The Greatest Four

di Nana_13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Godric Gryffindor ***
Capitolo 3: *** Helga Hufflepuff ***
Capitolo 4: *** Rowena Ravenclaw ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

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Corro.
Non so dove mi trovo, ho freddo ed è tutto buio. Le gambe cominciano a formicolare e sento la fatica che incombe su di me, ma non posso fermarmi. Non so neanche io bene cosa mi spinga a muovermi, sento solo che devo farlo. C’è qualcosa di primordiale in me che mi spinge ad andare avanti.
Dei rumori sordi provengono dalla mia sinistra. Mi fermo un secondo cercando di capire se si tratta di una minaccia. Riconosco quel suono. Cavalli. Cavalli e voci maschili.
Corro.
Disperata, voglio raggiungerli, sapendo che saranno la mia unica via di salvezza. O di morte. Ma in entrambi i casi andrà bene lo stesso. Ogni tanto faccio una pausa tra gli alberi, ma la paura che se ne vadano è troppo forte e mi costringo a continuare. Vorrei urlare per farmi sentire, per fargli capire che sono qui e che ho bisogno di aiuto, ma la mia voce è bloccata in gola e non ci riesco. Finalmente esco dalla boscaglia, la luce dell’alba mi investe. I miei occhi bruciano a contatto con il sole, come se non vedessero la luce da troppo tempo. Sono più avanti rispetto agli uomini a cavallo così, stremata, cerco di riprendermi prima che arrivino. Improvvisamente è come se tutta la tensione accumulata fin ora si riversasse su di me. Crollo a terra, senza fiato, le gambe che non rispondono più.
D’un tratto sento le voci degli uomini in lontananza. Alzo lo sguardo e vedo che i due si avvicinano. La vista si sta offuscando, sverrò da un momento all’altro, ma sono felice. Il pensiero che qualcuno mi abbia trovato mi conforta.
Ora sono vicinissimi. Riesco a malapena a distinguere i loro volti, ma sento che hanno gli occhi puntati su di me.
“Rowena?” Uno dei due uomini mi fissa e rimane a bocca aperta. “Sei viva…”

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Capitolo 2
*** Godric Gryffindor ***


Capitolo 1 - Godric Gryffindor

"È forse Grifondoro la vostra via, culla dei coraggiosi di cuore: audacia, fegato, cavalleria fan di quel luogo uno splendore."

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Anno domini 952, Devonshire.
 
Faceva molto freddo quella mattina nella brughiera; una nebbiolina leggera si insinuava tra le colline e i prati, dando al paesaggio un’aria spettrale.  Il silenzio regnava sovrano nella valle, eccetto per il rumore delle onde che si infrangevano sulla scogliera e le urla di un gruppo di guardie che inseguivano un ragazzo, non molto lontano dall’ antica tenuta dei Blackfield.

“Torna qui maledetto!” La voce furente di una delle guardie rimbombò alle sue spalle.

Il ragazzo correva più in fretta che poteva, scivolava tra gli alberi, volava sull’erba. La borsa pesante che teneva a tracolla stretta a sé. L’avrebbe difesa a costo della vita.
Godric aveva solo 15 anni a quel tempo e una famiglia da mantenere. Quella mattina era riuscito ad intrufolarsi nelle cucine del castello ed aveva quasi sottratto alla cuoca un pezzo di montone così grande da poterli sfamare per una settimana, senza farsi scoprire. Era bravo a rubare per questo sua madre mandava sempre lui, mentre lei si occupava dei suoi fratelli.
Godric non sapeva bene come ci riuscisse, ma se lo voleva poteva diventare invisibile o evitare che un oggetto toccasse terra e lo facesse scoprire solo con la forza dello sguardo.
Al villaggio si vociferava che sua madre fosse una strega, per questo erano emarginati e poveri, nessuno voleva farla lavorare. Certe volte pensava di aver ereditato i suoi poteri, ma se voleva diventare cavaliere doveva cercare in tutti i modi di nasconderlo. Questo era il suo sogno. I cavalieri guadagnavano bene e vivevano in grandi castelli. Se ci fosse riuscito la sua famiglia non avrebbe più sofferto. Perciò si allenava tutti i giorni con una vecchia spada che aveva sgraffignato al fabbro, temprando il suo corpo.
Mentre stava sgattaiolando via, dopo aver afferrato il prezioso bottino, uno dei cani l’aveva tradito e aveva cominciato ad abbaiare e a ringhiare nella sua direzione. A quel punto le guardie l’avevano visto e non gli restava altro da fare che correre. E lui era molto bravo a correre.
Smilzo e dalle gambe forti, tra i suoi coetanei era il più veloce e vinceva ogni gara. Quel giorno però non si trattava di un gioco. In ballo c’era la sopravvivenza della sua famiglia. Dipendeva tutto da lui.
Aveva distaccato gli uomini del Conte da un pezzo, ma poteva sentire ancora le loro grida e l’abbaiare furioso dei cani, così continuò a correre nella speranza di trovare un riparo e nascondersi.
Era quasi allo stremo quando si sentì tirare per un braccio e finì in mezzo a una massa di cespugli.

“Ehi! Ma che stai..?” provò a protestare, ma la mano dello sconosciuto gli si piantò sulla bocca e bloccò a metà le sue parole.

Il tipo fece cenno di tacere, anche se era difficile a dirsi visto che il cappuccio del mantello gli copriva buona parte del viso. Con la mano libera tirò fuori da una delle pieghe un bastoncino di legno, liscio e lucido, e cominciò a farlo volteggiare intorno a loro, mormorando parole incomprensibili.
Godric rimase ipnotizzato da quei movimenti per qualche secondo; poi iniziò di nuovo a protestare, ma un rumore di passi e di fogliame lo persuase a non muovere un muscolo e accettare il consiglio dello sconosciuto.

“Dove è andato?” sbraitò una delle guardie.

Erano fermi a pochi passi dal loro nascondiglio e il cuore di Godric batteva all’impazzata nel suo petto. Così tanto che temette che potessero udirlo.
Uno dei cani si avvicinò nella loro direzione, annusando l’aria.
Era finita. Godric imprecò mentalmente. Li avrebbero presi e sbattuti nelle segrete per chissà quanto, la sua famiglia sarebbe morta di fame e tutto perché aveva dato retta a uno sconosciuto invece di proseguire nella fuga.
Pronto ad affrontare il suo destino con coraggio, Godric rimase immobile in attesa che il mastino desse l’allarme. Sorprendentemente il cane non fiatò, annusò i dintorni del loro nascondiglio e passò oltre.

“Proviamo di qua, forza!” Urlò un’altra guardia, incitando sia le bestie che gli uomini che si allontanarono in fretta, andando in tutt’altra direzione.

Godric ringraziò il cielo, tirò un sospiro di sollievo e rilassò i muscoli.
A quel punto lo sconosciuto lo lasciò andare e si alzò in piedi. “Vieni, siamo al sicuro ora.” La sua voce era profonda e calma, mentre usciva dai rovi e riponeva il bastoncino nel mantello.
Una volta alzatosi, Godric capì che quel tipo non dovesse essere molto più grande di lui. “Che diavolo era quello? Come ha fatto il cane a non vederci?” chiese subito ripensando a come aveva sventolato il bastoncino nell’aria.

“Un semplice grazie sarebbe bastato.” Replicò l’altro con una punta di sarcasmo.

Godric lo squadrò per bene, ancora non tanto sicuro di potersi fidare. “Mostra il tuo volto.” Intimò.

Lo sconosciuto senza pensarci troppo si tirò giù il cappuccio e si rivelò alla luce dei flebili raggi si sole. Era solo un ragazzo, forse della sua stessa età, ma aveva un’aria nobile e altezzosa che lui non avrebbe mai avuto. Era magro, ma non denutrito, aveva un fisico asciutto e i lineamenti del viso spigolosi. I capelli erano nero corvino e li teneva legati dietro la testa.
La cosa che più di tutte lo caratterizzava e che colpì Godric era il suo sguardo: i suoi occhi erano di un azzurro\grigio come Godric non aveva mai visto e sembravano scrutarti l’anima.

“Grazie” gracchiò, dopo essersi riscosso.

“Di nulla, Godric.”

Quando disse il suo nome Godric trasalì, impugnò il vecchio coltello di suo padre e lo puntò contro di lui. “Chi sei tu? Come conosci il mio nome?”

Il ragazzo mise le mani avanti, in segno di resa, prima di rispondere: “Il mio nome è Salazar e ti stavo cercando.”
 
-o-

“Fortitudo prodo laurus.”
(Il coraggio porta successo)
 
Anno domini 998, Scozia.
 
“Come sta?”

Godric Gryffindor non riuscì a nascondere la preoccupazione nella sua voce quando Helga uscì dall’infermeria. Lui e Salazar avevano portato Rowena al castello e lei si era subito occupata delle sue condizioni.

“Si riprenderà, le serve calma, riposo e soprattutto un buon pasto caldo.”

Godric tirò un sospiro di sollievo e un grosso sorriso si dipinse sul suo viso. “Una notizia grandiosa! Helga sei un tesoro, non so come ringraziarti.” Disse prendendo tra le mani quelle di Helga in un modo un po’ teatrale tipico di lui.

La strega arrossì violentemente e provò a minimizzare, emettendo uno strano risolino. “Sarà meglio che vada in cucina ora. Tu piuttosto non dovresti comunicare la notizia a Salazar? Scommetto che ne sarà altrettanto lieto.”

Il sorriso sul volto di Godric si spense lentamente. Non voleva far preoccupare la dolce Helga, così cercò di non darlo a vedere e annuì dicendo che aveva ragione e che l’avrebbe avvertito non appena avesse concluso la lezione di pozioni che stava tenendo.
Solo quando Helga si allontanò, Godric s’incupì. I rapporti con il suo migliore amico erano diventati freddi e si erano ridotti al minimo da quando Rowena aveva lasciato il castello.
Godric sapeva bene cosa fosse successo e in parte se ne addossava la colpa.
Non avrebbe mai dovuto dire quelle cose, ma era un impulsivo. D’altronde era cresciuto nei boschi e aveva dovuto adattarsi a quella vita, si era temprato e indurito molto, e solo un compagno come Salazar era riuscito a far crollare le mura che aveva innalzato intorno a sé. Ma questo era molto tempo prima. Molto prima che incontrassero Helga e Rowena e decidessero di costruire il castello. Molto prima che i rapporti tra loro si complicassero. Molto prima di conoscere l’amore…
Comunque, non si sarebbe lasciato trasportare dai suoi sentimenti e con passo sicuro attraversò i corridoi e scese le scale che portavano fino al sotterraneo di Slytherin, pronto ad affrontare il suo amico.
Un gruppetto di studenti gli passò accanto, salutandolo con riverenza, mentre uscivano dalla classe di pozioni. Godric attese che tutti se ne fossero andati per rimanere da solo con Salazar. Il mago era di spalle quando lui entrò e non lo degnò di attenzione.

“Sono lieto che lei stia bene.” Disse semplicemente senza neanche voltarsi.

Godric rimase spaesato per qualche secondo, poi sogghignò. “Dopo tutti questi anni, riesci ancora a stupirmi con la tua magia.”

“Dopo tutti questi anni, ogni volta dimentichi che sono il legilimens più potente della contea… o dell’Inghilterra intera.”

“Anche il più modesto.” Scherzò Godric, osservandolo mentre rimetteva in ordine tutti i suoi attrezzi.

Salazar ghignò. “Ho sentito la tua presenza non appena sei sceso nel sotterraneo Godric, quindi sì, penso di meritare il titolo.”

Per tutta risposta Godric si abbandonò a una risata sguaiata che fece vibrare il suo enorme petto e rimbombare la sua voce per tutto il sotterraneo. Gli ci volle un momento per riprendersi, nel quale Salazar non si era per niente scomposto.

“Erano mesi che non mi divertivo così.” Disse Godric asciugandosi una lacrima; poi la sua espressione si fece di nuovo seria. “Ci ho riflettuto molto ed ho capito che mi manca…”

Salazar alzò un sopracciglio “Cosa esattamente?” domandò con tono annoiato.

“Tutto quanto! Andiamo Sal non dirmi che sei felice allo stato attuale delle cose.”

Salazar sospirò. “Ho rinunciato da tempo alla felicità.”

“Ma non capisci? Potrebbe tornare tutto com’era prima! Ora che Rowena è tornata, potremmo sistemare le cose e…”

Non concluse la frase, un gesto di Salazar glielo impedì. Gli occhi di ghiaccio del suo amico si fissarono nei suoi, e come la prima volta in cui si erano incontrati, gli sembrò che potessero leggergli l’anima.

“Ric, amico mio…” sospirò il maestro di pozioni. “Sai bene quanto me che le cose non torneranno mai più come prima. È nobile da parte tua sperare nel contrario, ma questo ti fa sembrare solo un ingenuo. Ci sono delle ferite che non possono risanarsi così facilmente.”

Godric lo sapeva bene, lui stesso aveva sofferto molto, ma il suo temperamento, il lavoro da insegnante e in qualche modo la vicinanza di un’amica fedele come Helga gli avevano permesso di uscirne e di riprendersi. E proprio grazie a quel suo temperamento audace, non avrebbe permesso alla sofferenza di prendersi il suo migliore amico.

“Sì, magari sarò un ingenuo ma io ci credo ancora e, credimi, farò qualsiasi cosa perché questo avvenga. Sistemerò la faccenda e tutto tornerà come prima, sul mio onore o non mi chiamo più Godric Gryffindor!” sentenziò con enfasi, uscendo dall’aula di pozioni, dritto verso le cucine.
 
-o-
 
Anno domini 954, Knight’s Hollow.
 
“Devi piegare le gambe, Ric o non mi batterai mai! È tutta una questione di equilibri.” Sogghignò Salazar, evitando una fattura con un elegante movimento del braccio.

Godric era sudato fradicio e stanco morto, ma l’adrenalina che aveva in corpo… Dio! Lo faceva sentire così bene, così… vivo.
Lanciò un altro incantesimo contro il suo avversario, era solo un trucco e sperava davvero che abboccasse. Salazar era un ottimo duellante, doveva dargliene atto, ma lui sarebbe diventato il migliore!
La trappola aveva funzionato, così mentre Salazar si difendeva, Godric sapeva esattamente dove avrebbe scartato e in quel preciso istante lo colpì, mandandolo a tappeto.

“Sì!” esultò raggiante. Dopo una lunga serie di sconfitte, finalmente una vittoria.

Salazar si alzò a sedere, alquanto rintronato. “Devo congratularmi con te, Gryffindor. Non ti sei risparmiato, stavolta.”

Godric si avvicinò entusiasta, offrendogli una mano per rialzarsi. “Ho solo seguito le indicazioni del mio maestro.”

Il mago sogghignò e afferrò il suo braccio. “In effetti hai un ottimo insegnante, non mi sarei aspettato nulla di meno.”

I due si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere senza riserve, dandosi pacche sulla schiena. Ormai erano due anni che passavano gran parte del tempo assieme ad allenarsi e finalmente Godric se lo sentiva. Era pronto.
Dopo essersi incontrati in quel boschetto del Devonshire, Salazar lo aveva aiutato a capire che le strane cose che gli capitavano e a cui non sapeva dare spiegazione non era nient’altro che magia.
Lui, come sua madre, era un mago. La magia scorreva nelle sue vene, solo che non aveva mai avuto nessuno che gli insegnasse ad usarla. Nemmeno sua madre era stata istruita e, visti i tempi bui in cui vivevano, aveva represso la sua magia il più possibile, soprattutto dopo che suo padre era stato ucciso.
A detta di Salazar, la magia di Godric era molto potente e si era offerto di istruirlo in modo da poterla sfruttare. Salazar era stato allevato da una coppia di streghe che vivevano in una grande dimora nella palude, e ne sapeva molto sulla magia. Le donne lo costringevano a rimanere nei dintorni della villa per paura che i babbani (uomini e donne senza magia) lo trovassero, così, non avendo di meglio da fare, aveva deciso di studiarsi tutti i libri che si trovavano nella biblioteca di famiglia e imparare quanto più possibile sulle arti magiche.
Fu anche grazie al suo aiuto, che la famiglia di Godric poté trasferirsi in un grande villaggio abitato interamente da maghi e non patire più alcuna sofferenza. Godric doveva davvero molto a quel ragazzo misterioso e un po’ schivo.
Finito l’allenamento i due giovani si concessero un boccale di birra giù alla taverna.

“Sono pronto Sal, lo sai anche tu.” Ripeteva Godric determinato.

Salazar sosteneva il suo sguardo con altrettanta determinazione, ghiaccio contro fuoco. “Va bene. Facciamolo.”

Godric esultò, rovesciando un po’ della sua birra sul tavolo. “Quando si parte?” domandò eccitato, con un sorriso a trentadue denti.

Il piano di Salazar era molto elaborato. L’epoca in cui vivevano era davvero oscura per tutti i maghi, i babbani non facevano che perseguitarli e condannarli a morti atroci e violente. Salazar voleva che tutto questo finisse, voleva costruire un luogo nascosto alla vista dei babbani, dove maghi di ogni età, provenienza e ceto sociale potessero studiare la magia senza temere ripercussioni.
Godric era stato subito favorevole a questa sua iniziativa, anche se ne sapeva ancora poco di magia, detestava le ingiustizie afflitte ai maghi tanto quanto lui.

“Rallenta amico mio. Ho detto che sei pronto, ma hai ancora molte cose da imparare.” Prese un sorso di birra e continuò. “Inoltre ci ho riflettuto molto e penso che dovremmo coinvolgere qualcun altro nel nostro progetto.”

Godric lì per lì rimase perplesso, ma dovette convenire che non avesse tutti i torti. “Hai già in mente qualcuno?”

A Salazar si dipinse un mezzo sorriso sulle labbra. “Ovviamente.”


Con il cuore colmo di gioia e di speranza di riuscire nell’impresa, i due amici brindarono all’inizio di quella grandiosa avventura.
 

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Capitolo 3
*** Helga Hufflepuff ***


Capitolo 2 - Helga Hufflepuff


“O forse è a Tassorosso la vostra vita, dove chi alberga è giusto e leale:  qui la pazienza regna infinita e il duro lavoro non è innaturale.”

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Anno Domini 954, Valle Di Mallerstang, Cumbria, Inghilterra
 
La taverna era piena quella sera e la cosa non poteva che deliziare la sua proprietaria. Helga Hufflepuff amava la sensazione di calore e affiatamento che si andava a creare nella sua locanda. Servire i clienti, scherzare con loro, la rendeva felicissima. Inoltre la sua era la taverna più rinomata della valle, venivano da ogni dove per assaggiare i suoi piatti e ne era molto orgogliosa. Viveva per la sua locanda e per i suoi clienti e questo si riscontrava nella sua cucina.
C’era un’unica cosa che temeva e che rischiava di farle perdere tutto. Che i babbani scoprissero il suo segreto.  Sì perché anche i babbani venivano dai villaggi vicini per godere dei suoi piatti e delle sue famose bevande speciali, capaci di curare i malanni o di restituire la felicità, ed Helga aveva fatto di tutto per farli sentire i benvenuti. Non che facesse discriminazioni, diciamo solo che metteva più riguardo nelle loro pietanze… e ogni tanto qualche erba magica che li rendesse più accomodanti. Fino a quel momento nessuno si era lamentato di lei e non avevano avuto il minimo sospetto che fosse una strega. Quando le veniva chiesto se le dicerie sui poteri delle sue pietanze fossero vere, lei rispondeva che doveva tutto all’amore che metteva nei suoi piatti e soprattutto alla maestria con cui accostava gli ingredienti. La gente sembrava crederle e a lei andava bene così.
Andava tutto benissimo.

“Come osate!”

Helga alzò i suoi occhi castani al cielo, sospirando. – Pace finita. - pensò. Allungando il collo vide che le grida provenivano dal fondo della sala.

“Mi dispiace moltissimo signore… non era mia intenzione…”

“Silenzio! Dovrei sfidarvi a duello per questo affronto!”

A quel punto Helga decise di intervenire. “Nessuno sfiderà nessuno! Non nella mia locanda.” Sentenziò, avvicinandosi a quegli uomini con aria decisa. Poteva sembrare una ragazza piccola e minuta, ma tutti sapevano che era meglio non farla arrabbiare.

L’uomo tarchiato, il cui onore era stato macchiato, aveva già la mano sulla spada, ma si bloccò alle parole della strega.

“Madama Helga, perdonate il mio comportamento, ma questo insolente…” disse indicando il giovane ragazzo, alto, rossiccio e dall’aria un po’ goffa, alla sua destra. “Mi ha profondamente insultato!”

Helga era abituata a situazioni come quella, non era certo la prima volta che le capitava. Sapeva anche chi era l’uomo disonorato, Messer Clovis, un cavaliere errante e alle volte davvero seccante, che ultimamente vedeva spesso da quelle parti.

“Vi prego messere, prima di arrivare alle maniere forti, vediamo di capire come sono andate le cose.” Propose Helga, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi rappacificatori.

“Vi assicuro che si è trattato solo di un incidente.” Si scusò il ragazzo. La sua tunica era per metà fradicia di birra, così come il mantello del cavaliere.

“Ma l’affronto è stato comunque subito!” esclamò l’altro con ira.

“Di che affronto stiamo parlando esattamente?” domandò Helga, che immaginava già cosa potesse essere accaduto e cominciava a spazientirsi dell’insistenza del vecchio cavaliere.

“Costui ha rovesciato la sua birra sul mio mantello, ecco di che affronto parlo!”

“Questo è vero, ma non sarebbe successo se voi vi foste accorto della mia presenza e non vi foste alzato da tavola proprio mentre stavo arrivando.” Replicò il ragazzo con atteggiamento sfrontato.

Quel suo modo di fare irritò ancora di più il cavaliere che mise di nuovo mano all’elsa della spada pronto a farsi valere. Helga notò come la mano del ragazzo guizzò subito nella piega del suo mantello e intuì le sue intenzioni.

“Va bene basta! Non ammetto certi comportamenti nella mia taverna.” Si sbrigò a dire per fermarli, prima che commettessero qualche sciocchezza. Se c’era una cosa che proprio non sopportava era la violenza come risoluzione dei problemi.

I due uomini la fissarono in attesa che dicesse altro, così Helga trovò una soluzione che sperava andasse bene per entrambi. “Bene, è chiaro che si è trattato solo di uno sciocco incidente ed entrambe le parti ne sono responsabili, perciò ora voi messer…”

“Godric. Godric Griffyndor.”

“Messer Gryffindor, porgerete le vostre scuse a Messer Clovis, che a sua volta le porgerà a voi. Una volta conclusasi questa faccenda, io stessa vi offrirò una pinta della mia birra migliore e brinderemo alla pace ritrovata.” Concluse tutto d’un fiato. "Che ne pensate?"

I due uomini sembrava stessero riflettendo sulle sue parole, guardandosi ancora in cagnesco. Si sentiva però che la tensione nell’aria era scesa e infatti di lì a poco annuirono. Si scambiarono parole di scuse e conclusero la diatriba con una stretta di mano.
Helga, sollevata, li invitò a sedersi ai loro tavoli mentre lei andava a prendere la birra speciale che teneva nel retro. Ovviamente non si trattava proprio di una birra “speciale”, più che altro di una mistura aromatizzata con alcune delle sue erbe magiche, capaci di calmare perfino gli animi più rissosi come quello di Messer Clovis.
La serata proseguì in allegria, Helga era riuscita nel suo intento e gli ospiti rimasero contenti di come si erano concluse le cose. Rimasero fino a tarda sera e quando ormai era ora di chiusura, Helga dovette gentilmente invitare gli ultimi rimasti ad andare via. Come ad ogni fine giornata si sentiva soddisfatta del suo lavoro e andò nel retrobottega per rassettare le ultime cose, prima di andare a letto. Con un colpo di bacchetta ordinò alle stoviglie di pulirsi da sé, mentre lei si occupava di riporre le erbe magiche in un sacchetto che poi avrebbe riposto all’interno di un armadietto nella dispensa.

“Lo sapevo.”

Una voce alle sue spalle la fece trasalire e la bacchetta le cadde di mano, rotolando fin sotto il mobile. Presa alla sprovvista, Helga si sbrigò a nascondere le sue erbe alla vista del cavaliere, ma c’erano comunque i boccali e i piatti a mezz’aria, immersi nel sapone, e per quelli non poteva fare niente.

“Voi! N-non potete stare qui... i-il locale è chiuso e…” balbettò poco convincente, ma Messer Clovis aveva già visto tutto e si fece più vicino.

“Vi ho sempre trovato troppo bella e troppo tenace per essere una insulsa locandiera. Sapevo che c’era di più. Ho sentito puzza di stregoneria non appena ho messo piede in questa topaia.” Sputò velenoso.

Helga maledisse la sua goffaggine che le aveva fatto perdere la bacchetta. Le sarebbe bastato un solo incantesimo per liberarsi di lui.

“Sono settimane ormai che vi spio, madama Helga” proseguì l’uomo. “Ora finalmente posso provare che avevo ragione sul vostro conto.” Disse, dando un’occhiata disgustata alle stoviglie autopulenti; poi con un gesto del braccio allontanò Helga dalla dispensa e trovò il sacchetto di erbe magiche, che lei disperatamente stava tentando di nascondere.
Il cavaliere si portò alcune di quelle erbe al naso e poi le rivolse uno sguardo trionfante.

“Nessuno vi crederà! Quelle non sono altro che erbe aromatiche che uso per cucinare, nulla di più.” Provò Helga a giustificarsi, ma un ghigno malvagio si dipinse sul viso dell’uomo, mentre si avvicinava a lei sempre più minaccioso.

“Non sono un cavaliere come vi ho fatto credere, ma un cacciatore di quelli della vostra razza. Sono anni che svolgo questo mestiere e non sarete certo voi a ingannarmi. Ne ho viste di erbe e intrugli magici nella mia vita e so bene come riconoscerli.” Dichiarò, mentre estraeva un pugnale dalla cintura. “Voi siete una strega e io avrò il mio bel guadagno mettendo fine alla vostra vita.”

Helga era scioccata, gli occhi le si colmarono di lacrime e credette che ormai non ci fosse più niente da fare, quando qualcuno irruppe nella stanza urlando “Stupeficium!”
Un lampo di luce rossa illuminò il retrobottega e colpì in pieno petto il cacciatore, che crollò subito a terra inerme.

Lo sguardo sconvolto di Helga si piantò negli occhi color ambra del suo salvatore. “Voi…Voi mi avete salvata.” Mormorò col fiato grosso per via dello spavento. Ero lo stesso ragazzo che quella sera si era scontrato con il finto cavaliere.

“Seguivo quell’uomo da giorni e speravo mi conducesse da un altro mago o strega. Non potevo permettere che vi facesse del male.” Disse il ragazzo dai capelli rossi riponendo la sua bacchetta.

Helga rimase sorpresa. La sua voce era calda e il suo atteggiamento spavaldo, sembrava tutt’altra persona rispetto a prima. “Come avete detto di chiamarvi?”

“Godric Gryffindor.”

Helga si riprese e gli si avvicinò. La semplice gratitudine non sarebbe mai stata abbastanza nei suoi confronti, perciò decise di presentarsi, prima di offrirgli qualcosa da mangiare.

“Helga Hufflepuff.”
 
-O-
 
“Amicitia concero omnis”
(L’amicizia unisce tutti) - HH
 
Anno Domini 998, Scozia
 
“Helga!”

La voce tonante di Godric risuonò per tutto il corridoio del seminterrato. Alcuni studenti terrorizzati sgattaiolarono via sentendo le sue grida.

“Helga dove sei?”

“Per le brache di Merlino, Godric! Stai spaventando gli studenti.” La testa di Helga sbucò dall’interno di un grosso dipinto che raffigurava un cesto di frutta. Più esattamente da una pera.

“Ah, eccoti qua!” esclamò Godric, contento di averla trovata.

Helga sospirò, scuotendo la testa con un sorrisetto. “Dai vieni dentro. Ho la zuppa sul fuoco.”

Godric non se lo fece ripetere due volte, troppo ansioso di comunicarle la sua idea.

“Cos’è tutta questa insistenza? Non ti vedevo così allegro dall’ultimo torneo tre maghi.” Sghignazzò la strega mentre tornava ai fornelli.

“Ho fatto come mi hai detto tu, sono andato da Sal.” Iniziò lui, prendendo posto su uno sgabello, mentre nella cucina gli elfi domestici andavano di qua e di là, preparandosi per la cena.

“E questo ti ha fatto tornare il buonumore? Un altro po’ di sale Ferdy.” Ordinò a uno degli elfi che l’aiutava.

“A dire il vero sì. Insomma lo sai com’è Sal, il solito tronfio, musone, bastardo…”

“Godric!” esclamò Helga, indignata. Non gradiva l’uso di certe parole, soprattutto di fronte agli elfi.

“Perdonami.” Si scusò in fretta, troppo ansioso di continuare. “Comunque, quando gli ho detto di Rowena… beh in realtà mi ha letto nel pensiero, non ho avuto modo di dirglielo io… Fatto sta che ho sentito una vibrazione.” Disse tutto d’un fiato.

Helga alzò un sopracciglio, scettica. “Una vibrazione.”

“Esatto! C’è stato un momento in cui ho sentito che eravamo di nuovo affini proprio come un tempo! E ho capito una cosa.”

Helga scese dallo sgabello che l’aiutava ad arrivare all’enorme calderone contenente la zuppa e, facendo attenzione a non rovesciarla, fece assaggiare un cucchiaio a Godric.

Gli occhi di Godric si chiusero in estasi non appena assaporò. “Caspita se è squisita! L’avremo per cena?”

Helga annuì contenta che gli piacesse. “Stavi dicendo?”

“Ah sì. Ho capito una cosa Helga.” A quel punto si alzò in piedi e la raggiunse prendendole le mani. I loro occhi si incontrarono e per un momento a Helga tornò in mente il loro primo incontro, tanti anni prima, quando le salvò la vita. Quando si innamorò di lui. L’intensità del suo sguardo la mise a disagio e involontariamente arrossì. “Godric…” mormorò imbarazzata distogliendo gli occhi.

“Voglio che tutto torni com’era prima.” Disse lui deciso.

Helga tornò a guardarlo, confusa. “Che vuoi dire? Prima quando?”

Un sorriso si allargò sul viso di Godric. “Prima delle nostre incomprensioni, quando eravamo tutti uniti per un unico scopo!” La lasciò andare proseguendo con entusiasmo. “Oh Helga! Non vedi cosa ci è successo? Non ci parliamo quasi più, pensiamo solo al lavoro, che è importantissimo, bada bene, non sarò certo io a sminuirlo. È che siamo così abbattuti…” sospirò. “So che abbiamo bisogno l’uno dell’altro per ritrovare la nostra armonia. E ora che Rowena è tornata riusciremo a rimettere a posto i pezzi e riaggiustare le cose.”

Helga pendeva dalle sue labbra. Era davvero divertente vedere Godric appassionarsi a qualcosa e non succedeva da tempo. Sembrava come se un nuvolone nero di pioggia fosse rimasto fisso sulle loro teste fino a quel momento, mentre ora Godric cercava di ridare spazio a un po’ di luce. Come poteva dirgli di no? La sua allegria era contagiosa.

“In effetti anche a me manca quell’atmosfera spensierata che c’era prima…”

Un sorriso smagliante si allargò sul viso dello stregone. “Allora mi aiuterai? Parlerai con Rowena? Sono sicuro che anche lei sarà d’accordo.”
Helga non voleva dargli false speranze, dopotutto lei era la sola che aveva visto le condizioni della strega quando era arrivata e non le sembrava il caso di affaticarla ulteriormente. “Ti prometto che ci proverò, ma Rowena ha bisogno di riposo e non voglio metterla sotto pressione.”

“Certo, certo.” Bofonchiò lui pensieroso, che come al solito era già partito con il suo manico di scopa. “Ovviamente faremo le cose con calma, d’altra parte io stesso dovrò impegnarmi a convincere Salazar. Impresa che, come ben sai, non sarà alquanto facile, testardo com’è. Non importa, io ce la metterò tutta.”

La ringraziò ancora per il suo aiuto e fece per andarsene, quando ad Helga venne un pensiero in testa che non riuscì proprio a reprimere. “Godric.” Lo richiamò. “Per quanto riguarda quello che è successo tra te, Salazar e Rowena… Insomma mi domandavo come stessi, ecco.”

L’entusiasmo di poco prima si spense a poco a poco sul viso del mago. Dalla sua reazione Helga immaginò che la questione fosse ancora aperta, nonostante fosse passato diverso tempo.

“Ci sono ferite che guariscono più lentamente di altre, mia cara Helga. Però alla fine guariscono.” Disse; poi se ne andò. Helga non era del tutta convinta della sua risposta, ma se la fece andar bene. Magari ne avrebbero ridiscusso più in là.

Dopo la chiacchierata con Godric, Helga decise di salire di sopra e andare in infermeria a trovare Rowena. Le aveva promesso la sua zuppa e una vera amica mantiene sempre le promesse. Quando arrivò la trovò sveglia che chiacchierava con Madama Flint, l’infermiera della scuola. Alla vista di Helga le lasciò sole.

“Come ti senti?” le domandò. Il viso di Rowena era smunto e pallido, che metteva in risalto il blu dei suoi occhi. In tutta la Scozia, Rowena Ravenclaw era rinomata per la sua bellezza oltre alla sua intelligenza, ma a Helga sembrò che una parte di quella bellezza fosse svanita.

Con uno sforzo incredibile, Rowena riuscì a concederle un sorriso tirato. “Meglio ora.” Mormorò con voce roca.

Helga annuì con aria contenta mentre le porgeva la zuppa, che era ancora calda e fumante grazie a uno dei suoi incantesimi, ma non appena l’odore giunse al naso si Rowena, quella si sporse dal letto e vomitò a terra.
Helga preoccupata mise via la zuppa e si affrettò a chiamare l’infermiera.

“No! Ti prego. Non ce n’è bisogno.” La implorò Rowena.

“Ma tu stai male! Devi essere visitata.”

Rowena scosse il capo, pulendosi la bocca con un fazzoletto. “So esattamente cos’è e, perdonami cara Helga, non dipende dalla tua zuppa che sono sicura sia ottima.”

Helga era confusa. “E allora cosa? Hai contratto qualche strana malattia mentre eri nei boschi? Non sarà vaiolo di drago mi auguro!” disse con aria preoccupata.

“Niente del genere, rilassati.” Sghignazzò, vedendola così agitata; poi si fece subito seria. “Sono incinta.”
 
-O-
 
Anno Domini 989, Scozia
 
“E dunque, se manteniamo gli incantesimi in questo modo…”

Rowena stava concludendo le sue teorie sulla costruzione del castello proprio in quel momento ed Helga ne era completamente rapita. Provava profonda ammirazione per lei sin dal loro primo incontro. All’inizio Rowena era sembrata fredda e con la puzza sotto al naso, ma Helga sapeva che se Godric e Salazar l’avevano scelta c’era molto di più in lei. Infatti, con non poche difficoltà era riuscita a farsi accettare da lei e diventare finalmente amiche.

Quando concluse sia lei che i ragazzi rifletterono a lungo sulle sue parole. Salazar fu il primo a spezzare il silenzio. “C’è da dire che le tue teorie sono impeccabili come sempre, ma secondo me…”

“Oh andiamo Sal! Sono ore che siamo chiusi qui dentro a discutere dell’argomento, è ora di uscire e trovare un posto dove costruire questo dannato castello, tanto per cominciare.”

Rowena ed Helga non riuscirono a reprimere un sorriso. Godric era sempre il solito barbaro, rispetto alla compostezza di Salazar.

“Non ha tutti i torti. Le mie teorie sono inutili se non abbiamo modo di metterle in pratica.” Dichiarò Rowena, al che Salazar non poté che desistere. Così lui e Godric decisero di prendere i cavalli e farsi un giro nella zona per trovare il posto migliore.

In quel periodo alloggiavano nel grande maniero di proprietà dei Ravenclaw. Rowena aveva convinto suo padre ad ospitare i suoi amici per tutto il tempo necessario all’ideazione del castello. Helga le era molto grata e ricambiava destreggiandosi in cucina.
Ed è lì che si diressero lei e Rowena, dopo aver discusso con i ragazzi.

“Non dobbiamo dimenticare le cucine. Vorrei che fossero molto grandi, in grado di ospitare miriadi di elfi domestici…”

“Elfi domestici?” a Rowena scappò una risatina.

“Certo! Sono i migliori lavoratori e poi meritano un lavoro e un rifugio dove stare. E quale posto migliore di Hogwarts?”

“Quindi abbiamo optato per Hogwarts…”

“Piaceva anche a te, no?”

“Sì e no.” Disse con aria annoiata e lo sguardo altero. “Comunque, la faccenda degli elfi domestici va rivista. È giusto che anche gli altri esprimano il proprio giudizio.”

Helga alzò gli occhi al cielo, mentre iniziava a cucinare. “Non vedo cosa ci sia da discutere. Tutti quei poveri elfi costretti a lavorare per i loro padroni che li maltrattano anche. A Hogwarts noi gli daremmo un posto dove vivere e lavorare onestamente e potranno darmi una grossa mano quando la sala grande sarà piena di studenti.” Le brillavano gli occhi al solo pensarci.

Rowena alle sue spalle ridacchiò. “Sai ti ci vedo proprio in questo ruolo. Sarai un’ottima professoressa, Helga.”

Helga si voltò per ringraziarla e notò come il suo sguardo si era fatto triste all’improvviso. “Rowena che hai?”

Lei sospirò. “Non lo so io… pensavo. Tu, come Godric e Salazar sembrate così bravi e portati per questo lavoro. Non so se sarò all’altezza.”

Helga attizzò la fiamma sotto il calderone e si avvicinò all’amica, prendendole le mani per darle conforto. “Rowena Ravenclaw, tu sei la strega più dotata e intelligente che conosca. Sarai bravissima, ne sono sicura.” Le parole sincere e il suo sguardo deciso risollevarono il morale di Rowena, che le sorrise a mezza bocca.

“Credo proprio che un giorno sarai anche un’ottima madre.”

Helga le sorrise di rimando ed entrambe scoppiarono a ridere.

 

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Capitolo 4
*** Rowena Ravenclaw ***


Capitolo 3 – Rowena Ravenclaw
 
“Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio, se siete svegli e pronti di mente, ragione e sapienza qui trovan linguaggio che si confà a simile gente.” 

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Anno Domini 954, Scozia
 
La neve cadeva lenta fuori dalla finestra e il suono morbido del suo poggiarsi riusciva a rilassare la mente di Rowena Ravenclaw.
Era china da ore su un antico tomo di aritmanzia, cercando di decifrarne il contenuto, quando un brivido freddo lungo la schiena la distrasse dai suoi studi.
Solo in quel momento si accorse che la candela che aveva portato con sé era ormai del tutto consumata, così si alzò dalla sua posizione e, sgranchendosi un po’ la schiena, si diresse verso la cassettiera accanto alla finestra dove le domestiche riponevano le candele di riserva.
Fu allora che lo vide. Proprio lì, in mezzo al parco ricoperto di neve fresca, un uomo a cavallo si stava avvicinando alla villa.
Portava un mantello color smeraldo e un cappello nero e floscio che gli copriva parte del viso, ma Rowena l’avrebbe riconosciuto tra mille.
Lascio perdere il tomo di aritmanzia e la candela consumata e si diresse di corsa all’entrata.
Quando arrivò, ansante, vide che suo padre stava già dando il benvenuto al nuovo arrivato; poi, senza essere vista, si diede un contegno e ritrovò la sua compostezza, prima di avvicinarsi a lui.

“Salazar Slytherin.”

Un grosso sorriso si dipinse immediatamente sul viso del ragazzo non appena la vide. I due si salutarono calorosamente e lui le baciò la mano.

“Rowena, è davvero un piacere vederti. Sei ancora più bella di come ti ricordassi.” Si complimentò Salazar in modo galante, facendola arrossire. Si conoscevano da quando erano bambini, il padre di Salazar era alle dipendenze della sua famiglia, e dopo la loro partenza, avevano mantenuto i contatti soltanto con delle lettere via gufo. Era bello rivedersi di persona dopo così tanto tempo.

“Vogliate perdonare i miei modi inopportuni, mio lord, ma non ho potuto fare a meno di sentire i vostri discorsi e soprattutto notare l’arrivo di questo giovane.”

Un uomo dall’aria pomposa era appena sceso dalla scalinata principale, interrompendo l’idilliaco momento. Aveva una voce melliflua e strascicata, un naso adunco e un lungo pizzetto riccioluto a coprirgli il mento.

Rufus Ravenclaw, il padre di Rowena, provvide subito a presentare i due uomini. “Barone, lasciate che vi presenti un vecchio amico di famiglia, Salazar Slytherin.”

Il barone fece appena un cenno con la testa, stringendo poi gli occhietti neri su Salazar; poi suo padre riprese: “Salazar, questo è il Barone McHarlan, nostro ospite per questa notte.”

Salazar lo salutò con garbo e prese a squadrarlo anche lui, così Rowena decise di mettere fine a quella storia.

“Perché non vieni nello studio con me, Salazar. Avrai bisogno di riprenderti dal lungo viaggio e  scaldarti dopo tutta questa neve.” Detto questo prese il braccio del suo vecchio amico, trascinandolo nell’altra sala.

“Un tipo bizzarro quel Barone.” Sogghignò Salazar, vedendola sospirare.

Lei alzò gli occhi al cielo esasperata. “Non me ne parlare. Lo avrò rifiutato un centinaio di volte, eppure continua imperterrito a tediarmi con assurdi discorsi sul nostro matrimonio…”

Salazar alzò un sopracciglio. “Matrimonio?”

La strega però scosse la testa e, con aria stanca, si lasciò cadere su una poltrona di fronte al camino; poi gli rivolse uno sguardo più acuto. “Piuttosto dimmi, cosa ti porta qui dopo tutti questi anni?”

Salazar accennò un sorriso e prese a spiegarle il suo maestoso progetto su una scuola di magia. Rowena ne era già a conoscenza, ne aveva parlato molte volte nelle sue lettere, ma ora sembrava come se qualcosa avesse reso i sogni di un bambino possibili. O meglio, qualcuno.

“Come hai detto che si chiama?” gli domandò.

“Godric. Godric Gryffindor. È un vero talento, non ho mai incontrato qualcuno come lui… a parte te, forse.” Si corresse alla fine, sogghignando in un modo che la fece arrossire. “Perciò sono qui. Per dar vita al mio progetto ho bisogno di tutto l’aiuto possibile, e chi meglio della strega più dotata, geniale e creativa di tutta la Scozia?”

Gli occhi di Salazar brillavano di luce propria mentre raccontava la sua idea. Era così entusiasta che Rowena non poté fare a meno di imitarlo e infiammarsi anche lei all’idea di collaborare alla realizzazione del suo sogno; oltre al fatto che sapeva benissimo quale oscuro momento stavano passando i maghi e le streghe di tutto il paese e che quindi sarebbe stata più che lieta di aiutare quelle povere persone. E poi solo il fatto che avesse bisogno del suo aiuto e delle sue capacità era un motivo più che valido per convincerla.

“Va bene.” Disse infatti. “Mi unirò alla tua causa.”

Salazar saltò in piedi, esultando e facendola ridere. “Sapevo che avresti accettato, ne ero sicuro sin dall’inizio.” Aveva un sorriso a tutta bocca come Rowena non gli aveva mai visto; poi si fece più vicino e le prese le mani, tornando serio. “Tu non hai idea di quanto questo sia importante per me.”

I loro occhi si incontrarono e Rowena si perse in quel ghiaccio così limpido. Per la prima volta in vita sua era senza parole, completamente rapita da quello sguardo così fiero e determinato.

“Le nostre menti, così come le nostre capacità, unite a quelle di Godric… Potremmo davvero farcela Enna.”

Il cuore di Rowena perse un battito quando lui pronunciò il vecchio soprannome che usavano da bambini, e annuì felice.
 
-o-
 


"Mens dominatus potentia"
(La mente prevale la forza) -RR


Anno Domini 998, Scozia.
 
Lo sguardo di Helga era sconcertato. Se ne stava lì che la guardava con la bocca semi aperta e Rowena poteva quasi sentire gli ingranaggi del suo cervello che lavoravano in cerca di una spiegazione.

“Come sarebbe… tu sei… aspetti un bambino?” balbettò infine.

Rowena annuì con aria mesta, distogliendo lo sguardo verso la finestra. Una neve leggera, la prima dell’anno, cominciava a scendere giù dal cielo e a posarsi sul davanzale. Le era sempre piaciuta la neve. Anche se in quel momento provava una profonda tristezza.
Avendo notato il suo stato d’animo, le mani di Helga si poggiarono delicatamente sulle sue. “Raccontami cosa ti è capitato. Vuoi?” chiese esitante, mostrandole il suo sorriso più cordiale.
A quel punto Rowena non poté rifiutarsi e poi sapeva di poter contare su un’amica fedele come Helga.

“La notte in cui sono andata via ero intenzionata a tornare da mio padre, ma…” fa un grosso sospiro, il solo ricordo la spaventa ancora. “A poca distanza dalla villa l’ho incontrato, era tornato ancora una volta a chiedere la mia mano.” Gli occhi di Rowena le si riempirono di lacrime che non riuscì più a trattenere.

Helga era confusa. “Perdonami cara, di chi stai parlando?”

Rowena prese un bel respiro per calmarsi prima di rispondere. “Il Barone. Lui… ha provato a parlarmi, ma ero troppo sconvolta per la storia di Salazar e l’ho respinto in malo modo. Devo averlo offeso tremendamente, così mi ha lanciato un incantesimo immobilizzante e poi mi ha… rapita.” Confessò infine. Era così doloroso rivivere quei momenti che le parole le uscivano a malapena di bocca.
Helga però era famosa per la sua pazienza e senza metterle fretta rimase tutto il tempo ad ascoltare, in silenzio.

“Mi ha portato nel suo palazzo.” Riprese Rowena dopo un attimo di esitazione. “E mi ha rinchiusa in una stanza nei sotterranei. Mi ha tenuta lì dicendomi che se non avessi acconsentito al matrimonio non avrei più rivisto la luce del sole. Ovviamente aveva rubato la mia bacchetta e non avevo modo di fuggire.”

Helga, sconvolta, si portò una mano al petto. “E sei rimasta lì tutto questo tempo?”

Rowena annuì, prima di continuare. “Sembrava come impazzito, era ossessionato da me, dal volermi sposare e più che mai bramava di… possedermi. Così di notte, ogni singola notte, veniva nella mia cella e…” A quel punto non fu più in grado di continuare, ma era chiaro come andasse a finire la storia.

Lo sguardo di Helga era colmo di lacrime. “Oh Enna… perciò questo bambino…”

“È di quella bestia!”

Helga non riuscì a concludere la frase perché una voce tonante attirò al loro attenzione, facendole voltare entrambe verso l’entrata dell’infermeria.
Salazar, con lo sguardo torvo e la mascella serrata, se ne stava lì in piedi, i pugni contratti dalla furia. Aveva sentito tutto.

“Sal… io…” tentennò Rowena, senza sapere cosa dire. Di tutte le persone, lui era l’ultimo che doveva venire a conoscenza dell’accaduto.

“Lo ucciderò! Soffrirà le pene dell’inferno per quello che ti ha fatto, hai la mia parola!” esclamò furibondo, uscendo di corsa dalla sala.

“No! No, ti prego, Salazar!” lo chiamò Rowena inutilmente, troppo fuori di sé per starla a sentire. “Helga, fermalo, solo tu puoi farlo ragionare!” Guardò l’amica implorante, le lacrime ormai che le solcavano il viso senza freni.

Helga non se lo fece ripetere due volte e corse subito fuori per raggiungere il mago e impedirgli di commettere una sciocchezza.
 
-o-
 
Anno Domini 997, Scozia
 
È la vigilia di Natale e, come da tradizione, il castello di Hogwarts è in fermento per l’annuale ballo delle feste. La sala grande è stata addobbata per l’occorrenza, ci sono alberi e festoni e spiritelli di neve che svolazzano qua e là, creando una splendida atmosfera. L’orchestra suona una musica soave e tutti sono allegri, festosi.
Rowena osserva gli studenti che si divertono da un angolo della sala, fiera di come stia andando la festa che lei stessa si era premurata di organizzare nei minimi dettagli. Dopo lo screzio con Salazar di qualche mese prima, gli altri si erano un po’ abbattuti e pensavano che non fosse il caso di organizzare il ballo, ma Rowena sapeva quanto gli studenti ci tenessero e senza mezzi termini si era proposta di organizzare il ballo, promettendo che sarebbe stato magnifico. Era molto orgogliosa del risultato.

“Splendida festa Enna. Sei stata semplicemente fantastica!” si complimentò Helga, passandole accanto mentre danzava con il professor Cloggs, arrivato da poco al castello come insegnante di Quidditch. Il giovane mago si era perdutamente infatuato di Helga fin dal loro primo incontro, Rowena l’aveva intuito subito, la dolce e ingenua Helga invece no. La cosa la fece sorridere.
La musica cambiò in un lento e diverse coppie si formarono nella sala.

“Potrei avere l’onore, milady?”

Rowena si voltò quando udì quella richiesta e si ritrovò davanti Godric che le porgeva la mano. Con non poco imbarazzo accettò la sua offerta, anche per non essere scortese, e insieme iniziarono a ballare. Godric era sempre stato portato per il ballo, mentre lei si sentiva ogni volta a disagio, un po’ goffa.

“Sei splendida stasera.” Le mormorò a un orecchio, stringendola più vicina a lui.

Rowena arrossì. “Grazie.”

Godric le sorrise dolcemente, prendendo poi a guardarla, beandosi di lei.

Rowena sapeva cosa aveva in mente, l’aveva intuito ormai, solo che non si era mai sentita di mettere le cose in chiaro con lui per non ferirlo. Godric era un buon amico, la faceva ridere e passare il tempo con lui era molto piacevole, ma per lei finiva lì. Non provava altro sentimento se non quello di amicizia nei suoi confronti, e di lì a poco, a conferma dei suoi sospetti, capi che per lui non era lo stesso.

“Enna sono settimane… anzi mesi che porto un peso nel cuore. In un primo tempo non riuscivo a capire cosa fosse, ma ora mi è tutto più chiaro. Passare questo periodo in tua compagnia mi ha insegnato tante cose, una su tutte, la più importante, è il riuscire ad amare. Sono innamorato di te e spero con tutto me stesso che per te valga qualcosa e che tu mi possa ricambiare.”

Lo disse tutto d’un fiato. Non senza qualche esitazione, certo, ma Rowena doveva ammettere che doveva averne di coraggio per farle una simile dichiarazione d’amore in pubblico. Lo sguardo che aveva era determinato e innamorato al tempo stesso e Rowena provò un tale dispiacere per lui, prima di rispondergli in tutta sincerità.

“Godric…” sospirò, in cerca delle parole giuste e il più garbate possibili. “Vorrei davvero che le cose fossero differenti e provare i tuoi stessi sentimenti, ma… il mio cuore appartiene ad un altro. Sono lusingata dalla tua ammirazione, ma quello che sento nei tuoi confronti è più simile a un amore fraterno.”

Lo sguardo di Godric si fece cupo. Aveva cercato di essere il più delicata possibile, ma ovviamente doveva averlo ferito lo stesso.

Desolata provò a consolarlo. “Mi dispiace aver deluso le tue aspettative… spero che questo non comprometta la nostra amicizia.”

La musica terminò e Godric si allontanò, lasciandole le mani. Dopo il suo discorso non aveva staccato gli occhi da terra.

Rowena imbarazzata non sapeva più cos’altro dire, ma fu lui a rompere quella patina di ghiaccio che si era andata creando. Alzò lo sguardo su di lei e abbozzò un sorriso sghembo. “Sapevo di compiere un azzardo, ma il rischio non mi ha mai spaventato. Quello che ho detto era vero e ho apprezzato la tua sincerità e, nonostante la sconfitta mi bruci, sta certa che non smetterò di essere tuo amico. Ci sarò sempre per te.”

Rowena quasi si commosse alle sue parole e annuì, grata. Dopodiché i due si allontanarono dalla pista, lasciando agli studenti il prossimo ballo e prendendo strade diverse.

Ispirata dal coraggio di Godric, Rowena decise di dichiarare i suoi sentimenti a colui che amava davvero, perciò fu con passo deciso che si uscì dalla sala grande e si diresse lungo il corridoio del primo piano, dove sapeva di trovarlo.
Salazar infatti se ne stava seduto in disparte accanto a una delle grandi finestre ad osservare la neve cadere e posarsi sulle torri del castello. Si voltò non appena udì i suoi passi e si alzò in piedi.

“Rowena…” la guardò incuriosito e preoccupato, vedendola arrivare ansante. Lei presa da uno slancio di euforia gli si avvicinò e lo baciò con entusiasmo, come se non aspettasse altro da tempo.

Spiazzato da quel gesto Salazar non ricambiò subito, si lasciò andare pian piano, per poi allontanarla con delicatezza. “Cosa significa questo?”

“Che ti amo, Sal! Ti ho sempre amato, ma sono sempre stata troppo sciocca e superba per ammetterlo, anche a me stessa. Finalmente ho trovato il coraggio che mi mancava e sono corsa fin qui per dirtelo.” Si sentiva una sciocca ragazzina, le guance arrossate e i capelli arruffati, ma non le importava. La cosa più importante era che finalmente aveva dichiarato il suo amore.
La reazione di Salazar però non fu proprio come lei se l’aspettava. La sua espressione, dapprima sorridente, si fece via via sempre più confusa, fino a indurirsi del tutto e rivolgere lo sguardo altrove.
Una morsa di ghiaccio si impadronì di Rowena, contraendole lo stomaco. “Dì qualcosa…” mormorò ansiosa.

Salazar tornò a fissare la finestra, la luce fioca delle torce gli donava un aspetto se possibile ancora più cupo. Sembrava stesse riflettendo attentamente su ciò che doveva dire, prendendosi il suo tempo, incurante delle emozioni e dei pensieri che in quel momento turbinavano nella testa di Rowena.

Quando finalmente parlò, la sua voce era fredda e distante. “Mi rammarica dirti che non provo lo stesso per te.”

Vuoto.

Un vuoto, profondo e vorticoso, calò su di lei. Dopo tutti quegli anni passati insieme, le lettere e poi il tempo trascorso a progettare Hogwarts… pensava davvero che anche lui provasse i suoi stessi sentimenti. Non riusciva a credere il contrario.

“Stai mentendo.” Disse allora, mostrandosi audace.

Salazar non la degnava di uno sguardo, il suo volto rivolto sempre alla finestra. “Accetta la realtà dei fatti Enna. Sarà meglio per entrambi e soprattutto meno doloroso…”

“Non lo credo affatto!” Rowena cominciava a innervosirsi di quel suo atteggiamento così scostante. Lo afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi. “Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami.” Lo incalzò con aria decisa.

Nello sguardo del mago c’era esitazione che si tramutò prima in tristezza e poi in risolutezza. “Non ti amo.”

Gli occhi di Rowena si riempirono di lacrime. Sapeva che stava mentendo, ma non riusciva a capirne il motivo. “Perché ci stai facendo questo? Cosa ti spinge a comportarti così?”

Salazar sospirò. “Non sono la persona giusta per te, Enna. C’è… qualcosa in me. Qualcosa di oscuro che a volte prende il sopravvento e… non voglio che contagi anche te.”

La sua voce era malinconica e alla luce delle lanterne Rowena notò le chiazze scure sotto i suoi occhi e gli zigomi più pronunciati. Sembrava come se qualcosa lo stesse logorando.
Rowena si fece più vicina, gli afferrò una mano e gli mormorò con tono dolce: “Io posso aiutarti.”

I loro sguardi si incontrarono e per un secondo Rowena lo vide esitare di nuovo, ma poi mollò la presa sulla sua mano e si allontanò dalla strega, quasi con disgusto.

“Nessuno può aiutarmi. Tantomeno una come te.” Sibilò con cattiveria.

Le lacrime che prima si era sforzata di trattenere adesso scendevano lente sul suo viso. Si sentiva delusa, ferita e arrabbiata, ma non aveva la forza di discuterne ancora. Voleva solo mettere quanta più distanza possibile tra lei e Salazar, così girò i tacchi e a passo svelto tornò da dove era venuta. A metà strada incrociò Godric.

“Enna? Cosa è successo?” le domandò preoccupato.

Probabilmente doveva avere un’aria sconvolta e l’ultima cosa che desiderava in quel momento era dover dare spiegazioni, soprattutto a Godric.

“Sto bene. Non è niente…” mentì.

Godric non era convinto e alzando lo sguardo dietro di lei vide Salazar arrivare. Facendo due calcoli arrivò a una probabile conclusione e così con furia si avvicinò al mago.
“Cosa le hai fatto?”

Salazar, al contrario, mantenne quella sua aria distaccata di sempre e non reagì alla provocazione. “Non ti riguarda.” Mormorò a denti stretti.

Al che i due iniziarono a discutere, ma Rowena era troppo provata e non poteva restare lì un minuto di più. Corse via, ignorando i loro richiami, salì le scale e arrivò nelle sue stanze. Con un colpo di bacchetta preparò in fretta i bagagli e in meno di dieci minuti era pronta a partire. Le faceva troppo male restare, aveva bisogno di qualche giorno per riflettere, lontana da tutti loro.
Indossò il mantello, prese le sue cose e passando attraverso i passaggi segreti che lei e Salazar avevano progettato, uscì dal castello senza essere vista da nessuno. Avrebbe voluto smaterializzarsi subito, ma tutti i fondatori avevano concordato di rendere la cosa impossibile nel perimetro di Hogwarts, per garantire la sicurezza dei ragazzi. Così cercò di fare il più in fretta possibile nel raggiungere i cancelli, anche se ostacolata dalla neve. Prima di mettere un piede fuori, però, si voltò un’ultima volta verso il castello. Il suo castello. Tutto quello che significava per lei era svanito in pochi attimi, ora nel guardarlo non provava più orgoglio ma solo tristezza e solitudine. Con un sospiro si decise ad uscire. Le avrebbe fatto bene andare via per un po’, sarebbe tornata a casa sua, da suo padre, a riflettere.
Nessun posto è sicuro come casa, lì nessuno le avrebbe fatto del male.

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