Another Moments

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***
Capitolo 8: *** Cap 8 ***
Capitolo 9: *** Cap 9 ***
Capitolo 10: *** Cap 10 ***
Capitolo 11: *** Cap 11 ***
Capitolo 12: *** Cap 12 ***
Capitolo 13: *** Cap 13 ***
Capitolo 14: *** Cap 14 ***
Capitolo 15: *** Cap 15 ***
Capitolo 16: *** Cap 16 ***
Capitolo 17: *** Cap 17 ***
Capitolo 18: *** Cap 18 ***
Capitolo 19: *** Cap 19 ***
Capitolo 20: *** Cap 20 ***
Capitolo 21: *** Cap 21 ***
Capitolo 22: *** Cap 22 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


Erano già passati almeno una decina di giorni da quando aveva abbozzato alla sua famiglia la possibilità di sposarsi con la sua ragazza.
A capo tavola si era accomodato suo padre.
Normalmente avrebbe dato il suo beneplacito, accogliendo la richiesta del figlio, ma quella sera gli uomini di casa erano sotto scacco.
Quando era venuto al mondo e, anche più tardi, suo padre gli aveva spiegato che nella sua vita sarebbero sempre state le donne a portare i pantaloni.
I cari maschietti, così venivano canzonati, erano privi di volontà e si piegavano dinanzi a ogni decisione presa dalla donna delle loro vite. Poteva trattarsi della prossima meta turistica, dell’educazione dei figli o di cosa mangiare per cena tutto diventava un’occasione per dimostrare come le donne di casa fossero le vere padrone di ogni cosa.
La montagna diventava un miraggio, le gratificazioni dei figli per ogni verifica sufficiente erano snobbati e il minestrone varcava la porta della cucina, accogliendo i commensali con il suo odore raccapricciante e con una consistenza alquanto disgustosa.
Il padre, anche in quella circostanza, aveva rivolto uno sguardo rassegnato al figlio che si ritrovò a cambiare i suoi programmi.
Durante la mattinata si era illuso che le promesse di suo padre potessero avere una qualche importanza, quasi dimenticandosi le delusioni patite e accumulate negli anni precedenti. Il viaggio in Germania, tanto per dirne una, era stato dapprima ridotto di durata, passando da tre a due settimane, e poi del tutto cancellato perché i giornali e le televisioni avevano riportato la notizia di un killer che imperversava per la zona di Amburgo.
Spiegare a sua madre che Berlino era una città sicura e che era più semplice trovare un ago in un pagliaio piuttosto che imbattersi in un pazzoide armato di coltello da cucina, era stato piuttosto inutile.
E anche la discussione avuta con il suo vecchio, quando le arpie erano altrove, aveva permesso solo una semplice ginnastica oratoria che con loro sarebbe stata insufficiente.
“No!” Aveva deciso secca la grande donna, sbattendo la sua mano sul tavolo.
“Mamma io…”
“Non voglio sentir ragioni.”
“Perché?” Domandò intimorito, fronteggiando da solo lo sguardo di sua sorella e di sua madre.
Suo padre, in tutto questo, era rimasto a giocare con i suoi broccoli, cercando di trasformarli con la forza dell’immaginazione in una di quelle pizze della rosticceria che non toccava da oltre tre mesi.
“Tu e Dawn siete troppo giovani per sposarvi.” Borbottò, sorseggiando una delle bottiglie di vino rosso che il marito le aveva comprato per l’onomastico.
“Ma…”
“E poi tua sorella ha il diritto di precedenza.”
“Questa è una scemenza.” Soffiò, girandosi verso Alberta.
“Non è possibile che il mio fratellino si sposi prima di me.”
“Sei solo un’egoista.” Replicò acido.
“Sei così sicuro che Dawn sia la donna della tua vita?” Domandò Alberta, puntandogli contro la forchetta con attaccato un pezzo di polpettone.
“Io…”
“Come puoi sposare una ragazza se non sei nemmeno sicuro dei tuoi sentimenti?”
“Io sono sicuro di amarla.”
“E lei?”
“Perché non dovrebbe?” Ribatté, rispondendo alla madre.
“Il vostro passato non aiuta le cose.” S’inserì Alberta, gelando le scarse sicurezze del fratello.
“Come?” La interrogò, alzandosi in piedi e notando come suo padre, dall’altro capo del tavolo, stesse mangiando le sue verdurine con gli occhi chiusi.
“Voi, escludendo questi pochi anni, e considerando solo quelli legati al reality di Chris, non siete mai stati veri amici.”
“Io…”
“Siete passati dall’essere due perfetti sconosciuti che si odiano a due fidanzatini che si sbaciucchiano ovunque e che non perdono occasione per passare il loro tempo insieme.” Spiegò, facendo arrossire leggermente il minore.
“E tu e il tuo collega?”
“Io e Lucas abbiamo sempre lavorato a stretto contatto e anche se sono passati già 4 anni dal mio primissimo giorno, mi sono accorta che l’amicizia mi stava stretta e ho cercato di conquistarlo con tutte le mie doti.”
“Da quando il disordine è una dote?” Chiese Scott, facendola sbuffare.
“Lui apprezza i miei difetti e uscendo più volte insieme, ho avuto la possibilità di conoscerlo in un modo che prima non avevo mai considerato.”
“Cioè?”
“Inizialmente non credevo fosse il tipo da relazione solida ed ero convinta che si divertisse a passare da una storia all’altra senza fermarsi mai.”
“Te l’ho sempre detto che sei troppo avventata nei tuoi giudizi.” La rimproverò la madre, facendo sorgere un sorriso sulle labbra dei due uomini di casa.
“All’inizio non credevo fosse romantico o sentimentale, ma uscendo con lui e parlandoci senza le pressioni dell’ufficio, mi sono ravveduta.” Affermò, invitando il fratello a calmarsi.
“Anche i nonni, però, si sono sposati quando erano giovani.” Commentò Scott, accogliendo l’ordine impostogli dalla sorella.
“Quelli erano altri tempi e la società funzionava in un certo modo.” Obiettò la madre, girandosi verso il marito che continuava nel suo più assoluto stato di mutismo.
“Come?”
“Il matrimonio è uno dei sacramenti sacri, ma in questi anni voi giovinastri avete abusato di questa preziosa cerimonia, rendendola alla pari di una semplice rimpatriata o di una festa di compleanno.” Sentenziò come se la sapesse lunga.
“Se fossi un po’ più maturo e non ci fosse la macchia del vostro passato, allora si potrebbe anche definire qualche dettaglio e si potrebbe restare svegli fino a tardi, pensando a quali negozi visitare e quali bomboniere comprare.” Ammise Alberta.
“Ma con quello che abbiamo passato e la vostra mania di precedenza, voi mi tarpate le ali.” Borbottò Scott, intuendo il prosieguo del discorso.
“Credi sia facile per me, fratellino? Immagina cosa si direbbe in giro, se i vicini sapessero che il più giovane della nostra famiglia si è già sposato, mentre io sono ancora una semplice zitella che non ha ancora portato uno straccio di uomo a casa.”
“Vi state impuntando in questo modo solo per le possibili chiacchiere degli altri?” S’informò Scott, per nulla preoccupato di ritrovarsi nell’occhio del tifone e guardando sconcertato e arrabbiato la madre e la sorella che continuavano a mangiare senza preoccuparsi troppo.
“In parte è così.” Confermò la madre.
“La tua richiesta, però, non è passata sottotraccia.” Lo rassicurò suo padre che, finalmente, aveva consumato il contorno e aveva ritrovato il coraggio di esprimersi, attirandosi le occhiate confuse del resto della famiglia.
“Come?” Ringhiò la consorte.
“Conosco un amico di lunga data che sta vendendo un appartamento a poca distanza dal centro e che potrebbe farmi un prezzo di favore.”
“Quale sarebbe la tua intenzione, caro?” Lo interrogò con dolcezza la moglie.
“Se nostro figlio è convinto d’amare la sua ragazza e la sua Dawn è dello stesso avviso, non credo che questa mia proposta dovrebbe impensierirli.”
“Che intendi dire papà?” Domandò Scott, anticipando di pochi istanti la sorella che si era persa per mandare un messaggio a una sua amica.
“Tu credi che il vostro amore sotto le pressioni imposte dalla nostra società possa reggere anche nei prossimi anni, giusto?” S’informò per ulteriore sicurezza, recuperando il suo cellulare e ponendolo sul tavolo, quasi volesse far intendere che era sufficiente una mossa per bloccare gli 80mq che il suo amico stava cercando di piazzare sul mercato da oltre 5 mesi.
“Esatto.” Confermò secco.
“La tua sicurezza, però, non può essere la nostra.” Affermò il capofamiglia, giudicando insufficienti i momenti che i due giovani avevano passato insieme.
“Ma…”
“Immagina che rottura se noi accettassimo la tua proposta, se voi vi sposaste e poi foste costretti al divorzio. La nostra famiglia e quella della tua ragazza uscirebbero da questa faccenda in un bagno di sangue e con le ossa rotte e la cosa farebbe ben più parlare della possibilità che tua sorella sia una zitella incallita destinata a un allevamento di gatti.”
“Io…”
“Che cosa avresti intenzione di fare se dovessimo concederti il nostro permesso e se poi foste destinati a dividervi in un’aula di tribunale?” Domandò l’uomo, squadrando il figlio.
“Non lo so.”
“Se accadesse un qualcosa che fa vacillare il vostro amore, oltre ai canonici litigi, voi vi ritrovereste in una situazione che ti auguro di non vivere mai. Con il passare del tempo, la odieresti e penseresti che la tua famiglia sia stata stupida e avventata nel lasciarti andare senza metterti in guardia.”
“Questo mai!” Lo rassicurò quasi urlando.
“Non serve che cerci di rabbonirmi in questo modo: io conosco il mondo meglio di te e so che certe cose potrebbero finire malamente se non ci si ferma a riflettere.” Affermò deciso, prendendo un pezzo di pane e mangiucchiandolo con tutta calma.
“Allora?” Domandò curiosa la moglie, tirandogli una gomitata e costringendolo a riprendere il discorso da dove si era interrotto.
“Che cosa vorresti proporre a Scott?” Lo interrogò Alberta, cacciando il suo cellulare in un angolo e prestando la sua completa attenzione verso il padre.
“Se il loro amore è così forte e duraturo, allora in futuro si potrà dire che siamo stati stupidi a dubitare di loro.”
“Papà…”
“Quest’amore, però, scusa la freddezza, non è stato testato come si deve e c’è solo una possibilità precedente al matrimonio di cui si può usufruire senza problemi.” Soffiò, concedendo in tal modo il suo permesso.
Dopotutto se non fosse stato nelle sue intenzioni, lui non avrebbe mai menzionato del suo amico e non avrebbe fatto altro che annuire alle decisioni, giuste o sbagliate che fossero, di sua moglie e di sua figlia Alberta.
“Intendi farli convivere?” Domandò la figlia.
“Senza genitori in giro che si occupano di ogni aspetto della casa e costretti a cavarsela con le loro sole forze, potranno capire se questo legame ha futuro o è solo un fuoco di paglia che incendierà solo con una maturità non ancora acquisita.” Gracchiò, facendo sorridere la consorte.
“E vi sarebbe il vantaggio di un danno minimo.” Soffiò Alberta.
“C’è dell’altro, vero?” Chiese Scott, intuendo dallo sguardo del padre che la situazione non era così limpida e cristallina.
“Il matrimonio, così come lo sognate, non è una chimera.” Ammise, vedendolo confuso da quella confessione improvvisa.
“Ma la mamma ha detto…”
“La mamma ha solo detto che è una cerimonia snaturata dall’abuso incontrollato, ma ciò non significa che l’amore sia ormai defunto.”
“Forse mi sono spiegata male.” Si scusò la donna, portandosi alle labbra il bicchiere contenente il suo amato vino rosso.
“Per organizzare un matrimonio all’altezza di cosa credete ci sia bisogno?” Domandò l’uomo, interrogando sia Scott che la sorella maggiore.
“Non saprei.” Ammise Alberta.
“È l’aspetto più vile del nostro mondo.” Suggerì la donna.
“Il denaro?” Tentò Scott con scetticismo, sperando vivamente di sbagliarsi.
“Senza soldi non si può organizzare nulla e per un vero uomo spesso è umiliante chiedere ai propri genitori di coprire tutte le spese.” Confermò il padre.
“Eh?”
“Io ti conosco bene Scott e so che soffriresti se noi dovessimo tirare fuori l’assegno per coprire tutte le vostre spese.”
“Già.” Confermò abbattuto dalla consapevolezza di non essersi trovato, in quelle poche settimane, nemmeno uno straccio di lavoro.
Si sarebbe accontentato anche di fare il cameriere o il fattorino prima che qualche studio accettasse le sue garanzie e la sua preparazione universitaria. Anche il lavoro più umile gli andava bene pur di sbancare il lunario e di mettere qualcosina da parte per i suoi progetti futuri.
Per il momento, nonostante le rassicurazioni dei suoi genitori e dei suoi ex colleghi di corso che gli confermavano la difficoltà di mettersi in gioco nel mondo del lavoro, non aveva ottenuto nemmeno un colloquio e ciò lo demoralizzava fino a quando non incontrava la sua ragazza e non poteva stringerla a sè.
“Convivi con Dawn, hai tempo per trovarti un lavoro e puoi conoscere i vari aspetti di una vita lontana dai nostri consigli.” Elencò l’uomo, intuendo dallo sguardo del figlio che avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di allontanarsi dalle grinfie delle due arpie con cui era stato finora.
“E l’affitto?” S’informò Alberta.
“Non essendo autonomi, dovremo parlare con i genitori di Dawn e se anche loro sono d’accordo, divideremo le spese.” Borbottò risoluto, facendo annuire la consorte.
“Quando entrambi avrete un’occupazione, allora dovrete cavarvela con i vostri stipendi e se il matrimonio è il vostro obiettivo, ricordate di non prosciugarvi tutto il conto.” Consigliò la donna che incrociò lo sguardo furioso della figlia.
“Dopo telefonerò a Dawn e la informerò della novità.” Affermò Scott.
“Non è giusto, però, che Scott sia il primo ad andarsene.”
“Perché siete così stressanti?” Soffiò infastidito il padre, assaggiando un pezzo del suo polpettone ormai gelido.
“Anch’io vorrei un posto, dove stare con il mio Lucas.”
“Ci sarebbe la stanza che resterà libera con la mia partenza.” Propose il rosso, facendo incupire la maggiore che pretendeva tutt’altro.
“E allora?”
“Puoi sempre chiedere a Lucas di venire a vivere qui e tra qualche anno cercherete una casa in affitto.” La derise Scott, facendola infuriare.
“Non è divertente.”
“Lo è invece.” S’inserì il padre, sorridendo malignamente.
Quella situazione che si stava creando, gli dava la possibilità di vendicarsi di tutto quello che aveva passato negli ultimi anni.
Tutte le loro decisioni inflessibili, i loro ordini inscalfibili e le cene insipide che era costretto a consumare senza nemmeno alzare la voce avrebbero alimentato il suo senso di rivalsa.
“E come?” S’informò preoccupata.
“Se Lucas viene a vivere qui, voi non avrete troppe possibilità di stare soli.”
“Non è giusto.” Protestò furiosa, imbronciandosi per quella situazione che poteva rovinare il resto della sua esistenza.
“Io invece potrò stare con Dawn tutto il tempo che voglio e potremmo diventare molto più intimi di quanto non siamo già.” Ridacchiò Scott, ringraziando il padre per quella soluzione che tornava a loro completo vantaggio.
“Posso sempre decidere di restare così come sono.”
“E ti accontenti di vedere il tuo Lucas solo durante il lavoro.” Terminò la madre che aveva seguito quel fitto scambio di battute, accennando a un ghigno malefico.
Un qualcosa che aveva gelato il sangue di Alberta e che le fece credere, almeno in quell’occasione, di essersi ritrovata una nuova nemica.
Perché Scott e suo padre in tutti quegli anni avevano imparato a sostenersi in ogni cosa e avevano stipulato un patto d’acciaio, mettendosi d’accordo in precedenza sul comportamento da tenere nelle più comuni situazioni famigliari.
Durante i primi tempi era stato difficile alternarsi in certi compiti o coprire certe dimenticanze, ma con il costante allenamento cui erano sottoposti, erano diventati perfetti. La teoria scricchiolante e all’apparenza inapplicabile, li aveva trasformati in un duetto che suonava in perfetta sintonia e che salvava la pelle in ogni occasione.
Al contrario, nonostante qualche ipotetico anno di vantaggio, le due arpie non erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda.
Spesso si coalizzavano, scontrandosi con lo strato di disinteresse di Scott e del padre, ma in certi frangenti si scannavano e facevano morire dalle risate le loro vittime che, per una volta, potevano spaparanzarsi sul divano a guardare la partita e ad annegarsi di birra e popcorn.
In quella breve discussione erano partite come un blocco unito, ma poi erano sorte le primissime crepe e qualcosa si era invertito, costringendo Alberta a un triplice fuoco nemico.
Alla sua destra, a capo tavola, vi era la figura massiccia di suo padre che manteneva, nonostante non ve ne fosse bisogno, il silenzio. Alla sua sinistra, invece, proprio difronte al padre, si era sistemata la figura di Scott che, quasi caduto nel discorso matrimonio, ora sfoggiava un sorriso irritante cui avrebbe risposto volentieri con un pugno sui denti, ben sapendo, però, che quella mossa sarebbe andata incontro a una punizione esemplare.
Davanti a lei, complice un’estate torrida e coperta da una semplice magliettina rosa a maniche corte e da un paio di pantaloncini, vi era la madre.
“Se ci chiudiamo nel mio ufficio durante la pausa pranzo, possiamo sempre divertirci.” La provocò Alberta, facendola ghignare ancora di più.
“Non ne sei capace.”
“Mi stai sfidando?”
“In verità Alberta, tu non sei ancora pronta per andare a convivere.” Borbottò il padre, facendola scattare all’improvviso.
“Come puoi dirlo?”
“Scott è più giovane di te di almeno 5 anni, eppure ci ha già presentato Dawn diverse volte, mentre tu non ci hai fatto ancora conoscere questo famoso Lucas.”
“Noi siamo molto impegnati.” Tentò di difendersi, ben sapendo che come scusa era piuttosto patetica e che la madre, solo volendo, l’avrebbe smontata in nemmeno 10 secondi.
“Forse non ce l’hai presentato perché ti vergogni e in tal caso non saresti credibile.” Terminò il vecchio, prendendo il telefonino e accordandosi con il suo vecchio amico perché tenesse bloccato l’appartamento almeno fino a quando non ne avesse discusso con i genitori di Dawn.
“Per un po’ lascerò le cose così come sono.” Mugugnò Alberta, ascoltando le contrattazioni che suo padre stava intrattenendo con il suo conoscente.

Fu quando il padre appoggiò il cellulare sul tavolo e alzò lo sguardo dal suo piatto ormai vuoto, accennando a un sorriso soddisfatto, che Scott intuì quella bella notizia.
Anche se avevano accantonato il matrimonio e non c’era possibilità di convincere i suoi genitori del contrario, sentiva d’aver conquistato una vittoria personale.
Magari quella era stata una strategia del suo vecchio per schiarirgli ulteriormente le cose e per permettergli di conoscere ancora meglio la sua ragazza, ma era pur sempre un bel passo in avanti.
Felice di ciò aveva recuperato il suo telefonino, cercando nella rubrica il numero di cui aveva disperato bisogno.
“Cosa c’è Scott?” Domandò Dawn sorpresa per quella chiamata.
“Hai parlato con i tuoi genitori di quella cosa?”
“Dicono che sono troppo giovane per il matrimonio.”
“So che potrebbe sembrarti una cosa ingiusta, ma anche i miei genitori mi hanno detto la stessa cosa e forse hanno ragione.”
“Ci hai ripensato? Non mi ami più?” Chiese con lieve preoccupazione.
“Non riesco a immaginarmi una vita senza di te, ma c’è un altro modo per renderci felici.”
“Quale?”
“Mio padre vorrebbe incontrare i tuoi genitori per discutere di una soluzione cui ha pensato.”
“Quale soluzione?” Lo interrogò, temendo che lui la volesse tenere sulle spine.
“Non ti resta che venire domani e lo capirai.” Ridacchiò, sentendola sbuffare.
“Non puoi dirmi nulla?”
“Vorrei fosse una sorpresa.”
“Mi stai dicendo che non posso venire a trovarti domani mattina?” Tentò, stringendo con maggior intensità il suo cellulare.
“Tu puoi venire quando vuoi.”
“Anche adesso?”
“Hai intenzione di uscire con questo buio?” S’informò, sperando che lei non avesse intenzione di fare una qualche pazzia.
Perché la loro città poteva anche essere la più sicura dell’intera regione e poteva contare su delle forze dell’ordine all’altezza, ma per lo stesso motivo cui sua madre odiava Berlino, Amburgo o la Germania in generale, Scott non voleva che lei uscisse a quell’ora.
Se lei si fosse incamminata verso il suo appartamento senza informarlo del suo arrivo, poteva accaderle di tutto. Qualche malintenzionato avrebbe potuto rapinarla o violentarla e lui non se lo sarebbe mai perdonato, incolpandosi di non esserle andata incontro o di non averla fatta desistere.
“Io vorrei vederti.”
“Non azzardarti a fare un passo!” Ringhiò minaccioso.
“Io…”
“Se hai davvero bisogno di vedermi, passo io.”
“Ho capito cosa vuoi dire.” Sussurrò, cullandosi nella stessa paura del suo fidanzato.
“Ti aspetto per le 8.”
“Va bene.”
“Dawn…un’ultima cosa.” Mormorò, cercando d’ignorare le occhiate dei suoi genitori che, con il vivavoce in funzione, sapevano ogni cosa.
E come Scott avevano tremato all’idea che Dawn uscisse alle 21 solo per stare con lui. Con lo sguardo e con alcune rapide gesta delle mani, l’avevano pregato di fermarla.
“Hai bisogno di qualcosa per domani Scott?”
“Niente di particolare.”
“Che cosa devi dirmi allora?”

“Ti amo, fatina.” Sussurrò, immaginandosi che lei fosse arrossita per quella confessione che le rivolgeva ogni sera come se fosse la sua buonanotte.
“Anch’io.”
“Sogni d’oro Dawn.”
“Sarà un po’ difficile con quello che devi dire ai miei genitori.” Commentò, facendolo ridacchiare e chiudendo la chiamata che li aveva visti impegnati.
 








Angolo autore:

Ryuk: È ritornata la serie più zuccherosa tra quelle da noi realizzate.

Vi anticipo una piccola differenza rispetto agli altri Moments.
Questa volta alcuni momenti saranno più lunghi e occuperanno, quindi, più capitoli.
Il primo momento, infatti, durerà parecchio, anche se avremo diverse discussioni e tanto altro.
Non vi anticipo nulla, anche se dovrete aspettarvi qualche casino.

Ryuk: I casini sono nello stile di rocchi e, quindi, niente di anomalo.

Spero che questo primo capitolo vi piaccia e che le descrizioni (ho rispolverato questa serie anche per allenarmi in questo) siano azzeccate.
Ditemi pure se devo migliorare qualcosa, se avete qualche personaggio che desiderate veder comparire così senza motivo e se avete qualche consiglio anche nell'impaginazione che, così com'è, non mi soddisfa troppo.

Ryuk: Essendo ancora all'inizio magari qualche personaggio riusciamo pure a incastarlo senza fatica.

Facciamo che raccoglierò idee fino al terzo capitolo e che poi sceglierò quelle che più mi piacciono (sempre che ne abbiate voglia).
Detto questo e ringraziandovi in anticipo vi auguro una buona serata.

Ryuk: Piccolo appunto per quanto riguarda l'aggiornamento.

Non so se questo venerdì riuscirò a pubblicare, ma non temete.
Al massimo rinvierò l'aggiornamento di 24 ore e così per sabato avrete il secondo capitolo.
Poi tutto dovrebbe tornare con il suo classico ordine e, quindi, ogni martedì e venerdì vedrete il seguito.
Alla prossima!

 

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


Così come aveva pronosticato non si era sbagliata di molto.
Quando Scott aveva interrotto la chiamata senza darle alcun dettaglio sulla sorpresa preparata, lei era andata subito nella sua stanza, rimuginando sul motivo di tanto riserbo e rigirandosi, quando l’ora era ormai tarda, più volte tra le lenzuola. Quel segreto che l’era stato tenuto nascosto non riusciva a farla dormire e com’era tipico della sua natura, finiva con il farle sorgere un milione di dubbi.
“Forse vuole mollarmi davanti a tutti oppure si sta trasferendo in un’altra città e non mi vuole in mezzo ai piedi.”
Se si fossero trovati nel pieno dell’inverno, sarebbe scesa in cucina e avrebbe preparato qualcosa di caldo con cui conciliare il sonno e con cui allontanare quell’incubo che si era avvinghiato al suo corpo, prosciugandone ogni certezza. Magari si sarebbe concessa uno di quei lunghi e interminabili bagni nella sua vasca, sguazzando allegramente in un mare di sapone e bollicine.
Purtroppo era solo fine luglio.
Il massimo che poteva concedersi era il refrigerio del condizionatore oppure un ghiacciolo alla menta o al limone di cui suo padre faceva incetta quando varcava la soglia della porta automatica del supermercato e di cui andava ghiotto.
Se non avesse trovato nulla di suo piacimento, avrebbe aperto il frigo e, sorseggiando del tè freddo alla pesca, si sarebbe divertita a sfogliare una delle riviste di sua madre.
Nel vedere la copertina che raffigurava alcuni bambini sorridenti con delle bandierine multicolori, si sarebbe chiesta perché quella hippie, definita così da Scott, i suoi amici e alcuni vicini, fosse fissata con tisane, rispetto per il mondo e donazioni benefiche.
Non negava di esserne rimasta affascinata, qualche anno prima, ma non era mai sfociata nella mania e negli studi disperatissimi di sua madre.
Durante i reality di Chris aveva provato a sfruttare la sua empatia con la natura per farsi aiutare e per avvantaggiare la sua squadra, ma si era fatta eliminare in pochi episodi. Da quel momento aveva compreso che la natura era sì importante, ma non era uno strumento da sfruttare per vincere o per attirare l’attenzione.
Se qualcuno amava il pianeta, lo faceva in silenzio e senza troppi proclami. Non andava al mercato a discutere d’inquinamento, a parlare dell’uso nocivo di certi spray chimici, di animali usati come cavie di laboratorio o bambini sfruttati per la coltivazione.
Ognuno era libero di boicottare certi marchi o di continuare sulla sua strada e se qualcuno aveva l’ardire di evitare la fila seguita dalle masse, allora l’avrebbe fatto in silenzio e senza sbandierare nulla ai quattro venti.
Sua madre, almeno in questo, non era tranquilla come la natura che lei tanto rispettava e pretendeva che tutti seguissero la sua linea.
Il marito le faceva credere di essere sulla sua stessa lunghezza d’onda, salvo uscire il martedì o il giovedì con alcuni amici, giocare a poker e boicottare la dieta stilata dalla consorte. Ordinava almeno due hamburger con patatine fritte, due o tre boccali di birra e una doppia razione di torta al cioccolato, distruggendo il foglio orribile che era affisso sulla sportella del frigo da ormai troppi mesi.
La linea dittatoriale dell’hippie era deleteria non solo per il rapporto quasi logoro con la sua famiglia, ma anche per le discussioni pesanti con alcuni membri del vicinato che, con la scusa di avere un pezzo di carne nella borsa della spesa, ricevano rimproveri e occhiate severe.
Era per questo motivo, oltre che per l’amore provato per il suo Scott, che Dawn aveva sperato che il matrimonio andasse in porto. Se fosse stata costretta a vivere ancora per qualche mese sotto lo stesso tetto di una hippie che la rimproverava per ogni cosa e che pretendeva la sua conversione al veganismo, allora suo padre si sarebbe ritrovato vedovo e con una figlia chiusa dietro le sbarre della giustizia.
Rabbrividendo a questo pensiero insolitamente malvagio, aveva messo a lavare il bicchiere nella tinozza ed era tornata nella sua stanza.
Così come faceva durante le sessioni di yoga, si distese sul letto e cercò di richiamare la calma e tutte le emozioni positive al centro del corpo. In teoria il cuore si sarebbe riempito di pace e avrebbe irradiato il resto del corpo di quella sensazione che l’avrebbe spedita, anche se erano già le 2 passate, tra le braccia di Morfeo.
 
 
Ore 7:45
 
 
La sveglia non era suonata.
Sapeva che era la scusa più patetica di questo mondo, ma era proprio così.
Dopo aver ricevuto la telefonata di Scott la sera precedente e aver avvertito i suoi genitori, che le rivolsero un’occhiata dubbiosa e carica di sospetto, era corsa nella sua stanza e aveva girato più volte le lancette della sveglia fino al raggiungimento dell’orario desiderato.
Con tutto quello che aveva da fare, era certa che le 6:45 fossero l’orario perfetto per sistemarsi, salutare i genitori e filare verso la casa del suo fidanzato.
Purtroppo nulla di tutto questo era successo.
Le batterie della sveglia si erano scaricate senza preavviso, l’orario predisposto era andato a farsi friggere e solo la notifica del cellulare, non ancora cancellata, l’aveva ridestata, facendola scattare come una molla.
Aveva un’ora di ritardo e in 15 minuti doveva fare una doccia, prepararsi, salutare i genitori e percorrere la distanza che la separava da casa di Scott.
Non ce l’avrebbe mai fatta. Nemmeno se il tempo si fosse rallentato all’improvviso o qualcuno le avesse concesso uno strappo fino alla sua destinazione.
Mentre prendeva i suoi abiti, malediceva la sveglia traditrice e sperava tanto che Scott la aspettasse e non se ne andasse a fare la sua solita passeggiata.
Di solito era lui quello perennemente in ritardo.
Quello che si svegliava alle 8 e l’Università iniziava alle 8:30.
Quello che organizzava gli appuntamenti o i ritrovi in centro a una determinata ora e che si faceva vivo con oltre mezzora di ritardo.
Quello che, pure durante la cerimonia di consegna delle lauree, era arrivato per il rotto della cuffia con la cravatta ancora allentata e la camicia leggermente fuori dai pantaloni.
Ora, però, capiva cosa si provava a essere in quello stato.
Dopo essersi tolta gli indumenti intimi ed essersi rinfrescata per qualche minuto, si era asciugata e pettinata velocemente.
Indossata una semplice maglietta celeste, una delle sue solite gonne e un paio di sandali, aveva fatto capolino in cucina, dove sua madre stava divorando la sua rivista e dove suo padre, sorseggiava il suo caffè amaro.
Prima che la figlia arrivasse, aveva tentato di fare un minimo di conversazione con la consorte, guadagnandosi un’occhiataccia e ritornando a cuccia.
Era evidente, così come nella casa di Scott, che il capofamiglia incontrastato di quei 100mq fosse l’hippie dittatoriale.
Il marito, rabbonitosi in quegli anni, era alla pari di un orsacchiotto di peluche e pertanto non era serio e inflessibile quando ve ne era bisogno. Conoscendo il ragazzo della figlia e costatando il suo carattere e il suo atteggiamento, avrebbe subito concesso il suo beneplacito al matrimonio, ma la moglie aveva alzato il mescolo di legno e l’aveva stampato sul tavolo, facendo intendere che non era d’accordo e che nessuno le avrebbe mai fatto cambiare idea.
“Come sto?” Chiese Dawn, incrociando lo sguardo del padre che le sorrise debolmente e che mosse leggermente la testa verso la moglie, facendole intendere che doveva smuovere l’osso più duro prima di uscire da casa.
Quest’ultima alzò gli occhi dalla sua rivista e li pose sulla figura della figlia che, volteggiando su se stessa come una ballerina emozionata per il debutto in teatro, stava aspettando un’opinione che sperava fosse positiva.
“Dove hai intenzione di andare vestita così?” La smontò l’hippie.
“Scott mi ha invitato a casa sua per colazione.”
“Vestita e truccata così non di certo.”
“Cosa c’è che non va nei miei vestiti?”
“Sono troppo corti.”
“Siamo in estate mamma: è normale che siano corti.” Protestò lei, sperando che suo padre le desse manforte.
“Se qualcuno ti vedesse in questo stato, potrebbe farsi delle strane idee.”
“Che cosa stai insinuando?” Domandò con rabbia, contorcendosi le mani.
“Sto insinuando che vestita così, non va per niente.”
“E cosa ci sarebbe di sbagliato nel mio abbigliamento?”
“Chiedilo a tuo padre.” Mugugnò lei stanca di quella breve discussione.
“Ah no…non mettetemi in mezzo alle vostre cose.” Replicò l’uomo, cavandosi dagli impicci e ritornando alla sua povera colazione costituita da due fette integrali con il miele e da una tazza di caffè.
“Allora?” Continuò Dawn in attesa di una spiegazione.
“Sei uguale a quelle che si trovano agli angoli delle strade di notte.” Rispose, non accorgendosi di aver fatto sorgere sulla tempia destra della sua unica figlia una piccola vena pulsante che era indice di tutto il nervosismo provato.
“E tu in questo stato mi sembri una drogata.” Ribatté Dawn, facendola sussultare.
“Cosa?”
“Hai delle occhiaie terribili, continui a credere in quella rivista che spara solo cavolate e spendi un sacco di soldi per delle tisane che ti hanno trasformato in una strega.” Sbottò con rabbia, mentre il padre temeva che fosse giunto il giorno dell’Apocalisse.
Si trovava in mezzo a due fuochi e conoscendo la moglie, Dawn non l’avrebbe passata liscia.
Susane sarebbe stata capace di prendere qualche mescolo della cucina per stamparlo sulla testa della figlia, non curandosi delle conseguenze del suo gesto e ritornando subito dopo a sfogliare la sua rivista settimanale.
“E tu allora? Vivi solo per quello squattrinato del tuo fidanzato.”
“Almeno lui mi rende felice e riesce sempre a farmi ridere.”
“Lui, bambina mia, è come tutti gli altri uomini. Ti fa solo credere di essere importante, quando in realtà vuole avere solo la corsia preferenziale.” Borbottò, convinta di aver gelato la sicurezza e la spavalderia di sua figlia.
“Posso metterti un attimo in mezzo, papà?” Domandò Dawn, voltandosi verso l’uomo che aveva smesso di agitare il suo caffè e che aveva sbuffato infastidito per quella discussione che stava rovinando anche quella mattinata.
“Se non si può fare diversamente.”
“Se non avessi mai conosciuto la mamma in vita tua e oggi fosse la prima volta, la inviteresti a uscire così com’è conciata?” Chiese Dawn, squadrando la figura che aveva davanti.
“Devo essere sincero?” S’informò preoccupato, girando la testa verso la consorte che annuì, convinta di aver vinto la partita.
Con il voto, alquanto ininfluente a dirla tutta, del marito, Dawn sarebbe stata costretta a risalire in stanza, a mettersi qualcosa di più consono e il tempo che lei avrebbe trascorso con il suo fidanzato, si sarebbe accorciato di parecchio.
“Nostra figlia ha ragione sul tuo aspetto, cara.”
“Cosa?!” Tuonò inviperita.
“Se migliorassi il tuo aspetto, forse non passeresti per una strega.” Borbottò l’uomo, cercando di mantenere la calma.
“La cosa comunque non m’interessa.”
“Se la cosa non t’interessa, tu non puoi proibirmi di vedere Scott.” Replicò Dawn, facendole scrollare le spalle.
“Quel ragazzo non ti ama.”
“Che cosa puoi saperne tu di quello che prova?”
“Sei mia figlia ed io voglio solo il tuo bene.” Rispose scaltra, sorvolando sul vero significato della sua domanda.
“Tu vuoi solo dividermi da Scott.”
“Siete troppo diversi per stare insieme.”
“È proprio questa diversità a rendermi felice e a invogliarmi a stare con lui.”
“Il tuo discorso non ha senso.” Mugugnò la donna, delusa di accorgersi che il confronto stava finendo a suo svantaggio.
“Se lui non mi amasse, non sarebbe mai cambiato.”
“Ancora con quella scemenza del reality?” Domandò acida, ritornando alla sua tisana allo zenzero ed erba cipollina.
“All’inizio era solo un guscio vuoto che odiavo con tutto il cuore, ma le cose sono cambiate molto da quel giorno.”
“Tu…”
“È vero che noi spesso discutiamo per delle cavolate, ma se litighiamo, è perché siamo ancora inesperti e non siamo abituati a certi sentimenti.”
“E ti volevi sposare con tutti questi dubbi?” La interrogò sua madre con una nota di fastidio nel tono di voce.
“Non ci si può sposare con la certezza che tutto andrà sempre bene, né con la sicurezza d’aver studiato tutto a tavolino. Ci sarà sempre un qualcosa che ti porterà al litigio e che può farti arrabbiare.” Spiegò Dawn, fornendo una lezione di buonsenso alla donna.
“Io non capisco cosa puoi vederci in un tipo così rozzo e volgare.”
“Se anche fosse come dici, lui deve piacere solo a me e non di certo a una che sta rovinando la sua vita per tentare di migliorare il mondo.”
“Piccola insolente ringrazia che non sono in giornata.” Replicò, notando come il marito avesse finito la sua colazione e stesse iniziando a leggere la sezione dedicata alla politica presente nel suo immancabile quotidiano.
“Sarò anche una stupida ai tuoi occhi, ma fino a quando Scott mi starà vicino, non ci sarà nulla capace di preoccuparmi.”
“Sono felice per te.” Ribatté sarcastica.
“E ti pregherei, almeno questa sera, di presentarti a casa del mio fidanzato senza discutere e mostrandoti in una condizione migliore di quella attuale.” Insistette Dawn, puntando il dito contro la sua acconciatura improponibile e il suo vestiario per nulla elegante ed esemplare.
“Ci tieni tanto a fare una buona impressione?” La punzecchiò, notando come il suo sguardo si fosse assottigliato e fosse, quindi, molto più minaccioso.
“Io ora devo andare.” Soffiò, prendendo la borsetta che il suo Scott le aveva regalato durante l’ultimo Natale, contraccambiando a quel pensiero con un semplice portafoglio di pelle che aveva impacchettato con cura e che gli aveva presentato durante il pranzo in famiglia.
“Ti ho detto di cambiarti, signorina!” Le ordinò la donna.
“Non devo piacere a te, ma al mio ragazzo.” Replicò, gelando la sua sicurezza.
“Non ho intenzione di lasciarti andare in questo stato.” Continuò, scattando in piedi e mettendosi davanti alla figlia.
“Perché non vuoi capire che io amo il mio ragazzo e che è pentito di averti definito una hippie insopportabile?” Chiese la ragazza con gli occhi lucidi, divincolandosi dalla stretta deboluccia della madre e donando un semplice bacio sull’ispida guancia del padre.
 
La porta si chiuse alle spalle del padre che, dopo aver messo a lavare le stoviglie usate durante la colazione, ritornò al suo divano.
Quella settimana di fine luglio era ritornata, nonostante il dubbio iniziale, proprio a suo vantaggio.
Quando aveva fissato le ferie estive a febbraio, credeva di concedersi un bel viaggetto con la moglie in qualche spiaggia sperduta. Si sarebbe messo d’accordo con un amico dell’agenzia viaggi e insieme avrebbero stabilito alcune possibilità da vagliare con la famiglia.
Quando era rientrato tutto felice e pimpante con quei dépliant pieni di posti esotici, ma anche di zone collinari o di vette innevate, credeva che la moglie lo accogliesse con un bel bacio.
Purtroppo questi voli pindarici finirono ben presto nell’immondizia, quando la consorte lo informò di non voler partire, costringendolo, quindi, a rinunciare a tutti i suoi piani.
Niente relax all’ombra di qualche bella palma, niente cibi raffinati nei vari alberghi che avrebbero visitato, niente posti incantevoli da visitare con una guida del posto e niente divertimento dopo tanti mesi passati nel grigio ufficio.
Era costretto al suo appartamento, ad ascoltare la moglie che non faceva altro che brontolare e a seguire la televisione che lo faceva sentire meno solo.
Almeno la sua piccola Dawn era felice.
Lei non aveva promesso di partire con loro durante le ferie estive e, anzi, avrebbe passato tutto il suo tempo a casa del fidanzato.
Stringendosi un po’ e aiutando in casa, poteva dormire nello stesso letto di Scott e questo, almeno per lui, non era un così grosso problema. Era normale che dei ragazzi così giovani facessero le loro esperienze e non avrebbe avuto nulla da ridire se entrambi si fossero decisi a esplorare il mondo più spinto delle loro avventure.
L’unico ostacolo era quella donna che aveva discusso con Dawn e che sarebbe stata capace di brontolare con il mondo intero e di far incazzare anche un santo.
Rimanendo a casa, avrebbe preteso che lei rispettasse il coprifuoco, anche se Dawn ormai era adulta e vaccinata. Non potevano proibirle di uscire, di costringerla a rientrare a una determinata ora o obbligarla d’aspettare il matrimonio per divertirsi sotto le coperte con il suo ragazzo.
Lei era molto più matura della sua età e avrebbe fatto la scelta più giusta.
“A volte sei troppo dura con Dawn.” Brontolò amareggiato, stiracchiandosi appena, ben sapendo di rischiare una mattinata movimentata.
“E tu allora?”
“Sono sicuro che non abbia motivi per deluderci.”
“Tu e la tua morale del cavolo.”
“Quel ragazzo avrà anche sbagliato in passato, ma ognuno è libero di avere la sua opinione.”
“Anche tu sei schierato dalla sua parte.” Costatò nervosa.
“Ricordi quando eravamo giovani?” Domandò l’uomo, alzando gli occhi al soffitto e cambiando apparentemente discorso.
“Come se fosse ieri.”
“Eravamo avventati, stupidi e pieni di difetti.” Borbottò divertito.
“Tu lo sei ancora.”
“Probabilmente sono peggiorato da quel giorno, ma tu mia cara ti sei involuta parecchio e sei alla pari di una bambina insopportabile e viziata che crede di non avere le dovute attenzioni e che prova a piagnucolare per ottenere qualcosa.”
“Ma…”
“Tu odi il ragazzo di Dawn solo perché ti ha dipinto in un modo che, a dirla tua, ti rappresenta alla perfezione.”
“Non è vero.”
“Come definiresti una persona che spende e spande per delle riviste inutili, per delle erbe insipide e che cerca di migliorare il mondo senza ottenere il minimo risultato personale? Io direi che è fissata e che dovrebbe smetterla prima di essere isolata dal mondo.” Sospirò, mentre la moglie si sedeva vicino e lo fissava intensamente negli occhi.
“Io…”
“Mi hai fatto rinunciare alle ferie solo perché sei malata e solo perché hai paura che le tue certezze vadano in frantumi.”
“Non è vero.”
“Quando ti ho fatto conoscere i miei genitori, tu hai definito mia madre come una vecchia strega e, come puoi vedere, la storia tende a ripetersi.” Ribatté l’uomo, ricordando perfettamente di come la nonna di Dawn avesse una pessima opinione di sua nuora.
L’adorabile vecchietta aveva proibito inizialmente di uscire con la ragazza sciatta e bisbetica che poi sarebbe diventata la moglie del figlio, salvo poi scontrarsi con il burbero nonno di Dawn che aveva sistemato le cose.
“Sarò sempre contraria a questo matrimonio.”
“In tal caso ci troviamo su due fronti diversi.” Mormorò divertito, sforzandosi di ricordare quando mai si fossero trovati d’accordo su qualcosa che non riguardasse le scuole scelte dalla loro bambina.
“Tu sei favorevole?”
“Io voglio solo la felicità di Dawn e, se Scott è capace di farla sorridere, non ho nulla da obiettare.”
“Lei non sarà felice con lui.”
“Se ti ostini a rovinarle la vita e a dipingere Scott come un criminale, nemmeno una ragazza speciale come Dawn conquisterà mai la felicità.”
“Non lo sto dipingendo, quello è così e basta.”
“Perché non provi a dargli una seconda possibilità?” Chiese l’uomo, cercando di scrutare nello sguardo della moglie un minimo segno di ripensamento.
“Non lo merita.”
“Di solito siete voi donne ad accorgervi delle cose più semplici e futili, ma in questo caso credo sia valida la regola del mio probabile consuocero: nelle nostre famiglie saranno sempre le donne a portare i pantaloni e a essere testarde come muli.”
“Solo perché voi siete troppo deboli.”
“Deboli o meno, questa volta prenderò io le redini della situazione e se ti azzardi d’allontanare nostra figlia dal suo ragazzo o dai suoi amici, io pretenderò il divorzio.” Ringhiò furioso, facendola sussultare e cancellando tutta la sua spavalderia.
“Cosa?” Domandò intimorita, risultando quasi inudibile.
“Se la loro storia dovesse rompersi solo perché è stata Dawn a deciderlo, non avrò nulla da ridire. Se, però, vengo a sapere che tu ci hai ficcato il naso e che Scott ha mollato nostra figlia per colpa tua e delle tue manie, io non te la perdonerò mai e ti sbatterò fuori di casa.”
“Non puoi farlo.”
“Dawn vivrà sotto il mio tetto e tu sarai costretta ad andartene da tua sorella, sempre che abbia voglia di sentire una cornacchia che le dà la sveglia all’alba.” Soffiò tranquillo, vedendola spegnersi contro le sue velenose intenzioni.
“E va bene.”
“Se prometti sulle tue amate riviste che lascerai in pace Dawn, io non alzerò un dito per rovinarti il resto della vita.” Continuò, facendola annuire e sorridendo malignamente per quel compromesso che, sperava, avrebbe risollevato l’umore della sua bambina.




Angolo autore:

Ryuk: Purtroppo riusciamo a pubblicare solo oggi.

Sono un po' stanco e, quindi, sarò breve.
Questi capitoli di rimbalzo dove si alterna prima Scott, poi Dawn sono abbastanza normali.
Riconfermo l'idea dello scorso capitolo: se qualcuno vuol vedere comparire un determinato personaggio si faccia pure avanti.
Fino al prossimo capitolo riuscirò a inventarmi qualcosa.

Ryuk: Ci vanno bene anche i personaggi di Cosmoridicola.

Non li conosco così bene, ma forse si può fare qualcosa.
Detto questo e ringraziandovi per il sostegno e per l'interesse, vi saluto.
Alla prossima!
 

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Ore 8:30
 
Era l’ennesima mattinata infernale nella casa di Scott.
La sorella l’aveva buttato giù dal letto, urlando come una pazza e monopolizzando l’unico bagno per oltre mezzora, incurante dei bisogni impellenti del resto della famiglia.
In cucina sua madre stava preparando i classici pancake della domenica, aggiungendoci dello sciroppo d’acero e facendosi aiutare dal marito che, lontano dal lavoro e dai suoi impegni, si dilettava con alcune ciambelle.
Scott, complice la sveglia orribile, era sceso sbadigliando rumorosamente e, stropicciandosi gli occhi, si era messo sul divano, aspettando che Alberta uscisse e gli permettesse, quindi, di radersi e di darsi una veloce rinfrescata .
Da quando era andato a dormire, verso mezzanotte, aveva chiuso occhio solo per poche ore e sentiva che nel pomeriggio si sarebbe concesso un bel pisolino ristoratore.
Alla pari di un qualsiasi vecchietto che verso le due o le tre del pomeriggio si metteva a dormire, lui stesso sentiva di aver bisogno di quella risorsa per affrontare la serata più importante degli ultimi mesi.
Quella era solo la seconda volta che i suoi genitori incontravano quelli di Dawn e avrebbe tanto voluto che tutto fosse impeccabile e che la madre della sua ragazza la smettesse di comportarsi come una bambina dispettosa.
Forse si sbagliava e se lo augurava per il bene della fidanzata, ma quando avevano litigato pesantemente mesi prima, si era sentito come minacciato da un’aura oscura che manipolava la situazione a proprio vantaggio.
Il litigio per fortuna era rientrato, ma Scott per non ferire la fidanzata aveva preferito nascondere quella sensazione che non lo lasciava tranquillo e di cui aveva discusso a lungo con i suoi genitori.
La sorella, usando anche delle imprecazioni non proprio tipiche del suo vocabolario, gli aveva fatto intendere di tenere gli occhi aperti e di non fidarsi troppo dei magheggi di quell’arpia che gettava discredito sulla loro famiglia.
Non considerando Alberta obiettiva nella sua analisi, aveva affrontato sia il padre che la madre, ritraendo il medesimo quadro che la sorella aveva dipinto con svogliatezza.
Il suo vecchio lo aveva rassicurato, affermando che forse era solo preoccupata per il bene della figlia e che, se non apriva il suo cuore, era solo per diffidenza. La madre, invece, aveva affermato spudoratamente che, quella strega con cui aveva preso il tè una volta e dalle idee fin troppo bizzarre, era solo una stronza da obbligare al rogo.
Fu nell’accendere il cellulare che si accorse di quanto la sua fidanzata fosse in ritardo.
“Il bagno è libero!” Urlò Alberta, uscendo all’improvviso e spargendo per la sala una fragranza ai frutti di bosco.
“Era anche ora.” La rimproverò la madre, mentre Scott si metteva in piedi e preferiva ignorare le discussioni della sua famiglia.
Conoscendo come andavano le cose nei week-end, era molto meglio svignarsela, specie se la sorella aveva occupato il bagno senza il minimo rispetto altrui.
La madre avrebbe continuato a brontolare per quella sciocchezza, sua sorella Alberta avrebbe replicato, esponendo una difesa solida e inattaccabile e il suo vecchio si sarebbe rassegnato al tipico silenzio di tutti gli altri giorni.
Avrebbe scrollato le spalle, avrebbe apparecchiato la tavola per la colazione, considerando un coperto in più e si sarebbe rassegnato di ascoltare quella rottura fino a quando la consorte non l’avrebbe costretto a seguire una delle prediche pallose di Padre Williams.
“Devi imparare che qui non siamo tutti al tuo servizio, signorina.”
“Almeno durante il week-end avrò il diritto di fare tutto con calma.” Sbuffò infastidita.
“Fino a quando vivrai sotto questo tetto, dovrai sottostare alle regole mie e di tuo padre. Quando andrai da qualche altra parte, potrai fare come cavolo ti pare.”
“Credo bene.”
“Tua figlia è davvero sfacciata.” Brontolò la donna, voltandosi verso l’uomo che inspirò profondamente.
“Perché quando qualcosa non va bene, è mia figlia e quando, invece, è buona e gentile, ha preso tutto da te?” Chiese l’uomo con un pizzico di fastidio.
“Perché da te ha ereditato solo i difetti.” Rispose divertita.
Fu nel sentire la strana risata della madre che Scott aprì la porta e ritornò sul divano in attesa che le arpie lo chiamassero a tavola.
Per quanto si stessero impegnando e per quanto discutessero tra loro, il rosso era perso nei suoi pensieri.
Sarebbe davvero finito tutto bene?
La madre di Dawn avrebbe davvero accettato di lasciarli convivere senza muovere un dito e senza seminare zizzania?
Non avrebbe dovuto fare i conti, così come aveva paventato sua sorella, con la crisi pesante e opprimente dei 7 anni?
La sua famiglia sarebbe stata al suo fianco, anche se l’amore con Dawn si fosse sbriciolato?
Erano questi i dubbi che l’avevano tenuto sveglio e che l’avevano obbligato a leggere un vecchio libro fin oltre le 2 di mattina. Fu nel rileggere più volte la stessa frase e nel sentire gli occhi pesanti che chiuse la luce, lasciando il libro sul pavimento e beandosi di quelle poche ore di riposo.
“Tutto bene fratellino?” Chiese Alberta, ridestandolo dai suoi contorti pensieri.
“Hmm?”
“Ti vedo preoccupato. C’è qualcosa che ti turba?” Domandò la sorella, dandogli una scrollata amichevole.
“Niente di speciale.”
“Pensavo che temessi la vecchia strega.” Lo provocò, sperando di risvegliarlo.
“Quella non ha tutte le rotelle al loro posto.”
“Sarà una bella rottura.”
“Mai quanto te che urli tutto il giorno.” Sbuffò, facendola sorridere e vedendo avvicinarsi la madre che li invitava a sedersi a tavola.
Afferrato di nuovo il cellulare, si apprestò a mandare un nuovo messaggio a Dawn, venendo però interrotto dal campanello che annunciava il suo arrivo.
Fu nell’andare a rispondere al citofono e nel vederla salire le scale con incertezza che percepì qualcosa di strano.
Nell’accoglierla e nell’invitarla all’interno, le sue sicurezze s’incrementarono e gli consegnarono una ragazza delusa, arrabbiata e piangente.
“Scott…” Singhiozzò lei, stringendosi addosso al fidanzato.
“Cosa ti è successo Dawn?” Domandò preoccupato, abbracciandola e trascinandola di peso fino al suo divano dove anche la madre e la sorella erano accorse per controllare le sue condizioni.
“La odio, la odio, la odio!” Ripeté, aumentando sempre più il suo tono di voce.
“Chi è che odi?”
“Avevi ragione tu: quella strega è capace solo di farmi piangere.”
“Hai litigato con tua madre?” Chiese il rosso, asciugandole gli occhi.
“Anche oggi ha sputato veleno sul tuo conto.”
“Vieni andiamo in camera mia.” Borbottò, cercando di sottrarre Dawn dalla rabbia, più che legittima, della sua famiglia e arraffando il primo piatto carico dei dolciumi che la madre aveva preparato con tanto impegno.
“Io…”
“Per questa volta non vi faremo storie.” Soffiò il padre del rosso, notando i due ragazzi che salivano faticosamente i gradini che gli avrebbero concesso un po’ di pace.
“Povera piccola…come si può trattarla così?” Commentò la madre di Scott, facendo incupire la figlia che dallo sguardo iracondo sembrava capace d’incenerire qualsiasi cosa.
“Se questa sera pensa di venire qui e di rovinarci la vita, parente o meno, la prendo a calci nel sedere e la faccio tornare a casa strisciando.” Ringhiò Alberta, sedendosi al suo posto e ingozzandosi di pancake per frenare il nervoso.
“Tuo fratello è molto bravo in questioni come questa: magari se la cava di nuovo.” Tentò il padre, sperando vivamente di non dover scontrarsi con quella strega.
 
Salite le scale e richiusa la porta alle loro spalle, Scott fece adagiare Dawn sul suo letto, appoggiando il piatto carico di pancake grondanti sciroppo d’acero sul comodino e alzando le tapparelle che, da quando si era chiuso nella sua stanza la sera prima, erano rimaste abbassate.
Nel fissare il panorama che si stendeva dalla sua finestra e nello scorgere alcuni bambini che stavano andando al mare in compagnia dei genitori o che si facevano accompagnare ai centri estivi, sorrise e ritornò a concentrarsi sulla figura che quella mattina aveva bisogno di tutte le sue attenzioni per risorgere.
Perché nelle sue condizioni attuali e versando in uno stato di tristezza che Scott aveva toccato con mano assai raramente, Dawn non avrebbe affrontato con gioia e sollievo il bell’annuncio che suo padre avrebbe fatto in tarda serata alla presenza dei suoi possibili consuoceri.
Avrebbe sorriso, ma non avrebbe subissato i suoi genitori di ringraziamenti, né avrebbe pregato sua madre di accettare, né lo avrebbe baciato e lo avrebbe invitato l’indomani per preparare i bagagli da trasportare nel loro nuovo appartamento.
Nel ripensare a tutte queste sciocchezze, non si era accorto che lei si era girata nella sua direzione avvolta dal semplice lenzuolo e dal profumo alla menta che metteva finito ogni bagno.
Cullandosi con quella fragranza, aveva riconquistato una minima parte della sua calma e aveva rivolto un debole sorriso al suo fidanzato.
Vedendola tranquilla, aveva allungato il piatto carico di dolci verso la giovane che, tuttavia, rifiutò quel pensiero, facendolo sospirare rassegnato.
Risistemato il piatto che aveva sgraffignato dal posto di sua madre, si distese vicino a lei e fece in modo che i suoi occhi fossero alla stessa altezza di quelli ancora arrabbiati della fidanzata.
Nello scrutare nelle sue perle chiare si accorse che non c’era solo tanta rabbia, ma anche parecchia delusione e fastidio.
Aveva ragione a provare tutti quei sentimenti negativi.
Lui stesso, che era un esperto di quella parte oscura capace di danneggiare la sua anima, avrebbe accolto quelle sensazioni.
Sarebbe stato deluso nell’apprendere che la sua famiglia, qualora fosse stata della stessa pasta dell’hippie, gli remava contro per quanto riguardava la sua sfera privata e che non avrebbe mai accettato quella situazione. Si sarebbe infastidito se sua sorella o sua madre avessero messo in luce solo i difetti di Dawn, senza spingerlo a cercare la luce che lei stessa emanava inconsapevolmente.
E di certo il primo sentimento che avrebbe riempito il suo cuore non ancora abituato all’amore e alla felicità, sarebbe stata una furia cieca e incontrollabile. Avrebbe tirato un cazzotto a qualche mobile per sfogarsi e avrebbe ringhiato come un cane feroce se sua madre o se Alberta si fosse messa a sparlare della ragazza che tanto amava.
Se avessero osato metterla in cattiva luce, si sarebbe comportato come il vecchio bastardo che era un tempo e avrebbe chiuso i conti con l’ala femminile della sua squinternata famiglia.
“Dawn…”
“Io non la voglio vedere mai più.”
“Sai com’è fatta.” La rincuorò, tentando di convincersi che lo stesse facendo solo per un’ottima causa.
“Lei rovina sempre i miei momenti.”
“Sempre?”
“Quando ero bambina, non le andava mai bene nulla di quello che facevo e tentava di pilotare le mie amicizie o le mie decisioni.”
“Anche per la partecipazione nei reality di Chris?” S’informò Scott, rivangando il passato e cercando le differenze tra la Dawn che aveva conosciuto la prima volta e quella attuale.
A suo dire, e magari si sbagliava di grosso, lei era migliore di quanto non fosse quel giorno.
Prima era manipolabile, timida, impacciata e insicura.
Ora era una donna fatta e finita, non più vittima dei pregiudizi altrui e con la capacità innata di smuovere, così com’era tipico di tutte le donne della famiglia Black, anche il più testardo, annoiato e sfiduciato dei ragazzi.
“È stato mio padre a spingermi verso quell’esperienza.”
“Ma...” Soffiò Scott, interrompendosi quasi subito.
“Dopo che mi sono iscritta al reality e dopo averla informata, mio padre ha subito una punizione esemplare perché quella strega vuole che tutto si faccia in un determinato modo e, come ben sai, non ama simili decisioni.” Borbottò, tremando appena.
“Mi spiace.”
“Io ho sempre provato invidia nei tuoi confronti: hai una famiglia che ti adora e che ti appoggia in tutto quello che fai.” Singhiozzò delusa.
“Stai calma, tutto si risolverà.”
“Ho paura.”
“E di cosa? Io sarò sempre al tuo fianco.” Promise, facendola annuire appena.
“Dovevi proprio vederla…aveva gli occhi di una matta.”
“Che cosa pensi di fare in proposito?” S’informò, accarezzandole il viso.
“Vorrei tanto andarmene e non rivederla più.”
“Mi spiace essere portavoce di pessime notizie, ma non puoi restare per sempre lontana dalla tua famiglia.”
“Io…”
“Anche se non lo credi possibile, loro hanno bisogno di te e tu non puoi fargli un torto così grave.” La rimproverò, mentre lei abbassava lo sguardo ferito.
“Vorrei vivere solo con te, Scott.”
“Piacerebbe anche a me, ma non puoi tagliare i ponti con la tua famiglia in questo modo.”
“E come dovrei fare allora?”
“Non sono così bravo con i consigli, specie quando devo darli alla ragazza che amo.” Soffiò, spostandole un ciuffo di capelli che era andato a coprirle gli occhi.
“Non può essere peggiore di quello che mia madre ha detto sul tuo conto.”
“Credevo che il mio fascino fosse capace di conquistare tutti i cuori.” Ridacchiò divertito, allentando la tensione che alterava il volto della fidanzata.
“Ti piacerebbe.”
“Se avessi quella qualità orribile, ti farei ingelosire anche troppo e la cosa potrebbe ritorcersi contro, allontanandoci sempre più.”
“Come?”
“Tu seguiresti un ragazzo che si fa attorniare da un centinaio di oche e che, nonostante tu sia la sua fidanzata, continua a pavoneggiarsi e a fare incetta di storie senza futuro?” Chiese, pizzicandole affettuosamente una guancia.
“Lo prenderei a calci.”
“Sinceramente non ho mai avuto un fascino simile e nessuna combatterà mai per portarmi via da una ragazza con tutte le qualità che ricercavo.” Affermò, arrossendo appena.
“Che galante.”
“Ti ho già raccontato la leggenda degli uomini dei Black e tu sei la donna che è riuscita a smuovermi dal mio torpore.”
“Resti con me solo perché sei in debito?” Domandò provocatoria, facendolo negare.
“Io resto con te perché ti amo, perché conosci i miei infiniti difetti, perché mi hai trasformato in un uomo che non mi ero mai nemmeno sognato e perché condividiamo dei sogni e dei progetti che ho sempre creduto irrealizzabili.”
“Scott…”
“Avevo rinnegato i miei sogni perché li credevo impossibili, ma poi ho compreso l’assoluto bisogno di condividerli con qualcuno di speciale.”
“Ecco di cosa parlavo, Scott.” Mormorò lei, facendolo tentennare.
“Cosa?”
“Mia madre non vuole accettarti solo perché non le hai fatto una buona impressione e certe manie sono difficili da sradicare.” Ammise, svuotando il sacco e permettendo a Scott di capire, anche se aveva già intuito qualcosa, le motivazioni della strega per quell’odio infantile.
“Capisco.”
“Hai intenzione di arrenderti?” Chiese a bruciapelo, pentendosi subito di quella domanda che aveva incendiato gli occhi e l’animo del fidanzato.
“Non mi sono mai arreso in vita mia.”
“Questa è una qualità che apprezzo molto.”
“Purtroppo finita la cena di questa sera, dovrai tornare a casa, abbassare la testa e metterci una pietra sopra.” Borbottò, scompigliandole i capelli.
“Non è giusto.”
“È meglio ingoiare una medicina amara e disgustosa che rimanere ammalati per una vita intera.” Replicò, sfoggiando una saggezza imprevista e cercando di convincerla a muovere il primo passo per ricucire il rapporto ormai logoro con la madre.
“Ma io…”
“So che speravi nel matrimonio e un giorno riusciremo a spuntarla sulle nostre famiglie, ma non siamo ancora pronti per una cerimonia così importante e per divertirci nello stesso letto.” Borbottò, facendola avvampare.
“Sei un pervertito.”
“Se tua madre cambia idea sul nostro conto e dimostriamo quanto sia resistente il nostro legame, allora potremo fare tutte le evoluzioni che più desideri sotto le coperte.”
“Dovrei darle una possibilità?” Domandò, facendolo sorridere.
“Dovrai essere convincente e tornare a casa.”
“Perché dovrei essere io a chiederle scusa? È stata lei a cominciare con questa stupida guerra.” Protestò, faticando a capire i pensieri del suo fidanzato.
“Perché certe persone non faranno mai la prima mossa e, se vuoi ottenere qualcosa, tanto vale accontentarla per i primi tempi.”
“Anche se odio quella casa?”
“Ci hai vissuto per oltre 20 anni ed è impossibile odiare un posto che ti ha sempre accolto e protetto. Forse ti dà solo fastidio, la consideri un po’ troppo stretta per le tue esigenze e non vedi l’ora di usarla come trampolino per spiccare il volo.”
“Sei molto bravo a risollevarmi il morale.” Si congratulò, facendolo sorridere.
“Anche tu, Dawn.”
“Non vedo l’ora che tu sia la mia casa, Scott.”
“E ovviamente mi avrai sempre vicino, ma in questi anni avrai bisogno anche della tua famiglia.” Soffiò, accarezzandole il viso e sperando di rabbonirla.
“Io...”
“Tua madre è solo preoccupata di perderti. Sei la sua unica figlia: è normale che sia in ansia e che premi per averti sempre vicino.” Spiegò, difendendo quella vecchia pazza che avrebbe dovuto accettare, per amore di Dawn, come futura suocera.
“Anche voi?”
“Mio padre trema all’idea di rimanere da solo in casa con due donne in giro e allo stesso modo mia madre è spaventata dalla possibilità di perdere il suo stato di padrona se fosse Alberta la prima a sloggiare da questo manicomio.”
“Guardando alla tua famiglia, è più semplice immaginarsi le cose.” Mormorò felice, abbozzando uno sbadiglio che tentò di coprire con la mano sinistra.
“Ora, però, cerca di riposare.”
“Come sai che ho dormito poco?” S’informò lei, notando come Scott stesse chiudendo gli occhi e cercasse di stringerla.
“Due anime che si amano, patiscono in ugual misura le novità.” Sospirò convinto.
“Solo perché sei tu.” Soffiò, abbandonandosi a un semplice bacio e ritrovandosi in una stretta in cui si sentiva protetta dalle forti braccia e dal battito accelerato del cuore di Scott.






Angolo autore:

Non ho nulla di particolarmente interessante da dire in questo angolo.

Ryuk: Di solito parliamo a sproposito, ma non oggi.

Tra qualche capitolo noterete degli aggiornamenti un po' brevi, ma è fatto per un buon motivo.
Questa serie è legata, se proprio lo voglio ammettere, a un unico grande problema e, quindi, ad un unico grande momento.
Con il proseguire della serie capirete tutto.
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


Erano circa le 14 quando Alberta aprì nuovamente il frigo per prendere tutto il necessario per la sua famosissima salsa piccante alle olive.
L’aveva inventata, se così si può dire, in un pomeriggio di noia, quando non aveva motivo di uscire e cercava qualche abbinamento con alcune patatine.
I genitori erano fuori con i loro impegni, il fratello era in biblioteca a studiare e lei si era dilettata con quell’esperimento che andò a riempire il suo piccolo ricettario.
Raramente avrebbe ricopiato i suoi tentativi in bella copia e credeva, quindi, che quel foglietto svolazzante fosse destinato al cestino dell’immondizia.
Dopo aver mescolato velocemente la salsa e averla posata su alcune patatine, si era subito ricreduta e, nelle occasioni speciali, quell’accompagnamento era diventato essenziale e richiestissimo dai vari commensali.
Inizialmente sembrava una salsa quasi dolce e leggera, ma con il passare dei secondi le papille gustative andavano a fuoco e perfino il latte risultava quasi inutile.
Dopo aver rovistato per tutte le mensole della rifornitissima credenza, si era accorta che uno degli ingredienti cardine mancava alla sua lista e che non poteva seccare la madre o il padre.
La prima era impegnata con la sua torta di mele, il secondo era occupato nel suo studio e presto sarebbe uscito per preparare le sue tartine al salmone con maionese light.
A guardare verso il soffitto le sovvenne che nemmeno suo fratello era disponibile e di certo non poteva disturbare Dawn per un semplice vasetto di capperi e per qualche stupido ingrediente che la madre le avrebbe urlato strada facendo.
Sbuffando infastidita, aveva mandato un messaggio al suo ragazzo, sperando che lo strazio del suo pranzo a casa degli amati nonni fosse concluso e che, quindi, fosse disponibile per uno strappo.
Si sarebbe dovuto accontentare di appena 10 minuti.
Tempo di accompagnarla al primo negozio di alimentari ancora aperto, di aggirarsi come disperati tra le varie corsie, di allungare un pezzo da 20 al cassiere, ricevendo un’occhiataccia severa per il resto spropositato che era costretto a elargire, di risalire nuovamente in auto e la loro breve avventura sarebbe giunta al termine.
Lei sarebbe ritornata alla sua salsa, ringraziando Lucas con un semplice bacio sotto casa e gli avrebbe fatto segno di levarsi dalle scatole.
Purtroppo il cellulare spento, l’aveva convinta che il suo ragazzo fosse ancora indisponibile a farsi comandare a bacchetta. Per quel pomeriggio avrebbe dovuto prendere la sua borsetta e si sarebbe avviata lentamente verso la sua destinazione.
Vestitasi velocemente, era scesa in cucina, dove la madre stava affettando alcune mele e dove il padre aveva iniziato a mescolare le uova e lo zucchero come semplice base di ogni torta del loro ricettario.
Alberta già s’immaginava che quella torta non sarebbe andata per niente bene.
Per lei, Scott, Dawn e il padre una fetta era un ottimo regalo, ma a guardare nella direzione opposta notava una strega che puzzava di vegana lontano due miglia.
Difficilmente il dessert sarebbe stato approvato a pieni voti.
Così come le tartine di suo padre, il pesce arrosto che la madre aveva sfilettato con grande cura e gli altri antipasti che il fratello avrebbe preparato non appena avesse finito di sbaciucchiarsi con la sua fidanzatina.
Forse, ed era una lontanissima sensazione, solo quella famosa salsa sarebbe stata divorata, anche se aveva i suoi dubbi.
Nel prendere la borsa e nel ritrovarsi un piccolo bigliettino tra le mani, pregò inconsciamente di non avere mai una suocera come quella che Scott avrebbe dovuto sopportare.
A conti fatti era molto meglio un calcio tra i gioielli o un dente estratto senza la minima anestesia, piuttosto di quella vipera a scorrazzare libera per casa e capace di sputare veleno su ogni cittadino comune.
“Devo solo comprare queste cose?” Domandò, studiando la lista.
“Certo e ricorda di guardare la data di scadenza.” Borbottò di rimando la madre, mostrando un’abilità quasi impareggiabile nel tagliare a dadini le fette grossolane di mela.
“E il luogo di produzione, la data d’insaccamento e l’aspetto esteriore se possibile.” Elencò, sbuffando in ordine tutte le analisi cui avrebbe sottoposto burro, ricotta e provola affumicata.
“E devi sempre…”
“Devo sempre prendere i prodotti più lontani perché i supermercati mettono sempre in fondo i prodotti che scadono più tardi.” Continuò annoiata.
“E ricorda anche di…”
“Di stare attenta, di non parlare e di non accettare nulla dagli sconosciuti e di comprare i biscotti preferiti di Scott.” Mugugnò, recuperando una penna e annotando la dimenticanza della madre.
“Se sai tutto, puoi anche andare.” Soffiò la donna, aggiungendo un pizzico di cannella.
“So tutto perché è da quando ho 15 anni che rompi con questa storia. Credo che dopo una decina d’anni con questa solfa, anche il più decerebrato degli imbecilli possa aver imparato la lezione.”
“Sfacciata come tuo padre.” La rimproverò di rimando.
“Se sono sfacciata come papà, vorrà dire che non comprerò i tuoi dolcetti preferiti e che riempirò le borse con le porcherie che più ci piacciono.”
“Alberta!” La richiamò suo padre.
“E va bene. Comprerò anche i tuoi biscotti preferiti e limiterò le porcherie al minimo, mamma.” Sbuffò, cercando in uno dei vecchi cassetti, qualche borsa usata da poter riutilizzare senza doverne compare di nuove.
“Scusami Alberta, ma sono un po’ nervosa.”
“Se la vecchia hippie dovesse farti storie per la cucina, la distruggo.” Replicò, alzando i pugni chiusi al cielo e lasciando intendere che era pronta anche alla guerra pur di difendere le incredibili capacità culinarie di sua madre.
“Vai prima che si faccia tardi.”
“D’accordo.” Soffiò seccata, uscendo dall’appartamento ed estraendo le cuffiette che le avrebbero permesso di allontanare tutto il mondo che la circondava.
 
I Green Day erano sempre stati il suo gruppo preferito.
Qualche anno prima avrebbe perfino venduto il fratello minore al mercato nero pur di avere una foto ricordo con il leader e una maglia autografata dalla band.
Aveva superato la fissa dei 17 anni con estrema difficoltà.
Spendeva la sua paghetta, le donazioni generose dei suoi nonni e le buste natalizie delle care zie in dischi, giornali e gadget con cui riempire la sua stanza.
Se qualcuno fosse entrato nella sua camera, si sarebbe ritrovato sommerso dall’intera compilation, da poster ammassati in giro, da statuine e da fotografie appiccicate al muro.
Diverse volte aveva cantato a squarciagola “Wake me up when september ends” nel bagno, immaginandosi in una qualche sala e beandosi della speranza che qualche produttore notasse le sue qualità e le proponesse un ruolo come nuovo membro della band.
Purtroppo si era solo attirata i risolini di scherno dell’ala maschile della sua famiglia cui riservò, comunque, un trattamento degno di un qualche campo di tortura.
Il padre era stato costretto per oltre un mese a una dieta umiliante a base solo di verdura e frutta, mentre il fratellino, attraverso delle pressioni non indifferenti sulla madre, non avrebbe stretto i 20 dollari mensili della paghetta per un bel pezzo.
I 17 anni, però, erano passati e lei aveva richiuso quel sogno nella sua grande scatola dei rimpianti.
A 6 anni voleva lavorare nel circo cittadino.
A 10 anni voleva diventare sindaco della città.
A 13 anni ambiva alla televisione o al cinema.
A 17 anni sperava di diventare una cantante di successo o che qualcuno scritturasse il suo romanzo da oltre 500 pagine.
Solo con lo scoccare dei 20 anni aveva compreso la sua reale dimensione.
Si sarebbe buttata nel campo della giustizia e, accantonato l’ammiccamento verso le forze di polizia, aveva optato per diventare un’avvocatessa divorzista.
Ora stava solo raccogliendo le briciole e imparando le prime nozioni pratiche, ma dopo ancora qualche anno di ambientamento avrebbe aperto un suo studio con Lucas che, al contrario, si sarebbe buttato nel lato civile delle questioni.
Le sue clienti, manco a sottolinearlo e in perfetta linea con la sua morale, sarebbero state solo donne.
Casalinghe che scoprivano le tresche dei consorti con qualche insospettabile segretaria, casalinghe che erano stanche di certi uomini e che rimpiangevano la passione svanita in un batter di ciglia, casalinghe innamorate di qualche bel giovanotto e che speravano in un luminoso futuro.
Gli uomini, magari cornuti e mazziati, si sarebbero trovati con una porta sbattuta sul grugno e con il consiglio di chiedere a qualche altro studio.
Lucas, dal canto suo, sperava vivamente di non affrontare mai una questione che potesse sfiorare anche solo lontanamente le clienti della fidanzata.
Se fossero stati sulla stessa lunghezza d’onda, avrebbe cacciato un grande sospiro di sollievo. In caso contrario si sarebbe sentito come il maschio della mantide religiosa: presto sarebbe finito in trappola e la sua donna l’avrebbe massacrato.
Mentre canticchiava i vari ritornelli delle canzoni dei Green Day, aveva superato il grande parco cittadino e poi il piccolo cinema che negli ultimi anni aveva subito un clamoroso tracollo.
Con la pratica della pirateria informatica e del noleggio dei Dvd erano pochi i giovani che compravano un biglietto e i posti delle sale erano occupati solo da qualche romantico sentimentale che non se la sentiva di seguire le masse.
Alcune locandine erano mezze staccate e alcune lampadine dell’insegna non funzionavano più come in passato.
Con i guadagni ridotti all’osso anche le più semplici opere di ristrutturazione erano state accantonate e tutt’al più era compito del vecchio proprietario risolvere le grane di quella struttura polverosa.
Presa la cassetta degli attrezzi, recuperata una piccola scala, anche se aveva ormai 75 anni suonati, si sarebbe arrampicato e avrebbe sostituito le lampadine oramai bruciate.
Con il decadimento del burbero Newman, anche il cinema sarebbe stato chiuso e sarebbe diventato uno degli edifici fantasma che la popolazione odiava e che i vicini avrebbero sempre guardato con un certo fastidio.
Attraversata la strada e superati alcuni negozietti, si era tolta le cuffiette dalle orecchie e si era guardata un attimo intorno.
La città, o almeno quella porzione, era deserta.
Nel suo tranquillo passeggiare aveva incrociato al massimo una decina di persone.
Riletta la lista che la madre le aveva passato, aveva meditato su qualche altro ingrediente da comprare e poi era entrata decisa nel negozio di generi alimentari.
Recuperato un cestino, si era subito avviata verso la corsia del banco frigo e iniziò a cercare ciò che aveva bisogno.
Seppur non fosse scritto sulla lista, afferrò anche alcuni yogurt al caffè e alla fragola, controllando accuratamente la data di scadenza.
Nel rialzare lo sguardo e nel cercare gli ultimi ingredienti, scorse una figura che suo fratello Scott conosceva discretamente.
Girandosi intorno notò che non c’era nessuno dietro di sé, né tantomeno c’era qualcuno che premeva sulla lentezza del giovane interessato al reparto animale.
Abbandonato il cestino, allungò il passo e contando sulla sua distrazione, gli andò alle spalle, dove coprì i suoi occhi, facendolo sobbalzare.
Fu nel sentire le bustine, fino a qualche istante prima esaminate con attenzione, cadere al suolo e vederlo girarsi preoccupato che intuì quanto fosse sorpreso.
Lei allontanò, quindi, le mani e le mise sui fianchi, aspettando che lui la riconoscesse.
“Chi sei tu?” Domandò il giovane con lieve curiosità, assottigliando gli occhi.
“Ci siamo visti una decina di volte e già ti sei dimenticato di me?” Domandò provocatoria. “Sono veramente offesa!” Ribadì, imbronciandosi appena.
“Non ricordo.”
“Duncan sei il solito rincoglionito.”
“Ehi!”
“Come fai a non ricordarti di una ragazza come me?” Sibilò minacciosa, pizzicandogli la guancia in un gesto d’affetto che lui ricondusse immediatamente a un nome in particolare.
“Alberta?”
“È così che saluti una vecchia amica?” Chiese, passandogli una mano sui capelli e tirandogli la cresta alla moicana che Courtney non aveva ancora provveduto a tagliargli.
“Ahia! Mi fai male!” Protestò, raccogliendo le bustine del cibo per gatti che la fidanzata gli aveva commissionato e che lui, per la sorpresa e per lo spavento, aveva fatto cadere per terra.
“Da quando compri simili porcherie?”
“È Courtney. La sua stupida gatta pretende le bustine al salmone e questo è l’unico negozio in tutta la città che le vende.” Ringhiò in un moto di fastidio, gettando con stizza alcune di quelle buste dentro il cestino e riponendo un’altra scatoletta sugli scaffali alle sue spalle.
“Non dirmi che sei venuto qui a piedi.”
“Farmi 6 miglia a piedi per quella stupida gatta? Lo farei solo con la certezza di avere qualcosa di particolare in cambio.” Ghignò divertito.
“Ecco da chi ha preso mio fratello.”
“Preso cosa?”
“Le sue idee da pervertito.” Sbuffò seccata.
“Scott, però, non potrà mai ambire al mio charme.”
“E nemmeno alla tua furbizia se è per questo.” Commentò sarcastica, facendo ben intendere che Scott e Duncan erano su due piani completamente diversi e che il primo era molto più avanti rispetto all’amico di sempre.
“Ho parcheggiato la carretta di Courtney dietro l’angolo.”
“Te la sei portata dietro?”
“Ma che razza di domande fai? Sai che Courtney non si avventura in quartieri così poveri.” Rispose Duncan, sospingendo leggermente il carretto della spesa.
“Miss perfettina è l’unica che non è ancora cambiata in tutti questi anni.”
“E di Scott che mi dici?”
“Cerca lavoro e fa disperare Dawn.” Borbottò, evitando di menzionare alla loro idea di andare a convivere insieme.
“Come sempre del resto.”
“E a te come vanno le cose?”
“Il lavoro di tatuatore è molto più duro di quanto immaginassi.” Nicchiò, dando una fugace occhiata verso le casse e facendo intendere che doveva tornare a casa.
“E Courtney ti farà pesare parecchio la cosa.”
“Ogni sera mi chiede se è entrata qualche ragazza nel mio negozio e pretende di sapere l’esatta zona dove è stato fatto il tatuaggio o il piercing.”
“È entrata qualche sciacquetta nel tuo negozio?” Soffiò Alberta, imitando alla perfezione Courtney e facendo ridacchiare Duncan che, nemmeno assoldando il miglior comico in circolazione, avrebbe riscontrato lo stesso tono di voce.
“Una ragazza voleva un tatuaggio nell’interno coscia e quella matta di Courtney mi ha tenuto il muso per una settimana. Questi sono i bei rischi del mestiere e se mi rifiuto ogni qualvolta il tatuaggio o il piercing è troppo intimo, tanto vale che chiuda bottega.”
“Guarda che sto lavorando per diventare avvocato e non psicologa.”
“Avrò anch’io il sacrosanto diritto di sfogarmi ogni tanto.” Obiettò Duncan, sbuffando come una locomotiva a vapore.
“Almeno Scott ha fatto una buona scelta con Dawn.” Ammise Alberta che difficilmente avrebbe accettato Courtney come possibile cognata, anche se lei rientrava perfettamente nei canoni delle classiche donne da famiglia Black.
“A volte non so se ringraziarlo o maledirlo per aver mollato Courtney. L’ultima volta che ci siamo visti mi ha ripetuto che con Dawn aveva trovato l’oro e forse ha ragione.” Sbuffò annoiato, facendo cenno ad Alberta di andare a recuperare le sue cose e di muoversi a fare la spesa.
“L’invidia è una brutta bestia Duncan.” Lo rimproverò bonariamente.
“Beh sai come vanno certe cose, Alberta.”
“Ah sì? Non mi pare di aver cambiato così tanti ragazzi in questi ultimi anni.” Lo canzonò, cercando di stuzzicarlo ancora un po’ e allontanandosi per prendere il suo carrello, dandogli il tempo per replicare in qualche modo.
“Quando Gwen è tornata con Trent, non so cosa sia scattato in Courtney. Forse per gelosia o per il senso di competizione, lei è venuta a trovarmi e mi ha convinto a lasciarci tutto alle spalle.” Ricominciò non appena Alberta si fu riavvicinata.
“Immagino sia stata una scelta difficile.” Ridacchiò, facendolo negare appena.
“Ancora non capisco perché tu sia qui.”
“Ho bisogno di un fedele cavaliere che mi aiuti a fare la spesa.”
“Immagino di non potermi rifiutare.” Brontolò sconsolato.
“Se fai il bravo, posso dire a Courtney che sei un cagnolino fedele e che non scodinzoli quando vedi qualche gonnellina svolazzare.”
“E se avessi fretta?” La interrogò, rigirandosi tra le mani una lattina di aranciata.
“Guarda che per te è un onore riaccompagnarmi a casa.” Replicò con sguardo di sfida.
“Vedrò d’inventarmi qualcosa con Courtney.”
“Puoi inventarti la storiella del traffico.” Suggerì Alberta, facendolo sbuffare.
“Credi che lei si possa bere una scusa tanto patetica? Potrebbe valere con qualche oca come Lindsay, ma Courtney è di tutt’altra pasta.”
“Magari un giorno potrei averla come cliente.” Ragionò divertita, vedendo come l’amico stesse tremando preoccupato.
“L’Australia è un bel posto in questi periodi e credo abbiano bisogno di qualche tatuatore abbastanza esperto.”
“Ti daresti alla fuga?”
“Avere contro Courtney è già una sentenza e se tu fai da avvocato, sarò costretto a vendere un rene per rientrare delle spese del processo.” Commentò acido, ben sapendo che gli avrebbero levato pure le mutande se la fidanzata avesse considerato troppo debole il suo eventuale risarcimento.
“Non credo che Courtney ti manderà mai via dalla sua vita.” Affermò Alberta.
“Perché non dovrebbe?”
“Nessun uomo sano di mente accetterebbe di mettersi con una simile iena e tantomeno vorrebbe farsi 6 miglia il sabato pomeriggio per accontentare una stupida gatta.”
“Una stupidissima gatta obesa.” Puntualizzò Duncan, cercando di trovare gli ultimi prodotti della lista dell’amica.
“Ringrazio il cielo che sono fidanzata e che ti supero di qualche anno, altrimenti potrei anche farti impazzire in altro modo.”
“Già vivo con il terrore di morire da un momento all’altro e con te il mio futuro sarebbe veramente appeso a un filo.” Sbuffò, spostando un vasetto che rischiava di cadere al suolo e che avrebbe dovuto pagare a causa del danno arrecato al negozio.
“Non neghi, però, che ci sarebbe un bel rischio.”
“Ti evito solo perché sei troppo vecchia e racchia per i miei gusti.” Replicò Duncan, afferrando il vasetto di capperi e guadagnandosi un bel pestone sul piede destro.
 
Per oltre 20 minuti Duncan fu costretto a sopportare ancora quella piattola fastidiosa.
Essendo più matura, si aspettava che non fosse così asfissiante, ma probabilmente quella era una prerogativa di ogni ragazza.
Così come i cinesi sembravano tutti uguali, allo stesso modo le donne avevano quel patrimonio genetico come nuovo segno di riconoscimento.
L’unica cosa che gli risollevò brevemente il morale fu quando si avviarono per pagare in cassa.
Seduto e perfettamente allineato allo schienale, vi era un ragazzo occhialuto, capelli rossastri e fin troppo magro per un lavoro faticoso come quello di ricarica scaffali.
Da sotto il camice grigio riportante il nome del negozio e utile per non sporcare il dipendente, si poteva notare il colletto di una maglietta blu.
Per Duncan non fu difficile immaginare il resto dell’abbigliamento.
Conosceva quel nerd da anni e negli ultimi mesi non erano più in guerra come durante i reality di Chris.
Ah quell’adorabile farabutto!
Aveva riunito le persone più disparate ed era riuscito a far fortuna.
Non gli era impossibile scommettere che sotto il camice indossava la sua maglietta blu con bordi verdi, con maniche lunghe rosa e un panino disegnato in mezzo, con tanto poi di pantaloni verdi e grosse scarpe color crema e blu.
Nell’incrociare il suo sguardo aveva pregato l’amico cassiere, stranamente non riconosciuto da Alberta, di non rievocare vecchi ricordi spiacevoli.
Ci mancava che quel nerd quattrocchi rievocasse il passato e che passasse lo stesso prodotto più volte sullo scanner come estremo gesto vendicativo.
In cuor suo sperava che rovinasse la spesa di Alberta, anche se Harold non aveva un motivo valido per sfidare una cliente così fedele.
Harold non aveva nulla contro Scott, non si erano mai nemmeno incrociati durante i reality, e non avrebbe fatto nulla per beccarsi un rimprovero dal diretto superiore.
Consegnò la spesa, controllò l’autenticità dei contanti, raccolse il resto e augurò ai suoi clienti una buona serata, preparandosi per le ultime due orette, prima che un collega venissi a dargli il meritato cambio dopo 8 ore ininterrotte di lavoro.
Prima d’uscire, il punk l’aveva fissato intensamente e poi aveva raccolto la busta di Alberta, accompagnandola fino alla sua auto.
“Che rottura!” Commentò dopo qualche istante.
“Ricorda che lo stai facendo per un’ottima causa.”
“Lo so, lo so…”
“Se ti comporti bene, potresti essere il primo e unico uomo che appoggerò qualora avessi bisogno di un bravo avvocato.”
“Questo sì che dà un senso ai miei sforzi.” Commentò sarcastico, facendola sorridere.
“Se ben ricordi, dopo l’ultima finale dei reality di Chris, sono stata io a riaccompagnarti a casa.”
“Ti eri appena patentata e per colpa delle tue manovre spericolate non ho dormito per una settimana intera.”
“Che noioso!”
“Nemmeno durante la sfida estrema di recupero con la carriola elaborata da Izzy, mi sono spaventato così tanto.”
“Izzy? Intendi quella tipa con i capelli arancioni?”
“Quella che è stata rinchiusa nel manicomio della contea.” Affermò Duncan.
“E non dimenticare che quel pomeriggio hai fatto un bel po’ di ginnastica.”
“Mi hai fatto scendere a 3 miglia da casa.” Ringhiò il punk, aprendo la portiera ammaccata e strisciata della sua auto e facendo salire a bordo anche Alberta.
“Ricorda che sei un cavaliere e che non puoi vendicarti: simili comportamenti non sono accettabili, specie nei miei confronti.”
“Tra pochi minuti non mi scasserai più.” Sbottò, guardando verso il finestrino retrovisore e avviandosi verso la sua destinazione con la speranza di non dover più incontrare quella sciroccata che rispondeva al nome di Alberta Black.






Angolo autore:
Ryuk: Abbiamo finito con i preparativi eh?

Tra albero, presepe, ultimi dettagli e regali in generale non ho avuto un minuto libero.
Credo comunque di non avere più simili rotture e che il tutto ritornerà a essere dettato dai miei soliti ritmi.
Sicuramente questo sarà l'ultimo capitolo per il 2017 e per questo motivo vi auguro un felice Capodanno.

Ryuk: Speriamo che questo capitolo su Alberta e Duncan vi sia piaciuto.

Alla prossima!
 

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


Ore 20:15
 
Alberta era ferma ai fornelli a ultimare le cotture e vicino a sé la figura di Scott cercava gli ingredienti per concludere le preparazioni.
In lontananza si sentivano le discussioni tra i loro genitori che erano obbligati a scegliere le posizioni dei vari commensali.
E se i giovani della cena si erano ripromessi di sedersi vicini, c’era una sola figura che era rimasta in ballo e che rimbalzava da un lato all’altro della tavola.
Nel vedere quei movimenti di bicchieri e di posate, Dawn, estraniata dall’aiutarli, si era messa a ridere e aveva alleggerito la tensione.
“Non è un problema se mi mettete vicino a mia madre.” Tentò, seppur con scarsa convinzione.
“Sei sicura di quel che dici, Dawn?”
“Certo signora.”
“Quando finirai di usare tutti questi convenevoli? Puoi chiamarmi anche per nome.”
“Va bene sign…Sophie.”
“Non è giusto che chiami per nome solo Scott o Alberta: non sono poi così vecchia da offendermi se usi il mio nome.” Mormorò imbronciata, indicando anche il marito e di come quella regola potesse essere estesa anche per il consorte.
“Non vorrei sembrarvi sgarbata.”
“Magari i nostri figli avessero le tue buone maniere.” Soffiò sconsolato il vecchio Fred, alzando lo sguardo e accorgendosi di come Alberta e Scott si stessero scannando per preparare gli antipasti.
“Guarda tu stessa.” Borbottò divertito, mentre Dawn girava la testa nella loro direzione e vedeva il fidanzato imbracciare un mescolo di legno e usarlo come spada per fronteggiare la sorella che non ne voleva sapere di soccombere e che rispondeva con delle leggere bacchettate alle mani o alle braccia scoperte dello sfidante.
“Sembrano due pagliacci, ma questo è il loro modo di volersi bene.” Ridacchiò Sophie, porgendo alcune forchette al suo aiutante.
“Sarebbero capaci di farti ridere anche nei momenti meno opportuni.”
“È questo che mi piace di Scott e della vostra famiglia: siete spontanei.” Ammise Dawn, alzandosi in piedi e piegando alcuni tovaglioli.
“Ora che Alberta è impegnata nella sua guerra, possiamo dirti che è stato difficile mettervi i bastoni tra le ruote. Per me e mio marito siete già pronti, ma Alberta è cocciuta e vorrebbe essere la prima a lasciare il nido.”
“Nessuno è mai pronto abbastanza per un passo così importante.” Replicò Dawn.
“Ancora qualche anno e potrete fare come meglio credete.” Mormorò Fred, avviandosi verso i fornelli dove i suoi figli stavano continuando a punzecchiarsi.
Nell’allontanarsi aveva mangiucchiato una tartina ai gamberetti e si era, quindi, appoggiato al frigo per osservare da più vicino la battaglia amichevole dei suoi ragazzi. Nel suo sguardo si leggevano la gioia di una famiglia unita e l’ottimo rapporto che si era creato tra Scott e Alberta.
Un tempo si sarebbe sognato quei momenti di pace, ma ora che entrambi avevano qualcuno da scassare e cui riversare il loro amore, lui poteva considerarsi completamente libero.
In futuro sperava di tenere tra le braccia qualche bel batuffolo e che le occasioni di rimanere insieme non si ripresentassero solo quando c’erano le festività natalizie o i compleanni. Nello sperare che tutto ciò fosse possibile, aprì la sportella del frigo e afferrò due delle bottiglie di vino rosso che aveva comprato per le occasioni speciali e una bibita frizzante.
Impegnato a stappare le bottiglie e ad assaggiare un’altra tartina, questa volta al salmone, non si era accorto che la moglie lo fissava da lontano con uno sguardo che pareva la carezza di un angelo.
Distratta dai movimenti del consorte non si era resa conto che Dawn, diventando seria all’improvviso, stesse rimuginando su una domanda che le sorta con il suo risveglio sotto mezzogiorno e che in quelle ore le stava parecchio a cuore.
“Posso chiederle come ha conosciuto suo marito, signora?” Borbottò intimorita, facendo sussultare la madre del suo fidanzato.
“Signora?”
“Volevo dire Sophie, mi scusi.” Bisbigliò imbarazzata, sistemando il cestino del pane.
“Già meglio, mia cara.”
“Non vorrei sembrarle una ficcanaso, ma Scott non mi ha mai parlato del vostro passato.”
“E volevi fare un paragone?”
“Beh lei sa come si sono conosciuti i miei genitori o almeno credo.” Ammise, fissando verso il basso e vergognandosi di quella richiesta.
Sua madre, tutte le volte che conosceva qualcuno, doveva per forza parlare del primo incontro bizzarro avuto con il marito, per poi saltare al suo matrimonio, alle foto e alla nascita della sua piccola Dawn.
E tutto questo, specie per alcune persone che avrebbe incontrato una sola volta in vita sua, era parecchio imbarazzante e umiliante. Se qualcuno si fosse chiesto cosa conteneva la valigetta che spiccava sull’ultimo ripiano della credenza, ecco che la padrona di casa avrebbe estratto le foto delle cerimonie a lei più care, annoiando tutti i suoi ospiti e convincendoli a non fermarsi più per fare due chiacchiere e per consumare una tazza di tè verde.
“Eravamo compagni di classe al liceo.” Soffiò Sophie, preferendo evitare ogni collegamento con quella matta e le sue stramberie, risollevando, quindi il morale della loro giovane ospite e allontanandola da quelle paludi che lei aveva esplorato fin troppo spesso.
“Tutto qui?”
“All’inizio non lo sopportavo e credo che la cosa fosse reciproca.”
“Cosa vi ha fatto cambiare idea?” Domandò, fissandola negli occhi.
“Quando si ha un obiettivo comune, è più semplice avvicinarsi e scambiarsi dei consigli.”
“Immagino sia così.”
“Mio marito Fred da giovane era un latin lover spudorato e tutte le ragazze cadevano ai suoi piedi senza colpo ferire. Poteva essere la secchiona del gruppo, la rappresentante di classe o qualche giovane supplente e tutte finivano con il cuore in frantumi.”
“Lui non le voleva?”
“Non ha mai voluto divertirsi con nessuna di loro, se è questo che intendi, ma tra tutte quelle che si scioglievano dinanzi ai suoi occhi, ve ne erano alcune che erano immuni al suo fascino e che lo confondevano.”
“E lei era una di queste.” Tentò Dawn, facendo sorridere la donna che negò con il capo.
“Io lo odiavo.”
“Lo odiava?” Domandò sorpresa.
“Non so per quale motivo, ma avrei tanto voluto spaccargli la faccia.”
“Cos’è che vi ha spinto ad avvicinarvi?” La interrogò di nuovo.
“All’apparenza poteva sembrare uno spirito indomabile, ma a volte era insicuro e non riusciva a conquistare il suo vero obiettivo.”
“Lei?”
“Non ero io la sfortunata.”
“Come no?” Chiese, sperando che quello fosse solo uno scherzo.
“A mio marito piaceva una nostra compagna di classe che, però, era gelida come il ghiaccio e non cedeva di un millimetro alle sue avances. Essendo una mia carissima amica e convinto che potessi dargli la spinta necessaria, mi ha chiesto consiglio e io, in cambio, ho preteso che lui organizzasse un appuntamento con un suo compagno di squadra.”
“Che intreccio bizzarro.” Commentò Dawn, divertita da quella storia.
“Non vorrei tirarla per le lunghe, anche perché tra un po’ avremo ospiti, e perciò salterò subito alla conclusione.”
“Ok.”
“Io ho provato ad aiutarlo, lui ha cercato di sostenermi, ma tutto si è ritorto contro di noi. Nei nostri tentativi di combinare le coppie perfette, ci siamo intrecciati e ci è stato impossibile sciogliere il nodo che ci legava.”
“Sembra la trama di un film.”
“Non ricordo bene chi è stato il primo a innamorarsi dell’altro, anche se probabilmente è stato il mio tesoro a essere colpito per primo dalla mia avvenenza.” Ridacchiò, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli e attirandosi le occhiate confuse del resto della famiglia che, lontana dal tavolo del salotto, ignorava quel buonumore contagioso.
“E lei?”
“Scott e Alberta hanno preso da me la testardaggine e ti giuro che è stato difficilissimo convincermi che il famoso ballo estivo di chiusura del liceo fosse una presa per i fondelli.”
“Hmm?”
“Il ragazzo di cui ero tanto innamorata mi ha tirato un bel bidone e mio marito, essendo solo e vedendomi in un angolo a ingozzarmi di patatine, mi ha invitato per un valzer.”
“Che cosa romantica.”
“Quella sera mi sono innamorata pazzamente di lui, mi ha riaccompagnato a casa e non ci siamo più separati per nessuna ragione al mondo.”
“E come è giusto che sia, ha avuto il suo bel lieto fine.” Terminò Dawn, specchiandosi in uno dei sorrisi più belli e sinceri di cui la donna era capace.
“Anche tu hai avuto i tuoi bei momenti.” Le fece notare, parlando liberamente come se quella ragazza fosse la seconda figlia che non aveva mai avuto.
“Ne è valsa la pena aspettare e fare tanta fatica.”
“Quando si cerca l’amore, il tempo è sempre spesso bene.” Ridacchiò la donna, contagiando anche Dawn che concesse alla famiglia di Scott di udire la sua melodiosa risata.
 
 
Quando si era risvegliata sotto verso mezzogiorno nella camera di Scott, aveva sperato che sua madre avesse un qualche impegno e che le fosse impossibile presentarsi, spingendo solo il padre a palesarsi per la cena.
Sbattendo gli occhi, si era persa nel viso del suo ragazzo che continuava a dormire e a tenerla stretta per un braccio.
Se non voleva farlo per sé stessa e per l’anima pacifica che la riempiva da quando era una bambina, doveva farlo almeno per lui.
Non voleva tenere il muso a sua madre se poi doveva rimanere a casa perché non aveva il permesso di fare determinate cose. Così facendo non avrebbe visto Scott e si sarebbe persa tutti i bei momenti che avevano vissuto in passato.
La pasticceria, quando si erano lanciati contro torte e ingredienti, era stato il loro momento di svolta. Erano passati dal non considerarsi in alcun modo, a baciarsi e a mettersi insieme, nonostante grondassero cioccolato e crema e nonostante la cucina fosse completamente inutilizzabile.
Il cinema con il suo Titanic, lo zoo con i suoi timori e poi i tanti litigi che avevano vissuto e che superavano con qualche difficoltà.
Tutte le volte, però, Dawn si fermava e leggeva negli occhi del suo ragazzo un segreto.
Da qualche mese teneva qualcosa per sé e la ragazza non sapendo cosa celasse, temeva seriamente di perderlo. I segreti non erano mai stati malvagi, ma se la riguardavano e potevano cancellare il suo impegno, allora non aveva motivo di essere così tranquilla.
Alberta una volta la paragonò all’acqua cheta che, disturbata da un sasso, si lasciava andare a diversi vortici e non recuperava la pace per molto tempo.
Sapendo di muoversi in un arco abbastanza ristretto, Dawn aveva preso una delle mani di Scott, cercando con la sua energia positiva di superare il blocco mentale che lui stesso aveva eretto per proteggere il suo segreto.
Si stava insinuando nei suoi pensieri più intimi, ma prima che riuscisse a fare breccia, si accorse, attraverso alcuni movimenti, che il contatto stava vacillando e che non sarebbe mancato molto prima del suo risveglio.
Mancava poco e sarebbe andata a fondo della faccenda, anche se da quel fugace contatto aveva ottenuto un semplice nome.
Mary.
Dove aveva già sentito quel nome?
Davvero non lo ricordava, ma con calma avrebbe compreso anche quel lato scuro.
Accantonando quel pensiero, carezzò lievemente la testa del suo ragazzo, placando il suo stato di agitazione e risvegliandolo dalle loro tre ore di riposo.
Dall’odio provato per sua madre, era saltata al segreto che Scott stava nascondendo e che, in quelle lunghe ore di preparativi, aveva preferito lasciare in pace.
 
 
Ore 21
 
 
Gli ospiti erano arrivati puntuali e come di consueto avevano portato qualcosa con cui contraccambiare l’invito.
Il padre di Dawn, il primo a entrare nella casa, aveva tra le mani una scatola di cioccolatini e una bottiglia di grappa invecchiata che consegnò nelle mani del vecchio Fred.
Subito dietro di lui si stagliò la figura dell’hippie.
Scott fu il primo a esserne meravigliato.
Dove era finita la donna che pareva una strega, che indossava pigiami anche nel periodo estivo, che pretendeva educazione e rispetto e che non andava dal parrucchiere da almeno sei mesi?
Quella non era lei.
Non aveva mai indossato dei vestiti così eleganti con tanto di spacco all’altezza delle ginocchia.
Avrebbe sempre portato una tuta anonima abbinata a delle sneaker che non le rendevano giustizia.
Quel vestito rosso fiammante che andava fino alle ginocchia, metteva in risalto le forme prosperose di cui era ben dotata e aveva catturato tutta l’invidia della figlia, costretta a un fisico ben più gracile e meno appariscente.
Al collo sfoggiava una collana di perle e si era, finalmente, decisa a indossare bracciali e orecchini, simboli secondo le sue riviste del consumismo e di altre piaghe che avrebbero distrutto, entro il 2050, il mondo intero.
All’anulare della mano sfoggiava l’anello di matrimonio con brillante che il marito non vedeva da oltre un anno, un piccolo bracciale sul lato destro e alle orecchie dei pendenti che la figlia le aveva regalato per la festa della mamma.
Un lieve tocco di trucco e di rossetto ed era uscita dalla sua stanza, lasciando di sasso il marito che faticò parecchio prima di lasciarsi andare a un bell’applauso d’incoraggiamento.
In ultima aveva estratto dalla scarpiera un paio di scarpe rosse con tatto vertiginoso che riuscivano a mettere in risalto, oltre al fisico prorompente e al viso ancora giovanile, le sue gambe toniche e ben allenate.
Da lì erano saliti in macchina, lui stringendo i regali per l’amico Fred e lei con una borsetta contenente i suoi documenti e il cellulare e un’altra contenente il suo passato.
“Caro…prima di presentarci all’appuntamento, se non ti disturbo, puoi fermarti un attimo che devo buttare via alcune cose?” Borbottò, stringendo i manici del sacchetto.
“Nessun problema.”
“Spero solo di non fare tardi.” Ammise intimorita, facendo sorridere il marito.
Sei cambiata, tesoro.”
“Davvero?”
“Sei splendida: la donna di cui mi ero innamorato, almeno per questa sera, è tornata.”
“Non per questa sera, per sempre.”  Promise, specchiandosi nel finestrino e sussultando nel notare il suo riflesso.
Credevo di non vederti più con tutta questa grazia.”
“Ti sembrerà strano, ma sono coì sorpresa che mi sento perfino ridicola.”
“Non sei abituata a certe cose ed è normale.”
“Io voglio recuperare ciò che ho perso.”
“E ci riuscirai.” Affermò, rivedendo la luce negli occhi della sua Susane.
“Non sono più una strega, vero?”
“Nemmeno una hippie se è per questo.” Replicò, facendola ridere dopo molto tempo.
E così, a distanza di quasi 500metri, dalla casa del fidanzato della figlia, si erano fermati, avevano parcheggiato e lei aveva svuotato l’intero sacchetto.
Era giunto il momento di finirla.
Aveva rovinato la vita degli altri per troppo tempo e la vecchia Susane, quella precedente alla droga delle riviste, era tornata.
Da quando aveva smesso di considerare la sua famiglia?
Da quando litigava con la sua bambina e non si chiudevano in camera per confidarsi segreti o sogni o per sparlare degli uomini?
Da quando aveva conosciuto quella fattucchiera che, mostrandole i risultati di una dieta miracolosa a suon di verdure e tisane, aveva cancellato ogni briciolo di raziocinio, spingendola ad allontanarsi dai suoi amici e dalla sua famiglia.
Aveva comprato boccette, pastiglie, abbonamenti per quelle riviste e aveva costretto il marito a dimagrire per togliere quella lieve pancetta che, attraverso le sedute della megera, aveva iniziato a farle sempre più ribrezzo.
Era bastata la parola colesterolo unita a rischio d’infarto per togliere a quel povero uomo anche una delle poche gioie che gli erano rimaste. Si ritrovò riempito di strani intrugli puzzolenti, di strani mix vitaminici e dal suo frigo erano spariti tutti quegli alimenti grassi che, sempre secondo la maniaca della dieta, triplicavano il rischio d’infarti nei prossimi 10 anni.
L’uomo, nonostante fosse ormai un semplice contorno di quello che era prima, avrebbe voluto far notare che la possibilità era bassissima e che il suo medico non aveva riscontrato nessun segnale di rischio.
Se era rimasto zitto, era solo perché sperava che, concedendo quella pazzia, il tutto presto rientrasse, regalandogli la pace perduta.
Tutte le parolone, i dati e le statistiche stampate sui giornali, però, avevano ipnotizzato sua moglie e l’avevano convinta a chiudere ogni contatto con la sua famiglia.
E così si era fatta odiare dalla figlia. Si era persa tutte le sue conquiste e tutti i suoi sogni. Ma ora che si era sbarazzata di quella mano gelida che si era insinuata sottopelle, poteva tornare a vivere e riprendersi ciò che aveva perduto.
“Mamma?” Domandò confusa Dawn, squadrando quella figura e girandole intorno come un avvoltoio che studia la sua preda prima di lanciare l’assalto decisivo.
“Ti piaccio?” Mormorò lei con una timidezza che lasciò di sasso tutte le altre donne presenti in quel preciso istante.
“Sei davvero tu?”
“Che domande: è ovvio che sia io.”
“Sei bellissima.” Commentò, cercando di abbracciarla, ma fermandosi nel ricordare l’orribile discussione avuta in mattinata.
“Anche tu lo sei.”
“Mamma…”
“Questa mattina ero troppo cieca per accorgermi della donna che sei diventata.” Soffiò, prendendo coraggio e abbracciando la figlia.
“Io…”
“Avevi ragione tu, fin dall’inizio.”
“Ti chiedo scusa per questa mattina, mamma.”
“Da oggi rimedierò su tutto e non ti farò più soffrire.” Promise la donna, baciandola sulla fronte.
“E papà?”
“È merito vostro se ho buttato via quelle porcherie che hanno rovinato questi ultimi anni.” Ringhiò sommessamente, facendo tremare la figlia.
“Grazie.”
“Mi spiace per Mary, ma ti giuro che non so cosa mi è preso.” Bisbigliò nel suo orecchio per evitare che qualcuno, estraneo alla faccenda, potesse fare domande.
“Mary?”
“Parla con Scott se hai fiducia in lui.” Mormorò, sfoggiando un lieve sorriso e staccandosi dalla figlia.
“D’accordo.”
“E se hai intenzione di arrabbiarti e di offenderlo, non rivolgergli simili imprecazioni, ma guarda nella mia direzione.”
“In che senso?”
“Sono convinta che sia Scott la persona più adatta per spiegarti ogni cosa.” Affermò disinvolta, lanciando una breve occhiata al rosso.
“Non appena ne avrò l’occasione, parlerò con lui.”
“Purtroppo questa sera io e papà non possiamo chiederti di venire a casa con noi.” Continuò, alzando leggermente la voce in modo che anche il consorte potesse confermare.
“Perché?”
“Devo farmi perdonare e, per stare un po’ da soli, pensavamo di lasciarti in compagnia del tuo ragazzo. Sempre che la sua famiglia sia d’accordo e che tu non abbia altri impegni.” Mormorò divertita, guardando ai famigliari di Scott.
“Non so se posso accettare.”
“Sei grande ormai ed è giusto che tu possa fare come meglio credi.”
“Mamma…”
“Se, però, dovessi fare qualche cavolata, sappi che potrei anche punirti.” Gracchiò intimidatoria, cercando comunque di non ricadere nel comportamento della vecchia strega che, durante le prime ore del giorno, le aveva sorriso dal riflesso dello specchio del bagno.
“Posso?” Domandò Dawn, girandosi verso Alberta e verso la cara Sophie.
“Certo che puoi.”
“Hai sentito, mamma?” La interrogò la giovane, facendola annuire.
“E forse non sarà l’unica serata in cui ti permetterò di stare qui.” Replicò maliziosa, riscontrando un sorriso d’intesa nella figlia.
“Grazie d’essere cambiata.”
“Ne sei felice?”
“Speravo che mi facessi un regalo simile.” Ammise, ricevendo una lieve carezza sulla testa e arrossendo per quel contatto che da troppi anni era rimasto lontano e silente.
“Ora, però, devo scusarmi con un’ultima persona prima di essere felice.” Mormorò, separandosi da Dawn e superando le altre due donne con cui scambiò qualche battuta.
Dietro di loro, in piedi, a scrutare la situazione vi era Scott.
Era sorpreso di vedere la madre di Dawn in quella veste.
Era un’autentica bomba sexy e nessun uomo di questo mondo sarebbe stato in grado di resistere al suo fascino magnetico.
Gli pareva impossibile che dietro la crosta da hippie o strega vi fosse un angelo così sexy da farti rimanere con la bocca aperta.
“Sei sorpreso di vedermi, Scott?” Domandò con dolcezza, facendolo sussultare.
“Un po’.”
“E scommetto che non sembro più una hippie.”
“Già.”
“Ascoltami Scott…le cose tra noi non sono cominciate con il piede giusto e per il bene di Dawn vorrei evitare scontri inutili.”
“Ha ragione.”
“Capirò i tuoi dubbi e la sfiducia verso le mie promesse, ma voglio farti ricredere sul mio conto.”
“Tutti hanno diritto a una seconda opportunità.” Borbottò imbarazzato, rassicurandola.
“Sono felice di sapere che mi hai perdonato.” Soffiò, stampando un bacio sulla guancia del ragazzo e lasciandogli il segno delle labbra.
“Mamma!” Protestò Dawn, avvicinandosi e notando il rossore del fidanzato.
Non riusciva a credere che sua madre, la donna più strana di questo mondo, si fosse arrischiata con un contatto simile.
Nemmeno con i suoi parenti aveva lasciato un simile segno e ora osava pure con il suo fidanzato.
E lui aveva pure gradito.
Non appena fossero rimasti soli, gli avrebbe fatto una scenata di gelosia e lo avrebbe allontanato nella sua metà del letto.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Chiese ingenuamente, mentre la figlia estraeva un fazzoletto di carta.
“Non puoi portarmi via il mio Scott.” Sbuffò, pulendone il volto macchiato.
“Quante storie per un semplice bacio.” Borbottò, facendola imbronciare.
“Signora…io…”
“Vedi? Lo hai confuso.” Replicò infastidita dalla scenetta cui aveva assistito e che aveva lasciato sgomenti anche Alberta e la madre.
“Secondo me gli è piaciuto.” Ridacchiò divertita, notando come il rossore del ragazzo non si attenuasse in alcun modo.
“Impossibile.” Commentò Dawn.
“Immagino che tu sia gelosa e ti consiglio, se hai fiducia in lui, di non avvelenarti troppo con un sentimento così negativo.” La rimproverò con serietà.
“Io…”
“Tua madre ha ragione, Dawn.” Soffiò Scott, baciando lievemente la ragazza e facendola avvampare.
“Mio fratello non è così stupido da rovinare tutto.” Brontolò Alberta, facendo cenno agli ospiti di avviarsi verso il tavolo del salotto per iniziare a cenare.
“Specie se deve dire una cosa molto importante.” Ammise il vecchio Fred che, dopo i primi istanti di discussione con l’amico, si era riunito al resto della festa.
“Che cosa dovresti dirci?” S’informò l’ex hippie.
“È un annuncio che farò solo a cena conclusa.” Soffiò tranquillo.
“Non sarà uno scherzo, vero?” Domandò Dawn, facendolo negare.
“Sono sicuro che ti piacerà un mondo.” Terminò, prendendo il primo vassoio e aiutando la sorella a servire i primi antipasti di quella lunga serata.
 






Angolo autore:

Ryuk: Vi piace la nuova versione della madre di Dawn?

Forse ho affrettato un po' i tempi, ma davanti alla carta del divorzio c'erano due possibilità: o pieghi la testa, accettando il compromesso, oppure mandi tutto al diavolo e buonanotte.

Ryuk: E le novità non sono finite qui.

Per quanto riguarda la storia dei genitori di Scott, posso dire che ho preso lievemente spunto da una light novel che apprezzo in particolare.

Ryuk: Giusto per rendere le cose interessanti, vorremmo vedere se qualcuno di voi indovina il titolo.

Non è poi così difficile.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


Pochi minuti a mezzanotte
 
Scott aveva appena fatto il suo annuncio, esponendo gli stessi lati positivi che aveva ascoltato la sera prima durante la cena con la sua famiglia.
E come un pappagallo che tendenzialmente impara solo le imprecazioni, lui aveva ripetuto ogni singola sillaba che suo padre gli aveva suggerito.
Si era ripassato per benino quel discorsetto e, alzando gli occhi dal tavolo, li aveva posati sui genitori di Dawn.
Il padre annuiva, probabilmente intontito dalla grande quantità di bollicine che aveva sterminato durante le sue chiacchiere da bar con l’altro uomo presente in quel momento.
La madre, che partecipando a quella cena si era scrollata di dosso l’etichetta di strega e hippie, aveva solamente sorriso e si era versata un bicchiere d’acqua per rinfrescarsi la gola.
Nel sorseggiare quel semplice goccio, si era voltata verso la figlia che rossa in viso, sembrava pregarli di acconsentire a quella richiesta.
“Per il matrimonio, purtroppo, siete ancora troppo giovani e inesperti.” Puntualizzò la donna, facendo annuire anche Alberta e sua madre.
“La mia famiglia me l’ha detto.”
“Quella che ci hai presentato non è una decisione così semplice da prendere.”
“Lo so bene, signora.”
“Avrai già vagliato anche i lati negativi e non penso sia saggio rifarti l’ennesima lezione di buonsenso e via discorrendo.”
“Mamma…” Mormorò Dawn, preoccupata che lei sfoggiasse il lato freddo che si era scrollata di dosso qualche ora prima.
“Un tempo, anche a causa della mia mentalità all’antica, ti avrei proibito di trasferirti fino a quando non ti fossi sposata.” Affermò, facendo abbassare la testa alla sua bambina.
“I nostri ragazzi sono pronti per un simile passo.” S’inserì Sophie, guardando intensamente l’ex strega.
“Per quel che mi riguarda, e sono convinta che mio marito sia della stessa opinione, non spetta a me decidere.”
“Allora che facciamo?” Domandò Scott, vedendo ghignare la sorella che sembrava pregustare la possibilità che la famiglia di Dawn rispondesse picche.
Un semplice rifiuto e il fratellino si sarebbe rassegnato.
Lei avrebbe continuato con la sua vita, i due ragazzi si sarebbero incontrati fino al passo tanto desiderato e non avrebbe corso il minimo pericolo di sentirsi etichettata come l’erede della zitella che viveva al terzo piano dell’ultimo condominio della strada e che era deceduta qualche mese prima a un passo dai 92 anni suonati.
I vicini non l’avrebbero inseguita con quella diceria, le chiacchiere sarebbero rimaste sepolte e lei avrebbe continuato a tormentare il fratello e i genitori fino a quando Scott non avesse raggiunto l’età migliore per sposarsi.
“La decisione è solo tua Dawn.” Borbottò la madre, facendo annuire la figlia che continuava a guardare verso il pavimento.
“Io…”
“Vorresti convivere con me, Dawn?”
“Non lo so.” Soffiò, temendo di rovinare ogni cosa.
“So bene che è un grande rischio, ma noi possiamo farcela.”
“Le coppie che vanno a convivere, almeno nella metà dei casi, sono destinate a separarsi.”
“Ma nell’altra metà tutto va per il meglio e le coppie diventano ancora più unite.” Obiettò il giovane, mentre le due famiglie osservavano quel fitto scambio d’idee.
“Non credevo mi proponessi una cosa simile.”
“Anche se ti avessi proposto il matrimonio, come speravi di affrontare la paura di vivere insieme?” Chiese incuriosito dalla strana piega che stava prendendo la faccenda.
“È difficile.”
“A volte sei una vera testona.” Sibilò, alzandosi dal suo posto e spostando la sedia di Dawn per fare in modo di fissarla negli occhi, seppur lei stesse tenendo la testa piegata a osservare il pavimento.
“Io…”
“Se la mia famiglia e la tua sono d’accordo su questo punto di vista, cos’è che ti frena ancora?”
“Non posso pensarci con più calma?” Domandò, sperando di avere una proroga e di poterci pensare almeno per qualche giorno.
“Mi spiace metterti fretta, ma ho bisogno di una risposta entro domani.” Ammise, iniziando a maledire l’avventatezza dei suoi 24 anni.
Altro che matrimonio o andare a convivere.
Dawn aveva paura anche di uscire da casa senza farlo sapere ai suoi genitori.
Se avesse immaginato che quella proposta, gli si sarebbe ritorta contro, allora non avrebbe mai aperto bocca.
Avrebbe chiesto a suo padre di non parlare con il suo amico, sarebbe rimasto a sostenerlo nelle discussioni con la madre e Alberta e si sarebbe accontentato delle classiche visite giornaliere nell’appartamento della fidanzata.
“È difficile.”
“Questa mattina, quando ti ho aperto la porta e siamo rimasti soli, pensavo non vedessi l’ora di vivere con me, ma forse sbagliavo.”
“Scott…”
“Tu vorresti perderti questa possibilità?” S’informò deciso.
“Quale possibilità?”
“Accettando la mia proposta, verresti a vivere con me e, stando soli soletti, potrai conoscermi meglio e ci divertiremo nella nostra bella camera come una normale coppietta.” Replicò malizioso, facendola avvampare.
“Sei un pervertito.”
“A quanto pare hai ritrovato la tua sicurezza.” Ghignò divertito.
“Un po’.”
“Tu vuoi solo farmi disperare.” La rimproverò, facendola ridacchiare.
“Non essendo brava a mentire, devo complicarti la vita in altro modo.” Ammise, sentendo un leggero applauso proveniente da Alberta.
Nel sentirla parlare in quel modo, la sorella di Scott si era resa conto che anche lei avrebbe portato i pantaloni nella sua famiglia.
Così com’era accaduto a sua nonna, a sua madre e alle sue zie, acquisite o meno, le donne l’avrebbero sempre fatta da padrone.
Dawn avrebbe schiacciato e convinto dei suoi progetti il caro Scott, la stessa Alberta avrebbe sottomesso Lucas o chiunque fosse il fortunato e la loro cara cuginetta Scarlett, partecipante anche lei a una delle stagioni fallimentari del reality di Chris McLean, contando sul suo caratteraccio, avrebbe comandato sull’ex super cattivo Max.
E così la regola base della famiglia Black si sarebbe riconfermata: gli uomini che ne facevano parte o che vi entravano non avrebbero mai prevalso sulle rispettive metà, accontentandosi di un ruolo minore e di portare la pagnotta a casa.
“Non appena saremo soli, sarò io a vendicarmi.” Soffiò malizioso, scoccandole un bacio a tradimento e sentendo lontani i commenti che le loro famiglie rivolgevano verso la loro convivenza.
Approfittando di quel momento e contando sulla nota insonnia dell’amico, il padre di Scott aveva già provveduto, specie dopo i primi tentennamenti di Dawn, a sfogliare la rubrica, ricercando il contatto di cui aveva bisogno.
Trovato il numero, si era alzato per qualche attimo dalla tavolata e si era avviato, con una scusa, al piano di sopra dove poté ultimare i dettagli dell’affitto.
Non avrebbero stipulato il minimo contratto e si sarebbero accontentati di una semplice stretta di mano con cui accettare quell’appartamento che non aveva bisogno di troppi lavori.
Ovviamente aveva preteso una rata mensile in anticipo per sistemare alcune dimenticanze e poi si sarebbe rifatto vivo per i suoi 250 dollari verso la metà di ogni mese.
Qualora vi fossero stati problemi, rotture o assemblee sarebbe stato lui stesso a preoccuparsi, per poi fare un’ampia sintesi ai suoi ospiti.
“Scott...”
“In tal proposito potrò vendicarmi già da questa notte.” Soffiò, pizzicandole una guancia.
“Come?”
“Tua madre ha detto che non ti vuole a casa e, quindi, dovrai fermarti e dividere il letto con me.” Ridacchiò, sentendo la mano dell’ex hippie sulla spalla destra.
“Il tuo fidanzato ha fatto centro.”
“Non è giusto.” Sbuffò Dawn infastidita per quella situazione che le sembrava perfino paradossale.
Non riusciva davvero a capire come fosse possibile.
Fino il giorno prima sua madre avrebbe ucciso Scott, magari assoldando qualche sicario, e avrebbe ordinato che il suo cadavere venisse nascosto, in cambio di un’adeguata parcella e di un extra persuasivo, in qualche campo di grano.
Con la discussione avuta durante la mattinata, era cambiata.
Ne era perfino, e se ne vergognava, gelosa.
Sua madre era sempre stata una bella donna. Con quello stile adottato sembrava addirittura una sorella maggiore e temeva che il fidanzato, abbagliato da quella figura, si mettesse a scodinzolare come un cagnolino.
C’era un vecchissimo motto popolare secondo cui chi disprezzava, in verità voleva comprare.
Dawn non avrebbe mai sopportato l’idea che sua madre, nonostante il suo iniziale odio incondizionato e infantile, potesse istigare e flirtare con il suo uomo, con il solo scopo di allontanarli e di vincere quella guerra.
Dai suoi occhi, però, non sembrava trasparire un’intenzione così perfida.
Contravvenendo a ogni suo sano principio, avrebbe sfruttato i suoi poteri nascosti per conoscere le reali intenzioni di sua madre.
Se era solo leggermente svampita e lo faceva solo per divertirsi, non mostrando il minimo interesse amoroso per Scott, allora si sarebbe impegnata a giocare più seriamente. Se la madre avesse sfiorato il suo uomo, lei lo avrebbe baciato direttamente, facendo intendere che era stanca di simili giochetti.
Se dalla sua analisi, invece, fosse trapelata una realtà diversa e ben più oscura, legata a doppio filo con il desiderio di giocare e di allontanarli del tutto, avrebbe interpellato suo padre e la famiglia di Scott per sistemare la faccenda.
Sperava vivamente che fosse solo uno scherzo e che la sua prova non mostrasse nessun risultato degno di nota.
Una volta che Scott ritornò al suo posto e le discussioni, alcune sulla convivenza, altre sulla relazione tra Lucas e Alberta ricominciarono, Dawn aveva allungato una mano sotto il tavolo, sperando di entrare in contatto con quella della madre.
“Cosa c’è Dawn?” Domandò la donna, sentendo le sue dita e, credendo avesse bisogno di conforto e sostegno, stringendole la mano.
“Sono solo un po’ spaventata.”
“È normale.”
“Per i primi giorni sarà un po’ difficile, ma poi mi ci abituerò.” Mormorò divertita, stuzzicando la fantasia della madre ed elaborando ogni possibile sbalzo di colore della sua anima.
“Vedi solo di non darmi un nipotino prima del tempo: non sono ancora pronta per diventare nonna e per sentirmi dare della vecchia.”
“Non farò nessuna pazzia.”
“Ne sono felice.” Bisbigliò, mentre la figlia ritraeva la mano, soddisfatta dal risultato ottenuto e ritornando a sfoggiare un sorriso rassicurante verso Scott che la fissò piuttosto confuso.
“Anch’io ne sono felice.” Pensò, rilassandosi del tutto.
 
La piccola sala restò colma di persone per un’altra buona mezzora.
Con i primi sbadigli la stanchezza iniziò a inserirsi e gli ospiti decisero di defilarsi non avendo più nulla da dire.
Salutarono affettuosamente la famiglia di Scott e uscirono, lasciando la figlia ad aiutare nel sistemare la cucina e il salotto.
Alberta dopo i lunghi preparativi era subito filata nella sua stanza, concedendo un breve messaggio al suo Lucas e salutando i genitori di Scott che, seppur volessero riordinare, decisero di lasciare una tale incombenza al figlio e alla fidanzata.
Quest’ultima, per ripagarli del loro sforzo, aveva preteso di sistemare il caos che Alberta e Scott avevano lasciato durante la preparazione della cena e mentre lei lavava i piatti, il fidanzato si era messo a sistemare la tavola, cercando di non fare troppo rumore e di non risvegliare la sorella.
Tempo di sedersi sul divano e di stiracchiarsi un attimo che fu presto raggiunto da Dawn che si accomodò a poca distanza.
“Non vai a letto?” Domandò, fissandola intensamente.
“Finirei con il rigirarmi tra le lenzuola, con il darti fastidio e nonostante tutto non riuscirei a prendere sonno.”
“Immagino che il mio annuncio ti abbia sorpreso.”
“Un po’ ci speravo, anche se non potevo accettare subito.”
“La tua famiglia si sarebbe offesa.” Borbottò, stringendola a sé.
“Scott…mi perdoni?”
“Stavi solo scherzando.”
“Non intendevo questo.” Soffiò, girandosi di scatto.
“Quando la finirai con i misteri?” La interrogò, sbuffando annoiato.
“Pensavo ti piacessero.”
“Vorrei solo un po’ di pace.”
“Ma così ti perderesti tutti i nostri giochi.” Replicò maliziosa, facendolo ridacchiare.
“Se vuoi andare a giocare, non ho nulla da ridire.” Mormorò, indicando le scale che conducevano al piano di sopra e vedendola arrossire.
Al solo pensiero che lui potesse arrischiarsi in quel modo, si sentì gelare il sangue.
I genitori dormivano nella loro camera matrimoniale e probabilmente non avevano, anche a causa dell’abbuffata appena consumata, ancora preso sonno.
Alberta, considerando la vicinanza delle due stanze, avrebbe sentito ogni loro movimento e l’indomani avrebbe rotto le scatole.
Così facendo, fino a quando c’era qualcuno intorno, non potevano lasciarsi andare e non potevano esprimere al massimo tutti i sentimenti che li riempivano.
“Questa sera, però, ti sei comportato male.” Lo rimproverò, pizzicandogli il braccio e causando un leggero tremito che la fece sorridere.
“E in che modo?”
“Mi hai rivolto la parola raramente, hai fissato per un pezzo mia madre e sembrava che la stessi spogliando con gli occhi.”
“Volevo immaginarmi come sarebbe stato vederti con un fisico simile.” Si difese, facendola infuriare.
“Ti ricordo che nemmeno tu sei in cima alla mia lista dei desideri e che mi faccio bastare ciò che passa al convento.”
“Ma perché ti arrabbi per delle cavolate simili?” Domandò stizzito.
“Non capisco come tu possa sbavare dietro ad una che ha la stessa età di tua madre e che non ti considera in alcun modo.”
“Chi ti ha detto che io la considero?” La interrogò con uno sguardo eloquente.
“Scott…”
“Ho solo detto che ha un bel fisico, che è una donna interessante e che non sarebbe poi così male se tu fossi un po’ più prosperosa e intraprendente.”
“Io…”
“Ma se dovessi cambiare così all’improvviso, poi mi sentirei perso e tutte le mie abitudini andrebbero a farsi friggere.”
“Non sei interessato a mia madre?” Chiese, rimettendosi in piedi e fissandolo intensamente negli occhi che non lasciavano trasparire il minimo ripensamento.
“Sei una sciocca.” Borbottò, invitandola a sedersi sulle sue ginocchia.
“Ehi!”
“Se fossi interessato a qualcun’altra, non ti avrei mai infastidito e ti avrei invitato a cercarti un altro ragazzo.”
“Anche se non sei stato sincero.” Lo ammonì, facendolo riflettere.
“Sincero?” Domandò nervoso.
“L’ultima volta che abbiamo litigato, non mi hai detto tutta la verità.” Sbuffò, accomodandosi sulle ginocchia del ragazzo e strusciandosi come un gatto che faceva le fusa e che cercava di farsi coccolare.
“Ti garantisco che io non conosco così bene quella Mary.”
“Non riesco a crederti.”
“Lo sapevo che non dovevamo accettare l’invito di Duncan alla sua festa.” Ringhiò, maledicendo quella figura che non aveva mai visto e che le aveva scoccato un bacio a tradimento, proprio mentre Dawn stava facendo ritorno dal bagno.
“Così non avrei saputo nulla dei tuoi giochetti.”
“Ti giuro che non è colpa mia.”
“Allora spiegami come fai a conoscere il nome di quella lì.”
“Forse me l’ha bisbigliato poco prima di andarsene.” Tentò, ben sapendo che era un‘idea praticamente impossibile.
Quando quella giovane 22enne si era avvicinata per un ballo, Scott l’aveva fissata a lungo prima di accontentarla con qualche passo.
Dawn era appena andata a truccarsi insieme a Zoey e al rosso non andava di studiare tutti i ragazzi che l’amico aveva invitato. Alcuni, quelli che ricordavano i bei tempi andati e che s’ingozzavano di tartine, erano i partecipanti al reality di Chris McLean, mentre gli altri gruppetti erano formati da vecchi amici del punk o ex squinternati del riformatorio.
Per un po’ aveva osservato le varie coppie.
Gwen era indaffarata a parlottare con Leshawna, Harold discuteva con Tyler delle sue apparenti abilità di musicista, Trent e la sua nuova fiamma informavano Heather e Alejandro dei loro progetti futuri, Lindsay e Beth inseguivano Justin per tutta la sala e infine Owen spazzolava tavoli e tavoli di cibo, gareggiando con Lightning e Brick.
Mike, Jo e Dj, invece, cercavano di ricordare le più belle sfide inventate da Chris McLean, mostrandosi vicendevolmente le foto che avevano scattato sul finire dei vari reality.
Tra gli altri matti che Duncan aveva invitato, ne conosceva al massimo due.
Quella giovane, però, era una perfetta sconosciuta.
L’unica caratteristica che la avvicinava un po’ a Dawn era l’altezza. Per il resto non potevano essere più diverse di così.
Quella sconosciuta, che in pochi minuti gli avrebbe rovinato le prossime settimane, era molto più formosa della fidanzata e il viso sembrava alla pari di un qualche ritratto famoso.
Mora, occhi neri e intensi, dal sorriso smagliante e con qualche lentiggine ad adornarle le guance paffute, sembrava essere una ragazza come tante.
Il suo carattere, però, era molto diverso da quello di Dawn.
Molto più intraprendente e decisa, non si era arresa quando Scott aveva snobbato il suo invito a ballare e l’aveva sospinto fino alla pista, per poi, studiare i movimenti del bagno e pazientare l’arrivo di Dawn che non doveva perdersi il tradimento in diretta del fidanzato
Vagamente, se proprio bisognava paragonarla a qualcuno, assomigliava a Ella, quella matta che usava le sue canzoni ovunque.
Non appena era stata certa del suo operato, si era allontanata di gran carriera ed era uscita dalla casa di Duncan.
Da lì in avanti il resto della serata per Scott fu un enorme disastro. Dawn non gli rivolse più la parola, accettando un passaggio in auto da Zoey e lasciando il fidanzato con i suoi sensi di colpa.
“Impossibile.” Replicò Dawn, risvegliandolo da quell’istante di riflessione.
“E tu come fai a sapere che io conosco il suo nome?”
“Allora lo ammetti.”
“Non cambiare discorso e dammi una spiegazione.”
“Ho letto nella tua mente.” Mormorò sottovoce.
“Quante volte ti ho detto che non devi usare la tua aura per conoscere i miei problemi?” Ringhiò, facendola tremare.
“Non l’ho fatto di proposito.”
“Tu non riesci a fidarti di me.”
“Non è vero.”
“Leggi nella mia mente, fai il muso se parlo con tua madre o se provo a essere carino nei suoi confronti, mi rinfacci i miei sbagli perché temi che io possa ripetermi…cos’altro dovrei pensare?” Domandò dopo aver elencato i suoi strani comportamenti.
“Io…”
“Tu crederai sempre che io sia un bugiardo, io crederò di non doverti dimostrare nulla. Così facendo, non ci lasceremo mai questa cosa alle spalle.”
“Scott…”
“Io ricordo il nome di quella stronza e non ho problemi a dirtelo. Si chiamava Mary e, anche se era la prima volta che la vedevo in vita mia, mi ha baciato senza motivo.”
“Senza motivo?”
“Il mio è solo un sospetto e non ho la minima prova che lei volesse farti ingelosire per ottenere qualcosa in cambio e per spingerti a lasciarmi.” Spiegò al limite della pazienza, rischiando di risvegliare la famiglia che era riuscita a prendere sonno.
“Perché non me l’hai detto subito?” Chiese con un pizzico di nervosismo.
“E perché tu non mi hai detto che ti diverti a leggere nella mia mente?” Replicò stizzito.
“Io vorrei sapere tutto quello che ti riguarda.”
“Se fossi in grado di manipolare le aure, potrei sapere fino a che punto ti sei spinta, ma così non è.”
“Mi dispiace.”
“Se ti ho tenuto nascosta tutta questa storia, non è certo per cattiveria. Ho il sospetto, come ti dicevo, che qualcuno abbia convinto quella ragazza a muoversi per rovinare la nostra relazione.”
“Di chi parli?” Lo interrogò, cercando di smuoverlo con un semplice bacio a fior di labbra.
“Cerchi di ricattarmi anche tu?”
“Voglio solo darti un incentivo.”
“Questo non è un incentivo degno di nota.” Mormorò divertito, cercando di insinuare le sue mani sotto la maglietta della sua fidanzata.
“Ehi!” Protestò, liberandosi dalle sue intenzioni e schiaffeggiandolo su una spalla.
“Questo sarebbe un ottimo incentivo.”
“Se fai il bravo e spari un nome sensato, forse posso farti giocare in qualche modo.” Soffiò maliziosa, facendolo annuire.
“E quando avresti intenzione di accontentarmi?”
“Se la tua spiegazione mi soddisfa, non appena saremo soli nel nostro appartamento, potrei fare qualcosa di carino per ringraziarti.”
“Lascia perdere.” La rassicurò, facendola tentennare.
“Hmm?”
“Non sei per nulla brava a mentire ed io non sono così stronzo da costringerti a fare qualcosa per cui non sei ancora pronta.” Rispose, accarezzandole la schiena e piegandole la testa per coinvolgerla in un bacio molto più passionale rispetto ai precedenti.
“Ti tiri indietro?”
“Preferisco rispettare i tuoi tempi: l’attesa incrementerà il desiderio e quella sera faremo scintille.” Affermò disinvolto, sorprendendola per quel cambio repentino.
“E quella notte, se farai qualche cavolata, ti metterò a dormire sul divano.”
“Così non avresti nessuno da stringere.”
“E così tu non avrai nessuno da infastidire.” Replicò Dawn, facendolo sospirare.
“La pazienza è una delle mie qualità migliori.”
“Mi vuoi forse dire che è stata la pazienza a farti baciare quella Mary?”
“A dire il vero è stata lei a baciare me.”
“È la stessa cosa.” Lo rimproverò, concedendogli comunque un sorriso che sapeva di perdono.
“Spero solo che la tua reazione non sia esagerata.”
“La mia reazione sarà pari a quello che dirai.” Commentò, facendolo annuire.
“Ho come il sospetto che tua madre centri qualcosa in questa faccenda.” Sospirò Scott.
“Mia madre?”
“Lei voleva che la nostra storia avesse fine ed è l’unica persona capace di una cosa simile senza sentirsi in colpa.”
“Hai delle prove?”
“Solo delle teorie.”
“Come posso dubitare di mia madre se tu non mi presenti la minima prova?”
“I nostri vecchi compagni di reality, che poi sono anche i nostri unici amici, non hanno motivo di vendicarsi in questo modo e solo tua madre vedeva la nostra relazione come una possibile minaccia per la tua felicità.”
“E cosa centrerebbe lei con tutto questo?” Continuò, facendolo negare.
“Tuo padre era disperato perché non riusciva a trovare i 200 dollari che aveva nascosto nel suo armadio. Interpellando Duncan e informandomi sulla sua amica, lui si è lasciato andare in qualche modo.”
“Cioè?”
“Duncan aveva invitato Mary solo per farle dimenticare tutte le sue preoccupazioni.”
“Preoccupazioni?”
“La famiglia di Mary, da quel che ne so, è paragonabile alla mia, anche se è molto più sfortunata.” Ammise con un velo di tristezza.
“In che senso è più sfortunata?”
“Il fratello di Mary soffre di una grave malattia e richiede un’operazione assai costosa. Vedi bene che 200 dollari possono essere di enorme utilità e possono restituirgli il sorriso.”
“Cosa?”
“Durante quelle settimane in cui mi sei stata lontana, ho studiato i movimenti di tua madre e lei è dispiaciuta della situazione famigliare di Mary. Notando l’avvenenza della ragazza, ha pensato di poterla corrompere e di dividerci in un colpo solo.”
“Io…”
“È stata subdola, ma si può anche dire che l’ha fatto a fin di bene.” Affermò Scott, rimuginando sul comportamento tenuto dall’ex hippie.
“Andiamo a letto, Scott.”
“Hmm?”
“Alla luce di quello che è successo, sei perdonato.” Scandì con calma, rialzandosi in piedi e porgendo una mano al ragazzo che la condusse nella sua camera.
Dimenticato quel piccolo litigio e il comportamento della madre, Dawn si distese sul letto di Scott e, non appena notò il suo corpo muscoloso, si strinse immediatamente a lui.
Al contrario, il suo Scott restò sveglio a osservare l’angelo che aveva vicino, a riflettere sulla convivenza che li attendeva a braccia spalancate e ad accarezzare la sagoma che avrebbe sempre amato con tutte le sue forze.
 




Angolo autore:

Buonasera cari lettori.

Ryuk: Oggi siamo molto di fretta.

Possiamo solo augurarci che il capitolo vi piaccia.

Ryuk: Oltre che augurarvi un buon week-end.

Alla prossima!
 

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


Per oltre due settimane avevano fatto spesso avanti e indietro per portare i bagagli nel loro nuovo appartamento.
Tutti i libri, i ricordi e i vestiti erano stati trasportati e nei giorni seguenti, con l’aprire i vari scatoloni, iniziarono a spartirsi i propri spazi.
Un armadio intero era disposizione di Dawn e due mensole erano già occupate dai suoi vecchi libri di scuola.
Al contrario Scott aveva sistemato i suoi pochi effetti sul grande comò, su due scaffali di un piccolo armadio e sull’ultima mensola che il padrone di casa aveva lasciato a loro disposizione.
Appena varcata la grande porta blindata, si ritrovarono nel loro piccolo salotto dipinto recentemente con un giallo tenue.
Alla loro destra vi era la grande credenza con lo spazio dedicato al televisore da 40 pollici, all’impianto stereo e alcuni spazi dove far alloggiare cd, dvd o libri di cucina.
Una piccola vetrina contenente alcuni bicchieri, mostrava la presenza di alcuni souvenir che i ragazzi avevano comprato durante i loro rari viaggi in giro per la regione. Di fronte al mobile, distanziato di qualche metro, vi era un divano di pelle beige che aveva richiamato Scott verso di sé.
Il rosso sentiva che, qualora avesse litigato con Dawn, quella disposizione non sarebbe stata poi così male.
Il soggiorno era un open space che gli avrebbe permesso di tenere d’occhio ciò che accadeva in cucina e viceversa.
I mobili della cucina, così come gli elettrodomestici, per invogliare gli acquirenti, erano stati sostituiti di recente. Il frigo di un grigio intenso, la lavastoviglie, il forno e la macchinetta per il caffè erano di un’ottima marca e sposavano alla perfezione lo stile semplice dell’appartamento.
Dalla cucina si poteva, quindi, accedere a una piccola terrazza interna che, sarebbe diventato il regno di Dawn.
Un piccolo corridoio, che si apriva tra soggiorno e cucina, permetteva la comunicazione con un piccolo studio, un bagno e la camera matrimoniale.
Il bagno, oltre ai classici accessori di ogni appartamento, era stato riempito con una lavatrice e con un mobiletto, dove era possibile riporre creme, shampoo e profumi.
Scott non era nemmeno riuscito a vedere quella struttura libera di boccette che Dawn aveva svuotato un piccolo sacchetto, monopolizzando quel minuscolo angolo e minacciando il suo fidanzato di non azzardarsi a occupare i suoi spazi.
Aveva detto proprio così, quando aveva preso possesso dell’armadio più grande della loro camera.
Si era dovuto accontentare del piccolo comodino, del comò che era stato comunque riempito dai ricordi della ragazza e di alcuni scaffali che Dawn gli aveva lasciato in un raro moto di bontà.
Ma l’unica cosa che aveva attirato veramente il rosso era il letto.
Molto più grande e spazioso di quello singolo della sua stanza, aveva pensato immediatamente che sarebbe stato divertente giocare con la fidanzata.
Per molti giovani quello era un grande passo, anche se destreggiarsi tra impegni, trasloco e incontri con i genitori era stata una bella rottura.
Per molti giorni avevano spostato i loro scatoloni, qualche mobile e le loro cose da un angolo all’altro, riuscendo a trovare la quadratura solo dopo ben due settimane dalla cena congiunta tra le famiglie.
Da quella notte molte cose erano cambiate.
La madre di Dawn aveva ricucito i buoni rapporti di vicinato, intrattenendo i suoi ospiti con discorsi che non riguardassero la fine del mondo, tisane o complotti vari. Aveva ritrovato l’intesa smarrita con il consorte che era tornato al lavoro con un sorriso stampato sul volto.
A chi gli domandava il motivo di tanta gioia, lui rispondeva, con voce tranquilla, che quei giorni di ferie lo avevano proprio rivitalizzato.
Aveva riconquistato la moglie e aveva ripreso a sognare e a fare progetti.
Purtroppo non avrebbe rivisto così spesso la sua bambina, anche se gli pareva giusto che spiccasse il volo.
Chi, al contrario, non riusciva a farsene una ragione era Alberta.
I suoi genitori erano elettrizzati e riempivano i pranzi e le cene con discussioni e con consigli da dare ai giovani conviventi, mentre lei rimaneva tranquilla a rimuginare su quella disgrazia che le era capitata tra i piedi.
L’intero vicinato discuteva di quella scelta e si sentiva continuamente paragonata a quelle incorreggibili zitelle che vivono per i gatti e per andare al mercato.
Sarebbe finita come quella babbea della televisione che parlava a vanvera, sputando sentenze su tutto e tutti, dimostrando a tutti che si era beccata il virus della hippie o della strega.
Il suo Lucas, con cui aveva litigato fin troppo spesso in cui giorni, non comprendeva il motivo di così tanta rabbia.
Non aveva mai fatto nulla di sbagliato e si era ritrovato un fascicolo di documenti spiattellato con rabbia contro il viso.
Se avesse continuato a essere nervosa, irritabile e irascibile, Lucas avrebbe fatto i bagagli e si sarebbe trasferito in un’altra nazione senza nemmeno avvertirla.
Aveva provato perfino a parlare con i genitori della ragazza via telefono, ma essendo troppo presi dai loro impegni, non si erano accorti di un cambiamento così significativo nella loro figliola.
Per ancora qualche giorno Alberta sarebbe stata inavvicinabile.
 
Anche per quel pomeriggio avevano finito e non avrebbero più discusso di traslochi o cose simili.
Ora che i vestiti erano al loro posto, non c’era più nulla da trasportare e da incastrare in quell’appartamento.
E stanchi di quelle lunghe ed estenuanti ore si erano distesi a riposare e a scambiarsi qualche semplice coccola.
“Finalmente possiamo stare tranquilli.” Esordì Scott.
“Chissà per quanto.”
“Eh?”
“Non possiamo restare in questa situazione per sempre.”
“Non capisco di cosa parli.” Mormorò, accarezzandole la testa.
“Un lavoro Scott…è questo che ci manca.”
“Sai che non dipende da noi.”
“Non possiamo, però, aspettare che sia il lavoro a bussare alla nostra porta.” Spiegò Dawn, staccandosi dal ragazzo e sollevando il portatile.
“In queste settimane ho risposto ad almeno un centinaio di annunci e nessuno si è preso la briga di telefonarmi per un colloquio o mi ha mandato un e-mail chiedendo informazioni.”
“È umiliante dipendere dai propri genitori.” Soffiò lei, digitando la password ed entrando in uno dei tanti siti che pubblicavano ricerche di lavoro.
“Alcuni chiedono esperienze che non abbiamo e degli annunci riguardano degli indirizzi di studio che non ci riguardano.” Mugugnò deluso, risollevandosi appena e notando la sua ricerca frenetica tra le tante richieste.
“Patente, conoscenze a livello madrelingua anche del francese e due anni di esperienza nella medesima mansione.” Ragionò lei, studiando frustrata il titolo dell’annuncio e rendendosi conto di non avere almeno due delle abilità richieste.
“Per me la patente non è un grosso problema, ma resta l’intoppo dell’esperienza e della lingua.”
“Sembra quasi non ci sia posto per noi giovani.” Sbuffò nervosa, avvertendo le mani del fidanzato a massaggiarle la schiena per sciogliere la tensione.
“Mettersi in proprio, aprendo una qualche attività con così poca esperienza ci potrebbe esporre a molti rischi e l’unica è sperare in qualche ditta che ricerca giovani volenterosi, con un buon percorso di studi e che sono disposti ad apprendere e a rimettersi nuovamente in gioco.” Spiegò Scott, ripetendo lo stesso discorso che aveva sentito da uno dei dipendenti delle agenzie interinali.
“In tal caso il tuo percorso di studi non è così buono.” Mormorò lei, rimproverandolo per la sua scarsa predisposizione all’impegno.
“Io posso toppare in questa direzione e tu senza patente sei bloccata in quest’altra direzione.”
“Non del tutto.” Sibilò divertita.
“Credevo stessi cercando un’occupazione.”
“La sto cercando, ma per te.” Replicò, facendolo sussultare.
“È inutile che sbirci in questo sito…l’ho già visitato questa mattina mentre sei andata a trovare i tuoi genitori.” Ammise, notando quella pagina bluastra che l’aveva spinto ad aprire una decina di annunci che poi erano diventati appena tre data la mancanza di certi requisiti.
“Sono già passate 5 ore e qualcosa si trova.”
“Ho il computer pieno di segnalibri e spesso gli annunci sono tutti uguali. A volte credo che le agenzie si facciano la guerra, che ripropongano sempre le stesse cose oppure che s’inventino tutto di sana pianta con la speranza di trovare qualche pollo da spennare.”
“Non è contro la legge?” S’informò Dawn, studiando un nuovo annuncio che prometteva guadagni favolosi, ma che riguardava l’ennesima truffa legata a contratti da far stipulare a ignari vecchietti tramite l’orribile metodo della vendita porta a porta.
“Al caro governo non gliene frega nulla.”
“Che mare di squali!” Commentò la giovane, stringendosi nelle spalle.
“Poi ci sono gli annunci che, oltre all’esperienza e altri requisiti, pretendono la residenza entro un certo numero di miglia. Senza dimenticare quelle ditte furbette che, per entrare nell’organico, chiedono di essere pagate profumatamente.” Ridacchiò Scott, rammentando la denuncia di alcuni operatori contro questa mossa assolutamente scorretta.
“Ti sei rassegnato?”
“Rassegnarsi dopo nemmeno un mese è eccessivo.”
“Dai tuoi ragionamenti sembra che ti sia arreso.” Lo provocò, rivolgendogli uno sguardo di sfida.
“Spendo quasi due ore del mio tempo a cercare e finora il cellulare è rimasto zitto.”
“Nessuno ci ha mai detto che fosse facile trovare lavoro.”
“Ma nemmeno così difficile.” Obiettò Scott.
“Quando ho finito le superiori credevo che l’Università mi aprisse le porte al mondo del lavoro, ma ad oggi mi accorgo che non è così.”
“Da quando eravamo bambini, tutto sembra deriderci. Passi dalle superiori all’Università con la speranza che tutto vada per il meglio, ma poi ti rendi conto che o continui a studiare o hai un bel colpo di fortuna e ti trovi un lavoro.” Mugugnò deluso.
“Almeno c’è qualcosa di positivo.”
“Ammiro il tuo entusiasmo, Dawn.”
“Finalmente viviamo insieme, anche se mi sono astenuta dal confidarti un segreto.” Ammise, mentre Scott le sgraffignava il pc e si metteva a leggere un nuovo annuncio che, dopo le prime righe, si rivelò privo di affidabilità.
“Quale segreto?” Domandò curioso.
“Questa mattina mio padre mi ha fatto un’offerta.”
“Di che genere?”
“Ti ho raccontato la storia della sua vecchia segretaria?” S’informò, richiudendo il portatile e appoggiandolo sul comodino.
“Solo una parte.”
“La signora Elenoire ha deciso di licenziarsi e la sua scrivania è rimasta vuota.”
“E allora?”
“Mio padre aveva pensato di chiedere a te.”
“Perché non me l’hai detto subito?” Domandò, fissandola intensamente.
“Ti ripeto che ci ha solo pensato. Mi ha chiesto se eri portato per il lavoro di segretario ed io non me la sono sentita di mentire proprio con lui.”
“Posso capirti.” Ammise, cercando di placare la rabbia che stava per prendere il sopravento e che poteva sommergere la fidanzata.
“Avrei fatto una pessima figura se tu avessi dimostrato tutta la tua inadeguatezza.”
“E poi immagino che sia un lavoro dove è richiesta un’ottima memoria e una discreta precisione.” Soffiò deluso.
“Non tutte le notizie, però, sono così cattive.”
“Eh?”
“Mio padre, conoscendo le mie qualità, mi ha proposto di occupare il posto rimasto vacante e di fargli da segretaria.”
“Davvero?” Chiese Scott, mostrandosi felice.
“Si tratta dello stesso contratto della precedente segretaria e, quindi, un part-time dalle 9 alle 13 dal lunedì al sabato.”
“E il pomeriggio?” S’informò il ragazzo.
“Durante il pomeriggio mio padre accoglie i clienti e non ha bisogno di nessuna segretaria.” Affermò decisa, facendolo annuire.
“Questa sì che è una bella notizia!” Commentò Scott, abbracciandola.
“Ovviamente ho accettato e inizierò dal prossimo lunedì.”
“Sono felice per te.”
“Sarà un contratto di prova per i primi tre mesi con possibilità di proroga e con la possibile richiesta di straordinari.”
“Ottimo!”
“Da quel che ne so, lo stipendio dovrebbe essere sui 750 o 800 dollari al mese.” Soffiò tranquilla.
“Ora, però, sono un po’ invidioso.”
“Se non vuoi che i vicini sparlino di questa situazione, non ti resta che darti da fare.” Lo provocò, facendolo annuire.
“Farò del mio meglio e questa sera festeggeremo.” Promise, riprendendo il pc e sperando che qualche disperato avesse bisogno della sua laurea in Ingegneria.
 










Angolo autore:

Ryuk: Siamo già al capitolo 7 e tutto sta filando liscio come l'olio.

Troppo liscio per i miei gusti.

Ryuk: Guasfateste.

Per qualche capitolo tutto sarà ancora zuccheroso (povera salute) e poi manderò tutto al diavolo.

Ryuk: E te pareva? Sudo sette camicie per una bella storia e puf...rocchi arriva e rovina i miei piani.

Sta pantomima inizia ad annoiarmi.
Concedete a Ryuk ancora qualche capitolo e poi scatenerò la mia furia.

Ryuk: Maledetti piani deprimenti.

Stai buono.
Sto prendendo in considerazione una tua promozione.
Sempre che i recensori siano d'accordo.
Alla prossima!
 

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Capitolo 8
*** Cap 8 ***


Per chi si avventurava nel caos del mondo del lavoro, c’era una sola regola basilare: nessuno ti regala niente e spesso c’è un qualche imbroglio che ti frega.
Erano già trascorse alcune settimane da quando Dawn aveva iniziato a lavorare nell’ufficio del padre e Scott, a eccezione di un qualche semplice lavoretto saltuario, non aveva trovato nulla che potesse mostrare le sue qualità.
Aveva preparato un ottimo curriculum, l’aveva portato personalmente a tutte le ditte che avevano delle posizioni aperte e che ricercavano qualcuno con il suo percorso di studi e aveva pure bussato a qualche bar, pub, ristorante o hotel.
Tutti lo fissavano, lo ringraziavano per quei fogli che sventolava sotto il loro naso e lo salutavano con l’immancabile “Le faremo sapere.”
E per ogni reclutatore che usciva con quella frase d’incoraggiamento, lui sentiva montare una rabbia che placava solo nel girare le chiavi nella serratura di casa e nel notare che la sua ragazza era affaccendata nelle pulizie.
Le rivolgeva un sorriso tirato, entrava nel suo studio per controllare eventuali e-mail e nuovi annunci e poi si sedeva sul divano, versando in una condizione che mostrava tutta la sua tristezza e una buona base di depressione.
Si sentiva inutile.
Nessuno sembrava aver bisogno di un derelitto che aveva conquistato la laurea con litri e litri di sudore.
Nessuno accettava di buon grado un ragazzo con una preparazione così imprecisa e con delle raccomandazioni non proprio eccelse.
Nessuno era disposto a concedergli una possibilità.
Perché era solo di questo che aveva bisogno.
Un qualcosa che dimostrasse la sua buona volontà, il suo impegno e che gli permettesse di spaccare il ghiaccio.
Inserendo una minima esperienza nel curriculum, avrebbe allargato i suoi orizzonti e si sarebbe fatto conoscere in giro. Non avrebbe temuto più i colloqui che lo costringevano all’insonnia, né si sarebbe arreso con il famigerato “Le faremo sapere” e tantomeno avrebbe meditato di seccare i suoi reclutatori con delle telefonate per conoscere l’esito del colloquio.
Si sarebbe presentato con spavalderia, dimostrando le sue capacità e i suoi pregi, costringendo varie ditte a fare la fila pur di conoscerlo, di stringergli la mano e di stipulargli il tanto agognato contratto a tempo indeterminato.
Per il momento, però, era disteso sul suo divano in quello che sembrava un esercizio yoga con il televisore acceso a fare da colonna sonora per il fiume imperioso dei suoi pensieri.
Come poteva sentirsi felice?
Lui che, almeno sulla carta, era l’uomo di casa doveva dipendere dalla sua famiglia e dall’assegno che la sua ragazza gli aveva mostrato come giusta retribuzione per il suo impegno.
L’invidia, che aveva provato quando Dawn era stata assunta, inizialmente era stata dimenticata.
Era quando la vedeva uscire con una meta precisa, lasciandolo solo con il suo pc a digitare senza sosta che la sua invidia sembrava tracimare. Per non farsi odiare anche dalla sua ragazza, era finito con il chiudersi in sé stesso, abbandonandosi alla triste monotonia dei disoccupati senza futuro e rinnegando anche i suoi passatempi e le varie uscite serali.
Dawn l’aveva pregato, più di una volta, d’uscire insieme per una pizza, ma le voci dentro la sua testa, lo facevano tremare.
Avrebbe visto la fidanzata tirare fuori il portafoglio dalla sua borsetta, estrarre un pezzo da cinquanta e pagare per entrambi.
Gli altri tavoli avrebbero notato quel movimento e, agli occhi degli altri commensali, si sarebbe sentito alla pari di un fallito.
 
Dawn aveva appena finito di spazzare il pavimento della cucina che si voltò a fissare il suo ragazzo.
Come nei pomeriggi precedenti era fermo a fissare il vuoto davanti a sé.
A un’altra persona sarebbe parso che era concentrato sulle spiegazioni scientifiche del documentario, ma in verità era da tutt’altra parte.
Stanca dalle ore di segretaria dove aveva sistemato una buona parte dell’archivio e aveva risposto ad alcune telefonate, decise di concedersi qualche minuto di riposo.
Risistemati gli stracci e riposti i prodotti usati per lavare le piastrelle del bagno, si sedette vicino al suo ragazzo che continuava a fissare il nulla.
A niente valse la sua mano appoggiata sul ginocchio e poi sventolata davanti ai suoi occhi: Scott era completamente assente.
Sembrava fosse in trance e solo una scrollata decisa l’avrebbe riportato alla realtà.
Armandosi di pazienza, iniziò a pizzicare il braccio destro del ragazzo che dopo qualche minuto di quel trattamento diede segnali di risveglio.
Ritornato nel suo mondo, aveva sbattuto leggermente gli occhi e si era voltato verso la causa di quel fastidio che aveva catturato il suo braccio.
“Hmm?” Soffiò debolmente, notando che la fidanzata si era accoccolata al suo braccio e che gli rivolgeva uno dei suoi soliti sorrisi.
“Stai bene, Scott?” Domandò lei preoccupata dallo sguardo vitreo del fidanzato.
“Abbastanza.”
“Posso sapere cosa ti preoccupa?”
“Niente di speciale.” Mugugnò, rigirandosi verso lo spettacolo offerto dal televisore.
“È da qualche giorno che sei strano.”
“Strano?”
“E non dirmi che è il tuo carattere o che patisci il caldo.” Lo rimproverò bonariamente, non ottenendo il minimo sorriso.
“Come puoi stare così?”
“Di che parli, Scott?”
“In teoria dovrei essere io a badare a te e invece sono qui a deprimermi.”
“Perché continui a ripeterti?” Chiese lei, ben ricordandosi che quella confessione era la stessa che aveva ascoltato qualche giorno prima.
“Non puoi dirmi che questa situazione ti sta bene.”
“In effetti hai ragione: mi dà un po’ fastidio vederti così e solo perché non lo meriti.”
“Se avessi immaginato che era così difficile, non ti avrei mai chiesto di seguirmi.” Ammise, ispirando profondamente.
“Ti stai arrendendo alla prima difficoltà.” Lo rimproverò, accarezzandogli il volto contratto.
“Sarebbe stato molto meglio che tu non mi conoscessi, Dawn.”
“Perché?”
“Non dovresti sopportare un peso morto e saresti libera di divertirti come meglio credi.” Borbottò, abbassando la testa.
“Come sempre spari un mare di cavolate.”
“Come posso essere felice in questa condizione? Altro che matrimonio e convivenza: se non riesco nemmeno a badare a me stesso, come posso sperare di renderti felice?”
“Perché sei così ingiusto?” Domandò lei, rimettendosi in piedi.
“Progetti, sogni…come posso renderli concreti se mi manca la materia prima?”
“Possiamo coronarli insieme.” Tentò, mettendosi davanti al fidanzato e impedendogli di seguire lo spettacolo che in certe dinamiche poteva concedergli una scappatoia o una distrazione.
“Sei ancora in tempo.” Mugugnò afflitto.
“Per cosa?”
“Forse dovremo smetterla con questa farsa, recuperare gli scatoloni, ritornare alle nostre vite e ognuno per la propria strada.” Elencò distratto, meditando anche di scappare in Messico per evitare di lottare contro il padre di Dawn.
“Si può sapere che cosa mi stai proponendo?” Chiese, incrociando nuovamente i suoi occhi grigi privi di felicità.
“Una persona matura dovrebbe capire che questa situazione non funzionerà mai.”
“Pensi di rimanere disoccupato a vita?” Sbraitò lei di rimando, facendolo negare.
“Sto solo dicendo che non saremo mai pronti per stare insieme.”
“Perché?”
“Non è solo il lavoro: c’è qualcosa che mi sta consumando e che non riesco a capire cosa sia.”
“Consumando?”
“Non so come spiegartelo, ma tutte le volte che torno a casa mi sento distrutto ed è come se la mia energia svanisse.” Borbottò stanco.
“Ti senti male?”
“Se fossi uomo, capiresti.”
“Cos’è che capirei?” Domandò, continuando a guardarlo dalla sua posizione di vantaggio.
“Lascia perdere: non sono discorsi adatti a voi donne.”
“Smettila di considerarmi una stupida!” Ringhiò, colpendolo con un debole schiaffo sul volto.
“Tu…”
“Non sono una bambina che puoi manipolare a tuo piacimento e cui puoi raccontare un mare di frottole. È da quando ho cominciato a lavorare nell’ufficio di mio padre che hai quest’atteggiamento da cane bastonato e ciò mi dà parecchio fastidio.”
“Tu vorresti sapere?” Bisbigliò insicuro.
“Esatto.”
“Prometti di non arrabbiarti?” Chiese, incrociando il suo sguardo.
“Se non spari qualche cavolata, posso anche accontentarti.”
“Dawn se sono triste e arrabbiato è solo perché la mia vita fa schifo e se continua così rischio di trascinarti a fondo con me.”
“Scott…”
“È per questo che sarebbe meglio dirsi addio.”
“Vuoi lasciarmi?” Chiese con gli occhi lucidi.
“Non vorrei, ma sarebbe orribile vederti fallire a causa mia.”
“E allora perché?”
“Perché tu meriti qualcuno migliore di me e se mi resti vicino, rischieresti soltanto di farti contaminare e di perdere tutto quello che potresti conquistare.”
“Ma io voglio conquistare solo te.” Replicò, sedendosi sopra le ginocchia del fidanzato e affondando la testa sul suo petto.
“Sei sicura che non sia una scelta avventata e totalmente sbagliata?”
“Tu sei il mio sbaglio più bello.” Obiettò lei, sentendosi avvolta dalle forti e rassicuranti braccia di Scott.
“E i miei difetti?”
“Vedrò di farmene una ragione.”
“E il mio attuale status?”
“Se continui a cercare, non resterai disoccupato a lungo.” Rispose secca, facendolo sussultare.
“E se…”
“E se la smettessi di rompere con queste paranoie e ti decidessi ad accettare la realtà dei fatti?” Lo interruppe deciso, avvertendo un tremolio.
“Dawn…”
“Non è colpa tua se sei disoccupato o se la tua laurea non ti ha permesso di conquistare la felicità. Non è colpa tua se gli annunci non sono in riga con le tue abilità o se nei colloqui i tuoi requisiti non sono soddisfacenti. Puoi vederla come preferisci, ma per prendere un termine a te caro, direi che si tratta si fortuna e destino.”
“Dawn…”
“Il destino ha deciso che non sei ancora pronto e che devi pazientare ancora un po’, magari soffrendo per questa mancanza. La fortuna, osservando il destino, ha preferito voltarti le spalle, in attesa di regalarti un sorriso.” Spiegò tranquilla.
“Mi dispiace, Dawn.”
“Per cosa?”
“Anche in questo caso dovrebbe essere compito mio rassicurarti, ma fino a quando non troverò un lavoro, mi sarà assai difficile.” Sospirò, ispirando la fragranza delicata che Dawn si era messa subito dopo essersi fatta la doccia.
“Sei tranquillo adesso?”
“Tranquillo è una parola grossa, ma almeno posso affrontare i prossimi giorni con maggior sicurezza.”
“Meglio così.”
“Grazie, piccola.” Mormorò, baciandole la fronte.
“I membri di una famiglia sono sempre pronti a sostenersi l’un l’altro.”
“Sei felice del tuo lavoro, Dawn?” Domandò a bruciapelo, facendola sorridere.
“Qualcuno ha provato pure a corteggiarmi, ma quando ho mostrato l’anello di fidanzamento, si sono subito spaventati a morte.”
“Se non vogliono ritrovarsi con un occhio nero, è meglio che non facciano mosse avventate.” Ringhiò sommessamente, scrocchiandosi le dita e preparandosi, a suo dire, di picchiare tutti i colleghi molesti della sua ragazza.
“Quando l’ho detto a mio padre, lui era propenso anche a licenziarli.”
“Immagino che ci abbia ripensato.”
“Non voglio ritrovarmi con altri scocciatori di cui ignoro il carattere.” Brontolò, strusciandosi con il viso sul petto del ragazzo e aspettando altre coccole.
“Forse un lavoro l’ho trovato.” Borbottò divertito, accontentandola.
“Ah sì?” Chiese, accennando a uno sbadiglio e sollevando la testa. “E quale sarebbe?”
“Potresti assumermi come massaggiatore personale.”
“Guarda che questo potrebbe essere il mio secondo lavoro.” Obiettò, facendolo annuire.
“E anche questo lavoro va in frantumi.” Sbuffò sarcastico.
“Sono felice di sentirti ridere, Scott.”
“È tutto merito tuo.” Ammise, socchiudendo per un attimo gli occhi e ricordandosi di tutto ciò che era successo dal giorno in cui si erano ritrovati.
Era solo per Dawn che aveva ricucito i rapporti con i suoi amici.
Era merito suo se aveva superato l’Università e non aveva passato le estati a deprimersi con le chiacchiere e i discorsi insensati di sua sorella.
Alberta sarebbe stata capace di scuoiarlo per tutti quei soldi spesi malamente e se Scott non viaggiava con una qualche cicatrice era solo per l’impegno ferreo della sua attuale ragazza. Era lei a pretendere incontri su incontri nella grande biblioteca ed era sempre lei a passargli gli appunti dei pochi corsi che avevano in comune.
Durante la sua vita non aveva mai trovato una ragazza così disponibile da consegnargli anche i migliori riassunti mai visti. Alle medie e alle superiori si era sempre scontrato con la superiorità di alcune oche che, per non mischiarsi alla feccia e per atteggiarsi a grandi donne, non allungavano un quaderno o un suggerimento nemmeno sotto tortura.
Lei era la prima a spremersi in quel modo, anche se spesso esagerava in tal senso.
Aveva sempre ricordato piuttosto vagamente i mesi passati, ma quel giorno di febbraio, quando lei si presentò con un bel febbrone e con un fastidioso mal di gola, si sentì pervadere da una grande rabbia mescolata a sorpresa e a rassegnazione.
Dopo averla sgridata, richiuse i suoi libri e la condusse a casa dove la madre, per quell’unica volta, lo ringraziò di tutto cuore, allungandogli perfino una fetta di torta e il goccio di una bibita.
“Ehi…pensa al lato divertente di questa storia.”
“C’è un lato divertente? Scusa, ma non l’ho notato.”
“Se non fossi riuscita a risvegliarti, stavo pensando di concedermi ai tuoi giochi, ma a quanto pare non ce ne sarà bisogno.” Ridacchiò sollevata.
“E se tornassi…”
“È un po’ tardi per ritornare ameba.”
“Che rabbia!” Commentò, ondeggiando lievemente e cullandola come una bambina che dovrebbe fare la nanna.
“La prossima volta, però, non ti farò la stessa proposta.” Lo smontò allegra, alzando la testa e notando finalmente il ghigno di cui era tanto innamorata.
Riappoggiatasi sul petto del fidanzato, sentì solo una lieve imprecazione per quella sorpresa che non era riuscito a catturare.
 




Angolo autore:

Che noia sto capitolo.

Ryuk: Ehi! Porta rispetto per il mio lavoro.

Io rispetto il tuo lavoro e il tuo impegno, ma è noioso.
Se solo potessi metterci mano...

 

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Capitolo 9
*** Cap 9 ***


Dawn aveva provato in quella mattinata a ultimare tutti i fascicoli.
Suo padre era stato cristallino: quel dossier che aveva trovato sulla scrivania con tanto di bigliettino “Urgente” doveva essere inserito nel computer entro 24 ore.
Nel sollevare quel faldone, Dawn si era resa conto dell’impossibilità di completare quel compito durante le sue esigue quattro ore di lavoro da segretaria.
Avrebbe dovuto portare tutto a casa e chiudersi nella sua stanza per digitare incessantemente tutte le parti sottolineate che potevano tornare utili nei mesi a seguire.
Stringendo il fascicolo sotto un braccio e tenendo il portatile sull’altro, era salita in auto, facendo sorgere al fidanzato una muta richiesta di spiegazioni.
“È per lavoro.” Farfugliò, anticipando le sue domande.
“Sembra una cosa lunga.”
“Si tratta di una cinquantina di pagine da mettere in archivio.”
“Hai avuto una giornata difficile?” Domandò, mettendo in moto e dando la precedenza ad alcuni veicoli che erano appena scattati con il semaforo verde.
“Telefonate, appuntamenti e una marea di fotocopie.”
“Mi piacerebbe aiutarti, ma non capisco un tubo di leggi e documenti.”
“Lo so.”
“Spero solo che tu riesca a finire prima di sera.” Mormorò, immettendosi nella strada principale e rallentando quasi subito per via di alcuni lavori in corso.
“Che cosa succederà questa sera?”
“È una sorpresa.”
“Da quando ho cominciato a lavorare per mio padre, mi riempi sempre di belle sorprese.” Lo stuzzicò divertita, facendolo sorridere.
“Sto usando i pochi risparmi che ho messo da parte, se è questo che vuoi sapere.”
“Non ho mai dubitato della tua affidabilità e non posso prometterti nulla, ma proverò a liberarmi.”
“Se vuoi, posso dettarti ciò che serve. Almeno farai un po’ prima.” Si propose, facendola riflettere.
“E cosa vorresti in cambio?” Domandò lei, girandosi brevemente a fissare il panorama.
“Lo scoprirai questa sera.” Rispose malizioso, notando il suo rossore e ghignando divertito.
“Ricorda, però, che ho sempre il numero di Alberta sotto il cuscino e che lei sarebbe ben felice di darti una sistemata.”
“Non sarà niente di troppo complicato.” Borbottò compiaciuto, mentre Dawn accendeva il computer e cercava, nonostante il tragitto pieno di buche e fin troppo tortuoso, di guadagnare tempo, digitando le prime parole del faldone che suo padre le aveva affidato.
 
Mancavano venti minuti alle 14 prima che l’auto di Scott venisse parcheggiata nel garage interno del condominio e prima che Dawn riprendesse la sua borsa, il faldone e il pc, varcando la porta d’ingresso del loro appartamento.
A prima vista non era cambiato assolutamente nulla.
Quando il fidanzato aveva menzionato a una sorpresa, lei si era illusa che Alberta e i genitori fossero graditi ospiti e che Scott si fosse liberato di quelle riviste dozzinali che riempivano il tavolino del salotto.
Sperava che avesse afferrato lo straccio e che si fosse arrampicato sulla scala per pulire i mobili e per risistemare una decorazione che continuava a staccarsi e che non riusciva a rimanere appiccicata allo stipite della porta nemmeno con un doppio strato di scotch.
Credeva che avesse spazzato, che avesse lavato i pavimenti o che si fosse messo nel suo studio per sistemare l’impianto stereo.
Come minimo doveva cercare lavoro, rispondere a qualche annuncio e rifare il letto.
Superato il salotto e data una fugace occhiata alla cucina si era accorta che nulla era cambiato da quella mattina.
La disposizione dei mobili era rimasta la stessa, la decorazione continuava a penzolare, il velo di polvere avvolgeva alcuni ricordi e le riviste erano state solo ammassate l’una sull’altra.
Superato il corridoio, entrò nella loro stanza matrimoniale e dopo essersi messa comoda, aveva riacceso subito il computer.
Dopo aver liberato tutti i fogli dalla loro custodia giallognola, li sfogliò distrattamente, giusto per rendersi conto di quanto doveva scrivere.
Inserita la password nel terminale e aspettato che il pc riuscisse a connettersi, Scott si era seduto al suo fianco e si era messo a sfogliare le pagine che la sua ragazza aveva portato a casa.
Nel leggere le prime righe si era reso conto che quelle cose andavano oltre le sue normali capacità e che tutti quei termini legali erano incomprensibili.
Come facesse sua sorella a masticare tutte quelle nozioni, per lui era un autentico mistero.
“Sembra complicato.” Commentò, non riuscendo ad ammettere che di tutte quelle parolone a malapena ne aveva capite un quinto.
“Devo trascrivere solo le parti sottolineate.”
“Niente immagini o formule che possano ridurre il tuo lavoro?” Domandò, notando come nelle prime pagine vi fossero un enormità di caratteri da ricopiare.
Nella prima, nella terza, nella quarta e nella settima avrebbe dovuto ricopiare tutto parola per parola, mentre nella seconda, nella quinta, nella sesta e nell’ottava si sarebbero accontentati di una buona metà.
E Scott sentiva che, nello scorrere tutte quelle pagine perfettamente allineate e pinzate, la situazione non poteva certo migliorare.
Sarebbe stato un miracolo se avessero concluso per le 20, giusto in tempo per ordinare una pizza e per concludere la serata con un semplice film da guardare sul divano.
“Non si è mai visto un avvocato che usa statistiche o cose simili.”
“Se è per questo, non si è mai visto nemmeno un avvocato che pretende che la sua segretaria scriva 50 pagine in mezza giornata.”
“Forse se n’è dimenticato.”
“Tuo padre a volte è un po’ svanitello.” Commentò il rosso, rileggendo con estrema attenzione alcune righe della prima pagina.
“In questi giorni è sotto stress.”
“C’è qualche motivo in particolare per cui è preoccupato?”
“Fa parte dell’accusa che giudicherà Mal Jerkinson e che vorrebbe incriminarlo per i prossimi 50 anni per prostituzione, traffico d’armi, di droga, omicidio, violenza, istigazione al suicidio e resistenza a pubblico ufficiale.”
“Mal Jerkinson.” Ripeté Scott, sforzandosi di collegare quel nome all’immagine sbiadita che aveva occupato per diverse settimane la prima pagina dei vari quotidiani.
“Le prove sono abbastanza incasinate e l’accusato può contare su una decina di tirapiedi pronti a far uscire un mare di testimoni che possano scagionare il loro capo.”
“I soliti testimoni fasulli.”
“Hanno chiamato esperti per l’infermità mentale e per distruggere le prove che l’accusa avanzerà nei confronti di Mal.”
“Questo caso potrebbe essere più difficile di quanto non sembri.” Soffiò Scott, ben ricordandosi delle notizie riportate dai vari giornali sulla criminalità organizzata e sui delitti compiuti in quegli anni da Mal, dai suoi scagnozzi, dai sicari assoldati per accoppare certi clienti scomodi e da alcuni semplici imitatori che adoravano finire, anche solo per 48 ore, sui notiziari o sulla carta stampata.
“Se lo buttano dentro, i suoi tirapiedi si ritrovano senza la mente e finiranno con l’impazzire e con lo scomparire.”
“Di quelli che fanno parte della banda Jerkinson, nessuno è così coraggioso o influente da prendere il controllo.” Borbottò Scott che faticava a ricordare, anche a distanza di 10 mesi, un’azione manovrata da parte di quella banda.
Dei Jerkinson, in quel lasso di tempo, si era sentito parlare solo per minacce a uno dei papabili giudici e per alcuni cassonetti fatti esplodere nel cuore della notte come segno di protesta.
“Se, però, la giuria gli concederà la libertà, allora Mal si vendicherà con quelli dell’accusa e con le loro famiglie.”
“Non può farlo.” Ringhiò Scott, notando come la fidanzata stesse tremando.
“E quando scorrerà altro sangue, vi sarà una nuova causa e lo Stato premierà i caduti con qualche stupida medaglia.”
“Dobbiamo sperare che tuo padre e gli altri avvocati dell’accusa riescano a sbatterlo dentro.” Soffiò, stringendo la fidanzata che singhiozzava per la paura che Mal Jerkinson venisse riconosciuto innocente, che potesse ritornare ai suoi efferati delitti e che potesse uccidere suo padre, sua madre e perché no, magari anche il suo Scott e la sua famiglia.
“Ho paura.”
“Cerca d’aver fiducia in tuo padre: lui sa come comportarsi e poi non è solo.”
“Scott…”
“Perfino Al Capone aveva minacciato i suoi accusatori, ma poi non è riuscito ad alzare un dito da dietro le sbarre di Alcatraz.”
“Io…”
“Prenderanno Mal Jerkinson, il giudice lo guarderà in cagnesco e gli darà il massimo della pena, il pubblico si lascerà andare a una serie di applausi, la polizia penitenziaria lo butterà in gattabuia, lo terrà lì fino a quando non sarà semplice polvere e poi lo farà uscire per la porta sul retro in una bella bara.” Affermò con insolita sicurezza, quasi fosse in grado di prevedere il futuro prossimo.
“Scott…”
“La giuria e il giudice non saranno così sconsiderati da lasciar libero un tizio che tornerebbe a uccidere senza il minimo scrupolo. Tuo padre, i suoi amici avvocati e le rispettive famiglie non sono gli unici a rischiare. Ci sono i poliziotti che l’hanno arrestato, quelli che lo tengono d’occhio, quelli della giuria che vorrebbero la sua condanna e tutte le famiglie che hanno smembrato con la forza e che sono pronte a testimoniare per gettarlo tra le braccia della giustizia.”
“Scott…”
“So che è difficile da credere e spero non accada mai, perché tuo padre è un brav’uomo e avrebbe tutto il diritto di stare tranquillo e di non farsi accompagnare con la scorta armata, ma se quell’idiota venisse scarcerato, io continuerò a starti vicino. Io non ho paura di Mal, dei suoi leccapiedi o di quello che può fare. Io ho solo paura di starti lontano e di non vederti più.” Affermò deciso, strusciando il suo viso sulla candida guancia della sua ragazza.
“Grazie.” Soffiò lei, staccandosi da quel contatto assai rassicurante e donando un fugace bacio al suo ragazzo.
“Una famiglia è sempre pronta a sostenersi.”
“Scott…”
“Il problema è che se non iniziamo a sistemare i documenti, la nostra famiglia non riuscirà a chiudere occhio questa notte e andrai al lavoro tutta rintronata.” Mormorò divertito, pizzicandole lievemente la guancia e invitandola a concentrarsi sul suo lavoro.
“Hai ragione.”
“Sei pronta?” Chiese, recuperando il faldone e tossicchiando appena.
“Cerca di essere chiaro e conciso.”
“Come durante le interrogazioni.”
“E non commentare ogni cosa con qualche imprecazione: non sia mai che metta qualche parolaccia nell’archivio.”
“M’immagino la faccia sconvolta di tuo padre e dei suoi colleghi se mai dovessero rileggere i riassunti che inserirai.” Gracchiò divertito, facendola sussultare.
“La prima pagina, comunque, la puoi saltare. Sono arrivata a metà della seconda, dove si parla dell’articolo 147, paragrafo 34, comma 6.”
“D’accordo.” Soffiò, voltando pagina e cercando il punto preciso dove la fidanzata si era interrotta, cominciando a parlare con un tono solenne abbastanza ridicolo.
 
Non si erano mai fermati.
Per oltre 6 ore avevano passato il loro tempo dietro a quelle scartoffie che Dawn aveva portato a casa.
Fu nello sfogliare le ultime pagine che Scott esultò.
Mancava ancora un’ora alle 20 e gli restavano 4 fogli da dettare con enfasi.
La sua ragazza, seppur fosse stanca e sentisse gli occhi ormai pesanti, aveva continuato a digitare e a inviare i dati nell’archivio.
Sarebbe stato seccante se la connessione fosse venuta a mancare: il lavoro di così tante ore sarebbe andato sprecato e avrebbe dovuto ricominciare dalla prima pagina.
Concluso ogni foglio e riappoggiato a testa in giù, premeva sulla freccia azzurra del terminale e così facendo l’archivio si arricchiva sempre più.
Fu nello stiracchiare le braccia indolenzite e nell’appoggiare il computer bollente sul comodino che Dawn si distese completamente per riprendere fiato.
Il suo ragazzo aveva appoggiato l’intero faldone sopra il comò, ben sapendo che domani avrebbe dovuto riportarlo in ufficio per archiviarlo in una delle cartelline rosse dello studio di suo padre.
“Hai fame?” Le chiese Scott, mentre lei annuiva appena.
“Un po’.”
“È da stamattina che non tocchi cibo.”
“Se mi fossi fermata, non avrei mai finito il lavoro.” Soffiò, mentre il ragazzo si distendeva al suo fianco e appoggiava una mano sulla sua coscia.
“Non vorrai approfittarti della cosa, vero?” Lo stuzzicò, facendolo ridacchiare.
“Voglio solo farti stare meglio.”
“Senza di te non ce l’avrei mai fatta, Scott.”
“Sono riuscito a saldare il piccolo debito scolastico che avevo nei tuoi confronti.” Ammise, risalendo leggermente con la sua mano e avvertendo un piccolo schiaffo che fermò il suo tentativo.
“Parlavo della faccenda di Mal.”
“Lo conoscevi?” Domandò Scott.
“Affatto: è solo che quando una cosa mi spaventa, e tu dovresti saperlo, poi mi paralizzo e non riesco a continuare.”
“Dawn…”
“Se fossi stata sola, non avrei mai finito il fascicolo a suo carico e sarei rimasta a fissare il vuoto.” Soffiò, afferrando il braccio del ragazzo e coprendosi come se fosse sotto una coperta invernale.
“Con tutto quello che fai per me, è il minimo.”
“Un giorno vorrei affrontare questa stupida fobia e vincere.”
“Ed io cercherò di non farti mancare il mio appoggio.” La rincuorò, mentre lei gli solleticava leggermente l’arto immobilizzato.
“Sarai fiero di me.” Promise, pizzicandolo leggermente.
“Ora, però, non sono sicuro che la mia sorpresa possa essere di tuo gradimento.”
“Perché Scott?” Chiese, girandosi verso il fidanzato.
“Il mio ex docente d’Ingegneria mi ha chiamato questa mattina e mi ha fatto alcune domande. Voleva sapere se avevo trovato lavoro, come stavo e cose simili.”
“E?” S’informò Dawn, capace d’intuire con quelle poche informazioni che Scott stava nascondendo ancora qualcosa.
“Ero il migliore del suo corso e se mi ha telefonato, è solo per garantirmi un posto nel team che sta per varare un nuovo progetto.”
“Un progetto? E di che tipo?”
“I dettagli me li darà nei prossimi giorni.”
“E tu?” Domandò, studiando lo sguardo del ragazzo.
“Si tratta di un progetto che potrebbe spingermi in una nuova azienda di sviluppo e che potrebbe garantirmi la prima esperienza lavorativa.”
“Tutto qui?”
“Dal punto di vista teorico è tutto pronto. Il prof ha bisogno di un ragazzo che sia in grado di applicare queste idee e che sia propenso a mettersi in gioco. Mi ha garantito una settimana di lavoro e un assegno di almeno mille dollari.”
“Perché non me l’hai detto subito?” Chiese, accarezzando il suo volto.
“Perché c’è un lato negativo in questo progetto.”
“Quale?”
“Non posso allontanarmi dall’Università che si è garantita la firma del progetto e per una settimana dovrò stare fuori città.”
“Scott…”
“So che è difficile per te e che non sei abituata a queste situazioni, ma è per il nostro futuro.” Borbottò, inspirando profondamente.
“Sicuro che non sia tu ad avere paura?” Lo sfidò divertita.
“Dawn…”
“Ho già 23 anni e so restare da sola per qualche giorno.” Brontolò risentita, imbronciandosi come una bambina.
“L’appartamento ti sembrerà piccolo e non sono per niente tranquillo. Qualche malintenzionato potrebbe turbare tutte le tue sicurezze e ciò non me lo perdonerei mai.”
“Ti ripeto che non sono una bambina e che so stare lontana dai pericoli.” Replicò nuovamente, facendolo sospirare.
“Credevo mi facessi storie per questo progetto.”
“Hai rifiutato?”
“Ci ho riflettuto per qualche ora e, prima di venirti a prendere, gli ho dato la mia risposta definitiva.”
“E cosa avresti scelto?” S’informò curiosa, mentre Scott si rialzava in piedi e cercava, seppur con molta fatica, di prenderla in braccio.
“Quello della distanza è un problema fastidioso, anche se solo per pochi giorni e poi questo progetto può aprirci le porte per un ottimo futuro insieme.”
“Hai accettato?”
“Senza il minimo ripensamento.” Confermò, superando il corridoio, portandola fino in salotto e facendola adagiare sopra il divano.
“È solo per il nostro bene.” Borbottò compiaciuta.
“E poi, anche se l’azienda del progetto non dovesse assumermi, almeno avrei fatto qualcosa di utile e avrei contribuito con tutte le spese.”
“Credi che ci sia una speranza?”
“Il prof ha detto che l’ultima volta su una decina di ragazzi, 8 sono entrati in pianta stabile e che a distanza di tre anni tutti sono con il contratto a tempo indeterminato.”
“Sarebbe fantastico!” Commentò entusiasta, cercando di prendere il telecomando.
“Non so il motivo preciso per cui quest’azienda si sia spinta a 100 miglia dalla nostra città, ma credo che l’altra Università abbia qualche strumento che noi nemmeno ci sogniamo.”
“Può essere.”
“Questa società opera nella nostra città, eppure si trova meglio in quella struttura.” Continuò, cercando una spiegazione per quella strana scelta.
“Magari è solo una scelta sentimentale: forse il capo della ditta ha studiato in quella scuola e vuole farla conoscere a livello nazionale.”
“Ovviamente, con la mia assenza, dovrai rinunciare ai vantaggi che ti ho sempre presentato.” Sbuffò, accendendo il televisore e avviandosi verso la cucina.
“Quali vantaggi?” Domandò, cambiando canale diverse volte.
“Oltre al lato intimo della cosa con i nostri giochi e le nostre coccole, direi gli strappi fino all’ufficio e le classiche uscite pomeridiane.”
“Ah già.”
“Il progetto garantisce anche vitto e alloggio e per questo non avrò bisogno di attingere dalle tue finanze.”
“Se ti serviva un aiuto, non ti avrei fatto storie.” Brontolò piccata, facendolo sorridere e guadagnandosi una lieve carezza sulla testa.
“Ho chiamato anche Alberta e se dovessi sentirti sola, puoi chiudere l’appartamento per una settimana e chiedere di stare nella mia vecchia stanza.”
“O potrei andare dai miei genitori.” Soffiò Dawn, facendolo annuire.
“Esatto.”
“Oppure potrei aspettarti qui con qualche vestitino sexy.” Mormorò maliziosa, notando come il fidanzato fosse arrossito per quella proposta.
“Non sarebbe così male.” Confermò Scott, prendendo il telefonino e ordinando le canoniche pizze di ogni classico giovedì sera.






Angolo autore:

Ryuk: Fatto anche questo capitolo.

Inizio a gettare le basi.

Ryuk: Chissà verso quale direzione.

Chi vivrà, vedrà.
Alla prossima!
 

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Capitolo 10
*** Cap 10 ***


Il progetto che il professore gli aveva presentato sarebbe partito tra due settimane.
Lunedì 10 settembre.
La stessa data di riapertura di tutte le scuole che abbracciavano i vari studenti dopo le lunghe vacanze estive.
Lunghe?
Scott aveva sempre pensato che quei mesi fossero i più brevi di un intero anno.
Si svegliava verso le 10 di mattina, faceva colazione, usciva qualche attimo ed erano già le 19.
Il tempo passava velocemente così velocemente che sembrava prendersi una pausa proprio nel periodo scolastico.
Di questo aveva discusso ampiamente con il suo ex docente d’Ingegneria quando era passato per fargli firmare i documenti della presa visione dell’inizio del progetto.
Avevano parlottato a lungo di quanto era accaduto in quegli anni e dopo aver apposto la sua firma illeggibile sul contratto, aver fatto una copia per maggior scrupolo, nascondendola in una cartellina, era ritornato in salotto, dove il professore si era congratulato con lo stile dell’appartamento scelto dal suo ex allievo.
Gli aveva spiegato a grandi linee la sua esperienza nei reality di Chris McLean, la relazione che aveva intrapreso con un’ex concorrente e la decisione di andare a convivere come primo passo per una futura vita assieme.
Aveva ripetuto che si sentiva euforico per via di quella proposta e che la sua fidanzata appoggiava in pieno la sua scelta.
Felice di costatare che il suo allievo preferito, così l’aveva etichettato, potesse spiccare il volo, gli aveva stretto la mano ed era risalito in auto per sistemare il programma del suo corso.
 
Era circa mezzogiorno quando la porta di casa si aprì.
Guardando l’orologio che aveva nel suo studio, pensava che aveva ancora una buona mezzora prima di prepagarsi per andare a prendere in ufficio Dawn.
Si sarebbe fermato a fare benzina, avrebbe fatto tutto con comodo e avrebbe parcheggiato sotto gli uffici del padre della sua fidanzata.
Quella mattina, invece, i suoi programmi erano appena stati sballati.
Sentendo la serratura e la sua voce, si era avventurato in salotto e lei si era subito lanciata tra le sue braccia, lasciandolo sorpreso.
“Che ci fai qui a quest’ora?” Domandò, accarezzandole la schiena.
“Ssht.”
“Stavo per prepararmi.” Ammise, baciandole la fronte.
“Sono felice, Scott.” Bisbigliò sollevata.
“Eh?”
“Mio padre e gli altri avvocati hanno vinto la causa.”
“Davvero?” Chiese, staccandosi e notando i suoi occhi gonfi di lacrime.
“Sì.”
“Perché stai piangendo?”
“Perché nessuno ci minaccerà mai.” Borbottò tranquilla.
“Ci saranno sempre dei problemi che crediamo insormontabili.”
“Avevi ragione su tutto: Mal Jerkinson si è beccato 50 anni di prigione e non c’è possibilità di appello.”
“Ma come…”
“I tirapiedi di Mal hanno minacciato alcuni tizi della giuria, ma non sapevano che erano microfonati e oltre al capo, ora anche loro sono dietro le sbarre.”
“Dawn…”
“Mio padre mi ha chiamato verso le 11 e mi ha dato la bella novità, concedendomi la giornata libera.”
“Conoscendo gli avvocati, si saranno fermati in qualche bar per brindare e faranno a turno per offrirsi qualche bicchiere, rinforzando la loro amicizia.”
“Io avevo dubitato della tua analisi.” Ammise Dawn, invitando il fidanzato a sedersi sul divano.
“Non ti preoccupare: ci sono abituato ormai.” La rincuorò, facendola annuire.
“Credevo scherzassi e lo dicessi solo per risollevarmi il morale, ma hai avuto ragione su tutta la linea.”
“Solo fortuna.” Soffiò, alzando le mani come per far intendere che quelle parole non erano frutto di un ragionamento.
“Quando ho messo giù il telefono, mi sono accorta che potresti diventare il mio compagno di meditazione.”
“Stai scherzando, vero?”
“Uno che azzecca una previsione simile, deve avere una qualche abilità specifica e se mi permetti di leggere la tua aura potrei saperne di più.”
“Non ci pensare nemmeno.” Tuonò, facendola sussultare.
“Io…”
“Ci sono segreti che preferirei rimanessero tali e allo stesso modo anche tu avrai qualcosa da tenere solo per te.”
“Non è giusto.” Borbottò risentita.
“Non mi farai cambiare idea con così poco.”
“Sei cattivo, Scott.” Protestò, abbassando la testa e imbronciandosi appena.
“Puoi fare di meglio.”
“Davvero?”
“Potrei accettare la tua proposta, in cambio di una cosetta.” Affermò malizioso.
“Che cosa vorresti?”
“Te.”
“Me?”
“Questa notte potresti conoscermi meglio.” Soffiò divertito, accarezzandole di nuovo la coscia e ritrovandosi, però, con uno schiaffo sulla mano ad arrestare il suo approccio.
“Pervertito!”
“Mi sembrava uno scambio equo.” Borbottò risentito, mentre la ragazza si alzava in piedi, ritrovandosi ostacolata dalle gambe che Scott aveva allungato per bloccarle il passaggio.
“Sei solo un maiale!” Tuonò, riuscendo a superare lo sgambetto del suo fidanzato, ma ritrovandosi intrappolata da una mano di Scott che fece sedere sulle sue ginocchia.
“Come posso farti del male? Non ne sarei mai capace.” Ammise con voce quasi paterna, scompigliandole i capelli e facendole adagiare la testa sul suo petto.
“Scott…”
“A volte esagero nei toni e mi sento un verme.”
“Io…”
“Ti chiedo scusa, ma non riesco mai a fermarmi prima che sia tardi.” Soffiò, chiudendo gli occhi.
“Devi avere tanta pazienza con me.”
“Ne avrò, ma solo se mi prometti che ne varrà la pena.” Borbottò divertito, cullandola lievemente.
“Se non dovesse valerne la pena, tu non mi avresti mai aspettato.”
“Questa è una frase a trabocchetto, vero?” Domandò divertito, facendola ridacchiare.
“Se non vuoi rispondere, va bene lo stesso.” Replicò lei per nulla offesa.
“Sarà dovuto al filo rosso che ci lega. Anche se dovessi aspettare anni, saprò che è stato qualcosa di fantastico e che non ho pazientato per nulla.”
“Risposta esatta!” Esclamò felice.
“E cosa ho vinto?” Chiese Scott.
“Potrai dormire nel nostro letto e, forse, in futuro potrei concederti qualche giochetto in particolare.”
“Ricordati, però, di fare la brava durante la mia settimana d’assenza.” Borbottò minaccioso.
“Che cosa vorresti insinuare?”
“Io non voglio insinuare nulla, ma è giusto che tu sappia che non sono propenso a perdonare facilmente certi tipi di persone.”
“Tu mi conosci.”
“Io conosco te, ma non il mondo che ci circonda.” Soffiò, cercando di rilassarsi e di placare la rabbia che lo stava attraversando.
“Vorresti conoscere i miei amici?” Domandò dubbiosa.
“Non mi relaziono facilmente con le persone, ma per quanto tu possa garantirmi di non fare passi falsi, potrebbe sempre esserci un piccolo pericolo.”
“Io non ti tradirò mai!” Replicò nervosa, facendolo sorridere.
“Dal mio punto di vista, nemmeno io posso garantirti la massima fedeltà. Posso impegnarmi e snobbare tutte le altre ragazze, ma tu avrai sempre una punta di dubbio sul mio conto.” Spiegò serafico, sembrando quasi annoiato per quella faccenda.
“Perché sei così?”
“Così come?”
“A volte sembri freddo e calcolatore, mentre in altre occasioni apri il tuo cuore e mostri a tutti le tue qualità.”
“Ah…intendevi questo.”
“Intendevi questo? Non parlarne così a cuor leggero: per me è una cosa veramente importante.” Ribatté seccata.
“Ho solo messo in luce tutte le possibilità che ci circondano.”
“Potevi farlo con un tono più delicato.” Obiettò lei, facendolo annuire.
“Avresti preferito che ci girassi intorno? Non siamo più dei stupidi bambini cui non è giusto fare certi discorsi.”
“Io…”
“Siamo grandi ormai ed è giusto così.” Sbuffò, credendo di aver concluso il discorso.
“Sembra quasi che tu mi stai chiedendo cosa ne penso di te.”
“Esattamente.”
“Se vuoi la verità, allora te la concederò senza problemi.” Ringhiò lei, facendolo sussultare.
“Hmm?”
“Dovresti smetterla di essere così odioso, dovresti imparare a sorridere dinanzi a ciò che la vita ti sta regalando e non dovresti continuare a litigare con tua sorella.” Elencò nervosa, prima di arrestarsi preoccupata per quelle prime verità.
“Dawn…”
“Non puoi essere così egoista. Come puoi essere così infelice? In fin dei conti non possiedi tutti i problemi di questo mondo.”
“Ma…”
“Hai una famiglia che ti adora, io stravedo per te e tu continui a chiederti cosa puoi avere in più? Sei fortunato, stai per avere un lavoro, la salute ti sorride e continui a pretendere. Ti sei già stancato di questa monotonia e vorresti qualcosa in più, senza accorgerti che questo desiderio è controproducente e un giorno ti potrebbe portare a perdere ogni cosa che ti è più cara.”
“Dawn…”
“Quel giorno la tua famiglia ti volterà le spalle, i tuoi amici non vorranno più saperne nulla di te, io non potrò più stare con uno che soffre solo nell’avermi vicino e resterai irrimediabilmente solo.” Sputò, terminando quella previsione nefasta.
“Io…”
“Posso ripetertelo per un milione di volte, ma un giorno questo tuo sogno inconcludente finirà con il chiedere il conto e tu sacrificherai tutto quello che hai sempre dato per scontato. Quel giorno ti chiederai di chi è la colpa, senza renderti conto che sei stato tu a spingerti verso una direzione che non ti appartiene. Io voglio sottrarti da questo futuro, da questa freddezza e da questa esagerata sicurezza, ma devi fidarti di me. Ciò di cui ti sei vantato fino a qualche settimana fa, è il massimo disponibile cui puoi ambire.” Terminò, riprendendo fiato.
“Io…”
“Scusa, ma ti ho raccontato una mezza bugia.”
“Eh?”
“Quello che avrai non è il massimo, ma ci si avvicina parecchio.”
“Io…”
“Forse mi sbaglio e forse sono stata troppo avventata, ma non credo che nel tuo caso l’erba del vicino sia più verde di quello che pretendi.”
“Ma se nel massimo che tanto sogno, ci fossi pure tu?”
“Non è possibile.”
“Perché no?” Domandò con rabbia, scontrandosi con lo sguardo rilassato della fidanzata.
“Puoi pretendere un lavoro migliore, una casa migliore o un’auto migliore, ma se cerchi sempre qualcosa di migliore, allora non ti saprai più accontentare delle piccole cose e cercherai una ragazza che può concederti tutto quello che preferisci.”
“Dawn…”
“Ci sono decine, centinaia, forse milioni di ragazze più belle di me e sicuramente ti butterai su una di quelle che tu chiami oche.”
“Ma…”
“E poi su un’altra, su un’altra ancora e via di seguito. Un giorno la tua fortuna avrà fine e il tuo bel castello di carte cadrà come niente fosse.” Sospirò rassegnata, allontanandosi dal divano e avviandosi verso i fornelli.
 
Migliore.
Una volta a Scott non gli era mai importato nulla di essere migliore in qualcosa.
Né di avere qualcosa di migliore rispetto agli altri.
E ora perché se ne preoccupava?
Era solo una scemenza.
Tutti avevano un qualcosa di migliore rispetto all’ipotetico vicino.
Chi un lavoro più retribuito, chi una moglie più attraente e giovanile, chi un’auto più potente, chi una casa più grande: tutti sfoggiavano almeno un dettaglio capace di provare l’invidia di uno più sfortunato.
E lui faceva il difficile.
Quando poteva attingere dalla felicità, lui si rinchiudeva in quella prigione di ghiaccio.
Stava davvero dando tutto per scontato?
Non riusciva più ad accontentarsi delle piccole cose?
Stentava a crederci, ma era davvero così.
Erano passate poche settimane da quando era andato a convivere con Dawn e aveva già iniziato a stufarsi di tutto questo.
La sua qualità era l’ambizione?
Solo in parte poteva usare quella scusante.
Nel girarsi a fissarla mentre affettava alcune verdure, lui si era reso conto di non aver ancora trovato il giusto equilibrio.
Non doveva esagerare, ma non doveva nemmeno fossilizzarsi.
Non doveva passare da un fiore all’altro in cerca della fragranza migliore come una sciocca ape, ma non doveva nemmeno essere il vecchio 70enne che non ha più nulla da chiedere alla vita.
E per ora la vita gli stava sorridendo.
Aveva una famiglia solida, una ragazza perfetta e un possibile buon lavoro che lo stava aspettando.
Che cosa aveva da pretendere ancora?
Le sue conquiste future e le sue ambizioni non erano più per una persona sola.
Ora doveva farli galleggiare con i desideri e i sogni della figura che aveva rischiato di mozzarsi un dito a causa di un coltello troppo affilato.
Rialzatosi in piedi e, riflettendo su tutte quelle verità che aveva preferito ignorare per non ferirsi, si era avvicinato al lavello, dove Dawn stava prendendo due bicchieri e le immancabili posate.
Nell’osservarla nuovamente, si mise dietro di lei e l’abbracciò, placando la sua rabbia e avanzando delle scuse silenziose che avrebbe consumato non appena il pranzo fosse stato pronto in tavola.






Angolo autore:

Ryuk: Rocchi anche stavolta non riesce nulla contro il bel legame che ho creato.

Tempo al tempo Ryuk.
Sono solo le prime avvisaglie.

Ryuk: A proposito di prime avvisaglie abbiamo da dirvi una cosetta.

Come avrete notato ho saltato un aggiornamento.
Dovevo pubblicare di venerdì, ma...come dire...difficilmente riuscirò a seguire questa scadenza nelle settimane a seguire.
Il martedì resterà al 99% fisso, mentre il venerdì potrebbe diventare un'incognita.
Non sto rinunciando alla serie: è solo che ho tremila cose da fare, che il tempo è quello che è e che mi ritrovo costretto a ritagliare qualche giorno da questo sito.

Ryuk: Proveremo a vedere se venerdì siamo in grado di pubblicare, altrimenti a botta sicura ci si becca martedì 30.

Alla prossima!
 

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Capitolo 11
*** Cap 11 ***


Il giorno della partenza era finalmente giunto.
Aveva discusso molto con Dawn e le aveva suggerito, inutilmente, di chiudere l’appartamento per ristabilirsi, almeno momentaneamente nella casa dei suoi genitori.
Come sprecare fiato inutilmente.
Se proprio doveva descrivere quella mezzoretta scarsa, l’avrebbe definita così.
Lei aveva replicato colpo su colpo e non si era lasciata convincere, rimanendo fedele alla sua prima decisione.
Avrebbe aspettato che Scott tornasse e poi gli avrebbe chiesto com’era andato il progetto.
“Ricorda di chiudere a chiave ogni sera e di non aprire alle persone che non conosci.” Le ripeté nuovamente, salendo in auto.
“Me l’hai già detto.” Borbottò, passandogli dal finestrino aperto un pezzo da 50 che gli sarebbe tornato utile durante quella settimana.
“E io ti ho ripetuto un milione di volte che non ho bisogno di denaro.”
“Potresti comprarmi qualcosa di carino.”
“Ah sì?”
“Conosci bene le mie taglie e hai ottimo gusto.” Soffiò maliziosa, facendolo annuire.
“D’accordo.”
“Potrei anche accettare di vederti con qualcosa di nuovo addosso.” Continuò divertita.
“Stai iniziando a diventare una maniaca.”
“Ricorda che l’intimo mi piace scuro e, se il progetto sarà un successo, potrei pensare di accoglierti con qualcosa di scollato.”
“Mi stai provocando, sapendo che non potrò stuzzicarti per oltre una settimana?” Domandò serio.
“Forse potrei provocarti anche via telefono.”
“Non ci avevo pensato.”
“E ricorda che odierei vederti con qualche gatta morta.” Sbottò, facendolo sospirare pesantemente.
“Gelosa tu, geloso io…una relazione davvero perfetta.” Mormorò, accendendo la macchina e controllando le varie spie luminose.
“Se permetti, adesso sarò io a darti qualche consiglio.”
“D’accordo.”
“Prima di tutto vedi di andare piano, di non fare pazzie e di non dimenticarmi.”
“Dimenticarti? Stiamo parlando di una settimana. Come posso dimenticarmi di te?”
“Fa come ti dico e forse potrei anticipare i tuoi desideri.” Ridacchiò, facendolo annuire.
“A proposito di desideri: puoi salire un attimo a bordo?” La interrogò, sperando che lei l’accontentasse.
“Cosa c’è? Ti sei dimenticato qualcosa?”
“Non lo so.”
“Devo controllare i documenti o l’assicurazione?” Chiese, aprendo la portiera e sedendosi al lato passeggero.
“Forse.”
“Guarda che soffrire di perdite di memoria a quest’età, è una cosa seria.” Protestò lei, leggendo i valori indicati dai documenti allineati sul cruscotto.
“Mi sono dimenticato di darti questo.” Borbottò, girandosi verso di lei e aspettando di avere la sua attenzione.
Fu quando si ritrovò a fissarla negli occhi, che le passò le mani tra i capelli setosi, sospingendo la sua nuca ad avvicinarsi e donandole un bacio.
Quello era l’ultimo bacio che si sarebbero scambiati in un’intera settimana, sempre che il progetto filasse liscio come l’olio. Scott faticava a immaginarsi tutte quelle ore senza la sua Dawn.
Se il progetto avesse avuto qualche intoppo e se fosse stato costretto a fermarsi, il tempo si sarebbe protratto ancora e avrebbe dovuto rinunciare a ritornare a casa.
Una decina di giorni che potevano diventare anche una ventina se lo studio fatto si fosse rivelato poco esaustivo.
In questo caso gli studenti che si erano sparati tutta la teoria, avrebbero dovuto rivedere i calcoli e Scott sarebbe rimasto congelato, insieme con altri tre ragazzi, in attesa che il progetto ritornasse a seguire un certo filo logico.
Voleva che lei avesse un suo ricordo simbolico e che questo ricordo la traghettasse fino al giorno del suo ritorno.
Riaprendo la porta di casa, avrebbero ripreso il discorso rimasto interrotto e si sarebbero deliziati con un pomeriggio di carezze e di coccole.
Aveva iniziato lentamente, per poi staccarsi dalle sue labbra, indugiando e sperando che fosse lei a prendere il controllo, incrementando quel momento di passione.
Non notando la minima mossa, forse preoccupata per lo spettacolo che potevano offrire a qualche ignaro passante, Scott si tuffò di nuovo sulle morbide labbra di Dawn, cercando di esplorare quel semplice contatto.
Continuando ad accarezzarle i capelli e scivolando verso le spalle, tentò d’inserire la sua lingua nella bocca della fidanzata, incontrando finalmente un timido accenno d’interesse.
Se non fosse stato troppo impegnato a far danzare la sua lingua con quella della ragazza, probabilmente si sarebbe staccato e avrebbe controllato di non star baciando una qualche bella addormentata.
Staccatosi da quel contatto che sembrava aver risvegliato Dawn, per nulla propensa a lasciarlo andare, le accarezzò nuovamente la testa.
“Devi farti bastare questo bacio fino a quando non torno.”
“Non è giusto.”
“Questa mattina sembravi felice di sbattermi fuori di casa.”
“Sei uno sciocco.” Soffiò rattristata.
“Lo sono sempre stato, ma in questi ultimi periodi sento d’essere cresciuto.”
“Ricorda di non abusare della mia fiducia.”
“Se ritorniamo su questo discorso, rischiamo di fare notte.” Mugugnò, facendola sorridere.
“Chiamami quando arrivi e ricordati la promessa che mi hai fatto.”
“Quella di comprarti qualcosa di sexy e scollato. Che cosa ne pensi di un bel vestitino sexy da infermiera o da diavolessa?” Domandò, facendola avvampare.
“Non intendevo questo.”
“Di sera non devo uscire dalla mia stanza, devo solo guardare la televisione e se qualcuna ci prova, la devo mandare via.” Ripeté nuovamente, stanco di quella lezione cui era interrogato ogni giorno.
“Molto bene.”
“Guarda che se dovessi sentirti sola, mia sorella e i miei genitori sono sempre pronti ad accoglierti.”
“Vedrò di resistere.” Borbottò, riaprendo la portiera e scendendo dalla macchina del fidanzato.
“Sei così cocciuta che non riuscirò mai a convincerti con le mie idee.” Soffiò deluso, rialzando il finestrino e agitando la mano per salutarla.
Ingranata la prima e controllato che non ci fosse nessuno cui dare la precedenza, s’immise nella strada principale, sottraendosi dopo pochi metri dallo sguardo vigile di Dawn.
 
Erano circa le 10 quando giunse all’Università del progetto.
Se conosceva bene la sua Dawn, lei era subito rientrata in casa e si era messa a sistemare il disordine del salotto.
Avrebbe usato quel giorno libero per le pulizie e per una veloce visitina a sua madre che, probabilmente, l’avrebbe invitata a fermarsi per il pranzo.
Aspettando il padre, impegnato con una causa che non richiedeva la presenza di Dawn in ufficio, la giovane si sarebbe lanciata in una lunga discussione con la figura materna.
E da qui Scott non sapeva come lei ne sarebbe uscita.
Sperava solamente che l’ex hippie non se ne uscisse con qualche sparata assurda e che, in questo modo, Dawn non si ritrovasse ad asfissiarlo.
Parcheggiata l’auto e andato incontro al professore, chiamò la sua fidanzata e la informò del suo arrivo.
Dawn, così come aveva pronosticato, era in salotto con sua madre.
Dopo aver spolverato e aver chiuso l’appartamento, aveva deciso di passare quell’unica giornata libera in compagnia della sua famiglia.
Stavano discutendo tranquillamente dei programmi futuri, quando la suoneria della giovane aveva interrotto quel fitto scambio di osservazioni.
Rassicurata dal suo arrivo e scambiate alcune battute, Dawn era ritornata a prestare la sua attenzione verso la madre.
“Non ti fidi di lui?”
“Eh?”
“Mi pare che tu non riesca a fidarti di Scott.” Soffiò divertita.
“Non è vero.”
“Stai negando una cosa così evidente.”
“Sono solo preoccupata.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Sei preoccupata che qualcuno te lo porti via, vero?”
“Io…”
“Il tuo Scott è un bel bocconcino, ma non è per niente sprecato con una ragazza meravigliosa come te.”
“Mamma!” Protestò imbarazzata.
“Se avessi la sua età, non mi dispiacerebbe uscire con lui.”
“Non puoi!”
“Lo so: io sono tua madre e voglio solo il tuo bene.” Minimizzò lei.
“Ma…”
“Posso sapere di cosa hai paura?” Domandò la donna a bruciapelo, facendola sussultare.
“Ti ripeto che non ho paura.”
“Scott non mi sembra il tipo da tradire una ragazza così a cuor leggero e, quindi, il problema dovresti essere tu.” Ipotizzò, fissandola intensamente.
“Non è così.”
“Vedi bambina mia, gli uomini non sono tutti uguali.” Soffiò, sedendosi vicino alla figlia e concedendole una carezza sul volto contratto.
“Che cosa vuoi dire?”
“Tu credi che gli uomini siano solo delle bestie che ambiscono a tradire le donne. Alcuni possono anche ragionare così, ma una parte preferisce restare fedele a vita alle rispettive metà.”
“Come puoi sapere se papà ti è sempre stato fedele?” Domandò Dawn.
“Io non posso conoscere le sue intenzioni e lui non può conoscere le mie. Il segreto, per quanto elementare possa essere, sta tutto nella fiducia.”
“Ma io ho fiducia in lui.” Borbottò con scarsa convinzione.
“Se avessi fiducia in lui, non lo tartasseresti di messaggi e gli daresti un minimo di libertà.” Replicò, prendendo il cellulare della figlia e sfogliando distrattamente la chat.
“Ma…”
“Scott è un ragazzo bizzarro, ma un giorno potrebbe stancarsi di sentire sempre il tuo fiato sul collo.”
“Io…”
“Se avessi fiducia nel tuo aspetto e aveste una relazione solida, non dubiteresti mai di lui.”
“Non è vero.”
“Cerca di conquistarlo e prova a dargli un qualcosa che solo tu possiedi.”
“Che cosa per esempio?”
“Può essere qualsiasi cosa.”
“Anche un semplice bacio?” Domandò la giovane, facendo ridacchiare la madre.
“Prova a essere più intraprendente e se senti che è arrivato il momento, lasciati andare e manda al diavolo tutti i vincoli che ti bloccano.”
“Mamma…”
“Non c’è nulla di cui vergognarsi. È abbastanza normale nella nostra società che i giovani facciano certe esperienze prima del matrimonio.”
“Anche tu?”
“Per quanto tua nonna fosse religiosa, io non ho mai fatto mistero a nessuno di aver mandato al diavolo le sue idee. Lei voleva che aspettassi un lavoro solido e il matrimonio, ma al cuor non si comanda e ci siamo lasciati andare.” Rispose divertita.
“Dovrei, quindi, concedermi?”
“Solo se ti senti convinta e solo se lui è propenso a rispettare i tuoi tempi.”
“Va bene.”
“Puoi andare per gradi.” Le consigliò la donna.
“Che intendi?”
“Qualche massaggio particolare, qualche carezza ben più intima del solito e la passione prende il volo.”
“Io…”
“Volendo, potreste saltare subito al dunque e permettervi di sbloccare questa situazione.”
“Pensi che anche lui possa dubitare?” Chiese Dawn, facendo sospirare la madre.
“Se non gli concedi qualche conquista ogni tanto, lui potrebbe cercare una vittoria più facile e tu arriveresti tardi.”
“Non glielo permetto.” Ringhiò sommessamente.
“Dal mio punto di vista sembra un ragazzo molto paziente, ma potrebbe anche stancarsi di sudare per una fissata con l’abito bianco.”
“Ho una mentalità troppo all’antica.” Mormorò dispiaciuta, abbassando la testa a fissare la modella raffigurata nella prima pagina di una rivista di moda.
“Quando accadrà, capirai il motivo per cui Scott te lo chiede tanto spesso.” Ridacchiò, contagiando la figlia che si era quasi convinta a lasciarsi andare.
Seppur le sembrasse ancora strano, specie per il carattere divergente, doveva ammettere che non era così male parlare con sua madre.
Ogni tanto riceveva degli ottimi consigli e in questo caso era stata spronata a tenersi stretta il suo uomo e a conquistare definitivamente il suo cuore.






Angolo autore:

Ryuk: Buonasera.

Che sonno!
Scott è partito e chissà quali guai si verranno a creare.
Iniziate a tremare che il signore dei casini è finalmente giunto.

Ryuk: Tutte chiacchiere e poco altro.

Lo vedremo, Ryuk.
Intanto ringrazio chi legge, recensisce e segue la storia.
Spero che la serie continui a interessarvi.
Alla prossima!
 

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Capitolo 12
*** Cap 12 ***


Il progetto, così com’era steso sui fogli agitati dal professore, non era così difficile.
Si trattava di testare dei nuovi materiali su alcuni modellini e di verificare che queste costruzioni in scala fossero in grado di assorbire i danni.
Nel caso peggiore potevano crollare come castelli di carte e dovevano ricominciare il loro lavoro.
Era la stessa idea che il Giappone aveva pensato di sfruttare contro terremoti e tsunami, solo che in questo caso era rapportato a fenomeni con intensità assai minore.
Come quel progetto potesse essere vincolato con un possibile rapporto di lavoro futuro, almeno per Scott, era un bel dilemma.
Forse tra tutti quegli elegantoni cui aveva stretto la mano, si nascondeva un qualche psicologo che, studiando certi movimenti o certe risposte, era pronto a delineare una dimensione delle figure umane che avevano davanti.
Forse era quello vestito con una vecchia giacca marrone, rovinata sulla manica destra e con un improbabile papillon rosso. Lo stesso che stringeva una cartellina arancione e che teneva nella mano libera un cacciavite a stella e una pinza.
O magari era quella che pareva una segretaria sulla soglia dei 30 anni, con un trucco un po’ pesante e a tratti volgare e che, scribacchiando sulla sua agenda, prendeva nota di ogni possibile evoluzione del progetto. Arrampicata sui suoi tacchi, sembrava una modella caduta in disgrazia e riciclatasi nel ruolo più umile che era riuscita a trovare.
Con il suo corpo fasciato in un’aderente maglietta scollata e con la sua gonna svolazzante, forse era riuscita a conquistarsi il posto a scapito di una qualche signora ben più preparata e meno attraente.
Scott le rivolse una fugace occhiata e poi tornò a studiare la platea che bisbigliava e che annuiva per ogni mattoncino, messo al posto giusto.
Girandosi notò una nuova figura che teneva un piccolo libro in mano e che lo leggeva con un interesse tale da far credere che lui era lì solo per riposarsi.
Magari era l’azionista di maggioranza e contava sulla sua segretaria, sullo strizzacervelli o sul fatto di ricordarsi un solo nome per estrarre il fortunato che sarebbe entrato nel suo team.
Se era l’azionista di punta, non lo dimostrava di certo.
Scarpe nere da tennis con lacci bianchi, un paio di jeans grigio scuro strappati all’altezza delle ginocchia, cintura di pelle nera, una maglietta blu a maniche corte e una piccola collana che batteva ritmicamente sul suo petto.
Scott non lo vedeva proprio come capo della baracca purché non fosse il figlio del vecchio che reggeva le redini dell’intero gruppo.
Forse, ma era comunque un’elucubrazione mentale, il grande capo desiderava insegnare il duro lavoro al suo marmocchio, anche se non sembravano per niente in sintonia.
Uno vestito come se stesse per andare in discoteca, assai probabile date le sue occhiaie e i suoi sbadigli per niente silenziosi, e l’altro che sembrava uscire da una grande riunione con scarpe lucide, cravatta rossa a far risaltare la camicia bianca di una nota marca tedesca e un orologio grande quanto un’arancia.
Gli altri, se paragonati all’aura austera di questo pezzo grosso, potevano essere i suoi fidati tirapiedi o magari qualche capo reparto dislocato in un’altra regione.
Respirando faticosamente e deglutendo più volte, Scott aveva iniziato a incastrare i vari pezzi, così come era stato disegnato sul foglio che aveva davanti e per quasi due ore restò a studiare il suo plastico che peccava di ancora qualche dettaglio.
Pazientò che tutti fossero disposti ad alzarsi dalle poltroncine rosse e notò che la segretaria stava scattando alcune fotografie e che un collega stava calcolando le misure.
“Il progetto sembra solido.” Commentò l’unica donna presente.
“Mi piacerebbe vederlo su un plastico più grande.” Soffiò quello che sembrava il capo, tastando i vari tasselli.
“Quanto più grande?” Domandò Scott, non riuscendo a starsene zitto.
“Quanto grande credi di riuscire a farlo, ragazzo?”
“Dipende dal tempo che avete a disposizione e che vorrete concedermi.”
“Se ti garantissi una settimana?” Chiese l’uomo, notando sorpresa dallo sguardo del giovane.
“Con una settimana di tempo credo di riuscire a raddoppiare la struttura, sempre che le misure siano di vostro gradimento.”
“Le varie stanze potrebbero anche andare, forse curerei lo spazio esterno.”
“Dovrei ingrandire il giardino, ma questo potrebbe restringere la misura dell’intera casa.” Borbottò Scott, recuperando un foglietto e annotando quel pensiero.
“Potresti mettere solo qualche pianta in più.” Sbadigliò il figlio del vecchio, facendo sussultare il padre che credeva, in quella soleggiata giornata, di essersi trascinato dietro uno zombie.
“Se avete qualche nuova richiesta, avrei bisogno di conoscerla subito.” Mormorò Scott, facendo annuire il grande capo.
“Concedici un’oretta e verso sera ti manderò la mia segretaria per informarti delle novità.”
“D’accordo.”
“Prima che tu vada, posso conoscere il tuo nome ragazzo?” Chiese l’uomo che aveva abbandonato la giacca marrone sopra la sua sedia.
“Mi chiamo Scott Black.”
“Ti spiace se attacchiamo questo biglietto come promemoria?” Lo interrogò nuovamente il grande capo, agitando un piccolo post-it giallognolo con scritto il cognome del ragazzo.
“Come vi trovate meglio.”
“Non vogliamo alimentare false speranze, ma tu sei in lizza con altri 3-4 ragazzi per entrare nel nostro organico.”
“Certo signor Burns.”
“Credo che il tuo prof, ti abbia informato della durata di questo progetto.” Continuò l’uomo, accarezzandosi i vistosi baffi grigi.
“Non mi ha informato di nulla di particolare, se non della durata di questo progetto.” Ammise divertito, accennando un sorriso sincero.
“Quando stendiamo progetti con una tale rilevanza, preferiamo lasciar fuoriuscire solo una quantità minima di notizie.” Affermò il primo reclutatore, senza distogliere lo sguardo dal suo voluminoso block notes rosso.
“Lo immagino.”
“I ragazzi di quest’Università e di quella della tua città presentano un piano cartaceo. Quelli che consideriamo soddisfacenti proseguono nella nostra analisi, mentre quelli che ci sembrano inconcludenti sono bocciati e cestinati. In questo caso la tua scuola ci ha presentato questo modellino teorico, il nostro gruppo l’ha approvato e sei stato contattato per dare corpo al progetto. Ecco come sono andate realmente le cose.”
“Interessante.” Commentò Scott.
“I prof quando vi contattano non conoscono, però, la seconda fase del progetto. Noi vi lasciamo lavorare sui fogli che avete steso con tanto impegno, ma alla fine pretendiamo che voi siate in grado di evolvervi e di lavorare sotto pressione.”
“Hmm?”
“Se dovessi entrare nella nostra società, non devi solo seguire i disegni, ma ci devi anche ragionare su per sapere come migliorare un’eventuale svista.” Continuò il vecchio.
“E volete testare la mia flessibilità.” Borbottò Scott, facendo ghignare il capo.
“Non credi anche tu che sarebbe piuttosto inutile assumere uno che segue solo la carta e che non ragiona con la propria testa? Una cosa simile la potrebbe fare chiunque.” Affermò con disinvoltura, facendo annuire il giovane.
“Lei ha perfettamente ragione.”
“In questi giorni dovrai considerare tutti i rischi, ricalcolare i vari dati e presentarci una struttura con le nostre idee. Pensi di esserne in grado?”
“Certamente.” Confermò, riabbassando lo sguardo verso il suo modellino.
“Per questo pomeriggio hai concluso. Questa sera ti manderò la mia segretaria e discuterete delle migliorie che ti abbiamo proposto. Se non dovessi essere convinto di qualche idea, ti pregherei di avvertirla subito e di spiegarle anche il motivo della tua opposizione.” Borbottò serio l’uomo, posando il suo sguardo severo sull’ex studente.
“Sarà fatto.”
“Se siete d’accordo, vi farei incontrare verso le 20.” Soffiò, girandosi verso la segretaria che, osservandola meglio, non doveva avere più di 25 anni.
“Nessun problema.” Confermò Scott, ben sapendo che non avrebbe mai dovuto dire a Dawn che in serata avrebbe dovuto incontrare la segretaria avvenente e smaliziata del suo possibile e futuro nuovo capo.
“Capito signorina Fanny?” Domandò l’uomo, girandosi nuovamente verso la sua dipendente e facendola annuire con convinzione.
“Se non c’è più nulla d’aggiungere, direi che il signor Scott Black può andare.” S’inserì il primo reclutatore, stringendo la mano del ragazzo.
“A presto.” Li salutò timidamente il giovane, avvertendo anche mentre si allontanava lo sguardo intimidatorio del capo.
Richiusa la porta alle sue spalle e camminando per i corridoi, Scott non ebbe modo di sentire gli ulteriori apprezzamenti sul suo modellino.
Gli bastava sapere che aveva superato un’altra fase di selezione e che ora doveva stracciare solo 3-4 ragazzi, prima di firmare il contratto con la società ospitante.
Era quasi uscito dall’Università e di certo non poteva sapere che il capo con cui si era confrontato, aveva chiesto al primo reclutatore di sottolineare il secondo nome che avevano studiato in quella giornata.
A sbirciare in quel block notes pieno di appunti e di profili psicologici, era chiaro che Scott era emerso su tutti gli altri e che se non avesse combinato disastri con la sua promessa, allora poteva garantirsi un posto tranquillo e soddisfacente nel loro gruppo.
E mentre discutevano delle varie migliorie, aggiungendo anche delle richieste a trabocchetto o difficili da incastrare tra loro con la speranza che Scott si opponesse, il capo era tornato a osservare con occhio di riguardo il plastico che aveva davanti.
Nell’osservare il design esterno, la scelta di certi mattoncini, la cura nei dettagli e quant’altro si sentiva ringiovanito.
Senza volerlo, portò la mano destra al viso e si grattò il filo di barba grigia, paragonando quel bizzarro ragazzo dalla zazzera rossa, al giovane virgulto che era uscito quasi quarant’anni prima dall’Università e che, prima di aprire la sua società, aveva dovuto sudare sette camicie e fare tanta di quella gavetta che, ragazzi come suo figlio, si sarebbero solo potuti immaginare.
 
Risalito in auto, decise di girare un po’ per il centro.
Il compleanno di sua sorella Alberta era alle porte, mancava un mese prima dei suoi 28 anni suonati, e Scott sentiva di poter trovare qualche buon regalo per quella bisbetica che faceva dannare i suoi genitori.
Non gli era difficile conoscere i gusti della sorella.
Conosceva le sue fisse, i suoi hobby e perfino ciò di cui aveva timore.
Spulciando la mappa cittadina grazie al suo smartphone, cercò un negozio che vendesse dischi o che poteva sfoggiare tra gli scaffali qualche gadget mancante alla nota collezione dei Green Day.
Uno dei primi dischi oppure il poster autografato dalla prima formazione della band potevano essere regali capaci di far piangere perfino una dal cuore di pietra.
Prima di entrare nell’unico negozio cittadino, telefonò alla sua ragazza e la informò della bella novità, omettendo ovviamente il discorso della visita della segretaria in orario serale.
Ci mancava solamente che Dawn venisse a sapere che aveva un appuntamento di lavoro con una sventola alle otto di sera e nella sua stanza di albergo.
Come minimo gli avrebbe sfondato i timpani con un urlo isterico e poi avrebbe preteso che tornasse a casa o che si rifiutasse di vederla.
Non ottenendo il minimo risultato, avrebbe preteso che la passasse a prendere e che restassero insieme nella stanza d’albergo fino a quando il progetto non fosse stato dichiarato concluso.
Alcuni potevano credere che partisse già premunito e che fosse esagerato credere una cosa simile, ma convivendo con Dawn aveva imparato a cogliere certi segnali.
Era gelosa e se le avesse confidato il suo impegno serale, non sarebbe più stato in pace.
Si sarebbe ritrovato con centinaia di messaggi intimidatori e non avrebbe concluso nulla.
Contravvenendo al classico impegno di fedeltà verso la fidanzata, mentì spudoratamente e confessò il desiderio di guardare il film horror del quinto canale.
Rassicurata la ragazza e rientrato in albergo con due borse cariche di souvenir e regali, si sedette sul divano dove iniziò a pensare a quali richieste il signor Burns avrebbe avanzato nei suoi confronti.
Sperava che non pretendesse nulla di troppo articolato o che stravolgesse l’intero progetto, obbligandolo a lavorare strenuamente per completare il tutto in una settimana scarsa.
In serata avrebbe saputo cosa lo attendeva e si sarebbe mosso di conseguenza.
Aspettando di avere le linee guida da seguire, accese il televisore e si concesse un tramezzino al tonno che aveva trovato nel frigobar della sua stanza.
Mangiucchiato con calma quel delizioso pranzo, si spostò verso il letto e iniziò a sonnecchiare, sincronizzando la sveglia del cellulare sulle 17, orario canonico in cui s’infilava nel bagno e si permetteva una lunga doccia rigeneratrice.
Cambiando letto e ritrovandosi in una stanza così lussuosa, faticò parecchio prima di prendere sonno e ancora più faticosamente si ritrovò a sgusciare fuori dalle coperte per darsi una meritata rinfrescata.
Suo padre, quando gli aveva confidato di cercare lavoro per non essere più un peso nei confronti della sua famiglia, gli aveva suggerito di sistemare il suo aspetto.
Anche l’occhio voleva la sua parte e se si presentava spettinato, svogliato e vestito come se dovesse fare la partitina della domenica nel vecchio campetto, allora nessun reclutatore ti avrebbe preso in considerazione.
Doveva aggiustare il carattere, già abbastanza mitigato durante la sua relazione con Dawn, oltre che migliorare la scelta del vestire e il canonico aspetto esteriore.
Chi mai avrebbe preso in considerazione uno che non rientrava nei canoni più comuni di questo mondo?
La sua zazzera rossastra era già un grosso punto negativo nell’intero insieme, ma aggiungendo anche il suo sguardo aggressivo ecco che le possibilità di strappare una stretta di mano con conseguente contratto diminuivano drasticamente.
Profumatosi con una fragranza semplice, mangiucchiò un altro tramezzino e accompagnato dalle chiacchiere della televisione, aspettò che le otto scoccassero e che gli consegnassero la visita della segretaria del signor Burns.
Era in ritardo di circa 10 minuti prima che lei bussasse alla porta e che si presentasse con uno vestito ancora più castigato della mattina e con un piccolo quadernetto contenente tutte le richieste per il progetto.
Invitata a sedersi sul divano e chiestole se gradiva qualcosa da bere, iniziarono a sfogliare le pagine ricche di annotazioni e di pensieri.
Il signor Burns sembrava, alla luce delle pagine che Scott stava stringendo tra le mani, si fosse sbizzarrito con le richieste.
“Il signor Burns spera che lei sia in grado di esaudire questi suoi desideri innocenti.” Lo distolse la giovane segretaria, facendolo annuire.
“I primi tre punti sono fattibili, attingendo ovviamente dal fondo delle emergenze che avevo stilato in prima battuta.”
“Il resto?”
“Per alcuni punti sono ancora combattuto. Il quinto e l’ottavo sono complicati, ma non sono così impossibili da risolvere.”
“E il quarto?” Domandò lei, indicando la riga in questione e sfiorando la mano del ragazzo.
“Chiedere un’estensione di questo tipo, specie se si tratta di un piano sopraelevato, potrebbe presentare pericoli di crollo.” Soffiò indefesso, ignorando quel fugace contatto che credette non fosse stato propriamente voluto.
“C’è altro?”
“Il sesto, il settimo e il decimo punto sono irrealizzabili.”
“Per quale motivo?” S’informò, segnando quelle affermazioni sul suo quadernetto.
“Si rischia di danneggiare eccessivamente il piano terra della struttura.”
“E se il signor Burns s’impuntasse?” S’incuriosì, rileggendo le righe sottolineate dal fedele braccio destro del suo capo.
“Se proprio volesse qualcosa di simile, deve concedermi di tagliare lo spazio del giardino davanti alla facciata.” Commentò divertito.
“E dietro?”
“Per il retro stavo pensando di seguire il consiglio del figlio del signor Burns. Qualche bella pianta, magari anche esotica e la struttura diventerebbe la migliore dell’intero quartiere.” Soffiò, prendendo una penna e scribacchiando quell’idea proprio vicino al punto sollevato dalla segretaria.
“Gli interni?”
“Dal quel che ho letto sembra che il signor Burns abbia una predilezione per cucine classiche e per arredamenti non troppo elaborati.” Mormorò, indicando alcuni asterischi che riportavano quel pensiero e sfiorando nuovamente la mano della sua ospite.
“Molto bene.” Commentò, spostando il suo sguardo verso Scott e rimanendo affascinata dallo sguardo fisso e interessato di quei fogli.
“Ho tempo fino a venerdì o sabato?” S’informò lui, staccandosi da quei fogli e appoggiando quelle note sopra il tavolino.
“Fino alle 10 di sabato mattina.”
“Così avrò il tempo per sistemare gli ultimissimi dubbi.” Soffiò sollevato, avvertendo una mano che gli toccava insistentemente il ginocchio e spostandolo verso la giovane donna.
“Secondo me lei ha ottime possibilità di farcela.” Ammise, continuando quell’insolito massaggio che fece sussultare il rosso.
“Cosa…”
“Non dovrei dirglielo, ma ha fatto un’ottima impressione sul mio capo.”
“Ne sono felice.” Continuò, cercando di scostare quella mano che si stava facendo sempre più insistente e che temeva potesse risalire ben oltre la soglia del ginocchio.
La prima volta credeva fosse stata una svista del momento e che lei ritirasse le sue intenzioni, arrossendo e abbozzando un timido Mi scusi.
Ora, però, stava costatando la sua sicurezza e si sentiva terribilmente fuoriposto.
Quella donna poteva contare poco o nulla, ma poteva anche avere l’ultima parola sulla decisione del vecchio e un eventuale brutale rifiuto, poteva costargli caro.
Poteva legarsela al dito, sabotare il suo progetto e addio lavoro sicuro con il signor Burns.
Ma Scott non voleva alimentare false speranze e, cosa più importante, non voleva tradire la sua Dawn per una qualche squallida segretaria che cercava di passare la serata.
Non era un giocattolo e non voleva di certo diventarlo di una donna che, all’apparenza timida e insicura, era diventata sfacciata e fin troppo intraprendente.
Doveva mettere un freno a quelle sue mosse e doveva farlo subito.
Purtroppo si sentiva come congelato.
Da una parte c’era la sicurezza di avere il posto semmai fosse andato a letto con quella donna, ma dall’altro c’era la possibilità, in caso di rifiuto, di ritrovarsi con un plastico manomesso e con una sconfitta sul groppone.
Valeva davvero la pena tradire Dawn per un lavoro?
Per qualche secondo aveva creduto che fosse così e che lei non lo sarebbe mai venuto a sapere, ma quell’idea gli fece ribrezzo e lo spinse su una scelta che, sperava, di non dover mai rimpiangere.
Dawn era per sempre, quel lavoro non proprio.
Muovendo la mano destra, si oppose a quel contatto e si girò a fissarla con uno degli sguardi più severi di cui era capace.
“Non posso!” Tuonò sicuro, facendola sussultare e facendole credere di non aver sentito bene.
“Come?” Domandò lei, non valutando la possibilità che qualcuno si opponesse al suo fascino da venticinquenne.
“Ha capito benissimo cosa intendo dire.”
“Credevo che un ragazzo della mia stessa età avesse certe esigenze e che stare una settimana lontano da casa non possa che farle del male.” Insinuò perfidamente.
“Sono felicemente fidanzato e non voglio rovinarmi la vita.”
“Immagino lei sappia che è solo per questa sera.”
“Può essere anche solo per un’ora, ma io sono innamorato della mia ragazza e mi sentirei un bastardo a valutare una simile ipotesi.”
“Lei è il primo che si oppone.” Ringhiò sommessamente.
“Non sono il tipo che desidera fare carriera, passando sopra a persone più meritevoli di me.” Replicò seccato.
“La cosa va oltre al progetto.”
“Non m’interessa.”
“Non ho motivo di ricercare qualcosa o di sfruttare il mio ruolo: è solo che lei mi piace e non sarebbe male passare il nostro tempo insieme.”
“Se mi sta proponendo quello cui penso, la mia risposta è no.” Sputò nervoso, riprendendo in mano i foglietti e ignorando ogni sua possibile iniziativa.
“Ma…”
“Se invece mi sta proponendo di uscire insieme e di confrontarci su questo progetto, allora potrei anche pensarci.” Ammise nervoso.
“Mi stai rifiutando?”
“Precisamente.”
“Anche se potessi rovinarti la vita?”
“Preferisco restare fedele alla mia Dawn, piuttosto che entrare in un gruppo, dove ognuno fa i propri comodi.” Rispose secco, lasciandola sgomenta.
“Il destino farà il suo corso.”
“Credo che lei sia stanca e che sia ora che faccia ritorno a casa.” Mormorò Scott, sperando di levarsela di torno per non cadere in tentazione.
“E non mi offre nulla da bere?” Domandò lei, facendolo rialzare in piedi e spingendolo a cercare nel frigobar quella che, durante il pranzo, gli pareva fosse una bottiglia di Spumante.
Raccolti due calici, stappò la bottiglia e versò lo Spumante chiaro e frizzante all’interno dei bicchieri, sedendosi nuovamente sul divano e porgendone uno alla segretaria che, nel raccoglierlo, sfiorò le mani di Scott e fece scivolare sbadatamente il liquido sopra i pantaloni del ragazzo.










Angolo autore:

Iniziano ufficialmente i problemi.

Ryuk: Ma davvero?

Dubiti del mio lavoro?
Aspetta e vedrai, caro il mio detrattore.

Ryuk: Se sbagli al massimo posso dedurre che sei un babbeo.

Per quello ormai ci sono abituato.
Come sono abituato a ringraziare i nostri cari lettori e recensori.
Il prossimo capitolo uscirà martedì prossimo e pertanto vi saluto, vi auguro una buona settimana e un felice week-end.
Alla prossima!
 

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Capitolo 13
*** Cap 13 ***


Inizialmente non aveva creduto che l’avesse fatto di proposito.
Sembrava terribilmente mortificata e riempiva di scuse le sue frasi, come se fosse sufficiente per asciugare i suoi jeans preferiti.
Nell’alzarsi e nel fissarla con la coda dell’occhio, si accorse del suo ghigno e ciò lo spinse a credere che fosse tutto calcolato.
Magari si aspettava che fosse così spudorato da togliersi i pantaloni proprio davanti a lei e che questo semplice movimento, azzerasse il suo controllo.
Scott, invece, percependo ancora il pericolo, si era avviato verso l’armadio della sua stanza, aveva recuperato un paio di jeans e si era dileguato in bagno, chiudendosi  a chiave.
Non era mai stato un esperto.
Una cosa, però, l’aveva imparata bene.
Guardando vecchi film horror o film gialli, nessuno poteva intrufolarsi in una stanza chiusa a chiave, sempre che non fosse dotato di un cervello talmente sviluppato da sopperire a quella difficoltà estrema.
Quella stupida oca poteva anche ragionare con i suoi ormoni ballerini, ma di certo non poteva superare quella solida porta.
Scombussolato per quanto era successo, non si era minimamente reso conto che quella oltre che una salvezza, poteva diventare una trappola.
Era al sicuro, questo è vero, ma nella stanza rimasta incustodita poteva accadere di tutto.
Magari sconvolta dal rifiuto, lei poteva gettare tutti i suoi effetti personali dal quarto piano. Poteva anche gettarli fuori dalla stanza, rendendo più agevole il suo lavoro. Volendo poteva ragionare, di nuovo, con i suoi ormoni, facendosi trovare sotto le lenzuola completamente nuda e in attesa di passare una piacevole nottata.
Avrebbe anche potuto devastare la stanza, per poi chiamare quelli della hall e inscenare una qualche violenza appena subita.
Da una parte si era protetto, ma dall’altra poteva sancire la sua fine.
Sperando di non doversi pentire di quella scelta e che dall’altra parte non accadesse nulla di spiacevole, aveva pensato di cercare di ripulire la macchia che si era appena andata a creare.
Se solo avesse tenuto botta.
Se solo l’avesse sbattuta fuori dalla stanza alle prime avvisaglie, non sarebbe stato costretto a chiudersi dietro quella porta e ora sarebbe bello spaparanzato a guardarsi la televisione.
Rimuginando su quei pensieri, non era riuscito a percepire un suono che conosceva bene e che si era arrestato dopo nemmeno il primo squillo.
 
Alla fin fine era quella la cosa peggiore che potesse capitargli.
Un vestito lanciato dal quarto piano poteva essere recuperato in pochi minuti oppure poteva essere dato per perso, se esso non aveva un grande valore sentimentale.
Allo stesso modo una valigia scaricata sul pianerottolo non era una vendetta così atroce.
E nemmeno trovarsi una simile donnaccia tra le coperte del suo letto poteva destabilizzarlo, rimanendo inflessibile e fissandola con ostentata freddezza, l’avrebbe spinta fuori dalla sua stanza.
In tutta questa sua sicurezza, però, non aveva considerato il karma.
Era da parecchio che non abusava della sua fortuna e che cercava di cavarsela con le sue sole forze.
Purtroppo c’era una lezione da imparare.
Quando aveva telefonato a Dawn, non le aveva minimamente accennato ai suoi programmi serali, ben pensando che sarebbe stata una bella rottura ascoltare i suoi vaneggi da ragazza gelosa.
La gelosia certificava quanto fosse importante per la sua vita, ma purtroppo non aveva proprio vagliato quella possibilità.
Di solito chiamava verso le 22, giusto in tempo per le ultime novità, per salutarlo e per rinnovare il desiderio di vederlo quanto prima.
Gli augurava buona fortuna, lo spronava a fare un buon lavoro e gli prometteva che avrebbero festeggiato lungamente non appena fosse giunto a casa.
Era quella l’arma contundente, però, che aveva snobbato e che poteva distruggere la sua felicità.
Chiuso dietro quella spessa porta, non aveva sentito la suoneria del telefono e la voce della segretaria del signor Burns giungeva ovattata, facendogli credere che stesse parlando da sola o che fosse impegnata con il suo di apparecchio cellulare.
Come poteva sapere che una ragazza umiliata, era capace di rispondere a una chiamata che non fosse a suo carico?
Che cosa poteva guadagnare da un’azione simile?
Lei non avrebbe mai ottenuto ciò cui ambiva.
Al massimo poteva distruggere gli elementi che lei desiderava e che mai avrebbe potuto raggiungere con le sue forze.
Scott, nemmeno durante gli orribili anni delle superiori, aveva mai conosciuto una ragazza così spregiudicata e folle. Una ragazza abile a cancellare ogni briciolo di buonsenso, pur di vedere l’oggetto del suo desiderio soffrire come un cane.
E qui Scott, dopo essersi reso conto del casino in cui si era invischiato, riscontrò un secondo errore.
Aveva pronunciato il nome della sua ragazza e questo aveva permesso alla segretaria di rispondere nel modo peggiore a quella telefonata.
Recitando una parte orribile, aveva discusso per qualche istante con Dawn, facendole credere che stava disturbando un piccolo e innocente tradimento.
Già a sentire una voce femminile, Dawn era partita in quarta e ascoltando anche il seguito, si sentì debole e richiuse la telefonata, abbandonando il cellulare al suo fianco e iniziando a piangere.
L’ultimo errore di Scott era stato quello di uscire troppo tardi dal bagno.
Quando aveva riaperto la porta, Dawn aveva ormai riagganciato e la segretaria del signor Burns aveva tra le mani il suo smartphone e lo stava studiando con uno strano sguardo.
“Che cosa stai facendo?” Ringhiò minaccioso, avvicinandosi ad ampie falcate e facendola sobbalzare.
“Niente.”
“Ti ho beccata con le mani nella marmellata e neghi l’evidenza?”
“Volevo solo controllare il modello.” Si difese, porgendogli il cellulare.
“Questo lo vedremo subito.” Borbottò, scorrendo la chat e controllando le varie chiamate ricevute.
“Io…”
“Come ti sei permessa di rispondere alla telefonata?” Chiese, fissandola con uno sguardo carico di rabbia.
“Ma io…”
“Conosci la privacy o pensi che il tuo cervellino sia troppo piccolo per capire una cosa simile?”
“Volevo solo…”
“Farmi un favore? Secondo me volevi solo incasinare le cose.” Sbottò, indicandole la porta.
“Io l’ho fatto per…”
“L’avresti fatto solo per vendicarti e per avere una minima possibilità. Devi sapere una cosa, però, sul mio conto.”
“Quale?”
“Se dovesse finire male, tu di certo non verresti nemmeno presa in considerazione.” Rispose, facendola tremare.
“Perché?”
“Posso capire l’invidia, ma di certo non posso tollerare un gioco così stupido.”
“Non credevo che…”
“Se sono fidanzato, è perché amo la mia ragazza e non voglio in nessun modo tradirla.” Ringhiò, interrompendola nuovamente.
“Ma…”
“Nessuno può darmi la certezza che questo sia un legame duraturo, ma ciò non significa che gli altri debbano ostacolare la nostra relazione.”
“Scusami.” Mormorò, cercando di rabbonirlo.
“Delle scuse non sono sufficienti per sistemare le cose.”
“Non so cosa mi è preso.” Tentò, alzandosi in piedi e avvicinandosi al ragazzo che continuava a mantenere le distanze invariate.
“Ci stai provando di nuovo.”
“Stavo cercando di farmi perdonare.”
“Perdonare? Proprio tu? In queste poche ore mi sembra che tu stia cercando solo qualche uomo con cui passare la notte.” La canzonò sprezzante, facendola retrocedere di qualche passo.
“Tu non mi conosci.”
“Dimostrami che sbaglio.” Borbottò, squadrandola da capo a piedi con superiorità.
“Che cosa dovrei fare?”
“Se credi davvero di essere una ragazza come tante che cerca un fidanzato fisso e che non s’insinua nella sfera privata degli altri, esci da questa stanza e non farti vedere mai più.”
“Io…”
“Se la smetti di ronzarmi in tondo e se la finisci di scombussolarmi la vita, allora potrei credere che la mia analisi sia stata affrettata e che tu, in realtà, sia migliore di come ti ho dipinto finora.”
“Ne sei sicuro?”
“Se al contrario continuassi a seccarmi e facessi di tutto per infilarti sotto le coperte, allora saprò d’aver fatto centro e che tu sei una delle donne peggiori possibili.” Replicò nuovamente, facendola sospirare pesantemente.
“Immagino che lei sia troppo speciale perché io possa occupare il suo posto.”
“Lei è l’unica a credere ancora in me.”
“Capisco.”
“In ogni caso, se non hai più nulla da aggiungere sul progetto, direi che puoi anche andare.” Soffiò deciso, indicandole la porta e aspettando che lei seguisse il suo ordine.
“Ti ho detto tutto.”
“Se è così, ti auguro una buona serata.” Sbuffò annoiato, accompagnandola fino all’uscio e sbattendo la porta non appena la sua figura si ritrovò sul pianerottolo.
 
Risedutosi sul divano, si mise a rileggere i documenti del progetto e pensò di aver fatto un grande sbaglio.
Lui era anche pronto a stare lontano da casa per alcune sere, ma Dawn non si sarebbe mai abituata alla sua assenza.
Ora che aveva incasinato le cose, poteva aspettarsi perfino che la sua ragazza lo obbligasse a tornare dai suoi genitori, dove Alberta stava già affilando gli artigli per vendicare l’amica.
Sbuffando nuovamente, alzò lo sguardo verso il soffitto e riprese in mano il cellulare.
La sua speranza, alquanto patetica dal suo punto di vista, era che lei non avesse chiuso anche quella porta e che gli permettesse di far valere le sue ragioni.
La chat segnalava ancora la sua presenza e ciò gli faceva presagire la possibilità che non fosse tutto perduto.
Magari avrebbe anche sbraitato, ma gli bastava sentire la sua voce.
Scorrendo i vari numeri che aveva sulla rubrica, pigiò con forza sul tasto che l’avrebbe messo in contatto con la sua fidanzata.
Fu nel sentirlo suonare liberamente che cacciò un sospiro di sollievo.
Ora, però, tutto dipendeva da Dawn.
Se avesse voluto urlare e sfondargli i timpani, allora avrebbe afferrato il suo cellulare, altrimenti sarebbe rimasto tutta la notte a pazientare. Prima o poi doveva pur rispondere e avrebbero, così facendo, risolto quella sciocchezza che avrebbe fatto solo sprecare tempo a entrambi.
“Scott…” Mormorò lei, singhiozzando delusa.
“Dawn…non mettere giù. Devo parlarti con la massima urgenza.”
“Perché mi hai tradito?” Lo assalì subito, non dandogli il tempo materiale per cominciare a difendersi.
“Non l’ho fatto.”
“E allora perché ha risposto un’altra?” Chiese furiosa, gettando al suolo quello che Scott ricondusse a un vecchio libro di narrativa.
“Era solo la segretaria del signor Burns.”
“Non m’interessa.”
“Quello che ha ideato il progetto è rimasto meravigliato dalla mia abilità e aveva delle richieste da presentare.”
“Ah sì? Non m’interessa.”
“So di non aver rispettato la nostra promessa, ma è per lavoro.” Soffiò nervoso, sentendola sospirare pesantemente.
“Il lavoro verrebbe prima di me e della tua famiglia?”
“Non dire simili cazzate.”
“Credi sia bello avere l’incertezza sulla tua presunta fedeltà?” Chiese stizzita.
“Non è colpa mia se il signor Burns ha presentato queste richieste tramite la sua segretaria.”
“E sarebbe colpa mia?” Lo interrogò Dawn, facendolo negare.
“Che cosa vai a pensare?”
“L’avevi detto come se fosse colpa mia.”
“Questa segretaria ha fatto il giro in tutte le stanze dei vari partecipanti e ci ha lasciato i foglietti con gli ordini da seguire.”
“Ma davvero?” Domandò sarcastica.
“Se ha risposto lei al telefono è perché ero impegnato.”
“A fare cosa?”
“Il signor Burns sembra così entusiasta del mio progetto che sarebbe intenzionato, sempre che le sue richieste siano realizzate, ad assumermi direttamente.”
“Sembra una cosa positiva.” Commentò Dawn, cercando di non far trasparire la minima emozione.
“Per festeggiare ho tirato fuori la bottiglia di Spumante, ma sono talmente imbranato che la schiuma mi ha bagnato tutto.” Proseguì, raccontando una piccola bugia.
“Non dire altro.”
“Quando hai chiamato, io ero in bagno e la segretaria ha risposto.” Borbottò dispiaciuto.
“Questa tua storiella è davvero affascinante.”
“Non è una storiella: è la verità.”
“Potresti raccontarla a una bambina delle elementari e forse solo lei ti crederebbe.”
“Io…”
“Ma certo: arriva una bella segretaria nella stanza d’albergo, una che sembra una modella, lo Spumante finisce sui pantaloni e lei risponde al telefono per non creare equivoci. Sembra la trama di un qualche filmaccio che guardi di solito.” Replicò furiosa.
“Lei ci ha provato con me, ma io l’ho rifiutata…se è questo che vuoi sapere.”
“Ed ecco la parte che potrebbe valerti il premio Oscar.” Lo canzonò, sfoggiando una risatina sarcastica che fece tremare il ragazzo.
“Che cosa posso fare per convincerti della mia buona parola?”
“È un po’ tardi per sistemare le cose.”
“Se mi ami ancora, non è mai troppo tardi.” Obiettò, facendola sospirare nuovamente.
“La cosa che mi fa rabbia è che sei riuscito a ingannarmi.”
“Non ti ho mai ingannato.”
“Mia madre aveva ragione sul tuo conto: volevi solo aspettare per avere la corsia di favore.” Sbottò, non riuscendo a calmarsi in alcun modo e sentendo il suo battito sempre più agitato.
“Perché continui a sparare un mucchio di cazzate?” Domandò piccato.
“Eri perfino riuscito a convincermi che tu eri l’unico uomo giusto per me, ma forse mi sono sempre sbagliata.”
“Dawn…”
“Ti sei stancato di aspettare una che chiedeva tempo e hai preferito andare a letto con un’altra.” Terminò afflitta.
“Non è così.”
“È la quarta volta che ti ripeti. Per quanto ancora hai intenzione di andare avanti con questa storia?” Chiese sarcastica.
“Se non ti amassi, credi davvero ti avrei chiamato per chiarire le cose?”
“Tu sei molto diverso rispetto alle altre persone.” Commentò, facendolo annuire.
“Se la nostra storia funziona, è perché siamo così diversi d’avere un’alchimia particolare.”
“La nostra ex storia.” Lo corresse lei con un ringhio sommesso.
“Tu che cosa provi?” Replicò a bruciapelo, facendola sussultare.
“Io…”
“Pensi davvero che io possa tradirti, per poi tornare a casa e dividere il nostro letto come se niente fosse successo?”
“Non lo so.”
“Mi sentirei un infame a comportarmi così e tu lo sai.”
“Come posso crederti?”
“Devi avere fiducia in me, Dawn.” Rispose, percependo il dubbio nella voce della sua ragazza.
“Non posso garantirti nulla.”
“Sono perdonato?” Chiese Scott preoccupato dalla strana piega che stava prendendo la serata.
“Ho bisogno di tempo per deciderlo.” Replicò lei, salutando il ragazzo e lasciandolo a fissare il vuoto che aveva davanti a sé.
 
Il tempo non era mai clemente con le persone disperate.
Lo era con quello che era tranquillo e poteva muoversi senza fretta.
Lo era con quello che poteva passare una bella serata, a guardarsi la televisione e con birra e telecomando tra le mani.
Lo era con quello che usciva a cena con i suoi amici e che dimenticava i problemi che l’avrebbero tormentato l’indomani.
Ma il tempo non era mai giusto o paziente con quelli che si mettevano in macchina alle 21 di sera.
Aveva bisogno di tempo.
Scott non aveva mai avuto una ragazza che pretendesse dei giorni di riflessione.
A essere sinceri non aveva mai avuto nemmeno una ragazza che lo tenesse sveglio nel cuore della notte e che desiderava vedere ogni singolo minuto.
Courtney era stata solo una storia passeggera presto dimenticata.
Era stata solo una lieve attrazione da parte sua per dimenticare il primissimo tradimento di Duncan con quella darkettona di Gwen.
Non era la prima scelta, ma non era nemmeno quello che reggeva il moccolo.
Era in una situazione ambigua che non avrebbe mai più voluto ripetere.
Tra una cosa e l’altra la strada si era tracciata davanti a sé e lui era arrivato all’unica soluzione sensata per non vivere con il rimorso.
Aveva tirato un bel calcio a Courtney, l’aveva rispedita tra le braccia di Duncan cui doveva ancora scroccare una cena per l’aiuto insperato ed era ritornato sulla piazza, ritrovandosi circondato soltanto da bruttone o da fenomeni da baraccone.
Non aveva mai avuto pretese eccessive.
Non sognava una qualche dea, ma nemmeno uno scorfano che aveva bisogno di chili di trucco per diventare passabile.
Gli bastava una ragazza come tante.
Non doveva essere né brutta, né eccessivamente bella. Doveva solo essere raggiungibile con le sue scarse doti di conquistatore da quattro soldi.
Doveva avere dei sogni, essere divertente e concedergli tutti gli abbracci di cui aveva bisogno.
Doveva essere una casa accogliente cui rivolgersi non appena si aveva qualche problema. E allo stesso modo si aspettava una ragazza che potesse chiedere un sostegno non appena si fosse palesata qualche difficoltà all’orizzonte.
Conosciuta questa ragazza, sarebbe uscito molto spesso in sua compagnia, per poi presentarla alla sua famiglia con Alberta che avrebbe messo in luce i suoi infiniti difetti. Pigro, svogliato, a tratti assente e altri aggettivi negativi che Scott non riusciva ad aggiungere per via della stanchezza e delle luci che gli stavano bruciando gli occhi.
Non appena fosse giunto il momento opportuno e con delle solide basi, avrebbe chiesto la sua mano e sarebbero andati a vivere insieme.
I primi tempi sarebbero stati duri, ma con l’amore avrebbero superato ogni cosa.
Avrebbero viaggiato, avrebbero avuto dei figli cui riversare affetto e attenzioni di ogni genere, si sarebbe rassegnato a essere l’ennesimo schiavo della famiglia Black e poi, com’era giusto che fosse, sarebbe invecchiato.
I figli gli sarebbero stati dietro perché si dimenticavano le pillole da prendere, poi un giorno, lui avrebbe preferito una primaverile giornata d’aprile, si sarebbe spento prima della consorte non avendo il minimo rimpianto.
Sommerso dalle lacrime della sua unica donna, sarebbe stato seppellito e la vita degli altri avrebbe ripreso il normale corso.
Un giorno, alle soglie del Paradiso, avrebbe aspettato la moglie e avrebbero salito la scalinata del cielo, tenendosi stretti per mano e ritrovandosi costretto a sottostare comunque ai suoi ordini.
Divertito da questo pensiero, abbozzò un sorriso e si fermò.
Scese velocemente, richiuse a chiave e rientrò silenziosamente.
Era tutto buio.
Non voleva fare casino: quella doveva essere una sorpresa.
Soppesando i passi ed evitando alcuni ostacoli, superò il corridoio, aprì la porta e grazie alla fioca luce del suo smartphone, notò la figura che dormiva beata.
Tolti tutti i vestiti, scostò leggermente le coperte e si attaccò immediatamente al corpo della sua ragazza, sussurrandole qualcosa.
“Sono qui piccola.”
“Hmm…”
“Non riuscivo a dormire sapendo che potevi essere arrabbiata con me.” Soffiò, cercando di baciarla.
“Hmm…”
“Spero che tutto vada meglio da oggi in poi.” Borbottò, girandosi verso la sveglia e notando che era già quasi l’una.
“Scott?” Domandò lei con voce impastata, stropicciandosi gli occhi e girandosi verso il fidanzato che la coprì totalmente con le coperte, salvo poi accendere la luce.
“Felice di vedermi?” Chiese, infilandosi sotto le lenzuola e fissandola intimorito, mentre lei si metteva seduta, coprendo la bocca con le mani e iniziando a singhiozzare.
“Io…”
“Ti chiedo scusa per non essere stato sufficientemente sincero, ma ti giuro che sei l’unica donna che esiste nella mia vita.”
“Scott…”
“Ho provato a prendere sonno, a non pensarci troppo e a credere che avevo ottime possibilità di ottenere il tuo perdono, ma una voce continuava a ripetermi l’esatto opposto, costringendomi a rigirarmi tra le coperte e facendomi prendere la decisione di volerti rivedere.”
“Sei un pazzo.”
“Lo sono perché tu mi piaci troppo per perderti del tutto.”
“Mi spiace che tu abbia rinunciato al progetto.” Soffiò lei con un pizzico di delusione.
“Io non rinuncio a nulla.” La rincuorò, scompigliandole i capelli così com’era solito fare di solito.
“Eh?”
“Il progetto devo finirlo entro domenica.”
“Come pensi di fare?” Domandò lei, facendolo sorridere.
“Intanto penso solo a dormire e a stare con te per questa giornata, poi si vedrà.” La rincuorò, carezzandole il volto.
“Vorresti continuare il tuo sogno?” Lo interrogo con curiosità.
“Quest’intera giornata la passerò con te, ma poi devo ripartire e ultimare il lavoro.” Rispose, avvicinandosi leggermente per darle un veloce bacio a stampo.
“Io…”
“Ti giuro che l’ho rifiutata Dawn e che lei non ci proverà più.”
“Come puoi dirlo?”
“A volte, quando sono arrabbiato, tendo a esagerare e, senza volerlo, le ho dato della battona.” Mormorò, facendo sorgere un sorriso sul volto della ragazza.
“Dovresti vergognarti!” Lo rimproverò lei.
“Ma sentila. Prima s’incavola perché crede che io sia un traditore circondato da un centinaio di donne e poi si offende se rispondo malamente a qualcuno del genere femminile.” L a canzonò divertito, sentendola ridacchiare.
“Ho avuto paura di perderti, Scott.” Borbottò dispiaciuta.
“Anch’io.”
“Ora, però, è meglio se dormiamo.” Tentò Dawn, non riuscendo a resistere alla tentazione di fiondarsi sulle labbra del fidanzato per concedergli lo stesso bacio che si erano scambiati il giorno prima.
“Dawn…”
“Questo è stato per il tuo ritorno.”
“Se continuiamo così, non dormirò mai.” Ammise, pensando di farla arrossire e non notando il minimo accenno di rossore.
“La cosa non mi dispiacerebbe.” Mormorò languida, facendolo ridacchiare.
“Questa volta sono io a chiederti d’aspettare.”
“Perché? Credi che io sia già pronta?” Domandò divertita, scostando leggermente le coperte, distendendosi e spegnendo la luce.
“Forse.” Rispose, avvolgendola quasi del tutto e lasciandosi cullare dal suo inimitabile profumo.






Angolo autore:

Ryuk...

Ryuk: Che vuoi ora?

Mi sembra diverso sto capitolo.
Non è che, magari mi sbaglio, ci hai messo mano?

Ryuk: Effettivamente.

Promemoria per me: inserire una passowrd per i miei documenti.
Beh...non tutto è perduto.
Ho già un piano B...e un piano C e via discorrendo.

Ryuk: Se lo dici tu.

Alla prossima!
 

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Capitolo 14
*** Cap 14 ***


Scott aveva sperato che in quella notte tutto si fosse risolto.
Era tornato a casa, le aveva rinnovato il suo amore e si erano addormentati come se nulla fosse successo.
Forse erano le tante ore spese dietro al progetto ad averlo fatto dormire.
E così anche Dawn aveva ripreso sonno, dimenticandosi apparentemente dell’incazzatura di qualche ora prima.
Per la sorpresa e un po’ per la stanchezza aveva accantonato quel pensiero, non rendendosi conto che le era difficile perdonare un simile tradimento.
L’orologio poggiato sul comodino la risvegliò quando l’alba era lontana da un pezzo e nel rimettersi il pigiama e nel cercare le ciabatte, si volse verso l’altro lato del letto.
Alla sua sinistra non c’era più nessuno.
Le coperte stropicciate e il calore che riuscì a percepire nel sfiorare con una mano il lenzuolo, le restituirono la certezza che non era stata vittima di un’allucinazione. Scott era tornato a casa molto tardi e si era già svegliato.
Nell’aprire la porta della camera leggermente socchiusa, superò il piccolo corridoio e giunse nella cucina, dove fu avvolta dal profumo di uova strapazzate, bacon e caffè bollente.
Quella era la loro tipica colazione domenicale e Scott sfruttava quella carta ogniqualvolta aveva bisogno di farsi perdonare.
Nel mescolare le uova, aggiunse un pizzico di sale e poi rigirò il bacon che stava friggendo e che aveva già fatto venire l’acquolina in bocca all’improvvisato cuoco.
“Si festeggia qualcosa di particolare?” Domandò Dawn, facendolo girare di scatto.
“Può essere.”
“Non prepareresti mai la colazione se non avessi bisogno di qualcosa.” Mormorò lei divertita.
“Pensavo di portarti la colazione in camera, ma a quanto pare mi hai preceduto.” Nicchiò, scrollando le spalle e riempiendo una tazza con del caffè nero.
“Potrei sapere com’è?”
“Il tempo è alquanto triste questa mattina.” Soffiò avvilito, stringendosi nelle spalle.
“Non volevo sapere del tempo.”
“Ah no?”
“Com’era quella donna che hai rifiutato?”
“Che cosa centra lei in questo momento?” Chiese sorpreso, cercando di percepire qualcosa dal suo sguardo fisso verso le pentole.
“Vorrei solo conoscerla.”
“Stai scherzando, vero?”
“Ti sembra che stia scherzando?” Domandò, fissandolo intensamente.
“Ma…”
“Vorrei sapere com’era la donna che provava a portarti via da me.”
“Assolutamente irrilevante.” Minimizzò, sperando di placarla.
“Dovrei essere io a decidere se è irrilevante o meno.”
“Senti Dawn: io l’ho rifiutata, non m’interessa niente di quello che fa e non ho intenzione di cambiare opinione sul suo conto. Lei è una donna squallida e superficiale e non voglio stare con una ragazza dai valori così bassi e che potrebbe appiccicarmi il suo squallore.” Replicò con freddezza.
“Questo l’ho capito.”
“Non capisci che ci sei solo tu nella mia vita?” Domandò, staccandosi dai fornelli e abbassandosi per baciarla.
“Scott…”
“Sei l’unica ragione che mi è rimasta per continuare a sperare.” Mormorò, strusciando la sua guancia ruvida contro quella delicata della sua fidanzata.
“Non dire così.”
“Non saprei che altro fare, se non ci fossi tu a darmi forza.” Borbottò serio, ritornando alle sue pentole e riempiendo due piatti carichi di cibo.
Tempo di apparecchiare la tavola e d’invitarla a sedersi vicino a lui e i due iniziarono a mangiare, stuzzicandosi vicendevolmente.
 
Doveva, però, ripartire.
Era stato chiaro.
Lui era tornato per sistemare lo strappo, avrebbe passato un’intera giornata con Dawn, ma poi doveva rientrare per ultimare il progetto.
Sarebbe stato superfluo ripeterle che ne andava per il loro futuro e di certo Scott non aveva la minima voglia di sprecare ulteriore fiato.
Le aveva promesso che sarebbe ritornato solo domenica e, crollasse il mondo, avrebbe rispettato la parola data.
Partendo dalla sua stanza d’albergo, aveva dimenticato tutti quei regalini che aveva acquistato durante il primo pomeriggio di libertà e svago nella nuova città.
Per Alberta aveva già riempito almeno due borse cariche di roba, mentre per Dawn aveva provveduto a qualcosa di sexy da farle indossare non appena fossero stati soli soletti.
Nel partire di tutta fretta, era solo riuscito a chiudere la sua camera e a consegnare le chiavi alla reception, chiedendo all’ometto con i baffi che doveva essere il più anziano dei dipendenti, di non buttare via nulla e chiedendogli di non rivendere la stanza a qualcun altro.
Sapeva bene che era prenotata a suo nome e che per una settimana era praticamente intoccabile, ma come gli ripeteva una vecchia prof delle superiori, spesso ripetere le cose anche più sciocche era utile per rinfrescare la memoria.
Non metteva in dubbio che quella struttura e i suoi dipendenti avessero il loro bel da fare e non ci sarebbe stato nulla di clamoroso se il signor Winston, così c’era scritto sul suo cartellino appuntato alla camicia, avesse confuso la stanza 13 con la 18 del medesimo piano.
Risalito in auto, si era chiesto cosa potesse fare per non crollare dal sonno e dopo aver acceso la radio, si sintonizzò su uno dei suoi canali preferiti.
A suon di vecchie canzoni dei Green Day anche lui era finito per apprezzarli, anche se avrebbe preferito deliziare le sue orecchie con qualche canzone dei Linkin Park o degli Skillet.
Non aveva nulla contro la band di sua sorella, ma a sentire le stesse melodie anche per una decina di volte al giorno, ecco che gli era passata totalmente la voglia.
Se capitava su una loro canzone, la ascoltava tranquillamente, ma di certo non si metteva a canticchiare come quando il vecchio Chester o il buon John Cooper scuotevano le loro corde vocali.
Quella sera, però, allineandosi alla sua scarsa fortuna, si era ritrovato con canzoni richieste che non rientravano nella sua lista, ma che erano abbastanza orecchiabili.
Durante quelle due ore scarse aveva solo bisogno di una colonna sonora che accompagnasse i suoi pensieri e che gli regalasse la giusta soluzione.
L’aveva trovata non appena era giunto a casa e non appena si era addormentato, stringendo il corpo della sua fidanzata.
Ora, però, doveva ripartire.
Sedersi sul letto della stanza d’albergo, ricontrollare i dati e le richieste avanzate dalla cricca del signor Burns e prenotare la stanza prove e simulazioni per qualche ora.
Così come aveva fatto nemmeno 48 ore prima, giunto a destinazione, telefonò a Dawn e l’avvertì del suo arrivo.
Non era bastata comunque una notte in piena intimità e un’intera giornata a inseguirsi e a flirtare, per rassicurarla.
Aveva sempre il timore o il terrore che quella fantomatica segretaria entrasse nella stanza del suo Scott e si mettesse a corromperlo con qualche promessa. Magari avrebbe abusato del tasto che il suo ragazzo più ricercava: la sicurezza di un primo impiego e magari anche del posto fisso.
Se fosse venuta a conoscenza di una simile ipotesi, in barba alle oltre 100 miglia che li separavano e accettando anche un viaggio lungo ed estenuante in pullman, lei sarebbe giunta alle porte dell’albergo e avrebbe chiesto della segretaria del signor Burns.
L’avrebbe aspettata fuori dalla porta e poi l’avrebbe minacciata, nonostante non fosse nel suo carattere, di non intromettersi nella sua sfera privata.
Allo stesso modo anche Scott non riusciva a trovare una possibilità per distoglierla da questi pensieri.
Si era chiesto cosa avrebbe fatto se fosse stato lui a essere tradito.
Avrebbe creduto a Dawn oppure si sarebbe lasciato trasportare dalle sue emozioni?
Sarebbe stato propenso ad ascoltarla o le avrebbe chiuso la porta in faccia?
E se fosse uscita con le sue amiche o avesse avuto un qualche impegno lavorativo, sarebbe stato certo che lei era laddove prometteva di essere e che non si era intrattenuta in un qualche locale con qualche altro ragazzo?
Leggendo nel suo cuore, faticava a trovare le risposte a una serie così lunga di domande.
C’era sempre un ma che lo bloccava e lo mandava in tilt, anche se era convinto che i suoi dubbi erano malriposti.
Stava dubitando di Dawn.
L’ex concorrente dei reality di Chris McLean era la ragazza più onesta, gentile e profonda che avesse mai conosciuto in vita.
E per entrare nel cast di quel farabutto di Chris l’onestà era una dote più unica che rara.
Così di primo acchito, Scott non riusciva a elencare più di 5 persone oneste in tutte le serie condotte da McLean e dalla sua fedele spalla Chef.
Scrollando le spalle, allontanò quelle riflessioni che stavano ostacolando il suo progetto e tornò a concentrarsi su tutti i dati che aveva davanti.
Era solo mercoledì pomeriggio e aveva pochi giorni per consegnare la parte teorica e per esibire il modellino.




Angolo autore:

Ryuk: Che capitolo corto.

Manca poco.

Ryuk: A cosa?

Crescendo, capirai ogni cosa.

Ryuk: Tutto apposto comunque?

Speriamo.
Intanto vi auguro una buona settimana e un felice week-end.
Alla prossima!
 

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Capitolo 15
*** Cap 15 ***


Era filato tutto liscio come l’olio.
Il plastico era uscito che era una meraviglia e il signor Burns era entusiasta sia del modello che della parte teorica a esso abbinata.
La sua segretaria, durante quella mattina di esibizioni, non aveva mai alzato lo sguardo, segno che avrebbe preferito essere ovunque, fuorché nella stanza dove era presente uno che l’aveva rifiutata.
Segnava e annotava un mare di accorgimenti nella sua agenda, ma mai si azzardò d’alzare lo sguardo per controllare il lavoro di Scott.
Temeva di ritrovarsi il suo sguardo addosso e che lui la ignorasse, continuando sulla sua strada e regalandole un’ennesima sconfitta.
Si era rassegnata?
Una grossa parte della sua coscienza le ripeteva che era meglio farsi da parte, ma il lato più subdolo continuava a spronarla di lasciarsi andare.
Quante storie aveva rovinato nel ricercare una promozione o sperando di passare una piacevole serata?
Le era importato mai qualcosa delle coppie che aveva rovinato con tanto impegno?
A ripensarci dovevano essere una decina scarse e non si era crucciata poi troppo.
Di sicuro era andata a letto con il figlio del signor Burns e magari pure con il responsabile degli affari interni, ma di certo si era tenuta lontana dal vecchio.
Nel suo gioco aveva schiacciato diverse relazioni e aveva costretto molte coppie a dividersi o a sudare sette camicie per lasciarsi tutto alle spalle.
Quelli che ne erano usciti maggiormente con le ossa rotte, erano pronti ad affermare che lei fosse come una Vedova nera che iniettato il suo veleno, si allontanava, facendo disperdere le sue tracce.
Era scivolata sotto le coperte di clienti influenti, di colleghi aitanti, anche se in ogni storia lei cercava una sola cosa: il gusto del proibito.
Portarsi a letto un single o uno che stava per lasciare la sua ragazza, non aveva lo stesso sapore di stringersi a uno che era felicemente fidanzato o sposato.
Faticava solamente per questo a rialzare lo sguardo dalla sua agenda: Scott era riuscito a mettere in luce tutte le sue debolezze e, con poche parole ben portate, l’aveva annichilita psicologicamente.
E ora il signor Burns aveva attaccato sul plastico una serie di 5 stelle dorate, segno che quel progetto sarebbe stato difficilmente migliorabile.
“Vedo che ha seguito le mie richieste.”
“Ho fatto il possibile.” Soffiò tranquillo, mentre il vice capo, un certo Hodgson, che era assente durante le prime prove, sfogliava i vari documenti.
“Scott Black, vero?” Domandò il braccio destro del signor Burns per ulteriore conferma.
“Esatto.”
“In tempi materiali la tua analisi è impeccabile e anche la scelta di un arredamento basilare è stata una mossa molto saggia.”
“Durante il corso mi hanno insegnato che se non si conosce il gusto dell’acquirente, è sempre meglio partire con una struttura semplice e non troppo articolata.”
“Le hanno detto la verità.” Borbottò compiaciuto il vecchio.
“Purtroppo, però, ho dovuto cancellare alcune sue richieste.”
“La mia segretaria mi aveva avvertito per tempo.” Ammise, risollevando il morale di Scott che temeva in una sorta di vendetta da parte sua.
“Ho comunque preferito inserirlo nella parte teorica che le ho consegnato.”
“Noi sapevamo bene che alcune richieste erano irrealizzabili, ma volevamo sapere se lei era capace di smascherare una trappola simile.”
“Mi avete messo alla prova.”
“Il nostro gruppo è all’avanguardia e spesso può capitare che alcuni progetti debbano essere conclusi, almeno sul piano teorico, con grande velocità e precisione.” Ammise il signor Burns, sfiorando il modellino che gli era stato presentato.
“Lo immagino.”
“Non vorrei attirarmi un giovane che sia sì molto preparato, ma che possa poi tirarmi un bel pacco. Non so se capisci cosa intendo dire.”
“Un po’.”
“Da quando sei libero per cominciare?”
“Anche da lunedì se lo desidera.”
“Purtroppo fino mercoledì sono impegnato con alcuni affari e con alcune riunioni di massima importanza e per questo vorrei chiederti di ripassare per il contratto solo giovedì.”
“A me sta bene.”
“Ovviamente non comincerai giovedì o venerdì, ma dovrai aspettare il lunedì successivo.” Affermò il signor Burns, alzando leggermente la mano.
“D’accordo.”
“Vedrai che ti troverai bene nella nostra società.” Promise, stringendo la mano del ragazzo e accogliendolo, quindi, nel suo gruppo.
Scambiati ancora alcuni convenevoli e discusso del progetto che Scott aveva consegnato, il giovane uscì dall’Università e, risalito in auto, si avviò verso la sua stanza d’albergo.
 
Quando suo padre le aveva detto che doveva aiutare un ragazzo di un altro studio, Dawn non credeva che dovesse sobbarcarsi quella seccatura durante il suo tempo libero.
Credeva dovesse insegnargli alcuni termini, spiegargli la struttura dello studio e avviarlo alle prime semplici pratiche di prova.
Già era stata una rottura quando aveva dovuto passare un intero pomeriggio dietro al caso di Mal Jerkinson e aggiungendoci pure il ruolo d’insegnante, ecco che si sentiva parecchio indisposta.
Suo padre, passandogli il cognome del giovane che avrebbe dovuto aiutare e che gli avrebbe fatto visita nel tardo pomeriggio, le aveva promesso che era solo per un pomeriggio.
Verso le 17 se aveva capito bene o giù di lì.
Nell’accettare quell’ingrato compito, si era resa conto che era la stessa seccatura che anche Scott aveva dovuto passare.
Lui era rimasto silente riguardo la faccenda della segretaria del signor Burns e allo stesso modo lei doveva mantenere il riserbo e non far uscire la minima informazione a riguardo.
Se il suo ragazzo avesse saputo che un altro uomo sarebbe entrato nel loro appartamento, sarebbe uscito pazzo e l’avrebbe riempita di messaggi.
Sarebbe stato capace di prendere la macchina e di aspettare sul divano che la lezione avesse termine e che lo sconosciuto levasse le tende.
Non gli avrebbe offerto il tè con i pasticcini, né si sarebbe messo a parlare di basket, ma gli avrebbe riservato uno sguardo carico di rabbia e di sospetto che gli avrebbe fatto intendere che Dawn era già felicemente impegnata.
Non poteva, però, farlo.
Il progetto era molto più importante.
Scott aveva finalmente trovato un motivo in più per sperare e non poteva obbligarlo a chiudere anche quella porta.
Si trattava di lavoro puro e semplice. Doveva dare qualche indicazione, mostrare qualche semplice esempio, inscenare un impegno dell’ultimo minuto e mandarlo via dopo nemmeno un’ora di lezione.
Era una strategia così elementare.
Eppure quel cognome scritto su un piccolo ritaglio di carta non le era propriamente sconosciuto.
Facendo mente locale cercò un collegamento e non lo trovò. Aveva fantasticato che si trattasse di un ex compagno delle medie, di un ex disperato delle superiori oppure di un qualche vecchio amico di parrocchia.
Nessuno coincideva con la lista frammentaria di cui era tornata in possesso.
Aveva pure cercato tra i cognomi di quelli conosciuti durante i reality di Chris McLean, ma gli unici di cui aveva memoria, oltre a quello di Scott, erano quelli di Cameron, Zoey, Brick e Mike.
Anche se aveva letto tutte le loro auree e anche se aveva passato molto tempo in loro compagnia, non aveva mai chiesto un cognome specifico.
Si parlava d’istruzione, d’idee, di alleanze, ma le generalità erano private e tali dovevano rimanere.
Nessuno doveva sapere che prima del reality era una bambina molto sola e che non aveva nessun amico.
Nessuno doveva apprendere della malattia da hippie di sua madre.
E, cosa più importante, nessuno doveva conoscere il suo amore, apparentemente non ricambiato, per Scott Black. Sarebbe morta di vergogna se qualcuno avesse saputo il terribile segreto che si portava dietro e che la obbligava a meditare per ripulirsi la coscienza.
Aveva sentito il suo ragazzo sotto mezzogiorno.
Lui l’aveva rassicurata nuovamente e aveva promesso che l’indomani le avrebbe spiegato tutto per filo e per segno.
Dawn non poteva sapere che Scott stava mentendo in buonafede.
Non aveva percepito niente di sospetto nella sua voce e di conseguenza non si era resa conto che lui sarebbe rientrato prima solo per farle una bella sorpresa.
Se solo l’avesse saputo, allora avrebbe rinviato il suo appuntamento.
Purtroppo si era scontrata con una bugia così semplice da non avvedersene per tempo.
 
Fu una sorpresa quando alle 17 puntuali andò ad aprire.
Si aspettava che non fosse proprio lui.
Da quanto non si vedevano?
Forse da quando avevano rotto e da quando gli aveva preferito Scott.
E poi da quando si buttava sul lato legale delle cose e non seguiva la ragione, costruendo magari qualche strano macchinario?
Forse anche lui era cresciuto e la bruciatura l’aveva convinto a cercare qualcosa di molto più materiale.
Un qualcosa che potesse essere sotto gli occhi di tutti e che non lo infastidisse con i giudizi della critica o della società comune.
“Beverly?” Domandò Dawn, fissandolo con attenzione.
“Già.” Rispose, facendo sentire la sua voce e abbandonando, anche con lei, lo stato di mutismo che aveva assunto fino a qualche anno prima.
“E come…”
“Sto? Direi abbastanza bene.”
“Io…”
“Non ti aspettavi di rivedermi, vero?”
“Sarei una bugiarda se dicessi il contrario.” Borbottò divertita, notando un abbozzo di sorriso piuttosto rassicurante.
“Mi sento molto meglio in questi periodi, devo proprio ammetterlo.”
“Oh scusa…non ti ho invitato a entrare.” Mormorò lei in imbarazzo, aprendo la porta e accogliendolo nel suo appartamento.
“Ti sei scelta un bel posticino in cui vivere.” Commentò Beverly, rifacendosi al quartiere e alla vicinanza con il centro.
“Un posto valeva l’altro, se devo essere sincera.”
“Spero, comunque, non ci siano più problemi tra noi.” Abbozzò con la sua vociona.
“Non saprei.”
“Mi sembra d’averti chiesto scusa diverse volte.” Tentò, cercando di dimenticare la rottura che era nata a seguito di un esperimento non riuscito con una cavia animale.
“Ed io ti ripeto che non dovresti chiedere scusa a me, ma a tutti gli animali che hai maltrattato per seguire il tuo esperimento.”
“Da quando ci siamo lasciati, ho smesso con cose simili.” Replicò, sperando di ottenere almeno il suo perdono.
“Il problema ora è un altro.”
“Non credevo avessi coraggio di venire a vivere da sola.” Borbottò Beverly, ignorando apparentemente le parole della sua ex.
“Non vivo sola.”
“Immagino che Zoey sia uscita.”
“Vivo con un ragazzo.” Ammise Dawn, vedendolo sussultare.
“Un ragazzo? Oh scusa…non immaginavo.”
“Sono cambiate molte cose da quando ti ho lasciato e mi sono innamorata di un ragazzo che, se possibile, era lontano anni luce dai miei sogni.”
“Ne sembri felice.”
“Crescendo molte cose cambiano.”
“Non vorrei metterti fretta, ma ho poco tempo da dedicare a questa lezione.” Ammise Beverly, mentre Dawn lo faceva sedere sul divano, dove iniziò subito a mostrargli alcune pratiche ed esempi da applicare anche in futuro.
 
Se Scott l’avesse immaginato, non sarebbe tornato affatto.
Aveva pranzato prima del solito, si era concesso una bella doccia rinfrancante, aveva preparato la valigia ed era uscito dalla sua stanza.
Aveva salutato uno degli altri partecipanti che aveva ottenuto un posto nella ditta del signor Burns, aveva restituito le chiavi all’ometto della reception ed era risalito in auto.
Tempo di mettere in moto e di verificare d’avere tutto e si avviò verso il primo benzinaio aperto per fare il pieno.
Erano circa le 16 quando lui si ritrovò effettivamente in viaggio.
Davanti aveva i regali acquistati per il compleanno di Alberta e per la sua ragazza, mentre dietro aveva sistemato le valigie cariche di vestiti che si era portato dietro in quella settimana.
Nella stessa borsa dedicata alla sorella, aveva comprato una bottiglia di ottimo vino per suo padre e alcuni dolcetti tipici per quella ghiottona di sua madre. Perfino per i genitori di Dawn era riuscito a comprare qualcosa di speciale, mentre lui si era accontentato di scattare alcune semplici foto da stampare non appena fosse giunto a casa.
L’unico regalo che aveva voglia di scartare era la sua Dawn.
Aveva una voglia matta di stringerla, di baciarla e di amarla con tutto il suo cuore.
Il suo cuore, però, doveva essere maledetto.
Si era innamorato e ora bruciava come fosse all’Inferno.
Dopo aver parcheggiato l’auto, recuperò i suoi effetti personali e s’incamminò lentamente.
Ancora qualche minuto e la sua ragazza sarebbe scattata dalla sorpresa.
Gli sarebbe corso incontro e l’avrebbe stretto in uno dei suoi soliti abbracci.
Così aveva sperato il giorno prima, ma nell’aprire la porta si ritrovò un’amara sorpresa che gli fece perdere le forze e che fece crollare le borse cariche di roba sul pavimento.




Angolo autore:

Ryuk: Buonasera cari lettori.

Prima di salutarvi e di augurarvi una buona settimana, sempre che passiate per questo minuscolo angolo, vi avverto di una cosa.
Sta storia inizia ad annoiarmi, quindi potreste leggere in futuro cose strane che potrebbero farvi storcere il naso.
Non amo cancellare le mie serie e sono un fautore dello SHOW MUST GO ON, quindi, non avrete il privilegio di vedermi cancellare quest'opera.

Ryuk: Rocchi la trova noiosa.

I sequel sono come le ex: minestre riscaldate che solo in rari casi hanno un vero senso d'esistere.
Per quanto mi riguarda, la serie, almeno tra i miei documenti, è già conclusa e no...non vi sarà una terza parte.

Ryuk: Giusto per mettere in chiaro le cose.

Spero solo che la conclusione sia all'altezza e che non mi faccia venire il nervoso.
Alla prossima!
 

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Capitolo 16
*** Cap 16 ***


Non riusciva a crederci.
I suoi occhi lo stavano ingannando oppure quella scena era assolutamente reale?
La fedeltà non esisteva e l’aveva imparato in quell’orribile pomeriggio.
Era diventato matto per cercare un lavoro e, sapendo d’esserci riuscito, gli era più che sufficiente per il suo livello. Volere di più sarebbe stato come andare in cerca di dispiaceri.
Si sa, i sogni sono solo per i bambini e Scott era un eterno Peter Pan che non se la sentiva di crescere e di librarsi in volo.
Prima di sbraitare, tossicchiò appena, facendoli sussultare.
“Che cosa state facendo?” Li assalì, interrompendo il bacio che Beverly e Dawn si stavano scambiando.
“Scott…io…” Tentò Dawn, bloccandosi all’improvviso e girandosi spaventata nella sua direzione.
“Fuori da questa casa!” Tuonò, fissando la sua nemesi.
“Non è come sembra.” Si difese la giovane, non rendendosi per niente conto di essere nei guai fino al collo.
“Pensi che oltre che stupido sia diventato anche cieco? Ho detto furi da questa casa e non ho intenzione di ripeterlo una terza volta.”
“Ma…”
“Guarda che sono pronto a picchiarlo a morte, se non va fuori dalle palle.” Ringhiò, mentre Beverly raccoglieva i fascicoli con cui si era presentato e sgattaiolava fuori senza accennare nemmeno una parola e tenendo la testa bassa.
“Scott…”
“A quanto pare sono sempre stato solo un rincalzo.” Soffiò afflitto, richiudendo la porta con rabbia e scalciando una delle valigie.
“È successo per sbaglio.”
“Immagino che per metterti con uno come, il tuo deve essere stato uno sbaglio enorme.” Replicò sarcastico, facendola negare.
“Non è così.”
“Sono stanco di essere preso per il culo.” Ringhiò, mentre lei si rialzava e provava ad andargli incontro per farlo rinsavire.
“Ascoltami ti prego.” Mormorò, sentendo gli occhi pizzicarle terribilmente.
“Cosa ci sarebbe da spiegare? Vi ho visti benissimo mentre vi baciavate e probabilmente sareste andati anche oltre se non fossi stato così idiota da farti una bella sorpresa.”
“Scott…”
“Ho finito il progetto in tutta fretta per cosa? Per essere presente mentre la mia donna mi cornifica con un altro.”
“Io…”
“E fosse un altro qualsiasi…è solamente la persona che odio di più a questo mondo e che non riuscirò mai ad accettare in vita mia.” Ruggì, facendola tentennare.
“Mi spiace.”
“Che cosa può cambiare mai? Capisci che non posso più avere fiducia in te?”
“Ma…”
“Non voglio nemmeno ascoltare cosa hai da dirmi.”
“Scott…”
“Basta! Finiscila di chiamarmi con il mio nome. Tu per me sei solo una sconosciuta e non vali più nulla ai miei occhi.”
“Smettila…ti prego.” Singhiozzò, abbassando la testa e coprendosi il viso con le mani.
“È bene mettere in chiaro le cose: non voglio vederti mai più.”
“Io…”
“Essendo una sconosciuta, non puoi più restare qui e devi andartene.”
“Andarmene? E dove?”
“Non lo so e la cosa non m’interessa.” Rispose freddo, prendendo una delle valigie e incamminandosi verso la sua stanza.
“Ma…”
“Puoi andare dai tuoi genitori o, da quel che ho visto, potresti benissimo andare con Beverly: tanto ho capito benissimo che con me fingevi di fare la santarellina, in attesa che lui tornasse e si riprendesse ciò che aveva perso.”
“Ti sbagli…tu mi conosci.” Soffiò, facendolo sbuffare annoiato.
“Conoscevo solo una maschera, ma da oggi nemmeno quella.” Replicò infastidito, chiudendosi nella sua stanza e liberando la sua valigia di tutti i suoi abiti.
 
Non si aspettava che lui tornasse a quell’ora.
Non si aspettava nemmeno d’essere baciata da Beverly se per questo.
Le pareva d’aver sentito lo scrocchio della serratura, ma le era sembrato solo uno scherzo.
Forse perché stava ricevendo qualcosa di proibito e che Scott non avrebbe mai voluto vedere.
Purtroppo la serratura era veramente scattata e aveva restituito al suo fidanzato una scena per cui si sarebbe strappato volentieri gli occhi.
I due erano avvinghiati e si stavano baciando con una tale intensità da fargli ribrezzo.
Tremò leggermente, le borse caddero al suolo, si schiarì la voce e partì all’assalto della traditrice.
Ma Dawn sentiva di non essere completamente colpevole.
Scott, almeno questa volta, era puramente innocente: voleva solo farle una sorpresa e si era ritrovato con una pugnalata allo stomaco.
Lei voleva attribuirsi, per non sentirsi totalmente responsabile, solo una piccola parte della colpa.
Era stato Beverly a baciarla.
Era stato lui a gettarsi, a stringerla e a rovinare la sua storia con Scott.
Perché era questa la sua paura più grande.
Ritrovatasi davanti alla porta della loro camera e sentendo alcuni suoni non proprio rassicuranti, temette d’aver perso il suo tesoro più grande.
Aveva provato a bussare diverse volte, ma non aveva ottenuto il minimo risultato.
Non aveva sentito la sua voce ordinarle di restare in salotto, né quella impensabile che decretava il suo perdono.
Avvertiva solamente un’aura nera e minacciosa, impegnata a realizzare ciò che aveva fantasticato nei primi istanti.
E questa volta non toccava a lui chiedere perdono.
Lui non doveva abbassarsi a scuse tanto patetiche per riottenere la pace. In questo caso Dawn sperava che non fosse troppo furioso per chiudere il suo cuore.
Che non le rinfacciasse allo sfinimento quell’orribile sbaglio o che non le tenesse il muso per tutta la vita.
Voleva soltanto che dimenticasse e che riaprisse quella benedetta porta.
Aveva quasi perso ogni speranza e stava per tornare sul divano del salotto, quando una parte del suo desiderio si realizzò.
Scott aveva riaperto la porta e stringeva i manici di tre valigie.
Ritornata in salotto, data l’impossibilità di confrontarsi nello stretto corridoio, Scott appoggiò le borse vicino all’uscita e si voltò nella sua direzione.
“Vattene!” Ordinò secco.
“Scott…”
“Questi sono tutti i tuoi vestiti: il resto verrai a prenderlo domani.”
“Non voglio andarmene.” Soffiò, tentando di avvicinarsi e ritrovandosi un’occhiataccia capace di gelarla sul posto.
“Preferirei che venisse tuo padre per il resto.”
“Ma…”
“Le possibilità sono due: o me ne vado io o fai tu questo passo.”
“Perché?”
“Se te ne vai, puoi sempre vantarti con le tue amiche che sei stata tu a mollare uno sfigato come me, a differenza mia che, non avendo amici, non potrei ridere con nessuno.” Sputò amaro, notando come alcune lacrime le stessero rigando il volto.
“Non è giusto: io ti amo.”
“Se mi amassi, non avresti mai baciato Beverly. Io per te ero solo un passatempo, un’occasione per avere un bell’appartamento vicino al centro e una carta vincente con cui fare tutti i viaggi che avevi sempre sognato.”
“Ti sbagli.”
“Temo di no.”
“Ma è vero.” Lo corresse, facendolo negare con decisione.
“Ti consiglio di uscire prima che faccia buio: se aspetti ancora, la città potrebbe diventare pericolosa per una come te.”
“Che cosa vorresti insinuare?” Domandò preoccupata.
“Se non ti sei fatta scrupoli a baciare Beverly e a tradirmi, non vedo come tu possa avere paura di una qualche offerta ben più spinta.”
“Mi stai dando della battona?”
“Precisamente.” Borbottò laconico, facendola tremare.
“Scott…”
“Ti ho detto di non pronunciare più il mio nome.”
“Come faccio?”
“La cosa non m’interessa. Puoi dimenticarlo in pochi secondi, puoi metterci anni o puoi chiedere a un qualche psicologo d’aiutarti: non è più un mio problema.”
“Ma avevi promesso.”
“Avevo promesso fino a quando tu mi fossi rimasta fedele. Avendo rotto questo patto, non vedo perché dovrei continuare a mantenere una stupida promessa che potrebbe solo confondermi.”
“C’è un’altra vero?” Chiese Dawn, fissandolo negli occhi e leggendo la verità.
“Sei sempre stata così brava con me e credi ancora che avessi cattive intenzioni? Volevo solo essere felice, ma in questa città sembra che a nessuno importi di me.” Soffiò amaro, abbozzando un ghigno che fece tremare la ragazza.
“Io…”
“Penso di essere stato chiaro: stare con te è impossibile.” Ammise divertito, sforzandosi in una lieve risata che potesse farlo sentire meglio.
“Però…”
“Devi restituirmelo!” Replicò secco, ricordandosi solo in quel momento di quanto avesse sprecato le sue forze con la figlia di una stupida hippie.
“Restituirti cosa?”
“Non pretendo che tu possa ridarmi indietro il tempo perso, ma l’anello che ti ho regalato non lo meriti più.”
“L’anello?” Domandò lei, sfiorandosi l’anulare e rifiutandosi di consegnarlo.
“Esatto. Era il mio segno d’amore, ma tu non ne hai più bisogno.”
“Perché?”
“Sei tonta per caso? Tra noi due è tutto finito!” Gracchiò, notando comunque il suo rifiuto prolungato.
“Non puoi…”
“Posso eccome…e te lo dimostro.” Replicò, sfilandosi l’anello che Dawn gli aveva regalato e guardandolo un attimo.
“Che intenzioni hai?”
“Puoi regalare questo gingillo a chi ti pare: ormai mi sta stretto.” Ringhiò, chiudendolo al centro del suo pugno e tirandoglielo dietro.
Fu nell’avvertire quel piccolo regalo, sfiorarle il braccio destro che Dawn intese, una volta di più, a cosa era andata incontro.
Aveva perso la sua sicurezza.
Aveva frantumato tutti i suoi sogni e progetti.
Ma cosa più importante aveva perso il suo Scott.
Nel raccogliere l’anello dal suolo, si sfilò quello che il suo ex le aveva regalato e lo appoggiò sul tavolino.
Mise nella tasca dei pantaloni quello che aveva regalato a Scott per il loro primo “anniversario” e, a testa bassa, prese i manici delle valigie.
“Mio padre verrà domani per le ultime cose.” Promise Dawn, facendo annuire Scott.
“Molto bene.”
“Di pomeriggio ti va bene?”
“Se non ci sei, mi va bene qualsiasi orario.” Replicò rabbioso, infliggendole un nuovo duro colpo.
“Io…”
“Restituisci anche le chiavi!” Ordinò secco, facendola tentennare.
Anche quel suo piano improvvisato era appena naufragato.
Era stupido credere che uno come Scott, abile a studiare ogni più piccolo dettaglio, si dimenticasse del suo mazzo?
Sperava di ripetere lo stesso regalo che aveva ricevuto qualche giorno prima, ma il suo ex aveva letto le sue carte e le aveva tolto ogni possibilità per realizzare quella fantasia.
“Ma…”
“Ormai non ti servono più.”
“Mi dispiace.” Ripeté nuovamente.
“Con i dispiace e altre diavolerie simili non si sistemano le cose.” Ringhiò minaccioso.
“Forse hai ragione.” Ammise, appoggiando le sue chiavi vicino all’anello rimasto sul tavolino del salotto.
“Ora sei libera di andare.”
“Sarò anche libera, però non posso prometterti di riuscire a fare ciò che credi.”
“Eh?”
“Tu credi che tra noi sia tutto finito, ma non è così. Io continuerò a lottare e non ti lascerò andare fino a quando non capirai ogni cosa.” Sussurrò lei, fissando le piastrelle dell’ingresso.
“Fai come ti pare!” Replicò freddo.
“Ti giuro che mi spiace tanto.”
“A me neanche un po’.” Sputò, facendola sussultare e sentendola singhiozzare.
“Scusami ancora.”
“Con te ancora in mezzo ai piedi, non riuscirò mai a riposarmi.”
“Ho capito.” Mormorò affranta, voltandosi un’ultima volta.
“Credo bene.”
“Posso comunque dirti una cosa, Scott?”
“Se proprio devi.”
“Sono stata benissimo con te ed è stato il periodo più bello della mia vita.”
“Se parli così, significa che hai avuto una vita piuttosto triste.” Obiettò, facendola sospirare.
“Avrei da discutere su questa tua affermazione, ma credo tu sia stanco di vedermi.” Ammise divertita, uscendo dal suo vecchio appartamento e sperando che i suoi genitori potessero accoglierla nel migliore dei modi.
Dal possibile matrimonio con le sue possibili stelle ora vedeva il buio e l’oblio.
In testa aveva solo la consapevolezza che ormai era tutto finito e che Scott non avrebbe più fatto la prima mossa per rivederla.
Aveva giocato, aveva bluffato e ora il tavolo presentava il conto con tanto d’interessi maturati nel tempo.
E senza più quell’anello comprato con tanti sacrifici, non aveva nemmeno un ricordo effettivamente materiale da associare a Scott.
Poteva solo guardare le loro foto e il resto finiva lì.
Gli restava l’amarezza, la profonda depressione e quel vestitino sexy che aveva intravisto prima di uscire e che non avrebbe mai indossato.
Tanti anni di progetti erano andati definitivamente in fumo.






Angolo autore:

Ryuk: E rocchi è riuscito a farli litigare.

E quando riesco in qualcosa, ecco che mi stufo e ricedo il giocattolo a qualcun altro.
Tieni Ryuk...ti restituisco la tua vecchia serie.

Ryuk: Ma...

Mi bastava rovinare la loro relazione per essere felice.
Avete l'onore di leggere i pensieri di un autore adorabile e che rovinerà sempre ogni cosa.

Ryuk: Ormai ci abbiamo fatto l'abitudine.

E pensate che per un'istante avevo l'insana idea di chiudere qui la serie.
Peccato che il mio nome non si abbini così bene al Death Note di Ryuk.
Detto questo vi ringrazio per le recensioni e per i consigli e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 17
*** Cap 17 ***


Scott immaginava che lei avesse già avvertito tutte le persone che le stavano a cuore.
I suoi genitori nel vederla arrivare a casa con tutte le valigie e con uno sguardo stralunato, non ebbero grosse difficoltà a intuire cosa era successo.
Di solito era l’uomo ad andarsene e ad abbandonare il tetto della convivenza, ma in questo caso era toccato a Dawn lasciarsi quell’appartamento alle spalle.
E come capita tra famiglie che vorrebbero unirsi in una sola, anche la cara Alberta e relativi genitori erano venuti a sapere la verità.
Se lo aspettava?
Che Alberta fosse una testa matta e che fosse capace di lanciarsi anche nell’avventura più folle questo era assodato, ma di certo non lo credeva realistico.
Era abile di prendere un biglietto di andata e ritorno per la Lapponia solo per controllare la salute di Babbo Natale, ma era inverosimile che alzasse il culo dal suo posto sul divano per fare una veloce visita al fratello minore.
Citofonò con forza, costringendo Scott a scrollarsi dal suo stato di torpore e salì velocemente le scale, ritrovandosi dopo pochi istanti a sospingere il rosso all’interno dell’appartamento per poi fissarlo con sguardo spiritato.
Spinto fino al divano, aveva spento il televisore e aveva iniziato con l’interrogatorio che si era preparata durante quei 20 minuti scarsi di viaggio in macchina.
In macchina di sera e con il cielo che annunciava pioggia?
Senza quel suo fantoccio di fidanzato da trascinarsi dietro e da esibire manco fosse un fedele cagnolino?
Alberta doveva essere uscita di senno per osare in quella misura.
“Che cazzo combini?” Lo aggredì subito, strattonandolo con forza.
“Io…”
“Mi devi spiegare quale dei tuoi tre neuroni abbia deciso di mandare via Dawn!”
“Ma…”
“Era la ragazza perfetta per te, idiota.” Continuò, alzando la mano e stampandogli un bel cinque dita sulla guancia destra.
“Lei mi ha tradito.” Sputò in un attimo, tastandosi la mascella e cercando di stabilire se quella sberla potesse aver causato qualche danno.
“Stai mentendo.”
“Io…”
“I suoi genitori ci hanno chiamato mezzora fa e hanno aggredito nostra madre che si è messa a piangere come una fontana.”
“Ma…”
“Loro piangevano, nostra madre piangeva e Dawn era nel suo letto disperata.”
“Non è colpa mia.” Replicò lui con fastidio, facendola sbuffare.
“Cosa le hai fatto?”
“Io? È stata lei a tradirmi.” Sbottò seccato.
“Posso immaginarlo.” Soffiò sarcastica.
“Puoi dire quello che ti pare Alberta, ma io l’ho vista.”
“Hai visto cosa?”
“Lei cosa ha raccontato?” Domandò con un pizzico di curiosità, sperando che avesse mentito e di poterla, quindi, distruggere senza fatica.
“Che tu l’hai lasciata e l’hai mandata via senza un motivo valido.” Rispose Alberta senza pensare che quella potesse essere una menzogna.
Qualcuno, però, stava omaggiando il buon vecchio Pinocchio.
Chi stava mentendo?
Una volta sarebbe stata certa che Scott era un ragazzo marcio, dalla dubbia moralità e che, per ottenere un qualche vantaggio, era capace pure di barattare un suo qualche parente per dei chili di patate.
Ora, però, il discorso era diverso.
Fissandolo negli occhi era evidente che il suo fratellino non fosse più propenso a giocare con le bugie e con la sua memoria corta.
Una volta bastava osservarlo intensamente e lui si sarebbe tradito, magari abbozzando una risata fuoriposto oppure ritrovandosi incapace di tenere ferme le mani.
“Quella è solo una puttana.”
“Eh?”
“L’ho vista mentre si baciava con Beverly. Ti rendi conto? Sono rientrato un po’ prima dal progetto fuori città e lei stava baciando quel ciccione.”
“Ne sei sicuro?” Tentò, incrociando il suo sguardo feroce.
“Sarò anche stupido e tutto il resto, ma i miei occhi non mi hanno mai ingannato.”
“Ma…”
“Forse si vergognava troppo per ammetterlo con i suoi genitori, ma questa è la pura e semplice verità.”
“Non lo sapevo.”
“Sei venuta qui di corsa, basandoti solo sulle sue parole e ritrovandoti fregata.” Borbottò dispiaciuto Scott, invitando la sorella a sedersi vicino a lui sul posto rimasto libero.
“Comunque non ti stavo mentendo Scott.”
“Di che parli?”
“Lei era davvero la ragazza adatta a te.”
“Hai detto bene: era.”
“Mi spiace di averti remato contro in questi periodi.” Mormorò triste, abbassando il capo.
“Ormai è finita e non voglio pensarci più.”
“Ero vittima di una profonda invidia quando stavate per andare a convivere, ma poi ho notato che eri felice e la cosa mi faceva piacere.”
“È stato bello finché è durato.” Brontolò laconico, facendola sospirare.
“E ora che intenzioni hai?”
“Resterò in questo appartamento e cercherò di dimenticare ogni cosa.”
“E se non fosse questa la soluzione migliore?” Chiese Alberta, facendolo tremare.
“Quale altra carta posso giocarmi ora?” Sibilò triste, sentendo l’amarezza prendere il sopravvento e ritrovandosi ben presto a singhiozzare e a piangere disperatamente, trovando conforto in uno dei rari abbracci della sorella maggiore.
“Non puoi chiedere a me quali saranno i tuoi prossimi passi.” Rispose divertita, facendo sospirare il fratello.
“Se guardo in questa città, non trovo nulla che mi dia pace.”
“Che intendi dire?”
“Odio questa città. Tutto è sempre così maledettamente uguale.”
“E come dovrebbe essere scusa?” S’informò Alberta, inserendo una lieve nota di sarcasmo nella sua domanda.
“Esci in strada e vedi coppie felici e realizzate. Vedi progetti, felicità e grandi abbracci. Ti volti un attimo e realizzi che alcuni non sono sulla stessa lunghezza d’onda.”
“Ma…”
“Alla fine Alberta, dovrei essere io quello che prova invidia nei tuoi confronti.”
“Perché mai?”
“Perché mi hai appena superato.” Ammise, abbozzando un lieve sorriso.
“Non resterò in vetta per molto.” Pronosticò lei.
“Hai un lavoro, un fidanzato che ti adora e ti avvicini sempre più a realizzare tutti i tuoi progetti.” Elencò lui di rimando.
“Ma vivo ancora con i nostri genitori e Lucas non si sta identificando come il nuovo schiavo della famiglia Black.”
“Noi uomini siamo fregati.”
“Prima eri così triste da non leggere la possibilità, ma ora temi di rispettare la tradizione della nostra famiglia. Non è che, sotto quella maschera e quello sguardo preoccupato, ci sia una qualche consapevolezza che nessuno conosce?” Lo interrogò divertita.
“Avevi ragione.”
“Su che cosa?”
“Che dovrei smetterla di deprimermi.”
“Prima di riprendere a vivere, devi rispondere a una sola domanda.” Borbottò seria Alberta, prendendo una rivista e sfogliandola distrattamente.
“Quale?”
“Dawn era la tua felicità?”
“Devo proprio?”
“In base alla risposta posso farti conoscere la mia analisi.” Soffiò divertita.
“È vero.”
“In tal caso puoi cercare quanto vuoi, ma non troverai mai una ragazza che si avvicini agli standard che desideri.”
“Perché no?”
“Perché il tuo standard di base è Dawn e, purtroppo per te, non esiste al mondo una ragazza con caratteristiche simili.”
“Dovrei perdonarla?” Chiese lui, prendendo la rivista dalle mani della sorella e gettandola nuovamente nel mucchio.
“La ami ancora?”
“Non lo so.”
“L’hai mai tradita?”
“Sebbene lei creda il contrario, non sono mai stato così stupido da perdere ciò che avevo conquistato.”
“Errore: sei stato così stupido da perdere tutto quello che avevi faticosamente conquistato in questi anni, senza darle la possibilità di spiegarsi.” Replicò con un pizzico d’amarezza.
“Non riesco a perdonarla.”
“Se fosse un’altra, ti direi che fai bene, ma in questo caso è difficile pure per me.”
“Alberta…”
“Questa volta non ho intenzione di costringerti a ritornare sui tuoi passi.”
“E cosa dovrei fare?” Chiese Scott, fissandola intensamente.
“Il tempo guarisce ogni ferita.”
“Il tuo consiglio è di darmi del tempo?”
“Ti sembrerà stupido, ma è così.”
“E non devo fare nulla?” Domandò sconcertato, credendo che si trattasse di uno stupido scherzo.
“Resta immobile, lascia che tutto ti scorra addosso e se arrivi al punto di non ritorno, allora vuol dire che, per quanto orribile sia stato quel tradimento, tu amerai sempre e solo Dawn.”
“Non era la risposta che aspettavo di sentirmi dire, ma grazie.” Borbottò, baciando la sorella sulla guancia e scompigliandole affettuosamente i lunghi capelli.
 




Angolo autore:

Purtroppo oggi sono un po' di corsa e fatico a tenere un angolo più lungo del solito.

Ryuk: Vi avvertiamo solo che mancano 5 capitoli alla fine.

E che non siamo riusciti a rileggere il capitolo per correggere eventuali errori.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 18
*** Cap 18 ***


Scott non aveva mai amato particolarmente le visite a sorpresa.
Così come non si presentava all’improvviso in casa di un qualche suo parente o amico, pretendendo poi di fermarsi per delle ore a rivangare i vecchi tempi, allo stesso modo esigeva che nessuno osasse un simile comportamento nei suoi confronti.
Non voleva che passasse per un eremita, ma non tollerava che qualcuno si facesse vivo, senza prima sapere se aveva impegni e se aveva voglia di vederlo.
Salutata la sorella, allontanatasi con il suo solito passo da elefante imbizzarrito abbinato a un sorriso inappropriato in simili contesti, ritornò ai suoi pensieri.
Poteva ringraziare il cielo che quella mazzata non fosse giunta proprio alla vigilia o a seguito della firma.
Con quale animo avrebbe firmato il contratto e avrebbe iniziato a lavorare per la ditta del signor Burns? Si sarebbe sempre perso in un dolore che avrebbe inficiato il suo rendimento.  
Valeva la pena, però, alzare gli occhi al cielo ed essere felici di quella grazia che lo aveva costretto a ingoiare una schifosa minestra acida?
Il contorno, rasentava ciò che sarebbe sempre stato: una notizia pessima da archiviare il prima possibile per ovvi motivi.
Sua sorella Alberta gli aveva consigliato di prendersi tempo.
Il tempo non tradiva mai le attese, ma spesso tradiva i sogni. Era davvero bello prendersi dei giorni, misurare l’impegno profuso per poi accorgersi di non essere servito a niente?
Avrebbe voluto urlare al cielo che gli faceva un male cane, che non voleva subire anche quell’umiliazione, ma il cinismo aveva placato tutte queste sensazioni spiacevoli.
Per la soluzione doveva avere tempo e pensare con relativa calma.
In questa situazione di equilibrio, avrebbe valutato ciò che aveva perso e se valeva effettivamente la pena, cercare di ricucire uno strappo insanabile.
Erano belle parole.
Le stesse che si ascoltavano in chiesa e che Scott, fin da bambino, aveva trovato noiose e senza senso pratico.
Perché doveva essere proprio lui, al culmine di tanti giorni di riflessione, il primo ad avvicinarsi nuovamente?
Lui non aveva toppato.
Era stato lui a farsi beccare con un’altra?
Era stato lui a negare con tanta forza ciò che aveva visto?
Se fosse andato da Dawn e le avesse chiesto di ricominciare, si sarebbe sentito come il cane che si morde la coda.
Una riappacificazione così rapida, ammesso che ne fosse convinto, era una mossa dettata più dalla disperazione che altro.
Lanciandosi in quel modo, avrebbe fatto suscitare in lei una domanda ben più pericolosa. Ne sarebbe stata felice, avrebbe pianto dalla gioia per alcuni minuti, tutto sarebbe rientrato, nonostante le incomprensioni più che prevedibili, ma presto si sarebbe chiesta se non avesse qualcosa da nascondere per cui farsi perdonare.
Magari un qualcosa assai peggiore di quel tradimento che aveva visto mentre rientrava in casa e che gli aveva fatto perdere le forze.
Era nel bel mezzo di questi pensieri che un’altra scampanellata violenta, lo ridestò dall’oblio in cui era piombato.
Se per sua sorella le possibilità erano esigue, almeno in quella serata s’intende, per quella nuova figura toccavano lo zero.
Scott conosceva meravigliosamente la sua famiglia.
Alberta era entrata come un treno in corsa, aveva rischiato di massacrarlo, ma si era fermata per tempo. Fosse arrivata più tardi la notizia, magari sotto mezzanotte, lei si sarebbe presentata probabilmente l’indomani, ma si sarebbe comunque fatta rivedere.
Sua madre sarebbe rimasta in attesa, mentre suo padre avrebbe passeggiato nervoso per il salotto, borbottando qualcosa d’inudibile e che gli sarebbe valsa la rottura di una bella confessione con padre Williams.
Ma le ferite di una coppia non sono solo per una metà.
Entrambi soffrivano e com’era giusto che fosse, lui ne avrebbe avuto, nonostante ciò che aveva assistito, le responsabilità maggiori.
Stava meditando di rialzarsi dal divano, di apparecchiare la troppo grande cucina del salotto, di prepararsi un sandwich con prosciutto, formaggio e qualche fetta di pomodoro, ben sapendo che sarebbe rimasto freddo e intatto, quando il campanello si ritrovò a interrompere quella fase di depressione in cui era piombato.
A rispondere credeva si trattasse di uno scherzo, magari un qualche vicino che aveva sbagliato o un qualche ragazzino che per farsi bello agli occhi degli altri, suonava a tutti i campanelli, scappando poi con tanto di risate ad accompagnare la sua fuga precipitosa.
Fu nel sentire quella voce che collegò nuovamente le cose in un filo logico che era impossibile da districare.
Lei sapeva e si era subito presentata, infilandosi i primi vestiti che aveva trovato, recuperando le chiavi dalla mensola e salendo in auto.
Dopo averle aperto, e ci mancava che Scott la lasciasse fuori, sentì dei passi rapidi con tanto di picchiettare incessante, intuendo che lei era sola e che quella era la sua ultima visita odierna.
“Buonasera Scott.” Borbottò lei, rimanendo sulla soglia.
“Buonasera.”
“Mi fai entrare o vuoi che i vicini sappiano ciò che è successo?” Domandò lei con un pizzico di rabbia.
“Prego si accomodi.” Soffiò placido, spostandosi leggermente e invitandola a sedersi dove meglio preferiva.
Richiusa la porta e spenta nuovamente la televisione, si concentrò su quella nuova seccatura che gli avrebbe rovinato ulteriormente la serata.
Perché passi sua sorella e le sue strane manie di protagonismo, ma il tradimento e quella hippie che occupava il suo salotto erano una bella rottura di scatole.
“Gradirei se mi spiegassi cosa è successo.”
“Credevo che sua figlia fosse stata chiara.”
“Preferisco ascoltare anche la tua parte.” Ammise, sorprendendosi comunque della calma che aleggiava sul volto del ragazzo.
Nel suo cuore, comunque, l’inverno era appena tornato impetuoso.
“Non si fida di lei?”
“Potrebbe raccontare qualche mezza verità e non mi va di considerarti un disgraziato per un errore che magari è stata lei a commettere.”
“Contorto, ma logico.”
“Avete qualche differenza di vedute?” Chiese lei con un sorriso appena abbozzato.
“Non amo particolarmente dare lezioni, ma vorrei farle una domanda.”
“Ti ascolto.”
“Su cosa si basa il vero amore?” Domandò lui con freddezza, gelando la scarsa sicurezza della sua ospite.
“Fiducia, lealtà e passione.” Spiegò di getto, facendolo annuire.
“Non ci ha riflettuto molto.” Borbottò divertito.
“Ogni coppia ha le sue basi, ma queste sono quelle della mia famiglia.”
“Non si direbbe da quel che ho visto.”
“Hai visto qualcosa che non dovevi?” S’informò lei, iniziando a presagire qualcosa di strano in quelle risposte così evasive.
“Quanto in basso ci si può spingere per non deludere la propria famiglia?”
“Che cosa stai blaterando?” Chiese con decisione, facendolo sussultare.
“Mi mancano le prove materiali, quali foto o audio registrato, ma non dimenticherò mai la mia ex che si mette a baciare un altro.”
“La mia Dawn…ha fatto cosa?” Tuonò inviperita.
“Può credere o meno a ciò che le dico, ma purtroppo è così.”
“È impossibile.” Bisbigliò appena.
“Immaginavo che dubitasse della mia parola.”
“Sei sicuro?”
“È la terza persona che mi chiede se sono sicuro di quel che ho visto.”
“Non hai risposto alla mia domanda.” Replicò lei nervosa.
“Potrò avere anche i peggiori difetti di questo mondo e potrò anche essere fin troppo ottuso, ma i miei occhi non mi hanno mai ingannato in nessun modo.”
“Stento a crederci.” Soffiò appena.
“Dubita delle mie parole?”
“Non delle tue parole, ma di quelle di mia figlia.” Rispose secca, sfregandosi compulsivamente le mani pallide.
“Voglio essere sincero con lei, signora: se non avessi assistito alla scena, non avrei mai avuto un motivo valido per lasciarla.” Soffiò amareggiato.
“Ma…”
“Se lei avesse beccato suo marito con un’altra, avrebbe lasciato correre?” S’informò brusco, interrompendo le sue perdite di tempo.
“Assolutamente no.”
“E allora non credo lei possa rimproverarmi di un qualcosa che l’avrebbe spinta a comportarsi allo stesso modo.” Gracchiò sollevato.
“Io non ti sto rimproverando.”
“Ah no?”
“Vorrei solo sapere se c’è una possibilità per rivedervi insieme.”
“Una volta avrebbe spinto per dividerci.”
“Una volta ero troppo stupida per accorgermi che tu eri la felicità della mia bambina.”
“Ma davvero?” Domandò ironico, facendola annuire.
“Tu l’hai spronata ad andare avanti e le hai dato ciò di cui aveva maggior bisogno.”
“Se lo dice lei.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Eri il Sole che illuminava i suoi passi e lei, sentendosi in debito con te, ha sempre cercato di sostenerti e di farti forza.”
“Ma…”
“Dalla sera in cui vi siete ritrovati in quella pasticceria, io volevo costringerla a non vederti mai più. L’avevi fatta soffrire durante i reality e lei non meritava di perdere tempo con uno che poteva farla ricadere nel dolore.”
“Io…”
“Però voi vi eravate già messi d’accordo e in poco tempo vi siete messi insieme.” Borbottò, sistemandosi i capelli.
“Già.”
“All’inizio era solo un po’ preoccupata, poi l’ho vista felice e mi sono rasserenata.”
“Non lo sapevo.”
“Sono in debito con te, Scott.”
“E in cosa?”
“Sei stato il miglior ragazzo che mia figlia potesse avere.” Confermò con un radioso sorriso.
“Purtroppo siamo arrivati a un punto di non ritorno e non voglio più sapere nulla sul suo conto.” Replicò seccato, ben sapendo che lei si era rintanata nella casa dei suoi genitori.
“Ma…”
“E poi non mi sogno di andare da lei, di inginocchiarmi e di chiederle la bontà di ritornare insieme.”
“Però…”
“È stata lei a tradirmi. È stata lei a comportarsi come una stupida ed io dovrei essere così cieco oltre che idiota a darle una seconda possibilità?”
“Ma lei…”
“Del resto sono io quello cattivo e che non è mai cresciuto. Del resto Scott è sempre quello che gioca con il cuore degli altri, che cerca un vantaggio o un punto debole, per poi eliminarli e saltare da qualche altra parte.” Continuò sempre più furibondo, ricordandosi la paternale dei suoi genitori di ritorno dall’ultimo reality di Chris McLean cui aveva partecipato.
“Io vorrei che…”
“Chi tradisce una volta può tradirti una seconda, una terza e via discorrendo.” Sbuffò, terminando il suo breve discorso.
“Hai ascoltato le sue ragioni?”
“Oh no…non questa storia.”
“Guarda che è una cosa seria.” Replicò lei con fastidio, notando come il ragazzo si fosse stancato e stesse solo usando il sarcasmo per rispondere.
“Immagino di essere stato distante per mesi, se non anni, dalla sua vita e che lei avesse tutto il diritto di riversare il proprio amore verso qualcun altro.”
“Non ho detto questo.” Si difese la donna, suscitando in Scott una lieve risata carica di disprezzo.
“Devo averla ignorata per troppo tempo e ci si accorge di aver perso qualcosa solo quando ormai non si può più rimediare.” Commentò ironico, sfoggiando un ghigno irritante.
“Scott…”
“Peccato che ora mi renda conto di una cosa: io ho sprecato solo tempo con quella zavorra.” Sputò amaro, facendo tremare la donna che non riusciva a trovare nulla per difendere la sua bambina e di riflesso la sua famiglia.
E come se non fosse pago, dopo tutto il male che aveva ricevuto, riprese con la sua fredda analisi, incontrando lo sguardo vitreo della sua ospite.
“Avrei fatto qualsiasi cosa per quella lì, ma lei cercava soltanto di vendicarsi per tutto il male che le ho causato durante i reality di Chris. Perché è di questo che voglio parlare ora: sono convinto che lei abbia realizzato tutto questo solo per colpirmi nel momento in cui fossi stato più vulnerabile.”
“Cosa…”
“L’unica cosa che mi fa piacere, è che lei sia venuta per conoscere il vero lato di sua figlia.”
“Ma…”
“E così potrò risparmiare a suo marito la fatica di portarsi dietro tutta la zavorra che quell’imbranata ha lasciato qui.”
“Vuoi eliminare tutto di lei?” Chiese la donna con un pizzico di timore.
“Voglio solo purificare questa casa dal tradimento cui ho assistito.” Ringhiò nervoso, lasciandola sul divano e chiudendosi nella sua camera per riempire le ultime tre borse con tutta la robaccia che la sua ex gli aveva lasciato.
 
Non ci impiegò poi molto a uscire dalla sua stanza per tornare in salotto e per notare come la sua ospite stesse fissando il vuoto.
Era soddisfatto?
Non proprio.
Perché sarebbe dovuto essere felice di gettare nello sconforto una povera donna che aveva l’unica sfortuna di ritrovarsi con una figlia del genere?
Lei non peccava in nulla.
Neppure suo marito era un uomo così orribile.
L’unica che era riuscita a mandarlo in bestia, e ancora faticava a crederci, era proprio la loro adorata figliola.
Per quella piccola arpia, la madre aveva rinunciato alle sue manie e il padre era diventato molto più socievole e aperto alle novità.
Sarebbe stato bello ricostruire il tutto, ma era impossibile.
Alla luce di quello che era successo, era meglio troncare i rapporti.
Le due famiglie ne uscivano con le ossa rotte, ma con la consapevolezza di non essersi gettate in un matrimonio che non sarebbe stato duraturo.
In barba al tempo, alle preghiere di sua sorella e alle altre diavolerie che avrebbe dovuto sorbirsi non appena sua madre avesse saputo della sua scelta, lui era arrivato a una risposta definitiva: non voleva più avere a che fare con Dawn e la sua famiglia.
Capitolo chiuso.
Lei era il passato e doveva cominciare una nuova vita.




Angolo autore:

Ryuk: Qualcuno qui ha confuso venerdì per martedì, vero?

L'importante è aggiornare o mi sbaglio?
Sarò anche in ritardo di 3 giorni, ma alla fine sono qui.
E anche se le uscite saranno ravvicinate, porverò ad aggiornare per martedì.
Detto questo e sperando non vi siano grossi errori, posso andare.
Alla prossima!
 

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Capitolo 19
*** Cap 19 ***


Durante quella lunga settimana d’attesa che aveva anticipato la firma del contratto nella ditta del signor Burns, Scott aveva fantasticato a lungo sui suoi futuri compiti.
Il pensarci incessantemente serviva ad allontanarlo da quello riguardante la sua vecchia storia.
Dopo aver allontanato la sua ospite e aver parlato con la sua famiglia, non aveva sprecato tempo.
Aveva cercato di riempirsi l’agenda, giusto per non tornare su quella stupida faccenda.
Allontanare una ferita, l’avrebbe aiutato a crescere e a diventare una persona migliore.
A nulla erano valsi i tentativi esterni o gli incontri fortuiti.
Suvvia…il destino da quando lo spingeva a incontrare Duncan o Mike per puro caso, se erano almeno tre mesi che non s’incrociavano per strada?
Perfino Brick e quel matto di Lightning?
Poteva andare bene per qualche idiota dotato di un solo neurone, ma quando incontri il punk di lunedì, lo scemo dalle personalità multiple alle 10 di mercoledì mattina alla fermata dell’autobus, l’ex militare il giovedì mattina e l’atleta dopato di venerdì, alcune domande ti sorgono spontanee.
E lui le aveva riunite tutte in un colpo solo.
Qualcuno stava soffiando per rendere vivo il fuoco e quel qualcuno rispondeva al nome, nell’esatto ordine, di Courtney, Zoey e Jo.
Forse, sotto sotto, pure Gwen e Leshawna stavano partecipando a quella pagliacciata che mai avrebbero pensato di rendere attuabile.
L’unico che sembrava estraneo all’intera faccenda, solo per le forze messe in campo, era il povero Lightning che si era ritrovato incastrato da una qualche minaccia dei suoi vecchi amici che ancora gli rinfacciavano la sua mania di aggiungere i suoi Sha ovunque.
Era così stupido da non accorgersene?
Il punk poteva anche passare, ma gli altri no.
E dinanzi alla loro domanda, più che legittima, su come andavano le cose, lui rispondeva con una scrollata di spalle.
Non voleva rimediare in nessun modo.
Era felice così.
Il tempo andava bene.
Il lavoro stava per cominciare.
Era in perfetta salute e la sua famiglia non lo stressava più con quella zavorra di cui si era liberato con tanta fatica.
Tutto questo poteva trasparire durante il giorno, ma di notte?
La notte era il momento peggiore.
Si rigirava tra le coperte e per quanto sostituisse almeno una volta al giorno tutte le lenzuola, lui continuava a respirare il profumo della sua ex.
Pensava a lei, rivedeva lei accoccolarsi al suo petto e nel tastare il lato buio, vuoto e freddo, si ritrovava a masticare amaro.
Ma il suo orgoglio non voleva cedere.
Era sempre lui a ripetergli che aveva fatto bene e che era da deboli cedere con così poco.
Se Dawn voleva tornare, doveva mostrarsi pentita e doveva fare un qualcosa che lo lasciasse di sasso e che lo spingesse a cancellare ogni sua traccia d’errore.
Detta così era impossibile, specie per uno come Scott che ne aveva viste e affrontate di tutti i colori in quei pochi anni.
 
Ignorare gli altri, così come aveva sentito una volta, era l’unica possibilità per purificarsi di tutto il male che si aveva ricevuto tempo addietro.
Alcuni avevano da ridire su questa sua scelta, ma era la medicina migliore che potesse farlo ristabilire.
La sua famiglia non tornava sul discorso.
I suoi pochi amici, accortisi delle possibilità esigue, avevano mollato il colpo.
E perfino i genitori della sua ex avevano smesso di telefonargli o di riempirlo di messaggi.
Era ancora vittima del dispiacere? Non proprio.
Ormai si sentiva quasi sollevato di non avere nessuno da cui dipendere o da cui tornare la sera, ben sapendo, però, che bastava pochissimo per un’orribile ricaduta.
Era passato quanto da quel pomeriggio di fuoco, condito da visite incessanti e da discorsi inutili? Due settimane e non di più.
E in quei giorni la zavorra non si era mossa.
Aveva sperato che fossero gli altri a ricucire per lei il rapporto con Scott.
Solo una bambina poteva cullarsi di una speranza così vana che non dava la minima garanzia.
Forse era l’effetto della birretta pomeridiana o erano le tante ore passate in piedi, ma davanti alla porta del condominio gli parve di scorgere una figura che sperava di non vedere mai più.
Era bastato notarla e il pensiero dei bei momenti andati era tornato impetuoso.
Per un attimo prese il cellulare, osservò le rare notifiche e si avvicinò, sempre a capo chino e perso nella sua agenda elettronica, verso il grande portone.
Chissà da quanto era ferma lì.
Era questa la sua domanda e di certo non riguardava cosa volesse nello specifico.
Solo un decerebrato si sarebbe posto quel quesito, non immaginando che lei era lì solo per chiedere scusa, per pretendere una seconda possibilità e per rinnovare il suo amore, magari aggiungendo piccole balle come il fatto di non riuscire a mangiare o dormire senza averlo vicino.
Il lato cinico, quello che aveva sommerso e schiacciato solo per il bene di Dawn, era tornato a galla impietoso e non si sarebbe lasciato imprigionare nuovamente, non prima almeno di aver umiliato la responsabile di quel drastico cambiamento.
“Scott…” Mormorò lei, andandogli incontro e costringendolo a rialzare lo sguardo dal suo smartphone.
“Hmm?”
“Sono felice di vederti.” Soffiò, leggendo nel suo sguardo che lui non la pensava allo stesso modo.
“Che vuoi?” Domandò scortese, appoggiando al suolo lo zaino contenente una singola bottiglia d’acqua e alcuni documenti che doveva studiare per i prossimi progetti.
“Io…”
“Fammi indovinare: non sono stata io a tradirti, hai capito male e voglio una seconda possibilità.” La imitò sarcastico, facendola tentennare.
“Ma Scott, io…”
“Ancora ti ostini a usare il mio nome? Ti ho detto che devi dimenticarmi.”
“Non ci riesco.”
“Questo è un problema tuo, non mio.” Borbottò annoiato, cercando di superarla e aprendo il grande portone del suo condominio.
“Ti sbagli.” Replicò lei, entrando con lui e salendo le rampe di scale che li avrebbero condotti al loro vecchio appartamento.
“Ma davvero?” Soffiò ironico.
“Preferisci parlare con me qui fuori, temendo il giudizio dei vicini, o preferisci discutere in privato?”
“Per me non c’è differenza.”
“Ah no?”
“Se ne parlassimo qui fuori, tutti verrebbero a sapere che sei solo una sgualdrina, mentre all’interno del mio appartamento potresti saltarmi addosso e potrei appiopparti una bella denuncia per violazione di domicilio.”
“Io non sono una…”
“Una sgualdrina? Lo sei eccome.” Sputò amaro, costringendola a fermarsi.
“Correrò il rischio della denuncia.” Replicò, riprendendo a muoversi e fermandosi davanti alla porta del loro vecchio appartamento.
“La tua famiglia non ne sarebbe felice.”
“Vuoi muoverti ad aprire questa porta o hai paura che le tue sicurezze possano vacillare?” Lo esortò, sfidandolo apertamente.
“Perché devi essere così cocciuta da non capire che non ti perdonerò mai?”
“Eh?”
“Tu puoi fare qualsiasi cosa per riabilitarti ai miei occhi, ma io non ti prenderò mai sul serio. Come faccio a spiegartelo?”
“Non dire così, ti prego.”
“Perché non te ne vai e mi lasci in pace?” Chiese stanco, sedendosi sul suo divano.
“Perché non è giusto.”
“Tante cose non sono giuste a questo mondo, ma ormai ci ho fatto l’abitudine.”
“Io volevo dirti che…”
“Immagino sia stato bello stare insieme, ma non è più possibile e tu lo sai.” Gracchiò convinto, facendola sospirare.
“Tu sei l’unico che può capirmi, Scott.”
“Se parli così, allora significa che anche tu dovresti capirmi.”
“Un po’.” Ammise seria.
“E, quindi, dovresti accettare la mia decisione.”
“Sai bene che non posso.”
“Non puoi perché non vuoi.” Replicò infastidito, rialzandosi in piedi e squadrandola con superiorità.
“Se sono qui è solo per chiederti una cosa.”
“Sputa il rospo e vediamo se posso accontentarti.” Soffiò tranquillo, facendola tentennare.
“Un bacio.” Mormorò preoccupata.
“Cosa?” Chiese, credendo di essersi sognato quella ridicola richiesta.
“Un bacio.” Ripeté nuovamente.
“Questo va oltre la comune decenza delle persone.”
“Vorrei che tu mi baciassi.”
“E poi?”
“Vorrei che mi guardassi negli occhi e mi dicessi che non mi vuoi più vedere.”
“Questo è troppo anche per una come te.” Replicò nervoso, indicandole la porta e non accettando di passare come un giocattolo.
Non era un bambolotto che poteva essere preso in braccio per poi metterlo dove si voleva e che sarebbe rimasto lì impolverato, fino al momento in cui qualcuno fosse tornato a dargli una qualche fugace attenzione.
Nessuno doveva giocare con il suo cuore, per poi lasciarlo freddare.
“Non mi sembra di pretendere molto.”
“Non ho nemmeno voglia di ribattere: è molto meglio se ritorni a casa e se ci dormi su.”
“Perché non mi vuoi accontentare?”
“Perché finirei con il diventare scemo e tutte le mie certezze andrebbero in frantumi.”
“Non ti ho mai chiesto una seconda possibilità.” Gli rammentò lei, facendolo sussultare.
“E non ho intenzione di concedertela dopo quello che mi hai fatto.”
“Ma non è colpa mia.”
“Dawn…smettila! Non sono in vena di sentirmi dire simili cavolate.” Ringhiò nervoso.
“E cosa pensi di fare ora?”
“La questione è molto semplice: ho intenzione di gettare anima e corpo sul mio lavoro e se poi trovassi qualcuno che mi piace, allora potrei lasciarmi andare senza troppi problemi.”
“Lo immaginavo.”
“E tu?” Soffiò incuriosito, fissandola negli occhi.
“Io non lo so ancora.”
“Sai una cosa divertente, Dawn?”
“No quale?”
“Per quanto tu possa credere nella mia cattiveria, io non ti ho mai tradito in vita mia.”
“La tua aura parlava chiaro.” Confermò lei, facendolo sospirare.
“Sarebbe una bella rottura ripeterti che non devi leggere la mia anima, ma tanto non mi daresti nemmeno ascolto.”
“Come in questo caso.” Ammise divertita, allungando una mano per sfiorare quella del suo ex.
“Immaginavo che c’era qualcosa sotto.”
“La tua aura è abbastanza chiara a riguardo, ma non può fare nulla per vincere sul tuo comportamento.”
“È davvero così lampante che tu faccia ancora parte della mia vita?” Chiese Scott, non faticando troppo a dare voce al suo pensiero.
“Posso tornare allora?” S’informò lei, sperando di scroccare una nuova chance.
“Se credi che basti così poco per rabbonirmi e per ritornare qui, ti sbagli di grosso.” La gelò, sfoggiando un ghigno diabolico.
“Un’altra volta?”
“Apprezzo quello che hai detto, ma non ritornerai più.”
“Ma io…”
“Se vuoi parlare così, non c’è problema, ma non devi pretendere che io ti accetti nuovamente nella mia vita.”
“Ma…”
“L’ultima volta hai fatto un bel casino e ci metterò parecchio per sistemare le cose.” Borbottò in evidente imbarazzo, facendola annuire.
“Speravo in qualcosa di meglio, ma pazienza.”
“Se non abbiamo più nulla da dirci, sai dov’è l’uscita.” Soffiò amaro, ritornando sul suo divano e aspettando che quella rottura uscisse di nuovo dal suo appartamento.
Per i primi istanti lei, però, era rimasta ferma, quasi volesse studiare quell’ambiente che avevano comprato assieme.
Era curiosa di notare come tante piccole cose fossero cambiate da quando era stata costretta ad andarsene.
La credenza era in perfetto ordine, la cucina era immacolata e perfino le riviste del tavolino erano calate vertiginosamente.
Delle altre stanze, purtroppo, non poteva sapere nulla, ma a pelle sentiva che anche nello studio, nel bagno e nella camera tutto fosse sotto controllo e che, quindi, Scott avesse i suoi ottimi motivi per non accettarla di nuovo a braccia aperte.
Sconfitta da questo pensiero, abbassò lo sguardo verso il suo ex e si avvicinò per dargli un semplice bacio sulla guancia. Quello era solo un gesto tra amici e dopo averlo fatto arrossire, si staccò, avviandosi verso la porta.
“Un’ultima cosa, Scott.”
“Sì?” Chiese con lieve imbarazzo.
“Io ti amo.”
“Sono felice per te.” Replicò seccato, mentre lei si affacciava sul pianerottolo e richiudeva la porta del suo vecchio appartamento.
Giusto il tempo di scendere alcune rampe di scale e afferrò il suo cellulare, scrollando la lista delle persone in chat e fermandosi su un nome che la stava spronando a riprendersi Scott.
“Non è andata molto bene.” Digitò velocemente.
“Devi avere pazienza.”
“Ma io non riesco a stare senza di lui.”
“Se riesco a organizzare qualcosa, vedrò di avvertirti per tempo.”
“Grazie per quello che fai.”
“Scott è un’idiota, ma in questo caso ha i suoi buoni motivi per escluderti dalla sua vita.”
“Spero solo non sia tardi.” Ammise Dawn, preoccupata per quella possibilità.
“Non hai ricavato nulla da lui?”
“Non sono riuscita a dirgli la verità.”
“Se non gli racconti la verità, lui non potrà mai accettarti di nuovo.”
“Lo so, ma faccio veramente fatica.” Continuò, sperando di ricevere qualche ottimo consiglio o magari quel sostegno che le era mancato anche da parte della sua famiglia.
“La prossima volta devi proprio.”
“Farò del mio meglio.” Promise Dawn, facendosi forza e pregando di avere un’altra possibilità per parlarci senza troppi problemi.
“Ti sembrava sorpreso?”
“La sua aura è come quando stavamo insieme, ma purtroppo non sempre le persone ascoltano il proprio cuore.”
“Ti ama ancora?”
“C’è ancora qualche possibilità che lui provi qualcosa, ma più il tempo passa, più ho il timore che il suo cuore si congeli.”
“Non credo riesca a dimenticarti.”
“Spero soltanto che i tuoi aiuti, abbiano una degna conclusione.” Sospirò Dawn, ricacciando il telefonino nella sua borsetta e ritornando a casa.
 




Angolo autore:

Ryuk: Abbiamo aggiornato con incolpevole ritardo.
Eri tu quello insoddisfatto della stesura del capitolo precedente.
E mi hai stressato per scrivere qualcosa al tuo posto.
Questa me la lego al dito.

Ryuk: Dovremo anche recuperare le recensioni.

Più tardi gli darò un'occhiata.

Ryuk: Mi scuso per il ritardo, ma rocchi è estremamente lento quando scrive.

Certo...adesso è colpa mia.
Lui non è soddisfatto della sua storia e scarica a me la colpa.
Comunque non garantisco che sia tutto impeccabile: forse mi sono scappati alcuni errori in giro.
Lettori avvisati, mezzi salvati.
E detto questo, vi saluto e vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 20
*** Cap 20 ***


Che aveva memoria, e Scott poteva vantarsi di averne poca, non ricordava che qualcuno si fosse impegnato per una piccola rimpatriata tra soli uomini degli ex concorrenti dei reality di Chris McLean.
Alcuni avevano risposto picche: un po’ perché non volevano mischiarsi a una compagnia che preferivano allontanare, un po’ perché non volevano sprecare il loro tempo con persone che avrebbero rivisto al massimo una decina di volte in tutto.
Non ci fu nulla di cui sorprendersi, se sugli oltre venti invitati, alla fine erano stati in pochi ad aver accettato quell’insolito invito di Duncan.
Chissà perché tutto partiva sempre da lui.
Le feste, i ritrovi e perfino le alleanze più sgangherate erano sempre opera della sua pazzia.
Scott aveva ricevuto quell’invito verso le 18 di uno strano martedì e si era sentito stranamente spiazzato da quell’improvviso messaggio.
Doveva accettare o era meglio concedersi l’ennesima serata in solitaria con una pizza congelata e un film di pessima categoria?
Si trattava solo di ricordare i bei tempi andati e di aggiornarsi sui prossimi progetti futuri.
Sarebbe stato un qualcosa di assolutamente demenziale che poi sarebbe scivolato sui classici commenti rivolti agli assenti.
Chi era diventato un fallito?
Chi si era trasferito a centinaia di miglia di distanza?
Chi aveva comprato, e questa era una chiacchiera insignificante, un cane per poi accorgersi di essere allergico al pelo degli animali?
A volte gli uomini erano peggiori delle donne e Scott sentiva che in quell’accozzaglia di perdenti ci fosse qualcuno che aveva mentito sul suo sesso.
Almeno avevano la scusa di non portare rancore.
Discutevano, si mandavano a quel paese, potevano pure mettersi le mani addosso, ma dopo esser tornati a casa con qualche ammaccatura, ecco che ritornavano amici, bevendosi una bella birra e facendo pure comunella, se ce n’era bisogno.
Scott ragionava come se quella fosse sempre stata la sua routine. Come se s’incontrassero ogni settimana per un drink e come se quelle sortite di Duncan fossero solo una parentesi per comprendere tutti i vecchi concorrenti.
E invece era sempre il punk a sgolarsi, a prendere il suo smartphone e a cercare nella sua rubrica tutti quelli che potevano accettare il suo invito. Quelli che avevano risposto di sì un qualcosa come 3-4 volte di seguito, per poi tirare pacco, erano stati accantonanti da un Duncan che ripeteva quell’operazione almeno una volta ogni sei mesi.
Purtroppo sapeva dove si andava a parare con quella cavolata.
Per i primi minuti sarebbe stato un miscuglio di domande attinenti il lavoro, i progetti e poco altro, salvo poi spingersi nel lato più rosa dell’intero insieme.
E così tutti sarebbero venuti a sapere che Duncan era diventato il cagnolino di Courtney, che Mike era il servo di Zoey, che Brick non poteva alzare la voce se Jo era vicino a lui e che Lightning non si era mosso dal suo stato d’eremita.
Su di lui sarebbero piovuti un mare di consigli. Consigli per cui avrebbe annuito, ma che dentro di sé ignorava bellamente e cancellava come se niente fosse successo. Quelle disperate lezioni che il punk gli impartiva, entravano da un orecchio e uscivano dall’altro, non incontrando nessun ostacolo rilevante. Poteva essere disattento, ma nessuno si sognava di affermare che Lightning fosse uno stupido decerebrato con un solo neurone a rimbalzare nella sua scatola cranica.
E così Duncan, dopo averlo sbeffeggiato con qualche stupida storia, magari proprio quella sulla sua vecchia mania degli “Sha”, avrebbe dato dei consigli da vero latin lover per conquistare e portarsi a letto una delle cameriere del locale.
Scott non si sentiva particolarmente in vena, ma piuttosto di soffrire ancora, era pronto ad accettare anche quell’ignobile compromesso.
“E così hai accettato.” Soffiò Duncan, accogliendolo quella sera.
“Non avevo niente di meglio da fare.”
“Come al solito.”
“Io non capisco perché tu debba organizzare queste pagliacciate. Se fossi al tuo posto, me ne resterei a casa e farei disperare Courtney.” Borbottò, sbadigliando rumorosamente.
“Guarda che non dipende mica da me questa roba.”
“Uscite separate?” S’informò Mike che si era avvicinato ai suoi amici.
“Courtney ha organizzato una serata con le sue amiche e non mi voleva in mezzo ai piedi.”
“Immaginavo che c’era qualcosa sotto.” S’inserì Brick, compiendo qualche passo, mentre Lightning rimaneva fermo al suo posto, intento a sgranocchiare qualche snack.
Nei suoi occhi, stanchi e persi a fissare alcuni poster appiccicati a casaccio, aveva ancora gli anelli di fidanzamento che Mike e Brick avevano sfoggiato per confermare il loro fidanzamento rispettivamente con Zoey e Jo. Indelicati al massimo, quasi volessero prenderlo per i fondelli, si erano sfilati l’anello e li avevano passati a Lightning che per un’istante si era sentito pervaso da una sensazione basata sulla rabbia, salvo poi calmarsi alla vista degli snack con formaggio che erano arrivati al suo tavolo.
“E come sempre vi siete fatti prendere per il naso.” Tossicchiò Scott, poggiando il suo sguardo stanco sui suoi amici.
“Sei escluso solo perché hai mollato Dawn.”
“Scusa se è poco, Duncan.”
“Anche se non ci hai detto il motivo.” Borbottò Mike, tirando una gomitata al punk e rivolgendogli uno sguardo severo.
“Ora capisco: avete organizzato questa cavolata solo per farvi gli affari miei.” Sbuffò infastidito, avviandosi verso il tavolo dove il vecchio Lightning aveva già ordinato una birra con cui accompagnare i salatini che gli erano già stati serviti.
“Tutti ci facciamo gli affari degli altri.” Nicchiò Duncan, scrollando le spalle.
 “Lo immagino. Voi mi chiedete della mia ex e la stessa cosa faranno Courtney e le altre con quella lì. Non avete un pizzico di fantasia.” Li rimproverò Scott, sedendosi vicino allo sfigato del loro piccolo gruppo e sperando che tirasse fuori una qualche storiella capace di farlo ridere.
Lightning, invece, sembrava tutto preso a mangiare e bere, e rivolse ben poche battute su quella situazione capace solo di distoglierlo dal suo interesse massimo.
Seduti tutti intorno a un piccolo tavolo da bar, simile a quello dove s’incontravano i protagonisti di una nota sit-com televisiva, era chiaro che quella serata si sarebbe incentrata solo su Scott e sulla sua ex.
Tutti spingevano per rivederli insieme, tutti speravano in una bella riconciliazione, magari con una cena di festeggiamento, non curandosi minimamente dei sentimenti del protagonista maschile.
“Non avete capito niente.” Ringhiò nuovamente.
“Sei tu a non capire.” Replicò Mike.
“Immaginavo che faceste comunella con quella.” Gracchiò, sollevando gli occhi verso il soffitto e studiando i piccoli ricordi che abbellivano le mensole del locale.
“Ti manca da morire e continui a tenerle il muso.” Sbuffò Brick, bevendo un piccolo sorso della sua birra bionda.
“Volete che andiamo di nuovo per esempi? Vi sarebbe piaciuto che la vostra ragazza si baciasse con la persona che più odiate a questo mondo?” Domandò stizzito, allontanando il boccale ormai vuoto e rifiutandosi di ordinarne un altro.
“Magari hai frainteso.” Borbottò Mike.
“Cosa ci sarebbe da fraintendere?” S’informò Lightning, attirando l’attenzione e ritornando poi sui suoi salatini.
“Che vuoi dire?” Chiese Duncan, fissando il ragazzo che aveva di fronte.
“Che Scott, per me, ha fatto bene.” Soffiò disinvolto.
“Ma che ne puoi sapere tu? Sei sempre stato single in vita tua.” Lo canzonò Brick, non rendendosi conto che si era cacciato in un bel guaio.
“Sfotti, sfotti. Solo perché voi avete qualcuno che vi scalda il letto, allora credete di aver trovato la felicità. Sapete una cosa? Siete così ridicoli a credere che la vostra relazione possa durare in eterno che non riuscite a guardare oltre il vostro naso.” Sbottò nervoso, affogando la sua rabbia sulla ciotola che aveva davanti e che svuotò in pochi secondi.
“Ma…”
“Viso pallido era una brava ragazza, ma non posso avere la certezza che lei sia rimasta così. Tutti cambiano e per questo le parole di Scott potrebbero avere un senso.” Ammise il ragazzone, voltandosi verso il rosso che si ritrovò ad annuire sollevato.
“E cosa avresti intenzione di fare ora?” Domandò Duncan.
“Mi sembra ovvio: ordinerò un’altra razione di questi snack.” Rispose Lightning.
“A dire il vero l’ho chiesto a Scott e non riguardava il cibo.”
“Ah…mi sembrava troppo bello che qualcuno mi chiedesse qualcosa di personale.” Tossicchiò, alzandosi dal suo posto e avviandosi verso il bancone.
“E ora che lo scemo del villaggio si è allontanato, quali sono le tue vere intenzioni Scott?” Chiese Brick, abbassando la voce per non farsi sentire da Lightning e facendo sussultare il rosso.
“Vi ho già detto che ho appena cominciato a lavorare, che sono impegnato con diversi progetti e che non è mia intenzione mandare tutto in malora e rovinarmi, quindi, l’esistenza.”
“Guarda che nessuno ha visto Dawn andare dietro a Beverly o viceversa.” Borbottò Duncan, rigirandosi il boccale tra le mani e facendo ondeggiare la poca birra che era rimasta al suo interno.
“Perché non volete capire?” Domandò seccato.
“A volte noi uomini sia un po’ tonti a capire la realtà.” Nicchiò Mike, scrollando le spalle e voltandosi nella direzione del rosso.
“Per me Dawn può fare quello che le pare.”
“Sul serio?” Chiese Brick.
“Perché dovrei dubitare della mia scelta?”
“Perché è stata l’unica ragazza che hai sempre amato.” Soffiò Duncan.
“La smetti di usare le frasi dei cioccolatini?”
“E tu la smetti di fare il cane bastonato in cerca di attenzioni, quando puoi ritornare a scodinzolare senza troppi problemi?” Domandò nervoso il punk, continuando a fronteggiare l’amico.
“Non puoi amare uno di cui non hai fiducia.”
“E dove sta il problema?”
“La fiducia la si merita e non la si può regalare come se niente fosse. Dawn ha avuto la mia fiducia per tutto il tempo, ma era malriposta.”
“Sei così cocciuto che fatico a capirti.” Mormorò Duncan.
“Quando e se dovesse capitarti di avere un bel paio di corna sulla testa, allora ti ricorderai di me e finirai con il chiederti chi era il vero stupido tra noi due.” Replicò, afferrando alcune patatine e addentandole con calma.
“Se parli così, significa che resterai sempre solo.” Borbottò Mike, notando come Lightning stesse per fare ritorno al suo posto con due ciotole cariche di cibarie.
“Adoro questi snack al formaggio.” Commentò il ragazzone, riempiendosi la bocca di quelle leccornie e ignorando totalmente la portata principale di quella serata al limite della noia.
“Nessuno è mai morto di solitudine.” Si difese Scott, girandosi verso Lightning, mentre tutti seguivano il suo sguardo.
Nel sentirsi al centro dell’attenzione, quest’ultimo alzò gli occhi verso il ragazzo che aveva di fronte e aggrottò le sopracciglia.
“Che c’è adesso?” Soffiò seccato, sorseggiando un goccio della sua birra.
“Abbiamo bisogno della tua opinione.” Rispose Duncan.
“A che proposito?”
“Cosa ne pensi della solitudine?” Domandò il punk, facendo sussultare Lightning che non si aspettava un quesito così profondo.
“Ma perché quando avete bisogno di un consiglio su un tema scottante, dovete sempre rompermi le scatole?”
“Allora?” Lo incalzò Duncan, mentre lui si sentiva attorniato e si lasciava sfuggire un sospiro di rassegnazione.
“Devo ricordarmi di non partecipare mai più a questi ritrovi.” Commentò seccato.
“Cosa ne dici?” Continuò Mike, tirandogli una lieve gomitata.
“La solitudine non è così male come si crede.”
“Ah no?”
“A volte si sta bene senza nessuna rottura e circondato solo dai propri pensieri.”
“Come?”
“Sei libero di fare quello che ti pare, di svegliarti quando vuoi, di mangiare tutto quello che preferisci, di uscire e viaggiare quanto ti pare e di non dover tenere conto di nessuno. Detta così sembrerebbe una pacchia, ma c’è l’altra faccia della medaglia e questa non è una parte così splendida.”
“Non avevamo dubbi.” Soffiò Brick.
“Ci sono delle sere, nere e buie, che ritorni a casa, ti chiudi la porta alle spalle e nessuno ti viene incontro, ti abbraccia e ti chiede com’è andata la giornata. Nessuno ti fa compagnia mentre mangi una pizza gelida, nessuno ti chiede di fare una passeggiata, nessuno ti sveglia perché ha avuto un incubo e ha bisogno che controlli se sotto il letto c’è un qualche mostro.”
“Abbiamo capito!” Ringhiò Mike, cercando di placare l’amico.
“Da qui ti trovi tre vie da percorrere.”
“Tre vie?” Chiese Scott, notando come Lightning si fosse interrotto a seguito dell’esclamazione di Mike e non avesse intenzione di proseguire.
“Quali vie Lightning?” Tentò Brick, fissandolo intensamente.
“Adesso v’interessa?”
“Un po’.” Ammise l’ex soldato, parlando anche in nome degli altri.
“E perché dovrei descriverle? Non mi sembra che abbiate mai ascoltato volentieri ciò che avevo da dire o che abbiate seguito alla lettera i miei consigli.”
“Da quando sei diventato così cattivo?” S’informò Mike, abbozzando un sorriso che fece sbuffare Lightning e che lo convinse a riprendere il suo discorso.
“La prima via è quella di cambiare vita: esci, conosci gente, ti diverti e con impegno ritorni a vivere.” Spiegò divertito, negando dinanzi a quella considerazione che non lo riguardava più di tanto.
“Poi?” Lo incalzò Duncan, ignorando la cameriera che era giunta a chiedere se andava tutto bene e se erano soddisfatti del servizio in cucina.
“La seconda via è quella che sta seguendo Scott: ti riempi d’impegni, cerchi di non pensarci e ti getti su un qualche hobby o sul tuo lavoro.”
“È una via sbagliata?” Chiese Brick, facendo sbuffare l’amico.
“Non esistono vie giuste o sbagliate: sei solo tu a scegliere quella migliore possibile.” Sospirò Lightning, abbassando la testa e afferrando alcuni snack che presto sarebbero finiti nel suo stomaco.
“L’ultima via?” Domandò Duncan.
“Esisti e basta.”
“Come?”
“Te ne freghi di quello che ti succede intorno, non ti preoccupi del giudizio altrui, ti lasci scivolare tutto addosso senza farti scalfire minimamente e ti abitui a portare una corazza che nessuno riuscirà mai a sopportare.”
“Ma non è un…” Tentò Scott, fermandosi di colpo.
“Un sacrificio? Una mossa stupida? Una scelta avventata? Non tutti sono fortunati come voi…qualcuno è costretto ad abbassare la testa e a lasciare che il mondo gestisca la propria felicità. E no…non è vero che  ognuno costruisce la propria felicità e che è in grado di tracciare da solo la propria via, splendendo per le sue conquiste. Queste sono solo bugie che servono a nascondere la realtà: la felicità di una persona, si basa sulle sofferenze di un’altra e quando questa piramide inizia a scricchiolare, ecco che si rovescia e quelli che sono sotto scalano qualche posizione. Francamente non m’interessa migliorare la mia situazione, non mi ci vedo proprio con una donna al seguito e con qualche moccioso a chiamarmi papà e, quindi, preferisco che le cose restino così come sono.” Spiegò sofferente, rialzando lo sguardo e gettandosi nuovamente sulla ciotola che aveva davanti.
“Ma tu…”
“E non voglio nemmeno dare gioia ai miei genitori.”
“Perché no?” S’informò Duncan.
“Perché loro si aspettano che io compi grandi imprese, che mi metta a tracciare una certa rotta, che mostri di che pasta sono fatto e che inizi a splendere come un Sole, ma non m‘interessa minimamente.”
“Ah no?” Sibilò Brick.
“Fino a quando starò bene in questa condizione, non vedo motivo di cambiare via.”
“Però…”
“Per ora sono preso dal cibo, non m’interessa nient’altro.” Ringhiò minaccioso, mentre gli altri si osservavano per nulla sollevati e lo lasciavano cuocere nel suo brodo.
Seppur Lightning fosse sempre stato considerato come lo stupido del gruppo, alla fine era sempre quello che ne usciva maggiormente a testa alta e che, con i suoi ragionamenti intricati, costringeva all’insonnia tutti i suoi amici.






Angolo autore:

Ryuk: Oggi siamo un po' in ritardo e anche la serie procede a saltoni.

Per mia fortuna mancano solo due aggiornamenti e poi mi riposo.

Ryuk: Sperando che non vi siano errori, vi salutiamo e vi auguriamo una buona settimana.

Alla prossima!
 

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Capitolo 21
*** Cap 21 ***


Quella serata pallosa era giunta al termine.
Quando Lightning aveva esagerato con il cibo e aveva avvertito i primi sintomi di una bella indigestione, solo allora avevano deciso di andare ognuno per la propria strada.
Brick si era offerto di accompagnare lo sfigato del gruppo, mentre Duncan avrebbe scroccato un passaggio dalla carriola di Mike.
Alla fine era sempre Scott quello che doveva tornarsene indietro in solitaria.
Stranamente, però, iniziava ad avere timore di quello che aveva detto Lightning.
Da quando aveva iniziato il suo corso di filosofia e si era innamorato di alcuni autori depressi tedeschi e francesi, ecco che se ne usciva con le sue idee esistenzialistiche.
Poteva sbagliarsi, ma se aveva consegnato quell’esame con i massimi voti un motivo doveva pur esserci.
Forse le scariche elettriche ricevute durante il reality di Chris avevano migliorato la funzionalità dei suoi neuroni, risvegliandoli e restituendo una persona più matura e pronta ad affrontare la vita.
Prendendo per valide le considerazioni di Lightning, ma calcolando comunque altre vie minori su cui poteva scivolare, lui quale tratto stava percorrendo?
Non gli pareva di essere sulla prima. Se fosse stato così, avrebbe rivisto allo specchio lo stesso sguardo che Duncan aveva assunto una volta metabolizzata la sconfitta contro Gwen.
Lo ricordava bene quello sguardo aggressivo e fiero che poco si conciliava con il riflesso che scorgeva verso le sei di mattina.
Per diventare così doveva ancora cancellare dalla sua testa Dawn e doveva pure dimenticarsi il suo nome e il suo aspetto, ma questo non era ancora successo.
Viceversa non era nemmeno sullo strapiombo del sacrificio.
Non stava esistendo e mai si sarebbe sognato di farlo.
Forse era sulla via migliore, anche se dubitava che vi fosse una scelta giusta e una sbagliata.
A vedere Lightning si poteva discutere per delle ore se la sua terza strada era effettivamente quella senza rischi, ma alla fine una sola cosa sarebbe stata giusta: dipendeva dalle persone.
Stanco di quella riflessione che lo aveva accompagnato per l’intero tragitto verso casa, si ritrovò verso mezzanotte nel suo letto con gli occhi ancora spalancati e con una notifica che l’avvertiva di una nuova rottura.
Nell’afferrare il cellulare, si rese conto che non era una così brutta notizia, anche se sua sorella poteva scegliere un momento migliore per festeggiare il suo compleanno.
Con tutto quello che aveva passato in quelle settimane, aveva quasi dimenticato tutto.
Solo quello stupido messaggino lo avvertiva che sabato prossimo era invitato nel ristorante preferito della sua famiglia e che avrebbe, quindi, dovuto recuperare il regalo che aveva nascosto dentro il suo armadio.
 
Era sempre stata una bella rottura quella di doversi preparare per una cena con i suoi genitori e con sua sorella.
Pretendevano troppo e, di sicuro, avrebbero rivangato di nuovo il passato.
Rivedere Alberta e rinnovarle la sua scelta per diverse volte non era stato del tutto sufficiente: sua madre avrebbe continuato a cullarsi in un’illusione che non si sarebbe mai realizzata e suo padre avrebbe brontolato sui sacrifici che erano stati fatti per quell’appartamento in cui stava vivendo.
E avrebbe dovuto ascoltare quella minestra anche quella sera.
Non erano bastate le sue minacce per starsene tranquillo.
Doveva proprio avvelenarsi per una questione che ormai era fin troppo lontana dal suo cuore.
In quella giornata aveva solamente, e scusate se è poco, incontrato un cliente insoddisfatto del progetto e che pretendeva per la decima volta in una settimana di apportare alcune modifiche alla struttura.
E una volta voleva la cucina e il salotto uniti in un unico open-space, poi cambiava idea e pretendeva una netta divisione.
Lo spazio vuoto comunicante con il corridoio principale era nato per essere uno studio, poi si era trasformato in un bagno, si era quindi evoluto in una camera per gli ospiti e infine si era adeguato a una semplice stanza per le sessioni di yoga.
Quella rottura non era proprio capace di accontentarsi.
Lui voleva che la sua casa brillasse, che fosse la migliore nell’arco di una decina di miglia, ma l’unica cosa che riusciva a fare era incasinare i documenti, far girare le scatole al signor Burns e inimicarsi un’intera ditta di costruzioni.
E ne aveva cambiati di galoppini quello sconsiderato.
Uno dei fedelissimi del signor Burns era arrivato anche all’esaurimento nervoso e si era dovuto assentare per qualche settimana, onde evitare una discussione in piena regola e una perdita di guadagno assai sostanziosa.
Quel fascicolo colmo di annotazioni, misure, cancellature, aggiunte era stato girato su almeno 5-6 scrivanie diverse e una mattina Scott si era ritrovato quel malloppo sul suo tavolo, con tanto di post-it che gli chiedeva di portare a termine quell’impresa titanica.
Si era incontrato con quel mostro che doveva avere ormai 50 anni suonati e non aveva cavato un ragno dal buco.
Il collega precedente, Scott lo poteva considerare un pignolo di prima categoria, era uscito pazzo pur di accontentarlo e doveva aver perso anche il sonno.
Quel piccolo ometto, fastidioso, petulante, vestito come un consigliere comunale era fatto della medesima pasta.
Era altezzoso, spavaldo, freddo come il ghiaccio e non si preoccupava di telefonare a ogni ora del giorno per nuove idee illuminanti. Guardando il tipo e consumandoci un pranzo insieme, Scott aveva intuito che era meglio staccarsi un po’ da lui.
Non doveva svolgere la figura materna di quello sfigato, né doveva farsi mettere i piedi in testa e rispondere sull’attenti non appena sparava qualche cavolata.
Scriveva, annuiva come un’ipocrita, ma non perdeva la ragione.
Voleva una casa dalle pareti azzurrine come il cielo? Sarebbe stato accontentato.
Voleva un bagno con gli accessori in oro zecchino? Non avrebbe menzionato delle eventuali rotture di scatole, qualora vi fossero state delle riparazioni future.
Desiderava un terrazzo magnifico in cui esporre le sue piante tropicali? Avrebbe sacrificato una parte della cucina pur di accontentarlo.
E se non gli andava bene, cosa di cui era praticamente certo, avrebbe scrollato le spalle e avrebbe ripreso in mano il progetto iniziale, ritrasformandolo in una versione aggiornata di quelle rilasciate dai suoi sventurati colleghi precedenti.
 
E ora che il lavoro era lontano, era disteso sul divano del suo salotto e stava riflettendo.
Conosceva a memoria i pericoli che avrebbe corso qualora si presentasse puntuale, ma altrettanto conosceva i rischi di un ritardo immotivato.
Volendo poteva presentarsi solo per il dolce, inscenando un impegno improvviso che avrebbe fatto scattare la sorella.
Da una parte si era inimicato sua madre, ma dall’altra rischiava di beccarsi un cazzotto anche da Alberta e forse anche da suo padre.
Scrollando le spalle e sbuffando infastidito, era scivolato fino in bagno, dove si concesse una veloce rinfrescata.
Uscito e avvoltosi nel suo accappatoio, si asciugò velocemente e si avviò verso la sua stanza, dove iniziò a visionare cosa mettersi per quella serata.
Scelti con cura tutti i vestiti, si girò verso la sveglia e iniziò a prepararsi con lentezza.
L’appuntamento era prefissato solo per le 19, ma nel parlare con sua sorella era molto meglio se si fosse fatto trovare nella loro vecchia abitazione con almeno una mezzoretta di vantaggio.
Doveva raggiungere la baracca, lasciare l’auto in strada, salire sul bolide che il padre avrebbe prestato ad Alberta e osservare il panorama che cambiava senza sosta e che si sarebbe arrestato per qualche secondo vicino alla metropolitana.
Tempo di notare Alberta sbracciarsi come una forsennata e sarebbero stati raggiunti dai genitori e da Lucas, appena scesi dal loro treno per una qualche commissione in periferia.
Di per sé non gli pesava stare in auto con la sua famiglia, anche se la guida di sua sorella non era proprio irreprensibile.
C’era sempre una qualche critica da rivolgerle e suo padre, almeno in questi frangenti, se la tirava molto.
Poteva rimproverarla sulla mancata precedenza, sul non aver fatto attraversare i pedoni o sul non essersi fermata per tempo al semaforo.
E come di consueto sua sorella scrollava le spalle, lo minacciava di farlo scendere e proseguiva con la sua guida spericolata.
Giunto con altri 10 minuti di anticipo sul tempo limite che aveva stabilito con Alberta, suonò al citofono e restò in attesa.
Sperava che sua sorella fosse pronta, che il treno fosse puntuale e che nessuno se ne saltasse fuori con strani discorsi.
Non era in vena di sbraitare e di andarsene molto prima del solito solo perché sua madre lo fissava con sguardo indemoniato.
Temendo quella possibilità, si sarebbe scelto il posto più lontano e avrebbe prestato la sua completa attenzione al piatto che avrebbe ordinato.
O era questo quello che aveva pronosticato, prima che la sorella aprisse la porta e frantumasse il suo innocente sogno.




Angolo autore:

Di solito non pubblico mai di domenica, ma questo è l'unico giorno libero che ho trovato per aggiornare.
Scusate se dopo 10 giorni, me ne esco con un capitolo così striminzito, ma avevamo poche idee e ben confuse.

Ryuk: L'ultima parte non sappiamo ancora quando uscirà, ma prima o poi troveremo le energie per finire anche questa serie.

Detto questo vi salutiamo e vi auguriamo una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 22
*** Cap 22 ***


“Sei arrivato prima del solito, fratellino.” Esordì Alberta, invitandolo a entrare.
“A quanto pare.”
“Sai…c’è un piccolo cambiamento alla mia festicciola.” Borbottò divertita, sistemandosi la collana di perle rosa che il fidanzato le aveva regalato per il secondo anniversario di fidanzamento.
“Non mi dirai che hai invitato qualche sciroccata del tuo studio, vero?” Chiese il rosso, studiando con calma tutti i suoi movimenti.
“Le mie colleghe non sono sciroccate.” Replicò seccata, difendendo le amiche, mentre lui si osservava intorno con circospezione ed entrava in salotto.
“Ah no?”
“Non intendo discutere durante il mio compleanno.”
“Qual è l’inganno?” Domandò Scott, chiudendo gli occhi.
“Nessun inganno.”
“Tu la vedi così, ma io sento puzza di bruciato e di sicuro non è l’odore delle frittelle annerite che papà ci propinava quando mamma era al lavoro.” Sbottò, ricordando quelle schifezze che finivano puntualmente nel bidone dell’immondizia.
“Mi ero dimenticata d’invitare una mia amica e lei, quando è venuta a sapere di questa mia svista, si è arrabbiata di brutto.”
“Continua.”
“Io tengo molto alla nostra amicizia e ho pensato che non fosse poi così faticoso prenotare un tavolo in più.” Spiegò Alberta, facendo sospirare il fratello.
“E io che centro?”
“Ovviamente dovrai accompagnarla con la tua auto.”
“Con la mia? Non c’è abbastanza spazio nell’auto di papà?”
“L’auto di papà è dal meccanico e la mia ha solo 4 posti.” Soffiò Alberta, avviandosi verso la sua stanza e chiamando la nuova seccatura che Scott sarebbe stato costretto a sobbarcarsi.
Nell’attesa, assai esigua, il rosso sperò che non fosse una cozza.
Che quella sconosciuta non si mettesse a fumare come una ciminiera, non riempisse di cenere la sua povera auto e non la trasformasse in una discarica di quart’ordine. Gli mancava soltanto lo scazzo di dover perdere un’ora domenicale a pulire la sua povera carriola con tanto di canottiera macchiata e taniche stracolme d’acqua e sapone.
Poteva anche sopportare l’aspetto esteriore, tranne che non si trattasse di un qualche cesso a pedali, ma non avrebbe mai tollerato una matta come Alberta.
E di certo non voleva nemmeno una capace di sfondargli i timpani, di parlare per delle ore delle sue manie e di rovinargli il breve viaggio fino al ristorante. Se proprio doveva scegliere, avrebbe preteso una sconosciuta che rimanesse zitta per via dell’impaccio di non conoscerlo e che rimanesse a fissare il panorama, senza aprire bocca e senza renderlo partecipe dei suoi sciocchi pensieri infantili.
“Che rottura di scatole.” Commentò nervoso, avvertendo i passi delle due ragazze.
“Ti chiedo soltanto di non rovinare tutto come al tuo solito.” Borbottò Alberta, sospingendo leggermente la sua ospite e aspettando che il fratello si girasse nella loro direzione.
“E perché non dovrei…” Tentò, ritrovandosi bloccato all’improvviso.
“Perché vederti tenere il muso per una serata intera sarebbe fastidioso.” Replicò Alberta, sfoggiando un ghigno impareggiabile.
“Tu?” Domandò Scott, scrutandola con attenzione e allontanandosi di qualche passo.
“Scott…io…”
“Che cosa ci fai tu qui?” L’assalì subito, fulminandola con lo sguardo.
“È lei l’amica di cui ti parlavo.” La difese Alberta, facendo negare il fratello.
“Come puoi essere amica di una così?” Ringhiò Scott.
“È mia amica perché la conosco bene e riporrei in lei la mia piena fiducia.”
“E avresti fiducia in lei dopo tutto quello che mi ha fatto?” Seguitò il rosso, mentre Dawn tentava di nascondersi dietro la figura rassicurante dell’amica.
“Te l’avevo detto Alberta che era una pessima idea.” Protestò la giovane, facendo sbuffare la festeggiata che si ritrovò ad alzare gli occhi verso il soffitto.
“Insomma voi due…questo è il mio compleanno e posso chiedere qualsiasi cosa.”
“Valeva solo fino a qualche anno fa.” Mugugnò il rosso, ricordandosi di quella sciocca promessa che aveva aleggiato fino a poco tempo prima.
Era una regola ufficiale, riconosciuta dalla signora Black secondo la quale i membri di una famiglia erano tenuti a rispettare ed esaudire il desiderio del festeggiato.
E per quella sera Alberta, che aveva già chiesto a sua madre di sistemare la sua stanza e a suo padre di apparecchiare la tavola, per Scott non aveva predisposto niente di meglio.
“Quando hai chiesto che mi facessi i capelli rossi come i tuoi, io ti ho accontentato e ora pretendo che tu faccia lo stesso.”
“Altrimenti?”
“Mamma non sarebbe felice di sapere che bruci ogni occasione.” Rispose fredda, sospingendo ancora un po’ l’amica e avviandosi verso l’uscita.
“Ma che cavolo…”
“Il treno arriverà con un pelo d’anticipo e non c’è bisogno che voi mi seguiate.”
“Eh?”
“Vi aspettiamo al ristorante.” Soffio tranquilla, sorridendo verso Dawn e lasciandoli finalmente soli.
Sentito il cigolio della porta, i due si fissarono per un breve istante e Scott si ritrovò a negare nervosamente e a scrollare le spalle.
Prima di ricominciare, preferì aspettare che fosse lontana.
Non voleva che la sorella sentisse ciò che aveva da dire, specie se la sua abitudine di origliare era rimasta intatta. Fu nel sentire i suoi passi scendere le scale che intuì d’essere al sicuro e di non avere più nulla di cui preoccuparsi.
“Che matta.” Commentò il rosso, abbozzando un lieve sorriso.
“Già.” Confermò Dawn, lasciandosi sfuggire un risolino appena accennato.
“È difficile credere che io sia imparentato con quella pazza.”
“Scott…”
“Ne combina di tutti i colori, ti fa disperare e poi ti schiaccia con la sua dannata furbizia.”
“Se non fosse così, non sarebbe tua sorella.” Mormorò la biondina, sperando di riuscire a calmare la negatività espressa dalla sua aura.
“Come sei riuscita a farti incastrare?” Chiese, abbozzando un sorriso che mitigò il tono acceso della sua anima.
“Le avevo solo confidato una mia speranza.”
“Una speranza?”
“Volevo rimanere sola con te e parlare come una volta.” Ammise sollevata, cercando di avvicinarsi per abbracciarlo, ma incontrando la sua opposizione.
“Alberta è sempre stata una ragazza speciale.”
“Hm?”
“Anche se non lo dà a vedere, si preoccupa tantissimo per gli altri e vorrebbe che tutti fossero sempre felici.”
“Questo l’ho capito, Scott.”
“Se vuoi, possiamo anche andare.”
“Così presto?” Domandò lei sorpresa per quel repentino cambio d’umore.
“Non sono molto tranquillo nello stare qui.” Ammise senza troppi giri di parole, andando a chiudere la finestra del salotto.
“Hai paura che ti salti addosso?” Soffiò maliziosa, facendogli scrollare le spalle.
“Non si sa mai.”
“E nonostante tu abbia paura, non sei curioso di riprovarci?”
“Che cosa cambierebbe?” Chiese, fissandola con rassegnazione.
“Se credi che non possa cambiare nulla, forse non devo dirti la verità.”
“Quale verità?”
“Ti ho mai mentito in questi anni?” Domandò Dawn per ulteriore conferma, facendolo riflettere.
“Non mi pare.”
“Riguarda quella sera.”
“Preferirei non sentire più nulla di questa storia.” Gracchiò nervoso, invitandola ad avviarsi verso la loro nuova destinazione.
 
Saliti in auto, Scott spense immediatamente la radio e si apprestò a scegliere il tragitto migliore per raggiungere il ristorante.
Il centro, specie a quell’ora, era sconsigliabile e la provinciale era incasinata per via di alcuni lavori che stavano rallentando il traffico.
L’unica strada che gli restava era quella che passava vicino alla metropolitana e che, tirando dritto per ancora qualche miglia, gli avrebbe permesso di scorgere il ristorante.
Avrebbe potuto optare anche per l’autostrada, ma gli sembrava un po’ troppo eccessivo per un viaggio di 20 minuti scarsi.
Erano già passati una decina di minuti abbondanti e l’abitacolo era rimasto vuoto da ogni parola.
Scott rimuginava sul fatto di ritrovarsi da solo con la sua ex, mentre quest’ultima si chiedeva se fosse saggio, per il proseguimento della serata, dire la verità.
Poteva vivere con il peso di aver mantenuto il segreto?
Poteva vivere senza il suo Scott?
Ci aveva provato per qualche tempo, ma ora il peso era ingestibile e aveva bisogno dei suoi baci e delle sue attenzioni, per ritornare a essere felice.
“È stato Beverly a baciarmi.” Esordì lei, facendo sussultare il ragazzo che aveva rischiato quasi d’investire un ciclista.
“Eh?”
“Quando sei rientrato in anticipo da quel progetto, tu hai visto quel famoso bacio, ma in verità è stato Beverly a obbligarmi.”
“Cosa?” Chiese ancora frastornato.
“Non ho mai voluto tradirti.”
“Però…”
“Ho provato a divincolarmi, ma era troppo forte.” Borbottò dispiaciuta, abbassando il capo, mentre lui assaggiava quelle strane parole.
Restò ancora un po’ in silenzio e poi, superato un semaforo, notò una piazzola di sosta dove di solito si fermavano alcuni taxi fuori servizio.
Guardando l’ora e tutto il resto, era chiaro che nessuno avrebbe avuto da ridire se loro avessero usato quello spiazzo per pochi minuti.
“Io…”
“Eri sconvolto da quello che avevi sotto il tuo naso e non ti eri accorto di tutto il contorno.”
“Ma…”
“Quello lì ha iniziato a guardarmi, a farmi dei complimenti che non ho colto per tempo, a toccarmi e poi mi ha baciato.”
“Dawn…”
“Mi ha fatto così schifo, mi sono sentita usata.”
“Mi spiace.” Mormorò nuovamente, interrompendosi senza riuscire a trovare nessuna parola di conforto.
“Sapevo che lo odiavi e ti giuro che se avessi saputo cosa sarebbe successo, non gli avrei aperto nemmeno la porta.”
“Io…”
“Dopo che mi hai mandata via, avrei tanto voluto vomitare. Mi sentivo sporca e non trovavo nulla che potesse darmi un minimo di conforto.”
“Mi dispiace.” Si scusò Scott, abbassando la testa e colpevolizzandosi per quella presa di posizione esagerata e fuoriposto.
Se solo l’avesse saputo non l’avrebbe mai incolpata così tanto e di certo non si sarebbe mai sognato di sbatterla fuori di casa, costringendola a trovarsi un posto in cui passare la notte.
L’avrebbe semplicemente abbracciata, l’avrebbe coccolata un po’ e avrebbe pensato cosa fare per risolvere la faccenda.
Sarebbe stato capacissimo di chiamare Duncan, di organizzare una serata punitiva e di picchiare Beverly fino a quando non gli fosse entrata nella zucca una verità assoluta: Dawn era la sua donna e lui non poteva più avvicinarsi in nessun modo.
“Nella mia più grande sfortuna, quella riguardo al bacio, ho avuto anche un po’ di fortuna.”
“Davvero?”
“Quando mi ha stretto e mi ha baciato, ho iniziato a temere per quello che sarebbe successo poi.”
“Tu…”
“Avevo paura che si approfittasse di me e di certo non avrei mai avuto il coraggio di guardarti negli occhi, se avesse esagerato e non fossi rientrato in anticipo.” Borbottò triste.
“Perché non me l’hai detto subito?” S’informò, guardandola serio e cercando di trovare una risposta che aveva, però, già trovato.
“Perché non me ne hai dato il tempo.” Si scusò, asciugandosi gli occhi.
“E gli altri giorni?”
“Eri troppo arrabbiato per ascoltarmi e di certo non mi avresti mai preso sul serio.”
“Io…”
“Avresti creduto che ero una disperata in cerca di una scusa valida per sistemare le cose.”
“Ma…”
“Mi avresti riso in faccia, mi avresti fatto sentire una schifezza e probabilmente non sarei nemmeno più a questo mondo.”
“Stavi meditando il…” Tentò, interrompendosi subito.
“Se non potevo vivere con te che cosa m’importava di questa esistenza?”
“Non dirlo neanche per scherzo.” La rimproverò nervoso.
“Perché dovrei accettare di vedere tante coppie felici, mentre io mi sento così vuota?”
“Ma…”
“Ho preferito addormentare questo senso d’inquietudine per non ritrovarmi a compiere azioni impensabili.”
“Tu davvero sei disposta a tanto?” Chiese preoccupato.
“Te lo ripeto Scott: perché devo accettare di vivere lontana da te, se sei la mia unica ragione di vita?”
“E la tua famiglia e i tuoi amici?” S’informò nervoso.
“Non capisci che sei l’unico che ha sempre riempito il mio cuore?” Sbottò, facendolo sussultare e arrossire.
“Dawn…”
“Se sono stata lontana da te era solo per calmarmi un po’.” Ammise, rialzando lo sguardo a fissarlo.
“Questo l’ho capito, anche se è strano che tu abbia mentito alla tua famiglia.” Soffiò con un pizzico di rabbia che scemò all’improvviso.
“Volevo proteggerti.”
“Proteggermi?”
“Se avessi detto loro la verità, ne avrebbero sofferto un mondo. Ti avrebbero accusato di non aver fiducia in me e non te la saresti cavata con così poco.”
“Dicendo che non c’era più sintonia hai salvato la situazione.” Tentò Scott, sperando di trarre la giusta conclusione.
“Tu, però, hai sparato a zero e mi hai fatto passare come una bugiarda.”
“Mi spiace.”
“Con tutti i sacrifici che le nostre famiglie hanno fatto per il nostro appartamento e per vederci felici, non volevo che sapessero tutta la verità.”
“E quindi dovrei essere io a chiederti scusa.”
“E per cosa Scott?”
“Sono stato troppo affrettato e ne ho tratto la soluzione peggiore, ma prova a capirmi. Tu eri il tesoro più prezioso che avevo e non sopportavo l’idea che qualcuno ti avesse portato via da me.”
“Se vuoi, posso essere ancora il tuo tesoro.” Bisbigliò lei, facendolo annuire.
“Giuravo di non sbagliare e di avere fiducia, ma come faccio a vivere con te, se dubito di ogni tua promessa? Finirò con il commettere uno sbaglio dietro l’altro.”
“Siamo più simili di quanto non sembri.” Obiettò lei, facendolo sospirare.
“Ma…”
“Capita a tutti di essere avventati.” Lo rincuorò, poggiandogli una mano sulla spalla e notando come la sua aura stesse mitigando il suo comportamento.
“Non è una spiegazione valida: dovevo mandare via quel maledetto, ascoltare ciò che avevi da dirmi e solo allora dovevo prendere una decisione.”
“Scott…”
“Ti ho riconfermato, una volta di più, quanto io sia affrettato nei miei giudizi.”
“È per questo che hai accostato?” Domandò, perdendosi nei suoi occhi grigi.
“Tu non dovresti piangere.” La rimproverò, sentendo un nodo in gola
“Piango perché non potrò più averti con me.”
“E chi lo dice?” S’informò, riuscendo a vincere sul suo orgoglio e carezzandole una guancia.
“Scott…”
“Ripetilo…adoro quando pronunci il mio nome.”
“Che cosa accadrà ora?” Chiese lei preoccupata.
“Nulla che non ti dispiaccia.” Borbottò enigmatico, facendo scivolare la mano destra dietro il suo collo e avvicinandola per baciarla dopo tante settimane, se non mesi, d’isolamento.
 
Ora che si erano ritrovati, sembrava chiaro che non si sarebbero più lasciati.
La gioia che traspariva dagli occhi di entrambi era sufficiente per ricomporre tutti i pezzi.
In silenzio, persi l’uno nello sguardo dell’altro, era evidente che potessero riprendere da dove si erano interrotti.
Alternando baci e carezze, furono interrotti solo dalla telefonata di Alberta che voleva sapere dove si fossero cacciati.
E scambiandosi un sorriso e una serie di battute, si ripromisero di ritornare a casa insieme.
Tutta la cena era scivolata via in quel modo.
I loro sguardi, i loro allontanamenti furtivi e alcune carezze non erano passate inosservate e dentro di sé, la cara vecchia Alberta, sentiva che quello era il regalo migliore che avesse mai ricevuto. Migliore perfino di quel cd che suo fratello aveva comprato con fatica e che sarebbe finito per ingrandire la sua già nota collezione.
E mentre li osservava andare via in una serata carica di stelle, sentiva che non c’era più nulla che potesse intralciare la loro felicità.
Si sarebbero lasciati i problemi alle spalle, si sarebbero amati per tutta la notte, sarebbero tornati a vivere insieme, ma non si sarebbero resi conto che, lasciandosi finalmente andare, avevano compiuto un passo importante verso il loro sogno più grande.
Avevano litigato, si erano divisi, erano cresciuti, avevano capito i rispettivi sbagli, sgretolando l’ultimissima barriera che li separava.
E seppur Dawn si sentisse fuoriposto e non avesse nulla da indossare, Scott aveva estratto il costume da infermiera sexy comprato fuori città e, dopo aver sconfitto le prime paure, i primi segni di disagio e l’inesperienza, s’accarezzarono e spensero la luce su quel bel giorno, risvegliandosi nudi e stretti in un abbraccio che sarebbe durato per sempre.
 


Angolo autore:

Ryuk: Siamo lenti peggio dei bradipi.
Che ci vuoi fare...non abbiamo un momento libero.
E a proposito di momenti...finalmente sta storia ha avuto fine. Non avete idea di che fastidio provavo nel pubblicare questa serie solo per far felice Ryuk.

Ryuk: Ora che si fa?

Ora andremo avanti con la nostra lentezza.
Tu farai i tuoi progetti, io farò i miei e la prima serie completa uscirà senza ripensamenti.
Detto questo vi saluto, vi ringrazio per l'appoggio dimostrato in questa serie e vi auguro un buon proseguimento (chissà quando ci rivedrete).

Ryuk: Prevedo nel 2090.

Con i nostri ritmi è una data fin troppo ottimistica.
Alla prossima!
 

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