Another life

di lady lina 77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentotto ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentanove ***
Capitolo 40: *** Capitolo quaranta ***
Capitolo 41: *** Capitolo quarantuno ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantadue ***
Capitolo 43: *** Capitolo quarantatre ***
Capitolo 44: *** Capitolo quarantaquattro ***
Capitolo 45: *** Capitolo quarantacinque ***
Capitolo 46: *** Capitolo quarantasei ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


Le sue mani erano gentili, esperte, non era la prima donna che aveva amato e questo Demelza lo intuì subito, non era così ingenua. Conosceva bene l'arte dell'amore, gliel'aveva insegnata Ross e per tanti anni aveva creduto che solo con suo marito avrebbe potuto sperimentare un rapporto intimo completo.

Poi era arrivato Hugh, affascinante, dolce, gentile e innamorato di lei... Era incredibile, ma si era innamorato di lei...

C'era stato un tempo in cui nemmeno davanti al più affascinante degli uomini avrebbe ceduto, ma era un tempo lontano quello. Ross non era più da tanto il suo principe azzurro infallibile, l'aveva umiliata e tradita tante volte e in tanti modi differenti, smantellando, mattone dopo mattone, la fede, la fiducia e l'amore infinito che provava per lui ed ora stava cedendo a un altro.

Mentre le mani di Hugh la spogliavano, lì, fra le dune della spiaggia dove tante volte era stata con Ross o a portare a passeggio i suoi bambini, ripensò fugacemente a tutto quello che l'aveva portata fin lì. Il comportamento scostante di Ross, il suo tenerla sempre lontana da ogni decisione presa, il suo agire come se lei non esistesse, le sue parole a volte velenose, come quando le intimava di trovarsi un altro se lui non le andava bene, Elizabeth... Già, sempre Elizabeth. E tutte le bugie che Ross le aveva detto che la riguardavano.

Le era crollato il mondo addosso poche ore prima quando Prudie le aveva detto che aveva visto Ross baciarla, e qualcosa si era rotto dentro di lei. Quella flebile lastra di vetro che teneva insieme il suo matrimonio dopo il tradimento di alcuni anni prima si era spezzata, rotta in mille pezzi. Si era sentita stupida, tradita e umiliata. Era una dannata idiota, come aveva potuto credergli, quando gli aveva detto che era lei l'amore della sua vita? Come aveva potuto essere tanto stupida da rimanere a Nampara con Jeremy per due paroline dolci? Come diavolo gli era venuto in mente di mettere al mondo una figlia, dopo quell'inferno?

Ross non l'aveva mai amata e non aveva mai smesso di vedere Elizabeth di nascosto, probabilmente. E ora quelle sue paure erano realtà, ne aveva le prove! Prudie aveva visto un bacio, ma Ross ed Elizabeth probabilmente nascondevano da anni molto di più. Proprio sotto ai suoi occhi e lei era stata stupida e cieca a non accorgersi di nulla.

La verità, in fondo, non l'aveva sempre avuta davanti? I comportamenti scostanti di Ross, le sue parole taglienti, il suo pensare sempre prima agli altri che a lei, non erano un sintomo sufficiente del fatto che non l'amava?

Il suo cuore era spezzato, mentre si concedeva a Hugh. Lo baciò e si lasciò baciare e accarezzare in tutto il corpo, lo aiutò a togliersi i vestiti, guidò la sua mano ad accarezzarla dove ne sentiva necessità e prima di azzittire la sua mente, si chiese perché lo stesse facendo.

Hugh era dolce, gentile e gli aveva fatto una corte serrata e romantica, l'aveva riempita di attenzioni che per tutta una vita aveva desiderato da Ross ed era intenerita e rattristata per le sue precarie condizioni di salute. Pensare che un giovane così gentile, educato e promettente stesse diventando cieco, le faceva piangere il cuore. E voleva regalargli quel poco di felicità che poteva, resituirgli un momento bello in cambio di quelli che lui aveva dato a lei, facendola sentire amata.

Lei non amava Hugh, sapeva di non esserne innamorata. Ma era innamorata di quei sentimenti che lui rappresentava, puri, appassionati, romantici e sinceri che sapeva essere utopistici da portare costantemente avanti in un vero rapporto di coppia che dura anni, ma era tutto ciò di cui lei aveva bisogno in quel momento.

Voleva amore, ne era affamata e Hugh era lì a darglielo. Fosse arrivato solo il giorno prima, quando ancora non sapeva nulla di Ross ed Elizabeth, gli avrebbe resistito per amore della sua famiglia. Ma ora perché resistere, perché lottare, per cosa? Il suo matrimonio si basava sulle bugie, l'amore era unilaterale e lei aveva lottato come una leonessa per cosa? Perché non cedere all'oblìo, perché non diventare, solo per quel giorno, quell'altra Demelza di cui aveva parlato a Ross? Quella senza figli, senza marito...

Fare l'amore con Hugh aveva un sapore diverso. Il piacere fisico era innegabile, chiuse gli occhi e cercò di ritrovare le sensazioni che viveva con Ross, ma non ci riuscì. Hugh era un amante esperto, attento e premuroso, la toccava con la referenza e la delicatezza con cui si tocca un qualcosa di prezioso, ma non sentiva quel senso di appartenenza che provava ogni volta che faceva l'amore con Ross.

Tentò di ricacciare indietro le lacrime, Hugh non lo meritava. Si sarebbe odiata per quello che stava facendo, non se lo sarebbe perdonata. Ma era affamata d'amore e Hugh era lì ad offrirglielo, senza chiedere nulla in cambio.

Quando lui entrò dentro di lei, la sua mente si annullò e per lunghi istanti fu solo una amante, una donna che si conceceva a un uomo conosciuto per caso da cui si sentiva attratta, una donna senza un passato e, anche se non voleva ammetterlo, senza un futuro. Per lunghi istanti non fu più Demelza di Nampara, sposata con un uomo che la tradiva e mamma di due bimbi piccoli, ma solo una donna alla ricerca di un attimo di amore per se.

Quando tutto fu finito, mentre il vento impetuoso della Cornovaglia accarezzava i loro corpi nudi, Hugh fece per abbracciarla a se, ma lei si irrigidì. "Avete freddo?".

A Demelza venne da sorridere con amarezza. Avevano appena fatto l'amore e si davano del 'voi'. Era ironico, a pensarci bene, ma rappresentava appieno ciò che in fondo erano: due quasi-sconosciuti. Ed era per quello che, nonostante tutto, non si era sentita completamente parte di lui pochi istanti prima, mentre facevano l'amore. Con Ross era diverso, con Ross provava ogni volta la sensazione di fondersi in lui, anche dopo tanti anni di matrimonio. "No, non molto".

Hugh prese la sua giacca che riposava sull'erba a pochi passi da loro, mettendogliela sulle spalle. "Tenetela addosso o vi prenderete un malanno".

"Grazie". Era intenerita dalle sue premure e si accorse di non esserci abituata. Ross era sempre stato un amante dolce ma difficilmente stava a far caso a lei, fuori dalla camera da letto. Difficilmente si era mai chiesto se avesse freddo, se fosse stanca o triste. No, quelle erano premure che probabilmente riservava ad Elizabeth, a colei che amava...

Hugh le accarezzò i capelli e tentò di baciarla sulle labbra, ma d'istinto si ritrasse, rendendosi conto che in quel momento non voleva essere toccata. Si sentiva come una bambola rotta, fragile, come una barca alla deriva senza un porto sicuro a cui tornare. L'idea di rientrare a Nampara la atterriva, dopo quando detto a Ross nel pomeriggio. Nampara era sempre stata la sua casa, il suo mondo, quello dove credeva avrebbe vissuto tutta la vita assieme al suo uomo.

E invece aveva vissuto una frottola e ora lo sapeva. Perché Ross avesse tanto insistito, alcuni anni prima, a farla rimanere, per lei rimaneva un mistero. Avrebbe potuto bloccare il matrimonio fra Elizabeth e George, annullare il matrimonio con lei in qualche modo e sposare la donna che amava e invece...

E invece aveva preferito dare a Elizabeth la ricchezza dei Warleggan che lui non poteva garantirle, vivere da amante e mantenere il suo buon nome di rispettabile uomo di buona famiglia, sposato e con prole.

Meschino, spregevole...

Mai avrebbe creduto di arrivare a pensare questo, di Ross...

Hugh tentò nuovamente di abbracciarla e questa volta lo lasciò fare, mentre una lacrima le solcava il viso.

"State male? Ho fatto qualcosa che...?".

"No Hugh, non siete voi. Sono io ad essere sbagliata".

Hugh le sorrise dolcemente. "Io non vedo nulla di sbagliato in voi".

Demelza scosse la testa. "Ci sono tante cose sbagliate in me e nella mia vita, credetemi. Non sono così perfetta come pensate, perché se lo fossi non sarei quì con voi".

"Amarsi non è mai un errore, Demelza".

"Sono una donna sposata. Il mio matrimonio è pessimo ma la cosa non cambia, resto la moglie di Ross Poldark e l'ho appena tradito. Ed è una cosa che avevo giurato di non fare mai".

Hugh abbassò lo sguardo, stringendole la mano. "Siete pentita?".

"No. Ve l'ho detto, non sono così perfetta come sembro".

"Quando potrò rivedervi?" - le chiese.

"In questi termini, mai più. Non deve succedere di nuovo. Come amico, spero invece di rivedervi presto".

Hugh incassò il colpo con classe, senza protestare. Lo sapeva anche lui che le cose stavano in quei termini. "Vi riaccompagno a casa, si sta facendo buio".

A quella proposta, le si contrasse lo stomaco. "Casa?".

"Sì".

Scoppiò a piangere, non poteva farne a meno. "No, non posso tornare".

Hugh spalancò gli occhi, sorpreso. "Cosa dite? Non parlerete in questo modo per colpa mia, vero?".

Scosse la testa, singhiozzando. "No, non è colpa vostra. Ma fra me e Ross ci sono tanti nodi dolorosi che oggi sono giunti al pettine ed è... un disastro. Devo andarmene".

Hugh la guardò con l'aria di non capirci molto ed in effetti non poteva dargli torto, lui aveva sempre pensato a lei e a Ross come a una coppia fortunata e perfetta. "Non fate cose avventate... Non per me...".

"Non lo faccio per voi, lo faccio per me. Hugh, volete aiutarmi?".

Lui annuì, un po' confuso. "Cosa volete che faccia?".

Demelza assunse un'aria decisa, ricacciando indietro le lacrime. "Torniamo insieme a Nampara a prendere il vostro cavallo e poi...".

"Poi?".

Chiuse gli occhi, pensando ai suoi bellissimi bambini. Non li avrebbe messi a letto quella sera e nemmeno le successive. Li avrebbe persi ma non poteva fare nulla per impedirlo, non sarebbe riuscita a vivere di nuovo sotto lo stesso tetto con Ross. "Portatemi a Illugan. Lì c'è la vecchia casa di mio padre, la sistemerò ed andrà benissimo per me, per viverci".

"No!". Hugh le strinse il polso, deciso. "Illugan è un posto malsano, non è luogo per voi".

"Ci sono nata, ad Illugan. E ci tornerò. Se è vero che tenete a me, portatemi, vi prego".

A malincuore, Hugh dovette arrendersi e annuì. "E Ross?".

"Ross ha la sua vita da vivere" – tagliò corto.

Hugh si morse il labbro. Era preoccupato per lei e per gli effetti di quella decisione, ma per amor suo acconsentì senza fare ulteriori domande.

Si rivestirono e poi le prese la mano. Lo lasciò fare, aveva bisogno del suo calore perché in lei sentiva solo gelo e gli echi dell'amore di poco prima, della passione, erano già lontani.

Tornarono verso Nampara che ormai era pomeriggio inoltrato. Prudie era nell'aia e appena la vide, mano nella mano con Hugh, probabilmente capì subito cosa era successo. "Signora...?".

Demelza non le disse nulla. La sorpassò e con Hugh si diresse alla stalla, a quel magnifico cavallo bianco che aveva portato il poeta da lei.

"Signora" – la inseguì Prudie – "uscite di nuovo?".

"Sì, esco di nuovo".

"Quando tornerete?".

Hugh salì a cavallo e l'aiutò a fare altrettanto. "Da la cena ai bambini e mettili a letto" – le disse, in tono piatto, col cuore che le andava in mille pezzi al pensiero di Jeremy e Clowance. Ma non poteva fare altrimenti, non poteva trascinarli con se nell'inferno di povertà che era Illugan.

Prudie le corse incontro con fare disperato, cercando di afferrare le redini del cavallo. "Quando tornerete?".

Demelza non rispose, non ne aveva la forza. Affondò il viso contro la schiena di Hugh, gli cinse la vita e gli fece cenno di partire al galoppo.

E il poeta ubbidì.


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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Il cavallo procedeva placidamente nella brughiera sferzata dal vento del pomeriggio.

Demelza sentiva freddo e le sembrava che fosse la prima volta che le capitava in vita sua... Si sentiva come in tranche, come se la vita che stava vivendo in quegli istanti non fosse stata la sua ma che continuasse a interpretare quell'altra Demelza, la Demelza che era diventata cedendo alla corte di Hugh. Voleva piangere ma i suoi occhi erano aridi, voleva gridare la sua rabbia contro se stessa e Ross e invece non aveva il fiato per dire mezza parola, voleva essere abbracciata e non sapeva da chi. Cosa ci faceva su quel cavallo, con un uomo che non era suo marito? Dove stava andando?

Quella era l'ora della giornata dove svegliava i suoi bimbi dal riposino, gli preparava la merenda, giocava con loro nell'aia e poi aiutava Prudie a preparare la cena. Una vita banale forse, ma che aveva sempre amato tanto. Era sempre stata fiera e orgogliosa di essere la moglie di Ross, la madre dei suoi bambini... La donna che lui amava...

Ma lui non l'amava...

Lui avrebbe sempre amato Elizabeth...

Pensò al loro colloquio della mattina, quando lui le aveva ribadito quanto fosse una bella e speciale persona, Elizabeth... Quanta insensibilità in quel commento, verso di lei che aveva dovuto vivere sulla sua pelle il male che quella donna aveva fatto alla loro famiglia. Ma lui la difendeva, l'avrebbe sempre difesa anche se sapeva quanto dolore patisse nel sentirlo parlare di lei a quel modo. Era bella Elizabeth, perfetta agli occhi di Ross. E lo sarebbe sempre stata.

E lei sarebbe sempre rimasta la sguattera che aveva sposato per onore e senza amore.

Pensò nuovamente alle parole di Prudie, al suo racconto di quando aveva scoperto Ross ed Elizabeth baciarsi...

Pensò alla loro lite al porto di poche ore prima...

Pensò alla sua vita e al fatto che tutto era sempre stato una bugia, un bel sogno che solo lei aveva vissuto. Non Ross! Ross sognava altro...

Guardò la schiena di Hugh, affondò il viso in essa e si chiese cosa ci vedesse di tanto bello in lei, lui che poteva ambire alle donne più belle e ricche della Cornovaglia e forse dell'intera Inghilterra. Era più esile di suo marito, più delicato nel viso e nei lineamenti, dolce, gentile, un amante tenero e sicuramente esperto ma molto diverso da Ross nell'intimità. Ross era fuoco e passione, Hugh era gentilezza e romanticismo. Era stato un momento bello fra le dune, con lui, l'unico momento della giornata in cui qualcuno era stato gentile con lei.

"Siete sicura di quello che fate?".

La voce di Hugh spezzò il silenzio e Demelza fu costretta ad alzare lo sguardo. "Sì, lo sono".

La mano del giovane le sfiorò le dita. "Volete dirmi cosa è successo? Sapete, sono bravo anche ad ascoltare e vorrei cercare di aiutarvi. Non mi piace la destinazione del nostro viaggio e Illugan non è posto per voi, Demelza".

"Al momento non ho altri luoghi dove stare".

Hugh fermò il cavallo, saltò giù e la costrinse a fare altrettanto. "Ditemi cosa c'è, ditemi se davvero non è a causa mia".

Stranita da quella interruzione, Demelza sentì il calore delle lacrime fin lì represse, rigarle il viso. Si coprì gli occhi con le mani, vergognosa come se fosse stata una bambina. "Non è colpa vostra, ve l'ho detto. Se voi non foste venuto oggi, me ne sarei andata comunque".

"Demelza, non piangete". Con la mano le sfiorò il viso, asciugandole le lacrime dalle guance. "Fate un respiro profondo, cercate di calmarvi e se vorrete parlarmi di cosa vi affligge, io sarò felice di ascoltarvi. A volte parlarne serve a far sembrare più piccoli i problemi".

Demelza scosse la testa, era così difficile dire ad alta voce il motivo che la faceva soffrire così tanto. E allo stesso tempo aveva paura di ferire Hugh, che avrebbe potuto pensare di essere stato un ripiego in quella giornata tanto terribile per lei. Ma Hugh non era stato un ripiego, non era stato una vendetta... Hugh era stato un raggio di sole, una scintilla venuta ad illuminare il buio che la circondava. "Non c'è molto da dire eccetto che sono sposata con un uomo che ama un'altra. E' tutta banalmente qui, la mia storia... Ci ho tentato, sapete, di far funzionare il mio matrimonio... Ma oggi ho scoperto e capito che non c'è lotta da portare avanti, lui non mi amerà mai e sarò sempre e solo un ripiego".

Hugh spalancò gli occhi a quella affermazione, incredulo come se avesse appena sentito un'eresìa. "Ross non vi ama? State scherzando, vero?".

"Vi sembro una che ha voglia di scherzare?".

"No...". Hugh abbassò lo sguardo, quasi fosse in imbarazzo, dimostrando appieno la sua giovane età e l'incapacità di affrontare argomenti così adulti. "E' che mi sembra impossibile non amarvi. Siete bellissima, intelligente, avete uno sguardo luminoso, siete gentile e avete un sorriso meraviglioso. E Ross non vi ama!? Come puo'...?".

Demelza si intenerì a quelle parole che sapeva essere sincere e non un atto di adulazione. Hugh l'amava di quell'amore romantico da romanzo, forse utopistico ma che faceva bene al cuore. "Lui mi ha sposata per dovere, non mi amava. Amava Elizabeth, la donna che ora è sposata con George Warleggan. Era il suo primo amore, quello che sognava da giovane, quando aveva la vostra età. E io non posso competere con lei, col sogno che rappresenta per Ross, con la sua bellezza, coi suoi modi di fare aristocratici, con...".

Hugh le posò l'indice sulle labbra. "Elizabeth Warleggan? Scusate la franchezza, Demelza, ma vostro marito deve avere più problemi di vista di me. Bella, senza dubbio una splendida bambolina da mostrare in pubblico ma...".

"Ma?".

Il ragazzo alzò le spalle, sorridendole timidamente. "Ma io sono un poeta, difficilmente mi sfugge alla vista qualcosa di bello che sa emozionare. E' successo così con voi ma onestamente questa Elizabeth... nemmeno me la ricordavo finché l'avete nominata poco fa. Mi da l'impressione di qualcosa di freddo, di ghiaccio, qualcosa che non riesce a scaldare il cuore, non mi è rimasta impressa".

"Ma a Ross sì...". Demelza sorrise tristemente. "Ross la ama e la sogna da sempre e per lui è sempre stato un tormento non poterla avere, soprattutto ora che è sposata col suo peggior nemico. Hanno una relazione da anni, probabilmente. Credevo l'avesse dimenticata, oggi ho scoperto che non è così e che hanno continuato a vedersi alle mie spalle. Gli avevo creduto, pensavo fosse sincero quando mi ha detto che era me che amava e invece... Sono solo una stupida idiota, un'ingenua che continua a credere nell'amore. Non posso, non voglio tornare a casa, non riesco nemmeno a pensare di guardarlo in viso, come potrei vivere sotto lo stesso tetto con lui?".

Hugh sospirò, a corto di parole. "Ne siete certa? Della sua relazione con Elizabeth, intendo... Ross non vedeva l'ora di tornare da voi, quando venne in Francia per salvare Dwight e mi è sempre sembrato molto affezionato".

Demelza scosse la testa. "Sono solo la sua sguattera, non ho mai smesso di esserlo ai suoi occhi. Non sarò mai meritevole di lui, non varrò mai quanto Elizabeth".

A sorpresa Hugh l'abbracciò, tenendola stretta a se. Le accarezzò la schiena, i capelli, la strinse a se come aveva fatto poco prima fra le dune della spiaggia. "Va bene, non vi chiederò più niente, sapete quello che fate e so che vi deve costare molto. Ma lasciate che vi dica una cosa: se Ross ha permesso che voi pensaste questo di voi stessa, allora non vi merita. Se non ha compreso il vostro valore, se ha ferito il vostro amore e vi ha indotto a pensare di non essere abbastanza per lui, allora vale molto meno di quanto pensassi, come uomo. Chi tradisce la propria moglie, la madre dei suoi figli... non merita che si perda tempo a versare lacrime per lui".

Al sentir parlare dei suoi bambini, Demelza singhiozzò. "I miei bimbi sono la cosa più bella che ho. Ma non posso tenerli con me, non avrei niente da offrir loro e Nampara è un posto più adatto per crescere al sicuro, per Jeremy e Clowance. Ross avrà cura di loro, lo so... E io ho lasciato la mia casa e così facendo, che speranze avrei di poterli riavere con me? Andandomene, ho perso ogni diritto sui miei figli".

"Le cose si sistemeranno prima o poi, coi bambini. So che lotterete per loro, ne sono certo".

Le parole di Hugh le infusero un po' di coraggio. Osservò il cavallo bianco del ragazzo, bello e delicato nell'aspetto come lui. "Proseguiamo? Illugan è lontana".

Hugh, poco convinto, annuì.

Salirono a cavallo e a spron battuto, senza mai fermarsi, galopparono verso la terra natale di Demelza.

Quando giunsero a destinazione, era quasi buio. Hugh si guardò attorno, notando subito la povertà del luogo. Le baracche in legno parevano essere l'unico tipo di abitazione che gli abitanti di quel posto rurale e dimenticato da Dio potevano permettersi, i viali erano sterrati e pieni di polvere e povere famiglie di minatori accompagnati da una miriade di bambini scalzi e vestiti di stracci si trascinavano a casa dopo una giornata di duro lavoro.

Demelza sentì una fitta al cuore. Anche lei, tanti anni prima, era stata come quei bambini senza futuro. Prima di conoscere Ross era esattamente come loro, con lo stomaco vuoto e con gli abiti rattoppati e lisi, incapaci di scaldare chi li indossava durante l'inverno. Quella era stata la sua vita, una vita che non credeva di dover rivivere e invece sarebbe stata il suo futuro... Pensò a Clowance e Jeremy e fu felice della scelta fatta. Non poteva trascinarli in quel luogo, in quell'inferno... Era la loro madre e per il loro bene avrebbe rinunciato a loro, se necessario.

Hugh le sfiorò le dita della mano. "Io non vi posso lasciare quì, è orribile...".

"Starò bene, ci son nata in questo posto e ne conosco le regole" – tentò di rassicurarlo.

Hugh scese da cavallo e si lasciò accompagnare da lei in quella che era la sua casa natale. "Venite a casa mia, state da me se davvero non volete tornare a Nampara! Ma vi prego, non posso pensare di lasciarvi qui".

Demelza sorrise dolcemente e lo prese per mano, come aveva fatto poche ore prima in spiaggia. Non le importava che qualcuno li vedesse, non le importava più di niente, voleva solo sentirlo vicino e scacciare con lui la paura dell'ignoto che la attendeva. "Hugh, siete gentile ma non posso. Sono e rimango una donna sposata e venire da voi significherebbe far scoppiare uno scandalo. Non è il caso, non posso fare questo a Ross e non posso farlo ai miei figli. Starò bene quì, ve lo assicuro".

Hugh parve poco convinto. "Solo una notte, poi magari domani penseremo ad altre soluzioni. Vi prego, Demelza...".

Demelza strinse le dita della sua mano, intrecciata a quella del giovane. C'era una cosa che voleva chiedergli da quel pomeriggio. "Potete... possiamo farci un favore?".

"Certo".

"Diamoci del tu, se non è un problema. E' assurdo essere così formali ed è difficile...".

Hugh, a quella proposta, parve felicemente sorpreso. "Davvero? Lo desiderate sul serio?".

"Sì, lo desidero" – rispose, divertita nel vederlo così eccitato per qualcosa di tanto banale per lei. "Bene Hugh... Ora possiamo dimenticarci i formalismi, quindi?".

"Certo, Demelza".

Si guardarono negli occhi, si sorrisero e ripresero a camminare. Giunsero in quel momento davanti a una baracca abbandonata, malmessa, mentre dei minatori di passaggio li osservavano in cagnesco. Demelza la guardò. Era cadente, col tetto completamente sfondato, i vetri rotti e la porta distrutta in mille pezzi. Ricordò la sua infanzia fatta di botte, di privazioni, ricordò confusamente le lacrime che spesso rigavano il viso di sua madre, i suoi fratellini sempre vestiti di stracci e la stanchezza sua principale compagna d'infanzia. Un velo di polvere e di degrado pareva aver cancellato ogni traccia di vita da quel posto. "Io sono nata quì".

Il poeta guardò disgustato quel posto orribile, desolato e povero. "E quì NON tornerai! Demelza, non hai nemmeno un tetto sulla testa, questa casa cade a pezzi".

"Da piccola dormivo spesso nei campi, quando avevo troppa paura di tornare a casa da mio padre, sono abituata alla miseria e al nulla" – rispose, con poca convinzione.

Hugh finse di non sentirla. La riprese per mano e la trascinò via, fino al cavallo, stavolta con fare deciso e possessivo. "Non posso costringerti a venire con me ma insieme possiamo trovare una soluzione migliore di questa. Quì non ti lascio!".

Demelza fece per obiettare ma Hugh la prese per la vita e la mise sul cavallo, costringendola a ubbidire. "Ma...".

"Niente ma, si va via!" - rispose il giovane, salendo sul cavallo e partendo al galoppo.

Demelza fu costretta a stringergli la vita per non cadere e ad abbandonarsi a lui. Percorsero le lande desolate di Illugan, superarono diverse baracche e tanti, troppi minatori affamati, fino a giungere a un bosco che costeggiava quelle terre, attraversato da un torrente. E a quel punto, le venne in mente un posto che da piccola adorava. "Hugh, segui il corso del torrente, so dove potrei andare" – disse, eccitata da quell'improvvisa idea.

Hugh si voltò, incuriosito. Poi senza dire nulla, fece come gli era stato chiesto. Diversi minuti dopo giunsero davanti a un piccolo mulino isolato, a pochi passi dal ruscello. Era abbandonato come la sua casa natale da molti anni ma era in uno stato migliore. Spesso da piccola era arrivata fin lì spinta dalla paura delle botte di suo padre, ci si era rifugiata e aveva passato la notte rannicchiata su se stessa, singhiozzando. Quel posto le aveva sempre dato sicurezza, era stato il suo rifugio, un luogo tutto suo dove poteva giocare con i pesci nell'acqua e immaginare di essere una principessa in un castello, come tutte le bambine della sua età.

Scese da cavallo col cuore in tumulto, erano anni, tanti anni che non tornava lì. "Hugh, qui andrà benissimo".

Il poeta si guardò attorno. "E' un luogo incantevole, circondato dalla natura. Il posto ideale per l'ispirazione di un poeta o di un pittore".

"Vero". Demelza guardò quegli alberi, il piccolo mulino abbandonato, gli uccelli che volavano fra le fronde... Era rimasto tutto uguale ad allora, solo il ruscello, il mulino e i rumori sommessi del bosco... "Qui ti farebbe stare tranquillo?".

Hugh sospirò. "Prima di risponderti, vediamo com'è dentro questo mulino?".

Entrarono nella porta malmessa e constatarono che, a parte la polvere, le pareti in pietra erano ben messe e anche il tetto pareva robusto. Era un luogo minuscolo, composto di due piccole stanze, i vetri erano sporchi, così come il pavimento. Ma c'era un camino e con un po' di pulizia ne sarebbe uscito un luogo accogliente.

"Ti piace?" - chiese Demelza.

"Mi piacerà... un giorno".

La donna sorrise, avvicinandosi a lui. Lo abbracciò, non sapeva in che altro modo ringraziarlo per quanto aveva fatto per lei in quella giornata terribile. "Hugh, non so cosa dire per ringraziarti...".

Hugh le prese le mani, gliele baciò e la strinse a se. "Dimmi solo che non lo hai fatto per rabbia, per vendetta...".

Demelza si intenerì a quelle parole, capiva le sue paure e ne comprendeva il fondamento, dopo quanto gli aveva raccontato su lei e Ross. Provava affetto per Hugh... Amore... Un amore diverso da quello che provava e che sempre avrebbe provato per suo marito, un amore più puro, delicato, un amore vicinissimo all'amicizia ma un gradino più in su di quest'ultima. "Non ti avrei mai fatto una cosa del genere. Non sei stato una vendetta, sei stato il mio raggio di sole in una giornata orribile. E io ringrazio il cielo di averti conosciuto e di averti avuto vicino oggi. Non potrò mai essere la donna del tuo cuore, quella delle tue poesie. Ma sono stata felice di esserlo in spiaggia, in quel momento. Eravamo solo noi, non esisteva nient'altro. E io avevo bisogno di te e ci sei stato...".

Hugh annuì, baciandole la fronte. "So che ai tuoi occhi non sarò mai come Ross e so che nella vita solo una persona puo' essere l'anima gemella di un'altra. E so che per te quella persona non sono io ma è Ross, nonostante tutto. Ma sono io a doverti ringraziare, per avermi fatto spazio nel tuo cuore, anche per poco, oggi. Ero io ad avere bisogno di te, molto più di quanto tu ne avessi di me".

"Avevamo bisogno l'uno dell'altra, Hugh".

Il ragazzo le sorrise, prendendole la mano nella sua. Si guardarono attorno e poi la strinse a se. "Domani manderò quì dei miei lavoranti, ti aiuteranno a sistemare questo posto. Per questa notte, resterò quì con te e su questo non transigo. Non ti lascio sola".

"Hugh, non puoi" – rispose Demelza, in allarme. Lui DOVEVA tornare a casa...

"Ti prego".

La donna sospirò, mordendosi il labbro. Come poteva impedirgli di restare? E in fondo, non era quello che lei stessa voleva? Non desiderava stare sola... "Non hai obblighi".

"Ma voglio averne" – rispose lui, a tono.

Demelza non disse nulla, lo prese per mano e si sedettero abbracciati su un pagliericcio malmesso, l'unico letto disponibile. Fu grata a Hugh per il suo comportamento. Non tentò di baciarla, non tentò di sedurla...

Rimase semplicemente accanto a lei quella notte, in silenzio, tenendola fra le braccia e ascoltando in silenzio il suo pianto sommesso. La amò di quell'amore pulito che lei sentiva di provare per lui, quell'amore che non ha nulla da chiedere o pretendere. Non fu necessario respingerlo, non fu necessario spiegare nulla, Hugh sapeva di cosa lei avesse bisogno.

La tenne accanto a se, aiutandola a non sprofodare nell'oscurità di quella notte che poteva essere la peggiore della sua vita: la prima notte lontana da Nampara.




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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Ross galoppò come un forsennato per tornare a casa in fretta. Erano ore, dal suo colloquio con Demelza al porto, che una morsa dolorosa gli attanagliava lo stomaco e sentiva l'urgenza di parlare con lei.

Un sordo senso di terrore impermeava ogni fibra del suo essere e per la prima volta in vita sua si trovò ad avere davvero paura.

Non aveva mai visto sua moglie in quello stato, con quello sguardo quasi trasfigurato dal dolore. Nemmeno quando l'aveva tradita con Elizabeth gli era apparsa così sconvolta. Allora era arrabbiata, furente, lo aveva atterrato con un colpo da maestro a metà strada fra uno schiaffo e un pugno, mentre adesso era diversa, delusa e pareva essersi arresa.

Era incredibile che fra loro fosse successo di nuovo, che ancora il loro matrimonio rischiasse di naufragare e proprio in un momento per lui sereno, quando ormai i fantasmi del passato erano scomparsi e Demelza era senza più ombra di dubbio il suo vero amore.

Perché era stato tanto idiota da non parlarle dell'incontro al cimitero con Elizabeth? Perché per due volte le aveva mentito, quando gli aveva chiesto spiegazioni? Perché aveva permesso che lo sapesse da terzi, arrivando ovviamente a pensare al peggio?

Poteva pure ritenersi offeso dal fatto che pensasse male di lui e del suo rapporto con il suo primo amore, ma sapeva che non era nella posizione per farlo. Sapere di quel bacio fra lui ed Elizabeth, un bacio d'addio per ciò che erano stati e una richiesta di scuse per come si era comportato, doveva averle fatto crollare il mondo addosso e i suoi silenzi a riguardo dovevano averla portata alla conclusione più ovvia: lui ed Elizabeth avevano una relazione clandestina.

Nulla di più falso, ma questo Demelza non poteva saperlo...

Doveva correre a casa e parlarle, subito! Aveva perso fin troppo tempo in quegli scontri, tempo che poteva usare per inseguirla e spiegarle, sperando non fosse troppo tardi.

Ricordò le sue parole, non urlate, non dette in preda alla disperazione. Era una rabbia fredda quella che aveva scorto in Demelza, piena di risentimento e delusione.


"Tieniteli i tuoi segreti Ross, tieniteli tutti. E io mi terrò i miei".


Aveva quasi paura a pensare al significato di quelle parole ma un terrore sordo sembrava sussurrargli che Demelza si era arresa, che gli aveva detto di viversi la sua vita come voleva e che lei avrebbe fatto altrettanto. Non era più importante la sincerità fra loro, quelle promesse a cui lei aveva tenuto fede mentre lui non lo aveva fatto, Demelza non gli avrebbe più chiesto nulla, non avrebbe più né preteso né voluto niente da lui. E questo gli faceva male come mai nient'altro nella sua vita.

Doveva raggiungerla, parlarle, spiegare e chiedere scusa per i suoi silenzi e per quelle risposte infelici che le aveva riservato nelle ultime settimane. Stanchezza, preoccupazioni e tanti pensieri nella testa avevano finito per allontanarli di nuovo e lui, idiota come sempre, l'aveva estromessa di nuovo dalla sua vita. Le aveva intimato più volte che se lui non era quello che lei desiderava, poteva cercarsi qualcun'altro e ora si malediva per quelle parole. Che gli era saltato in mente? Se mai avesse visto Demelza accanto a un altro uomo, sarebbe impazzito dal dolore!

Perché quando c'erano problemi e tempeste, era con lei che se la prendeva?

Non era forse sua moglie, la donna che amava e la madre dei suoi figli? Perché doveva ricadere SEMPRE negli stessi errori?

Già una volta l'aveva fermata sull'uscio di casa, pronta ad andarsene. E ora aveva la dannata sensazione che una seconda chances non gli sarebbe stata data...

Eppure non poteva andarsene, lei non avrebbe mai abbandonato i suoi bambini... E se invece li avesse presi con se, portandoli via?

Appena arrivò, lasciò il cavallo nella stalla e corse in casa.

Tutto era buio e silenzioso quando aprì la porta e sembrava esserci solo Prudie. La serva stava riversa sul tavolo, con diversi bicchieri vuoti davanti a se, completamente ubriaca. Ross si accigliò ed entrò in panico, era da tanto che non la vedeva così, non si era ubriacata nemmeno quando Jud se n'era andato, anzi... "Dov'è Demelza?".

La donna alzò gli occhi su di lui e si accorse che erano velati di lacrime. "Fuori".

"Fuori dove?".

"No lo so, non l'ha detto".

"Da sola?" - le chiese, con terrore.

Prudie impallidì. "Con un visitatore...".

Un visitatore... Demelza se n'era andata con un visitatore... E la sua mente, senza bisogno di chiedere conferme, sapeva di chi si trattava. Sentì un nodo alla gola, il corrodere della disperazione nelle sue vene e un sentimento di impotenza a cui non sapeva far fronte. "Tornerà?".

"Sì, credo. Non l'ha detto...".

"Dove sono i bambini?".

"Di sopra, dormono".

Già, che stupido, cosa lo chiedeva a fare?! Se Demelza era con Hugh, i bambini sarebbero stati di troppo...

Dov'era andata? Cosa stava facendo? Santo cielo, sarebbe impazzito a furia di chiederselo. Non poteva stare in casa ad aspettare senza far nulla, doveva tornar fuori a cercarla, trovarla e riportarla a casa da lui e dai loro figli.

Uscì fuori, il vento era violento, furioso come il suo animo. Il cielo si stava scurendo e a breve sarebbe iniziato a piovere. A grandi falcate si avviò verso la spiaggia, un posto che Demelza amava e dove spesso si recava quando aveva qualcosa su cui rimuginare. Non aveva idea di cosa stesse facendo e aveva il terrore di trovarla fra le braccia di Hugh Armitage, ma non poteva essere tanto codardo da nascondere la testa sotto il cuscino.

Eppure no, non poteva essere, lei non lo avrebbe mai tradito... Demelza era migliore di lui, immune a questo genere di errori, era la sua donna, una donna che lo venerava e che viveva per lui. Lo aveva perdonato molte volte e il suo amore non era mai venuto meno nemmeno davanti ai mille errori che lui aveva commesso. Anche questa volta sarebbe stato così, sarebbe bastato spiegarle, chiederle scusa e tutto sarebbe tornato come prima. Anche perché poi, in fondo, lui non aveva fatto nulla di male. Non le aveva parlato dell'incontro con Elizabeth per non preoccuparla e ferirla, non per nasconderle chissà che...

Arrivò in spiaggia, il vento gli sferzava il viso e il mare era in tempesta. Si guardò attorno ma tutto era muto, deserto ed immobile. Lei non c'era...

"Dove sei...? Dannazione Armitage, dove la stai portando?".

Sentiva la rabbia scorrergli dentro... Si sentiva impotente e stupido per non essere intervenuto subito, appena iniziato quello strambo corteggiamento di Hugh a sua moglie. Invece aveva minimizzato e aveva permesso a quel ragazzo di entrare nelle grazie di Demelza, di insinuarsi nel suo cuore e di sconvolgere la loro vita. Faceva ancora male pensare a lei che cantava per Hugh come aveva fatto tanti anni prima per lui, nel loro primo Natale da sposati. Faceva male ricordare come lo aveva guardato, con lo stesso sguardo pieno d'amore che una volta aveva per lui... Solo per lui...

Ross sapeva di aver sbagliato molto e sapeva che tutto quell'amore che Demelza aveva provato sempre per lui era stato scalfito dai suoi mille errori. Ma mai, MAI avrebbe pensato di poterla perdere.

Passeggiò in spiaggia, in una inutile ricerca. Finché non vide stagliarsi, a sorpresa, la figura di George Warleggan.

In una giornata tanto terribile, era l'ultimo uomo che voleva vedere! Che diavolo ci faceva nella sua spiaggia?

Il suo rivale, pallido in viso come non l'aveva mai visto, si voltò verso di lui. "Ross, che piacere! Devo ringraziarti per aver difeso i miei possedimenti oggi".

Ross strinse i pugni davanti a quell'ennesima provocazione, lo avrebbe volentieri picchiato ma quel giorno si sentiva senza forze e aveva l'impressione che pure per George fosse così e che il suo tentativo patetico di stuzzicarlo derivasse dal bisogno di sfogarsi per qualcosa. "Se lo credi tu...".

George sorrise, sempre più pallido. Pareva sofferente... "Oh, lo credo, hai lavorato tuo malgrado per me e lo trovo divertente".

Ross scosse la testa, si sentiva così idiota per essersi fatto fregare da lui. "E in cos'altro credi, George?" - chiese, senza forze per controbatterlo. Era la conversazione più stupida che avesse mai sostenuto nella sua vita...

"Credo e so che presto avrò un seggio in parlamento, che i miei guadagni aumenteranno e io diverrò una persona importante a Londra. Credo di avere una moglie incantevole e un figlio bello e sano. E tu in cosa credi, Ross?".

A quella domanda, scosse la testa. Erano poche le sue certezze e in quella giornata terribile le aveva perse tutte. Demelza era la sua casa, l'unico legame davvero autentico che per lui significava 'vita' e se n'era andata probabilmente. Aveva sempre dato per scontato che non sarebbe mai successo e invece, come un dannato idiota, aveva tralasciato il fatto che era per lei che doveva combattere, prima di tutto. "Credo che credere sia una gran bella cosa..." - rispose con tutta sincerità, con tantissima amarezza nella voce. Poteva sembrare una provocazione quella risposta perché in fondo sapeva che ciò in cui credeva George era per la maggior parte fasullo, ma non aveva voglia di farlo impazzire e ancor meno di mettere nei guai Elizabeth ed il piccolo Valentine. In fondo, quella risposta impertinente era rivolta a se stesso, più che a George...

Vide George impallidire e non aggiunse altro, non ne aveva voglia, non ne aveva le forze. Voltò le spalle al suo nemico, sentendosi svuotato. E se ne andò con gli occhi che luccicavano e con un macigno nel cuore. Era inutile continuare a cercare, lei non si sarebbe fatta trovare.

Tornò a casa che era ormai buio. Vide Prudie che dormiva il sonno degli ubriachi, riversa sul tavolo. Ed era una visione desolante che lo riportava a quando, solo e ferito nel corpo e nello spirito, era tornato dalla guerra in Virginia.

Salì al piano di sopra, nella stanza dei suoi bambini. Dormivano nello stesso lettino, probabilmente avevano pianto per l'assenza della mamma e Prudie li aveva messi a letto insieme per tranquillizzarli. Accarezzò i loro capelli, quelli castani di Jeremy e quelli biondi della piccola Clowance. "Mi dispiace..." - sussurrò loro, mentre le lacrime gli rigavano il viso. Aveva rovinato tutto, il suo matrimonio e la sua vita. E soprattutto le vite dei suoi due bimbi che forse, a causa sua, sarebbero cresciuti senza mamma... Una mamma che ora, probabilmente, era fra le braccia di un altro uomo.

Si trascinò fino alla camera da letto, si buttò sulle coperte e rimase a fissare il soffitto senza muoversi, senza togliersi gli abiti, quasi senza respirare.

E per la prima volta capì cosa doveva aver provato lei quando, anni prima, l'aveva tradita con Elizabeth e lui aveva passato la notte a Trenwith.

Ora che lei, per la prima volta da quando la conosceva, non era con lui, poteva finalmente vedere con chiarezza tutta l'amarezza, la disperazione, il dolore di chi ha perso la persona amata, la paura per le incognite del futuro e il vuoto di uno strappo che mai avrebbe voluto e che si è costretti a subire.

Avrebbe voluto averla vicina, parlare con lei, ridere con lei, stringerla fra le braccia, fare l'amore e poi addormentarsi con sua moglie appoggiata al suo petto.

E invece era solo...

Tentò di dormire ma fu inutile.

E quella fu la notte più lunga della sua vita...



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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


"Papà?".

Ross aprì gli occhi di scatto. Si era appisolato qualche minuto, dopo una notte completamente insonne, e ora avrebbe continuato volentieri a rimanere immerso nell'incoscienza, se non fosse stato per la voce del figlio che lo chiamava. Con la mano tastò il letto alla ricerca di Demelza, sperando ingenuamente che fosse tornata, ma lo trovò desolatamente vuoto. Quindi si voltò verso il bambino.

Jeremy stava accanto al letto, con indosso ancora la camicina da notte bianca che gli doveva aver messo Prudie. "Papà?" - ripeté – "dov'è la mamma?".

Già... E ora che gli poteva dire? Era arrivato il momento che più temeva... Jeremy era molto legato a Demelza, la adorava e lei lo portava sempre con se, ovunque andasse. Come poteva spiegargli che la mamma se n'era andata e lo aveva abbandonato? Con Clowance, ancora troppo piccola per capire, sarebbe forse stato più semplice, ma Jeremy... "Mamma è dovuta andar via per delle faccende importanti, tornerà fra qualche giorno" – gli disse, sperando che il tempo potesse risolvere la faccenda senza grossi scossoni. Questo gli avrebbe permesso di riordinare le idee, di cercarla, di spiegarle e di riconciliarsi con lei...

Quel pensiero ottimista però durò pochi istanti. Lei non era tornata e aveva passato probabilmente la notte con Hugh Armitage. Non sapeva in che termini, ma qualunque cosa fosse successa fra loro, avrebbe avuto gravi ripercussioni sulla sua vita matrimoniale.

"Ma è andata via senza salutarmi?" - chiese il bimbo, per niente convinto da quella spiegazione.

"Aveva fretta" – disse, chiudendo il discorso. Si alzò dal letto, lo prese in braccio e lo portò nella sua camera per aiutarlo a lavarsi e a vestirsi.

E una volta finito con lui, fece altrettanto con la piccola Clowance. Non ci era abituato, lavare e vestire i bambini era un qualcosa che di solito facevano o Demelza o Prudie. Ma quella mattina sentiva il bisogno di averli vicini, di stringerli a se e vedere che erano reali. Tutta la sua vita stava andando a rotoli e quei due bambini erano tutto quello che gli restava.

La bimba sembrava pensierosa, a disagio. "Mamma?" - disse, con la sua vocina ancora stentata.

Ross le diede un bacio sulla fronte. Era così bella Clowance, una bambina dalle sembianze di una bambola coi capelli biondi pieni di boccoli come la sua mamma, gli occhi azzurri e il visino perennemente imbronciato. "Oggi dovrai accontentarti di papà".

"Si, ma quando torna?" - chiese ancora Jeremy.

"Non lo so, presto" – rispose, evasivo. Prese in braccio Clowance, per mano Jeremy e poi scese da Prudie per far fare loro colazione. Guardò la serva in cerca di informazioni ma la donna scosse il capo.

Lo sguardo di Ross divenne ancora più cupo, di Demelza non c'era traccia.

Fece mangiare i bambini e poi li lasciò liberi di andare con Garrick in cortile, a giocare. Aveva bisogno di parlare con Prudie, ora che era sobria. "Sei sicura che non ti abbia detto nulla?".

Prudie abbassò lo sguardo, concentrandosi sulle stoviglie che stava lavando. "Niente signore, mi ha solo detto di badare ai bambini. Poi se n'è andata a cavallo".

Ross chiuse gli occhi, la testa gli doleva terribilmente. "Con il tenente Armitage?" - chiese, sapendo già qual'era la risposta.

Prudie si morse il labbro. "Sì... Lui è venuto in visita e sono andati via insieme. Dopo un paio d'ore son tornati, han preso il cavallo e sono ripartiti".

Ross era incredulo che fosse successo davvero. Demelza... Sapeva quanto fosse arrabbiata, furiosa e delusa da lui, sapeva di averla ferita di nuovo ma MAI avrebbe pensato ad un epilogo simile. Certo, lui aveva sbagliato a non darle spiegazioni sul suo incontro con Elizabeth e venirlo a sapere da altri doveva averla sconvolta. Se gliene avesse parlato, il tutto avrebbe avuto un epilogo diverso ma ora... ora si sentiva smarrito e perso e non sapeva cosa fare. Era disperato e avrebbe volentieri preso il cavallo per andare da Armitage a riprenderla se non fosse stato che si sentiva schiacciato da mille sentimenti diversi – fra i quali spiccava il suo orgoglio ferito – ed era incapace di fare qualsiasi cosa.

Doveva fermarsi, riflettere e poi combattere quella dannata vocina della sua coscienza che continuava a suggerirgli che era stato lui stesso a regalare, su un piatto d'argento, Demelza a Hugh.

Si chiese se quella fantasia di Demelza, di cui gli aveva parlato mesi prima, si fosse avverata e se lei, spinta dai sentimenti per il giovane e dalla rabbia verso di lui, fosse diventata quell'altra Demelza, quella senza marito, figli e una famiglia... Si chiese se si fossero amati, se l'avesse tradito, se avesse deciso di porre fine al loro matrimonio.

Era da tanto che erano in crisi, lui e sua moglie. Dalla morte di Francis lui si era allontanato molto da lei, aveva quasi rinnegato il suo matrimonio, l'aveva tradita e poi era riuscito in qualche modo a riparare lo strappo. Ma la strana ed apparente pace raggiunta era sempre stata fragile, poggiata su una lastra di vetro trasparente e scricchiolante e lui non aveva mai fatto nulla per rendere il loro rapporto di nuovo davvero stabile. Schiacciato dai sensi di colpa per quanto successo con Elizabeth e sulle probabili ripercussioni della sua follia di quella notte di tre anni prima, aveva sempre nascosto la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare le conseguenze dei suoi errori, si era trovato mille cose da fare pur di non guardare Demelza negli occhi, per non discutere con lei di quello che era stato. Sapeva che Demelza sospettava che Valentine fosse suo, sapeva che Elizabeth era stata importante e lo aveva accettato e tante volte lo aveva spronato a parlarne e a superarla insieme ma lui aveva sempre rifiutato il confronto. Troppo doloroso, troppi sensi di colpa, troppe cose difficili da affrontare guardandola negli occhi...

E ora quelle crepe si erano aperte, aveva lasciato sua moglie da sola troppo spesso, troppo a lungo era stato distante da lei pur abitando sotto lo stesso tetto. Era diventato quasi un estraneo, attento a tutto, eccetto che a lei...

E da quando Agatha era morta, la rabbia per quanto successo a sua zia l'aveva incattivito talmente tanto da non accorgersi che il suo comportamento con Demelza stava prendendo una pericolosa deriva che li stava pian piano allontanando.

Da quanto non la stringeva fra le braccia? Da quanto non la baciava? Da quanto non scherzavano assieme? Da quanto non la vedeva ridere?

Oh, una volta l'aveva vista ridere ma non era suo il merito... Era Hugh che le aveva strappato quelle risate, Hugh giunto a casa loro a portarle un dono.

Ora che ci pensava, lui invece non aveva mai pensato a nulla di carino ultimamente, per farla contenta. Nemmeno alla nascita di Clowance era stato capace di regalarle qualcosa. A Demelza sarebbe bastato un fiore, li amava, non voleva gioielli o cose altezzose e costose...

Pensò alla loro complicità, da molto sopita e inerte, così come la passione. Demelza si era allontanata da lui pian piano e non se ne era quasi mai accorto. Eppure quella mattina, senza di lei, si rese conto che erano mesi che non facevano l'amore, da prima della morte di zia Agatha...

E non ci aveva mai fatto caso... Ma Demelza, probabilmente sì!

"Cosa dovrei fare, Prudie?".

La donna sospirò. "Cosa dovrete fare non lo so. Ma una cosa avreste dovuto evitare: parlar bene di miss perfezione da Trenwith davanti alla signora, Elizabeth Warleggan non è decisamente la sua migliore amica. E magari evitare di baciarla... Una donna perdona il tradimento una volta, FORSE, ma la seconda no".

Ross guardò Prudie e si accigliò. Come faceva a sapere del bacio? "Tu...?".

Lo sguardo di Prudie divenne deciso e per nulla spaventato davanti alle occhiatacce del suo padrone. "Sì, se vi state chiedendo chi ha informato la signora del bacio, sono stata io! Vi ho visti per caso, voi e la signora Warleggan, alla Chiesetta di Sawle. Non volevo finisse così, volevo solo si sentisse meno in colpa per le attenzioni dolci e sincere che riceveva da un uomo che finalmente si era accorto di quanto lei fosse speciale. Il tenente Armitage forse sta perdendo la vista, ma ha l'occhio molto più lungo e attento del vostro, per le cose belle. Volevo che la signora avesse il suo attimo di felicità".

Ross spalancò gli occhi, si sentì furioso, l'avrebbe volentieri presa a calci nel sedere e sbattuta in mezzo a una strada se non fosse stato sommerso di problemi come in quel momento. "Come hai potuto?".

"E voi, come avete potuto ferirla ancora?" - ribatté Prudie, con sguardo di rimprovero.

Ross impallidì. Come poteva ribatterle? Prudie aveva sbagliato a dire a Demelza la verità, non erano affari suoi. Ma la verità era che il primo e vero errore era stato il suo, che non aveva voluto aprirsi con sua moglie. "Dai un occhio ai bambini, devo andare" – le disse, rabbioso e desideroso di prendere una boccata d'aria per calmarsi.

"Dal tenente Armitage?".

Ross scosse la testa. "No, vado alla miniera a prendere a picconate le rocce. Per oggi non farò nulla, magari la cosa si risolverà da sola entro stasera. Se per domani non sarà tornata, allora andrò a casa di Hugh a riprendermi mia moglie. O ad avere sue notizie. Lei tornerà, se non per me, per i bambini e per Garrick". Lo affermò con sicurezza, anche se in realtà non aveva più certezze. L'ultima, Demelza, si era frantumata in mille pezzi e ora era un uomo solo, in balìa degli eventi.


...


La luce del sole le ferì gli occhi. Aveva dormito profondamente per tutta la notte e ne era stupita. Dopo tutto quello che era successo, con tutte le preoccupazioni che le sue scelte le avevano comportato, credeva che non avrebbe chiuso occhio.

Invece, forse, la stanchezza infinita che provava nel fisico e nell'animo avevano vinto e dopo aver pianto fra le braccia di Hugh tutto il suo dolore, si era addormentata con lui accanto.

Aprì gli occhi e si guardò attorno, riconoscendo odori, colori e rumori di quel luogo che la riportava alla sua infanzia. Era sporco e coperto di polvere ma in quel momento considerava quel mulino la sua unica casa.

Hugh era già sveglio, seduto accanto a lei. Era spettinato e con la camicia stropicciata e non ricordava di averlo mai visto in quello stato. "Buongiorno" – le disse, esibendosi in un sorriso.

Demelza deglutì. Era suo amico, ma come doveva considerarlo? Anche un amante? O semplicemente una scintilla abbagliante che aveva illuminato il periodo più cupo della sua vita? "Buongiorno" – rispose, decidendo che non importavano i titoli, amico o amante o qualsiasi altra cosa, importava solo l'affetto che provava per lui e il modo dolce in cui si era preso cura di lei.

Demelza si mise seduta, sistemandosi i capelli spettinati. Doveva avere un aspetto orribile! "Che ore sono? C'è molta luce".

"E' tardi, hai dormito molto e come un ghiro". Hugh le sfiorò la spalla, costringendola a guardarlo in viso. "Come stai?".

Già, come stava? Demelza osservò la finestrella che dava sul torrente, attratta dal rumore dei flutti e dal canto felice degli uccelli. "Mi sento uno schifo! I miei bambini mi staranno cercando e avranno pianto... La sera io e Ross li mettiamo a dormire assieme, ma al mattino sono io che vado a svegliarli, che li sistemo e li faccio mangiare. Saranno spaventati... E io non posso farci niente!". Sentì le lacrime far di nuovo capolino, assieme ai sensi di colpa. "Sono una persona orribile Hugh, li ho abbandonati e sono ancora così piccoli".

Hugh la abbracciò. "Non li hai abbandonati e credo che ti spalancheranno la porta a Nampara, se torni. Non puoi stare qui".

Demelza scosse la testa. "Ma non posso nemmeno stare a Nampara, non più... Fra me e Ross stavolta è finita, non voglio più continuare questa vita, non voglio più vederlo correre da lei, passare le giornate chiedendomi se è alla miniera a lavorare oppure se mi ha mentito ed è con Elizabeth da qualche parte. Se in un matrimonio non c'è fiducia... se non c'è amore... né rispetto... che senso ha continuare?".

Hugh abbassò lo sguardo. "Io non sono sposato e ho una visione diversa, romantica dell'amore. Non so nulla delle dinamiche di una coppia sposata, inseguo l'amore nel termine più autentico del termine, quell'amore che vive alimentandosi della presenza dell'altro, mai intaccato dal mondo".

Demelza provò tenerezza per lui e per quelle parole dette da una persona sicuramente spinta da un temperamento romantico ma in fondo molto ingenuo. "Gli amori così non esistono, gli amori veri sono quelli dove si soffre e si combatte e si rimane uniti. Quello mio per Ross, evidentemente, non era così forte da superare gli ostacoli".

"Eppure noi" – insistette Hugh – "Ieri siamo stati 'AMORE', quello nel vero senso del termine".

Demelza sorrise, non voleva ferirlo ma non voleva nemmeno illuderlo. "E' stata la scintilla di un momento. Questo non esclude i sentimenti ma ciò che è successo fra noi non è un punto d'arrivo. E nemmeno di partenza... E' successo e basta e ne serberò sempre il ricordo e sarà un ricordo bello in mezzo ai mille ricordi orribili di questi giorni. Ma il vero amore, quello costruito mattone su mattone, è altro, forse meno romantico e poetico ma più profondo di quello cantato nei poemi. E ti auguro un giorno di conoscerlo".

Hugh sospirò, non convinto da quella spiegazione. "Per me resterai sempre bella come Monna Lisa e l'amore della mia vita. Anche se non lo sono per te".

"Lo so Hugh, so cosa provi..." - rispose tirandosi su e arrendendosi al suo atteggiamento tenero e gentile. "Ma oggi il mio animo non è votato al romanticismo". Si guardò attorno, decisa a cambiare argomento. Se quella doveva essere la sua casa, doveva renderla tale e c'era molto da fare! "Devo pulire questo posto, renderlo accogliente, sistemare il camino, tagliare la legna, fare mille cose e...".

Hugh le prese il polso, costringendola a risedersi. "Demelza, no! Questo è un posto incantevole ma non puoi vivere qui. Devi tornare a Nampara, quanto meno devi parlare con Ross e i bambini. Non puoi andartene lasciando tutto così in sospeso, li farai impazzire dalla preoccupazione. Se non vuoi farlo per tuo marito, fallo almeno per i tuoi figli, loro ti amano e tu ami loro".

"Non me la sento, non ancora" – rispose, sentendosi impotente e spaventata all'idea di rimettere piede a Nampara perché sapeva che se fosse tornata, non sarebbe più riuscita ad andarsene. Era una dannata codarda, ma aveva bisogno di riordinare le idee. Anche se questo avrebbe distrutto la serenità dei suoi figli...

Hugh sospirò, sconfitto. "Ti aiuterò io a sistemare questo posto, tornerò a casa e ti manderò degli operai che faranno il lavoro come tu vorrai. Renderanno questo posto accogliente, in modo che tu possa rasserenarti e ospitare i tuoi figli. E pian piano, quando sarai più serena, ti riconcilierai con Ross".

Demelza sbuffò, Hugh era così insistente. Ma forse questo dipendeva dalla sua educazione nobile che, nonostante quanto successo fra loro il giorno prima, si rifiutava di accettare l'idea di una moglie che lasciava il marito e i figli. "Suppongo che sarò costretta ad accettare e che non mi farai ribattere".

Hugh si alzò, sistemandosi la camicia. "Beh, vedo che hai imparato a conoscere la mia determinazione nell'ottenere quel che voglio".

Demelza mascherò un sorriso. Beh, per quel lato del suo carattere, c'erano stati mesi di incessante corteggiamento a testimoniare quanto lui fosse testardo. "E' meglio che torni a casa, saranno preoccupatissimi".

Hugh annuì. "Manderò qui quanto prima una cameriera con del cibo e gli operai che ti ho promesso. Voglio che tu stia bene e che non ti manchi nulla".

Le venne da sorridere, davanti a quelle premure. In realtà non aveva per niente fame ma sapeva di non poter obiettare. "Grazie".

"Di nulla. Oggi dovrò predisporre tutto, domattina però verrò a trovarti. Tu cerca di star bene".

Demelza annuì, gli si avvicinò e lo aiutò a sistemarsi il colletto della camicia e il gilet. Poi lo baciò sulla guancia, con affetto. "Grazie Hugh".

"Grazie a te". Forse avrebbe voluto un bacio diverso, ma nonostante questo gli sorrise con dolcezza. "Cerca di star bene".

"Lo farò".


...


I bambini avevano fatto dannare per tutta la durata della cena, troppo irrequieti e nervosi per mangiare e stare composti a tavola.

Clowance aveva lanciato il cibo per terra – e Garrick ne aveva approfittato – mentre Jeremy aveva piagnucolato tutto il tempo e Prudie era stata costretta ad imboccarlo.

Ross si sentiva impotente. Sapeva che erano capricci quelli, ma sapeva anche che avevano tutto il diritto di farli e di sfogarsi nel modo consueto che usavano i bambini.

Il dolore alla testa non era scomparso, anzi era aumentato. E, anche se le speranze erano poche, aveva voluto credere che Demelza sarebbe tornata a casa.

E invece era sera e di lei non c'era traccia... Il giorno dopo, volente o nolente, avrebbe dovuto cercarla e mettere da parte il suo orgoglio. Sembrava svanita nel nulla, inghiottita dalla brughiera, nessuno l'aveva vista dal giorno prima al porto.

Prudie prese in braccio i bambini, dicendo che li portava a fare il bagno e Ross, rimasto solo, gettò con stizza il tovagliolo sul tavolo.

Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe vissuto se lei non fosse tornata? Come avrebbe spiegato ai suoi figli l'assenza della madre?

Improvvisamente, i suoi pensieri furono interrotti da un violento bussare alla porta. Stranito dall'orario - era ormai buio - si avviò alla porta per vedere chi fosse. Non poteva essere Demelza, lei non avrebbe mai bussato...

Eppure non aspettava nessuno, se non lei...

E la sua sorpresa fu enorme quando, aperta la porta, si trovò davanti Hugh Armitage.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Per lunghi istanti Ross stette in silenzio, pensando al da farsi. Nonostante fosse a conoscenza di quello che Hugh provava per Demelza, il suo rapporto col giovane era sempre stato buono e amichevole e fino al giorno prima non aveva trovato alcun motivo di avercela con lui.

Certo, gli bruciava sapere che aveva fatto breccia nel cuore di sua moglie, soffriva quando ricordava il ricevimento dove lei aveva cantato per lui ma non era successo niente di catastrofico fino a quel momento. Oppure no?

Cosa ci faceva Hugh Armitage a casa sua a quell'ora della sera? Che doveva fare, prenderlo a pugni o starlo a sentire? Essere cordiale ed educato perché in fondo non sapeva quanto c'entrasse con la scomparsa di sua moglie? "Tenente Armitage, sono davvero sorpreso di vedervi a casa mia a quest'ora" – disse infine, a denti stretti.

Hugh fece un cenno di saluto col capo. "Devo parlarvi di una questione importante, posso entrare?".

"No". Non sapeva il perché, ma Ross aveva la strana sensazione che Hugh lo stesse studiando e stesse cercando di scandagliare i suoi pensieri. "Non è un buon momento, i bambini sono irrequieti e sto cercando di mantenere la tranquillità in casa mia".

Hugh annuì. "So che non è un buon momento. E' proprio per questo che mi trovo qui".

Ross si morse il labbro. Sapeva? E quindi ora aveva la certezza che lui c'entrasse con la fuga di Demelza, dato che era con lui che se n'era andata... In quel momento si rese conto di aver voglia di ucciderlo e non gli capitava da anni, dai momenti peggiori vissuti durante la guerra in Virginia. "Cosa sapete, per l'esattezza?" - disse, cercando di tenere a bada la rabbia.

"Sono qui per Demelza".

"Demelza...". Ross scandì il nome della moglie, lentamente, rendendosi conto che Hugh aveva usato un tono confidenziale nel parlare di lei. "Vorrete dire, la signora Poldark?".

"Sì, esattamente".

Ross uscì, sbatté l'uscio e lo costrinse ad arretrare per non essere travolto. Lo prese per il bavero e lo attirò a se, viso a viso. "Mia moglie dov'è? Se n'è andata con voi ieri ed è scomparsa! Se le aveva fatto del male, io...".

Hugh, con un gesto veloce, si liberò dalla sua stretta. "Se mi prenderete a pugni o peggio, se mi ucciderete, questo non sarà di alcun aiuto a vostra moglie".

Ross lo guardò con sguardo furente, sentiva il suo autocontrollo annullarsi e per la prima volta da quando aveva sposato Demelza, si sentì davvero geloso. Oh, era già successo ed era sempre capitato quando Hugh era nei paraggi, ma quella sera era diverso. Era geloso, tanto da sentire le sue vene corrodersi al pensiero di sua moglie assieme a quel poeta, non poteva nemmeno sopportare, immaginare l'idea di saperla accanto a un altro uomo. Non poteva pensare che la dolcezza, il sorriso, la forza d'animo di sua moglie, il suo modo di amare, sarebbero stati di un altro... Lei era unica, lei era sua e l'amava. E forse d'accordo, era il peggiore fra i mariti, distratto e troppo spesso pronto a darla per scontata, aveva commesso mille errori e mille mancanze ma l'amava e sapeva quanto bene avesse fatto a lui e alla sua vita, averla incontrata e sposata. "Prima che vi uccida, Armitage, ditemi dove diavolo è e cosa è successo".

Hugh annuì, sospirando. "E' esattamente per questo che sono venuto! Sono preoccupato per lei e solo voi potete farla ragionare".

Ross, col fiato corto, annuì. "Si trova a casa vostra?".

"No".

"E allora dov'è?".

"A Illugan".

Ross spalancò gli occhi. Illugan? Nella sua città natale? In un posto che le poteva ricordare unicamente botte, privazioni e un'infanzia infelice? Perché era tornata laggiù? Da che ricordava, da quando si erano conosciuti Demelza non ci aveva più messo piede eccetto qualche anno prima, quando era andata a far visita al padre morente. "E' nella sua vecchia casa?" - chiese, deglutendo.

Hugh scosse la testa. "No, voleva tornarci ma era davvero in condizioni pessime, inagibile".

"E allora dov'è?". Quella situazione lo faceva impazzire, era una sensazione spiacevolissima sapere che Hugh fosse a conoscenza di un qualcosa che lui non sapeva e che condividesse dei segreti con sua moglie. Scacciò dalla mente i ricordi di quando era lui ad avere dei segreti con Elizabeth, segreti da cui Demelza era completamente tagliata fuori e cercò di ignorare quella sensazione di senso di colpa che stava nascendo in lui, una vocina che si chiedeva insistentemente se anche Demelza si fosse sentita come si sentiva lui in quel momento.

"In un vecchio mulino lungo il torrente che scorre nei boschi attorno a Illugan. Un posto dove si rifugiava da piccola e che le è caro".

"Lo conosco!". Ross ricordò come, da bambino, assieme a Francis amasse scorazzare nella brughiera e nelle campagne alla ricerca di posti sconosciuti da esplorare e i boschi vicino ad Illugan erano stati terreno di giochi per lui e suo cugino, tanti anni prima. Chissà se allora, per caso, non si era già imbattuto in lei...

Hugh interruppe il flusso dei suoi pensieri. "Io credo che Demelza non dovrebbe stare lì, è un posto isolato e freddo, non andatto a una signora sposata".

"Su questo sono d'accordo" – rispose Ross, lentamente, irritandosi nuovamente nel sentirlo chiamare sua moglie per nome, con quel tono confidenziale. Tornò a studiare la figura di Hugh, chiedendosi cosa si fossero detti lui e sua moglie, cosa avessero fatto, se... se lui... loro... Non riusciva nemmeno a formularla nella mente quella domanda, figuriamoci a dirla! Non sarebbe mai riuscito a chiedergli se fosse stato con lei in intimità, aveva troppa paura delle possibili risposte. Ma doveva essere uomo e fare delle domande, se voleva saperne di più. "Come mai eravate con mia moglie e come mai vi state facendo ambasciatore dei suoi bisogni? E cosa sta passando nella testa di Demelza? Ha una casa, una famiglia, dei figli! Ed è scomparsa da quasi due giorni".

Hugh parve irrigidirsi a quelle domande. "Ero venuto a farle visita e ci siamo allontanati insieme. Mi ha detto che voleva andarsene, mi ha raccontato qualcosa circa il vostro rapporto e mio malgrado, benché fossi contrario al suo allontanamento, ho deciso di aiutarla perché aveva bisogno di stare un po' da sola per riordinare le idee. Se anche non fossi andato con lei, non sarebbe rimasta quì. Semplicemente, avrebbe raggiunto a piedi Illugan".

"Quindi, avete cercato di farle cambiare idea?".

Hugh annuì. "Sì, l'ho fatto ma con poca convinzione. Ritengo che Demelza avesse tutte le ragioni per andarsene, visto quello che mi ha raccontato. Scusate se mi permetto, Ross, ma avete una moglie bellissima, che ogni uomo desidererebbe. E avete un amante... Come potete umiliarla e farla soffrire a questo modo? Come potete non vedere la grande bellezza della donna che avete a fianco?".

Ross sentì di nuovo la voglia di prenderlo a pugni. Come osava, come si permetteva? Cosa ne sapeva lui del rapporto fra lui e sua moglie? E poi... amante? Santo cielo, Demelza gli aveva raccontato di Elizabeth? "Queste sono cose che non vi riguardano! Conosco mia moglie meglio di quanto possiate pensare di conoscerla voi, Armitage! E conosco altrettanto bene le luci e le ombre del mio matrimonio, statene certo".

"Ombre? E le affrontate queste ombre, o le rifuggite?" Hugh, con quella semplice domanda, lo bloccò. "Davvero conoscete le necessità di Demelza? A me non pare... Sapete che ogni donna desidera essere l'unica per il proprio marito? Sapete che desidera essere anche apprezzata, di tanto in tanto? Sapete che soffre, ogni volta che la tagliate fuori dalla vostra vita? Ogni tanto vi ricordate di dirle che l'amate, o questa è una premura che riservate solo alla vostra amante?".

Questo fu troppo per Ross. Troppo da sentire, troppo da accettare, troppi sensi di colpa che si risvegliavano... Odiava il modo in cui quel ragazzino sembrava leggergli dentro, indovinando tante sue debolezze che non lui non voleva ammettere nemmeno a se stesso e che ora, senza pietà, gli venivano sbattute in faccia. Si avventò su di lui, voleva farlo MALEDETTAMENTE TACERE! "La mia vita non è affar vostro! E Demelza non avrebbe dovuto parlarvi di cose che, fra l'altro, non corrispondono nemmeno a verità".

"Non avete una amante?" - chiese Hugh, respirando a fatica.

Ross lo lasciò andare, spingendolo indietro. "Come vi ho detto, la mia vita non è affar vostro Armitage. Tornate a casa vostra, dedicatevi alle vostre poesie e vivete la vita che vi ho donato liberandovi dalla prigionia. E soprattutto, state lontano da mia moglie!".

"Se lei non vorrà più vedermi, lo farò..." - rispose Hugh, sibillino.

"Armitage, attento a quello che dite o vi assicuro che l'esperienza francese sarà nulla a confronto di ciò che vi posso fare io!".

Per nulla intimorito, Hugh si riavvicinò. "Amate vostra moglie?".

"Vi ho detto che non è affar vostro".

"Lo è, più di quanto pensiate".

Ross si morse il labbro. Dannazione, se lo avesse preso a pugni, i bambini si sarebbero svegliati e spaventati ed era l'unica cosa che non voleva. E poi, aveva la spiacevole convinzione che qualsiasi cosa avesse fatto ad Armitage, avrebbe peggiorato la situazione con Demelza. "Non voglio sentirvi parlare di lei, non voglio che vi preoccupiate per il mio matrimonio, io e Demelza siamo capacissimi di farlo anche da soli. Sono un marito che ha commesso molti errori e dato per scontate molte cose MA, una su tutte è sempre stata chiara: mia moglie è MIA, la amo e amo la mia famiglia! E non ho intenzione di dividerla con nessuno. So preoccuparmi di lei da solo e so prendermene cura, non preoccupatevi. Vi ringrazio per avermi detto dove si trova, mi avete fatto un piacere enorme. Ma il vostro ruolo finisce qui".

Hugh divenne mortalmente serio e pallido a quelle parole. "Non è così semplice, sapete? Non quando ci sono di mezzo dei sentimenti...".

Ross fece un sorrisetto sarcastico. "I sentimenti sono solo da parte vostra, non di Demelza, ragion per cui li potrete analizzare nel silenzio della vostra casa".

"Siete così sicuro che sia così?" - ribatté Hugh.

Ross deglutì. No, non lo era, non era più sicuro di niente ma non riusciva nemmeno a pensare che sua moglie potesse davvero amare un altro uomo. Però nonostante questo, non si sarebbe mostrato debole davanti a Hugh. Lui amava Demelza e la amava totalmente, corpo e anima. Avevano condiviso ogni cosa da dieci anni a quella parte e qualsiasi sentimento che Armitage pensava di provare per lei e che lei provasse per lui, non era nulla in confronto. "Non voglio starvi a sentire".

"Che farete?".

Ross annuì. "Sello il mio cavallo e vado da lei. La riporto a casa".

"E se non volesse venire?".

Ross lo guardò in cagnesco. "Verrà, statene certo! Le liti, in un matrimonio, sono frequenti ma si fa la pace subito dopo. Pensateci a questa cosa, quando scriverete una poesia".

"Dipende dal motivo di una lite" – ribadì Hugh.

Ross scosse la testa, era inutile perdere tempo con un essere che riteneva tanto irritante. "Vero! Ma fra me e Demelza non c'è nessun problema insormontabile ma solo un malinteso. Tornerà a casa, al suo posto, accanto a me e ai nostri bambini".

"Lo spero" – rispose Hugh.

Ross fu costretto ad annuire. "Bene, quanto meno siamo d'accordo su qualcosa". Non disse più nulla. Gli voltò le spalle e si avviò a passo deciso verso la stalla per sellare il suo cavallo.


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Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


Galoppò come un forsennato nel buio della notte, diretto ad Illugan, chiedendosi cosa le avrebbe detto e come si sarebbe comportato con lei. Doveva dimostrarsi arrabbiato, come del resto era? O accomodante? Spiegarle e chiederle scusa o aspettare e pretendere che fosse lei a farlo con lui, visto che se n'era andata abbandonandolo assieme ai loro figli senza lo straccio di una spiegazione? Abbracciarla? O darle uno schiaffo?... Scosse la testa, non sarebbe mai riuscito a sfiorarla nemmeno con un dito ma una sberla era quello che si meritava e che lui da marito avrebbe dovuto darle. Ogni marito in una situazione del genere avrebbe alzato le mani e nessuno lo avrebbe biasimato per questo, ma Ross sapeva di non essere un marito convenzionale e sapeva anche che Demelza non era una moglie convenzionale.

Decise di smettere di pensare. Hugh, cosa fare, cosa dire, come comportarsi... Gli sarebbe venuto tutto naturale appena l'avesse avuta davanti.

Arrivò nel territorio di Illugan che iniziava a piovere e solo allora rallentò il cavallo per addentrarsi nel bosco, dopo aver superato la campagna. Si chiese come potesse Demelza vivere in un posto simile, Illugan era poverissima, piena di disperati e senza possibilità di migliorare le cose e sì, lei ci era nata ma non era più abituata a quell'ambiente.

Arrivò al torrente, lo costeggiò e finalmente, nell'oscurità, vide il mulino di cui gli aveva parlato Armitage. Era avvoltò dall'oscurità, nel bosco non vi era alcun rumore e tutto pareva addormentato, eccetto che per la tenue luce che traspariva da una finestra, probabilmente una candela che Demelza doveva aver acceso. Era un posto meravigliosamente romantico dove la natura faceva da padrona, uno di quei boschi che si vedono nei libri illustrati di fiabe per bambini. Eppure, per lui, rappresentava un incubo.

Scese da cavallo, lo legò a un albero e a grandi passi si diresse verso la porta. Aveva il cuore in gola e si sentiva ridicolo, era con sua moglie che stava andando a parlare, non con il re d'Inghilterra!

Prese un profondo respiro e poi bussò, cercando di controllare le sue emozioni. Sentì dei rumori provenire dall'interno, dei passi avvicinarsi alla porta e vide l'uscio aprirsi.

Demelza spalancò la porta senza chiedere chi fosse. "Hugh!" - esclamò con sicurezza, come se fosse stata cerca che ci sarebbe stato il poeta fuori dalla porta.

E questo in un certo senso lo ferì. "Mi spiace, non sono Hugh".

Appena lo vide, Demelza impallidì, indietreggiando. "Ross..." - balbettò, arretrando di alcuni passi – "Cosa ci fai quì?".

La sua espressione si incupì. "Non credi che dovrei essere io a chiederlo a te?".

"Vattene!" - rispose lei, a denti stretti. "Non mi importa di come tu mi abbia trovato ma non ha importanza, non voglio parlare con te".

Sprezzante, Ross le rispose. "Se proprio vuoi saperlo, è stato proprio il tuo amico poeta ad indicarmi questo posto. E per il resto, ho tutti i diritti di farmi ascoltare".

Nell'udire del coinvolgimento di Armitage, Demelza rimase immobile alcuni istanti, con espressione stupita ed interdetta. Poi scosse la testa, mormorando fra se e se... "Testardo".

Ross finse di ignorare quel commento dal sapore vagamente confidenziale fra sua moglie ed Armitage. "Posso entrare, in modo che possiamo parlare?".

"No".

Demelza era un osso straordinariamente duro, ma non si sarebbe fatto sottomettere. Le prese il polso e l'attirò a se con fare deciso. "Bene, meglio così! Non sono venuto per fare conversazione ma per portarti a casa".

Lo sguardo di Demelza si indurì. "Io non torno a casa, se sei venuto per riportarmi a Nampara stai sprecando il tuo tempo".

A quel punto esplose, tutta quella situazione era una follia. "Ah, e che vuoi fare? Rimanere qui in questo posto dimenticato da Dio, in questo casolare diroccato, lontana da tutto e tutti e soprattutto dai tuoi figli? Demelza, sei mia moglie dannazione, nel caso te lo fossi dimenticata".

Demelza sorrise freddamente. "Oh, io non l'ho mai dimenticato chi sono. Quello che dimentica la donna con cui è sposato e fa... confusione... sei tu".

Ross deglutì. Il tono di Demelza era basso, freddo, senza traccia di sentimento nel timbro di voce. Non la riconosceva in quelle vesti. Sapeva di averla ferita ma sapeva anche di non averlo fatto con cattiveria e soprattutto, di non aver tradito le promesse che le aveva fatto. Certo, aveva sbagliato ad omettere l'incontro con Elizabeth ma dannazione, perché stava reagendo in quel modo così esagerato? Ne avevano passate di peggio, loro due... "Ascolta, sei arrabbiata e te ne do atto, hai ragione. Ma se mi lasciassi spiegare...".

"No".

"Demelza!".

"Ho detto di no Ross, come ti ho ribadito al porto, puoi tenerteli i tuoi segreti, da oggi in poi. Viviti la tua vita, è quello che hai sempre desiderato e onestamente non capisco perché tu sia qui. Ti sei tolto il tuo tormento, ora sei un uomo libero, non sarai più costretto a fare le cose di nascosto e a mentire, non sarai più costretto a sentirti in trappola con me quando in realtà vorresti essere con lei. Lasciami in pace Ross, non voglio vederti, sentirti, ascoltare cosa hai da dirmi perché è l'ennesima bugia che probabilmente ti sei preparato in questi due giorni per rabbonirmi".

Ross, davanti a quelle parole, perse un po' del suo coraggio. Demelza aveva eretto un muro fra loro, non desiderava sistemare le cose, si era semplicemente arresa. E non poteva permetterlo, dannazione! "Lasciami spiegare, ti prego" – le sussurrò, allentando la presa sul suo polso.

Demelza scosse la testa. Ora non sembrava rabbiosa ma solo molto stanca. "Perché vuoi spiegarmi adesso? Ti ho chiesto più volte di parlarmi di cosa ti era successo al cimitero e non hai mai voluto farlo... E ora cosa puoi dirmi di così sconvolgente da riuscire a spiegarmi che il bacio che ti sei scambiato con Elizabeth non è niente di grave? Se non lo fosse stato, me ne avresti parlato".

"E' stato... un cas...".

"E' stato un caso?" - lo bloccò Demelza – "Fammi indovinare! La hai vista per pura casualità e allora vi siete dati quel bacio d'addio che non siete riusciti a scambiarvi quando si è sposata con George Warleggan?".

"E' così, credimi! Non contava nulla" – ribatté Ross, piuttosto in difficoltà. La spiegazione più ovvia, quella che provocatoriamente gli aveva spiattellato in faccia Demelza, era quella vera ma lei forse non ci avrebbe mai creduto proprio a causa delle sue omissioni. Non era mai stato bravo a parole, ma sperava, nonostante tutto, che lei gli credesse perché quella era la verità e Demelza – e nessuno come lei – sapeva leggere dentro di lui meglio di quanto sapesse fare lui stesso. Doveva credergli, c'era troppo in gioco!

Le sue speranze però si infransero subito. "In questi giorni speravo che ti saresti preparato una scusa più originale, Ross. Sono stanca, è tardi e voglio dormire, tornatene a Nampara".

La vide voltarsi e raggiungere la porta e, preso dal terrore, con un balzò la seguì, bloccandola prima che aprisse l'uscio. Sbatté la porta con rabbia, la costrinse a voltarsi nuovamente verso di lui e la attirò a se, poggiandole le mani sulle spalle. "Demelza, è la verità e non te ne ho parlato solo per paura di non sapermi spiegare e di ferirti. Credimi!".

"Si Ross..." - rispose lei, in tono piatto.

Deglutì, quella reazione era strana, non riusciva ad interpretarla. "Demelza, amo te e nessun'altra che te. Non Elizabeth, è una storia chiusa".

"Si Ross...". Con un gesto lento, si scrollò di dosso le sue mani, liberandosi dalla sua presa. "Dimmi solo una cosa...".

"Tutto quello che vuoi" – rispose, mentre una fiamma di speranza si accendeva in lui.

Ma Demelza lo gelò subito. "Ci hai almeno provato per un po', a mantenere le distanze da Elizabeth? Oppure mi hai presa in giro tutto questo tempo? Sei stato bravo, devo ammetterlo, non mi sono mai accorta di nulla e avevo anche finito col credere alle tue parole, a quando mi hai detto che lei non si sarebbe più intromessa fra di noi. E allora Ross, mi stai tradendo solo da poco oppure continua da allora... Ogni quanto vi vedete? Una volta a settimana? Quando George è a Londra? Quando dici di andare in miniera o a Truro e invece sei a Trenwith con lei? Nessuna recriminazione, puoi vivere la tua vita come vuoi, da adesso. Solo una piccola curiosità...".

Ross si sentì mancare. Davvero glielo stava chiedendo? "Demelza, ma pensi che sia un mostro? Pensi davvero che io... io...?".

Gli occhi di Demelza si piantarono sul suo volto. "Perché non dovrei crederlo? Sono sempre stata la seconda scelta, la donna sposata per consolazione, no? Una semplice distrazione, come mi avevi detto appena sposati, quando mi hai confessato che però ti eri sbagliato e mi amavi. Beh, non ti eri sbagliato affatto ed è quello che sono sempre stata per te: una distrazione! La tua prima sensazione si è rivelata esatta, Ross. Io sono quella brava a lavorare, a tenerti pulita la casa, a scaldarti il letto quando non hai sotto mano la gran dama, sono quella che non vuoi che si intrometta nella tua vita, che non deve dire la sua quando si tratta della famiglia Poldark, quella che viene sempre dopo tutto il resto. Sono quella a cui non hai pensato nemmeno un istante quando stavi per andare in prigione e hai venduto tutte le tue quote della Wheal Leasure per far star bene Elizabeth e Geoffrey Charles mentre io e Jeremy eravamo alla fame e a tavolino hai deciso che per te andava bene così, che di noi non ti importava. E ora dovrei credere che mi ami? Sono sempre stata l'ultima fra gli ultimi ai tuoi occhi, ho semplicemente tolto il disturbo. Viviti la tua vita, sistema le cose con Elizabeth e George, sono sicura che troverai il modo. Realizza il tuo sogno d'amore, tu ed Elizabeth avete anche un figlio, no? Valentine sarà felice di avere accanto suo padre".

"Demelza!" - fece per bloccarla, non voleva sentirla parlare, non voleva provare quel soffocante senso di colpa che le sue parole risvegliavano in lui. Aveva sbagliato tantissimo nel suo matrimonio e sapeva di non essere sempre stato capace di farla sentire amata ma come poteva pensare davvero che lei non contasse nulla per lui? E come poteva parlare a quel modo di Valentine, dire ad alta voce quella realtà che nemmeno lui accettava e voleva vedere e che sempre aveva tenuto celato per non farla soffrire. Sapeva che Demelza era al corrente che c'era questa possibilità, ma non parlarne era stato il modo che lui aveva trovato per non ferirla e tenere il problema lontano da loro. "Valentine è figlio di George, non mio! I miei figli sono unicamente quelli che hai partorito TU e io non ho nessuna relazione con Elizabeth. So che sono pessimo, so che ti ho ferita ma ti prego, credimi".

Demelza scosse la testa, i suoi occhi divennero lucidi e si appoggiò alla porta. "Non ti credo più Ross... Sono stanca di crederti e di stare male ogni volta. Ti ho amato più di quanto io abbia mai amato me stessa, ho fatto di tutto perché tu fossi fiero di me, perché mi trovassi bella quanto lei. Ma Ross, anche l'amore più grande quando viene continuamente ferito e umiliato, alla fine si accartoccia su se stesso e si arrende. Ti chiedo solo una cosa... Quando correrai da lei, accertati che i nostri bambini siano al caldo, accuditi, che abbiano mangiato e siano sereni. Per quanto tu possa amare Elizabeth e Valentine, cerca di amare Clowance e Jeremy altrettanto intensamente. Non mi importa nulla di me stessa, so che andandomene ho perso ogni diritto su di loro, ma li amo, sono la loro madre e voglio solo che stiano bene. Sono con te, abbine cura e dì loro che li porto sempre nel mio cuore. Dì loro che mamma e papà non si vogliono più bene e non vivono più insieme ma che ci saremo sempre quando avranno bisogno".

"Demelza...". Mai, MAI nella sua vita Ross si era sentito così sperso, solo e disperato. Tutto ciò che amava gli stava scivolando dalle mani e non poteva fare nulla, dire nulla per farle cambiare idea. Era la fine di tutto, quella? "Credi che io possa tenere i bambini lontano da te? Che ti impedirei di vederli?".

"Ne avresti pieno diritto" – rispose lei, in tono stanco.

Ross abbassò lo sguardo. Era davvero così bassa l'impressione che lei aveva di lui? Come avevano potuto arrivare a quel punto? Come aveva potuto permetterlo? "Io non ti porterei mai via i bambini. Hanno bisogno di te, ti amano e sono molto piccoli. Almeno per loro, ti prego, torna a casa. E cerchiamo di sistemare le cose".

Lo disse in tono disperato, triste, sconsolato. Non voleva farle pena o incuterle pietà, si sentiva semplicemente svuotato e privo di forze come se, perdendola, avesse perso ogni fibra di energia. E non se ne stupiva perché era Demelza, da sempre, la sua fonte di vita e di forza, che alimentava e riscaldava la sua esistenza. Senza di lei era niente e forse sarebbe solo bastato dirglielo più spesso, stringerla a se e coccolarla, arruffarle i capelli per scherzare con lei come un tempo, per farle capire che la amava. Non ci sarebbe voluto tanto, lei non aveva mai chiesto nulla se non amore e lui aveva sempre dato per scontate troppe cose che avevano finito per farle credere di non essere importante.

Sarebbe bastato poco, già...

Starle più vicino, notare le sue fragilità oltre alla sua forza, prendersi a cuore le sue paure e i suoi timori e soprattutto aprirsi e parlare con lei anche quando gli argomenti potevano fare male. E ora... era troppo tardi... Ora, forse, qualcun altro era arrivato a colmare le lacune che lui aveva trascurato troppo a lungo e gliel'aveva portata via. Stupidamente non aveva mai saputo lottare per lei, per il loro amore, da idiota aveva sempre dato per scontato che lei gli sarebbe rimasta accanto per sempre, pur con tutti gli errori che lui poteva commettere. Ma Demelza aveva ragione, anche gli amore più grandi, proprio come i fiori più preziosi, vanno annaffiati e ci si deve prenderne cura per non farli morire. "E' per il tenente Armitage? E' per lui che hai preso la decisione di andartene?". Sapeva che non era così, non del tutto almeno, ma aveva bisogno di chiederglielo e di sentirgli dire che no, non era per Hugh.

Demelza scosse la testa. "Hugh non c'entra nulla, se il nostro matrimonio è finito non è certo a causa sua. E' gentile, tiene a me e mi aiuterà a sistemare questo posto per renderlo vivibile, se deciderò di restare qui. Non sarebbe dovuto venire da te ma lo ha fatto per il mio bene. A differenza tua, stranamente, mette il mio benessere al primo posto, è gentile, riesce a vedere se sto bene o male e si prende a cuore il mio stato d'animo. Mi guarda come tu hai sempre guardato Elizabeth, mi fa sentire bella e desiderata, amata... E' una bella sensazione, mi sono sempre chiesta cosa si provasse".

"E io... io non ti ho mai guardato a quel modo? Non ti ho mai fatta sentire amata?" - chiese Ross, sentendosi ancora più in colpa.

"No, mai. Non con quella dolcezza, quell'orgoglio, quel desiderio che hai sul viso ogni volta che vedi Elizabeth. E' più forte di te, persino l'altra mattina mi hai ricordato quanto lei sia speciale e una bella persona. A me! E sai quanto male mi faccia sentir parlare di lei a quel modo eppure lo fai, mi ferisci sempre e non te ne curi quando si tratta di lei. Sono stanca Ross, tanto stanca. E questa volta mi arrendo, va da lei".

Ross abbassò il capo. Dio mio, era un dannato idiota che non collegava bocca e cervello quando parlava! "Posso sperare che le cose si sistemino, fra noi?".

"Non so cosa dirti...".

"E i bambini?".

Demelza sorrise dolcemente. "Se mi permetterai di vederli, se li porterai qui, te ne sarò grata a vita".

Ross spalancò gli occhi. "Questo posto cade a pezzi, non è adatto ai bambini. Vieni tu a Nampara, a vederli".

"Non verrò a Nampara, Ross. Perché so che se ci mettessi piede, poi non riuscirei più ad andarmene. Hugh Armitage mi aiuterà a sistemare questo posto, diventerà una casa accogliente anche se piccola".

Colto sul vivo e punto sull'orgoglio, Ross divenne rosso in viso. "Ti aiuterò io a sistemare questo posto, se davvero vuoi stare qui. Non Armitage!".

"Non voglio che tu lo faccia Ross, mi basta solo che mi porti i bambini di tanto in tanto".

Si sentì vuoto, un guscio rotto. Demelza lo stava totalmente allontanando dalla sua vita, aveva chiuso ogni rapporto con lui e non voleva nulla se non qualche istante coi loro figli. Per il resto lo stava lasciando libero di fare quello che voleva e si rese conto che la libertà non era affatto qualcosa che lui desiderava. Non QUELLA libertà! Voleva essere suo marito, ancora e per sempre! E certo, Demelza aveva la testa dura ma lui era ancora più testardo di lei. Avrebbe lottato, le avrebbe dimostrato il suo amore e l'avrebbe riportata a casa. Non importava quanto ci avrebbe messo, quanto doloroso sarebbe stato, quanto avrebbe dovuto umiliarsi. Ma un giorno il loro amore avrebbe trionfato di nuovo, l'avrebbe fatta sentire amata e unica. Perché era amata e unica, per lui!

Ma per quella sera, doveva lasciarla stare, rispettare le sue scelte e tornare a Nampara, da solo. "Come preferisci" – rispose, lasciando quella piccola vittoria di poterla aiutare ad Armitage.

Si avvicinò al cavallo, montò in sella e poi scomparve nell'oscurità del bosco.

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Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


"Cosa devo fare, Dwight?" - chiese Ross mettendosi le mani fra i capelli, sprofondando nel divano della ricca dimora dei Penvenen.

Caroline e il suo amico si guardarono attoniti e straniti per quella visita improvvisa in tarda serata.

Dwight si schiarì la voce, in evidente imbarazzo. "Ross, vorrei aiutarti ma non ho ben capito cosa sia successo. Cioè, ho capito solo che tu e Demelza dovete aver litigato per qualcosa e che lei se n'è andata e onestamente mi sembra la cosa più assurda che io abbia mai sentito. Quindi... o sei pazzo o la lite dev'essere molto più di una lite perché la Demelza che conosco io non se ne sarebbe mai andata".

Ross sospirò, in imbarazzo. Spinto dalla disperazione si era recato a casa di Dwight e Caroline, non sapeva dove sbattere la testa e aveva bisogno del consiglio di un amico. Ma ovviamente questo lo metteva nella posizione di dover raccontare delle verità da cui lui stesso era fuggito per tre anni. "E' stata più di una discussione in effetti. Le cose fra me e Demelza sono un po' complicate da qualche anno a questa parte e forse... forse le abbiamo affrontate nella maniera sbagliata".

"Che è successo, Ross?" - chiese Dwight, mentre Caroline lo fissava in silenzio, quasi conoscesse già la verità o una parte consistente di essa.

Ross chiuse gli occhi, le tempie gli pulsavano dolorosamente. "Demelza crede che io abbia una relazione con Elizabeth".

Dwight spalancò gli occhi e anche Caroline parve stupita da quell'affermazione. "Con la moglie di George Warleggan? Perché? Vive praticamente murata a Trenwith?" - esclamò la donna.

Ross arrossì, sentendosi in imbarazzo e in colpa come spesso si era sentito in quegli ultimi tre anni. In colpa verso Demelza, verso Jeremy, verso Elizabeth e anche verso il piccolo Valentine... "Tre anni fa, prima che lei sposasse George... una notte... io...".

Dwight si accigliò e ci mise alcuni istanti per mettere a fuoco l'enormità che il suo amico, a fatica, stava confessando. "Ross... Tu ed Elizabeth? Hai tradito Demelza? E lei... lo sa?".

Ross si morse il labbro. "Ora mi giudicherai una persona orribile e non più degna della tua amicizia, vero?".

"Ohhh Ross...". Dwight abbassò il capo, in difficoltà.

"Tre anni fa, hai detto?" - intervenne Caroline. "Perché ti ha lasciato solo ora?".

Ross si alzò dal divano, avvicinandosi alla finestra. "Io amo Demelza, è la mia vita. E so che lei ama me, nonostante tutto. Con Elizabeth è stata la follia di una notte e da allora, con fatica, io e mia moglie abbiamo lottato per ricostruire il nostro matrimonio. Non è stato facile e forse lo abbiamo fatto nel modo sbagliato. Ho sempre avuto paura... vergogna... a parlare con lei di cosa era successo. E ho preferito omettere, far finta di non vedere, lasciarmi tutto alle spalle nella speranza che il tempo medicasse tutte le ferite. Sapevo che lei aveva bisogno di parlarne, di sentire da me cose che non ho mai avuto la capacità di dire ma ero anche convinto che fosse sicura dei miei sentimenti per lei. Invece, dando tante cose per scontate, non mi sono mai accorto che la stavo perdendo... Con Elizabeth non sono stato migliore, anzi! Da quella notte mi sono dato alla macchia e non sono più tornato per chiederle perdono o darle spiegazioni. Da tre anni mi porto sulle spalle il peso di quell'errore e ho permesso, senza muovere un dito, che lo portassero anche le due donne che avevo coinvolto nei miei errori".

"Ma tu e Demelza, da allora, avete avuto un matrimonio sereno. E' nata Clowance e mi siete sembrati felici e uniti" – obiettò Dwight.

Ross guardò distrattamente fuori dalla finestra. "Sì, è vero! Ma era una serenità effimera e fragile, benché fingessi di credere che tutto andasse bene".

Caroline gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. "Cos'è successo adesso, che l'ha fatta andare via?".

"Ho rivisto per caso, al cimitero mentre ero andato a trovare Agatha, Elizabeth. E dopo tre anni ho parlato con lei e le ho chiesto scusa per tutto il male che le avevo fatto. E' stata il mio primo amore e quell'incontro è stato un addio a ciò che eravamo da ragazzini e che non esiste più. Un commiato dal fantasma di un amore giovanile che ora so che esisteva solo nella mia mente e nelle mie fantasie. Glielo dovevo, ce lo dovevamo. E prima di salutarla l'ho baciata. Non un bacio d'amore, di passione o altro, ma un bacio d'addio a una persona che per me è stata importante e verso la quale proverò sempre affetto".

"Lo hai detto a Demelza?" - lo incalzò Caroline.

Ross scosse la testa. "No, avevo paura di non sapermi spiegare e di riaprire una vecchia ferita. Ho preferito tacere per proteggerla ma questo ha generato un disastro perché Prudie mi ha visto con Elizabeth e glielo ha raccontato. E lei è arrivata alla conclusione più ovvia ma anche più sbagliata: che la tradissi ancora, nonostante tutte le mie promesse. E stavolta si è arresa e se n'è andata...".

Caroline si scambiò uno sguardo smarrito col marito, entrambi erano a corto di parole. Infine, l'ereditiera sospirò. "Ross, io ti avrei lasciato tre anni fa, al posto di Demelza. Ma lei è rimasta perché ti ama, nonostante tutto. E credo sia ancora così... E' ferita e scoraggiata ma vedrai che col tempo, se saprai aprirgli davvero il tuo cuore, risolverete la faccenda. Quando mi hai detto che se n'era andata, pensavo fosse scappata con Armitage, ma a quanto pare lui non c'entra e...".

"Forse c'entra!" - la interruppe Ross. "Armitage la sta aiutando in questa follia. Se n'è andata da Nampara con lui mentre ero al villaggio a sedare la rivolta".

Dwight gli fece cenno di tornare a sedersi sul divano e appena lo ebbe fatto, lo guardò negli occhi. "Ross, ora mi tornano molte cose, sia su George che su Hugh Armitage".

"Di cosa parli?" - chiese Ross.

"Non posso entrare nei dettagli ma alcuni mesi fa George Warleggan mi ha chiesto un consulto medico sul piccolo Valentine, chiedendomi conferme che sia nato effettivamente di otto mesi. Non ho mai capito la natura di quella sua preoccupazione ma ora comincio a pensare che sospetti qualcosa... Ti prego, dimmi che Valentine non è tuo e che Demelza non ha questo sospetto!".

Ross sentì gli occhi pungergli. Non voleva nemmeno affrontare il pensiero che quel bambino potesse essere suo e che fosse George Warleggan a crescerlo! "Nessuno potrà mai dirlo con certezza ma la possibilità c'è e ora so che la ritiene possibile anche mia moglie... Ma di certo, nel mio cuore, lui non sarà mai mio figlio. I miei bambini sono quelli che mi ha dato Demelza! Sono nati dall'amore, un amore che forse ha sbagliato tante cose ma che è sempre stato vero".

Dwight sospirò. "Capisco... Ma questo mette comunque Elizabeth in una situazione pericolosa. Sappiamo entrambi quanto possa essere spietato George davanti a un dubbio che attanaglia il suo amor proprio".

Ross distolse lo sguardo, ricordando la conversazione con la donna al cimitero. "Saprà tutelare suo figlio, ne sono certo".

"Speriamo" – disse Dwight, sospirando.

Ross alzò lo sguardo su di lui e Caroline. "E Hugh? Cosa dovevi dirmi su di lui?".

"E' innamorato di Demelza" – disse Caroline, senza troppi giri di parole. "L'avrai notata anche tu la strana alchimia fra loro, mentre Demelza cantava quella canzone da lord Falmouth".

Ross sentì il suo stomaco contorcersi, ricordando quel momento e quanto l'aveva fatto soffrire, scalfendo ogni sua certezza. "Sì, l'ho notata. Sapevo che Hugh si era preso una cotta per Demelza, lei stessa me lo aveva detto e io sulle prime non ci ho dato nemmeno troppa importanza, non credevo che per mia moglie fosse qualcosa di importante".

Dwight scosse la testa. "Non parlerei di una cotta Ross, Hugh è davvero innamorato di Demelza e lui stesso me lo ha confessato, anche se gli ho subito detto di togliersi il pensiero dalla testa perché non aveva speranze. Anche se ora, con quello che mi hai raccontato, mi chiedo quanto potesse essere vulnerabile Demelza e se questo non abbia finito con l'avvicinarla a lui e a mettere in estremo pericolo il vostro matrimonio".

Ross sospirò. "Avrei dovuto mettere un freno alla cosa subito. Dimostrarmi geloso, lottare per lei... Invece si è sentita di nuovo poco importante a causa mia e Hugh, con tutte le sue premure e attenzioni, è diventato il perfetto principe azzurro ai suoi occhi. Non ho idea dell'entità del rapporto che li lega e ho persino paura ad indagare. Ma in questo momento di certo preferisce la sua compagnia alla mia".

Caroline sorrise. "Demelza non vuole il principe azzurro, non è il tipo, si stancherebbe subito. E' una donna pratica, in gamba, che non ama oziare ed essere lodata tutto il giorno. Ma di certo è molto fragile e ha bisogno di attenzioni e premure da chi ama, di saperlo e sentirlo vicino. E per queste cose a volte non servono poemi o canzoni d'amore, bastano piccoli gesti per scaldare un cuore. Dwight ha ragione, Hugh Armitage non ha speranze con lei, qualunque cosa li leghi, è destinata a spegnersi presto. Questo non significa che tornerà da te, potrebbe scegliere la strada dell'indipendenza se riterrà il vostro matrimonio finito e ne avrebbe mille buone ragioni. Ma non la vedrai felice e contenta, con lo sguardo rivolto verso il tramonto, abbracciata a lui".

Ross abbassò lo sguardo. Non era così certo che fosse così e aveva paura che col suo lasciar correre e minimizzare la cosa, avesse finito per gettare Demelza direttamente fra le braccia del suo rivale. Certo, poteva essere come dicevano i suoi amici, un qualcosa di poco importante destinato a finire in breve, però anche quella ipotesi non riusciva a consolarlo. Demelza era sua e l'ipotesi che ci fosse qualcun altro accanto a lei... Si sentiva impazzire! Lei, che aveva raccolto per strada da ragazzina e che gli era cresciuta accanto, lei che non vedeva che lui con occhi pieni di ammirazione... Aveva distrutto tutto! "Cosa dovrei fare?" - disse, con voce spezzata.

Dwight sospirò, appoggiando famigliarmente la mano sul suo braccio. "Dalle tempo, non importi, falle sbollire la rabbia. Ha bisogno di digerire la cosa, tornare a ragionare con lucidità e fare le sue scelte con serenità".

"E nel frattempo?".

"Sii paziente, Ross". Dwight si mise a sedere, imitato da Caroline a cui prese la mano. "Avete due bambini, non perdere la testa per il loro bene. Demelza li ama e attraverso Clowance e Jeremy potrai mantenere i contatti con lei".

Ross sospirò. "Cercano la loro mamma, Jeremy piange la sera, quando è ora di metterlo a letto".

Caroline si morse il labbro pensierosa. "Prendi tempo, dì ai bimbi che la mamma deve sbrigare delle faccende nella casa del loro nonno e che non puo' tornare subito. Poi fra una settimana, dieci giorni, va da Demelza e organizza un incontro con loro. Le darai tempo di vedere le cose con più lucidità e magari quando vi rivedrete, tutti insieme, capirà che il suo posto è con te. Lo capirà perché lei sa che è così! Anche se dannazione, Ross tu sei decisamente un pessimo marito".

Suo malgrado, fu costretto a sorridere. "Farò così" – disse, sconsolato.


...


Fece come gli avevano consigliato, anche se si sentiva un animale in gabbia. Dopo una decina di giorni era tornato da Demelza, trovando il piccolo mulino ripulito, vivibile e in fase di ristrutturazione. Opera degli uomini mandati da Hugh, immaginava... Ma non ebbe il coraggio di chiedere nulla.

Aveva trovato Demelza un po' pallida e meno rabbiosa della volta precedente. Gli sembrava semplicemente stanca e fredda, distante.

Aveva cercato di tenere con lei un tono neutro, di non metterla sotto pressione e di rispettare ogni sua decisione senza imporsi e le aveva parlato unicamente dei loro figli.

Anche se si sentiva morire dal non averla più a casa, aveva evitato che lei percepisse la cosa. Dwight e Caroline avevano ragione, l'aveva ferita e ora doveva rispettare i suoi tempi e aspettare le sue mosse come del resto aveva fatto Demelza con lui per tanti anni.

Lei fu felice quando gli chiese se potevano incontrarsi coi bambini e si organizzarono per il giorno successivo, di pomeriggio, in spiaggia. Demelza si era rifiutata di venire a Nampara e in riva al mare, a metà strada da Illugan, era il luogo ideale.

Il giorno dopo, appena la videro, Jeremy e Clowance le corsero incontro assieme a Garrick, felice di rivedere la sua padrona. Il bambino le saltò al collo, contento ed eccitato, mentre la piccolina le si avvicinò trotterellando sulle sue gambette ancora incerte.

Demelza li abbracciò talmente forte che per un attimo a Ross parve che volesse fondersi coi suoi figli. Li aveva abbandonati ma ogni suo sguardo e gesto era di profondo amore per loro. Sapeva che li amava, sapeva che per loro avrebbe dato la vita e sapeva anche che glieli aveva lasciati per il loro bene, anche se questo gli era costato un pezzo di cuore.

Demelza prese Clowance fra le braccia, baciandola sulla fronte e poi strinse nuovamente a se Jeremy, chiedendogli cosa avesse fatto in quei giorni. Il bimbo, felice, chiacchierò a lungo con lei, quasi senza prendere fiato.

Sua moglie li prese per mano e li portò a giocare sul bagnasciuga e lui rimase in disparte a vederla correre con Jeremy accanto e Clowance in braccio, seguiti da Garrick che saltava fra le onde. La vide ridere e rifiorire rispetto al giorno prima quando si erano visti per organizzare l'incontro, notò le sue guance farsi rosse e quell'espressione divertita, furba e biricchina che aveva ogni volta che diventava complice dei loro bambini nei loro giochi.

Ross si accorse che non lo degnava di uno sguardo ma decise che andava bene così, che era giusto così. Era venuta per i bambini, non per lui! Doveva accettarlo e sperare che il tempo guarisse quella grave ferita.

Il tempo sembrò volare e improvvisamente Ross si accorse che il sole stava tramontando e il cielo stava tingendosi di rosa. E nonostante fosse solo, seduto sulla sabbia ad osservare in lontananza la sua famiglia, si accorse di desiderare che quel momento non finisse mai.

I bimbi si misero a giocare con la sabbia e improvvisamente Demelza gli si avvicinò. Alzò lo sguardo stupito, mentre con la coda dell'occhio osservava i suoi figli a una decina di metri da loro, intenti a costruire un castello.

"Grazie per avermeli fatti vedere" – gli disse, in tono gentile ma freddo.

Ross sorrise tristemente. "Ti avevo detto che non te lo avrei impedito".

"Beh, sei stato di parola...". Demelza guardò i bimbi che ridevano sereni, felici, baciati dalla luce del tramonto. "Jeremy mi ha raccontato come gli hai spiegato la mia assenza. Non avresti dovuto mentirgli e illuderlo, dovevi dirgli la verità".

"Ho preferito prendere tempo" – rispose Ross, in un soffio.

"Perché?".

"Perché sì... E poi forse è una cosa che dovremmo spiegargli insieme, non credi?".

Demelza stavolta annuì, impallidendo leggermente. "Hai ragione. Clowance è piccola, si abituerà a questa situazione e crescendo la giudicherà normale. Ma Jeremy...".

"Torna a casa, ti prego!". Quelle parole gli uscirono di getto, come se avesse dimenticato di colpo ogni suo proponimento di non farle pressioni. Era troppo per lui averla vicina e sentirla così distante. "Eri così felice poco fa, con loro. Puoi esserlo sempre, ti basta solo venire con noi. Sono i tuoi bambini e hanno bisogno di te e io... anche io...".

Lo sguardo di Demelza si indurì ed indietreggiò. "No! Non voglio parlare di questo... Per i bambini la faremo funzionare e faremo in modo che non soffrano. Ma io e te...".

Spinto dalla disperazione, Ross si alzò in piedi, tentando di avvicinarsi a lei. "Demelza, fra me ed Elizabeth...".

Sua moglie divenne di ghiaccio nel sentire quel nome. "Non voglio parlare di lei".

"Ma...".

"NON – VOGLIO – PARLARE – DI – LEI! Ti ho detto che le vostre cose non mi riguardano".

"Ma non c'è niente fra me ed Elizabeth!". Disperato le prese la mano, costringendola a voltarsi verso i loro figli che, all'oscuro di tutto, giocavano fra la sabbia. "Questo esiste! Tu, io, Jeremy, Clowance e Garrick! Questo è reale, non Elizabeth! Abbiamo un matrimonio da salvare, due bambini nati dall'amore di una coppia che si ama, vuoi davvero buttare via tutto?".

Lo sguardo di Demelza divenne triste, i suoi occhi si velarono di lacrime e distolse lo sguardo dai suoi figli. "Non sono nati dall'amore..." - sussurrò.

Ross spalancò gli occhi, quelle poche parole ebbero l'effetto di mille frustate su di lui. "Demelza?".

"Per fare un bambino non serve l'amore e noi ne siamo la prova... Bastano un uomo, una donna e un letto... I bambini sono la cosa migliore e più bella che il nostro matrimonio mi ha donato, sono la mia ragione di vita. Ma non era amore il nostro, non lo è mai stato".

"Non puoi crederlo davvero?" - rispose Ross, con voce spezzata.

Demelza si voltò verso di lui, riguadagnato fierezza nello sguardo. "Hai un figlio nato dall'amore per una donna, no? Se pensi a Valentine, la tua teoria trova compimento... Occupati di lui, porta il cognome Warleggan e non augurerei una sorte simile a nessuno, nemmeno al figlio tuo e di Elizabeth".

Ross si sentì morire. Erano così profonde le ferite che le aveva inferto e che mai si era curato di sanare e curare... Da quanto Demelza pensava queste cose? Da quanto non l'aveva fatta sentire amata? Da quanto lei aveva perso ogni speranza? "Non è come pensi".

"Non importa. Ora è tardi e devo andare a casa, sta facendosi buio".

Ross chiuse gli occhi, inspirò profondamente e poi annuì, chiamando i bambini.

Appena Jeremy capì che sua madre stava andando, scoppiò a piangere disperato, aggrappandosi alla sua gonna. Clowance, vedendo il fratello in quello stato, fece altrettanto e nessuna consolazione che Demelza tentò di dar loro fu di effetto.

"Mamma, vieni a casa con me e con Clowance, papà e Garrick. Ti prego, fa niente se non puoi curare la casa del nonno" – strillò il bimbo, inconsolabile.

Demelza si inginocchiò davanti a lui, lanciando a Ross uno sguardo freddo e pieno di disappunto. E alla fine fece quello che lui non aveva avuto il coraggio di portare a termine, disse la verità. Era sempre stata più coraggiosa di lui, per certe cose... "Jeremy, non tornerò a casa, ora vivo da un'altra parte. Io e papà abbiamo litigato e non vogliamo più stare insieme ma come vedi possiamo ancora giocare come una volta e vederci quando vogliamo. Starai a Nampara, nella tua casa, con tua sorella e con papà. Ci saranno Prudie, gli animali nella stalla e Garrick. Non cambierà nulla, te lo giuro".

Jeremy scosse la testa, disperato. "Noooo! Fate la pace, torna a casa".

Demelza lo baciò sulla fronte, stringendolo a se. "Non posso".

"Si che puoi, è facile, basta chiedere scusa" – strillò il piccolo.

A quel punto Ross si fece coraggio, si inginocchiò e lo prese in braccio, staccandolo dalla gonna di sua madre. "Su, basta piangere, vedrai la mamma ogni volta che vorrai". Poi si voltò verso Demelza e ora anche il suo sguardo era freddo e smarrito. "Vattene, più rimani e più lui piangerà. Ci penseremo io e Prudie a calmarlo".

Vide Demelza vacillare, impallidire davanti alla necessità di lasciare Jeremy in quello stato. Ma alla fine annuì e col cuore spezzato si allontanò.

E Ross sperò che in quel momento lei avesse capito l'entità delle conseguenze delle sue decisioni.




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Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Il sole era alto e caldo nel cielo azzurro dell'estate e il bosco che circondava il mulino che aveva scelto come casa quasi un mese prima era verde e rigoglioso, allietato dal canto degli uccellini nei loro nidi.

Era stato un mese doloroso ed intenso per Demelza, in cui aveva dovuto ricostruirsi una vita tutta nuova. Era stato difficile andarsene da Nampara e lasciare lì i suoi due bambini ed era ancora più difficile doverli salutare in lacrime ogni volta che li vedeva e poi doveva separarsi da loro quando era ora di andare a casa.

Dopo il primo incontro dove Jeremy era scoppiato in un pianto disperato che le aveva spezzato il cuore, ce n'erano stati altri a Truro. Lei e Ross avevano fatto merenda coi bambini in una locanda, li avevano portati a passeggiare e il momento dei saluti, volta dopo volta, era diventato meno complicato.

Clowance si rintavana in braccio a Ross, stranita dal fatto che lei non andasse a casa con loro. Certe volte allungava le manine verso di lei per farsi prendere in braccio ed era in quei momenti che Demelza vacillava sulle sue scelte che stavano pagando soprattutto i suoi due bimbi. Jeremy piangeva sempre e il pianto disperato delle prime volte si era trasformato poi in un singhiozzare sommesso e rassegnato.

Era dura non essere accanto a loro la sera, per metterli a letto. E al mattino, quando era l'ora di fargli il bagnetto... Non era accanto a loro quando cadevano e si sbucciavano un ginocchio o quando nel cuore della notte si svegliavano a causa di un incubo. Clowance aveva un anno e mezzo, Jeremy quattro e lei li aveva lasciati alle cure del padre... Si sentiva in colpa per i suoi figli e sperava che Ross, una volta sistemato del tutto il mulino, glieli lasciasse tenere anche per qualche giorno consecutivo.

Dal canto suo invece suo marito era diventato taciturno durante i loro incontri. Non aveva più insistito per farla tornare a casa ed era sempre rimasto in disparte quando lei giocava o chiacchierava coi bambini, osservandoli da lontano, pensieroso. Questo rendeva tutto più facile, non c'erano più pressioni fra loro ma le liti e le recriminazioni erano diventate gelo. E questo faceva male tanto quanto la consapevolezza che quando erano distanti lui correva fra le braccia di Elizabeth... Avrebbe voluto voltarsi dall'altra parte e imparare a pensare che non gli importava ma non era così. Amava Ross, lo avrebbe sempre amato e senza di lui era comunque votata all'infelicità perché per lei suo marito era l'amore della vita... E proprio per questo non sarebbe riuscita a sopravvivere a ulteriori scossoni e delusioni, ne aveva avute troppe e stargli lontano era l'unico modo che aveva per non esserne sopraffatta.

In quel mese si era data da fare assieme a Hugh e ai suoi uomini per sistemare il mulino. Ne avevano ricavato due camere, una con un piccolo camino, un tavolo, una credenza e un letto dove avrebbe dormito e cucinato. E un'altra piccola camera sul retro con un altro letto e un armadio dove sperava avrebbero potuto stare di tanto in tanto Clowance e Jeremy.

Fuori scorreva il ruscello da cui prendere l'acqua ed era riuscita a costruire un recinto dove tenere qualche gallina e coniglio che Hugh le aveva regalato.

Aveva trovato lavoro a Illugan, non avrebbe mai accettato denaro da Ross. Una sarta del villaggio bisognosa di un'aiutante, Miss Tindall, l'aveva assunta e lei si recava a casa sua due volte alla settimana per prendere gli abiti da rattoppare e cucire, per poi riportarglieli una volta sistemati. Niente di eccezionale, avrebbe guadagnato il giusto indispensabile per vivere, ma non ambiva a nulla più di questo. Avrebbe potuto lavorare a casa sua, lontana dalle malelingue e da persone che l'avrebbero sicuramente giudicata per la sua scelta. Per ora andava bene così...

"Allora hai trovato lavoro?" - chiese Hugh.

Demelza annuì. Quel pomeriggio era venuto a trovarla e si erano incamminati nel bosco, costeggiando il torrente, per una passeggiata. "Sì, niente di eccezionale, un normalissimo lavoro da sarta".

"Ti permetterà di vivere agiatamente?".

Rise a quella domanda ingenua. "Oh, credo che mi permetterà di non morire di fame".

Hugh si adombrò. "Io credo che non dovresti lavorare... Non è cosa per signore farlo".

"Io non sono mai stata una signora" – ribatté lei.

Hugh non parve dello stesso avviso. "Io invece credo che tu lo sia. Permettimi di aiutarti, ti prego. Non posso sopportare l'idea che tu lavori per vivere... Se Ross...".

Demelza lo bloccò. "Ross non deve fare nulla e non voglio chiedergli nulla. Sono abituata a lavorare e voglio che lui rimanga fuori dalla mia vita. Sei gentile a preoccuparti per me ma ti pregherei di non intrometterti più fra me e Ross, renderesti solo le cose più difficili".

"Sei arrabbiata perché sono andato a parlare con lui?".

Demelza sospirò. Sì, lo era stata un mese prima ma la rabbia era sbollita in fretta. "Non più, ma non farlo di nuovo".

"E i bambini? Non ti mancano?".

Lei sorrise tristemente, abbassando lo sguardo. "Mi mancano, certo... E' sempre dura salutarli, quando li vedo... Jeremy è così triste e mi chiedo se il prezzo che i miei figli stanno pagando non sia troppo alto... Certo, le cose sono un po' migliorate e presto si abitueranno a questa vita, ma...".

Hugh si fermò, prendendole la mano. "Sei una madre meravigliosa Demelza, non dubitarne mai".

Beh, non ne era così certa e spesso, pensando a Clowance e Jeremy, vacillava e sentiva l'istinto di tornare da loro, sotterrando il suo amor proprio e il suo dolore per il loro bene. Ma poi pensava a Ross e nella mente lo immaginava con Elizabeth e tutto tornava difficile e cupo e ogni voglia di tornare indietro cessava. "Io spero solo che loro sappiano che li amo e che ci sarò sempre".

"Sono sicuro che lo sanno" – rispose Hugh, massaggiandosi la tempia con una smorfia di dolore.

Demelza si accigliò. Era insolitamente pallido quel giorno e soprattutto era lento nei movimenti, faticava quasi a starle dietro. "Sei sicuro di sentirti bene?".

Hugh sospirò. "Non sono molto in forma".

"Sono gli occhi?".

Il ragazzo alzò le spalle. "Non so, forse... La sera, quando fa buio, fatico a vedere e spesso scorgo solo ombre. Di giorno va meglio ma mi sento che non durerà a lungo... E poi ho questi capogiri, questi dolori fortissimi alla nuca e la nausea".

La mano di Demelza strinse la sua e le loro dita si intrecciarono. Voleva bene a Hugh e quando pensava alla sua malattia e a quello che avrebbe dovuto affrontare, le si stringeva il cuore e desiderava solo abbracciarlo, accarezzare quei suoi capelli biondi, far scivolare i suoi ricci fra le dita come quel giorno, fra le dune... Non era attrazione o desiderio sessuale, era più un istinto tenero, di protezione e affetto. Amicizia... O poco più... Ma non amore, non quell'istinto che quel giorno l'aveva spinta fra le sue braccia. Ora avrebbe solo voluto alleviare le sue sofferenze, consolarlo e fargli sentire che anche lei, come lui, era una amica su cui contare. "Sulla nausea sono solidale, oggi ho lo stomaco sottosopra" – esclamò, per stemperare la tensione.

Hugh la guardò preoccupato. "Stai male? Vuoi che chiami un medico?".

Demelza sorrise, intenerita da quelle premure. "No, non è niente di che. Sono sotto pressione in questo periodo e ieri sera al villaggio, tornando da casa di Miss Tindall, mi sono fermata a mangiare delle sardine da un venditore di passaggio. Credo sia stata una pessima idea. Sono io ad essere preoccupata per te".

"Non devi farlo" – insistette Hugh – "Tu non ne hai ragione. Mi spiace solo che, quando sarò completamente cieco, non potrò venire a farti visita o a darti una mano come ora".

Demelza scosse la testa. "Oh Hugh, tu hai fatto per me già tantissimo. Sii mio amico, non ho bisogno d'altro".

Hugh si fermò, costringendola a fare altrettanto. Le poggiò le mani sulle spalle, l'attirò a se e la abbracciò, baciandola fra i capelli. "Tu avrai sempre non solo la mia amicizia, Demelza. Il mio cuore ti appartiene, così come ogni mio pensiero o sentimento".

Demelza deglutì. Erano parole d'amore quelle, di un uomo profondamente innamorato che però lei non poteva ricambiare, non nel modo in cui lui avrebbe voluto. Però era bello sentirsele dire, era bello avere qualcuno a cui appoggiarsi per non cadere. Era bello sentirsi speciale e amata, importante... "Hugh, io...".

"Non dire niente, so che non puoi farlo" – rispose lui, in un singhiozzo.

"No, non posso e mi dispiace" – sussurrò con sincerità, prendendolo per mano ed allontanandosi da lui. "Torniamo a casa, ti va? Ho davvero la nausea" – ammise.

Hugh annuì, sorridendo timidamente e accarezzandole i capelli rossi. "Siamo anime affini, vedi? Ci ammaliamo contemporaneamente" – disse, per stemperare la tensione creatasi fra loro.

Demelza fu costretta a ridere. "Credo che ne farei volentieri a meno però, da questo punto di vista".

Il giovane le prese la mano, la strinse e le strizzò l'occhio. "Su, andiamo a casa".

Demelza si lasciò condurre, mano nella mano con lui, verso la sua nuova casa. Era una passeggiata rilassante, serena, quasi senza pensieri. Pochi minuti rubati all'angoscia e ai sensi di colpa verso i suoi figli che la attanagliavano ogni giorno da un mese a quella parte, il suo attimo di pace che sapeva sarebbe finito appena Hugh se ne fosse andato.

"Pensi mai a Ross?" - le chiese improvvisamente Hugh, leggendole quasi nel pensiero.

"Come potrei non pensarci?".

"Forse dovresti dargli una seconda opportunità".

Demelza scosse la testa, stupita che lui insistesse tanto. "Già fatto, non ha funzionato. Ho sposato Ross che ero poco più di una bambina, avevo solo diciassette anni e forse non possedevo ancora la maturità necessaria per capire cosa potesse significare. Lo veneravo, come ogni ragazzina che guarda a qualcuno con gli occhi pieni di ammirazione. Ma lui non mi ha sposata per amore, lo ha fatto per senso del dovere e per distrarsi da Elizabeth... Ci ha provato, non dico di no, a farla funzionare! Ma Ross è un uomo che ci mette cuore e anima in ogni cosa che fa e se ama, ama totalmente. Non avrei mai potuto spazzare Elizabeth dal suo cuore e ora lo so. Non sono arrabbiata, ho sempre saputo che era così...".

Giunsero davanti a casa, il torrente scorreva tranquillo fra i loro piedi nudi. Avevano camminato con l'acqua che arrivava loro alle caviglie per una mezz'oretta, godendo della frescura che questo gli regalava.

Hugh fece per rispondere a quella sua affermazione, quando impallidì di colpo e crollò a terra, tossendo copiosamente senza riuscire a prendere fiato.

"Hugh!". Demelza si inginocchiò accanto a lui, stringendolo a se e tenendogli una mano premuta sulla fronte per evitare che si accasciasse del tutto al suolo. Era spaventata... "Che ti prende?".

Hugh tossì, senza riuscire a risponderle, quasi soffocando nella sua stessa saliva. Alla fine, dopo aver sputato sangue, esausto, si lasciò andare sull'erba, cercando disperatamente aria per riprendere fiato.

Demelza gli sorresse la testa, preoccupata e spaventata. Che gli prendeva? "Hugh...".

Il giovane, con gli occhi chiusi, strinse un ciuffo d'erba. "Tranquilla, ora passa".

Demelza osservò la chiazza di sangue accanto a loro, mentre una strana ansia le attanagliava lo stomaco già provato dalla nausea. "Sei sicuro?".

"Si, mi è già successo" – disse lui, mettendosi a sedere e tentando di rimettersi in piedi.

Demelza lo aiutò, ma fecero appena pochi passi che Hugh crollò di nuovo a terra, vittima di un capogiro. La donna lo aiutò a trascinarsi all'ombra, sotto un albero. Si sedette e lo aiutò a stendersi, tenendogli la testa sulle sue gambe. "Va meglio?".

"Tra poco sì. Scusa, non volevo spaventarti".

"Ti è già successo?" - chiese Demelza. "Non mi sembra normale".

Hugh aprì lentamente gli occhi. "Sì, un paio di volte a casa".

"Cosa dice Dwight?".

"Tutto e niente. Come te, dice che non è normale". Hugh le riprese la mano, la sua voce si incrinò e la sua apparente calma si frantumò. Tremò vistosamente e piantò gli occhi su di lei, come alla ricerca di coraggio e di risposte. "Ho paura Demelza".

"Lo so... Ho paura anch'io" – rispose lei, con sincerità.

"Quando sarò cieco, non sarò più in grado di venire a trovarti. Non da solo almeno... Dovrò farmi accompagnare e magari per te sarò solo un peso".

Demelza deglutì, si chinò e lo baciò sulla fronte come avrebbe fatto con uno dei suoi bambini dopo un incubo, per tranquillizzarlo. "Non sarai mai un peso".


...


Ross galoppava verso Illugan, da solo, dopo una notte insonne e una mattina in cui non aveva combinato nulla in miniera. Erano giorni che pensava e ripensava, che mille pensieri lo attanagliavano e che sentiva il bisogno di cambiare aria.

Come gli aveva consigliato Dwight, era rimasto al suo posto e aveva lasciato tranquilla Demelza, senza farle pressioni per tornare a casa. Avevano organizzato altri incontri coi bambini, era rimasto in disparte e aveva permesso a loro e a lei di stare insieme serenamente, rendendosi conto di quanto, soprattutto Jeremy, ne avessero bisogno.

Ma Demelza non aveva mai cambiato idea o mostrato segni di cedimento... I loro rapporti si erano mantenuti cordiali ma freddi e questo lo annientava al pensiero di non averla più accanto nella sua vita. Rivoleva il suo sorriso, le sue labbra, sentirla accanto ogni istante del giorno... Rivoleva sua moglie, Demelza era la sua casa e tutto il suo mondo... E ora non poteva nemmeno sfiorarla.

Si sentiva di impazzire e l'idea che lo aveva accarezzato durante gli scontri, nel giorno in cui lei se n'era andata, era tornata a tormentarlo. Aveva capito che era ora di smetterla di fare il rivoluzionario, che se voleva aiutare i suoi cari doveva accettare l'incarico politico di Lord Falmouth e spostarsi a Londra per un po'. Questo gli avrebbe permesso di entrare nel nuovo mondo che lo attendeva e soprattutto di riprendere fiato dalla difficilissima situazione che stava vivendo in Cornovaglia.

Sapeva che Demelza aveva finito di sistemare il mulino dove si era trasferita e che c'era spazio per Clowance e Jeremy. Aveva ingoiato il boccone amaro che fosse stato Hugh ad aiutarla a sistemare quella casa improvvisata, aveva dovuto tacere anche davanti a quello. Per riaverla avrebbe fatto di tutto... Ma ora doveva partire e allontanarsi da lei per non impazzire. Forse, avrebbe fatto bene ad entrambi.

Era questo il suo piano per il pomeriggio: andare da Demelza, metterla al corrente della sua partenza verso Londra e chiederle di tenere i bambini mentre non c'era. Questo l'avrebbe resa felice e soprattutto avrebbe fatto bene ai loro due bambini che desideravano la mamma ogni istante del giorno.

Credeva di trovarla da sola, come era già capitato le altre volte che si era recato da lei. E quindi grande fu il suo disappunto quando la vide seduta sotto un albero, assieme a Hugh, steso con la testa sulle sue gambe.

Gli si fermò il cuore quando la vide appoggiare le labbra sulla fronte del giovane, sentì il sangue arrivargli al cervello per la gelosia e la rabbia, sentì che avrebbe potuto impazzire...

Demelza...

E Hugh...

Il suo peggiore incubo, quella realtà a cui non aveva mai voluto guardare in faccia era lì, davanti ai suoi occhi. E ciò che vedeva, lasciava poco spazio all'immaginazione.

Arrabbiato, furente, scese da cavallo, dirigendosi da loro mentre schiacciava rovi e pianticelle, incurante di dove metteva i piedi.

Come poteva farlo? Come poteva accarezzargli i capelli come aveva sempre fatto con lui? Baciarlo sulla fronte? Riempirlo di attenzioni e tenerezze che una volta riservava a lui? COME POTEVA?

Quando comparve davanti a loro, Demelza spalancò gli occhi sorpresa. "Ross?".

"Non ti aspettavi il mio arrivo, da quel che vedo" – disse, gelido.

Demelza guardò Hugh e poi guardò lui. Lei lo conosceva e sapeva benissimo che in quel momento era furente. E ne era preoccupata. "Ross, non è come pensi...".

Hugh aprì gli occhi, a fatica. "Capitano Poldark..." - sussurrò, tentando di mettersi a sedere.

"Resta dove sei, se sei comodo. Fa come se non ci fossi, prego, approfitta di mia moglie" – gli disse, canzonatorio, avventandosi su di lui e spingendolo a terra, senza incontrare resistenza.

"ROSS!" - urlò Demelza. "Fermati, sta male!".

Ross sorrise, sarcastico. "Oh, immagino! Star male mentre è fra le tue braccia, che destino infame, vero Armitage...".

"Sta male sul serio!" - disse Demelza, tentando di farlo ragionare.

Ross scosse la testa. "Tu... E lui... E accusavi me di avere chissà quale relazione segreta con Elizabeth? Da quando sei così incoerente, Demelza?" - disse, vedendola impallidire e capendo di aver toccato le corde giuste. "Sono un dannato idiota, pensavo che nonostante tutto tu saresti sempre stata coerente e corretta, che fossi molto migliore di me e invece...".

Gli occhi di Demelza si riempirono di lacrime e nonostante Hugh Armitage tentasse di tirarsi su per darle una mano, non riuscì a fare molto per lei. "Ross, lasciami spiegare".

Ross le sorrise con freddezza. Era talmente arrabbiato in quel momento, accecato dalla rabbia, che voleva solo farle un po' del male che lei stava facendo a lui. "No, ora sono io che non voglio spiegazioni e sarà il tuo turno accettarlo".

"Ross...".

"Non voglio sentirti parlare, continua a coccolarti il tuo cucciolo. A quanto pare alla fine te ne sei trovata uno".

"Capitano Poldark" – ansimò Hugh – "Demelza mi stava solo aiutando. E voi non dovreste parlarle con questo tono".

Colto sul vivo, Ross si morse il labbro. Santo cielo, lo avrebbe massacrato di botte, se solo avesse potuto. "La SIGNORA Poldark e il modo in cui le parlo sono affar mio. Siete pregato di non intromettervi".

Demelza, sfinita, scosse la testa. "Hugh, lascia stare... E' inutile e in fondo ha ragione di essere arrabbiato".

Ross la fissò. Era pallida, sofferente e il suo sguardo era infinitamente triste. Fino a cinque minuti prima l'avrebbe stretta fra le braccia, se lei glielo avesse concesso. Ma ora... Ora voleva solo correre via da lei e non vedere più quella realtà terribile che aveva davanti agli occhi: amava un altro uomo, Hugh Armitage gliela aveva portata via. E lui gli aveva permesso di farlo.

"Perché sei qui, Ross?" - chiese infine Demelza, stanca e rassegnata.

Ross annuì, voltandole le spalle ed avvicinandosi al cavallo. "Volevo solo dirti che parto per Londra, ho deciso di accettare l'incarico politico offertomi da Lord Falmouth. Porto i bambini con me". Col cavolo che glieli avrebbe lasciati, Demelza aveva tradito non solo lui ma anche Clowance e Jeremy. E lui gliela avrebbe fatta pagare. Londra era una bella città, piena di cose da scoprire e attraverso di esse i suoi figli avrebbero dimenticato il dolore di non avere accanto la loro madre. Si sarebbero abituati, lui non poteva farci nulla, dovevano accettarlo! E d'altronde, Demelza era affaccendata e proiettata verso altri...

"Ross, non farmi questo, non portarmeli via" – sussurrò Demelza, implorandolo.

Ross non si voltò, saltò in sella e prese le redini. "Il tuo tenente saprà tenerti occupata, non preoccuparti". Poi partì al galoppo, senza avere il coraggio di vedere se lei piangesse oppure no.

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Capitolo 10
*** Capitolo nove ***


Avrebbe voluto seguire Ross, spiegargli, dirgli che si sbagliava... Ma Hugh stava male, lei non era in forma e suo marito era partito a cavallo senza voltarsi e in un attimo era sparito nella foresta.

E poi, spiegargli cosa? Ciò che sospettava Ross, in un certo senso era vero. Fra lei e Hugh c'era stato qualcosa, non in quel momento ma un mese prima, fra le dune, era stata una moglie infedele proprio come Ross era stato infedele con Elizabeth. Come poteva dirgli che aveva capito male se in fondo le sue supposizioni, anche se per una sola volta, erano esatte?

Pure lei aveva ceduto a Hugh Armitage e anche se le motivazioni che l'avevano spinta a farlo potevano essere accettabili, avevano un perché e si era concessa a un altro spinta dal dolore, dalla delusione e dalla sensazione di aver vissuto da sempre un matrimonio fasullo, restava una sola cosa su tutte: era stata infedele, aveva tradito e davanti a questo non c'erano giustificazioni. O se ce n'erano, lei non era in grado di darsele e di assolversi.

Era vero, pure Ross era stato infedele e lei ne aveva sofferto tanto. E probabilmente aveva continuato ad esserlo, visto quanto raccontatole da Prudie. Oppure aveva frainteso, come Ross con Hugh quando lo aveva visto fra le sue braccia davanti al mulino? E se le parole di suo marito fossero state sincere, se quello fra lui ed Elizabeth fosse stato un commiato e un chiudere un capitolo doloroso?

Ross se n'era andato a cavallo col cuore spezzato, sapeva di averlo ferito. E si sentiva in colpa perché i silenzi, le cose non dette o ascoltate, avevano finito per far del male ad entrambi. Forse avrebbe dovuto lasciare da parte il suo orgoglio, in questo sia lei che Ross erano uguali, due testardi con la testa dura come un muro, seguirlo e parlarsi a cuore aperto. Avrebbe fatto male ma forse... forse se avessero scoperto le loro carte, se fossero stati capaci di ascoltarsi, capirsi, ammettere i propri errori ed esprimere i loro veri sentimenti... Forse non sarebbe andato tutto perduto...

Demelza voleva andare a Nampara, voleva andarci da quando Ross se n'era andato a cavallo annunciandole che voleva partire per Londra coi loro bimbi. Un gesto dettato dalla rabbia e dalla gelosia, lo sapeva, e proprio per questo doveva fermarlo. Non poteva sopportare che i loro figli divenissero uno strumento di vendetta e non poteva nemmeno accettare l'idea che lui se ne andasse così, portandoglieli via senza la speranza di poterli rivedere.

Ma non era andata a Nampara...

Dopo che Hugh, ripresosi, era tornato a casa pallido e sofferente, si era sentita male di stomaco.

Aveva passato una notte infernale contorcendosi dal dolore e dalla nausea e la mattina dopo, quando aveva messo i piedi giù dal letto, aveva vomitato tutta la misera cena della sera precedente. A fatica si era lavata il viso al ruscello, cercando refrigerio nell'aria fresca del mattino e un po' di calma. Il suo stomaco era a pezzi e l'unica motivazione accettabile era che fosse a causa dello stress che stava vivendo. Ma doveva riprendersi e in fretta, la strada per Nampara era lunga da percorrere, o Ross sarebbe partito e lei non avrebbe avuto alcuna possibilità di rivedere i suoi bambini.

Dopo essersi lavata al ruscello, si avviò mollemente verso casa per sistemarsi i capelli, ma appena vi mise piede il suo stomaco cedette di nuovo. Si accasciò a terra, non ricordava di essere mai stata tanto male in vita sua. Era sola, lontana da tutto e tutti, senza una mano amica che potesse aiutarla. E cominciava ad essere spaventata... Cosa le prendeva? E come avrebbe fatto ad arrivare a Nampara se nemmeno riusciva ad uscire di casa?

Quel pensiero durò un attimo... Improvvisamente fu troppo, tutto divenne nero, la stanza prese a vorticare e si accasciò a terra senza sensi.

Si svegliò molto dopo, non seppe nemmeno lei quanto rimase senza sensi. Avvertì il freddo del pavimento sulla guancia, il dolore allo stomaco e un gran mal di testa che sembrava farla impazzire. Per un istante volle svenire di nuovo per non sentire più nulla di tutto questo ma alla fine dovette stringere i denti, strisciare fino al letto e gettarsi sul materasso senza forze.

Si chiese se un malessere tanto forte fosse davvero dovuto al pesce, non era normale star male così ed era abbastanza sicura di non essere malata. E se...? Scosse la testa davanti a un pensiero strisciante che forse si era già formato nella sua mente ma che lei si rifiutava di accettare. Al diavolo, no, non poteva essere, non DOVEVA essere! Chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo, mentre le lacrime le rigavano il viso. Non sarebbe mai riuscita ad andare a Nampara, a parlare con Ross e a riabbracciare i suoi piccoli. Lui sarebbe partito odiandola, i bambini avrebbero dimenticato il suo viso e a lei non sarebbe rimasto nulla di loro. Pensò a Ross, il suo amore, il suo uomo forte e coraggioso, passionale e scavezzacollo, gentile ma dal carattere forte come il metallo, pensò a quanto lo amava e a come, da sempre, avesse desiderato il suo amore e che la guardasse come guardava Elizabeth. Ma in fondo come avrebbe potuto lei, Demelza di Illugan, figlia di un minatore, competere con una donna nata per essere amata e ammirata, sempre bella, perfetta ed altera, fine e ben educata? Singhiozzò, pensando a Hugh, a come la guardava e amava, a come era innamorato di lei in maniera dolce, gentile, pulita e mai egoista. E capì in cosa erano simili: entrambi amavano delle persone che non avrebbero potuto ricambiare i loro sentimenti perché i loro cuori appartenevano già ad altri. Il cuore di Ross apparteneva ad Elizabeth, il suo apparteneva a Ross. Lei e Hugh erano anime affini, affamate di un amore che non poteva essere ricambiato. Le si strinse il cuore pensando a Hugh e sperò che si fosse ripreso almeno lui...

Poi, spossata e vinta dal malessere, piangendo, scivolò in un sonno profondo e tutto smise di esistere.


...


Ross aveva fatto i bagagli in fretta e furia, ordinando a Prudie di preparare le cose per i bambini. Aveva noleggiato una carrozza e avvertito gli uomini della miniera dei suoi piani, lasciando a Zachy l'intera gestione della Wheal Grace. Poi si era recato da Dwight e Caroline per salutarli e nonostante loro avessero cercato di farlo desistere dall'intenzione di portare Clowance e Jeremy con se, non aveva voluto sentire ragioni e si era accomiatato da loro, lasciandoli perplessi e preoccupati per la piega che stava prendendo la sua separazione da Demelza.

Il mattino seguente la carrozza era arrivata e senza fermarsi a riflettere su quanto stava facendo, caricò i bagagli. Non voleva fermarsi a pensare o mille dubbi l'avrebbero rallentato. Stava facendo la cosa giusta? Clowance e Jeremy ne avrebbero tratto beneficio o ne avrebbero sofferto?

Al diavolo, Demelza se n'era andata tradendo tutti loro e non era certo lui che doveva sentirsi in colpa verso i bambini! Sarebbero stati bene, avrebbe lottato perché fosse così. Si sarebbero divertiti a Londra, avrebbero fatto tante nuove conoscenze, scoperto mille cose nuove e non avrebbero avuto tempo di pensare alla loro madre.

Prudie, accigliata, gli portò i bambini ancora assonnati. La piccola Clowance, in braccio, si strofinò gli occhietti mentre Jeremy si faceva trascinare mezzo addormentato.

"Signor Ross, io credo che non dovreste..." - tentò di argomentare Prudie.

"Io credo che DOVREI, invece! E credo che tu non dovresti preoccuparti di quello che faccio coi miei figli".

La donna sospirò, passandogli la piccola. "Portarli via dal loro mondo, dalla loro casa, dalle loro abitudini e dalla loro madre... E' troppo".

Ross strinse a se la piccolina, accarezzandole i capelli biondi, poi prese Jeremy per mano. "La loro madre se n'è andata! ANDATA! Non credo proprio che cambiare aria farà loro male, anzi, li aiuterà a non pensare al fatto che sono stati abbandonati".

Prudie scosse la testa. "Abbandonati? Sapete che non è così".

Jeremy abbassò il capo, singhiozzando. "Quando torniamo dalla mamma?".

Lo sguardo di Ross si indurì, non poteva permettere che i sensi di colpa lo divorassero. Era stato fin troppo paziente con Demelza e lei lo aveva fatto fesso... "Stiamo andando a Londra, ti piacerà! Staremo via un po'".

"Ma la mamma non puo' venire con noi?" - insistette il bimbo. "Basta che fate la pace e lei parte".

"No, non puo' venire" – tagliò corto Ross. "Ha altro da fare e ci sono altre persone che vuole frequentare".

Prudie lo interruppe, brusca. "SIGNORE! NO!". Gli prese il polso, lo strinse e lo attirò a se con sguardo che faceva scintille. "Non dite queste cose ai bambini, non fate loro del male. E non fatene a Demelza, lei non lo merita, vive per i suoi figli e glieli state portando via".

Ross si liberò dalla stretta con un gesto secco. "Avrà chi la saprà consolare, sta tranquilla".

"Come non siete stato capace di fare voi?".

Ross la guardò storto, adirato e pronto ad esplodere. Che ne sapeva Prudie del suo dolore e di cosa stesse passando? Che ne sapeva di cosa si prova quando la donna che ami, ama un altro? Che ne sapeva di cosa si prova a perdere la propria ragione di vita, la propria compagna e ogni certezza? "Il tuo compito è gestire la casa, limitati a quello! Quando torno voglio trovare Nampara splendente! Per quanto riguarda Demelza, non mi pare mi abbia seguito per cercare di farmi cambiare idea...". Mise i piccoli sulla carrozza perché non sentissero, chiuse il portellino e tornò a guardare la serva in viso. "E' rimasta a coccolarsi il suo poeta invece che venire qui a lottare per i suoi figli! Hugh Armitage e il suo orgoglio sono più forti dell'amore per loro e io non starò qui a farmi umiliare e a vedere i miei figli soffrire per una madre che li ha abbandonati per stare con un altro". Poi si mise il tricorno in testa, aprì il portellino della carrozza e vi salì. Strinse a se Clowance che si era addormentata e asciugò le lacrime di Jeremy. "Andrà tutto bene, vedrai che ti piacerà" – gli disse.

Jeremy non rispose. Abbassò il capo, lo poggiò sulle sue gambe e lasciò che lui gli accarezzasse la testolina.

Poi partirono e per la prima volta da tanti anni, Ross si sentì come al suo ritorno dalla Virginia. Senza speranze, un futuro, un affetto... Solo e con una vita da ricostruire.

Ma poi, abbassando lo sguardo, vide i suoi due bambini rannicchiati contro il suo petto e si rese conto che in fondo non era solo. C'erano loro... E glieli aveva donati lei... Lei, a cui li stava portando via...


...


Per una settimana rimase praticamente sempre a letto, eccetto per lavarsi e mangiare il poco che riusciva. La dispensa era quasi vuota, ma in fondo non le importava molto perché il suo stomaco faticava a trattenere ogni cosa.

Aveva svolto il suo lavoro di sarta a letto, quando la nausea glielo aveva permesso e sperava di trovare presto le forze per alzarsi e andare a consegnare al villaggio i capi che aveva cucito. Aveva dannatamente bisogno di riprendere in mano la sua vita, guadagnare, uscire e vedere gente o gli incubi della sua mente l'avrebbero fatta impazzire.

Hugh non si era più visto... In fondo non se ne stupiva troppo, era giusto così. Che ci faceva un ragazzo come lui con lei, che non poteva promettergli e dargli nulla e che aveva una montagna di problemi insormontabili? Si era stancato, come era giusto che succedesse, non trovava altre spiegazioni a quel suo silenzio. Sperò non si trattasse della sua salute, era un timore che la attanagliava, e preferiva pensare che il diverbio con Ross lo avesse stancato e spinto a cercare compagnie più adatte alla sua persona. Le sarebbe mancato, ma era giusto così... Hugh era giovane, nobile, pieno di talenti e desideri e lei era una donna sposata, con una vita matrimoniale distrutta e due figli piccoli che forse non avrebbe visto mai più.

E ora persino la salute pareva abbandonarla...

Dopo una settimana di riposo forzato, un pomeriggio il suo sonno fu interrotto da un mesto bussare alla sua porta.

A fatica, sorpresa, si alzò dal letto per andare ad aprire, chiedendosi chi si fosse spinto fin lì. Era Miss Tindall, venuta a ritirare le camicie rammendate? O forse qualcuno dei suoi fratelli, preoccupati per la sua assenza?

Aprì la porta e a sorpresa scoprì che non si trattava di nessuno di loro. "Dwight!" - esclamò, felice.

Il suo vecchio amico le sorrise nel suo solito modo gentile, annuendo. "Scusa se mi presento qui senza preavviso ma ero preoccupato per te e Ross mi ha detto dove vivi e cosa è successo e...".

Demelza sorrise dolcemente, era felice di vedere un volto amico. "Dwight, sei e sarai sempre il benvenuto. Entra pure".

Il medico annuì, poi entrò nel mulino. La osservò pensieroso prima di accomodarsi sulla sedia, mentre Demelza si sedeva sul letto. Quei pochi passi l'avevano distrutta e la nausea era tornata a farsi fortissima.

"Ti senti bene? Sei pallidissima".

Demelza scosse la testa. "Per niente, sono a letto da più di una settimana".

Dwight si accigliò. "Non è da te! Che cos'hai?".

"Niente di grave, sono solo molto stanca, passerà. Sei venuto qui per Ross?".

L'uomo sospirò, poggiandosi sul tavolo. "No a dire il vero. Ma tuo marito mi ha raccontato cosa è successo e voglio dirti che mi dispiace. E che io e Caroline saremo sempre amici di entrambi e di qualunque cosa avrete bisogno, noi ci saremo...".

"Lo so, grazie". Demelza sorrise, Dwight era un amico d'oro, uno di quelli rari da trovare, dall'animo gentile e delicato. "Ross è partito?".

"Sì, settimana scorsa" – rispose l'amico, a fatica.

Le sembrò che il cuore gli si spezzasse in mille pezzi. Se n'era andato, maledicendola e strappandole i suoi piccoli. "Coi bambini?".

"Sì. Gli ho detto di non farlo, che era un errore e che voi due dovevate semplicemente sbollire la rabbia e parlare, ma era fuori di se. Crede che tu abbia una relazione con Armitage e so che tu pensi che lui l'abbia con Elizabeth Warleggan. Ross mi ha raccontato di Valentine e di ciò che è successo tre anni fa fra voi e ti giuro, ti capisco, comprendo la tua rabbia e l'infinita pazienza che hai dovuto sopportare. Ma dagli un'altra possibilità, ci metterei la mano sul fuoco che Ross non ti tradisce, il suo è stato l'errore di una notte e so che ti ama. Vive per te, sei la sua vita! Io e Caroline abbiamo sempre guardato a te e lui come a un modello da imitare e so che non ci siamo sbagliati. Dagli tempo, è la stessa cosa che ho consigliato a lui, lascia che la rabbia sbollisca in entrambi e tornerete insieme più forti di prima".

Demelza avrebbe voluto credergli, le parole di Dwight erano un balsamo per la sua anima. Ma le cose erano sfuggite troppo di mano ad entrambi e ora... "Non si puo' tornare indietro, Dwight" – disse, prendendo un profondo respiro per combattere la nausea.

Il dottore la fissò, poi si avvicinò prendendole il polso. "Mi dici che sintomi hai? Mi sembri un fantasma, Demelza".

"Nausea fortissima, vomito. Soprattutto al mattino, poi nel pomeriggio va meglio... Settimana scorsa sono svenuta, è stato orribile. Volevo raggiungere Ross a Nampara per parlargli di quanto successo con Hugh ma non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi".

"Capisco". Dwight le poggiò la mano sulla spalla. "Su stenditi, ti voglio visitare".

"Non è necessario".

"Sì che lo è. Ma prima dimmi se hai avuto febbre o altri malesseri".

"No, nient'altro per fortuna".

Dwight le tastò il ventre, pensieroso. "Dovrei farti una visita più accurata, ma non credo che tu sia malata. Demelza, hai avuto tre figli e di certo riconosci i sintomi di una gravidanza. C'è questa possibilità?".

Quella domanda ebbe l'effetto di un terremoto su di lei. Qualcosa nella sua mente glielo gridava da giorni ma MAI aveva voluto affrontare quella vocina che tentava di mostrarle la realtà. I suoi occhi si inumidirono, no non poteva essere, sarebbe stato un incubo! Eppure, ora che Dwight a voce aveva espresso quel dubbio, tutto sembrava diventare una certezza.

"Demelza?".

Deglutì, piangendo silenziosamente. "Sì, potrebbe".

A quell'affermazione, Dwight rise eccitato. "Demelza, ma non capisci? E' meraviglioso, un miracolo! Tu e Ross avevate bisogno di una cosa così per trovare un appiglio e riavvicinarvi! Quando saprà che diventerà di nuovo padre, si precipiterà qui coi bambini e...".

Demelza lo guardò, nel suo viso non vi era traccia di gioia e felicità. No, non era meraviglioso, era e sarebbe stata una catastrofe. Ross non la sfiorava con un dito dalla morte di Agatha avvenuta quattro mesi prima. E l'unico rapporto intimo avuto era con... "Non è come pensi, non sarà meraviglioso! Non posso essere incinta, Dwight!" - esclamò, prendendo a piangere più forte ed affondando il viso nel petto dell'amico.

"Demelza, cosa stai cercando di dirmi?".

"E' successo solo una volta, Dwight" – singhiozzò – "Ero distrutta, disperata, credevo che il mio matrimonio fosse finito. O mai iniziato... Volevo solo sentirmi amata e far felice una persona che mi venerava e adorava come non aveva mai fatto nessuno. Volevo essere come Elizabeth, per una volta. Volevo dimenticare per qualche istante tutto il male che Ross mi aveva fatto, ogni ferita, ogni illusione...".

Dwight la prese per le spalle, spalancando gli occhi inorridito. "Demelza, stai cercando di dirmi che questo ipotetico bambino non è di Ross? E' di Armitage?".

Demelza annuì. "Senza ombra di dubbio".

"Senza ombra di dubbio, perché...?" - chiese Dwight, con la voce spezzata.

"Perché io e mio marito eravamo in crisi dalla morte di zia Agatha e lui aveva mille cose a cui pensare come sempre, i nostri rapporti erano tesi e non ci degnavamo di uno sguardo a letto".

Dwight alzò gli occhi al cielo, sprofondando sulla sedia. Si mise le mani nei capelli, scompigliandoli, inspirò e poi la guardò preoccupato. "Dio mio, cosa avete fatto tu e Ross? Come possono due persone come voi, che si amano come avete sempre fatto voi, ad essere arrivate a questo?".

Demelza si morse il labbro. "Forse non era amore...".

Dwight sospirò e gli si riavvicinò, prendendole la mano. Cercò di calmarsi e di calmarla, come ogni buon amico avrebbe fatto. "Lo era Demelza. Credimi, Ross è la peggior canaglia che io abbia mai conosciuto, uno scavezzacollo incallito. Ma so che ti ama e so che non ama Elizabeth! Ma vi siete fatti male, molto ed entrambi. Non so cosa dirti, non so cosa consigliarti, ma sappi che non ti lascerò da sola ad affrontare tutto questo se sei davvero incinta. Avvertirò Prudie di venire qui, non puoi stare da sola in questo stato. E io e Caroline ti aiuteremo come potremo".

"Ross ti odierebbe per questo".

"Sono un medico, è mio dovere curarti. Posso visitarti ora?".

Demelza arrossì. "Preferirei di no".

Dwight sorrise. "E' il medico che parla adesso, non l'amico. Ricordi, ti ho aiutata a partorire Jeremy?".

"Lo so, ma è solo che ho paura di scoprire la verità".

"Non riuscirai a sfuggirle. Nel caso fosse confermato..." - chiese Dwight – "Cosa vuoi fare? Demelza, sei una donna sposata e potresti partorire il figlio illegittimo di un altro, sai a cosa porterebbe?".

Demelza lo osservò senza capire, ma con la sensazione che quello che gli stava per dire sarebbe stato devastante. "Che cosa stai cercando di dirmi?".

"Esistono modi per interrompere la gravidanza" – tagliò corto Dwight.

Rabbrividì inorridita davanti a quelle parole. Avrebbe dovuto uccidere un bambino? Il suo bambino? Non importava da dove venisse, se c'era ed esisteva, lei era sua madre e avrebbe lottato sempre per proteggerlo. "Non potrei mai fare una cosa del genere. Ho già perso Julia, i miei due bambini e ora... Non me lo perdonerei mai! So che sarà un inferno e so che me lo meriterò tutto. Ma non posso fare del male al mio bambino, se esiste... Non pagherà le mie colpe".

Dwight annuì, accarezzandole la guancia. "Va bene, come vuoi... Sei una donna forte e intelligente e so che agirai per il meglio. Ti consiglio però di prepararti perché sarà difficile. Ross, quando lo saprà...".

Demelza deglutì... Ross avrebbe scatenato l'inferno e lo sapeva, questo bambino le avrebbe tolto ogni possibilità e diritto di vedere Jeremy e Clowance. Ma che poteva fare? CHE POTEVA FARE? "Sopporterò tutto quello che verrà e me lo sarò meritato" – disse, senza quasi fiato.

"Ami Hugh?" - chiese Dwight, senza mezzi giri di parole.

Demelza sorrise dolcemente. "No, non lo amo. E' un caro amico, una persona dolce e gentile che ha saputo curare le ferite del mio cuore e che mi è stata accanto in un momento difficile. Ma non è amore, l'amore è un'altra cosa".

Dwight abbassò lo sguardo. "Te lo chiedo, perché è per conto di Armitage che sono qui. Sei la moglie di Ross Poldark e Hugh non potrà mai riconoscere questo bambino ed esserne padre. Non potrà farlo per legge e perché la sua famiglia glielo impedirebbe, non vogliono scandali e ti farebbero la guerra se provassi a pretendere diritti per il bambino".

"Questo lo so". Già, lo sapeva e nemmeno voleva intromettersi nella sua vita e rivoluzionargliela più di quanto non avesse già fatto... E di fatto era consapevole che non avrebbe potuto essere altrimenti, non potevano essere una famiglia! E nemmeno lo voleva, la sua famiglia sarebbe rimasta sempre quella che aveva lasciato a Nampara.

"E poi..." - proseguì Dwight – "Lui sta molto male e vorrebbe vederti. Demelza, le sue condizioni di salute sono critiche e io dubito di poterlo curare. Indipendentemente da tutto, non potrà fare nulla per te".

Demelza ricordò il malessere di pochi giorni prima, quando aveva rivisto Ross. Sapeva che Hugh stava male ma non credeva che fosse tanto grave come stava facendole intendere Dwight. "E' possibile che siano solo gli occhi?".

Dwight scosse la testa. "La perdita della vista non è la malattia ma il sintomo di qualcosa di più grave che io non posso curare. Demelza, non è in grado di venire qui ma vorrebbe tanto vederti. L'ho visitato stamattina e mi ha implorato di venirti a chiamare".

Il cuore di Demelza parve spezzarsi nel sentire quelle parole. Hugh... Così giovane, con così tanti sogni e così tanta vita davanti... Come poteva essere? "Dwight... no... Ti prego, curalo! Ha una vita intera da vivere, ha mille talenti ed è una persona dolce e gentile e...".

"Stagli vicino, è tutto quello che puoi fare" – tagliò corto il medico. "E ora stenditi e vediamo se i nostri timori sono fondati. Qualunque sia il responso, sarà un periodo duro per te".

Demelza annuì, tremando. Era ora di conoscere la verità e Dwight aveva ragione, non poteva più scappare. La sua vita stava per cambiare per sempre e sarebbe stata dura, solitaria, piena di dolore e priva di amore.

Lasciò che Dwight facesse il suo lavoro, chiuse gli occhi e pianse in silenzio ogni sua lacrima, chiedendosi cosa avrebbe fatto.

E quel giorno ebbe il responso che tanto temeva...

A marzo avrebbe messo al mondo un bambino. E non sarebbe stato un Poldark.


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Capitolo 10
*** Capitolo dieci ***


Era stata un'estate molto calda a Londra, afosa e torrida. Ross aveva faticato parecchio ad abituarsi a quella nuova dimensione e si sentiva per la maggior parte del tempo un animale in gabbia a cui era stata tolta la libertà.

Vestirsi come un damerino, rispettare l'etichetta, raffrontarsi con nobili spocchiosi che pretendevano di fare leggi per il popolo senza conoscere il popolo... Era stata una sua scelta quella di accettare l'incarico politico di Lord Falmouth, dettata dalla necessità impellente di allontanarsi dalla Cornovaglia, però era tutto difficile lo stesso. Non era la sua vita quella, non era il suo mondo e di certo non era il suo modo ideale di vivere. Ma doveva farlo per se stesso, per i suoi figli e per tutta la povera gente lasciata in Cornovaglia che aveva sempre cercato di aiutare.

Aveva trovato un appartamento in centro, in una via trafficata giorno e notte da carrozze che sfrecciavano sotto le sue finestre a gran velocità e sempre piena di bambini e venditori ambulanti che strillavano a ogni ora.

Anche quella casa gli sembrava una prigione, abituato com'era alla libertà di Nampara, all'immensità dei campi e alla maestosità delle sue scogliere solitarie e infinite.

Aveva assunto un'anziana governante per i bambini, Miss Etta Dowson, una zitella di settant'anni dai modi gentili ma ferma di carattere se i piccoli facevano i capricci. Brava bambinaia, precisa e attenta nella pulizia della casa e ottima cuoca. E una piacevole compagnia a volte, la sera, con cui scambiare quattro chiacchiere quando i bambini dormivano.

Jeremy frignava spesso, Ross sapeva che era per la lontananza da sua madre. Clowance era prepotente e strillava se contrariata e pure lei ogni tanto era da mettere in riga.

Li vedeva solo di sera, al ritorno dal Parlamento, eccetto la domenica, giorno che dedicava interamente a loro. Ma era difficile, tanto, stare ad accudirli senza Etta e senza Demelza. Sua moglie sapeva cosa fare, come gestirli, come far fronte a ogni loro necessità, tutte cose che lui non aveva mai fatto e a cui non aveva del resto mai pensato.

Beh, ora lo sapeva, gestire due bambini era più impegnativo di una giornata in miniera!

Il momento preferito era la sera, quando li metteva a letto. Lì tornavano ad essere dolci, sonnacchiosi, giocavano con lui a letto e poi si addormentavano e li riportava nella loro stanza. Jeremy spesso chiedeva della mamma e lui glissava e cambiava argomento, sperando che la dimenticasse presto. Ma sapeva che non sarebbe successo perché lui stesso non avrebbe mai potuto dimenticarla.

Si chiedeva cosa facesse, se... se lo vedesse... Armitage... E Demelza... Demelza che una volta lo aveva amato più della sua vita e che ora era di un altro.

Eppure era difficile non chiedersi se ci fosse qualcosa da fare, da tentare, se davvero fosse tutto perduto. E se quella separazione fosse una cosa buona oppure no per i suoi bambini. Se lo chiedeva sempre, soprattutto la domenica mentre era con loro.

"Papà, che cos'è?" - chiese Jeremy, osservando il bicchiere davanti a lui, seduto composto alla sedia di un bar del centro.

Ross, con in braccio Clowance che giocava con un cucchiaio, lo imboccò. "Gelato al cioccolato. Ti piace?".

Il bimbo annuì. "Sì. Ma è freddo".

Ross si guardò attorno, era una splendida giornata di fine estate, soleggiata e calda. E si trovavano a pochi passi dalla reggia dei sovrani, in una via elegante e raffinata, diversissima dalla Cornovaglia. "Beh, oggi dubito che congelerai".

Jeremy gli prese il cucchiaio di mano per mangiare da solo. "Anche a mamma piacerebbe il gelato mi sa".

Ross si morse il labbro, odiava quando Jeremy andava su quel discorso perché non sapeva cosa dirgli. Fu Clowance a tirarlo fuori d'impaccio, mettendosi a gridare come una forsennata. Aveva solo un anno e mezzo e una voce che spaccava i timpani... "Che c'è?".

La bimba indicò la reggia dei sovrani. "Mio".

Jeremy rise e anche Ross dovette fare altrettanto. "Ah bimba mia, non è tuo".

"Mio, mio!" - ripeté Clowance, saltandogli sulle ginocchia.

Ross le accarezzò i capelli biondi. Era bellissima, una bambolina che avrebbe fatto impallidire qualsiasi principessa al suo cospetto. "Sai, credo che dovrò lavorare molto per comprarti un posto come quello".

Clowance ci pensò su, poi decise di tuffare la manina nel bicchiere col gelato. Infine ne prese una manciata e si portò le dita alla bocca, prendendo a leccarle e sporcandosi tutto il viso.

Jeremy rise ancora. "Mi sa papà che le principesse del castello non mangiano così".

"Credo di no" – rispose Ross, prendendo un fazzoletto per pulirla.

Clowance strillò ancora, contrariata, cercando di liberarsi da quella tortura. Ecco, erano quelli i momenti che Ross temeva di più e a cui faticava ancora a far fronte. "Clowance, si mangia col cucchiaio, non con le mani".

La bimba lo guardò con gli occhi lucidi, singhiozzando. "Papà?".

"Dimmi...".

"Pipì".

Ross spalancò gli occhi. E adesso? E ADESSO??? Guardò Jeremy in cerca di aiuto, ma il figlio sembrava più interessato al gelato che a lui. "Tesoro? Che fa Miss Etta quando Clowance deve fare pipì?".

"Gliela fa fare" – rispose il bimbo.

"Come?".

Jeremy alzò le spalle. "Dipende! Se siamo al parchetto la porta dietro a una pianta, se siamo a casa gliela fa fare nel catino e poi la lava e la riveste".

Ross sudò freddo, guardandosi in giro. Ok, niente panico! Non erano a casa, quindi... "Jeremy, c'è un parco nelle vicinanze?".

"E il gelato?".

"Ne prendiamo un altro, se mi indichi dov'è".

Il bambino sorrise. "E' vicino ma non tanto. E' un po' lontano".

Deglutì. Capire il linguaggio dei bambini era così difficile... Come faceva Demelza? Persino Prudie era più brava di lui, dannazione! "E' un po' lontano nel senso che non arriviamo in tempo?".

Jeremy alzò le spalle. "Boh, chiedi a Clowance, non a me! A me non mi scappa la pipì, scappa a lei".

Davanti a quell'osservazione in fondo geniale e più che ovvia anche per uno di quattro anni, Ross si sentì ancora più idiota. Poi si sentì i pantaloni bagnati, guardò Clowance e capì che in fondo non era più necessario andare al parco.

"Papà, cos'hai?".

"Pipì, pipì" – urlò contenta Clowance, con la gonnellina tutta bagnata.

Jeremy scoppiò a ridere divertito e alla fine dovette cedere e unirsi a lui. Era un bel momento, nonostante tutto e nonostante la pipì di sua figlia che gli colava sui pantaloni. Per un attimo pensò a Demelza e a come avrebbe riso se fossero stati insieme. E si rese conto che erano sempre stati pochi i momenti in cui avevano fatto qualcosa di rilassante insieme, c'era sempre dell'altro di più importante e urgente da fare.

Era questo che era mancato a Demelza? Era questo che l'aveva fatta allontanare? Era davvero stato tanto distratto da non accorgersi di quanto avesse bisogno di averlo vicino?

Era stato sicuramente ingenuo, questo sì, sottovalutando il pericolo che Armitage rappresentava per il suo matrimonio. O forse aveva sopravvalutato Demelza, la sua forza, la sua incrollabilità, il suo amore...?

Demelza era cresciuta, era cambiata e non era più la ragazzina che lo ammirava incondizionatamente come all'inizio del loro matrimonio. L'aveva ferita e umiliata e poi aveva sempre avuto paura di affrontare con lei le conseguenze del suo tradimento, illudendosi che tutto col tempo sarebbe tornato come prima per magia.

Invece...

Invece la ferita non si era rimarginata e se solo fosse stato più attento o avesse voluto vedere, forse sarebbe riuscito a correre ai ripari, anche se significava aprire con Demelza discorsi dolorosi, affrontare la vergogna, parlare del tradimento e delle sue conseguenze.

Sentirla parlare di Valentine come di suo figlio, l'aveva distrutto. Non aveva mai lontanamente sospettato che lei lo ritenesse possibile e lui stesso non ci aveva mai voluto pensare. I suoi figli erano Julia, Jeremy e Clowance e forse Valentine aveva il suo stesso sangue ma non era un figlio. Se anche lo aveva generato, non lo avrebbe mai cresciuto! E i figli – e ne era sempre stato convinto – erano di chi li cresceva, non di chi li generava.

"Papà" – si lamentò Clowance, riportandolo alla realtà.

Ross le sorrise, baciandola sulla fronte. "Ti da fastidio essere bagnata?".

"Sì".

Jeremy ingoiò l'ultimo cucchiaio di gelato, poi si alzò in piedi. "Papà?".

"Dimmi".

"La pipì puzza".

Ross sospirò, alzandosi in piedi mentre tutte le persone dei tavolini a lui vicini lo guardavano ridacchiando. Tossicchiò, prendendo Jeremy per mano. "Ehm, andiamo a casa?".

"Mia!" - ribadì Clowance, indicando la reggia reale.

Ross ridacchiò. "Sporca di pipì, non ti farebbero nemmeno avvicinare ai cancelli".

Saltellando verso di lui, Jeremy gli strinse la mano. "Papà?".

"Cos'hai ancora?".

"Lo fai tu il bagnetto a Clowance?".

"No, glielo farà Etta".

Il bambino gli fece la linguaccia. "Mi sa che se ti vede sporco di pipì, Etta il bagnetto lo fa anche a te".

Ross alzò gli occhi al cielo. "Beh...". Poi rise, sentendosi nuovamente leggero. Era domenica, avevano ancora tutto il pomeriggio davanti e dopo essersi lavati, poteva portare i bambini a fare un'altra passeggiata.

Era una bella giornata, nonostante tutto.

E con un pizzico di malinconia pensò che sarebbe stata perfetta se Demelza fosse stata con loro, che Londra le sarebbe piaciuta e che avrebbero riso insieme e giocato coi loro figli fino a sera.

Guardò al cielo, chiedendo a Dio una seconda opportunità. Non gli importava di quanto ci sarebbe voluto, di quanto sarebbe stato difficile. Voleva solo un'altra occasione e stavolta non l'avrebbe sprecata.

Non aveva mai pregato molto spesso ma quel giorno sperò che la sua richiesta arrivasse al cielo e a qualcuno lassù che poteva esaudirla.


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Capitolo 11
*** Capitolo undici ***


Dwight era stato il suo angelo custode e un ottimo amico, nonché medico.

La gravidanza questa volta era dura, piena di malesseri e senza il suo aiuto e quello di Caroline, Demelza non ce l'avrebbe mai fatta a tirare avanti.

Erano due grandi amici, gli Enys. Non invadenti, sempre gentili, non chiedevano e non giudicavano, le stavano solo accanto in quel momento così difficile ed erano gli unici a farlo oltre a Prudie che spesso veniva a farle visita per aiutarla col cucito e con la casa.

L'estate era stata calda e questo aveva accentuato di molto la sua nausea e all'inizio era stato difficile andare con Dwight al capezzale di Hugh.

Il poeta stava malissimo e giorno dopo giorno la sua vita sembrava sempre più appensa a un lumicino. Inizialmente riusciva di tanto in tanto ad alzarsi dal letto e a fare qualche passo in giardino nelle belle giornate, ma poi le gambe avevano iniziato a non sorreggerlo più, i dolori alla testa erano diventati lancinanti e continui e anche il suo fisico aveva preso ad indebolirsi e a non rispondere più a nessun comando.

Demelza, quando era abbastanza in forze per farlo, si era fatta accompagnare da lui da Dwight, in carrozza. Con la scusa di essere un'amica del giovane e moglie del suo salvatore e di accompagnare il medico per le sue visite, la donna era riuscita a stargli vicino come poteva. Alla tenuta degli Armitage i servi avevano preso con curiosità la sua presenza ma avevano finito con l'accettarla davanti alle insistenze di Hugh per averla vicina, anche se Demelza sapeva di essere oggetto di interminabili pettegolezzi. La madre di Hugh l'aveva sempre trattata con freddezza invece. Difficilmente le rivolgeva la parola e ogni volta che si incontravano, Demelza aveva la sgradevole sensazione che la spogliasse con lo sguardo per carpirne i segreti. Era una donna intelligente, bella ed elegante, Dorothy Armitage. Aveva quarantacinque anni, i capelli biondi, il volto altero e i lineamenti aggraziati come il figlio, ornati da due occhi azzurro ghiaccio. E senza bisogno di parole, Demelza sapeva di non essergli gradita.

I mesi estivi erano scivolati via così, velocemente. All'inizio Hugh le parlava nel suo consueto modo dolce e innamorato, ma imbarazzato di mostrarsi tanto fragile davanti a lei. Demelza lo aveva rassicurato e aveva fatto in modo di farlo sentire a suo agio ma si sentiva morire dentro davanti agli sguardi preoccupati che Dwight rivolgeva al giovane. Era così difficile guardare quel ragazzo così pieno di vita e con un futuro brillante davanti a se, spegnersi lentamente. Aveva sperato che guarisse, all'inizio. Ma poi, senza che Dwight glielo confermasse, aveva capito che non sarebbe mai potuto succedere.

Era stanca, preoccupata per lui e per se stessa e non riusciva a trovare un appiglio per pensare a qualche risvolto positivo. Ross se n'era andato ormai da mesi senza farle sapere più nulla, i suoi bambini forse cominciavano a dimenticare il suo volto, era spossata dalla gravidanza, il suo matrimonio era distrutto e il padre del bimbo che aspettava stava con ogni probabilità morendo. Piangeva spesso quando la sera si trovava a letto da sola, abbracciando il cuscino e sentendo nel suo cuore un enorme senso di vuoto. Faticava a mangiare e si imponeva di farlo unicamente per la creatura che portava in grembo. A parte questo, non pensava mai al bambino, cercava di rimuovere il pensiero e di relegarlo in un angolo remoto della sua mente perché ogni volta che si ricordava della sua esistenza, la paura e la disperazione avevano la meglio su di lei. Sapeva che sarebbe nato e sapeva che le consueguenze sarebbero state catastrofiche. In certi momenti desiderava ardentemente rivedere Ross, così forte, saldo, appassionato. I suoi bambini... Ma poi pensava al parto e sperava che non tornassero mai più per non scoprire quella realtà terribile che li avrebbe travolti come una valanga.

Quando venne settembre e con esso il fresco, la nausea si attenuò leggermente. Il suo ventre era ancora piuttosto piatto, mangiava pochissimo e la gravidanza non era ancora per niente visibile.

Una sera, mentre era a letto, sentì il primo calcetto. Quando era capitato con gli altri suoi bambini si era emozionata, ricordava che Ross con Julia si era commosso. Ma ora era diverso...

Ora quel calcetto delicato, simile allo sfarfallìo di una farfalla, rendeva tutto dolorosamente reale. Lui... o lei... c'era! E stava crescendo dentro di lei per essere pronto alla vita.


...


10 settembre


"Come sei pallida oggi".

Demelza, seduta sulla sedia accanto a Hugh, sorrise. "La tua vista deve essere peggiorata molto, in realtà ho un meraviglioso colorito roseo oggi" – gli rispose, scherzandoci su. "O il tuo è un modo carino di dire che non ho un bell'aspetto?".

Hugh, pallido come un fantasma, smunto e mangiato dalla malattia, sorrise nonostante tutto. "Non oserei mai dire una cosa del genere".

Dwight, che stava visitando Hugh dall'altro capo del letto, la guardò accigliato. "Demelza ha ragione, oggi è radiosa e tu stai diventando più cieco di una talpa".

Demelza guardò il medico, ringraziandolo silenziosamente con lo sguardo per avergli retto il gioco. In realtà quella era una giornata no per lei, le girava incredibilmente la testa e aveva di nuovo la nausea forte. Odiava quella sensazione e si chiese quando e se sarebbe mai stata meglio. Era al quarto mese di gravidanza inoltrato e di solito questo era per lei un periodo di grande benessere.

"Hugh, come vanno i dolori alla testa? Con la morfina sono un po' migliorati?" - chiese Dwight.

"Sì. Ma la morfina mi fa dormire sempre, non mi accorgo nemmeno del tempo che passa. Oggi non l'ho presa, preferisco avere l'emicrania e sentirmi vivo piuttosto che un sacco di patate senza vita arenato nel letto".

Dwight scosse la testa. "Devi prenderla! E' per il tuo bene".

"Il mio bene è guarire! Puoi aiutarmi a farlo?".

Il medico scosse la testa, lanciando a Demelza un'occhiata malinconica. "Un passo alla volta, Armitage".

Demelza abbassò lo sguardo, stringendo la mano a Hugh. Poi si alzò dalla sedia e con gli occhi lucidi gli preparò l'intruglio con la morfina. "Su, cerca di berlo. Fallo per me" – gli disse, avvicinando il bicchiere alle sue labbra.

"Se lo bevo, dormirò e non ti rivedrò chissà fino a quando".

Demelza prese un profondo respiro, la nausea stava diventando insopportabile e aveva bisogno d'aria. "Tornerò presto, te lo prometto".

Con malavoglia, per lei e solo per lei, Hugh bevve la medicina, poi si accasciò sul cuscino e sprofondò in un sonno profondo nel giro di pochi minuti, lasciando soli Dwight e Demelza.

Il dottore si alzò dal letto, riponendo le sue cose nella borsa. "Hai bisogno di stare all'aperto, stai per svenire. O vomitare".

La ragazza sospirò. "Aiutami ad uscire, non credo di potermi reggere in piedi troppo a lungo".

Dwight la prese sotto braccio, rimboccò le coperte a Hugh e poi la accompagnò nel giardino. Era una splendida giornata di fine estate, il sole era tiepido e i suoi raggi gentili, e tutto attorno a loro era un fiorire di piante di rara bellezza.

Ma questo non la fece stare meglio...

Stette di nuovo male di stomaco, sorretta da Dwight che poi la aiutò a sedersi sugli scalini della villa. "Demelza? Accidenti, oggi dovevi rimanere a casa".

Lei alzò gli occhi al cielo. "Non potevo, con Hugh ho come la sensazione che il tempo mi scivoli via dalle mani. E' così contento quando vengo a trovarlo e di occasioni per gioire ne ha poche. E' solo nausea da gravidanza, non sono moribonda".

Dwight abbassò lo sguardo, guardandole il ventre. "Quando glielo dirai?".

"Cosa?".

"Del bambino. Ancora non sospetta nulla, giusto?".

Demelza sospirò, poi lo guardò in viso. "Dimmi la verità sulle sue condizioni, Dwight. La VERA verità, non quella che racconti a lui".

Dwight scosse la testa. "Sta morendo. Nella sua testa c'è un male aggressivo che se lo sta divorando e che io no so curare. La malattia non era negli occhi, gli occhi sono la conseguenza di un male ancora più grande. Devi dirgli del bambino, non hai molto tempo".

"No, non lo farò" – rispose lei, accarezzandosi il ventre.

"Perchè?".

Demelza sorrise. "Perché dovrei dirglielo? Per farlo morire nella disperazione di sapere che avrà un figlio che non vedrà mai e di cui non potrà prendersi cura? Per farlo morire nella preoccupazione di quello che capiterà a me a causa di questo? Cosa cambierebbe dirglielo? Per me nulla... Per lui solo un'ulteriore angoscia. Io e Hugh non avremmo comunque mai potuto crescere insieme questo bambino, indipendentemente dalla sua malattia, per tantissime buone ragioni. Ti prego, tieni questo segreto per te e lasciamolo morire in pace".

Dwight annuì, accarezzandole la guancia. "Sei coraggiosa".

"Devo esserlo. Ho commesso un grande errore e ora ne devo pagare le conseguenze. Da sola! Hugh non c'entra, è mia la responsabilità di quello che è successo e del bambino che nascerà".

Dwight la abbracciò. "Potrai sempre contare su me e Caroline, lo sai?".

"Questo potrebbe costarti l'amicizia con Ross, ne sei consapevole?".

"Sono un medico, oltre che tuo amico. Tu e Ross avete commesso dei grandissimi errori, errori umani certo, che potevate evitare. Ma un amico, un amico vero, è nei momenti di bisogno che rimane, non in quelli lieti. Hai deciso di avere questo piccolino e io ti aiuterò a metterlo al mondo nel migliore dei modi".

Demelza sorrise. "Grazie Dwight. Al momento però, l'unica cosa che vorrei davvero è che tu mi liberassi dalla nausea. Non ce la faccio più!".

"E io vorrei che tu ti nutrissi più spesso. Sei al quarto mese e ancora non si nota nulla! Fingi pure tranquillità, ma sai bene che devi mangiare o questo bambino nascerà sotto peso".

"Come faccio a mangiare se vomito sempre?".

"Sforzati!".

In quel momento, sentirono dei passi accanto a loro e qualcuno si avvicinò, smuovendo coi piedi la ghiaia bianca del vialetto laterale della villa.

Demelza alzò lo sguardo, trovandosi improvvisamente davanti il viso severo di Dorothy Armitage. "Signora..." - mormorò, mentre Dwight si alzava per farle un inchino.

La donna non disse nulla, la squadrò freddamente e dopo un cenno del capo a Dwight, continuò la sua passeggiata.

Demelza trattenne il fiato. Non era mai stata particolarmente espansiva ma quella volta sembrava peggio delle altre. Aveva scorto astio nel suo viso, oltre che dolore e disapprovazione. "Dwight, pensi che ci abbia sentito?".

"Non lo so, spero di no".

Demelza sospirò. Aveva già fin troppi problemi a cui pensare e non ne aveva bisogno di altri.

E Dorothy Armitage poteva diventare un grande problema.


...


26 settembre


Pioveva quel giorno e Hugh era moribondo e senza conoscienza da una settimana. Divorato dalla febbre e dalle convulsioni, sembrava ormai distante dal mondo che lo circondava. Nemmeno le sanguisughe avevano sortito effetti e sembrava ormai impermeabile anche alla vicinanza di Demelza che per lui era sempre stata motivo di gioia e ritrovata forza.

Hugh urlava dal male la notte, delirava, si contorceva da dolori che dovevano essere lancinanti.

Dwight si recava da lui ogni giorno anche se sapeva di poter fare ben poco. La fine era vicina e lo ripeteva anche a Demelza, che gli era sempre a fianco.

Diluviava quel giorno, come se anche il cielo si stesse preparando all'inevitabile. E faceva freddo quasi fosse già inverno, col vento che scuoteva le fronde degli alberi e ne piegava i fusti.

I camini della tenuta erano già accesi e Demelza, nel salotto della villa, aspettava che Dwight finisse di visitare Hugh per andare al suo capezzale.

Una cameriera le aveva portato un bicchiere di Porto e lo aveva bevuto senza pensarci troppo su. Quel giorno stava bene, niente nausea e le pareva di tornare a vivere quando era così.

Il piccolino dentro di lei si era fatto più scatenato. I suoi movimenti erano sempre delicati e teneri, ma continui.

Accarezzò la pancia piano, mentre il piccolo pareva fare le giravolte. E mentre si chiedeva dove avesse trovato spazio per crescere, visto che la pancia era ancora appena accennata, Dorothy Armitage entrò nel salotto con una busta in mano.

Demelza si alzò di scatto, deglutendo. "Signora...". Si sentiva sempre a disagio al suo cospetto.

Dorothy la salutò con un cenno del capo, facendole poi segno di sedersi sul divano. E dopo che l'ebbe fatto, fece altrettando, sedendosi accanto a lei. "Signora Poldark, sono lieta che siate qui oggi, avevo giusto bisogno di parlarvi".

Demelza spalancò gli occhi. Parlarle? A lei? Che cosa poteva volere quella donna che mai, prima di allora, le aveva rivolto la parola se non quando strettamente necessario? "Ditemi pure".

Dorothy strinse la busta che teneva fra le mani, poi gliela consegnò con un gesto veloce.

"Cos'è?" - chiese Demelza.

"Sono cinquecento ghinee".

Demelza deglutì. "Cosa?".

"Denaro per comprare la vostra riservatezza e il vostro silenzio" – rispose Dorothy, freddamente.

D'istinto, come per proteggerlo, Demelza si portò la mano al ventre. "Non voglio il vostro denaro".

Dorothy si alzò dal divano, passeggiandole lentamente davanti. "Sapete, quando Hugh è nato ed era piccolo, era un bambino splendido. Me lo invidiavano tutti, coi suoi boccoli biondissimi, i suoi occhioni azzurri e i suoi modi di fare aggraziati. Mi dicevano tutti che un bambino così avrebbe avuto un futuro radioso davanti, una brillante carriera e un matrimonio vantaggioso, da favola. Era il mio orgoglio, E' il mio orgoglio! E voglio che tutti lo ricordino così, perfetto, splendente e senza macchia" – concluse, osservandole il ventre.

Demelza inspirò, a quanto pareva il suo segreto era stato scoperto. "E pensate che io voglia qualcosa di diverso?".

"Sapete cosa si prova davanti alla morte di un figlio, signora Poldark?" - la interruppe, stizzita, la nobildonna.

Annuì, mentre un velo di tristezza le trapassava il viso al ricordo della sua prima figlia. "Lo so bene. Persi la mia prima bambina, Julia, quando non aveva ancora due anni. Morì di gola putrida e io stavo talmente male da non poterle essere accanto".

Quelle parole parvero rompere per un attimo l'espressione fredda sul viso di Dorothy. Sembrò sorpresa. "Oh, mi dispiace, non lo sapevo".

"Non dovete scusarvi, è ovvio che non lo sappiate". Demelza si alzò in piedi, ridandole la busta. "Non voglio questo denaro, non serve che voi me lo diate e non ho intenzione di accettarlo per nessun motivo".

"Cosa volete allora?".

"Nulla, assolutamente nulla".

Dorothy le prese il polso, stringendolo lievemente. "Siete una donna sposata e portate in grembo il figlio di Hugh. Mio nipote! Un bastardo che renderà la vostra vita un inferno e getterà disonore sulla mia famiglia, se la cosa venisse scoperta. Hugh è sempre stato circondanto da bellissime ragazze e ha una visione dell'amore molto edulcorata e zuccherosa ma voi... Voi, una donna sposata! Con due figli piccoli! Come avete potuto farvi sedurre da lui come una ragazzina alle prime armi? Come avete potuto permettere che succedesse questo?".

Demelza abbassò lo sguardo, non sapendo come risponderle. Dorothy aveva ragione, aveva ceduto a Hugh in un momento di estrema debolezza senza pensare alle consueguenze e ora quel suo errore sarebbe stato scontato anche da altri. "Non so cosa dirvi, è successo ma non ho mai avuto l'intenzione di farlo pesare a Hugh. Non lo sa nemmeno".

"E vi ringrazio per la vostra discrezione! Hugh sta morendo ma anche se così non fosse stato, io non avrei mai permesso che quel bastardo che portate in grembo potesse essere in qualsiasi modo collegato a me e alla mia famiglia".

Demelza sospirò, sedendosi nuovamente sul divano. Bastardo... Ecco, aveva davanti agli occhi un'anteprima di quella che sarebbe stata la sua vita di lì in futuro. Stava per mettere al mondo un figlio che tutti avrebbero additato come illegittimo, canzonato e isolato. Ed era stata lei a permettere che succedesse una cosa del genere, lei, lei e solo lei! Aveva paura, ora avrebbe potuto anche urlarlo! Paura di non farcela, di non essere abbastanza forte e di non essere in grado di proteggere quel piccolino dalla cattiveria del mondo. "Non... Non avrei mai preteso nulla da Hugh in nessun caso. So che parlate per amore di vostro figlio e che volete proteggerlo e da madre non posso che essere d'accordo con voi. Non voglio quei soldi, non dovete comprare il mio silenzio perché lo avete già".

"Non vi farete più vedere qui, quindi?".

"No, mai più dopo che...".

Gli occhi di Dorothy divennero lucidi davanti a quella frase troncata. "Bene, allora abbiamo un accordo. Tuttavia desidererei che accettiate lo stesso il denaro. Prendetelo come un dono da una nonna per suo nipote".

Demelza sorrise amaramente. Quella donna aveva appena chiamato 'nipote' qualcuno che fino a due minuti prima aveva definito ' bastardo'. E anche se quel denaro le avrebbe fatto comodo, non lo avrebbe preso per nessun motivo al mondo. "Non posso accettare".

"Perché?".

"Perché, come avete detto voi, Hugh non sarebbe mai stato un padre per questo bambino. E di conseguenza voi non siete sua nonna. E' mio, solo mio e non voglio la carità di nessuno per crescerlo".

Dorothy si morse il labbro, colpita dalla fierezza delle parole di Demelza. "Il vostro orgoglio vi impedisce di chinare il capo per il bene del bambino?".

"Ho due braccia forti per lavorare, non ho bisogno d'altro".

In quel momento nella stanza entrò Dwight. Era pallido, sudato e il suo aspetto pareva trasandato e trafelato. "Venite di la, tutte e due".

Dorothy impallidì. "Che succede?".

Dwight chinò il capo, l'espressione sconfitta. "Siamo alla fine".

Le due donne scattarono verso la porta, correndo nel corridoio e Dwight le seguì, quasi senza forze.

Demelza entrò, ma rimase dietro a Dorothy di qualche passo. Era giusto così, aveva accanto una madre come lei che stava perdendo un figlio.

Dorothy si avvicinò al letto, strinse la mano a Hugh e lo chiamò.

Hugh, respirando a fatica, tossì e aprì gli occhi. Erano annebbiati, assenti e ormai lontani. "Dem... Demelza" – disse, con un filo di voce.

Dorothy gli accarezzò i capelli e lo baciò sulla fronte. "E' qui, sta tranquillo e non sforzarti".

Ma Hugh parve non sentirla nemmeno. "Demelza... Mamma, dov'è?".

E a quel punto la donna si voltò verso la giovane, implorandola con gli occhi di avvicinarsi al letto.

Dwight le diede una leggera spinta sulla schiena per incoraggiarla. "Coraggio, va da lui".

Si sentì di troppo, in quella stanza. Era Dorothy che doveva star vicino a suo figlio, non lei. Hugh era stato un grande amico, una dolce scintilla che le aveva scaldato il cuore mentre il mondo attorno a lei cadeva a pezzi. Ma l'amore, l'amore vero in quella stanza era quello di sua madre per lui, non il suo.

Ma si fece forza, si avvicinò per lui e anche per il piccolo che aspettava. Gli si sedette accanto e lo baciò sulla guancia con dolcezza, per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto per lei e per averla fatta sentire amata, speciale e bella. Non lo aveva mai fatto nessuno degli uomini della sua vita, non suo padre per il quale era poco più di una bestia da prendere a frustate, non Ross che nonostante dieci anni di matrimonio aveva continuato a vederla come una sguattera e per il quale era solo una distrazione nei momenti in cui non poteva stare con Elizabeth.

Per Hugh lei era stata speciale e se anche quel giovane non poteva essere l'amore della sua vita, di certo lei lo era stata per lui. "Hugh, sono qui".

Hugh la guardò e finalmente parve calmarsi e sorrise. "Oggi non sei pallida".

Demelza rispose al sorriso. "Merito del Porto che mi ha offerto tua madre".

Hugh guardò Dorothy, ringraziandola con un cenno del capo. Poi tornò a stringere convulsamente la mano di Demelza. Ricominciò a tossire e Dwight si accorse che gli mancava il respiro.

Demelza gli tenne la mano, mentre le lacrime le rigavano il viso. Vedere qualcuno morire era terribile e lo era ancora di più se si trattava di un giovane uomo a cui voleva bene e a cui presto avrebbe dato un bambino.

"Demelza" – implorò il giovane, tremando spaventato.

"Non avere paura". Si chinò su di lui, tenendogli la mano con la sua, mentre con l'altra si accarezzava il ventre. Per un istante, solo un istante, voleva donare a Hugh un momento con il loro bambino, anche se ne ignorava l'esistenza. Lo baciò sulle labbra, un bacio soffice e leggero, dolce e gentile come era stato lui. Sotto il palmo della sua mano sentì il piccolino muoversi e si trovò a pensare che sarebbe stato l'unico momento della sua vita in cui Hugh sarebbe stato suo padre e gli sarebbe stato vicino.

E dopo quel bacio, un addio silenzioso fra loro, Hugh Armitage morì tenendole stretta la mano.




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Capitolo 12
*** Capitolo dodici ***


Ottobre


Dopo la morte di Hugh, Demelza era crollata. I suoi nervi avevano ceduto e per giorni non aveva fatto altro che piangere e stare male. La nausea era tornata prepotentemente, era spossata e il suo stomaco era completamente chiuso, tanto che c'erano giorni in cui non mangiava praticamente nulla.

Non credeva che sarebbe stato così devastante, ma invece lo era. Hugh era stato un raggio di sole in quei mesi, un amico fedele e dolce e soprattutto era il padre del bambino che stava aspettando.

Sapeva che cedere a Hugh, donarsi a lui e vivere quella gravidanza erano gli errori più grandi della sua vita, così come sapeva che nonostante tutto il suo cuore sarebbe sempre appartenuto a Ross.

Ross, che non l'aveva mai amata davvero, ma che era sempre stato tutto il suo mondo. Pur non corrisposta, lei avrebbe sempre amato quel capitano testardo e indomito, coraggioso e sfuggente, generoso ma spesso avaro di gesti d'affetto. Anche se Ross probabilmente l'avrebbe odiata, quando avesse saputo, anche se lei lo aveva lasciato perché non aveva più avuto la forza per lottare, anche se aspettava il bambino di un altro, era la reazione di suo marito che temeva, più che tutte le difficoltà pratiche che avrebbe dovuto affrontare da sola.

Ross le aveva voluto bene a suo modo e pur amando Elizabeth, aveva avuto sempre a cuore il suo benessere. Presto non sarebbe più stato così e sarebbe stata sola, completamente. E nemmeno Hugh avrebbe più potuto aiutarla. Aveva sbagliato, era vero! Ma le braccia di Hugh l'aveva coccolata e sorretta, stretta e consolata. E ora... ora lui se n'era andato forse felice di aver raggiunto il suo sogno ma lasciando dietro di se uno strascico di dolore difficilmente sopportabile.

Hugh era morto giovane, nel fiore degli anni, amandola e chiamando il suo nome...

Hugh, che non avrebbe mai potuto vedere il suo bambino... E pur convinta di aver agito per il giusto non dicendogli nulla, si sentiva in colpa per averlo privato di quella verità. Anche se non avrebbero mai potuto crescerlo insieme, anche se lei NON voleva crescerlo con lui come una famiglia, per Hugh sarebbe stata fonte di gioia sapere che nel mondo c'era un suo piccolo erede.

"Demelza, sono preoccupato!".

Dwight, venuto a visitarla, pareva anche seccato oltre che preoccupato e lei non aveva voglia di paternali. "Smetti di farlo, la gravidanza è piena di malesseri". Le spiaceva essere brusca ma stava talmente male che non gli riusciva proprio di essere gentile e accomodante, nemmeno con chi stava cercando di aiutarla.

"Da quanto non mangi?".

Demelza sospirò, non aveva dannatamente voglia di parlare. "Da ieri sera. Oggi son stata male tutto il giorno".

Dwight guardò Prudie, venuta da Nampara a farle visita, preoccupata per le sue condizioni così precarie. "Demelza, sono le QUATTRO del pomeriggio. E sei incinta".

"Mangerò più tardi".

"Ti preparo una zuppa calda, ragazza. Ti farà bene" – intervenne Prudie, avvicinandosi al piccolo piano cottura del mulino.

"Non voglio niente" – rispose Demelza, pensando che l'unica cosa che avrebbe desiderato in realtà era che se ne andassero e che la lasciassero sola.

"Devi mangiare, non ti reggi nemmeno in piedi" – insistette Dwight.

"E allora dormirò".

Lo sguardo del medico divenne serio. Lanciò un'occhiata a Prudie, poi le si sedette accanto, sul letto. "Tu qui da sola non ci resti! Ne ho parlato con Caroline e anche lei è d'accordo sul fatto che dovresti venire a stare da noi per un po'. Fino al parto almeno, sei troppo debilitata per continuare a vivere qui".

A quella proposta e davanti al cenno affermativo di Prudie, Demelza spalancò gli occhi spaventata. "NO!".

"Non te lo sto chiedendo, te lo sto ordinando! Da medico".

"Sono grande abbastanza per decidere da sola".

"Demelza...". Prudie le prese la mano, accarezzandogliela. "E' per il tuo bene".

Dwight annuì. "Demelza, hai deciso di avere questo bambino e di portare avanti la gravidanza e onestamente, se continui così, questo figlio tu lo ucciderai. Sei al quarto mese e nemmeno ti si vede la pancia, sei magrissima, non mangi e stai male giorno e notte. Sei stanca, stressata e sola. Affidati a noi, per questi mesi almeno... Fallo per il piccolo, se non vuoi farlo per te...".

Demelza distolse lo sguardo, liberandosi dalla stretta di Prudie. "Ho un lavoro al villaggio, non posso venire".

Dwight sospirò. "Un mio servitore verrà a Illugan a prendere la stoffa per il tuo lavoro da sarta e poi riporterà il tutto, una volta che avrai rammendato e cucito, a Illugan".

"Non posso accettare".

Il medico si morse il labbro, seccato. "Sei come Ross, stessa testa dura. E visto che stiamo parlando di lui e visto che tu stai molto male... o accetti la mia proposta o mi vedrò costretto a scrivergli a Londra".

Demelza deglutì, spaventata e stupita dalla minaccia di Dwight. Scrivere a Ross? Per dirgli...? "Cosa? Perché?".

"Perché sei sua moglie e la madre dei suoi figli. E stai malissimo, sono preoccupato per te. E viste le tue condizioni così precarie, è mio dovere informarlo".

Non sapeva se Dwight bluffasse o meno, ma il suo sguardo serio prometteva guai e le suggeriva che era meglio non indagare. Il piccolo le diede un calcetto e capì che non poteva rifiutare quell'aiuto, che doveva mettere da parte il suo orgoglio e farlo per lui. O lei. Era vero, non si stava prendendo cura del bambino e sapeva che doveva nutrirsi e cercare di stare bene se voleva che crescesse forte e sano. "E sia. Ma solo fino al parto! E lavorerò mentre sarò da te".

Prudie e Dwight si guardarono negli occhi soddisfatti. "Bene, ti aiuto a preparare le tue cose, ragazza" – esclamò la serva, finalmente più tranquilla.


Dicembre, Natale


L'inverno era gelido quell'anno e la Cornovaglia era sconquassata da venti polari che ne investivano le campagne senza pietà.

Nevicava spesso e le piante, con le loro fronde, erano congelate anche durante il giorno.

Demelza aveva passato a letto molte settimane dopo il suo arrivo nella grande villa di Dwight e Caroline. Inizialmente perché stava male e faticava a riprendersi e successivamente per recuperare le forze perse a causa di quei mesi di forte stress e dolore.

Stava meglio, non poteva negarlo! Accettare, seppur forzatamente, l'invito di Dwight a trasferirsi da loro era stata la decisione migliore degli ultimi mesi.

Le nausee pian piano erano passate, aveva ricominciato a mangiare con più gusto e finalmente la pancia aveva iniziato ad essere evidente, cosa che le aveva fatto tirare un sospiro di sollievo.

I primi mesi, finché Hugh era stato vivo, non si era mai concentrata sul bambino. Troppe incognite, troppo dolore, troppe cose che le giravano attorno e la facevano soffrire. Ma dopo la morte del giovane, il piccolo era diventato la sua unica realtà, l'unico appiglio in un mondo dove era rimasta pressoché sola. Quel bambino era un nuovo inizio ma purtroppo lo sapeva, allo stesso tempo era un taglio netto e doloroso col suo passato. Averlo, dargli la vita, significava dover rinunciare agli altri suoi figli e questo le straziava il cuore.

E il giorno di Natale questo era ancora più devastante.

Aveva poltrito a letto fino a tardi dopo una notte passata a piangere e poi si era lavata e vestita per finire di nuovo a ricoricarcisi. Aveva preso la lana che le aveva donato Caroline e ricominciato a cucire, seduta nel letto, i vestitini e le copertine per il piccolino. Era ormai al sesto mese di gravidanza e quel lavoro così silenzioso e tranquillo sapeva isolarla dalla realtà e rasserenarla. Però quel giorno era difficile lo stesso...

Ross era a Londra, coi suoi bambini... E lei non era con loro... Lei non sarebbe mai più stata con loro! Si chiese quanto fossero cresciuti, cosa facessero e soprattutto, se si ricordassero di lei. Non li vedeva da cinque mesi e cinque mesi sono tanti per dei bambini tanto piccoli.

Il bimbo dentro di lei, quasi intuendo i suoi pensieri foschi, le diede un calcio. Non era mai violento come lo era stata Clowance durante la gravidanza, questo bambino era tranquillo e pacifico, discreto e delicato nei movimenti. La inteneriva il suo muoversi piano, i suoi calcetti che sembravano più carezze e si chiedeva spesso come sarebbe stato, com'era il suo viso o il colore dei suoi capelli.

In quel momento, mentre si accarezzava il pancione, Caroline bussò ed entrò in camera, portandole un vassoio pieno di dolci e del tè. "Buon Natale mia cara. Visto che ti attardavi, ho pensato di portartela io la colazione. Stai bene?" - chiese, sedendosi accanto a lei sul letto. Prese un gomitolo di lana fra le mani, rigirandosela fra le dita. "Stai di nuovo cucendo? Su, è Natale, tirati su e vieni giù con noi".

Demelza sospirò. "Non ho dormito molto questa notte e preferisco stare qui tranquilla ancora un po'".

"Scenderai per pranzo però, vero?" - insistette l'ereditiera. "Le cameriere hanno cucinato un sacco di cose e visto che Dwight è un orso e non abbiamo ospiti, sei obbligata ad aiutarci a finire il cibo. Più tardi verrà pure Prudie con noi a tenerci compagnia".

Demelza sorrise, erano così gentili con lei, anche se questo poteva costare a entrambi l'amicizia di Ross. Era bello avere amici del genere, che la proteggevano e si preoccupavano per lei. L'avevano ospitata e avevano tenuto nascosta la sua presenza al mondo per consentirle di stare tranquilla senza essere circondata da malelingue. Trenwith era troppo vicina per sfuggire alla voci della sua gravidanza e se George lo avesse saputo, una volta a Londra quanto ci avrebbe messo ad informare Ross di quel pettegolezzo? "Certo che scenderò per pranzo, sta tranquilla" – sussurrò, con un filo di voce.

"Demelza, stai bene?" - chiese Caroline, prendendole la mano. "Sembri così triste".

Si morse il labbro, non riusciva a mentirle e sì, era triste. "E' che è Natale e stavo pensando a quando lo festeggiavamo a Nampara tutti insieme, con Ross e i miei bambini. Ora sono a Londra e non li vedo da tanto! Clowance ha compiuto due anni il mese scorso e io non c'ero! E non ci sono nemmeno oggi a vederli aprire i loro regali... Jeremy adora giocare con le costruzioni in legno e magari a Clowance piacciono le bambole e io... io...". Scoppiò a piangere, piegandosi su se stessa, rendendosi conto giorno dopo giorno delle consueguenze delle sue scelte. Tornare indietro non si poteva, forse nemmeno lo voleva e di certo sarebbe stato difficile proseguire il matrimonio con Ross dopo quello che aveva scoperto fra lui ed Elizabeth. Ma a volte si chiedeva se per il bene dei bambini non sarebbe dovuta rimanere a Nampara. Senza l'amore dell'uomo di cui era innamorata, intrappolata in un matrimonio finto ma almeno vicina ai suoi figli.

Caroline la abbracciò, accarezzandole la schiena. "Stanno bene, i tuoi piccoli sono col loro padre e sono sicura che Ross farà passare loro un bel Natale. E sono anche sicura che la piccola Clowance ha avuto una grande e bella festa per i suoi due anni. So che vorresti essere con loro, ma consolati pensando che stanno bene e che Ross farà di tutto perché siano felici".

Demelza sorrise amaramente. "E se Elizabeth e George fossero a Londra? Se Ross lasciasse soli i bambini per correre da lei?".

Caroline sospirò. "Non lo farebbe mai e lo sai anche tu!".

Abbassò lo sguardo perché no, non lo sapeva. Ma in cuor suo sperava che Caroline avesse ragione.

L'ereditiera le sorrise, pizzicandole la guancia. "Cambiamo argomento, dai! Pensiamo a qualcosa di produttivo".

"Del tipo?".

"Il nome del bambino! Come lo chiamerai? Ci hai già pensato?".

Demelza si guardò la pancia, sorridendo. "A dire il vero, no. I nomi li sceglievo con Ross".

"Beh, pensiamoci visto che Ross ovviamente non c'è!" - insistette Caroline – "Che nome ti piacerebbe?".

Ci rifletté su. In realtà non aveva in mente niente di particolare, sapeva solo che voleva dare al bambino un nome dal suono gentile e delicato. Un nome che poteva piacere a un poeta, un nome che sarebbe piaciuto a Hugh. Almeno questo, glielo doveva. Espresse quel pensiero, e Caroline si accigliò, incrociando pensierosa le braccia al petto. "Che ne dici di Madeline? O Marghuerite?".

Demelza la guardò storto. "Troppo lunghi!".

"Eve?".

Demelza scoppiò a ridere. "Troppo biblico!" - esclamò, affondando nei cuscini divertita.

Caroline sorrise. "Se è maschio, che ne dici di Boris?".

"E' orribile!".

"Trovato! Unwin" – esclamò l'ereditiera.

E a quel punto Demelza rise davvero di gusto, come non le succedeva da tanto. "Scordatelo! L'unico Unwin che ho conosciuto non mi ha fatto una bella impressione".

Caroline le strizzò l'occhio. "Non dirlo a me! Comunque, la cosa importante è che tu non scelga il nome Sarah".

"Perché?".

L'amica le sorrise. "Perché Sarah è mio! Sarà il nome della mia bambina, quando nascerà. E non possiamo avere due bambine con lo stesso nome, pensa alla confusione che questo genererebbe".

A quelle parole, Demelza spalancò gli occhi, tirandosi su di scatto. "Stai dicendo che...?".

Caroline scosse la testa, indietreggiando sbigottita. "NOOO! Non ancora almeno. Ma quando capiterà che mi troverò con una marmocchia con la faccia di Dwight fra le braccia, mi piacerebbe chiamarla Sarah. Tutto qui".

Demelza le sorrise, stringendole la mano. "Ti auguro che succeda presto. E' bellissimo, sai, diventare mamma?".

"Sarà bellissimo... In un futuro lontano". Caroline non sembrava condividere il suo entusiasmo ma annuì, forse per farla contenta. "Riguardo a te, invece... Che ne dici di Eleanor?".

"Eleanor?".

Caroline le accarezzò la pancia. "Sì, Eleanor! Se fosse una bambina, ovviamente. Ha un suono dolce come vuoi tu e sembra il nome adatto che utilizzerebbe un poeta per le sue ballate. Un nome romantico, insomma".

Demelza chiuse gli occhi, ripetendo nella mente quel nome. E immediatamente se ne sentì innamorata... Era il nome giusto! A lei piaceva e sarebbe piaciuto pure a Hugh! "Eleanor... Ellie! Mi piace" – disse, accarezzandosi dolcemente il ventre.

"E sia" – disse Caroline. "Se è femmina, siamo a posto. E il cognome?".

Demelza inspirò profondamente. Il cognome non poteva essere Poldark e non poteva essere Armitage... Scelse la cosa più difficile ma più giusta per tutti. "Carne".

Caroline deglutì. "Sei sicura?".

"Sicura" – disse Demelza, accarezzandosi di nuovo la pancia.


21 marzo, primo giorno di primavera


Attorno a lei sentiva suoni ovattati e lontani. Si sentiva come sospesa nel nulla, immobile e intontita.

Aveva ricordi confusi di quello che era successo nelle ultime ore ma man mano che riacquistava padronanza di se stessa, iniziava a ricordare nitidamente tutto quanto...

Il travaglio era iniziato in piena notte, improvviso, con dolori tanto forti da farla svegliare di soprassalto. Si era alzata e aveva dovuto aggrapparsi alla spalliera del letto per non cadere e poi, con una forza che non pensava di possedere, si era trascinata fino al corridoio a cercare aiuto.

Per la prima volta in vita sua si era sentita spaventata. Non le era mai successo quando aveva partorito i suoi bambini, le loro nascite erano sempre state accompagnate dalla meraviglia del loro arrivo, dalla consapevolezza di una nuova vita che avrebbe arricchito la sua e i dolori del parto non le erano mai pesati troppo perché sapeva che erano solo un breve istante in una vita poi fatta di amore.

Ma quella volta era diverso...

Non era a Nampara e non era il figlio di suo marito che stava venendo al mondo. Stava per partorire il figlio di un uomo che non aveva amato ma a cui aveva voluto bene, era sola e senza affetti e il suo amore, il suo vero amore, era lontano coi suoi bambini e un giorno l'avrebbe odiata per questo. Ma dall'altra parte c'era quella nuova, piccola e innocente vita che cresceva in lei, una vita da tutelare e proteggere oltre che amare, un bambino che non aveva chiesto di venire al mondo ma c'era e come tale andava rispettato.

Dwight era corso subito al suo cappezzale con l'aiuto di una cameriera anziana che aveva già avuto esperienza come levatrice.

Ricordava poco di quei momenti concitati, solo le contrazioni subito ravvicinate, un dolore che non riusciva a gestire e le urla. Non aveva mai gridato tanto durante i precedenti parti.

Era stato tutto veloce e intenso, troppo per lei. L'ultimo ricordo che conservava era la voce di Dwight che le diceva di spingere e poi, forse, il flebile pianto di un neonato.

Non riusciva a ricordare il momento esatto in cui il suo bambino era venuto al mondo perché per qualche strano motivo si sentì stanca, tutto divenne nero e svenne. Non le era mai capitato nemmeno questo...

Quando riaprì gli occhi, le coperte e le lenzuola erano candide e pulite, era stata lavata ed indossava una camicia da notte fresca di bucato che profumava di lavanda.

La stanza era ancora avvolta dall'oscurità del primo mattino, fuori pioveva furiosamente e tirava vento mentre attorno a lei sentiva il calore del camino che scoppiettava.

Cercò di rimettere insieme le idee e d'istinto si accarezzò il ventre. Il bambino non c'era, era tornato piatto e di colpo spalancò gli occhi, cercando la sua presenza accanto a lei, nel letto. Ma non c'era...

Sentì il cuore balzarle nel petto e un terrore sordo che prendeva possesso della sua mente. Dov'era il suo bambino? Cos'era successo?

Si alzò, tentò di sedersi ma un capogiro la fece ricadere indietro, sul cuscino. Si sentiva terribilmente debole, distrutta.

Dwight, accanto a lei, intento a sistemare i suoi attrezzi nella sua borsa di medico, si accorse che era sveglia e corse subito al suo capezzale. "Demelza, sta tranquilla e non fare sforzi".

Quasi non sentendolo, gli strinse le maniche della camicia. "Il mio bambino? Dov'è?".

Il medico si sedette accanto a lei, prendendole la mano. "Sei stata male dopo il parto, sei svenuta e hai perso molto sangue. E' nella stanza accanto, con una domestica e con Caroline. Ho preferito lasciarti riposare e non farti disturbare dal suo eventuale pianto".

Al diavolo! Disturbata dal suo pianto? Del suo bambino? Lo voleva, lo voleva con lei SUBITO! "Portalo qui" – urlò, quasi isterica.

"Riposa ancora un po'".

"Avrà fame, devo allattarlo. Voglio vederlo!".

"Per ora ci affideremo a una balia".

Demelza scosse la testa, inorridita da quella proposta, agitata e in preda a una crisi di nervi. I ricchi e i nobili si affidavano alle balie ma non lei, lei aveva sempre allattato ogni suo figlio e lo avrebbe fatto anche stavolta. "VOGLIO MIO FIGLIO!".

Dwight la studiò in volto, poi capendo che non poteva fare molto per farle cambiare idea, annuì. "Torno subito". Uscì dalla stanza e comparve poco dopo con un fagottino in braccio, avvolto in una morbida coperta bianca. Si avvicinò e lo adagiò sul suo petto, sorridendole. "Forse dovresti rivolgerti a lei usando il femminile. E' una bimba bellissima e in salute, anche se piuttosto minuta".

Demelza trattenne il fiato. Era emozionante, come la prima volta. Sarebbe sempre stato emozionante stringere un figlio appena nato fra le braccia, indipendentemente dalla sua provenienza. In quel momento non c'erano Ross, Hugh o altro, c'era l'amore di una madre che aveva portato dentro di se per nove mesi un figlio che era cresciuto in lei e con lei. Un figlio che respirava, piangeva, rideva e aveva bisogno di cure e amore come ogni bambino del mondo.

Abbassò lo sguardo e la vide, piccola e perfetta. Aveva i capelli biondissimi, il visino rotondo, le sopracciglia lunghe, un minuscolo nasino all'insù e dormiva pacifica e tranquilla, come se ciò che la circondava non la riguardasse. Indossava una tutina rosa con un cappuccio che le ricopriva in parte la testolina, un'idea di Caroline probabilmente, e stringeva fra le braccia un pupazzetto a forma di coniglio.

Era meravigliosa, perfetta. E per un attimo si chiese come un suo errore avesse potuto generare qualcosa di così bello...

C'era, esisteva davvero adesso. E si rese conto che doveva essere così, che il destino voleva che quella fosse la sua strada. Non sapeva ancora il perché e dove conducesse ma quella bambina doveva esistere. La sua vita non sarebbe stata completa senza di lei e nonostante tutte le paure che l'avevano accompagnata, sentì di amarla e che ogni difficoltà che avrebbe affrontato sarebbe stata nulla rispetto alla gioia di essere sua madre.

La baciò sulla punta del nasino, senza che la bimba desse cenno di svegliarsi. Era pacifica e tranquilla come lo era stata per nove mesi dentro di lei.

Dwight le sfiorò la spalla. "Demelza, per oggi sìì un po' egoista e pensa a lei e a te soltanto. Dimentica il resto, questa piccolina si merita ogni tua attenzione e la tua gioia nell'averla al mondo. Ai problemi pensa domani, non scapperanno e saranno lì ad aspettarti. Ma ora goditi questa bimba come ogni madre dovrebbe fare dopo un parto".

"Lo farò" – rispose Demelza, con gli occhi lucidi. Era d'accordo con Dwight, anche se il suo cuore era spezzato all'idea che non ci fossero i suoi bambini lì con lei, a vedere la loro sorellina. Sorellina... Ross non avrebbe mai permesso che la considerassero così, lo sapeva, pensò tristemente.

Ma nonostante questo, li avrebbe voluti accanto. Voleva riabbracciarli, non li vedeva da più di otto mesi e questa cosa la faceva impazzire.

E poi... Era strano perché l'aveva ferita e delusa tante volte e aveva scelto lei stessa di andarsene ma in quel momento, anche se era la figlia di Hugh che teneva fra le braccia, desiderava avere vicino Ross. Voleva che la stringesse a se e la facesse sentire protetta e al sicuro ed era il desiderio più assurdo che avesse mai formulato nella sua vita. Perché non sarebbe mai successo...

Pensò ad Elizabeth e a Valentine e sentì una fitta al cuore. E decise che Dwight aveva ragione, solo la sua bambina contava, in quel momento. "Posso stare sola con lei?".

"Certo. Ma non sforzarti, riposa e dormi finché lei dormirà".

Demelza annuì. Si stese sotto le coperte e mise accanto a se la piccolina. Stringeva forte il suo peluches, sembrava non volerlo lasciare per nulla al mondo.

Quando Dwight se ne fu andato, le accarezzò il visino, le baciò la fronte e le guance e la strinse a se. "Mi dispiace di averti fatta nascere in questa situazione, senza denaro, senza una vera e propria casa e senza un papà. Succederà che ti diranno cose brutte, la gente sa essere cattiva. Ma tu non ascoltarli e corri da me, ti proteggerò sempre".

La baciò nuovamente sul nasino e la piccola finalmente aprì gli occhi. Erano azzurri, di un azzurro intenso che ricordava il mare e col contorno blu. Meravigliosi, puliti, profondi.

"Eleanor, sei bellissima" – le sussurrò, pronunciando per la prima volta il suo nome. E ora che la vedeva, lo trovò giusto e adattissimo a lei. Eleanor, dal suono delicato e dolce, come lei.

La piccola strinse a se ancora più forte il pupazzetto, la guardò e poi chiuse gli occhi, appoggiando le labbra contro il suo collo e riaddormentandosi.

Demelza sorrise e la cullò fra le braccia, cantandole una ninna nanna. Sentì gli occhi pungerle e improvvisamente si ritrovò a piangere. Non sapeva perché... Era gioia? O dolore, stanchezza e disperazione?

Era mamma, di nuovo. Ma una mamma a metà e anche se Dwight le aveva detto di non pensarci per quel giorno, non ci riusciva.

Si sentiva sola, terribilmente. Aveva appena partorito e come ogni donna desiderava essere abbracciata dal proprio amore.

Ma il suo amore era lontano, non era il padre della bimba che aveva partorito e amava un'altra. Aveva sempre amato un'altra e tante volte in quei mesi aveva ripensato al suo matrimonio con lui, chiedendosi perché non fosse bella come Elizabeth e perché non era stata capace di farsi amare da Ross come ci era riuscita lei. Cosa c'era di tanto sbagliato in lei? Perché suo marito, nonostante gli anni insieme, le lotte e i figli, non era mai riuscito ad amarla e aveva cercato conforto in un'altra?

Era davvero inadatta ad essere amata, lei?

La piccola Eleanor, accanto a lei, emise un vagito, riaprendo gli occhi e cercandola con lo sguardo. Demelza si asciugò le lacrime e la strinse a se forte, rendendosi conto che forse no, non era vero che era inadatta all'amore. Eleanor era amore, così come Clowance e Jeremy, anche se erano lontani assieme al loro padre che non gli avrebbe più permesso di rivederli.

Ma Eleanor no, lei era sua, solo sua. E nessuno gliel'avrebbe mai portata via. Non avrebbe mai sostituito gli altri figli ma era e sarebbe diventata la sua ragione di vita, l'unico appiglio per non cedere alla disperazione.

Le sorrise, riprendendo a cantarle una ninna nanna. E la piccola richiuse gli occhi, stretta al suo pupazzo, riaddormentandosi placidamente.




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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


Era tornata ad Illugan, nella sua casetta-mulino nel bosco, due settimane dopo il parto. Ci aveva messo un po' a riprendersi fisicamente ma appena stata bene aveva deciso che era ora di tornare a gestirsi da sola la sua vita. Farsi coccolare da Dwight e Caroline non le sarebbe stato di aiuto, così come non lo sarebbe stato adagiarsi sugli allori. Aveva molte sfide da affrontare da sola ed era ora di iniziare a farlo. I suoi due amici erano stati meravigliosi con lei in quei mesi ma averla tenuta con se avrebbe potuto crear loro problemi con Ross e soprattutto, si sentiva di troppo con una neonata, con loro. Erano due sposini e avevano diritto a privacy e romanticismo e non era il caso di disturbarli oltre coi suoi problemi e col pianto notturno di una neonata.

Anche se, a onor del vero, Eleanor era bravissima e piangeva raramente. Piagnucolava quando aveva fame ma bastava attaccarla al seno e subito smetteva, oppure quando perdeva il suo coniglietto ma anche lì, bastava rimetterglielo fra le braccia per tranquillizzarla e farla riaddormentare. Lo adorava e Demelza sospettava che sarebbe stato un affetto costante durante la sua infanzia.

Era una bimba pacifica e tranquilla, forse la più calma fra i suoi figli e prendersi cura di lei l'aveva fatta rifiorire e rinascere dopo mesi di dolore. Si sentiva di nuovo madre, una madre vera e non un surrogato di ciò che era stato e che aveva perso. Si sentiva forte, una leonessa! Non avrebbe mai permesso a nessuno di farle del male. E aveva riacquistato una sorta di serenità, anche se il pensiero di Ross, strisciante, non l'abbandonava mai. Perché prima o poi sarebbe tornato o avrebbe saputo. E per lei sarebbe stato l'inferno.

Tornata a casa, aveva ripreso a lavorare. Quando Eleanor dormiva, cuciva e rammendava e ogni giorno, con la bimba fra le braccia, portava il lavoro finito al villaggio. Percorreva la strada di campagna portando Eleanor in una fascia e tenendo gli abiti cuciti fra le braccia. Era una routine faticosa ma si sentiva finalmente viva e utile, con la vita di nuovo in suo pieno possesso.

Era tornata ad essere la vecchia Demelza, quella che non stava mai ferma e non aveva paura di lavorare e che si sarebbe spezzata la schiena per i suoi figli. Erano finiti i tempi dei pianti e della tristezza che la facevano da padroni, aveva scelto di avere Eleanor e ora doveva e voleva prendersene cura.

Era un pomeriggio assolato quello, un giorno tiepido di aprile dal sapore tardo-primaverile. Camminava verso casa, su quella strada sterrata che ormai conosceva palmo a palmo, col sole che tramontava che le illuminava il cammino e i campi pieni di grano tutti attorno a lei.

Canticchiò una canzone mentre Eleanor, nascosta nella fascia che una volta aveva usato anche per portare Julia, la guardava assonnata. "Hai fame, amore?" - le chiese, avvicinando l'indice alla sua bocca.

La bimba succhiò per un attimo, ma poi sbadigliò, chiudendo gli occhi e dimostrando che forse poteva aspettare ancora un po' per la poppata. Demelza sorrise, sospirando sollevata. Mettersi ad allattare in mezzo alla campagna, coi contadini sui loro carri che andavano e venivano, non era decisamente l'ideale.

Tutti avevano preso con curiosità la nascita di Eleanor. A Illugan si lavorava sodo, la vita era dura e non c'era tempo per i pettegolezzi e quindi a nessuno importava che lei avesse una figlia a cui aveva dato il suo cognome e non quello del marito, la cosa importante era non dover sborsare denaro per questo.

Aveva battezzato Eleanor a casa di Dwight, subito dopo la sua nascita, con padrino e madrina i suoi due cari amici. Il sacerdote aveva storto il naso ma la salvezza di un'anima innocente era passata in primo piano rispetto allo scandalo che la sua nascita avrebbe generato e quindi la piccola era entrata a pieno titolo fra i fedeli della zona, nonostante tutto.

Ripensando al Battesimo, Demelza raggiunse il bosco, vagamente stanca dalla camminata. Sperò che Eleanor dormisse un po' per poter fare altrettanto, ma i suoi piani fallirono miseramente. Davanti al mulino, a sorpresa, c'era un cavallo bianco maestoso che pareva aspettare lei e non le ci volle molto per ricordarsi che quell'animale magnifico lei lo aveva già visto. Il cuore le balzò in petto, spalancò gli occhi e guardò la sua bambina. "Hugh?". Accelerò il passo, chiedendosi come fosse possibile che lui... lui...

Una donna comparve dal retro, dove c'era il piccolo pollaio in cui era riuscita a mettere qualche gallina e un paio di coniglietti. "Buona sera, spero di non disturbare".

Demelza si bloccò, impietrita. No, non era Hugh e del resto sarebbe stato impossibile il contrario. "Dorothy..." - sussurrò, freddamente, stringendo di riflesso a se, a protezione, la bimba. Cosa ci faceva lì la madre di Armitage?

"Sono solo di passaggio, sono in partenza per Londra a dire il vero. E visto che son passati molti mesi da... da...".

"Dalla morte di Hugh? Sì, ne son passati sette" – la interruppe Demelza. "Cosa ci fate qui?".

"Volevo vedere...".

Dorothy fece per avvicinarsi ma Demelza arretrò, stringendo a se la piccola. La madre di Hugh era sempre stata molto fredda con lei e non aveva mai nascosto, sotto una forzata cortesia, il suo astio nei suoi confronti. E ora, con la bambina con loro, sentiva l'esigenza di proteggere sua figlia. "La bambina? Siete qui per vedere la mia bambina?".

Dorothy impallidì. "E' una femmina?".

"Sì, una bellissima bambina bionda e in perfetta salute" – rispose Demelza, freddamente.

"Somiglia a Hugh?".

"Un po', credo".

L'atteggiamento distaccato e sulla difensiva di Demelza, fece abbassare il capo a Dorothy. Perse la sua espressione altera e aristocratica e il suo viso parve assumere fattezze più gentili. "Ne sono felice".

Demelza la osservò. Era una donna aristocratica, sicuramente viziata e con una mentalità lontanissima dalla sua ma in quel momento vide in lei dolore vero e solitudine. Aveva perso un figlio come lei aveva perso Julia e forse proprio per questo poteva immedesimarsi in lei e compatirla per il comportamento duro che aveva tenuto nei suoi confronti durante la malattia di Hugh. Osservò Eleanor che dormiva placidamente nella fascia, per nulla disturbata dalle loro voci. "E' tranquillissima, una bambina meravigliosa" – disse in tono più gentile, per condividere anche solo per un attimo qualcosa con Dorothy di quella piccolina. Non ne sarebbe mai stata la nonna e Ellie non sarebbe mai stata sua nipote ma forse quel breve istante insieme poteva ridare un po' di colore alla sua vita.

"Posso vederla?".

Demelza annuì. "Sì".

Lasciò avvicinare la donna e Dorothy allungò una mano, con gli occhi lucidi, ad accarezzare una guancia alla bambina. "Avevate ragione, è bellissima".

"Volete tenerla in braccio?" - chiese, facendo quasi violenza su se stessa.

Dorothy sorrise tristemente. "Meglio di no, finirei con l'affezionarmi e non posso permettermelo".

"No, non potete".

"Demelza, so che ve ne prenderete cura a dovere e di questo ve ne sarò grata" – riprese Dorothy, riacquistando un po' del suo carattere aristocratico. "Crescetela al meglio, è tutto quello che posso dirvi".

"Faccio del mio meglio. Avete intenzione di tornare a vederla?".

"No, sto per partire per Londra, ho bisogno di vita mondana per distrarmi e non pensare. La Cornovaglia è troppo piena di ricordi per me e qui, isolata dal mondo, mi sembra di impazzire. Rivedere la bambina non puo' che farmi male e sarebbe davvero inappropriato se qualcuno sapesse delle mie visite qui".

Demelza si morse il labbro, nuovamente irritata. "E allora perché lo avete fatto, oggi?".

Dorothy sorrise, allontanandosi dalla bambina. "Almeno una volta, la volevo vedere. A proposito, come l'avete chiamata?".

"Eleanor. Eleanor Carne".

"Eleanor" – ripeté la donna. "Bel nome. Ma avreste forse fatto meglio a darle il cognome di vostro marito. Siete una Poldark e da voi ci si aspetta che mettiate al mondo figli col cognome dell'uomo che avete sposato".

"Ma non è figlia di Ross".

Dorothy scosse la testa. "Ma sarebbe stato conveniente per tutti che lo faceste. Conveniente per voi, per la bambina e per la reputazione di vostro marito".

Demelza sospirò. C'era un abisso fra loro due, Dorothy non avrebbe mai potuto capire le sue scelte... "Non potrei mai mentire a mio marito su una cosa del genere".

"Beh, la vita e vostra, così come lo è la bambina. Era solo un consiglio. Buona fortuna Demelza, a voi e alla piccola Eleanor. E' ora che io vada". Dorothy tornò al cavallo, montò in sella e dopo un cenno del capo, senza aggiungere altro, sparì al galoppo fra la vegetazione.

Demelza la vide allontanarsi, sollevata. Si era sentita a disagio per tutto il tempo e voleva solo rintanarsi in casa da sola, in tranquillità. Avrebbe potuto arrabbiarsi per quello strano comportamento, ma in realtà compativa Dorothy, ne comprendeva il dolore e sapeva anche che, in altre circostanze, sarebbe stata felice di far parte della vita di sua nipote. Sospirò, guardando la piccola. "Lei avrebbe potuto essere tua nonna... Ma sarà solo una persona di passaggio venuta a farci visita per la tua nascita" – mormorò, entrando in casa.

Appoggiò sul tavolo il lavoro che si era portata da fare dal villaggio, una montagna di abiti da rammendare, si tolse la fascia che reggeva la piccola e si stese nel letto con lei, esausta. "Eleanor, mamma è tanto stanca, sai?".

Voleva dormire un po' prima di pensare a mettere insieme la cena e allattare la piccola, ne aveva bisogno.

Eleanor, avvolta nella sua copertina, aprì gli occhi, cercandola con lo sguardo. Si mise il pollice in bocca e lo succhiò, tranquilla, emise un vagito e con la manina libera le sfiorò il mento.

Demelza sorrise, Eleanor era quanto di più bello avesse e aveva il potere di ridarle il buonumore. "Cosa c'è amore?" - le chiese, stringendola al suo petto. Allungò la mano e prese il suo coniglietto di stoffa che aveva appoggiato sul cuscino prima di uscire e glielo diede. La piccola lo abbracciò immediatamente, affondando il visino nella pancia del giocattolo.

"Credo che dovrò dividere il tuo affetto con un giocattolo, è?" - le chiese Demelza, scherzosamente.

Eleanor, in tutta risposta, si rannicchiò contro di lei, riaddormentandosi col peluches fra le braccia. E Demelza si trovò a pensare a quanto i suoi figli la amassero e a come, probabilmente, fossero gli unici a farlo.

Era cresciuta con un padre che l'aveva riempita di botte e aveva sposato un uomo a cui aveva donato il suo cuore, un uomo che l'aveva sempre presa in giro e tradita. Un uomo che di quel cuore non aveva mai avuto premura di prendersene cura, come se fosse la cosa di minor valore al mondo per lui.

Ma i suoi figli...

I suoi bambini l'avevano amata, tutti. Julia, Jeremy, Clowance e ora Eleanor...

E come succedeva spesso quando la piccola dormiva e pensava a loro, pianse silenziosamente. Era da tanto che non rivedeva i suoi figli e questo era atroce, terribile, uno strappo continuo al suo cuore.

Ross le stava facendo pagare nel peggiore dei modi il suo affetto per Hugh e nemmeno sapeva tutto. Glieli aveva portato via, aveva i mezzi per farlo e li aveva usati e lei ora avrebbe dovuto vivere una vita intera senza sapere più nulla di loro.

Jeremy, che al mattino la raggiungeva nel suo letto e si faceva coccolare da lei e la teneva sempre per mano quando uscivano per una passeggiata... E poi la sua piccola, biondissima e bellissima Clowance, che aveva quasi due anni e mezzo e metà della sua vita l'aveva trascorsa lontano da lei e ora probabilmente non ricordava nemmeno più il suo volto.

Guardò la piccola Eleanor, grata di averla. E si chiese se fosse giusto per lei vederla sempre così triste per una decisione che in fondo aveva preso di sua volontà. Sapeva a cosa sarebbe andata incontro andandosene via da Nampara con Hugh, ma quel giorno era troppo sconvolta per agire lucidamente. E ora... ora i suoi bambini avrebbero pagato le conseguenze di quella scelta.

Forse doveva semplicemente voltare pagina, fingere che non fossero mai esistiti. Forse doveva mettersi in testa che non era più la loro mamma e loro non erano più i suoi bambini. Erano i bambini di Ross ora e magari a Londra tutti loro, assieme ad Elizabeth e Valentine, formavano una grande e felice famiglia. Le si contorse lo stomaco davanti a quella fantasia malata, ma non poteva farci niente.

Singhiozzò e decise di tentare di non pensarci più. Sarebbe stata la madre di Eleanor d'ora in poi, SOLO di Eleanor.

Ma sapeva che non ce l'avrebbe fatta, sapeva che una parte del suo cuore si era spenta per sempre. Si sentiva piccola e spersa, sola e senza speranza. Eppure aveva scelto di avere quella figlia e ora doveva tirare fuori tutta la sua forza e il suo carattere per crescerla al meglio.

"Sono la madre di Eleanor, di Eleanor, di Eleanor..." - si ripeté come una cantilena, scivolando in un sonno tormentato.


...


Dieci mesi a Londra. Decisamente troppo per lui! Troppi damerini, troppi personaggi viscidi e pomposi come George, troppi rumori, troppo tutto.

L'avventura politica era stata qualcosa di nuovo ed interessante, vissuta tutta con ogni responsabilità sulle sue spalle perché Lord Falmouth era sempre rimasto in Cornovaglia e si erano sentiti sporadicamente solo per lettera.

Solo ora, dopo dieci mesi, era arrivato nella capitale e quella, quel pomeriggio, era la prima occasione di parlare di persona con lui. C'erano un sacco di cose che voleva chiedergli e soprattutto aveva bisogno di confrontarsi con lui su come fronteggiare il potere odioso di George Warleggan che, nella capitale, gli era ancora più indigesto che a casa.

Pensò che era maggio ed era arrivato a Londra nel luglio dell'anno prima! Dannazione a Lord Falmouth, che lo aveva lasciato solo a farsi le ossa in quel campo di battaglia che poteva essere la camera dei Lords!

I suoi bambini si erano ambientati a Londra, Clowance un po' di più, Jeremy un po' meno. Suo figlio era diventato molto taciturno e anche quando rideva, scorgeva in lui l'ombra della tristezza ferirgli gli occhi. Aveva smesso di chiedere della mamma ma Ross sapeva che non l'aveva dimenticata.

Clowance era più piccola, più mondana, più sfrontata. Prepotente, vivacissima, chiacchierona e con una gran faccia tosta, si era fatta adorare da tutta la gente che frequentavano.

E lui... lui viveva, senza sapere con quale scopo. Era un uomo importante e con una brillante carriera davanti ma si sentiva spento, senza vitalità e avvolto dal gelo.

Si sentiva come un gatto in gabbia, era Nampara la sua casa. E si sentiva un uomo a metà senza la sua donna accanto, a condividere con lui la sua vita.

Era maggio, Demelza compiva gli anni in quel mese... Non riusciva a smettere di pensarci. E non sapeva più nulla di lei dall'estate precedente! Come stava, cosa faceva? E con Armitage?

Aveva scritto spesso a Dwight per parlargli della sua vita ma non aveva mai osato chiedere nulla di lei. Aveva paura di scoprire che era felice con un altro uomo e sapeva di essere un codardo per questo...

"E allora capitano Poldark, che ve ne pare di Londra?" - chiese Lord Falmouth, mentre uscivano dal Parlamento.

"Puzzolente, caotica e invivibile" – rispose Ross. "Motivi per cui, suppongo, siete rimasto rintanato in Cornovaglia invece che venire qui a farmi visita".

Lord Falmouth rise di gusto. "Ah, mi piace la vostra faccia tosta! Ma vi sbagliate, son rimasto a casa per motivi famigliari".

"Scusa infantile" – ribadì Ross.

Lord Falmouth sospirò, tornando serio e osservando il cielo. "Magari fosse una scusa, capitano Poldark. In realtà sono tornato a Londra per rimanerci. Sono qui con mia sorella Dorothy".

"Oh, non sapevo che aveste una sorella" – rispose Ross, in realtà annoiato da quella convesazione.

"Non conoscete Dorothy? Beh, strano, avete salvato la vita di suo figlio".

A quelle parole, Ross impallidì. ERA UN IDIOTA! Lord Falmouth era lo zio di Hugh Armitage e quindi di certo aveva una sorella... Aveva rimosso la parentela di Falmouth con quel giovane poeta, non voleva pensare a lui e a quanto era stato idiota a salvarlo e a non allontanarlo in malo modo da sua moglie, ma in effetti il suo interlocutore era molto vicino per vincoli parentali al suo rivale. "Scusate, avevo dimenticato la cosa. Come mai vi trasferite a Londra?" - chiese, sperando di non ritrovarsi Armitage ad ogni angolo della capitale.

"Beh, io per affari. Mia sorella ha bisogno di cambiare aria, dopo il lutto che l'ha colpita, e le feste, i balli e i pettegolezzi potranno aiutarla".

Lutto? Ross guardò Falmouth senza capire. "E' rimasta vedova?".

"Lo è da anni, capitano!".

Ross si grattò il mento. "Chi è morto allora, se posso permettermi di chiedere?".

Lord Falmouth spalancò gli occhi, sorpreso. "Non lo sapete? Di mio nipote, intendo? E' venuto a mancare lo scorso settembre".

"Cosa?". A Ross sembrò mancare il fiato. "Hugh? Come...?". Non sapeva cosa dire o fare, era totalmente annientato da quella notizia inaspettata.

Il suo interlocutore sospirò. "Una malattia terribile gli ha mangiato prima la vista e poi s'è preso la sua vita. E' morto fra atroci sofferenze, da quel che mi hanno raccontato. Lo scorso autunno ero via per dei viaggi di lavoro e non ho potuto assisterlo direttamente".

Ross trattenne il fiato ma avrebbe voluto fargli mille domande che però non sembravano voler uscire dalle sue labbra. Era incredibile! Hugh Armitage, così giovane, talentuoso, brillante ed affascinante... era morto... Era la cosa più assurda che avesse mai sentito.

Non sapeva come sentirsi. Forse gli spiaceva, era pur sempre un ragazzo. Ma quel ragazzo aveva tradito il suo salvatore, gli aveva portato via l'amore della sua vita e un angolo della sua mente, il più oscuro, pareva volergli sussurrare che aveva avuto ciò che si era meritato. "Condoglianze" – disse, infine, formalmente. Che altro poteva dire?

"Vi ringrazio".

Ross annuì. Si trovò a pensare a Demelza, quasi convulsamente. Come l'aveva presa? Aveva sofferto per lui? Aveva pianto? Gli era stata vicina? Si era ripresa dalla sua morte? Eran passati mesi, dopo tutto...

E maggio era il mese del suo compleanno e forse, ora che era sola...

Forse, senza il terzo incomodo, avrebbero potuto parlare, risolvere, ritrovarsi...

Forse pensava ancora a lui, ai loro figli e alla loro vita insieme e voleva riabbracciarli. Demelza amava i suoi figli, lo sapeva che per lei doveva essere stato atroce vivere senza saper nulla di loro. Gli aveva portato via Clowance e Jeremy per quasi un anno ed era consapevole che i suoi figli avevano bisogno di lei.

Anche lui aveva bisogno di riabbracciarla... La rabbia era scemata in una triste nostalgia durante quei mesi e ora, sapere che Hugh era morto e ripensare al loro ultimo incontro, rimetteva tutto sotto una luce diversa.

Quel giorno Demelza gli aveva detto che Hugh, steso con la testa sulle sue gambe, stava male. E se fosse stato vero? E se davvero avesse travisato, come lei aveva fatto con lui in merito all'incontro al cimitero con Elizabeth?

Decise, all'istante, come spesso accadeva. Sarebbe tornato a casa coi bambini, fatto i bagagli e si sarebbe preso una lunga vacanza.

Era ora di tornare in Cornovaglia, era ora di riprendersi Demelza!



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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici ***


Clowance si era addormentata sulla carrozza e al suo arrivo a Nampara l'aveva portata in braccio in casa.

La sua bellissima bambina bionda dal nasino all'insù dormiva profondamente, mentre Jeremy lo teneva per mano, saltellando. E quando Garrick corse verso di loro, gli andò incontro contento.

Ross si guardò attorno. Era a casa e nulla sembrava cambiato...

Era tutto come l'aveva lasciato: la stalla, l'orto, le finestre, le imposte... Solo le aiuole di fiori di Demelza erano diverse, morte, non curate, prive di vita. Era tanto che nessuno si prendeva cura di loro e gli si strinse il cuore al pensiero di quanto lei ci avesse tenuto a quei fiori.

Era passato un anno, un lunghissimo anno senza di lei. Era cambiata? Si era ricostruita una vita altrove? Lo odiava per aver portato via i bambini tanto a lungo? Come aveva preso la morte di Armitage?

Guardò Jeremy che correva felice nell'aia, rincorso da Garrick che in quel lungo anno era rimasto con Prudie, poi entrò in casa.

La cameriera, appena lo vide, spalancò gli occhi. "Giuda! Siete tornato e io non vi aspettavo affatto".

Ross le si avvicinò, facendo scivolare Clowance fra le sue braccia. "Lo vedo, sembra che tu abbia visto un fantasma! Sapevi che non sarei rimasto per sempre a Londra, no?".

"Certo..." - disse la donna, guardando la bimba bionda fra le sue braccia.

Jeremy fece irruzione in casa, contento. "Prudie!" - urlò, saltandole alle gambe e abbracciandola.

La donna sorrise, accarezzandogli la testolina ed osservandolo assieme alla sorella. "Cresciuti molto! E molto belli".

Ross sospirò. "E molto stanchi e affamati". Lanciò un'occhiata a Jeremy che era corso nuovamente via, dietro a Garrick, poi si rimise il cappello in testa. "Metti a letto Clowance, da la merenda a Jeremy e prepara la cena. Sarò di ritorno fra un paio d'ore".

"Dove andate?".

Ross sospirò. Doveva andare da LEI, subito. Doveva vederla, parlarle, chiarirsi... Un anno era passato e forse la rabbia e il dolore avevano lasciato posto alla consapevolezza e al tempo del perdono in entrambi. "Da Demelza, devo parlarle. Vorrei che vedesse i bambini, soprattutto Jeremy. Gli manca molto e credo che sia ora di sistemare le cose".

Prudie impallidì. "Dalla signora? Adesso?".

"Sì, perché".

"Giuda! Non... Non sarebbe meglio un riposino... Qualche ora di relax, un giro in miniera...".

Ross la guardò storto. Che le prendeva? Credeva che lei, per prima, sperasse che la crisi fra loro si superasse... Si comportava in maniera strana Prudie, come a volergli nascondere qualcosa. "Che c'è? Qualcosa non va? Qualcosa che riguarda Demelza?".

"Noooo" – si affrettò a dire la donna, giocherrellando nervosamente col suo grembiule. "Ma... Ma... non vi vedete da tanto, siete stanco e magari coi vostri problemi, le reazioni possono essere spiacevoli e... e...".

Ross scosse la testa, accigliato. "Ho dormito in carrozza, non sono stanco e posso tranquillamente affrontare un discorso con mia moglie serenamente".

"Certo. Ma..." - Prudie deglutì – "Prima di dire, fare o agire in qualsiasi modo, contate fino a cento".

Ross non le rispose, era incredibilmente strana. La guardò storto, si rimise il tricorno e uscì, montando in sella al cavallo. Si chiese il perché di quello strano comportamento di Prudie, ma aveva più voglia di vedere Demelza che di pensare alle stramberie della sua serva e quindi spronò il cavallo e partì al galoppo verso Illugan.

Sorpassò la Wheal Grace, la sua amata miniera, rendendosi conto di quanto gli mancasse quella vita più semplice ma autentica che gli sapeva donare solo la Cornovaglia. A Londra si sentiva un pesce fuor d'acqua, un uccello in gabbia che doveva chinare il capo davanti a mille regole che trovava ridicole, qui era a casa, nel suo mondo, dove si sentiva a suo agio in qualunque luogo. La sua miniera, il suo mare, le sue spiagge, la sua casa, le sue scogliere, i suoi amici e soprattutto la sua famiglia, i suoi figli e sua moglie... In quelle terre che percorreva a cavallo c'erano il suo passato con i suoi errori e le sue gioie e il suo futuro che doveva ricostruirsi cercando di fare ammenda dei suoi passi falsi. E voleva farlo assieme a lei. Ritrovando Demelza, avrebbe ritrovato davvero del tutto la sua casa.

Improvvisamente dovette rallentare, quando dal lato opposto vide giungere a cavallo una persona conosciuta. Ross sorrise, alzando la mano in segno di saluto. "Dwight" – esclamò, felice di rivederlo.

Il medico spalancò gli occhi e poi fermò il cavallo, saltando giù e correndogli incontro. "Ross, santo cielo, ti davamo per disperso nei salotti del re".

"Non dirlo troppo forte o mia figlia Clowance potrebbe sentirti! Vuole come casa la residenza reale, ogni volta che passiamo da lì mi chiede perché non ci abitiamo!".

Dwight scoppiò a ridere. "Beh, con Caroline come madrina, non poteva che crescere con l'animo principesco. Come stai? E come stanno i bambini?".

Ross annuì. "Bene, tutti quanti. Ma era ora di tornare, almeno per un po'. Ho tante cose da sistemare qui e ho tenuto i bambini troppo a lungo lontano da Demelza. Sto andando da lei ora, non si aspetta il mio arrivo e spero di riuscire a parlarci senza litigare".

"Ah, certo...". Dwight distolse lo sguardo da lui, lanciando un sassolino con la punta della scarpa. "Da quanto non hai sue notizie?".

"Da quando sono partito. Come sta? Ho sentito della morte di Armitage e ne sono rimasto sconvolto, nonostante tutto. Lei come l'ha presa?".

Dwight scosse la testa. "Demelza è una donna molto forte e allo stesso tempo molto sensibile. Ha sofferto, ma ha saputo superarla".

"Tu l'hai vista in questo anno?".

"Come medico".

Davanti a quelle parole, entrò in ansia. "E' stata male?". Santo cielo, che le era successo mentre lui giocava a fare l'orgoglioso a Londra?

"Non è stata bene, ma ora è tutto risolto. Niente di grave".

Ross annuì, sospirando di sollievo, ancora più desideroso di vederla. "Beh ora mi hai messo ancora più fretta di vederla, ci vediamo Dwight, vado da lei. Augurami buona fortuna".

"Certo. La auguro ad entrambi... Se vuoi un consiglio, quando la vedrai pensa a quanto la ami, lascia da parte gli errori e il dolore e concentrati su quanto abbia reso bella la tua vita. E andrà bene".

"Certo". A Ross parvero strane anche quelle parole, che pure Dwight fosse ammattito come Prudie? Che diavolo era successo in Cornovaglia durante la sua assenza? Salutò Dwight con un cenno del capo e poi ripartì, spronando il suo cavallo ad andare ancora più veloce.

In un anno erano successe tante cose...

Era morto Hugh...

E sua moglie era stata male...

E lui non c'era e santo cielo, sarebbe stato suo dovere accudirla!

Ragginse le campagne di Illugan, le superò e poi si addentrò nel bosco dove lei viveva da un anno. Che idiota, era maggio ed era il mese del suo compleanno e non le stava portando nemmeno un dono. Anche se, conoscendola, il regalo più grande che lui poteva farle era permetterle di riabbracciare Jeremy e Clowance.

E finalmente, quando giunse in prossimità del mulino, la vide...

Era fuori, vicino al fiume, intenta a lavare delle camicie. Fermò il cavallo col cuore in tumulto, nascosto dietro a un albero a guardarla. Era così incredibilmente bella, come mai non si era mai fermato prima ad osservarla? Indossava un abiro rosso, i suoi capelli lunghi, color del fuoco e selvaggi erano raccolti in una coda di cavallo ed era attorniata da coniglietti e galline che probabilmente allevava e che giravano liberi in prossimità della sua casa.

Sentì l'istinto fortissimo di abbracciarla e a piccoli passi, tenendo strette le redini, si avvicinò.

Demelza, assorta nelle sue faccende, sussultò quando sentì i suoi passi dietro di lei. Si voltò e quando lo vide rimase in tranche, catatonica, con gli occhi spalancati e... spaventati?

Si alzò di scattò, lasciando cadere le camicie lavate che aveva in mano, indietreggiando. "Ross..." - sussurrò, quasi senza fiato.

Ross deglutì. Non si vedevano da tanto, era emozionato come sembrava esserlo lei e l'unica cosa che voleva fare era tranquillizzarla e rassicurarla sulle sue intenzioni. Il loro ultimo incontro era stato terribile, con Armitage fra loro. E ora non aveva intenzione che si ripetesse quanto patito un anno prima, non avrebbe più permesso a nessun muro di frapporsi fra loro. "Demelza" – sussurrò a sua volta, gustando il suono del suo nome. Era bello, come lei. Avrebbe voluto abbracciarla e fare l'amore con lei urlandolo, quel nome...

La donna inspirò profondamente. "Che ci fai qui?" - chiese, guardinga. "I bambini? E' successo qualcosa ai bambini?".

"No". Le si avvicinò, forse quella reazione così guardinga era normale, ma lo faceva sentire strano perché non era da lei. Ma forse, semplicemente, un anno di lontananza era stato troppo. "Sono tornato oggi da Londra con loro, stanno bene e volevo appunto parlartene".

Demelza si morse il labbro. "I nostri figli? Quelli che mi hai portato via senza farmi sapere più nulla di loro?".

"Mi dispiace" – disse lui, chinando il capo. Che poteva dire? "Vogliono vederti, soprattutto Jeremy. Gli manchi così tanto e lui e Clowance hanno bisogno di te, sono piccoli e per quanto io mi sforzi di fare del mio meglio, tu sei la loro mamma e sei insostituibile. Dovresti vedere quanto sono cresciuti e quante cose hanno imparato...".

Demelza fece un sorriso triste. "Vuoi davvero farmeli vedere? Sei qui per questo?".

Ross annuì. "Possiamo parlare un po', io e te da soli, con tranquillità?" – chiese, indicando il mulino. Voleva chiarire, prima di tutto ciò che li aveva divisi. Non voleva più vedere quello sguardo e quell'atteggiamento guardingo e sulla difensiva, non da lei. Voleva urlarle e farle capire che la amava e che Elizabeth non era che un'ombra del passato e che sì, aveva sbagliato a tenerle nascoste delle cose, ma che lo aveva fatto solo per proteggerla. La rivoleva... Voleva prenderla fra le braccia, farla salire sul suo cavallo e riportarla a Nampara, da Clowance e Jeremy.

Demelza osservò la casa, poi lui, infine si chinò a prendere le camicie che aveva lasciato cadere a terra. "Sì, credo che dovremmo parlare".

Lo disse freddamente e Ross dovette accettare quel suo atteggiamento. Le aveva fatto del male e forse per nulla ed era normale che si comportasse così. Anche se era così strano, ripendando al loro rapporto così allegro, sereno e scanzonato di una volta.

La osservò meglio, ora che era più vicino. Le sembrava più magra e leggermente pallida e si chiese se mangiasse a sufficienza. Le parole di Dwight circa le sue condizioni di salute gli tornarono a ronzare in testa ed entrò in allarme. "Stai bene? Ho incontrato Dwight mentre venivo qui e mi ha detto che ha dovuto curarti".

Demelza spalancò gli occhi, quasi fosse intimorita da quelle parole. "Dwight? E che ti ha detto di preciso?".

"Nulla di che, solo che hai avuto dei malesseri che però ora sono risolti".

Demelza chinò il capo, sorridendo in modo lieve e triste. "Già, risolti".

Ross non capiva. Era così strano quell'atteggiamento, erano strani tutti e gli sembrava di trovarsi davanti a degli estranei. Fece per farle un'altra domanda, quando qualcosa lo bloccò.

Demelza si voltò verso il mulino e impallidì, sentendo lo stesso rumore che aveva fatto bloccare lui.

Il pianto di un neonato...

Ross la guardò e lei non riuscì a guardarlo negli occhi. "Demelza?".

Sua moglie gli passò di fianco senza dire nulla, avviandosi verso casa. "Come dicevamo prima, dobbiamo parlare" – sussurrò solo, mentre la sua voce si perdeva nel vento.

Ross la seguì, sentendo le gambe cedergli. Che stava succedendo? Chi stava piangendo?

Non dovette chiederselo a lungo, perché Demelza ricomparve davanti a lui, ormai giunto sull'uscio della porta, con in braccio un neonato avvolto in una copertina bianca.

Ross spalancò gli occhi mentre la sua mente cercava disperatamente un perché, un ACCETTABILE perché a quello che aveva davanti. "Sei una balia?" - le chiese, freddamente, sapendo già di suo che era una domanda stupida. Sentiva come sgretolarsi il terreno sotto i suoi piedi, ogni suo buon proposito sparire e la disperazione inondare ogni fibra del suo essere.

"No, non sono una balia" – rispose lei, cercando di calmare il pianto del neonato che evidentemente si era appena svegliato.

"E' tuo?".

"E' MIA".

"E' nostra?" - chiese. E sapeva che era impossibile che lo fosse, ma lo chiese lo stesso spinto dalla disperazione, sperando in un miracolo.

"No".

Ross chiuse gli occhi, se per dolore o rabbia, non avrebbe saputo spiegarlo. Il suo mondo, ogni sua certezza si era sgretolata davanti a lui in quel momento. Divenne di ghiaccio, un ghiaccio che sapeva essere pericoloso e l'anticamera di una reazione che poteva essere violenta. Desiderò urlare, farle male, scuoterla, percuoterla, prenderla a schiaffi e piangere a sua volta.

Lei... Il suo mondo, il suo amore, la sua unica vera certezza...

La sua casa...

Il suo rifugio...

Lei lo aveva tradito, un altro uomo l'aveva posseduta e lei glielo aveva permesso. Aveva fatto l'amore con un altro, un altro uomo l'aveva toccata, amata, baciata, fatta sua. E resa madre... E ora non era più un sospetto o un'idea, ora era una realtà che si era infranta contro di lui come un uragano.

Dio mio, non l'avrebbe mai perdonata per questo. E se avesse potuto, avrebbe risuscitato Armitage solo per ucciderlo di nuovo.

"Tu..." - disse, ancora con quella freddezza addosso – "Tu te ne sei andata di casa accusando ME di averti tradito e ora... ora come mi spieghi questo?".

Demelza arretrò. "Non posso spiegartelo, è successo e basta. E forse a causa degli errori di entrambi".

Esplose, in quel momento il ghiaccio che c'era in lui divenne lava. "Errori di entrambi?". Indicò la neonata che sembrava essersi calmata, furioso. "Mia cara, questo è opera tua e...". Le si avvicinò, prendendole il polso libero e stringendolo forte, incurante di farle del male. "Armitage? Il dolce poeta che recitava poesie? Indovinato?".

"Sì. Ross lasciami, mi fai male".

"CHE MI IMPORTA?". Urlò, facendo piangere di nuovo la bambina. Indietreggiò, se continuava a starle troppo vicino avrebbe finito davvero per farle del male seriamente. "Hai tradito me, i tuoi figli e tutti noi che ti abbiamo accolta e amata e ora mi dici che ti faccio male? IO A TE? Hai idea di cosa sto provando in questo momento?".

Demelza parve ritrovare un po' di coraggio. "Sì, ce l'ho! Ho vissuto la stessa esperienza".

Santo cielo, se voleva provocarlo, questo era un ottimo modo per farlo. Demelza stava giocando col fuoco. "Bene! E' stata vendetta? Vendetta per cosa? Per averti tradita? E hai fatto la stessa cosa che hai tanto biasimato di me? Io non ho un figlio bastardo di cui mi occupo davanti agli occhi del mondo, io non ho portato il disonore nella nostra casa e nella vita dei nostri figli. E tu...? Puoi dire lo stesso?".

Gli occhi di Demelza si riempirono di lacrime e di sensi di colpa. "Non volevo succedesse, non... Mi dispiace, ho sbagliato e ne pago le conseguenze, mi dispiace e ti chiedo scusa. Che altro dovrei fare? Ero disperata, poco lucida, arrabbiata con te e Hugh era lì e mi faceva sentire speciale e al primo posto. Volevo essere amata, anche solo per un giorno! Non era vendetta, era bisogno d'amore e lo so, non è una scusante, ma è successo. Che cosa avrei dovuto fare, quando ho scoperto la gravidanza?".

Ross le si avvicinò come una furia, ogni traccia di amore e tenerezza verso di lei scomparsi. Voleva farle del male, fargliene come lei ne stava facendo a lui in quel momento. "Interrompere la gravidanza o lasciare questa piccola bastarda in un orfanotrofio. Non ti rendi conto del male che ci hai fatto, tenendola con te? A me, ma soprattutto ai nostri figli che vivranno per sempre marchiati dall'esistenza di questa marmocchia illegittima. La figlia di Armitage... Avrebbe fatto una cosa giusta, LUI, se se la fosse portata con se nel regno dei morti. Avrebbe fatto un favore a me, a Clowance e Jeremy e soprattutto a te".

Demelza, con le guance rigate di lacrime, strinse a se la piccola che piangeva disperata. "Smettila! Non ti permetto di parlare così. La bambina non ha colpe e non posso credere che tu le stia augurando del male".

Ross le riprese il polso, attirandola viso a viso. "Liberati di questa bambina subito o ti giuro che te ne farò pentire" – urlò.

La piccola, ormai terrorizzata, pianse più forte e Demelza, stremata e spaventata, tentò di liberarsi dalla sua stretta. "Smettila di urlare, la spaventi".

"CHE VUOI CHE MI IMPORTI? DI LEI? DI TE?". Provò di nuovo l'istinto di colpirla, di darle uno di quegli schiaffi che ti lasciano il segno sul viso.

Demelza tentò di sfiorargli il polso, cercò il suo sguardo con la disperazione negli occhi ma era troppo tardi per commuoversi e per permettere all'amore che provava per lei di riportarlo alla ragione. Se ne sarebbe pentito, passata la rabbia sarebbe successo e lo sapeva. Ma in quel momento era troppo furioso e fuori di se e voleva solo percuoterla e farle del male. Alzò la mano, un gesto che MAI avrebbe pensato di compiere nei confronti di una donna. Tanto meno di Demelza...

Alzò la mano pronto a schiaffeggiarla e la vide chiudere gli occhi e abbassare il capo in un gesto istintivo di protezione che doveva aver sviluppato da bambina, quando era suo padre a metterle le mani addosso.

Fu forse quel gesto a fermare la sua mano a pochi millimetri dal suo viso.

Non poteva farlo, nonostante tutto non poteva.

Non sarebbe mai riuscito a colpire una donna inerme con in braccio un neonato, anche se la donna in questione era l'amore della sua vita che lo aveva tradito e la bambina il frutto di quel tradimento.

Si allontanò, doveva andarsene prima di perdere nuovamente il controllo. Col fiato corto, non togliendole gli occhi di dosso, indietreggiò fino alla porta. "Lo vuoi un consiglio? Occupati meglio che puoi di quella piccola bastarda perché sarà l'unica figlia che vedrai crescere".

E detto questo si voltò e se ne andò, in groppa al suo cavallo.




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Capitolo 15
*** Capitolo quindici ***


Puo’ l’animo umano cambiare tanto nel giro di pochi minuti? Si può passare dalla speranza alla disperazione in un niente?

Ross galoppava quasi senza meta, sentendosi rimbombare nelle orecchie il dannatissimo pianto di quella neonata.

La figlia della sua Demelza e di Hugh Armitage…

Se era un incubo, sperava di svegliarsi presto. Sentiva il cuore fargli male e la rabbia corrodergli l’animo. Se n’era andato perché sapeva di poter perdere il controllo e in quello stato avrebbe rischiato di farle del male seriamente, a lei e a quella dannata mocciosa che aveva messo al mondo assieme ad un altro.

Cercò di riguadagnare la calma, mentre nella sue mente, oltre all’immagine di Demelza con la bambina, pian piano le stranezze di quella giornata sembravano trovare risposta.

Prudie e il suo tentare di fargli cambiare idea circa la visita a Demelza…

E Dwight…

Sapevano, TUTTI loro sapevano e non gli avevano detto niente.

Prudie era quel che era, su di lei non poteva far molto conto. Ma Dwight…

Il suo migliore amico, quasi un fratello per il quale si era lanciato in una missione disperata di salvataggio che gli era costata un altro caro compagno, Henshawe.

Lo aveva tradito, TUTTI lo avevano tradito. Demelza, Prudie, Caroline e Dwight. Soprattutto Dwight!

Si morse il labbro, avrebbe voluto spaccare ogni cosa e urlare tutta la sua rabbia. Spronò il cavallo a cambiare strada e si diresse verso la dimora dei Penvenen, dove Dwight si era trasferito dopo le nozze. Era talmente arrabbiato che lo avrebbe ucciso.

Aveva curato Demelza, è? Peccato che nel loro incontro di poche ore prima avesse omesso la natura delle sue cure…

L’aveva seguita durante quella dannatissima gravidanza e aiutata a mettere al mondo la mocciosa e santo cielo, era una cosa talmente abnorme da risultargli incredibile.

Ogni sua certezza così come l’amore e le amicizie sincere, erano state sempre una menzogna.

Giunse al cancello della dimora, scese da cavallo e come una furia, dopo aver lasciato l’animale a un servitore, entrò in giardino senza farsi annunciare.

Fu sorpreso di trovare Dwight sulla porta di casa, sotto il portico, lì come se lo stesse aspettando.

Beh, in fondo forse sospettava che avrebbe ricevuto una sua visita, no?

Il medico lo guardò avvicinarsi, andandogli incontro. “Ross”.

Ross un corno, non doveva nemmeno nominarlo il suo nome. Si avventò su di lui come una furia, prendendolo per il colletto. “Mi aspettavi?” – gridò, muso a muso.

L’hai vista?” – chiese Dwight, cercando di liberarsi dalla sua stretta.

LE HO VISTE!” – urlò. “Hai qualcosa da dirmi, Dwight? Ora, visto che a quanto pare non lo hai fatto per un intero anno”.

Dwight gli diede uno strattone, liberandosi. “Ross, se tu cercassi di calmarti…”.

PARLA!”.

Con un sospiro, il medico si appoggiò alla parete, capendo che non c’era modo di fermare la furia dell’amico. “Ero sconvolto quando Demelza me l’ha detto, sconvolto come lo ero quando mi hai confessato di aver tradito tua moglie con Elizabeth e che Valentine poteva essere tuo”.

Ti ha cercato Demelza, per la gravidanza?” – chiese Ross, freddamente, fingendo di non sentire quelle parole.

No. Hugh Armitage stava male e un giorno, visitandolo, mi chiese di portare Demelza a casa sua perché voleva vederla e, viste le sue condizioni, non poteva più farle visita ad Illugan ed era preoccupato per lei. Andai da tua moglie e lei stava malissimo, ancora non sapeva di essere incinta. Non si reggeva in piedi ed era questo il motivo per cui non ti ha seguito a Nampara dopo hai deciso di partire per Londra coi bambini. L’ho visitata e abbiamo scoperto della bambina. Le ho prospettato l’aborto, una pratica pericolosa ma l’avrei aiutata personalmente con ogni cura a mia disposizione, cercando di fare tutto nella massima sicurezza. Ma lei ha rifiutato questa soluzione e non mi sarei aspettato niente di diverso da Demelza, è una donna che si prende appieno la responsabilità delle sue azioni e dei suoi errori. E da medico, se una mia paziente sceglie di portare avanti una gravidanza, io sono obbligato a prestarle le migliori cure. Non avevo voce in capitolo sulle sue scelte e l’ho aiutata perché è la mia missione farlo. L’ho costretta a venire a casa mia, dopo la morte di Armitage, perché stava malissimo e temevo per lei. E ha partorito a casa mia per fortuna e non ad Illugan, da sola o con qualche levatrice improvvisata, perché è stato un parto complicato e pericoloso”.

Ross lo aveva ascoltato in silenzio, senza quasi respirare, cupo in volto. “Perché non mi hai detto niente? Perché non mi hai scritto?”.

Sono un medico e sono tenuto al segreto professionale. Demelza non mi ha mai autorizzato a scriverti e ho rispettato la sua scelta”.

SEI MIO AMICO!” – urlò Ross – “A me hai mai pensato? Quando curavi Demelza perché avesse quella bambina, a me pensavi? Quando hai fatto in modo che nascesse, a me pensavi? O era più importante la salute di una dannatissima mocciosa illegittima che avrebbe rovinato le vite di tutti?”. Era troppo dolore, troppa rabbia… Con Demelza si era fermato, con Dwight era impossibile. Con un gesto veloce alzò la mano, colpendolo sul volto con un pugno che il medico non riuscì ad evitare.

Dwight stramazzò a terra e Ross gli fu addosso.

Ross, fermati!” – urlò Dwight – “Massacrare me non ti servirà a nulla”.

"Ma mi farà stare bene per cinque minuti!".

Con una forza inusuale per lui, Dwight riuscì a spingerlo indietro, rialzandosi in piedi. Si toccò la guancia arrossata per il pugno, col fiato corto, cercando di ristabilire la calma. "Ross, sei fuori di te e ti capisco ma...".

"NO, TU NON CAPISCI! Sai cosa si prova quando vedi la donna che ami cullare il figlio avuto da un altro? Hai idea di come questa cosa si ripercuoterà sui miei figli e sulle nostre vite? Non dovevi aiutarla, dannazione! Se avesse perso quella dannata bambina, sarebbe stato un dono per tutti!".

Dwight si avvicinò, gli prese il polso, lo strinse e lo spinse contro il muro. La sua espressione era seria, arrabbiata e assolutamente decisa. "Ross, io non l'ho fatto per la bambina! Io l'ho fatto per Demelza! Dannazione, c'erano alte possibilità che non ne uscisse VIVA! E so che sei arrabbiato ma un giorno mi ringrazierai per questa cosa, per essermi preso cura di lei".

Ross, ansimando, riprese possesso di un attimo di lucidità. "Che vuoi dire?".

Dwight sospirò. "La gravidanza è stata molto problematica e lei è stata molto male. Non mangiava, vomitava in continuazione e i primi mesi era emotivamente a pezzi nel vedere Hugh morire. Lo ha seguito COME UNA AMICA fino alla fine ma poi è crollata, dopo la sua morte. Non mangiava, non si curava di se stessa e stava deperendo visibilmente. Pareva quasi, inconsciamente, volersi punire per ciò che aveva fatto a voi, a se stessa e alla bambina che aspettava. Ho seriamente minacciato di scriverti se non fosse venuta a casa mia e non si fosse fatta aiutare e dannazione Ross, ti avrei scritto davvero e al diavolo il mio voto alla segretezza! Demelza è amica sia per me che per Caroline e so che se le fosse successo qualcosa, tu non te lo saresti mai perdonato".

Ross rimase spiazzato da quelle parole. Era furioso con Demelza, da morire. E anche con Dwight... Ma sapeva che aveva agito per il giusto, facendo quello che aveva fatto, e sapeva anche che non avrebbe potuto agire diversamente. "Io cosa dovrei fare, ora?".

Dwight abbassò lo sguardo. "Non lo so. Eleanor è...".

Ross si accigliò. "Eleanor?".

"La bambina... E' il suo nome".

Abbassò lo sguardo, scalciò un sasso con violenza e guardò il cielo. "Le ha pure dato un nome?".

Dwight lo guardò storto. "Ross!".

Ross un corno, era inutile che Dwight lo guardasse con quella faccia. "E il cognome? Quale cognome le avrebbe dato? La bambina è stata battezzata?".

"Sì. Con l'intercessione di Caroline, il sacerdote non ha fatto troppe domande. Onestamente speravo che Demelza le desse il cognome Poldark, avrebbe creato meno problemi a tutti, ma non l'ha fatto".

Ross rise, sarcastico. "Quanto meno mi conosce e sa che se le avesse dato il nome della MIA famiglia, sarei diventato una furia ancora più di come sono ora. Non mi impora cosa dice la gente e nemmeno dei pettegolezzi che seguiranno, lei ha sbagliato e non certo io ed è lei che deve vergognarsi quando va in giro con quella mocciosa. Quindi, come si chiama? Armitage?".

Dwight scosse la testa. "Carne. Le ha dato il suo cognome".

Ross sbuffò. Beh, scelta che riteneva giusta, era un problema di Demelza giustificare l'esistenza della bambina al mondo e prendersene interamente la responsabilità. "Bene..." - disse, freddamente.

Dwight gli prese il polso. "Ross, Hugh è morto e so che tu non vorresti avere responsabilità verso la bambina, ma...".

Ross gli piantò gli occhi addosso. "Esatto, non è un mio problema. La morte di Armitage non cambia lo stato delle cose, non è mia figlia e non intendo sentirmene responsabile. Demelza ha deciso di metterla al mondo e di tenerla e lei se la cresce".

Dwight gli scosse il braccio. "Ross, potresti imparare ad amarla, se... E' una bambina adorabile".

"Scusa se non condivido il tuo entusiasmo, Dwight!".

Il medico sospirò. "Che farai allora?".

Ross si mise il tricorno in testa, avvicinandosi al cavallo. "Prendo i bambini e torno a Londra subito. Qui non c'è più niente per noi".

Dwight spalancò gli occhi, entrando in allarme. "Ross, non farlo, non portarglieli via".

Lui scosse la testa, cupo in volto. "Si che lo farò, non permetterò che Clowance e Jeremy vengano messi in mezzo a tutto questo".

"Oh Ross...". Dwight abbassò il capo, massaggiandosi la guancia colpita. "Posso considerarti ancora mio amico, quanto meno? E sperare che mi consideri un appiglio nei momenti difficili?".

Ross scosse la testa. "No, non ora, fra un po', forse... Ci vorrà del tempo, tanto tempo perché riesca a non considerarti un traditore. So che hai fatto ciò che dovevi, ma facendolo hai distrutto la mia famiglia".

Dwight fece per rispondergli ma Ross non gli diede il tempo di parlare. Partì al galoppo e si lasciò Dwight alle spalle, sentendosi improvvisamente solo e senza più appigli.

Aveva perso tutto, eccetto i suoi figli. Li avrebbe presi e portati a Londra, cresciuti da solo e ne avrebbe fatto brave persone. Doveva ripartire da zero con loro, ma non aveva scelta. Non esistevano più Nampara, Demelza, la miniera e la Cornovaglia con tutti i suoi affetti, il passato doveva smettere di esistere e il futuro doveva essere costruito da zero.

Tornò a casa e mise il cavallo nella stalla, legandolo alla staccionata con gesti rabbiosi. Poi, in un impeto d'ira, spaccò il manico del rastrello appoggiato alla parete, prendendo infine a pugni il muro.

E solo quando si fu calmato, dopo lunghi minuti, entrò in casa. Osservò Prudie con odio, mentre rassettava la cucina.

La donna abbassò lo sguardo piena di sensi di colpa e Ross dovette trattenersi dal non urlarle contro tutta la sua rabbia. Ma c'erano i bimbi in casa e almeno per loro, doveva farlo... "Sarai orgogliosa di ciò che hai generato..." - disse solo, freddamente.

Prudie singhiozzò. "Mi dispiace...".

"Troppo tardi" – rispose Ross, prendendo le scale. "Non disfare i bagagli, io e i bambini ripartiamo domani".

Prudie gli corse dietro. "E la signora?".

"Non esiste nessuna signora". Ross salì le scale ed entrò nella camera dei figli che, inconsapevoli di tutto, giocavano sul letto. Erano due bambini meravigliosi e la loro madre li aveva traditi, abbandonati e condannati a crescere da soli...

Jeremy gli corse incontro. "Papàààà! Sei tornato finalmente! Quando andiamo dalla mamma?".

"Domani?" - chiese Clowance.

Ross sentì il nervoso che tornava prepotentemente. Cosa aveva fatto Demelza? Quanto dolore stava arrecando col suo egoismo, ai suoi figli? "No. Domani ripartiamo per Londra".

Jeremy deglutì, poi scoppiò a piangere. "Con la mamma?".

"No".

Il bimbo gli si aggrappo' alle gambe, strattonandolo. "Ma me lo hai promesso! Voglio la mamma, la voglio con noi! E tu sei un bugiardo".

Quello fu troppo. Per un attimo sentì nuovamente la voglia di spaccare tutto e di urlare tutta la sua rabbia. Con un gesto secco prese Jeremy per la spalla, lo scosse e lo guardò furente. "La mamma non viene con noi! Non verrà con noi MAI PIU'! Quindi smettila di chiedermi di lei e di aspettarla, se n'è andata! ANDATA! Ha un'altra vita e di noi non le importa più! Dimenticatela!".

Poi si allontanò da lui, uscì dalla stanza sbattendo la porta e nemmeno il pianto del bambino, a cui si era unito quello di Clowance, riuscì a riportarlo indietro.


...



Demelza era crollata a letto, piangendo disperatamente. Anche la piccola Ellie non aveva smesso di piangere da quando Ross se n'era andato e la donna non trovava la forza di ricomporsi per tranquillizzarla.

Sapeva che sarebbe stato orribile, lo sapeva e nonostante tutto non ci era preparata! Rivedere Ross era stato un miscuglio di emozioni. Era così bello, forte, austero, con gli occhi neri come la notte ma dolci come il primo mattino. Era il suo amore, sapeva che lo sarebbe sempre stato e ora...

Ora era finita, davvero!

Guardare Ross fissarla con odio, sentirlo dire quelle frasi così dure e cattive e infine precluderle ogni possibilità di rivedere Clowance e Jeremy era stato troppo. Aveva sempre cercato di essere forte ma adesso non ne aveva più la forza.

Che aveva fatto? CHE AVEVA FATTO?

Singhiozzò, con la piccola Ellie che faceva altrettanto, inconsolabile.

Finché sentì qualcuno bussare alla porta ed entrare.

Si alzò di scatto, stringendo a se la piccola, spaventata. Non aveva chiuso la porta e poteva essere chiunque.

Tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che era Dwight. "Cosa ci fai qui?" - chiese stupita, osservando la sua guancia arrossata.

Il medico la osservò, poi le si avvicinò preoccupato. "Stai bene? So che Ross è stato qui e non ho avuto un piacevole incontro nemmeno io con lui, oggi" – disse, massaggiandosi la guancia. "Ero preoccupato per te".

Demelza si sentì morire, intuendo che dovevano aver fatto a pugni. Come aveva potuto permettere che le cose andassero fino a quel punto? Aveva distrutto il suo matrimonio e probabilmente anche l'amicizia profonda fra suo marito e Dwight. "Dovrei chiederlo io a te, a considerare dalla tua faccia".

Dwight sospirò. "Un pugno ogni tanto, a un uomo, fa solo che bene. Ma tu...". Si sedette accanto a lei, asciugandole le lacrime con un fazzoletto. "Demelza?".

La donna strinse a se la piccola. "Sapevo che sarebbe stato orribile e me lo merito. Mi merito il suo odio e tutto quello che farà per tenermi lontano i bambini. Sono una persona orribile, Dwight... Ho tradito mio marito e abbandonato i miei figli e ho messo al mondo questa bimba, facendola nascere in un ambiente terribile. Sono la peggiore delle donne... In tante hanno mariti che le tradiscono ma fanno finta di nulla e si voltano dall'altra parte per non vedere. Accudiscono i loro figli e si rassegnano a non essere amate. Dovevo fare altrettanto, per Jeremy e Clowance! E invece me ne sono andata, mi sono concessa a un uomo che nemmeno amavo e ora... ora ho distrutto tutto".

Dwight la abbracciò. "Demelza, tu non sei orribile, sei solo umana e come tutti hai sbagliato. Come a suo tempo ha sbagliato Ross e credo che, anche se tu non lo ritieni possibile, lui l'abbia anche imparata la lezione. Sei una gran bella persona e anche Ross lo sa. E' arrabbiato ed è normale ma lui sa che i bambini hanno bisogno di te e li rivedrai. Ne sono sicuro, dagli tempo... E non pensare male di te, pensa invece al coraggio che hai avuto a mettere Eleanor al mondo e a sopportare tutto da sola. Questa bimba è meravigliosa e so che non potresti più separartene, ora che la conosci e ne sei madre, indipendentemente da dove è arrivata".

Demelza abbassò lo sguardo, guardando la bimba. "Ha detto cose orribili su di lei. Cosa ha fatto Ellie? E' solo una bambina, non ne ha colpa... Sono io da biasimare e punire, non lei. Ma Ross se l'è presa con entrambe".

Dwight le accarezzò i capelli. "Ross non era in se. Sai che non è cattivo e sai quali sono i suoi veri sentimenti e quanto sia generoso. Non intendeva prendersela con la piccola e vedrai che pian piano le cose andranno meglio. Ma tu..." - le sfiorò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi – "Ora devi smettere di piangere o non riuscirai mai a tranquillizzare la piccola. Lei sente il tuo stato d'animo e ha bisogno di sentirti serena".

"Sono una madre orribile anche per lei".

Dwight divenne serio e le strinse le spalle. "NO! Sei umana ma non sei orribile. Stai attraversando dei momenti difficili e ti senti debole, ma tu non sei debole. Lotta, per te stessa e per questa bimba che hai voluto con tutte le tue forze. So che lo puoi fare...".

Demelza annuì, cercando la forza di smettere di piangere. Strinse la piccolina a se, così bella, perfetta e dolce, innocente e delicata. "Lo farò, ci tenterò... Ma tu e Ross?".

"Partirà subito per Londra e la lontananza farà bene a tutti. Le cose si sistemeranno in qualche modo, sta tranquilla".

Demelza chiuse gli occhi, decidendo che voleva credergli. Doveva farlo o sarebbe impazzita. Baciò la fronte di Ellie e ringraziò Dio di avere accanto un amico come Dwight, maledicendo il fatto che però, per aiutare lei, lo aveva portato via a Ross.

Forse un giorno avrebbe smesso di sentirsi pessima ma doveva andare avanti, lei era tutto quello che Eleanor aveva.



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Capitolo 16
*** Capitolo sedici ***


Era ormai autunno ed erano quattro mesi che era tornato a Londra. Vi aveva fatto ritorno ferito, abbacchiato, disperato e soprattutto arrabbiato, col nulla negli occhi e nel cuore.

Si era messo a lavorare sodo in politica per non impazzire, giorno e notte chiuso nel suo studio ad analizzare leggi e soluzioni che potessero migliorare la vita della povera gente, aveva stretto legami con persone potenti che continuava a maltollerare ma che erano per forza di cose diventate il suo mondo perché altrove non aveva più nulla, si era scontrato con George tante di quelle volte che aveva perso il conto e la sera, esausto, si scolava parecchi bicchieri di Porto per stordirsi, andare a letto e non pensare o sognare.

Faceva di tutto per dimenticarla perché DOVEVA dimenticare! Elizabeth lo aveva tradito non aspettandolo al ritorno dalla guerra e ora anche Demelza, colei per la quale avrebbe messo la mano sul fuoco. Gli aveva dato la sua completa fiducia e lei l'aveva calpestata e buttata, tradendolo con un giovane senza spina dorsale e facendoci insieme addirittura una figlia.

Voleva odiarla, doveva farlo per non impazzire!

Non era stato il migliore dei mariti, sapeva di avere delle colpe, ma era sempre stato convinto che Demelza fosse consapevole del suo amore. Anche se non avevano affrontato le conseguenze del tradimento con Elizabeth, Ross si era illuso che tutto fosse passato e che si fossero ritrovati. Era nata Clowance, avevano riso e scherzato insieme e lei... lei per tutto quel tempo aveva pensato a un altro, alla vendetta e a come tradirlo alle spalle.

Demelza... la sua Demelza... Che lo aveva tradito, che aveva abbandonato i loro figli ed era diventata l'amante di un uomo a cui lui aveva salvato la vita. Era crudele, a pensarci bene... Si era sempre creduto un uomo forte, ma ora si sentiva spezzato e senza fiducia verso nessuno se non se stesso e i suoi bellissimi figli.

I bambini erano diventati straordinariamente docili da quando erano tornati nella capitale. Non erano più irruenti e rumorosi ma giocavano tranquilli nella loro cameretta, tanto che spesso faticava a percepirne la presenza e anche Miss Etta, la bambinaia, lodava il loro comportamento sempre controllato e mai sopra le righe. Clowance non era più tanto capricciosa come in precedenza e passava il tempo a giocare con le bambole e ad imitare Etta nelle faccende domestiche mentre Jeremy, per fortuna, aveva seguito il suo consiglio e si era finalmente dimenticato di avere una madre. Aveva smesso di chiedere di lei e di vederla, non l'aveva più nominata e se ne stava tranquillo e sereno a giocare, senza sentirne la mancaza. La sera andava a letto quando gli si diceva di farlo, di giorno era ubbidiente e finalmente si era rassegnato a non averla più nella sua vita. Ed era meglio così, perché tanto né lui né Clowance l'avrebbero più rivista, quindi prima si abituavano alla cosa e meglio era.

Demelza se ne sarebbe rimasta a Illugan, a crescere la mocciosa di Armitage da sola, senza più interferire nelle loro vite e ferirli.

Era giusto così, era ciò che lei aveva voluto!

Quella sera pioveva a dirotto e Ross, di ritorno dal Parlamento, fu costretto a entrare in una locanda per non bagnarsi come un pulcino. Non aveva con se il mantello e la pioggia l'aveva colto di sorpresa quando era ancora troppo lontano da casa.

La locanda era lussuosa, piena di persone facoltose che giocavano a carte e bevevano ai tavoli, mentre parlavano di finanza e guerra. Ross, per nulla di compagnia, si sedette al bancone per prendere un bicchiere di rum. Aveva freddo e voglia di bere e dell'alcol gli avrebbe fatto bene.

Gli si parò davanti una cameriera prosperosa, dal seno abbondante, i ricci neri e il viso di chi sa cosa vuole dalla vita. Poteva avere venticinque anni, ma dalla sua espressione pareva essere ben navigata nei rapporti con gli altri. "Siete solo, volete compagnia?".

Ross la guardò in cagnesco, non troppo propenso a chiacchiere. "Voglio del rum".

"E dopo il rum? Vi fermate o andate?".

Ross alzò lo sguardo su di lei. Che diavolo voleva quella tizia? "Andrò, suppongo... Sempre che questa pioggia non prosegua".

La ragazza guardò fuori dalla porta. Diluviava e ormai imbruniva, faceva freddo e tutti potevano avere bisogno di calore. "Proseguirà per un paio d'ore come minimo e voi con un bicchiere di rum sareste occupato al massimo dieci minuti. Volete compagnia? Al piano di sopra potreste trovarne a un prezzo molto conveniente".

A quelle parole, Ross si guardò attorno, osservando meglio l'ambiente e riconoscendo in quelle scale eleganti, in quelle pareti pacchiane e nell'abbigliamento delle cameriere posti simili frequentati da giovane, quando cercava rapporti amorosi fugaci nelle case di piacere. "No, grazie" – rispose, abbassando il capo. Non aveva voglia di essere di compagnia né tanto meno di un'avventura con una perfetta sconosciuta. Ne aveva piene le scatole delle donne, tutte approfittatrici, false e ipocrite.

La ragazza sorrise maliziosa. "Le nostre ragazze sanno riscaldare anche i cuori e... i corpi... più gelidi. Ne abbiamo di tutti i gusti, more, bionde, rosse, navigate o vergini... Certo, le vergini costano di più ma vi daranno molta soddisfazione".

Ross scosse la testa, era tutto talmente squallido e lontano dal suo modo di essere che si stupiva di aver frequentato posti simili da giovane. Ricordò Demelza e la loro prima volta insieme. Per lei era davvero la prima volta e per lui pure, con una ragazza vergine. Eppure era stato facile, semplice e naturale, era stato come il trovarsi di due anime e due corpi nati per stare insieme. Era stato attento a non spaventarla allora e lei si era affidata completamente a lui, senza paura e con la massima fiducia.

Quel ricordo gli fece male e si chiese perché stesse rifiutando. Cosa ci sarebbe stato di male a concedersi un'ora di piacere senza conseguenze? Aveva una moglie a casa che lo aspettava? No, sua moglie se n'era andata e ora cresceva la figlia bastarda avuta con un altro. Che cosa gli impediva di pagare qualche moneta, salire al piano di sopra e sfogarsi con una donna navigata e ben abituata all'impeto di un uomo frustrato ed arrabbiato? Era tanto che non giaceva con una donna, da prima che Agatha morisse e ne sentiva il bisogno fisico, un bisogno che, ora che ci pensava, aveva in se qualcosa di violento e rabbioso. E quel posto faceva al caso suo. Si sarebbe sfogato, divertito, avrebbe provato piacere e per pochi scellini avrebbe reso meno deprimente la sua serata. "Hai detto che hai una ragazza coi capelli rossi?".

"Ne ho due. Una di vent'anni, molto esperta e una di quattordici. Lei è la vergine di cui ti parlavo prima. La vuoi? Vuoi iniziarla ai piaceri della carne? E' sempre emozionante farlo con una vergine".

Ross spalancò gli occhi, inorridito. Quattordici anni? Una bambina, praticamente... Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, avrebbe provato disgusto verso se stesso per tutta la sua vita e si stupiva che ci fossero degli uomini che invece non aspettavano altro che occasioni simili. "La ventenne andrà benissimo" – rispose, freddamente. Non avrebbe salvato quella ragazzina, sarebbe arrivato un altro aguzzino ad abusare di lei ma non sarebbe mai stato lui quell'uomo.

La morettina gli sorrise maliziosamente, gli diede una chiave e gli strizzò l'occhio. "Salite al piano di sopra, camera numero dieci. La ragazza sarà da voi in un attimo. Non ve ne pentirete, Vivienne sa il fatto suo".

Ross la guardò scettico, prese le chiavi e salì, con l'animo ancora più cupo. Una parte di lui era disgustata da quello che stava per fare mentre l'altra, la più selvaggia, gli gridava che era suo pieno diritto. Demelza non aveva dopo tutto fatto lo stesso?

Entrò nella stanza, dal gusto pacchiano come le pareti del salone. Erano color porpora, con il pavimento coperto di soffici tappeti bianchi, un enorme letto a baldacchino e una finestra che dava sulla via principale. Il camino era acceso e scoppiettante ed era evidentemente un bordello di lusso dove, ci avrebbe scommesso, si servivano molti di quelli che vedeva tutti i giorni in Parlamento, alla Camera dei Lords.

La porta si aprì e la ragazza, Vivienne, entrò. Era minuta, aveva i capelli color fuoco che le arrivavano alle spalle, lisci e ben pettinati, indossava una sottoveste nera di seta e aveva un'espressione mista fra purezza infantile e malizia. Sapeva fare bene il suo lavoro, questo era evidente anche solo dal suo sguardo...

Ross, senza dire nulla, le fece cenno di chiudere la porta, iniziando a sbottonarsi la camicia. Non aveva voglia di convenevoli, era in quella stanza per un motivo ben preciso e quello e solo quello avrebbe portato a termine.

La ragazza gli si avvicinò con passi lenti e decisamente studiati, scrutandolo in volto. Gli si parò davanti, gli prese le mani che stavano sbottonando i bottoni della camicia, gliele accarezzò e sorrise. "Signore, lasciate che vi aiuti".

Ross sospirò. Perché no? Era il suo lavoro quello di lusingare l'uomo che aveva pagato per averla, giusto?

Vivienne gli tolse la camicia, lo accarezzò con gesti lenti sul petto, gli sfiorò il collo e poi lo baciò, avvinghiandosi a lui.

Ross chiuse gli occhi, non voleva pensare, non voleva soffermarsi alla desolazione di quel momento... Stava facendo una cosa che facevano molti uomini felicemente sposati, di che si preoccupava lui che una moglie non l'aveva più? Pure suo padre frequentava posti del genere dopo che sua madre era morta, che c'era di male?

Con un gesto secco le abbassò le spalline della sottoveste, facendo scivolare l'indumento a terra e lasciando completamente nuda Vivienne. Poi le prese il polso, la spinse gentilmente sul letto e si slacciò i pantaloni.

La ragazza indietreggiò, divertita da tutta quella fretta. "Il signore non vuole essere accarezzato, prima?".

"Delle carezze non me ne faccio niente" – rispose, togliendosi tutti i vestiti e mettendosi sul letto, avvolgendola con le sue braccia.

Vivienne gli strinse la vita, gli accarezzò nuovamente il petto e poi gli sfiorò la schiena e i capelli con movimenti della mano lenti e circolari.

Ross divenne di ghiaccio, a quel gesto, smettendo immediatamente di toccarle il seno e baciarla sul collo. Era così simile al modo in cui Demelza gli accarezzava la schiena e giocava coi suoi riccioli... Ma sua moglie sapeva risvegliare in lui brividi e piacere mentre questa Vivienne, dai capelli rossi come Demelza, gli provocava solo disgusto.

Ross si morse il labbro. Era inutile, non era quella la donna che voleva. Era sicuramente esperta e di certo lo avrebbe portato al piacere in breve tempo ma non era ciò che lui cercava. Erano le mani di Demelza che voleva sentire sulla sua pelle, le sue labbra, il suo corpo. Con sua moglie c'era passione, piacere, complicità, tenerezza e un senso di appartenenza che non avrebbe potuto trovare con nessuna. Fare l'amore con Demelza significava perdersi nell'oblìo e allo stesso tempo sapere di essere a casa. Con una prostituta di alto rango non avrebbe mai potuto provare nulla di simile...

Chiuse gli occhi, cedendo per un attimo alla disperazione. Il suo corpo rispondeva alle attenzioni di Vivienne, ma la sua mente era lontana. Come avrebbe fatto senza Demelza? Come avrebbe vissuto un'intera vita senza di lei? Come aveva potuto permettere che le cose andassero a finire così? Quando aveva smesso di guardarlo con quello sguardo pieno d'amore, senza che lui se ne accorgesse? Perché non aveva cacciato via Armitage quando si era accorto dei suoi sentimenti per Demelza? E ora... ora...?

Non seppe se era più dolore o rabbia o entrambi. Ma improvvisamente voleva scappare da quel posto. Forse non sarebbe mai più riuscito ad amare carnalmente una donna o forse ci sarebbe voluto tempo. Ma in quel momento aveva bisogno d'aria!

Si alzò di scatto, spinse via Vivienne e si allontanò, raccogliendo i suoi vestiti per terra.

La prostituta lo guardò indispettita e stupita, probabilmente era il primo uomo che la respingeva. "Signore? Se qualcosa non va, se desiderate altro tipo di attenzioni, basta chiedere... O avete problemi... fisici?".

Ross rise sarcasticamente. Bene, fantastico, ora sarebbe stato scambiato anche per impotente. Ma non gli interessava molto di quello che Vivienne pensava, non era il suo corpo che voleva e nemmeno quei capelli rossi così lisci. Voleva i capelli selvaggi e ribelli di sua moglie, i suoi boccoli, il loro profumo di mare... "Pagherò quanto devo per la prestazione e dirò che vi siete comportata benissimo e che abbiamo finito in fretta. La vostra reputazione è salva, state tranquilla".

Si rivestì in fretta, uscì dalla stanza senza degnarla più di uno sguardo, scese al piano terra e come pattuito pagò alla morettina del bancone il suo compenso. Poi uscì, incurante della pioggia battente.

Voleva solo andare a casa sua, in fretta, farsi un bagno, lavarsi dal sudiciume che si sentiva addosso e poi dare un bacio ai suoi figli che probabilmente già dormivano.

Arrivò al suo appartamento fradicio e congelato ma non poteva essere certo che non gli dispiacesse. Si sentiva sporco quella sera, da morire, e l'acqua piovana era un sollievo per lui, da sentire sulla sua pelle...

Miss Etta gli andò incontro. Indossava già la camicia da notte e le sue spalle erano coperte da uno scialle di lana. Ross la salutò con un cenno del capo, osservando in lei qualcosa di strano che sulle prime non riuscì a decifrare. Ma poi... "Che hai fatto ai capelli?".

L'anziana donna si toccò i ricciolini biondi che le ornavano il viso, con espressione estremamente fiera. "Oh, non lo sapete? Hanno inventato un modo per colorarli. Non vi sembro più giovane ora che non sono più color della neve?".

Ross la guardò storto, quasi cedendo all'istinto di riderle in faccia. A dire la verità sembrava un barboncino di quelli che vedeva a passeggio con le gran signore di città ma questo era meglio non dirglielo. "Credo... credo che dovrai darmi tempo per abituarmi" – mormorò. Era strano, in quella giornata era la prima volta che si sentiva a suo agio, a casa... Accidenti a Etta e alla tintura di capelli!

"Siete in ritardo" – osservò la domestica.

Ross arrossì. Beh, era meglio sorvolare sulle sue avventure serali. "Mi sono rifugiato in una locanda per sfuggire alla pioggia, ma visto che non accennava a smettere, ho affrontato il nubifragio". Parlando, notò che la donna aveva in mano delle lenzuola e gli sembrò strano, a quell'ora della sera. "Che fai?".

Etta sbuffò. "Il signorino Jeremy ha fatto la pipì a letto e le sto andando a lavare".

Ross spalancò gli occhi. Jeremy? La pipì a letto? E da quando? "Come mai? E' successo qualcosa?". Era stranito da questo fatto, non era mai successo e Jeremy aveva quasi sei anni, che gli prendeva?

La donna alzò le spalle. "Beh, i bambini erano in ansia dal non vedervi tornare e forse la preoccupazione... Jeremy è molto sensibile".

Ross sospirò preoccupato. Avrebbe fatto un bagno, si sarebbe cambiato e poi sarebbe andato da suo figlio per capire cosa stesse succedendo. "Ti ringrazio per quello che fai. Le lenzuola mettile nel tinello e vai a letto, le laverai domattina. Ora è tardi".

"Si signore".

Entrò nel bagno e si lavò strofinandosi talmente forte da far arrossare la pelle, con l'urgenza di andare dai suoi figli. Sembravano entrambi tranquilli – o forse aveva voluto illudersi che lo fossero – e invece qualcosa li turbava. Forse era solo per il fatto che non avevano cenato insieme, forse era successo qualcosa al parchetto con gli altri bimbi o forse Jeremy aveva avuto un incubo. Ma qualunque cosa fosse, si sentiva in colpa per non essere stato coi suoi figli quella sera e aver trascorso del tempo con una prostituta con cui non aveva concluso niente.

Finito il bagno si rivestì e poi andò nella stanza dei bambini. Clowance dormiva rannicchiata sul fianco sinistro, abbracciata a una delle sue bambole, Jeremy invece era sveglio e stava immobile ad osservare il soffitto.

Ross gli si sedette accanto, accarezzandogli la testa. "Hei, come va?".

Il bimbo lo guardò intimorito. "Sei venuto a sgridarmi?".

"Per la pipì a letto? No, capitava anche a me quando ero piccolo, succede" – gli rispose, mentendo. "Capita quando si è preoccupati per qualcosa, vuoi parlarmene?".

Jeremy abbassò lo sguardo, prendendogli la mano. "No, non sono preoccupato, ho solo bevuto tanta acqua a cena".

Ross percepì subito che era una bugia e che c'era dell'altro ma non sapeva come aiutarlo ad aprirsi. "Oh, peccato. Pensavo che fosse perché eri preoccupato per il mio ritardo".

Jeremy alzò le spalle, singhiozzando. Ma non disse nulla.

Ross allora lo prese in braccio, stringendolo a se. "Ascolta, io torno sempre. Presto o tardi, stanne certo, torno a casa! Ho avuto molto da fare e la pioggia mi ha fatto ritardare e mi dispiace, ma non devi preoccuparti. Verrò sempre a casa da te e da tua sorella, non vi lascio. Figurati se mi perdevo lo spettacolo dei capelli gialli di Etta! Ti pare?".

Jeremy sulle prime, a quelle parole rise, poi lo abbracciò forte, tremando, e Ross capì che c'era molto altro a turbarlo e sapeva anche cosa poteva essere. Ma non sapeva come aiutarlo perché lui la soluzione non l'aveva né per se stesso né per lui. Forse impedirgli di parlare di sua madre era stato un errore e tutti i sentimenti che il bambino si teneva dentro erano diventati una specie di vulcano in eruzione e uscivano in un disagio che ormai non riusciva più a gestire.

Doveva passare più tempo con loro, essere più presente. Non c'erano molte alternative, alternative accettabili quanto meno. "Vuoi venire nel lettone con me?".

Jeremy spalancò gli occhi. "Come a Nampara? Come quando eravamo con la m...". Improvvisamente si bloccò, mettendosi la manina sulla bocca. "Come quando vivevamo con Prudie..." - si corresse.

Ross, con un nodo alla gola, deglutì e lo baciò sulla fronte. "Sì, come a Nampara".

"Si, voglio dormire con te".

Dal lettino a fianco, giunse una vocina. "E io?".

Ross sorrise, davanti ai capelli biondi di sua figlia. "Certo, anche tu! Tutti e due".

Prese anche lei in braccio e andò in camera sua. Li mise a letto, uno al suo fianco destro e l'altra al sinistro. Si inventò una fiaba e rimase sveglio finché non furono completamente addormentati entrambi.

E si sentì a casa e capì che il piacere clandestino cercato ore prima non sarebbe stato nulla al confronto del calore che la vicinanza dei suoi figli potevano dargli.




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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette ***


Londra era stata il suo rifugio per dieci mesi. Non credeva di rimanere tanto a lungo lontano dalla Cornovaglia, in un ambiente che riteneva così estraneo da ciò che lui era, ma non aveva avuto altra scelta. Quando era partito, dopo aver scoperto della nascita della bambina di Demelza e Hugh, era assolutamente deciso a non tornare a Nampara, ma ora ne sentiva la nostalgia.

Era primavera, una stagione meravigliosa in Cornovaglia. Il mare tornava blu, era meno tempestoso e si rifletteva nell'azzurro del cielo, i campi prendevano vita e il clima diventava meno inclemente. Aveva sempre apprezzato tutto questo ma da quasi due anni la vita aveva perso ogni colore per lui.

Quel giorno aveva comprato dei dolcetti e si era liberato presto dalla sessione parlamentare. Aveva voglia di portare fuori i bambini per una passeggiata e poi, dopo cena, leggere un buon libro davanti al camino. Voleva pace...

Ma entrando in casa, si rese conto che non sarebbe stato così.

"Signor Poldark!" - tuonò Etta, parandosi davanti a lui – "Per fortuna siete arrivato! Oggi il signorino Jeremy mi sta facendo impazzire coi suoi capricci. Volevo portarlo al parco ma sta facendo il pazzo per non uscire di casa".

Ross sospirò. "Sta tranquilla, oggi ho finito presto e al parco ce li porto io, i bambini. Ho qui dei dolci, faremo un pic-nic e a Jeremy tornerà il buon umore".

"Papààààà". Dal fondo del corridoio, Clowance gli corse incontro. Aveva ormai tre anni ed era una delle più belle bambine di Londra, biondissima, coi boccoli e gli occhi azzurro-verdi come Demelza. Era vivacissima, con la lingua lunga, incredibilmente acuta e simpatica e sapeva essere sufficientemente ruffiana per ottenere tutto quello che voleva. Indossava un abitino azzurro legato in vita da un nastro, i suoi capelli erano pettinati in due graziose treccine ed era incantevole. "Mi hai portato un regalo?".

Ross la prese in braccio, baciandola sulla fronte. "Ho dei dolci che mangeremo al parco".

Clowance scosse la testa. "Jeremy non vuole andare al parco, ce li mangiamo tutti io e te. E Etta forse, se viene".

Ross ridacchiò. Clowance era perennemente affamata e per nulla altruista... La mise a terra, strizzandole l'occhio. "Jeremy verrà con noi, vado io a convincerlo".

"Si ma fa in fretta che se no passa l'ora della merenda!" - disse la bimba, incrociando le braccia al petto.

"Agli ordini!".

Ross andò nella camera del figlio. Le persiane erano socchiuse e tutto era avvolto da una strana atmosfera ovattata. Jeremy stava seduto alla scrivania con dei pastelli, intento a colorare un disegno. "Ciao! Etta mi ha detto che non vuoi uscire. Che c'è, non ti senti bene?" - chiese, entrando.

Il bimbo, non smettendo di colorare, scosse la testa. "Ciao papà!".

Ross si sedette accanto a lui, accarezzandogli la testolina. I suoi capelli erano cresciuti, li aveva voluti far diventare come i suoi e ora erano lunghi fino al collo, ricci e più scuri rispetto a quando era più piccolo. "E allora? Perché non vuoi andare al parco?".

"Non mi va".

"Questo l'ho capito. Ma perché?".

Jeremy sbuffò, guardandolo in viso. "Sono tutte stupide!".

Ross si accigliò. "Chi?".

"Le mamme dei miei amici. Sono tutte delle oche che corrono a vedere se i loro bambini hanno caldo, freddo, se hanno fame e se cadono".

Ross osservò suo figlio e poi il disegno che stava facendo. Sentì una strana inquietudine davanti all'aggressività di Jeremy nell'esprimere quel malessere e ancora di più quando si accorse che il foglio che stava colorando, era tutto nero. Che stava succedendo al suo bambino? "Jeremy, forse dovremmo parlarne... Le mamme dei tuoi amici non sono stupide, fanno le mamme".

"Le mamme sono tutte stupide!" - rispose il bimbo, spingendo via il foglio.

"Perché hai colorato il foglio tutto di nero?" - chiese Ross, prendendo il disegno fra le mani.

"Così, mi andava! Non ti piace, papà?".

Ross deglutì. C'era rabbia in Jeremy, faceva fatica in quel momento a riconoscere il suo bambino dolce e sensibile. Jeremy non era mai stato così. Cercò di prenderlo in braccio ma il bambino si divincolò. "Jeremy, ho preso dei dolci e vorrei andare al parco con te e Clowance. Quindi, smettila di fare lo sciocco, mettiti le scarpe e usciamo".

"NOOOO". Jeremy lo spinse via, scoppiando a piangere. Prese il foglio colorato di nero e in una reazione isterica lo strappò tutto in mille pezzi, cercando di divincolarsi.

Ross fu colto dal panico ma lo tenne comunque stretto. Che cosa aveva? Che gli prendeva? "Jeremy, calmati! Che cosa c'è?". Era preoccupato, da morire... Una reazione tanto violenta nasceva di certo da un qualcosa di grave.

Il bimbo scoppiò a piangere e si rannicchiò contro di lui, singhiozzando. "No, ti prego papà, non mi portare al parco. Sono tutti con le loro mamme e anche se sono stupide, ci sono. Non ci voglio più andare al parco... Stiamo a casa".

"Jeremy". Ross lo strinse a se, capendo finalmente dov'era il problema. Gli accarezzò la schiena e si sentì piccolo e impotente davanti al dolore del figlio. A Jeremy mancava sua madre ed era stato sciocco ad illudersi che non fosse così. Erano quasi due anni, due lunghi anni che non la vedeva. Aveva portato via dalla Cornovaglia lui e sua sorella spinto dalla rabbia, dal dolore e dalla sete di vendetta, credendo di poter ovviare senza problemi all'assenza di Demelza. Ma non era così, non avrebbe mai potuto essere così. Sua moglie era sempre stata una mamma attenta, dolce e premurosa coi suoi figli, era accanto a loro in ogni conquista o tappa, li abbracciava ed aveva con loro un rapporto molto fisico e tenero, rimaneva seduta sui loro lettini finché non si addormentavano e al mattino era la prima a dargli il buongiorno. Cantava per loro, li cullava, gli dava da mangiare e li prendeva per mano quando passeggiavano da qualche parte.

Sapeva che portar via a Demelza i figli era stato un atto vile e dettato dalla rabbia, fatto per colpire lei e farle del male, ma allora, quando era partito per la prima volta e Hugh era ancora vivo, non aveva pensato al dolore che stava arrecando anche ai bambini.

Hugh Armitage era morto da un anno e mezzo e la bimba avuta da Demelza con lui poteva avere ormai circa un anno. Ne era passato di tempo e Ross non sapeva più nulla di lei da tanto.

Era arrabbiato, lo era ancora moltissimo e forse lo sarebbe stato per sempre. Ma guardando suo figlio piangere così disperatamente, si rese conto che doveva mettere da parte il suo orgoglio e tornare. Almeno per un po', per Jeremy e per Clowance. Avevano bisogno di Demelza, di rivederla e riabbracciarla. Lei lo aveva tradito e lo aveva lasciato e di certo aveva peccato nei confronti dei bambini ma sapeva che li amava e che ne aveva sofferto e sapeva anche che abbandonarli era stata una cosa difficilissima per sua moglie. Non aveva idea di come avrebbe reagito nel rivederlo, il loro ultimo incontro era stato un incubo, ma doveva incontrarla e parlare con lei in modo civile. E cercare, almeno per i bambini, di trovare un punto di caduta per il loro bene. "D'accordo Jeremy, faremo merenda qui. Io, te, Clowance e Etta. E penseremo a preparare le valigie".

"Le valigie?".

"Devo tornare a casa a controllare la miniera, si torna in Cornovaglia per un po'. Ti va?".

Vide Jeremy sorridere, finalmente. Non gli promise nulla su sua madre e non accennò a lei, non sapeva se un incontro con Demelza sarebbe stato ancora possibile e non voleva illuderlo, ma vederlo per un attimo più sereno gli fece capire che stava percorrendo la strada giusta.

Era ora di tornare a casa e affrontare, almeno in parte, i suoi fantasmi.


...


Demelza stava finendo di appendere il bucato fuori casa, che sentì le urla di Prudie provenire dal bosco.

Osservò accigliata la piccola Eleanor che gattonava per terra, accanto a lei, inseguendo i conigli e le galline lasciati liberi di muoversi fuori dal recinto, in quel pomeriggio tiepido e assolato. "Chi c'è?" - chiese alla sua biondissima e bellissima bambina.

Eleanor sollevò gli occhi, la guardò e rise, lasciandosi prendere in braccio.

"Ragazza, ragazza" – urlò Prudie, comparendole davanti.

Demelza, sorpresa, le si avvicinò. "Prudie, che ci fai qui? Sei venuta a piedi?".

"Sono venuta di corsa" – rispose la serva, sventolandole una lettera davanti. "E' venuto Zachy Martin a portarmi questa. Stanno tornando".

Demelza si accigliò. "Chi sta tornando?".

"Il signor Ross coi bambini".

Demelza si sentì mancare e per un attimo, per non cadere, si appoggiò alla staccionata. Ross e i bambini stavano tornando... In Cornovaglia... Vicino, tanto vicino a lei... Era un qualcosa che non osava sperare da tanto e anche in quel momento si impose di non essere ottimista. Appoggiò la mano al braccio di Prudie e le sorrise tristemente. "Su, vieni in casa a bere dell'acqua, sei senza fiato".

Prudie annuì, seguendola. "Ma hai sentito cosa ho detto? Sta tornando, stai per rivederli".

Demelza la fece entrare, facendola sedere sul letto e dandole il bicchiere d'acqua. Mise a terra Eleanor e la bimba gattonò fino alla sua camera, comparendo dopo pochi istanti tenendo in una mano il suo coniglietto di stoffa. "Si, ho sentito. Ma non torna per me" – disse infine, sedendosi accanto alla serva.

Prudie le prese la mano, stringendola. "Certo che torna per te, per chi dovrebbe tornare?".

"Perché ha una miniera, una casa e degli affari qui" – rispose Demelza in tono sarcastico.

Prudie divenne rossa di rabbia a quelle parole. "Se non ti porta i bambini, ce lo spedisco qui da te a calci nel sedere. Deve portarteli!".

Demelza scosse la testa, la sua espressione divenne triste. Jeremy e Clowance erano i suoi bambini perduti e dopo tutto quel tempo nemmeno si potevano ricordare di lei. E Ross era stato piuttosto chiaro nel loro ultimo incontro, non li avrebbe più rivisti e non poteva dargli torto. Era stata una moglie e una madre pessima, aveva avuto una figlia con un altro uomo e li aveva abbandonati, rinunciando ad ogni diritto su di loro. "Non farai niente di tutto questo, Prudie. Occupati solo di loro, quando saranno a casa, fallo per me. Mettili a letto, canta loro una canzone e fa che abbiano tutto quello di cui hanno bisogno".

"Cantare una canzone? Io? Ai bambini? Giuda, gli farei venire gli incubi".

Demelza le sorrise, accarezzandole la mano. "Beh, racconta loro una favola, allora".

Prudie le strinse la mano. "Queste cose le dovresti fare tu e so che lo vorresti tanto". Deglutì, mentre gli occhi le diventavano lucidi. "Non avrei dovuto spingerti ad andare con Armitage, ho distrutto la tua vita".

Demelza scosse la testa. Era inutile dare la colpa a Prudie, la colpa di tutto quello che stava vivendo era solo sua. "Io ho fatto quello che ho fatto, per scelta. Avrei dovuto fare come le altre mogli, far finta di non vedere e prendere quel poco che quel matrimonio mi dava. Avrei dovuto farlo per il bene dei miei figli e non arrabbiarmi per il fatto che Ross amasse un'altra. Non mi ha sposata per amore e non avrei mai dovuto illudermi che lui cambiasse per me. Ha sempre amato Elizabeth e lo sapevo. Semplicemente, non avrei dovuto scordarlo e starmene al mio posto".

Prudie abbassò lo sguardo. "Ma sai, io non so davvero cosa ho visto quel giorno".

"Hai visto due persone che si amano e che si ameranno sempre".

Prudie non sembrava convinta. "Forse, non era come sembrava. Io lo so che per il signor Ross tu eri importante. E non riesco a credere che tu stia rinunciando così a combattere".

Demelza guardò quel piccolo mulino. Era diventato un posto accogliente ma rimaneva comunque povero, spoglio e privo di qualsiasi forma di benessere. "Cosa potrei fare? Chiedere a Ross di darmi i bambini? E come li manterrei? Non ho quasi cibo per me ed Eleanor, che potrei offrir loro? Nulla, assolutamente nulla... E Ross questo lo sa, non permetterà mai che vengano da me. Mi odia e sì, ha ragione! Sono stata orribile e merito tutto questo, ma so che i miei bambini con lui stanno bene e questo mi basta". Guardò Eleanor che gattonava serena e incurante di tutto, felice e intenta ad emettere gridolini vivaci e chiassosi. "Non sono più la loro madre, Prudie".

La serva spalancò gli occhi. "Che sciocchezze stai dicendo!? Certo che lo sei, ricordo ancora i tuoi strilli per metterli al mondo".

Demelza sorrise tristemente. "Ho smesso di esserlo, ho dovuto relegare il loro ricordo in un angolo remoto della mia mente o sarei impazzita. Non mi ricorderanno nemmeno più e forse è meglio così. Ora sono solo Demelza Carne, una sarta di Illugan e madre di una bimba senza padre, Eleanor". Accarezzò la testa bionda della bimba che si era nel frattempo arrampicata sul letto. "Lei, solo lei è tutta la mia vita" – disse, con le lacrime agli occhi. "Ross mi manca, sai? Mi manca tanto anche se non mi amava... Ma io amavo lui e lo amerò sempre. Mi manca tutto quello che facevamo insieme e certe volte vorrei poter tornare indietro. Ma non si puo' e allora guardo Ellie, mi convinco che la mia vita a Nampara è stata solo un sogno lontano e riprendo la mia giornata qui, senza pensare a niente se non a mettere insieme la cena".

Ellie in quel momento gridò forte nelle orecchie di Prudie e la donna sentì i timpani che si perforavano. "Che cos'ha da strillare tanto, questa qui?" - chiese, tentando di stemperare la tensione e alleggerire l'atmosfera.

"Le stanno uscendo i denti e non mi ha fatto dormire stanotte. E' in una giornata no".

Prudie prese di peso la bambina, mettendosela sulle gambe. "Hei tu, nana, sappi che nella vita avrai più giornate no che giorni belli, quindi facci l'abitudine e non rompere troppo le scatole. E vedi di dormire la notte!".

Ellie fece il faccino imbronciato quasi ad imitarla, poi scoppiò a ridere, mostrandole il suo coniglietto. "Kiky".

Prudie guardò Demelza. "Kiky?".

Demelza prese la bimba fra le braccia, stringendola a se quasi alla ricerca di calore. "Lo abbiamo battezzato così. Lei lo chiama in quel modo da quando ha iniziato a parlare".

Prudie alzò gli occhi al cielo. "Kiky... Mi sa che questa qua, mi prende in giro. Ci prende in giro tutte e due! Si salva solo perché ha un bel musetto" – sbottò, dando un sonoro pizzicotto alla bimba sulla guancia.

Ellie si imbronciò di nuovo, dandole una manata. E Prudie le fece la linguaccia. "Vedi di dormire stanotte, marmocchia! O domani te la vedrai con me". Si alzò, dando una carezza a Demelza. "E tu vedi di fare altrettanto. Ti voglio combattiva perché hai tanto per cui combattere. Non punirti più di quanto non sia necessario, gli errori sono stati tanti e io li ho visti tutti. Di tutti e due".

Demelza le sorrise di rimando, quasi a cercare di tranquillizzarla. Ross non sarebbe mai venuto da lei e non avrebbe rincontrato Clowance e Jeremy. Ma in fondo, sapere che sarebbero stati più vicini era già di per se una consolazione. E di questo doveva ringraziarla.


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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto ***


Si era svegliato molto presto quella mattina, nonostante fossero giunti a Nampara che era notte fonda. Aveva messo i bambini addormentati a letto, aveva acceso il camino e si era appisolato un paio d'ore sulla sedia a dondolo, perso nei suoi pensieri. Non aveva dormito molto, forse un paio d'ore, e alle prime luci del mattino aveva abbandonato il suo giaciglio di fortuna e si era messo a fare qualche lavoretto in casa mentre Prudie, stranamente silenziosa, seguiva con lo sguardo ogni sua mossa.

Fece una fugace colazione e poi si vestì. Voleva uscire prima che i bambini si svegliassero e aveva fretta di andare ad Illugan per parlare con Demelza. Non era come il loro ultimo incontro in cui era andato da lei pieno di buoni propositi e speranze ma al contrario, avvertiva il loro incontro come un peso che doveva togliersi in fretta. Era un uomo disilluso e ancora arrabbiato ma era anche piuttosto deciso a fare la cosa giusta per i suoi figli.

Si mise il tricorno in testa e si avvicinò alla porta. "Ci vediamo più tardi" – disse freddamente a Prudie. "Quando i bambini si svegliano, digli che torno presto, fa far loro colazione e intrattienili in qualche modo" – concluse, mentre Garrick gli annusava i pantaloni e cercava una sua carezza.

"Dove andate?" - chiese Prudie, incuriosita.

"A Illugan, devo parlare con Demelza. Abita ancora lì, in quel bosco?".

Prudie annuì. "Certo".

"Ci vive anche baby Armitage?" - chiese, in tono sarcastico.

"Baby Armitage?". Prudie si grattò il mento, pensierosa. Poi quando capì a chi si stava riferendo, lo fulminò con lo sguardo. "Eleanor? Oh, è talmente sveglia che magari sarete fortunato ed è già andata a vivere da sola".

Ross la guardò storto. "La tua ironia è fuori luogo".

"Pure la vostra, signore" – rispose Prudie, attizzando il fuoco nel camino.

Ross non disse nulla, non aveva voglia di discutere con lei. "Prenditi cura dei bambini e non dir loro dove sono andato" – disse, seccamente.

"Certo. Ma non fate del male alla signora, mi raccomando".

Ross rise sarcasticamente. "Farle del male? Quì quello che si sta facendo del male sono solo io, te lo assicuro!". Poi uscì, deciso a non dire altro. Prudie era sempre più irritante, dannazione a lei!

Salì sul cavallo e partì al galoppo, sorpassando la Wheal Grace dove riconobbe, in un gruppo di uomini che andavano a lavorare, alcuni dei suoi minatori. Non vedeva l'ora di sistemare le cose con Demelza e lasciarsela alle spalle per tornare al suo vero mondo, la miniera. Aveva voglia di prendere in mano un piccone e spaccar pietre, bere della birra con i suoi collaboratori, scherzare e lasciarsi alle spalle per qualche ora i problemi con la sua famiglia e il mondo ovattato e dorato in cui era vissuto a Londra. L'idea di vedere Demelza gli faceva sentire un peso sul cuore che faceva quasi male, era nervoso e pronto a esplodere per un nulla e desiderava solo pace... Ma le lacrime di Jeremy lo fecero desistere dal cambiare idea, doveva vederla per i suoi figli ed era un uomo, non poteva scappare!

Arrivò nei boschi di Illugan che il sole era ormai alto. Era una giornata piuttosto calda e pareva già quasi estate, nonostante fosse solo maggio. Scese da cavallo e percorse gli ultimi dieci minuti di strada a piedi, osservando la maestosità degli alberi del bosco che tornavano alla vita e godendosi il cinguettìo degli uccelli. Si chiese perché Demelza avesse scelto un posto tanto isolato per vivere ma non aveva intenzione di entrare nelle sue decisioni che, riteneva, non lo riguardavano più. Però, doveva ammettere, era un luogo incantevole e forse proprio uno spirito semplice e libero come sua moglie era in grado di coglierne la bellezza e il fascino.

Quando arrivò al mulino, si accorse che la porta era aperta. Un gruppo di galline e coniglietti sguazzavano liberamente nell'erba, nel poco spazio che intercorreva fra la casa e il ruscello, c'erano degli abiti appesi a un filo legato a due rami ma a parte questo, in giro non sembrava esserci nessuno.

Sentì crescere una strana inquietudine, si sentiva teso come una corda di violino e propenso a pensare al peggio per ogni cosa.

Poi sentì la sua voce e la sua risata provenire dal retro del mulino e in un certo senso si rilassò. Sembrava allegra e rilassata, serena...

"Devi dare le briciole ai coniglietti, non le devi gettare in terra o li farai morire di fame".

A quelle parole, Ross sentì seguire una risata infantile di bambina. Si irrigidì, era lei...

Beh, sapeva che l'avrebbe vista e quindi tanto valeva ingoiare il boccone amaro ed affrontare Demelza subito. Le avrebbe parlato, avrebbe ignorato baby Armitage e poi se ne sarebbe andato. Questo doveva fare, respirare profondamente prima di aprire bocca e impedire alla rabbia di avere il sopravvento! E tutto sarebbe andato bene...

Si avvicinò al lato della casa e le vide.

Demelza stava inginocchiata davanti a un piccolo recinto per animali, attorniata da una nidiata di coniglietti di poche settimane. Indossava un semplice abito rosso sbracciato, con sotto una camicia bianca, molto simile a quello che aveva una sera di Natale di anni prima, quando le aveva regalato delle calze. Teneva sulle ginocchia la marmocchia di Armitage, biondissima, paffuta, con un grazioso nasino all'insù, gli occhi azzurri e con indosso un semplice e pratico abitino bianco.

Era pure una bella bambina, dannazione a lei...

Fece un passo verso le due e finalmente Demelza si accorse della sua presenza. Appena lo vide, impallidì, alzandosi in piedi di scatto con la bimba fra le braccia. Ogni traccia di sorriso scomparve dal suo viso per lasciare spazio a un'espressione turbata e... spaventata? Questo lo ferì. Certo, il loro ultimo incontro era stato turbolento ma che lei avesse paura di lui...

Demelza indietreggiò, stringendo a se con fare protettivo la bambina che lo guardava accigliata. "Cosa ci fai quì?" - disse solo, con freddezza.

E lui le rispose con altrettanta freddezza, rendendosi conto che forse così, senza sentimentalismi, era più facile. "Devo parlare con te".

"Non ti aspettavo".

"Lo immagino". Ross guardò la casa, facendo un cenno col capo. "Potremmo andare dentro?".

Demelza guardò la piccola, poi la mise a terra annuendo. "Sù tesoro, vai avanti da sola a dare da mangiare ai coniglietti?" - le chiese, dandole in mano un sacchettino contenente delle briciole di pane.

La bimba si mise a gattonare ridendo, poi si avvicinò carponi ai coniglietti.

Ross la osservò, stupito che la lasciasse lì da sola. Ma in fondo non erano problemi suoi. "Baby Armitage non sa ancora camminare? I nostri, alla sua età, correvano già" – disse, con sarcasmo.

Demelza lo guardò freddamente, quasi trattenendo a fatica la rabbia. "Camminerà da sola quando ne avrà voglia e sa già farlo, se le tengo la mano. E comunque si chiama Eleanor!".

Ross alzò le spalle, aveva dimenticato il suo nome. "Beh, non ha importanza come si chiama, non credo che mi servirà saperlo visto che non intendo rivolgerle la parola".

Demelza lanciò un'occhiata alla bimba che, incurante di loro, strapazzava i coniglietti. "Sù, entriamo. Ma lasciamo la porta aperta, in modo che possa controllarla".

Annuì, accodandosi a lei. Entrarono in casa e Ross si accorse di quanto Demelza l'avesse resa accogliente in quel lasso di tempo in cui era stato lontano. Il camino era stato ripulito, il tavolo levigato e ornato con un vaso di fiori e due sedie di legno, alla finestrella c'era una tenda e sul letto a lato del locale c'era una coperta in lana fatta a mano, di mille colori. Nell'altra stanza intravide un lettino e un piccolo armadio sicuramente vecchio e di seconda mano ma riverniciato e reso di nuovo bello alla vista, così come la credenza accanto al camino.

"Siediti" – disse Demelza, quasi ordinandoglielo, indicandogli una delle due sedie. “E allora, che hai da dirmi?”.

La voce di Demelza era fredda, lontana e inespressiva. Non si vedevano da un sacco di tempo e probabilmente era arrabbiata per il fatto che gli aveva portato via i bambini tanto a lungo senza farle sapere più niente ma nonostante questo, faticava a riconoscere in lei la donna dolce e innamorata della sua famiglia di un tempo. Questo suo comportamento, unito al fatto che non aveva nemmeno chiesto dei loro figli, lo irritò ancora di più. “Il fatto che insieme abbiamo fatto tre figli non ti pare un motivo sufficiente per essere quì?” - chiese, accomodandosi sulla sedia.

Non lo so, lo è?”.

Ross si morse il labbro per non dar fuori di matto davanti a quel tono vagamente sulla difensiva e arrogante. Appoggiò il tricorno sul bordo del tavolo e poi la guardò dritto negli occhi. “Beh, dipende da quanto te ne può importare. Certo, ora che hai avuto una figlia da un uomo di alto lignaggio, forse degli altri tuoi bambini ti interessa poco, ma a me di loro importa e non sarei qui se non lo ritenessi strettamente necessario. Vuoi ascoltare cosa ho da dirti o devo andarmene? Non starò a pregarti di ascoltarmi se non sei interessata, sappilo!”.

In quel momento uno dei coniglietti, bianco come la neve, entrò dentro casa, seguito a gattoni dalla bimba che gli andava dietro ridendo e parlottando in una lingua incomprensibile. Demelza guardò la figlia, poi lui, perdendo un po’ di sicurezza nell’espressione del viso. Si sedette, lasciando libera la piccola di scorrazzare per la stanza, improvvisamente stanca. “Come puoi anche solo pensare che non mi importi di loro? Non li vedo da quasi due anni e so che probabilmente nemmeno si ricordano di me. Annullare i ricordi e i sentimenti è stato l’unico modo che ho trovato per non impazzire”.

Non li vedi da quasi due anni perché te ne sei andata con un altro uomo con cui hai fatto una figlia” – ribatté lui, freddamente. Non sarebbe riuscita a intenerirlo, la rabbia in lui era ancora troppa e la biondissima mocciosa che gattonava fra loro non lo aiutava certo a dissiparla.

"Non me ne sono andata con un altro..." - disse, vaga. "Ma non puoi capire, per un uomo è più facile nascondere gli errori e gestirli di nascosto, rispetto a una donna e non c'è bisogno che mi ricordi i miei errori, li conosco benissimo. Vorrei che ogni tanto pensassi anche ai tuoi ma credo che questo sarà impossibile". Demelza chiuse gli occhi, sospirò, poi li riaprì decisa a cambiare argomento. Erano lucidi e privi della sicurezza di poco prima. “Stanno bene? I miei bambini... sono cresciuti?”.

Ross finse di ignorare quanto le aveva detto, non era pronto ad affrontare certi argomenti e forse nemmeno serviva più, ormai. “Sì, sono cresciuti. Clowance non si ricorda di te, hai ragione. Non mi chiede mai di vederti e vive benissimo com’è stata abituata fin’ora” – disse, rimarcando queste cose per ferirla perché sapeva che le avrebbero fatto male – “Ma Jeremy…”.

Jeremy? Qualcosa non va?” – chiese Demelza, con la voce che le tremava.

Ross sospirò. “Lui di te si ricorda e ti cerca. Ti cerca sempre e ho fatto del mio meglio perché non fosse così ma ho miseramente fallito. Non posso dire che sia un bambino felice e so che mai lo sarà se continuo a tenerlo lontano da te. E vederti, di tanto in tanto, forse farebbe bene anche a Clowance, nonostante tutto”. La guardò, cercando di capire cosa pensasse davanti alle sue parole e vide che le tremavano le mani.

Davvero mi permetteresti di vederli?”.

Ogni tanto, quando sarò qui in Cornovaglia”.

Demelza deglutì. La bimba si arrampicò sulle sue ginocchia in cerca di attenzione e lei reagì accarezzandole la testolina e baciandola sulla fronte. Poi la rimise a terra, sorridendole, e la piccola riprese a giocare col coniglietto bianco.

Ross la osservò brevemente, sentendo il nervoso risalirgli alle stelle. Quella bambina aveva distrutto la sua vita e il solo vederla gli faceva contorcere lo stomaco, così come la vista delle attenzioni che Demelza le riservava. Odiava Hugh e dannazione, provava sentimenti piuttosto orribili pure per sua figlia. “Ovviamente ci sono delle condizioni, Demelza”.

Sua moglie annuì, quasi senza la forza di controbattere. Era strano vederla così, lei che di solito diceva la sua su tutto, ma Ross sapeva anche che Demelza era intelligente e che aveva perfettamente capito che doveva chinare la testa se voleva rivedere i suoi figli.

Lo immaginavo... Quali condizioni?”.

Ross indicò con la testa la bambina. “Fa in modo che in nessun modo Clowance e Jeremy possano pensare che quella lì sia loro sorella. Non lo è e non lo sarà mai! Non ho piacere di saperli in sua compagnia ma purtroppo questa è una condizione a cui dovrò sottostare io e non posso fare diversamente. Possono giocarci insieme e avere rapporti con lei, sarebbe impossibile vietarglielo se staranno qui da te, ma non potrà essere più di un’occasionale compagna di giochi. Accetti?”.

Demelza guardò la sua bambina. La sua espressione era sofferente e addolorata, ma alla fine annuì. “Sì e del resto non credo di avere alternative se voglio rivedere i miei figli. E’ tutto?”.

Sì, è l’unica cosa che ti chiedo. Per il resto so che sarai capace di fare bene con loro”. Era vero, perché negarlo? Demelza era sempre stata una bravissima madre, attenta e premurosa e proprio per questo Jeremy ne sentiva tanto la mancanza. E il fatto che non obbiettasse a quella regola che sicuramente la feriva moltissimo ne era una testimonianza. Accettava e chinava la testa senza combattere, per il bene dei bambini, e in questo riconosceva la Demelza di una volta.

Vide la bimba mettersi seduta e fermarsi ad osservarlo incuriosita. Distolse lo sguardo, tutto ciò che voleva era ignorarla e far finta che non esistesse. Dannazione a lei, non poteva tornarsene fuori a giocare coi suoi conigli?

La piccola tentò di tirarsi su aggrappandosi alla gamba del tavolo e dopo vari tentativi ci riuscì. Ross la vide allungare la manina verso il suo tricorno e sfiorarlo e a quel punto perse tutto l’autocontrollo che aveva avuto fino a quel momento. La rabbia lo invase, NON doveva toccare le sue cose, non doveva nemmeno avvicinarsi a lui. E prima che Demelza potesse fare qualcosa, senza quasi riuscire a ragionare, alzò il braccio e la colpì sulla manina che aveva sfiorato il tricorno. Non fu un colpo particolarmente forte ma fu comunque un gesto secco e deciso.

Demelza sussultò e la piccola spalancò gli occhi, cadendo all’indietro sul sederino e mettendosi a piangere all’istante tenendosi la manina colpita con l’altra mano.

Ross” – sussurrò sua moglie, guardandolo senza parole mentre si chinava a prendere in braccio la figlia. Era come se guardasse un estraneo in quel momento e anche lui si sentiva tale, verso se stesso. Che gli era venuto in mente? E in quel momento capì il perché del suo atteggiamento protettivo e guardingo quando lo aveva visto pochi minuti prima. Non aveva paura per se ma per sua figlia...

La bimba, probabilmente non abituata a gesti del genere, pianse disperatamente stringendosi a lei.

Fu costretto ad abbassare lo sguardo, vergognandosi vagamente di se stesso. Non aveva mai toccato nessun bambino e per quanto non sopportasse baby Armitage… dannazione, aveva dato uno schiaffo a una bimba di un anno! Provò irritazione verso se stesso e ancora di più verso la bambina che stava tirando fuori lati di lui che non gli piacevano per niente.

Si aspettò una reazione violenta da Demelza ma sua moglie rimase zitta a fissarlo, con espressione di rimprovero sul volto. E Ross andò sulla difensiva, forse cercando un appiglio per scusare se stesso. “E’ come suo padre, le piace prendere le cose degli altri…” – sussurrò, rendendosi conto che la vedeva come un nemico. Quella dannata bambina che piangeva era il suo nemico! Aveva distrutto ogni cosa e sì, uno schiaffo sulla manina era il minimo che potesse prendersi.

Demelza la strinse a se accarezzandole i capelli e sussurrandole qualcosa sotto voce all’orecchio, ma la bimba non smise di piangere. Ross pensò che stesse facendo un sacco di scene per niente, non era stato che uno schiaffetto nemmeno troppo forte, ma si morse la lingua e non disse nulla. Demelza non aveva aperto bocca e se lo avesse fatto, sapeva che lui poi si sarebbe sentito da cani perché sarebbe stata capace di fargli provare sentimenti di colpa che non voleva provare. Ci sarebbe riuscita benissimo, leggeva rabbia e biasimo sul suo volto e sapeva che a parole avrebbe potuto fargli male.

Sua moglie prese la manina della bimba e la baciò in quel modo in cui fanno le madri quando i loro bambini si fanno male. E Ross si accorse che era arrossata e che forse quello schiaffo non era stato poi tanto leggero sulla pelle delicata di una bimba tanto piccola. Sentì i sensi di colpa farsi strada senza che Demelza gli dicesse nulla e avvertì la voglia di scappare. “Domattina dovrò andare da Pascoe per delle pratiche. Se ti portassi i bambini un paio d’ore, saresti disposta a tenerli o sei occupata?” – chiese, cambiando bruscamente argomento, sforzandosi di non sentire quel pianto.

Portali quando vuoi” – rispose lei, freddamente.

Bene, stasera gli spiegherò ogni cosa, anche riguardo alla presenza della bambina e a come devono considerarla” – rispose, alzandosi e mettendosi il tricorno in testa.

Demelza lo osservò senza togliergli gli occhi di dosso, furente, con la figlia in braccio. “Va bene”.

Ross le lanciò una rapida occhiata. La bimba se ne accorse e si raggomitolò fra le braccia della madre, spaventata, chiudendo gli occhi e questo in un certo senso ferì il suo orgoglio. Aveva paura di lui e questo era un bene, certo, gli sarebbe stata lontana. Ma allo stesso tempo sentiva una sorta di amaro in bocca che non sapeva spiegare… “Mi dispiace, non avrei dovuto colpirla” – sbiascicò infine, vergognandosi di se stesso.

Demelza rimase fredda nella sua posizione. “Non farlo mai più. Mi hai capito? Toccala un’altra volta e non starò con le mani in mano… Sono sua madre, ricordatelo! E se ritenessi che per lei sei un pericolo, la difenderò con ogni mezzo. Amo mia figlia come amo tutti gli altri, la amo perché è mia! E so che questo ti da fastidio, ma dovrai farci l’abitudine perché sarà così. Hai capito?”.

Ross annuì. “Come ti ho detto, mi dispiace. Tienimela lontana e andrà tutto bene”. Si avviò alla porta e uscì, scavalcando il coniglietto bianco che saltellava nella stanza. “A domattina” – disse vago, allontanandosi – “E ricorda le mie condizioni”.

E tu ricorda le mie!” – rispose lei, alle sue spalle.

Ross non le rispose ma almeno in quello fu d’accordo con lei. Se ognuno fosse rimasto al suo posto, tutto sarebbe andato bene.



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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove ***


"Coraggio bambini, tiratevi su dal letto". Ross entrò nella stanza dei figli e spalancò le finestre, nonostante il sole non fosse ancora alto.

Clowance borbottò, nascondendosi sotto il cuscino, Jeremy si mise seduto stropicciandosi gli occhi. "Ma papà, è presto".

"Dobbiamo uscire, anche se è presto" – rispose Ross, sorridendogli.

Clowance allungò la manina, in cerca di quella del padre. "Dove ci porti?".

Ross prese in braccio entrambi, mettendoseli sulle ginocchia. Per quanto fosse arrabbiato con Demelza, era felice di portarli dalla loro madre perché sapeva che gli avrebbe fatto bene e che sarebbero svenuti dalla gioia, soprattutto Jeremy. Era ora di salvare quel poco che era rimasto della famiglia che lui e sua moglie avevano costruito insieme e si sentiva più leggero per aver preso quella decisione. "Io devo andare da Pascoe".

"NOOOOO!" - protestò Jeremy, aggrappandosi alla sua camicia. "Papà, andare da Sir Pascoe è più noioso... più noioso...".

A Jeremy non vennero le parole e Clowance andò in suo aiuto, con la sua provvidenziale lingua lunga. "Più noioso di quando andiamo a bere il tè da Miss Lorraine".

Ross si grattò il mento. Chi diavolo era costei? "Chi?".

Jeremy annuì, sospirando. "La cugina di Miss Etta. E' sorda, ha cento anni e vende il pesce al mercato. Si addormenta quando le parli mentre beviamo il tè e poi russa e Miss Etta non vuole che ridiamo. Ti prego, lasciaci con Prudie".

Ross alzò gli occhi al cielo sospirando. "Tranquilli, non verrete da Pascoe, vi lascio un paio d'ore da un'altra parte mentre sbrigo le mie faccende".

"Dove?" - chiese Jeremy.

Ross gli sorrise dolcemente, accarezzandogli la testa. "Andrete dalla mamma. L'ho vista ieri e vi aspetta".

Jeremy spalancò gli occhi e iniziò a tremare dall'emozione, Clowance parve trattenere il fiato. "Da mamma?" - chiese il piccolo, con un filo di voce.

Ross annuì, intenerito dal vederlo tanto emozionato e al contempo sentendosi in colpa per aver permesso alla sua rabbia di allontanare i figli dalla madre di cui avevano bisogno, così a lungo. "Volevi stare con lei, no?".

"Si. Ma tu avevi detto...".

"Mi ero sbagliato e credo che ogni tanto potrete stare con lei. Mi spiace non avervi permesso di vederla così a lungo".

Clowance giocò distrattamente con una ciocca dei suoi capelli biondi. "Ma io non la conosco".

Ross guardò la bimba. Era bellissima, una piccola bambola in miniatura, tanto che a Londra molta gente si girava a guardarla quando passeggiavano per le vie del centro. Era elegante nel portamento, sveglia, vivace e piuttosto acuta. E sapeva ottenere da tutti, specialmente da lui, qualsiasi cosa desiderasse. Lui la adorava e poteva immaginare il dolore provato da Demelza nel non vederla tanto a lungo. L'aveva persa di vista che aveva un anno e ora avrebbe ritrovato una bimba che parlava perfettamente, che correva veloce e che non la riconosceva più. "La conoscerai, lei ti vuole molto bene e non vede l'ora di riabbracciare te e tuo fratello".

Clowance annuì un pò scettica e Jeremy tremò di nuovo. "Non torna a casa con noi?".

Ross si oscurò, temeva quella domanda e sapeva che Jeremy ci sperava ancora. "No, sai bene che non viviamo più assieme. Ma lei vive in una casetta piccola ma molto graziosa nel bosco, c'è un ruscello dove potrete giocare e mamma ha pure delle galline e dei coniglietti che potrete tenere in braccio se vi va".

"Com'è mamma? Bella?" - chiese Clowance.

Ross annuì. Era bella, nonostante tutto sarebbe sempre stata la più bella per lui. Anche se capirlo ora che era troppo tardi non sarebbe servito a nulla... Aveva ammirato a lungo Elizabeth senza accorgersi della bellezza della donna che era diventata la sua compagna e la madre dei suoi figli, dandola per scontata, senza fermarsi mai a pensare che qualcuno avrebbe potuto portargliela via. Demelza si era sempre sentita la seconda scelta e col tempo lui aveva capito che forse lo era stata davvero in un certo senso, a lungo. "Bellissima come te, solo che lei non è bionda ma ha dei meravigliosi capelli rossi". Pensò a come ne era stato attratto il giorno prima, nonostante l'abbigliamento semplice e l'abisso fra loro, chiedendosi come avrebbe potuto sopportare una vita intera senza poterla più toccare, possedere, amare... Se non ci fosse stata baby Armitage forse avrebbero superato la tempesta, era disposto a tentare pur di riavere sua moglie, ma con la nascita di quella bambina tutto era finito. E a proposito di baby Armitage, era ora di affrontare quell'argomento coi suoi figli. "Devo dirvi una cosa".

"Su mamma?" - chiese Jeremy.

"Si. Lei ha avuto un'altra bambina, la conoscerete stamattina e...".

Clowance parve eccitata dalla notizia e si mise a saltare. "Una mamma e anche una sorellina, bello!".

"NOOOO!". Ross bloccò la figlia, prendendole le mani. Sentirla usare il termine 'sorellina' era la cosa più irritante di quella faccenda. Irritante perché in effetti lo era, anche se lui non lo avrebbe mai accettato. E soprattutto avvertiva ancora in lui i sensi di colpa per lo schiaffo che le aveva dato il giorno prima. Non ne era orgoglioso e sapeva che se la stava prendendo con la persona sbagliata ma in mancanza di Hugh, con chi avrebbe dovuto sfogarsi? Era una dannata e bellissima bimba, fosse stata almeno brutta ne avrebbe goduto, ma Demelza aveva messo al mondo un piccolo capolavoro. E lui non ne era il padre... "Non è vostra sorella!" - sentenziò, alla fine di quel flusso di pensieri.

Jeremy ci pensò su. "Ma papà, se è la bimba di mamma, è nostra sorella. Mi sa che ti sbagli".

Ross si morse il labbro. Era così dannatamente difficile... "E' complicato da spiegare e lo capirete quando sarete più grandi. Non è vostra sorella ma potrete giocare con lei se vi va, se vi sta simpatica e se voi lo sarete a lei".

Clowance gli strattonò la camicia, incuriosita. "Ma come si chiama? Quanti anni ha? Sa giocare con le bambole?".

Ross sospirò, era così irritante non lasciar trapelare la repulsione per la bambina ed essere il più neutro possibile coi suoi figli. Quando aveva deciso di riportare i bimbi da Demelza, sapeva che baby Armitage avrebbe fatto parte del pacchetto e aveva deciso suo malgrado di accettarlo per il bene dei suoi figli, pretendendo che sua moglie facesse però la sua parte e facesse capire loro che la piccola non apparteneva alla loro famiglia. MAI sarebbe stata la sorella dei suoi bambini! "Ha un anno circa, chiedete alla mamma che ne sa più di me. Chiedetele pure il nome, che io non lo ricordo... Non so se sa giocare con le bambole, provaci Clowance. Magari è un pò stupida e non ci riesce" – concluse strizzando l'occhio alla figlia, consapevole però di essere un pò una carogna nel dire quelle cose.

Jeremy si grattò il mento, guardandolo male. "Ma papà, magari non ci riesce perché è piccola".

Ross arrossì, Jeremy era più assennato e maturo di lui. "Forse". Sospirando, si alzò dal letto. "Su, andiamo, sbrigatevi a lavarvi, vestirvi e fare colazione. Mamma vi aspetta e Pascoe aspetta me".

"SIIIII" – urlarono i bimbi eccitati, saltando giù dal letto.

Ross alzò gli occhi al cielo. Iniziava uno dei giorni più lunghi della sua vita.


...


Demelza si era alzata presto quella mattina, dopo una notte completamente insonne. Era così eccitata e allo stesso tempo spaventata dall'opportunità di vedere i suoi bimbi dopo tanto tempo, che non aveva chiuso occhio... Non credeva sarebbe stato possibile e Ross l'aveva lasciata attonita e senza parole il giorno prima, andando da lei.

Era stato strano vederlo. Era così bello, altero, fiero e distante. Troppo distante... Era l'uomo che amava e che sempre avrebbe avuto fra le mani il suo cuore ma era come trovarsi davanti a un estraneo da studiare e da cui doversi difendere. Non tanto lei ma Ellie...

Ross odiava la bimba, non poteva fargliene un torto ed era complicato essere nel mezzo fra due persone che amava. Aveva tradito Ross all'interno di un matrimonio infelice e senza amore, lui non era mai stato davvero innamorato di lei, ma questo non alleviava i suoi sensi di colpa. Aveva giurato fedeltà e il fatto che Ross avesse infranto quegli stessi voti non la legittimava comunque a fare altrettanto. Avrebbe dovuto rimanere fedele a se stessa e ai suoi sentimenti, fare il bene dei suoi figli e sopportare in silenzio. Aveva voluto bene a Hugh e in lui aveva trovato un affetto che cercava disperatamente, ma non l'amore, l'amore era Ross nonostante tutto. E Ellie... La sua bellissima bimba bionda, nata da quel fugace momento rubato al suo matrimonio che ora avrebbe portato sulle spalle il peso di errori non suoi... Spesso la guardava piena di sensi di colpa. E il non averla potuta difendere il giorno prima peggiorava tutto... Ma se avesse parlato, se avesse irritato Ross, forse lui avrebbe cambiato idea e lei avrebbe perso l'unica occasione offertale di riabbracciare Jeremy e Clowance. Era terribile dover scegliere fra i suoi figli... Ma Ellie l'aveva sempre tutta per se, mentre loro... Per una volta aveva dovuto chinare il capo davanti al comportamento di Ross verso Ellie per il bene degli altri suoi figli, non aveva potuto fare altro se non tacere e coccolare la sua bimba in lacrime, giurando però a se stessa che non avrebbe mai più permesso che succedesse una cosa simile. Aveva ammonito blandamente Ross e sapeva che lui aveva capito. Non avrebbe più toccato Ellie, non lo avrebbe fatto perché era una brava persona e avrebbe imparato a controllare rabbia e dolore e a vedere la sua bimba per ciò che era: una bambina innocente. Non si illudeva che si affezzionasse a lei e capiva il suo pretendere che i loro figli non la considerassero una sorella. Era difficile per lui quanto lo era per lei. Ed entrambi dovevano fare a patti col loro orgoglio e fare delle rinunce dolorose per il bene dei figli a cui avevano dato vita insieme.

Pensò a Jeremy e Clowance... Chissà com'erano cresciuti e quante cose avevano imparato a Londra. L'avrebbero riconosciuta? Abbracciata? O rifiutata?

Ellie aveva piagnucolato fino a notte fonda a causa dei dentini e quella mattina dormiva ancora ed era meglio così, meno incontrava Ross e meglio era. E poi, egoisticamente, voleva godersi Jeremy e Clowance senza nessun altro con cui condividere le loro attenzioni. Non li vedeva da due anni mentre Ellie l'aveva avuta sempre tutta per se e voleva tempo per viversi gli altri suoi due figli perduti, da sola, almeno per qualche ora. Si sentiva in colpa per questo desiderio e il pensiero di non essere una brava madre la divorava, costringendola a domandarsi se sarebbe mai arrivato il giorno in cui non avrebbe più sentito il suo cuore diviso in mille pezzettini.

Seduta sullo scalino, osservò il torrentello che scorreva davanti casa, la maestosità delle piante e il blu del cielo. Era una giornata ormai quasi estiva e tutto sembrava volgere al sereno.

Improvvisamente sentì il rumore di un cavallo e dopo pochi istanti, Ross comparve alla sua vista coi due bambini in sella. In perfetto orario...

Rimase senza fiato, alzandosi lentamente dallo scalino. Erano così cresciuti che quasi stentava a riconoscerli: Jeremy aveva i capelli più lunghi e pieni di riccioli, come suo padre, era snello, molto più alto di come lo ricordava e con un'espressione smarrita. Clowance, vestita con un bellissimo abitino verde, sembrava una bambolina coi suoi capelli biondi raccolti in due treccine, le guance rosse e piene e gli occhioni azzurri curiosi e vispi.

Ross, con espressione ferma, li tirò giù da cavallo. Clowance si aggrappò ai suoi pantaloni ma Jeremy...

Jeremy le corse incontro e la abbracciò talmente forte da farle mancare il fiato. "Mamma" – urlò, singhiozzando dall'emozione, stringendosi a lei in modo convulso.

Demelza si chinò, gli occhi lucidi e le mani tremanti, abbracciandolo forte e baciandolo sulla fronte. "Sono quì amore, sono quì" – sussurrò non smettendo di accarezzarlo e baciarlo, preda di una grandissima gioia ma anche di tanti, troppi sensi di colpa che le sue scelte avevano fatto ricadere su di lui.

Ross diede una leggera spintarella a Clowance, avvicinandola a lei. "Su, saluta la mamma".

La piccola annuì, fece un leggero inchino da perfetta dama e poi sorrise, studiandola attentamente. "Ciao, io sono Miss Clowance Poldark".

Demelza sorrise, intenerita e stupita da quella presentazione così elegante e formale. Era una bellissima lady in miniatura, tempo qualche anno e avrebbe fatto innamorare decine di uomini... "So come ti chiami, il tuo nome l'ho scelto io" – le rispose, stringendola delicatamente a se col fratello e baciandola a sua volta sulla guancia.

Se qualcuno le avesse chiesto cos'era la vera felicità, glielo avrebbe spiegato raccontandogli cosa stava provando in quel momento. Tutto perdeva consistenza davanti al fatto di avere tutti i suoi figli con se dopo tanto, dopo che aveva smesso persino di sperarci. Alzò gli occhi su Ross che era rimasto in disparte e in silenzio. E nel suo sguardo e nei suoi occhi oscuri come la notte fu come vedere, dopo tanto, una strana scintilla, una luce che pareva volerle dire tante cose che lei, che una volta sapeva leggere anche i suoi silenzi, non riusciva più a capire. Eppure per una manciata di secondi i loro sguardi rimasero incatenati, come se fossero capaci di comunicare silenziosamente cose che a parole non sapevano più dirsi. "Grazie" – sussurrò. Era un grazie per avergli riportato i suoi bimbi e per essersi preso cura di loro tanto bene in quel lungo periodo di separazione.

Ross annuì. "Non ringraziarmi e ricorda cosa mi hai promesso".

"Lo ricordo" – rispose, mentre la strana magia di poco prima svaniva dietro al muro di freddezza che entrambi si erano imposti.

Suo marito si guardò in giro. "Lei non c'è? Sei riuscita ad affidarla a qualcuno per la mattinata?".

Demelza deglutì, Ellie sarebbe sempre stata causa di tensioni fra loro. "Dorme, stanotte aveva un po' di febbre a causa dei denti e si è addormentata all'alba".

Ross alzò le spalle. "Meglio così". Guardò i suoi figli e poi lei, avviandosi verso il cavallo. "Torno a prendervi prima di mezzogiorno, fate i bravi".

I bimbi annuirono, non staccandosi da lei, e insieme lo guardarono allontanarsi al galoppo velocemente, come se avesse bisogno di fuggire da quel momento tutti insieme dopo tanto tempo.

Demelza li strinse a se, sedendosi sul gradino della casa coi figli sulle sue ginocchia. "E allora bimbi, cosa volete fare?". Si sentiva così impacciata e spersa, erano i suoi figli ma non sapeva più niente di loro e doveva imparare a conoscerli di nuovo.

Jeremy si strinse a lei. "Niente, stiamo quì così, voglio solo stare con te in braccio".

Lo abbracciò ancora più forte. Jeremy era sempre stato sensibile e delicato, molto più di sua sorella apparentemente. Clowance sembrava indipendente e piuttosto vivace ma lui anche se aveva già sei anni aveva bisogno di sentirla vicina anche senza fare nulla di eccezionale. In questo non era cambiato, era sempre il suo bambino dolce e di carattere sembrava simile più a Ellie che alla sorella. "Come vuoi, staremo quì".

Clowance le sfiorò una ciocca di capelli, osservandola attentamente. "Hai i capelli rossi come il pony di Therese".

"Non si dice Clowance! Le persone non si paragonano agli animali" - la sgridò Jeremy.

"Perché?".

Demelza rise davanti alla spontaneità della figlia. Aveva solo tre anni e parlava benissimo, sembrava molto più grande della sua età. "Il pony di Therese è bello?".

La bimba annuì.

"E allora sono contenta di avere i capelli come quel pony".

Clowance fece la linguaccia a Jeremy. "Visto? Mamma, anche Miss Etta ha i capelli color cane, adesso che li colora di giallo".

Jeremy scoppiò a ridere e Demelza si perse nei loro discorsi. Non aveva idea di chi stessero parlando ma sentire le loro voci era come un balsamo ad ogni problema. "Chi è Miss Etta?".

"La nostra tata" – disse Jeremy. "E' vecchia e ha i capelli bianchi e allora li colora di giallo".

Clowance annuì. "Si, giallo come il barboncino di Miss Tindall che viene tutti i giorni al parchetto coi suoi nipoti. Sai che gliel'ho detto a papà che Miss Etta ha i capelli come il barboncino, ma lui ha detto di non dirglielo. Perché non devo dirglielo, mamma?".

Demelza le sorrise immaginando la loro vita a Londra con Ross, che scopriva attraverso quei racconti sconclusionati e divertenti. "Beh, magari Miss Etta si offende, fate come vi dice papà".

I bimbi annuirono e poi iniziarono a parlare e a raccontare tante cose che avevano fatto, detto, visto e imparato. Risero, si abbracciarono e Demelza si sentiva felice e commossa, orgogliosa che quei due bellissimi bimbi fossero suoi.

Improvvisamente Ellie si fece sentire, piangendo ed annunciando che si era svegliata. Demelza sussultò, come ricordandosi solo in quel momento della sua presenza, entrò in casa e i bimbi la seguirono fino alla cameretta, osservandola mentre la prendeva in braccio.

Ellie si strofinò gli occhi e li guardò, prima di rannicchiarsi timidamente fra le braccia della madre.

"E' la tua bimba nuova! Ce lo ha detto papà" - chiese Jeremy.

Demelza si sedette per terra con Ellie in braccio, in modo da mostrarla ai suoi figli. "Lei è Eleanor, ma io la chiamo Ellie. Ellie, loro sono Jeremy e Clowance e sarete amici, da oggi".

Jeremy le toccò le manine e le sorrise, mentre Clowance si guardò attorno pensierosa. "Ma non ha neanche una bambola?".

"No, ma ha un coniglietto di stoffa che ama tantissimo, Kiky" – disse, indicando il gioco nella culla.

"Kiky" – ripeté Ellie.

Clowance sospirò. "Posso insegnarle a giocare con le bambole quando torno a trovarti, mamma? Papà ha detto che se vogliamo, possiamo giocare con lei".

A quelle parole, Demelza fu grata a Ross per non averli messi contro la piccola. Immaginava quanto potesse essergli costato... "Certo".

Jeremy le prese la mano. "Mamma?".

"Dimmi".

"Ma un giorno pensi che tu e papà farete pace e tornerai a casa? O a Londra con noi?".

Le si strinse il cuore, Jeremy non si sarebbe mai arreso. "Siamo quì e siamo insieme e su questo io e papà siamo d'accordo. Non tornerò a casa e da grande capirai il perché ma ora ci vedremo più spesso, vedrai. Lo so che non è come vivere insieme, ma è molto meglio rispetto a prima, no?".

Jeremy sospirò. "Credo di si, ma...".

"Ma?".

"Ma mica potete litigare per sempre, mamma",

Avrebbe voluto credergli ma sapeva che non poteva succedere. Eppure erano lì, insieme, e fino a due giorni prima lo credeva impossibile... "Un passo alla volta, tesoro" – disse, baciandolo sulla fronte.

Jeremy annuì e alla fine Demelza decise che era meglio cambiare discorso e portò fuori a giocare tutti e tre i bimbi. Corsero nel ruscello e si bagnarono fino al midollo e anche Ellie si trovò subito a suo agio con i due bambini.

Rimase stupita che non vi fosse gelosia verso la piccola, capendo quanto i bimbi sapessero guardare più lontano degli adulti ed essere più saggi.

Il tempo volò e quando Ross tornò a prenderli, Clowance e Jeremy erano sudati, bagnati, stanchi e felici.

Appena Ellie lo vide, si rintanò fra le braccia di Demelza ma non pianse, anche se era intimorita.

Sulle prime lei e Ross non si dissero nulla, lui prese i bimbi, li caricò sul cavallo e annuì in un breve cenno di saluto. "Vedo che è andato tutto bene, li riporterò appena ripasso da queste parti se per te va bene. Ci fermeremo in Cornovaglia per un po' di tempo, almeno fino all'autunno".

"Certo che voglio vederli, portali quando vuoi".

"Perfetto". Ross guardò i figli. "Su, salutate la mamma, dobbiamo andare, Prudie ci aspetta per pranzo".

"Ciao mamma, ciao Ellie!".

Ross distolse lo sguardo quando la piccola rispose al saluto con la manina. Ma Demelza sorrise lo stesso, era comunque una bella giornata.




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Capitolo 20
*** Capitolo venti ***


I bambini erano eccitati quella mattina perché avrebbero passato l'intera giornata con Demelza, pranzando con lei.

Dopo il loro primo incontro Ross, durante quei mesi estivi, glieli aveva portati altre volte, ma mai per così tante ore. Però quel giorno aveva un incontro con lord Basset che si sarebbe prolungato tutto il giorno, quindi aveva deciso di lasciarli con la madre invece che con Prudie. I suoi rapporti con Demelza erano freddi e pressocché nulli, limitati a poche parole di circostanza sui figli, ma Jeremy e Clowance erano rinati con lei. Vederla aveva fatto bene soprattutto a Jeremy e anche se gli incontri erano sporadici, era tornato ad essere un bambino sereno e allegro come sua sorella.

Demelza inoltre non aveva mai posto limiti o fatto richieste, lasciando decidere a lui quando portare i bimbi e questo era un bene. Andava meno bene il fatto che i bambini si fossero affezionati tanto a baby Armitage ma non poteva farci molto, sapeva che sarebbe andata così.

Caricò i figli sul cavallo e lasciò Nampara che era ancora presto.

"Mamma sa cucinare?" - chiese Clowance, evidentemente preoccupata per il pranzo.

"Sì, è molto brava".

Jeremy guardò Ross. "Che ci prepara?".

"Non ne ho idea". Non sapeva cosa avrebbe potuto cucinare loro, Ross sapeva che Demelza non aveva grosse disponibilità di denaro ma sua moglie lo aveva rassicurato su quel punto, quando le aveva chiesto se poteva permettersi di avere i bambini alla sua tavola.

Clowance alzò un grosso sacchetto di stoffa pieno di biscotti al cioccolato che lei e suo fratello avevano preparato con Prudie la sera prima. "Prima mangiamo la pappa di mamma, se ci piace, e poi i biscotti".

Jeremy saltò eccitato sulla sella. "Sì, i biscotti sono buonissimi! Piaceranno anche a Ellie e a mamma!".

A quelle parole, Ross si incupì. Gli capitava ogni volta che i suoi figli nominavano quella dannata bambina. "NO".

Jeremy lo guardò. "No, cosa?".

"I biscotti sono per te e Clowance, non per l'altra bambina. A lei e al suo cibo pensa la mamma, non io". Al diavolo, doveva già sopportare il fatto di vederla quella mocciosa, ma di certo non l'avrebbe mantenuta coi suoi soldi e il suo cibo. Non era mica figlia di Armitage? Beh, che ci pensasse lui, ovunque fosse, coi suoi milioni, a sfamare sua figlia!

"Ma papà" – protestò Jeremy – "Come facciamo? Se mangiamo tutti insieme, lei li vuole. Perché non posso dargliene uno? Sono tanti, mica li riusciamo a finire tutti, io e Clowance".

L'umore di Ross divenne cupo. "Se non li finirete, li riporteremo a casa per Prudie!".

Clowance lo guardò, quasi sorpresa da quel suo comportamento. Beh, da grande avrebbe capito... "E se ce ne chiede uno?".

Ross divenne serio, voleva chiudere quel discorso e assicurarsi che avessero compreso che non stava scherzando. "Le direte di no! Ascoltatemi bene..." - disse, guardandoli negli occhi – "Se le darete qualcosa io lo saprò e mi arrabbierò molto. E potrete scordarvi di vedere la mamma per un po'. Capito?".

I bimbi abbassarono lo sguardo, mentre ogni traccia di gioia spariva dai loro volti. "Capito".


...


Era stata una giornata piacevole e dopo quasi due anni aveva potuto pranzare coi suoi bambini. Di solito lei ed Ellie mangiavano fugacemente, con le poche risorse a loro disposizione, ma quel giorno Demelza aveva voluto che fosse speciale. Aveva comprato della carne, cosa che succedeva raramente a causa dei costi elevati, e ne aveva fatto un pasticcio con le patate che i bimbi avevano divorato.

Soprattutto Clowance, che dimostrava di essere dotata di grande appetito. La bimba aveva mangiato e chiacchierato come suo solito, alternando buone maniere a momenti più irruenti in cui usciva il lato più vivace dei suoi tre anni e mezzo. L'aveva ascoltata, rapita dai suoi discorsi sconclusionati, mentre imboccava Ellie, mentre invece Jeremy era rimasto stranamente silenzioso, in disparte. Cosa strana per lui, solitamente molto dolce e affettuoso...

Dopo pranzo Clowance corse fuori a giocare coi conigli e Ellie, che coi due bambini aveva finalmente preso coraggio per camminare da sola, la seguì.

Demelza ne approfittò per avvicinarsi a Jeremy per capire cosa avesse. "Tesoro, non ti senti bene?".

Jeremy scosse la testa, sembrava stesse per piangere. "No, sto bene".

"Non è vero".

Il bimbo fece per dirle qualcosa, quando fu interrotto da Clowance che, di corsa, era rientrata in casa seguita da Ellie. "Mamma, posso mangiare i biscotti che abbiamo fatto con Prudie?".

"Si, certo". Demelza si guardò attorno per ricordare dove li avesse messi quando erano arrivati e una volta visti sulla credenza, li prese e li mise sul tavolo.

Ellie si aggrappò allo schienale della sedia, in punta di piedi, per guardare. "Bitotti" – disse, allungando la manina.

Demelza si morse il labbro perché non sapeva se darglieli o meno. Ross non aveva detto nulla in proposito e conoscendo la sua avversione per la piccola, probabilmente non gli avrebbe fatto piacere.

Clowance fugò ogni suo dubbio. "Ellie non puo' mangiarli, lo ha detto papà".

Demelza spalancò gli occhi. "Cosa?".

E a quel punto Jeremy iniziò a singhiozzare. "Non possiamo. Ha detto che sono per noi ma che non dobbiamo farli mangiare a Ellie, che a lei devi pensarci tu. Io glieli voglio dare ad Ellie ma papà ha detto che se lo faccio mi mette in castigo e non mi fa venire quì da te per un bel po'. Mamma, perché?".

Rimase attonita, a bocca aperta, senza capire se fosse arrabbiata o ferita. Ma probabilmente era entrambe le cose. Ross l'aveva ferita in tanti modi ma avrebbe sempre messo la mano sul fuoco sulla sua generosità e il suo buon cuore, sul suo aiutare i deboli e lottare per un mondo più giusto, sul suo onore e la sua rettitudine. Tutto avrebbe potuto pensare di Ross ma MAI che avrebbe potuto usare i bambini per colpirla e soprattutto per far del male ad Ellie. Che facesse la guerra a una bimba di poco più di un anno era intollerabile, non era da lui. Sapeva che non sopportava la bimba, sapeva che probabilmente la odiava e non voleva averci nulla a che fare ma Ellie che male gli aveva fatto? E soprattutto, come poteva difendersi da lui?

Era dunque per questo che gli aveva portato i bambini? Era per usarli contro di lei, trovando in loro vendetta?

Ricacciò indietro le lacrime, non voleva che Jeremy e Clowance la vedessero piangere, poi prese in braccio Ellie cercando di ricomporsi. "Papà ti ha detto così perché lei è troppo piccola per mangiare biscotti al cioccolato e gli verrebbe mal di pancia. E' stato... gentile... a preoccuparsi per Ellie, no? Non preoccuparti, a lei ci penso io" – disse a Jeremy, cercando di tranquillizzarlo. No, non avrebbe messo i bimbi in mezzo a quella guerra ed era giusto che il suo bambino fosse sereno. Ci avrebbe pensato lei a Ross, quella sera, era ora di affrontare una discussione fin troppo a lungo rimandata. "Mangiate i biscotti quì, a tavola, tu e Clowance. Io nel frattempo porto Ellie fuori, a dare le briciole di pane ai conigli e alle galline".

Jeremy le sorrise, finalmente rasserenato da quella bugia. "Va bene".

Strizzò loro l'occhio e portò fuori la piccolina che piangeva per avere il dolcetto. Ma non poteva darle nulla e per fortuna Ellie quel giorno aveva mangiato a sufficienza da non essere affamata. Ma vedere le lacrime nei suoi occhioni azzurri le spezzava il cuore perché era ingiusto e crudele. Così come era stato ingiusto far soffrire Jeremy e riempirlo di sensi di colpa.

A contatto con gli animali, Ellie si calmò e dimenticò i biscotti. In breve si addormentò per il suo riposino pomeridiano e Demelza, dopo averla messa nella sua culla, restò alcuni istanti in silenzio ad osservare i suoi boccoli biondi, il suo respiro placido, le sue guance rosee e il visino dolce e perfetto, chiedendosi come potesse un uomo adulto decidere a tavolino di farle del male. Poi la lasciò dormire e passò il pomeriggio a raccogliere more e lamponi nel bosco attorno a casa, coi due figli più grandi, fingendo che tutto andasse bene.

Con loro i suoi nervi si distesero e per un po' dimenticò la faccenda. Finché Ross, nel tardo pomeriggio, non tornò a prendere Clowance e Jeremy. Quando arrivò, i bimbi erano nella stanzetta di Ellie a giocare con dei coniglietti e ridevano tutti e tre come matti.

Ross non era diverso dal solito quella sera: sbrigativo, distaccato e distante. E fino a quel giorno era andata bene così. Ma Demelza sapeva che in entrambi bruciava un fuoco pronto a divampare e sapeva anche che lei era al limite e che c'erano cose da affrontare rimandate da troppo tempo. "Posso parlare con te in privato, fuori, un attimo?" - gli chiese freddamente, prendendo di nascosto il sacchetto coi biscotti avanzati. Clowance e Jeremy ne avevano mangiati poco meno di metà...

Ross parve sorpreso. "E' successo qualcosa?".

"No, deve succedere qualcosa di particolare per parlare con te?".

Davanti a quel tono freddo e rabbioso, Ross sussultò. Poi, capendo che qualcosa non andava, salutò i bambini, invitandoli a giocare in cameretta ancora qualche minuto perché doveva parlare di faccende legali e noiose con la loro mamma. Infine le fece cenno con la testa di uscire. "Avanti, andiamo fuori e dimmi tutto".

Uscirono, arrivando a una decina di metri dalla casa, all'albero dove Ross aveva legato il cavallo. Il cielo era di un rosa intenso e il tramonto estivo quella sera regalava tonalità pastello da lasciare senza fiato. Eppure Demelza sentiva la sua anima in balìa di una tempesta. Tirò fuori dalla tasca dell'abito il sacchetto coi biscotti e poi lo lanciò a Ross che lo prese al volo. "Volevo accertarmi che non li dimenticassi quì".

Ross si accigliò, guardando i biscotti. "Qual'è il tuo problema, Demelza?".

Lei si avvicinò, fino a fronteggiarlo. "Ti ho mai chiesto qualcosa da quando ti ho lasciato?".

"No".

"Ti ho chiesto qualcosa per Eleanor?".

Ross fece un sorrisetto sarcastico. "Ovviamente no".

"Mi sono imposta nella gestione dei bambini?".

"No".

Demelza scosse la testa, guardandolo in viso alla ricerca di un segno, una traccia dell'uomo generoso di cui si era innamorata. "Quello che hai vietato a Jeremy e Clowance riguardo a questi biscotti, hai idea di che significato ha?".

Finalmente Ross capì a cosa alludesse e immediatamente andò sulla difensiva. "Ho dato dei biscotti ai nostri figli perché facessero merenda. Non mantengo quelli degli altri e se ti aspetti questo da me, sei fuori strada".

"Non è questo il problema e tu lo sai. Non è una questione di soldi o altro! Io non avrei comunque fatto mangiare ad Eleanor i tuoi biscotti per rispetto a te, ma sentir dire da Jeremy che gli hai vietato di condividere del cibo con una bambina piccola , mi ha lasciato senza fiato. Ero incredula che proprio tu... Questo è crudele, Ross".

L'espressione di Ross si inclinò. "Crudele, perché? Baby Armitage è figlia di un uomo appartenente a una delle famiglie più ricche e potenti della Cornovaglia e io non tirerò fuori un centesimo per lei. Se questo ti disturba, è un problema tuo".

Fu sorpresa da quelle parole. Davvero Ross credeva che Ellie fosse una ricca ereditiera? Santo cielo, non portava nemmeno il cognome di Hugh... "Io non mi aspetto nulla da te! Né voglio niente! Ma pretendo che tu non usi i nostri figli per farmi del male o per farne ad Eleanor! Non voglio vedere mai più mio figlio in lacrime perché si sente in colpa perché tu lo stai usando come strumento per colpire me! E' per questo che me li hai riportati? Era per il loro bene o per vendetta?".

"Oh, fantastico! E' questo che pensi di me? Tu mi tradisci e fai una figlia con un altro e poi il cattivo sarei io che ti permetto di vedere i nostri figli, nonostante tutto?".

Demelza gli si avvicinò. No, stavolta non avrebbe permesso ai sensi di colpa di avere il sopravvento, c'era troppo in gioco. "Coraggio Ross, dillo! Dillo qual'è il tuo problema!".

Ross stentò a tenere a freno la rabbia. "Hai anche il coraggio di chiedermelo?".

"Sì, perché onestamente non capisco. Me ne sono andata e ti ho lasciato libero di viverti la tua storia con Elizabeth alla luce del sole, senza problemi e senza bisogno di mentire. Son sempre stata un peso, mi hai sempre fatta sentire il ripiego perché non potevi avere la tua gran dama a fianco e ora puoi farlo, va da lei e riprenditela! Ci metteresti un attimo a portarla via a George, visto che Elizabeth non ne è innamorata! E avresti la tua famiglia dei sogni, con Geoffrey Charles e Valentine a cui potresti fare da padre, come hai sempre desiderato! Volevi la mia benedizione? Beh, ce l'hai!".

Ross divenne rosso di rabbia a quelle parole. "Ancora con questa storia? Io non ho una relazione con Elizabeth né mai ne ho avuta una! Puoi dire lo stesso di te e del tuo defunto principe azzurro?".

"E Valentine da dove è venuto? Dicono ti somigli moltissimo, congratulazioni Ross!".

Ross le sorrise freddamente. "Anche baby Armitage somiglia a suo padre".

"Si chiama Eleanor e odio quel tuo soprannome!". Si avvicinò ancora di più e gli prese la camicia, stringendola nella mano. "Cosa volevi, Ross? Viverti in segreto la storia con Elizabeth mantenendo la parvenza di buon marito e padre di famiglia? Volevi che restassi a casa ad elemosinare un po' del tuo tempo, aspettando che ti ricordassi di me?".

"Perché sei andata con Hugh? Lo amavi? O volevi solo vendicarti?".

L'espressione di Ross era mortalmente serie ed apriva forzatamente vecchie ferite. Già, perché era andata con Hugh? Perché doveva ricordarlo di nuovo? Cosa importava a Ross? Ma se quello era il momento della verità, tanto valeva essere sincera. "Era gentile e mi amava per quello che ero, con lui non c'erano altre donne con cui competere. Mi faceva sentire bella, speciale... E' successo nel giorno in cui ho capito che tutto il mio matrimonio era stato una falsa, ero fragile, poco lucida e arrabbiata. E lui era lì... Non giustifico me stessa, non avrei dovuto farlo. E mi sento in colpa pure verso Hugh perché io non avrei mai potuto ricambiare i suoi sentimenti. Sono stata probabilmente l'amore della sua vita ma lui non è stato il mio. Però mi è rimasto accanto comunque e so che sapeva cosa provavo e che gli faceva male, lo so perché ci sono passata per anni da una situazione simile. Forse avrei dovuto continuare a vivere accanto a te come fanno molte mogli, in silenzio, aspettando un fugace gesto gentile. Ma per una volta volevo essere amata, amata davvero da qualcuno che teneva a me e per cui non ero un semplice passatempo. Ma tu non puoi capire e forse è pure inutile che te lo spieghi, lascia perdere Ross".

Ross spalancò gli occhi davanti a quelle parole e per la prima volta sul suo volto vide un barlume di cedimento. "Io non posso capire?".

Demelza scosse la testa, allentando la presa sulla sua camicia. "Per me tu eri l'amore della vita, per te è solo una questione di orgoglio ferito. Ti passerà". Indietreggiò, fino ad appoggiarsi al tronco di un albero. "Ti chiedo solo di non usare mai più i nostri figli! E' con me che sei arrabbiato, giusto? E allora affronta ME a viso aperto e se proprio ti può far sbollire la rabbia, dammi quello schiaffo che non mi hai dato l'anno scorso. Lo merito, coraggio fallo! Farà sentire meglio te... e probabilmente anche me".

Ross indietreggiò, stupito, forse ferito e decisamente meno sicuro di quanto lo fosse fino a pochi minuti prima. "Sai benissimo che non potrei mai farlo".

Gli occhi di Demelza si velarono di lacrime. "Già, è più comodo fare la guerra a una bambina piccola".

Lui sospirò, guardando il sacchetto di biscotti nelle sue mani. Glielo porse ma Demelza lo lasciò cadere nell'erba. "Senti, prendi questi biscotti e finiamola quì, se il problema è questo".

"No".

"Demelza!".

"Non voglio la tua carità, Ross. Io ed Eleanor abbiamo poco, quasi nulla. Ma lei è una brava bambina che non fa mai i capricci, è sempre allegra e si accontenta dell'unico gioco che ha. Te l'ho già detto una volta, amo mia figlia, amo tutti i miei figli e per il loro bene e per proteggerli, sono anche disposta a non vederli più. Non permetterò che tu li usi di nuovo per farmi del male, né permetterò che tu ne faccia ad Ellie. Prendi Jeremy e Clowance, torna a Londra con loro e vivete la vostra vita lontano da quì, in pace. Così come siamo ora, non può funzionare". Mentre pronunciava quelle parole, si rese conto che quella sarebbe stata la scelta più dolorosa della sua vita.

Ross parve entrare in panico davanti a quelle parole e alle sue lacrime. "Demelza...".

"Vattene!".

Le si avvicinò, prendendole le mani. "Loro hanno bisogno di te".

Demelza distolse lo sguardo, mentre le lacrime le rigavano il viso. "Li crescerai con Elizabeth e sarete felici. Va via, Ross".

"Elizabeth? Demelza, che dici?". Era incredulo che lei li stesse affidando a... "Mi dispiace, mi sono comportato da idiota e hai ragione. Ma ti prego, non fare questo ai nostri figli, se ho sbagliato io, non c'è motivo per cui debba farlo anche tu".

Davanti al tono dolce e alla voce tremante di Ross, Demelza alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi. "Amare significa anche saper fare rinunce".

"Ma tu non devi rinunciare ai bambini, non mi sognerei mai di chiedertelo". Le lasciò le mani e le sfiorò la vita, attirandola a se. "Demelza, mi dispiace, mi dispiace per tutto. Hai ragione ad essere arrabbiata e onestamente, stamattina, non avevo pensato al significato del mio gesto. In realtà, credo di non aver ragionato su molti miei gesti e so che non serve a nulla ora, ma ti chiedo scusa lo stesso".

Davanti a quelle scuse, Demelza si chiese se si riferisse a quel giorno o a tutta la loro vita insieme. Capiva che in quelle sue poche parole c'era tanto più di quanto espresso a voce e stavolta sentiva di essere arrivata al suo cuore e per la prima volta di essere riuscita a condividere il suo dolore con lui. Sentì il tocco delle mani di Ross sulla sua vita, erano calde e si rese conto che gli mancavano le sue carezze. E che non poteva permettersi di provare sentimenti simili. "Non toccarmi".

Ross deglutì, prima di lasciare la presa su di lei. "Scusa".

Demelza gli voltò le spalle, prendendo un profondo respiro. "I bambini... falli portare quì da Prudie d'ora in poi, ho bisogno di non vederti per un po'. Preferisco tu stia lontano da Eleanor".

"Credi che potrei farle del male?".

"Credo di non voler correre il rischio". Si voltò verso di lui e lo vide abbassare il capo con espressione ferita. Sapeva di averlo colpito nel suo orgoglio, nonostante la sua avversione per la piccola, ma Ross poteva diventare un pericolo per la bimba e il suo istinto di madre le suggeriva di non rischiare.

"Va bene, come vuoi".

Demelza si asciugò le lacrime, cercando di ricomporsi. "D'accordo. Su, è tardi. E' ora che riporti i nostri figli a casa".

Ross annuì. "Tieni i biscotti, per favore".

"Non li voglio!".

"Li getterò via, se non li prenderai".

Demelza scosse la testa. "Fa come vuoi".

Ross si arrese. La sorpassò e si diresse al mulino e Demelza, osservandolo, capì che non si sarebbero rivisti per un bel po'. E forse era meglio così...





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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno ***


Londra, da quando vi era tornato dopo l'estate passata in Cornovaglia, gli era apparsa ancora più opprimente. Era diventato intollerante ad ogni cosa, rumore, caos, gente sempre di corsa, enormi ricchezze accanto a nera povertà. Rivoleva Nampara e la Cornovaglia, i venti impetuosi, i tramonti infuocati sul mare, le passeggiate in spiaggia e il vociare dei suoi minatori.

Erano stati mesi estivi strani quelli, per lui. C'era una sorta di amaro in bocca che non se ne andava, da quando aveva litigato con Demelza e lei gli aveva intimato di stare lontano dalla sua bambina più piccola. Da allora non l'aveva più vista e fino all'autunno e alla partenza coi figli per la capitale, era stata Prudie ad accompagnare Clowance e Jeremy a Illugan dalla madre.

Si vergognava di se stesso, da allora, ed era sollevato dal fatto di non vedere sua moglie. Gli aveva fatto male quel suo sguardo ferito e di biasimo e le lacrime, unite alle parole che gli aveva rivolto su se stessa, sul loro matrimonio e sulla bambina avuta da Armitage. Lei, che una volta lo ammirava tanto e che ora... E lui, che stava diventando pian piano l'opposto dell'uomo che voleva essere...

Sapeva di avere diritto ad essere arrabbiato ma sapeva anche di non essere stato il migiore dei mariti e di essersi comportato da vigliacco con la piccola Armitage. Ross stava prendendo coscienza del fatto che, benché rifiutasse l'idea, quella bambina avrebbe fatto parte della sua vita. Poteva dire ciò che voleva ai suoi figli ma Eleanor era loro sorella. Ed era la figlia di sua moglie... Fare il matto e farle la guerra non avrebbe risolto le cose e sapeva che Demelza avrebbe difeso sua figlia come una leonessa, come in fondo era giusto che fosse, visto che inoltre la bimba non aveva un padre che potesse farlo. Doveva trovare il modo di evitare una guerra per il bene dei suoi figli, amava Jeremy e Clowance e pure Demelza, nonostante tutto. Ma quale modo? Come accettare? Come eventualmente perdonare per avere almeno un rapporto amichevole?

Ross sapeva che non poteva evitare Demelza in eterno e che prima o poi avrebbe dovuto smettere di scappare per rivederla e quei mesi di lontananza erano serviti a calmarlo e a farlo riflettere. Ma non aveva trovato soluzioni alla sua rabbia, né un modo di comportarsi consono, né una accettazione all'esistenza di baby Armitage. Eppure, pensare che Demelza temesse che lui potesse far del male alla piccola... Certo, non si era comportato bene e ne era consapevole, però... Però dannazione, era la figlia che la donna che amava aveva avuto con un altro uomo! Come poteva accettarlo?

Eppure Demelza ci era riuscita con lui e pure davanti all'eventuale sua paternità di Valentine, si era dimostrata pronta ad affrontare la faccenda con lui... E dopo la rabbia seguita al suo tradimento con Elizabeth, era riuscita a perdonarlo e ad andare avanti, a ridargli fiducia... Era rimasta al suo fianco, come ci era riuscita?

Pensò a lui e ad Elizabeth e si accorse di non riuscire a vedere i due tradimenti alla stessa maniera. Demelza sapeva del suo amore irrisolto per Elizabeth e a conti fatti, era stata solo una notte... Quanti uomini sposati hanno delle amanti? Lui non aveva invece mai contemplato una cosa del genere e aveva purgato e fatto ammenda sincera per quel suo unico errore arrivato dopo dieci anni di devozione per un'altra donna. Sì, sapeva che per Demelza era stato difficile accettare l'ingombrante presenza di Elizabeth fra di loro per dieci anni, che era stata dura per una donna fiera come lei, ma lui le aveva giurato di amarla ed era sincero... Perché e quando si era allontanata da lui, tradendolo con l'uomo a cui aveva salvato la vita? Perché non era riuscita a credergli? Perché non aveva accettato i suoi silenzi, dettati dal dolore della consapevolezza di aver fatto del male alle persone che lui amava?

E perché lui non aveva trovato il coraggio di aprirsi con lei? Non era forse Demelza colei che lo conosceva meglio? Non era forse lei la sua casa? Non era forse lei che lo aveva riaccettato accanto a se, pur coi suoi errori e difetti?

E non era per questo che la amava e si distruggeva l'anima al pensiero di averla persa? Al pensiero che il suo cuore ora piangesse per Hugh... Al pensiero di essere solo...

Uscendo dal Parlamento, alzò lo sguardo a guardare il cielo grigio dell'autunno londinese, sospirando. A metà novembre sarebbe tornato in Cornovaglia e ci sarebbe rimasto fino a dopo le feste natalizie, che doveva fare? Come doveva comportarsi? Mancavano solo dieci giorni alla partenza e si sentiva sperso e senza appigli, solo...

Scese alcuni scalini, quando fu costretto a fermarsi a bocca aperta. Fu come se i suoi pensieri si materializzassero e rimase inebetito per una manciata di secondi. "Elizabeth?" - mormorò stupito, trovandosi la donna davanti.

Non la vedeva dal loro incontro al cimitero, risolutivo per loro ma che aveva portato tanto scompiglio nella sua vita e nel suo matrimonio... Era bellissima come allora, con un elegante abito blu da città, i capelli pettinati in morbidi boccoli e col suo andamento aggraziato ed elegante. La trovava splendida, era splendida. Ma il suo non era più il sentimento e il rimpianto di un uomo innamorato ma la semplice considerazione affettuosa di un osservatore attento.

Deglutì, quando vide che con lei c'era suo figlio Valentine, che teneva per mano. Lo aveva visto prima di allora solo una volta, di sfuggita a Trenwith, quando era molto piccolo. Lo guardò e ci trovò molte somiglianze con se stesso, capelli identici, occhi scuri, espressione corrucciata e profonda. Ricordò le parole di Demelza sul fatto che il bimbo gli somigliasse e si rese conto che aveva ragione, anche se in effetti quei capelli potevano essere ereditati da Elizabeth. Ma forse no, erano capelli di un Poldark eppure lui non lo avvertiva come tale, nonostante l'eventualità fosse molto concreta. Vedeva solo un bimbo come tanti, che gli suscitava simpatia ma a lui sconosciuto, figlio del suo acerrimo nemico. Non si sentiva padre, non si sarebbe mai sentito tale... Un figlio non è quello che generi ma quello che ami e cresci, che senti tuo.

Certo, immaginare di aver dato eventualmente vita a un bimbo senza colpa e peccato, costretto a vivere con un padre del tenore e dell'aridità di spirito di George Warleggan che lo avrebbe sempre guardato con tanto sospetto e con poco amore, sarebbe sempre stato un suo grande senso di colpa. Da cui sfuggiva da quattro anni, dal giorno in cui il bambino era nato.

Guardò Elizabeth, sorpreso di vederla a Londra. Sapeva che spesso accompagnava George nella capitale, ma non si erano mai incrociati prima di allora. "Cosa ci fai qui?".

"Aspetto George, siamo stati invitati per un tè dai McKinney".

Ross annuì. "Li conosco, sono originari della Scozia e stanno diventando potenti quì".

Elizabeth sorrise, in imbarazzo quanto lui. Era la prima volta che loro due e Valentine si trovavano assieme. Guardò il bimbo che, annoiato, si era appoggiato alla sua gamba. "Non avevi sete?".

"Si".

La donna indicò al piccolo una fontanella a una decina di metri. "Su, fai una corsa e va a bere allora, prima che arrivi tuo padre".

Il bimbo, felice, si staccò da lei e si allontanò. Ross lo guardò correre agilmente, ricordando quando Demelza gli aveva detto che era rachitico. "Ora sta bene, vedo".

"Si, Dwight è stato la nostra salvezza".

Fu costretto ad abbassare lo sguardo quando sentì il nome dell'amico. Non lo vedeva dall'anno prima, da quel pugno che gli aveva dato per aver assistito Demelza durante la gravidanza. Si sentiva in colpa anche per quello e a mente lucida aveva capito che Dwight non poteva fare altro se non starle vicino e aiutarla. "E' un bravo medico". Osservò il bimbo che si riavvicinava a loro. Si era bagnato il vestitino, bevendo, e ne sembrava soddisfatto. "Come vanno le cose con George?" - chiese, distogliendo lo sguardo.

Elizabeth sospirò. "Si sopravvive... Ma se avessi un altro figlio, forse andrebbe meglio. E tu? Ho sentito che Demelza non vive più con te. Sono solo voci o è la verità?".

Ross sospirò. "Lunga storia, lascia perdere".

"Posso fare qualcosa?".

Ross ridacchiò sarcasticamente. "Te ne prego, no. Stanne fuori".

Elizabeth fece per replicare ma Valentine gli si aggrappò alla gonna, strattonandola. "Mamma, quando andiamo?".

"Ora, quando arriva papà. Su, saluta questo signore, è un mio amico".

Valentine lo guardò distrattamente, con i suoi occhioni scuri. "Buongiorno sir" - salutò, da perfetto signorino ben educato.

Ross deglutì, sentendo le viscere rivoltarsi. "Buongiorno. Sei davvero un bel bambino".

"Lo so, lo dice pure la mamma. E ho quattro anni, sono tanti, sai?".

Ross gli sorrise, a corto di parole. "Lo so, quattro anni sono un'età importante".

Calò un silenzio pesante fra i due adulti, colmo di imbarazzo e cose non dette e che mai avrebbero dovuto uscire allo scoperto. Fu George a spezzarlo, comparendo davanti a loro all'uscita del Parlamento. Appena vide la moglie in compagnia di Ross accelerò il passo, scendendo due a due gli scalini. "Elizabeth, mia cara, aspetti da molto?".

La donna annuì con grazia. "No, sono appena arrivata e ho incontrato per caso Ross".

George lo guardò in cagnesco, prima lui, poi la moglie e poi il bambino. Il suo sguardo era pieno di sospetto e rabbia celati a fatica. "Bene mia cara, visto che sono quì, è ora di andare". Si rivolse poi a Ross con sguardo pieno di sfida. "Ci aspetta gente importante per il tè, gente che tu ti ostini a snobbare e che invece dovresti tenerti buona. Ma a certe persone di campagna, il decoro non entra davvero in testa".

Ross sorrise di rimando, con la sua miglior faccia da canaglia. "Anche io sono atteso da gente importante".

"Chi?"

"I miei figli".

George divenne rosso di rabbia, fece per rispondergli ma poi si bloccò, soffermandosi su Valentine che aveva snobbato fino a quel momento. Senza dire nulla, squadrando il bambino, gli si avvicinò per poi dargli uno schiaffo in pieno volto che Elizabeth non riuscì a evitargli. "George?!" - esclamò mentre il bimbo, preso alla sprovvista, scoppiava a piangere.

Ross lo guardò inorridito, senza capire perché lo avesse fatto, colmo della stessa rabbia e impotenza di Elizabeth. "Che diavolo fai?".

George, rosso di rabbia, indicò il bambino che si era rifugiato fra le braccia della madre. "E' indecente. E' tutto bagnato, questo bambino è un selvaggio e una vergogna da esibire nei salotti importanti. A casa dovevamo lasciarlo, così non mi avrebbe messo in imbarazzo".

Ross intervenne, non poteva sopportare di assistere a quella scena. Si chiese come si sentisse quel povero bambino nel sentire quelle parole, pensò alla vergogna e alla paura che doveva provare e a come forse tutto poteva essere diverso. "E' solo acqua, si è bagnato alla fontanella mentre beveva, non è questa gran tragedia!".

George lo guardò, il suo sguardo era odio puro e autentico. "Sono affari tuoi?".

"No, ma...".

"E allora sei pregato di tacere, mentre educo mio figlio a non essere un selvaggio come certa gente coi suoi stessi capelli neri".

Ross si morse il labbro perché se avesse proseguito a parlare, avrebbe peggiorato la situazione sia di Elizabeth che di Valentine. George aveva ragione, non era suo figlio... "Sei suo padre e saprai cosa è meglio per lui" – disse infine, arrendendosi all'evidenza.

"Si, sono suo padre".

Elizabeth intervenne nella disputa, prima che degenerasse. Prese in braccio Valentine, lo strinse a se per calmarlo e poi si avvicinò a George. "Sarà asciutto in pochi minuti mio caro, non faremo figure. Non è successo niente".

George annuì e lei lanciò un ultimo sguardo a Ross intimandogli il silenzio, prima di incamminarsi con la sua famiglia verso la loro metà.

Rimasto solo, Ross scosse la testa mentre i singhiozzi del bimbo gli rimbombavano in testa. Si sentiva impotente e in colpa per il dolore che aveva provocato nelle vite di tanti, col suo errore di quella notte che ora stavano pagando Elizabeth, Valentine, i suoi bambini e sì, anche Demelza. Cosa aveva fatto? Ed Elizabeth e Valentine, che vita avrebbero condotto assieme a un mostro come George? Che padre avrebbe potuto essere per quel bambino, un uomo tanto arido e vendicativo? Non era tanto importante di chi fosse Valentine perché il solo sospetto che non fosse suo aveva risvegliato i più biechi istinti di George.

Ross sapeva che in George il germe del sospetto cresceva dalla morte di Agatha ma vederlo accanirsi su un bambino innocente era troppo. Perché doveva essere Valentine a pagare per gli errori degli adulti? Che razza di mostro era George?

A quel pensiero si bloccò, rendendosi improvvisamente conto che lui non era molto diverso. Perché negli ultimi tempi pure lui aveva agito allo stesso modo, prendendo di mira una bimba ancora più piccola di Valentine. Non era stato lui a schiaffeggiarla sulla manina? Non era forse stato lui ad impedire ai suoi figli di dividere con lei il loro cibo, lasciandola a digiuno?

Certo, Eleanor non era Valentine e Demelza non era arrendevole come Elizabeth e per sua figlia sapeva tirare fuori i denti, se la sentiva minacciata.

Ma non era questo il punto...

Aveva fatto del male, con intenzione, a una bimba di un anno. E non era importante di chi fosse figlia, la cosa primaria era che lui se l'era presa con qualcuno che non era in grado di difendersi e che non aveva colpe.

Eleanor, come Valentine, stava pagando gli errori di altri... Cosa c'era di diverso fra il suo comportamento e quello di George, che aveva biasimato e condannato pochi minuti prima?

Perso in quei pensieri, ancora più confuso sul suo ruolo e sulle decisioni da prendere, arrivò a casa. Clowance gli corse incontro, felice, saltandogli al collo. "Papà, ho fatto il primo invito della mia vita" – esclamò, in tono solenne.

Jeremy, dalla sua stanza, corse a sua volta da lui mentre Etta faceva capolino dalla cucina.

Ross li guardò senza capire. "Che è successo?".

La governante si avvicinò, chinando il capo. "Quando i bambini hanno scoperto che a Natale sarò sola, mi hanno invitato alla vostra festa".

Ross spalancò gli occhi, terrorizzato. "In Cornovaglia?".

"Non mi volete?".

Jeremy e Clowance lo guardarono, in attesa. "Non vuoi Etta? Perché?".

Si grattò la fronte, in difficoltà, pensando agli sguardi omicidi di Prudie quando avrebbe conosciuto la sua rivale londinese, notevolmente più educata ed efficente di lei. Che gli era saltato in mente ai suoi figli? "Ma no, certo che la voglio" – mormorò imbarazzato, alzando gli occhi al cielo. "Partiremo insieme e sarete nostra ospite a Nampara. Sarà un pranzo fra pochi amici, un Natale semplice. Ci saremo noi, la mia domestica, la vedova di Henshawe, Zachy Martin e Pascoe con le rispettive mogli".

Etta annuì, eccitata come fosse una bambina. "Non ho mai festeggiato un Natale. Forse da piccola, ma mai da ospite".

Ross le sorrise, dandole una leggera pacca sulla spalla. "Beh, quest'anno sarai nostra ospite. Ospite, NON dovrai lavorare, intesi?". E dicendo questo, si avviò verso la sua camera per coricarsi un po'. Aveva mal di testa per tanti, troppi motivi quel giorno.

Si mise sul letto ma Jeremy lo raggiunse subito. "Papà?".

"Dimmi".

Il bimbo saltò sul letto. "Ma mamma e Ellie? Loro non vengono a casa nostra a Natale?".

Suo malgrado, cercando le parole giuste, si mise seduto per fronteggiare il figlio. "Jeremy, lo sai che non verrà".

"Perché?".

"Perché non andiamo d'accordo, lo sai pure tu perché te l'ho spiegato molte volte".

Jeremy sospirò. "Neanche a Natale?".

"No. Però tu e Clowance la potrete vedere quando vorrete, quando torneremo a casa. Noi festeggereno il Natale a Nampara e lei ad Illugan, tranquillamente".

Il suo tono pacato, parve tranquillizzare il figlio. "Ma io e Clowance glielo possiamo fare un regalo a mamma?".

"Certo".

"E non ti arrabbi se le facciamo un disegno? A lei ma anche a Ellie...".

Ross deglutì, ripensando a quanto avvenuto con George poche ore prima. "No, non mi arrabbio, a meno che non vi esca uno scarabocchio. E allora ve lo farei rifare, capito?".

Jeremy rise e corse contento fuori dalla stanza, mentre Ross rimaneva solo coi suoi pensieri.




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Capitolo 22
*** Capitolo ventidue ***


Mattina di Natale...

Momento di pace, serenità, raccoglimento e gioia nel vedere i bambini contenti...

E poi c'è Prudie, che ti irrompe furibonda in camera alle sei del mattino brontolando come una pentola di fagioli e sbattendo le porte. "Signore, dobbiamo parlare!".

Mezzo assonnato, Ross la guardò di sbieco, cercando rifugio sotto le coperte. "CHE-DIAVOLO-VUOI?".

Prudie, furibonda, si mise le mani sui fianchi. "Quella donna è pazza, folle! E insopportabile".

"Chi?".

"Miss Etta!".

Ross sprofondò fra i cuscini, esasperato. Quelle due si erano guardate in cagnesco dal primo momento in cui si erano viste e in casa, più che aria di Natale, c'era aria di guerra. "Che ha fatto?".

"Si intromette in tutto quello che faccio, come se ne sapesse più di me! Mi controlla, ecco. E poi...".

"E poi?".

"Ieri sera dopo cena ha lavato e riposto nella credenza, in fila, tutti i bicchieri! In fila!!! Capite? E le tovaglie nei cassetti?".

Ross alzò gli occhi al cielo. "Cos'hanno le tovaglie nei cassetti?".

"Le ha sistemate per ordine di colore. Lo vedete che è folle? E oggi che è Natale? Che farà oggi? Non deve toccare e sistemare a modo suo le cose di casa".

Sbuffando, Ross si mise a sedere sul letto. "Su questo hai ragione".

Prudie spalancò gli occhi. "Davvero?".

Annuì. "Certo. Queste cose non dovrebbe farle lei! Le dovresti fare tu...".

A quella battuta che finse di ignorare, Prudie divenne rossa di rabbia. "Voi sottovalutate la situazione! E' posseduta dal demonio quella lì. Avete visto i capelli?".

"Li tinge. A me non piace ma molte donne a Londra lo fanno".

Prudie annuì. "Donne possedute dal demonio".

Ross scosse la testa, esasperato e deciso a dormire ancora un pò. "Prudie, vorrei stare tranquillo finché i bambini non si svegliano. E...".

"E?".

"E non irrompere più in camera mia a quest'ora! Potrei essere nudo, non ci hai pensato?".

"Si, va beh...". Prudie, per nulla turbata, scosse la testa e guardò al cielo. "Giuda, siete insopportabile come l'indemoniata al piano di sotto!". E così dicendo, senza aver concluso nulla, uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Ringraziando il cielo che se ne fosse andata, Ross si gettò di nuovo sul materasso, chiudendo gli occhi. Presto avrebbe dovuto alzarsi di nuovo e a breve sarebbero arrivati i suoi amici, ma voleva concedersi almeno un'ora per dormire.

Si appisolò poco dopo, ma il suo sonno fu di nuovo interrotto.

"Papà!". Clowance e Jeremy, già svegli, fecero irruzione nella sua stanza con le braccia piene di regali, l'espressione felice e l'eccitazione a mille. La bimba saltò sul letto e fra le sue braccia mentre Jeremy, dopo aver depositato i suoi doni sul materasso, corse di nuovo via per poi ricomparire pochi minuti dopo con un piccone in mano che trascinò fino al genitore.

Ross si accigliò. "Cos'è quello?".

Jeremy sorrise, tutto soddisfatto. "Il nostro regalo per te! Ti piace la miniera e questo ti serve per spaccare le pietre".

Clowance ne sfiorò il manico. "Prudie ha detto che puo' servire anche per dartelo in testa quando fai il caprone!".

"Beh, grazie".

Ross, pensando a quanto detto dalla figlia e all'irruzione di poco prima della serva, decise malignamente che il giorno dopo Prudie avrebbe estirpato tutte le erbacce della tenuta. Dopo aver spalato ovviamente l'enorme quantità di neve che era caduta e continuava a scendere... Sbuffò. "Su, aprite o no i vostri regali?".

I visi dei bimbi si illuminarono. Non se lo fecero ripetere e in un attimo scartarono i loro doni, riempiendo il letto di carta colorata strappata. Ross ripensò al Natale di pochi anni prima, quando lui rischiava la prigione per debiti e non c'era quasi cibo in tavola e di certo non c'era traccia di regali, a parte quelle calze di seta comprate all'ultimo... Ora era un uomo abbiente, sicuramente più ricco di denaro ma inaridito nel cuore e nello spirito. Natale per lui era magia e ogni anno gli aveva portato qualcosa di bello e prezioso da ricordare, fino a due anni e mezzo prima. Ora poteva vedere e godere solo della felicità dei suoi bambini in quel giorno di festa che per loro doveva rimanere tale. Sorrise mentre Clowance ammirava i suoi abiti nuovi e abbracciava le sue bambole e giocò con Jeremy e gli animaletti di legno che aveva ricevuto, promettendogli che invece i libri arrivati in dono li avrebbero letti insieme. "Allora, siete contenti?".

"Si". Clowance gli saltò sulle ginocchia, mostrandogli la sua bambola. "Ma sono contenta anche per il riso col pesce, il pasticcio di pollo, le patate col rosmarino, l'arrosto col miele, i piselli con la pancetta, la torta di mele, il budino al cioccolato e i biscotti al latte che ha cucinato Prudie".

Ross annuì. Avevano cucinato molto, ma non era tutto cibo per loro. "Vi ricordate che dovremo fare dopo pranzo, con tanta di quella roba da mangiare?".

Jeremy sorrise. "Si, lo portiamo come regalo alle famiglie povere dei tuoi minatori, coi nostri ospiti".

"Bravo!" - rispose Ross, orgoglioso che fossero generosi e altruisti.

Il bimbo sospirò, guardando un foglio arrotolato legato con un nastro rosso. "Papà, quello è...".

"Cosa?".

Clowance intervenne. "Il disegno per mamma. Ma se lei non viene quì, come facciamo a darglielo?".

Ross si incupì, rendendosi conto che sarebbe stato tutto sempre molto difficile. "Glielo darete i prossimi giorni".

Clowance si imbronciò. "Ma no! E' il suo regalo di Natale e quindi dobbiamo darglielo oggi. I regali di Natale si danno a Natale".

"Bambini, c'è un tempo orribile!".

"Ma è Natale lo stesso, papà" – disse Jeremy, con fare deluso

Ross guardò fuori dalla finestra. Nevicava copiosamente e c'era un vento gelido, mandar fuori i bambini e Prudie col carretto per andare ad Illugan, in una giornata del genere, era fuori discussione. Inoltre Prudie non avrebbe mai permesso che in un giorno di festa, in attesa di ospiti, Etta prendesse il controllo della cucina. Eppure i bambini ci tenevano e sapeva quanto si fossero impegnati per giorni nel fare quel disegno. Che doveva fare? Non era il benvenuto da Demelza e non la vedeva da mesi... Guardò i figli che attendevano una risposta e decise che in fondo, benché fosse ancora indeciso sul da farsi, non poteva continuare ad evitare Demelza per sempre. "Bambini, facciamo un patto?".

Clowance e Jeremy lo guardarono speranzosi. "Quale patto?".

"Voi due vi lavate e vestite da soli e poi aiutate Prudie a preparare la tavola e tutto l'occorrente per i nostri ospiti di oggi e io prendo il cavallo, il vostro disegno e lo porto da mamma. Nevica troppo per voi, ma io da solo farò in fretta e tornerò prima di pranzo".

I due bambini saltellarono eccitati, abbracciandolo. Ross li strinse a se, baciandoli sulla fronte e mettendoli a terra, deciso ad alzarsi. Si sentiva leggero e grato di quella possibilità che il caso, il destino e i suoi figli gli avevano offerto. Aveva la scusante per rivedere Demelza e forse chiarire quanto successo durante l'estate. Era ancora bruciante in lui la vergogna per il suo comportamento verso la bambina di sua moglie e anche se le cose fra lui e Demelza erano complicate e il loro rapporto distrutto, lo feriva averla vista prendere le distanze per difendersi e soprattutto difendere la sua piccola. Faceva male pensare che lo ritenesse pericoloso, lei che una volta in lui vedeva il sole. E forse era meglio chiarire, se lei gliene avesse dato la possibilità. Certo, da quel giorno non l'aveva mai cercato e mai aveva chiesto sue notizie, ma in fondo al cuore sapeva che Demelza soffriva come lui per quella situazione. Ed entrambi erano consapevoli che bisognava trovare un punto di caduta almeno per i loro figli... "Direi che siamo d'accordo!".

"Aiutiamo noi a fare tutto" – disse Clowance, in tono trionfale.

Ross le si inginocchiò davanti. "Bene, c'è anche un'altra cosa che dovete fare".

"Quale?".

"Tenete Etta e Prudie lontante! O rischiamo una guerra". Certo, era poco onorevole lasciare quella patata bollente ai suoi due figli, ma lui in cambio avrebbe affrontato una tormenta e quindi la sua coscienza gli sussurrava che erano pari.

Clowance e Jeremy annuirono e la bimba gli saltò in braccio, ridacchiando. "Sai papà che quando Prudie vede Etta, ringhia come Garrick?".

Ross alzò gli occhi al cielo. "Appunto. Devono stare lontane".

Jeremy annuì. "Va bene! Ma tu porti il disegno alla mamma, vero?".

Gli strizzò l'occhio. "Certo, vado subito".

Guardò i bimbi schizzare via di corsa coi loro doni verso la camera e in un attimo si vestì, mise mantello e tricorno e montò in sella. Aveva fretta... Improvvisamente aveva un appiglio per rompere il muro di silenzio fra lui e sua moglie e non voleva perdere tempo. E poi certo, aveva degli ospiti per pranzo, non poteva aspettare.

Mise il disegno sotto il mantello e galoppò come un forsennato fra la neve alta e candida, mentre la bufera gli sferzava il viso. C'era un tempo da lupi, non ricordava di aver mai visto tanta neve in Cornovaglia da quando era nato.

Il paesaggio era maestoso e implacabile, sapeva incantare così come poteva uccidere, se ci si intratteneva in quel gelo. Quando giunse al bosco di Illugan, la neve arrivava a metà delle zampe del suo povero cavallo. Faceva un freddo terribile, tirava vento e si chiese come potesse Demelza, da sola con una bambina piccola, vivere in un posto così isolato e senza possibilità di aiuti in caso di emergenza. Era un particolare a cui non aveva mai pensato e che lo preoccupava.

Vide il camino che fumava e una catasta di legna riparata con una vecchia coperta fuori, sotto il piccolo porticato. Quanto meno era al caldo...

Deglutendo si avvicinò alla porta, bussando sommessamente. Era teso, non sapeva bene cosa dire o fare ed era così strano ripensando alla spontaneità del loro rapporto di una volta.

Lei gli aprì pochi istanti dopo, rimanendo in assoluto silenzio appeno vide che era lui. Aveva i capelli raccolti in una treccia e indossava un abito rosso coperto in spalla da uno scialle di lana. Un abbigliamento modesto e semplice ma che ne sapeva risaltare la bellezza selvaggia e fiera.

Si adombrò, indietreggiando di alcuni passi. "Cosa ci fai quì?".

Fu costretto ad abbassare lo sguardo davanti a quel tono distaccato e vagamente scocciato. Non era felice di vederlo, era evidente. "Sono venuto per portarti una cosa dei bambini. Ci tenevano che tu l'avessi oggi".

Demelza sospirò, scostandosi per farlo entrare. "Avanti".

Entrò in casa. Il camino regalava un tepore piacevole e l'ambiente, benché semplice, dava una sensazione di pace. Sul suo letto Demelza aveva messo una coperta coloratissima e alla piccola credenza accanto al camino aveva attaccato dei nastri rossi che davano alla stanza un aspetto natalizio. Sotto al tavolo, stesa sul tappeto, baby Armitage giocherellava con un piccolo cestino di vimini, canticchiando fra se e se una canzoncina incomprensibile. Era cresciuta, era più alta sebbene molto minuta, e i capelli biondi, abbelliti sulle punte da dei graziosi boccoli, le arrivavano ormai alle spalle.

Dal cestino che teneva in mano, si sentì un leggero pigolìo e le testoline di tre pulcini sbucarono dalla copertina. La piccola rise, agitando le gambette.

Demelza guardò lui e poi la bambina. "Eleanor, porta i pulcini nella tua stanza, devono fare la nanna".

Ross si adombrò. Non la stava mandando via per i pulcini, la stava mandando via per lui. Evidentemente nulla era cambiato dall'estate precedente e sua moglie preferiva evitare ogni contatto fra loro due. Non che lui si crucciasse della cosa, i suoi sentimenti verso quella bambina erano quello che erano e mai sarebbero cambiati, era la paura che leggeva in Demelza che lo feriva. Aveva perso ogni fiducia in lui e mai erano stati lontani come in quel momento. E capì che ormai non erano che due estranei.

La piccola saltò in piedi, col cestino in mano, guardandolo incuriosita un attimo per poi sparire di corsa verso la sua stanzetta, proseguendo a canticchiare la canzone di poco prima. Gli ricordava Demelza, in questo...

Sua moglie si avvicinò al tavolo, prendendo in mano un grosso coltellaccio con cui cercò di tagliare un pezzo di pane che, dalla fatica che stava facendo, doveva essere duro come il muro. "E allora, cosa mi hai portato?" - gli chiese, non degnandolo di uno sguardo, apparentemente più concentrata su quanto stava facendo.

Ross, sospirando, tirò fuori dal mantello il disegno dei bambini. "Clowance e Jeremy ci lavorano da giorni. Credo sia il loro regalo di Natale per te. A me hanno regalato un piccone".

Demelza finalmente si voltò, prendendo il disegno con mani tremanti. "Davvero lo hanno fatto per me?". Sembrava commossa...

"Sì. Ci tenevano a dartelo oggi ma con questa neve, ho preferito che rimanessero a casa con Prudie e portartelo io, a cavallo".

Demelza arrossì impercettibilmente. "Beh, grazie" – disse, quasi a corto di parole.

La piccola Armitage tornò nella stanza, aggrappandosi alla gonna della madre. "Mamma".

"Dimmi amore".

"Pappa".

Demelza si chinò a prenderla in braccio, baciandola sulla fronte. "Appena riesco a tagliare a pezzi il pane, lo metteremo nel latte e potrai mangiare. Un minuto di pazienza, tesoro".

La mise sul tavolo, seduta. Ross la guardò di sbieco, rendendosi conto che era dannatamente ancora più bella di come la ricordasse. Ecco il risultato della bellezza di sua moglie, unita al fascino aristocratico di Hugh Armitage. Gli venne voglia di scappare, faceva male... "Credo... Credo che sia tardi e che debba andare".

Demelza strinse il disegno fra le mani, annuendo. "Sì, lo credo anche io. Ho da fare, devo darle da mangiare e i bambini mi hanno raccontato che avete ospiti a pranzo, non devi tardare".

Ross guardò il pezzo di pane sulla tavola, scuotendo la testa. Era un ben misero pranzo di Natale ma era logico che Demelza, con quella neve, non fosse riuscita ad andare a fare compere al villaggio. "Credo che sarà una sfida dura, tagliare quel pane".

Lei alzò le spalle. "Forse. Ma non ho altro e ci riuscirò".

"E' pane vecchio!" - osservò Ross.

"Lo so. Ma nel latte diventerà morbido e le riempirà la pancia. E' l'unica cosa che mi interessa".

Il tono di Demelza era sbrigativo, distante. Ross annuì, capendo che non c'era possibilità di ulteriore dialogo con lei. Si chiese se ci fossero altre strade oltre alla fuga, se ci fosse qualcosa da dire o da fare per sbloccare quel gelo fra loro ma, da codardo, decise di tacere. "Beh, buon Natale".

"Aspetta!".

La voce di Demelza lo richiamò che era già alla porta. Gli si avvicinò, mettendogli fra le mani due pacchetti avvolti in carta colorata. "Sono per i nostri figli. Non è niente di speciale, volevo darglieli quando fossero venuti, ma visto che sei qui...".

Ross prese i doni, annuendo. "Glieli porto io, non preoccuparti. Ne saranno contenti".

Demelza fece un sorriso triste. "Non è niente di eccezionale, paragonato ai doni che riceveranno oggi. Forse è meglio che tu glieli dia nei prossimi giorni".

"Va bene". Ross annuì, uscendo frettolosamente da quella casa nell'esatto momento in cui la piccola Armitage richiamò la madre per mangiare. Era affamata e lui voleva andarsene quanto prima.

Eppure avvertiva un senso di sconfitta, una vocina che lo faceva sentire in colpa, senza sapere nemmeno bene per cosa.

Demelza lo seguì fino all'uscio. "Grazie per avermi portato il disegno, per me conta davvero molto. Lo guarderò dopo, con Eleanor, appena avrà mangiato".

Ross salì in sella al cavallo. "Di nulla. Buon Natale".

Partì al galoppo senza più guardarla in viso, con gli occhi feriti dal gelo e dal vento. Era giusto andarsene, non c'era altro da fare o dire. Qualche cosa gli aveva messo tristezza addosso e vedere Demelza costretta a dar da mangiare alla figlia del pane duro gli rimordeva la coscienza, ma che doveva fare? Lei aveva voluto quella situazione e stava pagando le conseguenze dei suoi errori. Non era responsabile di cosa facesse o di come vivesse assieme alla figlia di Armitage e sentirsi in colpa era la cosa più stupida che potesse fare.

Lui era una brava persona e quel giorno avrebbe reso il Natale di chi lavorava per lui meno cupo e misero, di più non poteva e non voleva occuparsi.

Aiutare gli altri avrebbe alleggerito la sua coscienza e andava bene così.

Giunse a casa che erano passate le undici del mattino e dopo aver messo in camera i doni di Demelza, raggiunse i piccoli nel salone. Prudie e i bambini avevano apparecchiato egregiamente la tavola e avevano messo decorazioni e centrotavola natalizi che regalavano un effetto visivo festaiolo e allegro.

Quando arrivarono gli ospiti, pranzarono allegramente, gustando ogni singola portata con gusto. Era tutto delizioso e Prudie, forse, aveva imparato a cucinare per davvero. O forse era la smania da competizione con Etta... Beh, quello che importava era il risultato anche se, per qualche motivo, quel pranzo gli sembrò indigesto.

I bimbi risero e gli adulti giocarono con loro con carte e dadi, intrattenendoli dopo pranzo con giochi nuovi. Arrivarono altri doni e li scartarono insieme, mentre la moglie di Henshawe intonava per loro canzoni di Natale davanti al camino scoppiettante.

Verso le tre del pomeriggio la neve divenne meno violenta e si recarono tutti insieme al villaggio, ognuno con un cesto pieno di biscotti e dolcetti per i bambini dei minatori.

Distribuirono il cibo, chiacchierando e parlarndo con tanta gente felice di condividere il Natale con lui. I bambini giocarono con gli altri piccoli del villaggio, lanciandosi in spericolate corse nella neve, ridendo come matti. Era un bel Natale, osservò Ross mentre i figli giocavano felici. Eppure, c'era un senso di vuoto in lui... Era circondato da tanta gente ma era solo. E anche se aveva donato cibo a tante persone, si sentiva ancora dannatamente in colpa. Aveva aiutato tutti ma si sentiva come se non avesse aiutato nessuno...

Rientrarono che imbruniva. C'era ancora molto cibo in casa che sarebbe bastato anche per la cena e per il giorno dopo.

Quando gli ospiti se ne furono andati, Ross si dileguò nella sua stanza, alla ricerca di pace, lasciando i figli in compagnia di Etta e Prudie che avevano continuato a guardarsi in cagnesco per tutta la giornata, alla faccia dello spirito natalizio.

Pensò a lei...

Era riuscita a sfamare la bimba? Le era piaciuto il disegno? Cosa aveva fatto da sola in quel giorno di festa?

E perché si preoccupava di baby Armitage, dannazione?

I bimbi, dopo un po', fecero capolino nella stanza. Si sedettero sul letto con lui e Ross li strinse a se, uno da un lato e una nell'altro. "Siete felici dei regali?".

"Sì". Jeremy lo guardò attentamente in viso. "Papà, ma sei triste?".

"No, perché dovrei esserlo?".

Il bimbo alzò le spalle. "Stai qua solo".

"Sto scappando da Etta e Prudie" – gli rispose, cercando di tranquillizzarlo.

Jeremy rise e Clowance gli prese la mano, giocherellando con le sue dita. "Papà, a mamma è piaciuto il regalo?".

"Certo, ne sono sicuro". Guardò sul comodino, dove aveva appoggiato i doni di Demelza e decise che fosse giusto darli ai figli il giorno di Natale. "Mamma mi ha dato qualcosa per voi" – disse, dando i pacchetti in mano ai figli.

I bimbi lo guardarono eccitati. "Un altro regalo?".

"Sì, da parte della mamma".

Senza farselo dire, strapparono la carta.

Erano due mantelline in lana che Demelza doveva aver fatto a mano per loro, una rossa per Clowance e una blu per Jeremy. Erano fatte su misura e si vedeva in ogni punto l'amore che doveva averci messo nel cucirle per loro.

Gli occhi di Ross si inumidirono, suo malgrado. Erano tre Natali che Demelza non passava quel giorno di festa coi bambini e nonostante tutto, non lo meritava. Quelle mantelline erano lì a testimoniare quanto li amasse e quanto facesse per loro coi pochi mezzi a sua disposizione. Accarezzò i capelli dei figli, sorridendogli. "Vi piacciono?" - chiese, rendendosi conto che, a differenza di quanto detto da Demelza, quello era probabilmente il regalo più prezioso che avessero ricevuto.

"Siiiii".

Le indossarono e Clowance, da piccola vanitosa quale era, si avvicinò allo specchio per ammirarsi. "Sono bella! E la mantella ha il profumo della mamma".

E in quel momento, Ross decise. C'era una cosa che poteva davvero fare per se stesso, per Demelza, per i suoi figli e per far davvero tacere ogni senso di colpa. Doveva lasciar perdere il suo orgoglio e mettersi da parte, lasciando vivere a loro, insieme, il Natale. "Non togliete la mantella e correte da Prudie! Ditele di preparare del cibo da portar via, si esce".

"Dove andiamo?" - chiese Jeremy.

Ross gli strizzò l'occhio. "Prendo il cavallo e faremo una grande avventura nella neve fino a casa della mamma! Vi porto da lei e potrete cenare tutti insieme. Vi verrò a prendere poi domani mattina".

"Da mamma?" - chiese Clowance, stupita.

"Sì, è giusto che stiate con lei. Metà giornata l'avete passata con me, l'altra metà con la mamma ed Eleanor. Vi va?".

Jeremy sorrise, abbracciandolo. "Sì! Grazie papà".

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Capitolo 23
*** Capitolo ventitre ***


Per sua fortuna, Eleanor non era abituata a dolci e prelibatezze e una tazza di latte caldo con del vecchio pane inzuppato per lei era più che sufficiente per essere sazia e contenta.

La fece mangiare e poi si mise sul letto, col disegno dei suoi figli più grandi fra le mani.

Eleanor, seduta accanto a lei con Kiky fra le braccia, toccò il foglio incuriosita. "Apiii".

Demelza le sorrise. "Sei curiosa, è? Questo è il regalo per noi di Jeremy e Clowance, lo sai?". Era così felice per un semplice disegno e le scaldava il cuore sapere che i suoi figli, nonostante non si vedessero così spesso, avevano pensato a lei. E Ross era stato gentile a portarglielo in un giorno di festa e di neve, quando avrebbe potuto semplicemente godersi il pranzo a casa sua, al caldo e senza preoccupazioni. Vederlo era sempre difficile, lui rappresentava un miscuglio di sentimenti che stentava a controllare: rabbia, amore, desiderio...

Rabbia per come era finito il loro matrimonio...

Amore, perché anche se non corrisposta, l'avrebbe amato per sempre...

Desiderio, perché ogni volta che lo vedeva il suo corpo pareva gridargli che lo voleva ancora, dopo tutto quel tempo...

"Apiiii!!!".

Ellie si stava arrabbiando e, sorridendole, le portò la manina al fiocco che teneva chiuso il disegno. "Su amore, tira forte".

Felice, Ellie tirò il nastrino e srotolò il foglio. Era un disegno bellissimo di quella casa, del bosco, del ruscello e degli animaletti che tenevano con loro, pieno di mille vivaci colori a pastello. E davanti alla porta, Jeremy e Clowance avevano disegnato lei ed Eleanor con in braccio il suo coniglietto.

La bimba lo riconobbe e lo indicò subito. "Kikyyyy".

La strinse a se, commossa. Erano solo loro due ma con quel disegno fra le mani, era come avere accanto tutti i suoi figli. "Sì, è Kiky. Hai visto come sono stati bravi Clowance e Jeremy? E' bellissimo, vero?".

"Sì".

Demelza arrotolò il disegno, stringendoselo sul petto, mentre con l'altro braccio trascinò Eleanor sul materasso, accarezzandole i capelli. Era sola con una figlia piccola senza padre, non aveva denaro e il cibo scarseggiava ma quel giorno grazie al gesto di Ross e a quel disegno, si sentiva serena e in pace col mondo. Forse attorno a lei tutti stavano festeggiando il Natale in maniera pomposa e ricca ma per lei quella serenità d'animo valeva più di mille cene fastose o regali. Coccolò la piccola Eleanor finché non fu addormentata e poi guardò di nuovo il disegno, baciando il foglio. Si chiese cosa stessero facendo i suoi figli, se si stessero divertendo e se avessero mangiato tutto senza fare capricci, si chiese come fosse Nampara in quel giorno di Natale e se Garrick fosse riuscito a mangiucchiare qualche fetta di carne.

E poi, senza volerlo, ripensò a Ross... Vederlo era come essere investita da un'onda di alta marea, ogni volta... Era dall'estate prima che non si incontravano e la rabbia aveva lasciato posto all'amarezza. Sapeva che Ross non era cattivo e che era stata la rabbia ad offuscare le sue azioni verso Eleanor, però era così difficile accettare quella situazione per lei, quanto per lui. Sapeva che Ross stava soffrendo e sapeva che per lui vedere la bimba era un colpo al cuore ogni volta, ma che doveva fare? Cercare di tenergliela lontana era l'unica soluzione che poteva adottare. Non avrebbe voluto arrivare a tanto quel giorno in cui se n'era andata con Hugh, ma avventatezza e destino ci avevano messo lo zampino e affrontarne le conseguenze era stata la diretta conseguenza per lei. Vivere lontana da Ross e non interferire nella sua vita era tutto quello che poteva fare per lui, per quell'uomo che amava da sempre senza essere corrisposta e a cui aveva dato il suo cuore da ragazzina senza riuscire più a riaverlo indietro. Avrebbe sempre amato Ross, lontano e in silenzio, ma non avrebbe più combattuto per lui e per riaverlo. Era una guerra senza speranza, Ross apparteneva ad Elizabeth e la nascita di Eleanor aveva messo una pietra tombale sul loro già traballante matrimonio. Baciò la sua bimba sulla fronte, cercando in quel visino tranquillo delle risposte. "Come si fa a smettere di amare qualcuno?" - le chiese, senza avere ovviamente risposta. Li amava entrambi, lei e Ross... Ed erano due amori incompatibili fra loro ma non era in grado di rinunciare a nessuno di essi. Eleanor non era stata cercata ma ora era viva e reale, l'amava con tutta se stessa e non avrebbe voluto una vita in cui lei non ci fosse stata.

La cullò per un po', poi dopo aver messo altra legna nel camino, si addormentò accanto a lei cullata da quella marea di pensieri e col cuore riscaldato dal dono dei suoi bambini.

Dormì a lungo, svegliandosi di soprassalto quando ormai stava imbrunendo, a causa di un forte bussare alla porta. Mezza intontita, assieme ad Eleanor si sedette sul letto, cercando di mettere a fuoco la situazione.

Bussarono di nuovo e delle vocine allegre giunsero alle sue orecchie. "MAMMAAAAAAAA!!!".

Ellie le sorrise, saltando giù dal letto. "Clo e Jemy".

Incredula, si avvicinò alla porta e appena l'ebbe aperta, i suoi due bambini le si lanciarono fra le braccia, travolgendola e facendola cadere a terra. Avevano indosso le mantelline che aveva cucito per loro...

"Mamma, sorpresa!" - urlò Clowance, felice.

Demelza rise, non poteva crederci! Che stesse ancora sognando? "Ma voi cosa ci fate quì?".

Jeremy le diede un bacio sulla guancia. "Ceniamo con te!".

Spalancò gli occhi stupita e felice, pur senza capire, poi guardò verso la porta dove Ross, silenzioso, osservava la scena. "Cosa significa?" - chiese, alzandosi in piedi ed avvicinandosi a lui.

Ross le diede la sacca che teneva fra le mani. "Hanno pranzato con me a Nampara e credo sia giusto, visto che è Natale, che cenino con te".

Demelza deglutì. "Ross, io non saprei cosa dar loro da mangiare".

Lui fece cenno col capo alla sacca. "C'è del cibo lì dentro. Arrosti, patate e biscotti".

Demelza si adombrò, ripensando a com'era finita pochi mesi prima, quando Ross aveva portato del cibo in quella casa. Non poteva accettare, non poteva per Eleanor...

Si sentiva in trappola. Avere lì i suoi bambini era meraviglioso, avrebbe voluto donargli il cielo e la luna se avesse potuto ma così... Così non poteva...

Ross, quasi intuendo le sue paure, leggendole nel pensiero, sospirò. "C'è abbastanza cibo per tutti sia per stasera che per domattina per la colazione" – disse, distogliendo lo sguardo. "Verrò a riprenderli domani, prima di mezzogiorno".

Demelza vide che le voltava le spalle e si accorse che non voleva che se ne andasse. Ma non riusciva a fare nulla, si sentiva paralizzata. Voleva ringraziarlo e voleva dirgli qualcosa ma era da tanto, troppo, che loro due non parlavano e... E anche dirgli che stava rendendo bellissimo quel suo Natale sembrava un'impresa impossibile.

Jeremy e Clowance corsero dietro al padre. "Ma no papà, dove vai? Resta con noi a mangiare!".

Ross deglutì. "Ho delle cose da fare in miniera, delle fatture da controllare".

"A Natale?" - protestò Jeremy.

Demelza lo guardò, poi osservò i suoi bambini. Per una volta non potevano far lo sforzo di stare tutti insieme, come ogni figlio del mondo desiderava? E in fondo, non era quello che voleva anche lei, almeno per una sera? Si avvicinò, a passi lenti, dopo aver lanciato un'occhiata veloce a Eleanor che aveva fatto capolino alla porta. "Alla miniera ci puoi andare domani. Perché non resti a cenare, non ti costerebbe niente e faresti felici i bambini".

Ross spalancò gli occhi, stupendosi forse per quel tono gentile che non le sentiva più usare da tanto. "Beh... Ecco..." - balbettò, osservando Eleanor.

Demelza abbassò il capo. "Te la terrò lontana, di solito lei e i nostri figli quando sono insieme, giocano nella cameretta di Ellie".

"Dai papà!" - implorò Jeremy, imitato dalla sorella.

E Ross cedette, guardandola negli occhi. "Va bene. Ma dopo cena andrò subito via, non possiamo lasciare da sole troppo a lungo Prudie ed Etta".

Clowance, a quelle parole, tirò la gonna di Demelza. "Se no si accoltellano, sai mamma?".

Davanti a quelle parole, Demelza guardò Ross in cerca di risposte, vagamente preoccupata. "Accoltellano?".

Ross deglutì. "Beh, diciamo che non si amano molto" – borbottò. Prese Jeremy per mano e Demelza fece altrettanto con Clowance.

"Su, nevica e fa freddo, andiamo in casa".

Appena dentro, i bimbi si scatenarono lanciandosi sul letto. Presero il disegno e Jeremy lo srotolò. "Ti è piaciuto, mamma?".

Demelza gli si avvicinò, abbracciandoli. "Tanto! Grazie, è il regalo più bello che abbia mai ricevuto. Lo appenderò quì, alla parete accanto al letto, così quando non ci sarete vi sentirò più vicini".

Ellie indicò la sua figura col ditino. "Kiky".

Jeremy annuì. "Sì, visto che mi sono ricordato?".

La piccola di casa rise, correndo nella sua stanzetta seguita dai bambini più grandi. Chiusero la porta e dopo pochi istanti li sentirono ridere e fare baccano, intenti a fare qualche gioco spericolato.

Ross guardò accigliato la scena. "Non si faranno male?".

"No, sta tranquillo, giocano benissimo insieme e si divertono sempre molto, quando son quì". Demelza si avvicinò al tavolo, aprendo la sacca dove c'era il cibo. C'era ogni ben di Dio e non ricordava da quanto non mangiasse così. Si chiese perché... Era bontà natalizia? Perché Ross lo stava facendo? Si sarebbe tradotto in qualcosa di negativo, tutto quello, o finalmente avrebbero avuto un momento sereno? "Ross...".

"Cosa?".

"Perché?".

Lui sospirò. "Perché è giusto così".

Sorrise, nonostante tutto, sistemando il cibo nei piatti mentre Ross si sedeva sulla sedia. "Da quando facciamo ciò che è giusto?".

"Forse dovremmo iniziare da ora".

Annuì. Era così difficile comunicare con lui, non si era mai fermato in quella casa e non parlavano fra loro da molto. E preparare una cena per lui e con lui aveva il sapore di cose belle e antiche, di famiglia, di calore e di casa, tutte cose che pensava di aver perso. "Sì, forse sì". Sospirò, toccava a lei rompere il ghiaccio... Ross aveva fatto il primo passo e quel giorno le aveva fatto il regalo più grande che potesse ricevere ma ora toccava a lei contraccambiare e farlo sentire a suo agio. Lui, per lei e per i loro figli, aveva messo da parte il suo orgoglio e il fatto che fosse lì e che fosse rimasto, doveva essere stato qualcosa di estremamente difficile da fare. Erano successe molte cose brutte fra loro ma spesso una buona azione fatta col cuore sapeva annullarne mille dolorose. "Ti ringrazio per quello che hai fatto, so che ti è costato molto".

Ross abbassò il capo. "Era giusto che stessero con te. Sono anche i tuoi figli e so che li ami...".

"Non eri obbligato a farlo".

"Lo so! Ma sentivo che dovevo".

Demelza finì di sistemare il cibo nei piatti, per poi scaldarli accanto al camino. "Anche questo non era un obbligo. Non sei tenuto a pensare alla mia sussistenza".

"Ovviamente, ma in fondo avevo molto cibo a casa e non saremmo riusciti a mangiare tutto, sarebbe finito nei rifiuti entro domani sera. E resto comunque tuo marito, non posso permettere che tu a Natale mangi pane secco".

Demelza sorrise timidamente. "E' buono, nel latte. Ed io e Eleanor ci siamo abituate".

I bimbi fecero irruzione nella stanza, inseguiti dai pulcini. Due si infilarono sotto il letto, tallonati da Jeremy e Clowance che gli andarono dietro a carponi, mentre l'altro se ne stava appollaiato fra le mani di Eleanor.

Ross osservò i suoi figli sparire sotto il letto, poi guardò interrogativamente Demelza. "Da dove arrivano?".

Si trovò costretta a sospirare, mentre accarezzava il pulcino fra le mani di Ellie. "Le mie galline... Si sono schiuse le uova stanotte e ho detto ad Eleanor che era il suo regalo di Natale. Avrei preferito poterle cucinare quelle uova, ma per lo meno lei è stata contenta e ha ricevuto un dono".

Eleanor lo guardò in modo interrogativo, incuriosita. Fissò nuovamente il tricorno appoggiato alla sedia ma stavolta non lo toccò, soffermandosi solo su di lui. Poi, a sorpresa, vincendo il timore, gli si avvicinò di alcuni passi, mostrandogli il pulcino.

Ross si irrigidì e anche Demelza fece altrettanto. Eleanor era piccola ed inconsapevole di chi lui fosse e di cosa lei rappresentasse ai suoi occhi.

Suo marito impallidì e serrò la mascella, visibilmente in difficoltà e questo la fece sorridere, nonostante tutto. Non sembrava più rabbioso ma solo impacciato e desideroso di scappare da quella situazione.

Ross la guardò. "Demelza, che vuole?" - disse, con la bambina davanti a lui.

Lei alzò le spalle. "Non lo so, forse solo fare la tua conoscenza. O magari farti vedere il suo pulcino".

"Beh, toglila da quì".

Demelza sorrise, forse rilassata per la prima volta dopo tanto tempo. "Falle la tua faccia peggiore e se ne andrà da sola, senza bisogno del mio intervento. E' piuttosto fifona".

"Demelza!!!".

Sospirò, richiamando a se la bimba. "Vieni Ellie, questo signore ha paura dei pulcini".

"Pecchè???". La bimba osservò lui e l'animaletto che teneva fra le mani. Poi indicò col ditino Ross, facendo segno che lui era grande mentre il pulcino era talmente minuscolo da stare nella sua mano. Infine, dopo che Ross era arrossito, andò dalla mamma, saltandole in braccio.

Ross guardò Demelza, piccato. "Io non ho paura dei pulcini!".

Clowance e Jeremy sbucarono dal letto, correndo verso il padre. La bimba lo guardò corrucciata, mettendosi le mani sui fianchi. "Papà!?".

"Dimmi".

"Perché Ellie ha i pulcini e noi no?".

Ross sospirò. "Sì che li abbiamo".

Jeremy e Clowance si guardarono negli occhi, un po' confusi. "Non è vero".

"E le galline che abbiamo nel pollaio, che cosa sarebbero secondo voi?".

Clowance alzò le spalle. "Galline! Io voglio i pulcini come Ellie, papà" – piagnucolò.

Ross sbuffò. "Le galline, prima di essere galline erano pulcini!".

Jeremy ci pensò su, poi scosse il capo. "Ma non è vero! Le nostre galline hanno le piume bianche e dure mentre il pulcino è giallo e morbido".

Sospirando, Ross si alzò e si diresse verso Eleanor, prendendo dalle sue mani, pur senza sfiorarle, il pulcino.

Si sedette per terra, con addosso l'attenzione di tutti per quel gesto inaspettato. Accarezzò la testolina del pulcino e chiamò a se i due figli, pronto a spiegargli come funzionassero le cose. "Le galline nascono come pulcini e il loro pelo è come i capelli dei bambini piccoli, morbido e chiaro. Poi i pulcini crescono e il pelo giallo cade, sostituito dalle piume più chiare e dure. Come i capelli degli adulti". Afferrò scherzosamente i capelli dei bambini, tirandoli e facendoli ridere, avvicinandoli ai suoi. "Vedete? I vostri capelli sono ancora morbidi come il pelo del pulcino, poi da grandi li avrete come...".

Jeremy rise ma Clowance parve davvero preoccupata. "Io non voglio i capelli come i tuoi! Io voglio tenerli come adesso, come quelli del pulcino".

Investirono il padre di domande, una sfilza infinita, chiamandolo mille volte. E Demelza li guardò affascinata insieme, tutti e tre, forse per la prima volta. A Nampara, nei suoi ricordi e dopo la morte di Julia, Ross era sempre stato molto distaccato e distante dai bambini, difficilmente lo aveva visto giocare e ridere con loro come in quel momento e si accorse che era cambiato molto da allora e che davvero era riuscito a diventare un padre premuroso, attento e pronto a stare al gioco. Sorrise, stringendo a se la piccola Ellie che li guardava, catturata e divertita, quasi senza respirare.

La bimba la fissò, stringendole il vestito con la manina. "Papà?" - disse sotto voce, ripetendo la parola che stava sentendo in continuazione da Jeremy e Clowance.

A Demelza, presa dal panico, si fermò quasi il cuore. Se Ross l'avesse sentita, quel breve attimo di pace sarebbe finito in un niente e si sarebbe scatenato l'inferno. Osservò suo marito che per fortuna, nel baccano generale, non l'aveva sentita, quindi alzò il mento alla bambina per avere la sua attenzione. "No Eleanor, tu non devi chiamarlo così. Sir... Ti devi rivolgere a questo signore così. Capito?".

Ellie annuì, non molto convinta. "Apito".

La baciò sulla fronte, infine la mise a terra e si alzò a prendere i piatti accanto al camino, ormai caldi. "Su, lasciate stare il pulcino, è ora di cenare".

"Siiii!". Felice, Clowance si mise sul letto col suo piatto, imitata da Jeremy, visto che c'erano solo due sedie.

Demelza prese Ellie in braccio, aiutandola a mangiare e Ross cenò in silenzio, senza riuscire a trovare altri spunti per fare discussione.

Fu una cena serena, accompagnata dal chiacchierare dei bimbi. Ellie mangiò tutto di gusto, senza far capricci, e Demelza si rese conto che era raro che mangiasse un pasto così completo. Appena ebbe finito, le pulì il faccino con un tovagliolo, rimettendola poi a terra. "Ringrazia Ross per questa cena, ha portato lui tutte queste cose buone da mangiare".

La bimba, ricordandosi di quando le aveva detto poco prima, annuì. "Assie Sir".

Ross si irrigidì di nuovo, rispondendole con un cenno impacciato del capo. Demelza sorrise, osservando che la legna nel camino era quasi finita. Si alzò, mettendosi uno scialle sulle spalle. "Esco un momento, voi aspettatemi quì" – disse, mentre i bambini più grandi tornavano a giocare coi pulcini.

Eleanor le corse vicino. "Mamma, iuto io!".

"Certo tesoro, aiutami tu!". Le mise la mantellina e poi fece cenno a un attonito Ross che sarebbero tornate subito.

Uscì fuori, nevicava ancora. Si avvicinò alla catasta di legna togliendo la coperta che la ricopriva e diede un piccolo ciocco a Eleanor. "Su, portalo dentro. Io ne porterò degli altri".

"Sì".

La bimba corse dentro e lei prese altra legna. Quando si voltò per rientrare vide Ross sull'uscio, che la guardava contrariato. "Perché non me l'hai chiesto? Avrei potuto farlo io".

Sospirò. "Sei mio ospite e io ci sono abituata, non ho bisogno di aiuto. Ho pure un'aiutante, come puoi vedere".

Ross alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi a lei con l'espressione di uno che aveva poca voglia di scherzare. Prese la legna che teneva in mano e la guardò storto. "Non mi piace tutto questo! Vivi isolata, lontana da tutto e tutti, senza nessuno vicino. Se tu avessi bisogno di aiuto, se da queste parti venisse un malintenzionato, che faresti?".

Demelza sostenne il suo sguardo. "Questo è un posto tranquillo e che amo. Ed è l'unica casa che posso permettermi! Non voglio litigare per questo".

Lo sguardo di Ross si indurì. "Demelza, non puoi fare tutto da sola e sperare che ti vada sempre bene".

Sospirò. Le faceva piacere, sapeva che in quel momento era genuinamente preoccupato per lei, ma non poteva permettersi di apparire fragile ai suoi occhi. "Sono solo uscita a prendere della legna per il camino, non è niente di eccezionale, davvero. Lo facevo anche a Nampara, quando tu non c'eri".

Quelle parole lo ferirono in qualche modo, riducendolo al silenzio. Le annuì, prese altra legna e insieme rientrarono.

Tutto proseguì tranquillamente e quella strana discussione fra loro rimase in sospeso. I bimbi tornarono a giocare in cameretta e lei, canticchiando, sistemò i piatti e il cibo avanzato mentre Ross pensava al camino.

Il baccano della cameretta, dopo un po', cessò di colpo. Ross e Demelza si guardarono negli occhi e poi andarono a sbirciare, trovando i bimbi addormentati nel letto, abbracciati, coi pulcini che dormivano con loro.

Demelza sorrise, avvicinandosi. Prese i pulcini e li mise nel cestino, al caldo e al sicuro, poi coprì i figli con la coperta.

Ross, sull'uscio, sospirò. "Forse è ora che vada".

Lei annuì, spegnendo la candela e lasciando la cameretta al buio, chiudendo la porta dietro di loro per far dormire i bimbi. "Vuoi aiutarmi a portar dentro altra legna per la notte e per domani mattina?". Glielo chiese, mettendo da parte il suo orgoglio. Se questo poteva tranquillizzarlo, perché non farsi aiutare? Ed era dolce il fatto che comunque volesse aiutarla, le scaldava il cuore questo suo atteggiamento e non non riusciva a far finta che non le facesse piacere...

"Certo".

Uscirono fuori, nevicava ancora. Presero altra legna in silenzio, portandola in casa nella cesta davanti al camino, poi uscirono per fare un altro carico.

Demelza si appoggiò alla staccionata a cui era legato il cavallo di Ross che, infreddolito, aspettava il suo padrone. Gli accarezzò il muso, ricordando quando quello stesso cavallo portava in giro entrambi, correndo sulle scogliere delle Cornovaglia. Sembravano passati secoli da allora... "Non avrei voluto che le cose andassero a finire così" – sussurrò, quasi senza accorgersene, per un attimo vinta dalla nostalgia. Si ricompose subito, sperando che lui non l'avesse sentita, ma l'espressione con cui Ross la stava fissando le fece intendere che aveva udito benissimo.

"Demelza?".

Le si inumidirono gli occhi che asciugò con le mani. "Scusa, non volevo".

Lui le si avvicinò. "Nemmeno io lo volevo... Che finisse così... intendo...".

Abbassò lo sguardo, non sapeva cosa dire, cosa fare, come comportarsi. Era così difficile ora parlare con lui e aveva la sensazione che fosse ormai troppo tardi per iniziare a farlo. "Pensi che l'abbia fatto per vendetta?".

"Di che parli?".

"Di Hugh... Di Eleanor...".

Ross abbassò lo sguardo. "Penso che tu l'abbia fatto per tanti motivi. Ma forse la vendetta non c'entra, anche se il risultato non cambia".

"No, infatti... E in fondo, che serve parlarne adesso?".

Ross non pareva dello stesso avviso. "In realtà, forse serve. Posso farti una domanda su Hugh? Non sei obbligata a rispondermi ma... è molto che volevo chiedertelo...".

Demelza si morse il labbro. Parlare con Ross di Hugh? Santo cielo, forse dovevano farlo ma sarebbe stata una cosa dolorosa e difficile e non sapeva se fosse pronta o meno. "Dimmi pure... Cercherò di risponderti, per quanto potrò".

Ross osservò la casa. "Era ricco, avrebbe ereditato una fortuna. E tu gli hai dato una figlia... Com'è che non hai nemmeno i soldi necessari per sfamarla in maniera adeguata? Come puo' non aver pensato a lei e a te prima di morire, in modo da lasciar le cose a posto per voi? Come ha potuto essere tanto egoista?".

Rimase sorpresa da quella domanda, non si aspettava che volesse chiederle quello, era più convinta che volesse sapere qualcosa sulla sua storia con lui... "Non sapeva di Ellie, quando è morto".

Ross spalancò gli occhi. "Cosa?".

Scosse la testa, ricordando quei giorni dolorosi e confusi dell'agonia di Hugh, a quanto stesse male e a quanto si sentisse sola e disperata. "Non sapeva che sarebbe diventato padre, non gliel'ho mai detto. E' morto che ero al quarto mese di gravidanza e stavo talmente male che la pancia nemmeno si vedeva, è stato facile nasconderglielo".

"Ma perché?".

Lo guardò tristemente. "Perché dirglielo, Ross? Cosa avrebbe cambiato? Non avrebbe potuto fare nulla per noi, a prescindere. Ero tua moglie e lui apparteneva a una delle famiglie più potenti della Cornovaglia, credi davvero che avrebbe potuto pensare a noi? A una bambina illegittima?".

"Ma aspettavi sua figlia, era suo dovere aiutarti e tu avresti dovuto pretenderlo".

Scosse la testa, era normale che Ross non capisse. "Ross, credi davvero che sarebbe stato un padre? Credi davvero che io avrei voluto una famiglia con lui? Hugh amava il lato romantico dell'amore ma era giovane e non sarebbe stato capace di gestirne le conseguenze. Generare un figlio non significa diventarne genitore... Se anche non fosse morto, non si sarebbe preso cura di Ellie e ci saremmo persi comunque di vista. Non poteva stare con noi, io non lo volevo e lui si sarebbe stancato presto, non era pronto. Era un poeta, era attratto dal lato romantico dell'amore e un neonato da gestire non è romantico, è faticoso".

A quelle parole, lui la bloccò, squadrandola in viso. "Attratto dal lato romantico? A me sembrava attratto anche dal lato più terreno dell'amore, se mi permetti".

Sorrise, suo malgrado, perché su questo Ross aveva ragione. "Sì, puo' darsi. Ma la sostanza non cambia".

"Lo amavi?" - la interruppe lui.

"No" – rispose subito, sinceramente. Era difficile dare voce ai suoi sentimenti per Hugh, soprattutto davanti a Ross che per molto li aveva sottovalutati, ma se quello era il momento della verità, andava affrontato. "Era un amico a cui volevo bene, una spalla su cui piangere, un uomo che mi ha fatta sentire bella e lusingata. Non ero mai stata corteggiata ed è stato bello essere, per una volta, la donna ammirata come tu ammiravi Elizabeth. So che ho sbagliato a cedere ma quel giorno ero disperata, non vedevo futuro in noi e lui era lì, le sue braccia erano lì ed era tutto quello di cui avevo bisogno mentre il mio mondo si sgretolava. Eleanor non l'ho cercata ma il destino me l'ha mandata e la amo. Ma ti sbagli quando dici che è figlia di Hugh. Forse hanno lo stesso sangue nelle vene ma le loro vite non si sono mai sfiorate, per me Ellie è sempre stata la mia bimba. Solo mia! Non penso a Hugh mentre la guardo, penso solo a quanto è stata dura averla e a come sono felice di esserci riuscita. Io non vedo Hugh in lei, Hugh lo vedi tu ed è un tuo problema che io non posso risolvere. Per quanto riguarda il denaro, la madre di Hugh mi offrì dei soldi in cambio del mio silenzio, per evitare uno scandalo. Li rifiutai, non volevo denaro, non volevo essere comprata per qualcosa che quella donna aveva già: la mia lealtà alla memoria di suo figlio. Non ho mai voluto, dall'inizio, che qualcosa mi legasse alla famiglia Armitage e non volevo denaro dato per tenere nascosta la mia bambina come se fosse un mostro. Non so se ho sbagliato a rifiutare, se per il bene di Ellie avrei dovuto accettare, ma la mia coscienza mi ha guidata a quella scelta e io son felice di averla presa".

Ross l'aveva ascoltata in silenzio, rendendosi conto che era sincera e forse ammirandola per questo. Almeno per questo... "Credo che avrei fatto la stessa scelta, al tuo posto" – disse, infine.

Arrossì. "Lo so, su tante cose noi siamo simili, orgogliosi...".

Lui le si avvicinò, fronteggiandola. "Non potremmo, visto che siamo in ballo, parlare anche di Elizabeth? Sai, ho visto a Londra lei e Valentine e...".

Lo bloccò, non voleva parlare di lei, faceva troppo male... Se solo non lo avesse amato tanto Ross, sarebbe stato più semplice, ma così... "Ross, ti prego, preferirei evitare. Sentirti parlare di lei è sempre stato una tortura, anche se non hai mai voluto accorgertene".

"Ma...".

"Ti prego...". Deglutì, sedendosi sulla staccionata. "Quando me ne sono andata ti avevo detto che eri libero di viverti la tua storia con lei ma di mettere i nostri bimbi al primo posto. E tu l'hai fatto e sei un padre meraviglioso, vi ho visti insieme stasera ed ero così orgogliosa di te. Ma per quanto riguarda Elizabeth, è un aspetto della tua vita che non voglio sapere, che voglio tenere lontano da me e che non sono pronta ad affrontare. Sono faccende tue, cose personali... Non mi devi spiegazioni".

Ross la guardò, sembrava ferito e impotente. Ma accettò di stare in silenzio. "Un giorno però ne dovremo parlare, non credi?".

"Forse, se sarò pronta".

"E sarai mai pronta?".

Lei annuì. "Se sarà necessario, sì". Gli appoggiò la mano sul braccio, toccandolo dopo tanto, tantissimo tempo. Sentì una scossa che tentò di ignorare, dovevano ancora chiarire alcune cose e non poteva permettere alle sue emozioni di venire allo scoperto. "Ross, continuare a litigare non servirà a cancellare i nostri errori passati. Saranno sempre quì, con noi. Ma se imparassimo entrambi ad accettarli, per il bene dei nostri figli, forse le cose andrebbero meglio".

"Sono d'accordo...".

Demelza gli sorrise. "I bimbi erano così contenti stasera, di stare tutti insieme. Per loro, almeno per loro, non potremmo tentare di andare d'accordo, senza rinfacciarci il passato?".

Ross rispose al sorriso. "Credo sarebbe un bene. Anche perché Prudie mi ucciderà, se continuerò a chiederle di portarti i bimbi".

Si accorse che, nonostante avessero parlato di argomenti difficili e dolorosi, il clima fra loro si era disteso un pochino e che il ghiaccio che si era creato nel loro rapporto si fosse leggermente scalfito. "Suppongo di si, probabilmente potrebbe farlo".

"Quindi mi dai il permesso di portarti i bambini di persona?".

"Certo".

Ross le sfiorò la mano, prendendola nella sua. "Mi dispiace per come mi sono comportato con la bambina. Non potrei mai farle del male, non per davvero".

Demelza annuì, accettando che lui non fosse più un pericolo. "Lo so".

Si guardarono negli occhi e improvvisamente, d'istinto, Ross la strinse fra le sue braccia, come se ne sentisse un disperato bisogno. La abbracciò e lei non fece resistenza, forse bisognosa per un attimo dello stesso calore e della stessa vicinanza. Lui le accarezzò i capelli, affondando il viso in essi e Demelza si rese conto che in quel momento, per lui, esisteva solo lei. Elizabeth sarebbe tornata nel suo cuore e nella sua mente dal giorno dopo probabilmente ma in quel bosco, in quell'abbraccio, erano solo loro due... "Ross?".

"Sì?".

"Forse faresti meglio a tornare a casa ora, è tardi e il tuo cavallo starà congelando". Non voleva che se ne andasse, ma si rendeva conto che se fosse rimasto, sarebbe potuto succedere qualcosa di cui si sarebbero poi pentiti, e avrebbero incasinato di nuovo tutto.

Lui parve capirlo e accettarlo. "Forse è meglio, sì".

La lasciò andare e nonostante lei si trovasse a tremare senza le sue braccia a stringerla, non lo fermò. "Ci vediamo domattina?".

"Sì, quando verrò a prendere i bambini. Buona notte!" – rispose lui, montando a cavallo e sparendo nel bosco.


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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro ***


"Otto".

"Orso".

"Otto!".

Davanti allo sguardo corrucciato di Eleanor, Demelza si sedette per terra, accanto a lei, indicandole col dito l'enorme peluches che le avevano portato da Londra, con un mese di ritardo rispetto al Natale, Caroline e Dwight. "Questo è un orso" – disse, indicando l'enorme giocattolo che era alto il doppo della sua bimba. Come al solito Caroline non aveva badato a spese e dimensioni, benché spesso le avesse chiesto di non fare regali ad Eleanor.

La bambina scosse la testa. "Otto".

Demelza sospiro. "Prova a dirlo, dai! O-R-S-O!".

"No, Otto".

La donna si arrese, sorridendole. In fondo non c'era fretta, avrebbe imparato a parlare correttamente prima o poi... "D'accordo, sai che si fa? Lo chiamiamo Otto e sarà amico di Kiky".

Finalmente Eleanor sorrise soddisfatta, correndo nella cameretta a prendere il suo giocattolo preferito, quel coniglietto che dalla nascita l'accompagnava in ogni sua avventura e che lei non lasciava mai. Dwight e Caroline potevano regalargli il gioco più bello di Londra ma per Ellie sarebbe sempre stato il coniglietto Kiky il suo preferito. Si rialzò, lasciando la bimba a intrattenersi coi suoi giocattoli. Era un giorno di pioggia e la piccola stava diventando noiosa a furia di star chiusa in casa e la visita di Dwight e Caroline, poco prima, aveva rappresentato un piacevole diversivo per tenerla occupata. Coi peluches si sarebbe distratta e avrebbe giocato mentre lei ne avrebbe approfittato per mettersi a cucire la montagna di camicie che doveva sistemare per lavoro.

Si sedette alla sedia con ago e filo in mano, quando qualcuno bussò nuovamente alla sua porta.

Sospirando, un po' contrariata, si avvicinò per aprire, chiedendosi chi fosse visto che non aspettava nessuno.

Quando sull'uscio vide Ross, fu presa dal panico. "E' successo qualcosa? I bambini stanno bene?" - gli chiese senza convenevoli, facendolo entrare. Che ci faceva lì?

Sospirando, Ross entrò dentro, all'asciutto. Era fradicio e appena fu in casa starnutì vigorosamente. "I bambini stanno bene, sono a casa con Prudie e stanno facendo i biscotti. O una torta, non ho ben capito, a essere onesto. Comunque sta tranquilla, non sono qui per loro".

Demelza tirò un sospiro di sollievo. Da Natale i rapporti fra lei e Ross erano più distesi, sebbene spesso ci fosse imbarazzo fra di loro, ed entrambi erano più tranquilli e meno in ansia quando si vedevano. E di questo ne godevano i loro due bambini. "E allora perché sei quì? Con questo tempo, poi...".

"Scusa, non volevo disturbarti, ma volevo parlarti di una cosa abbastanza urgente che vorrei sistemare prima di partire a maggio per Londra".

Demelza si accigliò, incuriosita, mettendosi a sedere davanti a lui mentre Ellie, incurante del nuovo arrivato, prendeva la rincorsa con Kiky in braccio e si lanciava contro l'enorme orso di peluches, rotolandosi poi a terra con lui e ridendo rumorosamente. "Non mi disturbi, oggi stiamo entrambe morendo di noia. Ma che mi devi dire? Una cosa bella o una brutta?".

Ross sbuffò. "Una cosa noiosa ma necessaria".

"Oh...". Demelza poggiò la mano sotto il mento, ora curiosa per davvero. "Dimmi".

"Ti ricordi quando, dopo la nascita di Clowance, abbiamo donato in usufrutto parte delle nostre terre alle famiglie dei miei minatori?".

"Sì".

Ross annuì. "Beh, si sono divisi la terra, ci hanno costruito su delle piccole abitazioni ognuna col suo orto e le cose vanno bene adesso. Vorrebbero fare una festa alla miniera settimana prossima, la sera di domenica, per ringraziarci di quanto abbiamo fatto per loro e mi hanno detto che gradirebbero anche la tua presenza. Vuoi venire alla Wheal Grace e accettare l'invito?".

Demelza deglutì. In passato andare alla miniera era per lei la normalità, ma ora? Affrontare un'intera serata con Ross, come sua moglie, in mezzo ai loro amici? Cosa avrebbero detto, cosa avrebbero pensato di loro? "Ecco... Credo che non sarebbe il caso. Forse è meglio se ci vai da solo".

Ross la osservò, poi diede un'occhiata veloce alla rumorosissima bimba che correva nella stanza e poi tornò a fissare lei. "A me di quello che pensano gli altri, importa molto poco".

Lei sospirò. Sapeva che i pettegolezzi a Ross non interessavano, ma lei non voleva metterlo in imbarazzo perché temeva che sarebbe successo. "Ross, quelle terre sono tue e...".

"Nostre!" - la bloccò lui – "Mie quanto tue, sei mia moglie!".

Demelza sorrise con amarezza. "Siamo sposati, ma nel nostro caso è ormai una formalità".

Ross non pareva della stessa opinione. "Formalità o no, sei mia moglie e hai donato assieme a me quelle terre. Non è niente di che, solo un po' di cibo alla buona, della musica e poi si torna a casa. Questione di qualche ora e ci saranno anche i nostri figli con noi. Ti verrò a prendere e ti riporterò a casa quando vorrai, senza problemi".

Demelza lo guardò, indecisa sul da farsi. Ross sembrava tenerci molto e l'opportunità di una serata coi suoi figli, come a Natale, tutti insieme, era allettante. Ma... Guardò Ellie, che continuava a giocare, incurante di loro. "Non saprei dove lasciarla".

Ross alzò le spalle. "Portatela dietro".

Demelza spalancò gli occhi. Portare Ellie? Davanti ai loro amici? Quanto avrebbe potuto essere umiliante per Ross? "Non è il caso".

Quasi leggendole nel pensiero, Ross la interruppe. "La gente sa che lei esiste e molti pensano che sia mia e sia nata mentre eravamo in crisi. Certo, ne parlano e hanno dei dubbi ma io non ho mai fugato né confermato nulla e di ciò che pensano mi interessa poco. Si confonderà con gli altri bambini presenti e nessuno farà caso a lei".

Ellie si rotolò sul pavimento, con l'orso, ridendo rumorosamente. E Ross la fissò brevemente, pensieroso. "Ma fa sempre così tanto baccano?".

Demelza sorrise. Del temperamento aristocratico e controllato di Hugh, non c'era traccia in lei. "E' vivace e non ha ancora due anni. Certo che è rumorosa, soprattutto nelle giornate di pioggia".

"Da dove arriva quel gigantesco orso?".

Demelza abbassò il capo, ricordando quanto la nascita di Ellie avesse allontanato Ross dal suo migliore amico e di come da allora le cose non si fossero mai sistemate. "Poco fa son stati quì Caroline e Dwight. Hanno passato l'inverno e il Natale a Londra e ora son tornati quì in Cornovaglia con questo enorme regalo per Ellie. Se fossi arrivato mezz'ora prima, li avresti incontrati".

Ross si oscurò, distogliendo lo sguardo dalla piccola. "Beh, meglio così".

Demelza ci pensò su. Forse poteva fare qualcosa, forse aveva il potere di sistemare in parte quel rapporto così compromesso fra suo marito e Dwight. Lei ne era la causa e lei doveva trovare una soluzione, soprattutto ora che i rapporti con Ross erano più distesi. "Senti, facciamo un patto?".

"Quale patto?" - chiese Ross.

"Verrò alla festa alla miniera con Ellie, se davvero ti fa piacere. Ma tu mi prometti che tenterai – o almeno penserai – di far pace con Dwight? Se parli con me, se riesci a stare seduto nella stessa stanza con Ellie, non credi che potresti far pace anche con lui?".

Ross abbassò il capo. Non sembrava rabbioso ma solo impotente davanti a quella ingarbugliatissima situazione che si era creata. Demelza sapeva che era pentito della reazione avuta con Dwight e che la sua amicizia gli mancava ed era consapevole che fosse colpa sua quanto successo fra loro. In quel momento il caso e il destino le stavano venendo incontro per aiutare suo marito a sistemare almeno quella faccenda e non poteva lasciar perdere e far finta di niente. Per quanto difficile, sarebbe andata a quella festa ma Ross in cambio doveva tentare di sistemare le cose con Dwight...

Ross la guardò storto. "Da quando sei tanto brava a ricattare?".

Demelza sorrise furbamente. "Invecchiando si impara".

Lui sospirò, sconfitto. "Va bene, non ti prometto niente ma ci penserò".

"E allora verrò alla festa. Non è necessario che tu mi venga a prendere, farò una passeggiata a piedi con Ellie".

"Da Illugan?".

"Da Illugan, sì! Camminare fa bene e non voglio che tu mi venga a prendere".

Ross annuì, anche sa vagamente contrariato. "C'è un'altra cosa".

"Cosa?".

"Il terreno. Noi due lo avevamo ceduto in usufrutto ma di fatto ne manteniamo ancora la proprietà. La cessione definitiva dovremmo farla da Pascoe, con un atto notarile vero e proprio, ed essendo tu mia moglie, abbiamo bisogno anche della tua firma".

Demelza si grattò il mento, stupita da tanta burocrazia per qualcosa che, la sua mente semplice, concepiva come estremamente facile da realizzare senza tutte quelle scartoffie. "La mia firma? Non basta la tua?".

"No. Cedere quelle terre influenzerà il futuro dei nostri figli e voglio che tu ne sia consapevole e sia d'accordo. Serve la tua firma, sei la loro madre".

Demelza sospirò. Non vedeva la necessità di tante formalità ma in fondo Ross non le stava chiedendo chissà che e su quella questione erano d'accordo dall'inizio. "Va bene, verrò da Pascoe a firmare la cessione. Quando dovrebbe essere?".

"Mi metterò d'accordo con lui e ti dirò la data alla festa".

Demelza sorrise. "Perfetto, siamo d'accordo. Ma tu ci penserai davvero...? Per Dwight, intendo".

"Va bene" – rispose lui, esasperato.

"Credo che avrà bisogno di te, sai?".

Ross la guardò, incuriosito. "Di me? Perché?".

Il viso di Demelza si addolcì. "Perché come padre, puoi dargli tanti consigli...".

Ross ci mise un attimo a capire, poi spalancò gli occhi. "Vuoi dire che...?".

Lei annuì. "Già! Aspettano un bambino che nascerà a fine primavera".

"Dwight e Caroline? Incredibile!". Ross sembrava sinceramente stupito.

Demelza lo guardò storto. "Che ci trovi di così incredibile? Sono sposati già da qualche anno ormai e si amano. E' la cosa più naturale del mondo avere un bambino, per una coppia come loro".

Davanti a quelle parole, Ross la guardò intensamente, impallidendo. Fece per dire qualcosa, ma si bloccò mordendosi la lingua. "Dwight padre... E Caroline Penvenen madre..." - disse solamente.

Demelza sorrise, mentre Ellie le prendeva la mano, tirandola verso i suoi giochi. "Mamma!".

"Arrivo, amore!".

La bimba si avvicinò loro, stanca di giocare da sola, osservando nuovamente con curiosità il tricorno che Ross aveva appoggiato sulla sedia. Quel cappello, per qualche strano motivo, la attirava moltissimo.

"Ellie, non si tocca!" - la rimbeccò Demelza, ricordando quanto successo quando aveva tentato di farlo mesi prima.

"Pecché?".

"Perché non si toccano le cose degli altri".

Ross sospirò, alzandosi in piedi e mettendosi il tricorno in testa. "Credo sia ora che io vada. Siamo d'accordo, allora?".

"Sì. D'accordo su tutto!" - rispose Demelza, con un sorriso. Prese Ellie per mano, indicandogli Ross. "Saluta, da brava!".

Tutta seria, Ellie ubbidì. "Buon gionno Sir".

Ross la guardò, impacciato. "Perché mi chiama 'Sir'?".

Demelza alzò le spalle. "Come dovrebbe chiamarti?".

"Non lo so, il termine 'Sir' lo usano a Londra quando sono in Parlamento e mi fa sentire vecchio". Con un sospiro, Ross scosse la testa. "Ah, lascia perdere. Ci vediamo settimana prossima".

Demelza alzò le spalle, non sapendo che rispondergli. E con Ellie per mano, lo guardò andarsene dalla porta.


...


Era stato strano andare alla Wheal Grace con Ellie. Quella miniera, quei prati, quelle scogliere e quelle persone facevano parte di un mondo che le appariva lontano e allo stesso tempo dolorosamente famigliare. A quelle terre, così vicine a Nampara da poterla quasi toccare con una mano, erano legati i ricordi più belli della sua vita.

Erano quasi tre anni che non si spingeva fin lì, da quel giorno in cui con Hugh, a cavallo, se n'era andata disperata e sola, senza più nessuna certezza o appiglio.

Tante cose erano successe da allora ma ritrovarsi lì la faceva sentire sola e smarrita come quel giorno.

I minatori e le loro famiglie l'avevano salutata con calore e nessuno l'aveva fatta sentire in imbarazzo, ma era tutta la situazione che la faceva sentire fuori posto. Vivere qualcosa con Ross e i bambini aveva un sapore dolce e allettante a cui, se si fosse abituata, poi non sarebbe riuscita a rinunciare. Era una tentazione pericolosa...

Suo marito era stato gentile, da Natale Ross era sempre gentile con lei anche se, conoscendolo, sapeva quanto la sua mente fosse in tumulto e pronta ad esplodere come un vulcano. La rabbia e il dolore non potevano essere passati e l'accettazione di ciò che erano diventati sarebbe arrivata pienamente solo col tempo. Tanto tempo... Ross era orgoglioso, testardo e fiero e c'erano troppi nodi ancora da sciogliere fra loro, per gioire di quella pace ritrovata.

I suoi bambini le corsero incontro e cenarono tutti insieme, vicini, accanto alle famiglie degli altri minatori.

Una festa semplice, fatta di gente semplice e amichevole che si voleva bene e che sapeva ridere con poco, scaldandosi davanti al fuoco, bevendo birra e mangiando cibo senza pretese.

I bimbi, una nidiata di piccole pesti, scorazzarono tutta la sera attorno alla miniera inventando mille giochi e Demelza non riuscì a non pensare a quanto fosse bello vivere i suoi figli anche in situazioni così famigliari, lontani dalla sua casetta di Illugan, insieme a Ross.

Ellie aveva seguito per un po' Clowance, Jeremy e gli altri bimbi ma quel giorno era lagnosa e capricciosa e si era stancata presto, rifugiandosi fra le sue braccia piagnucolando. Quando poi alcuni minatori avevano scoppiato alcuni fuochi d'artificio, aveva iniziato a piangere disperata e spaventata dal rumore, rifiutandosi di allontanarsi ancora da lei per giocare. E fra le sue braccia era rimasta.

"E' timida?" - gli chiese una delle donne presenti.

Demelza, seduta sugli scalini della miniera con la piccola in braccio, guardò sua figlia. Era strana quel giorno, non era da lei fare i capricci e non aver voglia di giocare. Forse era davvero solo intimidita da quel posto e da quelle persone nuove, magari era stanca ma faticava a riconoscere in lei la bimba allegra che era sempre stata fino a quel momento. "No, a Illugan gioca spesso coi cinque figli della famiglia per cui lavoro ed è socievole e allegra di carattere".

La donna accarezzò i boccoli biondi della piccola. "Forse è solo stanca, comincia a fare tardi".

Demelza sospirò. In effetti era vero, erano passate le dieci di sera, faceva freddo e avevano molta strada da fare per tornare a casa. Si alzò, andando da Ross che parlava con Zachy. "Credo che sia ora di andare".

Suo marito annuì. "Ti accompagno".

Zachy e sua moglie si frapposero fra loro. "Sì, andate pure. Portiamo noi i bambini da Prudie, a Nampara".

Demelza scosse la testa. "Non è necessario, posso tornare da sola, non ho bisogno di un accompagnatore".

Lo sguardo di Ross si indurì. "E' tardi, ti accompagno io e non ammetto rifiuti!" - esclamò, avvicinandosi al suo cavallo.

Sospirando, Demelza cedette. Quando Ross faceva così, era impossibile fargli cambiare idea e anche se non le andava a genio dipendere da lui e dal suo aiuto, si trovò costretta ad accettare. Andò da Jeremy e Clowance, abbracciandoli e baciandoli, promettendo loro che si sarebbero rivisti a giorni. I bimbi, un po' tristi, annuirono e poi la lasciarono andare.

Si incamminò con Ellie in braccio, percorrendo il sentiero che costeggiava la scogliera, con suo marito a fianco. Anche questo sapeva di cose antiche...

La bimba piagnucolava e Ross la fissò, accigliato. "Che cos'ha?".

"Non lo so, credo sia stanca. Non è da lei fare così".

Ross sospirò. "Sì, forse è solo stanca. Ma non mi sembrava così capricciosa, le altre volte che l'ho vista".

Demelza strinse la piccola, baciandole la fronte. Aveva chiacchierato con Ross quella sera, si erano accordati per andare da Pascoe il venerdì successivo e, anche se Ross non aveva guardato molto la bimba, si stupì del suo spirito di osservazione sul suo carattere. "Non lo è infatti, è sempre contenta di solito". Le sfiorò ancora la fronte, qualcosa non le tornava. "Scotta un po', credo abbia qualche linea di febbre".

Ross sospirò. "Ai bambini capita, quando sono stanchi. Le hai fatto fare un sacco di strada a piedi oggi, sarà per quello. Domani sarà come nuova".

"Probabilmente è così" – rispose lei, captando una nota di rimprovero nelle parole di suo marito.

Camminarono in silenzio, nella strada deserta. Anche se era febbraio, era una serata piuttosto calda e poco ventosa e non era così spiacevole passeggiare. "Non dovevi disturbarti ad accompagnarmi".

Il cavallo nitrì e Ross gli accarezzò il muso. "Non ti farò fare a piedi, da sola, questa strada di notte. Con una bambina, poi...".

Lei alzò gli occhi al cielo. E poi, malinconicamente, si chiese se anche con Elizabeth fosse così premuroso, quando si vedevano. Si chiese se ai grandi balli londinesi riuscissero a stare insieme e a quali eventi partecipasse con lei. Quei pensieri le fecero male e decise di ignorarli. "Sei testardo come allora...".

"Senti chi parla! Se almeno avessi accettato di fermarti a Nampara per la notte, domattina avrei avuto meno remore a farti tornare a piedi da sola a casa tua".

Demelza strinse a se la figlia. No, non voleva, non poteva tornare a Nampara o non sarebbe più riuscita ad andarsene. "Ti ho detto di no! Non vengo a Nampara".

"Perché?".

"Non puoi capire".

Ross la guardò, frustrato e un po' rabbioso. "E allora spiegami. Parlami! Parliamo!".

Alzò il tono di voce ed Ellie scoppiò a piangere nuovamente. Demelza la strinse e si accorse che scottava davvero. Le venne una strana ansia, era la prima volta che la sua bimba aveva la febbre e si trovò ad avere paura... Ripensò a Julia ma scacciò quel pensiero, Ellie stava bene e non aveva niente di grave. "Ha la febbre, voglio solo andare a casa e metterla a letto! Non mi va di parlare, adesso. Anche perché non ho niente da dire". Sapeva di mettere un muro fra loro, sapeva che c'erano ancora tante cose da affrontare ma era stanca, si sentiva debole, era preoccupata e voleva solo chiudere gli occhi e non pensare a niente. Si chiese da quanto fosse così codarda e perché avesse tanta paura ad aprire il suo cuore a Ross, ma non seppe darsi una risposta.

Ross sfiorò la fronte della bimba, pensieroso. "Ha la febbre davvero! Che vuoi fare?".

"Domani dovrebbe passare Dwight per portarmi un abito di Caroline da riparare. La farò visitare e sento che mi dice".

Ross si fermò, prendendola per la vita e mettendola sul suo cavallo. "Bene! E ora su, facciamo in fretta e torniamo a casa al galoppo, a piedi ci metteremmo troppo e lei ha bisogno di dormire e di stare al caldo".

Annuì, stavolta era d'accordo con lui ed era grata che avesse insistito per accompagnarla.

"Vuoi che sposti l'appuntamento di venerdì prossimo da Pascoe?" - le chiese Ross, mentre galoppavano verso Illugan.

Ellie si era addormentata e Demelza scosse la testa. In una settimana sarebbe stata bene. "No, non è necessario. Domani sarà già guarita".

"E allora, devo venire a prenderti venerdì prossimo?".

"No, ci vedremo direttamente da Pascoe. Alle undici del mattino, giusto?".

"Giusto".

Demelza strinse a se la bimba. "Sarò puntuale, aspettami la".



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Capitolo 25
*** Capitolo venticinque ***


Bussò alla porta della casa di Demelza con vigore e forza, era furibondo con lei. Che diavolo le passava per la testa?

Lui e Pascoe, quella mattina, avevano atteso invano che Demelza arrivasse per firmare la cessione dei terreni e sua moglie, senza avvisare, non si era presentata.

Aveva offerto il pranzo a Pascoe per farsi perdonare, sentendosi mortalmente in imbarazzo per avergli fatto perdere tutta la mattina e poi, dopo aver sbrigato nel pomeriggio alcune faccende in miniera e aver avvertito a casa che non sarebbe tornato per cena, si era recato ad Illugan.

Perché, perché diavolo Demelza pareva divertirsi a farlo infuriare?

Aveva avuto dei contrattempi? Beh, avrebbe potuto avvertire in qualche modo...

La verità era che non la riconosceva più in tanti atteggiamenti e modi di fare e tante volte comprendeva il perché del suo allontanamento e della sua riservatezza, ma oggi no! Oggi non aveva scusanti!

Dopo alcuni istanti Demelza aprì la porta e rimase inebetita a guardarlo, come se non si aspettasse il suo arrivo. "Ross... Cosa ci fai quì?" - chiese, con aria stanca.

Ross serrò le mascelle. Aveva pure il coraggio di chiederglielo? Fece per rispondere a tono, quando si accorse che era strana, diversa dal solito. Era mortalmente pallida, aveva ampie e scure occhiaie sotto gli occhi e il suo sguardo sembrava smarrito e sperso. In casa regnava uno strano silenzio e qualcosa non gli tornava. "Va tutto bene?" - chiese, mentre la preoccupazione prendeva il posto della rabbia.

"Sì... No... Cosa ci fai qui?" - chiese lei, nuovamente, con voce e mente che parevano lontane.

La prese per le spalle, scuotendola leggermente. Non era da lei quel modo di fare, che cosa aveva? Stava male? E dov'era baby Armitage? "Demelza, sono qui perché avevamo un appuntamento da Pascoe che forse ti sei dimenticata, ma...".

"Pascoe...". Demelza spalancò gli occhi, poi annuì, mettendosi una mano fra i capelli. "I terreni, già! Scusa, me ne devo essere dimenticata" – disse, appoggiandosi alla porta quasi senza forze.

La sorresse, quasi con la paura che potesse cadere a terra. "Sì, me ne sono accorto! Ma non importa...". Già, in quel momento Pascoe era passato in secondo piano. Le sfiorò la fronte e si accorse che scottava. "Stai male?".

"No. Un po', sono solo stanca".

Ross si guardò attorno. "Dov'è la bambina?". Era strano non vederla, ogni volta che era venuto in quella casa la trovava sempre a trotterellare vicino a sua madre.

"A letto".

Ross si accigliò. "Di già?".

"Ha la febbre alta".

"Oh...". Già, aveva la febbre anche la settimana prima, alla festa dei minatori. In realtà pensava fosse un qualcosa di passeggero e non ci aveva più fatto caso, invece doveva essere qualcosa di più serio. "Dwight è venuto a visitarla?" - disse, prendendola per il braccio e costringendola a rientrare in casa per non farle prendere ulteriormente freddo.

"Sì" – rispose lei in tono stanco, sedendosi sul letto e torcendosi le mani.

"E allora?".

"Ha il morbillo".

Morbillo? Ross sospirò, rinfrancato. "Beh, non è niente di che! Lo hanno avuto pure i bambini a Londra, lo scorso anno, in forma lieve. Questione di pochi giorni e sarà come nuova".

Demelza lo guardò con sguardo annebbiato e lontano. Sembrava ferita da quelle parole ma incapace di reagire davanti all'evidenza che, mentre lei era assente, i suoi figli fossero stati malati. "A Londra? E sono guariti davvero, giusto?".

"Certo, è stato un anno fa e lo sai benissimo che sono in salute!".

"Ellie è diversa".

Ross le si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lei. Era preoccupato, era troppo prostrata e debole e non era da lei. "In cosa è diversa?".

Demelza guardò nella direzione della stanzetta della piccola. "E' dalla festa dei minatori che ha la febbre altissima e certe volte sta talmente male che non riesco nemmeno a svegliarla. E se è sveglia, piange disperata e si lamenta, non riesco a darle le medicine e a farla mangiare. E' sempre più debole e Dwight dice che è pericoloso, se non le usciranno quanto prima i puntini rossi sulla pelle. Viene a visitarla tutte le mattine, ma dice che non puo' fare molto. Vorrebbe stare quì per assisterla meglio, ma Caroline non si sente bene per la gravidanza e deve pensare a lei prima di tutto".

Ross si morse il labbro, perché doveva sempre essere tutto così complicato? Era vero, la bimba di Demelza era più esile e piccola rispetto ai suoi figli e la situazione descritta da sua moglie sembrava seria. Le sfiorò ancora la fronte ed ebbe la conferma che scottava. "Demelza, hai la febbre pure tu! Hai avuto il morbillo da bambina?".

"Sì, poco prima di conoscere te".

"Pure io". Ross sospirò, rinfrancato. La guardò, chiedendosi cosa doveva fare... Demelza era stanca e probabilmente quella febbre era dovuta alla debolezza derivante dal mancato sonno di una settimana. Era sola, viveva in un posto isolato senza nessuno che potesse aiutarla e non aveva assolutamente la forza di occuparsi né di se stessa né della bimba. Era arrivata al limite e per una come lei, sempre forte e combattiva, significava aver accumulato un enorme stanchezza arretrata. La sua salute era in pericolo e non poteva permetterlo. "Su, mettiti a letto e cerca di dormire! Ci penso io alla bambina".

Demelza spalancò gli occhi, scuotendo vigorosamente il capo. "No!".

Lo sguardo di Ross si indurì, non era tempo di capricci. "Non te lo sto chiedendo, te lo sto ordinando! Vai a letto e restaci!".

"Sono sua madre, tocca a me occuparmi di lei".

"Hai la febbre, che vuoi fare? Ammalarti quanto lei o peggio?".

Gli occhi di Demelza divennero lucidi. "Mi cercherà, se si sveglia".

"E io le dirò che sei quì e che stai dormendo".

"Ross...". Deglutì, in difficoltà, combattuta fra la voglia di dirgli di sì e il suo orgoglio. "Io non voglio che tu te ne occupi. Non tu, soprattutto tu!".

"Perché?".

"Perché non è giusto nei tuoi confronti. Sei l'ultimo uomo sulla faccia della terra che dovrebbe sentirsi in dovere di occuparsi di Eleanor".

Ross annuì, su questo erano d'accordo. "Sì, hai ragione! Ma – scusa la brutalità – la persona che dovrebbe occuparsene e prendersi le sue responsabilità è sepolta sotto due metri di terra. Quindi, o tu sei riuscita a trovare un modo per riportarlo in vita quì, a prendersi cura delle conseguenze del suo comportamento, oppure accetti l'aiuto di chi vuole offrirtelo".

"Ross, ti prego" – implorò lei, troppo debole per controbattere.

La prese per le spalle, scuotendola. Era preoccupato e voleva che capisse che, se le aveva offerto aiuto, era perché si sentiva nella condizione di farlo senza che gli pesasse. "Demelza, ascolta, tu non puoi fare tutto da sola! Mettitelo in testa, dannazione! Se non vuoi farlo per te stessa, fallo per tua figlia! Metti da parte l'orgoglio e ragiona! Che farebbe Eleanor se ti ammalassi seriamente? Cosa ne sarebbe di lei? E dei nostri figli?". Sospirò, accarezzandole la guancia, cercando di adottare un tono più conciliante. "Senti, non ti sto chiedendo molto, solo di riposare qualche ora. Hai bisogno di dormire, di riposare e di riprendere forza. Domani starai meglio e potrai occuparti della bimba al meglio ma per stanotte, lascia che me ne occupi io. Farò del mio meglio, fidati! Non le farò del male. E se c'è qualcosa di serio, ti sveglierò e ti avviserò".

Demelza, a quelle parole, sorrise timidamente. "So che non le faresti del male. Non è per quello".

"Lo so! E' perché sei orgogliosa ma io ho la testa più dura della tua, quindi dovrai accettare per forza".

"Se si sveglia, le darai la medicina sul comodino? Un cucchiaio di sciroppo per la febbre, ha detto Dwight".

"Certo".

"E le cambierai il panno bagnato sulla fronte, quando sarà necessario?".

"Ovviamente".

"Mi chiamerai, se starà male?".

"Sì, sta tranquilla".

La donna annuì, arrendendosi a lui. Ross la aiutò a mettersi a letto, ravvivò il fuoco per scaldare la casa e poi, quando fu quasi certo che dormisse, andò dalla bimba.

Appoggiò il soprabito e il tricorno in fondo al letto e poi la osservò con sguardo clinico.

Eleanor dormiva nel letto, rannicchiata di lato. Aveva il visino stravolto e pallido e i suoi boccoli biondi, sempre belli e lucenti, le ricadevano pesantemente sulla fronte e sulle spalle. La vide talmente piccola e inerme che, nonostante tutto, ebbe paura per lei e in lei rivide la sua piccola Julia, sentendo una fitta al cuore.

Si avvicinò, sfiorandole la fronte. Era davvero calda e doveva avere la febbre altissima. "Vedi di non far scherzi, baby Armitage! Sei voluta venire al mondo scombinando la mia vita, ho dovuto pure accettare che tu sia fra le più belle bimbe della Cornovaglia e farmi passare le fitte allo stomaco ogni volta che ti vedevo! Sei voluta nascere e ora qui ci resti, capito?".

Le cambiò il panno sulla fronte, mettendogliene uno imbevuto di acqua fresca. Poi provò a darle un cucchiaio di sciroppo ma la bimba piagnucolò nel sonno, voltandosi dall'altra parte con la bocca serrata.

Ci pensò su, cercando una soluzione. Era testarda come sua madre ma come era riuscito a far chinare il capo a Demelza poco prima, avrebbe fatto lo stesso con la piccola.

Si ricordò di avere in tasca un vasetto di miele che aveva comprato quella mattina dopo il pranzo con Pascoe. Glielo aveva commissionato Prudie per fare dei biscotti e se lo era dimenticato nel soprabito. A Londra, Etta usava spesso il miele coi bambini quando non si sentivano bene, dicendo che era fonte di benessere ed energia meglio di una medicina. Poteva provare... In molti elogiavano le proprietà del miele e in effetti i suoi figli ne avevano sempre tratto beneficio. Era un alimento nutriente, sano e sembrava far miracoli sui bambini malati. Lo prese, aprì il barattolo e prese il cucchiaino usato per lo sciroppo. Lo riempì di miele e lo avvicinò alle labbra della bimba.

La piccola per un momento distolse il viso, ma lui insistette finché la vide schiudere la bocca e succhiare, nel sonno. La lasciò fare e Eleanor pian piano pulì il cucchiaio.

Sospirò, rinfrancato. A lui da piccolo il miele non piaceva ma per fortuna a Eleanor sì!

La bimba, dopo aver mangiucchiato il miele, tornò a dormire, più tranquilla di prima.

Ross la coprì, cambiandole nuovamente il panno sulla fronte, poi andò a controllare Demelza.

Aveva messo la camicia da notte e pareva dormire di un sonno profondissimo. La conosceva bene, sapeva che era stanca e prostrata e che non avrebbe potuto continuare a lungo così.

Spense la candela che aveva tenuto accesa accanto al comodino, la coprì e le sfiorò la fronte, trovandola più fresca di poco prima. Evidentemente non si era sbagliato, era solo molto stanca e aveva solo bisogno di dormire.

Poi tornò dalla bimba, sedendosi sul letto accanto a lei. Accese un'altra candela per controllarla meglio ed Eleanor per alcune ore dormì apparentemente più rilassata, mettendosi di tanto in tanto il pollice in bocca per succhiarselo. Le prese il braccio, alzando la manica della camicia da notte per guardarle la pelle e poi tastò il collo, alla ricerca di qualche puntino rosso. Se quelle dannate macchie non uscivano, erano nei guai!

La pelle di Eleanor era pallida e sembrava non esserci nulla. Osservò meglio e finalmente lo vide. Sulla spalla, minuscolo, stava spuntando un puntino rosso tipico del morbillo. Si trovò ad esultare silenziosamente, stupendosene quasi. Stava prendendosi cura della figlia di Demelza e di Armitage ed era preoccupato per lei. Cosa da non credersi, cosa di cui non si sarebbe mai creduto capace fino a pochi mesi prima.

Poco dopo mezzanotte la bimba si svegliò, strofinandosi gli occhietti. Lo guardò stralunata, piagnucolando, ma probabilmente era troppo debole e ancora assonnata per reazioni istintive più violente.

E poi beh, poteva capirla, doveva essere ben strano per lei vederlo lì e non trovare la sua mamma. Sperò che, passato il primo momento di smarrimento, non si mettesse a strillare svegliando Demelza.

E per fortuna, la bimba non lo fece. "Kiky..." - mormorò, guardandosi in giro.

Ross deglutì. Chi diavolo era Kiky? Gli venne un attimo di panico ma poi il suo sguardo cadde sull'enorme orso che riposava all'angolo della camera. "Vuoi lui?".

Gli occhi di Eleanor divennero lucidi. Ecco, ORA forse stava per piangere. "Kiky..." - disse di nuovo, sommessamente, guardando in fondo al letto.

Ross osservò nella medesima direzione, notando il piccolo coniglietto di stoffa in fondo alla coperta. "Kiky? E' lui che vuoi?".

Ellie allungò le braccia, annuendo. "Sì, Kiky".

Ross sospirò, ora sapeva che baby Armitage aveva un coniglietto che si chiamava Kiky. Doveva ricordarselo, per il futuro. Glielo diede e la piccola lo abbracciò subito, come cercando calore in lui. E poi si tranquillizzò.

Bene, era ora di passare alle cose serie, visto che era sveglia. "E allora, baby Armitage, che ne dici di prendere la medicina?" - propose, prendendo la bottiglietta sul comodino.

La bimba lo guardò con gli occhi lucidi e in quel momento si rese conto che non era per la febbre. "Nooo, io no così!" - disse, quasi fosse arrabbiata.

"No, cosa?" - le chiese, senza capire.

La piccola si imbronciò. "Io no così, io Ellie!".

In quel momento, Ross si sentì idiota. Non era più una neonata e doveva stare attento, in sua presenza, a usare le parole e il sarcasmo. "Lo so come ti chiami, Eleanor".

Lei annuì. "Ellie".

"Ellie" – ripeté lui. Beh, se dovevano sistemare la faccenda dei nomi, tanto valeva andare fino in fondo. "Senti, anche tu... Non stare ad ascoltare tua madre e non chiamarmi 'Sir'. Mi fa sentire vecchio e io non sono vecchio. Mi chiamo Ross, chiamami così".

"Ross" – ripeté Ellie, osservandolo quasi con timidezza. Lo disse sotto voce, con una vocina stentata e impaurita, mentre abbracciava il coniglietto.

"Senti, il nome baby Armitage non ti piace proprio, è?" - chiese, tastando il terreno.

Eleanor scosse la testa. "No, blutto! Io Ellie".

"Beh, se non piace a te, figurati a me" – borbottò Ross, sotto voce, osservandola. Era adorabile, troppo per essere figlia di Hugh... Armitage non se la meritava Ellie e Ross si trovò a pensare a quanto di Demelza ci fosse in lei e quanto poco assomigliasse a suo padre. C'era, in ogni parola o modo di fare della bimba, l'impronta di sua madre. Ed era confortante, di grande aiuto per lui. "E allora, la vuoi o no la medicina?".

"No" – disse lei, serrando la bocca.

Ross le sfiorò la fronte, sembrava più fresca e pimpante e un altro puntino le era comparso sulla guancia. "Entro domani sarai un mostriciattolo" – disse, con un ghigno. Beh, almeno sarebbe stata meno bella per qualche giorno, grazie al morbillo. Questo era confortante!

Sembrava stare meglio, ma doveva comunque darle la medicina. Decise di adottare una tattica che molti parlamentari usavano per ottenere ciò che volevano: lo scambio di favori. Il baratto... L'arma del ricatto... "Senti, facciamo così! Se tu prendi la medicina senza fare storie, io ti regalo tutto quello che vuoi". Ok, non era molto educativo ma lui doveva sopravvivere e comunque non era suo il compito di educarla al meglio.

Ellie lo guardò pensierosa, quasi ponderasse attentamente la sua proposta. Era molto piccola, Ross non sapeva cosa avesse capito effettivamente ma d'un tratto la bimba indicò il suo tricorno in fondo al letto. "Appello".

"Vuoi il mio cappello?". Santo cielo, aveva capito benissimo! La guardò storto. "Sai una cosa, potresti entrare in politica, ti vedo portata ad ottenere le cose che vuoi, avresti successo! Sicura che è questo che desideri?".

"Sì".

Sospirando, Ross lo prese e glielo porse. Era sempre stata attratta dal suo tricorno e non ne aveva mai capito il motivo. "E' grande per te, che te ne fai?".

"Vojo".

"Va bene, è tuo! Un giorno mi dirai perché lo vuoi?".

"No".

Ross sbuffò. Beh, non era quella la cosa importante. Prese la medicina, era ora che lei facesse la brava e si attenesse ai patti. "Su, apri la bocca" – disse, riempiendo il cucchiaio di sciroppo.

Ellie si imbronciò, ma poi sospirò e ubbidì. Gli diede lo sciroppo che, dalla faccia della bimba, doveva avere un sapore orribile e lei lo mandò giù, tossicchiando un pò. Poi abbracciò il coniglietto e il cappello, guarandolo incuriosita. "Mamma" – disse, con voce spezzata.

No, non dovevano svegliare Demelza e doveva trovare un modo per distrarla e tenerla occupata. "Mamma dorme, lasciamola in pace, è stanca".

"Mamma..." - disse ancora lei, piagnucolando.

Nel panico, Ross si guardò in giro, notando il vasetto di miele ancora sul comodino. A Ellie, poco prima, era piaciuto. E un altro pò gli avrebbe fatto solo bene. Lo prese, lo aprì e, dopo aver preso la sua manina, gli immerse un ditino nel miele. "Su, assaggia! E' buono". Mettergli questa cosa sotto forma di gioco, poteva essere una mossa vincente, pensò.

Ellie si guardò l'indice tutto sporco di miele, guardò lui e poi ancora la sua manina, indecisa e sospettosa.

"Dai, provalo, è buono".

"No!".

Ci sono momenti nella vita di un uomo, in cui bisogna fare sacrifici per un bene superiore. Per lui era arrivato quel momento. Trattenne il fiato, immerse un dito nel miele o poi lo portò alla bocca, mandando giù tutto talmente velocemente che quasi non sentì il sapore. "Visto?".

Ellie rise finalmente e poi, con coraggiò, lo imitò. "Buona pappa".

Ross strizzò un occhio. "Vero! Te l'avevo detto, no? Dopo ne vuoi ancora?".

"Sì". Sembrava più tranquilla ma pareva comunque smarrita, voleva la mamma e doveva inventarsi qualcosa per distrarla, tranquillizzarla e farla riaddormentare. Aveva la febbre e anche se pareva stare meglio, doveva dormire. La avvolse in una coperta e la prese in braccio, passeggiando con lei nella stanza. "Vuoi che ti racconti una storia?".

"Si".

"Sai qual'è la storia preferita della mia bambina? E soprattutto, sai chi è la mia bambina".

Ellie rise, come se gli avesse chiesto qualcosa di estremamente stupido. "Clo!" - esclamò.

Ottimo, si stava distraendo. "E il mio bimbo chi è?".

"Jemy".

Annuì, sedendosi con lei in braccio sul davanzale della finestra. Dava sul bosco e tutto era silenzioso e pacifico, fuori. "Bene, la storia preferita della mia bambina è quella della principessa sperduta nel castello dell'orco. Sai cos'è un castello?".

"No".

"E' un posto grande, una casa alta, bellissima e molto elegante dove vivono i principi e le principesse. Le persone molto importanti. Clowance ne vuole uno, dici che un giorno riuscirò a comparglielo?".

Ellie lo guardò storto, riflettendoci su. Poi... "No".

Ross sospirò. Beh, non era una da facili illusioni, a quanto sembrava... La cullò e le raccontò la fiaba, perdendosi anch'esso dietro il suono della sua voce e rilassandosi. La bimba si tranquillizzò, ascoltandolo tranquillamente. E dopo un po' si addormentò. La rimise a letto e lei, anche nel sonno, non lasciò mai la presa sul tricorno e sul coniglietto, come se solo con essi riuscisse a dormire tranquilla.

Si stese accanto a lei e se la mise sul petto, avvolta nella coperta, per essere pronto nel caso fosse stata ancora male. Ripensò a quanto successo poco prima, a come il nomignolo che le aveva affibbiato dalla nascita l'avesse fatta arrabbiare e le fosse apparso estraneo. Certo, Demelza non gli aveva mai parlato di Hugh e per Ellie era tutto un mondo sconosciuto, quello che riguardava suo padre. Si sentì stupido per averla chiamata per tanto tempo 'baby Armitage' e con un gesto gentile le accarezzò la testolina. "Hai ragione, dopo tutto. Che ne sai tu di tutti i guai che noi grandi abbiamo combinato?".

Si tenne sul petto la bimba, concentrandosi sul suo respiro. Poco prima dell'alba le si alzò ancora la febbre ma, approfittando di un breve momento di veglia, riuscì a darle altro sciroppo e miele e la piccola si riaddormentò, pacificamente.

Pian piano comparvero altre macchioline rosse e Ross capì che il peggio era passato. Ma doveva mangiare qualcosa di sostanzioso per rinforzarsi e Demelza probabilmente, in quella settimana, non era riuscita a far spesa al villaggio per stare a casa a prendersi cura della bimba.

Doveva essere stata dura per lei e si trovò a ringraziare il destino per averle dato Dwight con cui confrontarsi. Mille fantasmi e ricordi riguardanti Julia dovevano averla tormentata, mentre Ellie stava male, e aveva dovuto affrontarli pressocché da sola. Ross scosse la testa, rendendosi conto che era difficile per lui capire quale fosse il suo ruolo in tutto questo. Eleanor non era sua figlia e di fatto non aveva doveri e obblighi verso di lei, questo era chiaro e Demelza stessa non gli aveva mai chiesto nulla. Ma... Restava un marito e soprattutto era padre di due bimbi che, benché lui all'inizio avesse rifiutato l'idea, di Eleanor erano fratelli. Non poteva restare a guardare senza intervenire se la situazione era grave, non poteva far finta di nulla e nascondersi dietro il suo orgoglio ferito. Era quello che, erroneamente, stava facendo Demelza. Tentava di mostrarsi forte e orgogliosa anche se di forza ne aveva poca, non voleva aiuto, quasi continuando a punirsi per aver ceduto ad Armitage e trascinando la bimba in questo suo modo di fare che poteva diventare pericoloso e cercava di arrivare a tutto da sola. Ma non poteva riuscirci, nessuno era in grado di farlo.

Suo malgrado doveva cercare di limitare i danni, per il bene almeno dei suoi figli. Demelza era la loro madre, avevano bisogno di lei, sana e in forze, e in tutto questo passava anche la figura di Eleanor.

Aveva scelto di rimanere, quella notte, e a conti fatti era contento di averlo fatto e soddisfatto di se stesso. Sentiva di aver preso la decisione giusta e guardando la bimba dormire, una bimba che aveva ritenuto un mostro da cui difendersi e da combattere, si rese conto che in fondo non era poi così mostruosa. Era una bambina, nient'altro che una bambina che come tutti i bambini si ammalava, rideva, piangeva, voleva un pupazzo per dormire e a cui piacevano le coccole e stare con la sua mamma. Demelza in questo aveva ragione, la faccenda con Armitage era qualcosa di estraneo alla piccola e come tale doveva essere trattata...

Una lieve luce provenne dalla finestra e si accorse che il sole stava sorgendo. Eleanor dormiva ancora e presto si sarebbe svegliata. Demelza aveva riposato per otto ore buone e quindi, forse, era meglio che la portasse da lei.

Prese la piccola, avvolta nella coperta, e la portò da sua madre. Scosse lievemente la spalla di Demelza che ancora dormiva, mettendogli la figlia vicino.

Sua moglie aprì gli occhi, guardandola prima intontita e poi andando in allarme, mettendosi di scatto seduta. "Ellie?".

"Shhh" – sussurrò lui, indicando la piccola. "Non far rumore o la sveglierai".

Demelza sospirò, sollevata nel vedere la bimba accanto a lei. Le tastò la fronte e sorrise lievemente, stringendosela a se. "La febbre si è abbassata".

Ross annuì. "E le sono comparsi i primi puntini rossi. Entro sera sarà un mostriciattolo" – disse, in tono scherzoso.

Sua moglie osservò la piccola e poi, con occhi spalancati, lui. "Come hai fatto?".

"Non ho fatto niente di speciale. Quando si è svegliata ho cercato di distrarla, ho dovuto contrattare con lei per farle prendere lo sciroppo e poi le ho dato del miele che avevo con me. Se sta meglio è perché doveva andare così, io non c'entro".

Demelza si accigliò. "Perché stringe il tuo cappello, oltre che il suo coniglietto?".

Ross sospirò. "Perché, come ti dicevo, ho dovuto barattare la sua collaborazione. Non ha nemmeno due anni ma sa quel che vuole. E tu, per favore, assieme alle mille raccomandazioni che mi hai fatto la scorsa sera, potevi ricordati di informarmi sui nomi dei suoi pupazzi! Mi ha fatto impazzire capire chi fosse Kiky!".

"Lei non dorme senza Kiky, da quando è nata è il suo migliore amico". Demelza rise, accarezzando la frangetta della figlia. "Ora dorme comunque, riprenditi il tuo cappello".

"No, è suo e io sono una persona di parola". Si sedette sul letto, accanto a loro, deciso sul da farsi. "Ora dormi un po' ancora, con lei. Io vado a casa ad avvertire Prudie della mia assenza e a salutare i bambini, poi passo dal villaggio a comprare qualcosa da mangiare per voi e torno quì per pranzo. Questa bambina ha bisogno di cibo nutriente".

Demelza scosse la testa con vigore. "No, hai fatto fin troppo".

Ross non si smosse dalla sua posizione, sapeva che avrebbe rifiutato ed era pronto a contrattaccare. "Lo deciderò io, quando è troppo. Tua figlia ha bisogno di cibo sano e nutriente e non hai quasi nulla in casa, quindi accetterai il mio aiuto, che ti piaccia o no. Non sei tu a chiedermelo ma sono io che voglio dartelo, non è un obbligo".

"Devo essere io ad occuparmi di lei, non tu!" - tentò di obbiettare, lei.

Non si fece scoraggiare. Era ora che lei capisse e fosse ragionevole! Apprezzava il suo orgoglio e la sua testardaggine a voler fare da sola ma temeva per la sua salute e voleva che avesse più a cuore se stessa per il bene dei suoi figli. "Perché fai così? Non puoi fare tutto, non sarebbe umano e nessuno te lo sta chiedendo".

"Perché i miei errori, li pago da sola".

"I tuoi errori li hai già ampiamente scontati, anche grazie a me!". Le appoggiò la mano sulla spalla, per avere la sua attenzione. "Demelza, quello che è successo fra noi mi ha insegnato una cosa: con l'orgoglio, la testardaggine e il silenzio si va poco lontano e ci si fa del male. E se ne fa agli altri, soprattutto a chi ci è accanto e ci ama. Certe volte è più onorevole chiedere aiuto e accettarlo che continuare a far di testa propria come un mulo, trascinando gli altri che abbiamo vicino. Se io potessi tornare indietro farei tante cose in modo diverso, prenderei decisioni diverse e direi cose che non ho detto e ne tacerei altre che ho invece detto. Tu hai sbagliato, io ho sbagliato ma Eleanor no. Non deve pagare lei per noi e per quello che ha fatto suo padre, non credi? La ami, la ami molto e allora accetta chi ti da un aiuto, questo non minerà il tuo ruolo di madre e non ti renderà meno migliore della donna che sei. Pure io ho chi mi aiuta, Prudie qui a Nampara ed Etta a Londra, non ho la pretesa di fare da solo perché so che fallirei. Ho imparato a mie spese che posso fallire e non dimenticherò questa lezione, per me stesso ma soprattutto per il bene di chi amo".

Demelza guardò la sua bimba, con gli occhi lucidi. Poi, inaspettatamente, scoppiò a piangere fra le sue braccia, singhiozzando silenziosamente. "Ma io non posso fare come te! Oh Ross, che ho combinato?".

"Di che parli?" - le chiese senza capire, accarezzandole quei capelli rossi che, ancora dopo tanto, sapevano stregarlo.

Lo guardò, con le lacrime che le solcavano il viso. "Aver deciso di avere Ellie... Che avevo in testa? Che posso darle, che posso offrirle? Come posso darle la vita che merita? Come posso essere stata tanto egoista da volerla?".

D'istinto la abbracciò, era disperata e prostrata dalla preoccupazione e dalla stanchezza di una settimana dove non aveva chiuso occhio. Vedeva tutto nero e non poteva permetterlo, non poteva permettere che lei si facesse del male e cadesse preda della disperazione. "Demelza, piangere ora non serve! Lei c'è, sei un'ottima madre e lei è una bambina felice e, indipendentemente dai motivi che ti hanno spinta a metterla al mondo, hai puntato sulla vita e con questa decisione, affrontato le conseguenze dei tuoi gesti. E' onorevole e non te ne devi vergognare, sei stata molto più matura di quanto lo sia mai stato io. Hai solo bisogno di non fare sempre tutto da sola e hai tante persone che ti aiutano e ti vogliono bene. Fatti aiutare quindi e andrà tutto per il verso giusto. E...".

"E?".

"E basta piangere o la sveglierai e la spaventerai, questa bambina!" - sbottò. "Ci ho messo una vita a farla addormentare".

"Ross... Grazie" – sussurrò lei, in un soffio, sorridendogli dolcemente.

In quel momento Ellie si svegliò, strofinandosi gli occhi. Lo guardò, allungando le braccia verso di lui per farsi prendere ma poi, vedendo la sua mamma, si rifugiò in un suo abbraccio. "Mamma" – disse, contenta e riposata.

Ross sorrise. "Bene, vi farete compagnia! Ci vediamo dopo allora". Sarebbe tornato, che a Demelza piacesse o no, fine del discorso!

A quelle parole Ellie lo guardò e si mise a piangere, allungando nuovamente le braccia verso di lui. "Nooo, tu qui".

"Devo andare, ma torno presto con delle cose da mangiare" – le disse.

"Nooooo, non vojo tu via!".

Demelza si asciugò le lacrime, guardando sua figlia con fare stupito. "Ross, che hai fatto alla mia bimba?".

Lui alzò le spalle. "Che vuoi farci, nessuna mi resiste". Poi si inginocchiò, prendendo la manina della bambina. "Ellie, torno presto. Devo andare a casa a fare delle cose urgenti, ma poi torno. Devo vedere come tratti il mio cappello, no?".

Singhiozzando, la bimba annuì. "Sì. Ma tu qui adesso".

Ross sospirò, era testarda come sua madre e difficilmente malleabile. La prese nuovamente in braccio, tentando di farla addormentare, mentre Demelza lo lasciava fare senza fiatare, guardandolo incuriosita. E quando la piccola fu nuovamente addormentata gliela ridiede, mettendola delicatamente sotto le coperte. "Sai una cosa, Demelza?".

"Cosa?".

"Non è giusto".

"Cosa non è giusto?".

Ross fissò la bimba, con un peso nel cuore, formulando a voce un pensiero che lo aveva già toccato durante la notte. "Lui non se la merita, Ellie".

Demelza ci mise un attimo a capire a chi si riferisse, ma poi scosse la testa, sfiorandogli la mano. "E infatti lui non ha Ellie. Ross, Hugh non ha mai fatto nulla per lei e non sarà mai davvero sua. Ellie è mia e di chi mi vuole bene. E' un po' figlia di Dwight che mi ha aiutata a metterla al mondo, è la bimba delle persone che al villaggio la fanno giocare e ridere e stanotte è stata tua. Tu te ne sei preso cura, non Hugh. Ed è per te che ha pianto, poco fa! Prima hai detto che è ora di smetterla di punirsi per gli errori passati e hai ragione, dovremmo smetterla di farlo. Tutti e due".

Era difficile per lui capire il pieno significato delle parole di Demelza, era troppo presto per farle sue, ma gli piaceva come lo facevano sentire. Osservò la bimba e dopo tanto, finalmente, in lei non trovò tracce di Armitage. E anche per lui, da quel momento, fu solo la bimba di Demelza.


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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei ***


Eleanor ci aveva messo più di due settimane per riprendersi completamente dal morbillo e Ross aveva aspettato che guarisse completamente per prendere un nuovo appuntamento da Pascoe per la cessione dei terreni.

Si era fatto marzo, nel frattempo, e le giornate si erano impercettibilmente allungate e riscaldate, con un pallido sole che ogni tanto faceva capolino fra una pioggia e l'altra. Si annunciava una primavera piovosa, ma il giorno scelto per l'atto notarile era sereno e con un cielo di un azzurro intenso.

Avevano deciso di trovarsi a Truro, di portarsi dietro tutti e tre i bimbi e di passare poi la giornata nel parco a fare un pic-nic con loro.

Demelza era serena e si sentiva leggera quel giorno, mentre si incamminava verso Truro con la piccola Eleanor che le saltellava a fianco.

La bimba sembrava cresciuta di colpo dopo la febbre, ed era tornata vivace e chiacchierona come sempre. Diventava ogni giorno sempre più bella, i capelli biondi le rilucevano sotto i raggi del sole e a giorni avrebbe compiuto due anni. Sembrava più grande e sveglia della sua età, era socievole, divertente e buffa e anche il rapporto con Ross, dopo la notte passata assieme, era cambiato. Non ne aveva più timore ma anzi, spesso, gli chiedeva di lui nei giorni in cui non lo vedeva.

Era inseparabile dal tricorno che lui le aveva regalato e anche quel giorno aveva voluto portarselo dietro. Era grande per lei, gli cadeva continuamente sul viso coprendole gli occhi ma, ostinatamente, non aveva voluto levarselo. Le aveva proposto un cappellino di lana fatto da lei, ma la piccola aveva detto un sonoro no! E si era dovuta arrendere...

Appena arrivate a Truro, Demelza vide suo marito e i bambini che la aspettavano davanti alla locanda concordata per l'appuntamento. Clowance e Jeremy le corsero incontro mentre Eleanor, con la manina, salutò Ross.

Suo marito le si avvicinò, sorridendole. "Bene, oggi nessun bambino malato! La giornata volge al meglio!".

Rispose al suo sorriso. "Beh, entro sera sarai più povero e con meno terra".

"In fondo non ci serve, non è grave" – rispose lui, strizzando l'occhio ai figli.

Eleanor gli tirò la redingote, per attirare la sua attenzione. "Ross".

"Dimmi".

La piccola gli prese la mano, stringendola nella sua. "Vojo tare con te".

"Vuoi che ti tenga per mano?".

"Sì".

Demelza scosse la testa. Non era gelosia la sua, ma non voleva che Eleanor si legasse troppo a Ross e divenisse per lui un obbligo. "No Ellie, vieni, dalla a me la mano".

"No" – protestò la bimba.

Ross sospirò, forse capendo il perché della sua riluttanza. "Non c'è problema, so come si tiene una bambina per mano. E i nostri figli non vogliono più darmela, dicono di essere grandi per queste cose".

Jeremy annuì. "Certo, ho sette anni!".

"E io quattro" – aggiunse Clowance. "Ellie invece ne ha uno".

"Due!" - la corresse la piccola.

Ross si accigliò, guardando Demelza. "Da quando ne ha due?".

"Li compirà il ventuno di questo mese, il primo giorno di primavera".

Ross osservò la bimba che teneva per mano. "Perché non me l'hai detto?".

Demelza alzò le spalle. "Avrei dovuto?".

Lui parve pensarci sopra un attimo, al significato di quella domanda. Poi, sospirando, strinse la manina di Ellie. "Beh, uno o due non fa differenza, sono comunque pochi. Tienimi la mano e andiamo da Pascoe. E voi due" – disse, rivolto ai figli – "State vicini alla mamma".

Ellie, felice, saltellò al suo fianco. Ross la spinse vicino a lui, osservando quanto fosse tornata ad essere allegra e vivace, dopo il morbillo. "Sei guarita, è?".

"No!" - ribatté la bimba, seria.

"Come no?".

Ellie gli lasciò la mano e, prima che lui e Demelza potessero fermarla, si tirò su il vestitino, scoprendosi la pancia. In mezzo alla strada e a tanta gente che li guardava attonita. "Guadda!" - ordinò a Ross, mostrandogli un puntino rosso che resisteva accanto al suo ombelico.

Ross arrossì fino alla punta dei capelli. "Nooo! Eleanor, non si fa! Non ci si alza il vestitino in mezzo alla strada, facendosi vedere mezza nuda da tutti".

"Pecché?".

"Perché no! Le bambine brave ed educate non lo fanno!". Cercò con lo sguardo Demelza per farsi aiutare in quella missione educativa, ma sua moglie e gli altri due bambini se la ridevano della grossa. Santo cielo, possibile che fosse l'unico ad avere senno in quella famiglia? "Demelza?" - sbottò – "Dille qualcosa!".

Sua moglie, ridacchiando, strinse a se i figli. "Che dovrei dirle, scusa?".

Ross la guardò storto. "Santo cielo, sto cercando di preservare la rispettabilità di tua figlia. Devi insegnarle che queste cose non si fanno".

Demelza osservò Ellie che, attonita, non ci stava capendo niente. "Ross, non ha ancora due anni e dubito che conosca il concetto di pudore. Non lo fa con malizia, è una bambina".

Ross sbuffò. "Lo so che non lo fa con malizia. Ma...". Guardò la piccola, riprendendola per mano e sistemandole il vestitino. "Ellie, non dar retta a tua madre! E non farlo più".

"Pecché? Io volevo fatti vedere il puntino".

Lui scosse la testa, esasperato. "Me lo farai vedere a casa".

"Sì".

"Solo a me, mamma, Clowance e Jeremy. Capito?".

"E Dwight?" - chiese la bimba.

Ross alzò gli occhi al cielo. "Sì, a lui sì! E ora andiamo da Pascoe o penserà che lo abbiamo nuovamente bidonato. Ricordate, cosa dovete fare?" - chiese ai figli.

Clowance, tutta seria, si mise le mani sui fianchi. "Sì, zitti, seduti, in silenzio e senza toccare niente".

Demelza sentì di aver voglia di ridere nuovamente. "Sembrano ordini da militare".

"Ero un militare!" - la corresse Ross.

Lo guardò, era talmente serio da apparirle quasi buffo. "Agli ordini, capitano" – gli disse, quasi provocandolo. Se ne accorse solo in quel momento, che stava pericolosamente flirtando con lui.

Forse se ne accorse pure Ross, perché per un breve istante la guardò intensamente. Poi, richiamato dal chiasso della piccola del gruppo, si chinò e la prese in braccio. "Ti tengo io, almeno non combinerai guai".

Era strano, era da tanto che non uscivano tutti insieme e Demelza si sentiva leggera. Non stavano facendo nulla di strano, una normale passeggiata di famiglia, ma per loro che il concetto di normalità l'avevano perso da tanto, essere insieme, ridere insieme e stare bene insieme, aveva dello straordinario.

Quando andarono da Pascoe, i bimbi furono bravissimi. Si sedettero su una grossa poltrona e passarono il tempo sfogliando un libro mentre Demelza e Ross si intrattenevano col notaio.

Demelza si sentiva strana. Stavano facendo una cosa di 'coppia', un qualcosa come marito e moglie ed era una sensazione che risvegliava in lei nostalgia, tenerezza e tristezza.

Pascoe aveva osservato i bimbi col suo solito fare bonario, senza fare domande imbarazzanti, dimostrandosi come sempre un buon amico e una persona intelligente e cordiale. A Demelza ricordava Henshawe ed era felice che Ross lo avesse come amico. E sperava che pure con Dwight, prima o poi, le cose si risolvessero.

Firmarono l'atto e poi, liberi da ogni impegno, uscirono coi bambini, diretti al bosco vicino a Truro.

Demelza osservò i negozi, quei negozi dove spesso si era recata con Ross in passato, fin dai tempi in cui era la sua sguattera.

Era un salto nel tempo, quella passeggiata... Solo la piccola Eleanor, che dopo essere usciti dal notaio era voluta venirle in braccio, le ricordava che tutto era cambiato.

Clowance e Jeremy, avanti a loro di alcuni passi, giocherellavano e chiacchieravano per strada mentre Ross pareva tranquillo, rilassato e a proprio agio.

"Ora che succede, coi terreni?" - gli chiese, incuriosita da cosa potesse avvenire dopo le loro firme.

"In realtà, niente. Son già dei miei minatori che ci vivono, semplicemente abbiamo legittimato la cessione e l'abbiamo resa ufficiale".

Demelza fece per rispondere quando si bloccò, diventando di ghiaccio. Da una merceria, vestita con abiti eleganti, raffinati e alla moda, uscì la figura eterea e perfetta di Elizabeth Warleggan. Non era sola, c'erano George e il figlio con lei.

Vide Ross irrigidirsi e lei fece altrettanto. Non la vedeva da anni e non aveva mai incontrato il piccolo Valentine...

Quel bimbo coi suoi boccoli neri e l'espressione famigliare, risvegliò in lei tutte le sue paure più profonde. Si trovò a tremare, impercettibilmente, mentre la dolcezza di quella giornata si trasformava in fiele.

Eccola, la donna amata da Ross... Per alcuni brevi istanti, in quel giorno, si era come dimenticata della sua esistenza fra loro, da sempre...

E si sentì di troppo, come se fosse stata un'estranea in quella situazione. In quel momento pensò di avere un qualcosa in comune con George, erano entrambi degli intrusi in quell'amore forte e segreto.

"Demelza" – la chiamò Ross, notando che era impallidita.

Lei si morse il labbro, non sapendo che rispondere. E in quel momento le mancò il fiato quando vide George Warleggan venire verso di loro, trascinandosi dietro il bambino e una riluttante Elizabeth, evidentemente in imbarazzo quando lei.

"Ross Poldark, vi si vede anche quì! Piccolo il mondo" – disse George, col solito modo di fare altezzoso e provocatorio.

Ross rispose a tono, sprezzante. "Purtroppo per me, sì".

George incassò senza ribattere, annuendo infastidito. Poi si rivolse a Demelza, con un sorriso falso sul viso. "Signora Poldark, erano anni che non vi si vedeva in giro. Si sussurrava che foste fuggita all'estero con un minatore. O con qualche ipotetico amante...". Osservò la piccola Ellie che, di sbieco, guardava in cagnesco i nuovi arrivati. "Bella bambina! Incredibile come voi donne del popolo rimaniate incinta con tanta facilità. Ma dopo tutto, accanto a uomini senza morale come quelli che lavorano o gestiscono le miniere...".

Demelza fece per rispondere a tono, odiava George e odiava il suo modo di fare. Ma suo marito le sfiorò il polso, bloccandola. E forse era meglio così, forse era meglio stare zitta, finire in fretta e andarsene lontano da tutto quello e dallo sguardo indagatore e insistente di Elizabeth su di lei.

Ross guardò George negli occhi, viso a viso. "La facilità con cui le donne del popolo rimangono incinta da uomini che appartengono al mondo delle miniere è proporzionale alla difficoltà con cui invece le donne aristocratiche devono convivere per avere figli da uomini ricchi".

Demelza trattenne il fiato, Elizabeth divenne rosso fuoco e George assunse un'espressione furente e il suo viso parve sul punto di esplodere dalla rabbia, a quelle parole.

Demelza guardò Ross, a bocca aperta, chiedendosi a cosa si riferisse con quella frase. Stava cercando di difendere lei ed Ellie? O stava irritando volutamente George, facendogli intendere che forse quel bimbo che era con lui non era un prodotto del suo mondo dorato ma di un uomo che arrivava dal mondo delle miniere?

Ross stava giocando sull'ambiguità e questo la feriva. Sospirò, allontanandosi da lui, da loro, da tutta quella conversazione surreale. Chiamò a se Jeremy e Clowance e coi bambini, a passo spedito e mentre gli occhi le bruciavano, si avviò verso il bosco. Forse Ross la chiamò per fermarla, ma ignorò la cosa e proseguì.

Non si voltò a vedere come fosse finita fra Ross e i Warleggan, non le interessava. Era solo irritata verso se stessa per quel dolore che sentiva dentro... Vedere Elizabeth aveva riaperto mille ferite e le aveva ricordato perché se ne fosse andata da Nampara e perché non doveva farsi illusioni. Ross apparteneva ad Elizabeth. Lei era bella, elegante e la madre di uno dei suoi figli... Come poteva competere? Con tanta bellezza, perfezione e classe, non aveva mai avuto mezza chances dall'inizio.

"Mamma, cosa c'è?" - gli chiese Jeremy, preoccupato, appena furono nel primo spiazzo del bosco. "E papà?".

"Papà arriva subito, siamo andati solo avanti per vedere dove pranzare" – gli rispose, frettolosa. Voleva rimanere sola un attimo, riprendere fiato e possesso di se stessa e delle sue emozioni, non poteva permettere che i bimbi la vedessero in quello stato. Mise a terra Ellie che la guardava preoccupata, affidandola ai due figli più grandi. "Su, andate a perlustrare e poi venite qui a dirmi dove volete mangiare".

"Dove vogliamo?" - chiese Clowance.

"Certo amore, dove più vi piacerà. La in fondo c'è un ruscello, andate a vedere se vi piace e se c'è posto per un pic-nic".

I bimbi annuirono, anche se poco convinti. Si erano accorti che qualcosa non andava e doveva tornare quanto prima a sorridere e a essere serena per loro.

Quando si furono allontanati, si appoggiò al tronco di un albero, cercando in quella pace una sua pace. Si rimproverò di star tanto male, aveva giurato a se stessa che Ross ed Elizabeth non sarebbero stati più un suo problema ed invece... Ed invece era una povera stupida che in fondo, dentro di se, ci sperava ancora! Eppure la verità era davanti ai suoi occhi, nella bellezza di Elizabeth, nei capelli neri del piccolo Valentine e nell'atteggiamento di Ross per cui tutto passava in secondo piano, quando il suo primo amore era accanto a lui.

Pensava che suo marito si fosse attardato con i Warleggan, ma improvvisamente, col fiatone, se lo trovò a fianco, che la guardava con nervosismo. "Che diavolo ti è preso?" - le chiese, adirato.

Rimase di stucco, non si era accorta che l'avesse seguita. "Mi sentivo di troppo" – disse, freddamente.

Ross la guardò con aria di rimprovero. "Dove sono i bambini?" - chiese, con voce fredda.

"Al torrente, stanno cercando un posto dove fare il pic-nic".

Lui le prese il polso, attirandola a sé. "Demelza, perché sei scappata così? George è da sempre sgradevole ma non ti sei mai comportata in questo modo".

Lo guardò negli occhi, furente. "Credi sia andata via per George? Avanti Ross, non fare l'ingenuo".

L'uomo sospirò. "Elizabeth? E' per lei, è lei il tuo problema? Ancora?".

Sorrise tristemente, come poteva non capire...? "Elizabeth... Valentine... Ti somiglia tanto, sai? Era vero quello che ho sentito dire in giro, di lui".

"Non ha importanza, non è mio figlio! Porta il cognome Warleggan".

Demelza cercò, inutilmente, di liberarsi dalla stretta. "Il suo cognome non ha importanza, è chiaramente tuo!".

Ross ci pensò un attimo prima di rispondere, poi con modi più gentili, le accarezzò una guancia, cercando di tranquillizzarla. "Senti, ricordi il bel discorsetto che mi hai fatto a Natale su Eleanor e Hugh e sul fatto che generare un figlio non significhi esserne genitore?".

"Sì".

"Beh, se vale per te, perché non dovrebbe valere per me? Io non conosco Valentine, è la seconda volta che lo vedo e non provo niente per lui! NIENTE! Potrai pensare che è orribile ma non posso amare un perfetto sconosciuto. Quando parlavi di Hugh ed Ellie, ho capito che avevi ragione, che lui non poteva essere il padre di quella bimba per gli stessi motivi per cui io non posso essere il padre di Valentine".

Per un attimo, Demelza rimase senza parole. In fondo, come poteva controbattere? Era vero, se Ross non frequentava Valentine, per lui valeva lo stesso discorso di Hugh verso Ellie. Però, Elizabeth... "E quello che hai detto sulla gravidanza? Non era un messaggio nascosto – o forse non molto nascosto – verso Elizabeth, George e la paternità del bambino?".

Ross spalancò gli occhi, mentre sul suo viso comparve un timido senso di colpa. "Non è come pensi, non l'ho detto per questo!".

"E allora perché?".

Suo marito chinò il capo, come alla disperata ricerca delle parole giuste. "Quel mio incontro al cimitero con Elizabeth... Quando poi te ne sei andata... Lo ricordi?".

Demelza sorrise amaramente. "Certo".

"Le chiesi scusa per il mio comportamento e le dissi addio. E' vero, l'ho baciata quella volta ma non erano baci d'amore fra due amanti. So che non mi credi e so che forse non ho nemmeno il diritto di essere creduto, ma era così! Lei era molto giù quel giorno, disse che George dubitava della paternità del bambino e, conoscendo il mostro che ha sposato, immagino quanto ne fosse angosciata. E così le ho consigliato di avere un altro figlio e di fare in modo che il parto sembrasse prematuro come quello di Valentine. Si, insomma, fare un po' di confusione con le date, voi donne sapete come fare, no?".

A quell'ammissione, Demelza spalancò gli occhi. Santo cielo, lo avrebbe ucciso! "Ross, come hai potuto suggerirle una cosa così idiota?".

"E' l'unica strada che ha per uscirne!" - si schernì lui, come a giustificarsi.

Demelza scosse la testa, esasperata. "Santo cielo...".

Lui proseguì nella sua spiegazione. "E visto che son passati tre anni e ancora lei non è incinta, mi è uscita quella battuta. Ma non mi riferivo a Valentine".

Per qualche strano motivo gli credette. Beh si, era forse da Ross dare un suggerimento così cretino e quindi non stava mentendo. Però... "Scusa, non volevo perdere le staffe. Avevo giurato a me stessa di star fuori dalla tua storia con Elizabeth ma vederla...".

Ross sospirò, prendendola per la vita. "Io non ho una storia con Elizabeth, testona!".

"La ami?".

"No. Non nel senso del vero amore. E' un affetto del passato, questo sì. Ma non è amore. Un giorno mi crederai?".

Già, un giorno avrebbe trovato il coraggio di credergli? "Non lo so, ci vuole forza per farlo".

"E tu sei sempre stata la più forte fra noi. Mentre ora tremi...".

Demelza sorrise amaramente, non si era accorta di tremare. "C'è voluto coraggio per andarmene da Nampara quel giorno, e ce ne vorrebbe ancora di più per credere possibile un mio ritorno. Ci abbiamo già provato a ricominciare ma non ha funzionato e io so che non ho più la forza di altre delusioni. Mi ucciderebbe, Ross. E non posso permetterlo".

Lo sguardo di Ross parve disperato. "Perché non dovrebbe funzionare?".

"Perché lei è bella, elegante, raffinata. Il tuo primo amore... E' sempre stata fra noi e io non posso competere con lei. So che mi hai amato, ma so anche che il tuo cuore non mi è mai appartenuto interamente e che era per lo più suo. Come potresti amarmi, dimenticando lei? Soprattutto ora, che c'è Eleanor fra noi...".

Ross la guardò negli occhi con quel suo sguardo penetrante. C'era ardore nel suo sguardo, desiderio, frustrazione e disperazione. Sembrava sentirsi in trappola quanto lei... "C'è un modo, sai, per farti capire che è te che voglio".

Avrebbe voluto chiedergli quale, ma Ross non gliene diede il tempo. Si chinò su di lei, bloccandola fra il suo corpo e la pianta, baciandola sulle labbra con una passione tale che lei non riuscì a reagire. Le loro labbra si ritrovarono come per incanto, come se non fossero passati anni dall'ultima volta in cui si erano toccate. Ross sembrava volerla fondere in se, il suo bacio era passione e disperazione, desiderio e possesso. Quando si staccò, col fiato corto, la guardò negli occhi. "Credi che ti bacerei così, se stessi pensando ad Elizabeth?".

Rimase attonita, rimproverandosi per non averlo respinto. Si sentiva ancora le labbra calde, formicolanti... Solo Ross sapeva farla sentire così... Avrebbe dovuto arrabbiarsi, respingerlo, ma in lei avvertiva lo stesso desiderio che aveva sentito in lui. Dannazione, lo voleva e doveva allontanarlo! Era giusto così, non poteva funzionare! "Non avresti dovuto farlo" – sussurrò.

"Ma non mi hai cacciato" – ribatté lui.

Demelza guardò verso il torrente, dove giocavano i loro figli. "Ci sono anche i bambini, accidenti!".

"Non ci hanno visto!". Le prese la mano, stringendola. "Demelza, un giorno, riuscirai a ritrovare il coraggio di credere in noi?".

"Non lo so, mi spiace. E' tutto troppo diverso, ora...".

Ross abbassò il capo. "E riuscirai a credere almeno che ti amo? E che non amo Elizabeth?".

Suo malgrado, gli sorrise. "Credo che ti darò il beneficio del dubbio".

Lui sospirò. "Sei arrabbiata?".

"Per cosa?".

"Per il bacio".

Demelza ci pensò su. "Vorrei esserlo" – rispose, vaga. In realtà non lo era... E per questo si rimproverava! Avrebbe voluto essere baciata ancora e si chiese per quanto si sarebbero resistiti. Ma coraggiosamente, riacquistando padronanza di se, si tenne quei pensieri per se stessa. "Andiamo dai bimbi?".

"Sì". Ross la seguì e nel suo sguardo, Demelza lesse le stesse domande che si agitavano in quel momento nel suo animo.

Per quanto si sarebbero resistiti, ancora? E a cosa avrebbe portato tutto questo?



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Capitolo 27
*** Capitolo ventisette ***


Non doveva recarsi ad Illugan quel giorno ma era dal pic-nic che non vedeva Demelza ed erano passate già due settimane da quel bacio che, d'istinto, le aveva dato nel bosco.

Dopo si era tenuto un po' alla larga per darsi e darle tempo di riordinare le idee sul loro rapporto. Era confuso quanto lei, non sapeva se fosse giusto desiderarla a quel modo e nemmeno se baciarla fosse stata una mossa azzeccata e corretta.

Però era stato magico e meraviglioso baciarla di nuovo, dopo tanto tempo... Era stato come sentirsi a casa, in pace, a proprio agio e in estasi... Ed era stato un semplice bacio. Si chiese se anche lei si fosse sentita così e sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo. Era strano per loro che, una volta, parlavano di tutto, ma da quando lei se n'era andata da Nampara era cambiata molto e in certi frangenti era come avere davanti una persona nuova e sconosciuta, da studiare prima di far qualsiasi cosa...

Dopo quel giorno poi, c'era altro che li aveva tenuti lontani.

Una violenta ondata di maltempo aveva colpito la Cornovaglia con pioggia forte, incessante e ininterrotta. Pioveva da dodici giorni, i fiumi erano ingrossati e la gente del posto era preda di forti preoccupazioni. Il mare era grosso e non si poteva uscire in barca per pescare ma erano i fiumi a destare massima preoccupazione. Ingrossati, vorticosi e al limite, con tutta quella pioggia minacciavano di esondare e allagare ogni cosa.

E Demelza viveva in quel bosco, a pochi metri da un ruscello che ormai doveva essere saturo d'acqua.

Fu questo a spingerlo ad andare da lei. Aveva lasciato i bambini alle cure di Prudie e a cavallo, sfidando la pioggia, coperto da un pesante mantello, si era diretto ad Illugan per controllare lo stato del ruscello ed eventualmente arginarlo con dei massi. Se solo quella dannata testarda di sua moglie avesse smesso di vivere tanto isolata, non avrebbe avuto addosso tutta quell'ansia!

Quando arrivò nel bosco, a pochi metri dalla casa, si accorse però che le sue paure erano in parte infondate. Come suo solito Demelza non era stata con le mani in mano ed aveva arginato il torrente, nei punti più pericolosi, con dei grossi massi che ne deviavano l'eventuale fuoriuscita d'acqua.

Sospirò, rinfrancato. Doveva aspettarselo da lei!

Ma il cielo era minaccioso, pioveva ancora incessantemente ed era meglio andare a vedere come andassero le cose.

Bussò alla porta, chiamandola, non sapendo bene come rapportarsi a lei e come si sarebbe comportata con lui, dopo quanto successo fra loro.

"Ross?" - urlò una voce, da dentro.

Sorrise, Demelza aveva un tono di voce allegro e rilassato, non pareva contrariata dal suo arrivo, né tanto meno in imbarazzo. "Posso entrare?".

"Certo".

Entrò. Il camino era quasi spento ma in casa c'era un calore piacevole. Demelza aveva indosso una mantella, così come la piccola Eleanor che, seduta sul tavolo, si stava facendo infilare degli stivaletti da sua madre. Sembravano in procinto di uscire.

La bimba gli fece un grandissimo sorriso, agitando le gambette nel vuoto, tanto che Demelza fece fatica a infilarle gli stivali. "Ross!" - esclamò, allungando le braccia verso di lui.

Ross si avvicinò alle due, stupito. "State uscendo? Con questo tempo?".

Demelza si voltò verso di lui, sospirando. "Devo andare al villaggio a ritirare la paga per il lavoro svolto in queste settimane. E sono d'accordo con le famiglie per cui lavoro per dare una mano a rinforzare gli argini del fiume. Hai visto come piove? Ho dovuto mettere dei massi pure quì fuori, vicino al ruscello per evitare di avere l'acqua in casa".

Sì, aveva visto, accidenti a lei! Ma l'idea che sua moglie uscisse con quel tempo da lupi lo infastidiva, nonostante tutto fosse sotto controllo. "Vai al villaggio con la bambina? Ma hai visto che tempo c'è? Dove la lasci mentre lavori vicino al fiume? E' pericoloso".

Demelza, del tutto calma e tranquilla, abbottonò la mantellina rossa di Eleanor. "La lascio da Miss Marple. È una sarta come me, lavoro spesso con lei. Ha otto figli piccoli ed Eleanor gioca volentieri con loro. Siamo già d'accordo".

"Ross".

La vocina di Ellie, che voleva attirare la sua attenzione, lo distolse da quella conversazione. "Che c'è, piccola peste?".

Ellie allungò le manine verso di lui. "Accio".

Sospirò. "Vuoi venire in braccio?".

"Sì".

La prese, sollevandola. La bimba gli mostrò Kiky, che teneva fra le braccia. "Bacino!".

"Al tuo coniglio?".

"Sì".

"Non lo vorresti tu, un bacino?".

"Nnnno!".

Stando al gioco, mentre Demelza li guardava divertita, Ross diede un bacio al coniglietto. "Ma dove te lo porti?".

Sua moglie intervenne, lanciandogli un'occhiataccia. "Ho dovuto contrattare con lei, accidenti a te! Non voleva mettere la mantella di lana per tenersi in testa il tuo tricorno e per convincerla ho dovuto concederle di portare Kiky in cambio del cappello. Tu invece, che ci fai quì?".

Ross la guardò storto, mettendosi la bimba sulle spalle. "Sono quì perché quella sconsiderata di mia moglie vive in un posto isolato a rischio inondazione e sono venuto a vedere se per caso fossi affogata".

"Che esagerato! Vivo vicino a un ruscello, non sulle rive del Tamigi".

"Il ruscello sta per straripare!" - obiettò lui, pensando a come quel botta e risposta avesse il sapore di tempi antichi e di un rapporto che gli mancava come l'aria.

Demelza si avvicinò, per riprendersi la figlia. "Su, dammela! Devo andare e sono già in ritardo e come vedi, va tutto bene".

"Vuoi una mano?" - chiese. Non aveva voglia di andarsene.

Demelza ci pensò un attimo, come ponderando una risposta. "Vorrei che smettesse di piovere, di questo avremmo bisogno, ma siccome non succede, se vuoi venire al villaggio con me per dare un aiuto, sei il benvenuto. La situazione rischia di diventare grave, con questa pioggia".

"Sicura?".

"Sì certo, perché non dovrei esserlo?".

Ross si grattò il mento, imbarazzato. "Beh, non ero così certo che fossi contenta di vedermi, dopo... dopo...".

Demelza capì, senza che lui finisse la frase. "Pensavi che fossi arrabbiata con te?".

"Non sapevo che pensare".

Inaspettatamente, lei gli prese la mano, stringendola fra le sue dita. Era calda, dolce e gentile, in quella stretta. "Vorrei fare l'orgogliosa e dirti che no, non lo avresti dovuto fare! E forse è così, però...".

"Però?".

"Però in questi ultimi tre anni, nessuno ha mai avuto per me gesti di affetto e mi ha fatto piacere averne ricevuto uno da te".

Questo gli gonfiò il cuore di gioia. Sapeva quanto dovessero costargli quelle parole e trovò tenero il fatto che fosse arrossita nel pronunciarle... In fondo non era cambiata poi così tanto. "Buono a sapersi" – rispose, in tono leggero.

Lei ricambiò il suo sguardo, decisa. "Questo non significa che puoi rifarlo! Non era un invito".

Non rispose, ma si sentiva leggero e sereno. E forse, nonostante le parole di lei, ci avrebbe anche riprovato...

Rifiutò di dargli la bimba e, al contrario, la tirò giù dalle sue spalle, nascondendola sotto il suo mantello. "Ellie, sta qua sotto al coperto, così non ti bagni. Ora io, tu e la mamma facciamo un giro a cavallo fino al villaggio".

Eleanor spalancò gli occhi, sorpresa e forse spaventata. "Tavallo? Io c'ho palura però".

Era fantastica, riusciva sempre a farlo ridere con quel suo modo buffo di parlare. "Fidati di me, so come si fa a non cadere".

"Mamma" – disse, cercando Demelza con lo sguardo. Beh, forse non si fidava per niente, nonostante le sue raccomandazioni...

Lei la rassicurò. Uscirono fuori, sotto la pioggia battente, Ross con la bimba fra le braccia e Demelza davanti a lui, in sella.

Il tempo era pessimo, il cielo di un grigio cupo e carico d'acqua e Ross faticò per tenere il cavallo ed impedirgli di scivolare sul fango. Ampie pozzanghere lastricavano la strada di campagna che portava ad Illugan e la pioggia era talmente forte che, d'istinto, strinse a se Demelza e la bimba per fare in modo che non si bagnassero troppo.

Giunti al villaggio, si accorse che la situazione era pessima. I rigagnoli d'acqua che correvano fra le case si erano ingrossati e alcune baracche erano già invase dall'acqua. Illugan era un villaggio povero, la maggior parte delle persone vivevano in abitazioni di legno fatiscenti e non avevano la possibilità di spostarsi altrove, se la situazione fosse degenerata.

Arrivarono da Miss Marple e alla finestra si affacciò una nidiata di bimbi dai capelli biondi e rossi, col viso da monelli e i vestitini mezzi stracciati. La casa era più grande delle altre, anche se di certo non abbiente. Una piccola veranda riparava l'ingresso dalla pioggia e la padrona di casa, l'amica e collega di Demelza, arrivò ad aprir loro con un neonato fra le braccia e un bimbo moccoloso sui due anni attaccato alla gonna. Eleanor le fece un ampio sorriso, era palese che con quelle persone si trovasse bene, e Demelza affidò la piccola senza particolari problemi. "Torneremo prima di sera a prenderla" – disse solamente.

La ragazza, che aveva forse trent'anni ma un viso ancora da bambina, nonostante tutto, annuì. "Grazie Demelza e grazie a voi signore, per l'aiuto che ci date. Se solo non dovessi allattare e non avessi tanti bambini in giro per casa, verrei pure io al fiume con voi a dare una mano".

Demelza scosse la testa. "Tu ci stai dando un aiuto quì, curando i nostri figli assieme ai tuoi. Non preoccuparti, ognuno fa la sua parte per quel che può".

Ross la osservò in silenzio. Demelza aveva trovato un suo mondo e una sua rete di conoscenze in quel posto, un aiuto, amicizia e una sua indipendenza. Era apprezzata e amata, così come la piccola Eleanor che, felicemente, giocava con quei piccoli bimbi senza denaro e probabilmente futuro, considerandoli suoi compagni e suoi pari. Per un attimo pensò al grande divario, almeno su carta, fra Ellie e quei piccoli di Illugan. Per legami di sangue, la bimba di Demelza faceva parte dei Boscawen, uno dei casati più importanti e ricchi di Londra e probabilmente dell'intera Inghilterra... Se fosse stata riconosciuta e legittimata, avrebbe avuto abbastanza denaro e potere per guardare quelle persone dall'alto in basso. Questo faceva male e faceva paura, da pensare... Anche perché, per fortuna, la piccola Ellie era quanto di più lontano esistesse dalla ricchezza e dal potere delle grandi famiglie d'Inghilterra.

Fu felice che Demelza fosse stata tanto forte e orgogliosa da rifiutare ogni legame con quelle persone e che, nonostante le mille difficoltà incontrate, stesse crescendo la piccolina da sola. Ed Ellie era un prodotto di Demelza e del suo mondo, una bimba allegra, spontanea, chiassosa e che si accontentava di un nulla, per essere felice.

Si avvicnò a Demelza, appoggiandole la mano sulla spalla. "Su, andiamo?".

Lei annuì. "Si. Direi di lasciare qui il cavallo, saremo più liberi. Miss Marple ce lo terrà volentieri".

La donna annuì. "Sì, legatelo quì sotto il porticato, starà all'asciutto. Incaricherò i bambini più grandi di dargli del fieno, più tardi".

Accettò. Salutarono Ellie, promettendole che sarebbero tornati prima di sera e poi, a piedi, si diressero verso il fiume.

Già in lontananza lo si sentiva vorticare, l'onda di piena era arrivata e gli argini erano al collasso e prossimi a cedere.

Si guardarono negli occhi, dicendosi silenziosamente che dovevano darsi da fare.

Molti uomini erano impegnati a mettere sacchi di sabbia e pietre sulle rive, urlavano ordini e imprecavano contro la pioggia battente ma le loro voci irose erano in parte coperte dal frastuono del vento e della pioggia, oltre che dallo scorrere irrefrenabile del fiume.

"Ser Dalton" – urlò Demelza a un uomo in la con gli anni che spostava un sacco di sabbia – "Sono quì e con una mano amica in più ad aiutarci. Che devo fare?".

L'uomo, un tizio grassoccio e calvo, alzò la mano in segno di saluto. "Brava, sei arrivata davvero! Visto che non sei sola e qui siamo già in tanti, tu e il tuo amico potreste spostarvi verso la periferia. Ancora nessuno è andato da quelle parti per vedere gli argini e c'è un punto, sotto al ponticello di St. Arthur, che è più basso degli altri. Se il fiume cercasse una valvola di sfogo per esondare, quello sarebbe il posto ideale. È una spiaggetta piccola, in due dovreste farcela ad alzare l'argine con delle pietre".

Demelza annuì e dopo un'occhiata di intesa con Ross, si diressero a grandi falcate verso la periferia.

Ross la seguì, da quelle parti l'esperta era lei e lui non aveva idea di come muoversi e di come riconoscere il posto indicato da Ser Dalton.

Giunsero in campagna, sorpassando le ultime baracche, mentre lui, silenzioso, pensava a come la povera gente, nelle grandi difficoltà, fosse sempre pronta a darsi una mano e a sostenersi per superare i momenti difficili. Fosse stato così anche fra i grandi ricconi del Parlamento, l'Inghilterra sarebbe stato un posto meraviglioso dove vivere.

Giunsero al ponticello, erano in aperta campagna e c'era solo una baracca abbandonata da quelle parti dove ripararsi, se il tempo fosse peggiorato. Erano entrambi fradici e i loro mantelli, pesanti ormai come sacchi di cemento, potevano essere strizzati per quanta acqua avevano assorbito.

Demelza però, non sembrava in difficoltà. E a lui venne da sorridere. Il tempo era pessimo, erano bagnati, infreddoliti, soli e in aperta campagna con a pochi metri un fiume che poteva straripare da un momento all'altro e lui era contento. Era stupidamente e allegramente contento! Erano anni che lui e lei, da soli, non combattevano per una causa comune, non lavoravano fianco e fianco e si parlavano con quella leggerezza e quella spontaneità che aveva scorto in quel giorno. Era strano ma avvertiva che per la prima volta, fra loro, non c'erano i fantasmi di Hugh ed Elizabeth a dividerli ma semplice voglia di collaborare insieme per un fine comune. Ed era bello, avrebbe voluto che quella pioggia non finisse mai...

"Ross!" - lo richiamò Demelza, riportandolo alla realtà. Era arrivata al ponticello, a pochi metri dalla riva, e lo guardava spazientita. "Che ci fai lì impalato? Mica ti ho portato fin qui per ammirare il paesaggio!".

"Oh, scusa" – rispose, preso in castagna. Scese la scarpata e la affiancò, dando uno sguardo preoccupato al fiume. L'acqua scorreva impetuosa, era scura e piena di detriti e la sua violenza faceva quasi paura. Se fosse tracimata, avrebbe distrutto il lavoro di mesi nei campi. "Che facciamo?" - le urlò, con la voce coperta dal frastuono del fiume.

Demelza, col fiatone, si guardò attorno. Gli indicò con la mano delle grosse pietre bianche sotto il ponte, probabilmente portate lì dal fiume e che potevano essere utilizzate per alzare gli argini. "Usiamo quelle, che ne dici?".

Sì, poteva funzionare. "Va bene, ma credo siano pesanti per te".

Lei lo guardò storto. "Ah Ross, vai al diavolo!".

Con la sua forza e la sua determinazione, che da sempre l'avevano contraddistinta, Demelza si avvicinò alle pietre, sollevandone una senza problemi. "Hai dimenticato quanto sono forte?".

Sospirò, mascherando un sorriso. All'apparenza era esile e delicata ma sua moglie era una leonessa, lo era sempre stata e questo non era cambiato, negli anni. "Forse, un pò". Si avvicinò, aiutandola a sua volta. Spostarono senza sosta tutte le pietre che riuscirono a trovare, le misero dove la riva era più bassa, rinforzando quella barriera improvvisata con la sabbia bagnata.

Ed alla fine, oltre ad essere fradici, erano pure sporchi e pieni di terra. Il loro mantello era completamente chiazzato di fango e la pioggia era sempre più incessante.

"Dovremmo fare un bagno" – disse, quando ebbero finito.

Demelza guardò il cielo plumbeo. "Oh, non è necessario. Sta qua fermo sotto questa pioggia cinque minuti e otterremo lo stesso effetto".

Considerò per alcuni istanti la cosa ma poi decise che no, non era lo stesso. La prese per mano, attirandola a se. "Senti, andiamo un attimo in quella baracca all'asciutto o ci prenderemo una polmonite".

Col fiato corto e le guance rosse dallo sforzo, Demelza si trovò ad accettare. "Sì, credo sia una buona idea. Comincio ad essere stanca".

"Dio sia lodato..." - mormorò lui, sarcastico.

Demelza lo guardò storto, ma non rispose. Anche lei sembrava, come lui, felice di quella strana sintonia che li aveva uniti quel giorno, nonostante le mille difficoltà incontrate. Lei lo sapeva quanto lui, erano nati per lavorare fianco a fianco come una squadra e questo non era cambiato, nonostante tutto.

Entrarono nella baracca, era un luogo angusto, spoglio e cadente, senza arredamento, con solo del fieno ammucchiato in un angolo. Demelza sospirò, sedendosi sul fieno e togliendosi il mantello. "Che posto lugubre".

Dovette darle ragione, era un luogo orribile. "Ma quanto meno è asciutto".

"Finché l'argine tiene" – obiettò sua moglie.

"Già". Si sedette accanto a lei, sulla paglia, non sapendo bene cosa fare. "Potevamo essere al caldo, in questo momento, se tu..." - iniziò, senza nemmeno sapere perché tirasse in ballo quell'argomento.

"Se io, cosa?" - domandò lei, piccata.

"Se tu non fossi tanto testarda da voler vivere qui ad Illugan".

"Ci vivo da queste parti, è la mia terra e le persone che hai incontrato poco fa sono miei amici. Non eri obbligato a venire, se non ne avevi voglia".

Sbuffò, non gli andava di discutere con lei, tanto alla fine Demelza avrebbe comunque avuto l'ultima parola. "Hai freddo?".

"Un pò" – ammise lei, strofinandosi le braccia. "Mi fanno male tutti i muscoli, era da quando ho sistemato la mia casa nel bosco che non sollevavo tanti pesi".

Quella semplice frase lo incupì e lo riportò a quei giorni caotici quando se n'era andata da Nampara. "Quando hai rifiutato il mio aiuto per ristrutturare il mulino, perché volevi che lo facesse Hugh?". Improvvisamente, ripensandoci, si sentì irritato. In fondo non ne avevano mai parlato davvero del poeta, eccetto per la figura di padre mancato di Eleanor, e ancora non gli era andata giù. Era ancora arrabbiato, verso se stesso, verso Hugh e verso di lei. Aveva accettato la situazione rendendosi conto che quello che era successo era in parte colpa sua, ma non aveva dimenticato e quel senso di amarezza in fondo non l'aveva mai abbandonato. E mai se ne sarebbe andato, se non avesse affrontato quei suoi demoni.

Demelza lo guardò, improvvisamente seria pure lei, senza più traccia di divertimento nell'espressione del viso. "Ross, non è il momento di parlarne".

"Invece credo sia il momento giusto, visto che siamo soli e siamo andati sull'argomento" – ribatté lui, secco.

Demelza sospirò. "Non ho rifiutato il tuo aiuto perché desideravo avere Hugh vicino, avrei voluto fare tutto da sola, se proprio ci tieni a saperlo. Hugh ha insistito e...".

Lui la bloccò. "Anche io ho insistito, ma hai rifiutato lo stesso!".

"Ero arrabbiata con te, non volevo vederti e incontrarti mi faceva male. Come potevo accettare il tuo aiuto a sistemare il posto che mi ero scelta come casa, dopo che ti avevo lasciato e avevo abbandonato Nampara? Consideravo Hugh un amico, una spalla su cui piangere e qualcuno che sapeva capirmi. Lui era preoccupato per me, in maniera genuina, non voleva che vivessi ad Illugan ma visto che non poteva farmi cambiare idea, ha insistito almeno per aiutarmi ad avere una casa decente. Credo che pensasse che comunque, in breve tempo, sarei tornata da te. Una cosa provvisoria, insomma".

Ross la guardò, c'era furore nel suo sguardo, si sentiva bruciare dalla rabbia nel sentire quelle parole. Facevano male perché davano voce al suo fallimento come uomo e marito... Facevano male perché c'era stato un tempo in cui la donna che amava aveva volto il suo sguardo altrove e un altro uomo si era preso cura di lei. "Lo consideravi migliore di me" – disse, sotto voce.

Demelza spalancò gli occhi, sembrava sorpresa da quelle parole. "Migliore di te? Ross, che diavolo stai dicendo? Sai benissimo che non è così".

Lui parve non sentirla. Il vulcano che covava in lui da tre anni era in eruzione e tutto il dolore e la rabbia stavano uscendo. Dovevano uscire o sarebbe impazzito! Doveva dirle come si sentiva, liberarsi e farle capire quanto Hugh avesse minato ogni sua certezza e gli avesse tolto la felicità. "Come potrei saperlo? Hai cantato per lui, lo hai pensato, hai provato sentimenti che ti hanno spinta fra le sue braccia. Hai avuto una figlia da lui e non ti sei mai voltata indietro per vedere chi ti eri lasciata alle spalle".

Demelza parve ferita da quelle parole. Ma non rabbiosa, anzi, preoccupata nel vederlo mettersi così dolorosamente a nudo... "Ross, io non amavo Hugh. Non dell'amore come lo intendi tu, non nel senso del vero amore. Era diverso, almeno da parte mia... Per me Hugh era un amore fatto di affetto, romanticismo, un amore forse da ragazzina. Quell'amore che non ho vissuto quando avevo l'età giusta per farlo. Ma non l'amore che vale una vita, che ti riempe l'esistenza e ti fa sentire a posto col mondo, non l'amore che ti cattura e fa perdere d'importanza tutto il resto. Non l'amore senza il quale non puoi più vivere e che, se lo perdi, ti fa sentire svuotata e senza aspettative per il domani. Non l'amore che, quando lo provi, ti stordisce e non ti fa più capire niente. Quando ero con lui, non mi sentivo come quando ero con te".

Era confuso, si sentiva disorientato davanti a quelle parole e al tono di rimpianto che lei aveva usato. Aveva detto cose bellissime su cosa aveva provato in passato per lui e forse proprio per questo era ancora più arrabbiato con se stesso, oltre che con lei, per averla persa. "Non ti sentivi come con me? In bene o in male? Era meglio o peggio?". Era una domanda stupida, ma aveva bisogno di sentirglielo dire che per lei, nessuno sarebbe mai stato come lui.

"Ross..." - sussurrò Demelza, sospirando, non sapendo forse che altro dire.

Le prese il polso, la attirò a se. Hugh Armitage aveva avuto la sua donna, l'aveva toccata, amata, accarezzata e fatta sua. Lo odiava, lo avrebbe sempre odiato per questo! E tutto quello che lui voleva era togliere ogni traccia da lei, dal suo corpo, di quel dannatissimo poeta che aveva stravolto le loro vite. "Dimmelo? Lo pensi, lo piangi?".

Demelza sostenne il suo sguardo. "Lo penso, sì a volte capita. Penso a lui come si pensa a una persona per cui si è provato affetto e che è morta giovane".

"Lo rimpiangi? Rimpiangi i suoi baci, come ti toccava, come ti faceva sentire?".

Demelza tentò di divincolarsi, con scarsi risultati. "Ross, smettila!".

Ma lui non la smise, non poteva, era come un fiume di lava in piena. "Dimmelo".

"COSA?".

La guardò. Nel suo sguardo convivevano rabbia, passione e desiderio. Li aveva repressi a lungo ma ora non gli era più possibile farlo. "Quando ti baciava, sentivi quello che sentivi con me? Quando hai fatto l'amore con lui, ti ha fatta sentire come ti facevo sentire io?".

Credeva che a quelle domande, Demelza si sarebbe arrabbiata e lo avrebbe spinto via. Invece, incredibilmente, non lo fece. Col fiato corto e le guance rosse, smise di lottare. Lo guardò negli occhi e in essi vide la stessa fermezza, la stessa fierezza e la stessa passione unita a rabbia che si agitavano anche in lui in quel momento. Santo cielo, non poteva resisterle quando assumeva quell'espressione e quel temperamento di fuoco che riusciva a tenergli testa e a zittirlo, a travolgerlo e confonderlo. "No, non sentivo le stesse cose! Come avrei potuto, Ross?".

E a quelle parole, fu troppo. La voleva e lei lo voleva! La conosceva troppo bene per non accorgersene. Quella strana lite aveva come abbattuto tutte le barriere che si erano costruiti per resistersi e ora c'era come una calamita che li attirava uno verso l'altro. Non era amore, non in quel momento. Non c'era posto per quello, per la tenerezza, per le carezze, per i baci... Non ne avevano bisogno, per quelli forse ci sarebbe stato tempo dopo.

Loro avevano bisogno di sfogare rabbia e dolore troppo a lungo repressi. La attirò a se e la baciò con passione, foga. E Demelza lo lasciò fare, rispondendogli, come se anche lei non avesse bisogno che di quello. Volevano la stessa cosa, in fondo. Lui voleva togliere dalle sue labbra e dal suo corpo il sapore di Hugh Armitage e lei desiderava che lui lo facesse per sentirsi nuovamente pulita e in pace con se stessa.

C'era frenesia nei loro gesti, un bisogno disperato di aversi. Non potevano aspettare, non lei, non lui...

Le sollevò la gonna, le tolse la biancheria intima e Demelza rispose slacciandogli i pantaloni. Non avevano tempo per spogliarsi del tutto, non avrebbero potuto aspettare.

La prese con forza, la sentì irrigidirsi per il dolore ma non poteva fermarsi. Né Demelza pareva desiderarlo. Lo strinse a se, i loro sguardi rabbiosi si fronteggiarono senza mai abbandonare la presa. Si mosse dentro di lei con rabbia, velocemente. Mai si era comportato così, mai un loro amplesso era stato tanto selvaggio. Ma non potevano farne a meno, era tutto quello di cui entrambi avevano bisogno.

"Vorrei che non fosse morto" – disse, fronteggiandola, con aria di sfida.

Demelza, travolta da quel turbine di piacere unito a dolore, si morse il labbro. "Perché?".

"Perché almeno lo avrei potuto uccidere io! E lo avrei fatto, sai?".

Demelza gli afferrò i capelli, avvicinandolo a lei. Lo baciò con rabbia, gli morse il labbro e poi tornò a guardarlo negli occhi mentre lui si muoveva dentro di lei. "No, non lo avresti fatto" – asserì, sicura.

"E invece sì! L'ho salvato una volta ma ora so che non salverei niente di lui, eccetto Eleanor".

Questo la zittì e per la prima volta Demelza non seppe cosa rispondere.

I loro movimenti divennero ancora più concitati e non parlarono più, presi in quel rapporto fatto di passione, frenesia e rabbia.

Non durò a lungo, tutto scivolò via in pochi, intensi attimi, in un piacere intenso e bruciante... E in fondo entrambi sapevano che non poteva che essere così.

Dopo rimasero in silenzio, uno a fianco dell'altra, ad osservare il soffitto. Il rumore della pioggia era l'unico alito di vita in quella capanna fatta di muto silenzio e stupore per quanto successo. Era strano per Ross, non riusciva a muoversi, a toccarla, a fare nulla.

La rabbia e la frenesia di poco prima avevano lasciato il posto a una pace fatta di immobilità. Si sentiva in colpa, non era così che avrebbe voluto che succedesse, ma in entrambi l'istinto aveva preso il posto dei sentimenti e della ragione. Erano tre anni che non la toccava e forse quanto successo ne era la naturale conseguenza. "Mi spiace di averti fatto male" – disse solo, sotto voce.

Mollemente, Demelza girò il capo verso di lui. Abbassò la gonna del vestito che era rimasta sollevata e poi, con fare stanco, scosse la testa. "E' andata come doveva andare. Avevo... Avevamo bisogno... che fosse così".

"Stai bene?".

"Sì".

Ross sentì improvvisamente freddo. Passata la rabbia, passata la frenesia, sopito il desiderio, restava l'amarezza per quell'amore bello e pulito che avevano perso e che mai avrebbero potuto incontrare fra le braccia di qualcun altro. Ora lo sapevano entrambi... "Mi dispiace lo stesso, non so cosa mi sia preso".

Demelza sorrise, un sorriso triste. "Sei arrabbiato da tre anni, tutto qui. E ne hai mille buoni motivi. Ma non avremmo dovuto farlo, questo non risolve nulla e anzi, complica di nuovo tutto".

Ross guardò distrattamente le travi di legno del soffitto. "Io lo volevo e anche tu".

Lei non negò, sapeva che Ross la conosceva come le sue tasche. "Sì, certo. Ma non sempre è auspicabile fare quello che si desidera".

Si voltò verso di lei, accarezzandole delicatamente i capelli e la guancia. "Ma essendo sposati, non abbiamo fatto nulla di poi così sbagliato".

Demelza lo guardò storto, non così convinta della cosa. "Ross, questo non ci porterà a nulla. E' sbagliato per noi, anche se siamo ancora sposati. Dovevamo tornare al villaggio, DEVO tornare a riprendere mia figlia che ho lasciato nelle mani di altri per... per...".

"Per viverti un attimo con tuo marito!" - disse lui, concludendo la frase per lei.

Lei alzò gli occhi al cielo, cercando di mettersi a sedere. "Ross, dico sul serio! Devo tornare al villaggio a riprendere Ellie, si sta facendo tardi".

"No, non è tardi, c'è ancora luce anche se sta piovendo". Non voleva andarsene, non ancora. Voleva stare con lei, di nuovo, e impedirle di scappare. Voleva amarla, stavolta in modo diverso, con la dolcezza e la tenerezza di una volta.

Demelza sospirò. "Perché vuoi stare qui? Fa freddo, è umido e abbiamo a pochi metri un fiume in piena che potrebbe straripare".

Si sedette, la fronteggiò. "Voglio fare l'amore con te".

"Lo abbiamo appena fatto, Ross!".

Lui scosse la testa. "In quello che abbiamo fatto poco fa, non c'era niente di amorevole".

Per qualche strano motivo questo la fece sorridere, spezzando un pò della tensione e dell'imbarazzo che si era creato fra loro. "Accidenti a te" – disse, tirandogli in faccia una manciata di paglia.

"Vuoi?" - insistette lui. Doveva insistere, doveva abbattere tutte le difese che Demelza si era costruita attorno per non soffrire.

E stavolta fu Demelza ad accarezzargli la guancia. "Ross, ci faremo del male, lo sai?".

"Sarà bellissimo farmi male con te".

Demelza gli sfiorò la mano, intrecciò le dita alle sue e sospirò. Pure lei sembrava combattuta e impaurita quanto lui. Non era la risoluzione dei loro problemi, lo sapevano entrambi. Ma erano anche consapevoli che dire no, alzarsi ed uscire non era la soluzione. Avrebbero solo rimandato l'inevitabile e sarebbe bastato un niente per ricascarci. Si desideravano da sempre e sempre sarebbe stato così. Se non fosse successo quel giorno, che importanza avrebbe avuto? Sarebbe successo il giorno dopo, dopo una settimana o dopo un mese. Ma sarebbe successo! "Ross, ce ne pentiremo, dopo" – provò ad argomentare, con scarsa convinzione.

"Forse no". La rivoleva, almeno per un attimo rivoleva la donna della sua vita.

Demelza rimase in silenzio per un attimo, come in riflessione. Lo guardò, osservò il capanno che era stato il loro rifugio e poi la finestra da cui, tenue, entrava un pò di luce. Poi staccò la mano dalla sua ma fu solo per un attimo. La riprese, la portò al suo corpetto e la poggiò sui bottoni che lo tenevano legato. "Sì Ross" – disse solo, dandogli il permesso di farlo.

Lui annuì. La strinse a se, la baciò sulle labbra dolcemente, senza più la foga di poco prima. Piano, uno dopo l'altro, si tolsero tutti gli indumenti che prima non avevano avuto tempo di levarsi.

Così, senza fretta, gustandosi ogni attimo, ogni tocco e ogni carezza...

Ross la guardò, era bellissima come la ricordava e le gravidanze non avevano scalfito per nulla il suo fisico che sembrava ancora quello di una ragazzina. Era più magra rispetto a quando vivevano assieme a Nampara, Demelza viveva una vita dura e difficile e probabilmente il cibo scarseggiava spesso nella realtà quotidiana che si era costruita.

La guardò e capì che era sua, che era sempre stata sua e che lui era stato un grandissimo idiota a farla scappare lontano, insieme a un altro. Non poteva tornare indietro nel tempo per rifare tutto senza errori, dai suoi errori non poteva fare altro che imparare.

E forse quello era il primo passo...

La spinse delicatamente sulla paglia, si toccarono e accarezzarono senza fretta, guardandosi negli occhi come se avessero paura di perdersi. Non c'era più la rabbia e la foga di poco prima e il dolore aveva lasciato posto alla voglia di amarsi e riscoprirsi. Era strano, erano marito e moglie da anni ma si sentivano emozionati come se entrambi stessero vivendo la loro prima volta.

La baciò a lungo e con lei fece l'amore a lungo.

Non fu breve, non fu come poco prima...

Fuori la pioggia batteva incessantemente sulla campagna inglese ma a Ross non importava. A quella pioggia doveva tutto!

Per molti era fonte di preoccupazione ma a lui, a loro, aveva donato un attimo di vero amore.






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Capitolo 28
*** Capitolo ventotto ***


C'era silenzio, un silenzio rotto solo dal rumore della pioggia.

Demelza aveva il capo poggiato contro il suo petto e Ross sentiva i suoi capelli, coi riccioli ancora umidi per la pioggia, scivolargli lungo il costato.

Li accarezzava delicatamente, un gesto che in passato aveva fatto spesso e che ora gli appariva come qualcosa di eccezionale. Profumavano di mare e di bosco, rossi e selvaggi come lei.

Avevano fatto l'amore a lungo e si era stupito come nonostante tutto, i loro corpi e le loro menti avevano saputo ritrovare l'intesa e la complicità per fondersi.

Dopo nessuno dei due aveva parlato ed erano rimasti in silenzio a lungo, una fra le braccia dell'altro, ad ascoltare il ticchettìo della pioggia contro i vetri scrostati di quella baracca improvvisata.

Si stava facendo tardi, ormai era quasi buio del tutto e Ross sapeva benissimo che quell'attimo di pace e intimità era destinato a finire presto. Ma finché non fosse stata Demelza a suggerirgli di andarsene, non si sarebbe mosso di un millimetro. Stava bene, incredibilmente. E per una volta non gli importava di nulla e nessuno, fuori da quella baracca. Non della miniera, non della politica, non delle lotte con George Warleggan... Non gli importava di nulla eccetto che di lei e dei bambini. Jeremy e Clowance erano al caldo e all'asciutto a Nampara, con Prudie e Garrick mentre Eleanor si trovava al villaggio, a giocare con la nidiata di bambini di Miss Marple. Stavano tutti bene e Ross decise che il mondo, ancora per un pò, poteva fare a meno di loro.

Sentì Demelza tremare e si rese conto che faceva freddo. Fino a quel momento non se n'era decisamente accorto... Allungò una mano, prendendo il vestito di sua moglie per metterglielo sulle spalle. "Va meglio?".

"Non ho freddo".

Si accorse che aveva la voce sommessa e spezzata e capì cosa la turbasse tanto. Si erano amati follemente, rompendo di fatto il fragile equilibrio che si era creato fra di loro. Era stato meraviglioso ma i problemi che li allontanavano da anni non erano mai stati risolti del tutto e sapeva che quel diversivo non aveva fatto altro che rimandarli e scombussolare di nuovo tutto. E Demelza doveva sentirsi sopraffatta e confusa... "Non piangere" – disse, come a volerla difendere da quella vita tanto difficile che si erano creati con le loro mani.

Demelza si rannicchiò sotto il vestito, affondando il viso contro il suo petto. "Ross..." - sussurrò, singhiozzando.

In quel pianto c'erano sofferenza, dolore, sensi di colpa e rimpianto, Ross lo sapeva benissimo. E il guaio era che non sapeva come aiutarla se non facendola sfogare per capire fino a che punto i suoi fantasmi la tormentassero e le impedissero di farla sentire felice. "Demelza, vuoi dirmi cosa ti fa star tanto male? Ci sono tante cose che, se ne parlassimo, ci sembrerebbero meno brutte".

"No, non voglio parlare".

"Ma dobbiamo, non fare i miei stessi errori!" - insistette lui. Per quanto doloroso, per lei e per lui, c'era la questione di Elizabeth da affrontare e sapeva che gran parte dei loro problemi derivavano da lì. Aveva lasciato troppo correre durante il suo matrimonio, e il fantasma del suo primo amore aveva scavato in Demelza un solco fatto di sofferenza e insicurezza che lui non si era mai preoccupato di curare. Nei primi tempi del loro matrimonio, a dire il vero, non si era nemmeno mai premurato di nascondere i suoi sentimenti per Elizabeth a Demelza, ritenendo di non doverle questo genere di premure e che sua moglie dovesse semplicemente accettare che c'era stata nella sua vita un'altra donna prima di lei. Poi c'era stato quel periodo confuso seguito alla morte di Francis in cui si era avvicinato pericolosamente ad Elizabeth, trascurando Demelza e Jeremy. L'aveva tradita e anche lì, nonostante avesse capito il suo errore e chi era davvero la donna della sua vita, mai aveva chiesto scusa, mai aveva voluto affrontare le conseguenze di quell'errore e, ostinatamente, si era chiuso in un mutismo un pò infantile che, passo dopo passo, aveva portato Demelza fra le braccia di Hugh. Non aveva mai capito quanto il suo rapporto con Elizabeth l'avesse resa fragile e insicura, quanto ne avesse sofferto e quanto avesse bisogno di sentirlo accanto. Aveva passato i mesi successivi al suo tradimento con Elizabeth a sfuggire ai suoi fantasmi e ora Demelza stava facendo di fatto la stessa cosa. Ma lui aveva imparato, adesso lo sapeva, non c'era fuga che tenesse e quei fantasmi prima o poi l'avrebbero riacciuffato. Lui e lei! Non serviva a nulla scappare, i suoi demoni andavano affrontati assieme alla donna che amava e che quei demoni li aveva subìti e fatti suoi... "Demelza, ti prego".

Lei tremò, di nuovo. "Non ora".

Era strano, faticava a riconoscerla. Era sempre stata forte, piena di energia e pronta ad affrontare qualsiasi cosa ed ora tremava e aveva paura, era bloccata e aveva perso ogni speranza di uscire da quella situazione. Aveva bisogno di lei, che lottasse al suo fianco e che lo aiutasse a trovare la strada per uscirne insieme, più forti di prima, da quel disastro che si erano costuiti con le loro mani. "Dobbiamo...".

"Perché? Cosa cambierebbe?".

Ross deglutì. Sapeva a cosa si riferiva, sapeva che si sentiva in colpa per Eleanor e per la disastrosa fine della loro famiglia. Non c'era solo il fantasma di Elizabeth fra loro, ma anche quello di Hugh e di Eleanor. Ma ora Ross ne era consapevole, se non erano più insieme era colpa di entrambi e Demelza non doveva affrontare tutto da sola, accollandosi ogni colpa. Se lui fosse stato più attento e amorevole, lei non se ne sarebbe andata lontana e Hugh non lo avrebbe nemmeno notato. E per quanto riguardava Eleanor, aveva bisogno di tempo e anche quella faccenda sarebbe andata a posto... In un modo o nell'altro, sarebbero stati insieme e tutti avrebbero trovato il loro posto nella loro famiglia. Anche Eleanor! Le voleva bene, era affezionato a quella bimba. Non come padre, non ancora. Ma sapeva che, in qualche modo, quella piccolina faceva già parte di lui. "Demelza, posso solo chiederti... dirti... una cosa...?".

Finalmente lei alzò gli occhi per guardarlo in viso. "Cosa?".

"Fidati di me, ti prego. Andrà tutto a posto, te lo giuro".

La vide sorridere, un sorriso dolce e allo stesso tempo triste. "Come?".

Fu sincero, non aveva una risposta da darle in quel momento ma si sarebbe impegnato a trovare la soluzione ai loro problemi. "Non lo so. Ma fidati di me, ti chiedo solo questo".

Stranamente non fece obiezioni, come se avesse bisogno di affidarsi a lui e di aggrapparsi ad una speranza. "Va bene".

Era così docile da intenerirlo. Si chinò su di lei, abbracciandola e baciandola sulla fronte. Era talmente fragile e triste che per un attimo ebbe paura che si spezzasse. Non era mai stata così, era sempre lei la più forte fra loro ma ora che l'aveva amata e tenuta fra le braccia, aveva capito che adesso era il suo turno di essere forte per entrambi perché lei non ne era in grado. Questo significava essere sposati, essere capaci di camminare insieme e saper tendere la mano quando uno dei due rimaneva un pò indietro in difficoltà.

"Ross?".

"Cosa c'è?".

Asciugandosi le lacrime, arrendendosi al suo abbraccio e stringendolo ancora più forte, Demelza sospirò. "Mi accompagni al villaggio a prendere Eleanor?". Lo disse con fatica, andarsene da lì costava a lei quanto a lui. Ma dovevano tornare alla loro vita e alle loro responsabilità, lo sapevano benissimo entrambi.

"Ma certo". Fece per alzarsi, le porse la mano ma stranamente Demelza rimase ferma nella sua posizione, bloccandolo. "Grazie".

"Per cosa?".

Sorrise, arrossendo. "Per aver insistito a venire qui. Ne avevo bisogno, anche se non avremmo dovuto...".

Le strinse la mano, accarezzandola. "No, non avremmo dovuto, lo so anche io. Ma come te, ne avevo bisogno". Avrebbe voluto chiederle ora cosa avrebbero fatto, ma la sua lingua sembrava bloccata. Aveva paura di chiedere, aveva paura delle risposte... "E' stato bello fare l'amore con te" – si limitò a dire.

Demelza si alzò in piedi, continuando a tenergli la mano. "Anche per me. Non posso darti che questo, per ora... Ti basta?".

Si chinò su di lei, baciandola sulle labbra. Un bacio dolce e delicato, che voleva solo infonderle forza e speranza. "Per ora... Ma ricorda cosa ti ho detto prima!".

Lei annuì. "Andrà tutto bene...".

"Sì, andrà tutto bene".

E Ross si rese conto che, in quel momento, ci credeva anche lei. Ci credevano entrambi!

Si rivestirono insieme, aiutandosi a vicenda come una volta... Gesti usuali che assumevano contorni nuovi e nuove emozioni. Era tutto strano, bello e allo stesso tempo spaventoso.

Ross la guardò, era bellissima. Come avrebbe fatto a resisterle, a rispettare i suoi tempi e a essere abbastanza lucido per non forzarla e non farle del male?

Come avrebbe fatto a tornare a Nampara, quella sera, senza di lei? Come avrebbe fatto a lasciarla a Illugan, da sola, andandosene per la sua strada?

Il rumore della pioggia battente diede una soluzione temporanea a tutte quelle domande. No, per quella sera non sarebbero tornati nelle loro case, non ne erano in grado e il tempo era talmente pessimo che muoversi sarebbe risultato difficoltoso. Non le disse nulla per il momento per evitare obiezioni, ma era già deciso sul da farsi.

Sarebbero andati a prendere Ellie e poi avrebbero trovato un loro angolo di pace, insieme, ad Illugan. Non importava dove, se in una locanda di quart'ordine o in una baracca dotata di camino.

Sarebbe rimasto con lei, le sarebbe stato accanto. Non erano pronti a separarsi, non ancora...


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Capitolo 29
*** Capitolo ventinove ***


Pioveva ancora a dirotto, sembrava non dovesse smettere mai. La prese per mano, la strada di campagna che portava ad Illugan era avvolta dal buio e a parte loro, non c'era in giro anima viva.

Demelza si nascose sotto il mantello, intrecciando le dita con le sue senza opporre resistenza. Si era tranquillizzata rispetto alle lacrime di poco prima ma Ross sapeva che il suo animo era tormentato e pieno di domande, anche su ciò che era successo in quel capanno fra loro.

Lui era diverso, aveva deciso solo di pensare alla bellezza di quegli attimi e di lasciare i problemi in un angolino nascosto, almeno per quel giorno. In questo erano come il giorno e la notte, lei si faceva troppe domande a volte, lui se ne faceva troppo poche e lasciava che l'impulsività agisse per conto suo. Certo, non era più come una volta, sapeva che quel terremoto emotivo che li aveva sopraffatti andava affrontato ma per quella sera, per quella notte, voleva solo farsi accarezzare dai ricordi dolci che il fare l'amore con lei gli aveva donato. "Demelza, credo che dovremo sbrigarci, è buio".

Le annuì, camminandogli a fianco. "Lo so, cominceranno a preoccuparsi per noi e se ritardiamo ancora, manderanno qualcuno a cercarci".

"Dici? Beh, che potrebbe esserci successo?".

Demelza lo guardò storto. "Potremmo essere annegati nel fiume, essere stati travolti dall'onda di piena, esserci feriti mentre spostavamo i massi... Proseguo la lista o ti basta?".

Ross sorrise nell'oscurità. Era pungentemente ironica e stava riacquistando il suo tono fermo e la sua lingua lunga e tagliente, il momento di crisi di poco prima era passato quindi. La preferiva così che indifesa e in lacrime come in quel capanno, la voleva pronta a rispondergli a tono prendendolo anche in giro. Questa era la vera Demelza e sarebbe stata la sua ragione di lotta per far sì che quella forza tornasse pienamente in lei e non solo in alcuni temporanei sprazzi. "E invece, nessuna disgrazia! Abbiamo semplicemente passato qualche oretta a fare l'amore! Se fossimo stati travolti dall'onda di piena, sarebbe stato un bel modo per morire, no?" - rispose, usando come arma la stessa ironia che aveva usato lei. Doveva tenerla vigile, reattiva e in forze, doveva risvegliare in lei il suo animo battagliero e intrepido e così avrebbe iniziato a farla stare meglio.

Demelza non rispose, si limitò a sbuffare e a guardarlo di sbieco.

Trovando divertente la cosa, decise che era arrivato il momento di esporle i suoi piani per la sera. "Non andremo a casa tua nel bosco! Sono stufo di tutta questa pioggia e non voglio prenderne più del necessario" - disse, senza girarci troppo in giro.

"Non vengo a Nampara!" - rispose lei, temendo che lui facesse quella proposta a cui aveva già detto di no innumerevoli volte.

"Mica ho detto che saremmo andati a Nampara! Figurati se ti proponevo una cosa simile, casa mia è ancora più lontana della tua".

Demelza a quel punto lo guardò, scettica. "E dove vorresti andare?".

"In qualche locanda al villaggio. Piove troppo e spostarsi a cavallo a quest'ora, con la bambina, è troppo difficoltoso".

Lei spalancò gli occhi. "Una locanda? Ad Illugan?".

Sembrava sorpresa da quella proposta, come se gli avesse chiesto una cosa impossibile. "Non ce ne sono?".

Demelza ridacchiò, stringendo ancora di più la sua mano. "Ross, ad Illugan non c'è niente di niente! Solo una locanda per i viandanti, ma è un posto cadente e malgestito. Non certo un alloggio adatto a un uomo che fa parte del Parlamento. E io non ho soldi per pagarla".

Si sentì strano davanti a quella risposta. Si era sempre sentito parte e amico del popolo, dei minatori e dei contadini di quelle terre, piuttosto che un appartenente alla piccola nobilità locale di cui faceva parte il suo casato e il sentire Demelza dubitare che lui potesse non ritenere più quel mondo alla sua altezza lo feriva e gliela faceva apparire lontana. "Mi sento molto più a mio agio fra lo sporco di una miniera che seduto a un seggio in Parlamento" – le rispose un pò bruscamente, rendendosi conto che non le aveva mai raccontato niente della sua esperienza londinese.

"Scusa, non volevo dire che sei un uomo con la puzza sotto il naso. So che non è così, ma di certo non sei più abituato a posti del genere".

Le sorrise, accarezzandole la mano che stringeva nella sua. "Non mi sono offeso, figurati. Ma ho davvero bisogno di dormire e di stare all'asciutto, sono stanco e credo che tutta questa pioggia non faccia bene nemmeno a te e ad Eleanor".

Lei si trovò costretta ad annuire ma si vedeva che era tormentata da qualcosa. "Ross, non ho i soldi per pagare una locanda, quelli che guadagno bastano appena per darci da mangiare".

D'istinto la strinse a se. Santo cielo, era orgogliosa e decisa a fare tutto da sola ma quanto doveva essere dura la sua vita? E lui, perché non aveva mai insistito più di tanto per aiutarla? Di nuovo, come in quel capanno, provò la voglia di proteggerla. "I soldi li ho io e visto che l'idea della locanda è mia, mio è anche l'onere di pagarla".

"Ma...".

"Niente ma, è deciso! E ora andiamo a prendere Eleanor o penserà che l'abbiamo abbandonata". La baciò sulla fronte e le strizzò l'occhio per tranquillizzarla.

Demelza sorrise, appoggiando la fronte contro le sue labbra per dei brevi istanti e poi, annuendo, gli riprese la mano. "Andiamo!".

Camminarono speditamente fino al villaggio. Gli argini del fiume erano stati alzati e la situazione pareva sotto controllo, ma il vero miracolo poteva solo essere la venuta del sole. Quegli argini, anche rinforzati, non avrebbero retto ad altri giorni di pioggia.

Alcuni uomini erano ancora a guardia del fiume ma la maggior parte si era rintanata in casa e Illugan appariva ancora più povera e spettrale, senza il suo consueto via vai.

Andarono da Miss Marple e appena bussarono, sentirono la vocina della piccola Eleanor che proveniva dall'interno della casa.

Una bimbetta sugli otto anni venne ad aprire e dietro di lei, di corsa, Eleanor andò loro incontro, volando fra le braccia della madre. "Mamma!" - urlò, stringendosi a lei.

Miss Marple comparve, accanto alla figlia. "Cominciava ad essere impaziente! Voleva la mamma".

Demelza strinse a se la piccola, baciandola sulla guancia. "Scusa amore, siamo arrivati in ritardo ma avevamo tanto da fare al fiume. E scusa anche tu" – disse, rivolta all'amica – "Sei stata davvero gentile a tenermela".

La donna annuì, accarezzando i boccoli di Eleanor. "Oh, figurati, sai che la adoro!".

Demelza la salutò prima che lei rientrasse e poi, con Eleanor in braccio, si rivolse a Ross. "Andiamo?".

Ross la guardò, poi guardò Eleanor, poi la casa, poi la porta della casa che si era appena richiusa e si accorse che qualcosa non gli tornava. "Aspetta!".

"Cosa?".

Lui sbuffò, guardando madre e figlia accigliato. "Dimentichiamo qualcuno".

Demelza guardò Eleanor e dal suo sguardo incerto, Ross capì che non aveva capito a chi si riferisse. "Chi?".

Si avvicinò loro, picchiettando le dita sulla schiena della bimba. "Piccola peste, di chi sto parlando?".

Eleanor, stanca e assonnata, si rannicchiò contro Demelza senza rispondergli. E a Ross non restò altro che ribussare alla porta per mostrare alle sue due smemorate a cosa si riferisse.

Miss Marple comparve di nuovo alla porta. "Signore? Qualcosa non va?".

Sospirò, indicando Ellie. "Il suo coniglio. Senza quello, stanotte ci farebbe disperare".

Sentendo quelle parole, Ellie si tirò su di colpo, ritta come un fusto. "Kiky!".

Miss Marple sorrise, corse in casa e dopo pochi minuti ricomparve col pupazzo che diede alla bimba. "Ecco amore, lo avevamo proprio dimenticato".

"Si". Ellie strinse Kiky e Demelza rimase semplicemente in silenzio a guardarlo.

Ross sentì le sue occhiate su di se, insistenti. "Cosa c'è?".

E quando Miss Marple ebbe richiuso la porta, lei gli si avvicinò e a sorpresa gli diede un bacio a fior di labbra. Non disse nulla, gli fece solo un sorriso molto dolce e pieno di riconoscenza e poi lasciò che lui le cingesse le spalle e la guidasse verso la loro meta.

Ross la strinse a se, riparando la bimba col suo mantello. Demelza sembrava contenta... E non capiva il perché! Non aveva fatto nulla di così particolare se non ricordarsi di prendere un giocattolo ma per sua moglie quel gesto doveva essere davvero significativo per qualche, assurdo motivo. Beh, non importava il perché, era semplicemente felice di vederla felice.

Giunsero alla locanda e come Demelza aveva anticipato, era davvero un pessimo posto. Pareti di legno cadente e scrostato, porta cigolante, un proprietario zoppo che sembrava scocciato dal loro arrivo che aveva interrotto il suo far niente, scale che scricchiolavano al loro passaggio e una grossa camera matrimoniale con un letto mezzo sfatto, un camino pieno di cenere e una piccola tinozza dalla dubbia provenienza dove lavarsi.

Ross non disse nulla ma per un attimo ebbe come l'impressione di trovarsi dentro a un libro dell'orrore dove a un certo punto, da qualche porta nascosta, sarebbe spuntato fuori un mostro assassino.

Appena il proprietario li ebbe lasciati soli, Ross mise Ellie sul lettone e la piccola si rotolò, giocando con il suo coniglietto. "Su, c'è dell'acqua nella tinozza, Demelza! Se hai voglia di lavarti e rinfrescarti, fai pure! Io accendo il camino nel frattempo o congeleremo".

Demelza gli sorrise. "Grazie". Si guardò attorno, sospirando. "Te lo avevo detto che era un posto orribile".

Ross si inginocchiò davanti al camino, riempendolo di legna. "Quanto meno è asciutto ed è tutto quello che volevo. E in Virginia ho dormito in posti peggiori".

Accese il fuoco e lasciò Demelza a lavarsi viso e braccia con un panno umido e un pezzo di sapone rinsecchito. Nella stanza, benché di pessima fattura, si espanse il piacevole calore del fuoco e un silenzio rilassante interrotto solo dal chiacchiericcio della piccola Ellie.

Finito di darsi una lavata, in sottoveste, Demelza si mise sul letto assieme alla bimba, togliendole il vestitino e le scarpine. Le passò il panno umido sul collo, le gambette nude e le braccia e poi la prese sulla ginocchia, intrattenendola un pò.

Ross si mise dietro il paravento, per lavarsi a sua volta. Tolse la camicia e si risciacquò il petto e le braccia. Aveva male ai muscoli per il gran lavoro e si sentiva sudato e accaldato. Certo, un bagno nella vasca di Nampara, coperto di sapone e immerso nell'acqua calda, sarebbe stato meglio, ma non era tempo di formalizzarsi.

Si fece la barba e trovò quell'operazione talmente rilassante che non si accorse del silenzio caduto nella stanza se non quando ebbe finito.

Pensando che ormai le sue due ragazze dormissero, si sporse dal paravento. Demelza in effetti dormiva. Gli mancò il fiato nel vedere quanto fosse bella distesa di lato, con la sottoveste che le copriva a malapena le ginocchia, la pelle bianca come l'avorio e i capelli rossi che le scivolavano dolcemente sulla schiena. Poche ore prima aveva amato quella donna e aveva posseduto il suo corpo e la sua anima... E ora era lì, accanto a lui, e da come dormiva profondamente, doveva essere davvero stanchissima. Pensò, come rendendosene conto solo in quel momento, che dopo tanto avrebbero condiviso un letto e si sentiva stranamente emozionato come se fosse un ragazzino.

Eleanor invece non dormiva. Seduta accanto alla madre, parlottava col coniglio, sostenendo un discorso che più sconclusionato non si poteva. Appena lo vide, gli sorrise. "Ross".

Ross un cavolo! "Hei, piccola peste, è ora di dormire".

"No".

Le si avvicinò con passi felpati, non voleva svegliare Demelza. Prese la bimba in braccio, si avvicinò con lei alla finestra e la mise seduta sul davanzale interno. "Tu sei nata per farmi impazzire!".

Eleanor lo guardò, senza capire. "Vojo giocare!".

Scosse la testa. "La sera si dorme, non si gioca".

"No dommire!" - si lamentò la bimba, per nulla intimorita dalle sue occhiate. "No dommire anche Kiky".

Gli porse il coniglietto e Ross lo prese, picchiandoglielo lievemente sulla fronte. "Vuoi talmente bene a Kiky, che lo stavi dimenticando da Miss Marple. Che facevi stanotte, se non me ne ricordavo?".

"Pangevo" – rispose lei, assolutamente sincera.

"Tutta notte?".

"Sì".

Ross alzò gli occhi al soffitto. Santo cielo, aveva una notevole faccia tosta ma quanto meno non la si poteva accusare di non essere sincera. Le sfiorò il mento, sollevandogli il faccino per guardarla negli occhi. Rimase senza fiato, erano azzurri, tendenti al blu, profondi e trasparenti. Stupendi, come lo era lei che, davvero, era una delle bimbe più belle che avesse mai visto. Ma non doveva farsi incantare da quel faccino o avrebbe finito per farsi comandare da lei! "Hai due anni adesso, giusto?".

"Sì".

"E allora sei grande!" - le disse, agitando Kiky davanti a lei. Ross fece un sorrisetto maligno, stava cadendo nella sua trappola. "Beh, le bambine grandi di notte dormono. E non hanno bisogno dei coniglietti".

Ellie si imbronciò e con un gesto veloce si riprese Kiky. "No, io piango pecché sono grande un pochino pochino. No tanto grande!".

Doveva stare serio ma gli veniva dannatamente da ridere. Quella piccola peste poteva davvero fare politica, sapeva sempre cadere in piedi e la sua prima impressione su di lei era stata quella giusta: sapeva il fatto suo! "Ellie, si deve dormire adesso!".

Facendo la ruffiana, lei si aggrappò al suo collo, dandogli un bacio sulla guancia. "No, vojo giocare". Si voltò verso il vetro della finestra, opaco e reso umido dal calore interno e dal freddo esterno. Ci poggiò il ditino e tentò di fare un disegno.

Ross la osservò e a un certo punto decise di fermarla. NO! No, no e ancora no! Non avrebbe potuto sopportare che sviluppasse i talenti di Armitage! "Ellie, non devi disegnare".

"Pecchè?".

"Perché è una cosa brutta, ecco!". Si sentiva un pò idiota ma voleva proseguire in quella sua missione che alla piccola avrebbe solo fatto bene. "Disegnare è noioso! Anche scrivere poesie è noioso, capito? Sai cosa è bello, invece?".

"No".

Si batté orgogliosamente la mano sul petto per dare solennità alle sue parole. "Picconare in miniera per cercare il rame! Hai mai visto una miniera?".

"No".

La prese in braccio, allontanandola dal vetro. "Ecco, è un posto magico dove si trovano tesori nascosti sotto le rocce. Capito?".

"Apito, sì".

"Brava!". Sorrise, soddisfatto della sua lezione. "Ora vuoi dormire?".

"No".

Ross alzò gli occhi al cielo. Lei non aveva sonno ma lui sì e per quella notte desiderava solo dormire e stare al calduccio... Beh, aveva il caldo, quanto meno... "Devi dormire, se continuiamo così svegliamo la mamma".

Eleanor non sembrava troppo persuasa dalla faccenda... "Vojo giocare".

"E la mamma?".

Lei sorrise. "Mamma bella".

Anche lui le sorrise, era evidente che adorava sua madre. E in fondo non se ne stupiva, Demelza era sempre stata una madre meravigliosa, dolce, affettuosa, molto fisica nel rapporto coi loro bimbi e sempre attenta ai loro bisogni. E per quella bimba che teneva fra le braccia doveva rappresentare tutto, il centro della sua vita e dei suoi affetti... "E' vero, mamma è molto bella".

"Pposala" – disse lei, di getto, prendendolo di sorpresa.

"Cosa?".

"La posi" – rispose lei, come se stesse dicendo una cosa ovvia.

Oh... Ross si grattò il mento, imbarazzato e anche divertito. "Sì, ecco... sposarla, è? Sai che una volta ci ho anche pensato? Secondo te, se glielo chiedo, mi dice di sì?".

"Non so".

Ross sbuffò, era così sincera da essere sconfortante... Ma nonostante tutto, si sentiva bene con lei, a suo agio... Era Ellie, la bimba di Demelza. Solo di Demelza e da mesi ormai in lei non trovava più tracce di Hugh... Scosse la testa, pensando a quanti pensieri e quante preoccupazioni Demelza dovesse provare per sua figlia. Si chiese se lui potesse fare qualcosa per lei, per loro... Avrebbe dato tutto quello che aveva per riavere Demelza e ricostruire con lei la loro famiglia ma sapeva che, oltre ad Elizabeth e a tutti gli errori passati che l'avevano fatta soffrire, lei aveva anche questo macigno da portare ed era quello che la frenava forse più di tutto il resto.

E se le avesse proposto di essere padre di Eleanor?

Ma lo voleva davvero?

Era affezionato a quella piccola peste bionda, ma una cosa era vederla di tanto in tanto e farla giocare, una cosa era essere il padre della bimba nata dal tradimento della propria moglie con un altro.

Ne sarebbe stato capace? Avrebbe potuto amarla come amava i suoi figli?

Sospirò, rendendosi conto della più ovvia delle cose. Non aveva risposte ancora, a tutte quelle domande. E proporre a Demelza di adottare la bimba unicamente per poter riavere indietro sua moglie, era sbagliato. Non doveva essere un atto 'dovuto' e quindi 'subìto', per poter avere in cambio un qualcosa di desiderato. Demelza non avrebbe mai acconsentito e avrebbe avuto ragione!

No, essere padre di Eleanor doveva essere un desiderio che scaturiva dal suo cuore senza secondi fini, un desiderio nato dall'amore per la bimba, un qualcosa che andava oltre il suo rapporto con Demelza.

E per quanto amasse la piccola, ancora non era giunto fino a quel punto... E finché non fosse davvero stato pronto, non avrebbe affrontato quel discorso con Demelza perché sarebbe stato solo un atto dettato da egoismo e non un gesto paterno e d'amore. Sapeva che Ellie aveva bisogno anche di un padre e sapeva che lui avrebbe potuto esserlo. Ma aveva bisogno di tempo, come aveva detto a Demelza poche ore prima, in quel capanno.

"Ross?".

La vocina della piccola, lo riportò alla realtà. "Dimmi".

Eleanor gli prese la mano e giocherellò con le sue dita, toccandole con le sue manine. "Sono grandi!".

"Le mie mani?".

"Sì".

Beh, poteva proseguire la lezione anti-arte di poco prima. "Belle, vero?".

"Grandi".

"Sai perché sono grandi? Perché lavoro in quel posto magico di cui ti parlavo prima".

Ellie rise. "La minera".

"Miniera!". La strinse a se, baciandole la testolina. 'Perché non sei mia, dannazione' – pensò, abbracciandola.

Poi, quasi spaventato da quel pensiero e sorpreso per averlo formulato, la rimise sul davanzale e insieme osservarono la pioggia. E dopo pochi istanti, sentì un leggero tocco sulla spalla. Sussultò, voltandosi. "Demelza?" - esclamò, trovandosela dietro di lui. "Pensavo dormissi".

"Mamma!" - gridò Ellie, tutta contenta che li avesse raggiunti.

Lei sorrise, avvicinandosi alla bimba e prendendola in braccio. "Non siete stati zitti un attimo, voi due" – osservò, divertita. "Sembravate due innamorati, da come parlavate fitto fitto".

Lui alzò le spalle. "Di solito in effetti affascino le donne".

Demelza guardò la bimba. "Credo abbia una cotta per te, in effetti".

Stando al gioco, Ross fece il solletico sul pancino alla bimba. "Se avesse vent'anni in più, potrei trovare interessante la cosa". Poi guardò la moglie, incuriosito. "Da quanto sei sveglia?".

"Da abbastanza per sentire la parte più interessante della vostra conversazione".

"Cioé?".

Demelza ridacchiò, sedendosi accanto a lui sul davanzale. "Ti sembra carino parlare di matrimonio con mia figlia di due anni?".

"Ha tirato in ballo lei l'argomento" – si giustificò lui. Però, a questo punto era divertito ma anche curioso. "Che ne dici, mi sposeresti?".

Demelza lo guardò storto, divertita quanto lui. "Credo che stavolta ci penserei a lungo, prima di decidere".

"Non è una risposta!" - obiettò lui.

Lei sospirò. "Ross?".

"Sì?".

"E' la conversazione più stupida che abbiamo mai avuto, noi due! Credo che tu sia davvero stanco, vai a letto! Ci penso io a Ellie" – disse, mettendosi la bimba sulle ginocchia.

Ross scosse la testa. No, non aveva voglia di andarsene a dormire e di lasciare lì da sole le sue due donnine di Illugan. Era l'unica notte in cui avrebbe potuto stare accanto alla donna che amava e non aveva intenzione di sprecarla dormendo. Si sedette accanto a loro, cingendo le spalle di Demelza e attirandola a se.

Guardò fuori dalla finestra, pioveva meno forte ora. Eleanor picchiettò la manina sul vetro ma poi, tranquillizzata dalla presenza della madre, si rannicchiò nel suo grembo stringendo a se il coniglio.

"Sai Ross, oggi per un istante, ti ho amato come non ti ho amato mai" – sussurrò improvvisamente Demelza, osservando il coniglietto.

"Nel capanno?" - chiese lui, speranzoso.

Lei sorrise dolcemente. "No. Cioé... anche! Ma no, non mi riferivo a quello! Ma a quando, da Miss Marple, ti sei ricordato il suo coniglietto. E' stato dolce da parte tua, il gesto di una persona sensibile che tiene a mia figlia. A parte me, nessuno davvero si occupa di Ellie e tu oggi lo hai fatto in maniera così dolce".

Ross analizzò quanto aveva appena sentito, spaventandosi del significato di quelle parole e di quanto Demelza aveva letto nel suo gesto. Per un attimo tremò ed ebbe paura e quindi cercò di riportare la conversazione su un tono più rilassato. "Forse, semplicemente, non volevo sentirla piangere tutta notte".

Lei sorrise, non insistendo e forse capendo le sue paure. "Beh, grazie a te credo che dormirà, ora" – disse Demelza, poggiando la testa sulla spalla del marito.

Ross accarezzò i capelli della bimba. "Credo anche io".

Rimasero in silenzio, seduti sul davanzale, cullati dal ticchettio della pioggia. Era forse più comodo del letto essere lì, tutti insieme. "Vorrei che ci fossero qui con noi anche Jeremy e Clowance" – sussurrò Ross, assorto.

Demelza annuì. "Anche io".

"La prossima volta". Ross si chinò su di lei, dandole un lungo bacio sulle labbra. E lei lo lasciò fare, arrendendosi a lui.







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Capitolo 30
*** Capitolo trenta ***


Aveva smesso di piovere due giorni dopo la notte passata con Ross ed Eleanor ad Illugan.

Erano passate quasi tre settimane da allora e i fiumi si erano ritirati, era tornato il sole ed era esplosa in tutto il suo splendore la primavera.

Erano gli ultimi giorni di aprile, cominciava a fare caldo e i prati erano pieni di fiori che sbucavano nei loro mille colori in mezzo a un'erba resa verdissima dalla tanta pioggia accumulata.

Da quel giorno Ross era stato da lei appena poteva, o a portarle i bambini o a vedere se stesse bene. Era strano, non era abituata a quel comportamento e a tutte quelle attenzioni ed era come se, dopo tanti anni, per suo marito fosse arrivato il momento di corteggiarla.

Le faceva piacere, anche se tutto arrivava forse troppo in ritardo. Ma la inteneriva il modo genuino in cui si preoccupava per lei e anche come, giorno dopo giorno, fosse sempre più rilassato accanto alla piccola Eleanor. Sembrava esserle affezionato... Ed era indubbiamente ricambiato perché la bambina si divertiva con lui e spesso chiedeva quando lo avrebbero visto.

Lei spesso si fermava a guardare Ross che giocava coi tre bambini, in un misto di serenità e imbarazzo. Era sempre difficile per Demelza capire come comportarsi con lui quando c'era Eleanor nei paraggi, ma Ross sembrava ormai a suo agio con quella realtà. Forse era lei a non essere ancora del tutto pronta a gestirla, a perdonarsi e a cambiare pagina...

Da quel momento di amore e passione fra loro, in quel capanno, non c'erano più stati veri e propri momenti di intimità e Demelza non poteva mentire a se stessa, gli mancava l'amore fisico con Ross, soprattutto dopo averlo provato di nuovo. Ma non c'era mai il momento giusto, c'erano sempre i bimbi fra loro e forse era una fortuna, ma in certi momenti si era chiesta cosa avrebbe fatto se le condizioni di rimanere sola con lui fossero state favorevoli. Spesso i loro sguardi si incrociavano e gli occhi di entrambi sapevano esprimere desiderio e passione, ma non erano più andati oltre, a parte qualche fugace bacio rubato che lei non gli aveva negato.

Nell'ultima settimana però si erano visti poco. Ross aveva incombenze urgenti da sbrigare alla miniera prima della partenza per Londra prevista da lì a due settimane ed era stata Prudie a portare avanti e indietro da Nampara i bambini. Era triste al pensiero che per un pò non avrebbe rivisto Clowance e Jeremy... Era triste pensare che anche Ross sarebbe stato lontano e per la prima volta da quando se n'era andata da casa, sentiva davvero il peso di non essere più accanto a suo marito, oltre che ai suoi figli, come moglie e madre a tempo pieno. Se prima la partenza di Ross significava un allentamento delle tensioni, ora le faceva sentire ancora più bruciante il vuoto attorno a se...

Ma che poteva fare? Non si poteva tornare indietro e nemmeno si sentiva in diritto di chiederlo a Ross che, dopo quanto successo fra lei e Hugh, si era rifatto una vita e aveva avviato una brillante carriera politica a Londra!

Però in quel suo stato a metà fra il malinconico e il rassegnato, una bella notizia era arrivata a riscaldarle la giornata. La sera prima Prudie, venendo a prendere i bambini, le aveva comunicato che aveva sentito che Caroline aveva partorito una bambina e che lei e Dwight erano finalmente diventati genitori. In effetti, i tempi erano maturi per la nascita...

Era felice per loro, se c'era qualcuno a cui Demelza voleva augurare la felicità, quelli erano proprio gli Enys. Quanto avevano fatto per lei ed Eleanor? Quanto aveva fatto Dwight, che l'aveva tenuta per mano e sorretta nel momento più difficile della sua vita, perdendo per questo l'amicizia di Ross? E poi Caroline, che con simpatia e affetto l'aveva fatta sorridere durante la lunga e difficile gravidanza di Ellie? Se ne era uscita, se sua figlia era viva e se era riuscita ad andare avanti nei primi durissimi tempi dopo il parto, lo doveva a loro. E sperò di riuscire a ricambiarli, prima o poi, riuscendo a mettere pace fra loro e Ross.

Ma quel giorno, c'era solo da festeggiare la nascita di quella bimba attesissima e sicuramente già molto amata...

E così si era messa in marcia, con Eleanor al suo fianco, per andare a far loro visita.

Era una giornata di sole stupenda e calda e per quel giorno non avrebbe avuto i suoi figli, desiderosi di rimanere a Nampara per aiutare Prudie a seminare l'orto. E così, solo con Ellie, si era incamminata verso la grande dimora degli amici.

In realtà, nonostante la bellissima giornata, non si sentiva troppo in forma ma non poteva aspettare oltre. Voleva vederli, abbracciarli e conoscere la loro piccola!

E così, ignorando gli strani crampi che aveva alla pancia, tenendo Ellie per mano si era incamminata in quella lunga passeggiata. "Sai che Dwight e Caroline hanno una bambina? E' piccola piccola, minuscola".

"Come le fommiche?".

Demelza rise. "No, un pò più grande".

Ellie ci pensò su. "Come Kiky?".

Sospirò, trovava piuttosto buffo paragonare una neonata a un pupazzo, ma le dimensioni più o meno erano quelle... "Sì, come Kiky"

Ridendo, Ellie le strinse ancora di più la mano, saltellandole accanto. Aveva indosso un abitino rosa che le aveva cucito Prudie per il suo compleanno e fra i capelli aveva un nastrino del medesimo colore che la faceva sembrare una bambola. Era bellissima davvero...

Quando era ormai quasi arrivata, si asciugò il sudore dalla fronte, appoggiandosi a un albero. E si massaggiò il ventre. Raramente non era in forma e lo trovava davvero seccante. Magari poteva parlarne a Dwight ma... ma no, non era niente di che ed era giusto che il suo amico pensasse unicamente alla sua paternità.

Furono accolte con calore dalla governante e la donna le accompagnò fino alla camera da letto di Caroline. Ellie correva, perfettamente a suo agio, nei lunghi corridoi. Venivano spesso a trovare gli Enys, anche se ultimamente le visite si erano diradate per la presenza più assidua dei suoi due figli ad Illugan, ma per la sua bambina più piccola quella era una casa conosciuta e amica. E lo era anche per lei, ripensando ai lunghi mesi di gravidanza che vi aveva trascorso...

Arrivò alla camera matrimoniale e, dopo che la governante ebbe bussato, fu invitata ad entrare.

Appena vide Dwight, accanto al letto della moglie, fra lei e una grande ed elegante culla bianca, Eleanor gli corse incontro. "Dwight!" - urlò, saltandogli in braccio.

Demelza la seguì, sorridendo ai due amici. Caroline, ancora provata dal parto, era a letto circondata da cuscini e morbide coperte. I lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle, liberi, indossava una camicia da notte di seta azzurra e aveva le guance leggermente arrossate. Sembrava radiosa come ogni madre, anche se forse leggermente spaesata da quella nuova vita.

Dwight era più pallido. Sembrava aver partorito lui, da quanto pareva provato! A Demelza venne da ridere... Uomini! E Dwight era sensibile e dolce e di certo aveva sofferto con e accanto a Caroline, come marito e medico, durante le fasi più concitate del parto.

Demelza gli si avvicinò e senza dire nulla, lo abbracciò. "Congratulazioni".

Dwight, in risposta, con Ellie in braccio, le diede un'amichevole pacca sulla schiena, lasciandola poi libera di andare a salutare Caroline.

Le due donne si abbracciarono. "E allora?".

Caroline sbuffò, fingendo noncuranza e dando una veloce occhiata alla culla. "E allora i marmocchi sono esseri infidi e diabolici! Si fanno volere bene, dannazione a loro, e tu sei fregato per tutta la vita".

Demelza sorrise, accarezzando i capelli biondi di Ellie che Dwight le aveva messo accanto, seduta sul letto. "Sì, credo di capire cosa intendi".

Caroline guardò Eleanor, pizzicandole la guancia. "Lei mi piaceva di più, era meno impegnativa! Questa qua che è appena nata, piange sempre".

Demelza sospirò, divertita. "Eleanor ti sembrava meno impegnativa perché la curavo IO! Anche lei piangeva, la notte".

"Ogni tanto, non sempre!" - obiettò Caroline.

"Ogni tanto, vero..." - fu costretta ad ammettere. In effetti, Ellie era stata, fra i suoi figli, la più angelica e tranquilla, da neonata. Poi si alzò, andando alla culla, seguita dallo sguardo attento di Dwight.

Osservò la piccola e provò una tenerezza infinita. Era minuta ma bellissima come sua madre, coi capelli biondi, il visino perfetto e candido e un delizioso nasino all'insù. Era vestita con un elegante abitino bianco pieno di fiocchetti, era circondata da morbide coperte e sembrava amare molto succhiarsi il pollice nel sonno. "Oh, è stupenda" – sussurrò, incantata da quella bambina meravigliosa. "Come l'avete chiamata?".

"Sarah" – rispose Dwight, affiancandosi a lei. L'uomo sollevò Ellie che voleva vedere la piccola e la bambina la osservò in modo attento. "Come Kiky..." - sussurrò, sotto voce.

Demelza arrossì di colpo. Accidenti a lei, ogni tanto Ellie le faceva fare figure pessime in giro con la sua lingua lunga! "Eleanor!" - la rimbeccò.

Caroline rise, facendo segno a Dwight di darle Ellie per coccolarsela un pò da brava madrina. "Ah, non sgridarla Demelza! Ha ragione, è grossa come quel coniglio!".

Demelza guardò storto la figlia, poi sorrise. Dwight le sfiorò il braccio, chiedendole se volesse seguirlo in salotto per bere qualcosa e brindare alla nascita della piccola e lei acconsentì. Salutò Caroline che aveva ancora bisogno di riposare, diede una carezza alla piccola Sarah e poi, con Ellie per mano, seguì l'amico nel salotto.

Si sedettero su un elegante divano mentre Ellie giocava per terra con Horace e Dwight le diede un bicchiere di champagne francese.

Demelza alzò il calice, sorridendo. "A Sarah, allora! E a Caroline che l'ha messa al mondo! Sarai davvero orgoglioso di loro".

Dwight fece un sorriso tirato, sedendosi accanto a lei.

Sembrava scosso e tormentato da qualcosa e per la prima volta Demelza si chiese se ci fosse altro, oltre all'emozione di essere diventato padre. "Va tutto bene?".

Lui rispose con un'altra domanda. "Come ti sembra, Sarah?".

"Bellissima, un angelo".

A quelle parole, gli occhi di Dwight divennero lucidi. "Forse sembra un angelo perché è suo destino esserlo".

Demelza sulle prime non capì. Poi fu invasa da una strana inquietudine. "Dwight, Sarah sta bene?".

"No" – rispose lui, sinceramente.

Demelza deglutì. "Cos'ha?".

"Il suo cuore è malato! Ironico, vero? La figlia di un medico dovrebbe avere libero accesso alle cure migliori che gli garantiscano una salute di ferro e invece non posso fare nulla per lei... Posso guarire il mondo e non riesco a guarire la mia bambina".

Demelza lo osservò, quasi senza parole, senza voler capire il significato di ciò che Dwight stava cercando di dirgli, colpita dalla sua amarezza e dall'infinita tristezza che traspariva dalle sue parole. "Tu fai miracoli".

"Io non faccio miracoli. La medicina è scienza e la scienza arriva fino a un certo punto. E' spacciata Demelza...".

Le sembrò che le mancasse il fiato e di nuovo, una forte fitta all'addome la fece sussultare. Ma la ignorò. "Caroline sembra tanto contenta...".

"Caroline non lo sa! Pensa che pianga spesso per capriccio".

Demelza si morse il labbro. "Devi dirglielo, se pensi... che potrebbe accadere presto".

La guancia di Dwight fu rigata da una lacrima. "Come posso dirle che non deve affezionarsi troppo perché la sua bambina, che si è portata dentro per nove mesi, sta morendo prima ancora di iniziare a vivere?".

"Dwight... Se solo sapessi come aiutarti... Ma sappi, anche se è poca cosa, che ci sarò sempre, ogni volta che ne avrai bisogno! Ci sarò, come tu ci sei stato per me e anche per Ross in passato, quando abbiamo perso Julia". Si rese conto che non aveva altre risposte da dargli. Sapeva cosa significasse perdere una figlia, era un dolore atroce e quasi mortale, che ti portava via per sempre un pezzo di cuore. Ma Dwight doveva affrontarlo con Caroline o si sarebbero persi come era successo a lei e Ross dopo la morte di Julia. Dovevano piangere insieme, arrabbiarsi insieme, urlare insieme il loro dolore, sbattere la testa al muro per superarlo e poi, ammaccati e feriti, prendersi per mano e ricominciare.

Pensò che non era giusto, Caroline e Dwight non meritavano una cosa simile. Il suo amico era distrutto, si sentiva in colpa per mille cose e soprattutto, da medico, poteva avvertire in lui il peso del fallimento perché, fra tutti, era proprio sua figlia che non poteva curare.

Pensò a Ross e a quando, a Natale, gli aveva promesso che avrebbe pensato all'eventualità di far pace con Dwight. Beh, Ross aveva tempi di riflessione probabilmente lunghi ma se c'era un buon momento per sotterrare l'ascia di guerra, questo lo era indubbiamente. Lo avrebbe visto a giorni e gliene avrebbe parlato, che suo marito volesse o no! E lo avrebbe costretto ad ascoltarla! Ross e Dwight erano amici, lo erano sempre stati e si erano aiutati in tante situazioni disperate! Era finito il tempo per litigare e Demelza sapeva che Ross, se avesse saputo della situazione, sarebbe corso subito a dare supporto all'amico e avrebbe lasciato da parte il suo orgoglio.

Ellie fece una capriola sul tappeto, mentre Horace la guardava incuriosito. La bimba rise rumorosamente e Dwight si lasciò scappare un sorriso. "Diventa sempre più bella, sarà una delle donne più affascinanti della Cornovaglia".

Demelza, tristemente, gli prese la mano nella sua. "A me basta che sia una brava ed educata bambina".

"Lo è, mi pare" – obiettò lui.

"Sì, lo è! Ed è buffa, dice e fa cose che mi fanno sempre ridere! Se sono triste, lei è la mia medicina per riacquistare buon umore".

Dwight la guardò in viso, studiandola. "E tu come stai, Demelza? Ultimamente non ci vediamo spesso".

Demelza gli sorrise, stringendogli la mano. "Non dovresti essere tu a chiederlo a me...".

"Te lo chiedo perché mi sembri un pò pallida. Ti senti bene?".

Demelza distolse lo sguardo, non era mai stata particolarmente brava a mentire ma Dwight aveva problemi ben più gravi da affrontare del suo malessere passeggero. "Prova tu, col caldo, a farti a piedi diverse miglia con una bimba di due anni accanto... Sfido chiunque a non essere pallido".

"Quindi va tutto bene?" - insistette Dwight, non molto convinto da quella spiegazione.

"Sì, tutto bene".

Dwight non sembrava persuaso. "E con Ross? Le acque si sono calmate?".

Fu costretta ad annuire al pensiero di suo marito e dello strano rapporto che si stava creando fra loro. Erano sposati ma allo stesso tempo amanti occasionali e clandestini, pieni di problemi che non avevano ancora il coraggio di affrontare ma più vicini di quanto non fossero forse mai stati prima. Era difficile rispondere a Dwight, visto che nemmeno lei sapeva dare una spiegazione logica a cosa la legasse a Ross in quel momento. "Sì, credo che le cose vadano molto meglio rispetto a un anno fa. Parliamo, ridiamo anche, se capita, ha aiutato il villaggio durante la grande pioggia di inizio mese e... e non litighiamo da tanto". Decise di omettere il lato più intimo del suo rapporto con Ross ma forse, dallo sguardo di Dwight, si rese conto che forse lui aveva capito lo stesso.

"Sono contento, Demelza".

Lei sorrise, timidamente. "Vorrei che facesse pace con te. Odio pensare di essere stata io la causa della fine della vostra amicizia".

Dwight le diede una carezza sulla spalla. "Demelza, tu non sei la causa di niente! Ross era arrabbiato a quei tempi e aveva bisogno di prendersela con qualcuno. Io o chiunque altro... Non gli chiederò scusa per essermi preso cura di te, non lo farò mai perché è la mia missione e non ne sono pentito. Vorrei poter tornare ad averlo accanto, Dio solo sa quanto lo vorrei soprattutto adesso. Ma sono felice per te, sapere che siete in buoni rapporti mi basta".

"Ma...".

Dwight le fece cenno di tacere. "Niente ma, va bene così". Osservò poi Ellie che, seduta sul tappeto, si faceva leccare tutto il viso da Horace. "Con la bimba come va? E' ancora rabbioso?".

Demelza ci pensò su. Come andava? Era difficile capire cosa passasse nella testa di Ross per quel che riguardava Ellie. Certo, ci parlava, la faceva giocare e sembrava rilassato e premuroso con lei, ma non sapeva esattamente cosa provasse perché Ross non glielo aveva mai detto. "Credo che la trovi divertente e che abbia iniziato a conoscerla. Forse ci si è pure un pò affezionato, Ellie sa davvero essere ruffiana con lui e quando non c'è, lo cerca sempre e mi chiede mille volte quando viene a trovarci. Poi, a casa, è inseparabile dal tricorno che Ross le ha regalato quando aveva il morbillo. Lo adora come adora Kiky!".

Dwight le fece un sorriso gentile. "Quindi, se Ross ha regalato ad Eleanor il suo tricorno, le vuole bene. E' quello che ho sempre sperato, fin dal giorno in cui Ellie è nata".

Demelza inspirò profondamente. "Ah Dwight, non so, non credo. La trova una piacevole compagnia come lo sono tutti i bambini di due anni, forse. La vede ogni tanto e sta con lei qualche ora senza problemi ma... volerle bene...? Non credo e non penso che mai succederà... L'ho avuta con Hugh e questo sarà sempre inaccettabile per lui".

Dwight non pareva d'accordo. "Demelza, non sottovalutare Ross! Ha un cuore grande".

Sorrise, non poté farne a meno. Era vero, Ross era un uomo fuori dal comune e dal cuore d'oro, ma era troppo anche solo sperare che amasse Ellie come amava Jeremy e Clowance. "Dwight, a me va bene così! E' già un miracolo andare d'accordo e stare insieme, a volte, con tutti e tre i bambini. Non posso chiedere di più e per quello che ho fatto, ho già avuto troppo".

"Tu ti punisci più del dovuto, mia cara. Le tue colpe le hai già più che espiate".

Sospirando lei si alzò, andando a recuperare sua figlia prima che la bava di Horace la bagnasse fino al midollo. "Forse mi punisco troppo, ma è giusto così per la mia coscienza".

Dwight la abbracciò, dando un bacio sulla testa alla bambina. Osservò Ellie con un groppo alla gola, pensando a Sarah. "Demelza, sei fortunata, hai una bambina sana e forte. E' un dono del Signore e il Signore non fa di questi doni alle persone che intende punire. Perdonati e apri il tuo cuore a Ross, dagli fiducia e sarai di nuovo felice. Ed Ellie con te".

"Lo farò! E tu promettimi di parlare con Caroline, di essere forte e di chiamarmi se ne avrai bisogno, per qualsiasi cosa".

Dwight la abbracciò di nuovo, baciandola sulla fronte. Poi la condusse in giardino, verso il cancello. "Vuoi che ti riaccompagni con la carrozza?".

Lei scosse la testa. "No, va da Caroline. Io ed Eleanor non abbiamo paura di camminare. C'è il sole ed è piacevole".

Dwight sospirò. "Riguardati, continui ad essere pallida!".

Finse noncuranza. "Meno pallida di te, di certo!" - rispose a tono, ignorando i crampi al ventre.

Con Ellie, saluto Dwight e poi si diresse verso Illugan. Aveva la morte nel cuore al pensiero della piccola Sarah ed era più che decisa a parlare con Ross di quella faccenda, a costo di litigarci! Doveva parlare con Dwight, quel testone di suo marito!

"Mamma, accio!" - la richiamò Ellie dopo un pò, facendole capire che era stanca di camminare.

Sbuffando, con la pancia che ormai faceva davvero male, prese la piccola e con lei, a piccoli passi, si diresse verso casa. Per un attimo si pentì di non aver accettato l'invito di Dwight ad accompagnarla in carrozza, ma poi ripensò a Caroline e a Sarah e decise che era meglio così!

Camminò, sentendo incredibilmente pesante Ellie. Non si sentiva per niente bene, accidenti! E a un certo punto una fitta potentissima le tolse quasi il fiato. Fu costretta a fermarsi e a mettere a terra la bambina, rannicchiandosi contro una pianta. Faceva male, era come se una forza misteriosa le stesse strappando i muscoli della pancia a morsi... Cercò di regolarizzare il respiro e di riacquistare la calma ma le mancava persino il respiro. Non si era mai sentita così...

"Mamma..." - mugugnò Ellie, spaventata.

Come tranquillizzarla? Era spaventata quanto sua figlia, erano in una strada di campagna isolata e se le fosse successo qualcosa di grave, che ne sarebbe stato di Ellie? "Tranquilla, ora mi passa...".

Ellie si mise a piangere, aggrappandosi a lei e Demelza fu costretta a stringere i denti per non urlare dal dolore. Forse era malata, forse si era fatta male da qualche parte e lo strapazzo di quella lunga camminata stava facendo il resto... Forse potevano essere mille cose ma l'unica certezza era che non poteva farci nulla. Era sola, sola con Ellie. E la sua più grande paura, da quando l'aveva messa al mondo, si stava avverando. Che ne sarebbe stato della sua bimba, se le fosse successo qualcosa?

Cercando di regolarizzare il suo respiro, si sedette più composta, appoggiando la schiena al tronco dell'albero a cui si era appoggiata. Poi attirò a se la bambina, stringendola a se. "Amore, va tutto bene".

"Pattato?".

"Un pochino è passato, sì". Trattenne le lacrime, non era tempo di piangere. E stranamente, in quel momento, l'unica cosa a cui riuscì a pensare era che voleva Ross. Lo voleva lì, vicino a lei, adesso! Irrazionalmente sapeva che, se l'avesse avuto vicino, lei sarebbe stata meglio. "Ross, amore mio dove sei?".

"Ross..." - ripeté Ellie.

Demelza la strinse a se, forte, inspirando il profumo dei suoi capelli. Cercò in lei la forza, Ellie era il suo amore come lo erano Ross e i loro figli. "Ross lo vedremo presto, sai?".

"Sì".

"Gli vuoi bene?" - le chiese, ripensando alle parole di Dwight.

"Tanto!" - rispose Ellie, sicura.

Questo la fece sorridere, nonostante tutto. Poco alla volta, seduta, le fitte si attenuarono e dopo un'ora, leggermente rinfrancata, a piccoli passi si diresse verso casa pregando di non essere malata. E che Ross venisse davvero presto, per lei.





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Capitolo 31
*** Capitolo trentuno ***


Negli ultimi giorni Ross aveva riflettuto a lungo, in silenzio, su come organizzare la sua partenza per Londra.

Le cose con Demelza andavano bene, la stagione si avviava al bello e anche se lei viveva in una casa piccola e isolata, non gli sembrava in fondo così assurdo lasciarle i bambini durante la sua assenza. Lei ne sarebbe stata contenta, loro pure, Etta ancor di più e lui si sarebbe mosso a Londra con più facilità, sbrigando il prima possibile le incombenze che lo attendevano.

Non aveva detto nulla a Clowance e Jeremy, però. Voleva prima parlarne con Demelza, verificare che fosse d'accordo e che potesse gestire la situazione con tre bambini piccoli e solo dopo dirlo ai suoi figli.

Quella mattina, col caldo sole di quell'inizio maggio insolitamente torrido, dopo aver sbrigato alcune faccende alla Wheal Grace, si diresse da lei ad Illugan. Da quando aveva fatto l'amore con lei, si trovava spesso a contare le ore e i minuti che lo separavano da un incontro con sua moglie, pur platonico, e le cose andavano bene. Erano rilassati insieme, sereni, tranquilli... E di questo ne godevano i bambini che, anche se vivevano separati, in un certo senso avevano ritrovato una famiglia unita.

A volte si chiedeva cosa pensasse Demelza di quell'attimo di amore rubato al caso e al destino, ma aveva quasi paura di chiederglielo, di illudersi e poi di stare male. Decise che gli bastava, per ora, vederla contenta. Sarebbe partito per Londra anche per rimettere a posto le sue idee, avrebbe dato a Demelza il tempo di fare altrettanto e poi forse, al ritorno...

Le sarebbe mancata tantissimo, già lo sapeva. E, anche se gli era ancora difficile da ammettere, gli sarebbe mancata anche la piccola peste di due anni che viveva con lei. Ellie, coi suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, che non dormiva senza Kiky – e a volte non dormiva nemmeno se lo aveva vicino – che giocava con le galline e i coniglietti di sua madre e che parlava in modo buffo, gli era entrata nel cuore più di quanto avrebbe mai immaginato. Si rese conto che, quando andava da Demelza, in fondo era anche per dare un occhio alla bimba e accertarsi che stesse bene e non avesse bisogno di qualcosa.

Giunse a casa di Demelza a mattinata inoltrata. Il cielo era azzurro e il torrente davanti casa era tornato placido e tranquillo, dopo le grandi piogge. La porta era aperta e intravide la piccola Ellie che, trotterellando avanti e indietro, portava delle briciole di pane a galline e conigli.

Appena lo vide, la bimba gli corse incontro. Aveva i capelli legati in due graziosi codini, i piedi scalzi e indossava unicamente una leggera sottoveste bianca. "Ross" – urlò, saltandogli in braccio.

"Ciao peste!" - esclamò lui, baciandola sulla fronte. "Dov'è la mamma?" - chiese, non notando la presenza di Demelza nei paraggi.

"A nanna".

Ross si accigliò. Demelza a letto? A quell'ora? Fu colto da una strana ansia, non era decisamente da lei... Mise a terra Ellie, la prese per mano e corse verso casa.

Quando vide Demelza, in un certo senso si tranquillizzò. Era a letto, coperta da uno scialle sulle spalle e pareva dormire profondamente, ma il suo colorito non era pallido e non sembrava malata.

"Mamma!" - la chiamò forte, Ellie.

Al suono squillante della sua voce, Demelza aprì gli occhi, stupendosi quasi di essersi addormentata. "Tesoro, ora mi alzo e...". Si bloccò, vedendo Ross accanto a lei, spalancando gli occhi. "Tu cosa ci fai qui?".

Ross le si sedette accanto sul letto, toccandole la fronte. "Stai male?".

Lei distolse lo sguardo. "Ecco... non proprio... Non preoccuparti".

Non preoccuparti? Accidenti a lei, viveva da sola in un posto isolato con una bambina di due anni e sì, se non stava bene lui si preoccupava eccome! "Demelza? Che c'è? Non è da te dormire a quest'ora".

"Mi sono solo appisolata un attimo, sono un pò stanca".

Non credette a mezza parola. "Cosa c'è?".

"Ross...".

"Demelza!". Si sarebbe imposto perché c'era qualcosa che non andava e conosceva sua moglie troppo bene per credere a quelle futili scuse.

Lei sospirò, mettendosi a sedere. Si massaggiò il ventre con aria sofferente ed Ellie si arrampicò sul letto per rannicchiarsi sulle sue gambe. "Ho dei crampi alla pancia da qualche giorno. Ieri erano insopportabili, oggi va un pò meglio ma mi fa male ancora".

Ross le sfiorò le guance, sollevandole il viso. Aveva appurato che era fresca e che non aveva la febbre e anche i suoi occhi non parevano quelli di una persona malata. "Hai mangiato qualcosa di strano?".

"No".

"Hai fatto qualcosa di particolarmente faticoso?".

"No... Solo una lunga passeggiata con Ellie, ieri, per andare da Dwight".

Ross sospirò, dandole un pizzicotto sulla guancia. Dwight viveva piuttosto lontano ma Demelza era sempre stata abile e svelta nel camminare e una passeggiata fino a casa sua non era poi molto per una come lei. Certo, c'era Ellie, quindi... "Hai tenuto tutto il tempo in braccio la bambina?".

"Per alcuni tratti".

Non sapeva se essere preoccupato o meno. Demelza era una donna forte e sana e probabilmente era un malessere passeggero, ma lui era in ansia lo stesso. "Lo hai detto a Dwght?".

"No".

"No? E allora perché diavolo sei andata fino a casa sua, ieri?" - sbottò, senza capirci nulla.

Demelza accarezzò i capelli di Ellie e la bimba rise, rotolandosi nel letto. "Non sono andata per questo, sono andata a trovare Caroline. Ha partorito pochi giorni fa, non te l'ha detto Prudie? Hanno avuto una bambina...".

"No, Prudie non mi ha detto niente". Ross distolse lo sguardo da lei. E così Dwight era diventato padre... Sentì una strana amarezza nel suo cuore, rendendosi conto che era davvero tanto tempo che lui e il suo migliore amico si erano persi di vista e che rabbia, rancore e orgoglio gli avevano impedito di stare accanto a una persona che, invece, lo aveva sempre sorretto nei suoi momenti più difficili. "Beh, sono felice per lui..." - disse, con sincerità. "Ma avresti dovuto dirgli comunque del tuo malessere".

Demelza impallidì. "Credo abbia ben altro in mente, che il mio mal di pancia".

Ross la guardò, spazientito. "Demelza, ha avuto un figlio, non è moribondo. Tu ne hai avuti quattro, ad esempio...".

Lei si appoggiò alla spalliera del letto. Sembrava triste più che felice, per quella lieta novella. "E' una bimba, Sarah. Bellissima come Caroline, sembra lei in miniatura. Ed è molto malata, Dwight dice che ha un problema al cuore e che vivrà per poco. Era disperato, ieri, quando me l'ha raccontato. Come potevo dirgli di me?".

Ross rimase a bocca aperta, senza parole. Santo cielo, Dwight e Caroline? Perdere un figlio, per un genitore, era la più atroce delle disgrazie, qualcosa che ti lacera il cuore e ti lascia una cicatrice perenne. E per un medico, doveva essere ancora più terribile. Sapere di aver salvato tante vite e non essere in grado di salvare una figlia, che incubo poteva essere? Sentì gli occhi pungergli, Dwight non lo meritava... "Mi dispiace".

Demelza gli prese la mano, stringendola fra le sue. "Mi avevi promesso che avresti pensato a come riconciliarti con lui".

"Ti avevo detto che ci avrei pensato".

Demelza lo guardò storto. "Ross, ti prego! Se c'è un buon momento per tornare amici, è questo! Chi c'era accanto a noi, quando Julia è morta? Chi ti è stato accanto mentre io stavo male? Chi ti ha salvato da quell'imboscata quando eri coi contrabbandieri, rischiando il carcere e l'amore per te?".

"Hai ragione" – ammise. Demelza aveva sempre ragione e in fondo la rabbia verso Dwight era passata da tanto. Era più una questione di orgoglio e imbarazzo quella ormai, per lui.

Demelza sorrise. "Parlerai con lui, allora?".

Ross le sfiorò il ventre, deciso sul da farsi. Beh, quale occasione migliore di questa, offerta dai crampi di Demelza? "Puoi scommetterci! Anzi, ci vado subito".

"Davvero?" - chiese lei, speranzosa.

Ross si alzò dal letto, rimettendosi il tricorno in testa. "Sì. E lo porto quì".

Demelza si alzò di scatto dal letto, a quelle parole. "No, non voglio! Lascialo a casa, con Caroline!".

Ross scosse la testa, ormai aveva deciso e nemmeno lei avrebbe potuto fargli cambiare idea. "Uscire un pò non gli farà male e fare insieme un tratto di strada, forse ci aiuterà a chiarirci. Un paio d'ore quì non peggioreranno la situazione e se per caso la bambina non stesse bene, mi direbbe di no. E io andrei a chiamare il dottor Choake".

Demelza impallidì. "No, non Choake! Non ce n'è bisogno".

Ross sbuffò, accarezzando la testolina di Ellie che, silenziosa, guardava senza dire nulla il loro strano battibecco. "Cura la mamma, mentre sono via, per favore. E accertati che non faccia capricci!".

"Sì, fascio io!".

Ross le sorrise, sapeva essere adorabile e aveva anche l'impressione che fosse più affidabile di come era stato suo padre quando, anni prima, gli aveva dato la stessa rassicurazione. "Brava". Diede una veloce occhiata a Demelza che lo guardava con sguardo che prometteva scintille ma non l'avrebbe avuta vinta questa volta. Voleva un medico, voleva sentire che lei stava bene e... voleva parlare con Dwight. Se gli amici veri non si vedevano nei momenti difficili, nonostante le liti, che amici erano?

E poi, che motivo c'era di essere ancora arrabbiato con lui? Aveva curato Demelza durante la gravidanza e di questo ora gli era grato. Aveva fatto nascere sana e vispa la piccola Ellie e sì, gli era grato anche per questo! "Torno subito, dico sul serio, sta a letto Demelza".

Il suo tono di voce era preoccupato e sua moglie dovette percepirlo. Si acquietò e sospirò, lasciandosi andare sui cuscini. "Va bene".

E a passo veloce, prima che lei cambiasse idea, uscì di casa e si diresse al suo cavallo.

Velocemente, in uno strano miscuglio di ansia e preoccupazione, raggiunse la grande dimora degli Enys. Era tanto che non ci veniva e l'ultima volta se n'era andato dopo aver rifilato un destro al padrone di casa.

Mentre si faceva annunciare dal maggiordomo, si chiese come sarebbe stato accolto. Dwight gli avrebbe restituito il colpo preso due anni prima? O sarebbe stato ragionevole, come era sempre stato nella sua natura?

Fu Dwight stesso a raggiungerlo al cancello, al posto del maggiordomo. Indossava una semplice camicia bianca e dei pantaloni di velluto azzurri e il suo viso era segnato da rughe di preoccupazione. Pareva stanco e sfiduciato, di colpo invecchiato. E provò infinito dispiacere per lui...

Dwight arrivò al cancello, l'espressione grave sul viso. "Ross, quando il mio maggiordomo ti ha annunciato, non potevo credere alle mie orecchie".

Sospirò, forse grato per quella reazione di circostanza. "Beh, se ti fa piacere fatico io stesso a credere di essere quì".

Senza troppi convenevoli, Dwight arrivò al punto. "Sei in cerca di un medico?".

"Sì".

Dwight deglutì. "I bambini stanno male?".

Quel modo di fare diretto, in un certo senso lo metteva a suo agio. Nascondersi dietro frasi di circostanza fra medico e paziente in fondo era facile, non ti faceva pensare ai problemi. "No, non i bambini. E' per Demelza".

Dwight si massaggiò la fronte. "L'ho vista ieri e mi era sembrata pallida, in effetti. Ma mi ha rassicurato che non c'era nulla di cui preoccuparsi".

Ross sbuffò. Accidenti a lei! "Demelza ha la testa dura come un mulo, dovresti saperlo".

"In questo siete del tutto identici" – ribatté Dwight, a tono. C'era amarezza in lui e una velata nota di rimprovero.

Ross si trovò costretto ad annuire. "Sì, in effetti è così! Spero che i nostri figli siano diversi ma temo che Clowance sarà anche peggio di noi, da grande".

Al sentir parlare della bambina, Dwight distolse lo sguardo da lui e Ross si sentì in colpa per aver menzionato sua figlia. "Scusa, non avrei dovuto parlare di Cl...".

"Che cos'ha, Demelza?" - chiese il medico, bloccandolo.

Sussultò al suono freddo della voce di Dwight, un qualcosa che non gli era mai appartenuto. "Forse nulla di grave davvero. Dei crampi, dice... Minimizza, ma era a letto e non è da lei!".

Dwight parve preoccupato quanto lui. "No, per niente. Dammi due minuti, prendo il cavallo e vengo con te a Illugan".

"Certo". Lo guardò allontanarsi, ma sentì il bisogno di richiamarlo. C'era qualcosa di sbagliato e sospeso in quella loro discussione dopo tanti anni di rancore e silenzio e omettere di parlarne non sarebbe servito a risolvere i problemi. "Dwight?".

"Cosa?".

"Mi dispiace... So di disturbarti in un momento difficile, Demelza mi ha parlato di...".

Lui lo bloccò. "Non voglio parlarne, ora! La mia bambina dorme tranquilla fra le braccia di sua madre, in questo momento. E questo mi basta!".

Ross sospirò. "Beh... So di non potermi definire un buon amico, ma sappi che se avrai bisogno di qualcosa...".

Dwight annuì, abbozzando un timido sorriso. "In fondo, chi lo dice cosa definisce una persona, un buon amico?".

Ross alzò le spalle. "Beh, dare pugni in faccia non è da amici".

Dwight ci pensò su un attimo. "Ma ricerverne, sì! A volte sono proprio gli amici, quelli che li prendono con piacere, i pugni, se sanno che possono aiutare chi li sferra a stare meglio. Non ti chiederò scusa per quello che ho fatto per Demelza allora, non lo farò perché dovrei essere pentito per farlo. E non lo sono! Lo rifarei ancora, se tornassi indietro, sappilo!".

"E io te ne sarei grato" – disse Ross, con un sospiro e con una sincerità disarmante. In fondo, che mondo sarebbe stato senza quella piccola peste di Ellie?

Dwight non disse nulla. Si voltò, si avviò verso le stalle e tornò alcuni minuti dopo in sella a un purosangue nero. "Andiamo!".

Ross annuì. "Credi che sia qualcosa di grave?".

"No, non credo. Ha la febbre?".

"No. E ha fatto il diavolo a quattro quando le ho detto che sarei venuto a chiamarti, non voleva che ti disturbassi proprio ora".

Dwight sorrise, in fondo conosceva bene Demelza quanto lui... "Come hai fatto a convincerla?".

"Le ho detto che se non voleva te, doveva beccarsi Choake. E davantia una minaccia seria, ha ceduto".

A quel punto, inaspettatamente, Dwight rise. "Buona a sapersi! Userò la stessa tattica coi miei pazienti poco collaborativi".

Ross annuì, rinfrancato di vederlo ridere. Avrebbe potuto scommettere che era molto che Dwight non lo faceva.


...


Demelza si rannicchiò sotto le coperte, mentre Dwight si lavava le mani. Ross era fuori ad intrattenere la piccola Eleanor e ne sentiva il vociare indistinto ma allegro. Ed era un bene perché il tipo di visita a cui l'aveva sottoposta Dwight, seguita a una lunga fila di domande che ben conosceva, non le prometteva nulla di buono.

Il medico le si avvicinò, sedendosi accanto a lei. "Tu ed io, tre anni fa circa, abbiamo già affrontato un discorso simile, ricordi?".

Si mise le mani sulle orecchie. No, non voleva sentire! Come allora, voleva far finta di nulla e immaginare che fosse solo un brutto sogno! Non poteva essere successo, non di nuovo, non per un paio di ore di passione rubate alla pioggia e alla solitudine. "Dwight...".

L'uomo le prese le mani, delicatamente, allontanadogliele dalle orecchie. "Demelza, sei una donna adulta e sei madre. Ti prego, dimmi che Ross c'entra con tutto questo".

"Giuda, sì! E non doveva succedere!".

"Siete sposati!" - ribatté Dwight – "E questo è il genere di cose che ci si auspica dalle coppie sposate".

Demelza lo guardò, con le guance rigate di lacrime. "Dwight, non posso essere incinta, non potremmo gestirla. Non ora, non così".

Dwight sospirò. "Demelza, è una bella cosa questa. Potrebbe essere un nuovo inizio per voi".

Non era d'accordo. Aveva paura, era terrorizzata e non si sentiva in forze per fare nulla e di certo non per avere un altro figlio. "Un nuovo inizio? O la fine della pace apparente che abbiamo faticosamente riconquistato?".

"Questo dipende da voi".

E a quel punto lo disse, disse quelle parole che mai avrebbe pensato di pronunciare. Nemmeno durante la gravidanza di Eleanor aveva creduto di arrivare a tanto, ma... "Non lo voglio un bambino, Dwight!" - gridò, quasi spaventandosi di se stessa.

"Sì che lo vuoi" – rispose il medico, in tono pacato – "Sei solo spaventata e ne hai mille ragioni. Ma saprai affrontarlo".

Demelza scosse la testa, come poteva non capire? C'erano anni di separazione, due vite ormai quasi estranee, due figli che si erano con fatica abituati a quella nuova realtà, c'era Elizabeth, c'era Eleanor... Come poteva anche solo pensare di averlo, questo figlio? "Dwight, posso chiederti una cosa?".

"Certo".

Demelza deglutì. "Quando aspettavo Eleanor, ti ricordi, mi parlasti di un modo per interrompere la gravidanza. Puoi ancora farlo?".

Dwight spalancò gli occhi con terrore, davanti a quella domanda. Le prese la mano, la strinse nella sua e la costrinse a guardarlo in viso. "Demelza, guardami".

"Rispondi!".

"Ora è l'amico che ti parla, non il medico. Quello che mi chiedi certo, posso farlo. Ma è pericoloso per la tua salute, sappi che non è una pratica esente da rischi... Se vorrai farlo, allora programmeremo la cosa, ma SOLO dopo che ti sarai calmata, ne avrai ragionato e parlato con Ross".

Demelza strinse il lenzuolo fra le mani. "Ross non è mai stato felice per nessuna delle mie gravidanze e di certo non lo sarà per questa".

"Ma glielo devi dire e ne devi discutere con lui" – rispose Dwight, secco. Le accarezzò i capelli, in modo dolce e affettuoso. "Demelza, ascolta! Io ti conosco e so che se farai una cosa simile, non te lo potresti mai perdonare, poi. Hai tenuto Eleanor e lo hai fatto in situazioni ben peggiori, hai combattuto per quella bimba come una leonessa e io so che sei pronta a fare altrettanto per questo nuovo figlio. Parla con Ross, aprigli il tuo cuore e digli di cosa hai paura. Magari scoprirai che temete le stesse cose e insieme saprete superarle... Non prendere decisioni affrettate, lascia al tuo cuore la facoltà di scegliere. E' del tuo bambino che parli, tuo e di Ross. E indipendentemente da tutto, sono convinto che è nato dall'amore, un amore più vero e profondo di quanto voi due vogliate ammettere".

Era bello sentire parlare Dwight, faceva apparire le cose meno terribili e quasi dolci. Avrebbe voluto abbandonarsi a lui come una bambina fiduciosa e credergli, ma la verità era che aveva paura sul serio. Ma il suo amico aveva ragione, non poteva scegliere da sola. "Potresti chiamare Ross?".

"Certo. Lo mando quì e resto io a dare un occhio ad Ellie, fuori. Solo Dio sa quanto abbia bisogno di sentir ridere una bambina".

Si sentì in colpa verso di lui. Dwight stava perdendo una figlia che amava e che aveva desiderato e lei stava compiendo la scelta di liberarsi di un figlio che aveva appena scoperto di avere dentro di se. "Dwight...".

"Non dire niente, vado a chiamare Ross. E' con lui che devi parlare. E se deciderete di tenere questo piccolo – cosa che mi auspico – devi metterti in testa che devi riposare molto. E' una gravidanza potenzialmente a rischio".

A quelle parole, nonostante le sue intenzioni, protettivamente Demelza si accarezzò il ventre. "Rischio?".

"Potresti perderlo, sei troppo stanca e provata. Quei crampi sono un sintomo di minaccia d'aborto".

Chiuse gli occhi. Aveva detto, pochi minuti prima, di non voler proseguire la gravidanza. Ma davanti alla possibilità di un aborto, tutto quello che voleva era proteggere quel piccolino dentro di lei. Era una contraddizione vivente, lo sapeva... Cosa voleva davvero? "Chiama Ross..." - disse ancora, abbandonandosi sul cuscino. Avrebbero scelto insieme, questa volta.

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Capitolo 32
*** Capitolo trentadue ***


Era circondato da conigli e galline ed Ellie aveva deciso di insegnargli il nome di ognuno di loro. Beh, forse era un ottimo modo per tenere la mente occupata mentre Dwight visitava Demelza, ma si sentiva ansioso lo stesso.

Seduto su un masso a fianco della casetta nel bosco, sentì il tocco di Ellie sul suo ginocchio. Aveva in braccio un coniglietto bianco e lo guardava, come in attesa.

"Ross?".

"Dimmi Eleanor".

"Chi è?" - chiese, porgendogli la bestiolina.

Chi era? Già, non lo ricordava proprio. "Timmy?" - chiese, titubante, sapendo già in partenza di aver sbagliato e che lei si sarebbe arrabbiata come una jena. Anche se era quasi sicuro che in mezzo a quella fattoria, un Timmy ci fosse...

Ellie gli mise il muso, fulminandolo con lo sguardo. "NOOOOOO! Pecché tu non mi scolti?" - lo rimproverò, picchiandogli la manina sulla gamba.

"E non lo ricordo! Sono vecchio, ho poca memoria, sìì comprensiva".

Ellie mise il coniglietto per terra, poi si portò le mani ai fianchi. "No vecchio! Non mi scolti e batta!".

A Ross venne da ridere, nonostante tutto. Santo cielo, quando si arrabbiava somigliava a Demelza, non se n'era mai accorto! "Va bene, hai ragione!" - disse, prendendola in braccio e mettendosela sulle ginocchia. "Come si chiama il coniglietto bianco? Giuro, non lo scordo più".

"Milk".

"Milk, perfetto! Per un coniglietto tutto bianco è il nome giusto".

"Sì" – asserì Ellie, tutta seria, come considerando la cosa con la serietà di un adulto. Poi rise, si arrampicò sul suo petto e gli diede un bacio sulla guancia. "Adescio ti imparo tutti gli altri!".

E in quel momento arrivò a salvarlo Dwight che, divertito, li guardò senza battere ciglio. "Se me lo avessero raccontato, non ci avrei creduto..." - esclamò osservando i due.

Nel vederlo, Ross tornò ad essere attanagliato dall'ansia. "Dwight, allora? E' qualcosa di grave".

Dwight ci pensò su un attimo. "Dipende da come si considera la faccenda" – disse, vago.

Ross deglutì. "E' malata?".

"No". Il medico gli si avvicinò, prendendo Ellie in braccio. "Va da lei, voi due dovete parlare".

L'ansia aumentò. "Dwight, devi dirmi qualcosa di grave?".

"Io no! E' con Demelza che devi parlare e vedi di dare il meglio di te, stavolta. C'è in gioco tutto il vostro futuro".

Quelle parole così definitive e solenni, erano difficili da identificare. Doveva saperne il significato e Dwight non sembrava disposto a dirgli di più. "Vado da lei. Tu...".

Dwight guardò Ellie che, annoiata, sgambettava per essere rimessa a terra per giocare coi suoi animali. "A lei ci penso io, va da Demelza".

Non se lo fece ripetere. Non sapeva bene cosa aspettarsi, gli andava bene qualsiasi cosa eccetto una: non doveva essere malata!

Quando entrò, la trovò seduta sul letto, appoggiata al cuscino con la schiena. Aveva indosso una camicia da notte bianca e aveva una coperta verde sulle gambe. I suoi occhi erano gonfi e lucidi, sembrava aver pianto... "Demelza?". Le si avvicinò col cuore in tumulto, sedendosi accanto a lei.

Sua moglie lo guardò per un istante in silenzio. Aveva un'espressione indecifrabile ma la conosceva abbastanza bene per percepire una sorta di rabbia repressa in lei. "Se tu a volte mi ascoltassi, Ross, ci eviteremmo tanti guai..." - disse solo, sotto voce.

Si grattò il mento. D'accordo, non ci stava ufficialmente capendo un accidenti! "Cosa c'è? Che ho sbagliato di nuovo?".

Demelza strinse la coperta fra le mani, rabbiosa. "Quel giorno, quando pioveva, in quel capanno... Lo sapevo che non dovevamo fare l'amore e accidenti a te che sei così convincente, alla fine ci sono caduta!".

Era sempre più perplesso e confuso. La pioggia? Il capanno? Fare l'amore insieme? Che diavolo c'entrava tutto questo con il suo malessere? "Demelza, mi dici cosa c'è? Che ti ha detto Dwight?". Se lei era seccata, lui cominciava ad esserlo altrettanto!

Lei prese un profondo respiro, come cercando coraggio. Poi disse le parole che mai lui avrebbe dimenticato. "Sono incinta".

Per un attimo, si sentì svenire. Aveva capito male, forse? Stava sognando? Non che non sapesse come si facevano i bambini, ma... Lei e lui... Loro... Un bambino LORO? Dopo tutto l'inferno che avevano vissuto, un bambino era riuscito ad insinuarsi nelle loro vite nell'unico istante di passione che si erano concessi? In mezzo a tumulti e guai che ancora non erano stati capaci di risolvere?

Deglutì, guardandola. Lei, il suo amore... Lei portava dentro di se un bambino... IL LORO BAMBINO! "Sei sicura?" - disse solo, quasi con la paura che fosse un sogno. Era stato felice quando gli aveva detto di aspettare Julia. Ma lo aveva vissuto con distacco con Jeremy e da lontano con Clowance... Ma ora, ora era tutto diverso. Ed era talmente contento che gli mancava quasi il fiato.

"Sì. O almeno, lo è Dwight" – rispose Demelza che, a quanto sembrava, non condivideva il suo entusiasmo. Ed era così inusuale quello stato dei fatti, il contrario di come era sempre stato.

"Demelza, ti rendi conto?" - disse, con la voce spezzata dall'emozione, prendendole il viso fra le mani. Sapeva che la razionalità avrebbe dovuto suggerirgli che non era il momento adatto, ma non gli andava proprio di essere razionale.

Gli occhi di sua moglie, arrossati e stanchi, esprimevano tutt'altri sentimenti. "Sì, mi rendo conto che è una cosa che non doveva succedere! Ross, noi non possiamo avere un bambino! Non ora, non così... Non può funzionare e io non ho la forza di imbarcarmi in una gravidanza! Non volevo una nuova gravidanza... non me la sento, mi dispiace".

Deglutì, mentre la gioia di poco prima cedeva il passo alla paura e alla preoccupazione per il significato di quelle parole. Certo, nessuno dei due aveva pensato a quell'epilogo tre settimane prima, quando si erano amati in quel capanno, e Demelza viveva già di per se una vita dura che si sarebbe ulteriormente complicata con un altro bambino. Ma non era sola, non più. E voleva che lo sapesse, che lo capisse! "So che sarà difficile, ma...".

Demelza chiuse gli occhi, sfiorandosi lievemente il ventre. C'era una grande battglia in corso, in lei, e sembrava sopraffatta dal dolore e dalla paura. "Io non lo voglio questo bambino. Considerami un mostro, una codarda, una pessima madre! Ma è così".

Non le credeva! Conosceva sua moglie e l'amore infinito che da sempre provava per i suoi bambini e Ross sapeva che, nonostante tutto, erano il dolore e la paura che parlavano in quel momento, non Demelza. "Non è vero, non ti credo. Dimmi cosa provi, cosa ti fa paura, parliamo!".

"Non ho niente da dirti! E Dwight dice che con un piccolo intervento si potrebbe mettere fine alla cosa".

La guardò con orrore! No, non le avrebbe permesso di fare una cosa simile! Sapeva a cosa alludeva Demelza e sapeva anche che era una cosa pericolosa! Molte donne morivano, dopo quello che lei aveva chiamato 'piccolo intervento' e non poteva nemmeno immaginare che sua moglie si sottoponesse a una cosa simile. Era una vera e propria violenza a se stessa quella a cui Demelza voleva sottoporsi e Ross la conosceva a sufficienza per sapere che poi non se lo sarebbe mai perdonato. Dovevano parlare, doveva rassicurarla, doveva impegnarsi perché si sentisse sicura e credesse in lui e nel suo amore per lei. No, non le avrebbe permesso di chiudersi in se stessa e di commettere quell'errore a cui non c'era strada di ritorno, c'era troppo in gioco ora. Ed era tempo di parlare. "Demelza, io non posso costringerti ad avere questo bambino, ovviamente. Ma sappi che, per quel che conta il mio parere, sono contrario a qualsiasi intervento proposto da Dwight. Non farlo, il rimorso ti divorerebbe per il resto della tua vita... Hai avuto Ellie, perché invece non vuoi dare una possibilità a questo nostro bambino?".

Lo sguardo di Demelza si riempì di sensi di colpa. "Di Ellie, sono madre. Posso dire lo stesso, di questo bambino?".

Spalancò gli occhi, non la stava capendo... "Certo che sei sua madre! Che diavolo dici?".

Demelza si morse il labbro, mentre le lacrime le rigavano il viso. "Quando? Nei momenti in cui torni in Cornovaglia? Dovrei portare a termine una gravidanza, sapendo che poi il mio bambino non lo vedrei quasi mai? Metterlo al mondo sapendo che sarà cresciuto da Prudie o da una bambinaia londinese di cui nemmeno ricordo il nome e che non ho mai visto? Viviamo separati e quando questo bambino nascerà, te lo porterai a Londra come gli altri e io lo vedrei ogni tanto... Cresciuto da altri... Mi dispiace, io non ce la faccio nemmeno a immaginarla, una cosa così".

Quelle parole ebbero l'effetto di uno schiaffo su di lui. Santo cielo, come poteva non averlo capito prima? Come aveva potuto essere tanto insensibile da essere felice per una gravidanza che per Demelza, allo stato attuale delle cose, avrebbe potuto significare un nuovo strappo nel suo cuore? Come poteva non aver capito quale fosse la sua più grande paura? Si rese conto che aveva ancora tanto da imparare, lui... "Demelza, io non ti porterei mai via questo bambino" – disse dolcemente, accarezzandole la guancia.

Lei lo guardò, scettica. "Lo avevi detto anche degli altri e io non li ho visti per due anni".

Già, come darle torto? Aveva portato a Londra, spinto dalla rabbia, Clowance e Jeremy per due lunghi anni. Lo aveva fatto per punirla! Lo aveva fatto nonostante sapesse che stava facendo del male ai suoi figli! Era passato tanto tempo da allora ma ciò che per lui era acqua passata, non lo poteva certo essere per lei che quella decisione l'aveva vissuta e subita. "Non potrei mai farlo, non di nuovo! Demelza, io non ti porterò via i bambini, non lo farò mai più".

"Ma se è quello che farai fra qualche settimana..." - rispose lei, in tono stanco.

Già, di lì a 14 giorni, sarebbe dovuto partire per una sessione parlamentare a Londra e si sarebbe dovuto portar dietro Jeremy e Clowance. In realtà li portava con lui per non dare a Demelza ulteriori incombenze, ma si rese conto che invece quella era una situazione fonte di grandi sofferenze per lei. "Io non vado a Londra".

"Cosa?".

"Non ci vado, mi hai sentito benissimo! Non parto, non lascio la Cornovaglia con te incinta".

Demelza si tirò su dal cuscino, guardandolo come se fosse impazzito. "Ross, stai scherzando?".

"No". Lo aveva deciso quasi all'istante. Nella sua vita e nel suo matrimonio aveva permesso che tante cose arrivassero prima della sua famiglia, ma ora aveva imparato e capito e tutto quello che voleva era mettere Demelza al primo posto. "Mia moglie aspetta un bambino e io voglio starle accanto. Il resto per me non ha importanza".

Demelza rimase senza parole. Gli sfiorò la mano, delicatamente, accarezzandogli le dita. "Ross, il tuo lavoro in Parlamento a Londra, è importante per molte persone".

"Il mondo può benissimo fare a meno di me".

"Vuoi lasciare il tuo incarico? Giuda Ross, sei impazzito?".

Sorrise. In quel momento Demelza sembrava aver ritrovato un pò della sua grinta. La adorava quando si arrabbiava e gli teneva testa... "Non ho detto questo! Ho detto che ORA il mio posto è quì. Ora sei tu la cosa importante e non permetterò, come in passato, che qualcosa mi allontani da te. Dagli errori si impara, Demelza... E le persone intelligenti che imparano, si impegnano a non ricommetterli gli errori. Non dico che in futuro non sbaglierò e non ti farò arrabbiare, questo no! Ma prometto che sarò un uomo sicuramente migliore di quello che sono stato fin ora". Sospirò, appoggiandosi sul cuscino accanto a lei. "Tornerò a Londra e ci torneranno anche i bambini... Ci torneranno quando tu vorrai venire con noi. Ci andremo tutti insieme, sono sicuro che ti piacerebbe tanto! Ma fino ad allora, finché non potrai viaggiare, non li porterò più via da te. So che forse non merito di essere creduto, ma non sto scherzando. Sono sincero e vorrei che mi credessi".

Demelza sospirò. "Ross, non essere avventato. Lord Falmouth si infurierà se salti la sessione parlamentare e resti qui".

"Al diavolo Lord Falmouth, Demelza!".

Lei lo guardò come se fosse impazzito. Come se vedesse un altro uomo e non il marito che fino a quel momento aveva conosciuto... "Ross, lascerai campo libero a George?".

"Per un pò lo farò divertire...".

Demelza gli prese la mano e la sua stretta su di lui si fece decisa. "Ross, io ti credo e so che ce la stai mettendo tutta. Ma come potrebbe funzionare? Viviamo separati da anni e il nostro matrimonio, nonostante i nostri figli, non ha mai funzionato. Come potrebbero cambiare le cose, adesso? Come potrebbe andar bene? Io ho Eleanor a cui pensare e lei non fa parte della nostra famiglia. Non posso far finta di nulla e lasciare che lei si senta un'estranea quando siamo tutti insieme. E poi fra noi esiste ed è sempre esistita Elizabeth... E il tuo cuore appartiene a lei da... da quando ti conosco!".

Ross si morse il labbro. Se Demelza aveva citato Elizabeth, doveva cogliere la palla al balzo. E parlarle anche di Ellie e di come sistemare le cose con lei. Sapeva che non voleva affrontare certi argomenti, ma averla assecondata col silenzio, non era stata una mossa saggia da parte sua. E Demelza aveva continuato a credere in un qualcosa di inesistente che la faceva star male. "Ascolta, noi dobbiamo parlare di Elizabeth! E pure della piccoletta la fuori".

"No, non voglio!".

Era cocciuta, ma stavolta l'avrebbe costretta ad ascoltare. "Non vuoi farlo nemmeno per il bene del nostro bambino?".

"Ross, sei sleale...".

Al diavolo, c'era in ballo la vita del loro bimbo e sì, sarebbe stato anche sleale per il suo bene. Per il loro bene! "Demelza, ti prego, ascoltami...".

Di tutta risposta lei si stese nel letto, voltandogli le spalle e mettendosi le mani sulle orecchie. "No".

Ross sbuffò. Si stese accanto a lei, le cinse la vita e la attirò a se in modo che la sua schiena fosse contro al suo petto. Affondò il viso fra i suoi capelli rossi ispirandone il profumo e poi, con un movimento delicato, gli tolse la mano dall'orecchio. "Mi sto chiedendo chi sia più infantile fra te e il bambino che aspetti" – disse, in tono leggero.

Lei non rispose ma la sentì singhiozzare.

Sua moglie si sentiva in trappola e sapeva che per Demelza doveva essere un momento terribile. "Senti, vuoi saperla o no la verità?".

"Non voglio sapere niente" – rispose lei, in un soffio.

"E io te la dirò lo stesso, sai che sono testardo!" - sussurrò, baciandole la nuca. "Ti ho sposata che non ti amavo. Lo ammetto e tu sai che era così, a quel tempo. Ma poi mi sono innamorato di te e non ho mai smesso di esserlo, da allora, da quel Natale in cui hai cantato per me a Trenwith. E forse anche da prima, da quel pomeriggio dopo la pesca delle sardine, quando ce ne siamo tornati a casa insieme, mano nella mano. Hai ragione, per molto tempo Elizabeth è stata nel mio cuore. Hai ragione, per tanto tempo io ti ho trascurata e ho pensato prima a lei che a te... Ed è anche vero che dopo la morte di Francis, lei era tornata al centro dei miei pensieri come un'ossessione da cui non ci si può liberare. So di averti tradita e ferita in quella notte maledetta, so che ti ho fatto del male e che ho distrutto tutto. Ma so anche che forse, se non fossi andato da Elizabeth, quell'ossessione per lei non sarebbe mai finita". Aspettò un cenno da lei, una parola, ma Demelza rimase zitta e ferma, fra le sue braccia. Proseguì... "Quello che è successo da quella notte però, non è stata una menzogna, Demelza. So di essere stato un marito assente e poco attento ma non ti ho mai mentito. Quando ti ho detto che il mio amore eri tu, ero sincero. E lo sono sempre stato e a quelle parole sono stato fedele nei pensieri e nei gesti... Ho sbagliato a tenerti fuori da tante decisioni della mia vita, a darti per scontata e a stare lontano a lungo, soprattutto quando eri incinta di Clowance. Ho sbagliato a non vedere, a non capire quanto profonde fossero le ferite che ti avevo inferto. Eri la mia certezza e stupidamente pensavo che sarebbe sempre stato così e che nulla sarebbe cambiato. Eri la mia forza perché ti vedevo sempre forte e pensavo che non avessi bisogno di me perché sei diversa dalle altre lady, tu non dipendi da un uomo! Tu sai cavartela da sola ma ho imparato che non è questo quello che conta in amore! Ora so che l'amore va alimentato e vissuto, so che ci vogliono umiltà e sincerità, so che si deve rimanere accanto a chi si ama nel bene e nel male, anche quando hai una donna forte come te, accanto. Io non ho una relazione con Elizabeth, mai ne ho voluta una né mai l'ho sognata dopo essermi innamorato di te. Dopo quella notte, io non l'ho vista per anni, eccetto quell'incontro fortuito al cimitero, sulla tomba di Agatha. Ho parlato con lei, glielo dovevo, Demelza! Quella notte maledetta ho ferito te ma ho ferito anche lei. Ed Elizabeth probabilmente è rimasta sola ad affrontare le conseguenze della mia follia. Valentine io l'ho visto solo poche volte, per caso. Se sia mio o no, non lo so. Ma so che non lo sento mio, qualsiasi sangue abbia nelle vene, è di George! Così come, allo stesso modo, tu senti solo tua Ellie! Quel giorno, al cimitero, ho baciato Elizabeth come si bacia una persona che è stata importante e a cui si sta dicendo addio. L'ho baciata non per amore, ma per chiederle scusa e per augurarle buona fortuna per la vita che l'attendeva e di cui non avrei fatto parte. So che avrei dovuto parlartene, soprattutto in un momento dove Armitage attentava al nostro matrimonio. Non l'ho fatto per paura di peggiorare le cose fra noi, per paura di ferirti e perché pensavo che in fondo non fosse importante perché per me Elizabeth era un capitolo chiuso. So che forse non puoi credermi, so che magari adesso non è nemmeno più importante per te... Ma la storia è davvero tutta qui".

Demelza rimase immobile per lunghi istanti ed era impossibile capire cosa stesse pensando. Poi... "E da quel bacio al cimitero... non hai mai più pensato a lei?".

"Avevo altro a cui pensare, Demelza, da quel giorno! Tu te ne sei andata poco dopo".

Finalmente, lei si voltò per guardarlo in viso. Scivolò fra le sue braccia e i loro sguardi si incontrarono. "Vorrei crederti ma ho paura di farlo".

Ross scosse la testa, stringendola a se. "Lo so, ora dipende da te. Io ti ho detto la verità e non posso confessarti cose che non ho fatto".

"Crederti è difficile, adesso..." - disse lei, tristemente.

Annuì. "Lo so. Così come è stato difficile per me credere che non amassi Hugh Armitage. Ma ti ho creduto perché so chi sei e so che non avresti potuto mentirmi su una cosa così importante. E' una questione di fiducia, Demelza, e ora sta a te decidere se accordarmela o meno".

Finalmente, sul viso di sua moglie comparve l'accenno di un sorriso. "Io non ho amato Hugh Armitage ma per lui provavo affetto. E questo ti provocherà sempre dolore, ogni volta che ci penserai... Lo stesso dolore che provoca in me il pensiero di Elizabeth".

Annuì, lei aveva ragione. "Certo! Ma non potremmo voltare pagina e proseguire con le nostre vite senza pensare al passato? Io sarei felice di farlo, Demelza. Se potessi tornare indietro – ma non si può – agirei in maniera diversa verso Hugh".

"Come?" - chiese lei, curiosa.

"Lo terrei lontano, lotterei per te, per il tuo amore e farei in modo che tu non senta il bisogno di guardare altrove per trovare ciò che ti manca in me".

Demelza sospirò. "Io non ho mai guardato altrove...".

Ross annuì. "Ma in un certo senso, Hugh è arrivato al tuo cuore, approfittando delle mie mancanze... Non avrei dovuto sottovalutarlo".

Demelza sorrise di nuovo, un sorriso più disteso questa volta. "Mi sarebbe piaciuto, sai?".

"Cosa?".

"Vederti lottare per me".

Anche lui sorrise. "Non aspettarti che io scriva poesie o ballate per te, non ne sono capace. Queste erano cose in cui era bravo Armitage e se le cerchi da me, rimarrai delusa. Ma saprei lottare per te, stanne certa".

La mano di Demelza strinse la sua, le loro dita si intrecciarono. "Non credo che vorrei sentirti cantare o recitare poesie, Ross. Io non ti vorrei diverso da come sei".

La baciò sulla fronte. "Nemmeno io ti vorrei diversa da come sei".

"Anche se aspetto un bambino?".

"Soprattutto perché aspetti un bambino!".

Demelza sospirò, accarezzandosi il ventre ancora piatto. "Quando ho messo al mondo Eleanor, sapevo che questo mi avrebbe sempre tenuta lontana da te. L'ho accettato e ora non saprei come fare a...". Picchiò la mano sul materasso, trattenendo a stento le lacrime. "Ross, Valentine potrebbe essere tuo ma non vive quì, non vive con noi! Eleanor sì e lei per me non è un'opzione a cui potrei rinunciare. Come potremmo ricostruire la nostra famiglia quando il peso dei nostri errori sarà per sempre davanti ai nostri occhi? Come potremo tornare ad essere quelli di prima?".

Ross scosse la testa. "Non torneremo quelli di prima. Ma forse potremmo essere meglio. E per quanto riguarda Ellie...".

"Sì?".

Ripensò ai primi tempi a Londra, con Jeremy e Clowance ancora piccoli e Hugh ancora vivo, accanto a Demelza. "Sai, quando mi sono trasferito nella capitale coi nostri bimbi... Quando Ellie non era ancora nata e Armitage era ancora vivo... Un giorno ero coi bambini in centro, in una pasticceria. Gli avevo fatto mangiare il gelato e Clowance mi aveva fatto la pipì sui pantaloni perché mi ero dimenticato di metterle il pannolino... Giravo come un idiota per Londra alla ricerca di un bagno, con Jeremy che rideva, Clowance che urlava 'pipì' e i pantaloni bagnati, chiedendomi come avrei fatto senza di te a gestire tutto questo. E a un certo punto ho guardato il cielo. Non lo faccio spesso, difficilmente prego ma quel giorno l'ho fatto e ho chiesto a Dio di riportarti da me. Non mi importava quanto sarebbe costato, cosa avrei dovuto sopportare! Gli giurai che avrei superato ogni prova che mi avrebbe voluto mettere davanti".

Demelza lo guardò senza capire dove volesse andare a parare. "E quindi?".

Ross sorrise, accarezzandole i capelli. "E quindi, se la prova che Dio ha deciso di mettere sulla mia strada è una bambina bellissima, dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, allora sono un uomo sfacciatamente fortunato. Eleanor è una bambina adorabile che fortunatamente non ha preso nulla dal lato paterno, eccetto forse il colore dei capelli... Per il resto è tua, decisamente tua! E a me va bene così... Non posso dirti che sento per lei quello che sento per i miei figli, ma posso giurarti che arriverò a quel punto, se mi darai tempo di conoscerla e stare con lei. Ho bisogno di viverla, Ellie. Ho bisogno che mi diventi impossibile stare lontano da lei, come mi risulta impossibile stare lontano da te".

Demelza trattenne il fiato, mentre pronunciava quelle parole. Sorrise tristemente, poi scosse la testa e abbassò il viso. "Ross, non posso chiederti di fare una cosa simile. Non è giusto, non è giusto per te. Non posso permetterti di prendere una responsabilità del genere e... e non voglio che tu ti senta forzato a fare un passo che, una volta compiuto, non ha strada di ritorno".

Cercò di tranquillizzarla subito, su quel fronte. Da sempre Demelza non aveva voluto gravare su di lui per Ellie ma ora voleva che capisse che per lui non sarebbe stato un peso farlo. "Non lo faccio per avere te come premio, in cambio. Lo faccio perché... perché voglio farlo! Ovvio, sei liberissima di dirmi no, Ellie è tua figlia e tu sai decidere da sola al meglio per lei e se ritieni che io non...".

Demelza lo bloccò, sfiorandogli le mani. "Ross, non potrei desiderare un padre migliore di te pei lei, ma... ma sei davvero sicuro di sentirtela?".

"Sì, non te ne parlerei se non lo fossi. E tu, vorresti condividerla con me?".

Demelza sospirò. "Certo, non è questo il problema!".

Ross sorrise. "E allora non lo sarà nemmeno per me. Lasciami del tempo, permettimi di conoscerla davvero e io la amerò come se fosse mia. Sarà mia. Mia e tua, nostra... E' tua figlia e questo mi basta, è la sorella di Clowance e Jeremy e lo sarà anche di questo bambino, se deciderai di tenerlo".

Demelza lo guardò storto. "Avevi detto che non volevi che i nostri figli la considerassero una sorella".

Lui alzò le spalle con noncuranza. "Ho detto tante cose stupide, non dovresti darmi sempre retta". Le prese la mano, se la portò alle labbra e la baciò. "Voglio Ellie, esattamente come voglio questo bambino".

Inaspettatamente commossa, Demelza lo abbracciò. "Dannazione Ross, tu lo vuoi davvero questo figlio! E sei contento! Non lo sei mai stato durante le mie precedenti gravidanze e ora, proprio ora che...".

La baciò sulle labbra, non poté farne a meno. "Sì, sono contento. E per una volta vorrei esserlo insieme a te".

"Dwight dice che potrei perderlo, la gravidanza non è partita molto bene. Non affezionarti all'idea".

La abbracciò di nuovo, voleva solo infonderle sicurezza e forza. "Andrà bene, ci prenderemo noi cura di te. Hai un marito e tre aspiranti fratelli maggiori, ti tratteremo da regina e saremo a tua completa disposizione per ogni cosa. Tu devi solo riposare e stare tranquilla, senza pensare a niente. Sarà diverso dall'altra volta, non sarai più sola".

E a quelle parole, finalmente, con un gesto dolce e delicato Demelza si accarezzò il ventre, chiudendo gli occhi come ad assaporare la magia di quel momento. "Avere questo bimbo sarà la cosa più folle della nostra vita".

"Lo so".

Demelza sospirò. "Non me la sento di tornare a Nampara, non ancora però. Quì mi sento sicura".

La capiva, era normale che in quella casa si sentisse più a suo agio e al sicuro. Non c'era fretta e non gliene avrebbe messa. "D'accordo. E allora staremo quì tutti insieme, se questo ti rende tranquilla. Ci vuoi quì, ad invaderti tutta la casa?".

Demelza rise, lasciandosi andare contro il cuscino. "E tu... voi... vi adatterete a una casa tanto piccola?".

"Sì". Si chinò su di lei, questa volta con espressione seria. "Forse è la scelta giusta. Sarà come ricominciare da capo, come un reinserirci l'uno nella vita dell'altro senza la casa che per noi è anche fonte di ricordi dolorosi. Potrò conoscere Ellie nel luogo dove è cresciuta, prendermi cura di lei con te... Potrò ricominciare in modo nuovo la nostra vita insieme, magari potrei anche provare a corteggiarti".

Questo la fece ridere. "Ross, vivremmo in casa minuscola e piena di bambini. Come pensi di trovare il modo di corteggiarmi?".

Rispose al sorriso. "Ci aspettano quattro mesi estivi in cui i bambini saranno perennemente fuori a giocare. Avremo tempo di stare da soli".

"Va bene" – disse lei, in tono stranamente arrendevole. Era strano vederla tanto indifesa... Sembrava serena in quel momento, ma infinitamente stanca.

"Stai bene? Hai ancora i crampi?".

"No, ora va meglio. Dwight mi ha dato un calmante, prima. Mi sembra di aver bevuto un'intera botte di vino e il nostro povero bambino sarà ubriaco quanto me, in questo momento".

La adorava. La sua voce, quel modo dolce di parlare del loro bambino che finalmente sembrava vivere con serenità e non più con paura, quella complicità così profonda che pensava di aver perso e che stava riaffiorando pian piano. "Riesci a credere che ti amo?".

"Sì Ross, riesco a crederlo adesso".

"E riesci a credere che mi sei mancata da morire e che senza di te non ho vissuto?".

"Sì, lo credo Ross. Perché per me è stata la stessa cosa".

"Posso baciarti?".

Demelza annuì e senza che dicesse niente, si chinò su di lei, dandole un lungo e gentile bacio sulle labbra. Le sfiorò il ventre dove cresceva il loro bambino e le loro dita si intrecciarono in una stretta forte.

"Ross?".

"Sì".

"Ellie... E' fuori con Dwight e Dwight dovrebbe correre a casa da Caroline e dalla sua bambina. Non possiamo trattenerlo quì, non abbiamo più bisogno di lui, per oggi".

Sospirando per quella forzata interruzione, Ross si alzò dal letto, accarezzandole la guancia. "Ora vado, hai ragione. Tu cerca di dormire un pò, hai bisogno di riposare".

"Va bene! Farai pace con lui, vero?".

Ross alzò gli occhi al cielo, fingendosi scocciato da quella domanda. "Mi stai chiedendo troppe cose oggi! Come minimo, in cambio, dovresti darmi due gemelli".

Demelza lo guardò storto, fulminandolo con lo sguardo. "Ross!".

Bene, il suo sguardo prometteva scintille e questo era un buon segno. Era pronta a lottare, ora... E il suo carattere forte era pronto a riesplodere e a travolgerlo. "Ok, hai ragione. Vado a riprendere la bambina. E poi, mentre dormi, vado con lei a fare due commissioni. Te la senti di stare quì da sola un paio d'ore?".

Demelza parve entrare in ansia. "Dove vuoi portarla? Che devi fare?".

Le strizzò l'occhio. "E' una sorpresa!". E con la sua migliore espressione da malandrino, senza aggiungere altro, uscì dalla porta.

Dwight giocava con Ellie e gli animali sull'aia e sembrava incredibilmente a suo agio con la bimba. Appena lo vide, gli andò incontro. "E allora Ross, devo farti le mie congratulazioni o devo prepararmi a svolgere un lavoro ingrato?".

Ross sorrise, prendendogli la mano e stringendola con vigore. "Credo che potremmo fumarci un sigaro insieme".

Dwight annuì, sinceramente felice per lui. "Sono davvero contento, tu e Demelza ve lo meritate. E' un dono dal cielo, ne sono sicuro. Stalle vicino Ross, amala e fa che per lei siano mesi magici e pieni d'amore. Ne ha bisogno".

"Lo farò, stanne certo! Non chiedo altro che farlo". Ross per un attimo si sentì in imbarazzo per la sua felicità e per quella nuova occasione che la vita gli stava offrendo, però... Lui stava per diventare padre e Dwight invece...

Ma il medico, percependo il suo stato d'animo, lo bloccò subito. "Ciò che mi sta succedendo con Sarah non vuol dire che non possa essere felice per te. Ti auguro ogni bene, Ross".

Deglutì. "Io e Demelza possiamo contare su di te?".

"Come medico o come amico?".

Ross sorrise, arrossendo lievemente. "Entrambe le cose. Vorrei che seguissi Demelza come hai fatto per Ellie".

Sentendo il suo nome, la bimba lasciò i coniglietti con cui stava giocando, correndo da loro. Si aggrappò ai pantaloni di Ross e si fece prendere in braccio. "E il pancino di mamma?".

"Sta meglio" – rispose Ross, rimettendola a terra e prendendola per mano.

La bimba sorrise contenta, poi corse a giocare di nuovo coi conigli.

Dwight la guardò con fare assorto. "Ho sempre pensato che fosse una bambina un pò speciale, sai?".

Ross lo guardò, incuriosito. "E' una bambina, solo una bambina. E sono felice di vederla come tale e basta...".

Dwight annuì. "Ha salvato la vita di Demelza. Aveva perso tutto ed Eleanor è stata la sua ragione di vita. Non oso nemmeno pensare a cosa ne sarebbe stato di lei, senza questa bimba".

Quelle parole accesero in lui una strana ansia al pensiero di quanto sua moglie avesse sofferto quando se n'era andato con i loro figli a Londra. "Già, per fortuna c'era lei. E' una bimba così bella e simpatica".

"E sensibile! Ross, prendersi cura di Ellie è una cosa seria, amala e non farle del male. Non permettere che si affezioni a te, se non sei sicuro di volerla".

Ross scosse la testa. Le nubi che annebbiavano la sua mente quando pensava a Ellie si stavano diradando fino a sparire e sapeva cosa voleva, adesso. "Fa parte della mia vita e della mia famiglia e senza di lei... credo che il mio mondo sarebbe un posto molto più noioso".

"Dovrai proteggerla, forse" – asserì Dwight.

Ross spalancò gli occhi. "Proteggerla?".

Dwight divenne improvvisamente serio. "Discende dai Boscawen e anche se Hugh non sapeva di essere in procinto di diventare padre e non l'ha mai riconosciuta, sua madre, la nonna di Ellie, sa la verità. E' un clan potente che, per il suo buon nome e per evitare scandali, potrebbe fare pressioni per allontanare la bambina da voi e farla sparire in qualche orfanotrofio. Non lo hanno mai fatto fin'ora, per fortuna. Ma non è detto che non succeda".

Ross lo bloccò, osservando di sottecchi che la bimba non li sentisse. "Demelza non l'avrebbe mai permesso né mai lo permetterà".

Dwight scosse la testa. "Ross, Demelza contro i Boscawen non avrebbe potuto fare nulla da sola. Gliel'avrebbero portata via, se lo avessero ritenuto necessario".

Si incupì. "Perché mi dici queste cose?".

"Perché quando eravamo a Londra, Caroline mi ha detto di aver sentito delle voci messe in giro da George Warleggan su di te e sulla bambina. Deve avervi incontrati quì da queste parti qualche mese fa e ha fatto delle ricerche. Se quelle voci che mette in giro arrivassero alle orecchie di Lord Falmouth...".

Lo sguardo di Ross divenne deciso, furioso. E capì che era pronto ad essere il padre di Ellie perché sentì la voglia incontrollabile di proteggerla da tutto e tutti. "Non permetterò che la sfiorino con un dito. Ha il cognome di Demelza, per adesso. E niente la collega ai Boscawen".

"Basta un sospetto, per far scoppiare uno scandalo. E su un sospetto, possono rovinarvi la vita".

Ross scosse la testa. "La proteggerò, non permetterò che la portino via e che le facciano del male. Non dire niente a Demelza di questa cosa però, per favore".

Dwight sorrise. "Certo, sta tranquillo. Rimarrà fra noi, lei non deve agitarsi anche perché forse non ce n'è motivo".

Ross gli strinse nuovamente la mano, annuendo. E pieno di gioia per un nuovo figlio in arrivo e di timori per una bambina che sentiva già sua, decise che era giunto il momento di iniziare a lottare davvero per la felicità della sua famiglia.

Lo aveva promesso a Demelza e stavolta avrebbe mantenuto la parola data.




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Capitolo 33
*** Capitolo trentatre ***


Ross aveva ben chiaro cosa fare nel resto di quella importantissima giornata. Sarebbe andato a Nampara con Ellie a prendere Clowance e Jeremy, li avrebbe portati a Illugan dalla loro mamma e avrebbero riniziato da quello stesso pomeriggio la loro vita insieme. Avrebbero detto ai bambini del fratellino in arrivo e lo avrebbero aspettato come una vera famiglia.

Era la prima volta che Ellie si allontanava con lui da Demelza e la bimba sembrava un pò recalcitrante sulle prime. Ma la presenza di Dwight, che avrebbe fatto il primo tratto di strada con loro, in qualche modo la tranquillizzò. Per un attimo se ne stupì, ma poi considerò che in effetti Ellie conosceva bene Dwight e che lei e Demelza lo frequentavano piuttosto assiduamente da quando la piccola era venuta al mondo.

Si fermò a pensare a quanto poco conoscesse quella bambina e a come avrebbe dovuto impegnarsi per capirla e riuscire a starle accanto come un padre. Pian piano, poco alla volta, doveva farcela! E si rese conto che non aveva paura ma anzi, era un suo desiderio...

Proteggerla e amarla...

Hugh Armitage era davvero diventato un fantasma lontano per lui, come lo era da tempo per Demelza...

Aveva vinto la sua battaglia!

Prese Ellie in braccio e fece per metterla sul cavallo, ma la bimba piagnucolò. "No, io palura".

Ross alzò gli occhi al cielo, aveva dimenticato la sua avversione per i cavalli. "Ma sei già venuta con me, non ricordi? Quando pioveva tanto".

Ellie si imbronciò. "Sì, pelò c'era mamma. Vojo la mamma".

Ross diede una rapida occhiata a Dwight e il medico si affrettò a dargli una mano. "Mamma deve riposare, così le passerà il mal di pancia mentre siamo via. Tornerai quì fra poche ore con Jeremy e Clowance e starete tutti insieme".

Ellie lo osservò. Sembrava sospettosa e il cavallo non rientrava fra le concessioni che intendeva fare in quella giornata. "C'ho palura" – ripeté di nuovo, singhiozzando.

Ross si inginocchiò accanto a lei, accarezzandole la testolina. "Va bene, faremo una passeggiata a piedi". Decise di assecondarla, tanto il tratto di strada sarebbe stato lungo e prima o poi, vinta dalla stanchezza, avrebbe chiesto lei stessa di salire in sella.

Dwight ridacchiò. "Il coraggio non è una delle sue virtù".

Dovette annuire. Ellie era bellissima, simpatica, buffa e sveglia. Ma coraggiosa, proprio no!

Si incamminarono verso il sentiero principale, con la bimba che correva e saltellava allegra davanti a loro canticchiando delle canzoncine che doveva averle insegnato sua madre.

Ross era felice, anche se vagamente in ansia sia per Demelza che per quanto gli aveva detto Dwight circa le voci che circolavano su Ellie. A lui non importava essere al centro di chiacchiere e scandali, la vita gli aveva insegnato che il pettegolezzo è qualcosa di molto leggero come una foglia che il vento porta via, quando trova altre foglie da sollevare per aria al suo posto. Ma non era tanto ingenuo da pensare che tutto si sarebbe risolto senza inconvenienti, soprattutto perché conosceva George e sapeva che, in certi ambienti, una notizia come la paternità di Ellie poteva fare da detonatore per grossi guai.

E il casato dei Boscawen, di cui Hugh Armitage faceva parte, non l'avrebbe permesso.

Doveva muoversi con cautela già dalle prime avvisaglie, se avesse captato dei guai. Senza coinvolgere Demelza. Era troppo debole e debilitata e nelle sue condizioni, non aveva bisogno di ulteriori preoccupazioni. "Dwight, credi che andrà tutto bene? La gravidanza, intendo".

Il medico, che camminava accanto a lui, sospirò. "Demelza non era molto felice, sulle prime, quando le ho detto la mia diagnosi. E' comprensibile, Ross...".

Lui annuì, sorridendo tristemente. "E' la prima volta che reagisce così. Di solito sono io quello che non la prende bene, quando sta per arrivare un nuovo bambino".

Dwight sorrise, sfiorandogli il braccio. "Ross, Demelza ama questo vostro nuovo bambino. Ma è consapevole della vostra situazione ancora precaria e soprattutto non aveva in programma una gravidanza. E' successo tutto inaspettatamente e non era pronta. Inoltre, credo che l'esperienza della gravidanza di Eleanor l'abbia segnata profondamente ed è terrorizzata davanti all'eventualità di rivivere qualcosa di simile".

Ross si incupì. In effetti Dwight, il giorno in cui avevano litigato e lo aveva preso a pugni, gli aveva accennato alle difficoltà incontrate durante la gravidanza di Ellie da Demelza, ma non aveva mai indagato più a fondo su quanto successo. "Quali problemi aveva avuto, allora?".

"Perché me lo chiedi?".

"Perché vorrei fare in modo di evitarli adesso".

Dwight osservò la piccola Ellie, a qualche metro di distanza da loro. "Emotivamente, era a pezzi. Era sola, pensava che tutto il suo matrimonio fosse stata una farsa, aveva perso i suoi due bambini e la malattia di Hugh le ha dato il colpo di grazia. Era affezionata a lui, era l'unica persona che avesse vicino in quel momento di disperazione profonda. Gli è stata accanto fino alla fine, anche a discapito di se stessa, e si è talmente trascurata che questo ha influito sulla gravidanza. Onestamente, ero molto dubbioso sul fatto che riuscisse a portarla a termine. Mangiava pochissimo, stava sempre male e dimagriva, invece che ingrassare. Portarla a casa mia e obbligarla a prendersi cura di se stessa, è stata l'unica cosa che ho potuto fare. Ellie era molto minuta quando è nata, piccolina e apparentemente fragile. Anche se poi si è rivelata sanissima e forte, all'inizio ho temuto che gli effetti di quei nove mesi tanto terribili ne avessero minato la salute. Per fortuna mi sono sbagliato. Demelza, invece...".

"Demelza, cosa?".

Dwight sospirò. "Dopo il parto è stata molto male. Ha perso tantissimo sangue ed è stata priva di sensi per alcune ore. C'è stato un attimo in cui ho creduto di perderla, Ross. Ho fatto portare via la bambina dalla stanza per occuparmi di lei e non avere distrazioni e nelle sue prime ore di vita, Ellie è stata con Caroline. Quando Demelza ha ripreso i sensi, volevo che riposasse e ho tentato di dissuaderla dal voler accanto la piccola ma ho dovuto chinare la testa e portargliela, perché temevo avesse una crisi di nervi. Per fortuna, Ellie è stata terapeutica per sua madre... Appena l'ha avuta accanto, Demelza è come rifiorita e questa bimba le ha ridato la forza di lottare. E' rimasta da me pochi giorni, dopo il parto, e appena è stata abbastanza in forze, è ritornata a Illugan".

Ross sentì una stretta al cuore. Era stato molto duro con Demelza all'inizio, forse a ragione certo, ma non aveva mai davvero pensato a quanto avesse sofferto da sola, ad affrontare quell'inferno. E non aveva mai pensato a cosa potesse esserle successo durante quel parto tanto difficile. Se non fosse stato per Dwight, probabilmente in quel momento lui non avrebbe più avuto una moglie e un bambino in arrivo. "Che posso fare per lei, ora? Come posso fare in modo che non riviva qualcosa di simile".

Dwight sorrise. "Demelza ha sempre dato molto amore a tutti e putroppo ne ha ricevuto davvero poco. Da suo padre e in fondo anche da te che, pur amandola tantissimo, sei sempre rimasto un pò freddo e distante con lei. Amala, stalle vicino e vivi questa gravidanza con lei. Insieme ai vostri figli! Lei ha bisogno di voi, vi ama e se vi sentirà accanto, andrà tutto bene! La gravidanza di Ellie non ha lasciato strascichi fisici su di lei, sta tranquillo... Se Demelza sarà serena, tutto procederà senza problemi e avrete il vostro bambino a dicembre, stanne certo. Anche se...".

"Anche se?".

Dwight lo guardò storto. "Anche se, questa sera e le prossime, quando andrete a letto spegnerai la candela, le darai un bacio sulle labbra e poi dormirai come un pupetto".

Ross ricambiò la sua occhiataccia. "Ma...".

"Ma un corno! I crampi che lei ha avuto e per cui mi hai chiamato, possono essere pericolosi e finché la situazione non si sarà stabilizzata, tu starai buono e casto nella tua parte di letto".

Ross deglutì. Quello di Dwight non era un consiglio ma aveva il tono di un ordine. E in fondo, era rimasto lontano da Demelza per quasi tre anni e qualche mese non avrebbe fatto la differenza. Era per una buona causa, un'ottima causa. Le sarebbe stato accanto con discrezione e l'avrebbe fatta sentire amata. Perché era amata! E esserlo era l'unica cosa di cui lei aveva bisogno. "Dwight, ti ringrazio" – disse, quando furono arrivati al bivio della strada che portava alla tenuta degli Enys.

"E' il mio lavoro, non mi devi ringraziare".

Ross lo guardò, seriamente. "E invece sì. Ti devo ringraziare di tante cose e non riguardano solo oggi. Spero di ricambiare presto".

Dwight si incupì. "La vita a volte mette davanti a prove dura. E un buon amico è prezioso".

Ross gli strinse la mano. "Già". Gli era mancato, Dwight...

Gli diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla, lo salutò e fece fare altrettanto ad Ellie e poi, dopo che se ne fu andato a cavallo, guardò la piccoletta. "E allora? Sei stanca".

Ellie si imbronciò, presagendo già la sua prossima mossa. "Non vojo il cavallo".

Alzò gli occhi al cielo. In quanto a testa dura, aveva preso indubbiamente da sua madre. Si guardò attorno, era una bellissima giornata ed erano vicini a un villaggio. "Che ne dici, andiamo a prendere dei dolcetti da mangiare tutti insieme stasera, con mamma?".

Ellie scosse la testa. "No".

"Perché no?".

La piccola divenne mortalmente seria. "Pecché poi se li compi, diventi povero. Costan tanti soddini".

Avrebbe voluto scoppiare a ridere, ma in realtà quelle parole gli strinsero il cuore. Eleanor aveva solo due anni eppure sapeva già quanto dura potesse essere la vita e quante fossero le rinunce per i poveri. "Oh, sta tranquilla, qualche dolce non mi renderà più povero di quanto già non sia. Posso permettermelo" – concluse, strizzandole l'occhio. E in quel momento decise che avrebbe lottato perché mai più, lei potesse avvertire preoccupazioni simili. Era una bambina e aveva diritto unicamente all'amore, al cibo, ai giochi e alla spensieratezza.

Forse per la prima volta da quando l'aveva incontrata, si rese conto di quanto davvero fosse sensibile e intelligente, oltre che buffa e simpatica come gli era apparsa fino a quel momento. Demelza e Dwight avevano ragione, Ellie era preziosa e come tutte le cose preziose, andava trattata con estrema cura. "Io i dolcetti li voglio, sai? E ne compreremo tanti" – esclamò, prendendola per mano.

Ellie sospirò. "Va bene?".

"Li mangerai?".

"No. Dalli alla mamma".

Beh, non si sarebbe fatto scoraggiare. Si inginocchiò e la prese in braccio, un gesto che fino a pochi mesi prima non avrebbe mai immaginato di compiere. Eppure era il gesto che più gli venne spontaneo... La amava, la amava davvero... E delle voci sul loro conto e del marcio del mondo che rischiava di intaccare la loro famiglia e la loro vita, non gli importava nulla. Ellie, insieme a Demelza, Jeremy e Clowance, erano la sua vita. E nessuno avrebbe dovuto avvicinarsi per cercare di separarli!

La bimba che teneva fra le braccia era quanto di più lontano e inconsapevole esistesse dal mondo corrotto di Londra, del potere e dei casati più potenti di Inghilterra. E questo stato di cose sarebbe rimasto tale!

Arrivarono al villaggio e Ross comprò cioccolata, biscotti, paste frolle e dolcetti di mele. Demelza doveva tornare in forze e i bambini sarebbero stati felici di cenare con... con cose che Miss Etta non avrebbe approvato, per una sera.

E poi, si diresse con Ellie verso Nampara.

La bimba camminò ancora un pò accanto a lui, canticchiando, ma a metà strada, in aperta campagna, a un certo punto si appoggiò a una staccionata. "Ross, quì bello".

Si guardò attorno. Oltre a quel sentiero di campagna e ai campi di grano che lo costeggiavano, non c'era assolutamente niente di interessante da quelle parti. "Vuoi fermarti quì un pò?".

"Sì".

"Sei stanca?".

Ellie sospirò. "Pochino".

Sorrise, era il momento di salire sul cavallo. La prese in braccio e prima che protestasse, la mise sulla sella. Lei lo guardò con occhi spalancati e terrorizzati ma, prima che scoppiasse a piangere, saltò in sella dietro di lei, stringendola a se. "Andiamo piano, non devi avere paura. Ti fidi di me?".

Per un istante, con gli occhi lucidi, lei dubitò. "Palura. Vojo scendere".

La tenne stretta, non dandole la possibilità di sgusciare via dal suo abbraccio. "Credi che ti potrei far cadere?".

Ellie piagnucolò, ma poi si rannicchiò fra le sue braccia, nascondendo il viso nella sua camicia. "No".

La baciò sulla testolina, grato che si fidasse, nonostante fosse terrorizzata. "Su, chiudi gli occhi e stai stretta a me. Vedrai che ti piacerà".

"Dove ndiamo?" - chiese lei, incuriosita.

"A casa mia, a prendere Jeremy e Clowance. Poi andremo tutti insieme dalla mamma". Mentre le parlava, si rese conto che era la prima volta che Ellie veniva a Nampara e in generale, che superava il territorio della Wheal Grace. Ci era stata solo una volta, mesi prima, durante la festa dei minatori, ma Demelza non aveva voluto andare oltre ed era tornata ad Illugan subito dopo.

"Il cattello?".

Scoppiò a ridere, ricordando di quando gli aveva parlato dei castelli di Londra, la notte in cui lei aveva il morbillo. "No, la mia casa non è un castello! Non ho ancora risparmiato abbastanza per comprarne uno".

Ellie scosse la testa, si mise il pollice in bocca e dopo un poco si tranquillizzò. Fece andare il cavallo al trotto e finalmente, con la bimba più serena, si avviò verso Nampara.

Vi giunse poco dopo. Scese di sella, mise a terra Ellie che si guardava attorno incuriosita, legò il cavallo alla staccionata e poi, con la bimba per mano, entrò in casa.

La piccola sembrava intimidita da quel nuovo e sconosciuto ambiente. Osservava in silenzio, intimorita, senza aprire bocca, nascondendosi dietro le sue gambe.

Quando entrarono in casa, in cucina c'era solo Prudie che stava pulendo dalla fuliggine un grosso pentolone. Osservò la sua serva, grassa e sciatta, considerando che in fondo era talmente di buon umore da volerle quasi bene. "PRUDIEEEEE!" - urlò alle sue spalle, facendola sussultare dalla paura.

La donna si voltò. "Giuda! Ma siete impazzito? Volete farmi venire un infarto?".

Sorrise, con la sua peggiore aria da canaglia, le si avvicinò a grandi passi e le diede un bacio a schiocco sulla fronte e sulle guance. "Prudie, ti trovo MERAVIGLIOSA, oggi!".

La donna barcollò, indietreggiò e lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite, come se fosse un mostro leggendario. "Giuda, è impazzito!".

Ross ridacchiò. "Ci sono grandi novità! Sto per diventare padre! Devi farmi le tue congratulazioni".

Prudie spalancò ancora di più gli occhi. "Padre? Chi avete messo nei guai?".

"Ho una moglie, non ho bisogno di mettere nei guai nessun'altra" – disse, prendendo una mela dal tavolo.

Prudie trattenne il fiato. "La signora? E'... in attesa... La signora... Giuda! Che cosa avete combinato? E i bambini...". Si bloccò, vedendo spuntare la testolina bionda di Ellie dalla porta. "Ma c'è la nana?! E Mistress Demelza?" - chiese sempre più stupita, avvicinandosi alla bimba che, intimidita, osservava la scena. Era evidentemente schoccata. Dalla notizia, dall'allegria di Ross e dal fatto che avesse portato la piccola Eleanor a Nampara.

"Demelza è a Illugan. Prendo i bambini e stiamo tutti da lei per un pò. Non dir loro niente del bimbo, gliene parleremo stasera io e mia moglie, insieme".

Prudie annuì, senza parole. "Signor Ross?".

"Sì?".

"State bene, vero? Non siete ubriaco...? Non avete battuto magari la testa...? Cioé... siete sano davvero?".

Ross sbuffò. "Sano come un pesce! Dove sono i bambini?".

"Nella stalla a dar da mangiare ai vitelli".

La guardò storto. "Non è un lavoro che dovresti fare tu?".

Prudie alzò le spalle. "A loro piace tanto farlo...".

Si certo, a loro piace... Alla sua principessina Clowance che voleva abitare a Buckingham Palace, piaceva sicuramente... "Prepara le loro cose, vado a chiamarli".

Prudie annuì, prendendo la piccola Ellie per mano.

Ross fece per uscire ma non ce ne fu bisogno. I suoi due bambini, sporchi, spettinati e sudati, entrarono come furie nella stanza.

"Papà, sei arrivato! Abbiamo visto il cavallo" – urlò Clowance, aggrappandosi alla sua gamba. Aveva i capelli completamente spettinati e ribelli che le cadevano davanti alla fronte e agli occhi donandole un aspetto quasi selvaggio.

Jeremy rise, poi notò Ellie che, timidamente, li guardava. "Ciao, sei venuta a trovarci!" - esclamò contento, correndo verso di lei.

"Ellie, Ellie! Sei venuta a giocare con le mie bambole?" - chiese Clowance, eccitata.

Ross sorrise. Era una bella cosa che i bambini fossero già così uniti. "Niente bambole e niente giochi. Andate a lavarvi e a mettervi abiti puliti, andiamo dalla mamma".

"Non ci porti a Londra con te?" - chiese Jeremy.

"No, a Londra non ci vado nemmeno io. Staremo da mamma tutti insieme per un pò e Prudie, da brava, terrà pulita e in ordine Nampara mentre siamo la" – concluse, dando un'occhiataccia alla serva.

Prudie sbuffò. Era tornato quello di sempre... "La signora quindi non torna, per ora?".

"Per ora no".

Jeremy sorrise, abbracciandolo. "Davvero staremo insieme da mamma? Anche tu?".

Gli accarezzò i capelli. Jeremy era quello più sensibile ed era quello che aveva sofferto di più per la loro separazione. "Anche io. Abbiamo una sorpresa per voi, ve lo diremo stasera quando saremo a Illugan".

Clowance saltellò. "Cosa? Quale sorpresa?".

Scosse la testa, non glielo avrebbe detto finché non fossero stati tutti insieme. "Clowance?".

"Sì papà?".

"Vatti a lavare!".

I due bambini corsero via veloci, spingendosi e ridendo fra loro. Prudie osservò Ross di sottecchi, studiandolo come se fosse stato una creatura sconosciuta e mitologica. Poi, borbottando qualcosa al suo indirizzo, si avviò verso la stanza da bagno per aiutare i due bimbi.

Ross si sedette su uno sgabello, mettendo Ellie sulle sue ginocchia. Le tagliò un pezzo della mela che aveva in mano e gliela diede per riempirle il pancino che era vuoto da quella mattina. "Ti piace quì?" - chiese, notando quanto fosse spaesata e silenziosa a trovarsi in un luogo a lei sconosciuto, senza la sua mamma.

Timidamente lei annuì, forse per più per farlo contento che per reale convinzione. Era abituata a Illugan e a muoversi sempre con la sua mamma, per lei doveva essere stranissimo trovarsi lì con lui, da sola.

"Ti piacerebbe se questa diventasse la tua casa?".

Ellie si voltò, mangiando un pezzettino della mela. "E mamma?".

"Anche la mamma, certo. Quì, tutti insieme!".

"E Kiky?".

"Anche Kiky".

"E Otto?".

Ross sospirò, al ricordo dell'enorme orsacchiotto che Caroline le aveva regalato. "Anche Otto, certo".

"E i coniietti e i puccini e le galline?".

Le sorrise. "Anche loro. Tutti qui".

Ellie annuì seria, rinfrancata. "Va bene".


...


Arrivarono a Illugan che era pomeriggio tardi. Dopo aver dato delle veloci spiegazioni a Prudie sulla situazione e su come gestire la casa, Ross aveva preso sul suo cavallo le due bambine e si era fatto seguire da Jeremy in sella al suo pony. Suo figlio aveva compiuto sette anni ed era diventato un bravo cavallerizzo in quell'ultimo anno e ormai era pronto per le prime cavalcate. Garrick, vedendoli andar via tutti insieme, li seguì e Ross lo lasciò fare. Era il cane di Demelza quello e sicuramente sarebbe stata felice di riaverlo con se.

Quando giunsero a destinazione, facendo un chiasso tremendo, i bimbi corsero dentro casa dalla mamma, chiamandola a gran voce.

Ross sbuffò. Non voleva che la svegliassero ma, quando giunse in casa pieno di cibo e sacche contenenti i loro vestiti, trovò Demelza seduta sul letto che lavorava a maglia. Aveva un colorito più roseo e sembrava star bene.

Jeremy, Clowance ed Ellie saltarono sul letto abbracciandola, imitati da Garrick.

Demelza li strinse a se e poi abbracciò il suo cane, stupita che fosse lì anche lui. Doveva esserle mancato molto...

"Mamma!" - esclamò Jeremy – "Papà dice che staremo con te tutti insieme!".

Demelza gli sorrise. "Sì, è vero".

Clowance, pensierosa, si mise fra i due. "Perché sei a letto a quest'ora?".

"Bibi al pancino" – disse Ellie, sgattaiolando sulle gambe della madre.

Ross a quel punto si sedette accanto a loro, prendendo la mano di sua moglie in cerca di un gesto di assenso per parlar loro.

Lei gli sorrise e lui fece altrettanto. "Io e la mamma dobbiamo dirvi una cosa".

"Bella o brutta?" - chiese Jeremy, un pò preoccupato.

"Molto bella" – gli rispose Ross.

Il bimbo rilasciò il respiro che aveva fin lì trattenuto. "Era ora! In questa famiglia succedono solo cose brutte".

Demelza, a quelle parole, lo strinse a se. Era il suo bambino quello, il figlio che lei sentiva più vicino e a lei affine, quello più sensibile e quello che più aveva sofferto la sua assenza. "Hai ragione! Ora le cose cambieranno".

Clowance incrociò le braccia al petto. "E allora? Qual'è la sorpresa?".

Ross guardò negli occhi Demelza e nel suo sguardo ritrovò la donna di una volta, la sua confidente, la sua amante e la sua migliore amica. Il suo amore... "Nella pancia di mamma, c'è un bambino. Presto avrete un fratellino o una sorellina".

Clowance e Jeremy spalancarono gli occhi, quasi senza fiato. Si guardarono negli occhi senza riuscire a fiatare mentre anche Ellie, che forse ancora non capiva molto la situazione, li fissava con fare acciliato.

Fu Jeremy a rompere quel silenzio carico di stupore, stringendo forte sua madre. Gli appoggiò la manina sulla pancia ancora piatta, imitato da Clowance, e scoppiò a ridere contento. "Mamma, un fratellino?! Un fratellino per davvero?".

Demelza annuì. "Per davvero, sì".

Ross rimase un attimo in disparte a guardarli, non osando entrare in quel momento di intimità di Demelza coi suoi figli. Quanto doveva essere felice nel sentire le loro manine accarezzarle il ventre alla ricerca del fratellino? E quanto doveva essersi sentita sola senza di loro, negli anni precedenti, nel mettere al mondo una figlia senza avere accanto gli altri? In quel momento lei era semplicemente felice di averli lì. Era in pace col mondo e la sua serenità traspariva dal suo sguardo e dal suo sorriso. Non voleva altro, non aveva bisogno d'altro per stare bene.

La vide voltarsi verso Ellie per stringerla a se con gli altri, guidando la sua manina ad accarezzarle la pancia. Le spiegò cosa sarebbe successo ed Ellie sorrise timidamente, rannicchiandosi fra le sue braccia.

E a quel punto, iniziarono le domande. "Ma papà?" - chiese Jeremy – "Il bambino nuovo sarà il nostro fratellino? O è come Ellie?".

Per un attimo, impallidì. Ripensò con vergogna al divieto imposto a Demelza all'inizio, sul far considerare solo una conoscente la piccola Ellie ai bambini e decise che era ora di rimettere le cose a posto. "Sarà il vostro fratellino. Come Ellie è vostra sorella" – disse infine, mentre lo sguardo di Demelza si posava su di lui.

Pensava di venire investito da nuove domande ma evidentemente per i bambini, il mondo e la vita erano cose molto più semplici da gestire, rispetto a un adulto.

Jeremy ridacchiò, imitato da Clowance. "Visto papà! Lo dicevo che sbagliavi e che Ellie era nostra sorella! Ma non mi volevi ascoltare".

Ross sorrise, alzando le spalle. "Beh, che vuoi farci? Anche i papà ogni tanto sbagliano".

Ellie rimase silenziosa, forse un pò frastornata da quella giornata. Era piccola, ancora non capiva l'entità dei cambiamenti che l'avrebbero coinvolta e forse era meglio così, questo avrebbe dato pure a lui l'opportunità di abituarsi pian piano a quella nuova sfida.

Cenarono coi dolci che aveva comprato al villaggio e Demelza non ebbe obiezioni su quella strana cena improvvisata.

Spiegò ai bambini che la mamma doveva riposare e che per questo motivo avrebbero dovuto aiutarlo nella gestione della casa e dopo che ebbero ripulito tutto, li lasciò andar fuori a giocare nel bosco e nel torrente.

Era una sera di maggio calda e piacevole, c'era ancora luce e si sarebbero divertiti molto.

Lasciò che Demelza rimanesse a letto, mise a posto i suoi abiti e quelli dei bambini facendo posto nell'armadio di sua moglie e poi, dopo averle dato un bacio, andò fuori a controllare cosa stessero facendo i suoi figli.

Si sedette su una roccia sulle rive del ruscello, sentendosi in pace con se stesso. Era in un bosco incantevole, pacifico, in mezzo alla natura. E il suo animo era sereno e contento. Le risate dei bimbi che si inseguivano nel ruscello e che giocavano con l'acqua, accompagnavano i suoi pensieri.

D'un tratto sentì il tocco gentile della mano di Demelza sulla sua spalla. Si voltò e la trovò dietro di lui.

Aveva messo un vestito rosso che ne delineava perfettamente la figura snella e si era pettinata. Sembrava star bene. "Non dovresti riposare?".

Lei si sedette sul masso, accanto a lui. "Riposerò qui. Son stanca di stare a letto e Dwight mi ha detto che posso fare qualche passo, purché non faccia sforzi".

Le cinse le spalle con il braccio, attirandola a se. Ripensò alle parole di Dwight e alle difficoltà incontrate per mettere al mondo Ellie e si sentì egoista per essere stato tanto felice quando aveva appreso la notizia del nuovo bambino, senza pensare che per lei le cose dovevano essere ben più difficili. "Hai paura?" - le chiese, quasi d'istinto.

"Di cosa?".

"Della gravidanza".

Demelza si accigliò, sospettosa. "Perché dovrei averne? Che ti ha detto, Dwight?".

Ross sospirò. "Mi ha raccontato del parto di Eleanor e non immaginavo che tu avessi rischiato e sofferto tanto".

Demelza sospirò. "Avrei preferito che non ti dicesse niente".

"Io invece son felice che lo abbia fatto. In passato abbiamo sbagliato a nasconderci i nostri sentimenti e le nostre paure e non dobbiamo ripetere i medesimi errori".

Lei annuì, d'accordo con lui. Poi gli prese la mano, la strinse nella sua e le loro dita si intrecciarono. "Oggi, quando Dwight mi ha detto che aspettavo un bambino, ero terrorizzata. Me ne vergogno, ma d'istinto ho desiderato che si sbagliasse... E' vero, ho anche ripensato a quanto dura è stata avere Ellie, alla paura che ho avuto quando ho capito che forse l'avrei lasciata sola al mondo e al dolore fortissimo che ho provato nel metterla al mondo, ma la sai una cosa?".

"Cosa?".

Demelza sorrise dolcemente. "Lo rifarei mille volte. Essere sua madre... e la madre dei TUOI bambini, è sempre stata l'unica cosa che io abbia mai desiderato. Amo il nostro bambino e sono felice di aspettarlo...".

La baciò sulle labbra. "Davvero sei felice?".

"Sì, davvero Ross". Lasciò che lui la abbracciasse e si lasciò dare un bacio sulla fronte. "Sai, ricordi quel giorno... quando abbiamo concepito questo bambino?".

"Lo ricordo, certo!".

Lo abbracciò ancora più forte. "Piangevo. E tu mi hai preso il viso fra le mani e mi hai detto che sarebbe andato tutto bene. Ti ho creduto, sai? Ora potresti credere a me? Se ti dico che andrà tutto bene, mi crederai?".

Ross annuì. Le baciò la mano e poi la appoggiò, coprendola con la sua, sul suo ventre. "Certo che ti credo".

In quel momento così magico dove sembrava che con lei fosse lontano da tutto e tutti, si accorse che erano avvolti dal silenzio ed entrò in panico. "Demelza, dove sono finiti i bambini?".

Lei, perfettamente tranquilla, annuì. "Più avanti c'è uno spiazzo che, nelle sere d'estate, si riempie di lucciole. Quando sono da me, ci vanno sempre. Adorano quel posto, credono che sia magico".

Ross scosse la testa, divertito. E in quel momento capì perché Demelza amasse tanto quel luogo. C'era pace, il male del mondo era lontano e la natura era armoniosa e accogliente, con chi la conosceva e la rispettava. "Ottimo, fra le lucciole e l'oro, avremo fuori dalle scatole i bambini per gran parte del giorno".

Demelza lo guardò storto. "Oro?".

Ross sorrise, con la stessa faccia da canaglia esibita a Prudie poche ore prima. Accarezzò Garrick che dormiva accanto a lui e poi sospirò. "Prima, mentre ero quì fuori da solo coi bambini, ho detto loro di cercare nel torrente perché potrebbe essere pieno d'oro. Gli ho detto che saremmo diventati molto ricchi, se lo avessero trovato".

Demelza osservò il torrente, scettica. "Ross, i torrenti della Cornovaglia non contengono pagliuzze d'oro".

Lui ridacchiò. "Io lo so, certo. E anche tu! Ma loro no... Passeranno giornate intere nel torrente, a cercarne. E noi nel frattempo potremo starcene in pace in casa, a recuperare il tempo perso".

Demelza sospirò. "Ross, è crudele...".

"No, non molto! Magari lo trovano davvero".

Lei rise, finalmente serena. "Dwight, oltre a raccontarti della mia gravidanza difficile, ti ha detto cosa dovremmo fare la notte, noi due?".

Ross annuì, sconsolato. "Sì... Ma ha detto che non sarà per lungo tempo. Però non ha parlato di baci e carezze, quelli ci sono concessi".

Demelza sorrise. "Sembri felice di essere quì. Non ti spiace che non sia tornata a Nampara?".

Ci pensò su. No, non gli spiaceva e sapeva che comunque Nampara sarebbe stata nel loro destino. E lo sapeva anche Demelza. "No, non mi dispiace. In fondo non ha importanza dove siamo, sai? Finché stiamo tutti insieme, ogni posto può essere la nostra casa".


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Capitolo 34
*** Capitolo trentaquattro ***


Lord Edward, visconte di Falmouth e rappresentante del casato dei Boscawen, era un uomo pragmatico più concentrato sugli affari e il prestigio di famiglia che sugli affetti. Era un uomo 'del fare', uno che prima dei sentimentalismi guardava al suo tornaconto e così facendo, aveva accumulato fra le sue mani un potere illimitato e difficilmente attaccabile. Era una persona spinta da idee desuete, forse non in linea coi tempi che stavano cambiando a causa della rivoluzione francese ed ancora fermamente convinto che la società dovesse essere divisa in classi e che solo le famiglie più potenti dovessero detenere potere e ricchezze. Nulla doveva cambiare, per lui... Era sempre andato avanti così il mondo e in fondo la società si era sviluppata proprio per questo stato di cose immutabile nei secoli, quindi perché farsi contagiare da idee moderne che potevano portare a sovvertimenti sociali pesantissimi da pagare e che non davano alcuna garanzia? Il potere era un'arma utilizzabile in maniera giusta e corretta solo da chi sapeva usarlo per casato e tradizioni e non poteva finire nelle mani di chi, fino al giorno prima, faticare a sfamare i propri figli. Questo pensava e per questo si batteva!

Apparteneva a una delle più nobili famiglie d'Inghilterra, siedeva alla Camera dei Lords e intratteneva rapporti con la famiglia reale e il suo potere e il suo prestigio erano conosciuti anche negli angoli più remoti della nazione. Possedeva denaro, castelli, un buon nome, una posizione sociale salda e senza macchie e la sua vita si poteva definire invidiabile.

L'unico neo, era stata la mancanza di figli. Sua moglie era morta giovane senza riuscire a donargli un erede e l'uomo si era rifugiato nel suo lavoro, concentrandosi sulla crescita culturale dell'unico figlio di sua sorella Dorothy, Hugh Armitage, che un giorno avrebbe preso il suo posto.

Ma Hugh, crescendo, si era dimostrato un sognatore più attratto da filosofia e poesie che dall'intrattenere relazioni politiche e il suo amore per il mare ne aveva fatto un navigatore provetto e ammirato dalla Corona, circonstanze che lo avevano tenuto lontano dai posti di potere frequentati dagli altri rampolli dei casati più potenti.

Il destino poi, beffardamente, tre anni prima, gli aveva strappato quel nipote su cui aveva riposto ogni sua speranza per il futuro. Quando Hugh si era ammalato e aveva iniziato a perdere la vista, Lord Falmouth era stato disperato dall'idea di dover ammettere in pubblico la menomazione del ragazzo. E quando poi il giovane era morto, fra atroci sofferenze, si era rifugiato in un ostinato silenzio carico di risentimento e dolore per una giovane vita promettente finita troppo presto che aveva lasciato in lui un vuoto incolmabile che faticava persino ad ammettere.

Sua sorella Dorothy, rimasta come lui vedova in giovane età, dopo la morte del figlio lo aveva raggiunto a Londra e vivevano insieme ormai da due anni in una grande e ricca dimora del centro della città, troppo grande per due persone ormai anziane e troppo silenziosa in quei suoi interminabili corridoi che avrebbero invece dovuto essere pieni di bambini pronti a prendere il loro posto.

Lui e sua sorella non parlavano quasi mai di Hugh e anche se entrambi sapevano che i loro pensieri spesso ricadevano su di lui, rimanevano in silenzio nel loro dolore muto e composto.

Ma negli ultimi mesi Hugh Armitage era tornato al centro dei suoi pensieri anche per altri motivi, oltre che per il costante dolore per la sua morte. Ci aveva rimuginato parecchio, prima di parlarne con Dorothy, ma era arrivato alla conclusione che l'argomento che lo tormentava dovesse essere affrontato, benché doloroso e pietoso.

Non sapeva cosa sapesse sua sorella, se avesse sentito in giro quelle voci, ma doveva chiedere e sapere... Ed eventualmente agire.

Il piccolo e arrogante lacché di Lord Basset, George Warleggan, aveva fatto strane insinuazioni su Ross Poldark e la sua famiglia, soprattutto su sua moglie e su una delle sue figlie, partorita poco più di due anni prima...

Lord Falmouth era ossessionato da quelle voci che non sapeva se fossero vere ma che, solo perché esistenti, riuscivano a togliergli il sonno... Il potere di un pettegolezzo poteva essere più devastante di una verità certa e lui, mai toccato in vita sua da alcuno scandalo, non voleva macchie sul buon nome della sua famiglia.

Ross Poldark era stato la sua scommessa sul futuro, benché di idee molto vicine ai principi della Rivoluzione Francese, e anche se gli scontri fra loro non erano mancati per il diverso modo di concepire la realtà e agire in Parlamento, quando si trovavano a Londra insieme, agivano come squadra che in un certo inspiegabile senso, sapeva funzionare. Oltre a questo, Ross Poldark era un tipo molto sfuggente e ben poco gli aveva fatto sapere della sua vita privata, anche perché evitava come la peste gli eventi mondani della capitale. Sapeva che aveva una moglie da cui era separato e dei figli, sapeva di dovergli molto per aver salvato Hugh dalla prigionia in Francia ma quel che non sapeva, finché George Warleggan non lo aveva accennato, era che sua moglie era stata molto vicina a suo nipote e che forse, insieme, avevano generato una figlia.

Che fosse vero o no, non aveva importanza! Doveva mettere fine a quelle voci, in qualunque modo, prima che travolgessero il buon nome della famiglia.

Seduto a tavola, con un ricco piatto di arrosto d'anatra e patate davanti a se, osservò Dorothy che, seduta all'altro estremo della tavolata, sbocconcellava un pò di pane. "Non hai fame stasera, mia cara?".

La donna, che in quegli ultimi anni pareva invecchiata di colpo nel corpo e nello spirito, sospirò. "Non molto".

Lord Falmouth posò il tovagliolo sul tavolo in un gesto stizzito. "Nemmeno io".

"Come mai?".

"Sono irritato! Con Ross Poldark..." - concluse in maniera sibillina, cercando di prendere alla lontana il discorso.

Dorothy alzò gli occhi su di lui, accigliata. "Che stranezza! Non è il tuo pupillo?".

"Lo sarebbe, se fosse quì a fare il suo dovere. Invece è rimasto in Cornovaglia... Deve stare accanto alla moglie incinta, mi ha scritto". Eruppe in una risata nervosa, squadrando la sorella. "La signora Poldark deve essere una ben capricciosa creatura, per pretendere che il marito stia a casa ad occuparsi di una questione prettamente femminile come la maternità".

Dorothy rimase per un attimo interdetta e stupita. Spalancò gli occhi e rimase col boccone di pane a mezz'aria, in mano. "La signora Poldark è incinta?".

"Così pare...".

"Oh...". Dorothy abbassò la mano, posandola sul tovagliolo e stringendolo. "Beh mio caro, la maternità in fondo è un argomento anche maschile... Un figlio lo si fa in due e trovo ammirevole che un uomo voglia stare accanto alla moglie in un momento così delicato".

Lord Falmouth scosse la testa. "Tutte storie, sono solo capricci!".

Dorothy non sembrava dello stesso avviso. "La signora Poldark non mi ha mai dato l'impressione di essere una donna capricciosa. Anzi, mi è sempre parsa piuttosto indipendente e perfettamente in grado di badare a se stessa".

Gli occhi di lord Falmouth si fecero piccoli e malefici. Era ora di arrivare al punto... "Già, dimenticavo che tu la conosci piuttosto bene. Durante l'agonia di Hugh, fu particolarmente vicina e affettuosa col nostro caro ragazzo. Mi sono sempre chiesto perché...".

A quelle parole, Dorothy sembrò andare in panico. Cercò di mantenere un tono distaccato, ma la sua voce tremò... "La signora Poldark e suo marito, erano cari amici di Hugh. Dopo la liberazione dalla prigione francese, sono rimasti in ottimi rapporti".

"Vero! Ma un ottimo rapporto di amicizia, prevede certe cose e non ne prevede altre... Voglio dire, perché la moglie del salvatore di nostro nipote si è sentita in dovere di stargli accanto durante la sua malattia, mentre il marito era lontano? Si dice che fossero separati da tempo, all'epoca, e il comportamento della signora mi è sempre sembrato piuttosto equivoco e atto a male interpretazioni di cui la stessa non si è mai curata... Voglio dire, purché separata dal marito, era sua moglie e la madre dei suoi figli e doveva rispettare le regole della buona etichetta senza dare scandalo. E anche lui... In effetti Ross Poldark vive da anni lontano da sua moglie e si porta sempre a Londra i figli, quando viene quì per le sessioni parlamentari. E' assurdo! E mi sembra persino strano che la signora attenda un nuovo figlio da lui".

Dorothy si morse il labbro, come ponderando cosa dire. "Beh, non sono affari nostri, direi. Si saranno riconciliati ed è meglio così, visto che hanno dei figli e ne avranno un altro".

Lord Falmouth si alzò dalla sedia, dirigendosi a piccoli passi verso di lei. Era troppo sbrigativa e neutra nei suoi commenti e la conosceva sufficientemente bene per percepire che stava nascondendo qualcosa. "A te non è mai sembrato strano, il comportamento di quella donna verso Hugh?".

Lei alzò lo sguardo, spazientita. "Mio figlio stava morendo e non avevo animo per notare altre cose. Hugh era contento di averla vicina e sono felice che lei gli sia stata accanto".

Decise che era ora di smetterla di girarci attorno. Sua sorella non avrebbe detto nulla, a meno che non l'avesse costretta con domande dirette. "Circolano delle voci, su Hugh! Voci sgradevoli che voglio mettere immediatamente a tacere".

"Quali voci?" - sbottò lei – "Mio figlio è morto da quasi tre anni".

Lo sguardo di Lord Falmouth si fece sibillino. "Voci su di lui e sulla signora Poldark. Pare ne fosse l'amante".

Dorothy spalancò gli occhi ma poi, come quasi si costringesse a farlo, con fatica scoppiò a ridere. "Mi sembra assurdo! Come è assurdo che ADESSO si dica in giro una cosa simile. Chi mette in giro una voce del genere? Chi, infanga in nome di mio figlio che ora non può più difendersi? E su quali basi?".

"George Warleggan, il pupillo di Lord Bassett. E dice queste cose con cognizione di causa...".

Dorothy impallidì. "Che vuoi dire?".

Lord Falmouth prese a camminare avanti e indietro per la stanza, assorto. "Dorothy, tuo figlio era un valente navigatore, coraggioso in mare e nelle missioni a cui era assegnato. Avrebbe forse avuto una brillante carriera nell'esercito se non fosse stato che...".

"Che?".

"Amava l'amore, le poesie, le frivolezze... Aveva una visione romantica della vita, dell'amore e delle relazioni da intrattenere con le persone che gli piacevano... Ho letto le sue poesie, ciò che ha lasciato scritto nei suoi quaderni".

Dorothy scosse la testa. "E allora?".

L'uomo le si avvicinò nuovamente, sedendosi accanto a lei. "Amava l'amore, nella sua forma più pura. E non badava alle convenzioni sociali, nemmeno davanti al fatto che la sua donna dei sogni era sposata col suo salvatore. Hugh sapeva come corteggiare una donna e Demelza Poldark forse era in crisi col suo matrimonio, chi lo sa...? Ma le frequentazioni di Demelza, che veniva spesso al capezzale di Hugh assieme a quel medico, Dwight Enys, non sono passate inosservate ai nostri amici e ai nostri avversari politici. E questa cosa potrebbe ritorcersi contro di noi e contro il nostro potere".

Dorothy, spazientita, lanciò il tovagliolo lontano da lei, al centro del tavolo. "Sono passati ANNI! Di che ti preoccupi? Delle voci messe in giro da un parvenue della Cornovaglia? George Warleggan vale meno di zero e se non fosse stato per Lord Basset, ora sarebbe ancora a dirigere miniere nella sua terra natale".

Lord Falmouth scosse la testa. "Le voci, come ti dicevo, hanno un fondamento".

"Quale fondamento?".

L'uomo la fissò dritto negli occhi, come a voler scandagliare la sua anima. "La scorsa primavera George Warleggan ha incontrato in giro la famigliola Poldark al completo. Ross, Demelza e i loro tre bambini... Ma lui sapeva ed era certo che ne avessero avuti solo due di figli, viventi: Jeremy e Clowance. Più un'altra bimba, morta in tenera età anni fa. Eppure, con loro, c'era un'altra bimbetta più piccola, nata durante la loro separazione, alcuni mesi dopo la morte di Hugh. Facendo ricerche, George Warleggan ha scoperto che la bambina non porta il cognome Poldark ma quello della madre. Non è stata riconosciuta da suo marito, non ti sembra strano?".

Dorothy, sempre più pallida, indietreggiò sulla sedia. "Non sono affari nostri e non vedo come questo possa interessarci".

Ora era davvero stanco! Dorothy conosceva la verità, glielo leggeva in viso e doveva parlare. "Oh, io sono sicuro che invece tu sei ben più consapevole di me che questo invece ci interessa. Giusto?".

"Non so di cosa parli!".

"Si che lo sai".

Dorothy fece per alzarsi dal tavolo ma lui la prese per il polso, costringendola a sedersi. "Dimmi la verità! La bambina, è di Hugh? E' come dice George Warleggan? Perché è questo che si sussurra, in giro!".

"Smettila!" - sibilò lei – "Lascia riposare in pace mio figlio".

Lui non aveva intenzione di smettere. "Dorothy, non fare la bambina! Abbiamo un problema, te ne rendi conto? Anni di onorata rispettabilità che rischiano di andare in fumo, assieme al nostro potere, a causa di uno scandalo che ci travolgerebbe senza possibilità di appello. Che direbbero alla camera dei Lords? Che direbbero i reali, quando sono al loro cospetto?".

"Perché ti preoccupi? La signora Poldark ti ha ricattato, fratello? Non mi pare, non la vediamo da anni!" - urlò lei. "Come puoi affermare che quelle voci siano vere e non siano che un pettegolezzo senza fondamento?".

Lui, ormai adirato, le strinse ancora di più il polso. Odiava quando la gente non capiva e ancor di più odiava chi fingeva di non capire. "Dorothy, sai bene che non è la verità ad essere importante, quanto piuttosto il sospetto. E' il sospetto che porta alla rovina, anche se generato su fatti che magari non esistono. Se la gente ci crede, allora le dicerie diventano reali".

Lei tentò un'ultima stremata difesa. "La vita dei Poldark non è affar nostro, come non lo è quella dei loro figli. Lascia decantare e le voci cesseranno prima o poi".

"Voglio la verità, Dorothy! Perché tu sai benissimo che non sono solo voci, giusto?".

"SMETTILA!" - urlò lei.

"NO!".

Dorothy si accasciò senza forze sulla sedia. I suoi occhi si inumidirono e alla fine le lacrime che aveva a lungo trattenuto scivolarono sul suo viso. "Eleanor... Eleanor Carne... La bambina si chiama così".

Lui, pallido quanto lei, si lasciò cadere sullo schienale della sedia. "Allora è vero... Perché non me lo hai mai detto?".

Dorothy sospirò, asciugandosi col fazzoletto il viso. "Perché non credevo che la cosa sarebbe mai uscita allo scoperto. Doveva essere un segreto fra me e la signora Poldark. Nemmeno Hugh lo sapeva, Demelza non gli disse mai nulla. Le offrìì dei soldi per il suo silenzio, ma lei li rifiutò, dimostrando grande coraggio e dignità. Non mi ha mai fatto pressioni né mai mi ha chiesto nulla, da allora. E' sparita dalla mia vita e sono certa che si prende cura al meglio della piccola Eleanor. Ho visto la bambina, una sola volta, alcuni mesi dopo la sua nascita. Andai a Illugan e la incontrai... E' bionda come lo era Hugh da piccolo, una bellissima bimba che mi avrebbe resa una nonna orgogliosa".

Lord Falmouth la squadrò, non condividendo mezza parola di quello che diceva sua sorella. I sentimentalismi non c'entravano e dovevano solo pensare al bene del loro casato e della loro famiglia, ora. "Di come sia bella la bambina e di quanto possa essere una brava madre Demelza, onestamente mi interessa poco. Quella dannata donna doveva disfarsi della neonata immediatamente".

Dorothy lo guardò inorridita, spalancando gli occhi. "E' la bambina di Hugh".

"E' una bastarda, Dorothy! E metterla al mondo e tenerla ha esposto non solo noi, ma anche Ross Poldark e i suoi figli, allo scandalo! Quella bambina potrebbe rovinarci tutti!".

Dorothy scosse la testa. "E' solo una bambina... Sangue del nostro sangue fra l'altro... Appartiene, almeno per diritto di sangue, al casato dei Boscawen quanto me e te".

Che la bambina fosse di nobili origini, poco importava, per lui. "Tu hai idea di quanti piccoli bastardi di sangue blu ci siano negli orfanotrofi? Ce ne sono più di quanto immagini... E sai perché sono lì? Per evitare scandali e nasconderli al mondo! Gli orfanotrofi offrono persone che accudiscono e crescono questi piccoli infelici, magari gli trovano una famiglia o comunque, li preparano a lavorare e a mantenersi. Lì doveva andare quella bambina e lì andrà, ADESSO! Non doveva tenersela! La signora Poldark è folle e Ross Poldark è più folle di lei! Non doveva sposarsi la figlia di un minatore e questi sono i risultati! Una donna lasciva e di dubbia moralità che ha messo al mondo una piccola bastarda illegittima che rovinerà la vita di tutti noi! E tu l'hai coperta!".

Dorothy riprese a piangere. Era combattuta fra cuore e dovere e decidere da che parte stare, ora, era la più grossa sfida della sua vita. "Edward, è solo una bambina... Non possiamo strapparla, adesso che ha due anni, dalle braccia di sua madre".

Lui, impassibile, si alzò dalla sedia. Picchiò le mani sul tavolo e la guardò furente. "La signora Poldark doveva pensarci prima... La bambina deve sparire dalla vita di tutti, come se non fosse mai esistita! Farò in modo che venga allontanata da sua madre e mi adopererò per far distruggere il suo atto di nascita. Finirà dove deve stare, in un istituto! Nome nuovo, nessun passato e un futuro che sarà solo affar suo, quando crescerà! E di lei, non si dovrà sapere più niente".

"Edward..." - lo implorò Dorothy, sapendo benissimo che lui aveva il potere per fare tutto questo.

"Smettila di frignare, sai bene che è l'unica cosa sensata da fare! Nemmeno la conosci, la bambina. Che ti importa?".

"E' di Hugh! E questo è importante, per me. E' l'unica cosa che mi resta di lui".

L'uomo alzò le spalle. "Non è stata riconosciuta da tuo figlio e quindi non è sua!".

Dorothy si alzò di scatto, facendo cadere la sedia. "La signora Poldark non ti permetterà mai di toglierle la figlia!".

"Vogliamo scommettere?" - rispose lui, glaciale. "Presto avrà un altro figlio da suo marito, giusto? Si dimenticherà questo piccolo inconveniente e crescerà i figli nati all'interno del suo matrimonio, come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio. E ora, se permetti..." - disse, allontanandosi e dirigendosi verso la porta.

"Dove vai?" - chiese lei, allarmata.

"Nel mio studio! Devo scrivere a Ross Poldark, devo vederlo".

Dorothy lo seguì, il suo cuore era in tumulto. "Edward, ti prego, ragiona! Esisterà un altro modo, per far cessare queste voci. Pensaci, non distruggere la vita della piccola".

L'uomo, per un attimo, rimase in silenzio. "Dici che esiste un altro modo? Forse sì, esiste! Se Ross Poldark sarà tanto folle da farsi umiliare a vita, crescendo la figlia di un altro come fosse sua... Se si abbassasse a legittimarla e a darle il suo cognome... Ma nessun uomo sensato lo farebbe!".

Dorothy deglutì. "Chiediglielo!".

Lord Falmouth annuì. "Gli scriverò! E lo metterò davanti a una scelta definitiva! Se tentennerà, la bambina dovrà sparire". E così dicendo uscì dal salone, lasciando sua sorella da sola coi propri demoni e le proprie lacrime.





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Capitolo 35
*** Capitolo trentacinque ***


La piccola Sarah Enys morì nel sonno in una caldissima notte di inizio agosto. Senza un lamento, un pianto, un sospiro, se ne andò in silenzio quasi non volesse disturbare.

Il dolore di Caroline e Dwight era muto e intenso. Eppure dignitoso, quasi non volessero mostrare al mondo quanto quella tragedia li avesse logorati e si fosse portata via una parte del loro cuore, assieme alla loro bambina.

Caroline si era data anima e corpo ai preparativi per il funerale, quasi che quelle incombenze pratiche la allontanassero dalla disperazione che la divorava minuto dopo minuto. Aveva gettato via ogni cosa della figlia, la sua culla, i suoi vestiti e le bambole che le metteva accanto al cuscino per farla dormire, non voleva più vedere nulla che gliela ricordasse.

Dwight aveva salvato solo un piccolo orsetto bianco, il preferito della sua bambina. Sarah, come Ellie con Kiky, non se ne separava quando dormiva e lui aveva voluto che la accompagnasse nel suo ultimo viaggio, uniti per sempre. Lo aveva messo nella bara, accanto a lei, per farla sentire meno sola... Era un comportamento forse irrazionale da parte di un medico, ma era l'unica consolazione che riusciva a trovare al suo grande dolore.

Di Sarah, aveva tenuto una piccola ciocca di capelli biondi. Glieli aveva tagliati una settimana prima che morisse perché le andavano sugli occhi, e li aveva legati in un nastrino rosa. Quei capelli da neonata, morbidi e di seta, erano diventati, nel loro scrigno, il tesoro del suo papà.

Quando Demelza e Ross appresero la notizia, tramite una lettera portata loro ad Illugan da un servitore degli Enys, era pomeriggio inoltrato. I bimbi giocavano nel bosco, Demelza stava cucendo una copertina per il piccolo in arrivo e Ross tentava inutilmente di pescare qualcosa nel torrente davanti casa.

Rimasero pietrificati e per tutta la serata non aprirono bocca, tanto che Jeremy durante la cena scoppiò a piangere, pensando avessero litigato di nuovo. Lo tranquillizzarono, non era quello...

Era la pena per Dwight e Caroline, una pena che conoscevano bene...

Era la morte di una bimba che ricordava loro che poteva succedere e che era già successo...

Era ripensare a Julia e riviverla attraverso Sarah...

E nessuno dei due osava esprimere a voce ciò che provava...

E allora il silenzio, anche se non per rabbia, era un nascondiglio perfetto per rimuginare da soli su cosa facesse soffrire...

Ross sapeva che Demelza era angosciata e che la storia di Sarah complicava tutto, sapeva che aveva paura per mille buoni motivi ed era consapevole di quanto emotivamente fosse pesante la gravidanza che stava vivendo. Sua moglie era ormai al quarto mese inoltrato e il pancino era piuttosto evidente, se la si guardava attentamente di profilo. I bimbi le accarezzavano sempre il ventre e lei spesso rideva, quando lo facevano. Era bello vederla felice anche se Ross sapeva che la sua mente era ancora angosciata dalla paura per il loro futuro di coppia e dalle difficoltà che stava incontrando.

Doveva ancora stare a riposo, Dwight era stato categorico. Capitava che avesse contrazioni e dolori che la costringevano a letto se faceva più del consentito e questo la preoccupava e inquietava moltissimo. Era strano pensare per Ross, a quanto quella gravidanza fosse arrivata dopo due anni di nulla e che, finito quel pomeriggio di passione, si fosse ripiombati in un forzato nulla. Ma non gli pesava, sapeva che era per una buona causa e sapeva che avrebbero avuto davanti tutto il tempo del mondo per la passione e l'amore troppo a lungo accantonato. Anche se spesso i loro occhi, quando la sera a letto si baciavano e si guardavano, esprimevano un desiderio difficilmente controllabile.

Però, da bravi, poi facevano come aveva prescritto Dwight.

E Demelza riposava, anche se la sua natura vivace viveva questa immobilità forzata con difficoltà. Però, quando aveva saputo di Sarah, aveva preteso di poter essere presente al funerale della piccola. Era stata irremovibile e Ross aveva dovuto cedere, alla fine.

Avevano chiamato Prudie ad Illugan per affidarle i bambini e poi, a cavallo, si erano diretti verso la Chiesetta di Sawle dove si sarebbe svolta la cerimonia.

Era la prima volta da tre anni, a parte la festa dei minatori, che partecipavano a un evento insieme. E proprio per la natura dell'evento, non riuscivano ad essere emozionati per la quotidianità che stavano ritrovando.

Giunsero alla Chiesa che era ormai gremita di gente e si sedettero in fondo alla navata, agli ultimi posti.

Ross prese la mano di Demelza, la tenne stretta nella sua per tutta la cerimonia e non si dissero nulla. Sapevano di essere vicini, come forse non erano stati mai, pur nel loro mutismo... E stavolta era reale, erano davvero insieme, sullo stesso piano, pronti a sostenersi.

Durante la funzione esistevano solo la piccola bara, gli sguardi impietriti di Dwight e Caroline e il ricordo onnipresente della piccola Julia. A parte questo, quasi non percepivano la presenza delle persone attorno a loro...

Tanto che, a fine cerimonia, dopo un abbraccio intenso e disperato alla coppia di loro amici, quasi si stupirono del folto gruppo di gente che li attorniava. Eppure tanto per Ross quanto per Demelza, tutto era ovattato e lontano.

Vedere Dwight piangere sommessamente, con gli occhi impietriti, davanti alla bara della sua bambina, era straziante. Così come le calde lacrime di Caroline, che avevano preso a cadere finalmente, appena vista Demelza che quasi stritolò in un abbraccio.

Questo era assordante, tanto da togliere importanza a tutto il resto.

Quando vide Demelza tremare e piangere, Ross decise che era ora di tornare a casa. Dwight e Caroline erano attorniati da amici e famigliari e loro due non potevano fare di più. Sua moglie doveva riposare e soprattutto doveva allontanarsi da quel dolore che per lei... loro... era ancora più lacerante perchè già conosciuto. "Su, andiamo" – le disse dolcemente, cingendole le spalle con un braccio.

Lei annuì, non sollevando gli occhi da terra. Dopo un cenno di saluto che forse i suoi due amici nemmeno notarono, si avviarono verso la staccionata dove era legato il loro cavallo, quando furono bloccati da una voce sgradevole.

"Ross Poldark, dicono che siate diventato un eremita e in effetti erano mesi che non vi vedevo in giro".

Demelza alzò gli occhi al cielo e Ross sbuffò, voltandosi lentamente. Non si era accorto che ci fosse anche lui, a quel funerale. "George, il mondo a quanto pare è un posto piccolo dove ci si incontra spesso".

Lo fissò distrattamente, assieme a Demelza, accorgendosi che il suo nemico non era solo. Vestita con un abito color porpora, con i capelli raccolti in una elegante treccia, accanto a lui c'era Elizabeth.

Ross avvertì Demelza irrigidirsi e si rese conto, forse davvero per la prima volta nella sua vita, che a parte lei, non esisteva nessun'altro di importante. Per la prima volta Elizabeth era una conoscente come molti altri presenti a quella cerimonia e non gli suscitava più alcuna emozione.

George, sembrava invogliato a stuzzicarlo. "Una grave tragedia per la piccola Enys, vero? Ma poi, perché chiedere a voi? Siete tanto esperti, in materia...".

Avrebbe potuto prenderlo a pugni come ai vecchi tempi, per quello che aveva appena detto. Massacrarlo di botte e farlo sembrare un'idiota davanti a tutta la comunità non sarebbe stata una cattiva cosa, dopo tutto. Ma perché farlo? Non era il luogo adatto e soprattutto, l'unica cosa che voleva era portare via Demelza da lì. "Esatto, perché parlare quando si potrebbe volentieri farne a meno?". Strinse la mano di Demelza, le sorrise impercettibilmente per farle capire che sarebbe andato tutto bene e poi fece per andarsene, quando la voce di George lo bloccò nuovamente.

"Signora Poldark" – disse, avvicinandosi a Demelza mentre Elizabeth, pallida, lo guardava piuttosto seccata e in disparte – "E' molto che non vedo nemmeno voi. Dicono che siate tornata fra i vostri simili ad Illugan, come è giusto che sia". La squadrò, soffermandosi sul suo ventre. "In attesa? Di nuovo? Si racconta in giro che abbiate ormai molti figli voi, signora" – disse, in tono maligno e puntiglioso, rivolgendosi unicamente a lei.

"George...". Ross si intromise, cominciava ad essere troppo e se Demelza riusciva a mantenere un certo contegno, lui non era certo di riuscire a fare altrettanto.

George gli sorrise freddamente. "Siamo simili in questo momento, allora. Aspetto le vostre congratulazioni, Ross".

"Che volete dire?".

George gli indicò Elizabeth, rimasta alcuni passi dietro a lui. "La mia meravigliosa moglie sta per darmi un nuovo erede. Nascerà a gennaio".

Ross diede una veloce occhiata ad Elizabeth, non si era accorto che fosse incinta e onestamente non aveva nemmeno voglia di soffermarsi sulla cosa, nonostante le occhiatacce di Demelza che sapeva e disapprovava il consiglio che lui le aveva dato anni prima al cimitero, sulla tomba di zia Agatha. Alzò le spalle con noncuranza. "Beh, non siamo uguali, il nostro di bambino nascerà a dicembre. Buona giornata, George e auguri a tutti e due". E detto questo, prese Demelza per mano, trascinandola via. Se anche quell'idiota l'avesse richiamato per provocarlo, non si sarebbe fermato.

Arrivò al cavallo, prese Demelza fra le braccia e l'aiutò a salire in sella, ma sua moglie si liberò dalla sua stretta, scendendo nuovamente a terra. Sapeva quanto fosse stata dura per lei partecipare a quel funerale e sapeva anche che probabilmente era irritata dall'incontro con George. Ma non era ora di questioni e litigate e lui stavolta era assolutamente sicuro di non aver fatto nulla di male! "Demelza, è ora di andare a casa" – le intimò. Erano lontani da tutti e se lei voleva fare storie, le avrebbe risposto a tono.

"E' incinta" – disse lei, torva.

"E' sposata, succede che capiti di aspettare un bambino quando due si sposano".

Demelza lo guardò storto. "Desiderato o frutto di un cattivo consiglio?".

Lui sospirò, poggiandole la mano sulla spalla. "Non mi importa, non è un problema mio! A me interessa del nostro di bambino, non del loro".

Credeva che gli avrebbe ribattuto a tono, ma Demelza a quelle parole inaspettatamente si addolcì. Gli sorrise e gli sfiorò la mano poggiata sulla sua spalla. "Lo so...".

"Allora non sei arrabbiata?".

Lei lo guardò storto. "Certo che no!".

"Davvero?".

"Davvero. Sai, è solo stato strano perché...".

"Perché?".

Demelza alzò le spalle. "Perché per la prima volta, eri preoccupato solo per me. Non l'hai nemmeno guardata, Elizabeth. Non lo so, forse non ci sono abituata" – concluse, con un sorriso un pò impacciato.

Abbassò lo sguardo, ripensando con senso di colpa a quanto l'aveva trascurata negli anni, quando in giro c'era Elizabeth. Aveva spinto più e più volte il suo matrimonio vicino a un burrone senza accorgersene e sarebbe bastato un nulla per perdere Demelza per sempre. In fondo, a vederla da un'altra ottica, Hugh Armitage gli aveva insegnato a non dar nulla per scontato e che le ferite del cuore vanno curate con amore perché non guariscono mai da sole. "E' vero, ero preoccupato per te e la famiglia Warleggan era l'ultimo dei miei pensieri. Oggi non è stato facile venire quì, per nessuno di noi due". Lo disse, era inutile negarlo! Era inutile nascondersi quanto la morte di Sarah avesse riportato fra loro il fantasma di Julia.

Lei parve leggergli nella mente. "Hai pensato... a lei...?".

"Sì. E tu?".

Demelza annuì, mentre gli occhi le diventavano lucidi. "Certo. La penso sempre, a dire il vero. E ora che sono incinta, sapere che lei non sarà quì con noi quando il bambino nascerà, mi distrugge. E poi, Sarah... I bambini nascono dalla notte dei tempi, Ross! E muoiono anche! E non è detto che, visto che ci è capitato, non possa ricapitarci e ho paura! Ci sono andate male troppe cose e se qualcosa andasse storto, se... se...".

La fermò, baciandola sulle labbra. Non voleva che facesse certi pensieri, non glielo avrebbe mai permesso. Certo, tutto poteva andare storto, lo sapevano bene entrambi! Oppure, tutto poteva andare splendidamente bene, ci voleva solo fede! "Demelza, tu stai bene e a giudicare dalla tua pancia, sta bene anche il bambino. Pensare alle cose brutte non ti permette di viverti quelle belle, sai? Sei forte, coraggiosa, lo sei sempre stata e ora questo bambino, io e gli altri bimbi che abbiamo a casa... Noi abbiamo bisogno di te e della tua forza".

Demelza annuì, mentre le lacrime le solcavano il viso. "Io non voglio perdere nessun altro bambino, Ross. Sono terrorizzata! Non potrei sopravvivere a una cosa del genere un'altra volta. Voglio Jeremy, Clowance, Eleanor e questo piccolino sempre con me. Ti prego, dimmi che niente e nessuno me li toglierà, i miei bambini".

La abbracciò, aveva bisogno di essere rassicurata e tutto ciò che voleva trasmettergli era la sua ferma volontà a fare in modo che la loro famiglia fosse per sempre unita e felice. Non era solo Julia a turbarla, erano anche i due anni lontana da Jeremy e Clowance ad averla provata così tanto ed era colpa sua... Solo colpa sua! Come aveva potuto portarglieli via tanto a lungo? Anche se era arrabbiato e legittimato ad esserlo, non avrebbe dovuto mettere in mezzo i loro due figli! "Non permetterò che succeda nulla di male né a te né ai bimbi. Siamo in sei nella nostra famiglia e sei rimarremo! Giuro!". Dannazione, avrebbe dato la vita per tenere fede a questa promessa! Per lei, lo avrebbe fatto unicamente per lei, se fosse stato necessario...

Demelza sorrise dolcemente, avvicinando il viso al suo. Le punte dei loro nasi si sfiorarono, era una loro coccola che spesso si facevano nell'intimità e che sapeva trasmettere ad entrambi amore e sicurezza. "Ti credo!". Si accarezzò il ventre, impercettibilmente, stringendosi a lui e lasciandosi abbracciare.

"Hai male?" - chiese Ross, allarmato.

"No".

"E allora, perché ti tocchi la pancia?".

Demelza parve incerta su cosa rispondergli, per un attimo. Poi, senza dire nulla, gli prese la mano e se la mise sul ventre. "Ascolta".

Ross la guardò senza capire, poi osservò la mano poggiata su di lei. E tutto ad un tratto, quasi impercettibilmente, sentì sotto le sue dita un leggero ticchettare che non riusciva a identificare. "Demelza, la tua pancia... Si muove! Come fai a farlo?".

"Non è la mia pancia" – rispose lei, ridendo.

Spalancò gli occhi, incredulo. Se non era Demelza a farlo, era...? Oddio, come era possibile una cosa del genere? "E'... è...?".

"Il bambino, sì. E' la prima volta che si fa sentire".

Ross guardò la pancia, poi il viso di sua moglie e poi ancora la pancia. "Santo cielo, è normale? Cioè, che fa? Ti prende a calci? Si muove? Ti fa male? Come possiamo sentire un qualcosa di tanto piccolo? Può essere qualcosa di grave?".

Demelza parve sul punto di ridere e per la prima volta in quella giornata la vide serena e divertita. "Ross, sto bene, non spaventarti! E' normale, i bambini si muovono nella pancia e man mano che crescono, li si sente sempre meglio. E' una cosa bella, anche se forse oggi è così fuori luogo che succeda ed esserne felici, mentre pochi metri più in la due genitori seppelliscono la loro bambina appena nata".

No, non era d'accordo con lei! I calcetti del loro bambino e il fatto che fosse sano e vivace e si facesse sentire dai suoi genitori, non toglieva nulla alla tragedia vissuta da Caroline e Dwight né gli mancava di rispetto. Era il ciclo immutabile della vita e della morte che, dalla notte dei tempi, andavano a braccetto... "Demelza, credo che Dwight ne sarebbe contento, se fosse quì. E anche Caroline".

"Lo so, ma mi sento in colpa lo stesso".

La baciò. Sentiva di amarla come non mai, in quel momento. Demelza aveva un cuore d'oro e proprio Dwight aveva detto che aveva sempre dato amore e affetto a tutti, ricevendone poco in cambio. Ed era vero, a giudicare dalle sue parole e dal pensiero costante che rivolgeva prima agli altri che a se stessa... "Io credo che dovremmo esserne semplicemente felici, da genitori. Se lui si muove tanto, vuol dire che sta bene. Credo...". D'un tratto si accigliò, dicendo quelle cose. "Ma è la prima volta che ti capita o mi sbaglio?".

"No Ross, tutti i nostri bambini mi davano i calcetti".

"Ma non me lo avevi mai fatto sentire. Perché?".

Demelza arrossì, a quella domanda. "Beh, quando aspettavo Julia, mi vergognavo. Credevo che fosse una cosa da femmine e che a un uomo non interessasse. Con Jeremy... Beh, lui non lo volevi e faticavi persino ad accettare che fossi incinta. E con Clowance eri spesso lontano e ho vissuto la gravidanza quasi sempre da sola".

Fu costretto ad abbassare lo sguardo. Che idiota che era stato in passato, a dare tante cose per scontate e a stare tanto lontano da sua moglie, senza fermarsi ad osservare quanto avesse bisogno di lui, senza avvertire i suoi sentimenti e le sue paure e di fatto, non vivendo le gioie del loro matrimonio insieme. "Non so se questo possa interessare agli altri uomini ma interessa a ME! Sentire il nostro bambino che si muove, è la cosa più bella che abbia mai vissuto. Vorrei che fosse già dicembre e lui fosse già quì con noi, sai?".

Lei annuì. "Lo vorrei anche io".

"E vorrei che nascesse a Nampara" – aggiunse Ross, prendendo la palla al balzo. "Amo stare ad Illugan ma i nostri bambini sono nati tutti a Nampara, eccetto Ellie".

Demelza lo baciò dolcemente sulle labbra. "Non staremo ad Illugan per sempre. Sta tranquillo Ross, il nostro bambino nascerà a Nampara, nella nostra vera casa".

Ross le sorrise, quelle parole avevano il sapore di una promessa. Le avrebbe regalato la luna, se avesse potuto. Ma tutto quello che poteva fare, era rispettare i suoi tempi e prenderla per mano mentre riprendeva possesso del suo coraggio e della sua vita. "Andiamo dai bambini, su" – propose, mettendola sul cavallo senza incontrare resistenze, stavolta. "Prudie ci ucciderà, se ritardiamo ancora".

Lei annuì, rannicchiandosi contro il suo petto, quando fu salito in sella. "Credo che potrebbe succedere, sì".

"Ross?".

"Cosa?".

"Ti amo".

La baciò sulla nuca, stringendosela forte a se. "Anche io, amore mio. Su, torniamo a casa, i nostri bimbi ci aspettano".

"Sì, andiamo a casa da loro".

Demelza non disse più nulla ma entrambi sapevano di stare pensando alla medesima cosa: partecipare al funerale di una bambina ti faceva venir voglia solo di una cosa, correre a casa ad abbracciare i tuoi, di figli.

E Ross si rese conto che voleva abbracciare tutti e tre e che ormai nel suo cuore non c'era più alcuna differenza fra Clowance e Jeremy rispetto alla piccola Ellie. Era forse ora di sistemare le cose all'interno della sua famiglia e poi sì, solo allora avrebbero dovuto tornare a Nampara.


...


Era stata una serata strana quella, come del resto era stata strana tutta la giornata.

Prudie si era fermata per aiutarli a preparare la cena e se n'era andata tardi, lasciando Demelza in compagnia dei bambini.

Faceva un caldo assurdo e nonostante questo, sua moglie era stata inseparabile coi piccoli. Li aveva fatti giocare, aveva riso con loro e li aveva abbracciati più spesso del solito e lui l'aveva lasciata fare, stando in disparte. Sapeva che era quello di cui lei aveva bisogno e gli sembrava abbastanza in forma per partecipare ai loro giochi senza rischi per la gravidanza.

I bimbi, esausti, si erano addormentati nel lettone piuttosto presto e anche Demelza, distrutta da quella giornata così pesante, aveva fatto altrettanto. Visto il caldo torrido di quella giornata, si era addormentata con addosso solo una leggera sottoveste bianca che le copriva a malapena le gambe fino alle ginocchia e ne delineava piuttosto bene i contorni del seno e del ventre. Ross rimase a lungo a guardarla dormire, sentendosi completamente catturato da quella figura bella ed elegante, da quei capelli rosso fuoco sparsi sul cuscino, dal suo viso ancora un pò da bambina e dalle rotondità del suo corpo che si preparava a diventare nuovamente quello di una madre. Santo cielo, ne era attratto da morire e vederla così, senza poterla toccare, era una sorta di tortura per lui...

I bambini dormivano accanto a lei, rannicchiati contro di lei. Li invidiava un pò! Visto il caldo immenso, Demelza aveva messi a letto i due bambini più grandi con indosso solo un paio di mutandine, a petto nudo, mentre la piccola Ellie indossava un pannolino di stoffa tenuto a bada da una spilla, che la rendeva pittosto buffa. Jeremy dormiva col capo appoggiato al ventre di Demelza, Clowance era rannicchiata al suo fianco sinistro mentre Ellie, col sonno più leggero, si girava e rigirava nel centro del letto.

Ross uscì a prendere aria, sedendosi sullo scalino del piccolo porticato. Il bosco era silenzioso e tranquillo e nei rumori placidi della notte sembrava voler acquietare il suo animo tormentato da mille fantasmi del passato. Julia era sempre presente nei suoi pensieri ma c'erano giorni come quello dove avvertiva ancora più insopportabile la sua scomparsa. E sapeva che sarebbe stato così anche per Dwight e Caroline, purtroppo... E poi c'erano i calcetti di quella nuova vita, che gli avevano scaldato il cuore... Era successo di tutto, in quel giorno strano!

Sospirò, appoggiando la mano al mento, quando qualcosa di leggero gli sfiorò la spalla.

Sussultò, voltandosi di scatto e si trovò davanti Ellie che, silenziosa come un gatto, era scesa dal letto e uscita di casa. Col pancino nudo e il pannolino bianco che ne rendeva goffi i movimenti, Kiky fra le braccia, i boccoli biondi spettinati tenuti fermi dal suo amato tricorno che doveva essersi cacciata in testa dopo essersi svegliata, aveva evidentemente deciso che di dormire, non ne aveva voglia. Sospirò, prendendole la manina e attirandola a se. "Non riesci a dormire?".

La piccola si grattò la guancia. "Ho caddo!".

Beh, come darle torto? Era una notte afosissima e non capiva come Demelza e gli altri due bambini riuscissero a dormire. "Hai ragione, ma sarebbe una bella cosa se dormissi lo stesso".

"Tu?" - chiese lei, rimarcando che a dormire non erano in due.

E ancora, come darle torto? "Ma senti... Se quando nascerà il tuo fratellino o sorellina, farà come te e non vorrà dormire, che si fa?".

Ellie rise a quella domanda, con un'espressione da monella irresistibile. "Tutti vegli!" - rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

"NOOO!". Santo cielo, era decisamente figlia di sua madre, bella come lei e con la medesima faccia tosta di quando l'aveva conosciuta. La prese in braccio, mettendosela sulle gambe, cominciando ad immaginare quanto sarebbe stato romantico averne DUE di bambini che non dormivano. "Senti, vuoi sentirla una storia?".

"Sì".

"Una volta sai, conoscevo un giovane poeta che scriveva poesie e che amava l'amore. Aveva una visione della vita tanto romantica che mi chiedo se adesso, SE FOSSE QUI', alle prese col frutto del suo amore romantico che non vuole dormire, saprebbe essere altrettanto poetico e prolifico, coi suoi scritti".

Ellie lo guardò senza capire, grattandosi il mento, e Ross sospirò. Santo cielo, iniziava a straparlare! "Lascia perdere" – disse, baciandole la fronte – "Oggi non sono molto in me".

Sospirando, fece per toglierle almeno il tricorno dalla testa, ma la piccola si oppose fermamente. "No!".

"Ellie, avrai meno caldo, se te lo levi".

"Non vojo".

Ross la osservò e i suoi occhi incontrarono quelli di Ellie. Per un attimo rimase stupito dalla serietà con cui lo stava guardando, come se volesse dirgli qualcosa che ancora, a parole, non sapeva esprimere. C'era qualcosa che lei voleva dirgli, attraverso quel tricorno che sembrava adorare tanto, qualcosa che ancora a lui sfuggiva. "Ellie, dimmi perché ti piace tanto quel cappello, per favore". Doveva saperlo, il suo istinto gli gridava che era importante.

Ma Ellie scosse la testa, stringendo a se Kiky. E Ross si arrese... "Sei una bambina piena di misteri, sai?".

"Pecché?".

"Perché è un mistero il tuo attaccamento a quel coniglietto. Ed è un mistero il perché ti piaccia tanto il mio tricorno". La baciò di nuovo sulla fronte, prendendola in braccio e facendo due passi con lei fra gli alberi. "Ed è un mistero come io possa amarti tanto, nonostante tutto, sai?".

Ellie non disse niente. Ma a quelle parole si tolse finalmente il tricorno mettendoglielo in testa, prima di stringersi a lui cingendogli il collo con le braccia. Si mise il dito in bocca e Ross capì che forse, passeggiando un pò, avrebbe anche potuto farla dormire.

Si avvicinò al torrente, sedendosi su una roccia. Mise a mollo i piedi nell'acqua per trovare refrigerio ed Ellie volle fare altrettanto. "Bagnetto?".

"No, scordatelo! Se a quest'ora ti bagni i capelli e il pannolino, tua mamma ci metterà in castigo entrambi".

Ellie rise. "No, solo tu!".

Ross alzò gli occhi al cielo. Quando voleva essere chiara, sapeva esprimersi benissimo, quella piccola peste... "Sei tremenda! E ringrazia il cielo che sei bella e che assomigli a lei, o nel torrente ci saresti finita davvero".

Ellie rise ancora, per nulla spaventata. E guardandola, ripensando a Caroline e Dwight, Ross si sentì fortunato. Non avrebbe barattato la sua vita di quel momento, compresa di tutte le persone che ne facevano parte, per nessun motivo.

Ellie era semplicemente una persona in più al mondo, una persona che lo amava. Il resto non aveva importanza, era sua, la sentiva sua come gli altri suoi figli... Lei, più di tutti, l'aveva reso un uomo migliore che aveva saputo andare oltre i suoi limiti, insegnandogli che l'amore era un sentimento più prezioso e puro di qualsiasi altra cosa esistente al mondo.

E solo questo contava, solo questo...


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Capitolo 36
*** Capitolo trentasei ***


Lord Falmouth, con una lettera piuttosto brusca in cui lo convocava nella sua residenza in Cornovaglia, lo aveva invitato per il pranzo e non sembrava ammettere repliche.

Il caldo era opprimente in quell'agosto torrido e Ross non aveva ricevuto la lettera, portata da Prudie dopo che era stata recapitata a Nampara, con piacere. Soprattutto, considerando che il giorno dell'invito corrispondeva a una visita di Dwight a Demelza e al bambino e Ross voleva essere presente e accertarsi che tutto andasse bene.

Ma Demelza lo aveva persuaso che non c'era bisogno di lui e che Dwight se la sarebbe cavata benissimo nel suo ruolo di medico, cosa su cui in effetti non poteva obbiettare. Sua moglie lo aveva fatto ragionare, facendogli notare che il fatto che Lord Falmouth fosse indisposto nei suoi confronti in fondo fosse normale, visto che non si era più presentato a Londra per i suoi impegni politici in parlamento e che quindi fargli visita fosse un atto dovuto e conforme all'etichetta delle buone maniere.

Di malumore, Ross si era alzato presto quella mattina, quando tutti stavano ancora dormendo. Avrebbe voluto vedere Dwight anche per fare due chiacchiere con lui e accertarsi che stesse bene dopo la morte di Sarah, ma a quanto pareva, doveva rimandare l'incontro con l'amico. Era preoccupato per lui... Si era lanciato anima e corpo nel suo lavoro e Ross sapeva che era per non pensare e per tenersi occupato, lo sapeva perché ci era passato prima di lui con Julia. E poi, avrebbe voluto avere subito notizie circa la gravidanza di Demelza e essere tranquillizzato sul fatto che andasse tutto bene. Era tornata energica e in forze, non aveva più dolori e sembrava serena, ma il parere di un medico sarebbe stato un qualcosa di ancora più confortante per lui.

Si lavò nel torrente, sorvegliato a vista da Garrick, poi tornò in casa a vestirsi, chiedendosi che diavolo volesse Lord Falmouth da lui. Certo, c'erano questioni politiche urgenti lasciate in sospeso a Londra, ma perché si era scomodato in piena estate a venire in Cornovaglia, visto che il Parlamento sarebbe rimasto chiuso fino all'autunno?

Osservò Demelza dormire, mentre si vestiva. Dormiva di un sonno leggero, poggiata sul fianco, con accanto Ellie e Kiky. Gli altri figli più grandi dormivano nel letto in cameretta e difficilmente si svegliavano, ma la piccola faticava ancora a stare lontana tutta la notte da sua madre e puntualmente, all'alba, sgattaiolava nel lettone fra di loro. Era un rito di Ellie e Demelza, questo Ross lo sapeva, una loro abitudine nata quando vivevano da sole in quella casa e di fatto la bambina era ancora troppo piccola per abbandonare quella consuetudine. La lasciavano fare anche perché l'alternativa sarebbe stata sentirla piangere nella stanza, svegliando Clowance e Jeremy, e dover essere costretti comunque ad alzarsi per andare da lei.

Ross sorrise, guardandola. Beh, anche Eleanor sarebbe cresciuta, prima o poi...

Si sedette sul letto, baciando Demelza sulla fronte.

Lei aprì gli occhi, sbadigliando. "Sei già pronto?".

Lui sospirò. "Prima vado, prima torno. Mi raccomando, fa in modo che quando venga Dwight, vada tutto bene".

Demelza sorrise, stringendo a se Ellie. "Promesso".

"Brava!". Si chinò nuovamente, baciandola sulle labbra. "Ci vediamo dopo pranzo, allora".

"D'accordo! E cerca di essere diplomatico con Lord Falmouth, ricorda che lo hai mollato da solo a Londra con poche righe di spiegazione, senza preavviso".

Ross esibì il suo perfetto sorriso da canaglia. "Io spero solo di non morire di noia" – rispose, scostando dalla fronte di Ellie un boccolo biondo.

La bimba si strofinò gli occhi, guardandolo assonnata. "Dove vai?" - chiese, vedendolo vestito.

"A fare una cosa molto noiosa assieme a una persona molto noiosa" – rispose strizzandole l'occhio e cercando di ignorare la vocina della sua coscienza che gli ricordava che Lord Falmouth e quella bambina avevano un legame di sangue fra loro.

Ellie gli afferrò allora la camicia, cercando di attirarlo a se. "Nooo! Sta quì con me e mamma allola!".

Si chinò, baciandola sulla fronte. "Non posso ma mi piacerebbe! Torno presto, te lo prometto, ma tu dormi ancora un pò. E quando sarai sveglia, cura la mamma, mi raccomando!".

"Cetto!" - rispose seria, mentre Demelza lo guardava corrucciata.

Ross sorrise, dando un altro bacino sulla fronte alla piccola. "Mi fido di te".

Eleanor annuì assonnata ma soddisfatta, rannicchiandosi contro il petto di sua madre. E Ross, a malincuore, dopo averle salutate di nuovo e aver dato una veloce occhiata a Jeremy e Clowance nella cameretta, uscì e salì a cavallo.

Andare da Lord Falmouth lo metteva di malumore. Era un uomo con cui collaborava ma di cui non condivedeva le idee e spesso avevano discusso, a Londra. E poi c'era un'altra cosa che lo disturbava, benché faticasse ad ammetterlo: stava andando nella residenza dei Boscawen, nella dimora dove tre anni prima era morto Hugh Armitage... Demelza era stata in quella casa, incinta di Ellie, per prendersi cura di lui... Lei aveva percorso quei corridoi che erano stati i silenziosi spettatori dell'amore di un uomo verso sua moglie, aveva passeggiato in quei giardini forse piangendo per lui e... e questo faceva ancora male, dannazione!

Quando arrivò, con fretta diede il cavallo a un servitore, chiedendo di essere ricevuto subito. Se tutto fosse stato veloce, magari sarebbe riuscito a liberarsi presto e a pranzare a casa con la sua famiglia.

Il servitore gli disse che Lord Falmouth lo attendeva nel suo studio e Ross si lasciò condurre da lui.

Era una casa molto lussuosa, in perfetto stile Boscawen, coi corridoi percorsi da tappeti persiani e le pareti piene di quadri di artisti famosi. La vendita di uno solo di quei dipinti avrebbe potuto sfamare tutte le famiglie dei suoi minatori della Wheal Grace, pensò.

Quando arrivò, il servitore bussò, aprì la porta e lo lasciò entrare, chiudendo poi l'uscio dietro di se e lasciandoli soli.

Ross annuì, piegando il capo in segno di saluto. Forse il consiglio di Demelza di essere accomodante poteva tornargli utile per finirla in fretta, pensò. "E' un piacere vedervi".

Lord Falmouth rispose al saluto, poi gli fece cenno di sedersi davanti a lui. Sembrava rigido e impettito più che arrabbiato per il suo comportamento e la sua sparizione dalla capitale. "Mi spiace di avervi scomodato signor Poldark, immagino che abbiate molte cose da fare a casa...".

Ross, sedendosi, annuì. "Sì, infatti. Mia moglie aspetta un bambino e non è una gravidanza semplice, quindi preferisco non lasciarla sola troppo a lungo con gli altri nostri bambini".

Lord Falmouth picchiettò l'estremità della pipa che teneva in mano, sul tavolo. "Cercherò di essere breve allora. Immaginate il motivo per cui vi ho fatto chiamare?".

"Per avervi lasciato da solo a Londra così, improvvisamente?".

"No, non per quello. I lavori parlamentari, come ben sapete, si rallentano in estate e quindi me la sono cavata piuttosto bene anche senza il vostro aiuto. La questione per cui vi ho fatto chiamare è più privata e personale... Una questione di onore".

Ross si accigliò. "Onore?".

Falmouth sospirò. "Sì, il vostro e il mio. Il buon nome delle nostre antiche famiglie è in grave pericolo".

Ross lo guardò senza capire, assolutamente all'oscuro di quello che stava ascoltando. "Prego?".

Lord Falmouth si alzò dalla sedia, passeggiando avanti e indietro fino alla grossa finestra che dava sul giardino. "Devo dirlo senza fare troppi giri di parole, Ross?".

"Lo gradirei, sì" – rispose, sinceramente incuriosito più che preoccupato.

Gli occhi grigi di Falmouth si piantarono su di lui. "Eleanor Carne...".

Ross spalancò gli occhi. Che c'entrava Ellie con...? Sentì il cuore rallentare mentre uno strano sesto senso gli suggeriva che erano in arrivo guai... "Eleanor?" - disse, deglutendo.

"Sì, Eleanor! La figlia di vostra moglie, la sua terzogenita. L'unica figlia che non porta il vostro cognome, Ross".

Aspettò un attimo a rispondere, ponderando le parole. Se Falmouth gli stava parlando di Eleanor, era perché per qualche assurdo motivo sapeva la verità e quella verità, nelle sue mani, poteva diventare qualcosa di pericoloso per la piccola. "Eleanor... Ellie... Una bellissima bambina di due anni, intelligente, dolce e simpatica. Perché stiamo parlando di lei?".

"Perché di lei si parla a Londra".

Ross deglutì. Mancava da mesi dalla capitale e non aveva idea di quali oscure trame si stessero muovendo alle sue spalle... Che c'entrava la piccola con tutto quello di cui Falmouth stava parlando? Viveva dalla nascita ad Illugan, una vita fatta di gente semplice e cose semplici, con sua madre e senza rapporti con la famiglia del padre. Che diavolo stava succedendo? "Di Ellie?".

Falmouth annuì, tornando a sedersi davanti a lui. "Di Eleanor, di vostra moglie e di Hugh... E con Hugh, della mia famiglia e del mio casato. Capite che è piuttosto imbarazzante".

"Non riesco a capirne il motivo" – rispose, gelido.

"Si dice che la bambina sia nata dalla relazione clandestina di vostra moglie con mio nipote e capite bene che queste voci devono essere fermate per evitare scandali che ci getterebbero nel fango, assieme alle nostre carriere e al nostro futuro. Apparteniamo a famiglie antiche e onorabili, Ross, non dimenticatelo! Non dobbiamo permettere di essere trascinati nello scandalo, intesi?".

Ross si accigliò, Lord Falmouth si stava alterando e cominciava ad avere un quadro piuttosto chiaro della situazione. Se era vero che giravano quelle voci, era altrettanto vero che quelle voci corrispondevano a verità, certo! Ma chi poteva averle messe in giro? "Chi lo dice?".

"George Warleggan, il pupillo di Lord Bassett".

Ross scoppiò a ridere, una risata ironica. In realtà non condivideva nessuna delle ansie di Lord Falmouth e conosceva abbastanza bene George per sapere che presto si sarebbe stancato di quel giochetto e si sarebbe servito di altro per colpirlo. Probabilmente la primavera precedente, quando lo aveva incontrato con Demelza e i bambini mentre andavano da Pascoe, aveva fatto ricerche su Ellie di cui ignorava l'esistenza e queste erano le conseguenze. Era stato stupido a non pensarci, ma in realtà forse non lo aveva fatto perché non riteneva il suo rivale degno di attenzione. E anche Lord Falmouth doveva pensarla in quel modo! "George Warleggan, da quando siamo ragazzi, tenta in ogni modo di gettare discredito addosso a me e alla mia famiglia. Sono solo voci, non date retta ai pettegolezzi e lasciatelo sfogarsi! Si stancherà".

Lord Falmouth strinse gli occhi. "Solo voci? Perché allora non ha il vostro cognome, quella bambina?".

Già, perché? In realtà era una strana partita quella che si stava giocando fra lui e il suo interlocutore e Ross sapeva che mentire poteva servire ben a poco, perché Falmouth sapeva la verità. "I problemi matrimoniali fra me e mia moglie sono fatti privati, se permettete...".

"Fatti privati che mi riguardano, SE PERMETTETE!".

Ross si oscurò. "Lord Falmouth, io vi rispetto per ciò che siete e che rappresentate, ma questi sono affari privati della mia vita che non vi riguardano. I pettegolezzi che girano su mia moglie sono, appunto, solo pettegolezzi e oltre non voglio dirvi".

Lord Falmouth sorrise freddamente. "Pettegolezzi? Avanti Ross Poldark, sapete quanto me che questa volta non è così e che ciò che dice George Warleggan è vero! Giochiamo a carte scoperte e cerchiamo di uscirne da vincitori entrambi".

Lo disse con tono che non ammetteva repliche, lo disse con la ferma convinzione di conoscere la verità. E negare non sarebbe servito a nulla. "Vincitori di che?" - chiese. Cominciva ad essere irritato...

"Se sapremo risolvere il problema senza lasciare tracce, come se non fosse mai esistito, sarebbe una buona cosa per il nostro buon nome. Si tratta di una questione di buon senso e riservatezza e confido che voi l'abbiate, Ross. Più di vostra moglie di certo... L'errore di un giovane inesperto romantico e di una donna dalle origini umili e dalla dubbia moralità, non devono ricadere su di noi. Ognuno deve fare la sua parte, Ross. Io farò la mia, per quel che concerne Hugh, voi la vostra per quel che concerne Demelza".

Era troppo! Non solo parlava di Ellie come di un oggetto indesiderato di cui disfarsi, aveva anche osato infamare Demelza. Sua moglie aveva sbagliato, umanamente e come aveva fatto lui stesso prima di lei, aveva scontato i suoi errori con dolore e fatica e aveva cresciuto da sola una bambina meravigliosa che di Lord Falmouth, sulla carta, era nipote. Se non fosse stato per l'età di Lord Falmouth, per quel che aveva appena detto l'avrebbe preso a pugni... "Non osate mai più parlare di mia moglie in quel modo!" - disse, anche lui con un tono che non ammetteva repliche. Se c'era qualcuno che poteva parlare con lei, litigare e magari giudicare, quello era lui. Non Falmouth! Non George e nessun altro! Conosceva Demelza ed era migliore di lui e del suo interlocutore, di George e di tutti i palloni gonfiati della buona società londinese che si permettevano di giudicare le vite degli altri senza saperne nulla. Sua moglie era una persona buona e dolce che aveva sempre amato le persone che aveva avuto vicino, non si era mai risparmiata in fatica e lavoro, si era sempre prodigata per tutti e aveva saputo perdonare l'imperdonabile. Non era una persona leggera o amorale, affatto! Aveva ceduto ad un corteggiamento romantico in un momento per lei difficilissimo e con tenacia e orgoglio ne aveva affrontato le conseguenze da sola, senza chiedere nulla a nessuno, ad un prezzo altissimo. Non gli importava di quello che diceva Lord Falmouth, delle sue preoccupazioni sul suo buon nome e di come intendesse affrontare una situazione che di fatto non era affar suo, non gli importava di nulla di quel che pensava quell'uomo! Doveva stare lontano da lui e dalla sua famiglia, tutto quì!

Lord Falmouth, imperturbabile, sospirò. "Vostra moglie vi tradisce e voi la difendete? Siete ammirevole, Ross Poldark! O molto sciocco...".

Ross sorrise freddamente. "Lasciatemi in pace, LASCIATECI in pace! La mia famiglia non è affar vostro".

"La bambina fa parte anche della mia, di famiglia".

Davanti a quelle parole che di fatto lo mettevano al muro, si irrigidì. Che doveva fare? Ascoltarlo e cercare un punto di caduta? O lasciar agire l'orgoglio e rischiare di cacciarsi nei guai assieme a Demelza ed Eleanor? "Cosa volete da noi?".

"Che venga fatto ciò che è giusto e appropriato".

"E cosa sarebbe giusto e appropriato, per voi?".

Lord Falmouth divenne mortalmente serio. "Qualcosa che, a conti fatti, non vi dispiacerà! Posso immaginare il vostro dolore nel trovarvi davanti, onnipresente, la prova vivente del tradimento di vostra moglie e io vi sto offrendo il mio aiuto per sistemare questa incresciosa faccenda".

Fu costretto ad abbassare lo sguardo perché era vero, all'inizio vedere Eleanor era stata una sofferenza per lui. Dolore e rabbia lo avevano accompagnato a lungo ma poi erano subentrati l'accettazione e il buon senso e infine l'affetto per quel batuffolo coi boccoli biondi che parlava in modo buffo e gli saltava sempre fra le braccia. Amava Eleanor, la amava come amava i suoi figli e quando tornava a casa, di sera, voleva che gli corresse incontro e lo abbracciasse come facevano Jeremy e Clowance. Ellie faceva parte della sua famiglia, molto più di quanto avesse mai fatto parte della famiglia di Lord Falmouth. E sentiva di doverla proteggere come ogni uomo e padre dovrebbe proteggere i suoi piccoli... "Ciò che abbiamo vissuto io e mia moglie è stato doloroso, ma abbiamo saputo superarla e ricostruire il nostro matrimonio. Non credo che la gestione di Eleanor sia affar vostro e so per certo che non lo è stato nemmeno in passato visto che che mia moglie non vi ha mai chiesto nulla".

Lord Falmouth si morse il labbro. "Non è una questione di denaro, è una questione di onore! Vostra moglie e l'errore di mio nipote ci trascineranno nel fango se non interveniamo".

"Intervenire COME?".

Il suo interlocutore rise ma in lui c'erano nervosismo e rabbia. "Avanti, sapete benissimo dove vanno a finire i figli illegittimi nati da amori clandestini... Cercheremo un bell'istituto gestito come si deve, con tutta la riservatezza del caso porteremo lì la bambina, le daranno un nome nuovo e noi potremo continuare a vivere come se quella seccante incombenza non fosse mai esistita".

Ross spalancò gli occhi, inorridito... Come poteva parlare in quel modo di una bimba tanto piccola? Quando aveva scoperto dell'esistenza di Ellie, nella rabbia ma forse senza crederci fino in fondo, aveva intimato a Demelza di fare una cosa simile a quella accennata da Lord Falmouth ma ora... ora pensare a una cosa del genere... Gli venne in mente il faccino biricchino di Ellie, la sua voglia di avere vicino la sua mamma, il suo sorriso sincero e la sua vocina squillante e ancora stentata... L'idea di abbandonarla da sola al suo destino, senza avere più accanto nessuna delle persone che lei amava, lo annientava come se quel torto lo stessero facendo a lui. "Vorreste strappare una bambina a sua madre?".

"La fate sembrare più grave di quel che è! Si tratta di onore e rispettabilità, Ross!".

Scosse la testa, non credeva alle sue orecchie. "Onore? Onore è far del male a una bambina tanto piccola che non vi ha fatto nulla e che non può difendersi? Onore è abbandonarla a se stessa, da sola? Onore è togliere una figlia a una madre che la ama? Se questo per voi è onore, sono felice di pensarla diversamente".

Falmouth divenne rosso di rabbia. "Avanti, non siate sciocco! La bambina è piccola, tempo due giorni e si sarà dimenticata di voi e della sua vecchia vita! Pensateci Ross, potrete ricominciare a vivere serenamente il vostro matrimonio con i vostri VERI figli! Per quanto riguarda vostra moglie, è incinta! Piangerà qualche giorno come fanno tutte le donne, ma quando avrà partorito il nuovo bambino, la piccola illegittima non turberà più i suoi pensieri e tornerà solo vostra. Non siate sentimentale Ross, questo modo di fare appartiene alle donne ed è naturale riscontrarlo in vostra moglie Demelza o in mia sorella Dorothy, ma voi siete un uomo e un uomo deve sapere sempre cosa fare! Cosa volete? Condividere le vostre ricchezze con una bambina non vostra? Dividere l'eredità da lasciare ai vostri figli con una piccola bastarda?".

Ross scosse la testa... Santo cielo, come aveva potuto collaborare con una persona del genere? Come poteva Lord Falmouth avere nelle vene lo stesso sangue della piccola, dolce Ellie? Ora ne aveva davvero la certezza, quella bambina era inequivocabilmente solo di Demelza e con quelle persone non c'entrava nulla. "Lord Falmouth, avete paura degli scandali, vero?" - disse, socchiudendo gli occhi per tenere a bada la rabbia che rischiava di esplodere in ogni momento.

"Esatto!".

"Bene, allora ascoltatemi attentamente!". Si sporse sulla scrivania, fino ad essere viso a viso con lui. "Pregate che nessuno si avvicini ad Ellie e tenti di farle del male, pregate che nessuno le torca nemmeno un capello o tenti di allontanarla da sua madre oppure vi giuro che sarò io stesso a trascinarvi nel fango, a Londra e in tutta l'Inghilterra, se sarà necessario".

"E' una minaccia?" - chiese Lord Falmouth, impallidendo.

"Potete scommetterci!".

Falmouth batté le mani sulla scrivania con violenza. "Siete folle, lo sapete? Non è vostra figlia!".

Ross sorrise amaramente, scuotendo la testa. Forse era inutile spiegare a uno come lui che a volte il cuore sa andare oltre i legami di sangue e che l'amore sa sbocciare nei luoghi e nei modi più incredibili. Ellie era la sua piccola ed era colei che più di tutti l'aveva reso un uomo e un marito migliore... Riconquistare Demelza senza di lei forse sarebbe stato più facile ma probabilmente non sarebbe mai andato oltre i suoi limiti di persona orgogliosa che non si fermava mai a farsi domande. No, Ellie lo aveva costretto a fare quel passetto in più, l'aveva costretto a riconoscere che a volte è necessario perdonare oltre che perdonarsi, gli aveva insegnato a saper amare anche gli errori e che anche dalle macerie più profonde si può ricostruire meglio di prima, in modo nuovo e più forte. "Sì che è mia figlia! Lo è perché la notte, quando mi alzo per vedere se i bambini respirano, controllo pure lei. E' mia figlia perché mi abbraccia e mi cerca come gli altri miei figli e quando lo fa, io sono felice. E' mia figlia perché conosco il suo giocattolo preferito e so che senza il suo coniglietto di stoffa non dorme. E' mia figlia perché so che per qualche assurdo motivo adora il mio tricorno e se lo tiene sempre in testa anche se fa molto caldo. E' mia figlia perché so che ha paura di cavalcare e allora io e lei ci facciamo lunghe camminate a piedi perché non voglio che pianga. E' mia figlia perché so che all'alba, tutte le mattina, viene nel lettone in cerca della mamma. E' mia figlia perché la amo per quello che è e non per quello che il mondo pensa di lei. E' mia figlia perché fa parte della mia famiglia e senza di lei non sapremmo più essere felici. E' mia figlia perché non intendo perderla ed essendoci già passato, ucciderò chiunque tenti di portarmela via".

Flamouth scosse la testa. "Siete uno sconsiderato e un folle sognatore. Potete dire quel che volete, ma la piccola non porta il vostro cognome".

Ross sorrise. Aveva tergiversato troppo a lungo ma ora sentiva di essere pronto e che era arrivato il momento. Sapeva che raccontare a Demelza di quel colloquio l'avrebbe turbata e sperava di trovare le parole giuste per comunicargli la sua decisione e quanto successo senza farla agitare. Avrebbe voluto risparmiarle quella preoccupazione ulteriore, ma non poteva farne a meno e in fondo, lui sapeva anche come risolvere il problema. "Eleanor avrà il mio cognome, statene certo. Sarà mia figlia, per me e per il resto del mondo. Nessuno potrà più obbiettare nulla, se la riconoscerò come mia, e voi potrete dormire sonni tranquilli".

Lord Falmouth sospirò, sprofondando sulla sua sedia. "Non avete alcun senso dell'onore e non vi importa delle umiliazioni. Lo dicevano che eravate una testa calda e ora so che siete anche pazzo. Ma se a voi sta bene così, se vorrete dividere il vostro patrimonio di famiglia con la figlia di un altro uomo, fate pure! La vita è vostra e purché non interferisca con la mia, a me va bene tutto. Ma fate in fretta a fare quel che dovete o riceverete nuovamente mie notizie. E stavolta non giungerò ad alcuna trattativa e non mi farò spaventare da alcuna minaccia!".

Ross annuì. "Farò più in fretta possibile. Ma considerate che dovrò coinvolgere mia moglie e che lei non sta bene".

"Non mi importa! Fate in fretta!".

Ross scosse la testa e non rispose, era inutile argomentare con lui. Si rimise in testa il cappello e si avviò verso l'uscio. "Sì, farò in fretta. E' anche un mio desiderio sistemare le cose con la piccola Ellie... Mi spiace solo per voi perché state perdendo una nipotina che vi avrebbe reso orgoglioso".

"Ne dubito" – disse la voce gelida di Lord Falmouth, alle sue spalle.

Ross non rispose e se ne andò in silenzio, sbattendo la porta. Dire che non si sarebbe fermato per pranzo era ormai superfluo, aveva solo voglia di andarsene da lì, di tornare a casa da sua moglie e dai suoi bambini e di abbracciarli. Lord Falmouth, col suo orgoglio, avrebbe trascorso una giornata solitaria e rabbiosa mentre lui, che di orgoglio forse ne aveva meno di prima, avrebbe trovato l'affetto e il calore della sua famiglia... Chi era il vincitore? E chi il folle fra loro due?

Salì a cavallo ed uscì dalla villa, quando decise che prima di tornare a casa voleva fare una deviazione in un luogo dove non metteva piede da lungo tempo ma di cui sentiva la necessità di una visita.

Arrivò al cimitero di Sawle che era quasi mezzogiorno e faceva un caldo orribile. Scese da cavallo e a piccoli passi si diresse verso la tomba di famiglia dei Boscawen, dove riposava Hugh Armitage...

Anche se era morto, era giunto il momento di un confronto troppo a lungo rimandato con lui...

Si chiese fugacemente se Demelza fosse mai stata lì con Ellie, ma scacciò il pensiero perché era abbastanza certo che non ci avesse messo piede con la piccola e avesse preso le distanze dalla famiglia Boscawen subito dopo la morte di Hugh.

Quando arrivò davanti all'elegante tomba di granito e lesse il nome di colui che era stato il suo rivale, la sua data di nascita tanto vicina a quella di morte, il viso del giovane tenente gli tornò violentemente alla mente, assieme a un moto di pietà che non pensava di poter provare. Era morto giovane, molto giovane...

E aveva lasciato un vuoto in una vita brillante che lo stava attendendo dalla sua nascita...

Hugh aveva avuto per pochi istanti Demelza ma MAI aveva avuto il suo cuore. Aveva asciugato le sue lacrime e riempito un vuoto momentaneo ma non sarebbe mai stato in grado, nemmeno se fosse vissuto, di avere davvero Demelza. Il cuore di sua moglie non era mai stato di nessun altro se non suo e forse ora aveva imparato davvero a prendersene cura e a capirlo quel cuore, a proteggerlo e rispettarlo, a percepirne il dolore e la gioia... Ad ascoltarlo...

Pensò alla piccola Ellie e alle parole di Lord Falmouth su di lei... Come se parlasse di un insetto fastidioso... E sorrise amaramente, osservando il monumento funebre. "Sai una cosa? Mi spiace che tu sia morto perché morendo mi hai tolto il piacere di darti ciò che meriti, ma mi rendo conto che non è colpa tua! Non sei morto per punizione a ciò che hai fatto alla mia famiglia, sei morto e basta perché questo era il tuo destino! Ti odio e forse lo farò sempre! Odio tutto di te eccetto una cosa: Ellie! E ovunque tu sia, se ci ascolti e ci guardi, ricorda una cosa, tenente Armitage! Lei non è tua come non è mai stata tua Demelza! Avresti saputo lottare per lei, se fossi stato quì? Avresti sofferto nel saperla in pericolo? Avresti cercato di essere suo padre, di conoscerla e crescerla? Avresti ascoltato il suo pianto e le sue paure? L'avresti consolata se fosse caduta con te al suo fianco? L'avresti difesa da tuo zio? O ti saresti limitato a scrivere in versi il tuo dolore per una bambina perduta che non hai saputo difendere dalle questioni di onorabilità della tua famiglia? Avresti consolato il pianto di Demelza per la perdita di una figlia con una poesia? Se mi ascolti, Hugh Armitage, sappi che non sei mai stato e non sarai MAI padre di Eleanor! E' mia, sarà mia! Non tua, non te la meriti come non ti meritavi Demelza... Mia moglie ti ha dimenticato e per lei sarai solo un ricordo, Ellie nemmeno sa della tua esistenza e sarà sempre così! E questa sarà la tua punizione e sì, te la meriti e per questo trovo soddisfazione... E pena per te... Tieniti la mia pena, forse è la migliore vendetta che posso avere e che più può ferirti! Sapere che Ellie chiamerà ME papà, è più che sufficiente per quanto mi riguarda. E non lo faccio per vendetta, lo faccio perché la amo più di quanto avresti saputo amarla tu".

Parlò velocemente, senza quasi prendere fiato. E quando ebbe finito, si sentiva le guance in fiamme e il respiro più corto. Ma il suo animo era più leggero...

Ellie era sua figlia! E a breve lo sarebbe stata legalmente anche per il resto del mondo! Hugh Armitage non esisteva più...


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Capitolo 37
*** Capitolo trentasette ***


Si sentiva emotivamente sfinito, al suo arrivo a casa. Davanti alla tomba di Hugh Armitage aveva dato voce alla parte più intima e profonda dei suoi pensieri, alla sua rabbia e anche ai suoi proponimenti che erano lì, già pronti ad intraprendere la loro strada dentro di lui, ma ancora frenati da una certa paura.

Tutto sparito, davanti all'ipotesi del pericolo... Lord Falmouth aveva risvegliato il suo più profondo istinto paterno ed era incredibile come l'ipotesi che qualcuno toccasse Ellie avesse acceso la sua rabbia e il suo senso di protezione. Avrebbe reagito allo stesso modo se si fosse trattato di Clowance o di Jeremy, ne era certo. Era della sua bambina che si stava parlando, la bambina che di fatto stava crescendo con Demelza e né Lord Falmouth, né il fantasma di Hugh Armitage, né nessun altro doveva metterci il becco.

Quando arrivò in prossimità del piccolo mulino, i bambini lo videro e gli corsero incontro. Indossavano solo le mutandine erano bagnati e sporchi di fango fino all'inverosimile, spettinati, selvaggi e assolutamente contenti. Dovevano aver trascorso la mattinata a giocare nel torrente e fra gli alberi, completamente liberi di esplorare e ridere e sicuramente avrebbero ricordato quell'estate come la più bella della loro vita.

"Papà, sei tornato!" - escalmò Clowance, cercando di saltargli in braccio.

Indietreggiò scherzosamente, facendo la linguaccia. "Non ci provare, sei completamente ricoperta di fango. Mi chiedo cosa penserebbe la regina, se ti vedesse in questo momento...".

Clowance ci pensò su, mentre Jeremy ridacchiava gongolante. "Oh non c'è problema, papà! Mi rituffo nel torrente e mi pulisco, se arriva la regina. Ma tanto è a Londra. Quando mi compri la sua casa?".

Ross la guardò storto, dandole una leggera spinta verso il torrente. "Inizia a lavarti, che a comprare il palazzo reale ci penseremo dopo...".

Clowance rise, guardò Jeremy e dopo un cenno di assenso, corsero entrambi verso il torrente, mentre Ellie gli si aggrappò alla mano. Ross le sorrise, provando una stretta al cuore al pensiero di quel che aveva detto Falmouth su di lei e il forte desiderio di proteggerla. La guardò con sguardo nuovo, rendendosi conto che aveva deciso: l'avrebbe accompagnata nelle tappe più importanti della sua vita, se ne sarebbe preso cura, avrebbe asciugato le sue lacrime o riso con lei e l'avrebbe rimproverata e sorretta se avesse commesso degli errori, le avrebbe insegnato tutto quello che sapeva, avrebbe odiato colui che avrebbe scelto come fidanzato e l'avrebbe accompagnata all'altare, un giorno. "Tu non corri in acqua?" - disse, accarezzandole i boccoli biondi.

"Devo ditti una cosa".

"Cosa?".

Lei divenne seria. "Fatto! Curato mamma".

Ross sorrise, ricordando la promessa che gli aveva fatto quella mattina. "Oh, perfetto. Sapevo che non mi avresti deluso. E' arrivato Dwight?".

"Sì".

"E' ancora quì?".

Ellie scosse la testa. "Ndato via".

Ross sospirò, avrebbe preferito vederlo anche per chiedergli come riferire a Demelza quelle notizie che avrebbero sicuramente finito con l'agitarla. "Mamma dov'è?" - chiese, curioso e preoccupato per la visita. C'erano mille preoccupazioni ad agitarsi in lui in quel giorno e le condizioni di Demelza e la gravidanza erano fra queste.

"Da la pappa ai conilli e ai puccini".

Ross sospirò. "Allora sta bene? E' contenta?".

"Sì".

Le diede una carezza sulla testolina, spingendo anche lei verso il torrente. "Su, vai anche tu in acqua coi tuoi fratelli. Sei tutta sporca".

Ellie lo guardò stranita, il fatto che avesse definito Clowance e Jeremy suoi fratelli doveva averla confusa parecchio, non usava spesso quel termine con lei ma Ross riteneva che anche la piccola dovesse iniziare a ritenersi tale. Una sorellina e una figlia...

Alla fine Eleanor alzò le spalle, annuendo senza dire nulla. E poi tutta allegra corse verso il torrente.

Ross si diresse verso il pollaio, trovando Demelza accovacciata davanti a una nidiata di coniglietti e galline che osservavano i suoi movimenti con interesse, mentre gli lanciava chicchi di grano. Garrick era al suo fianco, molto interessato alla fauna locale... "Non dovresti riposare?" - la rimbeccò, facendola sussulatare.

Demelza si voltò di scatto. "Giuda Ross, mi farai prendere un infarto prima o poi, se mi arrivi alle spalle di soppiatto in questo modo".

"Non hai risposto alla mia domanda" – rispose lui, a tono.

Lei si alzò, lanciando gli ultimi chicchi e pulendosi le mani nel grembiule che aveva legato in vita. Indossava un abitino azzurro modesto ma di un colore talmente perfetto per lei da renderla irresistibile, valorizzando i colori dei suoi capelli e dei suoi occhi. "Dar da mangiare agli animali non è stancante e qualcuno doveva pur farlo, no?".

Ross sospirò. Non sarebbe riuscito a tenerla a letto nemmeno sotto minaccia di tortura. "Dwight che ti ha detto?".

"Te lo dico stasera dopo cena" – rispose lei, con uno strano sorriso malizioso sul viso.

Ross si accigliò, senza capire. "Demelza...".

Ma lei lo bloccò, dandogli un bacio sulle labbra. "Che ti ha detto Lord Falmouth?".

Era adorabile, come poteva dirle il motivo della sua conversazione con quell'uomo? Sembrava così serena e felice e tutto in quel bosco suggeriva amore e gioia... Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, proteggere la contentezza e la leggerezza di sua moglie e dei suoi bambini per sempre, ma sapeva che prima di tutto dovevano affrontare altre battaglie insieme. Ma forse, per qualche ora, quell'idilio poteva continuare. Sorrise, da perfetto impertinente impenitente, restiuendole il bacio. "Credo... che te lo dirò stasera".

Lei lo guardò storto. "Brutte notizie?".

Ross si tolse la camicia, ridendo. "Ho detto stasera" – ripeté, lanciandogliela fra le mani.

Demelza lo guardò, accigliata. "Che fai?".

"Vado a farmi un bagno coi bambini, amore mio! A dopo". E così dicendo corse dai piccoli, tuffandosi rumorosamente in acqua. I tre bambini gli saltarono subito al collo ridendo e in quel momento si sentì l'uomo più fortunato della terra. Aveva tutti i mezzi per proteggere quel suo mondo e la famiglia che amava. E li avrebbe usati tutti!


...


Era stata una giornata strana, quella, che era iniziata male ma che poi si era trasformata in qualcosa di bello e perfetto. Era attanagliato da mille pensieri e Demelza se n'era accorta, anche se si era limitata ad osservarlo silenziosamente di tanto in tanto senza chiedere nulla, però era riuscito anche a ridere di gusto e a godersi la sua famiglia, come se per loro non esistessero problemi al mondo.

Era stata una buona idea, in fondo, trasferirsi tutti in quella piccola casa nel bosco di Illugan, lontano da tutto e tutti. Era stato l'ideale per ritrovarsi, imparare a conoscersi di nuovo e stare insieme senza interferenze esterne.

Durante la giornata aveva dovuto inseguire cinque volte Garrick che aveva tentato di mangiarsi uno dei coniglietti di Ellie, Clowance, sotto la guida di sua madre, era riuscita a scrivere il suo nome nella sabbia davanti al torrente mentre Jeremy, durante la cena, aveva perso il suo primo dente da latte.

In fondo tutto questo faceva famiglia e lui non si era mai accorto di quanto quei momenti forse uguali a quelli di tante altre famiglie, fossero in realtà preziosi e unici.

I bambini avevano giocato come matti tutto il giorno in acqua e la sera, dopo che Demelza li aveva lavati nella tinozza e preparati per la notte, si erano addormentati come sassi nella loro stanzetta, tutti insieme nell'unico grande letto disponibile per loro. Adoravano dormire insieme e Ross si chiese se anche a Nampara, una volta tornati, avrebbero proseguito con quella loro routine.

Finita la cena, mentre Demelza dava un'ultima controllata ai figli e a Garrick, uscì a sedersi in riva al torrente. Con la camicia slacciata, i piedi a mollo nell'acqua e la mente lontana, cercava refrigerio alla calura e le parole giuste da dire a Demelza. Era ora della verità e anche lei lo sapeva... Ora erano soli, i bimbi dormivano sereni nel loro mondo e c'era tanto da dire...

Osservò il lento scorrere nel ruscello, quello stesso ruscello dove i suoi figli avevano giocato come matti per ore, quasi rapito dalla limpidezza dell'acqua dentro cui si rifletteva una luminosissima luna piena. Era circondato dal silenzio, interrotto solamente dai tenui rumori del bosco, dal canto dei grilli in lontananza e dalla voce di un gufo che era appollaiato chissà dove. Non avrebbe mai creduto che Illugan fosse tanto bella, prima di viverci... O forse era solo quell'angolo del loro mondo ad apparirgli magico perché aveva ben presente di trovarsi in prossimità di un villaggio abitato da gente poverissima e senza quasi speranze per il futuro. Eppure tutto appariva lontano ed ovattato, ora...

La mano gentile di Demelza si appoggiò sulla sua spalla e lui si voltò a guardarla. "Sei arrivata... Credevo che ti saresti addormentata coi bambini".

Lei ridacchiò. "In effetti la mezza idea c'era... Tu che ci fai quì tutto solo?".

"Penso. E cerco un pò di fresco".

Demelza abbassò lo sguardo. "Pensi a Lord Falmouth? E' da quando sei tornato che rimugini su qualcosa... Cattive notizie da Londra?".

"No".

"E allora che voleva da te? Era arrabbiato per il tuo mancato ritorno nella capitale?".

Ross scosse la testa, era ora di dire la verità e pregò di trovare le parole giuste. "Era arrabbiato, in effetti. Ma per motivi diversi...".

"Di cosa voleva parlarti?".

Prese un lungo respiro. "Di Ellie".

Demelza spalancò gli occhi, mentre uno strano misto di preoccupazione e terrore iniziava a farsi largo sul suo viso. "Ellie? La mia Ellie?".

"Già" – rispose, cercando di prenderle la mano.

Ma lei si ritrasse, per un attimo contrariata. "Cosa voleva da te?".

Ross sospirò. "Sa che Ellie è figlia di Hugh... A Londra circolano voci incontrollate su una piccola Boscawen illegittima e a breve queste voci potrebbero diventare uno scandalo che Lord Falmouth vuole assolutamente evitare".

Demelza deglutì. "Voci? Chi le ha messe in giro? Io non ho mai detto nulla, Hugh non sapeva della mia gravidanza e gli unici che ne sono a conoscenza sono Dwight e Caroline e Lady Dorothy Armitage. E' stata la madre di Hugh a...?".

Scosse la testa, cercando di sorriderle. "No, non è stata lei. Anzi, credo che sia sinceramente preoccupata per la piega che potrebbero prendere le cose".

"E allora chi è stato?" - urlò quasi, Demelza.

"George Warleggan" – rispose, sospirando, cercando di tenere a bada l'odio che provava verso di lui. "Quando ci ha visti tutti insieme mentre andavamo da Pascoe, ha fatto delle ricerche sulla bambina e ha messo in giro la voce. Ovviamente non ha prove, sono solo supposizioni le sue, ma in questo caso corrispondono a verità e bastano ad irritare Falmouth e il suo casato. Sono una famiglia nobile e senza macchia, Demelza. E non vogliono un'onta simile sul nome del loro casato".

Gli occhi di sua moglie divennero lucidi, come se solo in quel momento avesse capito l'entità del pericolo che stava correndo ad essere la madre di Eleanor. "Io non ho mai chiesto niente a nessuno, ho pensato sempre da sola alla bambina e ora... cosa vogliono da me? Da lei?".

Le cinse le spalle con un braccio, attirandola a se. "Vogliono fare esattamente quello che fanno tutte le famiglie nobili che si ritrovano nella medesima situazione".

"E sarebbe?".

Inspirò profondamente, era arrivato il momento che tanto temeva. "Nascondere al mondo l'esistenza della bambina, cancellarla... Metterla in un istituto, con o senza il tuo consenso, cambiarle nome e dimenticare persino che sia nata".

Uno sguardo di puro terrore attraversò il viso di Demelza. La sentì tremare, mentre le lacrime prendevano a rigarle il viso, incontrollabili. "Possono farlo?".

"Usando la loro forza e il loro potere, sì".

Sua moglie scosse la testa, si rifugiò nel suo abbraccio e scoppiò a piangere disperatamente. "Ross, ti prego, non voglio che la portino via! Ti prego, aiutami".

Rimase stupito da quella supplica. Era come se temesse che lui non si sarebbe opposto... Questo atteggiamento lo feriva e allo stesso tempo lo comprendeva, era spaventata e preoccupata ed entrambi ricordavano perfettamente come lui aveva reagito, quando aveva scoperto l'esistenza di Ellie. "Demelza, credi che potrei acconsentire a una cosa simile? Santo cielo, se non fosse quasi anziano, lo avrei preso a pugni per aver osato mettere il becco in casa nostra".

Lei lo guardò con gli occhi velati di lacrime. "Davvero?".

"Certo!". La baciò sulla fronte, stringendola a se. "Credi che gli permetterei di fare del male ad Ellie?".

"Ma... Prima hai detto che loro hanno il potere di portarla via... Oh Ross, è solo una bambina, non ha nulla in comune con quelle persone, nemmeno li conosce i Boscawen e se me la prendono... come farà a cavarsela da sola? Ha solo due anni, ama la sua famiglia e la sua casa, il mondo che conosce e che è la sua certezza... E' la mia bambina, non la loro! E la amo, non possono portarmela via".

Le accarezzò la schiena, cercando di tranquillizzarla. Poteva capire la sua angoscia e la sua paura, quella che si stava materializzando davanti agli occhi di sua moglie era la più grande paura di ogni madre. "Demelza, calma! Sistemeremo le cose, ma ho bisogno del tuo aiuto per farlo. E Lord Falmouth ha fretta, quindi dovremo essere veloci e lui ci lascerà stare e sparirà dalle nostre vite".

Demelza si asciugò le lacrime col dorso della mano. "Un modo? Quale? Scappare?".

Le sorrise, non riuscì a farne a meno. E la baciò sulle labbra. "Non sarà necessario! Sono tuo marito, no? Si da il caso che i bambini che hai partorito dovrebbero portare il mio cognome e sarà sufficiente che io legittimi Ellie e che lei diventi a tutti gli effetti una Poldark e tutto si sistemerà. E' solo questo che Lord Falmouth vuole! Del resto non gli importa. A me non interessa nulla se parlano di me a Londra, non sono Lord Falmouth e non ho intenzione di dar retta ai pettegolezzi che girano su di noi, né per smentirli, né per confutarli. A me interessa solo che le persone che amo, la mia famiglia... Voglio solo che stiate bene! Fammi legittimare Ellie, solo tu puoi acconsentire, a questo punto".

Lei si staccò momentaneamente da lui, guardandolo a bocca aperta. "Ross, hai idea di cosa stai dicendo? Legittimare Ellie significherà essere suo padre a tutti gli effetti... Sei sicuro di voler davvero dare il nome della tua famiglia alla mia bambina? Non è troppo, per te?".

Divenne serio, davanti a quei suoi legittimi dubbi. "Credi che non ami Ellie?".

"Certo, so che la ami. Ma essere suo padre...".

Le sorrise. "Ascolta, Demelza! Amare Ellie non è stato facile e anzi, all'inizio era una cosa che mi risultava quasi impossibile. Ma ora è diverso. Per me è mia figlia, come lo sono Jeremy e Clowance e non voglio legittimarla perché Lord Falmouth mi ha minacciato o perché mi senta costretto dalle circostanze, voglio legittimarla perché la sento mia. Oggi, mentre quell'uomo mi parlava, riuscivo solo a pensare al faccino di Ellie e al fatto che un perfetto sconosciuto pensasse di essere in diritto di decidere del suo destino. Volevo ucciderlo, Demelza... Ucciderei davvero, se qualcuno cercasse di farle del male. Un giorno mi hai detto che Ellie non era di Hugh, che era solo tua. Vorrei che diventasse nostra. Non sei stata tu a dirmi che i figli sono di chi li cresce e ama? Tutti dovremmo avere un padre e se mi farai l'onore di accettarmi come tale, per lei, io ne sarò solo felice".

Demelza gli sorrise, un sorriso dolce e tenerissimo. Gli accarezzò la guancia con la mano, piano, baciandolo sulla punta del naso. "Ross, per me sarebbe una grande gioia saperti padre di Ellie e per la mia bimba non posso immaginare nulla di meglio. Ma ne sei davvero sicuro? Non diventerà un peso?".

Lui alzò le spalle. "Ellie crescerà con noi, con lei scherzerò e forse un giorno ci litigherò, quando capiterà che non saremo d'accordo su qualcosa. Come del resto succederà con Jeremy o Clowance... O col nuovo bimbo. Essere genitori, credo, significhi prendere ciò che regalano i figli un pò a scatola chiusa. Ma non mi pentirò mai di essere il loro padre. MAI!".

"E io non mi pentirò mai di averti permesso di esserlo, Ross".

Ross la baciò, commosso. "Credi che lei mi vorrà come padre?".

Demelza sorrise. "Glielo dovresti chiedere!".

"A Ellie?".

"Sì, a Ellie! E' piccola ma sa quel che vuole".

Ross ci pensò su. "In fondo credo di piacerle".

"Penso proprio di sì. Ma ora, che si fa?" - chiese lei, titubante.

La guardò, era ancora preoccupata ed era normale, in fondo. Tutto era un'incognita per loro, in quel momento. "Che ti ha detto Dwight, oggi?".

Demelza si accigliò. "Cosa c'entra, adesso?".

"C'entra eccome!".

Lei si accarezzò il ventre, dolcemente. "Ha detto che questo bambino è gigante, vivacissimo e che gode di ottima salute. E che anche io sto bene... Dice che non c'è più nessun pericolo, che posso vivere normalmente la mia vita e fare tutto quello che facevo prima di restare incinta, pur senza sforzarmi troppo".

Ottimo, era quello che voleva sentirsi dire! Aveva notato quanto fosse rifiorita nelle ultime settimane, il suo colorito roseo e il suo umore finalmente allegro e giocoso e ci sperava davvero, in quel responso. "Puoi viaggiare?".

Lei annuì. "Sì, Dwight ha detto che ci farebbe bene una vacanza finché non sarò troppo grassa per muovermi. Ha detto di..." - arrossì, impercettibilmente – "Di...".

"Cosa?" - chiese, impaziente.

"Di fare l'amore... Di farlo, che ci farà bene e farà bene al bambino. Ora non ci sono più pericoli".

Ross spalancò gli occhi. Queste sì che erano OTTIME notizie! "Davvero?" - chiese, incredulo.

"Davvero! Ma che c'entra il viaggio?".

La baciò sulle labbra, con passione. "Andremo a Londra, allora! Prima di tornare a casa, stamattina, sono passato da Pascoe a chiedere informazioni su chi potrebbe aiutarci nella pratica di legittimazione di Ellie e mi ha parlato di un suo caro amico di Londra, una persona di sua assoluta fiducia che può fare tutto nella più assoluta discrezione. Partiremo, compileremo le scartoffie necessarie e Ellie sarà mia. Nostra... E quando nascerà il nuovo bambino, non ci sarà più nessuna ombra su di noi".

"Ross, davvero?". Demelza rise, abbracciandolo, incredula di quanto avesse fatto in quella giornata per lei, per Ellie... Era felice, felice davvero in quel momento. E Ross si sentì fiero di essere riuscito a rassicurarla e a togliere ogni ombra di tristezza dal suo viso e dal suo cuore.

Si alzò in piedi, forzandola a fare altrettanto, poi la baciò con passione, passandole la mano fra i lunghi capelli rossi. "Che ha detto Dwight, circa il fare l'amore?".

Lei lo guardò, maliziosa. "Vuoi prenderlo in parola da subito?".

"Certo, ha detto che ti farà bene!" - rispose lui, togliendosi la camicia.

Demelza lo guardò storto. "Ross, che fai? Non vorrai...? Non siamo nella nostra stanza, se non te ne fossi accorto".

Le si avvicinò, cingendole la vita con le braccia. "Certo che me ne sono accorto. Ma siamo vicini a un torrente fresco ed invitante e sarà meraviglioso fare l'amore con te in quest'acqua".

Lei rise. "Sei pazzo? Se i bambini si svegliassero?".

"E' più probabile che si sveglino se entriamo in casa, non trovi?" - obiettò lui.

Demelza si guardò attorno, sospirando. "Non mi va, non quì, la luna fa troppa luce. Non voglio che tu mi veda... troppo...".

Non capì quella sua strana ritrosìa, erano sposati da anni e conosceva il suo corpo meglio delle sue tasche. "Demelza, non ti sembra tardi per essere timida?".

"Ohhh Ross" – si lamentò lei, incrociando le braccia al petto – "Sono incinta e non mi sento per niente bella o seducente. Preferisco una camera buia a quello che hai in mente tu".

La guardò, rendendosi conto che forse non si era mai curato troppo di farla sentire bella e desiderabile. Eppure, ai suoi occhi, Demelza era quanto di più bello esistesse al mondo ed era proprio quando era incinta che la trovava ancora più seducente e desiderabile. Le si avvicinò, attirandola a se ed accarezzandole il viso. "Io voglio vederti, invece. Voglio vederti come si desidera vedere tutto ciò che si considera estremamente bello..." - sussurrò, baciandola sul collo. "Tre anni, Demelza... Lontano da te è stata una tortura e ora ho bisogno di amarti e lasciare indietro tutto ciò che ci ha diviso. Farà parte del passato ma adesso, quì, inizia il nostro presente e il nostro futuro. Amo il tuo corpo, ogni singolo centimetro della tua pelle. E non voglio una stanza buia per dimostrartelo, voglio vederti, mentre faccio l'amore con te. E non c'è posto migliore di quest'erba, di questo torrente e di questo bosco, per noi".

Demelza rimase in silenzio per lunghi istanti, abbracciata a lui, senza muoversi di un centimetro. Poi, dopo aver preso fiato, gli prese le mani nelle sue, guidandole sui bottoni del suo vestito. Glieli sbottonò in silenzio, uno ad uno, si tolsero lentamente di dosso ogni indumento e poi, prendendola per mano, la condusse in acqua. Si baciarono a lungo mentre le loro mani si accarezzavano senza sosta, senza alcuna inibizione. Ora, nel torrente, anche lei sembrava più sicura di se stessa... Le accarezzò il pancino dove cresceva il loro bambino, le bagnò i capelli passando fra le ciocche le sue mani bagnate e Demelza fece altrettanto, come spesso aveva fatto in passato quando lo aveva aiutato a fare il bagno a Nampara.

Si stesero sulla riva, con l'acqua che bagnava le loro gambe e finalmente fece l'amore con lei.

"Ti amo" – sussurrò al suo orecchio, possedendola con passione e dolcezza, baciandola senza sosta sulle labbra e sul collo. "Lo sai vero, Demelza Poldark?".

Lei poggiò la fronte contro la sua, con gli occhi resi languidi dal piacere. "Lo so, ora lo so davvero Ross Poldark".

La zittì con un bacio, era tutto quello che voleva sentire. E nel silenzio della notte fece a lungo l'amore con lei.

Era davvero un nuovo inizio, quello... Per loro, Ellie e la loro famiglia...

E lo sapevano finalmente entrambi...





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Capitolo 38
*** Capitolo trentotto ***


Pascoe aveva organizzato l'incontro con Mister Fritz Harrald nei minimi dettagli e l'uomo li aspettava nel suo ufficio a Londra subito dopo il pranzo di un assolato 10 settembre. Il notaio aveva già pronti tutti i documenti necessari per legittimare la piccola Ellie come figlia di Ross e mancavano solo le loro firme per mettere al riparo la bimba dalle grinfie dei Boscawen ed essere a tutti gli effetti una grande famiglia unita.

Erano partiti in carrozza il giorno prima, viaggiando con comodità in modo da non stressare troppo i bambini e potersi permettere più pause durante la tratta. Sarebbero arrivati a casa prima di mezzogiorno, avrebbero pranzato e poi, dopo aver lasciato i bimbi con Etta, sarebbero andati a quell'importante appuntamento.

Jeremy e Clowance erano contenti di tornare a Londra per qualche giorno e rivedere Miss Etta e Ross e Demelza avevano spiegato loro, in maniera semplice, il perché di quel viaggio. Il fatto che Ross sarebbe diventato papà di Ellie non li aveva stupiti troppo, per i due bambini lei era stata da subito una sorellina e forse era più anomalo per loro che chiamasse il loro padre per nome. Non erano entrati nei particolari, avevano semplicemente detto loro che visti tutti i problemi che c'erano stati negli ultimi anni, bisognava sistemare i documenti di nascita della piccola Ellie in modo che anche lei fosse una Poldark a tutti gli effetti. Nessuna menzione fu fatta a Hugh e alla storia di Demelza con lui, Eleanor sarebbe cresciuta come una Poldark, come una figlia e come una sorella... Il resto faceva parte di un passato che non faceva più male e che tutti si erano lasciati alle spalle.

Alla piccola Ellie non fu detto nulla, eccetto che avrebbero fatto un lungo viaggio per un motivo speciale che le avrebbero spiegato una volta sistemate tutte le cose che dovevano fare a Londra. Sia Ross che Demelza ritenevano che fosse troppo piccola per spiegazioni preliminari che avrebbe dimenticato nel giro di poche ore o che non avrebbe capito. Avrebbero firmato le carte da Mister Harrald e poi, una volta finito, Ross le avrebbe spiegato con parole semplici che era il suo papà. Demelza gli aveva chiesto di ritagliarsi un momento solo per lui e per la bambina per spiegargli tutto quanto e lui aveva accettato perché sì, era giusto così. Aveva deciso di essere suo padre e da padre avrebbe dovuto da solo trovare il modo giusto per raccontarle che cosa sarebbero stati e soprattutto come farsi accettare da lei. Una volta tornati dal notaio, avrebbe preso la bimba e l'avrebbe portata in un posto che avrebbe forse adorato e avrebbero parlato...

Ross guardò i bimbi, dormivano tutti e tre sulla carrozza da un'ora abbondante. Jeremy stringeva fra le mani un cavallino intagliato nel legno, Clowance la sua bambola preferita ed Ellie...

Si soffermò su di lei, rendendosi conto che di lì a poche ore sarebbe diventato di nuovo padre. Suo padre... La piccola dormiva abbracciata a Kiky, col suo tricorno in testa. Aveva fatto la pazza per portarselo dietro, benché Demelza le avesse tentate tutte per farle cambiare idea e metterle un cappellino di paglia con un fiocco rosa più adatto a lei, ma la bimba era stata irremovibile. Alla fine sua moglie aveva ceduto e lui era contento che lo avesse fatto. Quel cappello e l'attaccamento che Ellie nutriva per quell'oggetto nascondevano un segreto che Ross voleva assolutamente scoprire perché sentiva che in qualche modo lo riguardava. E forse quello sarebbe stato il giorno più adatto per raggiungere tale scopo. "Mi chiedo perché ami tanto quel cappello" – mormorò.

Demelza, poggiata con la testa alla sua spalla, alzò lo sguardo. "Mh... cosa?".

Scosse la testa. "No, nulla... Pensavo ad alta voce... Mi chiedo perché Ellie ami tanto il tricorno".

Demelza sospirò. "I bambini sono così, a volte si fissano su qualcosa senza motivo".

"E se ci fosse un motivo?".

Lei lo guardò, massaggiandosi il ventre. La pancia era cresciuta molto in quelle ultime settimane, rendendola ancora più bella ai suoi occhi. Avevano ritrovato quell'intimità che per tanto era mancata ad entrambi e in quelle ultime settimane era stato un pò come tornare alla passione dei primi tempi del loro matrimonio, anche se ora era più difficile ritagliarsi momenti solo per loro in una casa tanto piccola e piena di bambini. Ma erano felici lo stesso, nonostante questi piccoli intoppi, e con la sensazione che tutto sarebbe volto al bello. Avevano ripreso a ridere insieme, a chiacchierare per ore, a scherzare, a fare progetti e sì, a fare l'amore tutti i giorni nonostante i figli, il cane, i conigli e le galline e il poco spazio a loro disposizione. "Ross, se anche ci fosse un motivo, Ellie è troppo piccola per riuscire a spiegartelo. E temo che quando sarà abbastanza grande per farlo, non se lo ricorderà più e tu non lo saprai mai".

La guardò storto, notando la mano sul suo ventre ed entrando subito in allarme. "Stai male?". Dwight aveva detto che poteva viaggiare, ma la prudenza non era mai troppa.

"No, sto bene. E' colpa tua che parli, Ross".

Si accigliò. "Colpa mia?".

"Sì, tua". Demelza si tirò su, a sedersi più composta. "Quando sente la tua voce, il bambino si agita e continua a scalciare come un pazzo. Viaggiare in carrozza con qualcuno che ti massacra pancia e stomaco non è sempre piacevole".

Ross sorrise, orgoglioso. "Davvero lo fa quando mi sente parlare?".

"Sì" – sospirò lei.

La abbracciò, dandole un bacio a stampo sulla fronte. "Sta cercando di arruffianarsi suo padre. E' indubbiamente una femmina, ne sono sicuro".

Demelza lo guardò storto. "Perché dovrebbe essere una femmina?".

Ross rise. "Le bimbe sono così, è una tattica tutta femminile. E lei ha già capito che con me sta funzionando alla grande!".

Sua moglie alzò gli occhi al cielo. "Bene, avremo una figlia ruffiana e grassa. Santo cielo Ross, questa bimba è enorme, con gli altri figli non avevo questa pancia e questi calcioni, al sesto mese di gravidanza! Come faccio a partorire una bambina gigante?".

Le sorrise dolcemente, stringendola delicatamente a se. Sapeva che aveva mille paure su quella gravidanza ma in quel momento si sentiva talmente ottimista da voler solo che lei si liberasse di ogni preoccupazione e guardasse unicamente al bello della loro vita insieme, che stava pian piano ricominciando. "Ce la farai, come hai sempre fatto. Andrà bene, sei forte" – sussurrò, fra i suoi capelli. "Sei felice, Demelza?".

A quella domanda lei cercò la sua mano e la strinse, alzando lo sguardo su di lui. La sua espressione si fece dolce e serena, in quel momento. "Certo che sono felice. Di averti vicino, di dare un padre ad Ellie, di essere a Londra e di aspettare una bambina gigante. Sono fortunata e ne sono consapevole, anche se a volte divento una lagna...".

La baciò sulle labbra, accarezzandole il ventre. "Posso parlare ancora un pò?".

"Perché?".

Alzò le spalle. "Così, voglio sentirla scalciare ancora prima di arrivare a destinazione. Visto che sappiamo che è una femmina, potremmo decidere il suo nome, ad esempio".

Lei si accigliò, divertita. "In realtà non lo sappiamo se sarà una femmina, sono solo supposizioni".

"Pensi a un maschietto?".

Demelza sospirò. "No, credo sia una bambina. Ma magari mi sbaglio...".

"Io credo di no" – rispose lui, mentre la piccola gli tirava un altro calcio sul palmo della mano. Sapeva che Demelza era felice ma voleva sentirglielo dire dopo il suo iniziale rifiuto per quella gravidanza e le mille paure che l'avevano accompagnata fino a poche settimane prima. Non avrebbe mai più dato per scontato nulla nel suo matrimonio! Era stata eccitata e spaventata nei giorni precedenti, per quel viaggio a Londra e per le mille implicazioni che avrebbe comportato. Si era chiesta spesso se sarebbe stata all'altezza di affrontare la capitale dopo tanto tempo relegata ad Illugan ed in questo gli sembrava la Demelza di inizio matrimonio, pensò con una punta di nostalgia per quei tempi lontani. Voleva mostrarle la città, farle conoscere quel mondo che lo aveva catturato e allontanato dalla Cornovaglia per due anni, farle conoscere Etta che si era presa cura a lungo dei loro figli e... e mille altre cose. Sarebbero stati dieci giorni emozionanti per tutti loro. Londra non gli era mai apparsa tanto bella come quel giorno, con lei.


...


Arrivarono a casa alle undici del mattino. Ellie si era rannicchiata fra le braccia di Demelza, intimidita per quella casa e quei posti sconosciuti, mentre gli altri due bambini erano eccitati di rivedere Etta.

In realtà lo era anche Demelza che aveva spesso sentito parlare di lei ma che non l'aveva ancora incontrata di persona... Ross gli aveva detto che era esattamente il contrario di Prudie, precisa, puntigliosa, con una perfetta educazione e un maniacale senso dell'ordine.

La governante, che aveva sistemato la casa per il loro arrivo, si materializzò davanti a loro appena sentì la porta aprirsi.

Clowance e Jeremy fecero per corrergli incontro ma si bloccarono subito, mentre Ross spalancava gli occhi e Demelza lo fissava impietrita.

"Ross..." - sussurrò sua moglie, toccandogli il braccio.

Etta si esibì in un inchino, ma nessuno ebbe la forza di porre un saluto. Erano tutti sconvolti da...

"Etta, i tuoi capelli! Sono blu!" - disse Ross, deglutendo. Santo cielo, l'aveva assunta che aveva la capigliatura bianca come neve, poi era diventata riccia come una capretta bionda e ora...

L'anziana donna sorrise amabilmente. "Vi piacciono, signore? E' l'ultima moda londinese...".

"Eeeehhh". Ross si grattò la guancia, sconvolto. Come non offendere una vecchia signora dai capelli blu? Quel quesito forse lo avrebbe tormentato a vita! "Ecco... sembra il colore... del mare..." - disse, con la prima cosa che gli veniva in mente.

Etta si illuminò. "Davvero?".

"Il vestito della mia bambola ha lo stesso colore" – aggiunse Clowance, un pò titubante.

Demelza toccò la stoffa della manica della camicia di suo marito. "Ross, la donna che dovrà curare i nostri bimbi ha i capelli azzurri...".

Etta, un pò sorda per l'età e assolutamente convinta di essere bellissima, non sentì nemmeno quei commenti. O, se li aveva sentiti, aveva deciso di ignorarli. Si avvicinò a Demelza e si inchinò di nuovo, esibendosi in una perfetta riverenza. "Signora, è un vero piacere conoscere voi e la piccola di famiglia. Spero di servirvi al meglio. Avete dei bellissimi capelli rossi e spero che vostro marito non abbia mai mancato occasione per ricordarvelo. Sono meravigliosi".

Arrossendo e trattenendo un sorriso imbarazzato, Demelza abbassò lo sguardo per evitare di fissare troppo quei capelli blu. In fondo Etta gli sembrava una persona anziana, gentile e amabile e lei non amava giudicare qualcuno dalle apparenze. "I miei figli mi parlano sempre molto bene di voi e sono sicura che siete un'ottima domestica. Vi devo ringraziare per quello che avete fatto per Clowance e Jeremy in mia assenza".

"Grazie signora ma non dovete, è il mio mestiere" – rispose Etta, accarezzando i capelli di Ellie che però si rannicchiò contro il petto di sua madre.

Ross, con un sospiro, prese la bimba, mettendola a terra. Eleanor era una bambina vivace e allegra, ma diventata timida e introversa negli ambienti che non conosceva e questo stato di cose doveva cambiare. Voleva che si sentisse sicura indipendentemente da dove si trovasse e che iniziasse a sentirsi a suo agio anche lontana da sua madre. Inoltre lui e Demelza dovevano uscire subito dopo pranzo per andare dal notaio e la piccola doveva abituarsi all'idea di stare coi suoi fratelli, da sola con Etta. "Su, perché non vai ad esplorare la casa?".

"Sì, corri piccola" – la incoraggiò Etta.

Demelza sospirò, chiamando a se i figli più grandi. "Bambini, portate Eleanor a vedere la casa e giocate un pò, così poi pranzeremo e potrete riposare mentre io e papà andiamo a fare delle firme importanti".

Eleanor non sembrava troppo convinta. Si calò sugli occhi il tricorno che teneva in testa, strinse a se Kiky e piagnucolò. "Veni mamma" – implorò, cercando la sua mano.

Ross sospirò, anticipando Demelza. Prese la piccola, gli strinse la manina e gli strizzò l'occhio. Poi la prese in braccio, sollevandole il tricorno dagli occhi. Beh, poteva iniziare ad aiutarla lui stesso, invece che i bambini. Magari lontano da Etta e dai suoi capelli blu che di certo non servivano a tranquillizzare la piccola... "Su, andiamo a vedere la tua stanza, mentre mamma e i tuoi fratelli aiutano Etta col pranzo".

Demelza gli sorrise, stringendo a se i bimbi più grandi e, un pò titubante, seguì la governante fino alla cucina.

"Venga signora, vi mostro il menù che ho predisposto per oggi. Spero sia di vostro gradimento".

Demelza parve sinceramente sorpresa da quei modi di fare tanto differenti da quelli di Prudie. Sorrise dolcemente, prendendo Clowance e Jeremy per mano, e la seguì, forse finendo di stupirsi per il colore dei capelli ed apprezzando semplicemente la sua cordialità.

Etta si voltò verso Ross. "Penso io alla signora ma non mi avete ancora risposto!".

"A cosa?" - chiese Ross, perplesso.

"I miei capelli blu! Vi piacciono?".

Ross sospirò. "Ehm... Mi ci devo un pò abituare... e dopo, forse...". Già, forse si sarebbe abituato, fra mille secoli...

Era ora di cambiare aria... Strinse a se Ellie e la portò in una delle due camerette, adagiandola sul letto. Era una camera dalle tinte pastello confortevole e piena di giocattoli, con un letto colorato da una variopinta coperta e con tanti libri illustrati sulla mensola. Era la cameretta di Clowance ma i lettini presenti erano due perché spesso Jeremy, in passato, aveva voluto dormire con la sorella. Ma ora il secondo lettino sarebbe stato di Ellie e Jeremy, che ormai aveva sette anni e mezzo, avrebbe avuto la sua camera. "Non devi avere paura. Sei a casa".

"No" – rispose la bimba, corrucciata.

"Questa non è Illugan, vero. Ma è lo stesso la tua casa perché lo sai, ogni posto dove andremo insieme sarà casa nostra".

Ellie non sembrava molto convinta. "Dopo tu e mamma via?".

Le scostò una ciocca di capelli dagli occhi. "Un pochino, non molto. Farai un riposino e poi, quando ti sveglerai, io sarò già tornato e andremo insieme, solo io e te, in un posto che ti piacerà molto".

Lei sorrise timidamente. "Davelo?".

"Davvero! Ma devi fare la brava mentre non ci sono e non devi piangere con Miss Etta. Me lo prometti?".

"Sì".

Ross prese Kiky, strofinandoglielo scherzosamente sul nasino. "E lo prometti anche a Kiky?".

Ellie rise. "Cetto, non pango".

"Sicura?".

"Sì".

La prese in braccio, baciandola sulla guancia. "Brava! E ora su, andiamo a mangiare! Etta ci ha preparato un sacco di cose buone".

"Sì" – rispose la bimba, affidandosi completamente a lui.

La strinse a se, rendendosi conto che per entrambi sarebbe stata una giornata importante. Lei era piccola e inconsapevole di tutto ma entro sera lui avrebbe dovuto spiegargli in modo semplice ogni cosa. Da solo! In un certo senso avrebbe voluto Demelza accanto, ma da un'altro punto di vista desiderava quel momento solo per lui, assieme ad Ellie. Si chiese se l'avrebbe accettato come padre e se avrebbe voluto chiamarlo papà... In un certo senso aveva una strana paura, la stessa paura che provava ogni volta che Demelza aspettava un bambino e lui non sapeva cosa aspettarsi. Eppure erano paure stupide perché Ellie già c'era, la conosceva. Ma stranamente era come se per lui stesse nascendo in quel momento...

Scosse la testa, ragionare a stomaco vuoto si stava rivelando una pessima scelta. Meglio mangiare, andare a fare quelle firme e non pensarci troppo! Avere un figlio era sempre un salto nel buio e lui stava per compierne uno! E con paura, era una cosa che sentiva di desiderare! Solo questo importava, ora!


...


Quando il notaio Harrald gli porse il foglio da firmare, la sua mano tremò. Gli era capitata la stessa cosa quando aveva preso in braccio i suoi figli appena nati e forse in un certo senso, era la stessa cosa, la stessa sensazione di quando si diventa padre.

Stava firmando un impegno per la vita...

Per un attimo vacillò, si sentì in dubbio e provò dei sensi di colpa per questo. Era davvero sicuro di volerlo? Era davvero certo che non se ne sarebbe pentito? La voleva davvero quella bambina?

Scosse la testa ricordando che all'inizio, di Eleanor, nemmeno voleva sapere il nome. Era la bambina che sua moglie aveva avuto con l'uomo con cui l'aveva tradito, la causa di due lunghi anni di dolore e sofferenza in cui credeva di aver perso tutto...

Il voler riconoscere Ellie come sua figlia, era un atto nobile e dettato dall'amore?

O il gesto di un folle, come gli aveva detto Lord Falmouth?

Davanti a quel foglio, per la prima volta, mille dubbi lo assalirono. Demelza se ne accorse e gli fiorò gentilmente la mano. "Ross, non sei obbligato a farlo".

Guardò sua moglie, la sua bellissima moglie. Osservò il suo sguardo dolce e fiero, ricordò quanto avesse sofferto anche lei in quegli ultimi anni così duri per tutti, guardò con tenerezza la linea morbida del suo ventre dentro il quale stava crescendo una nuova vita e capì che voleva che Ellie ne fosse la sorella. E sua figlia... Se non avesse apposto quella firma, Demelza non gliene avrebbe mai fatto una colpa. Ma lui non avrebbe mai potuto perdonare se stesso.

Pensò alla sua piccola, bellissima Eleanor... La bimba che amava il tricorno e il suo coniglietto e che odiava i cavalli, che piangeva cercando il suo abbraccio quando era spaventata da qualcosa e che ogni mattino, all'alba, faceva capolino nel suo letto, era già di fatto sua.

Una firma non avrebbe cambiato nulla per lui...

Ma per Ellie avrebbe cambiato tutto e nessuno avrebbe più potuto farle del male...

Sorrise a Demelza, ricambiando la stretta sulla sua mano. "Fa sempre un pò paura diventare padre" – disse, a lei e all'anziano notaio che aveva davanti.

E poi firmò, con un tratto tremolante, inspirò profondamente e si sentì più leggero. Era fatta, ora non si poteva più tornare indietro.

Il notaio riprese il foglio, dopo averlo fatto firmare anche a Demelza che, silenziosa, era rimasta in disparte. "Bene, la parte burocratica per voi è terminata, penserò io al resto ma la bambina, da questo momento, porterà ufficialmente il vostro cognome, Sir. Eleanor Carne non esiste più, da oggi lei sarà ufficialemente Eleanor Poldark, vostra erede e figlia, con tutti i doveri e i diritti collegati a questo stato di cose".

Ross chiuse gli occhi, assaporando il suono di quel nome. Eleanor Poldark... Suonava così dannatamente bene... Era sua figlia, adesso! E lui era suo padre... Da quel momento Hugh Armitage e i Boscawen non esistevano più.

Ringraziò il notaio e poi prese Demelza per mano, uscendo dal suo studio. E appena in strada, senza dirsi mezza parola, semplicemente guardandosi negli occhi, si abbracciarono. Respirò il profumo dei capelli di sua moglie, il suo corpo esile e assaporò la morbidezza delle sue labbra con un bacio. "Faceva paura" – sussurrò, con la bocca contro la sua.

Lei sorrise. "Lo so. Hai fatto una cosa molto bella oggi, Ross. Per Ellie e per me".

Lui scosse la testa, non era del tutto d'accordo con lei. "Forse... Forse l'ho fatto più per me stesso. Rivoglio la mia famiglia unita e Ellie ne fa parte. Non so se questo sia amore o egoismo, ma voglio essere il padre di tutti i tuoi figli. E di nessun altro". Chiudendo di fatto anche ogni ulteriore discorso su Valentine, la baciò sulla fronte, scompigliandole i capelli per cercare di stemperare quel momento tanto intenso. "Andiamo? Abbiamo programmi per oggi, no? Essere seri e sdolcinati troppo a lungo, dopo tutto, non fa per noi".

Demelza rise. "Clowance vuole portarmi a vedere la residenza reale della regina e Jeremy il parco dove va a giocare con Miss Etta. Saranno la mia guida per oggi".

Ross annuì, si erano messi d'accordo poco prima durante il pranzo. I bambini volevano portare la loro mamma nei posti che preferivano a Londra, in modo che scoprisse tratti della loro vita che le erano stati preclusi per due anni e lui... lui avrebbe invece colmato quel vuoto che ancora lo divideva da Ellie.

C'era ancora tanto da fare, per quel giorno così sereno e luminoso e in fondo quella firma non era stata la cosa più importante. Ellie era importante, il resto erano solo carta e burocrazia e a lui di tutto questo era sempre importato poco. Prese Demelza per mano, attirandola a se. "Su, sbrighiamoci e andiamo a prendere i bambini".


...


Miss Etta aveva fatto indossare ad Ellie un grazioso abitino bianco con un nastrino blu in vita che richiamava il colore dei suoi occhi, le aveva pettinato i bellissimi boccoli biondi e messo un fiocco blu fra i capelli, delle scarpine di vernice e l'aveva preparata al meglio per la passeggiata con lui.

Vestita così sembrava davvero una bimba di città, elegante e ricercata. Purtroppo pure Etta però aveva dovuto alzare bandiera bianca davanti al tricorno, per il giretto pomeridiano con Ross.

Lui rise, prendendo la bimba che lo attendeva nel salotto, in braccio. "Etta, da questo cappello è inseparabile. Soprattutto quando si trova in posti che non conosce" – disse, salutando Demelza e gli altri due bambini che uscivano per la loro passeggiata.

La domestica sbuffò. "Con il vestitino, il tricorno lega male".

Ellie si imbronciò. "MIO!" - disse, risoluta.

Demelza rise, dando un bacio sulle guance alla bambina e uno sguardo d'intesa a Ross. Sapeva che sarebbe stato un pomeriggio importante per sua figlia e suo marito ed era semplicemente felice per loro.

Ross ricambiò lo sguardo, strizzò l'occhio ad Ellie e salutò Etta. "Sentito? E' suo, lasciamole mettere in testa ciò che vuole".

E poi uscì, con la piccola fra le braccia. Destinazione: il laghetto cittadino.

Vi giunse che erano quasi le tre del pomeriggio. Non ci era mai stato in un giorno lavorativo ed era pieno di bambinaie e bambini che giocavano sotto gli alberi e correvano sulle rive del lago.

Ross mise a terra Ellie che si guardava attorno incuriosita e poi la prese per mano. Spesso aveva passeggiato così con lei, negli ultimi mesi. Ma prima erano solo Eleanor e Ross e invece ora era un padre che portava a passeggio la sua bambina. Le indicò un porticciolo da cui si potevano prendere delle barche per un breve giro del lago. "Hai voglia di salire lì sopra?".

"No".

"Perché?".

"Ho palura" – mugugnò la bimba.

Con un sospiro, la trascinò comunque alla zona dell'imbarco dove un vecchio dava i remi a chi voleva noleggiare le barchette. "Non devi avere paura, io sono molto bravo ad andare in barca e se ti fidi e vieni, vedrai i cigni".

Ellie non parve troppo convinta, ma lo seguì comunque. Ross pagò la barca, ci mise su la bimba e salì a bordo, facendosi passare i remi dal vecchio. "Grazie, saremo indietro fra un'ora".

L'uomo annuì. "Buon divertimento signore, a voi e alla vostra incantevole figlia".

Quelle parole gli fecero uno strano effetto, era la prima volta che qualcuno lo diceva ad alta voce. Certo, quell'uomo non sapeva nulla di loro, ma in quelle poche parole che aveva pronunciato, gli aveva illustrato il più grande salto nel vuoto compiuto nella sua vita.

Ellie, col tricorno in testa, si era appoggiata con le braccia ai lati della barca, osservando un pò intimorita tutto ciò che la circondava. Ross remò, non togliendole gli occhi di dosso, accorgendosi che in fondo si sentiva abbastanza a suo agio e non era spaventata come gli era sembrato pochi minuti prima. "Guarda i cigni" – disse, indicandogliene alcuni che nuotavano a una decina di metri da loro.

Era una giornata soleggiata e piacevole di fine estate, il cielo era di un azzurro intenso, percorso qua e la da nuvole bianche di varie forme. Ellie osservò i cigni, succhiandosi il pollice. "Pecché nuotano?".

"Fanno una passeggiata, come noi".

La bimba alzò le spalle, avvicinandosi a lui carponi. "Sì".

Ross la prese sulle ginocchia, stringendola a se. Erano soli, in un posto incantevole e tranquillo. Era ora di parlarle, anche se non aveva ben idea di quello che lei avrebbe capito. "Ellie, sai perché siamo venuti quì a Londra?".

"No" – rispose lei, dondolando le gambette nel vuoto.

No, era ovvio che non lo sapesse, che si aspettava? "Ecco... Io e la mamma abbiamo fatto un pò di confusione quando sei nata e allora siamo dovuti venire quì per firmare delle cose importanti e sistemare tutto".

"Pecché?".

"Beh, perché io e la mamma siamo sposati e tu, Clowance, Jeremy e il bambino nuovo che sta per nascere siete tutti nostri figli. E non era giusto che tu...". Sudò freddo e si sentì idiota, si stava incartando in un discorso astruso e complicato che Ellie non avrebbe capito e che l'avrebbe annoiata. Inspirò profondamente, cercando di facilitare le cose ad entrambi, mentre la bimba lo guardava incuriosita e, a suo modo, attenta. "Ecco, vorrei che tu mi chiamassi papà" – disse infine, di getto.

Ellie spalancò gli occhi, senza dire nulla. Sembrava stupita e forse, benché tanto piccola, pareva aver compreso l'enormità di quello che lui le aveva appena detto.

Davanti al suo silenzio, col cuore che gli balzava nel petto, Ross le sfiorò il mento. Era una bellissima bambina, intelligente e sensibile. Ed era sua... E sperava che lei lo accettasse come padre. Anche se gli inizi erano stati tremendamente duri fra loro, anche se aveva tentato in ogni modo di odiarla, anche se aveva a lungo desiderato che sparisse per sempre dalle loro vite, voleva che sentisse che la amava e che per lui era una figlia. Solo una figlia. "Vuoi?".

Ellie si grattò il mento. "Mamma si alabbia" – rispose, titubante.

Le sorrise, accarezzandole la guancia. "No, ne sarà contenta. E' stata lei a dirmi di chiedertelo e lo vorrebbe tanto. Ma la cosa importante è se lo vuoi tu... Ora puoi farlo, puoi chiamarmi così se vuoi".

Ellie per un attimo rimase ferma, come pensierosa. Poi, con un gesto lento, si tolse il tricorno, poggiandolo nelle sue mani. "Tuo".

Rimase stupito, interdetto da quel gesto. Perché? Perché glielo stava restituendo, se fino a pochi secondi prima sembrava inseparabile da quell'oggetto? Era un gesto positivo o negativo, quello? "Non lo vuoi più?".

Lei, timidamente, sorrise. "Non mi sevve adesso".

"E prima ti serviva?". Il tricorno... Sembrava che Ellie volesse risolvere quel dilemma per lui, finalmente. Aveva sempre saputo, in cuor suo, che dietro quell'attaccamento al tricorno si nascondeva qualcosa di importante e ora aveva la sensazione di essere a un passo dalla soluzione di quell'enigma.

"Sì, prima sì".

"Perché?".

Ellie si voltò verso di lui e sembrava talmente seria da dimostrare molta più maturità dei suoi due anni e mezzo. "Tutti i papà dei bimbi hanno quetto cappello. Io plima no".

Ross si concentrò, cercando di capire cosa volesse dirgli Ellie. Era molto piccola e ancora non sapeva parlare correttamente ma aveva come l'impressione che stesse cercando di dirgli qualcosa di molto importante. "No, prima non lo avevi. Te l'ho regalato io quando avevi il morbillo. Perché lo volevi?".

Eleanor sospirò. "Pecché se c'avevo il cappello poi veniva anche il papà. Come li attri bimbi".

Lo fissò in viso, quasi innervosita dal non sapersi spiegare meglio. I loro occhi si incontrarono e improvvisamente Ross capì. E si diede dell'idiota per non esserci arrivato prima... Ellie non aveva mai avuto un padre ma in un certo senso ne aveva avvertito la mancanza, da sempre. Accompagnando Demelza ad Illugan aveva visto gli altri bambini in compagnia di padri con quel cappello in testa e doveva aver collegato, nella sua mente di bimba, il tricorno alla figura paterna. Arrivando a desiderarne uno e colmare, con esso, quel qualcosa che evidentemente gli era sempre mancato.

Era strano, aveva voluto il suo di tricorno. Non quello di Dwight, che pur conosceva da quando era nata. E nemmeno quello di qualcuno degli amici di Demelza di Illugan. Aveva voluto il SUO tricorno, lei aveva già scelto LUI prima ancora che lui decidesse cosa volesse fare nella vita. Lo aveva scelto e cercato, silenziosamente, fin dal giorno in cui lui aveva colpito la sua manina quando aveva cercato di prendere quel cappello dal tavolo.

Questo lo riempì di sensi di colpa ma anche d'orgoglio e tenerezza.

Questo spazzò via ogni paura o dubbio che l'aveva colto in quel giorno.

Ellie voleva un padre che portasse il tricorno.

Hugh Armitage non aveva mai indossato nulla del genere...

Hugh Armitage non avrebbe mai potuto essere suo padre, ora Ross ne aveva la conferma definitiva.

Pensò che nessuno sceglieva chi avere come padre. E nessun padre chi avere come figlio. Erano caso e destino a formare le famiglie e non c'era libero arbitrio in questo.

Ma per lui ed Ellie era diverso. Lui aveva scelto lei e soprattutto, LEI aveva scelto LUI. Questo lo riempiva di una sorta di orgoglio, ebbrezza e gioia che forse lo avrebbero accompagnato tutta la vita. Questo valeva tutta la paura e i dubbi che aveva superato con fatica.

No, quel cappello ad Ellie non sarebbe più servito...

Si stese sulla barca, trascinando la bimba con se e stringendosela al petto. "Ellie, saresti capace di chiamarmi papà?".

"Sì".

"Fallo!".

Lei si voltò, affondando il faccino nel suo petto. "Papà" – disse, con la vocina stentata.

Ross sorrise profondamente emozionato. Detto da lei aveva un suono dolcissimo. "Brava, è così che dovrai chiamarmi per sempre" – sussurrò, baciandole la fronte.

"Sempre" – ripeté la bimba.

Le accarezzò i capelli, osservando con lei, sul fondo della barca, la forma delle nuvole in cielo. In silenzio, in uno stato di pace profonda. "Faremo tante cose insieme, Ellie" – le promise.

"Cosa?".

"Tutto quello che vorrai. Ti insegnerò anche ad andare a cavallo" – disse, ridacchiando e ricordando quanto temesse quell'animale.

E infatti, Ellie... "NOOOOO".

Ross rise, divertito. Sarebbe riuscito, un giorno, a farle amare l'equitazione. "D'accordo, d'accordo! Non vuoi nemmeno un peluches a forma di cavallo".

"No. Quetto lo legaliamo al fratellino novo. Io c'ho Kiky" – disse, indicando una nuvola in cielo a forma di coniglio.

Questo lo fece ridere, aveva una testolina intelligente e acuta e in quel momento si chiese quanti pensieri si agitassero in lei, ancora incapaci di venire allo scoperto. "Chiamami ancora papà!".

Ellie rise, divertita da quella richiesta. "Papà" – esclamò più sicura di se stessa, battendo le manine sul suo petto.

Era contenta e vederla così gli scaldava il cuore. "Ridillo!".

"Papà".

La baciò sulla guancia. "Ora che mi hai restituito il tricorno, che ne dici di andare a compare un cappellino nuovo che piacia anche ad Etta?".

Lei annuì. "Sì".

E in quel momento Ellie abbandonò il tricorno e ciò che simbolicamente rappresentava per lei, capendo che finalmente aveva un padre vero. Quello che si era scelta, silenziosamente, già da tanto tempo.


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Capitolo 39
*** Capitolo trentanove ***


Demelza era uscita sola coi bambini, quel pomeriggio. Ross era stato chiamato per una riunione al Parlamento e visto che sarebbero rimasti nella capitale ancora una settimana, alla fine aveva ceduto alle richieste e aveva accettato l'invito.

Sarebbe tornato a sera, per l'ora di cena, e lei e i bambini sarebbero rimasti soli tutto il giorno.

La mattina era piovuto ma dopo pranzo era spuntato un timido sole e Jeremy e Clowance avevano insistito per andare al parco con lei. Volevano farle vedere i posti dove giocavano quando erano a Londra e in fondo Demelza era curiosa di scoprire luoghi nuovi. Stava bene ed eccetto per il fatto che la bimba che aspettava era scatenata, non si sentiva stanca o bisognosa di riposo.

Etta aveva rimuginato su qualcosa per tutta la giornata, borbottando in silenzio fra se e se, e aveva preferito non accompagnarli nella loro passeggiata pomeridiana e così, dopo aver pranzato, aveva preparato lei stessa i bambini ed erano usciti.

Ellie trotterellava dietro ai due fratelli più grandi e a Demelza si gonfiò il cuore quando vide Jeremy e Clowance darle la mano per tenerla fra loro. Erano davvero, ora, tre fratellini...

Era rimasta così sorpresa quando Ross, due giorni prima, le aveva raccontato il significato dell'attaccamento di Ellie al suo tricorno e si era rimproverata di non aver capito prima quali fossero i sentimenti della bimba. Ross aveva capito che ci doveva essere qualcosa di importante dietro quel comportamento e, se da una parte era dispiaciuta per non averlo compreso anche lei, dall'altra era orgogliosa del modo attento con cui suo marito si rapportava ad Eleanor. Era davvero lui suo padre, lui e nessun altro. Non c'era MAI stato nessun altro per Ellie, prima di Ross. E lei si sentiva infinitamente fortunata che fosse andata a finire così perché la sua bimba non avrebbe potuto avere padre migliore... E lei, con Ross, aveva ritrovato tutti i suoi figli e ora si sentiva di nuovo completa. Era stata terrorizzata quando aveva scoperto di essere incinta ma ora era semplicemente felice e non vedeva l'ora di stringere fra le braccia la sua nuova piccola.

Giunti al parco, enorme, pieno di piante secolari e di prati perfettamente curati, i bimbi corsero con Ellie a giocare vicino a un piccolo laghetto dove una miriade di altri piccoli si intratteneva sulla riva.

Demelza sorrise, appoggiandosi a una pianta per osservarli. Jeremy correva lungo la riva con altri bimbi che probabilmente conosceva, mentre Clowance ed Eleanor si erano inginocchiate a giocare con la sabbia.

Era pieno di bambini, quel parco. A quell'ora era un via vai di piccoli eleganti figli dell'alta società accompagnati da tate o da madri elegantemente vestite. Nel guardare quelle donne si sentì a disagio, un sentimento simile a quello provato appena sposato Ross. Erano tutte altere e perfette, vestite elegantemente e piene di gioielli mentre lei... Beh, indossava un abito azzurro che le cadeva morbidamente sul ventre, fatto di tessuto pregiato ed elaborato, ma niente di troppo pomposo. Glielo aveva regalato Ross appena arrivati a Londra ed era comodo per una donna incinta, decoroso per la buona società della capitale ma per fortuna non lussuoso. Non ci si sarebbe sentita a suo agio. Negli ultimi tre anni aveva vissuto indossando abiti modesti, arrabattandosi per mettere insieme una cena e lavorando sodo, a contatto con gente povera e senza nulla e ora, anche se era tornata ad essere la moglie di Ross a tutti gli effetti, gli risultava difficile conformarsi a quel mondo così lussuoso ed artefatto. Lei era Demelza di Illugan, una donna che aveva sposato un uomo altolocato di campagna ma che viveva in modo semplice e senza pretese. Non sarebbe mai cambiata in questo e in questo aveva trovato un marito che la pensava esattamente come lei.

Sospirando, fece due passi fino a una altalena posta sotto una pianta. Vi si sedette, dondolandosi lentamente avanti e indietro, non togliendo gli occhi di dosso ai bambini.

Si stavano divertendo da matti, erano scalmanati e vivaci e probabilmente molto più selvaggi, dopo l'intera estate passata ad Illugan, dell'ultima volta che erano stati a Londra. Ed Ellie pareva perfettamente a suo agio con loro e gli altri bimbi. Era serena, contenta e il cambiamento avvenuto nella sua vita nel suo rapporto con Ross non ne aveva scalfito il carattere gioviale e allegro che la contraddistingueva. Chiamare Ross 'papà' le era venuto talmente naturale che Demelza si era chiesta da quanto tempo lo desiderasse in silenzio.

Si era chiesta tante cose, in quei giorni, nella strana quiete che precede un parto, in cui si pensa a tante cose. Si era chiesta se ci fosse un motivo specifico, alla nascita di Ellie. Si era chiesta se ci fosse un fine dietro a quella bambina, arrivata dopo un veloce rapporto rubato al suo matrimonio e alla sua coscienza. Non aveva mai creduto al fatto che le cose potessero succedere per caso e spesso si era soffermata a chiedersi perché. Era stata sfortuna, tramutata poi in una dolce bambina che aveva saputo rubare il cuore anche di Ross? Oppure tutto quello che aveva vissuto e che la aspettava, seguiva un determinato percorso logico che doveva portare a un qualche obbiettivo che ancora le era oscuro?

Persa in quei pensieri tranquilli e allo stesso tempo tormentati, si dondolò lievemente sull'altalena, finché una figura gli si avvicinò, mettendo fine in maniera brusca a quell'attimo di pace. Demelza deglutì, imprecando fra se e se come faceva da ragazzina. E lei che ci faceva, lì? Negli ultimi anni l'aveva incontrata raramente e sempre in presenza di Ross ma ora, vedersela davanti, faccia a faccia e senza filtri, le metteva una strana angoscia. Eccola, era lei, la donna che le aveva rovinato la vita e che per tanti anni l'aveva fatta sentire la seconda scelta, la donna che aveva cercato di portarle via suo marito, la donna che era stata il tormento di Ross a lungo, tanto da arrivare a distruggere il suo matrimonio. Ed ora era lì, a Londra, inspiegabilmente vicina, che si dirigeva verso di lei con sguardo fiero e con il solito portamento elegante. Ma il tempo di sentirsi inferiori era finito ormai, per lei. "Elizabeth..." - disse, fra i denti, chiedendosi che ci facesse in quel parco. E solo allora si accorse del bambino che era con lei, Valentine, che giocava tutto solo seduto nell'erba e in disparte dagli altri bambini, coi capelli neri mossi dal vento e lo sguardo vacuo e triste.

"Allora non mi sono sbagliata, sei davvero tu Demelza" – rispose Elizabeth, in tono glaciale.

Demelza deglutì. Un tempo era quasi riuscita a crederla amica, ma ora sapeva che ogni gesto, ogni parola, ogni sorriso che le aveva riservato erano atti solo a tentare di portargli via Ross. Non si fidava di lei, non si sarebbe mai più fidata di quella donna. "Ho portato i bambini al parco a giocare" – rispose, chiedendosi perché le stesse rispondendo.

"Anche io".

Demelza guardò il piccolo Valentine e i suoi ricci neri tanto simili a quelli di Ross. Sembrava un bambino triste e solo e non riusciva a scorgere sul suo viso alcun segno della vivacità infantile che invece contraddistingueva i suoi figli. Provò pena per lui ma si impose di non farci caso. "E allora gioca con lui invece di lasciarlo lì tutto solo" – concluse, secca.

Elizabeth parve non volerla ascoltare. Le si avvicinò, osservandole la pancia. "La tua gravidanza procede bene, vedo. Ross è contento?".

"Più di me, forse".

"Mi pare che il parto sia previsto per dicembre, giusto?".

Demelza sospirò. Che diavolo voleva da lei? Possibile che non capisse che non voleva fare alcuna conversazione? "Sì".

Elizabeth continuò, come studiando ogni sua risposta. "Si raccontano strane cose su di voi, quì a Londra. Dicono che siate venuti quì per far riconoscere a Ross la tua terza figlia. Dicono sia di Armitage".

Il tono sibillino della sua voce, le fece saltare i nervi. Che cosa diavolo voleva da lei? Come poteva intromettersi ancora nella sua vita, magari giudicando? E soprattutto, a quale scopo? "La gente ne dice tante di cose. Bisogna stare attenti ai pettegolezzi, oggi toccano me e forse ti sembrano divertenti, ma magari domani possono toccare te. E in fondo ne avrebbero motivo, no, di volgere lo sguardo a casa tua..." - disse, osservando il piccolo Valentine che, a diversi metri da loro, scavava una buca nel terreno.

Elizabeth impallidì, forse pentendosi finalmente di essere venuta da lei. "Non so di cosa parli".

"Lo sai benissimo. Mi auguro, per Valentine, che George si riveli un uomo degno di questo nome. Ma non succederà e lo sai anche tu, giusto? Conosci bene il valore dell'uomo che hai sposato, ognuna di noi conosce perfettamente i propri mariti e... E forse te lo meriti, per quello che hai fatto a me e ai miei figli! Ma Valentine no, lui non lo merita! Cerca di ricordarlo, per il suo bene".

A quelle parole, Elizabeth le riservò uno sguardo carico di risentimento unito però a una strana, profonda, stanchezza che non faceva parte di lei. Non della Elizabeth che Demelza aveva conosciuto fino a quel momento, almeno. "Quando nascerà il tuo bambino?".

"A gennaio".

Demelza la squadrò. "Gennaio?" - chiese, scettica, ricordando lo stupido consiglio datole da Ross. "Sicura?".

"Sicura. O almeno penso, i bambini nascono quando ne hanno voglia loro".

Demelza sorrise freddamente. "O quando lo decidono i genitori" – rispose, sibillina. Che strano era, parlarle così... Che strano era ricordare come una volta si fosse sentita piccola e inconsistente davanti a lei... E ora le faceva solo pena e rabbia per la pochezza di animo e spirito, per il male che aveva fatto con calcolo e per non essere mai stata capace di tutelare se stessa e i suoi figli.

Elizabeth parve percepire i suoi pensieri. "So cosa pensi e forse hai ragione, non avremmo mai potuto essere amiche. Se la cosa ti può far piacere comunque, ora ho deposto le armi. Ross ha scelto te e io non resterò nell'ombra sapendo di non valere, ai suoi occhi, quanto te. Lotterò per far funzionare il mio matrimonio e affinché i miei figli abbiano una vita serena. Forse non avrò la vita felice e idilliaca che avete tu e Ross ma...".

Demelza fece un sorrisetto sarcastico. "Vita idilliaca? Tu non hai nemmeno idea di quante battaglie abbiamo combattuto, io e Ross. O forse ne hai idea ma fingi di non ricordartene... Non esistono le favole, Elizabeth. Esiste l'amore che va alimentato e che ci si deve tenere stretti nei momenti bui, senza perderlo di vista. Esistono le lacrime ed esiste chi ti ama e le asciuga. Esistono le liti. Esiste lo smarrire la strada ed esiste la mano ferma di chi hai accanto che afferra la tua per aiutarti a tornare indietro".

"E tu hai trovato tutto questo. E anche Ross..." - rispose Elizabeth, mestamente.

Quelle parole sembravano sincere, una resa su tutti i fronti. Demelza si accarezzò la pancia nel punto in cui la piccolina le aveva appena dato un calcio. "Sì, noi abbiamo trovato tutto questo" – ammise infine.

Jeremy, Clowance ed Ellie corsero da lei, interrompendo il loro discorso. "Mamma, andiamo a casa?" - chiese il maschietto, cercando di sbottonarsi il primo bottone della camicia. "Vogliamo la merenda e poi... posso slacciarmi un pò la camicia? Soffoco".

Clowance lo rimbeccò. "Se ti slacci il bottone, non sei più un signore! Miss Etta dice che i gentiluomini vanno in giro con la camicia tutta abbottonata, mamma".

Demelza sorrise, inginocchiandosi davanti a Jeremy. "Certo che puoi slacciarlo, c'è tempo per essere un signore" – sussurrò dolcemenente, aiutando il figlio sotto lo sguardo di Elizabeth.

"Mamma, merenda" – disse Ellie, aggrappandosi alla sua gonna.

"Va bene, andiamo a casa allora". Prese le bimbe per mano mentre Jeremy, più grandicello, corse da solo verso il vialetto. Demelza osservò di sfuggita Elizabeth, accennando un cenno del capo come saluto. Aveva una strana sensazione, come se quello fosse un commiato definitivo fra loro... Eppure era una sensazione stupida ed irrazionale, lo sapeva che si sarebbero riviste in Cornovaglia. Elizabeth viveva a Trenwith e lei sarebbe presto tornata a Nampara, sarebbe capitato spesso di incrociarsi. "Devo andare, buona fortuna per il tuo parto di gennaio".

Elizabeth rispose al saluto. "E a te per il tuo parto di dicembre".

Si guardarono negli occhi e per un istante si accesero scintille fra loro. Ma poi, ognuna voltò lo sguardo verso i propri figli, l'unica cosa che davvero contasse in fondo. Demelza si avviò verso il sentiero dove la aspettava Jeremy e non si voltò mai. Era ora di andare a casa coi bambini ed era giusto che lo facesse anche Elizabeth. Le loro strade ormai avevano intrapreso direzioni diverse e Demelza sapeva che mai più si sarebbero incrociate. E ora, con tanto sollievo nel cuore, sapeva che anche per Ross sarebbe stato così.


...


Quando giunse a casa, Miss Etta la aspettava sulla porta d'ingresso, con la sua mantellina sulle spalle. "Io devo uscire, signora" – disse, senza mezzi termini – "Potete pensare voi alla merenda dei bambini?".

Demelza le sorrise, mentre i piccoli correvano in casa. "Certo. E' successo qualcosa?".

"E' colpa di vostro marito!" - sbottò la governante.

Spalancò gli occhi. "Ross? Che ha fatto?".

Etta si sfiorò i capelli blu, mortificata. "Mi guarda male ogni volta che ci incrociamo. Non gli piacciono... Vado a cambiare colore".

"Ohhh...". Beh, dirle che nemmeno a lei faceva impazzire quel colore, sarebbe stato scortese, così come il riderle in faccia. Era una situazione abbastanza buffa quella e i modi di fare di Etta la divertivano, nonostante tutto. "Certo, ma Ross... Beh lui si intende poco di capelli da signora. Non dovete prendervela".

"I vostri capelli gli piacciono, però" – osservò Etta.

Santo cielo, che situazione imbarazzante... "Sì, i miei capelli sì! Ma io sono sua moglie" – si giustificò, quasi sentendosi in colpa.

La governante si fece seria mentre i bimbi, in salotto, facevano un baccano assurdo facendo merenda coi biscotti che avevano trovato sul tavolo. "Rossi! Ecco, li tingerò di rosso, come i vostri".

Demelza fece per replicare, ma non ne ebbe il coraggio. Deglutendo, annuì. "Rossi?".

"Sì, come i vostri! Il signore li adorerà".

"Certo...". Demelza non ebbe il coraggio di dire nulla, era una situazione surreale e la faccenda-Etta aveva alleggerito il suo animo, appesantito dall'incontro con Elizabeth. "Fate con calma, prendetevi tutto il pomeriggio, ci penso io ai bambini".

"Grazie!".

Etta sparì in un istante e Demelza un pò incredula, ridacchiando, finì di dar la merenda ai suoi figli che poi, ancora desiderosi di giocare, corsero nel piccolo cortiletto sul retro.

Demelza li sentì ridere e decise che poteva rilassarsi un pò prima che tornasse a casa Ross. Si avvicinò alla spinetta che era posta all'angolo del salotto, sedendosi e sfiorandola con le dita. Erano almeno tre anni che non ne suonava una e desiderava farlo. Dal suo arrivo a Londra l'aveva osservata con desiderio, senza però trovare il coraggio di suonarla. Spesso, a Nampara, si era intrattenuta in quel passatempo che sapeva infonderle pace ed era un qualcosa che ad Illugan le era mancato molto. La musica, il calore che sapeva sprigionare, la sensazione di pace e di essere a casa... Ripensò alla sua spinetta a Nampara e... alle sue aiuole, al suo giardino, alla cucina, alla stalla, a Prudie che non aveva mai voglia di fare nulla... Mille ricordi si affacciarono alla sua mente con una prepotenza inusuale per lei. Non le sembrava vero di essere stata lontana tanto a lungo dalla sua unica e vera casa... Per la prima volta da quel giorno in cui se n'era andata a cavallo con Hugh, sentì che Nampara le mancava.

Le sue dita scivolarono sulla spinetta, componendo una nota...

Osservò la tastiera, quasi timorosa di proseguire... Stava pian piano ritrovando la sua vecchia vita ed era meraviglioso e allo stesso tempo faceva un pò paura. Stava tornando ad essere la Demelza di Nampara e stava abbandonando di nuovo la Demelza di Illugan. Era la seconda volta nella sua vita, che succedeva... La prima era stata quel giorno in cui Ross l'aveva salvata, assieme a Garrick, alla fiera di Sawle... Era passato così tanto tempo, da allora...

"Suona ancora".

La voce di suo marito, la fece sussultare. Demelza si voltò, trovando Ross dietro di lei. Non l'aveva sentito rientrare... "Ti farebbe piacere?" - chiese, deglutendo. C'era un silenzio surreale e stranamente pesante in quel momento, fra loro, carico di attrazione ed emozione.

"Sì, mi farebbe piacere" – rispose Ross con voce calda, sedendosi accanto a lei. "Mi chiedevo quando ne avresti avuto voglia" – disse, cingendole la vita.

"Non so se ne sono ancora capace".

"Prova".

Demelza scacciò dalla sua mente gli ultimi ricordi dell'incontro con Elizabeth, concentrandosi sulla tastiera. Poi inspirò, iniziando a suonare un motivetto lento e rilassante. Sentiva le mani di Ross che le cingevano la vita, il suo fiato caldo sul collo e...

E improvvisamente, al suono della musica, la piccola le diede un calcione talmente forte da spezzare quel momento romantico e farla sussultare. "Giuda!" - urlò, toccandosi il ventre.

Ross, quasi destandosi di colpo da quel momento di tranche, la fissò preoccupato. "Che c'è?".

"La bambina! Ho appena scoperto che c'è qualcosa che ama più della tua voce".

Ross fissò la pancia. "Che piccola traditrice! Cosa potrà mai amare, più di suo padre?".

"La musica! Appena ho iniziato a suonare, si è scatenata".

Lui scoppiò a ridere. "Somiglia a te, allora. Mi ama e ama la musica".

Demelza ci pensò su. "Vorrei somigliasse a te, però". Lo desiderava più di ogni altra cosa...

Ross annuì. "Sì, potrebbe essere una buona idea. Capelli neri e amore per la musica. Sarà una bambina fantastica! Hai pensato a un nome?".

Demelza sospirò. "No... E tu?".

Lui sorrise, fiero di se stesso. "Sì! Sarà una bellissima bambina e quindi serve un nome appropriato. Isabella... Bella! Che ne dici?".

Demelza sfiorò con le dita i petali di una rosa messa nel vaso poggiato sulla spinetta, pensierosa. "Isabella Poldark...". Poi, osservando il fiore, sorrise dolcemente. "Isabella-Rose Poldark... Che ne dici?" - propose, ammirando la bellezza splendente ma gentile della rosa.

L'espressione di Ross si intenerì. "Isabella-Rose... E' un nome perfetto". In lontananza sentì le risate dei bambini e, guardandosi attorno, si accorse che erano soli. "Abbiamo il nome per nostra figlia ma... Dov'è Etta?".

"Dal parrucchiere".

"Di nuovo?" - chiese, terrorizzato.

"Vuole cambiare il colore dei capelli".

Lui alzò gli occhi al cielo. "Che Dio la benedica...".

"E' per colpa tua, la mortifica il fatto che il blu non ti piaccia!".

"Santo cielo, vorrei ben vedere!".

Lei ridacchiò. "Sai di che colore li tingerà?".

"Ho quasi paura a chiedertelo".

"Rossi, come i miei!".

Ross, per lunghi istanti, rimase in silenzio. Poi, con un sospiro, le accarezzò il viso, baciandola sulla punta del naso. "Rossi come i tuoi... E' inquietante, direi che possiamo tornare a casa da ORA! Oggi ho sistemato tutte le faccende in sospeso quì a Londra e ho timore che i bimbi siano preda di incubi, con quei capelli che cambiano colore alla velocità della luce".

Casa... Un suono dolce pensò, accarezzandosi la pancia. Mancavano tre mesi al parto e sì, voleva trascorrerli a casa. "Ross, sì. Portami a casa".

"Certo".

Lei sorrise. "Nella nostra VERA casa, però. Ross, torniamo a Nampara...".

Ross spalancò gli occhi e per alcuni istanti non disse e non fece nulla. Poi le sorrise in un modo talmente dolce che forse non aveva mai visto. E la abbracciò, baciandola sulle labbra. "Certo amore mio, torniamo a casa nostra! A Nampara...".

"Sì, a Nampara" – ripeté Demelza in un sussurro.




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Capitolo 40
*** Capitolo quaranta ***


Erano partiti da Londra la sera prima, decidendo di viaggiare di notte per far dormire i bambini durante il tragitto. Avevano salutato Etta i cui capelli, dopo che da blu si era tentato di farli diventare rossi, erano invece diventati verdi e avevano lasciato la capitale.

I piccoli erano stati bravi durante il viaggio e Jeremy e Clowance erano stati eccitati all'idea di tornare a Nampara con la loro mamma, mentre Ellie aveva appreso in silenzio la notizia, con una nota di timore nel viso. Demelza conosceva sua figlia, sapeva che per carattere tendeva a chiudersi a riccio nelle situazioni nuove in cui si trovava, ma sperava che la presenza dei suoi fratelli e il vedere lei e Ross contenti, l'avrebbero tranquillizzata. Sperava che presto anche lei potesse considerare Nampara la sua casa.

Giunsero con la carrozza vicino alla Wheal Grace che era l'alba e Demelza fu colta da una strana ansia. I bambini dormivano e forse suo marito poteva percorrere da solo con loro le ultime miglia con la carrozza mentre lei vi arrivava a piedi. Aveva bisogno di camminare.

Ross aveva fatto fermare la carrozza senza chiederle nulla, forse capendo il suo stato d'animo. Stava tornando a Nampara. NAMPARA! E in lei c'era una strana agitazione unita a gioia e paura... Tre anni prima aveva giurato di non tornare più indietro, di non crederci, di non cascarci ancora per non farsi del male, e ora...

Ora era meraviglioso ma si sentiva spaventata...

Scese dalla carrozza, col vento dell'autunno che si agitava in un'alba fresca ma serena e che le scompigliava i capelli. Lei e Ross si sarebbero rivisti a casa...

Camminò nel silenzio della brughiera, costeggiando le scogliere maestose di quella terra ed osservando silenziosamente il mare che quella mattina era di un azzurro intenso e limpido.

La piccola le diede un calcetto contro le costole e Demelza sorrise. Grazie a quella passeggiata aveva finito con lo svegliarla e la bimba le stava facendo capire che non ne era troppo contenta.

Dimostrava già il bel caratterino dei Poldark e ancora non era nemmeno nata... Ross ne sarebbe stato orgoglioso!

Pensò che da quando era rimasta incinta, mai si era soffermata a pensare in maniera profonda a questa nuova vita, mai aveva avuto un momento intimo solo con lei. Quando aspettava gli altri figli, spesso si era fermata ad accarezzarsi il pancione, a cantare una canzone, a 'chiacchierare' col bimbo in arrivo. Era stato così con tutti, ma ancora non era riuscita ad avere un momento madre-figlia solo per loro due, con Isabella-Rose. C'erano troppe problematiche nella sua vita, c'era stato troppo dolore da affrontare e un rapporto con suo marito da ricostruire... La sua esistenza, negli ultimi mesi, era vorticata pericolosamente come una trottola e non aveva mai avuto modo di godersi davvero la gravidanza.

Si accarezzò la pancia, forse quella passeggiata avrebbe regalato a lei e Isabella-Rose quel momento solo loro che fin'ora era mancato.

"Sai" – disse, mormorando – "Stiamo tornando a casa. Tu non ci sei mai stata e non hai idea di cosa significhi per me. Credevo di aver perso tutto, Nampara, i miei figli e l'amore del mio uomo... Credevo che la mia vita sarebbe finita nel posto dov'era iniziata, a Illugan... Forse non ti ho mai ringraziata per essere piombata nella mia vita perché senza di te, forse io e tuo padre non avremmo mai avuto il coraggio di vivere i nostri sentimenti, di essere sinceri e di prenderci nuovamente per mano. Mi spiace di aver pianto e di non essere stata contenta del tuo arrivo, all'inizio. Lo sai che ti amavo già, vero? Lo sai che quel dolore e quelle lacrime non erano rivolte a te, vero? Lo sai, lo sentivi che avevo solo paura?

Sarai una bambina amata, avrai due genitori che ti adoreranno, due sorelle e un fratello che non vedono l'ora di conoscerti e io stessa non vedo l'ora che tu sia quì e di sentire le vostre risate nel cortile di casa.

La vita a volte sa essere imprevedibile, lo imparerai presto, Isabella-Rose. Imprevedibile nel bene ma anche nel male. Ma se si riesce a raggiungere un equilibrio, anche dalle cose brutte che si alterneranno a quelle belle, allora potrai trovare arricchimento e crescita. Io e tuo padre saremo al tuo fianco, sia quando sbaglierai, sia quando sarai brava in ciò che ti piacerà fare. Saremo sempre accanto a te e qualunque cosa farai, ne saremo fieri.

Il fatto che tu sia quì, che io sia quì e che tua sorella Eleanor abbia un padre non erano così scontati, sai? Eppure, grazie a te e soprattutto grazie a tuo padre, ho scoperto che la vita, anche quando diventa buia, può tornare a splendere.

Sarà bello passare questi mesi in tua attesa a casa. Ho pensato a mille cose fin'ora ma adesso vorrei pensare a te. A noi...".

Aveva parlato tanto a lungo che non si era accorta di essere giunta in prossimità di Nampara. La vide stagliarsi nell'orizzonte... La sua casa, la sua vita, tutto ciò che lei era... Ecco, era tornata al luogo dove sentiva di appartenere.

Illugan era stato il suo rifugio ma forse non l'aveva mai considerata davvero una casa. Ripensò al giorno in cui, con Hugh, se n'era andata via a cavallo e quel dolore, quella sofferenza, quel disincanto patito allora per un attimo sembrarono sopraffarla.

Ma fu solo un attimo...

Era a casa, era tornata per restare e Ross la amava, solo questo contava. Isabella-Rose le diede un altro calcione nella pancia, forse per incitarla a non avere paura.

E Demelza sorrise...

Tornare era stato un atto di amore e coraggio, quel coraggio che aveva smarrito un giorno di giugno di tre anni prima.

Era a casa, adesso. Ed era ora di riprendere la sua vita...


...


Era stata una giornata strana, quella. Spesso in quei tre anni aveva visto Prudie, ma sempre ad Illugan. Ed ora ritrovarsi a Nampara, ancora una volta nelle vesti di padrona, le faceva un certo senso. Prudie si era dimostrata una madre e un'amica in quegli anni difficili, aveva spesso asciugato le sue lacrime, l'aveva aiutata con Eleanor quando erano sole al mondo e l'aveva confortata quando, in silenzio, piangeva per Ross e i suoi figli perduti.

Appena entrata in casa l'aveva abbracciata, in silenzio, mentre Ross e i bambini la guardavano senza fiatare, forse anche loro preda di mille emozioni capaci di ammutolirli. Vederla a casa dopo tanto, doveva essere un'emozione forte anche per loro...

Mentre Ellie dormiva in braccio a Ross, Clowance e Jeremy corsero da lei, prendendola per mano, seguiti da Garrick che scodinzolava senza sosta fin dal suo ingresso in casa.

Demelza camminò in quegli ambienti tanto famigliari ma allo stesso tempo estranei. Ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi di nuovo a quella casa.

Coi due figli più grandi osservò i mobili, la cucina, le scale, la credenza, la disposizione delle sedie, lo studio di Ross... Non era cambiato niente, tutto era rimasto uguale.

Sentì gli occhi inumidirsi e si sentì stupida. Perché diavolo le stava venendo da piangere?

Ross le andò vicino, mentre Jeremy la fissava preoccupato. "Va tutto bene, amore mio?".

"Sì... La gravidanza mi rende un pò troppo sensibile, tutto quì".

Clowance rise mentre Jeremy aumentò la stretta sulla sua mano. Lui era il più grande, quello che più aveva sofferto e forse pure quello che meglio la capiva.

"Bambini sto bene, davvero! E sono felice di essere a casa" – disse, per tranquillizzare tutti.

Prudie le toccò la spalla. "Dove la facciamo dormire, la nana?" - disse indicando Ellie che, sonnecchiosa, aveva aperto gli occhi e aveva affondato il viso fra le braccia di suo padre.

Clowance saltellò. "Con noi, con noi! Come a Londra e a Illugan! Tutti insieme, vero papà?".

Ross annuì. "Come preferite, per me va benissimo. A te va bene?" - chiese, rivolto alla piccola.

Ellie scosse la testa, piagnucolando. "Casa? Vojo la mia casa".

Demelza mise da parte le sue emozioni, accarezzando la schiena della piccola. "Amore, questa è la nostra casa, ora. Vivremo quì tutti insieme e vedrai, ti piacerà".

"Ma i conilli e le galline? E i puccini?".

Ross la baciò sulla fronte per tranquillizzarla. "Li ha portati quì Prudie, sono tutti nella stalla" – disse, mettendola a terra.

Jeremy prese la piccola per mano. "Dai, vieni a vedere!".

Ellie, sospettosa, guardò Ross. "Davelo?".

"Davvero".

Clowance, ridendo, le prese l'altra mano. "Dai, andiamo nella stalla a giocare. I tuoi animali di Illugan sono tutti là".

Demelza e Ross sorrisero. I bambini non vedevano l'ora di stare all'aria aperta per divertirsi come avevano fatto tutta estate ad Illugan.

Prudie corse loro dietro e lei e suo marito rimasero da soli.

Ross sospirò. "Tenerli in casa sarà un problema, questo inverno".

"Credo di sì. Ma si distrarranno con Isabella-Rose" – mormorò Demelza, accarezzandosi il ventre.

Ross la baciò sulla fronte, stringendola a se. "Bentornata. Credevo che questo giorno non sarebbe mai arrivato".

"Nemmeno io Ross, nemmeno io...".

Lui la guardò con espressione seria. "Quel giorno te ne sei andata perché non avevi più la forza di credere in noi. Non è più così, vero?".

Demelza gli accarezzò la guancia, anche Ross aveva bisogno di rassicurazioni, come tutti loro. "No! Non sarei mai tornata se non credessi in noi".

"Ti fa un effetto strano essere di nuovo quì, vero?".

"Vero. E' tutto uguale ad allora e allo stesso tempo mi sembra tutto diverso. Mi sento un pò spaesata come Ellie".

"Passerà".

Demelza sorrise, abbracciandolo. "Passerà, lo so".

"Sei felice?" - chiese Ross, improvvisamente.

E a quella domanda, le si strinse il cuore. Le aveva chiesto se era felice e quale espressione migliore dell'amore, se non quella di preoccuparsi della felicità di chi si ha accanto? "Sì, sono felice. E tu?".

"Anche io" – rispose lui, dandole un tenero bacio sulle labbra.


...


La giornata era trascorsa in modo sereno, nonostante Ellie fosse stata un pò piagnucolosa e capricciosa. Ross l'aveva tenuta in braccio per la maggior parte del tempo e il suo viso si era illuminato ogni volta che lei lo aveva chiamato papà.

Clowance e Jeremy invece erano stati sempre attaccati alla loro mamma, quando non erano impegnati a giocare fuori casa.

Dopo cena avevano fatto una passeggiata sulla spiaggia e al ritorno a casa avevano fatto fare un bagno caldo ai tre bambini e li avevano messi a letto mentre anche Ross, a sua volta, prendeva il loro posto nella tinozza.

Demelza aveva sentito le bambine ridere e parlottare e, visto che Prudie era già andata a dormire, ne aveva approfittato per piegare alcune tovaglie rimaste in disordine sul tavolo della cucina.

Canticchiando, non si rese conto dell'arrivo di Jeremy che, giunto alle sue spalle, le cinse la vita. "Mamma".

"Tesoro, cosa c'è? Sei stanco di sentire Clowance parlare di bambole?".

Il bimbo annuì. Aveva quasi otto anni e in quei mesi aveva perso diversi denti da latte e questo lo rendeva piuttosto buffo quando parlava o rideva. "Un pò. Però... posso chiederti una cosa?".

Parlò con tono di voce serio e Demelza capì che qualcosa si agitava in lui. Lo prese per mano e insieme si sedettero sulle scale. "Chiedimi pure tutto quello che vuoi".

Lui la guardò, serio. "Tu e papà adesso non litigate più, vero?".

Demelza deglutì. Quante ferite aveva inferto a suo figlio, in quegli anni in cui erano stati lontani? Quante paure, quanto dolore aveva dovuto affrontare il suo bambino? Clowance era piccola quando lei se n'era andata ma Jeremy... "Certo che litigheremo e probabilmente ci terremo pure il muso per alcuni giorni, quando succederà. E' così, succede... Anche questo è amore, sai? Ma ti giuro che mai, MAI più me ne andrò da quì. Io e il tuo papà ci amiamo e come vedi, non siamo capaci di stare lontani... Mi dispiace di essermene andata, c'erano tante cose difficili nella mia vita quando l'ho fatto. So che ti ho fatto soffrire e ti giuro che era l'ultima cosa che avrei voluto. Non avevo scelta, allora. Ma ora sono quì e staremo insieme. Tu, io, papà e le tue sorelle".

Jeremy annuì, più tranquillo. "Anche con Isabella-Rose?".

"Certo! Dove vuoi metterla? A dormire nella stalla?" - chiese lei ridendo, facendogli il solletico sul pancino.

Jeremy rise, abbracciandola. "Sono contento che sei quì a casa. Anche Clowance lo è. E Prudie! E Garrick".

Lo baciò sulla fronte, stringendolo a se per rassicurarlo. Era ancora il suo bambino sensibile, quello con cui aveva il legame più profondo e saldo. Amava tutti i suoi figli ma Jeremy era qualcosa di diverso dagli altri... Con lui, aggrappandosi a lui, aveva superato il momento più difficile della sua vita quando Elizabeth gli aveva quasi portato via Ross in una notte maledetta... Sarebbe impazzita se non avesse avuto Jeremy con se, allora...

"Mamma!". La voce di Clowance, allarmata, giunse alle sue spalle. "Ellie piange!".

Demelza guardò Jeremy negli occhi e poi, coi due figli per mano, salì le scale per andare nella stanzetta dei bambini.

Ellie, abbracciata a Kiky, sembrava inconsolabile. "Amore, cosa c'è?".

La piccola la abbracciò in maniera convulsa, senza riuscire a dire cosa la tormentasse, anche se Demelza sapeva bene cosa avesse. Si sentiva spersa in quella casa ancora sconosciuta per lei e le prime notti sarebbero state difficili da gestire. "Ellie, ci siamo noi con te. E Kiky".

"Casa" – piagnucolò la piccola.

"Siamo a casa" – la corresse Demelza.

Ellie pianse più forte e a quel punto, per fortuna, dal bagno arrivò Ross. Era a petto nudo, coi capelli bagnati e con indosso solo un paio di pantaloni. "Che cos'ha la mia bambina bionda che ama i conigli?" - esclamò, prendendola in braccio.

"Casa" – piagnucolò Ellie.

Ross si sedette sul letto, con la piccola sulle ginocchia. "Sei a casa, mamma ha ragione. La nostra casa è dove siamo tutti insieme e lo vedi? C'è tua madre, ci sono Jeremy e Clowance, c'è Garrick e i tuoi coniglietti e le tue galline coi pulcini sono nella stalla. C'è anche Kiky, giusto?".

"Sì".

Ross si chinò si di lei, baciandole la fronte. "E c'è papà qua con te, vero?".

Ellie lo guardò con quei suoi occhi azzurri e trasparenti. "Papà..." - disse, con quella sua vocina infantile e stentata di chi ancora faticava a crederci. Però poi sorrise. "Casa?".

"Certo, sei a casa e non devi avere paura".

Ellie si asciugò le lacrime. "Nanna con te e mamma?".

Ross sospirò, evidentemente aveva altri programmi per la serata. E Demelza rise, aspettando che se la cavasse da solo. "Mamma e papà dormono nella stanza quì a fianco, tu dormirai quì con i tuoi fratelli e con Kiky e quando sarà mattina e ci sarà un pò di luce, potrai venire nel lettone da noi. Ma per adesso, ognuno nel proprio letto".

Ellie annuì, anche se non troppo convinta. "Tu e mamma, vicini?".

"Sì, siamo vicini a te" – si intromise Demelza, accarezzandole i capelli.

La bimba si tranquillizzò e Demelza e Ross la misero nel letto stretta al suo coniglio, fra Clowance e Jeremy.

Demelza raccontò loro una fiaba come faceva la sera ad Illugan e presto, in un modo o nell'altro, tutti e tre dormirono. Spensero le candele, li coprirono con un lenzuolo e poi si avviarono verso la loro camera, col cuore in tumulto. Avevano fatto spesso l'amore nelle ultime settimane ma ora erano a Nampara, nella loro stanza, nel letto dove Ross l'aveva fatta diventare una donna. Il ricordo di quel vestito blu e di quella notte la emozionavano ancora...

Appena vi giunsero, Ross chiuse la porta. Demelza si sedette sul letto, accarezzando la coperta messa come copriletto. "Mi è mancato tutto questo".

Lui le si avvicinò. "Anche a me".

Demelza gli accarezzò la guancia. "Sei stato bravo prima, con Ellie".

"Grazie. Non preoccuparti, si abituerà presto a Nampara".

Si guardarono negli occhi e Ross le cinse la vita con le braccia. "So che è stato difficile oggi per te, essere quì".

Lei sorrise. "Lo è stato per tutti, credo".

"Ma per te particolarmente. Sono orgoglioso di te, di noi".

Demelza lo baciò sulle labbra, lentamente. "C'è voluto coraggio ma ora sono semplicemente felice. Tu sei quì, i bambini dormono, Isabella-Rose dorme e non mi da calci e io... io voglio solo te" – sussurrò, contro le sue labbra.

Gli occhi di Ross si accesero di desiderio. Le sfiorò il bordo del collo della camicia da notte, accarezzandola sulla mascella e sul mento. "E io te. Ho sempre desiderato te e che tu tornassi... Te e nessun altro e ora che so che ci credi, sono l'uomo più felice che ci sia in Cornovaglia".

Demelza non gli rispose. Lo baciò sulle labbra, un bacio lungo e appassionato. E Ross si costrinse al silenzio, come lei.

Non era più il momento di parlare.

Si stesero sul letto, sul LORO letto. E fecero l'amore con la stessa passione e la stessa emozione di quella loro prima volta di tanti anni prima.

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Capitolo 41
*** Capitolo quarantuno ***


Fu un pò complicato da gestire, all'inizio.

Mentre Ross, assieme a Demelza, Jeremy e Clowance, si gustava la ritrovata unione famigliare a Nampara, per la piccola Ellie le prime settimane nella nuova casa furono piuttosto difficili.

Se durante il giorno giocava ed appariva serena come era sempre stata, lo stesso non poteva dirsi per la sera dove, immancabilmente, scoppiava a piangere subito dopo cena e pareva diventare inconsolabile. Addormentarla, anche nel letto assieme ai fratelli, era spesso lungo e complicato e a volte Ross e Demelza avevano dovuto cedere e portarla nella loro stanza anche se, pure lì, il suo sonno era agitato.

Ross ci rimuginò sù, per cercare di capire. Ellie non era mai stata capricciosa ma al contrario, era una bambina dall'animo buono e aveva un sorriso delizioso e biricchino che sapeva conquistare tutti, eppure, ora sembrava un'altra persona... Demelza era preoccupata e a fine gravidanza, era stanca e provata e non riusciva a pensare lucidamente a come risolvere il problema della piccola. E in realtà, lui nemmeno voleva che per sua moglie diventasse un problema insormontabile e fonte di nuove ansie. Ellie stava fisicamente bene, il suo pianto non era sintomo di malattie o problemi seri e bisognava semplicemente capire cosa la turbasse tanto.

Il fatto che ancora non sapesse esprimersi bene a parole, non era di molto aiuto. E forse, anche sapendo parlare, nemmeno lei avrebbe potuto spiegare cosa la turbasse tanto. Di giorno, finché il tempo si manteneva bello, giocava allegramente in cortile con Jeremy e Clowance e stava ore nella stalla, assieme a Prudie, a prendersi cura degli animali.

Ellie amava i suoi coniglietti e le sue galline e probabilmente il suo attaccamente ad essi era aumentato a Nampara. Erano un legame, un vincolo a quello che era stato il suo mondo fino a poco prima, ad Illugan... Prendersi cura di loro la faceva sentire sicura.

Ma quando si faceva buio e si doveva preparare la cena, Ellie diventava malinconica. Demelza le aveva provate tutte: suonare la spinetta, raccontare una fiaba, cantare una ninna-nanna. Ma nulla pareva funzionare ed Ellie piangeva e, anche quando si addormentava abbracciata a Kiky, il suo sonno era disturbato da mille incubi e pensieri che la facevano svegliare in lacrime.

E così, dopo due settimane di nottate in bianco, Ross decise di cambiare tattica.

La sua idea non entusiasmò Demelza ma lui la convinse a lasciarlo provare. Le notti di quell'autunno erano ancora abbastanza tiepide e forse c'era un posto dove dormire che poteva essere di aiuto alla piccola.

Dopo molte insistenze, Demelza cedette. Ross permise a Clowance e Jeremy di dormire nel lettone mentre lui, dopo aver avvolto Ellie e Kiky in una coperta, avrebbe provato a dormire in quella stalla che la sua figlia più piccola sembrava amare tanto.

Con la lanterna in una mano e la piccola stretta nell'altro braccio, raggiunse la stalla. Ellie pareva aver preso bene quella novità e lo guardava incuriosita. Quella sera non aveva più pianto, dopo aver saputo i programmi per la notte... "Questa notte dormiremo quì, sei contenta? Quì ti piace, vero?" - disse, mettendo la piccola su della paglia pulita che aveva ammucchiato prima di cena.

Ellie si strinse nella coperta, abbracciando Kiky. "Sì".

Le si sedette accanto. "Solo io, te e il tuo coniglietto. Assieme a tutti gli animali che curi con Prudie e che hai portato quì da Illugan".

Ellie si guardò attorno, fissando prima i vitelli, poi il recinto delle galline e dei pulcini e infine l'angolo dove dormivano i coniglietti. "Tutti la nanna?".

"Tutti la nanna, sì".

Lei sorrise. "Allola non pango!".

Ross sospirò. "Davvero quì non piangi?".

"Davelo".

"Perché in casa, sì? In casa ci sono la mamma, Clowance e Jeremy, Prudie e la sorellina che deve nascere. Non sei più contenta con loro?".

"Sì".

Sbuffò. Cercare di capire cosa le passasse per la testa era difficile. "E allora perché piangi tanto e non ci fai dormire?". La situazione era preoccupante! Eleanor non amava dormire e la piccola Isabella-Rose si scatenava nel pancione, appena Demelza si metteva a letto. Lui e sua moglie non avrebbero chiuso occhio per anni, temeva!

Incurante dei suoi pensieri Ellie, col ditino, indicò i suoi animali. "Pecché sono da soli. Quì tutto grandissimo e io dommo lontana. Plima ero vicina".

Ross fissò gli animaletti che si erano portati dietro da Illugan. Ricordava che da subito, ben prima che nascesse Eleanor, Demelza aveva comprato alcune galline e alcuni coniglietti da allevare e se ne era poi presa cura con la bimba, insieme. Il mulino di Illugan era piccolo, ad Ellie bastava affacciarsi alla finestra o uscire dalla porta per vedere i suoi animali e probabilmente, averli sott'occhio, la faceva stare tranquilla. Nampara era diversa, la stalla era staccata dalla casa e sì, erano più lontani da lei e quindi, in un certo senso, la piccola ne aveva avvertito il distacco. Ed essendosene presa cura da sempre, si sentiva responsabile per loro.

Si rese conto che Ellie era davvero tanto sensibile, molto più di quello che avrebbe immaginato. Ne aveva avuto una prima conferma con la storia del tricorno e anche ora era riuscita a lasciarlo a bocca aperta. Le accarezzò i capelli biondi, sprofondando fra la paglia e stringendola a se. "Ellie, ma sai, anche se sei più lontana, non vedi? Ora hanno una casa grande dove dormire, più spazio, più fieno e più caldo. Stanno bene, guarda!".

Ellie annuì. "Davelo?".

Ross le strizzò l'occhio. "Certo, davvero! Staremo quì a dormire con loro e vedrai che sono tranquilli e al sicuro più di prima. E quando verrà freddo, gli porteremo delle coperte di lana per scaldarli. Saranno all'asciutto e al caldo in un posto tutto per loro! Come te, che ora hai una casa più grande".

Ellie lo aveva ascoltato in silenzio, assorta, succhiandosi il pollice. Poi aveva sorriso, rannicchiandosi contro al suo petto. "Papà".

"Cosa?".

"Papà...".

Lo ripeté una seconda volta, come assaporando il suono di quella parola che ora era finalmente anche sua. Poi stette in silenzio, alzando lo sguardo su di lui per guardarlo negli occhi.

Ross sussultò. Aveva la stessa espressione seria che le aveva visto in viso quando, a Londra, le aveva restituito il tricorno. Una serietà così atipica in una bambina tanto piccola, così come la strana vena di malinconia che pareva attraversarle il viso.

Lui lo sapeva, che lei sapeva...

Ellie aveva capito che poterlo chiamare papà non era stata una cosa scontata, lei lo sapeva che aveva dovuto conquistarselo il suo amore, lei aveva compreso ogni cosa osservando in silenzio lui e Demelza per oltre un anno. Qualcuno, una volta, glielo aveva detto che i bambini sanno vedere molto più in la degli adulti e che sanno cogliere la verità anche dietro apparenti bugie raccontate per tenerli lontani dalla sofferenza.

Glielo aveva insegnato Jeremy, durante la separazione da Demelza...

E ora Ellie gli aveva ribadito il concetto...

Ross la baciò sulla fronte, dolcemente. Lei sapeva, ma lui aveva dalla sua parte il tempo e l'età giovanissima di sua figlia. Avrebbe saputo essere un buon padre e lei, pian piano, avrebbe dimenticato che una volta per lui era solo baby Armitage e non era affatto desiderata.


...


L'autunno era passato velocemente e Demelza, pian piano, si era riabituata alla sua vecchia vita a Nampara. In fondo non era stato difficile per lei perché sempre, silenziosamente, aveva rimpianto quella che riteneva la sua unica e vera casa.

L'autunno era stato piuttosto caldo e clemente e i bambini lo avevano passato per lo più all'aria aperta mentre Ross, in evidente crisi nel rapporto con Lord Falmouth, aveva troncato ogni rapporto con Londra ed era tornato ad occuparsi a tempo pieno della Wheal Grace. Demelza non sapeva se si trattasse solo di una fase, in quei mesi aveva scoperto che a Ross l'esperienza politica era piaciuta e quindi, probabilmente, prima o poi ne avrebbe sentito nuovamente il richiamo perché era consapevole che quella era la sua strada e l'unico modo di fare qualcosa per le persone a cui teneva. L'aveva nel sangue, come il rame e le miniere...

Jeremy e Clowance le stavano sempre vicino, cercando di aiutarla in mille modi. Ross aveva spiegato loro che ora che era quasi a fine gravidanza, dovevano darle una mano perché lei si sarebbe stancata spesso e i bimbi avevano preso molto seriamente la questione.

Si sentiva coccolata e amata e in un certo senso sperava che questo stato di cose durasse il più a lungo possibile. Per due anni, ad Illugan, mai si era sentita tanto riposata e serena.

Ellie aveva dormito con Ross nella stalla per dieci notti. Con occhio attento aveva osservato i suoi animali e pian piano aveva compreso che, come lei, avevano trovato una nuova casa e si era tranquillizzata.

Ross non l'aveva forzata a rientrare e aveva aspettato che fosse la bimba a chiedere di tornare a dormire in casa.

E dopo dieci notti, Ellie aveva chiesto di dormire con i suoi fratelli... Da allora aveva smesso di piangere la sera e pian piano si era riappropriata della sua vita serena e delle sue abitudini.

Demelza aveva tirato un sospiro di sollievo. Era preoccupata per la sua bimba e non aveva idea di cosa potesse fare per aiutarla.

Ma Ross...

Ross aveva trovato invece la strada giusta per capire, per tenderle una mano e infine superare quel piccolo momento difficile che lei stava vivendo. Suo marito era molto bravo a capire Ellie, in un certo senso più di quanto lo fosse lei che quella bambina l'aveva messa al mondo.

Non era gelosa di questo, ne era orgogliosa e felice e alla fine aveva capito che in fondo era normale per loro capirsi tanto bene. Ellie e Ross avevano dovuto conoscersi e accettarsi e fino a quel momento avevano avuto, pur per ragioni diverse, un percorso molto simile. Ora le loro strade si erano unite e insieme stavano superando gli ultimi strascichi di quel faticoso processo che avevano compiuto insieme.

Ora Ellie era felice. E anche Ross...

Ora erano una grande famiglia che presto si sarebbe ulteriormente allargata con l'arrivo della piccola Isabella-Rose.

Gli ultimi mesi di gravidanza, in quell'autunno, erano stati fisicamente pesanti e spesso aveva passato i pomeriggi a letto. La bambina era grande, molto pesante e si muoveva senza sosta e lei era davvero stanca.

Isabella-Rose si stava già dimostrando vivacissima e Demelza, a quel pensiero, sorrideva: concepita in un giorno di tempesta, era decisamente una Poldark, quella piccolina!

E lei non vedeva l'ora di conoscerla!


...


Era una serata molto fredda quella. Mancavano cinque giorni a Natale e finalmente un leggero strato di neve era giunto a donare candore a quegli ultimi scampoli di Avvento, regalando un aspetto magico ai giardini di Trenwith.

Elizabeth era felice e in attesa. Geoffrey Charles sarebbe tornato a casa per le feste fra tre giorni, George era diventato più gentile e affettuoso da quando era rimasta nuovamente incinta e anche Valentine sembrava godere di questa strana armonia famigliare.

George non era mai particolarmente affettuoso con il figlio ma ultimamente sembrava non voler più protestare per le attenzioni che lei gli riservava, tenendosi per se tutte le accuse di volerlo viziare.

In realtà per lei leggere una storia a suo figlio di sera, prima che si addormentasse, non era un vizio ma un momento magico e solo suo che voleva godersi più dello stesso Valentine.

Elizabeth si sentiva spesso in colpa verso di lui perché sapeva di non amarlo al pari di Geoffrey Charles. Lo amava, certo, ma non di quell'amore viscerale che provava per il suo primogenito...

Sperava che, con la nascita del nuovo bambino, anche il suo atteggiamento verso Valentine sarebbe cambiato, oltre a quello di George.

Guardare Valentine era difficile perché in lui rivedeva Ross e con esso il sapore amaro della sconfitta. Ross l'aveva amata da ragazzo e lei, a quell'amore, ci si era aggrappata sempre, pur sposando altri due uomini.

Sapeva che non era nella posizione di chiedergli nulla ma l'idea che lui fosse rimasto comunque in suo potere, la consapevolezza di ammaliarlo ancora e che una parte del suo cuore era rimasta legata a lei, l'avevano sempre riempita di una strana euforia e di un senso di superiorità che la faceva sentire superiore rispetto ad ogni altra donna.

Ma poi, a conti fatti, nonostante Valentine, nonostante quella notte, lui aveva scelto lei...

Lei, che lo aveva lasciato...

Lei, arrivata dal nulla senza educazione e poco avvezza all'etichetta...

Lei, che non era altro che la sua sguattera...

Lei, che si diceva avesse avuto una figlia da un'altro...

Eppure aveva scelto lei!

Eppure, inspiegabilmente, amava lei...

E ora guardare Valentine faceva male, avrebbe sempre fatto male ogni volta che il pensiero fosse caduto su colui che poteva essere suo padre.

Ma Elizabeth aveva deciso, a modo suo, di superare quello sfregio alla sua presunta superiorità. Ross Poldark aveva scelto la sua sguattera? Amava lei? Bene, evidentemente quello che si diceva di lui corrispondeva al vero, era un selvaggio che non sapeva seguire le regole, un eversivo, un uomo di cui non fidarsi. Uno così poteva andar bene solo con una donna da poco come Demelza, una donna che non conosceva alcuna morale! E averlo perso, per lei, era stata solo una fortuna!

"Mamma, ma domani mi leggi la fine della storia?" - chiese Valentine, sprofondato fra le coperte e i cuscini del suo lettino.

Elizabeth gli sorrise, scostandogli con la mano i ricciolini neri che gli coprivano gli occhi. Era ormai tardi ed era ora di andare a letto per lui. E lei aveva altro da fare... "Domani saprai la fine".

Lui annuì. "Ma quindi domani mi racconti se Tristano se la sposa, Isotta? Alla fine si sposeranno, vero mamma?".

"Lo saprai domani!" - gli rispose, pentendosi di aver scelto, fra le tante storie a sua disposizione, un libro che narrava una vicenda tanto tragica. Tristano e Isotta non sarebbero mai stati felici, non avrebbero mai coronato il loro sogno d'amore e sarebbero sempre stati il simbolo che l'amore vero, a volte, non vince. Beh, ripensandoci forse era meglio così, era meglio che Valentine lo capisse da subito che le favole non esistono e che i lieti fini ce li si deve costruire da soli, proprio come avrebbe fatto lei quella sera.

"Me lo hai promesso, non dimenticarlo!" - la ammonì il bimbo.

"Giuro, domani finiremo la storia!" - rispose lei. Lo baciò sulla fronte, gli rimboccò le coperte e poi, dopo aver spento la candela, uscì dalla stanza.

Percorse i corridoi bui e silenziosi di Trenwith, osservando i quadri alle pareti. Quella sera George era impegnato in una riunione a Redruth e quindi era il momento ideale per portare a compimento il suo piano.

Entrò nella sua stanza, si tolse la vestaglia e poi, dopo aver preso una piccola ampollina nascosta nella sua cassettiera, fra i suoi vestiti, si sedette sul letto.

Si accarezzò il pancione, rimuginando sul da farsi e chiedendosi se non fosse troppo presto per portare a termine il suo piano.

Aveva letto molti libri sui bambini prematuri in quel periodo e alla fine aveva scoperto che, pur nascendo un mese prima, i neonati non presentavano gravi problemi di salute, per lo più.

Il suo bambino era piuttosto vispo, scalciava vigorosamente ed era indubbiamente sano. Nascere un mese prima non avrebbe comportato nulla per lui ma avrebbe significato tutto per lei e Valentine.

C'era un unico modo per convincere George che lei metteva al mondo solo bambini prematuri, mettendo fine a tutti i suoi dubbi sulla paternità di Valentine e riacquistare una serena pace famigliare: far nascere, un mese prima, il piccolo erede Warleggan che stava aspettando.

Gennaio non era lontano, in fondo. Mancavano quattro settimane alla data ufficiale del parto e il bambino, decise, era abbastanza grande per venire al mondo. Quella che doveva partorire a dicembre era Demelza che, da quel che sapeva, era ancora incinta. Beh, le avrebbe rubato il suo momento di gloria, partorendo prima di lei! Anche questa era una vittoria, dopo tutto... In fondo, chiunque sarebbe corso a conoscere il piccolo erede Warleggan, appartenente a una delle famiglie più ricche della Cornovaglia. Di Ross e Demelza, forse, si sarebbero accorti solo quei pezzenti minatori che loro consideravano amici. Solo loro, forse, si sarebbero interessati a quella nascita...

Aveva fatto preparare di nascosto da tutti, da un erborista di Truro, un composto che le avrebbe provocato le doglie. Il suo piano era perfetto: avrebbe partorito in nottata o il giorno dopo e, all'arrivo di Geoffrey Charles, la famiglia sarebbe stata finalmente riunita e felice con un nuovo bambino ad allietarla.

Osservò l'ampolla fra le sue mani, col suo contenuto verdastro. Da quel piccolo oggetto dipendeva tutta la sua vita. E quella dei suoi figli.

Si massaggiò nuovamente il ventre, il suo bambino pareva tranquillo quella sera. "E' ora, piccolo mio, fra poco ci vedremo" – sussurrò.

Poi aprì l'ampolla, bevendone il contenuto in un sorso.

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Capitolo 42
*** Capitolo quarantadue ***


Mancavano quattro giorni a Natale, la piccola Isabella-Rose era in ritardo e Demelza si chiedeva se avrebbe passato le festività con quell'enorme pancione che sembrava voler esplodere da un momento all'altro.

Nonostante fosse indubbiamente stretta, la piccola riusciva ancora a scalciare vigorosamente anche se sembrava non avere troppa fretta di nascere.

Demelza si sentiva stanca, goffa ed enorme e non vedeva l'ora di partorire e di stringere fra le braccia quella bimba che, inconsapevolmente, aveva donato a lei e a Ross una seconda chances.

Quella mattina suo marito era uscito presto per andare alla miniera a consegnare gli stipendi ai minatori. L'estrazione di rame era andata a gonfie vele negli ultimi mesi e i guadagni erano triplicati, sarebbe stato un bel Natale per tutti.

Anche se Demelza sospettava che quella di Ross fosse anche una fuga... Si rendeva conto di essere 'vagamente' nervosa in quegli ultimi giorni, pronta a mordere a ogni minima contrarietà e suo marito era colui che più di tutti veniva preso di mira per sfogare la tensione di quegli ultimi scampoli di gravidanza. Questo, nonostante fosse nervosa come un gatto, la divertiva...

Faceva freddo e una leggera spolverata di neve aveva reso il paesaggio ancora più gelido, ma i bambini avevano insistito comunque per andare di persona nella stalla a dar da mangiare agli animali.

In quei giorni erano eccitati per il Natale, per i doni e per il fatto di essere tutti insieme a Nampara ma Ross aveva dovuto spegnere un pò del loro entusiasmo spiegandogli che avrebbero fatto una piccola festa per pochi intimi, visto che la sorellina doveva nascere a momenti. A meno che Isabella-Rose avesse deciso di nascere proprio a Natale e allora non ci sarebbe stato nemmeno tempo per il pranzo...

Avevano organizzato solo un piccolo rinfresco con Dwight e Caroline, assieme a Prudie, niente di più. Se la bimba avesse deciso di nascere proprio durante le festività, i loro due amici avrebbero capito la situazione e sarebbero semplicemente stati felici per loro.

Impastando un pasticcio di carne che doveva fungere da pranzo, Demelza si massaggiò il ventre. Quella mattina aveva strani dolorini ad intermittenza che non volevano passare...

Era già capitato altre volte nell'ultima settimana e alla fine si era sempre rivelato un falso allarme e quindi non voleva illudersi. Conosceva i dolori del travaglio e quelli non lo erano affatto! Anche se, doveva ammettere, era piuttosto fastidioso. "Giuda" – mormorò, mordendosi il labbro.

Prudie, seduta accanto a lei e intenta a lucidare dei bicchieri, alzò lo sguardo. "Ci siamo?".

Demelza alzò gli occhi al cielo! Dannazione, sarebbe impazzita se continuavano a porle quella domanda! Glielo chiedeva sempre Ross ogni volta che la vedeva cambiare espressione, glielo chiedevano i bambini, glielo chiedevano i vicini! Glielo chiedevano tutti e lei sentiva di non avere pazienza per nessuno! Voleva solo silenzio e la sua bambina! "No, non ci siamo!".

"Senti male, mi pare" – borbottò di sbieco la serva.

"Solo qualche doloretto!".

Prudie alzò le spalle. "Sarà, ma oggi mi sembri diversa! Entro stasera, secondo me, avremo una nanetta urlante per casa!".

Con un gesto stizzito, Demelza picchiò il pasticcio appena impastato sul tavolo, alzando una nuvola di farina. Era nervosa come un gatto e se Prudie non fosse stata zitta, se la sarebbe mangiata per pranzo. "Se non stai zitta, farò urlare te!".

Prudie alzò il sopracciglio, per nulla intimorita. "Sì, decisamente ci siamo" – bisbigliò, ridendo sotto i baffi.

Demelza la fulminò con lo sguardo poi, dopo essersi tolta il grembiule e averlo lanciato sul tavolo, si avviò verso la porta.

"Dove vai?" - urlò Prudie.

"A controllare che i bambini non siano congelati nella stalla. Non preoccuparti, non partorirò nel breve tratto che mi separa da loro" – borbottò, sarcastica.

Ma quando fece per aprire la porta, qualcuno bussò a quello stesso uscio.

Demelza, sorpresa, aprì, trovandosi davanti un volto conosciuto e amico. "Dwight? Che ci fai quì?" - chiese, stupita di trovarsi davanti a quell'ora del mattino, il medico. Era inusuale che Dwight venisse all'improvviso e ancor più lo era a quell'ora in cui, di solito, visitava i suoi pazienti alle miniere della zona. Demelza si accigliò. Era pallido e pareva preoccupato e stravolto. "E' successo qualcosa? Caroline sta bene?" - balbettò, lasciandolo entrare.

Dwight, quasi in tranche e senza risponderle, entrò in casa e si tolse il tricorno. "Ross non c'è?".

"E' alla miniera, oggi è giorno di paga".

Il medico si sedette sulla panca mentre Prudie, dopo un'occhiataccia della sua padrona, si sbrigava a servigli un bicchiere di Porto. "Grazie" – disse lui, bevendolo in un sorso.

Demelza si sedette vicino a lui, sfiorandogli la mano. "Dwight, cosa è successo?". Se era lì, in quelle condizioni, DOVEVA essere successo qualcosa. Non era una visita di cortesia, quella...

Lui scosse la testa. "Caroline sta bene e pian piano ci stiamo riprendendo dalla perdita di Sarah. Non sono quì per lei". Alzò lo sguardo, a guardarla in viso. "Ho bisogno di parlare con Ross. Ma forse posso parlare anche con te, se te la senti".

Demelza annuì. "Certo che me la sento, che ti salta in mente?" – chiese, massaggiandosi il ventre in preda a una nuova fitta.

Dwight si accigliò. "Stai bene?".

Prudie, dietro alle loro spalle, ghignò e Demelza, dopo averle lanciato un'altra occhiata assassina, annuì. "Sì, sto bene. Mi sento enorme come una balena ma sono in forma... Per quanto lo si possa essere negli ultimi giorni di gravidanza".

"Vuoi che ti faccia una visita? La bambina dovrebbe essere nata già da qualche giorno e, a questo punto, ogni momento può essere quello buono".

Demelza sorrise. "Sta tranquillo, non ho bisogno di visite, sto bene. Sono solo incinta, non è la fine del mondo! E ho già partorito quattro volte, so come funziona".

Dwight si oscurò in volto. "Non sottovalutare i rischi, Demelza... Il destino a volte è...".

Lei gli prese le mani, non voleva che proseguisse e non gli sembrava nemmeno da lui tutto quel pessimismo esibito davanti a una donna che si apprestava a partorire. "Dwight, cosa c'è? Cos'è successo? Mi chiedi se sto bene ma quì quello che sembra a pezzi sei tu".

L'uomo prese un profondo respiro. "Sono stato chiamato a Trenwith poco dopo la mezzanotte e torno proprio ora da lì".

Spalancò gli occhi. "Trenwith? Come mai?". Valentine stava di nuovo male? Oppure si trattava di George o Elizabeth?

Il medico si prese la testa fra le mani, scuotendo il capo. "E' successo qualcosa che non capisco".

"A chi?".

"Elizabeth Warleggan ha partorito stanotte. Una bambina, Ursula...".

Demelza, suo malgrado, sorrise freddamente. Che lei avesse trovato il modo di partorire in anticipo, o di farlo credere a George, era una cosa che si aspettava. Una nuova fitta la fece sussultare, ma la ignorò. "Bene... George sarà felice di avere una nuova, piccola erede".

Dwight sospirò, prendendole le mani fra le sue. "Credo che abbia ben altri problemi, ora. Il parto non è andato bene, purtroppo".

Demelza deglutì. "La bambina non sta bene?".

"E' piccola, è nata almeno quattro settimane prima del termine ma sembra essere in forze per superare il fatto di essere sotto peso. E' Elizabeth che...".

Una strana inquietudine si impossessò di lei. "Cos'è successo ad Elizabeth?".

Dwight scosse la testa. "Non lo so con certezza, anche se ho dei sospetti... Non sono riuscito a capirlo con precisione perché lei si è rifiutata di dirmelo... Potevo salvarle la vita, se avesse parlato...".

Demelza guardò Dwight, stava singhiozzando, non l'aveva mai visto in quello stato e se tanto gli dava tanto, a Trenwith doveva essere successo qualcosa di terribile. Lei stessa sentì il fiato venirle meno per quel qualcosa che ancora il suo amico non aveva detto a chiare lettere ma che aveva già intuito... Un qualcosa di enorme, una tragedia che avrebbe potuto abbattersi con violenza, come una mareggiata di quei loro mari tanto tempestosi, su tutti loro. Su di lei, sui suoi figli, sul piccolo Valentine... Su Ross... "Che cosa è successo ad Elizabeth?".

"E' morta, Demelza!".

Quelle tre parole furono come il più violento degli schiaffi che avesse mai ricevuto. Elizabeth era morta... Di parto... Per qualche assurdo motivo era morta... La donna che aveva rovinato la sua vita, quella dei suoi figli, colei che era sempre stata un'ombra e una presenza ingombrante nel suo matrimonio era morta... "Come...? Cos'è successo?".

Dwight sospirò. "Il parto è stato prematuro ma fino a un certo punto si è svolto come da manuale. La bimba era piccola ma respirava bene e sembrava in forze, tanto da non destare in me particolari preoccupazioni. Anche Elizabeth sembrava star bene ma poi ha iniziato a urlare, preda di convulsioni che non riuscivo a bloccare. Non ho mai visto nulla del genere in un parto, non ho mai visto nulla del genere eccetto in persone che avevano assunto veleni o sostanze tossiche. L'ho impolorata di dirmi se avesse preso qualcosa, di spiegarmi. Ma lei non ha aperto bocca. E' morta in modo atroce senza nemmeno essere riuscita a prendere in braccio la piccola Ursula. E appena morta, il suo corpo ha iniziato subito a deteriorarsi, una scena orribile Demelza! Non è morta di parto, è morta avvelenata e io non so perché!".

Demelza sentì il suo fiato farsi affannato. Non poteva capire, non riusciva ad immaginare cosa avesse fatto per arrivare a quel punto, né poteva sapere se fosse un esito che lei aveva desiderato o qualcosa di inaspettato. Sapeva solo che Elizabeth era morta per proteggere un errore e un segreto e non aveva idea di come suo marito avrebbe reagito alla cosa. "Ross lo deve sapere".

Dwight annuì. "Sono quì per questo. So che per te sarà difficile, ma lo deve sapere".

Demelza chiuse gli occhi per cercare di rimettere in ordine le mille idee confuse che si agitavano in quel momento nella sua testa. Il corpo di Elizabeth che si distruggeva, la sua morte, George, il piccolo Valentine rimasto solo, i suoi figli, suo marito e poi lei e i suoi sentimenti. Aveva odiato Elizabeth per anni, aveva desiderato prenderla a schiaffi e farle male eppure ora, saperla morta, sapere che era giunta a un epilogo tanto grave per cercare di superare gli strascichi dei suoi errori, la riempiva di uno strano senso di dolore e pietà. Per lei, che se n'era andata molto giovane e per incapacità a gestire la sua vita e per i suoi bambini che sarebbero cresciuti senza la loro madre. E per il piccolo Valentine che ora, senza più nessuno a proteggerlo, avrebbe pagato da solo colpe non sue. George lo avrebbe distrutto, lo sapeva! E davanti a questo, come avrebbe reagito Ross? Si alzò di scatto dalla sedia, anche se delle blande contrazioni le davano il presagio che, forse, Prudie aveva ragione. "Devo andare alla Wheal Grace".

Dwight, allarmato, si alzò. "No, non nelle tue condizioni!".

Santo cielo, ora avrebbe preso a schiaffi anche lui! Odiava essere trattata da moribonda e soprattutto odiava sentirsi invalida in un momento in cui aveva voglia di urlare per la frustrazione e per la paura. Non era malata, era SOLO incinta! "Dwight, io non mi trovo in nessuna condizione particolare! E odio quando qualcuno mi rivolge questa frase".

Dwight spalancò gli occhi perché forse, per la prima volta, la vedeva tanto aggressiva. "Demelza, sei sicura di sentirti bene?" - disse, deglutendo.

"Mai stata meglio!".

Prudie, alle sue spalle, ridacchiò. "Dottore, se non volete seguire la gattamorta nel regno dei morti, oggi vi conviene non contraddire la mia padrona. Morde più del cane!".

Ma Dwight finse di non sentirla. "Demelza, manca poco, potresti partorire anche oggi per quel che ne sappiamo. Non è una buona idea che tu vada da sola alla Wheal Grace, soprattutto con questo tempo da lupi. Andrò io a parlare con Ross, sta tranquilla".

No, non glielo avrebbe permesso. Non poteva essere Dwight a dirglielo, un momento tanto doloroso e delicato doveva viverlo lei, con suo marito. Soprattutto se riguardava Elizabeth. I silenzi e le incomprensioni avevano diviso lei e Ross per anni, portandoli a commettere errori imperdonabili e ora, indipendentemente dalla reazione di suo marito a quella notizia, solo lei poteva stargli vicino. O parole non dette o mal interpretate avrebbero potuto produrre un nuovo disastro... "Sto bene, la Wheal Grace è vicina e devo andare da lui. E poi, sono abbastanza nervosa oggi. Ho bisogno di camminare".

"Vuoi che ti accompagni?".

Demelza gli sorrise, mettendosi la mantella sulle spalle. "No, voglio rimanere un pò da sola per pensare alle parole giuste da dire a Ross. Sempre che esistano parole giuste".

Dwight le accarezzò la guancia. "Tu e Ross ne avete superate tante, ormai siete forti e indistruttibili. Stagli vicino, non essere gelosa del suo dolore e condividilo con lui... Ama te ma lei è stata parte della sua vita e la sua morte non potrà lasciarlo indifferente".

"Lo so, Dwight. Ed è per questo che devo dirglielo io. Devo essere forte e stargli vicino come lui ha fatto con me ed Ellie, ora è il mio turno... Tu va a casa da Caroline e riposa, hai passato una notte terribile e hai bisogno di dormire. Chissà che prima di sera non debba assistere a un altro parto...".

Dwight fece per replicare ma poi, dopo averle lanciato uno sguardo indagatore, decise di ascoltarla e di andare a casa. "Mi raccomando, non stancarti troppo. E se senti contrazioni ravvicinate, mandami subito a chiamare".

"Lo farò, stanne certo". Lasciò che il medico si accomiatasse e poi, dopo aver chiuso la porta e finito di prepararsi, si appoggiò con la mano al tavolo, massaggiandosi il ventre. Dannazione, con Dwight aveva finto, ma le contrazioni ora erano piuttosto frequenti e vagamente dolorose. Doveva sbrigarsi. "Occupati dei bambini, mentre sono via" – sussurro a Prudie.

La serva scosse la testa. "E' una pessima idea, quella di uscire".

Demelza prese un profondo respiro, cercando di regolarizzare gli spasmi. "Fatti gli affari tuoi e non provare a correre a chiamare Dwight finché non sarò di ritorno. Le contrazioni sono ancora molto distanziate, c'è ancora tempo".

Prudie le prese il braccio, fissandola con sguardo severo. "Fa freddo, c'è neve e sei quasi in travaglio. La vuoi partorire per strada, questa povera bambina? O alla miniera?".

Demelza si morse il labbro, in preda a una nuova fitta. "CURA-I-BAMBINI!" - ordinò, chiudendo ogni discorso. Se non si sbrigava ad uscire, c'era il serio rischio che la bambina la partorisse in cucina.

Prudie scosse la testa. "Identici, anime gemelle con la stessa testa dura. Se non torni fra un'ora col signor Ross...".

Demelza si tirò su, impedendole di proseguire il discorso. Con uno strattone si liberò dalla presa di Prudie e poi spalancò la porta, venendo investita da una folata di vento gelido.

Infine, dopo essersi chiusa l'uscio alle spalle, si avviò verso la Wheal Grace, pronta a dare a Ross quella notizia che, temeva, avrebbe sconvolto nuovamente le loro vite.



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Capitolo 43
*** Capitolo quarantatre ***


Quando Demelza arrivò alla Wheal Grace, nevicava copiosamente. Fiocchi di neve piccoli ma gelati stavano ricoprendo tutta la brughiera e sembravano preparare quelle terre al candore dell'imminente Natale.

Lungo il tragitto Demelza dovette fermarsi alcune volte per le contrazioni sempre più forti e ravvicinate ma alla fine la sua tenacia ebbe la meglio sulle forze della natura e, quando spalancò la porta dell'ufficio dove suo marito stava finendo di compilare i registri dopo aver distribuito paghe tutta la mattina, si sentì orgogliosa e soddisfatta di se stessa. La sua forza, unita alle preghiere alla piccola Isabella-Rose di aspettare ancora qualche ora, avevano sortito l'effetto sperato.

Quando arrivò, non c'era più nessuno. Suo marito aveva concesso una settimana di ferie ai suoi minatori e quindi, a parte l'appuntamento di quella mattina con la busta paga, non c'era più altro da fare per loro in quel posto. Ross, seduto alla sua scrivania davanti a un vecchio e impolverato registro, vedendola arrivare alzò lo sguardo. Era sorpreso. "Demelza, che ci fai quì? C'è un tempo da lupi, dovresti essere a casa".

La donna prese un profondo respiro, ringraziando il cielo che in quel momento non avesse dolori e che lui non avesse detto la fatidica frase... 'Nelle tue condizioni'. "Dovevo parlarti".

"Sarei tornato a casa per pranzo, non potevi aspettare?".

"Evidentemente no!". Mh, aveva la sensazione di essere brusca e non era il caso, ma si era svegliata col piede storto, la notizia giunta da Trenwith l'aveva sconvolta e l'inizio del travaglio non migliorava molto il suo umore.

Ross la studiò attentamente alcuni minuti poi sospirò, alzandosi e costringendola a sedersi sulla sedia. "Stai bene?".

"Di questo preferirei parlare dopo..." - disse lei, evitando di rispondergli.

Ross le prese la mano. "Cosa devi dirmi di tanto urgente?".

Lo guardò. Lo amava da morire e sapeva che la notizia che stava portando l'avrebbe annientato. Sapeva che Elizabeth per suo marito rappresentava il passato, che lui la amava, sapeva che per Ross non ci sarebbe stata nessun'altra a parte lei e sapeva che accettare Ellie nella sua vita era stata la più grande prova d'amore che potesse dargli. Non aveva paura di un suo allontanamento, aveva solo paura di vederlo soffrire perché Dwight aveva ragione, Elizabeth era stata una parte importante del suo passato e la sua morte non lo avrebbe lasciato indifferente. "Prima è passato Dwight".

Ross si accigliò. "Dwight? Perché?".

Demelza prese un profondo respiro sia per fronteggiare una nuova contrazione che, sentiva, stava arrivando, sia per trovare il coraggio di dirgli la verità. "Tornava da Trenwith, ha passato la notte lì".

Lui sospirò. "Chi è malato?".

Deglutì e poi si morse il labbro. "Elizabeth ha partorito questa notte una bambina...".

Ross rimase per un attimo in silenzio, come immagazzinando quell'informazione. Poi socchiuse leggermente gli occhi, pensieroso. "Non doveva partorire a fine gennaio?".

"Sì. Ma in qualche modo ha trovato il modo per farlo succedere un mese prima".

"La bambina sta bene?" - chiese lui, cercando di mantenere un tono di voce calmo e distaccato.

"Sì. Dwight dice che è piccola ma forte e sana e che sa già respirare senza problemi".

Ross sospirò. "Bene, allora non ci sono problemi! Non dirmi che sei venuta fin quì con la neve e con quel pancione solo per dirmi questo?".

Demelza deglutì. Ross sembrava irritato e preoccupato e di certo non poteva dargli torto perché si rendeva perfettamente conto di aver fatto qualcosa di pericoloso mentre stava iniziando il travaglio, ma doveva dirglielo prima che lo scoprisse da altri. Per un attimo quella situazione le ricordò la rocambolesca nascita di Jeremy, anche quella avvenuta in circostanze eccezionali, con un Ross furioso e lei che si era messa nei guai nonostante mille avvertimenti, rischiando di partorire in barca. "Non è tutto, Ross".

"Cosa c'è ancora?".

Demelza si alzò, sfiorandogli la mano e stringendola nella sua. Era fredda, Ross stava tremando e in quel momento si rese conto che suo marito le stava leggendo nell'anima e aveva capito, senza che ancora lei dicesse nulla, che era successo qualcosa di grave. "Elizabeth... Dwight dice che ha preso qualcosa di tossico... Dice che solo in casi di avvelentamento ha visto una cosa così..." - balbettò. Santo cielo, come poteva dirgli che quel consiglio che lui le aveva sussurrato con leggerezza ma in buona fede davanti alla tomba di zia Agatha anni prima, aveva portato con ogni probabilità Elizabeth nella tomba?

Suo marito le sfiorò le spalle, guardandola negli occhi. "Demelza?".

Le divennero gli occhi lucidi. Per lui, per quello che avrebbe provato, per loro e sì, forse anche per Elizabeth e i suoi bambini che sarebbero cresciuti senza mamma. "Dwight non ne è sicuro ma quando è nata la bambina, Elizabeth è stata male in modo strano. L'ha implorata di dirgli se avesse preso qualcosa, l'ha pregata, ma lei non ha aperto bocca. Lui non ha potuto salvarla ed è morta... Oh Ross, è morta come se avesse del veleno in corpo e io...".

Gli occhi di Ross si ripempirono di orrore. Un orrore puro mischiato a un profondo dolore, una ferita che forse gli avrebbe lacerato l'anima e che non si sarebbe probabilmente mai risanata del tutto. "Elizabeth è morta? E' impossibile... E' giovane, ha una vita davanti, dei figli piccoli... Dwight deve essersi sbagliato!" - urlò, quasi, annientato dall'incredulità e da quella notizia orribile.

Gli accarezzò la guancia, dolcemente. In quel momento non sapeva che fare, cosa dire, non riusciva a trovare una soluzione valida al grande dolore che gli aveva appena inferto. Poteva solo essere lì, a condividerlo con lui... "Ross, mi dispiace! Forse non ci crederai ma mi dispiace davvero".

Ross non disse nulla. Abbassò lo sguardo, le sfiorò dolcemente il pancione e poi la strinse a se in modo talmente convulso che sembrava avesse paura che lei potesse scomparire da un momento all'altro. Di tutte le reazioni che si aspettava, quella era la più inattesa. "E' morta di parto..." - sussurrò solo, col volto sprofondato fra i suoi capelli rossi.

Demelza gli accarezzò dolcemente i riccioli neri ma di colpo dovette fermarsi. Si irrigidì e strinse i denti, poggiandosi a lui sopraffatta dal dolore. "Giuda!" - urlò quasi, sfiorandosi la pancia. Di tutte le contrazioni avvertite da quella mattina, quella era la più micidiale.

Ross si tirò su, accarezzandole la guancia. "Demelza? Cosa c'è?".

Prese un profondo respiro. "Ho qualche contrazione da stamattina e quella che ho ora mi sta uccidendo" – ammise, poggiandosi al tavolo.

Ross divenne rosso in viso, sul punto di esplodere. "E tu sei uscita e sei venuta fin quì con le doglie?".

"Non urlare!" - gridò lei, a sua volta.

Lui quasi non la sentì. "Santo cielo, sei un'irresponsabile! Non ti sei fermata a pensare che era pericoloso? Le donne che devono partorire stanno a casa, al caldo davanti al camino o magari a letto! Non si avventurano per la brughiera mentre nevica e non c'è in giro anima viva, col rischio di partorire su un sentiero di campagna!".

Dannazione, era arrabbiato davvero! Non lo vedeva così... da quando era nato Jeremy! Improvvisamente ebbe l'impressione che quanto accaduto a Trenwith, per Ross, davanti alle sue doglie, fosse passato in secondo piano. "Ross, sto per partorire! Non riesco a litigare con te mentre ho le doglie! Non potremmo rimandare a più tardi?".

"No! Perché tu non ti rendi conto del pericolo che hai corso assieme alla nostra bambina! E hai già fatto una cosa simile, mi pare...".

Ahhh era il suo giorno sfortunato, pure lui ricordava bene la nascita di Jeremy, a quanto sembrava. "Ti prego, parliamone dopo! Non riesco a risponderti a tono mentre i dolori mi squarciano il ventre e nostra figlia scalpita per nascere".

Ross si mise il mantello in tutta fretta, prendendola per la vita. "Puoi giurarci che ne parleremo dopo! Appena avrai partorito, avremo la più grossa litigata della nostra vita".

"Va bene, litigheremo! Lo giuro, te lo devo! Ma davvero, possiamo farlo dopo?". Si inginocchiò, aveva come l'impressione che la bambina volesse nascere lì.

Ross deglutì, inginocchiandosi accanto a lei. "Demelza?".

Lei sorrise, nonostante tutto. "E' da quando ti conosco che mi dicono che i Poldark hanno la miniera nel sangue, ma nascerci, in una miniera, mi sembra eccessivo!".

Lui impallidì come un cencio. "Sta nascendo?".

"Non credo che manchi molto".

"Stringi le gambe, mia cara! E ordina alla piccola di aspettare!".

Lei lo fulminò con lo sguardo. "Provaci tu ad argomentare con lei questa cosa".

Ross la prese fra le braccia. "Ah mia cara, l'idea di venire quì è tua. Parlaci tu con nostra figlia!".

Lei si rannicchiò contro il suo petto. Aveva bisogno di sentirlo vicino perché di colpo le contrazioni divennero forti e ravvicinate. "Ross, sei tanto arrabbiato davvero?".

Lui la guardò storto. "Tu cosa ne dici?".

"Ma litigheremo dopo, vero?".

"Vero!".

"Ross?".

"Cosa?" - sbottò lui, mentre apriva la porta della miniera per uscire, con lei fra le braccia a peso morto.

"Non voglio che mi porti in braccio, mi vergogno".

Lui scosse la testa. "Non sei nella posizione per contrattare e non c'è in giro anima viva. A parte te che dovresti essere a letto a partorire!".

"Ti prego, voglio camminare!".

Ross però fu irremovibile. "Ti porterò in braccio! Punto!!! Come non voglio che la piccola nasca nella miniera, così non voglio che nasca nella neve, sulla scogliera".

Fece per rispondergli a tono, la situazione era divertente e surreale, nonostante tutto. E quando era arrivata alla Wheal Grace si sarebbe aspettata di tutto tranne questo... "Va bene, ti CONCEDO di portarmi in braccio, vista la situazione".

Lui la fulminò con lo sguardo. "Che coraggio...". Poi non disse più niente, chiuse di colpo la porta della Wheal Grace, si incamminò lungo il sentiero e corse verso casa tenendola stretta a se. "Ti porto subito a casa, a letto, ordino a Prudie di assisterti e corro a chiamare Dwight".

Demelza, con gli occhi chiusi e i sensi annebbiati dal dolore, sentì la sua voce lontana. "Così poi partorisco e potremo litigare, vero?".

Lui cercò di imporsi di non ridere ma dalla sua faccia sembrava facesse piuttosto fatica. Anche a suo marito quella situazione doveva apparire estremamente assurda... "Esatto, vedo che hai compreso perfettamente i miei piani per la giornata".

Un fugace ricordo le fece aprire gli occhi, cercando il contatto con suo marito. Era inverno, era quasi Natale e c'era la neve... "Ross, ti ricordi il Natale dello scorso anno?".

"Sì, ma che c'entra adesso?" - rispose lui, mentre camminava a passo spedito.

Lei sorrise. "Nemmeno ci parlavamo ed era Prudie a portarmi i bambini ad Illugan. Non sopportavi Ellie ed eri arrabbiato con me e...".

"Sono arrabbiato con te anche adesso, se devo essere onesto" – la interruppe lui.

Lei annuì, in effetti come dargli torto? "E' stato a Natale che abbiamo riniziato a parlarci, lo ricordi? Sai, non te l'ho mai detto ma un anno fa, quando sei venuto di sera da me a portarmi i bambini, mi hai fatto il più bel regalo che abbia mai ricevuto a Natale. E guarda in un anno quante cose sono cambiate! Non è strabiliante che ora stia per nascere la nostra piccola?".

Ross si fermò, a quelle parole. E nonostante fosse arrabbiato con lei, si chinò a darle un dolce bacio sulle labbra. "E' vero, è strabiliante. Ma andrà tutto bene, vero amore mio?".

"Certo..." - lo rincuorò. In quel momento poteva scorgere in Ross una paura profonda, resa ancora più acuta da quanto successo ad Elizabeth. "Ma sbrigati o, davvero, la bimba nascerà sulla spiaggia".


...



Camminò avanti e indietro nella libreria, mentre i suoi tre bambini lo guardavano preoccupati.

Era giunto a casa con Demelza stremata e Prudie, borbottando, l'aveva aiutato a metterla a letto. Poi era corso a chiamare Dwight e, dopo averlo svegliato dal riposino che si era concesso dopo la notte in bianco, erano tornati a Nampara.

Ed ora il suo amico medico era chiuso in camera con Demelza, aiutato da Prudie, intento a far nascere la sua bambina.

Durante il rocambolesco tragitto dalla casa di Dwight a Nampara, non aveva chiesto nulla al suo amico. L'idea di indagare su quanto successo a Trenwith lo annientava perché immaginare Elizabeth morta era una cosa troppo grossa per lui ma saperla morta di parto, con Demelza che stava partorendo, era una cosa addirittura insopportabile.

Non voleva pensarci, non finché tutto non fosse finito...

Era stato felice di quella gravidanza, l'aveva vissuta come un dono dal cielo ma la notizia giunta da Trenwith quella mattina aveva calato di colpo su di lui una coperta scura che aveva scatenato le sue più profonde paure per la donna che amava.

Soffriva per Elizabeth, soffriva perché in lei vedeva l'ineluttabilità e l'imprevedibità del destino.

Scosse la testa, non voleva quei pensieri e non voleva nemmeno angosciare i suoi figli che, osservandolo, percepivano tutte le sue paure.

Prese Ellie e Jeremy in braccio, sedendosi sulla sedia a dondolo e stringendoli a se. Clowance si era rannicchiata con la sua bambola vicino alla finestra e, conoscendo sua figlia, sapeva che lei preferiva vivere con riservatezza i momenti più difficili. Aveva deciso di rispettare questo lato del suo carattere mentre aveva stretto a se gli altri due bambini perché sapeva che loro, a differenza della sorella, avevano bisogno di contatto fisico per essere rassicurati.

Ellie, che stringeva a se Kiky, lo guardò. "Mamma piange?".

"No, non credo".

"Plima sì" – sussurrò la bimba, abbassando lo sguardo.

"Sì, prima piangeva" – aggiunse Jeremy.

Ross sospirò, ai suoi figli non poteva nascondere nulla. "Avere un bambino è doloroso, oltre che molto bello. Ma la mamma è forte e vedrete che presto starà meglio di tutti noi".

D'un tratto il rumore di passi concitati sulle scale fece sussultare tutti e quattro. Dwight comparve sulla soglia col viso rosso dall'emozione e i capelli completamente spettinati.

Ross mise a terra i bambini, balzando in piedi. Era lì da nemmeno mezz'ora, cosa era successo? "Dwight?".

Il medico gli si avvicinò, dandogli una sonora pacca sulle spalle. "Congratulazioni, sei padre di una bimba di quasi quattro chili e mezzo, vispa e vivacissima. Scoppia di salute, è una meraviglia!".

A Ross sembrò che gli si prosciugasse il fiato nei polmoni. "E' nata? Di già? Sei... Sei appena arrivato!".

Dwight scoppiò a ridere mentre i bambini gli si aggrappavano ai pantaloni, riempiendolo di domande. "Quando sono arrivato, Demelza aveva fatto già gran parte del lavoro. Un parto velocissimo e senza alcuna complicazione, una meraviglia considerando quanto è grossa la bambina e quanto Demelza abbia patito col parto di Eleanor".

"Possiamo vedere nostra sorella e la mamma?" - implorò Jeremy, aggrappandosi alla giacca del dottore.

Dwight strizzò l'occhio a Ross. "Prima lasciate che vada papà da lei. Ora mamma è stanca e anche la vostra sorellina. Fra qualche ora, quando si saranno riposate, potrete andare da loro".

Ross annuì, grato. Gli affidò i bambini in attesa che Prudie, una volta terminato di sistemare Demelza, tornasse da loro e poi corse su per le scale. Quando aprì la porta, la domestica stava ammassando delle lenzuola sporche in una cesta di vimini e Demelza, avvolta in morbide coperte di lana dal colore bianco, era appena visibile nel letto.

Prudie borbottò, superandolo con la cesta in mano. "Lo dicevo io, che questa sera avremmo avuto in casa una neonata urlante! Ma nessuno ascolta mai Prudie e tutti fanno di testa loro e poi bisogna correre per tamponare le emergenze ed evitare che i marmocchi nascando nella brughiera in mezzo alla neve".

Ross non interruppe il suo sprolquio, tutto quello che voleva era andare da Demelza e dalla sua bambina. Si avvicinò al letto e guardò sua moglie che, perfettamente sveglia e all'apparenza in forma, lo guardava con le guance arrossate e i capelli rossi che, selvaggiamente, le ricadevano sulle spalle un pò arruffati. Sembrava tornata da una passeggiata, non aveva affatto l'aria di una che aveva appena partorito.

"Ross" – sussurrò lei, con la testa sprofondata sul cuscino, prendendogli la mano.

Si sedette sul letto accanto a lei, baciandola sulla fronte e cercando di sbirciare nel fagottino bianco che sua moglie stringeva fra le braccia. "Hai fatto incredibilmente in fretta e in tempo per l'ora di pranzo" – sussurrò lui, cercando di esorcizzare l'emozione nel suo tono di voce.

Demelza sorrise. "Sì, ci tenevo a mangiare il pasticcio di carne, dopo tutta la fatica di questa mattina".

Ross la baciò di nuovo, sulle labbra stavolta. Vederla scherzare e star bene era un balsamo per il suo animo tanto tormentato e spaventato. Sua moglie era lì, sana e salva, assieme alla loro bambina. Tutto il resto si sarebbe aggiustato col tempo... "Dwight dice che stai bene. E anche la bambina. E' così, vero?".

Demelza non rispose ma, mentre abbassava lo sguardo, con la mano scostò la copertina che nascondeva il visino della piccola Isabella-Rose, mostrandola al padre. "Direi che sta benissimo, che ne dici?".

Ross spalancò gli occhi, emozionandosi come forse non aveva mai fatto per gli altri figli. Era semplicemente perfetta! Davanti a lui, con una folta chioma scura, le lunghe sopracciglia nere, un minuscolo nasino all'insù e due guance rosse, piene e cicciottelle, c'era sua figlia, colei senza la quale forse non avrebbe trovato la strada per ricomporre la sua famiglia. Il suo nuovo inizio, una bambina nata nello stesso rocambolesco modo in cui era stata concepita. Una bambina arrivata dopo che, per tanto, aveva creduto tutto perduto. Una bambina che era lì a testimoniare che l'amore vero esiste e che è tanto forte da vincere su tutto e tutti. "E' bellissima, Demelza" – sussurrò, con la voce rotta. "Santo cielo, è perfetta, un capolavoro".

Si chinò, baciando la bimba sulla fronte ed imprimendosi nelle narici quel profumo dolce di neonato che gli infondeva pace.

La bimba aprì i suoi occhioni, al suono della sua voce. Lo osservò, poi agitò le gambette come se lo avesse riconosciuto.

Demelza la strinse a se per evitare che le scivolasse dalle braccia. "E' vivacissima, da quando è nata non è stata ferma un attimo".

"E' una Poldark" – sussurrò Ross, guardando sua figlia.

Demelza annuì. "Ed è stata concepita in un giorno di tempesta... Non potevamo certo aspettarci di avere una figlia delicata e tranquilla, no?".

"Direi di no" – ammise lui, divertito. Prese la piccola fra le braccia e la strinse a se, provando quella sensazione tanto simile al colpo di fulmine che aveva già provato con gli altri suoi figli. Ma ora non aveva più paura di amarli, ora aveva capito che il dolore per la perdita di Julia non poteva compromettere l'amore per i suoi fratellini e sorelline. "Dwight dice che pesa tantissimo ma, a vederla così, a me sembra semplicemente piccola e indifesa".

Demelza lo guardò storto. "A me non sembrava tanto piccola, mentre partorivo!".

"Ma hai fatto in fretta" – ribatté lui.

Demelza rise, abbandonandosi sul cuscino e lasciando che Ross le rimettesse la piccola sul petto. "Veloce e intenso..." - disse solo, vaga.

Ross si stese accanto a lei, stringendola fra le braccia assieme alla piccola che lo guardava ciucciandosi la manina. "Credo che abbia fame".

"Sì, lo credo anche io" – rispose Demelza, poggiandosi a lui e scoprendosi il seno per allattarla.

Ross la osservò mentre lo faceva, incantato da quello che madre e figlia, pur essendo la loro prima volta, vivevano come qualcosa di estremamente naturale. Era una specie di magia per lui quella, che aveva sempre adorato, di Demelza. Vederla allattare i loro figli era un qualcosa che lo aveva sempre emozionato e riempito d'orgoglio ed era felice che i bambini avessero una madre come lei. "Non capisco perché tante donne paghino delle balie per farlo" – disse, vago.

"Lo fanno le donne aristocratiche, Ross. E' giudicato scandaloso allattare figli, per le persone dell'alta società".

Lui la baciò sulla nuca. "Per fortuna tu la pensi diversamente. Bella sembra tanto contenta. E anche tu!" – osservò, vedendo la piccola che poppava con vigore.

Demelza fronteggiò il suo sguardo. "Tu non sei sposato con un'aristocratica, Ross!".

Sostenne il suo sguardo, serio, ringraziando il cielo che la sua vita fosse così, con LEI accanto a lui. Lei e nessun'altra. "Per fortuna no! Non vorrei nulla di diverso per niente al mondo".

A quelle parole e al grande significato che avevano per loro, per la loro storia passata, per il dolore di rimpianti che a lungo li avevano divisi, lei lo baciò commossa. "E' una bella dichiarazione d'amore, sai?".

Lui la guardò storto. "E nemmeno te la meriteresti. Non dovevamo litigare, dopo il parto?".

Lei ridacchiò. "Sì, i programmi mi pare fossero questi...".

Santo cielo, le avrebbe perdonato ogni cosa... Era adorabile e l'amava... Ed era corsa da lui, in mezzo alla neve e con le doglie, per stargli accanto in un momento difficile. "Come dicevo prima, non ti vorrei MAI diversa da come sei... Anche se sei un'irresponsabile. Magari ci terremo da conto la litigata per un'altra occasione, che ne dici?".

"Credo sia una buona idea". Lo sguardo di Demelza si addolcì, ripensando ai fatti di quella mattina. "Dovresti andare a Trenwith".

Già, doveva andare, lo sapeva anche lui. Ma non ora, non in quel momento. "Dopo...".

"Ross...".

La bloccò, doveva spiegarle, doveva farle capire che non era per paura che rimandava. "Ci tieni davvero che io vada?".

"Sì".

"E questo non ti preoccupa? Vuoi che vada a piangere al capezzale di Elizabeth?".

Demelza sorrise, stringendo a se Bella che, incurante dei loro discorsi, continuava a mangiare. "Quando ho deciso di tenere questa bambina e quando ho deciso che mi fidavo di te, riaffidandoti il mio cuore e la mia vita, mi sono lasciata tutto ciò che è successo fra noi alle spalle. Mi hai detto che lei fa parte del tuo passato e io ti credo perché so che è così. Ma lei nel tuo passato c'era e tu devi dirgli addio o non te lo perdonerai mai. Quando Dwight mi ha detto che Hugh stava morendo, io ho sentito che dovevo esserci e stargli accanto perché aveva lasciato un'impronta nella mia vita. E credo che per te debba essere lo stesso. Se non vuoi andare per me, per paura che io ne soffra, puoi stare tranquillo. Mi ami, so che è così e a me basta. Voglio il meglio per te e so che non andare ti farebbe male".

La baciò, appassionatamente, non poté farne a meno. Lei sapeva leggere dentro di lui meglio di chiunque altro, meglio anche di se stesso. Ed era sua moglie, la sua amante, la sua migliore amica e la custode del suo cuore e della sua anima. "Ci andrò oggi pomeriggio, prima che faccia buio. Ma non adesso..." - disse, accarezzando la testolina della bimba. "Sai, per ora, per un pò, voglio solo stare con i miei figli e con te. Ho avuto paura, sai? Perché Elizabeth è morta partorendo e l'idea che tu...".

Demelza gli strinse le mani, cercando di scaldarle col suo calore. "Ross, io sono quì, sto bene ed è questo l'importante. Solo questo...".

"Ma un giorno qualcosa... qualcuno... Ti ho persa per due anni ed è stato orribile ma eri viva e sapevo, speravo... che forse... Ma davanti alla morte non c'è appello, non si torna indietro e io so che arriverà il giorno in cui tu potresti non sentire più la mia voce o io la tua e... Io lo trovo insopportabile".

Lei lo bloccò. "Un giorno ogni cosa finirà ma ora siamo quì, insieme, felici e coi nostri bambini. Non pensare alle cose brutte e alle variabili della vita perché qualsiasi cosa succederà, non potremo evitarla. Goditi la tua bimba, goditi la famiglia che abbiamo ricostruito insieme e vivi felicemente, Ross. Ama, è l'unica cosa che dia un senso alla vita e che donerà ad ognuno di noi dei ricordi che ci scalderanno il cuore quando arriveranno momenti bui. Non vivere nel timore del dolore o finirai per perderti quanto di bello c'è attorno a te".

Ross sorrise. Sua moglie aveva dieci anni meno di lui eppure c'era tanta saggezza in lei, tanta conoscenza... E sapeva sempre cosa dire per rassicurarlo e tranquillizzarlo. Era davvero la sua custode, tutto il suo mondo. "Hai ragione! Santo cielo, come fai ad essere tanto saggia?".

"Mi sono fatta le ossa grazie a te!" - rispose lei, in tono scherzoso, cambiando posizione alla bambina perché mangiasse anche dall'altro seno.

Ross osservò sua figlia. "Ma quanto mangia?".

Demelza sospirò. "Quanto è necessario".

Lui accarezzò la guancia della piccolina che, disturbata da quel gesto, lo guardò storto. Santo cielo, era la figlia che più gli somigliava! "Va bene Bella, ti concedo in prestito il corpo di mamma per qualche mese. Ma ricorda che è mio e che questo stato di cose è temporaneo".

Isabella-Rose si rannicchiò contro sua madre e Demelza rise. "Ross, credo che sia anche permalosa. Attento a quel che dici".

Ross sorrise, scacciando dalla mente tutti i fantasmi che, quel pomeriggio, lo avrebbero investito di nuovo appena varcate le soglie di Trenwith. Ma non ora, Demelza aveva ragione! Ora era a casa con la sua famiglia e doveva solo essere felice. Baciò nuovamente Bella mentre di sotto sentiva i bambini con Dwight e Prudie che facevano baccano. "E' una Poldark, fatta e finita!".

Demelza sospirò, sorridendo. "Ed è arrivata prima di Natale per poter festeggiare con noi".

Ross annuì. "Avevi ragione prima, quando mi hai detto che è stato un anno importante in cui sono successe tante cose fenomenali" – disse, riferendosi alla conversazione avuta mentre rientravano dalla miniera. "Ho ritrovato te e la mia famiglia e sono diventato padre per ben due volte in soli dodici mesi. E sono un uomo che dovrebbe solo essere contento, null'altro" – disse, pensando anche alla sofferta ma felice decisione di diventare il padre di Ellie.

Davanti a quelle parole, gli occhi di Demelza divennero lucidi. E pure per lei sparirono, almeno momentaneamente, gli echi della disgrazia successa a Trenwith.

Ross si stese accanto a lei, la strinse a se. E nel silenzio di quel pomeriggio d'inverno entrambi decisero che per qualche ora il mondo poteva scordarsi di loro e che potevano essere semplicemente felici di quanto avevano costruito insieme.





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Capitolo 44
*** Capitolo quarantaquattro ***


I bambini avevano reagito ognuno in modo molto diverso alla nascita della sorellina: Jeremy aveva abbracciato forte Demelza e poi aveva dato un bacino sulla fronte a Bella, Clowance l'aveva scrutata per lunghi istanti prima di dire che forse non era così grossa come dicevano e che lei si aspettava una bambina grande come un orso e invece era solo una neonata un pò grassa e decisamente meno bella di lei, Eleanor aveva guardato in silenzio la neonata, aveva cercato di pizzicarle la guancia e poi si era rifugiata fra le braccia di sua madre.

Beh come inizio non c'era male, non scoppiavano dalla gioia e dall'entusiasmo ma non avevano nemmeno espresso il desiderio di abbandonare la sorellina nella neve...

Ross osservò la sua famiglia, tutta riunita sul lettone. E si sentì orgoglioso di quello che aveva creato con Demelza. Aveva una casa accogliente, una moglie che lo amava, dei bambini sani e bellissimi e una famiglia che viveva in armonia e che era stata capace di affrontare una tempesta mostruosa, uscendone più forte di prima.

I bimbi investirono Demelza di domande e lei rispose loro pazientemente, nonostante fosse evidente quanto era stanca. Ross li lasciò fare per un pò, era giusto così ed era un bene che cominciassero a conoscere la loro sorellina, scacciando eventuali gelosie.

Bella, dal canto suo, dopo aver mangiato si era addormentata pacificamente e, incurante del vociare dei fratelli, aveva dormito per la maggior parte del tempo. E quando si svegliò, a metà pomeriggio, Ross decise che era ora che i bambini tornassero da Prudie per lasciare tranquille mamma e neonata che, da come strillava, pareva decisamente affamata. Di nuovo...

Quando i figli furono fuori, nonostante le loro lamentele, Ross sorrise. Si avvicinò a Demelza che stava allattando ed osservò la piccola che sembrava avere una fame mostruosa e succhiava con vigore. "Credo che a Natale si offenderà per il fatto di non poter partecipare al pranzo. Sembra una buongustaia, una che ama il cibo".

Demelza ridacchiò. "Per fortuna non è ancora consapevole di cosa sia il Natale e anche di cosa sia un banchetto, altrimenti finirebbe per divorare noi per il fatto di non poterne fare parte per quest'anno".

Ross tentò di disturbare la poppata della piccola, sfiorandola con l'indice sulla guancia, ma Bella lo scacciò via con la manina. "Ha un gran brutto carattere questa quì, mi sa!" - esclamò divertito.

Trattenendo un ghigno, Demelza alzò il sopracciglio. "Chissà da chi ha preso...".

Ross osservò la piccola. "Da Prudie! Stessa stazza e stesso carattere".

"Smettila, non è vero!".

"Vorresti obiettare, mia cara? Paiono gemelle!".

Demelza scosse la testa, mascherando un sorriso. "Sei peggio dei bambini!".

"A proposito dei bambini..." - la interruppe lui, dandole una leggera carezza sui capelli – "Sei stata brava con loro prima a rispondere a tutte le domande che ti hanno fatto, ma cerca di non stancarti".

"Lo farò, non preoccuparti. Appena Isabella-Rose finisce di mangiare, credo che dormirò un pò".

"Ottima idea".

Con la piccola fra le braccia, lei guardò prima la finestra e poi lui. "Nevica e sta già imbrunendo. Va a Trenwith Ross, o a breve sarà sera".

Deglutì. Aveva cercato di non pensarci ma sapeva di dover andare e sapeva anche che Demelza glielo avrebbe ricordato. "Sei sicura?" - chiese. Aveva paura che ne soffrisse e soprattutto provava il terrore che le succedesse qualcosa mentre era via. Aveva appena partorito ed Elizabeth era morta di parto, un'associazione di idee e avvenimenti che lo facevano impazzire dalla paura...

Demelza, quasi intuendo i suoi pensieri, gli prese la mano e la strinse, intrecciando le dita con le sue. "Io sto bene, non preoccuparti. Starò quì buona buona a letto assieme a Bella, al caldo. E i bambini sono con Prudie e Garrick, è tutto a posto".

Ross sospirò, arrendendosi all'evidenza. Poi si chinò e, dopo averla baciata sulle labbra, si mise il mantello poggiato sulla sedia, sulle spalle. "Mi raccomando!".

Demelza sorrise dolcemente. "Starò a letto, lo giuro".

"Brava, dormi un pò" – le disse, accomiatandosi da lei.

Scese al piano di sotto e, dopo aver intimato a Prudie di occuparsi dei bambini e di non svegliare Demelza, uscì per dirigersi verso Trenwith.

Una strana ansia e un dolore profondo lo invasero, mentre procedeva nella neve che, a fiocchi radi ma costanti, gli sferzava il viso. Durante la giornata i suoi pensieri erano stati interamente occupati da Demelza e dall'arrivo di quel piccolo uragano di nome Isabella-Rose, ma ora...

Ora solo, in mezzo alla brughiera e alla neve, il pensiero di quella morte e di cosa poteva rappresentare per lui, faceva male.

Elizabeth era stata la sua giovinezza spensierata, l'età dei sogni e priva dei problemi, il credere di avere il mondo ai propri piedi e tutto il tempo per conquistarlo.

E ora se n'era andata, per sempre...

Elizabeth era stata la sua ossessione, il suo primo amore e colei che rappresentava il suo più grande errore le cui conseguenze lo avrebbero dilaniato per il resto della sua vita. Aveva rappresentato i suoi sogni di ragazzo, l'amarezza del giovane uomo e ora era un ricordo di un tempo ormai finito da tanto. Era stata importante per lui, era stata colei che gli aveva insegnato la potenza dei sentimenti e che in un certo senso lo aveva preparato a vivere e conoscere l'amore vero, quando l'aveva trovato in Demelza.

E ora era morta, ancora nel fiore degli anni e congelata per sempre in quella sua bellezza che sarebbe stata eterna e non avrebbe conosciuto vecchiaia...

Camminava e mille ricordi di affastellavano in lui senza sosta. Ricordi di una vita troppo breve, il pensiero a bambini che sarebbero cresciuti senza mamma e la consapevolezza che lei, a carissimo prezzo, aveva pagato quell'errore madornale occorso in una notte folle che Ross, se avesse potuto, avrebbe volentieri cancellato.

Ma non poteva farlo e sia lui che Elizabeth avevano pagato a loro modo quell'azzardo: lui aveva perso per due lunghi anni la donna che amava e lei la vita, forse nel disperato tentativo di nascondere con un colpo di spugna le conseguenze di quell'errore.

Arrivò a Trenwith che era quasi buio, oltrepassò con sguardo torvo il portone e le porte di quella casa che rappresentava la sua infanzia e che ora non gli apparteneva più e gli appariva gelida ed estranea e poi, attraverso le scale, andò diretto al piano di sopra. Evitò di guardarsi attorno perché quell'ambiente ormai cupo e privo di appigli al glorioso passato della sua famiglia, in ogni angolo gli ricordava suo padre, suo zio, Francis, zia Agatha, l'infanzia, le cene di Natale e i suoi giochi coi cugini di quando era bambino. Non esisteva più nulla di quel mondo, Trenwith era persa e con Elizabeth morta e Geoffrey Charles lontano, anche ciò che rimaneva del suo casato era sfumato. Per un attimo pensò a Valentine e al fatto che, forse, in qualche modo anche lui apparteneva al casato dei Poldark, ma poi scacciò quel pensiero e decise che mai più vi si sarebbe soffermato. Qualunque sangue scorresse nelle vene di quel bambino, Valentine era di George. Sarebbe cresciuto con i valori dei Warleggan, col cognome dei Warleggan e sarebbero stati per sempre due estranei. Un figlio – e questo glielo aveva insegnato la piccola Ellie – è colui che cresci a ami. Non basta, non serve un semplice legame di sangue, in certi casi...

A metà della scalinata, fu costretto a fermarsi.

George Warleggan, con sguardo torno, gli venne incontro scendendo lentamente gli scalini. "Ross, la tua educazione è e rimane sempre pessima. Ci si fa annunciare, quando si entra in casa di qualcuno. Soprattutto in certe circostanze".

Ross scosse la testa. Santo cielo, pure in un'occasione del genere il suo nemico non perdeva l'occasione di fargli la guerra. Era il tempo del dolore, quello... E sperava che George lo capisse e lo vivesse... "Non devo farmi annunciare, questa è una dimora della mia famiglia".

"La tua famiglia non vive più quì. Non è rimasto nessun Poldark a Trenwith" – disse George, scandendo le parole.

"Questa casa appartiene e Jeoffrey Charles Poldark ed entrerà in suo possesso appena avrà l'età giusta" - gli rispose, rendendosi conto di quanto ridicola ed irreale fosse quella conversazione fra loro.

George parve non accorgersene. "In questo momento è in viaggio. Sta tornando da Londra e comunque sono il suo tutore. Ciò che è suo, è mio".

Ross decise di lasciar cadere l'argomento. Che cosa importava di Trenwith, davanti alla morte di una giovane donna che lasciava tre orfani? Nulla, proprio nulla... "Non sono quì per discutere di questo. Sono venuto solo a fare visita e a porgere le mie condiglianze. Mi dispiace davvero per quello che è successo, è una tragedia".

George aspettò un attimo a rispondergli e, quando si decise a farlo, fu interrotto dal pianto disperato di un bambino e dai rimbrotti di una domestica.

Una donna di mezza età comparve davanti a loro, tenendo per mano un bambino di circa sei anni dalla folta chioma nera e piena di riccioli. A Ross non ci volle molto per riconoscerlo, era Valentine... Aveva gli occhi gonfi di ogni bambino che piange la morte della madre e le sue guance erano rigate da lacrime che non accennavano a fermarsi. Indossava abitini eleganti e raffinati, era perfettamente pettinato e sembrava un piccolo lord ma nulla in lui faceva presagire la spensieratezza dell'infanzia.

George, con sguardo torvo, osservò il bambino. "Che hai da piangere? Siamo IN-LUTTO! Tua madre è morta e le si deve portare rispetto in silenzio!".

Ross sussultò, colpito dalla durezza sia delle parole che del tono di voce. Era un bambino che cercava solo un abbraccio e suo padre... perché George era SUO padre... sembrava avere in mente tutto tranne quello. Pensò a Nampara, agli abbracci che lui e Demelza davano ai loro bambini, alla pazienza portata quando Ellie non voleva dormire, al modo dolce e gentile in cui sua moglie tranquillizzava i loro figli dalle loro paure e non poté non provare una profonda pena per quel bambino che, sicuramente, non conosceva nulla del genere. Elizabeth era stata una brava madre per Jeoffrey Charles ma Ross sapeva anche quanti guai gli avesse procurato la nascita di Valentine e di certo questo doveva averla lasciata fredda nei confronti del bambino. Ma era pur sempre una buona madre e ora Valentine, senza di lei, si trovava da solo a fronteggiare il clima di odio e sospetti alimentato da suo padre nei suoi confronti...

Un bambino, solo, costretto a pagare le conseguenze degli errori altrui...

Per un attimo sentì l'impulso di prenderlo in braccio e portarlo via da lì, ma fu solo un attimo. Poi tornò alla ragione e alla triste realtà: chiunque fosse, Valentine non era suo... Voleva salvarlo come aveva voluto salvare tanti altri suoi amici in difficoltà ma non se ne sentiva padre. Nonostante tutto, George non avrebbe mai permesso alcun legame fra loro... Mai si sarebbero conosciuti e mai avrebbe potuto essere qualcos'altro, oltre che un vicino di casa, per lui.

Valentine tirò su col naso, imponendosi un contegno che a sei anni non poteva avere. "Mamma mi ha promesso, ieri sera, che mi avrebbe letto la fine della storia che mi stava raccontando. Me l'aveva promesso e le promesse vanno mantenute!".

George divenne rosso di rabbia. Non capiva che era quello non era un capriccio ma un grido di dolore di un bambino che cercava un modo per riavere accanto sua madre. "TUA-MADRE-E'-MORTA!!! Come puoi essere tanto pessimo da pensare a una fiaba? Vattene in camera e medita sul tuo oltraggioso comportamento! Tua sorella Ursula, che è una neonata, è molto più assennata e sensibile di te".

La cameriera prese di forza il braccio del bambino, trascinandolo via prima che George desse in escandescenze. Il piccolo si dimenò ma alla fine fu costretto a cedere a quella punizione ingiusta e crudele...

Ross guardò George e nel suo animo sentiva dolore. Oltre alla rabbia, era il dolore nel volto di Valentine che lo aveva colpito. "E' solo un bambino che ha perso la mamma".

"E io sono un uomo che ha perso la moglie!".

Dovette mordersi il labbro per non rispondergli a tono e mancare così di rispetto alla memoria di Elizabeth. "Posso vederla?" - chiese solo, tagliando corto.

Gli occhi di George si assottigliarono. "Certo. Scommetto che conosci più che bene la strada che porta alla camera da letto".

Ross, questa volta, non riuscì ad alzare lo sguardo perché sapeva che, se lo avesse fatto, si sarebbe tradito. E avrebbe messo ancora più nei guai Valentine. La paternità di quel bambino doveva rimanere solo un sospetto o la sua vita futura sarebbe stata ancora più infernale. "Ci metto un attimo" – disse solo, superandolo.

Percorse gli scalini che gli mancavano, con la morte nel cuore. E quando entrò in quella camera da letto ogni istante con lei, ogni momento di quella notte di follia che aveva portato a quella valanga che aveva travolto tutti, scorse davanti ai suoi occhi. Si sentì in colpa... Cosa aveva fatto? Ad Elizabeth, a Demelza, a Valentine e a se stesso?

E ora, ora come poteva, seppur in parte, rimediare?

Come poteva...?

Si avvicinò al letto, le lenzuola erano ancora macchiate di sangue ed Elizabeth aveva il volto marmoreo della morte. Sembrava di porcellana, una porcellana fine che pareva sul punto di rompersi.

Un dolore forte e acre emanava dal suo corpo, come se fosse morta da giorni e non da ore. Dwight aveva ragione, il corpo di quella donna tanto amata in passato si stava disfacendo per qualche strano, letale veleno che aveva ingerito... Entro pochi giorni nulla sarebbe rimasto di lei, tanto eterea e bella, tanto sognata in gioventù e tanto ammirata in società...

Era morta e non avrebbe potuto più essere felice, non avrebbe più potuto abbracciare la sua bambina e i suoi figli sarebbero stati soli. Si chinò, pensando a quanto doveva essere stata disperata quando aveva capito che era alla fine. Provò pietà per la piccola Ursula che mai avrebbe potuto godere della vicinanza della mamma e il pensiero andò a Bella che, invece, in quel momento dormiva felice fra le braccia di Demelza, come se non avesse bisogno d'altro.

Si chinò, dandole un bacio di addio sulla fronte. "Mi dispiace... E ti giuro che troverò il modo per riparare, almeno in parte, il torto che hai subito... Troverò il modo, te lo prometto! Per te e per i tuoi figli".

Gli rispose il silenzio della morte...

E arrendendosi a ciò, dopo averle dato un ultimo sguardo, si avviò verso la porta. Chiuse l'uscio e con esso l'ultimo appiglio alla sua gioventù e al ragazzo che era stato e che non esisteva più.

Nel corridoio, ad attenderlo, rivide George. La casa era avvolta nel silenzio, la piccola Ursula probabilmente dormiva accudita dalle balie e Valentine aveva smesso di piangere. Erano soli... "E' terribile. So che non mi crederai mai, ma mi dispiace per te e per tutto questo. Come sta la piccola?".

"Bene, è una Warleggan ed è forte. Pure tu, da quel che si dice in giro, sei diventato padre oggi".

Ross sorrise amaramente. "Le voci corrono, a quanto pare...".

George proseguì. "Ma tu hai sposato una popolana e si sa, quelle son fatte solo per sfornare figli. Come le vacche, non muoiono di parto...".

Ross sentì l'impulso di prenderlo a pugni ma si trattenne. Demelza si sarebbe arrabbiata da morire, nonostante tutto, e poi... E poi George gli faceva solo pena in quel momento. "Mia moglie sta bene e anche mia figlia. Del resto non mi importa, so di essere un uomo fortunato. E ora, credo che tornerò a casa".

George alzò il braccio, poggiando la mano contro il muro e sbarrandogli la strada. "Fermo!".

"Cosa vuoi?".

George si avvicinò, fino ad essere viso a viso. Indicò con la mano la porta della camera matrimoniale dove c'era Elizabeth e lo fulminò con lo sguardo. "Non so ancora come sia successo, né perché. Il tuo amico Enys non mi ha dato risposte certe su cosa sia successo ad Elizabeth ma io SO che tu c'entri! Non mi importa come, non mi importa nulla se non del fatto che la sua morte è anche opera tua!".

A quelle parole, impietrito, Ross rimase in silenzio. Come controbattare a lui e ai mille sensi di colpa che si affollavano nella sua mente?

George, con un ghigno, si allontanò, lasciandogli libero il passaggio. "Te la farò pagare! Ideerò un modo, ma te la farò pagare!".

Ross scosse la testa, superandolo. "Tua moglie è morta, pensa a lei e a ciò che ti ha lasciato. Non perdere tempo dietro a vendette che non ti restituiranno nulla di ciò che hai perso".

Scese le scale, ma la voce di George lo raggiunse alle spalle.

"Me la pagherai, hai capito Ross Poldark?".

Sì, aveva capito che doveva guardarsi alle spalle. Pur nel dolore della perdita, George avrebbe mantenuto la sua promessa. E prima o poi lo avrebbe colpito... Aveva fatto di quella guerra fra loro la sua ragione di vita e non avrebbe perso l'occasione per un'altra battaglia.

Ma Ross quella sera non voleva pensarci. Aveva solo voglia di andare a casa, dalla sua famiglia, ad abbracciare i suoi bambini e sua moglie ed accendere con loro le candele dell'albero di Natale.

Solo questo contava... Prendere in braccio Bella e coccolarla, sentire Demelza raccontare la fiaba di Natale a Clowance ed Ellie, intagliare gli animaletti di legno da regalare a Jeremy, dare un bacio a alla sua donna...

Questa era la sua vita, la vita che faticosamente aveva riconquistato... E non avrebbe permesso a nessuno di distoglierlo da tutto questo.

Quando arrivò a casa era ormai buio e la neve aveva iniziato a cadere in maniera decisa. Faceva freddo e il tepore del camino fu come una manna dal cielo per lui.

I bambini, con Prudie, erano in cucina. Ross sentì le loro risate appena varcata la soglia e, quando li raggiunse, li trovò sporchi di farina dalla testa ai piedi.

"Papà!" - esclamò Jeremy, correndogli incontro – "Stiamo facendo i biscotti di Natale con le forme dei personaggi del Presepe".

Ross si avvicinò al tavolo dove Prudie, più sporca dei bambini, si dilettava ad intagliare la pasta frolla con forme che, almeno nelle sue intenzioni, dovevano ricordare la natività. "Quando avrete finito, il bagno ai bambini lo farai tu, vero?".

"Certo signore" – rispose la serva con fare distratto.

Ross ne era quasi commosso. Finalmente sembrava assorta in un lavoro... "Ne avete fatti tanti di biscotti" – disse, accarezzando i boccoli biondi di Clowance.

La bimba lo abbracciò, aggrappandosi come suo solito alla sua vita con fare da ruffiana. "Sono per il dopo cena. Così anche mamma e Bella potranno mangiarli".

Ross rise. "Beh, mamma ne sarà contenta ma credo che Bella, benché ne sarebbe sicuramente felice, non potrà assaggiarli".

Ellie, seduta sul tavolo fra farina e pasta frolla, lo guardò storto. "Pecché?",

"Perché non ha i denti".

"Pecché?".

"Perché è piccola e mangia solo il latte della mamma".

"Pecché?".

Ross sudò freddo, non ne sarebbe uscito vivo da quella conversazione. Baciò la bimba senza risponderle e poi si rivolse a Prudie. "La signora?".

"Lei e la piccola dormono. Sono stata in camera poco fa a mettere della legna nel camino ed erano entrambe nel mondo dei sogni".

Ross sospirò rinrancato. Sua moglie si stava dimostrando ragionevole... "Bene, vado da lei. Voi finite i biscotti, FATE UN BAGNO e solo quando sarete puliti e in ordine, potete venire il camera dalla mamma".

I bambini annuirono e Ross si sentì orgoglioso di loro. Forse era la magia del Natale, il calore del camino, le loro risate, l'armonia che regnava in casa o forse non era nulla di tutto ciò, ma si sentiva immensamente fortunato e fiero di ciò che aveva costruito, della famiglia che aveva reso Nampara una vera casa facendo apparire ancora più fredda e spettrale Trenwith e dell'uomo e della donna che lui e Demelza erano diventati. Erano cresciuti insieme e solo ora capiva quanto questo fosse meraviglioso...

Salì in camera e trovò sua moglie ancora addormentata. Demelza dormiva avvolta in morbide coperte, con Bella sul suo petto. Si sedette sulla poltrona per non disturbare il loro riposo ma dopo alcuni minuti la piccola emise un vagito e Ross sapeva che Demelza si sarebbe svegliata per questo. Da sempre, da quando era giovanissima ed avevano Julia, pur nel sonno sapeva percepire il più piccolo movimento dei loro figli.

E infatti Demelza aprì gli occhi poco dopo, osservando subito, d'istinto, la bambina che però sembrava voler dormire ancora qualche minuto.

"Ben svegliata, hai dormito parecchio e oggi, fra Prudie che pare aver trovato la voglia di lavorare e tu che mi ascolti e stai a riposo, posso definirmi commosso" – disse, dalla poltrona.

Demelza lo fissò, poi guardò fuori dalla finestra accorgendosi che era ormai sera. "Ho dormito parecchio, credo".

"Hai dormito il giusto" – rispose Ross, alzandosi e mettendosi sul letto accanto a lei. "Come va?".

"Bene, mai stata meglio. E tu Ross? Sei tornato ora da Trenwith?".

Lo sguardo preoccupato che lei gli rivolse, lo turbò. E decise di tranquillizzarla. "Mezz'ora fa".

"Come è andata?" - chiese Demelza, stringendo Bella a se.

Ross sospirò, accarezzandole i capelli. "E' andata nel classico modo in cui deve andare quando si va a far visita a una persona morta. Penoso... Ogni cosa a Trenwith è penosa".

Demelza si appoggiò a lui. "Ti senti bene? L'hai vista?".

Annuì, non voleva nasconderle nulla, aveva imparato dagli errori passati. "Fa uno strano effetto, sai? E' giovane, bellissima, ha tre figli che cresceranno senza madre e ha lasciato tutto nelle mani di George. Ha fatto male vederla così, senza vita, il suo corpo che sembrava volersi consumare prima del tempo... In un certo senso lei rappresentava la mia gioventù e il passato, dei momenti ormai lontani e chiusi ma pur sempre vivi. Ora non c'è davvero più nulla. Tu sei il mio presente e il mio futuro, lei faceva parte dei miei ricordi di ragazzo, assieme a tanti altri che se ne sono andati... E' difficile dire cosa ho provato, ma credo che sia qualcosa di molto simile a quello che hai provato tu quando hai visto Hugh Armitage morto".

Demelza alzò lo sguardo su di lui. In lei c'era comprensione e un muto desiderio di condividere il suo dolore. "Pena, come dici tu! Hugh aveva tutta la vita davanti come Elizabeth... E ogni loro sogno si è infranto. Non ho provato dolore per me, quando ho visto Hugh morto. Ho provato dolore per lui e per quello che non sarebbe mai diventato".

Ross annuì. Era in un certo senso la medesima sensazione, anche se nel suo caso, a tutto ciò, si aggiungevano tanti sensi di colpa che non sapeva ancora come fronteggiare. "Ho visto Valentine, a Trenwith. Con George... Santo cielo Demelza, è orribile come si comporta con quel bambino e io ho dovuto stare impotente ad osservarli, senza poter muovere un dito".

Demelza deglutì. "George sospetta che Valentine non sia suo".

"Lo so. A un certo punto ho provato la voglia di prendere quel bambino per portarlo via da quell'inferno ma poi sono rimasto fermo e zitto. Non potevo farlo...".

Demelza osservò Bella che, sonnolenta, si sfregava gli occhietti. "Avresti dovuto farlo, invece".

Ross spalancò gli occhi. "Portarla quì? E saresti stata d'accordo?".

Lei sospirò. "George non te lo avrebbe mai permesso, non ammetterà mai davanti a nessuno che c'è la possibilità che stia crescendo un figlio non suo e che Elizabeth l'abbia tradito. Ma se per qualche motivo assurdo lo avesse permesso, avresti davvero dovuto portar via da lì quel bambino".

"Per portarlo quì?".

Demelza sorrise, inaspettatamente. "Lo avrei accettato. E amato! Avrei imparato a farlo come tu sei riuscito a farlo con Eleanor".

Rimase stupito da quelle parole e non voleva che lei si sentisse in dovere di fare una cosa simile. "Tu non mi hai imposto Eleanor! Io ho scelto di renderla mia".

"E tu non mi imporresti Valentine! Sono io che scelgo di averlo quì, se le condizioni fossero favorevoli. Ma non succederà mai e le mie sono solo parole vane. Ma credo ci sia qualcosa che tu puoi fare per lui, per farlo sentire meno solo ed essere un punto di riferimento".

"Cosa?". Voleva senire cosa aveva da dire perché forse proprio Demelza avrebbe potuto dargli la soluzione per tener fede alla promessa che aveva fatto poco prima sul letto di morte di Elizabeth.

Demelza annuì, mentre Bella apriva gli occhietti e si metteva subito alla ricerca del suo seno. "Essere per Valentine ciò che sei sempre stato per Jeoffrey Charles. Uno zio, un punto di riferimento, un amico... Qualcuno da cui correre quando ne hai bisogno, per sfogarti e trovare supporto. Non importa se Valentine sia tuo o no, la cosa che importa è che il sospetto lo rende un bambino solo e bisognoso d'amore. E quì potrà trovarlo, se lo vorrà e ti farai conoscere da lui".

Ross la baciò sulle labbra. "Ti amo e non so cosa farei senza di te".

"Ti amo anch'io. Ti ho sempre amato, Ross. Il mio cuore non è mai appartenuto a Hugh, lo sai, vero?".

"Lo so" – sussurrò, commosso. Tentò di baciarla ancora ma Bella, fra loro, protestò. Era affamata e lui la stava disturbando.

Ross osservò la piccola. Santo cielo, era davvero nata per mangiare, era proprio molto... "Come hai fatto a fare una bambina così?".

"Così come?".

"Così grassa! Santo cielo, somiglia davvero a Prudie e ci costerà una fortuna mantenerla!".

Demelza lo fulminò con lo sguardo, mentre ogni traccia di dolore per quanto successo a Trenwith pareva svanire nell'aria. "Non è grassa, è giusta".

"Pesa quasi quattro chili e mezzo. Quante volte ha mangiato da quando è nata stamattina?" - chiese, osservando la piccola che faceva la sua poppata e pareva vorace come un lupo che sbrana la sua preda.

"Dieci".

Spalancò gli occhi. "Dieci? Le verrà mal di pancia!".

Lei rise. "Prova a spiegarglielo! E smettila di dire che somiglia a Prudie, credo sia anche permalosa".

Ross annuì. Permalosa e dal carattere deciso! Una vera, piccola Poldark in erba! Santo cielo, si sarebbero divertiti da matti loro due! "Comunque ci è venuta proprio bene! Pensa se non avessi insistito per fare l'amore con te, quel giorno...".

Credeva che Demelza gli avrebbe risposto a tono, ma il suo sguardo si addolcì mentre gli accarezzava la guancia con la mano. "Devo ringraziarti per averlo fatto".

Ross si chinò su di lei, baciandola sulla fronte. "E io devo ringraziare te per aver dato un'altra possibilità a questa nostra disastrata famiglia".

Calò il silenzio, un silenzio sereno e tranquillo. Demelza si poggiò sul petto di Ross e la piccola continuò a mangiare tranquilla. "Ross?" - disse, dopo un pò – "Non ti sembra davvero strano e in un certo senso triste che la nascita di Bella corrisponda al giorno della morte di...".

"NO!". Ross la bloccò, deciso. Poi si chinò a baciare la testolina della bimba che, distratta da quel gesto, alzò lo sguardo su di lui allungando la manina per prendergli un ciuffo di capelli. "Questo per noi non è un giorno di lutto e mai relazionerò la nascita di mia figlia a una morte. Questo sarà il giorno del suo compleanno e per me sarà solo questo! Sarei un pessimo padre se facessi altrimenti e Bella non me lo perdonerebbe. E avrebbe ragione!".

Demelza lo baciò sulle labbra, un bacio lento e sensuale, il bacio di una donna profondamente innamorata. E in quel momento, i bimbi irruppero nella stanza coi loro pigiamini, puliti, pettinati e con un vassoio pieno di biscotti.

"Mamma, abbiamo portato il dolce!" - esclamò Jeremy.

Demelza allungò la mano verso di loro e i tre bambini corsero, saltando sul lettone. Ross gli fece posto fra lui e Demelza, facendo sedere le bimbe sulle sue gambe. Era un momento magico, più magico del Natale. Ed era tutto perfetto... "E questo cosa sarebbe?" - chiese, prendendo dal vassoio un biscotto dalla forma strana.

Clowance si imbronciò. "Ma papà, è la stella cometa!".

Demelza rise e Ross si accigliò. La forma era talmente strana... "Pensavo fosse l'asinello".

Ellie allungò la mano verso il vassoio, prendendo un altro strano biscotto. "Quetto è l'anisello".

"Che è quasi uguale al cavallo!".

Ellie si imbronciò. "NNNOoooo! Blutto il cavallo".

Ross scosse la testa. "Oh, amerai i cavalli, un giorno".

Ellie prese il biscotto, spingendoglielo in bocca per farlo stare zitto. E vedendo la bambina serena, allegra, l'amore che i suoi bambini respiravano e che regnava in quella casa, Ross decise di seguire il consiglio di Demelza.

George gli aveva promesso vendetta e sapeva che in qualche modo avrebbe trovato la strada giusta per procurargli dei guai ma a Ross non importava di alcuna ritorsione. Avrebbe allungato la mano e sarebbe diventato amico e zio di Valentine, togliendolo dal buco nero di solitudine e dolore in cui era sprofondato senza colpa e che lo stava annientando.

Sì, lo avrebbe fatto! A qualunque costo!



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Capitolo 45
*** Capitolo quarantacinque ***


Era stata una notte terribile, quella, una di quelle notti dove un uomo non può non rimpiangere quando era uno scapolo impenitente che dormiva quando gli andava e, se faceva le ore piccole, poteva recuperare il sonno perduto al mattino che tanto nessuno lo avrebbe disturbato.

Ora non c'era più certezza, né di notte, né di giorno!

Bella aveva pianto come una matta fin dopo mezzanotte ed era sembrata inconsolabile. Quando finalmente si era addormentata, sfinita, e lui e Demelza si stavano appisolando, era arrivata Ellie in lacrime per un incubo. E avevano ospitato pure lei nel loro letto...

Dopo aver addormentato anche lei con una serie infinita di favole, si era risvegliata Bella per la sua poppata. Finito con lei, quando quel tunnel nero in cui lui e sua moglie sembravano essere caduti fosse giunto alla sua naturale conclusione, era arrivata anche Clowance che, gelosa, aveva voluto raggiungere le sorelline più piccole nel letto dei genitori.

E così Ross si era ritrovato a dormire sul bordo del letto con Ellie spalmata sul suo petto e Clowance rannicchiata contro di lui come un koala. Per fortuna Jeremy se n'era rimasto a dormire in camera sua, altrimenti lui si sarebbe trovato a condividere la cuccia con Garrick...

E quando, sfinito, era riuscito ad addormentarsi, era ormai ora di alzarsi per andare in miniera per far esplodere un nuovo tunnel con la dinamite.

E ora si aggirava per la cucina come uno zombie con le occhiaie mentre Prudie, gongolante, lo guardava ridendo sotto i baffi.

Aveva lasciato Demelza con le bambine nel letto, raccomandandosi che non si sforzasse troppo. Aveva partorito da due settimane ma sembrava aver ancora bisogno di riposo e la piccola Isabella-Rose si stava dimostrando una bambina molto impegnativa ed esigente.

Le aveva dato un bacio nel dormiveglia e sua moglie aveva aperto gli occhi, raccomandandogli a sua volta di stare attento visto il poco riposo. Avevano ridacchiato per la notte infernale appena trascorsa e Ross aveva deciso che amava di più la sua vita attuale che quella scapestrata del passato. Aveva molto più sonno di allora, certo, ma era infinitamente più ricco in spirito e in amore.

In fondo le bimbe sarebbero cresciute prima o poi e lui e Demelza avrebbero potuto tirare il fiato... Bisognava solo aver pazienza!

Sbocconcellò qualcosa ripensando a quelle ultime, frenetiche settimane. Era nata Bella, Dwight e Caroline erano venuti a far visita a Natale annunciando una nuova gravidanza e... Elizabeth era morta.

Aveva partecipato al suo funerale col gelo nel cuore, osservando da lontano la bara della donna che una volta aveva amato, venir calata nella terra fredda scossa dal vento e ricoperta dalla neve. Aveva osservato lo sguardo di ghiaccio di George, muto ed immobile come una statua che stava sicuramente soffrendo per la sua perdita ma soprattutto per ciò che questa comportava. Aveva voluto bene, a suo modo, ad Elizabeth, ma lei era sempre stata per lui anche un trofeo che, nella sua mente contorta, rappresentava la sua vittoria contro di lui. Si era sempre illuso di avergli arrecato un dolore sposandola, di averlo privato della donna bramata, di averlo battuto senza accorgersi che lui aveva costruito la sua vita altrove, era felice con la donna che aveva sposato ed era riuscito ad andare avanti.

Più di tutti però, lo aveva straziato il vedere il dolore di Geoffrey Charles e del piccolo Valentine. Suo nipote aveva tenuto un comportamento dignitoso e composto ma il suo sguardo era di puro sgomento e dolore. Era ormai un ragazzo ma ancora talmente giovane che, l'idea di essere rimasto solo, doveva terrorizzarlo. Eppure, allo stesso tempo, era ormai abbastanza grande per capire quanto ciò avrebbe influito sulla sua vita... Ora non c'era nessuno, a parte lui e Demelza, che potesse tutelarlo da George e dalle sue mire...

Valentine invece aveva pianto sommessamente, quasi timoroso di farsi vedere. Aveva cercato con lo sguardo suo padre, una carezza, un gesto gentile, ma non lo aveva trovato e alla fine si era arreso e aveva abbassato il capo mentre seppellivano sua madre, rifugiandosi in chissà quali pensieri. Ross lo aveva osservato a lungo e ancora una volta non se n'era sentito padre. Quel bambino gli era estraneo, era un Warleggan e tutto quello che vedeva era un piccolo orfano disperato per aver perso la mamma. Non era uno sfuggire dalle sue responsabilità, era una questione di cuore. Non poteva sentirsi padre di uno sconosciuto, anche se per quello sconosciuto e per aiutarlo, si sarebbe gettato nel fuoco se necessario.

Ross non aveva potuto fare altro che prendere Geoffrey Charles da parte, finita la funzione, per consolarlo e ribadirgli che Nampara sarebbe stata la sua casa e lui, Demelza e i loro figli la sua famiglia, ogni volta che ne avesse sentito la necessità e la voglia di andarli a trovare. E che lo stesso valeva per suo fratello, erano entrambi i benvenuti.

Finendo di bere una tazza di caffé ormai freddo, mentre ripensava a quel giorno di quasi due settimane prima, fu raggiunto dal piccolo Jeremy che, in camicia da notte e con le gambette nude, si era già svegliato.

Prudie, borbottando, corse in camera a prendere una copertina per scaldarlo e Ross lo prese in braccio, mettendolo seduto sul tavolo. "Che ci fai già in piedi?".

Il bimbo alzò le spalle. "Dove sono finite Clowance ed Ellie? Mi sono svegliato e non c'erano!".

Ross sospirò. "In camera, dalla mamma! Stanotte loro, assieme a Bella, ci hanno tenuti svegli. Tu invece sei stato bravo e sei rimasto a letto e per oggi ti sei guadagnato il titolo di mio figlio preferito!" - eclamò, dandogli un buffetto sulla guancia.

Jeremy rise. "Papà, posso venire alla miniera con te? Voglio vedere come esplode la dinamite".

Scosse il capo. Prima o poi lo avrebbe portato con lui ma era ancora troppo piccolo per una giornata di lavoro pericolosa come quella. "Credo che sia meglio che per oggi resti a casa con la mamma o lei si arrabbierà con me. La dinamite non è roba per bambini e tu sei ancora troppo piccolo per queste cose".

"Ma papà..." - piagnucolò Jeremy.

"Nei prossimi giorni ti porterò con me e ti insegnerò a riconoscere le vene di rame nella roccia. Ma oggi no, oggi resta ad aiutare mamma e Prudie!".

Jeremy sbuffò. "Uffa, tu esci e io rimango l'unico maschio in casa! Son tutte femmine".

Ross scoppiò a ridere. "Fra qualche anno sognerai una situazione simile, te lo garantisco".

"Perché".

Con un'unica sorsata, Ross finì il caffé nella tazza. "Hai quasi nove anni, lo capirai a breve... E comunque..." - indicò Garrick che, speranzoso, si aggirava attorno al tavolo nella speranza che del pane finisse a terra – "Non sei l'unico maschio della casa".

Jeremy fece per rispondergli, quando un energico bussare alla porta fece sussultare entrambi. Ross andò ad aprire e, con enorme sorpresa, si trovò davanti Zachy Martin. "Che ci fai quì a quest'ora? E' successo qualcosa alla miniera?" - chiese in allarme, mentre Prudie metteva una coperta sulle spalle del bambino e si avvicinava sospettosa.

Zachy scosse la testa. "Non alla nostra, di miniera".

Ross si oscurò. "Dove?".

"La Wheal Jared, sir".

"La Wheak Jared? Non è una delle miniere più grandi di George Warleggan?".

Zachy annuì. "Lo era...".

Entrò in allarme, ripensando alle minacce vaghe che George gli aveva rivolto due settimane prima, al capezzale di Elizabeth. "Che è successo?". Non riusciva a capire, la Jared era una delle miniere più prospere e floride della Cornovaglia e George, pur con tutti i suoi difetti, aveva attuato una strategia atta a prevenire ogni possibile incidente ai suoi minatori, dotandosi di costosi sistemi di sicurezza.

Zachy fugò ogni suo dubbio. "L'ha chiusa! Messa all'asta, sir! Da un giorno all'altro... Gettando nella disperazione le duecento famiglie di minatori che vi lavoravano".

Prudie sussultò, Jeremy lo fissò con attenzione e Ross rimase senza fiato. La Wheal Jared chiusa? Perché lo aveva fatto? Perché chiudere una miniera prospera che regalava ricchezza e donava lavoro a tanti disperati? "Per quale motivo?".

Zachy scosse la testa. "Non c'è motivo, il signor Warleggan ha semplicemente detto che ha un numero troppo alto di miniere da gestire e che i profitti a volte non coprono i costi, soprattutto delle miniere più grosse. Mi sembra una scusa talmente assurda da risultarmi incredibile... E' come se il signor Warleggan abbia voluto fare semplicemente un dispetto".

"Un dispetto a chi?" - chiese Jeremy, intervenendo nella discussione.

Zachy scosse la testa ma Ross divenne cupo. Un dispetto a chi? Beh, era quanto di più ovvio, se ben ci pensava... George sapeva quanto lui tenesse alle condizioni di vita dei minatori, sapeva quanto avesse lottato per loro e sapeva anche che, venire a conoscenza di duecento famiglie messe alla gogna, lo avrebbe fatto impazzire. Ecco la vendetta che gli aveva paventato, in tutto il suo crudo cinismo... "Hai detto che ha messo all'asta la miniera?".

"Sì".

"A quale prezzo?". Fosse stato nelle sue possibilità, pur di indebitarsi, l'avrebbe acquisita lui con i proventi della Wheal Grace.

Zachy però infranse ogni sua speranza di risolvere la situazione. "Una cifra assurda, impossibile da sostenere per chiunque, da queste parti".

"La cifra, Zachy!".

"Quarantamila sterline".

"Giuda!!!" - esclamò Prudie, mettendosi a sedere sulla panca.

Jeremy si aggrappò alla sua giacca. "Papà, son tanti soldi?".

Lo accarezzò sui capelli, distrattamente. "Sì, son tanti soldi". Tanti, troppi... Nemmeno mettendosi in società con altri suoi pari, avrebbe potuto trovare una cifra del genere, una cifra talmente spropositata da dargli la certezza che fosse stata ideata apposta per non permettere a nessuno di acquistare la miniera. Stavolta George aveva vinto e lo aveva messo con le spalle al muro, trascinando nella miseria centinaia di persone per una disputa personale fra loro che non aveva alcun senso.

"E allora capitano, che si fa?" - chiese infine Zachy, con tono di voce sconfitto.

Ross gli diede una pacca amichevole sulla spalla. "Purtroppo nulla... Ci ha messi all'angolo, mettendo la miniera all'asta per quella cifra sa di sicuro che nessuno potrà acquistarla e la chiuderà, lasciando nella disperazione le famiglie di duecento minatori".

"Ma signor Ross, forse, se ci pensiamo bene, un'idea ci potrebbe venire" – intervenne Prudie, stringendo a se il piccolo Jeremy.

Ross scosse la testa. No, nemmeno pensandoci avrebbero trovato una soluzione a quella catastrofe architettata da George Warleggan. Forse avrebbe potuto assumere qualcuno di quei disperati alla Wheal Grace, una manciata di persone in più non avrebbero inciso sulla sua miniera, ma duecento persone...

Strinse la mano a Zachy con aria sconfitta. "Ti ringrazio per avermi informato. Aspettami alla miniera, finisco di prepararmi e fra al massimo un'ora sono lì per far saltare il tunnel".

"Si signore".

Zachy se ne andò, salutando Prudie e Jeremy con un cenno del capo. E una volta uscito, Ross si sedette alla panca, mettendosi le mani fra i capelli. Ecco, questa era un'altra delle catastrofiche conseguenze di quella notte folle fra lui ed Elizabeth... A quanta gente aveva fatto del male?

"Papà!".

La vocina di Jeremy lo fece sussultare. "Cosa c'è?".

Il bimbo si sedette accanto a lui sulla panca mentre Prudie, borbottando, andò nel salotto ad accendere il camino per scaldare l'ambiente per le bambine più piccole che a breve si sarebbero svegliate. "Lo sai, forse io e Clowance possiamo aiutarti".

Gli sorrise, accarezzandogli i ricciolini castani ancora spettinati. "Come?".

Jeremy fece un sorriso furbo. "Sai che Miss Etta, a Londra, ci dava una paghetta?".

"Cosa?".

"Sì, quando io e Clowance facciamo i bravi, lei ci da uno scellino a testa. Li teniamo in un salvadanaio, è pieno ormai! Magari ci puoi comprare la miniera, se te li diamo! Sono tantissimi scellini, anche se la maggior parte sono miei perché Clowance fa sempre i capricci e Miss Etta mica la premia così spesso".

Ross pensò che, da quando era padre, quella era la volta in cui si era sentito più orgoglioso dei suoi figli. L'ingenuità, la generosità, il candore con cui Jeremy gli stava offrendo i suoi risparmi, erano un qualcosa che avrebbe reso fiero qualsiasi genitore. Pur con tutte le brutte notizie di quella mattina, quel gesto di Jeremy riusciva a regalare un raggio di sole in una giornata cupa, dandogli la speranza che ci fossero speranza e futuro per il mondo, se i bambini che un giorno l'avrebbero guidato avessero mantenuto intatta la loro generosità. "Ti ringrazio, è un gesto molto bello ma quei soldi sono tuoi e di Clowance. Li avete guadagnati ed è giusto che li usiate per voi".

Jeremy alzò le spalle. "Li riguadagneremo, se faremo i bravi ancora!".

Ross, con gentilezza, lo bloccò. "Purtroppo non basterebbero comunque, Jeremy. Quella miniera costa troppo, nessuno potrebbe comprarla".

"Oh...". Il bimbo abbassò lo sguardo. Era generoso e sensibile, in questo aveva preso indubbiamente da Demelza ma Ross era fiero che, come lui, avesse a cuore la sorte delle persone che li circondavano.

"Ross...".

Si voltarono, lui e Jeremy, al suono della voce di Demelza che, in camicia da notte e coi capelli ancora sciolti e spettinati, li aveva raggiunti in cucina.

"Demelza? Che ci fai in piedi?".

La donna si avvicinò loro, sedendosi sulla panca faccia a faccia con suo marito. "Ho sentito la voce di Zachy e mi sono preoccupata. E' successo qualcosa di grave?" - chiese, prendendo Jeremy sulle sue ginocchia.

Ross sospirò, vergognandosi perché sapeva che in un certo senso era di nuovo colpa sua. Riaprire quel discorso con Demelza era sempre doloroso per lui quanto per lei e non c'era mai modo di metterci una pietra sopra. La guardò negli occhi e poi, lentamente, le spiegò quanto riferitogli da Zachy.

Demelza spalancò gli occhi, tremando lievemente. "Giuda! Ross, quarantamila sterline sono una cifra assurda!".

"Lo so, lo ha fatto apposta per non permettere a nessuno di comprare la Wheal Jared all'asta. Facendo così, sa di colpire me e i miei ideali".

Demelza si morse il labbro, cercando in modo febbrile una soluzione. "Se chiedessimo a Caroline...?".

Ross scartò subito l'idea. "E' una cifra troppo elevata e non me la sento di chiederle nulla, soprattutto ora che è di nuovo incinta".

"Sì ma la Wheal Jared è una miniera prospera e potremmo restituirle la somma, col tempo".

"No Demelza, ci vorrebbe troppo! Pur con tutti i guadagni che ne scaturirebbero, quarantamila sterline sono un'enormità da restituire".

Demelza si guardò in giro, osservando la casa. "Se mettessimo un'ipoteca su Nampara? Lo abbiamo già fatto...".

Ross le sorrise, accarezzandole il viso. "Non ne ricaveremmo comunque una cifra simile. E poi, non mi va di rischiare la nostra casa o la Wheal Grace. Anche ipotecando entrambe, finiremmo solo per indebitarci, rischiando il posto di lavoro anche dei nostri di minatori. E poi...".

"E poi cosa, Ross?".

Lui osservò suo figlio che, attento e senza fiatare, ascoltava la loro conversazione. "E poi abbiamo quattro bambini piccoli, non possiamo rischiare. Non me la sento più e questo vuol dire o che sono diventato vecchio oppure saggio. Ma il risultato non cambia".

Demelza fece un timido sorriso a quella battuta, allungando la mano per stringere quella del marito. "Quindi ha vinto George?".

"Quindi ha vinto George...".

Lei scosse la testa amareggiata. "Santo cielo, quell'uomo è un mostro! E la cosa grave è che riesce a dormire la notte mentre duecento minatori assieme alle loro famiglie arriveranno alla fame a causa sua e di un suo capriccio".

Ross osservò distrattamente la neve che, fuori dalla finestra, cadeva incessantemente. E in quel momento si rese conto che le favole che sua madre gli raccontava da piccolo erano solo menzogne: i buoni non sempre vincono e anzi, spesso, sono i cattivi ad avere l'ultima e definitiva parola. "Già, duecento famiglie senza lavoro da un giorno all'altro, in pieno inverno".

"Cosa possiamo fare per loro?" - chiese Demelza, temendo già la risposta.

"Nulla, amore mio. Proprio nulla se non raccomandarli a Dio, pregandolo di essere misericordioso".


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Capitolo 46
*** Capitolo quarantasei ***


Bella aveva compiuto tre mesi ed Ellie quel giorno compiva tre anni. Era nata il primo giorno di primavera e quell'anno sembrava che la bella stagione avesse voglia di accelerare i tempi, regalando un piacevole tepore che di solito si avvertiva a maggio.

Il cielo era limpido e terso, la temperatura piacevole e i bambini passavano la maggior parte della giornata nell'aia o nella stalla a giocare.

L'inverno era stato rigido e duro, molti dei minatori che avevano perso il lavoro a causa della chiusura della Wheal Jared avevano sofferto la fame e Ross e Demelza avevano cercato di aiutarli coi pochi mezzi a loro disposizione, dando cibo ai loro bambini ed assumendo quanti più uomini possibili alla Wheal Grace. Ma non era bastato, non sarebbe mai bastato...

La miseria che aleggiava da mesi in quelle terre era qualcosa da togliere il sonno e la serenità e Ross, pur scervellandosi, non aveva trovato una via d'uscita.

Ma quel giorno doveva essere felice, era un giorno speciale! Non aveva mai festeggiato il compleanno di Eleanor, era la prima volta per lui. L'anno prima era passato senza quasi che se ne accorgesse mentre due anni prima... Beh, non voleva pensare a come fosse la sua vita due anni prima, a come odiasse quella bimba che ora amava e considerava sua figlia. Ripensandoci, riusciva ancora a vergognarsi di se stesso e del suo comportamento di allora...

Ellie, inconsapevole di tutto ciò, voleva semplicemente giocare. Alla richiesta di quale regalo volesse, aveva detto candidamente che voleva dei coniglietti nuovi per fare compagnia a quelli che avevano nella stalla e lui e Demelza gliene avevano regalati tre, come i suoi anni. Per il resto, era solo eccitata perché la sua mamma e Prudie le avevano promesso una torta di compleanno con le fragole e non sembrava minimamente interessata al fatto che sarebbe stata la festeggiata e la principessina di casa. Candidamente, quel giorno per lei era solo questo: una torta da mangiare coi suoi fratelli e dei coniglietti nuovi con cui giocare e da curare.

Era cresciuta molto in quegli ultimi mesi. Si era fatta più paffuta, i capelli le erano cresciuti in morbidi boccoli biondi che le arrivavano in vita, aveva iniziato a non svegliarsi più la notte e ormai sapeva parlare correttamente quasi quanto i fratelli. Ed era di una bellezza disarmante, tanto che Ross rimanveva incantato a volte, quando si fermava ad osservarla. Aveva un portamento a suo modo elegante che forse proveniva dai Boscawen, ma il suo animo era semplice. Amava stare all'aria aperta, giocare con gli animali, difficilmente la si vedeva fare i capricci e ci voleva sempre poco per renderla contenta. E in questo somigliava a Demelza, indubbiamente e meravigliosamente.

Mentre il profumo della torta invadeva la casa, Ross si mise a studiare le mappe dei tunnel sotterranei della Wheal Grace, alla ricerca di sbocchi per nuovi filoni. Demelza era al piano di sopra, intenta ad allattare Bella, le risate dei bambini nella stalla risuonavano allegre per la casa e in fondo, nonostante la difficile situazione di tanti, poteva definirsi felice.

Improvvisamente la tranquillità fu spezzata dall'ingresso di Prudie, giunta col suo passo pesante nella biblioteca. "Avete ospiti" – disse la serva, con aria seccata.

Ross parve esserne stupito. Avevano invitato Caroline e Dwight per il compleanno di Ellie ma loro avevano rifiutato a causa delle nausee della donna e quindi, non aspettavano nessuno. "Chi sarebbe?".

Prudie si voltò verso l'uscio e una donna elegantissima, sulla cinquantina, apparve davanti a lui. "Una lady di Londra" – disse la donna, prima di lasciarlo solo con la sua ospite.

Ross guardò la nuova arrivata, accorgendosi che non aveva idea di chi fosse! Aveva abiti ricercati e alla moda, indossava gioielli di gran valore, non aveva un capello fuori posto ma a parte questo, niente in lei gli diceva qualcosa. Anche se, osservandola, qualcosa di famigliare c'era, in lei... "Con chi ho il piacere di parlare?".

La donna chiuse la porta, avvicinandosi alla scrivania. "Posso sedermi?" - chiese, senza rispondere alla sua domanda.

"Prego" – rispose lui indicandole la sedia, sempre più curioso.

La signora si accomodò, poi estrasse un plico di carta dall'elegante borsetta che aveva fra le mani. "Sono venuta fin quì per parlare di affari".

"Non so nemmeno il vostro nome, mia lady, e non ho idea di che genere d'affari potrei concludere con voi".

La donna sorrise. "Conoscete mio fratello, Lord Falmouth. Mi chiamo Dorothy, vedova Armitage... Sono la madre di Hugh".

Ross impallidì, nell'udire quel nome. "Cosa volete?" - chiese subito, freddamente, temendo che fosse venuta per Ellie. E soprattutto, turbato dall'averla in casa. I Boscawen, lord Falmouth e Hugh erano fonte di spiacevoli ricordi e a loro era legato il periodo più cupo della sua vita.

La donna parve capire i suoi pensieri. "Non sono quì per la piccola, sono quì per affari, come vi ho detto".

Ross si accigliò, non capiva. Cosa ci faceva lì quella donna? Che genere di affari voleva concludere con lui? E davvero, Ellie non c'entrava? "Che tipo di affari?" - chiese, osservando il plico che la donna aveva messo sul suo tavolo. "Cos'è?".

La donna accavallò elegantemente le gambe. "Le quote della Wheal Jared che ho acquistato al termine di una divertente asta che si è tenuta a Londra dieci giorni fa".

Spalancò gli occhi, le mani gli presero a tremare e il suo raziocinio andò in tilt. "Le quote della Wheal Jared? VOI avreste acquistato le quote della Wheal Jared?".

"Esattamente".

"Perché?".

Dorothy alzò le spalle. "Così, avevo un pomeriggio libero, nessun sarto a disposizione a cui dare il mio denaro per abiti nuovi e ho deciso di inventarmi qualche gioco nuovo. Dicono che il mondo delle miniere sia divertente".

Ross fece un sorrisetto sarcastico. Quella donna era sicuramente esperta di balli, pizzi e merletti ma in quanto a miniere, non avrebbe saputo distinguere un sasso da una vena di rame. "Congratulazioni per il vostro nuovo gioco allora, signora!" - esclamò alla fine, con tono ironico.

Lei rispose al sorriso con lo stesso sarcasmo. "Non mi chiedete perché ho comprato queste azioni?".

Ross si alzò dalla sedia, appoggiandosi al davanzale della finestra. "No! Non ritengo siano affari miei e continuo a non capire il motivo della vostra visita quì".

"Voglio che gestiate questa miniera per me".

"Perché dovrei farlo? Non sono io ad averla comprata, è vostra" - gli disse, diretto e brusco.

Lei non ne parve minimamente intimorita. "Perché io non so nulla di miniere mentre voi, dicono, siete esperto".

A piccoli passi, Ross si riavvicinò alla scrivania. "Appunto, voi non sapete nulla di miniere e quindi mi chiedo perché abbiate speso una cifra così considerevole per comprare queste azioni".

Lei allargò le braccia. "Spirito di solidarietà con quei poveri minatori, forse?".

Ross rise di nuovo con sarcasmo. "A voi non importa nulla dei minatori e nemmeno delle miniere".

Lei incassò il colpo con classe, non scomponendosi. "Vero, su questo vi do ragione".

"Vostro fratello sa di questa vostra spesa folle?" - chiese Ross, ricordando bene quanto poco importasse a Lord Falmouth del mondo delle miniere.

"Mio fratello gestisce il suo, di denaro. Io il mio... E onestamente, quarantamila sterline per me son cosa di poco conto, un capriccio... Mi potrebbe bastare vendere uno dei miei anelli per recuperare quella cifra" – rispose lei, osservando le sue unghie ingioiellate e perfettamente colorate.

Ross trattenne il fiato. Santo cielo, aveva davanti una delle donne più facoltose d'Inghilterra ed Ellie, se le cose fossero andate diversamente, sarebbe stata una delle bambine più ricche della nazione. Gli venne la pelle d'oca al pensiero realizzando quanto avesse perso quella bimba assumendo il cognome Poldark anziché Armitage. "Perché avete comprato quelle azioni? La verità, intendo!".

"Vendetta" – rispose lei in tono diretto, talmente diretto che quella non poteva che essere la verità.

Ross la guardò, sorpreso. "Vendetta? Contro chi?".

"George Warleggan".

"Cosa vi ha fatto, signora, se mi è permesso chiedere?". Non ci stava capendo un accidente... Fra lui e George non era mai corso buon sangue e fra loro era in atto da anni una guerra, ma che aveva fatto a quella ricca signora che, conoscendolo, non aveva sicuramente fatto altro che elogiare per essere ammesso nei suoi salotti?

Lo sguardo di Dorothy perse la sua sicurezza e in un attimo divenne apparentemente più fragile e meno pronta a sostenere la conversazione. "Le voci che lui ha messo in giro l'estate scorsa su mio figlio, vostra moglie e la piccola Eleanor potevano portare a conseguenze molto pericolose e voi lo sapete meglio di me. Per il semplice gusto di gettarvi nel fango, quell'uomo avrebbe distrutto la vita della mia nipotina senza pensarci due volte e io non glielo perdonerò mai. Ho aspettato per mesi l'occasione giusta per vendicarmi e quando ho saputo della vendita della Wheal Jared, ho immaginato che lo avesse fatto per cercare di colpire nuovamente voi che, a sua differenza, vi siete sempre battuto per il bene dei minatori. Vederlo sbiancare nel corso di quell'asta, quando ho fatto la mia offerta, è stata la mia soddisfazione più grande".

Ross, in silenzio, l'aveva ascoltata attentamente, rendendosi conto di aver davanti una donna combattiva, molto più terrena e molto meno sognatrice di suo figlio. Una donna che sicuramente amava il lusso ma che la vita, negli ultimi anni, aveva temprato e reso una guerriera vendicativa forse più di lui. "Quindi, in un certo senso, avevo ragione io! Lo avete fatto per la bambina".

Lei scosse la testa. "L'ho fatto per vendetta, UNICAMENTE per vendetta".

Ross si risedette alla scrivania. "Non prendiamoci in giro, mia lady! Comprendo e condivido le motivazioni che vi hanno spinta a comprare delle azioni il cui prezzo, per ognuno di noi della Cornovaglia, era proibitivo. Ma se non fosse stato per Eleanor, non vi sarebbe importato nulla di quello che George diceva di me e mia moglie a Londra, giusto?".

"Giusto"- ammise lei. Dorothy prese il plico di azioni, spingendoli nelle sue mani. "Signor Poldark, volete sapere la verità, la VERA verità?".

"Certo".

Lei sorrise, stavolta dolcemente. "Non mi piaceva vostra moglie, all'inizio. La tolleravo perché Hugh desiderava averla vicina ma io, a differenza di mio figlio, avevo capito che lei era incinta e che questo avrebbe potuto rappresentare un problema. Avrei voluto che interrompesse la gravidanza, le offrì dei soldi per comprare il suo silenzio ma lei li rifiutò, promettendomi che non avrebbe tradito la memoria di mio figlio. Mantenne la promessa, sparì dalle nostre vite e da sola si prese la responsabilità della bambina. E così iniziai ad ammirarla e a capire perché Hugh ne era così innamorato. Era coraggiosa, affascinante e selvaggia ma matura, sapeva prendersi le sue responsabilità e soprattutto, senza ascoltare nessuno, ha messo al mondo quella bambina che è tutto quello che resta di mio figlio. Non la ringrazierò mai abbastanza per questo e ammirerò per sempre la grande dignità che ha dimostrato fin dall'inizio".

Ross la bloccò. Faceva male sentirla parlare di Hugh e di Ellie, faceva male sentirla dire che quella bambina era... era... "Eleanor è mia figlia! Mi spiace darvi questo dispiacere ma Hugh non ne è mai stato padre né mai lo sarà".

Lo disse seccamente, facendola sussultare. "Signor Poldark, so benissimo che è vostra e che non ho alcun diritto su di lei. Ma niente, nemmeno voi potrà impedirmi di pensare, ovunque io sia, che nel mondo c'è una mia nipotina che cresce felice con una famiglia meravigliosa che la ama. Questo è per me motivo di gioia, dopo la morte di mio figlio. La mia consolazione... E devo ringraziare vostra moglie per questo! Non interferirò mai nelle vostre vite, voglio solo che abbiate queste quote della miniera che ho comprato e che la facciate fruttare talmente bene da far venire una gastrite cronica a Warleggan. Solo questo. Vostra moglie rifiutò il mio denaro e di voi si dice che siate altrettanto ostinatamente orgoglioso e quindi sapevo che donarvi le quarantamila sterline per partecipare all'asta sarebbe stato un errore. Non vi do denaro, quindi, vi do una miniera! E la miniera è il vostro mondo! Accettela come un dono e date una speranza di vita a quei minatori... Trovare vendetta facendo del bene, in fondo, non è una cosa caritatevole?".

Ross, a quell'affermazione, rise. In effetti era furba e sapeva cosa dire e come dirlo... "Credo che nostro Signore avrebbe qualcosa da ridire...".

"A suo tempo, ne discuterò anche con lui".

Ross annuì, osservando i fogli sulla sua scrivania. Era tentato, dannatamente tentato di accettare ma aveva paura. E se quelle azioni avessero dato vita a una sorta di pretesa della donna su Ellie? Dorothy cominciava a piacergli ma non avrebbe mai barattato la sua bambina, per nulla al mondo... "Signora, io non potrò restituirvi questi soldi. Sono troppi".

"Non li rivoglio indietro. Voglio che gestiate solo la miniera per mio conto".

"Questo però mi porrebbe in una situazione di debito verso di voi".

Dorothy guardò fuori dalla finestra e i suoi occhi si persero nell'azzurro del cielo sereno. "Queste risate infantili che si sentono, sono dei vostri bambini?".

"Sì, stanno giocando nella stalla. Abbiamo quattro bambini e questa casa non è mai silenziosa".

La donna sorrise dolcemente. "Beh, è una casa allegra e felice. L'ideale per crescere". Si appoggiò alla spalliera della sedia, sistemandosi con la mano una piega del vestito. "Sapete, io una volta l'ho vista Eleanor".

Ross parve esserne sorpreso. "Quando?".

Lei lo guardò negli occhi. "Aveva poche settimane di vita e la curiosità mi spinse ad andare in quel bosco di Illugan, a cavallo. Lì vidi Demelza, con la bambina. La teneva avvolta in una fascia, era talmente piccola ed indifesa... E bellissima e perfetta! Temevo che Demelza, dopo il modo in cui mi ero comportata con lei, si rifiutasse di farmela vedere ma invece lei mi permise di avvicinarmi, chiedendomi se volessi tenerla in braccio. Non ho mai dimenticato quel gesto e non l'ho mai ringraziata per averlo compiuto. Voi dite che se accettate quelle azioni, sareste in debito con me? Signor Poldark, sono io ad essere in debito con voi... Avete dato una casa e una famiglia ad Eleanor, amore, dei fratellini con cui crescere e giocare e voi... Voi l'avete accettata nel vostro cuore e nella vostra vita e io so, sono sicura che non esista al mondo un padre migliore di voi, per lei. Hugh non avrebbe mai potuto esserlo, non ne sarebbe stato capace. Voi sì e quindi, se permettete, quarantamila sterline non hanno alcun valore per me, se rapportate al valore della felicità di Eleanor".

Ross, colpito dalla profondità e dalla sincerità di quelle parole, sorrise mettendo da parte ogni preoccupazione. Ora, finalmente, non si sentiva più in pericolo dall'arrivo di quella donna e si sentiva certo delle sue buone intenzioni. "Una gastrite cronica a George Warleggan, dite?".

Lei fece un sorriso furbo. "Non sarebbe divertente?".

"Assolutamente" – le rispose, rendendosi conto di quanto fosse diversa da suo figlio.

In quel momento la porta si aprì e comparve Demelza con in braccio Bella. "Ross, Prudie mi ha detto che abbiamo osp...". La donna si bloccò, spalancando gli occhi. "Dorothy" – sussurrò, con un filo di voce, osservando Ross in cerca di risposte.

Dorothy annuì. "E' molto che non ci vediamo, signora Poldark. Vi faccio le congratulazioni per la nuova arrivata" – disse, indicando Bella.

Ross si mise fra le due per affrettarsi a dare una spiegazione a sua moglie che, attonita e timorosa, guardava la loro ospite. "Ora ti spiego tutto, non devi preoccuparti".

Dorothy si avvicinò. "Non sono quì con cattive intenzioni, sono venuta solo per parlare di affari" – disse, sbirciando la bambina che, perfettamente sveglia, muoveva le gambette. "E' bellissima. Somiglia a suo padre!".

Ross guardò la piccolina di casa con un moto di orgoglio. Aveva una massa bella folta di capelli neri, i suoi stessi occhi grigi ed era bellissima. Adorava mangiare, era curiosa e vispa, aveva un carattere meraviglioso ed era sempre col sorriso sulle labbra e piangeva raramente anche se, quando lo faceva, strillava talmente forte da far tremare le pareti di Nampara. "Vi presento Isabella-Rose, la nostra ultima arrivata".

"Sono felice per voi" – disse la donna che, più di tutti, sapeva quali tribulazioni avessero affrontato loro due a causa di Hugh.

Demelza, come fece tre anni prima con Ellie, si avvicinò per fargliela toccare. "E' stata una benedizione per noi, questa bambina. La amiamo, i suoi fratelli la torturano un pò ma in fondo la adorano".

Ross le mise la mano sulle spalle, attirandola a se. E poi, con poche e semplici parole, le spiegò il motivo della visita di Dorothy.

Al termine del suo racconto, Demelza sbiancò. "Giuda, quarantamila sterline!? Avete speso tutto quel denaro per...".

Dorothy scrollò le spalle. "A volte, al gioco, perdo di più... Non ditelo a mio fratello però, se lo vedete...".

Ross e Demelza si guardarono negli occhi, increduli di sentirla dire con tanta leggerezza una cosa simile. Demelza deglutì, sfiorando il braccio del marito. "Che fai, accetti?".

Ross ci pensò su un attimo, sciogliendo le ultime riserve. "Tu che faresti?".

Demelza guardò Dorothy, poi sorrise. Era ora di dare fiducia a quella donna... "Io accetterei, c'è troppo in gioco. Non per George o per vendetta ma perché aiuteresti tante persone facendo una cosa che ti piace e in cui sei bravo. Però...".

"Però cosa?" - chiese Dorothy.

Demelza la guardò. "Però vorrei che foste voi la proprietaria della miniera, a tutti gli effetti. E Ross si dovrà impegnare a tenervi informata e a discutere con voi dell'andamento della miniera. Dovreste occuparvene, per quel che riuscite. Parlo per me ma conosco mio marito e so che è d'accordo con me su questo! Non vogliamo che la miniera ci venga regalata, accetteremo solo se voi ci considererete soci. Ross ci metterà passione ed esperienza, voi il denaro. Siete d'accordo?".

Ross guardò sua moglie con ammirazione. La proposta che aveva fatto era la più giusta e ragionevole per tutti. "E allora?".

Dorothy annuì. "Mi annoierò da morire a sentir parlare di sassi e dubito che vi potrò essere utile ma va bene, sono d'accordo". Si avvicinò alla porta, sfiorando l'uscio. "Ci incontreremo quando sarò quì in Cornovaglia e mi scriverete quando sarò a Londra".

Demelza le sbarrò la strada, impedendole di uscire. "Andate già via? Perché non vi fermate a prendere un té e a mangiare una fetta di torta?".

Ross rimase un pò interdetto da quella proposta ma poi decise che Demelza aveva ragione. Eleanor era sua figlia e niente avrebbe cambiato questo stato di cose e quindi non doveva temere che Dorothy la vedesse. "Mia moglie ha ragione, fermatevi un attimo ancora. L'unica cosa che vi chiedo è di trattare i miei figli tutti allo stesso modo. So che per voi Eleanor è speciale ma se saremo soci, vorrei che foste imparziale quando i miei figli saranno presenti. Eleanor cresce con loro, si sentono un'unica cosa e fare preferenze finirebbe solo per farla sentire diversa".

Dorothy, sopresa da quella proposta, tremò lievemente. "Non vedo Eleanor da quando era neonata".

Un chiasso che proveniva dal salotto, fece interromere bruscamente la conversazione. I tre bambini spalancarono la porta della biblioteca ed entrarono di corsa, attaccandosi alle gambe dei genitori.

Dorothy spalancò gli occhi e Demelza e Ross si misero le mani nei capelli. I loro tre figli, sudati, spettinati, con la paglia fra i capelli e i vestiti sporchi, sembravano usciti da una miniera.

Dorothy osservò la piccola Eleanor e Ross la vide tremare dall'emozione, sebbene fu capace di non darlo a vedere. La bimba aveva le guance arrossate, nei suoi boccoli biondi c'erano infinite pagliuzze di paglia e il suo vestitino azzurro era chiazzato di terra. Si inginocchiò davanti a lei, prendendola in braccio. "Sei la bimba che compie gli anni più sporca della terra" – esclamò, mentre Demelza rideva nel vedere i suoi figli conciati a quel modo.

Dorothy intervenne, osservando i bambini. "Direi che quì abbiamo tre piccoli bimbi che sembrano essersi divertiti molto".

Ross guardò la piccola Ellie fra le sue braccia e poi gli altri due bambini. Eleanor e Jeremy erano sporchissimi, Clowance lo era decisamente meno... "Come mai i tuoi abiti e i tuoi capelli sono quasi puliti? Non dovevate dar da mangiare tutti e tre ai vitellini?".

Sua figlia maggiore si mise le mani sui fianchi, battendo il piedino. "Ma papà, io non mi voglio sporcare e visto che a Jeremy e a Ellie piace occuparsi degli animali, sono generosa e lascio fare a loro anche il mio lavoro. Loro son contenti e io son pulita, semplice!".

Dorothy osservò Clowance con ammirazione, dimenticando per un attimo di sciogliersi alla vista di Ellie. "Che bambina di classe! E già con le idee chiare, sono incantata e sinceramente ammirata dalla sua innata faccia tosta".

Demelza si avvicinò a Clowance, cingendole le spalle con le braccia. "Lei è Clowance ed è la più nobile e viziata della famiglia".

"Voglio fare la principessa, da grande! Anzi, la regina" – asserì Clowance, osservando con attenzione l'eleganza della loro ospite.

Dorothy le sorrise. "La regina? Sai che io la conosco?".

Clowance spalancò gli occhi. "Davvero?" - sussurrò, col fiato corto per l'emozione.

"Sì, certo! Ho partecipato a numerosi balli nel palazzo reale".

"E com'è?".

"Chi, la regina?".

"Sì".

Dorothy le strizzò l'occhio. "Noiosa! E' più divertente stare quì a giocare coi tuoi fratelli, te lo assicuro".

Clowance le si avvicinò, guardando il suo abito e i suoi gioielli. "Ma ci sono bambini che vanno ai balli della regina?".

"Sì, a volte".

"E quanti anni bisogna avere?".

Dorothy ci pensò su. "Otto, dieci... Tu quanti ne hai?".

"Quasi sei!" - disse veloce la bambina.

Jeremy la contraddisse, ridacchiando. "Non è vero, ne ha solo cinque".

Clowance, imbronciata, gli fece la linguaccia. "Cinque anni e quattro mesi, vero mamma? Vero che cinque anni e quattro mesi son quasi sei?".

Ross decise che era ora di mettere fine a quella disputa. Mise a terra Ellie e chiamò a se gli altri bambini. "Avanti, basta! Correte da Prudie e ditele di farvi un bagno e darvi abiti puliti o non solo non sarete mai ammessi al cospetto della regina, ma nemmeno alla nostra tavola per mangiare la torta di compleanno. La nostra ospite starà pensando che siete dei selvaggi".

Ellie si aggrappò alla sua gamba mentre Dorothy riprendeva a guardarla. "Papà?".

"Sì?".

"Andiamo al mare a fare il bagno?".

Ross rise davanti a quella domanda che nascondeva una notevole faccia tosta. "No, nella vasca da bagno! Avanti, correte tutti e tre a lavarvi".

Clowance osservò Dorothy e, desiderosa di fare buona impressione su di lei, ubbidì subito. "Io per prima".

"No, io!" - ribatté Jeremy cercando di spingerla da parte, imitato da Ellie che rideva.

I tre bambini, spingendosi, scomparvero alla loro vista e Dorothy sorrise dolcemente. "C'è molta allegria in questa casa. Gioia! Come dicevo prima, sono io ad essere in debito con voi...". Guardò Demelza, con gli occhi lucidi. "Lei è bellissima, perfetta come l'ho sempre immaginata. E felice... Si vede che è una bambina tanto amata da tutti voi. Io l'avrei riempita di vizi e merletti ma non avrei mai potuto darle ciò che ha quì. E nemmeno Hugh...".

Demelza rispose al sorriso. "E' una brava bambina, ha un animo gentile e ama tutti gli animali eccetto i cavalli, di cui ha paura".

Ross si appoggiò alla scrivania, pensieroso. "L'unico suo difetto è che non ama troppo dormire, la notte".

Dorothy rise, a quelle parole. "Come Hugh... Anche lui, da piccolo, aveva problemi col sonno".

Ross la fissò, desideroso di controbattere a quella divagazione su QUEL nome che non voleva sentire, in maniera sibillina. "Come dice mia moglie, Ellie è piena di pregi, presi tutti da sua madre. Ma come tutti gli esseri umani ha dei difetti e ora sappiamo da chi li ha ereditati".

"ROSS!" - lo fulminò Demelza.

Ross fece un sorriso falso e amabile e Dorothy fece altrettanto. Non se l'era presa ma, al contrario, ne sembrava divertita. In un certo senso erano pungenti alla stessa maniera...

Dorothy sospirò, piegando fra le sue braccia la mantella. "Se davvero desiderate che resti per la merenda, vado ad avvertire il mio cocchiere di ripassare a prendermi fra un paio d'ore. Discuteremo di affari e chiacchiererò con i vostri figli. Ellie è meravigliosa ma anche gli altri due... E la piccola Clowance... Una vera perfetta lady che, se introdotta da qualcuno che se ne intende nell'alta società londinese, grazie alla sua bellezza e alla sua grazia saprà conquistare i giovanotti più ambiti della capitale, fra qualche anno".

Ross tossicchiò, non molto felice dell'idea. "Credo che dovreste andare ad avvertire il cocchiere, mia lady".

Dorothy annuì, ridendo sotto i baffi. E poi uscì, lasciando Ross e Demelza momentaneamente soli con Bella che, incuriosita, era stata buona e zitta tutto quel tempo fra le braccia di sua madre.

"Ross, non ti dispiace che le abbia proposto di rimanere per la merenda, vero?".

Lui le cinse la vita, attirandola a se e baciandola sulle labbra. "No, hai fatto bene. In fondo non ho niente da temere, Eleanor è mia per legge ed è mia figlia. Il resto non mi importa e in fondo, se ci imbarchiamo in questa avventura con la Wheal Jared, dovremo averci a che fare".

Demelza sorrise dolcemente. "Ma ci pensi? Quei duecento minatori riavranno il loro posto di lavoro e la loro vita, assieme a quella dei loro cari, è salva. E con te come capo, sicuramente vivranno un ambiente di lavoro notevolmente migliorato rispetto a quando c'era George Warleggan".

Ross si soffermò su quelle parole e sul significato che quell'impresa, grazie a Dorothy, avrebbe comportato per tanta gente. "Sai, mentre lei mi parlava delle azioni che aveva comprato, ho pensato a una cosa che mi hai detto un pò di tempo fa".

"A cosa?".

"A quando mi hai detto che nel tuo cuore hai sempre pensato che Eleanor sia nata per un motivo ben preciso e non per caso".

Demelza si accigliò. "Che c'entra la nascita di Ellie con la Wheal Jared?".

Ross le sorrise dolcemente, rendendosi conto che ora aveva tutte le risposte che a lungo aveva cercato. "Se Eleanor non fosse esistita, Elizabeth sarebbe comunque morta, George avrebbe chiuso in qualunque caso la miniera, ma Dorothy non avrebbe mai comprato quelle azioni per poi donarle a noi e tutte quelle persone sarebbero morte di fame o carestia. Nascendo, quella bambina ha donato a duecento minatori una nuova vita e una nuova opportunità. Sai, io credo che Dio a volte abbia dei fini nascosti che persegue attraverso strade tortuose e incomprensibili. Strade che ci temprano, che ci mettono alla prova, che ci fanno cadere ma che poi ci aiutano a rialzarci più forti e saggi di prima. Ellie non ha aiutato solo duecento minatori ad avere un lavoro ma ha migliorato me, mi ha reso un uomo migliore e ha arricchito la mia vita. Ha messo alla prova te e ne sei uscita più forte di prima e i nostri figli hanno una sorellina in più con cui affrontare la loro vita. Non c'è nulla da recriminare e niente di cui lamentarci, Eleanor è stata un dono e ha portato solo del bene ad ognuno di noi. E io sono orgoglioso di essere suo padre" – concluse, dando un dolce bacio a fior di labbra a sua moglie e poi un bacino sulla fronte a Bella.

Il dolore era alle spalle, così come la sensazione di essere stato tradito. Tutto aveva un fine e Demelza aveva avuto ragione per l'ennesima volta: no, Eleanor non era nata per caso e amandola e accettandola nella sua vita, aveva superato ogni prova che il destino e il cielo avevano avuto in serbo per lui e per ognuno di loro. "Ti amo Demelza Poldark".

"E io amo te, Ross Poldark". Lo prese per mano, sorridendogli. "E ora su, andiamo a recuperare i bambini dalla vasca da bagno e facciamo gli onori di casa con la nostra ospite che, se continuiamo a rimanere rintanati quì, si sentirà abbandonata".

Ross rise. E docilmente la seguì.


...


Era stata una bella giornata e il compleanno di Eleanor, festeggiato in maniera semplice coi bambini e con Dorothy e Prudie, era stato gioioso e spensierato.

Quando Dorothy se n'era andata, Ross aveva deciso di fare una passeggiata fino alla Wheal Jared e Ellie aveva insistito per andare con lui.

Il sole iniziava a tramontare e un cielo rosso fuoco accompagnava la loro camminata a ridosso delle scogliere.

"Ti piacciono i coniglietti nuovi?" - disse Ross, tenendola per mano.

"Sì. Sai papà che Timmy e Tippy hanno fatto nascere i conigliettini piccoli?".

Ross sospirò. Timmy e Tippy erano due dei conigli portati da Illugan e sfornavano un numero impressionante di cuccioli. "Di nuovo?".

"Sì, cinque! Come noi" – rispose Ellie.

Ross rise, era evidente che non sapeva ancora contare. "Voi siete in quattro, Ellie".

La bimba lo guardò, seria. "Adesso! Ma poi diventiamo cinque".

Ross sbiancò, iniziando a temere che forse c'era qualcosa che Demelza non gli aveva ancora detto... Santo cielo, non era possibile, Bella era nata solo da tre mesi! "Come mai diventate cinque?" - chiese, col terrore nel cuore.

Ellie ci pensò su. "Quando poi nella pancia di mamma cresce un altro bimbo, poi nasce e noi siamo in cinque".

Ok, niente panico, doveva soffermarsi sulla parola POI. Ellie, aveva deciso, era stata mandata dal destino e forse aveva un sesto senso che prevedeva le cose MOLTO future. Un futuro lontano, ecco... "Ma adesso non c'è nessuno nella pancia di mamma, vero?".

"No, adesso no! Ma dopo sì".

Ross sospirò, sollevato. "Ok, ma mi raccomando, non dirlo alla mamma! Sarà il nostro segreto o mi ritroverò a dormire in cantina".

Ellie fece per replicare ma Ross si fermò improvvisamente, ammirando ciò che il suo sguardo aveva incontrato. Erano arrivati! Prese in braccio Ellie e, orgoglioso, gli mostro la Wheal Jared che, a pochi metri da loro, era pronta a riprendere vita. "Guarda tesoro, quella è la nostra nuova miniera".

Ellie, stupita, fissò l'ingresso. "Grande".

"Molto grande" – le rispose, sedendosi su un grosso masso e mettendosela sulle ginocchia. La guardò, era incantevole. Demelza le aveva messo un abitino rosa e un nastro del medesimo colore fra i capelli e i suoi lunghi boccoli biondi ora si muovevano nella brezza della sera, mentre il sole del tramonto donava loro tonalità color pastello. "La vuoi sentire una storia?".

"Sì".

Ross la baciò sulla nuca. "C'erano una volta due contadini, un uomo e una donna, che avevano molti figli, pochi soldi e tanti problemi. Vivevano in un posto povero dove vivevano solo persone povere, litigavano sempre e non riuscivano a parlarsi e a capirsi, a causa dei loro problemi. Anche se si volevano bene, erano sempre arrabbiati e tristi, distanti... Un giorno, nel bosco, trovarono una neonata piccola piccola che non sapevano da dove venisse e siccome non potevano lasciarla lì da sola, decisero di portarla a casa. Era incredibile e non capivano il perché una bambina sola fosse nel bosco. Non erano felici di averla trovata, erano troppo poveri e avevano troppi problemi e una bambina in più da sfamare era un grosso guaio.

Litigarono tanto a causa di questo e di tante altre cose ma però, siccome avevano il cuore d'oro, si presero comunque cura della bambina che crebbe assieme ai loro altri figli. Tanto che, alla fine, era una diventata anche lei la loro bambina.

E un giorno, la loro bontà venne premiata. Alla loro povera porta bussò una fata che gli disse che la bambina che avevano trovato era magica, che arrivava dal mondo delle fate e che, visto che l'avevano amata e se ne erano presi cura, sarebbero stati ricompensati. I due contadini furono sommersi da monete d'oro, talmente tante da non riuscire a contarle. E capirono così che quella bimba non era arrivata per caso ma cercava proprio loro per metterli alla prova ed aiutarli. Divennero ricchi e regalarono il denaro in più ai loro vicini che, così, poterono vivere una vita serena. Tutto grazie a una bambina che non era arrivata per caso e che aveva insegnato loro che l'amore, quando è sincero, vince su tutto. Smisero di litigare, smisero di avere problemi e vissero per sempre felici e contenti tutti quanti".

Ellie lo aveva ascoltato in silenzio, muovendo le gambette nell'aria. "E la bambina?" - chiese.

Ross le sorrise, stringendola fra le sue braccia e baciandola sulla fronte. "Beh, la bambina trovò nei contadini una vera mamma e un vero papà. E, circondata dall'amore della sua famiglia e da tanti fratelli, visse per sempre felice e amata".



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