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Brian aprì gli
occhi nella stanza immersa nella penombra del primo mattino, illuminata solo
dalla luce diafana delle prime ore del giorno. Accanto a lui, Corrado dormiva
profondamente. Ancora mezzo addormentato, l’osservò per un momento: il ragazzo
dormiva con il braccio sinistro sotto il cuscino, come se si sorreggesse la
testa. Le gambe erano divaricate, ma non abbastanza da togliergli spazio.
Osservò la piccola
foresta di pelo sul suo petto carnoso, ed i capelli,
che da castani stavano iniziando a perdere il pigmento originario, diventando
grigi. La mano destra era mollemente poggiata sul fianco, in direzione del
bassoventre, dove sotto al tessuto dell’intimo, c’era un rigonfiamento
promettente.
Invogliato da tale
visione, Brian si avvicinò al suo ragazzo, gli prese il braccio destro e gli scivolò
sotto, aderendo con il sedere al rigonfiamento, quindi armeggiò per abbassarsi
le mutande. Dietro di lui, Corrado dormiva ancora, come un angioletto in
sovrappeso.
Continuando ad
armeggiare, Brian sbuffò, quindi si girò nuovamente e lo
guardò. La voglia era ancora tanta, ma Corrado sembrava non reagire. Sospirando
pensò che magari per quella mattina si sarebbe potuto accontentare di un
giochetto innocente.
Scivolò sotto il
piumone come un’anguilla.
Ancora mezzo
addormentato, Corrado si svegliò del tutto quando si sentì bagnato dalle parti
del suo pene. Accortosi di cos’aveva causato quella sensazione, si mise a
ridacchiare imbarazzato.
- Amore… no, dai… -
biascicò, cercando di sottrarsi al gioco del suo ragazzo.
- Dai tu… – mormorò Brian da sotto la coperta – …lasciami
giocare. E poi tu sei eccitato, quindi…! –
- Sì ma devo andare
a pisciare, scemo… è per quello che sono dritto. – sentenziò con una
risatina, mentre carezzava i capelli biondi e arruffati del suo boyfriend, che lo ignorò bellamente.
Cercò di sottrarsi
al giochetto di Brian chiudendo leggermente le gambe salvo
poi riaprirle per paura di soffocare il fidanzato, desiderando che smettesse
prima che la troppa eccitazione gli impedisse definitivamente di urinare in un
secondo momento.
- Amore…? Dai, mi
lasci andare a fare la pipì? Se continui così non riuscirò più a farla. –
- Uffa… - Brian
smise di dilettarsi nel suo giochetto, sbuffando e passandosi il dorso della
mano sulle labbra. Guardò il suo ragazzo con un’espressione leggermente
imbronciata.
Corrado gli andò
vicino e lo prese a sé, ma Brian gli si sottrasse.
- Non stavi andando
male, comunque… - disse, in una voce bassa e sensuale che Brian non mancò di
apprezzare. Il ragazzo biondo allora gli si accoccolò
addosso, e Corrado lo baciò dolcemente sulle labbra.
- Buongiorno,
cucciolotto mio – lo salutò.
- Buongiorno,
cucciolone mio – rispose Brian, allungandosi su di lui come un gatto. Lo guardò da sotto con un sorriso.
Da un paio d’anni a
quella parte, Brian si era abituato al fatto che il suo uomo avesse in mente
altro, oltre al sesso. In tutto quel tempo non erano certo mancate le occasioni
per farlo (eccetto i periodi in cui Corrado era in trasferta per via del lavoro),
però, semplicemente, non era successo.
E Brian avrebbe
dato chissà cosa affinché accadesse, mentre si chiedeva se l’attrazione, il
desiderio e la complicità fossero ancora presenti nel loro ménage.
Da parte sua, Brian
li provava nei confronti di Corrado, ma quest’ultimo forse non era dello stesso
avviso. Un po’ di tempo prima avevano anche affrontato l’argomento, ma era
stata una vittoria a metà: alla domanda di Brian “ti interesso ancora?”, Corrado aveva risposto di sì, ma aveva anche
aggiunto che fare l’amore con lui era una cosa talmente bella e unica che, temeva, si sarebbe sciupata facendola troppo spesso.
Lì per lì Brian si
era sentito lusingato da tale eleganza, ma questa non bastava a soddisfare i
suoi bisogni fisiologici e, ancor di più, il suo bisogno di sentirsi ancora
desiderato da un ragazzo.
Come uscire da
quella situazione? Apparentemente non c’era via di fuga, a meno di non voler
tradire Corrado. Ma quella era una strada che Brian non avrebbe mai voluto
percorrere: tanto casino non valeva un po’ di sesso, e a Brian il casino non
era mai piaciuto.
Però i momenti in
cui avrebbe accettato volentieri dei casini (tipo un partner sessuale
innamorato di lui che gli si presentava sotto casa facendogli una scenata come
aveva fatto Carlo, il suo migliore amico) pur di sentirsi soddisfatto non erano
mancati, dal momento che Corrado sembrava vivere in un
mondo tutto suo.
Seduto al tavolo di
cucina, Brian stava spalmando Nutella su alcuni waffles appena sfornati,
mettendoli poi su un piatto. Poco dopo udì il rumore dello scarico dell’acqua e
la porta del bagno che si apriva, rivelando Corrado ancora in canottiera e
mutande che si stiracchiava, avvicinandosi al tavolo.
- Mmm…! Che
profumino di waffle! –
- Fatti da me in
persona, non te lo dimenticare. –
- Ah, che bello
avere un fidanzatino come te… bello, dolce… e anche
bravo a cucinare! –
- Scommetto che è
l’ultima la qualità più importante per te, vero? –
Mentre masticava,
Corrado fece l’occhiolino e rispose – Ci puoi scommettere, baby. –
Brian rise
dell’espressione soddisfatta di Corrado, con le labbra sporche di nutella. Fece
per asciugargliele con un tovagliolo, ma poi si trattenne e andò direttamente a
baciargliele.
Corrado rispose al
bacetto, sporcandogli a sua volta le labbra.
- Dovremmo provarlo
qualche volta a letto. Lei che ne dice ingegnere? –
- Dico che ha avuto
un’ottima idea, Signorino. – rispose, quindi riprese a mangiare i waffle,
godendoseli in silenzio, mentre Brian lo guardava.
Allora Brian
allungò un piede sotto il tavolo, andando ad accarezzare la gamba di Corrado.
- E che ne direbbe
di provarla subito…? –
Corrado ridacchiò,
mentre finiva l’ultimo waffle e beveva il caffè. – Mi piacerebbe… ma devo
scappare a lavoro. Riunione importante, oggi. Non ti dico che palle… -
Brian sospirò,
alzandosi dalla sedia.
- Mi dispiace,
amore. –
- Non preoccuparti
– rispose solamente – il lavoro è lavoro.
–
Corrado gli andò
vicino e gli regalò un bacio su una guancia e poi
sulle labbra.
– Ehi. Brian.
–
Brian lo guardò.
- Lo sai che ti
amo, vero? –
- Sì. –
- Tu mi ami?
–
- Sì. Uomo
impegnato. –
Corrado sorrise,
quindi lo prese a sé e l’abbracciò dolcemente, andando a baciargli il collo.
Brian abbracciò forte il suo ragazzone, godendosi le sue labbra calde ed il suo profumo.
- Stasera cerco di
tornare presto, così magari ci si diverte – sussurrò in un orecchio,
quindi Brian gli saltò letteralmente addosso,
aggrappandosi a lui come un koala.
- Io ti voglio
adesso – mormorò, baciandolo. Corrado rispose ai baci, ma non si lasciò
corrompere da tanto impeto. Brian allora saltò giù da lui e gli
sorrise civettuolo.
- Vado a vestirmi,
altrimenti andrà a finire che mi licenzieranno –
mormorò Corrado con un sorriso.
- Aspetta amore!
– esclamò Brian, mentre Corrado apriva la porta d’ingresso.
- Cosa c’è? –
- Stavi
dimenticando l’alimentatore – rispose Brian, porgendogli il cavo bianco
del suo portatile.
- Ah già! Grazie
amore. Meno male che ci sei tu…! –
Brian gli sorrise. Corrado lo premiò con
un ultimo bacio, quindi lo salutò ed uscì di casa.
Rimasto solo, Brian
andò in bagno. Si guardò allo specchio, valutando se farsi la
barba o meno, quindi andò a sedersi sul water. La voglia era ancora
tanta, quindi doveva trovare qualcosa per soddisfarla. Si alzò dal water e andò
a sedersi sul divano, dove sul tavolino era poggiato il suo portatile.
Fece volare i tasti sulla tastiera, collegandosi ad un
sito.
E anche oggi, mi tocca fare a mano, pensò, mentre sceglieva un filmino e dava sfogo alla
sua voglia insoddisfatta.
La palestra era come al solito piena di gente. In mezzo al
chiacchiericcio ovattato tipico dei luoghi di ritrovo, c’erano anche le voci di
Brian e di Carlo, il suo migliore amico, che gli stava raccontando dell’ultimo
incontro fatto con un ragazzo.
- …Poi niente, la serata è finita – disse Carlo,
tagliando corto un lungo discorso che lo vedeva protagonista insieme a un altro
ragazzo.
- Finita? – domandò Brian – Ma perché? –
- Eh, sapessi…! –
- Dai dimmelo. –
Sospirando, Carlo scese dalla panca e prese fiato,
controllando i muscoli per un momento. Poi guardò Brian.
- Sai cos’ha avuto il coraggio di chiedermi quando siamo
usciti dal locale? –
- No, cosa? –
- A parte che era un locale di merda-piccolo e in periferia,
quando siamo usciti ha avuto il coraggio di chiedermi la mia parte. Ma dico ti
rendi conto? –
- Ahahah! Ma dai! – rise Brian, portandosi le mani ai
capelli.
- Sì, sì! Non è una cazzata! – esclamò Carlo con gli
occhi fuori dalle orbite.
- E tu cos’hai fatto? –
- Eh, niente… ho aperto il portafogli, gli ho dato la sua
parte e poi gli ho detto che avevo sonno e che dovevo andare a casa. Dopodiché
l’ho bloccato e cancellato da ogni possibile contatto. Ma ti pare? –
- Purtroppo alcuni sono così. –
- Già, peccato che ad essere così siano sempre i più
scopabili… perché i cessi magari la cena te la pagano, però poi tu non glielo
dai lo stesso. Eh…! È la grande contraddizione di noi zitelle, cara: non si
avvicinano gli uccelli, ma solo gli spaventapasseri. –
Brian si alternò con lui a fare i pesi sulla panca, passando
dal braccio sinistro al destro. – Quindi non ci sei andato a letto?
–
- Ma sei fuori?! Certo che no! Ma tu ci saresti andato?! Con
uno che ti chiede la tua parte della cena? –
Per quella che era la sua voglia di sesso in quel momento, Brian
non solo avrebbe pagato la sua parte, ma una cena intera a chiunque gliene
avesse offerto un po’. Ma una risposta del genere avrebbe inevitabilmente
servito a Carlo un boccone prelibato su cui affondare le sue fauci pettegole e
distruggere la sua relazione, insinuando che Corrado non lo toccava più e che
quindi erano sull’orlo del baratro. Carlo faceva un po’ lo stronzetto, però era
una persona intelligente e sagace. Brian pensava che era proprio per quel suo
carattere forte e deciso, che rifiutava di sottomettersi a certe dinamiche, che
era single da più di dieci anni. Che ricordasse, era stato con un uomo molto
più grande di lui quando aveva diciannove anni, ma poi l’aveva lasciato. Tuttora
Carlo oscillava tra il desiderio di libertà e quello di fermarsi, senza
accorgersi che l’uno alimentava l’altro.
- Tanto, figurati se per me è un problema trovare da
scopare. Ho Whatsapp che esplode di messaggi. Se mai ho il problema opposto!
–
- Coraggio, prima o poi capiterà anche a te quello giusto,
com’è successo a me. –
- Be’, mia cara… tu non fai testo – rispose Carlo con
una risatina di sufficienza. – Tu hai messo il lucchetto al sederino già
quando avevi diciotto anni e ti vedevi con “lo
studente del politecnico”. Ahahah! –
Brian gli fece una linguaccia scherzosa.
- Mentre io e le altre giovincelle rampanti saltavamo da un
letto all’altro, ignare che saremmo un giorno diventate delle carampane
arrapate. Ahhh, bei tempi quelli! – disse, con un’enfasi che tradiva a
malapena il suo passato di attore teatrale.
- Ma smettila – lo rimbeccò Brian, alzandosi e
dirigendosi verso il tapis roulant, seguito dall’amico – Sei ancora
giovane, hai appena un anno in più di me! –
- Tu invece più di me hai un fidanzato, stellina mia.
–
- E con questo? -
Prima di rispondere, Carlo assunse un’espressione
corrucciata, poi gli poggiò la testa sulla spalla, fingendo un pianto
disperato. – Ti invidio!!! –
- La verità mia cara, è che non sei capace di stare senza
sparare una sentenza per più di dieci secondi, figuriamoci se sei capace di tenerti
un ragazzo per più di dieci anni come ho fatto io. -
- A volte sei proprio stronza, cara – ribatté Carlo,
sculettando.
- Se m’invidi così tanto, perché allora non te ne scegli uno
e lo eleggi a tuo ragazzo? –
- Per due buone ragioni: la prima, perché non voglio
arrivare a quarant’anni e rimpiangere tutte le scopate che avrei potuto farmi…
-
- E la seconda? –
- La seconda… è che è davvero difficile trovare qualcuno che
lo sappia fare bene, al giorno d’oggi. –
- Pfui – sbuffò Brian – Non c’è solo quello,
nella vita di coppia. C’è anche altro. –
- Lo credo bene… altrimenti tu come faresti a stare insieme
a Corrado? –
- Che intendi dire, scusa? –
- Beh… sei fidanzato con un essere che difficilmente
potrebbe essere fidanzato, nel nostro ambiente. Di solito i tipi come lui, che
non sanno nemmeno cosa sia la palestra, restano da soli. O si accontentano di
rottami come loro. -
Brian pensò al suo Corrado, che mal sopportava l’ironia e
l’esuberanza di Carlo. Alcune volte era stato ospite a cena a casa loro, a
volte da solo, altre volte accompagnato da improbabili futuri fidanzati, e ogni
volta Brian aveva dovuto vedere il suo ragazzo sbuffare o evitare di parlare al
suo migliore amico perché altrimenti l’avrebbe mandato a quel paese.
Ovviamente Brian gli aveva detto che se non gli piacevano le
sue osservazioni, poteva benissimo mandarlo a quel paese. Nella sua saggezza, Corrado
gli aveva risposto semplicemente “Mai
discutere con un deficiente, perché ti trascina al suo livello e ti batte con
l’esperienza”, tuttavia tradendo i sintomi di un nervoso che a malapena
riusciva a calmare da solo.
- Sei troppo severo con Corrado – rispose pacatamente
Brian – Mi piacerebbe sapere cos’è che non ti piace in lui. –
- Non mi piace che un bel ragazzo come te abbia perso tutto
quel tempo dietro ad uno come lui! Tu puoi avere di meglio tesoro mio, però ti
piace la ciccia! E ancora non capisco perché. –
Brian ridacchiò – Sarà perché a me piacciono i ragazzi
che magari non sanno cosa sia una palestra e non hanno la tartaruga scolpita
sul torace, però pagano i conti e sono gentili e cortesi. –
Per tutta risposta, Carlo fece una faccina disgustata come
espressione di sufficienza.
Più tardi, nello spogliatoio, Brian incominciò a vestirsi,
infilandosi i jeans e la camicia. Incontrò il suo sguardo nello specchio,
vedendo un bel ragazzo giovane, biondo e atletico, che avrebbe potuto avere
tutti gli uomini che voleva. E invece…
Invece reggo il
gioco a Corrado, che non è nemmeno capace di coccolarmi un po’ la mattina
quando mi alzo. Ok la gentilezza e la cortesia, ma anche un po’ di sesso non ci
starebbe male.
Fece un sospiro a quel pensiero, quindi si sentì toccare il
sedere. Era Carlo, che con ancora l’accappatoio addosso, si stava avvicinando
per asciugarsi i capelli.
- Conosco quell’espressione – disse, con l’aria di chi
la sapeva lunga – è l’espressione di una che ne prende troppo poco.
–
Brian non rispose, limitandosi ad allontanarsi.
- Anche se non me lo dici, lo so benissimo che il tuo
ragazzo non ti da le attenzioni che meriti. Con quella pancia, gli viene dritto
almeno? –
- Uff… Certo che sì. Però… -
- Però…? – domandò, abbassandosi come un avvoltoio che
plana in volo su una carogna.
- Però… non è quasi mai il momento giusto, per lui. –
- Ah-ha! E lo sapevo! Lo sapevo, lo sapevo lo sapevo e lo
sapevo! –
- E’ sempre impegnato, dietro al suo lavoro… e io … io mi
annoio, ecco. –
Carlo fece spallucce – Perché non ti fai un amante?
–
- Vorrei evitare di arrivare a quello, Carlo. –
- Perché, scusa? Io me la sono sempre cavata benissimo…!
–
- Se pensi che farsi lasciare tre volte perché hai fatto le
corna sia cavarsela benissimo, allora sì, te la sei sempre cavata benissimo.
–
- Bah – biascicò Carlo – Se un ragazzo non ti
da’ quello che vuoi, il minimo che puoi fare è cercare di voler bene a te
stesso. –
E lì Carlo ricominciò con la solita tirata sul fatto che
avere un fidanzato è importante, ma è anche importante il feeling tra due
persone, che certi bisogni non si possono trascurare e via dicendo… discorsi a
cui Brian era anche fin troppo abituato e che conosceva a memoria, ma che non
avevano mai avuto alcun effetto su di lui, né sulla sua relazione. Erano solo
parole. E poi Corrado gli voleva bene, non certo come gli spasimanti di Carlo,
che lo trattavano per quello che era: un ragazzo che seguiva i suoi istinti. E
loro seguivano i loro.
Ma era davvero così deleterio seguire i propri istinti in
costanza di una relazione?
Sarebbe stato davvero così grave se Brian avesse provato
attrazione verso un altro ragazzo e ci fosse finito a letto?
Domande a cui Brian non aveva mai trovato risposta, e che in
quel momento si affrettò a scacciare dalla mente, mentre allacciava le scarpe e
si preparava ad uscire dalla palestra insieme a Carlo.
- Sabato saresti libero? – domandò Carlo, mentre erano
entrambi nella sua macchina, una Fiat Cinquecento viola. Brian lo guardò.
- Tu e Corrado, intendevo. Siete liberi? –
- Corrado credo sarà in trasferta per lavoro. Sta seguendo
una start-up a Bologna… sarà circondato da giovani imprenditori. –
- Ottimo – rispose Carlo – Propongo allora di
andarcene in disco. –
- Non è che mi vada tanto – rispose Brian, facendo
spallucce.
- Perché no? Mi ha invitato uno che devo conoscere. Così,
per non andarci da solo… -
- Hm… -
- Pensaci, mentre ti riporto a casa. –
Arrivati a casa di Brian, Carlo fermò la macchina.
- Allora fammi sapere qualcosa, ok? –
- Sì, va bene. Ci penso e ti so dire. –
- Hasta luego…!
– lo salutò, nella sua madrelingua. Difatti Carlo in realtà era il nome
italianizzato di Carlos, di origine
argentina come lui.
Una volta salutato l’amico, Brian entrò nel cortile che
portava ai palazzi. Mentre apriva il portone d’ingresso, l’occhio gli cadde
sulla guardiola della portineria.
Hm. La signora
Visentin ha chiuso presto, stasera, pensò, mentre raccoglieva la posta
dalla buchetta delle lettere e prendeva l’ascensore.
A sera, dopo una cenetta molto leggera per Corrado e una
pizza per Brian, i due si ritrovarono sul divano come al solito. Brian
accosciato sulla penisola, e Corrado comodamente seduto con la testa appoggiata
alla testiera. Molto vicini, nella diafana luce del televisore che trasmetteva
un film in streaming, Titanic. Brian
amava quel film. Corrado invece era più preso dai film di fantascienza o dagli
horror, per cui era prevedibile che sonnecchiasse. Brian gli buttò uno sguardo
con la coda dell’occhio, vedendo che il suo ragazzo aveva chiuso gli occhi e se
ne stava a testa bassa, come se fosse pentito o in meditazione profonda.
E fu allora che a Brian venne un’idea furbetta.
Cercando di muoversi il meno possibile, allungò il piede
destro verso Corrado, fino a metterglielo sotto il naso. Sentì il respiro di
Corrado sulle dita, poi lo vide che apriva gli occhi e si svegliava di
soprassalto, allontanando il naso.
- Ma che…?!? – a quell’esclamazione, Brian rise a
crepapelle.
Corrado lo guardò truce per un istante, ma poi rise anche
lui. – Che scherzo cretino – aggiunse.
- Ahahah! Eri talmente beato che ho voluto guastarti la
festa – disse Brian, avvicinandosi. Corrado lo prese a sé e lo baciò,
mentre il film andava avanti.
- Ho avuto una giornata pesantissima, amore… -
- Lo so – rispose Brian – Per questo ho messo
Titanic. Così puoi dormire beatamente. –
- Hmmm… grazie… amore. –
Brian gli si accoccolò ancora di più, tornando a guardare lo
schermo, pacificamente accomodato contro il petto del suo ragazzo, mentre si
godeva il suo respiro attraverso i capelli.
E così, anche per quella serata non c’era stato niente, a
causa dell’abbiocco di Corrado. Però a Brian non dispiacque stare con la testa
appoggiata al suo petto mentre gli accarezzava i fianchi. Un modo come un altro
per volergli bene, che alla fine funzionava sempre.
Sabato sera arrivò
in un lampo. Brian era ancora indeciso su cosa mettersi per non sembrare in
cerca di fidanzato, però era davvero difficile scegliere, dal momento che ormai
anche i single per andare in discoteca si vestivano come per andare al mercato,
quindi non venire abbordati sarebbe stata essenzialmente una questione di
fortuna. Sul letto matrimoniale che condivideva con Corrado, erano sparsi un
sacco di vestiti: pantaloni neri, giacche, camicie di seta, di cotone… tutta
roba da fighetti, come avrebbe detto
sua madre.
Provò una camicia
di seta con un paio di pantaloni neri.
- Nah – disse, sbuffando – sembro un apprendista
agente immobiliare. –
Buttati quelli,
provò a mettersi una maglietta bianca abbinata a una camicia a quadrettoni, da
portare rigorosamente aperta.
- Sarebbe perfetta
per una serata a tema ursina, però non è proprio il caso. -
Poi fu la volta di
una maglia lunga da pallacanestro.
- Cazzo! Ma davvero
ho comprato io questa roba?? – esclamò, mentre se la toglieva e rimaneva
con il bianco torace scoperto.
Mentre cercava
qualcos’altro da mettersi, si soffermò a contemplare la sua figura riflessa
nello specchio appeso al muro: dietro di lui c’era l’armadio con le ante laterali a specchio, che riflettevano l’immagine di
sé stesso, visto di spalle.
Una pelle bianca
come la sua era come la tela di un pittore per Claudia, la sua tatuatrice di
fiducia, che aveva firmato le tre stelline sul bacino ed il motivo tribale alla
base della schiena, oltre alla chiave di violino che aveva sul braccio destro.
C’era però un’altra
cosa disegnata sul suo corpo… una cosa che nessun tatuatore gli aveva fatto, che
lo riportò con la mente a un ricordo felice della sua
vita…
Doveva essere
primavera o estate. Lui era più giovane, ed anche Corrado lo era. In quel
momento della loro vita erano nudi, distesi su un fianco.
Ma che cosa stai facendo? Aveva domandato Brian, cercando di guardare dietro di
sé il suo ragazzo con la coda dell’occhio.
Ti sto contando le efelidi sulla schiena.
Brian aveva fatto una
risatina. Smettila. Mi fai addormentare,
se continui a contare così sottovoce. E poi non mi piace che qualcuno veda quanto
sono brutto senza vestiti.
Io resterei a guardarti per ore, aveva detto Corrado. Perché sei tu, nel bene o nel male. E tu sei unico. Unico e
irripetibile, nonché incredibilmente bello.
A quelle parole
Brian ebbe un moto di tenerezza tipico degli adolescenti: si accoccolò al suo
ragazzo e non disse più una parola, mentre Corrado gli accarezzava i capelli
lunghi e rossicci, infondendogli una sensazione di pace mai provata prima di
allora…
Il mio piccolo angelo birichino, mormorò Corrado, mentre si riaddormentavano insieme.
Poi la vista tornò
al presente, riportandolo alla sua immagine riflessa nello specchio. I capelli
rossicci e lunghi erano ora diventati biondi ed erano più corti, sparati da
tutte le parti verso il basso; il corpo era più proporzionato e leggermente più
muscoloso; lui era alle soglie del suo ventottesimo compleanno…
…ma le sue efelidi
erano ancora tutte là, sulla sua schiena bianca come il latte.
Sospirò, dandosi
del cretino perché in fondo era un maledetto tenerone sentimentale, quando
finalmente trovò qualcosa da mettersi.
*****
Carlo era fuori dal
parcheggio nella sua Cinquecento color prugna, con la musica di un vecchio
successo anni ’90 sparato a tutto volume. Quando vide Brian arrivare, aprire lo
sportello e accomodarsi sul sedile passeggero, lo squadrò dalla testa ai piedi.
- Che c’è? Non hai
mai visto uno salire nella tua macchina? –
- Cucciolotta
– l’apostrofò – Ma dove credi di andare così conciata? Mio dio, non
hai nemmeno un po’ di lucidalabbra! Guarda che stiamo andando in discoteca, non
ad una serata Netflix! –
Alla fine Brian
aveva optato per un paio di jeans strappati ed una maglietta nera aderente, con
una collanina d’argento e dei braccialetti colorati al polso destro. Al
sinistro invece, c’era solo la fedina d’argento di Corrado.
Tutto all’opposto invece era Carlo, che
aveva scelto di vestire una camicia viola addobbo funebre, abbinata ad un paio
di jeans attillati che Brian gli aveva già visto indossare in altre occasioni,
oltre ovviamente ad essersi tirato indietro tutti i capelli con il gel ed
essersi messo un velo di lucidalabbra.
- Diiio quanto sei
maschia – disse Carlo con un velo di disprezzo misto a ironia, mentre
tirava fuori la boccetta con il lucidalabbra – Vieni qui, cretina. Va
bene che hai messo il lucchetto al culo e non sei in cerca di marito, però non
è il caso di presentarsi in disco come lo iettatore di Paolo Bonolis! –
- Tu sei tutta
scema, cara – rispose Brian, ridacchiando e avvicinandosi all’amico per
farsi applicare il lucidalabbra.
*****
La discoteca era
gremita di gente. L’ultima volta che ci era stato risaliva a più di cinque anni
prima: ce l’aveva portato un ragazzo con cui si era visto qualche volta, quando
ancora non aveva compiuto i diciotto anni.
E l’età media di
quella sera era più o meno quella, se non di meno: la maggior parte degli
avventori del locale erano ragazzini scappati di casa che dovevano aver
compiuto la maggiore età neanche l’altro ieri, che bevevano
e fumavano e forse addirittura tiravano di coca nei bagni. Essendo lui dieci
anni più vecchio di loro, non si sentiva esattamente
al suo posto, al contrario di Carlo che, come al solito, aveva incominciato a
dare spettacolo già mentre erano in coda per aspettare.
- E tu sei
fidanzato? – gli aveva domandato un ragazzo magro e barbuto, con un septum che faceva
da ponte sotto le narici.
- Oh no, caro! Sono
libero come l’aria! Altrimenti non sarei mica qui, no? –
- Guarda che io
sono fidanzato e sono qui – disse un altro, un ragazzino di circa
vent’anni con un altro ragazzo identico a lui al seguito: entrambi avevano i
capelli biondi, gli orecchini colorati e lo stesso abbigliamento.
- Ah che carino…!
Vuoi divertirti un po’ alle spalle del tuo ragazzo, vero? –
- Proprio alle
spalle no – rispose il ragazzino – Perché lui è qui con me. –
disse, indicando il clone al suo fianco, che stava ridendo dell’espansività di
Carlo.
- Ma che carini
siete! – esclamò – Vi avevo scambiati per
fratelli gemelli! Sapete che l’incesto è un reato, vero?!?
–
I due ragazzini
risero, ed anche il ragazzo barbuto con il septum.
- Lui invece è
fidanzato? – domandò quest’ultimo, rivolgendosi a Carlo ma indicando
Brian.
- Perché non glielo
chiedi a lui, tesoro? Non è sordomuto, ti capisce,
sai? –
Preso un po’ in
contropiede, il ragazzo barbuto porse la mano a Brian – Sono Gianni,
piacere. Sei fidanzato? –
- Sì, e anche
felicemente. – disse, e scoccò un’occhiataccia a Carlo per intimargli di
non aggiungere altro, che l’amico sembrò recepire.
- Ah, peccato…! Ma
il tuo ragazzo sa che sei qui? –
- Mi avvalgo della
facoltà di non rispondere – rispose Brian con una risatina.
- Comunque è un
peccato, io se avessi un ragazzo così non lo lascerei mai da solo. Avrei paura
che qualcuno possa rubarmelo! Non dormirei sonni
tranquilli. –
- Sarà per questo
che noi andiamo sempre insieme in disco – rispose il fidanzatino-clone.
- Il mio ragazzo
invece può dormire sonni più che tranquilli. Non c’è alcun pericolo che
qualcuno possa rubarmi a lui. – disse Brian in una solennità che più
tardi, entro quella stessa mezzanotte, avrebbe inserito nel classico diario delle
Ultime Parole Famose.
*****
A parte girare di
qua e di là con il bicchiere di drink in mano, ballettare un po’ insieme a
Carlo in pista e chiacchierare brevemente con qualcuno, non c’era molto da fare
per lui. Si era ritagliato un posticino su uno degli sgabelli del bar, e l’avevano
già interpellato in tre, tutti ragazzini: il più vecchio doveva aver avuto
vent’anni, ma in comune con tutti e tre gli avevano fatto i complimenti per
essere un bellissimo ragazzo. Uno di questi, il più spudorato, gli si era
seduto accanto mettendogli una mano sulla coscia, ma Brian molto educatamente
gli aveva fatto capire che non era lì per quello, lasciandolo con un palmo di
naso. Dopo quel tentativo di abbordaggio, ce n’erano stati pochissimi altri che
aveva ovviamente respinto, motivando la sua scelta con
un Sono fidanzato, non cerco un’avventura
occasionale. Naturalmente non avrebbe accettato quelle avances dai
ragazzini nemmeno se fosse stato single: in caso non si fosse capito, a lui
piacevano i ragazzi più grandi. I ragazzini erano troppo volubili e decisamente
fissati con il sesso, mentre invece i più grandi erano più coinvolgenti, più
seduttivi… almeno quella era l’idea che si era fatto dopo dieci anni insieme a
Corrado. Tuttavia ricevere quelle attenzioni non gli era certo dispiaciuto.
Sentirsi apprezzato anche alla soglia dei trent’anni, non è da tutti.
Almeno so che non avrei problemi a trovarmi un altro se
Corrado dovesse stancarsi di me,
pensò con una risata.
A proposito di lui,
Corrado si era fatto sentire verso le undici e mezza su Whatsapp:
gli aveva scritto che stava bene e gli aveva mandato delle foto che lo
ritraevano nella stanza d’albergo dove alloggiava. Brian notò che il suo
ragazzo aveva ancora i capelli in ordine nonostante la
giornata impegnativa, per cui dedusse che nella sua precisa pignoleria, doveva
essersi pettinato prima di scattarsi i selfie. Il pensiero
lo fece sorridere.
Mi manchi,
gli scrisse Brian.
Anche tu mi manchi, amore mio. E, subito dopo, ricevette un altro messaggio: una
veduta panoramica della città di Bologna, sotto una luna piena che illuminava
quasi a giorno l’agglomerato urbano. Immediatamente dopo di questo, ricevette
la foto della luna, con sotto il messaggio Te
la regalo.
Ti amo,
scrisse Brian, con tre cuoricini.
Ti amo,
rispose Corrado, andando poi offline. Forse a farsi una doccia, dedusse Brian.
*****
Verso mezzanotte,
il locale si stava lentamente svuotando. I più erano chiusi a fare sesso nella
dark room, e quelli che restavano erano coloro che ancora non avevano trovato
con chi passare la serata. Anche Carlo doveva essersi nascosto nel buio con
chissà chi: di lui aveva ricevuto solo un messaggio, dove gli diceva che era
occupato con un ragazzo.
Rimasto dunque
solo, Brian si fece servire il terzo drink della serata, sentendosi già brillo
e pensando che aveva sprecato del tempo prezioso accompagnando Carlo. Stava
pensando che sarebbe stato meglio rimanere a casa in compagnia di Netflix, quando si alzò e urtò contro qualcuno,
rovesciandogli il drink che aveva in mano.
- Caz … - mormorò Brian, affrettandosi a mettere una mano sul
braccio bagnato del ragazzo, incrociando poi il suo sguardo.
In quel momento, il
tempo sembrò fermarsi, congelandosi in un infinitesimo di attimo. La discoteca
scomparve, lasciando il posto solo a lui … ed al tipo che aveva
involontariamente urtato.
I suoi occhi neri
lo guardavano intensamente, mentre la sua mano destra andava a toccare quella
di Brian, congelato da una passione ardente. Come aveva fatto a non notarlo
prima…?
- S…scusami.
Scusami, scusami! – esclamò Brian, poggiando il drink sul bancone e
cercando dei fazzolettini di carta nelle tasche.
- Non è niente
– disse il ragazzo – Però forse è meglio che vada in bagno a… -
- Aspetta, ti accompagno.
Devi scusarmi, sono un po’ ubriaco e non ti avevo visto. –
In bagno, il
ragazzo si lavò le mani mentre Brian gli asciugava la maglietta con delle
salviette umide. – Spero non resterà l’alone – disse.
- Non dovrebbe.
Alla fine questi drink vengono allungati molto con l’acqua. E poi… anche se ci
fosse una macchia, sarebbe uguale, per me. – rispose il ragazzo con un
sorriso.
Brian sorrise di
rimando, con dolcezza.
- Io sono Riccardo
– si presentò il ragazzo, porgendogli una mano grande ma con le dita
affusolate.
- Brian. –
- Come, scusa?
–
- Brian! Mi chiamo
Brian. È un nome anglosassone. –
- Ah, capisco!
Scusami, non avevo sentito bene… Brian. Hai un bel nome. –
- Grazie. –
- E cosa fai qui da
solo, Brian? –
- A parte
ubriacarmi e ricevere proposte di accoppiamento da questi bambini, intendi?
–
Riccardo rise di
gusto, e anche Brian. Da quella battuta iniziò una lunga conversazione.
*****
In poco tempo,
Brian aveva imparato molte cose sul conto di Riccardo. Prima fra tutte, che era
un artista: spaziava dalla pittura alla scultura, e ogni tanto curava o teneva
delle mostre d’arte. Alcune delle sue opere erano state acquistate all’estero,
consentendogli di comprare un discreto appartamento in centro. Inoltre, cosa
che spinse Brian a continuare nella conversazione, era fidanzato anch’egli.
Alla domanda sul perché si trovasse lì, Riccardo aveva risposto che
accompagnava un amico che adesso si era disperso, aggiungendo che a lui non
interessava fare sesso.
- Oh…! Sei una
persona seria – disse Brian – Ma il tuo ragazzo lo sa che sei qui?
–
- Oh sì, certo che
lo sa. Solo che lui in questo momento è ad Amsterdam. Si occupa di eventi
aziendali, e credo stia curando una specie di kermesse di un’azienda olandese. –
- Capisco –
rispose Brian con un sorriso – Scusa, non volevo essere indiscreto.
–
- Nessun problema!
– esclamò Riccardo allargando le mani – Siamo qui per fare
conversazione, no? –
- Eheheh. Certo che sì. –
Riccardo gli sorrise. - Posso offrirti un altro drink, Brian? –
- Biensur…! –
E continuarono così
a parlare ed a bere i loro drink.
*****
Alle due di notte
il locale si era quasi svuotato. Insieme a Riccardo, Brian si mise a cercare
Carlo, che però sembrava essersi volatilizzato. Dopo dieci messaggi su Whatsapp, si decise a chiamarlo. Durante la telefonata,
Brian capì immediatamente che non era più solo, inoltre Carlo gli disse che se
n’era andato dal locale.
- Avresti anche
potuto avvertirmi idiota che non sei altro! – lo
rimproverò Brian.
- Scusa, mi sono
dimenticato! –
- Sei
incorreggibile, Carlo. Uff! –
- Se aspetti dieci
minuti, torno e ti vengo a prendere! –
Accanto a lui,
Riccardo si offrì di accompagnare Brian.
- No, non è
necessario. Ho trovato chi mi darà un passaggio fino a casa. Tu divertiti.
–
- Va bene. Ciao… -
E chiuse la conversazione.
*****
La macchina di
Riccardo era una Smart nuova di pacca, che aveva quel profumo che si sente nelle
auto nuove, lo stesso che aveva l’Opel Corsa di Corrado quando l’acquistò, già
otto anni prima.
- Abiti qui?
–
- Sì. Puoi fermarti
qui, grazie. –
Riccardo si fermò
nella via accanto all’ingresso del palazzo dove viveva Brian.
- Niente male,
davvero. La casa è vostra? –
- No, siamo in
affitto. Ma spero che presto compreremo una casa tutta nostra, appena Corrado
troverà un lavoro più stabile. –
- Ah, è precario?
Mi dispiace. –
- Non è proprio un
precario… diciamo che lavora per molti datori di lavoro diversi. –
- Capisco. Beh, mi
ha fatto davvero piacere passare un po’ del mio tempo insieme a te, Brian.
–
- Anche a me.
Davvero. – rispose Brian, guardandolo timidamente negli occhi.
- Senti, ti va se
ci scambiamo il numero? Mi farebbe piacere rivederti. E magari farti vedere un
po’ dei miei lavori e sicuramente avrei il parere di un esperto. –
Brian si mise a
ridere, mentre tirava fuori il cellulare. – Esperto? Io?!
–
- Sì, tu. Non mi
hai detto di esserti diplomato al liceo artistico? –
- Ah beh…! Se
questo fa di me un critico d’arte, allora sì! –
Riccardo rise,
quindi tirò fuori il suo cellulare mentre Brian gli dettava il suo numero.
- Salvato! –
esclamò Riccardo – Grazie. –
- Grazie a te per
il passaggio – rispose Brian, aprendo la portiera e soffermandosi un
attimo a guardarlo. Disse a sé stesso che non era il caso di baciarlo, quindi,
molto semplicemente scese e chiuse la portiera, lasciandoselo alle spalle e
aspettando di sentire il motore che si avviava per poi allontanarsi.
Quando lo vide
andar via, provò quasi una stretta al cuore, che aveva iniziato a palpitargli
forte nel petto. Gli sembrò di essere tornato ragazzino,
quando conobbe Corrado.
E ad un tratto, si
mise a fantasticare di come sarebbe potuta andare a finire la serata se l’avesse
baciato sulle labbra: l’avrebbe forse invitato a salire a casa sua, dove
avrebbe visto le foto di lui e di Corrado e la sua laurea in ingegneria appesa
al muro; poi si sarebbero messi sul divano a coccolarsi, magari guardando un
film od una serie TV… e poi si sarebbero dati alla pazza gioia a letto.
Poi lui sarebbe
scomparso dopo aver ottenuto quello che voleva. Proprio come facevano tutti
quelli che incontrava Carlo.
Strabuzzando gli
occhi, Brian cercò di tornare alla realtà. Non
pensare a queste scemenze! Tu sei fidanzato e stai bene con Corrado. Non
metterti in testa strane idee, chiaro?!
Ma insieme a quella
voce imperante, ce n’era un’altra che diceva Adesso è proibito anche fantasticare? No! Per
cui sta’ zitto e non rompere le palle!
E poi, era
ragionevolmente certo che anche Riccardo sarebbe scomparso, come tutti quelli
che incontrava Carlo?
*****
La risposta alla
sua domanda la ebbe poco dopo essere uscito dalla doccia. Mentre era sul letto
con l’accappatoio, il suo telefono si mise a vibrare. Messaggi su Whatsapp.
Riccardo.
Buona notte, e grazie per la bella serata ;)
Emozionato, Brian
rispose altrettanto, sorridendo come un adolescente invaghito. Poco dopo arrivò
un altro messaggio, questa volta di Corrado.
Ancora sveglio, amore? J
Quel messaggio lo
fece letteralmente cadere dalle nuvole. Fece per rispondere, ma alla fine
abbandonò il cellulare sul comodino mettendolo in modalità aeroplano e si tolse
l’accappatoio prima di ficcarsi sotto le coperte completamente nudo e spegnere
la luce. Rimase con gli occhi aperti e la mente piena di interrogativi,
cercando di pensare che cosa aveva fatto esattamente
quella sera.
Il cuore di ogni
persona è come una casa. Una casa dove a volte (forse troppe) c’è una sola
persona, ma a volte ce n’è più di una. In quello di Brian c’era ovviamente
Corrado, per il quale la porta del cuore di Brian era chiusa.
Tuttavia senza
rendersene conto quel sabato sera Brian aveva iniziato ad aprire la porta del
suo cuore a un’altra persona.
Da un po’ di giorni
avevano incominciato a messaggiare via Whatsapp. La mattina si svegliava con la
speranza di ricevere un suo messaggio: quando non lo trovava, glielo inviava
lui. Ogni tanto chiacchieravano inviandosi messaggi vocali e foto della loro
giornata, rigorosamente da soli: ogni tanto Brian scorreva nella conversazione,
osservando una foto di Riccardo in giro per la città a fare shopping (Brian
riteneva con il suo ragazzo); un selfie di sé stesso con lo sfondo del supermercato
dove andava a fare la spesa; una di Riccardo che gli mandava il buongiorno
disteso sul suo letto ed altre simili. Per sua fortuna, Riccardo era uno che
scriveva poco durante la serata, quindi Brian poteva tranquillamente dedicarsi
al suo ragazzo quando tornava dal lavoro, anche se ormai avere il suo ragazzo
in casa la sera non gli faceva più molto effetto.
*****
- …e poi c’è questo
mio collega che mi fa: “Corrado, ma non possiamo usare la carta da riciclo per
prenderci appunti” – “Abbiamo comprato tonnellate di bloc-notes e tu usi
la carta da riciclo!” – disse, mentre inforcava un maccherone.
Brian era lì che
annuiva e ogni tanto gli lanciava un’occhiata interessata, ma non aveva capito
bene cosa il fidanzato gli avesse detto.
- E così io gli
rispondo: “Claudio, lo sai che a me non piacciono gli sprechi” – “E poi
mi piace scrivere sulle vecchie e-mail stampate!” – fece una risata
– …E indovina un po’ com’è andata a finire? –
- Non lo so.
Dimmelo? –
- Be’, il capo ha
dato ragione a me! Ahahah! –
Brian ridacchiò
insieme al fidanzato, sorridendogli amabilmente. Ogni tanto Corrado gli
raccontava la sua giornata, e di questo Brian era contento.
- E tu cos’hai
fatto oggi? –
- Intendi oltre a
dimenticarmi di comprare il formaggio? –
Corrado inforcò
altri maccheroni e se li mise in bocca, masticandoli piano.
- Succede a tutti,
amore… non stare a crucciarti. E poi mi fa bene mangiare un po’ meno formaggio,
anche se mi piace molto. –
- Il fatto è che
non mi ero accorto che mancava… ho guardato bene in frigo prima di andare a
fare la spesa, mi sono accorto che mancava, eppure non l’ho segnato. Scusami
amore. –
- Non fa niente
– rispose Corrado, alzandosi e andando verso il frigorifero, dove con una
calamita era fissata la lista delle cose da comprare. Prese una biro dal
contenitore lì vicino e vi segnò sopra, nella sua calligrafia media ma precisa
“Grana Padano”.
- Ecco fatto
– disse – così al prossimo giro il formaggio è a posto. –
Brian gli sorrise,
ricordando ancora una volta su cosa l’aveva colpito di lui tanto da sceglierlo come
compagno di vita: Corrado era tutto ciò che lui avrebbe voluto essere. Ordinato,
preciso, pratico… ma soprattutto paziente. Caratteristica che Brian aveva
apprezzato fin da subito.
Terminata la cena,
Brian si mise a sparecchiare e poi a lavare i piatti. Nel suo spirito
collaborativo, Corrado aveva preso scopa e paletta ed aveva incominciato a dare
una spazzata al pavimento. Mentre rigovernava, con lo sguardo rivolto verso le
bocche dell’acquaio, si sentì corrucciato. Se si era dimenticato di comprare il
formaggio, un motivo c’era.
Durante tutto il
giro della spesa aveva cercato di tenere d’occhio la lista, depennando quello
che aveva già comprato e girando per gli scaffali alla ricerca delle altre cose.
Ma tra un depennamento e l’altro, c’era andato di mezzo il suo smartphone, che
ogni due per tre visualizzava un messaggio di Riccardo. Alcuni clienti del
supermercato quel giorno avevano visto un ragazzo biondo che, con una mano
appoggiata al carrello e l’altra che teneva un cellulare, leggeva e ogni tanto
sorrideva come uno scolaretto.
Eh sì. La
dimenticanza del formaggio aveva un nome e un cognome, un volto ed un corpo che
piacevano a Brian, oltre ad un’incredibile capacità di irretirlo. E quel nome
era Riccardo Gherardi.
*****
Un giorno Brian era
intento a occuparsi della casa. Aveva già spolverato e rifatto il letto, quindi
pulito il pavimento. Era piuttosto concentrato e felice, non sapeva bene
nemmeno lui perché. Si sentiva in pace con sé stesso, come poche volte gli era
accaduto durante la sua vita. La giornata fuori non era delle migliori: il
cielo plumbeo minacciava pioggia, essendo l’autunno appena incominciato. Ecco,
forse era quello il motivo: l’autunno, il pensiero che da lì a poco si
sarebbero viste tutte le sfumature degli alberi, il fogliame che avrebbe
coperto le strade ed i parchi… sarebbe stato tutto più bello.
Ma la motivazione
vera era che Brian non aveva smesso di sentirsi con Riccardo, anche se era
un’opzione che aveva considerato, almeno per un momento.
Il vagone della
metropolitana si riempiva di gente a ogni fermata. Fortunatamente Brian era
riuscito a conquistarsi un posto a sedere, visto che il suo viaggio sarebbe
stato abbastanza lungo: per fare compagnia a Carlo, aveva scelto di andare
nella sua stessa palestra, ma poiché l’amico non era sempre molto disponibile a
dare passaggi in macchina, spesso Brian prendeva il metrò per raggiungerlo.
Per ingannare il
tempo, si era messo ad ascoltare musica dal suo iPhone come faceva di solito.
Ad un certo punto
sul vagone salì una coppia di uomini: uno era un po’ cicciottello, poteva aver
avuto una quarantina d’anni, e l’altro doveva aver avuto l’età di Corrado.
Chiacchieravano amabilmente sottovoce, scambiandosi sguardi e risatine. Il
quarantenne aveva l’aria di un professore universitario: Brian l’intuì sia
dall’abbigliamento un po’ retrò che indossava, che dai discorsi che faceva al
suo accompagnato (gli parve di aver udito parole come museo, quadri, arte contemporanea). L’altro invece
doveva essere studente o ricercatore, aveva l’aspetto di un nerd incallito e sembrava che ascoltasse
le parole dell’uomo come oro colato. Ad un certo punto, dopo che l’altro ebbe
concluso il suo discorso, Brian vide il nerd
prendergli dolcemente la mano e dargli un bacio sulla guancia barbuta. Gesto
che il “professore” ricambiò con un bacio all’angolo della bocca del suo
compagno. A quella visione Brian si sentì pervadere da un’ondata di tenerezza
infinita, che subito dopo si tramutò in tristezza, paragonata alla sua
situazione attuale. Dov’erano finite quelle parole, quegli sguardi, quei gesti
di amore che c’erano stati tra lui e Corrado? Se n’erano andati quando avevano
deciso di andare a convivere insieme, cinque anni prima…? Oppure non c’erano
mai stati?
Emozioni.
Emozioni che forse
c’erano state, ma che adesso dovevano essersi molto assopite. Emozioni che
Brian avrebbe voluto ritrovare, ma che forse stava cercando nel posto
sbagliato.
E il posto
sbagliato forse era Riccardo.
Smise di guardare i
due amanti per lanciare un’occhiata allo smartphone. Entrò su Whatsapp, andò al
contatto di Riccardo e meditò su cosa fare. Bloccarlo o non bloccarlo?
Si mordicchiò il
labbro inferiore, con mille pensieri per la testa. Almeno mandagli un messaggio per dirgli perché lo fai, no? Oppure Bloccalo senza pensarci, cerca di
riconquistare il tuo ragazzo! E via così.
Mentre era lì che
cincischiava, arrivò una notifica: Riccardo.
Ebbe un tuffo al
cuore.
Si affrettò a
scrivergli che non stava per bloccarlo, che non voleva farlo, che si stava
sbagliando…
…quando si rese
conto che Riccardo non poteva sapere se stava per essere bloccato da lui o
meno.
Vado in palestra,
gli aveva scritto, anche se mi piacerebbe
fare un po’ di allenamento insieme a te. Con un occhiolino alla fine.
Una frase che fece
letteralmente avvampare Brian, che pensò immediatamente a quanto avrebbe potuto
essere bello “allenarsi” insieme a lui. La sua mente ricominciò a vagare, ma lo
speaker annunciò che la sua fermata era vicina, quindi agguantò il borsone
della palestra e si alzò, dirigendosi verso le porte scorrevoli del vagone.
*****
- A proposito, grazie
per avermi piantato in asso, sabato sera…! – esclamò Brian con un sorriso
fasullo dipinto sulle labbra quando incontrò Carlo davanti alle porte
d’ingresso della palestra.
- Ero ubriaco
marcio – si affrettò a giustificarsi l’altro – E poi tu eri
scomparso, non ti trovavo da nessuna parte! Dove ti eri cacciato? – Poi i
suoi occhi si spalancarono, insieme alla sua bocca, in una “ah!” di sorpresa
– Non è che hai cambiato idea e ti sei fatto togliere qualche ragnatela
da lì sotto?! –
- Ma va là! –
esclamò Brian, scuotendo la testa mentre entravano – Semplicemente… - e
lì si bloccò.
Per la verità non
sapeva se raccontare a Carlo che aveva conosciuto un ragazzo. D’altronde non ce
n’era motivo, dal momento che non avevano fatto niente se non parlare. E quella
sera aveva parlato con almeno dieci ragazzi, perciò… decise di tenersi
l’informazione per sé.
- …Cosa? –
- Ah, non importa. Stavo
per dire che ci stavamo cercando a vicenda, ma non ti trovavo perché forse eri
già andato via. Bell’amico che sei. –
Carlo sbuffò
– E basta, non menarmela così tanto! Andiamo, che stando qui a
chiacchierare sarò ingrassata di altri tre chili! –
*****
- A te invece com’è
andata? – domandò a un certo punto Brian, mentre erano entrambi sulle
cyclette.
Carlo lo guardò con
un’espressione mesta, sospirando ampiamente. – Una tristezza infinita… Ti
abbordano, fanno i carini… poi quando hanno ottenuto quello che vogliono, il
mattino dopo, non esisti più. -
Brian fece per
aggiungere qualcosa, ma Carlo continuò.
- Poi fosse stato
pure bravo a letto! Invece no! Neanche quello…! Quattro colpi, cinque minuti e
poi s’è addormentato. Senza farmi nemmeno due coccole. Che tristezza… -
- …infinita, l’hai
già detto. –
- Non farci caso,
invecchiando capita di ripetere sempre le stesse cose. –
- Comunque te l’ho
sempre detto, che in disco non ci trovi l’uomo della tua vita. –
- Cosa c’entra?
Guarda che non è mica il posto che fa la differenza, ma la fortuna che uno ha.
Ti ricordi di Filippo ed Elia? Loro si sono conosciuti in disco-anzi, meglio: in dark room- e stanno
ancora insieme dopo cinque anni. Come lo spieghi? –
- Fortuna? –
buttò lì Brian mentre pedalava.
- Fortuna! –
esclamò Carlo, per poi sospirare.
- Sì, può essere...
ma Carlo, te l’ho già detto. Tu mi lasci perplesso perché io ti conosco bene:
secondo me tu non reggeresti dieci minuti insieme allo stesso uomo, figurati
dieci anni come me! –
- Cosa vuoi
insinuare, che sono una puttana? –
Brian ridacchiò
vedendo l’espressione di sdegno dell’amico: uno spalancamento d’occhi e
un’alzata di spalle, degni di una dama settecentesca. Se durante la sua
carriera di attore aveva ricevuto degli applausi dal pubblico, erano sicuramente
meritati.
- Avanti – lo
incalzò Carlo – Fammi sapere quello che pensi, su, dai! –
Conoscendo l’amico,
sapeva che fingeva di essere arrabbiato con lui, quindi gli parlò con tutta la
franchezza possibile.
- Vedi, Carlo, tu
sei un bel ragazzo, però hai un problema: non sei costante. Anzi, l’idea stessa
di essere costante ti ripugna. A te piace troppo vivere con il vento in faccia,
con l’approvazione di tutti. E lo capisco, perché sei stato un attore e
rinunciare agli applausi a volte può essere difficile. Però, vedi… nella vita
non occorre essere approvati da tante persone. No. Ne basta anche una sola, che
ti apprezzi per come sei, con tutti i tuoi pregi e ovviamente con tutti i tuoi
difetti. E ne hai tanti, amico mio, tanti. –
Carlo fece per
ribattere, ma guardando negli occhi di Brian, richiuse la bocca e sospirò.
- Ho ragione o no?
Tu per esempio ci staresti dieci anni con lo stesso ragazzo, come ho fatto io?
–
- Mio
dio! – esclamò Carlo – Non sei tu che devi chiederlo a me, ma
sono io che lo chiedo a te. Come si fa? A un certo punto non subentra
l’abitudine, la noia…? –
Quella
contro-domanda bastò a spiazzare Brian, che per tutta risposta guardò ancora
una volta l’amico e poi tacque. Non erano forse quelle le sensazioni che
provava da un po’ di tempo a quella parte? Sì, forse. Ma c’era ancora qualcosa
che lo legava a Corrado. Si trattava solo di scoprire che cosa.
Intanto, mentre
parlava, ricevette un nuovo messaggio da parte di Riccardo.
*****
Ti andrebbe di andare a fare un giro insieme?
Brian si portò una
mano alla bocca, mentre, nel silenzio ovattato del suo appartamento, stendeva i
panni dopo aver fatto il bucato.
Riguardò il
messaggio, scomponendolo mentalmente in mille passaggi, ma il significato era
univoco: Riccardo gli aveva appena chiesto se gli andava di incontrarsi
nuovamente.
Dal loro primo
incontro in discoteca erano passate almeno due settimane, durante le quali lui
si era fatto sentire abbastanza regolarmente, per fortuna sempre in momenti in
cui Brian era da solo. Tra di loro c’erano stati messaggi amichevoli, talvolta
dolci, ma mai così diretti come quello che aveva ricevuto quella mattina.
Brian ci pensò su.
Quante probabilità c’erano che fosse una trappola per portarlo a letto e usarlo
come di solito veniva usato Carlo? C’era modo di sapere le sue intenzioni prima
di accettare…? No. A meno di non conoscerlo bene. E Brian sapeva poco e niente
del suo nuovo amico.
Però la curiosità
era tanta. Così come era tanta la noia che provava. E altrettanta la voglia di
fare qualcosa di diverso.
Mise mano allo
smartphone, cercando le parole per formulare una risposta.
Volentieri. Potremmo vederci prima o dopo pranzo, dimmi
tu.
Inviò il messaggio
e attese. Poco dopo, Riccardo rispose.
Gli aveva inviato
l’immagine pubblicitaria di un caffè alla moda, un bel posto che sembrava un
ritrovo di artisti contemporanei.
Sono sicuro che questo posto ti piacerà. Non mi dirai
di No. J
Brian sorrise,
incuriosito dalla proposta di Riccardo.
Accettò, ma si
affrettò a ribadire che lui era fidanzato e che non era interessato ad una
nuova conoscenza che non fosse esclusivamente di livello amicale.
Com’era ovvio,
Riccardo rispose in tutta tranquillità.
Sono fidanzato anch’io, quindi metto i tuoi stessi
paletti. Grazie per la comprensione,
scrisse, e alla fine mise un ambiguo cuoricino.
Guardò una delle
fotografie che aveva sul mobile dell’ingresso: ritraeva lui e Corrado in piedi
su un viale, con la Tour Eiffel sullo sfondo. Un ricordo del loro primo viaggio
insieme, a Parigi. Guardò in particolare Corrado: il ciuffo di capelli castani
che gli ricadeva sugli occhi, schermati dagli occhiali da sole, ed il suo
abbigliamento da riccone che lo faceva sembrare più magro ma allo stesso tempo
lo faceva sembrare un uomo adulto, non il giovane uomo che era. Sospirò.
Dopotutto quello era il passato, e forse una ventata di presente non sarebbe
stata poi così male.
Poggiò il bacile
dove prima c’erano i panni da stendere e andò a prepararsi all’incontro.
Benché avesse messo
in chiaro che il loro sarebbe stato un semplice incontro tra amici, in cuor suo
Brian già sapeva che non sarebbe stato così: le mani gli tremavano mentre
chiudeva la porta di casa col paletto; saltellava eccitato senza nemmeno
accorgersene mentre si dirigeva verso l’imboccatura della stazione del metrò e
durante il tragitto fu preda di movimenti inconsulti (un passeggero che era lì
vicino si domandò se non avesse la sindrome di Tourette).
Lo stato di massima
eccitazione perdurò anche mentre aspettava di veder arrivare la Smart di
Riccardo, nel punto dove gli aveva detto di aspettare.
Mentre aspettava,
sentì una voce che gli disse Sei ancora
in tempo per tornare indietro, che lui non ascoltò o ascoltò solo in parte.
L’attesa di Riccardo stava diventando sempre più lunga, e Brian si stava quasi
stancando di camminare su e giù per il marciapiede mentre lo aspettava. Per
ingannare il tempo, incominciò a guardare Facebook dal suo smartphone, ma anche
quello non servì a calmarlo, dal momento che due minuti dopo era già in piedi,
a torturarsi le mani ed a respirare a fatica.
Forse sto avendo un attacco di panico. Oh cazzo. Mi
sento come mi sentivo quella volta in cui Corrado mi chiese di uscire insieme.
E…
…Si sentì toccare
la spalla. A quel contatto saltò in aria come una molla, poi si rese conto che
era solo una ragazza vestita in stile dark.
- Ce l’hai una
sigaretta? – gli chiese.
- Non fumo, mi
dispiace. –
In realtà avrebbe
voluto dire che non fumava più perché aveva smesso da qualche anno, ma in ogni
caso il risultato fu lo stesso.
- Ah… ciao. –
disse la ragazza dark, andandosene per la sua strada, con la gonna di pizzo
nero svolazzante e le calze a rete rigorosamente nere.
- Calmati – si
disse, mettendosi una mano sulla fronte – Devi stare calmo. Non stai
facendo niente di male, stai solo aspettando un amico. Un amico come Carlo. Sì.
Fai finta che stai… -
Poi si voltò e vide
in lontananza Riccardo che si avvicinava.
Ebbe un tuffo al
cuore.
Il ragazzo era
vestito con un bel cappotto lungo di tessuto marrone chiaro, pantaloni neri e
mocassini scamosciati. Sembrava molto più formale rispetto a quando l’aveva
incontrato in discoteca, però era doppiamente più affascinante. Aveva molti meno
capelli rispetto a Corrado (il quale alla veneranda età di trentadue anni aveva
ancora una zazzera che doveva regolarmente sfoltire), però li portava talmente
bene che facevano pendant con i
favoriti ai lati del viso, che terminavano in un favoloso pizzetto nero.
Vedendolo in
lontananza, così elegante e dannatamente bello, il suo cervello si bloccò, ma
non il suo corpo: difatti s’incamminò a lunghi passi per raggiungerlo più in
fretta.
- Ciao – lo
salutò Riccardo. Standogli vicino si poteva sentire il suo dopobarba: una fragranza
dolce ma decisa che inchiodò i sensi di Brian, mentre gli sorrideva dolcemente.
- Ciao –
rispose Brian, facendo un cenno con la mano destra.
- Scusa il ritardo,
ma ho dovuto sistemare una cosa… è molto che aspettavi? –
- Oh, no…!
Tranquillo, sono arrivato poco fa – mentì Brian. In verità era quasi
un’ora che aspettava.
Riccardo gli
sorrise, quindi lo invitò a seguirlo e Brian lo fece.
*****
Seduto al tavolo,
Brian ammirò il locale dove Riccardo l’aveva condotto: insegne al neon appese
alle pareti, lampade di lava di tutti i colori inserite in nicchie nei muri e
una generale atmosfera di color blu notte mista ad azzurrino. Un concept-bar
moderno pieno di hipster: uomini vestiti
in giacca e cravatta, alcuni con magliette (in inverno!) bretelle e farfallini;
alcuni altri addirittura con borsalino calato sulla testa; Ad uno dei tavoli c’era
un ragazzo che doveva avere avuto circa vent’anni, con un basco “alla
Fantozzi”, però di colore rosso anziché nero, ed una camicia blu di seta. Il
ragazzo era accompagnato da un altro ragazzo e da due ragazze. Da quello che
poteva sentire Brian, intuì che stavano parlando di filosofia.
Riccardo comparve
poco dopo, con un vassoietto dove c’erano una tisana ed una cioccolata calda
con dentro una specie di strano marshmallow, che sembrava più una scultura
futurista che altro. Brian lo guardò perplesso.
- Non chiedermi
come fanno a farlo – disse Riccardo, intuendo immediatamente cosa stava
guardando Brian. E rise.
- Resterò nel
dubbio. Divertente, però. Vieni spesso qui? –
- Sì, abbastanza.
Qui l’aria ispira… di solito capito qui quando non ho idee per le mie opere.
–
- Capisco. È bello.
–
- Trovi? Ci conobbi
il mio attuale ragazzo, qui. –
- Ah… sì? –
rispose Brian, non sapendo cos’altro aggiungere.
- Lavorava qui come
cameriere, prima di intraprendere la carriera presso quell’azienda di cui ti ho
parlato. –
- Che azienda è?
–
Riccardo ci pensò
su, poi disse che non ne ricordava il nome, scusandosi.
- Non importa,
tranquillo. –
- E tu? Dove hai
conosciuto il tuo ragazzo? –
Brian sorrise ed
emise un sospiro, ricordando quando incontrò per la prima volta Corrado.
- Fu ad uno di
quegli Open Day dedicati agli
studenti delle scuole superiori che vogliono iscriversi all’università, hai
presente? –
- Uhm.. sì, penso
di sì. Ebbene? –
- Ecco, io e il mio
amico Carlo ci recammo al Politecnico per avere informazioni sui corsi (a dire
la verità ero io che avevo bisogno d’informazioni: Carlo non era minimamente
interessato a quel tipo di percorsi di studio, difatti lui cominciò con il DAMS
a Bologna ma poi l’abbandonò per entrare in una specie di compagnia teatrale,
ma questa è un’altra storia)… e c’erano tutti questi… ehm… banchetti? –
Riccardo lo guardò
sollevando un sopracciglio perplesso, mentre sorseggiava il suo tè. –
Vuoi dire gli infodesk? -
- Ehm… sì, quelli.
Dicevo, c’erano questi… come-li-hai-chiamati
che mostravano opuscoli pubblicitari dei corsi di laurea. Ad uno di questi
c’era Corrado. Io non ero interessato al suo corso, ero più orientato verso
architettura… ma lui m’incuriosì come ragazzo, e così iniziammo a parlare del
più e del meno. E da lì… -
Riccardo annuì mentre Brian, quasi senza
accorgersene, gli raccontava la storia della sua vita. Non lo interruppe mai,
nemmeno quando si alzarono dal tavolo e andarono a fare due passi nel parco lì
vicino. Faceva freddo, ma Brian si sentiva bene. Anche Riccardo gli parlò a
lungo, di tante cose. Gli raccontò che non si era laureato in Italia ma a
Londra, in Inghilterra. Era stata una gavetta durissima ma che gli aveva insegnato
l’umiltà e la passione nel fare le cose. Dopo la laurea aveva lavorato presso
un’azienda inglese come designer industriale, salvo poi accorgersi che era un lavoro
che non faceva per lui e così era tornato in Italia a sfruttare la passione che
aveva maturato in gioventù, ovvero la pittura.
- …E così adesso
dipingo. Ho un’agente, si chiama Enrica, ed è abbastanza brava a trovarmi degli
ingaggi interessanti. Anche se devo dire che il mercato dell’arte non è una
cosa per tutti. Io ho avuto fortuna, ma ci sono artisti che fanno letteralmente
la fame. Non capita a tutti i pittori di trovare degli acquirenti che disposti
a pagarti delle opere più di quanto tu chieda. –
Brian ascoltò
affascinato le parole di Riccardo, che accompagnava con gesti eloquenti e
magnetici ma allo stesso tempo discreti. In confronto con lui, si sentì un
povero spiantato, non avendo un lavoro né mai avendone cercato uno per paura di
dover mollare tutto in caso non gli fosse piaciuto. Quando glielo disse,
Riccardo non fece una piega, anzi si complimentò con lui per non essere uno che
si piega a compromessi per trovare un lavoro, e di questo Brian si sentì
lusingato.
I due chiacchierarono
ancora un bel po’ mentre camminavano e mentre il giorno lentamente finiva e lasciando
il posto alla sera.
Brian ebbe un
brivido di freddo.
- Cos’hai? –
domandò Riccardo.
- Niente, è solo
che… comincia a far freddo. –
- Ti andrebbe di
passare a casa mia? Così ti mostro i miei quadri e potrai darmi un giudizio
estetico. Che ne dici? –
- Oh, io… be’… - Brian
cincischiò, pensando che forse si era trattenuto un po’ troppo insieme a
Riccardo per quel pomeriggio. Guardò brevemente lo schermo del cellulare:
appena le quattro del pomeriggio, ma era già buio. Calcolò mentalmente che
forse poteva dire a Corrado che si era dimenticato di comprare il pane e quindi
era dovuto tornare al supermercato, ma poi non l’aveva più trovato ed era
tornato a casa a mani vuote. Forse sarebbe potuta andare, come scusa.
- Allora? Che ne
dici? – incalzò Riccardo.
Con un sorriso, Brian
accettò.
*****
Come sarebbe stato
lecito pensare, l’appartamento di Riccardo si trovava in un condominio di
nuova, anzi nuovissima costruzione. Lo si desumeva dal fatto che poco più in
là, c’erano ancora dei cantieri aperti che stavano costruendo nuove palazzine o
ultimando quelle già costruite. I fabbricati finiti erano delle splendide
palazzine di mattoni e cemento armato, in stile motel americano, con i ballatoi
comuni che davano accesso alle abitazioni. Un tocco di originalità che non
mancò di affascinare Brian, che un tempo, da ragazzino, si era interessato alla
progettazione di immobili.
- Eccoci arrivati
– disse Riccardo mentre apriva la porta di casa, invitandolo a entrare
per primo.
Dentro, Brian
spalancò gli occhi nel vedere con quanta originalità era arredato il loft di
Riccardo: parquet in legno di abete rosso, un angolo cucina con elementi dal
design minimalista, un tavolo con due sedie e due sgabelli al mobile bar. Anche
lì, insegne al neon con il logo della Coca-Cola
e vecchie réclame pubblicitarie prese
forse in qualche mercato delle pulci. A sinistra invece c’era l’angolo salotto,
con un bel divano nero in pelle e due poltrone dello stesso colore con un
tavolino rettangolare in mezzo. A poca distanza da lì, c’erano le scale che
portavano alla zona notte. Sotto le scale, c’era il locale dove Riccardo dipingeva:
un cavalletto con sopra un quadro e vari lavori finiti appoggiati in un angolo,
oltre che alcuni appesi alle pareti.
- Come ti sembra?
–
- Stupendo –
mormorò Brian, incantato da tanta leggerezza e originalità. – Hai
arredato tutto da solo? –
Riccardo sorrise
– Personalmente. –
- Hai fatto un
ottimo lavoro. –
- Mi piace pensare
che sia così – rispose, andando verso il locale lavoro mentre accendeva
le luci. Una luce soffusa illuminò l’ambiente, facendolo assomigliare ancora di
più a un set cinematografico. Brian lo seguì.
- Questi sono i
miei lavori – disse, prendendo in mano una delle tele appoggiate al muro.
Con delicatezza, Brian la prese e la guardò attentamente. Ovviamente gli aveva
detto che non era un critico d’arte, però qualcosa la capiva: l’opera che aveva
in mano era ispirata al cubismo-se non andava errato-, forse una libera
interpretazione di forme nello spazio. Fu colpito particolarmente dai colori
vibranti e carichi di passione, oltre che dal tocco deciso e sapiente.
- E’… è bellissimo.
Complimenti. Non ho parole. Potrebbe assomigliare benissimo ad un Picasso o ad
un … -
- …Kandinskij?
–
- Esatto! Stavo
pensando proprio a lui. –
- Mi ispiro
moltissimo a Kandinskij, è il mio pittore preferito. –
Brian ammezzò un
sorriso.
- Oltre a Picasso,
ovviamente – soggiunse Riccardo, strizzandogli l’occhio.
- Beh – disse
Brian, poggiando il quadro dove Riccardo l’aveva preso – Credo si sia
fatto tardi… io ora devo andare, non vorrei che … -
- Sì, capisco. Ma…
potresti rispondere ad una mia domanda, Brian? –
Brian lo guardò.
– Cosa? –
- Secondo te
– disse Riccardo – Io sono felice? Ti sembro felice? –
Una domanda
semplice. Eppure così strana, un po’ fuori luogo. Talmente fuori luogo che per
un momento Brian si sentì spiazzato, rimanendo a bocca aperta con le mani nelle
tasche della giacca, chiuse a pugno per l’emozione. Quale sarebbe stata la
risposta giusta? Non potendo conoscerla, si affidò al caso.
- Mi… mi pare di…
Credo… credo di sì. – rispose infine – Perché me lo chiedi? –
Riccardo fece un
sorrisetto, poi una risatina sfinita – Già, che stupido. Scusami se ti ho
fatto questa domanda, è solo che… -
- Cosa? –
ripeté Brian.
- Oh… niente,
niente. Non importa. –
- No, ti prego.
Dimmi cosa c’è. –
- è… è solo che io…
sembro felice, ma non lo sono. Mi sento molto tormentato dentro di me, e mi
succede da quando ti ho conosciuto. –
Brian ebbe un mezzo
sussulto, sentendosi la pelle d’oca: era come se gli avesse letto nel pensiero,
anzi, come se con quell’affermazione avesse dato coerenza a tutto il suo corso
di pensieri.
- A… anch’io –
mormorò Brian, avvicinandosi.
- Lo sapevo. Lo
sapevo fin dal primo momento che ti ho visto, che eri infelice. Brian, tu… mi
permetteresti di aiutarti? –
Ora Brian era
vicinissimo a Riccardo, talmente vicino che poteva sentire il suo profumo anche
senza respirare a fondo. Non rispose, lasciando che fossero i suoi occhi a
parlare, in un linguaggio che Riccardo comprese bene, tanto che si avvicinò di
un altro passo e poi allungò le mani verso quelle di Brian, che le tirò fuori
dalle tasche della giacca prendendogli le sue e accarezzandogliele. Si
avvicinarono ancora di più, guardandosi negli occhi. La mente di Brian era
totalmente azzerata dalla concitazione del momento, ma in essa sopravviveva un
solo, unico desiderio.
Lo stesso desiderio
sentiva Riccardo, ed entrambi lo realizzarono chiudendo gli occhi e unendosi in
un lungo e appassionato bacio.
*****
Circa due ore e
mezza dopo, Brian e Riccardo si ritrovarono sul letto di quest’ultimo. Nudi,
dopo aver fatto l’amore.
Brian gli si era
accoccolato con la testa sul petto, mentre Riccardo gli carezzava amorevolmente
i capelli. Un momento di pace durante il quale Brian non pensò più a niente. Non
alla sua vita, né a sua madre, né a suo padre… e non a Corrado, che per tutto
il tempo in cui Riccardo era stato dentro di lui non aveva sfiorato nemmeno col
pensiero. Riccardo era stato così dolce e romantico, ma al tempo stesso
determinato. Forse anche un po’ troppo. Ma non gli era dispiaciuto. Non dopo così
tanto tempo che non faceva l’amore.
- Brian…? –
- Mmm? –
mugugnò il ragazzo.
- Sono le… -
- Le sette? –
- No… sono le nove
e mezza passate. –
A
quell’affermazione, Brian ebbe un tuffo al cuore. Si sciolse dall’abbraccio con
Riccardo e saltò al suo borsello per controllare il cellulare. – Merda
– imprecò, vedendo che c’erano cinque chiamate perse, tutte di Corrado.
- Cosa c’è? –
- Corrado –
mormorò solamente, mentre teneva il cellulare in mano e guardava in alto, con
un’espressione preoccupata.
- Senti, se posso…
-
- Sshhh!! Non mi
deconcentrare, sto pensando a cosa potrei dirgli! Cristo…! Che cavolo m’invento
adesso…?! - Si portò un pugno chiuso alla bocca, mordendosi le nocche.
Rimise a posto il cellulare,
quindi agguantò i pantaloni e la camicia e si rivestì in fretta.
- Scusami Riccardo,
ora devo proprio andare. C’è una fermata del metrò da queste parti? –
- Siamo un po’
fuori mano per il metrò – rispose lui, prendendo a sua volta i suoi
vestiti. – Ti riaccompagno io. –
- Ma… - fece per
ribattere Brian.
Riccardo lo zittì
con un gesto gentile della mano – Stai tranquillo. Non ti porterò proprio
sotto casa tua come la prima volta. –
Brian lo guardò con
un’espressione preoccupata, ma non aveva altre chances se non voleva arrivare a
casa a mezzanotte per non essere costretto a pagare un taxi, quindi annuì.
*****
Poco dopo, in auto,
il telefono di Brian si mise a vibrare nuovamente. Corrado.
Brian prese un
respiro profondo, quindi si calmò e rispose alla telefonata.
- Ciao amore, ho
provato a chiamarti ma forse sei in palestra… c’è quell’imbecille di Carlo,
insieme a te? –
- Eh? Oh … sì, è
qui con me. Ti saluta. –
- Grazie, ricambio.
Senti, ti avevo chiamato per dirti che avrei fatto un po’ tardi, ma vedo che sono
arrivato a casa prima di te… vuoi che ti prepari qualcosa per cena? –
Il cervello di
Brian tornò ad andare in cortocircuito. Una domanda banale, ma che lo bloccò.
Era la seconda volta nello stesso giorno.
- Amore…? Pronto?
–
Brian lanciò
un’occhiata a Riccardo mentre guidava, poi guardò di nuovo fuori dal
finestrino, intimando in silenzio a Riccardo di fermarsi.
- Sono arrivato!!!
– sussurrò, gesticolando come un matto per non farsi sentire da Corrado
– Puoi fermarti qui. –
Riccardo obbedì,
fermando l’auto. Brian intanto aveva ripreso la conversazione con il suo
ragazzo.
- Eccomi amore,
scusa. Ehhmm… Ma no, non stare lì a preparare cose. Sarai stanco, e lo sono
anch’io lo sono. Che ne dici se ci facciamo una pizza? Ti va? La compro io, va
bene? Dico a Carlo di fermarsi un attimo prima così scendo e la compro! Okay?
–
- Va bene, nessun
problema! Ti aspetto. E… amore? –
- Sì? –
- Ti amo. –
- Anch’io ti amo. Ciao
amore. Ci vediamo fra poco. Ciao. Ciao-ciao-ciao. – disse, chiudendo con
un bacetto.
Al posto del
guidatore, Riccardo stava ridacchiando.
- Sei fortunato che
il tuo ragazzo è all’estero – disse Brian, quindi afferrò la maniglia
della portiera.
- Ci rivedremo?
– domandò Riccardo, a bruciapelo.
Brian si fermò.
Voltò lentamente la testa e guardò il ragazzo con cui fino a pochi istanti prima
era stato insieme a letto: lo guardava con occhi dolci, in un’espressione che
celava però una natura selvaggia come il suo modo di fare l’amore… intrigante e
passionale… talmente intrigante che Brian si sentì di dargli una sola risposta.
Si allungò per baciarlo dolcemente sulle
labbra. Riccardo rispose al bacio con passione, assaporando ogni goccia della
bocca di Brian.
- Sì. Ci rivedremo.
– sussurrò con un sorriso, prima di scendere dalla Smart.
Riccardo l’osservò
mentre si allontanava in fretta, probabilmente verso la pizzeria più vicina.
Sorrise soddisfatto, quindi ripartì per tornare a casa.
*****
Alle dieci e mezza circa,
Corrado aprì la porta al suo ragazzo che reggeva in mano due cartoni con dentro
le pizze fumanti della pizzeria vicino al loro condominio. Gliele prese di mano
e lo baciò dolcemente, quindi le portò fino alla tavola già apparecchiata. Mentre
si toglieva le scarpe per mettersi le pantofole sotto il termosifone, Brian si
accorse che non aveva con sé la borsa della palestra, e per un attimo gli si
drizzarono i peli su tutto il corpo per la paura: come aveva potuto essere così
scemo da dirgli che era in palestra senza essersi portato il borsone? Se
Corrado se n’era accorto, sicuramente avrebbe fatto delle domande, per cui
pensò che doveva rimediare in qualche modo.
Guardò verso il
soggiorno, dove Corrado lo stava aspettando, quindi imprecò sonoramente.
- Amore? Che
succede? –
- Il borsone!
Cazzo…! Devo averlo dimenticato in macchina di Carlo. Che idiota che sono… -
- Va beh, che vuoi
che sia. Lo riprenderai. Non sarà mica l’ultima volta che ti vedi con quel
saputello idiota del tuo amico. – disse soltanto Corrado.
- Sì, hai ragione
– disse Brian, venendo avanti e accomodandosi al tavolo.
Per tutto il tempo
della cena, Brian cercò di mantenere un aplomb normale, ma fu un’impresa
davvero ardua: il pensiero che quel pomeriggio aveva tradito il suo ragazzo con
un tipo conosciuto in discoteca solo due settimane prima, continuava ad
affacciarglisi alla mente. E inoltre Corrado trovava ancora la forza di essere
paziente e di non nutrire nemmeno un sospetto nei suoi confronti perché era
rientrato senza il borsone della palestra. L’osservò mentre mangiava la sua
pizza, tagliandola in pezzettini regolari e ben squadrati, togliendo ovviamente
la crosta (questa la diamo in
beneficienza ai nostri politici, diceva sempre) e masticando piano. La
zazzera di capelli folti e spettinati e gli occhiali sul naso lo facevano
sembrare un ragazzino di dodici anni. Improvvisamente, provò per lui una
sconfinata tenerezza, ma anche tanta pena.
Quella sensazione
di disagio morì lentamente più tardi, mentre erano a letto.
Nel buio, accanto
al suo ragazzo, Brian ripensò a Riccardo.
Pensò che non era
mai stato posseduto in quella maniera… e gli era piaciuto tanto. Talmente tanto
che, se non ci fosse stato Corrado lì accanto a lui, ma soprattutto se avesse
avuto un’auto ed avesse saputo guidarla, sarebbe corso da Riccardo per la
seconda puntata. Mentre faceva questi pensieri, si girò su un fianco, a
guardare il cellulare. Questo s’illuminò: un messaggio di Riccardo.
È stato mondiale. Incredibile. Ma forse è stata anche
la prima e l’ultima volta.
Ebbe un tuffo al
cuore nel leggere quelle parole, quindi rispose in fretta:
Spero di no. Non sarà l’ultima volta.
Dopo aver visto le
doppie spunte blu, segno che aveva ricevuto e letto il messaggio, Riccardo gli
rispose con un bacetto ed un cuoricino.
Nel buio, mentre
Corrado al suo fianco dormiva, Brian sorrise beato leggendo le righe di parole
dolci che gli scrisse Riccardo.
Il mattino seguente
Brian era in preda alla sonnolenza. La notte precedente aveva dormito poco e
niente e ora, con la luce diafana che filtrava dalle tende, si sentiva
letteralmente a pezzi. Notando l’affaticamento del suo ragazzo, Corrado si era
affrettato a sparecchiare le stoviglie della colazione (che lui stesso aveva
preparato) e aveva consigliato al ragazzo di riposarsi e quindi saltare la palestra
per non affaticarsi ulteriormente.
- Tranquillo amore
– gli rispose Brian – Adesso torno a dormire altri cinque minuti,
poi starò benissimo. – concluse, con un sorriso dolce.
Fidandosi del suo
ragazzo, Corrado era uscito salutandolo affettuosamente come ogni mattina.
Rannicchiato sotto
la coperta imbottita, nella penombra della sua stanza da letto, si era sentito
un po’ meglio, ma non era riuscito a riposare: aveva continuato a pensare a
quello che aveva fatto, a come gli era piaciuto… ed a come vedeva Corrado da
quando era successo. Sembrava una di quelle storie che aveva letto a decine su Facebook: durante una relazione, uno dei due alla fine si
annoiava dell’altro e andava a cercare fuori ciò che non trovava a casa. Un
classico, buono sia per le coppie omo che per le coppie etero. Leggendo quelle
storie, aveva sempre pensato che lui ne era immune, fedele al motto Se ami, non tradisci; se tradisci, non ami.
E adesso, il solo
fatto che ci si ritrovasse dentro, metteva in discussione tutto il suo sistema
di convinzioni, che stava incominciando a vibrare al suono della domanda “Sono ancora innamorato di Corrado…?”
Quella era una
domanda scomoda per la sua mente, che stava cercando in tutti i modi di
metterci delle pezze. La prima di queste era che un pomeriggio di sesso non è
abbastanza per mettere in discussione una relazione di
dieci anni; la seconda, collaterale alla prima, era che Riccardo era uno
sconosciuto: quindi, non poteva esserci amore nei suoi confronti, ma solo la
mera soddisfazione di un bisogno. Giusto? Giusto.
Anche se Brian non
ne era tanto convinto.
Al di là di tutto,
delle risposte-pezza della sua mente, era stato eccitante. Fottutamente
eccitante. Poiché Riccardo era uno sconosciuto, si poteva dire che era stato
come andare con un escort, che però non gli aveva
chiesto un euro per la sua prestazione di sesso occasionale.
Sesso occasionale. Proprio
quello di cui aveva bisogno in quel momento. Un po’ di sano sesso che Corrado
gli dava con il contagocce.
Ma non era tutto
lì. C’era dell’altro. Oh, sì che c’era.
Per quanto si
sforzasse di accettare quella pezza, Brian faceva fatica a vedere Riccardo come
un ragazzo-oggetto: era un bravo conversatore, paziente e limpido. Proprio
com’era Corrado agli inizi. Ma più di Corrado, aveva la carica sessuale. E quel
mix di sensazioni che sentiva dentro di sé quando pensava a lui o quando gli era vicino, poteva suggerire soltanto una cosa…
Ti stai forse inn…
- Oh no, no… no!
– gridò, buttando all’aria il cuscino e rannicchiandosi in posizione
fetale, chiudendo gli occhi. Continuò a pensare ed a ripetersi che era stato
solo un po’ di sesso senza amore, finché non si addormentò.
*****
Quel giorno Carlo
era impegnato. Brian gli aveva scritto su Whatsapp se
desiderava andare in palestra (questa volta per davvero), ma Carlo gli aveva
risposto che usciva con un nuovo ragazzo conosciuto il giorno prima. Mentre
faceva le poche faccende di casa, Brian continuò a pensare all’accaduto,
facendo congetture e dibattiti con sé stesso.
Provò a ribaltare
la prospettiva: e se invece che a lui, una cosa del genere fosse capitata a
Corrado?
Ci pensò su. Immaginò Corrado al posto di sé stesso, ed
un ragazzino ventenne che si rivolgeva allo studio di consulenza dove lavorava
Corrado perché voleva aprire un concept bar.
Corrado andava a fare il sopralluogo e gli spiegava tutto quanto, mentre il
ragazzino gli preparava un caffè e magari gli offriva anche una brioche calda o
un pancake… Ad un certo punto smettevano di parlare di lavoro e incominciavano a
parlare della vita privata, delle cose che piacevano a entrambi… fino a che il
ragazzino non gli diceva che voleva mostrargli il suo appartamento. Corrado
andava e il ragazzino lo seduceva con un massaggio alle spalle e poi si
allungava per baciargli le labbra, per poi concludere in bellezza sul suo letto
con Corrado sopra di lui.
La fantasia che un
ragazzino più giovane di lui avrebbe potuto portarsi Corrado a letto lo faceva
incazzare, perché lo faceva sentire vecchio e poco attraente, più di quanto
faceva già Corrado evitando di fare l’amore con lui.
Se succedesse davvero, non so chi farei a pezzi per
primo, tra Corrado e un ragazzino. Mi farebbe incazzare pensare che lui non mi
toccasse, al solo e unico scopo di preservarsi per un moccioso, pensò, calando pesantemente il ferro da stiro su un
paio di pantaloni buoni di Corrado.
Poi però gli si affacciò alla mente che lui non si era fatto tanti
scrupoli ad andare a letto con un altro, e che se Corrado avesse reagito come
stava reagendo lui alla fantasia, ne avrebbe avuto tutto il diritto.
Ma se l’aveva
fatto, c’era un motivo, no?
Certo che c’è, il motivo: vuoi sentirti ancora
desiderato carnalmente. Non è così?
- Forse. Però…
anche Corrado ogni tanto mi fa sentire desiderato. Ma in altri modi. Dio, non
so proprio cosa fare… - mormorò, mentre faceva andare il ferro da stiro sull’asse.
Il meglio che puoi fare è cercare il lato positivo in
tutta questa storia, se ce n’è uno. E mi sembra ci sia: puoi tenerti Riccardo
per delle scappatelle ogni tanto, nell’ambito di un rapporto che potrai
chiudere quando vorrai.
Sì, certo. Come
dicevano i drogati, potevi sempre dire “Smetto
quando voglio”. Ma già smettere quando ci si drogava era difficile.
- Con il sesso
potrebbe essere diverso, no? Ma sì. E con Corrado come la mettiamo? -
Ovvio che non deve saperlo,
pirla. Cosa succederebbe altrimenti?
- Ah, non lo so. E
non voglio scoprirlo. –
Benone. E allora va’ avanti e non preoccuparti delle
conseguenze, almeno per ora.
- Questo è un gioco
al massacro. E se perdessi Corrado? –
Come hai detto tu, è un rischio che vale la pena di
correre. Non preoccuparti di questo, adesso.
Brian sospirò,
mentre finiva di stirare gli ultimi capi, continuando però a pensare a quella
storia.
*****
- Ti devo parlare
– disse ad un certo punto Brian, interrompendo a metà il racconto di
Carlo sul suo ultimo incontro fallimentare con un altro tizio conosciuto su
qualche social network. Carlo allora si zittì, guardandolo con espressione
leggermente infastidita dalla parte opposta del tavolo d’angolo che si erano scelti al McDonald’s.
- Eh, ma che
espressione seria hai – gli disse l’amico – Che è successo? È morto
qualcuno? –
- No… almeno,
fisicamente no… ecco, io… -
- Ah-ha! Non
dirmelo, lasciami indovinare! - Carlo gli puntò il
dito contro, facendo un sorriso furbesco. – Stai pensando di lasciare
Corrado! –
- Cosa?! No, no! È che… cazzo, ma vuoi lasciarmi parlare, una
buona volta?!? –
- Uffaaa... Va bene, vai avanti. –
- Non te l’ho detto
prima perché non pensavo fosse una cosa molto importante… ma… sabato sera ho
conosciuto un ragazzo. –
Carlo aprì la bocca
in una “A” di stupore.
Brian cominciò a
raccontare tutto ciò che era successo, descrivendo la persona con cui era stato
e le sue impressioni.
- …e alla fine tre
giorni fa siamo stati a letto insieme. –
- Uhhhh! – Carlo fece un sorriso a trentadue denti –
Bravissimo! Era ora che ti sciogliessi un po’! –
- Sì, però adesso…
-
- Cosa? –
- Adesso mi sento
confuso. Non so cosa fare, con Corrado, con Riccardo… -
- Ah, questo tuo
lato sentimentale… Se vuoi la mia opinione, dovresti sbarazzartene. –
- Di chi? Di
Corrado? –
- Ma no…! Se
proprio ti piace puoi tenerlo, non sarò certo io a dirti di lasciarlo (anche se
sarebbe la prima cosa che io farei); Mi riferivo al tuo lato sentimentale:
sbarazzatene, mettilo a tacere. In poche parole, cerca di non pensarci troppo…!
–
- Intendi dire che…
-
- Intendo dire che
buona parte delle coppie che ci sono là fuori – disse, picchiettando con
la punta dell’indice il vetro del locale – conducono un’esistenza
tranquilla nonostante il fatto che uno dei due, o tutt’e due, si riempiano a
merda di corna a vicenda. È la norma. Cosa credi, che i due ragazzini che hai
visto mentre eravamo in fila in discoteca, fossero lì per giocare a Final Fantasy o per una maratona Netflix? Nossignore e nossignora! Erano lì per divertirsi.
È così funziona il gioco, baby. –
- Certo che detta
così sembra proprio squallida, e-e... e triste, cazzo. –
Carlo ridacchiò con
fare pomposo – Oh-oh-oh-oh! Zuccherino bello… Ma
per forza che sembra squallida! Lo è, cazzo! Però è la verità. Nuda e
cruda-anzi, squallida e triste- e nessuno può farci
nulla. Siamo maschi. Siamo poligami. Siamo superficiali, sempre alla ricerca di
sesso sfrenato. Possiamo migliorare? No. Possiamo adeguarci? Sì. Anzi, non solo
possiamo, ma dobbiamo. E adeguarci è
un imperativo categorico. Quindi io
ti dico: adeguati figliolo, e finalmente sarai felice. – concluse,
portando l’indice della mano destra in alto, come concludendo il monologo di
uno spettacolo teatrale.
- No… Io non credo
che tra me e Riccardo ci sia una cosa del genere. A me lui piace ed io credo di
piacere a lui, non solo in senso fisico. Forse corro un po’ troppo, ma… nel
futuro vedo me e lui insieme. –
- Pffft. Oh nooo… – sbuffò
l’amico, scuotendo la testa e roteando gli occhi al cielo.
- Perché no, scusa?
–
Per tutta risposta,
Carlo fece spallucce, poi cominciò a rispondere, lentamente e guardandolo negli
occhi – Brian… Rifletti: è uno che hai visto due volte, una delle quali
ti ha scopato! Ma secondo te. Andare a letto con uno,
è abbastanza da dire che piaci a una persona?! Allora
io dovrei piacere a tutti, porco cazzo, Invece non è così! –
- Tu sai sempre
tutto – gli disse Brian, assumendo un’espressione di sufficienza.
- E adesso con
quella faccia di merda cosa vorresti dire? Che sono uno sbruffone arrogante e
saccente? –
Brian alzò gli
occhi e gli rivolse un sorrisetto di circostanza – Oh, non mi permetterei
mai signor Io – so - tutto.
–
- Oh, senti! Sei tu
che mi hai chiesto un parere su tutta questa storia. Il minimo che posso fare,
essendo l’unica persona più vicina ad un fratello maggiore-forse più probabilmente
a una sorella maggiore-è dirti le mie perplessità. E sono molto perplesso sul
fatto che questo Riccardo possa sostituire Corrado, per quanto sarebbe bello.
Secondo me non dovresti pensarci così, subito. –
- E cosa dovrei
fare, secondo il tuo illuminato parere? Sentiamo. –
- Brian, ma un po’
di fantasia, no? Cazzo! Fai quello che farebbe qualunque mogliettina annoiata,
no? Fatti scopare un po’, magari fatti regalare un po’ di cose… poi quando non
ti soddisferà più… - Carlo alzò la mano destra di piatto, come se accanto
avesse un pulsante buzzer,
quindi la calò sul tavolo e ne imitò il suono con la
voce - Beeeeee!!! Avanti un altro!!! Come da Paolo Bonolis.
–
Brian ridacchiò, e
Carlo con lui. – Tu sei tutto scemo – disse.
- No tesoro, sono
anche fin troppo avveduto. Oh, finalmente arrivano i nostri panini! Ho una fame
che non ci vedo più! – esclamò, vedendo arrivare la cameriera, una
ragazza cicciotella che salutò amichevolmente Carlo.
Quando se ne andò, lasciando le ordinazioni dei due
ragazzi, Carlo cominciò a scartare il suo doppio cheeseburger, mentre Brian
fissava il vassoio senza proferire parola.
- Oh! Brian? Ci
sei? –
- Sì. Pensavo.
–
- A cosa? –
- Pensavo che
comunque per il momento il problema fidanzamento non sussisterebbe. Perché Riccardo
mi ha detto di essere anche lui fidanzato, quindi… non potrei mettergli
l’anello al dito nemmeno volendolo. –
- Ecco… visto? Una
ragione di più per vedersi senza impegni. Vai tranquillo, spegni il cervello e
goditi quante più trombate terapeutiche riuscirai a farti. Ne hai bisogno.
–
- Già – disse
Brian, scartando anche lui il suo panino – Forse hai ragione. -
Seguire il
consiglio di Carlo, ovvero di prendere tutto il buono che poteva prendere dal
suo amante, si stava rivelando un’impresa ardua. Lì per lì Brian aveva pensato
che sarebbe stato facile andare a letto con qualcuno e godere solo di quello,
ma la verità era che lui non ci riusciva. Ogni volta che finivano di fare
l’amore, Brian si beava nel ricevere le coccole di Riccardo, che lo ricopriva
di attenzioni anche quando non si vedevano, scrivendogli messaggini su Whatsapp
dove gli inviava i soliti scatti della giornata e gli dimostrava quanto ci
tenesse a lui. Brian pensò che se ci fosse stato Carlo, al suo posto,
sicuramente avrebbe visto tutte quelle attenzioni come melensaggini inutili e
forse gli avrebbe dato il benservito. Invece lui ne restava semplicemente
ammaliato: in poche settimane ne era diventato dipendente.
Per come lo vedeva
Brian, Riccardo era pieno di sorprese. Quando erano insieme, era capace di fare
cose del tutto inaspettate. A volte erano cose innocenti, ma altre volte lo
erano meno.
Ad esempio un
pomeriggio, per non dover usare l’auto, usarono il metrò. Mentre Brian gli
parlava, Riccardo lo baciò davanti a tutti. Fu una cosa a cui Brian non era
proprio abituato, poiché Corrado era abbastanza rigido sulle effusioni in
pubblico (non perché non fosse dichiarato, ma solo perché riteneva fosse
sconveniente). Sul momento Brian cedette lasciandosi baciare, ma quando
Riccardo si staccò, Brian era rosso come un peperone. Non ebbe il coraggio di
dirgli nulla, ma forse la sua espressione doveva aver parlato per lui, poiché
Riccardo gli spiegò perché l’aveva fatto.
- Volevo farti
arrossire. Sei così bello, quando arrossisci. – gli sussurrò
all’orecchio. Ciò bastò a fargli venire la pelle d’oca.
Queste erano le
cose innocenti.
Delle cose meno innocenti,
invece, ce n’era un campionario molto vasto. Quella che però colpì di più Brian
fu quella nel negozio di abbigliamento.
Quando era con
Corrado, a Brian piaceva entrare nei negozi di abbigliamento e provarsi i vari
capi. Non sempre comprava qualcosa, ma gli piaceva ammirarsi in altre vesti.
Quel giorno ce
l’aveva accompagnato Riccardo. Come al solito lui aveva scelto alcuni pezzi
(maglioni, camicie, pantaloni, rispettando il divieto di introdurre più di
cinque capi per volta) appesi nel negozio e se li era portati in camerino per
provarseli.
Le prove non lo
avevano soddisfatto, quindi si era tolto i vestiti sbuffando, rimanendo in
mutande.
A quel punto aveva
visto la tenda del camerino scostarsi leggermente, mentre Riccardo vi
sgattaiolava dentro. Sulle prime Brian era rimasto confuso, non comprendendo
perché fosse entrato. Ma quando lo vide sistemare le calamite della tendina in
modo che non si aprisse facilmente, capì. Il suo sguardo era livido di
lussuria. Brian lasciò cadere i suoi pantaloni, mentre Riccardo si avvicinava e
incominciava a toccarlo.
Poco dopo qualche
cliente del negozio che passava dai camerini avrebbe visto la tendina muoversi
e udire un sommesso mugolio ovattato, dovuto alla mano di Riccardo posata sulla
bocca di Brian per non farlo urlare troppo dal piacere. Quando terminarono,
Riccardo fece per uscire dal camerino per primo, strizzandogli l’occhio.
Rimasto solo, Brian
ricordò di aver pensato che era una fortuna che alcuni camerini avessero la
tenda più lunga: in questo modo fare cose poco innocenti in pubblico era ancor
più eccitante.
- Tu sei tutto
matto – disse Brian, mentre camminava due passi più avanti rispetto a
Riccardo, ridendo e scherzando come un ragazzino.
- Dì la verità,
però… ti è piaciuto? –
Per tutta risposta,
Brian si fermò e acchiappò Riccardo per la vita, rubandogli un bacio e
facendogli l’occhiolino. – Ti basta, come risposta? –
- Forse. Cercherò
di farmela bastare – rispose, allungando le mani sul sedere di Brian, che
si sentì di nuovo scosso da un fremito.
Brian lo baciò di
nuovo, godendosi il suo viso fiocamente illuminato dalle prime luci della sera.
- Sei… stupendo.
– Disse Riccardo, guardandolo negli occhi – Mi meraviglia che il
tuo ragazzo, non provi ammirazione per te. –
- Non penso che mi
disapprovi – lo contraddisse Brian, abbassando gli occhi –Corrado purtroppo
lavora molto, e così è quasi sempre stanco. Poi forse c’è anche da dire che non
è più un ragazzino… insomma, ha la sua età. -
- La sua età…? – ripeté Riccardo,
piccato - Io ho appena tre anni più di lui, però come vedi…! – non
terminò la frase, alludendo a ciò che avevano appena fatto al negozio di
abbigliamento.
- Sì, d’accordo.
Siete coetanei, ma tu pesi anche trenta chili meno di lui. Glielo dico sempre
che dovrebbe fare un po’ di palestra insieme a me, ma… ehi, sarebbe più facile
cercare di far girare il mondo al contrario: non viene, non ce la fa proprio.
Tu che ne pensi? –
Riccardo scosse la
testa – Penso che la mancanza di allenamento si ripercuota
inevitabilmente anche sulla libido di un uomo. –
Brian sollevò un
sopracciglio perplesso. – Cosa intendi dire? –
- Oh, non
chiedermelo. Non voglio demolirlo troppo. – disse, senza chiamarlo per
nome, né usando un sostantivo.
- No dai, dimmelo.
Tranquillo. –
Mentre camminavano
sul viale che conduceva all’Albero della Vita, glielo spiegò. Gli disse che le
persone in sovrappeso non riescono ad eccitarsi bene perché il sangue non circola
in modo ottimale. Brian spalancò gli occhi, ci pensò un momento, quindi scosse
la testa.
- Ma no… non può
essere così per tutti. Cioè, io penso che qualche chilo di troppo sia
abbastanza relativo nella voglia di rapporto fisico: alla fine Corrado ci sa
anche fare, è solo che… -
- Cosa? –
- Niente, è solo
che… come faccio a spiegartelo bene? – Ci pensò su, poi gli venne un
esempio per spiegarglielo. – Ecco, prendiamo ad esempio una persona che
fuma. Più fuma, più ne sente il bisogno, perché è una cosa chimica. Mi segui
fin qui? –
Riccardo annuì,
mentre gli camminava al fianco.
– Ebbene, lui
è il contrario: lui è come se fosse un fumatore che fuma una volta ogni tanto,
e gli sta benissimo così, ecco. Non so se… - lasciò in sospeso la frase,
contemporaneamente fermandosi e scuotendo la testa guardando Riccardo negli
occhi.
- Fumare è una cosa
che fa male. Mentre fare l’amore è una cosa che non fa male, anzi fa bene. –
- Sì, hai ragione.
Sono proprio una frana. Non avrei potuto trovare un esempio peggiore. Comunque…
Se confrontassi Corrado con tutti i ragazzi che ha conosciuto il mio amico
Carlo, potrei dire che è un caso raro, un ragazzo a cui non interessa fare
costantemente sesso. –
- Come ti pare
– rispose Riccardo, alzando le spalle. – Ma adesso basta parlare di
fidanzati. Ora ci siamo solo noi. –
Brian gli sorrise
dolcemente, quindi lo baciò ancora una volta. – Non dimenticarti che fra
un’ora devi riportarmi a casa. –
- Facciamo così: ti
rapisco e chiediamo il riscatto a lui. Che cosa ne pensi? –
Ridendo, Brian gli
si accoccolò addosso. – Mi piace come idea. Sarei l’unico prigioniero che
ha sviluppato la sindrome di Stoccolma prima di essere rapito. –
Mentre era insieme
a lui, Brian chiudeva la porta su tutto ciò che lo circondava. Anche sul fatto
che passeggiando così tranquillamente per strada e tenendosi per mano, davano
molto nell’occhio, il che non era un problema in sé, ma lo diventava se si
considerava che Brian fosse ancora legato a Corrado.
Che cosa sarebbe
successo se qualcuno, un amico, un collega, o qualcun altro che conosceva lui e
Corrado li avesse visti insieme, lui e Riccardo? L’interrogativo ogni tanto gli
sfiorava la mente, solo lui non vi dava tanto peso: Dovrei essere proprio uno sfigato per farmi sgamare da qualcuno che
conosce me o Corrado, in una città così grande, pensava.
Purtroppo, anche
nelle grandi città bisogna stare attenti a queste cose, e Brian ne avrebbe avuta
presto una riprova.
*****
La riprova che il
destino è sempre in agguato, Brian la ebbe qualche giorno dopo, all’ora di
pranzo.
Ti andrebbe di pranzare insieme, oggi? Gli aveva scritto Riccardo su Whatsapp. Stava per
rispondergli che no, non gli andava perché si sentiva leggermente stanco, ma l’alternativa
sarebbe stata il solito pranzo in solitudine o al massimo insieme a Carlo (si
diede una manata sulla fronte pensando che Carlo era impegnato con il lavoro),
per cui Brian fu lieto di accettare l’invito, a condizione però che l’avesse riaccompagnato
a casa prima delle diciotto.
Il posto che
Riccardo aveva scelto questa volta era un ristorante giapponese poco lontano
dal centro città. Quando arrivarono in auto, Brian ebbe una strana sensazione,
come se avesse già vissuto quei momenti… una fortissima sensazione di dejà-vu. L’ultima volta che aveva
provato una sensazione del genere, era stato quando Carlo si era appena
patentato ed aveva tamponato un’altra vettura ferma al semaforo: pochi momenti
prima dell’impatto, aveva avvertito la stessa sensazione di aver già vissuto quei
momenti. Prima di scendere dall’auto di Riccardo si era guardato intorno più
volte, per verificare che non ci fosse qualche pericolo occulto. A parte
qualche azienda, i soliti condomini, un supermercato e delle auto parcheggiate,
non c’era niente di strano.
Era tutto
tranquillo. Forse troppo.
Entrarono nel
ristorante. Una signora di mezz’età vestita con un tipico costume giapponese li
scortò verso il loro tavolo, posizionato un po’ verso l’angolo della sala,
accanto alle vetrate. Riccardo si sedette di spalle alla porta d’ingresso e Brian
gli si sedette di fronte.
Vedendolo un po’
turbato, Riccardo gli allungò la mano sul tavolo, prendendogli la sua.
Brian gli rivolse
lo sguardo, dove dietro al sorriso c’era un’ombra di preoccupazione.
- Tutto bene?
– gli domandò, guardandolo negli occhi.
- Sì, è solo che…
non so, ho una strana sensazione. –
- Ti va di
parlarmene? –
- Non saprei
spiegartelo. È come se fossi già stato qui, ma non ricordo quando. –
- Forse con qualche
altro ragazzo? – Riccardo gli strizzò l’occhio, sorridendo.
- Ma no, è che… -
- Sei solo un po’ teso.
Ma è normale: alla fine stiamo facendo entrambi un gioco “pericoloso”. Stai
tranquillo, ci sono qua io. –
Sorridendo, Brian
gli diede una leggera stretta con la mano destra. – Forse hai ragione. Mi
sto preoccupando troppo. –
- Leggermente.
Cerca di rilassarti. Vedrai che tutto andrà bene. –
Pochi istanti dopo
che uno dei camerieri aveva lasciato i menù sul loro tavolo, Brian vide la maitresse scortare altri clienti verso
un altro tavolo. Il gruppo era composto da cinque uomini (tre dei quali erano
asiatici, forse giapponesi) e due donne, una giapponese e l’altra europea. Anzi,
per la precisione italiana.
Una donna che Brian
conosceva benissimo, e che quando alzò gli occhi dal menù e la vide, per poco
non svenne per la paura.
- Oh, merda secca
– mormorò tra i denti, quasi in un sussurro.
Riccardo alzò anche
lui gli occhi dal menù, incontrando lo sguardo vacuo e perso nel vuoto di
Brian, che si affrettò a nascondersi dietro la carta del menù.
- Che succede,
Brian? –
- Shhh! Fai finta
di niente! Non voltarti…!! –
- Chi c’è? Il tuo
ragazzo? –
- No, merda!
– disse tra i denti – C’è Valeria, sua sorella!! –
La ragazza italiana
facente parte del gruppetto era Valeria, la sorella minore di Corrado. Dopo la
laurea in economia aveva trovato un posto come assistente di direzione presso una
nota azienda metalmeccanica. Trentenne, single, era attratta dagli uomini
potenti e dai lavori di concetto. Non somigliava per niente al fratello, che le
voleva bene ma la teneva a debita distanza. Brian non poteva soffrirla: la
trovava ipocrita, antipatica e semplicemente… stronza. Purtroppo era costretto a tollerarla quelle volte che Valeria
andava a trovarli a casa, ma era un’impresa davvero ardua ogni volta che lei
apriva bocca. Non potendo parlare d’altro, parlava solo di lavoro: di come
organizzava bene le sue colleghe; di quanto era riuscita ad aumentare il
fatturato con delle nuove idee… semplicemente patetica.
In un altro momento
sicuramente l’avrebbe ignorata e lei avrebbe fatto lo stesso; purtroppo in
quella circostanza poteva essere molto pericolosa, dal momento che lui era
insieme a Riccardo. Conoscendola, sapeva che la prima cosa che avrebbe fatto
una volta abbandonato il locale sarebbe stata di fare rapporto a suo fratello.
- Dobbiamo
andarcene da qui. – sibilò, perentorio.
Anche se
leggermente colto di sorpresa, Riccardo ostentava un controllo invidiabile. Dal
taschino della giacca tirò fuori i suoi occhiali da sole, e contemporaneamente
si tolse la sciarpina di seta che portava intorno al collo.
Poi tirò fuori la
chiave della sua macchina e la mise sul tavolo. – Prendila – gli
disse, indicandola con lo sguardo. Brian obbedì, mettendosela in tasca.
Gli porse gli
occhiali da sole e la sciarpa, che Brian prese lentamente. – Mettiteli ed
esci di qui. Vai alla macchina, io arriverò tra poco. –
Cercando di non
farsi notare, Brian inforcò gli occhiali e poi si avvolse la sciarpa intorno al
collo, cercando di coprirsi per quanto possibile la bocca. Aspirò il profumo di
Riccardo per darsi sicurezza, quindi si alzò velocemente facendo tintinnare
leggermente i bicchieri mentre si alzava.
Gli avventori agli
altri tavoli non si scomposero di un millimetro, ma in quel momento lui si
sentì come un elefante in una cristalleria: ingombrante e pericoloso, per cui
cercò di guadagnare la porta di uscita. La maitresse
lo vide uscire, ma lui non la degnò di uno sguardo, mentre prendeva la
maniglia della porta e l’apriva, uscendo nel cielo plumbeo e correndo verso la
Smart di Riccardo.
Premette il
pulsante di apertura sulla chiave, quindi aprì lo sportello e si fiondò dentro
l’abitacolo, in preda ad una paura fortissima che si era impadronita di lui. Si
sentiva la testa girargli come una trottola, le tempie pulsargli in un attacco
di panico in piena regola.
Si appiattì contro
il sedile, desiderando di diventare microscopico, ma ovviamente ciò non
accadde. Il pensiero che l’odiata cognata l’avesse intravisto lo stava
uccidendo. Purtroppo non c’era modo di sapere se la ragazza l’avesse
effettivamente intravisto oppure no, quindi cercò di non pensarci e lasciare
che quella brutta sensazione svanisse così com’era venuta.
Poco dopo, arrivò
Riccardo.
- C’è mancato
davvero poco – disse ad un certo punto Brian, mentre era sul divano di
Riccardo, la testa appoggiata alle sue gambe mentre il ragazzo gli accarezzava
la testa. – Non posso permettermi di rischiare così. –
- Sei stato
fortunato – disse Riccardo, e Brian notò che non aveva usato il plurale,
riferendosi soltanto a lui – La prossima volta potrebbe non essere così.
–
- Già… cazzo.
–
- Non pensiamoci
più – disse, tornando magicamente al plurale. Abbandonandosi tra le sue
dita carezzevoli, Brian cercò di tranquillizzarsi, continuando a pensare ad una
frase che diceva spesso da piccolo, quando voleva rubare le riviste porno di
suo fratello o la nutella dalla dispensa: il
gioco vale la candela. E rischiare un po’ per vedere un ragazzo
straordinario come Riccardo, valeva bene la pena di venire sputtanati.
Ad ogni buon conto,
come avrebbe detto più tardi Brian a Riccardo dopo aver fatto l’amore, da
allora in poi le parole d’ordine dovevano essere prudenza e discrezione.
D’accordo che il
gioco valeva la candela, ma dopo che aveva corso il rischio di venire beccato
dalla sorella di Corrado, Brian aveva incominciato a vedere ombre maligne
dappertutto: quando si vedeva con Riccardo, camminava quasi rasentando i muri o
con la testa incassata nelle spalle, senza menzionare che non usciva mai senza
un cappellino o degli occhiali da sole. Qualche volta Riccardo gli chiedeva se
desiderasse andare al cinema o a cena fuori, ma Brian il più delle volte
declinava, preferendo invece andare direttamente a casa sua e magari cucinare
lui stesso, pur di non doversi esporre fuori, in pubblico. Una volta Riccardo
gli aveva detto che si preoccupava un po’ troppo.
Perché, tu non ti preoccupi? Aveva pensato Brian sul momento, senza però riuscire a
replicargli. Effettivamente Riccardo, nonostante gli avesse dichiarato di
essere fidanzato, non sembrava più preoccupato di lui. Anzi, sembrava sempre
molto tranquillo e rilassato, tanto che Brian si fermò un attimo a rifletterci
sopra.
Dapprima aveva
pensato che non si preoccupasse perché tanto il suo ragazzo era all’estero. Ma
possibile che non si preoccupasse del fatto che poteva vederlo qualcuno che
conosceva…?
Ovviamente, non c’era
soltanto quello. C’era anche il suo cellulare.
Quando erano
insieme, non suonava quasi mai, né Brian aveva mai visto ricevergli un
messaggio su Whatsapp mentre erano insieme. Com’era
possibile che il suo fidanzato non gli scrivesse mai, né gli telefonasse?
Inizialmente Brian aveva accantonato l’idea, ma poi una sera, dopo aver fatto
l’amore, aveva provato a chiederglielo.
- Ma il tuo ragazzo
– attaccò – Non ti telefona mai? Non è mai preoccupato per te?
–
Riccardo diede
un’alzatina di spalle, come se non sapesse cosa dire – Che io sappia, è
sempre molto indaffarato. –
- Ma non ti
contatta proprio mai? –
- Lo contatto
sempre io – tagliò corto Riccardo, guardandolo come a dirgli che il
discorso era chiuso e non intendeva più parlarne.
- Sì, ma… possibile
che tu non ti senta preoccupato o in qualche modo minacciato…? –
Per tutta risposta,
Riccardo gli rigirò la domanda. - Tu ti senti così,
forse? –
- Beh… io… sì.
–
- Ed il tuo ragazzo
ti chiama, ti cerca…? –
- Sì, lui sì. Ed io
sono sempre preoccupato quando non mi trova in casa, sai… -
- Di cosa sei
preoccupato? Tanto la vostra storia non funziona, no? – Riccardo piegò le
labbra in un sorriso all’apparenza dolce, ma che a Brian, inspiegabilmente,
fece un po’ paura. Avrebbe voluto replicargli che non era proprio esatto dire
che la loro relazione non funzionasse, però…
Riccardo rimase lì
a fissarlo, con quegli occhi che riuscivano a penetrargli l’anima. Brian era
come ipnotizzato da tale sguardo, tanto che non riuscì più a proferire parola. Intuendo
di averlo finalmente zittito, poi, Riccardo allungò le mani e gli accarezzò le
guance, prendendolo a sé e baciandolo.
- Non dovrai avere
paura, finché sarò al tuo fianco. –
- Giusto. Sono uno
sciocco, perdonami. –
- Perdonato.
– gli rispose, facendogli l’occhiolino. Brian si sentì stupido, ma al
tempo stesso rinfrancato da quel gesto affettuoso del suo dolce Riccardo.
Approfittando di
un’altra trasferta breve di Corrado (è
una specie di corso, starò via solo un venerdì sera e tornerò sabato nel
pomeriggio), Brian aveva colto la palla al balzo con Riccardo, che gli
aveva proposto di passare il weekend insieme. Quando Riccardo gli aveva aperto
la porta, lo aveva trovato con una busta della spesa in una mano. Senza capire,
Riccardo lo aveva guardato, mentre lui sfoggiava un bel sorriso.
- Passavo dal super
e ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere assaggiare qualcuno dei miei
piatti. Ti va? –
Mentre Riccardo
continuava con il suo lavoro, Brian si era messo a preparare i suoi hamburger
all’americana, che in realtà di americano avevano ben poco, se non il nome. Non
solo era un piatto che gli riusciva particolarmente bene, ma gli ricordava
anche la prima volta che aveva cucinato per Corrado, tanti anni prima. Era
stato forse qualche mese dopo che si erano messi insieme, dopo che si erano
scoperti innamorati (Anche se non mi
ricordo proprio come successe; che brutta bestia la vecchiaia, pensò,
mentre con le mani lavorava il macinato nel recipiente.)
Rispetto allora
aveva dieci anni di più e al posto di Corrado c’era Riccardo, ma l’amore con
cui si dilettava a cucinare, era pressoché lo stesso.
- Com’è? –
gli aveva domandato Brian dopo aver mandato giù un pezzettino del suo hamburger
alla piastra.
Riccardo stava ancora
masticando, ma a quella domanda fece una smorfia come se stesse pensando alla
risposta da dargli. Brian s’inquietò leggermente.
- Non… non ti
piace? –
- No, no… Anzi! È
molto buono. Solo che… -
- Cosa? –
- Oh… no, non
importa. –
- No, dai. Dimmelo.
Che cosa c’è che non va? –
- Forse io avrei
evitato di metterci il burro nella padella. Sai… i grassi… possono nuocere alla
circolazione. – aveva concluso, guardandolo negli occhi con
un’espressione talmente penetrante che sembrava un padre che sta rimproverando
suo figlio.
A quella
dichiarazione, Brian si era mordicchiato il labbro, prima di dire – Ma…
ce l’ho messo perché altrimenti si sarebbe incollato tutto. Non volevo
rovinarti la padella. Ti chiedo di scusarmi. Non lo
farò più. –
Riccardo poi aveva
sorriso, ma non aveva aggiunto altro. Brian allora aveva pensato a cos’altro
avrebbe potuto usare per evitare di far attaccare le padelle quando cucinava la
carne.
E mentre ci
pensava, la sua mente andò a Corrado, alla prima cosa che gli disse quando
assaggiò i suoi hamburger all’americana.
Sono una meraviglia…! E tu saresti da sposare. Posso
sposarti io?
Brian aveva
ridacchiato a quella domanda. Per l’imbarazzo, ma anche per la contentezza. Era
stata la prima volta che un ragazzo che non fosse suo fratello o suo padre o
sua madre, gli aveva detto che cucinava bene.
Se mi darai ancora una mano mentre cucino, volentieri, aveva detto Brian, riferendosi al fatto che non aveva
cucinato proprio tutto da solo: l’allora giovane ingegnere era andato
innanzitutto a comprare gli ingredienti, per poi aiutarlo a prepararli.
Nonostante tutto, aveva rifiutato ogni coinvolgimento.
Erano davvero buonissimi. E tu sei stato bravissimo,
amore.
Siamo stati bravissimi, vuoi dire.
No. Ho detto che SEI stato bravissimo. Io ho solo
comprato e preparato gli ingredienti. Il resto l’hai fatto tu.
E l’aveva baciato.
Tornando al
presente, invece, Riccardo non gli aveva fatto nemmeno un complimento, anzi
l’aveva rimproverato per aver usato il burro. Sospirando, Brian aveva raccolto
i piatti sporchi dalla tavola e li aveva messi nell’acquaio, preparandoli al
lavaggio.
Poco dopo, Brian
aveva quasi finito di lavare i piatti e la padella, quando avvertì le mani di
Riccardo toccargli i fianchi e poi infilarglisi in tasca. Le sue labbra
scivolarono sul suo collo, baciandoglielo dolcemente.
- Sei stato
bravissimo. Il mio ragazzo non sa cucinare bene come te. – gli aveva
sussurrato nell’orecchio.
Brian aveva
avvertito un fremito, sentendosi appagato dal complimento.
- Meriti un premio,
cucciolotto. – aveva detto l’altro, strusciandogli il bacino contro il
sedere. Brian non si asciugò nemmeno le mani, lasciando che Riccardo lo
prendesse e lo portasse sul divano, dove cominciarono i baci e le coccole.
- Stavo pensando
– aveva mormorato ad un certo punto Riccardo, mentre Brian era
accoccolato sul suo petto.
- A cosa? –
- Che potremmo
andarcene da qualche parte, io e te. Un weekend, o una gita fuori porta. Che ne
pensi? –
Brian aveva emesso
un sospiro – …penso che con Corrado a casa il weekend, sarebbe difficile,
per non dire impossibile, trovare una scusa per svignarmela. –
- Ah già…
dimenticavo. Scusa se te l’ho proposto. –
- Non prendertela,
ti prego… Tu dovresti capirmi: se sei fidanzato anche tu. –
- Il mio ragazzo
non c’è mai. –
- Ecco, invece il
mio il weekend si riposa. A meno che non venga chiamato a fare corsi o cose del
genere, come oggi. –
Riccardo si era
girato su un fianco per guardarlo negli occhi. A Brian era sembrato sul punto
di piangere, con gli occhi rossi e lucidi.
- Vorrei vederti un
po’ di più, Brian. Ho paura che da quando abbiamo rischiato di farci scoprire
dalla sorella del tuo ragazzo, tu stia prendendo un po’ le distanze da me.
–
- Ma cosa dici…?! No, non è vero. Io voglio stare con te e cerco sempre di…
-
Ma Riccardo lo
interruppe. – Se ti piace stare con me, allora non dovrebbe essere
difficile per te trovare un modo per vederci di più, non credi? –
Brian era rimasto
interdetto a quell’affermazione, non sapendo cosa rispondere. Si era sentito come
se Riccardo avesse forzato una porticina chiusa nella sua mente, ma non fosse
riuscito ad aprirla del tutto, ma solo uno spiraglio, e da lì stesse spiando
tutti i suoi pensieri più nascosti, tra cui c’era anche la paura che gli era
venuta di uscire insieme a lui da quando aveva visto entrare sua cognata
Valeria in quel maledettissimo locale.
Ed erano rimasti
così, a guardarsi negli occhi per interminabili momenti, finché Brian non aveva
abbassato lo sguardo. Poco dopo, Riccardo gli aveva posato un bacio sulla
fronte.
*****
Certo che mi piace stare con te, Riccardo. Come ti
viene in mente che non mi piaccia? È solo che… non è così facile per me
assentarmi quando Corrado è sempre a casa durante il weekend.
Brian pensava e
ripensava a quelle parole, che non aveva trovato il coraggio di dire a Riccardo
per replicare alla sua osservazione. Riccardo gli aveva detto che avrebbe
dovuto trovare un modo per assentarsi, e lui per tutta la mattina e fino a quel
momento, mentre pranzava con due sandwich e un bicchiere di vino (non era un
gran bevitore, ma in quel momento gli sembrava la miglior medicina possibile
contro i pensieri che gli vorticavano nel cervello), non aveva fatto altro che
pensare a come svignarsela per due giorni, per andare a stare con Riccardo, dovunque
intendesse portarlo.
Potrei dirgli che vado da Carlo, pensò.
Si versò un altro
bicchiere di vino, scolandosene un gran sorso. Le sue guance incominciarono a
colorarsi di rosso.
Già, e poi se mi chiede “perché?”, cosa gli rispondo?
Tamburellò con le
dita sul tavolo guardando un punto imprecisato nel vuoto, nel silenzio ovattato
dell’appartamento. Potrei dirgli che
Carlo ha avuto una delusione d’amore e ha bisogno di conforto…
Gli venne da ridere
alla sola idea. Sia lui, che Corrado sapevano benissimo che Carlo non era il
tipo di persona che s’innamorava facilmente. Quindi, di che cosa stavano
parlando? Non sarebbe stata una scusa credibile.
Senza accorgersene,
aveva già scolato mezza bottiglia di quell’amabile vino rosso (che leggendo
bene l’etichetta non era rosso, ma rosato) a stomaco vuoto, dal momento che i
sandwich erano ancora nel piatto, intonsi. Si massaggiò le tempie, sentendo i
prodromi di un mal di testa. Era davvero così difficile trovare una scusa da
far bere al proprio ragazzo? All’improvviso desiderò che anche Corrado fosse
come il fantomatico fidanzato di Riccardo (di cui non conosceva ancora il
nome), sempre fuori per lavoro.
Magari potrei dirgli che vado dai miei perché mio padre
non sta bene. Anche se l’idea di dire che
suo padre non stava bene non gli piaceva per niente: e se poi la bugia si fosse
avverata? Meglio non scherzare su queste cose…
…e se gli dicessi che vado ad una specie di riunione di
famiglia con i parenti che vivono fuori città, in previsione del matrimonio di
un qualche cugino o cugina… Forse…!
Ma ovviamente non
era pensabile dire una cosa del genere: sia Celeste che Walter, i genitori di
Brian conoscevano benissimo il loro genero Corrado. Gli volevano bene e l’avevano
invitato alla festa di fidanzamento di Alex, il fratello maggiore di Brian.Come gli avrebbe spiegato che non era stato
invitato ad un party pre-matrimoniale, se faceva
parte della famiglia a tutti gli effetti? Corrado si sarebbe di certo fatto
quella domanda, e certamente in futuro una bugia come quella si sarebbe
rivelata parecchio scomoda.
Sbuffando, appoggiò
la testa alle braccia, continuando a pensare e pensare finché non si
addormentò.
*****
Mentre ancora
pensava a cosa dire a Corrado per poter passare in santa
pace un weekend insieme a Riccardo, il bel Brian ebbe una sorpresa inaspettata,
che oltre a stupirlo e soddisfarlo, lo mandò ancora un po’ più in confusione.
Come ogni sera
Brian era sul divano a riposarsi, dopo aver preparato la cena in attesa che
Corrado tornasse dal lavoro. La TV era accesa su un documentario che trattava
dei misteri irrisolti di un incidente aereo avvenuto prima che lui nascesse.
Brian stava
scorrendo pigramente sul suo smartphone i vari post
su Facebook. La domanda “Come faccio a sganciarmi da Corrado per un weekend senza
insospettirlo?” era ancora sospesa nella sua mente, tanto che per un attimo
gli era venuto in mente di crearsi un profilo fasullo su Facebook
e magari girarla alla rete. Ma poi pensandoci meglio si disse che quella cosa
doveva risolverla da sé, per non dare in pasto troppi dettagli della sua vita
privata ad un mostro pericoloso come il web. Intanto il weekend designato da
Riccardo (due settimane prima di Natale), si stava inesorabilmente avvicinando…
Alle sette e mezza
precise, Brian aveva sentito la porta aprirsi, per poi vedere Corrado che
entrava e si svestiva del cappotto, appoggiando la borsa sul mobile accanto
all’attaccapanni.
- Ciao amore!
– aveva esclamato, su di giri. Un radioso sorriso gli illuminava il volto.
Brian gli aveva
sorriso leggermente, facendo per alzarsi dal divano, ma Corrado gli si era
seduto accanto e l’aveva baciato dolcemente sulle labbra.
- Mmm… Buonasera, ingegnere…! Sbaglio o siete allegro…?
–
- Non indovinerai
mai – aveva detto Corrado, con gli occhi brillanti come quelli di un
bambino emozionato – cosa mi hanno detto a lavoro! –
- Che cosa, amore?
–
Corrado aveva
sorriso, alzandosi in piedi – Ti presento il nuovo futuro vice-capo
reparto. –
- Oh, amore…!
– aveva detto Brian, fingendo una punta di sorpresa – Ma è
stupendo. Complimenti! –
- Grazie…! Non so
ancora come abbiano deciso di dare questa promozione proprio a me, ma… la cosa
non mi dispiace di certo…! – aveva detto, tornando a sedersi.
- Sono contento per
te. È una bella responsabilità…! –
- Eh sì. E questo è
solo l’inizio. Comunque me l’hanno solo comunicato, non c’è ancora niente di
certo e definitivo, però… Beh, diciamo che è certo al 90%. –
- Come il mio anno
di nascita? – aveva ridacchiato Brian.
Corrado si era
messo a ridere insieme a lui – Esatto. Come l’anno di nascita del ragazzo
più dolce e straordinario del mondo. –
Brian era arrossito,
quindi Corrado l’aveva abbracciato e gli aveva baciato dolcemente la guancia,
per poi scendere a baciargli il collo. Brian ebbe un fremito, e quasi senza
accorgersene portò le gambe dietro la schiena di Corrado, che aveva
incominciato a tastargli il sedere. Era eccitatissimo.
- Mmm… vi prego, ingegner Ottonelli…
il mio ragazzo potrebbe tornare da un momento all’altro… - mormorò Brian,
passandogli le mani nei morbidi e folti capelli (cosa che non aveva ancora mai
fatto con Riccardo).
- E allora
sbrighiamoci signorino Molteni, se non vogliamo farlo ingelosire… mmm…! –
mormorò Corrado, baciandogli e mordendogli leggermente il collo, mentre Brian
armeggiava con l’apertura dei suoi pantaloni.
Lasciandosi
coinvolgere, Brian decise di dirigere un po’ il gioco, mordicchiando il lobo
dell’orecchio del suo ragazzo, mormorando - Vi piaccio, ingegnere? –
- Mi fate ribollire
il sangue, signorino. –
- Anche voi a me,
ingegnere. -
E mentre Corrado faceva
scivolare la mano sinistra nei pantaloni della tuta di Brian, questi si lasciava andare a quell’improvvisa dichiarazione di amore.
Fu una serata
bollente. Sembrava che Corrado avesse voluto recuperare tutto in una volta il
tempo in cui era stato sessualmente inerte. Si fermarono solo per cenare dopo
tre ore di piacere, dato che Brian aveva una fame da lupo. Corrado si preoccupò
di apparecchiargli la tavola e di servirgli ciò che Brian aveva cucinato
qualche ora prima. Mangiarono insieme come due fidanzatini, anche imboccandosi
a vicenda. Quando terminarono, Corrado avrebbe volentieri continuato a fare
l’amore, ma Brian era già a posto, sia fisicamente che mentalmente. Si sentiva
appagato, in pace… per un momento stava provando le stesse sensazioni di quando
era con Riccardo, al quale non aveva più pensato per tutta la serata.
Più tardi, mentre
era nel letto insieme a Corrado che addormentato gli respirava sul collo, cominciò
a pensare che quell’improvvisa vitalità sessuale fosse abbastanza strana. E se Corrado
si fosse trovato un amante?
Di nuovo la sua
fantasia si fece sentire: immaginò che potesse essere un collega appena assunto
che aveva usato il suo fascino su di lui, proprio come aveva fatto Riccardo.
Oppure poteva essere un qualche barista che portava i caffè durante le
riunioni, o uno che consegnava la posta…
Più ci pensava, più
gli venivano in mente solo dei mestieri e il fatto che l’amante doveva essere
più giovane di lui, ma non trovava neanche un modo in cui Corrado potesse esser
stato concupito. Che lui sapesse, il suo ragazzo non era molto facile da
sedurre, a meno che non si avesse del tempo libero a disposizione come lo aveva
avuto lui a diciotto anni per passeggiare, ascoltarlo e...
Ballare,
pensò Brian, ricordandosi delle lezioni di ballo che gli impartiva in cambio
delle ripetizioni di matematica. Vide sé stesso ballare insieme a Corrado, ma
poi il ricordo si perse nella sua mente, soffocato da altri pensieri come
quello che Corrado potesse essersi fatto un amante.
Pensò di svegliarlo
e chiederglielo, ma si trattenne. Tra i due, l’unico che si era trovato un
amante era lui, per cui doveva solo tacere.
Amante o meno, era
stato comunque stupendo… e inaspettato. E forse era proprio quell’aspetto che
l’aveva reso così. Per cui, anche se si era trovato un amante, se questi erano
i benefit, era una benedizione.
Perso nei suoi
pensieri notturni, Brian vide il suo smartphone
illuminarsi. Lo prese e guardò il messaggio.
Ho prenotato un bell’albergo su in Val d’Aosta per noi.
Sarà un week-end indimenticabile.
- Oh mio dio… -
mormorò pianissimo Brian, sospirando. Quel matto di Riccardo aveva già
prenotato…? Senza aspettare una sua risposta? Era un bel guaio. Cominciò ad avvertire
i prodromi di un attacco d’ansia, non sapendo cosa rispondergli… la verità era
che non aveva ancora trovato nulla di credibile da dire a Corrado, ma non
voleva assolutamente che Riccardo si allontanasse o lo trattasse male per
questo (non l’aveva mai fatto, ma Brian sentiva
che avrebbe potuto farlo), per cui si chiese se non fosse più saggio cancellare
quel maledetto numero una volta per tutte e dimenticarlo per sempre.
Sì, e poi? Sa dove abito. Se gli venisse in mente di
venirmi a trovare, o di dire a Corrado che sono stato con lui? Cazzo…
Accantonò l’idea di
bloccarlo, quindi gli rispose che era contento e che aveva trovato una scusa da
dire a Corrado, cosa che ovviamente non era vera.
Sei stupendo, gli rispose allora Riccardo, sono così contento di averti conosciuto, grazie di esistere. E
concluse con il solito cuoricino rosso.
Brian gli rispose
con la stessa dolcezza, finché non vide che l’amante andare offline
(probabilmente a dormire) e posò il telefono sul comodino.
Sospirò, quindi si
accoccolò a Corrado che ancora dormiva profondamente.
O la va o la spacca,
pensò Brian mentre si dava da fare coi manubri davanti allo specchio. Dopo
tanto rimuginare, credeva di aver trovato la soluzione più giusta per
sgattaiolare via mentre Corrado era a riposo durante il weekend.
Dirò a Riccardo di chiamarmi una mattina e spacciarsi
per mio fratello, quindi gli farò dire che nostro
padre sta poco bene e che devo andare subito. Siccome non si conosce ancora bene
il suo stato di salute, andrò prima da solo; se poi ci sarà bisogno, Corrado
potrà raggiungermi, ma dovrà comunque aspettare un mio segnale.
Dal momento che
Corrado, bontà sua, non era quel tipo di fidanzato sospettoso di tutto e di
tutti, forse avrebbe potuto funzionare. L’unica incognita, ovvero che avesse
potuto chiamare a casa dei suoi genitori, rappresentava un problema non da
poco, però il gioco valeva la candela. O
la va o la spacca, si ripeté, pensando al weekend che lo aspettava con
Riccardo.
Anche se…
Posò i manubri
sulla rastrelliera, per poi sedersi sulla panchina e guardarsi le scarpe.
Sono davvero sicuro di voler passare il weekend insieme
a Riccardo?
Domanda
interessante. Solo due sere prima con Corrado aveva passato
dei bellissimi momenti, tanto che si era persino dimenticato di avere un amante.
Ma quel momento era
limitato al fatto che Corrado fosse su di giri perché gli avevano detto della
promozione. Quindi, una cosa eccezionale. Il suo ragazzo l’aveva posseduto
perché si sentiva felice, ma che cosa sarebbe successo se dopo l’effetto
sorpresa della promozione poi si fosse arenato
un’altra volta? O peggio, se la promozione fosse stata invece un motivo di
maggiore distacco di Corrado da lui?
Sbuffò, scuotendo
la testa. Ormai nella sua testa non c’erano più certezze, ma solo dubbi. Si
domandò cos’avrebbe fatto Carlo al suo posto.
Sorellina bella,
gli avrebbe detto, con quel suo tono dolce ma strafottente, alla fine un amante è un amante. E da che
mondo e mondo, l’amante serve a darti quello che il fidanzato non ti dà. Come
ti ho già detto, prendi quello che di buono ha da offrire.
- Quindi magari
anche un weekend. Ma perché non sono così sicuro di volerci andare…? -
Quante menate, cara! Di cosa
ti preoccupi? Quell’ameba del tuo fidanzato non morirà mica se stai via un
sabato e una domenica. Raccontagli la balla di tuo padre che sta male, e via
andare.
Ad interrompere il
flusso dei suoi pensieri, arrivò un messaggio su Whatsapp:
Riccardo che gli mandava un bacio, scrivendogli che lo pensava.
Brian sorrise, quindi
gli scrisse che era in palestra e che lo pensava tanto anche lui.
Un alito di
sollievo gli si infuse su per tutto il corpo, al pensiero che il giorno dopo
l’avrebbe rivisto.
Per fortuna o
purtroppo, Brian non dovette mai usare la scusa di suo padre malato con
Corrado.
Il giorno seguente,
Brian era camuffato come al solito, con occhiali da sole, sciarpa e berretto
nero calato sulla testa, un perfetto e anonimo ragazzo che si confondeva tra la
folla. Si trovava in un parco poco lontano da dove si era dato appuntamento con
Riccardo il giorno della loro prima uscita, ad aspettarlo.
L’appuntamento era
per le due, ma Brian era arrivato all’una e mezza. Si era seduto su una panchina
che guardava la strada ed aveva incominciato ad aspettare di vedere la Smart
rossa avvicinarsi e poi fermarsi.
Passò mezz’ora, ma Riccardo non arrivò.
Brian si disse che era normale, magari aveva trovato un po’ di traffico.
Per perdere un po’
di tempo, Brian si era messo allora a scorrere i soliti post su Facebook e guardare le immagini di Tumblr,
perdendosi tra tutte le informazioni. Lesse qualche notizia di cronaca nera,
poi mollò il cellulare. Erano le due e tre quarti, però Riccardo ancora non era
arrivato.
Leggermente
inquieto, aprì Whatsapp, per vedere se magari non gli
avesse lasciato un messaggio, ma oltre alla sua immagine, non c’era niente.
Aprì la conversazione. Com’era ovvio, non poteva vedere il suo ultimo accesso
online perché l’aveva disattivato (come Corrado l’aveva disattivato per non far
vedere ai colleghi quando era stato online l’ultima volta), ma non si stava
neanche connettendo in quel momento.
Gli scrisse un
messaggio. Dove sei?
E attese risposta.
Passarono alcuni
minuti, durante i quali Brian cercò di non guardare il telefono, ma solo di
concentrarsi sull’ambiente circostante: osservò alcuni passanti che
attraversavano il parco. C’era un signore cinquantenne che faceva jogging in
tuta insieme al suo cane, una coppietta di fidanzati che si scambiavano
effusioni amorose su una panchina più lontana, e due anziane signore che
camminavano a braccetto, una di queste con un bastone.
Cosa poteva essere
successo perché Riccardo non si facesse vivo né rispondesse al telefono? Brian
pensò immediatamente al peggio: aveva avuto un incidente ed era stato
trasportato d’urgenza all’ospedale. Oppure un’emergenza in famiglia (anche se
Riccardo non gli aveva mai detto di avere una madre o un padre o parenti in
generale). O peggio, che il suo fidanzato fosse tornato e avesse scoperto tutto
di loro. Ne era nata una lite e adesso Riccardo era lì in casa, impossibilitato
a guardare il telefono senza il rischio di compromettere la sua relazione. Si
augurò con tutto il cuore che stesse bene, ma altrettanto si augurò che non si
fosse verificata la terza opzione.
Speriamo se ne sia dimenticato e basta.
Mentre pensava, il
suo telefono incominciò a squillare, suonando le note di una canzone di
Madonna, Like a prayer.
Com’era ovvio,
Riccardo. Rispose immediatamente.
- Pronto? –
Dall’altra parte
udì un suono strozzato, come un sospiro.
- Pronto? –
ripeté Brian, ottenendo in risposta un singhiozzo. Riccardo stava piangendo.
- Ricky? Cos’hai? Ti senti bene? –
- No – disse
lui, in lacrime.
Brian si alzò,
andando verso l’uscita del parco muovendosi come un automa - Che cosa è
successo? –
- Giacomo –
mormorò, ancora in lacrime, mentre Brian si domandava chi fosse questo Giacomo.
- Chi… chi è
Giacomo…? -
– Giacomo… mi
ha lasciato. –
A quella risposta,
Brian rimase interdetto, ad ascoltare i singhiozzi di Riccardo al telefono.
Dentro di sé provava un misto di sensazioni contrastanti: un leggero disappunto
perché Riccardo non si era presentato al loro appuntamento; rabbia perché non
l’aveva avvisato; ma anche stupore e una leggera gioia perché Riccardo era
libero, quindi c’era forse speranza che si mettesse con lui.
- Oh – disse
soltanto Brian – Mi dispiace. –
Un altro singhiozzo
da parte di Riccardo. – Credo… credo che… non potrò più uscire con te,
oggi. –
- Vuoi che venga da
te? –
- No…! – si
affrettò a dire Riccardo, ancora in lacrime – No, è meglio di no. Non
sono in me, potrei fare una stupidaggine. –
- Ma che cosa stai
dicendo! – esclamò Brian – Non è la fine del mondo, cerca di
tirarti su! –
- Starò benissimo.
Ho bisogno di stare da solo per un po’. Scusami,
Brian. Scusami per il momento. –
- Posso aiutarti in
qualche modo? –
- Ti farò sapere. Scusami. Devo andare adesso. Scusami di
nuovo, Brian. – disse soltanto, chiudendo la comunicazione con un sacco
di “scusa”.
- Pronto? Riccardo?
Pronto…? -
Ma il povero Brian
stava parlando con il display in stand-by del suo cellulare.
*****
- …e poi? –
domandò Carlo, mentre spingeva il carrello nella corsia dei surgelati. Accanto
a lui, Brian, con le mani in tasca, guardava da un’altra parte. L’amico gli
aveva chiesto se gli andava di accompagnarlo al supermercato per fare un po’ di
rifornimento, e Brian ne aveva approfittato per raccontargli di come Riccardo
aveva disertato il loro appuntamento.
- Brian? –
- Eh? Cosa? –
- Ti ho chiesto
cos’è successo poi. –
- Niente. Sono due
giorni che non lo sento. Ho provato a mandargli dei messaggi, ma non li legge.
E neanche posso vedere quando si connette, perché ha
nascosto gli ultimi accessi. –
- Hm, tipico.
– sentenziò l’amico, infilando una pizza surgelata nel carrello.
- Io davvero non so
cosa pensare. Ha detto solo che il suo tipo l’ha mollato, poi ha chiuso in
tutta fretta. Tu che cosa ne pensi? –
- Penso che sia un
idiota. Un ragazzo che piange con me non è degno della mia attenzione, e tu lo
sai. –
- Ma poi neanche
farsi sentire per così tanto tempo? –
- Magari stavano
insieme da tanto tempo e lui l’ha presa molto male. Sai per caso da quanto
stavano insieme? –
Arrivati alla
cassa, Brian aiutò Carlo a mettere i viveri sul nastro trasportatore, mentre la
cassiera li passava allo scanner.
- Non so nulla del
suo ragazzo. Fino a quando non me l’ha detto lui, nemmeno sapevo come si chiamava,
renditi conto…! –
- Addirittura…?
Forse voleva tenertelo ben nascosto, o non voleva menzionarlo per non rovinare
i vostri incontri. –
- Cosa c’entra,
scusa? Anch’io ho nominato spesso Corrado. Certamente non gli ho detto che tipo
di mutande porta, ma gli ho detto un bel po’ di cose su di lui, sul mio ragazzo.
Tutto il contrario di ciò che ha fatto lui. Non ci avevo ancora pensato.
–
Mentre Carlo tirava
fuori la carta di credito per pagare la spesa, Brian si mise ad imbustare le
cose.
- Io-io… davvero
non so cosa pensare – disse Brian, infilando la pizza surgelata nella
busta, insieme ad una latta d’olio e delle patatine fritte. – Se
dev’essere così l’andazzo, meglio lasciar perdere. Anche se mi spiacerebbe.
Alla fine sto bene con lui, capisci…? –
- Come hai trovato
lui, secondo me potresti trovarne un altro. Se uno vuole, i ragazzi si trovano.
Guarda me, che sono venuto via da Bologna perché lì era anche fin troppo facile
trovarne…! Non c’era più gusto, dopo un po’. –
S’incamminarono
verso le scale mobili che conducevano al parcheggio, in silenzio. Brian era
abbacchiato, Carlo poteva vederlo benissimo. Arrivati alla macchina, Brian aprì
il portellone della Cinquecento di Carlo mentre lo aiutava a depositare i
sacchetti. Poi Brian andò a portare il carrello nella rastrelliera. Tornato
alla macchina, Carlo non aveva ancora acceso il motore.
- Ma hai provato a
chiamarlo? – gli domandò Carlo, guardandolo
mentre s’infilava la cintura di sicurezza.
- Sì che ci ho
provato. Squilla, squilla, ma non risponde. Oppure qualche volta lo spegne.
Secondo te perché fa così? –
- Non ne ho la
minima. Di solito io faccio così quando uno non mi soddisfa a letto o quando mi
sono stancato. –
- Oh mio dio, non
sarà mica che si è stancato di me ma non ha abbastanza palle per
dirmelo e allora mi ha cacciato quella scusa cretina? –
- Vuoi che proviamo
a chiamarlo col mio? –
Brian guardò
l’amico. Non era mica una cattiva idea. Se magari vedeva un altro numero, forse
poteva anche rispondere.
- Tu dici che
potrebbe funzionare? –
- Chissà. Noi
tentiamo. Poi al massimo non funzionerà. –
- Hm. Cavolo.
Speriamo bene… - disse Brian, infilandosi le mani sotto le ascelle, perché
improvvisamente gli erano diventate fredde.
L’amico accese il
motore, fece manovra e uscì dal parcheggio, diretto verso un posto tranquillo.
Si fermarono in
un’area di parcheggio non molto lontano da dove viveva Carlo. Brian gli dettò il numero di cellulare, quindi Carlo premette il
tasto verde sullo schermo del suo smartphone e inviò
la chiamata.
- Metti il
viva-voce…! –
- Già fatto –
mormorò Carlo, tenendo gli occhi sul display.
Uno squillo.
Due squilli.
Brian era teso. Per
la verità aveva un po’ di paura che Riccardo rispondesse, ma non sapeva nemmeno
lui perché.
Tre squilli… e
infine Riccardo rispose.
- Pronto? –
- Riccardo? –
- Pronto, chi è?
–
- Sono Brian,
Riccardo. –
A quell’affermazione
seguì un attimo di silenzio, accompagnato poi da fruscii e altri suoni strani.
- Pronto? Pronto…?
– chiedeva Riccardo. Era come se non lo sentisse.
- Riccardo, sono
io!!! Brian! Mi senti?! -
- Pronto, non vi
sento! Vi richiamerò, scusate. Sono impegnato. –
- No, aspetta, Riccardo, aspetta!!! –
Ma non servì a
nulla gridare, poiché Riccardo aveva già chiuso la chiamata.
Carlo allontanò
lentamente il cellulare dallo sguardo di Brian, mentre questi si teneva la
testa con entrambe le mani, imprecando a mezza voce.
- Che faccio,
riprovo a chiamare? – domandò Carlo.
- No. Che vada a
fare in culo, quello stronzo – mormorò Brian.
Ad un certo punto
Carlo tirò fuori un pacchetto di Marlboro, abbassò il finestrino e se ne accese
una.
- Per me fingeva,
quando ha detto che non sentiva niente. Secondo me ti ha sentito benissimo, e
ti ha anche riconosciuto. –
- Dammene una.
–
- Cosa? –
- Una sigaretta.
Dammene una. –
Carlo tirò fuori il
pacchetto dalla pochette e lo porse a Brian, che si prese una sigaretta e se
l’accese, tirandone una boccata che lo fece tossire leggermente.
- Ma non avevi
smesso? –
Brian non rispose,
cercando di calmarsi mentre aspirava la “bionda”, buttando fuori il fumo dal
finestrino.
*****
Dopo quella figura
che gli aveva fatto fare mentre era con Carlo, Brian incominciò a sentirsi
nervoso e irritato. Quel giorno si mise a fare i mestieri di casa con una
grinta che non sapeva di possedere, arrivando quasi a doversi inventare
qualcosa per non rimanere in balia dei cattivi pensieri. In più, gli era
tornata la voglia di fumare, che aveva abbandonato dopo aver conosciuto
Corrado, che gli diceva sempre di non fumare perché si sarebbe rovinato i
polmoni. Il tempo meteorologico di fuori rifletteva alla perfezione il suo
stato d’animo: plumbeo, pieno di nuvole grigie cariche di pioggia, che a inizio
Dicembre aveva cominciato a flagellare la città. Si sentiva come una nuvola
temporalesca pronta ad esplodere, e anche Corrado se n’era accorto, tanto che
per poco Brian non gli aveva risposto male una sera in cui gli aveva chiesto di
passargli il telecomando per cambiare canale.
Ma da lì a poco si
sarebbe calmato.
Un giorno era
tornato a casa dalla palestra, dove aveva passato insolitamente quasi tre ore,
chiacchierando del più e del meno con una ragazza, istruttrice di spinning.
Arrivato nel suo palazzo, era entrato nell’atrio, dove la signora Visentin, la portinaia dello stabile, era intenta a
spolverare le cassette della posta con un piumino.
- Oh, sior Molteni buonasera! Come sta?
– lo salutò, con l’inconfondibile accento
padovano che non mancava mai di far sorridere Brian.
- Non c’è malaccio, signora Visentin,
grazie. E lei? –
- Mah…! Guardi,lassamostar che è
meglio. Questi politici vogliono che lavoriamo fino alla morte e anche oltre, e
la pensione? Mah…! Miraggio nel deserto! Non si sa se e quando arriverà.
– rise, e Brian rise con lei, scuotendo la testa.
- Ha saputo cos’è successo la settimana scorsa? – parlava con quel
morbido accento veneto, che tratteneva le doppie consonanti.
- No, cos’è successo? –
La portinaia alzò
il braccio destro e poi col dito indicò in alto – Gli studenti inquilini
del terzo piano – disse – Sono venuti i carabinieri e gli hanno
sequestrato una piantina demarì… marì… maria…
mi aiuti, per favore... -
- …Marijuana?
–
- Sì, esatto.
Quella roba lì. Ma sembravano tanto dei ragazzi per bene, sa! Invece…! –
- Eh, purtroppo… -
- Ah, non ci si può più fidar de
nessuno a questo mondo, guardi! Meno male che Lei e l’ingegneresiete delle brave persone, mica
come quelli là che consumavano la droga in appartamento. Che robe…! –
Conoscendo bene la
donna e la sua voglia di chiacchierare tipica delle signore di una certa età,
Brian decise di tagliare corto, annuendo e chiedendole se era arrivata posta
per lui.
- No, posta non è
arrivata…! Però è arrivato qualcos’altro…! –
- Cos’è arrivato? –
- Ah guardi, l’ho
messo qui in guardiola, spetti che lo
vado a prendere, eh. – disse la signora,
entrando nella porticina che conduceva al piccolo sportello dove c’era una
cattedra, dove la donna si sedeva e sorvegliava tutto il palazzo. Poco dopo
tornò fuori con un mazzo di rose rosse. Brian sgranò gli occhi.
- Ecco…! Questo
sicuramente è il suo ragazzo che glielo ha fatto. –
- Ah… sì… forse.
– buttò lì Brian, non sapendo bene cosa dire, mentre prendeva il mazzo in
mano. – Chi l’ha portato? –
- L’ha portato una
ragazza, ha detto che consegnava per conto di un fioraio. –
In mezzo alle rose,
Brian vide che c’era un biglietto in una piccola bustina chiusa.
- Capisco. Beh,
sarà meglio che vada allora. Grazie mille signora, saluti suo marito da parte
mia. Arrivederla. –
- Arrivederla sior Molteni! Passi una buona serata!
–
- Grazie, altrettanto
a lei – disse Brian, svicolando velocemente nell’ascensore e premendo il
tasto del suo piano.
*****
Perdonami per il mio silenzio. Avevo bisogno di
riflettere e questo è il mio modo di chiederti scusa. Mi perdoni?
Il biglietto era
firmato da Riccardo. Brian ne fu lusingato e tirò mentalmente un sospiro di
sollievo, al pensiero che Riccardo era ancora nella sua vita. Prese il
telefono, quindi compose il suo numero. Mentre squillava, era tentato di dirgli
ciò che pensava veramente, e cioè che il suo silenzio l’aveva
fatto incazzare, ma ancora di più l’aveva fatto incazzare il fatto che
avesse risposto e poi fatto finta di non sentire quando aveva provato a
chiamarlo con il telefono del suo amico Carlo. A un certo punto il telefono
smise di squillare e Brian udì la sua voce leggermente sottotono.
- Pronto? –
- Ciao – gli
disse Brian in tono tranquillo, ma dentro era molto agitato.
- Brian, tesoro… mi
sei mancato tantissimo. Scusami se non mi sono fatto sentire, ma avevo bisogno
di riprendermi. –
Quelle parole
ebbero su Brian lo stesso effetto che ha una siringa di tranquillante sparata
da una cerbottana contro un animale feroce: lo calmarono lentamente, come per
una strana magia.
- Sono contento tu
ti sia ripreso. Grazie delle rose, ma come la mettiamo col mio ragazzo? Se le
vede, cosa gli racconto, che me le ha portate l’amministratore di condominio?
–
- Vieni a casa mia,
puoi lasciarle qui da me. –
Per dirla tutta,
Brian non se la sentiva di andare fino a casa sua. Non a quell’ora e non con un
mazzo di rose, poiché da lì a poco sarebbe dovuto ritornare a casa per essere
presente quando fosse arrivato Corrado, ma di certo non poteva lasciare le rose
lì, in bella vista. In un certo senso, alla lusinga iniziale si era sostituito
il fatto che quelle rose erano una potenziale bomba pronta a esplodere, che
necessitava di essere disinnescata. E l’unico modo per disinnescarla era andare
da Riccardo.
Non avendo altra
scelta, disse, sospirando – Ok, sto arrivando. Ma dovrò tornare presto,
non posso trattenermi per molto. È tardi e… –
- Non preoccuparti
– tagliò corto Riccardo – Ti
riaccompagnerò io in macchina. Ti aspetto,
cucciolotto. – concluse poi, senza dire altro e chiudendo poi la
chiamata. A dispetto di tutto quanto era successo fino a quel momento, sentirsi
chiamare ancora “Cucciolotto” dal suo Riccardo, fu una gioia per Brian, che prese
le rose dal tavolo, aprì la porta e tornò giù, diretto dal suo dolce amante.
*****
Se poco prima era
stato sul punto di mandarlo a quel paese, vomitandogli in faccia tutto quello
che aveva provato per la sua assenza silenziosa, adesso, a casa di Riccardo,
stava incominciando a sentirsi meglio. Il solo fatto di trovarsi lì, con lui
accanto che gli aveva aperto la porta, bastò a calmarlo. Riccardo l’aveva preso
e, dopo averlo abbracciato, l’aveva baciato con passione. Brian si era lasciato
coinvolgere, assaporando quelle labbra con grande trasporto, finché non erano
finiti entrambi sul divano di Riccardo, baciandosi e abbracciandosi.
Il suo amante non
era andato via. C’era ancora, era lì ed era di nuovo suo. Anzi era suo, ancora
di più, visto che ora era di nuovo single.
Senza mai chiamare
per nome il suo ragazzo, Riccardo raccontò a Brian tutto quello che era
successo in quei giorni: ovvero che lui cercava di contattarlo ma non
rispondeva; quando lo sentiva per telefono era piuttosto freddo e distaccato;
una volta gli aveva persino chiuso la conversazione in faccia dicendogli che
era impegnato. Al culmine di tutto ciò, era arrivato il messaggio che gli
diceva di non volerlo più vedere perché si era stancato, perché non aveva
saputo tenerlo, e ovviamente Riccardo ci era rimasto molto male.
Brian aveva
ascoltato tutto con dispiacere, mentre gli teneva le mani, accarezzandogliele
dolcemente. Riccardo non aveva pianto in quell’occasione, dicendo che aveva già
pianto abbastanza dal giorno in cui aveva mancato l’appuntamento con lui,
circostanza per la quale Brian l’aveva già perdonato, perché si sentiva troppo
dispiaciuto per ciò che gli era successo per avercela con lui.
- Mi dispiace… mi
dispiace tanto, Riccardo. –
- Grazie. Credo che
siano cose che succedono… però è brutto quando succedono. –
Nella mente di
Brian adesso c’era un solo desiderio: prendere il posto di quel ragazzo che una
volta era stato il fidanzato di Riccardo, ma non glielo disse immediatamente.
Non era proprio il momento.
- Non preoccuparti
di lui. Adesso ci sono qua io. Se vorrai… -
- Cosa? –
Stava per dire se vorrai potrò essere io, il tuo ragazzo,
ma si trattenne, preferendo invece dire qualcos’altro.
- Se avrai bisogno
di me, io sarò qui con te. –
- Grazie. –
rispose soltanto Riccardo, senza aggiungere altro.
Brian imputò quella
freddezza al fatto che fosse ancora presto, e subito si diede dell’imbecille
per aver schiacciato troppo sull’acceleratore. Non aveva usato le parole esatte
che gli erano venute in mente, ma forse Riccardo doveva aver capito che non
voleva dire ciò che aveva detto. In quell’attimo avvertì un brivido di freddo
corrergli lungo la schiena per la paura di perderlo, ma bastò uno sguardo di
Riccardo a riscaldargli di nuovo il cuore: i suoi occhi erano più grandi, in
quel momento. Sembrava un cucciolo indifeso, tanto che Brian chiuse gli occhi e
si avvicinò a baciarlo dolcemente, tenendogli le guance con entrambe le mani.
- Adesso ci sono
qua io – ripeté Brian mentre lo baciava – Non avere più paura di
nulla. –
Una notte Brian si
svegliò all’improvviso, preda di un incubo di cui non ricordava molto.
Ricordava solo che stava osservando un quadro che gli piaceva (forse era un
quadro d’arte moderna o addirittura uno che aveva visto a casa di Riccardo).
All’improvviso la pittura prendeva vita, trasformandosi in un mostro che lo
inseguiva per farlo a pezzi. Non ne era sicuro, ma sentiva che quella persona (o
mostro, se veramente era un essere umano) la conosceva bene, fin troppo bene da
sapere che non doveva fermarsi per nessun motivo. Fin troppo da sapere che se
lo avesse fatto, sicuramente sarebbe finito male.
Lanciò un’occhiata
a Corrado, che dormiva su un fianco. La zazzera di capelli spettinati emanava
un odore di shampoo al cocco, mentre lui sembrava un orsacchiotto abbandonato
da un bambino troppo distratto.
Guardò l’ora sul
cellulare. Le cinque del mattino. Era ancora troppo presto per alzarsi, ma non
per dare il buongiorno a Riccardo.
Buongiorno, tesoro della mia vita. Ti penso, gli scrisse e rimise
il telefono a posto sul suo comodino. Poi si girò su un fianco, dando la
schiena a Corrado, riprovando a dormire.
*****
Circa due ore dopo,
Corrado incominciò a svegliarsi lentamente, mentre Brian ancora dormiva (o
meglio, fingeva). Prima di alzarsi, come ogni mattina, gli diede un bacio sulla
guancia, a cui Brian rispose con un bacetto distratto, poi se ne andò in cucina
a preparare la colazione. Brian allungò una mano per prendere lo smartphone dal
comodino, premette il tasto di stand-by e accese lo schermo, che però non
conteneva alcuna notifica di Whatsapp.
Storse un po’ il
naso, quindi lo rimise al proprio posto e rimase a letto, girandosi sull’altro
lato.
Poco dopo tornò
Corrado, andò alla toilette e si vestì in fretta, poi tornò reggendo una
tazzina di caffè tra le mani, che poggiò sul comodino di Brian.
- Se ti va, te l’ho
preparato, amore – disse soltanto mentre si chinava, regalandogli un
secondo bacio sulle labbra prima di andarsene al lavoro.
Brian continuò a
restare a letto anche dopo che il suo ragazzo se ne fu andato, aspettando.
Che cosa stava
aspettando?
Ovviamente, la
risposta al messaggio che aveva inviato a Riccardo. Pensò che forse era
impegnato, ma era possibile che non riuscisse a trovare un ritaglio di tempo
per guardare il telefono? A maggior ragione ora che era single, quindi in
teoria più libero. In tre occasioni saltò in piedi dall’emozione credendo che
fosse Riccardo a scrivergli: la prima era un messaggio promozionale dall’ottica
che lo invitava ad un controllo gratuito della vista con applicazione delle
nuove lenti a contatto (fu deludente, ma quantomeno si ricordò di essere in
riserva di lenti a contatto, quindi pensò che avrebbe potuto fare un salto
dall’ottico a comprarle); la seconda volta arraffò il telefono talmente in fretta
che quasi gli cadde per rispondere ad una chiamata, ma la voce che gli rispose
dall’altra parte non era quella di Riccardo, bensì di suo fratello Alex, che lo
tenne al telefono un’ora per chiedergli se lui e Corrado avevano intenzione di
partecipare alla festa di Natale in famiglia. Brian ascoltò con disinteresse,
pensando sempre a Riccardo ed a come si era sentito così bene dopo che avevano
fatto l’amore… Dopo quasi un’ora passata a parlare del più e del meno con suo
fratello, gli impapocchiò una scusa lì per lì, dicendogli che non sapeva ancora
cos’aveva intenzione di fare Corrado, al che suo fratello Alex si oppose
dicendo che di solito a Natale era sempre stato libero, ma a quel punto Brian
aveva già deciso di chiudere, dicendo che doveva finire di fare i mestieri in
casa. Suo fratello allora salutò e chiuse la chiamata.
Infine, mentre era
sul divano a guardare la televisione (come al solito senza prestarvi attenzione,
preferendo scorrere su Facebook e Twitter), ricevette un messaggio su Whatsapp.
Carlo.
Come stai, smalfarona?
Svaccata sul divano,
rispose Brian.
Con o senza l’amante?
Senza. Che vuoi?
Niente, qui a lavoro mi sto scassando le ovaie e ho
pensato di scriverti un po’. Non è un bel momento?
Per niente.
Che succede?
Gli ho mandato un messaggio alle cinque e ancora non mi
ha risposto. Ti pare possibile?
Ma sì, che te ne frega, dai… Tanto è uno che ti scopa
ogni tanto, mica il tuo ragazzo.
Leggendo quel
messaggio ebbe un tuffo al cuore, unito ad una sensazione di collera nei
confronti del suo amico Carlo. Gli venne da rispondergli che non capiva un
cazzo e che era per colpa di quelli come lui che il mondo era una schifezza,
perché con il loro egoismo lo inquinavano. Che era un egoista e che non poteva
capire cosa significasse provare amore come lui lo provava per Riccardo. Quando
ebbe finito di comporre il messaggio, si trattenne, per paura di chiamare quel
sentimento col proprio nome e darlo in pasto a Carlo, che ci avrebbe marciato
sopra per benino com’era solito fare.
Quindi lo cancellò,
preferendo evitare di rispondere.
Carlo allora gli chiese
se per caso se la sentisse di accompagnarlo in palestra. Brian rispose che non
era il momento per lui, declinando l’invito. Gli disse che se voleva, poteva venire
a casa sua a tenergli compagnia, ma che se arrivava Corrado non doveva dire
stronzate riguardo a Riccardo altrimenti lo avrebbe ammazzato.
Carlo gli rispose
che quel giorno incontrava un altro ragazzo e che quindi doveva andare a casa
per mettersi in ghingheri. Mi vesto da
maschia come te, gli aveva scritto e Brian aveva capito a cosa si riferiva:
immaginò l’amico vestito con una camicia elegante e coi jeans aderenti. Ai
piedi le scarpe alte bianche da ginnastica con le finiture fosforescenti. Unico
tocco di classe: un po’ di trucco sugli occhi ed un velo di lucidalabbra.
Divertiti,
gli aveva detto, poi aveva messo via il cellulare. Il fatto che Riccardo non
gli avesse ancora scritto era una cosa che gli pesava sul cuore. Non aveva
nemmeno pranzato, preferendo addormentarsi davanti alla TV. Si era risvegliato
con le voci dei protagonisti della sit-com The
Big Bang Theory, la preferita da
Corrado. La guardò per un po’, chiedendosi se a Riccardo sarebbe mai piaciuta
una cosa del genere. Si rispose che probabilmente non aveva lo stesso senso
dell’umorismo di Corrado, e che magari non avrebbe gradito guardare una cosa
del genere.
*****
Il messaggio che
aspettava arrivò alle diciotto e trenta, quando Brian si era deciso ad alzarsi
e farsi una doccia. Si diede mentalmente dell’imbecille perché aveva
dimenticato di portarsi dietro il cellulare (prima regola del fedifrago: mai perdere
di vista il cellulare, anche se sai che il tuo ragazzo non è a casa in quel
momento), quindi lesse il messaggio su Whatsapp.
Ciao cucciolotto, ti chiedo scusa se rispondo solo ora,
ma ho avuto molto da fare e sono stato fuori casa per tutto il tempo. Avevo
dimenticato il cavo e mi era morto il telefono… quando ho visto il tuo
messaggio volevo morire. Povero cucciolotto che ha dovuto aspettarmi per tutto
questo tempo. Perdonami. Mi manchi. Ti penso tanto anch’io. Poi chiudeva con cuoricini e la faccina che mandava i
baci. Brian si sentì di nuovo bene, rinfrancato dalla dichiarazione di presenza
di Riccardo. “Sono ancora qui nella tua
vita”, dicevano quelle parole messe insieme, e lui si abbandonò sul letto,
lasciando cadere l’asciugamano che si era stretto in vita. Pensando che forse
avrebbe potuto gradire, aprì la fotocamera e allungò le braccia, scattandosi un
selfie che lo mostrava dalla testa fino all’addome, lasciando alla fantasia
quello che c’era sotto pancia (be’, neanche troppa, visto che Riccardo aveva
già visto quello che c’era da vedere in più occasioni).
Scattò la foto,
osservandone l’anteprima. Fece per inviargliela ma poi si trattenne, vedendo
che era davvero troppo bianco. Riccardo era bello, abbronzato, palestrato… lui
invece era bianco come una mozzarella e pieno dei nei tipici di quelli con il
suo genotipo. Si disse che non voleva imporgli la sua vista più di tanto, ma lo
fece anche perché non era del tutto sicuro della risposta che gli avrebbe dato.
Sicuramente non avrebbe detto le stesse cose che gli aveva detto Corrado anni
prima…
…Io resterei a guardarti per ore, piccolo. Sei tu. Nel
bene o nel male. E sei unico. Unico e irripetibile, nonché incredibilmente
bello.
- Il mio piccolo angelo birichino –
mormorò Brian, ripetendo le parole che gli aveva detto Corrado tanti anni
prima…
Sospirando cancellò
la foto, limitandosi a mandargli una stringa piena di baci e cuoricini. Quando
poi udì la porta di casa aprirsi con il tintinnio delle chiavi di Corrado,
mollò velocemente il cellulare e cercò qualcosa da mettersi addosso dopo
essersi fatto la doccia.
*****
Tuttavia quel
giorno non fu un caso isolato.
Riccardo aveva
cominciato a rispondere sempre meno ai messaggi.
Brian si svegliava
ed il suo primo messaggio era per lui, che gli rispondeva tardissimo o a volte
non gli rispondeva proprio. La comunicazione era diventata abbastanza strana,
perché Brian gli chiedeva qualcosa ma Riccardo rispondeva con tutt’altro oppure
non rispondeva. Di questo strano comportamento Brian era confuso da morire, ma
non osava parlarne con Carlo, sapendo bene che non sarebbe stato di grande
aiuto… pertanto teneva per sé quei dubbi lancinanti, che cominciavano a
pesargli come un macigno… che magicamente diventava un sassolino quando poi
Riccardo gli rispondeva occasionalmente scrivendogli delle parole dolci.
Una volta Brian
aveva provato a scrivergli che desiderava che gli rispondesse più spesso, o
comunque non così tardi nel tempo, ma Riccardo aveva replicato che non sempre
poteva rispondere perché aveva anche un telefono abbastanza datato che si
scaricava velocemente e lui non sempre aveva tempo di ricaricarlo. Queste
giustificazioni lo tenevano buono per un po’, salvo poi rendersi conto che gli
mancava da morire quando non rispondeva.
Chi vedeva Brian da
fuori vedeva solo un ragazzo un po’ distratto o a volte perso nei suoi
pensieri. Anche Corrado si era accorto che c’era qualcosa che non andava, ma
non ci aveva dato peso più di tanto, pensando che forse il suo ragazzo stava
attraversando uno di quei suoi periodi di “stacco”, come li chiamava lui,
dedicati alla riflessione ed al raccoglimento di nuove idee, ma soltanto Brian
sapeva cosa stava succedendo dentro sé stesso. Se avesse dovuto descrivere a
qualcuno quelle sensazioni, avrebbe probabilmente detto che dentro di lui si
era acceso un fuoco. Un fuoco che ogni tanto si alimentava troppo e rischiava
di bruciarlo, ma che ogni tanto si calmava, donandogli il dolce tepore di cui
aveva bisogno.
Da che mondo e
mondo, ogni fuoco è alimentato da qualcosa (sia essa legna, gas, petrolio), ed
è controllato da qualcuno.
Brian non lo sapeva
ancora, ma quel fuoco era alimentato e controllato con maestria da Riccardo.
Finora, l’unico
ragazzo che Brian avesse mai amato veramente.
*****
Seduti sul divano
di Riccardo, Brian gli si era accoccolato accanto e stava guardando il film che
l’amante aveva scelto, di cui non aveva nemmeno capito il titolo. Acciambellato
contro di lui, aspirò profondamente il suo profumo, stringendogli dolcemente le
mani, felice di essere lì accanto a lui.
Terminato il film,
Riccardo si rilassò sul divano, mentre Brian lo guardava dalla sua posizione,
con la testa sulle sue gambe.
- Ti è piaciuto il
film? –
- Sì. Molto.
–
Riccardo gli
accarezzò la testa dopo essersi stiracchiato. – Adesso devi tornare a
casa, vero? –
- Sì… purtroppo.
Non vorrei, ma devo. –
- Ma se restassi a
dormire con me mentre c’è Corrado, cosa succederebbe? –
Brian alzò gli
occhi, sospirando mentre cercava la risposta nella sua testa. – Penso che
Corrado incomincerebbe a chiamarmi, perché non sarebbe un comportamento che
tengo di solito… Da quando siamo andati a vivere insieme, cinque anni fa, non
ho mai dormito fuori di casa da lui. Lui invece sì, perché sapevo che ogni
tanto il suo lavoro lo porta a fare delle trasferte. Tu come facevi con il tuo
ragazzo? –
- Io… con il mio…?
–
- Con il tuo
ragazzo, sì. –
- Beh, lo sai no? Anche
lui era sempre fuori. –
- Ma non ti
chiamava neanche? Mai, nemmeno quando eravamo insieme? –
- Senti, se questo
è un interrogatorio… - attaccò Riccardo, guardandolo con severità. Brian allora
cercò di correggere il tiro, alzandosi e mettendosi a sedere.
- No, non è un
interrogatorio – gli disse mentre l’altro lo guardava – Voglio solo
sapere come facevi ad essere così tranquillo, tutto qui. –
- Perché vuoi
saperlo? – incalzò Riccardo.
- Perché … Perché…
- Brian sospirò, abbassando lo sguardo. – Perché a volte non so davvero
cosa fare con Corrado. –
- Se non sei
felice, perché non lo lasci e vieni a vivere con me? –
Brian ebbe un
sussulto. Gli aveva davvero chiesto quella cosa? Lo guardò intensamente negli
occhi, cercando una risposta nella sua mente.
- Oh… mi… mi
piacerebbe, ma… -
- Ma c’è Corrado.
Dico bene? –
- Sì… - mormorò
Brian. Riccardo rimase lì a guardarlo per un attimo, poi si alzò.
- Dove vai…?
–
- Da nessuna parte,
prendevo il cappotto. Abbiamo quasi finito il tempo a nostra disposizione,
ricordi? E io non vorrei mai causarti qualche guaio finché sei con il tuo
Corrado. –
Quell’ultima frase
voleva sicuramente essere accomodante, ma qualcosa, forse nel tono di voce o
nella combinazione delle parole, stonava. Brian avvertì che c’era qualcosa che
non andava, ma gli venne soltanto da dire – Non c’è motivo di avere fretta.
Perché non finiamo di parlare, invece? –
- Tesoro… - gli
disse Riccardo andandogli vicino e mettendogli una mano sulla guancia destra. Poi
lo baciò dolcemente, guardandolo negli occhi.
- …Voglio che tu
stia il più sereno possibile, credimi. So che ti piacerebbe stare con me, ma
dobbiamo stare attenti. Corrado potrebbe tornare a casa da un momento
all’altro, quindi è meglio che io ti riporti a casa tua finché c’è ancora
tempo. Capisci? –
A quelle parole di
Riccardo, Brian si tranquillizzò. Non pago dell’affetto ricevuto poco prima, l’abbracciò
forte, tempestandolo di baci sul collo e sulle guance.
- Il mio
cucciolotto… - mormorò Riccardo, abbracciandolo a sua volta.
Durante tutto il
tragitto di ritorno, non dissero più nulla. Arrivato nel solito punto dove lo
lasciava (di fronte ad un negozio di ferramenta, “Il Paradiso della Brugola”), Riccardo prese la mano di Brian e
gliela baciò, carezzandogliela dolcemente.
- Spero che presto
potremo realizzare i nostri sogni – gli disse, guardandolo negli occhi.
- Lo spero anch’io.
Li realizzeremo. Te lo prometto. –
Si sorrisero.
Quindi Brian scese dall’auto e andò verso il suo condominio, pensando a tutto
ciò che c’era stato ancora una volta tra di loro. Era cotto. Innamorato cotto,
ma dentro di sé sentiva anche qualcos’altro.
Brian aveva imparato
a disegnare da bambino, quando suo fratello Alex, per tenerlo buono mentre
studiava, gli dava fogli e matite colorate su cui lui poi incominciava a
disegnare; quando poi incominciava, bisognava dirgli di smettere, perché era talmente
preso da quell’attività da riuscire a dimenticarsi tutto il resto.
All’inizio le sue
creazioni erano solo normali scarabocchi di bimbo (adesso gelosamente custoditi
da sua madre), ma col tempo Brian affinò la sua tecnica, incominciando a
copiare dai fumetti (nell’archivio che teneva sua madre, se si guardavano i
disegni in ordine cronologico, si potevano vedere gli scarabocchi che si
trasformavano magicamente in Paperino, Qui Quo Qua e Topolino, insieme ovviamente
ai Gambadilegno disegnati e colorati a matita), poi dalle foto, fino ad
approdare al disegno libero, cioè quello che scaturiva dalla sola mente.
Anche se Corrado la
pensava diversamente, Brian non era e non si sentiva un artista. Era
semplicemente una persona qualunque che padroneggiava la teoria e la pratica
del disegno e con esse dava un senso al foglio bianco. Le sue non erano opere
d’arte come lo erano quelle di Riccardo o degli artisti antichi o contemporanei
che aveva studiato in storia dell’arte; però le sue piacevano a tutti perché,
anche se non erano perfette, erano comunque gradevoli da guardare.
Disegnava quando si
sentiva particolarmente ispirato, e in questo stato poteva essere arrabbiato o
felice o addirittura triste. Quando era agli inizi della storia con Corrado, lo
disegnava sempre sul suo diario segreto in diversi soggetti (alcune volte era
un marinaio; altre, un cavaliere in sella ad un cavallo bianco, ed altre ancora
un astronauta) e atteggiamenti, e ovviamente si autoritraeva insieme a lui.
Disegnare gli calmava i nervi, lo aiutava ad astrarsi dal mondo esterno quando
c’era qualcosa che non andava, consolandolo dai suoi crucci quotidiani.
Crucci quotidiani
come la difficile situazione in cui si era andato a cacciare.
Chino sul foglio
con gli occhiali da vista (li usava sempre quando doveva disegnare), Brian
stava facendo un disegno che avrebbe voluto fare da molto tempo: la copia di
una fotografia scattata tempo prima in un parco a Milano. Ricordava chi l’aveva
scattata: Carlo, che a quei tempi si vedeva con un certo Franco, un uomo di
quarant’anni (mentre lui all’epoca ne aveva diciannove). La macchina
fotografica era quella di Corrado, una vecchia Kodak che ora giaceva da qualche
parte della loro casa a godersi la sua pensione di anzianità in santa pace, ma
che fino a quando era stata in servizio aveva scattato foto bellissime, tra cui
quella che aveva davanti Brian in quel momento. Già all’epoca la macchina
analogica era datata, essendo a disposizione le macchine digitali, ma né lui,
né Corrado erano particolarmente amanti di quel tipo di fotografia, per cui le
loro foto continuavano ad essere sviluppate e stampate su carta dal fotografo,
anziché visualizzate attraverso uno schermo.
La fotografia li
ritraeva insieme, in estate. Brian vestiva una tutina di jeans e una maglietta
gialla, ai piedi indossava delle consunte sneakers della Vans (già allora gli
piaceva vestirsi anni ’80); portava i capelli rossicci e lunghi che gli
ricadevano in onde soffici sulle spalle, ad incorniciare un viso dal sorriso
dolce e spensierato. Accanto a lui stava Corrado, vestito con una polo verde e
un paio di pantaloni kaki e le Vans blu, leggermente più magro rispetto al
presente ma con la zazzera di capelli castani perennemente spettinati (che,
diceva lui, era l’unica cosa della sua vita che non era mai riuscita a mettere
in ordine), che lo abbracciava teneramente da dietro guardandolo negli occhi,
in un’immagine di tenerezza e complicità uniche nel loro genere.
Una foto che era
sempre piaciuta a entrambi, ma soprattutto a Brian. In quella foto, pensava,
c’era il perché di dieci anni insieme, la ragione per cui un bel giorno avevano
deciso di unire le loro esperienze in un unico destino.
E quella ragione
ora Brian stava cercando, mentre faceva correre la sua matita su quel foglio,
dove stava prendendo forma un bellissimo ritratto di lui e di Corrado.
Cosa fece Corrado per conquistarmi…? Era la domanda a cui Brian stava tentando di dare una
risposta mentre disegnava.
*****
Era ancora
pomeriggio presto quando la porta di casa si aprì, rivelando la figura di
Corrado che entrava in casa, sorridendo. Brian alzò gli occhi dal disegno,
vedendo Corrado che appoggiava il cappotto e la borsa.
- Ciao amore
– lo salutò, benedicendo l’idea che aveva avuto di non andare da Riccardo
quel pomeriggio.
- Ciao dolcezza
– rispose Corrado, avvicinandoglisi e baciandogli la guancia. –
Oggi con gli occhiali? –
- Eh sì, ho finito
le lenti a contatto… che c’è, non ti piaccio? –
- Scherzi? Mi piaci
ancora di più, tesoro. –
- Come mai a casa
così presto? –
- Non c’era niente
da fare. Ed è strano, perché di solito avevamo da mettere a punto un sacco di
cose con i programmatori per quella nuova azienda… mah, vai a sapere. –
Non sapendo cosa
rispondere, perché non conosceva in particolare le abitudini lavorative
dell’azienda per cui lavorava il suo ragazzo, Brian annuì, come per dire
“Capisco”.
- Visto che sono a
casa prima, ho pensato che magari potevamo fare un giro da qualche parte. Ti
andrebbe? –
Brian gli sorrise.
– Volentieri. Dove si va di bello? –
- Uhm… un’idea ce
l’ho. – fece Corrado - …Una potrei anche dirtela, ma l’altra è una
sorpresa. –
- Dai, dimmi.
–
Corrado scosse la
testa. Brian si alzò e gli punzecchiò la pancia con il dito.
- Dimmelo o ti
infilzo con l’indice. –
- Ahahah! No, non
te lo dico! – rispose Corrado, indietreggiando e cercando di sottrarsi
alla tortura del suo ragazzo, che intanto ridacchiava.
- Dimmelo! –
- Ahahah! No…! Non
posso! –
Brian smise e passò
alla carta della seduzione, guardandolo intensamente e guidando la sua mano sul
suo sedere ancora coperto dai pantaloni della tuta.
- Se me lo dici, ti
faccio passare una notte di fuoco. –
Corrado lo guardò e
lo baciò fugacemente sulle labbra, quindi disse soltanto – Te lo dico, ma
a una condizione. –
- Sentiamo, ingegnere
ricattatore dei miei stivali. Anzi, delle mie ciabatte. –
Dalla tasca,
Corrado tirò fuori un pieghevole, probabilmente di un cinema.
- Mentre vado a
farmi una doccia, scegli un film tra questi. Poi quando esco, comunicamelo. E
forse ti dirò che cos’ho in mente. –
Brian prese il
pieghevole e si mise a dargli una scorsa, tanto per farsi un’idea. Corrado si
allontanò, dirigendosi verso la stanza da letto per poi andare in bagno.
Mentre Corrado era
sotto la doccia, lo smartphone di Brian gli vibrò in tasca. Lo prese fuori e
vide chi era.
Riccardo, che gli
chiedeva cosa stesse facendo.
Brian alzò gli
occhi, ma evitò di rispondere.
*****
Per la prima volta
da che lo conosceva Brian lasciò in sospeso un messaggio di Riccardo per un’intera
serata. In più, per non doversi giustificare con Corrado, attivò la modalità
“in aereo”, scollegando il telefono dalla rete. La serata fu così dedicata
unicamente al suo ragazzo.
Il film al cinema
fu carino, una commedia italiana fatta dei soliti drammi che può vivere una
famiglia, risolvendoli poi nel migliore dei modi. Ad un certo punto del film
Brian prese la mano di Corrado, stringendogliela dolcemente. Corrado lo guardò,
sorridendogli. Brian gli poggiò la testa sulla spalla.
Mentre erano in
macchina, Brian credette di riconoscere quella zona della città. Naturalmente
era il solito agglomerato di palazzi e auto, ma a differenza della volta in cui
era stato con Riccardo, non gli comunicava malessere e inquietudine, anzi al
contrario gli comunicava tranquillità e nostalgia. E poco dopo capì il perché.
- Oh! –
esclamò ad un certo punto – Ma… non è…? –
- Eh sì –
disse Corrado con un sorriso compiaciuto – E’ proprio qui. –
Corrado parcheggiò
l’auto nel parcheggio di un locale, la pizzeria Il Muretto.
- Oh, tesoro… la
nostra pizzeria. –
- Sì. Ti ricordi?
–
- Mi ricordo
– mormorò Brian – Ma è ancora qui…? Credevo avesse chiuso. –
- Fortunatamente
per loro, no. Entriamo? –
Entrando, la
pizzeria aveva la veste di un locale retrò: alle pareti erano appese fotografie
che ritraevano vari personaggi famosi: cantanti, attori, gente della
televisione e dello spettacolo; sulle scaffalature erano presenti coppe, premi,
targhette forse di concorsi o gare sportive. Il tutto circondato da pareti con
mattoni rossi a vista, che richiamavano il nome del locale, appunto, Il Muretto.
Era lì che tra una
capricciosa ed una quattro stagioni, Corrado e Brian passavano le loro prime
sere da fidanzati. Sempre lì passò il loro primo San Valentino, e fu lì che
festeggiarono il loro fidanzamento.
In confidenza con i
proprietari, che erano gli stessi da tutti quegli anni, i due fidanzatini si
accomodarono al loro solito tavolo accanto alla vetrina che dava sulla strada.
Non un panorama interessante, ma pur sempre un panorama.
- E’ rimasto tutto
come allora, non è cambiato proprio niente. –
- Già…! Sei
contento? –
- Molto –
sorrise Brian – Era da un po’ che non ci tornavamo. –
Durante la cena,
Corrado gli parlò molto di come si stavano evolvendo le cose in ufficio, con le
nuove aziende che si rivolgevano a loro per ottenere consulenza e le nuove
assunzioni. Però dentro di sé Brian sentiva che c’era qualcosa che non andava
in Corrado. All’inizio sembrava entusiasta di parlare del suo lavoro, ma poi
scorse nelle sue parole una nota di dubbio, che non seppe spiegarsi finché
Corrado non pronunciò una frase precisa.
- Tra poco dovrei
riuscire ad ottenere quel posto di vice-responsabile. Però non mi hanno ancora fatto
firmare nulla. E non capisco perché. –
Se ancora conosceva
bene il suo ragazzo, Brian sentiva che non era felice perché ancora non era
stato messo in forza come vice-responsabile. Si sentì dispiaciuto per lui.
- Oh – disse
Brian, annuendo. – Per quel poco che ne so, i tuoi capi potrebbero stare
prendendo del tempo per… non lo so, farti apprendere nuove cose, per non darti
all’improvviso una responsabilità così grande. –
- Tu dici che
potrebbe essere per quello? –
Brian fece
spallucce, non potendo portare altra esperienza che quella della piccola
azienda edile di suo padre – Potrebbe essere. Sai che io non cicapisco molto di queste cose… però…
ecco, mio padre una volta doveva prendere una nuova ragazza come segretaria per
la sua azienda, mi segui? –
Corrado annuì.
- Ecco. Fece un po’
di colloqui a diverse ragazze appena diplomate o laureate, solo che Silvia, la
sua vecchia segretaria, non voleva lasciare il suo posto ad una ragazzina più
giovane: ogni volta che qualche candidata andava via dopo i colloqui, lei era
raggiante e diceva sempre che le ragazzine non avrebbero saputo supportarla al
meglio. In realtà era solo gelosa del fatto che mio padre avesse una ragazzina
più giovane e magari più carina alle sue dipendenze. Ti immagini? –
Ridacchiando, Corrado
rispose – Sì, posso immaginare. E quindi? –
- E quindi mio
padre dovette tenersi Silvia per un bel pezzo, finché non arrivò alla pensione.
Solo allora poté trovarsi una nuova ragazza. Ah, e poi aveva anche provato ad
assumere una ragazza che collaborasse con Silvia. Sai come andò a finire?
–
- No, come andò…?
–
- Prova ad
immaginare: la ragazza fece appena tre mesi, poi rassegnò le dimissioni, perché
Silvia la torchiava troppo. Un po’ come Miranda Priestly ne Il diavolo veste Prada. –
A quella frase,
Corrado rise di gusto. – Ahahah! Ma dai! Sul serio…? –
- Sì, sì! È tutto
vero! – esclamò Brian, ridendo a sua volta. E così, risero insieme mentre
Corrado versava un po’ di vino nel bicchiere di Brian. Brindarono amabilmente,
e Brian pensò che Corrado non stava più pensando al motivo per cui non lo
stavano mettendo in forze come vice-responsabile.
- Ora che mi ci fai
pensare, potrebbe essere vero. Effettivamente il capo reparto è ancora lì. Però
è vicino alla pensione. Magari è come dici tu, stanno aspettando che quello se
ne vada per potermi dare il posto. Non ci avevo pensato e loro non me l’avevano
certo detto. –
Brian mise giù il
bicchiere mezzo pieno di vino mentre rispondeva. – Magari l’hanno fatto
per metterti un po’ sotto pressione psicologica. Provo a ragionare come
farebbero loro: noi ti promettiamo il
posto ma non ti diciamo quando lo occuperai. Così tu, Ingegner Ottonelli, farai
del tuo meglio per dimostrarti all’altezza. –
Frattanto, il
cameriere era arrivato con le loro ordinazioni. Brian lo ringraziò, al
contrario di Corrado che era rimasto fisso a guardare il suo ragazzo.
Brian fece un
sorrisetto. – Be’? Che c’è? –
Corrado ridacchiò
abbassando gli occhi, dando modo a Brian di vedere i suoi capelli, che da
qualche tempo avevano cominciato a imbiancare sulle punte – Mi hai fatto
venire in mente un’immagine divertente: un somaro che tira la carretta mentre
rincorre una carota appesa a un filo, nel vano tentativo di prenderla. –
- Oh, tesoro… non
intendevo dire che… -
- No, tranquillo
amore. Se loro vogliono che sia così, così sarà. Anche perché non potrei
permettermi di lasciare questo lavoro per orgoglio. Trovarne un altro sarebbe
difficile, e poi… Io la mia carota l’ho già conquistata. – disse,
guardandolo dolcemente e allungando la mano sul tavolo.
Brian lo guardò
negli occhi, sentendo un brivido di tenerezza. Allungò anche lui la mano sul
tavolo, stringendogliela dolcemente. Le loro fedi si toccarono quando Corrado
gliela prese e gliela baciò, sempre guardandolo negli occhi.
- Sei tu –
disse – Il mio pel di carota. Almeno, una volta lo eri. –
Arrossendo, Brian
abbassò lo sguardo – Biondo non ti piaccio? –
- Mi piaceresti in
ogni modo, dolcezza. –
Brian rialzò lo
sguardo, incontrando quello di Corrado. I suoi occhi erano così aperti, la sua
espressione così felice che non nascondeva nulla: era come lo ricordava dieci
anni prima, un ragazzo pulito, così diverso dagli altri, che gli aveva rubato
il cuore. In quel preciso momento si sentì felice, appagato, tanto che nella
sua mente, Riccardo si eclissò per un lunghissimo istante.
Resterei a guardarti per ore, piccolo, sembrava dicessero gli occhi del suo Corrado. Cose
che gli occhi di Riccardo non gli avevano mai detto. Ecco cosa sentiva sempre
per Corrado, cosa aveva sempre sentito. Sì, ma… come l’aveva conquistato?
Era certo che, se
si fosse ricordato di quel dettaglio, tutto sarebbe forse tornato alla
normalità.
Lasciandosi
prendere dalla tenerezza, Brian prese il viso di Corrado nelle sue mani e gli
regalò un tenero bacio, cercando di dominare un improvviso accesso di pianto
che gli era venuto.
La pizza al Muretto era squisita come la
ricordavano. Brian mangiò con gusto la sua capricciosa, e Corrado la sua ai
quattro formaggi. Durante la cena parlarono ancora tanto, soprattutto dei
progetti per il futuro di Brian, che comprendevano il tornare a studiare architettura
e magari prendere anche la patente. Così
non sarai più costretto a portarmi sempre in giro, aveva aggiunto. Corrado
gli disse che l’avrebbe appoggiato in ogni modo, anche per la patente e che
ovviamente non era un problema per lui scarrozzarlo dovunque volesse. Poco dopo
Brian gli chiese dove avrebbe potuto documentarsi sugli esami da dare al corso
di laurea.
- Se ti va, puoi
andare alla biblioteca del Politecnico – disse ad un certo punto Corrado
– lì ci sono tutti i testi che riguardano la materia. Non so se ci sia un
test di ammissione, ma non penso. Al massimo dovrai dare prova di avere qualche
conoscenza di base. –
- Grazie del
consiglio, amore. Ci andrò sicuramente. – promise Brian, sorridendo e
addentando una fetta di pizza.
*****
Più tardi, disteso nel
letto, Brian stava scontando i postumi di una sbornia da vino rosso amabile
usato per accompagnare la pizza. Quella sera avrebbe volentieri fatto l’amore
con Corrado, ma era troppo fuori gioco anche solo per pensare ad una cosa del
genere. Si limitò a coricarsi appena arrivati a casa, mentre Corrado guardava
un po’ di televisione in salotto. In un momento di lucidità mentre era disteso,
si ricordò del suo cellulare che ancora non aveva riportato in collegamento.
Quando lo fece, pochi secondi dopo gli arrivarono le miriadi di notifiche di
Riccardo, che gli aveva scritto più volte nel corso della serata.
- Cazzo –
mugugnò Brian, sospirando e preparandosi a leggere ciò che già lontanamente
intuiva.
Mi manchi, ti penso.
Poi un altro, un
po’ più preoccupato: Perché non mi
rispondi, amore? Mi manchi, vorrei che mi rispondessi al più presto.
Si soffermò in
particolare su quella parola, Amore.
Allora lo amava? O era stato solo un modo di dire dettato dall’ansia che
traspariva da quei messaggi?
Non so perché tu stia facendomi questo, ma vedi di
smetterla e spiegarmi appena puoi, ok? Diceva
un altro messaggio, questa volta un po’ più piccato. Se aveva avuto il pensiero
di bloccarlo in passato, si rallegrava di non averlo fatto: poco ma sicuro che
lo avrebbe tempestato di messaggini. E pensare che avrebbe dovuto saperlo che
non l’aveva bloccato! La sua immagine su Whatsapp (un selfie con gli occhiali
da sole, una delle poche foto che lo ritraevano in una posa provocante) era
ancora ben visibile a Riccardo, quindi perché si era alterato così tanto?
Mi stai facendo soffrire, sei proprio come il mio
ex-ragazzo.
Decise di ignorare
tutti gli altri messaggi, quindi gli scrisse che era insieme a Corrado e non
poteva messaggiare, per questo aveva dovuto spegnere il telefono.
Sullo schermo vide
le doppie spunte blu che segnalavano che Riccardo aveva letto i messaggi,
quindi vide che stava scrivendo qualcosa.
Spero che tu abbia passato una bella serata, gli scrisse, senza aggiungere cuoricini o altro.
Brian capì dal tono che era abbastanza seccato, quindi cercò di rimediare.
Scusami,
gli scrisse, aggiungendo una faccina triste. Purtroppo è arrivato all’improvviso e mi ha proposto di uscire insieme…
Non me lo aspettavo! Non voglio rovinare tutto tra di noi. Mi sei mancato tanto
anche tu, amore mio, concluse, rendendosi conto che forse aveva esagerato
con le ultime due parole ma allo stesso tempo che era ormai troppo tardi per
ritrattare. Avrebbe sì potuto cancellare il messaggio, ma che cos’avrebbe
pensato dopo Riccardo?
Quest’ultimo gli
confezionò una risposta rapida e concisa. Ok.
A quel punto, Brian
si disse che sarebbe stato inutile cercare di parlargli ulteriormente, quindi
mise via il cellulare sentendosi un peso sul cuore. Quando arrivò Corrado dalla
serata in salotto, gli si accoccolò accanto e si lasciò abbracciare per tutta la
notte, alla ricerca di un rifugio sicuro dalla strana tristezza che gli era
venuta.
Le proposte di
rimettersi a studiare e di iscriversi a scuola guida che aveva fatto a Corrado
avevano come sfondo il vino, certamente. Ma più di questo era il fatto che un
altro anno stava per andarsene a breve. I giorni prima delle feste natalizie
furono abbastanza tranquilli, con Brian che vide Riccardo tre o quattro volte
prima di Natale e due immediatamente dopo. Per fortuna o purtroppo Riccardo
dovette passare Natale e Capodanno insieme ai suoi (senza specificare se
fossero padre o madre, o addirittura una moglie o dei figli), così Brian poté
passare il Natale insieme a Corrado a casa dei genitori di Brian, insieme al
fratello ed a sua moglie. Fu una tranquilla festa in
famiglia, anche se Brian dovette tacitare ancora una volta il suo cellulare per
non dover dare giustificazioni agli altri. Vedendo intorno a sé i suoi genitori
e suo fratello, felicemente uniti coi rispettivi partner, non poté fare a meno
di provare un moto di disgusto verso sé stesso,
ragazzo che tradiva il suo fidanzato. Nessuno dei suoi familiari notò il suo
malessere.
Ora la sua storia
parallela con Riccardo stava durando già da qualche mese. Il tempo che passavano insieme era sempre stupendo, Riccardo era un
amante formidabile ed un amabile conversatore. Sì, c’era qualcosa che non
andava, si diceva Brian, ma d’altronde nemmeno la sua storia con Corrado andava
troppo bene. Quindi andava avanti senza curarsene troppo, credendo che si
trattasse dello stato fisiologico di una coppia. Non tutto era perfetto.
Tuttavia…
…gli venne in mente
qualcosa che Riccardo non gli aveva mai detto.
Accadde durante uno
dei suoi giri al supermercato. Aveva la testa piena dei preparativi da fare per
Capodanno, avendo organizzato insieme a Carlo un veglione a casa di
quest’ultimo, in compagnia di altri suoi amici. Corrado naturalmente l’avrebbe
accompagnato, solo che quella mattina non c’era perché l’avevano chiamato con
urgenza dal lavoro, farneticando di una relazione che avrebbe dovuto presentare
ma che non aveva inviato. Per cui Corrado si era precipitato fuori e Brian era
rimasto da solo a fare la spesa. Mentre prendeva gli ingredienti per fare la
torta salata (una sua specialità, insegnatagli da sua madre), vide un ragazzo e
una ragazza fare la spesa. Osservò mentre si consultavano su quale farina
prendere, e ad un certo punto lei guardò lui, e lui le
disse Ti amo.
E fu lì, mentre
teneva le mani sul carrello pieno di viveri, che il pensiero
gli attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno.
Non mi ha mai detto di amarmi.
Avrebbe voluto
ringraziare quei due fidanzatini per avergli aperto gli occhi, ma in un certo
senso era stato come se per farlo gli avessero servito una bella manganellata
sulla zucca. Lentamente si allontanò, dirigendosi verso le casse con tutto il
suo dolore.
*****
I dubbi si facevano
sempre più intensi con l’andare del tempo. Passato Capodanno, Brian era teso e
preoccupato, oltre che avvilito da una situazione che, in sé per sé, stagnava.
Come suo solito, una mattina era in casa a rilassarsi, dopo aver fatto i soliti
mestieri. Scorrendo i post su Facebook, ne trovò uno
di un gruppo gay che seguiva, dove si pubblicavano varie confidenze. Ogni tanto
a Brian piaceva leggere storie di quel genere, anche se non erano sempre troppo
allegre. Come non lo era la storia che aveva trovato in quel momento.
Tralasciando i soliti preamboli che ogni tanto il malcapitato scriveva (età,
stato civile, professione, etc.), lesse la storia di questo ragazzo poco più
giovane di lui:
“…dopo quasi cinque anni di fidanzamento, mi sono
ritrovato ad allacciare una relazione clandestina con un uomo più grande di me.”
- “Poiché con il mio boy mi annoiavo, non solo perché non facevamo più l’amore,
ma anche perché il nostro sentimento sembrava proprio essere andato a p…e, è
stato facile cadere preda di quest’uomo.”
“Lui era così bello, sicuro di sé, carismatico. Stavo
bene con lui, molto bene. Mi dava tutto ciò che credevo di aver perso dopo
pochi anni insieme al mio ragazzo. Ci siamo frequentati per un anno, durante il
quale lui non mi aveva mai detto “Ti amo” a parole. Me lo faceva capire in
tanti modi, ma alla fine io incominciai a sentirne la mancanza. Allora glielo
dissi io, che lo amavo. Non l’avessi mai fatto…! All’inizio lui cambiò
atteggiamento, si fece più freddo, distaccato… e io
incominciai a sentirmi male per questo, talmente male che lasciai il mio
ragazzo, ma poco dopo fui lasciato dal mio amante, di cui scoprii che era
addirittura sposato e con due figli.”
“Mi sentii male, usato, sporco.”
Brian lesse e rilesse quelle righe, cercando di trovare
punti di differenza rispetto al suo caso. In effetti
ce n’erano tanti, eppure la storia di quell’anonimo ragazzo era così simile
alla sua, avendo in comune il fatto che anche lui stava facendo qualcosa di
nascosto, con un individuo di cui (se ne rese conto), sapeva davvero molto poco.
Cominciò a
inquietarsi, lasciando il telefono e rannicchiandosi in sé
stesso con la coperta che portava sulle spalle quando era in casa. Non è il tuo caso, smettila di preoccuparti,
si disse, ma qualcosa dentro di sé sapeva che si stava solo ingannando.
Non detto che una cosa del genere possa succedere anche
a te. Per cui stai tranquillo!
Ma non ce la fece.
E incominciò a tremare di freddo, sentendosi improvvisamente piccolo e
spaurito.
A calmare la
situazione, arrivò un messaggino su Whatsapp.
Gli occhi di Brian
si illuminarono, vedendo che Riccardo gli aveva scritto di nuovo che lo
pensava, con tanto di paroline dolci e cuoricini al seguito. Per un attimo
pensò di dirgli che cosa lo turbava, ma poi si trattenne, accontentandosi di
dirgli che lo pensava tanto anche lui e che non vedeva l’ora
di rivederlo. Gli diede appuntamento per il
pomeriggio, come al solito. E dei problemi di quell’anonimo passeggero che
aveva affidato il suo messaggio in bottiglia nel mare di Facebook, nella sua
mente non restò più traccia.
I dubbi di Brian
erano come l’alta marea: quando la luna era fuori dal suo campo di attrazione,
la marea era bassa, ma quando era vicina, la marea si alzava e di conseguenza
anche i suoi dubbi tornavano. In più Brian non ne aveva una sola,
di luna: ce n’erano tante, lì fuori, pronte ad alzare il livello della marea.
Quel giorno se ne
aggiunse una nuova.
*****
Quando erano andati
a vivere insieme in quell’appartamento, Corrado aveva proposto a Brian se
avesse voluto fare l’addebito diretto sul conto corrente delle utenze
domestiche. Brian si era opposto, dicendo che gli piaceva di più andare a
pagare le bollette direttamente in posta. Gli piaceva passeggiare e sicuramente
fare due passi ogni tanto gli avrebbero giovato, ed erano ormai più di cinque
anni che lo faceva.
Anche quel giorno
Brian era in fila alle poste per pagare le ultime due bollette arrivate,
elettricità ed acqua, poiché il riscaldamento arrivava sempre insieme al
riepilogo spese dell’amministratore di condominio.
Quando era uscito di casa, gli era parso che qualcuno lo stesse seguendo. Si
era voltato, ma a parte qualche persona che osservava le vetrine ed alcune che
entravano nelle auto parcheggiate, non aveva notato nessuno di particolarmente
sospetto. Aveva ripreso la sua strada verso l’ufficio postale e non ci aveva
più pensato.
Ora, mentre era
seduto in attesa del suo turno allo sportello, la sensazione gli era tornata.
Alzò lo sguardo e vide una ragazza in cappotto lungo nascosta da dei grossi occhiali
da sole osservarlo da dietro il quotidiano. Quando presumibilmente lei incrociò
il suo sguardo, alzò il quotidiano con nonchalance, come intenta a badare
esclusivamente agli affari suoi. Brian allora distolse lo sguardo, pensando di
essersi sicuramente sbagliato.
Pagate le bollette,
uscì dalle poste diretto verso la prossima incombenza della giornata, ovvero la
spesa.
*****
Arrivato al
supermercato, la prima cosa che cercò fu il formaggio da grattugiare, per cui
si diresse immediatamente al reparto apposito.
Mentre prendeva il
formaggio e lo metteva nel cestino insieme agli altri pochi alimenti, avvertì nuovamente
la sensazione di essere seguito.
Si voltò.
Poco distante, la
ragazza che aveva visto all’ufficio postale era lì, anche lei con un cestino
rosso alla mano, intenta ad esaminare una confezione di latte. La parte buona
di Brian pensò che forse era un caso che stessero facendo la spesa allo stesso
supermercato, dopo essersi trovati all’ufficio postale. Ma la sua parte
cattiva, com’era ovvio, stava già pensando male. Coincidenza troppo strana,
quella di trovarsi in due posti diversi nel giro di poco tempo (addirittura
nello stesso reparto!).
C’era sicuramente
qualcosa sotto.
Un’altra cosa che
pensò fu che la ragazza lo stava seguendo perché le piaceva. Non gli succedeva
spesso, perché non era proprio il tipo che piace alle donne. Le donne volevano
uomini come Corrado, con un po’ di barba sulle guance (anche se lui si radeva)
o come Riccardo. I ragazzi come Brian, con il fisico magro leggermente
scolpito, i capelli ossigenati e i piercing alle orecchie piacevano più alle
liceali, non a donne come quella che lo stava seguendo in quel momento, che ad
occhio poteva avere non meno di una trentina d’anni.
Comunque fosse,
Brian era pronto a sorbirsi la confessione amorosa ed a smontarla sul nascere
con la frase di rito: Sono lusingato, ti
ringrazio ma a me piacciono i ragazzi.
Non ebbe comunque
bisogno di usarla, poiché riuscì ad uscire dal supermercato indisturbato. Per
capire meglio che intenzioni avesse, si nascose dietro una macchina e rimase a
guardare l’uscita del supermercato. Attese con la mano poggiata al finestrino
della macchina, quando si sentì chiamare dal retro.
- Ehm. – disse
una voce femminile alle sue spalle. Si voltò.
Dietro di lui, una
signora con un passeggino pieno di viveri e una bambina in braccio lo guardava
con un’espressione impaziente.
- Le piace la mia
macchina? – gli domandò la donna. Lui fece per
rispondere nel tentativo di giustificarsi, ma la donna riprese – Può
gentilmente spostarsi? Devo andare via. La ringrazio. –
Senza dire niente,
ma avvertendo i sintomi di un imbarazzo incipiente, Brian si allontanò con la
busta della spesa in mano, diretto verso l’entrata del metrò.
*****
La rivide mentre
era sul vagone del treno sotterraneo. Le mani erano libere da buste della spesa,
segno che non era andata al supermercato per comprare
viveri. Brian si morse il labbro preoccupato, chiedendosi che intenzioni avesse
quella tizia. Per un momento pensò anche di dirlo a Riccardo, ma il buonsenso
ebbe la meglio sulle sue intenzioni.
Sì, e poi quando glielo dirò, lui cosa farà? Arriverà
volando da casa sua e me ne libererà? Bah… lascia perdere.
Non avrebbe potuto chiamare
Riccardo, ma in giro per la stazione c’erano comunque i carabinieri ed i
militari, quindi sapeva cosa fare se la donna avesse dimostrato intenzioni
moleste.
Quando il treno si
fermò ad una delle stazioni (quella prima della sua), Brian stava già pensando
di sparire confondendosi con la folla, ma la ragazza guastò con piacere i suoi
piani, in quanto scese alla fermata e andò verso le scale che portavano in
superficie.
Vedendola mentre
scompariva, quando le porte del vagone si chiusero e il treno ripartì, Brian
tirò un sospiro di sollievo. Hai visto?
Ti sei preoccupato per nulla. Adesso torni a casa e ti metti tranquillo.
Com’era ovvio, Tranquillo era una parola grossa, per la
sua situazione. Immediatamente mille congetture cominciarono a farsi strada
nella sua mente, su chi fosse quella ragazza, che intenzioni avesse. La più
accreditata fu che fosse la ragazza di Riccardo che voleva vedere che faccia
avesse il ragazzo che gli aveva rubato il fidanzato (o peggio, il marito). Se
era così, la ragazza manteneva un controllo invidiabile: non era molto esperto
in fatto di donne, ma pensava che come minimo si sarebbe buscato uno schiaffo o
una sonora strillata… o anche solo sguardi minacciosi e carichi d’odio. Invece
la ragazza che l’aveva seguito si limitava ad osservare, senza occhiatacce né
reazioni scomposte. Sembrava più una tigre che osserva la sua preda…
O un angelo custode che guarda il suo bambino, pensò.
- Un angelo
custode? Ma cosa ti viene in mente…? – chiese a sé stesso. Scosse la
testa. Questa storia ti sta consumando…
forse sarebbe bene che ti decidessi una volta per tutte.
Intanto, era
arrivato alla sua fermata.
*****
Arrivato a casa,
trovò come al solito la signora Visentin con la scopa
a spazzola, intenta a passare la cera sul pavimento di marmo dell’ingresso.
- Buongiorno
Signora Visentin – la salutò.
- Buongiorno a Lei,
Sior Molteni. Stia attento a non
scivolare, che ho dato la cera! –
- Grazie, starò
attento. Arrivederla. –
- Arrivederla!
–
*****
Pochi istanti dopo
esser entrato in casa, fece per togliersi le scarpe e infilarsi le pantofole
sotto il termosifone dell’ingresso. Tuttavia si fermò, ricordandosi dei
surgelati nelle buste, che andavano subito messi in freezer.
Tolti tutti i
viveri dalle due buste e sistemati al loro posto i surgelati, tornò
all’ingresso. Non fece in tempo a scalzarsi la scarpa destra, che il breve
trillo del citofono lo fece trasalire.
Si domandò chi potesse essere a
quell’ora, ma non gli venne in mente nessuno.
Prese il citofono e
se lo mise all’orecchio – Chi è? – domandò.
- Sior Molteni mi scusi se la disturbo
– esordì la voce della signora Visentin –
ma qui in atrio c’è una ragazza che vuole vederla. Gliela mando su? –
Una ragazza che vuole vedermi. Il cuore di Brian iniziò a palpitare, al pensiero che
potesse davvero essere la fidanzata o la moglie di Riccardo. Si morse il labbro
inferiore, quindi si portò una mano alla fronte, indeciso su cosa fare.
- Sior Molteni? È ancora lì? –
- Grazie Signora Visentin. Le dica che sto venendo giù. –
*****
Uscito
dall’ascensore, la vide.
In piedi accanto
alla guardiola della signora Visentin, c’era la
ragazza che l’aveva seguito per tutta la mattina. Brian si avvicinò guardandola
fissa negli occhi, con le mani in tasca, ostentando tranquillità.
- Il signor Brian Molteni?
– domandò la ragazza, tendendo la mano.
Brian non allungò
la sua, guardando prima la mano della ragazza e poi lei.
- Chi vuole
saperlo? –
Dietro di lui, la
signora Visentin scomparve nella guardiola, forse per
dare modo ai due di parlarsi liberamente, o per origliare.
La ragazza abbassò
la mano, sospirando. – Mi chiamo Giuliana Tedeschi. Mi rendo conto che
possa sembrarle inopportuna. Le confesso che sono abbastanza imbarazzata io
stessa, mi creda. Ma… -
Brian attese, ma la
ragazza non terminò la frase, assumendo invece espressioni come se stesse
cercando le parole nella sua mente.
- Vuole per caso
vendermi qualcosa, signorina Tedeschi? – domandò Brian.
- Oh? Oh no,
assolutamente. Io… ecco, avrei bisogno di parlarle. In privato. –
- Vorrebbe
parlarmi. – ripeté Brian, spalancando gli occhi e aggrottando la fronte.
- Sì. –
- E cosa le fa
credere che io abbia il tempo o la voglia di seguirla da qualche parte, o anche
solo di ascoltarla? –
- Le posso
assicurare, signor Molteni, che voglio dirle delle cose che potrebbero tornarle
utili. –
- Ripeto, che cosa
le fa pensare che io voglia ascoltarla? –
La ragazza sospirò,
quindi mormorò – Mi scusi. Ha ragione lei. Mi
scusi se l’ho importunata. – disse, e si girò per andarsene.
Brian fece per
girarsi anche lui. Udì lo scatto del portone che si apriva e poi si richiudeva,
ed a quel punto Brian le corse dietro.
Uscito, la vide che
aveva già attraversato mezzo viale del cortile ed era quasi arrivata al
cancello. Quando fece per uscire, Brian la chiamò. Lei si fermò, guardandolo e
attendendo mentre lui le si avvicinava.
- Va bene –
disse Brian – Ascolterò cos’ha da dirmi. –
La ragazza sorrise.
In seguito Brian, ripensando a com’era incominciata quella loro conversazione,
avrebbe giurato che il sorriso della ragazza non era di vittoria, ma piuttosto
il sorriso stanco di una persona che ha ottenuto un’udienza per lei molto
importante.
*****
Poco lontano dal
condominio dove Brian viveva insieme a Corrado, c’era una tavola calda. A
quell’ora era piena di impiegati che scendevano a fare la pausa pranzo dagli
uffici vicini. Fortunatamente non fecero fatica a trovare un posto per due.
Brian non si offrì di pagare la consumazione, poiché la ragazza l’anticipò.
- La ringrazio, ma
davvero non… -
- Diamoci del tu,
ti va? – disse lei, mentre rimetteva via il portamonete nella borsa.
- Okay. Posso farti
una domanda? –
- Dimmi. –
- Perché mi hai
seguito tutta questa mattina? Solo per parlarmi? –
- Sì. –
- E perché hai
aspettato che rientrassi a casa? Non potevi fermarmi prima? –
- Ho aspettato che
tu terminassi i tuoi giri. Non volevo disturbarti, anche perché ho molte cose
da dirti ed ho bisogno della tua massima attenzione… anche perché non sono
sicura che ti piacerà sentire ciò che sto per dirti. –
Brian sospirò,
preparandosi a sentire cose come sono la moglie di
Riccardo o altre. – Sentiamo. Di cosa si tratta? –
Giuliana non
rispose subito, anche perché poco dopo arrivò la ragazza del bar con le loro
ordinazioni: un’insalata per lei e un trancio di pizza per lui. Anche quando se
ne fu andata, Giuliana non incominciò a parlare, continuando invece a fissarlo.
- Vuoi rispondermi,
per favore? –
- Prima vorrei che
mi promettessi che tutto quello che diremo rimarrà tra di noi. Puoi
promettermelo? –
Brian aggrottò la
fronte – Giuliana, ma… stai giocando alla spia o cosa? Perché tutta
questa segretez-? –
Troncandogli la frase,
insisté: - Promettimelo, per favore. –
- Va bene –
si arrese Brian – te lo prometto. –
- Grazie –
disse Giuliana, facendo un cenno di assenso col capo, poi congiunse le mani
davanti alla fronte, forse alla ricerca di un punto da cui incominciare il suo
discorso.
- Prima di tutto
voglio che tu sappia che io non sono una tua nemica. Non voglio distruggere la
tua reputazione, né venderti nulla o ricattarti per estorcerti qualcosa. Sono
solo una privata cittadina che ti parla da privato cittadino. So che quello che
sto per dire potrebbe mettermi nei guai con la persona di cui sto per parlarti,
ma io confido nella tua promessa che non dirai mai niente a nessuno di questa
nostra conversazione. –
- Su chi verterà
questa nostra conversazione? –
La donna non glielo
disse subito. Prima fece un altro preambolo.
- Devi sapere che
io ho un fratello. Si chiama Gabriele. Sai dov’è in questo momento? –
La domanda l’inquietò
leggermente, ciononostante cercò di mantenere il suo aplomb di sicurezza
– No, ovviamente non lo so. Non conosco né te, né lui. –
- E’ ricoverato in
ospedale – rispose lei, abbassando lo sguardo. – Overdose da
barbiturici. Non chiedermi come abbia fatto a procurarseli, perché non lo so. So
solo che se non mi fossi avvicinata alla porta della sua stanza da letto per
dirgli di abbassare il volume della musica e non l’avessi visto con la testa e
le braccia penzoloni sul letto ed il flacone di capsule rovesciato sul
pavimento, in questo momento sarei tornata figlia unica. –
Mentre parlava,
Brian si accorse che le tremava la voce. Stava lottando per non piangere.
Comprensibile, se ciò che gli aveva appena detto era vero.
- Mio fratello
Gabriele ha tentato di suicidarsi. Con le mie conoscenze (sono praticante
avvocato, ho qualche amicizia in grado di aiutarmi) ho fatto in modo che l’ospedale
non avvertisse la polizia che avrebbe sicuramente condotto un’indagine… come
forse saprai, nel nostro bel Paese il tentativo di suicidio è un reato. –
Brian annuì,
tenendo la fronte aggrottata come se fosse interessato, in realtà era
abbastanza disorientato.
- Così, abbiamo
fatto finta che si fosse trattato di un incidente. Ma ovviamente così non era.
La prima cosa che mi sono chiesta è stata perché.
Perché mio fratello aveva tentato una
cosa del genere? Che io sapessi, la sua vita era felice. Aveva un lavoro, una
macchina, una famiglia che gli voleva bene. Sì, era un po’ taciturno… ma pensavo
si sentisse bene, anche se gli mancava un ragazzo. Quando invece così non era. –
La guardò,
chiedendosi perché si trovasse lì in quel momento, quando la ragazza riprese.
- Fu lui stesso a
rispondere alla mia domanda. Mi disse che se stava così era colpa di un
ragazzo. Un ragazzo che con i suoi atteggiamenti contraddittori l’aveva portato
a fare ciò. Gli chiesi di dirmi di più, e lo fece. Così io avviai una mia
indagine privata. –
- E chi ti ha dato
il diritto? Chi sei tu per indagare sulle vite degli altri? – la
interruppe Brian.
- Sono un
praticante avvocato. Posso svolgere indagini su privati cittadini perché la
legge me lo consente. –
A
quell’affermazione, Brian si calmò, ma sotto il tavolo cominciarono a tremargli
le gambe dal nervoso.
- Come stavo
dicendo, ho fatto qualche indagine, ed ho scoperto con chi si vedeva Gabriele
fino a pochi giorni prima del suo tentativo di suicidio. Vuoi saperlo? –
Domanda
trabocchetto. Avrebbe tranquillamente potuto dire di no, che non voleva
saperlo, ma a quel punto sarebbe stato inutile seguirla fino a quel bar e poi
piantarla in asso. E in ogni caso, era curioso di sapere cosa avesse a che fare
lui con tutta quella storia. Giuliana non attese una risposta da parte sua.
- Con una persona
che tu conosci bene, molto bene. Il signor Riccardo Gherardi. –
Brian la guardò per
un lungo attimo. Poi distolse lo sguardo, incominciando a ridacchiare.
- Non è possibile.
È semplicemente impossibile. – rispose Brian – Anche se fosse, tu
che prove hai che si sentisse con lui? –
- Queste –
rispose la ragazza, tirando fuori un cellulare. Glielo mostrò, poi armeggiò per
aprire Whatsapp, e glielo porse.
Lì, Brian vide che
il nome con cui era stato salvato il contatto era un certo Umberto.
- Giuliana… Se vuoi
fare l’avvocato dovrai affinare la tua tecnica. Io non ci capisco niente, ma …
questo non è il numero di Riccardo, né tantomeno è il suo nome. –
- Usa diversi
numeri di cellulare ed un nome falso ogni volta – rispose prontamente la
ragazza – Non è sempre lui. È sfuggente. –
- Ma che caz… - si trattenne dal dire una parolaccia coprendosi la
bocca con una mano – …si può sapere che cosa stai dicendo? Riflettici su
un momento: mi segui per tutta una mattina, alle poste, al supermercato, in
metrò. Poi vieni a casa mia, mi inviti qui e mi dici che un mio amico ha spinto
al suicidio tuo fratello? Non ti senti un po’ grottesca? –
Imperterrita, la
sedicente (per quel che ne sapeva lui) praticante avvocato continuò nella sua
arringa – Scorri più in alto nella conversazione. C’è un messaggio dove
c’è la localizzazione del suo indirizzo. Lo conosci? –
Già prima che la
ragazza gli chiedesse se lo conosceva, Brian individuò il messaggio di cui
parlava. Fece tap
con l’indice e aprì la mappa. La via, strana coincidenza, era proprio quella di Riccardo.
- Come vedi, è la
via dove spesso ti ho visto entrare e darti appuntamento con Riccardo Gherardi.
-
A quella
rivelazione, Brian semplicemente le rimise il telefono di suo fratello in mano
e fece per alzarsi, ma lei gli prese una mano e l’invitò a tornare a sedersi.
- Perché reagisci
in questo modo? -
- Dimmelo tu
– rispose Brian gesticolando – Vengo a sapere che non è solo da
oggi, ma da un po’ più di tempo che mi stai addosso. Come dovrei reagire,
secondo te? –
- Ascoltandomi, per
esempio. –
- Su che cosa? Per
quel che ne so, stai continuando a girare attorno ad un argomento fondato sul
nulla. Perché dovrei ascoltarti? –
- Perché non voglio
che ciò che è successo a mio fratello succeda ad altri. Ascoltami Brian:
Riccardo Gherardi è un mostro. Non ho molti elementi per dimostrarlo, a parte
questa conversazione su Whatsapp e una conversazione
insieme a mio fratello, ma ne so abbastanza per
affermare che Umberto (o Riccardo, come vogliamo chiamarlo), è un soggetto
narcisista-patologico. È un individuo malato che fa ammalare gli altri, come ha
fatto con mio fratello. A lui ha promesso che sarebbero andati a vivere
insieme, ma poi lo ha scaricato dall’oggi al domani. E quella è stata solo
l’ultima di una lunga scia di violenze, silenzi strategici, piccole punizioni.
Sai che cosa ha avuto il coraggio di fare il tuo Riccardo? Ha tenuto mio
fratello un’ora sotto la pioggia, perché colpevole di averlo contraddetto
durante una discussione. E questa è solo una delle cose che ha fatto. Io… Io
vorrei solo che tu stessi molto attento a chi frequenti. –
Senza pensarci due
volte, e senza nemmeno ascoltare quello che la ragazza aveva appena detto,
Brian rispose fra i denti – E tu chi sei, mia sorella? Ascoltami bene tu,
adesso: chi frequento io sono cazzi miei che non ti riguardano nel modo più assoluto. Io
frequento chi mi pare e piace. E poi io e Riccardo siamo solo buoni amici.
–
Per tutta risposta
Giuliana si lasciò scappare una risatina.
- Da quando in qua
i buoni amici si baciano in bocca e si palpeggiano mentre sono in auto? –
Accusando il colpo,
Brian distolse lo sguardo, portandosi una mano alla bocca e mordendosi le
nocche.
- La nostra
conversazione è finita. Ti saluto,AllyMcBealdi noialtri. -
- Brian… –
- No. –
- …Non intendevo
provocarti. So che hai una relazione intima con Riccardo. La stessa relazione
intima che aveva mio fratello. Tu sei libero di fare ciò che vuoi della tua
vita, ma vorrei solo che tu pensassi a ciò che ti ho detto. Puoi promettermelo?
–
Continuando a
guardare il muro, Brian non rispose. Giuliana rimase a fissarlo per
interminabili minuti, fino a che non riprese il cellulare di suo fratello e lo
rimise nella borsa, alzandosi.
- Brian, tu hai
fratelli o sorelle? –
- Uno solo. Si
chiama Alex. –
- E cosa faresti se
tuo fratello tentasse il suicidio perché la sua ragazza lo ha abbandonato?
–
- Smettila. Non
voglio parlarne. –
- Te lo dico io:
cercheresti di attivarti in qualunque modo per capirne il perché. –
- Quello che farei
io non sono affari tuoi. E adesso lasciami in pace. -
- Come prevedevo,
non hai capito niente di quello che ti ho detto – disse, dirigendosi
verso la porta d’ingresso. Poi gli mise una mano sul braccio e gli parlò all’orecchio – Se vuoi un consiglio
spassionato da una sconosciuta, abbandona ogni rapporto con Riccardo, finché
sei in tempo. Lo dico unicamente per il tuo bene. E perché non voglio avere un
altro tentativo suicida sulla coscienza. A volte parlare è un dovere, un
imperativo categorico sottraendosi al quale si commetterebbe una colpa. Ed io
sarei stata colpevole se non te ne avessi parlato. – mentre diceva
quest’ultima frase, le tremò la voce, quindi si allontanò velocemente, così che
Brian poté udire il suono delle sue scarpe che battevano sul pavimento del
locale.
*****
Tornato a casa,
Brian si chiuse la porta alle spalle, sentendosi il fuoco nelle guance per la
rabbia e lo sconforto. In pochi minuti aveva appreso che tutte le sue
precauzioni non erano servite a nulla, dal momento che qualcuno li aveva
seguiti e spiati. Si portò le mani ai capelli e si accasciò sul divano,
sentendosi improvvisamente stanco, stanchissimo. Nella sua mente provò a
cercare risposte su tutto quanto era accaduto quel pomeriggio, ma nessuna di
esse era coerente. Se non fosse stato così arrabbiato con lei per aver ficcato
il naso in un pezzo della sua privacy (tra l’altro non un pezzo qualunque,
bensì uno molto compromettente), forse avrebbe pensato con più lucidità a ciò
che Giuliana gli aveva detto, ma la verità era che lui per primo rifiutava una
cosa del genere. Com’era possibile che un ragazzo così pulito e a modo come
Riccardo avesse spinto un ragazzo al suicidio? Ma, al di là di quello, non era
certo stato lui a mettergli i barbiturici in bocca, no? Quindi se il ragazzo
l’aveva fatto, cosa c’entrava Riccardo? L’unica cosa che gli venne da pensare
era che quella Giuliana fosse una mitomane, che per non ammettere che suo
fratello fosse uno svitato, si era inventata di sana pianta una storia così
grottesca. È brutto pensare che il proprio
fratellino sia un mezzo psicotico, non è vero? Avrebbe dovuto dirglielo. Già, avrei proprio dovuto dirle così.
Pensò con tenerezza
a Riccardo. Si chiese se quella pazza avrebbe provato a screditarlo o che, ma
ovviamente non aveva elementi sufficienti per dare una risposta a quel dubbio.
L’unica cosa che sapeva per certo era che per un po’ avrebbe tenuto ancora di
più gli occhi aperti. E se avesse mai rivisto Giuliana mentre incontrava
Riccardo o anche semplicemente quando era da solo, gliel’avrebbe fatta pagare in qualche modo.
Le immagini del
colloquio avuto con la giovane avvocatessa continuarono a scorrergli per la
mente finché non si addormentò sul divano. Il suo sonno non fu tranquillo: sognò
sé stesso, in una camera d’ospedale. Vide Riccardo vestito da infermiere che si
avvicinava con una siringa in mano. Vuota. Sentì la sua mano prendergli il
braccio e infilargli l’ago della siringa nella vena, iniettandogli aria per
assassinarlo. In sottofondo, poteva sentire la voce di Giuliana, che ripeteva frasi
sconnesse, tra cui gli sembrò di udire abbandonalo finché puoi, prima che sia lui a
farti del male. Nonostante queste visioni continuò a dormire. Ma ad un
certo punto vide Corrado, in piedi da qualche parte, comunque al di là di un
vetro che lui non riusciva a penetrare, che si allontanava e scompariva nel
buio. Quell’ultima visione lo fece trasalire, riportandolo alla veglia, madido
di sudore.
Quasi
contemporaneamente al suo risveglio, gli arrivò un messaggino su Whatsapp.
Vorrei vederti al più presto, cucciolotto mio. E farti
tante coccole. Riccardo.
- Che fortuna. Era
solo un incubo. – mormorò Brian, aprendo il messaggio e rispondendo al
suo amante.
L’incontro con
Giuliana si dissolse con l’andare dei giorni, poiché Brian aveva deciso di
lasciarselo alle spalle e continuare a frequentare Riccardo.
Così la loro storia
continuò come se nulla fosse stato, sempre tra alti e bassi.
Continuavano a
vedersi le mattine o i pomeriggi, sfruttando quelle che Corrado chiamava le sue
ore di libertà, ovviamente da
Corrado. Quando erano insieme parlavano di tutto, e spesso e volentieri Brian
era stato tentato di dirgli del suo incontro con Giuliana, ma poi puntualmente
si fermava, decidendo che non era successo niente, che la donna era
semplicemente una mitomane.
Tuttavia non
mancavano i momenti di sconforto, ad esempio quando Riccardo non rispondeva per
lunghi periodi di tempo, cosa che a Brian faceva abbastanza male, perché
credeva sempre che ce l’avesse con lui.
Avvertiva la stessa
sensazione anche quando gli rispondeva: Riccardo gli sembrava assente, il più
delle volte seccato. Però quando poi s’incontravano tutto tornava a posto.
E il ciclo
ricominciava.
Se da una parte
Riccardo si comportava in maniera ambigua (carino e coccoloso quando si
vedevano, leggermente scostante quando erano su Whatsapp), nemmeno Brian era
esente da una certa sensazione di smarrimento: da un lato si sentiva appagato
dal rapporto con Riccardo, perché lui gli dava tutto ciò di cui aveva bisogno,
ovvero un po’ di attenzione, sesso e tenerezza; però d’altra parte, lo spettro
che potesse avere un altro ragazzo o una famiglia con moglie e figli era sempre
lì in agguato a terrorizzarlo.
In tutti quei mesi
non l’aveva sentito dire Ti amo una
sola volta, in compenso a volte gli scriveva cose dolci facendolo rivivere. Nei
suoi momenti di solitudine, mentre faceva i mestieri di casa o quando era in
palestra, pensava continuamente. A cosa stava facendo, a quello che voleva… Si
rispondeva che sì, un’avventura era tutto ciò che voleva, ma il pensiero che
per Riccardo fosse solo una storia di sesso, lo faceva impazzire dalla rabbia: Riccardo
era suo, soltanto suo e non l’avrebbe condiviso con nessuno. Piuttosto
l’avrebbe ammazzato. Sfogarsi con Carlo era fuori discussione, perché sapeva
che se solo Carlo fosse stato nella sua mente, avrebbe detto Che casino che c’è qui! Brutta scema che non
sei altro, dovevi solo scopartelo e guarda cos’hai combinato! Te ne sei innamorato
perdutamente. E No! così non va!
Ormai Brian
prendeva i giorni come venivano, mentre sognava un futuro insieme a Riccardo, anche
se non c’era niente di certo al momento, se non i loro incontri di poche ore.
A metà Febbraio
però, diventarono incerti anche quelli.
*****
Una sera di metà
Febbraio, Brian era fuori sul balcone a ritirare i panni dell’ultima lavatrice.
Rientrando in casa, vide in corridoio l’ombra di Corrado che si toglieva il
cappotto. Fece per andare in camera da letto, lasciando i panni sul letto in
attesa di stirarli, quando un tonfo secco e sinistro lo spaventò.
Con la cesta dei
panni vuota ancora in mano, fece capolino dalla porta che dava sul soggiorno e
vide che Corrado aveva buttato sul pavimento la sua borsa, per mollarle un
calcio poco dopo. La borsa era quindi scivolata fino al mobile dietro il tavolo
dell’angolo pranzo.
- Amore…? –
lo chiamò Brian. Corrado non lo guardò e non rispose, andando a sedersi sul
divano. Intanto Brian andò verso la borsa e la raccolse, abbandonando la cesta
dei panni con un brivido di freddo. Mi ha
scoperto, pensò.
Reggendo la borsa
tra le braccia, Brian si sedette accanto a Corrado e lo guardò.
- Vaffanculo
– mormorò.
- Con chi ce l’hai?
–
- Con… con quegli
stronzi con cui ho lavorato in questi ultimi cinque anni. –
- Che è successo?
–
- Sai perché non mi
hanno promosso responsabile? –
Brian scosse la
testa.
- Te lo dico io:
Perché avevano intenzione di licenziarmi. Vaffanculo! Merda! –
- Oh…! Mio dio, ma…
sul serio? –
Corrado si voltò,
in faccia era truce.
- Ho la faccia di
uno che scherza? Miseria, no! No che non sto scherzando, è tutto vero, porca
puttana! – rispose, prendendogli di scatto la borsa dalle mani e
tirandone fuori una busta aperta.
- Egregio Ingegner Ottonelli, bla bla bla,
è a malincuore che dobbiamo comunicarle
che il nostro rapporto di lavoro verrà a cessare a fine mese, bla bla bla, ringraziandola per la fedeltà accordataci
per tutti questi anni, la salutiamo cordialmente. Fine. Contratto di lavoro
terminato e tanti saluti all’ingegnere. – Appallottolò la lettera, scagliandola
contro il televisore, portandosi le mani ai capelli, tenendosi la testa fra le
mani.
Dispiaciuto, Brian
gli si accoccolò accanto, mettendogli una mano sulla spalla e attirandolo a sé.
Mentre faceva ciò, notò che Corrado aveva incominciato a piangere.
Pianse sulla sua
spalla per un bel po’ di tempo, mentre Brian lo cullava dolcemente, baciandogli
i capelli di tanto in tanto. Si sentiva dispiaciuto per il suo ragazzo, ma più
di tutti era dispiaciuto per sé stesso: ora che Corrado sarebbe rimasto a casa
la maggior parte del tempo, come avrebbe fatto a vedersi con Riccardo?
- Scusami amore.
Torno subito. – disse, alzandosi. Le guance gli diventarono rosse fuoco
per la collera, quindi andò al suo telefono in camera e mandò un messaggio a
Riccardo, dicendogli che l’indomani non avrebbe potuto vederlo e che gli
avrebbe spiegato cos’era successo.
Per cinque anni da
quando erano andati a vivere insieme, Brian era stato il Re della casa,
avendola tutta per sé mentre Corrado era al lavoro (tolti i giorni in cui era
in ferie o in malattia, che comunque rappresentavano un lasso di tempo
determinato ed abbastanza breve, a differenza dei
giorni post-licenziamento): una volta che Corrado se ne andava a lavorare, lui
faceva tutte quelle cose che può fare un ragazzo che non lavora: oltre a fare i
mestieri di casa, si dilettava ai fornelli oppure scorreva i social o guardava
serie TV e film, sia normali che (ovviamente) porno. Insomma Brian si era creato
una sorta di spazio personalissimo che non tollerava intrusioni, a maggior
ragione ora che aveva un amante.
Per cui il fatto
che Corrado passasse gran parte del suo tempo a casa, lo
inquietava leggermente, per non dire che lo faceva incazzare come non mai.
Corrado non l’aveva
notato, ma ormai Brian passava più tempo in gabinetto o in camera
da letto, dove rispondeva ai messaggini di Riccardo (non gli venne mai
da pensare perché avesse ripreso a scrivergli con maggiore frequenza da quando
gli aveva detto che Corrado era a casa), sempre e solo quando poteva.
Un giorno però ne
vide uno che gli fece quasi saltare la mosca al naso.
Ti cerco sempre, ma non ci sei quasi mai. Hai deciso di
darci un taglio?
Già nervoso perché
Corrado era sempre sul tavolo di cucina con quel dannato portatile a caccia di
offerte di lavoro, leggere quel messaggio lo fece imbestialire.
Non ho deciso di darci un taglio, semplicemente ho
sempre il mio ragazzo in mezzo alle palle e non posso sempre stare al cellulare
come ci stavo prima,
gli aveva risposto mentre era seduto sull’asse del water. Le guance gli erano
diventate paonazze per l’incazzatura, e se non si fosse fermato in tempo
avrebbe anche aggiunto “E poi parli tu,
che hai avuto giorni in cui non mi cagavi di striscio”.
Intanto di là, udì
la suoneria del telefono di Corrado squillare, con la sigla della Sit-Com The Big Bang Theory. Suonò per un bel
po’, prima che Corrado si risvegliasse dal suo stato comatoso sul divano e
andasse a rispondere. Per fortuna il ragazzo rispose in tempo, prima che Brian
gli urlasse di alzare quel grasso culo da quel divano di merda e andare a
rispondere a quel merdosissimo cellulare.
Poi l’udì parlare
al telefono, presumibilmente con una ragazza, che doveva essere una delle
solite impiegate di una qualche agenzia per il lavoro.
- Sì, sono io! …Sì,
sarei libero domani. – Ci fu una pausa, poi lo udì
parlare nuovamente – No, mi dispiace. Non sono iscritto all’ordine,
perché non ho mai lavorato da libero professionista. È un problema? –
Altra pausa lunga, poi di nuovo Corrado che parlava. – Capisco. Va bene,
d’accordo. Grazie comunque, arrivederci. –
Brian chiuse gli
occhi, digrignando i denti come qualcuno che ha appena ricevuto un colpo basso.
E neanche stavolta siamo riusciti a
levarcelo dal cazzo, pensò.
Frattanto, il suo
telefono gli vibrò in mano.
Sullo schermo,
comparve la solita, laconica risposta, che voleva dire tutto e niente.
Ok.
- Certo,
ovviamente. – mormorò Brian, sentendosi insofferente e incazzato. Si alzò
dalla seduta del water e andò alla specchiera dove c’erano le medicine. Tra
queste, c’era un flaconcino di tranquillanti. Prese il suo bicchiere e lo riempì di acqua dal rubinetto del lavandino, quindi ne
trangugiò due pastiglie.
Poi chiuse l’anta e
si guardò nello specchio, stentando a contenere la rabbia che provava in quel
momento nei confronti di Corrado. In quel momento nella sua mente non c’era
spazio per la pietà; la pietà che avrebbe dovuto
suggerirgli che Corrado non era a casa per sua volontà, ma per volontà altrui. Ma
certe cose avrebbe potuto pensarle una mente pulita,
mentre quella di Brian era inquinata dalla collera e dal risentimento perché
non poteva andare a fare i suoi comodi insieme a Riccardo, che pure faceva
l’offeso e si trincerava dietro ai suoi stupidi “OK”.
Con il bicchiere
ancora in mano, lo sbatté pesantemente sul ripiano del lavandino, talmente
forte che si aprì una crepa.
Poiché era in casa
e Brian sembrava assente, Corrado pensò di cucinare per entrambi la sua
specialità: pasta alla carbonara. Brian ne mangiò ben due
porzioni, senza sprecarsi in troppi complimenti con Corrado, che però fu felice
che Brian ne avesse mangiati due piatti.
- Era buona –
disse, e Corrado si rallegrò.
- Ho cucinato anche
del pollo alla diavola, per secondo – disse Corrado, sollevando il
coperchio sul portavivande. Gliene servì una porzione nel piatto.
- Poco. Non ho
molta fame. –
- Ci credo, hai
mangiato due piatti di pasta alla carbonara…! – ridacchiò, mentre gli
serviva una porzione e poi ne metteva una per sé nel suo piatto.
Brian osservò mentre
Corrado inforcava il pezzettino di pollo, come se stesse osservando qualcuno
che sta provando una pietanza avvelenata per capire se
può mangiarla. Ad un certo punto Corrado spalancò la
bocca e agitò la mano davanti alla lingua.
- Cazzo!!! È troppo piccante!!! – esclamò, prendendo l’acqua
fresca e versandosene una generosa dose nel bicchiere, che poi bevve d’un
colpo.
Brian scosse la
testa, pensando che era stato davvero un cretino a metterne troppa. Respinse il
piatto, quindi si alzò dalla tavola.
*****
Ormai disoccupato
da alcuni giorni, Corrado aveva già programmato tutte le sue giornate. La
mattina presto si alzava, faceva la colazione per sé e Brian e incominciava con
l’attaccare la lavatrice e l’aspirapolvere (tanto gli inquilini del piano di
sotto dovevano essere già al lavoro e non c’era quindi pericolo di
disturbarli); poi verso le nove, orario in cui
aprivano le agenzie per il lavoro, consultava le offerte sui vari siti e
spediva le candidature. Attendeva le telefonate e poi si disponeva a preparare
il pranzo. Di pomeriggio si rilassava un po’, poi magari andava a fare la spesa
oppure si metteva a stendere i panni od a stirare.
E Brian?
Brian era
sofferente. Vedeva la presenza di Corrado come un’invasione di campo nella sua
privacy, costruita in tutti quegli anni a fare da casalingo. Gli aveva quasi
rubato i mestieri, che lui era comunque ben contento di fare e che gestiva come
e quando voleva… in autonomia. Il fatto che ci fosse Corrado a farli, non gli
piaceva per niente.
Un giorno Corrado era
intento a fare un po’ di pulizie, mentre Brian si rilassava sul divano.
- Dì, vuoi
smetterla di andare avanti e indietro? Mi stai facendo venire il nervoso. –
Corrado si fermò,
tenendo la scopa in pugno e la paletta nell’altra mano. Sollevò un sopracciglio
perplesso.
- Smettila di
pulire, mi fai sentire in colpa. –
- Perché? –
- Perché di solito
quelle cose le faccio io. Ma le faccio quando mi gira di farle,
non subito dopo pranzo. –
- Amore, ma di cosa
ti preoccupi? Rilassati e stai tranquillo, che qui ci penso io. –
- No, basta.
Smettila di pulire. Ci penso io dopo. –
- Sai che non
sopporto di vedere la casa sporca. Per cui se almeno mi lasci finire, dopo
starò più tranquillo. –
- Fa’ un po’ come
cazzo ti pare – rispose Brian, parecchio seccato.
Non lo vide perché
era alle sue spalle, ma sapeva che Corrado era rimasto lì a guardarlo,
probabilmente con l’espressione smarrita che gli aveva visto qualche volta
quando sua sorella lo contraddiceva. Poi sentì che riprendeva a spazzare, andandosene
verso il corridoio.
In casa Corrado si
dava da fare più di quanto si era mai dato da fare lui: sembrava una colf,
tanto era indaffarato. Attaccava la lavatrice dei bianchi mentre stendeva i
capi colorati sul balcone, ritirando quelli della volta precedente e
stirandoli; poi puliva il pavimento e spolverava ogni superficie, persino gli
scaffali alti della libreria. Lì Brian perse quasi le staffe.
- Amore, toglimi
una curiosità – disse, mentre stava passando l’aspirapolvere sugli
scaffali, tirando su i libri ed i vari soprammobili.
- Dimmi –
mormorò Brian.
- Si può sapere
perché c’è così tanta polvere, qua sopra? Ma non ci passi mai, nemmeno con uno
spolverino? –
- No. È troppo
alto. –
- Cioè, fammi
capire: siccome lo scaffale è troppo alto, dobbiamo
lasciare che ci crescano su i funghi? Non ho capito. –
Sbuffando
sonoramente, Brian si alzò dal divano, andandosene in bagno e sbattendo la
porta. Corrado rimase lì a pulire, borbottando che forse era stato un mezzo
bene che l’avessero licenziato, visto in che stato lasciava la casa il suo ragazzo.
Rimasto solo in
bagno, Brian incominciò a tempestarsi di pugni le ginocchia, urlando in
silenzio e sbattendo i piedi sul tappeto di spugna. Il fatto che poi Riccardo
gli scrivesse un po’ scocciato, era come un martello pneumatico sulla testa.
Devo trovare un modo per uscire da qui, pensò. Non
posso raccontargli che vado sempre in palestra come faccio di solito. Sa che ci
vado solo quelle volte in cui c’è Carlo che mi
accompagna.
Poi, come un
fulmine a ciel sereno, gli venne un’idea.
Non l’aveva mai
fatto prima, ma quella volta lo fece. Dopo aver fatto l’amore con Riccardo,
Brian tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto da dieci di Winston,
ficcandosene una in bocca. L’accese e si mise a fumare.
- Hai incominciato
a fumare? – gli domandò Riccardo, accanto a lui.
- Sì e no. Diciamo
che oggi mi serviva perché è stato davvero fantastico. Complimenti. –
Riccardo gli fece
l’occhiolino, sorridendo sornione. Brian sapeva che anche lui si era divertito
molto più delle altre volte. Lo guardò per un momento,
poi si mise a fissare il soffitto mentre fumava.
- A cosa pensi?
– domandò Riccardo.
- Sto pensando a
Corrado. Adesso che è rimasto a casa mi ha praticamente escluso dalla
conduzione della casa. –
- In che senso?
–
- Nel senso che me
lo vedo trottare avanti e indietro, fa sempre tutto lui… non ho più un mio
spazio, cazzo! –
- Capisco –
ribatté Riccardo, sospirando.
- Senza contare che
non posso risponderti in tempo e posso vederti di meno. –
- Cosa gli hai
raccontato questa volta, per tenerlo buono? –
- Mentre ero in
bagno, ho avuto un’idea: Una sera gli avevo detto che avevo intenzione di
tornare all’università – rispose Brian, quindi tirò una boccata dalla
sigaretta e si voltò verso il posacenere – per cui ho detto che ogni tanto
sarei andato in biblioteca a farmi una cultura. –
Riccardo ridacchiò,
osservando la schiena di Brian con i suoi tatuaggi ed il suo sedere.
- Un’idea
magnifica, non c’è che dire. Hai avuto proprio una bella pensata. –
- Sì… forse… ma… -
- Cosa c’è che non
va? Non pensi che sia una buona idea? -
Sospirando, Brian
tornò ad accoccolarsi a Riccardo, che lo prese a sé e gli
si avvinghiò con tutto il corpo.
- E’ che non so per
quanto ancora potrò usare questa scusa. – mormorò Brian poco dopo.
Riccardo gli restò avvinghiato ancora un po’, poi per tutta risposta
lo abbandonò, senza nemmeno dargli un bacetto sulla guancia.
- Cos’hai? –
- Niente –
rispose Riccardo, brusco.
Brian incalzò
– No, ti prego Riccardo. Dimmi che cos’hai. Sono già abbastanza teso in
questi giorni, non ti ci mettere anche tu. –
- Lo sai cosa c’è,
Brian. C’è che non posso più accettare di vederti così, a part-time. Si può
sapere cosa stai aspettando a lasciare quell’idiota di Corrado? –
Interdetto, Brian
guardò Riccardo, che gli lanciò un’occhiata penetrante
mentre teneva le mani sui fianchi, il corpo completamente nudo. Non sapendo
cosa rispondergli, rimase zitto. Invece Riccardo continuò.
- Che senso ha
continuare così per te, per noi? Non pensi di stare prendendo in giro lui e
soprattutto te stesso? Che cosa vuoi
dalla vita, Brian? L’hai poi deciso? –
Trattenendo un nodo
in gola e le lacrime incipienti, Brian cercò di rispondere – N… non è
così… così facile. –
- Come? Non ti ho
sentito. –
- Non… è… Non è
così facile! – disse Brian, con la voce rotta dal pianto.
- E adesso perché
piangi? –
- Non… non lo so.
Scusami. –
Per tutta risposta,
Riccardo si mise i pantaloni e si allontanò. Brian si portò dietro le coperte e
gli corse dietro, abbracciandolo.
- Riccardo, io ti
amo. Ti amo più di me stesso. Vorrei restare con te, ma non è così facile. Ti
prego, dammi il tempo di… -
Allora Riccardo si
girò. Continuò a tenere le mani lungo i fianchi, stretti dalle braccia di
Brian, poi si mise i pugni sui fianchi in una posa da dittatore, guardando
intensamente Brian nei suoi occhi umidi di lacrime.
- Cosa sei disposto
a fare per noi, Brian? – gli domandò.
- Tutto – rispose, meccanicamente.
– Farei tutto per te –cioè, per noi-, amore mio. Ma ti prego, non
lasciarmi. – piagnucolò.
Riccardo lo guardò ancora più intensamente negli occhi, mentre Brian
si sentiva riscaldato e confortato dal suo controllo. Sono solo tuo,pensò, fa di me ciò che vuoi.
Come se avesse
sentito i suoi pensieri, Riccardo alzò le mani fino a portarle al viso di
Brian. Con entrambi i pollici gli asciugò le lacrime sulle guance, quindi fece
forza e gli abbassò la testa, sempre guardandolo negli occhi. Come eseguendo un
ordine mentale, Brian si chinò, e contemporaneamente andò al bottone dei
pantaloni di Riccardo per sbottonarglieli.
Una volta che i
pantaloni caddero intorno alle sue caviglie, Brian si preparò a servirlo.
Quando fece per
aprire la bocca, Riccardo lo fermò.
- Basta così
– disse, interrompendolo. Brian si riebbe dallo stato di eccitazione
provocatogli da Riccardo, quindi alzò lo sguardo, notando che il partner aveva
assunto un’espressione grave, quasi addolorata.
- Rialzati –
gli ordinò, e Brian si rialzò. Allora Riccardo lo prese e l’abbracciò
teneramente, parlandogli all’orecchio.
- Ognuno di noi ha
il suo posto – disse – Il tuo posto forse non è accanto a Corrado,
ma accanto a me. Pensaci tesoro mio. – concluse, baciandogli dolcemente
la guancia. Brian era ancora mezzo stordito.
- Ci penserai?
– domandò Riccardo.
Per tutta risposta,
Brian annuì.
*****
- Vediamo, vediamo…
– mormorò Corrado, scorrendo gli annunci di un sito. – Hm… Contabile.
Per azienda del settore metalmeccanico si ricerca contabile, bla-bla-bla, tenuta prima nota,
fatturazione attiva e passiva, mansioni di riconciliazioni bancarie, ecc. ecc. ecc… -
Brian era lì
vicino, intento a leggere un libro. Pensava invece alle parole che gli aveva
detto Riccardo durante il loro ultimissimo incontro, sul fatto che non fosse al
suo posto. E allora come mai ci era rimasto per così tanto? Semplicemente, non
lo sapeva. Sapeva solo che sentire la voce del suo ragazzo mentre leggeva ad
alta voce gli annunci di lavoro facendo considerazioni e congetture, lo
infastidiva parecchio.
- Che palle. Anche
qui, si richiede esperienza pregressa.
Che cazzo ci vorrà, dico io, a fare un lavoro come il ragioniere? Bah… evito
anche di mandargli il curriculum. –
Facendo finta di
niente, Brian girò la pagina del libro che stava leggendo.
- Oh! –
esclamò Corrado, galvanizzato – Questo… questo sembra interessante. Ingegnere… Ah, è uno di quegli
annunci-truffa. No, naturalmente. –
Ad un certo punto
Brian alzò il libro e lo scagliò per terra con una tale violenza che Corrado si
voltò spaventato dal rumore, con gli occhi fuori dalle orbite.
Brian lo guardò torvo dalla sua posizione.
- Corrado, porca di
quella puttana assassina, potresti evitare di leggere
tutti gli annunci di quello stramaledettissimo sito? Non ne posso più di
sentirti dire tutto questo rosario di Cercasi-Offresi-Trombasi-Ingegnere-Ragioniere-Progettista-Bocchinaro
segaiolo e Vattelappesca. –
- Scusa –
mormorò solo Corrado, continuando a guardarlo.
- Questa casa è
piccola e dobbiamo per forza condividere gli stessi spazi, quindi almeno
risparmiami questa litania, ok? –
- Va bene, scusami.
– disse soltanto il ragazzo, mentre Brian distoglieva lo sguardo e andava
a raccogliere il libro che aveva scaraventato sul pavimento. Continuò a
leggere, nel silenzio che aveva creato, quando all’improvviso si girò e vide
che Corrado era sparito: era riuscito incredibilmente a levare le tende e
andarsene (forse in camera da letto) senza far volare una mosca.
- Ecco! Ci voleva
tanto, dico io, a fare un po’ di silenzio? Che cazzo! – imprecò tra sé,
senza farsi sentire.
*****
Una sera Brian
rincasò con il borsone della palestra in mano. Naturalmente non era andato in
palestra, bensì da Riccardo, che come al solito gli aveva fatto il solito
fervorino sul fatto di lasciare al più presto Corrado per lui. Appagato e
stressato allo stesso tempo, Brian aveva aperto la porta di casa, trovando solo
Corrado che era ancora lì al computer, concentrato come se stesse scrivendo un
romanzo.
- Corrado, ma… Ma
non hai ancora cucinato niente? –
Sentendolo
arrivare, Corrado smise di fare quello che stava facendo e aprì bocca per
rispondere, ma Brian lo fermò subito, cominciando a
parlare per primo.
- Cazzo, sono
appena tornato dalla palestra, ho fame…! Non puoi stare tutto il giorno lì con
quel coso a cercare un lavoro, dai! – urlò.
- Ehi…! –
esclamò Corrado ad un certo punto, alzandosi – Ma si può sapere perché da
un po’ di tempo sei diventato così acido? Che problemi hai? –
- Perché, da solo
non lo capisci? Allora te lo spiego: sono appena tornato e ho fame, e siccome
non ho voglia di aspettare, devo chiamare una pizza e farmela portare a casa.
Ci arrivi adesso, con la tua laurea in ingegneria? – gli
domandò, sbattendo la borsa sul pavimento.
- Io non capisco
perché ti comporti così, Brian. Davvero, non ti riconosco più. – rispose
Corrado, andando verso il computer e chiudendolo.
- Sì, vabbé – rispose Brian, riprendendo la borsa e uscendo
di casa.
- E ora dove stai
andando?! –
- A mangiare, ho
fame. – disse, e chiuse la porta dietro di sé.
Corrado rimase lì,
pietrificato dai dubbi e dalla sensazione di essersi comportato male in qualche
modo.
Quella mattina
Corrado era in metrò, diretto verso un’agenzia per il lavoro che aveva ricevuto
la sua candidatura e l’aveva trovata abbastanza interessante da chiamarlo per
un colloquio preliminare. Se qualcuno gliel’avesse chiesto, non avrebbe saputo
rispondere se era contento o meno di ciò; a dire la verità quasi non si reggeva
in piedi dal sonno, figuriamoci se fosse riuscito ad affrontare un colloquio di
lavoro: durante il tragitto aveva rischiato di inciampare per ben due volte scendendo
le scale della metro. Poi un passante troppo frettoloso l’aveva quasi
spintonato per salire sul treno prima di lui. Stava sì andando a quel colloquio,
ma la sua mente era agitata.
Per cercare di
calmarsi aveva iniziato a ripassare mentalmente le cose da dire al colloquio,
ovvero la sua formazione, la sua esperienza, la sua grande motivazione. Ma
questi elementi passavano in secondo piano, quando ripensava all’episodio accaduto
tre sere prima con Brian. Il suo Brian, a cui era rimasto accanto per tutti
quegli anni, amandolo e rispettandolo, ieri sera gli era sembrato tutta
un’altra persona. Cercò di ripensare all’ultima volta in cui l’aveva visto così
arrabbiato. Doveva esser stato più o meno quando erano ancora agli inizi e lui
era ancora studente d’ingegneria. Non ricordava bene perché, ma gli sembrava
c’entrasse qualcosa quell’imbecille di amico che aveva. Carlos, che si faceva chiamare Carlo perché non voleva far notare
le sue origini sudamericane. Ricordava che quella volta Brian si era incavolato
perché aveva sentito, proprio dal suo amico, che qualcuno aveva sparso voci su
di lui che lo vedevano intrattenere gli studenti nei bagni della scuola con
prestazioni sessuali a pagamento. Voci false e tendenziose, che però erano
state sufficienti a farlo incazzare di brutto. La sua mente tentava di
ricordare com’era, ma più si sforzava, meno l’immagine di Brian incazzato dieci
anni prima gli sembrava coerente con l’immagine che aveva visto ieri. I casi
erano due: o era diversa l’incazzatura, o era diversa la persona.
Continuò a pensarci
per cercare di trovare una soluzione soddisfacente al senso d’inadeguatezza che
l’aveva pervaso già dalla sera prima, ma purtroppo non riuscì.
Che lui sapesse, il
suo Brian era il ragazzo più dolce e tranquillo del mondo. Aveva una casa da
accudire. Un amico e anche un fidanzato, e tanto gli bastava. Ora che ci
pensava, non si era mai incavolato così con lui.
Il suo
atteggiamento non era cambiato in quegli anni, quindi la domanda rimaneva in
sospeso.
Ma che cosa gli ho fatto?
*****
Quella giornata fu
abbastanza piena, per Corrado. Non solo ebbe il colloquio al mattino, ma anche
altri due nel pomeriggio. Naturalmente aveva avvisato Brian che avrebbe fatto
tardi con un messaggio su Whatsapp, che lui aveva letto ma a cui non aveva
risposto. Contrariamente alle sue aspettative, i colloqui sembrarono andare
bene: tutte e tre le agenzie gli avevano promesso che avrebbero inviato la sua
candidatura alle aziende interessate, e che poi si sarebbero fatte risentire
per fissare il secondo colloquio con l’azienda. Normale amministrazione.
Con l’allungarsi
delle giornate, la sera c’era ancora un po’ di luce. Dopo aver passato quasi
cinque anni chiuso in un ufficio, Corrado pensò che gli sarebbe piaciuto fare due
passi in solitudine, anche per schiarirsi le idee.
Mentre andava in
giro per i negozi, pensò ancora una volta al suo ragazzo. Gli venne in mente
che forse a quell’ora era ancora in biblioteca a studiare in vista della futura
iscrizione alla facoltà di architettura.
Il pensiero lo fece
sorridere. Quando gliel’aveva rivelato, quella sera in pizzeria, era stato
molto contento. Per la verità, sarebbe stato contento qualunque cosa Brian
avesse deciso di fare, perché gli voleva bene, talmente tanto che accettava
anche il fatto che fosse un ragazzo a cui non piaceva lavorare.
Passeggiando, si
immerse nel trambusto della città che l’aveva ospitato per tanti anni, prima
che i suoi genitori e sua sorella maggiore decidessero di tornarsene da
dov’erano venuti, lasciandolo insieme a sua sorella più piccola ed al suo
lavoro. Arrivò nei pressi del Parco Sempione, teatro di tanti incontri suoi con
Brian, ed entrò.
Qui, nel buio
rischiarato dai lampioni, ricordò tutte le volte in cui si era appartato
insieme a Brian, che era sempre così travolgente nel suo modo di amarlo: era
solito morderlo e abbracciarlo con tenerezza allo stesso tempo, un aspetto che
a Corrado piaceva molto. Guarda caso arrivò proprio nei pressi della panchina
dove si sedevano di solito, e dove avevano anche inciso il loro cuore.
Naturalmente non c’è più, pensò Corrado con un sospiro, ricordando che le assi
delle panchine erano state sostituite qualche tempo prima, cancellando
generazioni di ricordi impresse coi pennarelli dagli studenti. Studenti come lo
erano stati lui e Brian.
Pensando a lui, gli
venne in mente che poteva andare a trovarlo alla biblioteca, magari prelevarlo
e andare a cena insieme.
Sì, pensò,
sipotrebbe fare così. Vado, lo prendo e lo porto a cena fuori. Sarà una
bella sorpresa.
Velocemente,
s’incamminò verso la fermata del metrò.
*****
Alla biblioteca del
Politecnico c’era il solito viavai di ragazzi che uscivano dopo aver passato
una giornata sui libri o rientravano dopo aver fumato una sigaretta.
Entrò. La sala era
immersa in un silenzio ovattato, interrotto qua e là dai sussurri di chi non
poteva fare a meno di parlare e da qualche trillo di smartphone rimasto acceso.
Fece un giro per la sala, cercando Brian con gli occhi.
Per un momento gli
venne in mente di cercarlo con lo smartphone, ma ovviamente era un’idea balzana:
se l’avesse avvisato su Whatsapp, che sorpresa sarebbe stata?
Data l’ora, la sala
non era proprio piena di gente. I pochi che occupavano le scrivanie di
consultazione si potevano contare sulle dita di una mano. E tra questi, Brian
non c’era.
Fece due o tre
volte il giro della biblioteca, guardando anche in altre sale di consultazione
e fermandosi in bagno, ma ad un certo punto arrivò l’annuncio che la biblioteca
stava per chiudere, quindi ci si doveva affrettare per il prestito e la
restituzione.
Si rese conto che
stava girando alla cieca, poiché Brian non era da nessuna parte.
Immediatamente fece
un rapido excursus mentale: quella mattina gli aveva detto chiaramente che
sarebbe stato alla biblioteca a studiare. Ed il fatto che non gli avesse
risposto su Whatsapp, suggeriva che fosse vero.
Ma allora perché
non era lì?
Perplesso, decise
di tornare a casa. Magari Brian era uscito prima e quindi tornato a casa prima
di lui.
*****
Arrivato a casa
però, la trovò vuota. Brian non era nemmeno là, e stava facendosi abbastanza
tardi.
Appoggiò una mano
sul mobile dell’ingresso, guardandosi le scarpe. Poi lentamente alzò lo sguardo
ad osservare tutto l’ambiente circostante. La casa era immersa nella penombra,
quindi lui avanzò lentamente, percorrendo il corridoio e ritrovandosi nel
salotto-sala da pranzo; da qui passò al disimpegno, poi al bagno e poi in
camera da letto.
Una sola domanda
gli rimbombò nella mente: Dov’è Brian?
A quel punto, prese
in mano il cellulare e compose il suo numero.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
- Pronto? –
rispose la voce di Brian, un po’ sotto tono.
- Ciao amore
– attaccò Corrado – Io ho finito adesso con l’ultimo colloquio e
sto tornando a casa. –
- Ah, spero bene
anch’io…! Hanno detto che mi faranno sapere. Senti… Io sono in giro in macchina
– mentì – Tu dove sei? –
Un attimo di
silenzio, poi Brian disse – Sono a casa, ti sto aspettando. –
A
quell’affermazione, Brian ebbe un tuffo al cuore. Si guardò intorno nella casa
deserta, quindi strinse i denti e si mise a sedere sul letto.
- Pronto? Corrado,
ci sei? –
- Sono qui –
rispose Corrado – Scusami, c’era la polizia e ho dovuto mettere giù il
telefono. –
- Ah, capisco.
Comunque ti sto aspettando a casa, ok? –
- Ok. Ci vediamo
dopo. Ti amo. –
- A dopo –
rispose solo Brian, mentre chiudeva la comunicazione.
Con il telefono
ancora in mano, Corrado rimase nel buio a contemplare la porta. Doveva uscire
subito da lì per dare credibilità alla sua storia, ma improvvisamente si sentì
le gambe annichilite, la testa pesante e dolorante.
Brian gli aveva
appena detto una palese bugia.
Perché…? Perché hai detto così, Brian?
Sospirò, cercando
di catturare quanta più aria possibile nei polmoni dalle vie respiratorie che
si erano stranamente compresse, quindi fece appello a tutta la sua forza per
cercare di alzarsi.
Si alzò, rischiando
quasi di perdere l’equilibrio e andare a sbattere sul comò, ma poi finalmente
riacquistò la sua forza e velocemente uscì di casa.
Le bugie che aveva sentito dire a Brian erano state come chiodi piantati
nel legno tenero. Lo stavano uccidendo. Non disse nulla a Brian, limitandosi a
osservarlo di sottecchi quando era a casa: in precedenza non se n'era accorto,
ma era più distaccato, assente rispetto al passato. Sembrava un essere umano
che tendeva l'orecchio, in ascolto di qualche cosa che lui non avrebbe mai
compreso. Alla preoccupazione iniziale che il suo ragazzo fosse malato, si
sostituì la curiosità: doveva a tutti i costi sapere che cosa passava per la
testa di Brian, che cosa gli stava nascondendo.
Nei giorni che seguirono
Corrado iniziò a stilare un progetto. Aveva deciso che avrebbe scoperto che
cosa gli nascondeva Brian. Ad ogni costo.
Cercando di comportarsi
con naturalezza, una mattina salutò e gli preparò la
colazione. Brian ringraziò, quindi Corrado gli disse che sarebbe stato
impegnato tutto il giorno in un assestment center. Brian l'aveva
guardato di sbieco, non comprendendo il significato di quelle due parole.
- E' un colloquio di
gruppo – spiegò Corrado - Dura otto ore, quanto una giornata lavorativa.
Fanno test attitudinali, prove pratiche... non sarò a casa prima di stasera.
–
- Capisco – aveva
risposto Brian.
Così, si erano salutati e
lui era uscito. In tasca si era portato un binocolo.
Appostatosi a distanza di
sicurezza dal cortile del suo condominio, si era messo a spiare l'ingresso.
Fino a quel momento aveva visto alcuni dei suoi vicini e la signora Visentin,
la portinaia che spazzava l'ingresso come ogni mattina. Verso le nove e mezza aveva visto Brian uscire. Benedì se stesso e l'idea di
comprare un binocolo, perché il ragazzo sembrava irriconoscibile: Indossava un
vecchio giubbotto, probabilmente comprato in un mercato dell'usato; un paio di
occhiali da sole e un berretto, unico elemento che lo fece riconoscere ai suoi
occhi, perché gliel'aveva regalato lui.
Lo vide allontanarsi sul
viale, quindi incominciò a seguirlo con discrezione.
Si stava dirigendo verso
l'imbocco del metrò. Accorgendosi di essere troppo vicino, si fermò per dargli
un po' di vantaggio, quindi ripartì quando si rese conto che se non avesse
individuato quale treno voleva prendere, l'avrebbe perso.
Fortunatamente ciò non
successe, perché quando giunse alla stazione sotterranea, Brian era oltre il
tornello, che si dirigeva verso una delle due linee della metropolitana.
Naturalmente il treno
sarebbe stato il punto più difficile: si stava già riempiendo di gente, ma lui
si era già opportunamente camuffato con occhiali da sole e un cappello comprato
per l'occasione (così non potrà riconoscermi, aveva pensato).
Durante il tragitto poté
tenerlo d'occhio meglio, perché il ragazzo era
concentrato sullo smartphone. L'osservò che si eccitava mentre leggeva forse
messaggi su Whatsapp, gongolando come una ragazzina. Provò l'istinto di andare
lì e sbirciare con chi stesse parlando, ma lo represse perché doveva prima
capire dove voleva andare.
Per un pelo non lo perse,
perché la folla di gente che voleva entrare stava quasi per farlo rimanere sul
treno, ma lui forzò la marea di gente e uscì, continuando a seguire il suo
ragazzo.
Camminava sciolto e
sicuro, come se sapesse dove andare. E la fermata dov'era sceso non era certo
quella del supermercato. Uscito in superficie, si ritrovò in un quartiere di
periferia che non conosceva, pieno di nuove palazzine e contestualmente con
poca gente.
Qui ebbe un attimo di
panico: ad un certo punto Corrado vide Brian che si
fermava, come se qualcuno l'avesse chiamato alle spalle. Intuendo che avrebbe
potuto girarsi da un momento all'altro, Corrado si nascose dietro una delle
automobili in sosta accanto al marciapiede, sperando con tutto il cuore che il
suo ragazzo non l'avesse visto. Difatti si era voltato, ma per fortuna non
l'aveva notato.
Corrado tirò un sospiro
di sollievo, quindi ricominciò a pedinarlo.
La passeggiata di Brian
terminò davanti al cancello di una delle nuove palazzine in costruzione.
Corrado si era appostato dietro un albero ed aveva
tirato fuori il binocolo. Non riuscì a capire il campanello che aveva suonato,
perché era una di quelle plafoniere nuove a prova di privacy, dove bisognava
digitare un codice per suonare il campanello dell'interno desiderato.
Quando scomparve, iniziò
a lavorare all'esterno: per prima cosa si accertò che non ci fossero
uscite secondarie, per esempio i garages. Quelli c'erano, ma l'imboccatura era
praticamente parallela al cancello d'ingresso. Per fortuna.
Rifletté un momento, poi
pensò che non avrebbe potuto aspettare lì per tutto il giorno di vederlo
uscire. Faceva freddo e rischiava di essere visto.
Hm. A questo problema
baderò meglio un altro giorno, pensò. Poi tirò fuori lo smartphone e aprì Google Maps. Quindi
fece uno screenshot della zona, così com'era localizzata.
*****
Per la seconda parte del
suo piano, ebbe bisogno di chiamare sua sorella Valeria. Inaspettatamente
durante la conversazione, raccolse un altro elemento, che annotò nel suo
taccuino mentale, che gli fece pensare che doveva andare avanti a tutti i
costi, perché era proprio il caso.
- Ah, è sempre lì in
garage...! Puoi venire a prenderla quando vuoi –
disse Valeria al telefono – Tanto io ormai la uso pochissimo, come sai.
–
Sua sorella aveva trovato
un appartamento molto vicino al suo lavoro, per cui non aveva più bisogno di
andarci con la Fiat Grande Punto grigia regalatagli dai genitori per la laurea.
Non utilizzandola, la teneva sempre in garage, per le occasioni speciali o per
quelle poche volte che andava a fare la spesa più grande.
- Sto pensando di
venderla. Quasi-quasi la vendo al tuo ragazzo, che dici? –
- Brian? Ma Brian non ha
la patente. –
- Ah già, vero... che
sciocca. Lo vedo così poco che a volte mi sembra di vederlo anche dove non
dovrebbe essere. – disse a un certo punto, con quello stile che ti faceva
sempre voglia di saperne di più.
Com'era ovvio,
riguardandolo molto da vicino, Corrado volle saperne di più – Cosa? Che
intendi dire? –
- Oh... niente
d'importante, solo che... qualche mese fa mi pare di aver visto il tuo ragazzo
in un ristorante giapponese. –
- Da solo? –
domandò Corrado, anche se credeva di conoscere già la risposta.
- Per la verità, penso di
no. – Sentì un cane abbaiare. – Ulisse!!
No!!! Buono un po'! – era Ulisse, il cane che le
aveva regalato il suo ultimo fidanzato, che lei si era tenuto perché le faceva
compagnia. Immaginò la sorella andare vicino alla bestia e versarle del cibo
nella ciotola oppure allontanarla da qualche parte in modo che potesse parlare
tranquillamente. Corrado aspettò che tornasse, prima di riprendere a parlare.
- Hai visto con chi era?
-
- Non proprio, sai...
penso che fosse un uomo, comunque. Un ragazzo. Forse sui trentacinque o
quarant'anni... però non so se fossero seduti allo stesso tavolo, e non so
neanche dirti se fosse suo fratello...! – Altro
abbaio. – Ulisse!! Basta! Sto parlando al
telefono! –
Chiudendo gli occhi, Corrado
si portò una mano all'attaccatura del naso e se la massaggiò. Immaginava fin
troppo bene cosa stesse succedendo, ma ancora non aveva abbastanza elementi da
trarre delle conclusioni certe.
- C'è forse un po' di
crisi tra di voi? – domandò Valeria.
Crisi? Mah...! Diciamo che il mio ragazzo dopo dieci anni ha deciso di
scoprire com'è andare in un ristorante insieme ad un altro ragazzo che non può
essere il suo amico Carlo da come me l'hai descritto... Diciamo che mi tratta
male quando mi vede in casa e che s'incazza per ogni minima cosa. Crisi? Certo
che sì, sorellina!!!
- Corrado? Sei ancora lì?
–
- Sì, sono ancora qui.
No, ma che dici...? Quale crisi. Brian...? Figuriamoci. Passa più tempo lui in casa che un faraone
nel suo sarcofago. –
- Ah, bene. Vedi,
sicuramente mi sono sbagliata. E me ne rallegro...! Mi
dispiacerebbe vederti triste perché Brian ti tradisce, fratellone. –
- Grazie, sorellina
– rispose Corrado, pensando come al solito che Valeria fosse una stupida
arrogante piaciona melliflua e manipolatrice. Tutto il contrario di Paola, la
loro sorella maggiore che era rimasta coi genitori. – Allora passo a
prendere la macchina domani mattina. –
- Certo, vai tranquillo!
Ti saluterei volentieri, ma sono abbastanza indietro con il lavoro, quindi ti
lascio la chiave in portineria, poi quando hai finito magari vienimi a prendere
in ufficio che ti riporto a casa. Adesso scusa ma devo scappare che Ulisse mi
reclama, altrimenti mi piscerà tutto il salotto. Ciaone fratellone!
Baci! –
- Ciao, Vale –
disse, chiudendo la chiamata e sospirando, tenendosi la testa con le mani
mentre era seduto su di una panchina.
*****
Il giorno dopo e nei giorni che seguirono, beneficiando di un prolungamento del
prestito dell'automobile di sua sorella, Corrado incominciò i suoi appostamenti
all'indirizzo dove aveva seguito Brian, munito del fido binocolo e in più di
una macchina fotografica digitale con teleobiettivo, di quelli utilizzati dai
paparazzi per fotografare i vip.
Per un po' di giorni uscì
di casa usando la scusa dei colloqui di lavoro e di un corso di formazione per
amministrazione e contabilità, poi disse a Brian che sua sorella gli aveva
chiesto una consulenza lavorativa e che quindi era spesso nel suo ufficio. Si
sorprese di sé stesso per la quantità di balle che
riuscì a cacciargli (che comunque dovevano essere sempre meno di quelle che
Brian doveva aver cacciato a lui) e continuò il suo lavoro di investigazione,
finché non ottenne i frutti sperati. O meglio, mal sperati.
Ormai quella via gli era
diventata quasi familiare: era una strada abbastanza deserta della periferia,
non molto frequentata e piena di spazio per parcheggiare le auto. Erano quasi
le diciannove. A quell'ora, in un'altra vita, sarebbe stato a casa sua a
guardare la televisione insieme a Brian, dopo essere tornato da lavoro. Ma ora
il lavoro non c'era più, e Brian faceva altro. Come poteva considerarsi ancora
la stessa vita di prima...?
Nell'abitacolo teneva la
radio accesa, sintonizzata a basso volume su una stazione radio che dava solo
canzoni italiane. Proprio mentre passava una popolare canzone di Samuele
Bersani, un successo di alcuni anni fa, lo vide.
Anzi, li vide.
Gli apparve come una
visione, il suo ragazzo Brian che usciva dal cancelletto insieme a un altro
uomo: I due sorridevano, scambiandosi sguardi complici. Corrado alzò la
fotocamera, puntandola in direzione dei due e ottenendo un'immagine magnificata
al massimo.
Li inquadrò nel mirino,
scattando una serie di fotografie in sequenza che documentavano la loro
camminata.
La prima di una lunga
serie di foto.
I due si allontanarono
verso il parcheggio sotterraneo, da cui poco dopo uscì una Smart rossa (che
pessimo gusto, pensò Corrado) che s'immise in strada. Meccanicamente, senza
nemmeno capire cosa stesse succedendo, Corrado avviò il motore e partì
all'inseguimento.
Arrivarono a un
ristorante che conosceva, dov'era stato qualche volta a cena. Corrado era
sicuro che Brian stesse cenando insieme a quel tipo perché era convinto che lui
fosse a reggere il moccolo a sua sorella, invece era lì, a cercare un punto
discreto del parcheggio dove posizionarsi e, dall'esterno, scattare foto nel
locale, come gli aveva assicurato il fotografo che gli aveva venduto il
teleobiettivo.
La fortuna continuava ad
assisterlo: trovò un posto proprio accanto all'entrata ed
alle vetrine, e anche lì fece un piccolo reportage.
Terminata la cena,
continuò a seguirli fino a che non tornarono a casa (se adesso fossimo in
estate, scommetto che vi sareste fatti due coccole in un parco, pensò
Corrado), ripetendo le stesse mosse che gli aveva
visto fare prima. Finora era stato abbastanza tranquillo, anche se la
circostanza che il suo Brian si trovasse con un altro uomo era già terribile di
per sé.
Una volta che furono tornati a casa, sorpassò la Smart rossa che stava fermandosi
nel parcheggio esterno, quindi svoltò in una via laterale e fece inversione,
mettendosi sull'altro lato della strada, abbastanza lontano perché loro non lo
notassero, ma a portata di occhio del teleobiettivo.
Attraverso quelle lenti,
Corrado vide tutto come in un film: i due che parlavano; Brian che scuoteva la
testa, abbassando gli occhi. Sorrideva, mentre il tipo gli metteva una mano
sulla guancia e Brian rialzava gli occhi, guardandolo dolcemente per un lungo
attimo, finché...
- No – mormorò Corrado,
mentre il suo dito indice era sul pulsante di scatto.
Nel mirino vide il
ragazzo che attirava Brian a sé, baciandolo con passione. Vide Brian che gli
cingeva il collo con le braccia, appassionatamente coinvolto anche lui.
Il dito di Corrado era
ormai premuto sul pulsante, che scattò una sequenza quasi interminabile di
fotografie, che in un secondo momento avrebbe dovuto cancellare una per una
perché erano troppe. Con un groppo in gola abbassò la fotocamera, mentre i due
amanti segreti scendevano dall'auto ed entravano nel cancelletto d'ingresso del
condominio.
Lentamente, Corrado
abbassò la fotocamera, poggiandola sul sedile come se fosse stata una reliquia
sacra, quindi abbassò anche lo sguardo. Una ciocca di capelli gli ricadde sugli
occhi, mentre lentamente si accasciava su sé stesso,
fino a toccare con la fronte la corona del volante.
- Il mio lavoro qui è
finito, a quanto pare - mormorò. Quella stessa frase aveva pronunciato anche il
giorno della sua laurea, tanti anni prima. Il mio lavoro qui è finito,
aveva detto, a un Brian più giovane e adorante che, insieme ai suoi parenti
l'aveva scortato, gioioso e trionfante, un nuovo ingegnere sul mercato del
lavoro. Lo stesso Brian che quella sera aveva visto attraverso l'obiettivo
della sua vecchia Nikon, riesumata per una missione speciale dopo anni di sonno
in uno scatolone... La stessa Nikon che aveva scattato fotografie di entrambi
sorridenti, felici e soprattutto innamorati l'uno dell'altro... adesso si era
trovata a immortalare Brian con un altro.
Il mio lavoro qui è
finito, a quanto pare ripeté la sua mente, portando alla luce altri e più dolorosi
ricordi appartenenti a un passato che, dopo gli avvenimenti di quella sera,
sembrava ormai lontano anni luce.
La loro prima volta al
cinema, quando Brian gli aveva preso teneramente la mano e lui aveva stretto
nella sua.
Uno dei loro tanti baci,
scambiato per gioco a Lucca durante il Lucca Comics,
nelle vesti di un guerriero fantasy e di un elfo.
Il loro primo viaggio
insieme a Parigi...
Frammenti di esistenza
che da adesso avrebbero acquisito ancora più importanza, perché erano ricordi
di una vita passata, a cui il Brian di adesso sembrava non appartenere più.
Il mio lavoro qui è
finito, a quanto pare.
E sì, era finito. Aveva
scoperto tutto ciò che c'era da scoprire, ovvero che
Brian non era più felice insieme a lui. L'unica cosa che ancora non aveva
scoperto era perché.
Marconista Fenton,
smettete di lanciare l'S.O.S., nessuno ci verrà più a
salvare. Ormai questa nave è condannata.
Ricordò di aver detto a
Brian, quella volta che la loro macchina si era fermata in autostrada,
ottenendo in cambio un buffetto scherzoso e un bacio sulle labbra, perché
quello era uno scherzo. Adesso invece era tutta realtà.
Rimettiamo le nostre
anime al Signore.
Già che ci siamo, non
poteva mancare quell'augurio di speranza in una vita migliore.
Signori, è stato un onore
suonare con voi questa sera. Addio.
E ovviamente, buonanotte
ai suonatori. La nave era condannata, non c'era più nulla da fare. Il
mio lavoro qui è finito, a quanto pare.
Brian...
A quella frase, i suoi
occhi incominciarono a inumidirsi di lacrime.
Brian si svegliò
all'improvviso nel suo letto, in preda ad un attacco di panico notturno.
L'ultima cosa che ricordava dell'incubo era una figura che lo inseguiva e poi
la sensazione di cadere in un pozzo senza fondo. Ripreso il contatto con la
realtà, ricominciò a respirare normalmente, aspettando che il suo cuore
smettesse di martellargli nel petto.
Strabuzzò gli occhi,
allungando il braccio a toccare Corrado accanto a lui, che però non c'era.
Si girò lentamente: la
parte dove di solito dormiva il suo ragazzo era ancora fatta e vuota. Di solito
questo succedeva quando Corrado era via per una trasferta, finché era
lavoratore. Ora che era disoccupato, l'unica domanda che gli rimbombava nella
mente era "Dov'è Corrado?"
Più per abitudine che per
altro, controllò il cellulare. Nessun messaggio da parte sua, nemmeno su
Whatsapp. La sua immagine era ancora lì, quindi era segno che non l'aveva
bloccato.
Ma perché avrebbe dovuto bloccarti, scemo di guerra? Pensò, passandosi una
mano tra i capelli. Dove vuoi che sia, sarà rimasto con quella scema di
sua sorella, no?
E perché sarebbe dovuto
essere proprio da sua sorella? Non poteva essere a letto di qualche altro
ragazzo? Sospirò, pensando che forse il fatto che Corrado si fosse trovato un
amante, non era poi così male. Se non altro, lui poteva fare i suoi comodi...
Immaginò un'ipotetica
conversazione.
Ciao.
Ciao...
Perché non mi hai detto
che saresti mancato, ieri sera?
Scusami, me n'ero dimenticato. Comunque ero da mia sorella, ha
insistito talmente tanto affinché dormissi con lei...
Come si chiama?
Mia sorella? Valeria, lo
sai.
No, intendevo dire come
si chiama il tuo amante.
S'immaginava un nome
straniero, come il suo. Magari poteva essere un Kevin,
o un Thomas... oppure un Ivan.
Che amante...? Di che cosa stai parlando?
Sempre fantasticando, gli
rispondeva che glielo aveva detto Carlo, avendolo intravisto in centro in
compagnia di un bel ragazzo sulla ventina, dal viso dolce e con gli occhi
azzurri.
Non so di cosa stai
parlando, rispondeva
Corrado con nonchalance ma Brian vedeva che era arrossito e tremava
leggermente.
Ok Corrado. Ti sei
trovato un amante. Bravissimo, ti faccio i miei complimenti. Ma poiché ho un
amante anch'io (e da prima di te), almeno inventami qualche scusa per dirmi che
non rientri, altrimenti io come faccio a pianificare i miei comodi? Mi dici
"Amore guarda che stasera non rientro, quindi tu fai pure quello che
vuoi" e io me ne vado dal mio. Stop. Non ci vuole
mica tanto.
Rise, quindi nella sua
fantasia sentì Corrado rispondergli Hai ragione amore, mi dispiace.
Vedi, purtroppo il mio amante è talmente bravo che ogni volta che me lo scopo,
mi fa dimenticare persino il mio nome. Cercherò di fare il possibile per venire
incontro alle tue richieste, cucciolotto.
- Ecco, questa te la
potevi benissimo risparmiare, Brian – pensò, inveendo contro se stesso
per aver pensato una cosa così stronza. Anche se si fosse trovato un amante, il
pensiero che Corrado potesse trovarlo più attraente di lui, lo faceva
irrimediabilmente partire per la tangente.
Si rimise giù per cercare
di dormire, però fece fatica a riprendere sonno. Un po' per l'incubo che aveva
fatto, e un altro po' perché era la prima volta che si ritrovava a letto da
solo senza Corrado. Era una sensazione nuova e leggermente inquietante.
Sciocchezze, disse una voce nel suo
cervello, pensa che domani potrai
vederti con Riccardo, e se Corrado non si fa sentire, tanto peggio per lui.
- Sì... giusto. –
pensò, chiudendo gli occhi e cominciando a dormire.
*****
L'incontro con Riccardo
non avvenne, perché lui l'aveva annullato all'ultimo momento. Di questo Brian
si era rammaricato un po', quindi era rimasto da solo in casa a rilassarsi come
faceva di solito. Chattò un po' su Whatsapp con Carlo, che lo informava di aver
trovato una nuova fiamma e poi di averla mandata a quel paese perché gli aveva
chiesto di fare dei giochetti sado-maso.
Brian aveva riso, ma poi
la mente era tornata a Corrado, che non si era fatto sentire per tutto il
giorno ed erano ormai le sette di sera. Pensò di parlarne con Carlo, ma poi accantonò
l'idea giudicandola un po' balzana. Già immaginava le battutine dell'amico che
non aveva alcuna voglia di sentire.
Provò a scrivergli un
messaggio, per vedere se rispondeva.
Amore, dove sei? Gli scrisse,
attendendo una risposta.
Poi tornò a guardare la
televisione.
*****
Due giorni dopo, il
messaggio che gli aveva mandato era ancora lì. Consegnato ma non letto. Non
potendo sapere se fosse entrato ultimamente perché Corrado teneva l'ultimo
accesso disattivato, Brian pensò di telefonargli; non fosse altro perché erano
già passati due giorni senza che lo vedesse né gli scrivesse, e cominciava a
preoccuparsi.
Provò a chiamarlo tre o
quattro volte, ma non ottenne risposta. La quarta volta lo
trovò addirittura spento. Meditò se rivolgersi ai carabinieri per ritrovarlo,
ma poi si fermò, pensando due cose: primo, che non era il caso perché era
passato troppo poco tempo; e secondo, perché poi una cosa del genere avrebbe
coinvolto anche la sua famiglia, di cui lui non era parte.
Più tardi proverò a
chiamare sua sorella, pensò, mentre si preparava per uscire.
Alla televisione c'era il
telegiornale, cosa che Brian in vita sua non aveva mai guardato perché non lo
capiva. Però per tutto quel giorno e per quella sera si era sintonizzato per
vedere se magari c'erano notizie infauste riguardo a Corrado che doveva sapere.
Dai titoli non sembrava esserci nulla a riguardo, però la sensazione di disagio
e preoccupazione permaneva.
Più tardi quello stesso
giorno, Brian provò a chiamare Valeria. Non aveva per niente voglia di
sentirla, ma quella era un'emergenza. Nonostante il riscaldamento acceso, Brian
sentiva freddo. Era la sensazione di odio che provava per la cognata a farlo
reagire così, ma cercò di contenersi. Si avvicinò al termosifone, appoggiandosi
vicino al muro per non scottarsi.
- Pronto? – la voce
di Valeria gli arrivò forte e chiara.
- Pronto, Valeria?
–
- Sì, chi è? –
domandò, come se Brian non sapesse che aveva il suo numero.
- Sono Brian, Valeria,
ciao. –
- Oh! Ciao Brian, che
piacere sentirti...! Come stai? –
- Abbastanza bene.
Sopravvivo. E tu? –
Lei rise – "Abbastanza
bene"? – lo canzonò – Con quello
che ti fa fare (anzi, non ti fa fare) mio fratello, dovresti stare benissimo,
caro...! Io comunque sto bene, grazie! –
- A proposito di lui
– tagliò corto Brian, stringendo un pugno – L'hai
per caso visto in giro? –
- Perché me lo chiedi
scusa? Non è a casa con te? –
Se fosse qui con me,
pensi forse che ti avrei chiamato, brutta scema di un'oca ruffiana cretina
deficiente? Pensò Brian, ma non rispose.
- Comunque non l'ho
visto. L'ho sentito qualche giorno fa che mi chiedeva in prestito la macchina.
La Punto, sai quale dico? –
- Ah. Davvero? Ti ha
chiesto in prestito la macchina...? –
- Sì, davvero...! Ha detto che la sua era in riparazione, per cui aveva
bisogno di un'auto. E io gli ho dato volentieri la
mia, tanto non la uso...! –
Qualcosa scattò nella sua
testa. Una sensazione strana, come la reazione chimica che ha il bicarbonato
quando ci si versa sopra l'aceto: una cosa che ribolliva e minacciava di
esplodere. - Ti ha detto che la sua era in riparazione. – disse, in tono
affermativo.
- Sì – disse lei,
ridacchiando – Cos'è, non mi credi? E poi dovresti saperlo, se vivi con
lui, che la vostra macchina in è
riparazione. –
- Sì, certamente –
disse Brian, cercando di non farsi cogliere impreparato – Lo so. Stavo
pensando a un'altra cosa. Comunque tu non l'hai visto e non è lì con te, ho
capito. Casomai mi chiami se lo vedi, va bene? Ti ringrazio. Adesso scusami, devo
scappare giù in portineria perché la signora Visentin mi ha chiamato poco fa.
Ciao-ciao! – disse, e chiuse frettolosamente la telefonata senza nemmeno
attendere la risposta della cognata.
Alzò gli occhi verso il
televisore, digrignando i denti. Guardò fuori dalla finestra del soggiorno, che
dava sul parcheggio esterno, quindi corse all'attaccapanni e s'infilò il
cappotto.
*****
Sceso al parcheggio, con
le braccia incrociate, andò verso l'auto che aveva visto dalla finestra.
Controllandone la targa.
Non c'erano dubbi. Era
proprio la macchina di Corrado, la vecchia Opel Corsa color carta da zucchero.
Era parcheggiata al suo posto, in attesa del suo padrone. Ma lui dov'era?
Un pensiero gli
attraversò la mente.
Stai a
vedere che si è davvero trovato un amante, quello stronzo. Magari più
giovane di me. Adesso ti piace ficcarlo nella carne fresca, eh?
Un moto di collera
cominciò ad agitarsi dentro di lui, mentre stizzito si allontanava dal
parcheggio per tornarsene in casa. Si sentiva ribollire dalla rabbia al
pensiero che la sua fantasia si fosse realizzata, cioè che Corrado si fosse
trovato un amante più giovane di lui.
Poi improvvisamente, una
vocina nella sua mente gli parlò.
Senti chi parla di farsi
un amante. E se così non fosse? Magari gli è davvero successo qualcosa e tu non
lo sai. Nessuno ti da il diritto di pensare che ti
stia tradendo. E poi voglio ricordarti che anche tu lo stai tradendo, da molto
più tempo. Quindi anche se si fosse trovato un amante, ne avrebbe anche tutto
il sacrosanto diritto.
La sensazione di collera
si calmò con l'andare della serata, trasformandosi in un'altra sensazione,
quella del rimorso. Il silenzio della casa non gli piaceva, lo trovava
inquietante e carico di oscuri presagi. Ancor meno gli piaceva appoggiare i
piedi sul cuscino del divano anziché sulle gambe di Corrado affinché glieli
scaldasse con le sue mani se sentiva freddo. Se si sentiva così quando mancava
Corrado, pensò, forse era il momento di chiudere quella storia con Riccardo... anche se sarebbe stato difficile.
*****
Il giorno dopo, Brian
andò in palestra. Carlo gli aveva detto che era indietro con l'inventario in
negozio e quindi non sarebbe stato con lui, perciò era andato da solo. Un po'
di ginnastica lo avrebbe aiutato a sfogare la tensione accumulatasi dentro di
lui dopo due giorni e mezzo senza Corrado.
Dall'altra parte,
Riccardo continuava a parlare poco. Non gli aveva riferito del fatto che
Corrado era scomparso, perché era una cosa sua. E come tutte le cose sue, Brian
preferiva gestirla da solo. Non che gli dispiacesse, in quel momento, che
Riccardo fosse poco parlante: d'altronde, aveva altro per la testa.
Per esempio, il fatto che
anche Corrado non rispondesse ai messaggi. Ci aveva dato uno sguardo prima di
entrare in palestra, ma niente. Corrado non aveva ancora risposto. Ci stava
ripensando in quel momento, mentre era sul tapis roulant a terminare i venti
minuti di corsa, quando udì il trillo di un messaggio Whatsapp interrompere
l'esecuzione della canzone che stava ascoltando.
Tirò fuori il telefono
dalla tasca dei pantaloncini e guardò chi era. Quando lo vide, ebbe un tuffo al
cuore.
Io e te, dobbiamo fare
una chiacchierata.
Corrado era finalmente
risorto dalla sua assenza. Brian pigiò i pulsanti del tapis roulant per
rallentarne la velocità, quindi fece per rispondere al messaggio del suo
ragazzo.
Sì, scrisse,Dobbiamo
proprio parlare. Si può sapere dove cazzo sei stato in questi tre giorni?
Lo stato di Corrado
cambiò da "online" a "sta scrivendo..."
In albergo.
Ah in albergo? E dimmi,
con chi eri?
Da solo.
Frasi telegrafiche,
smozzicate. Brian era in collera con il suo ragazzo, ma era più una difesa che
altro. Difesa che sarebbe crollata di lì a poco.
Secondo me invece ti vedi
con uno. Chi è? Quanti anni ha? Scommetto che è più giovane di me. Hai trovato
altro su cui indirizzare le tue attenzioni, per caso?!?
Io, no.E tu?
Anche se in quel momento
stava facendo l'incazzato, in realtà era spaventato. La domanda lo lasciò spiazzato. Inizialmente non capì, quindi fece per
replicare componendo un nuovo messaggio, quando all'improvviso sullo storico
della conversazione con Corrado apparvero delle immagini. Grazie al Wi-Fi della
palestra, arrivarono in un secondo e gli si chiarificarono davanti,
causandogli, nell'ordine: un tuffo al cuore, una sensazione di gelo lungo tutto
il corpo e infine il crollo degli arti inferiori.
Premette il pulsante di
stop d'emergenza del tapis roulant, fermando la sua corsa, mentre scorreva le
immagini che lo ritraevano in atteggiamenti intimi insieme a Riccardo.
- Cazzo... - mormorò
soltanto, provocando le attenzioni di una dei personal trainer che erano lì,
Pamela.
- Brian! –
l'apostrofò, vedendo che si era appoggiato al tapis roulant come uno che ha
appena avuto un attacco di cuore – Cos'hai? Va
tutto bene? –
Brian aspettò un momento
prima di rispondere, mentre metteva via il cellulare. Intanto, altri messaggi
gli arrivarono.
- No – rispose
Brian – No, non va tutto bene. Perdonami Pamela. Devo andare. Ci vediamo.
– disse, e svicolò via verso gli spogliatoi.
Cazzo, cazzo, cazzo,
cazzo, cazzo... cazzo...! Dove ho sbagliato...? Dove?
Da quando era uscito, o
per meglio dire schizzato fuori come un missile dalla palestra, dopo che
Corrado gli aveva detto che era a casa (non gliel'aveva detto con le parole, ma
condividendo la sua posizione), Brian stava pensando a come aveva fatto a
scoprirlo, ma soprattutto a cosa dirgli per giustificare una cosa del genere.
Se in passato si era lamentato che il tragitto dalla palestra a casa era lungo
per via di tutte le fermate della metro che stavano in mezzo, in quel momento
sembrò anche troppo corto. Aveva paura di Corrado e della sua reazione. Primo,
perché questa era una cosa troppo grossa per entrambi; secondo, perché non
aveva ancora capito bene cosa provava per Riccardo. Formalmente, lui era ancora
legato a Corrado e gli voleva bene, ma non sarebbe stato pronto a separarsi da
lui.
Dovevi fare una cosa
sbagliata e l'hai fatta nel migliore dei modi, gli venne da pensare. Si mise a ridere di
quella battuta cretina, all'inizio sommessamente, ma poi la risata diventò
talmente fragorosa che qualche passeggero del treno si girò a vedere chi fosse
che sghignazzava così tanto. Non avrebbero mai immaginato che la ragione di
tutto quel baccano era l'inizio di un esaurimento nervoso.
Pensando e ripensando,
arrivò alla sua fermata, alla quale scese più per abitudine che per volontà.
Camminando velocemente, arrivò al cancello del suo condominio. La vita lì
scorreva tranquillamente come ogni giorno di qualsiasi stagione, con mamme che
portavano a spasso i bambini in passeggino, persone con il cane al guinzaglio,
la signora Visentin che spazzava il portico d'ingresso e le luci accese nelle
case. Tutto era normale, anche se agli occhi di Brian il tempo aveva
incominciato a scorrere più lentamente, fondendosi in una sensazione d'irrealtà
che lo stava avvolgendo come una melassa, rallentandogli i passi.
Quando arrivò al portone
della sua palazzina, la signora Visentin gli rivolse un gentile cenno di
saluto. Troppo impegnato a pensare ai suoi guai, lui non le rispose,
continuando ad avanzare lentamente, come un robot.
Pigiò il tasto per chiamare
l'ascensore, e mentre questo scendeva e si aprivano le doppie porte, Brian
pensava: è finita. È l'ultimo capitolo di questa storia.
*****
Arrivato a casa, aprì la
porta senza problemi. Segno che Corrado non aveva cambiato la serratura. Ovvio,
come avrebbe potuto? Era stato via due giorni, e non
era possibile cambiare una serratura in poche ore, il tempo in cui lui era
stato in palestra.
Entrò lentamente, come un
ladro. O come qualcuno che ha paura di entrare in un luogo dove sa che non c'è
niente di buono per lui. Oltre il disimpegno dell'ingresso, il salotto era ben
illuminato, come al solito. Come in una serata qualunque.
Con la borsa della
palestra ancora a tracolla, attraversò lentamente il piccolo disimpegno in
penombra, finché non lo vide.
Corrado era lì, in piedi
accanto al tavolo del soggiorno, con delle fotografie in mano. Il suo sguardo
era grave, severo. Brian avrebbe giurato che non l'aveva mai visto così.
Si guardarono per
interminabili minuti, durante i quali nessuno dei due disse nulla, finché a un
certo punto Corrado non venne avanti, guardandolo negli occhi. Si fermò a
distanza di circa due metri da lui, quindi con un gesto fulmineo alzò la mano e
gli scaraventò tutte le fotografie addosso. Le immagini volarono per un attimo,
poi si posarono sul pavimento, mostrando Brian e Riccardo che cenavano insieme,
che parlavano e soprattutto... che si baciavano appassionatamente in macchina.
Brian si scostò, facendo
cadere la borsa della palestra, cercando di ripararsi da un ipotetico schiaffo
o pugno che si aspettava, che però non arrivò. Al loro posto, gli piovve una
domanda sulla testa.
- Da quanto va avanti
questa storia? –
Rimettendosi in piedi,
Brian si morse il labbro inferiore, tentando di rispondere.
- Ti ho fatto una
domanda, Brian. Da quanto tempo-va avanti-questa storia. –
disse, alzando la voce e sottolineando le sue parole con un gesto della mano
destra.
Ancora nessuna risposta.
- Mi fai
schifo Brian. Mi fai semplicemente e indubbiamente schifo. –
- Anche tu –
mormorò Brian.
- Anche io cosa? –
- Anche tu mi fai schifo!
– strillò, avvertendo i prodromi di una crisi di pianto – Non-non
mi hai toccato per-per-per per quattro anni! E adesso
vieni qui a d-d-d-dirmi che fa-fa-fa-faccio
schi-schi-schifo! M-m-m-ma Va-va-vai a F-f-f-are in c-c-c-culo!!!– concluse, urlando e balbettando, una sua
caratteristica di quando s'incazzava.
- E chi sarebbe
questo qui?! Eh? È uno che non fa un cazzo tutto il
giorno, scommetto!!! È comodo non avere un cazzo da
fare tutto il giorno e poi scopare come dei ricci i ragazzi degli altri, eh?!?
Sì che è comodo, cazzo! Io invece ho lavorato!! Ho
lavorato tutti questi fottuti cinque anni per cercare di farti fare una vita
tranquilla!!! – urlò, sbattendo
violentemente entrambi i pugni sul tavolo che era lì vicino - Sono
anche stato licenziato, porca puttana, e questo è il tuo ringraziamento?! Mi
fai schifo, Brian! Schifo, schifo, schifo!!!– urlò Corrado, rosso in viso dalla rabbia
mentre continuava a tempestare i pugni sul tavolo.
Brian aveva gli occhi
gonfi di lacrime e la sua frustrazione era alle stelle – N-n-no-non
c'è solo il l-l-la-lavo-vo-voro nella v-vi-vi-vita!!!
C'è anche il saper entrare in sintonia con gli altri! Non lo capisci,
questo? –
- Basta! Basta con queste
cazzate!!! – urlò Corrado, quindi a
grandi falcate attraversò il corridoio e andò verso la camera da letto. Mentre piangeva, Brian lo udì afferrare qualcosa, poi sentì il
rumore delle ruote del suo trolley.
Corrado ricomparve poco
dopo, con un borsone nella mano e il trolley di Brian nell'altra. Glieli buttò
entrambi ai piedi, dando un calcio al trolley.
- Fuori. Vattene. –
- Corrado, tu non puoi
... -
- Ho detto fuori!
Vattene! Vattene dal tuo amante, e goditi la vita! – urlò,
quindi si girò e diede le spalle a Brian. Per lui il discorso era chiuso.
Brian fece per ribattere,
ma stava continuando a piangere. Rimase lì, in piedi a guardarlo.
- Ti ho detto di
andartene, Brian. Vattene subito. –
- P... però... s-s-se mi
lasci... spie..spiegare... –
A quel tentativo di
ricominciare il discorso, Corrado si girò, con un'espressione assassina in
volto.
- Non hai sentito
quello che ti ho detto, porca puttana?! Vattene! Sei
tu che lo hai voluto, non io!!!– urlò,
sospingendolo fuori dalla porta e chiudendogliela in faccia.
- Corrado!! No!! Corrado!!
Aspetta, ti prego, parliamone!!! – disse mentre
piangeva a dirotto e suonava il campanello. Ma la porta rimase chiusa, e lui
fuori sul pianerottolo.
- C...Corrado...
- piagnucolò, prima che l'ultima sillaba del nome del suo ragazzo gli si
spegnesse in gola. Si rese conto che sarebbe stato inutile cercare di
rientrare, perché udì Corrado che metteva il paletto e la catena alla porta.
Piangendo, Brian raccolse
le due valigie e scese le scale.
Nell'appartamento,
Corrado era con la schiena contro la porta. Per un momento pensò di richiamare
indietro Brian e dirgli che forse potevano pensarci, ma la sua parte razionale lo fermò bruscamente, dicendogli che nessuno avrebbe potuto
assicurargli che se l'avesse perdonato, Brian non avrebbe continuato a tradirlo
con quel tizio.
Addolorato, con la gola
consumata dalle urla e il cuore spezzato, scivolò lentamente sul legno della
porta, accasciandosi a sedere sul pavimento, dove incominciò un pianto
silenzioso e interminabile.
Calata la sera, Brian era di nuovo in
metrò per raggiungere casa di Riccardo. Aprì Whatsapp, e vide che l’avatar di
Corrado era sparito.
L’aveva bloccato.
- Certo, bloccami
pure. Vaffanculo. – mormorò, con gli occhi rossi e il viso dello stesso colore.
Poiché non voleva
presentarsi all’improvviso davanti alla sua porta, Brian aveva scritto a
Riccardo che finalmente si era deciso a lasciare Corrado, però distorcendo gli
eventi per come si erano svolti: gli aveva raccontato che quando Corrado era rientrato
a casa, lui aveva cercato di parlargli e spiegargli che cosa c’era che non
andava. Non l’avessi mai fatto, gli
aveva scritto, è montato su tutte le
furie e mi ha sbattuto fuori di casa, ed io adesso non so dove andare.
Per dire la verità,
le risposte di Riccardo l’avevano lasciato un po’ freddo all’inizio.
Non puoi andare da quel tuo amico, Carlo? Gli aveva chiesto. Brian gli aveva risposto che Carlo
viveva con la madre e non poteva ospitarlo. Naturalmente era una bugia, perché
Carlo avrebbe fatto di tutto per il suo migliore amico, e anche sua madre che
lo conosceva da ormai tanti anni.
Allora dai tuoi genitori?
Leggermente
seccato, Brian Stava per rispondergli che tornare dai suoi era fuori
discussione perché non aveva voglia di metterli in mezzo nelle sue questioni,
contestualmente chiedendogli se lui aveva voglia di vederlo. Stava già per
incavolarsi per la seconda volta in quella sera, quando a un certo punto
Riccardo gli scrisse Dai, stavo
scherzando. Puoi venire da me, se ti va.
Così ora era in
viaggio verso di lui, più che mai voglioso di vederlo.
*****
Il campanello di
Riccardo suonò tre volte.
Aperta la porta, si
trovò il suo giovane amante, con un trolley in una mano e un borsone
nell’altra, a tracolla invece il borsone della palestra.
- Siamo liberi
– disse allora Brian, con le lacrime agli occhi – Siamo liberi,
amore mio! –
Riccardo non disse
nulla, limitandosi a prenderlo a sé mentre chiudeva la porta, abbracciarlo e
baciarlo con passione.
Quella sera fecero
l’amore per tutto il tempo, addormentandosi e poi risvegliandosi, e poi
rifacendolo ancora. Brian non si era mai sentito così bene, pensò mentre le
prime luci dell’alba facevano capolino dalla grande finestra del loft di
Riccardo. Sentire il suo respiro contro la sua spalla e il calore del suo corpo
contro il suo era semplicemente stupendo. Pensò a Corrado, a ciò che gli aveva
detto per lasciarlo. La sua scusa era stata che, avendo un lavoro, era troppo
preso per fare l’amore con lui. Scosse la testa. Che scusa patetica, pensò, accoccolandosi ancor di più a Riccardo
mentre dormiva, baciandogli la mano. Una sensazione di pienezza e serenità
s’impadronì di lui mentre si addormentava e pensava: Adesso sono al mio posto.
La stessa cosa
l’aveva pensata agli inizi con Corrado, una delle prime volte che dormirono
insieme. Reduce di molti appuntamenti andati male con uomini che volevano solo
il suo corpo, Brian si era stupito di come il giovane ingegnere fosse stato
cortese: quella volta aveva persino intuito che Brian non se la sentiva di fare
sesso, quindi l’aveva semplicemente tenuto abbracciato tutta la notte, con il
pigiama indosso. Per tante notti avevano dormito insieme limitandosi alle
coccole e ai baci, così che, quando arrivò il momento della loro prima volta,
Brian si sentì bene, talmente tanto da pensare Sono al mio posto, la stessa cosa che stava pensando in quel
momento, a distanza di tanti anni e su un letto diverso.
Nel sonno, fece
strani sogni. Sognò di volare in uno spazio aperto, forse una prateria o
l’infinito blu del mare. Poi improvvisamente scendeva di quota, fino a cadere
nell’acqua, venendo avvolto da una sensazione dapprima calda e accogliente, ma
poi via via più stringente, che minacciava di soffocarlo.
Quando si svegliò,
il mattino dopo, fu ben contento di essere tornato alla realtà. La casa non era
più il bilocale insieme a Corrado, ma il loft di Riccardo, che ora era lì
seduto al tavolo che lo guardava con desiderio mentre lui gli preparava la
colazione.
Inizia la mia nuova vità, pensò Brian, mentre con dolcezza serviva la colazione
al suo nuovo ragazzo.
Dal suo insediamento a casa di Riccardo
erano passati alcuni giorni. Nel cambio da un appartamento all’altro Brian non
ci aveva guadagnato nulla, essendo le sue mansioni sostanzialmente uguali a
quando viveva con Corrado; si alzava la mattina e preparava la colazione, poi
si metteva a spolverare e a fare il bucato, con la differenza che Riccardo era
in casa, ma era una presenza più che discreta: faceva colazione, lo salutava
con un bacio e poi andava a mettersi al lavoro sui suoi quadri, qualche volta
scattando fotografie che poi inseriva sulla sua galleria internet (di cui Brian
aveva appreso l’esistenza solo da pochissimo). Ogni tanto usciva, assentandosi
anche per ore prima di tornare a casa, peraltro senza avvisarlo.
- Potevi avvertirmi
che saresti tornato tardi – gli aveva detto una volta Brian, mentre erano
a cena. Riccardo non aveva risposto, continuando a mangiare. Brian allora aveva
lasciato cadere l’argomento, perplesso.
Quando Riccardo era
in casa e lui intento a fare i mestieri, poteva capitare che gli prendesse la
voglia e decidesse di possederlo lì per lì. Di questo Brian era molto contento,
però poi anziché restare e coccolarlo, si dileguava senza dirgli nulla, uscendo
per andare chissà dove.
Oltre a questi
episodi di vita domestica, continuavano a uscire e fare cose insieme, come
andare a cena e pranzo fuori, al cinema, alle mostre. In una di queste gli
aveva anche presentato Enrica, la sua agente, una donna sulla cinquantina che
era molto contenta del suo pupillo, e che lui trattava quasi come se fosse una
fidanzata.
Una sera l’aveva
anche portato a una mostra-vendita di suoi quadri.
Fu esattamente lì
che Brian cominciò a nutrire qualche dubbio sul suo nuovo ragazzo.
La serata era
incominciata con Riccardo che, insieme alla sua agente riceveva i visitatori: lui
o lei si avvicinavano quando vedevano un visitatore osservare un quadro,
raccontandogli che cosa rappresentasse e a quali correnti artistico-pittoriche
si ispirasse. Poi, quando il visitatore era imbonito a sufficienza, lo
portavano in un piccolo ufficio dove presumibilmente veniva conclusa la
vendita, completa di probabile distacco di assegno per migliaia di euro.
L’ufficio era una specie di gabbiotto con la porta in vetro smerigliato e
finestre con delle veneziane, che in quel momento erano abbassate.
Per tutta la serata
Brian era rimasto in disparte, andando di qua e di là per la galleria,
osservando i quadri di Riccardo. Per essere belli lo erano, ma di certo non
erano più originali di opere figlie del futurismo, corrente alla quale si
ispiravano.
Mentre girava alla
cieca nel dedalo creato dalle finte pareti della sala, si sentì leggermente
escluso: Riccardo era lì per lavorare, d’accordo, ma era lui il capo di se
stesso. Quindi perché non lo faceva sentire un po’ più a suo agio? Per tutto il
tempo, da quando erano entrati fino a quel momento, Brian aveva cessato di
esistere. Ogni tanto aveva provato ad avvicinarsi a lui, ma Riccardo era
semplicemente svicolato via, diretto verso questo o quel visitatore che stava
guardando i suoi quadri.
All’improvviso gli
sovvenne il ricordo di quando partecipò a un evento ufficiale insieme a
Corrado: la festa di Natale della sua azienda, il primo anno che ci lavorava.
Corrado era dichiarato con i suoi colleghi, anche perché non era il solo
omosessuale, essendoci anche un altro suo collega che aveva portato il
rispettivo compagno. Al contrario di Riccardo, Corrado l’aveva presentato ai
suoi colleghi come il suo partner, parlando naturalmente e coinvolgendolo nelle
conversazioni (benché Brian non sapesse cosa dire, essendo totalmente a digiuno
di termini come inside sales, project managing, business development e altro). Anche se non era proprio al suo
posto, Corrado a un certo punto della serata gli aveva chiesto se si stesse
annoiando o se desiderasse tornare a casa. Lui aveva risposto di no,
sorridendogli, felice perché erano insieme. Corrado gli aveva sorriso e gli
aveva educatamente baciato la mano, facendogli un occhiolino. Un gesto
semplice, dolce, che aveva apprezzato con tutto il cuore.
Perso
momentaneamente nei suoi ricordi, mentre girava per la galleria si era accorto
che Riccardo era entrato nell’ufficio insieme ad un giovane ragazzo molto
carino. Le veneziane erano abbassate, ma la porta smerigliata offriva una
visuale delle due figure all’interno. Vide quello che presumibilmente era
Riccardo andare dietro la scrivania e incominciare a parlare, quindi distolse
lo sguardo in cerca di un posto per sedersi. Lo trovò. Con la gente che gli
passava davanti, non vide bene quello che stava succedendo nell’ufficio, ma per
un momento fu sicuro di aver visto Riccardo in piedi accanto alla sedia dove
c’era il visitatore, fermo immobile. E il visitatore dov’era…? Forse seduto lì?
Perché Riccardo gli si era avvicinato così tanto? Forse per aiutarlo a firmare
un assegno…?
Il suo corso dei
pensieri fu interrotto da una signora anzianotta con un bastone che gli
chiedeva se potesse sedersi, dato che non c’erano sedie libere e lei era un po’
stanca. Brian le cedette volentieri il posto. Quando si alzò, vide che Riccardo
e il ragazzo giovane erano usciti; si erano stretti la mano e il giovane se
n’era andato.
Ha solo concluso una vendita. Cosa pensavi stesse
facendo?
Sospirò, quindi
andò al tavolo e si fece versare un altro bicchiere di spumante.
Alle undici e mezzo
circa, gli ultimi visitatori stavano lasciando la galleria. Brian camminava
barcollando e la testa gli girava per il troppo vino che si era messo in corpo.
- Arrivederci, e
grazie per essere venuti a trovarci! – stava dicendo Riccardo mentre
salutava la signora anziana a cui Brian aveva ceduto il posto. Poi si girò
verso di lui – Brian! – esclamò, con un sorriso da venditore di
auto, andandogli incontro come se lo vedesse per la prima volta – Vedo
che ti sei divertito – affermò, sorridendo.
- Diciamo di sì
– disse Brian.
- Com’era lo
spumante? Buono? – gli domandò la sua agente. Non fece in tempo a
rispondere, che Riccardo lo fece per lui.
- Ah sì, lui è un
intenditore di vini. Anzi, per dire la verità, è un intenditore di alcoolici:
ogni volta beve sempre molto. –
Brian si sentì
leggermente preso in giro da quel tono e soprattutto da quell’affermazione.
Riccardo doveva averlo notato, per cui si affrettò a dire – Ovviamente
scherzo. Brian, tesoro, io qui ho quasi finito. Devo dare le ultime istruzioni
ai ragazzi che dovranno smontare i quadri. Tu vuoi andare a casa?domandò.
- Beh, se non
possiamo tornare insieme… -
- Okay – gli
disse. Sembrava sovraeccitato, come se si fosse fatto una pista di cocaina.
Molto probabilmente la serata era andata bene, doveva aver incassato parecchi
assegni dalla clientela. – Enrica, me lo accompagni a casa, per favore?
–
- Ah, non fa
niente. Andrò a casa da solo – disse Brian, alzando una mano e agitandola
debolmente.
- Da solo? E con
cosa? La metro chiude fra mezz’ora. –
Brian si batté un
colpo sulla fronte. L’ubriachezza gli aveva fatto perdere la cognizione del
tempo.
- Non ti
preoccupare – gli disse Enrica, prendendolo sottobraccio – Ti
accompagno volentieri a casa. –
- Grazie –
disse Brian, mentre i due si allontanavano. Si girò per dire a Riccardo Ci vediamo più tardi, ma se n’era già
andato.
Della serata in
generale gli erano rimasti, oltre al vino che si era messo in corpo, anche un
bel po’ di dubbi. Possibile che Riccardo fosse così preso dal suo lavoro da
dimenticarsi del suo ragazzo…? Per tutta la serata non aveva fatto altro che
intortare i clienti e ignorarlo, e adesso concludeva l’opera mandandolo via
senza neanche salutarlo…?
Ancora una volta si
ritrovò a pensare a Corrado, questa volta però dicendo a se stesso di
smetterla: Corrado era un’altra storia, un’altra epoca. E poi con Corrado non
si era mai divertito come stava facendo adesso con Riccardo. Mise a tacere più
volte quella vocina mentre era in macchina con Enrica, che al pari di Riccardo
non lo stava degnando di una parola, e la mise a tacere una volta arrivato a
casa e infilatosi sotto le coperte aspettando che lui rincasasse. Perché Sì,
stava bene con Riccardo e niente e nessuno gli avrebbero fatto pensare il
contrario.
*****
La conferma che
poteva essersi sbagliato in merito agli accadimenti della mostra la ebbe alcuni
giorni dopo, quando si svegliò e scese dal soppalco. Riccardo non c’era, ma al
suo posto, sul tavolo della cucina c’erano un gran mazzo di rose rosse e un
vassoio con alcuni pasticcini mignon. Accanto a questi, c’era un biglietto.
Al ragazzo più bello che abbia mai incontrato: Brian.
Grazie di esistere, cucciolotto,
diceva, e la sua firma includeva i soliti cuoricini che solitamente gli
scriveva su Whatsapp. Brian sorrise dolcemente, guardando le rose e cercando un
recipiente dove metterle. Quello era stato un bel gesto da parte sua.
Più tardi era
tornato, dopo aver fatto un po’ di footing nel parco adiacente. Gli aveva
sorriso e l’aveva baciato dolcemente.
- Scusami se ti ho
un po’ trascurato l’altra sera – gli aveva detto – Purtroppo i
clienti erano tanti e io dovevo assolutamente cercare di vendere più quadri
possibile. -
- Non importa
– rispose Brian – Spero tu abbia fatto dei buoni affari. –
- Se li ho fatti…?
Altroché! Ho venduto almeno sei quadri. Oggi sono arrivati gli incassi degli
assegni. Ho guadagnato poco meno di diecimila euro. –
- Complimenti
– gli disse Brian – Grazie per aver condiviso la tua contentezza
con me. –
- Questo e altro,
per il mio cucciolo – rispose Riccardo, baciandolo e toccandogli il
sedere. Brian si lasciò toccare, inspirando a fondo il suo profumo mentre lo
baciava sul collo.
La sera stessa fece
l’amore insieme a lui. O meglio, quello che sembrava essere amore.
Mentre Brian stava
godendo delle spinte di Riccardo ed era quasi all’apice del piacere, sentì che usciva,
soddisfatto, dandogli un bacio sulla fronte. Poi si era messo su un fianco e si
era addormentato.
Brian aveva aperto
la bocca per dire qualcosa, ma quel comportamento l’aveva lasciato senza
parole. Lentamente (non se n’era reso conto da sé, ma si stava muovendo con
circospezione, come fosse stato un intruso) era scivolato via da sotto le
coperte, scendendo dal soppalco per andare in bagno.
In bagno, dopo aver
concluso in solitaria il rapporto sessuale incominciato e lasciato a metà da
Riccardo, si fece una doccia. Cercò di pensare al perché di quell’improvviso
gesto di poca considerazione. Che ricordasse, tutte le volte che avevano fatto
l’amore, Riccardo l’aveva sempre aspettato. Come mai questa volta si era
lasciato guidare solo dall’ormone…?
Calma, Brian. Calmati. A volte ti fai troppe domande.
Non potrebbe essere che Riccardo ha avuto una giornata un po’ stressante?
Dopotutto deve cercare di vendere i suoi quadri e creare nuove idee. Magari era
solo un po’ stanco per aspettarti.
Con l’accappatoio
indosso, Brian andò nell’angolo salotto e si sedette sul divano. Accese il
televisore e guardò verso l’ingresso: lì c’era il suo cappotto, il suo borsello
e il suo trolley con i due borsoni. Si alzò, prese in mano il borsello e ne
estrasse il pacchetto di Winston (ne era rimasta soltanto una quindi decise che
magari il giorno dopo sarebbe passato a comprarne un altro pacchetto),
prendendo l’ultima sigaretta rimasta insieme all’accendino.
Tornò al divano e
si accese la bionda, incominciando a fumarla.
Lo sguardo tornò ai
suoi bagagli, che gli diedero un po’ da pensare. Era lì da quasi un mese ormai,
e ancora Riccardo non gli aveva detto che poteva tranquillamente sistemare la
sua roba dove voleva. D’altro canto lui non si sentiva di tirare fuori delle
cose che magari avrebbero potuto confondersi con quelle di Riccardo… perché?
Sei solo un po’ stressato dal cambiamento, si disse, dopotutto
un mese non è sufficiente perché ti scrolli di dosso tutto il tempo passato
insieme a quell’ameba di Corrado. Dai tempo al tempo, e vedrai che tutto si
sistemerà.
- Già, ma… che
incentivi ho? – mormorò, pensando a quanto era appena successo.
Si voltò, guardando
il tavolo della cucina dove c’erano ancora le rose in vaso di vetro. Nella
penombra apparivano come fiori neri e inquietanti.
Esatto,
continuò la vocina nella sua testa, non
sarà l’ultimo gesto di affetto che ti rivolge, stai pure tranquillo. Dormici
sopra e goditi la tua nuova vita.
Terminò la
sigaretta, spegnendola nel posacenere sul comodino accanto al divano, e si alzò
per tornarsene a letto.
Amore è anche migliorare per una persona che si ama.
Quella frase l’aveva
letta da qualche parte in passato, forse in uno dei tanti forum che girava
quando ancora era ragazzino, alla ricerca dell’amore che poi trovò da
tutt’altra parte (galeotto fu l’Open Day di facoltà).
Gli tornò in mente quella frase mentre era dal tabaccaio,
che lo guardava con un’espressione a metà tra il perplesso e lo spazientito.
- Allora, ha
deciso? Ci sono altri che devo servire dopo di lei. – lo
redarguì.
- Due, per favore –
disse finalmente Brian riavendosi dalla sua trance, e il tabaccaio gli prese un
altro pacchetto di Winston e glielo mise sul vassoietto concavo lì vicino.
Brian le afferrò come se fossero una medicina portentosa in grado di guarirlo o
almeno farlo stare meglio.
I giorni in cui
comprava così tante sigarette erano finiti più o meno quando aveva spento
ventidue candeline sulla torta, aveva tagliato i lunghi capelli rossi (che
ormai gli arrivavano quasi alla base della schiena) ed erano circa quattro anni
che era insieme a Corrado. Lui non gliel’aveva nemmeno chiesto. Corrado l’aveva
accettato così com’era, coi suoi capelli lunghi e rossi e le sue innumerevoli
efelidi sulla pelle, e ovviamente con il vizio del fumo. Però un certo punto della
sua vita e della loro relazione, Brian aveva pensato che forse poteva essere
meglio di com’era, magari aggiustando qualcosa qua e là. E tra le cose da
aggiustare rientrò anche la decisione di smettere di fumare.
Così l’aveva fatto:
un bel giorno aveva fumato l’ultima sigaretta e poi, semplicemente, non ne
aveva comprate più. Ogni tanto Carlo aveva tentato di offrirgliene, ma lui non
le accettava più. Perché? Gli
domandava Carlo.Brian gli rispondeva
semplicemente che non ne aveva voglia. Non diceva nemmeno “sto cercando di smettere”, perché sarebbe stato come dire che aveva
voglia di fumare ma non poteva farlo, mentre invece non era così: allora non
sentiva per niente il bisogno di fumare, perché sapeva che lo stava facendo per
apparire migliore agli occhi del suo fidanzato Corrado.
E così, da circa
sei anni aveva smesso con il fumo. Ora, dopo tutto quel tempo, la voglia di
migliorarsi era stata soddisfatta, ma al suo posto aveva incominciato ad
avvertire una strana sensazione, che una buona sigaretta avrebbe aiutato a far
passare o quantomeno attenuato.
L’episodio era
fresco di giornata, ed era stato talmente devastante da spingerlo a scendere
giù e prendere il metrò fino alla tabaccheria più vicina, dove aveva preso
appunto i due pacchetti di sigarette.
La mattina era
cominciata normalmente, come tante altre da due mesi a quella parte. Nonostante
la primavera alle porte, il cielo fuori dalla finestra del loft era ancora
color piombo.
Tutto il contrario
era Brian, che si era svegliato di buon mattino per provare a fare una ricetta
che gli riusciva particolarmente bene: i pancakes.
Corrado adorava trovarli a colazione ogni tanto, anche se Brian li faceva poco
spesso perché erano abbastanza calorici, specialmente per come Corrado li
farciva (se lui aveva deciso di smettere di fumare, di certo Corrado non aveva
mai rinunciato ai piaceri della gola da quando lo conosceva, ma a lui piaceva
anche così, coi suoi chili di troppo e la pancia morbida). Gli venne in mente
di farglieli dopo una serata passata particolarmente bene. Una serata
indimenticabile, poiché Riccardo gli aveva prospettato una vita insieme, ma in
più uniti in un’unione civile.
Lì per lì Brian non
si era fermato a pensare che forse Riccardo stava correndo troppo, né tantomeno
che non fosse una cosa perfettamente voluta. Si era solo sentito sovraeccitato
e si era goduto il dopocena bollente sotto le coperte quella notte. Questa
volta Riccardo, bontà sua, aveva avuto il buon gusto di aspettare che fosse
soddisfatto anche lui.
Così, un po’ per
premiarlo, un po’ perché si sentiva il sole dentro, Brian si era svegliato
presto e aveva incominciato a trafficare con gli ingredienti e gli strumenti da
cucina, realizzando un piccolo paniere di deliziosi pancakes
pronti da farcire. A casa di Riccardo c’era solo del miele ma Brian nei giorni
precedenti aveva comprato un barattolino di Nutella, uno di marmellata e una
confezione di sciroppo d’acero. Li aveva posati sul tavolo in bella mostra, con
accanto la moka di caffè appena fatto, quando lo vide
scendere le scale del soppalco.
- Buongiorno, caro
– salutò, con le mani dietro la schiena come un bambino che vuol fare una
sorpresa al suo papà. Sorrideva.
Riccardo sorrise,
baciandolo dolcemente sulle labbra e accarezzandogli la schiena –
Buongiorno cucciolotto. Cos’hai preparato? –
- Guarda tu stesso
– gli disse, con un sorriso felice.
Si spostò per
mostrare a Riccardo cos’aveva creato, e vide che questi osservava senza dire
nulla. Brian lo guardava sorridente, ma il suo sorriso si spense man mano che
passavano i secondi e Riccardo guardava la tavola imbandita senza spiccicare
parola. Si limitò a sedersi al suo posto e a versarsi il caffè nella tazzina.
Brian allora prese
il panierino con i pancakes e glielo mostrò. – Pancakes! Non… non dirmi che non ti piacciono? –
Riccardo gli fece
un sorriso a metà tra l’ironico e l’incazzato, che fece scendere la temperatura
corporea di Brian fino a dieci gradi sottozero. Quello che disse dopo, poi,
bastò a pietrificarlo. Letteralmente.
- Non vorrai mica
farmi diventare un grassone come il tuo ragazzo, spero? – disse, bevendo
il caffè senza aggiungerci lo zucchero. Brian pensò che se n’era dimenticato,
ma qualcosa dentro di sé gli disse che l’aveva fatto perché su quella tavola,
di zucchero ne aveva visto anche troppo per quella mattina.
Si sforzò di
articolare una risposta coerente, anche se le mascelle facevano fatica a
muoversi, tanta era la sensazione di vergogna mista a frustrazione – N...
no. Hai ragione. Scusami. – disse soltanto, mettendo via in tutta fretta
tutte le farciture nei rispettivi scaffali.
- Non ricordo ci
fossero Nutella e sciroppo d’acero, in casa mia – disse poi Riccardo
– Non sono alimenti salutari, lo sai? –
- Scusami di nuovo,
devo averli messi in carrello per sbaglio mentre facevo la spesa. –
- La prossima volta
quando vai a fare la spesa, chiamami. Magari eviterai di prendere cose a
casaccio, e risparmierai anche qualche soldo perché la pagherò io, eh? Che ne
dici? – domandò Riccardo con un sorriso dolce stampato sul viso. Però
oltre a quello, Brian vide anche un velo di ferocia.
Terminato il caffè, Riccardo si alzò,
andò sul soppalco e si vestì. Poi andò in bagno, uscì e si mise il cappotto.
- Dove stai
andando? – domandò Brian.
- Devo vedere
Enrica per una questione. Torno dopo. Ciao. – detto ciò, prese la porta e
si dileguò, senza nemmeno aspettare che lo salutasse.
A quel punto Brian
si mosse meccanicamente, buttando via tutto: i pancakes,
la nutella e lo sciroppo d’acero.
Improvvisamente
frustrato e stanco, era uscito anche lui, alla ricerca disperata di un
pacchetto di sigarette. Magari anche due.
*****
- Grazie e
arrivederci – disse Carlo, mentre imbustava i cosmetici e li porgeva a
una signora al di là del bancone. Poi vide la porta
aprirsi, e il suo sorriso si aprì.
- Ma ccciaaaoooBrian! – esclamò, salutandolo.
Brian si avvicinò al bancone sbrilluccicante di cosmetici e profumi. Sorrise
stancamente.
- Ciao bello, ti
disturbo? –
- Ma va là. Stavo
per terminare il turno, anzi … Becky…? – chiamò
una delle colleghe, una ragazza sui vent’anni, bionda con gli occhi azzurri e
truccata come una bambola.
- Dimmi, Carlo
– rispose la ragazza, sorridendogli.
- Questo è il mio
amico Brian, di cui ti ho parlato. Brian, lei è Rebecca, per gli amici Becky. –
Lei sorrise
dolcemente – Ah, è un piacere conoscerti, sai? Carlo mi parla sempre di
te. Siete come fratelli… anzi come sorelle. – rise.
Brian rise insieme
a lei – Lui esagera sempre, lo so. Piacere di averti conosciuto. –
- Il piacere è
stato tutto mio. Te lo porti via? –
- Sì, vi tolgo
l’incomodo. Vi dispiace? –
- Un po’, ma non
possiamo farlo lavorare per troppo tempo. Dico bene,
Carletto amore? –
Carlo per tutta
risposta fece il gesto di scrollarsi la forfora dalle spalle, in un
atteggiamento di finta sufficienza.
- Mi sostituisci
tu, allora? –
- Certo! Tu vai
pure. A domani! – e sorrise di nuovo. Brian la salutò con un educato
cenno del capo, e lei gli regalò un altro dei suoi sorrisoni perfetti prima di mettersi alla cassa e servire
altri clienti.
- Vedo che hai
ricominciato a fumare – disse Carlo – è successo qualcosa? –
Tirando una boccata
mentre erano in macchina, Brian disse – Di tutto. Me ne stanno succedendo
di tutti i colori. Ti ricordi quando non mi rispondeva ai messaggi? –
- Ricordo, sì. E
quindi? –
- Adesso sono
andato a vivere con lui. –
Carlo sgranò gli
occhi mentre guardava la strada – Cosa?! E non
mi hai detto niente? –
- Te l’avrei detto,
ma avevo altri cazzi a cui pensare. –
- Seh, seh. L’unico cazzo a cui
dovevi pensare è quello che ha Riccardo in mezzo alle gambe – sentenziò,
ridacchiando divertito.
- Carlo. Non sto
scherzando. –
- Ok, ok… però fattela una risata, ogni tanto. È gratis! –
disse mentre cambiava marcia e sterzava. – Facciamo l’Ape, che dici?
–
Sospirando Brian
acconsentì, ma a una condizione.
- Quale? –
- Che ci fermiamo
in un posto dove si possa fumare. –
L’unico posto che
conosceva Carlo dove si poteva fumare era un locale con terrazza annessa. Non faceva
più tanto freddo, per cui starsene fuori era l’ideale. Il tavolo era pieno di
cose buone da mangiare, tra cui insalata di riso, pollo e patatine al forno e
fritte, più altre specialità regionali, tra cui tigelle e piadine, nonché
gnocchi fritti con una selezione di salumi, di cui Carlo era ghiotto.
- Se c’è una cosa
che i bolognesi sanno fare davvero bene, è lo gnocco fritto. Ne
avrò mangiati a tonnellate mentre ero lì al DAMS. Mangiarli ogni tanto mi
riporta indietro nel tempo… comunque è molto migliore lì che qui. Ogni tanto mi
viene lo sclero di tornare giù e riprendere gli studi. A te? –
- Non lo so –
rispose Brian, mentre si apprestava ad accendere un’altra bionda.
- Oh, amore basta
con ste sigarette, dai! Ne avrai fumate dieci da quando sei entrato in negozio!
–
- Sono nervoso,
Carlo. Il fumo mi calma un po’. –
- Eh ho capito che
ti calma, ma vacca-boia te ne stai
fumando un po’ troppe, dai. Vuoi morire di tumore prima dei trent’anni? –
- Forse sarebbe la
cosa migliore che potrebbe capitarmi – mormorò Brian.
- Come hai detto?
– lo richiamò Carlo, sorpreso e accigliato.
- Niente. Scusami,
sono giorni che non ci sto con la testa, Carlo… - si tolse la sigaretta non
ancora accesa dalla bocca e la tenne in mano insieme all’accendino, con lo
sguardo basso. Carlo allora gli mise due dita sotto il mento e glielo tirò su,
costringendolo a guardarlo nei suoi grandi occhi neri di argentino.
- Se mi dici cos’è
successo, magari. E dall’inizio. –
Brian raccontò che
si era deciso a lasciare Corrado (omettendo però la parte in cui era stato
scoperto e il loro litigio) e di come era andato a vivere insieme a Riccardo,
includendoci anche la storia del sesso interrotto e quella dei pancakes. Carlo ascoltò attentamente tutto, poi gli mise
una mano sulla sua e lo guardò negli occhi.
- Brian, dimmi una
cosa. –
- Che cosa…?
–
- Come ti senti tu?
Voglio dire, sei felice o sei triste…? -
- Non lo vedi?
Carlo? Sono distrutto. E non capisco perché. Con Riccardo è bello fare l’amore,
ma non … non so come spiegarlo, è una cosa che non ho mai provato. –
- Forse lui non ha
ancora chiari i suoi sentimenti – buttò lì l’amico – Perché non
provi a parlargli? –
- Tu dici che
potrebbe essere una buona idea? –
Carlo scrollò le
spalle, distogliendo lo sguardo e poi riportandolo su di lui – Non lo so,
ma l’unico modo per capire cosa pensa una persona, è chiederglielo
direttamente. Non penso di dover essere io a spiegartelo. Sei tu quello che è stato dieci anni con lo stesso ragazzo. Io non ho mai
parlato. Io ho sempre agito, lo sai. –
Brian annuì,
sospirando – Se fossi al mio posto, tu cosa faresti? –
Ridendo Carlo alzò
il bicchiere di spumante e se lo portò alle labbra,
scolandoselo in un secondo – Ah! Mi conosci così poco da chiedermi che
cosa farei? Oh, beata genuinità fessacchiona. Ahahah! –
- Dai –
ridacchiò Brian – Che cosa faresti tu? –
- Tanto per
cominciare, non sarei andato in casa con lui. Ok, mettiamo pure che mi avesse scop… cioè, preso talmente bene da farmi innamorare e
convincermi di andare a vivere da lui: se mi avesse fatto delle storie perché
gli avevo cucinato male o non mi avesse aspettato a letto, semplicemente gli
avrei rotto i piatti sulla testa. E dopo l’avrei costretto a chiedermi scusa in
ginocchio. E ancora, gli avrei servito un calcio nel culo e me ne sarei andato
dal prossimo in lista. Eh! Ma dai… Ma che modo del cazzo è dire “Vuoi farmi diventare un grassone come il
tuo ragazzo?” – disse, scimmiottandone il tono – a una persona
che si è sbattuta a cucinare per te? Ma siamo pazzi o cosa! Che figlio della
merda, arrogante e presuntuoso. Con me avrebbe avuto vita molto dura, credimi. –
- Non faccio fatica
a crederti – disse Brian, sorridendo. Uno dei suoi soliti sorrisi
stanchi.
- E’ che tu sei
troppo buono, Brian. Devi imparare a tirare fuori le unghie, se vuoi
sopravvivere in questo mondo di merda. –
- Già… suppongo tu
abbia ragione. –
Carlo fece per bere
un altro sorso di spumante, ma il bicchiere era vuoto. Chiamò il cameriere e
gliene chiese un altro, mentre Brian si accendeva l’ennesima sigaretta e
cominciava a fumarla.
I pacchetti di
sigarette acquistati aumentarono con l’andare dei giorni. Riccardo sembrava non
accorgersi di quello che stava succedendo al suo nuovo coinquilino (Brian non
era sicuro che Riccardo lo considerasse suo fidanzato, per via di tanti segnali
che recepiva), perciò tutto quello che faceva era limitarsi a un semplice Credo che tu stia fumando un po’ troppo in
questi giorni.
Dalla conversazione
con Carlo passarono alcuni giorni, durante i quali il rapporto con Riccardo
continuò a essere altalenante: c’erano giorni in cui lo ricopriva di
attenzioni, facendolo partecipe di nuove mostre e altri incassi (in una seconda
mostra era stato più prodigo di attenzioni nei suoi confronti) e facendogli
anche dei regali. L’ultimo che gli aveva fatto era un vestito nuovo, molto
elegante. Brian di solito non indossava abiti così formali, non essendovi mai
stato abituato. Le poche volte in cui si era vestito “bene”, erano circoscritte
a delle occasioni speciali: qualche matrimonio, un battesimo, la laurea di suo
fratello Alex. Tuttavia Riccardo si era fatto promettere che l’avrebbe
indossato qualche volta, ma ovviamente Brian non l’aveva mai fatto. Oltre ai
regali materiali, c’erano anche le occasioni in cui dopo aver fatto l’amore gli
riservava le sue attenzioni riempiendolo di coccole e complimenti, così che
Brian tornava a stare tranquillo ed a convincersi che non ci fosse nulla che
non andasse.
Ma poi Riccardo
riprendeva ad essere freddo e distaccato, a rispondergli tardi o a non
rispondergli per niente quando era fuori casa (Brian si chiedeva che cosa
facesse fuori così tanto tempo, ma non gli veniva in mente nient’altro che il
suo lavoro). Tutte cose che, messe insieme, stavano incominciando a fargli
male.
Una mattina uscì
dalla doccia con l’accappatoio indosso, in preda ai prodromi di un’emicrania.
Si asciugò i capelli in fretta, credendo si fossero un po’ scoloriti, tornando
al loro colore rossiccio naturale, seppur chiazzato da qualche filo bianco.
Nonostante tutto,
erano ancora tutti al loro posto, ben saldi sul cuoio capelluto. Si rallegrò di
ciò, ma al tempo stesso si fermò a guardarsi nel grande specchio del bagno.
Tra due mesi
avrebbe compiuto ventotto anni. Era ancora bellissimo e desiderabile, e inoltre
era stato così fortunato a cambiare vita dopo dieci anni d’immobilismo. Si
complimentò con sé stesso, ma ciò non servì a far passare la sensazione di cui
aveva parlato a Carlo: si sentiva disorientato, smarrito.
Disorientamento. Smarrimento.
Erano quelli gli
unici nomi con cui chiamava quella sensazione di tensione che si accompagnava
all’infelicità…
Ancora una volta si
ritrovò a darsi dello scemo, perché questa era la vita che voleva e non quella
di prima, fatta di noia.
Si toccò la testa,
sentendo che il mal di testa cominciava a martellare. Era giunta l’ora di
prendere una bella dose di analgesico.
Uscì dal bagno e
andò a vestirsi.
*****
Tra le altre cose,
l’unico consiglio che era riuscito a dargli Carlo era stato quello di provare a
parlargli.
Un pomeriggio, approfittando
del fatto che Riccardo fosse a casa, ci provò. Riccardo stava lavorando nel suo
studiolo sottostante il soppalco, con la porta scorrevole aperta. Ciò suggerì a
Brian che fosse disposto ad ascoltarlo, al che si fece avanti.
Gli si avvicinò con
quella solita circospezione inconscia, come di chi si avvicina a una belva
feroce pronta ad attaccare, e si fermò a guardarlo.
Lui non lo degnò di
uno sguardo fino a che Brian non si schiarì la voce. In quel momento Riccardo
si voltò e sorrise, come se fosse stato sorpreso di vederlo lì.
- Ciao, Bri –
lo salutò, sorridendogli.
- Ciao Ricky. Cosa
stai dipingendo? –
- Un nuovo lavoro.
Di cos’hai bisogno? – rispose lui, telegraficamente, mentre ancora dava
pennellate.
- Avrei bisogno di
parlarti. –
Brian restò lì ad
aspettare una sua risposta, che però non arrivò. Come faceva di solito.
- Riccardo…? Ci
sei? -
- Perdonami, ma
adesso proprio non posso. –
Ignorando
totalmente la sua richiesta, Brian cominciò a parlare. – Ho bisogno di
parlarti di una cosa. Vorrei chiederti se va tutto bene. Va tutto bene, tra di
noi? –
- Brian, per favore
– disse, in tono assertivo Riccardo – Sono concentrato. –
- Io credo che tra
di noi vada tutto bene, ma vorrei averne la conferma da te, perché, vedi, ho
bisogno di comunicarti delle cose che mi lasciano perplesso. –
Non era sicuro che
Riccardo avesse ascoltato tutta quella frase, dal momento che continuava a
lavorare come se nulla fosse.
- Riccardo? Ho
bisogno che tu mi ascolti. –
A quell’ultima
frase, Riccardo s’interruppe bruscamente, lo guardò con i denti stretti dietro
la bocca e prese un gran respiro. Poi alzò la tavolozza coi colori e la sbatté
via alla sua sinistra, tanto che Brian dovette scansarsi per non beccarla
diritta sui piedi nudi. Brian fece per aprire bocca, ma Riccardo soppresse sul
nascere il tentativo.
- Ti ho detto che sono concentrato, cazzo!
Quando ti dico che sono concentrato, non devi rompermi i coglioni! Capito?
Non-devi-rompermi-i-coglioni!!! Adesso mi hai fatto sbagliare un particolare,
dovrò correggerlo e mi ci vorrà un casino di tempo per rifarlo come lo volevo.
E non sarà mai come doveva essere! Cazzo! Cazzo! Cazzo!!! – urlò,
pestando i piedi e incominciando ad andare avanti e indietro per la stanza.
-Cosa sei, un paranoico? Hai bisogno di
conferme per sapere che va tutto bene? sì, cazzo, va tutto bene! Ecco! Adesso sei
contento? Rompicoglioni di un bambino viziato! –
Mentre camminava,
si alzò per andare in bagno, e lì sbatté la porta con fragore, chiudendocisi
dentro. Rimasto solo, Brian osservò impietrito la porta del bagno, spaventato
dall’eventualità che potesse riaprirsi e che lui potesse uscirne. Rimase lì un
bel po’ di minuti, fino a che non abbassò lo sguardo, vedendo il suo piede
sinistro sporcato da una quantità di macchie gialle, arancioni e rosse. Si
allontanò lentamente, andando verso il mobile della cucina per prendere uno
straccio, quindi raccolse la tavolozza e pulì i colori sparsi per il pavimento,
cercando di trattenersi dall’incominciare a piangere.
*****
Si era seduto sul
divano, coprendosi con una coperta per combattere la sensazione di freddo che
l’aveva improvvisamente ghermito. Senza accorgersene, aveva incominciato a
rannicchiarsi sempre più in sé stesso, cercando di raccogliere quanto più
calore possibile dalla coperta che lo avvolgeva, finché non si era
addormentato. Come al solito aveva sognato, e ciò che aveva visto non era stata
una bella visione: aveva sognato che Riccardo lo cacciava di casa e lo
abbandonava per averlo disturbato mentre lui cercava di chiedergli scusa ma
senza risultato. Stava ancora sognando quando Riccardo gli fece una carezza sulla
guancia e gli diede un bacio sulla fronte per svegliarlo.
Trovandosi davanti
il suo faccione, Brian gli rispose con un mezzo sorriso, essendogli grato per
averlo svegliato da quel sogno così terribile. Era ancora lì con lui, non
l’aveva cacciato da casa sua.
- Ben svegliato,
dormiglione – disse, dolcemente. Il suo viso sembrava essere tornato
quello di prima, non c’era più traccia della rabbia che fino a poco fa l’aveva
alterato.
- Grazie… che ore
sono? –
- Le sette passate.
–
- Oh… ho dormito
tanto, allora. –
- Quasi tre ore.
–
- Già… vuoi che ti
prepari qualcosa per cena? –
- A dire il vero…
pensavo che… - Riccardo abbassò lo sguardo - …pensavo che potremmo andare a
cena fuori. Scusami se prima ti ho trattato così, è che quando sono concentrato,
non rispondo di me. –
- Non fa niente
– rispose Brian, contravvenendo a quanto gli aveva detto il suo amico
Carlo, che sicuramente, fosse stato al suo posto gli avrebbe ficcato una
ciabatta in bocca e risposto di sbattersi la sua cena fuori dove non batte il
sole e, ancor prima di tutto ciò, non si sarebbe certo addormentato sul divano
di uno stronzo del genere.
- Pizza o
ristorante? Si potrebbe fare una pizza, magari… conosco un bel locale, molto
rustico. Si chiama Il Muretto. Lo
conosci? –
A quel nome, Brian
avvertì i capelli drizzarglisi sulla testa. Voleva davvero portarlo lì, nel
ristorante dove s’incontrava con Corrado i primi tempi? Si toccò la testa,
fingendo un capogiro, quindi si mise a sedere.
- Bri, tesoro.
Cos’hai? –
- No… no, niente.
Non preoccuparti. A dire il vero stasera non ho voglia di pizza. Potremmo
andare ad un cinese, che ne dici? –
- Dico che va bene
– rispose Riccardo, sorridendo. Brian gli sorrise, tirando mentalmente un
sospiro di sollievo. Non sapeva nemmeno lui perché, ma non voleva farsi portare
da Riccardo nel locale di Corrado. Forse perché non voleva rivivere i bei tempi
passati insieme a lui, o più probabilmente perché voleva preservare un luogo
così felice e significativo dalla sua persona.
- Mi cambio e
andiamo subito – disse Brian, alzandosi dal divano e dirigendosi verso il
soppalco.
*****
Non era vero che
per Brian non era successo niente. Le scene dell’episodio avvenuto nel
pomeriggio continuavano a ricorrergli nella mente, sebbene Riccardo quella sera
stesse facendo di tutto per dimostrarsi amabile e gentile. Per un po’ riuscì,
ma inevitabilmente Brian continuava a ricordare ciò che aveva detto e fatto
prima, e manteneva le distanze. In più, sentiva di nuovo i prodromi di
un’emicrania. Si domandò se anche quando era insieme a Corrado ne soffriva così
tanto, ma scacciò quel pensiero dalla mente: la risposta, purtroppo, era no.
Per tutta la serata
Riccardo aveva parlato dei progetti che aveva in mente di fare insieme a lui:
cambiare casa e trasferirsi in un appartamento più signorile, o magari
addirittura una villa (i soldi non stanno
facendo fatica ad entrarmi, aveva detto), insieme a lui formalmente
vincolati da un’unione civile. Brian aveva annuito e sorriso di tanto in tanto,
ma la domanda di fondo era se voleva davvero seguire Riccardo nei suoi
progetti. Qualcosa gli diceva di sì, che lo voleva con tutto sé stesso perché
era il ragazzo dei suoi sogni ed era disposto al piccolo sacrificio di evitare
di seccarlo quando era concentrato e di non cucinargli pancakes a colazione;
un'altra parte di sé invece gli diceva che un fidanzato non doveva essere così
violento nei confronti del suo partner, invece doveva essere aperto al dialogo
e più accomodante… e apprezzare gli sforzi che venivano fatti per amore. Cose
che Riccardo (almeno per il momento) non era sembrato in grado di fare.
- Riccardo, io … -
lo interruppe, sul più bello mentre parlava della cerimonia post-unione civile.
Riccardo gli lanciò un’occhiata neutra ma carica di rimprovero perché l’aveva
interrotto, quindi Brian si affrettò a scusarsi e a dirgli di andare avanti,
che tanto si era dimenticato ciò che voleva dirgli.
In realtà avrebbe
voluto dirgli che forse stava correndo un po’ troppo. Se Corrado non gli aveva
mai proposto nulla per dieci anni, un motivo c’era: era stato più discreto? No.
Credeva piuttosto che Corrado volesse prima vedere se potevano essere
compatibili (…e lo siamo stati; per dieci
anni, lo siamo stati, pensò Brian), prima di fargli una proposta così
impegnativa come una formale unione civile… Perché Corrado avrebbe voluto solo
il bene per il suo ragazzo.
Invece Riccardo già
stava costruendo montagne di castelli in aria. Per la prima volta nella sua
storia con Riccardo, si sentì sfinito da una conversazione insieme a lui.
Terminata la cena,
si avvicinarono all’auto. Brian fece per aprire il suo sportello, ma Riccardo
lo prese da dietro e provò a baciarlo. Brian si oppose, fermandolo.
- Aspetta –
gli disse – Non adesso, c’è un po’ troppa gente. –
- Ma cosa te ne
frega…? Lasciali che guardino, no? –
Per qualche strana
ragione, dopo quella serata non aveva più tanta voglia di farsi baciare da lui.
Non glielo disse direttamente, ma la sua reazione fu la stessa di come se
gliel’avesse detto in faccia, sbattendoglielo chiaro e tondo: si svincolò
dall’abbraccio, sbattendolo leggermente contro la portiera della sua Smart. Sorpreso
Brian aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma Riccardo era già montato
e aveva addirittura acceso il motore (senza aspettare che salisse!!!). Brian fece
appena in tempo a entrare nell’auto: aveva la netta sensazione che se non
avesse fatto in fretta, l’avrebbe lasciato lì.
Per tutto il
tragitto non si scambiarono una parola. Brian però pensò di riparare
offrendogli la sua mano sinistra mentre guidava. Riccardo la prese e gliela
strinse dolcemente.
Arrivati a casa, si
tolsero i cappotti e lì Riccardo incominciò ad abbracciare e baciare Brian
spingendolo verso il divano. Per un po’ Brian rispose, ma poi cercò di
divincolarsi quando Riccardo incominciò a toccargli il sedere e a baciarlo con
una foga degna di chi fosse stato in preda a un raptus di follia.
- Mmm… Brian…
amore… - diceva Riccardo mentre lo baciava.
- R..Ricc… amore…
non … Aspetta… -
- Voglio farmi perdonare.
Dammi l’occasione di riparare. –
- Ho… ho mal di
testa, Riccardo. S…scusami. –
Ignorandolo
totalmente, Riccardo incominciò ad armeggiare con il bottone dei jeans di
Brian, cercando di toglierglieli mentre era sul divano. Per la verità era più
come se cercasse di strapparglieli, in preda ad un desiderio compulsivo di
possederlo, che lo spaventò leggermente.
- Lasciami
Riccardo, mi-mi stai facendo male! – esclamò, prendendo il coraggio per
afferrargli i polsi e stringerglieli.
A quella
dimostrazione di forza, Riccardo si fermò, guardandolo negli occhi e smontando
velocemente da lui, come se avesse avuto qualche strana malattia.
E di nuovo, si
rimise a urlare per la seconda volta quel giorno.
- Merda! Si può sapere che cazzo ti prende,
tutto d’un tratto, Brian?! Che cazzo significa questo??? Se non volevi scopare
potevi anche restartene insieme a quella scoreggia fritta del tuo ragazzo e non
rompere i coglioni a me!!! – urlò, mollando un calcio al tavolino al
centro dell’angolo salotto che fece volare alcune delle riviste che vi erano
poggiate sopra.
Brian si tenne la
testa con le mani, sentendo l’emicrania farsi sempre più forte date le
sollecitazioni sonore. Forse intuendo che gli stava facendo più male che bene, Riccardo
rincarò la dose di urla.
- Che cazzo vuoi da me, eh?! Che cosa cazzo ci
sei venuto a fare qui? Sai cosa vuoi dalla vita o non lo sai e vieni a cercare
aiuto da me? È ora che cresci, hai capito?! –
A quel punto,
finita la litania di insulti e parolacce, Riccardo si allontanò, salendo
velocemente le scale che portavano al soppalco. Brian allora corse in bagno,
prese due aspirine e bevve con le mani a coppa l’acqua del rubinetto per
mandarle giù. Si sentì umiliato, offeso, dolorante. Avrebbe voluto piangere, ma
si trattenne. Anziché piangere, si guardò allo specchio.
Lentamente, come un
automa, incominciò a spogliarsi. Prima le scarpe, poi i calzini… i jeans… e
tutto quanto. Uscì dal bagno nudo, quindi salì le scale. Riccardo era lì seduto
sul letto, la testa bassa. Sembrava un barbone che chiedeva l’elemosina. Gli
andò dietro, inginocchiandosi sul letto e toccandogli una spalla.
Lui non si mosse né
disse nulla.
Brian riprovò, ma
ancora Riccardo non fece nulla.
Sapendo che
insistere con lui era controproducente, Brian si mise sotto la coperta. Forse
per quella sera Riccardo avrebbe rinunciato al suo divertimento.
Ovviamente era una
vana speranza: Alcune ore dopo che si erano messi a letto entrambi, Riccardo
l’aveva svegliato entrando di prepotenza nel suo corpo, facendogli un male
terribile. Brian mandò qualche gemito di dolore durante la penetrazione, che
per fortuna durò poco, perché Riccardo smise dopo appena cinque minuti. Uscito
dal suo corpo, gli diede le spalle e si addormentò.
Sull’altro lato,
Brian era ancora sveglio. Avvertiva la sensazione di caldo umido in mezzo alle
gambe, ma non soltanto lì: calde lacrime di disperazione avevano incominciato a
rigargli il volto, e questa volta non si sarebbero asciugate tanto facilmente.
Carlo adorava
andare da McDonald’s. Anche se per molti era cibo spazzatura, a lui piaceva più
di ogni altra cosa. Brian ogni tanto l’aveva accompagnato, ma non era mai stato
un gran divoratore di quella roba, e Carlo lo sapeva. Tuttavia quel giorno
Carlo rimase a bocca aperta nel vedere quanto e cosa aveva consumato Brian.
- Cazzo, Brian,
tesoro – disse, mantenendo il bicchierone di coca-cola in mano a
mezz’aria.
- Cosa? –
domandò Brian dopo aver addentato un cheeseburger doppio, dimezzandolo.
- Cioè… Ma quanta
ne stai mangiando di questa roba? Vuoi morire di diabete prima dei trent’anni,
forse? –
Brian non rispose,
continuando a mangiare il panino. Contemporaneamente si ficcò in bocca dei nuggets.
- Sono affamato, va
bene? – rispose con la bocca piena. – Non riesco a mangiare davanti
a Riccardo, e poi comunque lui non c’è quasi mai. –
- Capisco –
si limitò a dire Carlo. Evidentemente anche lui aveva capito che non doveva
infierire troppo sul suo caro amico di sempre, che comunque non aveva ancora
finito di parlare.
- Faccio la spesa e
mi insulta perché compro cose che a lui non vanno
bene, ma attento, perché è lui che mi
dice di comprarle…! Non faccio la spesa e s’incazza perché non la faccio. E
poi… poi mi canzona perché sono sempre in casa perché non ho un lavoro. –
sbatté il panino appena scartato sul vassoio, con tanta veemenza che
addirittura Carlo, impassibile di fronte a tante cose, fece un salto,
spaventato.
- Le cose stanno
andando male, Carlo. Tutte. Sto perdendo la testa. – piagnucolò, quasi
mettendosi a piangere.
- Lo vedo. Non è da
tutti mangiare cinque doppi cheeseburger bacon e riuscire ancora a respirare.
–
- Riccardo è
totalmente cambiato. E che possa morire qui se capisco cosa cazzo gli ho fatto.
Pensavo che vivere insieme avrebbe aiutato un po’ a stabilizzare le nostre
posizioni, e invece… -
- …e invece l’unica
posizione è quella che tiene lui, ed è dietro di te. Ho indovinato? –
Brian alzò gli
occhi, poi li riabbassò, pieni di vergogna.
- Che cosa ti ha
fatto? –
- L’altra notte… mi
ha quasi violentato. Anzi, togliamo pure il “quasi”. –
A quella
rivelazione, Carlo si ammutolì. Il giovane amico argentino dalla lingua
tagliente come un rasoio, per la prima volta taceva di fronte a una
rivelazione. Non che fosse la prima volta che sentiva da qualcuno che era stato
violentato, ma in quei casi lui aveva liquidato tutto con un “per forza, se te ne vai in giro con gli
shorts in dark-room, non meravigliarti se ti infilano il cicciolo su per il
tubo, bellezza.” Adesso invece si trattava di Brian, il suo migliore amico,
il ragazzo più dolce in questo mondo. Serrò i denti, per la prima volta non
sapendo bene cosa rispondere. Al suo posto, parlò Brian.
- Forse sono stato
uno sciocco a non dare ascolto a Giuliana. –
- Chi? – domandò Carlo, alzando la
voce di tre ottave come una ragazzina perplessa.
- Una praticante
avvocatessa. Giuliana Todisco… o forse era Tedesco… o
Tedeschi, non ricordo bene. –
- E chi sarebbe
questa? –
- E’ una che un
giorno mi ha seguito, e mi ha detto di stare in guardia da Riccardo. Anzi, meglio: mi aveva proprio detto di lasciarlo perdere, perché
era una persona pericolosa. –
- E tu che le hai
risposto? –
- Ah… le ho
risposto che per me poteva andarsene al diavolo, e così ha fatto. Secondo te ho
fatto male? –
Carlo alzò le
spalle – Non lo so. Tu pensi di aver fatto bene o male? –
- Male. Malissimo.
–
- Ti capisco,
comunque. Nemmeno io sono abituato a dare retta ai consigli degli sconosciuti. Pensa
che l’altro giorno, un tizio mi ha consigliato di cambiare colore alla mia Fiat
Cinquecento. Gli ho risposto che la sua opinione mi serviva quanto un metro da
falegname a un medico per il suo lavoro, e che poteva ficcarseli entrambi nel
didietro, opinione e metro da falegname, voglio dire. –
- Già –
rispose Brian, accasciando la testa sulle braccia – Anch’io ho fatto
così, e guarda come sono ridotto adesso. –
- C’è qualcosa che
posso fare per te? –
- Se potessi
scoprire cosa fa quando è assente tutto quel tempo in casa, forse sarei più
tranquillo. Mi piacerebbe proprio saperlo. –
- Ma lasciarlo su
due piedi, invece? –
Brian guardò Carlo.
La verità era che si sentiva ancora troppo combattuto, troppo in dubbio. Anzi,
in quel preciso momento avrebbe voluto cancellare quell’intera conversazione
con il suo amico. Riccardo gli avrebbe detto che non era innamorato di lui
abbastanza, lo sapeva. Lo sapeva come il suo nome. La verità era che una
fiammella di amore ancora rimaneva nei suoi confronti, perché alla fine di tutto,
con la dolcezza ci sapeva fare. Per cui Brian non rispose alla sua domanda.
Carlo sospirò.
- Se vuoi che ti
faccia qualche indagine su di lui, non hai che da dirlo. Sicuramente qualcuno
dei miei contatti lo conoscerà. –
- E se lui viene a
sapere che si sta indagando su di lui…? Cosa succederà a me? –
- Tesoro, lascia
fare a me e non preoccuparti. E poi non stai mica avendo a che fare con un
serial killer o con un terrorista. Si tratta solo di fare qualche domanda in
giro, tutto qui. –
- Che domande hai
intenzione di fare? –
Carlo zittì Brian
con un gesto della mano – Adesso basta con le domande. Chiedimi di fare
qualche indagine ed io la farò. E andrà tutto bene. Vuoi? –
Brian guardò negli
occhi l’amico – Ho altra scelta? –
- No. –
rispose Carlo, con un sorriso buffo ma al tempo stesso dolce.
Con un sospiro,
Brian rispose – Va bene. Tanto anche se ti dicessi di no, lo faresti
comunque anche senza il mio permesso. Tanto vale che sappia cosa stai facendo.
–
- Si vede che mi
conosci bene, zuccherino. Adesso che ne diresti di andare a fare due passi? Hai
bisogno di smaltire tutti i carboidrati e le proteine di cui ti sei ingozzato,
ed anche io. –
- Sì. Buona idea.
Magari ci fumiamo anche una bella sigaretta. –
- Stavo per
proporti la stessa cosa. E… Brian? –
- Sì? –
Carlo lo guardò con quel suo argentino sguardo penetrante. –
Cerca di fidarti un po’ di più di me, okay? – E concluse la frase con un
occhiolino.
Sorridendogli dolce
ma al tempo stesso stancamente, Brian rispose – Okay. –
- Bene. Andiamo a
pagare, adesso e facciamoci passeggiata e sigaretta. –
Ciò detto, si
alzarono, lasciando lì sul tavolo i rimasugli del loro pasto. Di certo qualcuno
li avrebbe puliti più tardi.
Da quando viveva
con Riccardo, non erano aumentati solo pacchetti di sigarette, per Brian: era
aumentato anche il consumo di aspirine e analgesici ed era quasi diminuito il
consumo di alimenti, colpevoli di fargli venire nausea e mal di stomaco; in
realtà rifiutati da un organismo, quello di Brian, sempre più debilitato…
Riccardo era andato
avanti con quel comportamento altalenante per un bel pezzo. Aveva smesso circa
a inizio maggio, con l’arrivo della bella stagione, foriera di molte uscite ispiratrici
nei parchi della città e, quasi per converso, di molte ore passate da solo da
parte di Brian, che passava le sue giornate dormendo o rannicchiato sul divano,
con le finestre totalmente chiuse perché la luce aveva incominciato a fargli
male. Gli trapanava il cervello, facendogli venire mal di testa e consumare
ancora analgesici.
A inizio maggio
Brian si svegliava quasi tutte le mattine da solo nel letto di Riccardo, che
poi gli si presentava a tarda sera o addirittura di notte stanco e irritabile, in
uno stato poco propenso ad affrontare un qualunque discorso che avrebbe potuto
iniziare con “dove sei stato fino
adesso?”
Semplicemente,
Riccardo si era allontanato da Brian. Sì, ogni tanto gli si concedeva ancora
sotto le coperte, ma era più per soddisfare un suo bisogno che per altro. Brian
non si era mai ribellato, ancora troppo felice del fatto che l’unico amore
della sua vita fosse ancora lì con lui, anche se si assentava così tanto perché
doveva fare il suo lavoro, ma anche troppo debilitato per cercare di reagire:
in un mese, Brian aveva perso almeno sette chili, e di questi, buona parte
erano muscoli che aveva conquistato andando in palestra, abitudine che aveva
quasi abbandonato, per essere sempre in casa ad aspettare il suo Riccardo, per
il quale il fatto di avere una persona in casa era una faccenda piuttosto
secondaria.
Devi scusarmi,
gli diceva ancora fino a fine Aprile, Ma
io a volte mi perdo nei miei pensieri ed il tempo e lo spazio mi diventano
valori sconosciuti. Mi dimentico di tornare a casa, capisci Brian? Devi
scusarmi, ti prego di perdonarmi, amore mio. Sai che ti amo.
Ti amo.
Quelle due parole, che
mai Riccardo gli aveva detto prima d’ora, adesso gli tornavano comode per
giustificarsi, perché sapeva che Brian avrebbe accettato qualunque cosa, se
Riccardo le avesse messe al posto giusto. Brian avrebbe accettato qualunque
cosa: che lo abbandonasse per tutto il tempo che gli era necessario; che lo
svalutasse perché non lavorava, o perché era dimagrito troppo e che non faceva
abbastanza palestra; che usasse il suo corpo come meglio credeva…
…Che lo uccidesse
lentamente.
Proprio come, si
accorse Brian, stava facendo.
Fu proprio quello,
l’incubo da cui si destò Brian una mattina: stava sognando di venire ghermito
da strane ombre che volevano fargli del male. Anziché essere grato di essersi
svegliato, pensò che fosse stato meglio se quelle macabre figure l’avessero
ucciso nel sonno. Sarebbe stato meno doloroso, rispetto a quel maledettissimo mal
di testa che si portava appresso da più di un giorno. Com’era lecito
aspettarsi, anche quel giorno il letto dalla parte di Riccardo era vuoto, e
guarda caso a lui scoppiava la testa di dolore.
In bagno, una volta
chiuso l’armadietto a specchio dei medicinali, incontrò la sua immagine
riflessa sul vetro, e per poco non disse Lei
chi è, mi scusi?
Tra un mesetto
avrebbe compiuto ventott’anni, eppure ne dimostrava almeno il doppio… i
capelli, ormai ritornati al loro colore naturale, presentavano chiazze di
grigio e bianco. I suoi occhi castani erano cerchiati di rosso, adornati da
terribili borse… La sua pelle, che a un tempo era stata dolcemente bianca e
rosea, ora aveva assunto toni cinerei. Un accenno di barba sul mento e sulle
guance, invece, gli dava un aspetto vissuto… troppo vissuto perché Riccardo
potesse ancora amarlo.
Girò lo sguardo
verso l’altro specchio, vedendosi in mutande e canottiera, con due fiammiferi
male in arnese al posto delle gambe e la pancia scesa di chi non mangia da
giorni, e si spaventò.
Non era più lui.
Era piuttosto uno zombi che una volta era stato Brian Molteni.
Non avrebbe mai
potuto saperlo, ovvio, ma in un ospedale poco lontano da dove si trovava in
quel momento, c’era un ragazzo di nome Gabriele Tedeschi che aveva sperimentato
le stesse sensazioni, e che ora, relegato in un limbo d’incoscienza, lottava
tra la vita e la morte, forse perché aveva ingerito una dose letale di
barbiturici, o forse più probabilmente perché non volevapiù
risvegliarsi. Per vergogna, forse, o più probabilmente perché era meglio
restarsene nel suo guscio lontano da qualunque forma di vita e di
comunicazione, piuttosto che incontrare nuovamente quello che era stato l’amore
della sua vita: Riccardo Gherardi.
- Puoi abbassare il
volume di quel computer? Mi disturba mentre sto creando – disse Riccardo.
Non ebbe il tempo di finire la frase, che Brian aveva già abbassato il volume e
attaccato le cuffie, per non correre il rischio di non sentirlo se l’avesse
chiamato. Nonostante le temperature gradevoli, teneva una coperta avvolta
intorno alle spalle e dei fazzolettini di carta. L’influenza gli stava durando
da un bel po’ di giorni per essere solo un male di stagione. Lanciò un’occhiata
a Riccardo, chiedendosi come mai quel giorno fosse a casa e che cosa diavolo
facesse mentre era fuori. Cominciò a sospettare ciò che non osava dire perché
sarebbe suonato strano, troppo… Eppure per una parte di sé, quella inconscia, “Ciò che non osava dire” era una verità
consolidata.
Non gli piaccio più,
pensò.
A fermare quel
flusso di pensieri, arrivò l’altra parte di sé, quella più sorniona e
disincantata.
Ma cosa vai a pensare, suvvia. Te l’ha detto che a
volte si perde nello spazio e nel tempo… ti ha detto che ti ama, cosa vuoi di
più? Che ti sposi?
Be’… me ne aveva parlato, ma…
Aspetta e vedrai.
Mentre finiva quel
pensiero, cacciò un potente starnuto.
- Cazzo, Brian… la
vuoi finire d’impestare la casa coi tuoi germi? O vuoi che mi metta una mascherina,
per stare accanto a te? – lo rimbrottò Riccardo.
- Scusami… - disse
allora Brian, pulendosi il naso.
- Naturalmente
scherzavo, tesoro – concluse poi Riccardo, continuando a lavorare al suo
quadro. Brian gli lanciò un’occhiata e provò a dire qualcosa, ma era troppo
stanco perfino per tentare di sorridergli.
*****
Il Dottor
Pazzaglini era stato il medico di Corrado, al quale si era associato anche
Brian per non dover tenere due medici separati. Doveva avere circa l’età della
signora Visentin, la loro portinaia; ometto scattante e arzillo, il Dottor
Pazzaglini era uno di quei medici di una volta, abituati a lavorare senza di
tanti dei ritrovati della scienza medica di adesso (radiografie, analisi, ecc.),
a cui bastava un’occhiata per capire di che malattia soffrisse il paziente,
nonché una persona di una bontà e umanità incredibile. Brian era andato da lui allarmato,
una volta resosi conto che la febbre non era ancora scesa dopo una settimana di
bombardamenti a base di tachipirina e aspirine e da una debolezza improvvisa
mai provata prima.
- Mi stavi dicendo
che ti senti molto debole, giusto? – domandò l’anziano dottore,
preparandosi ad auscultargli il cuore da dietro la schiena.
- Sì… esatto. Stavo
reggendo una tazza di tè, quando all’improvviso mi è caduta senza che me ne
accorgessi, andando in mille pezzi. Non le dico che fatica ho fatto per
raccogliere e pulire tutto. –
- Oibò –
esclamò il medico – Corrado non ti ha aiutato? –
- No. Era al lavoro
– mentì Brian, ritenendo non necessario che il medico sapesse che non
stava più con il suo fidanzato.
- Capisco –
mormorò – Fai un bel respiro profondo e tieni giù l’aria, per favore.
–
Brian obbedì,
respirando e poi trattenendo il fiato.
- Bene, rilascia
lentamente… -
Brian obbedì di
nuovo, finché il medico non gli disse che poteva respirare normalmente e anche
rivestirsi, mentre andava alla scrivania.
- Dunque,
ricapitolando – il Dottor Pazzaglini si tolse gli occhiali e si massaggiò
l’attaccatura del naso, mentre un ciuffo di capelli grigi gli accarezzava la
fronte – Hai detto anche che hai problemi a dormire, vero? Emicrania,
debolezza… -
- Sì dottore
– disse Brian, mentre si rivestiva e andava a sedersi alla poltroncina di
fronte alla scrivania.
- Beh, allora non
ci sono dubbi, figliolo: è solo un po’ di stress. – concluse, poi scosse
la testa e aggiunse – Un po’ molto, direi. Stai attraversando un periodo
difficile, forse? –
A quella domanda,
Brian abbassò lo sguardo. Avrebbe tanto voluto rispondere “Definisca il concetto di difficile, dottore, e le dirò se il mio
periodo lo è abbastanza.”
- Sì… diciamo che
ho subìto la perdita di una persona cara… e sto … sto facendo un po’ fatica ad
accettarla. – disse, pensando a Riccardo com’era i primi tempi. O forse a
Corrado negli ultimi…?
- Capisco –
ripeté il dottore – Adesso quello che dobbiamo fare è cercare di
rilassarci – glielo disse guardandolo negli occhi – Voglio che tu
faccia ciò che ti piace fare. Leggi, corri, guarda un film… insomma fai ciò che
ti piace. E rilassati. –
- Disegnare va
bene? –
- Anche disegnare,
sissignore. L’importante è che sia qualcosa che possa aiutarti a distrarre la
mente. –
- Non … non può
darmi un farmaco, qualcosa che mi aiuti…? –
Per tutta risposta,
il medico gli rise in faccia.
- Figliolo –
gli disse, parlandogli lentamente – I farmaci lasciali a quelli che non
trovano nessuna via d’uscita. Lo stress molto spesso è un fattore di testa. E
nel tuo caso, la testa c’è tutta, fra le cause del tuo male. Devi cercare di
stare lontano dalla tua fonte di stress. E il modo migliore per farlo, sorpresa-sorpresa, è quello di tenere
occupata la mente. –
- O anche
allontanarsi fisicamente dalla fonte
di stress…? –
- Sì, esatto. Se
puoi farlo, se sai che la tua fonte di stress è lì ed è una cosa fisica, cioè
palpabile. Ma se non ho capito male nel tuo caso si tratta di un lutto. Vero?
–
- N-no… - mormorò
Brian – Non è un lutto, ma… diciamo che ci va molto vicino: Purtroppo un
mio cugino Gabriele ha tentato di suicidarsi. Ha ingerito una dose letale di
barbiturici e adesso è lì in coma… - sospirò.
- Capisco… mi
dispiace. Vedrai che tutto si risolverà per il meglio, per tuo cugino. Abbi
fede. –
- Lo spero anch’io,
dottore. Lo spero anch’io. –
Ringraziato e
salutato l’anziano medico, Brian tornò da dov’era venuto, all’appartamento di
Riccardo. O, per usare i termini medici del Dottor Pazzaglini, la sua fonte di stress.
Seguire a piedi un
treno in corsa sarebbe forse stato più facile che seguire i consigli del Dottor
Pazzaglini. In quei giorni Brian continuò a
peggiorare, al punto che ormai anche le medicine avevano consegnato le armi al
nemico che lo stava divorando da dentro: le aspirine non servivano più a fargli
passare il mal di testa, e la sensazione di ansia aumentava ogni giorno di più.
Quand’anche avesse trovato qualcosa che gli piacesse, non avrebbe potuto
svolgerla perché si sentiva troppo debole. Per la prima volta dopo tanti mesi,
pensò a Corrado: a cosa stesse facendo; se avesse trovato un nuovo lavoro; come
impiegasse il suo tempo in solitudine. Ripensò ai vecchi tempi e alle loro
serate in tranquillità sul divano a guardare i film che piacevano a uno solo
dei due; alle loro cenette insieme e alle colazioni (questi pancakes sono davvero ottimi, amore!);
ai loro giri di rifornimento ai supermercati… tutte cose che con Riccardo non
c’erano mai state, se non all’inizio.
Disteso sul divano,
provò a immaginare cosa stesse facendo, ma ciò che vide non gli piacque.
Lo vide
ricominciare una nuova vita in compagnia di un ragazzino più giovane, che
viziava e curava. Poi lo vedeva che si faceva in quattro per cercare un lavoro
mentre il ragazzino lo tradiva. Si morse il labbro, al pensiero che la stessa
cosa l’aveva messa in atto lui… scosse la testa, pensando per la prima volta di
aver sbagliato a voler andare con Riccardo a tutti i costi.
A proposito di
Riccardo: quel giorno, incredibilmente era in casa. Gli aveva chiesto se stesse
bene e gli aveva dato un bacio sulla fronte, ma poi si era rintanato a
dipingere e successivamente Brian l’aveva sentito entrare in bagno per farsi
una doccia. Era entrato da poco, ma da quel poco che lo conosceva, sapeva che
sarebbe andato avanti ancora per molto. Così Brian si era messo tranquillo come
al solito, cercando di “fare tempo”: come al solito, si era messo a scorrere i
post di Facebook sul suo cellulare. Carlo si era
fatto sentire poco in quei giorni, forse preso da nuove avventure o perché
troppo impegnato con il lavoro. Naturalmente Brian non l’aveva mai invitato a
casa di Riccardo perché avvertiva da sé che se l’avesse fatto sarebbero stati
guai grossi con il padrone di casa. Per cui si vedevano sempre fuori e
comunicavano tramite Whatsapp.
Mentre stava
scorrendo i vari post su Facebook, ricevette proprio
un suo messaggio.
Ciao, sei solo?
Istintivamente,
nonostante sapesse che Riccardo non rappresentava un pericolo attuale, Brian
rispose: Riccardo è sotto la doccia.
Dimmi pure.
Ho delle notizie che forse non ti piaceranno. Forse è
meglio se ti chiamo o se ci incontriamo da qualche parte.
Non posso uscire, sto poco bene. Chiamami, rispose Brian, lanciando un’occhiata al bagno e
pensando che forse poteva parlare insieme a Carlo prima che Riccardo uscisse
dalla doccia.
Poco dopo il suo
telefono si mise a vibrare. Rispose.
- Dimmi. –
- Roba grossa
– disse Carlo, poi si fermò un attimo, forse per cercare le parole (era
abbastanza incredibile pensarlo, proprio lui che aveva una sentenza per tutto)
– …Il tuo amico praticamente ha mandato in tilt buona parte dei ragazzi che
sono amici comuni dei miei. –
- In che senso?
–
- Nel senso che non
sei il primo con cui si intrattiene e tratta male. Forse sei il primo che vive
con lui, però. Come mi avevi detto tu, l’ultimo della sua lista è stato
Gabriele Tedeschi. Ho parlato con sua sorella, che mi ha riferito le stesse
cose che già dovresti sapere. A proposito, ti saluta e ti ricorda di lasciarlo
al più presto senza dirgli nulla, ma non prima di aver dato un’occhiata al suo
cellulare. –
- Dovrei guardare
il suo cellulare? –
- Penso proprio che
dovresti farlo. Guarda il suo Whatsapp, e dimmi cosa
trovi. –
Con il telefono
nella mano destra, Brian si guardò intorno, cercando con gli occhi dove potesse
averlo messo. Poi ritornò nel mondo reale. – Cosa? E se mi vede e
s’incazza…? –
- Rimani al
telefono con me. Mettiti l’auricolare, magari. Io rimango qui. Non metto giù.
Però controlla…! –
- Se cerca di
mettermi le mani addosso mi vieni a prendere? – domandò Brian, presagendo
che qualcosa sarebbe andato storto.
- Sì, sì. Ti vengo
a prendere io. Tu stai tranquillo. –
Rassicurato, Brian
si alzò dal divano e andò verso lo studiolo sotto il soppalco dov’era stato
fino a quel momento. Sul tavolo, poggiato come una reliquia, c’era il cellulare
di Riccardo. Lo prese e inserì il codice di sblocco (il simbolo di una specie
di X con una linea che congiungeva le estremità superiori, gliel’aveva visto
fare parecchie volte), ottenendo così accesso alla sua vita privata.
Già una cosa saltò
all’occhio: il fatto che l’icona di Whatsappavesse ben quattro notifiche. Aprì l’applicazione, venendo
inondato da altre due notifiche.
Dentro di sé si
sentì gelare quando vide che le conversazioni erano tutte con altri ragazzi.
In quell’archivio
c’era il campionario assortito di frasi da flirt e complimenti. Non a un solo
ragazzo, ma ben a cinque doveva aver detto “Ti amo”, con i soliti cuoricini e le
faccine che mandavano il bacino. Con alcuni aveva invece litigato, addirittura
bloccandoli e venendo bloccato a sua volta (quelli che con lui non avevano
avuto pazienza). Tra le tante conversazioni, intrattenute più o meno da quando
aveva incominciato a frequentarlo, c’era anche quella con Gabriele Tedeschi,
salvato proprio con il suo nome e cognome.
Provò a leggerne un
po’.
Perché non mi hai più chiamato, ieri sera?
Lo capisci da solo o vuoi una risposta più o meno
concisa?
Non capisco perché mi tratti così male.
Pensaci un po’, e ci arriverai anche da solo. (emoticon
del pollice alzato)
Io non capisco perché mi tratti così. Mi stai facendo
male. Fino all’altro ieri dicevi di amarmi. (faccina che piange)
Tu non hai mai capito che una persona ha bisogno di
tempo. Tu mi opprimi, Gabriele. E io non ce la faccio
più. Non sai cosa vuol dire amare una persona.
(diverse emoticon piangenti da parte di Gabriele)
A quel punto,
Riccardo aveva smesso di rispondere agli altri messaggi che lo imploravano di
rispondergli. Brian esaminò le date: corrispondevano più o meno al periodo in
cui Riccardo gli aveva detto che il suo ragazzo lo aveva lasciato.
Ma certo, che idiota sono
stato! Disse dentro di sé. Non è stato lasciato dal suo ragazzo. È
stato lui ad abbandonarlo, e poi ha fatto la recita come se fosse stato
lasciato. Ma… perché? Perché, in nome di Dio?
La risposta forse
la conosceva, stava nelle parole di Giuliana Tedeschi, la sorella del povero
Gabriele.
Riccardo è un individuo pericoloso. È un mostro. È
capace di farti impazzire, come ha fatto con mio
fratello.
- Allora? Stai
guardando? – domandò Carlo nell’auricolare.
- Sì. Sto guardando
– sussurrò Brian, abbastanza forte perché Carlo lo sentisse. E non
soltanto lui…
- Avevi ragione
– mormorò Brian – Cazzo. Io… io non so davvero cosa dire… -
- Ma io sì –
parlò una voce, facendolo trasalire. Riccardo era dietro di lui, con
l’accappatoio ancora indosso, i capelli bagnati e incollati alla faccia –
Che cazzo stai
facendo?!? – urlò.
Brian si ammutolì,
mentre dall’altra parte Carlo chiamava ripetendolo il suo nome, ma non poté
udirlo perché gli era cascato l’auricolare dall’orecchio.
E fu un attimo.
Riccardo l’aggredì prendendogli di mano il cellulare, per poi spingerlo via.
Debole com’era, Brian inciampò sui suoi stessi piedi e finì lungo disteso sul
pavimento.
- Sei solo un pezzo di merda!!! Lo sapevo che non avrei dovuto fidarmi di te!!! Meno male
che non abbiamo fatto l’unione civile!!! Nessuno potrebbe stare con te, ecco
perché il tuo fidanzato non ti dava quello che io ti ho sempre dato!! E adesso
mi ripaghi così??? Fai schifo!!! –
- No – mormorò
Brian, mentre un calore di forza gli si irradiava su per tutto il corpo,
arrivando fino al cervello… e lì esplose, dando voce a tutta la sua
disapprovazione.
- No!!!–
Urlò Brian – Sei tu un pezzo di
merda!!! Non sai amare, non sai cosa significhi essere in contatto spirituale
con qualcuno!!! Hai quasi fatto suicidare quel povero ragazzo, Gabriele…!!! –
Allora Riccardo
scattò, provando a prenderlo a calci. Brian scartò di lato, miracolosamente
rialzandosi e guadagnando la porta, aprendola.
- Vieni qui, Brian!
Vieni qui o vattene per sempre!!! –
- Crepa, bastardo!!!
Corrado è una persona molto migliore di te!!! Tu non saresti degno nemmeno di
allacciargli le scarpe!!! Fai schifo!!! Schifo!!! Schifooo!!!
–
Colto dalla rabbia,
Riccardo scomparve un attimo dalla sua visuale, per poi ricomparire subito dopo
con i due borsoni in una mano e il trolley nell’altra: li prese e glieli
scaraventò addosso, facendolo cadere per la seconda volta in quel giorno. Poi
scomparve di nuovo e tornò con le scarpe di Corrado, sbattendogliele quasi in
faccia.
- Vattene a fare in culo, merdaccia! Non
voglio più rivederti! –
- Fottiti, pisellino moscio! – esclamò
Brian, raccogliendo velocemente i suoi bagagli. Quando ebbe finito,
alzò il pugno e mostrò il dito medio. Poi scese velocemente le scale, con le
pantofole ancora ai piedi, mentre gli altri coinquilini del palazzo si stavano
riversando sui pianerottoli per vedere cosa stesse succedendo. Fecero in tempo
a godersi lo spettacolo di Riccardo che urlava improperi a Brian dalla tromba
delle scale, mentre Brian le scendeva velocemente, con la gola che gli bruciava
e le guance bagnate dalle lacrime.
*****
Non fu difficile
rintracciare Brian. Quando Carlo arrivò, lo trovò seduto
su una panchina, in un parco. Velocemente accostò al marciapiede e scese dalla
macchina, andandogli vicino e guardandolo.
- Brian… ma…! Sei
in pigiama! –
Per tutta risposta,
Brian alzò lentamente lo sguardo e lo guardò negli
occhi.
Piangeva.
Carlo fece per
rispondergli, ma poi ci ripensò. Gli prese un braccio
e se lo mise sulle spalle mentre lui piangeva, accompagnandolo fino alla
macchina.
- Non so se dire
“Mi dispiace” oppure “Sono cose che capitano” – mormorò Carlo mentre
guidava.
Brian singhiozzò
leggermente, poi prese un fazzolettino dal pacchetto che gli aveva dato Carlo,
asciugandosi gli occhi.
- Va bene, ho
capito… non è il caso di dire niente. –
- Quel porco.
Quello stronzo… Quel… - e si strozzò la voce, per far posto a un nuovo accesso
di pianto.
Comprendendo la
situazione, Carlo rimase in silenzio mentre tornava a casa, aspettando che
l’amico si calmasse. Quando infine arrivarono, Brian aveva consumato tutti i
fazzolettini a forza di piangerci e soffiarci dentro. Carlo scese nel locale
garage del suo condominio e spense il motore della Cinquecento.
- Ehi – lo richiamò – Si può sapere perché stai piangendo,
adesso? Se tutto quello che mi hanno riferito le mie fonti è vero, ti dico solo
una cosa: hai fatto meglio a perderlo che trovarlo, te lo garantisco. –
- Piango perché sono
stato un coglione. –
- Eh, così impari a
non dirmi prima con chi vai a letto, scema. Ti costava tanto dirmelo…? Sai che
per me sei come un fratello… in un giorno ti avrei detto tutto quel che sapevo
di lui e adesso non saremmo qui. –
Ma Brian ancora
piangeva.
- Dai, stavo
scherzando… non te la prendere. – gli disse, abbracciandolo dolcemente.
- Sono un coglionazzo... – altro singhiozzo.
- Ma per favore…
Dai, hai solo fatto un piccolo errore. Sai cosa diceva sempre mio nonno, pace
all’anima sua? –
Brian emise un
suono che doveva essere un “Cosa”.
- Quella buonanima
di mio nonno diceva sempre: A tutto c’è
rimedio, fuorché alla morte. –
Vedendo che Brian
non rispondeva, preferendo continuare a piangere, Carlo sospirò ampiamente,
scendendo dalla macchina. – Ho capito, le
valigie te le porto io. Ma che sia la prima e l’ultima volta, eh? –
Lentamente, Brian
scese dalla macchina e prese i due borsoni, quello della palestra e quello con
gli altri vestiti, mentre Carlo portava il trolley.
Arrivati a casa, li
accolse Marisol, la mamma di Carlo, che fu
contentissima di rivedere Brian dopo tanto tempo. Carlo le disse che l’amico
sarebbe stato loro ospite per qualche giorno, finché non si fosse ripreso
(essendo nativi argentini, si parlarono in spagnolo). Marisol
fu ben felice di apprendere la notizia. Brian si affrettò a dire che non
sarebbe rimasto molto, ma Marisol gli rispose che
poteva stare tutto il tempo che voleva, e Brian la ringraziò.
- Naturalmente non
farti scrupoli, puoi restare finché vuoi – aggiunse Carlo a un certo
punto.
- Grazie… non starò
molto, comunque. Il tempo di capire cosa fare… - mormorò, sospirando. Quella
era la cosa più difficile, effettivamente: capire cos’avrebbe
dovuto fare dopo tutto quel che era successo.
- Bene. Mamma? Cosa
c’è per cena, stasera? –
- Eh, ho fatto un poco de paella…! Te gusta, la paella, Brianito?
–
- Sì. Mi piace.
Molto. – rispose Brian, sorridendo.
- Oh, bene, bene!
Allora per te, doppia porzione…! Vedo che te sei… un poco sciupato. Ma quanto è che non mangi? –
- Troppo tempo,
mamma. Troppo tempo. – rispose Carlo per lui, mentre lo accompagnava in
camera sua a sistemarsi.
I giorni successivi
non furono proprio allegri, per Brian. La sua percezione della realtà alternava
periodi di sollievo durante i quali si rendeva conto di stare bene senza
Riccardo, a periodi di dolore in cui desiderava averlo ancora lì accanto a
tenergli compagnia.
- Ma quale
compagnia?! Bri, ma stai scherzando? Quello non era un compagno, era una palla
al piede che ti portavi appresso! Uno stronzo che ti lasciava da solo mentre
andava a farsi le sue avventure con altri…! –
- Sì, ma… -
- Senti, piuttosto
vado a casa tua, prelevo Corrado di peso e te lo porto qui, ma tu dimentica
Riccardo, va bene? – disse, guardando lo smartphone per controllare
l’ora. – Adesso puoi toglierti il termometro, i cinque minuti sono
passati. –
Brian si tolse il
termometro da sotto il braccio e glielo porse.
- Cazzo che
febbrone…! – Lo guardò con gli occhi sgranati - Sei ancora messo male,
tesoro. Anche per oggi non si esce. E guai a te, se ti pesco a chiamare quel
bastardo. –
- Non potrei, anche
perché mi ha bloccato… -
- Eh, visto…? Lascia
stare, dammi retta. –
- Però… -
- Cosa? “Però” che cosa? -
- Corrado… Devo…
devo chiamare Corrado. –
– Cos’è che
vuoi fare, tu? –
- Devo chiamare
Corrado. Voglio sapere se sta bene. –
- Oh madre de dios…! – esclamò l’amico,
sospirando e forse valutando se fosse il caso di ribattere con una battutaccia
delle sue. Poi disse – Ma ne sei sicuro? –
Per tutta risposta,
Brian incominciò a piangere.
*****
La salute di Brian
si stava rimettendo al meglio; almeno quella fisica. La notte si svegliava
sognando che riprovava a contattare Riccardo o mentre lo toccava, rattristandosi
quando sua mente lo riportava alla realtà composta dal letto di fortuna di
Carlo nella sua casa dove viveva con sua madre Marisol, ricordandogli che
Riccardo non c’era più nella sua vita. E piangeva. Poi pensava a Corrado, che
aveva lasciato quasi quattro mesi prima, e piangeva perché non riusciva a
contattarlo, nonostante Carlo ci avesse provato più e più volte. Semplicemente,
il suo telefono risultava staccato. Telefonare a Valeria era fuori discussione,
anche perché non pensava che sarebbe stata molto d’aiuto: Per quanto le voleva
bene, Brian sapeva che Corrado non si sarebbe mai rivolto alla sorella più
piccola in cerca d’aiuto, perché la conosceva fin troppo bene.
- Niente –
disse Carlo, mettendo giù il telefono – lo dà sempre come spento. –
Brian smise di
camminare avanti e indietro per il tinello di Carlo, che rimase seduto con lo
smartphone sul tavolo, guardando il suo amico come a chiedergli “Cosa facciamo adesso?”
Si sedette,
appoggiando le mani sul tavolo e cercando di rimettere in ordine i suoi
pensieri, ma non riuscì. Al pensiero di averlo perso, gli occhi gli si velarono
di lacrime, che incominciarono a colargli giù dalle guance in un pianto
silenzioso.
- Ascolta –
gli disse Carlo a un certo punto – Tu hai ancora le chiavi di casa, vero?
–
- Sì –
mormorò Brian.
- Ma cazzo! E
allora perché non vai a casa, scusa? Stiamo qui a perdere tempo cercando di
contattarlo quando invece potresti… -
Brian lo interruppe
bruscamente – …Non so se farei bene ad andare a casa dopo ciò che gli ho
fatto, Carlo! Tu come la prenderesti se un ragazzo ti tradisse e poi tornasse a
casa, tranquillo e beato, dopo che ti ha lasciato?! Per questo vorrei telefonargli
prima. Glielo devo, almeno. –
- D’accordo, ma se
lui non risponde…? A questo punto tagliamo la testa al toro e andiamoci, no?
–
- Tu pensi che
potrebbe essere una buona idea? –
Carlo sbuffò
– Non ho la palla di vetro, Bri. Visto che non posso prevedere il futuro,
ti dico di andarci e poi tireremo le somme. Ci stai? –
Asciugandosi le
lacrime con la manica della camicia, Brian annuì.
*****
Se fino a quel
momento non era tornato a casa di sua spontanea volontà, era stato sì per il
febbrone da cavallo che gli era venuto, ma anche perché aveva paura di una
cosa.
Che Corrado potesse
reagire male rivedendolo dopo ciò che gli aveva fatto?
Sì, forse un po’.
Ma la cosa peggiore che Brian immaginava, era di trovarlo a sua volta insieme a
un altro: Vedeva se stesso aprire la porta, percorrere il disimpegno e poi vederlo
spaparanzato sul loro divano con un altro ragazzo con cui stava cercando di
ricostruire un rapporto. Una cosa del genere non l’avrebbe sopportata tanto
facilmente, per questo avrebbe voluto prima parlare con Corrado per sincerarsi
che non avesse tentato di rifarsi una vita.
- Carlo…? –
- Dimmi – gli
rispose l’amico, mentre guidava.
- E se Corrado si
fosse trovato un altro…? –
Con le mani sul
volante, Carlo gli lanciò un’occhiata di sufficienza, come per dirgli Ma che cazzo stai dicendo, beato imbecille…?
- Dai, non
guardarmi con quella faccia…! Solo perché a te non piacciono i ragazzi un po’
robusti, non vuol dire che non piacciano a tutti! Ci sono dei ragazzi a cui
piacciono quelli come lui… E se ne avesse trovato uno? –
- Ma cosa vuoi che
trovi…? Secondo te perché ti è rimasto accanto per così tanto tempo? Anche
perché non trovava nessuno, dai! Perché dovrebbe trovare qualcuno proprio ora?
Dai! –
- Grazie per essere
sempre così confortante, tu! – esclamò Brian, incrociando le braccia e
guardando avanti a sé.
- Non fare la
scema, che stavo scherzando. Se è rimasto dieci anni con te, è anche perché con
te mangiava bene. –
Senza volerlo né
saperlo, Carlo aveva portato alla mente di Brian una questione ancora irrisolta.
Siccome Carlo li aveva visti nascere come coppia, pensò bene di fargli una
domanda importante.
- Carlo…? Tu ti
ricordi come fece Corrado a conquistarmi? –
Sulle prime, Carlo
non rispose, limitandosi ad aggrottare la fronte mentre guardava la strada,
lasciando la domanda sospesa in attimi interminabili di silenzio.
Mentre Brian
aspettava una risposta, Carlo si fermò per un semaforo rosso.
- Ricordo che… Ti
aveva scritto qualcosa. –
- Che cosa? –
- Una filastrocca.
O una poesia… una lettera, forse. Per quel che ne so potevano essere sue
elucubrazioni personali. Ti piacque talmente tanto che decidesti di conservarla…
A me parve una boiata pazzesca. –
- Cosa diceva, te
lo ricordi? –
- Bah. Penso che
fosse un polpettone di robe melense, che io ti dissi addirittura che non poteva
averla scritta lui, figuriamoci. Mi sono sempre chiesto che cavolo mai ci
avessi mai trovato, in tante parole senza senso. –
- Una lettera
– mormorò Brian, mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto.
Intanto erano quasi
arrivati nei pressi del loro quartiere. Brian vedeva già il negozio di
ferramenta “Il Paradiso della Brugola”
affacciarsi sulla strada. Provò una stretta al cuore e le farfalle nello
stomaco, mentre la temperatura corporea scendeva e cominciava a tremare.
Una volta
parcheggiata l’auto, Carlo non volle scendere insieme a Brian, dicendogli che
quello doveva essere un momento tutto suo e che non voleva interferire. Per cui
Brian scese, da solo, e si avviò verso il grande cancello d’ingresso.
- Sior Molteni! Ma che piacere rivederla!
Ma dove l’era andato, eh? – da
lontano Brian vide, la signora Visentin era fuori dal portone che passava le
scale a colpi di scopettone. Si avvicinò e lei salutò cordialmente,
sorridendogli con le mani giunte sul grembiule e gli occhiali da lettura che le
penzolavano sul petto assicurati da un cordino verde.
- Ho avuto qualcosa
da fare, signora Visentin. Le spiace se salgo un attimo? –
- Ci mancherebbe! È
casa sua! Vada pure…! Se ha bisogno, sono qui. –
La donna sembrava
davvero contenta che fosse tornato. Brian allora non prese nemmeno l’ascensore,
ma s’incamminò a piedi verso il suo piano, il quarto.
Arrivato davanti
alla porta, fece per prendere fuori le chiavi, ma si fermò. Aprire forse
sarebbe stata una sorpresa, ma sarebbe stato più sorprendente se fosse stato
Corrado ad aprirgli. Per cui mise via le chiavi in tasca e approntò il dito sul
campanello.
Prima di premerlo,
prese un gran respiro. Le farfalle nello stomaco stavano volando
vorticosamente, facendogli girare la testa e battere forte il cuore. Emozione e
paura insieme, che furono la molla che spinse il suo dito a pigiare il
campanello.
Dlin-Dlon.
Attese. Da dentro
però non udì altro suono che quello del campanello.
Riprovò, suonando
ancora una volta. Nessuna reazione.
Pigiò e ripigiò
diverse volte producendo l’effetto insistenza, ma non servì a niente: la porta
rimase chiusa.
Già le sue farfalle
nello stomaco si stavano calmando, mentre una miriade di pensieri cominciò a
formarglisi nella mente… perché Corrado non era in casa?
- Ma perché…?
– mormorò, tirando fuori le chiavi dalla tasca e infilando la più lunga
del mazzo nella serratura della loro porta blindata, facendola girare una
volta. Purtroppo c’era il paletto, quindi dovette girare una seconda volta in
senso antiorario affinché si aprisse. Strano,
pensò Brian, di solito Corrado non mette
il paletto se non quando si va in vacanza. E subito il pensiero che si
fosse trovato un altro e fosse andato in vacanza con lui tornò attuale.
All’interno, la
casa era in penombra. Le imposte erano abbassate, quindi la luce che filtrava
era proprio minima. Brian provò a premere l’interruttore a lato della porta per
illuminare il corridoio, ma non funzionò. L’elettricità era stata staccata.
Tipico di Corrado quando andavano in vacanza. Le serrande abbassate lasciavano
filtrare una debolissima luce dall’esterno, creando un’atmosfera lugubre e
bluastra. Brian si diresse verso il salotto e, tirando il nastro, alzò la
tapparella, poi ripeté la stessa operazione con la portafinestra che dava sul
balcone. La cucina era in perfetto ordine, come una casa lasciata lì durante un
lungo periodo di vacanza… c’era il cesto con la frutta ancora pieno (anche se
alcune banane avevano incominciato a scadere) e il frigorifero era stato
svuotato.
Ispezionò anche il
bagno: anche qui, tutto pulito e in ordine, con la lavatrice vuota come il
cesto dei panni sporchi. Un ordine inquietante che trovò anche nella stanza da
letto.
Corrado non c’era.
Anzi, per quello che vedeva in quell’appartamento, era come se non ci fosse mai
stato. Si guardò ancora una volta intorno, come faceva il detective Monk, uno dei telefilm preferiti da sua
madre, per osservare meglio la scena e capire se c’erano indizi rilevanti. Un
dettaglio che lo riportò alla speranza era che Corrado aveva lasciato i
ritratti con le loro foto sul comò. Le aveva lucidate e spolverate, tanto che
ora apparivano più belle e luminose. Guardò la foto che gli aveva scattato suo
padre durante la festa di laurea di suo fratello Alex, alcuni anni prima: il fratello
neolaureato era sorridente e Corrado era accanto a lui con un bicchiere di
spumante. Davanti a entrambi c’era lui, Brian, con la corona d’alloro sulle
ventitré, in un’espressione di spensierata finta saggezza… Poi girò lo sguardo,
vedendo la foto in cui erano seduti a un tavolo con il particolare di una torta
(Auguri Brian, +20!!!, c’era scritto
sul dolce) e guardavano l’obiettivo sorridendo e tenendosi sottobraccio.
E infine, c’era una
foto che Brian aveva usato pochi mesi prima per tentare di riprodurla su carta.
La loro prima foto insieme. A differenza delle altre, questa era solo poggiata
sulle cornici. Brian la prese in mano, trovandovi un foglio attaccato dietro
con una graffetta.
- Oh…? –
Tolse la graffetta e prese in mano il foglio piegato in quattro. Quando lesse
ciò che c’era scritto, ebbe quasi un mancamento.
L’alba che cede il passo alla notte,
Risplende di frammenti di bottiglie rotte.
Il passero canta, mentre la luce abbaglia
dell’alba che da dietro il sole si staglia
Pensieri s’affacciano alla finestra del mattino
Mentre penso al tuo sguardo,
angioletto dolce e birichino
Pensieri felici, parole d’amore
Che vorrei sussurrarti per ore e ore…
Parole leggere che prima non sentivo
Sussurratemi piano dalle tue labbra, rosso vivo.
D’immense foreste, di more e lamponi
Di questo mi parlano i tuoi occhi marroni.
Di mondi fantastici che vorrei esplorare
Senza paura di poter cadere
Non troppo vicino, né troppo lontano,
Ma avendoti accanto, tenendoti per mano.
E ora sono qui, a chiedermi perché
Non riesco a farne a meno, di pensare a te.
Brian la rilesse
più e più volte, nella calligrafia di Corrado così precisa e metodica… ed ebbe
le lacrime agli occhi. Si portò una mano alla faccia, incominciando a piangerci
dentro. Pianse tutte le sue lacrime, avendo ritrovato la poesia che gli aveva
dedicato. La stessa che gli aveva scritto, che Corrado aveva trovato e aveva
riesumato per l’occasione, ora Brian la teneva sul cuore come se fosse il bene
più prezioso che di lui gli era rimasto. Si accasciò sul letto, continuando a
piangere e invocando ripetutamente “scusa”
a un ragazzo che non c’era.
*****
Brian girò ancora
un po’ per quella casa vuota, facendosi prendere dalla nostalgia e dall’amore
che provava ancora per Corrado, avendo ottenuto finalmente la prova che Corrado
aveva sempre fatto sul serio, con lui. Avrebbe continuato a girare ancora per
molto, se lo squillo di un messaggio Whatsapp sul suo cellulare non l’avesse
riportato alla realtà: era Carlo, che dal parcheggio gli chiedeva se fosse
tutto a posto e se avesse bisogno di qualcosa. Brian gli rispose che Corrado
non era in casa, e non sapeva dove fosse.
Si guardò intorno,
per capire se Corrado avesse lasciato qualcosa, un biglietto con un telefono o
un indirizzo, ma non trovò nulla. Mentre il suo telefono vibrava di nuovo con
la risposta di Carlo, a Brian venne un’idea.
Se c’era qualcuno a
cui rivolgersi per sapere i fatti di un normale condominio, una figura istituzionale
preposta alla raccolta e alla conservazione dei dati, quella era sicuramente la
portinaia. E la signora Visentin non faceva eccezione: anche lei sapeva tutto
di tutti. Di quelli che c’erano… e di quelli che c’erano stati.
- Devo chiedere
alla signora Visentin se l’ha visto – mormorò – Ma sì che l’ha
visto, lei è sempre lì che sa tutto di tutti! – esclamò, prendendo la
porta e scendendo di nuovo le scale a perdifiato, come per paura di perdere
l’unica cosa che ancora lo collegava a Corrado.
La signora Visentin
aveva appena finito di dare lo scopettone fuori dall’atrio e si stava
concedendo un po’ di relax seduta sulla poltrona presidenziale alla scrivania
della sua guardiola. Quando vide Brian, abbassò gli occhiali da lettura e mise
giù la rivista che stava leggendo, uscendo dalla porticina.
- Sior Molteni cosa fa…! Stia attento a
non cadere che ho dato la cera sulle scale. Ha fretta? –
- Oh, signora
Visentin, meno male che l’ho trovata. Senta, ma… il mio ragazzo, l’ha mica
visto ultimamente? -
- Dice l’ingegner
Ottonelli? Guardi, io è da due mesi che non lo vedo. Non l’ho visto uscire di
casa per giorni, poi lo vedo una mattina mentre ero con mio marito lìfuori dal parcheggio (sarà stato… eeeh…
Prima o dopo Pasqua, non ricordo), che portava giù una valigia e un borsone e
li caricava nella sua macchina. Mio marito Toni gli fa: Se ne va in vacanza, ingegnere? E lui: Sì, vado giù in Umbria dai miei, ho bisogno di una vacanza. E mio
marito … -
Prima che potesse
raccontargli tutti i dettagli, Brian la fermò educatamente, ringraziandola.
- Quindi vi ha
detto che stava andando in Umbria? A casa dei genitori? –
- Sì, sì! Così ha
detto. Poi se ha mentito, guardi non lo so, non posso dire. – la signora
Visentin rise, mostrando i denti bianchissimi della sua dentiera.
- Capisco –
rispose Brian. Poi sorrise alla donna – La ringrazio, signora Visentin.
–
- Ma s’immagini,
per così poco. Se vede l’ingegnere, me lo saluti tanto e gli dica che se vuole
posso andare su a bagnargli le piante. Quando l’abbiamo visto con mio marito
sembrava abbastanza preso, per cui non me l’ha chiesto e non mi ha neanche lasciato
le chiavi…! –
Era uno dei dettagli
che aveva notato Brian: le piantine del terrazzo che stavano morendo. Allora
prese fuori il suo mazzo di chiavi e le porse alla donna, mettendogliele in
mano.
- Tenga. So che
farà un buon lavoro. –
- Va bene, gliele
bagno io. –
- Ora devo proprio
andare, signora Visentin. Mi scusi. – disse Brian, e girò la schiena per
andarsene.
- Sior Molteni…? – lo chiamò la
donna.
Brian si girò
– Sì, signora Visentin? –
La portinaia aveva
un’espressione grave sul volto, che Brian immaginò fosse lo stesso che usava
quando doveva contestare qualcosa ai suoi nipotini, i figli dei suoi figli. In
fondo anche Brian poteva essere un suo nipote, e in quel momento si sentì
proprio come tale, anche dopo quello che l’anziana signora gli disse.
- Giovanotto
– cominciò a parlargli, in tono solenne con quel marcato accento veneto –
Io a ottobre prossimo compirò settantadue anni. Ho un figlio, una figlia e
quattro bellissimi nipotini. Nessuno me l’è venuto a dire, ma io so che cosa è
successo tra Lei e l’ingegnere – disse, mentre continuava a guardarlo
negli occhi. Con le mani consunte ma curate gli prese quelle tozze e morbide di
Brian – Perciò le dico, giovanotto: non sia sciocco, e guardi bene ciò
che la vita le ha dato. Un po’ de
confusione ogni tanto può capitare, ma quando si sente confuso, lei guardi
negli occhi del suo fidanzato, e
ritroverà immediatamente la strada. Glielo dico come se fosse mio nipote. E non
se lo dimentichi mai. –
Brian aprì la
bocca, forse nel tentativo di dire qualcosa, ma quel qualcosa gli morì in gola
quando la donna gli strinse debolmente le mani e gliele lasciò dopo un ultimo,
intenso sguardo. Ringraziandola, tornò a girarsi lentamente e poi uscì dal
portone, tenendosi la faccia con una mano, mentre piangeva.
- A Perugia?!?
– aveva esclamato Carlo quando Brian gli aveva comunicato ciò che aveva
appena saputo dalla portinaia, mentre si asciugava le lacrime e tirava su col
naso.
- Sì… la signora
Visentin ha detto così. – Sospirò, cercando di dominare un nuovo accesso
di pianto, senza successo. Quindi esplose nuovamente in un pianto strozzato,
singhiozzante. Disperato.
Accanto a lui,
Carlo rimase con le mani sul volante, tamburellando con le dita. Poi tirò fuori
il pacchetto di sigarette che teneva nel taschino della giacca e se ne accese
una. Non fece il gesto di offrirne una a Brian perché era l’ultima, però in
compenso gli disse qualcosa di utile.
- Brian…? –
Ma l’amico non
l’ascoltò, continuando a piangere ed a scartare fazzoletti.
- Brian…? – richiamò,
con tono più dolce. Nemmeno questo servì.
Allora Carlo gli
fece un fischio con le dita, talmente acuto che Brian saltò sul sedile. Si
asciugò le lacrime e si massaggiò l’orecchio lacerato dal suono acuto di poco
prima.
- Ma che… sei
diventato scemo? Cazzo ti fischi? –
- Devo fischiare
per forza! Ti chiamo e non mi ascolti…! Voglio dirti una cosa: continua a
piangere così e vedrai che prima o poi torna, il tuo Corrado. –
Cogliendo l’ironia,
Brian lo guardò seccato - E cosa dovrei fare, secondo te? –
- Semplice: Prendi
e vai da lui. Che ci vuole? –
- Una macchina,
forse? E prima ancora di quella, la patente? – tirò su col naso – E
poi da quando in qua sei un esperto in rotture sentimentali? –
- Bimba, io sono
esperto d’amore da quando tu ancora non sapevi come infilarti le mutandine
– disse Carlo, scrollando la cenere della sigaretta fuori dal finestrino
– E poi non serve necessariamente una macchina, per arrivare fino a
Perugia. Basta un biglietto, un treno e il gioco è fatto. –
- Ma… -
Buttato il
mozzicone fuori dal finestrino, Carlo prese la faccia di Brian tra le sue mani,
avvicinandosi e guardandolo negli occhi come un innamorato.
- Ehi, ma che stai
facendo? – Brian cercò di divincolarsi, ma Carlo lo trattenne dandogli
uno schiaffetto sulla guancia destra e intimandogli di stare tranquillo, che
voleva solo parlare.
- Voglio farti una
domanda. Che cosa provi in questo momento? Pensaci bene, non voglio una
risposta buttata lì. –
- Tristezza –
rispose Brian, velocemente.
- Perché? –
Ci pensò su. Carlo
lo vide chiudere gli occhi per un secondo, per poi riaprirli – Mi manca
Corrado, e penso che se ne sia andato perché non voglia più rivedermi. –
- Perché pensi che
non vorrebbe più rivederti? –
- Perché ho fatto
una cazzata. Un’enorme cazzata. E lui adesso se n’è andato… Ho rovinato tutto…
Tutto. –
Carlo fece un
sorrisetto compiaciuto, tanto che Brian sentì il suo fiato puzzolente di
sigaretta uscirgli dal naso e colpirgli il labbro superiore.
- Ascoltami bene,
cucciolotta mia – gli disse, parlandogli molto vicino alle sue labbra, i
suoi occhi riflessi in quelli di Brian – Quando fai una cazzata, hai due
scelte possibili: Uno, fare finta di niente sperando che cada nel silenzio;
due, assumerti le tue responsabilità e fare del tuo meglio per cercare di
rimediare. Pillola blu o rossa, uno o zero. A te la scelta. È semplice. Tu vuoi
cercare di rimediare? –
Brian annuì
lentamente.
- Non ho sentito
bene. –
- Sì, ho detto di
sì! –
- Ottimo. Allora
sai già cosa fare. – disse, e gli schioccò un veloce bacio sulle labbra.
Poi l’abbandonò sul sedile.
- Non farti strane
idee – disse poi Carlo – Sai che ti voglio bene come a un fratello.
Anzi, come a una sorellina. –
Brian lo guardò,
poi, per la prima volta dopo tanti giorni, rise di gusto, quasi istericamente. Per
un po’ Carlo restò zitto, ma venendo poi trascinato dall’euforia di Brian, si
mise a ridere anche lui.
- Sei proprio una
stronza, sorellina! –
- Lo so –
ribatté Carlo, con la sua espressione da “baciami-le-chiappe-sono-una-star”
-È per questo che mi vuoi bene,
no? –
- Disgraziatamente,
sì. –
Carlo gli sorrise
dolcemente. – Bene. Adesso che abbiamo riso, vediamo come fare per farti
riappacificare con tuo marito. –
Ciò detto, girò la
chiave della Cinquecento e mise in moto.
*****
Le speranze di
Brian si spensero quando chiese a Carlo se intendeva accompagnarlo a Perugia.
- Ma stai
scherzando?! Da qui saranno più di quattrocento chilometri! Fino a Perugia ci
vai da solo, se ci tieni tanto a riprendertelo, cara! – aveva detto
mentre guidava.
Erano tornati a
casa, e lì Brian fece una selezione dei vestiti che avrebbe potuto portarsi per
il viaggio. Stava pensando che forse avrebbe dovuto portarsi il trolley e il
borsone, ma poi gli venne in mente l’infausta prospettiva che lo vedeva tornare
a casa con le pive nel sacco, quindi si portò solo lo stretto necessario. In
più Carlo gli suggerì che non poteva portarsi appresso un borsone: gli sarebbe
stato scomodo e d’intralcio.
- Allora tu cosa
suggerisci? – gli domandò Brian.
Carlo ci pensò su
un momento, poi spalancò gli occhi e aprì la bocca: l’effetto fu analogo a
quando nei fumetti un personaggio ha un’idea folgorante e gli si accende una
lampadina sulla testa. Lo vide rovistare dentro il suo armadio, fino a tirarne
fuori qualcosa.
- Questo…? Ma… è… -
- Eh sì. È proprio
lui… – disse Carlo, sorridendo di nostalgia. – Il mio vecchio
Invicta. Ah, quanti ricordi… -
Lo zaino, che Brian
ricordava sulle spalle di Carlo ai tempi della scuola, era un vecchio Invicta
nero con le finiture rosa. Sopra c’erano scritte un sacco di dediche e simboli
con il pennarello nero, che ora si vedevano a malapena: era stato lavato e
posto a riposo nell’armadio, ma conservava ancora il suo fascino rétro.
- Usalo – gli
intimò – Magari ti porterà fortuna. –
- Lo spero proprio
– mormorò Brian, cominciando a infilarci dentro gli indumenti che aveva
scelto per il viaggio.
*****
Lo zaino di Carlo
sulle spalle gli dava un’aria da liceale. Se si fosse tagliato la barbetta
incolta che gli era cresciuta durante la permanenza (meglio: prigionia psicologica) con Riccardo,
sarebbe potuto entrare tranquillamente in una scuola e confondersi con gli
studenti.
Naturalmente a
quell’ora non c’erano scuole aperte, mentre lui si trovava in stazione insieme
a Carlo, che accanto a lui guardava il tabellone per capire da quale binario sarebbe
partito il treno di Brian. Intorno a loro, il viavai di gente e il brusio
sommesso, sovrastato a volte dall’altoparlante che annunciava i treni in arrivo
e in partenza, su Brian stavano avendo un effetto quasi calmante. Fece finta di
stare fuggendo, andando via da Riccardo in modo da poter riabbracciare il suo
Corrado, che per dieci anni l’aveva sopportato finché non era successo tutto
quanto… l’errore più grande della sua vita.
- Che ore sono?
– domandò Brian.
Carlo tirò fuori il
cellulare e premette il pulsante di stand-by, illuminando lo schermo – Le
sei meno dieci. Fra poco ci siamo, ma non capisco perché ancora non l’abbiano…
- stava per dire “annunciato”, ma
s’interruppe quando un nuovo annuncio venne diramato dall’altoparlante, e si
mise all’ascolto. Brian lo guardò: sembrava un cane che ha appena drizzato le
orecchie al fischio del suo padrone.
“Treno FrecciaRossa delle diciotto e undici per Salerno
è in partenza dal binario nove. Ferma a: Bologna Centrale, Firenze Santa Maria
Novella. …”
- …eccoci. Al
binario nove! – esclamò Carlo, incominciando a camminare verso la zona
dei binari.
- Ehi, aspettami!
–
Poco dopo erano
saliti sul treno. Il posto di Brian era in una carrozza ancora semivuota, ma
che si sarebbe riempita a breve. Il treno arrivava fino a Salerno, ma lui
sarebbe dovuto scendere prima.
- Hai capito dove
devi scendere, vero? –
- Sì. A Firenze.
–
- Esatto. E da lì,
quale devi prendere? –
- Per Foligno. E
poi scendere a Perugia. –
- Bravissimo! Vedo
che hai imparato in fretta! –
- Scema – lo
rimbrottò Brian, ridacchiando mentre si accomodava sulla poltrona –
Saranno secoli che prendo il metrò, non vorrai mica spiegarmi come si fa a
prendere un treno, no? –
Carlo sospirò,
scuotendo la testa in uno scherzoso atteggiamento disperato, poi disse –
Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni? Ti ho detto che non mi va di
arrivare fino lì in macchina, però posso venire con te qui in treno. –
Brian guardò
l’amico, che nel frattempo si era accomodato accanto a lui e lo guardava di
rimando.
- Ti ringrazio
– disse Brian – Ma questa cosa devo risolverla da solo. Sono io che
ho sbagliato, ed io riparerò. O almeno… ci proverò. – distolse lo
sguardo, sospirando.
- Come vuoi –
rispose Carlo, alzandosi dal sedile. Gli batté una mano sul ginocchio e si
allungò per baciargli entrambe le guance. Si abbracciarono forte.
Rimasero lì per molti secondi, durante i
quali a Brian sembrò di sentire che Carlo stava singhiozzando. La sua
impressione fu confermata da Carlo, che prese una gran boccata di fiato e si
asciugò un po’ gli occhi.
- Carlo…? – chiamò
Brian, ma la sua voce fu sovrastata da quella dell’amico.
- Niente –
disse l’amico, poi alzò la voce – Vai e torna vincitore. E ricorda che se
mi chiami per venirti a riprendere qui in stazione, m’incazzerò come una belva
con Corrado e lo prenderò a calci in culo finché non ti riprenderà, fosse
l’ultima cosa che faccio, cazzo! – esclamò, mettendo le mani chiuse a
pugno sui fianchi contemporaneamente alzando il mento, in una posa da dittatore
che fece ridere di gusto Brian.
Mentre si
ricomponeva, disse – Buona fortuna, Bri. –
- Hasta luego, hermano – disse
Brian.
- Hasta la vista, chico – rispose
Carlo, e si diedero la mano in una carezza, poi chiudendola a pugno e
incontrandoli.
Con le cuffie nelle
orecchie, ascoltando una canzone di Samuele Bersani (Senza Titoli), Brian guardava fuori dal finestrino il mondo che
correva veloce. Veloce com’erano passati gli anni insieme a Corrado. Tra alti e
bassi erano stati anni felici, tutto sommato. Ma dov’era finita quella felicità
che entrambi avevano provato anni prima, quando Brian aveva deciso di cedere
alle avances di Riccardo, scoprendo poi che era tutta una facciata, perché il
ragazzo non era in grado di amare nessuno oltre a se stesso…? Che cosa sarebbe
successo se Brian non fosse andato mai via per tutto quel tempo? La loro
relazione sarebbe comunque entrata in crisi oppure no?
Seppur obnubilato
dal pensiero di Riccardo, Brian non credeva si potesse parlare di crisi, tra di
loro… Lui sentiva ancora il desiderio di rapporto con Corrado. L’aveva sentito
fino all’ultimo, quando si era concesso a lui dopo la storia della promozione.
E gli era anche piaciuto, tanto che per un po’ aveva pensato di abbandonare
Riccardo e tornare a concentrarsi su Corrado. Ma poi Riccardo aveva messo in
atto le sue strategie aggressive e manipolatorie per attirarlo a sé, per chissà
quale motivo, e lui ci era cascato con tutte le scarpe. Il pensiero gli fece provare
collera nei confronti di Riccardo. Non si sentiva così da quando aveva scoperto
che qualcuno aveva messo in giro la voce che si concedeva sessualmente nei
bagni del liceo. Ora come allora, avrebbe voluto trovare il responsabile e
farlo a pezzi, proprio come Riccardo aveva fatto con lui. Dentro di sé sperò
con tutto il cuore che qualcuno prima o poi gli avrebbe distrutto quello
specchio deformante che era il suo smisurato ego, mettendolo di fronte alla sua
vera e schifosa natura.
- Non ci pensare
più – mormorò a se stesso – Adesso pensa a Corrado. –
E pensò, mentre
infilava le cuffie e ascoltava una nuova canzone per ingannare il tempo.
*****
Molti anni prima, 2008.
L’orientamento
degli studenti in uscita dalle scuole superiori cominciava già allora a essere
un’esigenza molto sentita. Il liceo artistico dove studiavano Brian e Carlo
aveva incominciato a organizzare seminari e incontri dedicati all’orientamento
già da settembre, quando gli studenti si apprestavano a cominciare il loro
ultimo anno. Tra queste iniziative, il vicino Politecnico aveva organizzato una
piccola fiera dell’orientamento al suo interno: desks informativi dove studenti
o docenti della facoltà rilasciavano opuscoli e gadget sui corsi che si
potevano frequentare. Brian aveva già una mezza idea di intraprendere la
carriera di architettura, così, insieme a Carlo, era andato alla giornata della
presentazione dei corsi universitari.
Qui, era stato
attratto da un ragazzo che stava in piedi dietro il suo stand e spiegava ad
altri ragazzi come lui che cosa facevano nel loro corso di laurea e i possibili
sbocchi professionali.
…Bisogna essere dei maghi in matematica, per
frequentare questa facoltà?
Nel fare quella
domanda, Brian si era già preparato a una risposta affermativa, con tanto di panegirico
sulla memoria e la mentalità logica.
Assolutamente no,
aveva risposto quel ragazzo con i capelli mossi che gli accarezzavano la
fronte, è sufficiente avere un po’ di
curiosità ed essere disposti ad andare avanti anche quando le difficoltà
sembrano insormontabili.
Più che
dall’aspetto fisico del ragazzo, che era quanto di più vicino fosse a un
ragazzo della porta accanto (un po’ di pancetta e i fianchi un po’ larghi, gli
occhiali sul naso e la faccia da Nerd), Brian rimase affascinato da quella risposta,
mentre il ragazzo continuava a parlargli amichevolmente dal desk dietro al
quale era appeso uno striscione blu che strillava “Facoltà di ingegneria, dove risolvere i problemi diventa un’arte” a
lettere bianche, contornato da disegni di ingranaggi e planimetrie stilizzate.
Rimase a parlargli per tanto tempo, rivelandogli che lui in matematica arrivava
a malapena al quattro (quattro e mezzo quando andava bene) e che gli sarebbe
piaciuto frequentare architettura. Sebbene in un secondo momento il ragazzo
dietro il desk gli avesse detto che ingegneri e architetti non si vedessero di
buon occhio, si era offerto di insegnargli un po’ di matematica. Prima che
Carlo ricomparisse, dichiarandogli che era stanco di girare e che voleva
andarsene a casa, Brian aveva già ottenuto il cellulare del ragazzo, uno
studente di ingegneria di nome Corrado.
Era cominciata così
una frequentazione all’apparenza senza interesse, ma che lentamente aveva
iniziato a diventare qualcosa di più. Fu durante uno dei loro incontri di
studio: Brian entrò in argomento parlando di danza e di come da ragazzino
avesse imparato a ballare il Charleston,
un vecchio ballo risalente agli anni ’20.
Corrado?
Sì?
Tu sai ballare?
A quella domanda
Corrado aveva lasciato la penna e l’aveva guardato, poi aveva riso.
Dico, ma mi hai visto? Ci vuole coordinazione, per
ballare. Ed io in educazione fisica arrivavo al quattro e mezzo quando mi
andava bene.
Pensavo che magari ti avrebbe fatto piacere imparare.
Oh, beh…! Sono sempre curioso di apprendere qualcosa di
nuovo, aveva detto Corrado con
un sorriso. E così avevano incominciato a scambiarsi le loro conoscenze.
Naturalmente Brian
ignorava l’orientamento sessuale di Corrado. Il ragazzo poi non gli aveva mai
parlato di ragazze o fidanzate, preferendo concentrarsi di più su numeri e
teoremi. Corrado invece sapeva che Brian era gay, per gentile concessione di
Carlo, che ogni volta che si presentava davanti a Corrado, assumeva sempre il
suo solito atteggiamento da donna mancata. Durante la loro prima uscita a tre,
Carlo diede il peggio di sé, tanto che Brian ne fu notevolmente imbarazzato,
chiedendo scusa a Corrado per come era stato trattato dall’amico. Corrado gli
aveva risposto che per lui non c’era problema, che era abituato a trattare con
gente come Carlo e che poteva stare tranquillo che sarebbero usciti nuovamente insieme.
Una volta riferita la reazione a Carlo, questi aveva risposto che si era
comportato così per “metterlo alla prova”.
Quando Brian gli aveva chiesto cosa ci fosse da provare, Carlo aveva risposto Per esempio, potremmo provare che uscire con
te lo imbarazza oppure che deve mantenere un’immagine pubblica. In quel caso ti
consiglierei di lasciarlo stare, se solo hai anche la mezza intenzione di
provarci.
Ma Brian non aveva
alcuna intenzione di provarci con Corrado. Anche perché in genere erano gli
altri che ci provavano con lui, ma soprattutto perché quello che c’era tra lui
e Corrado era (o credeva che fosse) soltanto una frequentazione interessata
solo alla conoscenza e allo scambio reciproco di competenze, totalmente diversa
da tutte le altre poche frequentazioni che aveva avuto, esclusivamente orientate
alla conoscenza sessuale e null’altro.
Ma le sue
convinzioni cominciarono a vacillare quando fecero la prima uscita a quattro:
insieme a loro, c’era anche Franco, l’uomo che frequentava Carlo quando ancora
aveva intenzione di fare le cose sul serio con qualcuno. Mentre erano insieme
tutti e quattro, l’uomo aveva chiesto a Brian e Corrado da quanto tempo fossero
fidanzati. I due si erano guardati e poi l’avevano riguardato imbarazzati,
dicendo che non erano fidanzati ma semplicemente amici. Allora Franco si era
scusato ridendo, ma aveva soggiunto Voi
due state proprio bene insieme. Secondo me, potreste formare una bella
coppietta. A quell’affermazione, Brian era arrossito violentemente,
portandosi una mano davanti alla bocca e ridacchiando. Corrado aveva fatto più
o meno lo stesso, ma aveva anche detto qualcosa di molto bello, che lasciò Brian
leggermente interdetto.
Beh…! Sicuramente non ci annoieremmo, visto che abbiamo
molte cose in comune.
Nel sentire quelle
parole, Brian fu sorpreso. Si sarebbe aspettato che il ragazzo, per quel che ne
sapeva eterosessuale convinto, avrebbe risposto in maniera tranciante, per
esempio dicendo “No grazie, ho altri
gusti”, oppure in maniera più moderata, magari con un “Se dovesse andarmi male con le ragazze, magari penserei a Brian”;
invece Corrado aveva risposto in una maniera molto dolce, che per un attimo gli
fece battere il cuore.
Ma di batticuore,
quelli veri, sarebbero arrivati dopo. Un giorno, Brian era a casa di Corrado
per i soliti esercizi di matematica. A un certo punto Corrado aveva aperto un
discorso un po’ intimo, su cui magari lui poteva dargli una dritta.
Ho… ho scritto… una… diciamo, una poesia d’amore. E
vorrei farla leggere alla persona per cui l’ho scritta. Ma non so se potrebbe…
apprezzare, diciamo. Nella sua ingenuità
di diciottenne, Brian non aveva colto l’imbarazzo e la difficoltà con cui stava
parlando Corrado. Si era limitato a guardarlo con gli occhi sgranati, mentre un
ciuffo dei lunghi capelli rossicci gli ricadeva sugli occhi.
Vuoi un parere da me? Ma non sarebbe meglio se lo
facessi vedere a tua sorella Valeria?
Ehm… no, perché… Scusami. Se non vuoi leggerla, non c’è
problema.
No, dai.
Insisté Brian, fammela leggere. Coraggio.
Va bene,
rispose Corrado, e dall’astuccio tirò fuori un foglio a quadretti ripiegato in
quattro, lo stesso che, una decina d’anni dopo, avrebbe fissato dietro una
fotografia, lasciandola in vista sul comò della stanza da letto, prima di
andarsene.
Brian incominciò a
leggere la poesia.
L’alba che cede il passo dalla notte,
Risplende di frammenti di bottiglie rotte.
Il passero canta, mentre la luce abbaglia
dell’alba che da dietro il sole si staglia
Pensieri s’affacciano alla finestra del mattino
Mentre penso al tuo sguardo,
angioletto dolce e birichino
Pensieri felici, parole d’amore
Che vorrei sussurrarti per ore…
Parole leggere che prima non sentivo
Sussurratemi piano dalle tue labbra, rosso vivo.
D’immense foreste, di more e lamponi
Di questo mi parlano i tuoi occhi marroni.
Di mondi fantastici che vorrei esplorare
Senza paura di poter cadere
Non troppo vicino, né troppo lontano,
Ma avendoti accanto, tenendoti per mano.
E ora sono qui, a chiedermi perché
Non riesco a farne a meno, di pensare a te.
Brian rilesse tre o quattro volte, finché
non alzò gli occhi e guardò Corrado, che in silenzio attendeva un giudizio.
È… è stupenda.
Tu… tu dici?
Assolutamente. È … qualcosa di straordinario,
originale. Complimenti, Corrado. Ma come hai fatto?
Oh, è stato facile. Mi è bastato pensare alla persona a
cui l’ho dedicata.
È stupenda. Di nuovo complimenti.
Grazie. Grazie, Bri. Sono contento ti sia piaciuta.
Quindi dici che… che potrei presentarla alla persona di cui mi sono invaghito?
La domanda gli
spezzò il cuore per un momento. Non sapeva nemmeno lui perché, ma l’idea che
Corrado avrebbe potuto frequentare una ragazza in futuro, lo rattristava.
Sospirò, quindi annuì, aggiungendo un sorriso per buona misura.
Sono sicuro che avrai successo, gli disse. Corrado ringraziò e si riprese la poesia,
ripiegandola in quattro e rimettendola al suo posto.
Per qualche giorno
Brian pensò che forse Corrado stesse preparando il terreno per corteggiare
quella ragazza a cui aveva scritto quella poesia, sentendosi sconfortato al
pensiero di ciò. Pensava che avrebbe dovuto dire ciao a tutti i loro pomeriggi
insieme e alle loro uscite, oppure avrebbe dovuto sopportare che una ragazza
potesse prendersi lezioni di matematica al suo posto. Comunque, i loro incontri
di ballo non erano ancora terminati. Corrado li frequentava con passione e
stava già imparando discretamente alcuni passi.
Senti, ti andrebbe di ballare un po’ di swing? Gli aveva proposto Corrado, tirando fuori un CD. Brian
aveva acconsentito sorridendo, senza dire che lui non era pratico dello swing. Comunque
avevano incominciato a ballarlo, con Corrado che sembrava averlo imparato da
solo, tanto era bravo, e Brian che faceva fatica a tenergli dietro. A un certo
punto si erano fermati, e Corrado aveva messo in pausa lo stereo. Il locale
dove si allenavano era la sala hobby del padre di Brian, convertita per i loro
incontri didattici in saletta da ballo.
Beh, complimenti…! Sei stato molto bravo!
Non dire sciocchezze… sono stato un disastro, invece.
Come mai ti è venuto di ballare lo swing, se posso chiedertelo?
Perché… ho voluto farti vedere com’ero migliorato. E mi
sono messo a imparare un ballo diverso, perché non mi sentivo sicuro di poter
ballare il charleston.
Ah, capisco…! Esclamò
Brian, guardandolo. Gli aveva sorriso.
Con le mani ancora
in tasca, Corrado si era avvicinato. Erano rimasti lì a guardarsi per lunghi
attimi senza dire nulla, quando all’improvviso una musica incominciò a
diffondersi dagli altoparlanti.
Le note erano
quelle dolci della colonna sonora di un film romantico molto famoso, Il tempo delle mele.
Corrado aveva teso lentamente
la mano a Brian, che senza dire nulla gliel’aveva presa. Avevano incominciato così
a danzare lentamente, a tempo della musica che li accompagnava. Brian con la
testa poggiata sulla spalla di Corrado, mentre gli cingeva dolcemente la vita e
gli teneva l’altra mano nella sua.
Quel contatto stava
agendo in modo potente su Brian, facendogli battere forte il cuore. Era una
bella sensazione, che non aveva mai provato con nessun altro prima. Si
avvinghiò ancor di più a Corrado, avvertendo il suono del suo respiro
insinuarsi tra le note della canzone, e aspirando il suo profumo, una fragranza
che molti anni dopo avrebbe annusato indosso a un uomo di nome Riccardo, che
all’epoca apparteneva a un futuro che nessuno dei due poteva conoscere.
Avevano continuato
a ballare fino a metà della canzone, fino a che Brian si era staccato
leggermente da Corrado per guardarlo negli occhi.
Corrado l’aveva
guardato allo stesso modo, prima di socchiudere gli occhi e avvicinare il volto
a quello di Brian, che aveva fatto lo stesso.
Le loro labbra si
erano quindi unite in un dolce bacio, stretti l’uno contro l’altro e
accompagnati dalla musica che lentamente stava terminando. Per un momento,
Corrado si staccò delicatamente dalle labbra di Brian, quindi prese fuori un
foglio piegato in quattro dalla tasca, e glielo mostrò tenendolo tra le due
dita.
Questa poesia era per te, gli aveva sussurrato, Sei tu la persona a cui pensavo quando l’ho scritta.
Neanche lui gli
aveva detto Ti amo, almeno non sul
momento. Eppure Brian l’aveva capito lo stesso. In quel momento pensò a una
sola cosa, apparentemente senza senso: non
sto sognando. Mi sta davvero succedendo.
Avevano continuato
a ballare, scambiandosi sguardi e baci, felici di essere lì, insieme.
*****
Brian fu riportato
bruscamente alla realtà da una mano che lo scrollò dolcemente, costringendolo
ad aprire gli occhi.
- Biglietto, prego
– disse il controllore, un uomo sulla cinquantina con la barbetta bianca
e gli occhi azzurri.
Lentamente, Brian
tirò fuori dalla tasca il foglio ripiegato e glielo porse.
- Bene, grazie.
–
- Mi scusi, quanto
manca a Perugia? –
- Poco, siamo quasi
arrivati – rispose l’uomo.
- Grazie. –
- Si sente bene?
–
Brian tirò su col
naso. Effettivamente si sarebbe sentito meglio se il controllore l’avesse
lasciato dormire e continuare a sognare del suo passato insieme a Corrado…
tuttavia disse di sì, che stava bene.
- Mi scusi se
gliel’ho chiesto, ma aveva gli occhi arrossati. Se ha bisogno chiami pure.
– disse l’uomo in divisa, e dopo averlo salutato scomparve dietro la
porta che conduceva al prossimo vagone.
Con un dito si
tastò la guancia, scoprendo che era bagnata. Guardandosi nel riflesso del
vetro, scoprì che i suoi occhi erano appunto arrossati, come se avesse appena
pianto.
Sospirò,
asciugandosi gli occhi, pensando che era ormai vicino a un grande bivio della
sua vita. Quel bivio era la città di Perugia, e al centro del bivio c’era
Corrado, che lo aspettava a braccia incrociate.
Poiché era arrivato
a destinazione durante la notte, Brian pensò che non poteva piombare a casa di
Corrado a quell’ora, per cui andò in un albergo poco lontano dalla stazione. Il
mattino seguente uscì e cominciò a cercare di ricordare dove abitasse Corrado.
In passato erano
stati ospiti a casa dei genitori di Corrado. Ricordava anche che lavoro
facevano i suoi genitori: suo padre era un docente universitario, mentre la
madre era una pediatra. A quanto ricordava però, erano entrambi in pensione,
quindi sarebbe stato difficile trovarli su qualche elenco.
Come si chiama il padre di Corrado…? Pensò, mentre sedeva su una panchina del parco con lo
zaino in mezzo alle gambe. Comincia per
V… Vi… Viviano, Vincenzo, Vito…?
Si spremette le
meningi, quando la memoria sembrò assisterlo: Corrado ricordava che suo padre
si chiamava come quell’attore famoso morto tanti anni prima.
- Vittorio! –
esclamò, - Sì, si chiama Vittorio! –
Brandì il cellulare
e cercò l’indirizzo sulle Pagine Bianche. Ormai Corrado era sempre più vicino,
poteva sentirlo con il suo corpo, nella sensazione di smarrimento e di freddo
che lo pervase appena trovò l’indirizzo della casa del padre.
*****
Una cosa che imparò
da quel viaggio, fu sicuramente che i taxisti di Perugia erano persone oneste:
scelse uno dei taxi in sosta davanti alla stazione e salì. Quando comunicò
l’indirizzo, l’autista sgranò gli occhi, sorpreso.
- Città della Pieve
è in provincia. È tariffa extraurbana. Le va bene? –
- Sì, va bene. Non
c’è problema. –
Il viaggio in taxi
fu un po’ lungo, ma tutto sommato piacevole. Guardando la strada, Brian ricordò
il percorso fatto insieme a Corrado con la sua Opel Corsa azzurrina, mentre l’autoradio
suonava tutte le canzoni che piacevano a entrambi, da Rosso Relativo di Tiziano Ferro a Fotoromanza di Gianna Nannini, più alcune di Robbie Williams e
Madonna. Bei ricordi, che preludevano ad altri ancora più belli.
Mentre il paesaggio
di campagne e valli scorreva fuori dal finestrino del taxi, Brian pensò che
forse era anche per quello che Corrado era tornato a casa: quel territorio così
bucolico e aperto alle prime calure tardo-primaverili, doveva essere il luogo
perfetto per fermarsi un momento e meditare. E forse così stava facendo
Corrado. Si stava curando la ferita che lui gli aveva inferto andando con
Riccardo. Adesso anche lui aveva una ferita, e il meglio che poteva fare era
cercare di curare almeno quella di Corrado.
*****
Il taxi giunse nei
pressi di una via leggermente in pendenza, dove la mente di Brian entrò in
fibrillazione appena vide l’Opel Corsa azzurrina di Corrado parcheggiata
accanto al marciapiede.
- Si fermi qui, per
favore – disse Brian, tirando fuori una banconota da cento euro che porse
al tassista – Tenga il resto – gli disse. Dopo averlo ringraziato,
scese.
La casa dei genitori di Corrado era una
bellissima villa ottocentesca a due piani, con le finestre delle scale in ferro
battuto intarsiate da vetri colorati e un patio dove erano sistemati un tavolo
da giardino e delle sedie intorno. Ai lati del cancello sorretto dalle colonne
in mattoni, c’era una targhetta dorata di quelle professionali, che recitava Dott.ssa Paola Ottonelli sulla riga superiore,
Psicologa – Psicoterapeuta nella
riga inferiore. Immediatamente Brian si ricordò di Paola, la sorella maggiore
di Corrado, quella che mentre i suoi genitori, suo fratello e sua sorella erano
su al Nord, aveva deciso di rimanere a casa insieme ai nonni. L’ultima volta
che era stato lì, stava per terminare gli esami. Ora doveva aver percorso la
sua strada e si era aperta lo studio direttamente a casa.
Muovendosi come un
ladro, Brian si avvicinò al cancello e suonò uno dei campanelli.
- Sì? – gli
rispose la voce gracchiante di una donna.
- Ehm… sono … sono
Brian. C’è Corrado…? –
- Brian…? –
domandò la voce, poi aggiunse – Oh, Brian! Sì. – dopodiché sentì il
cancelletto scattare, segno che poteva entrare.
Entrato, si ritrovò
nel giardino della casa di Corrado, lasciandosi quasi guidare dal cinguettio
degli uccellini sugli alberi. Arrivato alla porta, che si stava aprendo, fu
accolto da una ragazza mora, alta come lui, con gli occhiali e ben vestita.
- Ciao, Paola
– la salutò Brian.
- Ciao Brian…! Come
stai? – lo salutò la ragazza, andandogli incontro per abbracciarlo. Brian
l’abbracciò di rimando, mentre lei gli baciava entrambe le guance.
- Non molto bene
– disse Brian, con un’espressione grave dipinta in volto – C’è
Corrado? –
- No, è in
parrocchia. Come ogni domenica, allena i pulcini della squadra di calcetto
parrocchiale. –
La passione per il
calcio, uno sport che l’aveva visto eccellere in gioventù e verso il quale
Corrado conservava ancora dei bei ricordi. Brian si mosse a tenerezza.
- Oh, ma… non stare
lì sulla porta, entra, dai! Cos’hai fatto? Hai l’aria di uno che non mangia da
settimane. Sei dimagrito. Hai già fatto colazione? –
- No, non l’ho
fatta. –
- Vieni allora,
dai. – lo prese sottobraccio, e lui si lasciò trascinare. Dentro di sé però
avvertì un moto di pianto.
- Ma… C…Corrado,
non…? –
- Cosa, Brian?
–
- Non… non ti ha
detto che cosa… è successo tra di noi? – mormorò.
Per tutta risposta,
Paola lo guardò con un’espressione tranquilla ma un po’ corrucciata.
Non riuscendo più a
trattenersi, Brian si portò una mano agli occhi e incominciò a piangere.
*****
Gli ci volle un bel
po’ per calmarsi. Appena aveva iniziato a piangere, Paola lo aveva abbracciato
come un bimbo, accarezzandogli la testa e continuando a dirgli Va tutto bene, non preoccuparti, tutto si
aggiusterà. Poi l’aveva lasciato piangere sulla sua spalla, mentre lei lo
accompagnava in cucina a sedersi. A loro si era unita anche Gemma, la madre di
Corrado. Nonostante i quasi sessant’anni, si manteneva ancora bene: quel giorno
indossava una gonna lunga e una camicetta, sotto un cardigan rosa e gli
occhiali da lettura appesi al collo. I capelli bianchi le conferivano un’aria
di saggezza.
Quando vide il
fidanzato di suo figlio, lo salutò affettuosamente, baciandogli e
accarezzandogli entrambe le guance e dicendogli che gli avrebbe messo su una
bella tazza di caffellatte con un po’ di cornetti freschi. Brian la ringraziò,
quindi tornò a parlare con Paola di tutto quello che era successo, compresa la
storia con Riccardo.
- …e questo è più o
meno tutto. – mormorò Brian, mentre Gemma gli posava la tazza di
caffellatte caldo e fumante.
Paola annuì, quindi
sospirò e fece la sua diagnosi.
- Mi dispiace, mi
dispiace tanto, Brian. Posso confermarti che non sei il primo a cui capita di
imbattersi in un personaggio del genere. –
- Tu dici? –
La ragazza sbatté
le palpebre, spalancando gli occhi – Oh sì. Purtroppo sono molti gli
individui che non riescono ad amare. Non è colpa loro, sai… è una condizione
abbastanza diffusa, in questi ultimi tempi. Siamo così disconnessi da noi
stessi, che non ci rendiamo conto di come le nostre azioni possano influire, a
volte in negativo, sugli altri. –
- Oh –
mormorò il ragazzo.
- Corrado ci ha
raccontato tutto – intervenne Gemma – Ma non preoccuparti.
Purtroppo sono cose che succedono. Più di quanto immagini. –
- Già… era arrivato
che era a pezzi, proprio come te. Ci è rimasto davvero male, ma in un modo o
nell’altro siamo riusciti a farlo stare meglio. –
- Paola… Gemma.
Ditemi sinceramente: ho fatto un errore, a venire qui e cercare di parlargli?
–
- No, Brian.
Assolutamente no. Non hai fatto un errore – disse Gemma.
- Pensavamo che non
ti avremmo rivisto più, e ci sarebbe dispiaciuto. Dopotutto anche tu fai parte
della famiglia. –
Le due donne gli
sorrisero.
- Mi portereste da
Corrado, per favore? – domandò Brian.
- Certo. Prima però
finisci il caffellatte. Sei talmente deperito che se ti vedesse Corrado, si
spaventerebbe. –
- E mangia almeno
due brioches! – esclamò Paola, ridendo.
Brian ubbidì,
sorridendo e prendendo una delle brioches calde dal cestino davanti a sé.
*****
Le due donne si
contesero il privilegio di accompagnare Brian alla parrocchia, ma alla fine la
spuntò Paola, che aveva già le chiavi dell’auto in tasca. Così Brian montò
sulla macchina insieme a Paola e si lasciò portare dal suo amato.
- Credi che sarà
contento di rivedermi? –
- Sì, dai. E se non
è contento, lo sistemo io, il mio fratellino. Puoi stare sicuro. –
Brian ridacchiò,
mentre la macchina scendeva giù per le strade in pendenza.
Seduto in panchina
con una bottiglietta d’acqua in mano, Corrado osservava i bambini mentre si
passavano la palla, fischiando di tanto in tanto se c’era da fare qualche
ammonizione (oltre che allenatore, doveva fare da arbitro della sua squadra).
Tutto sommato i suoi allievi se la cavavano bene, salvo qualche piccola
intemperanza che si concedevano, ma nulla di eccezionale. In quel momento aveva
fischiato perché uno dei bambini aveva fatto lo sgambetto all’altro.
Fiii!
- Mister, ma che ho
fatto? – domandò Maicol, uno dei bambini. A dieci anni era alto già quasi
un metro e settanta.
- Maicol, hai fatto
lo sgambetto a Magdi, ti ho visto benissimo. –
Intanto Magdi, il bambino
di origini egiziane, si stava rialzando.
- Ma non l’ho fatto
apposta, dai Mister! –
- Confermo –
disse Magdi – Sono io che sono inciampato, scusa Mister. -
- Va bene, ma
cercate di stare attenti. Il comportamento corretto in campo è una regola da
tenere sempre presente, d’accordo? Quindi niente sgambetti – disse,
rivolgendosi a Maicol – e soprattutto niente finte. – concluse,
parlando a Magdi.
- D’accordo.
–
- Chiedigli scusa.
–
- Scusa Magdi
– disse il Maicol, poi i due si strinsero la mano.
- Ok, dai –
disse poi Corrado battendo le mani – Riprendiamo, non è successo niente.
State andando benissimo. –
Poco dopo la
rimessa in gioco della palla, tuttavia, accadde un fatto che mai era successo
prima: con ancora il fischietto in bocca, dalla porticina che dava sul sagrato,
Corrado vide apparire prima sua sorella Paola, poi immediatamente dopo vide
comparire un ragazzo con i capelli rossi e un po’ di barbetta, che, appena lo
vide, gli corse incontro, passando in mezzo ai bambini che giocavano. Questi
protestarono, mentre la palla entrava nella porta sbagliata, facendo segnare un
clamoroso autogol per la squadra di Corrado.
Nonostante i
bambini si fossero messi a protestare, urlando all’invasione di campo! Invasione di campo! Mister! Fai qualcosa! Abbiamo
fatto autogol! Corrado non sapeva cosa fare, nonostante avesse il
fischietto in bocca. Non fischiò semplicemente perché aveva creduto di avere le
traveggole. Quando il ragazzo venne vicino dopo aver invaso il campo e
interrotto la partita con un clamoroso autogol, il fischietto scivolò fuori
dalla bocca, ricadendogli sul petto.
Brian seguì la
sorella di Corrado per una porticina che si apriva in un muro di mattoni.
Quando la varcò, il suo cuore iniziò a martellargli nel petto dalla gioia.
Corrado era in
panchina, in piedi con il fischietto in bocca e il cappellino calato sulla testa,
a osservare il gioco dei bambini. Senza pensare minimamente che con il suo
gesto avrebbe commesso un’infrazione, Brian era corso incontro a Corrado,
tagliando in diagonale il campetto e causando l’autogol di una delle due
squadre.
- Corrado! –
aveva esclamato, sentendosi di nuovo il pianto che saliva in gola.
- Brian… ma… -
Corrado si era guardato intorno, e aveva visto sua sorella Paola che sorrideva.
Poi era tornato a
guardare il suo ragazzo. - …ma che cosa ci fai tu, qui? –
A quella domanda,
Brian gli si era gettato tra le braccia, incominciando a piangere per la
seconda volta in quel giorno. Ormai la partita era stata interrotta, e i
bambini avevano osservato tutta la scena. Corrado inizialmente si preoccupò di
loro, ma poi si concentrò su Brian, che gli stava piangendo a dirotto sulla
camicia.
- Non è niente,
bambini. Tranquilli. Tornate pure a giocare, io … Ci vediamo dopo. –
concluse, prendendo Brian mentre piangeva e portandolo via dal campo.
*****
Il viaggio di
ritorno li vide tutti e tre: Paola che guidava, Corrado che sedeva sul sedile
del passeggero e Brian dietro, sui sedili posteriori. Né Brian né Corrado
dissero nulla. Corrado si era trincerato in una specie di silenzio meditativo,
durante il quale stava sicuramente esaminando il problema da tutte le
angolazioni possibili.
Per cercare di
rompere il ghiaccio, Brian l’aveva guardato e gli aveva parlato all’orecchio
– Sei dimagrito, Corrado? –
- Sì – aveva
risposto lui, senza aggiungere altro.
- Ci credo –
era intervenuta Paola – si fa a piedi tutta questa strada da due mesi…
andata e ritorno. Sicuramente qualche chilo l’ha buttato giù, non è vero,
fratellino? –
Corrado non aveva
risposto, preferendo rimanere assorto a guardare fuori dal finestrino.
- Ti sei anche cresciuto
i capelli – disse Brian, alludendo ai lunghi boccoli ricci che uscivano
dal cappellino. – Stai bene, così. –
- Anche tu vedo che
hai lasciato crescere i capelli, dall’ultima volta che ti ho visto, Brian. –
aveva detto Paola - E li hai anche scoloriti…? O sbaglio? –
- Non li ho più
tinti di biondo. Sono tornato al mio rosso naturale. –
Corrado aveva
continuato a non partecipare alla conversazione. A quel punto Brian aveva
guardato Paola, che gli aveva strizzato l’occhio, come per dire Tranquillo, ci penso io.
Arrivati a casa,
Corrado scese dall’auto e corse immediatamente verso casa. Paola gli andò
dietro frettolosamente, prendendogli il braccio e fermandolo.
- Corrado, devo
parlarti. –
- Che vuoi? –
- Te l’ho detto,
voglio parlarti. Vieni con me nel mio studio, per favore. –
Ciò detto, Corrado
e Paola si chiusero nello studio di quest’ultima, mentre Brian rimase seduto su
un divano della stanza che doveva essere la sala d’attesa dei pazienti di
Paola. Cercò di udire cosa si stessero dicendo, ma dal portone a doppio
battente riuscì a sentire poco e niente. Colse solo un momento durante il quale
Corrado si era alterato, dicendo che Brian lo aveva cornificato e aveva
mantenuto in piedi una relazione parallela, e che quindi non si fidava più di
lui. Poi udì anche la voce di Paola, calma e pacata, come una maestra che sta
spiegando qualcosa a un bambino un po’ duro di comprendonio. E di nuovo udì
Corrado alzare la voce, cercando di far valere le sue ragioni. Lentamente,
Brian tirò fuori dalla tasca la poesia che gli aveva scritto Corrado, e la
lesse, trovandola bellissima come la prima volta. Sospirò, e proprio in quel
momento dallo studio uscì Paola.
Sorrideva.
- Dai, entra.
Corrado ti sta aspettando. –
- Sicura che posso?
–
- Certo…! Vai
tranquillo, e se ci sono problemi, chiamami. Sono qui fuori. –
Brian entrò.
Chiudendosi la
porta alle spalle, vide Corrado che era seduto sul divano, con la mano poggiata
sugli occhi, come se avesse pianto. Non gli rivolse lo sguardo ma Brian si
avvicinò comunque a lui.
Passarono attimi
interminabili durante i quali nessuno dei due disse nulla. Brian allora si
avvicinò ancora di più a Corrado, che però non si mosse.
- Perché…? –
disse soltanto Corrado.
Brian gli si
accoccolò vicino, cingendogli dolcemente le spalle. Corrado non si mosse.
Né Brian disse
qualcosa, fino a che Corrado non ripeté la sua domanda. Solo allora Brian provò
a dare una risposta.
- Credevo che… che
tu non mi desiderassi più. –
Corrado rimase in
silenzio per un lungo momento, poi scosse lentamente la testa – Non era
vero. Ti sbagliavi. –
- Tu… tu mi
desideri ancora, Corrado? –
Anziché rispondere,
Corrado gli fece un’altra domanda – Tu pensi che se io non ti avessi più
desiderato, sarei rimasto con te per tutti questi anni? –
Ci pensò bene prima
di rispondere, era una domanda pericolosa. Alla fine disse – Non ne
abbiamo mai parlato. –
- Potevamo farlo.
Io ero sempre lì, pronto ad ascoltarti. –
- Io… io volevo
solo… giocare un po’ con te. Come facevamo da ragazzi. Mi facevi sentire amato,
protetto. Desiderato. –
A quel punto,
Corrado si girò a guardarlo. I suoi occhi erano spenti, tristi. Ma quando
incontrarono quelli di Brian, sembrarono riprendere colore.
- E’… è stata anche
colpa mia. Ero troppo preso dal mio lavoro, mi sono lasciato prendere la mano
da una cosa che poi mi ha tradito… la promozione a vice-responsabile. Quando
invece avrei potuto benissimo dedicarti un po’ più di attenzioni. Ma non l’ho
fatto… Puoi perdonarmi, per questo? –
- Prima dimmi una
cosa, Corrado. –
- Cosa? –
- Tu… tu mi
desideri? Provi ancora desiderio fisico nei miei confronti? Mi vuoi ancora
bene? –
Corrado lo guardò
negli occhi, annuendo.
- Io ti desidero
ancora, Bri. Ti desidero e ti amo. –
Mentre era sul
punto di chiedergli se era disposto a ricominciare, Corrado allungò una mano a
prendere la sua, intrecciando dolcemente le dita. Brian gliela prese, mentre
gli si accoccolava accanto, sospirando.
Dopodiché prese
fiato e incominciò a declamare.
L’alba che cede il passo dalla notte,
Risplende di frammenti di bottiglie rotte.
Il passero canta, mentre la luce abbaglia
dell’alba che da dietro il sole si staglia
Pensieri s’affacciano alla finestra del mattino,
Mentre penso al tuo sguardo
Di angioletto dolce e birichino
Pensieri felici, parole d’amore
Che vorrei sussurrarti per ore
A quel punto,
Corrado incominciò a declamare insieme al fidanzato.
Parole leggere che prima non sentivo
Sussurratemi piano dalle tue labbra, rosso vivo.
D’immense foreste, di more e lamponi
Di questo mi parlano i tuoi occhi marroni…
E fu allora che si
guardarono di nuovo negli occhi, mentre declamavano insieme la strofa finale.
Di mondi fantastici che vorrei esplorare
Senza paura di poter cadere
Non troppo vicino, né troppo lontano,
Ma avendoti accanto, tenendoti per mano.
E ora sono qui, a chiedermi perché
Non riesco a farne a meno, di pensare a te.
- Nemmeno io ci
riesco… – mormorò Corrado, abbracciandolo e incominciando a piangere.
Brian lo strinse
forte a sé, coccolandolo e baciandogli le guance e il collo e le labbra,
implorandogli di perdonarlo per tutto il male che gli aveva fatto. Corrado lo
prese a sé, cullandolo dolcemente e baciandogli i capelli. Finalmente il suo
dolce Brian era tornato.
- Ti amo… angioletto
mio birichino. Ti amo tanto. – disse Corrado, mentre lo prendeva a sé per
baciargli la fronte e coccolarlo.
- Anch’io ti amo.
Ti amo più della mia stessa vita. Non ti lascerò mai più, te lo prometto.
– sussurrò Brian, accoccolandosi ancora di più al suo ragazzo mentre
piangeva. – Mai più. Mai più. Mai più … -
Dietro la porta,
Paola aveva origliato tutto con un sorriso compiaciuto e un leggero velo di
commozione dietro gli occhi. Con lo stesso tono compiaciuto, aveva detto la
stessa cosa che aveva detto suo fratello qualche mese prima mentre scopriva la
tresca di Brian.
- Bene. Il mio
lavoro qui è finito, a quanto pare. – disse con fierezza, mentre si
allontanava, lasciando i due piccioncini alle loro effusioni, felice di averli
riappacificati.
Ogni tanto mi fermo e penso: chissà
come sarebbe stata la mia vita, se avessi deciso di restare insieme a Franco?
Che tipo di relazione avremmo avuto, io e lui? Ci saremmo fatti felicemente le
corna a vicenda, oppure saremmo stati una coppia tranquilla e ben assortita
come Corrado e Brian?
Non potendolo sapere, mi affido alla
fantasia. L’unica domanda che mi sorge, appena vedo me stesso insieme a un uomo
più grande di me di quasi vent’anni, è: Ma come faremmo a rimanere insieme, io
e lui…? Riusciremmo mai a stare insieme per dieci anni, come Corrado e Brian?
*****
Il soggiorno di Corrado e Brian in Umbria
durò un bel po’, quasi tutta l’estate. Siccome Brian si era portato solo uno
zainetto con lo stretto indispensabile, terminati i suoi vestiti si vide
costretto a usare quelli di Corrado di quand’era ancora studente: guardandosi
nello specchio si vide ringiovanito di dieci anni, tanto che si scattò parecchi
selfie. Ricordò di aver pensato che forse avrebbe
fatto meglio a portarsi anche gli altri due bagagli, anziché lasciarli a casa
di Carlo, ma il pensiero fu spazzato via quando si svegliò nel letto
matrimoniale, allungando la mano verso il lato di Corrado, che però non c’era.
Ebbe quasi un
mancamento nel constatare che forse era stato tutto un sogno, che lui era ancora
nella sua stanza d’albergo, o peggio a casa di Carlo… o peggio ancora, a casa
di Riccardo. Ma la sua paura fu spazzata via quando, pochi minuti dopo, vide la
porta aprirsi e una voce che lo salutava.
- Buongiorno,
tesoro – disse Corrado entrando con un vassoio pieno di cose buone per
lui. Caffè, latte e…
- Buongiorno amore…!
Che profumo… cosa…? – annusò l’aria e spalancò gli occhi dalla sorpresa.
– …Pancakes! – esclamò, mentre Corrado
poggiava il vassoio da letto sulle coperte.
- Sì, ho provato a
farli io stesso. –
- Ma… ma come hai
fatto? – domandò, mentre ne prendeva uno in mano e lo addentava, senza
nemmeno metterci sopra un po’ di Nutella, che pure era lì accanto al caffè.
- Oggigiorno, con
un tablet alla mano e delle videoricette,
si riesce a fare tutto. – gli fece l’occhiolino – Come ti sembrano?
–
- Squisiti… -
mormorò solo Brian.
- Grazie. Magari
nel prossimo ci mettiamo un po’ di Nutella, che dici? Così è più buono. –
- Assolutamente…
sì! –
Disse Brian
ridendo, e con lui rise anche Corrado, mentre il primo
sole estivo illuminava la loro stanza da letto nella casa di Corrado, come ogni
giorno asciugando e togliendo un po’ del grigiore accumulato negli ultimi sei
mesi a causa della storia malata con Riccardo, che entrambi si erano impegnati
a dimenticare, con ottimi risultati.
*****
Vi giro la domanda: secondo voi, come
si fa a condividere lo stesso tetto, la stessa tavola, lo stesso letto, con una
sola persona, per un tempo così lungo?
Non è una domanda difficile, ma
piuttosto è la risposta a essere subdola: per me ogni coppia è un’isola a sé
stante, con i suoi ritmi, le sue regole, i suoi valori (o disvalori) e la sua
storia.
*****
A proposito di
Riccardo: un giorno provò a farsi risentire sul telefono di Brian, che ancora
non aveva cancellato il suo numero. Non volendo rispondere Brian, passò il
telefono a Paola.
- Pronto? –
Mettendosi all’ascolto,
Brian udì Riccardo che diceva – Sto cercando Brian. –
- Brian? Mi
dispiace, ha sbagliato numero – disse Paola, assumendo il tono più neutro
che poteva. Dall’altra parte si interruppe la comunicazione.
Brian tirò un
sospiro di sollievo, mentre Paola gli rendeva lo smartphone.
- Non credo
richiamerà tanto presto – disse Paola – In ogni caso, fossi in te
bloccherei il suo numero. –
- Hai ragione. Grazie,
sorella – mormorò Brian, dolcemente.
- Prego, fratellino
– gli rispose lei, facendogli l’occhiolino.
Il loro soggiorno
durò ancora per molti giorni, spesi tra escursioni, gite fuori porta e pranzi e
cene all’aperto, nonché tra feste di paese. I genitori di Corrado e sua sorella
erano felici di avere ospiti il loro secondogenito e il suo ragazzo per un po’
più di tempo rispetto alle volte precedenti… e i due piccioncini erano felici
nella consapevolezza di stare lentamente ritornando alla normalità.
*****
Ci sono tante possibili risposte: a
ognuna di queste corrisponde una coppia.
C’è chi la risposta non la cerca e
lascia che la vita continui a scorrere semplicemente, perché così dev’essere;
c’è chi decide di cercare la risposta in altre situazioni (mi vengono in mente
due miei amici che vivono in coppia aperta); oppure chi continua a cercarla e
non la trova mai; o anche chi la cerca e la trova sempre negli occhi del
partner.
*****
Una delle cose che
più gli piacquero del soggiorno, fu che Corrado sembrava aver ritrovato dentro
di sé la voglia di amarlo. Avevano dormito insieme tante notti, ma il tempo
dedicato al sonno era stato poco… il più del tempo era stato soddisfazione da
parte di entrambi, che si erano riscoperti più innamorati e… più complici di
prima: al loro ritorno a casa, un pomeriggio Corrado aveva portato Brian a fare
shopping.
Come al solito il
ragazzo aveva preso un po’ di capi in giro per il negozio e se li era portati
nel camerino di prova. Qui si era guardato allo specchio, ritrovando il Brian
di un tempo: capelli lunghi e rossicci, viso pulito e occhi marroni…
ed un corpicino che solleticava le voglie del suo partner.
A un certo punto,
mentre era in mutande, nello specchio vide Riccardo che scostava delicatamente
la tenda ed entrava nel camerino. Ebbe un tuffo al cuore, ma poi si riebbe
constatando che si trattava di Corrado, e si sentì meglio.
- Amore, ma… che ci
fai qui? –
Per tutta risposta,
Corrado gli mise le mani sui fianchi e gli accarezzò il sedere coperto dagli slip,
mentre lo baciava dolcemente.
- Ho avuto una
bella idea… Ti va di metterla in pratica? – gli
domandò, mentre lo guardava con un’espressione di desiderio sugli occhi, la
stessa che venne a Brian quando la mano di Corrado scivolò sotto il tessuto
delle mutande.
- Hmm… Certo che sì… ingegnere.
– mormorò il giovane, mettendogli le braccia intorno al collo e
cominciando a baciarlo.
Poco dopo i clienti
del negozio avrebbero visto una tendina che si muoveva leggermente, ma non avrebbero
mai saputo cosa stesse succedendo all’interno, perché sarebbero andati via a
cercarsi un altro camerino. Per Brian fu una prova di incredibile dolcezza e
complicità da parte di Corrado, che aveva mantenuto la sua promessa: ascoltare
di più i bisogni del suo ragazzo.
*****
A quest’ultima categoria appartengono
Corrado e Brian… Brian ha seguito il consiglio da nonna della sua portinaia, la
signora Visentin: quando si sente confuso, di
guardare negli occhi Corrado per trovare immediatamente una risposta.
Detesto ammetterlo, ma li ho sempre
sottovalutati. Ho sempre pensato che al primo problema sarebbero crollati come
un castello di carte in una stanza dove viene sbattuta all’improvviso una
porta, invece mi sbagliavo, e anche di grosso. Però sono
contento di essermi sbagliato: Nonostante i ventotto anni compiuti, Brian non
sa ancora distinguere la destra dalla sinistra… però ha mantenuto una capacità
che molti, me compreso, hanno perso o non hanno mai avuto: un animo puro e innocente
come quello di un bimbo.
Sarà per questo che è rimasto sempre
insieme a Corrado, perché, anche se da un lato la mente di Corrado traduce il
mondo attraverso le lenti di numeri, assiomi e teoremi, il suo cuore è simile a
quello di Brian: a modo loro, sono entrambi puri e innocenti.
Ed io sono contento perché anche Brian
lo è; non mi piacerebbe vederlo triste, magari insieme ad una persona che non è
fatta per lui. “Chi si somiglia si piglia”, dice un vecchio adagio. Ed io credo
che Brian e Corrado, seppur così diversi tra loro, sotto molti aspetti si
rassomiglino e si siano pigliati.
*****
Ci furono altri
episodi di quel genere tra di loro, che non si limitavano a fare l’amore di
nascosto in luoghi pubblici. Una novità importante fu che Corrado incominciò a
frequentare la palestra insieme al suo ragazzo.
- Anf… Anf… Anfh…
- ansimava Corrado mentre Brian sgambettava tranquillamente sul tapis roulant.
- Amore – gli
disse – Se non ce la fai, fermati pure. Non devi
per forza… -
Almeno due volte la
settimana facevano palestra insieme. Qualche volta
Carlo li accompagnava, e quasi sempre Brian gli raccontava di come avevano
passato la notte insieme, mentre Carlo faceva finta di non crederci. Su una
cosa Riccardo aveva avuto ragione: quando, mentre erano in giro insieme, gli
aveva detto che Corrado era sessualmente inerte perché in sovrappeso. Fare attività
fisica aveva migliorato notevolmente le sue performances, al punto che non solo
aveva più voglia di fare l’amore con il suo ragazzo, ma era anche più forte. E
di questo Brian era più che contento. Un segnale tra i tanti che la loro storia
stava ricominciando nel modo giusto.
C’era un’altra cosa
che faceva insieme a Corrado, che Brian non avrebbe potuto fare da solo, almeno
finché la legge non glielo avrebbe permesso.
*****
Naturalmente un adagio non è una
regola.
Non sempre chi si somiglia si piglia,
sapete; come non sempre chi è diverso non si prende: mi viene in mente Juan,
uno dei miei amici connazionali che ha scelto come partner a un ragazzo timido
e dimesso, mentre lui è fuoco allo stato puro, un po’ come me.
Oppure potrei raccontarvi di Rebecca,
la mia collega qui in negozio, che ha un debole per i ragazzi in carne, mentre
lei è una ragazza magra e davvero carina (peccato che sia sola perché non è
ancora riuscita a trovare quell’uomo in carne che la soddisfi). Anche qui, non
c’è una regola generale, o un assioma, se preferite. Conta molto anche la
fortuna.
*****
Chiudendo lo
sportello dopo essersi accomodato sul sedile del passeggero, Corrado disse -
Allora: prime cose da fare quando entri in macchina. Quali sono? –
Seduto al posto di
guida, Brian ripassò mentalmente le lezioni di guida che stava prendendo da
qualche giorno.
- Fare gli occhioni
dolci all’esaminatore e magari mostrargli le mutande? –
- Esatto. Così se è
gay ottieni la patente senza saper guidare; mentre se
è etero… beh, diciamo che potrebbe non gradire. –
- Scemo –
ridacchiò Brian, tirando una pacca sul braccio del suo ragazzo.
Corrado rise, salvo
poi tornare serio poco dopo – A parte gli scherzi, ti ricordi cosa devi sempre
fare? -
Brian ci pensò su, poi lentamente rispose - Ehm… regolazione del
sedile… con le mani sul volante. Poi… gli specchietti retrovisori… - mormorò,
mentre Corrado lo guardava e annuiva.
- E poi? La cosa
più importante, mi raccomando. –
- Ah! Sì! –
Brian allungò la mano sinistra e tirò la cintura di sicurezza, allacciandosela.
– Giusto? –
- Giusto. Se riesci
a ricordarti di fare tutte queste cose quando verrà il momento dell’esame di
pratica, riuscirai ad ottenere la patente. – disse Corrado, facendogli
l’occhiolino. – Adesso lo vogliamo fare un giretto, amore? –
- Va bene –
rispose Brian, mettendo le mani sul volante dell’Opel Corsa di Corrado, che da
qualche giorno esibiva un foglio con la scritta “P” appiccicato sul lunotto,
affinché Brian potesse esercitarsi in tutta tranquillità a imparare a guidare.
- Possiamo andare
da Carlo? Gli facciamo una sorpresa. –
- Sei tu il
comandante della nave, possiamo andare dove vuoi. – gli disse, con un
sorriso.
Brian sorrise di
rimando, quindi girò la chiave nel cruscotto, ma la macchina fece solo un balzo
in avanti senza mettersi in moto.
- Oddio! Scusa amore…
scusa… scusa-scusa! –
- Un’altra cosa da
fare sempre, amore… prima di girare la chiave, Sempre schiacciare la frizione. –
- Sì. Hai ragione!
– esclamò, avvicinandosi e facendo gli occhi dolci a Corrado. Per tutta
risposta, Corrado gli diede un dolce bacio sulle labbra.
Allora Brian pestò sul
pedale della frizione e avviò il motore, quindi inserì la prima marcia e poi
lasciò andare lentamente il pedale, cominciando a far andare la macchina.
*****
Eh sì. Come sperava Corrado nella sua
poesia, credo che quei due voleranno lontano. Molto lontano. Mi pare abbiano le
carte in regola per farlo.
Se devo dirvi
la verità, sono un po’ invidioso. Anche se so che, se sono single, è anche un
po’ per colpa mia: quando incontro qualcuno e inizio a frequentarlo, dopo un
po’ non mi va più bene. Forse perché sono troppo... come dire…? “Choosy”…?
Hm… No, non è esatto.
Il fatto è che io ho paura.
Ho paura dell’abitudine, dello
svegliarmi accanto a una persona che si aspetta tanto da me; ho paura della
routine, della vita organizzata.
Ho paura di annoiarmi.
Poi però… mi fermo… e penso a Brian e
Corrado… e mi chiedo: e se davvero la vita di coppia fosse tutta lì? Tutto rose
e fiori, senza spine?
Non sarebbe meraviglioso?
*****
- Sono trenta e
quarantacinque – disse Carlo, finendo di battere lo scontrino e infilando
i cosmetici in un sacchetto che porse all’ennesima cliente della giornata, che
sorrise e ringraziò. Guardò l’orologio. Quasi le sette. Tra non molto sarebbero
arrivati.
Poco dopo, la sua
attenzione fu attratta dal suono di un clacson.
PAAA! PAAAA!
Guardò fuori dalla
vetrina e vide l’Opel Corsa color carta da zucchero di Corrado con Brian alla
guida.
- Credo che siano
arrivati i tuoi amici, Carlo! – esclamò Rebecca mentre guardava fuori
dalla vetrina la macchina che posteggiava con le quattro frecce accese.
- Eh sì. Mi
raccomando, dì una preghiera per me mentre sono via: Brian è una frana, al
volante. –
Rebecca rise di
gusto – Che stronzo che sei, a volte! Dagli tempo, povero piccino… sta
ancora imparando, dai! –
- Il piccino ha
quasi trent’anni, se ti interessa saperlo, cara! E comunque se vuoi vedere da
te come guida, perché non vieni con noi? –
- Davvero posso?
–
- Ma certo…! Tanto quella mezza sega di Corrado non è geloso. –
- Sei proprio uno
stronzo. Io lo trovo carino, invece. – mormorò Rebecca, ridendo.
- …Sono proprio uno
stronzo… però mi vuoi tanto bene. -
- Non commento.
Dai, squagliamocela di qui. – rispose la ragazza, prendendolo
sottobraccio.
- Alla buon’ora,
eh! – esclamò Brian – Tre ore per uscire da quel negozio…! -
- Scusami cara
– rispose Carlo – questa palla al piede ci mette sempre due ore a
cambiarsi…! – disse, riferendosi a Rebecca, che per tutta risposta gli
fece una smorfia.
- Ma sì, tanto noi
qui ci siamo trovati bene… non è vero, amore? –
- Eh sì… dovrebbero
fare tardi più spesso…! Io e questo bel tipo qui ci siamo dati alla pazza gioia
mentre aspettavamo. –
- Tesoro, d’accordo
che hai scoperto di avere un pene in mezzo alle gambe, ma non è il caso di
usarlo sempre anche in pubblico…! – ribatté scherzosamente Carlo,
accarezzandogli una guancia con fare provocatorio.
- E’ l’invidia che
parla oppure sei proprio tu? – ribatté Corrado, ridendo. Carlo spalancò
la bocca, sorpreso.
Corrado rise, e con
lui anche Brian e Rebecca.
- Allora? Dove ci porterà
mister foglio rosa? –
- Dovunque, basta
che non sia un ristorante giapponese! Troppi brutti ricordi! – esclamò Brian
mentre rimetteva in moto, poi lanciò uno sguardo nello specchietto retrovisore
guardando i suoi passeggeri.
- Che ne dite di
andare all’American? C’è uno dei
ragazzi che somiglia in modo impressionante a Cannavacciuolo!
–
- Per me va bene
– disse Corrado – Conosci la strada, Bri?
-
- Certo amore!
Andiamo! –
Brian ingranò la retro per uscire dal parcheggio, mentre Corrado mise la mano
sul freno di stazionamento, preparandosi a tenere d’occhio il veicolo guidato
dal suo ragazzo.
- E sia! Rimettiamo
gli orologi, perché prevedo che ci vorrà molto tempo prima che arriviamo…!
Sorellina, hai già imparato a ingranare la quarta? –
- Piantala di fare
la stronza o ti faccio scendere – ribatté Brian,
ridendo. Carlo rivolse lo sguardo a Rebecca, che annuì come a dire Ben ti sta, mentre la macchina
lentamente abbandonava il parcheggio.
*****
La noia… che brutto spettro.
Ed anche il sacrificio. Brr… Un’altra
cosa a cui sono refrattario, poiché nella mia vita mi sono sacrificato poche,
pochissime volte. Lascio fare a Brian, che di certo è più avvezzo di me. A
proposito, vi ho già detto che oltre alla scuola guida, a Settembre si è
iscritto alla facoltà di architettura…? Così oltre alla scuola guida, deve
anche studiare per cercare di laurearsi.
Se non è sacrificarsi questo, ditemi
voi che cos’è.
Forse è masochismo.
O forse…
*****
Seduto a uno dei
banchi della biblioteca del Politecnico, Brian osservava gli studenti intorno a
sé. Sicuramente erano tutti ragazzi più giovani di lui, di quelli che temeva
gli avrebbero portato via Corrado, almeno stando a quanto pensava qualche mese
prima. Adesso era più sereno.
Vide Corrado
avvicinarsi con una piccola pila di libri in braccio, mentre Brian cominciava
ad aprire il blocco a spirale per prendere appunti. Sapeva che Corrado non
sarebbe stato sempre lì ad aiutarlo negli studi: lo faceva finché era ancora
disoccupato e disponeva di una certa quantità di tempo. Ma Brian non era
preoccupato di perderlo come istitutore: sosteneva che ora che Corrado si fosse
trovato un lavoro, lui avrebbe già acquisito una certa autonomia nello studio.
- Eccoci qua
– sussurrò Corrado, poggiando i libri sul tavolo e sedendosi accanto a
Brian. – Questi sono i testi che sono richiesti al primo esame, più
alcuni che ho scelto io per aiutarti a comprendere. Cominciamo pure. –
- Resti qui con me?
–
All’apparenza la
domanda sembrava retorica, poiché era ovvio che Corrado sarebbe rimasto lì. Ma
Brian voleva solamente sentire la risposta.
- Sì. Resto qui.
Cominciamo a leggere? Ti va? –
Brian annuì
dolcemente, felice di aver sentito la risposta che voleva.
*****
…ecco. Un modo come un altro per
passare (dell’altro) tempo insieme. Ma che diamine! Brian! Torna a fare
qualcosa anche da solo, non puoi vivere per sempre attaccato al tuo ragazzo!!!
Scherzavo, naturalmente. Se sei felice
tu, non posso far altro che essere anch’io felice per te.
Quanto a me, è giunto il momento di
salutarvi. Me ne torno a fare quello che so fare
meglio, e cioè vendere cosmetici ai clienti nel mio negozio e ascoltare storie
di amanti delusi e di sogni infranti che quasi sempre finiscono bene, come
questa volta. Vorrei congedarmi con una frase intelligente, ma purtroppo non ho
molte cose intelligenti da dire, per cui vi lascerò
con una domanda….
…Non sono adorabili, mentre studiano?
*****
Mentre leggevano,
ogni tanto Corrado indicava a Brian qualcosa sul libro da annotare sul suo
quaderno, mentre sottovoce gli spiegava alcune cose. Brian prendeva nota con la
mano destra, mentre la sinistra…
… la sinistra era
sotto il tavolo, intrecciata con quella di Corrado, che gliela teneva
dolcemente mentre studiavano.
Ad un certo punto, Brian alzò lentamente gli occhi dal
libro.
Corrado
s’interruppe nella spiegazione, incrociando lo sguardo del suo ragazzo.
Si guardarono negli
occhi per un istante. Poi li chiusero, unendo le labbra in un bacio. In quel
momento, Brian pensò: sarà bello
riprendere gli studi… finché tu sarai al mio fianco.
questo è il capitolo finale della storia che hai letto. Spero di
essere riuscito a tenerti compagnia, narrandoti questa storia, che mi è
capitata tra le mani scorrendo post su Facebook (tra
l'altro di un gruppo che è stato temporaneamente sospeso). Ci sono tanti temi
che vengono toccati in questa storia, ma il più importante di tutti, credo sia
la ricerca.
La vita è una ricerca continua. Per Brian è la ricerca di
conferme in un momento particolare della sua vita: all'alba dei trent'anni, ha
bisogno di sentirsi ancora desiderato come quando era giovanissimo, quando
Corrado gli contava le efelidi sulla schiena. Purtroppo Corrado, troppo
impegnato nella sua personale ricerca (vuole trovare una stabilità
professionale), non si accorge dei segnali che gli manda il suo ragazzo, e
quest'ultimo pensa di non essere più adeguato ai suoi occhi. Così Brian pensa
di trovare le conferme che cerca in Riccardo, che gli dà quello di cui ha
bisogno, almeno per un periodo. Quando però il periodo termina, ecco che Brian
si ritrova vuoto, annichilito, svuotato di ogni energia che Riccardo gli ha
rubato. Sta a Corrado quindi il difficile compito di riportarlo alla sua vita
normale, pensando di meno a sé stesso ed ascoltando i
bisogni del suo ragazzo.
Pancakes
a colazione nasce durante un periodo
fosco della mia vita: ero stato appena abbandonato da una persona a cui volevo
bene (o almeno così credevo), che però mi aveva svuotato
di ogni energia. La sua decisione di lasciarmi, inaspettata e subitanea, mi
aveva colpito come una tranvata, tanto che per molti
giorni rimasi distrutto e confuso dal dolore. Cominciai ad
immaginare un ragazzo che veniva a consolarmi. Per consolarmi mi diceva che
anche lui aveva abbandonato il suo ragazzo, dopo ben dieci anni di
fidanzamento, ma poi era tornato. Quel ragazzo si chiamava Brian, ed aveva una storia da raccontare, che è quella che hai
appena letto. Scrivere di Brian, Corrado e tutti i personaggi che ruotano
intorno a loro, è stato per me un atto di autoguarigione: pensare alla loro
storia mi ha aiutato tantissimo a distogliere l'attenzione dalla mia, finita in
modo così tragico. E' stato bello conoscere questi personaggi, che spero di
poter utilizzare nuovamente per altre storie. Per questo un ringraziamento va
anche a loro. :) Grazie di cuore Brian, grazie di
cuore Corrado.
Se sei arrivato fin qui e hai lasciato anche una recensione, ti
sono infinitamente grato. Anche se non l'hai fatto, non preoccuparti: un voto
in più potrà solo aggiungere perfezione alla perfezione
che già possiede di per sé.
Nel congedarmi, ringrazio di cuore anche te
e spero di rivederti presto. :)