbe essere solo il suo caso,
ma anche quello di parte dei dipendenti. Dato che non riuscivo a
dormire, ieri notte ho provato a fare qualche ricerca in più e in breve
per alcuni non sono riuscito a trovare nemmeno un’informazione
personale. È come se non esistessero. Mi viene da pensare che siano
identità false.“
Sakura lo ascoltò con attenzione,
mentre leggeva il contenuto delle pagine che aveva tra le mani. C’erano
alcuni nomi cerchiati in rosso e delle annotazioni, tra cui le balzò
subito agli occhi quella relativa all’uomo con cui avevano parlato
all’Alba.
“Non ci avevo affatto pensato. In
effetti Ino disse che il ragazzo che spaccia all’interno della scuola
aveva accennato ad un certo Sasori. Ma quante probabilità ci sono che
siano la stessa persona?”
“Forse poche, però se ricordo bene
la foto dello studente hanno lo stesso colore di capelli. Probabilmente
è un dettaglio, ma se avessero qualche legame di parentela che
spiegherebbe anche il coinvolgimento del ragazzo nello spaccio?”
Ipotizzò l’altro.
“Potrebbe anche essere. Dopo mando
un messaggio a Ino e vediamo se oggi riesce a scoprire qualcosa che
possa confermare questa ipotesi.” Affermò la poliziotta, per poi
sollevare un altro dubbio. “Per quanto riguarda le identità false,
invece, se così fosse, come ti spieghi che nessuno abbia mai scoperto
nulla? Cioè le discoteche sono pur sempre dei luoghi che vengono
controllati spesso, tanto più per questioni di droga. Possibile che
l’Alba abbia superato indenne ogni controllo?”
“Ci ho pensato anch’io, in realtà,
e non so se sono giunto ad una spiegazione plausibile. Però tempo fa
Sasuke mi disse che nella storia di spaccio in cui era coinvolto il
fratello c’era di mezzo la criminalità organizzata.” Rispose Naruto con
sguardo improvvisamente più serio.
Nel sentir pronunciare le ultime
parole la giovane donna avvertì una corda del suo animo tremare con
forza, procurandole un dolore sordo, ben noto ma come ogni volta
inatteso. Strinse d’istinto i pugni, mentre ricordi e pensieri si
intrecciavano confusamente nella sua mente. Non aveva affatto bisogno
che il compagno completasse il ragionamento; conosceva in prima persona
di cosa fosse in grado la malavita e che potesse riuscire a nascondere
i suoi sporchi affari era così ovvio da risultare odioso. Ingoiò un
moto di rabbia, incapace di parlare. Si accorse di aver abbassato il
viso solo quando sentì la mano di Naruto, calda e protettiva, posarsi
sulla sua e stringerle le dita.
“Anche se c’entrasse in qualche
modo la criminalità organizzata, questa volta non riuscirà a passarla
liscia.” Asserì deciso, una viva luce di determinazione negli occhi. “E
dato che abbiamo parlato anche troppo delle indagini, ora direi che
potremmo scendere al bar a mangiare qualcosa.”
Proseguì alzandosi e rivolgendole un ampio sorriso.
Sakura sorrise di rimando, la
tristezza e la tensione attenuate dalla sensibilità e dalla bontà della
persona che aveva davanti. Lo ringraziò mentalmente e si alzò a sua
volta accettando la sua proposta.
Nel bar di fronte al commissariato
regnava una piacevole quiete. Superate ormai le primissime ore della
mattina, con il loro consueto affollarsi di studenti e impiegati, erano
poche le persone che entravano per prendere un caffè o qualcosa da
mangiare, chiacchierando magari con un amico. Chiusa nel suo ufficio
tra rapporti e riunioni o in giro per le strade di Konoha ad indagare,
per Tsunade era raro potersi rilassare; ma in quei minuti di attesa,
scanditi da quel lento e irregolare flusso di clienti, vi stava quasi
riuscendo, se non fosse stato per un pensiero che era diventato in
breve tempo un estenuante tarlo fisso. Sapeva di non poter più
tergiversare, di dover dare una risposta chiara a Jiraya, solo che
trovarne una soddisfacente sembrava un’impresa impossibile. Ricordava
in modo vivido la rassegnazione venata di delusione che aveva
attraversato il suo sguardo, e il solo pensarci contribuiva ad
alimentare la rabbia verso se stessa. Odiava non capirsi, tanto più se
ciò implicava far soffrire qualcun altro. Non poteva negare di aver
provato piacere di fronte alla proposta di matrimonio, ma allo nello
stesso tempo un peso invisibile le opprimeva la bocca dello stomaco
ogni volta che la mente le riproponeva la fatidica domanda. Se solo
fosse riuscita a dargli un nome, avrebbe trovato il nodo della matassa.
Trasse un sospiro di stanchezza, appoggiandosi di più contro lo
schienale della sedia, la tazza di tè stretta tra le mani. Nell’ultimo
giorno, pressata dalle aspettative di Jiraya, aveva vagliato diverse
ipotesi, con più insistenza di quanto non avesse fatto nell’ultimo
periodo della loro relazione, abituata ormai alla routine quotidiana
della loro vita insieme. In un ennesimo tentativo di giungere ad una
conclusione, lasciò che quelle congetture sfilassero di nuovo davanti
ai suoi occhi, confondendosi ai fili di fumo emanati dalla bevanda
ancora calda. L’unico problema era che sembravano averne la stessa
inconsistenza. La paura che potesse cambiare qualcosa nel loro
rapporto, la difficoltà di conciliare il matrimonio con le rispettive
carriere, una inconscia incertezza dei propri sentimenti, queste e
altre possibilità a cui aveva pensato, continuavano ad apparirle
lontane dalla realtà del suo animo.
Sbuffò con forza, avvicinando la
tazza alle labbra, poi soffiò sul liquido ambrato e ne bevve un sorso
con calma. Davvero trovava inconcepibile l’esitazione che la bloccava.
Già una volta le era stato chiesto di sposarsi e non aveva avuto tante
difficoltà a prendere una decisione. Certo, allora era molto più
giovane, ma non per quel motivo meno consapevole dell’importanza e
delle implicazioni di un matrimonio. Inoltre, per quanto non le
piacesse operare confronti, non aveva amato Dan più di quanto non
amasse Jiraya. Incapace di trovare una differenza con il passato, si
perse a fissare i suoi lineamenti tremolanti nel tè, mentre spinta dal
groviglio dei suoi pensieri o da un sottile gioco dell’inconscio la sua
mente volava indietro nel tempo. A sostituire la sua immagine riflessa
e i piccoli suoni del bar sopraggiunsero il viso sorridente di Dan, il
tono pacato della sua voce, il momento in cui le aveva chiesto di
essere sua moglie. Sebbene fossero trascorsi tantissimi anni, ricordava
in modo nitido la felicità di quegli istanti; peccato però le fosse
impossibile riviverla a pieno. Rafforzò la presa intorno alla tazza,
mordendosi il labbro inferiore. Il tempo guarirà tutte le ferite, le
avevano detto, eppure non era un’illusione il dolore silenzioso che
ancora provava; la morte di Dan in una delicata operazione di polizia
sarebbe rimasta per sempre una cicatrice indelebile del suo cuore. Per
non cedere alla tristezza si sforzò di interrompere quel flusso di
sensazioni, chiudendo gli occhi e continuando a sorseggiare il suo tè.
Lasciarsi travolgere dal passato quando doveva decidere del suo futuro
era solo controproducente. Fu la voce profonda di Jiraya che la strappò
una volta per tutte alle sue meditazioni.
“Io lo lascerei raffreddare, una
scottatura sulla lingua potrebbe causare qualche problema tecnico.“
Esordì l’uomo accomodandosi di fronte a lei.
In condizioni normali, Tsunade gli
avrebbe scoccato un’occhiataccia, ma in quel momento la sua battuta
maliziosa le comunicò un improvviso senso di leggerezza. Un sorriso
accennato comparve sulle sue labbra, nascosto da un “idiota”
borbottato.
“Piuttosto di dire cavolate faresti
meglio a parlare di lavoro.” Replicò riappoggiando la tazza sul
tavolino del bar, mentre ancora una volta lo ringraziava mentalmente di
non farle pesare la sua indecisione.
“Già, prima il dovere e poi il
piacere, come si suol dire.” Affermò il nuovo arrivato con finta
sottomissione, poi fece scorrere verso di lei una cartellina scura.
La donna la scrutò per un secondo,
conscia che il contenuto avrebbe potuto rappresentare la svolta di
lunghi mesi di lavoro, dopodiché allungò la mano per afferrarla e la
aprì senza perdere ulteriore tempo. Il suo sguardò si posò subito sugli
ideogrammi che le annunciavano il risultato delle analisi; rilesse
quelle parole più di una volta per essere sicura di non sbagliarsi, ma
l’esito era e restava positivo. Tirò un sospiro di soddisfazione e
richiuse con un gesto rapido il documento; finalmente avevano un
elemento che avrebbe aumentato le loro possibilità di successo, una
volta incrociato con gli altri tasselli del puzzle.
“Ora dovresti ringraziarmi per averti portato buone notizie.” Disse Jiraya intromettendosi ancora una volta nei suoi pensieri.
Tsunade incrociò il suo sguardo,
sollevando un angolo della bocca in una smorfia a metà tra il
divertimento e la
rassegnazione.
“Lo farò non appena avrai davvero buone notizie. Questo è solo un primo passo, alla fin dei conti.” Ribatté.
“Uhm, a tempo debito ti toccherà
farlo come si deve allora.” L’avvisò l’uomo, per poi concentrarsi
definitivamente sulle questioni lavorative. “Comunque mi sembra che sia
ben più di un primo passo, no?”
“È un inizio, poi dobbiamo scoprire
con sicurezza il locale da dove proviene la droga, facendo qualche
supplemento di indagine, e capire se tutto ciò può davvero condurci più
facilmente alla fine delle indagini.” Spiegò il commissario con tono
calmo, incrociando le dita sul tavolo, come era suo solito nei momenti
di concentrazione.
“Ho capito, avete ancora un bel po’
di lavoro da fare, tuttavia se tutto procede per il verso giusto avrete
la possibilità di ottenere buoni risultati per Konoha, con buona pace
del sindaco.” Commentò Jiraya nel tentativo di incoraggiarla.
Tsunade gli rivolse un mezzo
sorriso di ringraziamento, ma nello stesso tempo non poté trattenersi
dall’indugiare sul pensiero improvviso che era sopraggiunto a turbare i
suoi progetti per il futuro delle indagini.
“Già, mi chiedo però se abbiamo
tutti i mezzi a disposizione per una eventuale retata. Sarebbe seccante
dover chiedere aiuto dopo tutto la fatica che abbiamo fatto, ma d’altra
parte potremmo non avere altra scelta, soprattutto se ci toccasse
sovrapporre le operazioni.”
“Sovrapporre?” Domandò l’uomo
aggrottando le sopracciglia. “Ok, credo di essermi perso qualche
passaggio, comunque nel caso servisse davvero una mano in più ricordati
della scientifica. Ogni tanto un po’ di lavoro attivo non ci dispiace.”
Continuò, con una nota di orgoglio nella voce e un’espressione
compiaciuta sul viso, che disorientarono la poliziotta.
Di fronte a quella proposta la
donna rimase infatti in silenzio, colta da un improvviso senso di
vuoto. Incapace sulle prime di coglierne la ragione, strinse le dita in
un gesto istintivo, come a proteggersi dalla voragine ignota su cui si
sentiva da un istante all’altro in bilico. Si rese conto di aver
trattenuto il respiro solo quando Jiraya la chiamò per nome e le
domandò se ci fosse qualche problema. Per non farlo preoccupare mormorò
qualche parola di diniego, mentre cercava di ricomporsi da quell’attimo
di confusione. Benché poco convinto il compagno annuì lasciando cadere
la questione, deciso però ad approfondire in un secondo momento.
“Ok, io allora torno a lavoro. Se
ti serve altro per le indagini, fammi sapere. E fai raffreddare quel tè
prima di finire di berlo.” Disse facendole l’occhiolino, poi si alzò,
la salutò con un breve cenno della mano e lasciò il locale.
Tsunade lo guardò andar via
pensierosa, chiedendosi cosa di preciso nelle parole o
nell’atteggiamento di Jiraya avesse scatenato la sua reazione. Che
fosse stata la tranquillità e la sicurezza nel farle una proposta così
delicata? Ma in fondo poteva considerare delicato qualcosa che faceva
semplicemente parte del loro lavoro? Il rischio era certamente insito
nella loro vita da poliziotti, ma a volte trovava difficile pensarci
senza avvertire un groppo in gola. Deglutì provando invano a
liberarsene, mentre il ricordo di Dan giungeva di nuovo come un fulmine
a ciel sereno; e quando nella nebbia della memoria il suo corpo inerte
in un letto d’ospedale assunse le sembianze dell’uomo seduto di fronte
a lei fino a pochi istanti prima, le sembrò che il mondo le crollasse
addosso. Serrò gli occhi e strinse i pugni per soffocare la paura. Dopo
lunghe e inconcludenti riflessioni aveva trovato senza volerlo ciò che
cercava; ogni tassello era tornato al proprio posto dando un senso
compiuto a domande, dubbi ed incertezze. Tornò a fissare la sua tazza
di tè con sguardo distante. La risposta era semplice, ma di una
semplicità paralizzante, tanto che la sua parte razionale si era
impegnata ad evitarla a lungo. Il timore di perderlo proprio in
coincidenza del matrimonio come era successo con Dan era così forte che
l’aveva seppellito nel profondo del suo cuore pur di non doverlo
affrontare. Sospirò sentendosi incredibilmente stupida; non poteva
negare né a Jiraya né a se stessa una tappa importante del loro
rapporto per qualcosa che in fondo poteva succedere in ogni momento.
Giunta finalmente ad una conclusione, provò un profondo senso di
sollievo e riuscì a dedicarsi una volta per tutte alla bevanda che
aveva ordinato, conscia di doversi chiarire con il compagno appena
possibile.
Appena era arrivato in commissariato, Sasuke si era rifugiato nell’archivio alla ricerca di solitudine.
Dopo la notizia ricevuta da Naruto
sentiva il bisogno di stare da solo per pensare e contenere il
subbuglio di sentimenti che l’accompagnava dalla sera prima.
Finalmente, dopo lunghi anni, le
lettere anonime che l’informavano della presenza di Itachi a Konoha si
erano rivelate veritiere. Nell’ultimo periodo aveva iniziato a dubitare
della loro fondatezza, ma nell’istante preciso in cui l’amico gli aveva
comunicato di aver visto suo fratello ogni perplessità era sparita del
nulla. Poco importavano la stranezza di quelle lettere o i vani
tentativi di trovare un riscontro nei rapporti di vecchi casi di droga
e nelle conoscenze di diversi informatori; ciò che contava era solo la
certezza di avere quasi raggiunto l’obiettivo da cui era nata la scelta
di diventare un poliziotto: presto avrebbe arrestato l’uomo che gli
aveva stravolto la vita.
Nella notte appena trascorsa si era
sforzato di reprimere il desiderio di precipitarsi subito a cercarlo,
sostituendo a fatica la frustrazione e la rabbia per non poter agire
con un miscuglio di trepidazione ed esaltazione. Voleva guardarlo
dritto negli occhi, rinfacciargli tutta la delusione e la sofferenza
che ancora stringevano il suo cuore in una morsa e chiudergli le
manette intorno ai polsi. Desiderava giustizia per la morte di suo
padre e il dolore silenzioso di sua madre, ripulire il nome della sua
famiglia e porre fine ad un capitolo del suo
passato.
Con Itachi in galera avrebbe poi
potuto guardare avanti, anche se in quel momento il futuro gli appariva
ancora incerto. Non sapeva come si sarebbe sentito dopo la fine di quel
lungo inseguimento, né tanto meno cosa avrebbe fatto. Qualche volta
l’aveva sfiorato l’idea di riprendere in gestione l’azienda di suo
padre, ma la consapevolezza di aver iniziato ad amare la vita in
polizia aveva reso tale ipotesi sempre più sporadica.
Prima di cedere a riflessioni
premature, accantonò quegli interrogativi e si concentrò su quanto
sarebbe accaduto nelle ore e nei giorni successivi. Se le analisi della
scientifica e l’interrogatorio di Kiba Inuzuka avessero confermato le
loro aspettative, nessun altro ostacolo si sarebbe più frapposto tra
lui e Itachi. Sebbene lo seccasse profondamente, sarebbe stato
costretto ad informare il commissario e i colleghi delle vicende della
sua famiglia, ma era sicuro che ciò non gli avrebbe impedito di
partecipare attivamente alle indagini. Era un suo diritto, così come
era lui il primo ad avere tutto l’interesse a non compromettere la
buona riuscita del loro lavoro. Qualunque cosa pensasse Naruto, era
perfettamente in grado di controllare le sue azioni, nonostante la
tempesta che gli si scatenava dentro al solo pensiero di trovarsi
davanti suo fratello.
Trasse un profondo sospiro,
raccogliendo tutta la calma di cui disponeva per cominciare a lavorare.
Si alzò dalla scrivania abitualmente occupata da Izo-san e si recò nel
suo ufficio, dove incontrò Kakashi seduto a sfogliare alcuni documenti.
L’uomo si accorse quasi subito della sua presenza, alzò lo sguardo e lo
salutò.
“Ben arrivato, ti stavo aspettando.” Disse serio.
Sasuke inarcò le sopracciglia in
un’espressione interrogativa prima che una luce di comprensione
balenasse nei suoi occhi: era la notizia che attendeva ed era arrivata
così velocemente da coglierlo alla sprovvista. Un brivido di esultanza
corse lungo la sua schiena, ma si impegnò a celarlo sotto un’apparente
tranquillità.
“Mi ha chiamato Tsunade-sama pochi
minuti fa. Sono arrivate le analisi sulla droga e a quanto pare le due
dosi che abbiamo trovato sono compatibili.” Lo informò il collega,
indicando con un rapido cenno i fogli che stava leggendo. “Ho
recuperato anche una copia del rapporto della stradale. Conoscere qualche dettaglio sulla dinamica dell’incidente potrebbe esserci utile se sarà necessario mettere sotto pressione Kiba Inuzuka, dopotutto dovrà confermarci aspetti non esattamente piacevoli.”
“E i risultati dell’autopsia sul ragazzo morto?” Chiese l’ispettore Uchiha con tono inespressivo.
“Shizune ancora non li ha portati,
ma mi ha detto che lo avrebbe fatto in mattinata. In ogni caso credo
sia difficile che il ragazzo non fosse sotto effetti di stupefacenti.”
Rispose Kakashi.
“Forse, ma meglio avere un
riscontro prima dell’interrogatorio. Chiama la dottoressa e dille di
comunicarci i risultati il prima possibile. Io cerco di contattare
l’Inuzuka per farlo venire oggi pomeriggio.” Affermò Sasuke in modo
asciutto, poi uscì dall’ufficio.
Sebbene l’Uchiha avesse sempre dei
modi molto perentori e sbrigativi, il collega rimase ugualmente a
fissarlo perplesso. Non si sarebbe aspettato un atteggiamento così
freddo e una sparizione così improvvisa. Ebbe l’impressione che dovesse
esserci qualcosa che lo turbasse, ma conscio di poter fare ben poco
tornò a esaminare il rapporto di Tenzo.
Note dell'autrice
Dovrei nascondermi per sfuggire ai pomodori, me ne rendo conto uu
Chiedo immensamente scusa per
questo enorme ritarado (tre anni... se solo ci penso mi ansio da sola),
ma tra fine università, un po' di lavoro in altri lidi, studio matto e
disperato e il magnifico tfa (se non sapete cosa sia, vuol dire che
siete ancora sani mentalmente) non sono più ruscita a concentrarmi su
questa storia. Cercherò di rimediare comunque, evitando altri ritardi
di questo tipo.
Accantonate le scuse, parliamo del
capitolo. C'è qualche scoperta e qualche informazione in più, ma
fondamentalmente è un capitolo di transizione. Nei prossimi in compenso
succederà di tutto, dato che da qui inizia la parte conclusiva della
storia.
Spero che il capitolo non vi abbia proprio annoiato e che il prossimo non arrivi in tempi biblici.
Un grazie a storyteller lover per il betaggio sempre veloce e a chi continuerà a seguire la storia.
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Capitolo 12 *** Capitolo XII ***
Capitolo 12
Nel primo pomeriggio, Kiba Inuzuka varcò la
soglia del commissariato, con un braccio fasciato stretto contro il torace e lo
sguardo che vagava incerto tra gli uomini in divisa.
Cercava qualcuno che gli indicasse a chi
rivolgersi, con un macigno sullo stomaco che probabilmente non l'avrebbe
abbandonato per tutto l'interrogatorio; Kakashi poteva intuirlo dai movimenti
esitanti, dall'espressione tesa e dal sospiro di stanchezza che si lasciò
sfuggire non appena un agente gli si avvicinò.
Aveva perso il conto di quante persone aveva
visto entrare in centrale con la voglia di andarsene immediatamente, sperando di
seppellire l'angoscia sotto il ritmo sempre uguale della quotidianità,
nonostante l'amara consapevolezza che il ritmo non poteva più essere lo stesso.
Aveva provato quelle sensazioni sulla
propria pelle anni addietro e non gli era difficile riconoscerle. Non capì cosa
esattamente l'avesse spinto a pensarci, ma si affrettò ad allontanare ogni
possibile ombra di turbamento, prima che il collega accompagnasse il giovane
direttamente da lui.
“Ispettore, il ragazzo è qui per un
interrogatorio”, lo informò con un piccolo cenno della mano diretto verso il nuovo arrivato.
“Grazie, Kuro-san, ci penso io. Per favore,
avvisa l'ispettore Uchiha di raggiungermi.”
L'interrogatorio rappresentava un momento di
svolta per le indagini e vi avrebbero assistito anche Naruto e Sakura, sebbene
da un'altra stanza, ma gli parve superfluo comunicarlo a Kiba Inuzuka. Si
limitò solo a presentarsi e a chiedergli di seguirlo, indossando l'espressione
più rassicurante possibile: riteneva controproducente aggiungere ulteriori
fattori di agitazione all'ansia già palpabile, a meno che la necessità di giungere
alla verità non lo rendesse inevitabile, qualcosa che avrebbe scoperto solo tra
qualche minuto.
Invitò il ragazzo ad accomodarsi, prima di
sedersi a sua volta davanti ai documenti che aveva in precedenza lasciato sul
tavolo: il rapporto della polizia stradale, ma soprattutto i risultati
dell'autopsia, supporti molto utili per creare pressione ma di cui sperava
vivamente di fare a meno.
“Il mio collega arriverà a breve, intanto
puoi iniziare a raccontarmi ciò che ricordi del sinistro” esordì, recuperando
per primo il foglio scritto da Tenzo.
Come al solito la penna dell'amico era
riconoscibile nella precisione e semplicità della descrizione, al punto che gli
sembrava quasi di vedere le fasi dell'incidente scorrere davanti agli occhi e
ciò non poteva che essere un vantaggio; sarebbe stato più semplice intuire
dalle risposte del ragazzo quale fosse il suo stato mentale durante l'accaduto,
se fosse lucido oppure ottenebrato dall'alcool o, peggio, dalla droga.
L'Inuzuka parve raccogliere le idee prima di
replicare, con le labbra strette in
una linea di concentrazione e una luce di amarezza nello sguardo.
Forse non aveva avuto il tempo o le forze di
pensare ad una spiegazione oppure semplicemente ricordare era l'ultima cosa che
avrebbe voluto.
“Non ricordo bene cosa sia successo...”
cominciò titubante, “avevo bevuto un po’ troppo, per questo avevo lasciato che
Shino guidasse.”
L'alcool dunque risultava essere stato il
primo responsabile dell'incidente, mettendo al volante la persona sbagliata,
pensò l'ispettore, mentre lanciava un'occhiata veloce ad alcune frasi del
rapporto. Si chiese però a quanto equivalesse quel “bere un po' troppo”; stava
per accertarsene quando Sasuke entrò nella stanza, con un'espressione anche fin
troppo seria dipinta sul volto.
“Scusa il ritardo, Kakashi, ma dovevo
sistemare una faccenda” gli disse prima di sedersi accanto a lui e presentarsi
all'Inuzuka.
In realtà non avrebbe avuto alcun bisogno di
scusarsi, ma quell'esordio sottintendeva un chiaro messaggio: Naruto e Sakura
erano nella stanza attigua, in ascolto, pronti anche loro a carpire qualsiasi
informazione potesse risolvere le indagini a cui lavoravano ormai da mesi.
L'immagine di Sakura si affacciò nella sua
mente con prepotenza, forse sulla scia della decisione maturata recentemente,
ma per quanto piacevole la scacciò, relegandola nell'angolino delle questioni
in sospeso da affrontare il prima possibile.
“Quindi cosa ti è rimasto impresso della
dinamica dell'incidente?” riprese, concentrandosi sulla conduzione
dell'interrogatorio.
“È successo nei pressi di un incrocio, era
buio e forse Shino correva troppo...” replicò il giovane, scandendo con calma
le parole, ma esitando nel pronunciare il nome dell'amico.
Ingoiò un grumo d'ansia prima di proseguire.
“Non ho visto arrivare il motorino, ho solo
sentito qualcosa schiantarsi contro la portiera e poi... niente, è successo
tutto troppo in fretta... Shino non è riuscito a frenare in tempo, credo...”
terminò abbassando lo sguardo, con i pugni stretti in un moto di irritazione.
Kakashi riusciva a leggere sui lineamenti
dell'Inuzuka l'oppressione del senso di colpa, uno stato d'animo per lui anche
fin troppo familiare.
L'alcool in circolo nel suo corpo non gli
aveva permesso di notare il sopraggiungere di un veicolo con diritto di
precedenza e l'imminente pericolo dovuto alla noncuranza del conducente; che
l'esito fosse stato la morte di un caro amico rendeva sicuramente l'errore
insostenibile e imperdonabile.
Era quello il momento più opportuno per
insinuare che la poca chiarezza dei ricordi e l’incidente dipendessero anche
dall'assunzione di stupefacenti: l'instabilità emotiva del testimone avrebbe
reso più facile ottenere una risposta veritiera.
Prima che riuscisse a dire qualcosa Sasuke
intervenne, sfruttando in modo immediato l'occasione presentatasi.
“Non ti sei reso conto che il tuo amico era sotto
l’effetto della droga?” chiese in tono asciutto, con una domanda così diretta
che spiazzò non solo l'interrogato ma anche il collega.
Era forse la più semplice e ovvia da porre,
eppure ascoltarla fu per Kakashi come un sasso scagliato nelle acque placide di
un lago, capace di turbarne la superficie piatta, smuovendo nel contempo i
detriti del fondale. E scrutare in lontananza i detriti del suo passato, celati
sotto l'apparente tranquillità del presente, era sempre un affacciarsi sul vuoto.
“Oppure per voi era qualcosa di così
naturale da non essere un problema?” sentì l'Uchiha proseguire, col chiaro
intento di strappare un'ammissione di colpevolezza.
Sul volto di Kiba Inuzuka comparve però il
più genuino stupore e a quel punto gli sembrò persino di tuffarvisi, nel vuoto.
Rimase in silenzio, impassibile, tentando di
conservare un saldo controllo sulle proprie emozioni, mentre il collega poneva sotto
lo sguardo perplesso del ragazzo una pagina dell'autopsia che illustrava, con
poche ma precise parole, lo stato fisico del defunto al momento
dell'incidente.
Non avrebbe saputo dire se il giovane stesse
leggendo davvero gli ideogrammi impressi sul foglio bianco, ma l'incredulità e
l'angoscia si confondevano in piena libertà nei suoi occhi scuri tanto che
insistere in quella direzione gli sembrò tutto ad un tratto inutile.
Sasuke non fu però
dello stesso avviso.
Come gli avevano insegnato alla scuola di
polizia, era stato attento anche alle più piccole reazioni dell’interrogato,
comprendendo sia come fosse all’oscuro
della causa profonda dell’incidente, sia quali fossero gli effetti della scoperta improvvisa; tuttavia, il dolore e il
rimpianto non gli sembravano nulla in confronto ad una vita spezzata.
Il crimine, come la legge, non ammette
ignoranza, pensò con ferma convinzione mentre l’irritazione si accendeva
silenziosa, alimentata dall’eco di ricordi lontani eppure sempre più vicini da
quando aveva scoperto la presenza di Itachi in città.
Non avrebbe mai tollerato la cecità o
l’ottusità in questioni di così vitale importanza; se qualcuno avesse alzato lo
sguardo dal proprio orticello, la morte di suo padre e lo sfascio della sua
famiglia sarebbero stati evitati.
“Come accidenti è possibile che non ti sei
mai accorto che si drogasse?” domandò, le sopracciglia aggrottate in
un'espressione quasi contrariata e il consueto tono atono intaccato da schegge
di sorpresa e di accusa. “Eravate amici e non hai mai avuto nemmeno un
sospetto?”
Prima che potesse razionalmente pensare
Kakashi lo interruppe, riprendendolo con voce roca.
“Sasuke.” disse secco, con lo sguardo inespressivo e i pugni
serrati sulle ginocchia.
Per un attimo, si sentì distante da tutto e
tutti, finché non percepì l’occhiata di disapprovazione scoccatagli
dall’Uchiha.
Sospirò interiormente, ignorando il collega
e richiamando a sé la calma perduta; rilassò le mani e lasciò scivolare le dita
sul tessuto morbido dei pantaloni.
“Non mi sembra sia quello che ci interessa”
aggiunse, spezzando il silenzio calato all’improvviso.
Al suo fianco, Sasuke storse le labbra in
una piega di nervosismo.
Non sopportava essere rimproverato, tanto
meno sul lavoro, ma l’incontestabilità dell’obiezione rivoltagli lo costrinse a
trattenere il caos che aveva dentro.
La sua ultima domanda conduceva
obiettivamente ad un punto morto, come dimostrava l’espressione sempre più
contrita del giovane.
Emise un respiro strascicato, reprimendo in
esso rabbia e irrequietezza.
Kakashi proseguì al suo posto
l’interrogatorio, affrettandosi a riportare la conversazione sul binario giusto.
“Dove siete andati quella sera?”
Con lo sguardo ancora basso, incollato alla
prova inconfutabile del suo errore, Kiba Inuzuka ingoiò la frustrazione che gli
impediva di parlare, troncandogli il respiro, poi cercò nella nebbia dei suoi
pensieri la risposta richiesta.
Era un'informazione banale eppure difficile
da recuperare, in quegli istanti in cui niente sembrava avere più una reale importanza.
"Eravamo in discoteca..." disse
flebile.
Si schiarì la gola e continuò.
"La discoteca Alba. "
Ancora stretto tra l'irritazione e il
disappunto, Sasuke sentì la notizia come si percepisce un brusio lontano, con
distratta indifferenza, finché la sua mente non realizzò il peso di quelle due
semplici parole e un fremito di soddisfazione lo smosse con un violento
scossone; in un attimo, tutti i sentimenti negativi si dissolsero in un senso
di appagamento, inaspettato quanto inebriante: nessun altro ostacolo si
frapponeva più tra lui e il suo obiettivo.
"Hai visto il tuo amico parlare con
qualcuno in particolare?" intervenne con una nota di aspettativa nella
voce.
Desiderava una conferma definitiva o
semplicemente maggiori dettagli, tracce di Itachi che potessero ravvivare le
foto di anni passati? Probabilmente entrambe le cose, ma evitò di chiederselo
fino in fondo; si limitò ad attendere una risposta.
Il ragazzo si sforzò di ricordare chi
potesse aver avvicinato l'amico per il tempo necessario allo scambio di una
dose di droga; tuttavia nessun momento di quella maledetta sera si fissava in
modo nitido nella sua mente.
In un moto di rabbia strinse i pugni, ma le
unghie che penetravano nella pelle
non scalfivano minimamente il dolore sordo che l'attanagliava.
Al suo ennesimo silenzio l'entusiasmo
dell'Uchiha subì una brusca battuta d'arresto, lasciando una scia amara di
delusione.
"Possibile che fossi già ubriaco
fradicio per capire qualcosa?" domandò infastidito.
Insofferente, l'Inuzuka lo guardò dritto
negli occhi.
"Perché non hai mai bevuto un bicchiere
di troppo, ispettore?!" sbottò, i lineamenti segnati da nervosismo e
stanchezza. "Non hai mai sbagliato?!"
"Di sicuro non ho mai lasciato crepare
un amico," replicò d’istinto Sasuke.
E lo stridio metallico di una sedia spostata
bruscamente vibrò nell'aria tesa della stanza.
In piedi, le mani strette introno al bordo
del tavolo, Kakashi rimase in silenzio per qualche istante, con la vivida
sensazione di aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
La sferzata di quelle parole era stata più
profonda di quanto credesse.
Trasse un sospirò e in tono asciutto informò
i presenti che avrebbero fatto una pausa, ben consapevole che per lui sarebbe
stata un po’ più lunga, poi se ne andò raggiungendo i colleghi nella stanzetta
attigua, dove avvisò Naruto che avrebbe proseguito l'interrogatorio al suo
posto.
Quanto tempo era passato da quando aveva
messo piede nella casa di un liceale? Cinque anni o forse di più? Ino non riusciva
a ricordarlo con precisione, ma ricordava con chiarezza il disordine che poteva
regnarvi: confezioni di cibo e vestiti sparsi qua e là, fogli e libri in posti
non ordinari.
Eppure lì, a casa di Sai, non trovava nulla
di tutto questo: ogni cosa era dove
doveva essere, forse anche troppo. L’aveva notato mentre le mostrava le varie
stanze e aveva provato una insolita sensazione; era come se in fondo qualcosa
fuori posto ci fosse davvero, ma non capiva di cosa si trattasse.
Sorseggiò un altro po’ del caffè che le
aveva offerto ed allontanò quei pensieri superflui, concentrandosi piuttosto sulla
strategia da attuare. Il ragazzo era andato a recuperare in camera l’album da
disegno e il resto dell’occorrente; ciò le lasciava margine di tempo per
riflettere. Doveva escogitare un espediente che le permettesse di controllare
il suo cellulare abbastanza a lungo da ricavarne le informazioni utili.
Ispezionò con lo sguardo il salone alla
ricerca dell’oggetto in questione, ma non lo vide. Doveva dunque averlo con sé
e se magari l’avesse lasciato in camera...
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto
dall’arrivo del liceale.
“Com’è il caffè?” le chiese, stringendo tra
le mani il consueto album, un astuccio scuro e nessun telefonino.
Doveva scoprire assolutamente dove diavolo
l’avesse messo, pensò con decisione.
“Non è male,” commentò sorridendo lievemente.“Ma
piuttosto, ora che hai tutto il necessario per il ritratto, non rischiamo di
essere interrotti, vero?” domandò, poggiando la tazza sul tavolino davanti a sé
e lasciando che una nota di malizia risuonasse nella sua voce.
“Oh, no, di sicuro mio zio ha ben altro a
cui pensare,” rispose Sai pragmatico, poi proseguì con un’espressione scaltra
sul viso, “ma in caso, il mio cellulare è in camera, lontano dalle nostre
orecchie.”
Ino gioì interiormente per la scoperta e si
alzò dal divano con un sorriso entusiasta, recuperando la sua borsa con un
rapido gesto.
“Quindi, se approfitto per rinfrescarmi e
sistemarmi un po’ prima del ritratto, non sprecherò certo tempo prezioso,” disse
guardandolo sorniona, poi lasciò il salone senza attendere nessun cenno
d’assenso, i lunghi capelli che ondeggiavano sulle spalle.
Si incamminò lungo il corridoio, seguendo il
percorso precedentemente mostratole, ma piuttosto di entrare nel bagno si
intrufolò nella stanza del ragazzo alla ricerca dell’oggetto desiderato, che
trovò su un comodino, accanto ad una lampada da notte.
Come risvegliata dalla tensione del momento,
la voce di Shikamaru la raggiunse attraverso la ricetrasmittente nascosta sotto
la camicetta.
“Ora che hai smesso di filtrare con un
liceale, dovresti recuperare gli ultimi messaggi,” esordì, strascicando le
parole come se fossero un peso sgradito.
Era stanco, preoccupato o infastidito? Si
chiese la poliziotta mentre afferrava il cellulare, conscia che avrebbe ricevuto
la sua risposta appena sarebbe tornata in macchina.
“È quello che sto facendo,” replicò, le dita
che scorrevano veloci sulla tastiera. “E se ci servisse ancora qualche
conferma, il maggior numero di messaggi sono stati scambiati con un certo
Sasori,” lo informò provando un pizzico di compiacimento personale.
Erano messaggi generici, quelli di due normali
amici che decidevano di incontrarsi, ma ritornavano spesso gli stessi elementi:
la palestra, un borsone, il suggerimento di qualcun altro. Uno stesso schema presente
anche nel messaggio più importante: quello sull’incontro per il lunedì
successivo.
“Dicono quello che serve?”
La domanda del compagno era sintetica, ma ne
racchiudeva molte altre.
“Sì, risalgo al numero e te lo mando” disse
in modo altrettanto conciso.
Recuperò il suo cellulare dalla borsa, copiò
il numero dello spacciatore dalla rubrica e lo inviò al collega con un
messaggio. L'operazione le impiegò pochi secondi, scanditi dal battito
accelerato del suo cuore. Era più tesa di quanto pensasse e la conferma
dell'invio le trasmise un senso immediato di liberazione. Trasse un sospiro di
sollievo e rimise ogni cosa al suo posto.
Ora non le restava che tornare in salotto e
riprendere la recita: scrutandosi nello specchio dell'armadio, si sciolse i
capelli, li sistemò dietro le spalle e si rinfrescò il trucco.
"Fatto!" esclamò soddisfatta.
"Fatto cosa?"
"Trucco e parrucco" rispose al poliziotto
in ascolto, tentando di immaginarne l'espressione non senza un certo
divertimento.
Un po' interdetto dalla situazione generale, Naruto
era rimasto a fissare Kakashi che si allontanava.
Senza dubbio Sasuke si era lasciato trascinare da
motivi privati, che lui purtroppo conosceva troppo bene, ma anche la reazione
del collega doveva celare qualcosa di altrettanto personale.
Per un attimo pensò di chiedere a Sakura, però
l'espressione perplessa sul suo viso lo spinse a desistere.
Scrollò le spalle nell’impotente constatazione
della svolta subita da quell'interrogatorio: a quanto sembrava, poteva rendere
più attivo il suo turno di lavoro.
Gettò un'occhiata verso Sasuke e lo vide ancora
seduto, con un'espressione assorta sul viso e i pugni stretti sul tavolo
davanti a sé.
Lo conosceva abbastanza bene da poter interpretare
il corso dei suoi pensieri.
L'impazienza, innescata dalla loro conversazione
della sera prima, era trapelata distintamente nelle sue domande e nei suoi
atteggiamenti, così come la frustrazione per la difficoltà di ottenere qualche
dettaglio in più.
L'unica cosa che voleva in quegli istanti era agire
il piú in fretta possibile: scalpitava dalla voglia di arrestare suo fratello e
di rinchiuderlo in una cella.
Si era sempre chiesto se sarebbe mai stato davvero
in grado di chiudere in quel modo anche i conti col passato; dopo tanti anni ed
energie spese a perseguire quell'obiettivo, temeva che voltare pagina non
sarebbe stato semplice.
L'aveva dopotutto sperimentato in prima persona:
aveva odiato così a lungo suo padre per ritrovarsi dopo la sua morte in preda
solo ad un'infinita amarezza.
Quando tutto sarebbe finito, sarebbe dovuto restare
accanto a Sasuke, anche se l'orgoglio e la testardaggine l’avessero spinto a rifiutare il suo aiuto,
affermando di non averne alcun bisogno.
Per il momento avrebbe iniziato col non fargli
perdere il controllo, se ci teneva davvero a partecipare alle indagini fino in
fondo.
"Sakura, io vado a parlargli prima di
riprendere. Abbiamo una copia in piú dell'identikit dell'assalitore della
ragazza? Potrebbe risultare utile fare qualche domanda... " disse,
esprimendo a parole la conclusione delle sue riflessioni, ma non ottenne alcuna
risposta.
"Sakura?" la richiamò con un tono piú
deciso ma sempre pacato.
Aveva lo sguardo assente, proiettato verso chissá
quali pensieri, e le labbra leggermente schiuse, come se qualcosa d'imprevisto
l'avesse turbata.
Al suo nome ripetuto per la seconda volta, si
ridestò sobbalzando appena.
"Cosa?" chiese disorientata.
"L'identikit del nostro caso. Potresti
recuperarne una copia e portarmela dopo? Se siamo fortunati, il ragazzo avrà visto
qualcosa e riuscirà a ricordare qualche dettaglio in piú sulla serata" le
spiegò con calma.
Doveva essere preoccupata per il comportamento di
Kakashi, ma preferì non soffermarsi sulla questione, perché non avrebbe saputo
cosa dirle nel poco tempo a disposizione. Due parole di circostanza non
sarebbero servite a molto.
Sakura si sforzò di scacciare gli interrogativi che
l'avevano assalita e si affrettò a rispondergli.
"Sì, scusa, vado a prenderne una e te la
porto," disse uscendo dalla stanza.
Naruto la guardò andare via, ripromettendosi di
parlarle piú tardi, poi raggiunse Sasuke.
Quella
notte Kakashi non era riuscito a prendere sonno. Si era rigirato nel letto
diverse volte, pungolato da un immotivato senso d'inquietudine che gli aveva
impedito di chiudere gli occhi e dimenticare l'esistenza del proprio corpo. Non
ricordava per quanto tempo si fosse mosso alla ricerca di una posizione più
comoda, condannando anche il cuscino ad una notte agitata; ma ricordava il
momento esatto in cui il suo tormento era cessato, lasciando solo un vuoto
terribile, per poi ricominciare con un botto assordante.
L'ansia
misteriosa annidatasi nel suo petto aveva alla fine trovato voce: la voce roca
di Rin prima incrinata dalla paura e dall'angoscia, quando con poche parole
gli aveva chiesto di raggiungerla, poi spezzata da un grido silenzioso di
dolore non appena gli aveva comunicato la notizia.
I suoi
singhiozzi gli echeggiavano ancora nelle orecchie e nell'animo, mentre
parcheggiava e scendeva dall'auto.
La
discoteca era ben visibile in lontananza, nonostante il caos di veicoli e
persone che la circondava. La sirena lampeggiante di un'ambulanza proiettava
sulla folla una luce blu intermittente, che si sovrapponeva a quella rossa di
un'auto della polizia.
Rimase
immobile a fissare quello scenario, come se potesse trovare una risposta
nell'intreccio di luci, colori e volti. La telefonata dell'amica l'aveva
lasciato sconcertato e incredulo; se la sofferenza nella sua voce non fosse
stata palpabile, forse avrebbe continuato a non crederci anche in quel momento,
di fronte all'evidente confusione di un evento improvviso e drammatico.
L'immagine
di una Rin sconvolta lo scosse dallo stato catatonico in cui era caduto. Era
giunto fin lì anche perché lei aveva bisogno del suo sostegno; non poteva
fermarsi a contemplare il nulla, nonostante lo squarcio sanguinante che quelle parole
simili a lame gli avevano aperto dentro.
Avanzò,
superando sconosciuti e autovetture, dirigendosi verso una meta precisa, il
punto in cui la calca si diradava formando una sorta di semicerchio. Cercò
l'amica con lo sguardo e alla fine la trovò: in ginocchio sull'asfalto, i
lunghi capelli a coprirle il viso e la mano stretta a pugno sul lembo di un
telo bianco.
Per un
istante infinito, il suo battito cardiaco sembrò arrestarsi e l'aria gli mancò,
mentre la strada diventava instabile sotto i suoi piedi. Non crollò, aveva
promesso a se stesso che sarebbe stato forte per entrambi, ma qualcosa nel
fondo del suo animo si frantumò e le schegge si conficcarono in una vecchia
ferita, riaprendola e approfondendola.
Quando
riuscì a respirare di nuovo, il cuore gli balzò in gola pulsando dolorosamente.
Si sforzò di controllarlo e di recuperare una parvenza di calma, stringendo i
pugni per impedire alle proprie mani di tremare.
Scrutò
con sguardo vacuo gli unici sprazzi visibili del corpo privo di vita del suo
migliore amico: un ciuffo di capelli scuri, il palmo della mano rivolto verso
l'alto, le punte delle scarpe. Le avevano comprate insieme, quelle scarpe.
La
voce di un agente della polizia spazzò via quel pensiero banale ma talmente
quotidiano da causargli una fitta di dolore.
Era il
poliziotto che stava invano tentando di convincere Rin ad alzarsi e
allontanarsi da Obito.
"Lo
conoscevi, ragazzo?" Gli chiese.
Kakashi
lo guardò, per un attimo incapace di pronunciare una sola parola.
Lo conoscevi.
Quelle
due semplici parole si impressero come fuoco nella sua mente, pronte a
immergere l’esistenza dell’amico tra i ricordi del passato.
Il
senso di ineluttabilità lo costrinse a ingoiare un grumo di afflizione."Era
un amico." Sussurrò.
"Cosa
è successo?" Domandò dopo un attimo di pausa, non più sicuro di voler
sapere.
Una
spiegazione dell’accaduto avrebbe davvero allentato il suo tormento? Avrebbe
riempito il vuoto che minacciava di risucchiarlo?
Quando
aveva lasciato il suo appartamento aveva sperato che fosse possibile, ma in
quegli istanti, con la concretezza di un corpo inerte a pochi passi e l’inconsolabile
disperazione di Rin davanti agli occhi, si sentiva vittima dell’ennesima
illusione.
"Un
malore durante una rissa. Pensiamo sia stato causato da droga tagliata male.
Aveva una dose aperta in tasca." Lo informò il poliziotto con poche e
veloci parole.
Kakashi
sbarrò gli occhi, travolto da un'onda improvvisa di stupore e incredulità. Per
un secondo pensò di aver capito male, sperò che fosse solo uno scherzo della
sua immaginazione, ma l'espressione seria dell'uomo e il silenzio successivo
alla sua risposta non sembravano lasciare spazio a dubbi.
Tornò
a guardare il tessuto bianco che copriva Obito, la voce intrappolata in gola e
lo stomaco stretto in una morsa di inquietudine, quella stessa inquietudine che
l’aveva tenuto sveglio nel buio della notte.
Come
aveva potuto non accorgersi mai di nulla? Era la prima fatale volta che l’amico
aveva fatto uso di droga? O era stato davvero così cieco da non cogliere i
segnali di una disastrosa dipendenza?
Frammenti
delle loro ultime conversazioni e degli ultimi momenti trascorsi insieme si
affollarono nella sua mente senza far risaltare nessuna nota stonata, niente
che rivelasse il disagio interiore di Obito.
Appariva
tutto tremendamente assurdo, ma il pesante fardello di essersi lasciato
sfuggire qualcosa di importante si piantò con forza nel suo petto.
Chiuse
gli occhi per non fissare più il bianco fastidioso del telo.
Kakashi trasse un respiro profondo, tentando
di alleggerire la sensazione d’oppressione che le parole di Sasuke e i ricordi
di quella notte lontana gli avevano scaraventato addosso.
Gli sembrava di averlo ancora conficcato nell'animo,
il bianco assoluto che nascondeva Obito, e avvolti in quel bianco ritrovava
tutti i tormenti dei mesi successivi.
Dopo l'intensa incredulità delle prime ore,
il suo cuore era stato afflitto da un
unico sentimento: un profondo e irreparabile senso di colpa.
Troppo preso dal proprio dolore,
dall'illusione di poterlo placare con l'amicizia, non aveva intuito quello di
chi gli stava accanto. Si era lasciato ingannare dall’esuberanza dell’amico,
dalla maschera di allegria sotto cui nascondeva tutto. Pur di rimarginare la
ferita lasciata dalla morte di suo padre, aveva preferito credere che intorno a
lui andasse tutto bene, perdendo così gli indizi importanti di un altro dramma.
Dopo il tempo interminabile trascorso in
ospedale, tra Rin singhiozzante contro il suo petto e la madre di Obito
totalmente apatica, non aveva avuto il coraggio di chiedere loro se avessero
compreso qualcosa: il timore di sentirsi rinfacciare la propria completa cecità
era stato troppo forte. Avrebbe potuto scavare nei silenzi delle loro
conversazioni, negli sguardi persi nel vuoto e nei gesti compiuti
distrattamente; avrebbe potuto salvarlo e invece era riuscito unicamente a
farlo morire da solo.
Ogni tentativo di capire cosa l'avesse
spinto verso la tossicodipendenza si era rivelato inutile e privo di senso,
rafforzando sempre di più la dolorosa convinzione di aver commesso un errore
che avrebbe rimpianto per sempre. Dal funerale dell'amico fino agli ultimi
giorni del liceo, scanditi dalla decisione di Rin di proseguire gli studi
all'estero, aveva lottato contro un vortice di angoscia e sofferenza,
rischiando di essere risucchiato totalmente in un oscuro pessimismo, finché una
strada inaspettata non gli si era aperta davanti: non poteva tornare indietro
per aiutare Obito, ma avrebbe potuto diminuire il rischio che altri giovani
subissero la sua stessa sorte, reprimendo la criminalità che alimentava la
diffusione della droga.
Dopo la morte di suo padre, l'idea di
entrare in polizia non l'aveva mia sfiorato, anzi l'aveva sempre esclusa
categoricamente; eppure, in quel momento, gli era apparsa come l'unica scelta
possibile, l'unica in grado di concedergli un modo per placare la sua
coscienza. Anche se aveva impiegato altri lunghi anni prima di superare la
paura di creare legami profondi, vincendo la desolata rassegnazione che la
morte di Obito aveva accentuato, la decisione di seguire le orme di suo padre
gli aveva permesso di andare avanti senza arenarsi nelle sue debolezze.
Ogni volta che qualcosa gli ricordava
l'amico, però, niente evitava che i sentimenti del passato lo travolgessero e
che vecchie cicatrici bruciassero come nuove.
"Continuare a metterlo sotto pressione non
porterà a nulla," esordì Naruto entrando nella sala degli interrogatori. "Se
vogliamo ottenere qualche informazione sulla discoteca e, magari su tuo
fratello, é meglio un'atmosfera piú tranquilla" proseguì nel modo piú
disinvolto possibile.
Sasuke gli lanciò uno sguardo che non avrebbe
decifrato facilmente se la loro lunga
conoscenza non gli avesse permesso di scorgere la lieve ruga di disappunto
comparsa tra le sopracciglia.
"Non c'é bisogno che sia tu a dirmelo,"
si limitò tuttavia a replicargli in tono asciutto, senza aggiungere
nient'altro.
Il suo era un silenzio fin troppo eloquente:
l'esito di una meditazione, una decisione chiara, la risposta ad un avvertimento
che non era necessario esternare.
Sapevano entrambi cosa si erano detti la sera precedente
e cosa avevano omesso; non avrebbero ricorso in quel momento a parole superflue
e ingombranti.
"Comunque a conclusione, se non vuoi farlo tu,
informerò io il commissario," affermò Naruto appena gli fu accanto.
Sasuke stirò le labbra in una linea dritta, con un
movimento quasi impercettibile.
Attendeva quell'inevitabile frase e l'incassò senza
scomporsi, emettendo un semplice mugugno di assenso.
Le sue priorità coincidevano in qualche modo con
quelle delle indagini; nasconderlo era inutile e compromettere il risultato
finale lontano dalle sue intenzioni.
"No, spiegherò io la situazione," rispose
conciso.
Naruto lo fissò, cogliendo la determinazione nei
lineamenti tesi, e in qualche modo si sentì tranquillizzato.
Trasse un sospiro interiore di sollievo e si
sedette accanto al collega.
"Per quanto riguarda l'interrogatorio, invece,
Sakura é andata a prendere l'identikit del nostro caso. Lo stupro é avvenuto
all'Alba, forse l'Inuzuka ha notato qualcosa e gli si potrebbe rinfrescare la
memoria", prosegui anticipandogli le sue intenzioni.
Sasuke vagliò per qualche istante l'ipotesi: temeva
che il ragazzo non sarebbe riuscito a ricordare qualcosa, a causa di tutto
l'alcool ingerito quella notte, tuttavia erano ancora lì e tentare non costava
nulla.
Si alzò per andare a chiamarlo, ma fu anticipato
dalla porta che si apriva, da cui Sakura entrò seguita dall'Inuzuka.
La poliziotta lo invitò ad accomodarsi, poi si
avvicinò ai colleghi consegnando loro una cartellina.
Naruto la ringraziò, poi si rivolse al ragazzo
presentandosi.
“Dunque, sono l'ispettore Uzumaki e continuerò
l'interrogatorio al posto dell'ispettore Hatake,” esordì. “Mi dispiace
insistere, ma devo farti qualche altra domanda.”
Mentre Sakura salutava lasciando la stanza, il
poliziotto prese il foglio contenuto nella cartellina e lo girò verso
l'interrogato.
“Questo è l'identikit di un uomo che era all'Alba
la sera stessa dell'incidente,” gli spiegò con calma. “Non dovrebbe essere
legato alla tua situazione, ma ci aiuterebbe sapere se per caso l'hai visto.”
Il ragazzo osservò il ritratto con attenzione,
sforzandosi di associare il volto disegnato a qualche cliente intravisto quella
notte.
Il particolare a balzargli subito all'occhio fu la
lunga chioma raccolta in un'alta coda di cavallo, una capigliatura che
difficilmente poteva passare inosservata.
Se quell'uomo gli era stato accanto per qualche
istante, era possibile che gli fosse sfuggito?
La risposta gliela fornì il flash improvviso di capelli
che ondeggiavano, accompagnando i movimenti sicuri di mani esperte nella
preparazione di cocktail.
"È il barista... mi ha servito qualche drink
quella sera" affermò, tentando di rievocare intanto qualche dettaglio in
più sull'uomo.
Naruto esultò interiormente: non aveva dubitato dei
ricordi della ragazza, ma se le informazioni di altre persone combaciavano con
la sua versione dei fatti, il delinquente che cercavano aveva le ore contate.
“A che punto della serata ti ha servito?”
“Non saprei, non
eravamo arrivati da molto. Forse era intorno alle undici.”
Probabilmente poche
ore prima che avvenisse la violenza, rifletté soddisfatto il poliziotto,
incrociando le dita per l’esito della domanda successiva.
"Mentre eri lì
seduto, l'hai visto parlare in modo particolare con qualche cliente?"
L'Inukuza ci pensò qualche
istante, rimestando tra i ricordi portati a galla dal volto del barista.
"Non mi sembra
di ricordare niente di strano..."
"Non ti viene in
mente qualcosa che ti abbia colpito?"
"Uhm, no, era
tutto come sempre, qualche drink, qualche chiacchiera...” rispose sulle prime, ma
poi un altro dettaglio di quelle ore gli balzò in mente.
“Ah, però, ad un certo
punto è arrivata una ragazza… Non so se può essere utile, ma la ricordo perché
aveva il tipico sguardo di chi vuole bere per dimenticare. Effettivamente il
barista ha provato a parlarci per un bel po' finché sono stato al bancone."
Naruto l'ascoltò
soddisfatto: forse era una scena abituale quella descritta dal ragazzo, ma
aggiunto a tutto il resto era abbastanza per ridurre le ore di libertà del
barista.
Raccolte le nuove
informazioni, gli sembrò arrivato il momento giusto per tornare all’argomento
iniziale della conversazione; era sul puntò di porre un’altra domanda quando il
collega lo anticipò.
“Oltre al barista,
non ricordi nessun altro dipendente del locale?” intervenne, con un tono
apparentemente neutro per un orecchio non allenato come il suo.
Quando
era rimasta da sola, nella saletta attigua alla stanza degli interrogatori, si
era sforzata davvero di rimanere concentrata, di seguire col giusto interesse
lo scambio di battute tra Naruto e Kiba Inuzuka, ma non c’era riuscita. Le era
stato impossibile non pensare al comportamento insolito di Kakashi, alla sua
assenza e al solido pugno di preoccupazione che l’aveva colpita sotto lo sterno
non appena se n’era andato. Con lo scorrere dei minuti, l’inquietudine non si
era per nulla attenuta, né tanto meno tendeva a svanire ora che si dirigeva
nell’unico posto in cui credeva di poterlo trovare.
Poteva
ripetersi mille volte il contrario, ma il pensiero che qualcosa legato a quel
caso l’avesse turbato e lo facesse star male procurava anche in lei un
innegabile dolore sordo, insieme al pressante bisogno di accertarsi della
situazione. In fondo, erano stati amici e gli aveva voluto bene, così come
gliene voleva ancora, nonostante tutto, quindi pensò che non ci fosse niente di
strano nel cercarlo, sebbene nell’ultima settimana avesse fatto ben altro,
nell’intento di allontanare l’ombra scomoda di un amore.
Se
si fosse fermata anche solo un attimo in più a riflettere, avrebbe collegato
ciò che provava in quegli istanti allo spasmo allo stomaco avvertito quando
l’aveva visto chiacchierare tranquillamente con Shizune, aggiungendo entrambi
quegli indizi ai pensieri e ai ricordi intrufolatisi nella sua mente davanti alla
tomba dei suoi genitori. Sarebbe giunta così alla conclusione che quell’ombra
era più che altro una luce accecante e non si sarebbe spenta in nessun modo,
per quanto volesse illudersi, mettendo forse a tacere la sua coscienza.
In
ogni caso, quando si affacciò alla porta del suo ufficio e lo vide seduto alla
sua scrivania, con una mano tra i capelli a sorreggersi il capo e
un’espressione assorta sul viso, continuò a non trovare alcun motivo per
considerare sbagliato o avventato il proprio gesto.
Ingoiò
il senso di agitazione, prima di trovare il coraggio di bussare.
“Kakashi?” Disse con voce
incerta, non appena ne fu in grado.
L’uomo
sgranò gli occhi, sorpreso di sentire una voce chiamarlo e fra tante proprio la
sua; si voltò leggermente verso l’ingresso, senza allontanare la mano dalla
fronte, ma scostandola quanto bastava per guardare in volto la sua
interlocutrice. Rimase in silenzio a valutare la situazione.
Qualunque
cosa volesse, quello non era il momento più opportuno per parlarne. Con l’amarezza
e l’angoscia che il ripensare ad Obito gli aveva messo addosso, non si sentiva esattamente nelle condizioni di
relazionarsi in modo pacato e razionale; non ne era in grado in ambito
lavorativo, motivo per cui aveva abbandonato l’interrogatorio, né tanto meno
poteva esserlo con lei.
La
decisione definitiva presa con la propria coscienza e il vederla a pochi metri
da lui, giunta lì spontaneamente dopo che nell’ultima settimana l’aveva evitato
in modo drastico, erano elementi in più che gli davano la consapevolezza che
avrebbe potuto commettere un errore, comportandosi nel modo opposto a quello
che avrebbe richiesto un loro chiarimento.
Sperò
pertanto che accettasse il suo invito ad andarsene, evitando di avvicinarsi a
lui.
“Non
è il momento, Sakura. Per niente. Ho bisogno di restare da solo.” Disse con un
tono più brusco di quello che avrebbe voluto, e pensò che avrebbe dovuto
metterci almeno la parola ‘scusa’ in quella frase.
Notò
infatti la poliziotta irrigidirsi per un attimo, ancora ferma sulla soglia
dell’ufficio, ma ciò non impedì che entrasse e che facesse qualche passo verso
di lui. Si chiese allora cosa di preciso l’avesse spinta a venire a cercarlo,
quando c’era, tra l’altro, lavoro importante da svolgere.
“Volevo…
volevo capire cosa c’è che non va.” Affermò Sakura, sentendosi subito dopo
immensamente stupida, oltre che tremendamente imbarazzata, tanto più davanti
allo sguardo interrogativo e forse infastidito che l’uomo le indirizzò.
Kakashi,
superato un momento di incertezza, si alzò.
“Perché
ti interessa?” Le chiese serio dopo qualche istante di silenzio, sapendo in
fondo già la risposta, ma avvertendo a quel punto il bisogno di conoscere anche
la sua versione.
Di
fronte a quella domanda, al tono freddo con cui era stata pronunciata e
all’odiosa espressione indecifrabile che spesso lo contraddistingueva, la
ragazza strinse d’istinto i pugni e fissò il pavimentò. Forse si era sbagliata
ancora una volta: il fatto che alcuni
giorni prima li avesse accomunati il ricordo di suo padre e il gesto dell’uomo
che ne era seguito non implicavano per forza che per lui la loro amicizia avesse
avuto qualche valore. E di interrogarsi su cosa allora significasse non ne
aveva più grande voglia.
“Nonostante
tutto, mi sono sforzata di credere che fossimo stati almeno amici.” Disse con
palese delusione, lottando ancora per sciogliere il nodo che le bloccava la
gola.
Se
avesse incrociato gli occhi dell’uomo in quegli istanti, vi avrebbe colto
l’ennesimo senso di colpa. Leggere dietro la sua semplice affermazione tanti
sottintesi - il dolore, la solitudine, il vedersi sfuggire tra le mani anche
l’ultima piccola certezza, provandone tutta l’inconsistenza e cercando lo
stesso di aggrapparcisi - gli aveva fatto mancare il terreno sotto i piedi.
Per
non cadere sotto il colpo del rimorso, l’ispettore le si avvicinò, sfiorandole
un braccio e ottenendo, come sperava, che la collega tornasse a guardarlo;
scrutò le sue iridi smeraldine che non avrebbe mai smesso di amare, iridi
velate dall’incertezza e dalla perplessità, se non anche da un pizzico di
paura.
“Questa
settimana mi hai totalmente evitato, quindi non pensavo saresti venuta qui per
sapere come stessi… “
E sono così egoista da aver anteposto al
tuo stato d’animo la necessità di sentire il motivo dalla tua voce, avrebbe aggiunto con qualche difficoltà,
cercando di rendere le sue parole un’assunzione di responsabilità e non delle
mere quanto inutili giustificazioni, ma Sakura non gliene diede il tempo;
scostò bruscamente la sua mano con un movimento repentino del braccio, mentre
gli scagliava contro quello che teneva dentro da lungo tempo.
“Una
settimana non è come sei anni!” Gli rinfacciò con rabbia, assottigliando lo
sguardo, e per quanto Kakashi si aspettasse una frase del genere e sapesse di
meritarsela, ciò non gli evitò una stilettata improvvisa all’altezza del petto.
Non
lasciò, però, che fosse di nuovo il suo dolore a prendere il sopravvento e le
afferrò subito il polso ancora a mezz’aria, con una stretta ferma ma delicata.
Non poteva andare avanti così, tra dubbi e recriminazioni, per nessuno di tutte
e due, si erano già tormentati troppo senza ragione; avrebbe dato un taglio
netto alla loro situazione in quell’istante.
Sollevò
l’avambraccio della collega piegandolo verso di lei, senza dover forzare quel
movimento, facilitato dall’averla presa in contropiede, poi diminuendo la
distanza tra di loro fece scivolare l’altro braccio dietro la sua schiena,
fermandosi all’altezza delle scapole, e l’attirò a sé.
Sakura
non si mosse, paralizzata dall’idea di ciò che sembrava stesse per accadere e
che era stata lontana anni luce dalla sua mente fino a cinque minuti prima;
fissò incredula il viso dell’uomo farsi sempre più vicino e chiuse gli occhi
quando ebbe l’impressione che sarebbe morta da un momento all’altro a causa del
battito impazzito del suo cuore, amplificato dal tempo sospeso che li
avvolgeva. Lasciò che la lingua di Kakashi premesse contro le sue labbra e si
intrecciasse alla sua, anche con una certa irruenza, irruenza che non le
dispiacque, ma che nello stesso tempo fece nascere calde lacrime che trattenne
a fatica.
Si
era sentita così a lungo confusa, inquieta, ferita, che lo sciogliersi di quei
sentimenti era come un balsamo tonificante, sebbene non potesse spiegarsi
ancora tante cose, un balsamo che però non le nascondeva chi ne avrebbe pagato
le pene peggiori. Quando avvertì le sue guance bagnarsi, spinse con violenza
l’uomo lontano da sé e arretrò, con il capo basso e le ciocche dei capelli che
le ricadevano scompostamente sul volto, senza nascondere la smorfia che lo
deformava.
“Perché
è così difficile capirti?” Biascicò, con il
fiato corto per il bacio appena conclusosi e per l’emozione che ancora la
sopraffaceva.
Se
fosse stato il contrario, non sarebbe arrivata a quel punto.
Con
questa consapevolezza, scappò da
quell’ufficio, non rivolgendo nemmeno un’occhiata fugace all’ispettore, che la
osservò andar via avvertendo sugli zigomi le tracce umide delle sue lacrime.
Note dell'autore
Questa
volta non perderò tempo a cercare parole di scuse, più che altro perché
sarebbero sempre le stesse. Diciamo semplicemente che negli ultimi anni
diverse questioni hanno richiesto totale attenzione e che questo
capitolo nello specifico mi ha fatto penare abbastanza.
Sasuke credo di non saperlo gestire per nulla, infatti ho faticato
tanto a cercare di renderlo coerente e sensato e non so come sia il
risultato. Kakashi, Sakura e Naruto, invece, non so se nel modo giusto,
ma fanno quello che fanno senza troppi sforzi. In questo capitolo si
scopre l'ultimo tassello dei drammi kakashiani e finalmente Kakashi e
Sakura abbattono un po' il muro fatto di parole non dette e sentimenti
non espressi (Ed era anche ancoraXD). Le indagini invece
arrivano a toccare qualche nodo della matassa che nei prossimi
capitoli dovrà sciogliersi in qualche modo. Non so quanto mi ci vorrà,
ma speriamo non sia un altro anno.
In ogni caso spero che il capitolo sia decente e che vi sia piaciuto.
Ringrazio la magnifica beta che mi ha dato una mano anche al di là
della Manica e chiunque lascerà in qualche modo segno del suo
passaggio^^
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Capitolo 13 *** Capitolo XIII ***
Capitolo XIII
CAPITOLO XIII
Con le dita strette sulla fredda ceramica del lavandino e i capelli che
le ricadevano scompostamente sul viso ancora accaldato, Sakura cercava
di riprendere il controllo, di frenare il battito furioso del suo cuore
e le lacrime che insistenti scorrevano sulle sue guance.
Provò a respirare profondamente e a chiudere gli occhi, per ricacciare
indietro il fiume di sensazioni indistinte che l'aveva travolta senza
preavviso, ma era ancora tutto così vivido da toglierle il respiro: il
sapore delle labbra di Kakashi sulle proprie, il profumo della sua
pelle, il calore delle sue braccia che la stringevano forte.
Quante volte, da perfetta incosciente, era piombata nell'ufficio di suo
padre con la speranza di incontrarlo? Quante volte aveva girovagato nei
pressi della centrale di polizia, sognando che qualcosa di solo
lontanamente simile accadesse? Erano passati molti anni, eppure in quel
momento si sentiva ancora l'adolescente di allora, sprovveduta,
sciocca, ingenua, perdutamente innamorata.
Deglutì a fatica e fece un passo indietro, piegandosi in avanti sotto
il contraccolpo repentino di una realizzazione improvvisa. Non oppose
più resistenza, ma lasciò che i singhiozzi di quel pianto silenzioso la
scuotessero. Perché lo era ancora, maledettamente innamorata. Perché
desiderava di nuovo che le loro labbra si scontrassero con irruenza.
Perché, forse, non era l'unica a desideralo. Ma non sarebbe mai potuto
essere così semplice e indolore come nei suoi sogni adolescenziali.
Poggiò la fronte sul bordo del lavandino, un contatto a tratti
rinfrescante, a tratti gelido, come i sentimenti che si agitavano
dentro di lei. Il timore di non aver mai contato nulla per l’uomo si
era dissipato con un bacio inatteso, facendo trapelare un labile
bagliore di speranza ma anche un amaro e doloroso senso di colpa.
Il volto sereno di Naruto le comparve davanti agli occhi, contribuendo
ad offuscarli con un nuovo velo di lacrime. Negli ultimi mesi, il
collega era stato il suo sostegno, il suo immancabile punto di
riferimento, il suo sole tra le ombre del passato, eppure non poteva
fare a meno di amare un altro. Nonostante avesse tentato di
dimenticarlo per anni, il suo cuore era rimasto caparbiamente
aggrappato al ricordo di Kakashi, intrappolandola in un vicolo cieco.
Rialzò il capo e si morse il labbro inferiore, ingoiando con forza l’inquietudine di pensieri contrastanti.
L’ultima cosa che avrebbe voluto era ferire Naruto, vedere sparire il
sorriso sincero che spuntava sulle sue labbra ogni volta che la
guardava; tuttavia, se avesse ancora continuato ad ignorare i suoi veri
sentimenti, sentiva che avrebbero finito solo per farsi male a vicenda
in modo irreparabile.
Inspirò a fondo per poi far uscire l’aria lentamente, alla ricerca
almeno di una pace apparente; aprì il rubinetto e sciacquò più volte il
viso per lavare via le lacrime e le tracce di mascara, scorgendo alla
fine nello specchio gli occhi arrossati. Si asciugò con un asciugamano,
trasse un sospiro profondo e si sedette, sperando che qualche minuto
avrebbe consentito alla sua pelle di riacquistare un colorito il più
possibile normale.
Kakashi era ben lontano da essere una certezza, per il suo
atteggiamento indecifrabile, per i mille interrogativi irrisolti che
costellavano il loro rapporto, ma non poteva continuare ad illudere
Naruto.
Doveva assolutamente trovare l’occasione per confessargli tutto: la
vera natura del groviglio di sentimenti che l’aveva avvolta, negli
ultimi mesi, e il suo sciogliersi in una conclusione inevitabile,
scatenata da un bacio non ricercato ma a lungo desiderato.
Chiuse gli occhi e strinse i pugni sulle ginocchia, affrontando il
vuoto allo stomaco che il solo pensiero del futuro confronto le
causava; non aveva la minima idea di come iniziare una conversazione
simile, non sapeva se sarebbe mai riuscita ad articolare frasi sensate,
se esistessero parole che avrebbero potuto attutire il duro colpo.
Osservò ancora una volta il suo profilo riflesso. Di solito la sua
espressione difficilmente nascondeva ciò che provava e, per quanto si
sentisse una codarda, sperò che quella sua caratteristica per una volta
l’aiutasse, perché poteva rimuginarci all’infinito, ma non ci sarebbero
mai stati un momento adatto o un modo più giusto di altri.
Con la domanda dell’ispettore Uchiha, Kiba avvertì la tensione
riaffiorare da sotto l’atmosfera cordiale creata dal nuovo poliziotto,
mettendo ancora in allerta i suoi nervi. Tentò di conservare la calma,
intrecciando le dita sulle ginocchia e sospirando interiormente, ormai
consapevole che si sarebbe trascinato dietro a vita il senso di colpa
per non aver capito nulla, sia prima che durante quella serata.
“No, non mi sembra di ricordare nessun altro, al momento…” replicò pacato.
Per quanto la risposta fosse prevedibile, Sasuke storse il naso e
socchiuse appena gli occhi, forse più infastidito con se stesso per
averci sperato. Prima di desistere, decise però di giocare un’ultima e
sofferta carta.
“Sicuro di non aver visto un uomo sulla trentina, con i capelli lunghi
e neri e gli occhi scuri?” chiese, mentre il disgusto e la repulsione
si insinuavano con prepotenza dentro di lui, conficcandosi nella bocca
dello stomaco.
“Potrebbe… assomigliarmi…” aggiunse dopo qualche istante di silenzio,
strascicando le parole come se un blocco di cemento gli si fosse
incastrato in gola.
Gli sembrò quasi di non riuscire a respirare bene, sotto gli sguardi
genuinamente sorpresi dei presenti e il peso di una somiglianza fisica
diventata da anni qualcosa di umiliante da dimenticare.
Naruto si sforzò di recuperare in fretta un’espressione distaccata e
professionale, reprimendo il proprio stupore per l’intervento
inaspettato dell’amico. Anche se glielo avesse anticipato, non avrebbe
mai creduto che durante un interrogatorio Sasuke sarebbe giunto ad
ammettere quasi apertamente il suo legame con un criminale. Non
aveva bisogno di ulteriori conferme, ma leggeva la sua determinazione
nei lineamenti imperturbabili, scalfiti solo dall’incertezza con cui
aveva pronunciato l’ultima frase. Ancora una volta, decise di
supportarlo lungo quella strada insidiosa.
“Se riuscissi a ricordare qualcosa in più sulla serata, ci sarebbe
utile,” disse, sperando con tutto se stesso che l’ammissione dell’amico
non cadesse nel vuoto. “Non so, una circostanza o una discussione che
possa aver coinvolto un uomo che corrisponda alla descrizione del mio
collega.”
Kiba trasse un profondo sospiro, cercando di riemergersi nei ricordi
delle ore trascorse in discoteca, anche se ogni momento di quella
serata sembrava ricondurlo solo e soltanto all’incidente.
“Mi dispiace, ma mentre ero lì non è successo nulla di particolare e a
parte il barista, non ho avuto a che fare con nessun altro dipendente
dell’Alba,” replicò, domandosi però se avesse intravisto in
un’occasione diversa l’uomo che i due poliziotti cercavano.
“Non ricordi chi vi ha accolto all’ingresso del locale? Oppure qualche
cameriere che serviva ai tavoli?” chiese Naruto, augurandosi di
riuscire a stimolare la sua memoria.
Percepiva il nervosismo di Sasuke anche senza guardarlo ed era sicuro che la sua calma apparente sarebbe durata ancora per poco.
“All’ingresso, non c’era nessun uomo con i capelli lunghi, per il resto
sono stato poche volte all’Alba, ma nessuno che corrisponde alla vostra
descrizione ha mai attirato la mia attenzione, mi dispiace.”
La risposta del ragazzo fu seguita da un mugugno di fastidio del
collega. Naruto decise allora che trascinare ancora
quell’interrogatorio sarebbe stato solo deleterio e si alzò per
congedare finalmente il giovane.
“Grazie lo stesso, il tuo contributo è stato in ogni caso importante,” lo ringraziò.
Quando l’Inuzuka lasciò la stanza, l’ispettore si voltò incontrando
l’espressione meditativa dell’amico, che con le sopracciglia inarcate e
le braccia incrociate sul petto era totalmente assorbito dai propri
pensieri.
“È molto probabile che non l’abbia davvero visto, dopotutto
approfittano proprio della confusione che c’è in discoteca per
spacciare,” rifletté, provando a riportare su di lui la concentrazione
dell’Uchiha.
L’altro lo fissò con uno sguardo serio e fermo e Naruto capì subito che doveva essere giunto a qualche conclusione.
“Oppure semplicemente non ricopre nessuna mansione specifica o quanto
meno non sempre la stessa, perché rispetto agli altri ha molto più da
perdere se anche clienti fuori dal giro conoscono bene la sua faccia,”
gli spiegò con voce decisa e sicura, mettendolo sinteticamente a
corrente delle sue deduzioni.
Il suo tono non lasciava spazio a repliche, ma il poliziotto biondo non
sentiva il bisogno di un chiarimento, perché intuiva ciò che non aveva
detto. La pena per un omicidio era senza dubbio molto più grave di
quella per spaccio.
“Già, è possibile,” commentò, pensando che lo avrebbero in ogni caso
scoperto nei prossimi giorni, poi riprese l’identikit abbandonato sul
tavolo e gettò un’occhiata al volto ritratto sul foglio.
“Per fortuna, questo non è sicuramente il caso del barista, ammesso che
sia coinvolto anche nello spaccio. Finché la ragazza non esce
dall’ospedale, non possiamo procedere con l’identificazione, ma intanto
potremmo già fermarlo e scambiarci quattro chiacchiere,” proseguì
rimuginando sul da farsi.
“Se è uno degli spacciatori, arrestarlo ora metterebbe in allerta
l’Alba,” osservò Sasuke alzandosi a sua volta. “Se temono che spifferi
qualcosa, potrebbero anche decidere di far saltare lo scambio di droga
della prossima settimana e non possiamo correre il rischio.”
Nonostante la logicità dell’argomentazione del collega, Naruto si
ritrovò a sospirare seccato, infastidito dall’idea che l’uomo potesse
ancora girare liberamente.
“Hai ragione, ma forse potremmo organizzare degli appostamenti nei
pressi della discoteca per tenere sotto controllo lui e non solo. In un
modo o nell’altro, l’Alba è il luogo su cui si concentrano ormai tutte
le nostre indagini,” affermò, conscio che a breve avrebbero dovuto
assumere delle decisioni importanti.
Dopo la fuga repentina di Sakura, Kakashi rimase seduto alla sua
scrivania, sforzandosi di riacquistare il controllo completo sulle
proprie emozioni. Le parole scagliategli contro dalla collega
risuonavano ancora nella testa insieme al tremore della sua voce,
incrinata dalle lacrime. Non sarebbe stato facile spiegarle tutto, ciò
che era realmente accaduto anni prima e le ragioni dietro al suo
allontanamento, tuttavia era intenzionato a farlo non appena le
indagini glielo avrebbero concesso.
Trasse un profondo sospiro, appoggiandosi contro lo schienale della
sedia e passandosi una mano tra i capelli. Aveva agito d’impulso, mosso
dal desiderio di alleviare il peso di incomprensioni e parole non
dette, ma non era stato affatto il momento più opportuno per palesarle
i suoi sentimenti con un bacio. Sperava davvero che la loro
professionalità li avrebbe aiutati a collaborare, impedendo alle
emozioni di interferire, anche se temeva che non sarebbe stato semplice
come si augurava. La morbidezza delle sue labbra e il calore del suo
corpo erano ancora sensazioni perfettamente vivide, sebbene avesse
cercato di distaccarsene e renderle solo un ricordo sfumato,
consapevole di quanto sconvenienti potessero risultare, durante una
delicata riunione di lavoro, a due passi da Sakura e dal suo fidanzato.
Chiuse gli occhi, tentando di scacciare il leggero senso di colpa ma
anche il pizzico di gelosia che accompagnavano il pensiero di Naruto e
del suo affetto incondizionato verso la poliziotta.
Nonostante la reazione di piacevole stupore intravista sul volto
arrossato di Sakura quando l’aveva stretta a sé e il rapido palpitare
del suo cuore avvertito contro il proprio petto, non poteva ignorare
che aveva pur sempre baciato la donna che un collega amava, forse anche
ricambiato in modo sincero. Perché al di là di ciò che li aveva legati
in passato, al di là delle verità che le avrebbe raccontato,
assolutamente nulla gli assicurava che Sakura avrebbe alla fine scelto
lui. Aveva già previsto quella possibilità, soppesando anni di assenza
e ricordi di un amore mai fiorito, ma in quegli istanti, dopo aver
assaporato la dolcezza di stringerla tra le sue braccia, sentiva una
inaspettata delusione colpirlo, silenziosa e malinconica. Si sforzò di
spazzarla via con un altro lungo sospiro, affrettandosi a concentrarsi
esclusivamente su quanto avrebbero dovuto discutere a breve con il
commissario.
Non era tornato da molto tempo nella sua camera, quando sentì la porta
aprirsi senza preavviso e richiudersi subito dopo con un rumore secco.
Per poco il bicchiere di sakè non gli scivolò dalle mani, riversando il
liquido trasparente sulle dosi di droga pronte per la serata. Il
ragazzo biondo si voltò verso il visitatore imprevisto e gli scoccò
un’occhiataccia da sotto il ciuffo folto che gli nascondeva in parte il
viso.
“Sei impazzito, per caso?” gli chiese seccato.
“Non quanto te,” ribatté Sasori con voce dura.
L’espressione di evidente irritazione e lo sguardo truce con cui lo
guardava non presagivano nulla di buono, ma Daidara si sforzò di
ignorare il presentimento che corse veloce nel suo petto.
“Hai idea di quanti problemi può causarci la tua cazzata?” continuò l’uomo mentre gli si avvicinava con aria minacciosa.
“Non so di cosa diavolo tu stia parlando,” replicò, alzandosi per
fronteggiarlo e scolandosi per precauzione il resto della bevanda
alcoolica.
Se si fosse bagnata la droga a causa di un altro gesto inconsulto, sarebbe stata davvero una enorme seccatura.
“Ieri è passata la polizia e indovina un po’ su cosa stanno indagando?” gli domandò stizzito Sasori, ormai a pochi passi da lui.
“Sullo spaccio di droga?” ipotizzò l’altro arretrando, ma la mano
dell’uomo lo afferrò per il colletto della maglia costringendolo a
fermarsi.
“Su uno stupro ai danni di una cliente, idiota, e non ti sei manco
accorto che Akira ti ha visto! Quanto eri ubriaco?!” sbottò, accostando
il volto al suo con un brusco strattone. “Sei fortunato che Orochimaru
sia al momento fuori città, se no ti avrebbe già sbattuto fuori,”
aggiunse, poi lo liberò dalla sua stretta e lo spinse contro il muro.
Daidara emise un lamento soffocato e d’istinto appoggiò una mano sulla spalla dolorante.
“Fino a quando non cambierò idea, te ne starai chiuso qua dentro e se
torna la polizia dirò che sei stato licenziato. Il tuo lavoro al bar
può farlo tranquillamente un altro ragazzo e in strada ci andrò con
qualcuno che ha un po’ più di sale in zucca,” lo informò risoluto.
“E per lo scambio di lunedì?” chiese, ignorando il tono definitivo dell’uomo.
Sasori lo scrutò leggermente sconcertato dalla sua presunzione e insistenza.
“Spera che per allora le acque si siano calmate, altrimenti avrai altro
a cui pensare,” dichiarò conciso, prima di girarsi e andarsene,
lasciando il ragazzo ai suoi pensieri.
“Saranno la stessa persona? Questo Sasori dei messaggi e quello della
discoteca?” disse Ino sovrappensiero, più rivolta a se stessa che a
Shikamaru.
Stringeva ancora tra le mani la cartellina con il ritratto realizzato
da Sai e osservava distrattamente la strada familiare che li avrebbe
condotti al commissariato, cercando di mettere insieme i vari frammenti
del mosaico che si sforzavano di ricostruire da mesi.
“Di sicuro dovremo scegliere il modo più adatto per scoprilo, infatti
Tsunade-sama ci aspetta per fare il punto della situazione,” le rispose
il collega con tono pragmatico, sempre concentrato sulla guida.
La poliziotta lo guardò di sottecchi.
Quando era tornata in macchina, l’aveva accolta con un’espressione
seria dipinta sul volto, evitando ogni sorta di commento, ma era certa
che i suoi tentativi di civettare con il ragazzo, anche se mirati solo
a carpire informazioni, lo avevano quanto meno infastidito.
“Ma non ho dubbi che tu abbia già delle idee, dopotutto è sempre così,”
lo punzecchiò, sperando di trascinarlo finalmente in una
conversazione.
Shikamaru rimpianse all’istante di aver spezzato il mutismo in cui si
era rintanato attendendo di superare emozioni irrazionali e
controproducenti. Nonostante i rumori del traffico, la voce di
Ino e il brusio dei suoi pensieri, gli sembrava di sentire ancora ogni
singola parola che era stato costretto a sorbirsi attraverso una
ricetrasmittente, resistendo costantemente all’impulso di togliersela e
gettarla lontano. Sospirò prima di risponderle nel modo più
neutro possibile.
“Sì, tipo quelle che tendi ad ignorare,” affermò senza distogliere
l’attenzione dalla strada, anche se la fila di macchine annunciava la
vicinanza di un semaforo rosso.
Il cenno di un sorriso comparve sulle labbra di Ino.
“Beh, tutto si è svolto tranquillamente in ogni caso,” disse compiaciuta, sollevando il disegno per sottolineare le sue parole.
Shikamaru trasse un altro profondo sospiro.
“Certo, forse anche troppo,” replicò incapace di scacciare dalla sua voce il disappunto e la diffidenza che provava.
Quella breve operazione si era rivelata più semplice del previsto, lo
pensava da quando la poliziotta aveva lasciato la camera del liceale
senza intoppi. Per quanto volesse dar credito alle capacità recitative
dell’amica, nel suo stomaco si agitava l’irritazione per i toni che
avevano contraddistinto tutta la chiacchierata tra lei e il ragazzo, ma
anche il sospetto che ci fosse una nota stonata negli atteggiamenti del
nipote del sindaco. E quel sospetto era più che sufficiente a rendere
insopportabile l’idea che dovesse continuare a ronzargli intorno,
monitorando ogni suo movimento.
Fermando l’autovettura, il poliziotto sperò con tutto se stesso che le
loro indagini fossero davvero alle battute finali, perché non era
sicuro di riuscire a sostenere la situazione ancora a lungo. Era
immerso in tale considerazione quando percepì le dita affusolate della
collega appoggiarsi sul suo ginocchio e poi salire sulla sua gamba con
studiata lentezza. D’istinto si girò e incrociò i suoi occhi azzurri,
sempre più vicini man mano che Ino si sporgeva verso di lui, diminuendo
la distanza tra i loro visi.
“O forse è solo troppo geloso, ispettore,” lo canzonò con un sorriso malizioso.
All’improvviso, le sensazioni della sera precedente lo assalirono
insieme a una piacevole confusione e, non appena le labbra morbide
della poliziotta si scontrarono con le sue, avvertì la preoccupazione
sciogliersi velocemente, dissipandosi nella calda danza delle loro
lingue.
Quando ritenne di aver riconquistato la concentrazione necessaria e che
l’interrogatorio del ragazzo fosse ormai concluso, Kakashi si recò dai
colleghi, trovandoli davanti all’ufficio di Naruto. Il poliziotto
biondo conversava con Sasuke riguardo alle indagini, o almeno fu quella
la prima impressione ricevuta dall’espressione seria del suo viso,
finché non gli sentì pronunciare il nome di Sakura con tono lievemente
preoccupato. Si fermò all’istante e lanciò un’occhiata rapida
all’orologio del commissariato, calcolando che doveva essere trascorso
più o meno un quarto d’ora dalla loro discussione. L’assenza prolungata
della collega non era un segno positivo, ma sperò con tutto se stesso
che li avrebbe raggiunti a breve. Sospirò, infilando le mani nelle
tasche nei pantaloni, poi si avvicinò agli altri poliziotti
dissimulando fin da subito timori e preoccupazioni sotto un
atteggiamento tranquillo e posato, consapevole che fosse l’unico modo
per evitare un’atmosfera tesa e controproducente durante la riunione.
Confidava che comportarsi con distacco avrebbe impedito il sorgere di
sospetti su quanto accaduto tra di loro e avrebbe permesso a Sakura di
guardalo negli occhi e di parlargli normalmente, almeno di lavoro.
L’immagine della giovane donna, con il capo basso per non incrociare il
suo sguardo, gli attraversò la mente, ma la scacciò prima di annunciare
ai colleghi la sua presenza.
Quando Naruto gli domandò se l’avesse vista, finse di non sapere nulla,
impegnandosi a sostenere il suo disorientamento con aria rilassata e
nello stesso tempo rassicurandolo sull’arrivo probabilmente imminente
dell’amica. Per sopprimere un rinnovato senso di disagio nei confronti
della buona fede dell’ispettore, cambiò argomento di discussione
chiedendo di essere ragguagliato su quanto emerso durante la parte
successiva
dell’interrogatorio.
La loro conversazione fu interrotta pochi minuti dopo dal suono di
passi sempre più vicini e da Shikamaru che richiamava la loro
attenzione, salutandoli e domandando se il commissario li stesse già
aspettando. Prima ancora di voltarsi verso i nuovi arrivati, Kakashi
intuì dal sollievo comparso all’improvviso sui lineamenti di Naruto che
Sakura doveva essere con loro. Il giovane poliziotto riferì agli altri
che Tsunade-sama doveva ancora convocarli, poi lo superò svelto per
parlare con la collega.
Kakashi si girò, assumendo l’atteggiamento più neutro possibile mentre
osservava la poliziotta rispondere con una leggera risata alle domande
del compagno, adducendo una scusa per il suo ritardo, qualcosa sulla
necessità di accordarsi con Ino per trascorre insieme quella serata.
Gli parve di cogliere sul viso della Yamanaka un attimo di sorpresa,
subito seguito da un sorriso e da molte parole, abbastanza da far
dimenticare l’iniziale incertezza, nel caso fosse stata percepita da
qualcuno.
Forse Sakura voleva evitare Naruto. Quell’idea si intrufolò infida tra
i suoi pensieri, alimentando una cauta speranza, ma si affrettò a
cancellarla, anche perché la giovane donna sembrava ignorare
accuratamente la sua presenza. La voce del commissario, che li esortava
a entrare nel suo ufficio, contribuì ad aiutarlo a non ricadere in
tortuose e infruttuose
considerazioni.
Con il mento appoggiato sulle mani incrociate, Tsunade osservava in
silenzio i documenti davanti a sé mentre tentava di riordinare le idee
dopo il resoconto dei suoi poliziotti.
I vari tasselli che componevano le indagini delle ultime settimane
sembravano ricondurre a un unico luogo: la discoteca Alba, forse una
delle possibilità più ovvie, ma su cui era mancato fino ad allora
qualsiasi sospetto. Sentiva che da quel momento in poi avrebbero dovuto
agire con maggior cautela e il rischio ventilato da Naruto che in tutta
quella storia ci fosse il forte contributo della criminalità
organizzata confermava solo le sue sensazioni, anche se le sfuggiva
cosa rendesse l’ispettore così sicuro di tale affermazione. Nonostante
fosse plausibile, dalla spiegazione fornita sembrava mancare qualcosa,
ma decise di approfondire la questione in seguito.
“Prima di tutto, dobbiamo confermare in modo definitivo che la droga
sia davvero la stessa, recuperando direttamente dalla discoteca una
terza dose,” esordì, riflettendo su quale potesse essere il modo più
adatto. “Escluderei un’azione sotto copertura serale, ci esporrebbe
troppo…” proseguì sciogliendo l’intreccio delle sue dita e posando le
mani sul legno liscio della scrivania.
“Potremmo cercare tra i soggetti schedati per uso di droga qualcuno che
frequenti la discoteca, poi organizzare degli appostamenti per seguirlo
e fermarlo al momento più opportuno,” suggerì Kakashi.
Lanciò poi un’occhiata a Sasuke che mostrava un’espressione pensierosa
e, avrebbe osato dire, un po’ tesa, come durante il rapporto di Naruto
sulla visita all’Alba e sul recente interrogatorio.
“Forse qualche informatore potrebbe semplificarci il compito,”
aggiunse, attendendo un intervento del collega che si occupava di
solito dei contatti con gli informatori.
L’assenza di una sua parola in merito lo soprese e se il commissario
ebbe il suo stesso pensiero, come sospettava dal quasi impercettibile
sollevarsi di un sopracciglio, non lo dimostrò apertamente, limitandosi
a stabilire come avrebbero dovuto procedere.
“Va bene, Sasuke, tenta anche questa strada. Naruto e Sakura, voi
intanto trovate tra gli schedati qualcuno che abbia un qualsiasi
collegamento con la zona in cui si trova l’Alba, che vi abiti o sia
stato fermato da quelle parti. Predisporremo poi gli appostamenti,”
affermò, ricevendo un cenno d’assenso dagli interessati.
Sakura si costrinse ad annuire, sforzandosi di ingoiare ancora una
volta l’inquietudine che la irrigidiva dall’inizio della riunione.
Anche se lo aveva rimandato per quella sera, il confronto con Naruto
era inevitabile e la preoccupava cosa sarebbe successo al loro rapporto
personale e professionale. Gli ordini di Tsunade le ricordavano che
avrebbero dovuto continuare a lavorare insieme, in un modo o
nell’altro, e il timore che la loro sintonia potesse sparire le
stringeva lo stomaco in una morsa. Sentì la minaccia delle lacrime
avvicinarsi di nuovo, ma la voce del collega, oggetto dei suoi
pensieri, la aiutò a ricacciarle indietro, riportandola alla
realtà.
“Per quanto riguarda il barista coinvolto nello stupro, se dovessimo
scovarlo nei paraggi, teniamo d’occhio anche lui?” chiese il
poliziotto.
“Va bene, ma date sempre priorità al recupero della dose di droga. Se
anche lui è connesso ai traffici della discoteca, in ogni caso avremo
modo di arrestarlo a breve,” gli rispose Tsunade dopo un attimo di
riflessione, rivolgendo poi la sua attenzione verso Shikamaru e Ino.
“Mettiamo sotto controllo il numero di telefono che avete recuperato,
solo localizzandolo possiamo scoprire se il Sasori che dirige lo
spaccio a scuola è davvero la stessa persona che lavora in discoteca,”
proseguì.
“Se fosse lui, avremmo un altro collegamento tra i due luoghi, oltre
alla provenienza della droga. In ogni caso, credo che si dovrebbero
organizzare due retate contemporanee per prenderli di sorpresa ed
evitare che abbiano il tempo di nascondere eventuali prove,” ipotizzò
Shikamaru, man mano che nella sua mente si delineavano le battute
finali delle loro indagini.
Il commissario assentì con un lieve movimento del capo.
“Assicuriamoci che la data e il luogo dello scambio di droga non
cambino, intercettando le telefonate e continuando a sorvegliare il
nipote del sindaco. Intanto iniziate a ideare qualcosa per ridurre la
presenza degli allievi, nel caso il luogo rimanga la palestra della
scuola,” dispose.
“Parlerò con il preside domani stesso, credo che si possa far
coincidere con quel giorno un’uscita didattica dell’ultima ora o
qualcosa di simile che non sollevi sospetti,” intervenne l’ispettore,
cercando di scacciare il fastidio procuratogli dall’idea di Ino alle
prese con un liceale, per i suoi gusti, troppo ambiguo.
“Va bene, per quanto riguarda invece la discoteca, anche se
confermassimo che la fonte della droga è la stessa, dovremmo procedere
con prudenza,” avvertì Tsunade, appoggiando la schiena contro la sedia.
“Se come ritiene Naruto la criminalità organizzata è coinvolta in modo
diretto, l’operazione potrebbe rivelarsi molto delicata e con
prevedibili ostacoli.”
Posò poi lo sguardo indagatore sull’ispettore biondo che, sentendosi osservato, si irrigidì involontariamente.
“Detto questo, quali elementi ti rendono sicuro della tua ipotesi?
Certamente è sospetto che l’Alba sembri essere sfuggita fino ad ora a
qualsiasi controllo, ma potrebbe pur sempre essere uno dei tanti pesci
piccoli che ha tentato di ingrandirsi,” gli disse con tono pacato e
attese in silenzio una motivazione più dettagliata di quella iniziale.
Il poliziotto la fissò incerto su cosa replicare, consapevole che la
vera spiegazione non spettasse a lui. Era sul punto di girarsi verso
Sasuke per guardalo quando sentì la voce atona dell’amico terminare gli
istanti di attesa.
“Perché in discoteca lavora mio fratello,” affermò lui in modo conciso.
L’espressione del suo viso era quasi impenetrabile e rimase tale anche
davanti alle reazioni di evidente sorpresa dei colleghi. Se non fosse
stata per la ruga di tensione che gli increspava appena la fronte,
sarebbe apparso perfettamente calmo, tuttavia Naruto sapeva bene che
non era così.
“In che senso lavora all’Alba?” domandò il commissario con aria diffidente.
“Molti anni fa, fu coinvolto in un traffico di droga gestito da un
pezzo grosso della criminalità organizzata. È scappato e da allora non
ho più scoperto nulla di lui, finché…” le rispose Sasuke tutto d’un
fiato, ma si interruppe quando avvertì un nodo bloccargli la
gola.
Anche la versione più breve della storia di suo fratello era come un
blocco di cemento che lo schiacciava soffocandolo. Si sforzò di
mantenere un atteggiamento controllato mentre sentiva l’amico
giungergli in soccorso.
“Finché l’altro giorno non l’ho riconosciuto in discoteca,” completò la frase al suo posto.
Lo ringraziò mentalmente, deglutendo e recuperando il respiro che fino
a quel momento non si era accorto di aver trattenuto. Ignorò gli
sguardi stupiti che ancora percepiva su di sé e si concentrò sulla voce
dell’altro poliziotto.
“È quindi molto probabile che sia sempre la criminalità organizzata a
coprire e proteggere l’Alba. Se dietro Itachi c’era qualcuno di
importante, ciò potrebbe spiegare la mancanza di precedenti per il
locale o comunque di qualche sospetto. Inoltre Sasuke non è riuscito a
trovare suo fratello in tutti questi anni, pur essendo qui a Konoha.
Era come se non esistesse e lo stesso sembra valere per i dipenditi del
locale,” spiegò Naruto.
Tsunade lo ascoltò con attenzione, cercando di assimilare le nuove informazioni.
Non si sarebbe mai aspettata un coinvolgimento personale di un suo
poliziotto con un pregiudicato, per giunta latitante. In situazioni
simili, la logica avrebbe voluto che lo escludesse dal caso, tuttavia
Sasuke restava uno dei suoi migliori uomini che aveva condotto quelle
indagini fin dall’inizio senza errori e, nonostante tutto, sentiva di
potersi fidare di lui.
Emise un sospiro istintivo e rivolse lo sguardo sul poliziotto che attendeva compostamente una sua replica.
“Se davvero tuo fratello è collegato a questo caso come sembra, da
questo momento in poi confido nella tua totale professionalità. Non
costringermi a rivalutare la mia decisione,” affermò perentoria,
fissandolo seria e cambiando argomento solo quando ottenne una risposta
convincente.
“Non appena avremo le conferme di cui abbiamo bisogno, definiremo
meglio i dettagli per le operazioni finali. Ora siete liberi di
andare,” concluse, osservando poi i poliziotti che lasciavano il suo
ufficio e augurandosi che nei prossimi giorni filasse davvero tutto
liscio come speravano.
Note dell'autrice
Nonostante i tremila anni di attesa, questo capitolo è fondametalmente
un capitolo di transizione. Spero però che Sakura e Kakashi, e forse
anche Sasuke che un po' si è messo in gioco, siano riusciti a renderlo
più interessante.
La parte delle indagini è quella che mi sta dando molti problemi,
quindi pur cercando di renderle il più possibile realistiche credo che
chiuderò qualche occhio o questa storia rischia davvero di non arrivare
ad una conclusione. Mi premeva precisarlo perché fin dall'inizio ho
provato a gestire l'elemento poliziesco con attenzione, ma è evidente
che mi sono più congeniali le pare mentali dei personaggi
^^'
Grazie a chi lascerà un segno del proprio passaggioXD
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