Pancakes a colazione

di StephEnKing1985
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22. ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. ***
Capitolo 26: *** 26. ***
Capitolo 27: *** 27. ***
Capitolo 28: *** 28. ***
Capitolo 29: *** 29. ***
Capitolo 30: *** 30. ***
Capitolo 31: *** 31. ***
Capitolo 32: *** 32. ***
Capitolo 33: *** Epilogo. ***
Capitolo 34: *** Due parole dall'autore ***



Capitolo 1
*** 1. ***


1.

 

 

 

Brian aprì gli occhi nella stanza immersa nella penombra del primo mattino, illuminata solo dalla luce diafana delle prime ore del giorno. Accanto a lui, Corrado dormiva profondamente. Ancora mezzo addormentato, l’osservò per un momento: il ragazzo dormiva con il braccio sinistro sotto il cuscino, come se si sorreggesse la testa. Le gambe erano divaricate, ma non abbastanza da togliergli spazio.

Osservò la piccola foresta di pelo sul suo petto carnoso, ed i capelli, che da castani stavano iniziando a perdere il pigmento originario, diventando grigi. La mano destra era mollemente poggiata sul fianco, in direzione del bassoventre, dove sotto al tessuto dell’intimo, c’era un rigonfiamento promettente.

Invogliato da tale visione, Brian si avvicinò al suo ragazzo, gli prese il braccio destro e gli scivolò sotto, aderendo con il sedere al rigonfiamento, quindi armeggiò per abbassarsi le mutande. Dietro di lui, Corrado dormiva ancora, come un angioletto in sovrappeso.

Continuando ad armeggiare, Brian sbuffò, quindi si girò nuovamente e lo guardò. La voglia era ancora tanta, ma Corrado sembrava non reagire. Sospirando pensò che magari per quella mattina si sarebbe potuto accontentare di un giochetto innocente.

Scivolò sotto il piumone come un’anguilla.

Ancora mezzo addormentato, Corrado si svegliò del tutto quando si sentì bagnato dalle parti del suo pene. Accortosi di cos’aveva causato quella sensazione, si mise a ridacchiare imbarazzato.

- Amore… no, dai… - biascicò, cercando di sottrarsi al gioco del suo ragazzo.

- Dai tu… – mormorò Brian da sotto la coperta – …lasciami giocare. E poi tu sei eccitato, quindi…! –

- Sì ma devo andare a pisciare, scemo… è per quello che sono dritto. – sentenziò con una risatina, mentre carezzava i capelli biondi e arruffati del suo boyfriend, che lo ignorò bellamente.

Cercò di sottrarsi al giochetto di Brian chiudendo leggermente le gambe salvo poi riaprirle per paura di soffocare il fidanzato, desiderando che smettesse prima che la troppa eccitazione gli impedisse definitivamente di urinare in un secondo momento.

- Amore…? Dai, mi lasci andare a fare la pipì? Se continui così non riuscirò più a farla. –

- Uffa… - Brian smise di dilettarsi nel suo giochetto, sbuffando e passandosi il dorso della mano sulle labbra. Guardò il suo ragazzo con un’espressione leggermente imbronciata.

Corrado gli andò vicino e lo prese a sé, ma Brian gli si sottrasse.

- Non stavi andando male, comunque… - disse, in una voce bassa e sensuale che Brian non mancò di apprezzare. Il ragazzo biondo allora gli si accoccolò addosso, e Corrado lo baciò dolcemente sulle labbra.

- Buongiorno, cucciolotto mio – lo salutò.

- Buongiorno, cucciolone mio – rispose Brian, allungandosi su di lui come un gatto. Lo guardò da sotto con un sorriso.

 

Da un paio d’anni a quella parte, Brian si era abituato al fatto che il suo uomo avesse in mente altro, oltre al sesso. In tutto quel tempo non erano certo mancate le occasioni per farlo (eccetto i periodi in cui Corrado era in trasferta per via del lavoro), però, semplicemente, non era successo.

E Brian avrebbe dato chissà cosa affinché accadesse, mentre si chiedeva se l’attrazione, il desiderio e la complicità fossero ancora presenti nel loro ménage.

Da parte sua, Brian li provava nei confronti di Corrado, ma quest’ultimo forse non era dello stesso avviso. Un po’ di tempo prima avevano anche affrontato l’argomento, ma era stata una vittoria a metà: alla domanda di Brian “ti interesso ancora?”, Corrado aveva risposto di sì, ma aveva anche aggiunto che fare l’amore con lui era una cosa talmente bella e unica che, temeva, si sarebbe sciupata facendola troppo spesso.

Lì per lì Brian si era sentito lusingato da tale eleganza, ma questa non bastava a soddisfare i suoi bisogni fisiologici e, ancor di più, il suo bisogno di sentirsi ancora desiderato da un ragazzo.

Come uscire da quella situazione? Apparentemente non c’era via di fuga, a meno di non voler tradire Corrado. Ma quella era una strada che Brian non avrebbe mai voluto percorrere: tanto casino non valeva un po’ di sesso, e a Brian il casino non era mai piaciuto.

Però i momenti in cui avrebbe accettato volentieri dei casini (tipo un partner sessuale innamorato di lui che gli si presentava sotto casa facendogli una scenata come aveva fatto Carlo, il suo migliore amico) pur di sentirsi soddisfatto non erano mancati, dal momento che Corrado sembrava vivere in un mondo tutto suo.

 

Seduto al tavolo di cucina, Brian stava spalmando Nutella su alcuni waffles appena sfornati, mettendoli poi su un piatto. Poco dopo udì il rumore dello scarico dell’acqua e la porta del bagno che si apriva, rivelando Corrado ancora in canottiera e mutande che si stiracchiava, avvicinandosi al tavolo.

- Mmm…! Che profumino di waffle! –

- Fatti da me in persona, non te lo dimenticare. –

- Ah, che bello avere un fidanzatino come te… bello, dolce… e anche bravo a cucinare! –

- Scommetto che è l’ultima la qualità più importante per te, vero? –

Mentre masticava, Corrado fece l’occhiolino e rispose – Ci puoi scommettere, baby. –

Brian rise dell’espressione soddisfatta di Corrado, con le labbra sporche di nutella. Fece per asciugargliele con un tovagliolo, ma poi si trattenne e andò direttamente a baciargliele.

Corrado rispose al bacetto, sporcandogli a sua volta le labbra.

- Dovremmo provarlo qualche volta a letto. Lei che ne dice ingegnere? –

- Dico che ha avuto un’ottima idea, Signorino. – rispose, quindi riprese a mangiare i waffle, godendoseli in silenzio, mentre Brian lo guardava.

Allora Brian allungò un piede sotto il tavolo, andando ad accarezzare la gamba di Corrado.

- E che ne direbbe di provarla subito…? –

Corrado ridacchiò, mentre finiva l’ultimo waffle e beveva il caffè. – Mi piacerebbe… ma devo scappare a lavoro. Riunione importante, oggi. Non ti dico che palle… -

Brian sospirò, alzandosi dalla sedia.

- Mi dispiace, amore. –

- Non preoccuparti – rispose solamente – il lavoro è lavoro. –

Corrado gli andò vicino e gli regalò un bacio su una guancia e poi sulle labbra.

– Ehi. Brian. –

Brian lo guardò.

- Lo sai che ti amo, vero? –

- Sì. –

- Tu mi ami? –

- Sì. Uomo impegnato. –

Corrado sorrise, quindi lo prese a sé e l’abbracciò dolcemente, andando a baciargli il collo. Brian abbracciò forte il suo ragazzone, godendosi le sue labbra calde ed il suo profumo.

- Stasera cerco di tornare presto, così magari ci si diverte – sussurrò in un orecchio, quindi Brian gli saltò letteralmente addosso, aggrappandosi a lui come un koala.

- Io ti voglio adesso – mormorò, baciandolo. Corrado rispose ai baci, ma non si lasciò corrompere da tanto impeto. Brian allora saltò giù da lui e gli sorrise civettuolo.

- Vado a vestirmi, altrimenti andrà a finire che mi licenzieranno – mormorò Corrado con un sorriso.

 

- Aspetta amore! – esclamò Brian, mentre Corrado apriva la porta d’ingresso.

- Cosa c’è? –

- Stavi dimenticando l’alimentatore – rispose Brian, porgendogli il cavo bianco del suo portatile.

- Ah già! Grazie amore. Meno male che ci sei tu…! –

Brian gli sorrise. Corrado lo premiò con un ultimo bacio, quindi lo salutò ed uscì di casa.

Rimasto solo, Brian andò in bagno. Si guardò allo specchio, valutando se farsi la barba o meno, quindi andò a sedersi sul water. La voglia era ancora tanta, quindi doveva trovare qualcosa per soddisfarla. Si alzò dal water e andò a sedersi sul divano, dove sul tavolino era poggiato il suo portatile.

Fece volare i tasti sulla tastiera, collegandosi ad un sito.

E anche oggi, mi tocca fare a mano, pensò, mentre sceglieva un filmino e dava sfogo alla sua voglia insoddisfatta.

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.

 

 

 

La palestra era come al solito piena di gente. In mezzo al chiacchiericcio ovattato tipico dei luoghi di ritrovo, c’erano anche le voci di Brian e di Carlo, il suo migliore amico, che gli stava raccontando dell’ultimo incontro fatto con un ragazzo.

- …Poi niente, la serata è finita – disse Carlo, tagliando corto un lungo discorso che lo vedeva protagonista insieme a un altro ragazzo.

- Finita? – domandò Brian – Ma perché? –

- Eh, sapessi…! –

- Dai dimmelo. –

Sospirando, Carlo scese dalla panca e prese fiato, controllando i muscoli per un momento. Poi guardò Brian.

- Sai cos’ha avuto il coraggio di chiedermi quando siamo usciti dal locale? –

- No, cosa? –

- A parte che era un locale di merda-piccolo e in periferia, quando siamo usciti ha avuto il coraggio di chiedermi la mia parte. Ma dico ti rendi conto? –

- Ahahah! Ma dai! – rise Brian, portandosi le mani ai capelli.

- Sì, sì! Non è una cazzata! – esclamò Carlo con gli occhi fuori dalle orbite.

- E tu cos’hai fatto? –

- Eh, niente… ho aperto il portafogli, gli ho dato la sua parte e poi gli ho detto che avevo sonno e che dovevo andare a casa. Dopodiché l’ho bloccato e cancellato da ogni possibile contatto. Ma ti pare? –

- Purtroppo alcuni sono così. –

- Già, peccato che ad essere così siano sempre i più scopabili… perché i cessi magari la cena te la pagano, però poi tu non glielo dai lo stesso. Eh…! È la grande contraddizione di noi zitelle, cara: non si avvicinano gli uccelli, ma solo gli spaventapasseri. –

Brian si alternò con lui a fare i pesi sulla panca, passando dal braccio sinistro al destro. – Quindi non ci sei andato a letto? –

- Ma sei fuori?! Certo che no! Ma tu ci saresti andato?! Con uno che ti chiede la tua parte della cena? –

Per quella che era la sua voglia di sesso in quel momento, Brian non solo avrebbe pagato la sua parte, ma una cena intera a chiunque gliene avesse offerto un po’. Ma una risposta del genere avrebbe inevitabilmente servito a Carlo un boccone prelibato su cui affondare le sue fauci pettegole e distruggere la sua relazione, insinuando che Corrado non lo toccava più e che quindi erano sull’orlo del baratro. Carlo faceva un po’ lo stronzetto, però era una persona intelligente e sagace. Brian pensava che era proprio per quel suo carattere forte e deciso, che rifiutava di sottomettersi a certe dinamiche, che era single da più di dieci anni. Che ricordasse, era stato con un uomo molto più grande di lui quando aveva diciannove anni, ma poi l’aveva lasciato. Tuttora Carlo oscillava tra il desiderio di libertà e quello di fermarsi, senza accorgersi che l’uno alimentava l’altro.

 

- Tanto, figurati se per me è un problema trovare da scopare. Ho Whatsapp che esplode di messaggi. Se mai ho il problema opposto! –

- Coraggio, prima o poi capiterà anche a te quello giusto, com’è successo a me. –

- Be’, mia cara… tu non fai testo – rispose Carlo con una risatina di sufficienza. – Tu hai messo il lucchetto al sederino già quando avevi diciotto anni e ti vedevi con “lo studente del politecnico”. Ahahah! –

Brian gli fece una linguaccia scherzosa.

- Mentre io e le altre giovincelle rampanti saltavamo da un letto all’altro, ignare che saremmo un giorno diventate delle carampane arrapate. Ahhh, bei tempi quelli! – disse, con un’enfasi che tradiva a malapena il suo passato di attore teatrale.

- Ma smettila – lo rimbeccò Brian, alzandosi e dirigendosi verso il tapis roulant, seguito dall’amico – Sei ancora giovane, hai appena un anno in più di me! –

- Tu invece più di me hai un fidanzato, stellina mia. –

- E con questo? -

Prima di rispondere, Carlo assunse un’espressione corrucciata, poi gli poggiò la testa sulla spalla, fingendo un pianto disperato. – Ti invidio!!! –

- La verità mia cara, è che non sei capace di stare senza sparare una sentenza per più di dieci secondi, figuriamoci se sei capace di tenerti un ragazzo per più di dieci anni come ho fatto io. -

- A volte sei proprio stronza, cara – ribatté Carlo, sculettando.

- Se m’invidi così tanto, perché allora non te ne scegli uno e lo eleggi a tuo ragazzo? –

- Per due buone ragioni: la prima, perché non voglio arrivare a quarant’anni e rimpiangere tutte le scopate che avrei potuto farmi… -

- E la seconda? –

- La seconda… è che è davvero difficile trovare qualcuno che lo sappia fare bene, al giorno d’oggi. –

- Pfui – sbuffò Brian – Non c’è solo quello, nella vita di coppia. C’è anche altro. –

- Lo credo bene… altrimenti tu come faresti a stare insieme a Corrado? –

- Che intendi dire, scusa? –

- Beh… sei fidanzato con un essere che difficilmente potrebbe essere fidanzato, nel nostro ambiente. Di solito i tipi come lui, che non sanno nemmeno cosa sia la palestra, restano da soli. O si accontentano di rottami come loro. -

Brian pensò al suo Corrado, che mal sopportava l’ironia e l’esuberanza di Carlo. Alcune volte era stato ospite a cena a casa loro, a volte da solo, altre volte accompagnato da improbabili futuri fidanzati, e ogni volta Brian aveva dovuto vedere il suo ragazzo sbuffare o evitare di parlare al suo migliore amico perché altrimenti l’avrebbe mandato a quel paese.

Ovviamente Brian gli aveva detto che se non gli piacevano le sue osservazioni, poteva benissimo mandarlo a quel paese. Nella sua saggezza, Corrado gli aveva risposto semplicemente “Mai discutere con un deficiente, perché ti trascina al suo livello e ti batte con l’esperienza”, tuttavia tradendo i sintomi di un nervoso che a malapena riusciva a calmare da solo.

- Sei troppo severo con Corrado – rispose pacatamente Brian – Mi piacerebbe sapere cos’è che non ti piace in lui. –

- Non mi piace che un bel ragazzo come te abbia perso tutto quel tempo dietro ad uno come lui! Tu puoi avere di meglio tesoro mio, però ti piace la ciccia! E ancora non capisco perché. –

Brian ridacchiò – Sarà perché a me piacciono i ragazzi che magari non sanno cosa sia una palestra e non hanno la tartaruga scolpita sul torace, però pagano i conti e sono gentili e cortesi. –

Per tutta risposta, Carlo fece una faccina disgustata come espressione di sufficienza.

 

Più tardi, nello spogliatoio, Brian incominciò a vestirsi, infilandosi i jeans e la camicia. Incontrò il suo sguardo nello specchio, vedendo un bel ragazzo giovane, biondo e atletico, che avrebbe potuto avere tutti gli uomini che voleva. E invece…

Invece reggo il gioco a Corrado, che non è nemmeno capace di coccolarmi un po’ la mattina quando mi alzo. Ok la gentilezza e la cortesia, ma anche un po’ di sesso non ci starebbe male.

Fece un sospiro a quel pensiero, quindi si sentì toccare il sedere. Era Carlo, che con ancora l’accappatoio addosso, si stava avvicinando per asciugarsi i capelli.

- Conosco quell’espressione – disse, con l’aria di chi la sapeva lunga – è l’espressione di una che ne prende troppo poco. –

Brian non rispose, limitandosi ad allontanarsi.

- Anche se non me lo dici, lo so benissimo che il tuo ragazzo non ti da le attenzioni che meriti. Con quella pancia, gli viene dritto almeno? –

- Uff… Certo che sì. Però… -

- Però…? – domandò, abbassandosi come un avvoltoio che plana in volo su una carogna.

- Però… non è quasi mai il momento giusto, per lui. –

- Ah-ha! E lo sapevo! Lo sapevo, lo sapevo lo sapevo e lo sapevo! –

- E’ sempre impegnato, dietro al suo lavoro… e io … io mi annoio, ecco. –

Carlo fece spallucce – Perché non ti fai un amante? –

- Vorrei evitare di arrivare a quello, Carlo. –

- Perché, scusa? Io me la sono sempre cavata benissimo…! –

- Se pensi che farsi lasciare tre volte perché hai fatto le corna sia cavarsela benissimo, allora sì, te la sei sempre cavata benissimo. –

- Bah – biascicò Carlo – Se un ragazzo non ti da’ quello che vuoi, il minimo che puoi fare è cercare di voler bene a te stesso. –

E lì Carlo ricominciò con la solita tirata sul fatto che avere un fidanzato è importante, ma è anche importante il feeling tra due persone, che certi bisogni non si possono trascurare e via dicendo… discorsi a cui Brian era anche fin troppo abituato e che conosceva a memoria, ma che non avevano mai avuto alcun effetto su di lui, né sulla sua relazione. Erano solo parole. E poi Corrado gli voleva bene, non certo come gli spasimanti di Carlo, che lo trattavano per quello che era: un ragazzo che seguiva i suoi istinti. E loro seguivano i loro.

Ma era davvero così deleterio seguire i propri istinti in costanza di una relazione?

Sarebbe stato davvero così grave se Brian avesse provato attrazione verso un altro ragazzo e ci fosse finito a letto?

Domande a cui Brian non aveva mai trovato risposta, e che in quel momento si affrettò a scacciare dalla mente, mentre allacciava le scarpe e si preparava ad uscire dalla palestra insieme a Carlo.

 

- Sabato saresti libero? – domandò Carlo, mentre erano entrambi nella sua macchina, una Fiat Cinquecento viola. Brian lo guardò.

- Tu e Corrado, intendevo. Siete liberi? –

- Corrado credo sarà in trasferta per lavoro. Sta seguendo una start-up a Bologna… sarà circondato da giovani imprenditori. –

- Ottimo – rispose Carlo – Propongo allora di andarcene in disco. –

- Non è che mi vada tanto – rispose Brian, facendo spallucce.

- Perché no? Mi ha invitato uno che devo conoscere. Così, per non andarci da solo… -

- Hm… -

- Pensaci, mentre ti riporto a casa. –

 

Arrivati a casa di Brian, Carlo fermò la macchina.

- Allora fammi sapere qualcosa, ok? –

- Sì, va bene. Ci penso e ti so dire. –

- Hasta luego…! – lo salutò, nella sua madrelingua. Difatti Carlo in realtà era il nome italianizzato di Carlos, di origine argentina come lui.

Una volta salutato l’amico, Brian entrò nel cortile che portava ai palazzi. Mentre apriva il portone d’ingresso, l’occhio gli cadde sulla guardiola della portineria.

Hm. La signora Visentin ha chiuso presto, stasera, pensò, mentre raccoglieva la posta dalla buchetta delle lettere e prendeva l’ascensore.

 

A sera, dopo una cenetta molto leggera per Corrado e una pizza per Brian, i due si ritrovarono sul divano come al solito. Brian accosciato sulla penisola, e Corrado comodamente seduto con la testa appoggiata alla testiera. Molto vicini, nella diafana luce del televisore che trasmetteva un film in streaming, Titanic. Brian amava quel film. Corrado invece era più preso dai film di fantascienza o dagli horror, per cui era prevedibile che sonnecchiasse. Brian gli buttò uno sguardo con la coda dell’occhio, vedendo che il suo ragazzo aveva chiuso gli occhi e se ne stava a testa bassa, come se fosse pentito o in meditazione profonda.

E fu allora che a Brian venne un’idea furbetta.

Cercando di muoversi il meno possibile, allungò il piede destro verso Corrado, fino a metterglielo sotto il naso. Sentì il respiro di Corrado sulle dita, poi lo vide che apriva gli occhi e si svegliava di soprassalto, allontanando il naso.

- Ma che…?!? – a quell’esclamazione, Brian rise a crepapelle.

Corrado lo guardò truce per un istante, ma poi rise anche lui. – Che scherzo cretino – aggiunse.

- Ahahah! Eri talmente beato che ho voluto guastarti la festa – disse Brian, avvicinandosi. Corrado lo prese a sé e lo baciò, mentre il film andava avanti.

- Ho avuto una giornata pesantissima, amore… -

- Lo so – rispose Brian – Per questo ho messo Titanic. Così puoi dormire beatamente. –

- Hmmm… grazie… amore. –

Brian gli si accoccolò ancora di più, tornando a guardare lo schermo, pacificamente accomodato contro il petto del suo ragazzo, mentre si godeva il suo respiro attraverso i capelli.

E così, anche per quella serata non c’era stato niente, a causa dell’abbiocco di Corrado. Però a Brian non dispiacque stare con la testa appoggiata al suo petto mentre gli accarezzava i fianchi. Un modo come un altro per volergli bene, che alla fine funzionava sempre.

Ma fino a quanto sarebbe andato bene…?

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.

 

 

Sabato sera arrivò in un lampo. Brian era ancora indeciso su cosa mettersi per non sembrare in cerca di fidanzato, però era davvero difficile scegliere, dal momento che ormai anche i single per andare in discoteca si vestivano come per andare al mercato, quindi non venire abbordati sarebbe stata essenzialmente una questione di fortuna. Sul letto matrimoniale che condivideva con Corrado, erano sparsi un sacco di vestiti: pantaloni neri, giacche, camicie di seta, di cotone… tutta roba da fighetti, come avrebbe detto sua madre.

Provò una camicia di seta con un paio di pantaloni neri.

- Nah – disse, sbuffando – sembro un apprendista agente immobiliare. –

Buttati quelli, provò a mettersi una maglietta bianca abbinata a una camicia a quadrettoni, da portare rigorosamente aperta.

- Sarebbe perfetta per una serata a tema ursina, però non è proprio il caso. -

Poi fu la volta di una maglia lunga da pallacanestro.

- Cazzo! Ma davvero ho comprato io questa roba?? – esclamò, mentre se la toglieva e rimaneva con il bianco torace scoperto.

Mentre cercava qualcos’altro da mettersi, si soffermò a contemplare la sua figura riflessa nello specchio appeso al muro: dietro di lui c’era l’armadio con le ante laterali a specchio, che riflettevano l’immagine di sé stesso, visto di spalle.

Una pelle bianca come la sua era come la tela di un pittore per Claudia, la sua tatuatrice di fiducia, che aveva firmato le tre stelline sul bacino ed il motivo tribale alla base della schiena, oltre alla chiave di violino che aveva sul braccio destro.

C’era però un’altra cosa disegnata sul suo corpo… una cosa che nessun tatuatore gli aveva fatto, che lo riportò con la mente a un ricordo felice della sua vita…

 

Doveva essere primavera o estate. Lui era più giovane, ed anche Corrado lo era. In quel momento della loro vita erano nudi, distesi su un fianco.

…ventisette… ventotto… ventinove… trenta… trentuno… trentadue… trentatré…

Ma che cosa stai facendo? Aveva domandato Brian, cercando di guardare dietro di sé il suo ragazzo con la coda dell’occhio.

Ti sto contando le efelidi sulla schiena.

Brian aveva fatto una risatina. Smettila. Mi fai addormentare, se continui a contare così sottovoce. E poi non mi piace che qualcuno veda quanto sono brutto senza vestiti.

Io resterei a guardarti per ore, aveva detto Corrado. Perché sei tu, nel bene o nel male. E tu sei unico. Unico e irripetibile, nonché incredibilmente bello.

A quelle parole Brian ebbe un moto di tenerezza tipico degli adolescenti: si accoccolò al suo ragazzo e non disse più una parola, mentre Corrado gli accarezzava i capelli lunghi e rossicci, infondendogli una sensazione di pace mai provata prima di allora…

Il mio piccolo angelo birichino, mormorò Corrado, mentre si riaddormentavano insieme.

 

Poi la vista tornò al presente, riportandolo alla sua immagine riflessa nello specchio. I capelli rossicci e lunghi erano ora diventati biondi ed erano più corti, sparati da tutte le parti verso il basso; il corpo era più proporzionato e leggermente più muscoloso; lui era alle soglie del suo ventottesimo compleanno…

…ma le sue efelidi erano ancora tutte là, sulla sua schiena bianca come il latte.

Sospirò, dandosi del cretino perché in fondo era un maledetto tenerone sentimentale, quando finalmente trovò qualcosa da mettersi.

 

*****

 

Carlo era fuori dal parcheggio nella sua Cinquecento color prugna, con la musica di un vecchio successo anni ’90 sparato a tutto volume. Quando vide Brian arrivare, aprire lo sportello e accomodarsi sul sedile passeggero, lo squadrò dalla testa ai piedi.

- Che c’è? Non hai mai visto uno salire nella tua macchina? –

- Cucciolotta – l’apostrofò – Ma dove credi di andare così conciata? Mio dio, non hai nemmeno un po’ di lucidalabbra! Guarda che stiamo andando in discoteca, non ad una serata Netflix! –

Alla fine Brian aveva optato per un paio di jeans strappati ed una maglietta nera aderente, con una collanina d’argento e dei braccialetti colorati al polso destro. Al sinistro invece, c’era solo la fedina d’argento di Corrado.

 Tutto all’opposto invece era Carlo, che aveva scelto di vestire una camicia viola addobbo funebre, abbinata ad un paio di jeans attillati che Brian gli aveva già visto indossare in altre occasioni, oltre ovviamente ad essersi tirato indietro tutti i capelli con il gel ed essersi messo un velo di lucidalabbra.

- Diiio quanto sei maschia – disse Carlo con un velo di disprezzo misto a ironia, mentre tirava fuori la boccetta con il lucidalabbra – Vieni qui, cretina. Va bene che hai messo il lucchetto al culo e non sei in cerca di marito, però non è il caso di presentarsi in disco come lo iettatore di Paolo Bonolis! –

- Tu sei tutta scema, cara – rispose Brian, ridacchiando e avvicinandosi all’amico per farsi applicare il lucidalabbra.

 

*****

 

La discoteca era gremita di gente. L’ultima volta che ci era stato risaliva a più di cinque anni prima: ce l’aveva portato un ragazzo con cui si era visto qualche volta, quando ancora non aveva compiuto i diciotto anni.

E l’età media di quella sera era più o meno quella, se non di meno: la maggior parte degli avventori del locale erano ragazzini scappati di casa che dovevano aver compiuto la maggiore età neanche l’altro ieri, che bevevano e fumavano e forse addirittura tiravano di coca nei bagni. Essendo lui dieci anni più vecchio di loro, non si sentiva esattamente al suo posto, al contrario di Carlo che, come al solito, aveva incominciato a dare spettacolo già mentre erano in coda per aspettare.

- E tu sei fidanzato? – gli aveva domandato un ragazzo magro e barbuto, con un septum che faceva da ponte sotto le narici.

- Oh no, caro! Sono libero come l’aria! Altrimenti non sarei mica qui, no? –

- Guarda che io sono fidanzato e sono qui – disse un altro, un ragazzino di circa vent’anni con un altro ragazzo identico a lui al seguito: entrambi avevano i capelli biondi, gli orecchini colorati e lo stesso abbigliamento.

- Ah che carino…! Vuoi divertirti un po’ alle spalle del tuo ragazzo, vero? –

- Proprio alle spalle no – rispose il ragazzino – Perché lui è qui con me. – disse, indicando il clone al suo fianco, che stava ridendo dell’espansività di Carlo.

- Ma che carini siete! – esclamò – Vi avevo scambiati per fratelli gemelli! Sapete che l’incesto è un reato, vero?!? –

I due ragazzini risero, ed anche il ragazzo barbuto con il septum.

- Lui invece è fidanzato? – domandò quest’ultimo, rivolgendosi a Carlo ma indicando Brian.

- Perché non glielo chiedi a lui, tesoro? Non è sordomuto, ti capisce, sai? –

Preso un po’ in contropiede, il ragazzo barbuto porse la mano a Brian – Sono Gianni, piacere. Sei fidanzato? –

- Sì, e anche felicemente. – disse, e scoccò un’occhiataccia a Carlo per intimargli di non aggiungere altro, che l’amico sembrò recepire.

- Ah, peccato…! Ma il tuo ragazzo sa che sei qui? –

- Mi avvalgo della facoltà di non rispondere – rispose Brian con una risatina.

- Comunque è un peccato, io se avessi un ragazzo così non lo lascerei mai da solo. Avrei paura che qualcuno possa rubarmelo! Non dormirei sonni tranquilli. –

- Sarà per questo che noi andiamo sempre insieme in disco – rispose il fidanzatino-clone.

- Il mio ragazzo invece può dormire sonni più che tranquilli. Non c’è alcun pericolo che qualcuno possa rubarmi a lui. – disse Brian in una solennità che più tardi, entro quella stessa mezzanotte, avrebbe inserito nel classico diario delle Ultime Parole Famose.

 

*****

 

A parte girare di qua e di là con il bicchiere di drink in mano, ballettare un po’ insieme a Carlo in pista e chiacchierare brevemente con qualcuno, non c’era molto da fare per lui. Si era ritagliato un posticino su uno degli sgabelli del bar, e l’avevano già interpellato in tre, tutti ragazzini: il più vecchio doveva aver avuto vent’anni, ma in comune con tutti e tre gli avevano fatto i complimenti per essere un bellissimo ragazzo. Uno di questi, il più spudorato, gli si era seduto accanto mettendogli una mano sulla coscia, ma Brian molto educatamente gli aveva fatto capire che non era lì per quello, lasciandolo con un palmo di naso. Dopo quel tentativo di abbordaggio, ce n’erano stati pochissimi altri che aveva ovviamente respinto, motivando la sua scelta con un Sono fidanzato, non cerco un’avventura occasionale. Naturalmente non avrebbe accettato quelle avances dai ragazzini nemmeno se fosse stato single: in caso non si fosse capito, a lui piacevano i ragazzi più grandi. I ragazzini erano troppo volubili e decisamente fissati con il sesso, mentre invece i più grandi erano più coinvolgenti, più seduttivi… almeno quella era l’idea che si era fatto dopo dieci anni insieme a Corrado. Tuttavia ricevere quelle attenzioni non gli era certo dispiaciuto. Sentirsi apprezzato anche alla soglia dei trent’anni, non è da tutti.

Almeno so che non avrei problemi a trovarmi un altro se Corrado dovesse stancarsi di me, pensò con una risata.

A proposito di lui, Corrado si era fatto sentire verso le undici e mezza su Whatsapp: gli aveva scritto che stava bene e gli aveva mandato delle foto che lo ritraevano nella stanza d’albergo dove alloggiava. Brian notò che il suo ragazzo aveva ancora i capelli in ordine nonostante la giornata impegnativa, per cui dedusse che nella sua precisa pignoleria, doveva essersi pettinato prima di scattarsi i selfie. Il pensiero lo fece sorridere.

Mi manchi, gli scrisse Brian.

Anche tu mi manchi, amore mio. E, subito dopo, ricevette un altro messaggio: una veduta panoramica della città di Bologna, sotto una luna piena che illuminava quasi a giorno l’agglomerato urbano. Immediatamente dopo di questo, ricevette la foto della luna, con sotto il messaggio Te la regalo.

Ti amo, scrisse Brian, con tre cuoricini.

Ti amo, rispose Corrado, andando poi offline. Forse a farsi una doccia, dedusse Brian.

 

*****

 

Verso mezzanotte, il locale si stava lentamente svuotando. I più erano chiusi a fare sesso nella dark room, e quelli che restavano erano coloro che ancora non avevano trovato con chi passare la serata. Anche Carlo doveva essersi nascosto nel buio con chissà chi: di lui aveva ricevuto solo un messaggio, dove gli diceva che era occupato con un ragazzo.

Rimasto dunque solo, Brian si fece servire il terzo drink della serata, sentendosi già brillo e pensando che aveva sprecato del tempo prezioso accompagnando Carlo. Stava pensando che sarebbe stato meglio rimanere a casa in compagnia di Netflix, quando si alzò e urtò contro qualcuno, rovesciandogli il drink che aveva in mano.

- Caz … - mormorò Brian, affrettandosi a mettere una mano sul braccio bagnato del ragazzo, incrociando poi il suo sguardo.

In quel momento, il tempo sembrò fermarsi, congelandosi in un infinitesimo di attimo. La discoteca scomparve, lasciando il posto solo a lui … ed al tipo che aveva involontariamente urtato.

I suoi occhi neri lo guardavano intensamente, mentre la sua mano destra andava a toccare quella di Brian, congelato da una passione ardente. Come aveva fatto a non notarlo prima…?

- S…scusami. Scusami, scusami! – esclamò Brian, poggiando il drink sul bancone e cercando dei fazzolettini di carta nelle tasche.

- Non è niente – disse il ragazzo – Però forse è meglio che vada in bagno a… -

- Aspetta, ti accompagno. Devi scusarmi, sono un po’ ubriaco e non ti avevo visto. –

In bagno, il ragazzo si lavò le mani mentre Brian gli asciugava la maglietta con delle salviette umide. – Spero non resterà l’alone – disse.

- Non dovrebbe. Alla fine questi drink vengono allungati molto con l’acqua. E poi… anche se ci fosse una macchia, sarebbe uguale, per me. – rispose il ragazzo con un sorriso.

Brian sorrise di rimando, con dolcezza.

- Io sono Riccardo – si presentò il ragazzo, porgendogli una mano grande ma con le dita affusolate.

- Brian. –

- Come, scusa? –

- Brian! Mi chiamo Brian. È un nome anglosassone. –

- Ah, capisco! Scusami, non avevo sentito bene… Brian. Hai un bel nome. –

- Grazie. –

- E cosa fai qui da solo, Brian? –

- A parte ubriacarmi e ricevere proposte di accoppiamento da questi bambini, intendi? –

Riccardo rise di gusto, e anche Brian. Da quella battuta iniziò una lunga conversazione.

 

*****

 

In poco tempo, Brian aveva imparato molte cose sul conto di Riccardo. Prima fra tutte, che era un artista: spaziava dalla pittura alla scultura, e ogni tanto curava o teneva delle mostre d’arte. Alcune delle sue opere erano state acquistate all’estero, consentendogli di comprare un discreto appartamento in centro. Inoltre, cosa che spinse Brian a continuare nella conversazione, era fidanzato anch’egli. Alla domanda sul perché si trovasse lì, Riccardo aveva risposto che accompagnava un amico che adesso si era disperso, aggiungendo che a lui non interessava fare sesso.

- Oh…! Sei una persona seria – disse Brian – Ma il tuo ragazzo lo sa che sei qui? –

- Oh sì, certo che lo sa. Solo che lui in questo momento è ad Amsterdam. Si occupa di eventi aziendali, e credo stia curando una specie di kermesse di un’azienda olandese. –

- Capisco – rispose Brian con un sorriso – Scusa, non volevo essere indiscreto. –

- Nessun problema! – esclamò Riccardo allargando le mani – Siamo qui per fare conversazione, no? –

- Eheheh. Certo che sì. –

Riccardo gli sorrise. - Posso offrirti un altro drink, Brian? –

- Bien sur…! –

E continuarono così a parlare ed a bere i loro drink.

 

*****

 

Alle due di notte il locale si era quasi svuotato. Insieme a Riccardo, Brian si mise a cercare Carlo, che però sembrava essersi volatilizzato. Dopo dieci messaggi su Whatsapp, si decise a chiamarlo. Durante la telefonata, Brian capì immediatamente che non era più solo, inoltre Carlo gli disse che se n’era andato dal locale.

- Avresti anche potuto avvertirmi idiota che non sei altro! – lo rimproverò Brian.

- Scusa, mi sono dimenticato! –

- Sei incorreggibile, Carlo. Uff! –

- Se aspetti dieci minuti, torno e ti vengo a prendere! –

Accanto a lui, Riccardo si offrì di accompagnare Brian.

- No, non è necessario. Ho trovato chi mi darà un passaggio fino a casa. Tu divertiti. –

- Va bene. Ciao… -

E chiuse la conversazione.

 

*****

 

La macchina di Riccardo era una Smart nuova di pacca, che aveva quel profumo che si sente nelle auto nuove, lo stesso che aveva l’Opel Corsa di Corrado quando l’acquistò, già otto anni prima.

- Abiti qui? –

- Sì. Puoi fermarti qui, grazie. –

Riccardo si fermò nella via accanto all’ingresso del palazzo dove viveva Brian.

- Niente male, davvero. La casa è vostra? –

- No, siamo in affitto. Ma spero che presto compreremo una casa tutta nostra, appena Corrado troverà un lavoro più stabile. –

- Ah, è precario? Mi dispiace. –

- Non è proprio un precario… diciamo che lavora per molti datori di lavoro diversi. –

- Capisco. Beh, mi ha fatto davvero piacere passare un po’ del mio tempo insieme a te, Brian. –

- Anche a me. Davvero. – rispose Brian, guardandolo timidamente negli occhi.

- Senti, ti va se ci scambiamo il numero? Mi farebbe piacere rivederti. E magari farti vedere un po’ dei miei lavori e sicuramente avrei il parere di un esperto. –

Brian si mise a ridere, mentre tirava fuori il cellulare. – Esperto? Io?!

- Sì, tu. Non mi hai detto di esserti diplomato al liceo artistico? –

- Ah beh…! Se questo fa di me un critico d’arte, allora sì! –

Riccardo rise, quindi tirò fuori il suo cellulare mentre Brian gli dettava il suo numero.

- Salvato! – esclamò Riccardo – Grazie. –

- Grazie a te per il passaggio – rispose Brian, aprendo la portiera e soffermandosi un attimo a guardarlo. Disse a sé stesso che non era il caso di baciarlo, quindi, molto semplicemente scese e chiuse la portiera, lasciandoselo alle spalle e aspettando di sentire il motore che si avviava per poi allontanarsi.

Quando lo vide andar via, provò quasi una stretta al cuore, che aveva iniziato a palpitargli forte nel petto. Gli sembrò di essere tornato ragazzino, quando conobbe Corrado.

E ad un tratto, si mise a fantasticare di come sarebbe potuta andare a finire la serata se l’avesse baciato sulle labbra: l’avrebbe forse invitato a salire a casa sua, dove avrebbe visto le foto di lui e di Corrado e la sua laurea in ingegneria appesa al muro; poi si sarebbero messi sul divano a coccolarsi, magari guardando un film od una serie TV… e poi si sarebbero dati alla pazza gioia a letto.

Poi lui sarebbe scomparso dopo aver ottenuto quello che voleva. Proprio come facevano tutti quelli che incontrava Carlo.

 

Strabuzzando gli occhi, Brian cercò di tornare alla realtà. Non pensare a queste scemenze! Tu sei fidanzato e stai bene con Corrado. Non metterti in testa strane idee, chiaro?!

Ma insieme a quella voce imperante, ce n’era un’altra che diceva Adesso è proibito anche fantasticare? No! Per cui sta’ zitto e non rompere le palle!

E poi, era ragionevolmente certo che anche Riccardo sarebbe scomparso, come tutti quelli che incontrava Carlo?

 

*****

 

La risposta alla sua domanda la ebbe poco dopo essere uscito dalla doccia. Mentre era sul letto con l’accappatoio, il suo telefono si mise a vibrare. Messaggi su Whatsapp.

Riccardo.

 

Buona notte, e grazie per la bella serata ;)

 

Emozionato, Brian rispose altrettanto, sorridendo come un adolescente invaghito. Poco dopo arrivò un altro messaggio, questa volta di Corrado.

 

Ancora sveglio, amore? J

 

Quel messaggio lo fece letteralmente cadere dalle nuvole. Fece per rispondere, ma alla fine abbandonò il cellulare sul comodino mettendolo in modalità aeroplano e si tolse l’accappatoio prima di ficcarsi sotto le coperte completamente nudo e spegnere la luce. Rimase con gli occhi aperti e la mente piena di interrogativi, cercando di pensare che cosa aveva fatto esattamente quella sera.

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.

 

 

 

Il cuore di ogni persona è come una casa. Una casa dove a volte (forse troppe) c’è una sola persona, ma a volte ce n’è più di una. In quello di Brian c’era ovviamente Corrado, per il quale la porta del cuore di Brian era chiusa.

Tuttavia senza rendersene conto quel sabato sera Brian aveva iniziato ad aprire la porta del suo cuore a un’altra persona.

 

Da un po’ di giorni avevano incominciato a messaggiare via Whatsapp. La mattina si svegliava con la speranza di ricevere un suo messaggio: quando non lo trovava, glielo inviava lui. Ogni tanto chiacchieravano inviandosi messaggi vocali e foto della loro giornata, rigorosamente da soli: ogni tanto Brian scorreva nella conversazione, osservando una foto di Riccardo in giro per la città a fare shopping (Brian riteneva con il suo ragazzo); un selfie di sé stesso con lo sfondo del supermercato dove andava a fare la spesa; una di Riccardo che gli mandava il buongiorno disteso sul suo letto ed altre simili. Per sua fortuna, Riccardo era uno che scriveva poco durante la serata, quindi Brian poteva tranquillamente dedicarsi al suo ragazzo quando tornava dal lavoro, anche se ormai avere il suo ragazzo in casa la sera non gli faceva più molto effetto.

 

*****

 

- …e poi c’è questo mio collega che mi fa: “Corrado, ma non possiamo usare la carta da riciclo per prenderci appunti” – “Abbiamo comprato tonnellate di bloc-notes e tu usi la carta da riciclo!” – disse, mentre inforcava un maccherone.

Brian era lì che annuiva e ogni tanto gli lanciava un’occhiata interessata, ma non aveva capito bene cosa il fidanzato gli avesse detto.

- E così io gli rispondo: “Claudio, lo sai che a me non piacciono gli sprechi” – “E poi mi piace scrivere sulle vecchie e-mail stampate!” – fece una risata – …E indovina un po’ com’è andata a finire? –

- Non lo so. Dimmelo? –

- Be’, il capo ha dato ragione a me! Ahahah! –

Brian ridacchiò insieme al fidanzato, sorridendogli amabilmente. Ogni tanto Corrado gli raccontava la sua giornata, e di questo Brian era contento.

- E tu cos’hai fatto oggi? –

- Intendi oltre a dimenticarmi di comprare il formaggio? –

Corrado inforcò altri maccheroni e se li mise in bocca, masticandoli piano.

- Succede a tutti, amore… non stare a crucciarti. E poi mi fa bene mangiare un po’ meno formaggio, anche se mi piace molto. –

- Il fatto è che non mi ero accorto che mancava… ho guardato bene in frigo prima di andare a fare la spesa, mi sono accorto che mancava, eppure non l’ho segnato. Scusami amore. –

- Non fa niente – rispose Corrado, alzandosi e andando verso il frigorifero, dove con una calamita era fissata la lista delle cose da comprare. Prese una biro dal contenitore lì vicino e vi segnò sopra, nella sua calligrafia media ma precisa “Grana Padano”.

- Ecco fatto – disse – così al prossimo giro il formaggio è a posto. –

Brian gli sorrise, ricordando ancora una volta su cosa l’aveva colpito di lui tanto da sceglierlo come compagno di vita: Corrado era tutto ciò che lui avrebbe voluto essere. Ordinato, preciso, pratico… ma soprattutto paziente. Caratteristica che Brian aveva apprezzato fin da subito.

Terminata la cena, Brian si mise a sparecchiare e poi a lavare i piatti. Nel suo spirito collaborativo, Corrado aveva preso scopa e paletta ed aveva incominciato a dare una spazzata al pavimento. Mentre rigovernava, con lo sguardo rivolto verso le bocche dell’acquaio, si sentì corrucciato. Se si era dimenticato di comprare il formaggio, un motivo c’era.

Durante tutto il giro della spesa aveva cercato di tenere d’occhio la lista, depennando quello che aveva già comprato e girando per gli scaffali alla ricerca delle altre cose. Ma tra un depennamento e l’altro, c’era andato di mezzo il suo smartphone, che ogni due per tre visualizzava un messaggio di Riccardo. Alcuni clienti del supermercato quel giorno avevano visto un ragazzo biondo che, con una mano appoggiata al carrello e l’altra che teneva un cellulare, leggeva e ogni tanto sorrideva come uno scolaretto.

Eh sì. La dimenticanza del formaggio aveva un nome e un cognome, un volto ed un corpo che piacevano a Brian, oltre ad un’incredibile capacità di irretirlo. E quel nome era Riccardo Gherardi.

 

*****

 

Un giorno Brian era intento a occuparsi della casa. Aveva già spolverato e rifatto il letto, quindi pulito il pavimento. Era piuttosto concentrato e felice, non sapeva bene nemmeno lui perché. Si sentiva in pace con sé stesso, come poche volte gli era accaduto durante la sua vita. La giornata fuori non era delle migliori: il cielo plumbeo minacciava pioggia, essendo l’autunno appena incominciato. Ecco, forse era quello il motivo: l’autunno, il pensiero che da lì a poco si sarebbero viste tutte le sfumature degli alberi, il fogliame che avrebbe coperto le strade ed i parchi… sarebbe stato tutto più bello.

Ma la motivazione vera era che Brian non aveva smesso di sentirsi con Riccardo, anche se era un’opzione che aveva considerato, almeno per un momento.

 

Il vagone della metropolitana si riempiva di gente a ogni fermata. Fortunatamente Brian era riuscito a conquistarsi un posto a sedere, visto che il suo viaggio sarebbe stato abbastanza lungo: per fare compagnia a Carlo, aveva scelto di andare nella sua stessa palestra, ma poiché l’amico non era sempre molto disponibile a dare passaggi in macchina, spesso Brian prendeva il metrò per raggiungerlo.

Per ingannare il tempo, si era messo ad ascoltare musica dal suo iPhone come faceva di solito.

Ad un certo punto sul vagone salì una coppia di uomini: uno era un po’ cicciottello, poteva aver avuto una quarantina d’anni, e l’altro doveva aver avuto l’età di Corrado. Chiacchieravano amabilmente sottovoce, scambiandosi sguardi e risatine. Il quarantenne aveva l’aria di un professore universitario: Brian l’intuì sia dall’abbigliamento un po’ retrò che indossava, che dai discorsi che faceva al suo accompagnato (gli parve di aver udito parole come museo, quadri, arte contemporanea). L’altro invece doveva essere studente o ricercatore, aveva l’aspetto di un nerd incallito e sembrava che ascoltasse le parole dell’uomo come oro colato. Ad un certo punto, dopo che l’altro ebbe concluso il suo discorso, Brian vide il nerd prendergli dolcemente la mano e dargli un bacio sulla guancia barbuta. Gesto che il “professore” ricambiò con un bacio all’angolo della bocca del suo compagno. A quella visione Brian si sentì pervadere da un’ondata di tenerezza infinita, che subito dopo si tramutò in tristezza, paragonata alla sua situazione attuale. Dov’erano finite quelle parole, quegli sguardi, quei gesti di amore che c’erano stati tra lui e Corrado? Se n’erano andati quando avevano deciso di andare a convivere insieme, cinque anni prima…? Oppure non c’erano mai stati?

Emozioni.

Emozioni che forse c’erano state, ma che adesso dovevano essersi molto assopite. Emozioni che Brian avrebbe voluto ritrovare, ma che forse stava cercando nel posto sbagliato.

E il posto sbagliato forse era Riccardo.

Smise di guardare i due amanti per lanciare un’occhiata allo smartphone. Entrò su Whatsapp, andò al contatto di Riccardo e meditò su cosa fare. Bloccarlo o non bloccarlo?

Si mordicchiò il labbro inferiore, con mille pensieri per la testa. Almeno mandagli un messaggio per dirgli perché lo fai, no? Oppure Bloccalo senza pensarci, cerca di riconquistare il tuo ragazzo! E via così.

Mentre era lì che cincischiava, arrivò una notifica: Riccardo.

Ebbe un tuffo al cuore.

Si affrettò a scrivergli che non stava per bloccarlo, che non voleva farlo, che si stava sbagliando…

…quando si rese conto che Riccardo non poteva sapere se stava per essere bloccato da lui o meno.

Vado in palestra, gli aveva scritto, anche se mi piacerebbe fare un po’ di allenamento insieme a te. Con un occhiolino alla fine.

Una frase che fece letteralmente avvampare Brian, che pensò immediatamente a quanto avrebbe potuto essere bello “allenarsi” insieme a lui. La sua mente ricominciò a vagare, ma lo speaker annunciò che la sua fermata era vicina, quindi agguantò il borsone della palestra e si alzò, dirigendosi verso le porte scorrevoli del vagone.

 

*****

 

- A proposito, grazie per avermi piantato in asso, sabato sera…! – esclamò Brian con un sorriso fasullo dipinto sulle labbra quando incontrò Carlo davanti alle porte d’ingresso della palestra.

- Ero ubriaco marcio – si affrettò a giustificarsi l’altro – E poi tu eri scomparso, non ti trovavo da nessuna parte! Dove ti eri cacciato? – Poi i suoi occhi si spalancarono, insieme alla sua bocca, in una “ah!” di sorpresa – Non è che hai cambiato idea e ti sei fatto togliere qualche ragnatela da lì sotto?! –

- Ma va là! – esclamò Brian, scuotendo la testa mentre entravano – Semplicemente… - e lì si bloccò.

Per la verità non sapeva se raccontare a Carlo che aveva conosciuto un ragazzo. D’altronde non ce n’era motivo, dal momento che non avevano fatto niente se non parlare. E quella sera aveva parlato con almeno dieci ragazzi, perciò… decise di tenersi l’informazione per sé.

- …Cosa? –

- Ah, non importa. Stavo per dire che ci stavamo cercando a vicenda, ma non ti trovavo perché forse eri già andato via. Bell’amico che sei. –

Carlo sbuffò – E basta, non menarmela così tanto! Andiamo, che stando qui a chiacchierare sarò ingrassata di altri tre chili! –

 

*****

 

- A te invece com’è andata? – domandò a un certo punto Brian, mentre erano entrambi sulle cyclette.

Carlo lo guardò con un’espressione mesta, sospirando ampiamente. – Una tristezza infinita… Ti abbordano, fanno i carini… poi quando hanno ottenuto quello che vogliono, il mattino dopo, non esisti più. -

Brian fece per aggiungere qualcosa, ma Carlo continuò.

- Poi fosse stato pure bravo a letto! Invece no! Neanche quello…! Quattro colpi, cinque minuti e poi s’è addormentato. Senza farmi nemmeno due coccole. Che tristezza… -

- …infinita, l’hai già detto. –

- Non farci caso, invecchiando capita di ripetere sempre le stesse cose. –

- Comunque te l’ho sempre detto, che in disco non ci trovi l’uomo della tua vita. –

- Cosa c’entra? Guarda che non è mica il posto che fa la differenza, ma la fortuna che uno ha. Ti ricordi di Filippo ed Elia? Loro si sono conosciuti in disco-anzi, meglio: in dark room- e stanno ancora insieme dopo cinque anni. Come lo spieghi? –

- Fortuna? – buttò lì Brian mentre pedalava.

- Fortuna! – esclamò Carlo, per poi sospirare.

- Sì, può essere... ma Carlo, te l’ho già detto. Tu mi lasci perplesso perché io ti conosco bene: secondo me tu non reggeresti dieci minuti insieme allo stesso uomo, figurati dieci anni come me! –

- Cosa vuoi insinuare, che sono una puttana? –

Brian ridacchiò vedendo l’espressione di sdegno dell’amico: uno spalancamento d’occhi e un’alzata di spalle, degni di una dama settecentesca. Se durante la sua carriera di attore aveva ricevuto degli applausi dal pubblico, erano sicuramente meritati.

- Avanti – lo incalzò Carlo – Fammi sapere quello che pensi, su, dai! –

Conoscendo l’amico, sapeva che fingeva di essere arrabbiato con lui, quindi gli parlò con tutta la franchezza possibile.

- Vedi, Carlo, tu sei un bel ragazzo, però hai un problema: non sei costante. Anzi, l’idea stessa di essere costante ti ripugna. A te piace troppo vivere con il vento in faccia, con l’approvazione di tutti. E lo capisco, perché sei stato un attore e rinunciare agli applausi a volte può essere difficile. Però, vedi… nella vita non occorre essere approvati da tante persone. No. Ne basta anche una sola, che ti apprezzi per come sei, con tutti i tuoi pregi e ovviamente con tutti i tuoi difetti. E ne hai tanti, amico mio, tanti. –

Carlo fece per ribattere, ma guardando negli occhi di Brian, richiuse la bocca e sospirò.

- Ho ragione o no? Tu per esempio ci staresti dieci anni con lo stesso ragazzo, come ho fatto io? –

 - Mio dio! – esclamò Carlo – Non sei tu che devi chiederlo a me, ma sono io che lo chiedo a te. Come si fa? A un certo punto non subentra l’abitudine, la noia…? –

Quella contro-domanda bastò a spiazzare Brian, che per tutta risposta guardò ancora una volta l’amico e poi tacque. Non erano forse quelle le sensazioni che provava da un po’ di tempo a quella parte? Sì, forse. Ma c’era ancora qualcosa che lo legava a Corrado. Si trattava solo di scoprire che cosa.

Intanto, mentre parlava, ricevette un nuovo messaggio da parte di Riccardo.

 

*****

 

Ti andrebbe di andare a fare un giro insieme?

Brian si portò una mano alla bocca, mentre, nel silenzio ovattato del suo appartamento, stendeva i panni dopo aver fatto il bucato.

Riguardò il messaggio, scomponendolo mentalmente in mille passaggi, ma il significato era univoco: Riccardo gli aveva appena chiesto se gli andava di incontrarsi nuovamente.

Dal loro primo incontro in discoteca erano passate almeno due settimane, durante le quali lui si era fatto sentire abbastanza regolarmente, per fortuna sempre in momenti in cui Brian era da solo. Tra di loro c’erano stati messaggi amichevoli, talvolta dolci, ma mai così diretti come quello che aveva ricevuto quella mattina.

Brian ci pensò su. Quante probabilità c’erano che fosse una trappola per portarlo a letto e usarlo come di solito veniva usato Carlo? C’era modo di sapere le sue intenzioni prima di accettare…? No. A meno di non conoscerlo bene. E Brian sapeva poco e niente del suo nuovo amico.

Però la curiosità era tanta. Così come era tanta la noia che provava. E altrettanta la voglia di fare qualcosa di diverso.

Mise mano allo smartphone, cercando le parole per formulare una risposta.

Volentieri. Potremmo vederci prima o dopo pranzo, dimmi tu.

Inviò il messaggio e attese. Poco dopo, Riccardo rispose.

Gli aveva inviato l’immagine pubblicitaria di un caffè alla moda, un bel posto che sembrava un ritrovo di artisti contemporanei.

Sono sicuro che questo posto ti piacerà. Non mi dirai di No. J

Brian sorrise, incuriosito dalla proposta di Riccardo.

Accettò, ma si affrettò a ribadire che lui era fidanzato e che non era interessato ad una nuova conoscenza che non fosse esclusivamente di livello amicale.

Com’era ovvio, Riccardo rispose in tutta tranquillità.

Sono fidanzato anch’io, quindi metto i tuoi stessi paletti. Grazie per la comprensione, scrisse, e alla fine mise un ambiguo cuoricino.

Guardò una delle fotografie che aveva sul mobile dell’ingresso: ritraeva lui e Corrado in piedi su un viale, con la Tour Eiffel sullo sfondo. Un ricordo del loro primo viaggio insieme, a Parigi. Guardò in particolare Corrado: il ciuffo di capelli castani che gli ricadeva sugli occhi, schermati dagli occhiali da sole, ed il suo abbigliamento da riccone che lo faceva sembrare più magro ma allo stesso tempo lo faceva sembrare un uomo adulto, non il giovane uomo che era. Sospirò. Dopotutto quello era il passato, e forse una ventata di presente non sarebbe stata poi così male.

Poggiò il bacile dove prima c’erano i panni da stendere e andò a prepararsi all’incontro.

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.

 

 

Benché avesse messo in chiaro che il loro sarebbe stato un semplice incontro tra amici, in cuor suo Brian già sapeva che non sarebbe stato così: le mani gli tremavano mentre chiudeva la porta di casa col paletto; saltellava eccitato senza nemmeno accorgersene mentre si dirigeva verso l’imboccatura della stazione del metrò e durante il tragitto fu preda di movimenti inconsulti (un passeggero che era lì vicino si domandò se non avesse la sindrome di Tourette).

Lo stato di massima eccitazione perdurò anche mentre aspettava di veder arrivare la Smart di Riccardo, nel punto dove gli aveva detto di aspettare.

Mentre aspettava, sentì una voce che gli disse Sei ancora in tempo per tornare indietro, che lui non ascoltò o ascoltò solo in parte. L’attesa di Riccardo stava diventando sempre più lunga, e Brian si stava quasi stancando di camminare su e giù per il marciapiede mentre lo aspettava. Per ingannare il tempo, incominciò a guardare Facebook dal suo smartphone, ma anche quello non servì a calmarlo, dal momento che due minuti dopo era già in piedi, a torturarsi le mani ed a respirare a fatica.

Forse sto avendo un attacco di panico. Oh cazzo. Mi sento come mi sentivo quella volta in cui Corrado mi chiese di uscire insieme. E…

…Si sentì toccare la spalla. A quel contatto saltò in aria come una molla, poi si rese conto che era solo una ragazza vestita in stile dark.

- Ce l’hai una sigaretta? – gli chiese.

- Non fumo, mi dispiace. –

In realtà avrebbe voluto dire che non fumava più perché aveva smesso da qualche anno, ma in ogni caso il risultato fu lo stesso.

- Ah… ciao. – disse la ragazza dark, andandosene per la sua strada, con la gonna di pizzo nero svolazzante e le calze a rete rigorosamente nere.

- Calmati – si disse, mettendosi una mano sulla fronte – Devi stare calmo. Non stai facendo niente di male, stai solo aspettando un amico. Un amico come Carlo. Sì. Fai finta che stai… -

Poi si voltò e vide in lontananza Riccardo che si avvicinava.

Ebbe un tuffo al cuore.

Il ragazzo era vestito con un bel cappotto lungo di tessuto marrone chiaro, pantaloni neri e mocassini scamosciati. Sembrava molto più formale rispetto a quando l’aveva incontrato in discoteca, però era doppiamente più affascinante. Aveva molti meno capelli rispetto a Corrado (il quale alla veneranda età di trentadue anni aveva ancora una zazzera che doveva regolarmente sfoltire), però li portava talmente bene che facevano pendant con i favoriti ai lati del viso, che terminavano in un favoloso pizzetto nero.

Vedendolo in lontananza, così elegante e dannatamente bello, il suo cervello si bloccò, ma non il suo corpo: difatti s’incamminò a lunghi passi per raggiungerlo più in fretta.

- Ciao – lo salutò Riccardo. Standogli vicino si poteva sentire il suo dopobarba: una fragranza dolce ma decisa che inchiodò i sensi di Brian, mentre gli sorrideva dolcemente.

- Ciao – rispose Brian, facendo un cenno con la mano destra.

- Scusa il ritardo, ma ho dovuto sistemare una cosa… è molto che aspettavi? –

- Oh, no…! Tranquillo, sono arrivato poco fa – mentì Brian. In verità era quasi un’ora che aspettava.

Riccardo gli sorrise, quindi lo invitò a seguirlo e Brian lo fece.

 

*****

 

Seduto al tavolo, Brian ammirò il locale dove Riccardo l’aveva condotto: insegne al neon appese alle pareti, lampade di lava di tutti i colori inserite in nicchie nei muri e una generale atmosfera di color blu notte mista ad azzurrino. Un concept-bar moderno pieno di hipster: uomini vestiti in giacca e cravatta, alcuni con magliette (in inverno!) bretelle e farfallini; alcuni altri addirittura con borsalino calato sulla testa; Ad uno dei tavoli c’era un ragazzo che doveva avere avuto circa vent’anni, con un basco “alla Fantozzi”, però di colore rosso anziché nero, ed una camicia blu di seta. Il ragazzo era accompagnato da un altro ragazzo e da due ragazze. Da quello che poteva sentire Brian, intuì che stavano parlando di filosofia.

Riccardo comparve poco dopo, con un vassoietto dove c’erano una tisana ed una cioccolata calda con dentro una specie di strano marshmallow, che sembrava più una scultura futurista che altro. Brian lo guardò perplesso.

- Non chiedermi come fanno a farlo – disse Riccardo, intuendo immediatamente cosa stava guardando Brian. E rise.

- Resterò nel dubbio. Divertente, però. Vieni spesso qui? –

- Sì, abbastanza. Qui l’aria ispira… di solito capito qui quando non ho idee per le mie opere. –

- Capisco. È bello. –

- Trovi? Ci conobbi il mio attuale ragazzo, qui. –

- Ah… sì? – rispose Brian, non sapendo cos’altro aggiungere.

- Lavorava qui come cameriere, prima di intraprendere la carriera presso quell’azienda di cui ti ho parlato. –

- Che azienda è? –

Riccardo ci pensò su, poi disse che non ne ricordava il nome, scusandosi.

- Non importa, tranquillo. –

- E tu? Dove hai conosciuto il tuo ragazzo? –

Brian sorrise ed emise un sospiro, ricordando quando incontrò per la prima volta Corrado.

- Fu ad uno di quegli Open Day dedicati agli studenti delle scuole superiori che vogliono iscriversi all’università, hai presente? –

- Uhm.. sì, penso di sì. Ebbene? –

- Ecco, io e il mio amico Carlo ci recammo al Politecnico per avere informazioni sui corsi (a dire la verità ero io che avevo bisogno d’informazioni: Carlo non era minimamente interessato a quel tipo di percorsi di studio, difatti lui cominciò con il DAMS a Bologna ma poi l’abbandonò per entrare in una specie di compagnia teatrale, ma questa è un’altra storia)… e c’erano tutti questi… ehm… banchetti? –

Riccardo lo guardò sollevando un sopracciglio perplesso, mentre sorseggiava il suo tè. – Vuoi dire gli infodesk? -

- Ehm… sì, quelli. Dicevo, c’erano questi… come-li-hai-chiamati che mostravano opuscoli pubblicitari dei corsi di laurea. Ad uno di questi c’era Corrado. Io non ero interessato al suo corso, ero più orientato verso architettura… ma lui m’incuriosì come ragazzo, e così iniziammo a parlare del più e del meno. E da lì… -

 Riccardo annuì mentre Brian, quasi senza accorgersene, gli raccontava la storia della sua vita. Non lo interruppe mai, nemmeno quando si alzarono dal tavolo e andarono a fare due passi nel parco lì vicino. Faceva freddo, ma Brian si sentiva bene. Anche Riccardo gli parlò a lungo, di tante cose. Gli raccontò che non si era laureato in Italia ma a Londra, in Inghilterra. Era stata una gavetta durissima ma che gli aveva insegnato l’umiltà e la passione nel fare le cose. Dopo la laurea aveva lavorato presso un’azienda inglese come designer industriale, salvo poi accorgersi che era un lavoro che non faceva per lui e così era tornato in Italia a sfruttare la passione che aveva maturato in gioventù, ovvero la pittura.

- …E così adesso dipingo. Ho un’agente, si chiama Enrica, ed è abbastanza brava a trovarmi degli ingaggi interessanti. Anche se devo dire che il mercato dell’arte non è una cosa per tutti. Io ho avuto fortuna, ma ci sono artisti che fanno letteralmente la fame. Non capita a tutti i pittori di trovare degli acquirenti che disposti a pagarti delle opere più di quanto tu chieda. –

Brian ascoltò affascinato le parole di Riccardo, che accompagnava con gesti eloquenti e magnetici ma allo stesso tempo discreti. In confronto con lui, si sentì un povero spiantato, non avendo un lavoro né mai avendone cercato uno per paura di dover mollare tutto in caso non gli fosse piaciuto. Quando glielo disse, Riccardo non fece una piega, anzi si complimentò con lui per non essere uno che si piega a compromessi per trovare un lavoro, e di questo Brian si sentì lusingato.

I due chiacchierarono ancora un bel po’ mentre camminavano e mentre il giorno lentamente finiva e lasciando il posto alla sera.

Brian ebbe un brivido di freddo.

- Cos’hai? – domandò Riccardo.

- Niente, è solo che… comincia a far freddo. –

- Ti andrebbe di passare a casa mia? Così ti mostro i miei quadri e potrai darmi un giudizio estetico. Che ne dici? –

- Oh, io… be’… - Brian cincischiò, pensando che forse si era trattenuto un po’ troppo insieme a Riccardo per quel pomeriggio. Guardò brevemente lo schermo del cellulare: appena le quattro del pomeriggio, ma era già buio. Calcolò mentalmente che forse poteva dire a Corrado che si era dimenticato di comprare il pane e quindi era dovuto tornare al supermercato, ma poi non l’aveva più trovato ed era tornato a casa a mani vuote. Forse sarebbe potuta andare, come scusa.

- Allora? Che ne dici? – incalzò Riccardo.

Con un sorriso, Brian accettò.

 

*****

 

Come sarebbe stato lecito pensare, l’appartamento di Riccardo si trovava in un condominio di nuova, anzi nuovissima costruzione. Lo si desumeva dal fatto che poco più in là, c’erano ancora dei cantieri aperti che stavano costruendo nuove palazzine o ultimando quelle già costruite. I fabbricati finiti erano delle splendide palazzine di mattoni e cemento armato, in stile motel americano, con i ballatoi comuni che davano accesso alle abitazioni. Un tocco di originalità che non mancò di affascinare Brian, che un tempo, da ragazzino, si era interessato alla progettazione di immobili.

- Eccoci arrivati – disse Riccardo mentre apriva la porta di casa, invitandolo a entrare per primo.

Dentro, Brian spalancò gli occhi nel vedere con quanta originalità era arredato il loft di Riccardo: parquet in legno di abete rosso, un angolo cucina con elementi dal design minimalista, un tavolo con due sedie e due sgabelli al mobile bar. Anche lì, insegne al neon con il logo della Coca-Cola e vecchie réclame pubblicitarie prese forse in qualche mercato delle pulci. A sinistra invece c’era l’angolo salotto, con un bel divano nero in pelle e due poltrone dello stesso colore con un tavolino rettangolare in mezzo. A poca distanza da lì, c’erano le scale che portavano alla zona notte. Sotto le scale, c’era il locale dove Riccardo dipingeva: un cavalletto con sopra un quadro e vari lavori finiti appoggiati in un angolo, oltre che alcuni appesi alle pareti.

- Come ti sembra? –

- Stupendo – mormorò Brian, incantato da tanta leggerezza e originalità. – Hai arredato tutto da solo? –

Riccardo sorrise – Personalmente. –

- Hai fatto un ottimo lavoro. –

- Mi piace pensare che sia così – rispose, andando verso il locale lavoro mentre accendeva le luci. Una luce soffusa illuminò l’ambiente, facendolo assomigliare ancora di più a un set cinematografico. Brian lo seguì.

- Questi sono i miei lavori – disse, prendendo in mano una delle tele appoggiate al muro. Con delicatezza, Brian la prese e la guardò attentamente. Ovviamente gli aveva detto che non era un critico d’arte, però qualcosa la capiva: l’opera che aveva in mano era ispirata al cubismo-se non andava errato-, forse una libera interpretazione di forme nello spazio. Fu colpito particolarmente dai colori vibranti e carichi di passione, oltre che dal tocco deciso e sapiente.

- E’… è bellissimo. Complimenti. Non ho parole. Potrebbe assomigliare benissimo ad un Picasso o ad un … -

- …Kandinskij? –

- Esatto! Stavo pensando proprio a lui. –

- Mi ispiro moltissimo a Kandinskij, è il mio pittore preferito. –

Brian ammezzò un sorriso.

- Oltre a Picasso, ovviamente – soggiunse Riccardo, strizzandogli l’occhio.

- Beh – disse Brian, poggiando il quadro dove Riccardo l’aveva preso – Credo si sia fatto tardi… io ora devo andare, non vorrei che … -

- Sì, capisco. Ma… potresti rispondere ad una mia domanda, Brian? –

Brian lo guardò. – Cosa? –

- Secondo te – disse Riccardo – Io sono felice? Ti sembro felice? –

Una domanda semplice. Eppure così strana, un po’ fuori luogo. Talmente fuori luogo che per un momento Brian si sentì spiazzato, rimanendo a bocca aperta con le mani nelle tasche della giacca, chiuse a pugno per l’emozione. Quale sarebbe stata la risposta giusta? Non potendo conoscerla, si affidò al caso.

- Mi… mi pare di… Credo… credo di sì. – rispose infine – Perché me lo chiedi? –

Riccardo fece un sorrisetto, poi una risatina sfinita – Già, che stupido. Scusami se ti ho fatto questa domanda, è solo che… -

- Cosa? – ripeté Brian.

- Oh… niente, niente. Non importa. –

- No, ti prego. Dimmi cosa c’è. –

- è… è solo che io… sembro felice, ma non lo sono. Mi sento molto tormentato dentro di me, e mi succede da quando ti ho conosciuto. –

Brian ebbe un mezzo sussulto, sentendosi la pelle d’oca: era come se gli avesse letto nel pensiero, anzi, come se con quell’affermazione avesse dato coerenza a tutto il suo corso di pensieri.

- A… anch’io – mormorò Brian, avvicinandosi.

- Lo sapevo. Lo sapevo fin dal primo momento che ti ho visto, che eri infelice. Brian, tu… mi permetteresti di aiutarti? –

Ora Brian era vicinissimo a Riccardo, talmente vicino che poteva sentire il suo profumo anche senza respirare a fondo. Non rispose, lasciando che fossero i suoi occhi a parlare, in un linguaggio che Riccardo comprese bene, tanto che si avvicinò di un altro passo e poi allungò le mani verso quelle di Brian, che le tirò fuori dalle tasche della giacca prendendogli le sue e accarezzandogliele. Si avvicinarono ancora di più, guardandosi negli occhi. La mente di Brian era totalmente azzerata dalla concitazione del momento, ma in essa sopravviveva un solo, unico desiderio.

Lo stesso desiderio sentiva Riccardo, ed entrambi lo realizzarono chiudendo gli occhi e unendosi in un lungo e appassionato bacio.

 

*****

 

Circa due ore e mezza dopo, Brian e Riccardo si ritrovarono sul letto di quest’ultimo. Nudi, dopo aver fatto l’amore.

Brian gli si era accoccolato con la testa sul petto, mentre Riccardo gli carezzava amorevolmente i capelli. Un momento di pace durante il quale Brian non pensò più a niente. Non alla sua vita, né a sua madre, né a suo padre… e non a Corrado, che per tutto il tempo in cui Riccardo era stato dentro di lui non aveva sfiorato nemmeno col pensiero. Riccardo era stato così dolce e romantico, ma al tempo stesso determinato. Forse anche un po’ troppo. Ma non gli era dispiaciuto. Non dopo così tanto tempo che non faceva l’amore.

- Brian…? –

- Mmm? – mugugnò il ragazzo.

- Sono le… -

- Le sette? –

- No… sono le nove e mezza passate. –

A quell’affermazione, Brian ebbe un tuffo al cuore. Si sciolse dall’abbraccio con Riccardo e saltò al suo borsello per controllare il cellulare. – Merda – imprecò, vedendo che c’erano cinque chiamate perse, tutte di Corrado.

- Cosa c’è? –

- Corrado – mormorò solamente, mentre teneva il cellulare in mano e guardava in alto, con un’espressione preoccupata.

- Senti, se posso… -

- Sshhh!! Non mi deconcentrare, sto pensando a cosa potrei dirgli! Cristo…! Che cavolo m’invento adesso…?! - Si portò un pugno chiuso alla bocca, mordendosi le nocche.

Rimise a posto il cellulare, quindi agguantò i pantaloni e la camicia e si rivestì in fretta.

- Scusami Riccardo, ora devo proprio andare. C’è una fermata del metrò da queste parti? –

- Siamo un po’ fuori mano per il metrò – rispose lui, prendendo a sua volta i suoi vestiti. – Ti riaccompagno io. –

- Ma… - fece per ribattere Brian.

Riccardo lo zittì con un gesto gentile della mano – Stai tranquillo. Non ti porterò proprio sotto casa tua come la prima volta. –

Brian lo guardò con un’espressione preoccupata, ma non aveva altre chances se non voleva arrivare a casa a mezzanotte per non essere costretto a pagare un taxi, quindi annuì.

 

*****

 

Poco dopo, in auto, il telefono di Brian si mise a vibrare nuovamente. Corrado.

Brian prese un respiro profondo, quindi si calmò e rispose alla telefonata.

- Pronto, amore? Ciao… - rispose Brian, sorridendo leggermente.

- Ciao amore, ho provato a chiamarti ma forse sei in palestra… c’è quell’imbecille di Carlo, insieme a te? –

- Eh? Oh … sì, è qui con me. Ti saluta. –

- Grazie, ricambio. Senti, ti avevo chiamato per dirti che avrei fatto un po’ tardi, ma vedo che sono arrivato a casa prima di te… vuoi che ti prepari qualcosa per cena? –

Il cervello di Brian tornò ad andare in cortocircuito. Una domanda banale, ma che lo bloccò. Era la seconda volta nello stesso giorno.

- Amore…? Pronto? –

Brian lanciò un’occhiata a Riccardo mentre guidava, poi guardò di nuovo fuori dal finestrino, intimando in silenzio a Riccardo di fermarsi.

- Sono arrivato!!! – sussurrò, gesticolando come un matto per non farsi sentire da Corrado – Puoi fermarti qui. –

Riccardo obbedì, fermando l’auto. Brian intanto aveva ripreso la conversazione con il suo ragazzo.

- Eccomi amore, scusa. Ehhmm… Ma no, non stare lì a preparare cose. Sarai stanco, e lo sono anch’io lo sono. Che ne dici se ci facciamo una pizza? Ti va? La compro io, va bene? Dico a Carlo di fermarsi un attimo prima così scendo e la compro! Okay? –

- Va bene, nessun problema! Ti aspetto. E… amore? –

- Sì? –

- Ti amo. –

- Anch’io ti amo. Ciao amore. Ci vediamo fra poco. Ciao. Ciao-ciao-ciao. – disse, chiudendo con un bacetto.

Al posto del guidatore, Riccardo stava ridacchiando.

- Sei fortunato che il tuo ragazzo è all’estero – disse Brian, quindi afferrò la maniglia della portiera.

- Ci rivedremo? – domandò Riccardo, a bruciapelo.

Brian si fermò. Voltò lentamente la testa e guardò il ragazzo con cui fino a pochi istanti prima era stato insieme a letto: lo guardava con occhi dolci, in un’espressione che celava però una natura selvaggia come il suo modo di fare l’amore… intrigante e passionale… talmente intrigante che Brian si sentì di dargli una sola risposta.

 Si allungò per baciarlo dolcemente sulle labbra. Riccardo rispose al bacio con passione, assaporando ogni goccia della bocca di Brian.

- Sì. Ci rivedremo. – sussurrò con un sorriso, prima di scendere dalla Smart.

Riccardo l’osservò mentre si allontanava in fretta, probabilmente verso la pizzeria più vicina. Sorrise soddisfatto, quindi ripartì per tornare a casa.

 

*****

 

Alle dieci e mezza circa, Corrado aprì la porta al suo ragazzo che reggeva in mano due cartoni con dentro le pizze fumanti della pizzeria vicino al loro condominio. Gliele prese di mano e lo baciò dolcemente, quindi le portò fino alla tavola già apparecchiata. Mentre si toglieva le scarpe per mettersi le pantofole sotto il termosifone, Brian si accorse che non aveva con sé la borsa della palestra, e per un attimo gli si drizzarono i peli su tutto il corpo per la paura: come aveva potuto essere così scemo da dirgli che era in palestra senza essersi portato il borsone? Se Corrado se n’era accorto, sicuramente avrebbe fatto delle domande, per cui pensò che doveva rimediare in qualche modo.

Guardò verso il soggiorno, dove Corrado lo stava aspettando, quindi imprecò sonoramente.

- Amore? Che succede? –

- Il borsone! Cazzo…! Devo averlo dimenticato in macchina di Carlo. Che idiota che sono… -

- Va beh, che vuoi che sia. Lo riprenderai. Non sarà mica l’ultima volta che ti vedi con quel saputello idiota del tuo amico. – disse soltanto Corrado.

- Sì, hai ragione – disse Brian, venendo avanti e accomodandosi al tavolo.

 

Per tutto il tempo della cena, Brian cercò di mantenere un aplomb normale, ma fu un’impresa davvero ardua: il pensiero che quel pomeriggio aveva tradito il suo ragazzo con un tipo conosciuto in discoteca solo due settimane prima, continuava ad affacciarglisi alla mente. E inoltre Corrado trovava ancora la forza di essere paziente e di non nutrire nemmeno un sospetto nei suoi confronti perché era rientrato senza il borsone della palestra. L’osservò mentre mangiava la sua pizza, tagliandola in pezzettini regolari e ben squadrati, togliendo ovviamente la crosta (questa la diamo in beneficienza ai nostri politici, diceva sempre) e masticando piano. La zazzera di capelli folti e spettinati e gli occhiali sul naso lo facevano sembrare un ragazzino di dodici anni. Improvvisamente, provò per lui una sconfinata tenerezza, ma anche tanta pena.

Quella sensazione di disagio morì lentamente più tardi, mentre erano a letto.

Nel buio, accanto al suo ragazzo, Brian ripensò a Riccardo.

Pensò che non era mai stato posseduto in quella maniera… e gli era piaciuto tanto. Talmente tanto che, se non ci fosse stato Corrado lì accanto a lui, ma soprattutto se avesse avuto un’auto ed avesse saputo guidarla, sarebbe corso da Riccardo per la seconda puntata. Mentre faceva questi pensieri, si girò su un fianco, a guardare il cellulare. Questo s’illuminò: un messaggio di Riccardo.

È stato mondiale. Incredibile. Ma forse è stata anche la prima e l’ultima volta.

Ebbe un tuffo al cuore nel leggere quelle parole, quindi rispose in fretta:

Spero di no. Non sarà l’ultima volta.

Dopo aver visto le doppie spunte blu, segno che aveva ricevuto e letto il messaggio, Riccardo gli rispose con un bacetto ed un cuoricino.

Nel buio, mentre Corrado al suo fianco dormiva, Brian sorrise beato leggendo le righe di parole dolci che gli scrisse Riccardo.

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Capitolo 6
*** 6. ***


6.

 

 

Il mattino seguente Brian era in preda alla sonnolenza. La notte precedente aveva dormito poco e niente e ora, con la luce diafana che filtrava dalle tende, si sentiva letteralmente a pezzi. Notando l’affaticamento del suo ragazzo, Corrado si era affrettato a sparecchiare le stoviglie della colazione (che lui stesso aveva preparato) e aveva consigliato al ragazzo di riposarsi e quindi saltare la palestra per non affaticarsi ulteriormente.

- Tranquillo amore – gli rispose Brian – Adesso torno a dormire altri cinque minuti, poi starò benissimo. – concluse, con un sorriso dolce.

Fidandosi del suo ragazzo, Corrado era uscito salutandolo affettuosamente come ogni mattina.

 

Rannicchiato sotto la coperta imbottita, nella penombra della sua stanza da letto, si era sentito un po’ meglio, ma non era riuscito a riposare: aveva continuato a pensare a quello che aveva fatto, a come gli era piaciuto… ed a come vedeva Corrado da quando era successo. Sembrava una di quelle storie che aveva letto a decine su Facebook: durante una relazione, uno dei due alla fine si annoiava dell’altro e andava a cercare fuori ciò che non trovava a casa. Un classico, buono sia per le coppie omo che per le coppie etero. Leggendo quelle storie, aveva sempre pensato che lui ne era immune, fedele al motto Se ami, non tradisci; se tradisci, non ami.

E adesso, il solo fatto che ci si ritrovasse dentro, metteva in discussione tutto il suo sistema di convinzioni, che stava incominciando a vibrare al suono della domanda “Sono ancora innamorato di Corrado…?

Quella era una domanda scomoda per la sua mente, che stava cercando in tutti i modi di metterci delle pezze. La prima di queste era che un pomeriggio di sesso non è abbastanza per mettere in discussione una relazione di dieci anni; la seconda, collaterale alla prima, era che Riccardo era uno sconosciuto: quindi, non poteva esserci amore nei suoi confronti, ma solo la mera soddisfazione di un bisogno. Giusto? Giusto.

Anche se Brian non ne era tanto convinto.

Al di là di tutto, delle risposte-pezza della sua mente, era stato eccitante. Fottutamente eccitante. Poiché Riccardo era uno sconosciuto, si poteva dire che era stato come andare con un escort, che però non gli aveva chiesto un euro per la sua prestazione di sesso occasionale.

Sesso occasionale. Proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento. Un po’ di sano sesso che Corrado gli dava con il contagocce.

Ma non era tutto lì. C’era dell’altro. Oh, sì che c’era.

Per quanto si sforzasse di accettare quella pezza, Brian faceva fatica a vedere Riccardo come un ragazzo-oggetto: era un bravo conversatore, paziente e limpido. Proprio com’era Corrado agli inizi. Ma più di Corrado, aveva la carica sessuale. E quel mix di sensazioni che sentiva dentro di sé quando pensava a lui o quando gli era vicino, poteva suggerire soltanto una cosa…

Ti stai forse inn

- Oh no, no… no! – gridò, buttando all’aria il cuscino e rannicchiandosi in posizione fetale, chiudendo gli occhi. Continuò a pensare ed a ripetersi che era stato solo un po’ di sesso senza amore, finché non si addormentò.

 

*****

 

Quel giorno Carlo era impegnato. Brian gli aveva scritto su Whatsapp se desiderava andare in palestra (questa volta per davvero), ma Carlo gli aveva risposto che usciva con un nuovo ragazzo conosciuto il giorno prima. Mentre faceva le poche faccende di casa, Brian continuò a pensare all’accaduto, facendo congetture e dibattiti con sé stesso.

Provò a ribaltare la prospettiva: e se invece che a lui, una cosa del genere fosse capitata a Corrado?

Ci pensò su. Immaginò Corrado al posto di sé stesso, ed un ragazzino ventenne che si rivolgeva allo studio di consulenza dove lavorava Corrado perché voleva aprire un concept bar. Corrado andava a fare il sopralluogo e gli spiegava tutto quanto, mentre il ragazzino gli preparava un caffè e magari gli offriva anche una brioche calda o un pancake… Ad un certo punto smettevano di parlare di lavoro e incominciavano a parlare della vita privata, delle cose che piacevano a entrambi… fino a che il ragazzino non gli diceva che voleva mostrargli il suo appartamento. Corrado andava e il ragazzino lo seduceva con un massaggio alle spalle e poi si allungava per baciargli le labbra, per poi concludere in bellezza sul suo letto con Corrado sopra di lui.

La fantasia che un ragazzino più giovane di lui avrebbe potuto portarsi Corrado a letto lo faceva incazzare, perché lo faceva sentire vecchio e poco attraente, più di quanto faceva già Corrado evitando di fare l’amore con lui.

Se succedesse davvero, non so chi farei a pezzi per primo, tra Corrado e un ragazzino. Mi farebbe incazzare pensare che lui non mi toccasse, al solo e unico scopo di preservarsi per un moccioso, pensò, calando pesantemente il ferro da stiro su un paio di pantaloni buoni di Corrado.

Poi però gli si affacciò alla mente che lui non si era fatto tanti scrupoli ad andare a letto con un altro, e che se Corrado avesse reagito come stava reagendo lui alla fantasia, ne avrebbe avuto tutto il diritto.

Ma se l’aveva fatto, c’era un motivo, no?

Certo che c’è, il motivo: vuoi sentirti ancora desiderato carnalmente. Non è così?

- Forse. Però… anche Corrado ogni tanto mi fa sentire desiderato. Ma in altri modi. Dio, non so proprio cosa fare… - mormorò, mentre faceva andare il ferro da stiro sull’asse.

Il meglio che puoi fare è cercare il lato positivo in tutta questa storia, se ce n’è uno. E mi sembra ci sia: puoi tenerti Riccardo per delle scappatelle ogni tanto, nell’ambito di un rapporto che potrai chiudere quando vorrai.

Sì, certo. Come dicevano i drogati, potevi sempre dire “Smetto quando voglio”. Ma già smettere quando ci si drogava era difficile.

- Con il sesso potrebbe essere diverso, no? Ma sì. E con Corrado come la mettiamo? -

Ovvio che non deve saperlo, pirla. Cosa succederebbe altrimenti?

- Ah, non lo so. E non voglio scoprirlo. –

Benone. E allora va’ avanti e non preoccuparti delle conseguenze, almeno per ora.

- Questo è un gioco al massacro. E se perdessi Corrado? –

Come hai detto tu, è un rischio che vale la pena di correre. Non preoccuparti di questo, adesso.

Brian sospirò, mentre finiva di stirare gli ultimi capi, continuando però a pensare a quella storia.

 

*****

 

- Ti devo parlare – disse ad un certo punto Brian, interrompendo a metà il racconto di Carlo sul suo ultimo incontro fallimentare con un altro tizio conosciuto su qualche social network. Carlo allora si zittì, guardandolo con espressione leggermente infastidita dalla parte opposta del tavolo d’angolo che si erano scelti al McDonald’s.

- Eh, ma che espressione seria hai – gli disse l’amico – Che è successo? È morto qualcuno? –

- No… almeno, fisicamente no… ecco, io… -

- Ah-ha! Non dirmelo, lasciami indovinare! - Carlo gli puntò il dito contro, facendo un sorriso furbesco. – Stai pensando di lasciare Corrado! –

- Cosa?! No, no! È che… cazzo, ma vuoi lasciarmi parlare, una buona volta?!? –

- Uffaaa... Va bene, vai avanti. –

- Non te l’ho detto prima perché non pensavo fosse una cosa molto importante… ma… sabato sera ho conosciuto un ragazzo. –

Carlo aprì la bocca in una “A” di stupore.

Brian cominciò a raccontare tutto ciò che era successo, descrivendo la persona con cui era stato e le sue impressioni.

- …e alla fine tre giorni fa siamo stati a letto insieme. –

- Uhhhh! – Carlo fece un sorriso a trentadue denti – Bravissimo! Era ora che ti sciogliessi un po’! –

- Sì, però adesso… -

- Cosa? –

- Adesso mi sento confuso. Non so cosa fare, con Corrado, con Riccardo… -

- Ah, questo tuo lato sentimentale… Se vuoi la mia opinione, dovresti sbarazzartene. –

- Di chi? Di Corrado? –

- Ma no…! Se proprio ti piace puoi tenerlo, non sarò certo io a dirti di lasciarlo (anche se sarebbe la prima cosa che io farei); Mi riferivo al tuo lato sentimentale: sbarazzatene, mettilo a tacere. In poche parole, cerca di non pensarci troppo…! –

- Intendi dire che… -

- Intendo dire che buona parte delle coppie che ci sono là fuori – disse, picchiettando con la punta dell’indice il vetro del locale – conducono un’esistenza tranquilla nonostante il fatto che uno dei due, o tutt’e due, si riempiano a merda di corna a vicenda. È la norma. Cosa credi, che i due ragazzini che hai visto mentre eravamo in fila in discoteca, fossero lì per giocare a Final Fantasy o per una maratona Netflix? Nossignore e nossignora! Erano lì per divertirsi. È così funziona il gioco, baby. –

- Certo che detta così sembra proprio squallida, e-e... e triste, cazzo. –

Carlo ridacchiò con fare pomposo – Oh-oh-oh-oh! Zuccherino bello… Ma per forza che sembra squallida! Lo è, cazzo! Però è la verità. Nuda e cruda-anzi, squallida e triste- e nessuno può farci nulla. Siamo maschi. Siamo poligami. Siamo superficiali, sempre alla ricerca di sesso sfrenato. Possiamo migliorare? No. Possiamo adeguarci? Sì. Anzi, non solo possiamo, ma dobbiamo. E adeguarci è un imperativo categorico. Quindi io ti dico: adeguati figliolo, e finalmente sarai felice. – concluse, portando l’indice della mano destra in alto, come concludendo il monologo di uno spettacolo teatrale.

- No… Io non credo che tra me e Riccardo ci sia una cosa del genere. A me lui piace ed io credo di piacere a lui, non solo in senso fisico. Forse corro un po’ troppo, ma… nel futuro vedo me e lui insieme. –

- Pffft. Oh nooo… – sbuffò l’amico, scuotendo la testa e roteando gli occhi al cielo.

- Perché no, scusa? –

Per tutta risposta, Carlo fece spallucce, poi cominciò a rispondere, lentamente e guardandolo negli occhi – Brian… Rifletti: è uno che hai visto due volte, una delle quali ti ha scopato! Ma secondo te. Andare a letto con uno, è abbastanza da dire che piaci a una persona?! Allora io dovrei piacere a tutti, porco cazzo, Invece non è così! –

- Tu sai sempre tutto – gli disse Brian, assumendo un’espressione di sufficienza.

- E adesso con quella faccia di merda cosa vorresti dire? Che sono uno sbruffone arrogante e saccente? –

Brian alzò gli occhi e gli rivolse un sorrisetto di circostanza – Oh, non mi permetterei mai signor Io – so - tutto.

- Oh, senti! Sei tu che mi hai chiesto un parere su tutta questa storia. Il minimo che posso fare, essendo l’unica persona più vicina ad un fratello maggiore-forse più probabilmente a una sorella maggiore-è dirti le mie perplessità. E sono molto perplesso sul fatto che questo Riccardo possa sostituire Corrado, per quanto sarebbe bello. Secondo me non dovresti pensarci così, subito. –

- E cosa dovrei fare, secondo il tuo illuminato parere? Sentiamo. –

- Brian, ma un po’ di fantasia, no? Cazzo! Fai quello che farebbe qualunque mogliettina annoiata, no? Fatti scopare un po’, magari fatti regalare un po’ di cose… poi quando non ti soddisferà più… - Carlo alzò la mano destra di piatto, come se accanto avesse un pulsante buzzer, quindi la calò sul tavolo e ne imitò il suono con la voce - Beeeeee!!! Avanti un altro!!! Come da Paolo Bonolis. –

Brian ridacchiò, e Carlo con lui. – Tu sei tutto scemo – disse.

- No tesoro, sono anche fin troppo avveduto. Oh, finalmente arrivano i nostri panini! Ho una fame che non ci vedo più! – esclamò, vedendo arrivare la cameriera, una ragazza cicciotella che salutò amichevolmente Carlo. Quando se ne andò, lasciando le ordinazioni dei due ragazzi, Carlo cominciò a scartare il suo doppio cheeseburger, mentre Brian fissava il vassoio senza proferire parola.

- Oh! Brian? Ci sei? –

- Sì. Pensavo. –

- A cosa? –

- Pensavo che comunque per il momento il problema fidanzamento non sussisterebbe. Perché Riccardo mi ha detto di essere anche lui fidanzato, quindi… non potrei mettergli l’anello al dito nemmeno volendolo. –

- Ecco… visto? Una ragione di più per vedersi senza impegni. Vai tranquillo, spegni il cervello e goditi quante più trombate terapeutiche riuscirai a farti. Ne hai bisogno. –

- Già – disse Brian, scartando anche lui il suo panino – Forse hai ragione. -

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Capitolo 7
*** 7. ***


7.

 

 

Seguire il consiglio di Carlo, ovvero di prendere tutto il buono che poteva prendere dal suo amante, si stava rivelando un’impresa ardua. Lì per lì Brian aveva pensato che sarebbe stato facile andare a letto con qualcuno e godere solo di quello, ma la verità era che lui non ci riusciva. Ogni volta che finivano di fare l’amore, Brian si beava nel ricevere le coccole di Riccardo, che lo ricopriva di attenzioni anche quando non si vedevano, scrivendogli messaggini su Whatsapp dove gli inviava i soliti scatti della giornata e gli dimostrava quanto ci tenesse a lui. Brian pensò che se ci fosse stato Carlo, al suo posto, sicuramente avrebbe visto tutte quelle attenzioni come melensaggini inutili e forse gli avrebbe dato il benservito. Invece lui ne restava semplicemente ammaliato: in poche settimane ne era diventato dipendente.

Per come lo vedeva Brian, Riccardo era pieno di sorprese. Quando erano insieme, era capace di fare cose del tutto inaspettate. A volte erano cose innocenti, ma altre volte lo erano meno.

Ad esempio un pomeriggio, per non dover usare l’auto, usarono il metrò. Mentre Brian gli parlava, Riccardo lo baciò davanti a tutti. Fu una cosa a cui Brian non era proprio abituato, poiché Corrado era abbastanza rigido sulle effusioni in pubblico (non perché non fosse dichiarato, ma solo perché riteneva fosse sconveniente). Sul momento Brian cedette lasciandosi baciare, ma quando Riccardo si staccò, Brian era rosso come un peperone. Non ebbe il coraggio di dirgli nulla, ma forse la sua espressione doveva aver parlato per lui, poiché Riccardo gli spiegò perché l’aveva fatto.

- Volevo farti arrossire. Sei così bello, quando arrossisci. – gli sussurrò all’orecchio. Ciò bastò a fargli venire la pelle d’oca.

Queste erano le cose innocenti.

Delle cose meno innocenti, invece, ce n’era un campionario molto vasto. Quella che però colpì di più Brian fu quella nel negozio di abbigliamento.

Quando era con Corrado, a Brian piaceva entrare nei negozi di abbigliamento e provarsi i vari capi. Non sempre comprava qualcosa, ma gli piaceva ammirarsi in altre vesti.

Quel giorno ce l’aveva accompagnato Riccardo. Come al solito lui aveva scelto alcuni pezzi (maglioni, camicie, pantaloni, rispettando il divieto di introdurre più di cinque capi per volta) appesi nel negozio e se li era portati in camerino per provarseli.

Le prove non lo avevano soddisfatto, quindi si era tolto i vestiti sbuffando, rimanendo in mutande.

A quel punto aveva visto la tenda del camerino scostarsi leggermente, mentre Riccardo vi sgattaiolava dentro. Sulle prime Brian era rimasto confuso, non comprendendo perché fosse entrato. Ma quando lo vide sistemare le calamite della tendina in modo che non si aprisse facilmente, capì. Il suo sguardo era livido di lussuria. Brian lasciò cadere i suoi pantaloni, mentre Riccardo si avvicinava e incominciava a toccarlo.

Poco dopo qualche cliente del negozio che passava dai camerini avrebbe visto la tendina muoversi e udire un sommesso mugolio ovattato, dovuto alla mano di Riccardo posata sulla bocca di Brian per non farlo urlare troppo dal piacere. Quando terminarono, Riccardo fece per uscire dal camerino per primo, strizzandogli l’occhio.

Rimasto solo, Brian ricordò di aver pensato che era una fortuna che alcuni camerini avessero la tenda più lunga: in questo modo fare cose poco innocenti in pubblico era ancor più eccitante.

 

- Tu sei tutto matto – disse Brian, mentre camminava due passi più avanti rispetto a Riccardo, ridendo e scherzando come un ragazzino.

- Dì la verità, però… ti è piaciuto? –

Per tutta risposta, Brian si fermò e acchiappò Riccardo per la vita, rubandogli un bacio e facendogli l’occhiolino. – Ti basta, come risposta? –

- Forse. Cercherò di farmela bastare – rispose, allungando le mani sul sedere di Brian, che si sentì di nuovo scosso da un fremito.

Brian lo baciò di nuovo, godendosi il suo viso fiocamente illuminato dalle prime luci della sera.

- Sei… stupendo. – Disse Riccardo, guardandolo negli occhi – Mi meraviglia che il tuo ragazzo, non provi ammirazione per te. –

- Non penso che mi disapprovi – lo contraddisse Brian, abbassando gli occhi –Corrado purtroppo lavora molto, e così è quasi sempre stanco. Poi forse c’è anche da dire che non è più un ragazzino… insomma, ha la sua età. -

- La sua età…? – ripeté Riccardo, piccato - Io ho appena tre anni più di lui, però come vedi…! – non terminò la frase, alludendo a ciò che avevano appena fatto al negozio di abbigliamento.

- Sì, d’accordo. Siete coetanei, ma tu pesi anche trenta chili meno di lui. Glielo dico sempre che dovrebbe fare un po’ di palestra insieme a me, ma… ehi, sarebbe più facile cercare di far girare il mondo al contrario: non viene, non ce la fa proprio. Tu che ne pensi? –

Riccardo scosse la testa – Penso che la mancanza di allenamento si ripercuota inevitabilmente anche sulla libido di un uomo. –

Brian sollevò un sopracciglio perplesso. – Cosa intendi dire? –

- Oh, non chiedermelo. Non voglio demolirlo troppo. – disse, senza chiamarlo per nome, né usando un sostantivo.

- No dai, dimmelo. Tranquillo. –

Mentre camminavano sul viale che conduceva all’Albero della Vita, glielo spiegò. Gli disse che le persone in sovrappeso non riescono ad eccitarsi bene perché il sangue non circola in modo ottimale. Brian spalancò gli occhi, ci pensò un momento, quindi scosse la testa.

- Ma no… non può essere così per tutti. Cioè, io penso che qualche chilo di troppo sia abbastanza relativo nella voglia di rapporto fisico: alla fine Corrado ci sa anche fare, è solo che… -

- Cosa? –

- Niente, è solo che… come faccio a spiegartelo bene? – Ci pensò su, poi gli venne un esempio per spiegarglielo. – Ecco, prendiamo ad esempio una persona che fuma. Più fuma, più ne sente il bisogno, perché è una cosa chimica. Mi segui fin qui? –

Riccardo annuì, mentre gli camminava al fianco.

– Ebbene, lui è il contrario: lui è come se fosse un fumatore che fuma una volta ogni tanto, e gli sta benissimo così, ecco. Non so se… - lasciò in sospeso la frase, contemporaneamente fermandosi e scuotendo la testa guardando Riccardo negli occhi.

- Fumare è una cosa che fa male. Mentre fare l’amore è una cosa che non fa male, anzi fa bene. –

- Sì, hai ragione. Sono proprio una frana. Non avrei potuto trovare un esempio peggiore. Comunque… Se confrontassi Corrado con tutti i ragazzi che ha conosciuto il mio amico Carlo, potrei dire che è un caso raro, un ragazzo a cui non interessa fare costantemente sesso. –

- Come ti pare – rispose Riccardo, alzando le spalle. – Ma adesso basta parlare di fidanzati. Ora ci siamo solo noi. –

Brian gli sorrise dolcemente, quindi lo baciò ancora una volta. – Non dimenticarti che fra un’ora devi riportarmi a casa. –

- Facciamo così: ti rapisco e chiediamo il riscatto a lui. Che cosa ne pensi? –

Ridendo, Brian gli si accoccolò addosso. – Mi piace come idea. Sarei l’unico prigioniero che ha sviluppato la sindrome di Stoccolma prima di essere rapito. –

 

Mentre era insieme a lui, Brian chiudeva la porta su tutto ciò che lo circondava. Anche sul fatto che passeggiando così tranquillamente per strada e tenendosi per mano, davano molto nell’occhio, il che non era un problema in sé, ma lo diventava se si considerava che Brian fosse ancora legato a Corrado.

Che cosa sarebbe successo se qualcuno, un amico, un collega, o qualcun altro che conosceva lui e Corrado li avesse visti insieme, lui e Riccardo? L’interrogativo ogni tanto gli sfiorava la mente, solo lui non vi dava tanto peso: Dovrei essere proprio uno sfigato per farmi sgamare da qualcuno che conosce me o Corrado, in una città così grande, pensava.

Purtroppo, anche nelle grandi città bisogna stare attenti a queste cose, e Brian ne avrebbe avuta presto una riprova.

 

*****

 

La riprova che il destino è sempre in agguato, Brian la ebbe qualche giorno dopo, all’ora di pranzo.

 

Ti andrebbe di pranzare insieme, oggi? Gli aveva scritto Riccardo su Whatsapp. Stava per rispondergli che no, non gli andava perché si sentiva leggermente stanco, ma l’alternativa sarebbe stata il solito pranzo in solitudine o al massimo insieme a Carlo (si diede una manata sulla fronte pensando che Carlo era impegnato con il lavoro), per cui Brian fu lieto di accettare l’invito, a condizione però che l’avesse riaccompagnato a casa prima delle diciotto.

 

Il posto che Riccardo aveva scelto questa volta era un ristorante giapponese poco lontano dal centro città. Quando arrivarono in auto, Brian ebbe una strana sensazione, come se avesse già vissuto quei momenti… una fortissima sensazione di dejà-vu. L’ultima volta che aveva provato una sensazione del genere, era stato quando Carlo si era appena patentato ed aveva tamponato un’altra vettura ferma al semaforo: pochi momenti prima dell’impatto, aveva avvertito la stessa sensazione di aver già vissuto quei momenti. Prima di scendere dall’auto di Riccardo si era guardato intorno più volte, per verificare che non ci fosse qualche pericolo occulto. A parte qualche azienda, i soliti condomini, un supermercato e delle auto parcheggiate, non c’era niente di strano.

Era tutto tranquillo. Forse troppo.

 

Entrarono nel ristorante. Una signora di mezz’età vestita con un tipico costume giapponese li scortò verso il loro tavolo, posizionato un po’ verso l’angolo della sala, accanto alle vetrate. Riccardo si sedette di spalle alla porta d’ingresso e Brian gli si sedette di fronte.

Vedendolo un po’ turbato, Riccardo gli allungò la mano sul tavolo, prendendogli la sua.

Brian gli rivolse lo sguardo, dove dietro al sorriso c’era un’ombra di preoccupazione.

- Tutto bene? – gli domandò, guardandolo negli occhi.

- Sì, è solo che… non so, ho una strana sensazione. –

- Ti va di parlarmene? –

- Non saprei spiegartelo. È come se fossi già stato qui, ma non ricordo quando. –

- Forse con qualche altro ragazzo? – Riccardo gli strizzò l’occhio, sorridendo.

- Ma no, è che… -

- Sei solo un po’ teso. Ma è normale: alla fine stiamo facendo entrambi un gioco “pericoloso”. Stai tranquillo, ci sono qua io. –

Sorridendo, Brian gli diede una leggera stretta con la mano destra. – Forse hai ragione. Mi sto preoccupando troppo. –

- Leggermente. Cerca di rilassarti. Vedrai che tutto andrà bene. –

 

Pochi istanti dopo che uno dei camerieri aveva lasciato i menù sul loro tavolo, Brian vide la maitresse scortare altri clienti verso un altro tavolo. Il gruppo era composto da cinque uomini (tre dei quali erano asiatici, forse giapponesi) e due donne, una giapponese e l’altra europea. Anzi, per la precisione italiana.

Una donna che Brian conosceva benissimo, e che quando alzò gli occhi dal menù e la vide, per poco non svenne per la paura.

- Oh, merda secca – mormorò tra i denti, quasi in un sussurro.

Riccardo alzò anche lui gli occhi dal menù, incontrando lo sguardo vacuo e perso nel vuoto di Brian, che si affrettò a nascondersi dietro la carta del menù.

- Che succede, Brian? –

- Shhh! Fai finta di niente! Non voltarti…!! –

- Chi c’è? Il tuo ragazzo? –

- No, merda! – disse tra i denti – C’è Valeria, sua sorella!! –

La ragazza italiana facente parte del gruppetto era Valeria, la sorella minore di Corrado. Dopo la laurea in economia aveva trovato un posto come assistente di direzione presso una nota azienda metalmeccanica. Trentenne, single, era attratta dagli uomini potenti e dai lavori di concetto. Non somigliava per niente al fratello, che le voleva bene ma la teneva a debita distanza. Brian non poteva soffrirla: la trovava ipocrita, antipatica e semplicemente… stronza. Purtroppo era costretto a tollerarla quelle volte che Valeria andava a trovarli a casa, ma era un’impresa davvero ardua ogni volta che lei apriva bocca. Non potendo parlare d’altro, parlava solo di lavoro: di come organizzava bene le sue colleghe; di quanto era riuscita ad aumentare il fatturato con delle nuove idee… semplicemente patetica.

In un altro momento sicuramente l’avrebbe ignorata e lei avrebbe fatto lo stesso; purtroppo in quella circostanza poteva essere molto pericolosa, dal momento che lui era insieme a Riccardo. Conoscendola, sapeva che la prima cosa che avrebbe fatto una volta abbandonato il locale sarebbe stata di fare rapporto a suo fratello.

- Dobbiamo andarcene da qui. – sibilò, perentorio.

Anche se leggermente colto di sorpresa, Riccardo ostentava un controllo invidiabile. Dal taschino della giacca tirò fuori i suoi occhiali da sole, e contemporaneamente si tolse la sciarpina di seta che portava intorno al collo.

Poi tirò fuori la chiave della sua macchina e la mise sul tavolo. – Prendila – gli disse, indicandola con lo sguardo. Brian obbedì, mettendosela in tasca.

Gli porse gli occhiali da sole e la sciarpa, che Brian prese lentamente. – Mettiteli ed esci di qui. Vai alla macchina, io arriverò tra poco. –

Cercando di non farsi notare, Brian inforcò gli occhiali e poi si avvolse la sciarpa intorno al collo, cercando di coprirsi per quanto possibile la bocca. Aspirò il profumo di Riccardo per darsi sicurezza, quindi si alzò velocemente facendo tintinnare leggermente i bicchieri mentre si alzava.

Gli avventori agli altri tavoli non si scomposero di un millimetro, ma in quel momento lui si sentì come un elefante in una cristalleria: ingombrante e pericoloso, per cui cercò di guadagnare la porta di uscita. La maitresse lo vide uscire, ma lui non la degnò di uno sguardo, mentre prendeva la maniglia della porta e l’apriva, uscendo nel cielo plumbeo e correndo verso la Smart di Riccardo.

Premette il pulsante di apertura sulla chiave, quindi aprì lo sportello e si fiondò dentro l’abitacolo, in preda ad una paura fortissima che si era impadronita di lui. Si sentiva la testa girargli come una trottola, le tempie pulsargli in un attacco di panico in piena regola.

Si appiattì contro il sedile, desiderando di diventare microscopico, ma ovviamente ciò non accadde. Il pensiero che l’odiata cognata l’avesse intravisto lo stava uccidendo. Purtroppo non c’era modo di sapere se la ragazza l’avesse effettivamente intravisto oppure no, quindi cercò di non pensarci e lasciare che quella brutta sensazione svanisse così com’era venuta.

Poco dopo, arrivò Riccardo.

 

- C’è mancato davvero poco – disse ad un certo punto Brian, mentre era sul divano di Riccardo, la testa appoggiata alle sue gambe mentre il ragazzo gli accarezzava la testa. – Non posso permettermi di rischiare così. –

- Sei stato fortunato – disse Riccardo, e Brian notò che non aveva usato il plurale, riferendosi soltanto a lui – La prossima volta potrebbe non essere così. –

- Già… cazzo. –

- Non pensiamoci più – disse, tornando magicamente al plurale. Abbandonandosi tra le sue dita carezzevoli, Brian cercò di tranquillizzarsi, continuando a pensare ad una frase che diceva spesso da piccolo, quando voleva rubare le riviste porno di suo fratello o la nutella dalla dispensa: il gioco vale la candela. E rischiare un po’ per vedere un ragazzo straordinario come Riccardo, valeva bene la pena di venire sputtanati.

Ad ogni buon conto, come avrebbe detto più tardi Brian a Riccardo dopo aver fatto l’amore, da allora in poi le parole d’ordine dovevano essere prudenza e discrezione.

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Capitolo 8
*** 8. ***


8.

 

 

 

D’accordo che il gioco valeva la candela, ma dopo che aveva corso il rischio di venire beccato dalla sorella di Corrado, Brian aveva incominciato a vedere ombre maligne dappertutto: quando si vedeva con Riccardo, camminava quasi rasentando i muri o con la testa incassata nelle spalle, senza menzionare che non usciva mai senza un cappellino o degli occhiali da sole. Qualche volta Riccardo gli chiedeva se desiderasse andare al cinema o a cena fuori, ma Brian il più delle volte declinava, preferendo invece andare direttamente a casa sua e magari cucinare lui stesso, pur di non doversi esporre fuori, in pubblico. Una volta Riccardo gli aveva detto che si preoccupava un po’ troppo.

Perché, tu non ti preoccupi? Aveva pensato Brian sul momento, senza però riuscire a replicargli. Effettivamente Riccardo, nonostante gli avesse dichiarato di essere fidanzato, non sembrava più preoccupato di lui. Anzi, sembrava sempre molto tranquillo e rilassato, tanto che Brian si fermò un attimo a rifletterci sopra.

Dapprima aveva pensato che non si preoccupasse perché tanto il suo ragazzo era all’estero. Ma possibile che non si preoccupasse del fatto che poteva vederlo qualcuno che conosceva…?

Ovviamente, non c’era soltanto quello. C’era anche il suo cellulare.

Quando erano insieme, non suonava quasi mai, né Brian aveva mai visto ricevergli un messaggio su Whatsapp mentre erano insieme. Com’era possibile che il suo fidanzato non gli scrivesse mai, né gli telefonasse? Inizialmente Brian aveva accantonato l’idea, ma poi una sera, dopo aver fatto l’amore, aveva provato a chiederglielo.

- Ma il tuo ragazzo – attaccò – Non ti telefona mai? Non è mai preoccupato per te? –

Riccardo diede un’alzatina di spalle, come se non sapesse cosa dire – Che io sappia, è sempre molto indaffarato. –

- Ma non ti contatta proprio mai? –

- Lo contatto sempre io – tagliò corto Riccardo, guardandolo come a dirgli che il discorso era chiuso e non intendeva più parlarne.

- Sì, ma… possibile che tu non ti senta preoccupato o in qualche modo minacciato…? –

Per tutta risposta, Riccardo gli rigirò la domanda. - Tu ti senti così, forse? –

- Beh… io… sì. –

- Ed il tuo ragazzo ti chiama, ti cerca…? –

- Sì, lui sì. Ed io sono sempre preoccupato quando non mi trova in casa, sai… -

- Di cosa sei preoccupato? Tanto la vostra storia non funziona, no? – Riccardo piegò le labbra in un sorriso all’apparenza dolce, ma che a Brian, inspiegabilmente, fece un po’ paura. Avrebbe voluto replicargli che non era proprio esatto dire che la loro relazione non funzionasse, però…

Riccardo rimase lì a fissarlo, con quegli occhi che riuscivano a penetrargli l’anima. Brian era come ipnotizzato da tale sguardo, tanto che non riuscì più a proferire parola. Intuendo di averlo finalmente zittito, poi, Riccardo allungò le mani e gli accarezzò le guance, prendendolo a sé e baciandolo.

- Non dovrai avere paura, finché sarò al tuo fianco. –

- Giusto. Sono uno sciocco, perdonami. –

- Perdonato. – gli rispose, facendogli l’occhiolino. Brian si sentì stupido, ma al tempo stesso rinfrancato da quel gesto affettuoso del suo dolce Riccardo.

 

Approfittando di un’altra trasferta breve di Corrado (è una specie di corso, starò via solo un venerdì sera e tornerò sabato nel pomeriggio), Brian aveva colto la palla al balzo con Riccardo, che gli aveva proposto di passare il weekend insieme. Quando Riccardo gli aveva aperto la porta, lo aveva trovato con una busta della spesa in una mano. Senza capire, Riccardo lo aveva guardato, mentre lui sfoggiava un bel sorriso.

- Passavo dal super e ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere assaggiare qualcuno dei miei piatti. Ti va? –

 

Mentre Riccardo continuava con il suo lavoro, Brian si era messo a preparare i suoi hamburger all’americana, che in realtà di americano avevano ben poco, se non il nome. Non solo era un piatto che gli riusciva particolarmente bene, ma gli ricordava anche la prima volta che aveva cucinato per Corrado, tanti anni prima. Era stato forse qualche mese dopo che si erano messi insieme, dopo che si erano scoperti innamorati (Anche se non mi ricordo proprio come successe; che brutta bestia la vecchiaia, pensò, mentre con le mani lavorava il macinato nel recipiente.)

Rispetto allora aveva dieci anni di più e al posto di Corrado c’era Riccardo, ma l’amore con cui si dilettava a cucinare, era pressoché lo stesso.

 

- Com’è? – gli aveva domandato Brian dopo aver mandato giù un pezzettino del suo hamburger alla piastra.

Riccardo stava ancora masticando, ma a quella domanda fece una smorfia come se stesse pensando alla risposta da dargli. Brian s’inquietò leggermente.

- Non… non ti piace? –

- No, no… Anzi! È molto buono. Solo che… -

- Cosa? –

- Oh… no, non importa. –

- No, dai. Dimmelo. Che cosa c’è che non va? –

- Forse io avrei evitato di metterci il burro nella padella. Sai… i grassi… possono nuocere alla circolazione. – aveva concluso, guardandolo negli occhi con un’espressione talmente penetrante che sembrava un padre che sta rimproverando suo figlio.

A quella dichiarazione, Brian si era mordicchiato il labbro, prima di dire – Ma… ce l’ho messo perché altrimenti si sarebbe incollato tutto. Non volevo rovinarti la padella. Ti chiedo di scusarmi. Non lo farò più. –

Riccardo poi aveva sorriso, ma non aveva aggiunto altro. Brian allora aveva pensato a cos’altro avrebbe potuto usare per evitare di far attaccare le padelle quando cucinava la carne.

E mentre ci pensava, la sua mente andò a Corrado, alla prima cosa che gli disse quando assaggiò i suoi hamburger all’americana.

Sono una meraviglia…! E tu saresti da sposare. Posso sposarti io?

Brian aveva ridacchiato a quella domanda. Per l’imbarazzo, ma anche per la contentezza. Era stata la prima volta che un ragazzo che non fosse suo fratello o suo padre o sua madre, gli aveva detto che cucinava bene.

Se mi darai ancora una mano mentre cucino, volentieri, aveva detto Brian, riferendosi al fatto che non aveva cucinato proprio tutto da solo: l’allora giovane ingegnere era andato innanzitutto a comprare gli ingredienti, per poi aiutarlo a prepararli. Nonostante tutto, aveva rifiutato ogni coinvolgimento.

Erano davvero buonissimi. E tu sei stato bravissimo, amore.

Siamo stati bravissimi, vuoi dire.

No. Ho detto che SEI stato bravissimo. Io ho solo comprato e preparato gli ingredienti. Il resto l’hai fatto tu.

E l’aveva baciato.

Tornando al presente, invece, Riccardo non gli aveva fatto nemmeno un complimento, anzi l’aveva rimproverato per aver usato il burro. Sospirando, Brian aveva raccolto i piatti sporchi dalla tavola e li aveva messi nell’acquaio, preparandoli al lavaggio.

 

Poco dopo, Brian aveva quasi finito di lavare i piatti e la padella, quando avvertì le mani di Riccardo toccargli i fianchi e poi infilarglisi in tasca. Le sue labbra scivolarono sul suo collo, baciandoglielo dolcemente.

- Sei stato bravissimo. Il mio ragazzo non sa cucinare bene come te. – gli aveva sussurrato nell’orecchio.

Brian aveva avvertito un fremito, sentendosi appagato dal complimento.

- Meriti un premio, cucciolotto. – aveva detto l’altro, strusciandogli il bacino contro il sedere. Brian non si asciugò nemmeno le mani, lasciando che Riccardo lo prendesse e lo portasse sul divano, dove cominciarono i baci e le coccole.

 

- Stavo pensando – aveva mormorato ad un certo punto Riccardo, mentre Brian era accoccolato sul suo petto.

- A cosa? –

- Che potremmo andarcene da qualche parte, io e te. Un weekend, o una gita fuori porta. Che ne pensi? –

Brian aveva emesso un sospiro – …penso che con Corrado a casa il weekend, sarebbe difficile, per non dire impossibile, trovare una scusa per svignarmela. –

- Ah già… dimenticavo. Scusa se te l’ho proposto. –

- Non prendertela, ti prego… Tu dovresti capirmi: se sei fidanzato anche tu. –

- Il mio ragazzo non c’è mai. –

- Ecco, invece il mio il weekend si riposa. A meno che non venga chiamato a fare corsi o cose del genere, come oggi. –

Riccardo si era girato su un fianco per guardarlo negli occhi. A Brian era sembrato sul punto di piangere, con gli occhi rossi e lucidi.

- Vorrei vederti un po’ di più, Brian. Ho paura che da quando abbiamo rischiato di farci scoprire dalla sorella del tuo ragazzo, tu stia prendendo un po’ le distanze da me. –

- Ma cosa dici…?! No, non è vero. Io voglio stare con te e cerco sempre di… -

Ma Riccardo lo interruppe. – Se ti piace stare con me, allora non dovrebbe essere difficile per te trovare un modo per vederci di più, non credi? –

Brian era rimasto interdetto a quell’affermazione, non sapendo cosa rispondere. Si era sentito come se Riccardo avesse forzato una porticina chiusa nella sua mente, ma non fosse riuscito ad aprirla del tutto, ma solo uno spiraglio, e da lì stesse spiando tutti i suoi pensieri più nascosti, tra cui c’era anche la paura che gli era venuta di uscire insieme a lui da quando aveva visto entrare sua cognata Valeria in quel maledettissimo locale.

Ed erano rimasti così, a guardarsi negli occhi per interminabili momenti, finché Brian non aveva abbassato lo sguardo. Poco dopo, Riccardo gli aveva posato un bacio sulla fronte.

 

*****

 

Certo che mi piace stare con te, Riccardo. Come ti viene in mente che non mi piaccia? È solo che… non è così facile per me assentarmi quando Corrado è sempre a casa durante il weekend.

Brian pensava e ripensava a quelle parole, che non aveva trovato il coraggio di dire a Riccardo per replicare alla sua osservazione. Riccardo gli aveva detto che avrebbe dovuto trovare un modo per assentarsi, e lui per tutta la mattina e fino a quel momento, mentre pranzava con due sandwich e un bicchiere di vino (non era un gran bevitore, ma in quel momento gli sembrava la miglior medicina possibile contro i pensieri che gli vorticavano nel cervello), non aveva fatto altro che pensare a come svignarsela per due giorni, per andare a stare con Riccardo, dovunque intendesse portarlo.

Potrei dirgli che vado da Carlo, pensò.

Si versò un altro bicchiere di vino, scolandosene un gran sorso. Le sue guance incominciarono a colorarsi di rosso.

Già, e poi se mi chiede “perché?”, cosa gli rispondo?

Tamburellò con le dita sul tavolo guardando un punto imprecisato nel vuoto, nel silenzio ovattato dell’appartamento. Potrei dirgli che Carlo ha avuto una delusione d’amore e ha bisogno di conforto…

Gli venne da ridere alla sola idea. Sia lui, che Corrado sapevano benissimo che Carlo non era il tipo di persona che s’innamorava facilmente. Quindi, di che cosa stavano parlando? Non sarebbe stata una scusa credibile.

Senza accorgersene, aveva già scolato mezza bottiglia di quell’amabile vino rosso (che leggendo bene l’etichetta non era rosso, ma rosato) a stomaco vuoto, dal momento che i sandwich erano ancora nel piatto, intonsi. Si massaggiò le tempie, sentendo i prodromi di un mal di testa. Era davvero così difficile trovare una scusa da far bere al proprio ragazzo? All’improvviso desiderò che anche Corrado fosse come il fantomatico fidanzato di Riccardo (di cui non conosceva ancora il nome), sempre fuori per lavoro.

Magari potrei dirgli che vado dai miei perché mio padre non sta bene. Anche se l’idea di dire che suo padre non stava bene non gli piaceva per niente: e se poi la bugia si fosse avverata? Meglio non scherzare su queste cose…

…e se gli dicessi che vado ad una specie di riunione di famiglia con i parenti che vivono fuori città, in previsione del matrimonio di un qualche cugino o cugina… Forse…!

Ma ovviamente non era pensabile dire una cosa del genere: sia Celeste che Walter, i genitori di Brian conoscevano benissimo il loro genero Corrado. Gli volevano bene e l’avevano invitato alla festa di fidanzamento di Alex, il fratello maggiore di Brian.  Come gli avrebbe spiegato che non era stato invitato ad un party pre-matrimoniale, se faceva parte della famiglia a tutti gli effetti? Corrado si sarebbe di certo fatto quella domanda, e certamente in futuro una bugia come quella si sarebbe rivelata parecchio scomoda.

Sbuffando, appoggiò la testa alle braccia, continuando a pensare e pensare finché non si addormentò.

 

*****

 

Mentre ancora pensava a cosa dire a Corrado per poter passare in santa pace un weekend insieme a Riccardo, il bel Brian ebbe una sorpresa inaspettata, che oltre a stupirlo e soddisfarlo, lo mandò ancora un po’ più in confusione.

 

Come ogni sera Brian era sul divano a riposarsi, dopo aver preparato la cena in attesa che Corrado tornasse dal lavoro. La TV era accesa su un documentario che trattava dei misteri irrisolti di un incidente aereo avvenuto prima che lui nascesse.

Brian stava scorrendo pigramente sul suo smartphone i vari post su Facebook. La domanda “Come faccio a sganciarmi da Corrado per un weekend senza insospettirlo?” era ancora sospesa nella sua mente, tanto che per un attimo gli era venuto in mente di crearsi un profilo fasullo su Facebook e magari girarla alla rete. Ma poi pensandoci meglio si disse che quella cosa doveva risolverla da sé, per non dare in pasto troppi dettagli della sua vita privata ad un mostro pericoloso come il web. Intanto il weekend designato da Riccardo (due settimane prima di Natale), si stava inesorabilmente avvicinando…

 

Alle sette e mezza precise, Brian aveva sentito la porta aprirsi, per poi vedere Corrado che entrava e si svestiva del cappotto, appoggiando la borsa sul mobile accanto all’attaccapanni.

- Ciao amore! – aveva esclamato, su di giri. Un radioso sorriso gli illuminava il volto.

Brian gli aveva sorriso leggermente, facendo per alzarsi dal divano, ma Corrado gli si era seduto accanto e l’aveva baciato dolcemente sulle labbra.

- Mmm… Buonasera, ingegnere…! Sbaglio o siete allegro…? –

- Non indovinerai mai – aveva detto Corrado, con gli occhi brillanti come quelli di un bambino emozionato – cosa mi hanno detto a lavoro! –

- Che cosa, amore? –

Corrado aveva sorriso, alzandosi in piedi – Ti presento il nuovo futuro vice-capo reparto. –

- Oh, amore…! – aveva detto Brian, fingendo una punta di sorpresa – Ma è stupendo. Complimenti! –

- Grazie…! Non so ancora come abbiano deciso di dare questa promozione proprio a me, ma… la cosa non mi dispiace di certo…! – aveva detto, tornando a sedersi.

- Sono contento per te. È una bella responsabilità…! –

- Eh sì. E questo è solo l’inizio. Comunque me l’hanno solo comunicato, non c’è ancora niente di certo e definitivo, però… Beh, diciamo che è certo al 90%. –

- Come il mio anno di nascita? – aveva ridacchiato Brian.

Corrado si era messo a ridere insieme a lui – Esatto. Come l’anno di nascita del ragazzo più dolce e straordinario del mondo. –

Brian era arrossito, quindi Corrado l’aveva abbracciato e gli aveva baciato dolcemente la guancia, per poi scendere a baciargli il collo. Brian ebbe un fremito, e quasi senza accorgersene portò le gambe dietro la schiena di Corrado, che aveva incominciato a tastargli il sedere. Era eccitatissimo.

 

- Mmm… vi prego, ingegner Ottonelli… il mio ragazzo potrebbe tornare da un momento all’altro… - mormorò Brian, passandogli le mani nei morbidi e folti capelli (cosa che non aveva ancora mai fatto con Riccardo).

- E allora sbrighiamoci signorino Molteni, se non vogliamo farlo ingelosire… mmm…! – mormorò Corrado, baciandogli e mordendogli leggermente il collo, mentre Brian armeggiava con l’apertura dei suoi pantaloni.

Lasciandosi coinvolgere, Brian decise di dirigere un po’ il gioco, mordicchiando il lobo dell’orecchio del suo ragazzo, mormorando - Vi piaccio, ingegnere? –

- Mi fate ribollire il sangue, signorino. –

- Anche voi a me, ingegnere. -

E mentre Corrado faceva scivolare la mano sinistra nei pantaloni della tuta di Brian, questi si lasciava andare a quell’improvvisa dichiarazione di amore.

 

Fu una serata bollente. Sembrava che Corrado avesse voluto recuperare tutto in una volta il tempo in cui era stato sessualmente inerte. Si fermarono solo per cenare dopo tre ore di piacere, dato che Brian aveva una fame da lupo. Corrado si preoccupò di apparecchiargli la tavola e di servirgli ciò che Brian aveva cucinato qualche ora prima. Mangiarono insieme come due fidanzatini, anche imboccandosi a vicenda. Quando terminarono, Corrado avrebbe volentieri continuato a fare l’amore, ma Brian era già a posto, sia fisicamente che mentalmente. Si sentiva appagato, in pace… per un momento stava provando le stesse sensazioni di quando era con Riccardo, al quale non aveva più pensato per tutta la serata.

 

Più tardi, mentre era nel letto insieme a Corrado che addormentato gli respirava sul collo, cominciò a pensare che quell’improvvisa vitalità sessuale fosse abbastanza strana. E se Corrado si fosse trovato un amante?

Di nuovo la sua fantasia si fece sentire: immaginò che potesse essere un collega appena assunto che aveva usato il suo fascino su di lui, proprio come aveva fatto Riccardo. Oppure poteva essere un qualche barista che portava i caffè durante le riunioni, o uno che consegnava la posta…

Più ci pensava, più gli venivano in mente solo dei mestieri e il fatto che l’amante doveva essere più giovane di lui, ma non trovava neanche un modo in cui Corrado potesse esser stato concupito. Che lui sapesse, il suo ragazzo non era molto facile da sedurre, a meno che non si avesse del tempo libero a disposizione come lo aveva avuto lui a diciotto anni per passeggiare, ascoltarlo e...

Ballare, pensò Brian, ricordandosi delle lezioni di ballo che gli impartiva in cambio delle ripetizioni di matematica. Vide sé stesso ballare insieme a Corrado, ma poi il ricordo si perse nella sua mente, soffocato da altri pensieri come quello che Corrado potesse essersi fatto un amante.

Pensò di svegliarlo e chiederglielo, ma si trattenne. Tra i due, l’unico che si era trovato un amante era lui, per cui doveva solo tacere.

Amante o meno, era stato comunque stupendo… e inaspettato. E forse era proprio quell’aspetto che l’aveva reso così. Per cui, anche se si era trovato un amante, se questi erano i benefit, era una benedizione.

Perso nei suoi pensieri notturni, Brian vide il suo smartphone illuminarsi. Lo prese e guardò il messaggio.

Ho prenotato un bell’albergo su in Val d’Aosta per noi. Sarà un week-end indimenticabile.

- Oh mio dio… - mormorò pianissimo Brian, sospirando. Quel matto di Riccardo aveva già prenotato…? Senza aspettare una sua risposta? Era un bel guaio. Cominciò ad avvertire i prodromi di un attacco d’ansia, non sapendo cosa rispondergli… la verità era che non aveva ancora trovato nulla di credibile da dire a Corrado, ma non voleva assolutamente che Riccardo si allontanasse o lo trattasse male per questo (non l’aveva mai fatto, ma Brian sentiva che avrebbe potuto farlo), per cui si chiese se non fosse più saggio cancellare quel maledetto numero una volta per tutte e dimenticarlo per sempre.

Sì, e poi? Sa dove abito. Se gli venisse in mente di venirmi a trovare, o di dire a Corrado che sono stato con lui? Cazzo…

Accantonò l’idea di bloccarlo, quindi gli rispose che era contento e che aveva trovato una scusa da dire a Corrado, cosa che ovviamente non era vera.

Sei stupendo, gli rispose allora Riccardo, sono così contento di averti conosciuto, grazie di esistere. E concluse con il solito cuoricino rosso.

Brian gli rispose con la stessa dolcezza, finché non vide che l’amante andare offline (probabilmente a dormire) e posò il telefono sul comodino.

Sospirò, quindi si accoccolò a Corrado che ancora dormiva profondamente.

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Capitolo 9
*** 9. ***


9.

 

 

 

O la va o la spacca, pensò Brian mentre si dava da fare coi manubri davanti allo specchio. Dopo tanto rimuginare, credeva di aver trovato la soluzione più giusta per sgattaiolare via mentre Corrado era a riposo durante il weekend.

Dirò a Riccardo di chiamarmi una mattina e spacciarsi per mio fratello, quindi gli farò dire che nostro padre sta poco bene e che devo andare subito. Siccome non si conosce ancora bene il suo stato di salute, andrò prima da solo; se poi ci sarà bisogno, Corrado potrà raggiungermi, ma dovrà comunque aspettare un mio segnale.

Dal momento che Corrado, bontà sua, non era quel tipo di fidanzato sospettoso di tutto e di tutti, forse avrebbe potuto funzionare. L’unica incognita, ovvero che avesse potuto chiamare a casa dei suoi genitori, rappresentava un problema non da poco, però il gioco valeva la candela. O la va o la spacca, si ripeté, pensando al weekend che lo aspettava con Riccardo.

Anche se…

Posò i manubri sulla rastrelliera, per poi sedersi sulla panchina e guardarsi le scarpe.

Sono davvero sicuro di voler passare il weekend insieme a Riccardo?

Domanda interessante. Solo due sere prima con Corrado aveva passato dei bellissimi momenti, tanto che si era persino dimenticato di avere un amante.

Ma quel momento era limitato al fatto che Corrado fosse su di giri perché gli avevano detto della promozione. Quindi, una cosa eccezionale. Il suo ragazzo l’aveva posseduto perché si sentiva felice, ma che cosa sarebbe successo se dopo l’effetto sorpresa della promozione poi si fosse arenato un’altra volta? O peggio, se la promozione fosse stata invece un motivo di maggiore distacco di Corrado da lui?

Sbuffò, scuotendo la testa. Ormai nella sua testa non c’erano più certezze, ma solo dubbi. Si domandò cos’avrebbe fatto Carlo al suo posto.

Sorellina bella, gli avrebbe detto, con quel suo tono dolce ma strafottente, alla fine un amante è un amante. E da che mondo e mondo, l’amante serve a darti quello che il fidanzato non ti dà. Come ti ho già detto, prendi quello che di buono ha da offrire.

- Quindi magari anche un weekend. Ma perché non sono così sicuro di volerci andare…? -

Quante menate, cara! Di cosa ti preoccupi? Quell’ameba del tuo fidanzato non morirà mica se stai via un sabato e una domenica. Raccontagli la balla di tuo padre che sta male, e via andare.

Ad interrompere il flusso dei suoi pensieri, arrivò un messaggio su Whatsapp: Riccardo che gli mandava un bacio, scrivendogli che lo pensava.

Brian sorrise, quindi gli scrisse che era in palestra e che lo pensava tanto anche lui.

Un alito di sollievo gli si infuse su per tutto il corpo, al pensiero che il giorno dopo l’avrebbe rivisto.

 

Per fortuna o purtroppo, Brian non dovette mai usare la scusa di suo padre malato con Corrado.

Il giorno seguente, Brian era camuffato come al solito, con occhiali da sole, sciarpa e berretto nero calato sulla testa, un perfetto e anonimo ragazzo che si confondeva tra la folla. Si trovava in un parco poco lontano da dove si era dato appuntamento con Riccardo il giorno della loro prima uscita, ad aspettarlo.

L’appuntamento era per le due, ma Brian era arrivato all’una e mezza. Si era seduto su una panchina che guardava la strada ed aveva incominciato ad aspettare di vedere la Smart rossa avvicinarsi e poi fermarsi.

 Passò mezz’ora, ma Riccardo non arrivò. Brian si disse che era normale, magari aveva trovato un po’ di traffico.

Per perdere un po’ di tempo, Brian si era messo allora a scorrere i soliti post su Facebook e guardare le immagini di Tumblr, perdendosi tra tutte le informazioni. Lesse qualche notizia di cronaca nera, poi mollò il cellulare. Erano le due e tre quarti, però Riccardo ancora non era arrivato.

Leggermente inquieto, aprì Whatsapp, per vedere se magari non gli avesse lasciato un messaggio, ma oltre alla sua immagine, non c’era niente. Aprì la conversazione. Com’era ovvio, non poteva vedere il suo ultimo accesso online perché l’aveva disattivato (come Corrado l’aveva disattivato per non far vedere ai colleghi quando era stato online l’ultima volta), ma non si stava neanche connettendo in quel momento.

Gli scrisse un messaggio. Dove sei?

E attese risposta.

Passarono alcuni minuti, durante i quali Brian cercò di non guardare il telefono, ma solo di concentrarsi sull’ambiente circostante: osservò alcuni passanti che attraversavano il parco. C’era un signore cinquantenne che faceva jogging in tuta insieme al suo cane, una coppietta di fidanzati che si scambiavano effusioni amorose su una panchina più lontana, e due anziane signore che camminavano a braccetto, una di queste con un bastone.

Cosa poteva essere successo perché Riccardo non si facesse vivo né rispondesse al telefono? Brian pensò immediatamente al peggio: aveva avuto un incidente ed era stato trasportato d’urgenza all’ospedale. Oppure un’emergenza in famiglia (anche se Riccardo non gli aveva mai detto di avere una madre o un padre o parenti in generale). O peggio, che il suo fidanzato fosse tornato e avesse scoperto tutto di loro. Ne era nata una lite e adesso Riccardo era lì in casa, impossibilitato a guardare il telefono senza il rischio di compromettere la sua relazione. Si augurò con tutto il cuore che stesse bene, ma altrettanto si augurò che non si fosse verificata la terza opzione.

Speriamo se ne sia dimenticato e basta.

Mentre pensava, il suo telefono incominciò a squillare, suonando le note di una canzone di Madonna, Like a prayer.

Com’era ovvio, Riccardo. Rispose immediatamente.

- Pronto? –

Dall’altra parte udì un suono strozzato, come un sospiro.

- Pronto? – ripeté Brian, ottenendo in risposta un singhiozzo. Riccardo stava piangendo.

- Ricky? Cos’hai? Ti senti bene? –

- No – disse lui, in lacrime.

Brian si alzò, andando verso l’uscita del parco muovendosi come un automa - Che cosa è successo? –

- Giacomo – mormorò, ancora in lacrime, mentre Brian si domandava chi fosse questo Giacomo.

- Chi… chi è Giacomo…? -

– Giacomo… mi ha lasciato. –

A quella risposta, Brian rimase interdetto, ad ascoltare i singhiozzi di Riccardo al telefono. Dentro di sé provava un misto di sensazioni contrastanti: un leggero disappunto perché Riccardo non si era presentato al loro appuntamento; rabbia perché non l’aveva avvisato; ma anche stupore e una leggera gioia perché Riccardo era libero, quindi c’era forse speranza che si mettesse con lui.

- Oh – disse soltanto Brian – Mi dispiace. –

Un altro singhiozzo da parte di Riccardo. – Credo… credo che… non potrò più uscire con te, oggi. –

- Vuoi che venga da te? –

- No…! – si affrettò a dire Riccardo, ancora in lacrime – No, è meglio di no. Non sono in me, potrei fare una stupidaggine. –

- Ma che cosa stai dicendo! – esclamò Brian – Non è la fine del mondo, cerca di tirarti su! –

- Starò benissimo. Ho bisogno di stare da solo per un po’. Scusami, Brian. Scusami per il momento. –

- Posso aiutarti in qualche modo? –

- Ti farò sapere. Scusami. Devo andare adesso. Scusami di nuovo, Brian. – disse soltanto, chiudendo la comunicazione con un sacco di “scusa”.

- Pronto? Riccardo? Pronto…? -

Ma il povero Brian stava parlando con il display in stand-by del suo cellulare.

 

*****

 

- …e poi? – domandò Carlo, mentre spingeva il carrello nella corsia dei surgelati. Accanto a lui, Brian, con le mani in tasca, guardava da un’altra parte. L’amico gli aveva chiesto se gli andava di accompagnarlo al supermercato per fare un po’ di rifornimento, e Brian ne aveva approfittato per raccontargli di come Riccardo aveva disertato il loro appuntamento.

- Brian? –

- Eh? Cosa? –

- Ti ho chiesto cos’è successo poi. –

- Niente. Sono due giorni che non lo sento. Ho provato a mandargli dei messaggi, ma non li legge. E neanche posso vedere quando si connette, perché ha nascosto gli ultimi accessi. –

- Hm, tipico. – sentenziò l’amico, infilando una pizza surgelata nel carrello.

- Io davvero non so cosa pensare. Ha detto solo che il suo tipo l’ha mollato, poi ha chiuso in tutta fretta. Tu che cosa ne pensi? –

- Penso che sia un idiota. Un ragazzo che piange con me non è degno della mia attenzione, e tu lo sai. –

- Ma poi neanche farsi sentire per così tanto tempo? –

- Magari stavano insieme da tanto tempo e lui l’ha presa molto male. Sai per caso da quanto stavano insieme? –

Arrivati alla cassa, Brian aiutò Carlo a mettere i viveri sul nastro trasportatore, mentre la cassiera li passava allo scanner.

- Non so nulla del suo ragazzo. Fino a quando non me l’ha detto lui, nemmeno sapevo come si chiamava, renditi conto…! –

- Addirittura…? Forse voleva tenertelo ben nascosto, o non voleva menzionarlo per non rovinare i vostri incontri. –

- Cosa c’entra, scusa? Anch’io ho nominato spesso Corrado. Certamente non gli ho detto che tipo di mutande porta, ma gli ho detto un bel po’ di cose su di lui, sul mio ragazzo. Tutto il contrario di ciò che ha fatto lui. Non ci avevo ancora pensato. –

Mentre Carlo tirava fuori la carta di credito per pagare la spesa, Brian si mise ad imbustare le cose.

- Io-io… davvero non so cosa pensare – disse Brian, infilando la pizza surgelata nella busta, insieme ad una latta d’olio e delle patatine fritte. – Se dev’essere così l’andazzo, meglio lasciar perdere. Anche se mi spiacerebbe. Alla fine sto bene con lui, capisci…? –

- Come hai trovato lui, secondo me potresti trovarne un altro. Se uno vuole, i ragazzi si trovano. Guarda me, che sono venuto via da Bologna perché lì era anche fin troppo facile trovarne…! Non c’era più gusto, dopo un po’. –

S’incamminarono verso le scale mobili che conducevano al parcheggio, in silenzio. Brian era abbacchiato, Carlo poteva vederlo benissimo. Arrivati alla macchina, Brian aprì il portellone della Cinquecento di Carlo mentre lo aiutava a depositare i sacchetti. Poi Brian andò a portare il carrello nella rastrelliera. Tornato alla macchina, Carlo non aveva ancora acceso il motore.

- Ma hai provato a chiamarlo? – gli domandò Carlo, guardandolo mentre s’infilava la cintura di sicurezza.

- Sì che ci ho provato. Squilla, squilla, ma non risponde. Oppure qualche volta lo spegne. Secondo te perché fa così? –

- Non ne ho la minima. Di solito io faccio così quando uno non mi soddisfa a letto o quando mi sono stancato. –

- Oh mio dio, non sarà mica che si è stancato di me ma non ha abbastanza palle per dirmelo e allora mi ha cacciato quella scusa cretina? –

- Vuoi che proviamo a chiamarlo col mio? –

Brian guardò l’amico. Non era mica una cattiva idea. Se magari vedeva un altro numero, forse poteva anche rispondere.

- Tu dici che potrebbe funzionare? –

- Chissà. Noi tentiamo. Poi al massimo non funzionerà. –

- Hm. Cavolo. Speriamo bene… - disse Brian, infilandosi le mani sotto le ascelle, perché improvvisamente gli erano diventate fredde.

L’amico accese il motore, fece manovra e uscì dal parcheggio, diretto verso un posto tranquillo.

 

Si fermarono in un’area di parcheggio non molto lontano da dove viveva Carlo. Brian gli dettò il numero di cellulare, quindi Carlo premette il tasto verde sullo schermo del suo smartphone e inviò la chiamata.

- Metti il viva-voce…! –

- Già fatto – mormorò Carlo, tenendo gli occhi sul display.

Uno squillo.

Due squilli.

Brian era teso. Per la verità aveva un po’ di paura che Riccardo rispondesse, ma non sapeva nemmeno lui perché.

Tre squilli… e infine Riccardo rispose.

- Pronto? –

- Riccardo? –

- Pronto, chi è? –

- Sono Brian, Riccardo. –

A quell’affermazione seguì un attimo di silenzio, accompagnato poi da fruscii e altri suoni strani.

- Pronto? Pronto…? – chiedeva Riccardo. Era come se non lo sentisse.

- Riccardo, sono io!!! Brian! Mi senti?! -

- Pronto, non vi sento! Vi richiamerò, scusate. Sono impegnato. –

- No, aspetta, Riccardo, aspetta!!! –

Ma non servì a nulla gridare, poiché Riccardo aveva già chiuso la chiamata.

Carlo allontanò lentamente il cellulare dallo sguardo di Brian, mentre questi si teneva la testa con entrambe le mani, imprecando a mezza voce.

- Che faccio, riprovo a chiamare? – domandò Carlo.

- No. Che vada a fare in culo, quello stronzo – mormorò Brian.

Ad un certo punto Carlo tirò fuori un pacchetto di Marlboro, abbassò il finestrino e se ne accese una.

- Per me fingeva, quando ha detto che non sentiva niente. Secondo me ti ha sentito benissimo, e ti ha anche riconosciuto. –

- Dammene una. –

- Cosa? –

- Una sigaretta. Dammene una. –

Carlo tirò fuori il pacchetto dalla pochette e lo porse a Brian, che si prese una sigaretta e se l’accese, tirandone una boccata che lo fece tossire leggermente.

- Ma non avevi smesso? –

Brian non rispose, cercando di calmarsi mentre aspirava la “bionda”, buttando fuori il fumo dal finestrino.

 

*****

 

Dopo quella figura che gli aveva fatto fare mentre era con Carlo, Brian incominciò a sentirsi nervoso e irritato. Quel giorno si mise a fare i mestieri di casa con una grinta che non sapeva di possedere, arrivando quasi a doversi inventare qualcosa per non rimanere in balia dei cattivi pensieri. In più, gli era tornata la voglia di fumare, che aveva abbandonato dopo aver conosciuto Corrado, che gli diceva sempre di non fumare perché si sarebbe rovinato i polmoni. Il tempo meteorologico di fuori rifletteva alla perfezione il suo stato d’animo: plumbeo, pieno di nuvole grigie cariche di pioggia, che a inizio Dicembre aveva cominciato a flagellare la città. Si sentiva come una nuvola temporalesca pronta ad esplodere, e anche Corrado se n’era accorto, tanto che per poco Brian non gli aveva risposto male una sera in cui gli aveva chiesto di passargli il telecomando per cambiare canale.

Ma da lì a poco si sarebbe calmato.

Un giorno era tornato a casa dalla palestra, dove aveva passato insolitamente quasi tre ore, chiacchierando del più e del meno con una ragazza, istruttrice di spinning. Arrivato nel suo palazzo, era entrato nell’atrio, dove la signora Visentin, la portinaia dello stabile, era intenta a spolverare le cassette della posta con un piumino.

- Oh, sior Molteni buonasera! Come sta? – lo salutò, con l’inconfondibile accento padovano che non mancava mai di far sorridere Brian.

- Non c’è malaccio, signora Visentin, grazie. E lei? –

- Mah…! Guardi, lassamo star che è meglio. Questi politici vogliono che lavoriamo fino alla morte e anche oltre, e la pensione? Mah…! Miraggio nel deserto! Non si sa se e quando arriverà. – rise, e Brian rise con lei, scuotendo la testa.

- Ha saputo cos’è successo la settimana scorsa? – parlava con quel morbido accento veneto, che tratteneva le doppie consonanti.

- No, cos’è successo? –

La portinaia alzò il braccio destro e poi col dito indicò in alto – Gli studenti inquilini del terzo piano – disse – Sono venuti i carabinieri e gli hanno sequestrato una piantina de marìmarìmaria… mi aiuti, per favore... -

- …Marijuana? –

- Sì, esatto. Quella roba lì. Ma sembravano tanto dei ragazzi per bene, sa! Invece…! –

- Eh, purtroppo… -

- Ah, non ci si può più fidar de nessuno a questo mondo, guardi! Meno male che Lei e l’ingegnere siete delle brave persone, mica come quelli là che consumavano la droga in appartamento. Che robe…! –

Conoscendo bene la donna e la sua voglia di chiacchierare tipica delle signore di una certa età, Brian decise di tagliare corto, annuendo e chiedendole se era arrivata posta per lui.

- No, posta non è arrivata…! Però è arrivato qualcos’altro…! –

- Cos’è arrivato? –

- Ah guardi, l’ho messo qui in guardiola, spetti che lo vado a prendere, eh. – disse la signora, entrando nella porticina che conduceva al piccolo sportello dove c’era una cattedra, dove la donna si sedeva e sorvegliava tutto il palazzo. Poco dopo tornò fuori con un mazzo di rose rosse. Brian sgranò gli occhi.

- Ecco…! Questo sicuramente è il suo ragazzo che glielo ha fatto. –

- Ah… sì… forse. – buttò lì Brian, non sapendo bene cosa dire, mentre prendeva il mazzo in mano. – Chi l’ha portato? –

- L’ha portato una ragazza, ha detto che consegnava per conto di un fioraio. –

In mezzo alle rose, Brian vide che c’era un biglietto in una piccola bustina chiusa.

- Capisco. Beh, sarà meglio che vada allora. Grazie mille signora, saluti suo marito da parte mia. Arrivederla. –

- Arrivederla sior Molteni! Passi una buona serata! –

- Grazie, altrettanto a lei – disse Brian, svicolando velocemente nell’ascensore e premendo il tasto del suo piano.

 

*****

 

Perdonami per il mio silenzio. Avevo bisogno di riflettere e questo è il mio modo di chiederti scusa. Mi perdoni?

Il biglietto era firmato da Riccardo. Brian ne fu lusingato e tirò mentalmente un sospiro di sollievo, al pensiero che Riccardo era ancora nella sua vita. Prese il telefono, quindi compose il suo numero. Mentre squillava, era tentato di dirgli ciò che pensava veramente, e cioè che il suo silenzio l’aveva fatto incazzare, ma ancora di più l’aveva fatto incazzare il fatto che avesse risposto e poi fatto finta di non sentire quando aveva provato a chiamarlo con il telefono del suo amico Carlo. A un certo punto il telefono smise di squillare e Brian udì la sua voce leggermente sottotono.

- Pronto? –

- Ciao – gli disse Brian in tono tranquillo, ma dentro era molto agitato.

- Brian, tesoro… mi sei mancato tantissimo. Scusami se non mi sono fatto sentire, ma avevo bisogno di riprendermi. –

Quelle parole ebbero su Brian lo stesso effetto che ha una siringa di tranquillante sparata da una cerbottana contro un animale feroce: lo calmarono lentamente, come per una strana magia.

- Sono contento tu ti sia ripreso. Grazie delle rose, ma come la mettiamo col mio ragazzo? Se le vede, cosa gli racconto, che me le ha portate l’amministratore di condominio? –

- Vieni a casa mia, puoi lasciarle qui da me. –

Per dirla tutta, Brian non se la sentiva di andare fino a casa sua. Non a quell’ora e non con un mazzo di rose, poiché da lì a poco sarebbe dovuto ritornare a casa per essere presente quando fosse arrivato Corrado, ma di certo non poteva lasciare le rose lì, in bella vista. In un certo senso, alla lusinga iniziale si era sostituito il fatto che quelle rose erano una potenziale bomba pronta a esplodere, che necessitava di essere disinnescata. E l’unico modo per disinnescarla era andare da Riccardo.

Non avendo altra scelta, disse, sospirando – Ok, sto arrivando. Ma dovrò tornare presto, non posso trattenermi per molto. È tardi e… –

- Non preoccuparti – tagliò corto Riccardo – Ti riaccompagnerò io in macchina. Ti aspetto, cucciolotto. – concluse poi, senza dire altro e chiudendo poi la chiamata. A dispetto di tutto quanto era successo fino a quel momento, sentirsi chiamare ancora “Cucciolotto” dal suo Riccardo, fu una gioia per Brian, che prese le rose dal tavolo, aprì la porta e tornò giù, diretto dal suo dolce amante.

 

*****

 

Se poco prima era stato sul punto di mandarlo a quel paese, vomitandogli in faccia tutto quello che aveva provato per la sua assenza silenziosa, adesso, a casa di Riccardo, stava incominciando a sentirsi meglio. Il solo fatto di trovarsi lì, con lui accanto che gli aveva aperto la porta, bastò a calmarlo. Riccardo l’aveva preso e, dopo averlo abbracciato, l’aveva baciato con passione. Brian si era lasciato coinvolgere, assaporando quelle labbra con grande trasporto, finché non erano finiti entrambi sul divano di Riccardo, baciandosi e abbracciandosi.

Il suo amante non era andato via. C’era ancora, era lì ed era di nuovo suo. Anzi era suo, ancora di più, visto che ora era di nuovo single.

Senza mai chiamare per nome il suo ragazzo, Riccardo raccontò a Brian tutto quello che era successo in quei giorni: ovvero che lui cercava di contattarlo ma non rispondeva; quando lo sentiva per telefono era piuttosto freddo e distaccato; una volta gli aveva persino chiuso la conversazione in faccia dicendogli che era impegnato. Al culmine di tutto ciò, era arrivato il messaggio che gli diceva di non volerlo più vedere perché si era stancato, perché non aveva saputo tenerlo, e ovviamente Riccardo ci era rimasto molto male.

Brian aveva ascoltato tutto con dispiacere, mentre gli teneva le mani, accarezzandogliele dolcemente. Riccardo non aveva pianto in quell’occasione, dicendo che aveva già pianto abbastanza dal giorno in cui aveva mancato l’appuntamento con lui, circostanza per la quale Brian l’aveva già perdonato, perché si sentiva troppo dispiaciuto per ciò che gli era successo per avercela con lui.

- Mi dispiace… mi dispiace tanto, Riccardo. –

- Grazie. Credo che siano cose che succedono… però è brutto quando succedono. –

Nella mente di Brian adesso c’era un solo desiderio: prendere il posto di quel ragazzo che una volta era stato il fidanzato di Riccardo, ma non glielo disse immediatamente. Non era proprio il momento.

- Non preoccuparti di lui. Adesso ci sono qua io. Se vorrai… -

- Cosa? –

Stava per dire se vorrai potrò essere io, il tuo ragazzo, ma si trattenne, preferendo invece dire qualcos’altro.

- Se avrai bisogno di me, io sarò qui con te. –

- Grazie. – rispose soltanto Riccardo, senza aggiungere altro.

Brian imputò quella freddezza al fatto che fosse ancora presto, e subito si diede dell’imbecille per aver schiacciato troppo sull’acceleratore. Non aveva usato le parole esatte che gli erano venute in mente, ma forse Riccardo doveva aver capito che non voleva dire ciò che aveva detto. In quell’attimo avvertì un brivido di freddo corrergli lungo la schiena per la paura di perderlo, ma bastò uno sguardo di Riccardo a riscaldargli di nuovo il cuore: i suoi occhi erano più grandi, in quel momento. Sembrava un cucciolo indifeso, tanto che Brian chiuse gli occhi e si avvicinò a baciarlo dolcemente, tenendogli le guance con entrambe le mani.

- Adesso ci sono qua io – ripeté Brian mentre lo baciava – Non avere più paura di nulla. –

E ancora una volta, fecero l’amore.

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Capitolo 10
*** 10. ***


10.

 

 

 

Una notte Brian si svegliò all’improvviso, preda di un incubo di cui non ricordava molto. Ricordava solo che stava osservando un quadro che gli piaceva (forse era un quadro d’arte moderna o addirittura uno che aveva visto a casa di Riccardo). All’improvviso la pittura prendeva vita, trasformandosi in un mostro che lo inseguiva per farlo a pezzi. Non ne era sicuro, ma sentiva che quella persona (o mostro, se veramente era un essere umano) la conosceva bene, fin troppo bene da sapere che non doveva fermarsi per nessun motivo. Fin troppo da sapere che se lo avesse fatto, sicuramente sarebbe finito male.

Lanciò un’occhiata a Corrado, che dormiva su un fianco. La zazzera di capelli spettinati emanava un odore di shampoo al cocco, mentre lui sembrava un orsacchiotto abbandonato da un bambino troppo distratto.

Guardò l’ora sul cellulare. Le cinque del mattino. Era ancora troppo presto per alzarsi, ma non per dare il buongiorno a Riccardo.

Buongiorno, tesoro della mia vita. Ti penso, gli scrisse e rimise il telefono a posto sul suo comodino. Poi si girò su un fianco, dando la schiena a Corrado, riprovando a dormire.

 

*****

 

Circa due ore dopo, Corrado incominciò a svegliarsi lentamente, mentre Brian ancora dormiva (o meglio, fingeva). Prima di alzarsi, come ogni mattina, gli diede un bacio sulla guancia, a cui Brian rispose con un bacetto distratto, poi se ne andò in cucina a preparare la colazione. Brian allungò una mano per prendere lo smartphone dal comodino, premette il tasto di stand-by e accese lo schermo, che però non conteneva alcuna notifica di Whatsapp.

Storse un po’ il naso, quindi lo rimise al proprio posto e rimase a letto, girandosi sull’altro lato.

Poco dopo tornò Corrado, andò alla toilette e si vestì in fretta, poi tornò reggendo una tazzina di caffè tra le mani, che poggiò sul comodino di Brian.

- Se ti va, te l’ho preparato, amore – disse soltanto mentre si chinava, regalandogli un secondo bacio sulle labbra prima di andarsene al lavoro.

Brian continuò a restare a letto anche dopo che il suo ragazzo se ne fu andato, aspettando.

Che cosa stava aspettando?

Ovviamente, la risposta al messaggio che aveva inviato a Riccardo. Pensò che forse era impegnato, ma era possibile che non riuscisse a trovare un ritaglio di tempo per guardare il telefono? A maggior ragione ora che era single, quindi in teoria più libero. In tre occasioni saltò in piedi dall’emozione credendo che fosse Riccardo a scrivergli: la prima era un messaggio promozionale dall’ottica che lo invitava ad un controllo gratuito della vista con applicazione delle nuove lenti a contatto (fu deludente, ma quantomeno si ricordò di essere in riserva di lenti a contatto, quindi pensò che avrebbe potuto fare un salto dall’ottico a comprarle); la seconda volta arraffò il telefono talmente in fretta che quasi gli cadde per rispondere ad una chiamata, ma la voce che gli rispose dall’altra parte non era quella di Riccardo, bensì di suo fratello Alex, che lo tenne al telefono un’ora per chiedergli se lui e Corrado avevano intenzione di partecipare alla festa di Natale in famiglia. Brian ascoltò con disinteresse, pensando sempre a Riccardo ed a come si era sentito così bene dopo che avevano fatto l’amore… Dopo quasi un’ora passata a parlare del più e del meno con suo fratello, gli impapocchiò una scusa lì per lì, dicendogli che non sapeva ancora cos’aveva intenzione di fare Corrado, al che suo fratello Alex si oppose dicendo che di solito a Natale era sempre stato libero, ma a quel punto Brian aveva già deciso di chiudere, dicendo che doveva finire di fare i mestieri in casa. Suo fratello allora salutò e chiuse la chiamata.

Infine, mentre era sul divano a guardare la televisione (come al solito senza prestarvi attenzione, preferendo scorrere su Facebook e Twitter), ricevette un messaggio su Whatsapp.

Carlo.

Come stai, smalfarona?

Svaccata sul divano, rispose Brian.

Con o senza l’amante?

Senza. Che vuoi?

Niente, qui a lavoro mi sto scassando le ovaie e ho pensato di scriverti un po’. Non è un bel momento?

Per niente.

Che succede?

Gli ho mandato un messaggio alle cinque e ancora non mi ha risposto. Ti pare possibile?

Ma sì, che te ne frega, dai… Tanto è uno che ti scopa ogni tanto, mica il tuo ragazzo.

Leggendo quel messaggio ebbe un tuffo al cuore, unito ad una sensazione di collera nei confronti del suo amico Carlo. Gli venne da rispondergli che non capiva un cazzo e che era per colpa di quelli come lui che il mondo era una schifezza, perché con il loro egoismo lo inquinavano. Che era un egoista e che non poteva capire cosa significasse provare amore come lui lo provava per Riccardo. Quando ebbe finito di comporre il messaggio, si trattenne, per paura di chiamare quel sentimento col proprio nome e darlo in pasto a Carlo, che ci avrebbe marciato sopra per benino com’era solito fare.

Quindi lo cancellò, preferendo evitare di rispondere.

Carlo allora gli chiese se per caso se la sentisse di accompagnarlo in palestra. Brian rispose che non era il momento per lui, declinando l’invito. Gli disse che se voleva, poteva venire a casa sua a tenergli compagnia, ma che se arrivava Corrado non doveva dire stronzate riguardo a Riccardo altrimenti lo avrebbe ammazzato.

Carlo gli rispose che quel giorno incontrava un altro ragazzo e che quindi doveva andare a casa per mettersi in ghingheri. Mi vesto da maschia come te, gli aveva scritto e Brian aveva capito a cosa si riferiva: immaginò l’amico vestito con una camicia elegante e coi jeans aderenti. Ai piedi le scarpe alte bianche da ginnastica con le finiture fosforescenti. Unico tocco di classe: un po’ di trucco sugli occhi ed un velo di lucidalabbra.

Divertiti, gli aveva detto, poi aveva messo via il cellulare. Il fatto che Riccardo non gli avesse ancora scritto era una cosa che gli pesava sul cuore. Non aveva nemmeno pranzato, preferendo addormentarsi davanti alla TV. Si era risvegliato con le voci dei protagonisti della sit-com The Big Bang Theory, la preferita da Corrado. La guardò per un po’, chiedendosi se a Riccardo sarebbe mai piaciuta una cosa del genere. Si rispose che probabilmente non aveva lo stesso senso dell’umorismo di Corrado, e che magari non avrebbe gradito guardare una cosa del genere.

 

*****

 

Il messaggio che aspettava arrivò alle diciotto e trenta, quando Brian si era deciso ad alzarsi e farsi una doccia. Si diede mentalmente dell’imbecille perché aveva dimenticato di portarsi dietro il cellulare (prima regola del fedifrago: mai perdere di vista il cellulare, anche se sai che il tuo ragazzo non è a casa in quel momento), quindi lesse il messaggio su Whatsapp.

Ciao cucciolotto, ti chiedo scusa se rispondo solo ora, ma ho avuto molto da fare e sono stato fuori casa per tutto il tempo. Avevo dimenticato il cavo e mi era morto il telefono… quando ho visto il tuo messaggio volevo morire. Povero cucciolotto che ha dovuto aspettarmi per tutto questo tempo. Perdonami. Mi manchi. Ti penso tanto anch’io. Poi chiudeva con cuoricini e la faccina che mandava i baci. Brian si sentì di nuovo bene, rinfrancato dalla dichiarazione di presenza di Riccardo. “Sono ancora qui nella tua vita”, dicevano quelle parole messe insieme, e lui si abbandonò sul letto, lasciando cadere l’asciugamano che si era stretto in vita. Pensando che forse avrebbe potuto gradire, aprì la fotocamera e allungò le braccia, scattandosi un selfie che lo mostrava dalla testa fino all’addome, lasciando alla fantasia quello che c’era sotto pancia (be’, neanche troppa, visto che Riccardo aveva già visto quello che c’era da vedere in più occasioni).

Scattò la foto, osservandone l’anteprima. Fece per inviargliela ma poi si trattenne, vedendo che era davvero troppo bianco. Riccardo era bello, abbronzato, palestrato… lui invece era bianco come una mozzarella e pieno dei nei tipici di quelli con il suo genotipo. Si disse che non voleva imporgli la sua vista più di tanto, ma lo fece anche perché non era del tutto sicuro della risposta che gli avrebbe dato. Sicuramente non avrebbe detto le stesse cose che gli aveva detto Corrado anni prima…

…Io resterei a guardarti per ore, piccolo. Sei tu. Nel bene o nel male. E sei unico. Unico e irripetibile, nonché incredibilmente bello.

- Il mio piccolo angelo birichino – mormorò Brian, ripetendo le parole che gli aveva detto Corrado tanti anni prima…

Sospirando cancellò la foto, limitandosi a mandargli una stringa piena di baci e cuoricini. Quando poi udì la porta di casa aprirsi con il tintinnio delle chiavi di Corrado, mollò velocemente il cellulare e cercò qualcosa da mettersi addosso dopo essersi fatto la doccia.

 

*****

 

Tuttavia quel giorno non fu un caso isolato.

Riccardo aveva cominciato a rispondere sempre meno ai messaggi.

Brian si svegliava ed il suo primo messaggio era per lui, che gli rispondeva tardissimo o a volte non gli rispondeva proprio. La comunicazione era diventata abbastanza strana, perché Brian gli chiedeva qualcosa ma Riccardo rispondeva con tutt’altro oppure non rispondeva. Di questo strano comportamento Brian era confuso da morire, ma non osava parlarne con Carlo, sapendo bene che non sarebbe stato di grande aiuto… pertanto teneva per sé quei dubbi lancinanti, che cominciavano a pesargli come un macigno… che magicamente diventava un sassolino quando poi Riccardo gli rispondeva occasionalmente scrivendogli delle parole dolci.

Una volta Brian aveva provato a scrivergli che desiderava che gli rispondesse più spesso, o comunque non così tardi nel tempo, ma Riccardo aveva replicato che non sempre poteva rispondere perché aveva anche un telefono abbastanza datato che si scaricava velocemente e lui non sempre aveva tempo di ricaricarlo. Queste giustificazioni lo tenevano buono per un po’, salvo poi rendersi conto che gli mancava da morire quando non rispondeva.

Chi vedeva Brian da fuori vedeva solo un ragazzo un po’ distratto o a volte perso nei suoi pensieri. Anche Corrado si era accorto che c’era qualcosa che non andava, ma non ci aveva dato peso più di tanto, pensando che forse il suo ragazzo stava attraversando uno di quei suoi periodi di “stacco”, come li chiamava lui, dedicati alla riflessione ed al raccoglimento di nuove idee, ma soltanto Brian sapeva cosa stava succedendo dentro sé stesso. Se avesse dovuto descrivere a qualcuno quelle sensazioni, avrebbe probabilmente detto che dentro di lui si era acceso un fuoco. Un fuoco che ogni tanto si alimentava troppo e rischiava di bruciarlo, ma che ogni tanto si calmava, donandogli il dolce tepore di cui aveva bisogno.

Da che mondo e mondo, ogni fuoco è alimentato da qualcosa (sia essa legna, gas, petrolio), ed è controllato da qualcuno.

Brian non lo sapeva ancora, ma quel fuoco era alimentato e controllato con maestria da Riccardo.

Finora, l’unico ragazzo che Brian avesse mai amato veramente.

 

 *****

 

Seduti sul divano di Riccardo, Brian gli si era accoccolato accanto e stava guardando il film che l’amante aveva scelto, di cui non aveva nemmeno capito il titolo. Acciambellato contro di lui, aspirò profondamente il suo profumo, stringendogli dolcemente le mani, felice di essere lì accanto a lui.

 

Terminato il film, Riccardo si rilassò sul divano, mentre Brian lo guardava dalla sua posizione, con la testa sulle sue gambe.

- Ti è piaciuto il film? –

- Sì. Molto. –

Riccardo gli accarezzò la testa dopo essersi stiracchiato. – Adesso devi tornare a casa, vero? –

- Sì… purtroppo. Non vorrei, ma devo. –

- Ma se restassi a dormire con me mentre c’è Corrado, cosa succederebbe? –

Brian alzò gli occhi, sospirando mentre cercava la risposta nella sua testa. – Penso che Corrado incomincerebbe a chiamarmi, perché non sarebbe un comportamento che tengo di solito… Da quando siamo andati a vivere insieme, cinque anni fa, non ho mai dormito fuori di casa da lui. Lui invece sì, perché sapevo che ogni tanto il suo lavoro lo porta a fare delle trasferte. Tu come facevi con il tuo ragazzo? –

- Io… con il mio…? –

- Con il tuo ragazzo, sì. –

- Beh, lo sai no? Anche lui era sempre fuori. –

- Ma non ti chiamava neanche? Mai, nemmeno quando eravamo insieme? –

- Senti, se questo è un interrogatorio… - attaccò Riccardo, guardandolo con severità. Brian allora cercò di correggere il tiro, alzandosi e mettendosi a sedere.

- No, non è un interrogatorio – gli disse mentre l’altro lo guardava – Voglio solo sapere come facevi ad essere così tranquillo, tutto qui. –

- Perché vuoi saperlo? – incalzò Riccardo.

- Perché … Perché… - Brian sospirò, abbassando lo sguardo. – Perché a volte non so davvero cosa fare con Corrado. –

- Se non sei felice, perché non lo lasci e vieni a vivere con me? –

Brian ebbe un sussulto. Gli aveva davvero chiesto quella cosa? Lo guardò intensamente negli occhi, cercando una risposta nella sua mente.

- Oh… mi… mi piacerebbe, ma… -

- Ma c’è Corrado. Dico bene? –

- Sì… - mormorò Brian. Riccardo rimase lì a guardarlo per un attimo, poi si alzò.

- Dove vai…? –

- Da nessuna parte, prendevo il cappotto. Abbiamo quasi finito il tempo a nostra disposizione, ricordi? E io non vorrei mai causarti qualche guaio finché sei con il tuo Corrado. –

Quell’ultima frase voleva sicuramente essere accomodante, ma qualcosa, forse nel tono di voce o nella combinazione delle parole, stonava. Brian avvertì che c’era qualcosa che non andava, ma gli venne soltanto da dire – Non c’è motivo di avere fretta. Perché non finiamo di parlare, invece? –

- Tesoro… - gli disse Riccardo andandogli vicino e mettendogli una mano sulla guancia destra. Poi lo baciò dolcemente, guardandolo negli occhi.

- …Voglio che tu stia il più sereno possibile, credimi. So che ti piacerebbe stare con me, ma dobbiamo stare attenti. Corrado potrebbe tornare a casa da un momento all’altro, quindi è meglio che io ti riporti a casa tua finché c’è ancora tempo. Capisci? –

A quelle parole di Riccardo, Brian si tranquillizzò. Non pago dell’affetto ricevuto poco prima, l’abbracciò forte, tempestandolo di baci sul collo e sulle guance.

- Il mio cucciolotto… - mormorò Riccardo, abbracciandolo a sua volta.

 

Durante tutto il tragitto di ritorno, non dissero più nulla. Arrivato nel solito punto dove lo lasciava (di fronte ad un negozio di ferramenta, “Il Paradiso della Brugola”), Riccardo prese la mano di Brian e gliela baciò, carezzandogliela dolcemente.

- Spero che presto potremo realizzare i nostri sogni – gli disse, guardandolo negli occhi.

- Lo spero anch’io. Li realizzeremo. Te lo prometto. –

Si sorrisero. Quindi Brian scese dall’auto e andò verso il suo condominio, pensando a tutto ciò che c’era stato ancora una volta tra di loro. Era cotto. Innamorato cotto, ma dentro di sé sentiva anche qualcos’altro.

Paura.

Non sapeva nemmeno lui di che cosa.

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Capitolo 11
*** 11. ***


11.

 

 

 

Brian aveva imparato a disegnare da bambino, quando suo fratello Alex, per tenerlo buono mentre studiava, gli dava fogli e matite colorate su cui lui poi incominciava a disegnare; quando poi incominciava, bisognava dirgli di smettere, perché era talmente preso da quell’attività da riuscire a dimenticarsi tutto il resto.

All’inizio le sue creazioni erano solo normali scarabocchi di bimbo (adesso gelosamente custoditi da sua madre), ma col tempo Brian affinò la sua tecnica, incominciando a copiare dai fumetti (nell’archivio che teneva sua madre, se si guardavano i disegni in ordine cronologico, si potevano vedere gli scarabocchi che si trasformavano magicamente in Paperino, Qui Quo Qua e Topolino, insieme ovviamente ai Gambadilegno disegnati e colorati a matita), poi dalle foto, fino ad approdare al disegno libero, cioè quello che scaturiva dalla sola mente.

Anche se Corrado la pensava diversamente, Brian non era e non si sentiva un artista. Era semplicemente una persona qualunque che padroneggiava la teoria e la pratica del disegno e con esse dava un senso al foglio bianco. Le sue non erano opere d’arte come lo erano quelle di Riccardo o degli artisti antichi o contemporanei che aveva studiato in storia dell’arte; però le sue piacevano a tutti perché, anche se non erano perfette, erano comunque gradevoli da guardare.

Disegnava quando si sentiva particolarmente ispirato, e in questo stato poteva essere arrabbiato o felice o addirittura triste. Quando era agli inizi della storia con Corrado, lo disegnava sempre sul suo diario segreto in diversi soggetti (alcune volte era un marinaio; altre, un cavaliere in sella ad un cavallo bianco, ed altre ancora un astronauta) e atteggiamenti, e ovviamente si autoritraeva insieme a lui. Disegnare gli calmava i nervi, lo aiutava ad astrarsi dal mondo esterno quando c’era qualcosa che non andava, consolandolo dai suoi crucci quotidiani.

Crucci quotidiani come la difficile situazione in cui si era andato a cacciare.

 

Chino sul foglio con gli occhiali da vista (li usava sempre quando doveva disegnare), Brian stava facendo un disegno che avrebbe voluto fare da molto tempo: la copia di una fotografia scattata tempo prima in un parco a Milano. Ricordava chi l’aveva scattata: Carlo, che a quei tempi si vedeva con un certo Franco, un uomo di quarant’anni (mentre lui all’epoca ne aveva diciannove). La macchina fotografica era quella di Corrado, una vecchia Kodak che ora giaceva da qualche parte della loro casa a godersi la sua pensione di anzianità in santa pace, ma che fino a quando era stata in servizio aveva scattato foto bellissime, tra cui quella che aveva davanti Brian in quel momento. Già all’epoca la macchina analogica era datata, essendo a disposizione le macchine digitali, ma né lui, né Corrado erano particolarmente amanti di quel tipo di fotografia, per cui le loro foto continuavano ad essere sviluppate e stampate su carta dal fotografo, anziché visualizzate attraverso uno schermo.

La fotografia li ritraeva insieme, in estate. Brian vestiva una tutina di jeans e una maglietta gialla, ai piedi indossava delle consunte sneakers della Vans (già allora gli piaceva vestirsi anni ’80); portava i capelli rossicci e lunghi che gli ricadevano in onde soffici sulle spalle, ad incorniciare un viso dal sorriso dolce e spensierato. Accanto a lui stava Corrado, vestito con una polo verde e un paio di pantaloni kaki e le Vans blu, leggermente più magro rispetto al presente ma con la zazzera di capelli castani perennemente spettinati (che, diceva lui, era l’unica cosa della sua vita che non era mai riuscita a mettere in ordine), che lo abbracciava teneramente da dietro guardandolo negli occhi, in un’immagine di tenerezza e complicità uniche nel loro genere.

Una foto che era sempre piaciuta a entrambi, ma soprattutto a Brian. In quella foto, pensava, c’era il perché di dieci anni insieme, la ragione per cui un bel giorno avevano deciso di unire le loro esperienze in un unico destino.

E quella ragione ora Brian stava cercando, mentre faceva correre la sua matita su quel foglio, dove stava prendendo forma un bellissimo ritratto di lui e di Corrado.

Cosa fece Corrado per conquistarmi…? Era la domanda a cui Brian stava tentando di dare una risposta mentre disegnava.

 

*****

 

Era ancora pomeriggio presto quando la porta di casa si aprì, rivelando la figura di Corrado che entrava in casa, sorridendo. Brian alzò gli occhi dal disegno, vedendo Corrado che appoggiava il cappotto e la borsa.

- Ciao amore – lo salutò, benedicendo l’idea che aveva avuto di non andare da Riccardo quel pomeriggio.

- Ciao dolcezza – rispose Corrado, avvicinandoglisi e baciandogli la guancia. – Oggi con gli occhiali? –

- Eh sì, ho finito le lenti a contatto… che c’è, non ti piaccio? –

- Scherzi? Mi piaci ancora di più, tesoro. –

- Come mai a casa così presto? –

- Non c’era niente da fare. Ed è strano, perché di solito avevamo da mettere a punto un sacco di cose con i programmatori per quella nuova azienda… mah, vai a sapere. –

Non sapendo cosa rispondere, perché non conosceva in particolare le abitudini lavorative dell’azienda per cui lavorava il suo ragazzo, Brian annuì, come per dire “Capisco”.

- Visto che sono a casa prima, ho pensato che magari potevamo fare un giro da qualche parte. Ti andrebbe? –

Brian gli sorrise. – Volentieri. Dove si va di bello? –

- Uhm… un’idea ce l’ho. – fece Corrado - …Una potrei anche dirtela, ma l’altra è una sorpresa. –

- Dai, dimmi. –

Corrado scosse la testa. Brian si alzò e gli punzecchiò la pancia con il dito.

- Dimmelo o ti infilzo con l’indice. –

- Ahahah! No, non te lo dico! – rispose Corrado, indietreggiando e cercando di sottrarsi alla tortura del suo ragazzo, che intanto ridacchiava.

- Dimmelo! –

- Ahahah! No…! Non posso! –

Brian smise e passò alla carta della seduzione, guardandolo intensamente e guidando la sua mano sul suo sedere ancora coperto dai pantaloni della tuta.

- Se me lo dici, ti faccio passare una notte di fuoco. –

Corrado lo guardò e lo baciò fugacemente sulle labbra, quindi disse soltanto – Te lo dico, ma a una condizione. –

- Sentiamo, ingegnere ricattatore dei miei stivali. Anzi, delle mie ciabatte. –

Dalla tasca, Corrado tirò fuori un pieghevole, probabilmente di un cinema.

- Mentre vado a farmi una doccia, scegli un film tra questi. Poi quando esco, comunicamelo. E forse ti dirò che cos’ho in mente. –

Brian prese il pieghevole e si mise a dargli una scorsa, tanto per farsi un’idea. Corrado si allontanò, dirigendosi verso la stanza da letto per poi andare in bagno.

 

Mentre Corrado era sotto la doccia, lo smartphone di Brian gli vibrò in tasca. Lo prese fuori e vide chi era.

Riccardo, che gli chiedeva cosa stesse facendo.

Brian alzò gli occhi, ma evitò di rispondere.

 

*****

 

Per la prima volta da che lo conosceva Brian lasciò in sospeso un messaggio di Riccardo per un’intera serata. In più, per non doversi giustificare con Corrado, attivò la modalità “in aereo”, scollegando il telefono dalla rete. La serata fu così dedicata unicamente al suo ragazzo.

Il film al cinema fu carino, una commedia italiana fatta dei soliti drammi che può vivere una famiglia, risolvendoli poi nel migliore dei modi. Ad un certo punto del film Brian prese la mano di Corrado, stringendogliela dolcemente. Corrado lo guardò, sorridendogli. Brian gli poggiò la testa sulla spalla.

 

Mentre erano in macchina, Brian credette di riconoscere quella zona della città. Naturalmente era il solito agglomerato di palazzi e auto, ma a differenza della volta in cui era stato con Riccardo, non gli comunicava malessere e inquietudine, anzi al contrario gli comunicava tranquillità e nostalgia. E poco dopo capì il perché.

- Oh! – esclamò ad un certo punto – Ma… non è…? –

- Eh sì – disse Corrado con un sorriso compiaciuto – E’ proprio qui. –

Corrado parcheggiò l’auto nel parcheggio di un locale, la pizzeria Il Muretto.

- Oh, tesoro… la nostra pizzeria. –

- Sì. Ti ricordi? –

- Mi ricordo – mormorò Brian – Ma è ancora qui…? Credevo avesse chiuso. –

- Fortunatamente per loro, no. Entriamo? –

 

Entrando, la pizzeria aveva la veste di un locale retrò: alle pareti erano appese fotografie che ritraevano vari personaggi famosi: cantanti, attori, gente della televisione e dello spettacolo; sulle scaffalature erano presenti coppe, premi, targhette forse di concorsi o gare sportive. Il tutto circondato da pareti con mattoni rossi a vista, che richiamavano il nome del locale, appunto, Il Muretto.

Era lì che tra una capricciosa ed una quattro stagioni, Corrado e Brian passavano le loro prime sere da fidanzati. Sempre lì passò il loro primo San Valentino, e fu lì che festeggiarono il loro fidanzamento.

In confidenza con i proprietari, che erano gli stessi da tutti quegli anni, i due fidanzatini si accomodarono al loro solito tavolo accanto alla vetrina che dava sulla strada. Non un panorama interessante, ma pur sempre un panorama.

- E’ rimasto tutto come allora, non è cambiato proprio niente. –

- Già…! Sei contento? –

- Molto – sorrise Brian – Era da un po’ che non ci tornavamo. –

Durante la cena, Corrado gli parlò molto di come si stavano evolvendo le cose in ufficio, con le nuove aziende che si rivolgevano a loro per ottenere consulenza e le nuove assunzioni. Però dentro di sé Brian sentiva che c’era qualcosa che non andava in Corrado. All’inizio sembrava entusiasta di parlare del suo lavoro, ma poi scorse nelle sue parole una nota di dubbio, che non seppe spiegarsi finché Corrado non pronunciò una frase precisa.

- Tra poco dovrei riuscire ad ottenere quel posto di vice-responsabile. Però non mi hanno ancora fatto firmare nulla. E non capisco perché. –

Se ancora conosceva bene il suo ragazzo, Brian sentiva che non era felice perché ancora non era stato messo in forza come vice-responsabile. Si sentì dispiaciuto per lui.

- Oh – disse Brian, annuendo. – Per quel poco che ne so, i tuoi capi potrebbero stare prendendo del tempo per… non lo so, farti apprendere nuove cose, per non darti all’improvviso una responsabilità così grande. –

- Tu dici che potrebbe essere per quello? –

Brian fece spallucce, non potendo portare altra esperienza che quella della piccola azienda edile di suo padre – Potrebbe essere. Sai che io non ci  capisco molto di queste cose… però… ecco, mio padre una volta doveva prendere una nuova ragazza come segretaria per la sua azienda, mi segui? –

Corrado annuì.

- Ecco. Fece un po’ di colloqui a diverse ragazze appena diplomate o laureate, solo che Silvia, la sua vecchia segretaria, non voleva lasciare il suo posto ad una ragazzina più giovane: ogni volta che qualche candidata andava via dopo i colloqui, lei era raggiante e diceva sempre che le ragazzine non avrebbero saputo supportarla al meglio. In realtà era solo gelosa del fatto che mio padre avesse una ragazzina più giovane e magari più carina alle sue dipendenze. Ti immagini? –

Ridacchiando, Corrado rispose – Sì, posso immaginare. E quindi? –

- E quindi mio padre dovette tenersi Silvia per un bel pezzo, finché non arrivò alla pensione. Solo allora poté trovarsi una nuova ragazza. Ah, e poi aveva anche provato ad assumere una ragazza che collaborasse con Silvia. Sai come andò a finire? –

- No, come andò…? –

- Prova ad immaginare: la ragazza fece appena tre mesi, poi rassegnò le dimissioni, perché Silvia la torchiava troppo. Un po’ come Miranda Priestly ne Il diavolo veste Prada. –

A quella frase, Corrado rise di gusto. – Ahahah! Ma dai! Sul serio…? –

- Sì, sì! È tutto vero! – esclamò Brian, ridendo a sua volta. E così, risero insieme mentre Corrado versava un po’ di vino nel bicchiere di Brian. Brindarono amabilmente, e Brian pensò che Corrado non stava più pensando al motivo per cui non lo stavano mettendo in forze come vice-responsabile.

- Ora che mi ci fai pensare, potrebbe essere vero. Effettivamente il capo reparto è ancora lì. Però è vicino alla pensione. Magari è come dici tu, stanno aspettando che quello se ne vada per potermi dare il posto. Non ci avevo pensato e loro non me l’avevano certo detto. –

Brian mise giù il bicchiere mezzo pieno di vino mentre rispondeva. – Magari l’hanno fatto per metterti un po’ sotto pressione psicologica. Provo a ragionare come farebbero loro: noi ti promettiamo il posto ma non ti diciamo quando lo occuperai. Così tu, Ingegner Ottonelli, farai del tuo meglio per dimostrarti all’altezza.

Frattanto, il cameriere era arrivato con le loro ordinazioni. Brian lo ringraziò, al contrario di Corrado che era rimasto fisso a guardare il suo ragazzo.

Brian fece un sorrisetto. – Be’? Che c’è? –

Corrado ridacchiò abbassando gli occhi, dando modo a Brian di vedere i suoi capelli, che da qualche tempo avevano cominciato a imbiancare sulle punte – Mi hai fatto venire in mente un’immagine divertente: un somaro che tira la carretta mentre rincorre una carota appesa a un filo, nel vano tentativo di prenderla. –

- Oh, tesoro… non intendevo dire che… -

- No, tranquillo amore. Se loro vogliono che sia così, così sarà. Anche perché non potrei permettermi di lasciare questo lavoro per orgoglio. Trovarne un altro sarebbe difficile, e poi… Io la mia carota l’ho già conquistata. – disse, guardandolo dolcemente e allungando la mano sul tavolo.

Brian lo guardò negli occhi, sentendo un brivido di tenerezza. Allungò anche lui la mano sul tavolo, stringendogliela dolcemente. Le loro fedi si toccarono quando Corrado gliela prese e gliela baciò, sempre guardandolo negli occhi.

- Sei tu – disse – Il mio pel di carota. Almeno, una volta lo eri. –

Arrossendo, Brian abbassò lo sguardo – Biondo non ti piaccio? –

- Mi piaceresti in ogni modo, dolcezza. –

Brian rialzò lo sguardo, incontrando quello di Corrado. I suoi occhi erano così aperti, la sua espressione così felice che non nascondeva nulla: era come lo ricordava dieci anni prima, un ragazzo pulito, così diverso dagli altri, che gli aveva rubato il cuore. In quel preciso momento si sentì felice, appagato, tanto che nella sua mente, Riccardo si eclissò per un lunghissimo istante.

Resterei a guardarti per ore, piccolo, sembrava dicessero gli occhi del suo Corrado. Cose che gli occhi di Riccardo non gli avevano mai detto. Ecco cosa sentiva sempre per Corrado, cosa aveva sempre sentito. Sì, ma… come l’aveva conquistato?

Era certo che, se si fosse ricordato di quel dettaglio, tutto sarebbe forse tornato alla normalità.

Lasciandosi prendere dalla tenerezza, Brian prese il viso di Corrado nelle sue mani e gli regalò un tenero bacio, cercando di dominare un improvviso accesso di pianto che gli era venuto.

 

La pizza al Muretto era squisita come la ricordavano. Brian mangiò con gusto la sua capricciosa, e Corrado la sua ai quattro formaggi. Durante la cena parlarono ancora tanto, soprattutto dei progetti per il futuro di Brian, che comprendevano il tornare a studiare architettura e magari prendere anche la patente. Così non sarai più costretto a portarmi sempre in giro, aveva aggiunto. Corrado gli disse che l’avrebbe appoggiato in ogni modo, anche per la patente e che ovviamente non era un problema per lui scarrozzarlo dovunque volesse. Poco dopo Brian gli chiese dove avrebbe potuto documentarsi sugli esami da dare al corso di laurea.

- Se ti va, puoi andare alla biblioteca del Politecnico – disse ad un certo punto Corrado – lì ci sono tutti i testi che riguardano la materia. Non so se ci sia un test di ammissione, ma non penso. Al massimo dovrai dare prova di avere qualche conoscenza di base. –

- Grazie del consiglio, amore. Ci andrò sicuramente. – promise Brian, sorridendo e addentando una fetta di pizza.

 

*****

 

Più tardi, disteso nel letto, Brian stava scontando i postumi di una sbornia da vino rosso amabile usato per accompagnare la pizza. Quella sera avrebbe volentieri fatto l’amore con Corrado, ma era troppo fuori gioco anche solo per pensare ad una cosa del genere. Si limitò a coricarsi appena arrivati a casa, mentre Corrado guardava un po’ di televisione in salotto. In un momento di lucidità mentre era disteso, si ricordò del suo cellulare che ancora non aveva riportato in collegamento. Quando lo fece, pochi secondi dopo gli arrivarono le miriadi di notifiche di Riccardo, che gli aveva scritto più volte nel corso della serata.

- Cazzo – mugugnò Brian, sospirando e preparandosi a leggere ciò che già lontanamente intuiva.

Mi manchi, ti penso.

Poi un altro, un po’ più preoccupato: Perché non mi rispondi, amore? Mi manchi, vorrei che mi rispondessi al più presto.

Si soffermò in particolare su quella parola, Amore. Allora lo amava? O era stato solo un modo di dire dettato dall’ansia che traspariva da quei messaggi?

Non so perché tu stia facendomi questo, ma vedi di smetterla e spiegarmi appena puoi, ok? Diceva un altro messaggio, questa volta un po’ più piccato. Se aveva avuto il pensiero di bloccarlo in passato, si rallegrava di non averlo fatto: poco ma sicuro che lo avrebbe tempestato di messaggini. E pensare che avrebbe dovuto saperlo che non l’aveva bloccato! La sua immagine su Whatsapp (un selfie con gli occhiali da sole, una delle poche foto che lo ritraevano in una posa provocante) era ancora ben visibile a Riccardo, quindi perché si era alterato così tanto?

Mi stai facendo soffrire, sei proprio come il mio ex-ragazzo.

Decise di ignorare tutti gli altri messaggi, quindi gli scrisse che era insieme a Corrado e non poteva messaggiare, per questo aveva dovuto spegnere il telefono.

Sullo schermo vide le doppie spunte blu che segnalavano che Riccardo aveva letto i messaggi, quindi vide che stava scrivendo qualcosa.

Spero che tu abbia passato una bella serata, gli scrisse, senza aggiungere cuoricini o altro. Brian capì dal tono che era abbastanza seccato, quindi cercò di rimediare.

Scusami, gli scrisse, aggiungendo una faccina triste. Purtroppo è arrivato all’improvviso e mi ha proposto di uscire insieme… Non me lo aspettavo! Non voglio rovinare tutto tra di noi. Mi sei mancato tanto anche tu, amore mio, concluse, rendendosi conto che forse aveva esagerato con le ultime due parole ma allo stesso tempo che era ormai troppo tardi per ritrattare. Avrebbe sì potuto cancellare il messaggio, ma che cos’avrebbe pensato dopo Riccardo?

Quest’ultimo gli confezionò una risposta rapida e concisa. Ok.

A quel punto, Brian si disse che sarebbe stato inutile cercare di parlargli ulteriormente, quindi mise via il cellulare sentendosi un peso sul cuore. Quando arrivò Corrado dalla serata in salotto, gli si accoccolò accanto e si lasciò abbracciare per tutta la notte, alla ricerca di un rifugio sicuro dalla strana tristezza che gli era venuta.

 

 

 

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Capitolo 12
*** 12. ***


12.

 

 

 

Le proposte di rimettersi a studiare e di iscriversi a scuola guida che aveva fatto a Corrado avevano come sfondo il vino, certamente. Ma più di questo era il fatto che un altro anno stava per andarsene a breve. I giorni prima delle feste natalizie furono abbastanza tranquilli, con Brian che vide Riccardo tre o quattro volte prima di Natale e due immediatamente dopo. Per fortuna o purtroppo Riccardo dovette passare Natale e Capodanno insieme ai suoi (senza specificare se fossero padre o madre, o addirittura una moglie o dei figli), così Brian poté passare il Natale insieme a Corrado a casa dei genitori di Brian, insieme al fratello ed a sua moglie. Fu una tranquilla festa in famiglia, anche se Brian dovette tacitare ancora una volta il suo cellulare per non dover dare giustificazioni agli altri. Vedendo intorno a sé i suoi genitori e suo fratello, felicemente uniti coi rispettivi partner, non poté fare a meno di provare un moto di disgusto verso stesso, ragazzo che tradiva il suo fidanzato. Nessuno dei suoi familiari notò il suo malessere.

 

Ora la sua storia parallela con Riccardo stava durando già da qualche mese. Il tempo che passavano insieme era sempre stupendo, Riccardo era un amante formidabile ed un amabile conversatore. Sì, c’era qualcosa che non andava, si diceva Brian, ma d’altronde nemmeno la sua storia con Corrado andava troppo bene. Quindi andava avanti senza curarsene troppo, credendo che si trattasse dello stato fisiologico di una coppia. Non tutto era perfetto.

Tuttavia…

…gli venne in mente qualcosa che Riccardo non gli aveva mai detto.

Accadde durante uno dei suoi giri al supermercato. Aveva la testa piena dei preparativi da fare per Capodanno, avendo organizzato insieme a Carlo un veglione a casa di quest’ultimo, in compagnia di altri suoi amici. Corrado naturalmente l’avrebbe accompagnato, solo che quella mattina non c’era perché l’avevano chiamato con urgenza dal lavoro, farneticando di una relazione che avrebbe dovuto presentare ma che non aveva inviato. Per cui Corrado si era precipitato fuori e Brian era rimasto da solo a fare la spesa. Mentre prendeva gli ingredienti per fare la torta salata (una sua specialità, insegnatagli da sua madre), vide un ragazzo e una ragazza fare la spesa. Osservò mentre si consultavano su quale farina prendere, e ad un certo punto lei guardò lui, e lui le disse Ti amo.

E fu lì, mentre teneva le mani sul carrello pieno di viveri, che il pensiero gli attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno.

Non mi ha mai detto di amarmi.

Avrebbe voluto ringraziare quei due fidanzatini per avergli aperto gli occhi, ma in un certo senso era stato come se per farlo gli avessero servito una bella manganellata sulla zucca. Lentamente si allontanò, dirigendosi verso le casse con tutto il suo dolore.

 

*****

 

I dubbi si facevano sempre più intensi con l’andare del tempo. Passato Capodanno, Brian era teso e preoccupato, oltre che avvilito da una situazione che, in sé per sé, stagnava. Come suo solito, una mattina era in casa a rilassarsi, dopo aver fatto i soliti mestieri. Scorrendo i post su Facebook, ne trovò uno di un gruppo gay che seguiva, dove si pubblicavano varie confidenze. Ogni tanto a Brian piaceva leggere storie di quel genere, anche se non erano sempre troppo allegre. Come non lo era la storia che aveva trovato in quel momento. Tralasciando i soliti preamboli che ogni tanto il malcapitato scriveva (età, stato civile, professione, etc.), lesse la storia di questo ragazzo poco più giovane di lui:

“…dopo quasi cinque anni di fidanzamento, mi sono ritrovato ad allacciare una relazione clandestina con un uomo più grande di me.” - “Poiché con il mio boy mi annoiavo, non solo perché non facevamo più l’amore, ma anche perché il nostro sentimento sembrava proprio essere andato a p…e, è stato facile cadere preda di quest’uomo.”

“Lui era così bello, sicuro di sé, carismatico. Stavo bene con lui, molto bene. Mi dava tutto ciò che credevo di aver perso dopo pochi anni insieme al mio ragazzo. Ci siamo frequentati per un anno, durante il quale lui non mi aveva mai detto “Ti amo” a parole. Me lo faceva capire in tanti modi, ma alla fine io incominciai a sentirne la mancanza. Allora glielo dissi io, che lo amavo. Non l’avessi mai fatto…! All’inizio lui cambiò atteggiamento, si fece più freddo, distaccato… e io incominciai a sentirmi male per questo, talmente male che lasciai il mio ragazzo, ma poco dopo fui lasciato dal mio amante, di cui scoprii che era addirittura sposato e con due figli.”

“Mi sentii male, usato, sporco.”

 Brian lesse e rilesse quelle righe, cercando di trovare punti di differenza rispetto al suo caso. In effetti ce n’erano tanti, eppure la storia di quell’anonimo ragazzo era così simile alla sua, avendo in comune il fatto che anche lui stava facendo qualcosa di nascosto, con un individuo di cui (se ne rese conto), sapeva davvero molto poco.

Cominciò a inquietarsi, lasciando il telefono e rannicchiandosi in stesso con la coperta che portava sulle spalle quando era in casa. Non è il tuo caso, smettila di preoccuparti, si disse, ma qualcosa dentro di sé sapeva che si stava solo ingannando.

Non detto che una cosa del genere possa succedere anche a te. Per cui stai tranquillo!

Ma non ce la fece. E incominciò a tremare di freddo, sentendosi improvvisamente piccolo e spaurito.

A calmare la situazione, arrivò un messaggino su Whatsapp.

Gli occhi di Brian si illuminarono, vedendo che Riccardo gli aveva scritto di nuovo che lo pensava, con tanto di paroline dolci e cuoricini al seguito. Per un attimo pensò di dirgli che cosa lo turbava, ma poi si trattenne, accontentandosi di dirgli che lo pensava tanto anche lui e che non vedeva l’ora di rivederlo. Gli diede appuntamento per il pomeriggio, come al solito. E dei problemi di quell’anonimo passeggero che aveva affidato il suo messaggio in bottiglia nel mare di Facebook, nella sua mente non restò più traccia.

 

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Capitolo 13
*** 13. ***


13.

 

 

 

I dubbi di Brian erano come l’alta marea: quando la luna era fuori dal suo campo di attrazione, la marea era bassa, ma quando era vicina, la marea si alzava e di conseguenza anche i suoi dubbi tornavano. In più Brian non ne aveva una sola, di luna: ce n’erano tante, lì fuori, pronte ad alzare il livello della marea.

Quel giorno se ne aggiunse una nuova.

 

*****

 

Quando erano andati a vivere insieme in quell’appartamento, Corrado aveva proposto a Brian se avesse voluto fare l’addebito diretto sul conto corrente delle utenze domestiche. Brian si era opposto, dicendo che gli piaceva di più andare a pagare le bollette direttamente in posta. Gli piaceva passeggiare e sicuramente fare due passi ogni tanto gli avrebbero giovato, ed erano ormai più di cinque anni che lo faceva.

Anche quel giorno Brian era in fila alle poste per pagare le ultime due bollette arrivate, elettricità ed acqua, poiché il riscaldamento arrivava sempre insieme al riepilogo spese dell’amministratore di condominio.

Quando era uscito di casa, gli era parso che qualcuno lo stesse seguendo. Si era voltato, ma a parte qualche persona che osservava le vetrine ed alcune che entravano nelle auto parcheggiate, non aveva notato nessuno di particolarmente sospetto. Aveva ripreso la sua strada verso l’ufficio postale e non ci aveva più pensato.

Ora, mentre era seduto in attesa del suo turno allo sportello, la sensazione gli era tornata. Alzò lo sguardo e vide una ragazza in cappotto lungo nascosta da dei grossi occhiali da sole osservarlo da dietro il quotidiano. Quando presumibilmente lei incrociò il suo sguardo, alzò il quotidiano con nonchalance, come intenta a badare esclusivamente agli affari suoi. Brian allora distolse lo sguardo, pensando di essersi sicuramente sbagliato.

Pagate le bollette, uscì dalle poste diretto verso la prossima incombenza della giornata, ovvero la spesa.

 

*****

 

Arrivato al supermercato, la prima cosa che cercò fu il formaggio da grattugiare, per cui si diresse immediatamente al reparto apposito.

Mentre prendeva il formaggio e lo metteva nel cestino insieme agli altri pochi alimenti, avvertì nuovamente la sensazione di essere seguito.

Si voltò.

Poco distante, la ragazza che aveva visto all’ufficio postale era lì, anche lei con un cestino rosso alla mano, intenta ad esaminare una confezione di latte. La parte buona di Brian pensò che forse era un caso che stessero facendo la spesa allo stesso supermercato, dopo essersi trovati all’ufficio postale. Ma la sua parte cattiva, com’era ovvio, stava già pensando male. Coincidenza troppo strana, quella di trovarsi in due posti diversi nel giro di poco tempo (addirittura nello stesso reparto!).

C’era sicuramente qualcosa sotto.

Un’altra cosa che pensò fu che la ragazza lo stava seguendo perché le piaceva. Non gli succedeva spesso, perché non era proprio il tipo che piace alle donne. Le donne volevano uomini come Corrado, con un po’ di barba sulle guance (anche se lui si radeva) o come Riccardo. I ragazzi come Brian, con il fisico magro leggermente scolpito, i capelli ossigenati e i piercing alle orecchie piacevano più alle liceali, non a donne come quella che lo stava seguendo in quel momento, che ad occhio poteva avere non meno di una trentina d’anni.

Comunque fosse, Brian era pronto a sorbirsi la confessione amorosa ed a smontarla sul nascere con la frase di rito: Sono lusingato, ti ringrazio ma a me piacciono i ragazzi.

Non ebbe comunque bisogno di usarla, poiché riuscì ad uscire dal supermercato indisturbato. Per capire meglio che intenzioni avesse, si nascose dietro una macchina e rimase a guardare l’uscita del supermercato. Attese con la mano poggiata al finestrino della macchina, quando si sentì chiamare dal retro.

- Ehm. – disse una voce femminile alle sue spalle. Si voltò.

Dietro di lui, una signora con un passeggino pieno di viveri e una bambina in braccio lo guardava con un’espressione impaziente.

- Le piace la mia macchina? – gli domandò la donna. Lui fece per rispondere nel tentativo di giustificarsi, ma la donna riprese – Può gentilmente spostarsi? Devo andare via. La ringrazio. –

Senza dire niente, ma avvertendo i sintomi di un imbarazzo incipiente, Brian si allontanò con la busta della spesa in mano, diretto verso l’entrata del metrò.

 

*****

 

La rivide mentre era sul vagone del treno sotterraneo. Le mani erano libere da buste della spesa, segno che non era andata al supermercato per comprare viveri. Brian si morse il labbro preoccupato, chiedendosi che intenzioni avesse quella tizia. Per un momento pensò anche di dirlo a Riccardo, ma il buonsenso ebbe la meglio sulle sue intenzioni.

Sì, e poi quando glielo dirò, lui cosa farà? Arriverà volando da casa sua e me ne libererà? Bah… lascia perdere.

Non avrebbe potuto chiamare Riccardo, ma in giro per la stazione c’erano comunque i carabinieri ed i militari, quindi sapeva cosa fare se la donna avesse dimostrato intenzioni moleste.

Quando il treno si fermò ad una delle stazioni (quella prima della sua), Brian stava già pensando di sparire confondendosi con la folla, ma la ragazza guastò con piacere i suoi piani, in quanto scese alla fermata e andò verso le scale che portavano in superficie.

Vedendola mentre scompariva, quando le porte del vagone si chiusero e il treno ripartì, Brian tirò un sospiro di sollievo. Hai visto? Ti sei preoccupato per nulla. Adesso torni a casa e ti metti tranquillo.

Com’era ovvio, Tranquillo era una parola grossa, per la sua situazione. Immediatamente mille congetture cominciarono a farsi strada nella sua mente, su chi fosse quella ragazza, che intenzioni avesse. La più accreditata fu che fosse la ragazza di Riccardo che voleva vedere che faccia avesse il ragazzo che gli aveva rubato il fidanzato (o peggio, il marito). Se era così, la ragazza manteneva un controllo invidiabile: non era molto esperto in fatto di donne, ma pensava che come minimo si sarebbe buscato uno schiaffo o una sonora strillata… o anche solo sguardi minacciosi e carichi d’odio. Invece la ragazza che l’aveva seguito si limitava ad osservare, senza occhiatacce né reazioni scomposte. Sembrava più una tigre che osserva la sua preda…

O un angelo custode che guarda il suo bambino, pensò.

- Un angelo custode? Ma cosa ti viene in mente…? – chiese a sé stesso. Scosse la testa. Questa storia ti sta consumando… forse sarebbe bene che ti decidessi una volta per tutte.

Intanto, era arrivato alla sua fermata.

 

*****

 

Arrivato a casa, trovò come al solito la signora Visentin con la scopa a spazzola, intenta a passare la cera sul pavimento di marmo dell’ingresso.

- Buongiorno Signora Visentin – la salutò.

- Buongiorno a Lei, Sior Molteni. Stia attento a non scivolare, che ho dato la cera! –

- Grazie, starò attento. Arrivederla. –

- Arrivederla! –

 

*****

 

Pochi istanti dopo esser entrato in casa, fece per togliersi le scarpe e infilarsi le pantofole sotto il termosifone dell’ingresso. Tuttavia si fermò, ricordandosi dei surgelati nelle buste, che andavano subito messi in freezer.

Tolti tutti i viveri dalle due buste e sistemati al loro posto i surgelati, tornò all’ingresso. Non fece in tempo a scalzarsi la scarpa destra, che il breve trillo del citofono lo fece trasalire.

 Si domandò chi potesse essere a quell’ora, ma non gli venne in mente nessuno.

Prese il citofono e se lo mise all’orecchio – Chi è? – domandò.

- Sior Molteni mi scusi se la disturbo – esordì la voce della signora Visentin – ma qui in atrio c’è una ragazza che vuole vederla. Gliela mando su? –

Una ragazza che vuole vedermi. Il cuore di Brian iniziò a palpitare, al pensiero che potesse davvero essere la fidanzata o la moglie di Riccardo. Si morse il labbro inferiore, quindi si portò una mano alla fronte, indeciso su cosa fare.

- Sior Molteni? È ancora lì? –

- Grazie Signora Visentin. Le dica che sto venendo giù. –

 

*****

 

Uscito dall’ascensore, la vide.

In piedi accanto alla guardiola della signora Visentin, c’era la ragazza che l’aveva seguito per tutta la mattina. Brian si avvicinò guardandola fissa negli occhi, con le mani in tasca, ostentando tranquillità.

- Il signor Brian Molteni? – domandò la ragazza, tendendo la mano.

Brian non allungò la sua, guardando prima la mano della ragazza e poi lei.

- Chi vuole saperlo? –

Dietro di lui, la signora Visentin scomparve nella guardiola, forse per dare modo ai due di parlarsi liberamente, o per origliare.

La ragazza abbassò la mano, sospirando. – Mi chiamo Giuliana Tedeschi. Mi rendo conto che possa sembrarle inopportuna. Le confesso che sono abbastanza imbarazzata io stessa, mi creda. Ma… -

Brian attese, ma la ragazza non terminò la frase, assumendo invece espressioni come se stesse cercando le parole nella sua mente.

- Vuole per caso vendermi qualcosa, signorina Tedeschi? – domandò Brian.

- Oh? Oh no, assolutamente. Io… ecco, avrei bisogno di parlarle. In privato. –

- Vorrebbe parlarmi. – ripeté Brian, spalancando gli occhi e aggrottando la fronte.

- Sì. –

- E cosa le fa credere che io abbia il tempo o la voglia di seguirla da qualche parte, o anche solo di ascoltarla? –

- Le posso assicurare, signor Molteni, che voglio dirle delle cose che potrebbero tornarle utili. –

- Ripeto, che cosa le fa pensare che io voglia ascoltarla? –

La ragazza sospirò, quindi mormorò – Mi scusi. Ha ragione lei. Mi scusi se l’ho importunata. – disse, e si girò per andarsene.

Brian fece per girarsi anche lui. Udì lo scatto del portone che si apriva e poi si richiudeva, ed a quel punto Brian le corse dietro.

Uscito, la vide che aveva già attraversato mezzo viale del cortile ed era quasi arrivata al cancello. Quando fece per uscire, Brian la chiamò. Lei si fermò, guardandolo e attendendo mentre lui le si avvicinava.

- Va bene – disse Brian – Ascolterò cos’ha da dirmi. –

La ragazza sorrise. In seguito Brian, ripensando a com’era incominciata quella loro conversazione, avrebbe giurato che il sorriso della ragazza non era di vittoria, ma piuttosto il sorriso stanco di una persona che ha ottenuto un’udienza per lei molto importante.

 

*****

 

Poco lontano dal condominio dove Brian viveva insieme a Corrado, c’era una tavola calda. A quell’ora era piena di impiegati che scendevano a fare la pausa pranzo dagli uffici vicini. Fortunatamente non fecero fatica a trovare un posto per due. Brian non si offrì di pagare la consumazione, poiché la ragazza l’anticipò.

- La ringrazio, ma davvero non… -

- Diamoci del tu, ti va? – disse lei, mentre rimetteva via il portamonete nella borsa.

- Okay. Posso farti una domanda? –

- Dimmi. –

- Perché mi hai seguito tutta questa mattina? Solo per parlarmi? –

- Sì. –

- E perché hai aspettato che rientrassi a casa? Non potevi fermarmi prima? –

- Ho aspettato che tu terminassi i tuoi giri. Non volevo disturbarti, anche perché ho molte cose da dirti ed ho bisogno della tua massima attenzione… anche perché non sono sicura che ti piacerà sentire ciò che sto per dirti. –

Brian sospirò, preparandosi a sentire cose come sono la moglie di Riccardo o altre. – Sentiamo. Di cosa si tratta? –

Giuliana non rispose subito, anche perché poco dopo arrivò la ragazza del bar con le loro ordinazioni: un’insalata per lei e un trancio di pizza per lui. Anche quando se ne fu andata, Giuliana non incominciò a parlare, continuando invece a fissarlo.

- Vuoi rispondermi, per favore? –

- Prima vorrei che mi promettessi che tutto quello che diremo rimarrà tra di noi. Puoi promettermelo? –

Brian aggrottò la fronte – Giuliana, ma… stai giocando alla spia o cosa? Perché tutta questa segretez-? –

Troncandogli la frase, insisté: - Promettimelo, per favore. –

- Va bene – si arrese Brian – te lo prometto. –

- Grazie – disse Giuliana, facendo un cenno di assenso col capo, poi congiunse le mani davanti alla fronte, forse alla ricerca di un punto da cui incominciare il suo discorso.

- Prima di tutto voglio che tu sappia che io non sono una tua nemica. Non voglio distruggere la tua reputazione, né venderti nulla o ricattarti per estorcerti qualcosa. Sono solo una privata cittadina che ti parla da privato cittadino. So che quello che sto per dire potrebbe mettermi nei guai con la persona di cui sto per parlarti, ma io confido nella tua promessa che non dirai mai niente a nessuno di questa nostra conversazione. –

- Su chi verterà questa nostra conversazione? –

La donna non glielo disse subito. Prima fece un altro preambolo.

- Devi sapere che io ho un fratello. Si chiama Gabriele. Sai dov’è in questo momento? –

La domanda l’inquietò leggermente, ciononostante cercò di mantenere il suo aplomb di sicurezza – No, ovviamente non lo so. Non conosco né te, né lui. –

- E’ ricoverato in ospedale – rispose lei, abbassando lo sguardo. – Overdose da barbiturici. Non chiedermi come abbia fatto a procurarseli, perché non lo so. So solo che se non mi fossi avvicinata alla porta della sua stanza da letto per dirgli di abbassare il volume della musica e non l’avessi visto con la testa e le braccia penzoloni sul letto ed il flacone di capsule rovesciato sul pavimento, in questo momento sarei tornata figlia unica. –

Mentre parlava, Brian si accorse che le tremava la voce. Stava lottando per non piangere. Comprensibile, se ciò che gli aveva appena detto era vero.

- Mio fratello Gabriele ha tentato di suicidarsi. Con le mie conoscenze (sono praticante avvocato, ho qualche amicizia in grado di aiutarmi) ho fatto in modo che l’ospedale non avvertisse la polizia che avrebbe sicuramente condotto un’indagine… come forse saprai, nel nostro bel Paese il tentativo di suicidio è un reato. –

Brian annuì, tenendo la fronte aggrottata come se fosse interessato, in realtà era abbastanza disorientato.

- Così, abbiamo fatto finta che si fosse trattato di un incidente. Ma ovviamente così non era. La prima cosa che mi sono chiesta è stata perché. Perché mio fratello aveva tentato una cosa del genere? Che io sapessi, la sua vita era felice. Aveva un lavoro, una macchina, una famiglia che gli voleva bene. Sì, era un po’ taciturno… ma pensavo si sentisse bene, anche se gli mancava un ragazzo. Quando invece così non era. –

La guardò, chiedendosi perché si trovasse lì in quel momento, quando la ragazza riprese.

- Fu lui stesso a rispondere alla mia domanda. Mi disse che se stava così era colpa di un ragazzo. Un ragazzo che con i suoi atteggiamenti contraddittori l’aveva portato a fare ciò. Gli chiesi di dirmi di più, e lo fece. Così io avviai una mia indagine privata. –

- E chi ti ha dato il diritto? Chi sei tu per indagare sulle vite degli altri? – la interruppe Brian.

- Sono un praticante avvocato. Posso svolgere indagini su privati cittadini perché la legge me lo consente. –

A quell’affermazione, Brian si calmò, ma sotto il tavolo cominciarono a tremargli le gambe dal nervoso.

- Come stavo dicendo, ho fatto qualche indagine, ed ho scoperto con chi si vedeva Gabriele fino a pochi giorni prima del suo tentativo di suicidio. Vuoi saperlo? –

Domanda trabocchetto. Avrebbe tranquillamente potuto dire di no, che non voleva saperlo, ma a quel punto sarebbe stato inutile seguirla fino a quel bar e poi piantarla in asso. E in ogni caso, era curioso di sapere cosa avesse a che fare lui con tutta quella storia. Giuliana non attese una risposta da parte sua.

- Con una persona che tu conosci bene, molto bene. Il signor Riccardo Gherardi. –

Brian la guardò per un lungo attimo. Poi distolse lo sguardo, incominciando a ridacchiare.

- Non è possibile. È semplicemente impossibile. – rispose Brian – Anche se fosse, tu che prove hai che si sentisse con lui? –

- Queste – rispose la ragazza, tirando fuori un cellulare. Glielo mostrò, poi armeggiò per aprire Whatsapp, e glielo porse.

Lì, Brian vide che il nome con cui era stato salvato il contatto era un certo Umberto.

- Giuliana… Se vuoi fare l’avvocato dovrai affinare la tua tecnica. Io non ci capisco niente, ma … questo non è il numero di Riccardo, né tantomeno è il suo nome. –

- Usa diversi numeri di cellulare ed un nome falso ogni volta – rispose prontamente la ragazza – Non è sempre lui. È sfuggente. –

- Ma che caz… - si trattenne dal dire una parolaccia coprendosi la bocca con una mano – …si può sapere che cosa stai dicendo? Riflettici su un momento: mi segui per tutta una mattina, alle poste, al supermercato, in metrò. Poi vieni a casa mia, mi inviti qui e mi dici che un mio amico ha spinto al suicidio tuo fratello? Non ti senti un po’ grottesca? –

Imperterrita, la sedicente (per quel che ne sapeva lui) praticante avvocato continuò nella sua arringa – Scorri più in alto nella conversazione. C’è un messaggio dove c’è la localizzazione del suo indirizzo. Lo conosci? –

Già prima che la ragazza gli chiedesse se lo conosceva, Brian individuò il messaggio di cui parlava. Fece tap con l’indice e aprì la mappa. La via, strana coincidenza, era proprio quella di Riccardo.

- Come vedi, è la via dove spesso ti ho visto entrare e darti appuntamento con Riccardo Gherardi. -

A quella rivelazione, Brian semplicemente le rimise il telefono di suo fratello in mano e fece per alzarsi, ma lei gli prese una mano e l’invitò a tornare a sedersi.

- Perché reagisci in questo modo? -

- Dimmelo tu – rispose Brian gesticolando – Vengo a sapere che non è solo da oggi, ma da un po’ più di tempo che mi stai addosso. Come dovrei reagire, secondo te? –

- Ascoltandomi, per esempio. –

- Su che cosa? Per quel che ne so, stai continuando a girare attorno ad un argomento fondato sul nulla. Perché dovrei ascoltarti? –

- Perché non voglio che ciò che è successo a mio fratello succeda ad altri. Ascoltami Brian: Riccardo Gherardi è un mostro. Non ho molti elementi per dimostrarlo, a parte questa conversazione su Whatsapp e una conversazione insieme a mio fratello, ma ne so abbastanza per affermare che Umberto (o Riccardo, come vogliamo chiamarlo), è un soggetto narcisista-patologico. È un individuo malato che fa ammalare gli altri, come ha fatto con mio fratello. A lui ha promesso che sarebbero andati a vivere insieme, ma poi lo ha scaricato dall’oggi al domani. E quella è stata solo l’ultima di una lunga scia di violenze, silenzi strategici, piccole punizioni. Sai che cosa ha avuto il coraggio di fare il tuo Riccardo? Ha tenuto mio fratello un’ora sotto la pioggia, perché colpevole di averlo contraddetto durante una discussione. E questa è solo una delle cose che ha fatto. Io… Io vorrei solo che tu stessi molto attento a chi frequenti. –

Senza pensarci due volte, e senza nemmeno ascoltare quello che la ragazza aveva appena detto, Brian rispose fra i denti – E tu chi sei, mia sorella? Ascoltami bene tu, adesso: chi frequento io sono cazzi miei che non ti riguardano nel modo più assoluto. Io frequento chi mi pare e piace. E poi io e Riccardo siamo solo buoni amici. –

Per tutta risposta Giuliana si lasciò scappare una risatina.

- Da quando in qua i buoni amici si baciano in bocca e si palpeggiano mentre sono in auto? –

Accusando il colpo, Brian distolse lo sguardo, portandosi una mano alla bocca e mordendosi le nocche.

- La nostra conversazione è finita. Ti saluto, Ally McBeal di noialtri. -

- Brian… –

- No. –

- …Non intendevo provocarti. So che hai una relazione intima con Riccardo. La stessa relazione intima che aveva mio fratello. Tu sei libero di fare ciò che vuoi della tua vita, ma vorrei solo che tu pensassi a ciò che ti ho detto. Puoi promettermelo? –

Continuando a guardare il muro, Brian non rispose. Giuliana rimase a fissarlo per interminabili minuti, fino a che non riprese il cellulare di suo fratello e lo rimise nella borsa, alzandosi.

- Brian, tu hai fratelli o sorelle? –

- Uno solo. Si chiama Alex. –

- E cosa faresti se tuo fratello tentasse il suicidio perché la sua ragazza lo ha abbandonato? –

- Smettila. Non voglio parlarne. –

- Te lo dico io: cercheresti di attivarti in qualunque modo per capirne il perché. –

- Quello che farei io non sono affari tuoi. E adesso lasciami in pace. -

- Come prevedevo, non hai capito niente di quello che ti ho detto – disse, dirigendosi verso la porta d’ingresso. Poi gli mise una mano sul braccio e gli parlò all’orecchio – Se vuoi un consiglio spassionato da una sconosciuta, abbandona ogni rapporto con Riccardo, finché sei in tempo. Lo dico unicamente per il tuo bene. E perché non voglio avere un altro tentativo suicida sulla coscienza. A volte parlare è un dovere, un imperativo categorico sottraendosi al quale si commetterebbe una colpa. Ed io sarei stata colpevole se non te ne avessi parlato. – mentre diceva quest’ultima frase, le tremò la voce, quindi si allontanò velocemente, così che Brian poté udire il suono delle sue scarpe che battevano sul pavimento del locale.

 

*****

 

Tornato a casa, Brian si chiuse la porta alle spalle, sentendosi il fuoco nelle guance per la rabbia e lo sconforto. In pochi minuti aveva appreso che tutte le sue precauzioni non erano servite a nulla, dal momento che qualcuno li aveva seguiti e spiati. Si portò le mani ai capelli e si accasciò sul divano, sentendosi improvvisamente stanco, stanchissimo. Nella sua mente provò a cercare risposte su tutto quanto era accaduto quel pomeriggio, ma nessuna di esse era coerente. Se non fosse stato così arrabbiato con lei per aver ficcato il naso in un pezzo della sua privacy (tra l’altro non un pezzo qualunque, bensì uno molto compromettente), forse avrebbe pensato con più lucidità a ciò che Giuliana gli aveva detto, ma la verità era che lui per primo rifiutava una cosa del genere. Com’era possibile che un ragazzo così pulito e a modo come Riccardo avesse spinto un ragazzo al suicidio? Ma, al di là di quello, non era certo stato lui a mettergli i barbiturici in bocca, no? Quindi se il ragazzo l’aveva fatto, cosa c’entrava Riccardo? L’unica cosa che gli venne da pensare era che quella Giuliana fosse una mitomane, che per non ammettere che suo fratello fosse uno svitato, si era inventata di sana pianta una storia così grottesca. È brutto pensare che il proprio fratellino sia un mezzo psicotico, non è vero? Avrebbe dovuto dirglielo. Già, avrei proprio dovuto dirle così.

Pensò con tenerezza a Riccardo. Si chiese se quella pazza avrebbe provato a screditarlo o che, ma ovviamente non aveva elementi sufficienti per dare una risposta a quel dubbio. L’unica cosa che sapeva per certo era che per un po’ avrebbe tenuto ancora di più gli occhi aperti. E se avesse mai rivisto Giuliana mentre incontrava Riccardo o anche semplicemente quando era da solo, gliel’avrebbe fatta pagare in qualche modo.

 

Le immagini del colloquio avuto con la giovane avvocatessa continuarono a scorrergli per la mente finché non si addormentò sul divano. Il suo sonno non fu tranquillo: sognò sé stesso, in una camera d’ospedale. Vide Riccardo vestito da infermiere che si avvicinava con una siringa in mano. Vuota. Sentì la sua mano prendergli il braccio e infilargli l’ago della siringa nella vena, iniettandogli aria per assassinarlo. In sottofondo, poteva sentire la voce di Giuliana, che ripeteva frasi sconnesse, tra cui gli sembrò di udire abbandonalo finché puoi, prima che sia lui a farti del male. Nonostante queste visioni continuò a dormire. Ma ad un certo punto vide Corrado, in piedi da qualche parte, comunque al di là di un vetro che lui non riusciva a penetrare, che si allontanava e scompariva nel buio. Quell’ultima visione lo fece trasalire, riportandolo alla veglia, madido di sudore.

Quasi contemporaneamente al suo risveglio, gli arrivò un messaggino su Whatsapp.

Vorrei vederti al più presto, cucciolotto mio. E farti tante coccole. Riccardo.

- Che fortuna. Era solo un incubo. – mormorò Brian, aprendo il messaggio e rispondendo al suo amante.

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Capitolo 14
*** 14. ***


14.

 

 

 

L’incontro con Giuliana si dissolse con l’andare dei giorni, poiché Brian aveva deciso di lasciarselo alle spalle e continuare a frequentare Riccardo.

Così la loro storia continuò come se nulla fosse stato, sempre tra alti e bassi.

Continuavano a vedersi le mattine o i pomeriggi, sfruttando quelle che Corrado chiamava le sue ore di libertà, ovviamente da Corrado. Quando erano insieme parlavano di tutto, e spesso e volentieri Brian era stato tentato di dirgli del suo incontro con Giuliana, ma poi puntualmente si fermava, decidendo che non era successo niente, che la donna era semplicemente una mitomane.

Tuttavia non mancavano i momenti di sconforto, ad esempio quando Riccardo non rispondeva per lunghi periodi di tempo, cosa che a Brian faceva abbastanza male, perché credeva sempre che ce l’avesse con lui.

Avvertiva la stessa sensazione anche quando gli rispondeva: Riccardo gli sembrava assente, il più delle volte seccato. Però quando poi s’incontravano tutto tornava a posto.

E il ciclo ricominciava.

Se da una parte Riccardo si comportava in maniera ambigua (carino e coccoloso quando si vedevano, leggermente scostante quando erano su Whatsapp), nemmeno Brian era esente da una certa sensazione di smarrimento: da un lato si sentiva appagato dal rapporto con Riccardo, perché lui gli dava tutto ciò di cui aveva bisogno, ovvero un po’ di attenzione, sesso e tenerezza; però d’altra parte, lo spettro che potesse avere un altro ragazzo o una famiglia con moglie e figli era sempre lì in agguato a terrorizzarlo.

In tutti quei mesi non l’aveva sentito dire Ti amo una sola volta, in compenso a volte gli scriveva cose dolci facendolo rivivere. Nei suoi momenti di solitudine, mentre faceva i mestieri di casa o quando era in palestra, pensava continuamente. A cosa stava facendo, a quello che voleva… Si rispondeva che sì, un’avventura era tutto ciò che voleva, ma il pensiero che per Riccardo fosse solo una storia di sesso, lo faceva impazzire dalla rabbia: Riccardo era suo, soltanto suo e non l’avrebbe condiviso con nessuno. Piuttosto l’avrebbe ammazzato. Sfogarsi con Carlo era fuori discussione, perché sapeva che se solo Carlo fosse stato nella sua mente, avrebbe detto Che casino che c’è qui! Brutta scema che non sei altro, dovevi solo scopartelo e guarda cos’hai combinato! Te ne sei innamorato perdutamente. E No! così non va!

Ormai Brian prendeva i giorni come venivano, mentre sognava un futuro insieme a Riccardo, anche se non c’era niente di certo al momento, se non i loro incontri di poche ore.

A metà Febbraio però, diventarono incerti anche quelli.

 

*****

 

Una sera di metà Febbraio, Brian era fuori sul balcone a ritirare i panni dell’ultima lavatrice. Rientrando in casa, vide in corridoio l’ombra di Corrado che si toglieva il cappotto. Fece per andare in camera da letto, lasciando i panni sul letto in attesa di stirarli, quando un tonfo secco e sinistro lo spaventò.

Con la cesta dei panni vuota ancora in mano, fece capolino dalla porta che dava sul soggiorno e vide che Corrado aveva buttato sul pavimento la sua borsa, per mollarle un calcio poco dopo. La borsa era quindi scivolata fino al mobile dietro il tavolo dell’angolo pranzo.

- Amore…? – lo chiamò Brian. Corrado non lo guardò e non rispose, andando a sedersi sul divano. Intanto Brian andò verso la borsa e la raccolse, abbandonando la cesta dei panni con un brivido di freddo. Mi ha scoperto, pensò.

Reggendo la borsa tra le braccia, Brian si sedette accanto a Corrado e lo guardò.

- Vaffanculo – mormorò.

- Con chi ce l’hai? –

- Con… con quegli stronzi con cui ho lavorato in questi ultimi cinque anni. –

- Che è successo? –

- Sai perché non mi hanno promosso responsabile? –

Brian scosse la testa.

- Te lo dico io: Perché avevano intenzione di licenziarmi. Vaffanculo! Merda! –

- Oh…! Mio dio, ma… sul serio? –

Corrado si voltò, in faccia era truce.

- Ho la faccia di uno che scherza? Miseria, no! No che non sto scherzando, è tutto vero, porca puttana! – rispose, prendendogli di scatto la borsa dalle mani e tirandone fuori una busta aperta.

- Egregio Ingegner Ottonelli, bla bla bla, è a malincuore che dobbiamo comunicarle che il nostro rapporto di lavoro verrà a cessare a fine mese, bla bla bla, ringraziandola per la fedeltà accordataci per tutti questi anni, la salutiamo cordialmente. Fine. Contratto di lavoro terminato e tanti saluti all’ingegnere. – Appallottolò la lettera, scagliandola contro il televisore, portandosi le mani ai capelli, tenendosi la testa fra le mani.

Dispiaciuto, Brian gli si accoccolò accanto, mettendogli una mano sulla spalla e attirandolo a sé. Mentre faceva ciò, notò che Corrado aveva incominciato a piangere.

Pianse sulla sua spalla per un bel po’ di tempo, mentre Brian lo cullava dolcemente, baciandogli i capelli di tanto in tanto. Si sentiva dispiaciuto per il suo ragazzo, ma più di tutti era dispiaciuto per sé stesso: ora che Corrado sarebbe rimasto a casa la maggior parte del tempo, come avrebbe fatto a vedersi con Riccardo?

- Scusami amore. Torno subito. – disse, alzandosi. Le guance gli diventarono rosse fuoco per la collera, quindi andò al suo telefono in camera e mandò un messaggio a Riccardo, dicendogli che l’indomani non avrebbe potuto vederlo e che gli avrebbe spiegato cos’era successo.

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Capitolo 15
*** 15. ***


15.

 

 

 

Per cinque anni da quando erano andati a vivere insieme, Brian era stato il Re della casa, avendola tutta per sé mentre Corrado era al lavoro (tolti i giorni in cui era in ferie o in malattia, che comunque rappresentavano un lasso di tempo determinato ed abbastanza breve, a differenza dei giorni post-licenziamento): una volta che Corrado se ne andava a lavorare, lui faceva tutte quelle cose che può fare un ragazzo che non lavora: oltre a fare i mestieri di casa, si dilettava ai fornelli oppure scorreva i social o guardava serie TV e film, sia normali che (ovviamente) porno. Insomma Brian si era creato una sorta di spazio personalissimo che non tollerava intrusioni, a maggior ragione ora che aveva un amante.

Per cui il fatto che Corrado passasse gran parte del suo tempo a casa, lo inquietava leggermente, per non dire che lo faceva incazzare come non mai.

Corrado non l’aveva notato, ma ormai Brian passava più tempo in gabinetto o in camera da letto, dove rispondeva ai messaggini di Riccardo (non gli venne mai da pensare perché avesse ripreso a scrivergli con maggiore frequenza da quando gli aveva detto che Corrado era a casa), sempre e solo quando poteva.

Un giorno però ne vide uno che gli fece quasi saltare la mosca al naso.

Ti cerco sempre, ma non ci sei quasi mai. Hai deciso di darci un taglio?

Già nervoso perché Corrado era sempre sul tavolo di cucina con quel dannato portatile a caccia di offerte di lavoro, leggere quel messaggio lo fece imbestialire.

Non ho deciso di darci un taglio, semplicemente ho sempre il mio ragazzo in mezzo alle palle e non posso sempre stare al cellulare come ci stavo prima, gli aveva risposto mentre era seduto sull’asse del water. Le guance gli erano diventate paonazze per l’incazzatura, e se non si fosse fermato in tempo avrebbe anche aggiunto “E poi parli tu, che hai avuto giorni in cui non mi cagavi di striscio”.

Intanto di là, udì la suoneria del telefono di Corrado squillare, con la sigla della Sit-Com The Big Bang Theory. Suonò per un bel po’, prima che Corrado si risvegliasse dal suo stato comatoso sul divano e andasse a rispondere. Per fortuna il ragazzo rispose in tempo, prima che Brian gli urlasse di alzare quel grasso culo da quel divano di merda e andare a rispondere a quel merdosissimo cellulare.

Poi l’udì parlare al telefono, presumibilmente con una ragazza, che doveva essere una delle solite impiegate di una qualche agenzia per il lavoro.

- Sì, sono io! …Sì, sarei libero domani. – Ci fu una pausa, poi lo udì parlare nuovamente – No, mi dispiace. Non sono iscritto all’ordine, perché non ho mai lavorato da libero professionista. È un problema? – Altra pausa lunga, poi di nuovo Corrado che parlava. – Capisco. Va bene, d’accordo. Grazie comunque, arrivederci. –

Brian chiuse gli occhi, digrignando i denti come qualcuno che ha appena ricevuto un colpo basso. E neanche stavolta siamo riusciti a levarcelo dal cazzo, pensò.

Frattanto, il suo telefono gli vibrò in mano.

Sullo schermo, comparve la solita, laconica risposta, che voleva dire tutto e niente.

Ok.

- Certo, ovviamente. – mormorò Brian, sentendosi insofferente e incazzato. Si alzò dalla seduta del water e andò alla specchiera dove c’erano le medicine. Tra queste, c’era un flaconcino di tranquillanti. Prese il suo bicchiere e lo riempì di acqua dal rubinetto del lavandino, quindi ne trangugiò due pastiglie.

Poi chiuse l’anta e si guardò nello specchio, stentando a contenere la rabbia che provava in quel momento nei confronti di Corrado. In quel momento nella sua mente non c’era spazio per la pietà; la pietà che avrebbe dovuto suggerirgli che Corrado non era a casa per sua volontà, ma per volontà altrui. Ma certe cose avrebbe potuto pensarle una mente pulita, mentre quella di Brian era inquinata dalla collera e dal risentimento perché non poteva andare a fare i suoi comodi insieme a Riccardo, che pure faceva l’offeso e si trincerava dietro ai suoi stupidi “OK”.

Con il bicchiere ancora in mano, lo sbatté pesantemente sul ripiano del lavandino, talmente forte che si aprì una crepa.

 

Poiché era in casa e Brian sembrava assente, Corrado pensò di cucinare per entrambi la sua specialità: pasta alla carbonara. Brian ne mangiò ben due porzioni, senza sprecarsi in troppi complimenti con Corrado, che però fu felice che Brian ne avesse mangiati due piatti.

- Era buona – disse, e Corrado si rallegrò.

- Ho cucinato anche del pollo alla diavola, per secondo – disse Corrado, sollevando il coperchio sul portavivande. Gliene servì una porzione nel piatto.

- Poco. Non ho molta fame. –

- Ci credo, hai mangiato due piatti di pasta alla carbonara…! – ridacchiò, mentre gli serviva una porzione e poi ne metteva una per sé nel suo piatto.

Brian osservò mentre Corrado inforcava il pezzettino di pollo, come se stesse osservando qualcuno che sta provando una pietanza avvelenata per capire se può mangiarla. Ad un certo punto Corrado spalancò la bocca e agitò la mano davanti alla lingua.

- Cazzo!!! È troppo piccante!!! – esclamò, prendendo l’acqua fresca e versandosene una generosa dose nel bicchiere, che poi bevve d’un colpo.

Brian scosse la testa, pensando che era stato davvero un cretino a metterne troppa. Respinse il piatto, quindi si alzò dalla tavola.

 

*****

 

Ormai disoccupato da alcuni giorni, Corrado aveva già programmato tutte le sue giornate. La mattina presto si alzava, faceva la colazione per sé e Brian e incominciava con l’attaccare la lavatrice e l’aspirapolvere (tanto gli inquilini del piano di sotto dovevano essere già al lavoro e non c’era quindi pericolo di disturbarli); poi verso le nove, orario in cui aprivano le agenzie per il lavoro, consultava le offerte sui vari siti e spediva le candidature. Attendeva le telefonate e poi si disponeva a preparare il pranzo. Di pomeriggio si rilassava un po’, poi magari andava a fare la spesa oppure si metteva a stendere i panni od a stirare.

E Brian?

Brian era sofferente. Vedeva la presenza di Corrado come un’invasione di campo nella sua privacy, costruita in tutti quegli anni a fare da casalingo. Gli aveva quasi rubato i mestieri, che lui era comunque ben contento di fare e che gestiva come e quando voleva… in autonomia. Il fatto che ci fosse Corrado a farli, non gli piaceva per niente.  

Un giorno Corrado era intento a fare un po’ di pulizie, mentre Brian si rilassava sul divano.

- Dì, vuoi smetterla di andare avanti e indietro? Mi stai facendo venire il nervoso. –

Corrado si fermò, tenendo la scopa in pugno e la paletta nell’altra mano. Sollevò un sopracciglio perplesso.

- Smettila di pulire, mi fai sentire in colpa. –

- Perché? –

- Perché di solito quelle cose le faccio io. Ma le faccio quando mi gira di farle, non subito dopo pranzo. –

- Amore, ma di cosa ti preoccupi? Rilassati e stai tranquillo, che qui ci penso io. –

- No, basta. Smettila di pulire. Ci penso io dopo. –

- Sai che non sopporto di vedere la casa sporca. Per cui se almeno mi lasci finire, dopo starò più tranquillo. –

- Fa’ un po’ come cazzo ti pare – rispose Brian, parecchio seccato.

Non lo vide perché era alle sue spalle, ma sapeva che Corrado era rimasto lì a guardarlo, probabilmente con l’espressione smarrita che gli aveva visto qualche volta quando sua sorella lo contraddiceva. Poi sentì che riprendeva a spazzare, andandosene verso il corridoio.

 

In casa Corrado si dava da fare più di quanto si era mai dato da fare lui: sembrava una colf, tanto era indaffarato. Attaccava la lavatrice dei bianchi mentre stendeva i capi colorati sul balcone, ritirando quelli della volta precedente e stirandoli; poi puliva il pavimento e spolverava ogni superficie, persino gli scaffali alti della libreria. Lì Brian perse quasi le staffe.

- Amore, toglimi una curiosità – disse, mentre stava passando l’aspirapolvere sugli scaffali, tirando su i libri ed i vari soprammobili.

- Dimmi – mormorò Brian.

- Si può sapere perché c’è così tanta polvere, qua sopra? Ma non ci passi mai, nemmeno con uno spolverino? –

- No. È troppo alto. –

- Cioè, fammi capire: siccome lo scaffale è troppo alto, dobbiamo lasciare che ci crescano su i funghi? Non ho capito. –

Sbuffando sonoramente, Brian si alzò dal divano, andandosene in bagno e sbattendo la porta. Corrado rimase lì a pulire, borbottando che forse era stato un mezzo bene che l’avessero licenziato, visto in che stato lasciava la casa il suo ragazzo.

 

Rimasto solo in bagno, Brian incominciò a tempestarsi di pugni le ginocchia, urlando in silenzio e sbattendo i piedi sul tappeto di spugna. Il fatto che poi Riccardo gli scrivesse un po’ scocciato, era come un martello pneumatico sulla testa.

Devo trovare un modo per uscire da qui, pensò. Non posso raccontargli che vado sempre in palestra come faccio di solito. Sa che ci vado solo quelle volte in cui c’è Carlo che mi accompagna.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, gli venne un’idea.

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Capitolo 16
*** 16. ***


16.

 

 

 

Non l’aveva mai fatto prima, ma quella volta lo fece. Dopo aver fatto l’amore con Riccardo, Brian tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto da dieci di Winston, ficcandosene una in bocca. L’accese e si mise a fumare.

- Hai incominciato a fumare? – gli domandò Riccardo, accanto a lui.

- Sì e no. Diciamo che oggi mi serviva perché è stato davvero fantastico. Complimenti. –

Riccardo gli fece l’occhiolino, sorridendo sornione. Brian sapeva che anche lui si era divertito molto più delle altre volte. Lo guardò per un momento, poi si mise a fissare il soffitto mentre fumava.

- A cosa pensi? – domandò Riccardo.

- Sto pensando a Corrado. Adesso che è rimasto a casa mi ha praticamente escluso dalla conduzione della casa. –

- In che senso? –

- Nel senso che me lo vedo trottare avanti e indietro, fa sempre tutto lui… non ho più un mio spazio, cazzo! –

- Capisco – ribatté Riccardo, sospirando.

- Senza contare che non posso risponderti in tempo e posso vederti di meno. –

- Cosa gli hai raccontato questa volta, per tenerlo buono? –

- Mentre ero in bagno, ho avuto un’idea: Una sera gli avevo detto che avevo intenzione di tornare all’università – rispose Brian, quindi tirò una boccata dalla sigaretta e si voltò verso il posacenere – per cui ho detto che ogni tanto sarei andato in biblioteca a farmi una cultura. –

Riccardo ridacchiò, osservando la schiena di Brian con i suoi tatuaggi ed il suo sedere.

- Un’idea magnifica, non c’è che dire. Hai avuto proprio una bella pensata. –

- Sì… forse… ma… -

- Cosa c’è che non va? Non pensi che sia una buona idea? -

Sospirando, Brian tornò ad accoccolarsi a Riccardo, che lo prese a sé e gli si avvinghiò con tutto il corpo.

- E’ che non so per quanto ancora potrò usare questa scusa. – mormorò Brian poco dopo.

Riccardo gli restò avvinghiato ancora un po’, poi per tutta risposta lo abbandonò, senza nemmeno dargli un bacetto sulla guancia.

- Cos’hai? –

- Niente – rispose Riccardo, brusco.

Brian incalzò – No, ti prego Riccardo. Dimmi che cos’hai. Sono già abbastanza teso in questi giorni, non ti ci mettere anche tu. –

- Lo sai cosa c’è, Brian. C’è che non posso più accettare di vederti così, a part-time. Si può sapere cosa stai aspettando a lasciare quell’idiota di Corrado? –

Interdetto, Brian guardò Riccardo, che gli lanciò un’occhiata penetrante mentre teneva le mani sui fianchi, il corpo completamente nudo. Non sapendo cosa rispondergli, rimase zitto. Invece Riccardo continuò.

- Che senso ha continuare così per te, per noi? Non pensi di stare prendendo in giro lui e soprattutto te stesso? Che cosa vuoi dalla vita, Brian? L’hai poi deciso? –

Trattenendo un nodo in gola e le lacrime incipienti, Brian cercò di rispondere – N… non è così… così facile. –

- Come? Non ti ho sentito. –

- Non… è… Non è così facile! – disse Brian, con la voce rotta dal pianto.

- E adesso perché piangi? –

- Non… non lo so. Scusami. –

Per tutta risposta, Riccardo si mise i pantaloni e si allontanò. Brian si portò dietro le coperte e gli corse dietro, abbracciandolo.

- Riccardo, io ti amo. Ti amo più di me stesso. Vorrei restare con te, ma non è così facile. Ti prego, dammi il tempo di… -

Allora Riccardo si girò. Continuò a tenere le mani lungo i fianchi, stretti dalle braccia di Brian, poi si mise i pugni sui fianchi in una posa da dittatore, guardando intensamente Brian nei suoi occhi umidi di lacrime.

- Cosa sei disposto a fare per noi, Brian? – gli domandò.

- Tutto – rispose, meccanicamente. – Farei tutto per te –cioè, per noi-, amore mio. Ma ti prego, non lasciarmi. – piagnucolò.

Riccardo lo guardò ancora più intensamente negli occhi, mentre Brian si sentiva riscaldato e confortato dal suo controllo. Sono solo tuo, pensò, fa di me ciò che vuoi.

Come se avesse sentito i suoi pensieri, Riccardo alzò le mani fino a portarle al viso di Brian. Con entrambi i pollici gli asciugò le lacrime sulle guance, quindi fece forza e gli abbassò la testa, sempre guardandolo negli occhi. Come eseguendo un ordine mentale, Brian si chinò, e contemporaneamente andò al bottone dei pantaloni di Riccardo per sbottonarglieli.

Una volta che i pantaloni caddero intorno alle sue caviglie, Brian si preparò a servirlo.

Quando fece per aprire la bocca, Riccardo lo fermò.

- Basta così – disse, interrompendolo. Brian si riebbe dallo stato di eccitazione provocatogli da Riccardo, quindi alzò lo sguardo, notando che il partner aveva assunto un’espressione grave, quasi addolorata.

- Rialzati – gli ordinò, e Brian si rialzò. Allora Riccardo lo prese e l’abbracciò teneramente, parlandogli all’orecchio.

- Ognuno di noi ha il suo posto – disse – Il tuo posto forse non è accanto a Corrado, ma accanto a me. Pensaci tesoro mio. – concluse, baciandogli dolcemente la guancia. Brian era ancora mezzo stordito.

- Ci penserai? – domandò Riccardo.

Per tutta risposta, Brian annuì.

 

*****

 

- Vediamo, vediamo… – mormorò Corrado, scorrendo gli annunci di un sito. – Hm… Contabile. Per azienda del settore metalmeccanico si ricerca contabile, bla-bla-bla, tenuta prima nota, fatturazione attiva e passiva, mansioni di riconciliazioni bancarie, ecc. ecc. ecc… -

Brian era lì vicino, intento a leggere un libro. Pensava invece alle parole che gli aveva detto Riccardo durante il loro ultimissimo incontro, sul fatto che non fosse al suo posto. E allora come mai ci era rimasto per così tanto? Semplicemente, non lo sapeva. Sapeva solo che sentire la voce del suo ragazzo mentre leggeva ad alta voce gli annunci di lavoro facendo considerazioni e congetture, lo infastidiva parecchio.

- Che palle. Anche qui, si richiede esperienza pregressa. Che cazzo ci vorrà, dico io, a fare un lavoro come il ragioniere? Bah… evito anche di mandargli il curriculum. –

Facendo finta di niente, Brian girò la pagina del libro che stava leggendo.

- Oh! – esclamò Corrado, galvanizzato – Questo… questo sembra interessante. Ingegnere… Ah, è uno di quegli annunci-truffa. No, naturalmente. –

Ad un certo punto Brian alzò il libro e lo scagliò per terra con una tale violenza che Corrado si voltò spaventato dal rumore, con gli occhi fuori dalle orbite.

Brian lo guardò torvo dalla sua posizione.

- Corrado, porca di quella puttana assassina, potresti evitare di leggere tutti gli annunci di quello stramaledettissimo sito? Non ne posso più di sentirti dire tutto questo rosario di Cercasi-Offresi-Trombasi-Ingegnere-Ragioniere-Progettista-Bocchinaro segaiolo e Vattelappesca.

- Scusa – mormorò solo Corrado, continuando a guardarlo.

- Questa casa è piccola e dobbiamo per forza condividere gli stessi spazi, quindi almeno risparmiami questa litania, ok? –

- Va bene, scusami. – disse soltanto il ragazzo, mentre Brian distoglieva lo sguardo e andava a raccogliere il libro che aveva scaraventato sul pavimento. Continuò a leggere, nel silenzio che aveva creato, quando all’improvviso si girò e vide che Corrado era sparito: era riuscito incredibilmente a levare le tende e andarsene (forse in camera da letto) senza far volare una mosca.

- Ecco! Ci voleva tanto, dico io, a fare un po’ di silenzio? Che cazzo! – imprecò tra sé, senza farsi sentire.

 

*****

 

Una sera Brian rincasò con il borsone della palestra in mano. Naturalmente non era andato in palestra, bensì da Riccardo, che come al solito gli aveva fatto il solito fervorino sul fatto di lasciare al più presto Corrado per lui. Appagato e stressato allo stesso tempo, Brian aveva aperto la porta di casa, trovando solo Corrado che era ancora lì al computer, concentrato come se stesse scrivendo un romanzo.

- Corrado, ma… Ma non hai ancora cucinato niente? –

Sentendolo arrivare, Corrado smise di fare quello che stava facendo e aprì bocca per rispondere, ma Brian lo fermò subito, cominciando a parlare per primo.

- Cazzo, sono appena tornato dalla palestra, ho fame…! Non puoi stare tutto il giorno lì con quel coso a cercare un lavoro, dai! – urlò.

- Ehi…! – esclamò Corrado ad un certo punto, alzandosi – Ma si può sapere perché da un po’ di tempo sei diventato così acido? Che problemi hai? –

- Perché, da solo non lo capisci? Allora te lo spiego: sono appena tornato e ho fame, e siccome non ho voglia di aspettare, devo chiamare una pizza e farmela portare a casa. Ci arrivi adesso, con la tua laurea in ingegneria? – gli domandò, sbattendo la borsa sul pavimento.

- Io non capisco perché ti comporti così, Brian. Davvero, non ti riconosco più. – rispose Corrado, andando verso il computer e chiudendolo.

- Sì, vabbé – rispose Brian, riprendendo la borsa e uscendo di casa.

- E ora dove stai andando?!

- A mangiare, ho fame. – disse, e chiuse la porta dietro di sé.

Corrado rimase lì, pietrificato dai dubbi e dalla sensazione di essersi comportato male in qualche modo.

 

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Capitolo 17
*** 17. ***


17.

 

 

 

Ma che cosa gli ho fatto?

Quella mattina Corrado era in metrò, diretto verso un’agenzia per il lavoro che aveva ricevuto la sua candidatura e l’aveva trovata abbastanza interessante da chiamarlo per un colloquio preliminare. Se qualcuno gliel’avesse chiesto, non avrebbe saputo rispondere se era contento o meno di ciò; a dire la verità quasi non si reggeva in piedi dal sonno, figuriamoci se fosse riuscito ad affrontare un colloquio di lavoro: durante il tragitto aveva rischiato di inciampare per ben due volte scendendo le scale della metro. Poi un passante troppo frettoloso l’aveva quasi spintonato per salire sul treno prima di lui. Stava sì andando a quel colloquio, ma la sua mente era agitata.

Per cercare di calmarsi aveva iniziato a ripassare mentalmente le cose da dire al colloquio, ovvero la sua formazione, la sua esperienza, la sua grande motivazione. Ma questi elementi passavano in secondo piano, quando ripensava all’episodio accaduto tre sere prima con Brian. Il suo Brian, a cui era rimasto accanto per tutti quegli anni, amandolo e rispettandolo, ieri sera gli era sembrato tutta un’altra persona. Cercò di ripensare all’ultima volta in cui l’aveva visto così arrabbiato. Doveva esser stato più o meno quando erano ancora agli inizi e lui era ancora studente d’ingegneria. Non ricordava bene perché, ma gli sembrava c’entrasse qualcosa quell’imbecille di amico che aveva. Carlos, che si faceva chiamare Carlo perché non voleva far notare le sue origini sudamericane. Ricordava che quella volta Brian si era incavolato perché aveva sentito, proprio dal suo amico, che qualcuno aveva sparso voci su di lui che lo vedevano intrattenere gli studenti nei bagni della scuola con prestazioni sessuali a pagamento. Voci false e tendenziose, che però erano state sufficienti a farlo incazzare di brutto. La sua mente tentava di ricordare com’era, ma più si sforzava, meno l’immagine di Brian incazzato dieci anni prima gli sembrava coerente con l’immagine che aveva visto ieri. I casi erano due: o era diversa l’incazzatura, o era diversa la persona.

Continuò a pensarci per cercare di trovare una soluzione soddisfacente al senso d’inadeguatezza che l’aveva pervaso già dalla sera prima, ma purtroppo non riuscì.

Che lui sapesse, il suo Brian era il ragazzo più dolce e tranquillo del mondo. Aveva una casa da accudire. Un amico e anche un fidanzato, e tanto gli bastava. Ora che ci pensava, non si era mai incavolato così con lui.

Il suo atteggiamento non era cambiato in quegli anni, quindi la domanda rimaneva in sospeso.

Ma che cosa gli ho fatto?

 

*****

 

Quella giornata fu abbastanza piena, per Corrado. Non solo ebbe il colloquio al mattino, ma anche altri due nel pomeriggio. Naturalmente aveva avvisato Brian che avrebbe fatto tardi con un messaggio su Whatsapp, che lui aveva letto ma a cui non aveva risposto. Contrariamente alle sue aspettative, i colloqui sembrarono andare bene: tutte e tre le agenzie gli avevano promesso che avrebbero inviato la sua candidatura alle aziende interessate, e che poi si sarebbero fatte risentire per fissare il secondo colloquio con l’azienda. Normale amministrazione.

Con l’allungarsi delle giornate, la sera c’era ancora un po’ di luce. Dopo aver passato quasi cinque anni chiuso in un ufficio, Corrado pensò che gli sarebbe piaciuto fare due passi in solitudine, anche per schiarirsi le idee.

Mentre andava in giro per i negozi, pensò ancora una volta al suo ragazzo. Gli venne in mente che forse a quell’ora era ancora in biblioteca a studiare in vista della futura iscrizione alla facoltà di architettura.

Il pensiero lo fece sorridere. Quando gliel’aveva rivelato, quella sera in pizzeria, era stato molto contento. Per la verità, sarebbe stato contento qualunque cosa Brian avesse deciso di fare, perché gli voleva bene, talmente tanto che accettava anche il fatto che fosse un ragazzo a cui non piaceva lavorare.

Passeggiando, si immerse nel trambusto della città che l’aveva ospitato per tanti anni, prima che i suoi genitori e sua sorella maggiore decidessero di tornarsene da dov’erano venuti, lasciandolo insieme a sua sorella più piccola ed al suo lavoro. Arrivò nei pressi del Parco Sempione, teatro di tanti incontri suoi con Brian, ed entrò.

Qui, nel buio rischiarato dai lampioni, ricordò tutte le volte in cui si era appartato insieme a Brian, che era sempre così travolgente nel suo modo di amarlo: era solito morderlo e abbracciarlo con tenerezza allo stesso tempo, un aspetto che a Corrado piaceva molto. Guarda caso arrivò proprio nei pressi della panchina dove si sedevano di solito, e dove avevano anche inciso il loro cuore.

Naturalmente non c’è più, pensò Corrado con un sospiro, ricordando che le assi delle panchine erano state sostituite qualche tempo prima, cancellando generazioni di ricordi impresse coi pennarelli dagli studenti. Studenti come lo erano stati lui e Brian.

Pensando a lui, gli venne in mente che poteva andare a trovarlo alla biblioteca, magari prelevarlo e andare a cena insieme.

Sì, pensò, si potrebbe fare così. Vado, lo prendo e lo porto a cena fuori. Sarà una bella sorpresa.

Velocemente, s’incamminò verso la fermata del metrò.

 

*****

 

Alla biblioteca del Politecnico c’era il solito viavai di ragazzi che uscivano dopo aver passato una giornata sui libri o rientravano dopo aver fumato una sigaretta.

Entrò. La sala era immersa in un silenzio ovattato, interrotto qua e là dai sussurri di chi non poteva fare a meno di parlare e da qualche trillo di smartphone rimasto acceso. Fece un giro per la sala, cercando Brian con gli occhi.

Per un momento gli venne in mente di cercarlo con lo smartphone, ma ovviamente era un’idea balzana: se l’avesse avvisato su Whatsapp, che sorpresa sarebbe stata?

Data l’ora, la sala non era proprio piena di gente. I pochi che occupavano le scrivanie di consultazione si potevano contare sulle dita di una mano. E tra questi, Brian non c’era.

Fece due o tre volte il giro della biblioteca, guardando anche in altre sale di consultazione e fermandosi in bagno, ma ad un certo punto arrivò l’annuncio che la biblioteca stava per chiudere, quindi ci si doveva affrettare per il prestito e la restituzione.

Si rese conto che stava girando alla cieca, poiché Brian non era da nessuna parte.

Immediatamente fece un rapido excursus mentale: quella mattina gli aveva detto chiaramente che sarebbe stato alla biblioteca a studiare. Ed il fatto che non gli avesse risposto su Whatsapp, suggeriva che fosse vero.

Ma allora perché non era lì?

Perplesso, decise di tornare a casa. Magari Brian era uscito prima e quindi tornato a casa prima di lui.

 

*****

 

Arrivato a casa però, la trovò vuota. Brian non era nemmeno là, e stava facendosi abbastanza tardi.

Appoggiò una mano sul mobile dell’ingresso, guardandosi le scarpe. Poi lentamente alzò lo sguardo ad osservare tutto l’ambiente circostante. La casa era immersa nella penombra, quindi lui avanzò lentamente, percorrendo il corridoio e ritrovandosi nel salotto-sala da pranzo; da qui passò al disimpegno, poi al bagno e poi in camera da letto.

Una sola domanda gli rimbombò nella mente: Dov’è Brian?

A quel punto, prese in mano il cellulare e compose il suo numero.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

- Pronto? – rispose la voce di Brian, un po’ sotto tono.

- Ciao amore – attaccò Corrado – Io ho finito adesso con l’ultimo colloquio e sto tornando a casa. –

- Bravo. Com’è andata? Spero bene. – rispose, leggermente distaccato.

- Ah, spero bene anch’io…! Hanno detto che mi faranno sapere. Senti… Io sono in giro in macchina – mentì – Tu dove sei? –

Un attimo di silenzio, poi Brian disse – Sono a casa, ti sto aspettando. –

A quell’affermazione, Brian ebbe un tuffo al cuore. Si guardò intorno nella casa deserta, quindi strinse i denti e si mise a sedere sul letto.

- Pronto? Corrado, ci sei? –

- Sono qui – rispose Corrado – Scusami, c’era la polizia e ho dovuto mettere giù il telefono. –

- Ah, capisco. Comunque ti sto aspettando a casa, ok? –

- Ok. Ci vediamo dopo. Ti amo. –

- A dopo – rispose solo Brian, mentre chiudeva la comunicazione.

Con il telefono ancora in mano, Corrado rimase nel buio a contemplare la porta. Doveva uscire subito da lì per dare credibilità alla sua storia, ma improvvisamente si sentì le gambe annichilite, la testa pesante e dolorante.

Brian gli aveva appena detto una palese bugia.

Perché…? Perché hai detto così, Brian?

Sospirò, cercando di catturare quanta più aria possibile nei polmoni dalle vie respiratorie che si erano stranamente compresse, quindi fece appello a tutta la sua forza per cercare di alzarsi.

Si alzò, rischiando quasi di perdere l’equilibrio e andare a sbattere sul comò, ma poi finalmente riacquistò la sua forza e velocemente uscì di casa.

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Capitolo 18
*** 18. ***


18.

 

 

 

Le bugie che aveva sentito dire a Brian erano state come chiodi piantati nel legno tenero. Lo stavano uccidendo. Non disse nulla a Brian, limitandosi a osservarlo di sottecchi quando era a casa: in precedenza non se n'era accorto, ma era più distaccato, assente rispetto al passato. Sembrava un essere umano che tendeva l'orecchio, in ascolto di qualche cosa che lui non avrebbe mai compreso. Alla preoccupazione iniziale che il suo ragazzo fosse malato, si sostituì la curiosità: doveva a tutti i costi sapere che cosa passava per la testa di Brian, che cosa gli stava nascondendo.

Nei giorni che seguirono Corrado iniziò a stilare un progetto. Aveva deciso che avrebbe scoperto che cosa gli nascondeva Brian. Ad ogni costo.

Cercando di comportarsi con naturalezza, una mattina salutò e gli preparò la colazione. Brian ringraziò, quindi Corrado gli disse che sarebbe stato impegnato tutto il giorno in un assestment center. Brian l'aveva guardato di sbieco, non comprendendo il significato di quelle due parole.

- E' un colloquio di gruppo – spiegò Corrado - Dura otto ore, quanto una giornata lavorativa. Fanno test attitudinali, prove pratiche... non sarò a casa prima di stasera. –

- Capisco – aveva risposto Brian.

Così, si erano salutati e lui era uscito. In tasca si era portato un binocolo.

Appostatosi a distanza di sicurezza dal cortile del suo condominio, si era messo a spiare l'ingresso. Fino a quel momento aveva visto alcuni dei suoi vicini e la signora Visentin, la portinaia che spazzava l'ingresso come ogni mattina. Verso le nove e mezza aveva visto Brian uscire. Benedì se stesso e l'idea di comprare un binocolo, perché il ragazzo sembrava irriconoscibile: Indossava un vecchio giubbotto, probabilmente comprato in un mercato dell'usato; un paio di occhiali da sole e un berretto, unico elemento che lo fece riconoscere ai suoi occhi, perché gliel'aveva regalato lui.

Lo vide allontanarsi sul viale, quindi incominciò a seguirlo con discrezione.

Si stava dirigendo verso l'imbocco del metrò. Accorgendosi di essere troppo vicino, si fermò per dargli un po' di vantaggio, quindi ripartì quando si rese conto che se non avesse individuato quale treno voleva prendere, l'avrebbe perso.

Fortunatamente ciò non successe, perché quando giunse alla stazione sotterranea, Brian era oltre il tornello, che si dirigeva verso una delle due linee della metropolitana.

Naturalmente il treno sarebbe stato il punto più difficile: si stava già riempiendo di gente, ma lui si era già opportunamente camuffato con occhiali da sole e un cappello comprato per l'occasione (così non potrà riconoscermi, aveva pensato).

Durante il tragitto poté tenerlo d'occhio meglio, perché il ragazzo era concentrato sullo smartphone. L'osservò che si eccitava mentre leggeva forse messaggi su Whatsapp, gongolando come una ragazzina. Provò l'istinto di andare lì e sbirciare con chi stesse parlando, ma lo represse perché doveva prima capire dove voleva andare.

Per un pelo non lo perse, perché la folla di gente che voleva entrare stava quasi per farlo rimanere sul treno, ma lui forzò la marea di gente e uscì, continuando a seguire il suo ragazzo.

Camminava sciolto e sicuro, come se sapesse dove andare. E la fermata dov'era sceso non era certo quella del supermercato. Uscito in superficie, si ritrovò in un quartiere di periferia che non conosceva, pieno di nuove palazzine e contestualmente con poca gente.

Qui ebbe un attimo di panico: ad un certo punto Corrado vide Brian che si fermava, come se qualcuno l'avesse chiamato alle spalle. Intuendo che avrebbe potuto girarsi da un momento all'altro, Corrado si nascose dietro una delle automobili in sosta accanto al marciapiede, sperando con tutto il cuore che il suo ragazzo non l'avesse visto. Difatti si era voltato, ma per fortuna non l'aveva notato.

Corrado tirò un sospiro di sollievo, quindi ricominciò a pedinarlo.

La passeggiata di Brian terminò davanti al cancello di una delle nuove palazzine in costruzione. Corrado si era appostato dietro un albero ed aveva tirato fuori il binocolo. Non riuscì a capire il campanello che aveva suonato, perché era una di quelle plafoniere nuove a prova di privacy, dove bisognava digitare un codice per suonare il campanello dell'interno desiderato.

Quando scomparve, iniziò a lavorare all'esterno: per prima cosa si accertò che non ci fossero uscite secondarie, per esempio i garages. Quelli c'erano, ma l'imboccatura era praticamente parallela al cancello d'ingresso. Per fortuna.

Rifletté un momento, poi pensò che non avrebbe potuto aspettare lì per tutto il giorno di vederlo uscire. Faceva freddo e rischiava di essere visto.

Hm. A questo problema baderò meglio un altro giorno, pensò. Poi tirò fuori lo smartphone e aprì Google Maps. Quindi fece uno screenshot della zona, così com'era localizzata.

*****

Per la seconda parte del suo piano, ebbe bisogno di chiamare sua sorella Valeria. Inaspettatamente durante la conversazione, raccolse un altro elemento, che annotò nel suo taccuino mentale, che gli fece pensare che doveva andare avanti a tutti i costi, perché era proprio il caso.

- Ah, è sempre lì in garage...! Puoi venire a prenderla quando vuoi – disse Valeria al telefono – Tanto io ormai la uso pochissimo, come sai. –

Sua sorella aveva trovato un appartamento molto vicino al suo lavoro, per cui non aveva più bisogno di andarci con la Fiat Grande Punto grigia regalatagli dai genitori per la laurea. Non utilizzandola, la teneva sempre in garage, per le occasioni speciali o per quelle poche volte che andava a fare la spesa più grande.

- Sto pensando di venderla. Quasi-quasi la vendo al tuo ragazzo, che dici? –

- Brian? Ma Brian non ha la patente. –

- Ah già, vero... che sciocca. Lo vedo così poco che a volte mi sembra di vederlo anche dove non dovrebbe essere. – disse a un certo punto, con quello stile che ti faceva sempre voglia di saperne di più.

Com'era ovvio, riguardandolo molto da vicino, Corrado volle saperne di più – Cosa? Che intendi dire? –

- Oh... niente d'importante, solo che... qualche mese fa mi pare di aver visto il tuo ragazzo in un ristorante giapponese. –

- Da solo? – domandò Corrado, anche se credeva di conoscere già la risposta.

- Per la verità, penso di no. – Sentì un cane abbaiare. – Ulisse!! No!!! Buono un po'! – era Ulisse, il cane che le aveva regalato il suo ultimo fidanzato, che lei si era tenuto perché le faceva compagnia. Immaginò la sorella andare vicino alla bestia e versarle del cibo nella ciotola oppure allontanarla da qualche parte in modo che potesse parlare tranquillamente. Corrado aspettò che tornasse, prima di riprendere a parlare.

- Hai visto con chi era? -

- Non proprio, sai... penso che fosse un uomo, comunque. Un ragazzo. Forse sui trentacinque o quarant'anni... però non so se fossero seduti allo stesso tavolo, e non so neanche dirti se fosse suo fratello...! – Altro abbaio. – Ulisse!! Basta! Sto parlando al telefono! –

Chiudendo gli occhi, Corrado si portò una mano all'attaccatura del naso e se la massaggiò. Immaginava fin troppo bene cosa stesse succedendo, ma ancora non aveva abbastanza elementi da trarre delle conclusioni certe.

- C'è forse un po' di crisi tra di voi? – domandò Valeria.

Crisi? Mah...! Diciamo che il mio ragazzo dopo dieci anni ha deciso di scoprire com'è andare in un ristorante insieme ad un altro ragazzo che non può essere il suo amico Carlo da come me l'hai descritto... Diciamo che mi tratta male quando mi vede in casa e che s'incazza per ogni minima cosa. Crisi? Certo che sì, sorellina!!!

- Corrado? Sei ancora lì? –

- Sì, sono ancora qui. No, ma che dici...? Quale crisi. Brian...? Figuriamoci. Passa più tempo lui in casa che un faraone nel suo sarcofago. –

- Ah, bene. Vedi, sicuramente mi sono sbagliata. E me ne rallegro...! Mi dispiacerebbe vederti triste perché Brian ti tradisce, fratellone. –

- Grazie, sorellina – rispose Corrado, pensando come al solito che Valeria fosse una stupida arrogante piaciona melliflua e manipolatrice. Tutto il contrario di Paola, la loro sorella maggiore che era rimasta coi genitori. – Allora passo a prendere la macchina domani mattina. –

- Certo, vai tranquillo! Ti saluterei volentieri, ma sono abbastanza indietro con il lavoro, quindi ti lascio la chiave in portineria, poi quando hai finito magari vienimi a prendere in ufficio che ti riporto a casa. Adesso scusa ma devo scappare che Ulisse mi reclama, altrimenti mi piscerà tutto il salotto. Ciaone fratellone! Baci! –

- Ciao, Vale – disse, chiudendo la chiamata e sospirando, tenendosi la testa con le mani mentre era seduto su di una panchina.

*****

Il giorno dopo e nei giorni che seguirono, beneficiando di un prolungamento del prestito dell'automobile di sua sorella, Corrado incominciò i suoi appostamenti all'indirizzo dove aveva seguito Brian, munito del fido binocolo e in più di una macchina fotografica digitale con teleobiettivo, di quelli utilizzati dai paparazzi per fotografare i vip.

Per un po' di giorni uscì di casa usando la scusa dei colloqui di lavoro e di un corso di formazione per amministrazione e contabilità, poi disse a Brian che sua sorella gli aveva chiesto una consulenza lavorativa e che quindi era spesso nel suo ufficio. Si sorprese di stesso per la quantità di balle che riuscì a cacciargli (che comunque dovevano essere sempre meno di quelle che Brian doveva aver cacciato a lui) e continuò il suo lavoro di investigazione, finché non ottenne i frutti sperati. O meglio, mal sperati.

Ormai quella via gli era diventata quasi familiare: era una strada abbastanza deserta della periferia, non molto frequentata e piena di spazio per parcheggiare le auto. Erano quasi le diciannove. A quell'ora, in un'altra vita, sarebbe stato a casa sua a guardare la televisione insieme a Brian, dopo essere tornato da lavoro. Ma ora il lavoro non c'era più, e Brian faceva altro. Come poteva considerarsi ancora la stessa vita di prima...?

Nell'abitacolo teneva la radio accesa, sintonizzata a basso volume su una stazione radio che dava solo canzoni italiane. Proprio mentre passava una popolare canzone di Samuele Bersani, un successo di alcuni anni fa, lo vide.

   

Anzi, li vide.

Gli apparve come una visione, il suo ragazzo Brian che usciva dal cancelletto insieme a un altro uomo: I due sorridevano, scambiandosi sguardi complici. Corrado alzò la fotocamera, puntandola in direzione dei due e ottenendo un'immagine magnificata al massimo.

Li inquadrò nel mirino, scattando una serie di fotografie in sequenza che documentavano la loro camminata.

La prima di una lunga serie di foto.

I due si allontanarono verso il parcheggio sotterraneo, da cui poco dopo uscì una Smart rossa (che pessimo gusto, pensò Corrado) che s'immise in strada. Meccanicamente, senza nemmeno capire cosa stesse succedendo, Corrado avviò il motore e partì all'inseguimento.

Arrivarono a un ristorante che conosceva, dov'era stato qualche volta a cena. Corrado era sicuro che Brian stesse cenando insieme a quel tipo perché era convinto che lui fosse a reggere il moccolo a sua sorella, invece era lì, a cercare un punto discreto del parcheggio dove posizionarsi e, dall'esterno, scattare foto nel locale, come gli aveva assicurato il fotografo che gli aveva venduto il teleobiettivo.

La fortuna continuava ad assisterlo: trovò un posto proprio accanto all'entrata ed alle vetrine, e anche lì fece un piccolo reportage.

Terminata la cena, continuò a seguirli fino a che non tornarono a casa (se adesso fossimo in estate, scommetto che vi sareste fatti due coccole in un parco, pensò Corrado), ripetendo le stesse mosse che gli aveva visto fare prima. Finora era stato abbastanza tranquillo, anche se la circostanza che il suo Brian si trovasse con un altro uomo era già terribile di per sé.

Una volta che furono tornati a casa, sorpassò la Smart rossa che stava fermandosi nel parcheggio esterno, quindi svoltò in una via laterale e fece inversione, mettendosi sull'altro lato della strada, abbastanza lontano perché loro non lo notassero, ma a portata di occhio del teleobiettivo.

Attraverso quelle lenti, Corrado vide tutto come in un film: i due che parlavano; Brian che scuoteva la testa, abbassando gli occhi. Sorrideva, mentre il tipo gli metteva una mano sulla guancia e Brian rialzava gli occhi, guardandolo dolcemente per un lungo attimo, finché...

- No – mormorò Corrado, mentre il suo dito indice era sul pulsante di scatto.

Nel mirino vide il ragazzo che attirava Brian a sé, baciandolo con passione. Vide Brian che gli cingeva il collo con le braccia, appassionatamente coinvolto anche lui.

Il dito di Corrado era ormai premuto sul pulsante, che scattò una sequenza quasi interminabile di fotografie, che in un secondo momento avrebbe dovuto cancellare una per una perché erano troppe. Con un groppo in gola abbassò la fotocamera, mentre i due amanti segreti scendevano dall'auto ed entravano nel cancelletto d'ingresso del condominio.

Lentamente, Corrado abbassò la fotocamera, poggiandola sul sedile come se fosse stata una reliquia sacra, quindi abbassò anche lo sguardo. Una ciocca di capelli gli ricadde sugli occhi, mentre lentamente si accasciava su stesso, fino a toccare con la fronte la corona del volante.

- Il mio lavoro qui è finito, a quanto pare - mormorò. Quella stessa frase aveva pronunciato anche il giorno della sua laurea, tanti anni prima. Il mio lavoro qui è finito, aveva detto, a un Brian più giovane e adorante che, insieme ai suoi parenti l'aveva scortato, gioioso e trionfante, un nuovo ingegnere sul mercato del lavoro. Lo stesso Brian che quella sera aveva visto attraverso l'obiettivo della sua vecchia Nikon, riesumata per una missione speciale dopo anni di sonno in uno scatolone... La stessa Nikon che aveva scattato fotografie di entrambi sorridenti, felici e soprattutto innamorati l'uno dell'altro... adesso si era trovata a immortalare Brian con un altro.

Il mio lavoro qui è finito, a quanto pare ripeté la sua mente, portando alla luce altri e più dolorosi ricordi appartenenti a un passato che, dopo gli avvenimenti di quella sera, sembrava ormai lontano anni luce.

La loro prima volta al cinema, quando Brian gli aveva preso teneramente la mano e lui aveva stretto nella sua.

Uno dei loro tanti baci, scambiato per gioco a Lucca durante il Lucca Comics, nelle vesti di un guerriero fantasy e di un elfo.

Il loro primo viaggio insieme a Parigi...

Frammenti di esistenza che da adesso avrebbero acquisito ancora più importanza, perché erano ricordi di una vita passata, a cui il Brian di adesso sembrava non appartenere più.

Il mio lavoro qui è finito, a quanto pare.

E sì, era finito. Aveva scoperto tutto ciò che c'era da scoprire, ovvero che Brian non era più felice insieme a lui. L'unica cosa che ancora non aveva scoperto era perché.

Marconista Fenton, smettete di lanciare l'S.O.S., nessuno ci verrà più a salvare. Ormai questa nave è condannata.

Ricordò di aver detto a Brian, quella volta che la loro macchina si era fermata in autostrada, ottenendo in cambio un buffetto scherzoso e un bacio sulle labbra, perché quello era uno scherzo. Adesso invece era tutta realtà.

Rimettiamo le nostre anime al Signore.

Già che ci siamo, non poteva mancare quell'augurio di speranza in una vita migliore.

Signori, è stato un onore suonare con voi questa sera. Addio.

E ovviamente, buonanotte ai suonatori. La nave era condannata, non c'era più nulla da fare. Il mio lavoro qui è finito, a quanto pare.

Brian...

A quella frase, i suoi occhi incominciarono a inumidirsi di lacrime.

 

 

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Capitolo 19
*** 19. ***


19.

 

 

 

Brian si svegliò all'improvviso nel suo letto, in preda ad un attacco di panico notturno. L'ultima cosa che ricordava dell'incubo era una figura che lo inseguiva e poi la sensazione di cadere in un pozzo senza fondo. Ripreso il contatto con la realtà, ricominciò a respirare normalmente, aspettando che il suo cuore smettesse di martellargli nel petto.

Strabuzzò gli occhi, allungando il braccio a toccare Corrado accanto a lui, che però non c'era.

Si girò lentamente: la parte dove di solito dormiva il suo ragazzo era ancora fatta e vuota. Di solito questo succedeva quando Corrado era via per una trasferta, finché era lavoratore. Ora che era disoccupato, l'unica domanda che gli rimbombava nella mente era "Dov'è Corrado?"

Più per abitudine che per altro, controllò il cellulare. Nessun messaggio da parte sua, nemmeno su Whatsapp. La sua immagine era ancora lì, quindi era segno che non l'aveva bloccato.

Ma perché avrebbe dovuto bloccarti, scemo di guerra? Pensò, passandosi una mano tra i capelli. Dove vuoi che sia, sarà rimasto con quella scema di sua sorella, no?

E perché sarebbe dovuto essere proprio da sua sorella? Non poteva essere a letto di qualche altro ragazzo? Sospirò, pensando che forse il fatto che Corrado si fosse trovato un amante, non era poi così male. Se non altro, lui poteva fare i suoi comodi...

Immaginò un'ipotetica conversazione.

Ciao.

Ciao...

Perché non mi hai detto che saresti mancato, ieri sera?

Scusami, me n'ero dimenticato. Comunque ero da mia sorella, ha insistito talmente tanto affinché dormissi con lei...

Come si chiama?

Mia sorella? Valeria, lo sai.

No, intendevo dire come si chiama il tuo amante.

S'immaginava un nome straniero, come il suo. Magari poteva essere un Kevin, o un Thomas... oppure un Ivan.

Che amante...? Di che cosa stai parlando?

Sempre fantasticando, gli rispondeva che glielo aveva detto Carlo, avendolo intravisto in centro in compagnia di un bel ragazzo sulla ventina, dal viso dolce e con gli occhi azzurri.

Non so di cosa stai parlando, rispondeva Corrado con nonchalance ma Brian vedeva che era arrossito e tremava leggermente.

Ok Corrado. Ti sei trovato un amante. Bravissimo, ti faccio i miei complimenti. Ma poiché ho un amante anch'io (e da prima di te), almeno inventami qualche scusa per dirmi che non rientri, altrimenti io come faccio a pianificare i miei comodi? Mi dici "Amore guarda che stasera non rientro, quindi tu fai pure quello che vuoi" e io me ne vado dal mio. Stop. Non ci vuole mica tanto.

Rise, quindi nella sua fantasia sentì Corrado rispondergli Hai ragione amore, mi dispiace. Vedi, purtroppo il mio amante è talmente bravo che ogni volta che me lo scopo, mi fa dimenticare persino il mio nome. Cercherò di fare il possibile per venire incontro alle tue richieste, cucciolotto.

- Ecco, questa te la potevi benissimo risparmiare, Brian – pensò, inveendo contro se stesso per aver pensato una cosa così stronza. Anche se si fosse trovato un amante, il pensiero che Corrado potesse trovarlo più attraente di lui, lo faceva irrimediabilmente partire per la tangente.

Si rimise giù per cercare di dormire, però fece fatica a riprendere sonno. Un po' per l'incubo che aveva fatto, e un altro po' perché era la prima volta che si ritrovava a letto da solo senza Corrado. Era una sensazione nuova e leggermente inquietante.

Sciocchezze, disse una voce nel suo cervello, pensa che domani potrai vederti con Riccardo, e se Corrado non si fa sentire, tanto peggio per lui.

- Sì... giusto. – pensò, chiudendo gli occhi e cominciando a dormire.

*****

L'incontro con Riccardo non avvenne, perché lui l'aveva annullato all'ultimo momento. Di questo Brian si era rammaricato un po', quindi era rimasto da solo in casa a rilassarsi come faceva di solito. Chattò un po' su Whatsapp con Carlo, che lo informava di aver trovato una nuova fiamma e poi di averla mandata a quel paese perché gli aveva chiesto di fare dei giochetti sado-maso.

Brian aveva riso, ma poi la mente era tornata a Corrado, che non si era fatto sentire per tutto il giorno ed erano ormai le sette di sera. Pensò di parlarne con Carlo, ma poi accantonò l'idea giudicandola un po' balzana. Già immaginava le battutine dell'amico che non aveva alcuna voglia di sentire.

Provò a scrivergli un messaggio, per vedere se rispondeva.

Amore, dove sei? Gli scrisse, attendendo una risposta.

Poi tornò a guardare la televisione.

*****

Due giorni dopo, il messaggio che gli aveva mandato era ancora lì. Consegnato ma non letto. Non potendo sapere se fosse entrato ultimamente perché Corrado teneva l'ultimo accesso disattivato, Brian pensò di telefonargli; non fosse altro perché erano già passati due giorni senza che lo vedesse né gli scrivesse, e cominciava a preoccuparsi.

Provò a chiamarlo tre o quattro volte, ma non ottenne risposta. La quarta volta lo trovò addirittura spento. Meditò se rivolgersi ai carabinieri per ritrovarlo, ma poi si fermò, pensando due cose: primo, che non era il caso perché era passato troppo poco tempo; e secondo, perché poi una cosa del genere avrebbe coinvolto anche la sua famiglia, di cui lui non era parte.

Più tardi proverò a chiamare sua sorella, pensò, mentre si preparava per uscire.

Alla televisione c'era il telegiornale, cosa che Brian in vita sua non aveva mai guardato perché non lo capiva. Però per tutto quel giorno e per quella sera si era sintonizzato per vedere se magari c'erano notizie infauste riguardo a Corrado che doveva sapere. Dai titoli non sembrava esserci nulla a riguardo, però la sensazione di disagio e preoccupazione permaneva.

Più tardi quello stesso giorno, Brian provò a chiamare Valeria. Non aveva per niente voglia di sentirla, ma quella era un'emergenza. Nonostante il riscaldamento acceso, Brian sentiva freddo. Era la sensazione di odio che provava per la cognata a farlo reagire così, ma cercò di contenersi. Si avvicinò al termosifone, appoggiandosi vicino al muro per non scottarsi.

- Pronto? – la voce di Valeria gli arrivò forte e chiara.

- Pronto, Valeria? –

- Sì, chi è? – domandò, come se Brian non sapesse che aveva il suo numero.

- Sono Brian, Valeria, ciao. –

- Oh! Ciao Brian, che piacere sentirti...! Come stai? –

- Abbastanza bene. Sopravvivo. E tu? –

Lei rise – "Abbastanza bene"? – lo canzonò – Con quello che ti fa fare (anzi, non ti fa fare) mio fratello, dovresti stare benissimo, caro...! Io comunque sto bene, grazie! –

- A proposito di lui – tagliò corto Brian, stringendo un pugno – L'hai per caso visto in giro? –

- Perché me lo chiedi scusa? Non è a casa con te? –

Se fosse qui con me, pensi forse che ti avrei chiamato, brutta scema di un'oca ruffiana cretina deficiente? Pensò Brian, ma non rispose.

- Comunque non l'ho visto. L'ho sentito qualche giorno fa che mi chiedeva in prestito la macchina. La Punto, sai quale dico? –

- Ah. Davvero? Ti ha chiesto in prestito la macchina...?

- Sì, davvero...! Ha detto che la sua era in riparazione, per cui aveva bisogno di un'auto. E io gli ho dato volentieri la mia, tanto non la uso...! –

Qualcosa scattò nella sua testa. Una sensazione strana, come la reazione chimica che ha il bicarbonato quando ci si versa sopra l'aceto: una cosa che ribolliva e minacciava di esplodere. - Ti ha detto che la sua era in riparazione. – disse, in tono affermativo.

- Sì – disse lei, ridacchiando – Cos'è, non mi credi? E poi dovresti saperlo, se vivi con lui, che la vostra macchina in è riparazione. –

- Sì, certamente – disse Brian, cercando di non farsi cogliere impreparato – Lo so. Stavo pensando a un'altra cosa. Comunque tu non l'hai visto e non è lì con te, ho capito. Casomai mi chiami se lo vedi, va bene? Ti ringrazio. Adesso scusami, devo scappare giù in portineria perché la signora Visentin mi ha chiamato poco fa. Ciao-ciao! – disse, e chiuse frettolosamente la telefonata senza nemmeno attendere la risposta della cognata.

Alzò gli occhi verso il televisore, digrignando i denti. Guardò fuori dalla finestra del soggiorno, che dava sul parcheggio esterno, quindi corse all'attaccapanni e s'infilò il cappotto.

*****

Sceso al parcheggio, con le braccia incrociate, andò verso l'auto che aveva visto dalla finestra. Controllandone la targa. 

 

Non c'erano dubbi. Era proprio la macchina di Corrado, la vecchia Opel Corsa color carta da zucchero. Era parcheggiata al suo posto, in attesa del suo padrone. Ma lui dov'era?

Un pensiero gli attraversò la mente.

Stai a vedere che si è davvero trovato un amante, quello stronzo. Magari più giovane di me. Adesso ti piace ficcarlo nella carne fresca, eh?

Un moto di collera cominciò ad agitarsi dentro di lui, mentre stizzito si allontanava dal parcheggio per tornarsene in casa. Si sentiva ribollire dalla rabbia al pensiero che la sua fantasia si fosse realizzata, cioè che Corrado si fosse trovato un amante più giovane di lui.

Poi improvvisamente, una vocina nella sua mente gli parlò.

Senti chi parla di farsi un amante. E se così non fosse? Magari gli è davvero successo qualcosa e tu non lo sai. Nessuno ti da il diritto di pensare che ti stia tradendo. E poi voglio ricordarti che anche tu lo stai tradendo, da molto più tempo. Quindi anche se si fosse trovato un amante, ne avrebbe anche tutto il sacrosanto diritto.

La sensazione di collera si calmò con l'andare della serata, trasformandosi in un'altra sensazione, quella del rimorso. Il silenzio della casa non gli piaceva, lo trovava inquietante e carico di oscuri presagi. Ancor meno gli piaceva appoggiare i piedi sul cuscino del divano anziché sulle gambe di Corrado affinché glieli scaldasse con le sue mani se sentiva freddo. Se si sentiva così quando mancava Corrado, pensò, forse era il momento di chiudere quella storia con Riccardo... anche se sarebbe stato difficile.

*****

Il giorno dopo, Brian andò in palestra. Carlo gli aveva detto che era indietro con l'inventario in negozio e quindi non sarebbe stato con lui, perciò era andato da solo. Un po' di ginnastica lo avrebbe aiutato a sfogare la tensione accumulatasi dentro di lui dopo due giorni e mezzo senza Corrado.

Dall'altra parte, Riccardo continuava a parlare poco. Non gli aveva riferito del fatto che Corrado era scomparso, perché era una cosa sua. E come tutte le cose sue, Brian preferiva gestirla da solo. Non che gli dispiacesse, in quel momento, che Riccardo fosse poco parlante: d'altronde, aveva altro per la testa.

Per esempio, il fatto che anche Corrado non rispondesse ai messaggi. Ci aveva dato uno sguardo prima di entrare in palestra, ma niente. Corrado non aveva ancora risposto. Ci stava ripensando in quel momento, mentre era sul tapis roulant a terminare i venti minuti di corsa, quando udì il trillo di un messaggio Whatsapp interrompere l'esecuzione della canzone che stava ascoltando.

Tirò fuori il telefono dalla tasca dei pantaloncini e guardò chi era. Quando lo vide, ebbe un tuffo al cuore.

Io e te, dobbiamo fare una chiacchierata.

Corrado era finalmente risorto dalla sua assenza. Brian pigiò i pulsanti del tapis roulant per rallentarne la velocità, quindi fece per rispondere al messaggio del suo ragazzo.

, scrisse, Dobbiamo proprio parlare. Si può sapere dove cazzo sei stato in questi tre giorni?

Lo stato di Corrado cambiò da "online" a "sta scrivendo..."

In albergo.

Ah in albergo? E dimmi, con chi eri?

Da solo.

Frasi telegrafiche, smozzicate. Brian era in collera con il suo ragazzo, ma era più una difesa che altro. Difesa che sarebbe crollata di lì a poco.

Secondo me invece ti vedi con uno. Chi è? Quanti anni ha? Scommetto che è più giovane di me. Hai trovato altro su cui indirizzare le tue attenzioni, per caso?!?

Io, no. E tu?

Anche se in quel momento stava facendo l'incazzato, in realtà era spaventato. La domanda lo lasciò spiazzato. Inizialmente non capì, quindi fece per replicare componendo un nuovo messaggio, quando all'improvviso sullo storico della conversazione con Corrado apparvero delle immagini. Grazie al Wi-Fi della palestra, arrivarono in un secondo e gli si chiarificarono davanti, causandogli, nell'ordine: un tuffo al cuore, una sensazione di gelo lungo tutto il corpo e infine il crollo degli arti inferiori.

Premette il pulsante di stop d'emergenza del tapis roulant, fermando la sua corsa, mentre scorreva le immagini che lo ritraevano in atteggiamenti intimi insieme a Riccardo.

- Cazzo... - mormorò soltanto, provocando le attenzioni di una dei personal trainer che erano lì, Pamela.

- Brian! – l'apostrofò, vedendo che si era appoggiato al tapis roulant come uno che ha appena avuto un attacco di cuore – Cos'hai? Va tutto bene? –

Brian aspettò un momento prima di rispondere, mentre metteva via il cellulare. Intanto, altri messaggi gli arrivarono.

- No – rispose Brian – No, non va tutto bene. Perdonami Pamela. Devo andare. Ci vediamo. – disse, e svicolò via verso gli spogliatoi.

Cazzo, cazzo, cazzo, cazzo, cazzo... cazzo...! Dove ho sbagliato...? Dove?

Da quando era uscito, o per meglio dire schizzato fuori come un missile dalla palestra, dopo che Corrado gli aveva detto che era a casa (non gliel'aveva detto con le parole, ma condividendo la sua posizione), Brian stava pensando a come aveva fatto a scoprirlo, ma soprattutto a cosa dirgli per giustificare una cosa del genere. Se in passato si era lamentato che il tragitto dalla palestra a casa era lungo per via di tutte le fermate della metro che stavano in mezzo, in quel momento sembrò anche troppo corto. Aveva paura di Corrado e della sua reazione. Primo, perché questa era una cosa troppo grossa per entrambi; secondo, perché non aveva ancora capito bene cosa provava per Riccardo. Formalmente, lui era ancora legato a Corrado e gli voleva bene, ma non sarebbe stato pronto a separarsi da lui.

Dovevi fare una cosa sbagliata e l'hai fatta nel migliore dei modi, gli venne da pensare. Si mise a ridere di quella battuta cretina, all'inizio sommessamente, ma poi la risata diventò talmente fragorosa che qualche passeggero del treno si girò a vedere chi fosse che sghignazzava così tanto. Non avrebbero mai immaginato che la ragione di tutto quel baccano era l'inizio di un esaurimento nervoso.

Pensando e ripensando, arrivò alla sua fermata, alla quale scese più per abitudine che per volontà. Camminando velocemente, arrivò al cancello del suo condominio. La vita lì scorreva tranquillamente come ogni giorno di qualsiasi stagione, con mamme che portavano a spasso i bambini in passeggino, persone con il cane al guinzaglio, la signora Visentin che spazzava il portico d'ingresso e le luci accese nelle case. Tutto era normale, anche se agli occhi di Brian il tempo aveva incominciato a scorrere più lentamente, fondendosi in una sensazione d'irrealtà che lo stava avvolgendo come una melassa, rallentandogli i passi.

Quando arrivò al portone della sua palazzina, la signora Visentin gli rivolse un gentile cenno di saluto. Troppo impegnato a pensare ai suoi guai, lui non le rispose, continuando ad avanzare lentamente, come un robot.

Pigiò il tasto per chiamare l'ascensore, e mentre questo scendeva e si aprivano le doppie porte, Brian pensava: è finita. È l'ultimo capitolo di questa storia.

*****

Arrivato a casa, aprì la porta senza problemi. Segno che Corrado non aveva cambiato la serratura. Ovvio, come avrebbe potuto? Era stato via due giorni, e non era possibile cambiare una serratura in poche ore, il tempo in cui lui era stato in palestra.

Entrò lentamente, come un ladro. O come qualcuno che ha paura di entrare in un luogo dove sa che non c'è niente di buono per lui. Oltre il disimpegno dell'ingresso, il salotto era ben illuminato, come al solito. Come in una serata qualunque.

Con la borsa della palestra ancora a tracolla, attraversò lentamente il piccolo disimpegno in penombra, finché non lo vide.

Corrado era lì, in piedi accanto al tavolo del soggiorno, con delle fotografie in mano. Il suo sguardo era grave, severo. Brian avrebbe giurato che non l'aveva mai visto così.

Si guardarono per interminabili minuti, durante i quali nessuno dei due disse nulla, finché a un certo punto Corrado non venne avanti, guardandolo negli occhi. Si fermò a distanza di circa due metri da lui, quindi con un gesto fulmineo alzò la mano e gli scaraventò tutte le fotografie addosso. Le immagini volarono per un attimo, poi si posarono sul pavimento, mostrando Brian e Riccardo che cenavano insieme, che parlavano e soprattutto... che si baciavano appassionatamente in macchina.

Brian si scostò, facendo cadere la borsa della palestra, cercando di ripararsi da un ipotetico schiaffo o pugno che si aspettava, che però non arrivò. Al loro posto, gli piovve una domanda sulla testa.

- Da quanto va avanti questa storia? –

Rimettendosi in piedi, Brian si morse il labbro inferiore, tentando di rispondere.

- Ti ho fatto una domanda, Brian. Da quanto tempo-va avanti-questa storia. – disse, alzando la voce e sottolineando le sue parole con un gesto della mano destra.

Ancora nessuna risposta.

- Mi fai schifo Brian. Mi fai semplicemente e indubbiamente schifo. –

- Anche tu – mormorò Brian.

- Anche io cosa? –

- Anche tu mi fai schifo! – strillò, avvertendo i prodromi di una crisi di pianto – Non-non mi hai toccato per-per-per per quattro anni! E adesso vieni qui a d-d-d-dirmi che fa-fa-fa-faccio schi-schi-schifo! M-m-m-ma Va-va-vai a F-f-f-are in c-c-c-culo!!! – concluse, urlando e balbettando, una sua caratteristica di quando s'incazzava.

E chi sarebbe questo qui?! Eh? È uno che non fa un cazzo tutto il giorno, scommetto!!! È comodo non avere un cazzo da fare tutto il giorno e poi scopare come dei ricci i ragazzi degli altri, eh?!? Sì che è comodo, cazzo! Io invece ho lavorato!! Ho lavorato tutti questi fottuti cinque anni per cercare di farti fare una vita tranquilla!!! – urlò, sbattendo violentemente entrambi i pugni sul tavolo che era lì vicino - Sono anche stato licenziato, porca puttana, e questo è il tuo ringraziamento?! Mi fai schifo, Brian! Schifo, schifo, schifo!!! – urlò Corrado, rosso in viso dalla rabbia mentre continuava a tempestare i pugni sul tavolo.

Brian aveva gli occhi gonfi di lacrime e la sua frustrazione era alle stelle – N-n-no-non c'è solo il l-l-la-lavo-vo-voro nella v-vi-vi-vita!!! C'è anche il saper entrare in sintonia con gli altri! Non lo capisci, questo? –

- Basta! Basta con queste cazzate!!! – urlò Corrado, quindi a grandi falcate attraversò il corridoio e andò verso la camera da letto. Mentre piangeva, Brian lo udì afferrare qualcosa, poi sentì il rumore delle ruote del suo trolley.

Corrado ricomparve poco dopo, con un borsone nella mano e il trolley di Brian nell'altra. Glieli buttò entrambi ai piedi, dando un calcio al trolley.

- Fuori. Vattene. –

- Corrado, tu non puoi ... -

Ho detto fuori! Vattene! Vattene dal tuo amante, e goditi la vita! – urlò, quindi si girò e diede le spalle a Brian. Per lui il discorso era chiuso.

Brian fece per ribattere, ma stava continuando a piangere. Rimase lì, in piedi a guardarlo.

- Ti ho detto di andartene, Brian. Vattene subito. –

- P... però... s-s-se mi lasci... spie..spiegare... –

A quel tentativo di ricominciare il discorso, Corrado si girò, con un'espressione assassina in volto.

Non hai sentito quello che ti ho detto, porca puttana?! Vattene! Sei tu che lo hai voluto, non io!!! – urlò, sospingendolo fuori dalla porta e chiudendogliela in faccia.

- Corrado!! No!! Corrado!! Aspetta, ti prego, parliamone!!! – disse mentre piangeva a dirotto e suonava il campanello. Ma la porta rimase chiusa, e lui fuori sul pianerottolo. 

- C...Corrado... - piagnucolò, prima che l'ultima sillaba del nome del suo ragazzo gli si spegnesse in gola. Si rese conto che sarebbe stato inutile cercare di rientrare, perché udì Corrado che metteva il paletto e la catena alla porta.

Piangendo, Brian raccolse le due valigie e scese le scale.

Nell'appartamento, Corrado era con la schiena contro la porta. Per un momento pensò di richiamare indietro Brian e dirgli che forse potevano pensarci, ma la sua parte razionale lo fermò bruscamente, dicendogli che nessuno avrebbe potuto assicurargli che se l'avesse perdonato, Brian non avrebbe continuato a tradirlo con quel tizio.

Addolorato, con la gola consumata dalle urla e il cuore spezzato, scivolò lentamente sul legno della porta, accasciandosi a sedere sul pavimento, dove incominciò un pianto silenzioso e interminabile.

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Capitolo 20
*** 20. ***


20.

 

 

 

 Calata la sera, Brian era di nuovo in metrò per raggiungere casa di Riccardo. Aprì Whatsapp, e vide che l’avatar di Corrado era sparito.

L’aveva bloccato.

- Certo, bloccami pure. Vaffanculo. – mormorò, con gli occhi rossi e il viso dello stesso colore.

Poiché non voleva presentarsi all’improvviso davanti alla sua porta, Brian aveva scritto a Riccardo che finalmente si era deciso a lasciare Corrado, però distorcendo gli eventi per come si erano svolti: gli aveva raccontato che quando Corrado era rientrato a casa, lui aveva cercato di parlargli e spiegargli che cosa c’era che non andava. Non l’avessi mai fatto, gli aveva scritto, è montato su tutte le furie e mi ha sbattuto fuori di casa, ed io adesso non so dove andare.

Per dire la verità, le risposte di Riccardo l’avevano lasciato un po’ freddo all’inizio.

Non puoi andare da quel tuo amico, Carlo? Gli aveva chiesto. Brian gli aveva risposto che Carlo viveva con la madre e non poteva ospitarlo. Naturalmente era una bugia, perché Carlo avrebbe fatto di tutto per il suo migliore amico, e anche sua madre che lo conosceva da ormai tanti anni.

Allora dai tuoi genitori?

Leggermente seccato, Brian Stava per rispondergli che tornare dai suoi era fuori discussione perché non aveva voglia di metterli in mezzo nelle sue questioni, contestualmente chiedendogli se lui aveva voglia di vederlo. Stava già per incavolarsi per la seconda volta in quella sera, quando a un certo punto Riccardo gli scrisse Dai, stavo scherzando. Puoi venire da me, se ti va.

Così ora era in viaggio verso di lui, più che mai voglioso di vederlo.

 

*****

 

Il campanello di Riccardo suonò tre volte.

Aperta la porta, si trovò il suo giovane amante, con un trolley in una mano e un borsone nell’altra, a tracolla invece il borsone della palestra.

- Siamo liberi – disse allora Brian, con le lacrime agli occhi – Siamo liberi, amore mio! –

Riccardo non disse nulla, limitandosi a prenderlo a sé mentre chiudeva la porta, abbracciarlo e baciarlo con passione.

 

Quella sera fecero l’amore per tutto il tempo, addormentandosi e poi risvegliandosi, e poi rifacendolo ancora. Brian non si era mai sentito così bene, pensò mentre le prime luci dell’alba facevano capolino dalla grande finestra del loft di Riccardo. Sentire il suo respiro contro la sua spalla e il calore del suo corpo contro il suo era semplicemente stupendo. Pensò a Corrado, a ciò che gli aveva detto per lasciarlo. La sua scusa era stata che, avendo un lavoro, era troppo preso per fare l’amore con lui. Scosse la testa. Che scusa patetica, pensò, accoccolandosi ancor di più a Riccardo mentre dormiva, baciandogli la mano. Una sensazione di pienezza e serenità s’impadronì di lui mentre si addormentava e pensava: Adesso sono al mio posto.

La stessa cosa l’aveva pensata agli inizi con Corrado, una delle prime volte che dormirono insieme. Reduce di molti appuntamenti andati male con uomini che volevano solo il suo corpo, Brian si era stupito di come il giovane ingegnere fosse stato cortese: quella volta aveva persino intuito che Brian non se la sentiva di fare sesso, quindi l’aveva semplicemente tenuto abbracciato tutta la notte, con il pigiama indosso. Per tante notti avevano dormito insieme limitandosi alle coccole e ai baci, così che, quando arrivò il momento della loro prima volta, Brian si sentì bene, talmente tanto da pensare Sono al mio posto, la stessa cosa che stava pensando in quel momento, a distanza di tanti anni e su un letto diverso.

Nel sonno, fece strani sogni. Sognò di volare in uno spazio aperto, forse una prateria o l’infinito blu del mare. Poi improvvisamente scendeva di quota, fino a cadere nell’acqua, venendo avvolto da una sensazione dapprima calda e accogliente, ma poi via via più stringente, che minacciava di soffocarlo.

Quando si svegliò, il mattino dopo, fu ben contento di essere tornato alla realtà. La casa non era più il bilocale insieme a Corrado, ma il loft di Riccardo, che ora era lì seduto al tavolo che lo guardava con desiderio mentre lui gli preparava la colazione.

Inizia la mia nuova vità, pensò Brian, mentre con dolcezza serviva la colazione al suo nuovo ragazzo.

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Capitolo 21
*** 21. ***


21.

 

 

 

 Dal suo insediamento a casa di Riccardo erano passati alcuni giorni. Nel cambio da un appartamento all’altro Brian non ci aveva guadagnato nulla, essendo le sue mansioni sostanzialmente uguali a quando viveva con Corrado; si alzava la mattina e preparava la colazione, poi si metteva a spolverare e a fare il bucato, con la differenza che Riccardo era in casa, ma era una presenza più che discreta: faceva colazione, lo salutava con un bacio e poi andava a mettersi al lavoro sui suoi quadri, qualche volta scattando fotografie che poi inseriva sulla sua galleria internet (di cui Brian aveva appreso l’esistenza solo da pochissimo). Ogni tanto usciva, assentandosi anche per ore prima di tornare a casa, peraltro senza avvisarlo.

- Potevi avvertirmi che saresti tornato tardi – gli aveva detto una volta Brian, mentre erano a cena. Riccardo non aveva risposto, continuando a mangiare. Brian allora aveva lasciato cadere l’argomento, perplesso.

Quando Riccardo era in casa e lui intento a fare i mestieri, poteva capitare che gli prendesse la voglia e decidesse di possederlo lì per lì. Di questo Brian era molto contento, però poi anziché restare e coccolarlo, si dileguava senza dirgli nulla, uscendo per andare chissà dove.

Oltre a questi episodi di vita domestica, continuavano a uscire e fare cose insieme, come andare a cena e pranzo fuori, al cinema, alle mostre. In una di queste gli aveva anche presentato Enrica, la sua agente, una donna sulla cinquantina che era molto contenta del suo pupillo, e che lui trattava quasi come se fosse una fidanzata.

Una sera l’aveva anche portato a una mostra-vendita di suoi quadri.

Fu esattamente lì che Brian cominciò a nutrire qualche dubbio sul suo nuovo ragazzo.

 

La serata era incominciata con Riccardo che, insieme alla sua agente riceveva i visitatori: lui o lei si avvicinavano quando vedevano un visitatore osservare un quadro, raccontandogli che cosa rappresentasse e a quali correnti artistico-pittoriche si ispirasse. Poi, quando il visitatore era imbonito a sufficienza, lo portavano in un piccolo ufficio dove presumibilmente veniva conclusa la vendita, completa di probabile distacco di assegno per migliaia di euro. L’ufficio era una specie di gabbiotto con la porta in vetro smerigliato e finestre con delle veneziane, che in quel momento erano abbassate.

Per tutta la serata Brian era rimasto in disparte, andando di qua e di là per la galleria, osservando i quadri di Riccardo. Per essere belli lo erano, ma di certo non erano più originali di opere figlie del futurismo, corrente alla quale si ispiravano.

Mentre girava alla cieca nel dedalo creato dalle finte pareti della sala, si sentì leggermente escluso: Riccardo era lì per lavorare, d’accordo, ma era lui il capo di se stesso. Quindi perché non lo faceva sentire un po’ più a suo agio? Per tutto il tempo, da quando erano entrati fino a quel momento, Brian aveva cessato di esistere. Ogni tanto aveva provato ad avvicinarsi a lui, ma Riccardo era semplicemente svicolato via, diretto verso questo o quel visitatore che stava guardando i suoi quadri.

All’improvviso gli sovvenne il ricordo di quando partecipò a un evento ufficiale insieme a Corrado: la festa di Natale della sua azienda, il primo anno che ci lavorava. Corrado era dichiarato con i suoi colleghi, anche perché non era il solo omosessuale, essendoci anche un altro suo collega che aveva portato il rispettivo compagno. Al contrario di Riccardo, Corrado l’aveva presentato ai suoi colleghi come il suo partner, parlando naturalmente e coinvolgendolo nelle conversazioni (benché Brian non sapesse cosa dire, essendo totalmente a digiuno di termini come inside sales, project managing, business development e altro). Anche se non era proprio al suo posto, Corrado a un certo punto della serata gli aveva chiesto se si stesse annoiando o se desiderasse tornare a casa. Lui aveva risposto di no, sorridendogli, felice perché erano insieme. Corrado gli aveva sorriso e gli aveva educatamente baciato la mano, facendogli un occhiolino. Un gesto semplice, dolce, che aveva apprezzato con tutto il cuore.

Perso momentaneamente nei suoi ricordi, mentre girava per la galleria si era accorto che Riccardo era entrato nell’ufficio insieme ad un giovane ragazzo molto carino. Le veneziane erano abbassate, ma la porta smerigliata offriva una visuale delle due figure all’interno. Vide quello che presumibilmente era Riccardo andare dietro la scrivania e incominciare a parlare, quindi distolse lo sguardo in cerca di un posto per sedersi. Lo trovò. Con la gente che gli passava davanti, non vide bene quello che stava succedendo nell’ufficio, ma per un momento fu sicuro di aver visto Riccardo in piedi accanto alla sedia dove c’era il visitatore, fermo immobile. E il visitatore dov’era…? Forse seduto lì? Perché Riccardo gli si era avvicinato così tanto? Forse per aiutarlo a firmare un assegno…?

Il suo corso dei pensieri fu interrotto da una signora anzianotta con un bastone che gli chiedeva se potesse sedersi, dato che non c’erano sedie libere e lei era un po’ stanca. Brian le cedette volentieri il posto. Quando si alzò, vide che Riccardo e il ragazzo giovane erano usciti; si erano stretti la mano e il giovane se n’era andato.

Ha solo concluso una vendita. Cosa pensavi stesse facendo?

Sospirò, quindi andò al tavolo e si fece versare un altro bicchiere di spumante.

 

Alle undici e mezzo circa, gli ultimi visitatori stavano lasciando la galleria. Brian camminava barcollando e la testa gli girava per il troppo vino che si era messo in corpo.

- Arrivederci, e grazie per essere venuti a trovarci! – stava dicendo Riccardo mentre salutava la signora anziana a cui Brian aveva ceduto il posto. Poi si girò verso di lui – Brian! – esclamò, con un sorriso da venditore di auto, andandogli incontro come se lo vedesse per la prima volta – Vedo che ti sei divertito – affermò, sorridendo.

- Diciamo di sì – disse Brian.

- Com’era lo spumante? Buono? – gli domandò la sua agente. Non fece in tempo a rispondere, che Riccardo lo fece per lui.

- Ah sì, lui è un intenditore di vini. Anzi, per dire la verità, è un intenditore di alcoolici: ogni volta beve sempre molto. –

Brian si sentì leggermente preso in giro da quel tono e soprattutto da quell’affermazione. Riccardo doveva averlo notato, per cui si affrettò a dire – Ovviamente scherzo. Brian, tesoro, io qui ho quasi finito. Devo dare le ultime istruzioni ai ragazzi che dovranno smontare i quadri. Tu vuoi andare a casa?  domandò.

- Beh, se non possiamo tornare insieme… -

- Okay – gli disse. Sembrava sovraeccitato, come se si fosse fatto una pista di cocaina. Molto probabilmente la serata era andata bene, doveva aver incassato parecchi assegni dalla clientela. – Enrica, me lo accompagni a casa, per favore? –

- Ah, non fa niente. Andrò a casa da solo – disse Brian, alzando una mano e agitandola debolmente.

- Da solo? E con cosa? La metro chiude fra mezz’ora. –

Brian si batté un colpo sulla fronte. L’ubriachezza gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo.

- Non ti preoccupare – gli disse Enrica, prendendolo sottobraccio – Ti accompagno volentieri a casa. –

- Grazie – disse Brian, mentre i due si allontanavano. Si girò per dire a Riccardo Ci vediamo più tardi, ma se n’era già andato.

 

Della serata in generale gli erano rimasti, oltre al vino che si era messo in corpo, anche un bel po’ di dubbi. Possibile che Riccardo fosse così preso dal suo lavoro da dimenticarsi del suo ragazzo…? Per tutta la serata non aveva fatto altro che intortare i clienti e ignorarlo, e adesso concludeva l’opera mandandolo via senza neanche salutarlo…?

Ancora una volta si ritrovò a pensare a Corrado, questa volta però dicendo a se stesso di smetterla: Corrado era un’altra storia, un’altra epoca. E poi con Corrado non si era mai divertito come stava facendo adesso con Riccardo. Mise a tacere più volte quella vocina mentre era in macchina con Enrica, che al pari di Riccardo non lo stava degnando di una parola, e la mise a tacere una volta arrivato a casa e infilatosi sotto le coperte aspettando che lui rincasasse. Perché Sì, stava bene con Riccardo e niente e nessuno gli avrebbero fatto pensare il contrario.

 

*****

 

La conferma che poteva essersi sbagliato in merito agli accadimenti della mostra la ebbe alcuni giorni dopo, quando si svegliò e scese dal soppalco. Riccardo non c’era, ma al suo posto, sul tavolo della cucina c’erano un gran mazzo di rose rosse e un vassoio con alcuni pasticcini mignon. Accanto a questi, c’era un biglietto.

Al ragazzo più bello che abbia mai incontrato: Brian. Grazie di esistere, cucciolotto, diceva, e la sua firma includeva i soliti cuoricini che solitamente gli scriveva su Whatsapp. Brian sorrise dolcemente, guardando le rose e cercando un recipiente dove metterle. Quello era stato un bel gesto da parte sua.

Più tardi era tornato, dopo aver fatto un po’ di footing nel parco adiacente. Gli aveva sorriso e l’aveva baciato dolcemente.

- Scusami se ti ho un po’ trascurato l’altra sera – gli aveva detto – Purtroppo i clienti erano tanti e io dovevo assolutamente cercare di vendere più quadri possibile. -

- Non importa – rispose Brian – Spero tu abbia fatto dei buoni affari. –

- Se li ho fatti…? Altroché! Ho venduto almeno sei quadri. Oggi sono arrivati gli incassi degli assegni. Ho guadagnato poco meno di diecimila euro. –

- Complimenti – gli disse Brian – Grazie per aver condiviso la tua contentezza con me. –

- Questo e altro, per il mio cucciolo – rispose Riccardo, baciandolo e toccandogli il sedere. Brian si lasciò toccare, inspirando a fondo il suo profumo mentre lo baciava sul collo.

 

La sera stessa fece l’amore insieme a lui. O meglio, quello che sembrava essere amore.

Mentre Brian stava godendo delle spinte di Riccardo ed era quasi all’apice del piacere, sentì che usciva, soddisfatto, dandogli un bacio sulla fronte. Poi si era messo su un fianco e si era addormentato.

Brian aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma quel comportamento l’aveva lasciato senza parole. Lentamente (non se n’era reso conto da sé, ma si stava muovendo con circospezione, come fosse stato un intruso) era scivolato via da sotto le coperte, scendendo dal soppalco per andare in bagno.

 

In bagno, dopo aver concluso in solitaria il rapporto sessuale incominciato e lasciato a metà da Riccardo, si fece una doccia. Cercò di pensare al perché di quell’improvviso gesto di poca considerazione. Che ricordasse, tutte le volte che avevano fatto l’amore, Riccardo l’aveva sempre aspettato. Come mai questa volta si era lasciato guidare solo dall’ormone…?

Calma, Brian. Calmati. A volte ti fai troppe domande. Non potrebbe essere che Riccardo ha avuto una giornata un po’ stressante? Dopotutto deve cercare di vendere i suoi quadri e creare nuove idee. Magari era solo un po’ stanco per aspettarti.

Con l’accappatoio indosso, Brian andò nell’angolo salotto e si sedette sul divano. Accese il televisore e guardò verso l’ingresso: lì c’era il suo cappotto, il suo borsello e il suo trolley con i due borsoni. Si alzò, prese in mano il borsello e ne estrasse il pacchetto di Winston (ne era rimasta soltanto una quindi decise che magari il giorno dopo sarebbe passato a comprarne un altro pacchetto), prendendo l’ultima sigaretta rimasta insieme all’accendino.

Tornò al divano e si accese la bionda, incominciando a fumarla.

Lo sguardo tornò ai suoi bagagli, che gli diedero un po’ da pensare. Era lì da quasi un mese ormai, e ancora Riccardo non gli aveva detto che poteva tranquillamente sistemare la sua roba dove voleva. D’altro canto lui non si sentiva di tirare fuori delle cose che magari avrebbero potuto confondersi con quelle di Riccardo… perché?

Sei solo un po’ stressato dal cambiamento, si disse, dopotutto un mese non è sufficiente perché ti scrolli di dosso tutto il tempo passato insieme a quell’ameba di Corrado. Dai tempo al tempo, e vedrai che tutto si sistemerà.

- Già, ma… che incentivi ho? – mormorò, pensando a quanto era appena successo.

Si voltò, guardando il tavolo della cucina dove c’erano ancora le rose in vaso di vetro. Nella penombra apparivano come fiori neri e inquietanti.

Esatto, continuò la vocina nella sua testa, non sarà l’ultimo gesto di affetto che ti rivolge, stai pure tranquillo. Dormici sopra e goditi la tua nuova vita.

Terminò la sigaretta, spegnendola nel posacenere sul comodino accanto al divano, e si alzò per tornarsene a letto.

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Capitolo 22
*** 22. ***


22.

 

 

 

 

Amore è anche migliorare per una persona che si ama.

 

Quella frase l’aveva letta da qualche parte in passato, forse in uno dei tanti forum che girava quando ancora era ragazzino, alla ricerca dell’amore che poi trovò da tutt’altra parte (galeotto fu l’Open Day di facoltà).

Gli tornò in mente quella frase mentre era dal tabaccaio, che lo guardava con un’espressione a metà tra il perplesso e lo spazientito.

- Allora, ha deciso? Ci sono altri che devo servire dopo di lei. – lo redarguì.

- Due, per favore – disse finalmente Brian riavendosi dalla sua trance, e il tabaccaio gli prese un altro pacchetto di Winston e glielo mise sul vassoietto concavo lì vicino. Brian le afferrò come se fossero una medicina portentosa in grado di guarirlo o almeno farlo stare meglio.

I giorni in cui comprava così tante sigarette erano finiti più o meno quando aveva spento ventidue candeline sulla torta, aveva tagliato i lunghi capelli rossi (che ormai gli arrivavano quasi alla base della schiena) ed erano circa quattro anni che era insieme a Corrado. Lui non gliel’aveva nemmeno chiesto. Corrado l’aveva accettato così com’era, coi suoi capelli lunghi e rossi e le sue innumerevoli efelidi sulla pelle, e ovviamente con il vizio del fumo. Però un certo punto della sua vita e della loro relazione, Brian aveva pensato che forse poteva essere meglio di com’era, magari aggiustando qualcosa qua e là. E tra le cose da aggiustare rientrò anche la decisione di smettere di fumare.

Così l’aveva fatto: un bel giorno aveva fumato l’ultima sigaretta e poi, semplicemente, non ne aveva comprate più. Ogni tanto Carlo aveva tentato di offrirgliene, ma lui non le accettava più. Perché? Gli domandava Carlo. Brian gli rispondeva semplicemente che non ne aveva voglia. Non diceva nemmeno “sto cercando di smettere”, perché sarebbe stato come dire che aveva voglia di fumare ma non poteva farlo, mentre invece non era così: allora non sentiva per niente il bisogno di fumare, perché sapeva che lo stava facendo per apparire migliore agli occhi del suo fidanzato Corrado.

E così, da circa sei anni aveva smesso con il fumo. Ora, dopo tutto quel tempo, la voglia di migliorarsi era stata soddisfatta, ma al suo posto aveva incominciato ad avvertire una strana sensazione, che una buona sigaretta avrebbe aiutato a far passare o quantomeno attenuato.

 

L’episodio era fresco di giornata, ed era stato talmente devastante da spingerlo a scendere giù e prendere il metrò fino alla tabaccheria più vicina, dove aveva preso appunto i due pacchetti di sigarette.

 

La mattina era cominciata normalmente, come tante altre da due mesi a quella parte. Nonostante la primavera alle porte, il cielo fuori dalla finestra del loft era ancora color piombo.

Tutto il contrario era Brian, che si era svegliato di buon mattino per provare a fare una ricetta che gli riusciva particolarmente bene: i pancakes. Corrado adorava trovarli a colazione ogni tanto, anche se Brian li faceva poco spesso perché erano abbastanza calorici, specialmente per come Corrado li farciva (se lui aveva deciso di smettere di fumare, di certo Corrado non aveva mai rinunciato ai piaceri della gola da quando lo conosceva, ma a lui piaceva anche così, coi suoi chili di troppo e la pancia morbida). Gli venne in mente di farglieli dopo una serata passata particolarmente bene. Una serata indimenticabile, poiché Riccardo gli aveva prospettato una vita insieme, ma in più uniti in un’unione civile.

Lì per lì Brian non si era fermato a pensare che forse Riccardo stava correndo troppo, né tantomeno che non fosse una cosa perfettamente voluta. Si era solo sentito sovraeccitato e si era goduto il dopocena bollente sotto le coperte quella notte. Questa volta Riccardo, bontà sua, aveva avuto il buon gusto di aspettare che fosse soddisfatto anche lui.

Così, un po’ per premiarlo, un po’ perché si sentiva il sole dentro, Brian si era svegliato presto e aveva incominciato a trafficare con gli ingredienti e gli strumenti da cucina, realizzando un piccolo paniere di deliziosi pancakes pronti da farcire. A casa di Riccardo c’era solo del miele ma Brian nei giorni precedenti aveva comprato un barattolino di Nutella, uno di marmellata e una confezione di sciroppo d’acero. Li aveva posati sul tavolo in bella mostra, con accanto la moka di caffè appena fatto, quando lo vide scendere le scale del soppalco.

- Buongiorno, caro – salutò, con le mani dietro la schiena come un bambino che vuol fare una sorpresa al suo papà. Sorrideva.

Riccardo sorrise, baciandolo dolcemente sulle labbra e accarezzandogli la schiena – Buongiorno cucciolotto. Cos’hai preparato? –

- Guarda tu stesso – gli disse, con un sorriso felice.

Si spostò per mostrare a Riccardo cos’aveva creato, e vide che questi osservava senza dire nulla. Brian lo guardava sorridente, ma il suo sorriso si spense man mano che passavano i secondi e Riccardo guardava la tavola imbandita senza spiccicare parola. Si limitò a sedersi al suo posto e a versarsi il caffè nella tazzina.

Brian allora prese il panierino con i pancakes e glielo mostrò. – Pancakes! Non… non dirmi che non ti piacciono? –

Riccardo gli fece un sorriso a metà tra l’ironico e l’incazzato, che fece scendere la temperatura corporea di Brian fino a dieci gradi sottozero. Quello che disse dopo, poi, bastò a pietrificarlo. Letteralmente.

- Non vorrai mica farmi diventare un grassone come il tuo ragazzo, spero? – disse, bevendo il caffè senza aggiungerci lo zucchero. Brian pensò che se n’era dimenticato, ma qualcosa dentro di sé gli disse che l’aveva fatto perché su quella tavola, di zucchero ne aveva visto anche troppo per quella mattina.

Si sforzò di articolare una risposta coerente, anche se le mascelle facevano fatica a muoversi, tanta era la sensazione di vergogna mista a frustrazione – N... no. Hai ragione. Scusami. – disse soltanto, mettendo via in tutta fretta tutte le farciture nei rispettivi scaffali.

- Non ricordo ci fossero Nutella e sciroppo d’acero, in casa mia – disse poi Riccardo – Non sono alimenti salutari, lo sai? –

- Scusami di nuovo, devo averli messi in carrello per sbaglio mentre facevo la spesa. –

- La prossima volta quando vai a fare la spesa, chiamami. Magari eviterai di prendere cose a casaccio, e risparmierai anche qualche soldo perché la pagherò io, eh? Che ne dici? – domandò Riccardo con un sorriso dolce stampato sul viso. Però oltre a quello, Brian vide anche un velo di ferocia.

 Terminato il caffè, Riccardo si alzò, andò sul soppalco e si vestì. Poi andò in bagno, uscì e si mise il cappotto.

- Dove stai andando? – domandò Brian.

- Devo vedere Enrica per una questione. Torno dopo. Ciao. – detto ciò, prese la porta e si dileguò, senza nemmeno aspettare che lo salutasse.

A quel punto Brian si mosse meccanicamente, buttando via tutto: i pancakes, la nutella e lo sciroppo d’acero.

Improvvisamente frustrato e stanco, era uscito anche lui, alla ricerca disperata di un pacchetto di sigarette. Magari anche due.

 

*****

 

- Grazie e arrivederci – disse Carlo, mentre imbustava i cosmetici e li porgeva a una signora al di là del bancone. Poi vide la porta aprirsi, e il suo sorriso si aprì.

- Ma ccciaaaooo Brian! – esclamò, salutandolo. Brian si avvicinò al bancone sbrilluccicante di cosmetici e profumi. Sorrise stancamente.

- Ciao bello, ti disturbo? –

- Ma va là. Stavo per terminare il turno, anzi … Becky…? – chiamò una delle colleghe, una ragazza sui vent’anni, bionda con gli occhi azzurri e truccata come una bambola.

- Dimmi, Carlo – rispose la ragazza, sorridendogli.

- Questo è il mio amico Brian, di cui ti ho parlato. Brian, lei è Rebecca, per gli amici Becky. –

Lei sorrise dolcemente – Ah, è un piacere conoscerti, sai? Carlo mi parla sempre di te. Siete come fratelli… anzi come sorelle. – rise.

Brian rise insieme a lei – Lui esagera sempre, lo so. Piacere di averti conosciuto. –

- Il piacere è stato tutto mio. Te lo porti via? –

- Sì, vi tolgo l’incomodo. Vi dispiace? –

- Un po’, ma non possiamo farlo lavorare per troppo tempo. Dico bene, Carletto amore? –

Carlo per tutta risposta fece il gesto di scrollarsi la forfora dalle spalle, in un atteggiamento di finta sufficienza.

- Mi sostituisci tu, allora? –

- Certo! Tu vai pure. A domani! – e sorrise di nuovo. Brian la salutò con un educato cenno del capo, e lei gli regalò un altro dei suoi sorrisoni perfetti prima di mettersi alla cassa e servire altri clienti.

 

- Vedo che hai ricominciato a fumare – disse Carlo – è successo qualcosa? –

Tirando una boccata mentre erano in macchina, Brian disse – Di tutto. Me ne stanno succedendo di tutti i colori. Ti ricordi quando non mi rispondeva ai messaggi? –

- Ricordo, sì. E quindi? –

- Adesso sono andato a vivere con lui. –

Carlo sgranò gli occhi mentre guardava la strada – Cosa?! E non mi hai detto niente? –

- Te l’avrei detto, ma avevo altri cazzi a cui pensare. –

- Seh, seh. L’unico cazzo a cui dovevi pensare è quello che ha Riccardo in mezzo alle gambe – sentenziò, ridacchiando divertito.

- Carlo. Non sto scherzando. –

- Ok, ok… però fattela una risata, ogni tanto. È gratis! – disse mentre cambiava marcia e sterzava. – Facciamo l’Ape, che dici? –

Sospirando Brian acconsentì, ma a una condizione.

- Quale? –

- Che ci fermiamo in un posto dove si possa fumare. –

 

L’unico posto che conosceva Carlo dove si poteva fumare era un locale con terrazza annessa. Non faceva più tanto freddo, per cui starsene fuori era l’ideale. Il tavolo era pieno di cose buone da mangiare, tra cui insalata di riso, pollo e patatine al forno e fritte, più altre specialità regionali, tra cui tigelle e piadine, nonché gnocchi fritti con una selezione di salumi, di cui Carlo era ghiotto.

- Se c’è una cosa che i bolognesi sanno fare davvero bene, è lo gnocco fritto. Ne avrò mangiati a tonnellate mentre ero lì al DAMS. Mangiarli ogni tanto mi riporta indietro nel tempo… comunque è molto migliore lì che qui. Ogni tanto mi viene lo sclero di tornare giù e riprendere gli studi. A te? –

- Non lo so – rispose Brian, mentre si apprestava ad accendere un’altra bionda.

- Oh, amore basta con ste sigarette, dai! Ne avrai fumate dieci da quando sei entrato in negozio! –

- Sono nervoso, Carlo. Il fumo mi calma un po’. –

- Eh ho capito che ti calma, ma vacca-boia te ne stai fumando un po’ troppe, dai. Vuoi morire di tumore prima dei trent’anni? –

- Forse sarebbe la cosa migliore che potrebbe capitarmi – mormorò Brian.

- Come hai detto? – lo richiamò Carlo, sorpreso e accigliato.

- Niente. Scusami, sono giorni che non ci sto con la testa, Carlo… - si tolse la sigaretta non ancora accesa dalla bocca e la tenne in mano insieme all’accendino, con lo sguardo basso. Carlo allora gli mise due dita sotto il mento e glielo tirò su, costringendolo a guardarlo nei suoi grandi occhi neri di argentino.

- Se mi dici cos’è successo, magari. E dall’inizio. –

Brian raccontò che si era deciso a lasciare Corrado (omettendo però la parte in cui era stato scoperto e il loro litigio) e di come era andato a vivere insieme a Riccardo, includendoci anche la storia del sesso interrotto e quella dei pancakes. Carlo ascoltò attentamente tutto, poi gli mise una mano sulla sua e lo guardò negli occhi.

- Brian, dimmi una cosa. –

- Che cosa…? –

- Come ti senti tu? Voglio dire, sei felice o sei triste…? -

- Non lo vedi? Carlo? Sono distrutto. E non capisco perché. Con Riccardo è bello fare l’amore, ma non … non so come spiegarlo, è una cosa che non ho mai provato. –

- Forse lui non ha ancora chiari i suoi sentimenti – buttò lì l’amico – Perché non provi a parlargli? –

- Tu dici che potrebbe essere una buona idea? –

Carlo scrollò le spalle, distogliendo lo sguardo e poi riportandolo su di lui – Non lo so, ma l’unico modo per capire cosa pensa una persona, è chiederglielo direttamente. Non penso di dover essere io a spiegartelo. Sei tu quello che è stato dieci anni con lo stesso ragazzo. Io non ho mai parlato. Io ho sempre agito, lo sai. –

Brian annuì, sospirando – Se fossi al mio posto, tu cosa faresti? –

Ridendo Carlo alzò il bicchiere di spumante e se lo portò alle labbra, scolandoselo in un secondo – Ah! Mi conosci così poco da chiedermi che cosa farei? Oh, beata genuinità fessacchiona. Ahahah! –

- Dai – ridacchiò Brian – Che cosa faresti tu? –

- Tanto per cominciare, non sarei andato in casa con lui. Ok, mettiamo pure che mi avesse scop… cioè, preso talmente bene da farmi innamorare e convincermi di andare a vivere da lui: se mi avesse fatto delle storie perché gli avevo cucinato male o non mi avesse aspettato a letto, semplicemente gli avrei rotto i piatti sulla testa. E dopo l’avrei costretto a chiedermi scusa in ginocchio. E ancora, gli avrei servito un calcio nel culo e me ne sarei andato dal prossimo in lista. Eh! Ma dai… Ma che modo del cazzo è dire “Vuoi farmi diventare un grassone come il tuo ragazzo?” – disse, scimmiottandone il tono – a una persona che si è sbattuta a cucinare per te? Ma siamo pazzi o cosa! Che figlio della merda, arrogante e presuntuoso. Con me avrebbe avuto vita molto dura, credimi. –

- Non faccio fatica a crederti – disse Brian, sorridendo. Uno dei suoi soliti sorrisi stanchi.

- E’ che tu sei troppo buono, Brian. Devi imparare a tirare fuori le unghie, se vuoi sopravvivere in questo mondo di merda. –

- Già… suppongo tu abbia ragione. –

Carlo fece per bere un altro sorso di spumante, ma il bicchiere era vuoto. Chiamò il cameriere e gliene chiese un altro, mentre Brian si accendeva l’ennesima sigaretta e cominciava a fumarla.

 

 

 

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Capitolo 23
*** 23. ***


23.

 

 

 

 

 

I pacchetti di sigarette acquistati aumentarono con l’andare dei giorni. Riccardo sembrava non accorgersi di quello che stava succedendo al suo nuovo coinquilino (Brian non era sicuro che Riccardo lo considerasse suo fidanzato, per via di tanti segnali che recepiva), perciò tutto quello che faceva era limitarsi a un semplice Credo che tu stia fumando un po’ troppo in questi giorni.

Dalla conversazione con Carlo passarono alcuni giorni, durante i quali il rapporto con Riccardo continuò a essere altalenante: c’erano giorni in cui lo ricopriva di attenzioni, facendolo partecipe di nuove mostre e altri incassi (in una seconda mostra era stato più prodigo di attenzioni nei suoi confronti) e facendogli anche dei regali. L’ultimo che gli aveva fatto era un vestito nuovo, molto elegante. Brian di solito non indossava abiti così formali, non essendovi mai stato abituato. Le poche volte in cui si era vestito “bene”, erano circoscritte a delle occasioni speciali: qualche matrimonio, un battesimo, la laurea di suo fratello Alex. Tuttavia Riccardo si era fatto promettere che l’avrebbe indossato qualche volta, ma ovviamente Brian non l’aveva mai fatto. Oltre ai regali materiali, c’erano anche le occasioni in cui dopo aver fatto l’amore gli riservava le sue attenzioni riempiendolo di coccole e complimenti, così che Brian tornava a stare tranquillo ed a convincersi che non ci fosse nulla che non andasse.

Ma poi Riccardo riprendeva ad essere freddo e distaccato, a rispondergli tardi o a non rispondergli per niente quando era fuori casa (Brian si chiedeva che cosa facesse fuori così tanto tempo, ma non gli veniva in mente nient’altro che il suo lavoro). Tutte cose che, messe insieme, stavano incominciando a fargli male.

 

Una mattina uscì dalla doccia con l’accappatoio indosso, in preda ai prodromi di un’emicrania. Si asciugò i capelli in fretta, credendo si fossero un po’ scoloriti, tornando al loro colore rossiccio naturale, seppur chiazzato da qualche filo bianco.

Nonostante tutto, erano ancora tutti al loro posto, ben saldi sul cuoio capelluto. Si rallegrò di ciò, ma al tempo stesso si fermò a guardarsi nel grande specchio del bagno.

Tra due mesi avrebbe compiuto ventotto anni. Era ancora bellissimo e desiderabile, e inoltre era stato così fortunato a cambiare vita dopo dieci anni d’immobilismo. Si complimentò con sé stesso, ma ciò non servì a far passare la sensazione di cui aveva parlato a Carlo: si sentiva disorientato, smarrito.

Disorientamento. Smarrimento.

Erano quelli gli unici nomi con cui chiamava quella sensazione di tensione che si accompagnava all’infelicità…

Ancora una volta si ritrovò a darsi dello scemo, perché questa era la vita che voleva e non quella di prima, fatta di noia.

Si toccò la testa, sentendo che il mal di testa cominciava a martellare. Era giunta l’ora di prendere una bella dose di analgesico.

Uscì dal bagno e andò a vestirsi.

 

*****

 

Tra le altre cose, l’unico consiglio che era riuscito a dargli Carlo era stato quello di provare a parlargli.

Un pomeriggio, approfittando del fatto che Riccardo fosse a casa, ci provò. Riccardo stava lavorando nel suo studiolo sottostante il soppalco, con la porta scorrevole aperta. Ciò suggerì a Brian che fosse disposto ad ascoltarlo, al che si fece avanti.

Gli si avvicinò con quella solita circospezione inconscia, come di chi si avvicina a una belva feroce pronta ad attaccare, e si fermò a guardarlo.

Lui non lo degnò di uno sguardo fino a che Brian non si schiarì la voce. In quel momento Riccardo si voltò e sorrise, come se fosse stato sorpreso di vederlo lì.

- Ciao, Bri – lo salutò, sorridendogli.

- Ciao Ricky. Cosa stai dipingendo? –

- Un nuovo lavoro. Di cos’hai bisogno? – rispose lui, telegraficamente, mentre ancora dava pennellate.

- Avrei bisogno di parlarti. –

Brian restò lì ad aspettare una sua risposta, che però non arrivò. Come faceva di solito.

- Riccardo…? Ci sei? -

- Perdonami, ma adesso proprio non posso. –

Ignorando totalmente la sua richiesta, Brian cominciò a parlare. – Ho bisogno di parlarti di una cosa. Vorrei chiederti se va tutto bene. Va tutto bene, tra di noi? –

- Brian, per favore – disse, in tono assertivo Riccardo – Sono concentrato. –

- Io credo che tra di noi vada tutto bene, ma vorrei averne la conferma da te, perché, vedi, ho bisogno di comunicarti delle cose che mi lasciano perplesso. –

Non era sicuro che Riccardo avesse ascoltato tutta quella frase, dal momento che continuava a lavorare come se nulla fosse.

- Riccardo? Ho bisogno che tu mi ascolti. –

A quell’ultima frase, Riccardo s’interruppe bruscamente, lo guardò con i denti stretti dietro la bocca e prese un gran respiro. Poi alzò la tavolozza coi colori e la sbatté via alla sua sinistra, tanto che Brian dovette scansarsi per non beccarla diritta sui piedi nudi. Brian fece per aprire bocca, ma Riccardo soppresse sul nascere il tentativo.

- Ti ho detto che sono concentrato, cazzo! Quando ti dico che sono concentrato, non devi rompermi i coglioni! Capito? Non-devi-rompermi-i-coglioni!!! Adesso mi hai fatto sbagliare un particolare, dovrò correggerlo e mi ci vorrà un casino di tempo per rifarlo come lo volevo. E non sarà mai come doveva essere! Cazzo! Cazzo! Cazzo!!! – urlò, pestando i piedi e incominciando ad andare avanti e indietro per la stanza.

- Cosa sei, un paranoico? Hai bisogno di conferme per sapere che va tutto bene? sì, cazzo, va tutto bene! Ecco! Adesso sei contento? Rompicoglioni di un bambino viziato! –

Mentre camminava, si alzò per andare in bagno, e lì sbatté la porta con fragore, chiudendocisi dentro. Rimasto solo, Brian osservò impietrito la porta del bagno, spaventato dall’eventualità che potesse riaprirsi e che lui potesse uscirne. Rimase lì un bel po’ di minuti, fino a che non abbassò lo sguardo, vedendo il suo piede sinistro sporcato da una quantità di macchie gialle, arancioni e rosse. Si allontanò lentamente, andando verso il mobile della cucina per prendere uno straccio, quindi raccolse la tavolozza e pulì i colori sparsi per il pavimento, cercando di trattenersi dall’incominciare a piangere.

 

*****

 

Si era seduto sul divano, coprendosi con una coperta per combattere la sensazione di freddo che l’aveva improvvisamente ghermito. Senza accorgersene, aveva incominciato a rannicchiarsi sempre più in sé stesso, cercando di raccogliere quanto più calore possibile dalla coperta che lo avvolgeva, finché non si era addormentato. Come al solito aveva sognato, e ciò che aveva visto non era stata una bella visione: aveva sognato che Riccardo lo cacciava di casa e lo abbandonava per averlo disturbato mentre lui cercava di chiedergli scusa ma senza risultato. Stava ancora sognando quando Riccardo gli fece una carezza sulla guancia e gli diede un bacio sulla fronte per svegliarlo.

Trovandosi davanti il suo faccione, Brian gli rispose con un mezzo sorriso, essendogli grato per averlo svegliato da quel sogno così terribile. Era ancora lì con lui, non l’aveva cacciato da casa sua.

- Ben svegliato, dormiglione – disse, dolcemente. Il suo viso sembrava essere tornato quello di prima, non c’era più traccia della rabbia che fino a poco fa l’aveva alterato.

- Grazie… che ore sono? –

- Le sette passate. –

- Oh… ho dormito tanto, allora. –

- Quasi tre ore. –

- Già… vuoi che ti prepari qualcosa per cena? –

- A dire il vero… pensavo che… - Riccardo abbassò lo sguardo - …pensavo che potremmo andare a cena fuori. Scusami se prima ti ho trattato così, è che quando sono concentrato, non rispondo di me. –

- Non fa niente – rispose Brian, contravvenendo a quanto gli aveva detto il suo amico Carlo, che sicuramente, fosse stato al suo posto gli avrebbe ficcato una ciabatta in bocca e risposto di sbattersi la sua cena fuori dove non batte il sole e, ancor prima di tutto ciò, non si sarebbe certo addormentato sul divano di uno stronzo del genere.

- Pizza o ristorante? Si potrebbe fare una pizza, magari… conosco un bel locale, molto rustico. Si chiama Il Muretto. Lo conosci? –

A quel nome, Brian avvertì i capelli drizzarglisi sulla testa. Voleva davvero portarlo lì, nel ristorante dove s’incontrava con Corrado i primi tempi? Si toccò la testa, fingendo un capogiro, quindi si mise a sedere.

- Bri, tesoro. Cos’hai? –

- No… no, niente. Non preoccuparti. A dire il vero stasera non ho voglia di pizza. Potremmo andare ad un cinese, che ne dici? –

- Dico che va bene – rispose Riccardo, sorridendo. Brian gli sorrise, tirando mentalmente un sospiro di sollievo. Non sapeva nemmeno lui perché, ma non voleva farsi portare da Riccardo nel locale di Corrado. Forse perché non voleva rivivere i bei tempi passati insieme a lui, o più probabilmente perché voleva preservare un luogo così felice e significativo dalla sua persona.

- Mi cambio e andiamo subito – disse Brian, alzandosi dal divano e dirigendosi verso il soppalco.

 

*****

 

Non era vero che per Brian non era successo niente. Le scene dell’episodio avvenuto nel pomeriggio continuavano a ricorrergli nella mente, sebbene Riccardo quella sera stesse facendo di tutto per dimostrarsi amabile e gentile. Per un po’ riuscì, ma inevitabilmente Brian continuava a ricordare ciò che aveva detto e fatto prima, e manteneva le distanze. In più, sentiva di nuovo i prodromi di un’emicrania. Si domandò se anche quando era insieme a Corrado ne soffriva così tanto, ma scacciò quel pensiero dalla mente: la risposta, purtroppo, era no.

Per tutta la serata Riccardo aveva parlato dei progetti che aveva in mente di fare insieme a lui: cambiare casa e trasferirsi in un appartamento più signorile, o magari addirittura una villa (i soldi non stanno facendo fatica ad entrarmi, aveva detto), insieme a lui formalmente vincolati da un’unione civile. Brian aveva annuito e sorriso di tanto in tanto, ma la domanda di fondo era se voleva davvero seguire Riccardo nei suoi progetti. Qualcosa gli diceva di sì, che lo voleva con tutto sé stesso perché era il ragazzo dei suoi sogni ed era disposto al piccolo sacrificio di evitare di seccarlo quando era concentrato e di non cucinargli pancakes a colazione; un'altra parte di sé invece gli diceva che un fidanzato non doveva essere così violento nei confronti del suo partner, invece doveva essere aperto al dialogo e più accomodante… e apprezzare gli sforzi che venivano fatti per amore. Cose che Riccardo (almeno per il momento) non era sembrato in grado di fare.

- Riccardo, io … - lo interruppe, sul più bello mentre parlava della cerimonia post-unione civile. Riccardo gli lanciò un’occhiata neutra ma carica di rimprovero perché l’aveva interrotto, quindi Brian si affrettò a scusarsi e a dirgli di andare avanti, che tanto si era dimenticato ciò che voleva dirgli.

In realtà avrebbe voluto dirgli che forse stava correndo un po’ troppo. Se Corrado non gli aveva mai proposto nulla per dieci anni, un motivo c’era: era stato più discreto? No. Credeva piuttosto che Corrado volesse prima vedere se potevano essere compatibili (…e lo siamo stati; per dieci anni, lo siamo stati, pensò Brian), prima di fargli una proposta così impegnativa come una formale unione civile… Perché Corrado avrebbe voluto solo il bene per il suo ragazzo.

Invece Riccardo già stava costruendo montagne di castelli in aria. Per la prima volta nella sua storia con Riccardo, si sentì sfinito da una conversazione insieme a lui.

 

Terminata la cena, si avvicinarono all’auto. Brian fece per aprire il suo sportello, ma Riccardo lo prese da dietro e provò a baciarlo. Brian si oppose, fermandolo.

- Aspetta – gli disse – Non adesso, c’è un po’ troppa gente. –

- Ma cosa te ne frega…? Lasciali che guardino, no? –

Per qualche strana ragione, dopo quella serata non aveva più tanta voglia di farsi baciare da lui. Non glielo disse direttamente, ma la sua reazione fu la stessa di come se gliel’avesse detto in faccia, sbattendoglielo chiaro e tondo: si svincolò dall’abbraccio, sbattendolo leggermente contro la portiera della sua Smart. Sorpreso Brian aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma Riccardo era già montato e aveva addirittura acceso il motore (senza aspettare che salisse!!!). Brian fece appena in tempo a entrare nell’auto: aveva la netta sensazione che se non avesse fatto in fretta, l’avrebbe lasciato lì.

Per tutto il tragitto non si scambiarono una parola. Brian però pensò di riparare offrendogli la sua mano sinistra mentre guidava. Riccardo la prese e gliela strinse dolcemente.

 

Arrivati a casa, si tolsero i cappotti e lì Riccardo incominciò ad abbracciare e baciare Brian spingendolo verso il divano. Per un po’ Brian rispose, ma poi cercò di divincolarsi quando Riccardo incominciò a toccargli il sedere e a baciarlo con una foga degna di chi fosse stato in preda a un raptus di follia.

- Mmm… Brian… amore… - diceva Riccardo mentre lo baciava.

- R..Ricc… amore… non … Aspetta… -

- Voglio farmi perdonare. Dammi l’occasione di riparare. –

- Ho… ho mal di testa, Riccardo. S…scusami. –

Ignorandolo totalmente, Riccardo incominciò ad armeggiare con il bottone dei jeans di Brian, cercando di toglierglieli mentre era sul divano. Per la verità era più come se cercasse di strapparglieli, in preda ad un desiderio compulsivo di possederlo, che lo spaventò leggermente.

- Lasciami Riccardo, mi-mi stai facendo male! – esclamò, prendendo il coraggio per afferrargli i polsi e stringerglieli.

A quella dimostrazione di forza, Riccardo si fermò, guardandolo negli occhi e smontando velocemente da lui, come se avesse avuto qualche strana malattia.

E di nuovo, si rimise a urlare per la seconda volta quel giorno.

- Merda! Si può sapere che cazzo ti prende, tutto d’un tratto, Brian?! Che cazzo significa questo??? Se non volevi scopare potevi anche restartene insieme a quella scoreggia fritta del tuo ragazzo e non rompere i coglioni a me!!! – urlò, mollando un calcio al tavolino al centro dell’angolo salotto che fece volare alcune delle riviste che vi erano poggiate sopra.

Brian si tenne la testa con le mani, sentendo l’emicrania farsi sempre più forte date le sollecitazioni sonore. Forse intuendo che gli stava facendo più male che bene, Riccardo rincarò la dose di urla.

- Che cazzo vuoi da me, eh?! Che cosa cazzo ci sei venuto a fare qui? Sai cosa vuoi dalla vita o non lo sai e vieni a cercare aiuto da me? È ora che cresci, hai capito?!

A quel punto, finita la litania di insulti e parolacce, Riccardo si allontanò, salendo velocemente le scale che portavano al soppalco. Brian allora corse in bagno, prese due aspirine e bevve con le mani a coppa l’acqua del rubinetto per mandarle giù. Si sentì umiliato, offeso, dolorante. Avrebbe voluto piangere, ma si trattenne. Anziché piangere, si guardò allo specchio.

Lentamente, come un automa, incominciò a spogliarsi. Prima le scarpe, poi i calzini… i jeans… e tutto quanto. Uscì dal bagno nudo, quindi salì le scale. Riccardo era lì seduto sul letto, la testa bassa. Sembrava un barbone che chiedeva l’elemosina. Gli andò dietro, inginocchiandosi sul letto e toccandogli una spalla.

Lui non si mosse né disse nulla.

Brian riprovò, ma ancora Riccardo non fece nulla.

Sapendo che insistere con lui era controproducente, Brian si mise sotto la coperta. Forse per quella sera Riccardo avrebbe rinunciato al suo divertimento.

Ovviamente era una vana speranza: Alcune ore dopo che si erano messi a letto entrambi, Riccardo l’aveva svegliato entrando di prepotenza nel suo corpo, facendogli un male terribile. Brian mandò qualche gemito di dolore durante la penetrazione, che per fortuna durò poco, perché Riccardo smise dopo appena cinque minuti. Uscito dal suo corpo, gli diede le spalle e si addormentò.

Sull’altro lato, Brian era ancora sveglio. Avvertiva la sensazione di caldo umido in mezzo alle gambe, ma non soltanto lì: calde lacrime di disperazione avevano incominciato a rigargli il volto, e questa volta non si sarebbero asciugate tanto facilmente.

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Capitolo 24
*** 24. ***


24.

 

 

 

 

Carlo adorava andare da McDonald’s. Anche se per molti era cibo spazzatura, a lui piaceva più di ogni altra cosa. Brian ogni tanto l’aveva accompagnato, ma non era mai stato un gran divoratore di quella roba, e Carlo lo sapeva. Tuttavia quel giorno Carlo rimase a bocca aperta nel vedere quanto e cosa aveva consumato Brian.

- Cazzo, Brian, tesoro – disse, mantenendo il bicchierone di coca-cola in mano a mezz’aria.

- Cosa? – domandò Brian dopo aver addentato un cheeseburger doppio, dimezzandolo.

- Cioè… Ma quanta ne stai mangiando di questa roba? Vuoi morire di diabete prima dei trent’anni, forse? –

Brian non rispose, continuando a mangiare il panino. Contemporaneamente si ficcò in bocca dei nuggets.

- Sono affamato, va bene? – rispose con la bocca piena. – Non riesco a mangiare davanti a Riccardo, e poi comunque lui non c’è quasi mai. –

- Capisco – si limitò a dire Carlo. Evidentemente anche lui aveva capito che non doveva infierire troppo sul suo caro amico di sempre, che comunque non aveva ancora finito di parlare.

- Faccio la spesa e mi insulta perché compro cose che a lui non vanno bene, ma attento, perché è lui che mi dice di comprarle…! Non faccio la spesa e s’incazza perché non la faccio. E poi… poi mi canzona perché sono sempre in casa perché non ho un lavoro. – sbatté il panino appena scartato sul vassoio, con tanta veemenza che addirittura Carlo, impassibile di fronte a tante cose, fece un salto, spaventato.

- Le cose stanno andando male, Carlo. Tutte. Sto perdendo la testa. – piagnucolò, quasi mettendosi a piangere.

- Lo vedo. Non è da tutti mangiare cinque doppi cheeseburger bacon e riuscire ancora a respirare. –

- Riccardo è totalmente cambiato. E che possa morire qui se capisco cosa cazzo gli ho fatto. Pensavo che vivere insieme avrebbe aiutato un po’ a stabilizzare le nostre posizioni, e invece… -

- …e invece l’unica posizione è quella che tiene lui, ed è dietro di te. Ho indovinato? –

Brian alzò gli occhi, poi li riabbassò, pieni di vergogna.

- Che cosa ti ha fatto? –

- L’altra notte… mi ha quasi violentato. Anzi, togliamo pure il “quasi”. –

A quella rivelazione, Carlo si ammutolì. Il giovane amico argentino dalla lingua tagliente come un rasoio, per la prima volta taceva di fronte a una rivelazione. Non che fosse la prima volta che sentiva da qualcuno che era stato violentato, ma in quei casi lui aveva liquidato tutto con un “per forza, se te ne vai in giro con gli shorts in dark-room, non meravigliarti se ti infilano il cicciolo su per il tubo, bellezza.” Adesso invece si trattava di Brian, il suo migliore amico, il ragazzo più dolce in questo mondo. Serrò i denti, per la prima volta non sapendo bene cosa rispondere. Al suo posto, parlò Brian.

- Forse sono stato uno sciocco a non dare ascolto a Giuliana. –

- Chi? – domandò Carlo, alzando la voce di tre ottave come una ragazzina perplessa.

- Una praticante avvocatessa. Giuliana Todisco… o forse era Tedesco… o Tedeschi, non ricordo bene. –

- E chi sarebbe questa? –

- E’ una che un giorno mi ha seguito, e mi ha detto di stare in guardia da Riccardo. Anzi, meglio: mi aveva proprio detto di lasciarlo perdere, perché era una persona pericolosa. –

- E tu che le hai risposto? –

- Ah… le ho risposto che per me poteva andarsene al diavolo, e così ha fatto. Secondo te ho fatto male? –

Carlo alzò le spalle – Non lo so. Tu pensi di aver fatto bene o male? –

- Male. Malissimo. –

- Ti capisco, comunque. Nemmeno io sono abituato a dare retta ai consigli degli sconosciuti. Pensa che l’altro giorno, un tizio mi ha consigliato di cambiare colore alla mia Fiat Cinquecento. Gli ho risposto che la sua opinione mi serviva quanto un metro da falegname a un medico per il suo lavoro, e che poteva ficcarseli entrambi nel didietro, opinione e metro da falegname, voglio dire. –

- Già – rispose Brian, accasciando la testa sulle braccia – Anch’io ho fatto così, e guarda come sono ridotto adesso. –

- C’è qualcosa che posso fare per te? –

- Se potessi scoprire cosa fa quando è assente tutto quel tempo in casa, forse sarei più tranquillo. Mi piacerebbe proprio saperlo. –

- Ma lasciarlo su due piedi, invece? –

Brian guardò Carlo. La verità era che si sentiva ancora troppo combattuto, troppo in dubbio. Anzi, in quel preciso momento avrebbe voluto cancellare quell’intera conversazione con il suo amico. Riccardo gli avrebbe detto che non era innamorato di lui abbastanza, lo sapeva. Lo sapeva come il suo nome. La verità era che una fiammella di amore ancora rimaneva nei suoi confronti, perché alla fine di tutto, con la dolcezza ci sapeva fare. Per cui Brian non rispose alla sua domanda. Carlo sospirò.

- Se vuoi che ti faccia qualche indagine su di lui, non hai che da dirlo. Sicuramente qualcuno dei miei contatti lo conoscerà. –

- E se lui viene a sapere che si sta indagando su di lui…? Cosa succederà a me? –

- Tesoro, lascia fare a me e non preoccuparti. E poi non stai mica avendo a che fare con un serial killer o con un terrorista. Si tratta solo di fare qualche domanda in giro, tutto qui. –

- Che domande hai intenzione di fare? –

Carlo zittì Brian con un gesto della mano – Adesso basta con le domande. Chiedimi di fare qualche indagine ed io la farò. E andrà tutto bene. Vuoi? –

Brian guardò negli occhi l’amico – Ho altra scelta? –

- No. – rispose Carlo, con un sorriso buffo ma al tempo stesso dolce.

Con un sospiro, Brian rispose – Va bene. Tanto anche se ti dicessi di no, lo faresti comunque anche senza il mio permesso. Tanto vale che sappia cosa stai facendo. –

- Si vede che mi conosci bene, zuccherino. Adesso che ne diresti di andare a fare due passi? Hai bisogno di smaltire tutti i carboidrati e le proteine di cui ti sei ingozzato, ed anche io. –

- Sì. Buona idea. Magari ci fumiamo anche una bella sigaretta. –

- Stavo per proporti la stessa cosa. E… Brian? –

- Sì? –

Carlo lo guardò con quel suo argentino sguardo penetrante. – Cerca di fidarti un po’ di più di me, okay? – E concluse la frase con un occhiolino.

Sorridendogli dolce ma al tempo stesso stancamente, Brian rispose – Okay. –

- Bene. Andiamo a pagare, adesso e facciamoci passeggiata e sigaretta. –

Ciò detto, si alzarono, lasciando lì sul tavolo i rimasugli del loro pasto. Di certo qualcuno li avrebbe puliti più tardi.

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Capitolo 25
*** 25. ***


25.

 

 

 

 

Da quando viveva con Riccardo, non erano aumentati solo pacchetti di sigarette, per Brian: era aumentato anche il consumo di aspirine e analgesici ed era quasi diminuito il consumo di alimenti, colpevoli di fargli venire nausea e mal di stomaco; in realtà rifiutati da un organismo, quello di Brian, sempre più debilitato…

 

Riccardo era andato avanti con quel comportamento altalenante per un bel pezzo. Aveva smesso circa a inizio maggio, con l’arrivo della bella stagione, foriera di molte uscite ispiratrici nei parchi della città e, quasi per converso, di molte ore passate da solo da parte di Brian, che passava le sue giornate dormendo o rannicchiato sul divano, con le finestre totalmente chiuse perché la luce aveva incominciato a fargli male. Gli trapanava il cervello, facendogli venire mal di testa e consumare ancora analgesici.

 

A inizio maggio Brian si svegliava quasi tutte le mattine da solo nel letto di Riccardo, che poi gli si presentava a tarda sera o addirittura di notte stanco e irritabile, in uno stato poco propenso ad affrontare un qualunque discorso che avrebbe potuto iniziare con “dove sei stato fino adesso?”

Semplicemente, Riccardo si era allontanato da Brian. Sì, ogni tanto gli si concedeva ancora sotto le coperte, ma era più per soddisfare un suo bisogno che per altro. Brian non si era mai ribellato, ancora troppo felice del fatto che l’unico amore della sua vita fosse ancora lì con lui, anche se si assentava così tanto perché doveva fare il suo lavoro, ma anche troppo debilitato per cercare di reagire: in un mese, Brian aveva perso almeno sette chili, e di questi, buona parte erano muscoli che aveva conquistato andando in palestra, abitudine che aveva quasi abbandonato, per essere sempre in casa ad aspettare il suo Riccardo, per il quale il fatto di avere una persona in casa era una faccenda piuttosto secondaria.

Devi scusarmi, gli diceva ancora fino a fine Aprile, Ma io a volte mi perdo nei miei pensieri ed il tempo e lo spazio mi diventano valori sconosciuti. Mi dimentico di tornare a casa, capisci Brian? Devi scusarmi, ti prego di perdonarmi, amore mio. Sai che ti amo.

Ti amo.

Quelle due parole, che mai Riccardo gli aveva detto prima d’ora, adesso gli tornavano comode per giustificarsi, perché sapeva che Brian avrebbe accettato qualunque cosa, se Riccardo le avesse messe al posto giusto. Brian avrebbe accettato qualunque cosa: che lo abbandonasse per tutto il tempo che gli era necessario; che lo svalutasse perché non lavorava, o perché era dimagrito troppo e che non faceva abbastanza palestra; che usasse il suo corpo come meglio credeva…

…Che lo uccidesse lentamente.

Proprio come, si accorse Brian, stava facendo.

 

Fu proprio quello, l’incubo da cui si destò Brian una mattina: stava sognando di venire ghermito da strane ombre che volevano fargli del male. Anziché essere grato di essersi svegliato, pensò che fosse stato meglio se quelle macabre figure l’avessero ucciso nel sonno. Sarebbe stato meno doloroso, rispetto a quel maledettissimo mal di testa che si portava appresso da più di un giorno. Com’era lecito aspettarsi, anche quel giorno il letto dalla parte di Riccardo era vuoto, e guarda caso a lui scoppiava la testa di dolore.

In bagno, una volta chiuso l’armadietto a specchio dei medicinali, incontrò la sua immagine riflessa sul vetro, e per poco non disse Lei chi è, mi scusi?

Tra un mesetto avrebbe compiuto ventott’anni, eppure ne dimostrava almeno il doppio… i capelli, ormai ritornati al loro colore naturale, presentavano chiazze di grigio e bianco. I suoi occhi castani erano cerchiati di rosso, adornati da terribili borse… La sua pelle, che a un tempo era stata dolcemente bianca e rosea, ora aveva assunto toni cinerei. Un accenno di barba sul mento e sulle guance, invece, gli dava un aspetto vissuto… troppo vissuto perché Riccardo potesse ancora amarlo.

Girò lo sguardo verso l’altro specchio, vedendosi in mutande e canottiera, con due fiammiferi male in arnese al posto delle gambe e la pancia scesa di chi non mangia da giorni, e si spaventò.

Non era più lui. Era piuttosto uno zombi che una volta era stato Brian Molteni.

Non avrebbe mai potuto saperlo, ovvio, ma in un ospedale poco lontano da dove si trovava in quel momento, c’era un ragazzo di nome Gabriele Tedeschi che aveva sperimentato le stesse sensazioni, e che ora, relegato in un limbo d’incoscienza, lottava tra la vita e la morte, forse perché aveva ingerito una dose letale di barbiturici, o forse più probabilmente perché non voleva più risvegliarsi. Per vergogna, forse, o più probabilmente perché era meglio restarsene nel suo guscio lontano da qualunque forma di vita e di comunicazione, piuttosto che incontrare nuovamente quello che era stato l’amore della sua vita: Riccardo Gherardi.

 

- Puoi abbassare il volume di quel computer? Mi disturba mentre sto creando – disse Riccardo. Non ebbe il tempo di finire la frase, che Brian aveva già abbassato il volume e attaccato le cuffie, per non correre il rischio di non sentirlo se l’avesse chiamato. Nonostante le temperature gradevoli, teneva una coperta avvolta intorno alle spalle e dei fazzolettini di carta. L’influenza gli stava durando da un bel po’ di giorni per essere solo un male di stagione. Lanciò un’occhiata a Riccardo, chiedendosi come mai quel giorno fosse a casa e che cosa diavolo facesse mentre era fuori. Cominciò a sospettare ciò che non osava dire perché sarebbe suonato strano, troppo… Eppure per una parte di sé, quella inconscia, “Ciò che non osava dire” era una verità consolidata.

Non gli piaccio più, pensò.

A fermare quel flusso di pensieri, arrivò l’altra parte di sé, quella più sorniona e disincantata.

Ma cosa vai a pensare, suvvia. Te l’ha detto che a volte si perde nello spazio e nel tempo… ti ha detto che ti ama, cosa vuoi di più? Che ti sposi?

Be’… me ne aveva parlato, ma…

Aspetta e vedrai.

Mentre finiva quel pensiero, cacciò un potente starnuto.

- Cazzo, Brian… la vuoi finire d’impestare la casa coi tuoi germi? O vuoi che mi metta una mascherina, per stare accanto a te? – lo rimbrottò Riccardo.

- Scusami… - disse allora Brian, pulendosi il naso.

- Naturalmente scherzavo, tesoro – concluse poi Riccardo, continuando a lavorare al suo quadro. Brian gli lanciò un’occhiata e provò a dire qualcosa, ma era troppo stanco perfino per tentare di sorridergli.

 

*****

 

Il Dottor Pazzaglini era stato il medico di Corrado, al quale si era associato anche Brian per non dover tenere due medici separati. Doveva avere circa l’età della signora Visentin, la loro portinaia; ometto scattante e arzillo, il Dottor Pazzaglini era uno di quei medici di una volta, abituati a lavorare senza di tanti dei ritrovati della scienza medica di adesso (radiografie, analisi, ecc.), a cui bastava un’occhiata per capire di che malattia soffrisse il paziente, nonché una persona di una bontà e umanità incredibile. Brian era andato da lui allarmato, una volta resosi conto che la febbre non era ancora scesa dopo una settimana di bombardamenti a base di tachipirina e aspirine e da una debolezza improvvisa mai provata prima.

- Mi stavi dicendo che ti senti molto debole, giusto? – domandò l’anziano dottore, preparandosi ad auscultargli il cuore da dietro la schiena.

- Sì… esatto. Stavo reggendo una tazza di tè, quando all’improvviso mi è caduta senza che me ne accorgessi, andando in mille pezzi. Non le dico che fatica ho fatto per raccogliere e pulire tutto. –

- Oibò – esclamò il medico – Corrado non ti ha aiutato? –

- No. Era al lavoro – mentì Brian, ritenendo non necessario che il medico sapesse che non stava più con il suo fidanzato.

- Capisco – mormorò – Fai un bel respiro profondo e tieni giù l’aria, per favore. –

Brian obbedì, respirando e poi trattenendo il fiato.

- Bene, rilascia lentamente… -

Brian obbedì di nuovo, finché il medico non gli disse che poteva respirare normalmente e anche rivestirsi, mentre andava alla scrivania.

- Dunque, ricapitolando – il Dottor Pazzaglini si tolse gli occhiali e si massaggiò l’attaccatura del naso, mentre un ciuffo di capelli grigi gli accarezzava la fronte – Hai detto anche che hai problemi a dormire, vero? Emicrania, debolezza… -

- Sì dottore – disse Brian, mentre si rivestiva e andava a sedersi alla poltroncina di fronte alla scrivania.

- Beh, allora non ci sono dubbi, figliolo: è solo un po’ di stress. – concluse, poi scosse la testa e aggiunse – Un po’ molto, direi. Stai attraversando un periodo difficile, forse? –

A quella domanda, Brian abbassò lo sguardo. Avrebbe tanto voluto rispondere “Definisca il concetto di difficile, dottore, e le dirò se il mio periodo lo è abbastanza.”

- Sì… diciamo che ho subìto la perdita di una persona cara… e sto … sto facendo un po’ fatica ad accettarla. – disse, pensando a Riccardo com’era i primi tempi. O forse a Corrado negli ultimi…?

- Capisco – ripeté il dottore – Adesso quello che dobbiamo fare è cercare di rilassarci – glielo disse guardandolo negli occhi – Voglio che tu faccia ciò che ti piace fare. Leggi, corri, guarda un film… insomma fai ciò che ti piace. E rilassati. –

- Disegnare va bene? –

- Anche disegnare, sissignore. L’importante è che sia qualcosa che possa aiutarti a distrarre la mente. –

- Non … non può darmi un farmaco, qualcosa che mi aiuti…? –

Per tutta risposta, il medico gli rise in faccia.

- Figliolo – gli disse, parlandogli lentamente – I farmaci lasciali a quelli che non trovano nessuna via d’uscita. Lo stress molto spesso è un fattore di testa. E nel tuo caso, la testa c’è tutta, fra le cause del tuo male. Devi cercare di stare lontano dalla tua fonte di stress. E il modo migliore per farlo, sorpresa-sorpresa, è quello di tenere occupata la mente. –

- O anche allontanarsi fisicamente dalla fonte di stress…? –

- Sì, esatto. Se puoi farlo, se sai che la tua fonte di stress è lì ed è una cosa fisica, cioè palpabile. Ma se non ho capito male nel tuo caso si tratta di un lutto. Vero? –

- N-no… - mormorò Brian – Non è un lutto, ma… diciamo che ci va molto vicino: Purtroppo un mio cugino Gabriele ha tentato di suicidarsi. Ha ingerito una dose letale di barbiturici e adesso è lì in coma… - sospirò.

- Capisco… mi dispiace. Vedrai che tutto si risolverà per il meglio, per tuo cugino. Abbi fede. –

- Lo spero anch’io, dottore. Lo spero anch’io. –

Ringraziato e salutato l’anziano medico, Brian tornò da dov’era venuto, all’appartamento di Riccardo. O, per usare i termini medici del Dottor Pazzaglini, la sua fonte di stress.

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Capitolo 26
*** 26. ***


26.

 

 

 

 

Seguire a piedi un treno in corsa sarebbe forse stato più facile che seguire i consigli del Dottor Pazzaglini. In quei giorni Brian continuò a peggiorare, al punto che ormai anche le medicine avevano consegnato le armi al nemico che lo stava divorando da dentro: le aspirine non servivano più a fargli passare il mal di testa, e la sensazione di ansia aumentava ogni giorno di più. Quand’anche avesse trovato qualcosa che gli piacesse, non avrebbe potuto svolgerla perché si sentiva troppo debole. Per la prima volta dopo tanti mesi, pensò a Corrado: a cosa stesse facendo; se avesse trovato un nuovo lavoro; come impiegasse il suo tempo in solitudine. Ripensò ai vecchi tempi e alle loro serate in tranquillità sul divano a guardare i film che piacevano a uno solo dei due; alle loro cenette insieme e alle colazioni (questi pancakes sono davvero ottimi, amore!); ai loro giri di rifornimento ai supermercati… tutte cose che con Riccardo non c’erano mai state, se non all’inizio.

Disteso sul divano, provò a immaginare cosa stesse facendo, ma ciò che vide non gli piacque.

Lo vide ricominciare una nuova vita in compagnia di un ragazzino più giovane, che viziava e curava. Poi lo vedeva che si faceva in quattro per cercare un lavoro mentre il ragazzino lo tradiva. Si morse il labbro, al pensiero che la stessa cosa l’aveva messa in atto lui… scosse la testa, pensando per la prima volta di aver sbagliato a voler andare con Riccardo a tutti i costi.

 

A proposito di Riccardo: quel giorno, incredibilmente era in casa. Gli aveva chiesto se stesse bene e gli aveva dato un bacio sulla fronte, ma poi si era rintanato a dipingere e successivamente Brian l’aveva sentito entrare in bagno per farsi una doccia. Era entrato da poco, ma da quel poco che lo conosceva, sapeva che sarebbe andato avanti ancora per molto. Così Brian si era messo tranquillo come al solito, cercando di “fare tempo”: come al solito, si era messo a scorrere i post di Facebook sul suo cellulare. Carlo si era fatto sentire poco in quei giorni, forse preso da nuove avventure o perché troppo impegnato con il lavoro. Naturalmente Brian non l’aveva mai invitato a casa di Riccardo perché avvertiva da sé che se l’avesse fatto sarebbero stati guai grossi con il padrone di casa. Per cui si vedevano sempre fuori e comunicavano tramite Whatsapp.

Mentre stava scorrendo i vari post su Facebook, ricevette proprio un suo messaggio.

Ciao, sei solo?

Istintivamente, nonostante sapesse che Riccardo non rappresentava un pericolo attuale, Brian rispose: Riccardo è sotto la doccia. Dimmi pure.

Ho delle notizie che forse non ti piaceranno. Forse è meglio se ti chiamo o se ci incontriamo da qualche parte.

Non posso uscire, sto poco bene. Chiamami, rispose Brian, lanciando un’occhiata al bagno e pensando che forse poteva parlare insieme a Carlo prima che Riccardo uscisse dalla doccia.

Poco dopo il suo telefono si mise a vibrare. Rispose.

- Dimmi. –

- Roba grossa – disse Carlo, poi si fermò un attimo, forse per cercare le parole (era abbastanza incredibile pensarlo, proprio lui che aveva una sentenza per tutto) – …Il tuo amico praticamente ha mandato in tilt buona parte dei ragazzi che sono amici comuni dei miei. –

- In che senso? –

- Nel senso che non sei il primo con cui si intrattiene e tratta male. Forse sei il primo che vive con lui, però. Come mi avevi detto tu, l’ultimo della sua lista è stato Gabriele Tedeschi. Ho parlato con sua sorella, che mi ha riferito le stesse cose che già dovresti sapere. A proposito, ti saluta e ti ricorda di lasciarlo al più presto senza dirgli nulla, ma non prima di aver dato un’occhiata al suo cellulare. –

- Dovrei guardare il suo cellulare? –

- Penso proprio che dovresti farlo. Guarda il suo Whatsapp, e dimmi cosa trovi. –

Con il telefono nella mano destra, Brian si guardò intorno, cercando con gli occhi dove potesse averlo messo. Poi ritornò nel mondo reale. – Cosa? E se mi vede e s’incazza…? –

- Rimani al telefono con me. Mettiti l’auricolare, magari. Io rimango qui. Non metto giù. Però controlla…! –

- Se cerca di mettermi le mani addosso mi vieni a prendere? – domandò Brian, presagendo che qualcosa sarebbe andato storto.

- Sì, sì. Ti vengo a prendere io. Tu stai tranquillo. –

Rassicurato, Brian si alzò dal divano e andò verso lo studiolo sotto il soppalco dov’era stato fino a quel momento. Sul tavolo, poggiato come una reliquia, c’era il cellulare di Riccardo. Lo prese e inserì il codice di sblocco (il simbolo di una specie di X con una linea che congiungeva le estremità superiori, gliel’aveva visto fare parecchie volte), ottenendo così accesso alla sua vita privata.

Già una cosa saltò all’occhio: il fatto che l’icona di Whatsapp avesse ben quattro notifiche. Aprì l’applicazione, venendo inondato da altre due notifiche.

Dentro di sé si sentì gelare quando vide che le conversazioni erano tutte con altri ragazzi.

In quell’archivio c’era il campionario assortito di frasi da flirt e complimenti. Non a un solo ragazzo, ma ben a cinque doveva aver detto “Ti amo”, con i soliti cuoricini e le faccine che mandavano il bacino. Con alcuni aveva invece litigato, addirittura bloccandoli e venendo bloccato a sua volta (quelli che con lui non avevano avuto pazienza). Tra le tante conversazioni, intrattenute più o meno da quando aveva incominciato a frequentarlo, c’era anche quella con Gabriele Tedeschi, salvato proprio con il suo nome e cognome.

Provò a leggerne un po’.

Perché non mi hai più chiamato, ieri sera?

Lo capisci da solo o vuoi una risposta più o meno concisa?

Non capisco perché mi tratti così male.

Pensaci un po’, e ci arriverai anche da solo. (emoticon del pollice alzato)

Io non capisco perché mi tratti così. Mi stai facendo male. Fino all’altro ieri dicevi di amarmi. (faccina che piange)

Tu non hai mai capito che una persona ha bisogno di tempo. Tu mi opprimi, Gabriele. E io non ce la faccio più. Non sai cosa vuol dire amare una persona.

(diverse emoticon piangenti da parte di Gabriele)

A quel punto, Riccardo aveva smesso di rispondere agli altri messaggi che lo imploravano di rispondergli. Brian esaminò le date: corrispondevano più o meno al periodo in cui Riccardo gli aveva detto che il suo ragazzo lo aveva lasciato.

Ma certo, che idiota sono stato! Disse dentro di sé. Non è stato lasciato dal suo ragazzo. È stato lui ad abbandonarlo, e poi ha fatto la recita come se fosse stato lasciato. Ma… perché? Perché, in nome di Dio?

La risposta forse la conosceva, stava nelle parole di Giuliana Tedeschi, la sorella del povero Gabriele.

Riccardo è un individuo pericoloso. È un mostro. È capace di farti impazzire, come ha fatto con mio fratello.

- Allora? Stai guardando? – domandò Carlo nell’auricolare.

- Sì. Sto guardando – sussurrò Brian, abbastanza forte perché Carlo lo sentisse. E non soltanto lui…

- Avevi ragione – mormorò Brian – Cazzo. Io… io non so davvero cosa dire… -

- Ma io sì – parlò una voce, facendolo trasalire. Riccardo era dietro di lui, con l’accappatoio ancora indosso, i capelli bagnati e incollati alla faccia – Che cazzo stai facendo?!? – urlò.

Brian si ammutolì, mentre dall’altra parte Carlo chiamava ripetendolo il suo nome, ma non poté udirlo perché gli era cascato l’auricolare dall’orecchio.

E fu un attimo. Riccardo l’aggredì prendendogli di mano il cellulare, per poi spingerlo via. Debole com’era, Brian inciampò sui suoi stessi piedi e finì lungo disteso sul pavimento.

- Sei solo un pezzo di merda!!! Lo sapevo che non avrei dovuto fidarmi di te!!! Meno male che non abbiamo fatto l’unione civile!!! Nessuno potrebbe stare con te, ecco perché il tuo fidanzato non ti dava quello che io ti ho sempre dato!! E adesso mi ripaghi così??? Fai schifo!!!

- No – mormorò Brian, mentre un calore di forza gli si irradiava su per tutto il corpo, arrivando fino al cervello… e lì esplose, dando voce a tutta la sua disapprovazione.

- No!!! – Urlò Brian – Sei tu un pezzo di merda!!! Non sai amare, non sai cosa significhi essere in contatto spirituale con qualcuno!!! Hai quasi fatto suicidare quel povero ragazzo, Gabriele…!!!

Allora Riccardo scattò, provando a prenderlo a calci. Brian scartò di lato, miracolosamente rialzandosi e guadagnando la porta, aprendola.

- Vieni qui, Brian! Vieni qui o vattene per sempre!!! –

- Crepa, bastardo!!! Corrado è una persona molto migliore di te!!! Tu non saresti degno nemmeno di allacciargli le scarpe!!! Fai schifo!!! Schifo!!! Schifooo!!! –

Colto dalla rabbia, Riccardo scomparve un attimo dalla sua visuale, per poi ricomparire subito dopo con i due borsoni in una mano e il trolley nell’altra: li prese e glieli scaraventò addosso, facendolo cadere per la seconda volta in quel giorno. Poi scomparve di nuovo e tornò con le scarpe di Corrado, sbattendogliele quasi in faccia.

- Vattene a fare in culo, merdaccia! Non voglio più rivederti!

- Fottiti, pisellino moscio! – esclamò Brian, raccogliendo velocemente i suoi bagagli. Quando ebbe finito, alzò il pugno e mostrò il dito medio. Poi scese velocemente le scale, con le pantofole ancora ai piedi, mentre gli altri coinquilini del palazzo si stavano riversando sui pianerottoli per vedere cosa stesse succedendo. Fecero in tempo a godersi lo spettacolo di Riccardo che urlava improperi a Brian dalla tromba delle scale, mentre Brian le scendeva velocemente, con la gola che gli bruciava e le guance bagnate dalle lacrime.

 

*****

 

Non fu difficile rintracciare Brian. Quando Carlo arrivò, lo trovò seduto su una panchina, in un parco. Velocemente accostò al marciapiede e scese dalla macchina, andandogli vicino e guardandolo.

- Brian… ma…! Sei in pigiama! –

Per tutta risposta, Brian alzò lentamente lo sguardo e lo guardò negli occhi.

Piangeva.

Carlo fece per rispondergli, ma poi ci ripensò. Gli prese un braccio e se lo mise sulle spalle mentre lui piangeva, accompagnandolo fino alla macchina.

 

- Non so se dire “Mi dispiace” oppure “Sono cose che capitano” – mormorò Carlo mentre guidava.

Brian singhiozzò leggermente, poi prese un fazzolettino dal pacchetto che gli aveva dato Carlo, asciugandosi gli occhi.

- Va bene, ho capito… non è il caso di dire niente. –

- Quel porco. Quello stronzo… Quel… - e si strozzò la voce, per far posto a un nuovo accesso di pianto.

Comprendendo la situazione, Carlo rimase in silenzio mentre tornava a casa, aspettando che l’amico si calmasse. Quando infine arrivarono, Brian aveva consumato tutti i fazzolettini a forza di piangerci e soffiarci dentro. Carlo scese nel locale garage del suo condominio e spense il motore della Cinquecento.

- Ehi – lo richiamò – Si può sapere perché stai piangendo, adesso? Se tutto quello che mi hanno riferito le mie fonti è vero, ti dico solo una cosa: hai fatto meglio a perderlo che trovarlo, te lo garantisco. –

- Piango perché sono stato un coglione. –

- Eh, così impari a non dirmi prima con chi vai a letto, scema. Ti costava tanto dirmelo…? Sai che per me sei come un fratello… in un giorno ti avrei detto tutto quel che sapevo di lui e adesso non saremmo qui. –

Ma Brian ancora piangeva.

- Dai, stavo scherzando… non te la prendere. – gli disse, abbracciandolo dolcemente.

- Sono un coglionazzo... – altro singhiozzo.

- Ma per favore… Dai, hai solo fatto un piccolo errore. Sai cosa diceva sempre mio nonno, pace all’anima sua? –

Brian emise un suono che doveva essere un “Cosa”.

- Quella buonanima di mio nonno diceva sempre: A tutto c’è rimedio, fuorché alla morte. –

Vedendo che Brian non rispondeva, preferendo continuare a piangere, Carlo sospirò ampiamente, scendendo dalla macchina. – Ho capito, le valigie te le porto io. Ma che sia la prima e l’ultima volta, eh? –

Lentamente, Brian scese dalla macchina e prese i due borsoni, quello della palestra e quello con gli altri vestiti, mentre Carlo portava il trolley.

 

Arrivati a casa, li accolse Marisol, la mamma di Carlo, che fu contentissima di rivedere Brian dopo tanto tempo. Carlo le disse che l’amico sarebbe stato loro ospite per qualche giorno, finché non si fosse ripreso (essendo nativi argentini, si parlarono in spagnolo). Marisol fu ben felice di apprendere la notizia. Brian si affrettò a dire che non sarebbe rimasto molto, ma Marisol gli rispose che poteva stare tutto il tempo che voleva, e Brian la ringraziò.

- Naturalmente non farti scrupoli, puoi restare finché vuoi – aggiunse Carlo a un certo punto.

- Grazie… non starò molto, comunque. Il tempo di capire cosa fare… - mormorò, sospirando. Quella era la cosa più difficile, effettivamente: capire cos’avrebbe dovuto fare dopo tutto quel che era successo.

- Bene. Mamma? Cosa c’è per cena, stasera? –

- Eh, ho fatto un poco de paella…! Te gusta, la paella, Brianito?

- Sì. Mi piace. Molto. – rispose Brian, sorridendo.

- Oh, bene, bene! Allora per te, doppia porzione…! Vedo che te sei… un poco sciupato. Ma quanto è che non mangi? –

- Troppo tempo, mamma. Troppo tempo. – rispose Carlo per lui, mentre lo accompagnava in camera sua a sistemarsi.

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Capitolo 27
*** 27. ***


27.

 

 

 

 

I giorni successivi non furono proprio allegri, per Brian. La sua percezione della realtà alternava periodi di sollievo durante i quali si rendeva conto di stare bene senza Riccardo, a periodi di dolore in cui desiderava averlo ancora lì accanto a tenergli compagnia.

- Ma quale compagnia?! Bri, ma stai scherzando? Quello non era un compagno, era una palla al piede che ti portavi appresso! Uno stronzo che ti lasciava da solo mentre andava a farsi le sue avventure con altri…! –

- Sì, ma… -

- Senti, piuttosto vado a casa tua, prelevo Corrado di peso e te lo porto qui, ma tu dimentica Riccardo, va bene? – disse, guardando lo smartphone per controllare l’ora. – Adesso puoi toglierti il termometro, i cinque minuti sono passati. –

Brian si tolse il termometro da sotto il braccio e glielo porse.

- Cazzo che febbrone…! – Lo guardò con gli occhi sgranati - Sei ancora messo male, tesoro. Anche per oggi non si esce. E guai a te, se ti pesco a chiamare quel bastardo. –

- Non potrei, anche perché mi ha bloccato… -

- Eh, visto…? Lascia stare, dammi retta. –

- Però… -

- Cosa? “Però” che cosa? -

- Corrado… Devo… devo chiamare Corrado. –

– Cos’è che vuoi fare, tu? –

- Devo chiamare Corrado. Voglio sapere se sta bene. –

- Oh madre de dios…! – esclamò l’amico, sospirando e forse valutando se fosse il caso di ribattere con una battutaccia delle sue. Poi disse – Ma ne sei sicuro? –

Per tutta risposta, Brian incominciò a piangere.

 

*****

 

La salute di Brian si stava rimettendo al meglio; almeno quella fisica. La notte si svegliava sognando che riprovava a contattare Riccardo o mentre lo toccava, rattristandosi quando sua mente lo riportava alla realtà composta dal letto di fortuna di Carlo nella sua casa dove viveva con sua madre Marisol, ricordandogli che Riccardo non c’era più nella sua vita. E piangeva. Poi pensava a Corrado, che aveva lasciato quasi quattro mesi prima, e piangeva perché non riusciva a contattarlo, nonostante Carlo ci avesse provato più e più volte. Semplicemente, il suo telefono risultava staccato. Telefonare a Valeria era fuori discussione, anche perché non pensava che sarebbe stata molto d’aiuto: Per quanto le voleva bene, Brian sapeva che Corrado non si sarebbe mai rivolto alla sorella più piccola in cerca d’aiuto, perché la conosceva fin troppo bene.

 

- Niente – disse Carlo, mettendo giù il telefono – lo dà sempre come spento. –

Brian smise di camminare avanti e indietro per il tinello di Carlo, che rimase seduto con lo smartphone sul tavolo, guardando il suo amico come a chiedergli “Cosa facciamo adesso?”

Si sedette, appoggiando le mani sul tavolo e cercando di rimettere in ordine i suoi pensieri, ma non riuscì. Al pensiero di averlo perso, gli occhi gli si velarono di lacrime, che incominciarono a colargli giù dalle guance in un pianto silenzioso.

- Ascolta – gli disse Carlo a un certo punto – Tu hai ancora le chiavi di casa, vero? –

- Sì – mormorò Brian.

- Ma cazzo! E allora perché non vai a casa, scusa? Stiamo qui a perdere tempo cercando di contattarlo quando invece potresti… -

Brian lo interruppe bruscamente – …Non so se farei bene ad andare a casa dopo ciò che gli ho fatto, Carlo! Tu come la prenderesti se un ragazzo ti tradisse e poi tornasse a casa, tranquillo e beato, dopo che ti ha lasciato?! Per questo vorrei telefonargli prima. Glielo devo, almeno. –

- D’accordo, ma se lui non risponde…? A questo punto tagliamo la testa al toro e andiamoci, no? –

- Tu pensi che potrebbe essere una buona idea? –

Carlo sbuffò – Non ho la palla di vetro, Bri. Visto che non posso prevedere il futuro, ti dico di andarci e poi tireremo le somme. Ci stai? –

Asciugandosi le lacrime con la manica della camicia, Brian annuì.

 

*****

 

Se fino a quel momento non era tornato a casa di sua spontanea volontà, era stato sì per il febbrone da cavallo che gli era venuto, ma anche perché aveva paura di una cosa.

Che Corrado potesse reagire male rivedendolo dopo ciò che gli aveva fatto?

Sì, forse un po’. Ma la cosa peggiore che Brian immaginava, era di trovarlo a sua volta insieme a un altro: Vedeva se stesso aprire la porta, percorrere il disimpegno e poi vederlo spaparanzato sul loro divano con un altro ragazzo con cui stava cercando di ricostruire un rapporto. Una cosa del genere non l’avrebbe sopportata tanto facilmente, per questo avrebbe voluto prima parlare con Corrado per sincerarsi che non avesse tentato di rifarsi una vita.

- Carlo…? –

- Dimmi – gli rispose l’amico, mentre guidava.

- E se Corrado si fosse trovato un altro…? –

Con le mani sul volante, Carlo gli lanciò un’occhiata di sufficienza, come per dirgli Ma che cazzo stai dicendo, beato imbecille…?

- Dai, non guardarmi con quella faccia…! Solo perché a te non piacciono i ragazzi un po’ robusti, non vuol dire che non piacciano a tutti! Ci sono dei ragazzi a cui piacciono quelli come lui… E se ne avesse trovato uno? –

- Ma cosa vuoi che trovi…? Secondo te perché ti è rimasto accanto per così tanto tempo? Anche perché non trovava nessuno, dai! Perché dovrebbe trovare qualcuno proprio ora? Dai! –

- Grazie per essere sempre così confortante, tu! – esclamò Brian, incrociando le braccia e guardando avanti a sé.

- Non fare la scema, che stavo scherzando. Se è rimasto dieci anni con te, è anche perché con te mangiava bene. –

Senza volerlo né saperlo, Carlo aveva portato alla mente di Brian una questione ancora irrisolta. Siccome Carlo li aveva visti nascere come coppia, pensò bene di fargli una domanda importante.

- Carlo…? Tu ti ricordi come fece Corrado a conquistarmi? –

Sulle prime, Carlo non rispose, limitandosi ad aggrottare la fronte mentre guardava la strada, lasciando la domanda sospesa in attimi interminabili di silenzio.

Mentre Brian aspettava una risposta, Carlo si fermò per un semaforo rosso.

- Ricordo che… Ti aveva scritto qualcosa. –

- Che cosa? –

- Una filastrocca. O una poesia… una lettera, forse. Per quel che ne so potevano essere sue elucubrazioni personali. Ti piacque talmente tanto che decidesti di conservarla… A me parve una boiata pazzesca. –

- Cosa diceva, te lo ricordi? –

- Bah. Penso che fosse un polpettone di robe melense, che io ti dissi addirittura che non poteva averla scritta lui, figuriamoci. Mi sono sempre chiesto che cavolo mai ci avessi mai trovato, in tante parole senza senso. –

- Una lettera – mormorò Brian, mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto.

Intanto erano quasi arrivati nei pressi del loro quartiere. Brian vedeva già il negozio di ferramenta “Il Paradiso della Brugola” affacciarsi sulla strada. Provò una stretta al cuore e le farfalle nello stomaco, mentre la temperatura corporea scendeva e cominciava a tremare.

 

 

Una volta parcheggiata l’auto, Carlo non volle scendere insieme a Brian, dicendogli che quello doveva essere un momento tutto suo e che non voleva interferire. Per cui Brian scese, da solo, e si avviò verso il grande cancello d’ingresso.

 

- Sior Molteni! Ma che piacere rivederla! Ma dove l’era andato, eh? – da lontano Brian vide, la signora Visentin era fuori dal portone che passava le scale a colpi di scopettone. Si avvicinò e lei salutò cordialmente, sorridendogli con le mani giunte sul grembiule e gli occhiali da lettura che le penzolavano sul petto assicurati da un cordino verde.

- Ho avuto qualcosa da fare, signora Visentin. Le spiace se salgo un attimo? –

- Ci mancherebbe! È casa sua! Vada pure…! Se ha bisogno, sono qui. –

La donna sembrava davvero contenta che fosse tornato. Brian allora non prese nemmeno l’ascensore, ma s’incamminò a piedi verso il suo piano, il quarto.

 

Arrivato davanti alla porta, fece per prendere fuori le chiavi, ma si fermò. Aprire forse sarebbe stata una sorpresa, ma sarebbe stato più sorprendente se fosse stato Corrado ad aprirgli. Per cui mise via le chiavi in tasca e approntò il dito sul campanello.

Prima di premerlo, prese un gran respiro. Le farfalle nello stomaco stavano volando vorticosamente, facendogli girare la testa e battere forte il cuore. Emozione e paura insieme, che furono la molla che spinse il suo dito a pigiare il campanello.

Dlin-Dlon.

Attese. Da dentro però non udì altro suono che quello del campanello.

Riprovò, suonando ancora una volta. Nessuna reazione.

Pigiò e ripigiò diverse volte producendo l’effetto insistenza, ma non servì a niente: la porta rimase chiusa.

Già le sue farfalle nello stomaco si stavano calmando, mentre una miriade di pensieri cominciò a formarglisi nella mente… perché Corrado non era in casa?

- Ma perché…? – mormorò, tirando fuori le chiavi dalla tasca e infilando la più lunga del mazzo nella serratura della loro porta blindata, facendola girare una volta. Purtroppo c’era il paletto, quindi dovette girare una seconda volta in senso antiorario affinché si aprisse. Strano, pensò Brian, di solito Corrado non mette il paletto se non quando si va in vacanza. E subito il pensiero che si fosse trovato un altro e fosse andato in vacanza con lui tornò attuale.

Entrò.

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Capitolo 28
*** 28. ***


28.

 

 

 

 

All’interno, la casa era in penombra. Le imposte erano abbassate, quindi la luce che filtrava era proprio minima. Brian provò a premere l’interruttore a lato della porta per illuminare il corridoio, ma non funzionò. L’elettricità era stata staccata. Tipico di Corrado quando andavano in vacanza. Le serrande abbassate lasciavano filtrare una debolissima luce dall’esterno, creando un’atmosfera lugubre e bluastra. Brian si diresse verso il salotto e, tirando il nastro, alzò la tapparella, poi ripeté la stessa operazione con la portafinestra che dava sul balcone. La cucina era in perfetto ordine, come una casa lasciata lì durante un lungo periodo di vacanza… c’era il cesto con la frutta ancora pieno (anche se alcune banane avevano incominciato a scadere) e il frigorifero era stato svuotato.

Ispezionò anche il bagno: anche qui, tutto pulito e in ordine, con la lavatrice vuota come il cesto dei panni sporchi. Un ordine inquietante che trovò anche nella stanza da letto.

Corrado non c’era. Anzi, per quello che vedeva in quell’appartamento, era come se non ci fosse mai stato. Si guardò ancora una volta intorno, come faceva il detective Monk, uno dei telefilm preferiti da sua madre, per osservare meglio la scena e capire se c’erano indizi rilevanti. Un dettaglio che lo riportò alla speranza era che Corrado aveva lasciato i ritratti con le loro foto sul comò. Le aveva lucidate e spolverate, tanto che ora apparivano più belle e luminose. Guardò la foto che gli aveva scattato suo padre durante la festa di laurea di suo fratello Alex, alcuni anni prima: il fratello neolaureato era sorridente e Corrado era accanto a lui con un bicchiere di spumante. Davanti a entrambi c’era lui, Brian, con la corona d’alloro sulle ventitré, in un’espressione di spensierata finta saggezza… Poi girò lo sguardo, vedendo la foto in cui erano seduti a un tavolo con il particolare di una torta (Auguri Brian, +20!!!, c’era scritto sul dolce) e guardavano l’obiettivo sorridendo e tenendosi sottobraccio.

E infine, c’era una foto che Brian aveva usato pochi mesi prima per tentare di riprodurla su carta. La loro prima foto insieme. A differenza delle altre, questa era solo poggiata sulle cornici. Brian la prese in mano, trovandovi un foglio attaccato dietro con una graffetta.

- Oh…? – Tolse la graffetta e prese in mano il foglio piegato in quattro. Quando lesse ciò che c’era scritto, ebbe quasi un mancamento.

 

L’alba che cede il passo alla notte,

Risplende di frammenti di bottiglie rotte.

Il passero canta, mentre la luce abbaglia

dell’alba che da dietro il sole si staglia

Pensieri s’affacciano alla finestra del mattino

Mentre penso al tuo sguardo,

angioletto dolce e birichino

Pensieri felici, parole d’amore

Che vorrei sussurrarti per ore e ore…

Parole leggere che prima non sentivo

Sussurratemi piano dalle tue labbra, rosso vivo.

D’immense foreste, di more e lamponi

Di questo mi parlano i tuoi occhi marroni.

Di mondi fantastici che vorrei esplorare

Senza paura di poter cadere

Non troppo vicino, né troppo lontano,

Ma avendoti accanto, tenendoti per mano.

E ora sono qui, a chiedermi perché

Non riesco a farne a meno, di pensare a te.

 

Brian la rilesse più e più volte, nella calligrafia di Corrado così precisa e metodica… ed ebbe le lacrime agli occhi. Si portò una mano alla faccia, incominciando a piangerci dentro. Pianse tutte le sue lacrime, avendo ritrovato la poesia che gli aveva dedicato. La stessa che gli aveva scritto, che Corrado aveva trovato e aveva riesumato per l’occasione, ora Brian la teneva sul cuore come se fosse il bene più prezioso che di lui gli era rimasto. Si accasciò sul letto, continuando a piangere e invocando ripetutamente “scusa” a un ragazzo che non c’era.

 

*****

 

Brian girò ancora un po’ per quella casa vuota, facendosi prendere dalla nostalgia e dall’amore che provava ancora per Corrado, avendo ottenuto finalmente la prova che Corrado aveva sempre fatto sul serio, con lui. Avrebbe continuato a girare ancora per molto, se lo squillo di un messaggio Whatsapp sul suo cellulare non l’avesse riportato alla realtà: era Carlo, che dal parcheggio gli chiedeva se fosse tutto a posto e se avesse bisogno di qualcosa. Brian gli rispose che Corrado non era in casa, e non sapeva dove fosse.

Si guardò intorno, per capire se Corrado avesse lasciato qualcosa, un biglietto con un telefono o un indirizzo, ma non trovò nulla. Mentre il suo telefono vibrava di nuovo con la risposta di Carlo, a Brian venne un’idea.

 

Se c’era qualcuno a cui rivolgersi per sapere i fatti di un normale condominio, una figura istituzionale preposta alla raccolta e alla conservazione dei dati, quella era sicuramente la portinaia. E la signora Visentin non faceva eccezione: anche lei sapeva tutto di tutti. Di quelli che c’erano… e di quelli che c’erano stati.

- Devo chiedere alla signora Visentin se l’ha visto – mormorò – Ma sì che l’ha visto, lei è sempre lì che sa tutto di tutti! – esclamò, prendendo la porta e scendendo di nuovo le scale a perdifiato, come per paura di perdere l’unica cosa che ancora lo collegava a Corrado.

 

La signora Visentin aveva appena finito di dare lo scopettone fuori dall’atrio e si stava concedendo un po’ di relax seduta sulla poltrona presidenziale alla scrivania della sua guardiola. Quando vide Brian, abbassò gli occhiali da lettura e mise giù la rivista che stava leggendo, uscendo dalla porticina.

- Sior Molteni cosa fa…! Stia attento a non cadere che ho dato la cera sulle scale. Ha fretta? –

- Oh, signora Visentin, meno male che l’ho trovata. Senta, ma… il mio ragazzo, l’ha mica visto ultimamente? -

- Dice l’ingegner Ottonelli? Guardi, io è da due mesi che non lo vedo. Non l’ho visto uscire di casa per giorni, poi lo vedo una mattina mentre ero con mio marito lì  fuori dal parcheggio (sarà stato… eeeh… Prima o dopo Pasqua, non ricordo), che portava giù una valigia e un borsone e li caricava nella sua macchina. Mio marito Toni gli fa: Se ne va in vacanza, ingegnere? E lui: Sì, vado giù in Umbria dai miei, ho bisogno di una vacanza. E mio marito … -

Prima che potesse raccontargli tutti i dettagli, Brian la fermò educatamente, ringraziandola.

- Quindi vi ha detto che stava andando in Umbria? A casa dei genitori? –

- Sì, sì! Così ha detto. Poi se ha mentito, guardi non lo so, non posso dire. – la signora Visentin rise, mostrando i denti bianchissimi della sua dentiera.

- Capisco – rispose Brian. Poi sorrise alla donna – La ringrazio, signora Visentin. –

- Ma s’immagini, per così poco. Se vede l’ingegnere, me lo saluti tanto e gli dica che se vuole posso andare su a bagnargli le piante. Quando l’abbiamo visto con mio marito sembrava abbastanza preso, per cui non me l’ha chiesto e non mi ha neanche lasciato le chiavi…! –

Era uno dei dettagli che aveva notato Brian: le piantine del terrazzo che stavano morendo. Allora prese fuori il suo mazzo di chiavi e le porse alla donna, mettendogliele in mano.

- Tenga. So che farà un buon lavoro. –

- Va bene, gliele bagno io. –

- Ora devo proprio andare, signora Visentin. Mi scusi. – disse Brian, e girò la schiena per andarsene.

- Sior Molteni…? – lo chiamò la donna.

Brian si girò – Sì, signora Visentin? –

La portinaia aveva un’espressione grave sul volto, che Brian immaginò fosse lo stesso che usava quando doveva contestare qualcosa ai suoi nipotini, i figli dei suoi figli. In fondo anche Brian poteva essere un suo nipote, e in quel momento si sentì proprio come tale, anche dopo quello che l’anziana signora gli disse.

- Giovanotto – cominciò a parlargli, in tono solenne con quel marcato accento veneto – Io a ottobre prossimo compirò settantadue anni. Ho un figlio, una figlia e quattro bellissimi nipotini. Nessuno me l’è venuto a dire, ma io so che cosa è successo tra Lei e l’ingegnere – disse, mentre continuava a guardarlo negli occhi. Con le mani consunte ma curate gli prese quelle tozze e morbide di Brian – Perciò le dico, giovanotto: non sia sciocco, e guardi bene ciò che la vita le ha dato. Un po’ de confusione ogni tanto può capitare, ma quando si sente confuso, lei guardi negli occhi del suo fidanzato, e ritroverà immediatamente la strada. Glielo dico come se fosse mio nipote. E non se lo dimentichi mai. –

Brian aprì la bocca, forse nel tentativo di dire qualcosa, ma quel qualcosa gli morì in gola quando la donna gli strinse debolmente le mani e gliele lasciò dopo un ultimo, intenso sguardo. Ringraziandola, tornò a girarsi lentamente e poi uscì dal portone, tenendosi la faccia con una mano, mentre piangeva.

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Capitolo 29
*** 29. ***


29.

 

 

 

 

- A Perugia?!? – aveva esclamato Carlo quando Brian gli aveva comunicato ciò che aveva appena saputo dalla portinaia, mentre si asciugava le lacrime e tirava su col naso.

- Sì… la signora Visentin ha detto così. – Sospirò, cercando di dominare un nuovo accesso di pianto, senza successo. Quindi esplose nuovamente in un pianto strozzato, singhiozzante. Disperato.

Accanto a lui, Carlo rimase con le mani sul volante, tamburellando con le dita. Poi tirò fuori il pacchetto di sigarette che teneva nel taschino della giacca e se ne accese una. Non fece il gesto di offrirne una a Brian perché era l’ultima, però in compenso gli disse qualcosa di utile.

- Brian…? –

Ma l’amico non l’ascoltò, continuando a piangere ed a scartare fazzoletti.

- Brian…? – richiamò, con tono più dolce. Nemmeno questo servì.

Allora Carlo gli fece un fischio con le dita, talmente acuto che Brian saltò sul sedile. Si asciugò le lacrime e si massaggiò l’orecchio lacerato dal suono acuto di poco prima.

- Ma che… sei diventato scemo? Cazzo ti fischi? –

- Devo fischiare per forza! Ti chiamo e non mi ascolti…! Voglio dirti una cosa: continua a piangere così e vedrai che prima o poi torna, il tuo Corrado. –

Cogliendo l’ironia, Brian lo guardò seccato - E cosa dovrei fare, secondo te? –

- Semplice: Prendi e vai da lui. Che ci vuole? –

- Una macchina, forse? E prima ancora di quella, la patente? – tirò su col naso – E poi da quando in qua sei un esperto in rotture sentimentali? –

- Bimba, io sono esperto d’amore da quando tu ancora non sapevi come infilarti le mutandine – disse Carlo, scrollando la cenere della sigaretta fuori dal finestrino – E poi non serve necessariamente una macchina, per arrivare fino a Perugia. Basta un biglietto, un treno e il gioco è fatto. –

- Ma… -

Buttato il mozzicone fuori dal finestrino, Carlo prese la faccia di Brian tra le sue mani, avvicinandosi e guardandolo negli occhi come un innamorato.

- Ehi, ma che stai facendo? – Brian cercò di divincolarsi, ma Carlo lo trattenne dandogli uno schiaffetto sulla guancia destra e intimandogli di stare tranquillo, che voleva solo parlare.

- Voglio farti una domanda. Che cosa provi in questo momento? Pensaci bene, non voglio una risposta buttata lì. –

- Tristezza – rispose Brian, velocemente.

- Perché? –

Ci pensò su. Carlo lo vide chiudere gli occhi per un secondo, per poi riaprirli – Mi manca Corrado, e penso che se ne sia andato perché non voglia più rivedermi. –

- Perché pensi che non vorrebbe più rivederti? –

- Perché ho fatto una cazzata. Un’enorme cazzata. E lui adesso se n’è andato… Ho rovinato tutto… Tutto. –

Carlo fece un sorrisetto compiaciuto, tanto che Brian sentì il suo fiato puzzolente di sigaretta uscirgli dal naso e colpirgli il labbro superiore.

- Ascoltami bene, cucciolotta mia – gli disse, parlandogli molto vicino alle sue labbra, i suoi occhi riflessi in quelli di Brian – Quando fai una cazzata, hai due scelte possibili: Uno, fare finta di niente sperando che cada nel silenzio; due, assumerti le tue responsabilità e fare del tuo meglio per cercare di rimediare. Pillola blu o rossa, uno o zero. A te la scelta. È semplice. Tu vuoi cercare di rimediare? –

Brian annuì lentamente.

- Non ho sentito bene. –

- Sì, ho detto di sì! –

- Ottimo. Allora sai già cosa fare. – disse, e gli schioccò un veloce bacio sulle labbra. Poi l’abbandonò sul sedile.

- Non farti strane idee – disse poi Carlo – Sai che ti voglio bene come a un fratello. Anzi, come a una sorellina. –

Brian lo guardò, poi, per la prima volta dopo tanti giorni, rise di gusto, quasi istericamente. Per un po’ Carlo restò zitto, ma venendo poi trascinato dall’euforia di Brian, si mise a ridere anche lui.

- Sei proprio una stronza, sorellina! –

- Lo so – ribatté Carlo, con la sua espressione da “baciami-le-chiappe-sono-una-star” - È per questo che mi vuoi bene, no? –

- Disgraziatamente, sì. –

Carlo gli sorrise dolcemente. – Bene. Adesso che abbiamo riso, vediamo come fare per farti riappacificare con tuo marito. –

Ciò detto, girò la chiave della Cinquecento e mise in moto.

 

*****

 

Le speranze di Brian si spensero quando chiese a Carlo se intendeva accompagnarlo a Perugia.

- Ma stai scherzando?! Da qui saranno più di quattrocento chilometri! Fino a Perugia ci vai da solo, se ci tieni tanto a riprendertelo, cara! – aveva detto mentre guidava.

 

Erano tornati a casa, e lì Brian fece una selezione dei vestiti che avrebbe potuto portarsi per il viaggio. Stava pensando che forse avrebbe dovuto portarsi il trolley e il borsone, ma poi gli venne in mente l’infausta prospettiva che lo vedeva tornare a casa con le pive nel sacco, quindi si portò solo lo stretto necessario. In più Carlo gli suggerì che non poteva portarsi appresso un borsone: gli sarebbe stato scomodo e d’intralcio.

- Allora tu cosa suggerisci? – gli domandò Brian.

Carlo ci pensò su un momento, poi spalancò gli occhi e aprì la bocca: l’effetto fu analogo a quando nei fumetti un personaggio ha un’idea folgorante e gli si accende una lampadina sulla testa. Lo vide rovistare dentro il suo armadio, fino a tirarne fuori qualcosa.

- Questo…? Ma… è… -

- Eh sì. È proprio lui… – disse Carlo, sorridendo di nostalgia. – Il mio vecchio Invicta. Ah, quanti ricordi… -

Lo zaino, che Brian ricordava sulle spalle di Carlo ai tempi della scuola, era un vecchio Invicta nero con le finiture rosa. Sopra c’erano scritte un sacco di dediche e simboli con il pennarello nero, che ora si vedevano a malapena: era stato lavato e posto a riposo nell’armadio, ma conservava ancora il suo fascino rétro.

- Usalo – gli intimò – Magari ti porterà fortuna. –

- Lo spero proprio – mormorò Brian, cominciando a infilarci dentro gli indumenti che aveva scelto per il viaggio.

 

*****

 

Lo zaino di Carlo sulle spalle gli dava un’aria da liceale. Se si fosse tagliato la barbetta incolta che gli era cresciuta durante la permanenza (meglio: prigionia psicologica) con Riccardo, sarebbe potuto entrare tranquillamente in una scuola e confondersi con gli studenti.

Naturalmente a quell’ora non c’erano scuole aperte, mentre lui si trovava in stazione insieme a Carlo, che accanto a lui guardava il tabellone per capire da quale binario sarebbe partito il treno di Brian. Intorno a loro, il viavai di gente e il brusio sommesso, sovrastato a volte dall’altoparlante che annunciava i treni in arrivo e in partenza, su Brian stavano avendo un effetto quasi calmante. Fece finta di stare fuggendo, andando via da Riccardo in modo da poter riabbracciare il suo Corrado, che per dieci anni l’aveva sopportato finché non era successo tutto quanto… l’errore più grande della sua vita.

- Che ore sono? – domandò Brian.

Carlo tirò fuori il cellulare e premette il pulsante di stand-by, illuminando lo schermo – Le sei meno dieci. Fra poco ci siamo, ma non capisco perché ancora non l’abbiano… - stava per dire “annunciato”, ma s’interruppe quando un nuovo annuncio venne diramato dall’altoparlante, e si mise all’ascolto. Brian lo guardò: sembrava un cane che ha appena drizzato le orecchie al fischio del suo padrone.

“Treno FrecciaRossa delle diciotto e undici per Salerno è in partenza dal binario nove. Ferma a: Bologna Centrale, Firenze Santa Maria Novella. …”

- …eccoci. Al binario nove! – esclamò Carlo, incominciando a camminare verso la zona dei binari.

- Ehi, aspettami! –

 

Poco dopo erano saliti sul treno. Il posto di Brian era in una carrozza ancora semivuota, ma che si sarebbe riempita a breve. Il treno arrivava fino a Salerno, ma lui sarebbe dovuto scendere prima.

- Hai capito dove devi scendere, vero? –

- Sì. A Firenze. –

- Esatto. E da lì, quale devi prendere? –

- Per Foligno. E poi scendere a Perugia. –

- Bravissimo! Vedo che hai imparato in fretta! –

- Scema – lo rimbrottò Brian, ridacchiando mentre si accomodava sulla poltrona – Saranno secoli che prendo il metrò, non vorrai mica spiegarmi come si fa a prendere un treno, no? –

Carlo sospirò, scuotendo la testa in uno scherzoso atteggiamento disperato, poi disse – Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni? Ti ho detto che non mi va di arrivare fino lì in macchina, però posso venire con te qui in treno. –

Brian guardò l’amico, che nel frattempo si era accomodato accanto a lui e lo guardava di rimando.

- Ti ringrazio – disse Brian – Ma questa cosa devo risolverla da solo. Sono io che ho sbagliato, ed io riparerò. O almeno… ci proverò. – distolse lo sguardo, sospirando.

- Come vuoi – rispose Carlo, alzandosi dal sedile. Gli batté una mano sul ginocchio e si allungò per baciargli entrambe le guance. Si abbracciarono forte.

 Rimasero lì per molti secondi, durante i quali a Brian sembrò di sentire che Carlo stava singhiozzando. La sua impressione fu confermata da Carlo, che prese una gran boccata di fiato e si asciugò un po’ gli occhi.

- Carlo…? – chiamò Brian, ma la sua voce fu sovrastata da quella dell’amico.

- Niente – disse l’amico, poi alzò la voce – Vai e torna vincitore. E ricorda che se mi chiami per venirti a riprendere qui in stazione, m’incazzerò come una belva con Corrado e lo prenderò a calci in culo finché non ti riprenderà, fosse l’ultima cosa che faccio, cazzo! – esclamò, mettendo le mani chiuse a pugno sui fianchi contemporaneamente alzando il mento, in una posa da dittatore che fece ridere di gusto Brian.

Mentre si ricomponeva, disse – Buona fortuna, Bri. –

- Hasta luego, hermano – disse Brian.

- Hasta la vista, chico – rispose Carlo, e si diedero la mano in una carezza, poi chiudendola a pugno e incontrandoli.

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Capitolo 30
*** 30. ***


30.

 

 

 

 

Con le cuffie nelle orecchie, ascoltando una canzone di Samuele Bersani (Senza Titoli), Brian guardava fuori dal finestrino il mondo che correva veloce. Veloce com’erano passati gli anni insieme a Corrado. Tra alti e bassi erano stati anni felici, tutto sommato. Ma dov’era finita quella felicità che entrambi avevano provato anni prima, quando Brian aveva deciso di cedere alle avances di Riccardo, scoprendo poi che era tutta una facciata, perché il ragazzo non era in grado di amare nessuno oltre a se stesso…? Che cosa sarebbe successo se Brian non fosse andato mai via per tutto quel tempo? La loro relazione sarebbe comunque entrata in crisi oppure no?

Seppur obnubilato dal pensiero di Riccardo, Brian non credeva si potesse parlare di crisi, tra di loro… Lui sentiva ancora il desiderio di rapporto con Corrado. L’aveva sentito fino all’ultimo, quando si era concesso a lui dopo la storia della promozione. E gli era anche piaciuto, tanto che per un po’ aveva pensato di abbandonare Riccardo e tornare a concentrarsi su Corrado. Ma poi Riccardo aveva messo in atto le sue strategie aggressive e manipolatorie per attirarlo a sé, per chissà quale motivo, e lui ci era cascato con tutte le scarpe. Il pensiero gli fece provare collera nei confronti di Riccardo. Non si sentiva così da quando aveva scoperto che qualcuno aveva messo in giro la voce che si concedeva sessualmente nei bagni del liceo. Ora come allora, avrebbe voluto trovare il responsabile e farlo a pezzi, proprio come Riccardo aveva fatto con lui. Dentro di sé sperò con tutto il cuore che qualcuno prima o poi gli avrebbe distrutto quello specchio deformante che era il suo smisurato ego, mettendolo di fronte alla sua vera e schifosa natura.

- Non ci pensare più – mormorò a se stesso – Adesso pensa a Corrado. –

E pensò, mentre infilava le cuffie e ascoltava una nuova canzone per ingannare il tempo.

 

*****

 

Molti anni prima, 2008.

L’orientamento degli studenti in uscita dalle scuole superiori cominciava già allora a essere un’esigenza molto sentita. Il liceo artistico dove studiavano Brian e Carlo aveva incominciato a organizzare seminari e incontri dedicati all’orientamento già da settembre, quando gli studenti si apprestavano a cominciare il loro ultimo anno. Tra queste iniziative, il vicino Politecnico aveva organizzato una piccola fiera dell’orientamento al suo interno: desks informativi dove studenti o docenti della facoltà rilasciavano opuscoli e gadget sui corsi che si potevano frequentare. Brian aveva già una mezza idea di intraprendere la carriera di architettura, così, insieme a Carlo, era andato alla giornata della presentazione dei corsi universitari.

Qui, era stato attratto da un ragazzo che stava in piedi dietro il suo stand e spiegava ad altri ragazzi come lui che cosa facevano nel loro corso di laurea e i possibili sbocchi professionali.

 

…Bisogna essere dei maghi in matematica, per frequentare questa facoltà?

Nel fare quella domanda, Brian si era già preparato a una risposta affermativa, con tanto di panegirico sulla memoria e la mentalità logica.

Assolutamente no, aveva risposto quel ragazzo con i capelli mossi che gli accarezzavano la fronte, è sufficiente avere un po’ di curiosità ed essere disposti ad andare avanti anche quando le difficoltà sembrano insormontabili.

Più che dall’aspetto fisico del ragazzo, che era quanto di più vicino fosse a un ragazzo della porta accanto (un po’ di pancetta e i fianchi un po’ larghi, gli occhiali sul naso e la faccia da Nerd), Brian rimase affascinato da quella risposta, mentre il ragazzo continuava a parlargli amichevolmente dal desk dietro al quale era appeso uno striscione blu che strillava “Facoltà di ingegneria, dove risolvere i problemi diventa un’arte” a lettere bianche, contornato da disegni di ingranaggi e planimetrie stilizzate. Rimase a parlargli per tanto tempo, rivelandogli che lui in matematica arrivava a malapena al quattro (quattro e mezzo quando andava bene) e che gli sarebbe piaciuto frequentare architettura. Sebbene in un secondo momento il ragazzo dietro il desk gli avesse detto che ingegneri e architetti non si vedessero di buon occhio, si era offerto di insegnargli un po’ di matematica. Prima che Carlo ricomparisse, dichiarandogli che era stanco di girare e che voleva andarsene a casa, Brian aveva già ottenuto il cellulare del ragazzo, uno studente di ingegneria di nome Corrado.

 

Era cominciata così una frequentazione all’apparenza senza interesse, ma che lentamente aveva iniziato a diventare qualcosa di più. Fu durante uno dei loro incontri di studio: Brian entrò in argomento parlando di danza e di come da ragazzino avesse imparato a ballare il Charleston, un vecchio ballo risalente agli anni ’20.

Corrado?

Sì?

Tu sai ballare?

A quella domanda Corrado aveva lasciato la penna e l’aveva guardato, poi aveva riso.

Dico, ma mi hai visto? Ci vuole coordinazione, per ballare. Ed io in educazione fisica arrivavo al quattro e mezzo quando mi andava bene.

Pensavo che magari ti avrebbe fatto piacere imparare.

Oh, beh…! Sono sempre curioso di apprendere qualcosa di nuovo, aveva detto Corrado con un sorriso. E così avevano incominciato a scambiarsi le loro conoscenze.

 

Naturalmente Brian ignorava l’orientamento sessuale di Corrado. Il ragazzo poi non gli aveva mai parlato di ragazze o fidanzate, preferendo concentrarsi di più su numeri e teoremi. Corrado invece sapeva che Brian era gay, per gentile concessione di Carlo, che ogni volta che si presentava davanti a Corrado, assumeva sempre il suo solito atteggiamento da donna mancata. Durante la loro prima uscita a tre, Carlo diede il peggio di sé, tanto che Brian ne fu notevolmente imbarazzato, chiedendo scusa a Corrado per come era stato trattato dall’amico. Corrado gli aveva risposto che per lui non c’era problema, che era abituato a trattare con gente come Carlo e che poteva stare tranquillo che sarebbero usciti nuovamente insieme. Una volta riferita la reazione a Carlo, questi aveva risposto che si era comportato così per “metterlo alla prova”. Quando Brian gli aveva chiesto cosa ci fosse da provare, Carlo aveva risposto Per esempio, potremmo provare che uscire con te lo imbarazza oppure che deve mantenere un’immagine pubblica. In quel caso ti consiglierei di lasciarlo stare, se solo hai anche la mezza intenzione di provarci.

Ma Brian non aveva alcuna intenzione di provarci con Corrado. Anche perché in genere erano gli altri che ci provavano con lui, ma soprattutto perché quello che c’era tra lui e Corrado era (o credeva che fosse) soltanto una frequentazione interessata solo alla conoscenza e allo scambio reciproco di competenze, totalmente diversa da tutte le altre poche frequentazioni che aveva avuto, esclusivamente orientate alla conoscenza sessuale e null’altro.

Ma le sue convinzioni cominciarono a vacillare quando fecero la prima uscita a quattro: insieme a loro, c’era anche Franco, l’uomo che frequentava Carlo quando ancora aveva intenzione di fare le cose sul serio con qualcuno. Mentre erano insieme tutti e quattro, l’uomo aveva chiesto a Brian e Corrado da quanto tempo fossero fidanzati. I due si erano guardati e poi l’avevano riguardato imbarazzati, dicendo che non erano fidanzati ma semplicemente amici. Allora Franco si era scusato ridendo, ma aveva soggiunto Voi due state proprio bene insieme. Secondo me, potreste formare una bella coppietta. A quell’affermazione, Brian era arrossito violentemente, portandosi una mano davanti alla bocca e ridacchiando. Corrado aveva fatto più o meno lo stesso, ma aveva anche detto qualcosa di molto bello, che lasciò Brian leggermente interdetto.

Beh…! Sicuramente non ci annoieremmo, visto che abbiamo molte cose in comune.

Nel sentire quelle parole, Brian fu sorpreso. Si sarebbe aspettato che il ragazzo, per quel che ne sapeva eterosessuale convinto, avrebbe risposto in maniera tranciante, per esempio dicendo “No grazie, ho altri gusti”, oppure in maniera più moderata, magari con un “Se dovesse andarmi male con le ragazze, magari penserei a Brian”; invece Corrado aveva risposto in una maniera molto dolce, che per un attimo gli fece battere il cuore.

 

Ma di batticuore, quelli veri, sarebbero arrivati dopo. Un giorno, Brian era a casa di Corrado per i soliti esercizi di matematica. A un certo punto Corrado aveva aperto un discorso un po’ intimo, su cui magari lui poteva dargli una dritta.

Ho… ho scritto… una… diciamo, una poesia d’amore. E vorrei farla leggere alla persona per cui l’ho scritta. Ma non so se potrebbe… apprezzare, diciamo. Nella sua ingenuità di diciottenne, Brian non aveva colto l’imbarazzo e la difficoltà con cui stava parlando Corrado. Si era limitato a guardarlo con gli occhi sgranati, mentre un ciuffo dei lunghi capelli rossicci gli ricadeva sugli occhi.

Vuoi un parere da me? Ma non sarebbe meglio se lo facessi vedere a tua sorella Valeria?

Ehm… no, perché… Scusami. Se non vuoi leggerla, non c’è problema.

No, dai. Insisté Brian, fammela leggere. Coraggio.

Va bene, rispose Corrado, e dall’astuccio tirò fuori un foglio a quadretti ripiegato in quattro, lo stesso che, una decina d’anni dopo, avrebbe fissato dietro una fotografia, lasciandola in vista sul comò della stanza da letto, prima di andarsene.

Brian incominciò a leggere la poesia.

 

L’alba che cede il passo dalla notte,

Risplende di frammenti di bottiglie rotte.

Il passero canta, mentre la luce abbaglia

dell’alba che da dietro il sole si staglia

Pensieri s’affacciano alla finestra del mattino

Mentre penso al tuo sguardo,

angioletto dolce e birichino

Pensieri felici, parole d’amore

Che vorrei sussurrarti per ore…

Parole leggere che prima non sentivo

Sussurratemi piano dalle tue labbra, rosso vivo.

D’immense foreste, di more e lamponi

Di questo mi parlano i tuoi occhi marroni.

Di mondi fantastici che vorrei esplorare

Senza paura di poter cadere

Non troppo vicino, né troppo lontano,

Ma avendoti accanto, tenendoti per mano.

E ora sono qui, a chiedermi perché

Non riesco a farne a meno, di pensare a te.

 

 Brian rilesse tre o quattro volte, finché non alzò gli occhi e guardò Corrado, che in silenzio attendeva un giudizio.

È… è stupenda.

Tu… tu dici?

Assolutamente. È … qualcosa di straordinario, originale. Complimenti, Corrado. Ma come hai fatto?

Oh, è stato facile. Mi è bastato pensare alla persona a cui l’ho dedicata.

È stupenda. Di nuovo complimenti.

Grazie. Grazie, Bri. Sono contento ti sia piaciuta. Quindi dici che… che potrei presentarla alla persona di cui mi sono invaghito?

La domanda gli spezzò il cuore per un momento. Non sapeva nemmeno lui perché, ma l’idea che Corrado avrebbe potuto frequentare una ragazza in futuro, lo rattristava. Sospirò, quindi annuì, aggiungendo un sorriso per buona misura.

Sono sicuro che avrai successo, gli disse. Corrado ringraziò e si riprese la poesia, ripiegandola in quattro e rimettendola al suo posto.

 

Per qualche giorno Brian pensò che forse Corrado stesse preparando il terreno per corteggiare quella ragazza a cui aveva scritto quella poesia, sentendosi sconfortato al pensiero di ciò. Pensava che avrebbe dovuto dire ciao a tutti i loro pomeriggi insieme e alle loro uscite, oppure avrebbe dovuto sopportare che una ragazza potesse prendersi lezioni di matematica al suo posto. Comunque, i loro incontri di ballo non erano ancora terminati. Corrado li frequentava con passione e stava già imparando discretamente alcuni passi.

 

Senti, ti andrebbe di ballare un po’ di swing? Gli aveva proposto Corrado, tirando fuori un CD. Brian aveva acconsentito sorridendo, senza dire che lui non era pratico dello swing. Comunque avevano incominciato a ballarlo, con Corrado che sembrava averlo imparato da solo, tanto era bravo, e Brian che faceva fatica a tenergli dietro. A un certo punto si erano fermati, e Corrado aveva messo in pausa lo stereo. Il locale dove si allenavano era la sala hobby del padre di Brian, convertita per i loro incontri didattici in saletta da ballo.

Beh, complimenti…! Sei stato molto bravo!

Non dire sciocchezze… sono stato un disastro, invece. Come mai ti è venuto di ballare lo swing, se posso chiedertelo?

Perché… ho voluto farti vedere com’ero migliorato. E mi sono messo a imparare un ballo diverso, perché non mi sentivo sicuro di poter ballare il charleston.

Ah, capisco…! Esclamò Brian, guardandolo. Gli aveva sorriso.

Con le mani ancora in tasca, Corrado si era avvicinato. Erano rimasti lì a guardarsi per lunghi attimi senza dire nulla, quando all’improvviso una musica incominciò a diffondersi dagli altoparlanti.

Le note erano quelle dolci della colonna sonora di un film romantico molto famoso, Il tempo delle mele.

Corrado aveva teso lentamente la mano a Brian, che senza dire nulla gliel’aveva presa. Avevano incominciato così a danzare lentamente, a tempo della musica che li accompagnava. Brian con la testa poggiata sulla spalla di Corrado, mentre gli cingeva dolcemente la vita e gli teneva l’altra mano nella sua.

Quel contatto stava agendo in modo potente su Brian, facendogli battere forte il cuore. Era una bella sensazione, che non aveva mai provato con nessun altro prima. Si avvinghiò ancor di più a Corrado, avvertendo il suono del suo respiro insinuarsi tra le note della canzone, e aspirando il suo profumo, una fragranza che molti anni dopo avrebbe annusato indosso a un uomo di nome Riccardo, che all’epoca apparteneva a un futuro che nessuno dei due poteva conoscere.

Avevano continuato a ballare fino a metà della canzone, fino a che Brian si era staccato leggermente da Corrado per guardarlo negli occhi.

Corrado l’aveva guardato allo stesso modo, prima di socchiudere gli occhi e avvicinare il volto a quello di Brian, che aveva fatto lo stesso.

Le loro labbra si erano quindi unite in un dolce bacio, stretti l’uno contro l’altro e accompagnati dalla musica che lentamente stava terminando. Per un momento, Corrado si staccò delicatamente dalle labbra di Brian, quindi prese fuori un foglio piegato in quattro dalla tasca, e glielo mostrò tenendolo tra le due dita.

Questa poesia era per te, gli aveva sussurrato, Sei tu la persona a cui pensavo quando l’ho scritta.

Neanche lui gli aveva detto Ti amo, almeno non sul momento. Eppure Brian l’aveva capito lo stesso. In quel momento pensò a una sola cosa, apparentemente senza senso: non sto sognando. Mi sta davvero succedendo.

Avevano continuato a ballare, scambiandosi sguardi e baci, felici di essere lì, insieme.

 

*****

 

Brian fu riportato bruscamente alla realtà da una mano che lo scrollò dolcemente, costringendolo ad aprire gli occhi.

- Biglietto, prego – disse il controllore, un uomo sulla cinquantina con la barbetta bianca e gli occhi azzurri.

Lentamente, Brian tirò fuori dalla tasca il foglio ripiegato e glielo porse.

- Bene, grazie. –

- Mi scusi, quanto manca a Perugia? –

- Poco, siamo quasi arrivati – rispose l’uomo.

- Grazie. –

- Si sente bene? –

Brian tirò su col naso. Effettivamente si sarebbe sentito meglio se il controllore l’avesse lasciato dormire e continuare a sognare del suo passato insieme a Corrado… tuttavia disse di sì, che stava bene.

- Mi scusi se gliel’ho chiesto, ma aveva gli occhi arrossati. Se ha bisogno chiami pure. – disse l’uomo in divisa, e dopo averlo salutato scomparve dietro la porta che conduceva al prossimo vagone.

Con un dito si tastò la guancia, scoprendo che era bagnata. Guardandosi nel riflesso del vetro, scoprì che i suoi occhi erano appunto arrossati, come se avesse appena pianto.

Sospirò, asciugandosi gli occhi, pensando che era ormai vicino a un grande bivio della sua vita. Quel bivio era la città di Perugia, e al centro del bivio c’era Corrado, che lo aspettava a braccia incrociate.

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Capitolo 31
*** 31. ***


31.

 

 

 

 

Poiché era arrivato a destinazione durante la notte, Brian pensò che non poteva piombare a casa di Corrado a quell’ora, per cui andò in un albergo poco lontano dalla stazione. Il mattino seguente uscì e cominciò a cercare di ricordare dove abitasse Corrado.

In passato erano stati ospiti a casa dei genitori di Corrado. Ricordava anche che lavoro facevano i suoi genitori: suo padre era un docente universitario, mentre la madre era una pediatra. A quanto ricordava però, erano entrambi in pensione, quindi sarebbe stato difficile trovarli su qualche elenco.

Come si chiama il padre di Corrado…? Pensò, mentre sedeva su una panchina del parco con lo zaino in mezzo alle gambe. Comincia per V… Vi… Viviano, Vincenzo, Vito…?

Si spremette le meningi, quando la memoria sembrò assisterlo: Corrado ricordava che suo padre si chiamava come quell’attore famoso morto tanti anni prima.

- Vittorio! – esclamò, - Sì, si chiama Vittorio! –

Brandì il cellulare e cercò l’indirizzo sulle Pagine Bianche. Ormai Corrado era sempre più vicino, poteva sentirlo con il suo corpo, nella sensazione di smarrimento e di freddo che lo pervase appena trovò l’indirizzo della casa del padre.

 

*****

 

Una cosa che imparò da quel viaggio, fu sicuramente che i taxisti di Perugia erano persone oneste: scelse uno dei taxi in sosta davanti alla stazione e salì. Quando comunicò l’indirizzo, l’autista sgranò gli occhi, sorpreso.

- Città della Pieve è in provincia. È tariffa extraurbana. Le va bene? –

- Sì, va bene. Non c’è problema. –

Il viaggio in taxi fu un po’ lungo, ma tutto sommato piacevole. Guardando la strada, Brian ricordò il percorso fatto insieme a Corrado con la sua Opel Corsa azzurrina, mentre l’autoradio suonava tutte le canzoni che piacevano a entrambi, da Rosso Relativo di Tiziano Ferro a Fotoromanza di Gianna Nannini, più alcune di Robbie Williams e Madonna. Bei ricordi, che preludevano ad altri ancora più belli.

Mentre il paesaggio di campagne e valli scorreva fuori dal finestrino del taxi, Brian pensò che forse era anche per quello che Corrado era tornato a casa: quel territorio così bucolico e aperto alle prime calure tardo-primaverili, doveva essere il luogo perfetto per fermarsi un momento e meditare. E forse così stava facendo Corrado. Si stava curando la ferita che lui gli aveva inferto andando con Riccardo. Adesso anche lui aveva una ferita, e il meglio che poteva fare era cercare di curare almeno quella di Corrado.

 

*****

 

Il taxi giunse nei pressi di una via leggermente in pendenza, dove la mente di Brian entrò in fibrillazione appena vide l’Opel Corsa azzurrina di Corrado parcheggiata accanto al marciapiede.

- Si fermi qui, per favore – disse Brian, tirando fuori una banconota da cento euro che porse al tassista – Tenga il resto – gli disse. Dopo averlo ringraziato, scese.

 La casa dei genitori di Corrado era una bellissima villa ottocentesca a due piani, con le finestre delle scale in ferro battuto intarsiate da vetri colorati e un patio dove erano sistemati un tavolo da giardino e delle sedie intorno. Ai lati del cancello sorretto dalle colonne in mattoni, c’era una targhetta dorata di quelle professionali, che recitava Dott.ssa Paola Ottonelli sulla riga superiore, Psicologa – Psicoterapeuta nella riga inferiore. Immediatamente Brian si ricordò di Paola, la sorella maggiore di Corrado, quella che mentre i suoi genitori, suo fratello e sua sorella erano su al Nord, aveva deciso di rimanere a casa insieme ai nonni. L’ultima volta che era stato lì, stava per terminare gli esami. Ora doveva aver percorso la sua strada e si era aperta lo studio direttamente a casa.

Muovendosi come un ladro, Brian si avvicinò al cancello e suonò uno dei campanelli.

- Sì? – gli rispose la voce gracchiante di una donna.

- Ehm… sono … sono Brian. C’è Corrado…? –

- Brian…? – domandò la voce, poi aggiunse – Oh, Brian! Sì. – dopodiché sentì il cancelletto scattare, segno che poteva entrare.

 

Entrato, si ritrovò nel giardino della casa di Corrado, lasciandosi quasi guidare dal cinguettio degli uccellini sugli alberi. Arrivato alla porta, che si stava aprendo, fu accolto da una ragazza mora, alta come lui, con gli occhiali e ben vestita.

- Ciao, Paola – la salutò Brian.

- Ciao Brian…! Come stai? – lo salutò la ragazza, andandogli incontro per abbracciarlo. Brian l’abbracciò di rimando, mentre lei gli baciava entrambe le guance.

- Non molto bene – disse Brian, con un’espressione grave dipinta in volto – C’è Corrado? –

- No, è in parrocchia. Come ogni domenica, allena i pulcini della squadra di calcetto parrocchiale. –

La passione per il calcio, uno sport che l’aveva visto eccellere in gioventù e verso il quale Corrado conservava ancora dei bei ricordi. Brian si mosse a tenerezza.

- Oh, ma… non stare lì sulla porta, entra, dai! Cos’hai fatto? Hai l’aria di uno che non mangia da settimane. Sei dimagrito. Hai già fatto colazione? –

- No, non l’ho fatta. –

- Vieni allora, dai. – lo prese sottobraccio, e lui si lasciò trascinare. Dentro di sé però avvertì un moto di pianto.

- Ma… C…Corrado, non…? –

- Cosa, Brian? –

- Non… non ti ha detto che cosa… è successo tra di noi? – mormorò.

Per tutta risposta, Paola lo guardò con un’espressione tranquilla ma un po’ corrucciata.

Non riuscendo più a trattenersi, Brian si portò una mano agli occhi e incominciò a piangere.

 

*****

 

Gli ci volle un bel po’ per calmarsi. Appena aveva iniziato a piangere, Paola lo aveva abbracciato come un bimbo, accarezzandogli la testa e continuando a dirgli Va tutto bene, non preoccuparti, tutto si aggiusterà. Poi l’aveva lasciato piangere sulla sua spalla, mentre lei lo accompagnava in cucina a sedersi. A loro si era unita anche Gemma, la madre di Corrado. Nonostante i quasi sessant’anni, si manteneva ancora bene: quel giorno indossava una gonna lunga e una camicetta, sotto un cardigan rosa e gli occhiali da lettura appesi al collo. I capelli bianchi le conferivano un’aria di saggezza.

Quando vide il fidanzato di suo figlio, lo salutò affettuosamente, baciandogli e accarezzandogli entrambe le guance e dicendogli che gli avrebbe messo su una bella tazza di caffellatte con un po’ di cornetti freschi. Brian la ringraziò, quindi tornò a parlare con Paola di tutto quello che era successo, compresa la storia con Riccardo.

- …e questo è più o meno tutto. – mormorò Brian, mentre Gemma gli posava la tazza di caffellatte caldo e fumante.

Paola annuì, quindi sospirò e fece la sua diagnosi.

- Mi dispiace, mi dispiace tanto, Brian. Posso confermarti che non sei il primo a cui capita di imbattersi in un personaggio del genere. –

- Tu dici? –

La ragazza sbatté le palpebre, spalancando gli occhi – Oh sì. Purtroppo sono molti gli individui che non riescono ad amare. Non è colpa loro, sai… è una condizione abbastanza diffusa, in questi ultimi tempi. Siamo così disconnessi da noi stessi, che non ci rendiamo conto di come le nostre azioni possano influire, a volte in negativo, sugli altri. –

- Oh – mormorò il ragazzo.

- Corrado ci ha raccontato tutto – intervenne Gemma – Ma non preoccuparti. Purtroppo sono cose che succedono. Più di quanto immagini. –

- Già… era arrivato che era a pezzi, proprio come te. Ci è rimasto davvero male, ma in un modo o nell’altro siamo riusciti a farlo stare meglio. –

- Paola… Gemma. Ditemi sinceramente: ho fatto un errore, a venire qui e cercare di parlargli? –

- No, Brian. Assolutamente no. Non hai fatto un errore – disse Gemma.

- Pensavamo che non ti avremmo rivisto più, e ci sarebbe dispiaciuto. Dopotutto anche tu fai parte della famiglia. –

Le due donne gli sorrisero.

- Mi portereste da Corrado, per favore? – domandò Brian.

- Certo. Prima però finisci il caffellatte. Sei talmente deperito che se ti vedesse Corrado, si spaventerebbe. –

- E mangia almeno due brioches! – esclamò Paola, ridendo.

Brian ubbidì, sorridendo e prendendo una delle brioches calde dal cestino davanti a sé.

 

*****

 

Le due donne si contesero il privilegio di accompagnare Brian alla parrocchia, ma alla fine la spuntò Paola, che aveva già le chiavi dell’auto in tasca. Così Brian montò sulla macchina insieme a Paola e si lasciò portare dal suo amato.

- Credi che sarà contento di rivedermi? –

- Sì, dai. E se non è contento, lo sistemo io, il mio fratellino. Puoi stare sicuro. –

Brian ridacchiò, mentre la macchina scendeva giù per le strade in pendenza.

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Capitolo 32
*** 32. ***


32.

 

 

 

 

Fiiii!

Seduto in panchina con una bottiglietta d’acqua in mano, Corrado osservava i bambini mentre si passavano la palla, fischiando di tanto in tanto se c’era da fare qualche ammonizione (oltre che allenatore, doveva fare da arbitro della sua squadra). Tutto sommato i suoi allievi se la cavavano bene, salvo qualche piccola intemperanza che si concedevano, ma nulla di eccezionale. In quel momento aveva fischiato perché uno dei bambini aveva fatto lo sgambetto all’altro.

Fiii!

- Mister, ma che ho fatto? – domandò Maicol, uno dei bambini. A dieci anni era alto già quasi un metro e settanta.

- Maicol, hai fatto lo sgambetto a Magdi, ti ho visto benissimo. –

Intanto Magdi, il bambino di origini egiziane, si stava rialzando.

- Ma non l’ho fatto apposta, dai Mister! –

- Confermo – disse Magdi – Sono io che sono inciampato, scusa Mister. -

- Va bene, ma cercate di stare attenti. Il comportamento corretto in campo è una regola da tenere sempre presente, d’accordo? Quindi niente sgambetti – disse, rivolgendosi a Maicol – e soprattutto niente finte. – concluse, parlando a Magdi.

- D’accordo. –

- Chiedigli scusa. –

- Scusa Magdi – disse il Maicol, poi i due si strinsero la mano.

- Ok, dai – disse poi Corrado battendo le mani – Riprendiamo, non è successo niente. State andando benissimo. –

Poco dopo la rimessa in gioco della palla, tuttavia, accadde un fatto che mai era successo prima: con ancora il fischietto in bocca, dalla porticina che dava sul sagrato, Corrado vide apparire prima sua sorella Paola, poi immediatamente dopo vide comparire un ragazzo con i capelli rossi e un po’ di barbetta, che, appena lo vide, gli corse incontro, passando in mezzo ai bambini che giocavano. Questi protestarono, mentre la palla entrava nella porta sbagliata, facendo segnare un clamoroso autogol per la squadra di Corrado.

Nonostante i bambini si fossero messi a protestare, urlando all’invasione di campo! Invasione di campo! Mister! Fai qualcosa! Abbiamo fatto autogol! Corrado non sapeva cosa fare, nonostante avesse il fischietto in bocca. Non fischiò semplicemente perché aveva creduto di avere le traveggole. Quando il ragazzo venne vicino dopo aver invaso il campo e interrotto la partita con un clamoroso autogol, il fischietto scivolò fuori dalla bocca, ricadendogli sul petto.

 

Brian seguì la sorella di Corrado per una porticina che si apriva in un muro di mattoni. Quando la varcò, il suo cuore iniziò a martellargli nel petto dalla gioia.

 

Corrado era in panchina, in piedi con il fischietto in bocca e il cappellino calato sulla testa, a osservare il gioco dei bambini. Senza pensare minimamente che con il suo gesto avrebbe commesso un’infrazione, Brian era corso incontro a Corrado, tagliando in diagonale il campetto e causando l’autogol di una delle due squadre.

- Corrado! – aveva esclamato, sentendosi di nuovo il pianto che saliva in gola.

- Brian… ma… - Corrado si era guardato intorno, e aveva visto sua sorella Paola che sorrideva.

Poi era tornato a guardare il suo ragazzo. - …ma che cosa ci fai tu, qui? –

A quella domanda, Brian gli si era gettato tra le braccia, incominciando a piangere per la seconda volta in quel giorno. Ormai la partita era stata interrotta, e i bambini avevano osservato tutta la scena. Corrado inizialmente si preoccupò di loro, ma poi si concentrò su Brian, che gli stava piangendo a dirotto sulla camicia.

- Non è niente, bambini. Tranquilli. Tornate pure a giocare, io … Ci vediamo dopo. – concluse, prendendo Brian mentre piangeva e portandolo via dal campo.

 

*****

 

Il viaggio di ritorno li vide tutti e tre: Paola che guidava, Corrado che sedeva sul sedile del passeggero e Brian dietro, sui sedili posteriori. Né Brian né Corrado dissero nulla. Corrado si era trincerato in una specie di silenzio meditativo, durante il quale stava sicuramente esaminando il problema da tutte le angolazioni possibili.

Per cercare di rompere il ghiaccio, Brian l’aveva guardato e gli aveva parlato all’orecchio – Sei dimagrito, Corrado? –

- Sì – aveva risposto lui, senza aggiungere altro.

- Ci credo – era intervenuta Paola – si fa a piedi tutta questa strada da due mesi… andata e ritorno. Sicuramente qualche chilo l’ha buttato giù, non è vero, fratellino? –

Corrado non aveva risposto, preferendo rimanere assorto a guardare fuori dal finestrino.

- Ti sei anche cresciuto i capelli – disse Brian, alludendo ai lunghi boccoli ricci che uscivano dal cappellino. – Stai bene, così. –

- Anche tu vedo che hai lasciato crescere i capelli, dall’ultima volta che ti ho visto, Brian. – aveva detto Paola - E li hai anche scoloriti…? O sbaglio? –

- Non li ho più tinti di biondo. Sono tornato al mio rosso naturale. –

Corrado aveva continuato a non partecipare alla conversazione. A quel punto Brian aveva guardato Paola, che gli aveva strizzato l’occhio, come per dire Tranquillo, ci penso io.

 

Arrivati a casa, Corrado scese dall’auto e corse immediatamente verso casa. Paola gli andò dietro frettolosamente, prendendogli il braccio e fermandolo.

- Corrado, devo parlarti. –

- Che vuoi? –

- Te l’ho detto, voglio parlarti. Vieni con me nel mio studio, per favore. –

Ciò detto, Corrado e Paola si chiusero nello studio di quest’ultima, mentre Brian rimase seduto su un divano della stanza che doveva essere la sala d’attesa dei pazienti di Paola. Cercò di udire cosa si stessero dicendo, ma dal portone a doppio battente riuscì a sentire poco e niente. Colse solo un momento durante il quale Corrado si era alterato, dicendo che Brian lo aveva cornificato e aveva mantenuto in piedi una relazione parallela, e che quindi non si fidava più di lui. Poi udì anche la voce di Paola, calma e pacata, come una maestra che sta spiegando qualcosa a un bambino un po’ duro di comprendonio. E di nuovo udì Corrado alzare la voce, cercando di far valere le sue ragioni. Lentamente, Brian tirò fuori dalla tasca la poesia che gli aveva scritto Corrado, e la lesse, trovandola bellissima come la prima volta. Sospirò, e proprio in quel momento dallo studio uscì Paola.

Sorrideva.

- Dai, entra. Corrado ti sta aspettando. –

- Sicura che posso? –

- Certo…! Vai tranquillo, e se ci sono problemi, chiamami. Sono qui fuori. –

Brian entrò.

 

Chiudendosi la porta alle spalle, vide Corrado che era seduto sul divano, con la mano poggiata sugli occhi, come se avesse pianto. Non gli rivolse lo sguardo ma Brian si avvicinò comunque a lui.

Passarono attimi interminabili durante i quali nessuno dei due disse nulla. Brian allora si avvicinò ancora di più a Corrado, che però non si mosse.

- Perché…? – disse soltanto Corrado.

Brian gli si accoccolò vicino, cingendogli dolcemente le spalle. Corrado non si mosse.

Né Brian disse qualcosa, fino a che Corrado non ripeté la sua domanda. Solo allora Brian provò a dare una risposta.

- Credevo che… che tu non mi desiderassi più. –

Corrado rimase in silenzio per un lungo momento, poi scosse lentamente la testa – Non era vero. Ti sbagliavi. –

- Tu… tu mi desideri ancora, Corrado? –

Anziché rispondere, Corrado gli fece un’altra domanda – Tu pensi che se io non ti avessi più desiderato, sarei rimasto con te per tutti questi anni? –

Ci pensò bene prima di rispondere, era una domanda pericolosa. Alla fine disse – Non ne abbiamo mai parlato. –

- Potevamo farlo. Io ero sempre lì, pronto ad ascoltarti. –

- Io… io volevo solo… giocare un po’ con te. Come facevamo da ragazzi. Mi facevi sentire amato, protetto. Desiderato. –

A quel punto, Corrado si girò a guardarlo. I suoi occhi erano spenti, tristi. Ma quando incontrarono quelli di Brian, sembrarono riprendere colore.

- E’… è stata anche colpa mia. Ero troppo preso dal mio lavoro, mi sono lasciato prendere la mano da una cosa che poi mi ha tradito… la promozione a vice-responsabile. Quando invece avrei potuto benissimo dedicarti un po’ più di attenzioni. Ma non l’ho fatto… Puoi perdonarmi, per questo? –

- Prima dimmi una cosa, Corrado. –

- Cosa? –

- Tu… tu mi desideri? Provi ancora desiderio fisico nei miei confronti? Mi vuoi ancora bene? –

Corrado lo guardò negli occhi, annuendo.

- Io ti desidero ancora, Bri. Ti desidero e ti amo. –

Mentre era sul punto di chiedergli se era disposto a ricominciare, Corrado allungò una mano a prendere la sua, intrecciando dolcemente le dita. Brian gliela prese, mentre gli si accoccolava accanto, sospirando.

Dopodiché prese fiato e incominciò a declamare.

 

L’alba che cede il passo dalla notte,

Risplende di frammenti di bottiglie rotte.

Il passero canta, mentre la luce abbaglia

dell’alba che da dietro il sole si staglia

Pensieri s’affacciano alla finestra del mattino,

Mentre penso al tuo sguardo

Di angioletto dolce e birichino

Pensieri felici, parole d’amore

Che vorrei sussurrarti per ore

 

A quel punto, Corrado incominciò a declamare insieme al fidanzato.

 

Parole leggere che prima non sentivo

Sussurratemi piano dalle tue labbra, rosso vivo.

D’immense foreste, di more e lamponi

Di questo mi parlano i tuoi occhi marroni…

 

E fu allora che si guardarono di nuovo negli occhi, mentre declamavano insieme la strofa finale.

 

Di mondi fantastici che vorrei esplorare

Senza paura di poter cadere

Non troppo vicino, né troppo lontano,

Ma avendoti accanto, tenendoti per mano.

E ora sono qui, a chiedermi perché

Non riesco a farne a meno, di pensare a te.

 

- Nemmeno io ci riesco… – mormorò Corrado, abbracciandolo e incominciando a piangere.

Brian lo strinse forte a sé, coccolandolo e baciandogli le guance e il collo e le labbra, implorandogli di perdonarlo per tutto il male che gli aveva fatto. Corrado lo prese a sé, cullandolo dolcemente e baciandogli i capelli. Finalmente il suo dolce Brian era tornato.

- Ti amo… angioletto mio birichino. Ti amo tanto. – disse Corrado, mentre lo prendeva a sé per baciargli la fronte e coccolarlo.

- Anch’io ti amo. Ti amo più della mia stessa vita. Non ti lascerò mai più, te lo prometto. – sussurrò Brian, accoccolandosi ancora di più al suo ragazzo mentre piangeva. – Mai più. Mai più. Mai più … -

 

Dietro la porta, Paola aveva origliato tutto con un sorriso compiaciuto e un leggero velo di commozione dietro gli occhi. Con lo stesso tono compiaciuto, aveva detto la stessa cosa che aveva detto suo fratello qualche mese prima mentre scopriva la tresca di Brian.

- Bene. Il mio lavoro qui è finito, a quanto pare. – disse con fierezza, mentre si allontanava, lasciando i due piccioncini alle loro effusioni, felice di averli riappacificati.

 

 

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Capitolo 33
*** Epilogo. ***


Epilogo.

 

 

 

 

*****

Ogni tanto mi fermo e penso: chissà come sarebbe stata la mia vita, se avessi deciso di restare insieme a Franco? Che tipo di relazione avremmo avuto, io e lui? Ci saremmo fatti felicemente le corna a vicenda, oppure saremmo stati una coppia tranquilla e ben assortita come Corrado e Brian?

Non potendolo sapere, mi affido alla fantasia. L’unica domanda che mi sorge, appena vedo me stesso insieme a un uomo più grande di me di quasi vent’anni, è: Ma come faremmo a rimanere insieme, io e lui…? Riusciremmo mai a stare insieme per dieci anni, come Corrado e Brian?

*****

 

 Il soggiorno di Corrado e Brian in Umbria durò un bel po’, quasi tutta l’estate. Siccome Brian si era portato solo uno zainetto con lo stretto indispensabile, terminati i suoi vestiti si vide costretto a usare quelli di Corrado di quand’era ancora studente: guardandosi nello specchio si vide ringiovanito di dieci anni, tanto che si scattò parecchi selfie. Ricordò di aver pensato che forse avrebbe fatto meglio a portarsi anche gli altri due bagagli, anziché lasciarli a casa di Carlo, ma il pensiero fu spazzato via quando si svegliò nel letto matrimoniale, allungando la mano verso il lato di Corrado, che però non c’era.

Ebbe quasi un mancamento nel constatare che forse era stato tutto un sogno, che lui era ancora nella sua stanza d’albergo, o peggio a casa di Carlo… o peggio ancora, a casa di Riccardo. Ma la sua paura fu spazzata via quando, pochi minuti dopo, vide la porta aprirsi e una voce che lo salutava.

- Buongiorno, tesoro – disse Corrado entrando con un vassoio pieno di cose buone per lui. Caffè, latte e

- Buongiorno amore…! Che profumo… cosa…? – annusò l’aria e spalancò gli occhi dalla sorpresa. – …Pancakes! – esclamò, mentre Corrado poggiava il vassoio da letto sulle coperte.

- Sì, ho provato a farli io stesso. –

- Ma… ma come hai fatto? – domandò, mentre ne prendeva uno in mano e lo addentava, senza nemmeno metterci sopra un po’ di Nutella, che pure era lì accanto al caffè.

- Oggigiorno, con un tablet alla mano e delle videoricette, si riesce a fare tutto. – gli fece l’occhiolino – Come ti sembrano? –

- Squisiti… - mormorò solo Brian.

- Grazie. Magari nel prossimo ci mettiamo un po’ di Nutella, che dici? Così è più buono. –

- Assolutamente… sì! –

Disse Brian ridendo, e con lui rise anche Corrado, mentre il primo sole estivo illuminava la loro stanza da letto nella casa di Corrado, come ogni giorno asciugando e togliendo un po’ del grigiore accumulato negli ultimi sei mesi a causa della storia malata con Riccardo, che entrambi si erano impegnati a dimenticare, con ottimi risultati.

 

*****

Vi giro la domanda: secondo voi, come si fa a condividere lo stesso tetto, la stessa tavola, lo stesso letto, con una sola persona, per un tempo così lungo?

Non è una domanda difficile, ma piuttosto è la risposta a essere subdola: per me ogni coppia è un’isola a sé stante, con i suoi ritmi, le sue regole, i suoi valori (o disvalori) e la sua storia.

*****

 

A proposito di Riccardo: un giorno provò a farsi risentire sul telefono di Brian, che ancora non aveva cancellato il suo numero. Non volendo rispondere Brian, passò il telefono a Paola.

- Pronto? –

Mettendosi all’ascolto, Brian udì Riccardo che diceva – Sto cercando Brian. –

- Brian? Mi dispiace, ha sbagliato numero – disse Paola, assumendo il tono più neutro che poteva. Dall’altra parte si interruppe la comunicazione.

Brian tirò un sospiro di sollievo, mentre Paola gli rendeva lo smartphone.

- Non credo richiamerà tanto presto – disse Paola – In ogni caso, fossi in te bloccherei il suo numero. –

- Hai ragione. Grazie, sorella – mormorò Brian, dolcemente.

- Prego, fratellino – gli rispose lei, facendogli l’occhiolino.

 

Il loro soggiorno durò ancora per molti giorni, spesi tra escursioni, gite fuori porta e pranzi e cene all’aperto, nonché tra feste di paese. I genitori di Corrado e sua sorella erano felici di avere ospiti il loro secondogenito e il suo ragazzo per un po’ più di tempo rispetto alle volte precedenti… e i due piccioncini erano felici nella consapevolezza di stare lentamente ritornando alla normalità.

 

*****

Ci sono tante possibili risposte: a ognuna di queste corrisponde una coppia.

C’è chi la risposta non la cerca e lascia che la vita continui a scorrere semplicemente, perché così dev’essere; c’è chi decide di cercare la risposta in altre situazioni (mi vengono in mente due miei amici che vivono in coppia aperta); oppure chi continua a cercarla e non la trova mai; o anche chi la cerca e la trova sempre negli occhi del partner.

*****

 

Una delle cose che più gli piacquero del soggiorno, fu che Corrado sembrava aver ritrovato dentro di sé la voglia di amarlo. Avevano dormito insieme tante notti, ma il tempo dedicato al sonno era stato poco… il più del tempo era stato soddisfazione da parte di entrambi, che si erano riscoperti più innamorati e… più complici di prima: al loro ritorno a casa, un pomeriggio Corrado aveva portato Brian a fare shopping.

Come al solito il ragazzo aveva preso un po’ di capi in giro per il negozio e se li era portati nel camerino di prova. Qui si era guardato allo specchio, ritrovando il Brian di un tempo: capelli lunghi e rossicci, viso pulito e occhi marroni… ed un corpicino che solleticava le voglie del suo partner.

A un certo punto, mentre era in mutande, nello specchio vide Riccardo che scostava delicatamente la tenda ed entrava nel camerino. Ebbe un tuffo al cuore, ma poi si riebbe constatando che si trattava di Corrado, e si sentì meglio.

- Amore, ma… che ci fai qui? –

Per tutta risposta, Corrado gli mise le mani sui fianchi e gli accarezzò il sedere coperto dagli slip, mentre lo baciava dolcemente.

- Ho avuto una bella idea… Ti va di metterla in pratica? – gli domandò, mentre lo guardava con un’espressione di desiderio sugli occhi, la stessa che venne a Brian quando la mano di Corrado scivolò sotto il tessuto delle mutande.

- Hmm… Certo che sì… ingegnere. – mormorò il giovane, mettendogli le braccia intorno al collo e cominciando a baciarlo.

Poco dopo i clienti del negozio avrebbero visto una tendina che si muoveva leggermente, ma non avrebbero mai saputo cosa stesse succedendo all’interno, perché sarebbero andati via a cercarsi un altro camerino. Per Brian fu una prova di incredibile dolcezza e complicità da parte di Corrado, che aveva mantenuto la sua promessa: ascoltare di più i bisogni del suo ragazzo.

 

*****

A quest’ultima categoria appartengono Corrado e Brian… Brian ha seguito il consiglio da nonna della sua portinaia, la signora Visentin: quando si sente confuso, di guardare negli occhi Corrado per trovare immediatamente una risposta.

Detesto ammetterlo, ma li ho sempre sottovalutati. Ho sempre pensato che al primo problema sarebbero crollati come un castello di carte in una stanza dove viene sbattuta all’improvviso una porta, invece mi sbagliavo, e anche di grosso. Però sono contento di essermi sbagliato: Nonostante i ventotto anni compiuti, Brian non sa ancora distinguere la destra dalla sinistra… però ha mantenuto una capacità che molti, me compreso, hanno perso o non hanno mai avuto: un animo puro e innocente come quello di un bimbo.

 Sarà per questo che è rimasto sempre insieme a Corrado, perché, anche se da un lato la mente di Corrado traduce il mondo attraverso le lenti di numeri, assiomi e teoremi, il suo cuore è simile a quello di Brian: a modo loro, sono entrambi puri e innocenti.

Ed io sono contento perché anche Brian lo è; non mi piacerebbe vederlo triste, magari insieme ad una persona che non è fatta per lui. “Chi si somiglia si piglia”, dice un vecchio adagio. Ed io credo che Brian e Corrado, seppur così diversi tra loro, sotto molti aspetti si rassomiglino e si siano pigliati.

*****

 

Ci furono altri episodi di quel genere tra di loro, che non si limitavano a fare l’amore di nascosto in luoghi pubblici. Una novità importante fu che Corrado incominciò a frequentare la palestra insieme al suo ragazzo.

- AnfAnfAnfh… - ansimava Corrado mentre Brian sgambettava tranquillamente sul tapis roulant.

- Amore – gli disse – Se non ce la fai, fermati pure. Non devi per forza… -

- No – rispose Corrado – Devo… Farcela. Ufh! Ufh! –

 

Almeno due volte la settimana facevano palestra insieme. Qualche volta Carlo li accompagnava, e quasi sempre Brian gli raccontava di come avevano passato la notte insieme, mentre Carlo faceva finta di non crederci. Su una cosa Riccardo aveva avuto ragione: quando, mentre erano in giro insieme, gli aveva detto che Corrado era sessualmente inerte perché in sovrappeso. Fare attività fisica aveva migliorato notevolmente le sue performances, al punto che non solo aveva più voglia di fare l’amore con il suo ragazzo, ma era anche più forte. E di questo Brian era più che contento. Un segnale tra i tanti che la loro storia stava ricominciando nel modo giusto.

C’era un’altra cosa che faceva insieme a Corrado, che Brian non avrebbe potuto fare da solo, almeno finché la legge non glielo avrebbe permesso.

 

*****

Naturalmente un adagio non è una regola.

Non sempre chi si somiglia si piglia, sapete; come non sempre chi è diverso non si prende: mi viene in mente Juan, uno dei miei amici connazionali che ha scelto come partner a un ragazzo timido e dimesso, mentre lui è fuoco allo stato puro, un po’ come me.

Oppure potrei raccontarvi di Rebecca, la mia collega qui in negozio, che ha un debole per i ragazzi in carne, mentre lei è una ragazza magra e davvero carina (peccato che sia sola perché non è ancora riuscita a trovare quell’uomo in carne che la soddisfi). Anche qui, non c’è una regola generale, o un assioma, se preferite. Conta molto anche la fortuna.

*****

 

Chiudendo lo sportello dopo essersi accomodato sul sedile del passeggero, Corrado disse - Allora: prime cose da fare quando entri in macchina. Quali sono? –

Seduto al posto di guida, Brian ripassò mentalmente le lezioni di guida che stava prendendo da qualche giorno.

- Fare gli occhioni dolci all’esaminatore e magari mostrargli le mutande? –

- Esatto. Così se è gay ottieni la patente senza saper guidare; mentre se è etero… beh, diciamo che potrebbe non gradire. –

- Scemo – ridacchiò Brian, tirando una pacca sul braccio del suo ragazzo.

Corrado rise, salvo poi tornare serio poco dopo – A parte gli scherzi, ti ricordi cosa devi sempre fare? -

Brian ci pensò su, poi lentamente rispose - Ehm… regolazione del sedile… con le mani sul volante. Poi… gli specchietti retrovisori… - mormorò, mentre Corrado lo guardava e annuiva.

- E poi? La cosa più importante, mi raccomando. –

- Ah! Sì! – Brian allungò la mano sinistra e tirò la cintura di sicurezza, allacciandosela. – Giusto? –

- Giusto. Se riesci a ricordarti di fare tutte queste cose quando verrà il momento dell’esame di pratica, riuscirai ad ottenere la patente. – disse Corrado, facendogli l’occhiolino. – Adesso lo vogliamo fare un giretto, amore? –

- Va bene – rispose Brian, mettendo le mani sul volante dell’Opel Corsa di Corrado, che da qualche giorno esibiva un foglio con la scritta “P” appiccicato sul lunotto, affinché Brian potesse esercitarsi in tutta tranquillità a imparare a guidare.

- Possiamo andare da Carlo? Gli facciamo una sorpresa. –

- Sei tu il comandante della nave, possiamo andare dove vuoi. – gli disse, con un sorriso.

Brian sorrise di rimando, quindi girò la chiave nel cruscotto, ma la macchina fece solo un balzo in avanti senza mettersi in moto.

- Oddio! Scusa amore… scusa… scusa-scusa! –

- Un’altra cosa da fare sempre, amore… prima di girare la chiave, Sempre schiacciare la frizione. –

- Sì. Hai ragione! – esclamò, avvicinandosi e facendo gli occhi dolci a Corrado. Per tutta risposta, Corrado gli diede un dolce bacio sulle labbra.

Allora Brian pestò sul pedale della frizione e avviò il motore, quindi inserì la prima marcia e poi lasciò andare lentamente il pedale, cominciando a far andare la macchina.

 

*****

Eh sì. Come sperava Corrado nella sua poesia, credo che quei due voleranno lontano. Molto lontano. Mi pare abbiano le carte in regola per farlo.

Se devo dirvi la verità, sono un po’ invidioso. Anche se so che, se sono single, è anche un po’ per colpa mia: quando incontro qualcuno e inizio a frequentarlo, dopo un po’ non mi va più bene. Forse perché sono troppo... come dire…? “Choosy”…?

Hm… No, non è esatto.

Il fatto è che io ho paura.

Ho paura dell’abitudine, dello svegliarmi accanto a una persona che si aspetta tanto da me; ho paura della routine, della vita organizzata.

Ho paura di annoiarmi.

Poi però… mi fermo… e penso a Brian e Corrado… e mi chiedo: e se davvero la vita di coppia fosse tutta lì? Tutto rose e fiori, senza spine?

Non sarebbe meraviglioso?

*****

 

- Sono trenta e quarantacinque – disse Carlo, finendo di battere lo scontrino e infilando i cosmetici in un sacchetto che porse all’ennesima cliente della giornata, che sorrise e ringraziò. Guardò l’orologio. Quasi le sette. Tra non molto sarebbero arrivati.

Poco dopo, la sua attenzione fu attratta dal suono di un clacson.

PAAA! PAAAA!

Guardò fuori dalla vetrina e vide l’Opel Corsa color carta da zucchero di Corrado con Brian alla guida.

- Credo che siano arrivati i tuoi amici, Carlo! – esclamò Rebecca mentre guardava fuori dalla vetrina la macchina che posteggiava con le quattro frecce accese.

- Eh sì. Mi raccomando, dì una preghiera per me mentre sono via: Brian è una frana, al volante. –

Rebecca rise di gusto – Che stronzo che sei, a volte! Dagli tempo, povero piccino… sta ancora imparando, dai! –

- Il piccino ha quasi trent’anni, se ti interessa saperlo, cara! E comunque se vuoi vedere da te come guida, perché non vieni con noi? –

- Davvero posso? –

- Ma certo…! Tanto quella mezza sega di Corrado non è geloso. –

- Sei proprio uno stronzo. Io lo trovo carino, invece. – mormorò Rebecca, ridendo.

- …Sono proprio uno stronzo… però mi vuoi tanto bene. -

- Non commento. Dai, squagliamocela di qui. – rispose la ragazza, prendendolo sottobraccio.

 

- Alla buon’ora, eh! – esclamò Brian – Tre ore per uscire da quel negozio…! -

- Scusami cara – rispose Carlo – questa palla al piede ci mette sempre due ore a cambiarsi…! – disse, riferendosi a Rebecca, che per tutta risposta gli fece una smorfia.

- Ma sì, tanto noi qui ci siamo trovati bene… non è vero, amore? –

- Eh sì… dovrebbero fare tardi più spesso…! Io e questo bel tipo qui ci siamo dati alla pazza gioia mentre aspettavamo. –

- Tesoro, d’accordo che hai scoperto di avere un pene in mezzo alle gambe, ma non è il caso di usarlo sempre anche in pubblico…! – ribatté scherzosamente Carlo, accarezzandogli una guancia con fare provocatorio.

- E’ l’invidia che parla oppure sei proprio tu? – ribatté Corrado, ridendo. Carlo spalancò la bocca, sorpreso.

Corrado rise, e con lui anche Brian e Rebecca.

- Allora? Dove ci porterà mister foglio rosa? –

- Dovunque, basta che non sia un ristorante giapponese! Troppi brutti ricordi! – esclamò Brian mentre rimetteva in moto, poi lanciò uno sguardo nello specchietto retrovisore guardando i suoi passeggeri.

- Che ne dite di andare all’American? C’è uno dei ragazzi che somiglia in modo impressionante a Cannavacciuolo! –

- Per me va bene – disse Corrado – Conosci la strada, Bri? -

- Certo amore! Andiamo! –

Brian ingranò la retro per uscire dal parcheggio, mentre Corrado mise la mano sul freno di stazionamento, preparandosi a tenere d’occhio il veicolo guidato dal suo ragazzo.

- E sia! Rimettiamo gli orologi, perché prevedo che ci vorrà molto tempo prima che arriviamo…! Sorellina, hai già imparato a ingranare la quarta? –

- Piantala di fare la stronza o ti faccio scendere – ribatté Brian, ridendo. Carlo rivolse lo sguardo a Rebecca, che annuì come a dire Ben ti sta, mentre la macchina lentamente abbandonava il parcheggio.

 

*****

La noia… che brutto spettro.

Ed anche il sacrificio. Brr… Un’altra cosa a cui sono refrattario, poiché nella mia vita mi sono sacrificato poche, pochissime volte. Lascio fare a Brian, che di certo è più avvezzo di me. A proposito, vi ho già detto che oltre alla scuola guida, a Settembre si è iscritto alla facoltà di architettura…? Così oltre alla scuola guida, deve anche studiare per cercare di laurearsi.

Se non è sacrificarsi questo, ditemi voi che cos’è.

Forse è masochismo.

O forse…

*****

 

Seduto a uno dei banchi della biblioteca del Politecnico, Brian osservava gli studenti intorno a sé. Sicuramente erano tutti ragazzi più giovani di lui, di quelli che temeva gli avrebbero portato via Corrado, almeno stando a quanto pensava qualche mese prima. Adesso era più sereno.

Vide Corrado avvicinarsi con una piccola pila di libri in braccio, mentre Brian cominciava ad aprire il blocco a spirale per prendere appunti. Sapeva che Corrado non sarebbe stato sempre lì ad aiutarlo negli studi: lo faceva finché era ancora disoccupato e disponeva di una certa quantità di tempo. Ma Brian non era preoccupato di perderlo come istitutore: sosteneva che ora che Corrado si fosse trovato un lavoro, lui avrebbe già acquisito una certa autonomia nello studio.

- Eccoci qua – sussurrò Corrado, poggiando i libri sul tavolo e sedendosi accanto a Brian. – Questi sono i testi che sono richiesti al primo esame, più alcuni che ho scelto io per aiutarti a comprendere. Cominciamo pure. –

- Resti qui con me? –

All’apparenza la domanda sembrava retorica, poiché era ovvio che Corrado sarebbe rimasto lì. Ma Brian voleva solamente sentire la risposta.

- Sì. Resto qui. Cominciamo a leggere? Ti va? –

Brian annuì dolcemente, felice di aver sentito la risposta che voleva.

 

*****

…ecco. Un modo come un altro per passare (dell’altro) tempo insieme. Ma che diamine! Brian! Torna a fare qualcosa anche da solo, non puoi vivere per sempre attaccato al tuo ragazzo!!!

Scherzavo, naturalmente. Se sei felice tu, non posso far altro che essere anch’io felice per te.

Quanto a me, è giunto il momento di salutarvi. Me ne torno a fare quello che so fare meglio, e cioè vendere cosmetici ai clienti nel mio negozio e ascoltare storie di amanti delusi e di sogni infranti che quasi sempre finiscono bene, come questa volta. Vorrei congedarmi con una frase intelligente, ma purtroppo non ho molte cose intelligenti da dire, per cui vi lascerò con una domanda….

…Non sono adorabili, mentre studiano?

*****

 

Mentre leggevano, ogni tanto Corrado indicava a Brian qualcosa sul libro da annotare sul suo quaderno, mentre sottovoce gli spiegava alcune cose. Brian prendeva nota con la mano destra, mentre la sinistra…

… la sinistra era sotto il tavolo, intrecciata con quella di Corrado, che gliela teneva dolcemente mentre studiavano.

Ad un certo punto, Brian alzò lentamente gli occhi dal libro.

Corrado s’interruppe nella spiegazione, incrociando lo sguardo del suo ragazzo.

Si guardarono negli occhi per un istante. Poi li chiusero, unendo le labbra in un bacio. In quel momento, Brian pensò: sarà bello riprendere gli studi… finché tu sarai al mio fianco.

 

Pancakes a colazione

Fine

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Capitolo 34
*** Due parole dall'autore ***


Caro lettore, cara lettrice,

questo è il capitolo finale della storia che hai letto. Spero di essere riuscito a tenerti compagnia, narrandoti questa storia, che mi è capitata tra le mani scorrendo post su Facebook (tra l'altro di un gruppo che è stato temporaneamente sospeso). Ci sono tanti temi che vengono toccati in questa storia, ma il più importante di tutti, credo sia la ricerca. 

La vita è una ricerca continua. Per Brian è la ricerca di conferme in un momento particolare della sua vita: all'alba dei trent'anni, ha bisogno di sentirsi ancora desiderato come quando era giovanissimo, quando Corrado gli contava le efelidi sulla schiena. Purtroppo Corrado, troppo impegnato nella sua personale ricerca (vuole trovare una stabilità professionale), non si accorge dei segnali che gli manda il suo ragazzo, e quest'ultimo pensa di non essere più adeguato ai suoi occhi. Così Brian pensa di trovare le conferme che cerca in Riccardo, che gli dà quello di cui ha bisogno, almeno per un periodo. Quando però il periodo termina, ecco che Brian si ritrova vuoto, annichilito, svuotato di ogni energia che Riccardo gli ha rubato. Sta a Corrado quindi il difficile compito di riportarlo alla sua vita normale, pensando di meno a stesso ed ascoltando i bisogni del suo ragazzo.

Pancakes a colazione nasce durante un periodo fosco della mia vita: ero stato appena abbandonato da una persona a cui volevo bene (o almeno così credevo), che però mi aveva svuotato di ogni energia. La sua decisione di lasciarmi, inaspettata e subitanea, mi aveva colpito come una tranvata, tanto che per molti giorni rimasi distrutto e confuso dal dolore. Cominciai ad immaginare un ragazzo che veniva a consolarmi. Per consolarmi mi diceva che anche lui aveva abbandonato il suo ragazzo, dopo ben dieci anni di fidanzamento, ma poi era tornato. Quel ragazzo si chiamava Brian, ed aveva una storia da raccontare, che è quella che hai appena letto. Scrivere di Brian, Corrado e tutti i personaggi che ruotano intorno a loro, è stato per me un atto di autoguarigione: pensare alla loro storia mi ha aiutato tantissimo a distogliere l'attenzione dalla mia, finita in modo così tragico. E' stato bello conoscere questi personaggi, che spero di poter utilizzare nuovamente per altre storie. Per questo un ringraziamento va anche a loro. :) Grazie di cuore Brian, grazie di cuore Corrado.

Se sei arrivato fin qui e hai lasciato anche una recensione, ti sono infinitamente grato. Anche se non l'hai fatto, non preoccuparti: un voto in più potrà solo aggiungere perfezione alla perfezione che già possiede di per sé.

Nel congedarmi, ringrazio di cuore anche te e spero di rivederti presto. :)

 

M.S.

24 marzo 2018

 

 

 

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