Il ritorno del caos

di Aki_chan_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo- Buio ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo- ...luce? ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo- Risvegli ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo- Silenzi ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo- Fiducia ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo- Segni ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo- Ombre ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo -Tenebre ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo- Dolore ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo- Incontri ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo- Scontri ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo capitolo- Incubi ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo capitolo- Memorie ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo capitolo- Coraggio ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo capitolo - Vita ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo- Buio ***


*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: Salve a tutti, carissimi lettori e lettrici, mi presento con la mia prima fanficion :D (mi sono appena fatta il profilo a dire il vero ^^”) prima di cominciare, sappiate che non ho mai scritto una cosa del genere in vita mia, dunque vi chiedo solo di andarci piano con le critiche XD
 
Aki: ammesso che non ti ignorino e basta....
 
Io: ç_ç ehi, cattiva T.T almeno la storia la leggete, vero? TwT *fa gli occhioni ai lettori*
 
Aki: la mia era un’ipotesi, anche se alquanto probabile ù_ù
 
Io: TTwTT
 
Yusei: *si affaccia nella stanza* ehi, che state facendo voi due?
 
Io: Yuseeeeeeeeeei! ToT *gli salta al collo* gwheee, Aki è cattiva T^T però se ci sei tu non fa niente ^w^
 
Yusei: o_o”? ehm..
 
Aki: Scendi. Subito. Da. Lui.
 
Io: *ancora appesa come un koala* altrimenti? Uwu
 
Aki: e___e *lo stabilizzatore sui capelli inizia a brillare*
 
Yusei: ...mi sa che è meglio se mi lasci.... adesso...
 
Io: v-va bene... *scende, a malincuore*
 
Aki: anche tu Yusei, vedi che ti succede se la lasci avvicinare ancora così e.e
 
Yusei: tranquilla Aki <.<
 
Io: but why ToT....vabbé, cavolate a parte, ecco a voi il primo capitolo/ prologo, "buio" ^_^
  
POV (point of view): terza persona
 

Correva.
 
Correva, da molto ormai.
 
Correva, ma non sapeva nemmeno lui per dove.
 
Il respiro si accorciava ad ogni passo, gocce di sudore scivolavano sulle sue tempie per la lunga corsa, circondando un’espressione tesa e contratta in puro sforzo; il cuore batteva all’impazzata, le gambe, ardenti, davano segni di imminente cedimento, ma lui non poteva fermarsi adesso. Cercò di ignorare le fitte di dolore che gli procurava il fianco ferito: doveva tener duro e stringere i denti ancora per un po’, perché non poteva permettere di farsi raggiungere. Voltarsi sarebbe significato tradire i suoi amici. No, non sarebbe successo. Non doveva succedere.
 
Ogni via era buona, bastava che si potesse attraversare. Le strade erano strette, e si snodavano in un fitto incrocio di labirinti. Non c’era anima viva in giro. Detriti e rifiuti spesso ingombravano le strade, ma nulla sembrava poter fermare la sua corsa disperata. Andava avanti così da molto però, troppo forse. Le fibre dei suoi muscoli già deboli non avrebbero retto all'infinito, la sua corsa era destinata a terminare, prima o poi, come la sua vita.... No. Quella non gliel'avrebbe portata via nessuno così facilmente. Era il tipo di persona forte e tenace che se la cavava sempre e comunque, quindi perché mai questa volta doveva andare diversamente?
 
Ogni passo atterrava nelle pozzanghere schizzando gocce d’acqua intorno a sé, confuse con altrettante che cadevano dal cielo con tanti, piccoli tonfi sordi. Già, si era messo a piovere. Con tuoni e lampi pure. Però... non tutto giocava a suo sfavore: poteva sfruttare ancora l’oscurità e la pioggia. L’una avrebbe coperto la sua vista, l’altra i suoi passi. Perfetto, no?
 
No che non lo era. Perché il buio non era nemmeno amico suo. Nascondeva segreti anche ai suoi occhi, così come l’acqua che ormai aveva trapassato tutti i suoi abiti non gli permetteva di sentire nemmeno i passi del nemico. Non era impresa facile farsi strada in quei vicoli bui in piena notte, e la pioggia incessante non rendeva nulla più facile. Doveva trovare un modo per porre fine a quella corsa prima che cedesse alla stanchezza. La ferita bruciava, così come il torace e le ginocchia. Magari poteva raggiungere un punto dove riposare o...
 
....Troppo tardi.
 
Il suo corpo era arrivato davvero al limite, esausto. Non aveva più le energie necessarie per procedere oltre. Cos'era successo? Aveva percorso abbastanza strada? Poteva davvero tirare un sospiro di sollievo e dire ‘pericolo scampato’? La speranza c’era, ma questo non poteva saperlo, la pioggia non gliel’avrebbe detto, e nemmeno il buio. Questo buio però era diverso da quello di poco prima: era più fitto, e in un certo senso... invitante. Era diffuso tutto intorno a lui... o solo ai suoi occhi?
 
Tsk, non importava più, ormai. La corsa era finita.
 
Rallentò bruscamente, tanto da cadere sulle sue ginocchia, mani a terra. La schiena e le spalle si alzavano e abbassavano velocemente a tratti, mentre i polmoni tentavano disperatamente di recuperare l’ossigeno perduto. Le gambe doloranti e in fiamme avevano iniziato a tremare con evidenza, benché fossero piegate. La testa cadeva pesante tra le spalle, un braccio si affrettò a stringersi sul suo fianco, la sua bocca era ancora aperta, e il respiro rumoroso e pesante si condensava nell'aria fredda della notte. Stringeva gli occhi, un’espressione di intenso affaticamento oscurava il suo viso.
 
Fu questione di secondi prima che anche l’unico braccio che lo sosteneva si piegasse sotto il suo peso: ogni muscolo del suo corpo lo aveva abbandonato, supplicando riposo. Non che lui volesse opporsi più di tanto stavolta: quel buio così avvolgente ed ipnotico forse non gli avrebbe fatto del male. Gli sembrò che la poca luce riflessa nel pavimento si allontanasse lentamente dentro ad un tunnel di tenebra...
 
...poi più niente.
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*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: bene, penso che l’unica cosa chiara sul personaggio è che si tratti di un lui con una decente resistenza in corsa XD a voi le ipotesi :P
 
Aki: io però non ci sono ._.
 
Io: abbi pazienza, comincerai il capitolo successivo u_u
 
Yusei: io ho un pessimo presentimento.
 
Io: mi spiace ragazzi, non posso fare spoiler ^_^ che ne dite, ci sarà qualche anima pia che mi lascerà una recensioncina? >w< Anche di totali correzioni va bene, anzi, la apprezzo X3 la storia più di tanto non posso modificarla, ma spero vivamente di averne elaborata una decente ^.^
 
Aki: *legge gli appunti della trama* O__O MA TU SEI COMPLETAMENTE PAZZA! Altro che Apocalisse, questa è follia!
 
Io: No, QUESTA – E’ – SPARTAAAAAAA!!! *calcione (ad Aki)*

Yusei: *si tuffa a prenderla* Ma sei impazzita sul serio o cosa?! Aki, stai bene? D:
 
Aki: ... s-si, sto bene....*blush*...

Io: Sono impazzita circa due mesi fa se vuoi saperlo U_U beeene, dopo il piccolo sfogo risolto a favore della nostra coppietta (Aki & Yusei: COSA?!) che io adoro e continuerò a sostenere, credo che adesso ci possiamo salutare :D a presto carissimi ^w^ non dimenticate di recensire, eh, ci tengo tanto ^o^











FEEEERMI TUTTI! Finalmente ce l’ho fatta! (settimane dopo aver pubblicato il capitolo, che genio) ecco che la sottoscritta si cimenta nella cosa che dovrebbe saper fare meglio :D ...anche se non ho badato moltissimo a sfondi e dettagli... che baka che sono ç_ç vabbé, basta dire che ho voluto disegnare una scena del capitolo ed ecco qua il risultato :D ...ooook, con l’immagine vi spoilero un po’ il seguito, ma suvvia, alla fine era abbastanza facile capire di chi si trattasse u.u  giusto per evitare confusione, vi dico che sono due scene staccate accostate, tipo collage ^^ ho deciso di lasciare la matita 1) per mancanza di tempo, 2) perché riesco a esprimermi meglio a matita che con inchiostri e colori XD va bene, basta noie, fatta l’anticipazione, vi lascio l’immagine ^__^


















 

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo- ...luce? ***


*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: *si precipita in stanza* riiiieccomi ragazzi... *pant* ringrazio tutti *pant* quelli che *pant* hanno letto (e recensito) *pant*  la mia storia XD *pant* (letteralmente *pant* i primi 25 lettori del Manzoni :’3 *pant*) ..finalmente *pant* ecco a voi *pant* il nuovo capitolo! :D *paaaant –si appoggia ad una sedia*
 
Yusei: tutto bene?
 
Io: potrebbe andare meglio... *pant*
 
Yusei: perché stavi correndo? –mi ricorda qualcosa <.<
 
Io: ringrazia i miei prof.... *pant* certe volte vorrei avere i poteri di Aki e strangolarli,  quei luridi pezzi di- *Yusei le tappa la bocca mentre lei continua a sbracciarsi*
 
Yusei: abbiamo afferrato... *le toglie la mano*
 
Io: *continua come un treno* ....e specialmente quella di italiano e latino, quella brutta str- *le ritappa la bocca*  (sappiate che str- sta per strega LOL)
 
Yusei: va bene che sia l’angolo della scrittrice questo, ma non credo sia né il luogo né il momento adatto per continuare a lanciare offese e imprecazioni contro i tuoi prof...
 
Io: *da sotto il guanto* ...Yùhhei, mi mhanha l’ahia...
 
Yusei: ?
 
Io: iuhhei ....thohhi... ha ...ma....hooo....

*gliela toglie lei a forza* AAAAAAAAAGH *respira*
 
Yusei: O_O ah, scusa >__< stai bene? D:
 
Io: a-ha, adesso si =w= <3
 
Yusei: ._.”?
 
Io: ecco a voi il secondo capitolo ^v^ <3
 
Yusei: non ci sto capendo più niente...
 
POV: Aki
 
 
Ero uscita di casa chiudendo silenziosamente la porta. Avevo un bisogno disperato di prendere aria, visto che ero rimasta chiusa in quelle quattro mura fin troppo a lungo, e questo a me non andava giù. Sapevo che non avrei dovuto farmi vedere in giro, nessuno avrebbe dovuto nemmeno sapere che esistevo. Però non ero una tipa che accetta le cose che non le piacciono così passivamente.
 
Ieri aveva piovuto, e già da alcune ore minacciava di ricominciare ben peggio stanotte. Non importava, tanto avrei girato comunque col mio solito cappuccio e mantello, due gocce non mi spaventavano mica. Anzi, meglio così, ci sarebbe stata ancora meno gente per strada.
 
Le nuvole nere ricoprivano il cielo, oscurando la poca luce della luna e delle stelle. Non ricordavo di aver mai visto un’oscurità tanto fitta. Non che mi desse fastidio, sia chiaro, io non ho mai avuto problemi a orientarmi nel buio. Ho imparato a farci l’abitudine. Quasi quasi mi piaceva: era un po’ come se mi proteggesse. Muri non fisici che sapevano celarmi agli altri senza vincolare la mia libertà. Perfetto, no?
 
Ah, no, c’era ancora la pioggia. Aveva cominciato a cadere fitta già da un po’, ma ripeto, non rappresentava un problema. Non troppo grande almeno. Le vie più vicine erano tante, ma tutte deserte. Le conoscevo bene, in fondo erano quelle intorno a casa mia... ok, diciamo al mio “rifugio”. Non erano vicoli normalmente affollati, comunque. Il vicinato, si sapeva, non era esattamente dei migliori. Nemmeno che ci fosse da aspettarsi di meglio da questo territorio, dopotutto, il Satellite era la terra dei disperati per eccellenza. Ma io non li temevo, anzi, erano loro che avrebbero fatto meglio a temere me, così come avevano fatto quelli di Neo Domino...
 
No, non avevo intenzione di tornare a ripensare al passato, mi aveva tormentata a sufficienza. Questa notte mi andava di distrarmi e basta. Se ero qui era per sigillare il mio passato. Non che mi si prospettasse un futuro vero e proprio in questo modo... ma per il momento mi accontentavo del presente. Il mio passato aveva vincolato le mie speranze per un futuro, ma che avrei dovuto farci adesso? Io non avevo colpe, era questo odioso segno la causa delle mie disgrazie, la causa di questi strani poteri. Se la mia vita era destinata a non averlo un futuro, combattere per riottenerlo non mi sarebbe servito a niente. Tanto valeva che mi accontentassi.
 
Mi ero quasi dimenticata di come si faceva a camminare. Avevo davvero bisogno di fare due passi. Chi se ne importava se pioveva, mi ero intestardita che sarei uscita stasera e così avrei fatto, non ero una che si rimangiava le decisioni.
 
Anche se dovevo ammettere che stavo iniziando ad avere una strana sensazione... era come se sarebbe dovuto accadere qualcosa, non sapevo se di buono o cattivo... Come se non fossi stata sola stavolta. Ehi, significa forse che ci debba essere qualcun altro qui? Io non vedo nessun-
 
Oh oh.
 
Qualcuno l’avevo visto, sì, ma era steso a terra. No, non avevo visto male, il buio non poteva ingannare me.
 
Incuriosita, mi avvicinai per capire meglio di chi si trattasse. Era un ragazzo, ma che ci faceva lì sul pavimento? Che gli era successo?
 
Numerose teorie affollarono la mia testa. Doveva essere solo una passeggiata, eh? Avrei potuto ancora fare in modo che rimanesse tale, passare avanti e abbandonare quel giovane a se stesso. In fondo, questo era il Satellite, e rischiare di farmi scoprire non era tra le mie prerogative. Mossi un solo passo oltre, poi mi arrestai definitivamente. Qualcosa dentro di me si rifiutava categoricamente di ignorare quel giovane. Ma perché?
 
Me ne sarei pentita, ecco perché. Sarebbe rimasto il rimorso, oltre al dolore dentro di me, per aver sprecato l’opportunità di salvare quella vita, specialmente sapendo che ne giacevano molte altre nella mia coscienza. Mi si era presentata l’occasione di rimediare almeno un minimo alla distruzione che avevo portato con me fino ad allora, perché gettarla via? Come avevo solo osato muovere quella gamba?
 
Mi voltai rapidamente e mi accovacciai affianco a lui. Era rovesciato a terra con la schiena all’insù leggermente di fianco, il viso era rivolto dalla parte opposta a dove mi trovavo io. Provai a scuoterlo, ma lui era assolutamente immobile. Mi balenò in testa l’idea che fosse... no, non poteva. Appoggiai due dita sul suo collo morbido, ed emisi un sospiro di sollievo. Poi gli toccai il viso liscio e bagnato. Era gelido, colpa dell’acqua e del freddo, forse. Non sapevo se stesse assolutamente bene, ma il buio era pur sempre il buio, non avrei potuto dirlo comunque. Sarebbe morto davvero se non mi fossi affrettata a soccorrerlo.
 
Mi spostai dall’altra parte e cercai di sollevarlo posando il suo braccio attorno al mio collo. ‘Ugh, pesi più di quanto pensassi’, gli mormorai. Non che mi aspettassi una risposta, chiaramente. Spostai il suo corpo verso il centro della mia schiena coperta dal mantello, cosicché avrei potuto sopportare i suo peso più facilmente. Era più alto di me, dunque questo mi costringeva a flettermi leggermente in avanti per sostenerlo meglio. Camminavo lentamente, ma tanto di fretta non ce n’era, casa mi- il mio rifugio non era lontano, a quella velocità non ci sarebbe voluto più di un quarto d’ora.
 
Sentivo il suo respiro lento e leggero vicino al mio orecchio, la sua testa era sulla mia spalla. L’oscurità mi permetteva di distinguere le forme, ma non i colori. Non ritenevo importasse in un mondo così grigio, però adesso stavo cominciando ad incuriosirmi. Avevo notato che aveva dei capelli lunghi rivolti a ciocche all’insù, e una frangia che gli sovrastava leggermente gli occhi.
 
‘Chissà cosa gli è successo... glielo chiederò quando si riprenderà magari. Che tipo di persona sarà mai? Ora che ci penso, sto correndo davvero un bel rischio a portarlo con me, ma saprei come difendermi in ogni caso. Mi devo sbrigare, potrebbe essere in condizioni peggiori di quanto abbia potuto constatare. ’
 
Finalmente raggiunsi l’ingresso dell’edificio. Aprii con cautela la porta cigolante, e varcai la soglia. Ero abbastanza stanca, il peso del ragazzo per me era tutt’altro che indifferente, e ne stava soffrendo parecchio tutta la mia schiena. Cercai di farlo scendere più lentamente possibile sul divano a cui mi ero avvicinata, sotto le luci ancora spente. Poi stiracchiai la schiena inarcandola all’indietro e tesi all’insù le braccia. Mi ritenevo fortunata ad aver trovato un tetto sotto cui stare in quella terra desolata. Ormai i pochi abitanti nei dintorni avevano capito che avrebbero fatto meglio a non avvicinarsi nemmeno a questa casa. Non era molto che mi trovavo qui, ma sapevo che sarebbe stata solo una questione di tempo prima le solite voci sul mio conto cominciassero a girare.
 
Beh, non era che dall’esterno questo posto ispirasse molta fiducia. C’erano due piani, ma le mura non erano molto ben messe. Il tetto era per la maggior parte chiuso, ma non mancavano le solite falle qua e là. Era una vera rottura quando piov- ah già, vero, pioveva. Uff. Pazienza, domani. Comunque, l’importante era che ci fosse di quanto necessario per vivere. Il piano di sopra era assolutamente vuoto, ma non importava, tanto non ci avevo mai messo piede.
 
Tolsi il cappuccio e il mantello: ormai l’acqua aveva bagnato anche i miei capelli, e il corpo del ragazzo aveva bagnato anche la mia schiena. A proposito... ora avrei potuto accendere la luce. Ce n’era una sola al centro della stanza e un po’ fioca, ma bastava. Mi allontanai dal divano e posi la mano sull’interruttore. La luce alle mie spalle si era accesa, ma mi ci vollero alcuni secondi per far abituare la vista alla nuova atmosfera.
 
Impaziente, mi voltai tornando verso dove avevo disteso il ragazzo, e la mia mano mi coprì istintivamente la bocca.
 
Aveva un fianco sanguinante, e a giudicare dalla sua espressione sofferente, sembrava ne sentisse anche il dolore benché incosciente. Non mi era mai capitato –grazie al cielo direi– di dovermi occupare di ferite del genere, ma sentivo che dovevo agire in fretta. Armata di un innato spirito risoluto, cercai in giro qualcosa che potesse aiutarlo a fermare il sangue. In un mobiletto del bagno, fortunatamente, c’erano rimaste delle garze asciutte. Presi un lenzuolo che avevo lasciato su una sedia e rapidamente tornai nella stanza più grande.
 
Respirai profondamente. Dovevo togliergli almeno giacca e maglia, quelle erano zuppe e gelide, e sarebbero state d’ostacolo anche al mio delicato lavoro. Lo sollevai dalla schiena per togliergli la giacca blu già aperta, la sua testa appesa all’indietro era pesante, ma cercai di resistere a quel leggero sforzo delle braccia per tenerlo su. Con l’altra mano iniziai a sfilargliela dalle le maniche, e quando riuscii a toglierla riappoggiai il busto del ragazzo sul divano. Posi la giacca affianco a me, poi allungai le dita verso la base della maglia che indossava.
 
Esitai per un attimo, ma non a lungo, non avevo tempo da sprecare. Sentii le mie guance diventare parecchio rosse, ma pazienza, mi sarebbe passato. ‘Forse farei meglio a chiudere gli occhi per un attimo, non vorre- non voglio deconcentrarmi. ’ In un colpo solo la feci arrivare fino alla base del suo collo, poi la feci passare attraverso le braccia che gli riposi vicino ai fianchi.
 
Uff, e questa era fat...ta. Wow. N-non male. Dovevo ammettere che aveva davvero un bel fisico. I muscoli delle braccia e del torace erano ben tonici, e la sua pelle aveva più colorito della mia, lievemente abbronzata. Però la vista del sangue non era molto rassicurante. Dopo la veloce occhiata che mi ero concessa, mi concentrai sul lungo taglio che ora potevo distinguere nettamente. Non era troppo profondo, tuttavia credevo fosse stato provocato da qualcosa di molto affilato. Presi l’asciugamano, e rapidamente lo passai sulla zona attorno alla ferita pulendo il sangue che ne era sgorgato, e lo fasciai con quello che avevo trovato in casa.
 
Infine gli asciugai il torace, le braccia e la testa, e a loro seguito anche quanto potevo delle gambe. Non sarebbe stato un problema se fosse rimasto con quei pantaloni addosso –scordatevelo, ok? Quelli non li avrei toccati per nessun motivo al mondo. Presi l’ultima coperta asciutta che sapevo ci fosse in casa, e la distesi su di lui. Aveva cominciato a riscaldarsi, però ponendo una mano sulla sua fronte mi accorsi che quella stava diventando davvero troppo calda.
 
Stupida pioggia. Dev’essere stato il gelo, oltre alla ferita. Presi un piccolo pezzo di stoffa umido, lo piegai e glielo posi sulla fronte per tenergliela più fresca. Non avevo idea di cosa fare ancora. Tutto quello che potevo fare era restare ad aspettare che si svegliasse. Mi sedetti su uno sgabello vicino, e rimasi per non so quanto a rimirarlo. Aveva dei capelli, sebbene un po’ scomposti, davvero particolari. Erano lunghi e neri, gli cadevano su parte degli occhi con altri ciocche, più lunghe, che si dividevano all’insù lungo i lati della testa. Tra queste vi erano alcune strisce giallo-bionde- difficili da credere naturali. Erano davvero curiose, tuttavia affascinanti, a loro modo.
 
(NA: sappiate che quelle le aveva anche da bambino, dunque a rigor di logica dovevano essere vere XD ci sono buone probabilità che la nostra Aki si sbagli insomma u_u  ah, non ha il marchio adesso, non è detto che comparirà ^^)
 
Dopo un po’ decisi che forse era meglio andare a dormire: io avevo perso molte energie e iniziavo a sentire le palpebre pesanti per la stanchezza. Feci forza sulle ginocchia, mi alzai e andai a spegnere la luce che fino a poco prima aveva riscaldato l’ambiente, poi la stanza ripiombò bruscamente nell’oscurità. Mi feci strada fino a dove si trovava il letto senza urtare niente, e cambiai i miei vestiti umidi con dei nuovi asciutti che vi avevo lasciato vicino. Sollevai il lembo del largo lenzuolo e mi distesi anche io, iniziando a rilassare completamente il mio corpo.
 
Sarebbero accadute molte cose il giorno dopo, dunque per adesso avevo bisogno di recuperare più forze possibili e di restare a mente chiara. Divagai il pensiero in altre, numerose ipotesi riguardo il giorno che sarebbe seguito. Forse era la prima volta che pensavo davvero al futuro. Non avevo idea di cosa sarebbe accaduto, ma avevo una strana sensazione riguardo quel giovane. Doveva essere un po’ più grande di me, non so di quanto. Non avrei dovuto abbassare la guardia, non avevo idea di chi c’era nell’altra stanza, in fondo. In questo pozzo di disperazione potevo aspettarmi di tutto. Ma avrei aspettato la luce del giorno per affrontare la questione.
 
Sapevo già come sarebbe finita. Lui avrebbe visto di cosa ero capace e sarebbe scappato, come tutti. Per una volta dopo tanto tempo che non ero del tutto sola, l’idea di perdere quella semi-compagnia un po’ mi rattristava. Ma ero già preparata al seguito. Era successo tante volte. Però volevo aspettare e stare a vedere. Così avvolta dalle nubi che circondavano la mia mente, mi abbandonai tra le braccia di Morfeo.
 
*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: Ok, capitolo lunghetto XD A-hem, so bene che Aki dovrebbe essere la strega perennemente nera col mondo tutta fuoco, fiamme e radici, però volevo dipingerla più come una persona che ha già accettato la sua sorte, soffre, ma non vuole dar peso alla cosa, e cerca di trovare un suo modo per continuare ad andare avanti senza lasciare che il suo passato le addossi altri guai... non so se sono riuscita ad esprimere il concetto XD avrei dovuto farla più cattiva, ma ho letto troppe fic (anche in inglese) in cui abbiamo questa Aki ancora al guinzaglio di Divine o diffidente nel lato cattivo del termine, e la cosa mi ha dato abbastanza nausea -_-
 
Aki: almeno sono comparsa stavolta.
 
Io: dovresti ringraziarmi, ti ho regalato l’intero pov ù_ù
 
Aki: conoscendoti, pensavo l’avresti concesso a Yusei, prima che a me ._.
 
Io: come potevo? Il nostro amico era svenuto per la via, non avrebbe avuto molto da dire XD
 
Yusei: lo sapevo... sei crudele, hai appena cominciato e sono già finito male.
 
Io: ehi, che vuoi, ad Aki non gliel’hai mai detto “crudele”! Insomma, lei ha cercato di ammazzarti ben due volte! D:
 
Yusei: siete più simili di quanto pensassi.
 
Io: mi stai dando della sadica? ç_ç
 
Aki: io sarei sadica? e_e
 
Io: Nooooh, certo che no Aki ^^” però sembrava ti stessi divertendo davvero un mondo mentre duellavi durante la Fortune Cup e...
 
Aki: che c’è, non ci si può divertire duellando?
 
Io: io non intendevo in quel senso -_-
 
Yusei: va bene, lasciamo stare... A proposito, tu duelli?
 
Io: ovviamente, che domande >w< ho anche il mio profilo personale su dueling network *^* il deck naturia resterà per sempre il mio preferito X3 ho sempre avuto un debole per i ....tipi.... pianta.... NO. NO. NON E’ VERO...
 
Yusei: ..come non detto...




Vai col disegno numero due! :D le anticipazioni sono più o meno le stesse ^_^ vabbé, sono una fangirl (non-yaoista) senza speranze di recupero, non stupitevi di niente :]  ...per essere precisi, data la mia stima nei confronti di Tite Kubo, autore di Bleach, un po’ il mio stile si è modellato su quello XD lo dico perché Kubo tende a fare altezze un po’ farlocche, per questo Yusei potrebbe sembrare più alto di quanto non sia davvero X°D e lo stesso vale per Aki u.u anche se qui sta in ginocchio XD ...devo essere una barba con questi papiri d’introduzione <.< meglio chiudere, ecco a voi il mio lavoretto XD (per la cronaca, gli sfondi sono noiosi e.e ciao ciao caro studio della prospettiva :’) )



 

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo- Risvegli ***


*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: Yo, minna, tadaima! :D (dovrebbe essere qualcosa del tipo “ciao, ragazzi, sono tornata” XD ok, non ho mai fatto giapponese in vita mia, questo è quel minimo che ho imparato dagli anime con audio originale, e potrei aver detto una grossa cavolata ^.^) grazie a tutti i lettori e recensori per avermi seguita fin qui ^^ tranquilli, questo è solo l’inizio XD E visto che ci siamo, tanti auguri di buon Natale a tutti! :D
 
Aki: Auguri, ce ne hai messo di tempo.
 
Io: eh, si lo so, ma da buona liceale non ho molto tempo per scrivere >o< (infatti siamo nel periodo delle vacanze natalizie...)
 
Aki: già, lo dimostrano i tuoi voti.
 
Io: ehi, bada che se fossi in un’altra sezione avrei una media migliore, il problema sono i prof della MIA sezione!
 
Aki: anche io sono andata a scuola prima di te, non mi sembra sia così impossibile reggere il tuo ritmo.
 
Io: ZITTA, SECCHIA!
 
Aki: O_O come osi piccola...
 
Io: -azzardati solo a ribattere e ti privo di tutti i tuoi poteri all’istante! Sono ancora io a comandare qui!!! E questa è la mia ora di sclerata, CHIARO??! Non capisco come facciate voi secchioni a sapere sempre tutto e alla perfezione! Dovete pur avere un segreto!! Non avete una vita sociale scommetto!! Oooh, ma secondo i prof noi abbiamo seeeeeempre tempo per studiare le loro materie, come se vivessimo per loro! Beh, io sono stufa! *butta il diario e volano migliaia di carte*
 
Aki: o_____o ...va bene, scusa....
 
Io: Bene! Scusate la sclerata, ecco a voi il nuovo capitolo ^-^ per riassumere, Aki ha soccorso un ignoto giovane (a lei uwu) che era svenuto per le strade del Satellite. Ora le cose verranno narrate dal POV di lui ;3 buona lettura! :D
 
*rassetta tutto*
 
 
POV: Yusei
 
Jack! Crow! NO!!!
 
Spalancai gli occhi di soprassalto, ma prima che questi potessero mettere a fuoco qualcosa avvertii un’intensa fitta di dolore al fianco sinistro. La mia mano si strinse immediatamente a quell'altezza e permisi che un lamento soffocato uscisse dalle mie labbra. La mia vista non si era ancora definita a sufficienza, e la mia testa stava girando fortemente. Non appena potei distinguere qualcosa oltre ai colori, mi accorsi che un soffitto scuro si stagliava sopra di me, e che mi trovavo sotto delle coperte, steso su un divano. Non era un posto familiare. Cercai di abituarmi alla luce che filtrava dalle finestre, combattendo la confusione: ero in una stanza abbastanza ampia, sembrava quella di una semplice abitazione. Chiusi gli occhi con forza, cercando di fare ordine tra i ricordi bui che affollavano la mia mente.
 
Che - diamine - era - successo? Ma soprattutto... dov’erano i miei amici?
 
Sollevai la mano destra sopra di me. ‘A quanto pare non è stato solo un sogno’, pensai. Il mio segno era davvero sparito. Non sentivo alcuna forza familiare percorrere le mie vene. Evidentemente il segno si era portato via anche tutto il resto. Concentrandomi, però, potevo sentire la natura di quel potere pervadere ancora il mio corpo nel profondo. Forse non tutto era perduto. Per mia fortuna –o sfortuna-, ne era rimasta una parte. Non era sufficiente per grandi manifestazioni, però c’era.
Riposi giù il braccio, e facendo leva sul gomito, cercai di sollevarmi in avanti fino a sedermi, e portai una mano sulla fronte con le dita tra i capelli, facendo cadere un piccolo panno umido da essa: quel mal di testa iniziava a darmi la nausea. Mi accorsi solo in quel momento che non indossavo più né giacca né maglia, ma che attorno al mio busto c’era una serie di fasciature. Potevo vedere anche quale fosse l’origine del dolore: distinsi chiazze di sangue sul mio fianco sinistro, diffuse lungo un’unica e sottile linea obliqua rosso-scura. Ora ricordavo... Ma che era successo poi? Tenevo ancora addosso i pantaloni bagnati dalla notte precedente, non erano freddi, ma mi davano abbastanza fastidio. Iniziai ad avvertire brividi lungo tutto il mio corpo, e all'improvviso non trovai più la forza di stare seduto. Appoggiai il braccio che prima era sulla mia fronte alla parete del divano alla mia destra per non cadere all'indietro, l’altro piegato dietro di me, e chiusi con forza le palpebre. Almeno la stanza avrebbe smesso di girare... forse. Cercai di regolare il mio respiro, ma non potevo rilassarmi del tutto: non sapevo ancora dove mi trovavo, né se gli eventi della sera prima avessero davvero avuto fine, e non avevo nemmeno idea del perché mi trovassi lì e non nelle grinfie del mio inseguitore. Davvero ero riuscito a seminarlo? Oppure, davvero mi aveva lasciato scappare?
 
Sentivo ogni centimetro del mio corpo come di piombo. Non potevo restare lì, volevo sapere chi era stato a portarmi in questa casa e perché mi aveva aiutato -a questo punto, direi che era alquanto probabile che avessi perso i sensi lungo la strada. Non avevo ancora visto nessuno, e questo non mi faceva stare molto a mio agio: poteva trattarsi di chiunque, non era detto che fossi salvo davvero. Raccolsi più energie possibili e feci scendere le gambe giù dal divano: curvai la schiena in avanti, e poggiai le mani lateralmente per sostenermi meglio. Mi sentivo abbastanza ...fragile. Non mi piaceva. Ora toccava alla parte peggiore però, rimettersi in piedi. Al primo tentativo sentii le gambe cedere bruscamente sotto il mio peso –altro che piombo-, e finii di nuovo in ginocchio, una mano a terra, l’altra aggrappata al fianco. Non potevo muovere un muscolo... era alquanto snervante.
 
Mi voltai e riappoggiai il braccio al divano, stavolta sfruttandolo meglio come appoggio per (ri)tirarmi su, e funzionò, per un po’ riuscii a stare in piedi, giusto il tempo necessario di spostarmi verso la cornice di un’altra porta. Forse alzarmi era stata davvero una pessima idea. Fui costretto a restare immobile per un secondo, la stanza ruotava vertiginosamente attorno a me, e iniziai a sentire gocce di sudore scendere sulla mia fronte; tenere gli occhi aperti stava diventando progressivamente più difficile, e brividi freddi percorrevano tutto il mio corpo. Stavo ansimando. ‘Se adesso mi mancano tutte queste forze è colpa di quel tizio’, pensai, irritato. Però volevo sapere chi altro c’era oltre me in queste mura. Doveva esserci qualcuno, no? Non potevo essere solo. Mossi un passo dentro la stanza a cui mi ero avvicinato ed esaminai l’interno, leggermente illuminato; successivamente sbarrai gli occhi.
 
Trova..ta.
 
E- era ...una ragazza. Questa sì che era una sorpresa. Stava dormendo, avvolta in un lenzuolo bianco, girata verso dov’ero io, le sottili dita di una mano leggermente curve erano accostate alle labbra: faceva tenerezza. L’altro braccio le cadeva piegato giù dalla spalla sul materasso, mettendo ancor più in risalto, uhm, il seno, di dimensione notevole... Poi osservai i suoi capelli rossi: erano tendenti al fucsia e corti, però aveva due ciocche ai lati del viso molto più lunghe che scendevano davanti alle spalle, e tante altre scomposte che le coprivano il volto. Da quel che avevo intravisto dai suoi lineamenti però, potevo dire che era molto carina. Doveva avere un anno o due al massimo meno di me; dalla sua espressione sembrava tranquilla, ma non so, era come se stesse pensando a qualcosa. Sognava forse? ‘No, non credo’. O almeno, ora non importava più, si era appena svegliata. Aveva socchiuso le palpebre e rivolto lo sguardo verso di me: spalancò di colpo gli occhi e saltò sul posto mettendosi seduta, tenendo le gambe piegate ancora sotto il lenzuolo. Vidi oltre il suo sguardo sorpreso due iridi color nocciola, ambrate tutt’attorno alle pupille nere, brillanti... Non avevo mai visto due occhi così incantevoli. Un leggero rossore le colorò le guance chiare, mettendo le sue ciglia scure ancora più in risalto. Stava arrossendo o cosa? Non avrei saputo dirlo con certezza. Però mi chiedevo... che ci faceva una ragazza così bella in un posto come questo? –eravamo ancora al Satellite, giusto?
 
Lei tentò di ricomporsi in fretta e si mise in piedi. “T-ti sei svegliato! Ma perché sei qui? Conciato come sei dovresti stare a riposo!”

“Tu chi sei?” Fu la prima cosa che mi venne in mente da “risponderle”. Lei esitò, e notai che abbassò leggermente lo sguardo. I suoi capelli le nascondevano quasi tutto il viso. “I-il mio nome non importa. Piuttosto, non mi sembra tu stia bene ora. Devi riposare ancora, la febbre non ti è passata”.  Febbre? Oh, adesso si spiegava tutto. Fantastico, ci mancava anche questa. Ma perché non voleva dirmi il suo nome?! No, aspetta, domanda più urgente.
 
“Dove sono?”. Lei sollevò la testa, guardandosi intorno. “Diciamo a casa mia. Ti ho trovato svenuto in un vicolo ieri notte, sotto la pioggia. Non potevo lasciarti lì a congelare...”. Mi ha risparmiato un’altra domanda, ottimo. Informazioni sufficienti. Ora, con calma, il resto...
 
“...perché non mi vuoi dire come ti chiami?” le chiesi, prima che potesse farmi lei qualunque altra richiesta. La sua faccia divenne ancora più cupa, come se stesse dicendo “Affari miei, ok?” Poi però disse qualcosa di un po’ diverso: “Lascia stare, è una lunga storia. Tanto prima o poi sentiresti come mi chiamano gli altri”.
 
Ma che razza di risposta era?! Ad ogni modo, non ebbi il tempo di continuare il discorso. La ragazza doveva essersi accorta che ero in difficoltà nel restare semplicemente in piedi, seppur appoggiato alla solita cornice della porta: avevo perso la presa, e l’equilibrio. Stavo praticamente collassando. Le sue mani arrivarono a sostenermi per le spalle, la mia testa scese praticamente affianco alla sua.
                                                                                                                    
“Torna subito di là.” ordinò secca. Non avevo scuse. In fondo, ammettiamolo, non era stata una mossa davvero geniale. Annuii silenziosamente, e lasciai che mi accompagnasse verso il divano da cui mi ero allontanato. Avevo cercato di ignorare le fitte che mi procurava il fianco fasciato, però più tempo restavo in piedi e più quelle si facevano intense; stavano diventando difficili da sopportare, ed io iniziavo a sentirmi ancora più debole di quanto già non fossi. Era assolutamente frustrante. Poi, nonostante le proteste delle mie gambe, raggiunsi il divano, e lei mi fece scendere pian piano fino a farmi stendere del tutto. Questo mi diede un po’ di sollievo, ma il disagio persisteva. Non era difficile sopportare il dolore per me: finché era contenuto potevo agire come se nulla fosse, ma la ferita e la febbre messe insieme non mi stavano rendendo la vita facile. In tutti i sensi credo. Calmai il respiro per l’ennesima volta; lei mi pose di nuovo addosso la coperta, almeno ora il freddo era diminuito.
 
“Cosa ti è successo?” mormorò lei, seduta su una sedia affianco a me, i capelli le nascondevano ancora gran parte degli occhi.
‘No, non chiedermelo, per favore. Non so come risponderti, non potresti mai credermi’ pensai. Meglio evitare. Che le avrei dovuto dire adesso?
 
 
*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: parlare dal punto di vista di un maschio non è facile (per una femmina). Abbiate pietà XD
 
Yusei: non credo sia andata troppo male, anche se quel dettaglio potevi risparmiartelo, e sai cosa mi riferisco...
 
Io: esattamente, lo so, ma, ti prego, non avevo resistito all’idea ^x^
 
Yusei: fantastico... scusami Aki...
 
Aki: è lei che si deve scusare, visto che è la scrittrice e///e mi ha fatto lo stesso scherzetto nel vecchio capitolo, ma mi pare di capire che sia un brutto vizio e////e   avanti tu, scusati!
 
Io: perché mai? Le vostre facce imbarazzate non hanno prezzo =w=
 
Aki & Yusei: e/////e
 
Io: visto? :’D
 
Aki: e questo cos’è? *raccoglie uno dei foglietti che erano caduti a terra dal diario*
 
Io: o.o dammelo subito!
 
Aki: ooooooh, ma che abbiamo qui? È un disegnino di- *glielo strappa di mano*
 
io: di nessuno! e.e i miei bozzetti sono solo per me e////e
 
Aki: scusa, la tua faccia rossa non ha prezzo :’)
 
io: tu brutta...
 
Yusei: calmatevi per favore. *respiro profondo* Ad ogni modo, *si volta verso un punto indefinito della stanza in cui dovrebbe trovarsi il pubblico* prima che queste due distruggano la stanza, vi suggerisco di lasciare una recensione, anche nel caso che non abbiate molte correzioni da fare: potrete comunicarci il vostro parere generico, eventuali suggerimenti da applicare o previsioni sul seguito. Grazie in anticipo, e di nuovo, auguri a tutti quanti *si inchina per scansare una sedia volante*
 
 
 
 
 
 
Disegno numero tre :D e ci risiamo con i collaaaaage... l’indecisione era tale che ho optato per “un po’ di tutto” XD è stato divertente disegnare Aki u.u non credevo sarei mai riuscita a far fare quella faccia a Yusei hahah :’) chissà se il rossore (appena accennato, lo so XD) sia per la febbre o per l’imbarazzo u_u vabbé, se c’è una cosa a cui tengo, è evitare di fare i personaggi troppo OOC, disegni compresi XD non potevo spezzare la faccia emotionless di Yusei u.u anyway, enjoy ^_^”    [chissà se potrò postarne altri ç-ç]
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo- Silenzi ***


*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Puntata speciale: tagli bizzarri
 

Io:  potete spiegarmi una cosa?
 
Yusei: cosa?
 
Io: i vostri ...capelli. Come caspita... che cosa ci mettete per conciarveli così?!
 
Yusei: ...
 
Aki: secondo te?
 
Io: ho sempre pensato “gel” :|
 
Aki: secondo te metto il gel? -_-
 
Io: ma che ne so! >.< qualche trucco dovete pur averlo, sembrano anti-gravità! Specialmente tu Yusei...
 
Yusei: ...io? Perché?
 
Io: E ME LO CHIEDI?! Insomma, ti sei mai visto allo specchio?! C-cioè... oh... emm... *COFF COFF*
 
Yusei: no, nesun trucco, sono così e basta ._.
 
Io: (già, sei così e basta *fangirla* <3 <3) della serie, manco se metti e togli il casco ti succede niente! Che ca---
 
Yusei: non lo so, sono così di loro natura!
 
Io: e poi hanno una forma davvero strana ‘-‘ mi ricordano... uhm, un granchio? No aspetta, a giudicare dal colore direi più un pinguino...
 
Yusei: perché questi paragoni?! Si può sapere che vi hanno fatto i miei capelli? T_T
 
Io: nulla, ma... sono troppo strani >o< hai mai provato a conciarteli diversamente, o almeno, in modo che non attirassero tutta quest’attenzione?!
 
Yusei: a dire il vero no...
 
Io: MMMH, e se facessi io un tentativo? ewe *sguardo assassino con un paio di forbici in mano*
 
Yusei: o_O non pensarci nemmeno!
 
Io: *salta all’attacco come un felino munita di forbici*
 
Yusei: o_o nonono- *scappa*
 
Io: dove vaiii vieni quaaaaa *w*
 
Aki: ehi! Non osare torcergli nemmeno un capello, mocciosa! e____e *la insegue anche lei*
 
*un trenino di folli corre per tutta la casa*
 
Io: intanto che cerco di acciuffare la mia preda vi lascio il capitolo, miei cari <3 ah, visto che ci siamo, tanti auguri di Capodanno :D
 
POV: Aki
 
Ero ancora in una fase di leggero dormiveglia, quando udii il pavimento scricchiolare. Male, solo io potevo fare rumori qui. Aprii gli occhi cercando di fissare lo sguardo oltre i capelli che mi coprivano il viso, ed eccolo lì, in piedi –o quasi, si stava appoggiando alla cornice della porta, e sembrava un po’ stanco- che mi fissava, con due grandi... occhi... blu. Wow. Che meraviglia, erano splendidi. Erano più scuri all’esterno, blu come il mare, mentre all’interno si schiarivano con una sfumatura quasi di ghiaccio. Non ne avevo mai visti così. Ne avevo visti di azzurri forse, ma mai blu. La notte precedente avevo già osservato il suo viso, lui era davvero carino, ma non avrei mai pensato che potesse avere degli occhi del genere. Una piacevole –meravigliosa- scoperta. Era ancora più bello di quanto avesi creduto. Mettiamoci che stava ancora a spalle e petto nudo... ‘N-no, Aki, smettila basta, zitta, non ti azzardare, non arrossire, non osare...’. Fortunatamente, un pensiero più ovvio mi balenò in testa. Perché mai si era alzato?! Anzi, dove accidenti aveva trovato la forza di alzarsi?
 
Mi rimisi in piedi, cercando di dosare il tono di voce nel modo più naturale possibile. “T-ti sei svegliato! Ma perché sei qui? Conciato come sei dovresti stare a riposo!” Non posso nemmeno guardarlo a dovere in faccia, stupidi capelli. Nah, lasciamo stare, me li sarei rimessa a posto dopo: quel coso di ferro era troppo grosso e scomodo da tenere anche di notte.
 
“Tu chi sei?” mi chiese. Aveva la voce un po’ cupa, ma era prevedibile, col freddo che si era preso la sera prima... Già, domanda logica. Però, che avrei dovuto rispondergli? “La gente mi teme e mi chiama ‘Strega della Rosa Nera”? Con tutta probabilità, mi avrebbe riso in faccia. Anche se non dava l’impressione di essere un tipo stupido, non potevo uscirmene così, tanto meno col mio vero nome. ‘Quello non se lo ricordava più nessuno ormai’. Meglio lasciar stare.
 
“I-il mio nome non importa. Piuttosto, non mi sembra tu stia bene ora. Devi riposare ancora, la febbre non ti è passata”. Cercai di spostare l’oggetto del discorso su qualcosa di più credibile, speravo lasciasse passare così.
 
“Dove sono?” mi chiese, ancora. Sembra non abbia badato alla mia strana uscita, meglio così. Uhm, dov’era? “A casa mia” suonava abbastanza bene anzi di “rifugio” o cose simili –non mi piaceva molto identificare quella come “casa”, non lo era sul serio, e non mi piaceva. Tuttavia, non avrei voluto farlo sentire a disagio. Ah, inoltre era giusto che sapesse cosa gli era successo, no?
 
“Diciamo a casa mia. Ti ho trovato svenuto in un vicolo ieri notte, sotto la pioggia. Non potevo lasciarti lì a congelare...” suonava compassionevole. Ma quando mai io avrei mostrato compassione? No, forse no. Magari era semplicemente buon senso. Sì, certo che era buon senso.
 
“...perché non mi vuoi dire come ti chiami?” ...E ti pareva. Farsi i cavoli suoi no, eh? Pff...
 
“Lascia stare, è una lunga storia. Tanto prima o poi sentiresti come mi chiamano gli altri”.
 
Ma che..?! Che accidenti avevo detto?! E da quando riuscivo a mostrare tanta confidenza con gli estranei?
Però poi qualcosa mi distrasse. La febbre del giorno prima era leggibile a caratteri cubitali sulla sua fronte dato il sudore, non teneva nemmeno gli occhi completamente aperti. Dovevano mancargli davvero tutte le forze, visto che mi stava letteralmente cadendo addosso. Con uno scatto lo trattenni per le spalle, nella speranza che non mi svenisse lì sul momento –non mi andava di riportarlo di peso sulla schiena. Un brivido percorse le mie dita al suo tocco, forse a causa della sua fin troppo elevata temperatura corporea. La sua testa era finita praticamente sulla mia spalla, e lui era molto, moooolto vicino a me... e sveglio.
 
“Torna subito di là” gli sibilai accanto l’orecchio. Non avevo voglia di stare a discutere. Lui annuì, e lasciò che lo aiutassi senza protestare; buon per lui, e per me. Lo adagiai sul divano, gli rimisi addosso la coperta e mi sedetti su una sedia vicina: adesso era il mio turno di fare domande.
 
“Cosa ti è successo?” gli chiesi. Volevo soddisfare la mia curiosità, però lui sembrava non aver intenzione di assecondarmi. Che c’è, era forse un dispetto perché non gli avevo detto il mio nome? A proposito, non sapevo nemmeno qual era il suo di nome; magari quello me l’avrebbe detto.
 
“Puoi dirmi come ti chiami?” gli chiesi di nuovo pazientemente. Almeno stavolta si era girato... no, come non detto, aveva distolto per l’ennesima volta lo sguardo, ma parlò lo stesso. “Meglio per te non saperlo”. Grr... Lo stava facendo apposta o cosa?? Bene, lo avrei convinto lo stesso a parlare.
 
“Ehi, ti ho salvato la pelle e così mi ringrazi? Non mi dici nemmeno come ti chiami?” Tentai l’approccio dei sensi di colpa, di solito funzionava. Anche se dovevo aver dato l’impressione di essermi irritata abbastanza. Silenzio, di nuovo: per quanto aveva intenzione di continuare in questo modo? A questo punto mi costringeva ad insistere.
 
“Perché non me lo dici?”
 
“Vuoi davvero saperlo?”
 
“A-ha.”
 
“D’accordo, però voglio che tu mi dica il tuo prima” mi ribatté lui. Stava proprio cercando di farsi odiare, eh? Beh, ci stava riuscendo alla grande.
 
“E va bene. Mi chiamo Aki, contento?” Ero andata decisamente oltre. Ma forse non era stata una mossa troppo stupida: male che sarebbe andata, se lo sarebbe scordato, oppure lo avrebbe rimpiazzato. Sarei stata a vedere.
 
“Adesso si”.
 
“Ebbene?”
 
“Mi chiamo Yusei”. Questa mi era assolutamente nuova: non pensavo nemmeno esistesse un nome del genere. Però, suonava bene.
 
“Allora, Yusei, che ci facevi svenuto per le vie del Satellite?”
 
“Prima stavo correndo”.
 
“Eri inseguito?”
 
“Si, credo.”
 
“Credi?”
 
“A-ha.”
 
“Come credi? Da chi?”
 
“Non lo so”.
 
“EH? Come non lo sai?”
 
“No, non so chi fosse.”
 
“Scommetto che una spiegazione migliore ce l’hai”.
 
“...No, non avrebbe senso”.
 
“Dammela lo stesso”.
 
“Meglio di no, sarebbe inutile. Piuttosto, che ci facevi tu lì?” Ha-ha-ha. Eccola la domanda scomoda- dopo aver ignorato le mie ben più ovvie. Non perché dovessi nascondere qualcosa, ma... dire che ne avevo voglia e basta sarebbe suonata come una bella presa per i fondelli, o un chiaro segno di instabilità mentale. Non che io fossi esattamente “normale” –mi riferisco questi strani poteri- però.... vabbé, almeno ci potevo provare.
 
“Volevo uscire, punto. E poi per le strade sotto la pioggia non ci sarebbe stato nessuno ad importunarmi”. Ok, forse non si reggeva tanto come scusa, maaa....
 
“Davvero?”
 
“A-ha”. Lui chiuse gli occhi alzando le sobracciglia. Sembrava che dicesse “Bah, se lo dici tu...” non mi credeva insomma. Che simpatico. ‘È un peccato, con quel bell’aspett- Aki smettila...’
 
“Vivi da sola qui?” Cambio di argomento, eh? Ok, si poteva fare. Pareva che fosse lui quello più confuso dei due, tanto valeva assecondare le sue domande.
 
“Secondo te?”
 
“Secondo me no”.
 
“Invece si”.
 
“Davvero? Tutta sola?”
 
“Si, beh? Che c’è da stupirsi?”
 
“Nulla, ma, voglio dire, non è pericoloso?”
 
“Non ho nulla da temere io”.
 
“Come fai a esserne certa?”
 
“So come difendermi, fidati”. Mh, forse stavo esagerando.
 
“Ah si?” mi sembrava un po’ sorpreso. Davvero gli sembravo un’innocente fanciulla povera e indifesa?!
 
“SI!”. Ops, avevo alzato la voce. Colpa sua.
 
“Ah, ok”. Faceva la faccia innocente adesso.
 
“Tu da dove sei scappato?”
 
“Non sono scappato. Diciamo da casa...”
 
“Sei scappato di casa?”
 
“N-no! Cioè, non in quel senso... nah, lascia stare”.
 
Sospirai. Sembrava non stesse mentendo su quel poco che –non- mi aveva detto. Era strano, ma qualcosa di lui mi ispirava persino fiducia. Anche se non aveva intenzionalmente rivelato nulla di quanto gli era accaduto, sapevo che sarebbe stata solo una questione di tempo per scoprire il resto. Credetti che non sarebbe stato troppo male farlo restare finché non si sarebbe ripreso. Avrei potuto godermi un po’ di compagnia finalmente.
 
“Non ti senti sola qui?” Sembrava avesse talento nel leggermi i pensieri.
 
“Ad essere sincera, un po’ sì”.
 
“Ti capisco”.
 
‘No, non potresti mai...’ Gli risposi nel pensiero. Infine decisi di interrompere la conversazione. Per ora poteva bastare, e poi, io dovevo sistemarmi i capelli e preparare qualcosa da mangiare per entrambi. Mi alzai dalla sedia e mi diressi in camera a cercare il mio “fermaglio”. Propriamente era uno stabilizzatore, però non sapevo fino a che punto facesse effetto. Fortunatamente, non c’era più stata occasione per scoprirlo, dato che era molto tempo che non mi ero più arrabbiata con nessuno... Comunque, ormai era diventato un semplice ornamento di vecchia data per me.
 
“Ehi Aki”. Sentii Yusei chiamarmi per nome dall’altra stanza. “Grazie”.
 
Dal tono sembrava che stesse sorridendo. C’era da ammetterlo, mi piaceva la sua voce. Era calda e sicura, e  contribuiva a far crescere ancor più la fiducia che avevo iniziato a sviluppare nei suoi confronti. E poi, era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta che qualcuno mi avesse ringraziata, ammesso che fosse mai accaduto. Uffa, avrei voluto vederlo il suo sorriso...
 
“Di nulla” risposi, un po’ imbarazzata. Forse avevo agito per egoismo quando l’avevo soccorso: l’egoismo di riparare ad un mio peccato, l’egoismo di non accettare la condanna di restare da sola. Però l’avevo aiutato, alla fine; per un motivo o l’altro, l’azione buona l’avevo compiuta e questo era l’importante, anche se non sapevo se fosse corretto pensarla così. Dopo aver rimesso i capelli in ordine, tornai nel soggiorno a controllare come stesse il mio ospite.
 
Giaceva ad occhi chiusi con la testa piegata di lato, respirando lentamente. Si era addormentato di nuovo.
 
*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*

 
Io: fooooorse questo era un capitolo così così, ma capitemi, serviva anche il punto di vista di Aki X3 tranquilli, voi aspettate il prossimo capitolo saprete cosa è accaduto realmente, parola di Aki-chan UwU ho notato che in molte fanfiction sembra che ci siano colpi di fulmine random assolutamente insensati o forzati, spero di aver reso una scena più credibile ^^”
 
Aki: avevo ragione, il tuo è un vizio... sai di che pezzi del capitolo parlo...
 
io: si, lo so, sono irrecuperabile ^_^
 
Aki: T_T
 
Yusei: ad ogni modo... sono l’unico a sospettare –già dal terzo capitolo a dire il vero- che Aki non è l’unica con qualche specie di potere e quant’altro?
 
Io: brillante come al solito il mi- nostro Yusei ^w^
 
Aki: ti ho sentita.
 
Io: chissene. Vabbé, un pochino ve l’ha spoilerato lui –e l’introduzione-, nella mia fiction la forza dei deck è sostituita da poteri soprannaturali come quelli di Aki, che sinceramente mi affascinano di più delle combo matematiche del gioco di carte <3
 
Yusei: Non sono completamente d’accordo sulla scelta.
 
Io: ovvio, tu sei il re dei duelli turbo, grazie che preferisci Duel Monsters -_-
 
Yusei: *sigh* non farti sentire da Jack, per favore... A proposito, come mai non è apparso nessun altro oltre a me e ad Aki qui?
 
Io: finché non avranno voce in capitolo nel senso più letterale possibile dell’espressione, possono aspettare ^_^ eddai, non sei contento di stare solo (quasi :P) con Aki? uwu
 
Yusei: o_o ehm... < //// < *domanda scomoda*
 
Aki: che razza di domanda era?! e.e
 
Io: una lecita :P pure tu, non sei curiosa di sapere cosa ne pensa? uwu
 
Aki: beh, io... < ///// <
 
Io: ci vuole una fotografia qui :’3
 
Aki & Yusei: NON TI AZZARDARE! * click - troppo tardi*
 
Io: e dopo questo scatto magnifico, vi lascio carissimi, vi prometto che presto vi renderò le idee più chiare su quanto avvenuto in precedenza e che l’azione arriverà a breve XD (il capitolo 5 è già pronto, prima recensite e prima arriva :] eddai, fatemi questo regalino almeno per l’anno nuovo <3) di nuovo auguroni per un anno (ancora) migliore di questo! :D bye a tutti ^_^







Finalmente postato anche il quarto disegno! :D Non c'era gran differenza col capitolo prima, ma vabbé, dettagli u_u   la scena è quella del dialogo, chiaro XD povero Yusei, quando mente/tace non sa nemmeno guardare in faccia la gente, dolce il ragazzo <3 .... vi chiedo umilmente perdono per questo disastro di prospettiva, non siamo mai andate d'accordo io e lei ç_ç  spero che almeno le persone siano venute bene


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Capitolo 5
*** Quinto capitolo- Fiducia ***


*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: è un peccato che Aki abbia distrutto la foto, potevo tenerla come ricordo T.T (o ricatto... hehe) comunque, per la gioia di grandi e piccini –come no- il capitolo di oggi sarà molto più lungo :D diciamo che ho accorpato due dei miei capitoli medi per evitare cliff anger XD (il che vuol dire che il resto è in totale fase stesura, e specialmente ora che le vacanze sono praticamente finite significa che il ritmo andrà allentandosi… I’m so sorry ç_ç)
 
Aki: le scene d’azione non sono il tuo forte.
 
Io: lascialo dire ai lettori/recensori questo e_e ah, prima che me ne dimentichi, avrete sicuramente notato che preferisco utilizzare i nomi originali giapponesi rispetto alle traduzioni inglesi, giusto? A voi dispiace? XD
 
Yusei: chiedi ad Aki. Il mio è sempre lo stesso. *alza le spalle*
 
Io: ….naaa, inutile chiedere, l’originale resta l’originale XD mi spiace solo per i gemelli, Rua e Ruka non suonano bene come Leo e Luna, a mio parere :/
 
Yusei: avevi detto anche che dei dialoghi erano stati letteralmente stravolti, giusto?
 
Io: esattamente, bravo che me lo ricordi <3 ad esempio, quando incontri i gemelli la prima volta, o meglio, quando loro ti raccattano letteralmente da terra (Yusei: non ricordarmelo per favore...), nella versione tradotta avevi perso la memoria XD al contrario, nella versione giapponese gli hai detto subito il tuo nome ‘-‘ e potrei fare mooooolti altri esempi :/ tipo il duello con Roman/Rudger, quello era un discorso importante e da lacrime, e invece l’hanno capovolto totalmente T______________T
 
Aki: hanno cambiato alcune frasi anche del nostro primo duello >_<
 
Io: ...duello che qui dentro ricordiamo tutti mooooooooolto bene, vero Yusei? :’)
 
Yusei: *sigh* Ok, ho davvero passato i guai nella prima stagione. No, aspetta, nella seconda sono quasi morto in un incidente con la duel runner *inizia a contare con le dita*, poi sono precipitato nel Momentum dopo il duello con Rudger (Roman) e quasi annegato per colpa di Divine (Sayer). Infine il WRGP... e i Robot per la città... e il duello con Aporia ... e l’Ark Cradle...e Z-one... ok...
 
Io: ce l’hanno tutti con te mi sa x’D e nella mia storia la cosa non cambia ^o^
 
Yusei: Già, grazie ancora...
 
Io: E DI CHE!!! :D Ah già, a proposito di ringraziamenti… Ringrazio tanto Keily_Neko e iridium_senet per le recensioni ed il sostegno, più tutti coloro che hanno deciso di seguire la mia storia come lady_eclisse, Darkan Kuso Dragneel e karter :D (mi auguro che la lista si allunghi <3) poi una cosuccia che avrei dovuto fare già dal primo capitolo…
 
 Disclaimer: la qui presente Aki_chan_97 non possiede Yu-Gi-Oh 5D’s. Primo, questo è un sito di fan fiction, secondo, in caso contrario avrei fatto finire la serie in maniera completamente diversa ewe
 
Detto questo, a voi il capitolo, miei cari ^.^
 
 
POV: Yusei

 
 
Era già passato un giorno e mezzo da quando Aki mi aveva portato in casa sua. La febbre era quasi passata e la ferita stava guarendo, ma non mi permetteva ancora di compiere sforzi. Non ne potevo più, dovevo andare via da lì e raggiungere i miei amici il prima possibile, ma non avevo modo di sapere dove andarli a cercare. Potevo tentare di tornare verso casa, ma cosa avrei fatto se non li avessi trovati? Avevano rischiato la loro vita per me, ed io non avevo nemmeno idea di quale fosse stata la loro sorte. I miei ricordi mi inducevano a pensare che se la sarebbero cavata, eppure non avevo una bella sensazione. Proprio io che mi ero imposto di vivere proteggendo le persone a me più care, non ero stato capace di fare niente, né di difendere me stesso, né di difendere loro. Com’era potuto succedere?
 
Persino con i poteri che -come loro- possedevo, non ero stato in grado di reagire. Strinsi il pugno destro davanti a me. Quanto tempo dovrà passare prima che possa recuperare le forze? In queste condizioni non posso nemmeno stare in piedi a lungo, figuriamoci girare per tutto il Satellite. Che avrei fatto se quel pazzoide si fosse ripresentato? La logica suggeriva che se non potevo affrontarlo, avrei dovuto evitare lo scontro e allontanarmi, ma a che scopo? Sarebbe stata questione di tempo prima che mi avesse catturato. Anzi, non capivo come mai non mi avesse ancora trovato.
 
Aki si era dimostrata molto gentile a prendersi cura di me, ma potevo davvero già fidarmi di lei fino in fondo? Qualcosa continuava a dirmi che lei non era cattiva –ed essendo una ragazza, non credo potesse essere considerata esattamente ‘una minaccia’- ma sarebbe stata una buona idea raccontarle cos’era successo? La cosa più saggia sarebbe stata non coinvolgerla affatto. Tuttavia, la mia sola presenza qui poteva costituire un pericolo per lei. A quel punto, se fosse accaduto qualcosa e lei ci fosse andata di mezzo, non me lo sarei mai perdonato. Che sarebbe potuto accadere se gliel’avessi raccontato? A) poteva farsi una bella risata e continuare a chiedere una spiegazione più veritiera, o B) gettarmi fuori da casa sua. C) credermi e aiutarmi in qualche modo, ma non credevo fosse plausibile.  
 
Eppure mi tornava in mente ciò che mi aveva detto quando le avevo chiesto se non fosse pericoloso per lei abitare da sola: mi aveva risposto che sapeva come difendersi, ma non aveva aggiunto altro. Che intendeva? Non bastava di certo sapersela cavare con i pugni o con la velocità per essere così sicuri di sé qui al Satellite. Un’ipotesi alternativa mi era venuta in mente, ma era alquanto distante dalla realtà. La situazione intera aveva dell’assurdo. Se solo non fossi stato bloccato qui me sarei già andato via…
 
Basta. Prima voglio chiederle di spiegarsi meglio su quanto aveva detto quella mattina. Avevamo parlato durante il tempo che era passato, ma non avevamo aggiunto nulla di quanto non rivelato nel nostro primo dialogo; ora volevo sapere se potevo davvero fidarmi di lei. Era la mia unica, possibile alleata in questa situazione. Mi alzai da dov’ero seduto e andai a cercarla per le stanze. Alla fine fu lei a venirmi incontro, mentre stringeva i suoi guanti tra le mani, forse se li stava per mettere. Aveva addosso un vestito bianco e rosso con una striscia di stoffa bordò attorno al collo, un ciondolo dorato e verde appeso ad una corda nera, delle calze lunghe e nere chiuse da due scarpette bordò che andavano a braccetto con le altre tonalità dell’abito. Il sopra era abbastanza scollato, mentre le maniche erano corte e-
 
Dovevo aver visto male. O almeno, lo speravo con tutto il cuore. Quel disegno sul braccio era inconfondibile: non aveva una forma familiare, ma la posizione, la grandezza ed il colore non mi lasciavano dubbi. Come faceva lei a possederlo? Ero convinto che, per qualche scherzo del destino, appartenesse solo a me, Jack e Crow... ‘chi è questa ragazza? Perché anche lei ha...?’ No, era assurdo... oppure io ero alquanto confuso. Se quel segno era quello che pensavo, allora anche lei doveva possedere qualche particolare abilità... ‘Ora ho capito! Ecco perché mi aveva risposto così! Lei non ha paura dei pericoli del Satellite perché può contare su quei poteri per difendersi! ’ Sembrava sensato, ma allo stesso tempo assurdo...
 
“Yusei, va tutto bene?” mi chiese lei con aria interrogativa. Dovevo essere impallidito a vista d’occhio se se n’era accorta prima che potessi dire niente. Speravo ancora di aver visto male. Mossi qualche passo verso di lei e le presi delicatamente il braccio destro senza dire niente, ma lei lo tolse via da me bruscamente. Aveva cambiato espressione. Era la prima volta che mi guardava così: avevo fatto qualcosa di sbagliato?
 
“Che cos’è quello?” Le domandai, sperando di ricevere risposta. Magari ne sapeva più di me...
 
“U-un tatuaggio… ad ogni modo, non ti riguarda” ribatté lei fredda. ‘So cosa vuoi nascondermi’ pensai, e ne ero sicuro adesso, ma se volevo arrivare a conclusioni concrete dovevo rischiare: forse mi sarei giocato tutta la sua fiducia. Lei stava in allerta, così feci un respiro profondo e cercai di proferire parola nella maniera più calma e rassicurante possibile.
 
“Quello non è esattamente un tatuaggio, vero?”
 
“Perché non dovrebbe?”
 
Esitai.
 
“...Un comune tatuaggio non può illuminarsi.” Non l’avevo visto effettivamente brillare, e questo aggiungeva credibilità alla mia affermazione... in un certo senso. Ops, forse avevo detto troppo, era sbiancata.
 
“Come fai a...?” tentò lei di dire, con un filo di voce. Centro. Per quanto fosse impossibile, avevo avuto la conferma dei miei sospetti. Direi che la sua reazione era più che sufficiente per darle fiducia, no?
 
“Conosco quel segno. E ti dico che non sei l’unica ad averlo”. Lei aprì ancor di più gli occhi e li rivolse al mio braccio, cercando un fondamento alle mie parole; però poi ritornò a fissare me, senza aver raggiunto il suo obiettivo: ovvio, adesso non c’era! Continuava a scrutarmi in attesa di altre parole da parte mia, così continuai.
 
“Adesso non si vede più, ma io ne possedevo uno simile... fino a qualche sera fa. Non ti ho ancora raccontato nel dettaglio cos’era successo prima che tu mi trovassi, e penso che questo sia il momento giusto. Vieni, siediti qui.” Le dissi, battendo la mano una sedia vicino a me. Non avrei voluto rischiare che mi svenisse davanti, dato che la possibilità c’era... Lei, rigidamente, annuì e fece come le avevo suggerito silenziosamente, poi ripresi a parlare.
 
Flashback – due notti prima
 
Era piena notte. Fuori da quelle mura spirava una brezza leggera tra gli edifici diroccati del Satellite, e nubi grigie oscuravano quella poca luce che normalmente sovrastava le strade desolate. Bestiole alate volavano tra i grattacieli decaduti, emettendo rauchi versi che riecheggiavano tra le crepe dei vetri e del cemento freddo sotto di loro.
 
Tutti dormivamo da un po’, ma ad un certo punto il mio segno mi ridestò dal sonno. Ne sentivo il calore, non faceva male, ma questo poteva significare solo una cosa: pericolo. Quella sensazione di luce senza dolore, quel pallido vuoto, era un chiaro presagio. Benché tutto sembrasse tranquillo, sapevo che quella luce cremisi non mi stava avvertendo per nulla.
 
Ignorai lo stordimento del sonno che mi attanagliava e mi rimisi in piedi. Afferrai stivali, giacca e guanti e mi recai nelle camere dei miei amici. Prima che potessi raggiungerli però, passando al centro della stanza più grande, mi arrestai di colpo.
 
Era comparsa un’ombra. Un’ombra proiettata lungo tutto il pavimento di legno.
 
Mi voltai di scatto. Un uomo con un lungo mantello e cappuccio stava accovacciato sulla cornice inferiore della finestra, ma non potevo vedere niente del suo viso, c’era troppa oscurità. Nemmeno la luce del mio segno sembrava emettere abbastanza energia. A dire il vero, quel rossore diffuso aveva creato un’atmosfera abbastanza inquietante.
 
Feci un passo indietro per mettermi in posizione di combattimento: una scarica di adrenalina pervase il mio corpo, i sensi balzarono tutti a mille davanti all’individuo che si era presentato così silenziosamente in casa nostra. Strinsi vicino al mio fianco il pugno destro che iniziava ad emettere un’aura fredda: avevo iniziato a padroneggiarlo bene. Se fosse servito, avrei potuto stenderlo con un colpo solo, ma mi trovavo più a mio agio in difesa.
 
“Chi sei tu, che cosa vuoi?” gli domandai ad alta voce con tono minaccioso. Che poteva volere quel tizio per comparire di punto in bianco sulla finestra? Lui scese sul pavimento che ci separava, avvicinandosi di qualche metro. Ne mancavano ancora altri prima di arrivare a me, ma dovevo continuare a tenere la guardia al limite.
 
“Yusei Fudo, eh?”
 
Pessimo segno. ‘Questo tizio non è uno qualunque. E’ pericoloso. E se sa il mio nome significa anche che sa...’. Mi interruppi cogliendo un suo movimento: stava alzando lentamente una mano... che intendeva fare? ‘Contrattacca, ora!’ Non potevo permettere che terminasse il gesto. Non formulai nemmeno una frase di senso compiuto nella mia mente che il mio corpo agì da solo.
 
Scagliai il pugno destro precedentemente in carica sul pavimento: una spessa protezione ghiacciata era comparsa sul mio braccio, e numerose stalattiti emersero a gran velocità da sotto le travi del terreno. Volevo circondarlo e bloccarlo in modo da renderlo inoffensivo; la parete gelida avrebbe fatto anche da scudo per me nel caso fosse stato armato.
 
Lui improvvisamente ruotò la stessa mano materializzando una strana barriera trasparente verdastra tutt’attorno a sé, come in una sfera, facendola diffondere anche lungo il perimetro della stanza. Questa raggiunse ad angolo il pavimento, e in quell’esatto istante le stalattiti si schiantarono su di essa. O meglio, la oltrepassarono, forse trafiggendola, ma non erano comparse dall’altra parte: era come se fossero finite dentro uno specchio d’acqua verticale. Qualcosa, decisamente, non andava.
 
Davanti a me, sul pavimento, si aprì un varco oscuro della stessa essenza d’energia, e dal suo interno un fulmine azzurro squarciò l’aria davanti ai miei occhi. Mi spostai rapidamente a destra, ma quello fu più veloce di me: una lama di ghiaccio mi sfregiò il fianco sinistro, tagliandolo in lunghezza. Mi sfuggì un breve grido, prima che potessi rendermi conto di cosa era successo. Caddi in ginocchio sul pavimento, sostenendomi con un gomito: il fianco faceva male... tanto male. Non era come il dolore di un pugno o di un calcio che ti lasciava il livido, questo qui era completamente diverso. La cosa che però mi preoccupava adesso era che tutti i miei muri difensivi erano crollati. Mi aveva letteralmente rispedito l’attacco addosso. Aveva “riflesso” il mio ghiaccio contro di me. Quella cosa era come uno specchio, gli attacchi a distanza non avrebbero mai funzionato.
 
Col tempo, avevo appreso che il ghiaccio che creavo, se non era più soggetto al mio controllo, si vaporizzava rapidamente fino a sparire del tutto in una manciata di secondi. Normalmente non era un problema giocare così in difesa e attacco: nessun essere umano poteva fisicamente violare quella barriera per raggiungermi, o evitare i miei colpi in un ammontare di tempo tanto ristretto. Almeno, secondo standard umani. Si poteva sapere chi diamine avevo di fronte?
 
Il sangue aveva fatto presto a bagnare l’intera area della maglia attorno alla ferita. Sentivo i passi del tizio misterioso avvicinarsi a me: dovevo reagire, e in fretta. Dovevo ignorare quella morsa di dolore, rialzarmi e metterlo fuori gioco prima che lo facesse lui. Cercai di voltarmi, ma la mia gola venne immediatamente compressa a terra. Trattenni il fiato irrigidendo i muscoli del collo più che potevo. Cercai di colpirlo, ma lui strinse semplicemente la presa, impedendomi di nuovo di portare a termine ogni tipo di movimento... Di quel passo avrei perso coscienza. ‘No, così non va... avanti Yusei, fa qualcosa!’ Afferrai il suo avambraccio con entrambe le mani, visto che avrei potuto ancora ghiacciarglielo: di solito il gelo faceva abbastanza male agli altri, ma non a me. Lasciai che l’energia scorresse fuori dei palmi delle mie mani, e grandi placche di ghiaccio iniziarono a formarsi rapidamente sulla sua manica.
 
Poi però si incrinarono, e una dopo l’altra caddero come schegge di vetro. Che significava? Prima gli attacchi a distanza, ora quelli ravvicinati. Davvero non avevo speranze di difendermi da quest’individuo? Chi era? Cosa voleva da me? La luce del mio marchio illuminò leggermente il suo volto: due iridi splendenti mi fissavano, in un modo abbastanza inquietante.
 
Ero bloccato sotto il peso del suo ginocchio. Mi stava comprimendo il torace ancora di più, e il fianco faceva male. L’aria iniziava a mancare seriamente... Allungò la mano libera sul mio polso destro –che non riuscivo a muovere, data la mancanza di ossigeno-, e lentamente iniziò a sollevare il guanto e la manica della giacca per rivelare la fonte della luce cremisi. Il segno?
 
“La testa del drago...eccola finalmente...”
 
‘Cosa?’
 
Tutto accadde in un attimo: la sua mano afferrò il mio braccio, e lampi rossi iniziarono a scaturire da sotto la sua presa. Sentii il marchio incendiarsi, era come se mi stesse spezzando quell’osso in due. Non riuscivo nemmeno a liberarlo, a usare calci o pugni, niente, il mio intero corpo era paralizzato da quelle scariche. Il dolore aumentava man mano d’intensità: strinsi i denti con forza, mentre sentivo i muscoli del mio viso irrigidirsi dal dolore. Avrei voluto gridare di nuovo, ma nessun suono sarebbe uscito dalla mia gola stretta. ‘Ho bisogno d’aria...’
 
Poi, stranamente, il mio desiderio venne esaudito, e finalmente tornò ossigeno nei miei polmoni. Ne recuperai quanto possibile tra un colpo di tosse e l’altro; il peso che mi schiacciava si era spostato fino a sparire, e non sentivo più quella ferrea presa attorno alla gola. Dov’era finito? Il braccio era ancora ardente, ma non lo sentivo più stretto. Riprendendo padronanza dei miei sensi, rivolsi lo sguardo nello stesso punto di prima per capire cosa fosse accaduto.
 
...Jack? Crow?
 
“Ehi, tu, che cos'hai fatto a Yusei?!” questo era Crow, senza dubbio. Stava trattenendo mani al collo il mio assalitore, inchiodato a terra vicino alla parete. Il marchio del mio amico brillava intensamente, ma era come se la luce attorno a me, incredibilmente, fosse diminuita... poi capii il perché di quest’impressione. Guardai il mio braccio destro, e con mia sorpresa, mi accorsi che il mio segno era sparito. Lo sentivo ancora bruciare, ma non riuscivo più a scorgere le linee scure del mio simbolo. Ora che ci pensavo, era la prima volta che vedevo il colore della mia pelle uniforme in quel punto. La cosa, però, mi metteva un senso di preoccupazione non indifferente. Il segno era sparito. Che significava? E perché avvertivo ancora dolore al braccio se quello non c’era più? Mi sentivo stranamente debole. Non era solo il sangue però... adesso volevo saperlo anch'io: che accidenti mi aveva fatto? Vidi che anche Jack si era avvicinato al punto in cui ci trovavamo senza dire niente; teneva un pugno chiuso ancora fumante. C’era qualcosa di sbagliato in tutto questo: anche i segni dei miei amici avrebbero dovuto reagire e sentire il pericolo, ma allora perché erano arrivati solo adesso?
 
Controllai il punto dove c’erano le scale che conducevano alle loro camere: quella strana barriera aveva ricoperto tutte le pareti della stanza come per creare una grande scatola, ma in quella zona era ridotta a tante crepe e schegge ricadute a terra; un largo buco rivelava le scale buie, segno che i miei compagni dovevano aver fatto breccia in quella cosa a suon di pugni. Ora era chiaro... non erano arrivati prima per colpa di quella barriera! Ma come aveva fatto lui a materializzare una cosa del genere? Crow l’avrebbe potuta attraversare senza problemi... aveva un tale potere quell'affare?
 
All’improvviso udii una risata. Brividi corsero sulla mia schiena; quella voce era assolutamente inquietante. Volsi ancora lo sguardo verso dove si trovava Crow: stava facendo del suo meglio per tenere quell'individuo incappucciato a bada, però questo sembrava non aver intenzione di restare fermo. Il mio amico non mollava la presa, ma l’altro lo afferrò in una maniera simile a come avevo fatto io prima.
 
“Quanta fretta, Signer! Abbi un po’ di pazienza e arriverà anche il tuo turno!” ‘Signer?! Turno?! Ma cosa...?!’ Cercai di rialzarmi, stringendo i denti, ma mi arrestai di nuovo. Altre scariche di energia illuminarono la stanza, accecandomi per un istante; udii un tonfo sordo dalla parete opposta alla fonte di luce, ma non riuscii capire ciò che stava accadendo finché nella stanza non ripiombò il buio. Finalmente potei rimettere a fuoco qualcosa: il muro era stato fatto praticamente a pezzi, e che Crow giaceva proprio lì sotto, coperto da un nuvolone di polvere.
 
“Crow!!” ‘No, no, così no! Ma perché?’ Lui si muoveva ancora, ma mi sembrava abbastanza stordito. Crow era forte, com'era possibile che fosse stato scaraventato via con tanta facilità?! Possibile che niente avesse effetto contro quell'uomo? –Aspetta, era davvero un essere umano quello? Persi il contatto visivo quando Jack mi si pose davanti dandomi le spalle, stringendo i pugni. Percepii la sua forza innalzarsi a picco, e la stanza aveva già cominciato a riscaldarsi, come di consueto ogni volta che ricorreva ai suoi poteri. Mi auguravo che non causasse un incendio anche questa volta però, era pur sempre casa nostra quella...
 
“Bastardo... chi ti credi di essere?!” ‘Mai fare arrabbiare Jack Atlas’… Una lezione che io e Crow avevamo imparato tanto, tanto tempo fa... ma ora ricorrere alla forza bruta senza riflettere sarebbe stato un errore da parte sua, doveva essere cauto. ‘Speriamo che ci pensi almeno due volte prima di agire...’ Udii di nuovo quella voce che ridacchiava. Non potevo vederlo in faccia, ma potevo sentire benissimo il suo ghigno irritante, sembrava divertito. “Jack non cedere alla provocazione!” gli dissi, fermo dov'ero –anche perché non avevo ancora le forze sufficienti per spostarmi-, però lui sembrava non ascoltarmi. Stava caricando l’attacco, no! Non aveva visto cos'era successo a me, prima? Troppo tardi, le fiamme erano già partite. Male, molto male...
 
“No, Jack! Fermati!!!” inutile, le mie parole, mosse in ritardo, furono vane. Quella colonna di fiamme che ben conoscevo si stagliò dirompente a mezz'aria, dritta conto l’avversario. Mi sembrò un déjà-vu: il tizio incappucciato ripeté lo stesso movimento, e di nuovo comparve rapidamente la barriera di prima. Le fiamme vennero inghiottite in quello specchio senza diminuire di potenza, tutte insieme, per poi ricomparire all'improvviso alla destra del mio amico. Fu tutto troppo veloce perché potessi nemmeno pensare di intervenire: Jack era ovviamente immune al suo stesso fuoco, ma non poteva sottrarsi alla potenza dell’urto delle fiamme. Le lingue di fuoco si abbatterono su di lui in un’esplosione di luce accecante, mentre cercava di opporre resistenza; quella fu più forte, e venne sbattuto con forza a terra.
 
“JACK!!!” Tutto questo era assurdo. Guardai impotente mentre il mio migliore amico cercava di rialzarsi, in un punto non troppo lontano da dove era atterrato Crow... aspetta, dov'era Crow?
Rivolsi lo sguardo in basso: io stavo stringendo ancora il mio fianco con una mano, ma di quel passo avrei perso troppo sangue... no, forse una soluzione c’era: avrei potuto ghiacciare la ferita per bloccare l’emorragia per un po’. Cercai di raccogliere quanta più concentrazione possibile, ma... niente, dai miei palmi non usciva fuori niente. Tentai di nuovo, e alla fine un piccolo e lungo blocco di ghiaccio riuscì a formarsi sulla ferita, quanto bastava per coprirla. Perché c’era voluto tanto? Ero così stanco... che stava succedendo? Sentii altri passi.
 
“Ora finiamo il lavoro, Signer... ” Signer? Di nuovo quella parola... ma che significava? Perché questo caos? Cosa c’era che non andava? Cosa voleva lui da me?!
 
“Tu... chi diavolo sei?” gli chiesi, mostrando i denti. Lui non accennava a fermarsi, continuava ad avanzare verso di me, e io non potevo far altro che provare ad indietreggiare: non potevo attaccare in queste condizioni, e non ero stato in grado di analizzare abbastanza a fondo le sue capacità per poter trovare in lui un punto debole o attuare una semplice contromossa. Lo guardai da dove mi trovavo, piegato su un ginocchio: il fianco continuava a bruciare, e il dolore non mi stava aiutando a restare concentrato. Una goccia di sudore freddo mi scivolò sulla tempia. Si stava avvicinando. Stavolta però riuscii a vedere qualcosa di più del suo volto: due iridi verdi splendevano in quell’ombra, e dei denti chiari si intravedevano in un largo ghigno molto simile a quello di prima.
 
“Il sigillo della testa sarà mio!” disse lui, con uno strano tono. Tutto stava perdendo senso, no, forse non lo aveva mai avuto. ‘Cos'è questa storia? Sigillo? Sta parlando del mio marchio con quella specie di testa di drago? Ma cosa vuole dal mio segno? Se l’è... già preso!’ Allungò una mano, di nuovo, e rapidamente: pensai che anche stavolta mi avrebbe afferrato alla gola, ma quella presa non arrivò mai. Alzai ancora di più lo sguardo e vidi un’altra figura nera aggrappare il mio avversario da sotto le spalle con forza. L’uomo avvolto nel mantello cercava di divincolarsi, ma senza successo. Una sola persona poteva comparire così di soppiatto senza farsi notare, contando che avevo notato la sua assenza già da prima -Crow. Guardai con un certo senso di soddisfazione la faccia di quell’individuo, doveva essersi irritato parecchio.
 
“Smettila di interrompermi tu! Non ho finito con lui!” già, si era innervosito. Però, queste parole mi insospettivano. Non aveva finito? Significava forse che rimaneva ancora qualcosa da “prendermi”? E che altro? Il mio segno non c’era più! O forse stava parlando della mia vita...? ‘No, ti prego no...’ Jack balzò addosso al nemico per dare una mano a Crow; cercavano di immobilizzarlo, o per lo meno, di tenerlo sotto controllo. Il peso e la forza dei miei amici erano notevoli, infatti lui finì in ginocchio, tentando invano di liberarsi. Ad ogni modo era strano, davvero non aveva qualche trucchetto a cui ricorrere adesso?
 
Yusei, questo tizio ce l’ha con te! Tu allontanati, qui ci pensiamo noi!” gridò Jack. ‘Andarmene? No, mai! Non posso lasciarli qui! Non da soli!’
 
“No Jack, non posso lasciarvi-“
 
“Ascolta Jack! Questo qui non è contento finché non ti ammazza, vattene!” stavolta era Crow. Era vero che era pericoloso, ma... No, no, no... non potevo andarmene! Li dovevo aiutare! Perché mai io avrei dovuto scappare e loro no? Che cavolo gli prendeva tutt’ad un tratto? Mi avevano preso per un vigliacco?!
 
“Ma Crow-“
 
“Vattene! Non puoi combattere adesso! Sbrigati!” insisteva Jack. Perché, perché, perché!? ‘Non se ne parla!’ Cercai di rimettermi in piedi, senza mollare la presa sul fianco. Dovetti ricorrere a molte delle mie energie rimaste solo per alzarmi... forse davvero non ero nelle condizioni di combattere, ma come potevo lasciarli da soli in balia di un essere così pericoloso?!
 
“No...” strinsi i pugni dalla frustrazione. Davvero sarei dovuto andar via? Avrei risolto qualcosa? Loro che avrebbero fatto? Notai che i miei amici iniziavano ad avere difficoltà nel trattenere bloccato l’aggressore. Con le forze agli sgoccioli non sapevo quanto sarei stato utile... anzi, avrei finito per creare problemi. Non mi sono mai sentito così impotente...
 
“Yusei, questa volta tocca a noi proteggerti! Fidati di noi, almeno questa volta!“ Spalancai gli occhi. Che stupido…’ Crow aveva ragione. Insistendo così stavo mancando di fiducia nei loro riguardi. Come al solito, avrei dovuto ricordarmi che non ero da solo…Tante volte ci eravamo protetti le spalle a vicenda, tante volte grazie ai nostri legami ci eravamo tolti dai guai, ora non sarebbe stato diverso. ‘E va bene, lascio tutto nelle vostre mani... Non posso proteggervi adesso, dovrete contare sulle vostre sole forze. In bocca al lupo ragazzi, ci vediamo.’
 
“ VAIII!” Le loro voci giunsero all'unisono alle mie orecchie. Ma ormai avevo deciso. Mi ero già avviato verso la porta.
 
Corsi, corsi più che potevo, senza voltarmi. Mossi i primi passi verso direzioni a me familiari, ma poi tutto divenne confuso: era come se fossero comparse nuove strade, all'improvviso, in un labirinto sconosciuto, così vicine al luogo dove vivevamo... Tuttavia dovevo sbrigarmi. Lui poteva essere alle mie spalle, e io non potevo concedermi secondi di pausa. Corsi, corsi, corsi fin dove le mie ultime forze mi concedevano. Il fianco faceva male, era assolutamente insopportabile... Bruciava e mi costringeva a tenere un’andatura non rettilinea. Dovevo ignorarlo finché potevo, dovevo evitare di pensarci e dargli peso, altrimenti mi sarebbe costato tempo e distanza preziosi. In più, pioveva adesso... sentivo dei tuoni in lontananza, e il loro rombo diventava di secondo in secondo più forte. Non mi piacevano i tuoni. Le onde sonore erano così potenti che ridondavano nel mio stesso corpo, tutt'attorno al mio cuore... era una sensazione che non mi faceva sentire a mio agio. Specialmente se sotto la pioggia dirompente c’ero io, fradicio dalla testa ai piedi. Tutto davanti a me stava diventando sfocato... ’Il dolore è solo nella tua testa... non lasciarlo prevalere...’ era una corsa contro il tempo, più di tutto. Dolore o no, le mie gambe stavano iniziando a fare di testa loro. Come una molla che improvvisamente perde elasticità, così esse iniziavano a perdere le forze di portarmi più avanti. Stavo facendo del mio meglio per non fermarmi, eppure tutto mi stava sfuggendo di mano... ‘ancora, ancora... più avanti, forza!’
‘No, basta’. Quella sentenza pronunciata non so dove nella mia testa fu capace di agire da sola su tutto il mio corpo: rallentai fino a fermarmi definitivamente, e crollai subito sulle ginocchia. Tutto aveva perso improvvisamente importanza, tutto... Cercai di non finire faccia a terra sostenendomi con un braccio, senza perdere la presa sul fianco; dovevo riprendere fiato... tanto fiato... il ghiaccio sulla ferita era ormai andato, fatto a pezzi dalla corsa e dall'acqua. Non riuscivo nemmeno a distinguere bene i contorni della mia mano, e piccole aree della mia vista stavano diventando nere... Non ricordavo di aver fatto mai una corsa del genere, anche perché di solito ero più in forze... tutto stava diventando improvvisamente così... distante... stavo per perdere i sensi, ma forse, questa volta era giusto così... avevo esagerato, avevo spinto le mie capacità ben oltre il limite di sopportazione, forse era il minimo che poteva succedermi. Sembrava ragionevole… Attorno a me regnava la confusione più totale, ed io mi sentivo sempre più pesante... un altro rombo di tuono, poi ci fu solo buio.
 
 
 
*Nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Puntata speciale: tentando di acculturarsi
 
io: ebbene sì gente, finalmente Jack e Crow hanno fatto la loro comparsa XD da qui poi il resto lo conoscete U.U solo, non sappiamo chi sia tale tizio incappucciato, né che fine abbiano fatto i nostri amichetti u.u vabbé, niente spoiler :P
 
Yusei: ...non farmiti offendere...
 
Io: nah, ti conosco troppo bene, non lo faresti lo stesso ^_^
 
Aki: lui no, ma io sì.
 
Jack & Crow: idem.
 
Io: ahahaha, eddai su ^^” sono solo un’innocua ragazzina, non un’assassina ^^” ...non ancora almeno...
 
Yusei: finalmente qui ragazzi...
 
Io: Ah, visto che ora siamo -quasi- tutti, che ne dite di un karaoke? :DDD
 
Tutti: EH?!
 
Io: Yusei, prima tu ^w^
 
Yusei: o__o perché mai dovrei... ghaa! *lo tira per il colletto della giacca*
 
Io: ti spiego subito: hai presente il tuo doppiatore giapponese? Yuya Miyashita! Quello con la voce da sbav *Q* Bene, ho appena scoperto che è un cantante ^_^ *Ave, Wikipedia!*
 
Tutti + Yusei: O_____O
 
Aki: wow, questa sì che è una sorpresa ._.
 
Io: adesso non ha scuse :’3 forza, facci sentire! :D
 
Yusei: scordatelo! *cerca di divincolarsi – a momenti si strozza*
 
Jack: adesso sono curioso u.u
 
Crow: nah, non lo farà mai <.<
 
Io: *continua a tirarlo* sì che lo farà! Vero?! *molla la presa di colpo*
 
Yusei: *si sbilancia e si schianta...   ...addosso ad Aki*
 
Io: *riemerge dalla poltrona dove era finita* SIIIIIIIIIII :’’’D
 
Crow: PFFHHHAHAHAHAHA- *cade tenendosi la pancia*
 
Jack: *si tappa la bocca per le risate* a-almeno è atterrato sul morbido *lacrime*
 
Yusei: *si sposta di colpo da lei* che avete da ridere voi due?! e/////e Scusa Aki, mi dispiace tanto >//////////<
 
Crow: le-le-le mie budella HAHAHAHA *si contorce dal riso*
 
Jack: *è paonazzo dalle risate soffocate*
 
Aki: o////////////o *ancora di pietra*
 
Yusei: Aki...? S-stai bene? *la scuote* Aki?!! Aki!
 
Aki: o///////////o *non risponde*
 
Io: vi ho atterrati tutti in un colpo solo LOL vabbè, non ti è andata tanto male, eh Yusei? :’3
 
Yusei: tu...
 
*la stanza si gela*
 
*cala il silenzio anche da parte di Jack e Crow*
 
Io: ...uops ^^” ...*scappa*
 
 
 
*frena* ah già! Sappiate che ho pubblicato anche dei miei disegni nei capitoli 1, 2 e 3! :D sono scene del capitolo stesso a matita, date un’occhiata se volete XD spero vi piacciano ^^ bye :D

 
 





Evvai, disegno 5! vittoria, alla fine ce l'ho fatta @.@ postato con una settimana buona di ritardo, lo so XD ma capite, sempre la solita storia, SCUOLA.
Vabbé, tornando a noi... la faccia del cattivo è fatta apposta proprio per eludere qualsiasi vostro tentativo di indovinare il personaggio :P c'era un sacco di nero nell'immagine (con quel buio <.<), ho dovuto sfumare un po' tutto, ma spero di non aver reso la scena troppo male XD vabbé, ecco a voi, riconoscete il momento, no? u.u



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Capitolo 6
*** Sesto capitolo- Segni ***


*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Puntata speciale: ospiti speciali

 
 
Aki: dov’è Aki-chan?
 
Yusei: non lo so, è da un po’ che non si fa vedere.
 
Crow: meglio, no?
 
Aki: già e.e
 
Yusei: c’è qualcosa che non mi convince…
 
Aki: Cosa?
 
Yusei: nulla di preciso, ho solo una pessima sensazione.
 
Crow: naaah, stai zitto e non gufar-
 
Io: *irrompe nella stanza* HI GUYS!
 
Yusei: …
 
Crow: che ti avevo detto? …
 
Io: signori e signori, scusate il ritardo, vi ho portato un onorevolissimo ospite U.U
 
Aki: ospite?
 
Io: Yep! Oggi è qui con noi *rullo di tamburi* Vector, imperatore del Barian World! (uno dei sette, dritto dritto da Zexal XD)
 
Yusei: Barian World?
 
Jack: imperatore?
 
 Vector: *si fionda trionfalmente nella stanza* TA-DA-DAAAAAAAAAAA! Finalmente nello studio di Aki-chaaaaan! HAAAAAAAHAHAHHAHAHAHAH!  (si, è questo qui x'D)
 
Tutti: *rabbrividiscono alla risata malefica*
 
Aki: e questo dove l’hai preso?! o_o
 
Io: insisteva per fare un salto qui da noi, perché non accontentarlo? :’3 è un grande, dai!
 
Yusei: io non mi fiderei di lui o_o”
 
Crow: Perché non ha la bocca e sa parlare?! o_o
 
Jack: questo sarebbe un imperatore?! o_o
 
Vector: Poveri esseri umani, non potrete mai capire in cosa consiste la grandezza di un Bariano come me! HAHAHAHAHAHAHAHAH!
 
Io: volete sapere perché lui è qui e perché lo stimo tanto? Semplice, avrà la mia riconoscenza a vita per aver preso Yuma per i fondelli in una maniera assurda XD ben ti sta, nanetto! èwé
 
Crow: sembra Kalin versione Dark Signer <.<
 
Yusei: … *brividi*
 
Vector: modestamente U______U
 
Io: Beh, fintanto che i ragazzi fanno conoscenza (eh, Yusei? =w= Yusei: <_________<), faccio i miei più sinceri ringraziamenti a Keily_Neko, iridium_senet, CyberFinalAvatar e playstation per le recensioni e il sostegno! A questi ultimi tre in particolare per il fiuuuuuuume di consigli e incoraggiamenti! :’333
Inoltre, ringrazio anche coloro che seguono la mia storia come Valix97 (carissima :3), lady_eclisse, Darkan Kuso Dragneel, karter e Anna100, che restate dietro le quinte :’3 e poi, il solito…
 
Disclaimer: la qui presente Aki_chan_97 non possiede Yu-Gi-Oh 5D’s. Ovviamente, direi -_-
 
Ooook, basta parlare! c’è un nuovo capitolo da leggere (Deo gratias)! Ora che il flashback è finito, la parola passa alla nostra donzella XD finalmente qualcosa in più sulla YuAki! <3 Buona lettura  ^__^
 
 
POV: Aki
 

Non avrei dovuto lasciarglielo vedere. Avrei dovuto rimettermi i guanti in fretta e nascondere quel marchio, invece lui l’aveva visto. Non avrei mai scordato la faccia che fece in quel momento; all’inizio avevo pensato che non stesse bene, però poi mi accorsi che i suoi occhi stavano guardando quello. Infatti la prima cosa che fece fu prendere il mio braccio tra le mani, rimirandoselo come gli pareva! E per cosa? Per vedere meglio quel maledetto marchio, ecco per cosa! D’istinto ritirassi il braccio dalla mia parte. Come si permetteva?! Avvicinarsi tanto –senza spiccicare parola…-, per via di quel segno! E che cavolo!
 
Lui mi chiese semplicemente cosa fosse. Perché me lo stava chiedendo? In fondo poteva essere un semplice tatuaggio dal pessimo gusto agli occhi di un estraneo… Tentai di farglielo credere, però lui sembrò aver capito che stessi mentendo. Perché ne dubitava? Era una scusa credibile, no? Di nuovo, la curiosità ebbe la meglio su di me, e gli chiesi perché mai, come aveva detto lui, quello non poteva essere un comune tatuaggio. Ma mai, mai in vita mia mi sarei aspettata una risposta come quella che mi diede.
 
“...Un comune tatuaggio non può illuminarsi”.
 
Rimasi di pietra. Ok, adesso volevo sapere come faceva a saperlo. ‘Frena, frena Aki…’ Era possibile che gliel’avesse raccontato qualcuno che mi aveva vista duellare, oppure che mi avesse visto lui in un altro contesto, e che io magari non mi fossi accorta di lui… eppure, questo non avrebbe spiegato la sua tranquillità in questi giorni dentro casa mia. Insomma, anche le voci dicevano che la strega aveva i capelli rossi e che girava con un mantello, almeno si sarebbe dovuto insospettire… anche da come avevo parlato io, se ne sarebbe potuto accorgere…se l’avesse saputo. Invece la prima impressione che mi diede fu di essere completamente ignaro della mia esistenza -e fama. Se il ragionamento era corretto, lui non aveva modo di sapere della luce del mio segno, eppure… l’aveva detto! Come poteva…?
 
““Conosco quel segno. E ti dico che non sei l’unica ad averlo”.
 
‘Ok. COSA?!‘ Impossibile. Non ero l’unica? Esistevano altri con quel segno? A chi si riferiva? A se stesso? No, lui non ce l’aveva. Rivolsi lo sguardo di nuovo al suo braccio: infatti, non c’era niente! Di chi stava parlando?
 
“Adesso non si vede più, ma io ne possedevo uno simile... fino a qualche sera fa.”
 
Ah, adesso si spie-… no che non si spiegava! Ce l’aveva? Lui?! Come aveva fatto a sparire? Adesso quel coso poteva anche volatilizzarsi?! Magari! Ammesso che non stesse mentendo, certo… No, un momento, perché mai avrebbe dovuto inventarsi una cosa del genere?
 
“Non ti ho ancora raccontato nel dettaglio cos’era successo prima che tu mi trovassi, e penso che questo sia il momento giusto. Vieni, siediti qui.”
 
Finalmente si degnava di parlare! Eh sì che volevo saperlo adesso. Non ci stavo capendo più niente. Alla fine mi sedetti vicino a lui senza aprir bocca e ascoltai tutto attentamente, intanto che mi rimisi i guanti –non mi andava di lasciare quel segno rosso in bella vista. Mi ero sforzata di lasciarlo parlare fino alla fine e senza interromperlo, cosicché avrei potuto capire meglio quanto mi stava dicendo. Eppure era assurdo... all’improvviso spuntavano fuori altre tre persone che possedevano questo stupido segno? Che una di queste era qui di fronte a me, e che per qualche strana ragione non aveva più quel marchio addosso? Che storia era mai questa?!
 
“Tutto questo non ha senso...” mormorai.
 
“Non so cosa sia accaduto a Jack e Crow, per questo vorrei andarli a cercare... inoltre, adesso temo che ti possa trovare anche tu nei guai per quel segno.” Già. Ecco, eccone un altro. Era tutta colpa di questo segno, attirava solo guai. Così era stato e così sarebbe rimasto, sempre, vero? Anche gli altri dicevano di preoccuparsi per me, ma fingevano soltanto di tenerci a me… Erano tutti uguali. Era solo quel marchio l’importante, non io. Sapevo già come sarebbe finita, non c'era bisogno di perdersi tanto in chiacchiere. Il marchio capace di far allontanare tutti da me… Segno maledetto. Stava succedendo di nuovo. Anche lui era di quella razza? Anche lui voleva farmi credere di essere dalla mia parte? Proprio quando avevo cominciato a fidarmi… A quanto pareva, benché la cosa mi facesse male, era proprio così.
 
“Ah ah… già… è vero…” borbottai a testa china, una mano sui capelli, dal tono sembrava che stessi per scoppiare in una risata isterica. Il che sarebbe significato “guai per tutti qui dentro”, chiaramente. Ma che importava ormai? Ne stavano per arrivare di guai ben più grossi! La mia vita non poteva andare meglio! Non avrei mai potuto avere pace su questa Terra?! Evidentemente qualche entità superiore doveva avermi in astio fin dalla nascita, perché altrimenti non avrei idea di come spiegare il mio triste destino.
 
“Lo sapevo, lo sapevo… avrei fatto meglio a lasciarti lì dov’eri...” borbottai cupamente, tenendomi la testa con entrambe le mani. La cosa che mi faceva ribollire il sangue era che ero stata proprio io, in un certo senso, a combinare tutto questo. Non appena mostravo un atto di bontà, ecco che mi si ritorceva contro. E a tutta forza. Se questa maledizione mi impediva anche questo, che cosa mi restava da fare?!
 
“Ma... Aki- “
 
“Zitto! - proprio lui parlava adesso? Che tacesse! – “Questo... questo è semplicemente troppo. Era tutto tranquillo fino a qualche giorno fa, e adesso vengo a sapere che un tizio senza volto e da riprovevoli intenzioni potrebbe essere sulle mie tracce! No, anzi... sulle tue! E ovviamente la sottoscritta doveva portare te sotto il suo stesso tetto! È troppo, è semplicemente troppo”. Era stato tutto un solo, grande errore. Prima mio e poi suo. No, aspetta, io non avevo fatto niente di male. Anzi, si era comportato lui come un ingrato. Non mi sarei dovuta fidare fin dall’inizio. Non solo aveva taciuto i rischi, ma si era deciso di parlare proprio perché aveva visto il mio marchio! Avrebbe mai detto qualcosa se non l’avesse notato?
 
“...Se c’è qualcosa che posso fare- “
 
“-E che cosa vorresti fare?! È già fortuna se stai in piedi senza cascarmi addosso!” Ridicolo. A giudicare dalla faccia, pareva proprio che gli bruciasse. Hah. Così imparava. Teneva la testa bassa, una mano dietro al collo, sospirando. Chiuse gli occhi.
 
“Mi dispiace...” oh, ma poverino. Adesso faceva il musetto dolce da vittima. LUI, capito?
 
“E ci mancherebbe! Adesso che faccio? Cosa faccio...” Guai in arrivo. Sicuro. E non solo dall’esterno. Stavo iniziando a perdere le staffe, e il controllo… quando cominciava così non era facile tornare indietro… No, no, no, aspetta… quelli non dovevano fuoriuscire. Quei poteri avevano il pessimo difetto di manifestarsi ogni volta che si accendeva anche la più piccola scintilla di emozione negativa; inoltre, con la mia tempra, una cosa del genere diventava davvero un bel problema. Proprio per questo ero qui, per trovare un po’ di “pace” in tutto il caos che mi circondava e che io stessa incrementavo, ma sembrava che non si stesse risolvendo niente nemmeno con questa specie di isolamento, anzi, erano i guai ad avermi inseguita… Poi mi accorsi che lui stava allungando delicatamente una mano verso di me, forse per metterla sulla mia spalla. Ma che diamine, non aveva afferrato il messaggio? Che non mi toccasse! Voleva provarci di nuovo? Voleva ancora cercare di accalappiarsi la mia fiducia? No, non mi facevo ingannare due volte di fila!
 
“E stammi lontano! Non vuoi capire che sono furiosa? Perché non mi hai detto niente prima?! Perché l’hai detto solo quando hai visto il mio segno?!”
 
“Come potevo sapere che mi avresti creduto?”
 
“Beh, almeno provarci a dire “Ehi, scusa, un tizio mi sta inseguendo e con grande probabilità vuole la mia testa –o braccio, qualunque cosa-, ti avverto!” E invece sei stato zitto! Se fosse arrivato in questi due giorni, che cosa pensi sarebbe successo?” Aveva sbagliato lui, ecco tutto! Se io non avessi avuto le mie abilità, avrei rischiato sul serio la vita! E lui non se n’era importato niente… Non poteva nemmeno pensare di difendere se stesso e me contemporaneamente, in quelle condizioni sarebbe bastato un niente per metterlo fuorigioco. Dovrei fidarmi io di lui quand’era lui a non essersi affatto fidato di me?! Finirebbe come andava avanti da una vita!  Sono sempre rimasta un mostro ai loro occhi! E se lo vedesse anche lui, sono sicura che penserebbe lo stesso… Se sapesse cosa gli ho nascosto –per il suo bene in questo caso-, anche lui mi darebbe del mostro. Sentivo la rabbia continuare a crescere, prepotente. I miei poteri avevano tutte le intenzioni di cogliere l’occasione al volo e sfogarsi una volta per tutte… mi accorsi che non potevo contrastarli: avevo involontariamente – o volontariamente? - spezzato ogni barriera di sicurezza. L’unico muro rimasto da sfondare era lo stabilizzatore sui capelli… stava per succedere un disastro, e io stavo lentamente perdendo la capacità di fermarlo.
 
“Mi dispiace, lo so... ma non pensavo che-“
 
“Che cosa? Che non avremmo corso alcun pericolo?! Ti rendi conto della situazione o no?!” Le mie parole continuavano a fiumi, quasi da sole. Non gli stavo dando nemmeno la possibilità di difendersi a voce. Era come se qualcosa dentro di me si ostinasse a non voler cedere, ragione o no… non era orgoglio, era qualcos’altro, qualcosa di più forte ancora, e a suo modo, spaventoso. Non riuscivo a raggiungerlo… Per un momento pensai che si trattasse di un qualcuno. Un qualcuno che non ero io.
 
“Certo che me ne rendo conto!”
 
“No invece, a quanto pare!” Lo guardai in faccia, e notai che aveva un’espressione un po’ scocciata. Aveva intenzione di ribattermi per le rime? Beh, forse era logico dopo tutte quelle interruzioni, e infatti-
 
“Certo, perché accogliere uno sconosciuto in casa tua era meno pericoloso, ovviamente! Perché te la stai prendendo così tanto?”
 
“…a te interessa solo questo segno, non è vero?”
 
“Eh?” disse lui piano, inarcando leggermente un sopracciglio. Come poteva non capire?!
 
“Ti preoccupi solo di questo, perché potrà servirti. A te non importa niente di me, ammettilo!” Le immagini tra il presente ed i miei ricordi si stavano sovrapponendo...
 
“Aki, ma che stai dicendo?” La sua espressione era di totale confusione, quasi shock. Tuttavia, per un istante mi sembrò che i suoi occhi, profondi e blu come il ghiaccio, avessero colto qualcosa in me. Era come se avessero realizzato una verità che non si aspettavano di trovare. Perché avevo avuto quest’impressione? Aveva visto qualcosa?
 
“Se non fosse per questo segno, saresti pronto ad abbandonarmi senza pensarci due volte, non è vero?!”
 
“No, affatto! Non farei mai una cosa del genere!” Un sonoro crack risuonò in un punto lontano e remoto della mia mente, come una catena spezzata, troppo lontano per poterla raggiungere. Queste parole erano identiche alle sue... quei capelli rossicci, quegli occhi verdi, quella voce, quel viso non avrebbero mai abbandonato il terreno arido della mia memoria. Quelle parole erano le stesse che lui mi ripeteva fin dall’inizio, quando ancora avevo l’illusione che lui mi avesse accolta tra le sue braccia perché davvero mi voleva bene…
 
Il ricordo brutalmente risvegliato fu la goccia che fece traboccare il vaso. Improvvisamente, percepii nell’aria come una nebbia sottilissima… non sapevo se fosse reale o avvertita solo da me, stava di fatto che da quel momento qualcos’altro ebbe controllo su di me, e quella cosa non ero io. Avevo fallito… adesso non potevo fare nient’altro… solo aspettare, e sperare di non accrescere ancora il carico di colpe che gravava sulle mie spalle…
 
“Bugiardo, bugiardo, BUGIARDO!” Non c’era dubbio. Le parole che avevo sentito –o gridato- erano uscite dalla mia bocca. Ma non avevo sentito la mia volontà regnare su di esse. Non ero io a parlare, poco ma sicuro. Era tutto così confuso… il mio braccio si mosse da solo, e le mie dita giunsero fino allo stabilizzatore, finché anche l’ultima resistenza non venne abbattuta.
 
Avvertii un brivido freddo. I miei capelli sciolti iniziarono a frustarmi il viso freneticamente. Sentivo la mia schiena curvarsi all’indietro, e ancora, tutto si muoveva contro la mia volontà. Era come viaggiare nel vuoto, senza fare contatto con nulla, tutto era più distante… poi realizzai cosa c’era: vento. Tanto, tantissimo vento.
Aprii gli occhi, e in qualche modo potei vedere attraverso di loro: Yusei teneva le braccia incrociate davanti a sé, facendo del suo meglio per restare inchiodato a terra. Stava cercando di fare resistenza al vento, e forse anche a qualcos’altro… sembravano tanti puntini fastidiosi che svolazzavano per la stanza, però poi mi accorsi che erano petali. Petali di rosa, e foglie. Che strani… però mi ricordavano qualcosa, di nuovo. Sì, non era la prima volta che li vedevo. Tutte le volte che l’incidente si ripeteva, si manifestavano sempre. Me li ricordavo. Ora ogni tipo di barriera nella mia mente era crollata, e i ricordi rifluivano, dolorosi. Mi rimisi in posizione eretta, leggermente curva in avanti, le braccia abbandonate ai miei fianchi, prima di stringere le mie mani a pugno, e contrarre tutte le mie corde vocali.
 
“Io volevo fidarmi di te! Invece sei un bugiardo come tutti gli altri!!!” ‘No, no, no… questa non sono io… non ci credere, per favore… Non è vero…’ adesso avevo cambiato idea? …Sì. Lo avevo capito… aveva paura per me semplicemente perché ero legata a quel segno… e forse una parte di me lo sapeva già… ma era troppo tardi per tornare indietro. Tutta colpa della mia testardaggine e diffidenza, nonostante sapessi quanto fosse sottile il limite che avrebbe bloccato queste disastrose conseguenze. ‘Quanto mi detesto… sono una stupida… sono la solita, sciocca egoista…’ sentivo la testa pulsare come non mai, e faceva male. Premetti le mie mani sulle tempie cercando di alleviare quel dolore, ma non funzionava. Un’altra scossa sotto i miei piedi, e dalle travi del pavimento si fecero strada a mezz’aria due lunghe radici, spesse ed intrecciate, verdi, piene di foglie, ma soprattutto munite di numerose spine, triangolari e affilate. Si dirigevano a gran velocità verso di lui… no… ferme, non fategli del male!
 
Ma quelle non mi ascoltavano. Nessuno mi ascoltava. Esse si avvinghiarono con rapidità attorno alle sue braccia sui bicipiti, serrandoli in una presa salda e stretta. Vidi il suo volto prima sorpreso, successivamente irrigidito dal dolore: tentava di soffocare quei lamenti –a volte senza successo-, ma era evidente che quelle cose facevano male. Ti prego, resisti… Yusei cercava di divincolarsi dalle corde che lo tiravano verso il basso, ma riusciva solo a peggiorare la situazione, facendo affondare ancora di più nella carne quegli aghi. All’improvviso si fermò, prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. Cos’aveva intenzione di fare? Si sforzò di riportare le braccia davanti a sé, posando le mani sui punti in cui si trovavano le fruste, e l’azione gli costò altro dolore: non potei distinguere i dettagli, ma mi parve di intravedere una nebbiolina bianca… lui aggrottò ancora di più le sopracciglia sottili, finché non vidi qualcosa brillare tra le sue dita. Tante, lunghe schegge di vetro si stavano formando proprio nei punti su cui aveva posato le mani, spandendosi sui viticci. Quei cristalli trasparenti continuavano a crescere e a viaggiare per tutta la lunghezza delle radici. In un attimo, quello che avevo realizzato fosse del ghiaccio si frantumò saltando in aria, e quanto rimaneva delle fruste verdi congelate ricadde a terra a pezzi, liberandolo da quella morsa. Altre di esse che avevano iniziato a crescere intorno a lui si erano ritirate, come serpenti spaventati dal fuoco. Allora non aveva mentito… no, non l’aveva fatto nemmeno per un istante.
 
Il freddo attorno a me era aumentato. Lui era crollato in avanti su un ginocchio, respirando a fatica. Con mia grande tristezza e sensi di colpa vidi i nuovi tagli sulle sue braccia, abbastanza profondi da far scendere vivide, lunghe gocce di sangue sulla sua pelle. Non solo era stato ferito in precedenza, adesso avevo anche peggiorato la sua situazione… gli avevo fatto male, ed era tutta colpa mia… non sapevo far altro che portare dolore a tutti quelli che mi si avvicinavano. Ero davvero una strega... non c’era speranza per me di essere salvata. Ti prego, vattene… stai lontano da me, o ti farò ancora del male…
Prima che potessi formulare altri pensieri, il marchio iniziò a bruciare come non mai. Mi scappò un grido. Non lo ricordavo così doloroso. Lo tenevo stretto con l’altra mano, fissandolo con confusione: tutte le linee spesse che componevano quella specie di artiglio brillavano come fuoco accecante. Distogliendo lo sguardo, davanti a me vidi che anche lui stava facendo la stessa cosa… ancora piantato su quel ginocchio, si teneva stretto in grembo l’avambraccio destro… no, aspetta, l’aveva detto prima: sentiva dolore, ma non c’era luce… aveva detto la verità. Di nuovo. Non c’era motivo di dargli del bugiardo, fin dall’inizio, e sotto sotto lo sapevo. Solo che quella parte di me che adesso agiva al posto mio non era d’accordo.
 
“AKI!”
 
Di nuovo, altro mi trascinò indietro, stavolta riuscendo a riportarmi definitivamente nel mio corpo. Una voce, la sua, in qualche modo era stata capace di raggiungermi. Lo vidi mentre cercava di rimettersi in piedi, un po’ traballante, tenendosi il braccio destro. Nei suoi occhi c’era preoccupazione… Avendo riacquistato sensibilità, mi accorsi che parti delle mie braccia pizzicavano. Forse quei petali avevano graffiato anche me. Ahia, facevano male…
 
“Aki, ferma questo vento! È pericoloso!” La mia attenzione si spostò su ciò che avevo sentito. ‘Fermare il vento? E… come si fa? ’
 
“Non lo so fare, Yusei!” Lui mi guardò un po’ stupito, poi preoccupato, ma deciso. Forse aveva capito cosa mi stava succedendo, o almeno, così mi suggeriva il suo sguardo.
 
“Concentrati! Usa la tua forza di volontà!” …Volontà? Sì, forse era questo… magari la differenza era proprio questa! Lo volevo a sufficienza da fermarlo? ‘Concentrati, Aki, devi volerlo con tutte le forze. Coraggio…’ No, non bastava. Sentivo la mia testa sempre più pesante, percepivo quel dolore con chiarezza. Il vento continuava a soffiare, forte, e l’immagine di Yusei diventava sempre più confusa… e vicina. Era sfocata, distante, dispersa in una dimensione buia. Le luci si stavano abbassando… Era tutto così lontano… Le mie ginocchia si stavano indebolendo… Da quel momento, la mia mente cadde nell’oscurità più totale. Divagai nel vuoto per non so quanto, avevo perso ogni cognizione dello spazio e del tempo. Intorno a me c’era solo nero. Era come essere finiti in un mare d’inchiostro denso. Non un filo di luce. Ci stavo letteralmente nuotando dentro, ma non serviva respirare; ero come distesa, fluttuante, immobile, e non c’erano rumori. Solo il nulla. Percepivo quasi tranquillità in quello spazio silenzioso. Rimasi a godere di quella pace temporanea il più a lungo possibile.
 
 
 
Poi riaprii gli occhi. Il mondo continuava a girare e avevo un mal di testa crescente, ma non fu necessario preoccuparsene subito: mi sentivo come in una stretta, anche i miei respiri erano leggermente bloccati. Qualunque cosa mi stesse avvolgendo così saldamente, era calda… ero seduta a terra, gambe piegate accanto ai miei fianchi, e il mio mento era appoggiato a qualcosa… no, al contrario, quello sembrava appoggiato a me. Che cosa mai poteva esser-
 
No, chi poteva essere. Capelli neri e appuntiti mi solleticavano una guancia, abbastanza lunghi da riuscire trovarli con gli occhi. Ero appoggiata su …una spalla, la sua. La mia testa era sostenuta da dietro, sentivo una mano tra i miei capelli. Avvertivo anche un braccio avvolto sulla mia schiena, circa a metà di essa, che mi teneva forte, come se volesse impedirmi di cadere… Tutto il resto era assolutamente immobile e silenzioso. Il vento era sparito.
 
Yusei mi stava abbracciando.
 
Oddio-oddio-oddio.
 
P-P-Perché mi stava abbracciando?!!
 
Cercai di superare lo shock momentaneo. Ma quando… Che mi ero persa? Per quanto tempo ero finita in quella dimensione nera? P-perché ero tra le sue braccia?!!! E perché così?!
 
Non passava un filo d’aria tra i nostri corpi, e il contatto mi permise di sentire i suoi battiti del cuore. Erano forti, audaci, e rapidi… Erano il simbolo stesso della sua vita, della sua forza. Contemporaneamente, mi resi conto che potevo percepire anche i miei. Entrambi i ritmi battevano all’unisono, l’uno contro l’altro, accelerati dalle forti sensazioni che avevano provato in precedenza.
Il suo respiro vicino al mio collo era un po’ affaticato. Avvertivo il suo torace alzarsi e abbassarsi ritmicamente. Mi teneva così saldamente che sembrava non essere minimamente intenzionato a lasciarmi. Quel calore mandava brividi alla mia schiena senza sosta. A questo punto la mia faccia doveva essere diventata bollente… Anche perché mi resi conto che il mio petto era abbastanza compresso dal suo peso. Non sapevo a che pensare prima… Aiuto… stavo andando a fuoco…
 
“Aki! Stai bene?”
 
‘No che non sto bene’ sarebbe stata la prima risposta a venirmi in mente dopo che lui si era accorto del mio ritorno al mondo terreno, ma poi capii che l’avrebbe potuta intendere male. La risposta giusta assomigliava più a un ‘Fin troppo bene’… no, decisamente no, l’avrebbe presa peggio. Meglio optare per la semplicità.
 
“S-si…” ...più o meno. Lui sospirò profondamente, come di sollievo. Mi teneva ancora tra le braccia. Ma se n’era accorto oppure no?! Non che volessi che mi lasciasse, ok, ma…
 
“Meno male. Mi dispiace… avevi ragione, avrei fatto meglio a dirtelo, a provarci almeno. Ti chiedo scusa.” Mentre udii le sue parole, mossi un po’ la testa, e il mio sguardo cadde su quanto potevo vedere del suo braccio destro, lo stesso che terminava nei miei capelli. Essendo dentro casa, non indossava la giacca, e questo mi permise di vedere con orrore le gocce di sangue che rigavano i suoi muscoli, cadenti da lunghi segnacci rosso bordò sparse sulla sua pelle. Erano davvero dei brutti tagli… Oh no… Era tutta colpa mia…
 
“No, sono io che mi devo scusare… guarda che ti ho fatto…”
 
“Tranquilla, non è niente. L’importante è che tu stia bene.” Meno male che non era ‘niente’. Ma come faceva a preoccuparsi di me sapendo di essere coperto di sangue? Quelle ferite dovevano fare un male terribile; eppure, non percepivo dolore nella sua voce...
 
“Perché? Perché l’hai fatto? Saresti potuto morire…”
 
“Avevi bisogno di tornare in te, ti saresti fatta solo altro male.” Per un attimo mi tornarono in mente i graffi che mi ero procurata in quella specie di tempesta. Parlava di quelli? No, non solo, almeno…
 
“Che te ne importava se ci rimettevo io? P-Perché… non hai pensato a salvarti?”
 
La mia voce falliva nel nascondere quel nodo stretto in gola che minacciava singhiozzi. Se avessi riaperto bocca se ne sarebbe accorto tale e quale. I miei occhi stavano diventando umidi e caldi… ‘No, non azzardatevi ad uscire, stupide lacrime. Non davanti a lui.’ Sentii l’urgenza di prendere respiri più ampi e profondi per calmare l’istinto del pianto. No, dovevo cercare di non far notare neanche quelli, sennò l’avrebbe capito lo stesso. Ad un certo punto lui allentò la presa fino a lasciarmi e si rimise seduto sui talloni davanti a me, tenendomi le spalle con le mani, i suoi occhi fissi nei miei. In quel momento riuscii a vedere tutti i graffi che si era procurato nel frattempo, anche i vestiti erano strappati qua e là. Potevo intravedere addirittura i bendaggi che ancora teneva dalla vecchia ferita, attraverso una striscia aperta della maglia… Dovevano fargli tanto male... Restando immobile, potevo percepire persino un tremore lievissimo dalle sue mani, colpa delle ferite.  Ma, nonostante il sangue, dalla sua espressione continuava a trasparire… sicurezza, e forza. Sarebbe bastato guardarlo negli occhi per capirlo. Erano così belli… Avevano un colore unico e meraviglioso: erano profondi, almeno quanto il mare, uno specchio diretto verso la sua anima. Se la sua anima era bella quanto quegli occhi…
 
“Ascoltami, Aki. Non vedere il fatto di possedere i tuoi poteri come un male. L’ho capito, sai, quanto hai sofferto. L’ho visto, nei tuoi occhi. –Sospirò profondamente-. A volte mi sono chiesto, in passato, perché io avessi quegli strani poteri. Spesso non riuscivo a non provarne un certo disprezzo, perché tutti gli altri miei coetanei avevano paura di me. Pensavo che sarei rimasto solo per sempre, ma poi incontrai Jack e Crow. Furono gli unici a restare al mio fianco, gli unici a potermi capire davvero. A discapito di ogni previsione, quel marchio era riuscito a portarmi degli amici. Inoltre, vidi in quei poteri la possibilità di proteggere le persone a me più care al massimo delle mie forze. Fu quando lo realizzai, finalmente, che mi ripromisi di proteggerli tutti. Non è un caso che anche tu abbia questo segno, Aki. Nemmeno tu sei sola.”
 
Non seppi più cosa dire. Un groppo immenso nella mia gola mi impediva di esprimermi. Sentivo il mio labbro inferiore tremare, mentre quello stesso groppo minacciava di esplodere. Con quelle parole Yusei era riuscito a sciogliere tutti i nodi che mi tenevano legata alla disperazione e solitudine. Tutta la mia vita, i miei ricordi, i pesi che gravavano sulla mia anima… li aveva annientati tutti in un colpo solo. Quella che pensavo fosse una maledizione, all’improvviso… Mi aveva fatto trovare la luce. La luce che pensavo non avrei mai visto, quella in fondo al tunnel, era così vicina…calda, luminosa… era viva. Ero salva. E, finalmente, scoppiai a piangere. Piansi, piansi come una fontana. Calde lacrime mi rigavano il volto, singhiozzi mi scuotevano. Ora non mi importava più di farmi vedere in un momento debole, ero troppo felice. Yusei non era scappato, non mi aveva dato né del mostro, né della strega… Avrei potuto ucciderlo, e lui lo sapeva… invece aveva preferito rischiare, per me… mai l’avrebbe fatto se avesse voluto solo i miei poteri. Non aveva pensato a mettere in salvo se stesso, ma me. Non mi aveva abbandonata. Mai l’avrebbe fatto se il suo animo non fosse stato così nobile e puro. Chi era questo ragazzo? Come faceva ad esistere una persona così? Come poteva essere solo concepibile un animo come il suo? Era impossibile che un cuore così potesse coesistere con questo mondo... D’istinto, gli gettai le braccia attorno al collo –stando sempre attenta a non fargli male-, come per paura che mi scappasse via. Non volevo mi lasciasse, ora che lo avevo finalmente trovato. Continuai a lacrimare terribilmente con la faccia affondata sulla sua spalla, e tra i miei singhiozzi lui mise una mano sui miei capelli, accarezzandoli lievemente. Avrei voluto che non smettesse più. Era così dolce, e bello… i suoi palmi forti erano così caldi… forse lo avevo un po’ sorpreso appendendomi a lui in quel modo di mia spontanea volontà, però volevo farlo… Era un conforto che probabilmente in vita mia avevo solo sognato, magari proprio durante una di quelle notti in cui la disperazione mi assaliva. Avevo innalzato tutti quei muri aridi e freddi per proteggermi da me stessa, mi ero illusa di aver accettato il mio fato… Conscia del fatto che non potevo fuggirlo. Tante, troppe volte queste mani non c’erano state, proprio quando ne sentivo il più disperato bisogno… Ora che erano miracolosamente giunte da me, non volevo che mi lasciassero. Volevo che restassero vicino a me per sempre, portandosi via la mia tristezza fino a farla sparire. E se loro non potevano restare qui, allora io le avrei seguite. Nulla mi vincolava a questo posto. Restammo così fermi forse per qualche minuto, mentre lui attese pazientemente che mi calmassi.
 
“Meglio adesso?” disse lui, in un sussurro.
 
“M-h”. Annuii debolmente. Asciugando le mie ultime lacrime, scossi un po’ le ginocchia e cercai di rimettermi in piedi, un po’ alla volta, dando una mano a Yusei, ancora ferito. Lui si rialzò evitando di fare movimenti bruschi, le gambe sembravano illese –aveva dei pantaloni abbastanza spessi che lo avevano protetto almeno dai petali e dalle foglie, erano semplicemente tagliuzzati qua e là. Avevo combinato un vero disastro, nella stanza sembrava fosse passato un tornado –no, anzi, era passato un tornado… Si preannunciava un duro lavoro di rimessa a posto. Prima però dovevo medicare Yusei, si era ferito per colpa mia, e volevo rimediare. Quando finalmente fummo entrambi stabilmente in piedi, alzai lo sguardo verso di lui, e feci per parlare:
 
“Yuse-“
 
Ma mi paralizzai. Tutto si congelò in un istante. Una folata di vento, e non eravamo più soli. Un’ombra, nera come la pece era apparsa dal nulla affianco a noi, improvvisa come la luce di un lampo, senza emettere un fiato. Yusei si voltò di scatto. Tutto sembrava muoversi a rallentatore. Lui spalancò gli occhi: la figura aveva un lungo mantello, ed era incappucciata. Sollevò la testa appena a sufficienza per intravederne la bocca e parte degli occhi, in penombra.
 
“Alla fine ti ho trovato”.
 
Capii all’istante di chi si trattava. I guai erano arrivati. Vedendo tale figura immobile, in un primo momento non reagii; subito dopo però sentii una mano chiusa attorno al mio polso strattonarmi bruscamente verso l’ingresso. Lo sconosciuto era rimasto lì, avanzando solo di qualche passo, ma la mano che mi trainava mi costrinse a dargli le spalle. Yusei spalancò il portone e si precipitò fuori trascinandomi con sé. Questa volta aveva deciso in fretta cosa fare… Però, di nuovo, non poteva difendersi, dunque si ritrovò costretto a volgere in ritirata. Io avevo ancora i miei poteri a disposizione, se necessario, ma avrei dovuto ricorrere ad essi con cautela. Non ero ancora in grado di controllarli a sufficienza, e questo tizio sembrava saper dare del filo da torcere ai suoi avversari. Non facemmo tanta strada, ma un muro trasparente, luminoso e verdognolo si materializzò davanti a noi, troppo veloce perché le nostre gambe potessero raggiungerlo. Arrestammo entrambi la nostra corsa a pochi metri da esso; sentivo la mano di Yusei stringere il mio polso con un po’ troppa forza. Sembrava che stesse… tremando. -Era a causa delle ferite, oppure…? Lui si voltò immediatamente, notando che quell’uomo ci aveva praticamente raggiunti –come aveva fatto ad arrivare così vicino? Avevo una pessima sensazione. Guardai Yusei: nei suoi occhi vedevo paura, ma anche tanta rabbia.
 
“Di nuovo tu…” disse con voce bassa. Non l’avevo mai sentito parlare con un tono del genere, mi faceva un po’ paura. Sapeva apparire minaccioso volendo, però le braccia insanguinate in bella mostra lo contraddicevano. L’altro non rispose, sembrava intendesse prendersela comoda. Poi sorrise in maniera sinistra, sollevò una mano all’altezza della testa, unì insieme le dita e, molto semplicemente, le schioccò.
 
Il mio cuore perse un battito. Sentii improvvisamente il terreno mancarmi sotto i piedi, letteralmente. Guardai in basso, e vidi soltanto nero. Riportai lo sguardo verso l’alto, solo per accorgermi che anche il mondo esterno si stava allontanando verso il cielo azzurro: ero in piena caduta libera, scendendo sempre più velocemente in un cratere senza fondo. Gridai con tutte le forze verso la luce che si stava rinchiudendo sopra di noi, nell’inconscia speranza di tornare indietro, mentre l’oscurità si infittiva, accompagnata solo dal lungo suono della voce forte di Yusei che copriva la mia… Era come se anche il mio cuore stesse precipitando, benché chiuso nel mio corpo, nel vuoto di quell’oblio… Mi sentivo… fragile. Tutto stava accadendo troppo in fretta, e io non potevo percepire altro che il vento fischiarmi nelle orecchie e gelare tutto il mio corpo. Ad un tratto ebbi l’impressione di tuffarmi di schiena in acqua, solo che quest’acqua era fatta di oscurità palpabile. Tutto stava svanendo, ed io, persa in quel mare, mi abissai nelle tenebre più profonde.
 
 
*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
*parola all’autrice rompiscatole e precisazioni* [lettura facoltativa se vi siete scocciati di leggere XD]
 
1) Motivazioni sulla “direzione” del capitolo
 
Questo volo mi ricorda terribilmente quello di Yusei poco prima di incontrare il padre… ok, è un caso XP Dunque, il povero Yusei ignaro delle capacità di Aki ha fatto la mossa sbagliata nel farla arrabbiare… mettici la naturale propensione di lei a pensar subito male e incacchiarsi, LOL era inevitabile il casino XD specialmente con un particolare ricordo risvegliato accidentalmente… è stato il colpo di grazia :/ ma non apro bocca su questo u.u infine Yus, vedendola indebolirsi e cadere –sì, stava praticamente svenendo- si è fiondato a prenderla, un po’ per impedire che si facesse male (non sapeva stesse perdendo i sensi), un po’ per cercare di calmarla, tentando un contatto fisico... sai com’è, quando queste cose accadono rapidamente uno non sta manco lì a riflettere u.u comunque, il “tilt” di Aki è durato poco, roba di una manciata di secondi. Visto che ci sono, vi faccio presente un dettaglio sottinteso: essendo raccontato tutto dai loro punti di vista, i personaggi possono facilmente essere tratti in inganno U.U
 
2) Parere personale:
 
Quando vidi la serie la prima volta in TV non riuscii subito a capire né la storia di Aki, né il perché al termine dei duelli con Yusei piangeva sempre, tantomeno perché sosteneva di essere stata “salvata” da lui :T poi però riflettendoci (e leggendo fanfiction), finalmente la compresi e la trovai davvero commovente e profonda (sono l’unica che pensa che Aki si comporti esattamente come un fiore spinato? <3). Forse hanno presentato storie troppo mature per i numerosi ragazzini/bambini che seguono Yu Gi Oh (ci costa dirlo, ma sappiamo in fondo che la maggioranza è di ragazzini TwT) :/ … spezzare con la serie Zexal, secondo me, è stato positivo, tuttavia continuo a ritenere che abbiano esagerato T_T Yuma ha sfondato tutti i canoni della figaggine dei protagonisti di Yu Gi Oh… di piena faccia T__________T
 
3) Piccoli avvisi:
 
Vorrei fare una specie di sondaggio per mia curiosità: non molto tempo fa ho scritto una One-Shot sempre su Yu Gi Oh 5d’s (nel caso, date un’occhiata al mio profilo ;D ), ma…. Era già fortuna se riceveva una visitina ogni 5 giorni D: i capitoli di questa storia a confronto vanno a picco…. *sempre relativamente xD* ok che magari non era nulla di straordinario, ma la cosa mi ha fatto chiedere “Forse la maggioranza preferisce le fanfiction a capitoli piuttosto che le one shot?” Se il motivo è la lunghezza, non oso immaginare per le flash fic come vadano le cose… Mah, io le considero alla pari, sarò un singolo caso? (Come spesso succede?) xD
 
Per chi non ha visto, tutti i capitoli precedenti sono stati aggiornati con dei miei disegni :3 non saranno perfetti, ma un giorno li saprò fare meglio di così XD se non li avete ancora visti, fateci un salto! :3 ooora  torniamo alle cose importanti ^_^
 
*parola ai ragazzi*
 
Io: chiedo perdono per la cliff anger, serviva purtroppo XD
 
Aki: che bel finale… *sarcastica*
 
Yusei: …dove dovremmo essere finiti adesso?
 
Io: Niente spoiler ^x^ sappiate solo che i veri guai cominciano adesso uwu
 
Aki + Yusei: *sigh*
 
Jack: *si intromette* io che fine ho fatto, si può sapere?!
 
Crow: vorrei saperlo anch’io e.e
 
Io: siete morti fra atroci sofferenze :3
 
Jack + Crow: O__________________O COSA?!!!
 
Aki + Yusei: LI HAI UCCISI?!!!
 
Io: naaah, scherzavo ^O^ relax ragazzi XD sarò tante cose, ma non così bevuta di cervello ùWù in questo esatto momento avete delle facce stupende :’3 a me una fotocamera!
 
Jack: ma brutta… *scrocchia i pugni*
 
Crow: se le sta cercando…*gli sta venendo un tic nervoso ad un occhio*
 
Io: essù, buoni giovani u.u
 
Aki: …esiste qualcuno che la sopporta qui dentro?
 
*la porta si spalanca di botto*
 
Vector: SÌ, IO!
 
Aki: KYA!-- *ha fatto un zompo dallo spavento, come tutti* ancora tu?!
 
Vector: HAHAHHAHAH Certamente! Nessuno può sbarazzarsi di Vector-sama! HAHAHAHAHAHHA Splendido finale, Aki-chan!
 
Io: grazie, che onore :’D ecco, imparate u.u
 
Crow: fermi tutti… ora che ci faccio caso, sono l’unico che pensa di vedere un paio di ali sulla sua schiena?? D8
 
Vector: Ah, ti riferisci a queste? HAHAHAHAH che c’è, sei invidioso? Hai un deck pieno di pennuti (e persino la duel runner con le ali!) ma sei l’unico che non sa volare! HAHAHAHAHAH
 
Crow: COME OSI RAZZA DI *censored censored  censored  censored  censored  censored*
 
Io: Ehi Vector, così scateni una rissa XD guarda che questi qua non scherzano a pugni u.u
 
Vector: ma è troppo divertente! HAHAHAHA! Vincerei io lo stesso!
 
Crow: grrr, ma se t’investo con la Black Bird vinco io, giusto? e_O *il tick peggiora*
 
Io: O_O Crow, calmati D:
 
Vector: perché non ci proooooooovi? HAHAAHAH! *faccia folle*
 
Io: *si mette in mezzo* bene, abbiamo capito che non hai una buona influenza sul team, Vector XD meglio chiudere, o qua finisce male malissimo se ci si mettono anche gli altri u.u un sentito grazie alle anime che hanno avuto la forza di leggere questo papiro, spero di pubblicare il prossimo quanto prima <3 (sono sommersa di disegni da terminare su commissione XD) notte gente! ^_____^
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Evvai, nuovo disegno! :D chiedo perdono per la qualità, ma essendo rimasto chiuso per settimane nell'album sfregandosi contro gli altri fogli si è un po' rovinato.. comunque ho rimediato per quanto possibile xD spero vi piaccia :D (non avete idea di quanto c'abbia messo per finirlo ._.") nulla da precisare sulla scena, vero? :'3 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo- Ombre ***


*nello studio buio e incasinato della scrittrice*

Puntata speciale: ospiti speciali, la vendetta

Io: l’altro giorno ho corso come una furia sotto la pioggia senza ombrello, causa ritardo (e pioggia in testa). Ovviamente la prima cosa che pensai fu *Feel like: Yusei nel primo capitolo* LOL °w° mi sentivo stranamente euforica, e pensai a registrare tutte le sensazioni in testa correndo ancora più veloce XD (sono pazza, che vi aspettavate ù-ù) morale della favola: adesso sono senza voce TwT

Yusei: *silenzio - la sua faccia semi-soddisfatta esprime una sottospecie di “così impari a farmi passare i guai ù_ù” *

Io: *tossisce* ah già, oggi c’è un altro ospite da presentare c:

Aki: di che serie, stavolta?

Io: spiacente per voi, ma… sempre Zexal XD

Crow: se ti azzardi a riportare quella sottospecie di cornacchia-

Misael: veramente non ci sarà quel rifiuto di Vector oggi. Mi presento: sono Misael, imperatore barian-

Crow: freeeeeeeeeena frenafrenafrena, ancora Bariani?! Ah, no, aspetta… “quel rifiuto di Vector” hai detto? Ghehe vedo che non sono l’unico a non sopportarlo! Qua il pugno amico ewe

*bro-fist*

Io: già, fa parte della squadra di quelli che le hanno date di santa ragione a Yuma, direi che meritava che accettassi la richiesta di visita u.u

Aki: quell’ala sulla maschera ti dona ‘-‘

Misael: attenta a come parli, Miss. *Yusei lo guarda storto*

Aki: …almeno risponde “normalmente” e non è pazzo <_<

Yusei: … *continua a fissare Misael*

Crow: odierà Vector ma è pur sempre un bariano, e in quanto tale non voglio vederlo qui dentr-

C107: GGGRRROOOOOOOOAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRR!!! *si vede uno dei suoi occhi grande e grosso dalla finestra*

Crow: AH-!!! *infarto* C-COS’E’ O________O”

Jack: un drago, a quanto pare o_o

Yusei: è immenso o_o

Aki: ma che razza di Shyncro è? o_o

Misael: Shyncro? Questo è un mostro numero xyz ._. il migliore, s’intende u.u

*poker faces*

Tutti: …xyz?

C107: Roarrrrrrrr…

Misael: lascia perdere, Tachyon…

Io: e pensare che ora toccherà ai Pendulum… nostalgia portami via <_< però, devo dire che la personalità di Misael è riuscita a farci condurre una puntata NORMALE, grazie al cielo x’D vi immaginavate se c’era ancora Vector?

Crow: perdeva quelle quattro penne che teneva, ecco cosa.

Io: ...bene, Crow ha reso l’idea, a modo suo XD bene, direi che è tempo di [duellare] passare alle cose serie u_u  allora, ragazzi miei… anche qui riporterò il pov di yusei sugli stessi eventi del capitolo precedente :) sarà un po’ sintetizzato, ma completo. Chiedo perdono per la lunga assenza, oltre alla scuola, ho attraversato un blocco dello scrittore parecchio impiccioso (?)
Invece faccio i miei più sinceri ringraziamenti a Keily_Neko, BML951110, eli8600, iridium_senet, CyberFinalAvatar e playstation per le recensioni ed il sostegno! Visto che ci siamo, vi consiglio anche di leggere la ff Return of the Darkness ed i suoi sequel, specialmente  per appassionati di duelli :)
Inoltre, ringrazio anche coloro che seguono la mia storia come Valix97 (carissima :3), lady_eclisse, Darkan Kuso Dragneel, karter e Anna100, di nuovo eli8600 con CyberFnalAvatar, playstation e BML951110 ^_^ infine…

Disclaimer: la qui presente Aki_chan_97 non possiede Yu-Gi-Oh 5D’s. Altrimenti sappiamo tutti come sarebbe finito l’ultimo episodio della serie çwç
Bene, direi che possiamo passare al nuovo capitolo XD buona lettuuuuuuura :3
 


POV: Yusei

Aki l’aveva presa male, molto male. Era furiosa. Furiosa perché non le avevo dato fiducia, furiosa perché si era sentita… tradita? O molto più semplicemente perché l’avevo involontariamente esposta al pericolo. Ora però stava esagerando, in fondo, non era ancora successo niente…  Aveva cominciato a stuzzicarmi con parecchia acidità, e la cosa mi stava dando sui nervi. Il mio orgoglio alla fine prevalse, e mi spinse a ribatterle a dovere.

Pessima. Idea. Lei divenne improvvisamente calma, come se si stesse preannunciando una tremenda tempesta. Ripensai a quello che aveva detto: le sue parole mi avevano colpito molto.

“…a te interessa solo questo segno, non è vero?”

“Ti preoccupi solo di questo, perché potrà servirti. A te non importa niente di me, ammettilo!”

“Se non fosse per questo segno, saresti pronto ad abbandonarmi senza pensarci due volte, non è vero?!”

Avevo per caso dato l’impressione di voler approfittare di lei? No, o almeno, non ne avevo mai avuta la minima intenzione… eppure lei sembrava averlo dato per scontato. Come se… come se l’avesse già visto accadere, più di una volta.

Scrutai i suoi occhi a fondo, in cerca di risposte. Quelle iridi castane venate d’oro, per un attimo, avevano mostrato una cosa che non avevo ancora notato: dolore. Tanto confusione, rabbia e… dolore.  Emozioni che compresi, come non mai. Quella ragazza aveva sofferto, non sapevo cosa le fosse accaduto, ma… la comprendevo, perché era esattamente come me. Quegli occhi riflettevano il me stesso di anni fa, il me stesso che girovagava solo per le strade del Satellite senza un motivo per continuare a vivere, attendendo di vedere la sua luce, prima o poi. Non sapevo per quanto tempo avrei potuto reggere quella volontà trascinata e debole, ma fortunatamente il destino mi fece incontrare Jack e Crow… Quei due non sapranno mai quanto davvero furono importanti per me in quell’istante della mia vita. Al contrario, non mi sembrava che Aki fosse stata “graziata” allo stesso modo. Era ancora sola, terribilmente sola.

Eppure condivideva anche lei il nostro stesso segno, il nostro stesso destino. Perché doveva soffrire così tanto? Che motivo aveva di restare in questa solitudine? Più nessuno, ora. Che cosa avrei potuto fare, io? Cosa avrei potuto fare io per farla stare bene? Darle la ragione che cercava, ecco cosa. In fondo, eravamo uniti dalla stessa sorte, perché respingersi? Perché guardare alle differenze? Era come me, come i miei amici. Eravamo tutti coinvolti nello stesso grande disegno, in qualche modo. Non avevo ancora idea di cosa si trattasse davvero, o che ruolo giocassero in tutto ciò quegli strani poteri, fatto stava che… lei non era sola, non lo sarebbe più stata. Sentii il mio cuore stringersi: le avrei fatto vedere io la luce che cercava. Le avrei dato io un posto da poter chiamare casa.

Era ingiusto che Aki soffrisse così, non lo meritava. Aveva un cuore buono, e l’aveva dimostrato. Era stata gentile con me, e io le dovevo la vita. Però, nonostante fosse una ragazza così buona e premurosa, il mondo esterno non l’aveva accettata, anzi, l’aveva costretta a rinchiudersi in quel muro di spine che ora la circondavano. Era così triste, vedere un fiore così bello così straziato dal dolore così grande di venir respinto… un dolore che lei trasmetteva a tutti quelli che le si avvicinavano, attraverso quelle stesse spine che la difendevano. Questa barriera nascondeva dei petali rossi delicati… petali che a lungo andare sarebbero appassiti.

Dovevo raggiungerla. Dovevo oltrepassare quel muro di spine, anche a costo di farmi male. Un po’ di dolore fisico non era niente rispetto a quello che le avevo visto negli occhi. Non volevo vedere quella splendida rosa appassire. Dovevo arrivare al cuore di quei petali, perché dovevo dimostrarle che quelle spine non le servivano più. Non potevo permettere che quell’anima di fronte a me andasse perduta... Le avrei dato io la persona che lei cercava, la famiglia che le mancava. Come tra me, Jack, e Crow: non eravamo uniti per sangue, ma ormai ci consideravamo alla stregua di fratelli. Questo legame era tutto ciò che avevamo, e tutto ciò che bastava. La nostra ragione per vivere, in questo luogo disperato. Avrei accolto anche Aki: ormai la sua solitudine sarebbe stata solo storia antica. Sarebbe sbocciata gioia anche nei suoi occhi.

Tuttavia, l’impresa sarebbe stata ardua.

“Bugiardo, bugiardo, BUGIARDO!”

Avevo cercato di tranquillizzarla a voce, però l’effetto era risultato opposto. Cosa c’era che non andava? Che avevo detto di sbagliato? Non le stavo mentendo! Perché non mi credeva? La situazione stava diventando terribilmente pericolosa, ora che Aki stava dando sfogo ai suoi poteri. Erano di una potenza straordinaria, ma allo stesso tempo letali. Avrei fatto meglio a pensare di difendermi.  Il vento soffiava con una potenza micidiale, creando un vero e proprio tornado, ed Aki restava in piedi al centro. Fu allora che iniziai a sentire dolore: il vento trascinava con sé numerosi… petali. Petali e foglie, in più ad altri piccoli detriti molto affilati. Che ironia. Non potendo evitarli, cercai almeno di proteggere il viso dai numerosi graffi che mi stavano iniziando a ricoprire. Non avevo idea di quanti danni mi stessi procurando, tuttavia non potevo ritirarmi adesso, specialmente non dopo aver visto di nuovo quegli occhi, all’interno del tifone, stavolta vuoti, privi di emozioni, dalle pupille sfumate, uniformate a tutto il colore nocciola delle sue iridi… Sembravano senza vita, o meglio… senza coscienza.

“Io volevo fidarmi di te! Invece sei un bugiardo come tutti gli altri!!!”

In quel momento la terra tremò, e due lunghe corde spinate spuntate dalle travi del pavimento si fiondarono contro di me. Non ebbi tempo sufficiente per evitarle: quelle si avvinghiarono alle mie braccia, affondando con forza le punte affilate nella mia carne. Mi chinai gridando dal dolore, incapace di trattenere la voce di quell’agonia dentro di me, ma cercai di tacere il prima possibile, non volevo che Aki mi sentisse… troppo. Quelle corde mi tiravano verso il basso, e altre di esse avevano iniziato ad aggrovigliarsi attorno alle mie gambe, muovendosi più lentamente. Dovevo fare qualcosa, anche perché quel dolore mi stava facendo impazzire. Stavolta lasciai che mi guidasse l’istinto: avrei cercato di attingere ai miei poteri, sperando che ce ne fossero rimasti a sufficienza da poterli utilizzare. Posai le mani sulle corde che mi bloccavano le braccia, sentendo quegli aghi penetrare ancora di più col movimento. Strinsi i denti, cercando uno sfogo per quel dolore paralizzante… Stava diventando impossibile da sopportare… dovevo sbrigarmi. Raccolsi tutti i miei pensieri e li focalizzai in un unico punto. Non ricordavo fosse così difficile. Mi ci volle un po’, ma alla fine riuscii a congelare le fruste che mi tenevano legate le braccia, frantumandole in mille pezzi; anche le altre che avevano cominciato ad assalirmi si erano ritirate. Ma la mancata presa delle spine ora permetteva al sangue di fluire con maggiore rapidità. Caddi in ginocchio, in mancanza di energie per restare in piedi. Ricorrere ai miei poteri si era rivelato più difficile del solito, e le ferite peggioravano la situazione… mi stavo stancando considerevolmente, e la vista cominciava a offuscarsi. E come se non bastasse, il braccio aveva ricominciato a far male esattamente come l’altra notte, bruciando nello stesso punto dove si trovava il segno a forma di testa di drago. Era ancora più forte di prima, e io non sapevo fino a che punto sarei riuscito a sopportare tutto quel dolore che, ben presto, avrebbe avuto la meglio anche sui miei sensi. Facevo fatica a tener aperti gli occhi…

“AKI!” per un attimo sembrò tornare luce nel suo sguardo. Essendo rimasta nell’occhio del ciclone era fuori dal pieno raggio d’azione del vento, eppure quei petali taglienti non avevano risparmiato nemmeno lei: si stava lentamente coprendo di graffi, e dalla sua espressione potevo dire che se ne fosse accorta. Quel vento doveva cessare, ma doveva essere lei a farlo tacere.

“Aki, ferma questo vento! È pericoloso!”

“Non lo so fare, Yusei!”

Oh. No. No, no, no… fermi tutti. ‘Non ditemi che non li sa controllare!’ Ah, ora si spiegava tutto… più o meno. Diamine… Era vero che non era impresa facile imparare a dominarli, ma… possibile che a 17 anni compiuti non c’era ancora riuscita?! Io a 12 anni avevo già smesso di congelare oggetti a caso! S-sì, erano incidenti più o meno frequenti –una volta ne fu vittima anche Jack, e l’esperienza fu indimenticabile da tutti i punti di vista- però dopo un po’ riuscii a mantenerli sotto controllo fino a farli cessare del tutto. Ok, c’era solo una cosa che Aki poteva fare adesso, ed era cercare di imporre la sua volontà sui suoi poteri con tutte le sue forze.

“Concentrati! Usa la tua forza di volontà!”

Dopo poco, però, Aki sembrò dare segni di cedimento. Si teneva la testa come se le facesse male, e le sue gambe si stavano lentamente piegando sotto di lei, come se stessero sopportando il peso di un macigno troppo grande. Niente da fare, il vento non si fermava, non stava succedendo niente; i petali e le foglie infuriavano quasi peggio di prima, e lei non riusciva a fare nulla. Molto male, perché altre di quelle fruste si erano levate attorno a noi, contorte e pronte ad attaccare, come serpenti che fissano immobili la loro preda prima di assalirla con le loro zanne velenose. Così anche Aki si sarebbe esposta al pericolo, ma non sembrava accorgersi di niente, anzi, sembrava soffrire più di prima…

Poi non so bene cosa mi prese, perché in qualche modo trovai le forze per correre da lei, senza pensare, senza badare alle ferite o al dolore al braccio, né al vento che ci separava. Evidentemente doveva essermi passato per la testa l’inconscia idea -chissà, magari in memoria di qualche vecchia esperienza- che il contatto fisico potesse aiutarla ad impedire l’imminente tragedia. Aki sembrò aver perso tutte le forze in un colpo solo, perché non appena arrivai da lei mi cadde praticamente tra le braccia fino a farmi scendere in ginocchio. Sembrava aver perso i sensi, ma la situazione attorno a noi non era cambiata, quelle piante minacciavano ancora di attaccare a sorpresa. La strinsi sempre più forte, stavolta temendo il peggio. Eppure, nessuno dei colpi che mi aspettavo cadde su di noi. Anzi… quelle radici si bloccarono praticamente a mezz’aria. Il vento si era fermato. Le radici si erano dissolte.

Era finito, era tutto finito. Ce l’aveva fatta. Rimanevano solo i nostri respiri a pervadere l’aria attorno a noi. Dopo alcuni secondi netti che passarono immobili in un doloroso silenzio, sentii Aki muoversi leggermente. Doveva aver ripreso coscienza.

“Aki! Stai bene?”

“S-si…” sospirai, sollevato.

“Meno male. Mi dispiace… avevi ragione, avrei fatto meglio a dirtelo, a provarci almeno. Ti chiedo scusa.” Non avevo nemmeno riflettuto su quello che avevo detto, ero stato assolutamente spontaneo. Però dal tono di Aki potevo dire che adesso lei si sentiva terribilmente in colpa… insisteva sempre sulla stessa cosa:

“Che te ne importava se ci rimettevo io? P-Perché… non hai pensato a salvarti?”

Non potevo accettare parole del genere. Non potevo, affatto. Mi aveva preso per un tale egoista? Tuttavia, capivo il senso del suo discorso, e quanta amara verità nascondesse. Per un momento considerai l’eventualità di aprire uno spiraglio in più dalla mia anima, e rivelarle qualcosa in più di me, qualcosa di più profondo ed intimo che finora non avevo mai confidato ad anima viva: avrei giocato la mia ultima carta per riuscire ad arrivare fino al suo cuore e farle aprire gli occhi, ma parte di me continuava a fare resistenza. Optai per mettere tale capriccio a tacere: Aki si meritava questa fiducia, e soprattutto, ne aveva bisogno, adesso. Sospirai profondamente, e la staccai da me, guardandola negli occhi.

“Ascoltami, Aki. Non vedere il fatto di possedere i tuoi poteri come un male. L’ho capito, sai, quanto hai sofferto. L’ho visto, nei tuoi occhi.” Esitai, ancora in cerca di parole, ma poi mi feci coraggio ed andai avanti, man mano più convinto di prima.

“A volte mi sono chiesto, in passato, perché io avessi quegli strani poteri. Spesso non riuscivo a non provarne un certo disprezzo, perché tutti gli altri miei coetanei avevano paura di me. Pensavo che sarei rimasto solo per sempre, ma poi incontrai Jack e Crow. Furono gli unici a restare al mio fianco, gli unici a potermi capire davvero. A discapito di ogni previsione, quel marchio era riuscito a portarmi degli amici. Inoltre, vidi in quei poteri la possibilità di proteggere le persone a me più care al massimo delle mie forze. Fu quando lo realizzai, finalmente, che mi ripromisi di proteggerli tutti. Non è un caso che anche tu abbia questo segno, Aki. Nemmeno tu sei sola.”

E finalmente, l’ultima difesa cadde.

Aki scoppiò a piangere, lì su due piedi, davanti a me. Mi rattristava vederle lacrime sul viso, ma sapevo che questa volta avevano un valido motivo per cadere sulle sue guance. Mi sorprese quando mi si gettò al collo: irrigidii per un istante i muscoli ricordandomi dei vari danni che il mio corpo si era procurato, ma mi morsi la lingua e cercai di non farlo notare ad Aki, ora aveva solo bisogno di tempo per calmarsi. Tentai di confortarla il più possibile, senza parlare, accarezzandole un po’ i capelli. Percepii tanta dolcezza nell’aria. Ci stavo quasi prendendo gusto a passarle la mano su quelle ciocche rosse –benché la cosa mi facesse sentire un po’ in colpa-, erano così soffici. Sperai che almeno non dispiacesse a lei. Restammo così per molto, godendo quel silenzio scosso solo dai suoi fremiti finché lei non smise completamente di piangere.

Eppure non avrei mai potuto prevedere cosa accadde un istante dopo. Avemmo solo il tempo sufficiente a rimetterci in piedi che una folata di vento attirò la mia attenzione alle mie spalle. Mi congelai all’istante, fissando con orrore la nuova figura che occupava la stanza oltre a noi.

“Alla fine ti ho trovato”.

Ricordi confusi tornarono in un colpo solo alla memoria, e poi di nuovo affidai le mie azioni all’istinto. Una frazione di secondo ed ero già sulla via d’uscita, stringendo forte il polso di Aki; corsi finché potevo, cercando di sopportare al meglio il dolore che aveva ripreso crudelmente a torturarmi, finché una specie di immenso muro dalla costituzione tristemente familiare non ci sbarrò la strada. Fummo costretti a fermarci e voltarci, notando che il nostro inseguitore ci aveva già raggiunti. Male, non volevo che mettesse le mani addosso ad Aki. Non avrebbe dovuto nemmeno osare.

“Di nuovo tu…” mormorai, incapace di controllare la vena d’ira che stava lentamente emergendo nella mia voce. Se avesse attaccato ancora come l’altra notte saremmo stati davvero nei guai. Potevo riporre qualche speranza nei poteri di Aki, ma nessuno dei due sapeva se lei aveva davvero acquisito l’effettiva capacità di controllarli. Sentivo le mie braccia tremare. La perdita di sangue non aiutava a restare perfettamente vigile… e l’immobilità di lui stava istigando inconscia paura ai miei sensi, rendendomi teso più che mai. Poi, alzò una mano vicino al suo viso, sorrise cupamente e schioccò le dita.

Qualcosa accadde, ma non riuscii a registrarlo in un primo momento. I miei occhi si posarono su una vasta area nera che ci separava dall’uomo incappucciato. Poi, sentii il mio corpo precipitare. Il buio ci sovrastava e ci attendeva, al fondo di quella voragine. Persi la presa di Aki, incapace di trovare un modo per ritornare in superficie prima di cedere definitivamente alle tenebre. Solo le onde sonore della mia voce che attraversarono la mia gola sembrarono riuscire a compiere l’impresa di quella scalata. Anche Aki aveva lanciato un lungo grido. La sua voce era davvero più acuta di quanto mi aspettassi, ma sovrapposta alla mia non faceva altro che rendere quell’incubo ancora più inquietante e reale. Sentivo il mio cuore battere più lentamente, in preda a quelle fitte di panico… odiai profondamente la gravità che ci trascinava senza pietà verso il basso, togliendoci ogni possibilità di scampo. Ed infine raggiungemmo la nostra meta, ormai incapaci di distinguere altri colori, compreso l’azzurro che si era rimpicciolito progressivamente sulle nostre teste come per concederci un ultimo addio. Il mio corpo fece contatto con una superficie liquida, densa, oscura, che presto mi sommerse. Poi anche nella mia mente ci fu solo nero.




Non appena ripresi i sensi, la prima sensazione che mi accolse fu dolore. Il fianco faceva terribilmente male –forse vi avevo ricevuto un’ulteriore botta mentre ero inconscio-, e sentivo freddo alle braccia, tremanti e doloranti. Senza la necessità guardarmi nei dintorni, potevo dire di essere steso a terra a faccia in giù, e che il pavimento era freddo e umido. Non avevo ancora mosso un muscolo, e stavo perdendo lentamente le speranze di riuscirvi. Tentai almeno di riaprire gli occhi. Nonostante le palpebre fossero pesanti, fui capace di schiuderle quanto bastava per capire che l’ambiente attorno a me era buio e nero, rischiarato da una lucina molto fioca, sufficientemente luminosa per vedere quanto ampia fosse la stanza. Anche se, più che la parete di una stanza, quella che vedevo sembrava una parete rocciosa… Mi ricordava quella di una grotta. In effetti il terreno non era liscio, ma pieno di dossi, e molto ruvido. Davvero ero in una grotta? Ma… fino ad un attimo fa ero davanti casa di Aki, come facevo a trovarmi in un posto simile? Cos’era successo mentre dormivo? No, anzi… dov’ero precipitato, esattamente?

In quel silenzio tombale mi accorsi di udire un altro respiro, oltre al mio, ma nessuno in vista o in avvicinamento.

“Aki…?” La mia gola era incredibilmente asciutta e stretta. Questo mi impedì anche di alzare il tono della voce più di tanto. Io ero ancora immobile, incerto delle forze che mi erano rimaste. Avevo una sensazione di disagio parecchio pressante, dentro. Quell’atmosfera era davvero tetra. Non c’erano pericoli, apparentemente, ma qualcosa dentro di me continuava a gridarmi che quel luogo era pericoloso, e che dovevo mettermi in salvo alla svelta. La mancanza di una risposta, intanto, mi convinse a girare la testa per cercare con lo sguardo la persona a cui apparteneva quel respiro.

Quando finalmente riuscii a compiere il movimento contro la roccia dura, intravidi vicino a me un’ombra scura, accasciata di lato, che respirava, e… a giudicare dalle curve sinuose di quei fianchi, non avrei avuto modo di sbagliarmi sulla sua identità. Bene, e adesso? Era svenuta? Forse dormiva ancora. Meglio svegliarla e andarcene via di qui. L’ideale sarebbe rialzarsi, prima… presi un bel respiro. ‘Forza Yusei, puoi farcela…’ Portai le mani all’altezza delle spalle, nella speranza di spostare il mio peso almeno sulle ginocchia. Feci pressione sui palmi delle mani, ma non appena il mio torso si sospese e perse contatto col suolo, il dolore si intensificò istantaneamente, anche sulle braccia. Mozzai il fiato e strinsi i denti, per non ricadere di nuovo di faccia sulla pietra. Vi appoggiai i gomiti e la fronte, senza sbatterci contro con troppa forza. Piegai con cautela le ginocchia, e le riportai sotto di me. E questa era fatta, ma accidenti che male... Era probabile che lì dov’ero ci fossi letteralmente ‘atterrato’. Questo avrebbe spiegato il dolore diffuso. Ma non ricordavo un impatto del genere su una superficie tanto dura, piuttosto una specie di tuffo in un’acqua molto densa, e nera come la pece… ora però non avevo modo di capirci qualcosa, l’unica cosa da fare era svegliare Aki.

Era sufficientemente vicina per arrivarci a gattoni. Non mi restava che sopportare il dolore per un po’. Non mi andava che Aki se ne accorgesse, non era un bene mostrare debolezze. Una volta che arrivai vicino a lei, la scossi un po’ per la spalla.

“Ehi, Aki, svegliati…” attesi pazientemente. Niente da fare, dormiva beata. A questo punto, meglio provare con qualcosa di più ‘drastico’. Sporgendomi un po’ di più, puntai le dita contro il fianco della sua cassa toracica esposta, e ci diedi un colpo secco a mano tesa. Il brivido fu efficace, visto che scattò seduta all’istante. Poco male, perché nel processo mi diede un bel colpo di testa in piena faccia. Potei contare le stelle una ad una… AHIAAAAA…

Per un attimo rimase completamente spaesata: si guardò intorno mormorando qualcosa, mentre si teneva la testa con una mano; solo dopo si accorse di me, che intanto, chino su un fianco, mi stavo massaggiando il punto del viso colpito. Accidenti che testa dura che aveva…

“Yusei?”

“Mh-h...” confermai, tenendo ancora la faccia coperta dalle mani.

“Aaah, scusa! Ti ho fatto tanto male?” Scossi la testa. Lei sospirò.

“Almeno… Uff, colpa tua! Mi hai fatto prendere un infarto!” non resistetti al non lanciarle un’occhiataccia. ‘…Qualcuno mi spiega perché è sempre colpa mia?’ Peccato che al momento ero un tantino impossibilitato a ribattere decentemente –causa dolore alla faccia-... Optai per un bello ’sgrunt’ esasperato sotto i baffi che lei, puntualmente, ignorò.

“Ma dove siamo…?”

“Nonnehoidea…” mormorai a voce bassa, senza togliere le mani. Quanto ci voleva a farlo passare? Lei cercò di rimettersi in piedi, barcollando un po’. Le ci vollero dei secondi per trovare un equilibrio appropriato: evidentemente non ero l’unico ad aver subito un certo impatto atterrando su quel suolo. Non si vedeva quasi niente, ma la luce diffusa sembrava provenire da un unico punto. Osservando meglio, notai che c’era una specie di tunnel davanti a noi che curvava a destra, nascondendoci così proprio la fonte di quella luce. Ormai la vista si era abituata a sufficienza: studiai con gli occhi i dintorni per capire infine che quella che avevamo davanti era l’unica strada percorribile, non essendoci attorno a noi altre aperture. Sopra di noi c’era troppo buio per distinguerci qualcosa, molto probabilmente era chiuso anche lì. Il saper di non avere altre strade alle spalle mi faceva stare meglio. Fui costretto a lasciare in sospeso la questione del “come avevamo fatto a finire in un posto del genere”, in mancanza di risposte. Dunque, l’unica opzione era quella di andare in suddetta direzione.

“Che facciamo adesso?” chiese lei, un po’ a me, un po’ a vuoto.

“Andiamo lì.” Le risposi freddamente, sentendo che il dolore al viso iniziava a scemare.

“Sicuro?”

“Preferisci restare qua?” …Nessuna risposta, dunque significava ‘no’.  Ok, toccava a me rialzarmi… sperando che il male non si riaccendesse con la forza di prima, certo. Puntai un ginocchio a terra, l’altro su, e poggiando una mano sul suolo, mi spinsi verso l’alto. Dolore in più ce n’era, ma potevo sopportarlo stavolta. Mantenni l’equilibrio per qualche secondo, finché, non appena sentii di averlo perso, venne Aki trattenendomi per mano. Sembrava un déjà-vu… Aveva delle mani davvero delicate… un’altra me l’appoggiò sulla spalla, così da darmi un po’ di stabilità in più.

“Sei ferito…” mormorò lei. Va bene, capivo la preoccupazione, ma cosa potevo fare adesso? Eravamo dispersi in un luogo non ben –affatto- identificato e senza uno straccio di idea su come tornare indietro… Non mi restava che pazientare e sopportare, no? Magari andando avanti avremmo trovato qualcosa…

“Non preoccuparti, non fa così male.” Era inutile negarlo, così magari si convinceva di smettere di preoccuparsi.

“Mi dispiace...” sussurrò. Colsi nel suo tono molta tristezza, e senso di colpa. Sembrava pronta a singhiozzare ancora. Imprecai contro me stesso e la scelta di parole che avevo fatto un momento prima. Non volevo sentirla parlare così, non volevo farla stare così. Faceva star male anche me sentirla con quella voce.

“Ehi, ehi. Ti ho detto che va tutto bene. Non fare così.”

“Ma se stai sanguinando! È… è tutta colpa mia…”

“Ssh. Basta, smettila. Non è stata colpa tua.”

“Sì, invece!”

“No, non sapevi come controllare i tuoi poteri, e io ho forzato la mano… semmai, la colpa è mia. E poi…”

Mi ricordai del metodo collaudato la notte dell’attacco: usare il ghiaccio sulla ferita. Non era un rimedio definitivo, ma almeno avrebbe bloccato il flusso sanguigno per un po’. Perché non ci avevo pensato prima? Misi la mano sinistra sul bicipite sinistro e cercai di far affluire quanta energia possibile sulle aree danneggiate. Lentamente, le schegge si allargarono sulla pelle, fino a ricoprire ogni zona scavata dalle spine. Non sopportavo sentirmi così debole, ma ero impossibilitato a fare di meglio, causa circostanze… Ripetei il gesto sull’altra metà del mio corpo, tuttavia continuavo a sentirmi le braccia intorpidirsi progressivamente. Se avessi avuto i miei pieni poteri sarei riuscito a proteggermi meglio… forse era la prima volta che formulai un pensiero simile. Ma ovviamente, quando ne avevo più bisogno dovevo ritrovarmi senza!

Almeno ero riuscito a far smettere ad Aki di piangersi addosso. Lei abbassò il capo, lasciando un ultimo piccolo singhiozzo, come se volesse dire ‘e va bene, la smetto’. Non aggiunse altro, e ci incamminammo lentamente verso la fonte luminosa. Lei mi seguì passo passo senza lasciarmi, la distanza dalla meta non era molta. Infine voltammo l’angolo, ritrovandoci davanti ad una… galleria costellata di cristalli luminescenti. WOW. Ad Aki si mozzò il fiato dallo stupore. Erano davvero meravigliosi, di colori sia simili che diversi; scintillavano in quel tunnel come stelle in un cielo notturno, e le pareti erano circolari, strette e irregolari. Ma … da quando le pietre brillavano come lampadine?

Aki mi fece un cenno e lasciò la mano per un momento, avvicinandosi incuriosita. Io rimasi dietro di lei, preferivo non avvicinarmi, per cautela. Lei appoggiò con grazia le dita sulla superficie liscia di uno di quei cristalli, tutto verde, che sbocciava da una parete: immediatamente, la luce si intensificò, ed anche il segno sul braccio di lei brillò del suo colore cremisi. Spaventata, staccò subito la mano dalla pietra, e tutto tornò come prima, braccio compreso. Un momento… quella cosa aveva reagito col segno di Aki, perché? Cos’era? Lei si stava tenendo la mano protettivamente con l’altra, eppure sembrava più intenta a scrutare quella pietra che a badare ad altro.

“Tutto bene Aki?”

“Quella cosa, era così… strana.” -La guardai un po’ confuso. Lei continuò- “Eppure, non mi sembrava cattiva. Anzi, il tocco era quasi piacevole…” senza staccare gli occhi dal masso, riappoggiò le dita sullo stesso cristallo, e quello brillò di nuovo, ma stavolta non tolse la mano: intravidi delle specie di lingue di fuoco fluide scaturire come scintille dalla luce intensa dentro quella specie di cameretta di vetro, danzando e fischiando. La cosa mi intimoriva ed intrigava allo stesso tempo.

“Y-Yusei, guarda! I miei graffi stanno sparendo!” Spalancai gli occhi. COSA?! Mi precipitai a vedere da più vicino: aveva ragione, da una delle sottili linee rosse sotto il suo guanto tagliato potevo vedere la pelle ritornare compatta, finché non rimase quasi nulla di quella striscia scura. Credetti di aver appena trovato la soluzione ai problemi. Ottimo. Lei tolse la mano, osservandosi le braccia alla sua luce. Anche il taglietto che aveva sul viso era scomparso, era rimasta solo una lineetta chiarissima al suo posto. Magari non era una guarigione perfetta, ma era sufficiente per restituirmi un po’ di forze. O almeno, lo speravo.

Appoggiai anch’io la mano su quella pietra; tuttavia, nessuna delle mie aspettative trovò conferma: una scarica elettrica esplose dal gioiello illuminatosi furiosamente, così forte da respingermi fino a scaraventarmi due metri più indietro. Atterrai pesantemente sulla roccia. Altro, atroce dolore –accompagnato sicuramente da graffi e ferite- si aggiunse alla schiena e al retro della mia testa, e sul momento mi stordì parecchio. Era alquanto probabile che avessi gridato nel processo, ma non ero molto sicuro di quanto era accaduto, mi faceva male la testa…

“YUSEI!” Aki si precipitò vicino a me, cercando di sollevarmi dal terreno la testa e il busto doloranti. Stavolta cercai di fare un po’ da solo, rimettendomi in piedi con almeno parte delle mie forze, senza rendermi subito conto che avevo poggiato il palmo proprio su un cristallo, più piccolo e azzurro, posizionato ad angolo tra la parete ed il pavimento. All’improvviso, lo sentii: uno strano formicolio mi percorse il braccio, come un brivido, spandendosi per tutto il corpo. Avvertii un immediato senso di benessere pervadermi, cancellando man mano la sensazione di dolore che aveva corroso i miei sensi fino a poco prima. Ruotando la testa, potei vedere i solchi sui miei bicipiti riempirsi e richiudersi lentamente, e lo stesso sapevo stesse accadendo sul fianco; mi sentii completamente rinvigorito. Riempii i polmoni con rinnovato ossigeno, sorridendo senza volerlo.

Di nuovo in piene forze, finalmente! Avevo quasi cominciato a dimenticarmi come ci si sentiva, e potevo confermare che essere deboli era qualcosa di orribile. Era ora che tornassero le energie! Per essere sicuro che quella non fosse un’illusione, intanto che Aki si era allontanata contemplando la scena, feci un salto facendo leva sulle mani, slanciando le gambe prima all’indietro, poi tutt’in avanti. Compiendo un arco a mezz’aria, atterrai rimettendomi in piedi. Se ero riuscito a fare questo, potevo essere sicuro di essere assolutamente a posto. Aprii e chiusi le mani più volte. Graffi e ferite, tutto sparito. C’erano ancora delle leggere ombre scure, simili a cicatrici, ma potevano passare senza problemi. Stiracchiai un po’ le braccia verso l’alto, torcendo un po’ la schiena. Mi dispiaceva un po’ per i vestiti, quelli erano ancora strappati in punti sparsi, ma pazienza. Sentivo il bendaggio sotto la maglia allentarsi e perdere aderenza, forse la mancata presa del sangue della ferita lo aveva fatto staccare. Ormai non serviva più. Sollevai la maglia e iniziai a sfilarlo via, man mano. Era ancora bagnato di sangue, forse quando le ferite che si erano richiuse si erano semplicemente rigenerate daccapo. Avevo ragione, di quello sfregio ormai era visibile solo un contorno più scuro.

“Ha funzionato, guarda!” dissi con un sorrisetto non più tra me e me, contento di condividere la felicità con qualcun altro. Alzai gli occhi verso Aki, ma mi accorsi che lei aveva lo sguardo perso a contemplare quelle gemme, zampettando a destra e sinistra. Avvicinatasi ad una di quelle, potevo vedere alla loro luce una tonalità più rossiccia colorarle le guance nascoste dai capelli… E un’idea mi passò per la testa. Ma… per favore! Non avevo fatto niente di male! Rimisi giù la maglia, e come per magia, lei riportò gli occhi verso di me. Piuttosto, la sua ‘innocenza’ mi colpiva parecchio. A vederla così mi ricordava una bambina.

 “Guarda che non mordo.” Le feci in tono leggermente provocatorio, a braccia conserte, chinando un po’ la testa di lato. Ero curioso di vedere come avrebbe reagito a questo. Prevedibilmente, scattando immediatamente con la testa mi guardò storto, serrando le labbra e incrociando le braccia sul petto, assolutamente bordò. Ogni suo sforzo di apparire controllata e disinvolta era stato vano. Una bambina indispettita, insomma. Che carina. Sul serio, non avevo mai visto nulla di più dolce. Era così bella.

“C-che vuoi dire?” fece lei, senza cambiare espressione, la sua bocca ancora ridotta ad una linea stretta. L’avrei abbracciata teneramente ben volentieri. La luce che si rifletteva nelle iridi dei suoi occhi scintillanti le dava un’espressione adorabile.

“No, niente. Vieni, andiamo avanti.” Un po’ mi dispiaceva a metterla così in imbarazzo… eppure avrei mentito se avessi detto che non era divertente. Le feci cenno di venirmi dietro, e lei mi seguì zitta zitta, ancora con la testa incassata tra le spalle, nascondendo appositamente gli occhi dietro ad altre ciocche libere di capelli –un po’ potevo immaginare cosa le passasse per la testa. (Io: siamo seri, davvero credete che Aki non abbia buttato per niente per niente un’occhiatina? <3) Quella galleria era abbastanza lunga, e non avevo idea di dove portasse. Mi chiesi come mai il primo cristallo mi avesse respinto così brutalmente. Ma riflettendoci, arrivai alla conclusione che a giudicare dal colore esterno quelle gemme erano diverse, e molto probabilmente erano in sintonia particolare con i tipi di poteri che possedevamo. Aki ne aveva toccato uno verde, io uno azzurro, era logico. In giro ce n’erano anche di viola-neri e rossi-arancio, ovviamente. Eppure ne avevo visti anche di chiarissimi, tendenti dal giallo al bianco trasparente. Chissà a chi erano legati.

Arrestai il passo. Un momento… Un altro colore significava un’altra persona. Cinque? E come mai, chi era la quinta?

“Yusei, cosa c’è?” non le risposi subito, ancora assorto nei miei pensieri. Non mi pareva di aver distinto altri colori, quindi il numero complessivo era davvero cinque. Che razza di posto era questo, perché era legato ai nostri segni? Mi voltai, facendo per parlarne ad Aki, ma altro mi bloccò all’improvviso: un basso e profondo ululato riecheggiò minaccioso in ogni angolo della galleria, scuotendo l’atmosfera. Qualcosa non andava. Sembrava trattarsi di vento, ma non poteva essere tanto forte da far tremare la roccia… Un’imponente corrente d’aria, senza il minimo preavviso, ci investì, inondando il tunnel con il suo soffio e inghiottendoci nelle sue spire. Sollevai le braccia parandomi il viso e cercando di piantare i piedi a terra, spinto dalla truce forza di quel vento: in balia di quel cupo soffio, voltandomi cercai Aki, prima con lo sguardo, poi con la voce.

“AKIIIIIIIIII!”

“Yusei, sono qui! Ah-!” La voce era distante, e non riuscivo a vederla; quell’aria che ci stava asfissiando non era trasparente, ma nera, nera come la notte, e stava riempiendo man mano ogni metro cubo di atmosfera attorno a noi. La luce dei cristalli stava svanendo dai dintorni, e l’immagine confusa di Aki era sempre più lontana.

“AKIIIIIIIIII!” Feci il percorso a favore di vento cercandola, ma niente, era sparita. L’ululato continuava a fischiarmi nelle orecchie, e non sembrava avere intenzione di arrestarsi… mi voltai di nuovo verso la sorgente del vento e rimasi bloccato dov’ero, proteggendomi il viso, mentre venivo lentamente sommerso dalle tenebre di quella tempesta, incapace di impedirne l’afflusso. Continuavano a soffiare con potenza, e il solo respirarle mi dava una sensazione orribile. Non era ossigeno quello che stavo inalando. Qualunque cosa fosse, tutto era meno che benefico. Portai una mano sul viso contro naso e bocca, l’altra sul collo, nella vana speranza di impedire il flusso di quella sostanza soffocante nel mio corpo, e caddi su un ginocchio. Non mi dava l’impressione di essere propriamente ‘tossica’ o ‘mortale’, tuttavia la mia poteva essere una semplice illusione… ad un certo punto ebbi l’impressione che il vento che agitava quel vortice si calmasse. Il sibilo ininterrotto andò affievolendosi, poi scomparse. La tempesta era passata.

Riaprii gli occhi. L’aria era tornata normale, apparentemente, e ciò mi permise di buttare fuori il fiato di quell’aria inquinata, riacquistandone di nuovo. La sensazione sgradevole era sparita. Nei dintorni c’era tanta luce, accecante rispetto al buio di prima. Guardai in alto: sole, terribilmente brillante, ma… freddo. Nei dintorni, una città distrutta. Calce e cemento erano sparsi ovunque in cumuli di macerie e travi d’acciaio esposte; non c’era anima viva. Sembrava proprio il Satellite. Conoscevo il panorama: era uno dei luoghi peggio devastati dall’esplosione di tanti anni fa, e mai nessuno si era curato di riportare a galla quel quartiere abbandonato. Ma che diav…? Prima una grotta, adesso di nuovo il Satellite. Non ero davanti casa di Aki, il che significava che non ero tornato esattamente ‘indietro’. Bene. ‘Qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo, perché io non ne ho la più pallida idea.’

Mossi qualche passo nei dintorni per esplorare l’ambiente. Qualcosa non mi convinceva pienamente, era tutto… troppo uguale per essere davvero il Satellite. Questo posto era diverso, prima. Era davvero reale? Beh, la ghiaia dove poggiavo stava facendo di tutto per mostrarsi convincente. Tirai un calcio ad una pietruzza bianca con la punta dello stivale: questa rotolò per parecchi metri saltellando, unica fonte di suono udibile al momento, finché non si arrestò. Anche tutto quel silenzio era innaturale. C’erano buone probabilità che quel posto non fosse vero. Un sogno? O-

Sentii dei Passi. Qualcuno si stava avvicinando. L’ambiente era simile ad un grande spiazzo, quindi non mi fu difficile individuare la persona che stavo cercando. L’unico problema era che mi sarei aspettato che arrivasse chiunque, persino quel tizio incappucciato, ma non…

“Jack?”

Ero completamente spaesato, c’era da ammetterlo. Che ci faceva Jack qui?! No, aspetta… Jack era qui? Stava bene allora! E Crow? Ma…se loro stavano bene, come mai il tizio cattivo era ancora in circolazione? Non lo avevano sconfitto? Perché era…? Le mie stesse domande mi stavano confondendo. Non c’era un tassello che combaciasse… Meglio non fare nulla e badare al presente. Poi avrei pensato a far chiarezza sulla faccenda.

“…Jack?” Ripetei, con l’intento di richiamarlo. Lui non mi rispondeva. Era lì fermo, lontano da me, e non potevo vedere bene il suo sguardo. Il suo modo di avvicinarsi lento e solenne non era il tipo di passo che avrebbe fatto sapendo dell’agguato a sorpresa avvenuto due giorni prima, e questo non mi incoraggiava a raggiungerlo. Come minimo, avrebbe risposto al richiamo…

Lui sollevò una mano, e in essa accese una scintilla che originò una fiamma, simile ad una sfera, attivando di conseguenza anche la luce dei nostri marchi –o almeno, calore nel mio braccio-. Pessimo segno. Il ghiaccio fluiva già nel mio sistema: feci appena in tempo a creare uno scudo sul braccio abbastanza grande e a porlo di fronte a me che il bolide vi si schiantò sopra, spandendo lingue infuocate tutt’attorno alla barriera e lasciandoci una zona spezzata e sfondata, liquefatta. Nonostante la potenza, avevo mosso un solo passo dietro, per conferire più stabilità alla mossa difensiva. Questo colpo era stato lanciato col preciso scopo di far danno, magari per uccidere. Jack non mi avrebbe mai colpito così forte senza un valido motivo –e in questo caso, di validi motivi non ce n’erano, affatto.
Questo non era Jack, come questo posto non era reale.

Non mi interessava sapere chi –o cosa- era, bastava essere consapevole del fatto che non era lui. Doveva trattarsi di una completa illusione, eppure qualcosa mi lasciava ancora perplesso. Feci evaporare il pannello ghiacciato: il cristallo che mi aveva guarito prima doveva avermi anche restituito parte dei miei poteri. Non erano totali, ma sufficienti a sostenere un combattimento. Se l’avversario era Jack –più o meno-, non mi tiravo indietro: avevo il vantaggio di conoscere il suo modo di combattere, anche se non potevo essere sicuro della sua di consapevolezza. Era un osso duro da tutti i punti di vista, specialmente considerando il fatto che fosse avvantaggiato in partenza rispetto a me. Ghiaccio e fuoco erano nemici naturali; tuttavia sapevo di avere a disposizione diversi metodi per batterlo. Potevo contare sul fatto che ero più agile di lui; inoltre, era vero che le fiamme potevano sciogliere il ghiaccio, ma non per forza quest’ultimo era costretto a cedere con la solita facilità a cui cede il ghiaccio naturale. Anzi, avevo scoperto che potevo manipolarne la densità, fino a portarla ad una resistenza pari a quella del ferro. Era assai probabile che una cosa del genere andasse contro tutte le leggi della chimica e della fisica –o molto più semplicemente, della natura stessa-, ma l’intera questione era fuori dal campo scientifico e razionale fin dall’inizio, quindi…

Tutto stava nel giocare d’anticipo e a gran velocità senza farsi toccare –rischio: pesanti scottature. Ma dovevo trovare il modo di evitare di portarlo a lanciare attacchi di grande portata, e un modo per riuscirci era cercare di non allontanarsi. Era un’idea assai pericolosa, e richiedeva molta concentrazione, ma a questo punto, tanto valeva provare.

Nel frattempo, lui aveva deciso prima di me di passare all’azione: mosse dei passi in corsa verso di me per poi slanciarsi in lungo salto con la chiara intenzione di usufruire delle fiamme attorno al suo braccio destro per raggiungere un livello di forza superiore. Ma stavolta sapevo come muovermi.

A passo svelto, mi spostai rapidamente dalla sua mira e munii le mie braccia di protezioni ghiacciate, ricche di spuntoni affilati. Sulla destra l’involucro che avvolgeva la mia mano si era prolungato fino a formare una specie di spada. Scansai il colpo di pochissimo, restando quanto più vicino possibile a lui per rispondere alla sua offensiva: mentre lui si abbassava sempre più verso il terreno, spinto dall’eccessiva forza impressa nel colpo che non era riuscito a fermare, lo colpii dall’alto con il dorso della mano destra indurita dal ghiaccio alla nuca, senza che potesse reagire. L’azione era stata rapidissima, ma per qualche strano motivo Jack si rialzò praticamente subito, colpendo parte delle protezioni sulle mie braccia mentre riportavo distanza tra noi.
Questo era impossibile. Il colpo che aveva ricevuto doveva bastare per fargli perdere i sensi! Come aveva fatto a rialzar-

Mi arrestai non appena li vidi: vidi i suoi occhi freddi, distanti e cupi, assenti. Non stavano guardando me, ma il vuoto davanti a loro. Erano una mera imitazione dell’ametista che ornava normalmente le sue pupille, ma la cosa che più mi colpì fu l’ombra che le circondava. Di bianco non era rimasto niente, nemmeno la goccia del riflesso dei raggi solari che battevano su di noi senza calore. Pareva la faccia di una marionetta. E se fosse stato davvero Jack? In tal caso doveva esserci qualcuno a manipolarlo, ma chi? Un’immagine si presentò in risposta nella mia mente, suggerendomi due pupille verdi e malevole incorniciate da un volto nero che ghignavano soddisfatte. Imprecai sottovoce. Che diamine stava succedendo?

*nello studio buio e incasinato della scrittrice*

Io: fare ju-jitsu serve a qualcosa, LOL

Aki: difenderti?

Io: naaah, scrivere scene d’azione per combattimenti ravvicinati èwé (nota: per chi non ne ha mai sentito parlare, il ju jitsu è un’arte marziale il cui principio sarebbe quello di usare la forza dell’avversario contro se stesso… detta in modo spicciolo XD)

Aki: -_-

Yusei: io non ho mai fatto arti marziali in vita mia ._.

Io: però a combattere a istinto ci sai fare U_U

Yusei: il Satellite era il Satellite, cosa credi?

Io: proprio per questo :D Yugi e Jaden dovrebbero prendere esempio :’3

Yusei: avrei preferito vivere in un posto normale T_T

Io: ah già, onesto… scusa ^^” ma almeno alla fine avete riunito le città, no?  Avete realizzato un sogno! Direi possiate scoppiare di gioia adesso :I

Yusei: affronta tu i predestinati oscuri e Goodwin messi insieme rischiando di crepare una miriade di volte  -_-“

Io: …

Aki: Yusei: 2 Aki-chan: 0 …ti sta facendo brutto, Aki-chan

Io: colpa mia che non so ribattere… contro di lui specialmente TwT ah, sappi caro Yus che in questo capitolo ho evitato apposta numerose imprecazioni da parte tua che avrebbero fatto invece una splendida e sensatissima figura, ma capiscimi se non voglio far imprecare TE in modo esplicito XD non potrei mai y.y

Yusei: dovrei ringraziarti?

Io: di sicuro non meriterei offese XD sarebbe anche una contraddizione y.y tipo, “accidenti che male” sarebbe dovuto essere “ca***, che male”, oppure qualche “oh me***” sparato qua e là ecc… sono esempi x’D imprecare fa sopportare meglio il dolore, scientificamente dimostrato ù_ù

Aki: scostumata -_-“”

Yusei: ok, “grazie” <_<

Crow: scusate se interrompo, ma… che fine ha fatto il biondino col suo bestione-occhi-gialli fuori dalla finestra?

Io: ha erroneamente sbirciato nel mio pc… poi è sgattaiolato via

Aki: ….non oso immaginare cosa abbia visto sul tuo computer…

Io: non saprei …aspetta, la cronologia dice che è andato su Tumblr! …Un momento… TUMBLR?! Ok ragazzi, l’abbiamo perso
Crow: dunque, fuori uno?

Aki: perché? ._.

Io: MAI mettere piede in un fandom senza essere mentalmente preparati <____< Io stessa sono sopravvissuta a diversi traumi (in genere, immagini PESANTEMENTE YAOI, è non è stato piacevole, tutti su Tumblr), credo che per Misael sia stato fatale <.<

Yusei: …

Aki: mi spiace per Misael  <.<

Io: scommetto che avrà beccato per sbaglio uno yaoi con Vector

Crow: …e allora è morto sul colpo ._.

Io: …Crow non ha tutti i torti… mannaggia, e adesso?

 
Un minuto di attenzione!
Tempo fa ho chiesto di votare la proposta di una One-Shot sul passato dei nostri eroi (gli amici d'infanzia intendo XD), e alla fine l'ho pubblicata *^* cliccate sul mio nome se volete leggerla, si chiama "In memoria dei vecchi tempi", spero vi piaccia :D










EVVIVA! Disegno numero 7! Forse vi chiederete "3 mesi per questo disegno?" io: SI' e non sapete quanto mi abbia fatta dannare e_e non è ancora perfetto per giunta e3e ma vabbé, io sono perfezionista, quindi... spero sia lo stesso di vostro gradimento XD (le scene di battaglia sono tostissime da disegnare, come caspio fanno quelli che disegnano i manga a farne ventordici mila alla settimana? o_O")





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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo -Tenebre ***


*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 

Puntata speciale: la prossima volta faccio venire CyberFinalAvatar e basta

Io: Mi scuso profondamente per tutti quelli che aspettavano il capitolo, non avrei voluto impiegarci così tanto, ma tra una revisione e l’altra (blocco dello scrittore a parte) ho finito per riscriverlo letteralmente due volte, e in più c’era la scuola da affrontare, sapete meglio di me il resto… gomen T_T vabbé, mi faccio perdonare oggi con un capitolo lungo il triplo XD preparatevi perché vi bombarderò di eventi u.u

Aki: alleluia

io: ecco XD e appresso all’acidume di Aki nei miei confronti (?) torna… un nuovo ospite d’onore!

Crow: basta bariani ç_ç

Io: per una volta darò ascolto a Crow, basta bariani :D

Crow: OWO davvero?? EVVAI!

Io: appunto XD proviene da un’altra fic esistente, titolo: Vector’s fall XD (autore: CyberFinalAvatar u-u)

Crow: non è Vector di nuovo, vero? e^e

Io: nope uwu vi presentooooo AKIRY! Personaggio originale nato dalla contorta mente di Cyber e la sottoscritta messe insieme XD

Akiry: ONEEE CHAAAAAAAN SONO ARRIVATAAAA!!!! Evviva, sono nello studio anche io :3

Io. Woah, entusiasta la piccola XD ma c’è una cosa che devo dir-

Akiry: YEEE! Ciao mamma, ciao papà :333 haaa! Come siete gioooooovani! *guarda Aki e Yus*

Aki + Yusei: O______O EH?!

Io: -vi. Esattamente, avete già capito TUTTO XD

Aki: n-non è possibile… O///////O

Yusei: i-io avrei… O////////O

Aki e Yus: *si guardano per un attimo, paonazzi*

Aki: < ////////////< *distoglie lo sguardo*

Yusei: >////////////> *fa lo stesso*

Io: …uff, Akiry che ti avevo detto? Non dovevi dirlo e___e

Akiry: scusa, ma ero troppo contenta ^O^

Io: *facepalm*

Crow e Jack: *ridacchiano tra di loro*

Yusei: …zitti voi due e//////e

Jack: scusa Yusei, non ce la faccio HAHAHA

Yusei: grr vogliamo parlare di Carly? e______e

Jack: Ehi, lascia Carly fuori da tutto questo e_e

Crow: uh uh, ora sì che le cose si fanno interessanti u___u

Yusei: Akiry, dimmi che le cose andranno come penso. Ù_ù

Jack: NON PENSARCI NEMMENO!

Akiry: oooooook papà ^O^ devi sapere che lo zio Jack- *MPFFF*!

Io: basta così Akiry e____e  niente spoiler XD

Yusei: e faglielo dire!

Io: certo che no, altrimenti che gusto c’è? y.y

Crow: peccato, volevo saperlo anch’io :T

Jack: u_u

Yusei: e///////e

Aki: < //////////<

Io: lo so, sono molto stronza XD piuttosto, mi serve qualcuno che legga i ringraziamenti e il disclaimer e.e

Akiry: *MHF!*

Io: ok, lettura accordata *la lascia*

Akiry: YEEEE :3 allooooooooora…. Aki_chan_97 ringrazia Keily_Neko, BML951110, giuggy 3, eli8600, iridium_senet, CyberFinalAvatar per le recensioni ed il sostegno (e mdc1997 per i preziosissimi consigli ^^)
Raccomanda inoltre la fanfiction Return of the Darkness ed i suoi sequel a chiunque si interessi di duelli (d’alto livello, s’intende °^°) e la mia di Vector’s Fall, ovvio XD
Poi, un inchino va anche a tutti coloro che hanno messo la sua storia tra le seguite come Valix97, lady_eclisse, Darkan Hibiki Kurokawa, karter, playstation e Anna100, di nuovo eli8600 con CyberFnalAvatar e BML951110; un sacco di feste a EvocatoreETeurgaForever che l’ha messa tra le preferite :D Uhm, devo leggere anche il disclaimer, giusto?

Io: yep ù.ù

Akiry: OK ^O^ Disclaimer: Aki_chan_97 non possiede Yu-Gi-Oh 5D’s, peccato :T

Aki: meno male, vorrai dire è___é

Akiry: ma onee-chan è grandiosa, avrebbe fatto un capolavoro ben migliore X3

Io: aww, che brava :3 imparate da vostra figlia u.u

Aki: e smettila di ripeterlo! È un’altra storia quella, tanto non succederà
Io: non mettiamo i bastoni tra le ruote del fato :P piuttosto, andiamo al capitolo XD mmh, mi sembra di averlo reso un po’ troppo angsty però, uffa e3e

Yusei: ripetimi che non ti devo odiare, dopo questa.

Io: certo che continuo a ripeterlo XD

Yusei: *fuma*

Io: eddai, c’è un lieto fine per te XD

Yusei: fatico ad immaginarlo, sinceramente

Io: fidati e basta u.u

Yusei: no, non mi fido, AFFATTO

Io: e a me non me ne frega niente :D buona lettura ragazzi ^o^

Aki: qualcuno la mandi da uno specialista, per la nostra salvezza <_<

Akiry: no, veneratela u___U

Tutti: e.e *la cacciano a pedate*

Io: dovevo aspettarmelo, dopo la vado a riprendere -__- comunque, vi faccio un mini riassunto se non ricordate cos’era accaduto prima: Yusei ed Aki sono letteralmente precipitati in una grotta misteriosa piena di cristalli, spediti lì da mister cappuccio, dove però sono stati separati da un ventaccio nero; successivamente, Yusei si è trovato in una landa desolata nella quale trova… Jack? Mah, chissà se è lui o no, finora non ha aperto bocca e ha solo tentato di ammazzare Yusei XD che cosa succederàààà? Scopriamolo insieme! (?) (*un capitolo di una decina di pagine riassunto così… che tristezza ç^ç)
 



POV: Yusei


Qualcosa non andava. Era Jack quello che avevo davanti o no? Che stava succedendo?! Tempo per riflettere non ce n’era; c’era solo la confusione più totale. Jack non mi aveva mai attaccato in quella maniera feroce prima, perché tutto d’un tratto sembrava bruciare d’istinto omicida? Nemmeno in quei rari, seri litigi nei quali nessuno dei due riusciva ad astenersi dal ricorrere all’uso dei poteri, si era spinto a tanto. Ricordo quando a seguito di un’imboscata, avevamo finito col litigare tra di noi. Eravamo stati attaccati da una di quelle bande di malviventi del Satellite a cui piaceva far razzie, come di consueto avveniva… ma qualcosa era andato storto.

Flashback

La situazione era disperata, e noi eravamo impotenti; quei vigliacchi ci avevano attaccato di sorpresa in piena notte, e avevano pensato bene di prendere consistenti precauzioni. Normalmente, nessuno si avvicinava alla nostra zona; benché facessimo tutto il possibile per non mostrare le nostre capacità alla luce del giorno, la gente sapeva lo stesso, perché ricordava, e perché c’era stato un tempo di cui non ci curavamo di queste cose. Una volta si parlava di strani fenomeni che avvenivano al Satellite: alte fiamme in piena notte, neve in piena estate e nebbie nere in pieno giorno. E noi sembravamo essere perennemente presenti. Così, per non attirare attenzioni indesiderate, decidemmo di nascondere i nostri poteri agli occhi della gente; ci spostammo cambiando zona, sperando che le voci iniziassero a sparire, ma il Satellite non era molto vasto, qualcuno che si ricordava di noi c’era sempre. E ci evitava, suggerendo ai suoi vicini di fare lo stesso.

Ma una mattina, una bambina si era avventurata dalle nostre parti, non sapemmo mai per quale motivo. Si era intrufolata nelle viuzze più strette che portavano nel cuore dell’isolato, un luogo chiuso dove spesso ci esercitavamo a riparo da occhi indiscreti per tenere sotto controllo i nostri poteri. Avvenne che vide Crow e Jack mentre si allenavano; io ero presente, ma ero rimasto in disparte dopo aver fatto pratica da solo, intento ad osservarli. Quanti anni avevamo ad allora? Una quindicina o poco meno, forse? Gli altri combattevano con foga, impegnandosi a far pratica l’uno delle sue ombre, l’altro delle sue fiamme. Lei rimase a guardare, non spaventata, ma meravigliata. Era cosa rara che qualcuno reagisse così. Figuriamoci una bambina di una decina d’anni. Quando Jack e Crow si fermarono per riprendere fiato, il mio sguardo cadde per caso nell’insenatura dove lei si era nascosta. Dopo aver attirato l’attenzione dei miei compagni, indicai con lo sguardo la piccola, e gli altri lo seguirono. I sorpresi erano in totale quattro, a quel punto. La bambina fece per indietreggiare e scappare, ma Crow subito cercò di rassicurarla. Era un po’ timorosa, ma presto lei si rilassò.

-Ehi, non sono mica cattivo, sai? Come ti chiami?

-M-mi chiamo Lyla.

-Bel nome Lyla, io sono Crow!

-Ahah! Che nome strano che hai!

Io e Jack ci scambiammo un’occhiata delle nostre. Effettivamente, non aveva tutti i torti, la piccola. Crow stava facendo il suo solito muso innervosito, non si aspettava una reazione simile… o forse sì?

-Si dà il caso che a me piaccia un sacco, invece. Piuttosto… come sei arrivata qui?

-Sono passata per questa stradina… mi era venuta voglia di vedere dove portava!

-…Tutto qui? E che ci facevi vicino casa nostra?

-Affari miei. - rispose lei, gonfiando le guance ed incrociando le braccia. – Ma mi dite come fate? Voglio imparare anch’io!

-A far cosa?

-Quello che stavate facendo voi! Quelle mosse, quella cosa nera e tutto quel fuoco, le braccia che brillavano, era fantastico!

-B-beh, a dire il vero… penso che sia un po’ complicato…

-Eddai, mi dite che trucco usate?! Ci voglio provare anch’io!

Sorrisi alla sua ingenuità. Se solo fossero tutti come lei, questo mondo sarebbe un posto ben migliore.

-Veramente… penso tu sia ancora troppo piccola. Già, sei troppo piccola per riuscire a farlo. –improvvisò Crow. Almeno aveva cercato un modo per non deluderla troppo.

-Ma dimmi almeno come si faaa!

-Eheh… un mago non svela mai i suoi segreti.

-Uff, cattivo! Non è giusto! Voglio saperlooo!

Poverina, c’era rimasta male. E chi poteva biasimarla, era solo una bambina. Però ci mancava poco che si mettesse a piangere. Faceva tristezza a vederla così giù di morale. Mi venne un’idea. Schioccando le dita di nascosto, creai un piccolo cristallo a forma di stella che si formò a mezz’aria davanti a lei. Lyla alzò lo sguardo, sorpresa ed incuriosita. Il prisma iniziò a vorticare attorno a lei, ruotando su se stesso e riflettendo la luce che filtrava dalle finestre in molti colori. Lyla aveva un’espressione stampata in viso che non potrò mai dimenticare. I bambini erano creature così splendide e pure. Nemmeno il grigiore del Satellite sembrava essere riuscito ad intaccare tanta innocenza. Jack e Crow invece mi fissarono con sguardo bonariamente accusatore. Per tutta risposta feci spallucce.

Fu così che passammo il pomeriggio in sua compagnia, come dei fratelli maggiori alle prese con la minore –Crow sembrava cavarsela abbastanza bene con i bambini, a discapito di quanto accaduto prima, mentre Jack pareva non apprezzare commenti come “mangiafuoco” e simili-, e quando venne sera lei insistette per restare ancora con noi, benché cercassimo di convincerla ad andare via. Non aveva genitori, da quel che avevamo capito, ma comunque… finì che si addormentò sul divano. Ci mancava il cuore di svegliarla. Alla fine, la lasciammo lì con una coperta sulle spalle, e noi andammo di sopra a riposare nelle nostre camere. Ringrazio ancora di essere nato con un sonno leggero però, perché se non avessi sentito i rumori provenienti dall’ingresso sarebbe stata la fine. Dopo aver udito i suoni sospetti, svegliai i miei compagni, ed accorremmo tutti di sotto.

Ciò che vedemmo ci fece ribollire il sangue nelle vene. Alcune figure vestite di nero –tutti membri della stessa banda chiaramente- si erano intrufolate in casa e stavano trafugando tutto quello che c’era. Ma la cosa peggiore, era che al centro della stanza c’era quello che sembrava essere il loro leader con Lyla stretta tra le braccia in una presa ferrea. La piccola si divincolava disperatamente, terrorizzata, ed incapace di urlare a causa della mano che le copriva la bocca. Nemmeno il tempo di gridare qualche minaccia, che ci eravamo già avventati sul gruppo di ladri davanti a noi. Non erano molto forti, ma erano in maggioranza. Ci eravamo ripromessi di non ricorrere ai nostri poteri nemmeno in caso di pericolo, e cercare di cavarcela come esseri umani normali, tuttavia la situazione si stava facendo complicata. La battaglia si spostò fuori l’ingresso; finalmente ci stavamo lentamente portando in vantaggio, ma poi, il leader iniziò a giocare sporco.

-Fermatevi, tutti quanti!

Ognuno di noi si voltò, tra buoni e cattivi, interrompendo la battaglia. Le mie pupille si dilatarono. Quella serpe del loro capo aveva puntato un coltellino contro la gola di Lyla, che era ancora stretta nella sua presa. La bambina era pallida come un lenzuolo; angoscia e terrore le erano dipinti in volto. Non riusciva nemmeno a gridare dalla paura. Il fato doveva avercela a morte con noi.

-LYLA!

Tentai di avvicinarmi, ma quel tizio accostò la lama ancora di più. Strinsi i denti dalla frustrazione. La tentazione di utilizzare i miei poteri era forte, molto forte…

-Mi ricordo chi siete voi. Razza di mostri. Pensavo fossero solo voci, ma siete davvero voi.

Assottigliai lo sguardo. Cercai di scrutare il suo viso, ma non mi era familiare. Nonostante questo, lui sembrava ricordarsi di noi, e molto bene.

-Quella volta ci ho quasi rimesso la pelle, ma oggi non andrà così. Mi vendicherò, sappiatelo!

Fu a quell’affermazione che la verità mi colpì. Sbiancai. Non ricordavo il suo nome, ma ricordavo in quale circostanza sfortunata ci eravamo incontrati. Ed anche che lo avevo quasi ucciso. Mi incupii all’istante. Aveva tutto il diritto di avercela con noi, o meglio, con me… ma non con Lyla. Lei non aveva nulla a che fare con tutto questo.

-Lasciala andare lei! Non ti ha fatto niente! Prenditela con me, piuttosto!

Lui invece, strinse ancora di più la presa.

-Fratellone, aiutami! –singhiozzava lei. Stavo ardendo di rabbia dentro.

-Non ho intenzione di rischiare ancora!

-LASCIALA SUBITO!

-NON AVVICINATEVI!

-Non oserai…- gli sibilai io.

Mossi un passo cautamente, ma non appena lui se ne accorse, accostò la lama sul collo di Lyla fino a far intravedere una striscia di sangue. Lei al contatto del metallo strillò, piangendo ancora.

-Certo che oserò. Se opporrete resistenza, sarà peggio per lei. A voi il resto, ragazzi. –ordinò lui ai suoi scagnozzi. Realizzai solo allora che avevo abbassato la guardia. Mi voltai, parando subito il colpo in arrivo; il mio avversario sembrava aver trovato più spirito combattivo di prima. Al diavolo le promesse. Pugni, calci, testate, gomitate e di nuovo pugni; poi, un colpo più deciso di sfondamento, ed il mio avversario era k.o. Senza fiato, mi voltai verso Lyla: il leader si stava lentamente ritirando nell’ombra, trascinandola via. Evidentemente aveva trovato più saggio il battere in ritirata senza lasciare l’ostaggio. Imprecai tra me e me ancora contro di lui. Chi mai avrebbe avuto il cuore di fare qualcosa di così crudele ad una bambina indifesa?

Potevo tentare un attacco a distanza, ma sarebbe stato troppo pericoloso. Gettai uno sguardo ai miei compagni: Crow era steso a terra, immobile. Dannazione… l’avevano preso alle spalle. Bastardi. L’avrebbero pagata cara. Jack aveva appena atterrato l’ultimo rimasto, e si era voltato in direzione del leader. Nei suoi occhi si accese un’ira che raramente gli avevo visto sfoggiare. Non credevo avesse preso la questione così a cuore. Poco sopportava le ingiustizie, ma aveva soprattutto il difetto di cedere troppo facilmente alle provocazioni. Non feci in tempo a dire nulla che si avventò in direzione del leader scatenando fiammate in linea retta davanti a sé. I nostri segni si accesero tutti quanti, pulsando dolorosamente. Ma che diavolo gli prendeva? Così avrebbe rischiato di far male anche a Lyla!

Feci sollevare a distanza un muro di ghiaccio che separasse i due dal fuoco, e le fiamme vi si schiantarono sopra l’una sull’altra. La bambina, davanti a quello spettacolo, rimase pietrificata. Molto probabilmente non vide altro che un mostro di fuoco con le fauci spalancate per divorarla, che continuava a scrutarla con ingordigia attraverso il vetro trasparente di quella parete.

-JACK?! Ma che ti prende, sei impazzito?!

-Quel verme se lo merita, Yusei!

-Sì ma non Lyla, razza di idiota!

-Non l’avrei colpita, stupido! Ormai so controllarmi benissimo!

-Sono fiamme, Jack! Il rischio è troppo grande!

-Ti ho detto che so quello che faccio!

Lanciò altre fiamme in loro direzione, testardo fino al midollo. Tsk, idiota! Corsi in quella direzione, mettendomi io stesso nel mezzo del raggio d’azione.

-Yusei! che diavolo fai, vattene!

Non lo ascoltai. Parai la fiammata con uno scudo congelato, ma finii col deviare semplicemente le fiamme a destra e sinistra. Alcuni punti della strada presero fuoco, ma non me ne importò nulla. Gettai un’occhiata alle mie spalle, puntandola ferocemente contro il malvivente.

-Vattene e non farti vedere mai più, se ci tieni alla pelle.

Lui, impietrito, annuì, e lasciò la bambina lì a terra, scappando a gambe levate. La bambina, sotto shock, continuava a fissarmi confusa. Quegli occhi lucidi scossi dal pianto mi fissavano in modo diverso. Timore. Paura. Terrore.
Ormai eravamo mostri anche per lei. Mi voltai dall’altra parte, con la frangia nera che mi oscurava gli occhi.


-Vai via Lyla. Torna a casa.

Lei esitò, immobile.

- HO DETTO VATTENE VIA!

Le gridai, senza guardarla. Mi spezzava il cuore, ma dovevo assicurarmi che si allontanasse e si mettesse al sicuro. Lyla, singhiozzante, confusa e tradita, si voltò e sparì tra i palazzi. Mi voltai verso Jack. Le fiamme nei dintorni illuminavano i bordi della sua figura scura. Non ci vidi più dalla rabbia. Era tutta colpa di Jack. Se non avesse agito d’impulso, e Lyla non ci avrebbe visto come gli altri… dei mostri. Avremmo sistemato per le feste quel serpente ed avremmo avuto ancora qualcuno che ci considerava esseri umani. Ma ora non mi importava più nulla. Non ragionavo. Ero solo furioso. Agivo per quello che sentivo. E basta.

Mi scagliai contro Jack, fulmineo. Cominciò una feroce battaglia, ma di rara sincronia. Ormai ci conoscevamo meglio di chiunque altro, combattere tra noi era come combattere allo specchio. Ci accusavamo l’un l’altro, facendo seguire alle grida nuovi attacchi e nuove schivate, finché la situazione non degenerò nel peggiore dei modi. Non rimase molto altro nella mia memoria da allora, solo la devastazione più totale attorno a noi.

Dopodiché, io e Jack sparimmo a vicenda. Ci volle tempo per far pace, ma anche allora… trovammo la forza di perdonarci. Invece… adesso c’era solo brama di morte. Quello sguardo sembrava lo stesso che aveva quando i suoi occhi fissavano quell’uomo che minacciava la piccola Lyla, o, forse, come i miei. Come se il cattivo fossi stato io. Eppure, c’era ancora qualcosa di diverso, di… distorto. ‘Dannazione, qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo! ’

“Jack! Che ti prende?!”

Lui mi scrutava freddamente con le sue pupille viola cupe e vuote, senza accennarmi la minima risposta. Perché non parlava? Perché non mostrava segni di coscienza? Perché non mi dava cenni di vita? Senza perdere tempo,
con un balzo lui si scagliò contro di me, caricando un pugno avvolto da fuoco e fiamme: con le braccia protette dal ghiaccio, parai l’assalto, indietreggiando per permettere al contraccolpo di distribuirsi senza danni.

“Jack! Che cos’hai? Fermati!”

Ritirando il pugno indietro, tentò un calcio laterale, che schivai indietreggiando ancora. Altri calci, altre schivate. Dovevo reagire.

“JACK! Datti una calmata, sono io!”

Lui non accennava ad attenuare la pressione; tentò di cambiare strategia, fermando la sequenza di colpi. Ne approfittai per attaccarlo sul torace: centrai a pugni ghiacciati il busto quasi in corrispondenza del cuore, e lui cadde
all’indietro sulla ghiaia qualche metro più in là. Questo tipo di attacco era molto rischioso, ma colpi di gravità inferiore non avevano avuto effetto, finora. ‘Scusa, Jack…’

“Jack, Lo so che mi senti! Torna in te!”

Speravo ancora che quello fosse davvero Jack: forse era controllato a distanza da qualcun altro, o forse vigeva su di lui una qualche forza negativa... Non mi pareva di essermi macchiato di qualche colpa, stavolta. Eppure, più tempo passava e meno le ipotesi mi convincevano. Non sembrava essere capace di parlare, e la cosa mi inquietava non poco. Avrebbe dato segni anche minimi di riconoscimento se fosse stato lui, e invece no, nemmeno condividendo un legame forte come il nostro riuscivo a far breccia nella sua coscienza. Tutto questo non aveva semplicemente senso. Sembrava di combattere con una bestia che di lui aveva solo le sembianze, feroce e incapace di ragionare per il resto. Ma dov’era la verità? Chi avevo di fronte?! Che fine aveva fatto il mio migliore amico?!

Come se nulla fosse, lui fu di nuovo in piedi, e senza avvicinarsi, iniziò a lanciare fiammate da lontano, una dopo l’altra. Feci un salto schivando la prima, poi mi misi a correre in cerchio. Il terreno alle mie spalle veniva divorato dalle fiamme che arroventavano le pietre e i detriti scoperti; ad un certo punto, altre spire mi tagliarono la strada, e frenando bruscamente, deviai alla mia destra, addentrandomi tra gli edifici abbandonati di confine.  Svoltando l’angolo e mi appiattii contro una parete, evitando una torrida scia di fuoco che si schiantò come un treno in corsa contro altri palazzi vicini, spezzando finestre e facendo crollare mattoni.

Ma allontanarsi così era un problema: dovevo cercare di restargli vicino. A prima vista sembrava una vera follia, ma analizzando la situazione, sarebbe stato più svantaggioso fare il contrario: sapevo che non sarei riuscito a creare abbastanza ghiaccio per coprire lunghe distanze nella mia condizione, e finché gli sarei rimasto lontano, sarei stato alla mercé dei suoi attacchi, ancora più pericolosi, senza poter contrattaccare.

Ma questo improvviso silenzio era sospetto. Che si stesse avvicinando per stanarmi? Forse. In tal caso, dovevo tenere la guardia al limite. Sporsi la testa per sbirciare sulla strada ancora fumante, ma nulla, Jack non era in vista. Male. Dovevo tornare sul campo aperto per evitare attacchi a sorpresa. Tenute le braccia e le spalle protette da altro ghiaccio, mi misi a correre in quella direzione: non appena fui nell’incrocio, lanciai una rapida occhiata a destra e sinistra: ‘Eccolo!’

Nuvoloni rossi e neri esplosero alla mia destra; per un momento mi ritrovai chiuso nell’ondata di fuoco, ardente e soffocante, ma senza smettere di correre, sfondai quel muro bollente tornando all’aria aperta fin nello spiazzo. Tossendo, ripresi aria, lasciando che brividi di freddo percorressero il mio corpo in un unico fremito, nel vano tentativo di dargli sollievo. Spensi rapidamente qualche fiammella che bruciava brandelli di maglia e pantaloni: oramai ci avevo rinunciato.

Mi voltai. Jack si era lanciato di nuovo contro di me a pugni spiegati e intrisi di fiamme; feci ergere da terra uno scudo di ghiaccio alto il doppio di lui, la cui resistenza venne presto messa a dura prova: dalla parete, tentai di perforare indirettamente la sua difesa con nuove lance ghiacciate. Ma Jack continuò a schivare, saltando ogni ostacolo occasionale con abili mosse, evitando di ferirsi.

Ad un certo punto, distraendomi dalla profonda concentrazione di prima, mi resi conto di aver commesso un errore: accumulando tutto quel ghiaccio sul suo fronte, gli avevo inconsciamente costruito un trampolino di lancio per scavalcare la barriera. Infatti, scalando la fitta costruzione, fu in grado di effettuare un salto sufficientemente agile per atterrare sul bordo del muro. Poi, dopo essersi concesso un momento per scrutarmi dall’alto, tornò giù alla carica. Parai con tutte le mie forze, ma incapace di resistere, deviai l’energia su un fianco, facendo scivolare Jack alla mia destra: mi allontanai, sperando in una tregua, tuttavia Jack tornò all’assalto, scagliandomi un pugno dietro l’altro per l’ennesima volta. Sembrava essere instancabile. Dannazione, ma dove trovava tutta quell’energia?! Era… inumano!

Se non mi decidevo a ferirlo più gravemente, o a immobilizzarlo, avrei perso, e non solo lo scontro. Parlare con lui era inutile, aveva perso la lingua. Dovevo concentrarmi e difendermi. Mi stavo iniziando a stancare, e non avrei potuto sostenere la fatica, la mancanza di ossigeno e l’arsura a lungo.

Lui intanto accelerò la sequenza di attacchi, al contrario del mio decelerare per stanchezza, e finì col centrare il lato del mio viso scoperto. Non ebbi nemmeno il tempo di cadere che avvertii l’aria nei miei polmoni venir rigettata all’esterno: altro dolore investì il mio torace, ed io venni scaraventato metri più in là, sollevando un denso nuvolone di ghiaia. Quella spiacevole sensazione era nulla rispetto a quella che mi tormentava il volto: la guancia ustionata bruciava come non mai, ed i miei occhi stavano soffrendo del fuoco che li aveva raggiunti. Non vedevo più nulla. Nero ovunque, ed un dolore accecante.

Immobile, perfettamente vigile ma avvolto nell’ombra, udii Jack avvicinarsi nuovamente, rapido. Non potevo parlare né muovere il corpo, ma potevo usare parzialmente le braccia: appoggiai il palmo sul terreno grumoso, e nuove stalattiti di ghiaccio crebbero da terra in mia difesa. Mi sforzai di allungarle il più possibile contro la fonte del rumore, allargando alla cieca il raggio d’azione, ma non potevo essere sicuro di niente, era tutto buio, e le palpebre bruciavano. Ero un po’ stordito, ma perfettamente cosciente e attento ai suoni: ad un certo punto qualcosa mi fece capire che uno degli spuntoni era riuscito a ferirlo. Stringendo il pugno, diedi ordine al ghiaccio di imprigionarlo. Percepii quasi a tatto ciò che stava avvenendo, come se potessi “toccarlo” anche attraverso il cristallo gelido. Onde spinate si abbatterono su Jack, soffocandone ogni movimento di rivolta, ed il gelo lo sommerse.

Da lì in poi, calò il silenzio. Una pace quasi surreale pervase l’aria. Ero riuscito ad arrestare la sua prepotente avanzata, per mia fortuna. Un miracolo, date le circostanze. Tirai un sospiro di sollievo. Ora potevo riposare, finalmente. Rimasi disteso, a godere del solo suono del mio respiro. Purtroppo, non potevo ancora vedere niente, e la guancia non aveva smesso di scottare. Portai una mano sulla gota infiammata, sperando di placarne il dolore con un impacco fresco. Benché non avvertissi propriamente freddo, potevo comunque percepire sollievo. Mi rimisi in ginocchio; l’adrenalina stava cominciando ad abbandonare le mie fibre, segno che tra non molto sarei tornato a soffrire di ogni danno trascurato. Ma attorno a me era ancora tutto nero. Mi feci coraggio e tentai di schiudere le palpebre, mentre una mano teneva premuto lo stomaco dolorante. Non potei fare a meno di aggrottare le sopracciglia dallo sconforto: gli occhi pizzicavano e tutto davanti a me era annacquato da lacrime che sbiadivano il paesaggio. Strusciai un polso sulle ciglia, ma ad ogni nuovo tentativo il bruciore tornava insieme all’acqua. Continuai così per un po’, finché i palazzi non assunsero una forma almeno definita. Poi, mi rimisi in piedi.

Voltai lo sguardo verso il blocco di ghiaccio che custodiva il mio compagno: Jack sembrava essere diventato una statua, ma la sua spalla perforata e insanguinata testimoniava la vita, forse, in quell’involucro trasparente.

“Jack…”

Strinsi i pugni dalla frustrazione. Non avrei voluto ferirlo, ma… cos’altro avrei dovuto fare? Lasciare che mi uccidesse? Certo che no. Mi incamminai verso di lui, e fermai i miei passi lì davanti, a fissarlo. Lui aveva lo sguardo rivolto altrove. Quegli occhi. E erano così… diversi, estranei. Vedere Jack in queste condizioni mi faceva stare malissimo. Speravo ancora che si trattasse tutto d’un sogno, che quell’incubo di silenzio e dolore fosse solo una messa in scena. Però… mi sentivo tanto confuso da non poter nemmeno decidere da che parte stare. Non sapevo se pensare “Che ti hanno fatto?”, oppure “Tu chi sei, veramente?” tanta era la repellenza. Nulla, degli ultimi fatti accaduti, aveva avuto il benché minimo senso, cercarne adesso sarebbe stato inutile. Il mio sguardo cadde sul suo marchio, ancora lucente. Troppe domande. La mia testa sarebbe esplosa di questo passo. Preferivo rinunciare. Appoggiai una mano sul cristallo vitreo, e chiusi gli occhi.

Ora che ci pensavo, tutto di questo posto era completamente… rovesciato. Il ghiaccio che doveva essere freddo, al mio tatto era come pietra arida. Quello che doveva essere il mio migliore amico, si comportava come se fosse il mio peggior nemico. Il silenzio che doveva essere quieto, alle mie orecchie era teso ed assordante. Il sole che doveva essere caldo, era più freddo di questo ghiaccio. E l’atmosfera del Satellite che doveva essere fuligginosa, non aveva odore, ma era carica di qualcosa di ben peggiore, di inanimato, vuoto, angoscioso. Era orribile. Era tutto mostruosamente orribile. Un luogo decaduto di solitudine, punizione e morte. Dove diavolo ero finito? Che razza di posto era questo? Potevo andarmene? E Jack? C’era speranza di riportarlo indietro? Diamine, non mi ero mai sentito così frustrato per la mia situazione d’ignoranza. Mai come ora avrei voluto che qualcuno mi dicesse cosa fare.
Mossi qualche passo indietro, e continuai ad osservare l’inquietante struttura. Una strana sensazione mi corrodeva il cuore: l’istinto stava cercando di avvertirmi che stava per succedere qualcosa. Qualcosa di brutto.  Jack però era assolutamente immobile. Nulla fuori posto. O meglio, tutto era fuori posto, ma in questo caso... Perché ero così agitato? Volevo solo sapere cosa doveva succedere. Desideravo solo risposte.
Solo dopo mi sarei pentito di averle chieste.

Qualcosa artigliò all’improvviso la mia schiena, costringendomi ad inarcarla violentemente all’indietro dal dolore. Istintivamente, scagliai il braccio alle mie spalle, sperando di colpire chiunque ci fosse. Ma il colpo andò a vuoto. Non c’era nessuno dietro di me. Ispezionai freneticamente i dintorni con gli occhi, ma c’era solo quel perenne biancore. Venni spinto con forza sulle spalle, aggiungendo bruciore alla ferita. Finii a terra, e da lì in poi rialzarmi divenne sempre più difficile. Qualcosa di invisibile, forse, mi stava attaccando, ed io non riuscivo a capire come contrastarlo. Me lo sentivo, stava per arrivare un altro attacco. Poggiando le mani a terra, feci erigere altre punte di ghiaccio in tutte le direzioni attorno a me: dovunque fosse, dovevo almeno cercare di fermarlo per proteggermi. Intanto, brividi percorrevano la mia schiena calda e dolorante, e uno strano odore mi pizzicò il naso: sangue. Lo squarcio doveva essere grande. Dannazione…

Tentai di rimettermi in piedi, cercando almeno di restare in equilibrio; la maglia si stava velocemente saturando del mio liquido vitale. Improvvisamente, mi sentii stordito.  Non riuscivo nemmeno a respirare normalmente. Poi, dal nulla, udii il suono di un passo veloce, uno solo: voltandomi, feci appena in tempo a schivare un artigliata nera ed avvolta da una cortina oscura. Le mie pupille si dilatarono. Conoscevo fin troppo bene quella materia. Quest’incubo sembrava non aver intenzione di finire.

Iridi grigie mi fissavano, prive di interesse, luce, vita. Come gli occhi delle persone nella folla: uguali e indistinti. E come quelli di Jack, anche i suoi non riflettevano assolutamente niente, vitrei come quelli di una bambola.

“Crow…?”
I miei migliori amici avevano subito la stessa tremenda sorte. Ed io non ero ancora riuscito a capire quanto ci fosse di vero in tutta questa storia. Lui tirò altri colpi con gli artigli neri affilati, ed io tentavo in tutti i modi di pararli rialzandomi a tratti, ma non sempre riuscivo a prevenire ogni danno.

“Crow, fermati! Sono io!”

Lo richiamai invano. Era esattamente come Jack, non cambiava espressione e non rispondeva. Dovevo ammettere che questo silenzio da parte loro era più efficace di semplici, dure parole. Faceva molto più male così. Inutilmente cercai di fronteggiare gli assalti: ero troppo debole. Per l’ennesima volta. Lo odiavo con tutto me stesso. Alla fine, un calcione ben assestato sulla bocca dello stomaco mi costrinse a piegarmi in due e a finire faccia a terra senza fiato. Ero sfinito. Tutto il mio corpo ardeva e tremava. Crow era fermo, intento a scrutarmi silenziosamente.

La sorte dello scontro era stata decisa fin dal suo primo attacco, ad ogni modo. Ma benché fosse un maestro degli attacchi a sorpresa, non era un vigliacco. Fosse stato in sé, non avrebbe aggredito alle spalle nemmeno il suo peggior nemico. Potenzialmente, era il più letale di tutti noi, avendo la capacità di agire nell’ombra e nel silenzio –letteralmente-, ma per carattere era portato ad essere giusto ed equilibrato. Semplicemente, aveva un cuore buono, non agiva come un assassino. Ed era proprio per questo che nemmeno lui mi convinceva. Si stava comportando in modo così diverso che sembrava stesse agendo qualcun altro al posto suo. Qualcuno molto più calcolatore ed approfittatore.

Tuttavia… avrebbe potuto uccidermi lì su due piedi, ma non l’aveva fatto. Perché?

Percepii un lieve fruscio. Tentando di sollevare lo sguardo, vidi che l’ombra di Crow si stava estendendo fino al blocco congelato dove si trovava Jack. Come una pianta rampicante, quella materia oscura risalì la struttura vitrea fino ad avvolgerla tutta: pian piano comparvero tante crepe, una dopo l’altra, poi il grande prisma si ruppe. Tutte le schegge crollarono l’una sull’altra producendo un fracasso assordante. Jack scese in ginocchio a testa china, poi la rialzò: in quel frangente mi accorsi che la spalla non sanguinava più. Era sporca, ma la ferita era sparita. Spalancai gli occhi sfocati. Com’era possibile?

“Jack… Crow…”

Stavo lentamente perdendo le speranze di recuperarli. Un modo doveva esserci… ma ormai non mi restavano più le forze per cercarlo. Volevo fare qualcosa, qualunque cosa: tuttavia, mi mancavano le energie concrete per agire. Non potevo far altro che restare a guardare. Nel frattempo, loro si avvicinarono lentamente a me: al contrario di quanto mi fossi aspettato, non infierirono, ma mi sollevarono da terra tenendomi per le braccia. Torsero i polsi così da bloccare l’articolazione. Ogni minimo movimento di ribellione mi costava dolore. Ma… perché mi stavano semplicemente tenendo fermo?

“Eccoti, finalmente.”

Brividi corsero sulla mia pelle. Ormai potevo distinguere quella voce fra mille. Alzai lo sguardo: una figura scura si stava avvicinando –da quando era arrivata? -, muovendo un passo dopo l’altro con snervante lentezza, ridacchiando sotto i baffi. Nessun dubbio, sapevo perfettamente chi fosse. Ringhiai guardandolo di sbieco. Non avevo mai odiato nessuno così tanto in vita mia. 

“Ancora tu… che vuoi da me?”

Lui rimase fermo davanti a me, senza perdere quel suo ghigno da scherno. Intanto, mi accorsi che la luce che tormentava il paesaggio attorno a noi si stava lentamente affievolendo: nuvole grigie e nere stavano rapidamente comparendo all’orizzonte, oscurando ogni angolo della distesa di ghiaia che quell’essere aveva calpestato. L’atmosfera si stava man mano raffreddando.

“Voglio solo il tuo sigillo, nient’altro.” ‘Ancora la storia del sigillo?!’

 “Perché?!”

“Per liberare il mio signore dalla sua prigionia.” Oh. Questo aggiungeva tasselli interessanti al quadro. Un senso dietro a tutto questo forse c’era.

“Spiegati meglio! Di chi stai parlando?”

“Del mio Lord Akuma. Rimettendo insieme tutti i sigilli, potrà finalmente ottenere la sua bramata vendetta.” annunciò con tono ricco d’orgoglio, in atteggiamento quasi teatrale. Folle. In quel momento, notai un’aura buia e verdastra circondarlo: il suo ghigno viscido era diventato ancora più scuro ed inquietante, e i suoi occhi più luminosi che mai. Lord Akuma? Vendetta? Questa storia non mi piaceva per niente. Ecco perché mi stava dando la caccia. Ora il filo degli eventi si stava lentamente strecciando…

“Dimmi, Signer, come ci si sente?” fece lui, inginocchiandosi più o meno alla mia altezza. Jack e Crow non accennavano ad allentare la presa, e le mie spalle –e schiena- ne stavano dolorosamente soffrendo. Avvertivo sempre più freddo. Forse era già un miracolo che fossi ancora cosciente.

“Come ci si sente a cosa?” gli replicai.

“Come ci si sente a venire ferito dai tuoi stessi amici, ed essere costretto a fare altrettanto? Dimmi, come ci si sente?” schernì lui. Il sangue mi ribollì nelle vene. Quella vipera… come osava?! Come osava?! Era tutta opera sua
questa! Un sadico, folle psicopatico che usava il nome di una falsa divinità per giustificarsi! Era solo pazzo, nient’altro!

“Questi non sono i miei amici, razza di buffone.” Gli risposi io, inclinando la testa in avanti e guardandolo il più storto possibile. Non potevano essere loro. Lui rise di gusto. Un fortissimo odio si stava lentamente appropriando di me. Se avessi potuto, l’avrei pestato a sangue lì e subito. Strinsi i denti dai nervi.

“Come no? Guardali! Non li vedi? Sì che sono loro!” rise di gusto lui. Non ce la facevo più. Sarei stato capace di fulminarlo lì su due piedi con lo sguardo.

“Non prendermi in giro! Loro non avrebbero mai combattuto contro di me! Anzi-”

“Tsk! Perché non dovrebbero essere loro? Avrebbero tutto il diritto di farlo: li hai abbandonati, Yusei. E sei scappato.” Mi interruppe lui. Esitai. Il suo tono si era fatto più basso e serio, di conseguenza più minaccioso. Ripensai a quella notte. Confusione, dolore, ma anche fiducia. Lui mentiva, ma questo mio brevissimo silenzio di riflessione sembrava avergli dato l’impressione sbagliata.

“Visto?” sussurrò lui, avvicinandosi a me ancora di più. Pregai che non si muovesse altri centimetri oltre, quell’inquietante vicinanza mi stava preoccupando più di tutto il resto. Mi fissava con un’intensità che raramente avevo sperimentato. In tutta risposta, ricambiai lo sguardo: c’era qualcosa di inumano nel bagliore che emanavano quegli occhi, ma non mi era ancora chiaro cosa; sapevo solo che mi facevano repellenza.

“Bugiardo… loro volevano solo proteggermi…” risposi io, ma in un tono non fermo e deciso come sperato. Perché… perché quest’insicurezza tutta d’un tratto? Da dove veniva? Perché questo disagio crescente non si attenuava? Cosa c’era che mi sfuggiva?! Intanto, il cielo su di noi era stato completamente inghiottito dalle nuvole e dalle tenebre. Lo realizzai solo in quel momento: mi resi conto di quanto quell’atmosfera fosse maligna, e di quanta angoscia stesse crescendo fuori e dentro di me. Questo luogo, quest’aria erano colmi d’odio, disperazione, orrore. Sembrava di stare a sprofondare lentamente in un inferno vivente… I connotati del tizio incappucciato si erano fatti ancora più distorti. Lui scostò la mano da sotto il mantello, e notai che si stava ricoprendo di una riconoscibile foschia verde smeraldo. I suoi occhi sfolgoravano della stessa luce.

“Sei tu che ti sei comportato da vigliacco.” La sua voce cambiò, come se improvvisamente se ne fossero accavallate altre sulla sua. Nemmeno uno spettro, se avesse avuto voce, avrebbe parlato così. Chiamai a raccolta tutto il mio coraggio per riuscire a fronteggiare l’inquietudine ed il terrore che quel suono istigava alle mie orecchie. Non riuscivo nemmeno a ribattere, la mia gola si era chiusa ed il mio corpo si era completamente gelato, la paura si stava lentamente appropriando della mia coscienza. Ero solo ed impotente, davanti a questo mostro infernale. Tuttavia, volevo ancora aggrapparmi alle più remote speranze. Un miracolo, se necessario.

“Non sei degno di appartenere alla luce. Le tenebre ti accoglieranno, e sarai nostro per sempre.” Continuò lui, mentre i suoni della sua voce salirono e gravarono ancora più di prima. Ormai attorno a noi non c’era altro che notte e tenebra. Una tenebra viva: si muoveva, respirava, sussurrava, toccava... il mio corpo tremava, percepiva quest’oscurità che lo stritolava, e non rispondeva più ai miei ordini. Lui portò solennemente il braccio all’indietro, come se stesse caricando un attacco. Che aveva intenzione di fare? …Trascinarmi negli Inferi? Uccidermi? Molto probabilmente sì. Dopotutto, era questo che voleva… no?

La sua mano trapassò il mio petto con un colpo solo. Le iridi dei miei occhi si spalancarono; il tempo si fermò. Le sensazioni che avevo percepito esternamente crebbero a livelli inimmaginabili dentro di me, per un istante. Dolore, orrore, angoscia, disperazione… tutte in una volta. Tutto, me compreso, era immobile. C’era solo un gran silenzio. Al massimo, si udiva un rimbombo lontano, come quello che si sente negli immensi spazi vuoti, un eco pressoché infinito. E tutto rimase così.

Ma solo per un istante.

Una potente luce scaturì dal nulla all’improvviso dal buco nel mio petto, bianca, calda, viva, splendente, pura, inghiottendo quell’inferno in un sol boccone. I vincoli delle ombre si sciolsero. D’un tratto, ogni sensazione negativa scomparve. Ero finalmente libero. Riaprii gli occhi. C’ero solo io, avvolto da quel biancore. Quel demonio era sparito, con mio gran sollievo. Anche delle copie di Jack e Crow non c’era traccia. Erano rimaste immobili così a lungo dietro di me che mi ero quasi dimenticato ci fossero. Ma ora era tutto vuoto. Ero solo. Non sentivo più alcun dolore. Era come se non fosse mai accaduto niente. Tutto sembrava solo un ricordo lontano, un brutto sogno ormai dimenticato, benché effettivamente ancora fresco. Non mi sarebbe dispiaciuto restare lì. Sembrava sicuro come luogo. Non c’erano pareti, nemmeno pavimenti, stavo praticamente fluttuando nel nulla. Oppure ero in piedi? Non sapevo dirlo, era come se la gravità non esistesse più; non esisteva il dritto o lo storto. Eppure c’era una pace quasi paradisiaca. Ad un certo punto invece, udii una voce.

“Non temere, Yusei. Non permetterò che le tenebre ti corrompano. Un importante destino ti attende, non devi fermarti qui.”

Che bella voce… Dunque era stata lei a proteggermi. Era stata lei a strapparmi dalle grinfie della morte. Era così dolce, calda e rassicurante. Era impossibile dire se fosse maschile o femminile, il suono ridondava troppo per capirlo. Ma …a chi apparteneva? E soprattutto, cosa stava cercando di dirmi? Qualcosa mi scoraggiava ad interromperla per parlarle. C’era una profonda autorevolezza in quel tono gentile.

 “Dovrai combattere, al fianco dei tuoi compagni. E quando sarà necessario, ti concederò il mio potere.”

Combattere… Non era finita? Dovevo tornare? No, non volevo andare via.

Diceva che avrei avuto il suo potere, se necessario. A dirla tutta, la cosa mi rassicurava. Però, dovevo chiederle una cosa, assolutamente. Mi feci coraggio e scavalcai il gentile timore che percepivo- in fondo, volevo fare una sola domanda.

“Tu chi sei?”

“Sono lo spirito che vi lega assieme. Sono il Drago Cremisi.”

‘Drago Cremisi... finalmente so chi sei.’ Le risposi mentalmente. Poi, tanto calore mi avvolse. Il braccio riprese ad ardere in maniera crescente, ed io chiusi gli occhi. Sentii come una mano toccarmi sul torace, calda, non materiale, che mi spinse leggermente all’indietro. Poi, all’improvviso tornò il nero.


 
*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
[piccola nota: Akuma = Demone]

[seconda nota: sì, nel flashback iniziale c’era un riferimento alla mia one shot :D il tizio ferito era lo stesso, yup- andatela a leggere se non l’avete ancora fatto x3]

Note e scuse spiegazioni sulla direzione del capitolo [saltate se vi scoccia]
 
Bene. CE L’HO FATTA. CE L’HO FINALMENTE FATTA. Allora, riassumendo, questo capitolo era diviso in tre parti circa: prima il flashback (doveva essere un’introduzione, ma è venuto lungo 4 pagine… e vabbé, amen XD), poi la parte centrale con lo scontro con Jack, Crow e mister cappuccio, e per finire… bianco assoluto °^° ta-daaam. Ok, ora, torniamo al dettaglio per chi vuole saperne di più.

1) Il flashback: all’inizio non c’era questa parte, ma ripensando al duello con Kiryu in 5ds, ho ritenuto che un flashback così ci potesse stare. Nel finale, sembra che io abbia fatto come Tite Kubo che si scorda di inquadrare Grimmjow dopo che è stato sconfitto (bastardo, sto ancora aspettando il suo ritorno, Sensei!) nei riguardi di Crow… però dai, mi sembrava inutile precisare che dopo lo scontro ha pensato agli affari suoi, attendendo che anche quegli zucconi facessero pace XD e comunque sì, la bambina è totalmente OC, non ci sono riferimenti alla serie :T spero di non avervi confuso le idee quando ho staccato col corsivo, intendevo fare un graduale ritorno alla realtà senza interrompere in modo troppo brusco >o< l’inizio l’ho messo solo per far capire che era un cappero di flashback XD

2) Parte centrale: se ve lo stavate ancora chiedendo (spero-di-no), questi Jack e Crow ERANO DELLE FOTTUTTISSIME COPIE. Chiedo scusa per false speranze, ma Yusei non poteva saperlo XD inoltre, se si fosse trattato di uno scontro leale (1 vs 1 col vero Jack + Crow e nessun mister cappuccio), Yusei avrebbe potuto vincere tranquillamente, se voleva, ma giustamente le cose non erano programmate per finire “normalmente” :D il combattimento è stata la parte più tosta di tutte da scrivere, mannaggia a me T_T

3) Bianco: eeee…. Sì, il miracolo c’è stato, il drago l’ha salvato XD chissà cosa accadrà quando tornerà alla realtà U_U comunque, ho intenzione di far partecipare il Drago Cremisi molto più che nell’anime, a certi punti è stato solo inutile e_e si faceva vivo solo se la gente precipitava, e che cavolo, poteva intervenire molte altre volte XD
PER CHI ASPETTA IL ROMANTICISMO abbiate pazienza, il nostro cavaliere dovrà pur tornare dalla sua donzella prima o poi XD (roba di uno o due capitoli u.u) spero di farvi contenti con quello che ho pianificato XD

Puntata banale: la pazienza non è mai troppa
 
Yusei: …

Io: che c’è, non ti è piaciuto?

Yusei: sprofondare nell’inferno tra atroci dolori? Secondo te? -.-

Io: eddai, non è esatto dire così, è stato solo per una frazione di secondo e alla fine ti ho salvato >3< *cosastodicendo*

Yusei: avrei preferito evitare di passare quel Calvario -_-

Io: essù, sennò la storia non aveva senso xD piuttosto, non vi siete ancora chiesti: Aki dov’èèèè? :D

Aki: preferirei non saperlo <____<

Io: hehe purtroppo tocca a tutti e due ^o^ ma per te il discorso sarà leggermente diverso… e per certi versi un tantino peggio u.u non c’è fine al mio sadismo da scrittrice muahahahaha (???)

Aki: peggio? O_____O qualcuno mi tiri fuori da qui T_____T

Yusei: anche me T_____T

Jack: *ahem* …IO DOVE SONO FINITO?!

Crow: stessa domanda e_e

Io: voi? Lo scoprirete nel capitolo 10 mi sa ^^”

Jack: *la prende dal bavero* non aspetto altri due capitoli, io voglio saperlo adesso!

Io: *mentre viene agitata avanti e indietro* lA paziEnza è lA virtù dei fOrti, mio cAro *la voce le va a sbalzi*

Jack: ringrazia di essere una donna, sennò ti avrei stesa da un pezzo a suon di pugni…

io: infatti lo faccio apposta :3

Jack: *arde dalla rabbia*

Aki: io sono una donna però.

*silenzio*

Io: … parlé? ^o^” *scappa*










COMUNQUE! Scherzi a parte, in questo capitolo posterò ben DUE disegni :D il primo sarà quello che mi ha chiesto giuggy 3, il secondo sarà effettivamente relativo al capitolo 8 xD (ma ci sarà un poco da attendere per quello). Tanto siamo tutti faithshippers qui, vero? uwu voi direte, "Sì, ok, ma adesso che c'entra?" "Beh, c'entra il fatto che sono una fan di Aki e Yusei e che il disegno era chiesto da una recensitrice echeerabelloebasta e chepensavopotessepiacervi XD I hope you like it ^^ (ultimamente mi chiedete tutti disegni di baci.... mah che romanticoni che siete XD i sanguinari come me si facciano vedere, mi fento fola foletta çWç (?) )





Ed ecco il vero e proprio disegno del capitolo! :D scusate il ritardone ç_ç alla fine ho trovato la forza di postarlo, era impossibile finirlo... comunque, ho fatto un collage immenso XD spero vi piaccia ^^




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Capitolo 9
*** Nono capitolo- Dolore ***


*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Puntata speciale: il karma colpisce ancora
 
Io: *rilegge i vecchi capitoli e riguarda i vecchi disegni* ...ORRORE D: ma che diavolo ho pubblicato?!
 
Jack: finalmente se n’è accorta!
 
Io: ToT m-ma...
 
*BOOM- qualcuno spalanca la porta dello studio*
 
Akiry: I’M BACK, BITCHEEEEEES *armata di cazzutissimi mitra e cannoni*
 
Io: O________O AKIRY?! MA CHE-?!
 
Tutti: O_______________________________________________O
 
Akiry: VENDETTAAAAAAAAAAAA!!!
 
Crow: per cosa?? O_o
 
Akiry: PER ESSERE STATA PRESA A CALCI NEL VECCHIO CAPITOLO, E POI ABBANDONATA!!!
 
Tutti: aaaah... oh.
 
Io: A-Akiry, non mi sembra il caso di cacciare fuori tutte ‘ste armi O___O
 
Akiry: SI’ INVECE! *ta ta ta ta ta ta ta ta*
 
Tutti: AL RIPAROOOOOOOOOO
 
Io: la mia casaaaaaaaaa DDD8
 
*la stessa porta si rispalanca (?)*
 
Vector: AKIRY, FERMATI!
 
Io: Vector? ._____.
 
Crow: Vector?! O_O
 
Akiry: Vector! <3.<3 *posa le armi* *corre ad abbracciarlo* Mi sei mancato amore mio =W=
 
Tutti: AMORE?! O____O
 
Vector: scusa il ritardo Akiry u.u
 
Crow: a-amore mio? C-come amore mio? O_O
 
Vector: e te che c’entri? *lo guarda schifato*
 
Crow: intendevo Akiry -.-... Ma scherziamo?! La figlia di Yusei e Aki con un pazzo del genere? O____o
 
Aki: devo essere un disastro di madre nel futuro T________T
 
Yusei: *nasconde la faccia* dimmi che nel futuro non approvo questa cosa, ti prego...
 
Io: ...diciamo che all’inizio lo pedinavi pure... poi hai capito che ti potevi fidare, e... mi spiace Yusei x’D
 
Yusei: *prende a testate la parete*
 
Aki: piange*
 
Crow: condoglianze ragazzi <___<
 
Akiry e Vector: <3
 
Io: e dopo la tragedia di famiglia, non perdiamo tempo e cominciamo col prossimo capitolo XD ah, no! I ringraziamenti prima. Oggi tocca a Crow u.u
 
Crow: oook... *prende il foglietto* *ahem* si ringraziano infinitamente tutti i recensori, specialmente quelli che sono stati sempre presenti come Keily_Neko, CyberFinalAvatar, BML95110, iridium_senet, eli8600, poi anche gli altri come giuggy 3 e playstation! Un inchino anche a yugi00 che ha messo Aki_chan tra gli autori preferiti!
In più, una calorosa stretta di mano (?) per ogni lettore che l’ha messa tra i seguiti, come Aquarius no Lilith, Ren92, BML951110, cristal_smeraldo48, CyberFinalAvatar, Darkdan Hibiki Kurokawa, eli8600, karter, lady_eclisse, playstation e Valix97!
Un salto di gioia (??) per quelli che l’hanno messa tra le preferite, come EvocatoreEterugaForever e giuggy 3, e un inchino di ringraziamento (?!) a eli8600 e lady_eclisse che l’hanno messa anche tra le ricordate.
 
*si asciuga il sudore*
 
Crow: woah, la lista si allunga @.@
 
Io: sarebbe così bello avere qualche preferito in più, o dei nuovi recensori, io sarei saltellante dalla gioia çvç ma non mi lamento, certo ^^”
 
 
Comunque, non so come mai, ma il capitolo è venuto ancora più lungo del precedente o.o li sto facendo tutti in ordine crescente senza volerlo... LOL oh beh, speriamo sia sinonimo di miglioramento XD buona lettura! (spero di non farvi incazzare troppo con questo capitolo... io mi sento orribile, ma veramente ORRIBILE çWç)
 
- ditemi se devo alzare il rating :T questo capitolo lo prevedo peggiore degli altri tra tragedia e violenza...uops-
 
 

Pov: Aki
 

“YUSEI! Sono qui! Ah!”
 
Il vento continuava a soffiare impetuoso, nero, tetro, incessante, impedendoci di ricongiungerci. Chiamavo e richiamavo Yusei, ma non riuscivo più a trovare le sue mani, né i suoi occhi, ormai nemmeno la luce dei cristalli era più capace di rischiarare quelle tenebre. Prima riuscivo a sentire la sua voce, lo sentivo gridare il mio nome, ma adesso non riuscivo più a percepirlo. Ero sola, di nuovo. L’unico suono che giungeva alle mie orecchie era il fischio assordante di quel vento, e quello di numerosi sussurri, spettrali, urla lontane, come lamenti di anime che infestavano quell’atmosfera. Pregai che fosse solo un’illusione del vento, e che quelle voci sparissero all’istante. Mi coprii le orecchie sedendomi a terra, aspettando che quell’ululato cessasse il prima possibile. Persino il respirare quell’aria mi faceva accapponare la pelle. Non era buona, questo era certo. Cercai di trattenere il fiato in gola il più a lungo che potevo, attendendo che quell’angoscia smettesse di tormentarmi.
 
Poi, all’improvviso, calò il silenzio. Il vento si placò in un istante. Riaprii gli occhi e presi fiato. Mi guardai attorno: non ero più nella grotta. Tuttavia, i dintorni erano familiari. Orribilmente familiari.
 
La stanza era in penombra. Fuori il sole doveva essere già calato. Lo spazio era ampio, il soffitto alto. Le pareti spoglie, i muri spessi. Il minimo suono si amplificava mille volte.
 
...Ero in un'arena.
 
Ma questa non era un'arena qualunque. Questa era quella del Movimento Arcadia.
 
Dio solo sapeva cosa aveva dovuto vedere e sopportare questo luogo. Io stessa ci misi piede più volte, a suo tempo. Oh, quanto avevo torturato questo povero campo di battaglia... era stato uno dei pochi a riuscire a sopportare la furia distruttiva della mia maledizione... e nemmeno così bene come vuole far credere adesso, con queste mura candide.
 
Fissai attonita quelle larghe piastre quadrate che componevano il terreno duro e liscio. Le studiai attentamente, incapace di capire se davvero fossero le stesse che calpestavo nei miei ricordi, o se si trattasse davvero di un altro posto. Ma non erano diverse. Erano le stesse, così come lo erano le pareti.
 
Non mi erano mai piaciute. Diafane, spente, fredde. Stare qui mi ha sempre fatta sentire a disagio.  Soprattutto perché ormai consideravo questo posto dimenticato. Un vecchio incubo da cui mi ero svegliata già tempo fa.
 
Volsi lo sguardo nel punto nel quale doveva trovarsi lo sfidante. Non so come mai, ma mi aspettai di trovare il vuoto, come già mi suggeriva il silenzio; invece, ad accogliermi ci fu qualcuno.
 
L'ultimo qualcuno che avrei mai sperato di rivedere.
 
I miei occhi si spalancarono. Impallidii all'istante; tutte le stelle caddero dal loro cielo, spente dal buio della disperazione di quel sogno. Il fantasma del mio passato era tornato, ed era lì, di fronte a me. Quegli occhi verdi, quei capelli mogano, quel crudele sorriso...
 
Uno squarcio immenso si riaprì nel mio cuore. Tutto il mio rancore si ridestò dalle viscere del mio animo. Non esplose come avrebbe dovuto, o come avevo immaginato. Si rivelò in un mormorio, udibile appena…
 
“Tu...”
 
...DIVINE.
 
 
Cosa ci faceva lui qui? Questo incubo non era già abbastanza crudele così com'era?
 
"Ciao, Aki. Contenta di rivedermi?"
 
La sua voce giunse mielata, mascherata da una finta dolcezza. Mi irrigidii. Ricordavo quella voce. E sentirla di nuovo non era esattamente 'cosa piacevole'.
 
"Tu... Che ci fai tu qui? Perché siamo qui?! Cosa stai macchinando questa volta?!"
 
"Io? Macchinare? Davvero Aki, non capisco di cosa tu stia parland-"
 
"Taci! Getta quella dannata maschera, per una buona volta! L’hai dimenticato? Io so già tutto quanto!”
 
“Sai? Che cos’è che sai?”
 
“Tutto di quello che mi hai nascosto. Tutto. E non mentirmi, perché stavolta non ci casco."
 
Lui, all'improvviso, ripose nel fodero quel suo sorriso fasullo, dal quale mi ero lasciata ingannare fin troppe volte. Non era tipo paziente nei giochi.
 
Tornò quella sua espressione seria, dura e minacciosa. Era occasione rara riuscire a vederla, perché non prometteva mai nulla di buono.
 
"Dunque, sai tutto, eh?" sbuffò lui, voltando lo sguardo.
 
Silenzio. L'atmosfera era tesa. Lui restava lì in piedi, immobile. Tutti i miei ricordi di Divine erano tornati a galla bruscamente, rimarcati dalla sua stessa presenza. Ricordavo quel suo atteggiamento. Era affascinante, c'era da ammetterlo. Ricordavo l'ammirazione che provavo per lui, una volta. Ma fu lui stesso ad annientarla, a rimpiazzarla con l’odio e la frustrazione.
 
"Tsk. E allora? Cambia qualcosa questo?"
 
"Come? Certo che cambia! Che domande!"
 
"Io direi che è un peccato... stavamo così bene, insieme... ricordi?"
 
"Io ricordo, Divine. Ma non ho la minima intenzione di tornare lì da te. Sei solo un assassino, io non ci rimetto piede dalla tua parte!"
 
"Tsk. E pensare invece a quanto ho fatto per te... sei stata solo un'ingrata."
 
"Tu mi hai ingannata! Mi hai mentito per tutto il tempo! E ora vieni a reclamare fedeltà?"
 
“Io ti avevo salvata! Ti ho accolta quanto tu eri solo un maledetto mostro, agli occhi di tutti! E vuoi sapere una cosa? Non è cambiato niente. Il passato non si cancella, Aki. Il sangue sulle tue mani non scomparirà mai.”
 
Feci un passo indietro, chinando il capo.
 
 
Flashback
 
 
Ero sola, tanto tempo fa.
 
I miei poteri si erano portati via tutto quello che avevo: la mia famiglia, la mia casa, il mio futuro, ogni cosa. Non avevo più niente.
 
Nonostante fossi stata solo una bambina, il mio cuore era stato già lacerato dalle ferite più profonde, squarciato dai dolori più grandi: quello di essere abbandonati, di essere allontanati da tutti gli altri, di essere consci di rappresentare la stessa causa delle proprie disgrazie, e di non avere nessuno da incolpare, se non se stessi ed il destino... Il mio mondo era diventato completamente nero.
 
Ad un certo punto, dopo i primi incidenti, la Sicurezza di Neo Domino iniziò a darmi la caccia. Non era rimasta con le mani in mano davanti a tutta quella devastazione, quindi pensò bene di ostacolarmi.
 
Quanti sforzi inutili.
 
Nemmeno le prigioni erano capaci di contenere il mio dolore ed il mio odio. Ogni volta che quegli incubi mi tormentavano, e quelle immagini tremende riprendevano a vorticarmi in testa –una che mancò sempre, era quella dei cadaveri dei miei genitori, ma che davo per scontata, ormai-, i miei poteri traboccavano, e terremoti e tornadi si abbattevano ovunque mi trovassi. Non solo: anche alberi o edere cresciuti dal nulla, in piena città, o fiori di rose sbocciati dove terra fertile non c’era. Gli scenari che disseminavo alle mie spalle avevano un fascino davvero letale. Io,una ragazzina così piccola e graziosa...
 
Per questo mi guadagnai l’appellativo di Rosa Nera.
 
Quando capirono che non erano le sbarre a potermi fermare, tentarono con i sedativi, per farmi dormire. Scappare diventò sempre più difficile. Una bambina non aveva molte idee su come non farsi trovare dalla polizia, la città era popolata in ogni angolo, era arduo trovare qualche posto deserto. Fu così che mi scovarono, e mi chiusero in una specie di sotterraneo. Lì rimasi, distesa su un lettino e bloccata come un animale pronto da dissezionare. Restavo cosciente sempre per pochissimo tempo. C’era da chiedersi se avrei davvero speso così la mia vita in eterno, praticamente in coma, privata di ogni tipo di libertà, ma a me non importava: tanto, non mi ponevo queste domande quando dormivo.
 
Un giorno però...
 
 
 
Aprii gli occhi, fissando il soffitto grigio sopra di me, in attesa che le idee ritornassero al loro posto. Tutto davanti a me era sfocato, ma c’era qualcosa che contrastava con il monocolore nella mia linea di visione: una macchia scura, alta, di un uomo giovane molto probabilmente, ferma davanti a me. Lo osservai, cercando di sforzarmi di rendere i suoi contorni più nitidi. Distinsi capelli lunghi e rossicci, un ciuffo curvo sulla sua fronte rialzato verso destra, occhi verde smeraldo ed un sorriso teso, quasi compiaciuto, ma che poi si fece sempre più mielato e naturale, difficile da decifrare. Tuttavia, ai miei occhi, sembrava convincente.
 
-Vedo con piacere che ti sei svegliata, mia piccola Aki.
 
-T-tu chi sei?
 
-Mi chiamo Divine, mia cara.
 
Divine. Che strano nome. “Divino”... Chissà cosa c’entrava con questo qui. Tuttavia... non era come gli altri esseri umani con cui avevo avuto a che fare nelle ultime settimane: era gentile, e mi parlava con un tono pacato e tranquillo, lo stesso tono che avrebbe usato un genitore con un figlio.
 
Oppure un domatore con una bestia.
 
E da  animale cui ero trattata, ne rimasi davvero affascinata.
 
-So che tu ti chiami Aki. Mi hanno molto parlato di te: mi dicono che sei davvero speciale, sai?
 
-No, non è vero. Nessuno lo dice.
 
-E invece qualcuno sì. Vedi, non tutti sanno apprezzare le tue capacità. La gente critica ciò che crede cattivo. Ma si sbaglia. Tutti si sbagliano. E lo sappiamo entrambi. Sappiamo che non c’è niente di cattivo in te.
 
-C’è invece. Io sono solo un mostro.
 
-No, non lo sei. Semplicemente, hai un talento che agli altri non piace. Loro sono inferiori a te, per questo non ti vogliono.
 
-Che vuoi dire?
 
-Tu sei una Psichica, mia cara. Hai delle capacità intellettive dieci volte superiori alla norma. Ed è un dono che in pochi possiedono.
 
-Psichica? C-che significa?
 
-So bene che sei sconvolta ora, così come lo sei per quanto ti è accaduto in passato: non potevi sapere cos’avevi, chi eri. Ma io voglio aiutarti. Ti capisco. Anche io sono come te. E so cosa provi. Non dovrai avere più paura, da oggi in poi.
 
-...P-perché no?
 
-Esiste un posto, chiamato “Movimento Arcadia”, dove sono riuniti tanti altri Psichici come me e te. Non sei sola.
 
-...Non è vero, tu mi prendi solo in giro.
 
-Assolutamente no, mia cara. Ogni parola che ho detto, è la pura verità.
 
-...Davvero?
 
-Davvero. Che ne dici di andartene via da qui? Di venire con me?
 
-...Sarebbe bello.
 
-Mh, sono contento di sentirtelo dire. Saremo tutti una grande famiglia felice, te lo prometto.
 
-Ma... che succede se non riesco a controllare i miei poteri?
 
-Imparerai a farlo, non preoccuparti. Te lo insegnerò io personalmente.
 
 
Mantenne la parola. Finalmente trovai un posto che potessi chiamare “casa”. Divine presto divenne il dirigente stesso del Movimento Arcadia, ed io rimasi al suo fianco; controllare i miei poteri fu davvero un’impresa, ma non del tutto impossibile. I primi tempi lo stabilizzatore fu molto d’aiuto, ma spesso mi causava stordimenti e capogiri. C’era da dire che non mi piaceva molto indossarlo, tuttavia mi era necessario. Feci conoscenza anche con altre persone come me, ma presto distinsi due razze anche tra di loro: chi mi allontanava, forse per invidia, o forse per timore, e chi mi ammirava. Eppure, con loro non potevo far altro che nutrire sempre una specie di disagio. Ero superiore persino alle persone più simili a me. L’unico che poteva competere con me era Divine. Sapevo che era forte. Ai miei occhi però, lui era tutto: un punto di riferimento, un amico, un padre...
 
Ricordo che un giorno, però, poiché lo cercavo, mi avventurai in un’ala poco frequentata, uno dei tanti vicoli labirintici dell’edificio, nella speranza di scoprire dove si fosse andato a cacciare, anche un po’per curiosità personale. Dovevo avere circa quindici anni, all’epoca. Stavo per arrivare in fondo, quando sentii alcune voci dal retro di una porta. Una di queste era quella di Divine. Non riuscivo a capire cosa stessero dicendo, ma il mio orecchio fece in tempo a cogliere alcune parole: “esperimento”, “soggetto”, “fallito”, poi la sua voce nitida, “sbarazzatevene.”
 
Corrucciai lo sguardo, muovendo alcuni passi indietro dalla porta per non far sembrare che stessi origliando. A che si riferiva? Cosa significava quella parola? Ad un certo punto, la porta si aprì lentamente, e Divine ne uscì, abbastanza sorpreso. La richiuse in fretta.
 
“Oh, ciao Aki, sei qui. Che ci fai da queste parti?” il suo sguardo sembrava un po’ preoccupato. Non sorrideva.
 
“Ti stavo cercando, tutto qua. Eri sparito nel nulla...” mi scusai, cercando di suonare il più possibile naturale.
 
“Capisco. Beh, direi che ora sia tutto a posto. Possiamo andare, se vuoi.” ...il suo sorriso tornò, come sempre.
 
“Bene, perfetto...” mormorai.
 
“...Qualcosa non va, Aki?”
 
Deglutii.
 
“M-mi chiedevo... che stavi facendo lì dentro? Di solito non vedo molta gente passare per queste ale...” non alzavo lo sguardo a lui. Per qualche motivo, avevo paura di incrociarlo. Non potevo nemmeno vedere la sua espressione, però.
 
“Oh, niente di importante. Discutevo di questioni burocratiche varie, roba noiosa.”
 
“Ah, ho capito. Beh... torniamo nella Sala centrale allora.”
 
“Certamente, Aki. Ma fammi un favore, non tornare qui, anche perché non occorre.” Disse, ma dal tono potevo dire che era un suggerimento volto a diventare ordine.
 
“Oh, va bene. Tanto non è che mi nascondi qualcosa di serio, vero?” scherzai, tentando di sdrammatizzare la strana tensione con una ingenua battuta. Lui sembrò essere preso in contro piede, ma alla fine mi assecondò.
 
“Dai, certo che no. Non farei mai una cosa del genere.” ribatté.
 
Passò altro tempo, ma in cuor mio iniziai a covare dubbi e timori riguardo Divine: io avevo distintamente sentito la voce di un’altra persona con lui, che non era uscita... E poi, poteva discutere anche nel suo ufficio, se voleva. Cosa c’era in quella stanza che non avevo visto e che non voleva farmi vedere? Era importante?
 
Non sopportavo quei dubbi. Volevo sapere la verità. Non era forse giusto? Tanto, non era nulla di serio alla fine, ne ero certa... Così, decisi di andare a investigare. Verso ora di pranzo, tornai nell’ala oscura, e mi riaccostai alla stessa porta da cui era uscito Divine l’ultima volta. Nessuno in vista. Tentai di girarla, ma era bloccata.
 
Ad un tratto, avvertii delle voci soffuse dall’altra parte. Immediatamente, mi nascosi nell’angolo vuoto più vicino, cercando di sbirciare senza farmi vedere. Due uomini, adorni di camice bianco, uscirono chiacchierando tra di loro, e uno dei chiuse la porta dietro di sé.
 
-Che stress... stiamo fallendo un test dopo l’altro.
 
-Su, non pensarci per adesso. È ora di pranzo, io ho fame.
 
-Ok, come ti pare... oh, hai chiuso a chiave?
 
-Dai, per mezz’ora o un’ora non credo passerà nessuno di qui.
 
-Infatti non credo...
 
Le loro voci si fecero sempre più fioche man mano che si allontanavano. Non avevano idea del madornale errore che avevano commesso. Avevo meno di mezz’ora, dovevo essere svelta. Rapida come un fulmine, sgattaiolai nella stanza chiudendo rapidamente la porta dietro di me. Mi voltai: vidi un vetro scuro, numerose macchine dall’oscura utilità, e diversi computer, alcuni dei quali accesi.
 
Mi affacciai al vetro: le luci erano spente dall’altra parte, non riuscivo a vedere nulla. Cambiai direzione, e mi avvicinai al computer più grande: diversi valori indecifrabili comparivano su più schemi, molti dei quali però non sembravano rappresentare i livelli di prestazione di una macchina. Le diciture portavano nomi riguardo proprietà fisiche umane... Cambiai schermata: si vedeva la figura di una persona, stilizzata in 3D, ed affianco diversi valori numerici. Battiti cardiaci, quantità di varie sostanze chimiche nel sangue, e altri valori con nomi impronunciabili e interminabili riguardo la sfera celebrale. Le indicazioni a proposito erano ancora più numerose.
 
La ricerca continuò ancora per qualche minuto, ma fu sufficiente a darmi un’idea di cosa si trattasse: quei valori misuravano le capacità fisiche e Psichiche umane degli esperimenti di cui probabilmente parlavano l’altro giorno. Ma una cosa sola, adesso, mi preoccupava più delle altre:
 
“Sbarazzatevene”.
 
Il sangue mi si gelò nelle vene. Sperai con tutta l’anima di sbagliarmi. Avevo ancora un quarto d’ora, potevo cercare altri indizi. Fascicoli vari erano posti sulle scrivanie; presi quelli più in vista –gli ultimi maneggiati probabilmente- e diedi una rapida occhiata ai contenuti: documenti burocratici, conti indecifrabili... poi, una cartella attirò la mia attenzione rispetto alle altre. Non appena la aprii, davanti a me comparirono volti ed elenchi di nomi di persone: alcuni di questi riportavano la scritta rossa accanto “soggetto deceduto”.
 
Il mondo mi cadde addosso. I miei occhi vagarono ancora disperatamente su quelle terribili pagine: sembrava linguaggio militare. La mia mente fece praticamente tilt. Il fascicolo mi cadde dalle mani. Milioni di fogli si sparsero per la stanza; volti cancellati e scritte rosse ovunque, e il terrore più totale dentro di me.
 
Fragile come il vetro, mi accostai debolmente ad una parete. Presa da un fremito, corsi ad accendere la luce della stanza buia dietro il vetro, aggrappandomi all’interruttore. Mi scappò un grido, soffocato in ritardo dalla mia mano.
 
Su un tavolo metallico, disteso, c’era un ragazzino. Era senza maglia, ed aveva diversi fili attaccati al torace e alle tempie, la testa leggermente china da un lato. I suoi occhi innocenti erano spalancati fissi al soffitto, vuoti, inespressivi. Una macchina indicava i suoi battiti del cuore, flebili e lenti. Ma pallido, immobile e con quel viso... ai miei occhi era morto. La vista era agghiacciante.
 
Non restai un minuto di più. Non mi importava se scoprivano quel disastro, io non volevo più stare in quel posto. Me ne sarei scappata via, e alla svelta. Il Movimento Arcadia... ecco cosa nascondeva nelle sue viscere. Ecco cosa mi nascondeva Divine... Mio dio... che diamine stava succedendo?
 
Corsi verso l’uscita, ma mi scontrai con qualcosa di duro; ricaddi all’indietro, e riportai gli occhi verso la porta. Il cuore mi morì nel petto. Divine era in piedi, appoggiato alla trave della porta, e mi guardava, confuso.
 
“Aki... che ci fai qui?”
 
“I-io...” cominciai, rialzandomi, ma poi vidi come Divine osservava incredulo i dintorni: le carte per terra, i computer e la luce della stanza accesa, con ciò che nascondeva, lì, in bella vista.... il suo sguardo cambiò in un istante: si fece più corrucciato, cupo, un misto tra l’addolorato e l’arrabbiato.
 
 “D-Divine, mi spiace, i-io non intendev-“ mi scusai, ma prima che potessi finire, mi ritrovai di nuovo per terra, con una guancia dolorante. Riportai gli occhi su Divine, terrorizzata più che mai. Ero finita nei guai... Ero davvero finita nei guai...
 
“Perché sei qui?!  Ti avevo detto di non venire in questo posto!”
 
“Mi dispiace! Io volevo solo sapere cosa c’era...”
 
“NON AVRESTI DOVUTO!”
 
Gridò, spingendomi contro la parete sotto il vetro con i suoi poteri psichici. Sotto quella pressione, cercai di avvicinare la mano allo stabilizzatore. Divine si accorse del gesto, ma non fece in tempo ad impedirmelo che venne fermato da una lunga corda spinata che gli bloccò il braccio; altre si aggiunsero alla prima, costringendolo a non muoversi, per non ferirsi oltre. Mi liberai rapidamente da quella presa, scatenando un forte vento nella stanza; le carte volarono impazzite attorno a noi, e Divine si ritrovò a farsi scudo agli occhi anche da gli innumerevoli petali che avevano invaso la stanza. Uscii di corsa, seguita dalla stessa tempesta che mi trascinavo dietro da una vita.

“AKI! FERMATI! TORNA QUI! È UN ORDINE!!!”
 
Corsi senza sosta, salendo le scale il più in fretta possibile; erano due piani sotto terra, per questo erano poco frequentate, ma ora la paura mi aveva concesso una capacità fisica superiore alla mia norma.
 
Incrociai diversi sguardi uscendo, con il viso nascosto dai capelli, e la furia di quell’uragano che devastava tutti gli stretti corridoi del palazzo attorno a me. Uno dopo l’altro, sfilavano gli occhi di tanta gente, ingannata come me. Non guardavo in faccia nessuno. Ero solo disperatamente terrorizzata. Ero passata da un inferno all’altro.
 
Gli inferni sulla Terra, a differenza di quelli veri dell’aldilà, portavano tutte una Maschera splendente, più delle altre. Però, prima o poi l’occasione di mostrarti cosa c’è sotto ti viene sempre offerta. Sta a te poi scegliere se continuare a credere alla Maschera, oppure guardare alla Verità.
 
Ed io... avevo scelto la dolorosa Verità.
 
Realizzai che non dovevo solo nascondermi, no, dovevo lasciare la città come minimo. I contatti col Satellite erano pochi, ma rispetto alle altre città del continente vicino –dato che Neo Domino si ergeva praticamente su un’isola-, era il miglior posto nel quale far perdere le proprie tracce. Di certo non sicuro, ma ormai non erano gli esseri umani a farmi paura. Era una vita che vedevo la paura nei loro occhi. Questa volta era toccato a me, per colpa di Divine. Mi aveva ingannata. Quella della ‘grande famiglia felice’ era una farsa.
 
Mi tornò in mente il suo sorriso, lo stesso con cui mi salutava tutti i giorni, lo stesso che io ammiravo tanto e che tanto aveva fatto per me. Era quel tipo di persona a cui potevi rivelare il tuo peggiore segreto ed essere sicura che l’avrebbe custodito cautamente, o a cui avresti detto ‘grazie’ col cuore colmo davvero di gratitudine. Ripensai a come fosse cambiato, e a quanta cattiveria gli vidi dipinta in volto, quanto astio avesse negli occhi.
 
Quello sguardo non aveva fatto altro che dimostrarmi quanto il mondo potesse essere davvero malato e malvagio nelle viscere. Che anche i sentimenti migliori potessero essere recitati facilmente, e che il male fosse qualcosa in cui crogiolarsi.
 
Io cercavo di negarlo, di mentire a me stessa, di convincermi che nulla fosse cambiato... ma le immagini, la paura, il terrore, tutto si riproduceva nella mia testa a ciclo continuo, crudelmente.
 
Quella persona aveva tradito la mia fiducia con una facilità disarmante. Mi faceva sentire ingenua. Infantile. Stupida.
 
Mi aveva dimostrato quanto poco io valessi.
 
Aveva distrutto completamente la mia risoluzione, ed il mio orgoglio.
 
Non gliel’avrei lasciata passare liscia.
 
Io ero la Rosa Nera, e la Rosa Nera non perdonava nessuno.
 
 
 
 
 
 
 
La poca luce già presente si era affievolita ancor più. Divine mi scrutava silenzioso, i suoi occhi coperti d’ombra erano impossibili da leggere. Credeva di vincere, stavolta? No. Io non mi facevo ingannare due volte di fila. Al contrario, gliel’avrei fatta pagare cara. Finalmente, eravamo alla resa dei conti, e avrei dimostrato quanto davvero valevo.
 
“È vero, quel sangue non scomparirà mai, Divine. Ma il passato resta passato, non tornerà. Ho tutte le intenzioni di ricominciare, a differenza di te! Tu e tutto il tuo rancore verso il mondo… mi fate solo schifo!”
 
“Hah! Ma non farmi ridere! Tu non ne sai ancora niente!”
 
“Niente di cosa? Dell’odio e della frustrazione?”
 
“Del dolore, Aki. Del dolore vero. Lo stesso che mi ha spinto a cominciare tutto questo. Credimi, nemmeno tu hai ancora idea di che cosa sia. Ma ora... potremo rimediare.”
 
All’improvviso, una lieve brezza si sollevò, e l’aria divenne quasi magnetica. Erano i suoi poteri psichici, difficili da confondere. I più temuti nel Movimento Arcadia. Anche questo rancore... sapevo che lo celasse nel cuore, ma non lo aveva mai dato a vedere. Mi faceva provare pietà.
 
Divine sollevò un braccio in aria, e sul suo palmo comparve una larga sfera di luce verde, simile ad una palla di fuoco. La sua luce illuminò in un unico bagliore l’interno di tutta la stanza. Il suo sorriso ora era decisamente diverso. Aveva scelto di combattere? Bene. Non mi sarei fatta pregare. Quando fu sufficientemente carica, la scagliò dritta davanti a sé; ma io non persi tempo.
 
Il mio stabilizzatore ormai aveva abbandonato la sua originale postazione; dalla terra cominciarono a crescere lunghe fruste, adorne di spine, intrecciate fra loro; queste frantumarono il cemento ai loro piedi e si innalzarono per alcuni metri, mentre la sfera le centrò in pieno. Le corde si piegarono su se stesse, bloccando l’attacco con facilità.
 
Ora, era il mio turno.
 
Sollevando le mani, feci dirigere altre fruste contro Divine, dritte come lance; lui però portò un braccio davanti a sé, e l’attacco si fermò a mezz’aria. Per un attimo, mi sembrò di distinguere quasi una sfera vuota attorno a lui. Le liane erano tutte bloccate; altre continuavano a frustare sullo stesso punto, ma sembrava di colpire una cupola invisibile.
 
“Non penserai che i tuoi trucchetti funzionino davvero con me, vero?” sibilò lui.
 
Il timore che avevo delle sue capacità riaffiorò dai miei ricordi. Tuttavia, più che paura, provavo orgoglio. Avevo sognato spesso questo momento. Lo temevo, ma lo aspettavo, anche. Avrei fatto tutto il possibile per vincere.
 
Chiudendo a scatto il pugno, Divine rilasciò una potente onda d’urto, che respinse tutte le spine; come se si fosse trattato d’acqua, l’energia mi travolse completamente, facendomi sbattere alla parete alle mie spalle. Sentii tutto l’ossigeno abbandonare in un colpo solo i miei polmoni; caddi china sulle ginocchia, cercando di respirare.
 
“Già a terra? Che delusione. Mi aspettavo di meglio da te.”
 
“Falla…finita…” gli ribattei, ancora mancante di tutto il fiato necessario.
 
“Tu non puoi cambiare, Aki. Mostro eri, e mostro sarai, non hai speranze!”
 
“Non è vero! Io non ho intenzione di tornare ad essere una macchina da guerra!”
 
Un terremoto scosse la terra. Nuove crepe spaccarono il pavimento già malridotto, e nuovi lunghi steli spinati, più robusti stavolta, si avventarono contro Divine. Lui si spostò fisicamente, lasciando che le più grandi si schiantassero contro il muro.
 
“Niente da fare!”
 
Sorrisi. Sembrava convinto di essere il migliore. Splendido. Gli avrei rinfacciato quanto si sbagliava con ancora più soddisfazione.
 
Altre liane, meno spesse, si erano arrampicate sulle pareti, come edere: avevo circondato lo stadio. Ora era il terreno di caccia perfetto.
 
Le più vicine si tuffarono sulla sua figura scura; lui però si fermò, e forgiò nella mano destra una lunga lama di una luce verde intensa, come quella della sfera di fuoco. Un gesto rapido, e le liane vennero tranciate prima di arrivare a lui.
 
Eppure, quella luce... l’avevo già vista. Non apparteneva al Divine di cui avevo memoria. In un istante, un particolare ricordo riaffiorò nella mia mente. Qualcosa non quadrava. Quel potere... quando avevo visto la sfera, avevo pensato che fosse qualcosa di cui non mi aveva mai mostrato l’esistenza, ma la somiglianza era troppa per essere solo una coincidenza...
 
Il flusso dei miei pensieri venne bruscamente interrotto quando il mio corpo divenne più pesante; una specie di macigno immenso mi costrinse a scivolare progressivamente a terra, troppo debole per riuscire a reggerlo. Tentavo di restare seduta o in ginocchio, pronta a rialzarmi, ma la gravità alla fine divenne troppa, e mi fece cadere a terra quasi piatta.
 
Con estrema fatica, alzai la testa: Divine aveva teso lo stesso braccio con cui teneva la spada in mia direzione; il buio sul suo viso era calato di nuovo. Teneva gli occhi fissi su di me, scrutandomi a fondo, sorridendo sadicamente, forse per suo cattivo gusto, o forse per evitare di spezzare la pressione che gravava si di me. O entrambe le cose.
 
Lo sentii ridacchiare tra sé e sé. Non era cambiato di una virgola. Pensava ancora di essere superiore, di essere davvero “divino”. Ma non aveva capito niente. Aveva una visione del mondo completamente distorta, e non riusciva a vederlo, da buon pazzo che era.
 
Un brivido mi corse per la schiena. Pensare che fino a qualche tempo fa io ero al suo fianco, pronta a seguirlo ovunque, come un fedele cagnolino... senza sapere quale mostro si celava dietro quella maschera. Un mostro che non esitava a intingere le mani nel sangue di innocenti per arrivare ai suoi rovinosi scopi. Lui cominciò a muoversi, avvicinandosi a me lentamente.
 
“Sai, Aki... sarebbe stato davvero bello se tu fossi rimasta al Movimento Arcadia con me. Prevedevo un futuro radioso, per entrambi. Quella feccia di società, quella marmaglia che ama definirsi “normale” rispetto a noi... poteva davvero avere quello che si meritava. Ma tu... tu hai voltato le spalle a tutti noi, ci hai abbandonati. Hai abbandonato me. È questo ciò che non ti perdono.”
 
Non ascoltarlo, Aki. Non ascoltarlo. Dice solo menzogne, e tu lo sai.
 
Quella voce che giunse dal mio cuore, quella voce forte che sentii parlarmi con chiarezza... era così simile a quella di Yusei. Probabilmente, anche lui avrebbe detto così, in questo momento. Yusei... Quanto avrei voluto che lui fosse stato qui...
 
Divine, intanto, materializzò di nuovo la spada nella mano destra, senza perdere quel passo solenne. Facevo fatica a mantenere alto lo sguardo. Mi mancava l’aria, tanto era poderosa quella forza. Ma tutta quell’ energia psichica... come faceva a non stancarsi? Tra la pressione su di me e la spada, ne stava consumando una quantità disumana!
 
Tuttavia, dimenticava una cosa. Io non avevo necessariamente bisogno di muovermi per ricorrere ai miei poteri psichici. Mi bastò appoggiare un palmo aperto a terra, perché le ennesime fruste crescessero a sorpresa da terra, stavolta più vicine alla sua figura. Sorrisi. Stavolta erano troppo vicine per poter essere fermate.
 
Salendo verticalmente, queste si aggrapparono con forza alle sue braccia e al suo busto, conficcando con fermezza tutte le loro spine nella sua carne. A quel punto, finalmente, non poté più trattenersi, e fu costretto a reagire al dolore. Gridò, e la sua faccia, benché contorta dal dolore, divenne per qualche istante quasi più veritiera. Più umana. Perché per quanto crudele, almeno nel corpo restava un essere umano, soggetto al dolore.
 
Contemporaneamente, la pressione sul mio corpo scomparve nel nulla. Sollevai il capo quasi di colpo, tanto mi sentii leggera. Era quasi piacevole. Ma la cosa migliore... era che adesso ero io a tenere Divine in scacco. E non mi sarei lasciata sfuggire quell’occasione d’oro.
 
Lui restava lì, a combattere fieramente con quelle spine invischiate nel suo sangue. I suoi lamenti di dolore... quanto tempo non sentivo quel suono. E sentirlo da lui, era quasi più bello. Decisamente meglio che sentirlo proferir parole d’inganno. Adesso avremmo visto chi sarebbe stato a sperimentare il vero dolore. Hah.
 
Mi sollevai da terra, dritta in piedi, più sicura di me stessa. Lo scrutai soddisfatta, da dietro la massa scomposta dei capelli sul mio viso. Alzai un braccio, e le fruste crebbero d’altezza insieme a Divine, che si ritrovò sollevato da terra, ancorato a quelle spine.
 
Non dissi una parola, ma lasciai che i gesti parlassero al mio posto: scagliando il braccio sinistro verso l’esterno, ordinai alle mie fedeli piante di lanciare il peso che trattenevano contro la parete centrale del campo, la stessa dietro alla postazione dello sfidante. Il suo corpo volò senza vincoli per un istante, prima di ritrovarsi appiattito contro la parete sfondata ricca di crepe concentriche.
 
“No, non ancora.”
 
Prima che potesse cadere a terra, alcune liane vicine, aderenti al muro, si allungarono per fermare la sua caduta e tenerlo bloccato sul muro. Restava lì, impalato al muro dalle spine, sporco del suo sangue. Ora non poteva sfuggirmi. Sentivo il mio cuore riaccendersi, scaldato da un’intrepida fiamma. Risi silenziosamente. Quanto era patetico.
 
‘E le pene per te non finiscono adesso, mio caro. Devi ancora scontare tutto il male che hai fatto. A me, e a tutte le altre persone che hai ingannato, ferito, e ucciso. Non sarò la giustiziera più degna, ma sono l’unica che adesso potrà pronunciare questo verdetto. Scacco matto, Divine.’
 
Giunsi davanti a lui, sotto la parete. Non avevo voglia di rivolgergli lo sguardo. Non volevo dargli la soddisfazione di trovar qualsiasi cosa nei miei occhi. Lo avrei privato di tutto. Gli avrei fatto tornare indietro tutto quello che aveva disseminato.
 
“Ch-che diavolo fai, Aki...?!”
 
“Tsk. Tanto si dà, tanto si riceve, Divine. Tu non hai dato altro che odio e dolore. Indovina cosa riceverai...?”
 
Risi cupamente, divertita dalla mia cattiva battuta. Ora avrebbe fatto bene a temermi. La Rosa Nera era appena tornata, più decisa che mai. Ma stavolta, io e la mia oscura metà eravamo più che d’accordo l’una con l’altra. Che bella sensazione. Come mi piaceva.
 
“Dannata...!”
 
Sollevai un braccio, ed un’unica, lunga frusta spinata emerse dal suolo, più grande delle altre, ferma e pronta ai miei ordini.
 
“C-che pensi di fare?”
 
Risi di nuovo, stavolta più sonoramente. Mi piaceva il suono della mia risata. Era tanto tempo che non ridevo così. E ne stavo godendo ogni minuto. Lo guardai un’ultima volta. Il suo viso impaurito, la sua voce tinta di terrore era nuova alle mie orecchie. Ma mi stava regalando una soddisfazione unica. Finalmente, ora tocca a te.
 
“Addio, Divine.”
 
Abbassando il capo, lasciai cadere la mia mano in avanti, dando il via alla frusta di colpire. Ora, era tempo della carneficina. Ma stavolta, questo sangue versato non macchiava di peccato, perché non era il sangue di un innocente.
 
Questa, al contrario... era giustizia.
 
I colpi di frusta continuarono, ripetitivi, lenti e strazianti. Ma non per me. Anzi, quasi mi stavo abituando a quelle truci lamenta. Ogni tanto, sollevavo gli occhi, giusto per non perdermi totalmente la scena. I capelli coprivano ancora gran parte della visuale, ma decisi di non spostarli. Una scena troppo diretta e cruda avrebbe rovinato il divertimento con eventuali sensi di colpa.
 
All’inizio pensavo che avrei provato rimorso, facendogli del male. Ma non potevo dimenticare l’affronto subìto dal suo tradimento. E con le sue ultime parole, non aveva fatto altro che rimarcare le mie idee già negative sul suo conto. Aveva deciso di mostrare il suo vero volto, quello del demone. E non c’era nulla di sbagliato nel far scontare ad una creatura simile il male commesso. Io ci vedevo solo soddisfazione.
 
Sangue ormai macchiava il pavimento sottostante. Qualche goccia mi era anche caduta addosso, ma la lasciai lì dov’era. Era davvero un peccato.
 
Non appena i lamenti cessarono, ordinai alla pianta di fermarsi. Quel silenzio, quel buio... che atmosfera morta e deludente. Ormai l’unica viva qui dentro ero io. Che noia.
 
Lasciai che il suo cadavere malconcio cadesse a terra, senza vita. Quella carcassa cadde con un botto abbastanza sonoro. Allora è questo il rumore che fanno i cadaveri quando cadono, eh...?
 
Tuttavia, scelsi di non avvicinarmi. Mi faceva ribrezzo quell’ammasso di carne impura. Una volta era qualcuno, adesso non c’era più nulla. Era quasi strano. Anche perché, tutto era stato...
 
...davvero troppo facile.
 
All’improvviso, una grossa risata eruppe alle mie spalle, sonora e crudele. Trasalii. Mi voltai di scatto: come dal nulla, Divine si ergeva lì, imponente, pulito e senza un graffio, più vivo che mai. Rideva di gusto, quasi sgraziatamente, in un modo che poco gli si addiceva.
 
“Brava, brava la mia Aki! Ahah! Finalmente hai dato prova di cosa vali davvero!”
 
“Tu... tu come fai a... essere vivo?! Eri morto fino a qualche minuto fa!”
 
Mi voltai ancora, cercando prova di quanto stessi dicendo. Ma non appena i miei occhi si posarono sul luogo dove giaceva la carcassa, strillai dall’orrore, aggrappando le dita alla bocca.
 
Le fattezze del cadavere erano improvvisamente cambiate. Alla poca luce già diffusa nella stanza, si potevano distinguere capelli non più rossicci, ma neri, sparati in tutte le direzioni. Persino due coppie di strisce gialle erano visibili ai lati della frangia, sollevate. Non c’erano più né la sua camicia bianca, né il suo gilet verde, ma una maglia semplice senza maniche, grigio-scura, adorna di poche strisce larghe e rosse. Le braccia spoglie erano squarciate e cariche di sangue, così come tutti i vestiti, i pantaloni neri e gli stivali marroni. Il corpo era riverso a faccia in giù. Il viso sfregiato era a malapena visibile.
 
Oh mio dio...
 
“Hai visto cosa hai fatto, adesso?”
 
Oh mio dio...
 
Questo... non poteva essere vero...
 
“Per te non ci sono mai state speranze di salvezza, Aki, né ci saranno.”
 
Caddi in ginocchio, all’improvviso priva di forze.
 
Il fuoco dell’Inferno aveva improvvisamente spalancato le sue fucine e cominciato a bruciare, un coro di lamenta di anime dannate si era levato, bramoso del mio spirito.
 
La voce di Divine era leggermente cambiata, ma non ero capace di badargli, adesso. La mia attenzione era totalmente rivolta a quella figura immobile.
 
Il mio cuore venne stretto in una gelida morsa di terrore. No, non poteva essere lui, questo... era impossibile...
 
Fragile e incerta, mossa dall’istinto, mi spostai lentamente per tentare di intravedere meglio il suo viso. Non riuscivo ad avvicinarmi in avanti, avevo troppa paura di scoprire la verità, già chiara. Avevo troppa paura di renderla cristallina.
 
Lentamente, i suoi tratti distrutti cominciarono ad emergere dalla massa di capelli arruffati della frangia: gli occhi erano ancora semi-aperti, circondati di sangue. Oltre la carne scoperta e squarciata, all’ombra, potevo distinguere una goccia di colore azzurro. Un azzurro inconfondibile, ma ora privo di luce, di vita.
 
No, mi rifiuto di crederci...
 
Rimasi pietrificata. Il mondo mi crollò addosso, con tutto il suo devastante peso. Ma questa pressione sulle spalle era diversa da quella di Divine. Non era fisica, ma scendeva lentamente verso il mio cuore, oltrepassando la gola annodata, passo dopo passo.
 
Iniziai a tremare. Non riuscivo nemmeno a parlare, o a produrre un qualsiasi tipo di suono che esprimesse la mia angoscia. Questo era il peggiore degli incubi. Doveva essere limitata alla più fervida immaginazione un’immagine simile. Invece, qualcosa l’aveva riprodotta in scala reale lì, davanti ai miei occhi, più concreta che mai.
 
Tutta quell’ira, tutto quel piacere che avevo provato nell’infliggergli dolore... Doveva essere Divine, non lui... era Divine quello che meritava di morire tra atroci sofferenze, di scontare tutte le sue colpe...
 
Non lui.
 
Improvvisamente, mi sentii annegare tra i dubbi. E se... e se davvero avessi combattuto contro di lui, per tutto questo tempo? E se la sua immagine e la sua voce fossero solo state celate ai miei sensi, fino ad ora? E se quello che aveva sofferto, alla fine, fosse stato davvero lui?
 
No, Yusei era... tutta la mia speranza, la mia luce... la mia salvezza, la porta aperta verso una nuova vita, carica di promesse d’amore. La speranza di poter rinascere. La speranza per una vita di gioia.
 
Eppure...quella gioia mi era appena stata strappata.
 
Anzi, io l’avevo strappata via.
 
Ero stata ingannata per la seconda volta, inesorabilmente. Avevo spalancato le porte della disperazione con le mie stesse mani. Sentivo quegli artigli demoniaci affondarmi nel petto, aggrappandosi al mio cuore con forza inumana, per trascinarmi tra le loro fiamme ardenti di punizione.
 
“Te l’avevo detto che dovevi conoscere il vero dolore.”
 
Un fruscio di una lama alle mie spalle fu appena percettibile.
 
“Addio, Aki.”
 
Qualcosa di diverso, di estraneo, mi strattonò via. Poi, tutto divenne nero.
 
 
 
 
 

*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 

Io: cliffanger. Mi spiace. Non sono riuscita ad evitarla. Siete liberi di uccidermi. Io lo farei al posto vostro. Sono una persona orribile.
 
Yusei: ...ci hai uccisi entrambi, adesso?
 
Io: so che apparentemente sembra così. Ma arriverete alla fine della storia vivi, non preoccupatevi. Se si ripensa al capitolo prima di questo, potremmo dire che ci sono somiglianze. Ma vi chiarirò tutto al prossimo capitolo che arriverà più velocemente (o nelle recensioni), prometto. Se sarò costretta, lo farò personalmente nell’angolo delle note. *sigh*
 
Aki: ...non riesco ad incazzarmi con questa quando sta depressa. Devo ancora scoprire come mai.
 
Yusei: l’atmosfera è parecchio pesante... fa passar la voglia <___<”
 
Aki: ah, ecco <.<”
 
Io: ...nel frattempo cercherò di spicciarmi a far uscire il prossimo capitolo. Non dovrebbe volerci troppo. Non ho uno scanner a portata di mano, quindi per il momento, niente disegni, se ne riparla quando torno, tra circa due settimane
Akiry: e recensite se vi è piaciuto, anche gente nuova, mi raccomando, che Aki_chan_97 ci tiene taaaanto ^w^
 
Tutti: *la guardano incerti della sua allegria fuori luogo*






Posto anche il nono disegno con super ritardo. Amen. Intanto, eccolo qua... personalmente, credo che la scelta del collage sarebbe potuta essere migliore nella parte inferiore, ma siccome mi piacciono le prime due vignette, la lascio così. Spero sia di vostro gradimento ewe (sopportate quelle distese di mina negli sfondi, non avevo pazienza stavolta)



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Capitolo 10
*** Decimo capitolo- Incontri ***


*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
 
Io: ottio non ci credo *^*
 
Aki: cosa?
 
Io: amo i miei recensori, tutti tutti tutti <3 <3 <3
 
Aki: ah
 
Io: li amo dal primo all’ultimo <3 <3 <3 mi sollevano l’umore ogni volta <3 e chiedo loro comprensione e perdono per l’attesa, questo capitolo era andato perduto inesorabilmente, ho dovuto rifarlo DA CAPO çWç
 
Aki: peccato, sai? Avresti smesso di torturarci
 
Io: dimmelo che oggi te le stai cercando EwE
 
Jack: spero di comparire almeno qui -.-“
 
Io: non fatemi anticipare niente nella minichat xD meglio augurare buona lettura a tutti e basta u.u via coi ringraziamenti! Oggi li legge Aki EwE
 
Aki: no non mi va e.e
 
Io: dai che la vi do tregua in questo capitolo u.u
 
Aki: serio?
 
Io: straordinariamente sì XD
 
Aki: ...in tal caso *prende il foglio*
 
“Si ringraziano infinitamente tutti i recensori, come CyberFinalAvatar, BML95110, iridium_senet, Keily_Neko, eli8600, giuggy 3, playstation e i nuovi Vaniz, infinity_oo e Aliss01!
-Un inchino anche a infinity_oo che ha messo Aki_chan tra gli autori preferiti!
-Una calorosa stretta di mano (?) per ogni lettore che l’ha messa tra i seguiti, come Aliss01, Aquarius no Lilith, Ren92, BML951110, cristal_smeraldo48, CyberFinalAvatar, Darkdan Hibiki Kurokawa, eli8600, karter, lady_eclisse, e Valix97!
-Un salto di gioia (??) per quelli che l’hanno messa tra le preferite, come EvocatoreEterugaForever, giuggy 3, playstation, PK_Ichigo, yugi00 e infinity_oo! ^_^
-Un inchino di ringraziamento (?!) a eli8600 e lady_eclisse che l’hanno messa anche tra le ricordate!
-E un giro-giro-tondo con Vaniz che l’ha messa a tutte e tre! °^°
 
Yusei: tutte e tre?
 
Io: siiii *w* quanto li amo, l’ho detto <3 auguro a tutti buona lettura ^___^ questo capitolo comincia con Yusei che era stato salvato dal Drago Cremisi u.u vediamo cosa succede adesso XD (tregua un corno u_U)
 
 
 
Pov: Yusei
 
Vagai nel vuoto totale ancora a lungo; dal bianco più puro, al’improvviso mi ritrovai nel nero più tetro. Ricordavo ancora quel tocco gentile: delicato, caldo, amorevole. Quella creatura... non sapevo che aspetto avesse, ma la ammiravo dal profondo del cuore. Non avevo mai percepito un benessere più totale, pieno e soddisfacente. Ed essa ne rappresentava l’essenza assoluta. Chissà se avrei avuto occasione di rincontrarla. Magari sì. Nello stesso bianco, luminoso ed avvolgente. Ora era buio, ma era un buio fermo, piatto, vuoto, privo di positività o di negatività. Era come trovarsi nell’intermezzo, prima di discendere negli Inferi.
 
Mi fermai poco prima, esattamente da dove ero partito.
 
Man mano, cominciai a riacquistare la percezione del mio corpo. Ero fermo, disteso in avanti, su un terreno a me già familiare, ma mi sentivo molto a disagio: era come se il mio stesso corpo fosse diventato di pietra, un’armatura troppo dura e pesante, angusta e scomoda, quasi impossibile da muovere.
 
Forse, era colpa del fatto che fino a poco prima mi trovassi in quello spazio luminoso. Magari stavo bene perché ero libero anche dai vincoli del mio corpo. Non ci avevo mai pensato. La macchina perfetta con cui si nasce ha molti più limiti di quanto si possa immaginare: è piccola, poco flessibile, tende a rovinarsi, ha poche difese, ed è facile da spezzare. Senza di questa, le potenzialità che ha la coscienza di sé sono pressoché innumerevoli: non è costretta a servirsi dei circuiti di un cervello per manifestarsi, è più sensibile, più intelligente, più pronta e scattante. Come quello che provavo in quello spazio bianco; tutto era più semplice. Tuttavia... adesso dovevo far ripartire tutti i meccanismi.
 
Riaprii gli occhi: nulla era cambiato, il buio era lo stesso della grotta, illuminato qua e là da cristalli trasparenti e brillanti. Mi rialzai lentamente. Ogni piccolo movimento mi costava quasi dolore. Mi sarei riabituato in fretta, però: in fondo, era una vita che non avevo nemmeno fatto caso a tutti quei limiti imposti dalla mia stessa natura, ricominciare adesso non sarebbe stato difficile.
 
Mi accorsi che il segno sul mio braccio era tornato, e brillava intensamente. Non faceva male, a differenza del solito: quella specie di occhio mi fissava come sempre. Ma la sua luce... aveva qualcosa di diverso. Sembrava più chiara. Differente, appunto. Che fosse una ripercussione di quanto accaduto?
 
Fu allora che gli eventi cominciarono a riordinarsi uno dopo l’altro nella mia mente: il Satellite, Jack, Crow, quell’uomo, e...
 
Aki!
 
Dov’era lei? Era qui che l’avevo persa di vista, nello stesso momento in cui quell’illusione era cominciata. Ma adesso dove si trovava? Osservai i dintorni: da una parte, il tunnel pieno di cristalli, vuoto, e poco illuminato alla fine. Dall’altra...
 
Nebbia, nera. In qualche modo ricordava quella di Crow, ma la consistenza era diversa. L’oscurità che velava la roccia davanti ai miei occhi sembrava quasi un telo leggero appeso tra le pareti. La fioca luce dei cristalli lì dietro trapelava a stento. Sperai con tutto me stesso che Aki non si trovasse lì in mezzo. Ma se non era da una parte, doveva essere dall’altra...
 
Oh no.
 
In mezzo alla strada oscurata, una luce brillava più intensamente, isolata dalle altre, di un rosso fiamma. Quello... era il segno sul braccio di Aki. Doveva essere priva di sensi. O peggio, doveva trovarsi in un incubo come quello di cui avevo appena fatto esperienza. Doveva svegliarsi, e a tutti i costi!
 
“AKI!”
 
Corsi verso di lei, lanciandomi in quella nebbia scura. Non appena vi entrai, la luce sul mio marchio si intensificò visibilmente: la nebbia si distanziò, respinta da quell’aura rossa, lasciando una sfera vuota tutt’attorno a me. Quella tenebra viva sembrava temere la luce del marchio, quasi la bruciasse. La cosa mi faceva sorridere: avevo un arma con cui tenerla alla larga, almeno.
 
Raggiunsi la fiammella flebile del suo segno in quella cupa atmosfera: Aki era distesa a terra, leggermente curva su un fianco, e aveva gli occhi chiusi.
 
Ciò che mi preoccupava, però, non era il fatto che dormisse, quanto l’espressione che aveva: le sue palpebre erano strette con forza, come dal dolore; era pallida, tremava e respirava a fatica. Immediatamente, mi chinai da lei per scuoterle le spalle, ma non mi rispose. Si muoveva a peso morto, e non accennava a riprendersi.
 
“Aki! Aki! Svegliati, Aki!”
 
Niente.
 
Dannazione... cosa dovevo fare? Che altro mi sarei dovuto inventare adesso?!
 
“Aki...”
 
Non era un sonno normale il suo, ma non avevo idea sul come fare per svegliarla. Non potevo far altro che procedere a tentativi. Così dormiente e tremante, sembrava fragile, indifesa... vulnerabile.
 
Mi inginocchiai e la sollevai per le spalle distaccandola dal suolo freddo, tenendola su col braccio ed accostandola un po’ al mio torace.
 
La sua espressione non cambiava. Restava sofferente, incapace di riprendersi. Ed io non potevo a fare niente. Vederla così addolorata mi faceva male al cuore. Un fiore così bello, così straziato... Tentai di scuoterla ancora con il braccio che la sosteneva.
 
“Aki... ti prego, apri gli occhi...”
 
All’improvviso, il segno ricominciò a bruciare. Mi chinai leggermente in avanti, cercando di sopportare. Aki sussultò, spalancando gli occhi di colpo. Restò per un attimo ad ansimare, come se fosse appena emersa da un oceano invisibile. Era rigida e fredda come un pezzo di marmo. Puntai gli occhi fissi nei suoi nocciola: era terrorizzata.
 
“Aki? Aki, stai bene?! Che è successo?”
 
Per un attimo restò immobile, quasi come se non mi avesse nemmeno sentito, respirando rumorosamente; poi, dopo aver realizzato dove si trovasse, si voltò verso di me, scrutandomi il viso. Da parte mia, ricambiai lo sguardo, cercando di capire cosa stesse succedendo tramite le sue iridi confuse.
 
“Y-Yusei?” mormorò, con gli occhi umidi. Sembrava sotto shock.
 
“Ehi, ehi. Sta’ tranquilla. Era solo un incubo. È finito adesso.”
 
Sentivo quell’ansia quasi addosso. Lei continuò a fissarmi attonita, immobile; pareva a malapena conscia della mia (nostra?) esistenza. Ad un certo punto, alzò una mano e la accostò debolmente alla mia guancia. C’era da dire che ne rimasi alquanto sorpreso, se non addirittura imbarazzato. Perché un gesto simile? Da cosa era stato provocato? Che cos’ aveva visto?
 
“Sei qui... sei vivo...” singhiozzò lei, a voce bassa.
 
Vivo? Aveva visto la mia morte, per caso? Brividi mi corsero sulla mia pelle al solo pensiero. No, certo che no...
 
“Non preoccuparti, ora è tutto finito.”
 
Due grandi lacrime comparvero agli angoli dei suoi occhi castani. La sentivo tremare tra le mie braccia. Improvvisamente affondò il viso nella mia maglia malconcia stringendosi forte al mio busto, singhiozzando rumorosamente. Diversi sussulti la scossero, mentre sentivo la mia spalla inumidirsi; la strinsi più forte, cercando di farla calmare, di lasciarla sfogare per quello che lei sentiva. Percepivo quel dolore chiaramente. Potevo solo immaginare in quale incubo lei si fosse trovata, ma a giudicare dalla sua reazione, doveva essere stato straziante persino per una persona forte come lei. Di chiunque fosse stata la colpa, l’avrebbe pagata cara.
 
Molto cara.
 
“Sta’ tranquilla, Aki. Io non ti lascerò sola, hai capito?”
 
Lei annuì debolmente, cercando disperatamente di controllare i singhiozzi. Sentivo il mio cuore battere più forte, così vicino a lei. Sperai che non se ne accorgesse –anche se, ormai, era inutile. Era... strano. Era tutto più semplice quando mi trovavo con lei. Era come se tra noi esistesse già un legame, più forte, più antico, già presente. Forse c’entravano qualcosa quegli strani segni. Forse era per questo che con lei non mi sentivo mai a disagio... Forse.
 
Le accarezzai i capelli, come avevo già fatto una volta. Ora volevo solo consolarla, farla sentire meglio, nient’altro.
 
“Mi dispiace... mi dispiace...” mormorò lei, con la voce soffocata nella stoffa sottile.
 
“E di cosa? Non scusarti. Ora calmati, okay?”
 
Lei scosse il capo di nuovo. Non sapevo a cosa si riferisse, ma non volevo che me lo spiegasse. Non volevo che raccontasse qualcosa di doloroso. Richiamarlo alla mente e volgerlo in parole probabilmente l’avrebbe solo fatta stare ancora più male, e io non volevo questo. Volevo solo che lei si ricordasse di quanto fosse forte.
 
“Forza, Aki. Non piangere più ora.”
 
Dopo pochi istanti, percepii la presa di Aki allentarsi, finché lei non si distaccò completamente, quasi in fretta, probabilmente un po’ imbarazzata. Ripiegò le braccia e rimase seduta a terra, strofinandosi un po’ gli occhi. Io le rimasi accanto, fermo dov’ero, attendendo che regolasse definitivamente il respiro.
 
“Scusa, Yusei. Perdona la scenata...”
 
“Non preoccuparti. L’importante è che ora tu stia meglio.”
 
Se in qualche modo ero riuscito a tranquillizzarla, andava bene così. Lei fece altri profondi respiri per calmarsi una volta per tutte, mormorando qualcosa tra sé e sé.
 
Nel frattempo, approfittai del momento di pausa per rialzarmi; avevo permesso che la guardia cedesse un istante, ma ora dovevo ripristinarla. Non sapevamo ancora nulla di quello che ci attendeva, e il mio istinto non mi comunicava altro che disagio riguardo a questo posto. Tesi una mano ad Aki, per aiutarla ad alzarsi. Mi accorsi anche che il segno sul mio braccio, ora che aveva smesso di brillare, non c’era più. Magari prima era tornata solo la sua luce. Non sapevo perché, ma mancava ancora qualcosa.
 
Lei fissò la mia mano, un po’ attonita, poi decise di afferrarla. Non appena il suo palmo fu saldo nel mio, con una misurata spinta la riportai alla mia altezza, finché lei riprese l’equilibrio. Sembrava riuscire a reggersi sulle sue gambe. Non era così debole come era parsa per un attimo.
 
“Grazie mille, Yusei.” sospirò, asciugandosi quanto rimaneva delle lacrime con il polso del guanto.
 
“Di nulla, figurati.” Notai che le sue guance si erano parecchio arrossate a causa del pianto e della frizione con le mani. Era davvero un peccato...
 
“Comunque... posso chiederti una cosa?”
 
“Dimmi.”
 
“Tu... ricordi qualcosa di quello che è successo? Io ho le idee un po’ confuse...”
 
La domanda mi colse un po’ alla sprovvista.
 
“Beh... ricordo solo un forte vento nero. Forse era quello ad avere qualcosa a che fare con quegli strani incubi...”
 
“Incubi? Vuoi dire che anche tu ne hai avuto uno?”
 
Feci silenzio. Non volevo farla sentire l’unica ad aver passato chissà quale tragedia, ma nemmeno volevo raccontarle cosa avevo vissuto io. La battaglia con Jack e Crow... no, non ce n’era bisogno. Aveva già sofferto troppo, lei, ci mancava solo che accumulasse altri sentimenti negativi per colpa mia.
 
“Non ha alcuna importanza. Era solo un sogno, alla fine.”
 
“Ma cos’hai visto?”
 
“Nulla di cui tu debba preoccuparti.” Le risposi. Lei sospirò. Aveva capito che non le avrei detto niente, a riguardo perché non volevo, nemmeno forzatamente.
 
“Ma ora stai bene, vero?” mi chiese, comunque preoccupata. Sapevo cosa intendesse. Voleva sapere se quello che avevo vissuto avesse lasciato una ferita su di me, come a questo punto deducevo fosse accaduto anche a lei. Ma nonostante i cattivi ricordi, il dolore di essere costretti a fare del male alle persone più care, e di riceverne a propria volta... sentivo il cuore stranamente leggero. Quella creatura che mi aveva salvato si era portata via tutto il male che si era abbattuto su di me. Le sorrisi, rassicurandola.
 
“Sì, io sto bene, non preoccuparti.”
 
Per cambiare argomento, accennai con una mano alla fine del tunnel non ancora attraversato.
 
“Ora... credo sia meglio muoverci. Te la senti?”
 
Lei annuì senza aggiungere nulla. Avremmo avuto bisogno entrambi di un momento di silenzio per riflettere per conto nostro, adesso. I nostri passi si susseguivano lungo il tunnel, silenziosamente, uno dietro l’altro. La strada, costellata di cristalli via via più grandi e luminosi, sembrava essere interminabile. Anche lo spazio sembrava allargarsi man mano che andavamo avanti.
 
Però, quel silenzio mi metteva un po’ a disagio. Al contrario, forse era un buon momento per raccontare ad Aki quanto avessi scoperto. Era giusto che lo sapesse anche lei, dato che eravamo sulla stessa barca. L’unica domanda era... ‘chissà come l’avrebbe presa’. Decisi, però di fermarmi, facendo arrestare anche la sua camminata, lasciandola un po’ confusa. Ma prima che potesse dire niente, fui io ad interromperla.
 
“Volevo dirti una cosa, Aki. Io... credo di aver scoperto chi c’è dietro a tutto questo.”
 
“Uh? Che intendi?” mi chiese, con una nota di curiosità nella voce. Doveva essersi fatta quella domanda tante volte, molto probabilmente.
 
“Ho incontrato di nuovo quell’uomo che ci aveva attaccati. –e qui udii un leggero fiato di stupore- Ha detto di avere un signore, ‘Akuma’, che ha bisogno dei nostri segni, sigilli o qualunque cosa siano per liberarsi dalla sua prigione.” ...e forse, quell’uomo era semplicemente un suo emissario, quello che andava a sporcarsi le mani, insomma.
 
Lei sbatté gli occhi, un po’ confusa dalle nuove informazioni.
 
“Akuma? E chi è? Cos’è?”
 
“Non ne ho idea. Ma suppongo che non dobbiamo lasciare che si risvegli.” Dissi. La sentii sospirare, ma era difficile decifrare il suo tono.
 
“Certo che è assurdo, sai... sembra di essere finiti in una favola... Prima questi poteri sovrumani, adesso anche i demoni...!” esclamò sull’orlo della disperazione, interrompendosi quasi forzatamente. (io: tecnicamente sono giapponesi, sanno che vuol dire Akuma (?))
 
“È tutto così assurdo che non so da dove cominciare per fare l’elenco...!” cercò di continuare, ma alla fine si arrestò.
 
Si fece sfuggire un altro sospiro sconsolato.
 
“Di questo passo impazzirò totalmente.” concluse tenendosi la testa tra le mani, sperando in una sincera risposta.
 
“Impazziremo entrambi se non sistemeremo questa faccenda una volta per tutte. Anche perché, manca ancora una cosa...” affermai, sentendomi l’unico del due in grado di sorvolare l’attuale follia dello stato delle cose.
 
“E cosa?”
 
Presi un profondo respiro.
 
“Questi segni che abbiamo, questi poteri... credo di aver incontrato anche chi ce li ha lasciati.”
 
Incontrato? Stai scherzando, vero?” non era solo stupita. C’era qualcos’altro nel suo tono di voce. Una specie di angoscia, forse. O di speranza. Difficile da dire.
 
“Nient’affatto. Non l’ho visto fisicamente, mi ha solo parlato. Ha detto di chiamarsi ‘Drago Cremisi’.”
 
“Drago? Come ‘drago’? Non esistono i draghi!” il tono della sua voce salì di grado. Poteva sembrare sull’orlo di una crisi di nervi a qualcuno. E in tal caso, sarebbe stato un vero problema, per entrambi. Forse era meglio che si calmasse un po’...
 
“Non l’ho visto, infatti... non so dire che aspetto avesse.”
 
“Andiamo bene! Sicuro di quello che hai sentito allora?” ora sembrava sarcastica. E lo era, appunto.
 
“Assolutamente sì.” Le ribattei con decisione, guardandola negli occhi. Non ero bravo a mentire, purtroppo per entrambi. Ma non ero nemmeno pazzo, andiamo!
 
“Bene, allora...! Fantastico!” esclamò lei, sconsolata. Non sapeva dove andare a sbattere la testa, praticamente e letteralmente.
 
“Ha detto un’altra cosa, poi.” ricominciai, ricordando le parole del Drago: ‘dovrai combattere, al fianco dei tuoi compagni. E quando sarà necessario, ti concederò il mio potere.’
 
“Che cosa? Che altro ti ha detto, eh?”
 
Da qualche parte nel mio cuore avevo già accettato le sue parole, quasi come se avessi percepito che sarebbe stato inevitabile, quasi come se avessi saputo che dovevo prenderne parte fin dall’inizio. E per me andava bene. Ma non sapevo dire se sarebbe stato lo stesso per Aki...
 
Ad ogni modo, era importante che lo sapesse.
 
“Ha detto che dovremo combattere, e che quando sarà necessario, mi concederà il suo potere. Ma credimi, non ho la minima idea di cosa intendesse...” conclusi.
 
Aki rimase immobile, scioccata dalle mie rivelazioni. Probabilmente stava pensando a cosa ci aspettava, a cosa avremmo dovuto fronteggiare, e al fatto che si sarebbe trattato di qualcosa ben più grande di noi, se le forze tirate in ballo erano addirittura sovrannaturali.
 
“Quindi... non c’è scelta, eh?” mormorò tra sé. Fu allora che decisi di avvicinarmi a lei, prendendola per le spalle. Lei mi guardò negli occhi, sorpresa. Notai un lieve rossore affiorarle sulle guance, ma decisi di ignorarlo.
 
“Ascoltami bene, Aki. Anche se ora non so cosa sta succedendo, né di cosa succederà, sappi che io non ti abbandonerò. Non resterai da sola, mai più e in nessun caso, hai capito?”
 
Era importante che sapesse che non avrebbe fronteggiato tutto questo da sola, che non sarebbe rimasta l’unica sul campo di battaglia. Ognuno avrebbe avuto la spalla dell’altro su cui appoggiarsi, e sarebbe riuscito a restare in piedi fino alla fine. Non eravamo soli. Lei, dopo una piccola esitazione di sorpresa, annuì silenziosamente.
 
“Grazie ancora, Yusei.” sussurrò, nascondendo il viso tra i capelli rossi.
 
“Non devi ringraziarmi. È naturale che sia così. Ora, credo sia megl-“
 
Non feci in tempo ad accorgermi di nulla, che un ombra mi si avventò letteralmente al collo, trascinandomi a terra. Tutto divenne nero per una frazione di secondo, finché non atterrammo tutti al suolo.
 
“YUSEI! TI ABBIAMO TROVATO! STAI BENE, CHE BELLO!”
 
“C-Crow?!”
 
Crow?! E-era davvero lui?! Stava bene?! Che ci faceva qui?! Come ci era finito?! Quando?! Era davvero lui questo Crow?! Certo che era lui, indiscutibilmente! Ma allora dov’era Jack?! Che era successo, a tutti e due?!
 
Teneva le braccia strette attorno al mio collo, come se fossi stato il peluche preferito di un bambino. Accidenti a lui, per poco non mi veniva un infar-
 
-to.
 
Oh.
 
Mio.
 
DIO.
 
Avevo quasi dimenticato di essere finito su qualcosa di morbido. Troppo morbido.
 
Puntai lo sguardo dritto davanti a me: l’unica cosa che si distingueva era un paio di iridi nocciola spalancate in un mare di lava rossa; io, dopo essermi reso conto di dove era appoggiato il mio mento –e con mio orrore, anche una mano-, balzai fulmineo all’indietro, inarcandomi come un gatto, ribaltando di conseguenza anche Crow. Ricaddi seduto, mentre Crow finì piatto di schiena, perdendo tutta l’aria che aveva nei polmoni. Era visibile persino un fantasmino uscirgli dalla bocca.
 
Indietreggiai rapidamente nascondendo gli occhi con la frangia nera, paonazzo come non lo ero mai stato. Il mio cervello era in totale subbuglio, attraversato da minacce mentali a Crow, apprezzamenti inopportuni sull’accaduto e visioni catastrofiche della possibile reazione di lei. Questo non doveva accadere… per nessun motivo…MAI…
 
“S-scusami Aki, non volevo... è stato un incidente…!” la supplicai, sollevando una mano aperta davanti a me.
 
Aki era saltata su seduta, con il volto uniformato ai capelli rossicci: negli occhi le brillava una luce cupa, più simile a quella di un predatore intento a vendicarsi della pavida preda. Se avessi avuto delle orecchie feline, le avrei abbassate all’istante. Mi ero definitivamente cacciato nei guai.
 
Lei, dopo essersi sporta vicino a me, mi tirò un ceffone fulmineo. La mia testa si era improvvisamente girata a destra, e la guancia sinistra bruciava. Ma non ebbi il tempo di rimettermi dritto, che iniziò a tirarmi pugni a caso sul busto, anche di forza niente male, che tentai di parare come meglio potevo senza farle danni.
 
Ora però la situazione stava degenerando ad ‘infantile’. Ad una spinta del suo ginocchio finii a terra di schiena, mentre tentavo di bloccare quei pugnetti afferrandole i polsi.
 
“Ti ho già chiesto scusa, non l’ho fatto apposta!”
 
“Non me ne frega niente! Nessuno può né deve toccarmi, NESSUNO!”
 
Era inferocita. Contemporaneamente, Crow si risollevò da terra, massaggiandosi la nuca.
 
“Ahhhi, che botta… Uh?” mormorò, strabuzzando gli occhi. Aki, nonostante la sua presenza, non si fermò, continuando imperterrita con la sua serie di assalti.
 
“Ehi ehi, scendi da Yusei tu! Chi diavolo sei?!”
 
“Chi sei tu! È tutta colpa tua questo casino!”
 
Almeno se n’era accorta…
 
“Non sono io quello che lo sta picchiando!”
 
“Se vuoi me la prendo con te, sai!?” minacciò lei pronta a saltargli addosso, ma a quel punto le presi con fermezza un braccio, facendola voltare di scatto in mia direzione. La scostai via dal mio corpo e mi rialzai, restando in ginocchio. Lei mi ringhiava contro, ancora innervosita.
 
“Calmatevi, tutti e due!” respirai profondamente. “Aki, lui è Crow, te ne avevo già parlato.” Le ricordai. “Crow, lei è Aki, mi ha trovato dopo che sono scappato dal tizio che ci aveva attaccati, due giorni fa-“
 
“Eh? Quando, hai detto?”
 
“Due giorni fa...”
 
“D-due giorni? Come due giorni?! Sono già passati due giorni?!” si mise le mani tra i capelli scompigliati.
 
“Che intendi? No, anzi, aspetta, più importante, dov’è Jack?”
 
“Ah, lui è andato dall’altra parte, volevamo perlustrare i dintorni.”
 
“Quindi è con te... capisco... ma non era a senso unico questo posto?”
 
“Nient’affatto, sembra una vera e propria rete di gallerie.”
 
…Oh. Allora qualcosa di diverso c’era andando avanti.
 
“Vedo… comunque, troviamo Jack, prima, rimandiamo a dopo le discussioni.”
 
“Certo, certo. Posso lasciarvi soli soletti senza pericolo, dunque?” domandò lui con aria ‘innocente’.
 
Vai. Subito.” gli sibilai, cupo. Se fossi stato Jack, l’avrei preso a calci in quel momento. Sfortunatamente, non ero Jack.
 
Lui sbuffò, un po’ scocciato dal mio non-stare al gioco. Sembrava aver trovato la scusa del secolo per prendermi in giro a vita… giusto quello che ci voleva, insomma. Perfetto.
 
Ma andiamo... io e Aki? Siamo seri?
Non sarebbe così male, sai? Ribatté una vocina nella mia testa, che scacciai immediatamente. Sì invece! Cioè... no?
 
“Uff. E va bene, vado. Ma non fatemene pentire!” gesticolò Crow, e dopo essersi voltato senza attendere nemmeno una mia amara risposta, si dileguò in un istante, scomparendo nell’ombra delle rocce.
 
Certo che farmi fare una figura del genere... se lo poteva anche risparmiare...
 
“Scusalo...” mormorai infine, sempre attento a non incrociare lo sguardo di Aki, ancora irritata.
 
“Se lo fa un’altra volta, non garantisco la sua incolumità.” minacciò lei, secca.
 
“Nessuna obiezione. Ma cerca di ignorarlo, sarà meglio per tutti.” la pregai a voce bassa. La sentii grugnire, sconsolata.
 
“D’accordo, d’accordo. Ci proverò. Ma, cambiando argomento… che razza di poteri sono quelli?” mi domandò, colpita dalla sua performance. Tirai un forte sospiro di sollievo nella mia mente, grazie al cielo aveva sorvolato la questione, almeno temporaneamente.
 
“Diciamo che l’elemento base è l’ombra. Anche se... tecnicamente, è difficile da spiegare.” mi passai una mano sulla nuca, un po’ indeciso sulle parole da scegliere. Non ci avevo mai pensato, come si potevano descrivere i poteri di Crow? Lui manipolava l’ombra, lo diventava a sua volta... era complicato.
 
Notai che Aki, contemporaneamente, aveva soffermato lo sguardo sul mio braccio, dato che ora il disegno brillante era distinguibile. Si illuminava ogni volta che erano attivi dei poteri nelle vicinanze. Effettivamente, era la prima volta che ne vedeva la forma: sembrava davvero una testa di rettile. Ricordavo quanto da bambino mi facesse paura, specialmente quando si illuminava. Sembrava un coccodrillo pronto ad azzannarmi. Anche se, a quanto pare, doveva trattarsi di un drago.
 
‘Drago’ Cremisi... forse un senso c’era dietro a tutto questo.
 
Ad un certo punto, avvertii dei passi dalla fine del tunnel, e una fiamma fluttuante avvicinarsi. I marchi iniziarono a bruciare ancora di più, ma ormai mi stavo abituando a quel dolore temporaneo, e lo stesso potevo dire di Aki. L’alta figura di Jack comparve correndo dalla fine del tunnel, e ci raggiunse abbastanza in fretta seguito da Crow. Grazie al cielo stavano bene entrambi... ma allora cos’era successo quando me n’ero andato?
 
“Yusei? Sei qui? Stai bene allora!” cominciò, per poi accorgersi di Aki, la quale si era messa leggermente dietro di me.
 
“E tu chi sei?” domandò, col suo solito tono freddo. La ‘delicatezza’ di Jack era celebre...
 
“I-io mi chiamo Aki...” cominciò lei, un po’ colta alla sprovvista dal suo atteggiamento. Fu pochi istanti dopo che il mio amico si accorse del suo braccio brillante.
 
“Ehi, ma... che cos’è quello?! Non mi dire che-“
 
“WOAH! U-un marchio?! È davvero un marchio quello?!” lo interruppe Crow.
 
“Sì ragazzi, è proprio come sembra.” tagliai corto io.
 
“Non...non posso crederci...non pensavo esistessero altre persone oltre a noi con questi segni...” mormorò Jack.
 
“A quanto pare ci sbagliavamo entrambi.” terminò Crow, scioccato.
 
“Ma come l’hai incontrata? Quando?!” domandò Jack.
 
Dato che la situazione era diventata molto più che caotica, decisi di raccontare tutto con calma fin dall’inizio. Ma presto mi accorsi che i conti non tornavano: appresi che non appena io avevo lasciato Jack e Crow alle prese con quell’uomo incappucciato, lui, dopo pochi minuti di lotta, li aveva direttamente scaraventati in questo posto, esattamente come era accaduto a me e ad Aki. La cosa che non andava, però, era che ci avevano incontrati esattamente poco dopo, come se fosse passata meno di un’ora, e non due interi giorni.
 
“Sembra quasi che i tempi non coincidano...” confermò Crow.
 
“Mi state dicendo che- No, questo... non ha senso!” esclamai, mettendomi una mano tra i capelli.
 
“Niente di tutto questo ha senso, non so se te ne sei accorto.” Tagliò corto Jack.
 
“Lo so, ma intendo dire... devono essere passati due giorni, per forza! Altrimenti non si spiegherebbe il fatto che Aki sia qui... anzi, lei prova esattamente il contrario.” Terminai, affievolendo leggermente la voce. Lei, sentendosi tirata in ballo, propose una sua teoria.
 
“Forse... è colpa di questo luogo. In fondo, non abbiamo idea di come ci siamo finiti, per quanto ne sappiamo, potremmo essere ovunque. Sarà per colpa di questo posto che anche il tempo si comporta in modo strano?” affermò, incerta riguardo le sue stesse parole. Per una frazione di secondo tornò quello scomodo silenzio.
 
“Voto per la sua teoria.” sospirò Crow, rassegnato, appendendo le braccia. Jack, d’altro canto, prese l’iniziativa.
 
“Non sappiamo che succede, ma non possiamo avere risposte adesso... A questo punto muoviamoci, no?”
 
“Ottimo! Dove si va?” esclamò Crow, risvegliato dal cambio d’argomento, decisamente meno complicato. Ma non appena terminò la frase, uno strano rumore sordo ridondò in lontananza.
 
Ci ammutolimmo tutti quanti all’istante, attendendo di riuscire a carpire meglio quel rumore. Sembrava uno strano eco... come un fischio di vento lontano, che ridondava nelle cavità dei tunnel.
 
“Avete sentito anche voi?” fece Jack serio.
 
“Non mi piace...” mormorò Crow.
 
Veniva da davanti a noi, dalla fine dell’incrocio. Ma dopo pochi secondi, quella specie di profondo ululato mi parve... terribilmente familiare.
 
“Oh no...” sussurrai, tra me e me. Questa non ci voleva.
 
Mi lanciai di corsa in suddetta direzione, sperando con tutto me stesso di riuscire a fare in tempo. No, questa volta non l’avrei lasciato passare.
 
“Yusei, dove vai?!”
 
Nessuno fece in tempo a reagire. Slanciai il braccio destro contro la cavità, e grandi prismi di cristallo chiaro tagliarono rapidamente lo spazio davanti a loro. Richiudendosi a spirale, si compattarono in un solido muro, bloccando totalmente l’uscita alla corrente del vento nero.
 
Sì, era lo stesso vento oscuro che aveva travolto me e Aki poco tempo prima. Ma non ci cascavo due volte.
 
Ora potevo percepire anche il tremore della terra. I cristalli di ghiaccio sussultarono spinti dalla forza del vento, tanto da far cadere della polvere dagli spifferi della roccia, ma ressero alla pressione. Restammo ancora immobili per alcuni secondi, trattenendo il respiro.
 
Poi ci fu solo silenzio. Fortunatamente fu ‘scampato pericolo’. Tutti quanti corsero da me, osservando il muro di ghiaccio davanti a loro. Tirai un sospiro di sollievo.
 
“Ma che diavolo...?!” domandò piano Crow, abbastanza esterrefatto dalla scena.
 
“Come facevi a sapere...?” cominciò a chiedere Jack, ma preferii interromperlo.
 
“Ve lo spiegherò dopo. Andiamocene, non sappiamo se la corrente si è davvero fermata. Quella barriera potrebbe ancora cedere.”
 
Aki fissava la parete di ghiaccio, silenziosa. Poi abbassò lo sguardo, come se si fosse sentita in colpa per non essere stata in grado di reagire anche lei, benché sapesse di cosa si trattasse. Tuttavia, non era importante, ormai. Bastava sapere che eravamo tutti sani e salvi. A quanto pareva, questo posto nascondeva brutte sorprese ad ogni angolo. Avremmo fatto bene a stare più che allerta.
 
Dato che erano rimaste solo due vie libere, e una di queste era quella da cui erano giunti i miei amici, mi incamminai per primo verso l’unica direzione percorribile, venendo poi seguito da tutti gli altri. Nessuno aveva voglia di restare a lungo in quello strano posto. Ci stavamo addentrando in una rete sempre più fitta e dalle pareti e soffitti sempre più larghi, e i cristalli divenivano man mano più radi. Percepivo come una strana pressione... come un’angoscia illogica, una paura concreta che non aveva motivo di esistere man mano che ci addentravamo tra le gallerie. Ci stavamo avvicinando a qualcosa di molto pericoloso, tuttavia, ne ignoravamo ancora la forma.
 
Aki, dal canto suo, restava silenziosa. I miei amici, invece, facevano domande mentre camminavamo riguardo l’accaduto: così spiegai loro del vento nero, e di ciò che mi era stato rivelato in quella specie di incubo –tagliando fuori la comparsa delle loro copie, ovviamente. Rimasero abbastanza scioccati e confusi dal peso delle nuove informazioni, ma alla fine, dopo un po’ di scetticismo e di crescenti mal di testa, si convinsero delle mie parole. In fondo, non avevo ragioni per mentire. Eppure, ogni domanda che ci facevamo di conseguenza, non aveva risposta. Era tutto così confuso...
 
“Che disastro...” mormorò Crow, ormai arreso allo stato dei fatti.
 
“Piuttosto, mi domando come usciremo di qui...” borbottò Jack, dal canto suo.
 
Tecnicamente, era una bella domanda. Queste gallerie intrecciate sembravano non avere fine... e sapevamo che nascondevano insidie pericolose. Ad ogni piccolo suono sospetto ci immobilizzavamo ad orecchie tese, per assicurarci che non si trattasse di nulla di pericoloso. Ma poi, giunse a noi un suono diverso, come un rantolo, quasi un sibilo, difficile da identificare come lo stesso vento di prima. C’era qualcos’altro dietro l’angolo...
 
“Questo è strano... volete che vada a dare un’occhiata?” propose Crow a bassa voce. Non era una cattiva idea, considerando che nel suo stato di ombra era praticamente invulnerabile.
 
“Sì, è meglio. Dicci cosa trovi.” gli risposi in approvazione.
 
Lui annuì, e cominciò a correre raso le pareti. Restammo tutti vicini in silenzio, pronti ad attaccare se necessario. Udii un mezzo grido da parte di Crow in lontananza, finché dopo pochi secondi non lo vidi direttamente riemergere dalle tenebre della larga galleria, allarmato.
 
“Che succede Crow?”
 
“Filiamocela, SUBITO!” esclamò di colpo, sudando freddo.
 
“Che cosa c’è, Crow?!”
 
“Zitti e CORRETE!”
 
Un poderoso ruggito riecheggiò dall’incrocio davanti a noi, facendo correre un brivido sulla schiena di tutti. Qualunque cosa fosse stata a produrre quel raccapricciante suono, l’ultima cosa che poteva essere era ‘amichevole’.
 
Immediatamente, tutti cominciammo a correre nella direzione opposta, sperando vivamente che quella cosa, qualunque cosa fosse, non arrivasse a noi. Ma il rumore dei nostri passi non ci aiutava a passare inosservati.
 
Mi voltai: Aki non era veloce come noi, e in fondo al tunnel era appena comparsa una... strana creatura demoniaca, tutta nera, larga quanto il tunnel stesso –che andando avanti aveva raggiunto buone dimensioni-; si era appena fermata, scrutandoci, aprendo lentamente una grande bocca mastodontica decorata da zanne affilate... aveva degli occhi bianchi e vuoti, opprimenti, e il suo respiro si condensava come fumo. Sembrava un demonio in piena regola uscito dagli Inferi. Che razza di bestia immonda era, quella...?!
 
 
 
 
*nello studio buio e incasinato della scrittrice*
  
Io: Perdonate la cliffanger. *ahem* tregua? Chi ha parlato di tregua? Non ricoooordo
 
Aki: uno di questi giorni la pagherai cara E_______E
 
Io: ma non prima del finale, giusto? ^^”
 
Aki: non ti assicuro niente se vai avanti così e3e
 
Yusei: non dovevi farlo, non dovevi farlo, non dovevi farlo! E/////////E  *parla dello scontro con Aki*
 
Io: sì dovevo invece xD
 
Crow: eddai Yusei, era ora che ti dessi una mossa u.U
 
Yusei: falla finita, Crow E/////E
 
Aki: appunto @////@
 
Crow: no :P
 
Io: vai Crow, siamo tutte con te! XD *runs for dear life*
 
 
Nota: mi dispiace ma i disegni dovranno aspettare, mi si è bagnata la cartella dove stavano tutti i disegni mancanti ç_ç vanno rifatti da capo pure quelli çwç (questa si chiama sfiga, gente) li aggiornerò appena potrò rimettere le mani sul mio scan adorato >___< (ovvero, circa a settembre)
 
Ad ogni modo, visto che arriverà il 9 o 11 di settembre sicuramente prima del mio aggiornamento, buon inizio di anno scolastico a tutti, amici miei *alza la mano Hunger Games style*
*qualcuno fischietta il verso della ghiandaia (?)*






Restauri completati per tutti i disegni mancanti ewe il disegno qui è più piccolo di quanto possiate pensare XD non è accurato come gli altri, è vero, anzi è quasi "suggerito", più che altro... (disegnando ho pensato che la gonna di Aki fosse effettivamente TROPPO corta o///////o facciamo che non s'è visto niente, eh? X//D) comunque.... niente da dire di più, sapete che scena è questa y.y



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Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo- Scontri ***


*nello studio buio e incasinato della scrittrice – da rinominare*
 
Io: woah, scusate il ritardone gente! La sfiga è onnipresente - purtroppo per gli studenti!
 
Aki: tanto non saresti mancata a nessuno -.-“
 
Yusei: specialmente ai qui presenti…
 
Io: invece è proprio per voi che torno peggio di un raffreddore d’autunno XD
 
Aki: mai paragone fu più azzeccato e_e
 
Io: e basta Aki, ti ricordo che siete in una situazione di vita o di morte al momento, prima mi fai iniziare e prima vi salvo XD
 
Team: GRAZIE TANTE
 
Io: ghehehe u.u rapidi, amigos, vai coi ringraziamenti! Escludendo i carissimi che seguono la storia elencati al vecchio capitolo, do un abbraccione a Black_RoseWitch che mi ha dato l’onore della sua prima recensione e che mi ha pure messo la storia tra le preferite :3 gwaffie :3 *infantile* ma una lacrimuccia per BML che è scomparsa çVç e….Keily EwE
 
Crow: prego che non sia gente sadica come te…
 
io: ci sarà pur un motivo per cui mi seguono v.v ….ops, che ho detto o_o scusatemi x’D
 
Jack: urrà…
 
Io: ah, ribadisco che NON possiedo Yu Gi Oh! 5d’s né le altre serie, che appartengono al rispettivo autore o casa produttrice di anime eccetera eccetera…vedete su wikipedia il resto … dunque, eravamo rimasti ad una bestia nera e cattiva che vi ha trovati nei tunnel e che vi stava inseguendo XD vediamo che combinerete per salvarvi la pelle v.v *schiva coltellate*
 
 
 
Pov: Yusei
 
Un poderoso ruggito riecheggiò dall’incrocio davanti a noi, facendo correre un brivido sulla schiena di tutti. Qualunque cosa fosse stata a produrre quel raccapricciante suono, l’ultima cosa che poteva essere era ‘amichevole’.
 
Immediatamente, tutti cominciammo a correre nella direzione opposta, sperando vivamente che quella cosa, qualunque cosa fosse, non arrivasse a noi. Ma il rumore dei nostri passi non ci aiutava a passare inosservati.
 
Mi voltai: Aki non era veloce come noi, e in fondo al tunnel era appena comparsa una... strana creatura demoniaca, tutta nera, larga quanto il tunnel stesso –che andando avanti aveva raggiunto buone dimensioni-; si era appena fermata, scrutandoci, aprendo lentamente una grande bocca mastodontica decorata da zanne affilate... aveva degli occhi bianchi e vuoti, opprimenti, e il suo respiro si condensava come fumo. Sembrava un demonio in piena regola uscito dagli Inferi. Che razza di bestia immonda era, quella...?!
 
 
 
Non riflettei: afferrai il polso di Aki, e raddoppiai la velocità per entrambi; la creatura ruggì e avanzò con più foga, portando gli artigli a una decina di metri dalle nostre schiene. Correvamo a perdifiato, guidati dal solo istinto di salvarci la vita. Le gambe andavano da sole, e la mente non aveva tempo per distrarsi. Voltarsi, neanche per sogno. Avevo i brividi al solo pensiero di incrociare di nuovo quegli occhi bianchi e spettrali, o di avvicinarmi troppo a quelle zanne fameliche.
 
Tuttavia, sentivo Aki farsi sempre più pesante; si stava stancando, e mi preoccupava il fatto che fosse più vicina agli artigli di quella creatura, i quali latrati si erano fatti tremendamente vicini. Dannazione, non c’era via d’uscita! Che dovevamo fare?
 
“Più veloce, Aki! Non mollare!”
 
“Non ci riesco! Non ce la fac…” deglutì. Le mancava il fiato persino per completare la frase. Era sfinita.
 
Fu allora che mi resi conto che non c’era più tempo per fuggire, e che la bestia ci aveva praticamente raggiunti. E non seppi nemmeno cosa mi prese, perché in preda alla tensione strattonai Aki con ancora più forza, lanciandola letteralmente davanti a me con tutte le forze.
 
Il resto divenne molto confuso.
 
“Yusei!”
 
Mi accorsi solo del peso della zampa del mostro calare sulle mie gambe, costringendomi ad accasciarmi al suolo. Quegli artigli di ferro erano come lame di spada, robusti ed affilati. Cercai di voltarmi con il busto, ma incrociai solo un muso nero pece orribilmente contorto e squamoso, due sfilze di zanne aperte e colanti di una sostanza viscida, e… due occhi bianchi, privi di luce. Impallidii all’istante, mentre il cuore si fermò in gola.
 
Il demone fece per affondare i canini sulla mia carne, ma avevo già attivato inconsciamente i miei poteri: una manciata di colonne di ghiaccio erse immediatamente dalle rocce attorno al mostro, costringendolo a spostarsi all’indietro per non essere schiacciato contro il soffitto o le altre pareti.
 
Una volta libero, balzai immediatamente in piedi per indietreggiare a debita distanza, in preda ad una violenta scarica di panico. Mi accorsi di avere un micidiale batticuore, e che il mio respiro era molto pesante. Mi sembrava di congelare.
 
Che mi stava succedendo? Perché il mio corpo reagiva così? Cosa diavolo c’era in quegli occhi che mi aveva causato tutto questo?
 
““Yusei! Yusei, stai bene?!”
 
Era forse questa la vera paura? Che fosse questo il vero significato del terrore?
 
Non era da me lasciarmi sopraffare, o perdere il controllo delle mie emozioni, ma questa volta… Più ci ripensavo, e più quelle impressioni si rafforzavano. Perché quella visione mi aveva turbato tanto? Come potevano quegli occhi tanto bianchi essere allo stesso tempo l’abisso più oscuro che avessi mai addirittura concepito? Come antimateria, come vuoto, come pressione d’acqua, come punte di ferro contro la gola, quelle orbite sembravano capaci di soffocare le loro prede con il solo sguardo; nulla del genere aveva ragione di esistere fuori da queste gallerie, questo era poco ma sicuro.
 
Un ringhio fendette l’aria. Il demonio, infuriato, cominciò ad assaltare le colonne ghiacciate, che sotto le sue fiere zampate si spezzavano come fragili canne di legno. Cercai di regolare il respiro, distogliendo lo sguardo diretto; dovevo darmi una svegliata e ragionare lucidamente, se volevo uscirne vivo. L’immagine di quella cruda visione continuava a sconvolgere le mie idee, ma non avrei lasciato che qualcun altro interferisse con l’ordine del mio pensiero.
 
Per un attimo considerai la ritirata: se mi fossi allontanato in quell’istante, però, la corsa sarebbe ricominciata esattamente come prima, rendendo inutili tutti i nostri sforzi. No, dovevo raccogliere le energie ed abbatterlo, se volevo chiudere la questione lì. Non sapevo se i miei poteri bastassero per una tale impresa, ma non avevo altra scelta.
 
Ersi nuove, spesse lance ghiacciate che bloccassero la creatura a mo’ di gabbia, sperando di non doverla uccidere, ma quelle non erano abbastanza resistenti. Più crescevano, e più venivano instancabilmente abbattute. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad inspessire il ghiaccio come volevo.
 
All’improvviso, delle fruste spinate emersero dal nulla, e si avvinghiarono con vigore agli arti e al muso della creatura; questa tentava disperatamente di liberarsene, ma le corde uncinate alla sua carne le impedivano di muoversi facilmente.
 
Mi voltai alle spalle: Aki teneva due mani aperte avanti a sé, concentrata per non distaccare lo sguardo dalla preda feroce; aveva ancora il fiatone causato dalla lunga corsa. Mi ero quasi dimenticato che fosse ancora qui: per un attimo ebbi il timore di non essermi accorto della sua voce, nel caso mi avesse gridato qualcosa.
 
“Yusei… stai bene?” domandò lei ansimante, cercando di non distrarsi.
 
“Sì, sto bene… grazie, Aki.”
 
“Figurati. Non occorre ringraziare.” mi sorrise stancamente, sincera. Annuii lievemente in risposta, grato del suo intervento.
 
Ritornai al combattimento, cercando di limitare quanto possibile i movimenti della bestia: Aki teneva ferma la creatura e io la sommergevo di ghiaccio, ma nonostante gli attacchi combinati, la bestia distruggeva continuamente il nostro operato, impedendoci di portarlo a termine ad ogni estenuante tentativo.
 
Accidenti, era davvero impossibile tenerla a bada… Come avremmo fatto a sbarazzarcene? Da dove arrivava tutta quella forza? E perché era tanto ostinata ad andarci addosso? Un animale qualunque sarebbe fuggito, al posto suo! O morto, ad ogni modo…
 
Poi, qualcos’altro attirò la mia attenzione alla mia destra: un cristallo. Ce n’era uno fiorito a pochi metri da me. Ricordavo che era riuscito a guarirmi, quindi conteneva di sicuro energia. Ma quello che mi chiedevo era se mi potesse essere d’aiuto per un’offensiva…
 
“Allontanati, Aki.”
 
“Perché? Che vuoi fare?”
 
Invece di risponderle, toccai immediatamente il cristallo con la mano destra; la luce del mio marchio crebbe ancora d’intensità, e la roccia luminosa cominciò a fischiare e crepitare come una fiammella.
 
Una lieve brezza si sollevò attorno a me. La sentii farsi strada nelle mie vene come linfa fresca. Tutto era diventato immensamente semplice, in quel momento. Fu quasi difficile credere a tutta la confusione che mi aveva attanagliato fino ad allora, tanta la linearità dei miei attuali pensieri. L’obiettivo era cristallino, e le forze a mia disposizione erano diventate improvvisamente più che sufficienti per un’esecuzione netta. Alzai il braccio, dirigendolo contro la creatura, ormai quasi totalmente libera dalle spine di Aki.
 
Fu questione di un colpo solo.
 
Un largo fascio di luce tagliò l’aria tra me e la bestia, una luce fredda, ghiaccio puro, frammentato in tanti prismi affilati che la colpirono sulla testa. Questa indietreggiò drasticamente, mentre tentava di resistere al nuovo, inaspettato attacco. La pressione del raggio spesso e bianco non cessava, e stava lentamente dilaniando la carne della bestia, che si lamentava tra un latrato e l’altro.
 
Tuttavia, ben presto mi accorsi che il costo di quell’attacco non era irrilevante: progressivamente, sentivo le mie braccia riempirsi di quell’energia, senza limite, irradiandosi come elettricità, minacciandone gravemente l’incolumità; le sentivo pronte a scoppiare, e le gambe prossime a cedere a quella micidiale pressione. Stringevo i denti per sopportare, gocce di sudore mi scivolavano sul viso, ma secondo dopo secondo, l’istinto di conservazione stava rapidamente prendendo il sopravvento.
 
Per evitare l’autodistruzione infatti, fui costretto a lasciare il cristallo, in preda ad un inaspettato stordimento. Caddi a terra senza troppe cerimonie, percependo improvvisamente la mia pelle quasi in fiamme. Era come se fosse appena esplosa una bomba nel mio corpo senza distruggere il suo contenitore. La cosa più strana era che sentivo gli oggetti esterni freddi come il marmo. Che diavolo era successo…?
 
“Yusei!”
 
Sentii un braccio sottile scivolare sotto le mie spalle, gelido in contrasto col mio improvviso calore corporeo. Questo mi rialzò leggermente, sollevando la testa dal pavimento pietroso. Non riuscivo ancora a muovermi, lo shock aveva mandato i miei sensi in tilt, compresa la capacità di ordinare al mio corpo un qualsiasi movimento. Mi occorse qualche secondo per capire di chi si trattasse. ‘Aki…?’
 
Un ululato. Un ruggito. La bestia era ancora viva. Mi sforzai di guardarla, attraverso una iride sfocata: lungo il corpo della sua figura immensa scorreva un liquido violaceo, ed aveva parti del cranio evidentemente mancanti. Eppure, si reggeva ancora in piedi. Come uno zombie: finché non veniva disintegrato, non cedeva.
 
Ma poi, accanto a noi passò una lunga fiammata rossastra che avvolse quanto rimaneva di quella bestia lamentosa, impedendole di avanzare, sfinita dal dolore.  Un altro colpo si aggiunse al primo, e così tanti a seguire, finché insieme a quel fumo grigio non si dissolse completamente anche la creatura. Non ne rimase altro che un eco sordo e lontano, e un tappeto di cenere sparso tra le rocce. Un forte odore di bruciato pervase l’aria.
 
Cadde un silenzio surreale. Il nemico era stato finalmente abbattuto. Sentivo una mano morbida accarezzarmi la testa, che era stata poggiata su una gamba liscia: sapevo a chi appartenesse.
 
“…Yusei, stai bene? Dimmi qualcosa…”
 
Questa voce… era quella di Aki. Com’era vicina… sentivo la sua mano accarezzare teneramente i miei capelli, placando man mano il mio stordimento e il mio respiro. Era rilassante, e a goderne così facendo finta di niente mi sentivo quasi in colpa.
 
Questa ragazza… sembrava quasi strano pensarlo, ma… era davvero consapevole di tutta la dolcezza che sapeva mostrare? La prima volta che mi rivolse la parola sembrò fredda e scontrosa, orgogliosa e gelida. Non che io fossi stato molto accomodante, ma… come potevo restare impassibile davanti al suo cambiamento? Non aveva niente a che fare con la persona che aveva perso le staffe dopo quello scioccante racconto, né con quella distaccata che aveva dialogato con me quei giorni. Questa Aki, quella vera, era completamente diversa.
 
Perché teneva la parte migliore di sé così nascosta? Perché preferiva oscurarla, quasi volesse negarla a se stessa? Era forse una inconscia strategia di difesa? Magari sì, magari davvero aveva passato molto più di quello che voleva dare a vedere, ma proprio per questo non riuscivo ad accettarlo. Non sopportavo l’idea che avesse sofferto così tanto, né che sarebbe stata condannata ad altrettanto: sembrava troppo fragile per sopportarlo.
 
Tuttavia, come poteva non riuscire a vedere quella luce così viva? Come poteva non permettere che quella luce tanto benefica illuminasse anche gli animi delle persone attorno a lei? Come non riusciva a capire quanto fosse pericolosamente facile innamorarsi di una persona come lei? Chiusi gli occhi, sospirando piano.
 
“Sto bene, Aki… non preoccuparti.” le sussurrai.
 
“Come non preoccuparti? Poco fa sei praticamente collassato! Come sarebbe a dire che non devo preoccuparmi?” mi rimproverò lei, senza alzare la voce. Nel suo tono si riconosceva ansia, ma anche sincera preoccupazione.
 
“Yusei, stai bene? Cos’è successo?” domandò Jack dall’alto del suo metro e novanta, giungendo in nostra direzione. Non doveva aver seguito tutta la discussione avvenuta a bassa voce, molto probabilmente, come neanche Crow, che aveva raggiunto solo ora il resto del gruppo.
 
“Non c’è da preoccuparsi, tra un secondo passerà…”
 
“Ne sei sicuro?”
 
“Certo, tra poco sarò a posto…”
 
“Cosa diavolo hai fatto prima?”
 
“Non lo so. Ho solo toccato il cristallo… l’ultima volta mi aveva guarito, ho pensato che avrebbe potuto potenziare un attacco…” cominciai, ma venni interrotto da Crow.
 
“Potenziare? Quello lo chiami potenziare? Per l’amor del cielo, quella roba era devastante! Non sei mai stato in grado di fare niente del genere!” puntualizzò, incredulo.
 
“Lo so. Ma proprio per questo non so cosa pensare…” mormorai, cercando di rialzarmi. Sentivo la testa girare, come se ondeggiasse in bilico su un precipizio, e mi impediva di mettere a fuoco decentemente cos’avessi davanti. Mi tenni un palmo premuto contro la fronte, sperando che lo stordimento passasse presto.
 
“Yusei…? Sicuro di essere a posto?” mi chiese Crow, abbassando il tono di voce.
 
“Sto bene.” tagliai corto. Il suo insistere non mi aiutava a far passare la nausea. Ma per ora, potevo riuscire a mettermi in piedi senza cadere. Mi distaccai dalle tiepide mani di Aki –che nel frattempo erano tornate alla loro normale temperatura a contatto con la mia pelle- per rimettermi in piedi, ancora un po’ instabile.
 
“A me non sembra, onestamente.” ribatté lui, acido.
 
Ero ancora incerto nei movimenti, ma non volevo dare a vedere che avessero ragione. Non potevo restare lì fermo ad aspettare in un momento pericoloso come quello solo per far passare un giramento di testa. Non con la vita di tutti a rischio. Per un attimo avevo pensato di toccare di nuovo il cristallo per riprendermi definitivamente, ma dato che era stata colpa proprio del cristallo che fossi in quelle condizioni, preferii evitare, e lasciare che lo stordimento passasse naturalmente.
 
“Non fermiamoci qui. Non sappiamo se quella creatura fosse l’unica da queste parti.”
 
Crow sbuffò, irritato dalla mia cocciutaggine.
 
“Dici che ce ne sono altre attorno?” domandò serio Jack.
 
“È alquanto probabile. Nessun animale caccia da solo, a meno che non sia stupido.” affermai amaramente. Quella era una legge che valeva per gli animali come per gli abitanti del Satellite. Era quasi ironico constatare quanto fosse facile comparare bestie e persone, certe volte. Nel frattempo aiutai Aki a rialzarsi, dato che le tremavano ancora lievemente le gambe per lo sforzo della corsa.
 
“Ce la fai, Aki?” le chiesi, serio.
 
“Purtroppo non sono molto abituata a correre… ma per ora credo di farcela.” mormorò, appoggiandosi alla mia spalla. La osservai, cercando di capire quanto il suo fisico fosse riuscito a sopportare: no, quelle gambe non erano decisamente fatte per correre. Piuttosto sembravano le gambe di una fragile bambola di porcellana, delicata e preziosa.
 
Percepivo una grande rabbia se ripensavo a quell’uomo incappucciato: non era giusto che Aki venisse trascinata in questa faccenda, costretta a subire tutto questo. Semmai mi si sarebbe presentata l’opportunità di risparmiarle anche la minima ombra di sofferenza, grande o piccola, l’avrei fatto senza pensarci due volte.
 
“Che facciamo se incontreremo qualcos’altro di pericoloso?” domandò distrattamente Crow.
 
“Di certo, non dobbiamo ricorrere ai cristalli. Sono armi a doppio taglio, quelli.” dichiarai. Anche se quella carta aveva giocato a nostro vantaggio, non potevo permettere che qualcun altro ne soffrisse le conseguenze, i rischi erano troppo grandi.
 
“Davvero? E che facciamo se non abbiamo altra scelta?”
 
All’improvviso, un lontano ruggito riecheggiò contro le pareti. Ma stavolta era più possente, forse non l’unico. Venne a tutti la pelle d’oca nello stesso istante. I guai avevano fatto presto ad arrivare…
 
“Via di qui, subito!”
 
Non fu necessario nient’altro. Il primo partì, e poi tutti a seguito nella stessa direzione, io tenendo Aki per il polso. Le rivolsi uno sguardo di sincera preoccupazione, come per chiederle ‘te la senti di correre ancora?’ e allo stesso tempo pregandola con un ‘ti prego, cerca di resistere’. Nonostante tutto, ricevetti un cenno positivo, benché stanco. Quanto avrei voluto fare qualcosa di più… l’avrei portata persino in braccio se necessario, ma a quel punto non sarei potuto essere abbastanza veloce. Non c’era modo di far cessare quella corsa. Non c’era tregua. Non c’era via di fuga. Non c’era niente che potesse aiutarci a sfuggire alla morte.
 
Ignoravo quella specie di morsa che mi indeboliva le gambe, rimasta sin da quando avevo toccato il cristallo. Più correvo, più quella sensazione opprimente si intensificava. C’era qualcosa di ben peggiore di quei demoni alla nostra meta, e una parte di me lo sapeva. Ma qualcos’altro mi spingeva a non fermarmi, di non lasciare che la paura mi consumasse, che malgrado le apparenze fossi all’altezza di questo compito. ‘Aspetta, quale compito…?’
 
Un altro boato riecheggiò alle nostre spalle; avanti a noi la strada si apriva di nuovo in altre vie, ma non ci fu il tempo per raggiungerle: un mostro tutto nero comparve di fronte al bivio, distinguibile solo grazie alle sue squame lucide, riflesse della luce dei cristalli. Ci fermammo all’istante, ma Aki cadde in ginocchio, incapace di restare in piedi.
 
“Aki!” La tenni per le braccia cercando di non perdere di vista la creatura alle mie spalle.
 
“Tranquillo Yusei… anche se non mi muovo, posso ancora usare i miei poteri… preoccupati di quello, piuttosto.” mi ammonì.
 
Mi voltai con più decisione: la bestia non aveva mosso un passo, ma continuava a studiarci famelica. Tuttavia non sembrava avere degli occhi veri e propri, il che mi fece sentire sollevato. Per un attimo pregai di aver visto male, e che laggiù in tutta quella tenebra non ci fosse proprio nulla, ma venni tradito da un ringhio molto basso.
 
“Oh no…” mormorò Aki, volta dalla parte opposta.
 
Lanciai un’occhiata alle mie spalle: un altro demone immenso giunse dalla curva appena sorpassata, molto probabilmente il vero responsabile della nostra fuga fin lì. Davanti ad essa si schierarono pronti Jack e Crow. Ma dannazione… ce n’erano due, adesso?!
 
“Uhm… uno contro due?” suggerì Crow, titubante.
 
“Per me va bene.” tagliò corto Jack, pronto a combattere. Concordai silenziosamente.
 
I marchi si accesero di luce cremisi, tutti quanti, mentre entrambe le creature balzarono all’attacco, disturbate da quelle fiamme ardenti. Aki era la più vicina a me, quindi ci saremmo occupati della bestia davanti a noi. Prima di tutto però, dovevo impedire a quella creatura di avvicinarsi a lei.
 
Mi interposi tra Aki e il demone, e non appena mossi un braccio davanti a me, nuove lance di ghiaccio crebbero davanti a me, ostacolando il percorso della bestia. Quella tentava in tutti i modi di avanzare, ma anche dove le lance riuscivano a colpirla, quella specie di corazza le impediva di ferirsi seriamente. Maledissi col pensiero quell’uomo incappucciato: se non mi avesse portato via il marchio, a quest’ora avrei avuto più possibilità di combatterla… anzi, non sarebbe cominciato tutto questo disastro, per cominciare!
 
Tuttavia, pareva che la sua stazza fosse inferiore a quella della creatura precedente. Forse c’erano speranze di cavarsela meglio stavolta, ma nulla era certo. Alle mie spalle udivo suoni di fiamme che bruciavano, e artigli che tagliavano l’aria; la battaglia procedeva senza problemi. Sui miei amici potevo sempre contare, ma adesso dovevo concentrarmi sul mio nemico.
 
Aki, da dietro di me, gli bloccò la strada intrecciandole nuove fruste alle zampe e al collo, ma la bestia fu più veloce, e riuscì ad avanzare pericolosamente con poche falcate, distruggendo a suon di testate tutti i muri rimasti davanti a lei; mi accorsi dell’effettivo rischio che correvamo con solo un millisecondo di ritardo. Il tempo si dilatò.
 
Era troppo vicina. Un attacco a lungo raggio non l’avrebbe mai fermata in tempo. Aki!
 
Agii d’istinto: avvolsi il braccio di ghiaccio, rendendolo affilato sulla punta, e mi scagliai sul cuore di quella creatura, in piena carica verso di noi. Mirai ai punti ciechi delle scaglie lucide, sperando di risolvere tutto con un colpo netto.
 
L’attacco, sorprendentemente, giunse su carne tenera. Il demone ringhiò di dolore, mentre cercai in tutti i modi di affondare la punta ghiacciata nel suo cuore. Lo spinsi all’indietro, lontano dai miei compagni, impedendogli di guadagnare terreno. Stringendo i denti, con un ultimo strattone spinsi la creatura fino a terra, estraendo la lama ghiacciata carica di quella sostanza vischiosa.
 
Indietreggiai, sorpreso. Da quando ero diventato capace di una cosa del genere?
 
Guardai il braccio congelato: la patina trasparente stava rapidamente evaporando, mangiata da quel liquido. Sangue acido? Ma che-?!
 
Spezzai la protezione lanciandola lontana, così da non farla toccare alla pelle. Qualche goccia era arrivata sul vestito bruciandone piccoli punti, ma non era giunta fino alla carne, consumandone solo la superficie.
 
“Ragazzi, non toccate il loro sangue!”
 
“Avvertire un po’ prima no, eh?!”
 
Mi voltai immediatamente, allarmato: Jack si teneva stretto l’avambraccio destro, molto probabilmente arrivato a contatto con la sostanza acida. Una striscia di fumo chiaro saliva in aria, mentre il suo viso esibiva trattenute smorfie di acuto dolore. Dannazione…
 
Mi rivolsi di nuovo alla belva di fronte a me, ora tenuta ferma dalle spine di Aki; benché ferita, si agitava come una lucertola, e costringeva Aki ad aumentare il numero di radici con sempre più frequenza. Percepii un forte risentimento nei riguardi di quelle bestie. Un moto d’ira guidò il mio gesto successivo.
 
Allungai una mano verso l’alto, e dal soffitto calò rapida una stretta stalattite di ghiaccio, affilata come una spada, che si conficcò nel collo della creatura in profondità, dove c’era carne. I versi smisero immediatamente, anche se il corpo si agitava ancora. Altre lance aguzze caddero sulle sue membra, sia sulle scaglie che sulla carne, mettendola definitivamente a tacere. Dopo una manciata di secondi, l’essere si dissolse come cenere. Questa volta, l’odore era più nauseante.
 
Sentii lo stomaco contorcersi, sia dalla puzza che dal disagio. L’idea di aver appena ucciso con le mie mani un essere vivente non mi rendeva orgoglioso, ma se l’era meritato, insieme all’altra bestiaccia alle mie spalle. Mentre quello scompariva totalmente, mi voltai in direzione di Aki: fissava il punto in cui quel demonio giaceva, molto probabilmente disturbata anche lei dalla scena. Almeno era buio, e i dettagli non erano distinguibili… l’unica luce che rischiarava l’ambiente ad intermittenza era quella delle fiamme calde di Jack.
 
Alle mie spalle feci in tempo a vedere come stava andando il loro scontro: Crow aveva appena dato il colpo di grazia alla creatura, ma riconobbi bruciature anche sulle sue braccia. Purtroppo per loro, gli attacchi fisici erano fondamentali nel loro modo di combattere, quindi era inevitabile che incappassero nei rischi. Poi, anche l’ultima bestia scomparve come polvere.
 
Sospirai sollevato tra me e me. Mi riavvicinai ai miei compagni, preoccupato per i loro danni. Jack aveva un’ustione che gli copriva anche il marchio. Lo teneva stretto con la mano, ma era evidente che facesse male. Crow aveva subìto meno danni, ma comunque da non trascurare.
 
“Dannazione se brucia…” mormorò Jack, tenendo una mano pressata sulle ferite. Crow sembrava essere dello stesso parere.
 
“È meglio se toccate i cristalli, adesso. Vi guariranno, fidatevi.”
 
“Uh? E tu come lo sai?”
 
“Ve l’avevo già detto, prima sono riusciti a guarirmi. Ma state attenti a non toccarli del colore sbagliato.”
 
Jack e Crow si fissarono a vicenda.
 
“Yusei, perché per una volta non parli più normale?” mi domandò Crow, supplicando con tono sarcastico.
 
Sospirai, spazientito. Ennesima spiegazione…
 
“I colori dei cristalli sono associati ai nostri poteri. Io posso toccarne solo di azzurri, -gesticolai indicandoli- mentre Aki solo di verdi. Di conseguenza-”
 
“-Io solo di viola e Jack di rossi, capito.” Terminò rapido Crow, guardandosi intorno. Adocchiò subito il più vicino, per poi appoggiarvi la mano. Istantaneamente, il suo marchio brillò, e il viola del prisma si accese di mille sfumature luminose.
 
“Ma che… figata! Funziona!” esclamò Crow, raggiante. Tutte le ferite si rimarginarono perfettamente, rinvigorendolo anche delle energie perse.
 
Jack, dal canto suo, lo seguì a ruota: accostatosi ad uno di quei prismi simili a rubini, non appena ne sfiorò la superficie quello si illuminò vivacemente, e come una vera fiamma cominciò ad emettere anche qualche strano fischio. Dal suo viso progressivamente più disteso si poteva dire che stesse passando anche il dolore.
 
Tuttavia, non appena posai lo sguardo sul suo braccio, mi accorsi che qualcosa non era andato per il verso giusto: il segno non si era ricomposto. Era rimasto venato dalle strisce bianche della pelle che lo spezzavano in diversi frammenti, ma non si era ricomposto come sperato.
 
“Ma cosa..?!” mormorò Jack, studiandosi il braccio.
 
“I-il tuo segno!” esclamò Crow.
 
“Non si è rigenerato…” mormorò Aki.
 
Notai che Jack strinse il pugno destro, inquieto. Senza preavviso, si voltò e lanciò una fiammata in una direzione a caso per aria, schivando la testa di Crow millimetricamente.
 
“WOAH! EHI, MI VOLEVI AMMAZZARE PER CASO?! CHE DIAVOLO T’ È PRESO?!”
 
Il fiume di offese di Crow venne palesemente ignorato da Jack, rimasto incantato ad osservare le ultime lingue di fuoco estinte rapide come lampi. Ricordavo che Jack fosse in grado di richiamare molto più fuoco di quello... che fosse accaduto qualcosa di simile a quello che era capitato a me? Che avesse perso parte dei poteri?
 
“-Mi stai ascoltando o no, razza di caprone?!” strillò Crow, stavolta tirandolo giù per i capelli.
 
“E lasciami, idiota! La situazione è seria!” gli gridò Jack, tirandogli un calcio sullo stinco per liberarsi dalla sua presa. Crow si vendicò gettandoglisi al collo e facendolo schiantare a terra.
 
“Seria un accidenti, ci potevo rimettere definitivamente le penne, stupida torcia ambulante!” protestò, mentre la zuffa dimostrava di prendere una piega sempre peggiore. ‘No, non cominciate a litigare, vi prego… sennò sono io quello costretto a farvi smettere…”
 
Come un foglio di carta, mi intromisi nel loro faccia a faccia –letteralmente- e li distanziai con un’ampia apertura di braccia.
 
“Volete piantarla o no voi due?”
 
“Ma Yusei, hai visto che ha fatto?!”
 
“Sì, l‘ho visto, ma conosci Jack, sai che non ti avrebbe mai fatto del male. Vero, Jack?”
 
“Ovvio! Volevo solo vedere se funzionavano ancora i miei poteri!” si scusò, ma Crow lo interruppe di nuovo.
 
Certo! E perché non testarli sui capelli di Crow? Tanto distano chilometri dalla sua testa!”
 
Jack stava per replicare ancora, quando udimmo un grugnito di risata soffocata alle nostre spalle.
 
Ci voltammo tutti e tre contemporaneamente: Aki rideva di gusto, com’era prevedibile che accadesse. Si teneva la bocca educatamente coperta, ma era innegabile che lo spettacolo che stavano –o peggio, stavamo- dando era molto poco dignitoso. Quando si accorse che la stavamo fissando tutti e tre, si zittì all’istante, cercando di capire se fosse lei ad avere qualcosa che non andasse o se fosse tutto il contrario. Ad ogni modo, sarei voluto sprofondare.
 
Scenata più infantile non potevamo realizzarla. Davanti a lei, praticamente un’estranea per Jack e Crow, e... Fantastico. Che figura splendida.
 
Stritolai le loro spalle con le mani a mo’ di ‘ringraziamento’, mettendoci appositamente una dose eccessiva di forza. Ignorai le loro lamentele rialzandomi in fretta. Incrociai le braccia ed abbassando lo sguardo. Mi sentivo caldo in faccia dalla vergogna. Ma… perché mi sentivo in colpa se non ero io il responsabile delle loro azioni?!
 
“Scusali. A volte capita che litighino…così.” mi scusai, a voce loro. Di nuovo, non sapevo cosa mi spingesse a farlo. Forse era la consapevolezza di essere il più maturo del trio, o l’istinto di dovermi salvare la faccia distanziandomi dai loro stupidi modi di fare.
 
“Non scusarti… al contrario, sono tentata di ringraziarvi: era tanto che non ridevo così, è stato davvero divertente.” commentò lei allegra, lasciandomi alquanto sorpreso. Non mi aspettavo quella risposta. Anzi, ora che ci pensavo era la prima volta che la sentivo ridere o parlare con tono tanto spensierato.
 
“Non so se rispondere ‘prego’ sia effettivamente adatto…” cercai di replicare, in mancanza di parole.
 
“È proprio quello che ci vorrebbe, invece.” ribatté, sincera. Solo allora sollevai gli occhi, accorgendomi che le sue guance erano diventate appena più rosee; teneva i capelli raccolti in parte dietro le orecchie, e nella sua espressione, ora più chiara, dietro la contentezza notai un’ombra di malinconia.
 
Eppure, aveva un sorriso tanto dolce… un piccolo gioiello.
 
“Sapete, è la prima volta che incontro qualcuno che dimostra legami d’amicizia tanto forti. Non credevo che al Satellite esistessero ancora persone come voi, con ideali di lealtà tanto saldi.”
 
“Anche se stiamo parlando del Satellite, le brave persone ci sono, se non ci si ferma alle apparenze.” commentò Crow, incrociando le braccia. Notai una vena d’acidità nella sua voce. I pregiudizi non piacevano neanche a me, ma avevo motivo di pensare che non fosse il caso di farlo pesare ad Aki.
 
“Parli quasi come se venissi da un altro posto… un posto migliore del Satellite.” mormorò Jack, con fare alquanto simile. Quasi mi arrabbiai per questa loro improvvisa freddezza. Però, riflettei su quella sua considerazione: quell’ipotesi filava, e molto bene. Ma era davvero possibile che Aki non provenisse dal Satellite?
 
Lei rimase in silenzio, osservandolo un po’ cupa. Non sembrava aver voglia di parlarne.
 
“Il posto da cui vengo non è migliore del Satellite. Sarà pur splendente di facciata, ma è molto più marcio dentro. Almeno il Satellite è veritiero nel suo squallore.” concluse Aki con tono sarcastico. Scambiò un’accesa occhiata con Jack, per nulla intimorita dalla sua dura espressione. In quell’istante, realizzai quanto fosse simile la loro tempra suscettibile. Pregai che Jack non la facesse arrabbiare…
 
“Ah sì? Tu vivevi nella città, dove c’è agio, lusso e ricchezza per chiunque. Perché hai lasciato Neo Domino? Cos’era che non avevi e che speravi di trovare al Satellite?” ribatté Jack, a questo punto chiaramente infastidito, e forse invidioso. Non in un modo cattivo, ma… era arrabbiato perché Aki aveva gettato alle ortiche la sua condizione di benessere alla faccia di chi non aveva avuto la sua stessa fortuna, per ritrovarsi in quella specie di fogna immensa che era il Satellite. E dovevo ammettere che il suo sentimento non aveva torto. Ma cosa poteva aver spinto Aki ad arrivare a tanto?
 
“Sarebbero affari miei, a dirla tutta.” tagliò corto altrettanto acida.
 
“Affari condivisi allora. Scommetto che c’entra questo, non è vero?” puntualizzò Jack, mettendo avanti il braccio coperto dal marchio rosso.
 
“E cosa te lo farebbe pensare?”
 
“Non sono uno sprovveduto, non è difficile fare due più due.”
 
“E anche se fosse? Scommetto che per voi è stato tutto più facile, tanto al Satellite anche se devasti mezza isola nessuno alza un dito! A Neo Domino basta una pittata su un palazzo, uno sfregio minimo ad un monumento pubblico che ti ritrovi appresso la polizia! Come se macchiare quel finto splendore fosse veramente un reato, come se non si rendessero conto della realtà del Satellite che loro hanno reso reale!”
 
“Spero che tu stia scherzando! Non hai visto quanta gente là fuori ha la faccia marchiata dalla Struttura?! Qui la polizia fa anche troppo! Girano per le strade come avvoltoi, convinti di stare dalla parte della giustizia, e invece inseguono pure donne e bambini se trovano la scusa! Anzi, quella non serve nemmeno! È il mondo che gira così, inutile lamentarsene!”
 
“La sai una cosa? Hai perfettamente ragione. Sono loro che fanno schifo, noi… noi siamo diversi, siamo meglio e peggio allo stesso tempo! Siamo degli emarginati marchiati da dei poteri sovrannaturali, ancora in attesa di riuscire a trovare un senso a tutto il casino che gli gira attorno, con il potere di vita e di morte su quella gentaglia e non ne approfittiamo nemmeno! Come se la nostra speranza di una vita normale si potesse realizzare, in qualche modo! Davvero sono l’unica che non ha mai voluto tutto questo? Davvero sono l’unica che spesso e volentieri ha desiderato una banale vita normale?!” l’ira che le venava la gola era decisamente malnascosta dal suo sarcasmo.
 
“Cosa ti fa credere di essere la sola? Chiunque qui tra i presenti voleva una vita normale!”
 
“Allora perché mi accusi di aver deciso di aver abbandonato Neo Domino, eh?! Tu che ne sai di com’è la città?! Non puoi saperne niente! Né di quella, né del mio passato!” gridò lei, imponendo un passo avanti. Teneva le braccia allargate e tese, i pugni chiusi, fremente di rabbia. Attorno a lei, tutti i cristalli verdi avevano cominciato a brillare più intensamente, in modo tenue. A quest’ora, i suoi poteri si sarebbero già dovuti manifestare…
 
“Senti tu, -“cominciò Jack, ma lo interruppi con un gesto della mano, ponendomi in mezzo a loro. Tenevo la frangia calata sugli occhi, cosicché nessuno dei due potesse leggervi la minima emozione.
 
“Basta così, Jack. Lascia perdere, è una discussione inutile.”
 
“Ma Yusei… come fai a non dire niente? Non ti fa arrabbiare tutto questo?”
 
“Anche se provassi rabbia la controllerei, non ti pare?” lo rimproverai.
 
Jack si ammutolì. Grugnì e voltò lo sguardo, incrociando le braccia. Faceva sempre così ogni volta che veniva preso in contropiede. Poi, mi rivolsi ad Aki.
 
“Ascoltami, Aki. Anche se tu venissi davvero da Neo Domino, per me non cambierebbe niente. Hai avuto le tue ragioni, e non intendo giudicarle. Ma ora sei qui, tutti noi siamo qui. A questo punto, tutto diventa irrilevante. L’unica cosa che possiamo fare è pensare ad uscire di qui, vivi. E ci riusciremo se ci aiuteremo a vicenda.”
 
“Yusei, io…” mormorò. Sembrò voler cominciare un nuovo discorso, ma le parole sembrarono fermarsi in gola. Proseguii al suo posto.
 
“Ti ho già detto che avrai tutto il mio aiuto se lo vorrai. Troveremo un modo per venir fuori da questa situazione sani e salvi, te lo prometto.” la rassicurai. I suoi occhi però si velarono di sconforto.
 
“E come? Questo posto sembra essere senza vie d’ingresso, né d’uscita! Anzi… è da quando siamo qui che percepisco un’aura oscura, malvagia, come se ci fosse una trappola tesa avanti a noi… non voglio che nessuno di voi si faccia male, non lo sopporterei.” confessò. Sulla percezione oscura, dovevo darle ragione. Ma-
 
Soprattutto tu.” mi sussurrò alla fine con un filo di voce. La fissai, preso alla sprovvista. Soprattutto tu? Ho capito bene? Cercai quella certezza nei suoi occhi, ma lei mi impedì di incrociarlo di nuovo. Forse l’aveva detto davvero… o me l’ero immaginato? No, decisamente l’avevo immaginato. Non poteva essere…
 
“Parli come se non fossimo capaci di badare a noi stessi.” borbottò Jack incrociando le braccia, offeso.
 
“Guarda che ha ragione in pieno.” replicai.
 
“Ma per favore! Al massimo ha ragione se parla di te! Vogliamo fare la conta delle volte che ti sei cacciato nei guai?”
 
“Contate pure, ma non vorrei che comparato al vostro elenco il mio risultasse troppo breve, vostra maestà.” dissi accennando ad un inchino col capo. Sollevare un po’ l’umore non avrebbe fatto male a nessuno.
 
“Fa’ silenzio, pinguino!”
 
Un nervo comparve di scatto sulla mia tempia. Di nuovo quel dannato soprannome… uno dei tanti, purtroppo… certo che Jack era bravo a riportare alla luce le vecchie storie. Specialmente ora che c’era Aki, la quale trovava il nomignolo particolarmente divertente.
 
“Ecco cosa! Sembrano le strisce gialle dei pinguini quelle!” rise lei, indicandomi la testa.
 
“Ma no, non è vero!” protestai, facendo l’offeso. Perché ce l’avevano sempre con i miei capelli?
 
“Scommetto che quelle strisce te le sei tinte apposta!”
 
“Invece no, le ho sempre avute così!”
 
“Impossibile!”
 
“Ti dico che sono naturali!”
 
“Sì, e io ho trent’anni!”
 
“Yusei non mente, le aveva sin da bambino, eheh…” intervenne Crow. Aki sembrava quasi non capire.
 
“Ma come?! È geneticamente impossibile questo!”
 
Ero sul punto di replicare ancora, quando venni interrotto da uno strano rumore in lontananza. Secondo dopo secondo, dei rantoli si distinsero sempre meglio. Poteva trattarsi di una sola cosa: altre bestie. Ma che diavolo, non facevamo a riprendere fiato che quei demoni tornavano come prima! All’improvviso, i marchi cominciarono a bruciare, più violentemente del solito. Mi piegai su me stesso trattenendo stretto l’avambraccio destro, come i miei compagni, ma sentivo chiaramente che qualcosa non andava.
 
Percepivo qualcosa di nitido, forte, nella galleria più distante. Anche ad occhi chiusi potevo sentirlo. Potevo percepire, Crow, Jack, Aki, tutti attorno a me…e qualcun altro. Chiunque fosse, era lì davanti a noi, appena dietro l’angolo. Ma chi?! Di chi è questa energia…?
 
Un grido si levò per l’aria. Una voce acuta… una voce di bambina. Sbiancai all’istante. Un volto ricomparve davanti ai miei occhi… un lontano ricordo riaffiorò in superficie.
 
Come spinto da forze invisibili, iniziai a correre verso la fonte di quella voce. I miei compagni gridavano il mio nome, ma non riuscivo più a sentirli. Quel grido… era orribilmente familiare. Più mi avvicinavo, più il dolore sul braccio si intensificava, ma non potevo distrarmi. La strada sembrava diventare più lunga ad ogni passo che facevo. I miei occhi erano fissi dinanzi a me: lampi abbaglianti rischiaravano la fine di quel tunnel. Che diavolo stava succedendo laggiù…?!
 
Voltai bruscamente l’angolo, frenando di colpo: una di quelle mostruose creature –molto simile ad un coccodrillo ritto su due zampe- teneva sotto gli artigli qualcosa, anzi, qualcuno.
 
Era una bambina. Una piccola bambina che lottava disperatamente per liberarsi da quella presa ferrea. Non avevo tempo da perdere, dovevo fare immediatamente qualcosa.
 
Armai entrambe le braccia, e mi slanciai contro quella creatura orribile, stando attento a tirarla su per prima cosa dal corpicino della piccola.
 
“Allontanati, subito!” le gridai, senza guardarla. Spinsi con tutte le forze quella creatura all’indietro, stando attento ad evitarne i morsi, riempiendone di ghiaccio il muso; dopo pochi istanti di sforzi, un’ulteriore spallata giunse in mio supporto: Jack mi si era affiancato spingendo la creatura in parallelo a me, e già potevo percepire le sue mani incandescenti.
 
“Sempre di testa tua, eh Yusei?!”
 
“Ehi, non c’era tempo per discutere!”
 
Il demonio spalancò ancora le fauci, ma terminata la spinta iniziale, mentre quello indietreggiava senza vincoli, due calci paralleli lo colpirono sul petto, costringendolo a schiantarsi violentemente all’indietro sulle rocce.
 
“Lascio quel coso a te, Jack, vedi di non farti male.”
 
“Giusto per aggiungerne un’altra all’elenco, eh?” sfotté.
 
“Non fare l’idiota, devo assicurarmi che quella bambina stia bene.” lo ammonii.
 
Feci dietro front per controllare le condizioni della piccola -Crow e Aki avevano fatto prima di me a raggiungerla-: poteva avere sì e no una decina d’anni, minuta e magra, sembrava tanto fragile così rannicchiata su se stessa… I suoi capelli erano di un curioso color turchese, che accostati alla sua pelle chiara la facevano sembrare quasi trasparente. E sul braccio destro… brillava sfolgorante una sagoma rossa, simile ad un artiglio ricurvo.
 
Non c’erano più dubbi su chi fosse. Era lei. Ecco la persona che stavamo cercando.
 
“Stai bene, piccola?” le chiese Aki inginocchiatasi davanti a lei, affettuosamente.
 
La bambina scrutò lei e poi noi altri, evidentemente timorosa. Chissà che prima impressione dovevamo farle… molto probabilmente, poco rassicurante: Jack stava combattendo contro quella creatura demoniaca a suon di fiammate, Crow gli stava gridando altre indicazioni –bastavano i suoi capelli fiamma a mettere in soggezione, ad ogni modo-, io avevo i vestiti che si tenevano insieme per miracolo e Aki… beh, era decisamente la più normale del gruppo. Ed anche la persona più indicata per rassicurarla, adesso.
 
La bambina ci studiò attentamente, ma poi… sembrò calmarsi. Ci osservò addirittura con sollievo. Non mi aspettavo una reazione del genere…
 
“Ragazzina, stai bene?” le ripetei, dato che non ci aveva dati risposta. Lei scosse la testa, stringendosi una spalla.
 
“Non mi sono fatta niente, tranquilli.” ci rassicurò. Era chiaro che invece era ferita. Forse era solo un livido, ma avrei preferito che non sentisse dolore, quando c’era la possibilità di rimediarvi.
 
“Ti sei fatta male, invece. Lascia che ti aiuti.” la esortai, abbassandomi alla sua altezza su un ginocchio.
 
“Posso farlo da sola.” rispose, portando davanti a sé la mano destra aperta. Dopo qualche secondo, una luce comparve nel suo piccolo palmo, bianca, sempre più intensa. I nostri marchi risposero tutti insieme, senza far male stavolta, mentre noi guardavamo meravigliati il piccolo globo di luce che era nato. Lei accostò la mano sulla spalla, e lentamente quel biancore si sparse verso tutto il suo corpo. ‘Poteri curativi?’
 
Dopo un’istante, la luce svanì, e l’ambiente sprofondò di nuovo nella penombra. L’aria si immobilizzò per alcuni istanti, finché la bambina non ruppe il silenzio.

“Sono contenta di avervi incontrato, alla fine.” mormorò, sollevata. ‘Incontrato?’ Ma cosa…?! Come faceva a sapere della nostra esistenza?
 
“Cosa intendi dire?” le domandai, nella speranza disperata di aggiungere tasselli al nostro impossibile puzzle.
 
“Mi ricordo di voi… Io sono Ruka, l’ultima Signer.”
 
 
 



*nello studio buio e incasinato della scrittrice –SI ACCETTANO PROPOSTE PER UN NUOVO NOME DELLA MINICHAT*
 
Io: ed ecco che compare anche la piccola Luna/Ruka :D pronta a soffrire, anche te? Ammetto che non ho voluto appositamente inserire il fratello Leo/Rua almeno per due motivi: primo) non è mai stato Signer, lo è diventato a fine serie a caso EwE non mi è piaciuta quella scelta, anche se simbolicamente aveva il suo valore e.e secondo) NON LO SOPPORTO XD non lo so, è uno stereotipo che non mi piace e.e

Jack: pensavo che odiassi me più di chiunque altro -.-“

Io: non ho detto che eri l’unico uVu

Jack: ah, mi sembrava -_-“

Io: comunque, dato che era previsto un battibecco in questo capitolo, ho chiesto in giro a mo’ di sondaggio quante belle offese potessi appuntare per voi x’D alla fine ne ho usate poche o niente, ma le ho tenute di scorta per la minichat >:D

Jack: tu scherzi, vero?

Io: nient’affatto uwu te sei stato difficile da offendere e_e bene o male erano tutti derivati di “torcia umana” e simili XD

Jack: ma quanta fantasia -______-“

Io: ma anche “testa di pigna, testa scoppiata, testa quadra, testa di limone”…

Crow: insomma, una testa .-.

 Io: tu zitto, che per te abbiamo il soprannome da jackpot EwE

Crow: D: non voglio saperlo D:

Jack: nono, adesso DOBBIAMO saperlo u_u

Io: esatto XD un applauso all’ “uomo nero” >:DDDD

Jack: PFFFFHAH_ *si tappa la bocca*

Crow: ma... D: non è giusto D: questo è sleale D:
io: e invece no x’D
 
Crow: dimmi che ce ne sono anche per Yusei, ho bisogno di una consolazione ç_ç
 
Yusei: perché dovresti consolarti così?
 
Io: perché è spassoso XD per Yusei abbiamo i soliti “granchio” e “pinguino”, poi “mr. ghiacciolo”, e… “polaretto” :’)
 
Jack e Crow: *rotolano*

Yusei: non ci credo…

Io: non ne ho chiesti per Aki, lei è salva uwu

Aki: almeno <.<”

Io: ma possiamo sempre improvvisare B]

Aki: risparmiatelo -.-“ piuttosto, chiudi il capitolo

Io: beh, effettivamente ho fretta… vabbé, rimandiamo uwu dunque,
DOMANDA IMPORTANTE: VOLETE CHE IL POV DEL PROSSIMO CAPITOLO SIA DI QUALCHE PERSONAGGIO OPPURE IN TERZA PERSONA?
Ho bisogno che mi rispondiate, perché ho in mente di proseguire da qui in poi in terza persona, sarà più agevole e.e ma so anche che si spezzerà un tantino l’atmosfera creatasi fin qui… perciò chiedo ç_ç
 
 


 
 
Ad ogni modo… HO AGGIORNATO TUTTI I DISEGNI! CE L’HO FATTA! NON DOVETE LINCIARMI! YEEEE! Ho aggiunto quelli dei capitolo 8, 9, 10 e questo corrente, che è più una rappresentazione del luogo dove si trovano i nostri amici fatta a computer e.e sarebbe bello se li andaste a vedere, basta scorrere indietro çwç comunque… ho pensato di mettere qui la scena dello sfondo perché non sapevo che momento esatto rappresentare, lo ammetto e.e anche l’immagine è poco accurata, ma non ho tempo per fare la pignola ‘sti giorni, la scuola mi sta crepando ç_ç ….però, niente facce funeree! I disegni ci sono tutti, anche il capitolo, quindi FESTAAA! XD
 E RECENSIONIIIIII XD






 
 

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Capitolo 13
*** Dodicesimo capitolo- Incubi ***


*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Puntata speciale: di ritorno dalla terra dei morti

 
Io: *arriva in fretta e furia facendo svolazzare scartoffie varie* MI DISPIACE DEL RITARDONE NON VOLEVO METTERCI COSI’ TANTO E STATA TUTTA COLPA DEI MIEI DISEGNI E DEL MIO BLOG E DI NUOVO DEI DISEGNI E DI TUMBLR E DELLE COMMISSIONI E DEL BLOCCO DELLO SCRITTORE E DEI DISEGNI E-
 
Crow: AKI CHAN RESPIRA
 
Io: *prende un bel respiro* MI DISPIACE *si appoggia ad un tavolo per colpa del fiatone*
 
Crow: santo cielo, ci hai fatto prendere un colpo
 
Io: pardon, ho sangue di ritardataria nelle vene. Abituatevi come ho dovuto farlo io.
 
Crow: *sospira*
 
Io: ehi, occorre tempo ai disegnatori. Anche se vorrei incenerire tutti quelli che ho pubblicato qua… presto o tardi li rimpiazzerò, ormai sono vecchi (anche perché gli url stanno dando problemi da quel che ho notato)
 
Crow: prima pensa ad aggiornare.
 
Io: …HAI RAGIONE *sbatte la testa contro la scrivania* ma ora, svelti. Torniamo agli affari. Crow, fammi il favore, leggi qua *passa foglio*
 
Crow: perché sempre io?
 
Io: perché sei il più amichevole del team.
 
Tutti: *la guardano male*
 
Crow: ….oh. D’accordo *tira su il foglio* Si ringraziano calorosamente i recensori dello scorso capitolo, come playstation, yugi00, Aliss01, iridium_senet, eli8600, Black_RoseWitch, CyberFinalAvatar e Nekoyasha96! ^___^ in più, anche i nuovi recensiori della oneshot Always at your side (i quali hanno anche aggiunto questa storia tra le preferite o seguite!) come lady_eclisse, Darkdan Hibiki Kurokawacrazyfrog95! :3
 
Io: Questo capitolo devo ammettere che è stato un vero calvario, ma un paragrafo decente su Luna/Ruka era necessario *si asciuga il sudore*
 
Intanto, il disclaimer è sempre valido. La storia/trama è mia, eccetto per i personaggi.
 
Avvertenze: capitolo molto angst (sai che novità), sfumature leggermente horror in certi punti. Cosa sarà mai, vi starete chiedendo? Oh. Tranquilli, un paio di pagine e capirete subito.
 
Riassunto capitolo precedente: dopo aver fatto un po’ a botte con dei mostri nei tunnel, i nostri eroi hanno casualmente (seh, come no) incontrato Ruka e salvata dalle grinfie di un’altra bestiaccia u.u chissà come mai sembra conoscere già i nostri eroi °^° scopriamolo, yeah! XD
 
 
 
POV: Ruka
 

Finalmente li avevo ritrovati. Finalmente ero arrivata lì, davanti a loro. Nonostante quel vagare senza fine, ero riuscita ad incontrarli tutti quanti. A dispetto della paura, dell’angoscia e del dolore che avevano tormentato il mio cammino, le parole del Drago erano state veritiere. Non mi aveva mai mentito, mai. Forse ero stata io a mancare di fiducia, ma alla fine tutto era andato bene.
 
 
Ricordo quello che mi diceva, quando lo incontravo nei miei sogni in quel giardino idilliaco. Aveva una voce dolcissima, e gli piaceva volteggiare molti metri sopra le cime lucenti degli alberi, deformando le nuvole cotonate di quel cielo trasparente. Mi raccontava la sua storia, quella degli spiriti, e quella dei miei predecessori…
 
Quella era sempre stata la sua preferita.
 
Parlava poco, perché spesso me le mostrava quelle storie, come in una pellicola. Mi mostrò il giorno in cui saldò l’alleanza con gli esseri umani, chi fosse la mia diretta antenata spirituale, e chi fosse l’Eroe che aveva permesso di sconfiggere il demone Akuma una volta per tutte.
 
Akuma… non ho mai saputo che aspetto avesse, me ne è rimasta solo un’idea lontana e sfocata. Ma sono contenta di non averne mai avuto un’immagine nitida, altrimenti avrebbe tormentato i miei sogni ogni notte, trasformandoli in incubi raccapriccianti.
 
Di lui avevo molta paura anche da piccolissima, me lo ricordo. Tuttavia, sapevo che il suo dominio fosse ormai finito, e che lui fosse rinchiuso nelle viscere della Terra, lontano dalla superficie, sepolto dove nessuno avrebbe mai potuto accedere.
 
Alla fine il Drago aveva completato la sua missione, e aveva lasciato il resto ai suoi alleati, noi umani. Ci aveva affidato la custodia dei suoi sigilli, e concesso la sua speciale protezione. Le ere passavano, ma la vita si rigenerava, e così i discendenti spirituali dei primi Signer ritornavano in nuove vite.
 
Chissà se anche questi ragazzi conoscevano il Drago come lo conoscevo io. Lui mi diceva sempre che io ero speciale, che nemmeno gli altri Signer erano sensibili come me, e che difficilmente sarei stata compresa da tutti, specialmente dalle persone normali. Per questo, in questa vita, dove non ero altro che una bambina piccola e timida, mi aveva posto accanto una persona disposta ad amarmi incondizionatamente: mio fratello. Non aveva ereditato il mio stesso dono, ma questo non importava a nessuno dei due; avevamo un legame speciale, di cui eravamo entrambi fieri e gelosi.
 
Oh Rua, quanto mi manchi.
 
Era sempre stato lui a prendersi cura di me, ben più dei nostri genitori. Anzi, ricordavo a malapena i loro volti. Persi il conto dei giorni che passavano fuori casa, ogni volta in viaggio per affari. Ma un giorno, dopo il mio tredicesimo compleanno, lo compresi: non volevano mai tornare perché avevano paura di me e, di conseguenza, anche di mio fratello. Da piccola parlavo di spiriti, di draghi, di giardini celestiali… dovevano pensare di avere una figlia completamente pazza. E chissà il suo gemello… ben presto avrebbe mostrato anche lui segni di instabilità. Ma non andò così.
 
Rua era infantile ed ingenuo, ma anche coraggioso e leale. Seppure mi ritrovavo spesso nel ruolo di sorella maggiore costretta a richiamarlo alla buona condotta, lui pareva trasformarsi in un paladino di giustizia quand’era tempo di difendermi, proprio come quelli delle favole. Finché potevo, badavo a me stessa per conto mio, ma era difficile farlo desistere dal suo nobile intento. Era il suo modo di dimostrarmi affetto. Ero affezionata a mio fratello più che a chiunque altro, e non osavo immaginare quale reazione avrei avuto se me l’avessero portato via.
 
Non avevo fatto i conti con l’eventualità di venire separata io stessa da lui.
 
Entrambi sapevamo dei miei strani poteri: capitava che ogni qual volta mi alterassi le luci delle stanze impazzissero, aumentando di intensità senza preavviso fino a esplodere, o che si spegnessero quando qualcosa mi metteva a disagio. A volte ne praticavo il controllo, ma non ero molto brava. Non mi esercitavo molto, lo padroneggiavo solo per quel poco tempo che serviva, ma non potevo prevedere quello che sarebbe accaduto dopo, neanche lontanamente.
 
 
Era già notte, ma io e mio fratello non eravamo ancora andati a dormire. Mentre ridevamo e scherzavamo in soggiorno all’improvviso la corrente saltò, lasciandoci avvolti nel buio. Pensammo che fosse una conseguenza del brutto tempo, e decidemmo di attendere pazientemente che la luce tornasse, intrattenendoci con le mie sfere luminose. Ma poi… una di queste, volteggiando attraverso la stanza, si accostò ad una finestra, e fu lì che ci rendemmo conto di non essere affatto soli.
 
Cacciai un urlo. No, non mi ero immaginata quella figura scura, lì c’era davvero qualcuno. Contemporaneamente, il segno sul mio braccio si illuminò, senza fiamma, senza dolore, sola luce. Tutti i miei sensi furono in allerta. Quell’individuo era un pericolo. Un lampo cadde sotto la pioggia, e delineò per un istante la figura di un uomo, alto, coperto da un mantello ed un cappuccio, dall’aria tutt’altro che amichevole. Udimmo il rimbombo del tuono, lontano, sommesso, e per un attimo temetti che quell’uomo l’avrebbe inteso come segnale di attacco. Invece, non si mosse.
 
Mio fratello indietreggiò lentamente senza staccare gli occhi da lui, e cautamente feci altrettanto. Non avevo il coraggio di dargli le spalle per mettermi a correre. In un primo momento fui tentata di pensare che quell’ombra, così immobile, fosse solo un’illusione. Ma potevo sentire il suo sguardo indagatore su di noi, udire il suo respiro silenzioso, e vedere le sue spalle ampie coprire quasi tutta la luce della finestra. No, era reale, più che garantito. Eppure, non aprii bocca: decisi che se avesse mosso un solo passo verso di noi con chiare intenzioni malvagie, l’avrei attaccato.
 
“Tu… chi sei?” mormorò Rua, ponendosi lentamente davanti a me.
 
L’uomo sorrise in modo sinistro, facendosi scappare una risata di scherno.
 
“Il Drago adesso sceglie bambini come seguaci, eh? Che tristezza…”
 
Sbattei le ciglia, incredula. Di certo parlava del Drago Cremisi, ma come faceva a conoscerlo? Forse aveva qualcosa a che fare con lui? No, non avevo idea di chi fosse, ma era troppo oscuro per appartenere alla luce. A meno che non fosse coinvolto anche... No, assurdo. Era davvero possibile questo?
 
Mi sembrava di avere a che fare con una bomba ad orologeria: avrei dato qualunque cosa pur di sapere a che punto fosse il conto alla rovescia di quell’uomo. Eravamo poco più che bambini… che avremmo dovuto fare?
 
“Non ti farò del male, non agitarti. A me interessa solo lei.” Dichiarò a Rua, indicandomi. Trattenni il fiato. Stavo tremando…
 
‘Me?’
 
“Cosa vuoi da Ruka?!”
 
“Fatti da parte e basta, stupido.”
 
“Cosa. Vuoi. Da lei!” gridò Rua alzando i pugni.  
 
‘Rua, che fai?! Che hai intenzione di fare?!’
 
“Te le stai cercando, moccioso.” Sentenziò l’uomo. Rua deglutì, ma non desistette, serrando i denti.
 
Un secondo di silenzio. Poi, l’uomo scattò come un fulmine, e prima che ce ne rendessimo conto ci aveva già colpiti, spingendo all’indietro Rua -e me di conseguenza- con un solo affondo di pugno. Sentii il mio corpo volare per un tempo infinito, finché il terreno non ci accolse bruscamente; il peso di mio fratello mi schiacciò totalmente i polmoni, ma poi venne sbalzato qualche metro più in là.
 
Rimasi per diversi secondi immobile, e appresi con shock che i miei polmoni si erano totalmente bloccati. Non riuscivo nemmeno a muovermi! Avevo la bocca aperta, ma non un filo d’aria riusciva ad entrarmi in gola. Pregai che quell’uomo avesse almeno la pietà di non colpirmi proprio in quell’istante, e che mi lasciasse l’opportunità di riprendermi. ‘Avanti… muoviti!
 
Dopo qualche interminabile secondo, riuscii a rotolare su un fianco, ansimando; cercai di sollevarmi in fretta, ma voltandomi verso mio fratello mi accorsi che non si era nemmeno mosso. Era accasciato sul pavimento, immobile.
 
“Rua!”
 
Senza preavviso però, una mano alle mie spalle mi afferrò per i capelli, sollevandomi da terra. Gridai dal male, cercando in tutti i modi di far mollare la presa al mio assalitore, o di tenermi ancorata alla sua mano pur di non sentire quella fitta lancinante, ma nulla sortiva effetto; i miei occhi avevano cominciato a lacrimare  ininterrottamente.
 
 “Sei così debole che potrei restare giocare con te ancora per ore. Sfortunatamente però, non ho tutto questo tempo.”
 
Le mie pupille si dilatarono: mi avrebbe uccisa,  ne ero sicura. Gridai, scalciai, ma lui non mollò affatto la presa. Non riuscivo a spaventarlo, né ad impietosirlo. Riuscii solo a pensare a mio fratello, che con tutta probabilità sarebbe presto rimasto solo. La Morte era giunta senza nemmeno degnarsi di avvisare. ‘Rua….! Rua, mi dispiace!’
 
All’improvviso, udii un colpo secco, poi vetri rotti. Lanciai un’occhiata al pavimento: c’erano pezzi di bicchiere ovunque. Sentivo un respiro affannoso alle mie spalle: Rua!
 
“Lasciala…” cominciò lui, ma ansimava troppo forte per continuare. Udii un leggerissimo sibilo. Doveva aver preso qualcos’altro dal tavolo.
 
“Ma dai, non avrai intenzione di centrare tua sorella, spero!” lo schernì l’uomo, spostando il mio corpo davanti a sé, stringendomi contro il suo torace.
 
Vidi Rua: tra le mani, stringeva un coltello.
 
Scalciavo e graffiavo il braccio sulla mia trachea, ma era troppo forte per me. Se Rua avesse tirato l’arma in quel momento, mi avrebbe colpita.
 
A meno che non mi muovessi io. Con uno scatto, aprii i palmi delle mani di fronte al viso del mio assalitore, un solo colpo di luce bianca e accecante. Sentii la mia gola venir lasciata, e le mie gambe scivolare sul pavimento sottostante.
 
Non aspettai la sua reazione. Feci forse lo scatto più veloce della mia vita. Presi Rua per mano senza fermarmi, e puntai alla stanza più sicura della casa. Correvo, ma non abbastanza in fretta. Mi sembrava di muovere le gambe in mezzo ad acqua alta. Perché non riuscivo ad essere più veloce?!
 
“Non penserete di scappare sul serio, vero?”
 
Un bagliore smeraldo irradiò la stanza. Tutte le pareti rimasero impregnate di quell’essenza, come incantate. Un brivido gelato mi attraversò dalla testa ai piedi: quell’essenza era familiare... Il mio marchio sfolgorò, un antico rancore lo legava a quella luce. Rua affondò le mani sulla maniglia, ma la sostanza non gli fece nulla. Semplicemente, la porta sembrava cementificata. Ed era l’unica via d’uscita che potesse salvarci. Provò a riaprirla con più forza, ma niente da fare. Eravamo con le spalle al muro. Anzi, alle nostre spalle c’era…
 
“Non muoverti da lì, moscerino.”
 
Ci voltammo entrambi, bianchi come lenzuoli: gli occhi di quell’uomo sfolgoravano di luce propria, paradossalmente più cupi di tutto il buio che ci circondava. Sollevò una mano, poi tirò violentemente il dorso alla sua destra. Per un attimo credetti non sarebbe accaduto nulla, era ancora troppo distante per toccarci. Ma uno spostamento d’aria mi comunicò il contrario. Quando mi voltai, era già troppo tardi: Rua era stato magicamente scaraventato contro il muro, con così tanta forza da sfondarlo. Tra le crepe, udii dei deboli lamenti, ma lui non riusciva a muoversi di un centimetro.
 
“RUA!”
 
Corsi da lui, ma una mano mi strattonò per la spalla. Fu abbastanza forte da farmi voltare completamente nella sua direzione, poi mi prese per il collo: mi sollevò da terra come fossi una piuma. La sua mano era forte, e mi stringeva la gola sempre di più. Mi sentii soffocare. Avevo caldo in faccia. Non riuscivo a pensare a niente. Mi aveva paralizzata. Ero troppo debole. Senza speranza. Adesso mi ammazzava. Adesso mi ammazzava. E ammazzava anche Rua. Ed era tutta colpa mia.
 
“Il Drago non vi salverà stavolta, Signer.”
 
La sua voce era profonda, solenne. Aveva la situazione in pieno controllo, e lo ostentava senza troppi problemi. In fin dei conti, era così. Non potevo ribattergli nulla. Le sue dita attorno alla carotide me lo avrebbero comunque impedito.
 
“Il tempo dell’attesa è finito. Porta i miei saluti agli altri Signers.” sussurrò, divertito.
 
Ero certa che sentisse perfettamente il mio battito cardiaco. E chissà per quanto tempo ancora, col poco che mi era rimasto. Ormai seguivo le sue parole a malapena. Ero al limite delle forze. Non respiravo più. Stavo per morire. E Rua dopo di me. Era tutta colpa mia. Avrebbe perduto la sua vita a causa mia e non mi avrebbe mai perdonata per questo. E non potevo nemmeno dirgli scusa, o addio.
 
Poi, proprio quando mi trovai sull’orlo dell’incoscienza, l’uomo mi lasciò.
 
Ma non caddi sul pavimento. In qualche modo, lo sorpassai.
 
Sotto di me, una voragine buia. Cadevo. Cadevo. Sempre più in fretta. E il fondo non arrivava mai.
 
Poi, ombre vive mi avvolsero. Come dita secche e scheletriche, come rami fitti e taglienti, come catene dure e pesanti, mi tirarono giù, strappandomi dalla luce. E mi addormentai nelle viscere dell’oscurità.
 
 
 
 
Passò un tempo interminabile. Infine, riaprii lentamente gli occhi. Per un attimo avevo creduto che la mia mente fosse stata fatta prigioniera di quell’oblio, ma non era così. L’angoscia era ancora là, inchiodata nel cuore.  Attorno a me c’era tanta ombra, ma stavolta potevo vedere qualcosa. Sembrava… roccia. Della roccia sulla mia testa. Mi rialzai malamente, intorpidita: sentivo la gola ancora dolorante. C’era una debole luce in lontananza, e un silenzio di tomba. Forse ero sola.
 
…E se invece quell’uomo fosse ancora là, ad aspettarmi nell’ombra?
 
Mi voltai in preda ad un attacco di panico, spostando nervosamente lo sguardo alla luce di una delle mie sfere di energia, ma non intravidi nessuno, solo nuda roccia, immobile e silenziosa. Che stava succedendo? Stava arrivando qualcosa? Avrei dovuto correre?
 
Poi, in un lampo, un nome mi sfuggì dalle labbra: Rua.
 
Il mio dolce fratellino.
 
Sentii il mio viso farsi pallido, e le ginocchia farsi sempre più deboli. Fissai il pavimento, immobile.
 
Rua… dov’era Rua? Era vivo? Era morto? Perché ero finita qui? Dov’era “qui”? Quanto tempo era passato? Perché ero sola? Perché era dovuto succedere tutto questo? Perché non ero morta?!
 
Le mie gambe non mi reggevano più. Dovetti sedermi a terra. Sentivo dolore nel petto, in quello spazio tra il cuore e la gola. Avevo gli occhi caldi. Si stavano lentamente velando di lacrime. Tremavo.
 
“Rua… dove sei, Rua?” sussurrai tra me e me. Alcune lacrime caddero sulle guance. Stavo realizzando sempre più in fretta quanto elevate fossero le probabilità di non rivederlo mai più. Era rimasto senza di me. Solo. Davanti ad un uomo con capacità sovrannaturali, malvagio. E non aveva modo di difendersi. E quell’essere era abbastanza spietato da ucciderlo. In più, io non sapevo nemmeno dove ero finita. Nemmeno se ero viva o morta, a questo punto. Non avevo modo di tornare da lui, di proteggerlo. E lui era troppo debole per proteggere se stesso. Non volevo crederci. Non volevo. Era impossibile che Rua morisse prima di me, ancora così giovane. Era impossibile. Eppure era la cosa più ovvia che potesse accadere.
 
Forse stavo solo negando la chiarezza dei fatti. Forse non ero destinata ad essere felice. Forse era destino dover essere brutalmente privata anche di mio fratello. Solo perché ero nata con un dono diverso. O una maledizione.
 
Iniziai a singhiozzare. Un presentimento orribile mi divorava lo stomaco. Difficile da dire se fosse premonitore o contaminato dalla mia paura. Non volevo ammettere a me stessa quella verità tanto orribile quanto probabile. Non avevo certezze, ma quanta scelta c’era? Che quell’uomo lo avrebbe lasciato in pace di punto in bianco? Tanto generoso quanto sciocco da parte di un individuo del genere. Se era vero che era alleato del demone, allora dovevo aspettarmi mali ben peggiori. Il mio corpo era tormentato da veri e propri scossoni.
 
“Rua…” le lacrime scorrevano calde sul mio viso. Cadevano in piccole bolle per terra, una dietro l’altra, ininterrottamente. Riuscivo solo a pensare a Rua.
 
Pensai a quando cadde dal divano per imitare un eroe alla tv. A quando mi si addormentò sulla spalla guardando un film. A quando gli medicai il ginocchio per essere finito in una zuffa. A quando mi chiusi in camera per finire di leggere il mio libro in pace, ignorando i suoi pugni sulla porta. A quando lo sgridai per aver rotto un piatto. A quando gli diedi dell’ignorante. A quando gli nascosi i fumetti per vendicarmi del mio diario strappato. A quando gli dissi che forse mamma e papà non ci volevano più.  A quando mi incoraggiò. A quando mi promise che mi avrebbe difeso da ogni male. A quelle poche volte che gli dissi che gli volevo bene. A quelle innumerevoli volte che me lo disse lui.
 
Se solo non fossi stata così fredda con lui, tutto questo tempo… Avevo dato per scontato che sarebbe rimasto con me per sempre. E invece il fato era stato crudele con me. Ma perché proprio con me? Cos’avevo fatto di sbagliato?!
 
Ah, già. Il marchio.
 
Dannato, dannatissimo marchio.
 
“Rua… dove sei?” mormorai. Voltavo il viso in diverse direzioni, ma non cambiava nulla. Era tutto buio, e quelle rocce in penombra sembravano fissarmi. “Rua, dimmi che sei qui, ti prego… Non lasciarmi sola…” Mossi alcuni passi a gattoni. “Io volevo solo restare con te, volevo solo che noi fossimo felici… Non volevo tutto questo, io ti volevo troppo bene per questo. Sono stata egoista tante volte, ti sgridavo più e più volte, ma tu…” Serrai i denti. Un singhiozzo mi scosse. Secondo dopo secondo, il terrore del reale si faceva spazio nella mia mente, spacciandosi per ragione, per ovvietà. E non avevo motivo di credere che si sbagliasse.
 
“Tu mi perdonavi sempre… mi hai voluto così tanto bene! Per tutto questo tempo sei stato accanto a me, mi hai difesa, protetta, amata… Io, invece, ti ho fatto solo male… mi dispiace Rua…”. Strinsi le mani contro la terra. “MI DISPIACE!!!” gridai; nessuno mi sentì. Faceva male, tanto male. Avrei preferito morire. Sarebbe stato meglio. Molto meglio. Per la prima volta nella mia vita, avevo desiderato di morire, per davvero. E la cosa non mi sconvolgeva affatto. Lo volevo sul serio, con tutte le forze.
 
Nessun miracolo ci aveva salvati. Il Drago non era intervenuto. Anzi, era colpa sua se tutto questo era accaduto. Era tutta colpa sua. Mi aveva cresciuta tra favole e nuvole, senza avvertirmi dei veri rischi che correvo. Mi strinsi il braccio con tutta la forza che riuscii a sfoderare, ma nessuna voce mi raggiungeva dal marchio. Era muto come non lo era mai stato prima. Ecco, mi aveva abbandonata nel momento del bisogno. Mi sentivo più vuota che mai. E faceva male. Troppo male.
 
Mi adagiai su un fianco, continuando a piangere. A gridare. A graffiarmi braccia e guance. Volevo restare lì in eterno. Magari sarei morta presto di stenti, e a quel punto tutto sarebbe finito, e io sarei tornata da Rua.
 
Un debole vento mi carezzò la testa. Forse qualcosa lì c’era. Eppure, non mi spostai: qualunque cosa fosse stata, se mi avesse uccisa, tanto meglio. Senza Rua non avevo più ragioni per vivere, ormai. Una strana polverina si attaccò alle mie guance bagnate; il vento incrementò di forza e respiro. Mi sembrò che mi scivolasse sotto le spalle, come una grande mano intenta a sollevarmi. La lasciai fare, qualunque fosse stato il suo proposito. Non aprii nemmeno gli occhi. L’istinto di sopravvivenza era stato soffocato dal dolore. Poi, mi accorsi che il terreno stava cambiando. Ora era più liscio e freddo, come una lastra di marmo. Il buio però era ancora là.
 
Faceva molto freddo. Tremavo, ma era per colpa delle lacrime e del dolore. Che cosa aspettava questo incubo a finire?! Cos’altro c’era che poteva solo scalfirmi?! No ero stata già disintegrata abbastanza?!
 
“Ruka…”
 
Per un attimo smisi di respirare. Dovevo tacere. Dovevo ascoltare. Era vera quella voce?
 
“Ruka…”
 
Fremetti. Sembrava impossibile. Era una voce. Non l’avevo immaginata. Ed era la sua.
 
Calmai i singhiozzi. La speranza parve rinata. Mi sollevai da terra. Presi a correre.
 
“Rua…?! RUA!” gridai affannata, sperando mi sentisse. Quella era la sua voce! La riconoscevo! Era qui, da qualche parte, mi stava chiamando! Non ero ancora riuscita a capire da dove però… forse era vicino!
 
“Ruka. Guardami.”
 
Il suo tono era diventato improvvisamente serio. Molto serio. Adesso avevo capito da dove veniva. Portai in basso lo sguardo. Morire una seconda volta sarebbe stato meno doloroso.
 
Per terra, nel riflesso luminoso del marmo, non c’ero più io. C’era Rua. Pallido. Scheletrico. Scarnificato. Riconoscibile forse soltanto dai capelli disordinati. Repellente allo sguardo.
 
“Hai visto? Hai visto che mi hai fatto?” sussurrò, sollevando le braccia massacrate.
 
Volevo urlare, ma produssi solo dei deboli rantoli indistinti. Più lo guardavo, più quell’immagine si perpetuava nel mio cervello migliaia di volte, rafforzandosi, mutando in visioni ancora peggiori. Stavo per vomitare dal ribrezzo. Sembrava troppo reale per essere un’illusione. “Rua..!”
 
“Lo sapevo che sarei dovuto andare via con mamma e papà. Tu non mi hai portato altro che guai.”
 
Su questo però aveva ragione. “Mi dispiace, Rua! Io… volevo proteggerti! Quell’uomo era troppo forte per me! Non sapevo cosa-“
 
“IO SONO MORTO, RUKA!” Urlò, ma stavolta la voce non era filtrata dal riflesso. Era ancora più vicina, più reale. Alzai gli occhi: era a una manciata di metri di fronte a me. Potevo vedere ogni centimetro della sua pelle, una volta giovane, ora maciullata, coperta da lividi e sangue. Non ce la feci più. Voltai la testa e  vuotai lo stomaco.
 
“Mi hai ignorato e trattato male per tutti questi anni. Io mi ostinavo a darti attenzioni, ma cercarle da te si è rivelato inutile.”
 
Le convulsioni si susseguivano, ero diventata praticamente sorda.
 
“Mi hai sempre odiato, ammettilo. Tu volevi bene solo a te stessa. Eri egoista. Volevi qualcuno che ti accettasse nonostante i tuoi poteri, ma non eri disposta a fare altrettanto, nemmeno per tuo fratello.”
 
Iniziavo a riprendermi, ma mi sentivo stordita. Forse aveva detto qualcosa, ma ero troppo intontita per distinguerlo.
 
“Volevi proteggere solo te stessa. Tuo fratello poteva anche crepare per quanto ti riguardava.  Tanto eri tu la priorità. Spero tu sia soddisfatta ora!” esclamò, allargando le braccia. Il terreno si macchiò di sangue. No, a guardarlo meglio, di sangue ce n’era troppo attorno…
 
“Rua, io ti volevo bene!  E ti voglio ancora bene! Tu mi conosci! Sai che era vero e che-“
 
“NON MENTIRE. Non. Mentire! Non sono stupido come credi.”
 
Mi mancavano le forze per ribattere. Ero sfinita.  Volevo che quel tormento finisse il più in fretta possibile.
 
“E allora cosa vuoi?” gli sussurrai con un filo di voce.
 
Le ombre attorno a noi sembrarono muoversi. Come se fino a quel momento fossero stati serpenti perfettamente mimetizzati. Il sangue per terra si espandeva sempre di più. Come se colasse verso di me.
 
“Te lo dirò cosa voglio. Mi riprenderò tutto il bene che ti ho fatto. Ti pentirai amaramente di avermi trattato così.”
 
I serpenti strisciarono verso di me. Ora mi pareva di sentire i loro sibili.
 
“Rua… io non volevo che ti accadesse alcun male… Sei la persona a cui voglio più bene al mondo, come puoi averlo dimenticato?!”
 
“Sporca bugiarda. Posso vedere quello che hai in cuore, adesso. E stai mentendo.”
 
No, non stavo mentendo. Era forse l’unica certezza che si era timidamente fatta strada nel mio stordimento, ma a quel punto cominciavo a chiedermi se non stessi mentendo perfino a me stessa, pur di non accettare le sue parole.
 
“Mi fai schifo. Addio, sorellina.”
 
I serpenti mi assalirono senza preavviso. Mi sentii soffocare tra le loro spire. Non erano materiali, eppure sentivo le mie gambe sprofondare, la cassa toracica comprimersi, le orecchie fischiare. Ora sentivo delle voci. Sussurri, grida lontane, alcune più vicine. Alcune nitide, altre confuse.
 
“Il tempo scorre, non aspetta, non si ferma!”
 
“Svelti! I demoni stanno arrivando!”
 
“Mamma, papà! Siete tornati!”
 
“Non c’è altra strada, se non la morte!”
 
“Dove sono tutti?”
 
“I Draghi risorgeranno, e il Demone cadrà!”
 
“Non posso lasciarvi soli!”
 
“Sorellina!”
 
Ormai era troppo tardi per salvarmi. Avrei accolto il sonno eterno con pochi rimpianti.
 
Ma quando stavo per abbandonarmi alla morte, qualcos’altro accadde.
 
All’improvviso mi tornò respiro in corpo. Sparì ogni dolore. La pressione sul mio corpo scomparve, lasciandomi libera, come in aria. Fu come se un colpo di vento fresco mi avesse attraversata da capo a piedi in una frazione di secondo. Spalancai gli occhi, ma dovetti subito richiuderli: la luce era accecante. Del buio di prima non c’era più traccia. Nessun sibilo, nessun grido. Silenzio, pace. Tutto dissolto. Senza alcuna spiegazione. E paradossalmente, non riuscivo ad accettarlo, non così su due piedi.
 
Ero confusa. Non dovevo morire tra atroci sofferenze? Oppure, ero morta e per qualche grazia non ero finita all’Inferno?
 
Dovevo essere stesa su un terreno. Una sensazione familiare mi solleticava il braccio: era il marchio. Brillava ancora. Sarebbe rimasto legato a me anche da morta?
 
Mossi le dita: erba soffice. Ero stesa su un prato. Attorno a me, alberi eterei, chiari come pastelli, e farfalle che, come petali di fiori, volavano leggiadre nella nebbia. No, questo non era alcun regno ultraterreno. Era un posto che conoscevo bene. Mi rialzai rapidamente, per nulla intorpidita.
 
Non mi sbagliavo, questo era il mondo degli spiriti. Ma perché?! Che diamine stava succedendo?!
 
“Ruka.”
 
Questa voce…
 
“Drago, dove sei? Non riesco a vederti! Che sta succedendo?!”
 
“Ascoltami, Ruka. Gli anni della veglia sono finiti. La Vita è in pericolo. Akuma minaccia di risvegliarsi presto.”
 
Non ci stavo capendo più niente. Cosa c’entrava Akuma?! Io volevo solo sapere di Rua, di quello che avevo visto, come mai all’improvviso era in pericolo la Vita intera?!
 
 “Che significa, Drago?! Ti prego, spiegati meglio!”
 
“Stanotte ti sei imbattuta in un uomo, ma la sua natura non era più umana. Probabilmente, tramite lui, Akuma ha trovato un modo per spezzare le sue catene.”
 
“Akuma?! Ma Akuma non… aspetta, cos’ha fatto a Rua?! È vivo? Sta bene?!”
 
“Tranquilla, piccola mia. Tuo fratello sta bene. È qui con me, è vivo.”
 
Sospirai. Un’ondata di calore mi scosse. Grazie al cielo mi ero sbagliata. Rua era vivo. Stava bene. Non gli era accaduto nulla di male. E questo non era un sogno.
 
“Drago, dov’è Rua? Posso vederlo adesso?”
 
“È qui con me, ma c’è troppa nebbia affinché tu possa vederlo. Fidati di me. Resterà qui finché tutto non sarà finito.”
 
Per qualche motivo, avvertii una stretta dolorosa al cuore. Tra me e me cominciò a farsi strada il pensiero che forse il drago stesse mentendo. Forse Rua era morto davvero e non me lo voleva dire.
 
“Drago, perché non posso vederlo?”
 
Il drago si attorcigliò più volte in alto tra le nuvole. “Ricorda che Rua non è un Signer. Se si trova qui, è solo per un eccezione straordinaria. Non deve svegliarsi, per adesso. Questo posto non appartiene a nessuno che non possieda il mio sigillo.”
 
Cominciavo a capire. Forse stava dicendo la verità.
 
“Promettimi che tornerà da me sano e salvo. Se non lo fai, io…” le parole mi morirono in gola. C’era una qualsiasi minaccia che potevo rivolgergli?
 
“Te lo prometto solennemente, Ruka. Tuo fratello vivrà e tornerà da te come prima. Ma c’è una cosa che dobbiamo fare tutti insieme, ora.”
 
“Tutti insieme?”

“Sì. E riguarda Akuma.”
 
“Ma perché Akuma? Non lo avevi sigillato millenni fa?”
 
“Così era andata. Ma qualcuno che ha fatto uso di pratiche oscure dev’essere riuscito a trovarlo, e a stringere un patto con lui. Non pensavo che qualcuno avrebbe mai accettato di arrivare a tanto…”
 
“È terribile…”
 
“Quest’uomo sta cercando i sigilli e i loro possessori, te compresa, per suo conto. Speravo di non dovervi costringere ad intervenire, ma non c’è scelta.”
 
Questo spiegava quello che era successo in casa. E qualcosa mi diceva che sarebbe stato solo l’inizio.
 
“Ma non temere, piccola mia: non resterai sola, neanche per un istante. Gli altri Signer stanno per essere riuniti: hanno solo bisogno di te.”
 
“Gli altri? E come? Dove? Quando?”
 
“Nello stesso luogo in cui si trova adesso il tuo corpo. Sentirai cosa dovrai fare al momento giusto, ricorda che sei protetta dal marchio.”
 
La voce del drago si fece più lieve. Le nubi più grigie, il terreno più nero.
 
“Drago! No, aspetta! Devo sapere di più!”
 
 “Tra poco tornerai nella tana del Demone: trova i Signer prima di ogni altra cosa. Saprai cosa fare quando li incontrerai.”
 
“E come?!”
 
“Lo sentirai, mia cara. Quel marchio è un privilegio speciale: non avete nulla da temere.”
 
“Drago!”
 
Il Drago ululò al cielo. La luce delle nuvole si dissolse, ed io piombai in un sonno profondo. Dopo interminabili ore, quando ripresi coscienza, ero di nuovo sul terreno roccioso e buio in cui mi ero imbattuta in precedenza. Stavolta però avevo le idee più chiare. Rua stava bene. Era insieme al Drago. E mi aveva detto di trovare gli altri Signers.
 
Dovevano essere anche loro qui… me lo sentivo. Forse il drago intendeva questo; fidati del tuo istinto, Ruka. È guidato dal marchio. Così, mi rialzai rapidamente ed iniziai a percorrere la strada appena illuminata che avevo davanti. C’era della luce in fondo al tunnel.
 
Dopo aver svoltato il primo angolo, scoprii qual era la fonte di luce: tanti, tantissimi cristalli scintillanti incastonati nella pietra delle pareti. Erano di tantissimi colori, sembravano fiori sbocciati. Che meraviglia.
 
Cominciai a percorrere la strada illuminata. Bivio dopo bivio, sondai tutte le strade più illuminate che mi capitavano a tiro. Paradossalmente, quei cristalli avevano un che di rassicurante. Le strade fino a quel momento sembravano deserte.
 
Poi però, mi bloccai. Avevo sentito un eco. Sembrava il verso di un animale. Dov’era? Da dove veniva?
 
Di nuovo. Ora udivo anche passi e strascichi. Immediatamente corsi nella direzione opposta.
 
Cosa poteva essere? Era grande? Pericoloso? A giudicare dal luogo, poteva esserlo decisamente. Prima che me ne rendessi conto, mi trovai in un largo incrocio, pieno di vie. Uno, due, tre, non erano importanti. Ne imboccai una a caso e la percorsi in tutta fretta. Ma dopo pochi metri, realizzai che mi ero andata a cacciare in un guaio ben peggiore.
 
Qualcosa nell’ombra si era mosso. E ci stavo andando incontro. Frenai subito, già col fiatone, ma era troppo tardi: quella bestia mi aveva vista.
 
Era immensa ed orribile. Deforme, nera, squamosa e zannuta. Le si leggeva chiaro nella bava che pendeva dal suo muso che fosse affamata. Feci dietro-front in un battito di ciglia, sperando di trovare un’altra via sgombera. Avevo il fiato corto. Presto mi sarei stancata, ma come potevo difendermi da questa creatura?! Attaccare? Forse, ma non ero ancora così brava!
 
Ero vicina all’incrocio, ma la bestia mi stava alle calcagna. Non avevo scelta: lanciai una sfera luminosa contro il suo muso, sperando di accecarlo. Il marchio cominciò a brillare. Poi però mi resi conto che di occhi quel mostro non ne aveva. Rimase infastidito dalla bolla d’energia, ma quel poco sufficiente per guadagnare qualche metro di vantaggio.
 
Svoltai l’angolo a velocità supersonica. L’ultima volta che avevo provato questo senso di paura ero stata inseguita da un cane piuttosto vivace. La situazione ora era decisamente differente, ma le gambe si muovevano a rilento come quella volta. Ed era l’ultima cosa che potesse farmi sorridere adesso.
 
Mi bruciavano le gambe e i polmoni. Ero troppo stanca.
 
Le zampate contro il terreno si fecero più pesanti, più veloci. Poi, all’improvviso, mi accasciai a terra. La cosa sopra di me era pesantissima. Sentivo quegli artigli affondarmi sulle spalle, ed ero troppo debole per divincolarmi. Tiravo sfere luminose alla cieca, ma nulla andava a segno. Contemporaneamente, il segno si mise a bruciare come raramente aveva mai fatto. Strinsi i denti per sopportarlo, mentre il panico ricominciò a intorpidire i miei sensi: tentai di voltarmi, di colpirle la bestia, ma quella, ringhiando, rifuggiva tutti i colpi che le scagliavo; parve godersi per qualche istante la soddisfazione di aver acchiappato il topo prima di mangiarselo, e fui tentata di credere che avrebbe continuato ancora per un po’. Tuttavia, sapevo che presto mi avrebbe fatto del male.
 
All’improvviso, udii dei passi veloci. No, non erano di bestie, quelli erano passi umani. Tesi le orecchie per appigliarmi con tutte le forze ad una nuova speranza: possibile che fosse…?
 
Non potevo vederlo arrivare, ma mi accorsi presto che le mie speranze erano state ben riposte: sentii il peso della bestia abbandonare bruscamente il mio corpo, e subito dopo udii una voce decisamente umana.
 
“Allontanati, subito!”
 
Non me lo feci ripetere due volte. Sgattaiolai all’istante fuori dal raggio d’azione del mostro, e dopo essermi distanziata a sufficienza colsi finalmente l’occasione per accertarmi dell’identità del mio soccorritore: era un ragazzo, poteva avere circa 18 anni, se non poco più. Aveva capelli sia corvini che biondi, vestiti scuri –come accidenti aveva fatto a conciarli così male?- e le braccia coperte di ghiaccio cristallino.
 
Sotto quel vetro trasparente, il suo segno rosso cremisi sfolgorava. Rimasi a bocca aperta quando mi accorsi dell’entità simboleggiata dal suo marchio: quella che vedevo era la Testa del Drago. Non mi sbagliavo: era proprio lui ad aver ereditato lo spirito dell’antico Eroe, era proprio lui il leader che stavo cercando.
 
Rimasi a guardarlo meravigliata mentre fronteggiava quel mostro: sapeva tenergli testa molto meglio di me. Non solo: affianco a lui era appena arrivato un altro ragazzo, più alto e dai capelli biondi, attorno alle cui braccia si avvolgevano continue spire di fuoco: intravedevo le Ali del Drago nonostante le fiamme. Da come si stavano parlando, potevo intuire che si conoscessero bene.
 
Non riuscivo a staccare gli occhi dalla scena che avevo davanti: non avevo mai visto da così vicino un combattimento del genere, tantomeno così perfetto e preciso, quasi come se quei movimenti fossero stati programmati. Sarei potuta rimanere lì a contemplarli per ore ed ore nonostante la brutalità dello scontro: quei ragazzi parevano nati per combattere.
 
Poi sentii una mano delicata appoggiarmisi ad una spalla. Mi voltai: una ragazza dai capelli rossi mi guardò preoccupata, chiedendomi se stessi bene e se mi fossi fatta male. Dietro di lei, un ragazzo non troppo alto con dei capelli rosso-arancioni si era avvicinato, e ci osservava, sorpreso. Dovevano avere più o meno tutti la stessa età, anno più anno meno. Guardai i loro segni: il ragazzo aveva il marchio della Coda, la ragazza quello della Zampa anteriore. Eccoli, c’erano tutti.
 
Ora che ci pensavo, possedevano davvero i caratteri di tutti i precedenti Signers. I capelli e la carnagione erano diversi, ma lo sguardo, i lineamenti del viso, la somiglianza era straordinaria persino in quella penombra. Tuttavia, non c’era l’armonia che mi sarei aspettata tra loro, al contrario: parevano ben più confusi di me. Che avrei dovuto fare, adesso? Il Drago aveva detto che l’avrei sentito, ma… perché non ancora percepivo nulla? Iniziai a sentirmi ansiosa: che dovevo fare?
 
Intanto, il ragazzo con il segno della Testa del Drago tornò indietro, lasciando terminare lo scontro al suo compagno; si avvicinò a me, e fu allora che li vidi: quegli occhi blu come il mare erano rimasti assolutamente identici. Era incredibile. Non credevo che anche per lui, un giorno, sarebbero rimasti gli stessi occhi blu. Era come trovarsi davanti a quello vero, originale. Fu come avere la conferma che quello non fosse un sogno, e che davvero i Signers si erano riuniti di nuovo dopo millenni.
 
“Ragazzina, stai bene?”
 
Anche la voce era quasi identica. Sospirai; era come se la sua vista mi avesse rassicurata, in qualche modo. Poi però mi ricordai che mi aveva fatto una domanda…
 
“Non mi sono fatta niente, tranquilli.”
 
“Ti sei fatta male, invece. Lascia che ti aiuti.” mi esortò, piegandosi su un ginocchio. Aveva un’espressione difficile da leggere, ma il suo tono era gentile. Ad ogni modo, non c’era bisogno che mi offrisse aiuto. Usai i miei poteri per riparare i danni, con sua grande sorpresa.
 
Poi, una volta che la luce dei miei poteri svanì e i nostri marchi smisero di brillare, tutto ricadde nell’ombra.
 
Era questo il momento giusto per parlare. Ora sapevo cosa dire.
 
“Sono contenta di avervi trovati.” Annuncia. Il ragazzo parve confuso.
 
“Cosa intendi dire?”
 
“Mi ricordo di voi… Io sono Ruka, l’ultima Signer.”
 
 
 
 
“Ultima… Signer?” ripeté il ragazzo, per essere sicuro di aver capito bene. Iniziai a chiedermi se davvero sapessero cosa volesse dire quel termine. Annuii per confermarglielo.
 
“Ho già sentito questa parola… l’aveva detta quel tizio, no?” chiese il ragazzo con i capelli arancioni agli altri, e il moro diede cenno positivo.
 
“È chiaro che indichi chiunque abbia marchi come i nostri.”
 
“Io non ci sto capendo più niente… ma perché doveva essere tutto così difficile?!” si lamentò l’altro, sfregandosi i capelli con entrambe le mani.
 
“Come facevi a sapere già chi fossimo?” mi domandò il ragazzo con gli occhi blu. Era chiaro che il Drago non gli avesse spiegato un gran ché, né a lui né ai suoi amici.
 
“Il Drago Cremisi mi ha parlato di voi molte volte, mi ha detto che vi avrei dovuti trovare, e che insieme avremmo dovuto-”
 
“-Aspetta un attimo, dove hai sentito quel nome?” chiese, sorpreso. Rimasi in silenzio per un istante, ma alla fine spiegai anche quel dettaglio.
 
“Si è mostrato a me diverse volte nel mondo degli Spiriti… lo conosco sin da quando ho memoria.”
 
I giovani si scambiarono uno sguardo interrogativo. Nel frattempo si era unito al gruppo anche il ragazzo biondo, a cui non occorse molto tempo per capire di aver decisamente perso qualche tassello della mappa completa. Effettivamente non li avevo mai visti nel mondo degli Spiriti, forse non ne sapevano davvero nulla…
 
“Credevo che il Drago avesse parlato anche a voi…” mormorai, timorosa. Dalle loro facce, sembravano affamati di notizie come se ne fossero stati a digiuno per secoli.
 
“No, a noi non ha detto nulla, Yusei è l’unico finora ad aver sentito la sua voce, non molto tempo fa.” spiegò la ragazza. Il ragazzo con i capelli neri annuì appena. Dunque lui si chiamava Yusei. La faccenda era piuttosto strana, anche perché il Drago di solito si manifestava ai suoi Signers. O almeno, così credevo. Nonostante spesso rimanesse enigmatico, non taceva mai del tutto.
 
Mentre riflettevo, i miei occhi colsero qualcosa di inaspettato e di pessimo auspicio: sul braccio di Yusei non c’era più il segno. Ora che nessuno di noi stava più utilizzando i suoi poteri, i marchi non brillavano, e per qualche strana ragione quello del primo Signer non era più in vista. Questa cosa non era buona, affatto…
 
“Il tuo braccio… dov’è finito il sigillo?! Che fine ha fatto?!” esclamai, allarmata. Che significava?! Come faceva ad essersi illuminato prima se ora non c’era più?! Il ragazzo abbassò lo sguardo, chiudendo i pugni.
 
“È stato un uomo con un mantello ed un cappuccio a portarselo via. Sai anche chi è lui, per caso?”
 
Un brivido gelato mi percorse la schiena: sì, stavamo parlando inequivocabilmente della stessa persona. Per un attimo la mia mente lo raffigurò lì accanto a noi, celato nell’ombra, pronto a colpire. Soppressi immediatamente una scarica di panico; deglutii.
 
“So solo che è un seguace di Akuma. Ero con mio fratello, quando ci ha aggrediti…” mormorai. Strinsi i denti. Ormai non mi restavano più scelte. “Il Drago mi ha detto che Rua mi sta aspettando! Devo tornare a tutti i costi da lui, ma non posso farlo a mani vuote!” esclamai. Sentivo il desiderio del pianto premermi nella gola. Poi, Yusei posò la sua mano su una mia spalla.
 
“Sta’ tranquilla. In questo momento tutti noi vogliamo tornare a casa. Ti aiuterò a tornare da tuo fratello, te lo prometto.” disse, sorridendomi. Gli altri due ragazzi annuirono, concordi. La ragazza, invece, sorrise dolcemente, ma ebbi come l’impressione che qualcosa la turbasse. Quell’impressione mi fece tornare in mente le parole del Drago: dovevo metterli assolutamente al corrente di quello che mi aveva rivelato, era troppo importante.
 
“Ti ringrazio, Yusei… però c’è una cosa che dobbiamo fare assolutamente: tutti questi eventi non sono accaduti per caso. C’è un demone sepolto, Akuma, che vuole uscire dalla sua prigione! Il Drago Cremisi lo sigillò tanto tempo fa perché era malvagio e disseminava morte ovunque andasse; ma se ha trovato qualcuno fuori dalla sua prigione disposto ad aiutarlo, allora siamo nei guai! Per quanto ne sappiamo, toglierti il segno poteva servire proprio a questo! Dobbiamo impedire che ciò avvenga, a tutti i costi!” li supplicai.
 
Yusei si irrigidì. Aggrottò se sopracciglia per un istante, poi si rimise in piedi. Fu allora che tutto parve avere un senso. Il vero problema restava il vicolo cieco in cui eravamo finiti.
 
“Dobbiamo uscire di qui a tutti i costi. Dobbiamo sapere che diamine sta succedendo, altrimenti non potremo nemmeno pensare ad una soluzione. Crow, prova a controllare le altre strade in fondo a-” tentò di dire, ma un boato in lontananza gli impedì di terminare la frase. Ci voltammo tutti verso la fonte del rumore: quei tonfi sordi potevano essere soltanto altri passi pesanti di bestie, quasi sicuramente non da sole. Se non avessimo pensato a qualcosa in fretta saremmo diventati facili prede.
 
Ebbi un’illuminazione. Si trattava di una strana idea, ma qualcosa mi dava la certezza che fosse quella giusta, in quel momento.
 
“Svelti, Datevi tutti la mano!”
 
“Eh?! Cosa?!”
 
“Fatelo e basta!”
 
Gridai, prendendo le mani a Yusei e al rosso accanto a me. Tutti si ritrovarono spiazzati dalla strana richiesta, ma alla fine si diedero la mano uno dopo l’altro, formando un cerchio di dita intrecciate.
 
Poi, i marchi reagirono tutti insieme.
 
Fu il caos.
 
Nessuno di noi vide più nulla; i rumori esterni scomparvero, rimpiazzati da un silenzio ovattato. Nessuno di noi seppe più se stesse ancora stringendo la mano del suo compagno, o persino se fosse ancora in piedi. Il braccio però bruciava. Non avevamo idea di come facessimo ancora a sentirlo. Ma faceva un male terribile, ben peggiore di ogni altra volta. Non smetteva. Forse avrebbe continuato per ore. E invece, ad un certo punto cessò. Ci ritrovammo al buio.
 
Nessuno di noi aveva idea di quello che ci aspettava. E, certamente, una parte di noi non avrebbe mai voluto scoprirlo.
 
 
 
*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 

Puntata speciale: dannate cliffangers
 

io: bene gente! Ce l’abbiamo fatta! Che dite, vi sorprenderò tutti quanti col prossimo capitolo magari? °^°
 
Ruka: çwç Aki_chan, tu sei cattiva çwç *ancora sotto shock per il pezzo su di lei*
 
io: ehi, non guardare me, prenditela col Drago Cremisi se ti ha invischiata in questa storia, per cominciare uwu
 
Ruka: m-ma… çWç *fugge via piangendo*
 
Crow: povera Ruka <___< non credevo saresti stata tanto crudele persino con lei e____e
 
io: *lo guarda con estrema sufficienza* pfff sapete già tutto, smetto di ripetermi
 
Jack: -___-“ non oso immaginare cosa tu abbia pianificato per il resto della storia, con questo finale l’unica cosa che si capisce è che sarà tutto fuorché piacevole
 
io: gheheheh secondo voi che succederà? >:3
 
tutti: …moriremo
 
io: uff ve l’ho detto che non vi ammazzo! *sempre che non cambi idea all’ultimo momento*
 
Tutti: …moriremo lo stesso
 
io: eddai, un po’ di fantasia! Usate la vostra materia grigia!
 
Crow: …finiamo nel mondo degli Spiriti? *faichesiacosìfaichesiacosì*
 
Io: ecco, bravo Crow! questa è un’ipotesi :D … benché errata u_u
 
Crow: ah
 
Aki: non dirmi che alla fine ci attaccano mostri peggiori di prima >______>”
 
Io: forse qualcosa del genere :D ma non è una risposta esauriente, ancora
 
Tutti: *una nuvoletta blu li sorvola*
 
Jack: …altre illusioni a caso?
 
Io: uhm, sì e nah eVe badate che avete detto tutti delle mezze verità, ma siete ancora un tantino fuori strada
 
Yusei: …vediamo il Drago Cremisi?
 
Io: ohw Yusei, sei il migliore come sempre <3 *in realtà era scontato* ok, non è una risposta totale manco questa, tuttavia era vicina *A*
 
Crow: ma se avevo detto praticamente la stessa cosa! Il Drago Cremisi sta nel mondo degli spiriti, no?!
 
Io: ho ancora motivo di smentirti XD non andrete lì u__u
 
Tutti: *iniziano seriamente a preoccuparsi* ….Aki_chan, cosa diavolo hai in mente di fare?
 
Io: *ha una strana luce negli occhi, pare posseduta*
 
Tutti: *zitti zitti corrono a riprendersi Ruka per fare le valigie e mai più tornare*
 
Io: poveri illusi~
 
 
 
(nuovo disegno :D)

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Capitolo 13
*** Tredicesimo capitolo- Memorie ***


*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Puntata speciale: ready to suffer again, bitches??

 
Io: *si guarda nervosamente i piedi* credo si stiano abituando ai ritardi, neh
 
Yusei: ormai credo proprio di sì
 
Io: *deep sigh* speriamo di finire la fanfic prima di finire sottoterra. Sarebbe molto triste inventarmi il finale nel mio testamento.
 
Aki: vantaggio per noi però.
 
Io: …vedi di non provocarmi, non mi ci vuole niente ad alzare il livello di sofferenza di questa storia. O abbassare la vostra soglia di sopportazione del dolore, that’s it.
 
Aki: …e poi pretendi che dobbiamo essere amichevoli con te
 
Io: eccerto v.v ah, comunque, a proposito del capitolo… Dovrebbe essere più doloroso avvincente questa volta. Spero di non lasciarvi delusi.
 
Yusei: …qualcosa mi dice che dovrei avere paura di un’affermazione del genere da parte tua
 
Io: in effetti, l’istinto di solito non sbaglia c:
 
tutti: *deglutiscono*
 
io: bene! Come sempre, ringraziamo gli ultimi recensori e i fedeli, come Darkdan Hibiki Kurokawa, lady_eclisse, crazyfrog95, Aliss01, Black_RoseWitch, Filippo Argenti, CyberFinalAvatar, iridium_senet, SuorMaddy2012 e il neo recensore Danmel_Faust_Machieri! :3 Vi voglio bene ragazzi, tanto <3 e anche ai lettori che ricordano/favoriscono/preferiscono la storia, o che semplicemente se ne stanno silenziosi dietro allo schermo eh u.u tanto llllove <3
 
Yusei: a loro di certo
 
Io: insinui che io non vi voglia beeeene? :o
 
Tutti: *la guardano storto*
 
Io: Okay, okay. Alzo le mani. Allora, riguardo la storia: eravamo rimasti a Ruka che ha trovato i nostri amici e che ha suggerito caldamente a tutti di darsi la mano prima di essere trovati dai consueti mostri, ma appena si sono congiunti i marchi BOOM è successo qualcosa di mistico e di sconosciuto di cui non si è capita una mazza! Andiamo a scoprire che cosa significa, yeah! uwu *si eclissa*
 
 
 
 
 
POV: Yusei
 
Il tunnel di cristalli scomparve. La tenebra ci sommerse in un baleno. Non sentivo più nulla. Tutto fu assolutamente inerte: nessuna luce, nessuna voce, nessun dolore, niente di niente. Come se dormissi. Tutto era immobile. Tanto immobile che ebbi timore che sarei rimasto lì, così, in eterno. Avrei davvero vagato in quella dimensione all’infinito?
 
Mano a mano, però, qualcosa cominciò a cambiare. Sentii tirare dolcemente il mio corpo, come se tanti fili sottili si fossero avvolti attorno ai mei arti, e lentamente mi guidassero da qualche parte, come una barca trascinata nel mare calmo; sempre più numerosi, sempre più insistenti. Sembravano non finire mai. Era quasi piacevole.
 
Poi avvertii uno strattone. Il buio svanì in un lampo. Mi sentii precipitare. Trascinato in un abisso senza fondo. Poi mi schiantai a terra, in un corpo improvvisamente angusto, pesante, affaticato, riverso contro il suolo. Era una sensazione familiare. Era già successo. Ma stavolta sentivo fruscii di vento accarezzarmi le spalle spoglie. Tossii. Cercai di aprire gli occhi annebbiati: nessuna traccia del buio della grotta, al contrario, c’era una luce accecante e molta polvere nell’aria.
 
Per un attimo misi a fuoco mani e braccia: qualcosa non quadrava. La mia pelle sembrava molto più scura del normale. Avevo indosso dei bracciali d’oro poco familiari. Ero coperto da terriccio e alcune strisce di pittura azzurra, e le mie mani erano sporche di una sostanza rosso-scura che mi inumidiva palmi e dita. In un angolo remoto della mia mente, per un istante pregai che non fosse quello che sembrasse. Ma cosa…? Quando mi ero messo quei bracciali? Perché la mia pelle aveva quel colore? Non ero conciato così prima! Né tantomeno ero coperto di pittura… Ma invece di studiare cos’avessi indosso, i miei occhi si spostarono sul terreno sotto di me. Secco e arido, pieno di piccole crepe. Ero su una larga pianura. L’aria era torrida e piena di polvere. L’afa soffocante. Ma soprattutto, c’era un baccano infernale. Grida, clangori di ferro, strepiti, il chiasso era insopportabile.
 
Allarmato dal cambio di ambiente tanto brusco, tentai di rialzarmi da terra, ma le braccia mi cedettero. Finii di nuovo a terra. Realizzai in quell’istante quanto il mio corpo fosse provato dalla fatica. Mi sembrava di aver corso per miglia, mi dolevano tutti i muscoli. Di una cosa però mi ero reso conto: non ero vestito affatto come prima. Il busto era spoglio, e anche le ginocchia erano scoperte. Avevo anche delle cose fra i capelli che scendevano fin sulle spalle, a tatto sembravano… piume?
 
Per qualche motivo non potei girare la testa; rimasi a fissare il terreno, come ipnotizzato. La cosa non mi piaceva per niente. Bracciali del genere li avevo visti solo nei libri di storia. Persino il colore della pelle era diverso, non poteva essere il mio. Sembrava fossi stato catapultato nel passato –e un passato molto lontano- ai tempi di una qualche civiltà antica, conciato addirittura di tutto punto a tempo record. Il che non si spiegava affatto. Non aveva il minimo senso. Tentai ancora di rialzarmi, tirando su il capo, nella speranza di capire cosa stesse provocando quella cacofonia assordante, ma una fitta nube di polvere mi impediva di vedere chiaramente cosa ci fosse attorno a me.
 
Non appena questa si diradò, impallidii: c’era un uomo riverso in una pozza di sangue davanti a me, assolutamente immobile. Il suo viso era girato nella mia direzione. Sembrava che la sua gola fosse stata violentemente recisa. Una scossa gelata mi corse lungo la spina dorsale. Realizzai in fretta quanti altri ce ne fossero attorno. La terra era disseminata di cadaveri e membra umane. C’erano fiumi di sangue ovunque; l’odore era tremendo. Chiamai a raccolta tutte le forze per non vomitare. Orde di uomini ancora in piedi si massacravano a vicenda; le loro armi erano rozze, ma con la forza bruta che impiegavano, erano efficaci. Non c’erano dubbi: ero su un campo di battaglia. Nel mezzo dello scontro. Ciò che mi sorprese di quei guerrieri però era il loro povero equipaggiamento, fatto pressoché di sole pelli, adorne di piume coloratissime, e il fatto che anche loro paressero appartenenti ad una civiltà di millenni fa –azteca, forse? - piuttosto che ad una moderna. Dove diavolo ero finito? Perché ero lì? Cosa ci facevo in mezzo a quel carnaio umano?!
 
“Yatol, spostati!”
 
Rotolai in tutta fretta su un fianco, schivando per poco un colpo di spada piovuto dal cielo. Pochi centimetri e mi avrebbe ucciso. Un attimo, perché avevo reagito a quel nome? Di chi era?
 
“Finalmente ti ho trovato!”
 
Raccolsi al meglio le forze e mi rimisi gradualmente in piedi, sollevando da terra un lungo pugnale di pietra, forse il mio. Non avevo idea di chi fosse quell’uomo. Studiai il volto del mio aggressore: aveva pelle scura, capelli ingrigiti e una barba piuttosto folta; il suo viso era coperto da segni di pittura violacea e rossa, ed era rivestito anch’egli in pelle di animale. La sua corporatura era piuttosto robusta. Tra le mani stringeva una sorta di lancia di legno, larga come una spada nella metà superiore, piena di pietre affilate sui bordi, coperta da sangue scuro. Magari era poco ortodossa, e forse non robusta come una spada di ferro, ma sembrava essere sufficientemente letale.
 
“Rowta.” sibilai, stringendo più forte il manico del pugnale. Un momento, come facevo a sapere chi era? Come conoscevo il suo nome?!
 
“Mi sorprendi. Credevo fossi morto nella mischia iniziale.” schernì. Non v’era nulla di familiare nel suo viso. Ero certo di non aver mai visto quest’uomo in tutta la mia vita. Ma allora, perché sapevo il suo nome? Perché mi parlava così? Un attimo dopo tirò fuori la punta dell’arma conficcata nel terreno e la strinse con forza, pronto a colpire. D’istinto indietreggiai, ma lui seguì i miei passi, lanciando fendenti incrociati; sfuggii alla loro traiettoria ripetutamente, finché non ci trovammo a girarci in tondo, come cauti predatori in attesa del momento opportuno per azzannarsi a vicenda.
 
‘Ma tu chi diavolo sei?!’ replicai. O almeno, tentai. Ma le mie labbra non si mossero.
 
“Ci vuole ben altro per uccidere me.” ribattei, invece. No. Non ero io a parlare. Era la mia bocca a dire quelle frasi, ma non lo era la mia testa. Ed era la prima volta che udivo quella lingua. Tuttavia, la capivo come se l’avessi parlata per tutta una vita. Che mi stava succedendo?! Perché mi stavo comportando così?!
 
“Il tuo popolo si dovrà arrendere. Ammettilo! Siete in minoranza, non potete vincere!”
 
“Non ci interessa vincere! Noi vogliamo soltanto proteggere la terra sacra che voi avete violato! Questa terra è degli dei, non vostra!”
 
‘Ma che diavolo ho appena-?!’
 
L’uomo grugnì, infastidito. Nei suoi occhi ardeva un incommensurabile astio. Poi, con un urlo, fece piombare un colpo di spada dall’alto. Lo bloccai con la mia lama, ma le ginocchia sostenevano quel peso a malapena. Ero troppo debole per fare di meglio. Da quanto tempo era andata avanti questa battaglia?!
 
“Tutto qua, principino?” ridacchiò, sprezzante. La stazza imponente gli garantiva più resistenza e forza di me. Non ribattei nulla. Sollevò rapidamente l’arma per colpire di nuovo con più foga –apparentemente era più resistente di quanto sembrasse-, ma continuai a spostarmi dal suo raggio d’azione. Non potevo permettermi di pararla di nuovo.
 
“Che fai? Scappi?!” Continuarono a piovere colpi della sua arma, che finivano o conficcati nel terreno o deviati dal mio pugnale. Io stesso ero sorpreso da come riuscissi ad usarlo. Ma non riuscivo ad uscire da quel circolo vizioso, non mi era rimasta abbastanza forza per contrattaccare –e quel poco che riuscivo a colpire si scontrava con robuste fasce di pelle. Non potevo più continuare così, ero a corto di energie. Ad un certo punto, Rowta sorrise. Tirò un affondo di spada a ritmo anomalo. Troppo veloce. Troppo potente. Non potevo schivarlo.
 
“YATOL!”
 
Qualcuno mi spintonò brutalmente a terra; rotolai sul terreno arido, cercando di riprendere quanto più fiato possibile. Qualcuno mi aveva appena salvato la vita, gridando un nome che non era mio. Ma chi?
 
Rialzai gli occhi: contro Rowta, munito di una spessa lancia rivestita di fasciature, era comparso un giovane alto, robusto, abbastanza forte da tenergli fisicamente testa. Ma benché avesse pelle e occhi scuri, la somiglianza dei connotati era micidiale. Per poco non mi venne un infarto. Jack?!
 
“Apaec!” gridai. Un altro nome, ora pronunciato da me. Nulla di tutto questo aveva senso. Era come se stessi guardando la scena dagli occhi di qualcun altro. Ma perché questo momento? Perché adesso?
 
Uno spintone più forte da parte del giovane, e Rowta si riposizionò a debita distanza. Avevano preso a muoversi in tondo. Mi rialzai e cautamente mi affiancai al guerriero che mi aveva salvato. Eravamo ad un punto di stallo, ma stavolta due contro uno. Gli altri combattenti erano occupati in una mischia più lontana, nessun altro nemico sarebbe intervenuto, per ora.
 
“Tch. Siete tutti così ostinati. Volete capire che lo facciamo per il vostro bene?! Restare isolati qui vi condurrà all’estinzione! Potreste sopravvivere come parte di un grande e longevo regno, e invece avete preferito ignorarci e chiudervi nella vostra sordità!”
 
“Certo che non vogliamo saperne niente del vostro regno! Finora avete solo bruciato i nostri campi, assalito i nostri templi e sparso il sangue dei nostri fratelli! Tutto a causa della vostra dannata sete di conquista! Se pensate che davvero vi lasceremo passare, allora vi sbagliate di grosso! Il Drago ve la farà pagare cara!”
 
Rowta ringhiò furioso. Sollevò il braccio e scaraventò un poderoso colpo di spada contro Apaec. A nulla servì la sua rapidità: la sola forza bruta fu abbastanza efficace da disarmarlo. Rowta era riuscito a scagliare un secondo colpo, e Apaec era caduto a terra per schivarlo. Non avrebbe avuto una seconda possibilità. Non ci pensai due volte. Mi gettai a capofitto nel duello.
 
Rowta scagliò un brusco fendente contro di me. Le pietre affilate si scontrarono brutalmente, ma Apaec fu libero di spostarsi dal raggio d’azione di Rowta. Almeno era fuori pericolo.
 
“Sciocco ragazzino, pagherete tutti questo affronto… se raderemo al suolo il vostro villaggio sarà solo colpa tua e del tuo cocciuto padre!”
 
Mostrai i denti. Se avessi stretto il manico del pugnale più forte, mi avrebbero sanguinato i palmi. Il cuore pompava adrenalina all’impazzata. Ero furioso, sentivo di esserlo, per quello che aveva detto. Ma non capivo perché. Io non avevo mai conosciuto mio padre…
 
Le pietre affilate sembrarono incrinarsi. Stavo forzando troppo la mano, ma Rowta sembrava cominciare a cedere. Ormai ero allo stremo. Fu un attimo: inclinai le spade incrociate, e tirai una testata sul suo muso. Fu sufficiente a farlo vacillare; un fendente contro la sua spada, e questa gli sfuggì di mano. Era la mia occasione. Ritirai il pugnale e lo affondai in avanti con tutte le forze.
 
Intravidi i suoi occhi: erano iniettati di sangue, carichi di un astio che scottava sulla pelle. Inumano. Tirai fuori la lama con uno strattone; Rowta cadde in ginocchio a terra, grondante di sangue, ormai prossimo alla morte. Mi mancavano le energie. Barcollavo. Dovetti indietreggiare e scendere su un ginocchio, puntando il pugnale a terra. Non riuscivo a credere di aver appena ucciso qualcuno. Eppure il mio corpo si era mosso con la precisa intenzione di ferire. Di togliere la vita. Senza alcuno scrupolo. Di certo non doveva essere la prima volta. Avrei potuto fermarmi molto prima, battere in ritirata se necessario; e invece ero rimasto lì. Prigioniero del mio stesso corpo. Compiendo azioni contro il mio volere. Dicendo parole che non avevo nemmeno pensato. Probabilmente stavo partecipando ad eventi che in un certo senso non mi era concesso modificare. Magari cose già accadute…
 
Un momento. Significava forse che questo non era un’illusione come le altre? Cos’era allora?
 
Una risata sommessa. Voce cupa. Alzai gli occhi: Rowta non era ancora morto. Era seduto sulle ginocchia in un lago di sangue, con le braccia abbandonate, eppure rideva. Come se avesse la vittoria in pugno.
 
“Hai appena firmato la condanna a morte del tuo popolo, pivellino” sibilò.
 
Non avevo idea di cosa intendesse. Eppure mi corse un brivido lungo la schiena. Rowta a prima vista non sembrava tipo da improvvisazioni. Se stava lanciando tali minacce in quello stato, poteva avere davvero un asso nella manica. Ma cosa poteva fare? Eravamo lontani dal cuore dello scontro, e non c’era nessuno all’orizzonte che si fosse accorto di lui, o che fosse disposto ad aiutarlo. Non aveva vie di fuga. Ma allora, perché sorrideva così? Cosa sarebbe mai potuto accadere di così terribile?
 
Stavolta ghignò. Chiuse gli occhi, mormorando qualcosa. Quando li riaprì, non erano più neri. Le iridi erano sparite. La sclera brillava di uno smeraldo abbagliante. Un’improvvisa onda d’urto si sprigionò dal suo corpo; eravamo troppo vicini. Sia io che Apaec fummo letteralmente travolti. Atterrammo malamente diversi metri più lontani, scombussolati da quella forza sovrumana. Mentre cercavo di rialzarmi ignorando i graffi, le ombre sul terreno mi costrinsero a guardare il cielo. Nubi nere stavano coprendo la luce del sole ad una velocità impressionante. Non era normale. Per niente. Nemmeno quei fulmini, nemmeno quell’aria improvvisamente gelida. La terra aveva cominciato a tremare. Le grida dei pochi soldati rimasti in piedi cessarono. Una parte di loro fissò il cielo, terrorizzata dalle ombre che si estendevano a perdita d’occhio; l’altra, dopo un primo momento di stupore, cominciò ad esultare. Dovevano essere gli alleati di Rowta. Sapevano cosa stesse accadendo. E questo sembrava aver rinnovato le loro energie. Male, molto male…
 
Nella distesa d’acqua che costeggiava le scogliere si intravide qualcosa. Sempre più grande, sempre più scuro. Più cresceva, più le onde si intorbidivano di liquami neri. Fu quando sollevò una specie di zampa deforme che compresi che quello era un essere vivente. C’erano dozzine di occhi rivolti al mare, alcuni pieni d’euforia, altri colmi d’orrore. Il vento portava solo il rombo delle onde sconvolte. Sentivamo la terra pronta a cederci sotto i piedi da un momento all’altro. Persino la natura stava soffrendo per quell’infausto arrivo. La bestia sollevò lentamente il capo informe. I liquami che la ricoprivano cominciarono a diradarsi; scaglie opache, arti irregolari, artigli aguzzi, tre bocche sovrapposte sul largo collo e tre occhi. Completamente vuoti. Un mostro ripugnante in piena regola.
 
Che fosse… Akuma?
 
All’improvviso, mi piegai in due a terra: dolore. Improvviso. Feroce. Lancinante. Sentivo la schiena in fiamme. Una pressione micidiale opprimeva le mie spalle. Trattenni a stento un grido. Apaec si precipitò da me. Capivo a malapena cosa dicesse. Che stava succedendo? Perché questo dolore? Che cos’era? Mi aveva ferito qualcuno? Cosa lo stava causando? Ricordava quello del marchio, quando bruciava. Ma questo era forse dieci volte più intenso. Un ferro rovente pressato sulla pelle, ecco che sembrava. Un enorme marchiatore di fuoco premuto contro la carne, grande quanto la mia schiena. Mi stava facendo impazzire.
 
Mi accorsi che Apaec mi teneva per le spalle. Stava cercando di scuotermi, di non farmi svenire. La terra continuava a tremare. Sollevai gli occhi abbastanza per scrutare i dintorni.
 
Mi strinsi il busto, serrando i denti dal dolore. Anziché affievolirsi, aumentava. C’era una strana forza che si impadroniva di me. Ancestrale. Primitiva. Mi trasmetteva tutto il suo astio verso quella bestia immonda, il suo disprezzo, la sua brama di sopprimerla. Di cancellarla dalla faccia della Terra. Sovrumana. Schiacciante. Troppa per il mio debole corpo. Sarebbe stata questa ad uccidermi, altro che armi nemiche…
 
Poi, le vidi: tante piccole scintille vermiglie cominciarono a percorrere le venature del suolo; il riverbero di quell’energia cominciò a propagarsi a distanza sempre maggiore, con un’intensità sempre più elevata. Apaec fu costretto ad allontanarsi di diversi metri. Quella luce nella terra palpitava, vivida. Stava per succedere qualcosa di tremendo, ero certo che fosse così. Lo sentivo nelle vene. Pulsavano impazzite a fior di pelle. Sentivo la testa scoppiare dal dolore, avevo perso il controllo sulle mie reazioni. Ero sull’orlo di perdere anche la ragione. Strinsi i denti. Portai a fatica le mani sulle tempie. Era insopportabile. Affondavo le unghie nel cranio, ma quella tortura non cessava. Anzi, peggiorava a livelli inimmaginabili. Era ben oltre il limite di sopportazione. Era come se il dolore sulla schiena si fosse arrampicato lungo la spina dorsale fin su nel cervello, prendendone possesso, infiltrandovisi fin nelle più remote profondità senza il mio consenso. Stavo impazzendo. Non pensavo avrei mai provato nulla di così terribile. Ero in balia di una forza sovrannaturale che mi stava lentamente uccidendo senza riuscire ad oppormi. Potevo soltanto pregare fra me e me che quel tormento finisse presto.
 
“Figlio mio, io non ti lascerò mai solo.”
 
Un sussurro. Un sospiro sorprendentemente vicino, familiare. Così fuori luogo in quel tormento, così impossibilmente dolce. Incompatibile nelle circostanze. Non volevo sentirlo. Non lì, non in quel momento. Volevo stesse lontano da quest’inferno. Eppure insisteva. Mi carezzava l’anima affettuosamente, quasi avesse mani, morbide e calde come quelle di una madre.
 
Quella fu l’ultima cosa che riuscii a comprendere.
 
Lanciai un grido. Con tutte le forze che mi erano rimaste. Un turbine cominciò a sollevarsi attorno a me. Il flusso di elettricità si innalzò al cielo. Il vento prese a vorticare in una stretta spira. La tempesta scarlatta sembrò radunarsi e prender forma. Ero alla base di una colonna di luce che si proiettava verso le nuvole; un’energia cosmica mi attraversava completamente, salendo dal suolo al cielo. Come se fossi un mezzo di passaggio. La soglia fra due dimensioni parallele.  Alzai gli occhi al cielo. No, quello lassù non era il sole. C’era una luce fortissima, ma non era del sole. Il sole era abbagliante, dorato, bianco; non sanguigno. Palpitava come un cuore di carne, gonfiandosi sempre di più. Ad un certo punto si aprì, come una rosa. Infine, perse tutti i suoi petali. Cielo e terra vennero tinti di sangue per un istante.
 
Un possente ruggito riempì le mie orecchie. Risuonò fin oltre l’orizzonte. E più si disperdeva, più il dolore nella mia testa si affievoliva. Pian piano, sempre di più. Titubante, lasciai scorrere le mani tra i capelli, giù dalle tempie. I folli battiti del mio cuore si placarono. Il senso di stanchezza andò scomparendo lentamente insieme al dolore. Ogni respiro che prendevo mi infondeva nuova energia. Sentivo le forze ricrescere di secondo in secondo. Un’ondata di sollievo mi pervase. La tortura era finita. La schiena non doleva più, ma sentivo vi fosse rimasto impresso qualcosa: era la stessa sensazione del marchio quando brillava, senza far male. Solo che questo era molto più esteso. Presi un respiro profondo. Ero più che in forze. Le mie energie erano state del tutto rinnovate. Ne avevo guadagnate in maniera smisurata. Strinsi i pugni. Ora mi sentivo molto più che bene. Forte. Potente. Quel dolore era lontano ormai, un vecchio ricordo. Alzai lentamente gli occhi: le nubi nere erano diventate scarlatte. C’era un serpente immenso sospeso sopra di noi. Aveva zampe. Ed ali. No. Quello non era un semplice serpente, era un drago. Ma non aveva scaglie, né carne. Sembrava fatto completamente di fuoco.
 
Era questo il Drago di cui parlava Ruka, non avevo dubbi.
 
Spalancò le ali ossute, prive di vele: il cielo si riempì di squarci cremisi di cui vedevo a malapena le estremità. Aveva illuminato tutta la terra. Poi, lanciò un nuovo ruggito. Più acuto di quello del demone. Possente, maestoso. Il riverbero provocò nuove scosse. Fulmini si abbatterono sulle montagne. Onde altissime s’infransero sulla costa. Quella creatura era magnifica e terribile. Avvolgendo la coda sinuosa, il drago scese lentamente verso il mare. Il demone alzò la testa verso la creatura nel cielo e spalancò le zanne delle sue tre bocche. Il ringhio che saliva dalle sue gole era tremendo.
 
Arricciai un sorriso; adesso sembrava uno scontro alla pari. Mi rimisi lentamente in piedi, osservando la distesa davanti a me: la terra era devastata, sangue, cadaveri e armi spezzate erano disseminati ovunque. Si erano create diverse voragini qua e là abbastanza grandi da inghiottire decine di soldati. Uno scenario disastroso. C’era chi ancora cocciutamente brandiva le sue armi. Chi piangeva un compagno caduto, chi invocava la madre, chi pregava prostrato a terra. Chi gridava al cielo, o al mare. Una cosa era certa: un nuovo scontro, non di uomini, stava per cominciare. E nessuno poteva garantire la sopravvivenza di alcuno dei presenti. O magari di questa terra stessa.
 
“Yatol! Che sta succedendo?!”
 
Mi voltai: alle mie spalle era appena giunto un altro drappello di guerrieri. A loro si aggiunse rapidamente anche Apaec, che si era saggiamente allontanato dal punto focale dello scontro. Uno di loro spiccava particolarmente fra gli altri, a cominciare dal suo equipaggiamento. Doveva essere un uomo importante, ma anche molto forte, glielo leggevo negli occhi. Era coperto di polvere e tagli, come gli altri, ma sembrava non accorgersene.
 
“Non preoccuparti, padre. Il Drago Cremisi è venuto in nostro aiuto, non c’è più nulla da temere ormai.”
 
I suoni si ovattarono improvvisamente.
 
Padre.
 
Io avevo chiamato quell’uomo padre.
 
“Fate ritirare i soldati e fate fuggire tutti dal villaggio immediatamente. Non posso prevedere quanti altri danni saranno provocati da questa battaglia. Ora devo occuparmi di un’altra cosa.” aggiunsi, senza batter ciglio.
 
Lui tacque, imitato dagli altri. Solo ora notavo quanto quegli occhi somigliassero ai miei. Erano pieni di fierezza. Mio padre… che significava questo? Era un segno per dirmi che era ancora vivo? Oppure io ero morto e non avevo ancora capito dove mi trovavo? No, non aveva senso. Sapevo per certo che mio padre era morto diciott’anni fa, era nella centrale elettrica quando quella saltò in aria… e le battaglie non interessano di certo i morti. Molto probabilmente, se questo davvero era un ricordo, significava che lui –o chi per lui-, in quest’era, in questo momento, non era ancora morto. E se Rowta mi aveva chiamato principe, allora lui…
 
“Va bene, penseremo noi al popolo. Lasciamo il resto nelle tue mani. Apaec: seguici.”
 
Apaec mi guardò fisso. Sembrava restio ad allontanarsi, ma evidentemente comprendeva che non avrebbe potuto fare molto di fronte ad uno scontro tra divinità. Gli feci cenno di seguirli, al che rispose abbassando un po’ il capo senza dire una parola, quasi per scusarsi. Mi chiedo che tipo di amicizia ci fosse tra noi. Distacco? Semplice rispetto? Lealtà? Si congedarono tutti rapidamente, chi per recuperare i feriti, chi in corsa verso il villaggio. Osservai mio padre e Apaec allontanarsi per qualche istante, poi rivolsi l’attenzione alla fonte di luce smeraldo in mezzo alla pianura. Rowta si era rimesso in piedi, apparentemente in forze come me. I suoi occhi emettevano ancora quel bagliore terribile, e il suo corpo emanava la stessa luce verdastra. Non sembrava avere dominio su se stesso. Con tutta probabilità, si era lasciato possedere da quel demonio volontariamente.
 
“Rowta!” gridai, “Akuma non potrà mai sconfiggere il Drago! Arrendetevi e lasciate questo luogo per sempre!”
 
Rispose mostrandomi i denti. Abbassò il busto, poi scomparve. Allarmato, mi voltai in tutte le direzioni. Dov’era?! Dov’era finito?!
 
Un colpo secco alle spalle. Forse una gomitata, dritta tra le scapole. Caddi a terra, ma prima di toccare il suolo, un altro colpo –forse un calcio- mi prese sulle costole. Finii a terra rotolando su me stesso molti metri più in là. Dal dolore al fianco e alla schiena potevo esser sicuro di essermi rotto qualcosa. Era troppo acuto per essere un danno lieve. Strinsi i denti e mi risollevai lentamente sui gomiti. Lo sforzo fu immenso. Non mi ero reso conto di quanta forza avesse impiegato per colpirmi. Era stato rapido e brutale. Male, lo scontro non aveva fatto in tempo a cominciare ed ero già in svantaggio…
 
“Ti credevo più resistente! Tutto qui quello che sai fare?!”
 
Un altro calcio sulle costole mi costrinse a girare ancora contro terra. Un debole lamento mi passò tra i denti stretti. Improvvisamente non riuscivo a respirare. Sentivo la cassa toracica in fiamme. Doveva essersi rotta una costola, danneggiando anche il polmone… dannazione, dannazione…
 
Sentii la sua mano afferrarmi saldamente per i capelli e il suo ginocchio tra le spalle schiacciarmi con ancora più forza contro terra. Uno strattone all’indietro, poi scricchiolii provenienti dalla mia spina dorsale. Gridai, ma dal collo teso non uscirono suoni. Non respiravo. Non vedevo nemmeno. Non pensavo. Il torace era ancora in fiamme. Stavo morendo dal dolore.
 
“Razza di marmocchio, non credere che mi basterà ucciderti.” mi bisbigliò maligno all’orecchio. “Uccidendo te morirà anche il drago, poi la tua gente. Non resterà niente di voi!”
 
Un brivido di repulsione mi attraversò il corpo. Ma solo il cielo sapeva cosa stesse dicendo. Stavo soffocando. Non capivo niente. Avevo pochi secondi per fargli mollare la presa, ma ormai stavo perdendo sensibilità. Non avevo speranze di vincere. Avevo perso ancor prima di cominciare.
 
Ricordati che non sei solo, figlio mio. Il tuo nemico è potente, ma ora puoi tenergli testa.
 
Era il Drago. Sussurrava alla mia anima con voce rassicurante. Ravvivava il potere nelle mie vene di energia pulsante. Forse. Forse aveva ragione. Lui mi aveva dato forza. Ce l’avevo ancora. Non ero solo. Avevo una via d’uscita.
 
Con un ultimo, disperato sforzo, mi aggrappai alla mano di Rowta, e il potere del drago fluì: una sostanza gelida cominciò ad arrampicarsi lungo il suo braccio. Riconobbi all’istante cosa fosse. Accelerai la sua crescita finché non fu costretto a mollare la presa, coperto dal ghiaccio.
 
Tossii poderosamente rannicchiato a terra. Ogni colpo, un insopportabile spasimo di dolore. Si susseguivano uno dietro l’altro incessantemente. Dopo un’eternità, avvertii un sapore metallico in bocca. Lo sputai immediatamente, finché non si liberarono i polmoni. Presi forti respiri in rapida successione. Aria, freschissima aria. Ma sentivo torace e schiena ancora ardenti, e la voce molto rauca. Mani appiattite a terra, innalzai un’alta barriera di ghiaccio tutt’attorno a me. Alta e spessa, finché sopra di me non ci fu che un disco di cielo cupo. Con questa, avevo qualche secondo di vantaggio. Ammesso che fossi riuscito a rialzarmi… avevo un polmone bucato, costole –forse vertebre- rotte e i minuti contati. Non c’erano speranze per me.
 
Ad un tratto, sentii un leggero formicolio nella mano destra. La osservai: stava brillando di una luce tenue ma chiarissima. Ripensai a Ruka. Sapevo di che potere si trattasse. Evidentemente il Drago mi aveva concesso più potere di quanto avessi immaginato, e lo stava comunicando sotto forma di istinto direttamente al mio corpo. Che in quest’era fossi capace di usarli tutti e cinque insieme…?
 
Avvicinai la mano al fianco, facendola cautamente aderire alle costole; strinsi i denti. Il dolore si affievolì lentamente, e si propagò nervo dopo nervo fino alla schiena. Dopo interminabili secondi d’attesa, tirai un sospiro di sollievo. Ripresi a respirare con più calma. Il tremore degli arti si placò man mano. Deglutii. Mi rialzai piano e cautamente: nulla cedette, segno che ora stavo bene. Udivo già colpi contro lo scudo in cui mi ero rinchiuso. Rowta era tornato alla carica. Ma non mi avrebbe colto alla sprovvista una seconda volta.
 
Raddrizzai la schiena, ora perfettamente rinsavita, e allargai i pugni. Divennero incandescenti, finché fiamme non cominciarono a danzarvi attorno. Ora potevo contare su tutti i poteri dei miei amici messi insieme. Li avrei usati tutti contro di lui, nessuno escluso. Questo demonio avrebbe pagato per tutto il dolore che ci aveva procurato, e per quello che aveva fatto alla gente di questo luogo.
 
La barriera si dissolse in un istante. Il pugno scarlatto si schiantò contro il suo viso ancor prima che potesse reagire. Ci avevo messo così tanta forza da creare una buca dove atterrò, diversi metri più in là. Doveva essere un bonus di questo potere. Ecco perché i pugni di Jack facevano così male…
 
Corsi in sua direzione. Scagliai palle di fuoco nel punto in cui era atterrato, ma lui era sparito di nuovo. Eh no, non ci cascavo due volte di fila. Feci scorrere le fiamme in un’unica scia, attorcigliandole attorno a me: all’improvviso, il flusso s’interruppe; Rowta atterrò fuori dal muro di fiamme, avvolto da fumo. Aveva il viso fortemente ustionato, e stringeva saldamente nella mano una specie di tridente, sfolgorante di luce verde. Poteva contare su armi plasmate dal nulla... Dovevo fare attenzione.
 
“Rowta! Tieni davvero così poco alla tua vita?!”
 
“Non osare insultarmi così, moscerino!” gridò, indignato. “Ho giurato che ti avrei distrutto, e così farò! Io ti odio, Yatol, ti odio con tutta la mia anima! Odio te, odio tuo padre e odio quel Drago, quel lucertolone bugiardo! La Vita stessa che tanto vi ostinate a proteggere non è che una falsità! E la morte l’ha sempre sconfitta! SEMPRE!”
 
Astio cieco venava la sua voce demoniaca. Sembrava stesse parlando Akuma in persona. Brividi di freddo correvano sulla mia schiena al solo udirla. Sentivo la mia anima esposta e indifesa davanti a un mostro gigantesco. Avrebbe potuto reciderla con la stessa facilità con cui si strappa un fiore da un prato. E sarebbe tutto finito. In un istante. Niente più responsabilità, niente più follie, niente più dolore.
 
Ma non potevo cedere alla paura. Non volevo. Non potevo lasciarmi distrarre. Non m’importava cosa stesse dicendo. Era mio dovere proteggere ciò che l’uomo aveva sempre avuto di più caro. La vita ha uno scopo, e la morte non ha diritto di interferire col suo compimento. Avrei annientato quest’essere immondo a tutti i costi.
 
“Allora hai fatto la tua scelta” sentenziai.
 
“E da un bel pezzo!” gridò, lanciandosi in avanti ancora una volta. I colpi si susseguirono, la sua lama di luce contro la mia di ghiaccio. La scena era surreale. Il Drago, nel mare, soffocava Akuma tra le sue spire, pronto ad affondare le zanne di fuoco nella sua carne putrefatta; io scagliavo fendenti contro il vassallo del demone instancabilmente. Benché non avessi controllo su alcuno dei movimenti di questo corpo, percepivo le stesse emozioni di Yatol. Comprendevo la sua determinazione, il suo coraggio e la sua paura; sentivo il suo cuore battere all’impazzata nel petto, la forza con cui stritolava l’elsa della sua arma, e la fatica del suo corpo provato dallo scontro e dal potere sovrannaturale che sosteneva. Non sapevo se al posto suo avrei saputo farmi valere allo stesso modo…
 
E se Yatol in quest’era avesse perso lo scontro? No, Akuma era stato sigillato, doveva aver vinto…
 
“Fossi in te, starei attento a dove metto i piedi!”
 
Rowta non fece in tempo a finire di parlare che il terreno sotto di me cedette. No, scomparve. Riconobbi immediatamente la magia. Caddi nel buio gridando. Non c’era fondo. Il vento mi fischiò nelle orecchie, la sensazione della caduta mi si aggrappò allo stomaco; dove mi aveva scaraventato? Dove sarei atterrato stavolta?
 
Improvvisamente, di nuovo luce, forte. Riconobbi sotto di me il macabro campo di battaglia. L’unico problema e che ero troppo in alto. Il passaggio si era aperto nel cielo, e io stavo precipitando verso il suolo. Sotto di me Rowta impugnava la lama luminosa pronto a colpire, come un coccodrillo a fauci spalancate in un fosso. Era così che voleva uccidermi?! Mentre ero in caduta libera?!
 
Yatol improvvisamente sembrò volersi tuffare nel suolo. Puntava contro Rowta, ma non riuscivo a capire perché. L’altro alzò la spada sorridendo, e scagliò il colpo. Ma anziché tagliar carne, il mio corpo si dissolse in un’onda nera.
 
Ombra!?
 
Ecco qual era il piano. Potevo rendere il corpo d’ombra per divenire immateriale. Avevo sempre ammirato questa capacità, ma dovevo ammettere che poterla usare in prima persona era tutt’un’altra cosa.
 
Mi mossi rapidamente nascosto nelle ombre sul terreno; le nubi che coprivano il cielo mi garantivano tutta la superficie buia che mi serviva. Schizzavo in più direzioni, e Rowta non poteva far altro che tirar fendenti a caso attorno a sé. Balzai fuori dalle ombre quando la sua spada si incastrò nel terreno: scagliai gli artigli neri sulla sua schiena e Rowta cadde digrignando i denti su un ginocchio. La situazione stava finalmente prendendo una buona piega per me: speravo semplicemente che non fosse troppo presto per esultare.
 
Mi affrettai a colpire ancora, ma la mia mano improvvisamente si bloccò a mezz’aria: no, non era la mano a essere ferma, c’era qualcosa tra me e Rowta che mi impediva di toccarlo, ma non la vedevo. Sembrava di colpire aria altamente compressa, ma era troppo compatta per essere tale.
 
Rowta ghignò. Poi rise più forte. Aumentai la pressione sulla spada. Improvvisamente volevo semplicemente tagliargli la testa in due e farlo smettere. Quel verso demoniaco era tremendo. Sembrava stuzzicare le mie paure più profonde, farsi strada nel torace e sfiorarle con una facilità disarmante. Lo avevo a portata di lama, eppure non riuscivo nemmeno ad avvicinarmi. Ero bloccato da cosa, poi? Non vedevo niente!
 
“Ti credevo più forte di così. Che pena mi fai. Questo non è niente rispetto a quello che può fare Akuma! Tu e la tua gente rimpiangerete di averci opposto resistenza!”
 
Quella forza invisibile sembrò gonfiarsi ancor più, poi esplose. L’onda d’urto mi scaraventò lontano; per un attimo, persi i sensi. Appena mi ripresi, mi ritrovai steso a terra, ferito e dolorante dall’impatto suolo, ma per qualche motivo non riuscivo ad alzarmi. C’era un peso invisibile sopra di me che mi schiacciava lentamente. Non di nuovo questa cosa… come avrei potuto contrastare qualcosa che non potevo nemmeno toccare?!
Rowta si avvicinò, stringendo una spada di luce. Ecco, avevo parlato troppo presto…
 
“Questi poteri sono magnifici. Più tempo passa, più si rafforzano. Quando tu sarai morto, sarà il turno del tempio, poi del villaggio, poi della terra. Akuma raderà al suolo questo mondo per crearne uno più grande, dove noi uomini saremo finalmente padroni del nostro destino!”
 
Tempio?
 
Sollevando un po’ il capo intravedevo la cima di un tempio azteco nascosto fra le cime degli alberi in lontananza. Doveva essere il cuore di questo posto se Rowta lo stimava così importante. Senza motivo, il mio cuore prese a battere più forte. Forzavo il peso sugli avambracci per sollevarmi, ma non riuscivo a muovermi da lì. Emisi un verso di frustrazione stringendo i pugni a terra, tanto da farli tremare. Perché Yatol stava reagendo così?! Menzionare quel luogo era stato abbastanza per agitarlo così tanto? Ma perché?
 
Rowta era a pochi metri. Avevo pochissimi istanti per trovare una soluzione, prima di rimetterci la vita. Yatol ringhiò rumorosamente. Poi compresi perché: attorno a Rowta avevano iniziato a crescere rapidamente rami spinosi ed intrecciati, vigorosi e sempre più alti. Quando lui se ne accorse, non fece in tempo a scagliare nemmeno un colpo di spada. Quelle liane si fiondarono rapide come falchi contro di lui, avvinghiandosi ai suoi arti, squarciandogli la carne.
 
Aki.
 
Quasi me n’ero dimenticato in questo caos. Con lei, ora erano stati riuniti tutti i tasselli. No, Akuma non avrebbe mai vinto. Sarebbe sprofondato negli Inferi qui in questo giorno, e la pace avrebbe regnato.
 
Il peso che mi schiacciava era sparito. Mi rimisi in piedi lentamente. Avevo il respiro pesante. Ricorsi ancora alla magia di Ruka per richiudere le ferite sulla schiena. Ma nonostante guarissero, sentivo che non mi venissero restituite tutte le energie. All’improvviso mi sentivo stanco. Tremavo. Non era una fatica solo fisica. Forse era colpa di questi poteri. Potevo usarli contemporaneamente, ma evidentemente, non senza effetti collaterali. Accidenti, questo combattimento doveva concludersi, e presto…
 
Presi un profondo respiro. Una nuova lama di ghiaccio si formò nella mia mano destra, e la strinsi forte, quasi temessi mi scivolasse. Raggiunsi Rowta: il suo volto era sfigurato dal fuoco e dall’odio; era ancora bloccato nelle spire di quelle fruste spinose, ed grondava sangue. Nel mare, Akuma si dibatteva, ma il Drago lo schiacciava nel mare nonostante le ferite. Benché la situazione lo prospettasse sconfitto, Rowta sputò sangue verso di me, e rise ancora. Non sembrava molto turbato dai danni che stava subendo.
 
“Tu sei pazzo. Vuoi usare due elementi contemporaneamente. Questo potere ti prosciugherà prima che tu riesca ad uccidermi!”
 
Sulla stanchezza non aveva torto. Ed effettivamente, c’erano altre azioni che Yatol avrebbe potuto scegliere. Per cambiare elemento avrebbe dovuto far scomparire le fruste che vincolavano Rowta, ma poteva evitarlo usando altre piante. Perché aveva scelto la strategia più rischiosa? Alla fine abbozzò un sorriso, sollevando la spada.
 
“Allora vogliamo vedere chi muore prima?”
 
Scagliò un colpo, uno solo. Compresi con un attimo d’anticipo che errore stesse commettendo Yatol, ma non potevo fermarlo. Io ci ero già cascato una volta, ma non lui. Improvvisamente, la sua vittoria non sembrava più scontata.
 
Il taglio non raggiunse mai l’obiettivo. La lama sembrò sparire a mezz’aria, inghiottita nel vuoto. No, era passata attraverso uno specchio, e ricomparsa specularmente contro Yatol. Lo squarcio si aprì diagonalmente lungo tutto il mio torace; crollai all’istante.
 
La ferita bruciava come non mai; dal petto sgorgava sangue a fiotti, ed ero troppo stordito per ragionare. Mi mancava aria. Le piante che trattenevano Rowta si dissolsero; lui barcollò ferito, ma non cadde. Improvvisamente mi sentivo vulnerabile. Un flusso di pensieri irrazionali mi ottenebrava la mente; potevo guarire all’istante, ma le mie mani continuavano a tremare. Era come se mi stessero dicendo che non potevo usare i poteri di Ruka, non in quel momento, che ero troppo spossato per usarli con efficacia. Che forse continuare a usarli a quel ritmo mi avrebbe ucciso in un altro modo.
 
“Te l’avevo detto. Non avevi speranze contro il potere di Akuma.”
 
Yatol non reagiva. Si teneva una mano sul petto, ma da essa non vi scaturiva energia. Sembrava essere sprofondato in uno stato di paralisi. Che stava succedendo? Era forse colpa dei due elementi usati assieme? ‘Dannazione, muoviti!’
 
Qualcosa di duro mi colpì alla testa, poi a più riprese in vari punti del corpo. Rowta mi stava prendendo a calci ora che non riuscivo a muovere un muscolo. Non potevo far altro che raggomitolarmi e proteggermi per quanto possibile. Il mondo girava e io ero alla sua mercé. Le sue risa giungevano ovattate alle mie orecchie; il sangue che cadeva dalle sue ferite si mescolava col mio. Un altro colpo alla testa. Mi ritrovai di nuovo occhi al cielo (forse?), ma stavolta la visione era ostacolata dal corpo scuro di Rowta. Da qualche parte della mia mente mi ero già rassegnato. Yatol non aveva mai vinto questo scontro. Era morto così, fallendo la sua missione. Non c’era modo di sopravvivere. Era finita. Un’arma scintillante, verde smeraldo, si sollevò su di me.
 
“Ora basta. Hai perso, moscerino.”
 
Attesi un colpo che non arrivò mai. Udii un rumore sordo di carne recisa, ma non della mia. Sopra di me, vidi nella gola di Rowta conficcata una freccia. Voltai la testa, ma avevo la vista troppo annebbiata per distinguere l’arciere misterioso. Ammesso che corrispondesse ad una delle macchie che formavano il paesaggio. Rowta si era immobilizzato, fissando stralunato i pennacchi di quell’asta di legno; poi una seconda freccia si conficcò nel suo petto. Cadde di spalle a terra, e l’arma che minacciava la mia vita si dissolse.
 
“F-frecce Cremisi…! Dannato, me la pagherai!”
 
 Chiunque fosse stato a mettere fuori gioco il mio avversario, aveva la mia riconoscenza. Mi aveva dato tempo prezioso per recuperare un po’ di forze. Strinsi lo squarcio pulsante sul petto con la mano destra, e presi un profondo respiro. Una luce brillò nel palmo della mia mano, e la ferita prese a richiudersi sempre più rapidamente. Il dolore al cranio cessò. Il respiro affannoso era l’unica cosa che non era svanita.
 
Mi rimisi in piedi con uno sforzo inumano; Rowta era bloccato a terra da due frecce avvolte da uno strano alone rosso, forse magiche. Inibivano la sua energia negativa, per questo non riusciva ad alzarsi. Persino con tutte quelle ferite, sembrava tirato dai fili di un marionettista che lo costringeva a combattere; ora era inchiodato a terra, e tutto grazie a qualcuno di cui non conoscevo neppure il volto. Avevo provato a cercarlo con gli occhi, ma era fuggito.
 
Mi avvicinai a Rowta: ora che i ruoli erano rovesciati, appariva miserabile. Non mi sarei mai sognato di prenderlo a calci però, e neppure Yatol. Ne ero certo. Mi avvicinai a quel corpo sfigurato con una nuova lama di ghiaccio nella mano destra senza batter ciglio. Rowta mi osservava con odio e paura: sapeva cosa stesse per accadere. Optò per l’unica difesa che gli era rimasta: la parola.
 
“I-Ipocrita! Volevi proteggere la Vita, e adesso vuoi uccidere un essere umano! Non ti vergogni di te stesso?! Stai tradendo i tuoi stessi valori!”
 
Yatol si accigliò. Percepivo rabbia montargli nel petto. Più che altro, sembrava indignazione profonda.
 
“Tu hai smesso di essere umano quando hai stretto quel patto con Akuma, Rowta. Questa non è ipocrisia. Questa è giustizia.”
 
La spada tagliò il collo di Rowta con un colpo secco. Osservai con ribrezzo la sua testa rotolare lungo la lieve pendenza del terreno. Il suo corpo divenne tutto nero, poi si dissolse in una nuvola di polvere, portata via dal vento. Contemporaneamente, nuovi fulmini caddero dal cielo. Un frastuono terribile si levò dal mare: Akuma aveva spalancato le tre bocche al cielo, ruggendo dal dolore. Le fiamme che lo avvolgevano ne stavano consumando il corpo putrefatto; sprofondò lentamente in una colonna di fuoco e cenere. Il drago allargò le sue spire mentre il demone moriva. Ruggì al cielo, scuotendo tutta la terra. Il su corpo sembrò brillare con ancora più forza, come un sole.
 
Sembrava surreale. Era fatta. Akuma era stato annientato. Il Drago aveva vinto.
 
Mi resi conto di star sorridendo. Mi pizzicavano gli occhi dalla gioia e dal sollievo. L’adrenalina che mi aveva tenuto in piedi cominciò a scemare. Caddi in ginocchio stremato: ero sfinito e senza fiato, ma felice. Non ero morto, ero ancora vivo. Stentavo a crederci, ma ero sopravvissuto.
 
Il vento sembrò acquietarsi. Il silenzio calò sul campo di battaglia. Le nuvole di tempesta sopra di noi però non accennavano a diradarsi. Perché?
 
All’improvviso, un artiglio nero riemerse dal mare, afferrando il corpo sinuoso del Drago. Questo tentò di divincolarsi, ma la presa era salda. Avvertii una fitta d’angoscia. No. Akuma c’era ancora. Uccidere Rowta non era bastato per farlo scomparire. Il che pareva un controsenso, ma in effetti, anche no. Come era possibile uccidere un essere che, tecnicamente, incarnava la Morte?
 
Il Drago sembrava sul punto di liberarsi, ma un secondo artiglio si aggiunse al primo, strattonandolo con ancora più vigore; cadde in acqua. Solo testa, coda ed ali erano ancora visibili. Poi, il simbolo sulle mie spalle prese a pulsare. Udii ancora la voce del Drago.
 
‘Yatol, ascolta. Sconfiggere un Vassallo non è abbastanza per assassinare una divinità. Grazie a te è stata decretata la vittoria, ma Akuma non ha intenzione di accettarla. Non ho modo di distruggerlo personalmente, ma non posso permettere che mi condanni con sé, o il vostro futuro sarà perduto. È per questo che ho intenzione di sigillarlo. ’
 
Yatol alzò gli occhi verso quelli del Drago, allarmato.
 
“Drago, non puoi vincolarti a lui! Che ne sarà di te e della tua terra? Come potremo invocarti quando avremo bisogno di te?!”
 
‘Non scomparirò del tutto. Lascerò a voi umani la chiave d’accesso alla mia forza. Resterete sempre legati a me, oltre lo spazio ed oltre il tempo. Io non vi abbandonerò mai.’
 
“Come?!”
 
‘Avrete voi i miei sigilli. Non soltanto tu, il tuo debole corpo non è in grado di reggerlo da solo. Ma tu e tutti i valorosi che ti hanno aiutato siete benedetti dal destino. Vi darò la mia forza quando la invocherete.’
 
Improvvisamente, il segno sulla mia schiena smise di pulsare. Sembrava l’artiglio di un rapace che lentamente lasciava la presa su una preda. Il suo calore si focalizzò in un unico punto, per poi disperdersi attorno a me. Una fiammella si fermò sul mio braccio destro, aderendovi lentamente. Subito la pelle prese a bruciare, come marchiato a fuoco. Strinsi il braccio cercando di soffocare il dolore. Il segno però lo riconobbi all’istante.
 
Ora era tutto chiaro. La storia combaciava perfettamente. Era questo che il drago voleva farmi vedere, anzi, vivere. Finalmente avevo idea di cosa avessimo di fronte. E non c’erano molte buone notizie per noi…
 
Ad un tratto, Yatol allungò una mano tremante verso il Drago, che, diventato luce pura, sprofondava insieme ad Akuma negli abissi del mare. Continuò a tenerla alzata quando entrambi i titani non furono più in vista, e le alte onde cancellavano ogni traccia del loro passaggio. Sembrava volerlo trattenere, forse salvare. Richiusi la mano a pugno, prima che un capogiro mi colse. Le forze mi abbandonarono. Un debole sussurro mi accompagnò nell’incoscienza.
 
“Mi dispiace, Atzi…”
 
 
 
 
*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Io: ………allora, vi è piaciuto Avatar-Yusei?
 
Yusei: MA IO TI LINCIO
 
Io: ssshh zitto che io adoro questo capitolo
 
Yusei: e indovina? Io no
 
Io: eddai, non lagnarti, mica ti ho ammazzato.
 
Yusei: beh, quasi, tipo quattro volte
 
Io: *lo ignora* ahem… spero che il doppio punto di vista (?) non abbia confuso voi gentilissimi lettori (anche perché è ben diverso da quello di Yami/Atem in Yugioh). E che abbiate apprezzato l’alta religiosità (?) di Yatol e del popolo (sì, quello delle Stelle di cui parlava Goodwin nell’anime) nell’affidarsi al Drago in quel modo, specialmente Yatol nella battaglia. Comunque, ci tenevo molto a rendere il tutto… così. Condividere lo stesso corpo, ma “ingabbiato” in azioni già registrate nel passato, il distacco sempre più conscio di Yusei da Yatol eccetera eccetera… Era strano, lo so… (ci sono molti parallelismi coi vecchi capitoli però °^°)
 
Aki: non che il resto della fanfic abbia molto senso.
 
Crow: ultimamente gioisco di non essere presente, significa “non soffrire”
 
Ruka: idem ;A;
 
Io: pff zitti voi che c’eravate tutti dietro le quinte
 
Crow: aH? Cioè, tipo Apaec e l’arcere? Ma non manca qualcuno all’appello?
 
Io: *gli tappa la bocca* SSHH NO SPOILER
 
Crow: *borbotta proteste incomprensibili*
 
Jack: in effetti c’era molta roba strana in questo capitolo, di che ti sei fatta questa volta?
 
Io: internet trash puro al 100%, perché
 
Jack: …come non detto
 
 
[eeeee gli esami si avvicinano, e io ho finito il capitolo prima della tesina, CHEBBELLO. Più passa il tempo e più mi schifano i vecchi capitoli, e i nuovi giustamente devono tenere un’impostazione formale almeno simile… se siete arrivati fin qui, vi prego di non giudicarmi troppo severamente per il mio passato (?) e presente (??), plz. Vi lascio il link al mio blogghetto per vederne altri della sottoscritta! Per lo più Yugioh! Tutti digitalizzati e nuovi di zecca eh!! (Nelle mie note bio troverete altri link eventualmente) Bye <3]


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Capitolo 14
*** Quattordicesimo capitolo- Coraggio ***


*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Puntata speciale: back from the dead
 
Aki: e io che credevo che questo calvario fosse finito qua… che ci avessi abbandonati a noi stessi… che magari fossi morta e sepolta… e invece no. Sei tornata dal mondo dei morti.
 
Io: *sfiatata* certo che nOH *prende fiato* nemmeno medicina mi impedirà di massacrarvi fino alla fineH
 
Aki: *la guarda allibita*
 
Io: …l’ho detto a voce alta?
 
Aki: ti hanno sentita fino in America
 
Io: …whoops
 
Yusei: se non ci dai un lieto fine, giuro che te la faccio pagare
 
Io: eddai Yusei, tu non sei quello violento! I mean, ok che a cazzotti ci sai fare, ma non così tanto…
 
Yusei: *scuro in viso* scommettiamo?
 
Io: *deglutisce*
 
Ruka: per far arrabbiare Yusei devi averla combinata proprio grossa. Forse è meglio andare avanti
 
Io: grazie, saggissimissima (?) Ruka u.u” dicevamo… i ringraziamenti! “Si ringraziano gli ultimi recensori, quali iridium_senet, Aliss01, lady_eclisse, Pizzi_Giu0083, Filippo Argenti, SuorMaddy2012, CyberFinalAvatar e _Servo_di_Horus_, e tutti coloro che hanno sin dall’inizio seguito e letto questa storia!! :3 E il caro Cyber per la beta-lettura ^^" Mi incoraggiate sempre tanto, glascie glascie glascie <3
 
Aki: tanto non sei tu a soffrire, giusto?
 
Io: …precisamente.
 
Aki: *sospira alzando gli occhi al cielo invocando tutte le divinità che conosce affinché la fulminino*
 
Io: benissimo, ora si passa al capitolo. Tecnicamente, non andremo letteralmente avanti subito da quella battaglia apocalittica dello scorso capitolo... Ci sarà una specie di replay. Ma servirà a spiegare cosa è realmente successo dietro le quinte, cose che Yus (Yatol) non può sapere. Il capitolo è leggermente più corto del solito, ma sempre meglio di “nessun capitolo”! :D buona lettura :3 *si defila*
 
 
 
POV: Aki
 
Era buio. La tenebra era quieta e calda. Non c’erano luci, né fiamme, né stelle. Non c’era un dritto o un rovescio. C’ero solo io. Magari stavo sognando. Avevo gli occhi chiusi e mi ero addormentata. Ma più cercavo di muovermi, meno trovavo le forze. Mi lasciavo trascinare da una leggera corrente, come quella del mare. Chissà da dove provenisse. O dove mi stesse portando.
 
Guadagnai velocità. E senza preavviso, precipitai. Come lungo una cascata. Non mi schiantai nella schiuma, né su un terreno solido, ma in un’angusta gabbia. Stretta, asfissiante. Poi mi resi conto che ero effettivamente tornata nel mio corpo. Come se prima fossi stata solo spirito. Non ero distesa, ma seduta ordinatamente in ginocchio, e tenevo gli occhi chiusi. Faceva caldo, e l’aria era piena di aromi pungenti. No, c’era calore solo davanti a me. Dagli scoppiettii sembrava esserci un focolare.
 
“La battaglia è già cominciata da un pezzo. Perché il Drago non è ancora comparso?!”
 
Sentivo voci concitate e confuse attorno a me. Dov’ero? Drago? Battaglia? Di che stavano parlando? Chi erano queste persone?!
 
“Forse sta aspettando un momento più propizio? Oppure-“
 
“Oppure cosa?! Aspetta che si faccia prima una strage?!”
 
Io non muovevo un muscolo, mani tese vicino al fuoco. Non potevo nemmeno guardarmi attorno. Per qualche motivo non ci riuscivo, non potevo. Stavo cominciando ad andare nel panico. Che significava tutto questo? Dov’ero finita?! E di cosa parlavano questi individui?!
 
Le voci presero ad accavallarsi nel litigio, finché distinguerle divenne impossibile. Ce n’erano di diverse. Forse cinque o sei. Inoltre, notai che quelle persone non stessero parlando la mia lingua. Ma come facevo a capirla anch’io?! Non potevo girarmi, aprire gli occhi o rispondere. Come se il mio stesso corpo mi imprigionasse. Ero terrorizzata.
 
“Per favore, andate via, tutti. La sacerdotessa ha bisogno di stare in silenzio.”
 
Una voce giovane, femminile, forse di una bambina. Sacerdotessa? Di chi parlava? Non… di me, vero?
 
Gli altri uomini borbottarono un po’, ma infine lasciarono la stanza. Udii la ragazzina sedersi timidamente accanto a me. Le fiamme scoppiettavano tranquille. Il mio respiro era quieto e regolare, ma ancora non mi muovevo. Mi sentivo… ansiosa. Ero preoccupata per qualcosa.
 
“Io ho fiducia che il Drago comparirà. Eppure non comprendo come mai non ancora si manifesti…”
 
“Stai tranquilla Killa. Non lasciarti distrarre dai dubbi. La cerimonia è stata la chiave di tutto, noi abbiamo fatto la nostra parte. Il Drago manterrà le sue promesse.”
 
Avevo appena parlato, ma non avevo la minima idea di cos’avessi detto. Non intendevo nemmeno aprire bocca. Il mio corpo agiva contro la mia volontà, persino le mie parole uscivano per conto proprio. Potevo solo sentire e guardare azioni compiute da qualcun altro in un corpo estraneo. Piazzata nella scena di un film di cui non avevo ancora compreso il titolo.
 
“Persino dopo il sacrificio della madre del principe… non può non ascoltarci, vero Atzi?” mormorò lei.
 
Uno scenario tremendo mi balenò davanti agli occhi. Avrei voluto chiederle se intendesse sul serio quello che aveva detto. Ma alla fine le mie labbra si piegarono in un sorriso. “Non preoccuparti. Andrà tutto bene” la rassicurai. Poi, mi alzai in piedi. Quando aprii gli occhi, vidi mura di mattoni. La pietra era chiara, e la luce del fuoco la rendeva rossastra. Il soffitto era basso, e la stanza larga. Sulla fiamma c'era un apertura per il fumo. Il bracere era effettivamente molto grande. Mi voltai e andai verso una nicchia nel muro alle mie spalle. C'era una ciotola ripiena di un liquido scuro. Come vino.
 
Non appena la presi, cominciai a ripetere a bassa voce litanie misteriose. Non avevo idea di cosa volessero dire. Tornata davanti al fuoco, sollevai la ciotola, e chiusi ancora gli occhi. Poi, rovesciai il contenuto sulla brace. Delle gocce mi bagnarono le dita. Era un liquido piuttosto viscoso, e caldo. E in quell’istante, capii. Quello non era vino. E molto probabilmente, non proveniva da un animale. Avrei voluto svenire sul posto. Invece non battei ciglio.
 
Quando anche l'ultima goccia cadde, il fumo produsse un cupo rimbombo e divenne rosso, come se uno spirito furente fosse stato appena risvegliato. La luce inondò la stanza, tanto che la piccola Killa dovette coprirsi gli occhi. Ora che la osservavo, ricordava in maniera impressionante la bambina che avevo incontrato nella grotta, quella Ruka…
 
La luce improvvisamente prese vita, schizzando per la stanza in tante faville. E io non mi muovevo di un centimetro, come se sapessi perfettamente con cosa avessi a che fare. La luce si radunò di nuovo sul fuoco, e iniziò a prendere forma. Un immenso cerchio comparì davanti ai miei occhi, sempre più definito, e su di esso due ali simmetriche, due zampe, poi una coda e una testa, l'una che puntava verso l'altra. Riconobbi in quel drago tutti i nostri segni. Le ali di Jack, la coda di Crow, l’artiglio di Ruka e il mio. E la testa di Yusei.
 
Non avevo parole. Le risposte erano tutte davanti ai miei occhi, questo era l’aspetto dello spirito che ci aveva maledetti dalla nascita. Eppure ancora non capivo. Perché stavo vedendo tutte quelle cose? Ero in una specie di tempio antico, come quelli maya, a compiere uno strano rituale con… sangue vero. A compiere azioni contro il mio volere. Ad invocare demoni da chissà dove. Volevo sparire, tornare a casa, ovunque essa fosse. Via da lì comunque.
 
“Spirito del Drago” annunciai solennemente, “nato nella notte dei tempi dal fuoco della creazione, dominatore delle stelle, sovrano della nostra terra, gli uomini ti richiamano al mondo. Rinasci dal sangue di questa nobile creatura, e schiaccia una volta per tutte i tuoi nemici delle tenebre eterne!” Supplicai, con voce ferma. Era un misto tra una preghiera ed un comando. L’occhio del drago sfavillò. Il cerchio cominciò a ruotare, riempiendosi di fiamme più compatte poco a poco. Divenne una specie di serpente tridimensionale che, sospeso a mezz’aria, fissò i suoi occhi gialli nei miei.
 
Infine, spalancò le fauci e mi trapassò. Non lasciò ferite, mi passò attraverso come un fantasma, ma improvvisamente avvertii le ginocchia cedere, come se mi avesse prosciugata di energie. Caddi all’indietro, sprofondando nel buio.
 
Quando riaprii gli occhi, vidi il viso di Killa. Notavo solo ora con quanta cura fosse agghindata e vestita. Mi reggeva spalle e capo, e diceva cose in un primo momento intellegibili. Poi capii che mi stava semplicemente chiedendo cosa fosse accaduto, e se stessi bene. Mi guardai attorno: tutto era identico, anche la luce che penetrava dalle fessure nelle pareti era la stessa. Non doveva essere passato molto tempo.
 
Mi raddrizzai lentamente. Il braciere era ancora acceso e vivace, ma le fiamme sembravano esser diventate permanentemente color cremisi. Non vedevo il giallo di un fuoco normale, solo… rosso.
 
“Killa. Sbrigati, tieni il fuoco acceso e ravvivalo il più che puoi. Dobbiamo vegliare affinché non si spenga, almeno finché la battaglia non sarà finita. Chiaro?” le ordinai.
 
Lei annuì convinta. Ritornai davanti al fuoco: le fiamme erano ipnotiche, potevo sentire che fossero connesse al Drago. Tesi le mani sulle lingue di fuoco, e queste vi si aggrapparono avvolgendovisi intorno. Sorprendentemente, non mi bruciavano. Camminai in cerchio attorno al fuoco, mentre Killa aggiungeva legna. Le fiamme si alzavano con i miei movimenti, e capivo che ero davvero connessa ad esse. Sentivo cosa dovevo fare, come mi dovevo comportare. Era la prima volta che provavo tutte quelle sensazioni in una volta.
Improvvisamente, udii delle voci alzarsi alle mie spalle, in direzione dell’ingresso. Alcune persone erano entrate ma erano rimaste in religioso silenzio davanti allo spettacolo mistico (mi ero a malapena accorta di loro) ma qualcuno stava cercando di entrare in tutta fretta, bloccato dalle sentinelle.
 
Lasciai le fiamme e andai verso l’ingresso. Chiunque fosse, aveva un motivo per essere arrivato in quel momento. Si trattava di un giovane ragazzo, neanche troppo alto, con una bandana che gli legava i capelli indomiti. Aveva carnagione scura, ma viso e corporatura erano familiari.
 
Poi feci due più due. Era identico a Crow, l’amico di Yusei. Killa, questo ragazzo… eravamo tutti qui? Che scena era mai questa? Avevamo tutti un altro aspetto ed eravamo tutti coinvolti in una situazione comune. Sembrava di assistere ad una scena già accaduta, troppo vivida per essere un sogno. Mancavano solo Jack e Yusei. Magari questo era davvero accaduto in un lontano passato. Poteva spiegare la mia situazione corrente, per quanto assurda.
 
“Sacerdotessa, devo parlarvi!” strillò il ragazzo nella calca. Con un gesto, chiesi alle guardie di lasciarlo passare. Esitanti, obbedirono. Il giovane riprese fiato e nervosamente ricominciò a parlare.
 
“S-sono appena arrivato dai confini del campo di battaglia, non volevo farmi coinvolgere all’inizio, ma il re mi ha visto mentre rientrava con altri guerrieri, e mi ha mandato di corsa da voi perché non ero stanco come gli altri... il Drago è comparso nel mare, e anche Akuma, ma il re mi ha detto che il principe Yatol sta combattendo da solo contro Rowta, e che nessun soldato potrebbe aiutarlo. Vuole chiedervi di intervenire, perché i due sono perfettamente alla pari e non vuole rischiare di perdere suo figlio, per il bene di tutti…” mi comunicò tutto d’un fiato.
 
“Ha anche detto che solo voi potete fare qualcosa. Nessun uomo può tener testa al sovrannaturale se non la sacerdotessa stessa. Vi prego…”
 
Evidentemente, il “Drago” era davvero tornato in vita. E avevo un’ipotesi su chi potesse essere il principe.
“Razza di sciocco, lei non può venire con te!” lo sgridò una delle guardie, “lei è la custode del tempio e il suo posto è qui, chi baderà al fuoco sacro altrimenti?” obiettò.
 
Feci per rispondere, ma un “lo farò io” squillante mi bloccò. Ci voltammo tutti. Killa era davanti al fuoco, pugni chiusi, una scintilla di determinazione nei suoi occhi. “Io… sono giovane e inesperta, ma voglio aiutare il mio popolo. Sono stata designata come prossima sacerdotessa, e so cosa bisogna fare… lasciate che mi renda utile almeno per questo tempo!”
 
Tutti rimasero perplessi e colpiti. Io annuii.
 
“Hai il permesso, Killa. Di te mi fido, e anche il Drago si fida. Lascio tutto a te.” le dissi dolcemente, in mezzo a mandibole spalancate. Poi, presi un arco e una faretra issati su una parete della stanza. Dall’interno della faretra proveniva una luce rossastra.
 
“Questo mi servirà oggi. Voialtri, impedite che altri accedano alla stanza. Proteggete Killa e il fuoco sacro. Io tornerò presto.” annunciai. Mi precipitai fuori dalla stanza afferrando una mantella ed il ragazzo per un braccio, e poco dopo ci trovammo fuori all’aria aperta. Il cielo si era oscurato, e nel mare erano comparse due creature titaniche. Delle due riconobbi il Drago, il suo corpo era sinuoso, denso e ardente come lava, ed era intento ad azzannare un’altra creatura, più simile ad una montagna di pece. Era deforme, coperta di uno strano liquame, ed orribile. I loro ruggiti misti facevano tremare la terra. Il ragazzo deglutì.
 
Rimasi per qualche istante con gli occhi fissi sulla scena; non avevo mai visto nulla del genere. Erano bestie immense, lente, ma i loro movimenti erano poderosi. Indugiai un ultimo istante nel rimirare la mitica scena, poi ci affrettammo a scendere le innumerevoli scale.
 
“P-perché vuole che venga anche io?!” borbottò il ragazzo. Era chiaro che nonostante tutto non volesse rimanerci secco. Se stessi prima della popolazione, era un istinto naturale.
 
“Come ti chiami?” replicai, invece.
 
“Io? Piscu” rispose, un po’ perplesso. Con la coda dell’occhio, notai una sorta di pugnale attaccato alla sua cintura.
 
“Bene, Piscu. Ho bisogno che tu venga con me perché da sola non posso arrivare dal principe. Mi serve protezione.” spiegai.
 
“N-non potevi chiederlo ad una delle guardie?!” obiettò confuso.
 
“No. Il Drago mi ha indicato te. E sono sicura che avesse un buon motivo per farlo” sorrisi. Piscu impallidì.
 
Arrivati al fondo della scalinata, ci addentrammo nella boscaglia in direzione della pianura dove stava avvenendo lo scontro. La vegetazione era fitta, ma sapevo dove andare. Piscu gettava occhiate attorno a noi per assicurarsi di non essere visto o braccato. Molto probabilmente molti guerrieri si erano sparpagliati, era facile incontrarne nella periferia.
 
Ombre tra le foglie si mossero. Erano veloci. Qualcuno ci aveva visti.
 
“Piscu! Coprimi le spalle, devo arrivare sul campo di battaglia con l’arco!” gli ordinai.
 
Lui imprecò sottovoce. Sembrava un bambino trascinato in guai che non lo riguardavano. Tecnicamente era falso, ma al posto suo anche io avrei preferito non cacciarmi nei guai. Il problema era che non avevo scelta…
 
Un dardo sibilò nell'aria e si conficcò in un albero davanti a noi. Abbassai la testa ma continuai a correre.
 
“Sacerdotessa! Attenta a destra!” gridò Piscu. Feci appena a tempo a scivolare lungo il terreno che un largo disco di pietra affilata mi aveva sfiorato i capelli. Fui costretta a rallentare bruscamente.
 
“Tu non passerai!” udii gridare da un punto impreciso della boscaglia. (io: no, non è Gandalf)
 
Tre uomini emersero improvvisamente dalla selva, uno dei quali troppo prossimo alla via che dovevo imboccare per proseguire la corsa, mi avrebbe fermata. Eravamo stati circondati. Incoccai una freccia nell’arco.
 
“Queste non sono per te. Togliti di mezzo, o mi costringerai a farti un buco in fronte” sibilai. Il guerriero davanti a me rise sotto i baffi. Forse per il fatto che, nonostante il mantello e il cappuccio, avesse capito che fossi una donna... ma tutt’a un tratto smise di sorridere. Mi ero a malapena accorta del sibilo che mi era passato accanto all’orecchio, e della scheggia spessa e appuntita che gli aveva reciso una carotide. Allungò le mani alla gola per bloccare l’emorragia, ma crollò rapidamente a terra. Mi voltai: il braccio di Piscu era ancora sollevato. Era stato lui a tirare quella lama affilata. Non sapevo bene da dove l’avesse tirata fuori, o come avesse fatto a essere così svelto e preciso, ma ringraziai mentalmente il drago per l’aiuto che mi aveva concesso. Lui sorrise un po’ forzatamente, poi si voltò verso gli ultimi due uomini.
 
“Corri, sacerdotessa. E non voltarti.”
 
Non me lo feci ripetere due volte. Scattai in avanti verso il campo di battaglia, lasciandomi alle spalle grida di uomini e chiasso di armi incrociate, arco alla mano, pronta a colpire. Forse avevo capito perché il Drago aveva scelto quel ragazzo. La sua abilità la nascondeva soltanto per quieto vivere, ma il suo era uno spirito forte. Mi feci largo nella radura finché avevo la forza di correre. Poi, la luce e il fuoco sulla pianura. L’odore che mi investì in viso fu tremendo, ma mai quanto la distesa di cadaveri che vidi davanti a me. Il sangue scorreva a fiumi, occhi vuoti e bocche spalancate erano ovunque. Trattenni un conato di vomito. Mi sentii l’anima sprofondare. ‘Sarà dura dimenticare una visione del genere…’
 
“Stai calma, Atzi. Devi trovare il principe. Sta combattendo contro Rowta e stanno entrambi usando poteri sovrannaturali, quindi non sarà difficile” mi udii sussurrare, nonostante lo stordimento. Corsi ancora attorno alla radura, occhi puntati su quel carnaio umano; in alto, tra mare e cielo, troneggiavano le due epiche creature. Facevano sembrare i grattacieli di Neo Domino dei teneri alberelli.
 
Poi, improvvisamente, un bagliore verde, molto familiare: un omone alto e muscoloso, con in mano una ben nota spada verde e rilucente, stava di fronte ad un ragazzo ben più snello e agile. Capelli neri, carnagione scura, segni colorati sulla pelle… non avevo dubbi, era lui il principe. Ovvero Yusei. Non potevo credere che fosse rimasto a combattere in mezzo a quella carneficina. Esitai, senza riuscire a distogliere lo sguardo per un attimo. (io: eh beh vuoi perdertelo a combattere in gonnella?) Sentii Atzi rinforzare la presa sull’arco e la freccia. Erano indiscutibilmente loro, anche perché Rowta sembrava avvolto in rovi… tremendamente familiari.
 
Non aveva senso. Quel potere era sempre appartenuto a me. Erano i miei rovi, non avevo dubbi. Perché ora questo Yatol era in grado di usarli?
 
Non feci in tempo a cercare risposte che una lama di ghiaccio si formò sul suo braccio destro. Va bene, come non detto. Evidentemente questa sua versione poteva usarne più di uno. Poi però qualcosa accadde. Come scagliò l’attacco, comparì un bagliore verde accecante, poi lui si accasciò misteriosamente a terra, ferito, e Rowta si ritrovò libero dai suoi vincoli.
 
Le mie gambe corsero da sole, ancor prima di capire cosa fosse successo. Non ero ancora abbastanza vicina. Rowta si era riavvicinato e aveva cominciato a prenderlo a calci. Nella sua destra, la spada verde era ricomparsa. Improvvisamente, una manciata di millisecondi potevano fare la differenza.
 
Tirai su l’arco, freccia incoccata con sicurezza, improvvisamente avvolta da una luce rosso cremisi. Frenai bruscamente su una gamba, e mirai dritto, nell’istante in cui Rowta sollevò la spada, fissando il principe.
Un sibilo secco, dritto nella gola.
 
Centro.
 
Rowta barcollò, ma la spada era ancora sospesa in aria, tra vita e morte di Yatol. Non era abbastanza. Incoccai un’altra freccia, e la scagliai senza badare troppo alla mira.
 
Sibilo numero due, pieno petto.
 
Rowta si accasciò all’indietro, maledicendo Atzi. Mossi un passo indietro, poi mi infilai nella selva vicina. Avevo il respiro accelerato. Non capivo perché ‘Atzi’ si fosse nascosta lì così di punto in bianco. Come se avesse voluto fin dall’inizio agire una volta sola, come si fa con una correzione in mezzo ad una pagina già scritta. Si inserisce dove serve, poi non occorre più. Tenni gli occhi puntati sulla pianura: Yusei si stava lentamente rialzando, tremava un po’. Guardò in mia direzione, ma non mi vide, ero immersa nell’ombra di larghe e spesse foglie. Poi, notai una luce bianca e calda uscir fuori dai suoi palmi. Lo riconoscevo, quello era il potere di Ruka.
 
Quando poi si rialzò, notai un segno grande e circolare sulla sua schiena, brillava come i nostri marchi. Era lo stesso che avevo visto nel rituale del tempio. Ora capivo perché potesse usare più poteri. Yatol andò verso Rowta, che tentò di difendersi a parole. Ma il principe fu impassibile. Sollevò una nuova lama di ghiaccio, e gli staccò la testa. Atzi distolse lo sguardo dalla scena violenta. Era una vista dura da sostenere. Per un attimo pensai: ‘che ne sarà di me e degli altri quando tutto questo finirà?’ Poi però notai che il cadavere era scomparso in una nube di polvere.
 
Fragori di lampi e tuoni attirarono la mia attenzione. Il demone nel mare lanciò un boato verso il cielo. La sua consistenza si sfaldava sempre più, mentre il suo corpo putrefatto sprofondava nel mare. Su di lui, il Drago ruggì vittorioso. Era già finito tutto? La vittoria era arrivata semplicemente così?
 
Atzi si mise in ginocchio, e si inchinò faccia a terra, avvolta dall’ombra della boscaglia. Due lacrime scorrevano sulle sue guance. La devozione che aveva verso lo spirito era incredibile… ne ero così intimamente partecipe che non potei non capirla. Magari il suo essere sacerdotessa devota era davvero tutto quello che aveva.
Ma poi rialzò la testa, e vide un artiglio nero risollevarsi dal mare, e afferrare il corpo sinuoso del Drago. Poi un altro, che lo portò tra le onde de mare. Notai il principe parlare a gran voce in direzione del Drago, forse stavano effettivamente dialogando. Improvvisamente sentivo freddo, ero… spaventata. Che Atzi avesse un’idea di cosa stesse succedendo?
 
Mi misi in piedi, facendo per andare verso la pianura, ma una fitta dolorosa al braccio mi bloccò: il marchio era comparso sulla sua pelle rosea. Il mio marchio. Era un dolore che ormai conoscevo bene. Atzi non sembrò prenderla bene. Puntò gli occhi verso il mare, altre lacrime calde scesero sul suo viso: il drago divenne di pura luce, finché non scomparve insieme al demone. Le onde coprirono ogni altra cosa.
 
Atzi fece un passo indietro, e mormorò tra sé con solennità: “…E quando vedrai il Drago riempire di luce il mondo, saprai che sarà giunto un tempo nuovo, e che finché avrai respiro non lo rivedrai. Il lascito del Drago sarà raccolto da coloro che infiammati nello spirito gli avranno teso la mano per prevaricare sul Demone degli Inferi. E la vita continuerà, e il suo spirito si tramanderà d’anima in anima.”
 
Erano frasi che forse aveva memorizzato, molto cariche di significato, come quelle delle profezie. Sembrava essersi appena avverata. Forse era per questo che piangeva, non avrebbe più rivisto il Drago... Dopo essersi concessa un attimo per realizzare cosa fosse appena accaduto, rialzò lo sguardo: Yatol era rimasto lì, il marchio sulla schiena sparito; si chinò in avanti, poi si accasciò definitivamente a terra, immobile. Il silenzio più completo calò sul campo di battaglia, anche i nemici si erano tutti dileguati. Ora sì che era finita.
 
Mi riscossi e corsi da lui, prendendolo per le spalle e girandolo sulla schiena: era sporco di terra e sangue e sudato, ma ferite non ne aveva; il respiro era un po’ pesante, era solo sfinito. Lo scossi un po’, ma non reagì. Atzi lo tirò un po’ su, scostandogli una ciocca di capelli. Sentii le sue guance accaldarsi un po’, mentre rimirava i suoi lineamenti distesi. Il calore si andò un po’ spargendo.
 
Improvvisamente ebbi la netta sensazione che questi due si conoscessero già.
 
Tese le orecchie: niente passi vicini, non ancora. Chinò la testa e sfiorò la sua fronte con un bacio, carezzandogli il viso col palmo morbido della mano.
 
Una parte di me avrebbe voluto strangolarla seduta stante. Specialmente per quello che tutta questa scenata implicava. Grazie al cielo lui era incosciente, non sarò mai sufficientemente grata per questo.
 
Poi Atzi mormorò qualcosa, una sorta di incantesimo antico. Altre lacrime le caddero giù dal viso, sfiorando il suo. C’era tristezza nella sua voce, non sapevo perché. Poi, la mia presa sui sensi cominciò ad allentarsi, mi sentii sempre più intorpidita. Lentamente, anch’io sprofondai nell’incoscienza.
 
 
 
 
Di punto in bianco, spalancai gli occhi. Ero stesa a terra in una posizione parecchio scomoda. Sopra di me c’era una strana luce, sembrava di guardare sulla superficie del mare traslucido, appena mosso dalle onde. Ma dall’altra parte vedevo esseri neri, grandi e grossi agitarsi, picchiare contro questa specie di barriera di vetro. Questa tremava, ma restava solida, come se fosse infrangibile. Anche i suoni restavano attutiti. Bene, sembravamo essere sufficientemente al sicuro, qualunque cosa fosse la cupola luminescente sopra di noi.
 
Mi misi sui gomiti. Ero tornata indietro. Avevo sognato tutto. Ero di nuovo in quella strana grotta piena di tunnel (a quanto pare era davvero questa la realtà), i cristalli luminosi fuori, i mostri con cui avevamo combattuto dall’altra parte di una barriera misteriosa, e…
 
Girai gli occhi. Accanto a me, Yusei, Jack Crow e Ruka erano stesi come me a terra, sembravano cominciare a riprendersi anche loro, guardandosi attorno come avevo fatto io. Ora ricordavo: ci eravamo dati la mano come aveva detto Ruka, poi quel sogno assurdo. Forse siamo svenuti tutti insieme subito dopo, e questa cupola ci aveva coperti dall’attacco dei mostri in arrivo. Chissà da dove fosse spuntata fuori…
 
 “Siamo vivi? Ragazzi, tutto ok?” chiese Crow, un po’ esitante. Tutti annuimmo, ancora un po’ storditi.
 
“Io non credo, ho fatto un sogno fin troppo strano.” commentò Jack.
 
“Un sogno fin troppo reale? Anche tu?” domandò Crow stupito. In effetti lo avevo pensato anche io. Avevamo tutti visto o vissuto qualcosa di simile?
 
“Sì, ma era come guardare in prima persona scene registrate, tutto scorre davanti a te ma non puoi fare niente. C’era un campo di battaglia, tipo tra popolazioni azteche o qualcosa del genere, e due mostri enormi nel mare, e…” esordì. Smisi di ascoltare. Aveva descritto esattamente lo stesso scenario che avevo vissuto, confermato da uno sconcertato “anch’io!” di Crow. E se non fossi stata l’unica a vederlo? Se avessimo tutti vissuto la stessa cosa?
 
“-e poi ho visto Yusei. O almeno qualcuno che gli somigliava” concluse. Ci voltammo tutti inconsapevolmente verso di lui. Yusei teneva gli occhi bassi senza spiccicare parola.
 
“Yusei, stai bene?”
 
Pareva non sentirci. Ruka gli si avvicinò titubante. Lui quasi non se ne accorse, fissava il vuoto a occhi bassi.
 
“Ehi amico, ti senti bene?”
 
Yusei alzò appena lo sguardo. Non disse niente. Scrutò tutti da dietro la frangia che gli nascondeva gli occhi. Il silenzio era teso. Dopo una manciata di interminabili secondi, sospirò e annuì.
 
“Che altro avete visto?” ci chiese, prendendoci un po’alla sprovvista. Sembrava scosso, ma si preoccupava di noi. Pensai che fosse semplicemente un modo intelligente di spostare l’attenzione, ma non dissi niente.
 
Crow fu il primo a rispondere.
 
“I-io sono abbastanza sicuro di aver visto persone identiche a Jack, Aki e Ruka… non lo so, tutto questo non ha senso! Voi per caso avete visto uno che mi somigliava?”
 
Annuimmo immediatamente tutti e tre. Crow si mise le mani nei capelli.
 
“Quindi eravamo tutti nello stesso sogno?!” chiese ad alta voce. Ci trovavamo concordi tutti quanti. Ma mentre ripensavo alle cose che avevo visto, mi passò davanti il sangue, i cadaveri, la testa di Rowta che rotolava via… Se quello che avevo visto era Yusei, e lui era ‘dentro’ quella stessa persona, voleva forse dire che Yusei era stato davvero in mezzo a quella terribile carneficina tutto il tempo?
 
Lo guardai. Ruka gli teneva una spalla, senza fiatare. Lui teneva la mano sulla sua, senza alzare il capo più di tanto. Un’ondata di compassione mi pervase. Quello sì che doveva essere stato un incubo. Per un momento ci fu silenzio, rotto sorprendentemente da Yusei.
 
“Ruka, cos’è che abbiamo visto, veramente?”
 
Lei sospirò. “Quello non era un sogno come gli altri, era un ricordo. Io avevo già visto in passato il volto dei nostri antenati spirituali, ma… questa visione non riesco a spiegarmela…”
 
“Quindi quelle diavolerie sono successe tutte davvero? E quanti millenni fa? In che posto?!” chiese freneticamente Jack, quasi arrabbiato.
 
“Fammi finire!” obiettò Ruka. “Non conosco né l’epoca né il luogo. Quello che so è che è successo davvero, e che il drago ci ha fatto vedere questo soltanto quando abbiamo riunito tutti i segni. Forse c’è un indizio nella storia che ci potrà tornare utile, ma non ho idea di cosa… la mia antenata è rimasta chiusa nel tempio tutto il tempo, non ho visto molto.”
 
Jack si voltò verso Yusei. “A parte i mostri in mare… una cosa me l’ha spiegata il tizio che tu hai chiamato padre. Ha detto che ti era stato conferito un potere particolare prima della battaglia. Ho visto un marchio sulla tua schiena, c’erano tutti i nostri segni dentro, poi un apocalisse con te in mezzo, ma ho lasciato il campo troppo presto per vedere il seguito. Di che potere parlava il vecchio?”
 
Yusei era silenzioso. Forse suo ‘padre’ (non era… orfano?) parlava del fatto che potesse usare tutti i poteri insieme?
 
“Se è quello che penso, allora è una follia usarlo di nuovo.”
 
“Cosa?! Che vuoi dire?! Quindi esiste! Se davvero è così potente, allora è la nostra unica possibilità di chiudere la questione una volta per tutte!”
 
“Ho detto di no.”
 
“Almeno dicci che cos’era!”
 
“Jack, smettila! Tu non sai cos’ha visto, non puoi forzarlo!” lo interruppi.
 
“Perché, tu lo sai?”
 
“I-io non..! Ugh, lascialo in pace e basta, scusa!”
 
“No, deve dirci che cos’era.”
 
“Ma se ti ha detto che è una follia usarlo comunque!”
 
“Io voglio saperlo, dannazione! Per quanto ne so è il nostro biglietto d’uscita!”
 
“Non se ricordarselo è un trauma!”
 
“Trauma o non trauma, non lo so, ma se non parla siamo spacciati!”
 
“Come fa a non importartene niente?! Troveremo un’altra soluzione!”
 
“Se sua grazia si degna di aprire la bocca ci rende le cose più facili!”
 
“Tu non sai cos’ha visto!”
 
“Sto cercando di capirlo infatti, razza di gallina!”
 
“Ma come osi?!”
 
Piantatela!
 
Ci zittì bruscamente Yusei. Lo guardammo tutti quanti negli occhi. Si era decisamente incupito… “Anche se lo volessi, non c’è modo di riutilizzarla. Non so come funzioni, né come attivarla, né da dove cominciare. Siamo al punto di partenza. Inutile arrovellarcisi sopra.”
 
Jack si mise a ridere. “Secondo me hai solo paura. Magari sai pure come funziona, ma non vuoi dircelo.”
 
Mi cadde la mandibola. Era impazzito Jack o cosa?! Era chiaro come il sole che Yusei dicesse la verità!
 
“Non ho paura!”
 
“E invece sì, ti conosco. Altrimenti penseresti a come uscirne fuori, non rinunceresti così facilmente.”
 
“Il modo per uscirne non esiste lo stesso, che lo voglia o no.”
 
“Ecco, mi hai appena dato ragione.”
 
Ma che problemi aveva questo ragazzo?! Intervenni senza pensarci due volte.
 
“Scusami un secondo Jack, ma davvero pensi sia solo una questione di paura? Certo che quella carneficina era spaventosa, ma comunque non c’è nessun segno sulla sua schiena, ha ragione lui! Resta tutto perfettamente inutile, siamo punto e a capo!”
 
“Carneficina? Eri anche tu sul campo di battaglia? Io non ti ho vista da nessuna parte.”
 
Esitai un attimo prima di rispondere. “L’ho vista, punto.”
 
“Quindi sai di che potere si tratta! Perché non l’hai detto prima?! Forza, sputa il rospo!”
 
Prima di rispondere, guardai Yusei. Non volevo rivelare nulla senza il suo permesso. In realtà, pareva un po’ confuso. Forse si chiedeva come facessi a saperlo, in effetti non c’era nessun altro lì a parte noi. E ‘Atzi’ si era subito nascosta. Parlò comunque al posto mio.
 
“Va bene, va bene. Per farla breve: potevo usare tutti i nostri poteri messi assieme. Ma solo uno per volta, e non a lungo. Quando ne ho usati più insieme ho rischiato la pelle.”
 
“Ah ecco, quindi è questo che occorre!”
 
“La fai troppo facile, Jack!”
 
“Sei tu che la fai troppo complicata. Magari ci servirà per battere quello strano tizio.”
 
“Bene, sua altezza sa dirci come usarlo magari?”
 
“Beh, se ci pensi nemmeno ‘Yatol’ aveva il marchio all’inizio, è comparso di punto in bianco solo dopo che è spuntato fuori Akuma. Ecco cosa, salterà fuori se vedremo il bestione!”
 
“Mi stai dicendo che devo andare a prendere a pugni una bestia alta 500 piani?!”
 
“Veramente no, credo che a quel punto spunterebbe fuori anche il Drago Cremisi. Sono sigillati insieme, no?”
 
Yusei affondò la faccia nel palmo della mano. Va bene, non era del tutto senza senso quello che diceva Jack. Ma sembrava troppo fuori di testa per avverarsi sul serio.
 
“Quindi, che facciamo?” sospirò Crow, confuso più che mai.
 
“Pensiamo a uscire di qui, magari?” rispose Ruka, indicando titubante la barriera sopra di noi. In effetti, quasi ci eravamo dimenticati di essere intrappolati sotto una cupola protettiva (forse l’aveva creata il Drago per proteggerci durante il sogno?), circondati da mostri tritacarne.
 
Jack prese di nuovo la parola, guardando Yusei dritto negli occhi. “Sentimi bene, Yusei. Io non lo so cosa ti è successo. So solo che vogliamo tornare tutti a casa, e che abbiamo una scelta sola: andare avanti, senza garanzie. Se quello che il Drago ci ha fatto vedere è profetico e davvero dovrai farti carico di tutti i nostri poteri, farò comunque di tutto per aiutarti. Non posso sostituirmi a te, quindi o tu cacci fuori la grinta e vai a gonfiare di botte quel dannato, o noi moriremo in questo buco infernale. Chiaro?” (io: credetemi sono stata tentatissima di usare altre parole ma ho un rating da rispettare) Yusei lo fissò perplesso per una manciata di secondi buoni. Poi, chinando il capo, sospirò, e semplicemente annuì.
 
“Hai ragione Jack. Grazie.”
 
Mi cadde la mandibola per la seconda volta. Non tanto per il concetto espresso, che in fin dei conti non era sbagliato, quanto per il disastroso tatto adottato e per il risultato che aveva ottenuto. Come accidenti facevano questi due a essere amici?
 
“Ehi, non scordarti di me. Hai il mio più completo appoggio. Da qui ci esce tutti insieme, vivi o morti. E ci sono ancora un mucchio di cose che voglio fare prima di crepare” confermò Crow. “E voi?” chiese a me e Ruka.
Io e lei ci guardammo per un attimo, ma sapevamo di essere concordi nella risposta. Annuimmo con fermezza entrambe.
 
“Ascoltate… so che ci conosciamo da pochissimo, ma questo destino ci unisce in modo speciale. Vi assisterò come meglio potrò, con tutta me stessa.” affermò decisa Ruka. In effetti era adorabile.
 
“Ci sto. Farò il possibile anche io” confermai.
 
“Bene, signore. Ora, siamo tutti pronti a uscire fuori?” domandò Jack cominciando a scaldare i pugni di fuoco.
Crow deglutì forte ma si sforzò di sorridere. La sua pelle cominciò subito a diventar come tenebra. Ora vedevo la somiglianza con Pisco: aveva paura, ma anche tanto coraggio. “Pronti!”
 
Tutti facemmo lo stesso coi rispettivi poteri.
Ora che comandavo la terra, ora che le mie piante sbocciavano dal terreno pietroso, notai che ci fosse qualcosa di diverso. Ora che conoscevo più di questa storia, ora che avevo un motivo in più per sentirmi appartenente ad un passato condiviso, trovavo questo potere sempre più mio. Era mio. Ne ero l’erede. In qualche angolo recondito della mia anima forse ne ero addirittura grata.
 
Guardai il tetto trasparente sopra di noi, affollato di mostri dall’altra parte: potevamo farcela. Battuti questi, avremmo avuto una chance di tornarcene a casa una volta per tutte. Ora o mai più.
 
Una mano mi si posò sulla spalla. Mi voltai: Yusei era vicino, e mi guardava negli occhi.
 
“Grazie, Aki.”
 
Forse aveva capito... Non seppi ribattere niente.
 
“Al mio via, sfondiamo la cupola tutti insieme -presumo sia possibile dall’interno- e attacchiamo ognuno un mostro. Gridate forte se serve una mano. Altre domande?”
 
“Nossignore!” ribatté Crow. I marchi di tutti brillavano ormai, e ognuno aveva già evocato il suo potere.
 
“Bene allora! Al mio via! Tre…”
 
Feci un bel respiro. Forza e coraggio, Aki.
 
“due..”
 
Anche se è dura, non sei sola.
 
 “uno…”
 
Puoi farcela.
 
VIA!
 
Fu un attimo. Cinque attacchi dall’interno confusi a grida di battaglia, e la barriera si infranse: i mostri non capirono neanche chi di noi li colpì. Francamente, nemmeno noi.
 
Non ci risparmiammo nemmeno per un attimo, fino alla caduta dell’ultima bestia. Sentivo una fiamma sconosciuta bruciarmi nel petto, come avessi la forza di un leone. Con noi c’era la memoria degli antenati. Con noi c’era la forza straordinaria del Drago. Con noi c’era il coraggio appreso su un vero campo di battaglia. Nonostante i dubbi e le paure, eravamo forti. Avevamo una grande speranza di vittoria. E avremmo venduto cara la pelle, a qualunque costo.
 
 
 
 
*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Puntata speciale: crush (her)
 
Aki: …
 
Io: dai, poteva andarvi peggio, avete reagito bene, non per niente vi ha scelti uno a uno il Drago
 
Aki: va bene, ma mi spieghi questa? *indica il bacetto di fine flashback *
 
Io: …non ho proprio nulla da spiegare
 
Aki: *fumante*
 
Io: anzi, oserei dire soprattutto per quello
 
Yusei: davvero non era necessario.
 
Io: qualche critico professionista potrebbe concordare con te. Ma questa è una fanfic. A sfondo faithshipping. Sono giustificata, su
 
Crow: ma quindi c’è una storiella dietro, uh? ~
 
Yusei: Crow, non ti ci mettere pure tu
 
Crow: sono l’unico single canon qua, posso permettermi dei pettegolezzi
 
Io: in effetti sì, accenno ad una sorta di relazione clandestina tra i due. I mean, un principe e una sacerdotessa… non poteva funzionare a quei tempi, I’m sorry guys (ps. questo passato non verrà approfondito ulteriormente per mancanza di tempo e idee)
 
Crow: interessaaaante~
 
Io: huhuh già~
 
Aki: magnifico…
 
Io: ah, ulteriore nota, vi farei notare come la frase udita da Yusei nel precedente capitolo “Figlio mio, io non ti lascerò mai solo” era riferita alla madre che come ha detto Killa fu sacrificata… sì lo so, sono orribile. Proprio orribile.
 
Yusei: …sazierai mai la tua malefica sete di sadismo?
 
Io: …non contarci.
 
Tutti: *sudano freddo* *si riuniscono* *qualcuno propone nuove idi di marzo* *magari una congiura li salverà*
 
 (ed ecco a voi il disegno di Atzi, tadaaa!)

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Capitolo 15
*** Quindicesimo capitolo - Vita ***


*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Puntata speciale: back from the dead, part II
 
Io: ho scritto quasi tutto il capitolo il giorno prima di un esame. Sono molto responsabile, eh?
 
Jack: no, ma lo sapevamo già.
 
Io: Ecco. Comunque è imbarazzante. Questa fanfic è stata scritta nell’arco di più di 4 anni finora. I salti di qualità sono bellissimi da notare andando avanti, ma ti viene da piangere se li guardi all’indietro...
 
Aki: a me viene da piangere leggendo le anticipazioni di questo capitolo. Sono convintissima che ci odi.
 
Io: che dirvi, il mio è un amore tormentato (?)
 
Aki: di sicuro i tormentati siamo noi. Ma se è tormento che cerchi, potevi chiederlo subito.
 
Io: c-come non detto
 
Ruka: Aki_chan. Per favore, apri il capitolo.
 
Io: g-giusto. Allora, si ringraziano due recensori oggi. *lacrimuccia* MA TRANQUILLI questa storia avrà un finale, CE LA FARÒ, anche perché voglio iniziarne una nuova ispirata ad un Alternative Universe medioevale. Onestamente pensavo di scriverla in inglese, ma non sono ancora sicura di ciò. Ci vuole il quadruplo del tempo purtroppo.
 
Yusei: è quello di cui hai fatto gli schizzi sul blog e sui vari account?
 
Io: esatto. Sei bellissimo coi capelli corti, sai? :')
 
Yusei: perché ce l’hai così tanto coi miei capelli??
 
Io: * tira fuori uno specchio* INSOMMA, GUARDATI, SEMBRA CHE HAI UN GRANCHIO IN TESTA
 
Yusei: a me piacciono così!
 
Io: fidati. Sei più figo con un taglietto qua e uno là. Anche senza strisce gialle.
 
Yusei: sei sicura che mi riconosceranno??
 
Io: onestamente no, ma vale la pena tentare :3
 
Yusei: *facepalms*
 
Io: a parte tutto, si ringraziano due soli recensori oggi, SuorMaddy2012 e _Servo_di_Horus_ che hanno eroicamente recensito i precedenti capitoli!! E quelli che hanno seguito e preferito la storia, anche se ho perso i loro nomi nell’elenco CyberFinalAvatar!!
 
Comunque! Riepilogo, perché è un secolo che non aggiornavo: nei precedenti capitoli, i nostri eroi si sono ritrovati tutti insieme in questi misteriosi cunicoli bui, pieni di cristalli, e poco prima di essere attaccati da un gruppo di bestie infernali e assetate di sangue (?), si sono dati la mano tutti e cinque, e bOOM sono stati catapultati spiritualmente (?) ad una scena di un lontano passato. Qui, ognuno ha visto l’esperienza diretta del suo Signer predecessore (come bloccati nei loro corpi), vissuto le stesse cose, al giorno in cui sono stati scelti dal Drago. Yatol (Yusei) ha combattuto su un campo di battaglia contro i servitori di Akuma, spirito opposto al Drago, in particolare il capo Rowta. Quando Akuma è stato evocato, è arrivato anche il Drago, e la battaglia è diventata parallela sulla terra e nel mare. Yatol ha vinto (ed è stato salvato pure da Atzi – Aki), ma il Drago è stato costretto a sigillare Akuma per vincerlo del tutto. Finito il ricordo, i nostri eroi si sono ritrovati nel tunnel, dov’erano i loro corpi, protetti da una cupola magica. Una volta rotta quella, hanno combattuto contro le bestie che erano al di fuori, ed è alla fine dello scontro che ricomincia il capitolo :D
 
 
 
 
Pov: Yusei
 
“Se usciremo vivi da questo casino, giuro che mi prendo un anno di vacanza.” sentenziò Jack.
 
E onestamente, nessuno aveva voglia di contraddirlo. Eravamo troppo impegnati a riprendere fiato per avanzare obiezioni.
 
Mi sedetti con la schiena poggiata contro una pietra azzurra. Quel flusso di energia scorreva dolcemente nel mio corpo, restituendomi le forze perdute. A più punti dello scontro mi ero sorpreso di quanta forza fossi riuscito a sfoderare per difendermi, forza volutamente usata per uccidere quelle creature, pur di non morire… almeno non erano umane, come me. In effetti, fino a quel momento mai avevo colpito qualcuno con l’intenzione di ucciderlo. Ferirlo per difendermi, sì. Ma uccidere per difendermi, no, non era ancora capitato. Quando ho visto quella battaglia terribile dagli occhi di Yatol, ho invece sentito che l’intenzione di uccidere lui ce l’avesse messa eccome. Proprio come il suo nemico, in ogni caso. Alienante. Disturbante. Disumano. Era uno scontro di forza e di volontà di sopravvivere ad ogni costo. Come in guerra. Fosse di armi, o di parole... Non importa chi si ha di fronte, non c’è scelta: se non spari tu, spara l'altro. Per questo la guerra non ha mai vincitori, solo sopravvissuti.
 
Almeno non erano esseri umani quelli che avevamo affrontato noi. Non avevano una storia. Non c’erano famiglie spezzate. Non c’erano sensi di colpa. Non c’era sangue innocente. Non c’era quella terrificante vertigine, quel brivido gelido di un confine proibito ormai varcato, nessuno che dicesse: “Sì, hai ucciso un uomo come te, cosa ti ferma dal farlo ancora?”.
 
Chissà se gli assassini riescono a guardare gli altri negli occhi. Chissà se la loro anima si annerisce. Chissà se gli altri se ne accorgono. Non tutti i limiti sono fatti per essere superati: alcuni, ma proprio alcuni, è bene lasciarli dove sono. Quale uomo ha diritto più degli altri di prendersi la vita di qualcuno come lui, al di là della giustificazione? Basta uno spirito superiore a fare i buoni e i cattivi?
 
Su quel campo di battaglia, avevo decapitato un uomo. L’unica cosa che potevo sperare, era di non riviverlo nei miei incubi. Mai più, mai più una cosa del genere... Io non ero un assassino. Io non ero un mostro. Quel gesto era la scelta di un altro. Non voglio avere vite umane sulla coscienza. Una volta sola in vita mia ho visto un uomo che aveva ucciso davvero. Non so cosa vedessero gli altri, so solo che nei suoi occhi spenti io vidi tutto quello che non avrei mai voluto essere. Quando sarà il momento, né il Drago né Akuma si prenderanno la mia volontà. Mai più permetterò una cosa del genere. La mia volontà è mio diritto, e combatterò con ogni mezzo pur di possederla fino alla morte.
 
“Yusei, tu stai bene?” si preoccupò Crow.
 
La domanda mi ridestò dal mare dei miei pensieri. Feci un cenno positivo verso di lui, non ancora completamente carico di forze. Guardai gli altri che bene o male facevano lo stesso: in fin dei conti, avevamo difeso bene la pelle. Questa volta c’era stata una nuova sinergia fra di noi, non mi spiegavo come mai. C’era e basta. Come se avessimo provato la stessa scena più volte già da tempo. Anche Ruka si era difesa benissimo: rifuggiva l’attacco fisico, ma ci supportava in mille modi diversi. Sembrava fosse migliorata nel padroneggiare la sua magia. Era una ragazzina in gamba. Mentre Aki…
 
“Stai bene, Aki?”
 
Lei si voltò, e mormorò un sì sorridendo stancamente. Era una ragazza forte, davvero lo era. E senza di lei forse non avremmo vinto nessuna di queste battaglie. Lei, e forse anche la sua antenata. Le ero troppo grato per questo.
 
“Yusei, forse dovremmo sbrigarci a trovare un’uscita… non possiamo stare qui all’infinito!” fece notare Crow.
 
“Perché non fai un altro giretto di esplorazione allora?” propose Jack. Crow gli rifece il verso gesticolando con una mano a forma di becco.
 
“Ti ricordo che l’ultima volta che ci ho provato sono stato inseguito da quei mostri! Perché non ci vai tu, o ci spedisci qualche focherello dei tuoi o che so io??”
 
“Perché tu puoi nasconderti senza essere preso!”
 
“Senti, io là da solo non ci torno!”
 
“Se volevi l’accompagnamento potevi dirlo subito, Cenerentola.”
 
“Ma piantala! Perché non ci vai tu e ci dici come va?!”
 
Ruka mi guardò preoccupata. Eravamo alle solite.
 
“Crow, scusaci. Se non te la senti, troveremo un’altra soluzione. Un modo si trova sempre.”
 
Crow abbassò gli occhi, forse mortificato.
 
“È che… non voglio trovarmi ancora faccia a faccia con quei mostri. È troppo per me. Ma temo lo stesso che ci stiamo girando in tondo, che forse un’uscita non c’è, e che quel tizio vuole logorarci lentamente solo per il  gusto di farlo. Perché deve sempre avere il coltello dalla parte del manico?! Cosa gli abbiamo fatto?! Non è giusto, dannazione!” quasi gridò a denti stretti, cercando di soffocare la rabbia. Crow era più sensibile sia di me che di Jack, a volte lo dimenticavo. Qualcuno aggrottò le sopracciglia, qualcuno strinse i pugni, qualcuno guardò in basso serrando le labbra. Sapevamo tutti perfettamente come si sentisse.
 
Ruka intervenne: “Crow, non credo che ci stiamo girando in tondo. Sento vibrazioni diverse nell’aria. Non sono forti e distinte, ma qualcosa è cambiato di sicuro. Ci siamo spostati e ci siamo avvicinati. Dobbiamo continuare in questa direzione!” suggerì, indicando la fine del tunnel.
 
Crow tentò un sorriso, ma dal verso che emise capii che non era lo stesso entusiasta della nuova proposta. A dire il vero, non riuscivo a biasimarlo. La vaga idea di imbatterci ancora in quei mostri era abbastanza da farmi vomitare dalla paura. Ma non c’era scelta. E non era questo che mi spettava. Non era questo il momento per mostrare debolezza, anche se gli altri capivano, anche se eravamo tutti reduci da un’esperienza sovrannaturale traumatica, anche se avrei trovato il loro certo sostegno. Ero io il loro sostegno.
 
“Mi fido di te, Ruka. Qui non possiamo restare. Forza ragazzi, andiamo.”
 
Io e lei ci incamminammo. Aki, Crow e Jack ci seguirono uno dopo l’altro.
 
“Ruka, posso farti una domanda?” domandò Aki dal fondo del gruppo. La bambina la guardò con aria interrogativa.
 
“Quante altre cose sai sui nostri antenati?”
 
“Ah, io… non molto a dire il vero. Li ho visti da lontano, come da un vecchio filmato. Penso che a questo punto non ne sappia più di voi.”
 
“Secondo te anche quell’uomo che ha attaccato Yatol -Yusei- ha discendenti come noi? Magari ha ereditato quei poteri e cerca vendetta per il suo antenato e Akuma?”
 
“Non saprei, non credo… il Drago ci ha lasciato i sigilli prima di imprigionare Akuma, ma il demone non è riuscito a fare nulla del genere.”
 
“Magari ha appreso della sua esistenza da altre fonti, finché non l’ha trovato?”
 
“Potrebbe essere, ma se così fosse dovrebbe trattarsi di qualcuno che conosce bene la mitologia. Ma un qualunque ricercatore sano di mente o non ci crederebbe, o starebbe lontano da qualcosa di così pericoloso! Che razza di persona sarebbe disposta a vendere l’anima a uno spirito demoniaco come Akuma?”
 
“Vorrei che esistesse una risposta accettabile a questa domanda…”
 
Mentre camminavamo, notai una cosa. Il tunnel era diventato gradualmente più buio. La luce si affievoliva. Perché?
 
“Ruka, guarda! I cristalli… stanno diminuendo...” le feci notare. Lei rallentò un attimo, come avesse capito cosa significasse, poi deglutì.
 
“Questa strada… porta verso una grande oscurità… c’è di sicuro qualcosa alla fine. O qualcuno.”
 
Un brivido gelido mi corse giù per la schiena. E molto probabilmente non solo a me. La risposta più logica e immediata era una sola, e l’avevano intuita tutti.
 
“Ruka… pensi che alla fine di questa strada ci sia quel demone? In carne ed ossa?”
 
“Non lo so Yusei. Ma anche se ci fosse, i sigilli li abbiamo noi. Quanto può far paura un leone ingabbiato?”
 
“Abbastanza per cercare alternative?” propose Crow.
 
“Ne abbiamo?” sussurrò Aki, rassegnata. Per un attimo calò il silenzio. Lo sconforto era palpabile.
 
“Quindi, fatemi capire bene: questo signore non ben identificato ci è venuto a trovare uno per uno per farci una sorpresa, per poi scaraventarci in un posto che non risponde alle leggi del tempo, dove non esiste nulla al di fuori di questi cunicoli bui, che è denso di mostri degni del più raccapricciante dei film horror, in cui siamo in costante pericolo per la nostra vita, e l'unica via d’uscita sembra essere la tana della morte incarnata stessa?” ribatté sarcastico Jack.
 
Crow alzò le spalle. “Sembra di sì, Sherlock.”
 
Jack alzò gli occhi al cielo, molto solennemente. “Magnifico.”
 
Per un attimo calò il silenzio. Mentre cercavamo di metabolizzare l'accurata sintesi di Jack, avvertii degli strani sibili dal fondo del tunnel. Simili a quelli del vento nero che ci colpì appena arrivati qui. Ma solo sussurri apparentemente innocui. Mi incuriosii. Mi sporsi più in là, dove il tunnel si incrociava con un altro. La densità dei cristalli permetteva di intuire la direzione da percorrere. Ma non vedevo nulla di strano. Feci cenno agli altri di seguirmi.
 
Proseguimmo quasi in punta di piedi, pronti a reagire a qualunque attacco. Camminammo ancora, finché fu davvero difficile vedere dove si camminava. Faceva persino più freddo. Jack lasciò che una palla di fuoco ci illuminasse meglio il cammino. Stavamo rallentando. Vedevo che anche gli altri avvertivano il disagio che avvertivo io a fior di pelle. Forse davvero c’era Akuma, qualche metro più avanti…
 
“Ragazzi… a me non piace per niente questa cosa…” mormorò Crow.
 
Ruka si voltò verso di me, ansiosa: “Yusei, che facciamo?”
 
Non sapevo cosa risponderle.
 
“Tranquilla, Ruka. Siamo tutti insieme. Siamo forti. Ce la caveremo, così come ce l’hanno fatta i nostri antenati.”
 
Avrei voluto che fosse davvero una certezza.
 
Nessuno poté aggiungere altro, perché le nostre braccia cominciarono a bruciare dolorosamente. La luce rossa era sempre la stessa, ma c’era qualcosa di diverso. Ci stava chiamando.
 
Nonostante il busto curvo e i denti stretti, spostai lo sguardo su Ruka. I suoi occhi, prima ambrati, ora brillavano, rossi come il suo marchio. Si voltò, e cominciò a fare passi lenti e continui verso la fine del cunicolo. Rimanemmo attoniti per diversi secondi prima di sbloccarci e seguirla. Eravamo alla fine. La strada era terminata.
 
Ruka si era fermata al termine del tunnel, all’inizio di uno spiazzo larghissimo, così largo e così alto da poter contenere diversi palazzi uno vicino all’altro. A confronto, quei cunicoli erano estremamente claustrofobici. Incomprensibile come mai non fossero più proporzionati rispetto a questo spazio. Ci sentivamo come formiche in una città. Microscopiche e vulnerabili.
 
Ma non era solo questo a scuoterci. Piuttosto lo era quella massa nera gigantesca che occupava tutto lo spazio centrale. Sembrava tutta fatta di pietra, ma la pietra aveva una forma precisa, vedevo zampe, una schiena ricurva, abbozzi di ali appiattite sul corpo, una sottospecie di coda che spariva nel pavimento stesso -come se quel corpo si estendesse come un iceberg anche sottoterra-, artigli posati a terra, una testa nascosta dallo stesso ripiegamento della creatura immane, come un felino che dormiva. Ma non aveva pelo, sembrava lava solidificata, onde di materiale irrigidite in un unico momento, come se la bestia fosse stata letteralmente pietrificata così.
 
Tutt’attorno, sul pavimento, era distinguibile un enorme cerchio rosso cremisi, brillante, la sua luce saliva verticalmente come a formare un cilindro evanescente, una gabbia attorno alla creatura nera, e si muoveva lentamente, ruotando su se stesso. A ritmo alternato, su questo erano sovrapposti geroglifici familiari. Erano esattamente i nostri segni. Ali… zampe… coda… e testa. Non mancava nulla. Ecco che forma avevano tutti assieme. Ora lo vedevo. Era lui il Drago.
 
Ma qualcosa non andava. Non era completamente rosso. La testa sembrava contaminata dal colore verde. E così anche le ali, a macchie. Perché proprio…
 
Un momento. Io sapevo perché. No, no e no. Non era possibile. Che fosse questo il risultato del mio marchio scomparso? Era stato rubato? E serviva a corrompere l’integrità del sigillo?
 
Ora in effetti vedevo come delle sottili vene percorrere la montagna nera, come delle crepe. Erano verde brillante. Da esse, pareva uscire una specie di fumo. Oh no.
 
Una mano mi toccò all’improvviso la spalla, facendomi voltare bruscamente. Aki si ritrasse, scusandosi. Poi però indicò il grande cerchio a terra.
 
“Quello, quello l’ho già visto! La mia antenata lo aveva evocato da un fuoco! È il Drago, è proprio il Drago!”
 
Jack, Crow, e Ruka, che sembrava essere tornata in sé, continuavano a studiare i dintorni stupiti. Ma quel grande simbolo aveva un che di magnetico. L’intero ambiente era illuminato dal cerchio, e da alcuni cristalli colorati che sporgevano dal soffitto. Sembravano piuttosto voluminosi.
 
Poi un pensiero attraversò la mia mente. Aki aveva detto che la sua antenata aveva evocato il Drago. Doveva essere la facoltà di una qualche sacerdotessa o medium. E loro di solito non stanno su un campo di battaglia. “Aki… per caso nel sogno eri in un tempio?”
 
“Beh, sì, all’inizio sì… perché?”
 
“Ecco… no, nulla. Scusami, non era importante.”
 
“Ah, ok…”
 
Mi passai una mano sulla nuca. Feci un rapido calcolo. Lo sapevo. Diamine se lo sapevo. Yatol la conosceva già. Per questo si era arrabbiato quando Rowta aveva minacciato di attaccare il tempio. Non poteva essere solo timore del sacro, timore di attirare sventure sul popolo. C’era qualcosa di personale. E come ha detto Aki, ‘all’inizio’ significa anche che dopo se n’è andata. Se n’è andata… dal tempio, sul campo di battaglia. L’unica persona ad avermi visto usare quei poteri. La stessa che di certo mi aveva salvato la vita. Era per forza lei. Nessuno può evocare un drago ed essere uno qualunque. Nessuno può scagliare frecce cremisi ed essere uno qualunque. Se prima era una deduzione semplice, ora era una certezza. Mi strinsi nelle spalle. Ci mancavano soltanto queste implicazioni adesso...
 
Ma un lampo luminoso attirò la nostra attenzione. Alzammo gli occhi sulla cima della montagna. Dal nulla, era comparsa una figura familiare. Stesso mantello, stessa aura cupa. Era tornato! Quel bastardo era tornato!
 
Tutti ci schierammo in difensiva, mentre lui scendeva giù ad ampi balzi, facendo scoppiettare luci verdi sotto i piedi per non perdere l’equilibrio. Attraversò il cerchio cremisi che illuminò le pieghe e i dettagli della veste, che non avevo mai notato. Colsi qualche dettaglio del viso: forma allungata, pelle chiara, occhi verdissimi, capelli rossicci. Poi si tolse direttamente il cappuccio.
 
Adesso vedevo il ciuffo voluminoso di capelli che si piegava a falce sul lato destro del suo viso. Era giovane, non aveva più di trent’anni. Vedevo il sorriso sinistro, il cupo bagliore dei suoi occhi. Chi era costui?
 
“Finalmente siete arrivati. Avevo cominciato a pensare che fossero bastati i mostriciattoli nel tunnel a mettervi fuori gioco. Per una volta sono quasi contento di sbagliarmi.”
 
Stavo per ribattere, ma contemporaneamente due mani mi si aggrapparono disperatamente alle spalle, quasi trascinandomi indietro. Mi voltai cercando di raddrizzarmi: Aki si era nascosta dietro di me, occhi sbarrati. Tremava. Non parlava. Quasi mi affondava le unghie nelle spalle tanto era angosciata.
 
“Aki?! Aki che c’è?! Che cos’hai?!”
 
“Andiamocene. Yusei, andiamocene. Yusei, è pericoloso.” Mormorava come un disco incantato. Ma che c’era?! Conosceva quest’uomo forse?! Perché era così spaventata?! Chi era?!
 
“Ciao Aki, da quando non si salutano i vecchi amici?!”
 
Vecchi amici?!
 
Aki?!
 
“ZITTO! STAMMI LONTANO! NON OSARE AVVICINARTI!”
 
“Eddai, mica voglio farti del male!”
 
“BUGIARDO! VATTENE VIA!”
 
“Una volta eri più docile, sai? Sicuramente più simpatica. Ah, bei vecchi tempi. Quando eri forte e fedele. Quando non avevi bisogno di nasconderti come un cucciolo impaurito dietro le spalle degli altri.”
 
“TACI! Te l’ho già detto, non mi prenderai in giro una seconda volta!”
 
“Vorrai dire… ‘terza’?” ribatté, fintamente cordiale.
 
Aki strinse i denti, frustrata.
 
“Te lo ricordi bene direi. Eh sì, per te avevo preferito un faccia a faccia personale. Devo dire che lo scherzo è riuscito alla perfezione! Ci sei cascata in pieno! Allora, dicci pure, come ci si sente a uccidere i propri amici?”
 
Un brivido mi percorse il corpo. Di che diavolo stava parlando?
 
Lei non rispose nemmeno, gridò e basta, scagliando una frusta spinosa cresciuta da chissà dove. Lui lo parò facilmente con uno scudo verde trasparente. Coprii di ghiaccio le mani: questa messinscena sarebbe finita molto presto.
 
“Eddai, Aki! Che permalosa che sei! Non sai nemmeno stare al gioco?”
 
“Gioco?! Tu a che gioco stai giocando, piuttosto?! Ti ho lasciato al movimento Arcadia mentre facevi esperimenti su cavie umane, Divine! Che ci fai nella tana di questo demone?!”
 
“Quanto risentimento! Sappi che da quando sei scappata via, ho smesso di pensare a quei progetti, e ho rispolverato tutti i dati che avevo raccolto su di te. Tu non avevi solo poteri psichici, tu avevi un marchio unico al mondo. Così ho fatto qualche ricerca, che mi ha portato in America centrale. Ho scoperto tante cose sulle popolazioni che una volta abitavano quei territori. E fra queste, un popolo così piccolo, tanto piccolo che qualcuno credeva non esistesse nemmeno, venerava come protettore una creatura riconducibile al tuo marchio. Col supporto delle tecnologie del movimento Arcadia, ho potuto tradurre molte iscrizioni antiche. Così ho scoperto che assieme alla creatura che ti aveva dato quel marchio, esisteva un antagonista, signore della Morte. E sono riuscito a trovarlo, Aki! Non ho fatto nemmeno fatica, è lui che è riuscito a trovare me. Mi ha proposto uno scambio, e io ho accettato.”
 
“Com’è possibile?! Perché hai accettato?!”
 
“Cara Aki, quanto sei ingenua… secondo te, perché tutti quegli esperimenti al Movimento Arcadia?”
 
Aki rimase interdetta.
 
“Te lo dico io: armi, Aki! Armi viventi, poteri distruttivi e controllabili come non se ne sono mai visti! Noi psichici abbiamo sempre sofferto a causa della società. Non siamo mai stati nulla più che mostri da circo per la gente normale, lo sai anche tu.”
 
“Tu sei fuori di testa…”
 
“Sono pragmatico, Aki. Le abbiamo provate tutte, ma nulla è cambiato. Sempre ci hanno odiati, sempre ci hanno allontanato come peste. Quindi, ci prendiamo tutto quello che ci hanno tolto e che non ci hanno mai voluto dare. Nessuno ti prende in giro se sei più potente di lui. Nessuno ti opprime se tu puoi schiacciarlo per primo. Il vero potere, prima del denaro, viene dalla forza delle armi, Aki! È questo l’interruttore che conferisce l’autorità! Sempre è stato così, e sempre sarà!”
 
“Mi stai dicendo che è davvero questo che ti importa?! Che ne è della tua umanità?! Hai una vita breve, perché la sprechi così?”
 
“Perché questo mi interessa e attrae più di ogni altra cosa, e prima di scendere dalla giostra, ho intenzione di divertirmi un po’ e togliermi tutti i sassolini dalle scarpe. Del dopo nulla importa. Il mondo può bruciare nelle fiamme dell’inferno per quanto mi riguarda.”
 
“Sei un mostro! Un demonio! Non c’è nulla di salvabile in te!”
 
“Prima di fare la predica, pensa a salvare te stessa.” asserì, stavolta non più divertito. Alzò un braccio, schioccando le dita. Ne scaturì una scintilla verde, che poi si sparse tutt’attorno, come un’onda circolare, che ci attraversò tutti, fino a coprire tutta la base dell'immensa grotta, permeando le pareti ed entrando nei vari cunicoli che sbloccavano qui.
 
Non ci aveva fatto nulla. Ma sentivo strani rumori provenire dai tunnel dietro di noi. Oh no, non di nuovo…
 
“DIVINE!” -gridò Aki- “Cosa vuoi da noi?! Perché ci hai portati qui?!”
 
“Perché era parte del contratto con Akuma. All'inizio volevo recuperare i sigilli singolarmente –disse gesticolando in mia direzione-, ma poi ho pensato che sarebbe stato più facile radunarvi qui e lasciarvi a mani migliori delle mie. Così lui sarà libero, e io avrò fatto jackpot.”
 
“Cosa ti assicura che andrà come pianifichi?!”
 
“Dovresti conoscermi, Aki. Io non sbaglio mai nulla.” Sentenziò, prima di sparire avvolto da luce smeraldo.
 
Che dire, dal dialogo si deducevano risposte sufficienti sull’identità del nostro nemico. Ma adesso avevamo un nuovo problema.
 
Dai molteplici tunnel attorno a noi cominciarono a comparire creature terribilmente familiari. Una manciata da ognuno… contarle era un’impresa. Improvvisamente mi tornarono alla mente le parole del Drago: avremmo dovuto combattere. 'E quando sarà necessario, ti concederò il mio potere'.
 
Una cosa era certa: da qua saremmo usciti tutti insieme. Vivi, o morti. Uno sguardo d’intesa reciproco raccomandava di restare uniti. Il piano era semplice: fare di tutto per restare vivi.
 
Le bestie si gettarono su di noi in massa. Ma nessuna riuscì a toccarci, dato che le più vicine dovettero cercare di sorpassare una barriera di ghiaccio, fiamme infuocate, scariche di luce, muri e lacci di liane e rovi, oltre che a una cortina d'ombra che ci nascondeva e rendeva intoccabili.
 
Le barriere reggevano, ma senza attacchi più diretti e forti, non potevamo resistere in eterno. Quei mostri avevano la pelle dura, e noi non potevamo contare sul supporto dei cristalli. Cos’altro potevamo inventarci?
 
“Jack, come facciamo ad abbatterli tutti?!” gridai.
 
“Non lo so! Ci converrebbe salire sulla montagna, ma come ci arriviamo?!”
 
“Bisognerebbe distrarli o rallentarli!”
 
“Puoi congelare le loro zampe?”
 
“Posso tentare, ma non durerà molto!”
 
“Aki, puoi aiutarlo tu?!”
 
“Certo! Lascia fare prima a me!”
 
Aki si accovacciò a terra premendo direttamente i palmi delle mani contro il suolo. I rovi al di là della barriera di ghiaccio crebbero all’istante per numero e dimensione. Si estendevano sempre più lontano e sempre più forti per intrappolare i mostri. Molti venivano spezzati, ma quando si univano in fasci, era impossibile strapparli. Lei stringeva i denti, e concentrandosi a testa china, affilava le spine che affondavano nella carne delle bestie. I loro versi di dolore lacerante erano la prova che la strategia fosse estremamente efficace e letale. Una persona riusciva a tener testa a un esercito intero. La sua era un’abilità impressionante. E sapevo quanto male facessero quelle spine…
 
“Yusei, adesso!”
 
Feci un bel respiro. La barriera non serviva più. Il muro smise di crescere in altezza, e dalla sua base scaturirono diverse ondate di ghiaccio: le creature si agitavano, ma erano ancorate a terra, e nessuna poté sfuggire alla trappola. Il raggio d’azione però non era esteso come quello di Aki. I miei poteri erano stati dimezzati, e purtroppo non ne avevo recuperati a sufficienza. Alle nostre spalle avevo tralasciato un solo corridoio per arrivare alla montagna. Avremmo dovuto passare in mezzo a qualcuna di quelle creature, ma non c’era scelta.
 
“Andate tutti, adesso!”
 
“Yusei, tu come farai?!”
 
“Vi seguirò per ultimo, non preoccupatevi! Voi andate! Sbrigatevi!”
 
Il tempo per discutere era poco. Crow ritirò la cortina d’ombra lasciando fuori solo me. Tutti gli altri percorsero in fretta e furia lo stretto corridoio che arrivava alla base della montagna di pietra. Lanciai un’occhiata alle mie spalle: tutti stavano risalendo l’ammasso di roccia. Il corpo del demone ripiegato su se stesso formava una specie di gradone per salire in cima, piuttosto ripido, ma utile per arrivare fin sulla sommità. Dovevo dare loro più tempo. Crow gridò qualcosa in mia direzione, ma era difficile distinguere la sua voce dai latrati di tutti quei mostri attorno a me.
 
Mi stavo affaticando. Avevo raggiunto il tempo limite. Un rapido conto alla rovescia, e senza guardarmi indietro corsi dritto verso gli altri lungo il corridoio di ghiaccio, che rapidamente si spaccava. C’ero quasi…!
 
Un artiglio sbucò fuori dalla parete del corridoio, poco prima della fine della strada. Scivolai in basso per schivarlo, ma il mostro riuscì a divincolarsi dal ghiaccio e dalle piante congelate che lo intralciavano. La corsa fu disperata.
 
“Abbassati!”
 
Mi buttai a terra, mentre una possente fiammata investiva la creatura dietro di me. Uno, due, tre colpi, sufficienti ad impedirle di avanzare ancora. Jack mi tese la mano caldissima e mi tirò su, mentre rapidi come schegge risalivamo il monte.
 
“Non ti azzardare mai più!”
 
“Avevi approvato il piano mi pare!”
 
“Non l’ultima parte! Quella era farina del tuo sacco!”
 
Eravamo quasi in cima, quando notai che le bestie rallentate dal gelo e dai rovi avevano cominciato a liberarsi una dietro l’altra. Alcune procedevano sbandando e scontrandosi fra loro come se non vedessero -Ruka doveva averle accecate in precedenza…-, altre tremavano dalle ferite e dal gelo che era penetrato nei loro corpi. La strategia era riuscita a indebolirle bene, ma nemmeno questo bastava, e io ero a corto di risorse. Anche Aki sembrava stanca.
 
“Ragazzi, che facciamo? Fra poco saliranno quassù anche loro!”
 
“Dobbiamo ucciderle tutte, ma sono troppo robuste per noi!”
 
Stavo per intervenire, ma un terremoto ci interruppe. Ci aggrappammo tutti carponi alle rocce alte, mentre sul corpo del demone si aprivano ancora più crepe. Spifferi di fumo -molto probabilmente tossico- fuoriuscivano da esse. Fortunatamente eravamo abbastanza distanti per non inalarlo, ma il rischio di avvicinarsi troppo era alto. La scossa si placò rapidamente. Forse era solo un’avvisaglia dell’agitazione del demone sotto il suo sigillo. Ma di certo era in procinto di risvegliarsi, e dovevamo impedirlo ad ogni costo. Intanto, dalle aperture dei tunnel immessi nella grande grotta cominciarono ad arrivare altre bestie, cariche ed energiche rispetto alle compagne già presenti. Ma quante diavolo erano?!
 
Per loro non ci volle molto a scavalcare i rimasugli della distesa di ghiaccio e a cominciare la scalata. Jack li tenne giù a bada col fuoco, ma non poteva trattenere quelli che salivano dall’altra parte… Aki cercava di legarne giù e soffocarne quanti più poteva, ma i rovi non spuntavano dalla roccia, solo dalle pendici terrose. Evidentemente, non c’è modo di metter radici in un demone che rappresentava la morte stessa…
 
Mi inginocchiai e vene di ghiaccio coprirono la distesa di roccia dietro Jack: dove passavano le creature, una lancia di ghiaccio fendeva l’aria trapassandone le carni. Alcune cadevano, altre restavano ancorate alla parete, altre spezzavano le lance avanzando senza controllo, ma finivano solo col ferirsi ancora e ancora. Iniziai a pensare che questi mostri non sapessero cosa fosse il dolore. Andavano avanti come automi, quasi indisturbati. Spiegava la ferocia e la fenomenale resistenza. Gli animali feriti di solito scappano, questi sono solo accecati dal desiderio di uccidere, o di mangiare.
 
Guardavo la distesa di demoni sotto di noi che aumentava, aumentava e basta, come onde del mare che si accavallavano le une sulle altre e sommergevano gli scogli e si infrangevano sulla costa. Dovevano essere migliaia, noi invece eravamo solo in cinque. Feci un rapido calcolo. Cinque. Contro qualche migliaio. Senza cristalli, senza risorse aggiuntive. Un senso d’angoscia mi assalì. Solo un miracolo ci avrebbe tirati fuori da quella situazione. Che dovevo fare? Che diavolo dovevo inventarmi adesso?!
 
“Yusei, ho un’idea! Ma mi serve l’aiuto di Ruka!” gridò Crow. Un briciolo di speranza mi germogliò testardo nel petto. Ci giocavamo il tutto per tutto.
 
“Bene allora, vi copro le spalle!”
 
“Ottimo! Fatele da scudo e cercate di coprirvi gli occhi tutti quanti!”
 
Chiusi gli occhi, senza perdere il controllo sulle stalattiti di ghiaccio. Attraverso le palpebre, vidi che una luce abbagliante ci investì. Non sapevo che Ruka potesse evocare una luce tanto potente. Che fosse questo il suo asso nella manica?
 
Sentivo quelle creature gemere infastidite, ma c’era anche un suono di carne tagliata sotto di noi. Doveva trattarsi di Crow… Ma certo! La luce non fa che mettere in risalto tutte le ombre! Rapido com’è, avrà pensato di buttarsi nella mischia e attaccare le loro ombre! Trovata tanto geniale, quanto pericolosa. Ruka cominciò a urlare per sostenere la luce e lo sforzo; sbirciai con un occhio, e intravidi quante bestie erano state abbattute con un metodo così semplice. Parecchie, ma ovviamente in un settore troppo ristretto.
 
“Crow, torna su! Sbrigati!”
 
Crow zigzagò verso il monte, risalendolo in fretta, mentre Ruka abbassava le braccia, sfiancata. Crow superò incolume la distesa di demoni immerso nell’ombra. Era andato tutto liscio per fortuna. La luce scomparve, e subito cercammo di ristabilire la nostra difesa. Avevamo abbattuto diverse creature nel frattempo, ma non bastava, non bastava mai. All’improvviso notai che un versante era rimasto più trascurato degli altri, troppo ripido per sospettare attacchi da lì, ma quando mi voltai per accertarmene, un artiglio comparve dall’ombra: un mostro saltò subito sul dorso del demone pietrificato, più piccolo degli altri, ma forse proprio per questo più agile e insidioso. Gridai agli altri di fare attenzione, ma quello saltò rapido addosso a Ruka, l’unica rimasta indifesa.
 
Abbandonai la postazione per gettarmi contro quella bestia: un pugno ghiacciato dritto sul muso per allontanare le zanne viscide dal volto di Ruka, poi un altro e un altro ancora, e Ruka sgattaiolò via, ma con le zampe riuscì a graffiarmi il braccio sinistro. Gemetti dal dolore, e nel tentativo di reagire fui schiacciato a terra, mentre la bestia cercava di mordermi il polso destro. No, non al polso, mirava al marchio del Drago!
 
Scalciavo per allontanarla, ma era inutile. Un artiglio violaceo comparso dal nulla riuscì però a ferirle gli occhi -Crow!- e ad allontanarla. Con l’aiuto di Crow sgusciai via e mi rimisi in piedi, ma avevo un braccio sanguinante e dolorante. La creatura era stata accecata, ma continuava a latrare in nostra direzione…
 
“Yusei, lascia fare a me! Ne stanno risalendo altri alle nostre spalle-!”
 
Volsi lo sguardo verso la postazione che avevo abbandonato: i demoni avevano guadagnato terreno, un paio di artigli emergevano dal basso e se non mi sbrigavo…
 
Scagliai il braccio davanti a me disegnando un arco: una manciata di stalattiti appuntite nacquero di fronte alle creature, che infilzate in più punti si distaccarono dalla parete di roccia. Mi precipitai a tenerne altre a bada piuttosto alla buona, ma presto mi accorsi che non solo Aki e Jack perdevano colpi, ma che i demoni erano diventati così tanti da cominciare a scalare l’altura anche uno addosso all’altro. Era un’orda infinita, così grande e compatta che era impossibile enumerare tutti quei demoni. E noi eravamo cinque.
 
 
Ci provammo con tutte le nostre forze a resistere, davvero. Ma non potemmo reggere l’ondata che ci investì. Né fuoco, né rovi, né ombra, né luce, né ghiaccio furono abbastanza. Proprio quando le bestie erano sopra di noi, in procinto di dilaniarci le carni, una luce accecante fendette il buio. Quella luce veniva dal mio marchio, da ogni marchio. E bruciava, bruciava dannatamente. Le creature stridevano inferocite e infastidite, ma si allontanavano.
 
La luce pulsava, pulsava ritmicamente, al passo del mio cuore. Era forte, quasi dotata di vita propria, ed era fuoco sulla pelle, fuoco che ardeva ma che non consumava. Un fuoco che avvolgeva interamente il mio corpo. Non riuscivo a muovermi. Ero immobilizzato a terra, vittima della stessa fiamma che mi aveva salvato. Udivo i battiti del cuore così distintamente che potevo contarli. Sentivo il sangue che invadeva a intermittenza mani, cranio, viso, perfino i piedi, che pulsavano con tale forza che quasi ebbi timore che potessero scoppiare. Potevo sentire le gocce di sudore che scivolavano giù dalle tempie, un distante ronzio nelle orecchie, lo strofinio fra muscoli e legamenti che faticavo a muovere. Quest’esperienza mancava all’appello in effetti. Ancora una volta ero messo di fronte alla realtà di essere confinato in un corpo fatto di semplice carne. Magari non era il meglio che c’era, ma era tutto quello che avevo.
 
Infine, la luce abbandonò i nostri corpi, lasciandoci liberi di muoverci, ma indifesi. Eppure, nessuna creatura ci assalì. Le cinque fiamme fluttuarono nell’aria fino a scendere alle pendici del monte creato dal corpo sopito di Akuma. Mi precipitai a vedere meglio: le luci si inserirono ognuna su un simbolo dell’intero marchio del Drago, ravvivandone i colori. Quando la fusione fu completa, si scatenò l’inferno.
 
La terra cominciò a tremare violentemente. Le creature stridettero in un coro cacofonico, precipitandosi giù dal monte. Forse restare lassù era una pessima idea anche per noi. Un rumore di roccia spaccata attirò la mia attenzione: dalle pendici, le crepe divennero innumerevoli, e tutte correvano verso la cima del monte. Stavo per gridare qualcosa, ma una corda avvolta attorno al busto me lo impedì. No, non era una corda, erano i poteri di Aki, stavolta senza spine. Vidi che ognuno di noi era stato afferrato da uno stelo -lei compresa- che ci sollevava e riportava giù dalla rupe, appena all’interno del grande marchio del Drago.
 
L’atterraggio fu brusco solo perché la terra tremava ancora. Tutte le creature erano scappate, molte erano diventate fumo, riassorbito da Akuma attraverso le crepe aperte della roccia. Uno strano rimbombo fece vibrare ancora la terra, più simile a un ringhio soffocato, un grido di vendetta proveniente dal sottosuolo, presagio della furia covata da quel terribile demone per millenni.
 
Ci allontanammo per quanto potemmo, ma non c’era un luogo dove scappare, specialmente se la terra sotto ai piedi non smetteva di tremare, potevamo solo restare a guardare col cuore in gola. Quasi non ci accorgemmo di Divine che ricomparse dietro di noi, a qualche metro dalle nostre spalle. Mi voltai rapidamente cercando di non perdere l’equilibrio, ma apparentemente era troppo preso a contemplare la visione che aveva di fronte per badare a noi.
 
“Finalmente il sigillo è spezzato...ho vinto! AKUMA È TORNATO!” annunciò aprendo le braccia con fare teatrale, allargando un ghigno.
 
La sua espressione non era di estasi paradisiaca, ma di piacere perverso. Il sorriso era beffardo, sadico, gli occhi ricolmi del veleno demoniaco che aveva intossicato la sua mente.  Era raccapricciante. Non riesci ad odiare qualcuno che più d’ogni altra cosa ti fa pietà. Guardava in direzione della luce, ma non stava osservando nessuna delle due creature mitiche. Contemplava la scena in sé, come un quadro incorniciato. E lui era il Mecenate che l’aveva commissionato. Stava guardando il risultato del suo operato, dei suoi calcoli perfettamente riusciti, di tutto il male che lui stesso aveva fatto. Non era Akuma che venerava, ma soltanto se stesso. Magari pensava di avere un demonio sotto il suo controllo, ma era chiaro che si sbagliasse. Il vero schiavo era soltanto lui, e forse non se n’era nemmeno accorto.
 
 Il cerchio di fuoco attorno ad Akuma cominciò a vorticare sempre più rapidamente, finché non divenne incandescente, sollevandosi da terra. Ad un certo punto, ci fu un’esplosione di luce, troppo abbagliante per sostenerla con lo sguardo. Ci buttammo a terra coprendoci il volto, intanto che il suolo ancora si scuoteva e che il ringhio del demone si faceva sempre più sonoro.
 
Quando riaprimmo cautamente gli occhi, la luce dell’ambiente era del tutto cambiata. Era giorno. Il terreno era dello stesso tipo, ma esteso a perdita d’occhio. Sopra di noi non c’era più la cupola buia della grotta, ma un cielo azzurro, un sole e una grande stella rossa. Molto vicina, oppure lontana e molto grande.
 
Davanti a noi, non c’era più né il simbolo del Drago, né la montagna di roccia. In compenso, lontano da noi, sulla terra, vi era una creatura immensa, nera, sembrava un ammasso deforme di liquami, ma provvista di zampe, artigli, ali e tre bocche una sopra l’altra, piene di denti acuminati. Era davvero Akuma, ed era libero. Divine si era di nuovo teletrasportato davanti a noi, una ventina di metri distante. Era avvolto da un’aura verde, oscura, e non parlava. Si voltò lentamente in nostra direzione, sorridendo maligno. Era proprio come avevo visto in sogno. Prima Rowta, adesso Divine. Schiavi del male. Completamente soggiogati.
 
Questo però non era un sogno, né un lontano ricordo.
 
Questo era reale. E noi eravamo i protagonisti.
 
L’intenzione omicida di Divine era palpabile. Ma io non facevo che rivedere Yatol decapitare Rowta davanti a me, ossessivamente. E in un flash ancor più fugace, gli occhi di quell’omicida di tanto tempo prima… Il disagio era viscerale. Avrei dovuto davvero imitare il mio predecessore, macchiando le mie mani di sangue umano? Quando mi sono ripreso da quella visione, mi sono ripromesso di non fare lo stesso. Non volevo sperimentare quel brivido oscuro una seconda volta, stavolta essendone responsabile. Era un limite proibito. Se avevo certezze nella vita, era che uccidere un altro uomo –soprattutto consapevolmente, e non accidentalmente- era sbagliato. Ma c’erano forse eccezioni…?
 
‘Drago’ lo interpellai con la mente, ‘esiste… un modo per vincere senza dover uccidere Divine?’
 
‘Dipende da te,’ sussurrò una voce dolce ma salda, ‘perché vuoi saperlo?’
 
Continuai: ‘So che è controllato ed è malvagio, ma è un essere umano come me, che sia buono o che sia cattivo. Non… non posso togliere la vita a un altro uomo. Non sono Yatol. Non pretendo di salvargli l’anima. Ma non voglio togliergli la vita. Qualunque sarà il destino di Divine, io non voglio ucciderlo. Non voglio portarne il peso. Perché so che nel mio futuro sarà un peso grande lo stesso. Per favore, aiutami.’
 
“Il tuo desiderio è giusto, Yusei. Un modo c’è. Ma se vorrai salvare tutti, ti costerà caro.’
 
‘Cosa mi costerà?’
 
‘Molto dolore.’
 
‘Perché questo?’
 
‘Perché non c’è cosa più grande che voi umani possiate offrire.’
 
‘Non capisco che significa… non c’è un altro modo?’
 
‘Se ci fosse stato, te l’avrei detto. Un giorno capirai. Ma guarda i tuoi amici: è un prezzo accettabile da pagare perché anche loro vivano?’
 
Mi voltai. Jack, Crow, Aki e Ruka mi fissavano interrogativi. Scrutai ognuno dei loro volti. Non avevo considerato che loro fossero tutti in pericolo tanto quanto me. Per qualche motivo, avevo dato per scontato che avessi più responsabilità degli altri in questo scontro. Non era così. Sentii la gola stringersi come in procinto di pianto. Ma certo che volevo che vivessero. Certo che volevo tornare a casa con loro, con tutti loro.
 
‘Giurami che mi difenderai e che mi aiuterai a sopportarlo fino alla fine.’
 
‘Lo giuro.’
 
Un possente ruggito proveniente dal cielo attirò la mia attenzione: un sinuoso serpentone danzava in cielo sopra di noi, lunghissimo e grandissimo, aprendo le immense ali che ci sovrastavano, come per coprirci col suo manto di fuoco. Come per protezione.
 
Mi sentivo davvero protetto. Forse era per questo che i sigilli erano stati rotti all’improvviso nella grotta, senza che ci venissero strappati uno per uno, prima che di noi non restassero che briciole. Era stato il Drago. Aveva preferito sciogliere il suo stesso sigillo e liberare Akuma in anticipo, piuttosto che farci uccidere. Potevo fidarmi. Apparentemente, la vita era la priorità del Drago. Persino quella di Divine. Se non altro, questa era garanzia che fossi schierato dalla parte giusta.
 
Considerai per un attimo i miei ultimi pensieri e tutto ciò che avevo di fronte. Se qualcuno me l’avesse raccontato qualche giorno fa, l’avrei preso per uno scherzo, neanche tanto buono. E invece no, era tutto reale. Ed ero l’ultimo baluardo di difesa della Vita stessa, assieme ai miei amici.
 
Il destino mi aveva gettato il guanto di una sfida fuori dal mondo. Stava a me raccoglierlo o no. Ma come dire, ritirarsi non era più contemplabile: se ormai si era in ballo, tanto valeva ballare. Presi un bel respiro, sentendo l’elettricità nell'aria a fior di pelle. Strinsi i pugni, alzando lo sguardo verso il mio nemico. Un fuoco cominciò a bruciarmi nel petto.
 
In fondo era bello combattere per qualcosa più grande di me.
 
 
 
 
 
 
 
 
*Nell’antro oscuro della scrittrice*
 
Puntata speciale: mai così ambigui
 
Io: questo capitolo è stato meditato molto su alcuni dettagli. Ci tenevo, ecco.
 
Yusei: *sospira rassegnato* tanto sono comunque condannato a patire come un cane nelle tue storie, punto
 
Io: lo so che ti va sempre male, ma l’ultima parte dipende da realizzazioni personali :V scrivere è bello anche per sublimare e trasmettere quello che impari o che credi, no?
 
Yusei: io vedo solo tanto sadismo, a mie spese, come sempre da 15 capitoli
 
Io: gnooo eddai, guarda che ero seria, almeno gli do un senso  
Jack: ringrazia che non era sadismo stile 50 sfumature
 
Yusei: Jack non darle idee
 
Io: … veramente mi pensate capace di una cosa del genere?...
 
Tutti, in coro: SÌH
 
Io: ma ma ma ma- gnooo io sono una giuggioletta pura e innocua, non scriverei mai questa roba ;w;
 
Aki: di certo la tua inclinazione al sadismo non è un buon indizio
 
Io: …. da che pulpito.
 
Aki: ehi!!! Era… tanto tempo fa, ecco
 
Io: tanto, fra noi due, quella che è andata più vicino a 50 sfumature sei tu
 
*cala un disagio palpabile nella stanza*
 
Yusei: iiio me ne vado
 
 
(Nuovo disegno!! L’ambiente descritto è qualcosa del genere! e SOno stati aggiornati anche i capitoli 12, 13 e 14! Ho notato che i vecchi url non sono visibili, li sistemerò presto)

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