Another life di lady lina 77 (/viewuser.php?uid=18117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitre ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinove ***
Capitolo 30: *** Capitolo trenta ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentuno ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentadue ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattro ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentotto ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentanove ***
Capitolo 40: *** Capitolo quaranta ***
Capitolo 41: *** Capitolo quarantuno ***
Capitolo 42: *** Capitolo quarantadue ***
Capitolo 43: *** Capitolo quarantatre ***
Capitolo 44: *** Capitolo quarantaquattro ***
Capitolo 45: *** Capitolo quarantacinque ***
Capitolo 46: *** Capitolo quarantasei ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Le
sue mani erano gentili, esperte, non era la prima donna che aveva
amato e questo Demelza lo intuì subito, non era
così ingenua.
Conosceva bene l'arte dell'amore, gliel'aveva insegnata Ross e per
tanti anni aveva creduto che solo con suo marito avrebbe potuto
sperimentare un rapporto intimo completo.
Poi
era arrivato Hugh, affascinante, dolce, gentile e innamorato di
lei... Era incredibile, ma si era innamorato di lei...
C'era
stato un tempo in cui nemmeno davanti al più affascinante
degli
uomini avrebbe ceduto, ma era un tempo lontano quello. Ross non era
più da tanto il suo principe azzurro infallibile, l'aveva
umiliata e
tradita tante volte e in tanti modi differenti, smantellando, mattone
dopo mattone, la fede, la fiducia e l'amore infinito che provava per
lui ed ora stava cedendo a un altro.
Mentre
le mani di Hugh la spogliavano, lì, fra le dune della
spiaggia dove
tante volte era stata con Ross o a portare a passeggio i suoi
bambini, ripensò fugacemente a tutto quello che l'aveva
portata fin
lì. Il comportamento scostante di Ross, il suo tenerla
sempre
lontana da ogni decisione presa, il suo agire come se lei non
esistesse, le sue parole a volte velenose, come quando le intimava di
trovarsi un altro se lui non le andava bene, Elizabeth...
Già,
sempre Elizabeth. E tutte le bugie che Ross le aveva detto che la
riguardavano.
Le
era crollato il mondo addosso poche ore prima quando Prudie le aveva
detto che aveva visto Ross baciarla, e qualcosa si era rotto dentro
di lei. Quella flebile lastra di vetro che teneva insieme il suo
matrimonio dopo il tradimento di alcuni anni prima si era spezzata,
rotta in mille pezzi. Si era sentita stupida, tradita e umiliata. Era
una dannata idiota, come aveva potuto credergli, quando gli aveva
detto che era lei l'amore della sua vita? Come aveva potuto essere
tanto stupida da rimanere a Nampara con Jeremy per due paroline
dolci? Come diavolo gli era venuto in mente di mettere al mondo una
figlia, dopo quell'inferno?
Ross
non l'aveva mai amata e non aveva mai smesso di vedere Elizabeth di
nascosto, probabilmente. E ora quelle sue paure erano
realtà, ne
aveva le prove! Prudie aveva visto un bacio, ma Ross ed Elizabeth
probabilmente nascondevano da anni molto di più. Proprio
sotto ai
suoi occhi e lei era stata stupida e cieca a non accorgersi di nulla.
La
verità, in fondo, non l'aveva sempre avuta davanti? I
comportamenti
scostanti di Ross, le sue parole taglienti, il suo pensare sempre
prima agli altri che a lei, non erano un sintomo sufficiente del
fatto che non l'amava?
Il
suo cuore era spezzato, mentre si concedeva a Hugh. Lo baciò
e si
lasciò baciare e accarezzare in tutto il corpo, lo
aiutò a
togliersi i vestiti, guidò la sua mano ad accarezzarla dove
ne
sentiva necessità e prima di azzittire la sua mente, si
chiese
perché lo stesse facendo.
Hugh
era dolce, gentile e gli aveva fatto una corte serrata e romantica,
l'aveva riempita di attenzioni che per tutta una vita aveva
desiderato da Ross ed era intenerita e rattristata per le sue
precarie condizioni di salute. Pensare che un giovane così
gentile,
educato e promettente stesse diventando cieco, le faceva piangere il
cuore. E voleva regalargli quel poco di felicità che poteva,
resituirgli un momento bello in cambio di quelli che lui aveva dato a
lei, facendola sentire amata.
Lei
non amava Hugh, sapeva di non esserne innamorata. Ma era innamorata
di quei sentimenti che lui rappresentava, puri, appassionati,
romantici e sinceri che sapeva essere utopistici da portare
costantemente avanti in un vero rapporto di coppia che dura anni, ma
era tutto ciò di cui lei aveva bisogno in quel momento.
Voleva
amore, ne era affamata e Hugh era lì a darglielo. Fosse
arrivato
solo il giorno prima, quando ancora non sapeva nulla di Ross ed
Elizabeth, gli avrebbe resistito per amore della sua famiglia. Ma ora
perché resistere, perché lottare, per cosa? Il
suo matrimonio si
basava sulle bugie, l'amore era unilaterale e lei aveva lottato come
una leonessa per cosa? Perché non cedere
all'oblìo, perché non
diventare, solo per quel giorno, quell'altra Demelza di cui aveva
parlato a Ross? Quella senza figli, senza marito...
Fare
l'amore con Hugh aveva un sapore diverso. Il piacere fisico era
innegabile, chiuse gli occhi e cercò di ritrovare le
sensazioni che
viveva con Ross, ma non ci riuscì. Hugh era un amante
esperto,
attento e premuroso, la toccava con la referenza e la delicatezza con
cui si tocca un qualcosa di prezioso, ma non sentiva quel senso di
appartenenza che provava ogni volta che faceva l'amore con Ross.
Tentò
di ricacciare indietro le lacrime, Hugh non lo meritava. Si sarebbe
odiata per quello che stava facendo, non se lo sarebbe perdonata. Ma
era affamata d'amore e Hugh era lì ad offrirglielo, senza
chiedere
nulla in cambio.
Quando
lui entrò dentro di lei, la sua mente si annullò
e per lunghi
istanti fu solo una amante, una donna che si conceceva a un uomo
conosciuto per caso da cui si sentiva attratta, una donna senza un
passato e, anche se non voleva ammetterlo, senza un futuro. Per
lunghi istanti non fu più Demelza di Nampara, sposata con un
uomo
che la tradiva e mamma di due bimbi piccoli, ma solo una donna alla
ricerca di un attimo di amore per se.
Quando
tutto fu finito, mentre il vento impetuoso della Cornovaglia
accarezzava i loro corpi nudi, Hugh fece per abbracciarla a se, ma
lei si irrigidì. "Avete freddo?".
A
Demelza venne da sorridere con amarezza. Avevano appena fatto l'amore
e si davano del 'voi'. Era ironico, a pensarci bene, ma rappresentava
appieno ciò che in fondo erano: due quasi-sconosciuti. Ed
era per
quello che, nonostante tutto, non si era sentita completamente parte
di lui pochi istanti prima, mentre facevano l'amore. Con Ross era
diverso, con Ross provava ogni volta la sensazione di fondersi in
lui, anche dopo tanti anni di matrimonio. "No, non molto".
Hugh
prese la sua giacca che riposava sull'erba a pochi passi da loro,
mettendogliela sulle spalle. "Tenetela addosso o vi prenderete
un malanno".
"Grazie".
Era intenerita dalle sue premure e si accorse di non esserci
abituata. Ross era sempre stato un amante dolce ma difficilmente
stava a far caso a lei, fuori dalla camera da letto. Difficilmente si
era mai chiesto se avesse freddo, se fosse stanca o triste. No,
quelle erano premure che probabilmente riservava ad Elizabeth, a
colei che amava...
Hugh
le accarezzò i capelli e tentò di baciarla sulle
labbra, ma
d'istinto si ritrasse, rendendosi conto che in quel momento non
voleva essere toccata. Si sentiva come una bambola rotta, fragile,
come una barca alla deriva senza un porto sicuro a cui tornare.
L'idea di rientrare a Nampara la atterriva, dopo quando detto a Ross
nel pomeriggio. Nampara era sempre stata la sua casa, il suo mondo,
quello dove credeva avrebbe vissuto tutta la vita assieme al suo
uomo.
E
invece aveva vissuto una frottola e ora lo sapeva. Perché
Ross
avesse tanto insistito, alcuni anni prima, a farla rimanere, per lei
rimaneva un mistero. Avrebbe potuto bloccare il matrimonio fra
Elizabeth e George, annullare il matrimonio con lei in qualche modo e
sposare la donna che amava e invece...
E
invece aveva preferito dare a Elizabeth la ricchezza dei Warleggan
che lui non poteva garantirle, vivere da amante e mantenere il suo
buon nome di rispettabile uomo di buona famiglia, sposato e con
prole.
Meschino,
spregevole...
Mai
avrebbe creduto di arrivare a pensare questo, di Ross...
Hugh
tentò nuovamente di abbracciarla e questa volta lo
lasciò fare,
mentre una lacrima le solcava il viso.
"State
male? Ho fatto qualcosa che...?".
"No
Hugh, non siete voi. Sono io ad essere sbagliata".
Hugh
le sorrise dolcemente. "Io non vedo nulla di sbagliato in voi".
Demelza
scosse la testa. "Ci sono tante cose sbagliate in me e nella mia
vita, credetemi. Non sono così perfetta come pensate,
perché se lo
fossi non sarei quì con voi".
"Amarsi
non è mai un errore, Demelza".
"Sono
una donna sposata. Il mio matrimonio è pessimo ma la cosa
non
cambia, resto la moglie di Ross Poldark e l'ho appena tradito. Ed
è
una cosa che avevo giurato di non fare mai".
Hugh
abbassò lo sguardo, stringendole la mano. "Siete pentita?".
"No.
Ve l'ho detto, non sono così perfetta come sembro".
"Quando
potrò rivedervi?" - le chiese.
"In
questi termini, mai più. Non deve succedere di nuovo. Come
amico,
spero invece di rivedervi presto".
Hugh
incassò il colpo con classe, senza protestare. Lo sapeva
anche lui
che le cose stavano in quei termini. "Vi riaccompagno a casa, si
sta facendo buio".
A
quella proposta, le si contrasse lo stomaco. "Casa?".
"Sì".
Scoppiò
a piangere, non poteva farne a meno. "No, non posso tornare".
Hugh
spalancò gli occhi, sorpreso. "Cosa dite? Non parlerete in
questo modo per colpa mia, vero?".
Scosse
la testa, singhiozzando. "No, non è colpa vostra. Ma fra me
e
Ross ci sono tanti nodi dolorosi che oggi sono giunti al pettine ed
è... un disastro. Devo andarmene".
Hugh
la guardò con l'aria di non capirci molto ed in effetti non
poteva
dargli torto, lui aveva sempre pensato a lei e a Ross come a una
coppia fortunata e perfetta. "Non fate cose avventate... Non per
me...".
"Non
lo faccio per voi, lo faccio per me. Hugh, volete aiutarmi?".
Lui
annuì, un po' confuso. "Cosa volete che faccia?".
Demelza
assunse un'aria decisa, ricacciando indietro le lacrime. "Torniamo
insieme a Nampara a prendere il vostro cavallo e poi...".
"Poi?".
Chiuse
gli occhi, pensando ai suoi bellissimi bambini. Non li avrebbe messi
a letto quella sera e nemmeno le successive. Li avrebbe persi ma non
poteva fare nulla per impedirlo, non sarebbe riuscita a vivere di
nuovo sotto lo stesso tetto con Ross. "Portatemi a Illugan.
Lì
c'è la vecchia casa di mio padre, la sistemerò ed
andrà benissimo
per me, per viverci".
"No!".
Hugh le strinse il polso, deciso. "Illugan è un posto
malsano,
non è luogo per voi".
"Ci
sono nata, ad Illugan. E ci tornerò. Se è vero
che tenete a me,
portatemi, vi prego".
A
malincuore, Hugh dovette arrendersi e annuì. "E Ross?".
"Ross
ha la sua vita da vivere" – tagliò corto.
Hugh
si morse il labbro. Era preoccupato per lei e per gli effetti di
quella decisione, ma per amor suo acconsentì senza fare
ulteriori
domande.
Si
rivestirono e poi le prese la mano. Lo lasciò fare, aveva
bisogno
del suo calore perché in lei sentiva solo gelo e gli echi
dell'amore
di poco prima, della passione, erano già lontani.
Tornarono
verso Nampara che ormai era pomeriggio inoltrato. Prudie era nell'aia
e appena la vide, mano nella mano con Hugh, probabilmente
capì
subito cosa era successo. "Signora...?".
Demelza
non le disse nulla. La sorpassò e con Hugh si diresse alla
stalla, a
quel magnifico cavallo bianco che aveva portato il poeta da lei.
"Signora"
– la inseguì Prudie – "uscite di nuovo?".
"Sì,
esco di nuovo".
"Quando
tornerete?".
Hugh
salì a cavallo e l'aiutò a fare altrettanto. "Da
la cena ai
bambini e mettili a letto" – le disse, in tono piatto, col
cuore che le andava in mille pezzi al pensiero di Jeremy e Clowance.
Ma non poteva fare altrimenti, non poteva trascinarli con se
nell'inferno di povertà che era Illugan.
Prudie
le corse incontro con fare disperato, cercando di afferrare le redini
del cavallo. "Quando tornerete?".
Demelza
non rispose, non ne aveva la forza. Affondò il viso contro
la
schiena di Hugh, gli cinse la vita e gli fece cenno di partire al
galoppo.
E
il poeta ubbidì.
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Il
cavallo procedeva placidamente nella brughiera sferzata dal vento del
pomeriggio.
Demelza
sentiva freddo e le sembrava che fosse la prima volta che le capitava
in vita sua... Si sentiva come in tranche, come se la vita che stava
vivendo in quegli istanti non fosse stata la sua ma che continuasse a
interpretare quell'altra Demelza, la Demelza che era diventata
cedendo alla corte di Hugh. Voleva piangere ma i suoi occhi erano
aridi, voleva gridare la sua rabbia contro se stessa e Ross e invece
non aveva il fiato per dire mezza parola, voleva essere abbracciata e
non sapeva da chi. Cosa ci faceva su quel cavallo, con un uomo che
non era suo marito? Dove stava andando?
Quella
era l'ora della giornata dove svegliava i suoi bimbi dal riposino,
gli preparava la merenda, giocava con loro nell'aia e poi aiutava
Prudie a preparare la cena. Una vita banale forse, ma che aveva
sempre amato tanto. Era sempre stata fiera e orgogliosa di essere la
moglie di Ross, la madre dei suoi bambini... La donna che lui
amava...
Ma
lui non l'amava...
Lui
avrebbe sempre amato Elizabeth...
Pensò
al loro colloquio della mattina, quando lui le aveva ribadito quanto
fosse una bella e speciale persona, Elizabeth... Quanta
insensibilità
in quel commento, verso di lei che aveva dovuto vivere sulla sua
pelle il male che quella donna aveva fatto alla loro famiglia. Ma lui
la difendeva, l'avrebbe sempre difesa anche se sapeva quanto dolore
patisse nel sentirlo parlare di lei a quel modo. Era bella Elizabeth,
perfetta agli occhi di Ross. E lo sarebbe sempre stata.
E
lei sarebbe sempre rimasta la sguattera che aveva sposato per onore e
senza amore.
Pensò
nuovamente alle parole di Prudie, al suo racconto di quando aveva
scoperto Ross ed Elizabeth baciarsi...
Pensò
alla loro lite al porto di poche ore prima...
Pensò
alla sua vita e al fatto che tutto era sempre stato una bugia, un bel
sogno che solo lei aveva vissuto. Non Ross! Ross sognava altro...
Guardò
la schiena di Hugh, affondò il viso in essa e si chiese cosa
ci
vedesse di tanto bello in lei, lui che poteva ambire alle donne
più
belle e ricche della Cornovaglia e forse dell'intera Inghilterra. Era
più esile di suo marito, più delicato nel viso e
nei lineamenti,
dolce, gentile, un amante tenero e sicuramente esperto ma molto
diverso da Ross nell'intimità. Ross era fuoco e passione,
Hugh era
gentilezza e romanticismo. Era stato un momento bello fra le dune,
con lui, l'unico momento della giornata in cui qualcuno era stato
gentile con lei.
"Siete
sicura di quello che fate?".
La
voce di Hugh spezzò il silenzio e Demelza fu costretta ad
alzare lo
sguardo. "Sì, lo sono".
La
mano del giovane le sfiorò le dita. "Volete dirmi cosa
è
successo? Sapete, sono bravo anche ad ascoltare e vorrei cercare di
aiutarvi. Non mi piace la destinazione del nostro viaggio e Illugan
non è posto per voi, Demelza".
"Al
momento non ho altri luoghi dove stare".
Hugh
fermò il cavallo, saltò giù e la
costrinse a fare altrettanto.
"Ditemi cosa c'è, ditemi se davvero non è a causa
mia".
Stranita
da quella interruzione, Demelza sentì il calore delle
lacrime fin lì
represse, rigarle il viso. Si coprì gli occhi con le mani,
vergognosa come se fosse stata una bambina. "Non è colpa
vostra, ve l'ho detto. Se voi non foste venuto oggi, me ne sarei
andata comunque".
"Demelza,
non piangete". Con la mano le sfiorò il viso, asciugandole
le
lacrime dalle guance. "Fate un respiro profondo, cercate di
calmarvi e se vorrete parlarmi di cosa vi affligge, io sarò
felice
di ascoltarvi. A volte parlarne serve a far sembrare più
piccoli i
problemi".
Demelza
scosse la testa, era così difficile dire ad alta voce il
motivo che
la faceva soffrire così tanto. E allo stesso tempo aveva
paura di
ferire Hugh, che avrebbe potuto pensare di essere stato un ripiego in
quella giornata tanto terribile per lei. Ma Hugh non era stato un
ripiego, non era stato una vendetta... Hugh era stato un raggio di
sole, una scintilla venuta ad illuminare il buio che la circondava.
"Non c'è molto da dire eccetto che sono sposata con un uomo
che
ama un'altra. E' tutta banalmente qui, la mia storia... Ci ho
tentato, sapete, di far funzionare il mio matrimonio... Ma oggi ho
scoperto e capito che non c'è lotta da portare avanti, lui
non mi
amerà mai e sarò sempre e solo un ripiego".
Hugh
spalancò gli occhi a quella affermazione, incredulo come se
avesse
appena sentito un'eresìa. "Ross non vi ama? State
scherzando,
vero?".
"Vi
sembro una che ha voglia di scherzare?".
"No...".
Hugh abbassò lo sguardo, quasi fosse in imbarazzo,
dimostrando
appieno la sua giovane età e l'incapacità di
affrontare argomenti
così adulti. "E' che mi sembra impossibile non amarvi. Siete
bellissima, intelligente, avete uno sguardo luminoso, siete gentile e
avete un sorriso meraviglioso. E Ross non vi ama!? Come puo'...?".
Demelza
si intenerì a quelle parole che sapeva essere sincere e non
un atto
di adulazione. Hugh l'amava di quell'amore romantico da romanzo,
forse utopistico ma che faceva bene al cuore. "Lui mi ha sposata
per dovere, non mi amava. Amava Elizabeth, la donna che ora
è
sposata con George Warleggan. Era il suo primo amore, quello che
sognava da giovane, quando aveva la vostra età. E io non
posso
competere con lei, col sogno che rappresenta per Ross, con la sua
bellezza, coi suoi modi di fare aristocratici, con...".
Hugh
le posò l'indice sulle labbra. "Elizabeth Warleggan? Scusate
la
franchezza, Demelza, ma vostro marito deve avere più
problemi di
vista di me. Bella, senza dubbio una splendida bambolina da mostrare
in pubblico ma...".
"Ma?".
Il
ragazzo alzò le spalle, sorridendole timidamente. "Ma io
sono
un poeta, difficilmente mi sfugge alla vista qualcosa di bello che sa
emozionare. E' successo così con voi ma onestamente questa
Elizabeth... nemmeno me la ricordavo finché l'avete nominata
poco
fa. Mi da l'impressione di qualcosa di freddo, di ghiaccio, qualcosa
che non riesce a scaldare il cuore, non mi è rimasta
impressa".
"Ma
a Ross sì...". Demelza sorrise tristemente. "Ross la ama e
la sogna da sempre e per lui è sempre stato un tormento non
poterla
avere, soprattutto ora che è sposata col suo peggior nemico.
Hanno
una relazione da anni, probabilmente. Credevo l'avesse dimenticata,
oggi ho scoperto che non è così e che hanno
continuato a vedersi
alle mie spalle. Gli avevo creduto, pensavo fosse sincero quando mi
ha detto che era me che amava e invece... Sono solo una stupida
idiota, un'ingenua che continua a credere nell'amore. Non posso, non
voglio tornare a casa, non riesco nemmeno a pensare di guardarlo in
viso, come potrei vivere sotto lo stesso tetto con lui?".
Hugh
sospirò, a corto di parole. "Ne siete certa? Della sua
relazione con Elizabeth, intendo... Ross non vedeva l'ora di tornare
da voi, quando venne in Francia per salvare Dwight e mi è
sempre
sembrato molto affezionato".
Demelza
scosse la testa. "Sono solo la sua sguattera, non ho mai smesso
di esserlo ai suoi occhi. Non sarò mai meritevole di lui,
non varrò
mai quanto Elizabeth".
A
sorpresa Hugh l'abbracciò, tenendola stretta a se. Le
accarezzò la
schiena, i capelli, la strinse a se come aveva fatto poco prima fra
le dune della spiaggia. "Va bene, non vi chiederò
più niente,
sapete quello che fate e so che vi deve costare molto. Ma lasciate
che vi dica una cosa: se Ross ha permesso che voi pensaste questo di
voi stessa, allora non vi merita. Se non ha compreso il vostro
valore, se ha ferito il vostro amore e vi ha indotto a pensare di non
essere abbastanza per lui, allora vale molto meno di quanto pensassi,
come uomo. Chi tradisce la propria moglie, la madre dei suoi figli...
non merita che si perda tempo a versare lacrime per lui".
Al
sentir parlare dei suoi bambini, Demelza singhiozzò. "I miei
bimbi sono la cosa più bella che ho. Ma non posso tenerli
con me,
non avrei niente da offrir loro e Nampara è un posto
più adatto per
crescere al sicuro, per Jeremy e Clowance. Ross avrà cura di
loro,
lo so... E io ho lasciato la mia casa e così facendo, che
speranze
avrei di poterli riavere con me? Andandomene, ho perso ogni diritto
sui miei figli".
"Le
cose si sistemeranno prima o poi, coi bambini. So che lotterete per
loro, ne sono certo".
Le
parole di Hugh le infusero un po' di coraggio. Osservò il
cavallo
bianco del ragazzo, bello e delicato nell'aspetto come lui.
"Proseguiamo? Illugan è lontana".
Hugh,
poco convinto, annuì.
Salirono
a cavallo e a spron battuto, senza mai fermarsi, galopparono verso la
terra natale di Demelza.
Quando
giunsero a destinazione, era quasi buio. Hugh si guardò
attorno,
notando subito la povertà del luogo. Le baracche in legno
parevano
essere l'unico tipo di abitazione che gli abitanti di quel posto
rurale e dimenticato da Dio potevano permettersi, i viali erano
sterrati e pieni di polvere e povere famiglie di minatori
accompagnati da una miriade di bambini scalzi e vestiti di stracci si
trascinavano a casa dopo una giornata di duro lavoro.
Demelza
sentì una fitta al cuore. Anche lei, tanti anni prima, era
stata
come quei bambini senza futuro. Prima di conoscere Ross era
esattamente come loro, con lo stomaco vuoto e con gli abiti
rattoppati e lisi, incapaci di scaldare chi li indossava durante
l'inverno. Quella era stata la sua vita, una vita che non credeva di
dover rivivere e invece sarebbe stata il suo futuro... Pensò
a
Clowance e Jeremy e fu felice della scelta fatta. Non poteva
trascinarli in quel luogo, in quell'inferno... Era la loro madre e
per il loro bene avrebbe rinunciato a loro, se necessario.
Hugh
le sfiorò le dita della mano. "Io non vi posso lasciare
quì, è
orribile...".
"Starò
bene, ci son nata in questo posto e ne conosco le regole" –
tentò di rassicurarlo.
Hugh
scese da cavallo e si lasciò accompagnare da lei in quella
che era
la sua casa natale. "Venite a casa mia, state da me se davvero
non volete tornare a Nampara! Ma vi prego, non posso pensare di
lasciarvi qui".
Demelza
sorrise dolcemente e lo prese per mano, come aveva fatto poche ore
prima in spiaggia. Non le importava che qualcuno li vedesse, non le
importava più di niente, voleva solo sentirlo vicino e
scacciare con
lui la paura dell'ignoto che la attendeva. "Hugh, siete gentile
ma non posso. Sono e rimango una donna sposata e venire da voi
significherebbe far scoppiare uno scandalo. Non è il caso,
non posso
fare questo a Ross e non posso farlo ai miei figli. Starò
bene quì,
ve lo assicuro".
Hugh
parve poco convinto. "Solo una notte, poi magari domani
penseremo ad altre soluzioni. Vi prego, Demelza...".
Demelza
strinse le dita della sua mano, intrecciata a quella del giovane.
C'era una cosa che voleva chiedergli da quel pomeriggio. "Potete...
possiamo farci un favore?".
"Certo".
"Diamoci
del tu, se non è un problema. E' assurdo essere
così formali ed è
difficile...".
Hugh,
a quella proposta, parve felicemente sorpreso. "Davvero? Lo
desiderate sul serio?".
"Sì,
lo desidero" – rispose, divertita nel vederlo così
eccitato
per qualcosa di tanto banale per lei. "Bene Hugh... Ora possiamo
dimenticarci i formalismi, quindi?".
"Certo,
Demelza".
Si
guardarono negli occhi, si sorrisero e ripresero a camminare.
Giunsero in quel momento davanti a una baracca abbandonata, malmessa,
mentre dei minatori di passaggio li osservavano in cagnesco. Demelza
la guardò. Era cadente, col tetto completamente sfondato, i
vetri
rotti e la porta distrutta in mille pezzi. Ricordò la sua
infanzia
fatta di botte, di privazioni, ricordò confusamente le
lacrime che
spesso rigavano il viso di sua madre, i suoi fratellini sempre
vestiti di stracci e la stanchezza sua principale compagna
d'infanzia. Un velo di polvere e di degrado pareva aver cancellato
ogni traccia di vita da quel posto. "Io sono nata quì".
Il
poeta guardò disgustato quel posto orribile, desolato e
povero. "E
quì NON tornerai! Demelza, non hai nemmeno un tetto sulla
testa,
questa casa cade a pezzi".
"Da
piccola dormivo spesso nei campi, quando avevo troppa paura di
tornare a casa da mio padre, sono abituata alla miseria e al nulla"
– rispose, con poca convinzione.
Hugh
finse di non sentirla. La riprese per mano e la trascinò
via, fino
al cavallo, stavolta con fare deciso e possessivo. "Non posso
costringerti a venire con me ma insieme possiamo trovare una
soluzione migliore di questa. Quì non ti lascio!".
Demelza
fece per obiettare ma Hugh la prese per la vita e la mise sul
cavallo, costringendola a ubbidire. "Ma...".
"Niente
ma, si va via!" - rispose il giovane, salendo sul cavallo e
partendo al galoppo.
Demelza
fu costretta a stringergli la vita per non cadere e ad abbandonarsi a
lui. Percorsero le lande desolate di Illugan, superarono diverse
baracche e tanti, troppi minatori affamati, fino a giungere a un
bosco che costeggiava quelle terre, attraversato da un torrente. E a
quel punto, le venne in mente un posto che da piccola adorava. "Hugh,
segui il corso del torrente, so dove potrei andare" – disse,
eccitata da quell'improvvisa idea.
Hugh
si voltò, incuriosito. Poi senza dire nulla, fece come gli
era stato
chiesto. Diversi minuti dopo giunsero davanti a un piccolo mulino
isolato, a pochi passi dal ruscello. Era abbandonato come la sua
casa natale da molti anni ma era in uno stato migliore. Spesso da
piccola era arrivata fin lì spinta dalla paura delle botte
di suo
padre, ci si era rifugiata e aveva passato la notte rannicchiata su
se stessa, singhiozzando. Quel posto le aveva sempre dato sicurezza,
era stato il suo rifugio, un luogo tutto suo dove poteva giocare con
i pesci nell'acqua e immaginare di essere una principessa in un
castello, come tutte le bambine della sua età.
Scese
da cavallo col cuore in tumulto, erano anni, tanti anni che non
tornava lì. "Hugh, qui andrà benissimo".
Il
poeta si guardò attorno. "E' un luogo incantevole,
circondato
dalla natura. Il posto ideale per l'ispirazione di un poeta o di un
pittore".
"Vero".
Demelza guardò quegli alberi, il piccolo mulino abbandonato,
gli
uccelli che volavano fra le fronde... Era rimasto tutto uguale ad
allora, solo il ruscello, il mulino e i rumori sommessi del bosco...
"Qui ti farebbe stare tranquillo?".
Hugh
sospirò. "Prima di risponderti, vediamo com'è
dentro questo
mulino?".
Entrarono
nella porta malmessa e constatarono che, a parte la polvere, le
pareti in pietra erano ben messe e anche il tetto pareva robusto. Era
un luogo minuscolo, composto di due piccole stanze, i vetri erano
sporchi, così come il pavimento. Ma c'era un camino e con un
po' di
pulizia ne sarebbe uscito un luogo accogliente.
"Ti
piace?" - chiese Demelza.
"Mi
piacerà... un giorno".
La
donna sorrise, avvicinandosi a lui. Lo abbracciò, non sapeva
in che
altro modo ringraziarlo per quanto aveva fatto per lei in quella
giornata terribile. "Hugh, non so cosa dire per
ringraziarti...".
Hugh
le prese le mani, gliele baciò e la strinse a se. "Dimmi
solo
che non lo hai fatto per rabbia, per vendetta...".
Demelza
si intenerì a quelle parole, capiva le sue paure e ne
comprendeva il
fondamento, dopo quanto gli aveva raccontato su lei e Ross. Provava
affetto per Hugh... Amore... Un amore diverso da quello che provava e
che sempre avrebbe provato per suo marito, un amore più
puro,
delicato, un amore vicinissimo all'amicizia ma un gradino
più in su
di quest'ultima. "Non ti avrei mai fatto una cosa del genere.
Non sei stato una vendetta, sei stato il mio raggio di sole in una
giornata orribile. E io ringrazio il cielo di averti conosciuto e di
averti avuto vicino oggi. Non potrò mai essere la donna del
tuo
cuore, quella delle tue poesie. Ma sono stata felice di esserlo in
spiaggia, in quel momento. Eravamo solo noi, non esisteva
nient'altro. E io avevo bisogno di te e ci sei stato...".
Hugh
annuì, baciandole la fronte. "So che ai tuoi occhi non
sarò
mai come Ross e so che nella vita solo una persona puo' essere
l'anima gemella di un'altra. E so che per te quella persona non sono
io ma è Ross, nonostante tutto. Ma sono io a doverti
ringraziare,
per avermi fatto spazio nel tuo cuore, anche per poco, oggi. Ero io
ad avere bisogno di te, molto più di quanto tu ne avessi di
me".
"Avevamo
bisogno l'uno dell'altra, Hugh".
Il
ragazzo le sorrise, prendendole la mano nella sua. Si guardarono
attorno e poi la strinse a se. "Domani manderò
quì dei miei
lavoranti, ti aiuteranno a sistemare questo posto. Per questa notte,
resterò quì con te e su questo non transigo. Non
ti lascio sola".
"Hugh,
non puoi" – rispose Demelza, in allarme. Lui DOVEVA tornare a
casa...
"Ti
prego".
La
donna sospirò, mordendosi il labbro. Come poteva impedirgli
di
restare? E in fondo, non era quello che lei stessa voleva? Non
desiderava stare sola... "Non hai obblighi".
"Ma
voglio averne" – rispose lui, a tono.
Demelza
non disse nulla, lo prese per mano e si sedettero abbracciati su un
pagliericcio malmesso, l'unico letto disponibile. Fu grata a Hugh per
il suo comportamento. Non tentò di baciarla, non
tentò di
sedurla...
Rimase
semplicemente accanto a lei quella notte, in silenzio, tenendola fra
le braccia e ascoltando in silenzio il suo pianto sommesso. La
amò
di quell'amore pulito che lei sentiva di provare per lui, quell'amore
che non ha nulla da chiedere o pretendere. Non fu necessario
respingerlo, non fu necessario spiegare nulla, Hugh sapeva di cosa
lei avesse bisogno.
La
tenne accanto a se, aiutandola a non sprofodare
nell'oscurità di
quella notte che poteva essere la peggiore della sua vita: la prima
notte lontana da Nampara.
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Ross
galoppò come un forsennato per tornare a casa in fretta.
Erano ore,
dal suo colloquio con Demelza al porto, che una morsa dolorosa gli
attanagliava lo stomaco e sentiva l'urgenza di parlare con lei.
Un
sordo senso di terrore impermeava ogni fibra del suo essere e per la
prima volta in vita sua si trovò ad avere davvero paura.
Non
aveva mai visto sua moglie in quello stato, con quello sguardo quasi
trasfigurato dal dolore. Nemmeno quando l'aveva tradita con Elizabeth
gli era apparsa così sconvolta. Allora era arrabbiata,
furente, lo
aveva atterrato con un colpo da maestro a metà strada fra
uno
schiaffo e un pugno, mentre adesso era diversa, delusa e pareva
essersi arresa.
Era
incredibile che fra loro fosse successo di nuovo, che ancora il loro
matrimonio rischiasse di naufragare e proprio in un momento per lui
sereno, quando ormai i fantasmi del passato erano scomparsi e Demelza
era senza più ombra di dubbio il suo vero amore.
Perché
era stato tanto idiota da non parlarle dell'incontro al cimitero con
Elizabeth? Perché per due volte le aveva mentito, quando gli
aveva
chiesto spiegazioni? Perché aveva permesso che lo sapesse da
terzi,
arrivando ovviamente a pensare al peggio?
Poteva
pure ritenersi offeso dal fatto che pensasse male di lui e del suo
rapporto con il suo primo amore, ma sapeva che non era nella
posizione per farlo. Sapere di quel bacio fra lui ed Elizabeth, un
bacio d'addio per ciò che erano stati e una richiesta di
scuse per
come si era comportato, doveva averle fatto crollare il mondo addosso
e i suoi silenzi a riguardo dovevano averla portata alla conclusione
più ovvia: lui ed Elizabeth avevano una relazione
clandestina.
Nulla
di più falso, ma questo Demelza non poteva saperlo...
Doveva
correre a casa e parlarle, subito! Aveva perso fin troppo tempo in
quegli scontri, tempo che poteva usare per inseguirla e spiegarle,
sperando non fosse troppo tardi.
Ricordò
le sue parole, non urlate, non dette in preda alla disperazione. Era
una rabbia fredda quella che aveva scorto in Demelza, piena di
risentimento e delusione.
"Tieniteli
i tuoi segreti Ross, tieniteli tutti. E io mi terrò i miei".
Aveva quasi
paura a pensare al
significato di quelle parole ma un terrore sordo sembrava
sussurrargli che Demelza si era arresa, che gli aveva detto di
viversi la sua vita come voleva e che lei avrebbe fatto altrettanto.
Non era più importante la sincerità fra loro,
quelle promesse a cui
lei aveva tenuto fede mentre lui non lo aveva fatto, Demelza non gli
avrebbe più chiesto nulla, non avrebbe più
né preteso né voluto
niente da lui. E questo gli faceva male come mai nient'altro nella
sua vita.
Doveva
raggiungerla, parlarle,
spiegare e chiedere scusa per i suoi silenzi e per quelle risposte
infelici che le aveva riservato nelle ultime settimane. Stanchezza,
preoccupazioni e tanti pensieri nella testa avevano finito per
allontanarli di nuovo e lui, idiota come sempre, l'aveva estromessa
di nuovo dalla sua vita. Le aveva intimato più volte che se
lui non
era quello che lei desiderava, poteva cercarsi qualcun'altro e ora si
malediva per quelle parole. Che gli era saltato in mente? Se mai
avesse visto Demelza accanto a un altro uomo, sarebbe impazzito dal
dolore!
Perché
quando c'erano
problemi e tempeste, era con lei che se la prendeva?
Non era
forse sua moglie, la
donna che amava e la madre dei suoi figli? Perché doveva
ricadere
SEMPRE negli stessi errori?
Già
una volta l'aveva fermata
sull'uscio di casa, pronta ad andarsene. E ora aveva la dannata
sensazione che una seconda chances non gli sarebbe stata data...
Eppure non
poteva andarsene,
lei non avrebbe mai abbandonato i suoi bambini... E se invece li
avesse presi con se, portandoli via?
Appena
arrivò, lasciò il
cavallo nella stalla e corse in casa.
Tutto era
buio e silenzioso
quando aprì la porta e sembrava esserci solo Prudie. La
serva stava
riversa sul tavolo, con diversi bicchieri vuoti davanti a se,
completamente ubriaca. Ross si accigliò ed entrò
in panico, era da
tanto che non la vedeva così, non si era ubriacata nemmeno
quando
Jud se n'era andato, anzi... "Dov'è Demelza?".
La donna
alzò gli occhi su di
lui e si accorse che erano velati di lacrime. "Fuori".
"Fuori
dove?".
"No lo so,
non l'ha
detto".
"Da sola?"
- le
chiese, con terrore.
Prudie
impallidì. "Con
un visitatore...".
Un
visitatore... Demelza se
n'era andata con un visitatore... E la sua mente, senza bisogno di
chiedere conferme, sapeva di chi si trattava. Sentì un nodo
alla
gola, il corrodere della disperazione nelle sue vene e un sentimento
di impotenza a cui non sapeva far fronte. "Tornerà?".
"Sì,
credo. Non l'ha
detto...".
"Dove sono
i bambini?".
"Di sopra,
dormono".
Già,
che stupido, cosa lo
chiedeva a fare?! Se Demelza era con Hugh, i bambini sarebbero stati
di troppo...
Dov'era
andata? Cosa stava
facendo? Santo cielo, sarebbe impazzito a furia di chiederselo. Non
poteva stare in casa ad aspettare senza far nulla, doveva tornar
fuori a cercarla, trovarla e riportarla a casa da lui e dai loro
figli.
Uscì
fuori, il vento era
violento, furioso come il suo animo. Il cielo si stava scurendo e a
breve sarebbe iniziato a piovere. A grandi falcate si avviò
verso la
spiaggia, un posto che Demelza amava e dove spesso si recava quando
aveva qualcosa su cui rimuginare. Non aveva idea di cosa stesse
facendo e aveva il terrore di trovarla fra le braccia di Hugh
Armitage, ma non poteva essere tanto codardo da nascondere la testa
sotto il cuscino.
Eppure no,
non poteva essere,
lei non lo avrebbe mai tradito... Demelza era migliore di lui, immune
a questo genere di errori, era la sua donna, una donna che lo
venerava e che viveva per lui. Lo aveva perdonato molte volte e il
suo amore non era mai venuto meno nemmeno davanti ai mille errori che
lui aveva commesso. Anche questa volta sarebbe stato così,
sarebbe
bastato spiegarle, chiederle scusa e tutto sarebbe tornato come
prima. Anche perché poi, in fondo, lui non aveva fatto nulla
di
male. Non le aveva parlato dell'incontro con Elizabeth per non
preoccuparla e ferirla, non per nasconderle chissà che...
Arrivò
in spiaggia, il vento
gli sferzava il viso e il mare era in tempesta. Si guardò
attorno ma
tutto era muto, deserto ed immobile. Lei non c'era...
"Dove
sei...? Dannazione
Armitage, dove la stai portando?".
Sentiva la
rabbia scorrergli
dentro... Si sentiva impotente e stupido per non essere intervenuto
subito, appena iniziato quello strambo corteggiamento di Hugh a sua
moglie. Invece aveva minimizzato e aveva permesso a quel ragazzo di
entrare nelle grazie di Demelza, di insinuarsi nel suo cuore e di
sconvolgere la loro vita. Faceva ancora male pensare a lei che
cantava per Hugh come aveva fatto tanti anni prima per lui, nel loro primo
Natale da sposati. Faceva male ricordare come lo aveva guardato, con
lo stesso sguardo pieno d'amore che una volta aveva per lui... Solo
per lui...
Ross sapeva
di aver sbagliato
molto e sapeva che tutto quell'amore che Demelza aveva provato sempre
per lui era stato scalfito dai suoi mille errori. Ma mai, MAI avrebbe
pensato di poterla perdere.
Passeggiò
in spiaggia, in una
inutile ricerca. Finché non vide stagliarsi, a sorpresa, la
figura
di George Warleggan.
In una
giornata tanto
terribile, era l'ultimo uomo che voleva vedere! Che diavolo ci faceva
nella sua spiaggia?
Il suo
rivale, pallido in viso
come non l'aveva mai visto, si voltò verso di lui. "Ross,
che
piacere! Devo ringraziarti per aver difeso i miei possedimenti oggi".
Ross
strinse i pugni davanti a
quell'ennesima provocazione, lo avrebbe volentieri picchiato ma quel
giorno si sentiva senza forze e aveva l'impressione che pure per
George fosse così e che il suo tentativo patetico di
stuzzicarlo
derivasse dal bisogno di sfogarsi per qualcosa. "Se lo credi
tu...".
George
sorrise, sempre più
pallido. Pareva sofferente... "Oh, lo credo, hai lavorato tuo
malgrado per me e lo trovo divertente".
Ross scosse
la testa, si
sentiva così idiota per essersi fatto fregare da lui. "E in
cos'altro credi, George?" - chiese, senza forze per
controbatterlo. Era la conversazione più stupida che avesse
mai
sostenuto nella sua vita...
"Credo e so
che presto
avrò un seggio in parlamento, che i miei guadagni
aumenteranno e io
diverrò una persona importante a Londra. Credo di avere una
moglie
incantevole e un figlio bello e sano. E tu in cosa credi, Ross?".
A quella
domanda, scosse la
testa. Erano poche le sue certezze e in quella giornata terribile le
aveva perse tutte. Demelza era la sua casa, l'unico legame davvero
autentico che per lui significava 'vita' e se n'era andata
probabilmente. Aveva sempre dato per scontato che non sarebbe mai
successo e invece, come un dannato idiota, aveva tralasciato il fatto
che era per lei che doveva combattere, prima di tutto. "Credo
che credere sia una gran bella cosa..." - rispose con tutta
sincerità, con tantissima amarezza nella voce. Poteva
sembrare una
provocazione quella risposta perché in fondo sapeva che
ciò in cui
credeva George era per la maggior parte fasullo, ma non aveva voglia
di farlo impazzire e ancor meno di mettere nei guai Elizabeth ed il
piccolo Valentine. In fondo, quella risposta impertinente era rivolta
a se stesso, più che a George...
Vide George
impallidire e non
aggiunse altro, non ne aveva voglia, non ne aveva le forze.
Voltò le
spalle al suo nemico, sentendosi svuotato. E se ne andò con
gli
occhi che luccicavano e con un macigno nel cuore. Era inutile
continuare a cercare, lei non si sarebbe fatta trovare.
Tornò
a casa che era ormai
buio. Vide Prudie che dormiva il sonno degli ubriachi, riversa sul
tavolo. Ed era una visione desolante che lo riportava a quando, solo
e ferito nel corpo e nello spirito, era tornato dalla guerra in
Virginia.
Salì
al piano di sopra, nella
stanza dei suoi bambini. Dormivano nello stesso lettino,
probabilmente avevano pianto per l'assenza della mamma e Prudie li
aveva messi a letto insieme per tranquillizzarli. Accarezzò
i loro
capelli, quelli castani di Jeremy e quelli biondi della piccola
Clowance. "Mi dispiace..." - sussurrò loro, mentre le
lacrime gli rigavano il viso. Aveva rovinato tutto, il suo matrimonio
e la sua vita. E soprattutto le vite dei suoi due bimbi che forse, a
causa sua, sarebbero cresciuti senza mamma... Una mamma che ora,
probabilmente, era fra le braccia di un altro uomo.
Si
trascinò fino alla camera
da letto, si buttò sulle coperte e rimase a fissare il
soffitto
senza muoversi, senza togliersi gli abiti, quasi senza respirare.
E per la
prima volta capì
cosa doveva aver provato lei quando, anni prima, l'aveva tradita con
Elizabeth e lui aveva passato la notte a Trenwith.
Ora che
lei, per la prima
volta da quando la conosceva, non era con lui, poteva finalmente
vedere con chiarezza tutta l'amarezza, la disperazione, il dolore di
chi ha perso la persona amata, la paura per le incognite del futuro e
il vuoto di uno strappo che mai avrebbe voluto e che si è
costretti
a subire.
Avrebbe
voluto averla vicina,
parlare con lei, ridere con lei, stringerla fra le braccia, fare
l'amore e poi addormentarsi con sua moglie appoggiata al suo petto.
E invece
era solo...
Tentò
di dormire ma fu
inutile.
E quella fu
la notte più
lunga della sua vita...
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
"Papà?".
Ross
aprì gli occhi di scatto. Si era appisolato qualche minuto,
dopo una
notte completamente insonne, e ora avrebbe continuato volentieri a
rimanere immerso nell'incoscienza, se non fosse stato per la voce del
figlio che lo chiamava. Con la mano tastò il letto alla
ricerca di
Demelza, sperando ingenuamente che fosse tornata, ma lo
trovò
desolatamente vuoto. Quindi si voltò verso il bambino.
Jeremy
stava accanto al letto, con indosso ancora la camicina da notte
bianca che gli doveva aver messo Prudie. "Papà?" -
ripeté
– "dov'è la mamma?".
Già...
E ora che gli poteva dire? Era arrivato il momento che più
temeva...
Jeremy era molto legato a Demelza, la adorava e lei lo portava sempre
con se, ovunque andasse. Come poteva spiegargli che la mamma se n'era
andata e lo aveva abbandonato? Con Clowance, ancora troppo piccola
per capire, sarebbe forse stato più semplice, ma Jeremy...
"Mamma
è dovuta andar via per delle faccende importanti,
tornerà fra
qualche giorno" – gli disse, sperando che il tempo potesse
risolvere la faccenda senza grossi scossoni. Questo gli avrebbe
permesso di riordinare le idee, di cercarla, di spiegarle e di
riconciliarsi con lei...
Quel
pensiero ottimista però durò pochi istanti. Lei
non era tornata e
aveva passato probabilmente la notte con Hugh Armitage. Non sapeva in
che termini, ma qualunque cosa fosse successa fra loro, avrebbe avuto
gravi ripercussioni sulla sua vita matrimoniale.
"Ma
è andata via senza salutarmi?" - chiese il bimbo, per niente
convinto da quella spiegazione.
"Aveva
fretta" – disse, chiudendo il discorso. Si alzò
dal letto, lo
prese in braccio e lo portò nella sua camera per aiutarlo a
lavarsi
e a vestirsi.
E
una volta finito con lui, fece altrettanto con la piccola Clowance.
Non ci era abituato, lavare e vestire i bambini era un qualcosa che
di solito facevano o Demelza o Prudie. Ma quella mattina sentiva il
bisogno di averli vicini, di stringerli a se e vedere che erano
reali. Tutta la sua vita stava andando a rotoli e quei due bambini
erano tutto quello che gli restava.
La
bimba sembrava pensierosa, a disagio. "Mamma?" - disse, con
la sua vocina ancora stentata.
Ross
le diede un bacio sulla fronte. Era così bella Clowance, una
bambina
dalle sembianze di una bambola coi capelli biondi pieni di boccoli
come la sua mamma, gli occhi azzurri e il visino perennemente
imbronciato. "Oggi dovrai accontentarti di papà".
"Si,
ma quando torna?" - chiese ancora Jeremy.
"Non
lo so, presto" – rispose, evasivo. Prese in braccio Clowance,
per mano Jeremy e poi scese da Prudie per far fare loro colazione.
Guardò la serva in cerca di informazioni ma la donna scosse
il capo.
Lo
sguardo di Ross divenne ancora più cupo, di Demelza non
c'era
traccia.
Fece
mangiare i bambini e poi li lasciò liberi di andare con
Garrick in
cortile, a giocare. Aveva bisogno di parlare con Prudie, ora che era
sobria. "Sei sicura che non ti abbia detto nulla?".
Prudie
abbassò lo sguardo, concentrandosi sulle stoviglie che stava
lavando. "Niente signore, mi ha solo detto di badare ai bambini.
Poi se n'è andata a cavallo".
Ross
chiuse gli occhi, la testa gli doleva terribilmente. "Con il
tenente Armitage?" - chiese, sapendo già qual'era la
risposta.
Prudie
si morse il labbro. "Sì... Lui è venuto in visita
e sono
andati via insieme. Dopo un paio d'ore son tornati, han preso il
cavallo e sono ripartiti".
Ross
era incredulo che fosse successo davvero. Demelza... Sapeva quanto
fosse arrabbiata, furiosa e delusa da lui, sapeva di averla ferita di
nuovo ma MAI avrebbe pensato ad un epilogo simile. Certo, lui aveva
sbagliato a non darle spiegazioni sul suo incontro con Elizabeth e
venirlo a sapere da altri doveva averla sconvolta. Se gliene avesse
parlato, il tutto avrebbe avuto un epilogo diverso ma ora... ora si
sentiva smarrito e perso e non sapeva cosa fare. Era disperato e
avrebbe volentieri preso il cavallo per andare da Armitage a
riprenderla se non fosse stato che si sentiva schiacciato da mille
sentimenti diversi – fra i quali spiccava il suo orgoglio
ferito –
ed era incapace di fare qualsiasi cosa.
Doveva
fermarsi, riflettere e poi combattere quella dannata vocina della sua
coscienza che continuava a suggerirgli che era stato lui stesso a
regalare, su un piatto d'argento, Demelza a Hugh.
Si
chiese se quella fantasia di Demelza, di cui gli aveva parlato mesi
prima, si fosse avverata e se lei, spinta dai sentimenti per il
giovane e dalla rabbia verso di lui, fosse diventata quell'altra
Demelza, quella senza marito, figli e una famiglia... Si chiese se si
fossero amati, se l'avesse tradito, se avesse deciso di porre fine al
loro matrimonio.
Era
da tanto che erano in crisi, lui e sua moglie. Dalla morte di Francis
lui si era allontanato molto da lei, aveva quasi rinnegato il suo
matrimonio, l'aveva tradita e poi era riuscito in qualche modo a
riparare lo strappo. Ma la strana ed apparente pace raggiunta era
sempre stata fragile, poggiata su una lastra di vetro trasparente e
scricchiolante e lui non aveva mai fatto nulla per rendere il loro
rapporto di nuovo davvero stabile. Schiacciato dai sensi di colpa per
quanto successo con Elizabeth e sulle probabili ripercussioni della
sua follia di quella notte di tre anni prima, aveva sempre nascosto
la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare le conseguenze dei
suoi errori, si era trovato mille cose da fare pur di non guardare
Demelza negli occhi, per non discutere con lei di quello che era
stato. Sapeva che Demelza sospettava che Valentine fosse suo, sapeva
che Elizabeth era stata importante e lo aveva accettato e tante volte
lo aveva spronato a parlarne e a superarla insieme ma lui aveva
sempre rifiutato il confronto. Troppo doloroso, troppi sensi di
colpa, troppe cose difficili da affrontare guardandola negli occhi...
E
ora quelle crepe si erano aperte, aveva lasciato sua moglie da sola
troppo spesso, troppo a lungo era stato distante da lei pur abitando
sotto lo stesso tetto. Era diventato quasi un estraneo, attento a
tutto, eccetto che a lei...
E
da quando Agatha era morta, la rabbia per quanto successo a sua zia
l'aveva incattivito talmente tanto da non accorgersi che il suo
comportamento con Demelza stava prendendo una pericolosa deriva che
li stava pian piano allontanando.
Da
quanto non la stringeva fra le braccia? Da quanto non la baciava? Da
quanto non scherzavano assieme? Da quanto non la vedeva ridere?
Oh,
una volta l'aveva vista ridere ma non era suo il merito... Era Hugh
che le aveva strappato quelle risate, Hugh giunto a casa loro a
portarle un dono.
Ora
che ci pensava, lui invece non aveva mai pensato a nulla di carino
ultimamente, per farla contenta. Nemmeno alla nascita di Clowance era
stato capace di regalarle qualcosa. A Demelza sarebbe bastato un
fiore, li amava, non voleva gioielli o cose altezzose e costose...
Pensò
alla loro complicità, da molto sopita e inerte,
così come la
passione. Demelza si era allontanata da lui pian piano e non se ne
era quasi mai accorto. Eppure quella mattina, senza di lei, si rese
conto che erano mesi che non facevano l'amore, da prima della morte
di zia Agatha...
E
non ci aveva mai fatto caso... Ma Demelza, probabilmente sì!
"Cosa
dovrei fare, Prudie?".
La
donna sospirò. "Cosa dovrete fare non lo so. Ma una cosa
avreste dovuto evitare: parlar bene di miss perfezione da Trenwith
davanti alla signora, Elizabeth Warleggan non è decisamente
la sua
migliore amica. E magari evitare di baciarla... Una donna perdona il
tradimento una volta, FORSE, ma la seconda no".
Ross
guardò Prudie e si accigliò. Come faceva a sapere
del bacio?
"Tu...?".
Lo
sguardo di Prudie divenne deciso e per nulla spaventato davanti alle
occhiatacce del suo padrone. "Sì, se vi state chiedendo chi
ha
informato la signora del bacio, sono stata io! Vi ho visti per caso,
voi e la signora Warleggan, alla Chiesetta di Sawle. Non volevo
finisse così, volevo solo si sentisse meno in colpa per le
attenzioni dolci e sincere che riceveva da un uomo che finalmente si
era accorto di quanto lei fosse speciale. Il tenente Armitage forse
sta perdendo la vista, ma ha l'occhio molto più lungo e
attento del
vostro, per le cose belle. Volevo che la signora avesse il suo attimo
di felicità".
Ross
spalancò gli occhi, si sentì furioso, l'avrebbe
volentieri presa a
calci nel sedere e sbattuta in mezzo a una strada se non fosse stato
sommerso di problemi come in quel momento. "Come hai potuto?".
"E
voi, come avete potuto ferirla ancora?" - ribatté Prudie,
con
sguardo di rimprovero.
Ross
impallidì. Come poteva ribatterle? Prudie aveva sbagliato a
dire a
Demelza la verità, non erano affari suoi. Ma la
verità era che il
primo e vero errore era stato il suo, che non aveva voluto aprirsi
con sua moglie. "Dai un occhio ai bambini, devo andare" –
le disse, rabbioso e desideroso di prendere una boccata d'aria per
calmarsi.
"Dal
tenente Armitage?".
Ross
scosse la testa. "No, vado alla miniera a prendere a picconate
le rocce. Per oggi non farò nulla, magari la cosa si
risolverà da
sola entro stasera. Se per domani non sarà tornata, allora
andrò a
casa di Hugh a riprendermi mia moglie. O ad avere sue notizie. Lei
tornerà, se non per me, per i bambini e per Garrick". Lo
affermò con sicurezza, anche se in realtà non
aveva più certezze.
L'ultima, Demelza, si era frantumata in mille pezzi e ora era un uomo
solo, in balìa degli eventi.
...
La
luce del sole le ferì gli occhi. Aveva dormito profondamente
per
tutta la notte e ne era stupita. Dopo tutto quello che era successo,
con tutte le preoccupazioni che le sue scelte le avevano comportato,
credeva che non avrebbe chiuso occhio.
Invece,
forse, la stanchezza infinita che provava nel fisico e nell'animo
avevano vinto e dopo aver pianto fra le braccia di Hugh tutto il suo
dolore, si era addormentata con lui accanto.
Aprì
gli occhi e si guardò attorno, riconoscendo odori, colori e
rumori
di quel luogo che la riportava alla sua infanzia. Era sporco e
coperto di polvere ma in quel momento considerava quel mulino la sua
unica casa.
Hugh
era già sveglio, seduto accanto a lei. Era spettinato e con
la
camicia stropicciata e non ricordava di averlo mai visto in quello
stato. "Buongiorno" – le disse, esibendosi in un sorriso.
Demelza
deglutì. Era suo amico, ma come doveva considerarlo? Anche
un
amante? O semplicemente una scintilla abbagliante che aveva
illuminato il periodo più cupo della sua vita? "Buongiorno"
– rispose, decidendo che non importavano i titoli, amico o
amante o
qualsiasi altra cosa, importava solo l'affetto che provava per lui e
il modo dolce in cui si era preso cura di lei.
Demelza
si mise seduta, sistemandosi i capelli spettinati. Doveva avere un
aspetto orribile! "Che ore sono? C'è molta luce".
"E'
tardi, hai dormito molto e come un ghiro". Hugh le sfiorò la
spalla, costringendola a guardarlo in viso. "Come stai?".
Già,
come stava? Demelza osservò la finestrella che dava sul
torrente,
attratta dal rumore dei flutti e dal canto felice degli uccelli. "Mi
sento uno schifo! I miei bambini mi staranno cercando e avranno
pianto... La sera io e Ross li mettiamo a dormire assieme, ma al
mattino sono io che vado a svegliarli, che li sistemo e li faccio
mangiare. Saranno spaventati... E io non posso farci niente!".
Sentì le lacrime far di nuovo capolino, assieme ai sensi di
colpa.
"Sono una persona orribile Hugh, li ho abbandonati e sono ancora
così piccoli".
Hugh
la abbracciò. "Non li hai abbandonati e credo che ti
spalancheranno la porta a Nampara, se torni. Non puoi stare qui".
Demelza
scosse la testa. "Ma non posso nemmeno stare a Nampara, non
più... Fra me e Ross stavolta è finita, non
voglio più continuare
questa vita, non voglio più vederlo correre da lei, passare
le
giornate chiedendomi se è alla miniera a lavorare oppure se
mi ha
mentito ed è con Elizabeth da qualche parte. Se in un
matrimonio non
c'è fiducia... se non c'è amore... né
rispetto... che senso ha
continuare?".
Hugh
abbassò lo sguardo. "Io non sono sposato e ho una visione
diversa, romantica dell'amore. Non so nulla delle dinamiche di una
coppia sposata, inseguo l'amore nel termine più autentico
del
termine, quell'amore che vive alimentandosi della presenza
dell'altro, mai intaccato dal mondo".
Demelza
provò tenerezza per lui e per quelle parole dette da una
persona
sicuramente spinta da un temperamento romantico ma in fondo molto
ingenuo. "Gli amori così non esistono, gli amori veri sono
quelli dove si soffre e si combatte e si rimane uniti. Quello mio per
Ross, evidentemente, non era così forte da superare gli
ostacoli".
"Eppure
noi" – insistette Hugh – "Ieri siamo stati 'AMORE',
quello nel vero senso del termine".
Demelza
sorrise, non voleva ferirlo ma non voleva nemmeno illuderlo. "E'
stata la scintilla di un momento. Questo non esclude i sentimenti ma
ciò che è successo fra noi non è un
punto d'arrivo. E nemmeno di
partenza... E' successo e basta e ne serberò sempre il
ricordo e
sarà un ricordo bello in mezzo ai mille ricordi orribili di
questi
giorni. Ma il vero amore, quello costruito mattone su mattone,
è
altro, forse meno romantico e poetico ma più profondo di
quello
cantato nei poemi. E ti auguro un giorno di conoscerlo".
Hugh
sospirò, non convinto da quella spiegazione. "Per me
resterai
sempre bella come Monna Lisa e l'amore della mia vita. Anche se non
lo sono per te".
"Lo
so Hugh, so cosa provi..." - rispose tirandosi su e arrendendosi
al suo atteggiamento tenero e gentile. "Ma oggi il mio animo non
è votato al romanticismo". Si guardò attorno,
decisa a
cambiare argomento. Se quella doveva essere la sua casa, doveva
renderla tale e c'era molto da fare! "Devo pulire questo posto,
renderlo accogliente, sistemare il camino, tagliare la legna, fare
mille cose e...".
Hugh
le prese il polso, costringendola a risedersi. "Demelza, no!
Questo è un posto incantevole ma non puoi vivere qui. Devi
tornare a
Nampara, quanto meno devi parlare con Ross e i bambini. Non puoi
andartene lasciando tutto così in sospeso, li farai
impazzire dalla
preoccupazione. Se non vuoi farlo per tuo marito, fallo almeno per i
tuoi figli, loro ti amano e tu ami loro".
"Non
me la sento, non ancora" – rispose, sentendosi impotente e
spaventata all'idea di rimettere piede a Nampara perché
sapeva che
se fosse tornata, non sarebbe più riuscita ad andarsene. Era
una
dannata codarda, ma aveva bisogno di riordinare le idee. Anche se
questo avrebbe distrutto la serenità dei suoi figli...
Hugh
sospirò, sconfitto. "Ti aiuterò io a sistemare
questo posto,
tornerò a casa e ti manderò degli operai che
faranno il lavoro come
tu vorrai. Renderanno questo posto accogliente, in modo che tu possa
rasserenarti e ospitare i tuoi figli. E pian piano, quando sarai
più
serena, ti riconcilierai con Ross".
Demelza
sbuffò, Hugh era così insistente. Ma forse questo
dipendeva dalla
sua educazione nobile che, nonostante quanto successo fra loro il
giorno prima, si rifiutava di accettare l'idea di una moglie che
lasciava il marito e i figli. "Suppongo che sarò costretta
ad
accettare e che non mi farai ribattere".
Hugh
si alzò, sistemandosi la camicia. "Beh, vedo che hai
imparato a
conoscere la mia determinazione nell'ottenere quel che voglio".
Demelza
mascherò un sorriso. Beh, per quel lato del suo carattere,
c'erano
stati mesi di incessante corteggiamento a testimoniare quanto lui
fosse testardo. "E' meglio che torni a casa, saranno
preoccupatissimi".
Hugh
annuì. "Manderò qui quanto prima una cameriera
con del cibo e
gli operai che ti ho promesso. Voglio che tu stia bene e che non ti
manchi nulla".
Le
venne da sorridere, davanti a quelle premure. In realtà non
aveva
per niente fame ma sapeva di non poter obiettare. "Grazie".
"Di
nulla. Oggi dovrò predisporre tutto, domattina
però verrò a
trovarti. Tu cerca di star bene".
Demelza
annuì, gli si avvicinò e lo aiutò a
sistemarsi il colletto della
camicia e il gilet. Poi lo baciò sulla guancia, con affetto.
"Grazie
Hugh".
"Grazie
a te". Forse avrebbe voluto un bacio diverso, ma nonostante
questo gli sorrise con dolcezza. "Cerca di star bene".
"Lo
farò".
...
I
bambini avevano fatto dannare per tutta la durata della cena, troppo
irrequieti e nervosi per mangiare e stare composti a tavola.
Clowance
aveva lanciato il cibo per terra – e Garrick ne aveva
approfittato
– mentre Jeremy aveva piagnucolato tutto il tempo e Prudie
era
stata costretta ad imboccarlo.
Ross
si sentiva impotente. Sapeva che erano capricci quelli, ma sapeva
anche che avevano tutto il diritto di farli e di sfogarsi nel modo
consueto che usavano i bambini.
Il
dolore alla testa non era scomparso, anzi era aumentato. E, anche se
le speranze erano poche, aveva voluto credere che Demelza sarebbe
tornata a casa.
E
invece era sera e di lei non c'era traccia... Il giorno dopo, volente
o nolente, avrebbe dovuto cercarla e mettere da parte il suo
orgoglio. Sembrava svanita nel nulla, inghiottita dalla brughiera,
nessuno l'aveva vista dal giorno prima al porto.
Prudie
prese in braccio i bambini, dicendo che li portava a fare il bagno e
Ross, rimasto solo, gettò con stizza il tovagliolo sul
tavolo.
Cosa
avrebbe fatto? Come avrebbe vissuto se lei non fosse tornata? Come
avrebbe spiegato ai suoi figli l'assenza della madre?
Improvvisamente,
i suoi pensieri furono interrotti da un violento bussare alla porta.
Stranito dall'orario - era ormai buio - si avviò alla porta
per
vedere chi fosse. Non poteva essere Demelza, lei non avrebbe mai
bussato...
Eppure
non aspettava nessuno, se non lei...
E
la sua sorpresa fu enorme quando, aperta la porta, si trovò
davanti
Hugh Armitage.
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Per
lunghi istanti Ross stette in silenzio, pensando al da farsi.
Nonostante fosse a conoscenza di quello che Hugh provava per Demelza,
il suo rapporto col giovane era sempre stato buono e amichevole e
fino al giorno prima non aveva trovato alcun motivo di avercela con
lui.
Certo,
gli bruciava sapere che aveva fatto breccia nel cuore di sua moglie,
soffriva quando ricordava il ricevimento dove lei aveva cantato per
lui ma non era successo niente di catastrofico fino a quel momento.
Oppure no?
Cosa
ci faceva Hugh Armitage a casa sua a quell'ora della sera? Che doveva
fare, prenderlo a pugni o starlo a sentire? Essere cordiale ed
educato perché in fondo non sapeva quanto c'entrasse con la
scomparsa di sua moglie? "Tenente Armitage, sono davvero
sorpreso di vedervi a casa mia a quest'ora" – disse infine, a
denti stretti.
Hugh
fece un cenno di saluto col capo. "Devo parlarvi di una
questione importante, posso entrare?".
"No".
Non sapeva il perché, ma Ross aveva la strana sensazione che
Hugh lo
stesse studiando e stesse cercando di scandagliare i suoi pensieri.
"Non è un buon momento, i bambini sono irrequieti e sto
cercando di mantenere la tranquillità in casa mia".
Hugh
annuì. "So che non è un buon momento. E' proprio
per questo
che mi trovo qui".
Ross
si morse il labbro. Sapeva? E quindi ora aveva la certezza che lui
c'entrasse con la fuga di Demelza, dato che era con lui che se n'era
andata... In quel momento si rese conto di aver voglia di ucciderlo e
non gli capitava da anni, dai momenti peggiori vissuti durante la
guerra in Virginia. "Cosa sapete, per l'esattezza?" -
disse, cercando di tenere a bada la rabbia.
"Sono
qui per Demelza".
"Demelza...".
Ross scandì il nome della moglie, lentamente, rendendosi
conto che
Hugh aveva usato un tono confidenziale nel parlare di lei. "Vorrete
dire, la signora Poldark?".
"Sì,
esattamente".
Ross
uscì, sbatté l'uscio e lo costrinse ad arretrare
per non essere
travolto. Lo prese per il bavero e lo attirò a se, viso a
viso. "Mia
moglie dov'è? Se n'è andata con voi ieri ed
è scomparsa! Se le
aveva fatto del male, io...".
Hugh,
con un gesto veloce, si liberò dalla sua stretta. "Se mi
prenderete a pugni o peggio, se mi ucciderete, questo non
sarà di
alcun aiuto a vostra moglie".
Ross
lo guardò con sguardo furente, sentiva il suo autocontrollo
annullarsi e per la prima volta da quando aveva sposato Demelza, si
sentì davvero geloso. Oh, era già successo ed era
sempre capitato
quando Hugh era nei paraggi, ma quella sera era diverso. Era geloso,
tanto da sentire le sue vene corrodersi al pensiero di sua moglie
assieme a quel poeta, non poteva nemmeno sopportare, immaginare
l'idea di saperla accanto a un altro uomo. Non poteva pensare che la
dolcezza, il sorriso, la forza d'animo di sua moglie, il suo modo di
amare, sarebbero stati di un altro... Lei era unica, lei era sua e
l'amava. E forse d'accordo, era il peggiore fra i mariti, distratto e
troppo spesso pronto a darla per scontata, aveva commesso mille
errori e mille mancanze ma l'amava e sapeva quanto bene avesse fatto
a lui e alla sua vita, averla incontrata e sposata. "Prima che
vi uccida, Armitage, ditemi dove diavolo è e cosa
è successo".
Hugh
annuì, sospirando. "E' esattamente per questo che sono
venuto!
Sono preoccupato per lei e solo voi potete farla ragionare".
Ross,
col fiato corto, annuì. "Si trova a casa vostra?".
"No".
"E
allora dov'è?".
"A
Illugan".
Ross
spalancò gli occhi. Illugan? Nella sua città
natale? In un posto
che le poteva ricordare unicamente botte, privazioni e un'infanzia
infelice? Perché era tornata laggiù? Da che
ricordava, da quando si
erano conosciuti Demelza non ci aveva più messo piede
eccetto
qualche anno prima, quando era andata a far visita al padre morente.
"E' nella sua vecchia casa?" - chiese, deglutendo.
Hugh
scosse la testa. "No, voleva tornarci ma era davvero in
condizioni pessime, inagibile".
"E
allora dov'è?". Quella situazione lo faceva impazzire, era
una
sensazione spiacevolissima sapere che Hugh fosse a conoscenza di un
qualcosa che lui non sapeva e che condividesse dei segreti con sua
moglie. Scacciò dalla mente i ricordi di quando era lui ad
avere dei
segreti con Elizabeth, segreti da cui Demelza era completamente
tagliata fuori e cercò di ignorare quella sensazione di
senso di
colpa che stava nascendo in lui, una vocina che si chiedeva
insistentemente se anche Demelza si fosse sentita come si sentiva lui
in quel momento.
"In
un vecchio mulino lungo il torrente che scorre nei boschi attorno a
Illugan. Un posto dove si rifugiava da piccola e che le è
caro".
"Lo
conosco!". Ross ricordò come, da bambino, assieme a Francis
amasse scorazzare nella brughiera e nelle campagne alla ricerca di
posti sconosciuti da esplorare e i boschi vicino ad Illugan erano
stati terreno di giochi per lui e suo cugino, tanti anni prima.
Chissà se allora, per caso, non si era già
imbattuto in lei...
Hugh
interruppe il flusso dei suoi pensieri. "Io credo che Demelza
non dovrebbe stare lì, è un posto isolato e
freddo, non andatto a
una signora sposata".
"Su
questo sono d'accordo" – rispose Ross, lentamente,
irritandosi
nuovamente nel sentirlo chiamare sua moglie per nome, con quel tono
confidenziale. Tornò a studiare la figura di Hugh,
chiedendosi cosa
si fossero detti lui e sua moglie, cosa avessero fatto, se... se
lui... loro... Non riusciva nemmeno a formularla nella mente quella
domanda, figuriamoci a dirla! Non sarebbe mai riuscito a chiedergli
se fosse stato con lei in intimità, aveva troppa paura delle
possibili risposte. Ma doveva essere uomo e fare delle domande, se
voleva saperne di più. "Come mai eravate con mia moglie e
come
mai vi state facendo ambasciatore dei suoi bisogni? E cosa sta
passando nella testa di Demelza? Ha una casa, una famiglia, dei
figli! Ed è scomparsa da quasi due giorni".
Hugh
parve irrigidirsi a quelle domande. "Ero venuto a farle visita e
ci siamo allontanati insieme. Mi ha detto che voleva andarsene, mi ha
raccontato qualcosa circa il vostro rapporto e mio malgrado,
benché
fossi contrario al suo allontanamento, ho deciso di aiutarla
perché
aveva bisogno di stare un po' da sola per riordinare le idee. Se
anche non fossi andato con lei, non sarebbe rimasta quì.
Semplicemente, avrebbe raggiunto a piedi Illugan".
"Quindi,
avete cercato di farle cambiare idea?".
Hugh
annuì. "Sì, l'ho fatto ma con poca convinzione.
Ritengo che
Demelza avesse tutte le ragioni per andarsene, visto quello che mi ha
raccontato. Scusate se mi permetto, Ross, ma avete una moglie
bellissima, che ogni uomo desidererebbe. E avete un amante... Come
potete umiliarla e farla soffrire a questo modo? Come potete non
vedere la grande bellezza della donna che avete a fianco?".
Ross
sentì di nuovo la voglia di prenderlo a pugni. Come osava,
come si
permetteva? Cosa ne sapeva lui del rapporto fra lui e sua moglie? E
poi... amante? Santo cielo, Demelza gli aveva raccontato di
Elizabeth? "Queste sono cose che non vi riguardano! Conosco mia
moglie meglio di quanto possiate pensare di conoscerla voi, Armitage!
E conosco altrettanto bene le luci e le ombre del mio matrimonio,
statene certo".
"Ombre?
E le affrontate queste ombre, o le rifuggite?" Hugh, con quella
semplice domanda, lo bloccò. "Davvero conoscete le
necessità
di Demelza? A me non pare... Sapete che ogni donna desidera essere
l'unica per il proprio marito? Sapete che desidera essere anche
apprezzata, di tanto in tanto? Sapete che soffre, ogni volta che la
tagliate fuori dalla vostra vita? Ogni tanto vi ricordate di dirle
che l'amate, o questa è una premura che riservate solo alla
vostra
amante?".
Questo
fu troppo per Ross. Troppo da sentire, troppo da accettare, troppi
sensi di colpa che si risvegliavano... Odiava il modo in cui quel
ragazzino sembrava leggergli dentro, indovinando tante sue debolezze
che non lui non voleva ammettere nemmeno a se stesso e che ora, senza
pietà, gli venivano sbattute in faccia. Si
avventò su di lui,
voleva farlo MALEDETTAMENTE TACERE! "La mia vita non è affar
vostro! E Demelza non avrebbe dovuto parlarvi di cose che, fra
l'altro, non corrispondono nemmeno a verità".
"Non
avete una amante?" - chiese Hugh, respirando a fatica.
Ross
lo lasciò andare, spingendolo indietro. "Come vi ho detto,
la
mia vita non è affar vostro Armitage. Tornate a casa vostra,
dedicatevi alle vostre poesie e vivete la vita che vi ho donato
liberandovi dalla prigionia. E soprattutto, state lontano da mia
moglie!".
"Se
lei non vorrà più vedermi, lo farò..."
- rispose Hugh,
sibillino.
"Armitage,
attento a quello che dite o vi assicuro che l'esperienza francese
sarà nulla a confronto di ciò che vi posso fare
io!".
Per
nulla intimorito, Hugh si riavvicinò. "Amate vostra moglie?".
"Vi
ho detto che non è affar vostro".
"Lo
è, più di quanto pensiate".
Ross
si morse il labbro. Dannazione, se lo avesse preso a pugni, i bambini
si sarebbero svegliati e spaventati ed era l'unica cosa che non
voleva. E poi, aveva la spiacevole convinzione che qualsiasi cosa
avesse fatto ad Armitage, avrebbe peggiorato la situazione con
Demelza. "Non voglio sentirvi parlare di lei, non voglio che vi
preoccupiate per il mio matrimonio, io e Demelza siamo capacissimi di
farlo anche da soli. Sono un marito che ha commesso molti errori e
dato per scontate molte cose MA, una su tutte è sempre stata
chiara:
mia moglie è MIA, la amo e amo la mia famiglia! E non ho
intenzione
di dividerla con nessuno. So preoccuparmi di lei da solo e so
prendermene cura, non preoccupatevi. Vi ringrazio per avermi detto
dove si trova, mi avete fatto un piacere enorme. Ma il vostro ruolo
finisce qui".
Hugh
divenne mortalmente serio e pallido a quelle parole. "Non è
così semplice, sapete? Non quando ci sono di mezzo dei
sentimenti...".
Ross
fece un sorrisetto sarcastico. "I sentimenti sono solo da parte
vostra, non di Demelza, ragion per cui li potrete analizzare nel
silenzio della vostra casa".
"Siete
così sicuro che sia così?" - ribatté
Hugh.
Ross
deglutì. No, non lo era, non era più sicuro di
niente ma non
riusciva nemmeno a pensare che sua moglie potesse davvero amare un
altro uomo. Però nonostante questo, non si sarebbe mostrato
debole
davanti a Hugh. Lui amava Demelza e la amava totalmente, corpo e
anima. Avevano condiviso ogni cosa da dieci anni a quella parte e
qualsiasi sentimento che Armitage pensava di provare per lei e che
lei provasse per lui, non era nulla in confronto. "Non voglio
starvi a sentire".
"Che
farete?".
Ross
annuì. "Sello il mio cavallo e vado da lei. La riporto a
casa".
"E
se non volesse venire?".
Ross
lo guardò in cagnesco. "Verrà, statene certo! Le
liti, in un
matrimonio, sono frequenti ma si fa la pace subito dopo. Pensateci a
questa cosa, quando scriverete una poesia".
"Dipende
dal motivo di una lite" – ribadì Hugh.
Ross
scosse la testa, era inutile perdere tempo con un essere che riteneva
tanto irritante. "Vero! Ma fra me e Demelza non c'è nessun
problema insormontabile ma solo un malinteso. Tornerà a
casa, al suo
posto, accanto a me e ai nostri bambini".
"Lo
spero" – rispose Hugh.
Ross
fu costretto ad annuire. "Bene, quanto meno siamo d'accordo su
qualcosa". Non disse più nulla. Gli voltò le
spalle e si avviò
a passo deciso verso la stalla per sellare il suo cavallo.
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Capitolo 7 *** Capitolo sei ***
Galoppò
come un forsennato nel buio della notte, diretto ad Illugan,
chiedendosi cosa le avrebbe detto e come si sarebbe comportato con
lei. Doveva dimostrarsi arrabbiato, come del resto era? O
accomodante? Spiegarle e chiederle scusa o aspettare e pretendere che
fosse lei a farlo con lui, visto che se n'era andata abbandonandolo
assieme ai loro figli senza lo straccio di una spiegazione?
Abbracciarla? O darle uno schiaffo?... Scosse la testa, non sarebbe
mai riuscito a sfiorarla nemmeno con un dito ma una sberla era quello
che si meritava e che lui da marito avrebbe dovuto darle. Ogni marito
in una situazione del genere avrebbe alzato le mani e nessuno lo
avrebbe biasimato per questo, ma Ross sapeva di non essere un marito
convenzionale e sapeva anche che Demelza non era una moglie
convenzionale.
Decise
di smettere di pensare. Hugh, cosa fare, cosa dire, come
comportarsi... Gli sarebbe venuto tutto naturale appena l'avesse
avuta davanti.
Arrivò
nel territorio di Illugan che iniziava a piovere e solo allora
rallentò il cavallo per addentrarsi nel bosco, dopo aver
superato la
campagna. Si chiese come potesse Demelza vivere in un posto simile,
Illugan era poverissima, piena di disperati e senza
possibilità di
migliorare le cose e sì, lei ci era nata ma non era
più abituata a
quell'ambiente.
Arrivò
al torrente, lo costeggiò e finalmente,
nell'oscurità, vide il
mulino di cui gli aveva parlato Armitage. Era avvoltò
dall'oscurità,
nel bosco non vi era alcun rumore e tutto pareva addormentato,
eccetto che per la tenue luce che traspariva da una finestra,
probabilmente una candela che Demelza doveva aver acceso. Era un
posto meravigliosamente romantico dove la natura faceva da padrona,
uno di quei boschi che si vedono nei libri illustrati di fiabe per
bambini. Eppure, per lui, rappresentava un incubo.
Scese
da cavallo, lo legò a un albero e a grandi passi si diresse
verso la
porta. Aveva il cuore in gola e si sentiva ridicolo, era con sua
moglie che stava andando a parlare, non con il re d'Inghilterra!
Prese
un profondo respiro e poi bussò, cercando di controllare le
sue
emozioni. Sentì dei rumori provenire dall'interno, dei passi
avvicinarsi alla porta e vide l'uscio aprirsi.
Demelza
spalancò la porta senza chiedere chi fosse. "Hugh!" -
esclamò con sicurezza, come se fosse stata cerca che ci
sarebbe
stato il poeta fuori dalla porta.
E
questo in un certo senso lo ferì. "Mi spiace, non sono Hugh".
Appena
lo vide, Demelza impallidì, indietreggiando. "Ross..." -
balbettò, arretrando di alcuni passi – "Cosa ci
fai quì?".
La
sua espressione si incupì. "Non credi che dovrei essere io a
chiederlo a te?".
"Vattene!"
- rispose lei, a denti stretti. "Non mi importa di come tu mi
abbia trovato ma non ha importanza, non voglio parlare con te".
Sprezzante,
Ross le rispose. "Se proprio vuoi saperlo, è stato proprio
il
tuo amico poeta ad indicarmi questo posto. E per il resto, ho tutti i
diritti di farmi ascoltare".
Nell'udire
del coinvolgimento di Armitage, Demelza rimase immobile alcuni
istanti, con espressione stupita ed interdetta. Poi scosse la testa,
mormorando fra se e se... "Testardo".
Ross
finse di ignorare quel commento dal sapore vagamente confidenziale
fra sua moglie ed Armitage. "Posso entrare, in modo che possiamo
parlare?".
"No".
Demelza
era un osso straordinariamente duro, ma non si sarebbe fatto
sottomettere. Le prese il polso e l'attirò a se con fare
deciso.
"Bene, meglio così! Non sono venuto per fare conversazione
ma
per portarti a casa".
Lo
sguardo di Demelza si indurì. "Io non torno a casa, se sei
venuto per riportarmi a Nampara stai sprecando il tuo tempo".
A
quel punto esplose, tutta quella situazione era una follia. "Ah,
e che vuoi fare? Rimanere qui in questo posto dimenticato da Dio, in
questo casolare diroccato, lontana da tutto e tutti e soprattutto dai
tuoi figli? Demelza, sei mia moglie dannazione, nel caso te lo fossi
dimenticata".
Demelza
sorrise freddamente. "Oh, io non l'ho mai dimenticato chi sono.
Quello che dimentica la donna con cui è sposato e fa...
confusione... sei tu".
Ross
deglutì. Il tono di Demelza era basso, freddo, senza traccia
di
sentimento nel timbro di voce. Non la riconosceva in quelle vesti.
Sapeva di averla ferita ma sapeva anche di non averlo fatto con
cattiveria e soprattutto, di non aver tradito le promesse che le
aveva fatto. Certo, aveva sbagliato ad omettere l'incontro con
Elizabeth ma dannazione, perché stava reagendo in quel modo
così
esagerato? Ne avevano passate di peggio, loro due... "Ascolta,
sei arrabbiata e te ne do atto, hai ragione. Ma se mi lasciassi
spiegare...".
"No".
"Demelza!".
"Ho
detto di no Ross, come ti ho ribadito al porto, puoi tenerteli i tuoi
segreti, da oggi in poi. Viviti la tua vita, è quello che
hai sempre
desiderato e onestamente non capisco perché tu sia qui. Ti
sei tolto
il tuo tormento, ora sei un uomo libero, non sarai più
costretto a
fare le cose di nascosto e a mentire, non sarai più
costretto a
sentirti in trappola con me quando in realtà vorresti essere
con
lei. Lasciami in pace Ross, non voglio vederti, sentirti, ascoltare
cosa hai da dirmi perché è l'ennesima bugia che
probabilmente ti
sei preparato in questi due giorni per rabbonirmi".
Ross,
davanti a quelle parole, perse un po' del suo coraggio. Demelza aveva
eretto un muro fra loro, non desiderava sistemare le cose, si era
semplicemente arresa. E non poteva permetterlo, dannazione! "Lasciami
spiegare, ti prego" – le sussurrò, allentando la
presa sul
suo polso.
Demelza
scosse la testa. Ora non sembrava rabbiosa ma solo molto stanca.
"Perché vuoi spiegarmi adesso? Ti ho chiesto più
volte di
parlarmi di cosa ti era successo al cimitero e non hai mai voluto
farlo... E ora cosa puoi dirmi di così sconvolgente da
riuscire a
spiegarmi che il bacio che ti sei scambiato con Elizabeth non
è
niente di grave? Se non lo fosse stato, me ne avresti parlato".
"E'
stato... un cas...".
"E'
stato un caso?" - lo bloccò Demelza – "Fammi
indovinare!
La hai vista per pura casualità e allora vi siete dati quel
bacio
d'addio che non siete riusciti a scambiarvi quando si è
sposata con
George Warleggan?".
"E'
così, credimi! Non contava nulla" –
ribatté Ross, piuttosto
in difficoltà. La spiegazione più ovvia, quella
che
provocatoriamente gli aveva spiattellato in faccia Demelza, era
quella vera ma lei forse non ci avrebbe mai creduto proprio a causa
delle sue omissioni. Non era mai stato bravo a parole, ma sperava,
nonostante tutto, che lei gli credesse perché quella era la
verità
e Demelza – e nessuno come lei – sapeva leggere
dentro di lui
meglio di quanto sapesse fare lui stesso. Doveva credergli, c'era
troppo in gioco!
Le
sue speranze però si infransero subito. "In questi giorni
speravo che ti saresti preparato una scusa più originale,
Ross. Sono
stanca, è tardi e voglio dormire, tornatene a Nampara".
La
vide voltarsi e raggiungere la porta e, preso dal terrore, con un
balzò la seguì, bloccandola prima che aprisse
l'uscio. Sbatté la
porta con rabbia, la costrinse a voltarsi nuovamente verso di lui e
la attirò a se, poggiandole le mani sulle spalle. "Demelza,
è
la verità e non te ne ho parlato solo per paura di non
sapermi
spiegare e di ferirti. Credimi!".
"Si
Ross..." - rispose lei, in tono piatto.
Deglutì,
quella reazione era strana, non riusciva ad interpretarla. "Demelza,
amo te e nessun'altra che te. Non Elizabeth, è una storia
chiusa".
"Si
Ross...". Con un gesto lento, si scrollò di dosso le sue
mani,
liberandosi dalla sua presa. "Dimmi solo una cosa...".
"Tutto
quello che vuoi" – rispose, mentre una fiamma di speranza si
accendeva in lui.
Ma
Demelza lo gelò subito. "Ci hai almeno provato per un po', a
mantenere le distanze da Elizabeth? Oppure mi hai presa in giro tutto
questo tempo? Sei stato bravo, devo ammetterlo, non mi sono mai
accorta di nulla e avevo anche finito col credere alle tue parole, a
quando mi hai detto che lei non si sarebbe più intromessa
fra di
noi. E allora Ross, mi stai tradendo solo da poco oppure continua da
allora... Ogni quanto vi vedete? Una volta a settimana? Quando George
è a Londra? Quando dici di andare in miniera o a Truro e
invece sei
a Trenwith con lei? Nessuna recriminazione, puoi vivere la tua vita
come vuoi, da adesso. Solo una piccola curiosità...".
Ross
si sentì mancare. Davvero glielo stava chiedendo? "Demelza,
ma
pensi che sia un mostro? Pensi davvero che io... io...?".
Gli
occhi di Demelza si piantarono sul suo volto. "Perché non
dovrei crederlo? Sono sempre stata la seconda scelta, la donna
sposata per consolazione, no? Una semplice distrazione, come mi avevi
detto appena sposati, quando mi hai confessato che però ti
eri
sbagliato e mi amavi. Beh, non ti eri sbagliato affatto ed è
quello
che sono sempre stata per te: una distrazione! La tua prima
sensazione si è rivelata esatta, Ross. Io sono quella brava
a
lavorare, a tenerti pulita la casa, a scaldarti il letto quando non
hai sotto mano la gran dama, sono quella che non vuoi che si
intrometta nella tua vita, che non deve dire la sua quando si tratta
della famiglia Poldark, quella che viene sempre dopo tutto il resto.
Sono quella a cui non hai pensato nemmeno un istante quando stavi per
andare in prigione e hai venduto tutte le tue quote della Wheal
Leasure per far star bene Elizabeth e Geoffrey Charles mentre io e
Jeremy eravamo alla fame e a tavolino hai deciso che per te andava
bene così, che di noi non ti importava. E ora dovrei credere
che mi
ami? Sono sempre stata l'ultima fra gli ultimi ai tuoi occhi, ho
semplicemente tolto il disturbo. Viviti la tua vita, sistema le cose
con Elizabeth e George, sono sicura che troverai il modo. Realizza il
tuo sogno d'amore, tu ed Elizabeth avete anche un figlio, no?
Valentine sarà felice di avere accanto suo padre".
"Demelza!"
- fece per bloccarla, non voleva sentirla parlare, non voleva provare
quel soffocante senso di colpa che le sue parole risvegliavano in
lui. Aveva sbagliato tantissimo nel suo matrimonio e sapeva di non
essere sempre stato capace di farla sentire amata ma come poteva
pensare davvero che lei non contasse nulla per lui? E come poteva
parlare a quel modo di Valentine, dire ad alta voce quella
realtà
che nemmeno lui accettava e voleva vedere e che sempre aveva tenuto
celato per non farla soffrire. Sapeva che Demelza era al corrente che
c'era questa possibilità, ma non parlarne era stato il modo
che lui
aveva trovato per non ferirla e tenere il problema lontano da loro.
"Valentine è figlio di George, non mio! I miei figli sono
unicamente quelli che hai partorito TU e io non ho nessuna relazione
con Elizabeth. So che sono pessimo, so che ti ho ferita ma ti prego,
credimi".
Demelza
scosse la testa, i suoi occhi divennero lucidi e si appoggiò
alla
porta. "Non ti credo più Ross... Sono stanca di crederti e
di
stare male ogni volta. Ti ho amato più di quanto io abbia
mai amato
me stessa, ho fatto di tutto perché tu fossi fiero di me,
perché mi
trovassi bella quanto lei. Ma Ross, anche l'amore più grande
quando
viene continuamente ferito e umiliato, alla fine si accartoccia su se
stesso e si arrende. Ti chiedo solo una cosa... Quando correrai da
lei, accertati che i nostri bambini siano al caldo, accuditi, che
abbiano mangiato e siano sereni. Per quanto tu possa amare Elizabeth
e Valentine, cerca di amare Clowance e Jeremy altrettanto
intensamente. Non mi importa nulla di me stessa, so che andandomene
ho perso ogni diritto su di loro, ma li amo, sono la loro madre e
voglio solo che stiano bene. Sono con te, abbine cura e dì
loro che
li porto sempre nel mio cuore. Dì loro che mamma e
papà non si
vogliono più bene e non vivono più insieme ma che
ci saremo sempre
quando avranno bisogno".
"Demelza...".
Mai, MAI nella sua vita Ross si era sentito così sperso,
solo e
disperato. Tutto ciò che amava gli stava scivolando dalle
mani e non
poteva fare nulla, dire nulla per farle cambiare idea. Era la fine di
tutto, quella? "Credi che io possa tenere i bambini lontano da
te? Che ti impedirei di vederli?".
"Ne
avresti pieno diritto" – rispose lei, in tono stanco.
Ross
abbassò lo sguardo. Era davvero così bassa
l'impressione che lei
aveva di lui? Come avevano potuto arrivare a quel punto? Come aveva
potuto permetterlo? "Io non ti porterei mai via i bambini. Hanno
bisogno di te, ti amano e sono molto piccoli. Almeno per loro, ti
prego, torna a casa. E cerchiamo di sistemare le cose".
Lo
disse in tono disperato, triste, sconsolato. Non voleva farle pena o
incuterle pietà, si sentiva semplicemente svuotato e privo
di forze
come se, perdendola, avesse perso ogni fibra di energia. E non se ne
stupiva perché era Demelza, da sempre, la sua fonte di vita
e di
forza, che alimentava e riscaldava la sua esistenza. Senza di lei era
niente e forse sarebbe solo bastato dirglielo più spesso,
stringerla
a se e coccolarla, arruffarle i capelli per scherzare con lei come un
tempo, per farle capire che la amava. Non ci sarebbe voluto tanto,
lei non aveva mai chiesto nulla se non amore e lui aveva sempre dato
per scontate troppe cose che avevano finito per farle credere di non
essere importante.
Sarebbe
bastato poco, già...
Starle
più vicino, notare le sue fragilità oltre alla
sua forza, prendersi
a cuore le sue paure e i suoi timori e soprattutto aprirsi e parlare
con lei anche quando gli argomenti potevano fare male. E ora... era
troppo tardi... Ora, forse, qualcun altro era arrivato a colmare le
lacune che lui aveva trascurato troppo a lungo e gliel'aveva portata
via. Stupidamente non aveva mai saputo lottare per lei, per il loro
amore, da idiota aveva sempre dato per scontato che lei gli sarebbe
rimasta accanto per sempre, pur con tutti gli errori che lui poteva
commettere. Ma Demelza aveva ragione, anche gli amore più
grandi,
proprio come i fiori più preziosi, vanno annaffiati e ci si
deve
prenderne cura per non farli morire. "E' per il tenente
Armitage? E' per lui che hai preso la decisione di andartene?".
Sapeva che non era così, non del tutto almeno, ma aveva
bisogno di
chiederglielo e di sentirgli dire che no, non era per Hugh.
Demelza
scosse la testa. "Hugh non c'entra nulla, se il nostro
matrimonio è finito non è certo a causa sua. E'
gentile, tiene a me
e mi aiuterà a sistemare questo posto per renderlo vivibile,
se
deciderò di restare qui. Non sarebbe dovuto venire da te ma
lo ha
fatto per il mio bene. A differenza tua, stranamente, mette il mio
benessere al primo posto, è gentile, riesce a vedere se sto
bene o
male e si prende a cuore il mio stato d'animo. Mi guarda come tu hai
sempre guardato Elizabeth, mi fa sentire bella e desiderata, amata...
E' una bella sensazione, mi sono sempre chiesta cosa si provasse".
"E
io... io non ti ho mai guardato a quel modo? Non ti ho mai fatta
sentire amata?" - chiese Ross, sentendosi ancora più in
colpa.
"No,
mai. Non con quella dolcezza, quell'orgoglio, quel desiderio che hai
sul viso ogni volta che vedi Elizabeth. E' più forte di te,
persino
l'altra mattina mi hai ricordato quanto lei sia speciale e una bella
persona. A me! E sai quanto male mi faccia sentir parlare di lei a
quel modo eppure lo fai, mi ferisci sempre e non te ne curi quando si
tratta di lei. Sono stanca Ross, tanto stanca. E questa volta mi
arrendo, va da lei".
Ross
abbassò il capo. Dio mio, era un dannato idiota che non
collegava
bocca e cervello quando parlava! "Posso sperare che le cose si
sistemino, fra noi?".
"Non
so cosa dirti...".
"E
i bambini?".
Demelza
sorrise dolcemente. "Se mi permetterai di vederli, se li
porterai qui, te ne sarò grata a vita".
Ross
spalancò gli occhi. "Questo posto cade a pezzi, non
è adatto
ai bambini. Vieni tu a Nampara, a vederli".
"Non
verrò a Nampara, Ross. Perché so che se ci
mettessi piede, poi non
riuscirei più ad andarmene. Hugh Armitage mi
aiuterà a sistemare
questo posto, diventerà una casa accogliente anche se
piccola".
Colto
sul vivo e punto sull'orgoglio, Ross divenne rosso in viso. "Ti
aiuterò io a sistemare questo posto, se davvero vuoi stare
qui. Non
Armitage!".
"Non
voglio che tu lo faccia Ross, mi basta solo che mi porti i bambini di
tanto in tanto".
Si
sentì vuoto, un guscio rotto. Demelza lo stava totalmente
allontanando dalla sua vita, aveva chiuso ogni rapporto con lui e non
voleva nulla se non qualche istante coi loro figli. Per il resto lo
stava lasciando libero di fare quello che voleva e si rese conto che
la libertà non era affatto qualcosa che lui desiderava. Non
QUELLA
libertà! Voleva essere suo marito, ancora e per sempre! E
certo,
Demelza aveva la testa dura ma lui era ancora più testardo
di lei.
Avrebbe lottato, le avrebbe dimostrato il suo amore e l'avrebbe
riportata a casa. Non importava quanto ci avrebbe messo, quanto
doloroso sarebbe stato, quanto avrebbe dovuto umiliarsi. Ma un giorno
il loro amore avrebbe trionfato di nuovo, l'avrebbe fatta sentire
amata e unica. Perché era amata e unica, per lui!
Ma
per quella sera, doveva lasciarla stare, rispettare le sue scelte e
tornare a Nampara, da solo. "Come preferisci" – rispose,
lasciando quella piccola vittoria di poterla aiutare ad Armitage.
Si
avvicinò al cavallo, montò in sella e poi
scomparve nell'oscurità
del bosco.
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Capitolo 8 *** Capitolo sette ***
"Cosa
devo fare, Dwight?" - chiese Ross mettendosi le mani fra i
capelli, sprofondando nel divano della ricca dimora dei Penvenen.
Caroline
e il suo amico si guardarono attoniti e straniti per quella visita
improvvisa in tarda serata.
Dwight
si schiarì la voce, in evidente imbarazzo. "Ross, vorrei
aiutarti ma non ho ben capito cosa sia successo. Cioè, ho
capito
solo che tu e Demelza dovete aver litigato per qualcosa e che lei se
n'è andata e onestamente mi sembra la cosa più
assurda che io abbia
mai sentito. Quindi... o sei pazzo o la lite dev'essere molto
più di
una lite perché la Demelza che conosco io non se ne sarebbe
mai
andata".
Ross
sospirò, in imbarazzo. Spinto dalla disperazione si era
recato a
casa di Dwight e Caroline, non sapeva dove sbattere la testa e aveva
bisogno del consiglio di un amico. Ma ovviamente questo lo metteva
nella posizione di dover raccontare delle verità da cui lui
stesso
era fuggito per tre anni. "E' stata più di una discussione
in
effetti. Le cose fra me e Demelza sono un po' complicate da qualche
anno a questa parte e forse... forse le abbiamo affrontate nella
maniera sbagliata".
"Che
è successo, Ross?" - chiese Dwight, mentre Caroline lo
fissava
in silenzio, quasi conoscesse già la verità o una
parte consistente
di essa.
Ross
chiuse gli occhi, le tempie gli pulsavano dolorosamente. "Demelza
crede che io abbia una relazione con Elizabeth".
Dwight
spalancò gli occhi e anche Caroline parve stupita da
quell'affermazione. "Con la moglie di George Warleggan?
Perché?
Vive praticamente murata a Trenwith?" - esclamò la donna.
Ross
arrossì, sentendosi in imbarazzo e in colpa come spesso si
era
sentito in quegli ultimi tre anni. In colpa verso Demelza, verso
Jeremy, verso Elizabeth e anche verso il piccolo Valentine... "Tre
anni fa, prima che lei sposasse George... una notte... io...".
Dwight
si accigliò e ci mise alcuni istanti per mettere a fuoco
l'enormità
che il suo amico, a fatica, stava confessando. "Ross... Tu ed
Elizabeth? Hai tradito Demelza? E lei... lo sa?".
Ross
si morse il labbro. "Ora mi giudicherai una persona orribile e
non più degna della tua amicizia, vero?".
"Ohhh
Ross...". Dwight abbassò il capo, in difficoltà.
"Tre
anni fa, hai detto?" - intervenne Caroline. "Perché ti ha
lasciato solo ora?".
Ross
si alzò dal divano, avvicinandosi alla finestra. "Io amo
Demelza, è la mia vita. E so che lei ama me, nonostante
tutto. Con
Elizabeth è stata la follia di una notte e da allora, con
fatica, io
e mia moglie abbiamo lottato per ricostruire il nostro matrimonio.
Non è stato facile e forse lo abbiamo fatto nel modo
sbagliato. Ho
sempre avuto paura... vergogna... a parlare con lei di cosa era
successo. E ho preferito omettere, far finta di non vedere, lasciarmi
tutto alle spalle nella speranza che il tempo medicasse tutte le
ferite. Sapevo che lei aveva bisogno di parlarne, di sentire da me
cose che non ho mai avuto la capacità di dire ma ero anche
convinto
che fosse sicura dei miei sentimenti per lei. Invece, dando tante
cose per scontate, non mi sono mai accorto che la stavo perdendo...
Con Elizabeth non sono stato migliore, anzi! Da quella notte mi sono
dato alla macchia e non sono più tornato per chiederle
perdono o
darle spiegazioni. Da tre anni mi porto sulle spalle il peso di
quell'errore e ho permesso, senza muovere un dito, che lo portassero
anche le due donne che avevo coinvolto nei miei errori".
"Ma
tu e Demelza, da allora, avete avuto un matrimonio sereno. E' nata
Clowance e mi siete sembrati felici e uniti" –
obiettò
Dwight.
Ross
guardò distrattamente fuori dalla finestra. "Sì,
è vero! Ma
era una serenità effimera e fragile, benché
fingessi di credere che
tutto andasse bene".
Caroline
gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla.
"Cos'è
successo adesso, che l'ha fatta andare via?".
"Ho
rivisto per caso, al cimitero mentre ero andato a trovare Agatha,
Elizabeth. E dopo tre anni ho parlato con lei e le ho chiesto scusa
per tutto il male che le avevo fatto. E' stata il mio primo amore e
quell'incontro è stato un addio a ciò che eravamo
da ragazzini e
che non esiste più. Un commiato dal fantasma di un amore
giovanile
che ora so che esisteva solo nella mia mente e nelle mie fantasie.
Glielo dovevo, ce lo dovevamo. E prima di salutarla l'ho baciata. Non
un bacio d'amore, di passione o altro, ma un bacio d'addio a una
persona che per me è stata importante e verso la quale
proverò
sempre affetto".
"Lo
hai detto a Demelza?" - lo incalzò Caroline.
Ross
scosse la testa. "No, avevo paura di non sapermi spiegare e di
riaprire una vecchia ferita. Ho preferito tacere per proteggerla ma
questo ha generato un disastro perché Prudie mi ha visto con
Elizabeth e glielo ha raccontato. E lei è arrivata alla
conclusione
più ovvia ma anche più sbagliata: che la tradissi
ancora,
nonostante tutte le mie promesse. E stavolta si è arresa e
se n'è
andata...".
Caroline
si scambiò uno sguardo smarrito col marito, entrambi erano a
corto
di parole. Infine, l'ereditiera sospirò. "Ross, io ti avrei
lasciato tre anni fa, al posto di Demelza. Ma lei è rimasta
perché
ti ama, nonostante tutto. E credo sia ancora così... E'
ferita e
scoraggiata ma vedrai che col tempo, se saprai aprirgli davvero il
tuo cuore, risolverete la faccenda. Quando mi hai detto che se n'era
andata, pensavo fosse scappata con Armitage, ma a quanto pare lui non
c'entra e...".
"Forse
c'entra!" - la interruppe Ross. "Armitage la sta aiutando
in questa follia. Se n'è andata da Nampara con lui mentre
ero al
villaggio a sedare la rivolta".
Dwight
gli fece cenno di tornare a sedersi sul divano e appena lo ebbe
fatto, lo guardò negli occhi. "Ross, ora mi tornano molte
cose,
sia su George che su Hugh Armitage".
"Di
cosa parli?" - chiese Ross.
"Non
posso entrare nei dettagli ma alcuni mesi fa George Warleggan mi ha
chiesto un consulto medico sul piccolo Valentine, chiedendomi
conferme che sia nato effettivamente di otto mesi. Non ho mai capito
la natura di quella sua preoccupazione ma ora comincio a pensare che
sospetti qualcosa... Ti prego, dimmi che Valentine non è tuo
e che
Demelza non ha questo sospetto!".
Ross
sentì gli occhi pungergli. Non voleva nemmeno affrontare il
pensiero
che quel bambino potesse essere suo e che fosse George Warleggan a
crescerlo! "Nessuno potrà mai dirlo con certezza ma la
possibilità c'è e ora so che la ritiene possibile
anche mia
moglie... Ma di certo, nel mio cuore, lui non sarà mai mio
figlio. I
miei bambini sono quelli che mi ha dato Demelza! Sono nati
dall'amore, un amore che forse ha sbagliato tante cose ma che
è
sempre stato vero".
Dwight
sospirò. "Capisco... Ma questo mette comunque Elizabeth in
una
situazione pericolosa. Sappiamo entrambi quanto possa essere spietato
George davanti a un dubbio che attanaglia il suo amor proprio".
Ross
distolse lo sguardo, ricordando la conversazione con la donna al
cimitero. "Saprà tutelare suo figlio, ne sono certo".
"Speriamo"
– disse Dwight, sospirando.
Ross
alzò lo sguardo su di lui e Caroline. "E Hugh? Cosa dovevi
dirmi su di lui?".
"E'
innamorato di Demelza" – disse Caroline, senza troppi giri di
parole. "L'avrai notata anche tu la strana alchimia fra loro,
mentre Demelza cantava quella canzone da lord Falmouth".
Ross
sentì il suo stomaco contorcersi, ricordando quel momento e
quanto
l'aveva fatto soffrire, scalfendo ogni sua certezza. "Sì,
l'ho
notata. Sapevo che Hugh si era preso una cotta per Demelza, lei
stessa me lo aveva detto e io sulle prime non ci ho dato nemmeno
troppa importanza, non credevo che per mia moglie fosse qualcosa di
importante".
Dwight
scosse la testa. "Non parlerei di una cotta Ross, Hugh è
davvero innamorato di Demelza e lui stesso me lo ha confessato, anche
se gli ho subito detto di togliersi il pensiero dalla testa
perché
non aveva speranze. Anche se ora, con quello che mi hai raccontato,
mi chiedo quanto potesse essere vulnerabile Demelza e se questo non
abbia finito con l'avvicinarla a lui e a mettere in estremo pericolo
il vostro matrimonio".
Ross
sospirò. "Avrei dovuto mettere un freno alla cosa subito.
Dimostrarmi geloso, lottare per lei... Invece si è sentita
di nuovo
poco importante a causa mia e Hugh, con tutte le sue premure e
attenzioni, è diventato il perfetto principe azzurro ai suoi
occhi.
Non ho idea dell'entità del rapporto che li lega e ho
persino paura
ad indagare. Ma in questo momento di certo preferisce la sua
compagnia alla mia".
Caroline
sorrise. "Demelza non vuole il principe azzurro, non è il
tipo,
si stancherebbe subito. E' una donna pratica, in gamba, che non ama
oziare ed essere lodata tutto il giorno. Ma di certo è molto
fragile
e ha bisogno di attenzioni e premure da chi ama, di saperlo e
sentirlo vicino. E per queste cose a volte non servono poemi o
canzoni d'amore, bastano piccoli gesti per scaldare un cuore. Dwight
ha ragione, Hugh Armitage non ha speranze con lei, qualunque cosa li
leghi, è destinata a spegnersi presto. Questo non significa
che
tornerà da te, potrebbe scegliere la strada
dell'indipendenza se
riterrà il vostro matrimonio finito e ne avrebbe mille buone
ragioni. Ma non la vedrai felice e contenta, con lo sguardo rivolto
verso il tramonto, abbracciata a lui".
Ross
abbassò lo sguardo. Non era così certo che fosse
così e aveva
paura che col suo lasciar correre e minimizzare la cosa, avesse
finito per gettare Demelza direttamente fra le braccia del suo
rivale. Certo, poteva essere come dicevano i suoi amici, un qualcosa
di poco importante destinato a finire in breve, però anche
quella
ipotesi non riusciva a consolarlo. Demelza era sua e l'ipotesi che ci
fosse qualcun altro accanto a lei... Si sentiva impazzire! Lei, che
aveva raccolto per strada da ragazzina e che gli era cresciuta
accanto, lei che non vedeva che lui con occhi pieni di ammirazione...
Aveva distrutto tutto! "Cosa dovrei fare?" - disse, con
voce spezzata.
Dwight
sospirò, appoggiando famigliarmente la mano sul suo braccio.
"Dalle
tempo, non importi, falle sbollire la rabbia. Ha bisogno di digerire
la cosa, tornare a ragionare con lucidità e fare le sue
scelte con
serenità".
"E
nel frattempo?".
"Sii
paziente, Ross". Dwight si mise a sedere, imitato da Caroline a
cui prese la mano. "Avete due bambini, non perdere la testa per
il loro bene. Demelza li ama e attraverso Clowance e Jeremy potrai
mantenere i contatti con lei".
Ross
sospirò. "Cercano la loro mamma, Jeremy piange la sera,
quando
è ora di metterlo a letto".
Caroline
si morse il labbro pensierosa. "Prendi tempo, dì ai bimbi
che
la mamma deve sbrigare delle faccende nella casa del loro nonno e che
non puo' tornare subito. Poi fra una settimana, dieci giorni, va da
Demelza e organizza un incontro con loro. Le darai tempo di vedere le
cose con più lucidità e magari quando vi
rivedrete, tutti insieme,
capirà che il suo posto è con te. Lo
capirà perché lei sa che è
così! Anche se dannazione, Ross tu sei decisamente un
pessimo
marito".
Suo
malgrado, fu costretto a sorridere. "Farò così"
–
disse, sconsolato.
...
Fece
come gli avevano consigliato, anche se si sentiva un animale in
gabbia. Dopo una decina di giorni era tornato da Demelza, trovando il
piccolo mulino ripulito, vivibile e in fase di ristrutturazione.
Opera degli uomini mandati da Hugh, immaginava... Ma non ebbe il
coraggio di chiedere nulla.
Aveva
trovato Demelza un po' pallida e meno rabbiosa della volta
precedente. Gli sembrava semplicemente stanca e fredda, distante.
Aveva
cercato di tenere con lei un tono neutro, di non metterla sotto
pressione e di rispettare ogni sua decisione senza imporsi e le aveva
parlato unicamente dei loro figli.
Anche
se si sentiva morire dal non averla più a casa, aveva
evitato che
lei percepisse la cosa. Dwight e Caroline avevano ragione, l'aveva
ferita e ora doveva rispettare i suoi tempi e aspettare le sue mosse
come del resto aveva fatto Demelza con lui per tanti anni.
Lei
fu felice quando gli chiese se potevano incontrarsi coi bambini e si
organizzarono per il giorno successivo, di pomeriggio, in spiaggia.
Demelza si era rifiutata di venire a Nampara e in riva al mare, a
metà strada da Illugan, era il luogo ideale.
Il
giorno dopo, appena la videro, Jeremy e Clowance le corsero incontro
assieme a Garrick, felice di rivedere la sua padrona. Il bambino le
saltò al collo, contento ed eccitato, mentre la piccolina le
si
avvicinò trotterellando sulle sue gambette ancora incerte.
Demelza
li abbracciò talmente forte che per un attimo a Ross parve
che
volesse fondersi coi suoi figli. Li aveva abbandonati ma ogni suo
sguardo e gesto era di profondo amore per loro. Sapeva che li amava,
sapeva che per loro avrebbe dato la vita e sapeva anche che glieli
aveva lasciati per il loro bene, anche se questo gli era costato un
pezzo di cuore.
Demelza
prese Clowance fra le braccia, baciandola sulla fronte e poi strinse
nuovamente a se Jeremy, chiedendogli cosa avesse fatto in quei
giorni. Il bimbo, felice, chiacchierò a lungo con lei, quasi
senza
prendere fiato.
Sua
moglie li prese per mano e li portò a giocare sul
bagnasciuga e lui
rimase in disparte a vederla correre con Jeremy accanto e Clowance in
braccio, seguiti da Garrick che saltava fra le onde. La vide ridere e
rifiorire rispetto al giorno prima quando si erano visti per
organizzare l'incontro, notò le sue guance farsi rosse e
quell'espressione divertita, furba e biricchina che aveva ogni volta
che diventava complice dei loro bambini nei loro giochi.
Ross
si accorse che non lo degnava di uno sguardo ma decise che andava
bene così, che era giusto così. Era venuta per i
bambini, non per
lui! Doveva accettarlo e sperare che il tempo guarisse quella grave
ferita.
Il
tempo sembrò volare e improvvisamente Ross si accorse che il
sole
stava tramontando e il cielo stava tingendosi di rosa. E nonostante
fosse solo, seduto sulla sabbia ad osservare in lontananza la sua
famiglia, si accorse di desiderare che quel momento non finisse mai.
I
bimbi si misero a giocare con la sabbia e improvvisamente Demelza gli
si avvicinò. Alzò lo sguardo stupito, mentre con
la coda
dell'occhio osservava i suoi figli a una decina di metri da loro,
intenti a costruire un castello.
"Grazie
per avermeli fatti vedere" – gli disse, in tono gentile ma
freddo.
Ross
sorrise tristemente. "Ti avevo detto che non te lo avrei
impedito".
"Beh,
sei stato di parola...". Demelza guardò i bimbi che ridevano
sereni, felici, baciati dalla luce del tramonto. "Jeremy mi ha
raccontato come gli hai spiegato la mia assenza. Non avresti dovuto
mentirgli e illuderlo, dovevi dirgli la verità".
"Ho
preferito prendere tempo" – rispose Ross, in un soffio.
"Perché?".
"Perché
sì... E poi forse è una cosa che dovremmo
spiegargli insieme, non
credi?".
Demelza
stavolta annuì, impallidendo leggermente. "Hai ragione.
Clowance è piccola, si abituerà a questa
situazione e crescendo la
giudicherà normale. Ma Jeremy...".
"Torna
a casa, ti prego!". Quelle parole gli uscirono di getto, come se
avesse dimenticato di colpo ogni suo proponimento di non farle
pressioni. Era troppo per lui averla vicina e sentirla così
distante. "Eri così felice poco fa, con loro. Puoi esserlo
sempre, ti basta solo venire con noi. Sono i tuoi bambini e hanno
bisogno di te e io... anche io...".
Lo
sguardo di Demelza si indurì ed indietreggiò.
"No! Non voglio
parlare di questo... Per i bambini la faremo funzionare e faremo in
modo che non soffrano. Ma io e te...".
Spinto
dalla disperazione, Ross si alzò in piedi, tentando di
avvicinarsi a
lei. "Demelza, fra me ed Elizabeth...".
Sua
moglie divenne di ghiaccio nel sentire quel nome. "Non voglio
parlare di lei".
"Ma...".
"NON
– VOGLIO – PARLARE – DI – LEI!
Ti ho detto che le vostre cose
non mi riguardano".
"Ma
non c'è niente fra me ed Elizabeth!". Disperato le prese la
mano, costringendola a voltarsi verso i loro figli che, all'oscuro di
tutto, giocavano fra la sabbia. "Questo esiste! Tu, io, Jeremy,
Clowance e Garrick! Questo è reale, non Elizabeth! Abbiamo
un
matrimonio da salvare, due bambini nati dall'amore di una coppia che
si ama, vuoi davvero buttare via tutto?".
Lo
sguardo di Demelza divenne triste, i suoi occhi si velarono di
lacrime e distolse lo sguardo dai suoi figli. "Non sono nati
dall'amore..." - sussurrò.
Ross
spalancò gli occhi, quelle poche parole ebbero l'effetto di
mille
frustate su di lui. "Demelza?".
"Per
fare un bambino non serve l'amore e noi ne siamo la prova... Bastano
un uomo, una donna e un letto... I bambini sono la cosa migliore e
più bella che il nostro matrimonio mi ha donato, sono la mia
ragione
di vita. Ma non era amore il nostro, non lo è mai stato".
"Non
puoi crederlo davvero?" - rispose Ross, con voce spezzata.
Demelza
si voltò verso di lui, riguadagnato fierezza nello sguardo.
"Hai
un figlio nato dall'amore per una donna, no? Se pensi a Valentine, la
tua teoria trova compimento... Occupati di lui, porta il cognome
Warleggan e non augurerei una sorte simile a nessuno, nemmeno al
figlio tuo e di Elizabeth".
Ross
si sentì morire. Erano così profonde le ferite
che le aveva inferto
e che mai si era curato di sanare e curare... Da quanto Demelza
pensava queste cose? Da quanto non l'aveva fatta sentire amata? Da
quanto lei aveva perso ogni speranza? "Non è come pensi".
"Non
importa. Ora è tardi e devo andare a casa, sta facendosi
buio".
Ross
chiuse gli occhi, inspirò profondamente e poi
annuì, chiamando i
bambini.
Appena
Jeremy capì che sua madre stava andando, scoppiò
a piangere
disperato, aggrappandosi alla sua gonna. Clowance, vedendo il
fratello in quello stato, fece altrettanto e nessuna consolazione che
Demelza tentò di dar loro fu di effetto.
"Mamma,
vieni a casa con me e con Clowance, papà e Garrick. Ti
prego, fa
niente se non puoi curare la casa del nonno" –
strillò il
bimbo, inconsolabile.
Demelza
si inginocchiò davanti a lui, lanciando a Ross uno sguardo
freddo e
pieno di disappunto. E alla fine fece quello che lui non aveva avuto
il coraggio di portare a termine, disse la verità. Era
sempre stata
più coraggiosa di lui, per certe cose... "Jeremy, non
tornerò
a casa, ora vivo da un'altra parte. Io e papà abbiamo
litigato e non
vogliamo più stare insieme ma come vedi possiamo ancora
giocare come
una volta e vederci quando vogliamo. Starai a Nampara, nella tua
casa, con tua sorella e con papà. Ci saranno Prudie, gli
animali
nella stalla e Garrick. Non cambierà nulla, te lo giuro".
Jeremy
scosse la testa, disperato. "Noooo! Fate la pace, torna a casa".
Demelza
lo baciò sulla fronte, stringendolo a se. "Non posso".
"Si
che puoi, è facile, basta chiedere scusa" –
strillò il
piccolo.
A
quel punto Ross si fece coraggio, si inginocchiò e lo prese
in
braccio, staccandolo dalla gonna di sua madre. "Su, basta
piangere, vedrai la mamma ogni volta che vorrai". Poi si
voltò
verso Demelza e ora anche il suo sguardo era freddo e smarrito.
"Vattene, più rimani e più lui
piangerà. Ci penseremo io e
Prudie a calmarlo".
Vide
Demelza vacillare, impallidire davanti alla necessità di
lasciare
Jeremy in quello stato. Ma alla fine annuì e col cuore
spezzato si
allontanò.
E
Ross sperò che in quel momento lei avesse capito
l'entità delle
conseguenze delle sue decisioni.
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Capitolo 9 *** Capitolo otto ***
Il
sole era alto e caldo nel cielo azzurro dell'estate e il bosco che
circondava il mulino che aveva scelto come casa quasi un mese prima
era verde e rigoglioso, allietato dal canto degli uccellini nei loro
nidi.
Era
stato un mese doloroso ed intenso per Demelza, in cui aveva dovuto
ricostruirsi una vita tutta nuova. Era stato difficile andarsene da
Nampara e lasciare lì i suoi due bambini ed era ancora
più
difficile doverli salutare in lacrime ogni volta che li vedeva e poi
doveva separarsi da loro quando era ora di andare a casa.
Dopo
il primo incontro dove Jeremy era scoppiato in un pianto disperato
che le aveva spezzato il cuore, ce n'erano stati altri a Truro. Lei e
Ross avevano fatto merenda coi bambini in una locanda, li avevano
portati a passeggiare e il momento dei saluti, volta dopo volta, era
diventato meno complicato.
Clowance
si rintavana in braccio a Ross, stranita dal fatto che lei non
andasse a casa con loro. Certe volte allungava le manine verso di lei
per farsi prendere in braccio ed era in quei momenti che Demelza
vacillava sulle sue scelte che stavano pagando soprattutto i suoi due
bimbi. Jeremy piangeva sempre e il pianto disperato delle prime volte
si era trasformato poi in un singhiozzare sommesso e rassegnato.
Era
dura non essere accanto a loro la sera, per metterli a letto. E al
mattino, quando era l'ora di fargli il bagnetto... Non era accanto a
loro quando cadevano e si sbucciavano un ginocchio o quando nel cuore
della notte si svegliavano a causa di un incubo. Clowance aveva un
anno e mezzo, Jeremy quattro e lei li aveva lasciati alle cure del
padre... Si sentiva in colpa per i suoi figli e sperava che Ross, una
volta sistemato del tutto il mulino, glieli lasciasse tenere anche
per qualche giorno consecutivo.
Dal
canto suo invece suo marito era diventato taciturno durante i loro
incontri. Non aveva più insistito per farla tornare a casa
ed era
sempre rimasto in disparte quando lei giocava o chiacchierava coi
bambini, osservandoli da lontano, pensieroso. Questo rendeva tutto
più facile, non c'erano più pressioni fra loro ma
le liti e le
recriminazioni erano diventate gelo. E questo faceva male tanto
quanto la consapevolezza che quando erano distanti lui correva fra le
braccia di Elizabeth... Avrebbe voluto voltarsi dall'altra parte e
imparare a pensare che non gli importava ma non era così.
Amava
Ross, lo avrebbe sempre amato e senza di lui era comunque votata
all'infelicità perché per lei suo marito era
l'amore della vita...
E proprio per questo non sarebbe riuscita a sopravvivere a ulteriori
scossoni e delusioni, ne aveva avute troppe e stargli lontano era
l'unico modo che aveva per non esserne sopraffatta.
In
quel mese si era data da fare assieme a Hugh e ai suoi uomini per
sistemare il mulino. Ne avevano ricavato due camere, una con un
piccolo camino, un tavolo, una credenza e un letto dove avrebbe
dormito e cucinato. E un'altra piccola camera sul retro con un altro
letto e un armadio dove sperava avrebbero potuto stare di tanto in
tanto Clowance e Jeremy.
Fuori
scorreva il ruscello da cui prendere l'acqua ed era riuscita a
costruire un recinto dove tenere qualche gallina e coniglio che Hugh
le aveva regalato.
Aveva
trovato lavoro a Illugan, non avrebbe mai accettato denaro da Ross.
Una sarta del villaggio bisognosa di un'aiutante, Miss Tindall,
l'aveva assunta e lei si recava a casa sua due volte alla settimana
per prendere gli abiti da rattoppare e cucire, per poi riportarglieli
una volta sistemati. Niente di eccezionale, avrebbe guadagnato il
giusto indispensabile per vivere, ma non ambiva a nulla più
di
questo. Avrebbe potuto lavorare a casa sua, lontana dalle malelingue
e da persone che l'avrebbero sicuramente giudicata per la sua scelta.
Per ora andava bene così...
"Allora
hai trovato lavoro?" - chiese Hugh.
Demelza
annuì. Quel pomeriggio era venuto a trovarla e si erano
incamminati
nel bosco, costeggiando il torrente, per una passeggiata.
"Sì,
niente di eccezionale, un normalissimo lavoro da sarta".
"Ti
permetterà di vivere agiatamente?".
Rise
a quella domanda ingenua. "Oh, credo che mi permetterà di
non
morire di fame".
Hugh
si adombrò. "Io credo che non dovresti lavorare... Non
è cosa
per signore farlo".
"Io
non sono mai stata una signora" – ribatté lei.
Hugh
non parve dello stesso avviso. "Io invece credo che tu lo sia.
Permettimi di aiutarti, ti prego. Non posso sopportare l'idea che tu
lavori per vivere... Se Ross...".
Demelza
lo bloccò. "Ross non deve fare nulla e non voglio chiedergli
nulla. Sono abituata a lavorare e voglio che lui rimanga fuori dalla
mia vita. Sei gentile a preoccuparti per me ma ti pregherei di non
intrometterti più fra me e Ross, renderesti solo le cose
più
difficili".
"Sei
arrabbiata perché sono andato a parlare con lui?".
Demelza
sospirò. Sì, lo era stata un mese prima ma la
rabbia era sbollita
in fretta. "Non più, ma non farlo di nuovo".
"E
i bambini? Non ti mancano?".
Lei
sorrise tristemente, abbassando lo sguardo. "Mi mancano,
certo... E' sempre dura salutarli, quando li vedo... Jeremy
è così
triste e mi chiedo se il prezzo che i miei figli stanno pagando non
sia troppo alto... Certo, le cose sono un po' migliorate e presto si
abitueranno a questa vita, ma...".
Hugh
si fermò, prendendole la mano. "Sei una madre meravigliosa
Demelza, non dubitarne mai".
Beh,
non ne era così certa e spesso, pensando a Clowance e
Jeremy,
vacillava e sentiva l'istinto di tornare da loro, sotterrando il suo
amor proprio e il suo dolore per il loro bene. Ma poi pensava a Ross
e nella mente lo immaginava con Elizabeth e tutto tornava difficile e
cupo e ogni voglia di tornare indietro cessava. "Io spero solo
che loro sappiano che li amo e che ci sarò sempre".
"Sono
sicuro che lo sanno" – rispose Hugh, massaggiandosi la tempia
con una smorfia di dolore.
Demelza
si accigliò. Era insolitamente pallido quel giorno e
soprattutto era
lento nei movimenti, faticava quasi a starle dietro. "Sei sicuro
di sentirti bene?".
Hugh
sospirò. "Non sono molto in forma".
"Sono
gli occhi?".
Il
ragazzo alzò le spalle. "Non so, forse... La sera, quando fa
buio, fatico a vedere e spesso scorgo solo ombre. Di giorno va meglio
ma mi sento che non durerà a lungo... E poi ho questi
capogiri,
questi dolori fortissimi alla nuca e la nausea".
La
mano di Demelza strinse la sua e le loro dita si intrecciarono.
Voleva bene a Hugh e quando pensava alla sua malattia e a quello che
avrebbe dovuto affrontare, le si stringeva il cuore e desiderava solo
abbracciarlo, accarezzare quei suoi capelli biondi, far scivolare i
suoi ricci fra le dita come quel giorno, fra le dune... Non era
attrazione o desiderio sessuale, era più un istinto tenero,
di
protezione e affetto. Amicizia... O poco più... Ma non
amore, non
quell'istinto che quel giorno l'aveva spinta fra le sue braccia. Ora
avrebbe solo voluto alleviare le sue sofferenze, consolarlo e fargli
sentire che anche lei, come lui, era una amica su cui contare. "Sulla
nausea sono solidale, oggi ho lo stomaco sottosopra" –
esclamò, per stemperare la tensione.
Hugh
la guardò preoccupato. "Stai male? Vuoi che chiami un
medico?".
Demelza
sorrise, intenerita da quelle premure. "No, non è niente di
che. Sono sotto pressione in questo periodo e ieri sera al villaggio,
tornando da casa di Miss Tindall, mi sono fermata a mangiare delle
sardine da un venditore di passaggio. Credo sia stata una pessima
idea. Sono io ad essere preoccupata per te".
"Non
devi farlo" – insistette Hugh – "Tu non ne hai
ragione.
Mi spiace solo che, quando sarò completamente cieco, non
potrò
venire a farti visita o a darti una mano come ora".
Demelza
scosse la testa. "Oh Hugh, tu hai fatto per me già
tantissimo.
Sii mio amico, non ho bisogno d'altro".
Hugh
si fermò, costringendola a fare altrettanto. Le
poggiò le mani
sulle spalle, l'attirò a se e la abbracciò,
baciandola fra i
capelli. "Tu avrai sempre non solo la mia amicizia, Demelza. Il
mio cuore ti appartiene, così come ogni mio pensiero o
sentimento".
Demelza
deglutì. Erano parole d'amore quelle, di un uomo
profondamente
innamorato che però lei non poteva ricambiare, non nel modo
in cui
lui avrebbe voluto. Però era bello sentirsele dire, era
bello avere
qualcuno a cui appoggiarsi per non cadere. Era bello sentirsi
speciale e amata, importante... "Hugh, io...".
"Non
dire niente, so che non puoi farlo" – rispose lui, in un
singhiozzo.
"No,
non posso e mi dispiace" – sussurrò con
sincerità,
prendendolo per mano ed allontanandosi da lui. "Torniamo a casa,
ti va? Ho davvero la nausea" – ammise.
Hugh
annuì, sorridendo timidamente e accarezzandole i capelli
rossi.
"Siamo anime affini, vedi? Ci ammaliamo contemporaneamente"
– disse, per stemperare la tensione creatasi fra loro.
Demelza
fu costretta a ridere. "Credo che ne farei volentieri a meno
però, da questo punto di vista".
Il
giovane le prese la mano, la strinse e le strizzò l'occhio.
"Su,
andiamo a casa".
Demelza
si lasciò condurre, mano nella mano con lui, verso la sua
nuova
casa. Era una passeggiata rilassante, serena, quasi senza pensieri.
Pochi minuti rubati all'angoscia e ai sensi di colpa verso i suoi
figli che la attanagliavano ogni giorno da un mese a quella parte, il
suo attimo di pace che sapeva sarebbe finito appena Hugh se ne fosse
andato.
"Pensi
mai a Ross?" - le chiese improvvisamente Hugh, leggendole quasi
nel pensiero.
"Come
potrei non pensarci?".
"Forse
dovresti dargli una seconda opportunità".
Demelza
scosse la testa, stupita che lui insistesse tanto. "Già
fatto,
non ha funzionato. Ho sposato Ross che ero poco più di una
bambina,
avevo solo diciassette anni e forse non possedevo ancora la
maturità
necessaria per capire cosa potesse significare. Lo veneravo, come
ogni ragazzina che guarda a qualcuno con gli occhi pieni di
ammirazione. Ma lui non mi ha sposata per amore, lo ha fatto per
senso del dovere e per distrarsi da Elizabeth... Ci ha provato, non
dico di no, a farla funzionare! Ma Ross è un uomo che ci
mette cuore
e anima in ogni cosa che fa e se ama, ama totalmente. Non avrei mai
potuto spazzare Elizabeth dal suo cuore e ora lo so. Non sono
arrabbiata, ho sempre saputo che era così...".
Giunsero
davanti a casa, il torrente scorreva tranquillo fra i loro piedi
nudi. Avevano camminato con l'acqua che arrivava loro alle caviglie
per una mezz'oretta, godendo della frescura che questo gli regalava.
Hugh
fece per rispondere a quella sua affermazione, quando
impallidì di
colpo e crollò a terra, tossendo copiosamente senza riuscire
a
prendere fiato.
"Hugh!".
Demelza si inginocchiò accanto a lui, stringendolo a se e
tenendogli
una mano premuta sulla fronte per evitare che si accasciasse del
tutto al suolo. Era spaventata... "Che ti prende?".
Hugh
tossì, senza riuscire a risponderle, quasi soffocando nella
sua
stessa saliva. Alla fine, dopo aver sputato sangue, esausto, si
lasciò andare sull'erba, cercando disperatamente aria per
riprendere
fiato.
Demelza
gli sorresse la testa, preoccupata e spaventata. Che gli prendeva?
"Hugh...".
Il
giovane, con gli occhi chiusi, strinse un ciuffo d'erba. "Tranquilla,
ora passa".
Demelza
osservò la chiazza di sangue accanto a loro, mentre una
strana ansia
le attanagliava lo stomaco già provato dalla nausea. "Sei
sicuro?".
"Si,
mi è già successo" – disse lui,
mettendosi a sedere e
tentando di rimettersi in piedi.
Demelza
lo aiutò, ma fecero appena pochi passi che Hugh
crollò di nuovo a
terra, vittima di un capogiro. La donna lo aiutò a
trascinarsi
all'ombra, sotto un albero. Si sedette e lo aiutò a
stendersi,
tenendogli la testa sulle sue gambe. "Va meglio?".
"Tra
poco sì. Scusa, non volevo spaventarti".
"Ti
è già successo?" - chiese Demelza. "Non mi sembra
normale".
Hugh
aprì lentamente gli occhi. "Sì, un paio di volte
a casa".
"Cosa
dice Dwight?".
"Tutto
e niente. Come te, dice che non è normale". Hugh le riprese
la
mano, la sua voce si incrinò e la sua apparente calma si
frantumò.
Tremò vistosamente e piantò gli occhi su di lei,
come alla ricerca
di coraggio e di risposte. "Ho paura Demelza".
"Lo
so... Ho paura anch'io" – rispose lei, con
sincerità.
"Quando
sarò cieco, non sarò più in grado di
venire a trovarti. Non da
solo almeno... Dovrò farmi accompagnare e magari per te
sarò solo
un peso".
Demelza
deglutì, si chinò e lo baciò sulla
fronte come avrebbe fatto con
uno dei suoi bambini dopo un incubo, per tranquillizzarlo. "Non
sarai mai un peso".
...
Ross
galoppava verso Illugan, da solo, dopo una notte insonne e una
mattina in cui non aveva combinato nulla in miniera. Erano giorni che
pensava e ripensava, che mille pensieri lo attanagliavano e che
sentiva il bisogno di cambiare aria.
Come
gli aveva consigliato Dwight, era rimasto al suo posto e aveva
lasciato tranquilla Demelza, senza farle pressioni per tornare a
casa. Avevano organizzato altri incontri coi bambini, era rimasto in
disparte e aveva permesso a loro e a lei di stare insieme
serenamente, rendendosi conto di quanto, soprattutto Jeremy, ne
avessero bisogno.
Ma
Demelza non aveva mai cambiato idea o mostrato segni di cedimento...
I loro rapporti si erano mantenuti cordiali ma freddi e questo lo
annientava al pensiero di non averla più accanto nella sua
vita.
Rivoleva il suo sorriso, le sue labbra, sentirla accanto ogni istante
del giorno... Rivoleva sua moglie, Demelza era la sua casa e tutto il
suo mondo... E ora non poteva nemmeno sfiorarla.
Si
sentiva di impazzire e l'idea che lo aveva accarezzato durante gli
scontri, nel giorno in cui lei se n'era andata, era tornata a
tormentarlo. Aveva capito che era ora di smetterla di fare il
rivoluzionario, che se voleva aiutare i suoi cari doveva accettare
l'incarico politico di Lord Falmouth e spostarsi a Londra per un po'.
Questo gli avrebbe permesso di entrare nel nuovo mondo che lo
attendeva e soprattutto di riprendere fiato dalla difficilissima
situazione che stava vivendo in Cornovaglia.
Sapeva
che Demelza aveva finito di sistemare il mulino dove si era
trasferita e che c'era spazio per Clowance e Jeremy. Aveva ingoiato
il boccone amaro che fosse stato Hugh ad aiutarla a sistemare quella
casa improvvisata, aveva dovuto tacere anche davanti a quello. Per
riaverla avrebbe fatto di tutto... Ma ora doveva partire e
allontanarsi da lei per non impazzire. Forse, avrebbe fatto bene ad
entrambi.
Era
questo il suo piano per il pomeriggio: andare da Demelza, metterla al
corrente della sua partenza verso Londra e chiederle di tenere i
bambini mentre non c'era. Questo l'avrebbe resa felice e soprattutto
avrebbe fatto bene ai loro due bambini che desideravano la mamma ogni
istante del giorno.
Credeva
di trovarla da sola, come era già capitato le altre volte
che si era
recato da lei. E quindi grande fu il suo disappunto quando la vide
seduta sotto un albero, assieme a Hugh, steso con la testa sulle sue
gambe.
Gli
si fermò il cuore quando la vide appoggiare le labbra sulla
fronte
del giovane, sentì il sangue arrivargli al cervello per la
gelosia e
la rabbia, sentì che avrebbe potuto impazzire...
Demelza...
E
Hugh...
Il
suo peggiore incubo, quella realtà a cui non aveva mai
voluto
guardare in faccia era lì, davanti ai suoi occhi. E
ciò che vedeva,
lasciava poco spazio all'immaginazione.
Arrabbiato,
furente, scese da cavallo, dirigendosi da loro mentre schiacciava
rovi e pianticelle, incurante di dove metteva i piedi.
Come
poteva farlo? Come poteva accarezzargli i capelli come aveva sempre
fatto con lui? Baciarlo sulla fronte? Riempirlo di attenzioni e
tenerezze che una volta riservava a lui? COME POTEVA?
Quando
comparve davanti a loro, Demelza spalancò gli occhi
sorpresa.
"Ross?".
"Non
ti aspettavi il mio arrivo, da quel che vedo" – disse, gelido.
Demelza
guardò Hugh e poi guardò lui. Lei lo conosceva e
sapeva benissimo
che in quel momento era furente. E ne era preoccupata. "Ross,
non è come pensi...".
Hugh
aprì gli occhi, a fatica. "Capitano Poldark..." -
sussurrò, tentando di mettersi a sedere.
"Resta
dove sei, se sei comodo. Fa come se non ci fossi, prego, approfitta
di mia moglie" – gli disse, canzonatorio, avventandosi su di
lui e spingendolo a terra, senza incontrare resistenza.
"ROSS!"
- urlò Demelza. "Fermati, sta male!".
Ross
sorrise, sarcastico. "Oh, immagino! Star male mentre è fra
le
tue braccia, che destino infame, vero Armitage...".
"Sta
male sul serio!" - disse Demelza, tentando di farlo ragionare.
Ross
scosse la testa. "Tu... E lui... E accusavi me di avere
chissà
quale relazione segreta con Elizabeth? Da quando sei così
incoerente, Demelza?" - disse, vedendola impallidire e capendo
di aver toccato le corde giuste. "Sono un dannato idiota,
pensavo che nonostante tutto tu saresti sempre stata coerente e
corretta, che fossi molto migliore di me e invece...".
Gli
occhi di Demelza si riempirono di lacrime e nonostante Hugh Armitage
tentasse di tirarsi su per darle una mano, non riuscì a fare
molto
per lei. "Ross, lasciami spiegare".
Ross
le sorrise con freddezza. Era talmente arrabbiato in quel momento,
accecato dalla rabbia, che voleva solo farle un po' del male che lei
stava facendo a lui. "No, ora sono io che non voglio spiegazioni
e sarà il tuo turno accettarlo".
"Ross...".
"Non
voglio sentirti parlare, continua a coccolarti il tuo cucciolo. A
quanto pare alla fine te ne sei trovata uno".
"Capitano
Poldark" – ansimò Hugh – "Demelza mi
stava solo
aiutando. E voi non dovreste parlarle con questo tono".
Colto
sul vivo, Ross si morse il labbro. Santo cielo, lo avrebbe massacrato
di botte, se solo avesse potuto. "La SIGNORA Poldark e il modo
in cui le parlo sono affar mio. Siete pregato di non intromettervi".
Demelza,
sfinita, scosse la testa. "Hugh, lascia stare... E' inutile e in
fondo ha ragione di essere arrabbiato".
Ross
la fissò. Era pallida, sofferente e il suo sguardo era
infinitamente
triste. Fino a cinque minuti prima l'avrebbe stretta fra le braccia,
se lei glielo avesse concesso. Ma ora... Ora voleva solo correre via
da lei e non vedere più quella realtà terribile
che aveva davanti
agli occhi: amava un altro uomo, Hugh Armitage gliela aveva portata
via. E lui gli aveva permesso di farlo.
"Perché
sei qui, Ross?" - chiese infine Demelza, stanca e rassegnata.
Ross
annuì, voltandole le spalle ed avvicinandosi al cavallo.
"Volevo
solo dirti che parto per Londra, ho deciso di accettare l'incarico
politico offertomi da Lord Falmouth. Porto i bambini con me".
Col cavolo che glieli avrebbe lasciati, Demelza aveva tradito non
solo lui ma anche Clowance e Jeremy. E lui gliela avrebbe fatta
pagare. Londra era una bella città, piena di cose da
scoprire e
attraverso di esse i suoi figli avrebbero dimenticato il dolore di
non avere accanto la loro madre. Si sarebbero abituati, lui non
poteva farci nulla, dovevano accettarlo! E d'altronde, Demelza era
affaccendata e proiettata verso altri...
"Ross,
non farmi questo, non portarmeli via" – sussurrò
Demelza,
implorandolo.
Ross
non si voltò, saltò in sella e prese le redini.
"Il tuo
tenente saprà tenerti occupata, non preoccuparti". Poi
partì
al galoppo, senza avere il coraggio di vedere se lei piangesse oppure
no.
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Capitolo 10 *** Capitolo nove ***
Avrebbe
voluto seguire Ross, spiegargli, dirgli che si sbagliava... Ma Hugh
stava male, lei non era in forma e suo marito era partito a cavallo
senza voltarsi e in un attimo era sparito nella foresta.
E
poi, spiegargli cosa? Ciò che sospettava Ross, in un certo
senso era
vero. Fra lei e Hugh c'era stato qualcosa, non in quel momento ma un
mese prima, fra le dune, era stata una moglie infedele proprio come
Ross era stato infedele con Elizabeth. Come poteva dirgli che aveva
capito male se in fondo le sue supposizioni, anche se per una sola
volta, erano esatte?
Pure
lei aveva ceduto a Hugh Armitage e anche se le motivazioni che
l'avevano spinta a farlo potevano essere accettabili, avevano un
perché e si era concessa a un altro spinta dal dolore, dalla
delusione e dalla sensazione di aver vissuto da sempre un matrimonio
fasullo, restava una sola cosa su tutte: era stata infedele, aveva
tradito e davanti a questo non c'erano giustificazioni. O se ce
n'erano, lei non era in grado di darsele e di assolversi.
Era
vero, pure Ross era stato infedele e lei ne aveva sofferto tanto. E
probabilmente aveva continuato ad esserlo, visto quanto raccontatole
da Prudie. Oppure aveva frainteso, come Ross con Hugh quando lo aveva
visto fra le sue braccia davanti al mulino? E se le parole di suo
marito fossero state sincere, se quello fra lui ed Elizabeth fosse
stato un commiato e un chiudere un capitolo doloroso?
Ross
se n'era andato a cavallo col cuore spezzato, sapeva di averlo
ferito. E si sentiva in colpa perché i silenzi, le cose non
dette o
ascoltate, avevano finito per far del male ad entrambi. Forse avrebbe
dovuto lasciare da parte il suo orgoglio, in questo sia lei che Ross
erano uguali, due testardi con la testa dura come un muro, seguirlo e
parlarsi a cuore aperto. Avrebbe fatto male ma forse... forse se
avessero scoperto le loro carte, se fossero stati capaci di
ascoltarsi, capirsi, ammettere i propri errori ed esprimere i loro
veri sentimenti... Forse non sarebbe andato tutto perduto...
Demelza
voleva andare a Nampara, voleva andarci da quando Ross se n'era
andato a cavallo annunciandole che voleva partire per Londra coi loro
bimbi. Un gesto dettato dalla rabbia e dalla gelosia, lo sapeva, e
proprio per questo doveva fermarlo. Non poteva sopportare che i loro
figli divenissero uno strumento di vendetta e non poteva nemmeno
accettare l'idea che lui se ne andasse così, portandoglieli
via
senza la speranza di poterli rivedere.
Ma
non era andata a Nampara...
Dopo
che Hugh, ripresosi, era tornato a casa pallido e sofferente, si era
sentita male di stomaco.
Aveva
passato una notte infernale contorcendosi dal dolore e dalla nausea e
la mattina dopo, quando aveva messo i piedi giù dal letto,
aveva
vomitato tutta la misera cena della sera precedente. A fatica si era
lavata il viso al ruscello, cercando refrigerio nell'aria fresca del
mattino e un po' di calma. Il suo stomaco era a pezzi e l'unica
motivazione accettabile era che fosse a causa dello stress che stava
vivendo. Ma doveva riprendersi e in fretta, la strada per Nampara era
lunga da percorrere, o Ross sarebbe partito e lei non avrebbe avuto
alcuna possibilità di rivedere i suoi bambini.
Dopo
essersi lavata al ruscello, si avviò mollemente verso casa
per
sistemarsi i capelli, ma appena vi mise piede il suo stomaco cedette
di nuovo. Si accasciò a terra, non ricordava di essere mai
stata
tanto male in vita sua. Era sola, lontana da tutto e tutti, senza una
mano amica che potesse aiutarla. E cominciava ad essere spaventata...
Cosa le prendeva? E come avrebbe fatto ad arrivare a Nampara se
nemmeno riusciva ad uscire di casa?
Quel
pensiero durò un attimo... Improvvisamente fu troppo, tutto
divenne
nero, la stanza prese a vorticare e si accasciò a terra
senza sensi.
Si
svegliò molto dopo, non seppe nemmeno lei quanto rimase
senza sensi.
Avvertì il freddo del pavimento sulla guancia, il dolore
allo
stomaco e un gran mal di testa che sembrava farla impazzire. Per un
istante volle svenire di nuovo per non sentire più nulla di
tutto
questo ma alla fine dovette stringere i denti, strisciare fino al
letto e gettarsi sul materasso senza forze.
Si
chiese se un malessere tanto forte fosse davvero dovuto al pesce, non
era normale star male così ed era abbastanza sicura di non
essere
malata. E se...? Scosse la testa davanti a un pensiero strisciante
che forse si era già formato nella sua mente ma che lei si
rifiutava
di accettare. Al diavolo, no, non poteva essere, non DOVEVA essere!
Chiuse gli occhi e si addormentò di nuovo, mentre le lacrime
le
rigavano il viso. Non sarebbe mai riuscita ad andare a Nampara, a
parlare con Ross e a riabbracciare i suoi piccoli. Lui sarebbe
partito odiandola, i bambini avrebbero dimenticato il suo viso e a
lei non sarebbe rimasto nulla di loro. Pensò a Ross, il suo
amore,
il suo uomo forte e coraggioso, passionale e scavezzacollo, gentile
ma dal carattere forte come il metallo, pensò a quanto lo
amava e a
come, da sempre, avesse desiderato il suo amore e che la guardasse
come guardava Elizabeth. Ma in fondo come avrebbe potuto lei, Demelza
di Illugan, figlia di un minatore, competere con una donna nata per
essere amata e ammirata, sempre bella, perfetta ed altera, fine e ben
educata? Singhiozzò, pensando a Hugh, a come la guardava e
amava, a
come era innamorato di lei in maniera dolce, gentile, pulita e mai
egoista. E capì in cosa erano simili: entrambi amavano delle
persone
che non avrebbero potuto ricambiare i loro sentimenti perché
i loro
cuori appartenevano già ad altri. Il cuore di Ross
apparteneva ad
Elizabeth, il suo apparteneva a Ross. Lei e Hugh erano anime affini,
affamate di un amore che non poteva essere ricambiato. Le si strinse
il cuore pensando a Hugh e sperò che si fosse ripreso almeno
lui...
Poi,
spossata e vinta dal malessere, piangendo, scivolò in un
sonno
profondo e tutto smise di esistere.
...
Ross
aveva fatto i bagagli in fretta e furia, ordinando a Prudie di
preparare le cose per i bambini. Aveva noleggiato una carrozza e
avvertito gli uomini della miniera dei suoi piani, lasciando a Zachy
l'intera gestione della Wheal Grace. Poi si era recato da Dwight e
Caroline per salutarli e nonostante loro avessero cercato di farlo
desistere dall'intenzione di portare Clowance e Jeremy con se, non
aveva voluto sentire ragioni e si era accomiatato da loro,
lasciandoli perplessi e preoccupati per la piega che stava prendendo
la sua separazione da Demelza.
Il
mattino seguente la carrozza era arrivata e senza fermarsi a
riflettere su quanto stava facendo, caricò i bagagli. Non
voleva
fermarsi a pensare o mille dubbi l'avrebbero rallentato. Stava
facendo la cosa giusta? Clowance e Jeremy ne avrebbero tratto
beneficio o ne avrebbero sofferto?
Al
diavolo, Demelza se n'era andata tradendo tutti loro e non era certo
lui che doveva sentirsi in colpa verso i bambini! Sarebbero stati
bene, avrebbe lottato perché fosse così. Si
sarebbero divertiti a
Londra, avrebbero fatto tante nuove conoscenze, scoperto mille cose
nuove e non avrebbero avuto tempo di pensare alla loro madre.
Prudie,
accigliata, gli portò i bambini ancora assonnati. La piccola
Clowance, in braccio, si strofinò gli occhietti mentre
Jeremy si
faceva trascinare mezzo addormentato.
"Signor
Ross, io credo che non dovreste..." - tentò di argomentare
Prudie.
"Io
credo che DOVREI, invece! E credo che tu non dovresti preoccuparti di
quello che faccio coi miei figli".
La
donna sospirò, passandogli la piccola. "Portarli via dal
loro
mondo, dalla loro casa, dalle loro abitudini e dalla loro madre... E'
troppo".
Ross
strinse a se la piccolina, accarezzandole i capelli biondi, poi prese
Jeremy per mano. "La loro madre se n'è andata! ANDATA! Non
credo proprio che cambiare aria farà loro male, anzi, li
aiuterà a
non pensare al fatto che sono stati abbandonati".
Prudie
scosse la testa. "Abbandonati? Sapete che non è
così".
Jeremy
abbassò il capo, singhiozzando. "Quando torniamo dalla
mamma?".
Lo
sguardo di Ross si indurì, non poteva permettere che i sensi
di
colpa lo divorassero. Era stato fin troppo paziente con Demelza e lei
lo aveva fatto fesso... "Stiamo andando a Londra, ti
piacerà!
Staremo via un po'".
"Ma
la mamma non puo' venire con noi?" - insistette il bimbo. "Basta
che fate la pace e lei parte".
"No,
non puo' venire" – tagliò corto Ross. "Ha altro da
fare
e ci sono altre persone che vuole frequentare".
Prudie
lo interruppe, brusca. "SIGNORE! NO!". Gli prese il polso,
lo strinse e lo attirò a se con sguardo che faceva
scintille. "Non
dite queste cose ai bambini, non fate loro del male. E non fatene a
Demelza, lei non lo merita, vive per i suoi figli e glieli state
portando via".
Ross
si liberò dalla stretta con un gesto secco. "Avrà
chi la saprà
consolare, sta tranquilla".
"Come
non siete stato capace di fare voi?".
Ross
la guardò storto, adirato e pronto ad esplodere. Che ne
sapeva
Prudie del suo dolore e di cosa stesse passando? Che ne sapeva di
cosa si prova quando la donna che ami, ama un altro? Che ne sapeva di
cosa si prova a perdere la propria ragione di vita, la propria
compagna e ogni certezza? "Il tuo compito è gestire la casa,
limitati a quello! Quando torno voglio trovare Nampara splendente!
Per quanto riguarda Demelza, non mi pare mi abbia seguito per cercare
di farmi cambiare idea...". Mise i piccoli sulla carrozza
perché
non sentissero, chiuse il portellino e tornò a guardare la
serva in
viso. "E' rimasta a coccolarsi il suo poeta invece che venire
qui a lottare per i suoi figli! Hugh Armitage e il suo orgoglio sono
più forti dell'amore per loro e io non starò qui
a farmi umiliare e
a vedere i miei figli soffrire per una madre che li ha abbandonati
per stare con un altro". Poi si mise il tricorno in testa,
aprì
il portellino della carrozza e vi salì. Strinse a se
Clowance che si
era addormentata e asciugò le lacrime di Jeremy.
"Andrà tutto
bene, vedrai che ti piacerà" – gli disse.
Jeremy
non rispose. Abbassò il capo, lo poggiò sulle sue
gambe e lasciò
che lui gli accarezzasse la testolina.
Poi
partirono e per la prima volta da tanti anni, Ross si sentì
come al
suo ritorno dalla Virginia. Senza speranze, un futuro, un affetto...
Solo e con una vita da ricostruire.
Ma
poi, abbassando lo sguardo, vide i suoi due bambini rannicchiati
contro il suo petto e si rese conto che in fondo non era solo.
C'erano loro... E glieli aveva donati lei... Lei, a cui li stava
portando via...
...
Per
una settimana rimase praticamente sempre a letto, eccetto per lavarsi
e mangiare il poco che riusciva. La dispensa era quasi vuota, ma in
fondo non le importava molto perché il suo stomaco faticava
a
trattenere ogni cosa.
Aveva
svolto il suo lavoro di sarta a letto, quando la nausea glielo aveva
permesso e sperava di trovare presto le forze per alzarsi e andare a
consegnare al villaggio i capi che aveva cucito. Aveva dannatamente
bisogno di riprendere in mano la sua vita, guadagnare, uscire e
vedere gente o gli incubi della sua mente l'avrebbero fatta
impazzire.
Hugh
non si era più visto... In fondo non se ne stupiva troppo,
era
giusto così. Che ci faceva un ragazzo come lui con lei, che
non
poteva promettergli e dargli nulla e che aveva una montagna di
problemi insormontabili? Si era stancato, come era giusto che
succedesse, non trovava altre spiegazioni a quel suo silenzio.
Sperò
non si trattasse della sua salute, era un timore che la attanagliava,
e preferiva pensare che il diverbio con Ross lo avesse stancato e
spinto a cercare compagnie più adatte alla sua persona. Le
sarebbe
mancato, ma era giusto così... Hugh era giovane, nobile,
pieno di
talenti e desideri e lei era una donna sposata, con una vita
matrimoniale distrutta e due figli piccoli che forse non avrebbe
visto mai più.
E
ora persino la salute pareva abbandonarla...
Dopo
una settimana di riposo forzato, un pomeriggio il suo sonno fu
interrotto da un mesto bussare alla sua porta.
A
fatica, sorpresa, si alzò dal letto per andare ad aprire,
chiedendosi chi si fosse spinto fin lì. Era Miss Tindall,
venuta a
ritirare le camicie rammendate? O forse qualcuno dei suoi fratelli,
preoccupati per la sua assenza?
Aprì
la porta e a sorpresa scoprì che non si trattava di nessuno
di loro.
"Dwight!" - esclamò, felice.
Il
suo vecchio amico le sorrise nel suo solito modo gentile, annuendo.
"Scusa se mi presento qui senza preavviso ma ero preoccupato per
te e Ross mi ha detto dove vivi e cosa è successo e...".
Demelza
sorrise dolcemente, era felice di vedere un volto amico. "Dwight,
sei e sarai sempre il benvenuto. Entra pure".
Il
medico annuì, poi entrò nel mulino. La
osservò pensieroso prima di
accomodarsi sulla sedia, mentre Demelza si sedeva sul letto. Quei
pochi passi l'avevano distrutta e la nausea era tornata a farsi
fortissima.
"Ti
senti bene? Sei pallidissima".
Demelza
scosse la testa. "Per niente, sono a letto da più di una
settimana".
Dwight
si accigliò. "Non è da te! Che cos'hai?".
"Niente
di grave, sono solo molto stanca, passerà. Sei venuto qui
per
Ross?".
L'uomo
sospirò, poggiandosi sul tavolo. "No a dire il vero. Ma tuo
marito mi ha raccontato cosa è successo e voglio dirti che
mi
dispiace. E che io e Caroline saremo sempre amici di entrambi e di
qualunque cosa avrete bisogno, noi ci saremo...".
"Lo
so, grazie". Demelza sorrise, Dwight era un amico d'oro, uno di
quelli rari da trovare, dall'animo gentile e delicato. "Ross
è
partito?".
"Sì,
settimana scorsa" – rispose l'amico, a fatica.
Le
sembrò che il cuore gli si spezzasse in mille pezzi. Se
n'era
andato, maledicendola e strappandole i suoi piccoli. "Coi
bambini?".
"Sì.
Gli ho detto di non farlo, che era un errore e che voi due dovevate
semplicemente sbollire la rabbia e parlare, ma era fuori di se. Crede
che tu abbia una relazione con Armitage e so che tu pensi che lui
l'abbia con Elizabeth Warleggan. Ross mi ha raccontato di Valentine e
di ciò che è successo tre anni fa fra voi e ti
giuro, ti capisco,
comprendo la tua rabbia e l'infinita pazienza che hai dovuto
sopportare. Ma dagli un'altra possibilità, ci metterei la
mano sul
fuoco che Ross non ti tradisce, il suo è stato l'errore di
una notte
e so che ti ama. Vive per te, sei la sua vita! Io e Caroline abbiamo
sempre guardato a te e lui come a un modello da imitare e so che non
ci siamo sbagliati. Dagli tempo, è la stessa cosa che ho
consigliato
a lui, lascia che la rabbia sbollisca in entrambi e tornerete insieme
più forti di prima".
Demelza
avrebbe voluto credergli, le parole di Dwight erano un balsamo per la
sua anima. Ma le cose erano sfuggite troppo di mano ad entrambi e
ora... "Non si puo' tornare indietro, Dwight" – disse,
prendendo un profondo respiro per combattere la nausea.
Il
dottore la fissò, poi si avvicinò prendendole il
polso. "Mi
dici che sintomi hai? Mi sembri un fantasma, Demelza".
"Nausea
fortissima, vomito. Soprattutto al mattino, poi nel pomeriggio va
meglio... Settimana scorsa sono svenuta, è stato orribile.
Volevo
raggiungere Ross a Nampara per parlargli di quanto successo con Hugh
ma non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi".
"Capisco".
Dwight le poggiò la mano sulla spalla. "Su stenditi, ti
voglio
visitare".
"Non
è necessario".
"Sì
che lo è. Ma prima dimmi se hai avuto febbre o altri
malesseri".
"No,
nient'altro per fortuna".
Dwight
le tastò il ventre, pensieroso. "Dovrei farti una visita
più
accurata, ma non credo che tu sia malata. Demelza, hai avuto tre
figli e di certo riconosci i sintomi di una gravidanza. C'è
questa
possibilità?".
Quella
domanda ebbe l'effetto di un terremoto su di lei. Qualcosa nella sua
mente glielo gridava da giorni ma MAI aveva voluto affrontare quella
vocina che tentava di mostrarle la realtà. I suoi occhi si
inumidirono, no non poteva essere, sarebbe stato un incubo! Eppure,
ora che Dwight a voce aveva espresso quel dubbio, tutto sembrava
diventare una certezza.
"Demelza?".
Deglutì,
piangendo silenziosamente. "Sì, potrebbe".
A
quell'affermazione, Dwight rise eccitato. "Demelza, ma non
capisci? E' meraviglioso, un miracolo! Tu e Ross avevate bisogno di
una cosa così per trovare un appiglio e riavvicinarvi!
Quando saprà
che diventerà di nuovo padre, si precipiterà qui
coi bambini e...".
Demelza
lo guardò, nel suo viso non vi era traccia di gioia e
felicità. No,
non era meraviglioso, era e sarebbe stata una catastrofe. Ross non la
sfiorava con un dito dalla morte di Agatha avvenuta quattro mesi
prima. E l'unico rapporto intimo avuto era con... "Non è
come
pensi, non sarà meraviglioso! Non posso essere incinta,
Dwight!"
- esclamò, prendendo a piangere più forte ed
affondando il viso nel
petto dell'amico.
"Demelza,
cosa stai cercando di dirmi?".
"E'
successo solo una volta, Dwight" – singhiozzò
– "Ero
distrutta, disperata, credevo che il mio matrimonio fosse finito. O
mai iniziato... Volevo solo sentirmi amata e far felice una persona
che mi venerava e adorava come non aveva mai fatto nessuno. Volevo
essere come Elizabeth, per una volta. Volevo dimenticare per qualche
istante tutto il male che Ross mi aveva fatto, ogni ferita, ogni
illusione...".
Dwight
la prese per le spalle, spalancando gli occhi inorridito. "Demelza,
stai cercando di dirmi che questo ipotetico bambino non è di
Ross?
E' di Armitage?".
Demelza
annuì. "Senza ombra di dubbio".
"Senza
ombra di dubbio, perché...?" - chiese Dwight, con la voce
spezzata.
"Perché
io e mio marito eravamo in crisi dalla morte di zia Agatha e lui
aveva mille cose a cui pensare come sempre, i nostri rapporti erano
tesi e non ci degnavamo di uno sguardo a letto".
Dwight
alzò gli occhi al cielo, sprofondando sulla sedia. Si mise
le mani
nei capelli, scompigliandoli, inspirò e poi la
guardò preoccupato.
"Dio mio, cosa avete fatto tu e Ross? Come possono due persone
come voi, che si amano come avete sempre fatto voi, ad essere
arrivate a questo?".
Demelza
si morse il labbro. "Forse non era amore...".
Dwight
sospirò e gli si riavvicinò, prendendole la mano.
Cercò di
calmarsi e di calmarla, come ogni buon amico avrebbe fatto. "Lo
era Demelza. Credimi, Ross è la peggior canaglia che io
abbia mai
conosciuto, uno scavezzacollo incallito. Ma so che ti ama e so che
non ama Elizabeth! Ma vi siete fatti male, molto ed entrambi. Non so
cosa dirti, non so cosa consigliarti, ma sappi che non ti
lascerò da
sola ad affrontare tutto questo se sei davvero incinta.
Avvertirò
Prudie di venire qui, non puoi stare da sola in questo stato. E io e
Caroline ti aiuteremo come potremo".
"Ross
ti odierebbe per questo".
"Sono
un medico, è mio dovere curarti. Posso visitarti ora?".
Demelza
arrossì. "Preferirei di no".
Dwight
sorrise. "E' il medico che parla adesso, non l'amico. Ricordi,
ti ho aiutata a partorire Jeremy?".
"Lo
so, ma è solo che ho paura di scoprire la verità".
"Non
riuscirai a sfuggirle. Nel caso fosse confermato..." - chiese
Dwight – "Cosa vuoi fare? Demelza, sei una donna sposata e
potresti partorire il figlio illegittimo di un altro, sai a cosa
porterebbe?".
Demelza
lo osservò senza capire, ma con la sensazione che quello che
gli
stava per dire sarebbe stato devastante. "Che cosa stai cercando
di dirmi?".
"Esistono
modi per interrompere la gravidanza" – tagliò
corto Dwight.
Rabbrividì
inorridita davanti a quelle parole. Avrebbe dovuto uccidere un
bambino? Il suo bambino? Non importava da dove venisse, se c'era ed
esisteva, lei era sua madre e avrebbe lottato sempre per proteggerlo.
"Non potrei mai fare una cosa del genere. Ho già perso
Julia, i
miei due bambini e ora... Non me lo perdonerei mai! So che
sarà un
inferno e so che me lo meriterò tutto. Ma non posso fare del
male al
mio bambino, se esiste... Non pagherà le mie colpe".
Dwight
annuì, accarezzandole la guancia. "Va bene, come vuoi... Sei
una donna forte e intelligente e so che agirai per il meglio. Ti
consiglio però di prepararti perché
sarà difficile. Ross, quando
lo saprà...".
Demelza
deglutì... Ross avrebbe scatenato l'inferno e lo sapeva,
questo
bambino le avrebbe tolto ogni possibilità e diritto di
vedere Jeremy
e Clowance. Ma che poteva fare? CHE POTEVA FARE? "Sopporterò
tutto quello che verrà e me lo sarò meritato"
– disse, senza
quasi fiato.
"Ami
Hugh?" - chiese Dwight, senza mezzi giri di parole.
Demelza
sorrise dolcemente. "No, non lo amo. E' un caro amico, una
persona dolce e gentile che ha saputo curare le ferite del mio cuore
e che mi è stata accanto in un momento difficile. Ma non
è amore,
l'amore è un'altra cosa".
Dwight
abbassò lo sguardo. "Te lo chiedo, perché
è per conto di
Armitage che sono qui. Sei la moglie di Ross Poldark e Hugh non
potrà
mai riconoscere questo bambino ed esserne padre. Non potrà
farlo per
legge e perché la sua famiglia glielo impedirebbe, non
vogliono
scandali e ti farebbero la guerra se provassi a pretendere diritti
per il bambino".
"Questo
lo so". Già, lo sapeva e nemmeno voleva intromettersi nella
sua
vita e rivoluzionargliela più di quanto non avesse
già fatto... E
di fatto era consapevole che non avrebbe potuto essere altrimenti,
non potevano essere una famiglia! E nemmeno lo voleva, la sua
famiglia sarebbe rimasta sempre quella che aveva lasciato a Nampara.
"E
poi..." - proseguì Dwight – "Lui sta molto male e
vorrebbe vederti. Demelza, le sue condizioni di salute sono critiche
e io dubito di poterlo curare. Indipendentemente da tutto, non
potrà
fare nulla per te".
Demelza
ricordò il malessere di pochi giorni prima, quando aveva
rivisto
Ross. Sapeva che Hugh stava male ma non credeva che fosse tanto grave
come stava facendole intendere Dwight. "E' possibile che siano
solo gli occhi?".
Dwight
scosse la testa. "La perdita della vista non è la malattia
ma
il sintomo di qualcosa di più grave che io non posso curare.
Demelza, non è in grado di venire qui ma vorrebbe tanto
vederti.
L'ho visitato stamattina e mi ha implorato di venirti a chiamare".
Il
cuore di Demelza parve spezzarsi nel sentire quelle parole. Hugh...
Così giovane, con così tanti sogni e
così tanta vita davanti...
Come poteva essere? "Dwight... no... Ti prego, curalo! Ha una
vita intera da vivere, ha mille talenti ed è una persona
dolce e
gentile e...".
"Stagli
vicino, è tutto quello che puoi fare" –
tagliò corto il
medico. "E ora stenditi e vediamo se i nostri timori sono
fondati. Qualunque sia il responso, sarà un periodo duro per
te".
Demelza
annuì, tremando. Era ora di conoscere la verità e
Dwight aveva
ragione, non poteva più scappare. La sua vita stava per
cambiare per
sempre e sarebbe stata dura, solitaria, piena di dolore e priva di
amore.
Lasciò
che Dwight facesse il suo lavoro, chiuse gli occhi e pianse in
silenzio ogni sua lacrima, chiedendosi cosa avrebbe fatto.
E
quel giorno ebbe il responso che tanto temeva...
A
marzo avrebbe messo al mondo un bambino. E non sarebbe stato un
Poldark.
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
Era
stata un'estate molto calda a Londra, afosa e torrida. Ross aveva
faticato parecchio ad abituarsi a quella nuova dimensione e si
sentiva per la maggior parte del tempo un animale in gabbia a cui era
stata tolta la libertà.
Vestirsi
come un damerino, rispettare l'etichetta, raffrontarsi con nobili
spocchiosi che pretendevano di fare leggi per il popolo senza
conoscere il popolo... Era stata una sua scelta quella di accettare
l'incarico politico di Lord Falmouth, dettata dalla
necessità
impellente di allontanarsi dalla Cornovaglia, però era tutto
difficile lo stesso. Non era la sua vita quella, non era il suo mondo
e di certo non era il suo modo ideale di vivere. Ma doveva farlo per
se stesso, per i suoi figli e per tutta la povera gente lasciata in
Cornovaglia che aveva sempre cercato di aiutare.
Aveva
trovato un appartamento in centro, in una via trafficata giorno e
notte da carrozze che sfrecciavano sotto le sue finestre a gran
velocità e sempre piena di bambini e venditori ambulanti che
strillavano a ogni ora.
Anche
quella casa gli sembrava una prigione, abituato com'era alla
libertà
di Nampara, all'immensità dei campi e alla
maestosità delle sue
scogliere solitarie e infinite.
Aveva
assunto un'anziana governante per i bambini, Miss Etta Dowson, una
zitella di settant'anni dai modi gentili ma ferma di carattere se i
piccoli facevano i capricci. Brava bambinaia, precisa e attenta nella
pulizia della casa e ottima cuoca. E una piacevole compagnia a volte,
la sera, con cui scambiare quattro chiacchiere quando i bambini
dormivano.
Jeremy
frignava spesso, Ross sapeva che era per la lontananza da sua madre.
Clowance era prepotente e strillava se contrariata e pure lei ogni
tanto era da mettere in riga.
Li
vedeva solo di sera, al ritorno dal Parlamento, eccetto la domenica,
giorno che dedicava interamente a loro. Ma era difficile, tanto,
stare ad accudirli senza Etta e senza Demelza. Sua moglie sapeva cosa
fare, come gestirli, come far fronte a ogni loro necessità,
tutte
cose che lui non aveva mai fatto e a cui non aveva del resto mai
pensato.
Beh,
ora lo sapeva, gestire due bambini era più impegnativo di
una
giornata in miniera!
Il
momento preferito era la sera, quando li metteva a letto. Lì
tornavano ad essere dolci, sonnacchiosi, giocavano con lui a letto e
poi si addormentavano e li riportava nella loro stanza. Jeremy spesso
chiedeva della mamma e lui glissava e cambiava argomento, sperando
che la dimenticasse presto. Ma sapeva che non sarebbe successo
perché
lui stesso non avrebbe mai potuto dimenticarla.
Si
chiedeva cosa facesse, se... se lo vedesse... Armitage... E
Demelza... Demelza che una volta lo aveva amato più della
sua vita e
che ora era di un altro.
Eppure
era difficile non chiedersi se ci fosse qualcosa da fare, da tentare,
se davvero fosse tutto perduto. E se quella separazione fosse una
cosa buona oppure no per i suoi bambini. Se lo chiedeva sempre,
soprattutto la domenica mentre era con loro.
"Papà,
che cos'è?" - chiese Jeremy, osservando il bicchiere davanti
a
lui, seduto composto alla sedia di un bar del centro.
Ross,
con in braccio Clowance che giocava con un cucchiaio, lo
imboccò.
"Gelato al cioccolato. Ti piace?".
Il
bimbo annuì. "Sì. Ma è freddo".
Ross
si guardò attorno, era una splendida giornata di fine
estate,
soleggiata e calda. E si trovavano a pochi passi dalla reggia dei
sovrani, in una via elegante e raffinata, diversissima dalla
Cornovaglia. "Beh, oggi dubito che congelerai".
Jeremy
gli prese il cucchiaio di mano per mangiare da solo. "Anche a
mamma piacerebbe il gelato mi sa".
Ross
si morse il labbro, odiava quando Jeremy andava su quel discorso
perché non sapeva cosa dirgli. Fu Clowance a tirarlo fuori
d'impaccio, mettendosi a gridare come una forsennata. Aveva solo un
anno e mezzo e una voce che spaccava i timpani... "Che c'è?".
La
bimba indicò la reggia dei sovrani. "Mio".
Jeremy
rise e anche Ross dovette fare altrettanto. "Ah bimba mia, non
è
tuo".
"Mio,
mio!" - ripeté Clowance, saltandogli sulle ginocchia.
Ross
le accarezzò i capelli biondi. Era bellissima, una bambolina
che
avrebbe fatto impallidire qualsiasi principessa al suo cospetto.
"Sai, credo che dovrò lavorare molto per comprarti un posto
come quello".
Clowance
ci pensò su, poi decise di tuffare la manina nel bicchiere
col
gelato. Infine ne prese una manciata e si portò le dita alla
bocca,
prendendo a leccarle e sporcandosi tutto il viso.
Jeremy
rise ancora. "Mi sa papà che le principesse del castello non
mangiano così".
"Credo
di no" – rispose Ross, prendendo un fazzoletto per pulirla.
Clowance
strillò ancora, contrariata, cercando di liberarsi da quella
tortura. Ecco, erano quelli i momenti che Ross temeva di più
e a cui
faticava ancora a far fronte. "Clowance, si mangia col
cucchiaio, non con le mani".
La
bimba lo guardò con gli occhi lucidi, singhiozzando.
"Papà?".
"Dimmi...".
"Pipì".
Ross
spalancò gli occhi. E adesso? E ADESSO??? Guardò
Jeremy in cerca di
aiuto, ma il figlio sembrava più interessato al gelato che a
lui.
"Tesoro? Che fa Miss Etta quando Clowance deve fare pipì?".
"Gliela
fa fare" – rispose il bimbo.
"Come?".
Jeremy
alzò le spalle. "Dipende! Se siamo al parchetto la porta
dietro
a una pianta, se siamo a casa gliela fa fare nel catino e poi la
lava e la riveste".
Ross
sudò freddo, guardandosi in giro. Ok, niente panico! Non
erano a
casa, quindi... "Jeremy, c'è un parco nelle vicinanze?".
"E
il gelato?".
"Ne
prendiamo un altro, se mi indichi dov'è".
Il
bambino sorrise. "E' vicino ma non tanto. E' un po' lontano".
Deglutì.
Capire il linguaggio dei bambini era così difficile... Come
faceva
Demelza? Persino Prudie era più brava di lui, dannazione!
"E'
un po' lontano nel senso che non arriviamo in tempo?".
Jeremy
alzò le spalle. "Boh, chiedi a Clowance, non a me! A me non
mi
scappa la pipì, scappa a lei".
Davanti
a quell'osservazione in fondo geniale e più che ovvia anche
per uno
di quattro anni, Ross si sentì ancora più idiota.
Poi si sentì i
pantaloni bagnati, guardò Clowance e capì che in
fondo non era più
necessario andare al parco.
"Papà,
cos'hai?".
"Pipì,
pipì" – urlò contenta Clowance, con la
gonnellina tutta
bagnata.
Jeremy
scoppiò a ridere divertito e alla fine dovette cedere e
unirsi a
lui. Era un bel momento, nonostante tutto e nonostante la
pipì di
sua figlia che gli colava sui pantaloni. Per un attimo pensò
a
Demelza e a come avrebbe riso se fossero stati insieme. E si rese
conto che erano sempre stati pochi i momenti in cui avevano fatto
qualcosa di rilassante insieme, c'era sempre dell'altro di
più
importante e urgente da fare.
Era
questo che era mancato a Demelza? Era questo che l'aveva fatta
allontanare? Era davvero stato tanto distratto da non accorgersi di
quanto avesse bisogno di averlo vicino?
Era
stato sicuramente ingenuo, questo sì, sottovalutando il
pericolo che
Armitage rappresentava per il suo matrimonio. O forse aveva
sopravvalutato Demelza, la sua forza, la sua incrollabilità,
il suo
amore...?
Demelza
era cresciuta, era cambiata e non era più la ragazzina che
lo
ammirava incondizionatamente come all'inizio del loro matrimonio.
L'aveva ferita e umiliata e poi aveva sempre avuto paura di
affrontare con lei le conseguenze del suo tradimento, illudendosi che
tutto col tempo sarebbe tornato come prima per magia.
Invece...
Invece
la ferita non si era rimarginata e se solo fosse stato più
attento o
avesse voluto vedere, forse sarebbe riuscito a correre ai ripari,
anche se significava aprire con Demelza discorsi dolorosi, affrontare
la vergogna, parlare del tradimento e delle sue conseguenze.
Sentirla
parlare di Valentine come di suo figlio, l'aveva distrutto. Non aveva
mai lontanamente sospettato che lei lo ritenesse possibile e lui
stesso non ci aveva mai voluto pensare. I suoi figli erano Julia,
Jeremy e Clowance e forse Valentine aveva il suo stesso sangue ma non
era un figlio. Se anche lo aveva generato, non lo avrebbe mai
cresciuto! E i figli – e ne era sempre stato convinto
– erano di
chi li cresceva, non di chi li generava.
"Papà"
– si lamentò Clowance, riportandolo alla
realtà.
Ross
le sorrise, baciandola sulla fronte. "Ti da fastidio essere
bagnata?".
"Sì".
Jeremy
ingoiò l'ultimo cucchiaio di gelato, poi si alzò
in piedi. "Papà?".
"Dimmi".
"La
pipì puzza".
Ross
sospirò, alzandosi in piedi mentre tutte le persone dei
tavolini a
lui vicini lo guardavano ridacchiando. Tossicchiò, prendendo
Jeremy
per mano. "Ehm, andiamo a casa?".
"Mia!"
- ribadì Clowance, indicando la reggia reale.
Ross
ridacchiò. "Sporca di pipì, non ti farebbero
nemmeno
avvicinare ai cancelli".
Saltellando
verso di lui, Jeremy gli strinse la mano. "Papà?".
"Cos'hai
ancora?".
"Lo
fai tu il bagnetto a Clowance?".
"No,
glielo farà Etta".
Il
bambino gli fece la linguaccia. "Mi sa che se ti vede sporco di
pipì, Etta il bagnetto lo fa anche a te".
Ross
alzò gli occhi al cielo. "Beh...". Poi rise, sentendosi
nuovamente leggero. Era domenica, avevano ancora tutto il pomeriggio
davanti e dopo essersi lavati, poteva portare i bambini a fare
un'altra passeggiata.
Era
una bella giornata, nonostante tutto.
E
con un pizzico di malinconia pensò che sarebbe stata
perfetta se
Demelza fosse stata con loro, che Londra le sarebbe piaciuta e che
avrebbero riso insieme e giocato coi loro figli fino a sera.
Guardò
al cielo, chiedendo a Dio una seconda opportunità. Non gli
importava
di quanto ci sarebbe voluto, di quanto sarebbe stato difficile.
Voleva solo un'altra occasione e stavolta non l'avrebbe sprecata.
Non
aveva mai pregato molto spesso ma quel giorno sperò che la
sua
richiesta arrivasse al cielo e a qualcuno lassù che poteva
esaudirla.
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Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
Dwight
era stato il suo angelo custode e un ottimo amico, nonché
medico.
La
gravidanza questa volta era dura, piena di malesseri e senza il suo
aiuto e quello di Caroline, Demelza non ce l'avrebbe mai fatta a
tirare avanti.
Erano
due grandi amici, gli Enys. Non invadenti, sempre gentili, non
chiedevano e non giudicavano, le stavano solo accanto in quel momento
così difficile ed erano gli unici a farlo oltre a Prudie che
spesso
veniva a farle visita per aiutarla col cucito e con la casa.
L'estate
era stata calda e questo aveva accentuato di molto la sua nausea e
all'inizio era stato difficile andare con Dwight al capezzale di
Hugh.
Il
poeta stava malissimo e giorno dopo giorno la sua vita sembrava
sempre più appensa a un lumicino. Inizialmente riusciva di
tanto in
tanto ad alzarsi dal letto e a fare qualche passo in giardino nelle
belle giornate, ma poi le gambe avevano iniziato a non sorreggerlo
più, i dolori alla testa erano diventati lancinanti e
continui e
anche il suo fisico aveva preso ad indebolirsi e a non rispondere
più
a nessun comando.
Demelza,
quando era abbastanza in forze per farlo, si era fatta accompagnare
da lui da Dwight, in carrozza. Con la scusa di essere un'amica del
giovane e moglie del suo salvatore e di accompagnare il medico per le
sue visite, la donna era riuscita a stargli vicino come poteva. Alla
tenuta degli Armitage i servi avevano preso con curiosità la
sua
presenza ma avevano finito con l'accettarla davanti alle insistenze
di Hugh per averla vicina, anche se Demelza sapeva di essere oggetto
di interminabili pettegolezzi. La madre di Hugh l'aveva sempre
trattata con freddezza invece. Difficilmente le rivolgeva la parola e
ogni volta che si incontravano, Demelza aveva la sgradevole
sensazione che la spogliasse con lo sguardo per carpirne i segreti.
Era una donna intelligente, bella ed elegante, Dorothy Armitage.
Aveva quarantacinque anni, i capelli biondi, il volto altero e i
lineamenti aggraziati come il figlio, ornati da due occhi azzurro
ghiaccio. E senza bisogno di parole, Demelza sapeva di non essergli
gradita.
I
mesi estivi erano scivolati via così, velocemente.
All'inizio Hugh
le parlava nel suo consueto modo dolce e innamorato, ma imbarazzato
di mostrarsi tanto fragile davanti a lei. Demelza lo aveva
rassicurato e aveva fatto in modo di farlo sentire a suo agio ma si
sentiva morire dentro davanti agli sguardi preoccupati che Dwight
rivolgeva al giovane. Era così difficile guardare quel
ragazzo così
pieno di vita e con un futuro brillante davanti a se, spegnersi
lentamente. Aveva sperato che guarisse, all'inizio. Ma poi, senza che
Dwight glielo confermasse, aveva capito che non sarebbe mai potuto
succedere.
Era
stanca, preoccupata per lui e per se stessa e non riusciva a trovare
un appiglio per pensare a qualche risvolto positivo. Ross se n'era
andato ormai da mesi senza farle sapere più nulla, i suoi
bambini
forse cominciavano a dimenticare il suo volto, era spossata dalla
gravidanza, il suo matrimonio era distrutto e il padre del bimbo che
aspettava stava con ogni probabilità morendo. Piangeva
spesso quando
la sera si trovava a letto da sola, abbracciando il cuscino e
sentendo nel suo cuore un enorme senso di vuoto. Faticava a mangiare
e si imponeva di farlo unicamente per la creatura che portava in
grembo. A parte questo, non pensava mai al bambino, cercava di
rimuovere il pensiero e di relegarlo in un angolo remoto della sua
mente perché ogni volta che si ricordava della sua
esistenza, la
paura e la disperazione avevano la meglio su di lei. Sapeva che
sarebbe nato e sapeva che le consueguenze sarebbero state
catastrofiche. In certi momenti desiderava ardentemente rivedere
Ross, così forte, saldo, appassionato. I suoi bambini... Ma
poi
pensava al parto e sperava che non tornassero mai più per
non
scoprire quella realtà terribile che li avrebbe travolti
come una
valanga.
Quando
venne settembre e con esso il fresco, la nausea si attenuò
leggermente. Il suo ventre era ancora piuttosto piatto, mangiava
pochissimo e la gravidanza non era ancora per niente visibile.
Una
sera, mentre era a letto, sentì il primo calcetto. Quando
era
capitato con gli altri suoi bambini si era emozionata, ricordava che
Ross con Julia si era commosso. Ma ora era diverso...
Ora
quel calcetto delicato, simile allo sfarfallìo di una
farfalla,
rendeva tutto dolorosamente reale. Lui... o lei... c'era! E stava
crescendo dentro di lei per essere pronto alla vita.
...
10
settembre
"Come sei
pallida oggi".
Demelza,
seduta sulla sedia
accanto a Hugh, sorrise. "La tua vista deve essere peggiorata
molto, in realtà ho un meraviglioso colorito roseo oggi"
–
gli rispose, scherzandoci su. "O il tuo è un modo carino di
dire che non ho un bell'aspetto?".
Hugh,
pallido come un
fantasma, smunto e mangiato dalla malattia, sorrise nonostante tutto.
"Non oserei mai dire una cosa del genere".
Dwight, che
stava visitando
Hugh dall'altro capo del letto, la guardò accigliato.
"Demelza
ha ragione, oggi è radiosa e tu stai diventando
più cieco di una
talpa".
Demelza
guardò il medico,
ringraziandolo silenziosamente con lo sguardo per avergli retto il
gioco. In realtà quella era una giornata no per lei, le
girava
incredibilmente la testa e aveva di nuovo la nausea forte. Odiava
quella sensazione e si chiese quando e se sarebbe mai stata meglio.
Era al quarto mese di gravidanza inoltrato e di solito questo era per
lei un periodo di grande benessere.
"Hugh, come
vanno i
dolori alla testa? Con la morfina sono un po' migliorati?" -
chiese Dwight.
"Sì.
Ma la morfina mi fa
dormire sempre, non mi accorgo nemmeno del tempo che passa. Oggi non
l'ho presa, preferisco avere l'emicrania e sentirmi vivo piuttosto
che un sacco di patate senza vita arenato nel letto".
Dwight
scosse la testa. "Devi
prenderla! E' per il tuo bene".
"Il mio
bene è guarire!
Puoi aiutarmi a farlo?".
Il medico
scosse la testa,
lanciando a Demelza un'occhiata malinconica. "Un passo alla
volta, Armitage".
Demelza
abbassò lo sguardo,
stringendo la mano a Hugh. Poi si alzò dalla sedia e con gli
occhi
lucidi gli preparò l'intruglio con la morfina. "Su, cerca di
berlo. Fallo per me" – gli disse, avvicinando il bicchiere
alle sue labbra.
"Se lo
bevo, dormirò e
non ti rivedrò chissà fino a quando".
Demelza
prese un profondo
respiro, la nausea stava diventando insopportabile e aveva bisogno
d'aria. "Tornerò presto, te lo prometto".
Con
malavoglia, per lei e solo
per lei, Hugh bevve la medicina, poi si accasciò sul cuscino
e
sprofondò in un sonno profondo nel giro di pochi minuti,
lasciando
soli Dwight e Demelza.
Il dottore
si alzò dal letto,
riponendo le sue cose nella borsa. "Hai bisogno di stare
all'aperto, stai per svenire. O vomitare".
La ragazza
sospirò. "Aiutami
ad uscire, non credo di potermi reggere in piedi troppo a lungo".
Dwight la
prese sotto braccio,
rimboccò le coperte a Hugh e poi la accompagnò
nel giardino. Era
una splendida giornata di fine estate, il sole era tiepido e i suoi
raggi gentili, e tutto attorno a loro era un fiorire di piante di
rara bellezza.
Ma questo
non la fece stare
meglio...
Stette di
nuovo male di
stomaco, sorretta da Dwight che poi la aiutò a sedersi sugli
scalini
della villa. "Demelza? Accidenti, oggi dovevi rimanere a casa".
Lei
alzò gli occhi al cielo.
"Non potevo, con Hugh ho come la sensazione che il tempo mi
scivoli via dalle mani. E' così contento quando vengo a
trovarlo e
di occasioni per gioire ne ha poche. E' solo nausea da gravidanza,
non sono moribonda".
Dwight
abbassò lo sguardo,
guardandole il ventre. "Quando glielo dirai?".
"Cosa?".
"Del
bambino. Ancora non
sospetta nulla, giusto?".
Demelza
sospirò, poi lo
guardò in viso. "Dimmi la verità sulle sue
condizioni, Dwight.
La VERA verità, non quella che racconti a lui".
Dwight
scosse la testa. "Sta
morendo. Nella sua testa c'è un male aggressivo che se lo
sta
divorando e che io no so curare. La malattia non era negli occhi, gli
occhi sono la conseguenza di un male ancora più grande. Devi
dirgli
del bambino, non hai molto tempo".
"No, non lo
farò" –
rispose lei, accarezzandosi il ventre.
"Perchè?".
Demelza
sorrise. "Perché
dovrei dirglielo? Per farlo morire nella disperazione di sapere che
avrà un figlio che non vedrà mai e di cui non
potrà prendersi
cura? Per farlo morire nella preoccupazione di quello che
capiterà a
me a causa di questo? Cosa cambierebbe dirglielo? Per me nulla... Per
lui solo un'ulteriore angoscia. Io e Hugh non avremmo comunque mai
potuto crescere insieme questo bambino, indipendentemente dalla sua
malattia, per tantissime buone ragioni. Ti prego, tieni questo
segreto per te e lasciamolo morire in pace".
Dwight
annuì, accarezzandole
la guancia. "Sei coraggiosa".
"Devo
esserlo. Ho
commesso un grande errore e ora ne devo pagare le conseguenze. Da
sola! Hugh non c'entra, è mia la responsabilità
di quello che è
successo e del bambino che nascerà".
Dwight la
abbracciò. "Potrai
sempre contare su me e Caroline, lo sai?".
"Questo
potrebbe costarti
l'amicizia con Ross, ne sei consapevole?".
"Sono un
medico, oltre
che tuo amico. Tu e Ross avete commesso dei grandissimi errori,
errori umani certo, che potevate evitare. Ma un amico, un amico vero,
è nei momenti di bisogno che rimane, non in quelli lieti.
Hai deciso
di avere questo piccolino e io ti aiuterò a metterlo al
mondo nel
migliore dei modi".
Demelza
sorrise. "Grazie
Dwight. Al momento però, l'unica cosa che vorrei davvero
è che tu
mi liberassi dalla nausea. Non ce la faccio più!".
"E io
vorrei che tu ti
nutrissi più spesso. Sei al quarto mese e ancora non si nota
nulla!
Fingi pure tranquillità, ma sai bene che devi mangiare o
questo
bambino nascerà sotto peso".
"Come
faccio a mangiare
se vomito sempre?".
"Sforzati!".
In quel
momento, sentirono dei
passi accanto a loro e qualcuno si avvicinò, smuovendo coi
piedi la
ghiaia bianca del vialetto laterale della villa.
Demelza
alzò lo sguardo,
trovandosi improvvisamente davanti il viso severo di Dorothy
Armitage. "Signora..." - mormorò, mentre Dwight si alzava
per farle un inchino.
La donna
non disse nulla, la
squadrò freddamente e dopo un cenno del capo a Dwight,
continuò la
sua passeggiata.
Demelza
trattenne il fiato.
Non era mai stata particolarmente espansiva ma quella volta sembrava
peggio delle altre. Aveva scorto astio nel suo viso, oltre che dolore
e disapprovazione. "Dwight, pensi che ci abbia sentito?".
"Non lo so,
spero di no".
Demelza
sospirò. Aveva già
fin troppi problemi a cui pensare e non ne aveva bisogno di altri.
E Dorothy
Armitage poteva
diventare un grande problema.
...
26
settembre
Pioveva
quel giorno e Hugh era
moribondo e senza conoscienza da una settimana. Divorato dalla febbre
e dalle convulsioni, sembrava ormai distante dal mondo che lo
circondava. Nemmeno le sanguisughe avevano sortito effetti e sembrava
ormai impermeabile anche alla vicinanza di Demelza che per lui era
sempre stata motivo di gioia e ritrovata forza.
Hugh urlava
dal male la notte,
delirava, si contorceva da dolori che dovevano essere lancinanti.
Dwight si
recava da lui ogni
giorno anche se sapeva di poter fare ben poco. La fine era vicina e
lo ripeteva anche a Demelza, che gli era sempre a fianco.
Diluviava
quel giorno, come se
anche il cielo si stesse preparando all'inevitabile. E faceva freddo
quasi fosse già inverno, col vento che scuoteva le fronde
degli
alberi e ne piegava i fusti.
I camini
della tenuta erano
già accesi e Demelza, nel salotto della villa, aspettava che
Dwight
finisse di visitare Hugh per andare al suo capezzale.
Una
cameriera le aveva portato
un bicchiere di Porto e lo aveva bevuto senza pensarci troppo su.
Quel giorno stava bene, niente nausea e le pareva di tornare a vivere
quando era così.
Il
piccolino dentro di lei si
era fatto più scatenato. I suoi movimenti erano sempre
delicati e
teneri, ma continui.
Accarezzò
la pancia piano,
mentre il piccolo pareva fare le giravolte. E mentre si chiedeva dove
avesse trovato spazio per crescere, visto che la pancia era ancora
appena accennata, Dorothy Armitage entrò nel salotto con una
busta
in mano.
Demelza si
alzò di scatto,
deglutendo. "Signora...". Si sentiva sempre a disagio al
suo cospetto.
Dorothy la
salutò con un
cenno del capo, facendole poi segno di sedersi sul divano. E dopo che
l'ebbe fatto, fece altrettando, sedendosi accanto a lei. "Signora
Poldark, sono lieta che siate qui oggi, avevo giusto bisogno di
parlarvi".
Demelza
spalancò gli occhi.
Parlarle? A lei? Che cosa poteva volere quella donna che mai, prima
di allora, le aveva rivolto la parola se non quando strettamente
necessario? "Ditemi pure".
Dorothy
strinse la busta che
teneva fra le mani, poi gliela consegnò con un gesto veloce.
"Cos'è?"
- chiese
Demelza.
"Sono
cinquecento
ghinee".
Demelza
deglutì. "Cosa?".
"Denaro per
comprare la
vostra riservatezza e il vostro silenzio" – rispose Dorothy,
freddamente.
D'istinto,
come per
proteggerlo, Demelza si portò la mano al ventre. "Non voglio
il
vostro denaro".
Dorothy si
alzò dal divano,
passeggiandole lentamente davanti. "Sapete, quando Hugh è
nato
ed era piccolo, era un bambino splendido. Me lo invidiavano tutti,
coi suoi boccoli biondissimi, i suoi occhioni azzurri e i suoi modi
di fare aggraziati. Mi dicevano tutti che un bambino così
avrebbe
avuto un futuro radioso davanti, una brillante carriera e un
matrimonio vantaggioso, da favola. Era il mio orgoglio, E' il mio
orgoglio! E voglio che tutti lo ricordino così, perfetto,
splendente
e senza macchia" – concluse, osservandole il ventre.
Demelza
inspirò, a quanto
pareva il suo segreto era stato scoperto. "E pensate che io
voglia qualcosa di diverso?".
"Sapete
cosa si prova
davanti alla morte di un figlio, signora Poldark?" - la
interruppe, stizzita, la nobildonna.
Annuì,
mentre un velo di
tristezza le trapassava il viso al ricordo della sua prima figlia.
"Lo so bene. Persi la mia prima bambina, Julia, quando non aveva
ancora due anni. Morì di gola putrida e io stavo talmente
male da
non poterle essere accanto".
Quelle
parole parvero rompere
per un attimo l'espressione fredda sul viso di Dorothy.
Sembrò
sorpresa. "Oh, mi dispiace, non lo sapevo".
"Non dovete
scusarvi, è
ovvio che non lo sappiate". Demelza si alzò in piedi,
ridandole
la busta. "Non voglio questo denaro, non serve che voi me lo
diate e non ho intenzione di accettarlo per nessun motivo".
"Cosa
volete allora?".
"Nulla,
assolutamente
nulla".
Dorothy le
prese il polso,
stringendolo lievemente. "Siete una donna sposata e portate in
grembo il figlio di Hugh. Mio nipote! Un bastardo che
renderà la
vostra vita un inferno e getterà disonore sulla mia
famiglia, se la
cosa venisse scoperta. Hugh è sempre stato circondanto da
bellissime
ragazze e ha una visione dell'amore molto edulcorata e zuccherosa ma
voi... Voi, una donna sposata! Con due figli piccoli! Come avete
potuto farvi sedurre da lui come una ragazzina alle prime armi? Come
avete potuto permettere che succedesse questo?".
Demelza
abbassò lo sguardo,
non sapendo come risponderle. Dorothy aveva ragione, aveva ceduto a
Hugh in un momento di estrema debolezza senza pensare alle
consueguenze e ora quel suo errore sarebbe stato scontato anche da
altri. "Non so cosa dirvi, è successo ma non ho mai avuto
l'intenzione di farlo pesare a Hugh. Non lo sa nemmeno".
"E vi
ringrazio per la
vostra discrezione! Hugh sta morendo ma anche se così non
fosse
stato, io non avrei mai permesso che quel bastardo che portate in
grembo potesse essere in qualsiasi modo collegato a me e alla mia
famiglia".
Demelza
sospirò, sedendosi
nuovamente sul divano. Bastardo... Ecco, aveva davanti agli occhi
un'anteprima di quella che sarebbe stata la sua vita di lì
in
futuro. Stava per mettere al mondo un figlio che tutti avrebbero
additato come illegittimo, canzonato e isolato. Ed era stata lei a
permettere che succedesse una cosa del genere, lei, lei e solo lei!
Aveva paura, ora avrebbe potuto anche urlarlo! Paura di non farcela,
di non essere abbastanza forte e di non essere in grado di proteggere
quel piccolino dalla cattiveria del mondo. "Non... Non avrei mai
preteso nulla da Hugh in nessun caso. So che parlate per amore di
vostro figlio e che volete proteggerlo e da madre non posso che
essere d'accordo con voi. Non voglio quei soldi, non dovete comprare il
mio silenzio perché lo avete già".
"Non vi
farete più
vedere qui, quindi?".
"No, mai
più dopo
che...".
Gli occhi
di Dorothy divennero
lucidi davanti a quella frase troncata. "Bene, allora abbiamo un
accordo. Tuttavia desidererei che accettiate lo stesso il denaro.
Prendetelo come un dono da una nonna per suo nipote".
Demelza
sorrise amaramente.
Quella donna aveva appena chiamato 'nipote' qualcuno che fino a due
minuti prima aveva definito ' bastardo'. E anche se quel denaro le
avrebbe fatto comodo, non lo avrebbe preso per nessun motivo al
mondo. "Non posso accettare".
"Perché?".
"Perché,
come avete
detto voi, Hugh non sarebbe mai stato un padre per questo bambino. E
di conseguenza voi non siete sua nonna. E' mio, solo mio e non voglio
la carità di nessuno per crescerlo".
Dorothy si
morse il labbro,
colpita dalla fierezza delle parole di Demelza. "Il vostro
orgoglio vi impedisce di chinare il capo per il bene del bambino?".
"Ho due
braccia forti per
lavorare, non ho bisogno d'altro".
In quel
momento nella stanza
entrò Dwight. Era pallido, sudato e il suo aspetto pareva
trasandato
e trafelato. "Venite di la, tutte e due".
Dorothy
impallidì. "Che
succede?".
Dwight
chinò il capo,
l'espressione sconfitta. "Siamo alla fine".
Le due
donne scattarono verso
la porta, correndo nel corridoio e Dwight le seguì, quasi
senza
forze.
Demelza
entrò, ma rimase
dietro a Dorothy di qualche passo. Era giusto così, aveva
accanto
una madre come lei che stava perdendo un figlio.
Dorothy si
avvicinò al letto,
strinse la mano a Hugh e lo chiamò.
Hugh,
respirando a fatica,
tossì e aprì gli occhi. Erano annebbiati, assenti
e ormai lontani.
"Dem... Demelza" – disse, con un filo di voce.
Dorothy gli
accarezzò i
capelli e lo baciò sulla fronte. "E' qui, sta tranquillo e
non
sforzarti".
Ma Hugh
parve non sentirla
nemmeno. "Demelza... Mamma, dov'è?".
E a quel
punto la donna si
voltò verso la giovane, implorandola con gli occhi di
avvicinarsi al
letto.
Dwight le
diede una leggera
spinta sulla schiena per incoraggiarla. "Coraggio, va da lui".
Si
sentì di troppo, in quella
stanza. Era Dorothy che doveva star vicino a suo figlio, non lei.
Hugh era stato un grande amico, una dolce scintilla che le aveva
scaldato il cuore mentre il mondo attorno a lei cadeva a pezzi. Ma
l'amore, l'amore vero in quella stanza era quello di sua madre per
lui, non il suo.
Ma si fece
forza, si avvicinò
per lui e anche per il piccolo che aspettava. Gli si sedette accanto
e lo baciò sulla guancia con dolcezza, per ringraziarlo di
tutto
quello che aveva fatto per lei e per averla fatta sentire amata,
speciale e bella. Non lo aveva mai fatto nessuno degli uomini della
sua vita, non suo padre per il quale era poco più di una
bestia da
prendere a frustate, non Ross che nonostante dieci anni di matrimonio
aveva continuato a vederla come una sguattera e per il quale era solo
una distrazione nei momenti in cui non poteva stare con Elizabeth.
Per Hugh
lei era stata
speciale e se anche quel giovane non poteva essere l'amore della sua
vita, di certo lei lo era stata per lui. "Hugh, sono qui".
Hugh la
guardò e finalmente
parve calmarsi e sorrise. "Oggi non sei pallida".
Demelza
rispose al sorriso.
"Merito del Porto che mi ha offerto tua madre".
Hugh
guardò Dorothy,
ringraziandola con un cenno del capo. Poi tornò a stringere
convulsamente la mano di Demelza. Ricominciò a tossire e
Dwight si
accorse che gli mancava il respiro.
Demelza gli
tenne la mano,
mentre le lacrime le rigavano il viso. Vedere qualcuno morire era
terribile e lo era ancora di più se si trattava di un
giovane uomo a
cui voleva bene e a cui presto avrebbe dato un bambino.
"Demelza"
–
implorò il giovane, tremando spaventato.
"Non avere
paura".
Si chinò su di lui, tenendogli la mano con la sua, mentre
con
l'altra si accarezzava il ventre. Per un istante, solo un istante,
voleva donare a Hugh un momento con il loro bambino, anche se ne
ignorava l'esistenza. Lo baciò sulle labbra, un bacio
soffice e
leggero, dolce e gentile come era stato lui. Sotto il palmo della sua
mano sentì il piccolino muoversi e si trovò a
pensare che sarebbe
stato l'unico momento della sua vita in cui Hugh sarebbe stato suo
padre e gli sarebbe stato vicino.
E dopo quel
bacio, un addio
silenzioso fra loro, Hugh Armitage morì tenendole stretta la
mano.
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Capitolo 12 *** Capitolo dodici ***
Ottobre
Dopo la
morte di Hugh, Demelza
era crollata. I suoi nervi avevano ceduto e per giorni non aveva
fatto altro che piangere e stare male. La nausea era tornata
prepotentemente, era spossata e il suo stomaco era completamente
chiuso, tanto che c'erano giorni in cui non mangiava praticamente
nulla.
Non credeva
che sarebbe stato
così devastante, ma invece lo era. Hugh era stato un raggio
di sole
in quei mesi, un amico fedele e dolce e soprattutto era il padre del
bambino che stava aspettando.
Sapeva che
cedere a Hugh,
donarsi a lui e vivere quella gravidanza erano gli errori
più grandi
della sua vita, così come sapeva che nonostante tutto il suo
cuore
sarebbe sempre appartenuto a Ross.
Ross, che
non l'aveva mai
amata davvero, ma che era sempre stato tutto il suo mondo. Pur non
corrisposta, lei avrebbe sempre amato quel capitano testardo e
indomito, coraggioso e sfuggente, generoso ma spesso avaro di gesti
d'affetto. Anche se Ross probabilmente l'avrebbe odiata, quando
avesse saputo, anche se lei lo aveva lasciato perché non
aveva più
avuto la forza per lottare, anche se aspettava il bambino di un
altro, era la reazione di suo marito che temeva, più che
tutte le
difficoltà pratiche che avrebbe dovuto affrontare da sola.
Ross le
aveva voluto bene a
suo modo e pur amando Elizabeth, aveva avuto sempre a cuore il suo
benessere. Presto non sarebbe più stato così e
sarebbe stata sola,
completamente. E nemmeno Hugh avrebbe più potuto aiutarla.
Aveva
sbagliato, era vero! Ma le braccia di Hugh l'aveva coccolata e
sorretta, stretta e consolata. E ora... ora lui se n'era andato forse
felice di aver raggiunto il suo sogno ma lasciando dietro di se uno
strascico di dolore difficilmente sopportabile.
Hugh era
morto giovane, nel
fiore degli anni, amandola e chiamando il suo nome...
Hugh, che
non avrebbe mai
potuto vedere il suo bambino... E pur convinta di aver agito per il
giusto non dicendogli nulla, si sentiva in colpa per averlo privato
di quella verità. Anche se non avrebbero mai potuto
crescerlo
insieme, anche se lei NON voleva crescerlo con lui come una famiglia,
per Hugh sarebbe stata fonte di gioia sapere che nel mondo c'era un
suo piccolo erede.
"Demelza,
sono
preoccupato!".
Dwight,
venuto a visitarla,
pareva anche seccato oltre che preoccupato e lei non aveva voglia di
paternali. "Smetti di farlo, la gravidanza è piena di
malesseri". Le spiaceva essere brusca ma stava talmente male che
non gli riusciva proprio di essere gentile e accomodante, nemmeno con
chi stava cercando di aiutarla.
"Da quanto
non mangi?".
Demelza
sospirò, non aveva
dannatamente voglia di parlare. "Da ieri sera. Oggi son stata
male tutto il giorno".
Dwight
guardò Prudie, venuta
da Nampara a farle visita, preoccupata per le sue condizioni
così
precarie. "Demelza, sono le QUATTRO del pomeriggio. E sei
incinta".
"Mangerò
più tardi".
"Ti preparo
una zuppa
calda, ragazza. Ti farà bene" – intervenne Prudie,
avvicinandosi al piccolo piano cottura del mulino.
"Non voglio
niente"
– rispose Demelza, pensando che l'unica cosa che avrebbe
desiderato
in realtà era che se ne andassero e che la lasciassero sola.
"Devi
mangiare, non ti
reggi nemmeno in piedi" – insistette Dwight.
"E allora
dormirò".
Lo sguardo
del medico divenne
serio. Lanciò un'occhiata a Prudie, poi le si sedette
accanto, sul
letto. "Tu qui da sola non ci resti! Ne ho parlato con Caroline
e anche lei è d'accordo sul fatto che dovresti venire a
stare da noi
per un po'. Fino al parto almeno, sei troppo debilitata per
continuare a vivere qui".
A quella
proposta e davanti al
cenno affermativo di Prudie, Demelza spalancò gli occhi
spaventata.
"NO!".
"Non te lo
sto chiedendo,
te lo sto ordinando! Da medico".
"Sono
grande abbastanza
per decidere da sola".
"Demelza...".
Prudie
le prese la mano, accarezzandogliela. "E' per il tuo bene".
Dwight
annuì. "Demelza,
hai deciso di avere questo bambino e di portare avanti la gravidanza
e onestamente, se continui così, questo figlio tu lo
ucciderai. Sei
al quarto mese e nemmeno ti si vede la pancia, sei magrissima, non
mangi e stai male giorno e notte. Sei stanca, stressata e sola.
Affidati a noi, per questi mesi almeno... Fallo per il piccolo, se
non vuoi farlo per te...".
Demelza
distolse lo sguardo,
liberandosi dalla stretta di Prudie. "Ho un lavoro al villaggio,
non posso venire".
Dwight
sospirò. "Un mio
servitore verrà a Illugan a prendere la stoffa per il tuo
lavoro da
sarta e poi riporterà il tutto, una volta che avrai
rammendato e
cucito, a Illugan".
"Non posso
accettare".
Il medico
si morse il labbro,
seccato. "Sei come Ross, stessa testa dura. E visto che stiamo
parlando di lui e visto che tu stai molto male... o accetti la mia
proposta o mi vedrò costretto a scrivergli a Londra".
Demelza
deglutì, spaventata e
stupita dalla minaccia di Dwight. Scrivere a Ross? Per dirgli...?
"Cosa? Perché?".
"Perché
sei sua moglie e
la madre dei suoi figli. E stai malissimo, sono preoccupato per te. E
viste le tue condizioni così precarie, è mio
dovere informarlo".
Non sapeva
se Dwight bluffasse
o meno, ma il suo sguardo serio prometteva guai e le suggeriva che
era meglio non indagare. Il piccolo le diede un calcetto e
capì che
non poteva rifiutare quell'aiuto, che doveva mettere da parte il suo
orgoglio e farlo per lui. O lei. Era vero, non si stava prendendo
cura del bambino e sapeva che doveva nutrirsi e cercare di stare bene
se voleva che crescesse forte e sano. "E sia. Ma solo fino al
parto! E lavorerò mentre sarò da te".
Prudie e
Dwight si guardarono
negli occhi soddisfatti. "Bene, ti aiuto a preparare le tue
cose, ragazza" – esclamò la serva, finalmente
più
tranquilla.
Dicembre,
Natale
L'inverno
era gelido
quell'anno e la Cornovaglia era sconquassata da venti polari che ne
investivano le campagne senza pietà.
Nevicava
spesso e le piante,
con le loro fronde, erano congelate anche durante il giorno.
Demelza
aveva passato a letto
molte settimane dopo il suo arrivo nella grande villa di Dwight e
Caroline. Inizialmente perché stava male e faticava a
riprendersi e
successivamente per recuperare le forze perse a causa di quei mesi di
forte stress e dolore.
Stava
meglio, non poteva
negarlo! Accettare, seppur forzatamente, l'invito di Dwight a
trasferirsi da loro era stata la decisione migliore degli ultimi
mesi.
Le nausee
pian piano erano
passate, aveva ricominciato a mangiare con più gusto e
finalmente la
pancia aveva iniziato ad essere evidente, cosa che le aveva fatto
tirare un sospiro di sollievo.
I primi
mesi, finché Hugh era
stato vivo, non si era mai concentrata sul bambino. Troppe incognite,
troppo dolore, troppe cose che le giravano attorno e la facevano
soffrire. Ma dopo la morte del giovane, il piccolo era diventato la
sua unica realtà, l'unico appiglio in un mondo dove era
rimasta
pressoché sola. Quel bambino era un nuovo inizio ma
purtroppo lo
sapeva, allo stesso tempo era un taglio netto e doloroso col suo
passato. Averlo, dargli la vita, significava dover rinunciare agli
altri suoi figli e questo le straziava il cuore.
E il giorno
di Natale questo
era ancora più devastante.
Aveva
poltrito a letto fino a
tardi dopo una notte passata a piangere e poi si era lavata e vestita
per finire di nuovo a ricoricarcisi. Aveva preso la lana che le
aveva donato Caroline e ricominciato a cucire, seduta nel letto, i
vestitini e le copertine per il piccolino. Era ormai al sesto mese di
gravidanza e quel lavoro così silenzioso e tranquillo sapeva
isolarla dalla realtà e rasserenarla. Però quel
giorno era
difficile lo stesso...
Ross era a
Londra, coi suoi
bambini... E lei non era con loro... Lei non sarebbe mai più
stata
con loro! Si chiese quanto fossero cresciuti, cosa facessero e
soprattutto, se si ricordassero di lei. Non li vedeva da cinque mesi
e cinque mesi sono tanti per dei bambini tanto piccoli.
Il bimbo
dentro di lei, quasi
intuendo i suoi pensieri foschi, le diede un calcio. Non era mai
violento come lo era stata Clowance durante la gravidanza, questo
bambino era tranquillo e pacifico, discreto e delicato nei movimenti.
La inteneriva il suo muoversi piano, i suoi calcetti che sembravano
più carezze e si chiedeva spesso come sarebbe stato, com'era
il suo
viso o il colore dei suoi capelli.
In quel
momento, mentre si
accarezzava il pancione, Caroline bussò ed entrò
in camera,
portandole un vassoio pieno di dolci e del tè. "Buon Natale
mia
cara. Visto che ti attardavi, ho pensato di portartela io la
colazione. Stai bene?" - chiese, sedendosi accanto a lei sul
letto. Prese un gomitolo di lana fra le mani, rigirandosela fra le
dita. "Stai di nuovo cucendo? Su, è Natale, tirati su e
vieni
giù con noi".
Demelza
sospirò. "Non ho
dormito molto questa notte e preferisco stare qui tranquilla ancora
un po'".
"Scenderai
per pranzo
però, vero?" - insistette l'ereditiera. "Le cameriere
hanno cucinato un sacco di cose e visto che Dwight è un orso
e non
abbiamo ospiti, sei obbligata ad aiutarci a finire il cibo.
Più
tardi verrà pure Prudie con noi a tenerci compagnia".
Demelza
sorrise, erano così
gentili con lei, anche se questo poteva costare a entrambi l'amicizia
di Ross. Era bello avere amici del genere, che la proteggevano e si
preoccupavano per lei. L'avevano ospitata e avevano tenuto nascosta
la sua presenza al mondo per consentirle di stare tranquilla senza
essere circondata da malelingue. Trenwith era troppo vicina per
sfuggire alla voci della sua gravidanza e se George lo avesse saputo,
una volta a Londra quanto ci avrebbe messo ad informare Ross di quel
pettegolezzo? "Certo che scenderò per pranzo, sta
tranquilla"
– sussurrò, con un filo di voce.
"Demelza,
stai bene?"
- chiese Caroline, prendendole la mano. "Sembri così triste".
Si morse il
labbro, non
riusciva a mentirle e sì, era triste. "E' che è
Natale e stavo
pensando a quando lo festeggiavamo a Nampara tutti insieme, con Ross
e i miei bambini. Ora sono a Londra e non li vedo da tanto! Clowance
ha compiuto due anni il mese scorso e io non c'ero! E non ci sono
nemmeno oggi a vederli aprire i loro regali... Jeremy adora giocare
con le costruzioni in legno e magari a Clowance piacciono le bambole
e io... io...". Scoppiò a piangere, piegandosi su se stessa,
rendendosi conto giorno dopo giorno delle consueguenze delle sue
scelte. Tornare indietro non si poteva, forse nemmeno lo voleva e di
certo sarebbe stato difficile proseguire il matrimonio con Ross dopo
quello che aveva scoperto fra lui ed Elizabeth. Ma a volte si
chiedeva se per il bene dei bambini non sarebbe dovuta rimanere a
Nampara. Senza l'amore dell'uomo di cui era innamorata, intrappolata
in un matrimonio finto ma almeno vicina ai suoi figli.
Caroline la
abbracciò,
accarezzandole la schiena. "Stanno bene, i tuoi piccoli sono col
loro padre e sono sicura che Ross farà passare loro un bel
Natale. E
sono anche sicura che la piccola Clowance ha avuto una grande e bella
festa per i suoi due anni. So che vorresti essere con loro, ma
consolati pensando che stanno bene e che Ross farà di tutto
perché
siano felici".
Demelza
sorrise amaramente. "E
se Elizabeth e George fossero a Londra? Se Ross lasciasse soli i
bambini per correre da lei?".
Caroline
sospirò. "Non
lo farebbe mai e lo sai anche tu!".
Abbassò
lo sguardo perché
no, non lo sapeva. Ma in cuor suo sperava che Caroline avesse
ragione.
L'ereditiera
le sorrise,
pizzicandole la guancia. "Cambiamo argomento, dai! Pensiamo a
qualcosa di produttivo".
"Del tipo?".
"Il nome
del bambino!
Come lo chiamerai? Ci hai già pensato?".
Demelza si
guardò la pancia,
sorridendo. "A dire il vero, no. I nomi li sceglievo con Ross".
"Beh,
pensiamoci visto
che Ross ovviamente non c'è!" - insistette Caroline
– "Che
nome ti piacerebbe?".
Ci
rifletté su. In realtà
non aveva in mente niente di particolare, sapeva solo che voleva dare
al bambino un nome dal suono gentile e delicato. Un nome che poteva
piacere a un poeta, un nome che sarebbe piaciuto a Hugh. Almeno
questo, glielo doveva. Espresse quel pensiero, e Caroline si
accigliò, incrociando pensierosa le braccia al petto. "Che
ne
dici di Madeline? O Marghuerite?".
Demelza la
guardò storto.
"Troppo lunghi!".
"Eve?".
Demelza
scoppiò a ridere.
"Troppo biblico!" - esclamò, affondando nei cuscini
divertita.
Caroline
sorrise. "Se è
maschio, che ne dici di Boris?".
"E'
orribile!".
"Trovato!
Unwin" –
esclamò l'ereditiera.
E a quel
punto Demelza rise
davvero di gusto, come non le succedeva da tanto. "Scordatelo!
L'unico Unwin che ho conosciuto non mi ha fatto una bella
impressione".
Caroline le
strizzò l'occhio.
"Non dirlo a me! Comunque, la cosa importante è che tu non
scelga il nome Sarah".
"Perché?".
L'amica le
sorrise. "Perché
Sarah è mio! Sarà il nome della mia bambina,
quando nascerà. E non
possiamo avere due bambine con lo stesso nome, pensa alla confusione
che questo genererebbe".
A quelle
parole, Demelza
spalancò gli occhi, tirandosi su di scatto. "Stai dicendo
che...?".
Caroline
scosse la testa,
indietreggiando sbigottita. "NOOO! Non ancora almeno. Ma quando
capiterà che mi troverò con una marmocchia con la
faccia di Dwight
fra le braccia, mi piacerebbe chiamarla Sarah. Tutto qui".
Demelza le
sorrise,
stringendole la mano. "Ti auguro che succeda presto. E'
bellissimo, sai, diventare mamma?".
"Sarà
bellissimo... In
un futuro lontano". Caroline non sembrava condividere il suo
entusiasmo ma annuì, forse per farla contenta. "Riguardo a
te,
invece... Che ne dici di Eleanor?".
"Eleanor?".
Caroline le
accarezzò la
pancia. "Sì, Eleanor! Se fosse una bambina, ovviamente. Ha
un
suono dolce come vuoi tu e sembra il nome adatto che utilizzerebbe un
poeta per le sue ballate. Un nome romantico, insomma".
Demelza
chiuse gli occhi,
ripetendo nella mente quel nome. E immediatamente se ne
sentì
innamorata... Era il nome giusto! A lei piaceva e sarebbe piaciuto
pure a Hugh! "Eleanor... Ellie! Mi piace" – disse,
accarezzandosi dolcemente il ventre.
"E sia"
– disse
Caroline. "Se è femmina, siamo a posto. E il cognome?".
Demelza
inspirò
profondamente. Il cognome non poteva essere Poldark e non poteva
essere Armitage... Scelse la cosa più difficile ma
più giusta per
tutti. "Carne".
Caroline
deglutì. "Sei
sicura?".
"Sicura"
– disse
Demelza, accarezzandosi di nuovo la pancia.
21
marzo, primo giorno di primavera
Attorno a
lei sentiva suoni
ovattati e lontani. Si sentiva come sospesa nel nulla, immobile e
intontita.
Aveva
ricordi confusi di
quello che era successo nelle ultime ore ma man mano che riacquistava
padronanza di se stessa, iniziava a ricordare nitidamente tutto
quanto...
Il
travaglio era iniziato in
piena notte, improvviso, con dolori tanto forti da farla svegliare di
soprassalto. Si era alzata e aveva dovuto aggrapparsi alla spalliera
del letto per non cadere e poi, con una forza che non pensava di
possedere, si era trascinata fino al corridoio a cercare aiuto.
Per la
prima volta in vita sua
si era sentita spaventata. Non le era mai successo quando aveva
partorito i suoi bambini, le loro nascite erano sempre state
accompagnate dalla meraviglia del loro arrivo, dalla consapevolezza
di una nuova vita che avrebbe arricchito la sua e i dolori del parto
non le erano mai pesati troppo perché sapeva che erano solo
un breve
istante in una vita poi fatta di amore.
Ma quella
volta era diverso...
Non era a
Nampara e non era il
figlio di suo marito che stava venendo al mondo. Stava per partorire
il figlio di un uomo che non aveva amato ma a cui aveva voluto bene,
era sola e senza affetti e il suo amore, il suo vero amore, era
lontano coi suoi bambini e un giorno l'avrebbe odiata per questo. Ma
dall'altra parte c'era quella nuova, piccola e innocente vita che
cresceva in lei, una vita da tutelare e proteggere oltre che amare,
un bambino che non aveva chiesto di venire al mondo ma c'era e come
tale andava rispettato.
Dwight era
corso subito al suo
cappezzale con l'aiuto di una cameriera anziana che aveva
già avuto
esperienza come levatrice.
Ricordava
poco di quei momenti
concitati, solo le contrazioni subito ravvicinate, un dolore che non
riusciva a gestire e le urla. Non aveva mai gridato tanto durante i
precedenti parti.
Era stato
tutto veloce e
intenso, troppo per lei. L'ultimo ricordo che conservava era la voce
di Dwight che le diceva di spingere e poi, forse, il flebile pianto
di un neonato.
Non
riusciva a ricordare il
momento esatto in cui il suo bambino era venuto al mondo
perché per
qualche strano motivo si sentì stanca, tutto divenne nero e
svenne.
Non le era mai capitato nemmeno questo...
Quando
riaprì gli occhi, le
coperte e le lenzuola erano candide e pulite, era stata lavata ed
indossava una camicia da notte fresca di bucato che profumava di
lavanda.
La stanza
era ancora avvolta
dall'oscurità del primo mattino, fuori pioveva furiosamente
e tirava
vento mentre attorno a lei sentiva il calore del camino che
scoppiettava.
Cercò
di rimettere insieme le
idee e d'istinto si accarezzò il ventre. Il bambino non
c'era, era
tornato piatto e di colpo spalancò gli occhi, cercando la
sua
presenza accanto a lei, nel letto. Ma non c'era...
Sentì
il cuore balzarle nel
petto e un terrore sordo che prendeva possesso della sua mente.
Dov'era il suo bambino? Cos'era successo?
Si
alzò, tentò di sedersi ma
un capogiro la fece ricadere indietro, sul cuscino. Si sentiva
terribilmente debole, distrutta.
Dwight,
accanto a lei, intento
a sistemare i suoi attrezzi nella sua borsa di medico, si accorse che
era sveglia e corse subito al suo capezzale. "Demelza, sta
tranquilla e non fare sforzi".
Quasi non
sentendolo, gli
strinse le maniche della camicia. "Il mio bambino? Dov'è?".
Il medico
si sedette accanto a
lei, prendendole la mano. "Sei stata male dopo il parto, sei
svenuta e hai perso molto sangue. E' nella stanza accanto, con una
domestica e con Caroline. Ho preferito lasciarti riposare e non farti
disturbare dal suo eventuale pianto".
Al diavolo!
Disturbata dal suo
pianto? Del suo bambino? Lo voleva, lo voleva con lei SUBITO!
"Portalo qui" – urlò, quasi isterica.
"Riposa
ancora un po'".
"Avrà
fame, devo
allattarlo. Voglio vederlo!".
"Per ora ci
affideremo a
una balia".
Demelza
scosse la testa,
inorridita da quella proposta, agitata e in preda a una crisi di
nervi. I ricchi e i nobili si affidavano alle balie ma non lei, lei
aveva sempre allattato ogni suo figlio e lo avrebbe fatto anche
stavolta. "VOGLIO MIO FIGLIO!".
Dwight la
studiò in volto,
poi capendo che non poteva fare molto per farle cambiare idea,
annuì.
"Torno subito". Uscì dalla stanza e comparve poco dopo con
un fagottino in braccio, avvolto in una morbida coperta bianca. Si
avvicinò e lo adagiò sul suo petto, sorridendole.
"Forse
dovresti rivolgerti a lei usando il femminile. E' una bimba
bellissima e in salute, anche se piuttosto minuta".
Demelza
trattenne il fiato.
Era emozionante, come la prima volta. Sarebbe sempre stato
emozionante stringere un figlio appena nato fra le braccia,
indipendentemente dalla sua provenienza. In quel momento non c'erano
Ross, Hugh o altro, c'era l'amore di una madre che aveva portato
dentro di se per nove mesi un figlio che era cresciuto in lei e con
lei. Un figlio che respirava, piangeva, rideva e aveva bisogno di
cure e amore come ogni bambino del mondo.
Abbassò
lo sguardo e la vide,
piccola e perfetta. Aveva i capelli biondissimi, il visino rotondo,
le sopracciglia lunghe, un minuscolo nasino all'insù e
dormiva
pacifica e tranquilla, come se ciò che la circondava non la
riguardasse. Indossava una tutina rosa con un cappuccio che le
ricopriva in parte la testolina, un'idea di Caroline probabilmente, e
stringeva fra le braccia un pupazzetto a forma di coniglio.
Era
meravigliosa, perfetta. E
per un attimo si chiese come un suo errore avesse potuto generare
qualcosa di così bello...
C'era,
esisteva davvero
adesso. E si rese conto che doveva essere così, che il
destino
voleva che quella fosse la sua strada. Non sapeva ancora il
perché e
dove conducesse ma quella bambina doveva esistere. La sua vita non
sarebbe stata completa senza di lei e nonostante tutte le paure che
l'avevano accompagnata, sentì di amarla e che ogni
difficoltà che
avrebbe affrontato sarebbe stata nulla rispetto alla gioia di essere
sua madre.
La
baciò sulla punta del
nasino, senza che la bimba desse cenno di svegliarsi. Era pacifica e
tranquilla come lo era stata per nove mesi dentro di lei.
Dwight le
sfiorò la spalla.
"Demelza, per oggi sìì un po' egoista e pensa a
lei e a te
soltanto. Dimentica il resto, questa piccolina si merita ogni tua
attenzione e la tua gioia nell'averla al mondo. Ai problemi pensa
domani, non scapperanno e saranno lì ad aspettarti. Ma ora
goditi
questa bimba come ogni madre dovrebbe fare dopo un parto".
"Lo
farò" –
rispose Demelza, con gli occhi lucidi. Era d'accordo con Dwight,
anche se il suo cuore era spezzato all'idea che non ci fossero i suoi
bambini lì con lei, a vedere la loro sorellina. Sorellina...
Ross
non avrebbe mai permesso che la considerassero così, lo
sapeva,
pensò tristemente.
Ma
nonostante questo, li
avrebbe voluti accanto. Voleva riabbracciarli, non li vedeva da
più
di otto mesi e questa cosa la faceva impazzire.
E poi...
Era strano perché
l'aveva ferita e delusa tante volte e aveva scelto lei stessa di
andarsene ma in quel momento, anche se era la figlia di Hugh che
teneva fra le braccia, desiderava avere vicino Ross. Voleva che la
stringesse a se e la facesse sentire protetta e al sicuro ed era il
desiderio più assurdo che avesse mai formulato nella sua
vita.
Perché non sarebbe mai successo...
Pensò
ad Elizabeth e a
Valentine e sentì una fitta al cuore. E decise che Dwight
aveva
ragione, solo la sua bambina contava, in quel momento. "Posso
stare sola con lei?".
"Certo. Ma
non sforzarti,
riposa e dormi finché lei dormirà".
Demelza
annuì. Si stese sotto
le coperte e mise accanto a se la piccolina. Stringeva forte il suo
peluches, sembrava non volerlo lasciare per nulla al mondo.
Quando
Dwight se ne fu andato,
le accarezzò il visino, le baciò la fronte e le
guance e la strinse
a se. "Mi dispiace di averti fatta nascere in questa situazione,
senza denaro, senza una vera e propria casa e senza un papà.
Succederà che ti diranno cose brutte, la gente sa essere
cattiva. Ma
tu non ascoltarli e corri da me, ti proteggerò sempre".
La
baciò nuovamente sul
nasino e la piccola finalmente aprì gli occhi. Erano
azzurri, di un
azzurro intenso che ricordava il mare e col contorno blu.
Meravigliosi, puliti, profondi.
"Eleanor,
sei bellissima"
– le sussurrò, pronunciando per la prima volta il
suo nome. E ora
che la vedeva, lo trovò giusto e adattissimo a lei. Eleanor,
dal
suono delicato e dolce, come lei.
La piccola
strinse a se ancora
più forte il pupazzetto, la guardò e poi chiuse
gli occhi,
appoggiando le labbra contro il suo collo e riaddormentandosi.
Demelza
sorrise e la cullò
fra le braccia, cantandole una ninna nanna. Sentì gli occhi
pungerle
e improvvisamente si ritrovò a piangere. Non sapeva
perché... Era
gioia? O dolore, stanchezza e disperazione?
Era mamma,
di nuovo. Ma una
mamma a metà e anche se Dwight le aveva detto di non
pensarci per
quel giorno, non ci riusciva.
Si sentiva
sola,
terribilmente. Aveva appena partorito e come ogni donna desiderava
essere abbracciata dal proprio amore.
Ma il suo
amore era lontano,
non era il padre della bimba che aveva partorito e amava un'altra.
Aveva sempre amato un'altra e tante volte in quei mesi aveva
ripensato al suo matrimonio con lui, chiedendosi perché non
fosse
bella come Elizabeth e perché non era stata capace di farsi
amare da
Ross come ci era riuscita lei. Cosa c'era di tanto sbagliato in lei?
Perché suo marito, nonostante gli anni insieme, le lotte e i
figli,
non era mai riuscito ad amarla e aveva cercato conforto in un'altra?
Era davvero
inadatta ad essere
amata, lei?
La piccola
Eleanor, accanto a
lei, emise un vagito, riaprendo gli occhi e cercandola con lo
sguardo. Demelza si asciugò le lacrime e la strinse a se
forte,
rendendosi conto che forse no, non era vero che era inadatta
all'amore. Eleanor era amore, così come Clowance e Jeremy,
anche se
erano lontani assieme al loro padre che non gli avrebbe più
permesso
di rivederli.
Ma Eleanor
no, lei era sua,
solo sua. E nessuno gliel'avrebbe mai portata via. Non avrebbe mai
sostituito gli altri figli ma era e sarebbe diventata la sua ragione
di vita, l'unico appiglio per non cedere alla disperazione.
Le sorrise,
riprendendo a
cantarle una ninna nanna. E la piccola richiuse gli occhi, stretta al
suo pupazzo, riaddormentandosi placidamente.
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Capitolo 13 *** Capitolo tredici ***
Era
tornata ad Illugan, nella sua casetta-mulino nel bosco, due settimane
dopo il parto. Ci aveva messo un po' a riprendersi fisicamente ma
appena stata bene aveva deciso che era ora di tornare a gestirsi da
sola la sua vita. Farsi coccolare da Dwight e Caroline non le sarebbe
stato di aiuto, così come non lo sarebbe stato adagiarsi
sugli
allori. Aveva molte sfide da affrontare da sola ed era ora di
iniziare a farlo. I suoi due amici erano stati meravigliosi con lei
in quei mesi ma averla tenuta con se avrebbe potuto crear loro
problemi con Ross e soprattutto, si sentiva di troppo con una
neonata, con loro. Erano due sposini e avevano diritto a privacy e
romanticismo e non era il caso di disturbarli oltre coi suoi problemi
e col pianto notturno di una neonata.
Anche
se, a onor del vero, Eleanor era bravissima e piangeva raramente.
Piagnucolava quando aveva fame ma bastava attaccarla al seno e subito
smetteva, oppure quando perdeva il suo coniglietto ma anche
lì,
bastava rimetterglielo fra le braccia per tranquillizzarla e farla
riaddormentare. Lo adorava e Demelza sospettava che sarebbe stato un
affetto costante durante la sua infanzia.
Era
una bimba pacifica e tranquilla, forse la più calma fra i
suoi figli
e prendersi cura di lei l'aveva fatta rifiorire e rinascere dopo mesi
di dolore. Si sentiva di nuovo madre, una madre vera e non un
surrogato di ciò che era stato e che aveva perso. Si sentiva
forte,
una leonessa! Non avrebbe mai permesso a nessuno di farle del male. E
aveva riacquistato una sorta di serenità, anche se il
pensiero di
Ross, strisciante, non l'abbandonava mai. Perché prima o poi
sarebbe
tornato o avrebbe saputo. E per lei sarebbe stato l'inferno.
Tornata
a casa, aveva ripreso a lavorare. Quando Eleanor dormiva, cuciva e
rammendava e ogni giorno, con la bimba fra le braccia, portava il
lavoro finito al villaggio. Percorreva la strada di campagna portando
Eleanor in una fascia e tenendo gli abiti cuciti fra le braccia. Era
una routine faticosa ma si sentiva finalmente viva e utile, con la
vita di nuovo in suo pieno possesso.
Era
tornata ad essere la vecchia Demelza, quella che non stava mai ferma
e non aveva paura di lavorare e che si sarebbe spezzata la schiena
per i suoi figli. Erano finiti i tempi dei pianti e della tristezza
che la facevano da padroni, aveva scelto di avere Eleanor e ora
doveva e voleva prendersene cura.
Era
un pomeriggio assolato quello, un giorno tiepido di aprile dal sapore
tardo-primaverile. Camminava verso casa, su quella strada sterrata
che ormai conosceva palmo a palmo, col sole che tramontava che le
illuminava il cammino e i campi pieni di grano tutti attorno a lei.
Canticchiò
una canzone mentre Eleanor, nascosta nella fascia che una volta aveva
usato anche per portare Julia, la guardava assonnata. "Hai fame,
amore?" - le chiese, avvicinando l'indice alla sua bocca.
La
bimba succhiò per un attimo, ma poi sbadigliò,
chiudendo gli occhi
e dimostrando che forse poteva aspettare ancora un po' per la
poppata. Demelza sorrise, sospirando sollevata. Mettersi ad allattare
in mezzo alla campagna, coi contadini sui loro carri che andavano e
venivano, non era decisamente l'ideale.
Tutti
avevano preso con curiosità la nascita di Eleanor. A Illugan
si
lavorava sodo, la vita era dura e non c'era tempo per i pettegolezzi
e quindi a nessuno importava che lei avesse una figlia a cui aveva
dato il suo cognome e non quello del marito, la cosa importante era
non dover sborsare denaro per questo.
Aveva
battezzato Eleanor a casa di Dwight, subito dopo la sua nascita, con
padrino e madrina i suoi due cari amici. Il sacerdote aveva storto il
naso ma la salvezza di un'anima innocente era passata in primo piano
rispetto allo scandalo che la sua nascita avrebbe generato e quindi
la piccola era entrata a pieno titolo fra i fedeli della zona,
nonostante tutto.
Ripensando
al Battesimo, Demelza raggiunse il bosco, vagamente stanca dalla
camminata. Sperò che Eleanor dormisse un po' per poter fare
altrettanto, ma i suoi piani fallirono miseramente. Davanti al
mulino, a sorpresa, c'era un cavallo bianco maestoso che pareva
aspettare lei e non le ci volle molto per ricordarsi che
quell'animale magnifico lei lo aveva già visto. Il cuore le
balzò
in petto, spalancò gli occhi e guardò la sua
bambina. "Hugh?".
Accelerò il passo, chiedendosi come fosse possibile che
lui...
lui...
Una
donna comparve dal retro, dove c'era il piccolo pollaio in cui era
riuscita a mettere qualche gallina e un paio di coniglietti. "Buona
sera, spero di non disturbare".
Demelza
si bloccò, impietrita. No, non era Hugh e del resto sarebbe
stato
impossibile il contrario. "Dorothy..." - sussurrò,
freddamente, stringendo di riflesso a se, a protezione, la bimba.
Cosa ci faceva lì la madre di Armitage?
"Sono
solo di passaggio, sono in partenza per Londra a dire il vero. E
visto che son passati molti mesi da... da...".
"Dalla
morte di Hugh? Sì, ne son passati sette" – la
interruppe
Demelza. "Cosa ci fate qui?".
"Volevo
vedere...".
Dorothy
fece per avvicinarsi ma Demelza arretrò, stringendo a se la
piccola.
La madre di Hugh era sempre stata molto fredda con lei e non aveva
mai nascosto, sotto una forzata cortesia, il suo astio nei suoi
confronti. E ora, con la bambina con loro, sentiva l'esigenza di
proteggere sua figlia. "La bambina? Siete qui per vedere la mia
bambina?".
Dorothy
impallidì. "E' una femmina?".
"Sì,
una bellissima bambina bionda e in perfetta salute" – rispose
Demelza, freddamente.
"Somiglia
a Hugh?".
"Un
po', credo".
L'atteggiamento
distaccato e sulla difensiva di Demelza, fece abbassare il capo a
Dorothy. Perse la sua espressione altera e aristocratica e il suo
viso parve assumere fattezze più gentili. "Ne sono felice".
Demelza
la osservò. Era una donna aristocratica, sicuramente viziata
e con
una mentalità lontanissima dalla sua ma in quel momento vide
in lei
dolore vero e solitudine. Aveva perso un figlio come lei aveva perso
Julia e forse proprio per questo poteva immedesimarsi in lei e
compatirla per il comportamento duro che aveva tenuto nei suoi
confronti durante la malattia di Hugh. Osservò Eleanor che
dormiva
placidamente nella fascia, per nulla disturbata dalle loro voci. "E'
tranquillissima, una bambina meravigliosa" – disse in tono
più
gentile, per condividere anche solo per un attimo qualcosa con
Dorothy di quella piccolina. Non ne sarebbe mai stata la nonna e
Ellie non sarebbe mai stata sua nipote ma forse quel breve istante
insieme poteva ridare un po' di colore alla sua vita.
"Posso
vederla?".
Demelza
annuì. "Sì".
Lasciò
avvicinare la donna e Dorothy allungò una mano, con gli
occhi
lucidi, ad accarezzare una guancia alla bambina. "Avevate
ragione, è bellissima".
"Volete
tenerla in braccio?" - chiese, facendo quasi violenza su se
stessa.
Dorothy
sorrise tristemente. "Meglio di no, finirei con l'affezionarmi e
non posso permettermelo".
"No,
non potete".
"Demelza,
so che ve ne prenderete cura a dovere e di questo ve ne sarò
grata"
– riprese Dorothy, riacquistando un po' del suo carattere
aristocratico. "Crescetela al meglio, è tutto quello che
posso
dirvi".
"Faccio
del mio meglio. Avete intenzione di tornare a vederla?".
"No,
sto per partire per Londra, ho bisogno di vita mondana per distrarmi
e non pensare. La Cornovaglia è troppo piena di ricordi per
me e
qui, isolata dal mondo, mi sembra di impazzire. Rivedere la bambina
non puo' che farmi male e sarebbe davvero inappropriato se qualcuno
sapesse delle mie visite qui".
Demelza
si morse il labbro, nuovamente irritata. "E allora perché lo
avete fatto, oggi?".
Dorothy
sorrise, allontanandosi dalla bambina. "Almeno una volta, la
volevo vedere. A proposito, come l'avete chiamata?".
"Eleanor.
Eleanor Carne".
"Eleanor"
– ripeté la donna. "Bel nome. Ma avreste forse
fatto meglio a
darle il cognome di vostro marito. Siete una Poldark e da voi ci si
aspetta che mettiate al mondo figli col cognome dell'uomo che avete
sposato".
"Ma
non è figlia di Ross".
Dorothy
scosse la testa. "Ma sarebbe stato conveniente per tutti che lo
faceste. Conveniente per voi, per la bambina e per la reputazione di
vostro marito".
Demelza
sospirò. C'era un abisso fra loro due, Dorothy non avrebbe
mai
potuto capire le sue scelte... "Non potrei mai mentire a mio
marito su una cosa del genere".
"Beh,
la vita e vostra, così come lo è la bambina. Era
solo un consiglio.
Buona fortuna Demelza, a voi e alla piccola Eleanor. E' ora che io
vada". Dorothy tornò al cavallo, montò in sella e
dopo un
cenno del capo, senza aggiungere altro, sparì al galoppo fra
la
vegetazione.
Demelza
la vide allontanarsi, sollevata. Si era sentita a disagio per tutto
il tempo e voleva solo rintanarsi in casa da sola, in
tranquillità.
Avrebbe potuto arrabbiarsi per quello strano comportamento, ma in
realtà compativa Dorothy, ne comprendeva il dolore e sapeva
anche
che, in altre circostanze, sarebbe stata felice di far parte della
vita di sua nipote. Sospirò, guardando la piccola. "Lei
avrebbe
potuto essere tua nonna... Ma sarà solo una persona di
passaggio
venuta a farci visita per la tua nascita" –
mormorò, entrando
in casa.
Appoggiò
sul tavolo il lavoro che si era portata da fare dal villaggio, una
montagna di abiti da rammendare, si tolse la fascia che reggeva la
piccola e si stese nel letto con lei, esausta. "Eleanor, mamma
è
tanto stanca, sai?".
Voleva
dormire un po' prima di pensare a mettere insieme la cena e allattare
la piccola, ne aveva bisogno.
Eleanor,
avvolta nella sua copertina, aprì gli occhi, cercandola con
lo
sguardo. Si mise il pollice in bocca e lo succhiò,
tranquilla, emise
un vagito e con la manina libera le sfiorò il mento.
Demelza
sorrise, Eleanor era quanto di più bello avesse e aveva il
potere di
ridarle il buonumore. "Cosa c'è amore?" - le chiese,
stringendola al suo petto. Allungò la mano e prese il suo
coniglietto di stoffa che aveva appoggiato sul cuscino prima di
uscire e glielo diede. La piccola lo abbracciò
immediatamente,
affondando il visino nella pancia del giocattolo.
"Credo
che dovrò dividere il tuo affetto con un giocattolo,
è?" - le
chiese Demelza, scherzosamente.
Eleanor,
in tutta risposta, si rannicchiò contro di lei,
riaddormentandosi
col peluches fra le braccia. E Demelza si trovò a pensare a
quanto i
suoi figli la amassero e a come, probabilmente, fossero gli unici a
farlo.
Era
cresciuta con un padre che l'aveva riempita di botte e aveva sposato
un uomo a cui aveva donato il suo cuore, un uomo che l'aveva sempre
presa in giro e tradita. Un uomo che di quel cuore non aveva mai
avuto premura di prendersene cura, come se fosse la cosa di minor
valore al mondo per lui.
Ma
i suoi figli...
I
suoi bambini l'avevano amata, tutti. Julia, Jeremy, Clowance e ora
Eleanor...
E
come succedeva spesso quando la piccola dormiva e pensava a loro,
pianse silenziosamente. Era da tanto che non rivedeva i suoi figli e
questo era atroce, terribile, uno strappo continuo al suo cuore.
Ross
le stava facendo pagare nel peggiore dei modi il suo affetto per Hugh
e nemmeno sapeva tutto. Glieli aveva portato via, aveva i mezzi per
farlo e li aveva usati e lei ora avrebbe dovuto vivere una vita
intera senza sapere più nulla di loro.
Jeremy,
che al mattino la raggiungeva nel suo letto e si faceva coccolare da
lei e la teneva sempre per mano quando uscivano per una
passeggiata... E poi la sua piccola, biondissima e bellissima
Clowance, che aveva quasi due anni e mezzo e metà della sua
vita
l'aveva trascorsa lontano da lei e ora probabilmente non ricordava
nemmeno più il suo volto.
Guardò
la piccola Eleanor, grata di averla. E si chiese se fosse giusto per
lei vederla sempre così triste per una decisione che in
fondo aveva
preso di sua volontà. Sapeva a cosa sarebbe andata incontro
andandosene via da Nampara con Hugh, ma quel giorno era troppo
sconvolta per agire lucidamente. E ora... ora i suoi bambini
avrebbero pagato le conseguenze di quella scelta.
Forse
doveva semplicemente voltare pagina, fingere che non fossero mai
esistiti. Forse doveva mettersi in testa che non era più la
loro
mamma e loro non erano più i suoi bambini. Erano i bambini
di Ross
ora e magari a Londra tutti loro, assieme ad Elizabeth e Valentine,
formavano una grande e felice famiglia. Le si contorse lo stomaco
davanti a quella fantasia malata, ma non poteva farci niente.
Singhiozzò
e decise di tentare di non pensarci più. Sarebbe stata la
madre di
Eleanor d'ora in poi, SOLO di Eleanor.
Ma
sapeva che non ce l'avrebbe fatta, sapeva che una parte del suo cuore
si era spenta per sempre. Si sentiva piccola e spersa, sola e senza
speranza. Eppure aveva scelto di avere quella figlia e ora doveva
tirare fuori tutta la sua forza e il suo carattere per crescerla al
meglio.
"Sono
la madre di Eleanor, di Eleanor, di Eleanor..." - si ripeté
come una cantilena, scivolando in un sonno tormentato.
...
Dieci
mesi a Londra. Decisamente troppo per lui! Troppi damerini, troppi
personaggi viscidi e pomposi come George, troppi rumori, troppo
tutto.
L'avventura
politica era stata qualcosa di nuovo ed interessante, vissuta tutta
con ogni responsabilità sulle sue spalle perché
Lord Falmouth era
sempre rimasto in Cornovaglia e si erano sentiti sporadicamente solo
per lettera.
Solo
ora, dopo dieci mesi, era arrivato nella capitale e quella, quel
pomeriggio, era la prima occasione di parlare di persona con lui.
C'erano un sacco di cose che voleva chiedergli e soprattutto aveva
bisogno di confrontarsi con lui su come fronteggiare il potere odioso
di George Warleggan che, nella capitale, gli era ancora più
indigesto che a casa.
Pensò
che era maggio ed era arrivato a Londra nel luglio dell'anno prima!
Dannazione a Lord Falmouth, che lo aveva lasciato solo a farsi le
ossa in quel campo di battaglia che poteva essere la camera dei
Lords!
I
suoi bambini si erano ambientati a Londra, Clowance un po' di
più,
Jeremy un po' meno. Suo figlio era diventato molto taciturno e anche
quando rideva, scorgeva in lui l'ombra della tristezza ferirgli gli
occhi. Aveva smesso di chiedere della mamma ma Ross sapeva che non
l'aveva dimenticata.
Clowance
era più piccola, più mondana, più
sfrontata. Prepotente,
vivacissima, chiacchierona e con una gran faccia tosta, si era fatta
adorare da tutta la gente che frequentavano.
E
lui... lui viveva, senza sapere con quale scopo. Era un uomo
importante e con una brillante carriera davanti ma si sentiva spento,
senza vitalità e avvolto dal gelo.
Si
sentiva come un gatto in gabbia, era Nampara la sua casa. E si
sentiva un uomo a metà senza la sua donna accanto, a
condividere con
lui la sua vita.
Era
maggio, Demelza compiva gli anni in quel mese... Non riusciva a
smettere di pensarci. E non sapeva più nulla di lei
dall'estate
precedente! Come stava, cosa faceva? E con Armitage?
Aveva
scritto spesso a Dwight per parlargli della sua vita ma non aveva mai
osato chiedere nulla di lei. Aveva paura di scoprire che era felice
con un altro uomo e sapeva di essere un codardo per questo...
"E
allora capitano Poldark, che ve ne pare di Londra?" - chiese
Lord Falmouth, mentre uscivano dal Parlamento.
"Puzzolente,
caotica e invivibile" – rispose Ross. "Motivi per cui,
suppongo, siete rimasto rintanato in Cornovaglia invece che venire
qui a farmi visita".
Lord
Falmouth rise di gusto. "Ah, mi piace la vostra faccia tosta! Ma
vi sbagliate, son rimasto a casa per motivi famigliari".
"Scusa
infantile" – ribadì Ross.
Lord
Falmouth sospirò, tornando serio e osservando il cielo.
"Magari
fosse una scusa, capitano Poldark. In realtà sono tornato a
Londra
per rimanerci. Sono qui con mia sorella Dorothy".
"Oh,
non sapevo che aveste una sorella" – rispose Ross, in
realtà
annoiato da quella convesazione.
"Non
conoscete Dorothy? Beh, strano, avete salvato la vita di suo figlio".
A
quelle parole, Ross impallidì. ERA UN IDIOTA! Lord Falmouth
era lo
zio di Hugh Armitage e quindi di certo aveva una sorella... Aveva
rimosso la parentela di Falmouth con quel giovane poeta, non voleva
pensare a lui e a quanto era stato idiota a salvarlo e a non
allontanarlo in malo modo da sua moglie, ma in effetti il suo
interlocutore era molto vicino per vincoli parentali al suo rivale.
"Scusate, avevo dimenticato la cosa. Come mai vi trasferite a
Londra?" - chiese, sperando di non ritrovarsi Armitage ad ogni
angolo della capitale.
"Beh,
io per affari. Mia sorella ha bisogno di cambiare aria, dopo il lutto
che l'ha colpita, e le feste, i balli e i pettegolezzi potranno
aiutarla".
Lutto?
Ross guardò Falmouth senza capire. "E' rimasta vedova?".
"Lo
è da anni, capitano!".
Ross
si grattò il mento. "Chi è morto allora, se posso
permettermi
di chiedere?".
Lord
Falmouth spalancò gli occhi, sorpreso. "Non lo sapete? Di
mio
nipote, intendo? E' venuto a mancare lo scorso settembre".
"Cosa?".
A Ross sembrò mancare il fiato. "Hugh? Come...?". Non
sapeva cosa dire o fare, era totalmente annientato da quella notizia
inaspettata.
Il
suo interlocutore sospirò. "Una malattia terribile gli ha
mangiato prima la vista e poi s'è preso la sua vita. E'
morto fra
atroci sofferenze, da quel che mi hanno raccontato. Lo scorso autunno
ero via per dei viaggi di lavoro e non ho potuto assisterlo
direttamente".
Ross
trattenne il fiato ma avrebbe voluto fargli mille domande che
però
non sembravano voler uscire dalle sue labbra. Era incredibile! Hugh
Armitage, così giovane, talentuoso, brillante ed
affascinante... era
morto... Era la cosa più assurda che avesse mai sentito.
Non
sapeva come sentirsi. Forse gli spiaceva, era pur sempre un ragazzo.
Ma quel ragazzo aveva tradito il suo salvatore, gli aveva portato via
l'amore della sua vita e un angolo della sua mente, il più
oscuro,
pareva volergli sussurrare che aveva avuto ciò che si era
meritato.
"Condoglianze" – disse, infine, formalmente. Che altro
poteva dire?
"Vi
ringrazio".
Ross
annuì. Si trovò a pensare a Demelza, quasi
convulsamente. Come
l'aveva presa? Aveva sofferto per lui? Aveva pianto? Gli era stata
vicina? Si era ripresa dalla sua morte? Eran passati mesi, dopo
tutto...
E
maggio era il mese del suo compleanno e forse, ora che era sola...
Forse,
senza il terzo incomodo, avrebbero potuto parlare, risolvere,
ritrovarsi...
Forse
pensava ancora a lui, ai loro figli e alla loro vita insieme e voleva
riabbracciarli. Demelza amava i suoi figli, lo sapeva che per lei
doveva essere stato atroce vivere senza saper nulla di loro. Gli
aveva portato via Clowance e Jeremy per quasi un anno ed era
consapevole che i suoi figli avevano bisogno di lei.
Anche
lui aveva bisogno di riabbracciarla... La rabbia era scemata in una
triste nostalgia durante quei mesi e ora, sapere che Hugh era morto e
ripensare al loro ultimo incontro, rimetteva tutto sotto una luce
diversa.
Quel
giorno Demelza gli aveva detto che Hugh, steso con la testa sulle sue
gambe, stava male. E se fosse stato vero? E se davvero avesse
travisato, come lei aveva fatto con lui in merito all'incontro al
cimitero con Elizabeth?
Decise,
all'istante, come spesso accadeva. Sarebbe tornato a casa coi
bambini, fatto i bagagli e si sarebbe preso una lunga vacanza.
Era
ora di tornare in Cornovaglia, era ora di riprendersi Demelza!
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Capitolo 14 *** Capitolo quattordici ***
Clowance
si era addormentata sulla carrozza e al suo arrivo a Nampara l'aveva
portata in braccio in casa.
La
sua bellissima bambina bionda dal nasino all'insù dormiva
profondamente, mentre Jeremy lo teneva per mano, saltellando. E
quando Garrick corse verso di loro, gli andò incontro
contento.
Ross
si guardò attorno. Era a casa e nulla sembrava cambiato...
Era
tutto come l'aveva lasciato: la stalla, l'orto, le finestre, le
imposte... Solo le aiuole di fiori di Demelza erano diverse, morte,
non curate, prive di vita. Era tanto che nessuno si prendeva cura di
loro e gli si strinse il cuore al pensiero di quanto lei ci avesse
tenuto a quei fiori.
Era
passato un anno, un lunghissimo anno senza di lei. Era cambiata? Si
era ricostruita una vita altrove? Lo odiava per aver portato via i
bambini tanto a lungo? Come aveva preso la morte di Armitage?
Guardò
Jeremy che correva felice nell'aia, rincorso da Garrick che in quel
lungo anno era rimasto con Prudie, poi entrò in casa.
La
cameriera, appena lo vide, spalancò gli occhi. "Giuda! Siete
tornato e io non vi aspettavo affatto".
Ross
le si avvicinò, facendo scivolare Clowance fra le sue
braccia. "Lo
vedo, sembra che tu abbia visto un fantasma! Sapevi che non sarei
rimasto per sempre a Londra, no?".
"Certo..."
- disse la donna, guardando la bimba bionda fra le sue braccia.
Jeremy
fece irruzione in casa, contento. "Prudie!" - urlò,
saltandole alle gambe e abbracciandola.
La
donna sorrise, accarezzandogli la testolina ed osservandolo assieme
alla sorella. "Cresciuti molto! E molto belli".
Ross
sospirò. "E molto stanchi e affamati". Lanciò
un'occhiata
a Jeremy che era corso nuovamente via, dietro a Garrick, poi si
rimise il cappello in testa. "Metti a letto Clowance, da la
merenda a Jeremy e prepara la cena. Sarò di ritorno fra un
paio
d'ore".
"Dove
andate?".
Ross
sospirò. Doveva andare da LEI, subito. Doveva vederla,
parlarle,
chiarirsi... Un anno era passato e forse la rabbia e il dolore
avevano lasciato posto alla consapevolezza e al tempo del perdono in
entrambi. "Da Demelza, devo parlarle. Vorrei che vedesse i
bambini, soprattutto Jeremy. Gli manca molto e credo che sia ora di
sistemare le cose".
Prudie
impallidì. "Dalla signora? Adesso?".
"Sì,
perché".
"Giuda!
Non... Non sarebbe meglio un riposino... Qualche ora di relax, un
giro in miniera...".
Ross
la guardò storto. Che le prendeva? Credeva che lei, per
prima,
sperasse che la crisi fra loro si superasse... Si comportava in
maniera strana Prudie, come a volergli nascondere qualcosa. "Che
c'è? Qualcosa non va? Qualcosa che riguarda Demelza?".
"Noooo"
– si affrettò a dire la donna, giocherrellando
nervosamente col
suo grembiule. "Ma... Ma... non vi vedete da tanto, siete stanco
e magari coi vostri problemi, le reazioni possono essere spiacevoli
e... e...".
Ross
scosse la testa, accigliato. "Ho dormito in carrozza, non sono
stanco e posso tranquillamente affrontare un discorso con mia moglie
serenamente".
"Certo.
Ma..." - Prudie deglutì – "Prima di dire, fare o
agire
in qualsiasi modo, contate fino a cento".
Ross
non le rispose, era incredibilmente strana. La guardò
storto, si
rimise il tricorno e uscì, montando in sella al cavallo. Si
chiese
il perché di quello strano comportamento di Prudie, ma aveva
più
voglia di vedere Demelza che di pensare alle stramberie della sua
serva e quindi spronò il cavallo e partì al
galoppo verso Illugan.
Sorpassò
la Wheal Grace, la sua amata miniera, rendendosi conto di quanto gli
mancasse quella vita più semplice ma autentica che gli
sapeva donare
solo la Cornovaglia. A Londra si sentiva un pesce fuor d'acqua, un
uccello in gabbia che doveva chinare il capo davanti a mille regole
che trovava ridicole, qui era a casa, nel suo mondo, dove si sentiva
a suo agio in qualunque luogo. La sua miniera, il suo mare, le sue
spiagge, la sua casa, le sue scogliere, i suoi amici e soprattutto la
sua famiglia, i suoi figli e sua moglie... In quelle terre che
percorreva a cavallo c'erano il suo passato con i suoi errori e le
sue gioie e il suo futuro che doveva ricostruirsi cercando di fare
ammenda dei suoi passi falsi. E voleva farlo assieme a lei.
Ritrovando Demelza, avrebbe ritrovato davvero del tutto la sua casa.
Improvvisamente
dovette rallentare, quando dal lato opposto vide giungere a cavallo
una persona conosciuta. Ross sorrise, alzando la mano in segno di
saluto. "Dwight" – esclamò, felice di rivederlo.
Il
medico spalancò gli occhi e poi fermò il cavallo,
saltando giù e
correndogli incontro. "Ross, santo cielo, ti davamo per disperso
nei salotti del re".
"Non
dirlo troppo forte o mia figlia Clowance potrebbe sentirti! Vuole
come casa la residenza reale, ogni volta che passiamo da lì
mi
chiede perché non ci abitiamo!".
Dwight
scoppiò a ridere. "Beh, con Caroline come madrina, non
poteva
che crescere con l'animo principesco. Come stai? E come stanno i
bambini?".
Ross
annuì. "Bene, tutti quanti. Ma era ora di tornare, almeno
per
un po'. Ho tante cose da sistemare qui e ho tenuto i bambini troppo a
lungo lontano da Demelza. Sto andando da lei ora, non si aspetta il
mio arrivo e spero di riuscire a parlarci senza litigare".
"Ah,
certo...". Dwight distolse lo sguardo da lui, lanciando un
sassolino con la punta della scarpa. "Da quanto non hai sue
notizie?".
"Da
quando sono partito. Come sta? Ho sentito della morte di Armitage e
ne sono rimasto sconvolto, nonostante tutto. Lei come l'ha presa?".
Dwight
scosse la testa. "Demelza è una donna molto forte e allo
stesso
tempo molto sensibile. Ha sofferto, ma ha saputo superarla".
"Tu
l'hai vista in questo anno?".
"Come
medico".
Davanti
a quelle parole, entrò in ansia. "E' stata male?". Santo
cielo, che le era successo mentre lui giocava a fare l'orgoglioso a
Londra?
"Non
è stata bene, ma ora è tutto risolto. Niente di
grave".
Ross
annuì, sospirando di sollievo, ancora più
desideroso di vederla.
"Beh ora mi hai messo ancora più fretta di vederla, ci
vediamo
Dwight, vado da lei. Augurami buona fortuna".
"Certo.
La auguro ad entrambi... Se vuoi un consiglio, quando la vedrai pensa
a quanto la ami, lascia da parte gli errori e il dolore e concentrati
su quanto abbia reso bella la tua vita. E andrà bene".
"Certo".
A Ross parvero strane anche quelle parole, che pure Dwight fosse
ammattito come Prudie? Che diavolo era successo in Cornovaglia
durante la sua assenza? Salutò Dwight con un cenno del capo
e poi
ripartì, spronando il suo cavallo ad andare ancora
più veloce.
In
un anno erano successe tante cose...
Era
morto Hugh...
E
sua moglie era stata male...
E
lui non c'era e santo cielo, sarebbe stato suo dovere accudirla!
Ragginse
le campagne di Illugan, le superò e poi si
addentrò nel bosco dove
lei viveva da un anno. Che idiota, era maggio ed era il mese del suo
compleanno e non le stava portando nemmeno un dono. Anche se,
conoscendola, il regalo più grande che lui poteva farle era
permetterle di riabbracciare Jeremy e Clowance.
E
finalmente, quando giunse in prossimità del mulino, la
vide...
Era
fuori, vicino al fiume, intenta a lavare delle camicie.
Fermò il
cavallo col cuore in tumulto, nascosto dietro a un albero a
guardarla. Era così incredibilmente bella, come mai non si
era mai
fermato prima ad osservarla? Indossava un abiro rosso, i suoi capelli
lunghi, color del fuoco e selvaggi erano raccolti in una coda di
cavallo ed era attorniata da coniglietti e galline che probabilmente
allevava e che giravano liberi in prossimità della sua casa.
Sentì
l'istinto fortissimo di abbracciarla e a piccoli passi, tenendo
strette le redini, si avvicinò.
Demelza,
assorta nelle sue faccende, sussultò quando sentì
i suoi passi
dietro di lei. Si voltò e quando lo vide rimase in tranche,
catatonica, con gli occhi spalancati e... spaventati?
Si
alzò di scattò, lasciando cadere le camicie
lavate che aveva in
mano, indietreggiando. "Ross..." - sussurrò, quasi senza
fiato.
Ross
deglutì. Non si vedevano da tanto, era emozionato come
sembrava
esserlo lei e l'unica cosa che voleva fare era tranquillizzarla e
rassicurarla sulle sue intenzioni. Il loro ultimo incontro era stato
terribile, con Armitage fra loro. E ora non aveva intenzione che si
ripetesse quanto patito un anno prima, non avrebbe più
permesso a
nessun muro di frapporsi fra loro. "Demelza" –
sussurrò
a sua volta, gustando il suono del suo nome. Era bello, come lei.
Avrebbe voluto abbracciarla e fare l'amore con lei urlandolo, quel
nome...
La
donna inspirò profondamente. "Che ci fai qui?" - chiese,
guardinga. "I bambini? E' successo qualcosa ai bambini?".
"No".
Le si avvicinò, forse quella reazione così
guardinga era normale,
ma lo faceva sentire strano perché non era da lei. Ma forse,
semplicemente, un anno di lontananza era stato troppo. "Sono
tornato oggi da Londra con loro, stanno bene e volevo appunto
parlartene".
Demelza
si morse il labbro. "I nostri figli? Quelli che mi hai portato
via senza farmi sapere più nulla di loro?".
"Mi
dispiace" – disse lui, chinando il capo. Che poteva dire?
"Vogliono vederti, soprattutto Jeremy. Gli manchi così tanto
e
lui e Clowance hanno bisogno di te, sono piccoli e per quanto io mi
sforzi di fare del mio meglio, tu sei la loro mamma e sei
insostituibile. Dovresti vedere quanto sono cresciuti e quante cose
hanno imparato...".
Demelza
fece un sorriso triste. "Vuoi davvero farmeli vedere? Sei qui
per questo?".
Ross
annuì. "Possiamo parlare un po', io e te da soli, con
tranquillità?" – chiese, indicando il mulino.
Voleva
chiarire, prima di tutto ciò che li aveva divisi. Non voleva
più
vedere quello sguardo e quell'atteggiamento guardingo e sulla
difensiva, non da lei. Voleva urlarle e farle capire che la amava e
che Elizabeth non era che un'ombra del passato e che sì,
aveva
sbagliato a tenerle nascoste delle cose, ma che lo aveva fatto solo
per proteggerla. La rivoleva... Voleva prenderla fra le braccia,
farla salire sul suo cavallo e riportarla a Nampara, da Clowance e
Jeremy.
Demelza
osservò la casa, poi lui, infine si chinò a
prendere le camicie che
aveva lasciato cadere a terra. "Sì, credo che dovremmo
parlare".
Lo
disse freddamente e Ross dovette accettare quel suo atteggiamento. Le
aveva fatto del male e forse per nulla ed era normale che si
comportasse così. Anche se era così strano,
ripendando al loro
rapporto così allegro, sereno e scanzonato di una volta.
La
osservò meglio, ora che era più vicino. Le
sembrava più magra e
leggermente pallida e si chiese se mangiasse a sufficienza. Le parole
di Dwight circa le sue condizioni di salute gli tornarono a ronzare
in testa ed entrò in allarme. "Stai bene? Ho incontrato
Dwight
mentre venivo qui e mi ha detto che ha dovuto curarti".
Demelza
spalancò gli occhi, quasi fosse intimorita da quelle parole.
"Dwight? E che ti ha detto di preciso?".
"Nulla
di che, solo che hai avuto dei malesseri che però ora sono
risolti".
Demelza
chinò il capo, sorridendo in modo lieve e triste.
"Già,
risolti".
Ross
non capiva. Era così strano quell'atteggiamento, erano
strani tutti
e gli sembrava di trovarsi davanti a degli estranei. Fece per farle
un'altra domanda, quando qualcosa lo bloccò.
Demelza
si voltò verso il mulino e impallidì, sentendo lo
stesso rumore che
aveva fatto bloccare lui.
Il
pianto di un neonato...
Ross
la guardò e lei non riuscì a guardarlo negli
occhi. "Demelza?".
Sua
moglie gli passò di fianco senza dire nulla, avviandosi
verso casa.
"Come dicevamo prima, dobbiamo parlare" – sussurrò
solo,
mentre la sua voce si perdeva nel vento.
Ross
la seguì, sentendo le gambe cedergli. Che stava succedendo?
Chi
stava piangendo?
Non
dovette chiederselo a lungo, perché Demelza ricomparve
davanti a
lui, ormai giunto sull'uscio della porta, con in braccio un neonato
avvolto in una copertina bianca.
Ross
spalancò gli occhi mentre la sua mente cercava
disperatamente un
perché, un ACCETTABILE perché a quello che aveva
davanti. "Sei
una balia?" - le chiese, freddamente, sapendo già di suo che
era una domanda stupida. Sentiva come sgretolarsi il terreno sotto i
suoi piedi, ogni suo buon proposito sparire e la disperazione
inondare ogni fibra del suo essere.
"No,
non sono una balia" – rispose lei, cercando di calmare il
pianto del neonato che evidentemente si era appena svegliato.
"E'
tuo?".
"E'
MIA".
"E'
nostra?" - chiese. E sapeva che era impossibile che lo fosse, ma
lo chiese lo stesso spinto dalla disperazione, sperando in un
miracolo.
"No".
Ross
chiuse gli occhi, se per dolore o rabbia, non avrebbe saputo
spiegarlo. Il suo mondo, ogni sua certezza si era sgretolata davanti
a lui in quel momento. Divenne di ghiaccio, un ghiaccio che sapeva
essere pericoloso e l'anticamera di una reazione che poteva essere
violenta. Desiderò urlare, farle male, scuoterla,
percuoterla,
prenderla a schiaffi e piangere a sua volta.
Lei...
Il suo mondo, il suo amore, la sua unica vera certezza...
La
sua casa...
Il
suo rifugio...
Lei
lo aveva tradito, un altro uomo l'aveva posseduta e lei glielo aveva
permesso. Aveva fatto l'amore con un altro, un altro uomo l'aveva
toccata, amata, baciata, fatta sua. E resa madre... E ora non era
più
un sospetto o un'idea, ora era una realtà che si era
infranta contro
di lui come un uragano.
Dio
mio, non l'avrebbe mai perdonata per questo. E se avesse potuto,
avrebbe risuscitato Armitage solo per ucciderlo di nuovo.
"Tu..."
- disse, ancora con quella freddezza addosso – "Tu te ne sei
andata di casa accusando ME di averti tradito e ora... ora come mi
spieghi questo?".
Demelza
arretrò. "Non posso spiegartelo, è successo e
basta. E forse a
causa degli errori di entrambi".
Esplose,
in quel momento il ghiaccio che c'era in lui divenne lava. "Errori
di entrambi?". Indicò la neonata che sembrava essersi
calmata,
furioso. "Mia cara, questo è opera tua e...". Le si
avvicinò, prendendole il polso libero e stringendolo forte,
incurante di farle del male. "Armitage? Il dolce poeta che
recitava poesie? Indovinato?".
"Sì.
Ross lasciami, mi fai male".
"CHE
MI IMPORTA?". Urlò, facendo piangere di nuovo la bambina.
Indietreggiò, se continuava a starle troppo vicino avrebbe
finito
davvero per farle del male seriamente. "Hai tradito me, i tuoi
figli e tutti noi che ti abbiamo accolta e amata e ora mi dici che ti
faccio male? IO A TE? Hai idea di cosa sto provando in questo
momento?".
Demelza
parve ritrovare un po' di coraggio. "Sì, ce l'ho! Ho vissuto
la
stessa esperienza".
Santo
cielo, se voleva provocarlo, questo era un ottimo modo per farlo.
Demelza stava giocando col fuoco. "Bene! E' stata vendetta?
Vendetta per cosa? Per averti tradita? E hai fatto la stessa cosa che
hai tanto biasimato di me? Io non ho un figlio bastardo di cui mi
occupo davanti agli occhi del mondo, io non ho portato il disonore
nella nostra casa e nella vita dei nostri figli. E tu...? Puoi dire
lo stesso?".
Gli
occhi di Demelza si riempirono di lacrime e di sensi di colpa. "Non
volevo succedesse, non... Mi dispiace, ho sbagliato e ne pago le
conseguenze, mi dispiace e ti chiedo scusa. Che altro dovrei fare?
Ero disperata, poco lucida, arrabbiata con te e Hugh era lì
e mi
faceva sentire speciale e al primo posto. Volevo essere amata, anche
solo per un giorno! Non era vendetta, era bisogno d'amore e lo so,
non è una scusante, ma è successo. Che cosa avrei
dovuto fare,
quando ho scoperto la gravidanza?".
Ross
le si avvicinò come una furia, ogni traccia di amore e
tenerezza
verso di lei scomparsi. Voleva farle del male, fargliene come lei ne
stava facendo a lui in quel momento. "Interrompere la gravidanza
o lasciare questa piccola bastarda in un orfanotrofio. Non ti rendi
conto del male che ci hai fatto, tenendola con te? A me, ma
soprattutto ai nostri figli che vivranno per sempre marchiati
dall'esistenza di questa marmocchia illegittima. La figlia di
Armitage... Avrebbe fatto una cosa giusta, LUI, se se la fosse
portata con se nel regno dei morti. Avrebbe fatto un favore a me, a
Clowance e Jeremy e soprattutto a te".
Demelza,
con le guance rigate di lacrime, strinse a se la piccola che piangeva
disperata. "Smettila! Non ti permetto di parlare così. La
bambina non ha colpe e non posso credere che tu le stia augurando del
male".
Ross
le riprese il polso, attirandola viso a viso. "Liberati di
questa bambina subito o ti giuro che te ne farò pentire"
–
urlò.
La
piccola, ormai terrorizzata, pianse più forte e Demelza,
stremata e
spaventata, tentò di liberarsi dalla sua stretta. "Smettila
di
urlare, la spaventi".
"CHE
VUOI CHE MI IMPORTI? DI LEI? DI TE?". Provò di nuovo
l'istinto
di colpirla, di darle uno di quegli schiaffi che ti lasciano il segno
sul viso.
Demelza
tentò di sfiorargli il polso, cercò il suo
sguardo con la
disperazione negli occhi ma era troppo tardi per commuoversi e per
permettere all'amore che provava per lei di riportarlo alla ragione.
Se ne sarebbe pentito, passata la rabbia sarebbe successo e lo
sapeva. Ma in quel momento era troppo furioso e fuori di se e voleva
solo percuoterla e farle del male. Alzò la mano, un gesto
che MAI
avrebbe pensato di compiere nei confronti di una donna. Tanto meno di
Demelza...
Alzò
la mano pronto a schiaffeggiarla e la vide chiudere gli occhi e
abbassare il capo in un gesto istintivo di protezione che doveva aver
sviluppato da bambina, quando era suo padre a metterle le mani
addosso.
Fu
forse quel gesto a fermare la sua mano a pochi millimetri dal suo
viso.
Non
poteva farlo, nonostante tutto non poteva.
Non
sarebbe mai riuscito a colpire una donna inerme con in braccio un
neonato, anche se la donna in questione era l'amore della sua vita
che lo aveva tradito e la bambina il frutto di quel tradimento.
Si
allontanò, doveva andarsene prima di perdere nuovamente il
controllo. Col fiato corto, non togliendole gli occhi di dosso,
indietreggiò fino alla porta. "Lo vuoi un consiglio?
Occupati
meglio che puoi di quella piccola bastarda perché
sarà l'unica
figlia che vedrai crescere".
E
detto questo si voltò e se ne andò, in groppa al
suo cavallo.
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Capitolo 15 *** Capitolo quindici ***
Puo’
l’animo umano cambiare tanto nel giro di pochi minuti? Si
può
passare dalla speranza alla disperazione in un niente?
Ross
galoppava quasi senza meta, sentendosi rimbombare nelle orecchie il
dannatissimo pianto di quella neonata.
La
figlia della sua Demelza e di Hugh Armitage…
Se
era un incubo, sperava di svegliarsi presto. Sentiva il cuore fargli
male e la rabbia corrodergli l’animo. Se n’era
andato perché
sapeva di poter perdere il controllo e in quello stato avrebbe
rischiato di farle del male seriamente, a lei e a quella dannata
mocciosa che aveva messo al mondo assieme ad un altro.
Cercò
di riguadagnare la calma, mentre nella sue mente, oltre
all’immagine
di Demelza con la bambina, pian piano le stranezze di quella giornata
sembravano trovare risposta.
Prudie
e il suo tentare di fargli cambiare idea circa la visita a
Demelza…
E
Dwight…
Sapevano,
TUTTI loro sapevano e non gli avevano detto niente.
Prudie
era quel che era, su di lei non poteva far molto conto. Ma
Dwight…
Il
suo migliore amico, quasi un fratello per il quale si era lanciato in
una missione disperata di salvataggio che gli era costata un altro
caro compagno, Henshawe.
Lo
aveva tradito, TUTTI lo avevano tradito. Demelza, Prudie, Caroline e
Dwight. Soprattutto Dwight!
Si
morse il labbro, avrebbe voluto spaccare ogni cosa e urlare tutta la
sua rabbia. Spronò il cavallo a cambiare strada e si diresse
verso
la dimora dei Penvenen, dove Dwight si era trasferito dopo le nozze.
Era talmente arrabbiato che lo avrebbe ucciso.
Aveva
curato Demelza, è? Peccato che nel loro incontro di poche
ore prima
avesse omesso la natura delle sue cure…
L’aveva
seguita durante quella dannatissima gravidanza e aiutata a mettere al
mondo la mocciosa e santo cielo, era una cosa talmente abnorme da
risultargli incredibile.
Ogni
sua certezza così come l’amore e le amicizie
sincere, erano state
sempre una menzogna.
Giunse
al cancello della dimora, scese da cavallo e come una furia, dopo
aver lasciato l’animale a un servitore, entrò in
giardino senza
farsi annunciare.
Fu
sorpreso di trovare Dwight sulla porta di casa, sotto il portico,
lì
come se lo stesse aspettando.
Beh,
in fondo forse sospettava che avrebbe ricevuto una sua visita, no?
Il
medico lo guardò avvicinarsi, andandogli incontro.
“Ross”.
Ross
un corno, non doveva nemmeno nominarlo il suo nome. Si
avventò su di
lui come una furia, prendendolo per il colletto. “Mi
aspettavi?”
– gridò, muso a muso.
“L’hai
vista?” – chiese Dwight, cercando di liberarsi
dalla sua stretta.
“LE
HO VISTE!” – urlò. “Hai
qualcosa da dirmi, Dwight? Ora, visto
che a quanto pare non lo hai fatto per un intero anno”.
Dwight
gli diede uno strattone, liberandosi. “Ross, se tu cercassi
di
calmarti…”.
“PARLA!”.
Con
un sospiro, il medico si appoggiò alla parete, capendo che
non c’era
modo di fermare la furia dell’amico. “Ero sconvolto
quando
Demelza me l’ha detto, sconvolto come lo ero quando mi hai
confessato di aver tradito tua moglie con Elizabeth e che Valentine
poteva essere tuo”.
“Ti
ha cercato Demelza, per la gravidanza?” – chiese
Ross,
freddamente, fingendo di non sentire quelle parole.
“No.
Hugh Armitage stava male e un giorno, visitandolo, mi chiese di
portare Demelza a casa sua perché voleva vederla e, viste le
sue
condizioni, non poteva più farle visita ad Illugan ed era
preoccupato per lei. Andai da tua moglie e lei stava malissimo,
ancora non sapeva di essere incinta. Non si reggeva in piedi ed era
questo il motivo per cui non ti ha seguito a Nampara dopo hai deciso
di partire per Londra coi bambini. L’ho visitata e abbiamo
scoperto
della bambina. Le ho prospettato l’aborto, una pratica
pericolosa
ma l’avrei aiutata personalmente con ogni cura a mia
disposizione,
cercando di fare tutto nella massima sicurezza. Ma lei ha rifiutato
questa soluzione e non mi sarei aspettato niente di diverso da
Demelza, è una donna che si prende appieno la
responsabilità delle
sue azioni e dei suoi errori. E da medico, se una mia paziente
sceglie di portare avanti una gravidanza, io sono obbligato a
prestarle le migliori cure. Non avevo voce in capitolo sulle sue
scelte e l’ho aiutata perché è la mia
missione farlo. L’ho
costretta a venire a casa mia, dopo la morte di Armitage,
perché
stava malissimo e temevo per lei. E ha partorito a casa mia per
fortuna e non ad Illugan, da sola o con qualche levatrice
improvvisata, perché è stato un parto complicato
e pericoloso”.
Ross
lo aveva ascoltato in silenzio, senza quasi respirare, cupo in volto.
“Perché non mi hai detto niente? Perché
non mi hai scritto?”.
“Sono
un medico e sono tenuto al segreto professionale. Demelza non mi ha
mai autorizzato a scriverti
e ho rispettato la sua scelta”.
“SEI
MIO AMICO!” – urlò Ross –
“A me hai mai pensato? Quando
curavi Demelza perché avesse quella bambina, a me pensavi?
Quando
hai fatto in modo che nascesse, a me pensavi? O era più
importante
la salute di una dannatissima mocciosa illegittima che avrebbe
rovinato le vite di tutti?”. Era troppo dolore, troppa
rabbia…
Con Demelza si era fermato, con Dwight era impossibile. Con un gesto
veloce alzò la mano, colpendolo sul volto con un pugno che
il medico
non riuscì ad evitare.
Dwight
stramazzò a terra e Ross gli fu addosso.
“Ross,
fermati!” – urlò Dwight –
“Massacrare me non ti servirà a
nulla”.
"Ma
mi farà stare bene per cinque minuti!".
Con
una forza inusuale per lui, Dwight riuscì a spingerlo
indietro,
rialzandosi in piedi. Si toccò la guancia arrossata per il
pugno,
col fiato corto, cercando di ristabilire la calma. "Ross, sei
fuori di te e ti capisco ma...".
"NO,
TU NON CAPISCI! Sai cosa si prova quando vedi la donna che ami
cullare il figlio avuto da un altro? Hai idea di come questa cosa si
ripercuoterà sui miei figli e sulle nostre vite? Non dovevi
aiutarla, dannazione! Se avesse perso quella dannata bambina, sarebbe
stato un dono per tutti!".
Dwight
si avvicinò, gli prese il polso, lo strinse e lo spinse
contro il
muro. La sua espressione era seria, arrabbiata e assolutamente
decisa. "Ross, io non l'ho fatto per la bambina! Io l'ho fatto
per Demelza! Dannazione, c'erano alte possibilità che non ne
uscisse
VIVA! E so che sei arrabbiato ma un giorno mi ringrazierai per questa
cosa, per essermi preso cura di lei".
Ross,
ansimando, riprese possesso di un attimo di lucidità. "Che
vuoi
dire?".
Dwight
sospirò. "La gravidanza è stata
molto problematica
e lei è stata molto male. Non mangiava, vomitava in
continuazione e
i primi mesi era emotivamente a pezzi nel vedere Hugh morire. Lo ha
seguito COME UNA AMICA fino alla fine ma poi è crollata,
dopo la sua
morte. Non mangiava, non si curava di se stessa e stava deperendo
visibilmente. Pareva quasi, inconsciamente, volersi punire per
ciò
che aveva fatto a voi, a se stessa e alla bambina che aspettava. Ho
seriamente minacciato di scriverti se non fosse venuta a casa mia e
non
si
fosse fatta aiutare e dannazione Ross, ti avrei scritto davvero e al
diavolo il mio voto alla segretezza! Demelza è amica sia per
me che
per Caroline e so che se le fosse successo qualcosa, tu non te lo
saresti mai perdonato".
Ross
rimase spiazzato da quelle parole. Era furioso con Demelza, da
morire. E anche con Dwight... Ma sapeva che aveva agito per il
giusto, facendo quello che aveva fatto, e sapeva anche che non
avrebbe potuto agire
diversamente. "Io cosa dovrei fare, ora?".
Dwight
abbassò lo sguardo. "Non lo so. Eleanor è...".
Ross
si accigliò. "Eleanor?".
"La
bambina... E' il suo nome".
Abbassò
lo sguardo, scalciò un sasso con violenza e
guardò il cielo. "Le
ha pure dato un nome?".
Dwight
lo guardò storto. "Ross!".
Ross
un corno, era inutile che Dwight lo guardasse con quella faccia. "E
il cognome? Quale cognome le avrebbe dato? La bambina è
stata
battezzata?".
"Sì.
Con l'intercessione di Caroline, il sacerdote non ha fatto troppe
domande. Onestamente speravo che Demelza le desse il cognome Poldark,
avrebbe creato meno problemi a tutti, ma non l'ha fatto".
Ross
rise, sarcastico. "Quanto meno mi conosce e sa che se le avesse
dato il nome della MIA famiglia, sarei diventato una furia ancora
più
di come sono ora. Non mi impora cosa dice la gente e
nemmeno dei pettegolezzi che seguiranno,
lei ha sbagliato e non certo io ed
è lei che deve vergognarsi quando va in giro con quella
mocciosa.
Quindi, come si chiama? Armitage?".
Dwight
scosse la testa. "Carne. Le ha dato il suo cognome".
Ross
sbuffò. Beh, scelta che riteneva giusta, era un problema di
Demelza
giustificare l'esistenza della bambina al mondo e prendersene
interamente la responsabilità. "Bene..."
- disse, freddamente.
Dwight
gli prese il polso. "Ross, Hugh è morto e so che tu non
vorresti avere responsabilità verso la bambina, ma...".
Ross
gli piantò gli occhi addosso. "Esatto, non è un
mio problema.
La morte di Armitage non cambia lo stato delle cose, non è
mia
figlia e non intendo sentirmene responsabile. Demelza ha deciso di
metterla al mondo e di tenerla e lei se la cresce".
Dwight
gli scosse il braccio. "Ross, potresti imparare ad amarla, se...
E' una bambina adorabile".
"Scusa
se non condivido il tuo entusiasmo, Dwight!".
Il
medico sospirò. "Che farai allora?".
Ross
si mise il tricorno in testa, avvicinandosi al cavallo. "Prendo
i bambini e torno a Londra subito. Qui non c'è
più niente per noi".
Dwight
spalancò gli occhi, entrando in allarme. "Ross, non farlo,
non
portarglieli via".
Lui
scosse la testa, cupo in volto. "Si che lo farò, non
permetterò
che Clowance e Jeremy vengano messi in mezzo a tutto questo".
"Oh
Ross...". Dwight abbassò il capo, massaggiandosi la guancia
colpita. "Posso considerarti ancora mio amico, quanto meno? E
sperare che mi consideri un appiglio nei momenti difficili?".
Ross
scosse la testa. "No, non ora, fra un po', forse... Ci vorrà
del tempo, tanto tempo perché riesca a non considerarti un
traditore. So che hai fatto ciò che dovevi, ma facendolo hai
distrutto la mia famiglia".
Dwight
fece per rispondergli ma Ross non gli diede il tempo di parlare.
Partì al galoppo e si lasciò Dwight alle spalle,
sentendosi
improvvisamente solo e senza più appigli.
Aveva
perso tutto, eccetto i suoi figli. Li avrebbe presi e portati a
Londra, cresciuti da solo e ne avrebbe fatto brave persone. Doveva
ripartire da zero con loro, ma non aveva scelta. Non esistevano
più
Nampara, Demelza, la miniera e la Cornovaglia con tutti i suoi
affetti, il passato doveva smettere di esistere e il futuro doveva
essere costruito da zero.
Tornò
a casa e mise il cavallo nella stalla, legandolo alla staccionata con
gesti rabbiosi. Poi, in un impeto d'ira, spaccò il manico
del
rastrello appoggiato alla parete, prendendo infine
a pugni il muro.
E
solo quando si fu calmato, dopo lunghi minuti, entrò in
casa.
Osservò
Prudie con odio, mentre rassettava la cucina.
La
donna abbassò lo sguardo piena di sensi di colpa e Ross
dovette
trattenersi dal non urlarle contro tutta la sua rabbia. Ma c'erano i
bimbi in casa e almeno per loro, doveva farlo... "Sarai
orgogliosa di ciò che hai generato..." - disse solo,
freddamente.
Prudie
singhiozzò. "Mi dispiace...".
"Troppo
tardi" – rispose Ross, prendendo le scale. "Non disfare i
bagagli, io e i bambini ripartiamo domani".
Prudie
gli corse dietro. "E la signora?".
"Non
esiste nessuna signora". Ross salì le scale ed
entrò nella
camera dei figli che, inconsapevoli di tutto, giocavano sul letto.
Erano
due bambini meravigliosi e la loro madre li aveva traditi,
abbandonati e condannati a crescere da soli...
Jeremy
gli corse incontro.
"Papàààà! Sei tornato
finalmente! Quando
andiamo dalla mamma?".
"Domani?"
- chiese Clowance.
Ross
sentì il nervoso che tornava prepotentemente. Cosa aveva
fatto
Demelza? Quanto dolore stava arrecando col suo egoismo, ai suoi
figli? "No. Domani ripartiamo per Londra".
Jeremy
deglutì, poi scoppiò a piangere. "Con la mamma?".
"No".
Il
bimbo gli si aggrappo' alle gambe, strattonandolo. "Ma me lo hai
promesso! Voglio la mamma, la voglio con noi! E tu sei un bugiardo".
Quello
fu troppo. Per un attimo sentì nuovamente la voglia di
spaccare
tutto e di urlare tutta la sua rabbia. Con un gesto secco prese
Jeremy per la spalla, lo scosse e lo guardò furente. "La
mamma
non viene con noi! Non verrà con noi MAI PIU'! Quindi
smettila di
chiedermi di lei e di aspettarla, se n'è andata! ANDATA! Ha
un'altra
vita e di noi non le importa più! Dimenticatela!".
Poi
si allontanò da lui, uscì dalla stanza sbattendo
la porta e nemmeno
il pianto del bambino, a
cui si era unito quello di Clowance,
riuscì a riportarlo indietro.
...
Demelza
era crollata a letto, piangendo disperatamente. Anche la piccola
Ellie non aveva smesso di piangere da quando Ross se n'era andato e
la donna non trovava la forza di ricomporsi per tranquillizzarla.
Sapeva
che sarebbe stato orribile, lo sapeva e nonostante tutto non ci era
preparata! Rivedere
Ross era stato un miscuglio di emozioni. Era così bello,
forte,
austero, con gli occhi neri come la notte ma dolci come il primo
mattino. Era il suo amore, sapeva che lo sarebbe sempre stato e
ora...
Ora
era finita, davvero!
Guardare
Ross fissarla con odio, sentirlo dire quelle frasi così dure
e
cattive e infine precluderle ogni possibilità di rivedere
Clowance e
Jeremy era stato troppo. Aveva sempre cercato di essere forte ma
adesso non ne aveva più la forza.
Che
aveva fatto? CHE AVEVA FATTO?
Singhiozzò,
con la piccola Ellie che faceva altrettanto, inconsolabile.
Finché
sentì qualcuno bussare alla porta ed entrare.
Si
alzò di scatto, stringendo a se la piccola, spaventata. Non
aveva
chiuso la porta e poteva essere chiunque.
Tirò
un sospiro di sollievo quando si accorse che era Dwight. "Cosa
ci fai qui?" - chiese stupita,
osservando la sua guancia arrossata.
Il
medico la osservò, poi le si avvicinò
preoccupato. "Stai bene?
So che Ross è stato qui e non ho avuto un piacevole incontro
nemmeno
io con lui, oggi" – disse, massaggiandosi la guancia. "Ero
preoccupato per te".
Demelza
si sentì morire, intuendo
che dovevano aver fatto a pugni.
Come aveva potuto permettere che le cose andassero fino a quel punto?
Aveva distrutto il suo matrimonio e probabilmente anche l'amicizia
profonda fra suo marito e Dwight. "Dovrei chiederlo io a te, a
considerare dalla tua faccia".
Dwight
sospirò. "Un pugno ogni tanto, a un uomo, fa solo che bene.
Ma
tu...". Si sedette accanto a lei, asciugandole le lacrime con un
fazzoletto. "Demelza?".
La
donna strinse a se la piccola. "Sapevo che sarebbe stato
orribile e me lo merito. Mi merito il suo odio e tutto quello che
farà per tenermi lontano
i bambini. Sono una persona orribile, Dwight... Ho tradito mio marito
e abbandonato i miei figli e ho messo al mondo questa bimba,
facendola nascere in un ambiente terribile. Sono la peggiore delle
donne... In tante hanno mariti che le tradiscono ma fanno finta di
nulla e si voltano dall'altra parte per non vedere. Accudiscono i
loro figli e si rassegnano a non essere amate. Dovevo fare
altrettanto, per Jeremy e Clowance! E invece me ne sono andata, mi
sono concessa a un uomo che nemmeno amavo e ora... ora ho distrutto
tutto".
Dwight
la abbracciò. "Demelza, tu non sei orribile, sei solo umana e
come tutti hai sbagliato. Come a suo tempo ha sbagliato Ross e credo
che, anche se tu non lo ritieni possibile, lui l'abbia anche imparata
la lezione.
Sei
una
gran bella persona e anche Ross lo sa. E' arrabbiato ed è
normale ma
lui sa che i bambini hanno bisogno di te e li rivedrai. Ne sono
sicuro, dagli tempo... E non pensare male di te, pensa invece al
coraggio che hai avuto a mettere Eleanor al mondo e
a sopportare tutto da sola.
Questa
bimba è meravigliosa
e so che non potresti più separartene, ora
che la conosci e ne sei madre, indipendentemente da dove è
arrivata".
Demelza
abbassò lo sguardo, guardando la bimba. "Ha detto cose
orribili
su di lei. Cosa ha fatto Ellie? E' solo una bambina, non ne ha
colpa... Sono io da biasimare e punire, non lei. Ma Ross se
l'è
presa con entrambe".
Dwight
le accarezzò i capelli. "Ross non era in se. Sai che non
è
cattivo e sai quali sono i suoi veri sentimenti e
quanto sia generoso.
Non intendeva prendersela con la piccola e vedrai che pian piano le
cose andranno meglio. Ma tu..." - le sfiorò il mento,
costringendola a guardarlo negli occhi – "Ora devi smettere
di
piangere o non riuscirai mai a tranquillizzare la piccola. Lei sente
il tuo stato d'animo e ha bisogno di sentirti serena".
"Sono
una madre orribile anche per lei".
Dwight
divenne serio e le strinse le spalle. "NO! Sei umana ma non sei
orribile. Stai attraversando dei momenti difficili e ti senti debole,
ma tu non sei debole. Lotta, per te stessa e per questa bimba che hai
voluto con tutte
le tue forze.
So che lo puoi fare...".
Demelza
annuì, cercando la forza di smettere di piangere. Strinse la
piccolina a se, così bella, perfetta e dolce, innocente e
delicata.
"Lo farò, ci tenterò... Ma tu e Ross?".
"Partirà
subito per Londra e la lontananza farà bene a tutti. Le cose
si
sistemeranno in qualche modo, sta tranquilla".
Demelza
chiuse gli occhi, decidendo che voleva credergli. Doveva farlo o
sarebbe impazzita. Baciò la fronte di Ellie e
ringraziò Dio di
avere accanto un amico come Dwight, maledicendo il fatto che
però,
per aiutare lei, lo aveva portato via a Ross.
Forse
un giorno avrebbe smesso di sentirsi pessima ma doveva andare avanti,
lei era tutto quello che Eleanor aveva.
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Capitolo 16 *** Capitolo sedici ***
Era
ormai autunno ed erano quattro mesi che era tornato a Londra. Vi
aveva fatto ritorno ferito, abbacchiato, disperato e soprattutto
arrabbiato, col nulla negli occhi e nel cuore.
Si
era messo a lavorare sodo in politica per non impazzire, giorno e
notte chiuso nel suo studio ad analizzare leggi e soluzioni che
potessero migliorare la vita della povera gente, aveva stretto legami
con persone potenti che continuava a maltollerare ma che erano per
forza di cose diventate il suo mondo perché altrove non
aveva più
nulla, si era scontrato con George tante di quelle volte che aveva
perso il conto e la sera, esausto, si scolava parecchi bicchieri di
Porto per stordirsi, andare a letto e non pensare o sognare.
Faceva
di tutto per dimenticarla perché DOVEVA dimenticare!
Elizabeth lo
aveva tradito non aspettandolo al ritorno dalla guerra e ora anche
Demelza, colei per la quale avrebbe messo la mano sul fuoco. Gli
aveva dato la sua completa fiducia e lei l'aveva calpestata e
buttata, tradendolo con un giovane senza spina dorsale e facendoci
insieme addirittura una figlia.
Voleva
odiarla, doveva farlo per non impazzire!
Non
era stato il migliore dei mariti, sapeva di avere delle colpe, ma era
sempre stato convinto che Demelza fosse consapevole del suo amore.
Anche se non avevano affrontato le conseguenze del tradimento con
Elizabeth, Ross si era illuso che tutto fosse passato e che si
fossero ritrovati. Era nata Clowance, avevano riso e scherzato
insieme e lei... lei per tutto quel tempo aveva pensato a un altro,
alla vendetta e a come tradirlo alle spalle.
Demelza...
la sua Demelza... Che lo aveva tradito, che aveva abbandonato i loro
figli ed era diventata l'amante di un uomo a cui lui aveva salvato la
vita. Era crudele, a pensarci bene... Si era sempre creduto un uomo
forte, ma ora si sentiva spezzato e senza fiducia verso nessuno se
non se stesso e i suoi bellissimi figli.
I
bambini erano diventati straordinariamente docili da quando erano
tornati nella capitale. Non erano più irruenti e rumorosi ma
giocavano tranquilli nella loro cameretta, tanto che spesso faticava
a percepirne la presenza e anche Miss Etta, la bambinaia, lodava il
loro comportamento sempre controllato e mai sopra le righe. Clowance
non era più tanto capricciosa come in precedenza e passava
il tempo
a giocare con le bambole e ad imitare Etta nelle faccende domestiche
mentre Jeremy, per fortuna, aveva seguito il suo consiglio e si era
finalmente dimenticato di avere una madre. Aveva smesso di chiedere
di lei e di vederla, non l'aveva più nominata e se ne stava
tranquillo e sereno a giocare, senza sentirne la mancaza. La sera
andava a letto quando gli si diceva di farlo, di giorno era
ubbidiente e finalmente si era rassegnato a non averla più
nella sua
vita. Ed era meglio così, perché tanto
né lui né Clowance
l'avrebbero più rivista, quindi prima si abituavano alla
cosa e
meglio era.
Demelza
se ne sarebbe rimasta a Illugan, a crescere la mocciosa di Armitage
da sola, senza più interferire nelle loro vite e ferirli.
Era
giusto così, era ciò che lei aveva voluto!
Quella
sera pioveva a dirotto e Ross, di ritorno dal Parlamento, fu
costretto a entrare in una locanda per non bagnarsi come un pulcino.
Non aveva con se il mantello e la pioggia l'aveva colto di sorpresa
quando era ancora troppo lontano da casa.
La
locanda era lussuosa, piena di persone facoltose che giocavano a
carte e bevevano ai tavoli, mentre parlavano di finanza e guerra.
Ross, per nulla di compagnia, si sedette al bancone per prendere un
bicchiere di rum. Aveva freddo e voglia di bere e dell'alcol gli
avrebbe fatto bene.
Gli
si parò davanti una cameriera prosperosa, dal seno
abbondante, i
ricci neri e il viso di chi sa cosa vuole dalla vita. Poteva avere
venticinque anni, ma dalla sua espressione pareva essere ben navigata
nei rapporti con gli altri. "Siete solo, volete compagnia?".
Ross
la guardò in cagnesco, non troppo propenso a chiacchiere.
"Voglio
del rum".
"E
dopo il rum? Vi fermate o andate?".
Ross
alzò lo sguardo su di lei. Che diavolo voleva quella tizia?
"Andrò,
suppongo... Sempre che questa pioggia non prosegua".
La
ragazza guardò fuori dalla porta. Diluviava e ormai
imbruniva,
faceva freddo e tutti potevano avere bisogno di calore.
"Proseguirà
per un paio d'ore come minimo e voi con un bicchiere di rum sareste
occupato al massimo dieci minuti. Volete compagnia? Al piano di sopra
potreste trovarne a un prezzo molto conveniente".
A
quelle parole, Ross si guardò attorno, osservando meglio
l'ambiente
e riconoscendo in quelle scale eleganti, in quelle pareti pacchiane e
nell'abbigliamento delle cameriere posti simili frequentati da
giovane, quando cercava rapporti amorosi fugaci nelle case di
piacere. "No, grazie" – rispose, abbassando il capo. Non
aveva voglia di essere di compagnia né tanto meno di
un'avventura
con una perfetta sconosciuta. Ne aveva piene le scatole delle donne,
tutte approfittatrici, false e ipocrite.
La
ragazza sorrise maliziosa. "Le nostre ragazze sanno riscaldare
anche i cuori e... i corpi... più gelidi. Ne abbiamo di
tutti i
gusti, more, bionde, rosse, navigate o vergini... Certo, le vergini
costano di più ma vi daranno molta soddisfazione".
Ross
scosse la testa, era tutto talmente squallido e lontano dal suo modo
di essere che si stupiva di aver frequentato posti simili da giovane.
Ricordò Demelza e la loro prima volta insieme. Per lei era
davvero
la prima volta e per lui pure, con una ragazza vergine. Eppure era
stato facile, semplice e naturale, era stato come il trovarsi di due
anime e due corpi nati per stare insieme. Era stato attento a non
spaventarla allora e lei si era affidata completamente a lui, senza
paura e con la massima fiducia.
Quel
ricordo gli fece male e si chiese perché stesse rifiutando.
Cosa ci
sarebbe stato di male a concedersi un'ora di piacere senza
conseguenze? Aveva una moglie a casa che lo aspettava? No, sua moglie
se n'era andata e ora cresceva la figlia bastarda avuta con un altro.
Che cosa gli impediva di pagare qualche moneta, salire al piano di
sopra e sfogarsi con una donna navigata e ben abituata all'impeto di
un uomo frustrato ed arrabbiato? Era tanto che non giaceva con una
donna, da prima che Agatha morisse e ne sentiva il bisogno fisico, un
bisogno che, ora che ci pensava, aveva in se qualcosa di violento e
rabbioso. E quel posto faceva al caso suo. Si sarebbe sfogato,
divertito, avrebbe provato piacere e per pochi scellini avrebbe reso
meno deprimente la sua serata. "Hai detto che hai una ragazza
coi capelli rossi?".
"Ne
ho due. Una di vent'anni, molto esperta e una di quattordici. Lei
è
la vergine di cui ti parlavo prima. La vuoi? Vuoi iniziarla ai
piaceri della carne? E' sempre emozionante farlo con una vergine".
Ross
spalancò gli occhi, inorridito. Quattordici anni? Una
bambina,
praticamente... Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere,
avrebbe provato disgusto verso se stesso per tutta la sua vita e si
stupiva che ci fossero degli uomini che invece non aspettavano altro
che occasioni simili. "La ventenne andrà benissimo"
–
rispose, freddamente. Non avrebbe salvato quella ragazzina, sarebbe
arrivato un altro aguzzino ad abusare di lei ma non sarebbe mai stato
lui quell'uomo.
La
morettina gli sorrise maliziosamente, gli diede una chiave e gli
strizzò l'occhio. "Salite al piano di sopra, camera numero
dieci. La ragazza sarà da voi in un attimo. Non ve ne
pentirete,
Vivienne sa il fatto suo".
Ross
la guardò scettico, prese le chiavi e salì, con
l'animo ancora più
cupo. Una parte di lui era disgustata da quello che stava per fare
mentre l'altra, la più selvaggia, gli gridava che era suo
pieno
diritto. Demelza non aveva dopo tutto fatto lo stesso?
Entrò
nella stanza, dal gusto pacchiano come le pareti del salone. Erano
color porpora, con il pavimento coperto di soffici tappeti bianchi,
un enorme letto a baldacchino e una finestra che dava sulla via
principale. Il camino era acceso e scoppiettante ed era evidentemente
un bordello di lusso dove, ci avrebbe scommesso, si servivano molti
di quelli che vedeva tutti i giorni in Parlamento, alla Camera dei
Lords.
La
porta si aprì e la ragazza, Vivienne, entrò. Era
minuta, aveva i
capelli color fuoco che le arrivavano alle spalle, lisci e ben
pettinati, indossava una sottoveste nera di seta e aveva
un'espressione mista fra purezza infantile e malizia. Sapeva fare
bene il suo lavoro, questo era evidente anche solo dal suo sguardo...
Ross,
senza dire nulla, le fece cenno di chiudere la porta, iniziando a
sbottonarsi la camicia. Non aveva voglia di convenevoli, era in
quella stanza per un motivo ben preciso e quello e solo quello
avrebbe portato a termine.
La
ragazza gli si avvicinò con passi lenti e decisamente
studiati,
scrutandolo in volto. Gli si parò davanti, gli prese le mani
che
stavano sbottonando i bottoni della camicia, gliele
accarezzò e
sorrise. "Signore, lasciate che vi aiuti".
Ross
sospirò. Perché no? Era il suo lavoro quello di
lusingare l'uomo
che aveva pagato per averla, giusto?
Vivienne
gli tolse la camicia, lo accarezzò con gesti lenti sul
petto, gli
sfiorò il collo e poi lo baciò, avvinghiandosi a
lui.
Ross
chiuse gli occhi, non voleva pensare, non voleva soffermarsi alla
desolazione di quel momento... Stava facendo una cosa che facevano
molti uomini felicemente sposati, di che si preoccupava lui che una
moglie non l'aveva più? Pure suo padre frequentava posti del
genere
dopo che sua madre era morta, che c'era di male?
Con
un gesto secco le abbassò le spalline della sottoveste,
facendo
scivolare l'indumento a terra e lasciando completamente nuda
Vivienne. Poi le prese il polso, la spinse gentilmente sul letto e si
slacciò i pantaloni.
La
ragazza indietreggiò, divertita da tutta quella fretta. "Il
signore non vuole essere accarezzato, prima?".
"Delle
carezze non me ne faccio niente" – rispose, togliendosi tutti
i vestiti e mettendosi sul letto, avvolgendola con le sue braccia.
Vivienne
gli strinse la vita, gli accarezzò nuovamente il petto e poi
gli
sfiorò la schiena e i capelli con movimenti della mano lenti
e
circolari.
Ross
divenne di ghiaccio, a quel gesto, smettendo immediatamente di
toccarle il seno e baciarla sul collo. Era così simile al
modo in
cui Demelza gli accarezzava la schiena e giocava coi suoi riccioli...
Ma sua moglie sapeva risvegliare in lui brividi e piacere mentre
questa Vivienne, dai capelli rossi come Demelza, gli provocava solo
disgusto.
Ross
si morse il labbro. Era inutile, non era quella la donna che voleva.
Era sicuramente esperta e di certo lo avrebbe portato al piacere in
breve tempo ma non era ciò che lui cercava. Erano le mani di
Demelza
che voleva sentire sulla sua pelle, le sue labbra, il suo corpo. Con
sua moglie c'era passione, piacere, complicità, tenerezza e
un senso
di appartenenza che non avrebbe potuto trovare con nessuna. Fare
l'amore con Demelza significava perdersi nell'oblìo e allo
stesso
tempo sapere di essere a casa. Con una prostituta di alto rango non
avrebbe mai potuto provare nulla di simile...
Chiuse
gli occhi, cedendo per un attimo alla disperazione. Il suo corpo
rispondeva alle attenzioni di Vivienne, ma la sua mente era lontana.
Come avrebbe fatto senza Demelza? Come avrebbe vissuto un'intera vita
senza di lei? Come aveva potuto permettere che le cose andassero a
finire così? Quando aveva smesso di guardarlo con quello
sguardo
pieno d'amore, senza che lui se ne accorgesse? Perché non
aveva
cacciato via Armitage quando si era accorto dei suoi sentimenti per
Demelza? E ora... ora...?
Non
seppe se era più dolore o rabbia o entrambi. Ma
improvvisamente
voleva scappare da quel posto. Forse non sarebbe mai più
riuscito ad
amare carnalmente una donna o forse ci sarebbe voluto tempo. Ma in
quel momento aveva bisogno d'aria!
Si
alzò di scatto, spinse via Vivienne e si
allontanò, raccogliendo i
suoi vestiti per terra.
La
prostituta lo guardò indispettita e stupita, probabilmente
era il
primo uomo che la respingeva. "Signore? Se qualcosa non va, se
desiderate altro tipo di attenzioni, basta chiedere... O avete
problemi... fisici?".
Ross
rise sarcasticamente. Bene, fantastico, ora sarebbe stato scambiato
anche per impotente. Ma non gli interessava molto di quello che
Vivienne pensava, non era il suo corpo che voleva e nemmeno quei
capelli rossi così lisci. Voleva i capelli selvaggi e
ribelli di sua
moglie, i suoi boccoli, il loro profumo di mare... "Pagherò
quanto devo per la prestazione e dirò che vi siete
comportata
benissimo e che abbiamo finito in fretta. La vostra reputazione
è
salva, state tranquilla".
Si
rivestì in fretta, uscì dalla stanza senza
degnarla più di uno
sguardo, scese al piano terra e come pattuito pagò alla
morettina
del bancone il suo compenso. Poi uscì, incurante della
pioggia
battente.
Voleva
solo andare a casa sua, in fretta, farsi un bagno, lavarsi dal
sudiciume che si sentiva addosso e poi dare un bacio ai suoi figli
che probabilmente già dormivano.
Arrivò
al suo appartamento fradicio e congelato ma non poteva essere certo
che non gli dispiacesse. Si sentiva sporco quella sera, da morire, e
l'acqua piovana era un sollievo per lui, da sentire sulla sua
pelle...
Miss
Etta gli andò incontro. Indossava già la camicia
da notte e le sue
spalle erano coperte da uno scialle di lana. Ross la salutò
con un
cenno del capo, osservando in lei qualcosa di strano che sulle prime
non riuscì a decifrare. Ma poi... "Che hai fatto ai
capelli?".
L'anziana
donna si toccò i ricciolini biondi che le ornavano il viso,
con
espressione estremamente fiera. "Oh, non lo sapete? Hanno
inventato un modo per colorarli. Non vi sembro più giovane
ora che
non sono più color della neve?".
Ross
la guardò storto, quasi cedendo all'istinto di riderle in
faccia. A
dire la verità sembrava un barboncino di quelli che vedeva a
passeggio con le gran signore di città ma questo era meglio
non
dirglielo. "Credo... credo che dovrai darmi tempo per abituarmi"
– mormorò. Era strano, in quella giornata era la
prima volta che
si sentiva a suo agio, a casa... Accidenti a Etta e alla tintura di
capelli!
"Siete
in ritardo" – osservò la domestica.
Ross
arrossì. Beh, era meglio sorvolare sulle sue avventure
serali. "Mi
sono rifugiato in una locanda per sfuggire alla pioggia, ma visto che
non accennava a smettere, ho affrontato il nubifragio".
Parlando, notò che la donna aveva in mano delle lenzuola e
gli
sembrò strano, a quell'ora della sera. "Che fai?".
Etta
sbuffò. "Il signorino Jeremy ha fatto la pipì a
letto e le sto
andando a lavare".
Ross
spalancò gli occhi. Jeremy? La pipì a letto? E da
quando? "Come
mai? E' successo qualcosa?". Era stranito da questo fatto, non
era mai successo e Jeremy aveva quasi sei anni, che gli prendeva?
La
donna alzò le spalle. "Beh, i bambini erano in ansia dal non
vedervi tornare e forse la preoccupazione... Jeremy è molto
sensibile".
Ross
sospirò preoccupato. Avrebbe fatto un bagno, si sarebbe
cambiato e
poi sarebbe andato da suo figlio per capire cosa stesse succedendo.
"Ti ringrazio per quello che fai. Le lenzuola mettile nel
tinello e vai a letto, le laverai domattina. Ora è tardi".
"Si
signore".
Entrò
nel bagno e si lavò strofinandosi talmente forte da far
arrossare la
pelle, con l'urgenza di andare dai suoi figli. Sembravano entrambi
tranquilli – o forse aveva voluto illudersi che lo fossero
– e
invece qualcosa li turbava. Forse era solo per il fatto che non
avevano cenato insieme, forse era successo qualcosa al parchetto con
gli altri bimbi o forse Jeremy aveva avuto un incubo. Ma qualunque
cosa fosse, si sentiva in colpa per non essere stato coi suoi figli
quella sera e aver trascorso del tempo con una prostituta con cui non
aveva concluso niente.
Finito
il bagno si rivestì e poi andò nella stanza dei
bambini. Clowance
dormiva rannicchiata sul fianco sinistro, abbracciata a una delle sue
bambole, Jeremy invece era sveglio e stava immobile ad osservare il
soffitto.
Ross
gli si sedette accanto, accarezzandogli la testa. "Hei, come
va?".
Il
bimbo lo guardò intimorito. "Sei venuto a sgridarmi?".
"Per
la pipì a letto? No, capitava anche a me quando ero piccolo,
succede" – gli rispose, mentendo. "Capita quando si
è
preoccupati per qualcosa, vuoi parlarmene?".
Jeremy
abbassò lo sguardo, prendendogli la mano. "No, non sono
preoccupato, ho solo bevuto tanta acqua a cena".
Ross
percepì subito che era una bugia e che c'era dell'altro ma
non
sapeva come aiutarlo ad aprirsi. "Oh, peccato. Pensavo che fosse
perché eri preoccupato per il mio ritardo".
Jeremy
alzò le spalle, singhiozzando. Ma non disse nulla.
Ross
allora lo prese in braccio, stringendolo a se. "Ascolta, io
torno sempre. Presto o tardi, stanne certo, torno a casa! Ho avuto
molto da fare e la pioggia mi ha fatto ritardare e mi dispiace, ma
non devi preoccuparti. Verrò sempre a casa da te e da tua
sorella,
non vi lascio. Figurati se mi perdevo lo spettacolo dei capelli
gialli di Etta! Ti pare?".
Jeremy
sulle prime, a quelle parole rise, poi lo abbracciò forte,
tremando,
e Ross capì che c'era molto altro a turbarlo e sapeva anche
cosa
poteva essere. Ma non sapeva come aiutarlo perché lui la
soluzione
non l'aveva né per se stesso né per lui. Forse
impedirgli di
parlare di sua madre era stato un errore e tutti i sentimenti che il
bambino si teneva dentro erano diventati una specie di vulcano in
eruzione e uscivano in un disagio che ormai non riusciva più
a
gestire.
Doveva
passare più tempo con loro, essere più presente.
Non c'erano molte
alternative, alternative accettabili quanto meno. "Vuoi venire
nel lettone con me?".
Jeremy
spalancò gli occhi. "Come a Nampara? Come quando eravamo con
la
m...". Improvvisamente si bloccò, mettendosi la manina sulla
bocca. "Come quando vivevamo con Prudie..." - si corresse.
Ross,
con un nodo alla gola, deglutì e lo baciò sulla
fronte. "Sì,
come a Nampara".
"Si,
voglio dormire con te".
Dal
lettino a fianco, giunse una vocina. "E io?".
Ross
sorrise, davanti ai capelli biondi di sua figlia. "Certo, anche
tu! Tutti e due".
Prese
anche lei in braccio e andò in camera sua. Li mise a letto,
uno al
suo fianco destro e l'altra al sinistro. Si inventò una
fiaba e
rimase sveglio finché non furono completamente addormentati
entrambi.
E
si sentì a casa e capì che il piacere clandestino
cercato ore prima
non sarebbe stato nulla al confronto del calore che la vicinanza dei
suoi figli potevano dargli.
|
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Capitolo 17 *** Capitolo diciassette ***
Londra
era stata il suo rifugio per dieci mesi. Non credeva di rimanere
tanto a lungo lontano dalla Cornovaglia, in un ambiente che riteneva
così estraneo da ciò che lui era, ma non aveva
avuto altra scelta.
Quando era partito, dopo aver scoperto della nascita della bambina di
Demelza e Hugh, era assolutamente deciso a non tornare a Nampara, ma
ora ne sentiva la nostalgia.
Era
primavera, una stagione meravigliosa in Cornovaglia. Il mare tornava
blu, era meno tempestoso e si rifletteva nell'azzurro del cielo, i
campi prendevano vita e il clima diventava meno inclemente. Aveva
sempre apprezzato tutto questo ma da quasi due anni la vita aveva
perso ogni colore per lui.
Quel
giorno aveva comprato dei dolcetti e si era liberato presto dalla
sessione parlamentare. Aveva voglia di portare fuori i bambini per
una passeggiata e poi, dopo cena, leggere un buon libro davanti al
camino. Voleva pace...
Ma
entrando in casa, si rese conto che non sarebbe stato così.
"Signor
Poldark!" - tuonò Etta, parandosi davanti a lui –
"Per
fortuna siete arrivato! Oggi il signorino Jeremy mi sta facendo
impazzire coi suoi capricci. Volevo portarlo al parco ma sta facendo
il pazzo per non uscire di casa".
Ross
sospirò. "Sta tranquilla, oggi ho finito presto e al parco
ce
li porto io, i bambini. Ho qui dei dolci, faremo un pic-nic e a
Jeremy tornerà il buon umore".
"Papààààà".
Dal fondo del corridoio, Clowance gli corse incontro. Aveva ormai tre
anni ed era una delle più belle bambine di Londra,
biondissima, coi
boccoli e gli occhi azzurro-verdi come Demelza. Era vivacissima, con
la lingua lunga, incredibilmente acuta e simpatica e sapeva essere
sufficientemente ruffiana per ottenere tutto quello che voleva.
Indossava un abitino azzurro legato in vita da un nastro, i suoi
capelli erano pettinati in due graziose treccine ed era incantevole.
"Mi hai portato un regalo?".
Ross
la prese in braccio, baciandola sulla fronte. "Ho dei dolci che
mangeremo al parco".
Clowance
scosse la testa. "Jeremy non vuole andare al parco, ce li
mangiamo tutti io e te. E Etta forse, se viene".
Ross
ridacchiò. Clowance era perennemente affamata e per nulla
altruista... La mise a terra, strizzandole l'occhio. "Jeremy
verrà con noi, vado io a convincerlo".
"Si
ma fa in fretta che se no passa l'ora della merenda!" - disse la
bimba, incrociando le braccia al petto.
"Agli
ordini!".
Ross
andò nella camera del figlio. Le persiane erano socchiuse e
tutto
era avvolto da una strana atmosfera ovattata. Jeremy stava seduto
alla scrivania con dei pastelli, intento a colorare un disegno.
"Ciao! Etta mi ha detto che non vuoi uscire. Che c'è, non ti
senti bene?" - chiese, entrando.
Il
bimbo, non smettendo di colorare, scosse la testa. "Ciao
papà!".
Ross
si sedette accanto a lui, accarezzandogli la testolina. I suoi
capelli erano cresciuti, li aveva voluti far diventare come i suoi e
ora erano lunghi fino al collo, ricci e più scuri rispetto a
quando
era più piccolo. "E allora? Perché non vuoi
andare al parco?".
"Non
mi va".
"Questo
l'ho capito. Ma perché?".
Jeremy
sbuffò, guardandolo in viso. "Sono tutte stupide!".
Ross
si accigliò. "Chi?".
"Le
mamme dei miei amici. Sono tutte delle oche che corrono a vedere se i
loro bambini hanno caldo, freddo, se hanno fame e se cadono".
Ross
osservò suo figlio e poi il disegno che stava facendo.
Sentì una
strana inquietudine davanti all'aggressività di Jeremy
nell'esprimere quel malessere e ancora di più quando si
accorse che
il foglio che stava colorando, era tutto nero. Che stava succedendo
al suo bambino? "Jeremy, forse dovremmo parlarne... Le mamme dei
tuoi amici non sono stupide, fanno le mamme".
"Le
mamme sono tutte stupide!" - rispose il bimbo, spingendo via il
foglio.
"Perché
hai colorato il foglio tutto di nero?" - chiese Ross, prendendo
il disegno fra le mani.
"Così,
mi andava! Non ti piace, papà?".
Ross
deglutì. C'era rabbia in Jeremy, faceva fatica in quel
momento a
riconoscere il suo bambino dolce e sensibile. Jeremy non era mai
stato così. Cercò di prenderlo in braccio ma il
bambino si
divincolò. "Jeremy, ho preso dei dolci e vorrei andare al
parco
con te e Clowance. Quindi, smettila di fare lo sciocco, mettiti le
scarpe e usciamo".
"NOOOO".
Jeremy lo spinse via, scoppiando a piangere. Prese il foglio colorato
di nero e in una reazione isterica lo strappò tutto in mille
pezzi,
cercando di divincolarsi.
Ross
fu colto dal panico ma lo tenne comunque stretto. Che cosa aveva? Che
gli prendeva? "Jeremy, calmati! Che cosa c'è?". Era
preoccupato, da morire... Una reazione tanto violenta nasceva di
certo da un qualcosa di grave.
Il
bimbo scoppiò a piangere e si rannicchiò contro
di lui,
singhiozzando. "No, ti prego papà, non mi portare al parco.
Sono tutti con le loro mamme e anche se sono stupide, ci sono. Non ci
voglio più andare al parco... Stiamo a casa".
"Jeremy".
Ross lo strinse a se, capendo finalmente dov'era il problema. Gli
accarezzò la schiena e si sentì piccolo e
impotente davanti al
dolore del figlio. A Jeremy mancava sua madre ed era stato sciocco ad
illudersi che non fosse così. Erano quasi due anni, due
lunghi anni
che non la vedeva. Aveva portato via dalla Cornovaglia lui e sua
sorella spinto dalla rabbia, dal dolore e dalla sete di vendetta,
credendo di poter ovviare senza problemi all'assenza di Demelza. Ma
non era così, non avrebbe mai potuto essere così.
Sua moglie era
sempre stata una mamma attenta, dolce e premurosa coi suoi figli, era
accanto a loro in ogni conquista o tappa, li abbracciava ed aveva con
loro un rapporto molto fisico e tenero, rimaneva seduta sui loro
lettini finché non si addormentavano e al mattino era la
prima a
dargli il buongiorno. Cantava per loro, li cullava, gli dava da
mangiare e li prendeva per mano quando passeggiavano da qualche
parte.
Sapeva
che portar via a Demelza i figli era stato un atto vile e dettato
dalla rabbia, fatto per colpire lei e farle del male, ma allora,
quando era partito per la prima volta e Hugh era ancora vivo, non
aveva pensato al dolore che stava arrecando anche ai bambini.
Hugh
Armitage era morto da un anno e mezzo e la bimba avuta da Demelza con
lui poteva avere ormai circa un anno. Ne era passato di tempo e Ross
non sapeva più nulla di lei da tanto.
Era
arrabbiato, lo era ancora moltissimo e forse lo sarebbe stato per
sempre. Ma guardando suo figlio piangere così
disperatamente, si
rese conto che doveva mettere da parte il suo orgoglio e tornare.
Almeno per un po', per Jeremy e per Clowance. Avevano bisogno di
Demelza, di rivederla e riabbracciarla. Lei lo aveva tradito e lo
aveva lasciato e di certo aveva peccato nei confronti dei bambini ma
sapeva che li amava e che ne aveva sofferto e sapeva anche che
abbandonarli era stata una cosa difficilissima per sua moglie. Non
aveva idea di come avrebbe reagito nel rivederlo, il loro ultimo
incontro era stato un incubo, ma doveva incontrarla e parlare con lei
in modo civile. E cercare, almeno per i bambini, di trovare un punto
di caduta per il loro bene. "D'accordo Jeremy, faremo merenda
qui. Io, te, Clowance e Etta. E penseremo a preparare le valigie".
"Le
valigie?".
"Devo
tornare a casa a controllare la miniera, si torna in Cornovaglia per
un po'. Ti va?".
Vide
Jeremy sorridere, finalmente. Non gli promise nulla su sua madre e
non accennò a lei, non sapeva se un incontro con Demelza
sarebbe
stato ancora possibile e non voleva illuderlo, ma vederlo per un
attimo più sereno gli fece capire che stava percorrendo la
strada
giusta.
Era
ora di tornare a casa e affrontare, almeno in parte, i suoi fantasmi.
...
Demelza
stava finendo di appendere il bucato fuori casa, che sentì
le urla
di Prudie provenire dal bosco.
Osservò
accigliata la piccola Eleanor che gattonava per terra, accanto a lei,
inseguendo i conigli e le galline lasciati liberi di muoversi fuori
dal recinto, in quel pomeriggio tiepido e assolato. "Chi
c'è?"
- chiese alla sua biondissima e bellissima bambina.
Eleanor
sollevò gli occhi, la guardò e rise, lasciandosi
prendere in
braccio.
"Ragazza,
ragazza" – urlò Prudie, comparendole davanti.
Demelza,
sorpresa, le si avvicinò. "Prudie, che ci fai qui? Sei
venuta a
piedi?".
"Sono
venuta di corsa" – rispose la serva, sventolandole una
lettera
davanti. "E' venuto Zachy Martin a portarmi questa. Stanno
tornando".
Demelza
si accigliò. "Chi sta tornando?".
"Il
signor Ross coi bambini".
Demelza
si sentì mancare e per un attimo, per non cadere, si
appoggiò alla
staccionata. Ross e i bambini stavano tornando... In Cornovaglia...
Vicino, tanto vicino a lei... Era un qualcosa che non osava sperare
da tanto e anche in quel momento si impose di non essere ottimista.
Appoggiò la mano al braccio di Prudie e le sorrise
tristemente. "Su,
vieni in casa a bere dell'acqua, sei senza fiato".
Prudie
annuì, seguendola. "Ma hai sentito cosa ho detto? Sta
tornando,
stai per rivederli".
Demelza
la fece entrare, facendola sedere sul letto e dandole il bicchiere
d'acqua. Mise a terra Eleanor e la bimba gattonò fino alla
sua
camera, comparendo dopo pochi istanti tenendo in una mano il suo
coniglietto di stoffa. "Si, ho sentito. Ma non torna per me"
– disse infine, sedendosi accanto alla serva.
Prudie
le prese la mano, stringendola. "Certo che torna per te, per chi
dovrebbe tornare?".
"Perché
ha una miniera, una casa e degli affari qui" – rispose
Demelza
in tono sarcastico.
Prudie
divenne rossa di rabbia a quelle parole. "Se non ti porta i
bambini, ce lo spedisco qui da te a calci nel sedere. Deve
portarteli!".
Demelza
scosse la testa, la sua espressione divenne triste. Jeremy e Clowance
erano i suoi bambini perduti e dopo tutto quel tempo nemmeno si
potevano ricordare di lei. E Ross era stato piuttosto chiaro nel loro
ultimo incontro, non li avrebbe più rivisti e non poteva
dargli
torto. Era stata una moglie e una madre pessima, aveva avuto una
figlia con un altro uomo e li aveva abbandonati, rinunciando ad ogni
diritto su di loro. "Non farai niente di tutto questo, Prudie.
Occupati solo di loro, quando saranno a casa, fallo per me. Mettili a
letto, canta loro una canzone e fa che abbiano tutto quello di cui
hanno bisogno".
"Cantare
una canzone? Io? Ai bambini? Giuda, gli farei venire gli incubi".
Demelza
le sorrise, accarezzandole la mano. "Beh, racconta loro una
favola, allora".
Prudie
le strinse la mano. "Queste cose le dovresti fare tu e so che lo
vorresti tanto". Deglutì, mentre gli occhi le diventavano
lucidi. "Non avrei dovuto spingerti ad andare con Armitage, ho
distrutto la tua vita".
Demelza
scosse la testa. Era inutile dare la colpa a Prudie, la colpa di
tutto quello che stava vivendo era solo sua. "Io ho fatto quello
che ho fatto, per scelta. Avrei dovuto fare come le altre mogli, far
finta di non vedere e prendere quel poco che quel matrimonio mi dava.
Avrei dovuto farlo per il bene dei miei figli e non arrabbiarmi per
il fatto che Ross amasse un'altra. Non mi ha sposata per amore e non
avrei mai dovuto illudermi che lui cambiasse per me. Ha sempre amato
Elizabeth e lo sapevo. Semplicemente, non avrei dovuto scordarlo e
starmene al mio posto".
Prudie
abbassò lo sguardo. "Ma sai, io non so davvero cosa ho visto
quel giorno".
"Hai
visto due persone che si amano e che si ameranno sempre".
Prudie
non sembrava convinta. "Forse, non era come sembrava. Io lo so
che per il signor Ross tu eri importante. E non riesco a credere che
tu stia rinunciando così a combattere".
Demelza
guardò quel piccolo mulino. Era diventato un posto
accogliente ma
rimaneva comunque povero, spoglio e privo di qualsiasi forma di
benessere. "Cosa potrei fare? Chiedere a Ross di darmi i
bambini? E come li manterrei? Non ho quasi cibo per me ed Eleanor,
che potrei offrir loro? Nulla, assolutamente nulla... E Ross questo
lo sa, non permetterà mai che vengano da me. Mi odia e
sì, ha
ragione! Sono stata orribile e merito tutto questo, ma so che i miei
bambini con lui stanno bene e questo mi basta". Guardò
Eleanor
che gattonava serena e incurante di tutto, felice e intenta ad
emettere gridolini vivaci e chiassosi. "Non sono più la loro
madre, Prudie".
La
serva spalancò gli occhi. "Che sciocchezze stai dicendo!?
Certo
che lo sei, ricordo ancora i tuoi strilli per metterli al mondo".
Demelza
sorrise tristemente. "Ho smesso di esserlo, ho dovuto relegare
il loro ricordo in un angolo remoto della mia mente o sarei
impazzita. Non mi ricorderanno nemmeno più e forse
è meglio così.
Ora sono solo Demelza Carne, una sarta di Illugan e madre di una
bimba senza padre, Eleanor". Accarezzò la testa bionda della
bimba che si era nel frattempo arrampicata sul letto. "Lei, solo
lei è tutta la mia vita" – disse, con le lacrime
agli occhi.
"Ross mi manca, sai? Mi manca tanto anche se non mi amava... Ma
io amavo lui e lo amerò sempre. Mi manca tutto quello che
facevamo
insieme e certe volte vorrei poter tornare indietro. Ma non si puo' e
allora guardo Ellie, mi convinco che la mia vita a Nampara è
stata
solo un sogno lontano e riprendo la mia giornata qui, senza pensare a
niente se non a mettere insieme la cena".
Ellie
in quel momento gridò forte nelle orecchie di Prudie e la
donna
sentì i timpani che si perforavano. "Che cos'ha da strillare
tanto, questa qui?" - chiese, tentando di stemperare la tensione
e alleggerire l'atmosfera.
"Le
stanno uscendo i denti e non mi ha fatto dormire stanotte. E' in una
giornata no".
Prudie
prese di peso la bambina, mettendosela sulle gambe. "Hei tu,
nana, sappi che nella vita avrai più giornate no che giorni
belli,
quindi facci l'abitudine e non rompere troppo le scatole. E vedi di
dormire la notte!".
Ellie
fece il faccino imbronciato quasi ad imitarla, poi scoppiò a
ridere,
mostrandole il suo coniglietto. "Kiky".
Prudie
guardò Demelza. "Kiky?".
Demelza
prese la bimba fra le braccia, stringendola a se quasi alla ricerca
di calore. "Lo abbiamo battezzato così. Lei lo chiama in
quel
modo da quando ha iniziato a parlare".
Prudie
alzò gli occhi al cielo. "Kiky... Mi sa che questa qua, mi
prende in giro. Ci prende in giro tutte e due! Si salva solo
perché
ha un bel musetto" – sbottò, dando un sonoro
pizzicotto alla
bimba sulla guancia.
Ellie
si imbronciò di nuovo, dandole una manata. E Prudie le fece
la
linguaccia. "Vedi di dormire stanotte, marmocchia! O domani te
la vedrai con me". Si alzò, dando una carezza a Demelza. "E
tu vedi di fare altrettanto. Ti voglio combattiva perché hai
tanto
per cui combattere. Non punirti più di quanto non sia
necessario,
gli errori sono stati tanti e io li ho visti tutti. Di tutti e due".
Demelza
le sorrise di rimando, quasi a cercare di tranquillizzarla. Ross non
sarebbe mai venuto da lei e non avrebbe rincontrato Clowance e
Jeremy. Ma in fondo, sapere che sarebbero stati più vicini
era già
di per se una consolazione. E di questo doveva ringraziarla.
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Capitolo 18 *** Capitolo diciotto ***
Si
era svegliato molto presto quella mattina, nonostante fossero giunti
a Nampara che era notte fonda. Aveva messo i bambini addormentati a
letto, aveva acceso il camino e si era appisolato un paio d'ore sulla
sedia a dondolo, perso nei suoi pensieri. Non aveva dormito molto,
forse un paio d'ore, e alle prime luci del mattino aveva abbandonato
il suo giaciglio di fortuna e si era messo a fare qualche lavoretto
in casa mentre Prudie, stranamente silenziosa, seguiva con lo sguardo
ogni sua mossa.
Fece
una fugace colazione e poi si vestì. Voleva uscire prima che
i
bambini si svegliassero e aveva fretta di andare ad Illugan per
parlare con Demelza. Non era come il loro ultimo incontro in cui era
andato da lei pieno di buoni propositi e speranze ma al contrario,
avvertiva il loro incontro come un peso che doveva togliersi in
fretta. Era un uomo disilluso e ancora arrabbiato ma era anche
piuttosto deciso a fare la cosa giusta per i suoi figli.
Si
mise il tricorno in testa e si avvicinò alla porta. "Ci
vediamo
più tardi" – disse freddamente a Prudie. "Quando i
bambini si svegliano, digli che torno presto, fa far loro colazione e
intrattienili in qualche modo" – concluse, mentre Garrick gli
annusava i pantaloni e cercava una sua carezza.
"Dove
andate?" - chiese Prudie, incuriosita.
"A
Illugan, devo parlare con Demelza. Abita ancora lì, in quel
bosco?".
Prudie
annuì. "Certo".
"Ci
vive anche baby Armitage?" - chiese, in tono sarcastico.
"Baby
Armitage?". Prudie si grattò il mento, pensierosa. Poi
quando
capì a chi si stava riferendo, lo fulminò con lo
sguardo. "Eleanor?
Oh, è talmente sveglia che magari sarete fortunato ed
è già andata
a vivere da sola".
Ross
la guardò storto. "La tua ironia è fuori luogo".
"Pure
la vostra, signore" – rispose Prudie, attizzando il fuoco nel
camino.
Ross
non disse nulla, non aveva voglia di discutere con lei. "Prenditi
cura dei bambini e non dir loro dove sono andato" – disse,
seccamente.
"Certo.
Ma non fate del male alla signora, mi raccomando".
Ross
rise sarcasticamente. "Farle del male? Quì quello che si sta
facendo del male sono solo io, te lo assicuro!". Poi uscì,
deciso a non dire altro. Prudie era sempre più irritante,
dannazione
a lei!
Salì
sul cavallo e partì al galoppo, sorpassando la Wheal Grace
dove
riconobbe, in un gruppo di uomini che andavano a lavorare, alcuni dei
suoi minatori. Non vedeva l'ora di sistemare le cose con Demelza e
lasciarsela alle spalle per tornare al suo vero mondo, la miniera.
Aveva voglia di prendere in mano un piccone e spaccar pietre, bere
della birra con i suoi collaboratori, scherzare e lasciarsi alle
spalle per qualche ora i problemi con la sua famiglia e il mondo
ovattato e dorato in cui era vissuto a Londra. L'idea di vedere
Demelza gli faceva sentire un peso sul cuore che faceva quasi male,
era nervoso e pronto a esplodere per un nulla e desiderava solo
pace... Ma le lacrime di Jeremy lo fecero desistere dal cambiare
idea, doveva vederla per i suoi figli ed era un uomo, non poteva
scappare!
Arrivò
nei boschi di Illugan che il sole era ormai alto. Era una giornata
piuttosto calda e pareva già quasi estate, nonostante fosse
solo
maggio. Scese da cavallo e percorse gli ultimi dieci minuti di strada
a piedi, osservando la maestosità degli alberi del bosco che
tornavano alla vita e godendosi il cinguettìo degli uccelli.
Si
chiese perché Demelza avesse scelto un posto tanto isolato
per
vivere ma non aveva intenzione di entrare nelle sue decisioni che,
riteneva, non lo riguardavano più. Però, doveva
ammettere, era un
luogo incantevole e forse proprio uno spirito semplice e libero come
sua moglie era in grado di coglierne la bellezza e il fascino.
Quando
arrivò al mulino, si accorse che la porta era aperta. Un
gruppo di
galline e coniglietti sguazzavano liberamente nell'erba, nel poco
spazio che intercorreva fra la casa e il ruscello, c'erano degli
abiti appesi a un filo legato a due rami ma a parte questo, in giro
non sembrava esserci nessuno.
Sentì
crescere una strana inquietudine, si sentiva teso come una corda di
violino e propenso a pensare al peggio per ogni cosa.
Poi
sentì la sua voce e la sua risata provenire dal retro del
mulino e
in un certo senso si rilassò. Sembrava allegra e rilassata,
serena...
"Devi
dare le briciole ai coniglietti, non le devi gettare in terra o li
farai morire di fame".
A
quelle parole, Ross sentì seguire una risata infantile di
bambina.
Si irrigidì, era lei...
Beh,
sapeva che l'avrebbe vista e quindi tanto valeva ingoiare il boccone
amaro ed affrontare Demelza subito. Le avrebbe parlato, avrebbe
ignorato baby Armitage e poi se ne sarebbe andato. Questo doveva
fare, respirare profondamente prima di aprire bocca e impedire alla
rabbia di avere il sopravvento! E tutto sarebbe andato bene...
Si
avvicinò al lato della casa e le vide.
Demelza
stava inginocchiata davanti a un piccolo recinto per animali,
attorniata da una nidiata di coniglietti di poche settimane.
Indossava un semplice abito rosso sbracciato, con sotto una camicia
bianca, molto simile a quello che aveva una sera di Natale di anni
prima, quando le aveva regalato delle calze. Teneva sulle ginocchia
la marmocchia di Armitage, biondissima, paffuta, con un grazioso
nasino all'insù, gli occhi azzurri e con indosso un semplice
e
pratico abitino bianco.
Era
pure una bella bambina, dannazione a lei...
Fece
un passo verso le due e finalmente Demelza si accorse della sua
presenza. Appena lo vide, impallidì, alzandosi in piedi di
scatto
con la bimba fra le braccia. Ogni traccia di sorriso scomparve dal
suo viso per lasciare spazio a un'espressione turbata e...
spaventata? Questo lo ferì. Certo, il loro ultimo incontro
era stato
turbolento ma che lei avesse paura di lui...
Demelza
indietreggiò, stringendo a se con fare protettivo la bambina
che lo
guardava accigliata. "Cosa ci fai quì?" - disse solo, con
freddezza.
E
lui le rispose con altrettanta freddezza, rendendosi conto che forse
così, senza sentimentalismi, era più facile.
"Devo parlare con
te".
"Non
ti aspettavo".
"Lo
immagino". Ross guardò la casa, facendo un cenno col capo.
"Potremmo andare dentro?".
Demelza
guardò la piccola, poi la mise a terra annuendo.
"Sù tesoro,
vai avanti da sola a dare da mangiare ai coniglietti?" - le
chiese, dandole in mano un sacchettino contenente delle briciole di
pane.
La
bimba si mise a gattonare ridendo, poi si avvicinò carponi
ai
coniglietti.
Ross
la osservò, stupito che la lasciasse lì da sola.
Ma in fondo non
erano problemi suoi. "Baby Armitage non sa ancora camminare? I
nostri, alla sua età, correvano già" –
disse, con sarcasmo.
Demelza
lo guardò freddamente, quasi trattenendo a fatica la rabbia.
"Camminerà da sola quando ne avrà voglia e sa
già farlo, se
le tengo la mano. E comunque si chiama Eleanor!".
Ross
alzò le spalle, aveva dimenticato il suo nome. "Beh, non ha
importanza come si chiama, non credo che mi servirà saperlo
visto
che non intendo rivolgerle la parola".
Demelza
lanciò un'occhiata alla bimba che, incurante di loro,
strapazzava i
coniglietti. "Sù, entriamo. Ma lasciamo la porta aperta, in
modo che possa controllarla".
Annuì,
accodandosi a lei. Entrarono in casa e Ross si accorse di quanto
Demelza l'avesse resa accogliente in quel lasso di tempo in cui era
stato lontano. Il camino era stato ripulito, il tavolo levigato e
ornato con un vaso di fiori e due sedie di legno, alla finestrella
c'era una tenda e sul letto a lato del locale c'era una coperta in
lana fatta a mano, di mille colori. Nell'altra stanza intravide un
lettino e un piccolo armadio sicuramente vecchio e di seconda mano ma
riverniciato e reso di nuovo bello alla vista, così come la
credenza accanto al camino.
"Siediti"
– disse Demelza, quasi ordinandoglielo, indicandogli una
delle due
sedie. “E allora, che hai
da dirmi?”.
La
voce di Demelza era fredda, lontana e inespressiva. Non si vedevano
da un sacco di tempo e probabilmente era arrabbiata per il fatto che
gli aveva portato via i bambini tanto a lungo senza farle sapere
più
niente ma nonostante questo, faticava a riconoscere in lei la donna
dolce e innamorata della sua famiglia di un tempo. Questo suo
comportamento, unito al fatto che non aveva nemmeno chiesto dei loro
figli, lo irritò ancora di più. “Il
fatto che insieme abbiamo
fatto tre figli non ti pare un motivo sufficiente per essere
quì?”
- chiese, accomodandosi sulla sedia.
“Non
lo so, lo è?”.
Ross
si morse il labbro per non dar fuori di matto davanti a quel tono
vagamente sulla difensiva e arrogante. Appoggiò il tricorno
sul
bordo del tavolo e poi la guardò dritto negli occhi.
“Beh, dipende
da quanto te ne può importare. Certo, ora che hai avuto una
figlia
da un uomo di alto lignaggio, forse degli altri tuoi bambini ti
interessa poco, ma a me di loro importa e non sarei qui se non lo
ritenessi strettamente necessario. Vuoi ascoltare cosa ho da dirti o
devo andarmene? Non starò a pregarti di ascoltarmi se non
sei
interessata, sappilo!”.
In
quel momento uno dei coniglietti, bianco come la neve, entrò
dentro
casa, seguito a gattoni dalla bimba che gli andava dietro ridendo e
parlottando in una lingua incomprensibile. Demelza guardò la
figlia,
poi lui, perdendo un po’ di sicurezza
nell’espressione del viso.
Si sedette, lasciando libera la piccola di scorrazzare per la stanza,
improvvisamente stanca. “Come puoi anche solo pensare che non
mi
importi di loro? Non li vedo da quasi due anni e so che probabilmente
nemmeno si ricordano di me. Annullare i ricordi e i sentimenti
è
stato l’unico modo che ho trovato per non
impazzire”.
“Non
li vedi da quasi due anni perché te ne sei andata con un
altro uomo
con cui hai fatto una figlia” – ribatté
lui, freddamente. Non
sarebbe riuscita a intenerirlo, la rabbia in lui era ancora troppa e
la biondissima mocciosa che gattonava fra loro non lo aiutava certo a
dissiparla.
"Non
me ne sono andata con un altro..." - disse, vaga. "Ma non
puoi capire, per un uomo è più facile nascondere
gli errori e
gestirli di nascosto, rispetto a una donna e non c'è bisogno
che mi
ricordi i miei errori, li conosco benissimo. Vorrei che ogni tanto
pensassi anche ai tuoi ma credo che questo sarà
impossibile".
Demelza chiuse gli occhi, sospirò, poi li riaprì
decisa a cambiare
argomento. Erano lucidi e privi della sicurezza di poco prima.
“Stanno bene? I miei bambini... sono cresciuti?”.
Ross
finse di ignorare quanto le aveva detto, non era pronto ad affrontare
certi argomenti e forse nemmeno serviva più, ormai.
“Sì, sono
cresciuti. Clowance non si ricorda di te, hai ragione. Non mi chiede
mai di vederti e vive benissimo com’è stata
abituata fin’ora”
– disse, rimarcando queste cose per ferirla perché
sapeva che le
avrebbero fatto male – “Ma
Jeremy…”.
“Jeremy?
Qualcosa non va?” – chiese Demelza, con la voce che
le tremava.
Ross
sospirò. “Lui di te si ricorda e ti cerca. Ti
cerca sempre e ho
fatto del mio meglio perché non fosse così ma ho
miseramente
fallito. Non posso dire che sia un bambino felice e so che mai lo
sarà se continuo a tenerlo lontano da te. E vederti, di
tanto in
tanto, forse farebbe bene anche a Clowance, nonostante
tutto”. La
guardò, cercando di capire cosa pensasse davanti alle sue
parole e
vide che le tremavano le mani.
“Davvero
mi permetteresti di vederli?”.
“Ogni
tanto, quando sarò qui in Cornovaglia”.
Demelza
deglutì. La bimba si arrampicò sulle sue
ginocchia in cerca di
attenzione e lei reagì accarezzandole la testolina e
baciandola
sulla fronte. Poi la rimise a terra, sorridendole, e la piccola
riprese a giocare col coniglietto bianco.
Ross
la osservò brevemente, sentendo il nervoso risalirgli alle
stelle.
Quella bambina aveva distrutto la sua vita e il solo vederla gli
faceva contorcere lo stomaco, così come la vista delle
attenzioni
che Demelza le riservava. Odiava Hugh e dannazione, provava
sentimenti piuttosto orribili pure per sua figlia.
“Ovviamente ci
sono delle condizioni, Demelza”.
Sua
moglie annuì, quasi senza la forza di controbattere. Era
strano
vederla così, lei che di solito diceva la sua su tutto, ma
Ross
sapeva anche che Demelza era intelligente e che aveva perfettamente
capito che doveva chinare la testa se voleva rivedere i suoi figli.
“Lo
immaginavo... Quali condizioni?”.
Ross
indicò con la testa la bambina. “Fa in modo che in
nessun modo
Clowance e Jeremy possano pensare che quella lì sia loro
sorella.
Non lo è e non lo sarà mai! Non ho piacere di
saperli in sua
compagnia ma purtroppo questa è una condizione a cui
dovrò
sottostare io e non posso fare diversamente. Possono giocarci insieme
e avere rapporti con lei, sarebbe impossibile vietarglielo se
staranno qui da te, ma non potrà essere più di
un’occasionale
compagna di giochi. Accetti?”.
Demelza
guardò la sua bambina. La sua espressione era sofferente e
addolorata, ma alla fine annuì. “Sì e
del resto non credo di
avere alternative se voglio rivedere i miei figli. E’
tutto?”.
“Sì,
è l’unica cosa che ti chiedo. Per il resto so che
sarai capace di
fare bene con loro”. Era vero, perché negarlo?
Demelza era sempre
stata una bravissima madre, attenta e premurosa e proprio per questo
Jeremy ne sentiva tanto la mancanza. E il fatto che non obbiettasse a
quella regola che sicuramente la feriva moltissimo ne era una
testimonianza. Accettava e chinava la testa senza combattere, per il
bene dei bambini, e in questo riconosceva la Demelza di una volta.
Vide
la bimba mettersi seduta e fermarsi ad osservarlo incuriosita.
Distolse lo sguardo, tutto ciò che voleva era ignorarla e
far finta
che non esistesse. Dannazione a lei, non poteva tornarsene fuori a
giocare coi suoi conigli?
La
piccola tentò di tirarsi su aggrappandosi alla gamba del
tavolo e
dopo vari tentativi ci riuscì. Ross la vide allungare la
manina
verso il suo tricorno e sfiorarlo e a quel punto perse tutto
l’autocontrollo che aveva avuto fino a quel momento. La
rabbia lo
invase, NON doveva toccare le sue cose, non doveva nemmeno
avvicinarsi a lui. E prima che Demelza potesse fare qualcosa, senza
quasi riuscire a ragionare, alzò il braccio e la
colpì sulla manina
che aveva sfiorato il tricorno. Non fu un colpo particolarmente forte
ma fu comunque un gesto secco e deciso.
Demelza
sussultò e la piccola spalancò gli occhi, cadendo
all’indietro
sul sederino e mettendosi a piangere all’istante tenendosi la
manina colpita con l’altra mano.
“Ross”
– sussurrò sua moglie, guardandolo senza parole
mentre si chinava
a prendere in braccio la figlia. Era come se guardasse un estraneo in
quel momento e anche lui si sentiva tale, verso se stesso. Che gli
era venuto in mente? E in quel momento capì il
perché del suo
atteggiamento protettivo e guardingo quando lo aveva visto pochi
minuti prima. Non aveva paura per se ma per sua figlia...
La
bimba, probabilmente non abituata a gesti del genere, pianse
disperatamente stringendosi a lei.
Fu
costretto ad abbassare lo sguardo, vergognandosi vagamente di se
stesso. Non aveva mai toccato nessun bambino e per quanto non
sopportasse baby Armitage… dannazione, aveva dato uno
schiaffo a
una bimba di un anno! Provò irritazione verso se stesso e
ancora di
più verso la bambina che stava tirando fuori lati di lui che
non gli
piacevano per niente.
Si
aspettò una reazione violenta da Demelza ma sua moglie
rimase zitta
a fissarlo, con espressione di rimprovero sul volto. E Ross
andò
sulla difensiva, forse cercando un appiglio per scusare se stesso.
“E’ come suo padre, le piace prendere le cose degli
altri…” –
sussurrò, rendendosi conto che la vedeva come un nemico.
Quella
dannata bambina che piangeva era il suo nemico! Aveva distrutto ogni
cosa e sì, uno schiaffo sulla manina era il minimo che
potesse
prendersi.
Demelza
la strinse a se accarezzandole i capelli e sussurrandole qualcosa
sotto voce all’orecchio, ma la bimba non smise di piangere.
Ross
pensò che stesse facendo un sacco di scene per niente, non
era stato
che uno schiaffetto nemmeno troppo forte, ma si morse la lingua e non
disse nulla. Demelza non aveva aperto bocca e se lo avesse fatto,
sapeva che lui poi si sarebbe sentito da cani perché sarebbe
stata
capace di fargli provare sentimenti di colpa che non voleva provare.
Ci sarebbe riuscita benissimo, leggeva rabbia e biasimo sul suo volto
e sapeva che a parole avrebbe potuto fargli male.
Sua
moglie prese la manina della bimba e la baciò in quel modo
in cui
fanno le madri quando i loro bambini si fanno male. E Ross si accorse
che era arrossata e che forse quello schiaffo non era stato poi tanto
leggero sulla pelle delicata di una bimba tanto piccola.
Sentì i
sensi di colpa farsi strada senza che Demelza gli dicesse nulla e
avvertì la voglia di scappare. “Domattina
dovrò andare da Pascoe
per delle pratiche. Se ti portassi i bambini un paio d’ore,
saresti
disposta a tenerli o sei occupata?” – chiese,
cambiando
bruscamente argomento, sforzandosi di non sentire quel pianto.
“Portali
quando vuoi” – rispose lei, freddamente.
“Bene,
stasera gli spiegherò ogni cosa, anche riguardo alla
presenza della
bambina e a come devono considerarla” – rispose,
alzandosi e
mettendosi il tricorno in testa.
Demelza
lo osservò senza togliergli gli occhi di dosso, furente, con
la
figlia in braccio. “Va bene”.
Ross
le lanciò una rapida occhiata. La bimba se ne accorse e si
raggomitolò fra le braccia della madre, spaventata,
chiudendo gli
occhi e questo in un certo senso ferì il suo orgoglio. Aveva
paura
di lui e questo era un bene, certo, gli sarebbe stata lontana. Ma
allo stesso tempo sentiva una sorta di amaro in bocca che non sapeva
spiegare… “Mi dispiace, non avrei dovuto
colpirla” –
sbiascicò infine, vergognandosi di se stesso.
Demelza
rimase fredda nella sua posizione. “Non farlo mai
più. Mi hai
capito? Toccala un’altra volta e non starò con le
mani in mano…
Sono sua madre, ricordatelo! E se ritenessi che per lei sei un
pericolo, la difenderò con ogni mezzo. Amo mia figlia come
amo tutti
gli altri, la amo perché è mia! E so che questo
ti da fastidio, ma
dovrai farci l’abitudine perché sarà
così. Hai capito?”.
Ross
annuì. “Come ti ho detto, mi dispiace. Tienimela
lontana e andrà
tutto bene”. Si avviò alla porta e
uscì, scavalcando il
coniglietto bianco che saltellava nella stanza. “A
domattina” –
disse vago, allontanandosi – “E ricorda le mie
condizioni”.
“E
tu ricorda le mie!” – rispose lei, alle sue spalle.
Ross
non le rispose ma almeno in quello fu d’accordo con lei. Se
ognuno
fosse rimasto al suo posto, tutto sarebbe andato bene.
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Capitolo 19 *** Capitolo diciannove ***
"Coraggio
bambini, tiratevi su dal letto". Ross entrò nella stanza dei
figli e spalancò le finestre, nonostante il sole non fosse
ancora
alto.
Clowance
borbottò, nascondendosi sotto il cuscino, Jeremy si mise
seduto
stropicciandosi gli occhi. "Ma papà, è presto".
"Dobbiamo
uscire, anche se è presto" – rispose Ross,
sorridendogli.
Clowance
allungò la manina, in cerca di quella del padre. "Dove ci
porti?".
Ross
prese in braccio entrambi, mettendoseli sulle ginocchia. Per quanto
fosse arrabbiato con Demelza, era felice di portarli dalla loro madre
perché sapeva che gli avrebbe fatto bene e che sarebbero
svenuti
dalla gioia, soprattutto Jeremy. Era ora di salvare quel poco che era
rimasto della famiglia che lui e sua moglie avevano costruito insieme
e si sentiva più leggero per aver preso quella decisione.
"Io
devo andare da Pascoe".
"NOOOOO!"
- protestò Jeremy, aggrappandosi alla sua camicia.
"Papà,
andare da Sir Pascoe è più noioso...
più noioso...".
A
Jeremy non vennero le parole e Clowance andò in suo aiuto,
con la
sua provvidenziale lingua lunga. "Più noioso di quando
andiamo
a bere il tè da Miss Lorraine".
Ross
si grattò il mento. Chi diavolo era costei? "Chi?".
Jeremy
annuì, sospirando. "La cugina di Miss Etta. E' sorda, ha
cento
anni e vende il pesce al mercato. Si addormenta quando le parli
mentre beviamo il tè e poi russa e Miss Etta non vuole che
ridiamo.
Ti prego, lasciaci con Prudie".
Ross
alzò gli occhi al cielo sospirando. "Tranquilli, non verrete
da
Pascoe, vi lascio un paio d'ore da un'altra parte mentre sbrigo le
mie faccende".
"Dove?"
- chiese Jeremy.
Ross
gli sorrise dolcemente, accarezzandogli la testa. "Andrete dalla
mamma. L'ho vista ieri e vi aspetta".
Jeremy
spalancò gli occhi e iniziò a tremare
dall'emozione, Clowance parve
trattenere il fiato. "Da mamma?" - chiese il piccolo, con
un filo di voce.
Ross
annuì, intenerito dal vederlo tanto emozionato e al contempo
sentendosi in colpa per aver permesso alla sua rabbia di allontanare
i figli dalla madre di cui avevano bisogno, così a lungo.
"Volevi
stare con lei, no?".
"Si.
Ma tu avevi detto...".
"Mi
ero sbagliato e credo che ogni tanto potrete stare con lei. Mi spiace
non avervi permesso di vederla così a lungo".
Clowance
giocò distrattamente con una ciocca dei suoi capelli biondi.
"Ma
io non la conosco".
Ross
guardò la bimba. Era bellissima, una piccola bambola in
miniatura,
tanto che a Londra molta gente si girava a guardarla quando
passeggiavano per le vie del centro. Era elegante nel portamento,
sveglia, vivace e piuttosto acuta. E sapeva ottenere da tutti,
specialmente da lui, qualsiasi cosa desiderasse. Lui la adorava e
poteva immaginare il dolore provato da Demelza nel non vederla tanto
a lungo. L'aveva persa di vista che aveva un anno e ora avrebbe
ritrovato una bimba che parlava perfettamente, che correva veloce e
che non la riconosceva più. "La conoscerai, lei ti vuole
molto
bene e non vede l'ora di riabbracciare te e tuo fratello".
Clowance
annuì un pò scettica e Jeremy tremò di
nuovo. "Non torna a
casa con noi?".
Ross
si oscurò, temeva quella domanda e sapeva che Jeremy ci
sperava
ancora. "No, sai bene che non viviamo più assieme. Ma lei
vive
in una casetta piccola ma molto graziosa nel bosco, c'è un
ruscello
dove potrete giocare e mamma ha pure delle galline e dei coniglietti
che potrete tenere in braccio se vi va".
"Com'è
mamma? Bella?" - chiese Clowance.
Ross
annuì. Era bella, nonostante tutto sarebbe sempre stata la
più
bella per lui. Anche se capirlo ora che era troppo tardi non sarebbe
servito a nulla... Aveva ammirato a lungo Elizabeth senza accorgersi
della bellezza della donna che era diventata la sua compagna e la
madre dei suoi figli, dandola per scontata, senza fermarsi mai a
pensare che qualcuno avrebbe potuto portargliela via. Demelza si era
sempre sentita la seconda scelta e col tempo lui aveva capito che
forse lo era stata davvero in un certo senso, a lungo. "Bellissima
come te, solo che lei non è bionda ma ha dei meravigliosi
capelli
rossi". Pensò a come ne era stato attratto il giorno prima,
nonostante l'abbigliamento semplice e l'abisso fra loro, chiedendosi
come avrebbe potuto sopportare una vita intera senza poterla
più
toccare, possedere, amare... Se non ci fosse stata baby Armitage
forse avrebbero superato la tempesta, era disposto a tentare pur di
riavere sua moglie, ma con la nascita di quella bambina tutto era
finito. E a proposito di baby Armitage, era ora di affrontare
quell'argomento coi suoi figli. "Devo dirvi una cosa".
"Su
mamma?" - chiese Jeremy.
"Si.
Lei ha avuto un'altra bambina, la conoscerete stamattina e...".
Clowance
parve eccitata dalla notizia e si mise a saltare. "Una mamma e
anche una sorellina, bello!".
"NOOOO!".
Ross bloccò la figlia, prendendole le mani. Sentirla usare
il
termine 'sorellina' era la cosa più irritante di quella
faccenda.
Irritante perché in effetti lo era, anche se lui non lo
avrebbe mai
accettato. E soprattutto avvertiva ancora in lui i sensi di colpa per
lo schiaffo che le aveva dato il giorno prima. Non ne era orgoglioso
e sapeva che se la stava prendendo con la persona sbagliata ma in
mancanza di Hugh, con chi avrebbe dovuto sfogarsi? Era una dannata e
bellissima bimba, fosse stata almeno brutta ne avrebbe goduto, ma
Demelza aveva messo al mondo un piccolo capolavoro. E lui non ne era
il padre... "Non è vostra sorella!" - sentenziò,
alla
fine di quel flusso di pensieri.
Jeremy
ci pensò su. "Ma papà, se è la bimba
di mamma, è nostra
sorella. Mi sa che ti sbagli".
Ross
si morse il labbro. Era così dannatamente difficile... "E'
complicato da spiegare e lo capirete quando sarete più
grandi. Non è
vostra sorella ma potrete giocare con lei se vi va, se vi sta
simpatica e se voi lo sarete a lei".
Clowance
gli strattonò la camicia, incuriosita. "Ma come si chiama?
Quanti anni ha? Sa giocare con le bambole?".
Ross
sospirò, era così irritante non lasciar trapelare
la repulsione per
la bambina ed essere il più neutro possibile coi suoi figli.
Quando
aveva deciso di riportare i bimbi da Demelza, sapeva che baby
Armitage avrebbe fatto parte del pacchetto e aveva deciso suo
malgrado di accettarlo per il bene dei suoi figli, pretendendo che
sua moglie facesse però la sua parte e facesse capire loro
che la
piccola non apparteneva alla loro famiglia. MAI sarebbe stata la
sorella dei suoi bambini! "Ha un anno circa, chiedete alla
mamma che ne sa più di me. Chiedetele pure il nome, che io
non lo
ricordo... Non so se sa giocare con le bambole, provaci Clowance.
Magari è un pò stupida e non ci riesce"
– concluse
strizzando l'occhio alla figlia, consapevole però di essere
un pò
una carogna nel dire quelle cose.
Jeremy
si grattò il mento, guardandolo male. "Ma papà,
magari non ci
riesce perché è piccola".
Ross
arrossì, Jeremy era più assennato e maturo di
lui. "Forse".
Sospirando, si alzò dal letto. "Su, andiamo, sbrigatevi a
lavarvi, vestirvi e fare colazione. Mamma vi aspetta e Pascoe aspetta
me".
"SIIIII"
– urlarono i bimbi eccitati, saltando giù dal
letto.
Ross
alzò gli occhi al cielo. Iniziava uno dei giorni
più lunghi della
sua vita.
...
Demelza
si era alzata presto quella mattina, dopo una notte completamente
insonne. Era così eccitata e allo stesso tempo spaventata
dall'opportunità di vedere i suoi bimbi dopo tanto tempo,
che non
aveva chiuso occhio... Non credeva sarebbe stato possibile e Ross
l'aveva lasciata attonita e senza parole il giorno prima, andando da
lei.
Era
stato strano vederlo. Era così bello, altero, fiero e
distante.
Troppo distante... Era l'uomo che amava e che sempre avrebbe avuto
fra le mani il suo cuore ma era come trovarsi davanti a un estraneo
da studiare e da cui doversi difendere. Non tanto lei ma Ellie...
Ross
odiava la bimba, non poteva fargliene un torto ed era complicato
essere nel mezzo fra due persone che amava. Aveva tradito Ross
all'interno di un matrimonio infelice e senza amore, lui non era mai
stato davvero innamorato di lei, ma questo non alleviava i suoi sensi
di colpa. Aveva giurato fedeltà e il fatto che Ross avesse
infranto
quegli stessi voti non la legittimava comunque a fare altrettanto.
Avrebbe dovuto rimanere fedele a se stessa e ai suoi sentimenti, fare
il bene dei suoi figli e sopportare in silenzio. Aveva voluto bene a
Hugh e in lui aveva trovato un affetto che cercava disperatamente, ma
non l'amore, l'amore era Ross nonostante tutto. E Ellie... La sua
bellissima bimba bionda, nata da quel fugace momento rubato al suo
matrimonio che ora avrebbe portato sulle spalle il peso di errori non
suoi... Spesso la guardava piena di sensi di colpa. E il non averla
potuta difendere il giorno prima peggiorava tutto... Ma se avesse
parlato, se avesse irritato Ross, forse lui avrebbe cambiato idea e
lei avrebbe perso l'unica occasione offertale di riabbracciare Jeremy
e Clowance. Era terribile dover scegliere fra i suoi figli... Ma
Ellie l'aveva sempre tutta per se, mentre loro... Per una volta aveva
dovuto chinare il capo davanti al comportamento di Ross verso Ellie
per il bene degli altri suoi figli, non aveva potuto fare altro se
non tacere e coccolare la sua bimba in lacrime, giurando
però a se
stessa che non avrebbe mai più permesso che succedesse una
cosa
simile. Aveva ammonito blandamente Ross e sapeva che lui aveva
capito. Non avrebbe più toccato Ellie, non lo avrebbe fatto
perché
era una brava persona e avrebbe imparato a controllare rabbia e
dolore e a vedere la sua bimba per ciò che era: una bambina
innocente. Non si illudeva che si affezzionasse a lei e capiva il suo
pretendere che i loro figli non la considerassero una sorella. Era
difficile per lui quanto lo era per lei. Ed entrambi dovevano fare a
patti col loro orgoglio e fare delle rinunce dolorose per il bene dei
figli a cui avevano dato vita insieme.
Pensò
a Jeremy e Clowance... Chissà com'erano cresciuti e quante
cose
avevano imparato a Londra. L'avrebbero riconosciuta? Abbracciata? O
rifiutata?
Ellie
aveva piagnucolato fino a notte fonda a causa dei dentini e quella
mattina dormiva ancora ed era meglio così, meno incontrava
Ross e
meglio era. E poi, egoisticamente, voleva godersi Jeremy e Clowance
senza nessun altro con cui condividere le loro attenzioni. Non li
vedeva da due anni mentre Ellie l'aveva avuta sempre tutta per se e
voleva tempo per viversi gli altri suoi due figli perduti, da sola,
almeno per qualche ora. Si sentiva in colpa per questo desiderio e il
pensiero di non essere una brava madre la divorava, costringendola a
domandarsi se sarebbe mai arrivato il giorno in cui non avrebbe
più
sentito il suo cuore diviso in mille pezzettini.
Seduta
sullo scalino, osservò il torrentello che scorreva davanti
casa, la
maestosità delle piante e il blu del cielo. Era una giornata
ormai
quasi estiva e tutto sembrava volgere al sereno.
Improvvisamente
sentì il rumore di un cavallo e dopo pochi istanti, Ross
comparve
alla sua vista coi due bambini in sella. In perfetto orario...
Rimase
senza fiato, alzandosi lentamente dallo scalino. Erano così
cresciuti che quasi stentava a riconoscerli: Jeremy aveva i capelli
più lunghi e pieni di riccioli, come suo padre, era snello,
molto
più alto di come lo ricordava e con un'espressione smarrita.
Clowance, vestita con un bellissimo abitino verde, sembrava una
bambolina coi suoi capelli biondi raccolti in due treccine, le guance
rosse e piene e gli occhioni azzurri curiosi e vispi.
Ross,
con espressione ferma, li tirò giù da cavallo.
Clowance si aggrappò
ai suoi pantaloni ma Jeremy...
Jeremy
le corse incontro e la abbracciò talmente forte da farle
mancare il
fiato. "Mamma" – urlò, singhiozzando
dall'emozione,
stringendosi a lei in modo convulso.
Demelza
si chinò, gli occhi lucidi e le mani tremanti,
abbracciandolo forte
e baciandolo sulla fronte. "Sono quì amore, sono
quì" –
sussurrò non smettendo di accarezzarlo e baciarlo, preda di
una
grandissima gioia ma anche di tanti, troppi sensi di colpa che le sue
scelte avevano fatto ricadere su di lui.
Ross
diede una leggera spintarella a Clowance, avvicinandola a lei. "Su,
saluta la mamma".
La
piccola annuì, fece un leggero inchino da perfetta dama e
poi
sorrise, studiandola attentamente. "Ciao, io sono Miss Clowance
Poldark".
Demelza
sorrise, intenerita e stupita da quella presentazione così
elegante
e formale. Era una bellissima lady in miniatura, tempo qualche anno e
avrebbe fatto innamorare decine di uomini... "So come ti chiami,
il tuo nome l'ho scelto io" – le rispose, stringendola
delicatamente a se col fratello e baciandola a sua volta sulla
guancia.
Se
qualcuno le avesse chiesto cos'era la vera felicità, glielo
avrebbe
spiegato raccontandogli cosa stava provando in quel momento. Tutto
perdeva consistenza davanti al fatto di avere tutti i suoi figli con
se dopo tanto, dopo che aveva smesso persino di sperarci.
Alzò gli
occhi su Ross che era rimasto in disparte e in silenzio. E nel suo
sguardo e nei suoi occhi oscuri come la notte fu come vedere, dopo
tanto, una strana scintilla, una luce che pareva volerle dire tante
cose che lei, che una volta sapeva leggere anche i suoi silenzi, non
riusciva più a capire. Eppure per una manciata di secondi i
loro
sguardi rimasero incatenati, come se fossero capaci di comunicare
silenziosamente cose che a parole non sapevano più dirsi.
"Grazie"
– sussurrò. Era un grazie per avergli riportato i
suoi bimbi e per
essersi preso cura di loro tanto bene in quel lungo periodo di
separazione.
Ross
annuì. "Non ringraziarmi e ricorda cosa mi hai promesso".
"Lo
ricordo" – rispose, mentre la strana magia di poco prima
svaniva dietro al muro di freddezza che entrambi si erano imposti.
Suo
marito si guardò in giro. "Lei non c'è? Sei
riuscita ad
affidarla a qualcuno per la mattinata?".
Demelza
deglutì, Ellie sarebbe sempre stata causa di tensioni fra
loro.
"Dorme, stanotte aveva un po' di febbre a causa dei denti e si
è
addormentata all'alba".
Ross
alzò le spalle. "Meglio così". Guardò
i suoi figli e poi
lei, avviandosi verso il cavallo. "Torno a prendervi prima di
mezzogiorno, fate i bravi".
I
bimbi annuirono, non staccandosi da lei, e insieme lo guardarono
allontanarsi al galoppo velocemente, come se avesse bisogno di
fuggire da quel momento tutti insieme dopo tanto tempo.
Demelza
li strinse a se, sedendosi sul gradino della casa coi figli sulle sue
ginocchia. "E allora bimbi, cosa volete fare?". Si sentiva
così impacciata e spersa, erano i suoi figli ma non sapeva
più
niente di loro e doveva imparare a conoscerli di nuovo.
Jeremy
si strinse a lei. "Niente, stiamo quì così,
voglio solo stare
con te in braccio".
Lo
abbracciò ancora più forte. Jeremy era sempre
stato sensibile e
delicato, molto più di sua sorella apparentemente. Clowance
sembrava
indipendente e piuttosto vivace ma lui anche se aveva già
sei anni
aveva bisogno di sentirla vicina anche senza fare nulla di
eccezionale. In questo non era cambiato, era sempre il suo bambino
dolce e di carattere sembrava simile più a Ellie che alla
sorella.
"Come vuoi, staremo quì".
Clowance
le sfiorò una ciocca di capelli, osservandola attentamente.
"Hai
i capelli rossi come il pony di Therese".
"Non
si dice Clowance! Le persone non si paragonano agli animali" -
la sgridò Jeremy.
"Perché?".
Demelza
rise davanti alla spontaneità della figlia. Aveva solo tre
anni e
parlava benissimo, sembrava molto più grande della sua
età. "Il
pony di Therese è bello?".
La
bimba annuì.
"E
allora sono contenta di avere i capelli come quel pony".
Clowance
fece la linguaccia a Jeremy. "Visto? Mamma, anche Miss Etta ha i
capelli color cane, adesso che li colora di giallo".
Jeremy
scoppiò a ridere e Demelza si perse nei loro discorsi. Non
aveva
idea di chi stessero parlando ma sentire le loro voci era come un
balsamo ad ogni problema. "Chi è Miss Etta?".
"La
nostra tata" – disse Jeremy. "E' vecchia e ha i capelli
bianchi e allora li colora di giallo".
Clowance
annuì. "Si, giallo come il barboncino di Miss Tindall che
viene
tutti i giorni al parchetto coi suoi nipoti. Sai che gliel'ho detto a
papà che Miss Etta ha i capelli come il barboncino, ma lui
ha detto
di non dirglielo. Perché non devo dirglielo, mamma?".
Demelza
le sorrise immaginando la loro vita a Londra con Ross, che scopriva
attraverso quei racconti sconclusionati e divertenti. "Beh,
magari Miss Etta si offende, fate come vi dice papà".
I
bimbi annuirono e poi iniziarono a parlare e a raccontare tante cose
che avevano fatto, detto, visto e imparato. Risero, si abbracciarono
e Demelza si sentiva felice e commossa, orgogliosa che quei due
bellissimi bimbi fossero suoi.
Improvvisamente
Ellie si fece sentire, piangendo ed annunciando che si era svegliata.
Demelza sussultò, come ricordandosi solo in quel momento
della sua
presenza, entrò in casa e i bimbi la seguirono fino alla
cameretta,
osservandola mentre la prendeva in braccio.
Ellie
si strofinò gli occhi e li guardò, prima di
rannicchiarsi
timidamente fra le braccia della madre.
"E'
la tua bimba nuova! Ce lo ha detto papà" - chiese Jeremy.
Demelza
si sedette per terra con Ellie in braccio, in modo da mostrarla ai
suoi figli. "Lei è Eleanor, ma io la chiamo Ellie. Ellie,
loro
sono Jeremy e Clowance e sarete amici, da oggi".
Jeremy
le toccò le manine e le sorrise, mentre Clowance si
guardò attorno
pensierosa. "Ma non ha neanche una bambola?".
"No,
ma ha un coniglietto di stoffa che ama tantissimo, Kiky" –
disse, indicando il gioco nella culla.
"Kiky"
– ripeté Ellie.
Clowance
sospirò. "Posso insegnarle a giocare con le bambole quando
torno a trovarti, mamma? Papà ha detto che se vogliamo,
possiamo
giocare con lei".
A
quelle parole, Demelza fu grata a Ross per non averli messi contro la
piccola. Immaginava quanto potesse essergli costato... "Certo".
Jeremy
le prese la mano. "Mamma?".
"Dimmi".
"Ma
un giorno pensi che tu e papà farete pace e tornerai a casa?
O a
Londra con noi?".
Le
si strinse il cuore, Jeremy non si sarebbe mai arreso. "Siamo
quì e siamo insieme e su questo io e papà siamo
d'accordo. Non
tornerò a casa e da grande capirai il perché ma
ora ci vedremo più
spesso, vedrai. Lo so che non è come vivere insieme, ma
è molto
meglio rispetto a prima, no?".
Jeremy
sospirò. "Credo di si, ma...".
"Ma?".
"Ma
mica potete litigare per sempre, mamma",
Avrebbe
voluto credergli ma sapeva che non poteva succedere. Eppure erano
lì,
insieme, e fino a due giorni prima lo credeva impossibile... "Un
passo alla volta, tesoro" – disse, baciandolo sulla fronte.
Jeremy
annuì e alla fine Demelza decise che era meglio cambiare
discorso e
portò fuori a giocare tutti e tre i bimbi. Corsero nel
ruscello e si
bagnarono fino al midollo e anche Ellie si trovò subito a
suo agio
con i due bambini.
Rimase
stupita che non vi fosse gelosia verso la piccola, capendo quanto i
bimbi sapessero guardare più lontano degli adulti ed essere
più
saggi.
Il
tempo volò e quando Ross tornò a prenderli,
Clowance e Jeremy erano
sudati, bagnati, stanchi e felici.
Appena
Ellie lo vide, si rintanò fra le braccia di Demelza ma non
pianse,
anche se era intimorita.
Sulle
prime lei e Ross non si dissero nulla, lui prese i bimbi, li
caricò
sul cavallo e annuì in un breve cenno di saluto. "Vedo che
è
andato tutto bene, li riporterò appena ripasso da queste
parti se
per te va bene. Ci fermeremo in Cornovaglia per un po' di tempo,
almeno fino all'autunno".
"Certo
che voglio vederli, portali quando vuoi".
"Perfetto".
Ross guardò i figli. "Su, salutate la mamma, dobbiamo
andare,
Prudie ci aspetta per pranzo".
"Ciao
mamma, ciao Ellie!".
Ross
distolse lo sguardo quando la piccola rispose al saluto con la
manina. Ma Demelza sorrise lo stesso, era comunque una bella
giornata.
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Capitolo 20 *** Capitolo venti ***
I
bambini erano eccitati quella mattina perché avrebbero
passato
l'intera giornata con Demelza, pranzando con lei.
Dopo
il loro primo incontro Ross, durante quei mesi estivi, glieli aveva
portati altre volte, ma mai per così tante ore.
Però quel giorno
aveva un incontro con lord Basset che si sarebbe prolungato tutto il
giorno, quindi aveva deciso di lasciarli con la madre invece che con
Prudie. I suoi rapporti con Demelza erano freddi e
pressocché nulli,
limitati a poche parole di circostanza sui figli, ma Jeremy e
Clowance erano rinati con lei. Vederla aveva fatto bene soprattutto a
Jeremy e anche se gli incontri erano sporadici, era tornato ad essere
un bambino sereno e allegro come sua sorella.
Demelza
inoltre non aveva mai posto limiti o fatto richieste, lasciando
decidere a lui quando portare i bimbi e questo era un bene. Andava
meno bene il fatto che i bambini si fossero affezionati tanto a baby
Armitage ma non poteva farci molto, sapeva che sarebbe andata
così.
Caricò
i figli sul cavallo e lasciò Nampara che era ancora presto.
"Mamma
sa cucinare?" - chiese Clowance, evidentemente preoccupata per
il pranzo.
"Sì,
è molto brava".
Jeremy
guardò Ross. "Che ci prepara?".
"Non
ne ho idea". Non sapeva cosa avrebbe potuto cucinare loro, Ross
sapeva che Demelza non aveva grosse disponibilità di denaro
ma sua
moglie lo aveva rassicurato su quel punto, quando le aveva chiesto se
poteva permettersi di avere i bambini alla sua tavola.
Clowance
alzò un grosso sacchetto di stoffa pieno di biscotti al
cioccolato
che lei e suo fratello avevano preparato con Prudie la sera prima.
"Prima mangiamo la pappa di mamma, se ci piace, e poi i
biscotti".
Jeremy
saltò eccitato sulla sella. "Sì, i biscotti sono
buonissimi!
Piaceranno anche a Ellie e a mamma!".
A
quelle parole, Ross si incupì. Gli capitava ogni volta che i
suoi
figli nominavano quella dannata bambina. "NO".
Jeremy
lo guardò. "No, cosa?".
"I
biscotti sono per te e Clowance, non per l'altra bambina. A lei e al
suo cibo pensa la mamma, non io". Al diavolo, doveva già
sopportare il fatto di vederla quella mocciosa, ma di certo non
l'avrebbe mantenuta coi suoi soldi e il suo cibo. Non era mica figlia
di Armitage? Beh, che ci pensasse lui, ovunque fosse, coi suoi
milioni, a sfamare sua figlia!
"Ma
papà" – protestò Jeremy –
"Come facciamo? Se mangiamo
tutti insieme, lei li vuole. Perché non posso dargliene uno?
Sono
tanti, mica li riusciamo a finire tutti, io e Clowance".
L'umore
di Ross divenne cupo. "Se non li finirete, li riporteremo a casa
per Prudie!".
Clowance
lo guardò, quasi sorpresa da quel suo comportamento. Beh, da
grande
avrebbe capito... "E se ce ne chiede uno?".
Ross
divenne serio, voleva chiudere quel discorso e assicurarsi che
avessero compreso che non stava scherzando. "Le direte di no!
Ascoltatemi bene..." - disse, guardandoli negli occhi – "Se
le darete qualcosa io lo saprò e mi arrabbierò
molto. E potrete
scordarvi di vedere la mamma per un po'. Capito?".
I
bimbi abbassarono lo sguardo, mentre ogni traccia di gioia spariva
dai loro volti. "Capito".
...
Era
stata una giornata piacevole e dopo quasi due anni aveva potuto
pranzare coi suoi bambini. Di solito lei ed Ellie mangiavano
fugacemente, con le poche risorse a loro disposizione, ma quel giorno
Demelza aveva voluto che fosse speciale. Aveva comprato della carne,
cosa che succedeva raramente a causa dei costi elevati, e ne aveva
fatto un pasticcio con le patate che i bimbi avevano divorato.
Soprattutto
Clowance, che dimostrava di essere dotata di grande appetito. La
bimba aveva mangiato e chiacchierato come suo solito, alternando
buone maniere a momenti più irruenti in cui usciva il lato
più
vivace dei suoi tre anni e mezzo. L'aveva ascoltata, rapita dai suoi
discorsi sconclusionati, mentre imboccava Ellie, mentre invece Jeremy
era rimasto stranamente silenzioso, in disparte. Cosa strana per lui,
solitamente molto dolce e affettuoso...
Dopo
pranzo Clowance corse fuori a giocare coi conigli e Ellie, che coi
due bambini aveva finalmente preso coraggio per camminare da sola, la
seguì.
Demelza
ne approfittò per avvicinarsi a Jeremy per capire cosa
avesse.
"Tesoro, non ti senti bene?".
Jeremy
scosse la testa, sembrava stesse per piangere. "No, sto bene".
"Non
è vero".
Il
bimbo fece per dirle qualcosa, quando fu interrotto da Clowance che,
di corsa, era rientrata in casa seguita da Ellie. "Mamma, posso
mangiare i biscotti che abbiamo fatto con Prudie?".
"Si,
certo". Demelza si guardò attorno per ricordare dove li
avesse
messi quando erano arrivati e una volta visti sulla credenza, li
prese e li mise sul tavolo.
Ellie
si aggrappò allo schienale della sedia, in punta di piedi,
per
guardare. "Bitotti" – disse, allungando la manina.
Demelza
si morse il labbro perché non sapeva se darglieli o meno.
Ross non
aveva detto nulla in proposito e conoscendo la sua avversione per la
piccola, probabilmente non gli avrebbe fatto piacere.
Clowance
fugò ogni suo dubbio. "Ellie non puo' mangiarli, lo ha detto
papà".
Demelza
spalancò gli occhi. "Cosa?".
E
a quel punto Jeremy iniziò a singhiozzare. "Non possiamo. Ha
detto che sono per noi ma che non dobbiamo farli mangiare a Ellie,
che a lei devi pensarci tu. Io glieli voglio dare ad Ellie ma
papà
ha detto che se lo faccio mi mette in castigo e non mi fa venire
quì
da te per un bel po'. Mamma, perché?".
Rimase
attonita, a bocca aperta, senza capire se fosse arrabbiata o ferita.
Ma probabilmente era entrambe le cose. Ross l'aveva ferita in tanti
modi ma avrebbe sempre messo la mano sul fuoco sulla sua
generosità
e il suo buon cuore, sul suo aiutare i deboli e lottare per un mondo
più giusto, sul suo onore e la sua rettitudine. Tutto
avrebbe potuto
pensare di Ross ma MAI che avrebbe potuto usare i bambini per
colpirla e soprattutto per far del male ad Ellie. Che facesse la
guerra a una bimba di poco più di un anno era intollerabile,
non era
da lui. Sapeva che non sopportava la bimba, sapeva che probabilmente
la odiava e non voleva averci nulla a che fare ma Ellie che male gli
aveva fatto? E soprattutto, come poteva difendersi da lui?
Era
dunque per questo che gli aveva portato i bambini? Era per usarli
contro di lei, trovando in loro vendetta?
Ricacciò
indietro le lacrime, non voleva che Jeremy e Clowance la vedessero
piangere, poi prese in braccio Ellie cercando di ricomporsi.
"Papà
ti ha detto così perché lei è troppo
piccola per mangiare biscotti
al cioccolato e gli verrebbe mal di pancia. E' stato... gentile... a
preoccuparsi per Ellie, no? Non preoccuparti, a lei ci penso io"
– disse a Jeremy, cercando di tranquillizzarlo. No, non
avrebbe
messo i bimbi in mezzo a quella guerra ed era giusto che il suo
bambino fosse sereno. Ci avrebbe pensato lei a Ross, quella sera, era
ora di affrontare una discussione fin troppo a lungo rimandata.
"Mangiate i biscotti quì, a tavola, tu e Clowance. Io nel
frattempo porto Ellie fuori, a dare le briciole di pane ai conigli e
alle galline".
Jeremy
le sorrise, finalmente rasserenato da quella bugia. "Va bene".
Strizzò
loro l'occhio e portò fuori la piccolina che piangeva per
avere il
dolcetto. Ma non poteva darle nulla e per fortuna Ellie quel giorno
aveva mangiato a sufficienza da non essere affamata. Ma vedere le
lacrime nei suoi occhioni azzurri le spezzava il cuore
perché era
ingiusto e crudele. Così come era stato ingiusto far
soffrire
Jeremy e riempirlo di sensi di colpa.
A
contatto con gli animali, Ellie si calmò e
dimenticò i biscotti. In
breve si addormentò per il suo riposino pomeridiano e
Demelza, dopo
averla messa nella sua culla, restò alcuni istanti in
silenzio ad
osservare i suoi boccoli biondi, il suo respiro placido, le sue
guance rosee e il visino dolce e perfetto, chiedendosi come potesse
un uomo adulto decidere a tavolino di farle del male. Poi la
lasciò
dormire e passò il pomeriggio a raccogliere more e lamponi
nel bosco
attorno a casa, coi due figli più grandi, fingendo che tutto
andasse
bene.
Con
loro i suoi nervi si distesero e per un po' dimenticò la
faccenda.
Finché Ross, nel tardo pomeriggio, non tornò a
prendere Clowance e
Jeremy. Quando arrivò, i bimbi erano nella stanzetta di
Ellie a
giocare con dei coniglietti e ridevano tutti e tre come matti.
Ross
non era diverso dal solito quella sera: sbrigativo, distaccato e
distante. E fino a quel giorno era andata bene così. Ma
Demelza
sapeva che in entrambi bruciava un fuoco pronto a divampare e sapeva
anche che lei era al limite e che c'erano cose da affrontare
rimandate da troppo tempo. "Posso parlare con te in privato,
fuori, un attimo?" - gli chiese freddamente, prendendo di
nascosto il sacchetto coi biscotti avanzati. Clowance e Jeremy ne
avevano mangiati poco meno di metà...
Ross
parve sorpreso. "E' successo qualcosa?".
"No,
deve succedere qualcosa di particolare per parlare con te?".
Davanti
a quel tono freddo e rabbioso, Ross sussultò. Poi, capendo
che
qualcosa non andava, salutò i bambini, invitandoli a giocare
in
cameretta ancora qualche minuto perché doveva parlare di
faccende
legali e noiose con la loro mamma. Infine le fece cenno con la testa
di uscire. "Avanti, andiamo fuori e dimmi tutto".
Uscirono,
arrivando a una decina di metri dalla casa, all'albero dove Ross
aveva legato il cavallo. Il cielo era di un rosa intenso e il
tramonto estivo quella sera regalava tonalità pastello da
lasciare
senza fiato. Eppure Demelza sentiva la sua anima in balìa di
una
tempesta. Tirò fuori dalla tasca dell'abito il sacchetto coi
biscotti e poi lo lanciò a Ross che lo prese al volo.
"Volevo
accertarmi che non li dimenticassi quì".
Ross
si accigliò, guardando i biscotti. "Qual'è il tuo
problema,
Demelza?".
Lei
si avvicinò, fino a fronteggiarlo. "Ti ho mai chiesto
qualcosa
da quando ti ho lasciato?".
"No".
"Ti
ho chiesto qualcosa per Eleanor?".
Ross
fece un sorrisetto sarcastico. "Ovviamente no".
"Mi
sono imposta nella gestione dei bambini?".
"No".
Demelza
scosse la testa, guardandolo in viso alla ricerca di un segno, una
traccia dell'uomo generoso di cui si era innamorata. "Quello che
hai vietato a Jeremy e Clowance riguardo a questi biscotti, hai idea
di che significato ha?".
Finalmente
Ross capì a cosa alludesse e immediatamente andò
sulla difensiva.
"Ho dato dei biscotti ai nostri figli perché facessero
merenda.
Non mantengo quelli degli altri e se ti aspetti questo da me, sei
fuori strada".
"Non
è questo il problema e tu lo sai. Non è una
questione di soldi o
altro! Io non avrei comunque fatto mangiare ad Eleanor i tuoi
biscotti per rispetto a te, ma sentir dire da Jeremy che gli hai
vietato di condividere del cibo con una bambina piccola , mi ha
lasciato senza fiato. Ero incredula che proprio tu... Questo
è
crudele, Ross".
L'espressione
di Ross si inclinò. "Crudele, perché? Baby
Armitage è figlia
di un uomo appartenente a una delle famiglie più ricche e
potenti
della Cornovaglia e io non tirerò fuori un centesimo per
lei. Se
questo ti disturba, è un problema tuo".
Fu
sorpresa da quelle parole. Davvero Ross credeva che Ellie fosse una
ricca ereditiera? Santo cielo, non portava nemmeno il cognome di
Hugh... "Io non mi aspetto nulla da te! Né voglio niente! Ma
pretendo che tu non usi i nostri figli per farmi del male o per farne
ad Eleanor! Non voglio vedere mai più mio figlio in lacrime
perché
si sente in colpa perché tu lo stai usando come strumento
per
colpire me! E' per questo che me li hai riportati? Era per il loro
bene o per vendetta?".
"Oh,
fantastico! E' questo che pensi di me? Tu mi tradisci e fai una
figlia con un altro e poi il cattivo sarei io che ti permetto di
vedere i nostri figli, nonostante tutto?".
Demelza
gli si avvicinò. No, stavolta non avrebbe permesso ai sensi
di colpa
di avere il sopravvento, c'era troppo in gioco. "Coraggio Ross,
dillo! Dillo qual'è il tuo problema!".
Ross
stentò a tenere a freno la rabbia. "Hai anche il coraggio di
chiedermelo?".
"Sì,
perché onestamente non capisco. Me ne sono andata e ti ho
lasciato
libero di viverti la tua storia con Elizabeth alla luce del sole,
senza problemi e senza bisogno di mentire. Son sempre stata un peso,
mi hai sempre fatta sentire il ripiego perché non potevi
avere la
tua gran dama a fianco e ora puoi farlo, va da lei e riprenditela! Ci
metteresti un attimo a portarla via a George, visto che Elizabeth non
ne è innamorata! E avresti la tua famiglia dei sogni, con
Geoffrey
Charles e Valentine a cui potresti fare da padre, come hai sempre
desiderato! Volevi la mia benedizione? Beh, ce l'hai!".
Ross
divenne rosso di rabbia a quelle parole. "Ancora con questa
storia? Io non ho una relazione con Elizabeth né mai ne ho
avuta
una! Puoi dire lo stesso di te e del tuo defunto principe azzurro?".
"E
Valentine da dove è venuto? Dicono ti somigli moltissimo,
congratulazioni Ross!".
Ross
le sorrise freddamente. "Anche baby Armitage somiglia a suo
padre".
"Si
chiama Eleanor e odio quel tuo soprannome!". Si avvicinò
ancora
di più e gli prese la camicia, stringendola nella mano.
"Cosa
volevi, Ross? Viverti in segreto la storia con Elizabeth mantenendo
la parvenza di buon marito e padre di famiglia? Volevi che restassi a
casa ad elemosinare un po' del tuo tempo, aspettando che ti
ricordassi di me?".
"Perché
sei andata con Hugh? Lo amavi? O volevi solo vendicarti?".
L'espressione
di Ross era mortalmente serie ed apriva forzatamente vecchie ferite.
Già, perché era andata con Hugh?
Perché doveva ricordarlo di
nuovo? Cosa importava a Ross? Ma se quello era il momento della
verità, tanto valeva essere sincera. "Era gentile e mi amava
per quello che ero, con lui non c'erano altre donne con cui
competere. Mi faceva sentire bella, speciale... E' successo nel
giorno in cui ho capito che tutto il mio matrimonio era stato una
falsa, ero fragile, poco lucida e arrabbiata. E lui era
lì... Non
giustifico me stessa, non avrei dovuto farlo. E mi sento in colpa
pure verso Hugh perché io non avrei mai potuto ricambiare i
suoi
sentimenti. Sono stata probabilmente l'amore della sua vita ma lui
non è stato il mio. Però mi è rimasto
accanto comunque e so che
sapeva cosa provavo e che gli faceva male, lo so perché ci
sono
passata per anni da una situazione simile. Forse avrei dovuto
continuare a vivere accanto a te come fanno molte mogli, in silenzio,
aspettando un fugace gesto gentile. Ma per una volta volevo essere
amata, amata davvero da qualcuno che teneva a me e per cui non ero un
semplice passatempo. Ma tu non puoi capire e forse è pure
inutile
che te lo spieghi, lascia perdere Ross".
Ross
spalancò gli occhi davanti a quelle parole e per la prima
volta sul
suo volto vide un barlume di cedimento. "Io non posso capire?".
Demelza
scosse la testa, allentando la presa sulla sua camicia. "Per me
tu eri l'amore della vita, per te è solo una questione di
orgoglio
ferito. Ti passerà". Indietreggiò, fino ad
appoggiarsi al
tronco di un albero. "Ti chiedo solo di non usare mai più i
nostri figli! E' con me che sei arrabbiato, giusto? E allora affronta
ME a viso aperto e se proprio ti può far sbollire la rabbia,
dammi
quello schiaffo che non mi hai dato l'anno scorso. Lo merito,
coraggio fallo! Farà sentire meglio te... e probabilmente
anche me".
Ross
indietreggiò, stupito, forse ferito e decisamente meno
sicuro di
quanto lo fosse fino a pochi minuti prima. "Sai benissimo che
non potrei mai farlo".
Gli
occhi di Demelza si velarono di lacrime. "Già, è
più comodo
fare la guerra a una bambina piccola".
Lui
sospirò, guardando il sacchetto di biscotti nelle sue mani.
Glielo
porse ma Demelza lo lasciò cadere nell'erba. "Senti, prendi
questi biscotti e finiamola quì, se il problema è
questo".
"No".
"Demelza!".
"Non
voglio la tua carità, Ross. Io ed Eleanor abbiamo poco,
quasi nulla.
Ma lei è una brava bambina che non fa mai i capricci,
è sempre
allegra e si accontenta dell'unico gioco che ha. Te l'ho già
detto
una volta, amo mia figlia, amo tutti i miei figli e per il loro bene
e per proteggerli, sono anche disposta a non vederli più.
Non
permetterò che tu li usi di nuovo per farmi del male,
né permetterò
che tu ne faccia ad Ellie. Prendi Jeremy e Clowance, torna a Londra
con loro e vivete la vostra vita lontano da quì, in pace.
Così come
siamo ora, non può funzionare". Mentre pronunciava quelle
parole, si rese conto che quella sarebbe stata la scelta più
dolorosa della sua vita.
Ross
parve entrare in panico davanti a quelle parole e alle sue lacrime.
"Demelza...".
"Vattene!".
Le
si avvicinò, prendendole le mani. "Loro hanno bisogno di te".
Demelza
distolse lo sguardo, mentre le lacrime le rigavano il viso. "Li
crescerai con Elizabeth e sarete felici. Va via, Ross".
"Elizabeth?
Demelza, che dici?". Era incredulo che lei li stesse affidando
a... "Mi dispiace, mi sono comportato da idiota e hai ragione.
Ma ti prego, non fare questo ai nostri figli, se ho sbagliato io, non
c'è motivo per cui debba farlo anche tu".
Davanti
al tono dolce e alla voce tremante di Ross, Demelza alzò lo
sguardo
per guardarlo negli occhi. "Amare significa anche saper fare
rinunce".
"Ma
tu non devi rinunciare ai bambini, non mi sognerei mai di
chiedertelo". Le lasciò le mani e le sfiorò la
vita,
attirandola a se. "Demelza, mi dispiace, mi dispiace per tutto.
Hai ragione ad essere arrabbiata e onestamente, stamattina, non avevo
pensato al significato del mio gesto. In realtà, credo di
non aver
ragionato su molti miei gesti e so che non serve a nulla ora, ma ti
chiedo scusa lo stesso".
Davanti
a quelle scuse, Demelza si chiese se si riferisse a quel giorno o a
tutta la loro vita insieme. Capiva che in quelle sue poche parole
c'era tanto più di quanto espresso a voce e stavolta sentiva
di
essere arrivata al suo cuore e per la prima volta di essere riuscita
a condividere il suo dolore con lui. Sentì il tocco delle
mani di
Ross sulla sua vita, erano calde e si rese conto che gli mancavano le
sue carezze. E che non poteva permettersi di provare sentimenti
simili. "Non toccarmi".
Ross
deglutì, prima di lasciare la presa su di lei. "Scusa".
Demelza
gli voltò le spalle, prendendo un profondo respiro. "I
bambini... falli portare quì da Prudie d'ora in poi, ho
bisogno di
non vederti per un po'. Preferisco tu stia lontano da Eleanor".
"Credi
che potrei farle del male?".
"Credo
di non voler correre il rischio". Si voltò verso di lui e lo
vide abbassare il capo con espressione ferita. Sapeva di averlo
colpito nel suo orgoglio, nonostante la sua avversione per la
piccola, ma Ross poteva diventare un pericolo per la bimba e il suo
istinto di madre le suggeriva di non rischiare.
"Va
bene, come vuoi".
Demelza
si asciugò le lacrime, cercando di ricomporsi. "D'accordo.
Su,
è tardi. E' ora che riporti i nostri figli a casa".
Ross
annuì. "Tieni i biscotti, per favore".
"Non
li voglio!".
"Li
getterò via, se non li prenderai".
Demelza
scosse la testa. "Fa come vuoi".
Ross
si arrese. La sorpassò e si diresse al mulino e Demelza,
osservandolo, capì che non si sarebbero rivisti per un bel
po'. E
forse era meglio così...
|
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Capitolo 21 *** Capitolo ventuno ***
Londra,
da quando vi era tornato dopo l'estate passata in Cornovaglia, gli
era apparsa ancora più opprimente. Era diventato
intollerante ad
ogni cosa, rumore, caos, gente sempre di corsa, enormi ricchezze
accanto a nera povertà. Rivoleva Nampara e la Cornovaglia, i
venti
impetuosi, i tramonti infuocati sul mare, le passeggiate in spiaggia
e il vociare dei suoi minatori.
Erano
stati mesi estivi strani quelli, per lui. C'era una sorta di amaro in
bocca che non se ne andava, da quando aveva litigato con Demelza e
lei gli aveva intimato di stare lontano dalla sua bambina
più
piccola. Da allora non l'aveva più vista e fino all'autunno
e alla
partenza coi figli per la capitale, era stata Prudie ad accompagnare
Clowance e Jeremy a Illugan dalla madre.
Si
vergognava di se stesso, da allora, ed era sollevato dal fatto di non
vedere sua moglie. Gli aveva fatto male quel suo sguardo ferito e di
biasimo e le lacrime, unite alle parole che gli aveva rivolto su se
stessa, sul loro matrimonio e sulla bambina avuta da Armitage. Lei,
che una volta lo ammirava tanto e che ora... E lui, che stava
diventando pian piano l'opposto dell'uomo che voleva essere...
Sapeva
di avere diritto ad essere arrabbiato ma sapeva anche di non essere
stato il migiore dei mariti e di essersi comportato da vigliacco con
la piccola Armitage. Ross stava prendendo coscienza del fatto che,
benché rifiutasse l'idea, quella bambina avrebbe fatto parte
della
sua vita. Poteva dire ciò che voleva ai suoi figli ma
Eleanor era
loro sorella. Ed era la figlia di sua moglie... Fare il matto e farle
la guerra non avrebbe risolto le cose e sapeva che Demelza avrebbe
difeso sua figlia come una leonessa, come in fondo era giusto che
fosse, visto che inoltre la bimba non aveva un padre che potesse
farlo. Doveva trovare il modo di evitare una guerra per il bene dei
suoi figli, amava Jeremy e Clowance e pure Demelza, nonostante tutto.
Ma quale modo? Come accettare? Come eventualmente perdonare per avere
almeno un rapporto amichevole?
Ross
sapeva che non poteva evitare Demelza in eterno e che prima o poi
avrebbe dovuto smettere di scappare per rivederla e quei mesi di
lontananza erano serviti a calmarlo e a farlo riflettere. Ma non
aveva trovato soluzioni alla sua rabbia, né un modo di
comportarsi
consono, né una accettazione all'esistenza di baby Armitage.
Eppure, pensare che Demelza temesse che lui potesse far del male alla
piccola... Certo, non si era comportato bene e ne era consapevole,
però... Però dannazione, era la figlia che la
donna che amava aveva
avuto con un altro uomo! Come poteva accettarlo?
Eppure
Demelza ci era riuscita con lui e pure davanti all'eventuale sua
paternità di Valentine, si era dimostrata pronta ad
affrontare la
faccenda con lui... E dopo la rabbia seguita al suo tradimento con
Elizabeth, era riuscita a perdonarlo e ad andare avanti, a ridargli
fiducia... Era rimasta al suo fianco, come ci era riuscita?
Pensò
a lui e ad Elizabeth e si accorse di non riuscire a vedere i due
tradimenti alla stessa maniera. Demelza sapeva del suo amore
irrisolto per Elizabeth e a conti fatti, era stata solo una notte...
Quanti uomini sposati hanno delle amanti? Lui non aveva invece mai
contemplato una cosa del genere e aveva purgato e fatto ammenda
sincera per quel suo unico errore arrivato dopo dieci anni di
devozione per un'altra donna. Sì, sapeva che per Demelza era
stato
difficile accettare l'ingombrante presenza di Elizabeth fra di loro
per dieci anni, che era stata dura per una donna fiera come lei, ma
lui le aveva giurato di amarla ed era sincero... Perché e
quando si
era allontanata da lui, tradendolo con l'uomo a cui aveva salvato la
vita? Perché non era riuscita a credergli? Perché
non aveva
accettato i suoi silenzi, dettati dal dolore della consapevolezza di
aver fatto del male alle persone che lui amava?
E
perché lui non aveva trovato il coraggio di aprirsi con lei?
Non era
forse Demelza colei che lo conosceva meglio? Non era forse lei la sua
casa? Non era forse lei che lo aveva riaccettato accanto a se, pur
coi suoi errori e difetti?
E
non era per questo che la amava e si distruggeva l'anima al pensiero
di averla persa? Al pensiero che il suo cuore ora piangesse per
Hugh... Al pensiero di essere solo...
Uscendo
dal Parlamento, alzò lo sguardo a guardare il cielo grigio
dell'autunno londinese, sospirando. A metà novembre sarebbe
tornato
in Cornovaglia e ci sarebbe rimasto fino a dopo le feste natalizie,
che doveva fare? Come doveva comportarsi? Mancavano solo dieci giorni
alla partenza e si sentiva sperso e senza appigli, solo...
Scese
alcuni scalini, quando fu costretto a fermarsi a bocca aperta. Fu
come se i suoi pensieri si materializzassero e rimase inebetito per
una manciata di secondi. "Elizabeth?" - mormorò stupito,
trovandosi la donna davanti.
Non
la vedeva dal loro incontro al cimitero, risolutivo per loro ma che
aveva portato tanto scompiglio nella sua vita e nel suo matrimonio...
Era bellissima come allora, con un elegante abito blu da
città, i
capelli pettinati in morbidi boccoli e col suo andamento aggraziato
ed elegante. La trovava splendida, era splendida. Ma il suo non era
più il sentimento e il rimpianto di un uomo innamorato ma la
semplice considerazione affettuosa di un osservatore attento.
Deglutì,
quando vide che con lei c'era suo figlio Valentine, che teneva per
mano. Lo aveva visto prima di allora solo una volta, di sfuggita a
Trenwith, quando era molto piccolo. Lo guardò e ci
trovò molte
somiglianze con se stesso, capelli identici, occhi scuri, espressione
corrucciata e profonda. Ricordò le parole di Demelza sul
fatto che
il bimbo gli somigliasse e si rese conto che aveva ragione, anche se
in effetti quei capelli potevano essere ereditati da Elizabeth. Ma
forse no, erano capelli di un Poldark eppure lui non lo avvertiva
come tale, nonostante l'eventualità fosse molto concreta.
Vedeva
solo un bimbo come tanti, che gli suscitava simpatia ma a lui
sconosciuto, figlio del suo acerrimo nemico. Non si sentiva padre,
non si sarebbe mai sentito tale... Un figlio non è quello
che generi
ma quello che ami e cresci, che senti tuo.
Certo,
immaginare di aver dato eventualmente vita a un bimbo senza colpa e
peccato, costretto a vivere con un padre del tenore e
dell'aridità
di spirito di George Warleggan che lo avrebbe sempre guardato con
tanto sospetto e con poco amore, sarebbe sempre stato un suo grande
senso di colpa. Da cui sfuggiva da quattro anni, dal giorno in cui il
bambino era nato.
Guardò
Elizabeth, sorpreso di vederla a Londra. Sapeva che spesso
accompagnava George nella capitale, ma non si erano mai incrociati
prima di allora. "Cosa ci fai qui?".
"Aspetto
George, siamo stati invitati per un tè dai McKinney".
Ross
annuì. "Li conosco, sono originari della Scozia e stanno
diventando potenti quì".
Elizabeth
sorrise, in imbarazzo quanto lui. Era la prima volta che loro due e
Valentine si trovavano assieme. Guardò il bimbo che,
annoiato, si
era appoggiato alla sua gamba. "Non avevi sete?".
"Si".
La
donna indicò al piccolo una fontanella a una decina di
metri. "Su,
fai una corsa e va a bere allora, prima che arrivi tuo padre".
Il
bimbo, felice, si staccò da lei e si allontanò.
Ross lo guardò
correre agilmente, ricordando quando Demelza gli aveva detto che era
rachitico. "Ora sta bene, vedo".
"Si,
Dwight è stato la nostra salvezza".
Fu
costretto ad abbassare lo sguardo quando sentì il nome
dell'amico.
Non lo vedeva dall'anno prima, da quel pugno che gli aveva dato per
aver assistito Demelza durante la gravidanza. Si sentiva in colpa
anche per quello e a mente lucida aveva capito che Dwight non poteva
fare altro se non starle vicino e aiutarla. "E' un bravo
medico". Osservò il bimbo che si riavvicinava a loro. Si era
bagnato il vestitino, bevendo, e ne sembrava soddisfatto. "Come
vanno le cose con George?" - chiese, distogliendo lo sguardo.
Elizabeth
sospirò. "Si sopravvive... Ma se avessi un altro figlio,
forse
andrebbe meglio. E tu? Ho sentito che Demelza non vive più
con te.
Sono solo voci o è la verità?".
Ross
sospirò. "Lunga storia, lascia perdere".
"Posso
fare qualcosa?".
Ross
ridacchiò sarcasticamente. "Te ne prego, no. Stanne fuori".
Elizabeth
fece per replicare ma Valentine gli si aggrappò alla gonna,
strattonandola. "Mamma, quando andiamo?".
"Ora,
quando arriva papà. Su, saluta questo signore, è
un mio amico".
Valentine
lo guardò distrattamente, con i suoi occhioni scuri.
"Buongiorno
sir" - salutò, da perfetto signorino ben educato.
Ross
deglutì, sentendo le viscere rivoltarsi. "Buongiorno. Sei
davvero un bel bambino".
"Lo
so, lo dice pure la mamma. E ho quattro anni, sono tanti, sai?".
Ross
gli sorrise, a corto di parole. "Lo so, quattro anni sono
un'età
importante".
Calò
un silenzio pesante fra i due adulti, colmo di imbarazzo e cose non
dette e che mai avrebbero dovuto uscire allo scoperto. Fu George a
spezzarlo, comparendo davanti a loro all'uscita del Parlamento.
Appena vide la moglie in compagnia di Ross accelerò il
passo,
scendendo due a due gli scalini. "Elizabeth, mia cara, aspetti
da molto?".
La
donna annuì con grazia. "No, sono appena arrivata e ho
incontrato per caso Ross".
George
lo guardò in cagnesco, prima lui, poi la moglie e poi il
bambino. Il
suo sguardo era pieno di sospetto e rabbia celati a fatica. "Bene
mia cara, visto che sono quì, è ora di andare".
Si rivolse poi
a Ross con sguardo pieno di sfida. "Ci aspetta gente importante
per il tè, gente che tu ti ostini a snobbare e che invece
dovresti
tenerti buona. Ma a certe persone di campagna, il decoro non entra
davvero in testa".
Ross
sorrise di rimando, con la sua miglior faccia da canaglia. "Anche
io sono atteso da gente importante".
"Chi?"
"I
miei figli".
George
divenne rosso di rabbia, fece per rispondergli ma poi si
bloccò,
soffermandosi su Valentine che aveva snobbato fino a quel momento.
Senza dire nulla, squadrando il bambino, gli si avvicinò per
poi
dargli uno schiaffo in pieno volto che Elizabeth non riuscì
a
evitargli. "George?!" - esclamò mentre il bimbo, preso
alla sprovvista, scoppiava a piangere.
Ross
lo guardò inorridito, senza capire perché lo
avesse fatto, colmo
della stessa rabbia e impotenza di Elizabeth. "Che diavolo
fai?".
George,
rosso di rabbia, indicò il bambino che si era rifugiato fra
le
braccia della madre. "E' indecente. E' tutto bagnato, questo
bambino è un selvaggio e una vergogna da esibire nei salotti
importanti. A casa dovevamo lasciarlo, così non mi avrebbe
messo in
imbarazzo".
Ross
intervenne, non poteva sopportare di assistere a quella scena. Si
chiese come si sentisse quel povero bambino nel sentire quelle
parole, pensò alla vergogna e alla paura che doveva provare
e a come
forse tutto poteva essere diverso. "E' solo acqua, si è
bagnato
alla fontanella mentre beveva, non è questa gran tragedia!".
George
lo guardò, il suo sguardo era odio puro e autentico. "Sono
affari tuoi?".
"No,
ma...".
"E
allora sei pregato di tacere, mentre educo mio figlio a non essere un
selvaggio come certa gente coi suoi stessi capelli neri".
Ross
si morse il labbro perché se avesse proseguito a parlare,
avrebbe
peggiorato la situazione sia di Elizabeth che di Valentine. George
aveva ragione, non era suo figlio... "Sei suo padre e saprai
cosa è meglio per lui" – disse infine,
arrendendosi
all'evidenza.
"Si,
sono suo padre".
Elizabeth
intervenne nella disputa, prima che degenerasse. Prese in braccio
Valentine, lo strinse a se per calmarlo e poi si avvicinò a
George.
"Sarà asciutto in pochi minuti mio caro, non faremo figure.
Non
è successo niente".
George
annuì e lei lanciò un ultimo sguardo a Ross
intimandogli il
silenzio, prima di incamminarsi con la sua famiglia verso la loro
metà.
Rimasto
solo, Ross scosse la testa mentre i singhiozzi del bimbo gli
rimbombavano in testa. Si sentiva impotente e in colpa per il dolore
che aveva provocato nelle vite di tanti, col suo errore di quella
notte che ora stavano pagando Elizabeth, Valentine, i suoi bambini e
sì, anche Demelza. Cosa aveva fatto? Ed Elizabeth e
Valentine, che
vita avrebbero condotto assieme a un mostro come George? Che padre
avrebbe potuto essere per quel bambino, un uomo tanto arido e
vendicativo? Non era tanto importante di chi fosse Valentine
perché
il solo sospetto che non fosse suo aveva risvegliato i più
biechi
istinti di George.
Ross
sapeva che in George il germe del sospetto cresceva dalla morte di
Agatha ma vederlo accanirsi su un bambino innocente era troppo.
Perché doveva essere Valentine a pagare per gli errori degli
adulti?
Che razza di mostro era George?
A
quel pensiero si bloccò, rendendosi improvvisamente conto
che lui
non era molto diverso. Perché negli ultimi tempi pure lui
aveva
agito allo stesso modo, prendendo di mira una bimba ancora
più
piccola di Valentine. Non era stato lui a schiaffeggiarla sulla
manina? Non era forse stato lui ad impedire ai suoi figli di dividere
con lei il loro cibo, lasciandola a digiuno?
Certo,
Eleanor non era Valentine e Demelza non era arrendevole come
Elizabeth e per sua figlia sapeva tirare fuori i denti, se la sentiva
minacciata.
Ma
non era questo il punto...
Aveva
fatto del male, con intenzione, a una bimba di un anno. E non era
importante di chi fosse figlia, la cosa primaria era che lui se l'era
presa con qualcuno che non era in grado di difendersi e che non aveva
colpe.
Eleanor,
come Valentine, stava pagando gli errori di altri... Cosa c'era di
diverso fra il suo comportamento e quello di George, che aveva
biasimato e condannato pochi minuti prima?
Perso
in quei pensieri, ancora più confuso sul suo ruolo e sulle
decisioni
da prendere, arrivò a casa. Clowance gli corse incontro,
felice,
saltandogli al collo. "Papà, ho fatto il primo invito della
mia
vita" – esclamò, in tono solenne.
Jeremy,
dalla sua stanza, corse a sua volta da lui mentre Etta faceva
capolino dalla cucina.
Ross
li guardò senza capire. "Che è successo?".
La
governante si avvicinò, chinando il capo. "Quando i bambini
hanno scoperto che a Natale sarò sola, mi hanno invitato
alla vostra
festa".
Ross
spalancò gli occhi, terrorizzato. "In Cornovaglia?".
"Non
mi volete?".
Jeremy
e Clowance lo guardarono, in attesa. "Non vuoi Etta?
Perché?".
Si
grattò la fronte, in difficoltà, pensando agli
sguardi omicidi di
Prudie quando avrebbe conosciuto la sua rivale londinese,
notevolmente più educata ed efficente di lei. Che gli era
saltato in
mente ai suoi figli? "Ma no, certo che la voglio" –
mormorò imbarazzato, alzando gli occhi al cielo. "Partiremo
insieme e sarete nostra ospite a Nampara. Sarà un pranzo fra
pochi
amici, un Natale semplice. Ci saremo noi, la mia domestica, la vedova
di Henshawe, Zachy Martin e Pascoe con le rispettive mogli".
Etta
annuì, eccitata come fosse una bambina. "Non ho mai
festeggiato
un Natale. Forse da piccola, ma mai da ospite".
Ross
le sorrise, dandole una leggera pacca sulla spalla. "Beh,
quest'anno sarai nostra ospite. Ospite, NON dovrai lavorare,
intesi?". E dicendo questo, si avviò verso la sua camera per
coricarsi un po'. Aveva mal di testa per tanti, troppi motivi quel
giorno.
Si
mise sul letto ma Jeremy lo raggiunse subito. "Papà?".
"Dimmi".
Il
bimbo saltò sul letto. "Ma mamma e Ellie? Loro non vengono a
casa nostra a Natale?".
Suo
malgrado, cercando le parole giuste, si mise seduto per fronteggiare
il figlio. "Jeremy, lo sai che non verrà".
"Perché?".
"Perché
non andiamo d'accordo, lo sai pure tu perché te l'ho
spiegato molte
volte".
Jeremy
sospirò. "Neanche a Natale?".
"No.
Però tu e Clowance la potrete vedere quando vorrete, quando
torneremo a casa. Noi festeggereno il Natale a Nampara e lei ad
Illugan, tranquillamente".
Il
suo tono pacato, parve tranquillizzare il figlio. "Ma io e
Clowance glielo possiamo fare un regalo a mamma?".
"Certo".
"E
non ti arrabbi se le facciamo un disegno? A lei ma anche a Ellie...".
Ross
deglutì, ripensando a quanto avvenuto con George poche ore
prima.
"No, non mi arrabbio, a meno che non vi esca uno scarabocchio. E
allora ve lo farei rifare, capito?".
Jeremy
rise e corse contento fuori dalla stanza, mentre Ross rimaneva solo
coi suoi pensieri.
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Capitolo 22 *** Capitolo ventidue ***
Mattina
di Natale...
Momento
di pace, serenità, raccoglimento e gioia nel vedere i
bambini
contenti...
E
poi c'è Prudie, che ti irrompe furibonda in camera alle sei
del
mattino brontolando come una pentola di fagioli e sbattendo le porte.
"Signore, dobbiamo parlare!".
Mezzo
assonnato, Ross la guardò di sbieco, cercando rifugio sotto
le
coperte. "CHE-DIAVOLO-VUOI?".
Prudie,
furibonda, si mise le mani sui fianchi. "Quella donna è
pazza,
folle! E insopportabile".
"Chi?".
"Miss
Etta!".
Ross
sprofondò fra i cuscini, esasperato. Quelle due si erano
guardate in
cagnesco dal primo momento in cui si erano viste e in casa,
più che
aria di Natale, c'era aria di guerra. "Che ha fatto?".
"Si
intromette in tutto quello che faccio, come se ne sapesse
più di me!
Mi controlla, ecco. E poi...".
"E
poi?".
"Ieri
sera dopo cena ha lavato e riposto nella credenza, in fila, tutti i
bicchieri! In fila!!! Capite? E le tovaglie nei cassetti?".
Ross
alzò gli occhi al cielo. "Cos'hanno le tovaglie nei
cassetti?".
"Le
ha sistemate per ordine di colore. Lo vedete che è folle? E
oggi che
è Natale? Che farà oggi? Non deve toccare e
sistemare a modo suo le
cose di casa".
Sbuffando,
Ross si mise a sedere sul letto. "Su questo hai ragione".
Prudie
spalancò gli occhi. "Davvero?".
Annuì.
"Certo. Queste cose non dovrebbe farle lei! Le dovresti fare
tu...".
A
quella battuta che finse di ignorare, Prudie divenne rossa di rabbia.
"Voi sottovalutate la situazione! E' posseduta dal demonio
quella lì. Avete visto i capelli?".
"Li
tinge. A me non piace ma molte donne a Londra lo fanno".
Prudie
annuì. "Donne possedute dal demonio".
Ross
scosse la testa, esasperato e deciso a dormire ancora un pò.
"Prudie, vorrei stare tranquillo finché i bambini non si
svegliano. E...".
"E?".
"E
non irrompere più in camera mia a quest'ora! Potrei essere
nudo, non
ci hai pensato?".
"Si,
va beh...". Prudie, per nulla turbata, scosse la testa e
guardò
al cielo. "Giuda, siete insopportabile come l'indemoniata al
piano di sotto!". E così dicendo, senza aver concluso nulla,
uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Ringraziando
il cielo che se ne fosse andata, Ross si gettò di nuovo sul
materasso, chiudendo gli occhi. Presto avrebbe dovuto alzarsi di
nuovo e a breve sarebbero arrivati i suoi amici, ma voleva concedersi
almeno un'ora per dormire.
Si
appisolò poco dopo, ma il suo sonno fu di nuovo interrotto.
"Papà!".
Clowance e Jeremy, già svegli, fecero irruzione nella sua
stanza con
le braccia piene di regali, l'espressione felice e l'eccitazione a
mille. La bimba saltò sul letto e fra le sue braccia mentre
Jeremy,
dopo aver depositato i suoi doni sul materasso, corse di nuovo via
per poi ricomparire pochi minuti dopo con un piccone in mano che
trascinò fino al genitore.
Ross
si accigliò. "Cos'è quello?".
Jeremy
sorrise, tutto soddisfatto. "Il nostro regalo per te! Ti piace
la miniera e questo ti serve per spaccare le pietre".
Clowance
ne sfiorò il manico. "Prudie ha detto che puo' servire anche
per dartelo in testa quando fai il caprone!".
"Beh,
grazie".
Ross,
pensando a quanto detto dalla figlia e all'irruzione di poco prima
della serva, decise malignamente che il giorno dopo Prudie avrebbe
estirpato tutte le erbacce della tenuta. Dopo aver spalato ovviamente
l'enorme quantità di neve che era caduta e continuava a
scendere...
Sbuffò. "Su, aprite o no i vostri regali?".
I
visi dei bimbi si illuminarono. Non se lo fecero ripetere e in un
attimo scartarono i loro doni, riempiendo il letto di carta colorata
strappata. Ross ripensò al Natale di pochi anni prima,
quando lui
rischiava la prigione per debiti e non c'era quasi cibo in tavola e
di certo non c'era traccia di regali, a parte quelle calze di seta
comprate all'ultimo... Ora era un uomo abbiente, sicuramente
più
ricco di denaro ma inaridito nel cuore e nello spirito. Natale per
lui era magia e ogni anno gli aveva portato qualcosa di bello e
prezioso da ricordare, fino a due anni e mezzo prima. Ora poteva
vedere e godere solo della felicità dei suoi bambini in quel
giorno
di festa che per loro doveva rimanere tale. Sorrise mentre Clowance
ammirava i suoi abiti nuovi e abbracciava le sue bambole e
giocò con
Jeremy e gli animaletti di legno che aveva ricevuto, promettendogli
che invece i libri arrivati in dono li avrebbero letti insieme.
"Allora, siete contenti?".
"Si".
Clowance gli saltò sulle ginocchia, mostrandogli la sua
bambola. "Ma
sono contenta anche per il riso col pesce, il pasticcio di pollo, le
patate col rosmarino, l'arrosto col miele, i piselli con la pancetta,
la torta di mele, il budino al cioccolato e i biscotti al latte che
ha cucinato Prudie".
Ross
annuì. Avevano cucinato molto, ma non era tutto cibo per
loro. "Vi
ricordate che dovremo fare dopo pranzo, con tanta di quella roba da
mangiare?".
Jeremy
sorrise. "Si, lo portiamo come regalo alle famiglie povere dei
tuoi minatori, coi nostri ospiti".
"Bravo!"
- rispose Ross, orgoglioso che fossero generosi e altruisti.
Il
bimbo sospirò, guardando un foglio arrotolato legato con un
nastro
rosso. "Papà, quello è...".
"Cosa?".
Clowance
intervenne. "Il disegno per mamma. Ma se lei non viene quì,
come facciamo a darglielo?".
Ross
si incupì, rendendosi conto che sarebbe stato tutto sempre
molto
difficile. "Glielo darete i prossimi giorni".
Clowance
si imbronciò. "Ma no! E' il suo regalo di Natale e quindi
dobbiamo darglielo oggi. I regali di Natale si danno a Natale".
"Bambini,
c'è un tempo orribile!".
"Ma
è Natale lo stesso, papà" – disse
Jeremy, con fare deluso
Ross
guardò fuori dalla finestra. Nevicava copiosamente e c'era
un vento
gelido, mandar fuori i bambini e Prudie col carretto per andare ad
Illugan, in una giornata del genere, era fuori discussione. Inoltre
Prudie non avrebbe mai permesso che in un giorno di festa, in attesa
di ospiti, Etta prendesse il controllo della cucina. Eppure i bambini
ci tenevano e sapeva quanto si fossero impegnati per giorni nel fare
quel disegno. Che doveva fare? Non era il benvenuto da Demelza e non
la vedeva da mesi... Guardò i figli che attendevano una
risposta e
decise che in fondo, benché fosse ancora indeciso sul da
farsi, non
poteva continuare ad evitare Demelza per sempre. "Bambini,
facciamo un patto?".
Clowance
e Jeremy lo guardarono speranzosi. "Quale patto?".
"Voi
due vi lavate e vestite da soli e poi aiutate Prudie a preparare la
tavola e tutto l'occorrente per i nostri ospiti di oggi e io prendo
il cavallo, il vostro disegno e lo porto da mamma. Nevica troppo per
voi, ma io da solo farò in fretta e tornerò prima
di pranzo".
I
due bambini saltellarono eccitati, abbracciandolo. Ross li strinse a
se, baciandoli sulla fronte e mettendoli a terra, deciso ad alzarsi.
Si sentiva leggero e grato di quella possibilità che il
caso, il
destino e i suoi figli gli avevano offerto. Aveva la scusante per
rivedere Demelza e forse chiarire quanto successo durante l'estate.
Era ancora bruciante in lui la vergogna per il suo comportamento
verso la bambina di sua moglie e anche se le cose fra lui e Demelza
erano complicate e il loro rapporto distrutto, lo feriva averla vista
prendere le distanze per difendersi e soprattutto difendere la sua
piccola. Faceva male pensare che lo ritenesse pericoloso, lei che una
volta in lui vedeva il sole. E forse era meglio chiarire, se lei
gliene avesse dato la possibilità. Certo, da quel giorno non
l'aveva
mai cercato e mai aveva chiesto sue notizie, ma in fondo al cuore
sapeva che Demelza soffriva come lui per quella situazione. Ed
entrambi erano consapevoli che bisognava trovare un punto di caduta
almeno per i loro figli... "Direi che siamo d'accordo!".
"Aiutiamo
noi a fare tutto" – disse Clowance, in tono trionfale.
Ross
le si inginocchiò davanti. "Bene, c'è anche
un'altra cosa che
dovete fare".
"Quale?".
"Tenete
Etta e Prudie lontante! O rischiamo una guerra". Certo, era poco
onorevole lasciare quella patata bollente ai suoi due figli, ma lui
in cambio avrebbe affrontato una tormenta e quindi la sua coscienza
gli sussurrava che erano pari.
Clowance
e Jeremy annuirono e la bimba gli saltò in braccio,
ridacchiando.
"Sai papà che quando Prudie vede Etta, ringhia come
Garrick?".
Ross
alzò gli occhi al cielo. "Appunto. Devono stare lontane".
Jeremy
annuì. "Va bene! Ma tu porti il disegno alla mamma, vero?".
Gli
strizzò l'occhio. "Certo, vado subito".
Guardò
i bimbi schizzare via di corsa coi loro doni verso la camera e in un
attimo si vestì, mise mantello e tricorno e montò
in sella. Aveva
fretta... Improvvisamente aveva un appiglio per rompere il muro di
silenzio fra lui e sua moglie e non voleva perdere tempo. E poi
certo, aveva degli ospiti per pranzo, non poteva aspettare.
Mise
il disegno sotto il mantello e galoppò come un forsennato
fra la
neve alta e candida, mentre la bufera gli sferzava il viso. C'era un
tempo da lupi, non ricordava di aver mai visto tanta neve in
Cornovaglia da quando era nato.
Il
paesaggio era maestoso e implacabile, sapeva incantare così
come
poteva uccidere, se ci si intratteneva in quel gelo. Quando giunse al
bosco di Illugan, la neve arrivava a metà delle zampe del
suo povero
cavallo. Faceva un freddo terribile, tirava vento e si chiese come
potesse Demelza, da sola con una bambina piccola, vivere in un posto
così isolato e senza possibilità di aiuti in caso
di emergenza. Era
un particolare a cui non aveva mai pensato e che lo preoccupava.
Vide
il camino che fumava e una catasta di legna riparata con una vecchia
coperta fuori, sotto il piccolo porticato. Quanto meno era al
caldo...
Deglutendo
si avvicinò alla porta, bussando sommessamente. Era teso,
non sapeva
bene cosa dire o fare ed era così strano ripensando alla
spontaneità
del loro rapporto di una volta.
Lei
gli aprì pochi istanti dopo, rimanendo in assoluto silenzio
appeno
vide che era lui. Aveva i capelli raccolti in una treccia e indossava
un abito rosso coperto in spalla da uno scialle di lana. Un
abbigliamento modesto e semplice ma che ne sapeva risaltare la
bellezza selvaggia e fiera.
Si
adombrò, indietreggiando di alcuni passi. "Cosa ci fai
quì?".
Fu
costretto ad abbassare lo sguardo davanti a quel tono distaccato e
vagamente scocciato. Non era felice di vederlo, era evidente. "Sono
venuto per portarti una cosa dei bambini. Ci tenevano che tu l'avessi
oggi".
Demelza
sospirò, scostandosi per farlo entrare. "Avanti".
Entrò
in casa. Il camino regalava un tepore piacevole e l'ambiente,
benché
semplice, dava una sensazione di pace. Sul suo letto Demelza aveva
messo una coperta coloratissima e alla piccola credenza accanto al
camino aveva attaccato dei nastri rossi che davano alla stanza un
aspetto natalizio. Sotto al tavolo, stesa sul tappeto, baby Armitage
giocherellava con un piccolo cestino di vimini, canticchiando fra se
e se una canzoncina incomprensibile. Era cresciuta, era più
alta
sebbene molto minuta, e i capelli biondi, abbelliti sulle punte da
dei graziosi boccoli, le arrivavano ormai alle spalle.
Dal
cestino che teneva in mano, si sentì un leggero
pigolìo e le
testoline di tre pulcini sbucarono dalla copertina. La piccola rise,
agitando le gambette.
Demelza
guardò lui e poi la bambina. "Eleanor, porta i pulcini nella
tua stanza, devono fare la nanna".
Ross
si adombrò. Non la stava mandando via per i pulcini, la
stava
mandando via per lui. Evidentemente nulla era cambiato dall'estate
precedente e sua moglie preferiva evitare ogni contatto fra loro due.
Non che lui si crucciasse della cosa, i suoi sentimenti verso quella
bambina erano quello che erano e mai sarebbero cambiati, era la
paura che leggeva in Demelza che lo feriva. Aveva perso ogni fiducia
in lui e mai erano stati lontani come in quel momento. E
capì che
ormai non erano che due estranei.
La
piccola saltò in piedi, col cestino in mano, guardandolo
incuriosita
un attimo per poi sparire di corsa verso la sua stanzetta,
proseguendo a canticchiare la canzone di poco prima. Gli ricordava
Demelza, in questo...
Sua
moglie si avvicinò al tavolo, prendendo in mano un grosso
coltellaccio con cui cercò di tagliare un pezzo di pane che,
dalla
fatica che stava facendo, doveva essere duro come il muro. "E
allora, cosa mi hai portato?" - gli chiese, non degnandolo di
uno sguardo, apparentemente più concentrata su quanto stava
facendo.
Ross,
sospirando, tirò fuori dal mantello il disegno dei bambini.
"Clowance e Jeremy ci lavorano da giorni. Credo sia il loro
regalo di Natale per te. A me hanno regalato un piccone".
Demelza
finalmente si voltò, prendendo il disegno con mani tremanti.
"Davvero lo hanno fatto per me?". Sembrava commossa...
"Sì.
Ci tenevano a dartelo oggi ma con questa neve, ho preferito che
rimanessero a casa con Prudie e portartelo io, a cavallo".
Demelza
arrossì impercettibilmente. "Beh, grazie" – disse,
quasi
a corto di parole.
La
piccola Armitage tornò nella stanza, aggrappandosi alla
gonna della
madre. "Mamma".
"Dimmi
amore".
"Pappa".
Demelza
si chinò a prenderla in braccio, baciandola sulla fronte.
"Appena
riesco a tagliare a pezzi il pane, lo metteremo nel latte e potrai
mangiare. Un minuto di pazienza, tesoro".
La
mise sul tavolo, seduta. Ross la guardò di sbieco,
rendendosi conto
che era dannatamente ancora più bella di come la ricordasse.
Ecco il
risultato della bellezza di sua moglie, unita al fascino
aristocratico di Hugh Armitage. Gli venne voglia di scappare, faceva
male... "Credo... Credo che sia tardi e che debba andare".
Demelza
strinse il disegno fra le mani, annuendo. "Sì, lo credo
anche
io. Ho da fare, devo darle da mangiare e i bambini mi hanno
raccontato che avete ospiti a pranzo, non devi tardare".
Ross
guardò il pezzo di pane sulla tavola, scuotendo la testa.
Era un ben
misero pranzo di Natale ma era logico che Demelza, con quella neve,
non fosse riuscita ad andare a fare compere al villaggio. "Credo
che sarà una sfida dura, tagliare quel pane".
Lei
alzò le spalle. "Forse. Ma non ho altro e ci
riuscirò".
"E'
pane vecchio!" - osservò Ross.
"Lo
so. Ma nel latte diventerà morbido e le riempirà
la pancia. E'
l'unica cosa che mi interessa".
Il
tono di Demelza era sbrigativo, distante. Ross annuì,
capendo che
non c'era possibilità di ulteriore dialogo con lei. Si
chiese se ci
fossero altre strade oltre alla fuga, se ci fosse qualcosa da dire o
da fare per sbloccare quel gelo fra loro ma, da codardo, decise di
tacere. "Beh, buon Natale".
"Aspetta!".
La
voce di Demelza lo richiamò che era già alla
porta. Gli si
avvicinò, mettendogli fra le mani due pacchetti avvolti in
carta
colorata. "Sono per i nostri figli. Non è niente di
speciale,
volevo darglieli quando fossero venuti, ma visto che sei qui...".
Ross
prese i doni, annuendo. "Glieli porto io, non preoccuparti. Ne
saranno contenti".
Demelza
fece un sorriso triste. "Non è niente di eccezionale,
paragonato ai doni che riceveranno oggi. Forse è meglio che
tu
glieli dia nei prossimi giorni".
"Va
bene". Ross annuì, uscendo frettolosamente da quella casa
nell'esatto momento in cui la piccola Armitage richiamò la
madre per
mangiare. Era affamata e lui voleva andarsene quanto prima.
Eppure
avvertiva un senso di sconfitta, una vocina che lo faceva sentire in
colpa, senza sapere nemmeno bene per cosa.
Demelza
lo seguì fino all'uscio. "Grazie per avermi portato il
disegno,
per me conta davvero molto. Lo guarderò dopo, con Eleanor,
appena
avrà mangiato".
Ross
salì in sella al cavallo. "Di nulla. Buon Natale".
Partì
al galoppo senza più guardarla in viso, con gli occhi feriti
dal
gelo e dal vento. Era giusto andarsene, non c'era altro da fare o
dire. Qualche cosa gli aveva messo tristezza addosso e vedere Demelza
costretta a dar da mangiare alla figlia del pane duro gli rimordeva
la coscienza, ma che doveva fare? Lei aveva voluto quella situazione
e stava pagando le conseguenze dei suoi errori. Non era responsabile
di cosa facesse o di come vivesse assieme alla figlia di Armitage e
sentirsi in colpa era la cosa più stupida che potesse fare.
Lui
era una brava persona e quel giorno avrebbe reso il Natale di chi
lavorava per lui meno cupo e misero, di più non poteva e non
voleva
occuparsi.
Aiutare
gli altri avrebbe alleggerito la sua coscienza e andava bene
così.
Giunse
a casa che erano passate le undici del mattino e dopo aver messo in
camera i doni di Demelza, raggiunse i piccoli nel salone. Prudie e i
bambini avevano apparecchiato egregiamente la tavola e avevano messo
decorazioni e centrotavola natalizi che regalavano un effetto visivo
festaiolo e allegro.
Quando
arrivarono gli ospiti, pranzarono allegramente, gustando ogni singola
portata con gusto. Era tutto delizioso e Prudie, forse, aveva
imparato a cucinare per davvero. O forse era la smania da
competizione con Etta... Beh, quello che importava era il risultato
anche se, per qualche motivo, quel pranzo gli sembrò
indigesto.
I
bimbi risero e gli adulti giocarono con loro con carte e dadi,
intrattenendoli dopo pranzo con giochi nuovi. Arrivarono altri doni e
li scartarono insieme, mentre la moglie di Henshawe intonava per loro
canzoni di Natale davanti al camino scoppiettante.
Verso
le tre del pomeriggio la neve divenne meno violenta e si recarono
tutti insieme al villaggio, ognuno con un cesto pieno di biscotti e
dolcetti per i bambini dei minatori.
Distribuirono
il cibo, chiacchierando e parlarndo con tanta gente felice di
condividere il Natale con lui. I bambini giocarono con gli altri
piccoli del villaggio, lanciandosi in spericolate corse nella neve,
ridendo come matti. Era un bel Natale, osservò Ross mentre i
figli
giocavano felici. Eppure, c'era un senso di vuoto in lui... Era
circondato da tanta gente ma era solo. E anche se aveva donato cibo a
tante persone, si sentiva ancora dannatamente in colpa. Aveva aiutato
tutti ma si sentiva come se non avesse aiutato nessuno...
Rientrarono
che imbruniva. C'era ancora molto cibo in casa che sarebbe bastato
anche per la cena e per il giorno dopo.
Quando
gli ospiti se ne furono andati, Ross si dileguò nella sua
stanza,
alla ricerca di pace, lasciando i figli in compagnia di Etta e Prudie
che avevano continuato a guardarsi in cagnesco per tutta la giornata,
alla faccia dello spirito natalizio.
Pensò
a lei...
Era
riuscita a sfamare la bimba? Le era piaciuto il disegno? Cosa aveva
fatto da sola in quel giorno di festa?
E
perché si preoccupava di baby Armitage, dannazione?
I
bimbi, dopo un po', fecero capolino nella stanza. Si sedettero sul
letto con lui e Ross li strinse a se, uno da un lato e una
nell'altro. "Siete felici dei regali?".
"Sì".
Jeremy lo guardò attentamente in viso. "Papà, ma
sei triste?".
"No,
perché dovrei esserlo?".
Il
bimbo alzò le spalle. "Stai qua solo".
"Sto
scappando da Etta e Prudie" – gli rispose, cercando di
tranquillizzarlo.
Jeremy
rise e Clowance gli prese la mano, giocherellando con le sue dita.
"Papà, a mamma è piaciuto il regalo?".
"Certo,
ne sono sicuro". Guardò sul comodino, dove aveva appoggiato
i
doni di Demelza e decise che fosse giusto darli ai figli il giorno di
Natale. "Mamma mi ha dato qualcosa per voi" – disse,
dando i pacchetti in mano ai figli.
I
bimbi lo guardarono eccitati. "Un altro regalo?".
"Sì,
da parte della mamma".
Senza
farselo dire, strapparono la carta.
Erano
due mantelline in lana che Demelza doveva aver fatto a mano per loro,
una rossa per Clowance e una blu per Jeremy. Erano fatte su misura e
si vedeva in ogni punto l'amore che doveva averci messo nel cucirle
per loro.
Gli
occhi di Ross si inumidirono, suo malgrado. Erano tre Natali che
Demelza non passava quel giorno di festa coi bambini e nonostante
tutto, non lo meritava. Quelle mantelline erano lì a
testimoniare
quanto li amasse e quanto facesse per loro coi pochi mezzi a sua
disposizione. Accarezzò i capelli dei figli, sorridendogli.
"Vi
piacciono?" - chiese, rendendosi conto che, a differenza di
quanto detto da Demelza, quello era probabilmente il regalo
più
prezioso che avessero ricevuto.
"Siiiii".
Le
indossarono e Clowance, da piccola vanitosa quale era, si
avvicinò
allo specchio per ammirarsi. "Sono bella! E la mantella ha il
profumo della mamma".
E
in quel momento, Ross decise. C'era una cosa che poteva davvero fare
per se stesso, per Demelza, per i suoi figli e per far davvero tacere
ogni senso di colpa. Doveva lasciar perdere il suo orgoglio e
mettersi da parte, lasciando vivere a loro, insieme, il Natale. "Non
togliete la mantella e correte da Prudie! Ditele di preparare del
cibo da portar via, si esce".
"Dove
andiamo?" - chiese Jeremy.
Ross
gli strizzò l'occhio. "Prendo il cavallo e faremo una grande
avventura nella neve fino a casa della mamma! Vi porto da lei e
potrete cenare tutti insieme. Vi verrò a prendere poi domani
mattina".
"Da
mamma?" - chiese Clowance, stupita.
"Sì,
è giusto che stiate con lei. Metà giornata
l'avete passata con me,
l'altra metà con la mamma ed Eleanor. Vi va?".
Jeremy
sorrise, abbracciandolo. "Sì! Grazie papà".
|
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Capitolo 23 *** Capitolo ventitre ***
Per
sua fortuna, Eleanor non era abituata a dolci e prelibatezze e una
tazza di latte caldo con del vecchio pane inzuppato per lei era
più
che sufficiente per essere sazia e contenta.
La
fece mangiare e poi si mise sul letto, col disegno dei suoi figli
più
grandi fra le mani.
Eleanor,
seduta accanto a lei con Kiky fra le braccia, toccò il
foglio
incuriosita. "Apiii".
Demelza
le sorrise. "Sei curiosa, è? Questo è il regalo
per noi di
Jeremy e Clowance, lo sai?". Era così felice per un semplice
disegno e le scaldava il cuore sapere che i suoi figli, nonostante
non si vedessero così spesso, avevano pensato a lei. E Ross
era
stato gentile a portarglielo in un giorno di festa e di neve, quando
avrebbe potuto semplicemente godersi il pranzo a casa sua, al caldo e
senza preoccupazioni. Vederlo era sempre difficile, lui rappresentava
un miscuglio di sentimenti che stentava a controllare: rabbia, amore,
desiderio...
Rabbia
per come era finito il loro matrimonio...
Amore,
perché anche se non corrisposta, l'avrebbe amato per
sempre...
Desiderio,
perché ogni volta che lo vedeva il suo corpo pareva
gridargli che lo
voleva ancora, dopo tutto quel tempo...
"Apiiii!!!".
Ellie
si stava arrabbiando e, sorridendole, le portò la manina al
fiocco
che teneva chiuso il disegno. "Su amore, tira forte".
Felice,
Ellie tirò il nastrino e srotolò il foglio. Era
un disegno
bellissimo di quella casa, del bosco, del ruscello e degli animaletti
che tenevano con loro, pieno di mille vivaci colori a pastello. E
davanti alla porta, Jeremy e Clowance avevano disegnato lei ed
Eleanor con in braccio il suo coniglietto.
La
bimba lo riconobbe e lo indicò subito. "Kikyyyy".
La
strinse a se, commossa. Erano solo loro due ma con quel disegno fra
le mani, era come avere accanto tutti i suoi figli. "Sì,
è
Kiky. Hai visto come sono stati bravi Clowance e Jeremy? E'
bellissimo, vero?".
"Sì".
Demelza
arrotolò il disegno, stringendoselo sul petto, mentre con
l'altro
braccio trascinò Eleanor sul materasso, accarezzandole i
capelli.
Era sola con una figlia piccola senza padre, non aveva denaro e il
cibo scarseggiava ma quel giorno grazie al gesto di Ross e a quel
disegno, si sentiva serena e in pace col mondo. Forse attorno a lei
tutti stavano festeggiando il Natale in maniera pomposa e ricca ma
per lei quella serenità d'animo valeva più di
mille cene fastose o
regali. Coccolò la piccola Eleanor finché non fu
addormentata e poi
guardò di nuovo il disegno, baciando il foglio. Si chiese
cosa
stessero facendo i suoi figli, se si stessero divertendo e se
avessero mangiato tutto senza fare capricci, si chiese come fosse
Nampara in quel giorno di Natale e se Garrick fosse riuscito a
mangiucchiare qualche fetta di carne.
E
poi, senza volerlo, ripensò a Ross... Vederlo era come
essere
investita da un'onda di alta marea, ogni volta... Era dall'estate
prima che non si incontravano e la rabbia aveva lasciato posto
all'amarezza. Sapeva che Ross non era cattivo e che era stata la
rabbia ad offuscare le sue azioni verso Eleanor, però era
così
difficile accettare quella situazione per lei, quanto per lui. Sapeva
che Ross stava soffrendo e sapeva che per lui vedere la bimba era un
colpo al cuore ogni volta, ma che doveva fare? Cercare di tenergliela
lontana era l'unica soluzione che poteva adottare. Non avrebbe voluto
arrivare a tanto quel giorno in cui se n'era andata con Hugh, ma
avventatezza e destino ci avevano messo lo zampino e affrontarne le
conseguenze era stata la diretta conseguenza per lei. Vivere lontana
da Ross e non interferire nella sua vita era tutto quello che poteva
fare per lui, per quell'uomo che amava da sempre senza essere
corrisposta e a cui aveva dato il suo cuore da ragazzina senza
riuscire più a riaverlo indietro. Avrebbe sempre amato Ross,
lontano
e in silenzio, ma non avrebbe più combattuto per lui e per
riaverlo.
Era una guerra senza speranza, Ross apparteneva ad Elizabeth e la
nascita di Eleanor aveva messo una pietra tombale sul loro
già
traballante matrimonio. Baciò la sua bimba sulla fronte,
cercando in
quel visino tranquillo delle risposte. "Come si fa a smettere di
amare qualcuno?" - le chiese, senza avere ovviamente risposta.
Li amava entrambi, lei e Ross... Ed erano due amori incompatibili fra
loro ma non era in grado di rinunciare a nessuno di essi. Eleanor non
era stata cercata ma ora era viva e reale, l'amava con tutta se
stessa e non avrebbe voluto una vita in cui lei non ci fosse stata.
La
cullò per un po', poi dopo aver messo altra legna nel
camino, si
addormentò accanto a lei cullata da quella marea di pensieri
e col
cuore riscaldato dal dono dei suoi bambini.
Dormì
a lungo, svegliandosi di soprassalto quando ormai stava imbrunendo, a
causa di un forte bussare alla porta. Mezza intontita, assieme ad
Eleanor si sedette sul letto, cercando di mettere a fuoco la
situazione.
Bussarono
di nuovo e delle vocine allegre giunsero alle sue orecchie.
"MAMMAAAAAAAA!!!".
Ellie
le sorrise, saltando giù dal letto. "Clo e Jemy".
Incredula,
si avvicinò alla porta e appena l'ebbe aperta, i suoi due
bambini le
si lanciarono fra le braccia, travolgendola e facendola cadere a
terra. Avevano indosso le mantelline che aveva cucito per loro...
"Mamma,
sorpresa!" - urlò Clowance, felice.
Demelza
rise, non poteva crederci! Che stesse ancora sognando? "Ma voi
cosa ci fate quì?".
Jeremy
le diede un bacio sulla guancia. "Ceniamo con te!".
Spalancò
gli occhi stupita e felice, pur senza capire, poi guardò
verso la
porta dove Ross, silenzioso, osservava la scena. "Cosa
significa?" - chiese, alzandosi in piedi ed avvicinandosi a lui.
Ross
le diede la sacca che teneva fra le mani. "Hanno pranzato con me
a Nampara e credo sia giusto, visto che è Natale, che cenino
con
te".
Demelza
deglutì. "Ross, io non saprei cosa dar loro da mangiare".
Lui
fece cenno col capo alla sacca. "C'è del cibo lì
dentro.
Arrosti, patate e biscotti".
Demelza
si adombrò, ripensando a com'era finita pochi mesi prima,
quando
Ross aveva portato del cibo in quella casa. Non poteva accettare, non
poteva per Eleanor...
Si
sentiva in trappola. Avere lì i suoi bambini era
meraviglioso,
avrebbe voluto donargli il cielo e la luna se avesse potuto ma
così... Così non poteva...
Ross,
quasi intuendo le sue paure, leggendole nel pensiero,
sospirò. "C'è
abbastanza cibo per tutti sia per stasera che per domattina per la
colazione" – disse, distogliendo lo sguardo.
"Verrò a
riprenderli domani, prima di mezzogiorno".
Demelza
vide che le voltava le spalle e si accorse che non voleva che se ne
andasse. Ma non riusciva a fare nulla, si sentiva paralizzata. Voleva
ringraziarlo e voleva dirgli qualcosa ma era da tanto, troppo, che
loro due non parlavano e... E anche dirgli che stava rendendo
bellissimo quel suo Natale sembrava un'impresa impossibile.
Jeremy
e Clowance corsero dietro al padre. "Ma no papà, dove vai?
Resta con noi a mangiare!".
Ross
deglutì. "Ho delle cose da fare in miniera, delle fatture da
controllare".
"A
Natale?" - protestò Jeremy.
Demelza
lo guardò, poi osservò i suoi bambini. Per una
volta non potevano
far lo sforzo di stare tutti insieme, come ogni figlio del mondo
desiderava? E in fondo, non era quello che voleva anche lei, almeno
per una sera? Si avvicinò, a passi lenti, dopo aver lanciato
un'occhiata veloce a Eleanor che aveva fatto capolino alla porta.
"Alla miniera ci puoi andare domani. Perché non resti a
cenare,
non ti costerebbe niente e faresti felici i bambini".
Ross
spalancò gli occhi, stupendosi forse per quel tono gentile
che non
le sentiva più usare da tanto. "Beh... Ecco..." -
balbettò, osservando Eleanor.
Demelza
abbassò il capo. "Te la terrò lontana, di solito
lei e i
nostri figli quando sono insieme, giocano nella cameretta di Ellie".
"Dai
papà!" - implorò Jeremy, imitato dalla sorella.
E
Ross cedette, guardandola negli occhi. "Va bene. Ma dopo cena
andrò subito via, non possiamo lasciare da sole troppo a
lungo
Prudie ed Etta".
Clowance,
a quelle parole, tirò la gonna di Demelza. "Se no si
accoltellano, sai mamma?".
Davanti
a quelle parole, Demelza guardò Ross in cerca di risposte,
vagamente
preoccupata. "Accoltellano?".
Ross
deglutì. "Beh, diciamo che non si amano molto" –
borbottò. Prese Jeremy per mano e Demelza fece altrettanto
con
Clowance.
"Su,
nevica e fa freddo, andiamo in casa".
Appena
dentro, i bimbi si scatenarono lanciandosi sul letto. Presero il
disegno e Jeremy lo srotolò. "Ti è piaciuto,
mamma?".
Demelza
gli si avvicinò, abbracciandoli. "Tanto! Grazie,
è il regalo
più bello che abbia mai ricevuto. Lo appenderò
quì, alla parete
accanto al letto, così quando non ci sarete vi
sentirò più
vicini".
Ellie
indicò la sua figura col ditino. "Kiky".
Jeremy
annuì. "Sì, visto che mi sono ricordato?".
La
piccola di casa rise, correndo nella sua stanzetta seguita dai
bambini più grandi. Chiusero la porta e dopo pochi istanti
li
sentirono ridere e fare baccano, intenti a fare qualche gioco
spericolato.
Ross
guardò accigliato la scena. "Non si faranno male?".
"No,
sta tranquillo, giocano benissimo insieme e si divertono sempre
molto, quando son quì". Demelza si avvicinò al
tavolo, aprendo
la sacca dove c'era il cibo. C'era ogni ben di Dio e non ricordava da
quanto non mangiasse così. Si chiese perché...
Era bontà
natalizia? Perché Ross lo stava facendo? Si sarebbe tradotto
in
qualcosa di negativo, tutto quello, o finalmente avrebbero avuto un
momento sereno? "Ross...".
"Cosa?".
"Perché?".
Lui
sospirò. "Perché è giusto
così".
Sorrise,
nonostante tutto, sistemando il cibo nei piatti mentre Ross si sedeva
sulla sedia. "Da quando facciamo ciò che è
giusto?".
"Forse
dovremmo iniziare da ora".
Annuì.
Era così difficile comunicare con lui, non si era mai
fermato in
quella casa e non parlavano fra loro da molto. E preparare una cena
per lui e con lui aveva il sapore di cose belle e antiche, di
famiglia, di calore e di casa, tutte cose che pensava di aver perso.
"Sì, forse sì". Sospirò, toccava a lei
rompere il
ghiaccio... Ross aveva fatto il primo passo e quel giorno le aveva
fatto il regalo più grande che potesse ricevere ma ora
toccava a lei
contraccambiare e farlo sentire a suo agio. Lui, per lei e per i loro
figli, aveva messo da parte il suo orgoglio e il fatto che fosse
lì
e che fosse rimasto, doveva essere stato qualcosa di estremamente
difficile da fare. Erano successe molte cose brutte fra loro ma
spesso una buona azione fatta col cuore sapeva annullarne mille
dolorose. "Ti ringrazio per quello che hai fatto, so che ti
è
costato molto".
Ross
abbassò il capo. "Era giusto che stessero con te. Sono anche
i
tuoi figli e so che li ami...".
"Non
eri obbligato a farlo".
"Lo
so! Ma sentivo che dovevo".
Demelza
finì di sistemare il cibo nei piatti, per poi scaldarli
accanto al
camino. "Anche questo non era un obbligo. Non sei tenuto a
pensare alla mia sussistenza".
"Ovviamente,
ma in fondo avevo molto cibo a casa e non saremmo riusciti a mangiare
tutto, sarebbe finito nei rifiuti entro domani sera. E resto comunque
tuo marito, non posso permettere che tu a Natale mangi pane secco".
Demelza
sorrise timidamente. "E' buono, nel latte. Ed io e Eleanor ci
siamo abituate".
I
bimbi fecero irruzione nella stanza, inseguiti dai pulcini. Due si
infilarono sotto il letto, tallonati da Jeremy e Clowance che gli
andarono dietro a carponi, mentre l'altro se ne stava appollaiato fra
le mani di Eleanor.
Ross
osservò i suoi figli sparire sotto il letto, poi
guardò
interrogativamente Demelza. "Da dove arrivano?".
Si
trovò costretta a sospirare, mentre accarezzava il pulcino
fra le
mani di Ellie. "Le mie galline... Si sono schiuse le uova
stanotte e ho detto ad Eleanor che era il suo regalo di Natale. Avrei
preferito poterle cucinare quelle uova, ma per lo meno lei è
stata
contenta e ha ricevuto un dono".
Eleanor
lo guardò in modo interrogativo, incuriosita.
Fissò nuovamente il
tricorno appoggiato alla sedia ma stavolta non lo toccò,
soffermandosi solo su di lui. Poi, a sorpresa, vincendo il timore,
gli si avvicinò di alcuni passi, mostrandogli il pulcino.
Ross
si irrigidì e anche Demelza fece altrettanto. Eleanor era
piccola ed
inconsapevole di chi lui fosse e di cosa lei rappresentasse ai suoi
occhi.
Suo
marito impallidì e serrò la mascella,
visibilmente in difficoltà e
questo la fece sorridere, nonostante tutto. Non sembrava più
rabbioso ma solo impacciato e desideroso di scappare da quella
situazione.
Ross
la guardò. "Demelza, che vuole?" - disse, con la bambina
davanti a lui.
Lei
alzò le spalle. "Non lo so, forse solo fare la tua
conoscenza.
O magari farti vedere il suo pulcino".
"Beh,
toglila da quì".
Demelza
sorrise, forse rilassata per la prima volta dopo tanto tempo. "Falle
la tua faccia peggiore e se ne andrà da sola, senza bisogno
del mio
intervento. E' piuttosto fifona".
"Demelza!!!".
Sospirò,
richiamando a se la bimba. "Vieni Ellie, questo signore ha paura
dei pulcini".
"Pecchè???".
La bimba osservò lui e l'animaletto che teneva fra le mani.
Poi
indicò col ditino Ross, facendo segno che lui era grande
mentre il
pulcino era talmente minuscolo da stare nella sua mano. Infine, dopo
che Ross era arrossito, andò dalla mamma, saltandole in
braccio.
Ross
guardò Demelza, piccato. "Io non ho paura dei pulcini!".
Clowance
e Jeremy sbucarono dal letto, correndo verso il padre. La bimba lo
guardò corrucciata, mettendosi le mani sui fianchi.
"Papà!?".
"Dimmi".
"Perché
Ellie ha i pulcini e noi no?".
Ross
sospirò. "Sì che li abbiamo".
Jeremy
e Clowance si guardarono negli occhi, un po' confusi. "Non è
vero".
"E
le galline che abbiamo nel pollaio, che cosa sarebbero secondo voi?".
Clowance
alzò le spalle. "Galline! Io voglio i pulcini come Ellie,
papà"
– piagnucolò.
Ross
sbuffò. "Le galline, prima di essere galline erano pulcini!".
Jeremy
ci pensò su, poi scosse il capo. "Ma non è vero!
Le nostre
galline hanno le piume bianche e dure mentre il pulcino è
giallo e
morbido".
Sospirando,
Ross si alzò e si diresse verso Eleanor, prendendo dalle sue
mani,
pur senza sfiorarle, il pulcino.
Si
sedette per terra, con addosso l'attenzione di tutti per quel gesto
inaspettato. Accarezzò la testolina del pulcino e
chiamò a se i due
figli, pronto a spiegargli come funzionassero le cose. "Le
galline nascono come pulcini e il loro pelo è come i capelli
dei
bambini piccoli, morbido e chiaro. Poi i pulcini crescono e il pelo
giallo cade, sostituito dalle piume più chiare e dure. Come
i
capelli degli adulti". Afferrò scherzosamente i capelli dei
bambini, tirandoli e facendoli ridere, avvicinandoli ai suoi.
"Vedete? I vostri capelli sono ancora morbidi come il pelo del
pulcino, poi da grandi li avrete come...".
Jeremy
rise ma Clowance parve davvero preoccupata. "Io non voglio i
capelli come i tuoi! Io voglio tenerli come adesso, come quelli del
pulcino".
Investirono
il padre di domande, una sfilza infinita, chiamandolo mille volte. E
Demelza li guardò affascinata insieme, tutti e tre, forse
per la
prima volta. A Nampara, nei suoi ricordi e dopo la morte di Julia,
Ross era sempre stato molto distaccato e distante dai bambini,
difficilmente lo aveva visto giocare e ridere con loro come in quel
momento e si accorse che era cambiato molto da allora e che davvero
era riuscito a diventare un padre premuroso, attento e pronto a stare
al gioco. Sorrise, stringendo a se la piccola Ellie che li guardava,
catturata e divertita, quasi senza respirare.
La
bimba la fissò, stringendole il vestito con la manina.
"Papà?"
- disse sotto voce, ripetendo la parola che stava sentendo in
continuazione da Jeremy e Clowance.
A
Demelza, presa dal panico, si fermò quasi il cuore. Se Ross
l'avesse
sentita, quel breve attimo di pace sarebbe finito in un niente e si
sarebbe scatenato l'inferno. Osservò suo marito che per
fortuna, nel
baccano generale, non l'aveva sentita, quindi alzò il mento
alla
bambina per avere la sua attenzione. "No Eleanor, tu non devi
chiamarlo così. Sir... Ti devi rivolgere a questo signore
così.
Capito?".
Ellie
annuì, non molto convinta. "Apito".
La
baciò sulla fronte, infine la mise a terra e si
alzò a prendere i
piatti accanto al camino, ormai caldi. "Su, lasciate stare il
pulcino, è ora di cenare".
"Siiii!".
Felice, Clowance si mise sul letto col suo piatto, imitata da Jeremy,
visto che c'erano solo due sedie.
Demelza
prese Ellie in braccio, aiutandola a mangiare e Ross cenò in
silenzio, senza riuscire a trovare altri spunti per fare discussione.
Fu
una cena serena, accompagnata dal chiacchierare dei bimbi. Ellie
mangiò tutto di gusto, senza far capricci, e Demelza si rese
conto
che era raro che mangiasse un pasto così completo. Appena
ebbe
finito, le pulì il faccino con un tovagliolo, rimettendola
poi a
terra. "Ringrazia Ross per questa cena, ha portato lui tutte
queste cose buone da mangiare".
La
bimba, ricordandosi di quando le aveva detto poco prima,
annuì.
"Assie Sir".
Ross
si irrigidì di nuovo, rispondendole con un cenno impacciato
del
capo. Demelza sorrise, osservando che la legna nel camino era quasi
finita. Si alzò, mettendosi uno scialle sulle spalle. "Esco
un
momento, voi aspettatemi quì" – disse, mentre i
bambini più
grandi tornavano a giocare coi pulcini.
Eleanor
le corse vicino. "Mamma, iuto io!".
"Certo
tesoro, aiutami tu!". Le mise la mantellina e poi fece cenno a
un attonito Ross che sarebbero tornate subito.
Uscì
fuori, nevicava ancora. Si avvicinò alla catasta di legna
togliendo
la coperta che la ricopriva e diede un piccolo ciocco a Eleanor. "Su,
portalo dentro. Io ne porterò degli altri".
"Sì".
La
bimba corse dentro e lei prese altra legna. Quando si voltò
per
rientrare vide Ross sull'uscio, che la guardava contrariato.
"Perché
non me l'hai chiesto? Avrei potuto farlo io".
Sospirò.
"Sei mio ospite e io ci sono abituata, non ho bisogno di aiuto.
Ho pure un'aiutante, come puoi vedere".
Ross
alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi a lei con
l'espressione di
uno che aveva poca voglia di scherzare. Prese la legna che teneva in
mano e la guardò storto. "Non mi piace tutto questo! Vivi
isolata, lontana da tutto e tutti, senza nessuno vicino. Se tu avessi
bisogno di aiuto, se da queste parti venisse un malintenzionato, che
faresti?".
Demelza
sostenne il suo sguardo. "Questo è un posto tranquillo e che
amo. Ed è l'unica casa che posso permettermi! Non voglio
litigare
per questo".
Lo
sguardo di Ross si indurì. "Demelza, non puoi fare tutto da
sola e sperare che ti vada sempre bene".
Sospirò.
Le faceva piacere, sapeva che in quel momento era genuinamente
preoccupato per lei, ma non poteva permettersi di apparire fragile ai
suoi occhi. "Sono solo uscita a prendere della legna per il
camino, non è niente di eccezionale, davvero. Lo facevo
anche a
Nampara, quando tu non c'eri".
Quelle
parole lo ferirono in qualche modo, riducendolo al silenzio. Le
annuì, prese altra legna e insieme rientrarono.
Tutto
proseguì tranquillamente e quella strana discussione fra
loro rimase
in sospeso. I bimbi tornarono a giocare in cameretta e lei,
canticchiando, sistemò i piatti e il cibo avanzato mentre
Ross
pensava al camino.
Il
baccano della cameretta, dopo un po', cessò di colpo. Ross e
Demelza
si guardarono negli occhi e poi andarono a sbirciare, trovando i
bimbi addormentati nel letto, abbracciati, coi pulcini che dormivano
con loro.
Demelza
sorrise, avvicinandosi. Prese i pulcini e li mise nel cestino, al
caldo e al sicuro, poi coprì i figli con la coperta.
Ross,
sull'uscio, sospirò. "Forse è ora che vada".
Lei
annuì, spegnendo la candela e lasciando la cameretta al
buio,
chiudendo la porta dietro di loro per far dormire i bimbi. "Vuoi
aiutarmi a portar dentro altra legna per la notte e per domani
mattina?". Glielo chiese, mettendo da parte il suo orgoglio. Se
questo poteva tranquillizzarlo, perché non farsi aiutare? Ed
era
dolce il fatto che comunque volesse aiutarla, le scaldava il cuore
questo suo atteggiamento e non non riusciva a far finta che non le
facesse piacere...
"Certo".
Uscirono
fuori, nevicava ancora. Presero altra legna in silenzio, portandola
in casa nella cesta davanti al camino, poi uscirono per fare un altro
carico.
Demelza
si appoggiò alla staccionata a cui era legato il cavallo di
Ross
che, infreddolito, aspettava il suo padrone. Gli accarezzò
il muso,
ricordando quando quello stesso cavallo portava in giro entrambi,
correndo sulle scogliere delle Cornovaglia. Sembravano passati secoli
da allora... "Non avrei voluto che le cose andassero a finire
così" – sussurrò, quasi senza
accorgersene, per un attimo
vinta dalla nostalgia. Si ricompose subito, sperando che lui non
l'avesse sentita, ma l'espressione con cui Ross la stava fissando le
fece intendere che aveva udito benissimo.
"Demelza?".
Le
si inumidirono gli occhi che asciugò con le mani. "Scusa,
non
volevo".
Lui
le si avvicinò. "Nemmeno io lo volevo... Che finisse
così...
intendo...".
Abbassò
lo sguardo, non sapeva cosa dire, cosa fare, come comportarsi. Era
così difficile ora parlare con lui e aveva la sensazione che
fosse
ormai troppo tardi per iniziare a farlo. "Pensi che l'abbia
fatto per vendetta?".
"Di
che parli?".
"Di
Hugh... Di Eleanor...".
Ross
abbassò lo sguardo. "Penso che tu l'abbia fatto per tanti
motivi. Ma forse la vendetta non c'entra, anche se il risultato non
cambia".
"No,
infatti... E in fondo, che serve parlarne adesso?".
Ross
non pareva dello stesso avviso. "In realtà, forse serve.
Posso
farti una domanda su Hugh? Non sei obbligata a rispondermi ma...
è
molto che volevo chiedertelo...".
Demelza
si morse il labbro. Parlare con Ross di Hugh? Santo cielo, forse
dovevano farlo ma sarebbe stata una cosa dolorosa e difficile e non
sapeva se fosse pronta o meno. "Dimmi pure... Cercherò di
risponderti, per quanto potrò".
Ross
osservò la casa. "Era ricco, avrebbe ereditato una fortuna.
E
tu gli hai dato una figlia... Com'è che non hai nemmeno i
soldi
necessari per sfamarla in maniera adeguata? Come puo' non aver
pensato a lei e a te prima di morire, in modo da lasciar le cose a
posto per voi? Come ha potuto essere tanto egoista?".
Rimase
sorpresa da quella domanda, non si aspettava che volesse chiederle
quello, era più convinta che volesse sapere qualcosa sulla
sua
storia con lui... "Non sapeva di Ellie, quando è morto".
Ross
spalancò gli occhi. "Cosa?".
Scosse
la testa, ricordando quei giorni dolorosi e confusi dell'agonia di
Hugh, a quanto stesse male e a quanto si sentisse sola e disperata.
"Non sapeva che sarebbe diventato padre, non gliel'ho mai detto.
E' morto che ero al quarto mese di gravidanza e stavo talmente male
che la pancia nemmeno si vedeva, è stato facile
nasconderglielo".
"Ma
perché?".
Lo
guardò tristemente. "Perché dirglielo, Ross? Cosa
avrebbe
cambiato? Non avrebbe potuto fare nulla per noi, a prescindere. Ero
tua moglie e lui apparteneva a una delle famiglie più
potenti della
Cornovaglia, credi davvero che avrebbe potuto pensare a noi? A una
bambina illegittima?".
"Ma
aspettavi sua figlia, era suo dovere aiutarti e tu avresti dovuto
pretenderlo".
Scosse
la testa, era normale che Ross non capisse. "Ross, credi davvero
che sarebbe stato un padre? Credi davvero che io avrei voluto una
famiglia con lui? Hugh amava il lato romantico dell'amore ma era
giovane e non sarebbe stato capace di gestirne le conseguenze.
Generare un figlio non significa diventarne genitore... Se anche non
fosse morto, non si sarebbe preso cura di Ellie e ci saremmo persi
comunque di vista. Non poteva stare con noi, io non lo volevo e lui
si sarebbe stancato presto, non era pronto. Era un poeta, era
attratto dal lato romantico dell'amore e un neonato da gestire non
è
romantico, è faticoso".
A
quelle parole, lui la bloccò, squadrandola in viso.
"Attratto
dal lato romantico? A me sembrava attratto anche dal lato
più
terreno dell'amore, se mi permetti".
Sorrise,
suo malgrado, perché su questo Ross aveva ragione.
"Sì, puo'
darsi. Ma la sostanza non cambia".
"Lo
amavi?" - la interruppe lui.
"No"
– rispose subito, sinceramente. Era difficile dare voce ai
suoi
sentimenti per Hugh, soprattutto davanti a Ross che per molto li
aveva sottovalutati, ma se quello era il momento della
verità,
andava affrontato. "Era un amico a cui volevo bene, una spalla
su cui piangere, un uomo che mi ha fatta sentire bella e lusingata.
Non ero mai stata corteggiata ed è stato bello essere, per
una
volta, la donna ammirata come tu ammiravi Elizabeth. So che ho
sbagliato a cedere ma quel giorno ero disperata, non vedevo futuro in
noi e lui era lì, le sue braccia erano lì ed era
tutto quello di
cui avevo bisogno mentre il mio mondo si sgretolava. Eleanor non l'ho
cercata ma il destino me l'ha mandata e la amo. Ma ti sbagli quando
dici che è figlia di Hugh. Forse hanno lo stesso sangue
nelle vene
ma le loro vite non si sono mai sfiorate, per me Ellie è
sempre
stata la mia bimba. Solo mia! Non penso a Hugh mentre la guardo,
penso solo a quanto è stata dura averla e a come sono felice
di
esserci riuscita. Io non vedo Hugh in lei, Hugh lo vedi tu ed
è un
tuo problema che io non posso risolvere. Per quanto riguarda il
denaro, la madre di Hugh mi offrì dei soldi in cambio del
mio
silenzio, per evitare uno scandalo. Li rifiutai, non volevo denaro,
non volevo essere comprata per qualcosa che quella donna aveva
già:
la mia lealtà alla memoria di suo figlio. Non ho mai voluto,
dall'inizio, che qualcosa mi legasse alla famiglia Armitage e non
volevo denaro dato per tenere nascosta la mia bambina come se fosse
un mostro. Non so se ho sbagliato a rifiutare, se per il bene di
Ellie avrei dovuto accettare, ma la mia coscienza mi ha guidata a
quella scelta e io son felice di averla presa".
Ross
l'aveva ascoltata in silenzio, rendendosi conto che era sincera e
forse ammirandola per questo. Almeno per questo... "Credo che
avrei fatto la stessa scelta, al tuo posto" – disse, infine.
Arrossì.
"Lo so, su tante cose noi siamo simili, orgogliosi...".
Lui
le si avvicinò, fronteggiandola. "Non potremmo, visto che
siamo
in ballo, parlare anche di Elizabeth? Sai, ho visto a Londra lei e
Valentine e...".
Lo
bloccò, non voleva parlare di lei, faceva troppo male... Se
solo non
lo avesse amato tanto Ross, sarebbe stato più semplice, ma
così...
"Ross, ti prego, preferirei evitare. Sentirti parlare di lei
è
sempre stato una tortura, anche se non hai mai voluto accorgertene".
"Ma...".
"Ti
prego...". Deglutì, sedendosi sulla staccionata. "Quando
me ne sono andata ti avevo detto che eri libero di viverti la tua
storia con lei ma di mettere i nostri bimbi al primo posto. E tu
l'hai fatto e sei un padre meraviglioso, vi ho visti insieme stasera
ed ero così orgogliosa di te. Ma per quanto riguarda
Elizabeth, è
un aspetto della tua vita che non voglio sapere, che voglio tenere
lontano da me e che non sono pronta ad affrontare. Sono faccende tue,
cose personali... Non mi devi spiegazioni".
Ross
la guardò, sembrava ferito e impotente. Ma
accettò di stare in
silenzio. "Un giorno però ne dovremo parlare, non credi?".
"Forse,
se sarò pronta".
"E
sarai mai pronta?".
Lei
annuì. "Se sarà necessario, sì". Gli
appoggiò la mano
sul braccio, toccandolo dopo tanto, tantissimo tempo. Sentì
una
scossa che tentò di ignorare, dovevano ancora chiarire
alcune cose e
non poteva permettere alle sue emozioni di venire allo scoperto.
"Ross, continuare a litigare non servirà a cancellare i
nostri
errori passati. Saranno sempre quì, con noi. Ma se
imparassimo
entrambi ad accettarli, per il bene dei nostri figli, forse le cose
andrebbero meglio".
"Sono
d'accordo...".
Demelza
gli sorrise. "I bimbi erano così contenti stasera, di stare
tutti insieme. Per loro, almeno per loro, non potremmo tentare di
andare d'accordo, senza rinfacciarci il passato?".
Ross
rispose al sorriso. "Credo sarebbe un bene. Anche perché
Prudie
mi ucciderà, se continuerò a chiederle di
portarti i bimbi".
Si
accorse che, nonostante avessero parlato di argomenti difficili e
dolorosi, il clima fra loro si era disteso un pochino e che il
ghiaccio che si era creato nel loro rapporto si fosse leggermente
scalfito. "Suppongo di si, probabilmente potrebbe farlo".
"Quindi
mi dai il permesso di portarti i bambini di persona?".
"Certo".
Ross
le sfiorò la mano, prendendola nella sua. "Mi dispiace per
come
mi sono comportato con la bambina. Non potrei mai farle del male, non
per davvero".
Demelza
annuì, accettando che lui non fosse più un
pericolo. "Lo so".
Si
guardarono negli occhi e improvvisamente, d'istinto, Ross la strinse
fra le sue braccia, come se ne sentisse un disperato bisogno. La
abbracciò e lei non fece resistenza, forse bisognosa per un
attimo
dello stesso calore e della stessa vicinanza. Lui le
accarezzò i
capelli, affondando il viso in essi e Demelza si rese conto che in
quel momento, per lui, esisteva solo lei. Elizabeth sarebbe tornata
nel suo cuore e nella sua mente dal giorno dopo probabilmente ma in
quel bosco, in quell'abbraccio, erano solo loro due... "Ross?".
"Sì?".
"Forse
faresti meglio a tornare a casa ora, è tardi e il tuo
cavallo starà
congelando". Non voleva che se ne andasse, ma si rendeva conto
che se fosse rimasto, sarebbe potuto succedere qualcosa di cui si
sarebbero poi pentiti, e avrebbero incasinato di nuovo tutto.
Lui
parve capirlo e accettarlo. "Forse è meglio, sì".
La
lasciò andare e nonostante lei si trovasse a tremare senza
le sue
braccia a stringerla, non lo fermò. "Ci vediamo domattina?".
"Sì,
quando verrò a prendere i bambini. Buona notte!" –
rispose
lui, montando a cavallo e sparendo nel bosco.
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Capitolo 24 *** Capitolo ventiquattro ***
"Otto".
"Orso".
"Otto!".
Davanti
allo sguardo corrucciato di Eleanor, Demelza si sedette per terra,
accanto a lei, indicandole col dito l'enorme peluches che le avevano
portato da Londra, con un mese di ritardo rispetto al Natale,
Caroline e Dwight. "Questo è un orso" – disse,
indicando
l'enorme giocattolo che era alto il doppo della sua bimba. Come al
solito Caroline non aveva badato a spese e dimensioni,
benché spesso
le avesse chiesto di non fare regali ad Eleanor.
La
bambina scosse la testa. "Otto".
Demelza
sospiro. "Prova a dirlo, dai! O-R-S-O!".
"No,
Otto".
La
donna si arrese, sorridendole. In fondo non c'era fretta, avrebbe
imparato a parlare correttamente prima o poi... "D'accordo, sai
che si fa? Lo chiamiamo Otto e sarà amico di Kiky".
Finalmente
Eleanor sorrise soddisfatta, correndo nella cameretta a prendere il
suo giocattolo preferito, quel coniglietto che dalla nascita
l'accompagnava in ogni sua avventura e che lei non lasciava mai.
Dwight e Caroline potevano regalargli il gioco più bello di
Londra
ma per Ellie sarebbe sempre stato il coniglietto Kiky il suo
preferito. Si rialzò, lasciando la bimba a intrattenersi coi
suoi
giocattoli. Era un giorno di pioggia e la piccola stava diventando
noiosa a furia di star chiusa in casa e la visita di Dwight e
Caroline, poco prima, aveva rappresentato un piacevole diversivo per
tenerla occupata. Coi peluches si sarebbe distratta e avrebbe giocato
mentre lei ne avrebbe approfittato per mettersi a cucire la montagna
di camicie che doveva sistemare per lavoro.
Si
sedette alla sedia con ago e filo in mano, quando qualcuno
bussò
nuovamente alla sua porta.
Sospirando,
un po' contrariata, si avvicinò per aprire, chiedendosi chi
fosse
visto che non aspettava nessuno.
Quando
sull'uscio vide Ross, fu presa dal panico. "E' successo
qualcosa? I bambini stanno bene?" - gli chiese senza
convenevoli, facendolo entrare. Che ci faceva lì?
Sospirando,
Ross entrò dentro, all'asciutto. Era fradicio e appena fu in
casa
starnutì vigorosamente. "I bambini stanno bene, sono a casa
con
Prudie e stanno facendo i biscotti. O una torta, non ho ben capito, a
essere onesto. Comunque sta tranquilla, non sono qui per loro".
Demelza
tirò un sospiro di sollievo. Da Natale i rapporti fra lei e
Ross
erano più distesi, sebbene spesso ci fosse imbarazzo fra di
loro, ed
entrambi erano più tranquilli e meno in ansia quando si
vedevano. E
di questo ne godevano i loro due bambini. "E allora perché
sei
quì? Con questo tempo, poi...".
"Scusa,
non volevo disturbarti, ma volevo parlarti di una cosa abbastanza
urgente che vorrei sistemare prima di partire a maggio per Londra".
Demelza
si accigliò, incuriosita, mettendosi a sedere davanti a lui
mentre
Ellie, incurante del nuovo arrivato, prendeva la rincorsa con Kiky in
braccio e si lanciava contro l'enorme orso di peluches, rotolandosi
poi a terra con lui e ridendo rumorosamente. "Non mi disturbi,
oggi stiamo entrambe morendo di noia. Ma che mi devi dire? Una cosa
bella o una brutta?".
Ross
sbuffò. "Una cosa noiosa ma necessaria".
"Oh...".
Demelza poggiò la mano sotto il mento, ora curiosa per
davvero.
"Dimmi".
"Ti
ricordi quando, dopo la nascita di Clowance, abbiamo donato in
usufrutto parte delle nostre terre alle famiglie dei miei minatori?".
"Sì".
Ross
annuì. "Beh, si sono divisi la terra, ci hanno costruito su
delle piccole abitazioni ognuna col suo orto e le cose vanno bene
adesso. Vorrebbero fare una festa alla miniera settimana prossima, la
sera di domenica, per ringraziarci di quanto abbiamo fatto per loro e
mi hanno detto che gradirebbero anche la tua presenza. Vuoi venire
alla Wheal Grace e accettare l'invito?".
Demelza
deglutì. In passato andare alla miniera era per lei la
normalità,
ma ora? Affrontare un'intera serata con Ross, come sua moglie, in
mezzo ai loro amici? Cosa avrebbero detto, cosa avrebbero pensato di
loro? "Ecco... Credo che non sarebbe il caso. Forse è meglio
se
ci vai da solo".
Ross
la osservò, poi diede un'occhiata veloce alla rumorosissima
bimba
che correva nella stanza e poi tornò a fissare lei. "A me di
quello che pensano gli altri, importa molto poco".
Lei
sospirò. Sapeva che i pettegolezzi a Ross non interessavano,
ma lei
non voleva metterlo in imbarazzo perché temeva che sarebbe
successo.
"Ross, quelle terre sono tue e...".
"Nostre!"
- la bloccò lui – "Mie quanto tue, sei mia
moglie!".
Demelza
sorrise con amarezza. "Siamo sposati, ma nel nostro caso è
ormai una formalità".
Ross
non pareva della stessa opinione. "Formalità o no, sei mia
moglie e hai donato assieme a me quelle terre. Non è niente
di che,
solo un po' di cibo alla buona, della musica e poi si torna a casa.
Questione di qualche ora e ci saranno anche i nostri figli con noi.
Ti verrò a prendere e ti riporterò a casa quando
vorrai, senza
problemi".
Demelza
lo guardò, indecisa sul da farsi. Ross sembrava tenerci
molto e
l'opportunità di una serata coi suoi figli, come a Natale,
tutti
insieme, era allettante. Ma... Guardò Ellie, che continuava
a
giocare, incurante di loro. "Non saprei dove lasciarla".
Ross
alzò le spalle. "Portatela dietro".
Demelza
spalancò gli occhi. Portare Ellie? Davanti ai loro amici?
Quanto
avrebbe potuto essere umiliante per Ross? "Non è il caso".
Quasi
leggendole nel pensiero, Ross la interruppe. "La gente sa che
lei esiste e molti pensano che sia mia e sia nata mentre eravamo in
crisi. Certo, ne parlano e hanno dei dubbi ma io non ho mai fugato
né
confermato nulla e di ciò che pensano mi interessa poco. Si
confonderà con gli altri bambini presenti e nessuno
farà caso a
lei".
Ellie
si rotolò sul pavimento, con l'orso, ridendo rumorosamente.
E Ross
la fissò brevemente, pensieroso. "Ma fa sempre
così tanto
baccano?".
Demelza
sorrise. Del temperamento aristocratico e controllato di Hugh, non
c'era traccia in lei. "E' vivace e non ha ancora due anni. Certo
che è rumorosa, soprattutto nelle giornate di pioggia".
"Da
dove arriva quel gigantesco orso?".
Demelza
abbassò il capo, ricordando quanto la nascita di Ellie
avesse
allontanato Ross dal suo migliore amico e di come da allora le cose
non si fossero mai sistemate. "Poco fa son stati quì
Caroline e
Dwight. Hanno passato l'inverno e il Natale a Londra e ora son
tornati quì in Cornovaglia con questo enorme regalo per
Ellie. Se
fossi arrivato mezz'ora prima, li avresti incontrati".
Ross
si oscurò, distogliendo lo sguardo dalla piccola. "Beh,
meglio
così".
Demelza
ci pensò su. Forse poteva fare qualcosa, forse aveva il
potere di
sistemare in parte quel rapporto così compromesso fra suo
marito e
Dwight. Lei ne era la causa e lei doveva trovare una soluzione,
soprattutto ora che i rapporti con Ross erano più distesi.
"Senti,
facciamo un patto?".
"Quale
patto?" - chiese Ross.
"Verrò
alla festa alla miniera con Ellie, se davvero ti fa piacere. Ma tu mi
prometti che tenterai – o almeno penserai – di far
pace con
Dwight? Se parli con me, se riesci a stare seduto nella stessa stanza
con Ellie, non credi che potresti far pace anche con lui?".
Ross
abbassò il capo. Non sembrava rabbioso ma solo impotente
davanti a
quella ingarbugliatissima situazione che si era creata. Demelza
sapeva che era pentito della reazione avuta con Dwight e che la sua
amicizia gli mancava ed era consapevole che fosse colpa sua quanto
successo fra loro. In quel momento il caso e il destino le stavano
venendo incontro per aiutare suo marito a sistemare almeno quella
faccenda e non poteva lasciar perdere e far finta di niente. Per
quanto difficile, sarebbe andata a quella festa ma Ross in cambio
doveva tentare di sistemare le cose con Dwight...
Ross
la guardò storto. "Da quando sei tanto brava a ricattare?".
Demelza
sorrise furbamente. "Invecchiando si impara".
Lui
sospirò, sconfitto. "Va bene, non ti prometto niente ma ci
penserò".
"E
allora verrò alla festa. Non è necessario che tu
mi venga a
prendere, farò una passeggiata a piedi con Ellie".
"Da
Illugan?".
"Da
Illugan, sì! Camminare fa bene e non voglio che tu mi venga
a
prendere".
Ross
annuì, anche sa vagamente contrariato. "C'è
un'altra cosa".
"Cosa?".
"Il
terreno. Noi due lo avevamo ceduto in usufrutto ma di fatto ne
manteniamo ancora la proprietà. La cessione definitiva
dovremmo
farla da Pascoe, con un atto notarile vero e proprio, ed essendo tu
mia moglie, abbiamo bisogno anche della tua firma".
Demelza
si grattò il mento, stupita da tanta burocrazia per qualcosa
che, la
sua mente semplice, concepiva come estremamente facile da realizzare
senza tutte quelle scartoffie. "La mia firma? Non basta la
tua?".
"No.
Cedere quelle terre influenzerà il futuro dei nostri figli e
voglio
che tu ne sia consapevole e sia d'accordo. Serve la tua firma, sei la
loro madre".
Demelza
sospirò. Non vedeva la necessità di tante
formalità ma in fondo
Ross non le stava chiedendo chissà che e su quella questione
erano
d'accordo dall'inizio. "Va bene, verrò da Pascoe a firmare
la
cessione. Quando dovrebbe essere?".
"Mi
metterò d'accordo con lui e ti dirò la data alla
festa".
Demelza
sorrise. "Perfetto, siamo d'accordo. Ma tu ci penserai
davvero...? Per Dwight, intendo".
"Va
bene" – rispose lui, esasperato.
"Credo
che avrà bisogno di te, sai?".
Ross
la guardò, incuriosito. "Di me? Perché?".
Il
viso di Demelza si addolcì. "Perché come padre,
puoi dargli
tanti consigli...".
Ross
ci mise un attimo a capire, poi spalancò gli occhi. "Vuoi
dire
che...?".
Lei
annuì. "Già! Aspettano un bambino che
nascerà a fine
primavera".
"Dwight
e Caroline? Incredibile!". Ross sembrava sinceramente stupito.
Demelza
lo guardò storto. "Che ci trovi di così
incredibile? Sono
sposati già da qualche anno ormai e si amano. E' la cosa
più
naturale del mondo avere un bambino, per una coppia come loro".
Davanti
a quelle parole, Ross la guardò intensamente, impallidendo.
Fece per
dire qualcosa, ma si bloccò mordendosi la lingua. "Dwight
padre... E Caroline Penvenen madre..." - disse solamente.
Demelza
sorrise, mentre Ellie le prendeva la mano, tirandola verso i suoi
giochi. "Mamma!".
"Arrivo,
amore!".
La
bimba si avvicinò loro, stanca di giocare da sola,
osservando
nuovamente con curiosità il tricorno che Ross aveva
appoggiato sulla
sedia. Quel cappello, per qualche strano motivo, la attirava
moltissimo.
"Ellie,
non si tocca!" - la rimbeccò Demelza, ricordando quanto
successo quando aveva tentato di farlo mesi prima.
"Pecché?".
"Perché
non si toccano le cose degli altri".
Ross
sospirò, alzandosi in piedi e mettendosi il tricorno in
testa.
"Credo sia ora che io vada. Siamo d'accordo, allora?".
"Sì.
D'accordo su tutto!" - rispose Demelza, con un sorriso. Prese
Ellie per mano, indicandogli Ross. "Saluta, da brava!".
Tutta
seria, Ellie ubbidì. "Buon gionno Sir".
Ross
la guardò, impacciato. "Perché mi chiama 'Sir'?".
Demelza
alzò le spalle. "Come dovrebbe chiamarti?".
"Non
lo so, il termine 'Sir' lo usano a Londra quando sono in Parlamento e
mi fa sentire vecchio". Con un sospiro, Ross scosse la testa.
"Ah, lascia perdere. Ci vediamo settimana prossima".
Demelza
alzò le spalle, non sapendo che rispondergli. E con Ellie
per mano,
lo guardò andarsene dalla porta.
...
Era
stato strano andare alla Wheal Grace con Ellie. Quella miniera, quei
prati, quelle scogliere e quelle persone facevano parte di un mondo
che le appariva lontano e allo stesso tempo dolorosamente famigliare.
A quelle terre, così vicine a Nampara da poterla quasi
toccare con
una mano, erano legati i ricordi più belli della sua vita.
Erano
quasi tre anni che non si spingeva fin lì, da quel giorno in
cui con
Hugh, a cavallo, se n'era andata disperata e sola, senza più
nessuna
certezza o appiglio.
Tante
cose erano successe da allora ma ritrovarsi lì la faceva
sentire
sola e smarrita come quel giorno.
I
minatori e le loro famiglie l'avevano salutata con calore e nessuno
l'aveva fatta sentire in imbarazzo, ma era tutta la situazione che la
faceva sentire fuori posto. Vivere qualcosa con Ross e i bambini
aveva un sapore dolce e allettante a cui, se si fosse abituata, poi
non sarebbe riuscita a rinunciare. Era una tentazione pericolosa...
Suo
marito era stato gentile, da Natale Ross era sempre gentile con lei
anche se, conoscendolo, sapeva quanto la sua mente fosse in tumulto e
pronta ad esplodere come un vulcano. La rabbia e il dolore non
potevano essere passati e l'accettazione di ciò che erano
diventati
sarebbe arrivata pienamente solo col tempo. Tanto tempo... Ross era
orgoglioso, testardo e fiero e c'erano troppi nodi ancora da
sciogliere fra loro, per gioire di quella pace ritrovata.
I
suoi bambini le corsero incontro e cenarono tutti insieme, vicini,
accanto alle famiglie degli altri minatori.
Una
festa semplice, fatta di gente semplice e amichevole che si voleva
bene e che sapeva ridere con poco, scaldandosi davanti al fuoco,
bevendo birra e mangiando cibo senza pretese.
I
bimbi, una nidiata di piccole pesti, scorazzarono tutta la sera
attorno alla miniera inventando mille giochi e Demelza non
riuscì a
non pensare a quanto fosse bello vivere i suoi figli anche in
situazioni così famigliari, lontani dalla sua casetta di
Illugan,
insieme a Ross.
Ellie
aveva seguito per un po' Clowance, Jeremy e gli altri bimbi ma quel
giorno era lagnosa e capricciosa e si era stancata presto,
rifugiandosi fra le sue braccia piagnucolando. Quando poi alcuni
minatori avevano scoppiato alcuni fuochi d'artificio, aveva iniziato
a piangere disperata e spaventata dal rumore, rifiutandosi di
allontanarsi ancora da lei per giocare. E fra le sue braccia era
rimasta.
"E'
timida?" - gli chiese una delle donne presenti.
Demelza,
seduta sugli scalini della miniera con la piccola in braccio,
guardò
sua figlia. Era strana quel giorno, non era da lei fare i capricci e
non aver voglia di giocare. Forse era davvero solo intimidita da quel
posto e da quelle persone nuove, magari era stanca ma faticava a
riconoscere in lei la bimba allegra che era sempre stata fino a quel
momento. "No, a Illugan gioca spesso coi cinque figli della
famiglia per cui lavoro ed è socievole e allegra di
carattere".
La
donna accarezzò i boccoli biondi della piccola. "Forse
è solo
stanca, comincia a fare tardi".
Demelza
sospirò. In effetti era vero, erano passate le dieci di
sera, faceva
freddo e avevano molta strada da fare per tornare a casa. Si
alzò,
andando da Ross che parlava con Zachy. "Credo che sia ora di
andare".
Suo
marito annuì. "Ti accompagno".
Zachy
e sua moglie si frapposero fra loro. "Sì, andate pure.
Portiamo
noi i bambini da Prudie, a Nampara".
Demelza
scosse la testa. "Non è necessario, posso tornare da sola,
non
ho bisogno di un accompagnatore".
Lo
sguardo di Ross si indurì. "E' tardi, ti accompagno io e non
ammetto rifiuti!" - esclamò, avvicinandosi al suo cavallo.
Sospirando,
Demelza cedette. Quando Ross faceva così, era impossibile
fargli
cambiare idea e anche se non le andava a genio dipendere da lui e dal
suo aiuto, si trovò costretta ad accettare. Andò
da Jeremy e
Clowance, abbracciandoli e baciandoli, promettendo loro che si
sarebbero rivisti a giorni. I bimbi, un po' tristi, annuirono e poi
la lasciarono andare.
Si
incamminò con Ellie in braccio, percorrendo il sentiero che
costeggiava la scogliera, con suo marito a fianco. Anche questo
sapeva di cose antiche...
La
bimba piagnucolava e Ross la fissò, accigliato. "Che
cos'ha?".
"Non
lo so, credo sia stanca. Non è da lei fare così".
Ross
sospirò. "Sì, forse è solo stanca. Ma
non mi sembrava così
capricciosa, le altre volte che l'ho vista".
Demelza
strinse la piccola, baciandole la fronte. Aveva chiacchierato con
Ross quella sera, si erano accordati per andare da Pascoe il
venerdì
successivo e, anche se Ross non aveva guardato molto la bimba, si
stupì del suo spirito di osservazione sul suo carattere.
"Non
lo è infatti, è sempre contenta di solito". Le
sfiorò ancora
la fronte, qualcosa non le tornava. "Scotta un po', credo abbia
qualche linea di febbre".
Ross
sospirò. "Ai bambini capita, quando sono stanchi. Le hai
fatto
fare un sacco di strada a piedi oggi, sarà per quello.
Domani sarà
come nuova".
"Probabilmente
è così" – rispose lei, captando una
nota di rimprovero nelle
parole di suo marito.
Camminarono
in silenzio, nella strada deserta. Anche se era febbraio, era una
serata piuttosto calda e poco ventosa e non era così
spiacevole
passeggiare. "Non dovevi disturbarti ad accompagnarmi".
Il
cavallo nitrì e Ross gli accarezzò il muso. "Non
ti farò fare
a piedi, da sola, questa strada di notte. Con una bambina, poi...".
Lei
alzò gli occhi al cielo. E poi, malinconicamente, si chiese
se anche
con Elizabeth fosse così premuroso, quando si vedevano. Si
chiese se
ai grandi balli londinesi riuscissero a stare insieme e a quali
eventi partecipasse con lei. Quei pensieri le fecero male e decise di
ignorarli. "Sei testardo come allora...".
"Senti
chi parla! Se almeno avessi accettato di fermarti a Nampara per la
notte, domattina avrei avuto meno remore a farti tornare a piedi da
sola a casa tua".
Demelza
strinse a se la figlia. No, non voleva, non poteva tornare a Nampara
o non sarebbe più riuscita ad andarsene. "Ti ho detto di no!
Non vengo a Nampara".
"Perché?".
"Non
puoi capire".
Ross
la guardò, frustrato e un po' rabbioso. "E allora spiegami.
Parlami! Parliamo!".
Alzò
il tono di voce ed Ellie scoppiò a piangere nuovamente.
Demelza la
strinse e si accorse che scottava davvero. Le venne una strana ansia,
era la prima volta che la sua bimba aveva la febbre e si
trovò ad
avere paura... Ripensò a Julia ma scacciò quel
pensiero, Ellie
stava bene e non aveva niente di grave. "Ha la febbre, voglio
solo andare a casa e metterla a letto! Non mi va di parlare, adesso.
Anche perché non ho niente da dire". Sapeva di mettere un
muro
fra loro, sapeva che c'erano ancora tante cose da affrontare ma era
stanca, si sentiva debole, era preoccupata e voleva solo chiudere gli
occhi e non pensare a niente. Si chiese da quanto fosse così
codarda
e perché avesse tanta paura ad aprire il suo cuore a Ross,
ma non
seppe darsi una risposta.
Ross
sfiorò la fronte della bimba, pensieroso. "Ha la febbre
davvero! Che vuoi fare?".
"Domani
dovrebbe passare Dwight per portarmi un abito di Caroline da
riparare. La farò visitare e sento che mi dice".
Ross
si fermò, prendendola per la vita e mettendola sul suo
cavallo.
"Bene! E ora su, facciamo in fretta e torniamo a casa al
galoppo, a piedi ci metteremmo troppo e lei ha bisogno di dormire e
di stare al caldo".
Annuì,
stavolta era d'accordo con lui ed era grata che avesse insistito per
accompagnarla.
"Vuoi
che sposti l'appuntamento di venerdì prossimo da Pascoe?" -
le
chiese Ross, mentre galoppavano verso Illugan.
Ellie
si era addormentata e Demelza scosse la testa. In una settimana
sarebbe stata bene. "No, non è necessario. Domani
sarà già
guarita".
"E
allora, devo venire a prenderti venerdì prossimo?".
"No,
ci vedremo direttamente da Pascoe. Alle undici del mattino, giusto?".
"Giusto".
Demelza
strinse a se la bimba. "Sarò puntuale, aspettami la".
|
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Capitolo 25 *** Capitolo venticinque ***
Bussò
alla porta della casa di Demelza con vigore e forza, era furibondo
con lei. Che diavolo le passava per la testa?
Lui
e Pascoe, quella mattina, avevano atteso invano che Demelza arrivasse
per firmare la cessione dei terreni e sua moglie, senza avvisare, non
si era presentata.
Aveva
offerto il pranzo a Pascoe per farsi perdonare, sentendosi
mortalmente in imbarazzo per avergli fatto perdere tutta la mattina e
poi, dopo aver sbrigato nel pomeriggio alcune faccende in miniera e
aver avvertito a casa che non sarebbe tornato per cena, si era recato
ad Illugan.
Perché,
perché diavolo Demelza pareva divertirsi a farlo infuriare?
Aveva
avuto dei contrattempi? Beh, avrebbe potuto avvertire in qualche
modo...
La
verità era che non la riconosceva più in tanti
atteggiamenti e modi
di fare e tante volte comprendeva il perché del suo
allontanamento e
della sua riservatezza, ma oggi no! Oggi non aveva scusanti!
Dopo
alcuni istanti Demelza aprì la porta e rimase inebetita a
guardarlo,
come se non si aspettasse il suo arrivo. "Ross... Cosa ci fai
quì?" - chiese, con aria stanca.
Ross
serrò le mascelle. Aveva pure il coraggio di chiederglielo?
Fece per
rispondere a tono, quando si accorse che era strana, diversa dal
solito. Era mortalmente pallida, aveva ampie e scure occhiaie sotto
gli occhi e il suo sguardo sembrava smarrito e sperso. In casa
regnava uno strano silenzio e qualcosa non gli tornava. "Va
tutto bene?" - chiese, mentre la preoccupazione prendeva il
posto della rabbia.
"Sì...
No... Cosa ci fai qui?" - chiese lei, nuovamente, con voce e
mente che parevano lontane.
La
prese per le spalle, scuotendola leggermente. Non era da lei quel
modo di fare, che cosa aveva? Stava male? E dov'era baby Armitage?
"Demelza, sono qui perché avevamo un appuntamento da Pascoe
che
forse ti sei dimenticata, ma...".
"Pascoe...".
Demelza spalancò gli occhi, poi annuì, mettendosi
una mano fra i
capelli. "I terreni, già! Scusa, me ne devo essere
dimenticata"
– disse, appoggiandosi alla porta quasi senza forze.
La
sorresse, quasi con la paura che potesse cadere a terra.
"Sì,
me ne sono accorto! Ma non importa...". Già, in quel momento
Pascoe era passato in secondo piano. Le sfiorò la fronte e
si
accorse che scottava. "Stai male?".
"No.
Un po', sono solo stanca".
Ross
si guardò attorno. "Dov'è la bambina?". Era
strano non
vederla, ogni volta che era venuto in quella casa la trovava sempre a
trotterellare vicino a sua madre.
"A
letto".
Ross
si accigliò. "Di già?".
"Ha
la febbre alta".
"Oh...".
Già, aveva la febbre anche la settimana prima, alla festa
dei
minatori. In realtà pensava fosse un qualcosa di passeggero
e non ci
aveva più fatto caso, invece doveva essere qualcosa di
più serio.
"Dwight è venuto a visitarla?" - disse, prendendola per
il braccio e costringendola a rientrare in casa per non farle
prendere ulteriormente freddo.
"Sì"
– rispose lei in tono stanco, sedendosi sul letto e
torcendosi le
mani.
"E
allora?".
"Ha
il morbillo".
Morbillo?
Ross sospirò, rinfrancato. "Beh, non è niente di
che! Lo hanno
avuto pure i bambini a Londra, lo scorso anno, in forma lieve.
Questione di pochi giorni e sarà come nuova".
Demelza
lo guardò con sguardo annebbiato e lontano. Sembrava ferita
da
quelle parole ma incapace di reagire davanti all'evidenza che, mentre
lei era assente, i suoi figli fossero stati malati. "A Londra? E
sono guariti davvero, giusto?".
"Certo,
è stato un anno fa e lo sai benissimo che sono in salute!".
"Ellie
è diversa".
Ross
le si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lei. Era
preoccupato, era
troppo prostrata e debole e non era da lei. "In cosa è
diversa?".
Demelza
guardò nella direzione della stanzetta della piccola. "E'
dalla
festa dei minatori che ha la febbre altissima e certe volte sta
talmente male che non riesco nemmeno a svegliarla. E se è
sveglia,
piange disperata e si lamenta, non riesco a darle le medicine e a
farla mangiare. E' sempre più debole e Dwight dice che
è
pericoloso, se non le usciranno quanto prima i puntini rossi sulla
pelle. Viene a visitarla tutte le mattine, ma dice che non puo' fare
molto. Vorrebbe stare quì per assisterla meglio, ma Caroline
non si
sente bene per la gravidanza e deve pensare a lei prima di tutto".
Ross
si morse il labbro, perché doveva sempre essere tutto
così
complicato? Era vero, la bimba di Demelza era più esile e
piccola
rispetto ai suoi figli e la situazione descritta da sua moglie
sembrava seria. Le sfiorò ancora la fronte ed ebbe la
conferma che
scottava. "Demelza, hai la febbre pure tu! Hai avuto il morbillo
da bambina?".
"Sì,
poco prima di conoscere te".
"Pure
io". Ross sospirò, rinfrancato. La guardò,
chiedendosi cosa
doveva fare... Demelza era stanca e probabilmente quella febbre era
dovuta alla debolezza derivante dal mancato sonno di una settimana.
Era sola, viveva in un posto isolato senza nessuno che potesse
aiutarla e non aveva assolutamente la forza di occuparsi né
di se
stessa né della bimba. Era arrivata al limite e per una come
lei,
sempre forte e combattiva, significava aver accumulato un enorme
stanchezza arretrata. La sua salute era in pericolo e non poteva
permetterlo. "Su, mettiti a letto e cerca di dormire! Ci penso
io alla bambina".
Demelza
spalancò gli occhi, scuotendo vigorosamente il capo. "No!".
Lo
sguardo di Ross si indurì, non era tempo di capricci. "Non
te
lo sto chiedendo, te lo sto ordinando! Vai a letto e restaci!".
"Sono
sua madre, tocca a me occuparmi di lei".
"Hai
la febbre, che vuoi fare? Ammalarti quanto lei o peggio?".
Gli
occhi di Demelza divennero lucidi. "Mi cercherà, se si
sveglia".
"E
io le dirò che sei quì e che stai dormendo".
"Ross...".
Deglutì, in difficoltà, combattuta fra la voglia
di dirgli di sì e
il suo orgoglio. "Io non voglio che tu te ne occupi. Non tu,
soprattutto tu!".
"Perché?".
"Perché
non è giusto nei tuoi confronti. Sei l'ultimo uomo sulla
faccia
della terra che dovrebbe sentirsi in dovere di occuparsi di Eleanor".
Ross
annuì, su questo erano d'accordo. "Sì, hai
ragione! Ma –
scusa la brutalità – la persona che dovrebbe
occuparsene e
prendersi le sue responsabilità è sepolta sotto
due metri di terra.
Quindi, o tu sei riuscita a trovare un modo per riportarlo in vita
quì, a prendersi cura delle conseguenze del suo
comportamento,
oppure accetti l'aiuto di chi vuole offrirtelo".
"Ross,
ti prego" – implorò lei, troppo debole per
controbattere.
La
prese per le spalle, scuotendola. Era preoccupato e voleva che
capisse che, se le aveva offerto aiuto, era perché si
sentiva nella
condizione di farlo senza che gli pesasse. "Demelza, ascolta, tu
non puoi fare tutto da sola! Mettitelo in testa, dannazione! Se non
vuoi farlo per te stessa, fallo per tua figlia! Metti da parte
l'orgoglio e ragiona! Che farebbe Eleanor se ti ammalassi seriamente?
Cosa ne sarebbe di lei? E dei nostri figli?". Sospirò,
accarezzandole la guancia, cercando di adottare un tono più
conciliante. "Senti, non ti sto chiedendo molto, solo di
riposare qualche ora. Hai bisogno di dormire, di riposare e di
riprendere forza. Domani starai meglio e potrai occuparti della bimba
al meglio ma per stanotte, lascia che me ne occupi io. Farò
del mio
meglio, fidati! Non le farò del male. E se c'è
qualcosa di serio,
ti sveglierò e ti avviserò".
Demelza,
a quelle parole, sorrise timidamente. "So che non le faresti del
male. Non è per quello".
"Lo
so! E' perché sei orgogliosa ma io ho la testa
più dura della tua,
quindi dovrai accettare per forza".
"Se
si sveglia, le darai la medicina sul comodino? Un cucchiaio di
sciroppo per la febbre, ha detto Dwight".
"Certo".
"E
le cambierai il panno bagnato sulla fronte, quando sarà
necessario?".
"Ovviamente".
"Mi
chiamerai, se starà male?".
"Sì,
sta tranquilla".
La
donna annuì, arrendendosi a lui. Ross la aiutò a
mettersi a letto,
ravvivò il fuoco per scaldare la casa e poi, quando fu quasi
certo
che dormisse, andò dalla bimba.
Appoggiò
il soprabito e il tricorno in fondo al letto e poi la
osservò con
sguardo clinico.
Eleanor
dormiva nel letto, rannicchiata di lato. Aveva il visino stravolto e
pallido e i suoi boccoli biondi, sempre belli e lucenti, le
ricadevano pesantemente sulla fronte e sulle spalle. La vide talmente
piccola e inerme che, nonostante tutto, ebbe paura per lei e in lei
rivide la sua piccola Julia, sentendo una fitta al cuore.
Si
avvicinò, sfiorandole la fronte. Era davvero calda e doveva
avere la
febbre altissima. "Vedi di non far scherzi, baby Armitage! Sei
voluta venire al mondo scombinando la mia vita, ho dovuto pure
accettare che tu sia fra le più belle bimbe della
Cornovaglia e
farmi passare le fitte allo stomaco ogni volta che ti vedevo! Sei
voluta nascere e ora qui ci resti, capito?".
Le
cambiò il panno sulla fronte, mettendogliene uno imbevuto di
acqua
fresca. Poi provò a darle un cucchiaio di sciroppo ma la
bimba
piagnucolò nel sonno, voltandosi dall'altra parte con la
bocca
serrata.
Ci
pensò su, cercando una soluzione. Era testarda come sua
madre ma
come era riuscito a far chinare il capo a Demelza poco prima, avrebbe
fatto lo stesso con la piccola.
Si
ricordò di avere in tasca un vasetto di miele che aveva
comprato
quella mattina dopo il pranzo con Pascoe. Glielo aveva commissionato
Prudie per fare dei biscotti e se lo era dimenticato nel soprabito. A
Londra, Etta usava spesso il miele coi bambini quando non si
sentivano bene, dicendo che era fonte di benessere ed energia meglio
di una medicina. Poteva provare... In molti elogiavano le
proprietà
del miele e in effetti i suoi figli ne avevano sempre tratto
beneficio. Era un alimento nutriente, sano e sembrava far miracoli
sui bambini malati. Lo prese, aprì il barattolo e prese il
cucchiaino usato per lo sciroppo. Lo riempì di miele e lo
avvicinò
alle labbra della bimba.
La
piccola per un momento distolse il viso, ma lui insistette
finché la
vide schiudere la bocca e succhiare, nel sonno. La lasciò
fare e
Eleanor pian piano pulì il cucchiaio.
Sospirò,
rinfrancato. A lui da piccolo il miele non piaceva ma per fortuna a
Eleanor sì!
La
bimba, dopo aver mangiucchiato il miele, tornò a dormire,
più
tranquilla di prima.
Ross
la coprì, cambiandole nuovamente il panno sulla fronte, poi
andò a
controllare Demelza.
Aveva
messo la camicia da notte e pareva dormire di un sonno profondissimo.
La conosceva bene, sapeva che era stanca e prostrata e che non
avrebbe potuto continuare a lungo così.
Spense
la candela che aveva tenuto accesa accanto al comodino, la
coprì e
le sfiorò la fronte, trovandola più fresca di
poco prima.
Evidentemente non si era sbagliato, era solo molto stanca e aveva
solo bisogno di dormire.
Poi
tornò dalla bimba, sedendosi sul letto accanto a lei. Accese
un'altra candela per controllarla meglio ed Eleanor per alcune ore
dormì apparentemente più rilassata, mettendosi di
tanto in tanto il
pollice in bocca per succhiarselo. Le prese il braccio, alzando la
manica della camicia da notte per guardarle la pelle e poi
tastò il
collo, alla ricerca di qualche puntino rosso. Se quelle dannate
macchie non uscivano, erano nei guai!
La
pelle di Eleanor era pallida e sembrava non esserci nulla.
Osservò
meglio e finalmente lo vide. Sulla spalla, minuscolo, stava spuntando
un puntino rosso tipico del morbillo. Si trovò ad esultare
silenziosamente, stupendosene quasi. Stava prendendosi cura della
figlia di Demelza e di Armitage ed era preoccupato per lei. Cosa da
non credersi, cosa di cui non si sarebbe mai creduto capace fino a
pochi mesi prima.
Poco
dopo mezzanotte la bimba si svegliò, strofinandosi gli
occhietti. Lo
guardò stralunata, piagnucolando, ma probabilmente era
troppo debole
e ancora assonnata per reazioni istintive più violente.
E
poi beh, poteva capirla, doveva essere ben strano per lei vederlo
lì
e non trovare la sua mamma. Sperò che, passato il primo
momento di
smarrimento, non si mettesse a strillare svegliando Demelza.
E
per fortuna, la bimba non lo fece. "Kiky..." - mormorò,
guardandosi in giro.
Ross
deglutì. Chi diavolo era Kiky? Gli venne un attimo di panico
ma poi
il suo sguardo cadde sull'enorme orso che riposava all'angolo della
camera. "Vuoi lui?".
Gli
occhi di Eleanor divennero lucidi. Ecco, ORA forse stava per
piangere. "Kiky..." - disse di nuovo, sommessamente,
guardando in fondo al letto.
Ross
osservò nella medesima direzione, notando il piccolo
coniglietto di
stoffa in fondo alla coperta. "Kiky? E' lui che vuoi?".
Ellie
allungò le braccia, annuendo. "Sì, Kiky".
Ross
sospirò, ora sapeva che baby Armitage aveva un coniglietto
che si
chiamava Kiky. Doveva ricordarselo, per il futuro. Glielo diede e la
piccola lo abbracciò subito, come cercando calore in lui. E
poi si
tranquillizzò.
Bene,
era ora di passare alle cose serie, visto che era sveglia. "E
allora, baby Armitage, che ne dici di prendere la medicina?" -
propose, prendendo la bottiglietta sul comodino.
La
bimba lo guardò con gli occhi lucidi e in quel momento si
rese conto
che non era per la febbre. "Nooo, io no così!" - disse,
quasi fosse arrabbiata.
"No,
cosa?" - le chiese, senza capire.
La
piccola si imbronciò. "Io no così, io Ellie!".
In
quel momento, Ross si sentì idiota. Non era più
una neonata e
doveva stare attento, in sua presenza, a usare le parole e il
sarcasmo. "Lo so come ti chiami, Eleanor".
Lei
annuì. "Ellie".
"Ellie"
– ripeté lui. Beh, se dovevano sistemare la
faccenda dei nomi,
tanto valeva andare fino in fondo. "Senti, anche tu... Non stare
ad ascoltare tua madre e non chiamarmi 'Sir'. Mi fa sentire vecchio e
io non sono vecchio. Mi chiamo Ross, chiamami così".
"Ross"
– ripeté Ellie, osservandolo quasi con timidezza.
Lo disse sotto
voce, con una vocina stentata e impaurita, mentre abbracciava il
coniglietto.
"Senti,
il nome baby Armitage non ti piace proprio, è?" - chiese,
tastando il terreno.
Eleanor
scosse la testa. "No, blutto! Io Ellie".
"Beh,
se non piace a te, figurati a me" – borbottò Ross,
sotto
voce, osservandola. Era adorabile, troppo per essere figlia di
Hugh... Armitage non se la meritava Ellie e Ross si trovò a
pensare
a quanto di Demelza ci fosse in lei e quanto poco assomigliasse a suo
padre. C'era, in ogni parola o modo di fare della bimba, l'impronta
di sua madre. Ed era confortante, di grande aiuto per lui. "E
allora, la vuoi o no la medicina?".
"No"
– disse lei, serrando la bocca.
Ross
le sfiorò la fronte, sembrava più fresca e
pimpante e un altro
puntino le era comparso sulla guancia. "Entro domani sarai un
mostriciattolo" – disse, con un ghigno. Beh, almeno sarebbe
stata meno bella per qualche giorno, grazie al morbillo. Questo era
confortante!
Sembrava
stare meglio, ma doveva comunque darle la medicina. Decise di
adottare una tattica che molti parlamentari usavano per ottenere
ciò
che volevano: lo scambio di favori. Il baratto... L'arma del
ricatto... "Senti, facciamo così! Se tu prendi la medicina
senza fare storie, io ti regalo tutto quello che vuoi". Ok, non
era molto educativo ma lui doveva sopravvivere e comunque non era suo
il compito di educarla al meglio.
Ellie
lo guardò pensierosa, quasi ponderasse attentamente la sua
proposta.
Era molto piccola, Ross non sapeva cosa avesse capito effettivamente
ma d'un tratto la bimba indicò il suo tricorno in fondo al
letto.
"Appello".
"Vuoi
il mio cappello?". Santo cielo, aveva capito benissimo! La
guardò storto. "Sai una cosa, potresti entrare in politica,
ti
vedo portata ad ottenere le cose che vuoi, avresti successo! Sicura
che è questo che desideri?".
"Sì".
Sospirando,
Ross lo prese e glielo porse. Era sempre stata attratta dal suo
tricorno e non ne aveva mai capito il motivo. "E' grande per te,
che te ne fai?".
"Vojo".
"Va
bene, è tuo! Un giorno mi dirai perché lo vuoi?".
"No".
Ross
sbuffò. Beh, non era quella la cosa importante. Prese la
medicina,
era ora che lei facesse la brava e si attenesse ai patti. "Su,
apri la bocca" – disse, riempiendo il cucchiaio di sciroppo.
Ellie
si imbronciò, ma poi sospirò e ubbidì.
Gli diede lo sciroppo che,
dalla faccia della bimba, doveva avere un sapore orribile e lei lo
mandò giù, tossicchiando un pò. Poi
abbracciò il coniglietto e il
cappello, guarandolo incuriosita. "Mamma" – disse, con
voce spezzata.
No,
non dovevano svegliare Demelza e doveva trovare un modo per distrarla
e tenerla occupata. "Mamma dorme, lasciamola in pace, è
stanca".
"Mamma..."
- disse ancora lei, piagnucolando.
Nel
panico, Ross si guardò in giro, notando il vasetto di miele
ancora
sul comodino. A Ellie, poco prima, era piaciuto. E un altro
pò gli
avrebbe fatto solo bene. Lo prese, lo aprì e, dopo aver
preso la sua
manina, gli immerse un ditino nel miele. "Su, assaggia! E'
buono". Mettergli questa cosa sotto forma di gioco, poteva
essere una mossa vincente, pensò.
Ellie
si guardò l'indice tutto sporco di miele, guardò
lui e poi ancora
la sua manina, indecisa e sospettosa.
"Dai,
provalo, è buono".
"No!".
Ci
sono momenti nella vita di un uomo, in cui bisogna fare sacrifici per
un bene superiore. Per lui era arrivato quel momento. Trattenne il
fiato, immerse un dito nel miele o poi lo portò alla bocca,
mandando
giù tutto talmente velocemente che quasi non
sentì il sapore.
"Visto?".
Ellie
rise finalmente e poi, con coraggiò, lo imitò.
"Buona pappa".
Ross
strizzò un occhio. "Vero! Te l'avevo detto, no? Dopo ne vuoi
ancora?".
"Sì".
Sembrava più tranquilla ma pareva comunque smarrita, voleva
la mamma
e doveva inventarsi qualcosa per distrarla, tranquillizzarla e farla
riaddormentare. Aveva la febbre e anche se pareva stare meglio,
doveva dormire. La avvolse in una coperta e la prese in braccio,
passeggiando con lei nella stanza. "Vuoi che ti racconti una
storia?".
"Si".
"Sai
qual'è la storia preferita della mia bambina? E soprattutto,
sai chi
è la mia bambina".
Ellie
rise, come se gli avesse chiesto qualcosa di estremamente stupido.
"Clo!" - esclamò.
Ottimo,
si stava distraendo. "E il mio bimbo chi è?".
"Jemy".
Annuì,
sedendosi con lei in braccio sul davanzale della finestra. Dava sul
bosco e tutto era silenzioso e pacifico, fuori. "Bene, la storia
preferita della mia bambina è quella della principessa
sperduta nel
castello dell'orco. Sai cos'è un castello?".
"No".
"E'
un posto grande, una casa alta, bellissima e molto elegante dove
vivono i principi e le principesse. Le persone molto importanti.
Clowance ne vuole uno, dici che un giorno riuscirò a
comparglielo?".
Ellie
lo guardò storto, riflettendoci su. Poi... "No".
Ross
sospirò. Beh, non era una da facili illusioni, a quanto
sembrava...
La cullò e le raccontò la fiaba, perdendosi
anch'esso dietro il
suono della sua voce e rilassandosi. La bimba si
tranquillizzò,
ascoltandolo tranquillamente. E dopo un po' si addormentò.
La rimise
a letto e lei, anche nel sonno, non lasciò mai la presa sul
tricorno
e sul coniglietto, come se solo con essi riuscisse a dormire
tranquilla.
Si
stese accanto a lei e se la mise sul petto, avvolta nella coperta,
per essere pronto nel caso fosse stata ancora male. Ripensò
a quanto
successo poco prima, a come il nomignolo che le aveva affibbiato
dalla nascita l'avesse fatta arrabbiare e le fosse apparso estraneo.
Certo, Demelza non gli aveva mai parlato di Hugh e per Ellie era
tutto un mondo sconosciuto, quello che riguardava suo padre. Si
sentì
stupido per averla chiamata per tanto tempo 'baby Armitage' e con un
gesto gentile le accarezzò la testolina. "Hai ragione, dopo
tutto. Che ne sai tu di tutti i guai che noi grandi abbiamo
combinato?".
Si
tenne sul petto la bimba, concentrandosi sul suo respiro. Poco prima
dell'alba le si alzò ancora la febbre ma, approfittando di
un breve
momento di veglia, riuscì a darle altro sciroppo e miele e
la
piccola si riaddormentò, pacificamente.
Pian
piano comparvero altre macchioline rosse e Ross capì che il
peggio
era passato. Ma doveva mangiare qualcosa di sostanzioso per
rinforzarsi e Demelza probabilmente, in quella settimana, non era
riuscita a far spesa al villaggio per stare a casa a prendersi cura
della bimba.
Doveva
essere stata dura per lei e si trovò a ringraziare il
destino per
averle dato Dwight con cui confrontarsi. Mille fantasmi e ricordi
riguardanti Julia dovevano averla tormentata, mentre Ellie stava
male, e aveva dovuto affrontarli pressocché da sola. Ross
scosse la
testa, rendendosi conto che era difficile per lui capire quale fosse
il suo ruolo in tutto questo. Eleanor non era sua figlia e di fatto
non aveva doveri e obblighi verso di lei, questo era chiaro e Demelza
stessa non gli aveva mai chiesto nulla. Ma... Restava un marito e
soprattutto era padre di due bimbi che, benché lui
all'inizio avesse
rifiutato l'idea, di Eleanor erano fratelli. Non poteva restare a
guardare senza intervenire se la situazione era grave, non poteva far
finta di nulla e nascondersi dietro il suo orgoglio ferito. Era
quello che, erroneamente, stava facendo Demelza. Tentava di mostrarsi
forte e orgogliosa anche se di forza ne aveva poca, non voleva aiuto,
quasi continuando a punirsi per aver ceduto ad Armitage e trascinando
la bimba in questo suo modo di fare che poteva diventare pericoloso e
cercava di arrivare a tutto da sola. Ma non poteva riuscirci, nessuno
era in grado di farlo.
Suo
malgrado doveva cercare di limitare i danni, per il bene almeno dei
suoi figli. Demelza era la loro madre, avevano bisogno di lei, sana e
in forze, e in tutto questo passava anche la figura di Eleanor.
Aveva
scelto di rimanere, quella notte, e a conti fatti era contento di
averlo fatto e soddisfatto di se stesso. Sentiva di aver preso la
decisione giusta e guardando la bimba dormire, una bimba che aveva
ritenuto un mostro da cui difendersi e da combattere, si rese conto
che in fondo non era poi così mostruosa. Era una bambina,
nient'altro che una bambina che come tutti i bambini si ammalava,
rideva, piangeva, voleva un pupazzo per dormire e a cui piacevano le
coccole e stare con la sua mamma. Demelza in questo aveva ragione, la
faccenda con Armitage era qualcosa di estraneo alla piccola e come
tale doveva essere trattata...
Una
lieve luce provenne dalla finestra e si accorse che il sole stava
sorgendo. Eleanor dormiva ancora e presto si sarebbe svegliata.
Demelza aveva riposato per otto ore buone e quindi, forse, era meglio
che la portasse da lei.
Prese
la piccola, avvolta nella coperta, e la portò da sua madre.
Scosse
lievemente la spalla di Demelza che ancora dormiva, mettendogli la
figlia vicino.
Sua
moglie aprì gli occhi, guardandola prima intontita e poi
andando in
allarme, mettendosi di scatto seduta. "Ellie?".
"Shhh"
– sussurrò lui, indicando la piccola. "Non far
rumore o la
sveglierai".
Demelza
sospirò, sollevata nel vedere la bimba accanto a lei. Le
tastò la
fronte e sorrise lievemente, stringendosela a se. "La febbre si
è abbassata".
Ross
annuì. "E le sono comparsi i primi puntini rossi. Entro sera
sarà un mostriciattolo" – disse, in tono scherzoso.
Sua
moglie osservò la piccola e poi, con occhi spalancati, lui.
"Come
hai fatto?".
"Non
ho fatto niente di speciale. Quando si è svegliata ho
cercato di
distrarla, ho dovuto contrattare con lei per farle prendere lo
sciroppo e poi le ho dato del miele che avevo con me. Se sta meglio
è
perché doveva andare così, io non c'entro".
Demelza
si accigliò. "Perché stringe il tuo cappello,
oltre che il suo
coniglietto?".
Ross
sospirò. "Perché, come ti dicevo, ho dovuto
barattare la sua
collaborazione. Non ha nemmeno due anni ma sa quel che vuole. E tu,
per favore, assieme alle mille raccomandazioni che mi hai fatto la
scorsa sera, potevi ricordati di informarmi sui nomi dei suoi
pupazzi! Mi ha fatto impazzire capire chi fosse Kiky!".
"Lei
non dorme senza Kiky, da quando è nata è il suo
migliore amico".
Demelza rise, accarezzando la frangetta della figlia. "Ora dorme
comunque, riprenditi il tuo cappello".
"No,
è suo e io sono una persona di parola". Si sedette sul
letto,
accanto a loro, deciso sul da farsi. "Ora dormi un po' ancora,
con lei. Io vado a casa ad avvertire Prudie della mia assenza e a
salutare i bambini, poi passo dal villaggio a comprare qualcosa da
mangiare per voi e torno quì per pranzo. Questa bambina ha
bisogno
di cibo nutriente".
Demelza
scosse la testa con vigore. "No, hai fatto fin troppo".
Ross
non si smosse dalla sua posizione, sapeva che avrebbe rifiutato ed
era pronto a contrattaccare. "Lo deciderò io, quando
è troppo.
Tua figlia ha bisogno di cibo sano e nutriente e non hai quasi nulla
in casa, quindi accetterai il mio aiuto, che ti piaccia o no. Non sei
tu a chiedermelo ma sono io che voglio dartelo, non è un
obbligo".
"Devo
essere io ad occuparmi di lei, non tu!" - tentò di
obbiettare,
lei.
Non
si fece scoraggiare. Era ora che lei capisse e fosse ragionevole!
Apprezzava il suo orgoglio e la sua testardaggine a voler fare da
sola ma temeva per la sua salute e voleva che avesse più a
cuore se
stessa per il bene dei suoi figli. "Perché fai
così? Non puoi
fare tutto, non sarebbe umano e nessuno te lo sta chiedendo".
"Perché
i miei errori, li pago da sola".
"I
tuoi errori li hai già ampiamente scontati, anche grazie a
me!".
Le appoggiò la mano sulla spalla, per avere la sua
attenzione.
"Demelza, quello che è successo fra noi mi ha insegnato una
cosa: con l'orgoglio, la testardaggine e il silenzio si va poco
lontano e ci si fa del male. E se ne fa agli altri, soprattutto a chi
ci è accanto e ci ama. Certe volte è
più onorevole chiedere aiuto
e accettarlo che continuare a far di testa propria come un mulo,
trascinando gli altri che abbiamo vicino. Se io potessi tornare
indietro farei tante cose in modo diverso, prenderei decisioni
diverse e direi cose che non ho detto e ne tacerei altre che ho
invece detto. Tu hai sbagliato, io ho sbagliato ma Eleanor no. Non
deve pagare lei per noi e per quello che ha fatto suo padre, non
credi? La ami, la ami molto e allora accetta chi ti da un aiuto,
questo non minerà il tuo ruolo di madre e non ti
renderà meno
migliore della donna che sei. Pure io ho chi mi aiuta, Prudie qui a
Nampara ed Etta a Londra, non ho la pretesa di fare da solo
perché
so che fallirei. Ho imparato a mie spese che posso fallire e non
dimenticherò questa lezione, per me stesso ma soprattutto
per il
bene di chi amo".
Demelza
guardò la sua bimba, con gli occhi lucidi. Poi,
inaspettatamente,
scoppiò a piangere fra le sue braccia, singhiozzando
silenziosamente. "Ma io non posso fare come te! Oh Ross, che ho
combinato?".
"Di
che parli?" - le chiese senza capire, accarezzandole quei
capelli rossi che, ancora dopo tanto, sapevano stregarlo.
Lo
guardò, con le lacrime che le solcavano il viso. "Aver
deciso
di avere Ellie... Che avevo in testa? Che posso darle, che posso
offrirle? Come posso darle la vita che merita? Come posso essere
stata tanto egoista da volerla?".
D'istinto
la abbracciò, era disperata e prostrata dalla preoccupazione
e dalla
stanchezza di una settimana dove non aveva chiuso occhio. Vedeva
tutto nero e non poteva permetterlo, non poteva permettere che lei si
facesse del male e cadesse preda della disperazione. "Demelza,
piangere ora non serve! Lei c'è, sei un'ottima madre e lei
è una
bambina felice e, indipendentemente dai motivi che ti hanno spinta a
metterla al mondo, hai puntato sulla vita e con questa decisione,
affrontato le conseguenze dei tuoi gesti. E' onorevole e non te ne
devi vergognare, sei stata molto più matura di quanto lo sia
mai
stato io. Hai solo bisogno di non fare sempre tutto da sola e hai
tante persone che ti aiutano e ti vogliono bene. Fatti aiutare quindi
e andrà tutto per il verso giusto. E...".
"E?".
"E
basta piangere o la sveglierai e la spaventerai, questa bambina!"
- sbottò. "Ci ho messo una vita a farla addormentare".
"Ross...
Grazie" – sussurrò lei, in un soffio,
sorridendogli
dolcemente.
In
quel momento Ellie si svegliò, strofinandosi gli occhi. Lo
guardò,
allungando le braccia verso di lui per farsi prendere ma poi, vedendo
la sua mamma, si rifugiò in un suo abbraccio. "Mamma"
–
disse, contenta e riposata.
Ross
sorrise. "Bene, vi farete compagnia! Ci vediamo dopo allora".
Sarebbe tornato, che a Demelza piacesse o no, fine del discorso!
A
quelle parole Ellie lo guardò e si mise a piangere,
allungando
nuovamente le braccia verso di lui. "Nooo, tu qui".
"Devo
andare, ma torno presto con delle cose da mangiare" – le
disse.
"Nooooo,
non vojo tu via!".
Demelza
si asciugò le lacrime, guardando sua figlia con fare
stupito. "Ross,
che hai fatto alla mia bimba?".
Lui
alzò le spalle. "Che vuoi farci, nessuna mi resiste". Poi
si inginocchiò, prendendo la manina della bambina. "Ellie,
torno presto. Devo andare a casa a fare delle cose urgenti, ma poi
torno. Devo vedere come tratti il mio cappello, no?".
Singhiozzando,
la bimba annuì. "Sì. Ma tu qui adesso".
Ross
sospirò, era testarda come sua madre e difficilmente
malleabile. La
prese nuovamente in braccio, tentando di farla addormentare, mentre
Demelza lo lasciava fare senza fiatare, guardandolo incuriosita. E
quando la piccola fu nuovamente addormentata gliela ridiede,
mettendola delicatamente sotto le coperte. "Sai una cosa,
Demelza?".
"Cosa?".
"Non
è giusto".
"Cosa
non è giusto?".
Ross
fissò la bimba, con un peso nel cuore, formulando a voce un
pensiero
che lo aveva già toccato durante la notte. "Lui non se la
merita, Ellie".
Demelza
ci mise un attimo a capire a chi si riferisse, ma poi scosse la
testa, sfiorandogli la mano. "E infatti lui non ha Ellie. Ross,
Hugh non ha mai fatto nulla per lei e non sarà mai davvero
sua.
Ellie è mia e di chi mi vuole bene. E' un po' figlia di
Dwight che
mi ha aiutata a metterla al mondo, è la bimba delle persone
che al
villaggio la fanno giocare e ridere e stanotte è stata tua.
Tu te ne
sei preso cura, non Hugh. Ed è per te che ha pianto, poco
fa! Prima
hai detto che è ora di smetterla di punirsi per gli errori
passati e
hai ragione, dovremmo smetterla di farlo. Tutti e due".
Era
difficile per lui capire il pieno significato delle parole di
Demelza, era troppo presto per farle sue, ma gli piaceva come lo
facevano sentire. Osservò la bimba e dopo tanto, finalmente,
in lei
non trovò tracce di Armitage. E anche per lui, da quel
momento, fu
solo la bimba di Demelza.
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Capitolo 26 *** Capitolo ventisei ***
Eleanor
ci aveva messo più di due settimane per riprendersi
completamente
dal morbillo e Ross aveva aspettato che guarisse completamente per
prendere un nuovo appuntamento da Pascoe per la cessione dei terreni.
Si
era fatto marzo, nel frattempo, e le giornate si erano
impercettibilmente allungate e riscaldate, con un pallido sole che
ogni tanto faceva capolino fra una pioggia e l'altra. Si annunciava
una primavera piovosa, ma il giorno scelto per l'atto notarile era
sereno e con un cielo di un azzurro intenso.
Avevano
deciso di trovarsi a Truro, di portarsi dietro tutti e tre i bimbi e
di passare poi la giornata nel parco a fare un pic-nic con loro.
Demelza
era serena e si sentiva leggera quel giorno, mentre si incamminava
verso Truro con la piccola Eleanor che le saltellava a fianco.
La
bimba sembrava cresciuta di colpo dopo la febbre, ed era tornata
vivace e chiacchierona come sempre. Diventava ogni giorno sempre
più
bella, i capelli biondi le rilucevano sotto i raggi del sole e a
giorni avrebbe compiuto due anni. Sembrava più grande e
sveglia
della sua età, era socievole, divertente e buffa e anche il
rapporto
con Ross, dopo la notte passata assieme, era cambiato. Non ne aveva
più timore ma anzi, spesso, gli chiedeva di lui nei giorni
in cui
non lo vedeva.
Era
inseparabile dal tricorno che lui le aveva regalato e anche quel
giorno aveva voluto portarselo dietro. Era grande per lei, gli cadeva
continuamente sul viso coprendole gli occhi ma, ostinatamente, non
aveva voluto levarselo. Le aveva proposto un cappellino di lana fatto
da lei, ma la piccola aveva detto un sonoro no! E si era dovuta
arrendere...
Appena
arrivate a Truro, Demelza vide suo marito e i bambini che la
aspettavano davanti alla locanda concordata per l'appuntamento.
Clowance e Jeremy le corsero incontro mentre Eleanor, con la manina,
salutò Ross.
Suo
marito le si avvicinò, sorridendole. "Bene, oggi nessun
bambino
malato! La giornata volge al meglio!".
Rispose
al suo sorriso. "Beh, entro sera sarai più povero e con meno
terra".
"In
fondo non ci serve, non è grave" – rispose lui,
strizzando
l'occhio ai figli.
Eleanor
gli tirò la redingote, per attirare la sua attenzione.
"Ross".
"Dimmi".
La
piccola gli prese la mano, stringendola nella sua. "Vojo tare
con te".
"Vuoi
che ti tenga per mano?".
"Sì".
Demelza
scosse la testa. Non era gelosia la sua, ma non voleva che Eleanor si
legasse troppo a Ross e divenisse per lui un obbligo. "No Ellie,
vieni, dalla a me la mano".
"No"
– protestò la bimba.
Ross
sospirò, forse capendo il perché della sua
riluttanza. "Non
c'è problema, so come si tiene una bambina per mano. E i
nostri
figli non vogliono più darmela, dicono di essere grandi per
queste
cose".
Jeremy
annuì. "Certo, ho sette anni!".
"E
io quattro" – aggiunse Clowance. "Ellie invece ne ha
uno".
"Due!"
- la corresse la piccola.
Ross
si accigliò, guardando Demelza. "Da quando ne ha due?".
"Li
compirà il ventuno di questo mese, il primo giorno di
primavera".
Ross
osservò la bimba che teneva per mano. "Perché non
me l'hai
detto?".
Demelza
alzò le spalle. "Avrei dovuto?".
Lui
parve pensarci sopra un attimo, al significato di quella domanda.
Poi, sospirando, strinse la manina di Ellie. "Beh, uno o due non
fa differenza, sono comunque pochi. Tienimi la mano e andiamo da
Pascoe. E voi due" – disse, rivolto ai figli –
"State
vicini alla mamma".
Ellie,
felice, saltellò al suo fianco. Ross la spinse vicino a lui,
osservando quanto fosse tornata ad essere allegra e vivace, dopo il
morbillo. "Sei guarita, è?".
"No!"
- ribatté la bimba, seria.
"Come
no?".
Ellie
gli lasciò la mano e, prima che lui e Demelza potessero
fermarla, si
tirò su il vestitino, scoprendosi la pancia. In mezzo alla
strada e
a tanta gente che li guardava attonita. "Guadda!" - ordinò
a Ross, mostrandogli un puntino rosso che resisteva accanto al suo
ombelico.
Ross
arrossì fino alla punta dei capelli. "Nooo! Eleanor, non si
fa!
Non ci si alza il vestitino in mezzo alla strada, facendosi vedere
mezza nuda da tutti".
"Pecché?".
"Perché
no! Le bambine brave ed educate non lo fanno!". Cercò con lo
sguardo Demelza per farsi aiutare in quella missione educativa, ma
sua moglie e gli altri due bambini se la ridevano della grossa. Santo
cielo, possibile che fosse l'unico ad avere senno in quella
famiglia? "Demelza?" - sbottò – "Dille qualcosa!".
Sua
moglie, ridacchiando, strinse a se i figli. "Che dovrei dirle,
scusa?".
Ross
la guardò storto. "Santo cielo, sto cercando di preservare
la
rispettabilità di tua figlia. Devi insegnarle che queste
cose non si
fanno".
Demelza
osservò Ellie che, attonita, non ci stava capendo niente.
"Ross,
non ha ancora due anni e dubito che conosca il concetto di pudore.
Non lo fa con malizia, è una bambina".
Ross
sbuffò. "Lo so che non lo fa con malizia. Ma...".
Guardò
la piccola, riprendendola per mano e sistemandole il vestitino.
"Ellie, non dar retta a tua madre! E non farlo più".
"Pecché?
Io volevo fatti vedere il puntino".
Lui
scosse la testa, esasperato. "Me lo farai vedere a casa".
"Sì".
"Solo
a me, mamma, Clowance e Jeremy. Capito?".
"E
Dwight?" - chiese la bimba.
Ross
alzò gli occhi al cielo. "Sì, a lui
sì! E ora andiamo da
Pascoe o penserà che lo abbiamo nuovamente bidonato.
Ricordate, cosa
dovete fare?" - chiese ai figli.
Clowance,
tutta seria, si mise le mani sui fianchi. "Sì, zitti,
seduti,
in silenzio e senza toccare niente".
Demelza
sentì di aver voglia di ridere nuovamente. "Sembrano ordini
da
militare".
"Ero
un militare!" - la corresse Ross.
Lo
guardò, era talmente serio da apparirle quasi buffo. "Agli
ordini, capitano" – gli disse, quasi provocandolo. Se ne
accorse solo in quel momento, che stava pericolosamente flirtando con
lui.
Forse
se ne accorse pure Ross, perché per un breve istante la
guardò
intensamente. Poi, richiamato dal chiasso della piccola del gruppo,
si chinò e la prese in braccio. "Ti tengo io, almeno non
combinerai guai".
Era
strano, era da tanto che non uscivano tutti insieme e Demelza si
sentiva leggera. Non stavano facendo nulla di strano, una normale
passeggiata di famiglia, ma per loro che il concetto di
normalità
l'avevano perso da tanto, essere insieme, ridere insieme e stare bene
insieme, aveva dello straordinario.
Quando
andarono da Pascoe, i bimbi furono bravissimi. Si sedettero su una
grossa poltrona e passarono il tempo sfogliando un libro mentre
Demelza e Ross si intrattenevano col notaio.
Demelza
si sentiva strana. Stavano facendo una cosa di 'coppia', un qualcosa
come marito e moglie ed era una sensazione che risvegliava in lei
nostalgia, tenerezza e tristezza.
Pascoe
aveva osservato i bimbi col suo solito fare bonario, senza fare
domande imbarazzanti, dimostrandosi come sempre un buon amico e una
persona intelligente e cordiale. A Demelza ricordava Henshawe ed era
felice che Ross lo avesse come amico. E sperava che pure con Dwight,
prima o poi, le cose si risolvessero.
Firmarono
l'atto e poi, liberi da ogni impegno, uscirono coi bambini, diretti
al bosco vicino a Truro.
Demelza
osservò i negozi, quei negozi dove spesso si era recata con
Ross in
passato, fin dai tempi in cui era la sua sguattera.
Era
un salto nel tempo, quella passeggiata... Solo la piccola Eleanor,
che dopo essere usciti dal notaio era voluta venirle in braccio, le
ricordava che tutto era cambiato.
Clowance
e Jeremy, avanti a loro di alcuni passi, giocherellavano e
chiacchieravano per strada mentre Ross pareva tranquillo, rilassato e
a proprio agio.
"Ora
che succede, coi terreni?" - gli chiese, incuriosita da cosa
potesse avvenire dopo le loro firme.
"In
realtà, niente. Son già dei miei minatori che ci
vivono,
semplicemente abbiamo legittimato la cessione e l'abbiamo resa
ufficiale".
Demelza
fece per rispondere quando si bloccò, diventando di
ghiaccio. Da una
merceria, vestita con abiti eleganti, raffinati e alla moda,
uscì la
figura eterea e perfetta di Elizabeth Warleggan. Non era sola,
c'erano George e il figlio con lei.
Vide
Ross irrigidirsi e lei fece altrettanto. Non la vedeva da anni e non
aveva mai incontrato il piccolo Valentine...
Quel
bimbo coi suoi boccoli neri e l'espressione famigliare,
risvegliò in
lei tutte le sue paure più profonde. Si trovò a
tremare,
impercettibilmente, mentre la dolcezza di quella giornata si
trasformava in fiele.
Eccola,
la donna amata da Ross... Per alcuni brevi istanti, in quel giorno,
si era come dimenticata della sua esistenza fra loro, da sempre...
E
si sentì di troppo, come se fosse stata un'estranea in
quella
situazione. In quel momento pensò di avere un qualcosa in
comune con
George, erano entrambi degli intrusi in quell'amore forte e segreto.
"Demelza"
– la chiamò Ross, notando che era impallidita.
Lei
si morse il labbro, non sapendo che rispondere. E in quel momento le
mancò il fiato quando vide George Warleggan venire verso di
loro,
trascinandosi dietro il bambino e una riluttante Elizabeth,
evidentemente in imbarazzo quando lei.
"Ross
Poldark, vi si vede anche quì! Piccolo il mondo" –
disse
George, col solito modo di fare altezzoso e provocatorio.
Ross
rispose a tono, sprezzante. "Purtroppo per me, sì".
George
incassò senza ribattere, annuendo infastidito. Poi si
rivolse a
Demelza, con un sorriso falso sul viso. "Signora Poldark, erano
anni che non vi si vedeva in giro. Si sussurrava che foste fuggita
all'estero con un minatore. O con qualche ipotetico amante...".
Osservò la piccola Ellie che, di sbieco, guardava in
cagnesco i
nuovi arrivati. "Bella bambina! Incredibile come voi donne del
popolo rimaniate incinta con tanta facilità. Ma dopo tutto,
accanto
a uomini senza morale come quelli che lavorano o gestiscono le
miniere...".
Demelza
fece per rispondere a tono, odiava George e odiava il suo modo di
fare. Ma suo marito le sfiorò il polso, bloccandola. E forse
era
meglio così, forse era meglio stare zitta, finire in fretta
e
andarsene lontano da tutto quello e dallo sguardo indagatore e
insistente di Elizabeth su di lei.
Ross
guardò George negli occhi, viso a viso. "La
facilità con cui
le donne del popolo rimangono incinta da uomini che appartengono al
mondo delle miniere è proporzionale alla
difficoltà con cui invece
le donne aristocratiche devono convivere per avere figli da uomini
ricchi".
Demelza
trattenne il fiato, Elizabeth divenne rosso fuoco e George assunse
un'espressione furente e il suo viso parve sul punto di esplodere
dalla rabbia, a quelle parole.
Demelza
guardò Ross, a bocca aperta, chiedendosi a cosa si riferisse
con
quella frase. Stava cercando di difendere lei ed Ellie? O stava
irritando volutamente George, facendogli intendere che forse quel
bimbo che era con lui non era un prodotto del suo mondo dorato ma di
un uomo che arrivava dal mondo delle miniere?
Ross
stava giocando sull'ambiguità e questo la feriva.
Sospirò,
allontanandosi da lui, da loro, da tutta quella conversazione
surreale. Chiamò a se Jeremy e Clowance e coi bambini, a
passo
spedito e mentre gli occhi le bruciavano, si avviò verso il
bosco.
Forse Ross la chiamò per fermarla, ma ignorò la
cosa e proseguì.
Non
si voltò a vedere come fosse finita fra Ross e i Warleggan,
non le
interessava. Era solo irritata verso se stessa per quel dolore che
sentiva dentro... Vedere Elizabeth aveva riaperto mille ferite e le
aveva ricordato perché se ne fosse andata da Nampara e
perché non
doveva farsi illusioni. Ross apparteneva ad Elizabeth. Lei era bella,
elegante e la madre di uno dei suoi figli... Come poteva competere?
Con tanta bellezza, perfezione e classe, non aveva mai avuto mezza
chances dall'inizio.
"Mamma,
cosa c'è?" - gli chiese Jeremy, preoccupato, appena furono
nel
primo spiazzo del bosco. "E papà?".
"Papà
arriva subito, siamo andati solo avanti per vedere dove pranzare"
– gli rispose, frettolosa. Voleva rimanere sola un attimo,
riprendere fiato e possesso di se stessa e delle sue emozioni, non
poteva permettere che i bimbi la vedessero in quello stato. Mise a
terra Ellie che la guardava preoccupata, affidandola ai due figli
più
grandi. "Su, andate a perlustrare e poi venite qui a dirmi dove
volete mangiare".
"Dove
vogliamo?" - chiese Clowance.
"Certo
amore, dove più vi piacerà. La in fondo
c'è un ruscello, andate a
vedere se vi piace e se c'è posto per un pic-nic".
I
bimbi annuirono, anche se poco convinti. Si erano accorti che
qualcosa non andava e doveva tornare quanto prima a sorridere e a
essere serena per loro.
Quando
si furono allontanati, si appoggiò al tronco di un albero,
cercando
in quella pace una sua pace. Si rimproverò di star tanto
male, aveva
giurato a se stessa che Ross ed Elizabeth non sarebbero stati
più un
suo problema ed invece... Ed invece era una povera stupida che in
fondo, dentro di se, ci sperava ancora! Eppure la verità era
davanti
ai suoi occhi, nella bellezza di Elizabeth, nei capelli neri del
piccolo Valentine e nell'atteggiamento di Ross per cui tutto passava
in secondo piano, quando il suo primo amore era accanto a lui.
Pensava
che suo marito si fosse attardato con i Warleggan, ma
improvvisamente, col fiatone, se lo trovò a fianco, che la
guardava
con nervosismo. "Che diavolo ti è preso?" - le chiese,
adirato.
Rimase
di stucco, non si era accorta che l'avesse seguita. "Mi sentivo
di troppo" – disse, freddamente.
Ross
la guardò con aria di rimprovero. "Dove sono i bambini?" -
chiese, con voce fredda.
"Al
torrente, stanno cercando un posto dove fare il pic-nic".
Lui
le prese il polso, attirandola a sé. "Demelza,
perché sei
scappata così? George è da sempre sgradevole ma
non ti sei mai
comportata in questo modo".
Lo
guardò negli occhi, furente. "Credi sia andata via per
George?
Avanti Ross, non fare l'ingenuo".
L'uomo
sospirò. "Elizabeth? E' per lei, è lei il tuo
problema?
Ancora?".
Sorrise
tristemente, come poteva non capire...? "Elizabeth...
Valentine... Ti somiglia tanto, sai? Era vero quello che ho sentito
dire in giro, di lui".
"Non
ha importanza, non è mio figlio! Porta il cognome Warleggan".
Demelza
cercò, inutilmente, di liberarsi dalla stretta. "Il suo
cognome
non ha importanza, è chiaramente tuo!".
Ross
ci pensò un attimo prima di rispondere, poi con modi
più gentili,
le accarezzò una guancia, cercando di tranquillizzarla.
"Senti,
ricordi il bel discorsetto che mi hai fatto a Natale su Eleanor e
Hugh e sul fatto che generare un figlio non significhi esserne
genitore?".
"Sì".
"Beh,
se vale per te, perché non dovrebbe valere per me? Io non
conosco
Valentine, è la seconda volta che lo vedo e non provo niente
per
lui! NIENTE! Potrai pensare che è orribile ma non posso
amare un
perfetto sconosciuto. Quando parlavi di Hugh ed Ellie, ho capito che
avevi ragione, che lui non poteva essere il padre di quella bimba per
gli stessi motivi per cui io non posso essere il padre di Valentine".
Per
un attimo, Demelza rimase senza parole. In fondo, come poteva
controbattere? Era vero, se Ross non frequentava Valentine, per lui
valeva lo stesso discorso di Hugh verso Ellie. Però,
Elizabeth... "E
quello che hai detto sulla gravidanza? Non era un messaggio nascosto
– o forse non molto nascosto – verso Elizabeth,
George e la
paternità del bambino?".
Ross
spalancò gli occhi, mentre sul suo viso comparve un timido
senso di
colpa. "Non è come pensi, non l'ho detto per questo!".
"E
allora perché?".
Suo
marito chinò il capo, come alla disperata ricerca delle
parole
giuste. "Quel mio incontro al cimitero con Elizabeth... Quando
poi te ne sei andata... Lo ricordi?".
Demelza
sorrise amaramente. "Certo".
"Le
chiesi scusa per il mio comportamento e le dissi addio. E' vero, l'ho
baciata quella volta ma non erano baci d'amore fra due amanti. So che
non mi credi e so che forse non ho nemmeno il diritto di essere
creduto, ma era così! Lei era molto giù quel
giorno, disse che
George dubitava della paternità del bambino e, conoscendo il
mostro
che ha sposato, immagino quanto ne fosse angosciata. E così
le ho
consigliato di avere un altro figlio e di fare in modo che il parto
sembrasse prematuro come quello di Valentine. Si, insomma, fare un
po' di confusione con le date, voi donne sapete come fare, no?".
A
quell'ammissione, Demelza spalancò gli occhi. Santo cielo,
lo
avrebbe ucciso! "Ross, come hai potuto suggerirle una cosa
così
idiota?".
"E'
l'unica strada che ha per uscirne!" - si schernì lui, come a
giustificarsi.
Demelza
scosse la testa, esasperata. "Santo cielo...".
Lui
proseguì nella sua spiegazione. "E visto che son passati tre
anni e ancora lei non è incinta, mi è uscita
quella battuta. Ma non
mi riferivo a Valentine".
Per
qualche strano motivo gli credette. Beh si, era forse da Ross dare un
suggerimento così cretino e quindi non stava mentendo.
Però...
"Scusa, non volevo perdere le staffe. Avevo giurato a me stessa
di star fuori dalla tua storia con Elizabeth ma vederla...".
Ross
sospirò, prendendola per la vita. "Io non ho una storia con
Elizabeth, testona!".
"La
ami?".
"No.
Non nel senso del vero amore. E' un affetto del passato, questo
sì.
Ma non è amore. Un giorno mi crederai?".
Già,
un giorno avrebbe trovato il coraggio di credergli? "Non lo so,
ci vuole forza per farlo".
"E
tu sei sempre stata la più forte fra noi. Mentre ora
tremi...".
Demelza
sorrise amaramente, non si era accorta di tremare. "C'è
voluto
coraggio per andarmene da Nampara quel giorno, e ce ne vorrebbe
ancora di più per credere possibile un mio ritorno. Ci
abbiamo già
provato a ricominciare ma non ha funzionato e io so che non ho
più
la forza di altre delusioni. Mi ucciderebbe, Ross. E non posso
permetterlo".
Lo
sguardo di Ross parve disperato. "Perché non dovrebbe
funzionare?".
"Perché
lei è bella, elegante, raffinata. Il tuo primo amore... E'
sempre
stata fra noi e io non posso competere con lei. So che mi hai amato,
ma so anche che il tuo cuore non mi è mai appartenuto
interamente e
che era per lo più suo. Come potresti amarmi, dimenticando
lei?
Soprattutto ora, che c'è Eleanor fra noi...".
Ross
la guardò negli occhi con quel suo sguardo penetrante. C'era
ardore
nel suo sguardo, desiderio, frustrazione e disperazione. Sembrava
sentirsi in trappola quanto lei... "C'è un modo, sai, per
farti
capire che è te che voglio".
Avrebbe
voluto chiedergli quale, ma Ross non gliene diede il tempo. Si
chinò
su di lei, bloccandola fra il suo corpo e la pianta, baciandola sulle
labbra con una passione tale che lei non riuscì a reagire.
Le loro
labbra si ritrovarono come per incanto, come se non fossero passati
anni dall'ultima volta in cui si erano toccate. Ross sembrava volerla
fondere in se, il suo bacio era passione e disperazione, desiderio e
possesso. Quando si staccò, col fiato corto, la
guardò negli occhi.
"Credi che ti bacerei così, se stessi pensando ad
Elizabeth?".
Rimase
attonita, rimproverandosi per non averlo respinto. Si sentiva ancora
le labbra calde, formicolanti... Solo Ross sapeva farla sentire
così... Avrebbe dovuto arrabbiarsi, respingerlo, ma in lei
avvertiva
lo stesso desiderio che aveva sentito in lui. Dannazione, lo voleva e
doveva allontanarlo! Era giusto così, non poteva funzionare!
"Non
avresti dovuto farlo" – sussurrò.
"Ma
non mi hai cacciato" – ribatté lui.
Demelza
guardò verso il torrente, dove giocavano i loro figli. "Ci
sono
anche i bambini, accidenti!".
"Non
ci hanno visto!". Le prese la mano, stringendola. "Demelza,
un giorno, riuscirai a ritrovare il coraggio di credere in noi?".
"Non
lo so, mi spiace. E' tutto troppo diverso, ora...".
Ross
abbassò il capo. "E riuscirai a credere almeno che ti amo? E
che non amo Elizabeth?".
Suo
malgrado, gli sorrise. "Credo che ti darò il beneficio del
dubbio".
Lui
sospirò. "Sei arrabbiata?".
"Per
cosa?".
"Per
il bacio".
Demelza
ci pensò su. "Vorrei esserlo" – rispose, vaga. In
realtà
non lo era... E per questo si rimproverava! Avrebbe voluto essere
baciata ancora e si chiese per quanto si sarebbero resistiti. Ma
coraggiosamente, riacquistando padronanza di se, si tenne quei
pensieri per se stessa. "Andiamo dai bimbi?".
"Sì".
Ross la seguì e nel suo sguardo, Demelza lesse le stesse
domande che
si agitavano in quel momento nel suo animo.
Per
quanto si sarebbero resistiti, ancora? E a cosa avrebbe portato tutto
questo?
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Capitolo 27 *** Capitolo ventisette ***
Non
doveva recarsi ad Illugan quel giorno ma era dal pic-nic che non
vedeva Demelza ed erano passate già due settimane da quel
bacio che,
d'istinto, le aveva dato nel bosco.
Dopo
si era tenuto un po' alla larga per darsi e darle tempo di riordinare
le idee sul loro rapporto. Era confuso quanto lei, non sapeva se
fosse giusto desiderarla a quel modo e nemmeno se baciarla fosse
stata una mossa azzeccata e corretta.
Però
era stato magico e meraviglioso baciarla di nuovo, dopo tanto
tempo... Era stato come sentirsi a casa, in pace, a proprio agio e in
estasi... Ed era stato un semplice bacio. Si chiese se anche lei si
fosse sentita così e sapeva che non avrebbe mai avuto il
coraggio di
chiederglielo. Era strano per loro che, una volta, parlavano di
tutto, ma da quando lei se n'era andata da Nampara era cambiata molto
e in certi frangenti era come avere davanti una persona nuova e
sconosciuta, da studiare prima di far qualsiasi cosa...
Dopo
quel giorno poi, c'era altro che li aveva tenuti lontani.
Una
violenta ondata di maltempo aveva colpito la Cornovaglia con pioggia
forte, incessante e ininterrotta. Pioveva da dodici giorni, i fiumi
erano ingrossati e la gente del posto era preda di forti
preoccupazioni. Il mare era grosso e non si poteva uscire in barca
per pescare ma erano i fiumi a destare massima preoccupazione.
Ingrossati, vorticosi e al limite, con tutta quella pioggia
minacciavano di esondare e allagare ogni cosa.
E
Demelza viveva in quel bosco, a pochi metri da un ruscello che ormai
doveva essere saturo d'acqua.
Fu
questo a spingerlo ad andare da lei. Aveva lasciato i bambini alle
cure di Prudie e a cavallo, sfidando la pioggia, coperto da un
pesante mantello, si era diretto ad Illugan per controllare lo stato
del ruscello ed eventualmente arginarlo con dei massi. Se solo quella
dannata testarda di sua moglie avesse smesso di vivere tanto isolata,
non avrebbe avuto addosso tutta quell'ansia!
Quando
arrivò nel bosco, a pochi metri dalla casa, si accorse
però che le
sue paure erano in parte infondate. Come suo solito Demelza non era
stata con le mani in mano ed aveva arginato il torrente, nei punti
più pericolosi, con dei grossi massi che ne deviavano
l'eventuale
fuoriuscita d'acqua.
Sospirò,
rinfrancato. Doveva aspettarselo da lei!
Ma
il cielo era minaccioso, pioveva ancora incessantemente ed era meglio
andare a vedere come andassero le cose.
Bussò
alla porta, chiamandola, non sapendo bene come rapportarsi a lei e
come si sarebbe comportata con lui, dopo quanto successo fra loro.
"Ross?"
- urlò una voce, da dentro.
Sorrise,
Demelza aveva un tono di voce allegro e rilassato, non pareva
contrariata dal suo arrivo, né tanto meno in imbarazzo.
"Posso
entrare?".
"Certo".
Entrò.
Il camino era quasi spento ma in casa c'era un calore piacevole.
Demelza aveva indosso una mantella, così come la piccola
Eleanor
che, seduta sul tavolo, si stava facendo infilare degli stivaletti da
sua madre. Sembravano in procinto di uscire.
La
bimba gli fece un grandissimo sorriso, agitando le gambette nel
vuoto, tanto che Demelza fece fatica a infilarle gli stivali. "Ross!"
- esclamò, allungando le braccia verso di lui.
Ross
si avvicinò alle due, stupito. "State uscendo? Con questo
tempo?".
Demelza
si voltò verso di lui, sospirando. "Devo andare al villaggio
a
ritirare la paga per il lavoro svolto in queste settimane. E sono
d'accordo con le famiglie per cui lavoro per dare una mano a
rinforzare gli argini del fiume. Hai visto come piove? Ho dovuto
mettere dei massi pure quì fuori, vicino al ruscello per
evitare di
avere l'acqua in casa".
Sì,
aveva visto, accidenti a lei! Ma l'idea che sua moglie uscisse con
quel tempo da lupi lo infastidiva, nonostante tutto fosse sotto
controllo. "Vai al villaggio con la bambina? Ma hai visto che
tempo c'è? Dove la lasci mentre lavori vicino al fiume? E'
pericoloso".
Demelza,
del tutto calma e tranquilla, abbottonò la mantellina rossa
di
Eleanor. "La lascio da Miss Marple. È una sarta come me,
lavoro
spesso con lei. Ha otto figli piccoli ed Eleanor gioca volentieri con
loro. Siamo già d'accordo".
"Ross".
La
vocina di Ellie, che voleva attirare la sua attenzione, lo distolse
da quella conversazione. "Che c'è, piccola peste?".
Ellie
allungò le manine verso di lui. "Accio".
Sospirò.
"Vuoi venire in braccio?".
"Sì".
La
prese, sollevandola. La bimba gli mostrò Kiky, che teneva
fra le
braccia. "Bacino!".
"Al
tuo coniglio?".
"Sì".
"Non
lo vorresti tu, un bacino?".
"Nnnno!".
Stando
al gioco, mentre Demelza li guardava divertita, Ross diede un bacio
al coniglietto. "Ma dove te lo porti?".
Sua
moglie intervenne, lanciandogli un'occhiataccia. "Ho dovuto
contrattare con lei, accidenti a te! Non voleva mettere la mantella
di lana per tenersi in testa il tuo tricorno e per convincerla ho
dovuto concederle di portare Kiky in cambio del cappello. Tu invece,
che ci fai quì?".
Ross
la guardò storto, mettendosi la bimba sulle spalle. "Sono
quì
perché quella sconsiderata di mia moglie vive in un posto
isolato a
rischio inondazione e sono venuto a vedere se per caso fossi
affogata".
"Che
esagerato! Vivo vicino a un ruscello, non sulle rive del Tamigi".
"Il
ruscello sta per straripare!" - obiettò lui, pensando a come
quel botta e risposta avesse il sapore di tempi antichi e di un
rapporto che gli mancava come l'aria.
Demelza
si avvicinò, per riprendersi la figlia. "Su, dammela! Devo
andare e sono già in ritardo e come vedi, va tutto bene".
"Vuoi
una mano?" - chiese. Non aveva voglia di andarsene.
Demelza
ci pensò un attimo, come ponderando una risposta. "Vorrei
che
smettesse di piovere, di questo avremmo bisogno, ma siccome non
succede, se vuoi venire al villaggio con me per dare un aiuto, sei il
benvenuto. La situazione rischia di diventare grave, con questa
pioggia".
"Sicura?".
"Sì
certo, perché non dovrei esserlo?".
Ross
si grattò il mento, imbarazzato. "Beh, non ero
così certo che
fossi contenta di vedermi, dopo... dopo...".
Demelza
capì, senza che lui finisse la frase. "Pensavi che fossi
arrabbiata con te?".
"Non
sapevo che pensare".
Inaspettatamente,
lei gli prese la mano, stringendola fra le sue dita. Era calda, dolce
e gentile, in quella stretta. "Vorrei fare l'orgogliosa e dirti
che no, non lo avresti dovuto fare! E forse è
così, però...".
"Però?".
"Però
in questi ultimi tre anni, nessuno ha mai avuto per me gesti di
affetto e mi ha fatto piacere averne ricevuto uno da te".
Questo
gli gonfiò il cuore di gioia. Sapeva quanto dovessero
costargli
quelle parole e trovò tenero il fatto che fosse arrossita
nel
pronunciarle... In fondo non era cambiata poi così tanto.
"Buono
a sapersi" – rispose, in tono leggero.
Lei
ricambiò il suo sguardo, decisa. "Questo non significa che
puoi
rifarlo! Non era un invito".
Non
rispose, ma si sentiva leggero e sereno. E forse, nonostante le
parole di lei, ci avrebbe anche riprovato...
Rifiutò
di dargli la bimba e, al contrario, la tirò giù
dalle sue spalle,
nascondendola sotto il suo mantello. "Ellie, sta qua sotto al
coperto, così non ti bagni. Ora io, tu e la mamma facciamo
un giro a
cavallo fino al villaggio".
Eleanor
spalancò gli occhi, sorpresa e forse spaventata. "Tavallo?
Io
c'ho palura però".
Era
fantastica, riusciva sempre a farlo ridere con quel suo modo buffo di
parlare. "Fidati di me, so come si fa a non cadere".
"Mamma"
– disse, cercando Demelza con lo sguardo. Beh, forse non si
fidava
per niente, nonostante le sue raccomandazioni...
Lei
la rassicurò. Uscirono fuori, sotto la pioggia battente,
Ross con la
bimba fra le braccia e Demelza davanti a lui, in sella.
Il
tempo era pessimo, il cielo di un grigio cupo e carico d'acqua e Ross
faticò per tenere il cavallo ed impedirgli di scivolare sul
fango.
Ampie pozzanghere lastricavano la strada di campagna che portava ad
Illugan e la pioggia era talmente forte che, d'istinto, strinse a se
Demelza e la bimba per fare in modo che non si bagnassero troppo.
Giunti
al villaggio, si accorse che la situazione era pessima. I rigagnoli
d'acqua che correvano fra le case si erano ingrossati e alcune
baracche erano già invase dall'acqua. Illugan era un
villaggio
povero, la maggior parte delle persone vivevano in abitazioni di
legno fatiscenti e non avevano la possibilità di spostarsi
altrove,
se la situazione fosse degenerata.
Arrivarono
da Miss Marple e alla finestra si affacciò una nidiata di
bimbi dai
capelli biondi e rossi, col viso da monelli e i vestitini mezzi
stracciati. La casa era più grande delle altre, anche se di
certo
non abbiente. Una piccola veranda riparava l'ingresso dalla pioggia e
la padrona di casa, l'amica e collega di Demelza, arrivò ad
aprir
loro con un neonato fra le braccia e un bimbo moccoloso sui due anni
attaccato alla gonna. Eleanor le fece un ampio sorriso, era palese
che con quelle persone si trovasse bene, e Demelza affidò la
piccola
senza particolari problemi. "Torneremo prima di sera a
prenderla" – disse solamente.
La
ragazza, che aveva forse trent'anni ma un viso ancora da bambina,
nonostante tutto, annuì. "Grazie Demelza e grazie a voi
signore, per l'aiuto che ci date. Se solo non dovessi allattare e non
avessi tanti bambini in giro per casa, verrei pure io al fiume con
voi a dare una mano".
Demelza
scosse la testa. "Tu ci stai dando un aiuto quì, curando i
nostri figli assieme ai tuoi. Non preoccuparti, ognuno fa la sua
parte per quel che può".
Ross
la osservò in silenzio. Demelza aveva trovato un suo mondo e
una sua
rete di conoscenze in quel posto, un aiuto, amicizia e una sua
indipendenza. Era apprezzata e amata, così come la piccola
Eleanor
che, felicemente, giocava con quei piccoli bimbi senza denaro e
probabilmente futuro, considerandoli suoi compagni e suoi pari. Per
un attimo pensò al grande divario, almeno su carta, fra
Ellie e quei
piccoli di Illugan. Per legami di sangue, la bimba di Demelza faceva
parte dei Boscawen, uno dei casati più importanti e ricchi
di Londra
e probabilmente dell'intera Inghilterra... Se fosse stata
riconosciuta e legittimata, avrebbe avuto abbastanza denaro e potere
per guardare quelle persone dall'alto in basso. Questo faceva male e
faceva paura, da pensare... Anche perché, per fortuna, la
piccola
Ellie era quanto di più lontano esistesse dalla ricchezza e
dal
potere delle grandi famiglie d'Inghilterra.
Fu
felice che Demelza fosse stata tanto forte e orgogliosa da rifiutare
ogni legame con quelle persone e che, nonostante le mille
difficoltà
incontrate, stesse crescendo la piccolina da sola. Ed Ellie era un
prodotto di Demelza e del suo mondo, una bimba allegra, spontanea,
chiassosa e che si accontentava di un nulla, per essere felice.
Si
avvicnò a Demelza, appoggiandole la mano sulla spalla. "Su,
andiamo?".
Lei
annuì. "Si. Direi di lasciare qui il cavallo, saremo
più
liberi. Miss Marple ce lo terrà volentieri".
La
donna annuì. "Sì, legatelo quì sotto
il porticato, starà
all'asciutto. Incaricherò i bambini più grandi di
dargli del fieno,
più tardi".
Accettò.
Salutarono Ellie, promettendole che sarebbero tornati prima di sera e
poi, a piedi, si diressero verso il fiume.
Già
in lontananza lo si sentiva vorticare, l'onda di piena era arrivata e
gli argini erano al collasso e prossimi a cedere.
Si
guardarono negli occhi, dicendosi silenziosamente che dovevano darsi
da fare.
Molti
uomini erano impegnati a mettere sacchi di sabbia e pietre sulle
rive, urlavano ordini e imprecavano contro la pioggia battente ma le
loro voci irose erano in parte coperte dal frastuono del vento e
della pioggia, oltre che dallo scorrere irrefrenabile del fiume.
"Ser
Dalton" – urlò Demelza a un uomo in la con gli
anni che
spostava un sacco di sabbia – "Sono quì e con una
mano amica
in più ad aiutarci. Che devo fare?".
L'uomo,
un tizio grassoccio e calvo, alzò la mano in segno di
saluto.
"Brava, sei arrivata davvero! Visto che non sei sola e qui siamo
già in tanti, tu e il tuo amico potreste spostarvi verso la
periferia. Ancora nessuno è andato da quelle parti per
vedere gli
argini e c'è un punto, sotto al ponticello di St. Arthur,
che è più
basso degli altri. Se il fiume cercasse una valvola di sfogo per
esondare, quello sarebbe il posto ideale. È una spiaggetta
piccola,
in due dovreste farcela ad alzare l'argine con delle pietre".
Demelza
annuì e dopo un'occhiata di intesa con Ross, si diressero a
grandi
falcate verso la periferia.
Ross
la seguì, da quelle parti l'esperta era lei e lui non aveva
idea di
come muoversi e di come riconoscere il posto indicato da Ser Dalton.
Giunsero
in campagna, sorpassando le ultime baracche, mentre lui, silenzioso,
pensava a come la povera gente, nelle grandi difficoltà,
fosse
sempre pronta a darsi una mano e a sostenersi per superare i momenti
difficili. Fosse stato così anche fra i grandi ricconi del
Parlamento, l'Inghilterra sarebbe stato un posto meraviglioso dove
vivere.
Giunsero
al ponticello, erano in aperta campagna e c'era solo una baracca
abbandonata da quelle parti dove ripararsi, se il tempo fosse
peggiorato. Erano entrambi fradici e i loro mantelli, pesanti ormai
come sacchi di cemento, potevano essere strizzati per quanta acqua
avevano assorbito.
Demelza
però, non sembrava in difficoltà. E a lui venne
da sorridere. Il
tempo era pessimo, erano bagnati, infreddoliti, soli e in aperta
campagna con a pochi metri un fiume che poteva straripare da un
momento all'altro e lui era contento. Era stupidamente e allegramente
contento! Erano anni che lui e lei, da soli, non combattevano per una
causa comune, non lavoravano fianco e fianco e si parlavano con
quella leggerezza e quella spontaneità che aveva scorto in
quel
giorno. Era strano ma avvertiva che per la prima volta, fra loro, non
c'erano i fantasmi di Hugh ed Elizabeth a dividerli ma semplice
voglia di collaborare insieme per un fine comune. Ed era bello,
avrebbe voluto che quella pioggia non finisse mai...
"Ross!"
- lo richiamò Demelza, riportandolo alla realtà.
Era arrivata al
ponticello, a pochi metri dalla riva, e lo guardava spazientita. "Che
ci fai lì impalato? Mica ti ho portato fin qui per ammirare
il
paesaggio!".
"Oh,
scusa" – rispose, preso in castagna. Scese la scarpata e la
affiancò, dando uno sguardo preoccupato al fiume. L'acqua
scorreva
impetuosa, era scura e piena di detriti e la sua violenza faceva
quasi paura. Se fosse tracimata, avrebbe distrutto il lavoro di mesi
nei campi. "Che facciamo?" - le urlò, con la voce coperta
dal frastuono del fiume.
Demelza,
col fiatone, si guardò attorno. Gli indicò con la
mano delle grosse
pietre bianche sotto il ponte, probabilmente portate lì dal
fiume e
che potevano essere utilizzate per alzare gli argini. "Usiamo
quelle, che ne dici?".
Sì,
poteva funzionare. "Va bene, ma credo siano pesanti per te".
Lei
lo guardò storto. "Ah Ross, vai al diavolo!".
Con
la sua forza e la sua determinazione, che da sempre l'avevano
contraddistinta, Demelza si avvicinò alle pietre,
sollevandone una
senza problemi. "Hai dimenticato quanto sono forte?".
Sospirò,
mascherando un sorriso. All'apparenza era esile e delicata ma sua
moglie era una leonessa, lo era sempre stata e questo non era
cambiato, negli anni. "Forse, un pò". Si
avvicinò,
aiutandola a sua volta. Spostarono senza sosta tutte le pietre che
riuscirono a trovare, le misero dove la riva era più bassa,
rinforzando quella barriera improvvisata con la sabbia bagnata.
Ed
alla fine, oltre ad essere fradici, erano pure sporchi e pieni di
terra. Il loro mantello era completamente chiazzato di fango e la
pioggia era sempre più incessante.
"Dovremmo
fare un bagno" – disse, quando ebbero finito.
Demelza
guardò il cielo plumbeo. "Oh, non è necessario.
Sta qua fermo
sotto questa pioggia cinque minuti e otterremo lo stesso effetto".
Considerò
per alcuni istanti la cosa ma poi decise che no, non era lo stesso.
La prese per mano, attirandola a se. "Senti, andiamo un attimo
in quella baracca all'asciutto o ci prenderemo una polmonite".
Col
fiato corto e le guance rosse dallo sforzo, Demelza si trovò
ad
accettare. "Sì, credo sia una buona idea. Comincio ad essere
stanca".
"Dio
sia lodato..." - mormorò lui, sarcastico.
Demelza
lo guardò storto, ma non rispose. Anche lei sembrava, come
lui,
felice di quella strana sintonia che li aveva uniti quel giorno,
nonostante le mille difficoltà incontrate. Lei lo sapeva
quanto lui,
erano nati per lavorare fianco a fianco come una squadra e questo non
era cambiato, nonostante tutto.
Entrarono
nella baracca, era un luogo angusto, spoglio e cadente, senza
arredamento, con solo del fieno ammucchiato in un angolo. Demelza
sospirò, sedendosi sul fieno e togliendosi il mantello. "Che
posto lugubre".
Dovette
darle ragione, era un luogo orribile. "Ma quanto meno è
asciutto".
"Finché
l'argine tiene" – obiettò sua moglie.
"Già".
Si sedette accanto a lei, sulla paglia, non sapendo bene cosa fare.
"Potevamo essere al caldo, in questo momento, se tu..." -
iniziò, senza nemmeno sapere perché tirasse in
ballo
quell'argomento.
"Se
io, cosa?" - domandò lei, piccata.
"Se
tu non fossi tanto testarda da voler vivere qui ad Illugan".
"Ci
vivo da queste parti, è la mia terra e le persone che hai
incontrato
poco fa sono miei amici. Non eri obbligato a venire, se non ne avevi
voglia".
Sbuffò,
non gli andava di discutere con lei, tanto alla fine Demelza avrebbe
comunque avuto l'ultima parola. "Hai freddo?".
"Un
pò" – ammise lei, strofinandosi le braccia. "Mi
fanno
male tutti i muscoli, era da quando ho sistemato la mia casa nel
bosco che non sollevavo tanti pesi".
Quella
semplice frase lo incupì e lo riportò a quei
giorni caotici quando
se n'era andata da Nampara. "Quando hai rifiutato il mio aiuto
per ristrutturare il mulino, perché volevi che lo facesse
Hugh?".
Improvvisamente, ripensandoci, si sentì irritato. In fondo
non ne
avevano mai parlato davvero del poeta, eccetto per la figura di padre
mancato di Eleanor, e ancora non gli era andata giù. Era
ancora
arrabbiato, verso se stesso, verso Hugh e verso di lei. Aveva
accettato la situazione rendendosi conto che quello che era successo
era in parte colpa sua, ma non aveva dimenticato e quel senso di
amarezza in fondo non l'aveva mai abbandonato. E mai se ne sarebbe
andato, se non avesse affrontato quei suoi demoni.
Demelza
lo guardò, improvvisamente seria pure lei, senza
più traccia di
divertimento nell'espressione del viso. "Ross, non è il
momento
di parlarne".
"Invece
credo sia il momento giusto, visto che siamo soli e siamo andati
sull'argomento" – ribatté lui, secco.
Demelza
sospirò. "Non ho rifiutato il tuo aiuto perché
desideravo
avere Hugh vicino, avrei voluto fare tutto da sola, se proprio ci
tieni a saperlo. Hugh ha insistito e...".
Lui
la bloccò. "Anche io ho insistito, ma hai rifiutato lo
stesso!".
"Ero
arrabbiata con te, non volevo vederti e incontrarti mi faceva male.
Come potevo accettare il tuo aiuto a sistemare il posto che mi ero
scelta come casa, dopo che ti avevo lasciato e avevo abbandonato
Nampara? Consideravo Hugh un amico, una spalla su cui piangere e
qualcuno che sapeva capirmi. Lui era preoccupato per me, in maniera
genuina, non voleva che vivessi ad Illugan ma visto che non poteva
farmi cambiare idea, ha insistito almeno per aiutarmi ad avere una
casa decente. Credo che pensasse che comunque, in breve tempo, sarei
tornata da te. Una cosa provvisoria, insomma".
Ross
la guardò, c'era furore nel suo sguardo, si sentiva bruciare
dalla
rabbia nel sentire quelle parole. Facevano male perché
davano voce
al suo fallimento come uomo e marito... Facevano male perché
c'era
stato un tempo in cui la donna che amava aveva volto il suo sguardo
altrove e un altro uomo si era preso cura di lei. "Lo
consideravi migliore di me" – disse, sotto voce.
Demelza
spalancò gli occhi, sembrava sorpresa da quelle parole.
"Migliore
di te? Ross, che diavolo stai dicendo? Sai benissimo che non
è
così".
Lui
parve non sentirla. Il vulcano che covava in lui da tre anni era in
eruzione e tutto il dolore e la rabbia stavano uscendo. Dovevano
uscire o sarebbe impazzito! Doveva dirle come si sentiva, liberarsi e
farle capire quanto Hugh avesse minato ogni sua certezza e gli avesse
tolto la felicità. "Come potrei saperlo? Hai cantato per
lui,
lo hai pensato, hai provato sentimenti che ti hanno spinta fra le sue
braccia. Hai avuto una figlia da lui e non ti sei mai voltata
indietro per vedere chi ti eri lasciata alle spalle".
Demelza
parve ferita da quelle parole. Ma non rabbiosa, anzi, preoccupata nel
vederlo mettersi così dolorosamente a nudo... "Ross, io non
amavo Hugh. Non dell'amore come lo intendi tu, non nel senso del vero
amore. Era diverso, almeno da parte mia... Per me Hugh era un amore
fatto di affetto, romanticismo, un amore forse da ragazzina.
Quell'amore che non ho vissuto quando avevo l'età giusta per
farlo.
Ma non l'amore che vale una vita, che ti riempe l'esistenza e ti fa
sentire a posto col mondo, non l'amore che ti cattura e fa perdere
d'importanza tutto il resto. Non l'amore senza il quale non puoi
più
vivere e che, se lo perdi, ti fa sentire svuotata e senza aspettative
per il domani. Non l'amore che, quando lo provi, ti stordisce e non
ti fa più capire niente. Quando ero con lui, non mi sentivo
come
quando ero con te".
Era
confuso, si sentiva disorientato davanti a quelle parole e al tono di
rimpianto che lei aveva usato. Aveva detto cose bellissime su cosa
aveva provato in passato per lui e forse proprio per questo era
ancora più arrabbiato con se stesso, oltre che con lei, per
averla
persa. "Non ti sentivi come con me? In bene o in male? Era
meglio o peggio?". Era una domanda stupida, ma aveva bisogno di
sentirglielo dire che per lei, nessuno sarebbe mai stato come lui.
"Ross..."
- sussurrò Demelza, sospirando, non sapendo forse che altro
dire.
Le
prese il polso, la attirò a se. Hugh Armitage aveva avuto la
sua
donna, l'aveva toccata, amata, accarezzata e fatta sua. Lo odiava, lo
avrebbe sempre odiato per questo! E tutto quello che lui voleva era
togliere ogni traccia da lei, dal suo corpo, di quel dannatissimo
poeta che aveva stravolto le loro vite. "Dimmelo? Lo pensi, lo
piangi?".
Demelza
sostenne il suo sguardo. "Lo penso, sì a volte capita. Penso
a
lui come si pensa a una persona per cui si è provato affetto
e che è
morta giovane".
"Lo
rimpiangi? Rimpiangi i suoi baci, come ti toccava, come ti faceva
sentire?".
Demelza
tentò di divincolarsi, con scarsi risultati. "Ross,
smettila!".
Ma
lui non la smise, non poteva, era come un fiume di lava in piena.
"Dimmelo".
"COSA?".
La
guardò. Nel suo sguardo convivevano rabbia, passione e
desiderio. Li
aveva repressi a lungo ma ora non gli era più possibile
farlo.
"Quando ti baciava, sentivi quello che sentivi con me? Quando
hai fatto l'amore con lui, ti ha fatta sentire come ti facevo sentire
io?".
Credeva
che a quelle domande, Demelza si sarebbe arrabbiata e lo avrebbe
spinto via. Invece, incredibilmente, non lo fece. Col fiato corto e
le guance rosse, smise di lottare. Lo guardò negli occhi e
in essi
vide la stessa fermezza, la stessa fierezza e la stessa passione
unita a rabbia che si agitavano anche in lui in quel momento. Santo
cielo, non poteva resisterle quando assumeva quell'espressione e quel
temperamento di fuoco che riusciva a tenergli testa e a zittirlo, a
travolgerlo e confonderlo. "No, non sentivo le stesse cose! Come
avrei potuto, Ross?".
E
a quelle parole, fu troppo. La voleva e lei lo voleva! La conosceva
troppo bene per non accorgersene. Quella strana lite aveva come
abbattuto tutte le barriere che si erano costruiti per resistersi e
ora c'era come una calamita che li attirava uno verso l'altro. Non
era amore, non in quel momento. Non c'era posto per quello, per la
tenerezza, per le carezze, per i baci... Non ne avevano bisogno, per
quelli forse ci sarebbe stato tempo dopo.
Loro
avevano bisogno di sfogare rabbia e dolore troppo a lungo repressi.
La attirò a se e la baciò con passione, foga. E
Demelza lo lasciò
fare, rispondendogli, come se anche lei non avesse bisogno che di
quello. Volevano la stessa cosa, in fondo. Lui voleva togliere dalle
sue labbra e dal suo corpo il sapore di Hugh Armitage e lei
desiderava che lui lo facesse per sentirsi nuovamente pulita e in
pace con se stessa.
C'era
frenesia nei loro gesti, un bisogno disperato di aversi. Non potevano
aspettare, non lei, non lui...
Le
sollevò la gonna, le tolse la biancheria intima e Demelza
rispose
slacciandogli i pantaloni. Non avevano tempo per spogliarsi del
tutto, non avrebbero potuto aspettare.
La
prese con forza, la sentì irrigidirsi per il dolore ma non
poteva
fermarsi. Né Demelza pareva desiderarlo. Lo strinse a se, i
loro
sguardi rabbiosi si fronteggiarono senza mai abbandonare la presa. Si
mosse dentro di lei con rabbia, velocemente. Mai si era comportato
così, mai un loro amplesso era stato tanto selvaggio. Ma non
potevano farne a meno, era tutto quello di cui entrambi avevano
bisogno.
"Vorrei
che non fosse morto" – disse, fronteggiandola, con aria di
sfida.
Demelza,
travolta da quel turbine di piacere unito a dolore, si morse il
labbro. "Perché?".
"Perché
almeno lo avrei potuto uccidere io! E lo avrei fatto, sai?".
Demelza
gli afferrò i capelli, avvicinandolo a lei. Lo
baciò con rabbia,
gli morse il labbro e poi tornò a guardarlo negli occhi
mentre lui
si muoveva dentro di lei. "No, non lo avresti fatto" –
asserì, sicura.
"E
invece sì! L'ho salvato una volta ma ora so che non salverei
niente
di lui, eccetto Eleanor".
Questo
la zittì e per la prima volta Demelza non seppe cosa
rispondere.
I
loro movimenti divennero ancora più concitati e non
parlarono più,
presi in quel rapporto fatto di passione, frenesia e rabbia.
Non
durò a lungo, tutto scivolò via in pochi, intensi
attimi, in un
piacere intenso e bruciante... E in fondo entrambi sapevano che non
poteva che essere così.
Dopo
rimasero in silenzio, uno a fianco dell'altra, ad osservare il
soffitto. Il rumore della pioggia era l'unico alito di vita in quella
capanna fatta di muto silenzio e stupore per quanto successo. Era
strano per Ross, non riusciva a muoversi, a toccarla, a fare nulla.
La
rabbia e la frenesia di poco prima avevano lasciato il posto a una
pace fatta di immobilità. Si sentiva in colpa, non era
così che
avrebbe voluto che succedesse, ma in entrambi l'istinto aveva preso
il posto dei sentimenti e della ragione. Erano tre anni che non la
toccava e forse quanto successo ne era la naturale conseguenza. "Mi
spiace di averti fatto male" – disse solo, sotto voce.
Mollemente,
Demelza girò il capo verso di lui. Abbassò la
gonna del vestito che
era rimasta sollevata e poi, con fare stanco, scosse la testa. "E'
andata come doveva andare. Avevo... Avevamo bisogno... che fosse
così".
"Stai
bene?".
"Sì".
Ross
sentì improvvisamente freddo. Passata la rabbia, passata la
frenesia, sopito il desiderio, restava l'amarezza per quell'amore
bello e pulito che avevano perso e che mai avrebbero potuto
incontrare fra le braccia di qualcun altro. Ora lo sapevano
entrambi... "Mi dispiace lo stesso, non so cosa mi sia preso".
Demelza
sorrise, un sorriso triste. "Sei arrabbiato da tre anni, tutto
qui. E ne hai mille buoni motivi. Ma non avremmo dovuto farlo, questo
non risolve nulla e anzi, complica di nuovo tutto".
Ross
guardò distrattamente le travi di legno del soffitto. "Io lo
volevo e anche tu".
Lei
non negò, sapeva che Ross la conosceva come le sue tasche.
"Sì,
certo. Ma non sempre è auspicabile fare quello che si
desidera".
Si
voltò verso di lei, accarezzandole delicatamente i capelli e
la
guancia. "Ma essendo sposati, non abbiamo fatto nulla di poi
così sbagliato".
Demelza
lo guardò storto, non così convinta della cosa.
"Ross, questo
non ci porterà a nulla. E' sbagliato per noi, anche se siamo
ancora
sposati. Dovevamo tornare al villaggio, DEVO tornare a riprendere mia
figlia che ho lasciato nelle mani di altri per... per...".
"Per
viverti un attimo con tuo marito!" - disse lui, concludendo la
frase per lei.
Lei
alzò gli occhi al cielo, cercando di mettersi a sedere.
"Ross,
dico sul serio! Devo tornare al villaggio a riprendere Ellie, si sta
facendo tardi".
"No,
non è tardi, c'è ancora luce anche se sta
piovendo". Non
voleva andarsene, non ancora. Voleva stare con lei, di nuovo, e
impedirle di scappare. Voleva amarla, stavolta in modo diverso, con
la dolcezza e la tenerezza di una volta.
Demelza
sospirò. "Perché vuoi stare qui? Fa freddo,
è umido e abbiamo
a pochi metri un fiume in piena che potrebbe straripare".
Si
sedette, la fronteggiò. "Voglio fare l'amore con te".
"Lo
abbiamo appena fatto, Ross!".
Lui
scosse la testa. "In quello che abbiamo fatto poco fa, non c'era
niente di amorevole".
Per
qualche strano motivo questo la fece sorridere, spezzando un
pò
della tensione e dell'imbarazzo che si era creato fra loro.
"Accidenti a te" – disse, tirandogli in faccia una
manciata di paglia.
"Vuoi?"
- insistette lui. Doveva insistere, doveva abbattere tutte le difese
che Demelza si era costruita attorno per non soffrire.
E
stavolta fu Demelza ad accarezzargli la guancia. "Ross, ci
faremo del male, lo sai?".
"Sarà
bellissimo farmi male con te".
Demelza
gli sfiorò la mano, intrecciò le dita alle sue e
sospirò. Pure lei
sembrava combattuta e impaurita quanto lui. Non era la risoluzione
dei loro problemi, lo sapevano entrambi. Ma erano anche consapevoli
che dire no, alzarsi ed uscire non era la soluzione. Avrebbero solo
rimandato l'inevitabile e sarebbe bastato un niente per ricascarci.
Si desideravano da sempre e sempre sarebbe stato così. Se
non fosse
successo quel giorno, che importanza avrebbe avuto? Sarebbe successo
il giorno dopo, dopo una settimana o dopo un mese. Ma sarebbe
successo! "Ross, ce ne pentiremo, dopo" – provò ad
argomentare, con scarsa convinzione.
"Forse
no". La rivoleva, almeno per un attimo rivoleva la donna della
sua vita.
Demelza
rimase in silenzio per un attimo, come in riflessione. Lo
guardò,
osservò il capanno che era stato il loro rifugio e poi la
finestra
da cui, tenue, entrava un pò di luce. Poi staccò
la mano dalla sua
ma fu solo per un attimo. La riprese, la portò al suo
corpetto e la
poggiò sui bottoni che lo tenevano legato. "Sì
Ross" –
disse solo, dandogli il permesso di farlo.
Lui
annuì. La strinse a se, la baciò sulle labbra
dolcemente, senza più
la foga di poco prima. Piano, uno dopo l'altro, si tolsero tutti gli
indumenti che prima non avevano avuto tempo di levarsi.
Così,
senza fretta, gustandosi ogni attimo, ogni tocco e ogni carezza...
Ross
la guardò, era bellissima come la ricordava e le gravidanze
non
avevano scalfito per nulla il suo fisico che sembrava ancora quello
di una ragazzina. Era più magra rispetto a quando vivevano
assieme a
Nampara, Demelza viveva una vita dura e difficile e probabilmente il
cibo scarseggiava spesso nella realtà quotidiana che si era
costruita.
La
guardò e capì che era sua, che era sempre stata
sua e che lui era
stato un grandissimo idiota a farla scappare lontano, insieme a un
altro. Non poteva tornare indietro nel tempo per rifare tutto senza
errori, dai suoi errori non poteva fare altro che imparare.
E
forse quello era il primo passo...
La
spinse delicatamente sulla paglia, si toccarono e accarezzarono senza
fretta, guardandosi negli occhi come se avessero paura di perdersi.
Non c'era più la rabbia e la foga di poco prima e il dolore
aveva
lasciato posto alla voglia di amarsi e riscoprirsi. Era strano, erano
marito e moglie da anni ma si sentivano emozionati come se entrambi
stessero vivendo la loro prima volta.
La
baciò a lungo e con lei fece l'amore a lungo.
Non
fu breve, non fu come poco prima...
Fuori
la pioggia batteva incessantemente sulla campagna inglese ma a Ross
non importava. A quella pioggia doveva tutto!
Per
molti era fonte di preoccupazione ma a lui, a loro, aveva donato un
attimo di vero amore.
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Capitolo 28 *** Capitolo ventotto ***
C'era
silenzio, un silenzio rotto solo dal rumore della pioggia.
Demelza
aveva il capo poggiato contro il suo petto e Ross sentiva i suoi
capelli, coi riccioli ancora umidi per la pioggia, scivolargli lungo
il costato.
Li
accarezzava delicatamente, un gesto che in passato aveva fatto spesso
e che ora gli appariva come qualcosa di eccezionale. Profumavano di
mare e di bosco, rossi e selvaggi come lei.
Avevano
fatto l'amore a lungo e si era stupito come nonostante tutto, i loro
corpi e le loro menti avevano saputo ritrovare l'intesa e la
complicità per fondersi.
Dopo
nessuno dei due aveva parlato ed erano rimasti in silenzio a lungo,
una fra le braccia dell'altro, ad ascoltare il ticchettìo
della
pioggia contro i vetri scrostati di quella baracca improvvisata.
Si
stava facendo tardi, ormai era quasi buio del tutto e Ross sapeva
benissimo che quell'attimo di pace e intimità era destinato
a finire
presto. Ma finché non fosse stata Demelza a suggerirgli di
andarsene, non si sarebbe mosso di un millimetro. Stava bene,
incredibilmente. E per una volta non gli importava di nulla e
nessuno, fuori da quella baracca. Non della miniera, non della
politica, non delle lotte con George Warleggan... Non gli importava
di nulla eccetto che di lei e dei bambini. Jeremy e Clowance erano al
caldo e all'asciutto a Nampara, con Prudie e Garrick mentre Eleanor
si trovava al villaggio, a giocare con la nidiata di bambini di Miss
Marple. Stavano tutti bene e Ross decise che il mondo, ancora per un
pò, poteva fare a meno di loro.
Sentì
Demelza tremare e si rese conto che faceva freddo. Fino a quel
momento non se n'era decisamente accorto... Allungò una
mano,
prendendo il vestito di sua moglie per metterglielo sulle spalle. "Va
meglio?".
"Non
ho freddo".
Si
accorse che aveva la voce sommessa e spezzata e capì cosa la
turbasse tanto. Si erano amati follemente, rompendo di fatto il
fragile equilibrio che si era creato fra di loro. Era stato
meraviglioso ma i problemi che li allontanavano da anni non erano mai
stati risolti del tutto e sapeva che quel diversivo non aveva fatto
altro che rimandarli e scombussolare di nuovo tutto. E Demelza doveva
sentirsi sopraffatta e confusa... "Non piangere" – disse,
come a volerla difendere da quella vita tanto difficile che si erano
creati con le loro mani.
Demelza
si rannicchiò sotto il vestito, affondando il viso contro il
suo
petto. "Ross..." - sussurrò, singhiozzando.
In
quel pianto c'erano sofferenza, dolore, sensi di colpa e rimpianto,
Ross lo sapeva benissimo. E il guaio era che non sapeva come aiutarla
se non facendola sfogare per capire fino a che punto i suoi fantasmi
la tormentassero e le impedissero di farla sentire felice. "Demelza,
vuoi dirmi cosa ti fa star tanto male? Ci sono tante cose che, se ne
parlassimo, ci sembrerebbero meno brutte".
"No,
non voglio parlare".
"Ma
dobbiamo, non fare i miei stessi errori!" - insistette lui. Per
quanto doloroso, per lei e per lui, c'era la questione di Elizabeth
da affrontare e sapeva che gran parte dei loro problemi derivavano da
lì. Aveva lasciato troppo correre durante il suo matrimonio,
e il
fantasma del suo primo amore aveva scavato in Demelza un solco fatto
di sofferenza e insicurezza che lui non si era mai preoccupato di
curare. Nei primi tempi del loro matrimonio, a dire il vero, non si
era nemmeno mai premurato di nascondere i suoi sentimenti per
Elizabeth a Demelza, ritenendo di non doverle questo genere di
premure e che sua moglie dovesse semplicemente accettare che c'era
stata nella sua vita un'altra donna prima di lei. Poi c'era stato
quel periodo confuso seguito alla morte di Francis in cui si era
avvicinato pericolosamente ad Elizabeth, trascurando Demelza e
Jeremy. L'aveva tradita e anche lì, nonostante avesse capito
il suo
errore e chi era davvero la donna della sua vita, mai aveva chiesto
scusa, mai aveva voluto affrontare le conseguenze di quell'errore e,
ostinatamente, si era chiuso in un mutismo un pò infantile
che,
passo dopo passo, aveva portato Demelza fra le braccia di Hugh. Non
aveva mai capito quanto il suo rapporto con Elizabeth l'avesse resa
fragile e insicura, quanto ne avesse sofferto e quanto avesse bisogno
di sentirlo accanto. Aveva passato i mesi successivi al suo
tradimento con Elizabeth a sfuggire ai suoi fantasmi e ora Demelza
stava facendo di fatto la stessa cosa. Ma lui aveva imparato, adesso
lo sapeva, non c'era fuga che tenesse e quei fantasmi prima o poi
l'avrebbero riacciuffato. Lui e lei! Non serviva a nulla scappare, i
suoi demoni andavano affrontati assieme alla donna che amava e che
quei demoni li aveva subìti e fatti suoi... "Demelza, ti
prego".
Lei
tremò, di nuovo. "Non ora".
Era
strano, faticava a riconoscerla. Era sempre stata forte, piena di
energia e pronta ad affrontare qualsiasi cosa ed ora tremava e aveva
paura, era bloccata e aveva perso ogni speranza di uscire da quella
situazione. Aveva bisogno di lei, che lottasse al suo fianco e che lo
aiutasse a trovare la strada per uscirne insieme, più forti
di
prima, da quel disastro che si erano costuiti con le loro mani.
"Dobbiamo...".
"Perché?
Cosa cambierebbe?".
Ross
deglutì. Sapeva a cosa si riferiva, sapeva che si sentiva in
colpa
per Eleanor e per la disastrosa fine della loro famiglia. Non c'era
solo il fantasma di Elizabeth fra loro, ma anche quello di Hugh e di
Eleanor. Ma ora Ross ne era consapevole, se non erano più
insieme
era colpa di entrambi e Demelza non doveva affrontare tutto da sola,
accollandosi ogni colpa. Se lui fosse stato più attento e
amorevole,
lei non se ne sarebbe andata lontana e Hugh non lo avrebbe nemmeno
notato. E per quanto riguardava Eleanor, aveva bisogno di tempo e
anche quella faccenda sarebbe andata a posto... In un modo o
nell'altro, sarebbero stati insieme e tutti avrebbero trovato il loro
posto nella loro famiglia. Anche Eleanor! Le voleva bene, era
affezionato a quella bimba. Non come padre, non ancora. Ma sapeva
che, in qualche modo, quella piccolina faceva già parte di
lui. "Demelza, posso solo chiederti... dirti... una cosa...?".
Finalmente
lei alzò gli occhi per guardarlo in viso. "Cosa?".
"Fidati
di me, ti prego. Andrà tutto a posto, te lo giuro".
La
vide sorridere, un sorriso dolce e allo stesso tempo triste. "Come?".
Fu
sincero, non aveva una risposta da darle in quel momento ma si
sarebbe impegnato a trovare la soluzione ai loro problemi. "Non
lo so. Ma fidati di me, ti chiedo solo questo".
Stranamente
non fece obiezioni, come se avesse bisogno di affidarsi a lui e di
aggrapparsi ad una speranza. "Va bene".
Era
così docile da intenerirlo. Si chinò su di lei,
abbracciandola e
baciandola sulla fronte. Era talmente fragile e triste che per un
attimo ebbe paura che si spezzasse. Non era mai stata così,
era
sempre lei la più forte fra loro ma ora che l'aveva amata e
tenuta
fra le braccia, aveva capito che adesso era il suo turno di essere
forte per entrambi perché lei non ne era in grado. Questo
significava essere sposati, essere capaci di camminare insieme e
saper tendere la mano quando uno dei due rimaneva un pò
indietro in
difficoltà.
"Ross?".
"Cosa
c'è?".
Asciugandosi
le lacrime, arrendendosi al suo abbraccio e stringendolo ancora
più
forte, Demelza sospirò. "Mi accompagni al villaggio a
prendere
Eleanor?". Lo disse con fatica, andarsene da lì costava a
lei
quanto a lui. Ma dovevano tornare alla loro vita e alle loro
responsabilità, lo sapevano benissimo entrambi.
"Ma
certo". Fece per alzarsi, le porse la mano ma stranamente
Demelza rimase ferma nella sua posizione, bloccandolo. "Grazie".
"Per
cosa?".
Sorrise,
arrossendo. "Per aver insistito a venire qui. Ne avevo bisogno,
anche se non avremmo dovuto...".
Le
strinse la mano, accarezzandola. "No, non avremmo dovuto, lo so
anche io. Ma come te, ne avevo bisogno". Avrebbe voluto
chiederle ora cosa avrebbero fatto, ma la sua lingua sembrava
bloccata. Aveva paura di chiedere, aveva paura delle risposte... "E'
stato bello fare l'amore con te" – si limitò a
dire.
Demelza
si alzò in piedi, continuando a tenergli la mano. "Anche per
me. Non posso darti che questo, per ora... Ti basta?".
Si
chinò su di lei, baciandola sulle labbra. Un bacio dolce e
delicato,
che voleva solo infonderle forza e speranza. "Per ora... Ma
ricorda cosa ti ho detto prima!".
Lei
annuì. "Andrà tutto bene...".
"Sì,
andrà tutto bene".
E
Ross si rese conto che, in quel momento, ci credeva anche lei. Ci
credevano entrambi!
Si
rivestirono insieme, aiutandosi a vicenda come una volta... Gesti
usuali che assumevano contorni nuovi e nuove emozioni. Era tutto
strano, bello e allo stesso tempo spaventoso.
Ross
la guardò, era bellissima. Come avrebbe fatto a resisterle,
a
rispettare i suoi tempi e a essere abbastanza lucido per non forzarla
e non farle del male?
Come
avrebbe fatto a tornare a Nampara, quella sera, senza di lei? Come
avrebbe fatto a lasciarla a Illugan, da sola, andandosene per la sua
strada?
Il
rumore della pioggia battente diede una soluzione temporanea a tutte
quelle domande. No, per quella sera non sarebbero tornati nelle loro
case, non ne erano in grado e il tempo era talmente pessimo che
muoversi sarebbe risultato difficoltoso. Non le disse nulla per il
momento per evitare obiezioni, ma era già deciso sul da
farsi.
Sarebbero
andati a prendere Ellie e poi avrebbero trovato un loro angolo di
pace, insieme, ad Illugan. Non importava dove, se in una locanda di
quart'ordine o in una baracca dotata di camino.
Sarebbe
rimasto con lei, le sarebbe stato accanto. Non erano pronti a
separarsi, non ancora...
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Capitolo 29 *** Capitolo ventinove ***
Pioveva
ancora a dirotto, sembrava non dovesse smettere mai. La prese per
mano, la strada di campagna che portava ad Illugan era avvolta dal
buio e a parte loro, non c'era in giro anima viva.
Demelza
si nascose sotto il mantello, intrecciando le dita con le sue senza
opporre resistenza. Si era tranquillizzata rispetto alle lacrime di
poco prima ma Ross sapeva che il suo animo era tormentato e pieno di
domande, anche su ciò che era successo in quel capanno fra
loro.
Lui
era diverso, aveva deciso solo di pensare alla bellezza di quegli
attimi e di lasciare i problemi in un angolino nascosto, almeno per
quel giorno. In questo erano come il giorno e la notte, lei si faceva
troppe domande a volte, lui se ne faceva troppo poche e lasciava che
l'impulsività agisse per conto suo. Certo, non era
più come una
volta, sapeva che quel terremoto emotivo che li aveva sopraffatti
andava affrontato ma per quella sera, per quella notte, voleva solo
farsi accarezzare dai ricordi dolci che il fare l'amore con lei gli
aveva donato. "Demelza, credo che dovremo sbrigarci, è buio".
Le
annuì, camminandogli a fianco. "Lo so, cominceranno a
preoccuparsi per noi e se ritardiamo ancora, manderanno qualcuno a
cercarci".
"Dici?
Beh, che potrebbe esserci successo?".
Demelza
lo guardò storto. "Potremmo essere annegati nel fiume,
essere
stati travolti dall'onda di piena, esserci feriti mentre spostavamo i
massi... Proseguo la lista o ti basta?".
Ross
sorrise nell'oscurità. Era pungentemente ironica e stava
riacquistando il suo tono fermo e la sua lingua lunga e tagliente, il
momento di crisi di poco prima era passato quindi. La preferiva
così
che indifesa e in lacrime come in quel capanno, la voleva pronta a
rispondergli a tono prendendolo anche in giro. Questa era la vera
Demelza e sarebbe stata la sua ragione di lotta per far sì
che
quella forza tornasse pienamente in lei e non solo in alcuni
temporanei sprazzi. "E invece, nessuna disgrazia! Abbiamo
semplicemente passato qualche oretta a fare l'amore! Se fossimo stati
travolti dall'onda di piena, sarebbe stato un bel modo per morire,
no?" - rispose, usando come arma la stessa ironia che aveva
usato lei. Doveva tenerla vigile, reattiva e in forze, doveva
risvegliare in lei il suo animo battagliero e intrepido e
così
avrebbe iniziato a farla stare meglio.
Demelza
non rispose, si limitò a sbuffare e a guardarlo di sbieco.
Trovando
divertente la cosa, decise che era arrivato il momento di esporle i
suoi piani per la sera. "Non andremo a casa tua nel bosco! Sono
stufo di tutta questa pioggia e non voglio prenderne più del
necessario" - disse, senza girarci troppo in giro.
"Non
vengo a Nampara!" - rispose lei, temendo che lui facesse quella
proposta a cui aveva già detto di no innumerevoli volte.
"Mica
ho detto che saremmo andati a Nampara! Figurati se ti proponevo una
cosa simile, casa mia è ancora più lontana della
tua".
Demelza
a quel punto lo guardò, scettica. "E dove vorresti andare?".
"In
qualche locanda al villaggio. Piove troppo e spostarsi a cavallo a
quest'ora, con la bambina, è troppo difficoltoso".
Lei
spalancò gli occhi. "Una locanda? Ad Illugan?".
Sembrava
sorpresa da quella proposta, come se gli avesse chiesto una cosa
impossibile. "Non ce ne sono?".
Demelza
ridacchiò, stringendo ancora di più la sua mano.
"Ross, ad
Illugan non c'è niente di niente! Solo una locanda per i
viandanti,
ma è un posto cadente e malgestito. Non certo un alloggio
adatto a
un uomo che fa parte del Parlamento. E io non ho soldi per pagarla".
Si
sentì strano davanti a quella risposta. Si era sempre
sentito parte
e amico del popolo, dei minatori e dei contadini di quelle terre,
piuttosto che un appartenente alla piccola nobilità locale
di cui
faceva parte il suo casato e il sentire Demelza dubitare che lui
potesse non ritenere più quel mondo alla sua altezza lo
feriva e
gliela faceva apparire lontana. "Mi sento molto più a mio
agio
fra lo sporco di una miniera che seduto a un seggio in Parlamento"
– le rispose un pò bruscamente, rendendosi conto
che non le aveva
mai raccontato niente della sua esperienza londinese.
"Scusa,
non volevo dire che sei un uomo con la puzza sotto il naso. So che
non è così, ma di certo non sei più
abituato a posti del genere".
Le
sorrise, accarezzandole la mano che stringeva nella sua. "Non mi
sono offeso, figurati. Ma ho davvero bisogno di dormire e di stare
all'asciutto, sono stanco e credo che tutta questa pioggia non faccia
bene nemmeno a te e ad Eleanor".
Lei
si trovò costretta ad annuire ma si vedeva che era
tormentata da
qualcosa. "Ross, non ho i soldi per pagare una locanda, quelli
che guadagno bastano appena per darci da mangiare".
D'istinto
la strinse a se. Santo cielo, era orgogliosa e decisa a fare tutto da
sola ma quanto doveva essere dura la sua vita? E lui, perché
non
aveva mai insistito più di tanto per aiutarla? Di nuovo,
come in
quel capanno, provò la voglia di proteggerla. "I soldi li ho
io
e visto che l'idea della locanda è mia, mio è
anche l'onere di
pagarla".
"Ma...".
"Niente
ma, è deciso! E ora andiamo a prendere Eleanor o
penserà che
l'abbiamo abbandonata". La baciò sulla fronte e le
strizzò
l'occhio per tranquillizzarla.
Demelza
sorrise, appoggiando la fronte contro le sue labbra per dei brevi
istanti e poi, annuendo, gli riprese la mano. "Andiamo!".
Camminarono
speditamente fino al villaggio. Gli argini del fiume erano stati
alzati e la situazione pareva sotto controllo, ma il vero miracolo
poteva solo essere la venuta del sole. Quegli argini, anche
rinforzati, non avrebbero retto ad altri giorni di pioggia.
Alcuni
uomini erano ancora a guardia del fiume ma la maggior parte si era
rintanata in casa e Illugan appariva ancora più povera e
spettrale,
senza il suo consueto via vai.
Andarono
da Miss Marple e appena bussarono, sentirono la vocina della piccola
Eleanor che proveniva dall'interno della casa.
Una
bimbetta sugli otto anni venne ad aprire e dietro di lei, di corsa,
Eleanor andò loro incontro, volando fra le braccia della
madre.
"Mamma!" - urlò, stringendosi a lei.
Miss
Marple comparve, accanto alla figlia. "Cominciava ad essere
impaziente! Voleva la mamma".
Demelza
strinse a se la piccola, baciandola sulla guancia. "Scusa amore,
siamo arrivati in ritardo ma avevamo tanto da fare al fiume. E scusa
anche tu" – disse, rivolta all'amica – "Sei stata
davvero gentile a tenermela".
La
donna annuì, accarezzando i boccoli di Eleanor. "Oh,
figurati,
sai che la adoro!".
Demelza
la salutò prima che lei rientrasse e poi, con Eleanor in
braccio, si
rivolse a Ross. "Andiamo?".
Ross
la guardò, poi guardò Eleanor, poi la casa, poi
la porta della casa
che si era appena richiusa e si accorse che qualcosa non gli tornava.
"Aspetta!".
"Cosa?".
Lui
sbuffò, guardando madre e figlia accigliato. "Dimentichiamo
qualcuno".
Demelza
guardò Eleanor e dal suo sguardo incerto, Ross
capì che non aveva
capito a chi si riferisse. "Chi?".
Si
avvicinò loro, picchiettando le dita sulla schiena della
bimba.
"Piccola peste, di chi sto parlando?".
Eleanor,
stanca e assonnata, si rannicchiò contro Demelza senza
rispondergli.
E a Ross non restò altro che ribussare alla porta per
mostrare alle
sue due smemorate a cosa si riferisse.
Miss
Marple comparve di nuovo alla porta. "Signore? Qualcosa non
va?".
Sospirò,
indicando Ellie. "Il suo coniglio. Senza quello, stanotte ci
farebbe disperare".
Sentendo
quelle parole, Ellie si tirò su di colpo, ritta come un
fusto.
"Kiky!".
Miss
Marple sorrise, corse in casa e dopo pochi minuti ricomparve col
pupazzo che diede alla bimba. "Ecco amore, lo avevamo proprio
dimenticato".
"Si".
Ellie strinse Kiky e Demelza rimase semplicemente in silenzio a
guardarlo.
Ross
sentì le sue occhiate su di se, insistenti. "Cosa
c'è?".
E
quando Miss Marple ebbe richiuso la porta, lei gli si
avvicinò e a
sorpresa gli diede un bacio a fior di labbra. Non disse nulla, gli
fece solo un sorriso molto dolce e pieno di riconoscenza e poi
lasciò
che lui le cingesse le spalle e la guidasse verso la loro meta.
Ross
la strinse a se, riparando la bimba col suo mantello. Demelza
sembrava contenta... E non capiva il perché! Non aveva fatto
nulla
di così particolare se non ricordarsi di prendere un
giocattolo ma
per sua moglie quel gesto doveva essere davvero significativo per
qualche, assurdo motivo. Beh, non importava il perché, era
semplicemente felice di vederla felice.
Giunsero
alla locanda e come Demelza aveva anticipato, era davvero un pessimo
posto. Pareti di legno cadente e scrostato, porta cigolante, un
proprietario zoppo che sembrava scocciato dal loro arrivo che aveva
interrotto il suo far niente, scale che scricchiolavano al loro
passaggio e una grossa camera matrimoniale con un letto mezzo sfatto,
un camino pieno di cenere e una piccola tinozza dalla dubbia
provenienza dove lavarsi.
Ross
non disse nulla ma per un attimo ebbe come l'impressione di trovarsi
dentro a un libro dell'orrore dove a un certo punto, da qualche porta
nascosta, sarebbe spuntato fuori un mostro assassino.
Appena
il proprietario li ebbe lasciati soli, Ross mise Ellie sul lettone e
la piccola si rotolò, giocando con il suo coniglietto. "Su,
c'è
dell'acqua nella tinozza, Demelza! Se hai voglia di lavarti e
rinfrescarti, fai pure! Io accendo il camino nel frattempo o
congeleremo".
Demelza
gli sorrise. "Grazie". Si guardò attorno, sospirando. "Te
lo avevo detto che era un posto orribile".
Ross
si inginocchiò davanti al camino, riempendolo di legna.
"Quanto
meno è asciutto ed è tutto quello che volevo. E
in Virginia ho
dormito in posti peggiori".
Accese
il fuoco e lasciò Demelza a lavarsi viso e braccia con un
panno
umido e un pezzo di sapone rinsecchito. Nella stanza, benché
di
pessima fattura, si espanse il piacevole calore del fuoco e un
silenzio rilassante interrotto solo dal chiacchiericcio della piccola
Ellie.
Finito
di darsi una lavata, in sottoveste, Demelza si mise sul letto assieme
alla bimba, togliendole il vestitino e le scarpine. Le passò
il
panno umido sul collo, le gambette nude e le braccia e poi la prese
sulla ginocchia, intrattenendola un pò.
Ross
si mise dietro il paravento, per lavarsi a sua volta. Tolse la
camicia e si risciacquò il petto e le braccia. Aveva male ai
muscoli
per il gran lavoro e si sentiva sudato e accaldato. Certo, un bagno
nella vasca di Nampara, coperto di sapone e immerso nell'acqua calda,
sarebbe stato meglio, ma non era tempo di formalizzarsi.
Si
fece la barba e trovò quell'operazione talmente rilassante
che non
si accorse del silenzio caduto nella stanza se non quando ebbe
finito.
Pensando
che ormai le sue due ragazze dormissero, si sporse dal paravento.
Demelza in effetti dormiva. Gli mancò il fiato nel vedere
quanto
fosse bella distesa di lato, con la sottoveste che le copriva a
malapena le ginocchia, la pelle bianca come l'avorio e i capelli
rossi che le scivolavano dolcemente sulla schiena. Poche ore prima
aveva amato quella donna e aveva posseduto il suo corpo e la sua
anima... E ora era lì, accanto a lui, e da come dormiva
profondamente, doveva essere davvero stanchissima. Pensò,
come
rendendosene conto solo in quel momento, che dopo tanto avrebbero
condiviso un letto e si sentiva stranamente emozionato come se fosse
un ragazzino.
Eleanor
invece non dormiva. Seduta accanto alla madre, parlottava col
coniglio, sostenendo un discorso che più sconclusionato non
si
poteva. Appena lo vide, gli sorrise. "Ross".
Ross
un cavolo! "Hei, piccola peste, è ora di dormire".
"No".
Le
si avvicinò con passi felpati, non voleva svegliare Demelza.
Prese
la bimba in braccio, si avvicinò con lei alla finestra e la
mise
seduta sul davanzale interno. "Tu sei nata per farmi
impazzire!".
Eleanor
lo guardò, senza capire. "Vojo giocare!".
Scosse
la testa. "La sera si dorme, non si gioca".
"No
dommire!" - si lamentò la bimba, per nulla intimorita dalle
sue
occhiate. "No dommire anche Kiky".
Gli
porse il coniglietto e Ross lo prese, picchiandoglielo lievemente
sulla fronte. "Vuoi talmente bene a Kiky, che lo stavi
dimenticando da Miss Marple. Che facevi stanotte, se non me ne
ricordavo?".
"Pangevo"
– rispose lei, assolutamente sincera.
"Tutta
notte?".
"Sì".
Ross
alzò gli occhi al soffitto. Santo cielo, aveva una notevole
faccia
tosta ma quanto meno non la si poteva accusare di non essere sincera.
Le sfiorò il mento, sollevandogli il faccino per guardarla
negli
occhi. Rimase senza fiato, erano azzurri, tendenti al blu, profondi e
trasparenti. Stupendi, come lo era lei che, davvero, era una delle
bimbe più belle che avesse mai visto. Ma non doveva farsi
incantare
da quel faccino o avrebbe finito per farsi comandare da lei! "Hai
due anni adesso, giusto?".
"Sì".
"E
allora sei grande!" - le disse, agitando Kiky davanti a lei.
Ross fece un sorrisetto maligno, stava cadendo nella sua trappola.
"Beh, le bambine grandi di notte dormono. E non hanno bisogno
dei coniglietti".
Ellie
si imbronciò e con un gesto veloce si riprese Kiky. "No, io
piango pecché sono grande un pochino pochino. No tanto
grande!".
Doveva
stare serio ma gli veniva dannatamente da ridere. Quella piccola
peste poteva davvero fare politica, sapeva sempre cadere in piedi e
la sua prima impressione su di lei era stata quella giusta: sapeva il
fatto suo! "Ellie, si deve dormire adesso!".
Facendo
la ruffiana, lei si aggrappò al suo collo, dandogli un bacio
sulla
guancia. "No, vojo giocare". Si voltò verso il vetro della
finestra, opaco e reso umido dal calore interno e dal freddo esterno.
Ci poggiò il ditino e tentò di fare un disegno.
Ross
la osservò e a un certo punto decise di fermarla. NO! No, no
e
ancora no! Non avrebbe potuto sopportare che sviluppasse i talenti di
Armitage! "Ellie, non devi disegnare".
"Pecchè?".
"Perché
è una cosa brutta, ecco!". Si sentiva un pò
idiota ma voleva
proseguire in quella sua missione che alla piccola avrebbe solo fatto
bene. "Disegnare è noioso! Anche scrivere poesie
è noioso,
capito? Sai cosa è bello, invece?".
"No".
Si
batté orgogliosamente la mano sul petto per dare
solennità alle sue
parole. "Picconare in miniera per cercare il rame! Hai mai visto
una miniera?".
"No".
La
prese in braccio, allontanandola dal vetro. "Ecco, è un
posto
magico dove si trovano tesori nascosti sotto le rocce. Capito?".
"Apito,
sì".
"Brava!".
Sorrise, soddisfatto della sua lezione. "Ora vuoi dormire?".
"No".
Ross
alzò gli occhi al cielo. Lei non aveva sonno ma lui
sì e per quella
notte desiderava solo dormire e stare al calduccio... Beh, aveva il
caldo, quanto meno... "Devi dormire, se continuiamo così
svegliamo la mamma".
Eleanor
non sembrava troppo persuasa dalla faccenda... "Vojo giocare".
"E
la mamma?".
Lei
sorrise. "Mamma bella".
Anche
lui le sorrise, era evidente che adorava sua madre. E in fondo non se
ne stupiva, Demelza era sempre stata una madre meravigliosa, dolce,
affettuosa, molto fisica nel rapporto coi loro bimbi e sempre attenta
ai loro bisogni. E per quella bimba che teneva fra le braccia doveva
rappresentare tutto, il centro della sua vita e dei suoi affetti...
"E' vero, mamma è molto bella".
"Pposala"
– disse lei, di getto, prendendolo di sorpresa.
"Cosa?".
"La
posi" – rispose lei, come se stesse dicendo una cosa ovvia.
Oh...
Ross si grattò il mento, imbarazzato e anche divertito.
"Sì,
ecco... sposarla, è? Sai che una volta ci ho anche pensato?
Secondo
te, se glielo chiedo, mi dice di sì?".
"Non
so".
Ross
sbuffò, era così sincera da essere
sconfortante... Ma nonostante
tutto, si sentiva bene con lei, a suo agio... Era Ellie, la bimba di
Demelza. Solo di Demelza e da mesi ormai in lei non trovava
più
tracce di Hugh... Scosse la testa, pensando a quanti pensieri e
quante preoccupazioni Demelza dovesse provare per sua figlia. Si
chiese se lui potesse fare qualcosa per lei, per loro... Avrebbe dato
tutto quello che aveva per riavere Demelza e ricostruire con lei la
loro famiglia ma sapeva che, oltre ad Elizabeth e a tutti gli errori
passati che l'avevano fatta soffrire, lei aveva anche questo macigno
da portare ed era quello che la frenava forse più di tutto
il resto.
E
se le avesse proposto di essere padre di Eleanor?
Ma
lo voleva davvero?
Era
affezionato a quella piccola peste bionda, ma una cosa era vederla di
tanto in tanto e farla giocare, una cosa era essere il padre della
bimba nata dal tradimento della propria moglie con un altro.
Ne
sarebbe stato capace? Avrebbe potuto amarla come amava i suoi figli?
Sospirò,
rendendosi conto della più ovvia delle cose. Non aveva
risposte
ancora, a tutte quelle domande. E proporre a Demelza di adottare la
bimba unicamente per poter riavere indietro sua moglie, era
sbagliato. Non doveva essere un atto 'dovuto' e quindi
'subìto', per
poter avere in cambio un qualcosa di desiderato. Demelza non avrebbe
mai acconsentito e avrebbe avuto ragione!
No,
essere padre di Eleanor doveva essere un desiderio che scaturiva dal
suo cuore senza secondi fini, un desiderio nato dall'amore per la
bimba, un qualcosa che andava oltre il suo rapporto con Demelza.
E
per quanto amasse la piccola, ancora non era giunto fino a quel
punto... E finché non fosse davvero stato pronto, non
avrebbe
affrontato quel discorso con Demelza perché sarebbe stato
solo un
atto dettato da egoismo e non un gesto paterno e d'amore. Sapeva che
Ellie aveva bisogno anche di un padre e sapeva che lui avrebbe potuto
esserlo. Ma aveva bisogno di tempo, come aveva detto a Demelza poche
ore prima, in quel capanno.
"Ross?".
La
vocina della piccola, lo riportò alla realtà.
"Dimmi".
Eleanor
gli prese la mano e giocherellò con le sue dita, toccandole
con le
sue manine. "Sono grandi!".
"Le
mie mani?".
"Sì".
Beh,
poteva proseguire la lezione anti-arte di poco prima. "Belle,
vero?".
"Grandi".
"Sai
perché sono grandi? Perché lavoro in quel posto
magico di cui ti
parlavo prima".
Ellie
rise. "La minera".
"Miniera!".
La strinse a se, baciandole la testolina. 'Perché non sei
mia,
dannazione' – pensò, abbracciandola.
Poi,
quasi spaventato da quel pensiero e sorpreso per averlo formulato, la
rimise sul davanzale e insieme osservarono la pioggia. E dopo pochi
istanti, sentì un leggero tocco sulla spalla.
Sussultò, voltandosi.
"Demelza?" - esclamò, trovandosela dietro di lui. "Pensavo
dormissi".
"Mamma!"
- gridò Ellie, tutta contenta che li avesse raggiunti.
Lei
sorrise, avvicinandosi alla bimba e prendendola in braccio. "Non
siete stati zitti un attimo, voi due" – osservò,
divertita.
"Sembravate due innamorati, da come parlavate fitto fitto".
Lui
alzò le spalle. "Di solito in effetti affascino le donne".
Demelza
guardò la bimba. "Credo abbia una cotta per te, in effetti".
Stando
al gioco, Ross fece il solletico sul pancino alla bimba. "Se
avesse vent'anni in più, potrei trovare interessante la
cosa".
Poi guardò la moglie, incuriosito. "Da quanto sei sveglia?".
"Da
abbastanza per sentire la parte più interessante della
vostra
conversazione".
"Cioé?".
Demelza
ridacchiò, sedendosi accanto a lui sul davanzale. "Ti sembra
carino parlare di matrimonio con mia figlia di due anni?".
"Ha
tirato in ballo lei l'argomento" – si giustificò
lui. Però,
a questo punto era divertito ma anche curioso. "Che ne dici, mi
sposeresti?".
Demelza
lo guardò storto, divertita quanto lui. "Credo che stavolta
ci
penserei a lungo, prima di decidere".
"Non
è una risposta!" - obiettò lui.
Lei
sospirò. "Ross?".
"Sì?".
"E'
la conversazione più stupida che abbiamo mai avuto, noi due!
Credo
che tu sia davvero stanco, vai a letto! Ci penso io a Ellie"
–
disse, mettendosi la bimba sulle ginocchia.
Ross
scosse la testa. No, non aveva voglia di andarsene a dormire e di
lasciare lì da sole le sue due donnine di Illugan. Era
l'unica notte
in cui avrebbe potuto stare accanto alla donna che amava e non aveva
intenzione di sprecarla dormendo. Si sedette accanto a loro, cingendo
le spalle di Demelza e attirandola a se.
Guardò
fuori dalla finestra, pioveva meno forte ora. Eleanor
picchiettò la
manina sul vetro ma poi, tranquillizzata dalla presenza della madre,
si rannicchiò nel suo grembo stringendo a se il coniglio.
"Sai
Ross, oggi per un istante, ti ho amato come non ti ho amato mai"
– sussurrò improvvisamente Demelza, osservando il
coniglietto.
"Nel
capanno?" - chiese lui, speranzoso.
Lei
sorrise dolcemente. "No. Cioé... anche! Ma no, non mi
riferivo
a quello! Ma a quando, da Miss Marple, ti sei ricordato il suo
coniglietto. E' stato dolce da parte tua, il gesto di una persona
sensibile che tiene a mia figlia. A parte me, nessuno davvero si
occupa di Ellie e tu oggi lo hai fatto in maniera così
dolce".
Ross
analizzò quanto aveva appena sentito, spaventandosi del
significato
di quelle parole e di quanto Demelza aveva letto nel suo gesto. Per
un attimo tremò ed ebbe paura e quindi cercò di
riportare la
conversazione su un tono più rilassato. "Forse,
semplicemente,
non volevo sentirla piangere tutta notte".
Lei
sorrise, non insistendo e forse capendo le sue paure. "Beh,
grazie a te credo che dormirà, ora" – disse
Demelza,
poggiando la testa sulla spalla del marito.
Ross
accarezzò i capelli della bimba. "Credo anche io".
Rimasero
in silenzio, seduti sul davanzale, cullati dal ticchettio della
pioggia. Era forse più comodo del letto essere
lì, tutti insieme.
"Vorrei che ci fossero qui con noi anche Jeremy e Clowance"
– sussurrò Ross, assorto.
Demelza
annuì. "Anche io".
"La
prossima volta". Ross si chinò su di lei, dandole un lungo
bacio sulle labbra. E lei lo lasciò fare, arrendendosi a lui.
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Capitolo 30 *** Capitolo trenta ***
Aveva
smesso di piovere due giorni dopo la notte passata con Ross ed
Eleanor ad Illugan.
Erano
passate quasi tre settimane da allora e i fiumi si erano ritirati,
era tornato il sole ed era esplosa in tutto il suo splendore la
primavera.
Erano
gli ultimi giorni di aprile, cominciava a fare caldo e i prati erano
pieni di fiori che sbucavano nei loro mille colori in mezzo a un'erba
resa verdissima dalla tanta pioggia accumulata.
Da
quel giorno Ross era stato da lei appena poteva, o a portarle i
bambini o a vedere se stesse bene. Era strano, non era abituata a
quel comportamento e a tutte quelle attenzioni ed era come se, dopo
tanti anni, per suo marito fosse arrivato il momento di corteggiarla.
Le
faceva piacere, anche se tutto arrivava forse troppo in ritardo. Ma
la inteneriva il modo genuino in cui si preoccupava per lei e anche
come, giorno dopo giorno, fosse sempre più rilassato accanto
alla
piccola Eleanor. Sembrava esserle affezionato... Ed era indubbiamente
ricambiato perché la bambina si divertiva con lui e spesso
chiedeva
quando lo avrebbero visto.
Lei
spesso si fermava a guardare Ross che giocava coi tre bambini, in un
misto di serenità e imbarazzo. Era sempre difficile per
Demelza
capire come comportarsi con lui quando c'era Eleanor nei paraggi, ma
Ross sembrava ormai a suo agio con quella realtà. Forse era
lei a
non essere ancora del tutto pronta a gestirla, a perdonarsi e a
cambiare pagina...
Da
quel momento di amore e passione fra loro, in quel capanno, non
c'erano più stati veri e propri momenti di
intimità e Demelza non
poteva mentire a se stessa, gli mancava l'amore fisico con Ross,
soprattutto dopo averlo provato di nuovo. Ma non c'era mai il momento
giusto, c'erano sempre i bimbi fra loro e forse era una fortuna, ma
in certi momenti si era chiesta cosa avrebbe fatto se le condizioni
di rimanere sola con lui fossero state favorevoli. Spesso i loro
sguardi si incrociavano e gli occhi di entrambi sapevano esprimere
desiderio e passione, ma non erano più andati oltre, a parte
qualche
fugace bacio rubato che lei non gli aveva negato.
Nell'ultima
settimana però si erano visti poco. Ross aveva incombenze
urgenti da
sbrigare alla miniera prima della partenza per Londra prevista da
lì
a due settimane ed era stata Prudie a portare avanti e indietro da
Nampara i bambini. Era triste al pensiero che per un pò non
avrebbe
rivisto Clowance e Jeremy... Era triste pensare che anche Ross
sarebbe stato lontano e per la prima volta da quando se n'era andata
da casa, sentiva davvero il peso di non essere più accanto a
suo
marito, oltre che ai suoi figli, come moglie e madre a tempo pieno.
Se prima la partenza di Ross significava un allentamento delle
tensioni, ora le faceva sentire ancora più bruciante il
vuoto
attorno a se...
Ma
che poteva fare? Non si poteva tornare indietro e nemmeno si sentiva
in diritto di chiederlo a Ross che, dopo quanto successo fra lei e
Hugh, si era rifatto una vita e aveva avviato una brillante carriera
politica a Londra!
Però
in quel suo stato a metà fra il malinconico e il rassegnato,
una
bella notizia era arrivata a riscaldarle la giornata. La sera prima
Prudie, venendo a prendere i bambini, le aveva comunicato che aveva
sentito che Caroline aveva partorito una bambina e che lei e Dwight
erano finalmente diventati genitori. In effetti, i tempi erano maturi
per la nascita...
Era
felice per loro, se c'era qualcuno a cui Demelza voleva augurare la
felicità, quelli erano proprio gli Enys. Quanto avevano
fatto per
lei ed Eleanor? Quanto aveva fatto Dwight, che l'aveva tenuta per
mano e sorretta nel momento più difficile della sua vita,
perdendo
per questo l'amicizia di Ross? E poi Caroline, che con simpatia e
affetto l'aveva fatta sorridere durante la lunga e difficile
gravidanza di Ellie? Se ne era uscita, se sua figlia era viva e se
era riuscita ad andare avanti nei primi durissimi tempi dopo il
parto, lo doveva a loro. E sperò di riuscire a ricambiarli,
prima o
poi, riuscendo a mettere pace fra loro e Ross.
Ma
quel giorno, c'era solo da festeggiare la nascita di quella bimba
attesissima e sicuramente già molto amata...
E
così si era messa in marcia, con Eleanor al suo fianco, per
andare a
far loro visita.
Era
una giornata di sole stupenda e calda e per quel giorno non avrebbe
avuto i suoi figli, desiderosi di rimanere a Nampara per aiutare
Prudie a seminare l'orto. E così, solo con Ellie, si era
incamminata
verso la grande dimora degli amici.
In
realtà, nonostante la bellissima giornata, non si sentiva
troppo in
forma ma non poteva aspettare oltre. Voleva vederli, abbracciarli e
conoscere la loro piccola!
E
così, ignorando gli strani crampi che aveva alla pancia,
tenendo
Ellie per mano si era incamminata in quella lunga passeggiata. "Sai
che Dwight e Caroline hanno una bambina? E' piccola piccola,
minuscola".
"Come
le fommiche?".
Demelza
rise. "No, un pò più grande".
Ellie
ci pensò su. "Come Kiky?".
Sospirò,
trovava piuttosto buffo paragonare una neonata a un pupazzo, ma le
dimensioni più o meno erano quelle... "Sì, come
Kiky"
Ridendo,
Ellie le strinse ancora di più la mano, saltellandole
accanto. Aveva
indosso un abitino rosa che le aveva cucito Prudie per il suo
compleanno e fra i capelli aveva un nastrino del medesimo colore che
la faceva sembrare una bambola. Era bellissima davvero...
Quando
era ormai quasi arrivata, si asciugò il sudore dalla fronte,
appoggiandosi a un albero. E si massaggiò il ventre.
Raramente non
era in forma e lo trovava davvero seccante. Magari poteva parlarne a
Dwight ma... ma no, non era niente di che ed era giusto che il suo
amico pensasse unicamente alla sua paternità.
Furono
accolte con calore dalla governante e la donna le accompagnò
fino
alla camera da letto di Caroline. Ellie correva, perfettamente a suo
agio, nei lunghi corridoi. Venivano spesso a trovare gli Enys, anche
se ultimamente le visite si erano diradate per la presenza
più
assidua dei suoi due figli ad Illugan, ma per la sua bambina
più
piccola quella era una casa conosciuta e amica. E lo era anche per
lei, ripensando ai lunghi mesi di gravidanza che vi aveva
trascorso...
Arrivò
alla camera matrimoniale e, dopo che la governante ebbe bussato, fu
invitata ad entrare.
Appena
vide Dwight, accanto al letto della moglie, fra lei e una grande ed
elegante culla bianca, Eleanor gli corse incontro. "Dwight!"
- urlò, saltandogli in braccio.
Demelza
la seguì, sorridendo ai due amici. Caroline, ancora provata
dal
parto, era a letto circondata da cuscini e morbide coperte. I lunghi
capelli biondi le ricadevano sulle spalle, liberi, indossava una
camicia da notte di seta azzurra e aveva le guance leggermente
arrossate. Sembrava radiosa come ogni madre, anche se forse
leggermente spaesata da quella nuova vita.
Dwight
era più pallido. Sembrava aver partorito lui, da quanto
pareva
provato! A Demelza venne da ridere... Uomini! E Dwight era sensibile
e dolce e di certo aveva sofferto con e accanto a Caroline, come
marito e medico, durante le fasi più concitate del parto.
Demelza
gli si avvicinò e senza dire nulla, lo abbracciò.
"Congratulazioni".
Dwight,
in risposta, con Ellie in braccio, le diede un'amichevole pacca sulla
schiena, lasciandola poi libera di andare a salutare Caroline.
Le
due donne si abbracciarono. "E allora?".
Caroline
sbuffò, fingendo noncuranza e dando una veloce occhiata alla
culla.
"E allora i marmocchi sono esseri infidi e diabolici! Si fanno
volere bene, dannazione a loro, e tu sei fregato per tutta la vita".
Demelza
sorrise, accarezzando i capelli biondi di Ellie che Dwight le aveva
messo accanto, seduta sul letto. "Sì, credo di capire cosa
intendi".
Caroline
guardò Eleanor, pizzicandole la guancia. "Lei mi piaceva di
più, era meno impegnativa! Questa qua che è
appena nata, piange
sempre".
Demelza
sospirò, divertita. "Eleanor ti sembrava meno impegnativa
perché la curavo IO! Anche lei piangeva, la notte".
"Ogni
tanto, non sempre!" - obiettò Caroline.
"Ogni
tanto, vero..." - fu costretta ad ammettere. In effetti, Ellie
era stata, fra i suoi figli, la più angelica e tranquilla,
da
neonata. Poi si alzò, andando alla culla, seguita dallo
sguardo
attento di Dwight.
Osservò
la piccola e provò una tenerezza infinita. Era minuta ma
bellissima
come sua madre, coi capelli biondi, il visino perfetto e candido e un
delizioso nasino all'insù. Era vestita con un elegante
abitino
bianco pieno di fiocchetti, era circondata da morbide coperte e
sembrava amare molto succhiarsi il pollice nel sonno. "Oh, è
stupenda" – sussurrò, incantata da quella bambina
meravigliosa. "Come l'avete chiamata?".
"Sarah"
– rispose Dwight, affiancandosi a lei. L'uomo
sollevò Ellie che
voleva vedere la piccola e la bambina la osservò in modo
attento.
"Come Kiky..." - sussurrò, sotto voce.
Demelza
arrossì di colpo. Accidenti a lei, ogni tanto Ellie le
faceva fare
figure pessime in giro con la sua lingua lunga! "Eleanor!"
- la rimbeccò.
Caroline
rise, facendo segno a Dwight di darle Ellie per coccolarsela un
pò
da brava madrina. "Ah, non sgridarla Demelza! Ha ragione, è
grossa come quel coniglio!".
Demelza
guardò storto la figlia, poi sorrise. Dwight le
sfiorò il braccio,
chiedendole se volesse seguirlo in salotto per bere qualcosa e
brindare alla nascita della piccola e lei acconsentì.
Salutò
Caroline che aveva ancora bisogno di riposare, diede una carezza alla
piccola Sarah e poi, con Ellie per mano, seguì l'amico nel
salotto.
Si
sedettero su un elegante divano mentre Ellie giocava per terra con
Horace e Dwight le diede un bicchiere di champagne francese.
Demelza
alzò il calice, sorridendo. "A Sarah, allora! E a Caroline
che
l'ha messa al mondo! Sarai davvero orgoglioso di loro".
Dwight
fece un sorriso tirato, sedendosi accanto a lei.
Sembrava
scosso e tormentato da qualcosa e per la prima volta Demelza si
chiese se ci fosse altro, oltre all'emozione di essere diventato
padre. "Va tutto bene?".
Lui
rispose con un'altra domanda. "Come ti sembra, Sarah?".
"Bellissima,
un angelo".
A
quelle parole, gli occhi di Dwight divennero lucidi. "Forse
sembra un angelo perché è suo destino esserlo".
Demelza
sulle prime non capì. Poi fu invasa da una strana
inquietudine.
"Dwight, Sarah sta bene?".
"No"
– rispose lui, sinceramente.
Demelza
deglutì. "Cos'ha?".
"Il
suo cuore è malato! Ironico, vero? La figlia di un medico
dovrebbe
avere libero accesso alle cure migliori che gli garantiscano una
salute di ferro e invece non posso fare nulla per lei... Posso
guarire il mondo e non riesco a guarire la mia bambina".
Demelza
lo osservò, quasi senza parole, senza voler capire il
significato di
ciò che Dwight stava cercando di dirgli, colpita dalla sua
amarezza
e dall'infinita tristezza che traspariva dalle sue parole. "Tu
fai miracoli".
"Io
non faccio miracoli. La medicina è scienza e la scienza
arriva fino
a un certo punto. E' spacciata Demelza...".
Le
sembrò che le mancasse il fiato e di nuovo, una forte fitta
all'addome la fece sussultare. Ma la ignorò. "Caroline
sembra
tanto contenta...".
"Caroline
non lo sa! Pensa che pianga spesso per capriccio".
Demelza
si morse il labbro. "Devi dirglielo, se pensi... che potrebbe
accadere presto".
La
guancia di Dwight fu rigata da una lacrima. "Come posso dirle
che non deve affezionarsi troppo perché la sua bambina, che
si è
portata dentro per nove mesi, sta morendo prima ancora di iniziare a
vivere?".
"Dwight...
Se solo sapessi come aiutarti... Ma sappi, anche se è poca
cosa, che ci sarò sempre, ogni volta che ne avrai bisogno!
Ci sarò, come
tu ci sei stato per me e anche per Ross in passato, quando abbiamo
perso Julia". Si rese conto che non aveva altre risposte da
dargli. Sapeva cosa significasse perdere una figlia, era un dolore
atroce e quasi mortale, che ti portava via per sempre un pezzo di
cuore. Ma Dwight doveva affrontarlo con Caroline o si sarebbero persi
come era successo a lei e Ross dopo la morte di Julia. Dovevano
piangere insieme, arrabbiarsi insieme, urlare insieme il loro dolore,
sbattere la testa al muro per superarlo e poi, ammaccati e feriti,
prendersi per mano e ricominciare.
Pensò
che non era giusto, Caroline e Dwight non meritavano una cosa simile.
Il suo amico era distrutto, si sentiva in colpa per mille cose e
soprattutto, da medico, poteva avvertire in lui il peso del
fallimento perché, fra tutti, era proprio sua figlia che non
poteva
curare.
Pensò
a Ross e a quando, a Natale, gli aveva promesso che avrebbe pensato
all'eventualità di far pace con Dwight. Beh, Ross aveva
tempi di
riflessione probabilmente lunghi ma se c'era un buon momento per
sotterrare l'ascia di guerra, questo lo era indubbiamente. Lo avrebbe
visto a giorni e gliene avrebbe parlato, che suo marito volesse o no!
E lo avrebbe costretto ad ascoltarla! Ross e Dwight erano amici, lo
erano sempre stati e si erano aiutati in tante situazioni disperate!
Era finito il tempo per litigare e Demelza sapeva che Ross, se avesse
saputo della situazione, sarebbe corso subito a dare supporto
all'amico e avrebbe lasciato da parte il suo orgoglio.
Ellie
fece una capriola sul tappeto, mentre Horace la guardava incuriosito.
La bimba rise rumorosamente e Dwight si lasciò scappare un
sorriso.
"Diventa sempre più bella, sarà una delle donne
più
affascinanti della Cornovaglia".
Demelza,
tristemente, gli prese la mano nella sua. "A me basta che sia
una brava ed educata bambina".
"Lo
è, mi pare" – obiettò lui.
"Sì,
lo è! Ed è buffa, dice e fa cose che mi fanno
sempre ridere! Se
sono triste, lei è la mia medicina per riacquistare buon
umore".
Dwight
la guardò in viso, studiandola. "E tu come stai, Demelza?
Ultimamente non ci vediamo spesso".
Demelza
gli sorrise, stringendogli la mano. "Non dovresti essere tu a
chiederlo a me...".
"Te
lo chiedo perché mi sembri un pò pallida. Ti
senti bene?".
Demelza
distolse lo sguardo, non era mai stata particolarmente brava a
mentire ma Dwight aveva problemi ben più gravi da affrontare
del suo
malessere passeggero. "Prova tu, col caldo, a farti a piedi
diverse miglia con una bimba di due anni accanto... Sfido chiunque a
non essere pallido".
"Quindi
va tutto bene?" - insistette Dwight, non molto convinto da
quella spiegazione.
"Sì,
tutto bene".
Dwight
non sembrava persuaso. "E con Ross? Le acque si sono calmate?".
Fu
costretta ad annuire al pensiero di suo marito e dello strano
rapporto che si stava creando fra loro. Erano sposati ma allo stesso
tempo amanti occasionali e clandestini, pieni di problemi che non
avevano ancora il coraggio di affrontare ma più vicini di
quanto non
fossero forse mai stati prima. Era difficile rispondere a Dwight,
visto che nemmeno lei sapeva dare una spiegazione logica a cosa la
legasse a Ross in quel momento. "Sì, credo che le cose
vadano
molto meglio rispetto a un anno fa. Parliamo, ridiamo anche, se
capita, ha aiutato il villaggio durante la grande pioggia di inizio
mese e... e non litighiamo da tanto". Decise di omettere il lato
più intimo del suo rapporto con Ross ma forse, dallo sguardo
di
Dwight, si rese conto che forse lui aveva capito lo stesso.
"Sono
contento, Demelza".
Lei
sorrise, timidamente. "Vorrei che facesse pace con te. Odio
pensare di essere stata io la causa della fine della vostra
amicizia".
Dwight
le diede una carezza sulla spalla. "Demelza, tu non sei la causa
di niente! Ross era arrabbiato a quei tempi e aveva bisogno di
prendersela con qualcuno. Io o chiunque altro... Non gli
chiederò
scusa per essermi preso cura di te, non lo farò mai
perché è la
mia missione e non ne sono pentito. Vorrei poter tornare ad averlo
accanto, Dio solo sa quanto lo vorrei soprattutto adesso. Ma sono
felice per te, sapere che siete in buoni rapporti mi basta".
"Ma...".
Dwight
le fece cenno di tacere. "Niente ma, va bene così".
Osservò poi Ellie che, seduta sul tappeto, si faceva leccare
tutto
il viso da Horace. "Con la bimba come va? E' ancora rabbioso?".
Demelza
ci pensò su. Come andava? Era difficile capire cosa passasse
nella
testa di Ross per quel che riguardava Ellie. Certo, ci parlava, la
faceva giocare e sembrava rilassato e premuroso con lei, ma non
sapeva esattamente cosa provasse perché Ross non glielo
aveva mai
detto. "Credo che la trovi divertente e che abbia iniziato a
conoscerla. Forse ci si è pure un pò affezionato,
Ellie sa davvero
essere ruffiana con lui e quando non c'è, lo cerca sempre e
mi
chiede mille volte quando viene a trovarci. Poi, a casa, è
inseparabile dal tricorno che Ross le ha regalato quando aveva il
morbillo. Lo adora come adora Kiky!".
Dwight
le fece un sorriso gentile. "Quindi, se Ross ha regalato ad
Eleanor il suo tricorno, le vuole bene. E' quello che ho sempre
sperato, fin dal giorno in cui Ellie è nata".
Demelza
inspirò profondamente. "Ah Dwight, non so, non credo. La
trova
una piacevole compagnia come lo sono tutti i bambini di due anni,
forse. La vede ogni tanto e sta con lei qualche ora senza problemi
ma... volerle bene...? Non credo e non penso che mai
succederà...
L'ho avuta con Hugh e questo sarà sempre inaccettabile per
lui".
Dwight
non pareva d'accordo. "Demelza, non sottovalutare Ross! Ha un
cuore grande".
Sorrise,
non poté farne a meno. Era vero, Ross era un uomo fuori dal
comune e
dal cuore d'oro, ma era troppo anche solo sperare che amasse Ellie
come amava Jeremy e Clowance. "Dwight, a me va bene così! E'
già un miracolo andare d'accordo e stare insieme, a volte,
con tutti
e tre i bambini. Non posso chiedere di più e per quello che
ho
fatto, ho già avuto troppo".
"Tu
ti punisci più del dovuto, mia cara. Le tue colpe le hai
già più
che espiate".
Sospirando
lei si alzò, andando a recuperare sua figlia prima che la
bava di
Horace la bagnasse fino al midollo. "Forse mi punisco troppo, ma
è giusto così per la mia coscienza".
Dwight
la abbracciò, dando un bacio sulla testa alla bambina.
Osservò
Ellie con un groppo alla gola, pensando a Sarah. "Demelza, sei
fortunata, hai una bambina sana e forte. E' un dono del Signore e il
Signore non fa di questi doni alle persone che intende punire.
Perdonati e apri il tuo cuore a Ross, dagli fiducia e sarai di nuovo
felice. Ed Ellie con te".
"Lo
farò! E tu promettimi di parlare con Caroline, di essere
forte e di
chiamarmi se ne avrai bisogno, per qualsiasi cosa".
Dwight
la abbracciò di nuovo, baciandola sulla fronte. Poi la
condusse in
giardino, verso il cancello. "Vuoi che ti riaccompagni con la
carrozza?".
Lei
scosse la testa. "No, va da Caroline. Io ed Eleanor non abbiamo
paura di camminare. C'è il sole ed è piacevole".
Dwight
sospirò. "Riguardati, continui ad essere pallida!".
Finse
noncuranza. "Meno pallida di te, di certo!" - rispose a
tono, ignorando i crampi al ventre.
Con
Ellie, saluto Dwight e poi si diresse verso Illugan. Aveva la morte
nel cuore al pensiero della piccola Sarah ed era più che
decisa a
parlare con Ross di quella faccenda, a costo di litigarci! Doveva
parlare con Dwight, quel testone di suo marito!
"Mamma,
accio!" - la richiamò Ellie dopo un pò, facendole
capire che
era stanca di camminare.
Sbuffando,
con la pancia che ormai faceva davvero male, prese la piccola e con
lei, a piccoli passi, si diresse verso casa. Per un attimo si
pentì
di non aver accettato l'invito di Dwight ad accompagnarla in
carrozza, ma poi ripensò a Caroline e a Sarah e decise che
era
meglio così!
Camminò,
sentendo incredibilmente pesante Ellie. Non si sentiva per niente
bene, accidenti! E a un certo punto una fitta potentissima le tolse
quasi il fiato. Fu costretta a fermarsi e a mettere a terra la
bambina, rannicchiandosi contro una pianta. Faceva male, era come se
una forza misteriosa le stesse strappando i muscoli della pancia a
morsi... Cercò di regolarizzare il respiro e di riacquistare
la
calma ma le mancava persino il respiro. Non si era mai sentita
così...
"Mamma..."
- mugugnò Ellie, spaventata.
Come
tranquillizzarla? Era spaventata quanto sua figlia, erano in una
strada di campagna isolata e se le fosse successo qualcosa di grave,
che ne sarebbe stato di Ellie? "Tranquilla, ora mi passa...".
Ellie
si mise a piangere, aggrappandosi a lei e Demelza fu costretta a
stringere i denti per non urlare dal dolore. Forse era malata, forse
si era fatta male da qualche parte e lo strapazzo di quella lunga
camminata stava facendo il resto... Forse potevano essere mille cose
ma l'unica certezza era che non poteva farci nulla. Era sola, sola
con Ellie. E la sua più grande paura, da quando l'aveva
messa al
mondo, si stava avverando. Che ne sarebbe stato della sua bimba, se
le fosse successo qualcosa?
Cercando
di regolarizzare il suo respiro, si sedette più composta,
appoggiando la schiena al tronco dell'albero a cui si era appoggiata.
Poi attirò a se la bambina, stringendola a se. "Amore, va
tutto
bene".
"Pattato?".
"Un
pochino è passato, sì". Trattenne le lacrime, non
era tempo di
piangere. E stranamente, in quel momento, l'unica cosa a cui
riuscì
a pensare era che voleva Ross. Lo voleva lì, vicino a lei,
adesso!
Irrazionalmente sapeva che, se l'avesse avuto vicino, lei sarebbe
stata meglio. "Ross, amore mio dove sei?".
"Ross..."
- ripeté Ellie.
Demelza
la strinse a se, forte, inspirando il profumo dei suoi capelli.
Cercò
in lei la forza, Ellie era il suo amore come lo erano Ross e i loro
figli. "Ross lo vedremo presto, sai?".
"Sì".
"Gli
vuoi bene?" - le chiese, ripensando alle parole di Dwight.
"Tanto!"
- rispose Ellie, sicura.
Questo
la fece sorridere, nonostante tutto. Poco alla volta, seduta, le
fitte si attenuarono e dopo un'ora, leggermente rinfrancata, a
piccoli passi si diresse verso casa pregando di non essere malata. E
che Ross venisse davvero presto, per lei.
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Capitolo 31 *** Capitolo trentuno ***
Negli
ultimi giorni Ross aveva riflettuto a lungo, in silenzio, su come
organizzare la sua partenza per Londra.
Le
cose con Demelza andavano bene, la stagione si avviava al bello e
anche se lei viveva in una casa piccola e isolata, non gli sembrava
in fondo così assurdo lasciarle i bambini durante la sua
assenza.
Lei ne sarebbe stata contenta, loro pure, Etta ancor di più
e lui si
sarebbe mosso a Londra con più facilità,
sbrigando il prima
possibile le incombenze che lo attendevano.
Non
aveva detto nulla a Clowance e Jeremy, però. Voleva prima
parlarne
con Demelza, verificare che fosse d'accordo e che potesse gestire la
situazione con tre bambini piccoli e solo dopo dirlo ai suoi figli.
Quella
mattina, col caldo sole di quell'inizio maggio insolitamente torrido,
dopo aver sbrigato alcune faccende alla Wheal Grace, si diresse da
lei ad Illugan. Da quando aveva fatto l'amore con lei, si trovava
spesso a contare le ore e i minuti che lo separavano da un incontro
con sua moglie, pur platonico, e le cose andavano bene. Erano
rilassati insieme, sereni, tranquilli... E di questo ne godevano i
bambini che, anche se vivevano separati, in un certo senso avevano
ritrovato una famiglia unita.
A
volte si chiedeva cosa pensasse Demelza di quell'attimo di amore
rubato al caso e al destino, ma aveva quasi paura di chiederglielo,
di illudersi e poi di stare male. Decise che gli bastava, per ora,
vederla contenta. Sarebbe partito per Londra anche per rimettere a
posto le sue idee, avrebbe dato a Demelza il tempo di fare
altrettanto e poi forse, al ritorno...
Le
sarebbe mancata tantissimo, già lo sapeva. E, anche se gli
era
ancora difficile da ammettere, gli sarebbe mancata anche la piccola
peste di due anni che viveva con lei. Ellie, coi suoi capelli biondi
e gli occhi azzurri, che non dormiva senza Kiky – e a volte
non
dormiva nemmeno se lo aveva vicino – che giocava con le
galline e i
coniglietti di sua madre e che parlava in modo buffo, gli era entrata
nel cuore più di quanto avrebbe mai immaginato. Si rese
conto che,
quando andava da Demelza, in fondo era anche per dare un occhio alla
bimba e accertarsi che stesse bene e non avesse bisogno di qualcosa.
Giunse
a casa di Demelza a mattinata inoltrata. Il cielo era azzurro e il
torrente davanti casa era tornato placido e tranquillo, dopo le
grandi piogge. La porta era aperta e intravide la piccola Ellie che,
trotterellando avanti e indietro, portava delle briciole di pane a
galline e conigli.
Appena
lo vide, la bimba gli corse incontro. Aveva i capelli legati in due
graziosi codini, i piedi scalzi e indossava unicamente una leggera
sottoveste bianca. "Ross" – urlò, saltandogli in
braccio.
"Ciao
peste!" - esclamò lui, baciandola sulla fronte.
"Dov'è la
mamma?" - chiese, non notando la presenza di Demelza nei
paraggi.
"A
nanna".
Ross
si accigliò. Demelza a letto? A quell'ora? Fu colto da una
strana
ansia, non era decisamente da lei... Mise a terra Ellie, la prese per
mano e corse verso casa.
Quando
vide Demelza, in un certo senso si tranquillizzò. Era a
letto,
coperta da uno scialle sulle spalle e pareva dormire profondamente,
ma il suo colorito non era pallido e non sembrava malata.
"Mamma!"
- la chiamò forte, Ellie.
Al
suono squillante della sua voce, Demelza aprì gli occhi,
stupendosi
quasi di essersi addormentata. "Tesoro, ora mi alzo e...".
Si bloccò, vedendo Ross accanto a lei, spalancando gli
occhi. "Tu
cosa ci fai qui?".
Ross
le si sedette accanto sul letto, toccandole la fronte. "Stai
male?".
Lei
distolse lo sguardo. "Ecco... non proprio... Non preoccuparti".
Non
preoccuparti? Accidenti a lei, viveva da sola in un posto isolato con
una bambina di due anni e sì, se non stava bene lui si
preoccupava
eccome! "Demelza? Che c'è? Non è da te dormire a
quest'ora".
"Mi
sono solo appisolata un attimo, sono un pò stanca".
Non
credette a mezza parola. "Cosa c'è?".
"Ross...".
"Demelza!".
Si sarebbe imposto perché c'era qualcosa che non andava e
conosceva
sua moglie troppo bene per credere a quelle futili scuse.
Lei
sospirò, mettendosi a sedere. Si massaggiò il
ventre con aria
sofferente ed Ellie si arrampicò sul letto per rannicchiarsi
sulle
sue gambe. "Ho dei crampi alla pancia da qualche giorno. Ieri
erano insopportabili, oggi va un pò meglio ma mi fa male
ancora".
Ross
le sfiorò le guance, sollevandole il viso. Aveva appurato
che era
fresca e che non aveva la febbre e anche i suoi occhi non parevano
quelli di una persona malata. "Hai mangiato qualcosa di
strano?".
"No".
"Hai
fatto qualcosa di particolarmente faticoso?".
"No...
Solo una lunga passeggiata con Ellie, ieri, per andare da Dwight".
Ross
sospirò, dandole un pizzicotto sulla guancia. Dwight viveva
piuttosto lontano ma Demelza era sempre stata abile e svelta nel
camminare e una passeggiata fino a casa sua non era poi molto per una
come lei. Certo, c'era Ellie, quindi... "Hai tenuto tutto il
tempo in braccio la bambina?".
"Per
alcuni tratti".
Non
sapeva se essere preoccupato o meno. Demelza era una donna forte e
sana e probabilmente era un malessere passeggero, ma lui era in ansia
lo stesso. "Lo hai detto a Dwght?".
"No".
"No?
E allora perché diavolo sei andata fino a casa sua, ieri?" -
sbottò, senza capirci nulla.
Demelza
accarezzò i capelli di Ellie e la bimba rise, rotolandosi
nel letto.
"Non sono andata per questo, sono andata a trovare Caroline. Ha
partorito pochi giorni fa, non te l'ha detto Prudie? Hanno avuto una
bambina...".
"No,
Prudie non mi ha detto niente". Ross distolse lo sguardo da lei.
E così Dwight era diventato padre... Sentì una
strana amarezza nel
suo cuore, rendendosi conto che era davvero tanto tempo che lui e il
suo migliore amico si erano persi di vista e che rabbia, rancore e
orgoglio gli avevano impedito di stare accanto a una persona che,
invece, lo aveva sempre sorretto nei suoi momenti più
difficili.
"Beh, sono felice per lui..." - disse, con sincerità. "Ma
avresti dovuto dirgli comunque del tuo malessere".
Demelza
impallidì. "Credo abbia ben altro in mente, che il mio mal
di
pancia".
Ross
la guardò, spazientito. "Demelza, ha avuto un figlio, non
è
moribondo. Tu ne hai avuti quattro, ad esempio...".
Lei
si appoggiò alla spalliera del letto. Sembrava triste
più che
felice, per quella lieta novella. "E' una bimba, Sarah.
Bellissima come Caroline, sembra lei in miniatura. Ed è
molto
malata, Dwight dice che ha un problema al cuore e che vivrà
per
poco. Era disperato, ieri, quando me l'ha raccontato. Come potevo
dirgli di me?".
Ross
rimase a bocca aperta, senza parole. Santo cielo, Dwight e Caroline?
Perdere un figlio, per un genitore, era la più atroce delle
disgrazie, qualcosa che ti lacera il cuore e ti lascia una cicatrice
perenne. E per un medico, doveva essere ancora più
terribile. Sapere
di aver salvato tante vite e non essere in grado di salvare una
figlia, che incubo poteva essere? Sentì gli occhi pungergli,
Dwight
non lo meritava... "Mi dispiace".
Demelza
gli prese la mano, stringendola fra le sue. "Mi avevi promesso
che avresti pensato a come riconciliarti con lui".
"Ti
avevo detto che ci avrei pensato".
Demelza
lo guardò storto. "Ross, ti prego! Se c'è un buon
momento per
tornare amici, è questo! Chi c'era accanto a noi, quando
Julia è
morta? Chi ti è stato accanto mentre io stavo male? Chi ti
ha
salvato da quell'imboscata quando eri coi contrabbandieri, rischiando
il carcere e l'amore per te?".
"Hai
ragione" – ammise. Demelza aveva sempre ragione e in fondo la
rabbia verso Dwight era passata da tanto. Era più una
questione di
orgoglio e imbarazzo quella ormai, per lui.
Demelza
sorrise. "Parlerai con lui, allora?".
Ross
le sfiorò il ventre, deciso sul da farsi. Beh, quale
occasione
migliore di questa, offerta dai crampi di Demelza? "Puoi
scommetterci! Anzi, ci vado subito".
"Davvero?"
- chiese lei, speranzosa.
Ross
si alzò dal letto, rimettendosi il tricorno in testa.
"Sì. E
lo porto quì".
Demelza
si alzò di scatto dal letto, a quelle parole. "No, non
voglio!
Lascialo a casa, con Caroline!".
Ross
scosse la testa, ormai aveva deciso e nemmeno lei avrebbe potuto
fargli cambiare idea. "Uscire un pò non gli farà
male e fare
insieme un tratto di strada, forse ci aiuterà a chiarirci.
Un paio
d'ore quì non peggioreranno la situazione e se per caso la
bambina
non stesse bene, mi direbbe di no. E io andrei a chiamare il dottor
Choake".
Demelza
impallidì. "No, non Choake! Non ce n'è bisogno".
Ross
sbuffò, accarezzando la testolina di Ellie che, silenziosa,
guardava
senza dire nulla il loro strano battibecco. "Cura la mamma,
mentre sono via, per favore. E accertati che non faccia capricci!".
"Sì,
fascio io!".
Ross
le sorrise, sapeva essere adorabile e aveva anche l'impressione che
fosse più affidabile di come era stato suo padre quando,
anni prima,
gli aveva dato la stessa rassicurazione. "Brava". Diede una
veloce occhiata a Demelza che lo guardava con sguardo che prometteva
scintille ma non l'avrebbe avuta vinta questa volta. Voleva un
medico, voleva sentire che lei stava bene e... voleva parlare con
Dwight. Se gli amici veri non si vedevano nei momenti difficili,
nonostante le liti, che amici erano?
E
poi, che motivo c'era di essere ancora arrabbiato con lui? Aveva
curato Demelza durante la gravidanza e di questo ora gli era grato.
Aveva fatto nascere sana e vispa la piccola Ellie e sì, gli
era
grato anche per questo! "Torno subito, dico sul serio, sta a
letto Demelza".
Il
suo tono di voce era preoccupato e sua moglie dovette percepirlo. Si
acquietò e sospirò, lasciandosi andare sui
cuscini. "Va bene".
E
a passo veloce, prima che lei cambiasse idea, uscì di casa e
si
diresse al suo cavallo.
Velocemente,
in uno strano miscuglio di ansia e preoccupazione, raggiunse la
grande dimora degli Enys. Era tanto che non ci veniva e l'ultima
volta se n'era andato dopo aver rifilato un destro al padrone di
casa.
Mentre
si faceva annunciare dal maggiordomo, si chiese come sarebbe stato
accolto. Dwight gli avrebbe restituito il colpo preso due anni prima?
O sarebbe stato ragionevole, come era sempre stato nella sua natura?
Fu
Dwight stesso a raggiungerlo al cancello, al posto del maggiordomo.
Indossava una semplice camicia bianca e dei pantaloni di velluto
azzurri e il suo viso era segnato da rughe di preoccupazione. Pareva
stanco e sfiduciato, di colpo invecchiato. E provò infinito
dispiacere per lui...
Dwight
arrivò al cancello, l'espressione grave sul viso. "Ross,
quando
il mio maggiordomo ti ha annunciato, non potevo credere alle mie
orecchie".
Sospirò,
forse grato per quella reazione di circostanza. "Beh, se ti fa
piacere fatico io stesso a credere di essere quì".
Senza
troppi convenevoli, Dwight arrivò al punto. "Sei in cerca di
un
medico?".
"Sì".
Dwight
deglutì. "I bambini stanno male?".
Quel
modo di fare diretto, in un certo senso lo metteva a suo agio.
Nascondersi dietro frasi di circostanza fra medico e paziente in
fondo era facile, non ti faceva pensare ai problemi. "No, non i
bambini. E' per Demelza".
Dwight
si massaggiò la fronte. "L'ho vista ieri e mi era sembrata
pallida, in effetti. Ma mi ha rassicurato che non c'era nulla di cui
preoccuparsi".
Ross
sbuffò. Accidenti a lei! "Demelza ha la testa dura come un
mulo, dovresti saperlo".
"In
questo siete del tutto identici" – ribatté Dwight,
a tono.
C'era amarezza in lui e una velata nota di rimprovero.
Ross
si trovò costretto ad annuire. "Sì, in effetti
è così! Spero
che i nostri figli siano diversi ma temo che Clowance sarà
anche
peggio di noi, da grande".
Al
sentir parlare della bambina, Dwight distolse lo sguardo da lui e
Ross si sentì in colpa per aver menzionato sua figlia.
"Scusa,
non avrei dovuto parlare di Cl...".
"Che
cos'ha, Demelza?" - chiese il medico, bloccandolo.
Sussultò
al suono freddo della voce di Dwight, un qualcosa che non gli era mai
appartenuto. "Forse nulla di grave davvero. Dei crampi, dice...
Minimizza, ma era a letto e non è da lei!".
Dwight
parve preoccupato quanto lui. "No, per niente. Dammi due minuti,
prendo il cavallo e vengo con te a Illugan".
"Certo".
Lo guardò allontanarsi, ma sentì il bisogno di
richiamarlo. C'era
qualcosa di sbagliato e sospeso in quella loro discussione dopo tanti
anni di rancore e silenzio e omettere di parlarne non sarebbe servito
a risolvere i problemi. "Dwight?".
"Cosa?".
"Mi
dispiace... So di disturbarti in un momento difficile, Demelza mi ha
parlato di...".
Lui
lo bloccò. "Non voglio parlarne, ora! La mia bambina dorme
tranquilla fra le braccia di sua madre, in questo momento. E questo
mi basta!".
Ross
sospirò. "Beh... So di non potermi definire un buon amico,
ma
sappi che se avrai bisogno di qualcosa...".
Dwight
annuì, abbozzando un timido sorriso. "In fondo, chi lo dice
cosa definisce una persona, un buon amico?".
Ross
alzò le spalle. "Beh, dare pugni in faccia non è
da amici".
Dwight
ci pensò su un attimo. "Ma ricerverne, sì! A
volte sono
proprio gli amici, quelli che li prendono con piacere, i pugni, se
sanno che possono aiutare chi li sferra a stare meglio. Non ti
chiederò scusa per quello che ho fatto per Demelza allora,
non lo
farò perché dovrei essere pentito per farlo. E
non lo sono! Lo
rifarei ancora, se tornassi indietro, sappilo!".
"E
io te ne sarei grato" – disse Ross, con un sospiro e con una
sincerità disarmante. In fondo, che mondo sarebbe stato
senza quella
piccola peste di Ellie?
Dwight
non disse nulla. Si voltò, si avviò verso le
stalle e tornò alcuni
minuti dopo in sella a un purosangue nero. "Andiamo!".
Ross
annuì. "Credi che sia qualcosa di grave?".
"No,
non credo. Ha la febbre?".
"No.
E ha fatto il diavolo a quattro quando le ho detto che sarei venuto a
chiamarti, non voleva che ti disturbassi proprio ora".
Dwight
sorrise, in fondo conosceva bene Demelza quanto lui... "Come hai
fatto a convincerla?".
"Le
ho detto che se non voleva te, doveva beccarsi Choake. E davantia una
minaccia seria, ha ceduto".
A
quel punto, inaspettatamente, Dwight rise. "Buona a sapersi!
Userò la stessa tattica coi miei pazienti poco
collaborativi".
Ross
annuì, rinfrancato di vederlo ridere. Avrebbe potuto
scommettere che
era molto che Dwight non lo faceva.
...
Demelza
si rannicchiò sotto le coperte, mentre Dwight si lavava le
mani.
Ross era fuori ad intrattenere la piccola Eleanor e ne sentiva il
vociare indistinto ma allegro. Ed era un bene perché il tipo
di
visita a cui l'aveva sottoposta Dwight, seguita a una lunga fila di
domande che ben conosceva, non le prometteva nulla di buono.
Il
medico le si avvicinò, sedendosi accanto a lei. "Tu ed io,
tre
anni fa circa, abbiamo già affrontato un discorso simile,
ricordi?".
Si
mise le mani sulle orecchie. No, non voleva sentire! Come allora,
voleva far finta di nulla e immaginare che fosse solo un brutto
sogno! Non poteva essere successo, non di nuovo, non per un paio di
ore di passione rubate alla pioggia e alla solitudine. "Dwight...".
L'uomo
le prese le mani, delicatamente, allontanadogliele dalle orecchie.
"Demelza, sei una donna adulta e sei madre. Ti prego, dimmi che
Ross c'entra con tutto questo".
"Giuda,
sì! E non doveva succedere!".
"Siete
sposati!" - ribatté Dwight – "E questo
è il genere di
cose che ci si auspica dalle coppie sposate".
Demelza
lo guardò, con le guance rigate di lacrime. "Dwight, non
posso
essere incinta, non potremmo gestirla. Non ora, non così".
Dwight
sospirò. "Demelza, è una bella cosa questa.
Potrebbe essere un
nuovo inizio per voi".
Non
era d'accordo. Aveva paura, era terrorizzata e non si sentiva in
forze per fare nulla e di certo non per avere un altro figlio. "Un
nuovo inizio? O la fine della pace apparente che abbiamo
faticosamente riconquistato?".
"Questo
dipende da voi".
E
a quel punto lo disse, disse quelle parole che mai avrebbe pensato di
pronunciare. Nemmeno durante la gravidanza di Eleanor aveva creduto
di arrivare a tanto, ma... "Non lo voglio un bambino, Dwight!"
- gridò, quasi spaventandosi di se stessa.
"Sì
che lo vuoi" – rispose il medico, in tono pacato –
"Sei
solo spaventata e ne hai mille ragioni. Ma saprai affrontarlo".
Demelza
scosse la testa, come poteva non capire? C'erano anni di separazione,
due vite ormai quasi estranee, due figli che si erano con fatica
abituati a quella nuova realtà, c'era Elizabeth, c'era
Eleanor...
Come poteva anche solo pensare di averlo, questo figlio? "Dwight,
posso chiederti una cosa?".
"Certo".
Demelza
deglutì. "Quando aspettavo Eleanor, ti ricordi, mi parlasti
di
un modo per interrompere la gravidanza. Puoi ancora farlo?".
Dwight
spalancò gli occhi con terrore, davanti a quella domanda. Le
prese
la mano, la strinse nella sua e la costrinse a guardarlo in viso.
"Demelza, guardami".
"Rispondi!".
"Ora
è l'amico che ti parla, non il medico. Quello che mi chiedi
certo,
posso farlo. Ma è pericoloso per la tua salute, sappi che
non è una
pratica esente da rischi... Se vorrai farlo, allora programmeremo la
cosa, ma SOLO dopo che ti sarai calmata, ne avrai ragionato e parlato
con Ross".
Demelza
strinse il lenzuolo fra le mani. "Ross non è mai stato
felice
per nessuna delle mie gravidanze e di certo non lo sarà per
questa".
"Ma
glielo devi dire e ne devi discutere con lui" – rispose
Dwight, secco. Le accarezzò i capelli, in modo dolce e
affettuoso.
"Demelza, ascolta! Io ti conosco e so che se farai una cosa
simile, non te lo potresti mai perdonare, poi. Hai tenuto Eleanor e
lo hai fatto in situazioni ben peggiori, hai combattuto per quella
bimba come una leonessa e io so che sei pronta a fare altrettanto per
questo nuovo figlio. Parla con Ross, aprigli il tuo cuore e digli di
cosa hai paura. Magari scoprirai che temete le stesse cose e insieme
saprete superarle... Non prendere decisioni affrettate, lascia al tuo
cuore la facoltà di scegliere. E' del tuo bambino che parli,
tuo e
di Ross. E indipendentemente da tutto, sono convinto che è
nato
dall'amore, un amore più vero e profondo di quanto voi due
vogliate
ammettere".
Era
bello sentire parlare Dwight, faceva apparire le cose meno terribili
e quasi dolci. Avrebbe voluto abbandonarsi a lui come una bambina
fiduciosa e credergli, ma la verità era che aveva paura sul
serio.
Ma il suo amico aveva ragione, non poteva scegliere da sola.
"Potresti chiamare Ross?".
"Certo.
Lo mando quì e resto io a dare un occhio ad Ellie, fuori.
Solo Dio
sa quanto abbia bisogno di sentir ridere una bambina".
Si
sentì in colpa verso di lui. Dwight stava perdendo una
figlia che
amava e che aveva desiderato e lei stava compiendo la scelta di
liberarsi di un figlio che aveva appena scoperto di avere dentro di
se. "Dwight...".
"Non
dire niente, vado a chiamare Ross. E' con lui che devi parlare. E se
deciderete di tenere questo piccolo – cosa che mi auspico
– devi
metterti in testa che devi riposare molto. E' una gravidanza
potenzialmente a rischio".
A
quelle parole, nonostante le sue intenzioni, protettivamente Demelza
si accarezzò il ventre. "Rischio?".
"Potresti
perderlo, sei troppo stanca e provata. Quei crampi sono un sintomo di
minaccia d'aborto".
Chiuse
gli occhi. Aveva detto, pochi minuti prima, di non voler proseguire
la gravidanza. Ma davanti alla possibilità di un aborto,
tutto
quello che voleva era proteggere quel piccolino dentro di lei. Era
una contraddizione vivente, lo sapeva... Cosa voleva davvero? "Chiama
Ross..." - disse ancora, abbandonandosi sul cuscino. Avrebbero scelto insieme, questa volta.
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Capitolo 32 *** Capitolo trentadue ***
Era
circondato da conigli e galline ed Ellie aveva deciso di insegnargli
il nome di ognuno di loro. Beh, forse era un ottimo modo per tenere
la mente occupata mentre Dwight visitava Demelza, ma si sentiva
ansioso lo stesso.
Seduto
su un masso a fianco della casetta nel bosco, sentì il tocco
di
Ellie sul suo ginocchio. Aveva in braccio un coniglietto bianco e lo
guardava, come in attesa.
"Ross?".
"Dimmi
Eleanor".
"Chi
è?" - chiese, porgendogli la bestiolina.
Chi
era? Già, non lo ricordava proprio. "Timmy?" - chiese,
titubante, sapendo già in partenza di aver sbagliato e che
lei si
sarebbe arrabbiata come una jena. Anche se era quasi sicuro che in
mezzo a quella fattoria, un Timmy ci fosse...
Ellie
gli mise il muso, fulminandolo con lo sguardo. "NOOOOOO!
Pecché
tu non mi scolti?" - lo rimproverò, picchiandogli la manina
sulla gamba.
"E
non lo ricordo! Sono vecchio, ho poca memoria,
sìì comprensiva".
Ellie
mise il coniglietto per terra, poi si portò le mani ai
fianchi. "No
vecchio! Non mi scolti e batta!".
A
Ross venne da ridere, nonostante tutto. Santo cielo, quando si
arrabbiava somigliava a Demelza, non se n'era mai accorto! "Va
bene, hai ragione!" - disse, prendendola in braccio e
mettendosela sulle ginocchia. "Come si chiama il coniglietto
bianco? Giuro, non lo scordo più".
"Milk".
"Milk,
perfetto! Per un coniglietto tutto bianco è il nome giusto".
"Sì"
– asserì Ellie, tutta seria, come considerando la
cosa con la
serietà di un adulto. Poi rise, si arrampicò sul
suo petto e gli
diede un bacio sulla guancia. "Adescio ti imparo tutti gli
altri!".
E
in quel momento arrivò a salvarlo Dwight che, divertito, li
guardò
senza battere ciglio. "Se me lo avessero raccontato, non ci
avrei creduto..." - esclamò osservando i due.
Nel
vederlo, Ross tornò ad essere attanagliato dall'ansia.
"Dwight,
allora? E' qualcosa di grave".
Dwight
ci pensò su un attimo. "Dipende da come si considera la
faccenda" – disse, vago.
Ross
deglutì. "E' malata?".
"No".
Il medico gli si avvicinò, prendendo Ellie in braccio. "Va
da
lei, voi due dovete parlare".
L'ansia
aumentò. "Dwight, devi dirmi qualcosa di grave?".
"Io
no! E' con Demelza che devi parlare e vedi di dare il meglio di te,
stavolta. C'è in gioco tutto il vostro futuro".
Quelle
parole così definitive e solenni, erano difficili da
identificare.
Doveva saperne il significato e Dwight non sembrava disposto a dirgli
di più. "Vado da lei. Tu...".
Dwight
guardò Ellie che, annoiata, sgambettava per essere rimessa a
terra
per giocare coi suoi animali. "A lei ci penso io, va da
Demelza".
Non
se lo fece ripetere. Non sapeva bene cosa aspettarsi, gli andava bene
qualsiasi cosa eccetto una: non doveva essere malata!
Quando
entrò, la trovò seduta sul letto, appoggiata al
cuscino con la
schiena. Aveva indosso una camicia da notte bianca e aveva una
coperta verde sulle gambe. I suoi occhi erano gonfi e lucidi,
sembrava aver pianto... "Demelza?". Le si avvicinò col
cuore in tumulto, sedendosi accanto a lei.
Sua
moglie lo guardò per un istante in silenzio. Aveva
un'espressione
indecifrabile ma la conosceva abbastanza bene per percepire una sorta
di rabbia repressa in lei. "Se tu a volte mi ascoltassi, Ross,
ci eviteremmo tanti guai..." - disse solo, sotto voce.
Si
grattò il mento. D'accordo, non ci stava ufficialmente
capendo un
accidenti! "Cosa c'è? Che ho sbagliato di nuovo?".
Demelza
strinse la coperta fra le mani, rabbiosa. "Quel giorno, quando
pioveva, in quel capanno... Lo sapevo che non dovevamo fare l'amore e
accidenti a te che sei così convincente, alla fine ci sono
caduta!".
Era
sempre più perplesso e confuso. La pioggia? Il capanno? Fare
l'amore
insieme? Che diavolo c'entrava tutto questo con il suo malessere?
"Demelza, mi dici cosa c'è? Che ti ha detto Dwight?". Se
lei era seccata, lui cominciava ad esserlo altrettanto!
Lei
prese un profondo respiro, come cercando coraggio. Poi disse le
parole che mai lui avrebbe dimenticato. "Sono incinta".
Per
un attimo, si sentì svenire. Aveva capito male, forse? Stava
sognando? Non che non sapesse come si facevano i bambini, ma... Lei e
lui... Loro... Un bambino LORO? Dopo tutto l'inferno che avevano
vissuto, un bambino era riuscito ad insinuarsi nelle loro vite
nell'unico istante di passione che si erano concessi? In mezzo a
tumulti e guai che ancora non erano stati capaci di risolvere?
Deglutì,
guardandola. Lei, il suo amore... Lei portava dentro di se un
bambino... IL LORO BAMBINO! "Sei sicura?" - disse solo,
quasi con la paura che fosse un sogno. Era stato felice quando gli
aveva detto di aspettare Julia. Ma lo aveva vissuto con distacco con
Jeremy e da lontano con Clowance... Ma ora, ora era tutto diverso. Ed
era talmente contento che gli mancava quasi il fiato.
"Sì.
O almeno, lo è Dwight" – rispose Demelza che, a
quanto
sembrava, non condivideva il suo entusiasmo. Ed era così
inusuale
quello stato dei fatti, il contrario di come era sempre stato.
"Demelza,
ti rendi conto?" - disse, con la voce spezzata dall'emozione,
prendendole il viso fra le mani. Sapeva che la razionalità
avrebbe
dovuto suggerirgli che non era il momento adatto, ma non gli andava
proprio di essere razionale.
Gli
occhi di sua moglie, arrossati e stanchi, esprimevano tutt'altri
sentimenti. "Sì, mi rendo conto che è una cosa
che non doveva
succedere! Ross, noi non possiamo avere un bambino! Non ora, non
così... Non può funzionare e io non ho la forza
di imbarcarmi in
una gravidanza! Non volevo una nuova gravidanza... non me la sento,
mi dispiace".
Deglutì,
mentre la gioia di poco prima cedeva il passo alla paura e alla
preoccupazione per il significato di quelle parole. Certo, nessuno
dei due aveva pensato a quell'epilogo tre settimane prima, quando si
erano amati in quel capanno, e Demelza viveva già di per se
una vita
dura che si sarebbe ulteriormente complicata con un altro bambino. Ma
non era sola, non più. E voleva che lo sapesse, che lo
capisse! "So
che sarà difficile, ma...".
Demelza
chiuse gli occhi, sfiorandosi lievemente il ventre. C'era una grande
battglia in corso, in lei, e sembrava sopraffatta dal dolore e dalla
paura. "Io non lo voglio questo bambino. Considerami un mostro,
una codarda, una pessima madre! Ma è così".
Non
le credeva! Conosceva sua moglie e l'amore infinito che da sempre
provava per i suoi bambini e Ross sapeva che, nonostante tutto, erano
il dolore e la paura che parlavano in quel momento, non Demelza. "Non
è vero, non ti credo. Dimmi cosa provi, cosa ti fa paura,
parliamo!".
"Non
ho niente da dirti! E Dwight dice che con un piccolo intervento si
potrebbe mettere fine alla cosa".
La
guardò con orrore! No, non le avrebbe permesso di fare una
cosa
simile! Sapeva a cosa alludeva Demelza e sapeva anche che era una
cosa pericolosa! Molte donne morivano, dopo quello che lei aveva
chiamato 'piccolo intervento' e non poteva nemmeno immaginare che sua
moglie si sottoponesse a una cosa simile. Era una vera e propria
violenza a se stessa quella a cui Demelza voleva sottoporsi e Ross la
conosceva a sufficienza per sapere che poi non se lo sarebbe mai
perdonato. Dovevano parlare, doveva rassicurarla, doveva impegnarsi
perché si sentisse sicura e credesse in lui e nel suo amore
per lei.
No, non le avrebbe permesso di chiudersi in se stessa e di commettere
quell'errore a cui non c'era strada di ritorno, c'era troppo in gioco
ora. Ed era tempo di parlare. "Demelza, io non posso
costringerti ad avere questo bambino, ovviamente. Ma sappi che, per
quel che conta il mio parere, sono contrario a qualsiasi intervento
proposto da Dwight. Non farlo, il rimorso ti divorerebbe per il resto
della tua vita... Hai avuto Ellie, perché invece non vuoi
dare una
possibilità a questo nostro bambino?".
Lo
sguardo di Demelza si riempì di sensi di colpa. "Di Ellie,
sono
madre. Posso dire lo stesso, di questo bambino?".
Spalancò
gli occhi, non la stava capendo... "Certo che sei sua madre! Che
diavolo dici?".
Demelza
si morse il labbro, mentre le lacrime le rigavano il viso. "Quando?
Nei momenti in cui torni in Cornovaglia? Dovrei portare a termine una
gravidanza, sapendo che poi il mio bambino non lo vedrei quasi mai?
Metterlo al mondo sapendo che sarà cresciuto da Prudie o da
una
bambinaia londinese di cui nemmeno ricordo il nome e che non ho mai
visto? Viviamo separati e quando questo bambino nascerà, te
lo
porterai a Londra come gli altri e io lo vedrei ogni tanto...
Cresciuto da altri... Mi dispiace, io non ce la faccio nemmeno a
immaginarla, una cosa così".
Quelle
parole ebbero l'effetto di uno schiaffo su di lui. Santo cielo, come
poteva non averlo capito prima? Come aveva potuto essere tanto
insensibile da essere felice per una gravidanza che per Demelza, allo
stato attuale delle cose, avrebbe potuto significare un nuovo strappo
nel suo cuore? Come poteva non aver capito quale fosse la sua
più
grande paura? Si rese conto che aveva ancora tanto da imparare,
lui... "Demelza, io non ti porterei mai via questo bambino"
– disse dolcemente, accarezzandole la guancia.
Lei
lo guardò, scettica. "Lo avevi detto anche degli altri e io
non
li ho visti per due anni".
Già,
come darle torto? Aveva portato a Londra, spinto dalla rabbia,
Clowance e Jeremy per due lunghi anni. Lo aveva fatto per punirla! Lo
aveva fatto nonostante sapesse che stava facendo del male ai suoi
figli! Era passato tanto tempo da allora ma ciò che per lui
era
acqua passata, non lo poteva certo essere per lei che quella
decisione l'aveva vissuta e subita. "Non potrei mai farlo, non
di nuovo! Demelza, io non ti porterò via i bambini, non lo
farò mai
più".
"Ma
se è quello che farai fra qualche settimana..." - rispose
lei,
in tono stanco.
Già,
di lì a 14 giorni, sarebbe dovuto partire per una sessione
parlamentare a Londra e si sarebbe dovuto portar dietro Jeremy e
Clowance. In realtà li portava con lui per non dare a
Demelza
ulteriori incombenze, ma si rese conto che invece quella era una
situazione fonte di grandi sofferenze per lei. "Io non vado a
Londra".
"Cosa?".
"Non
ci vado, mi hai sentito benissimo! Non parto, non lascio la
Cornovaglia con te incinta".
Demelza
si tirò su dal cuscino, guardandolo come se fosse impazzito.
"Ross,
stai scherzando?".
"No".
Lo aveva deciso quasi all'istante. Nella sua vita e nel suo
matrimonio aveva permesso che tante cose arrivassero prima della sua
famiglia, ma ora aveva imparato e capito e tutto quello che voleva
era mettere Demelza al primo posto. "Mia moglie aspetta un
bambino e io voglio starle accanto. Il resto per me non ha
importanza".
Demelza
rimase senza parole. Gli sfiorò la mano, delicatamente,
accarezzandogli le dita. "Ross, il tuo lavoro in Parlamento a
Londra, è importante per molte persone".
"Il
mondo può benissimo fare a meno di me".
"Vuoi
lasciare il tuo incarico? Giuda Ross, sei impazzito?".
Sorrise.
In quel momento Demelza sembrava aver ritrovato un pò della
sua
grinta. La adorava quando si arrabbiava e gli teneva testa... "Non
ho detto questo! Ho detto che ORA il mio posto è
quì. Ora sei tu la
cosa importante e non permetterò, come in passato, che
qualcosa mi
allontani da te. Dagli errori si impara, Demelza... E le persone
intelligenti che imparano, si impegnano a non ricommetterli gli
errori. Non dico che in futuro non sbaglierò e non ti
farò
arrabbiare, questo no! Ma prometto che sarò un uomo
sicuramente
migliore di quello che sono stato fin ora". Sospirò,
appoggiandosi sul cuscino accanto a lei. "Tornerò a Londra e
ci
torneranno anche i bambini... Ci torneranno quando tu vorrai venire
con noi. Ci andremo tutti insieme, sono sicuro che ti piacerebbe
tanto! Ma fino ad allora, finché non potrai viaggiare, non
li
porterò più via da te. So che forse non merito di
essere creduto,
ma non sto scherzando. Sono sincero e vorrei che mi credessi".
Demelza
sospirò. "Ross, non essere avventato. Lord Falmouth si
infurierà se salti la sessione parlamentare e resti qui".
"Al
diavolo Lord Falmouth, Demelza!".
Lei
lo guardò come se fosse impazzito. Come se vedesse un altro
uomo e
non il marito che fino a quel momento aveva conosciuto... "Ross,
lascerai campo libero a George?".
"Per
un pò lo farò divertire...".
Demelza
gli prese la mano e la sua stretta su di lui si fece decisa. "Ross,
io ti credo e so che ce la stai mettendo tutta. Ma come potrebbe
funzionare? Viviamo separati da anni e il nostro matrimonio,
nonostante i nostri figli, non ha mai funzionato. Come potrebbero
cambiare le cose, adesso? Come potrebbe andar bene? Io ho Eleanor a
cui pensare e lei non fa parte della nostra famiglia. Non posso far
finta di nulla e lasciare che lei si senta un'estranea quando siamo
tutti insieme. E poi fra noi esiste ed è sempre esistita
Elizabeth... E il tuo cuore appartiene a lei da... da quando ti
conosco!".
Ross
si morse il labbro. Se Demelza aveva citato Elizabeth, doveva
cogliere la palla al balzo. E parlarle anche di Ellie e di come
sistemare le cose con lei. Sapeva che non voleva affrontare certi
argomenti, ma averla assecondata col silenzio, non era stata una
mossa saggia da parte sua. E Demelza aveva continuato a credere in un
qualcosa di inesistente che la faceva star male. "Ascolta, noi
dobbiamo parlare di Elizabeth! E pure della piccoletta la fuori".
"No,
non voglio!".
Era
cocciuta, ma stavolta l'avrebbe costretta ad ascoltare. "Non
vuoi farlo nemmeno per il bene del nostro bambino?".
"Ross,
sei sleale...".
Al
diavolo, c'era in ballo la vita del loro bimbo e sì, sarebbe
stato
anche sleale per il suo bene. Per il loro bene! "Demelza, ti
prego, ascoltami...".
Di
tutta risposta lei si stese nel letto, voltandogli le spalle e
mettendosi le mani sulle orecchie. "No".
Ross
sbuffò. Si stese accanto a lei, le cinse la vita e la
attirò a se
in modo che la sua schiena fosse contro al suo petto.
Affondò il
viso fra i suoi capelli rossi ispirandone il profumo e poi, con un
movimento delicato, gli tolse la mano dall'orecchio. "Mi sto
chiedendo chi sia più infantile fra te e il bambino che
aspetti"
– disse, in tono leggero.
Lei
non rispose ma la sentì singhiozzare.
Sua
moglie si sentiva in trappola e sapeva che per Demelza doveva essere
un momento terribile. "Senti, vuoi saperla o no la verità?".
"Non
voglio sapere niente" – rispose lei, in un soffio.
"E
io te la dirò lo stesso, sai che sono testardo!" -
sussurrò,
baciandole la nuca. "Ti ho sposata che non ti amavo. Lo ammetto
e tu sai che era così, a quel tempo. Ma poi mi sono
innamorato di te
e non ho mai smesso di esserlo, da allora, da quel Natale in cui hai
cantato per me a Trenwith. E forse anche da prima, da quel pomeriggio
dopo la pesca delle sardine, quando ce ne siamo tornati a casa
insieme, mano nella mano. Hai ragione, per molto tempo Elizabeth
è
stata nel mio cuore. Hai ragione, per tanto tempo io ti ho trascurata
e ho pensato prima a lei che a te... Ed è anche vero che
dopo la
morte di Francis, lei era tornata al centro dei miei pensieri come
un'ossessione da cui non ci si può liberare. So di averti
tradita e
ferita in quella notte maledetta, so che ti ho fatto del male e che
ho distrutto tutto. Ma so anche che forse, se non fossi andato da
Elizabeth, quell'ossessione per lei non sarebbe mai finita".
Aspettò un cenno da lei, una parola, ma Demelza rimase zitta
e
ferma, fra le sue braccia. Proseguì... "Quello che
è successo
da quella notte però, non è stata una menzogna,
Demelza. So di
essere stato un marito assente e poco attento ma non ti ho mai
mentito. Quando ti ho detto che il mio amore eri tu, ero sincero. E
lo sono sempre stato e a quelle parole sono stato fedele nei pensieri
e nei gesti... Ho sbagliato a tenerti fuori da tante decisioni della
mia vita, a darti per scontata e a stare lontano a lungo, soprattutto
quando eri incinta di Clowance. Ho sbagliato a non vedere, a non
capire quanto profonde fossero le ferite che ti avevo inferto. Eri la
mia certezza e stupidamente pensavo che sarebbe sempre stato
così e
che nulla sarebbe cambiato. Eri la mia forza perché ti
vedevo sempre
forte e pensavo che non avessi bisogno di me perché sei
diversa
dalle altre lady, tu non dipendi da un uomo! Tu sai cavartela da sola
ma ho imparato che non è questo quello che conta in amore!
Ora so
che l'amore va alimentato e vissuto, so che ci vogliono
umiltà e
sincerità, so che si deve rimanere accanto a chi si ama nel
bene e
nel male, anche quando hai una donna forte come te, accanto. Io non
ho una relazione con Elizabeth, mai ne ho voluta una né mai
l'ho
sognata dopo essermi innamorato di te. Dopo quella notte, io non l'ho
vista per anni, eccetto quell'incontro fortuito al cimitero, sulla
tomba di Agatha. Ho parlato con lei, glielo dovevo, Demelza! Quella
notte maledetta ho ferito te ma ho ferito anche lei. Ed Elizabeth
probabilmente è rimasta sola ad affrontare le conseguenze
della mia
follia. Valentine io l'ho visto solo poche volte, per caso. Se sia
mio o no, non lo so. Ma so che non lo sento mio, qualsiasi sangue
abbia nelle vene, è di George! Così come, allo
stesso modo, tu
senti solo tua Ellie! Quel giorno, al cimitero, ho baciato Elizabeth
come si bacia una persona che è stata importante e a cui si
sta
dicendo addio. L'ho baciata non per amore, ma per chiederle scusa e
per augurarle buona fortuna per la vita che l'attendeva e di cui non
avrei fatto parte. So che avrei dovuto parlartene, soprattutto in un
momento dove Armitage attentava al nostro matrimonio. Non l'ho fatto
per paura di peggiorare le cose fra noi, per paura di ferirti e
perché pensavo che in fondo non fosse importante
perché per me
Elizabeth era un capitolo chiuso. So che forse non puoi credermi, so
che magari adesso non è nemmeno più importante
per te... Ma la
storia è davvero tutta qui".
Demelza
rimase immobile per lunghi istanti ed era impossibile capire cosa
stesse pensando. Poi... "E da quel bacio al cimitero... non hai
mai più pensato a lei?".
"Avevo
altro a cui pensare, Demelza, da quel giorno! Tu te ne sei andata
poco dopo".
Finalmente,
lei si voltò per guardarlo in viso. Scivolò fra
le sue braccia e i
loro sguardi si incontrarono. "Vorrei crederti ma ho paura di
farlo".
Ross
scosse la testa, stringendola a se. "Lo so, ora dipende da te.
Io ti ho detto la verità e non posso confessarti cose che
non ho
fatto".
"Crederti
è difficile, adesso..." - disse lei, tristemente.
Annuì.
"Lo so. Così come è stato difficile per me
credere che non
amassi Hugh Armitage. Ma ti ho creduto perché so chi sei e
so che
non avresti potuto mentirmi su una cosa così importante. E'
una
questione di fiducia, Demelza, e ora sta a te decidere se
accordarmela o meno".
Finalmente,
sul viso di sua moglie comparve l'accenno di un sorriso. "Io non
ho amato Hugh Armitage ma per lui provavo affetto. E questo ti
provocherà sempre dolore, ogni volta che ci penserai... Lo
stesso
dolore che provoca in me il pensiero di Elizabeth".
Annuì,
lei aveva ragione. "Certo! Ma non potremmo voltare pagina e
proseguire con le nostre vite senza pensare al passato? Io sarei
felice di farlo, Demelza. Se potessi tornare indietro – ma
non si
può – agirei in maniera diversa verso Hugh".
"Come?"
- chiese lei, curiosa.
"Lo
terrei lontano, lotterei per te, per il tuo amore e farei in modo che
tu non senta il bisogno di guardare altrove per trovare ciò
che ti
manca in me".
Demelza
sospirò. "Io non ho mai guardato altrove...".
Ross
annuì. "Ma in un certo senso, Hugh è arrivato al
tuo cuore,
approfittando delle mie mancanze... Non avrei dovuto sottovalutarlo".
Demelza
sorrise di nuovo, un sorriso più disteso questa volta. "Mi
sarebbe piaciuto, sai?".
"Cosa?".
"Vederti
lottare per me".
Anche
lui sorrise. "Non aspettarti che io scriva poesie o ballate per
te, non ne sono capace. Queste erano cose in cui era bravo Armitage e
se le cerchi da me, rimarrai delusa. Ma saprei lottare per te, stanne
certa".
La
mano di Demelza strinse la sua, le loro dita si intrecciarono. "Non
credo che vorrei sentirti cantare o recitare poesie, Ross. Io non ti
vorrei diverso da come sei".
La
baciò sulla fronte. "Nemmeno io ti vorrei diversa da come
sei".
"Anche
se aspetto un bambino?".
"Soprattutto
perché aspetti un bambino!".
Demelza
sospirò, accarezzandosi il ventre ancora piatto. "Quando ho
messo al mondo Eleanor, sapevo che questo mi avrebbe sempre tenuta
lontana da te. L'ho accettato e ora non saprei come fare a...".
Picchiò la mano sul materasso, trattenendo a stento le
lacrime.
"Ross, Valentine potrebbe essere tuo ma non vive quì, non
vive
con noi! Eleanor sì e lei per me non è un'opzione
a cui potrei
rinunciare. Come potremmo ricostruire la nostra famiglia quando il
peso dei nostri errori sarà per sempre davanti ai nostri
occhi? Come
potremo tornare ad essere quelli di prima?".
Ross
scosse la testa. "Non torneremo quelli di prima. Ma forse
potremmo essere meglio. E per quanto riguarda Ellie...".
"Sì?".
Ripensò
ai primi tempi a Londra, con Jeremy e Clowance ancora piccoli e Hugh
ancora vivo, accanto a Demelza. "Sai, quando mi sono trasferito
nella capitale coi nostri bimbi... Quando Ellie non era ancora nata e
Armitage era ancora vivo... Un giorno ero coi bambini in centro, in
una pasticceria. Gli avevo fatto mangiare il gelato e Clowance mi
aveva fatto la pipì sui pantaloni perché mi ero
dimenticato di
metterle il pannolino... Giravo come un idiota per Londra alla
ricerca di un bagno, con Jeremy che rideva, Clowance che urlava
'pipì' e i pantaloni bagnati, chiedendomi come avrei fatto
senza di
te a gestire tutto questo. E a un certo punto ho guardato il cielo.
Non lo faccio spesso, difficilmente prego ma quel giorno l'ho fatto e
ho chiesto a Dio di riportarti da me. Non mi importava quanto sarebbe
costato, cosa avrei dovuto sopportare! Gli giurai che avrei superato
ogni prova che mi avrebbe voluto mettere davanti".
Demelza
lo guardò senza capire dove volesse andare a parare. "E
quindi?".
Ross
sorrise, accarezzandole i capelli. "E quindi, se la prova che
Dio ha deciso di mettere sulla mia strada è una bambina
bellissima,
dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, allora sono un uomo
sfacciatamente fortunato. Eleanor è una bambina adorabile
che
fortunatamente non ha preso nulla dal lato paterno, eccetto forse il
colore dei capelli... Per il resto è tua, decisamente tua! E
a me va
bene così... Non posso dirti che sento per lei quello che
sento per
i miei figli, ma posso giurarti che arriverò a quel punto,
se mi
darai tempo di conoscerla e stare con lei. Ho bisogno di viverla,
Ellie. Ho bisogno che mi diventi impossibile stare lontano da lei,
come mi risulta impossibile stare lontano da te".
Demelza
trattenne il fiato, mentre pronunciava quelle parole. Sorrise
tristemente, poi scosse la testa e abbassò il viso. "Ross,
non
posso chiederti di fare una cosa simile. Non è giusto, non
è giusto
per te. Non posso permetterti di prendere una responsabilità
del
genere e... e non voglio che tu ti senta forzato a fare un passo che,
una volta compiuto, non ha strada di ritorno".
Cercò
di tranquillizzarla subito, su quel fronte. Da sempre Demelza non
aveva voluto gravare su di lui per Ellie ma ora voleva che capisse
che per lui non sarebbe stato un peso farlo. "Non lo faccio per
avere te come premio, in cambio. Lo faccio perché...
perché voglio
farlo! Ovvio, sei liberissima di dirmi no, Ellie è tua
figlia e tu
sai decidere da sola al meglio per lei e se ritieni che io non...".
Demelza
lo bloccò, sfiorandogli le mani. "Ross, non potrei
desiderare
un padre migliore di te pei lei, ma... ma sei davvero sicuro di
sentirtela?".
"Sì,
non te ne parlerei se non lo fossi. E tu, vorresti condividerla con
me?".
Demelza
sospirò. "Certo, non è questo il problema!".
Ross
sorrise. "E allora non lo sarà nemmeno per me. Lasciami del
tempo, permettimi di conoscerla davvero e io la amerò come
se fosse
mia. Sarà mia. Mia e tua, nostra... E' tua figlia e questo
mi basta,
è la sorella di Clowance e Jeremy e lo sarà anche
di questo
bambino, se deciderai di tenerlo".
Demelza
lo guardò storto. "Avevi detto che non volevi che i nostri
figli la considerassero una sorella".
Lui
alzò le spalle con noncuranza. "Ho detto tante cose stupide,
non dovresti darmi sempre retta". Le prese la mano, se la
portò
alle labbra e la baciò. "Voglio Ellie, esattamente come
voglio
questo bambino".
Inaspettatamente
commossa, Demelza lo abbracciò. "Dannazione Ross, tu lo vuoi
davvero questo figlio! E sei contento! Non lo sei mai stato durante
le mie precedenti gravidanze e ora, proprio ora che...".
La
baciò sulle labbra, non poté farne a meno.
"Sì, sono
contento. E per una volta vorrei esserlo insieme a te".
"Dwight
dice che potrei perderlo, la gravidanza non è partita molto
bene.
Non affezionarti all'idea".
La
abbracciò di nuovo, voleva solo infonderle sicurezza e
forza. "Andrà
bene, ci prenderemo noi cura di te. Hai un marito e tre aspiranti
fratelli maggiori, ti tratteremo da regina e saremo a tua completa
disposizione per ogni cosa. Tu devi solo riposare e stare tranquilla,
senza pensare a niente. Sarà diverso dall'altra volta, non
sarai più
sola".
E
a quelle parole, finalmente, con un gesto dolce e delicato Demelza si
accarezzò il ventre, chiudendo gli occhi come ad assaporare
la magia
di quel momento. "Avere questo bimbo sarà la cosa
più folle
della nostra vita".
"Lo
so".
Demelza
sospirò. "Non me la sento di tornare a Nampara, non ancora
però. Quì mi sento sicura".
La
capiva, era normale che in quella casa si sentisse più a suo
agio e
al sicuro. Non c'era fretta e non gliene avrebbe messa. "D'accordo.
E allora staremo quì tutti insieme, se questo ti rende
tranquilla.
Ci vuoi quì, ad invaderti tutta la casa?".
Demelza
rise, lasciandosi andare contro il cuscino. "E tu... voi... vi
adatterete a una casa tanto piccola?".
"Sì".
Si chinò su di lei, questa volta con espressione seria.
"Forse
è la scelta giusta. Sarà come ricominciare da
capo, come un
reinserirci l'uno nella vita dell'altro senza la casa che per noi
è
anche fonte di ricordi dolorosi. Potrò conoscere Ellie nel
luogo
dove è cresciuta, prendermi cura di lei con te...
Potrò
ricominciare in modo nuovo la nostra vita insieme, magari potrei
anche provare a corteggiarti".
Questo
la fece ridere. "Ross, vivremmo in casa minuscola e piena di
bambini. Come pensi di trovare il modo di corteggiarmi?".
Rispose
al sorriso. "Ci aspettano quattro mesi estivi in cui i bambini
saranno perennemente fuori a giocare. Avremo tempo di stare da soli".
"Va
bene" – disse lei, in tono stranamente arrendevole. Era
strano
vederla tanto indifesa... Sembrava serena in quel momento, ma
infinitamente stanca.
"Stai
bene? Hai ancora i crampi?".
"No,
ora va meglio. Dwight mi ha dato un calmante, prima. Mi sembra di
aver bevuto un'intera botte di vino e il nostro povero bambino
sarà
ubriaco quanto me, in questo momento".
La
adorava. La sua voce, quel modo dolce di parlare del loro bambino che
finalmente sembrava vivere con serenità e non più
con paura, quella
complicità così profonda che pensava di aver
perso e che stava
riaffiorando pian piano. "Riesci a credere che ti amo?".
"Sì
Ross, riesco a crederlo adesso".
"E
riesci a credere che mi sei mancata da morire e che senza di te non
ho vissuto?".
"Sì,
lo credo Ross. Perché per me è stata la stessa
cosa".
"Posso
baciarti?".
Demelza
annuì e senza che dicesse niente, si chinò su di
lei, dandole un
lungo e gentile bacio sulle labbra. Le sfiorò il ventre dove
cresceva il loro bambino e le loro dita si intrecciarono in una
stretta forte.
"Ross?".
"Sì".
"Ellie...
E' fuori con Dwight e Dwight dovrebbe correre a casa da Caroline e
dalla sua bambina. Non possiamo trattenerlo quì, non abbiamo
più
bisogno di lui, per oggi".
Sospirando
per quella forzata interruzione, Ross si alzò dal letto,
accarezzandole la guancia. "Ora vado, hai ragione. Tu cerca di
dormire un pò, hai bisogno di riposare".
"Va
bene! Farai pace con lui, vero?".
Ross
alzò gli occhi al cielo, fingendosi scocciato da quella
domanda. "Mi
stai chiedendo troppe cose oggi! Come minimo, in cambio, dovresti
darmi due gemelli".
Demelza
lo guardò storto, fulminandolo con lo sguardo. "Ross!".
Bene,
il suo sguardo prometteva scintille e questo era un buon segno. Era
pronta a lottare, ora... E il suo carattere forte era pronto a
riesplodere e a travolgerlo. "Ok, hai ragione. Vado a riprendere
la bambina. E poi, mentre dormi, vado con lei a fare due commissioni.
Te la senti di stare quì da sola un paio d'ore?".
Demelza
parve entrare in ansia. "Dove vuoi portarla? Che devi fare?".
Le
strizzò l'occhio. "E' una sorpresa!". E con la sua
migliore espressione da malandrino, senza aggiungere altro,
uscì
dalla porta.
Dwight
giocava con Ellie e gli animali sull'aia e sembrava incredibilmente a
suo agio con la bimba. Appena lo vide, gli andò incontro. "E
allora Ross, devo farti le mie congratulazioni o devo prepararmi a
svolgere un lavoro ingrato?".
Ross
sorrise, prendendogli la mano e stringendola con vigore. "Credo
che potremmo fumarci un sigaro insieme".
Dwight
annuì, sinceramente felice per lui. "Sono davvero contento,
tu
e Demelza ve lo meritate. E' un dono dal cielo, ne sono sicuro.
Stalle vicino Ross, amala e fa che per lei siano mesi magici e pieni
d'amore. Ne ha bisogno".
"Lo
farò, stanne certo! Non chiedo altro che farlo". Ross per un
attimo si sentì in imbarazzo per la sua felicità
e per quella nuova
occasione che la vita gli stava offrendo, però... Lui stava
per
diventare padre e Dwight invece...
Ma
il medico, percependo il suo stato d'animo, lo bloccò
subito. "Ciò
che mi sta succedendo con Sarah non vuol dire che non possa essere
felice per te. Ti auguro ogni bene, Ross".
Deglutì.
"Io e Demelza possiamo contare su di te?".
"Come
medico o come amico?".
Ross
sorrise, arrossendo lievemente. "Entrambe le cose. Vorrei che
seguissi Demelza come hai fatto per Ellie".
Sentendo
il suo nome, la bimba lasciò i coniglietti con cui stava
giocando,
correndo da loro. Si aggrappò ai pantaloni di Ross e si fece
prendere in braccio. "E il pancino di mamma?".
"Sta
meglio" – rispose Ross, rimettendola a terra e prendendola
per
mano.
La
bimba sorrise contenta, poi corse a giocare di nuovo coi conigli.
Dwight
la guardò con fare assorto. "Ho sempre pensato che fosse una
bambina un pò speciale, sai?".
Ross
lo guardò, incuriosito. "E' una bambina, solo una bambina. E
sono felice di vederla come tale e basta...".
Dwight
annuì. "Ha salvato la vita di Demelza. Aveva perso tutto ed
Eleanor è stata la sua ragione di vita. Non oso nemmeno
pensare a
cosa ne sarebbe stato di lei, senza questa bimba".
Quelle
parole accesero in lui una strana ansia al pensiero di quanto sua
moglie avesse sofferto quando se n'era andato con i loro figli a
Londra. "Già, per fortuna c'era lei. E' una bimba
così bella e
simpatica".
"E
sensibile! Ross, prendersi cura di Ellie è una cosa seria,
amala e
non farle del male. Non permettere che si affezioni a te, se non sei
sicuro di volerla".
Ross
scosse la testa. Le nubi che annebbiavano la sua mente quando pensava
a Ellie si stavano diradando fino a sparire e sapeva cosa voleva,
adesso. "Fa parte della mia vita e della mia famiglia e senza di
lei... credo che il mio mondo sarebbe un posto molto più
noioso".
"Dovrai
proteggerla, forse" – asserì Dwight.
Ross
spalancò gli occhi. "Proteggerla?".
Dwight
divenne improvvisamente serio. "Discende dai Boscawen e anche se
Hugh non sapeva di essere in procinto di diventare padre e non l'ha
mai riconosciuta, sua madre, la nonna di Ellie, sa la
verità. E' un
clan potente che, per il suo buon nome e per evitare scandali,
potrebbe fare pressioni per allontanare la bambina da voi e farla
sparire in qualche orfanotrofio. Non lo hanno mai fatto fin'ora, per
fortuna. Ma non è detto che non succeda".
Ross
lo bloccò, osservando di sottecchi che la bimba non li
sentisse.
"Demelza non l'avrebbe mai permesso né mai lo
permetterà".
Dwight
scosse la testa. "Ross, Demelza contro i Boscawen non avrebbe
potuto fare nulla da sola. Gliel'avrebbero portata via, se lo
avessero ritenuto necessario".
Si
incupì. "Perché mi dici queste cose?".
"Perché
quando eravamo a Londra, Caroline mi ha detto di aver sentito delle
voci messe in giro da George Warleggan su di te e sulla bambina. Deve
avervi incontrati quì da queste parti qualche mese fa e ha
fatto
delle ricerche. Se quelle voci che mette in giro arrivassero alle
orecchie di Lord Falmouth...".
Lo
sguardo di Ross divenne deciso, furioso. E capì che era
pronto ad
essere il padre di Ellie perché sentì la voglia
incontrollabile di
proteggerla da tutto e tutti. "Non permetterò che la
sfiorino
con un dito. Ha il cognome di Demelza, per adesso. E niente la
collega ai Boscawen".
"Basta
un sospetto, per far scoppiare uno scandalo. E su un sospetto,
possono rovinarvi la vita".
Ross
scosse la testa. "La proteggerò, non permetterò
che la portino
via e che le facciano del male. Non dire niente a Demelza di questa
cosa però, per favore".
Dwight
sorrise. "Certo, sta tranquillo. Rimarrà fra noi, lei non
deve
agitarsi anche perché forse non ce n'è motivo".
Ross
gli strinse nuovamente la mano, annuendo. E pieno di gioia per un
nuovo figlio in arrivo e di timori per una bambina che sentiva
già
sua, decise che era giunto il momento di iniziare a lottare davvero
per la felicità della sua famiglia.
Lo
aveva promesso a Demelza e stavolta avrebbe mantenuto la parola data.
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Capitolo 33 *** Capitolo trentatre ***
Ross
aveva ben chiaro cosa fare nel resto di quella importantissima
giornata. Sarebbe andato a Nampara con Ellie a prendere Clowance e
Jeremy, li avrebbe portati a Illugan dalla loro mamma e avrebbero
riniziato da quello stesso pomeriggio la loro vita insieme. Avrebbero
detto ai bambini del fratellino in arrivo e lo avrebbero aspettato
come una vera famiglia.
Era
la prima volta che Ellie si allontanava con lui da Demelza e la bimba
sembrava un pò recalcitrante sulle prime. Ma la presenza di
Dwight,
che avrebbe fatto il primo tratto di strada con loro, in qualche modo
la tranquillizzò. Per un attimo se ne stupì, ma
poi considerò che
in effetti Ellie conosceva bene Dwight e che lei e Demelza lo
frequentavano piuttosto assiduamente da quando la piccola era venuta
al mondo.
Si
fermò a pensare a quanto poco conoscesse quella bambina e a
come
avrebbe dovuto impegnarsi per capirla e riuscire a starle accanto
come un padre. Pian piano, poco alla volta, doveva farcela! E si rese
conto che non aveva paura ma anzi, era un suo desiderio...
Proteggerla
e amarla...
Hugh
Armitage era davvero diventato un fantasma lontano per lui, come lo
era da tempo per Demelza...
Aveva
vinto la sua battaglia!
Prese
Ellie in braccio e fece per metterla sul cavallo, ma la bimba
piagnucolò. "No, io palura".
Ross
alzò gli occhi al cielo, aveva dimenticato la sua avversione
per i
cavalli. "Ma sei già venuta con me, non ricordi? Quando
pioveva
tanto".
Ellie
si imbronciò. "Sì, pelò c'era mamma.
Vojo la mamma".
Ross
diede una rapida occhiata a Dwight e il medico si affrettò a
dargli
una mano. "Mamma deve riposare, così le passerà
il mal di
pancia mentre siamo via. Tornerai quì fra poche ore con
Jeremy e
Clowance e starete tutti insieme".
Ellie
lo osservò. Sembrava sospettosa e il cavallo non rientrava
fra le
concessioni che intendeva fare in quella giornata. "C'ho palura"
– ripeté di nuovo, singhiozzando.
Ross
si inginocchiò accanto a lei, accarezzandole la testolina.
"Va
bene, faremo una passeggiata a piedi". Decise di assecondarla,
tanto il tratto di strada sarebbe stato lungo e prima o poi, vinta
dalla stanchezza, avrebbe chiesto lei stessa di salire in sella.
Dwight
ridacchiò. "Il coraggio non è una delle sue
virtù".
Dovette
annuire. Ellie era bellissima, simpatica, buffa e sveglia. Ma
coraggiosa, proprio no!
Si
incamminarono verso il sentiero principale, con la bimba che correva
e saltellava allegra davanti a loro canticchiando delle canzoncine
che doveva averle insegnato sua madre.
Ross
era felice, anche se vagamente in ansia sia per Demelza che per
quanto gli aveva detto Dwight circa le voci che circolavano su Ellie.
A lui non importava essere al centro di chiacchiere e scandali, la
vita gli aveva insegnato che il pettegolezzo è qualcosa di
molto
leggero come una foglia che il vento porta via, quando trova altre
foglie da sollevare per aria al suo posto. Ma non era tanto ingenuo
da pensare che tutto si sarebbe risolto senza inconvenienti,
soprattutto perché conosceva George e sapeva che, in certi
ambienti,
una notizia come la paternità di Ellie poteva fare da
detonatore per
grossi guai.
E
il casato dei Boscawen, di cui Hugh Armitage faceva parte, non
l'avrebbe permesso.
Doveva
muoversi con cautela già dalle prime avvisaglie, se avesse
captato dei guai. Senza coinvolgere Demelza. Era troppo debole e
debilitata e
nelle sue condizioni, non aveva bisogno di ulteriori preoccupazioni.
"Dwight, credi che andrà tutto bene? La gravidanza, intendo".
Il
medico, che camminava accanto a lui, sospirò. "Demelza non
era
molto felice, sulle prime, quando le ho detto la mia diagnosi. E'
comprensibile, Ross...".
Lui
annuì, sorridendo tristemente. "E' la prima volta che
reagisce
così. Di solito sono io quello che non la prende bene,
quando sta
per arrivare un nuovo bambino".
Dwight
sorrise, sfiorandogli il braccio. "Ross, Demelza ama questo
vostro nuovo bambino. Ma è consapevole della vostra
situazione
ancora precaria e soprattutto non aveva in programma una gravidanza.
E' successo tutto inaspettatamente e non era pronta. Inoltre, credo
che l'esperienza della gravidanza di Eleanor l'abbia segnata
profondamente ed è terrorizzata davanti
all'eventualità di rivivere
qualcosa di simile".
Ross
si incupì. In effetti Dwight, il giorno in cui avevano
litigato e lo
aveva preso a pugni, gli aveva accennato alle difficoltà
incontrate
durante la gravidanza di Ellie da Demelza, ma non aveva mai indagato
più a fondo su quanto successo. "Quali problemi aveva avuto,
allora?".
"Perché
me lo chiedi?".
"Perché
vorrei fare in modo di evitarli adesso".
Dwight
osservò la piccola Ellie, a qualche metro di distanza da
loro.
"Emotivamente, era a pezzi. Era sola, pensava che tutto il suo
matrimonio fosse stata una farsa, aveva perso i suoi due bambini e la
malattia di Hugh le ha dato il colpo di grazia. Era affezionata a
lui, era l'unica persona che avesse vicino in quel momento di
disperazione profonda. Gli è stata accanto fino alla fine,
anche a
discapito di se stessa, e si è talmente trascurata che
questo ha
influito sulla gravidanza. Onestamente, ero molto dubbioso sul fatto
che riuscisse a portarla a termine. Mangiava pochissimo, stava sempre
male e dimagriva, invece che ingrassare. Portarla a casa mia e
obbligarla a prendersi cura di se stessa, è stata l'unica
cosa che
ho potuto fare. Ellie era molto minuta quando è nata,
piccolina e
apparentemente fragile. Anche se poi si è rivelata sanissima
e
forte, all'inizio ho temuto che gli effetti di quei nove mesi tanto
terribili ne avessero minato la salute. Per fortuna mi sono
sbagliato. Demelza, invece...".
"Demelza,
cosa?".
Dwight
sospirò. "Dopo il parto è stata molto male. Ha
perso
tantissimo sangue ed è stata priva di sensi per alcune ore.
C'è
stato un attimo in cui ho creduto di perderla, Ross. Ho fatto portare
via la bambina dalla stanza per occuparmi di lei e non avere
distrazioni e nelle sue prime ore di vita, Ellie è stata con
Caroline. Quando Demelza ha ripreso i sensi, volevo che riposasse e
ho tentato di dissuaderla dal voler accanto la piccola ma ho dovuto
chinare la testa e portargliela, perché temevo avesse una
crisi di
nervi. Per fortuna, Ellie è stata terapeutica per sua
madre...
Appena l'ha avuta accanto, Demelza è come rifiorita e questa
bimba
le ha ridato la forza di lottare. E' rimasta da me pochi giorni, dopo
il parto, e appena è stata abbastanza in forze, è
ritornata a
Illugan".
Ross
sentì una stretta al cuore. Era stato molto duro con Demelza
all'inizio, forse a ragione certo, ma non aveva mai davvero pensato a
quanto avesse sofferto da sola, ad affrontare quell'inferno. E non
aveva mai pensato a cosa potesse esserle successo durante quel parto
tanto difficile. Se non fosse stato per Dwight, probabilmente in quel
momento lui non avrebbe più avuto una moglie e un bambino in
arrivo.
"Che posso fare per lei, ora? Come posso fare in modo che non
riviva qualcosa di simile".
Dwight
sorrise. "Demelza ha sempre dato molto amore a tutti e putroppo
ne ha ricevuto davvero poco. Da suo padre e in fondo anche da te che,
pur amandola tantissimo, sei sempre rimasto un pò freddo e
distante
con lei. Amala, stalle vicino e vivi questa gravidanza con lei.
Insieme ai vostri figli! Lei ha bisogno di voi, vi ama e se vi
sentirà accanto, andrà tutto bene! La gravidanza
di Ellie non ha
lasciato strascichi fisici su di lei, sta tranquillo... Se Demelza
sarà serena, tutto procederà senza problemi e
avrete il vostro
bambino a dicembre, stanne certo. Anche se...".
"Anche
se?".
Dwight
lo guardò storto. "Anche se, questa sera e le prossime,
quando
andrete a letto spegnerai la candela, le darai un bacio sulle labbra
e poi dormirai come un pupetto".
Ross
ricambiò la sua occhiataccia. "Ma...".
"Ma
un corno! I crampi che lei ha avuto e per cui mi hai chiamato,
possono essere pericolosi e finché la situazione non si
sarà
stabilizzata, tu starai buono e casto nella tua parte di letto".
Ross
deglutì. Quello di Dwight non era un consiglio ma aveva il
tono di
un ordine. E in fondo, era rimasto lontano da Demelza per quasi tre
anni e qualche mese non avrebbe fatto la differenza. Era per una
buona causa, un'ottima causa. Le sarebbe stato accanto con
discrezione e l'avrebbe fatta sentire amata. Perché era
amata! E
esserlo era l'unica cosa di cui lei aveva bisogno. "Dwight, ti
ringrazio" – disse, quando furono arrivati al bivio della
strada che portava alla tenuta degli Enys.
"E'
il mio lavoro, non mi devi ringraziare".
Ross
lo guardò, seriamente. "E invece sì. Ti devo
ringraziare di
tante cose e non riguardano solo oggi. Spero di ricambiare presto".
Dwight
si incupì. "La vita a volte mette davanti a prove dura. E un
buon amico è prezioso".
Ross
gli strinse la mano. "Già". Gli era mancato, Dwight...
Gli
diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla, lo salutò e
fece
fare altrettanto ad Ellie e poi, dopo che se ne fu andato a cavallo,
guardò la piccoletta. "E allora? Sei stanca".
Ellie
si imbronciò, presagendo già la sua prossima
mossa. "Non vojo
il cavallo".
Alzò
gli occhi al cielo. In quanto a testa dura, aveva preso indubbiamente
da sua madre. Si guardò attorno, era una bellissima giornata
ed
erano vicini a un villaggio. "Che ne dici, andiamo a prendere
dei dolcetti da mangiare tutti insieme stasera, con mamma?".
Ellie
scosse la testa. "No".
"Perché
no?".
La
piccola divenne mortalmente seria. "Pecché poi se li compi,
diventi povero. Costan tanti soddini".
Avrebbe
voluto scoppiare a ridere, ma in realtà quelle parole gli
strinsero
il cuore. Eleanor aveva solo due anni eppure sapeva già
quanto dura
potesse essere la vita e quante fossero le rinunce per i poveri. "Oh,
sta tranquilla, qualche dolce non mi renderà più
povero di quanto
già non sia. Posso permettermelo" – concluse,
strizzandole
l'occhio. E in quel momento decise che avrebbe lottato
perché mai
più, lei potesse avvertire preoccupazioni simili. Era una
bambina e
aveva diritto unicamente all'amore, al cibo, ai giochi e alla
spensieratezza.
Forse
per la prima volta da quando l'aveva incontrata, si rese conto di
quanto davvero fosse sensibile e intelligente, oltre che buffa e
simpatica come gli era apparsa fino a quel momento. Demelza e Dwight
avevano ragione, Ellie era preziosa e come tutte le cose preziose,
andava trattata con estrema cura. "Io i dolcetti li voglio, sai?
E ne compreremo tanti" – esclamò, prendendola per
mano.
Ellie
sospirò. "Va bene?".
"Li
mangerai?".
"No.
Dalli alla mamma".
Beh,
non si sarebbe fatto scoraggiare. Si inginocchiò e la prese
in
braccio, un gesto che fino a pochi mesi prima non avrebbe mai
immaginato di compiere. Eppure era il gesto che più gli
venne
spontaneo... La amava, la amava davvero... E delle voci sul loro
conto e del marcio del mondo che rischiava di intaccare la loro
famiglia e la loro vita, non gli importava nulla. Ellie, insieme a
Demelza, Jeremy e Clowance, erano la sua vita. E nessuno avrebbe
dovuto avvicinarsi per cercare di separarli!
La
bimba che teneva fra le braccia era quanto di più lontano e
inconsapevole esistesse dal mondo corrotto di Londra, del potere e
dei casati più potenti di Inghilterra. E questo stato di
cose
sarebbe rimasto tale!
Arrivarono
al villaggio e Ross comprò cioccolata, biscotti, paste
frolle e
dolcetti di mele. Demelza doveva tornare in forze e i bambini
sarebbero stati felici di cenare con... con cose che Miss Etta non
avrebbe approvato, per una sera.
E
poi, si diresse con Ellie verso Nampara.
La
bimba camminò ancora un pò accanto a lui,
canticchiando, ma a metà
strada, in aperta campagna, a un certo punto si appoggiò a
una
staccionata. "Ross, quì bello".
Si
guardò attorno. Oltre a quel sentiero di campagna e ai campi
di
grano che lo costeggiavano, non c'era assolutamente niente di
interessante da quelle parti. "Vuoi fermarti quì un
pò?".
"Sì".
"Sei
stanca?".
Ellie
sospirò. "Pochino".
Sorrise,
era il momento di salire sul cavallo. La prese in braccio e prima che
protestasse, la mise sulla sella. Lei lo guardò con occhi
spalancati
e terrorizzati ma, prima che scoppiasse a piangere, saltò in
sella
dietro di lei, stringendola a se. "Andiamo piano, non devi avere
paura. Ti fidi di me?".
Per
un istante, con gli occhi lucidi, lei dubitò. "Palura. Vojo
scendere".
La
tenne stretta, non dandole la possibilità di sgusciare via
dal suo
abbraccio. "Credi che ti potrei far cadere?".
Ellie
piagnucolò, ma poi si rannicchiò fra le sue
braccia, nascondendo il
viso nella sua camicia. "No".
La
baciò sulla testolina, grato che si fidasse, nonostante
fosse
terrorizzata. "Su, chiudi gli occhi e stai stretta a me. Vedrai
che ti piacerà".
"Dove
ndiamo?" - chiese lei, incuriosita.
"A
casa mia, a prendere Jeremy e Clowance. Poi andremo tutti insieme
dalla mamma". Mentre le parlava, si rese conto che era la prima
volta che Ellie veniva a Nampara e in generale, che superava il
territorio della Wheal Grace. Ci era stata solo una volta, mesi
prima, durante la festa dei minatori, ma Demelza non aveva voluto
andare oltre ed era tornata ad Illugan subito dopo.
"Il
cattello?".
Scoppiò
a ridere, ricordando di quando gli aveva parlato dei castelli di
Londra, la notte in cui lei aveva il morbillo. "No, la mia casa
non è un castello! Non ho ancora risparmiato abbastanza per
comprarne uno".
Ellie
scosse la testa, si mise il pollice in bocca e dopo un poco si
tranquillizzò. Fece andare il cavallo al trotto e
finalmente, con la
bimba più serena, si avviò verso Nampara.
Vi
giunse poco dopo. Scese di sella, mise a terra Ellie che si guardava
attorno incuriosita, legò il cavallo alla staccionata e poi,
con la
bimba per mano, entrò in casa.
La
piccola sembrava intimidita da quel nuovo e sconosciuto ambiente.
Osservava in silenzio, intimorita, senza aprire bocca, nascondendosi
dietro le sue gambe.
Quando
entrarono in casa, in cucina c'era solo Prudie che stava pulendo
dalla fuliggine un grosso pentolone. Osservò la sua serva,
grassa e
sciatta, considerando che in fondo era talmente di buon umore da
volerle quasi bene. "PRUDIEEEEE!" - urlò alle sue spalle,
facendola sussultare dalla paura.
La
donna si voltò. "Giuda! Ma siete impazzito? Volete farmi
venire
un infarto?".
Sorrise,
con la sua peggiore aria da canaglia, le si avvicinò a
grandi passi
e le diede un bacio a schiocco sulla fronte e sulle guance. "Prudie,
ti trovo MERAVIGLIOSA, oggi!".
La
donna barcollò, indietreggiò e lo
guardò con gli occhi fuori dalle
orbite, come se fosse un mostro leggendario. "Giuda, è
impazzito!".
Ross
ridacchiò. "Ci sono grandi novità! Sto per
diventare padre!
Devi farmi le tue congratulazioni".
Prudie
spalancò ancora di più gli occhi. "Padre? Chi
avete messo nei
guai?".
"Ho
una moglie, non ho bisogno di mettere nei guai nessun'altra"
–
disse, prendendo una mela dal tavolo.
Prudie
trattenne il fiato. "La signora? E'... in attesa... La
signora... Giuda! Che cosa avete combinato? E i bambini...". Si
bloccò, vedendo spuntare la testolina bionda di Ellie dalla
porta.
"Ma c'è la nana?! E Mistress Demelza?" - chiese sempre
più
stupita, avvicinandosi alla bimba che, intimidita, osservava la
scena. Era evidentemente schoccata. Dalla notizia, dall'allegria di
Ross e dal fatto che avesse portato la piccola Eleanor a Nampara.
"Demelza
è a Illugan. Prendo i bambini e stiamo tutti da lei per un
pò. Non
dir loro niente del bimbo, gliene parleremo stasera io e mia moglie,
insieme".
Prudie
annuì, senza parole. "Signor Ross?".
"Sì?".
"State
bene, vero? Non siete ubriaco...? Non avete battuto magari la
testa...? Cioé... siete sano davvero?".
Ross
sbuffò. "Sano come un pesce! Dove sono i bambini?".
"Nella
stalla a dar da mangiare ai vitelli".
La
guardò storto. "Non è un lavoro che dovresti fare
tu?".
Prudie
alzò le spalle. "A loro piace tanto farlo...".
Si
certo, a loro piace... Alla sua principessina Clowance che voleva
abitare a Buckingham Palace, piaceva sicuramente... "Prepara le
loro cose, vado a chiamarli".
Prudie
annuì, prendendo la piccola Ellie per mano.
Ross
fece per uscire ma non ce ne fu bisogno. I suoi due bambini, sporchi,
spettinati e sudati, entrarono come furie nella stanza.
"Papà,
sei arrivato! Abbiamo visto il cavallo" – urlò
Clowance,
aggrappandosi alla sua gamba. Aveva i capelli completamente
spettinati e ribelli che le cadevano davanti alla fronte e agli occhi
donandole un aspetto quasi selvaggio.
Jeremy
rise, poi notò Ellie che, timidamente, li guardava. "Ciao,
sei
venuta a trovarci!" - esclamò contento, correndo verso di
lei.
"Ellie,
Ellie! Sei venuta a giocare con le mie bambole?" - chiese
Clowance, eccitata.
Ross
sorrise. Era una bella cosa che i bambini fossero già
così uniti.
"Niente bambole e niente giochi. Andate a lavarvi e a mettervi
abiti puliti, andiamo dalla mamma".
"Non
ci porti a Londra con te?" - chiese Jeremy.
"No,
a Londra non ci vado nemmeno io. Staremo da mamma tutti insieme per
un pò e Prudie, da brava, terrà pulita e in
ordine Nampara mentre
siamo la" – concluse, dando un'occhiataccia alla serva.
Prudie
sbuffò. Era tornato quello di sempre... "La signora quindi
non
torna, per ora?".
"Per
ora no".
Jeremy
sorrise, abbracciandolo. "Davvero staremo insieme da mamma?
Anche tu?".
Gli
accarezzò i capelli. Jeremy era quello più
sensibile ed era quello
che aveva sofferto di più per la loro separazione. "Anche
io.
Abbiamo una sorpresa per voi, ve lo diremo stasera quando saremo a
Illugan".
Clowance
saltellò. "Cosa? Quale sorpresa?".
Scosse
la testa, non glielo avrebbe detto finché non fossero stati
tutti
insieme. "Clowance?".
"Sì
papà?".
"Vatti
a lavare!".
I
due bambini corsero via veloci, spingendosi e ridendo fra loro.
Prudie osservò Ross di sottecchi, studiandolo come se fosse
stato
una creatura sconosciuta e mitologica. Poi, borbottando qualcosa al
suo indirizzo, si avviò verso la stanza da bagno per aiutare
i due
bimbi.
Ross
si sedette su uno sgabello, mettendo Ellie sulle sue ginocchia. Le
tagliò un pezzo della mela che aveva in mano e gliela diede
per
riempirle il pancino che era vuoto da quella mattina. "Ti piace
quì?" - chiese, notando quanto fosse spaesata e silenziosa a
trovarsi in un luogo a lei sconosciuto, senza la sua mamma.
Timidamente
lei annuì, forse per più per farlo contento che
per reale
convinzione. Era abituata a Illugan e a muoversi sempre con la sua
mamma, per lei doveva essere stranissimo trovarsi lì con
lui, da
sola.
"Ti
piacerebbe se questa diventasse la tua casa?".
Ellie
si voltò, mangiando un pezzettino della mela. "E mamma?".
"Anche
la mamma, certo. Quì, tutti insieme!".
"E
Kiky?".
"Anche
Kiky".
"E
Otto?".
Ross
sospirò, al ricordo dell'enorme orsacchiotto che Caroline le
aveva
regalato. "Anche Otto, certo".
"E
i coniietti e i puccini e le galline?".
Le
sorrise. "Anche loro. Tutti qui".
Ellie
annuì seria, rinfrancata. "Va bene".
...
Arrivarono
a Illugan che era pomeriggio tardi. Dopo aver dato delle veloci
spiegazioni a Prudie sulla situazione e su come gestire la casa, Ross
aveva preso sul suo cavallo le due bambine e si era fatto seguire da
Jeremy in sella al suo pony. Suo figlio aveva compiuto sette anni ed
era diventato un bravo cavallerizzo in quell'ultimo anno e ormai era
pronto per le prime cavalcate. Garrick, vedendoli andar via tutti
insieme, li seguì e Ross lo lasciò fare. Era il
cane di Demelza
quello e sicuramente sarebbe stata felice di riaverlo con se.
Quando
giunsero a destinazione, facendo un chiasso tremendo, i bimbi corsero
dentro casa dalla mamma, chiamandola a gran voce.
Ross
sbuffò. Non voleva che la svegliassero ma, quando giunse in
casa
pieno di cibo e sacche contenenti i loro vestiti, trovò
Demelza
seduta sul letto che lavorava a maglia. Aveva un colorito
più roseo
e sembrava star bene.
Jeremy,
Clowance ed Ellie saltarono sul letto abbracciandola, imitati da
Garrick.
Demelza
li strinse a se e poi abbracciò il suo cane, stupita che
fosse lì
anche lui. Doveva esserle mancato molto...
"Mamma!"
- esclamò Jeremy – "Papà dice che
staremo con te tutti
insieme!".
Demelza
gli sorrise. "Sì, è vero".
Clowance,
pensierosa, si mise fra i due. "Perché sei a letto a
quest'ora?".
"Bibi
al pancino" – disse Ellie, sgattaiolando sulle gambe della
madre.
Ross
a quel punto si sedette accanto a loro, prendendo la mano di sua
moglie in cerca di un gesto di assenso per parlar loro.
Lei
gli sorrise e lui fece altrettanto. "Io e la mamma dobbiamo
dirvi una cosa".
"Bella
o brutta?" - chiese Jeremy, un pò preoccupato.
"Molto
bella" – gli rispose Ross.
Il
bimbo rilasciò il respiro che aveva fin lì
trattenuto. "Era
ora! In questa famiglia succedono solo cose brutte".
Demelza,
a quelle parole, lo strinse a se. Era il suo bambino quello, il
figlio che lei sentiva più vicino e a lei affine, quello
più
sensibile e quello che più aveva sofferto la sua assenza.
"Hai
ragione! Ora le cose cambieranno".
Clowance
incrociò le braccia al petto. "E allora? Qual'è
la sorpresa?".
Ross
guardò negli occhi Demelza e nel suo sguardo
ritrovò la donna di
una volta, la sua confidente, la sua amante e la sua migliore amica.
Il suo amore... "Nella pancia di mamma, c'è un bambino.
Presto
avrete un fratellino o una sorellina".
Clowance
e Jeremy spalancarono gli occhi, quasi senza fiato. Si guardarono
negli occhi senza riuscire a fiatare mentre anche Ellie, che forse
ancora non capiva molto la situazione, li fissava con fare acciliato.
Fu
Jeremy a rompere quel silenzio carico di stupore, stringendo forte
sua madre. Gli appoggiò la manina sulla pancia ancora
piatta,
imitato da Clowance, e scoppiò a ridere contento. "Mamma, un
fratellino?! Un fratellino per davvero?".
Demelza
annuì. "Per davvero, sì".
Ross
rimase un attimo in disparte a guardarli, non osando entrare in quel
momento di intimità di Demelza coi suoi figli. Quanto doveva
essere
felice nel sentire le loro manine accarezzarle il ventre alla ricerca
del fratellino? E quanto doveva essersi sentita sola senza di loro,
negli anni precedenti, nel mettere al mondo una figlia senza avere
accanto gli altri? In quel momento lei era semplicemente felice di
averli lì. Era in pace col mondo e la sua
serenità traspariva dal
suo sguardo e dal suo sorriso. Non voleva altro, non aveva bisogno
d'altro per stare bene.
La
vide voltarsi verso Ellie per stringerla a se con gli altri, guidando
la sua manina ad accarezzarle la pancia. Le spiegò cosa
sarebbe
successo ed Ellie sorrise timidamente, rannicchiandosi fra le sue
braccia.
E
a quel punto, iniziarono le domande. "Ma papà?" - chiese
Jeremy – "Il bambino nuovo sarà il nostro
fratellino? O è
come Ellie?".
Per
un attimo, impallidì. Ripensò con vergogna al
divieto imposto a
Demelza all'inizio, sul far considerare solo una conoscente la
piccola Ellie ai bambini e decise che era ora di rimettere le cose a
posto. "Sarà il vostro fratellino. Come Ellie è
vostra
sorella" – disse infine, mentre lo sguardo di Demelza si
posava su di lui.
Pensava
di venire investito da nuove domande ma evidentemente per i bambini,
il mondo e la vita erano cose molto più semplici da gestire,
rispetto a un adulto.
Jeremy
ridacchiò, imitato da Clowance. "Visto papà! Lo
dicevo che
sbagliavi e che Ellie era nostra sorella! Ma non mi volevi
ascoltare".
Ross
sorrise, alzando le spalle. "Beh, che vuoi farci? Anche i
papà
ogni tanto sbagliano".
Ellie
rimase silenziosa, forse un pò frastornata da quella
giornata. Era
piccola, ancora non capiva l'entità dei cambiamenti che
l'avrebbero
coinvolta e forse era meglio così, questo avrebbe dato pure
a lui
l'opportunità di abituarsi pian piano a quella nuova sfida.
Cenarono
coi dolci che aveva comprato al villaggio e Demelza non ebbe
obiezioni su quella strana cena improvvisata.
Spiegò
ai bambini che la mamma doveva riposare e che per questo motivo
avrebbero dovuto aiutarlo nella gestione della casa e dopo che ebbero
ripulito tutto, li lasciò andar fuori a giocare nel bosco e
nel
torrente.
Era
una sera di maggio calda e piacevole, c'era ancora luce e si
sarebbero divertiti molto.
Lasciò
che Demelza rimanesse a letto, mise a posto i suoi abiti e quelli dei
bambini facendo posto nell'armadio di sua moglie e poi, dopo averle
dato un bacio, andò fuori a controllare cosa stessero
facendo i suoi
figli.
Si
sedette su una roccia sulle rive del ruscello, sentendosi in pace con
se stesso. Era in un bosco incantevole, pacifico, in mezzo alla
natura. E il suo animo era sereno e contento. Le risate dei bimbi che
si inseguivano nel ruscello e che giocavano con l'acqua,
accompagnavano i suoi pensieri.
D'un
tratto sentì il tocco gentile della mano di Demelza sulla
sua
spalla. Si voltò e la trovò dietro di lui.
Aveva
messo un vestito rosso che ne delineava perfettamente la figura
snella e si era pettinata. Sembrava star bene. "Non dovresti
riposare?".
Lei
si sedette sul masso, accanto a lui. "Riposerò qui. Son
stanca
di stare a letto e Dwight mi ha detto che posso fare qualche passo,
purché non faccia sforzi".
Le
cinse le spalle con il braccio, attirandola a se. Ripensò
alle
parole di Dwight e alle difficoltà incontrate per mettere al
mondo
Ellie e si sentì egoista per essere stato tanto felice
quando aveva
appreso la notizia del nuovo bambino, senza pensare che per lei le
cose dovevano essere ben più difficili. "Hai paura?" - le
chiese, quasi d'istinto.
"Di
cosa?".
"Della
gravidanza".
Demelza
si accigliò, sospettosa. "Perché dovrei averne?
Che ti ha
detto, Dwight?".
Ross
sospirò. "Mi ha raccontato del parto di Eleanor e non
immaginavo che tu avessi rischiato e sofferto tanto".
Demelza
sospirò. "Avrei preferito che non ti dicesse niente".
"Io
invece son felice che lo abbia fatto. In passato abbiamo sbagliato a
nasconderci i nostri sentimenti e le nostre paure e non dobbiamo
ripetere i medesimi errori".
Lei
annuì, d'accordo con lui. Poi gli prese la mano, la strinse
nella
sua e le loro dita si intrecciarono. "Oggi, quando Dwight mi ha
detto che aspettavo un bambino, ero terrorizzata. Me ne vergogno, ma
d'istinto ho desiderato che si sbagliasse... E' vero, ho anche
ripensato a quanto dura è stata avere Ellie, alla paura che
ho avuto
quando ho capito che forse l'avrei lasciata sola al mondo e al dolore
fortissimo che ho provato nel metterla al mondo, ma la sai una
cosa?".
"Cosa?".
Demelza
sorrise dolcemente. "Lo rifarei mille volte. Essere sua madre...
e la madre dei TUOI bambini, è sempre stata l'unica cosa che
io
abbia mai desiderato. Amo il nostro bambino e sono felice di
aspettarlo...".
La
baciò sulle labbra. "Davvero sei felice?".
"Sì,
davvero Ross". Lasciò che lui la abbracciasse e si
lasciò dare
un bacio sulla fronte. "Sai, ricordi quel giorno... quando
abbiamo concepito questo bambino?".
"Lo
ricordo, certo!".
Lo
abbracciò ancora più forte. "Piangevo. E tu mi
hai preso il
viso fra le mani e mi hai detto che sarebbe andato tutto bene. Ti ho
creduto, sai? Ora potresti credere a me? Se ti dico che
andrà tutto
bene, mi crederai?".
Ross
annuì. Le baciò la mano e poi la
appoggiò, coprendola con la sua,
sul suo ventre. "Certo che ti credo".
In
quel momento così magico dove sembrava che con lei fosse
lontano da
tutto e tutti, si accorse che erano avvolti dal silenzio ed
entrò in
panico. "Demelza, dove sono finiti i bambini?".
Lei,
perfettamente tranquilla, annuì. "Più avanti
c'è uno spiazzo
che, nelle sere d'estate, si riempie di lucciole. Quando sono da me,
ci vanno sempre. Adorano quel posto, credono che sia magico".
Ross
scosse la testa, divertito. E in quel momento capì
perché Demelza
amasse tanto quel luogo. C'era pace, il male del mondo era lontano e
la natura era armoniosa e accogliente, con chi la conosceva e la
rispettava. "Ottimo, fra le lucciole e l'oro, avremo fuori dalle
scatole i bambini per gran parte del giorno".
Demelza
lo guardò storto. "Oro?".
Ross
sorrise, con la stessa faccia da canaglia esibita a Prudie poche ore
prima. Accarezzò Garrick che dormiva accanto a lui e poi
sospirò.
"Prima, mentre ero quì fuori da solo coi bambini, ho detto
loro
di cercare nel torrente perché potrebbe essere pieno d'oro.
Gli ho
detto che saremmo diventati molto ricchi, se lo avessero trovato".
Demelza
osservò il torrente, scettica. "Ross, i torrenti della
Cornovaglia non contengono pagliuzze d'oro".
Lui
ridacchiò. "Io lo so, certo. E anche tu! Ma loro no...
Passeranno giornate intere nel torrente, a cercarne. E noi nel
frattempo potremo starcene in pace in casa, a recuperare il tempo
perso".
Demelza
sospirò. "Ross, è crudele...".
"No,
non molto! Magari lo trovano davvero".
Lei
rise, finalmente serena. "Dwight, oltre a raccontarti della mia
gravidanza difficile, ti ha detto cosa dovremmo fare la notte, noi
due?".
Ross
annuì, sconsolato. "Sì... Ma ha detto che non
sarà per lungo
tempo. Però non ha parlato di baci e carezze, quelli ci sono
concessi".
Demelza
sorrise. "Sembri felice di essere quì. Non ti spiace che non
sia tornata a Nampara?".
Ci
pensò su. No, non gli spiaceva e sapeva che comunque Nampara
sarebbe
stata nel loro destino. E lo sapeva anche Demelza. "No, non mi
dispiace. In fondo non ha importanza dove siamo, sai? Finché
stiamo
tutti insieme, ogni posto può essere la nostra casa".
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Capitolo 34 *** Capitolo trentaquattro ***
Lord
Edward, visconte di Falmouth e rappresentante del casato dei
Boscawen, era un uomo pragmatico più concentrato sugli
affari e il
prestigio di famiglia che sugli affetti. Era un uomo 'del fare', uno
che prima dei sentimentalismi guardava al suo tornaconto e
così
facendo, aveva accumulato fra le sue mani un potere illimitato e
difficilmente attaccabile. Era una persona spinta da idee desuete,
forse non in linea coi tempi che stavano cambiando a causa della
rivoluzione francese ed ancora fermamente convinto che la
società
dovesse essere divisa in classi e che solo le famiglie più
potenti
dovessero detenere potere e ricchezze. Nulla doveva cambiare, per
lui... Era sempre andato avanti così il mondo e in fondo la
società
si era sviluppata proprio per questo stato di cose immutabile nei
secoli, quindi perché farsi contagiare da idee moderne che
potevano
portare a sovvertimenti sociali pesantissimi da pagare e che non
davano alcuna garanzia? Il potere era un'arma utilizzabile in maniera
giusta e corretta solo da chi sapeva usarlo per casato e tradizioni e
non poteva finire nelle mani di chi, fino al giorno prima, faticare a
sfamare i propri figli. Questo pensava e per questo si batteva!
Apparteneva
a una delle più nobili famiglie d'Inghilterra, siedeva alla
Camera
dei Lords e intratteneva rapporti con la famiglia reale e il suo
potere e il suo prestigio erano conosciuti anche negli angoli
più
remoti della nazione. Possedeva denaro, castelli, un buon nome, una
posizione sociale salda e senza macchie e la sua vita si poteva
definire invidiabile.
L'unico
neo, era stata la mancanza di figli. Sua moglie era morta giovane
senza riuscire a donargli un erede e l'uomo si era rifugiato nel suo
lavoro, concentrandosi sulla crescita culturale dell'unico figlio di
sua sorella Dorothy, Hugh Armitage, che un giorno avrebbe preso il
suo posto.
Ma
Hugh, crescendo, si era dimostrato un sognatore più attratto
da
filosofia e poesie che dall'intrattenere relazioni politiche e il suo
amore per il mare ne aveva fatto un navigatore provetto e ammirato
dalla Corona, circonstanze che lo avevano tenuto lontano dai posti di
potere frequentati dagli altri rampolli dei casati più
potenti.
Il
destino poi, beffardamente, tre anni prima, gli aveva strappato quel
nipote su cui aveva riposto ogni sua speranza per il futuro. Quando
Hugh si era ammalato e aveva iniziato a perdere la vista, Lord
Falmouth era stato disperato dall'idea di dover ammettere in pubblico
la menomazione del ragazzo. E quando poi il giovane era morto, fra
atroci sofferenze, si era rifugiato in un ostinato silenzio carico di
risentimento e dolore per una giovane vita promettente finita troppo
presto che aveva lasciato in lui un vuoto incolmabile che faticava
persino ad ammettere.
Sua
sorella Dorothy, rimasta come lui vedova in giovane età,
dopo la
morte del figlio lo aveva raggiunto a Londra e vivevano insieme ormai
da due anni in una grande e ricca dimora del centro della
città,
troppo grande per due persone ormai anziane e troppo silenziosa in
quei suoi interminabili corridoi che avrebbero invece dovuto essere
pieni di bambini pronti a prendere il loro posto.
Lui
e sua sorella non parlavano quasi mai di Hugh e anche se entrambi
sapevano che i loro pensieri spesso ricadevano su di lui, rimanevano
in silenzio nel loro dolore muto e composto.
Ma
negli ultimi mesi Hugh Armitage era tornato al centro dei suoi
pensieri anche per altri motivi, oltre che per il costante dolore per
la sua morte. Ci aveva rimuginato parecchio, prima di parlarne con
Dorothy, ma era arrivato alla conclusione che l'argomento che lo
tormentava dovesse essere affrontato, benché doloroso e
pietoso.
Non
sapeva cosa sapesse sua sorella, se avesse sentito in giro quelle
voci, ma doveva chiedere e sapere... Ed eventualmente agire.
Il
piccolo e arrogante lacché di Lord Basset, George Warleggan,
aveva
fatto strane insinuazioni su Ross Poldark e la sua famiglia,
soprattutto su sua moglie e su una delle sue figlie, partorita poco
più di due anni prima...
Lord
Falmouth era ossessionato da quelle voci che non sapeva se fossero
vere ma che, solo perché esistenti, riuscivano a togliergli
il
sonno... Il potere di un pettegolezzo poteva essere più
devastante
di una verità certa e lui, mai toccato in vita sua da alcuno
scandalo, non voleva macchie sul buon nome della sua famiglia.
Ross
Poldark era stato la sua scommessa sul futuro, benché di
idee molto
vicine ai principi della Rivoluzione Francese, e anche se gli scontri
fra loro non erano mancati per il diverso modo di concepire la
realtà e agire in Parlamento, quando si trovavano a Londra
insieme,
agivano come squadra che in un certo inspiegabile senso, sapeva
funzionare. Oltre a questo, Ross Poldark era un tipo molto sfuggente
e ben poco gli aveva fatto sapere della sua vita privata, anche
perché evitava come la peste gli eventi mondani della
capitale.
Sapeva che aveva una moglie da cui era separato e dei figli, sapeva
di dovergli molto per aver salvato Hugh dalla prigionia in Francia ma
quel che non sapeva, finché George Warleggan non lo aveva
accennato,
era che sua moglie era stata molto vicina a suo nipote e che forse,
insieme, avevano generato una figlia.
Che
fosse vero o no, non aveva importanza! Doveva mettere fine a quelle
voci, in qualunque modo, prima che travolgessero il buon nome della
famiglia.
Seduto
a tavola, con un ricco piatto di arrosto d'anatra e patate davanti a
se, osservò Dorothy che, seduta all'altro estremo della
tavolata,
sbocconcellava un pò di pane. "Non hai fame stasera, mia
cara?".
La
donna, che in quegli ultimi anni pareva invecchiata di colpo nel
corpo e nello spirito, sospirò. "Non molto".
Lord
Falmouth posò il tovagliolo sul tavolo in un gesto stizzito.
"Nemmeno io".
"Come
mai?".
"Sono
irritato! Con Ross Poldark..." - concluse in maniera sibillina,
cercando di prendere alla lontana il discorso.
Dorothy
alzò gli occhi su di lui, accigliata. "Che stranezza! Non
è
il tuo pupillo?".
"Lo
sarebbe, se fosse quì a fare il suo dovere. Invece
è rimasto in
Cornovaglia... Deve stare accanto alla moglie incinta, mi ha
scritto". Eruppe in una risata nervosa, squadrando la sorella.
"La signora Poldark deve essere una ben capricciosa creatura,
per pretendere che il marito stia a casa ad occuparsi di una
questione prettamente femminile come la maternità".
Dorothy
rimase per un attimo interdetta e stupita. Spalancò gli
occhi e
rimase col boccone di pane a mezz'aria, in mano. "La signora
Poldark è incinta?".
"Così
pare...".
"Oh...".
Dorothy abbassò la mano, posandola sul tovagliolo e
stringendolo.
"Beh mio caro, la maternità in fondo è un
argomento anche
maschile... Un figlio lo si fa in due e trovo ammirevole che un uomo
voglia stare accanto alla moglie in un momento così
delicato".
Lord
Falmouth scosse la testa. "Tutte storie, sono solo capricci!".
Dorothy
non sembrava dello stesso avviso. "La signora Poldark non mi ha
mai dato l'impressione di essere una donna capricciosa. Anzi, mi
è
sempre parsa piuttosto indipendente e perfettamente in grado di
badare a se stessa".
Gli
occhi di lord Falmouth si fecero piccoli e malefici. Era ora di
arrivare al punto... "Già, dimenticavo che tu la conosci
piuttosto bene. Durante l'agonia di Hugh, fu particolarmente vicina e
affettuosa col nostro caro ragazzo. Mi sono sempre chiesto
perché...".
A
quelle parole, Dorothy sembrò andare in panico.
Cercò di mantenere
un tono distaccato, ma la sua voce tremò... "La signora
Poldark
e suo marito, erano cari amici di Hugh. Dopo la liberazione dalla
prigione francese, sono rimasti in ottimi rapporti".
"Vero!
Ma un ottimo rapporto di amicizia, prevede certe cose e non ne
prevede altre... Voglio dire, perché la moglie del salvatore
di
nostro nipote si è sentita in dovere di stargli accanto
durante la
sua malattia, mentre il marito era lontano? Si dice che fossero
separati da tempo, all'epoca, e il comportamento della signora mi
è
sempre sembrato piuttosto equivoco e atto a male interpretazioni di
cui la stessa non si è mai curata... Voglio dire,
purché separata
dal marito, era sua moglie e la madre dei suoi figli e doveva
rispettare le regole della buona etichetta senza dare scandalo. E
anche lui... In effetti Ross Poldark vive da anni lontano da sua
moglie e si porta sempre a Londra i figli, quando viene quì
per le
sessioni parlamentari. E' assurdo! E mi sembra persino strano che la
signora attenda un nuovo figlio da lui".
Dorothy
si morse il labbro, come ponderando cosa dire. "Beh, non sono
affari nostri, direi. Si saranno riconciliati ed è meglio
così,
visto che hanno dei figli e ne avranno un altro".
Lord
Falmouth si alzò dalla sedia, dirigendosi a piccoli passi
verso di
lei. Era troppo sbrigativa e neutra nei suoi commenti e la conosceva
sufficientemente bene per percepire che stava nascondendo qualcosa.
"A te non è mai sembrato strano, il comportamento di quella
donna verso Hugh?".
Lei
alzò lo sguardo, spazientita. "Mio figlio stava morendo e
non
avevo animo per notare altre cose. Hugh era contento di averla vicina
e sono felice che lei gli sia stata accanto".
Decise
che era ora di smetterla di girarci attorno. Sua sorella non avrebbe
detto nulla, a meno che non l'avesse costretta con domande dirette.
"Circolano delle voci, su Hugh! Voci sgradevoli che voglio
mettere immediatamente a tacere".
"Quali
voci?" - sbottò lei – "Mio figlio è
morto da quasi tre
anni".
Lo
sguardo di Lord Falmouth si fece sibillino. "Voci su di lui e
sulla signora Poldark. Pare ne fosse l'amante".
Dorothy
spalancò gli occhi ma poi, come quasi si costringesse a
farlo, con
fatica scoppiò a ridere. "Mi sembra assurdo! Come
è assurdo
che ADESSO si dica in giro una cosa simile. Chi mette in giro una
voce del genere? Chi, infanga in nome di mio figlio che ora non
può
più difendersi? E su quali basi?".
"George
Warleggan, il pupillo di Lord Bassett. E dice queste cose con
cognizione di causa...".
Dorothy
impallidì. "Che vuoi dire?".
Lord
Falmouth prese a camminare avanti e indietro per la stanza, assorto.
"Dorothy, tuo figlio era un valente navigatore, coraggioso in
mare e nelle missioni a cui era assegnato. Avrebbe forse avuto una
brillante carriera nell'esercito se non fosse stato che...".
"Che?".
"Amava
l'amore, le poesie, le frivolezze... Aveva una visione romantica
della vita, dell'amore e delle relazioni da intrattenere con le
persone che gli piacevano... Ho letto le sue poesie, ciò che
ha
lasciato scritto nei suoi quaderni".
Dorothy
scosse la testa. "E allora?".
L'uomo
le si avvicinò nuovamente, sedendosi accanto a lei. "Amava
l'amore, nella sua forma più pura. E non badava alle
convenzioni
sociali, nemmeno davanti al fatto che la sua donna dei sogni era
sposata col suo salvatore. Hugh sapeva come corteggiare una donna e
Demelza Poldark forse era in crisi col suo matrimonio, chi lo sa...?
Ma le frequentazioni di Demelza, che veniva spesso al capezzale di
Hugh assieme a quel medico, Dwight Enys, non sono passate inosservate
ai nostri amici e ai nostri avversari politici. E questa cosa
potrebbe ritorcersi contro di noi e contro il nostro potere".
Dorothy,
spazientita, lanciò il tovagliolo lontano da lei, al centro
del
tavolo. "Sono passati ANNI! Di che ti preoccupi? Delle voci
messe in giro da un parvenue della Cornovaglia? George Warleggan vale
meno di zero e se non fosse stato per Lord Basset, ora sarebbe ancora
a dirigere miniere nella sua terra natale".
Lord
Falmouth scosse la testa. "Le voci, come ti dicevo, hanno un
fondamento".
"Quale
fondamento?".
L'uomo
la fissò dritto negli occhi, come a voler scandagliare la
sua anima.
"La scorsa primavera George Warleggan ha incontrato in giro la
famigliola Poldark al completo. Ross, Demelza e i loro tre bambini...
Ma lui sapeva ed era certo che ne avessero avuti solo due di figli,
viventi: Jeremy e Clowance. Più un'altra bimba, morta in
tenera età
anni fa. Eppure, con loro, c'era un'altra bimbetta più
piccola, nata
durante la loro separazione, alcuni mesi dopo la morte di Hugh.
Facendo ricerche, George Warleggan ha scoperto che la bambina non
porta il cognome Poldark ma quello della madre. Non è stata
riconosciuta da suo marito, non ti sembra strano?".
Dorothy,
sempre più pallida, indietreggiò sulla sedia.
"Non sono affari
nostri e non vedo come questo possa interessarci".
Ora
era davvero stanco! Dorothy conosceva la verità, glielo
leggeva in
viso e doveva parlare. "Oh, io sono sicuro che invece tu sei ben
più consapevole di me che questo invece ci interessa.
Giusto?".
"Non
so di cosa parli!".
"Si
che lo sai".
Dorothy
fece per alzarsi dal tavolo ma lui la prese per il polso,
costringendola a sedersi. "Dimmi la verità! La bambina,
è di
Hugh? E' come dice George Warleggan? Perché è
questo che si
sussurra, in giro!".
"Smettila!"
- sibilò lei – "Lascia riposare in pace mio
figlio".
Lui
non aveva intenzione di smettere. "Dorothy, non fare la bambina!
Abbiamo un problema, te ne rendi conto? Anni di onorata
rispettabilità che rischiano di andare in fumo, assieme al
nostro
potere, a causa di uno scandalo che ci travolgerebbe senza
possibilità di appello. Che direbbero alla camera dei Lords?
Che
direbbero i reali, quando sono al loro cospetto?".
"Perché
ti preoccupi? La signora Poldark ti ha ricattato, fratello? Non mi
pare, non la vediamo da anni!" - urlò lei. "Come puoi
affermare che quelle voci siano vere e non siano che un pettegolezzo
senza fondamento?".
Lui,
ormai adirato, le strinse ancora di più il polso. Odiava
quando la
gente non capiva e ancor di più odiava chi fingeva di non
capire.
"Dorothy, sai bene che non è la verità ad essere
importante,
quanto piuttosto il sospetto. E' il sospetto che porta alla rovina,
anche se generato su fatti che magari non esistono. Se la gente ci
crede, allora le dicerie diventano reali".
Lei
tentò un'ultima stremata difesa. "La vita dei Poldark non
è
affar nostro, come non lo è quella dei loro figli. Lascia
decantare
e le voci cesseranno prima o poi".
"Voglio
la verità, Dorothy! Perché tu sai benissimo che
non sono solo voci,
giusto?".
"SMETTILA!"
- urlò lei.
"NO!".
Dorothy
si accasciò senza forze sulla sedia. I suoi occhi si
inumidirono e
alla fine le lacrime che aveva a lungo trattenuto scivolarono sul suo
viso. "Eleanor... Eleanor Carne... La bambina si chiama
così".
Lui,
pallido quanto lei, si lasciò cadere sullo schienale della
sedia.
"Allora è vero... Perché non me lo hai mai
detto?".
Dorothy
sospirò, asciugandosi col fazzoletto il viso.
"Perché non
credevo che la cosa sarebbe mai uscita allo scoperto. Doveva essere
un segreto fra me e la signora Poldark. Nemmeno Hugh lo sapeva,
Demelza non gli disse mai nulla. Le offrìì dei
soldi per il suo
silenzio, ma lei li rifiutò, dimostrando grande coraggio e
dignità.
Non mi ha mai fatto pressioni né mai mi ha chiesto nulla, da
allora.
E' sparita dalla mia vita e sono certa che si prende cura al meglio
della piccola Eleanor. Ho visto la bambina, una sola volta, alcuni
mesi dopo la sua nascita. Andai a Illugan e la incontrai... E' bionda
come lo era Hugh da piccolo, una bellissima bimba che mi avrebbe resa
una nonna orgogliosa".
Lord
Falmouth la squadrò, non condividendo mezza parola di quello
che
diceva sua sorella. I sentimentalismi non c'entravano e dovevano solo
pensare al bene del loro casato e della loro famiglia, ora. "Di
come sia bella la bambina e di quanto possa essere una brava madre
Demelza, onestamente mi interessa poco. Quella dannata donna doveva
disfarsi della neonata immediatamente".
Dorothy
lo guardò inorridita, spalancando gli occhi. "E' la bambina
di
Hugh".
"E'
una bastarda, Dorothy! E metterla al mondo e tenerla ha esposto non
solo noi, ma anche Ross Poldark e i suoi figli, allo scandalo! Quella
bambina potrebbe rovinarci tutti!".
Dorothy
scosse la testa. "E' solo una bambina... Sangue del nostro
sangue fra l'altro... Appartiene, almeno per diritto di sangue, al
casato dei Boscawen quanto me e te".
Che
la bambina fosse di nobili origini, poco importava, per lui. "Tu
hai idea di quanti piccoli bastardi di sangue blu ci siano negli
orfanotrofi? Ce ne sono più di quanto immagini... E sai
perché sono
lì? Per evitare scandali e nasconderli al mondo! Gli
orfanotrofi
offrono persone che accudiscono e crescono questi piccoli infelici,
magari gli trovano una famiglia o comunque, li preparano a lavorare e
a mantenersi. Lì doveva andare quella bambina e
lì andrà, ADESSO!
Non doveva tenersela! La signora Poldark è folle e Ross
Poldark è
più folle di lei! Non doveva sposarsi la figlia di un
minatore e
questi sono i risultati! Una donna lasciva e di dubbia
moralità che
ha messo al mondo una piccola bastarda illegittima che
rovinerà la
vita di tutti noi! E tu l'hai coperta!".
Dorothy
riprese a piangere. Era combattuta fra cuore e dovere e decidere da
che parte stare, ora, era la più grossa sfida della sua
vita.
"Edward, è solo una bambina... Non possiamo strapparla,
adesso
che ha due anni, dalle braccia di sua madre".
Lui,
impassibile, si alzò dalla sedia. Picchiò le mani
sul tavolo e la
guardò furente. "La signora Poldark doveva pensarci prima...
La
bambina deve sparire dalla vita di tutti, come se non fosse mai
esistita! Farò in modo che venga allontanata da sua madre e
mi
adopererò per far distruggere il suo atto di nascita.
Finirà dove
deve stare, in un istituto! Nome nuovo, nessun passato e un futuro
che sarà solo affar suo, quando crescerà! E di
lei, non si dovrà
sapere più niente".
"Edward..."
- lo implorò Dorothy, sapendo benissimo che lui aveva il
potere per
fare tutto questo.
"Smettila
di frignare, sai bene che è l'unica cosa sensata da fare!
Nemmeno la
conosci, la bambina. Che ti importa?".
"E'
di Hugh! E questo è importante, per me. E' l'unica cosa che
mi resta
di lui".
L'uomo
alzò le spalle. "Non è stata riconosciuta da tuo
figlio e
quindi non è sua!".
Dorothy
si alzò di scatto, facendo cadere la sedia. "La signora
Poldark
non ti permetterà mai di toglierle la figlia!".
"Vogliamo
scommettere?" - rispose lui, glaciale. "Presto avrà un
altro figlio da suo marito, giusto? Si dimenticherà questo
piccolo
inconveniente e crescerà i figli nati all'interno del suo
matrimonio, come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio. E ora, se
permetti..." - disse, allontanandosi e dirigendosi verso la
porta.
"Dove
vai?" - chiese lei, allarmata.
"Nel
mio studio! Devo scrivere a Ross Poldark, devo vederlo".
Dorothy
lo seguì, il suo cuore era in tumulto. "Edward, ti prego,
ragiona! Esisterà un altro modo, per far cessare queste
voci.
Pensaci, non distruggere la vita della piccola".
L'uomo,
per un attimo, rimase in silenzio. "Dici che esiste un altro
modo? Forse sì, esiste! Se Ross Poldark sarà
tanto folle da farsi
umiliare a vita, crescendo la figlia di un altro come fosse sua... Se
si abbassasse a legittimarla e a darle il suo cognome... Ma nessun
uomo sensato lo farebbe!".
Dorothy
deglutì. "Chiediglielo!".
Lord
Falmouth annuì. "Gli scriverò! E lo
metterò davanti a una
scelta definitiva! Se tentennerà, la bambina
dovrà sparire". E
così dicendo uscì dal salone, lasciando sua
sorella da sola coi
propri demoni e le proprie lacrime.
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Capitolo 35 *** Capitolo trentacinque ***
La
piccola Sarah Enys morì nel sonno in una caldissima notte di
inizio
agosto. Senza un lamento, un pianto, un sospiro, se ne andò
in
silenzio quasi non volesse disturbare.
Il
dolore di Caroline e Dwight era muto e intenso. Eppure dignitoso,
quasi non volessero mostrare al mondo quanto quella tragedia li
avesse logorati e si fosse portata via una parte del loro cuore,
assieme alla loro bambina.
Caroline
si era data anima e corpo ai preparativi per il funerale, quasi che
quelle incombenze pratiche la allontanassero dalla disperazione che
la divorava minuto dopo minuto. Aveva gettato via ogni cosa della
figlia, la sua culla, i suoi vestiti e le bambole che le metteva
accanto al cuscino per farla dormire, non voleva più vedere
nulla
che gliela ricordasse.
Dwight
aveva salvato solo un piccolo orsetto bianco, il preferito della sua
bambina. Sarah, come Ellie con Kiky, non se ne separava quando
dormiva e lui aveva voluto che la accompagnasse nel suo ultimo
viaggio, uniti per sempre. Lo aveva messo nella bara, accanto a lei,
per farla sentire meno sola... Era un comportamento forse irrazionale
da parte di un medico, ma era l'unica consolazione che riusciva a
trovare al suo grande dolore.
Di
Sarah, aveva tenuto una piccola ciocca di capelli biondi. Glieli
aveva tagliati una settimana prima che morisse perché le
andavano
sugli occhi, e li aveva legati in un nastrino rosa. Quei capelli da
neonata, morbidi e di seta, erano diventati, nel loro scrigno, il
tesoro del suo papà.
Quando
Demelza e Ross appresero la notizia, tramite una lettera portata loro
ad Illugan da un servitore degli Enys, era pomeriggio inoltrato. I
bimbi giocavano nel bosco, Demelza stava cucendo una copertina per il
piccolo in arrivo e Ross tentava inutilmente di pescare qualcosa nel
torrente davanti casa.
Rimasero
pietrificati e per tutta la serata non aprirono bocca, tanto che
Jeremy durante la cena scoppiò a piangere, pensando avessero
litigato di nuovo. Lo tranquillizzarono, non era quello...
Era
la pena per Dwight e Caroline, una pena che conoscevano bene...
Era
la morte di una bimba che ricordava loro che poteva succedere e che
era già successo...
Era
ripensare a Julia e riviverla attraverso Sarah...
E
nessuno dei due osava esprimere a voce ciò che provava...
E
allora il silenzio, anche se non per rabbia, era un nascondiglio
perfetto per rimuginare da soli su cosa facesse soffrire...
Ross
sapeva che Demelza era angosciata e che la storia di Sarah complicava
tutto, sapeva che aveva paura per mille buoni motivi ed era
consapevole di quanto emotivamente fosse pesante la gravidanza che
stava vivendo. Sua moglie era ormai al quarto mese inoltrato e il
pancino era piuttosto evidente, se la si guardava attentamente di
profilo. I bimbi le accarezzavano sempre il ventre e lei spesso
rideva, quando lo facevano. Era bello vederla felice anche se Ross
sapeva che la sua mente era ancora angosciata dalla paura per il loro
futuro di coppia e dalle difficoltà che stava incontrando.
Doveva
ancora stare a riposo, Dwight era stato categorico. Capitava che
avesse contrazioni e dolori che la costringevano a letto se faceva
più del consentito e questo la preoccupava e inquietava
moltissimo.
Era strano pensare per Ross, a quanto quella gravidanza fosse
arrivata dopo due anni di nulla e che, finito quel pomeriggio di
passione, si fosse ripiombati in un forzato nulla. Ma non gli pesava,
sapeva che era per una buona causa e sapeva che avrebbero avuto
davanti tutto il tempo del mondo per la passione e l'amore troppo a
lungo accantonato. Anche se spesso i loro occhi, quando la sera a
letto si baciavano e si guardavano, esprimevano un desiderio
difficilmente controllabile.
Però,
da bravi, poi facevano come aveva prescritto Dwight.
E
Demelza riposava, anche se la sua natura vivace viveva questa
immobilità forzata con difficoltà.
Però, quando aveva saputo di
Sarah, aveva preteso di poter essere presente al funerale della
piccola. Era stata irremovibile e Ross aveva dovuto cedere, alla
fine.
Avevano
chiamato Prudie ad Illugan per affidarle i bambini e poi, a cavallo,
si erano diretti verso la Chiesetta di Sawle dove si sarebbe svolta
la cerimonia.
Era
la prima volta da tre anni, a parte la festa dei minatori, che
partecipavano a un evento insieme. E proprio per la natura
dell'evento, non riuscivano ad essere emozionati per la
quotidianità
che stavano ritrovando.
Giunsero
alla Chiesa che era ormai gremita di gente e si sedettero in fondo
alla navata, agli ultimi posti.
Ross
prese la mano di Demelza, la tenne stretta nella sua per tutta la
cerimonia e non si dissero nulla. Sapevano di essere vicini, come
forse non erano stati mai, pur nel loro mutismo... E stavolta era
reale, erano davvero insieme, sullo stesso piano, pronti a
sostenersi.
Durante
la funzione esistevano solo la piccola bara, gli sguardi impietriti
di Dwight e Caroline e il ricordo onnipresente della piccola Julia. A
parte questo, quasi non percepivano la presenza delle persone attorno
a loro...
Tanto
che, a fine cerimonia, dopo un abbraccio intenso e disperato alla
coppia di loro amici, quasi si stupirono del folto gruppo di gente
che li attorniava. Eppure tanto per Ross quanto per Demelza, tutto
era ovattato e lontano.
Vedere
Dwight piangere sommessamente, con gli occhi impietriti, davanti alla
bara della sua bambina, era straziante. Così come le calde
lacrime
di Caroline, che avevano preso a cadere finalmente, appena vista
Demelza che quasi stritolò in un abbraccio.
Questo
era assordante, tanto da togliere importanza a tutto il resto.
Quando
vide Demelza tremare e piangere, Ross decise che era ora di tornare a
casa. Dwight e Caroline erano attorniati da amici e famigliari e loro
due non potevano fare di più. Sua moglie doveva riposare e
soprattutto doveva allontanarsi da quel dolore che per lei... loro...
era ancora più lacerante perchè già
conosciuto. "Su, andiamo"
– le disse dolcemente, cingendole le spalle con un braccio.
Lei
annuì, non sollevando gli occhi da terra. Dopo un cenno di
saluto
che forse i suoi due amici nemmeno notarono, si avviarono verso la
staccionata dove era legato il loro cavallo, quando furono bloccati
da una voce sgradevole.
"Ross
Poldark, dicono che siate diventato un eremita e in effetti erano
mesi che non vi vedevo in giro".
Demelza
alzò gli occhi al cielo e Ross sbuffò, voltandosi
lentamente. Non
si era accorto che ci fosse anche lui, a quel funerale. "George,
il mondo a quanto pare è un posto piccolo dove ci si
incontra
spesso".
Lo
fissò distrattamente, assieme a Demelza, accorgendosi che il
suo
nemico non era solo. Vestita con un abito color porpora, con i
capelli raccolti in una elegante treccia, accanto a lui c'era
Elizabeth.
Ross
avvertì Demelza irrigidirsi e si rese conto, forse davvero
per la
prima volta nella sua vita, che a parte lei, non esisteva
nessun'altro di importante. Per la prima volta Elizabeth era una
conoscente come molti altri presenti a quella cerimonia e non gli
suscitava più alcuna emozione.
George,
sembrava invogliato a stuzzicarlo. "Una grave tragedia per la
piccola Enys, vero? Ma poi, perché chiedere a voi? Siete
tanto
esperti, in materia...".
Avrebbe
potuto prenderlo a pugni come ai vecchi tempi, per quello che aveva
appena detto. Massacrarlo di botte e farlo sembrare un'idiota davanti
a tutta la comunità non sarebbe stata una cattiva cosa, dopo
tutto.
Ma perché farlo? Non era il luogo adatto e soprattutto,
l'unica cosa
che voleva era portare via Demelza da lì. "Esatto,
perché
parlare quando si potrebbe volentieri farne a meno?". Strinse la
mano di Demelza, le sorrise impercettibilmente per farle capire che
sarebbe andato tutto bene e poi fece per andarsene, quando la voce di
George lo bloccò nuovamente.
"Signora
Poldark" – disse, avvicinandosi a Demelza mentre Elizabeth,
pallida, lo guardava piuttosto seccata e in disparte – "E'
molto che non vedo nemmeno voi. Dicono che siate tornata fra i vostri
simili ad Illugan, come è giusto che sia". La
squadrò,
soffermandosi sul suo ventre. "In attesa? Di nuovo? Si racconta
in giro che abbiate ormai molti figli voi, signora" – disse,
in tono maligno e puntiglioso, rivolgendosi unicamente a lei.
"George...".
Ross si intromise, cominciava ad essere troppo e se Demelza riusciva
a mantenere un certo contegno, lui non era certo di riuscire a fare
altrettanto.
George
gli sorrise freddamente. "Siamo simili in questo momento,
allora. Aspetto le vostre congratulazioni, Ross".
"Che
volete dire?".
George
gli indicò Elizabeth, rimasta alcuni passi dietro a lui. "La
mia meravigliosa moglie sta per darmi un nuovo erede.
Nascerà a
gennaio".
Ross
diede una veloce occhiata ad Elizabeth, non si era accorto che fosse
incinta e onestamente non aveva nemmeno voglia di soffermarsi sulla
cosa, nonostante le occhiatacce di Demelza che sapeva e disapprovava
il consiglio che lui le aveva dato anni prima al cimitero, sulla
tomba di zia Agatha. Alzò le spalle con noncuranza. "Beh,
non
siamo uguali, il nostro di bambino nascerà a dicembre. Buona
giornata, George e auguri a tutti e due". E detto questo, prese
Demelza per mano, trascinandola via. Se anche quell'idiota l'avesse
richiamato per provocarlo, non si sarebbe fermato.
Arrivò
al cavallo, prese Demelza fra le braccia e l'aiutò a salire
in
sella, ma sua moglie si liberò dalla sua stretta, scendendo
nuovamente a terra. Sapeva quanto fosse stata dura per lei
partecipare a quel funerale e sapeva anche che probabilmente era
irritata dall'incontro con George. Ma non era ora di questioni e
litigate e lui stavolta era assolutamente sicuro di non aver fatto
nulla di male! "Demelza, è ora di andare a casa" –
le
intimò. Erano lontani da tutti e se lei voleva fare storie,
le
avrebbe risposto a tono.
"E'
incinta" – disse lei, torva.
"E'
sposata, succede che capiti di aspettare un bambino quando due si
sposano".
Demelza
lo guardò storto. "Desiderato o frutto di un cattivo
consiglio?".
Lui
sospirò, poggiandole la mano sulla spalla. "Non mi importa,
non
è un problema mio! A me interessa del nostro di bambino, non
del
loro".
Credeva
che gli avrebbe ribattuto a tono, ma Demelza a quelle parole
inaspettatamente si addolcì. Gli sorrise e gli
sfiorò la mano
poggiata sulla sua spalla. "Lo so...".
"Allora
non sei arrabbiata?".
Lei
lo guardò storto. "Certo che no!".
"Davvero?".
"Davvero.
Sai, è solo stato strano perché...".
"Perché?".
Demelza
alzò le spalle. "Perché per la prima volta, eri
preoccupato
solo per me. Non l'hai nemmeno guardata, Elizabeth. Non lo so, forse
non ci sono abituata" – concluse, con un sorriso un
pò
impacciato.
Abbassò
lo sguardo, ripensando con senso di colpa a quanto l'aveva trascurata
negli anni, quando in giro c'era Elizabeth. Aveva spinto più
e più
volte il suo matrimonio vicino a un burrone senza accorgersene e
sarebbe bastato un nulla per perdere Demelza per sempre. In fondo, a
vederla da un'altra ottica, Hugh Armitage gli aveva insegnato a non
dar nulla per scontato e che le ferite del cuore vanno curate con
amore perché non guariscono mai da sole. "E' vero, ero
preoccupato per te e la famiglia Warleggan era l'ultimo dei miei
pensieri. Oggi non è stato facile venire quì, per
nessuno di noi
due". Lo disse, era inutile negarlo! Era inutile nascondersi
quanto la morte di Sarah avesse riportato fra loro il fantasma di
Julia.
Lei
parve leggergli nella mente. "Hai pensato... a lei...?".
"Sì.
E tu?".
Demelza
annuì, mentre gli occhi le diventavano lucidi. "Certo. La
penso
sempre, a dire il vero. E ora che sono incinta, sapere che lei non
sarà quì con noi quando il bambino
nascerà, mi distrugge. E poi,
Sarah... I bambini nascono dalla notte dei tempi, Ross! E muoiono
anche! E non è detto che, visto che ci è
capitato, non possa
ricapitarci e ho paura! Ci sono andate male troppe cose e se qualcosa
andasse storto, se... se...".
La
fermò, baciandola sulle labbra. Non voleva che facesse certi
pensieri, non glielo avrebbe mai permesso. Certo, tutto poteva andare
storto, lo sapevano bene entrambi! Oppure, tutto poteva andare
splendidamente bene, ci voleva solo fede! "Demelza, tu stai bene
e a giudicare dalla tua pancia, sta bene anche il bambino. Pensare
alle cose brutte non ti permette di viverti quelle belle, sai? Sei
forte, coraggiosa, lo sei sempre stata e ora questo bambino, io e gli
altri bimbi che abbiamo a casa... Noi abbiamo bisogno di te e della
tua forza".
Demelza
annuì, mentre le lacrime le solcavano il viso. "Io non
voglio
perdere nessun altro bambino, Ross. Sono terrorizzata! Non potrei
sopravvivere a una cosa del genere un'altra volta. Voglio Jeremy,
Clowance, Eleanor e questo piccolino sempre con me. Ti prego, dimmi
che niente e nessuno me li toglierà, i miei bambini".
La
abbracciò, aveva bisogno di essere rassicurata e tutto
ciò che
voleva trasmettergli era la sua ferma volontà a fare in modo
che la
loro famiglia fosse per sempre unita e felice. Non era solo Julia a
turbarla, erano anche i due anni lontana da Jeremy e Clowance ad
averla provata così tanto ed era colpa sua... Solo colpa
sua! Come
aveva potuto portarglieli via tanto a lungo? Anche se era arrabbiato
e legittimato ad esserlo, non avrebbe dovuto mettere in mezzo i loro
due figli! "Non permetterò che succeda nulla di male
né a te
né ai bimbi. Siamo in sei nella nostra famiglia e sei
rimarremo!
Giuro!". Dannazione, avrebbe dato la vita per tenere fede a
questa promessa! Per lei, lo avrebbe fatto unicamente per lei, se
fosse stato necessario...
Demelza
sorrise dolcemente, avvicinando il viso al suo. Le punte dei loro
nasi si sfiorarono, era una loro coccola che spesso si facevano
nell'intimità e che sapeva trasmettere ad entrambi amore e
sicurezza. "Ti credo!". Si accarezzò il ventre,
impercettibilmente, stringendosi a lui e lasciandosi abbracciare.
"Hai
male?" - chiese Ross, allarmato.
"No".
"E
allora, perché ti tocchi la pancia?".
Demelza
parve incerta su cosa rispondergli, per un attimo. Poi, senza dire
nulla, gli prese la mano e se la mise sul ventre. "Ascolta".
Ross
la guardò senza capire, poi osservò la mano
poggiata su di lei. E
tutto ad un tratto, quasi impercettibilmente, sentì sotto le
sue
dita un leggero ticchettare che non riusciva a identificare.
"Demelza, la tua pancia... Si muove! Come fai a farlo?".
"Non
è la mia pancia" – rispose lei, ridendo.
Spalancò
gli occhi, incredulo. Se non era Demelza a farlo, era...? Oddio, come
era possibile una cosa del genere? "E'... è...?".
"Il
bambino, sì. E' la prima volta che si fa sentire".
Ross
guardò la pancia, poi il viso di sua moglie e poi ancora la
pancia.
"Santo cielo, è normale? Cioè, che fa? Ti prende
a calci? Si
muove? Ti fa male? Come possiamo sentire un qualcosa di tanto
piccolo? Può essere qualcosa di grave?".
Demelza
parve sul punto di ridere e per la prima volta in quella giornata la
vide serena e divertita. "Ross, sto bene, non spaventarti! E'
normale, i bambini si muovono nella pancia e man mano che crescono,
li si sente sempre meglio. E' una cosa bella, anche se forse oggi
è
così fuori luogo che succeda ed esserne felici, mentre pochi
metri
più in la due genitori seppelliscono la loro bambina appena
nata".
No,
non era d'accordo con lei! I calcetti del loro bambino e il fatto che
fosse sano e vivace e si facesse sentire dai suoi genitori, non
toglieva nulla alla tragedia vissuta da Caroline e Dwight né
gli
mancava di rispetto. Era il ciclo immutabile della vita e della morte
che, dalla notte dei tempi, andavano a braccetto... "Demelza,
credo che Dwight ne sarebbe contento, se fosse quì. E anche
Caroline".
"Lo
so, ma mi sento in colpa lo stesso".
La
baciò. Sentiva di amarla come non mai, in quel momento.
Demelza
aveva un cuore d'oro e proprio Dwight aveva detto che aveva sempre
dato amore e affetto a tutti, ricevendone poco in cambio. Ed era
vero, a giudicare dalle sue parole e dal pensiero costante che
rivolgeva prima agli altri che a se stessa... "Io credo che
dovremmo esserne semplicemente felici, da genitori. Se lui si muove
tanto, vuol dire che sta bene. Credo...". D'un tratto si
accigliò, dicendo quelle cose. "Ma è la prima
volta che ti
capita o mi sbaglio?".
"No
Ross, tutti i nostri bambini mi davano i calcetti".
"Ma
non me lo avevi mai fatto sentire. Perché?".
Demelza
arrossì, a quella domanda. "Beh, quando aspettavo Julia, mi
vergognavo. Credevo che fosse una cosa da femmine e che a un uomo non
interessasse. Con Jeremy... Beh, lui non lo volevi e faticavi persino
ad accettare che fossi incinta. E con Clowance eri spesso lontano e
ho vissuto la gravidanza quasi sempre da sola".
Fu
costretto ad abbassare lo sguardo. Che idiota che era stato in
passato, a dare tante cose per scontate e a stare tanto lontano da
sua moglie, senza fermarsi ad osservare quanto avesse bisogno di lui,
senza avvertire i suoi sentimenti e le sue paure e di fatto, non
vivendo le gioie del loro matrimonio insieme. "Non so se questo
possa interessare agli altri uomini ma interessa a ME! Sentire il
nostro bambino che si muove, è la cosa più bella
che abbia mai
vissuto. Vorrei che fosse già dicembre e lui fosse
già quì con
noi, sai?".
Lei
annuì. "Lo vorrei anche io".
"E
vorrei che nascesse a Nampara" – aggiunse Ross, prendendo la
palla al balzo. "Amo stare ad Illugan ma i nostri bambini sono
nati tutti a Nampara, eccetto Ellie".
Demelza
lo baciò dolcemente sulle labbra. "Non staremo ad Illugan
per
sempre. Sta tranquillo Ross, il nostro bambino nascerà a
Nampara,
nella nostra vera casa".
Ross
le sorrise, quelle parole avevano il sapore di una promessa. Le
avrebbe regalato la luna, se avesse potuto. Ma tutto quello che
poteva fare, era rispettare i suoi tempi e prenderla per mano mentre
riprendeva possesso del suo coraggio e della sua vita. "Andiamo
dai bambini, su" – propose, mettendola sul cavallo senza
incontrare resistenze, stavolta. "Prudie ci ucciderà, se
ritardiamo ancora".
Lei
annuì, rannicchiandosi contro il suo petto, quando fu salito
in
sella. "Credo che potrebbe succedere, sì".
"Ross?".
"Cosa?".
"Ti
amo".
La
baciò sulla nuca, stringendosela forte a se. "Anche io,
amore
mio. Su, torniamo a casa, i nostri bimbi ci aspettano".
"Sì,
andiamo a casa da loro".
Demelza
non disse più nulla ma entrambi sapevano di stare pensando
alla
medesima cosa: partecipare al funerale di una bambina ti faceva venir
voglia solo di una cosa, correre a casa ad abbracciare i tuoi, di
figli.
E
Ross si rese conto che voleva abbracciare tutti e tre e che ormai nel
suo cuore non c'era più alcuna differenza fra Clowance e
Jeremy
rispetto alla piccola Ellie. Era forse ora di sistemare le cose
all'interno della sua famiglia e poi sì, solo allora
avrebbero
dovuto tornare a Nampara.
...
Era
stata una serata strana quella, come del resto era stata strana tutta
la giornata.
Prudie
si era fermata per aiutarli a preparare la cena e se n'era andata
tardi, lasciando Demelza in compagnia dei bambini.
Faceva
un caldo assurdo e nonostante questo, sua moglie era stata
inseparabile coi piccoli. Li aveva fatti giocare, aveva riso con loro
e li aveva abbracciati più spesso del solito e lui l'aveva
lasciata
fare, stando in disparte. Sapeva che era quello di cui lei aveva
bisogno e gli sembrava abbastanza in forma per partecipare ai loro
giochi senza rischi per la gravidanza.
I
bimbi, esausti, si erano addormentati nel lettone piuttosto presto e
anche Demelza, distrutta da quella giornata così pesante,
aveva
fatto altrettanto. Visto il caldo torrido di quella giornata, si era
addormentata con addosso solo una leggera sottoveste bianca che le
copriva a malapena le gambe fino alle ginocchia e ne delineava
piuttosto bene i contorni del seno e del ventre. Ross rimase a lungo
a guardarla dormire, sentendosi completamente catturato da quella
figura bella ed elegante, da quei capelli rosso fuoco sparsi sul
cuscino, dal suo viso ancora un pò da bambina e dalle
rotondità del
suo corpo che si preparava a diventare nuovamente quello di una
madre. Santo cielo, ne era attratto da morire e vederla
così, senza
poterla toccare, era una sorta di tortura per lui...
I
bambini dormivano accanto a lei, rannicchiati contro di lei. Li
invidiava un pò! Visto il caldo immenso, Demelza aveva messi
a letto
i due bambini più grandi con indosso solo un paio di
mutandine, a
petto nudo, mentre la piccola Ellie indossava un pannolino di stoffa
tenuto a bada da una spilla, che la rendeva pittosto buffa. Jeremy
dormiva col capo appoggiato al ventre di Demelza, Clowance era
rannicchiata al suo fianco sinistro mentre Ellie, col sonno
più
leggero, si girava e rigirava nel centro del letto.
Ross
uscì a prendere aria, sedendosi sullo scalino del piccolo
porticato.
Il bosco era silenzioso e tranquillo e nei rumori placidi della notte
sembrava voler acquietare il suo animo tormentato da mille fantasmi
del passato. Julia era sempre presente nei suoi pensieri ma c'erano
giorni come quello dove avvertiva ancora più insopportabile
la sua
scomparsa. E sapeva che sarebbe stato così anche per Dwight
e
Caroline, purtroppo... E poi c'erano i calcetti di quella nuova vita,
che gli avevano scaldato il cuore... Era successo di tutto, in quel
giorno strano!
Sospirò,
appoggiando la mano al mento, quando qualcosa di leggero gli
sfiorò
la spalla.
Sussultò,
voltandosi di scatto e si trovò davanti Ellie che,
silenziosa come
un gatto, era scesa dal letto e uscita di casa. Col pancino nudo e il
pannolino bianco che ne rendeva goffi i movimenti, Kiky fra le
braccia, i boccoli biondi spettinati tenuti fermi dal suo amato
tricorno che doveva essersi cacciata in testa dopo essersi svegliata,
aveva evidentemente deciso che di dormire, non ne aveva voglia.
Sospirò, prendendole la manina e attirandola a se. "Non
riesci
a dormire?".
La
piccola si grattò la guancia. "Ho caddo!".
Beh,
come darle torto? Era una notte afosissima e non capiva come Demelza
e gli altri due bambini riuscissero a dormire. "Hai ragione, ma
sarebbe una bella cosa se dormissi lo stesso".
"Tu?"
- chiese lei, rimarcando che a dormire non erano in due.
E
ancora, come darle torto? "Ma senti... Se quando nascerà il
tuo
fratellino o sorellina, farà come te e non vorrà
dormire, che si
fa?".
Ellie
rise a quella domanda, con un'espressione da monella irresistibile.
"Tutti vegli!" - rispose, come se fosse la cosa più ovvia
del mondo.
"NOOO!".
Santo cielo, era decisamente figlia di sua madre, bella come lei e
con la medesima faccia tosta di quando l'aveva conosciuta. La prese
in braccio, mettendosela sulle gambe, cominciando ad immaginare
quanto sarebbe stato romantico averne DUE di bambini che non
dormivano. "Senti, vuoi sentirla una storia?".
"Sì".
"Una
volta sai, conoscevo un giovane poeta che scriveva poesie e che amava
l'amore. Aveva una visione della vita tanto romantica che mi chiedo
se adesso, SE FOSSE QUI', alle prese col frutto del suo amore
romantico che non vuole dormire, saprebbe essere altrettanto poetico
e prolifico, coi suoi scritti".
Ellie
lo guardò senza capire, grattandosi il mento, e Ross
sospirò. Santo
cielo, iniziava a straparlare! "Lascia perdere" – disse,
baciandole la fronte – "Oggi non sono molto in me".
Sospirando,
fece per toglierle almeno il tricorno dalla testa, ma la piccola si
oppose fermamente. "No!".
"Ellie,
avrai meno caldo, se te lo levi".
"Non
vojo".
Ross
la osservò e i suoi occhi incontrarono quelli di Ellie. Per
un
attimo rimase stupito dalla serietà con cui lo stava
guardando, come
se volesse dirgli qualcosa che ancora, a parole, non sapeva
esprimere. C'era qualcosa che lei voleva dirgli, attraverso quel
tricorno che sembrava adorare tanto, qualcosa che ancora a lui
sfuggiva. "Ellie, dimmi perché ti piace tanto quel cappello,
per favore". Doveva saperlo, il suo istinto gli gridava che era
importante.
Ma
Ellie scosse la testa, stringendo a se Kiky. E Ross si arrese... "Sei
una bambina piena di misteri, sai?".
"Pecché?".
"Perché
è un mistero il tuo attaccamento a quel coniglietto. Ed
è un
mistero il perché ti piaccia tanto il mio tricorno". La
baciò
di nuovo sulla fronte, prendendola in braccio e facendo due passi con
lei fra gli alberi. "Ed è un mistero come io possa amarti
tanto, nonostante tutto, sai?".
Ellie
non disse niente. Ma a quelle parole si tolse finalmente il tricorno
mettendoglielo in testa, prima di stringersi a lui cingendogli il
collo con le braccia. Si mise il dito in bocca e Ross capì
che
forse, passeggiando un pò, avrebbe anche potuto farla
dormire.
Si
avvicinò al torrente, sedendosi su una roccia. Mise a mollo
i piedi
nell'acqua per trovare refrigerio ed Ellie volle fare altrettanto.
"Bagnetto?".
"No,
scordatelo! Se a quest'ora ti bagni i capelli e il pannolino, tua
mamma ci metterà in castigo entrambi".
Ellie
rise. "No, solo tu!".
Ross
alzò gli occhi al cielo. Quando voleva essere chiara, sapeva
esprimersi benissimo, quella piccola peste... "Sei tremenda! E
ringrazia il cielo che sei bella e che assomigli a lei, o nel
torrente ci saresti finita davvero".
Ellie
rise ancora, per nulla spaventata. E guardandola, ripensando a
Caroline e Dwight, Ross si sentì fortunato. Non avrebbe
barattato la
sua vita di quel momento, compresa di tutte le persone che ne
facevano parte, per nessun motivo.
Ellie
era semplicemente una persona in più al mondo, una persona
che lo
amava. Il resto non aveva importanza, era sua, la sentiva sua come
gli altri suoi figli... Lei, più di tutti, l'aveva reso un
uomo
migliore che aveva saputo andare oltre i suoi limiti, insegnandogli
che l'amore era un sentimento più prezioso e puro di
qualsiasi altra
cosa esistente al mondo.
E
solo questo contava, solo questo...
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Capitolo 36 *** Capitolo trentasei ***
Lord
Falmouth, con una lettera piuttosto brusca in cui lo convocava nella
sua residenza in Cornovaglia, lo aveva invitato per il pranzo e non
sembrava ammettere repliche.
Il
caldo era opprimente in quell'agosto torrido e Ross non aveva
ricevuto la lettera, portata da Prudie dopo che era stata recapitata
a Nampara, con piacere. Soprattutto, considerando che il giorno
dell'invito corrispondeva a una visita di Dwight a Demelza e al
bambino e Ross voleva essere presente e accertarsi che tutto andasse
bene.
Ma
Demelza lo aveva persuaso che non c'era bisogno di lui e che Dwight
se la sarebbe cavata benissimo nel suo ruolo di medico, cosa su cui
in effetti non poteva obbiettare. Sua moglie lo aveva fatto
ragionare, facendogli notare che il fatto che Lord Falmouth fosse
indisposto nei suoi confronti in fondo fosse normale, visto che non
si era più presentato a Londra per i suoi impegni politici
in
parlamento e che quindi fargli visita fosse un atto dovuto e
conforme all'etichetta delle buone maniere.
Di
malumore, Ross si era alzato presto quella mattina, quando tutti
stavano ancora dormendo. Avrebbe voluto vedere Dwight anche per fare
due chiacchiere con lui e accertarsi che stesse bene dopo la morte di
Sarah, ma a quanto pareva, doveva rimandare l'incontro con l'amico.
Era preoccupato per lui... Si era lanciato anima e corpo nel suo
lavoro e Ross sapeva che era per non pensare e per tenersi occupato,
lo sapeva perché ci era passato prima di lui con Julia. E
poi,
avrebbe voluto avere subito notizie circa la gravidanza di Demelza e
essere tranquillizzato sul fatto che andasse tutto bene. Era tornata
energica e in forze, non aveva più dolori e sembrava serena,
ma il
parere di un medico sarebbe stato un qualcosa di ancora più
confortante per lui.
Si
lavò nel torrente, sorvegliato a vista da Garrick, poi
tornò in
casa a vestirsi, chiedendosi che diavolo volesse Lord Falmouth da
lui. Certo, c'erano questioni politiche urgenti lasciate in sospeso a
Londra, ma perché si era scomodato in piena estate a venire
in
Cornovaglia, visto che il Parlamento sarebbe rimasto chiuso fino
all'autunno?
Osservò
Demelza dormire, mentre si vestiva. Dormiva di un sonno leggero,
poggiata sul fianco, con accanto Ellie e Kiky. Gli altri figli
più
grandi dormivano nel letto in cameretta e difficilmente si
svegliavano, ma la piccola faticava ancora a stare lontana tutta la
notte da sua madre e puntualmente, all'alba, sgattaiolava nel lettone
fra di loro. Era un rito di Ellie e Demelza, questo Ross lo sapeva,
una loro abitudine nata quando vivevano da sole in quella casa e di
fatto la bambina era ancora troppo piccola per abbandonare quella
consuetudine. La lasciavano fare anche perché l'alternativa
sarebbe
stata sentirla piangere nella stanza, svegliando Clowance e Jeremy, e
dover essere costretti comunque ad alzarsi per andare da lei.
Ross
sorrise, guardandola. Beh, anche Eleanor sarebbe cresciuta, prima o
poi...
Si
sedette sul letto, baciando Demelza sulla fronte.
Lei
aprì gli occhi, sbadigliando. "Sei già pronto?".
Lui
sospirò. "Prima vado, prima torno. Mi raccomando, fa in modo
che quando venga Dwight, vada tutto bene".
Demelza
sorrise, stringendo a se Ellie. "Promesso".
"Brava!".
Si chinò nuovamente, baciandola sulle labbra. "Ci vediamo
dopo
pranzo, allora".
"D'accordo!
E cerca di essere diplomatico con Lord Falmouth, ricorda che lo hai
mollato da solo a Londra con poche righe di spiegazione, senza
preavviso".
Ross
esibì il suo perfetto sorriso da canaglia. "Io spero solo di
non morire di noia" – rispose, scostando dalla fronte di
Ellie
un boccolo biondo.
La
bimba si strofinò gli occhi, guardandolo assonnata. "Dove
vai?"
- chiese, vedendolo vestito.
"A
fare una cosa molto noiosa assieme a una persona molto noiosa"
–
rispose strizzandole l'occhio e cercando di ignorare la vocina della
sua coscienza che gli ricordava che Lord Falmouth e quella bambina
avevano un legame di sangue fra loro.
Ellie
gli afferrò allora la camicia, cercando di attirarlo a se.
"Nooo!
Sta quì con me e mamma allola!".
Si
chinò, baciandola sulla fronte. "Non posso ma mi piacerebbe!
Torno presto, te lo prometto, ma tu dormi ancora un pò. E
quando
sarai sveglia, cura la mamma, mi raccomando!".
"Cetto!"
- rispose seria, mentre Demelza lo guardava corrucciata.
Ross
sorrise, dando un altro bacino sulla fronte alla piccola. "Mi
fido di te".
Eleanor
annuì assonnata ma soddisfatta, rannicchiandosi contro il
petto di
sua madre. E Ross, a malincuore, dopo averle salutate di nuovo e aver
dato una veloce occhiata a Jeremy e Clowance nella cameretta,
uscì e
salì a cavallo.
Andare
da Lord Falmouth lo metteva di malumore. Era un uomo con cui
collaborava ma di cui non condivedeva le idee e spesso avevano
discusso, a Londra. E poi c'era un'altra cosa che lo disturbava,
benché faticasse ad ammetterlo: stava andando nella
residenza dei
Boscawen, nella dimora dove tre anni prima era morto Hugh Armitage...
Demelza era stata in quella casa, incinta di Ellie, per prendersi
cura di lui... Lei aveva percorso quei corridoi che erano stati i
silenziosi spettatori dell'amore di un uomo verso sua moglie, aveva
passeggiato in quei giardini forse piangendo per lui e... e questo
faceva ancora male, dannazione!
Quando
arrivò, con fretta diede il cavallo a un servitore,
chiedendo di
essere ricevuto subito. Se tutto fosse stato veloce, magari sarebbe
riuscito a liberarsi presto e a pranzare a casa con la sua famiglia.
Il
servitore gli disse che Lord Falmouth lo attendeva nel suo studio e
Ross si lasciò condurre da lui.
Era
una casa molto lussuosa, in perfetto stile Boscawen, coi corridoi
percorsi da tappeti persiani e le pareti piene di quadri di artisti
famosi. La vendita di uno solo di quei dipinti avrebbe potuto sfamare
tutte le famiglie dei suoi minatori della Wheal Grace, pensò.
Quando
arrivò, il servitore bussò, aprì la
porta e lo lasciò entrare,
chiudendo poi l'uscio dietro di se e lasciandoli soli.
Ross
annuì, piegando il capo in segno di saluto. Forse il
consiglio di
Demelza di essere accomodante poteva tornargli utile per finirla in
fretta, pensò. "E' un piacere vedervi".
Lord
Falmouth rispose al saluto, poi gli fece cenno di sedersi davanti a
lui. Sembrava rigido e impettito più che arrabbiato per il
suo
comportamento e la sua sparizione dalla capitale. "Mi spiace di
avervi scomodato signor Poldark, immagino che abbiate molte cose da
fare a casa...".
Ross,
sedendosi, annuì. "Sì, infatti. Mia moglie
aspetta un bambino
e non è una gravidanza semplice, quindi preferisco non
lasciarla
sola troppo a lungo con gli altri nostri bambini".
Lord
Falmouth picchiettò l'estremità della pipa che
teneva in mano, sul
tavolo. "Cercherò di essere breve allora. Immaginate il
motivo
per cui vi ho fatto chiamare?".
"Per
avervi lasciato da solo a Londra così, improvvisamente?".
"No,
non per quello. I lavori parlamentari, come ben sapete, si rallentano
in estate e quindi me la sono cavata piuttosto bene anche senza il
vostro aiuto. La questione per cui vi ho fatto chiamare è
più
privata e personale... Una questione di onore".
Ross
si accigliò. "Onore?".
Falmouth
sospirò. "Sì, il vostro e il mio. Il buon nome
delle nostre
antiche famiglie è in grave pericolo".
Ross
lo guardò senza capire, assolutamente all'oscuro di quello
che stava
ascoltando. "Prego?".
Lord
Falmouth si alzò dalla sedia, passeggiando avanti e indietro
fino
alla grossa finestra che dava sul giardino. "Devo dirlo senza
fare troppi giri di parole, Ross?".
"Lo
gradirei, sì" – rispose, sinceramente incuriosito
più che
preoccupato.
Gli
occhi grigi di Falmouth si piantarono su di lui. "Eleanor
Carne...".
Ross
spalancò gli occhi. Che c'entrava Ellie con...?
Sentì il cuore
rallentare mentre uno strano sesto senso gli suggeriva che erano in
arrivo guai... "Eleanor?" - disse, deglutendo.
"Sì,
Eleanor! La figlia di vostra moglie, la sua terzogenita. L'unica
figlia che non porta il vostro cognome, Ross".
Aspettò
un attimo a rispondere, ponderando le parole. Se Falmouth gli stava
parlando di Eleanor, era perché per qualche assurdo motivo
sapeva la
verità e quella verità, nelle sue mani, poteva
diventare qualcosa
di pericoloso per la piccola. "Eleanor... Ellie... Una
bellissima bambina di due anni, intelligente, dolce e simpatica.
Perché stiamo parlando di lei?".
"Perché
di lei si parla a Londra".
Ross
deglutì. Mancava da mesi dalla capitale e non aveva idea di
quali
oscure trame si stessero muovendo alle sue spalle... Che c'entrava la
piccola con tutto quello di cui Falmouth stava parlando? Viveva dalla
nascita ad Illugan, una vita fatta di gente semplice e cose semplici,
con sua madre e senza rapporti con la famiglia del padre. Che diavolo
stava succedendo? "Di Ellie?".
Falmouth
annuì, tornando a sedersi davanti a lui. "Di Eleanor, di
vostra
moglie e di Hugh... E con Hugh, della mia famiglia e del mio casato.
Capite che è piuttosto imbarazzante".
"Non
riesco a capirne il motivo" – rispose, gelido.
"Si
dice che la bambina sia nata dalla relazione clandestina di vostra
moglie con mio nipote e capite bene che queste voci devono essere
fermate per evitare scandali che ci getterebbero nel fango, assieme
alle nostre carriere e al nostro futuro. Apparteniamo a famiglie
antiche e onorabili, Ross, non dimenticatelo! Non dobbiamo permettere
di essere trascinati nello scandalo, intesi?".
Ross
si accigliò, Lord Falmouth si stava alterando e cominciava
ad avere
un quadro piuttosto chiaro della situazione. Se era vero che giravano
quelle voci, era altrettanto vero che quelle voci corrispondevano a
verità, certo! Ma chi poteva averle messe in giro? "Chi lo
dice?".
"George
Warleggan, il pupillo di Lord Bassett".
Ross
scoppiò a ridere, una risata ironica. In realtà
non condivideva
nessuna delle ansie di Lord Falmouth e conosceva abbastanza bene
George per sapere che presto si sarebbe stancato di quel giochetto e
si sarebbe servito di altro per colpirlo. Probabilmente la primavera
precedente, quando lo aveva incontrato con Demelza e i bambini mentre
andavano da Pascoe, aveva fatto ricerche su Ellie di cui ignorava
l'esistenza e queste erano le conseguenze. Era stato stupido a non
pensarci, ma in realtà forse non lo aveva fatto
perché non riteneva
il suo rivale degno di attenzione. E anche Lord Falmouth doveva
pensarla in quel modo! "George Warleggan, da quando siamo
ragazzi, tenta in ogni modo di gettare discredito addosso a me e alla
mia famiglia. Sono solo voci, non date retta ai pettegolezzi e
lasciatelo sfogarsi! Si stancherà".
Lord
Falmouth strinse gli occhi. "Solo voci? Perché allora non ha
il
vostro cognome, quella bambina?".
Già,
perché? In realtà era una strana partita quella
che si stava
giocando fra lui e il suo interlocutore e Ross sapeva che mentire
poteva servire ben a poco, perché Falmouth sapeva la
verità. "I
problemi matrimoniali fra me e mia moglie sono fatti privati, se
permettete...".
"Fatti
privati che mi riguardano, SE PERMETTETE!".
Ross
si oscurò. "Lord Falmouth, io vi rispetto per ciò
che siete e
che rappresentate, ma questi sono affari privati della mia vita che
non vi riguardano. I pettegolezzi che girano su mia moglie sono,
appunto, solo pettegolezzi e oltre non voglio dirvi".
Lord
Falmouth sorrise freddamente. "Pettegolezzi? Avanti Ross
Poldark, sapete quanto me che questa volta non è
così e che ciò
che dice George Warleggan è vero! Giochiamo a carte scoperte
e
cerchiamo di uscirne da vincitori entrambi".
Lo
disse con tono che non ammetteva repliche, lo disse con la ferma
convinzione di conoscere la verità. E negare non sarebbe
servito a
nulla. "Vincitori di che?" - chiese. Cominciva ad essere
irritato...
"Se
sapremo risolvere il problema senza lasciare tracce, come se non
fosse mai esistito, sarebbe una buona cosa per il nostro buon nome.
Si tratta di una questione di buon senso e riservatezza e confido che
voi l'abbiate, Ross. Più di vostra moglie di certo...
L'errore di un
giovane inesperto romantico e di una donna dalle origini umili e
dalla dubbia moralità, non devono ricadere su di noi. Ognuno
deve
fare la sua parte, Ross. Io farò la mia, per quel che
concerne Hugh,
voi la vostra per quel che concerne Demelza".
Era
troppo! Non solo parlava di Ellie come di un oggetto indesiderato di
cui disfarsi, aveva anche osato infamare Demelza. Sua moglie aveva
sbagliato, umanamente e come aveva fatto lui stesso prima di lei,
aveva scontato i suoi errori con dolore e fatica e aveva cresciuto da
sola una bambina meravigliosa che di Lord Falmouth, sulla carta, era
nipote. Se non fosse stato per l'età di Lord Falmouth, per
quel che
aveva appena detto l'avrebbe preso a pugni... "Non osate mai
più
parlare di mia moglie in quel modo!" - disse, anche lui con un
tono che non ammetteva repliche. Se c'era qualcuno che poteva parlare
con lei, litigare e magari giudicare, quello era lui. Non Falmouth!
Non George e nessun altro! Conosceva Demelza ed era migliore di lui e
del suo interlocutore, di George e di tutti i palloni gonfiati della
buona società londinese che si permettevano di giudicare le
vite
degli altri senza saperne nulla. Sua moglie era una persona buona e
dolce che aveva sempre amato le persone che aveva avuto vicino, non
si era mai risparmiata in fatica e lavoro, si era sempre prodigata
per tutti e aveva saputo perdonare l'imperdonabile. Non era una
persona leggera o amorale, affatto! Aveva ceduto ad un corteggiamento
romantico in un momento per lei difficilissimo e con tenacia e
orgoglio ne aveva affrontato le conseguenze da sola, senza chiedere
nulla a nessuno, ad un prezzo altissimo. Non gli importava di quello
che diceva Lord Falmouth, delle sue preoccupazioni sul suo buon nome
e di come intendesse affrontare una situazione che di fatto non era
affar suo, non gli importava di nulla di quel che pensava
quell'uomo! Doveva stare lontano da lui e dalla sua famiglia, tutto
quì!
Lord
Falmouth, imperturbabile, sospirò. "Vostra moglie vi
tradisce e
voi la difendete? Siete ammirevole, Ross Poldark! O molto
sciocco...".
Ross
sorrise freddamente. "Lasciatemi in pace, LASCIATECI in pace! La
mia famiglia non è affar vostro".
"La
bambina fa parte anche della mia, di famiglia".
Davanti
a quelle parole che di fatto lo mettevano al muro, si
irrigidì. Che
doveva fare? Ascoltarlo e cercare un punto di caduta? O lasciar agire
l'orgoglio e rischiare di cacciarsi nei guai assieme a Demelza ed
Eleanor? "Cosa volete da noi?".
"Che
venga fatto ciò che è giusto e appropriato".
"E
cosa sarebbe giusto e appropriato, per voi?".
Lord
Falmouth divenne mortalmente serio. "Qualcosa che, a conti
fatti, non vi dispiacerà! Posso immaginare il vostro dolore
nel
trovarvi davanti, onnipresente, la prova vivente del tradimento di
vostra moglie e io vi sto offrendo il mio aiuto per sistemare questa
incresciosa faccenda".
Fu
costretto ad abbassare lo sguardo perché era vero,
all'inizio vedere
Eleanor era stata una sofferenza per lui. Dolore e rabbia lo avevano
accompagnato a lungo ma poi erano subentrati l'accettazione e il buon
senso e infine l'affetto per quel batuffolo coi boccoli biondi che
parlava in modo buffo e gli saltava sempre fra le braccia. Amava
Eleanor, la amava come amava i suoi figli e quando tornava a casa, di
sera, voleva che gli corresse incontro e lo abbracciasse come
facevano Jeremy e Clowance. Ellie faceva parte della sua famiglia,
molto più di quanto avesse mai fatto parte della famiglia di
Lord
Falmouth. E sentiva di doverla proteggere come ogni uomo e padre
dovrebbe proteggere i suoi piccoli... "Ciò che abbiamo
vissuto
io e mia moglie è stato doloroso, ma abbiamo saputo
superarla e
ricostruire il nostro matrimonio. Non credo che la gestione di
Eleanor sia affar vostro e so per certo che non lo è stato
nemmeno
in passato visto che che mia moglie non vi ha mai chiesto nulla".
Lord
Falmouth si morse il labbro. "Non è una questione di denaro,
è
una questione di onore! Vostra moglie e l'errore di mio nipote ci
trascineranno nel fango se non interveniamo".
"Intervenire
COME?".
Il
suo interlocutore rise ma in lui c'erano nervosismo e rabbia.
"Avanti, sapete benissimo dove vanno a finire i figli
illegittimi nati da amori clandestini... Cercheremo un bell'istituto
gestito come si deve, con tutta la riservatezza del caso porteremo
lì
la bambina, le daranno un nome nuovo e noi potremo continuare a
vivere come se quella seccante incombenza non fosse mai esistita".
Ross
spalancò gli occhi, inorridito... Come poteva parlare in
quel modo
di una bimba tanto piccola? Quando aveva scoperto dell'esistenza di
Ellie, nella rabbia ma forse senza crederci fino in fondo, aveva
intimato a Demelza di fare una cosa simile a quella accennata da Lord
Falmouth ma ora... ora pensare a una cosa del genere... Gli venne in
mente il faccino biricchino di Ellie, la sua voglia di avere vicino
la sua mamma, il suo sorriso sincero e la sua vocina squillante e
ancora stentata... L'idea di abbandonarla da sola al suo destino,
senza avere più accanto nessuna delle persone che lei amava,
lo
annientava come se quel torto lo stessero facendo a lui. "Vorreste
strappare una bambina a sua madre?".
"La
fate sembrare più grave di quel che è! Si tratta
di onore e
rispettabilità, Ross!".
Scosse
la testa, non credeva alle sue orecchie. "Onore? Onore è far
del male a una bambina tanto piccola che non vi ha fatto nulla e che
non può difendersi? Onore è abbandonarla a se
stessa, da sola?
Onore è togliere una figlia a una madre che la ama? Se
questo per
voi è onore, sono felice di pensarla diversamente".
Falmouth
divenne rosso di rabbia. "Avanti, non siate sciocco! La bambina
è piccola, tempo due giorni e si sarà dimenticata
di voi e della
sua vecchia vita! Pensateci Ross, potrete ricominciare a vivere
serenamente il vostro matrimonio con i vostri VERI figli! Per quanto
riguarda vostra moglie, è incinta! Piangerà
qualche giorno come
fanno tutte le donne, ma quando avrà partorito il nuovo
bambino, la
piccola illegittima non turberà più i suoi
pensieri e tornerà solo
vostra. Non siate sentimentale Ross, questo modo di fare appartiene
alle donne ed è naturale riscontrarlo in vostra moglie
Demelza o in
mia sorella Dorothy, ma voi siete un uomo e un uomo deve sapere
sempre cosa fare! Cosa volete? Condividere le vostre ricchezze con
una bambina non vostra? Dividere l'eredità da lasciare ai
vostri
figli con una piccola bastarda?".
Ross
scosse la testa... Santo cielo, come aveva potuto collaborare con una
persona del genere? Come poteva Lord Falmouth avere nelle vene lo
stesso sangue della piccola, dolce Ellie? Ora ne aveva davvero la
certezza, quella bambina era inequivocabilmente solo di Demelza e con
quelle persone non c'entrava nulla. "Lord Falmouth, avete paura
degli scandali, vero?" - disse, socchiudendo gli occhi per
tenere a bada la rabbia che rischiava di esplodere in ogni momento.
"Esatto!".
"Bene,
allora ascoltatemi attentamente!". Si sporse sulla scrivania,
fino ad essere viso a viso con lui. "Pregate che nessuno si
avvicini ad Ellie e tenti di farle del male, pregate che nessuno le
torca nemmeno un capello o tenti di allontanarla da sua madre oppure
vi giuro che sarò io stesso a trascinarvi nel fango, a
Londra e in
tutta l'Inghilterra, se sarà necessario".
"E'
una minaccia?" - chiese Lord Falmouth, impallidendo.
"Potete
scommetterci!".
Falmouth
batté le mani sulla scrivania con violenza. "Siete folle, lo
sapete? Non è vostra figlia!".
Ross
sorrise amaramente, scuotendo la testa. Forse era inutile spiegare a
uno come lui che a volte il cuore sa andare oltre i legami di sangue
e che l'amore sa sbocciare nei luoghi e nei modi più
incredibili.
Ellie era la sua piccola ed era colei che più di tutti
l'aveva reso
un uomo e un marito migliore... Riconquistare Demelza senza di lei
forse sarebbe stato più facile ma probabilmente non sarebbe
mai
andato oltre i suoi limiti di persona orgogliosa che non si fermava
mai a farsi domande. No, Ellie lo aveva costretto a fare quel
passetto in più, l'aveva costretto a riconoscere che a volte
è
necessario perdonare oltre che perdonarsi, gli aveva insegnato a
saper amare anche gli errori e che anche dalle macerie più
profonde
si può ricostruire meglio di prima, in modo nuovo e
più forte. "Sì
che è mia figlia! Lo è perché la
notte, quando mi alzo per vedere
se i bambini respirano, controllo pure lei. E' mia figlia
perché mi
abbraccia e mi cerca come gli altri miei figli e quando lo fa, io
sono felice. E' mia figlia perché conosco il suo giocattolo
preferito e so che senza il suo coniglietto di stoffa non dorme. E'
mia figlia perché so che per qualche assurdo motivo adora il
mio
tricorno e se lo tiene sempre in testa anche se fa molto caldo. E'
mia figlia perché so che ha paura di cavalcare e allora io e
lei ci
facciamo lunghe camminate a piedi perché non voglio che
pianga. E'
mia figlia perché so che all'alba, tutte le mattina, viene
nel
lettone in cerca della mamma. E' mia figlia perché la amo
per quello
che è e non per quello che il mondo pensa di lei. E' mia
figlia
perché fa parte della mia famiglia e senza di lei non
sapremmo più
essere felici. E' mia figlia perché non intendo perderla ed
essendoci già passato, ucciderò chiunque tenti di
portarmela via".
Flamouth
scosse la testa. "Siete uno sconsiderato e un folle sognatore.
Potete dire quel che volete, ma la piccola non porta il vostro
cognome".
Ross
sorrise. Aveva tergiversato troppo a lungo ma ora sentiva di essere
pronto e che era arrivato il momento. Sapeva che raccontare a Demelza
di quel colloquio l'avrebbe turbata e sperava di trovare le parole
giuste per comunicargli la sua decisione e quanto successo senza
farla agitare. Avrebbe voluto risparmiarle quella preoccupazione
ulteriore, ma non poteva farne a meno e in fondo, lui sapeva anche
come risolvere il problema. "Eleanor avrà il mio cognome,
statene certo. Sarà mia figlia, per me e per il resto del
mondo.
Nessuno potrà più obbiettare nulla, se la
riconoscerò come mia, e
voi potrete dormire sonni tranquilli".
Lord
Falmouth sospirò, sprofondando sulla sua sedia. "Non avete
alcun senso dell'onore e non vi importa delle umiliazioni. Lo
dicevano che eravate una testa calda e ora so che siete anche pazzo.
Ma se a voi sta bene così, se vorrete dividere il vostro
patrimonio
di famiglia con la figlia di un altro uomo, fate pure! La vita
è
vostra e purché non interferisca con la mia, a me va bene
tutto. Ma
fate in fretta a fare quel che dovete o riceverete nuovamente mie
notizie. E stavolta non giungerò ad alcuna trattativa e non
mi farò
spaventare da alcuna minaccia!".
Ross
annuì. "Farò più in fretta possibile.
Ma considerate che
dovrò coinvolgere mia moglie e che lei non sta bene".
"Non
mi importa! Fate in fretta!".
Ross
scosse la testa e non rispose, era inutile argomentare con lui. Si
rimise in testa il cappello e si avviò verso l'uscio.
"Sì,
farò in fretta. E' anche un mio desiderio sistemare le cose
con la
piccola Ellie... Mi spiace solo per voi perché state
perdendo una
nipotina che vi avrebbe reso orgoglioso".
"Ne
dubito" – disse la voce gelida di Lord Falmouth, alle sue
spalle.
Ross
non rispose e se ne andò in silenzio, sbattendo la porta.
Dire che
non si sarebbe fermato per pranzo era ormai superfluo, aveva solo
voglia di andarsene da lì, di tornare a casa da sua moglie e
dai
suoi bambini e di abbracciarli. Lord Falmouth, col suo orgoglio,
avrebbe trascorso una giornata solitaria e rabbiosa mentre lui, che
di orgoglio forse ne aveva meno di prima, avrebbe trovato l'affetto e
il calore della sua famiglia... Chi era il vincitore? E chi il folle
fra loro due?
Salì
a cavallo ed uscì dalla villa, quando decise che prima di
tornare a
casa voleva fare una deviazione in un luogo dove non metteva piede da
lungo tempo ma di cui sentiva la necessità di una visita.
Arrivò
al cimitero di Sawle che era quasi mezzogiorno e faceva un caldo
orribile. Scese da cavallo e a piccoli passi si diresse verso la
tomba di famiglia dei Boscawen, dove riposava Hugh Armitage...
Anche
se era morto, era giunto il momento di un confronto troppo a lungo
rimandato con lui...
Si
chiese fugacemente se Demelza fosse mai stata lì con Ellie,
ma
scacciò il pensiero perché era abbastanza certo
che non ci avesse
messo piede con la piccola e avesse preso le distanze dalla famiglia
Boscawen subito dopo la morte di Hugh.
Quando
arrivò davanti all'elegante tomba di granito e lesse il nome
di
colui che era stato il suo rivale, la sua data di nascita tanto
vicina a quella di morte, il viso del giovane tenente gli
tornò
violentemente alla mente, assieme a un moto di pietà che non
pensava
di poter provare. Era morto giovane, molto giovane...
E
aveva lasciato un vuoto in una vita brillante che lo stava attendendo
dalla sua nascita...
Hugh
aveva avuto per pochi istanti Demelza ma MAI aveva avuto il suo
cuore. Aveva asciugato le sue lacrime e riempito un vuoto momentaneo
ma non sarebbe mai stato in grado, nemmeno se fosse vissuto, di avere
davvero Demelza. Il cuore di sua moglie non era mai stato di nessun
altro se non suo e forse ora aveva imparato davvero a prendersene
cura e a capirlo quel cuore, a proteggerlo e rispettarlo, a
percepirne il dolore e la gioia... Ad ascoltarlo...
Pensò
alla piccola Ellie e alle parole di Lord Falmouth su di lei... Come
se parlasse di un insetto fastidioso... E sorrise amaramente,
osservando il monumento funebre. "Sai una cosa? Mi spiace che tu
sia morto perché morendo mi hai tolto il piacere di darti
ciò che
meriti, ma mi rendo conto che non è colpa tua! Non sei morto
per
punizione a ciò che hai fatto alla mia famiglia, sei morto e
basta
perché questo era il tuo destino! Ti odio e forse lo
farò sempre!
Odio tutto di te eccetto una cosa: Ellie! E ovunque tu sia, se ci
ascolti e ci guardi, ricorda una cosa, tenente Armitage! Lei non
è
tua come non è mai stata tua Demelza! Avresti saputo lottare
per
lei, se fossi stato quì? Avresti sofferto nel saperla in
pericolo?
Avresti cercato di essere suo padre, di conoscerla e crescerla?
Avresti ascoltato il suo pianto e le sue paure? L'avresti consolata
se fosse caduta con te al suo fianco? L'avresti difesa da tuo zio? O
ti saresti limitato a scrivere in versi il tuo dolore per una bambina
perduta che non hai saputo difendere dalle questioni di
onorabilità
della tua famiglia? Avresti consolato il pianto di Demelza per la
perdita di una figlia con una poesia? Se mi ascolti, Hugh Armitage,
sappi che non sei mai stato e non sarai MAI padre di Eleanor! E' mia,
sarà mia! Non tua, non te la meriti come non ti meritavi
Demelza...
Mia moglie ti ha dimenticato e per lei sarai solo un ricordo, Ellie
nemmeno sa della tua esistenza e sarà sempre
così! E questa sarà
la tua punizione e sì, te la meriti e per questo trovo
soddisfazione... E pena per te... Tieniti la mia pena, forse
è la
migliore vendetta che posso avere e che più può
ferirti! Sapere che
Ellie chiamerà ME papà, è
più che sufficiente per quanto mi
riguarda. E non lo faccio per vendetta, lo faccio perché la
amo più
di quanto avresti saputo amarla tu".
Parlò
velocemente, senza quasi prendere fiato. E quando ebbe finito, si
sentiva le guance in fiamme e il respiro più corto. Ma il
suo animo
era più leggero...
Ellie
era sua figlia! E a breve lo sarebbe stata legalmente anche per il
resto del mondo! Hugh Armitage non esisteva più...
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Capitolo 37 *** Capitolo trentasette ***
Si
sentiva emotivamente sfinito, al suo arrivo a casa. Davanti alla
tomba di Hugh Armitage aveva dato voce alla parte più intima
e
profonda dei suoi pensieri, alla sua rabbia e anche ai suoi
proponimenti che erano lì, già pronti ad
intraprendere la loro
strada dentro di lui, ma ancora frenati da una certa paura.
Tutto
sparito, davanti all'ipotesi del pericolo... Lord Falmouth aveva
risvegliato il suo più profondo istinto paterno ed era
incredibile
come l'ipotesi che qualcuno toccasse Ellie avesse acceso la sua
rabbia e il suo senso di protezione. Avrebbe reagito allo stesso modo
se si fosse trattato di Clowance o di Jeremy, ne era certo. Era della
sua bambina che si stava parlando, la bambina che di fatto stava
crescendo con Demelza e né Lord Falmouth, né il
fantasma di Hugh
Armitage, né nessun altro doveva metterci il becco.
Quando
arrivò in prossimità del piccolo mulino, i
bambini lo videro e gli
corsero incontro. Indossavano solo le mutandine erano bagnati e
sporchi di fango fino all'inverosimile, spettinati, selvaggi e
assolutamente contenti. Dovevano aver trascorso la mattinata a
giocare nel torrente e fra gli alberi, completamente liberi di
esplorare e ridere e sicuramente avrebbero ricordato quell'estate
come la più bella della loro vita.
"Papà,
sei tornato!" - escalmò Clowance, cercando di saltargli in
braccio.
Indietreggiò
scherzosamente, facendo la linguaccia. "Non ci provare, sei
completamente ricoperta di fango. Mi chiedo cosa penserebbe la
regina, se ti vedesse in questo momento...".
Clowance
ci pensò su, mentre Jeremy ridacchiava gongolante. "Oh non
c'è
problema, papà! Mi rituffo nel torrente e mi pulisco, se
arriva la
regina. Ma tanto è a Londra. Quando mi compri la sua casa?".
Ross
la guardò storto, dandole una leggera spinta verso il
torrente.
"Inizia a lavarti, che a comprare il palazzo reale ci penseremo
dopo...".
Clowance
rise, guardò Jeremy e dopo un cenno di assenso, corsero
entrambi
verso il torrente, mentre Ellie gli si aggrappò alla mano.
Ross le
sorrise, provando una stretta al cuore al pensiero di quel che aveva
detto Falmouth su di lei e il forte desiderio di proteggerla. La
guardò con sguardo nuovo, rendendosi conto che aveva deciso:
l'avrebbe accompagnata nelle tappe più importanti della sua
vita, se
ne sarebbe preso cura, avrebbe asciugato le sue lacrime o riso con
lei e l'avrebbe rimproverata e sorretta se avesse commesso degli
errori, le avrebbe insegnato tutto quello che sapeva, avrebbe odiato
colui che avrebbe scelto come fidanzato e l'avrebbe accompagnata
all'altare, un giorno. "Tu non corri in acqua?" - disse,
accarezzandole i boccoli biondi.
"Devo
ditti una cosa".
"Cosa?".
Lei
divenne seria. "Fatto! Curato mamma".
Ross
sorrise, ricordando la promessa che gli aveva fatto quella mattina.
"Oh, perfetto. Sapevo che non mi avresti deluso. E' arrivato
Dwight?".
"Sì".
"E'
ancora quì?".
Ellie
scosse la testa. "Ndato via".
Ross
sospirò, avrebbe preferito vederlo anche per chiedergli come
riferire a Demelza quelle notizie che avrebbero sicuramente finito
con l'agitarla. "Mamma dov'è?" - chiese, curioso e
preoccupato per la visita. C'erano mille preoccupazioni ad agitarsi
in lui in quel giorno e le condizioni di Demelza e la gravidanza
erano fra queste.
"Da
la pappa ai conilli e ai puccini".
Ross
sospirò. "Allora sta bene? E' contenta?".
"Sì".
Le
diede una carezza sulla testolina, spingendo anche lei verso il
torrente. "Su, vai anche tu in acqua coi tuoi fratelli. Sei
tutta sporca".
Ellie
lo guardò stranita, il fatto che avesse definito Clowance e
Jeremy
suoi fratelli doveva averla confusa parecchio, non usava spesso quel
termine con lei ma Ross riteneva che anche la piccola dovesse
iniziare a ritenersi tale. Una sorellina e una figlia...
Alla
fine Eleanor alzò le spalle, annuendo senza dire nulla. E
poi tutta
allegra corse verso il torrente.
Ross
si diresse verso il pollaio, trovando Demelza accovacciata davanti a
una nidiata di coniglietti e galline che osservavano i suoi movimenti
con interesse, mentre gli lanciava chicchi di grano. Garrick era al
suo fianco, molto interessato alla fauna locale... "Non dovresti
riposare?" - la rimbeccò, facendola sussulatare.
Demelza
si voltò di scatto. "Giuda Ross, mi farai prendere un
infarto
prima o poi, se mi arrivi alle spalle di soppiatto in questo modo".
"Non
hai risposto alla mia domanda" – rispose lui, a tono.
Lei
si alzò, lanciando gli ultimi chicchi e pulendosi le mani
nel
grembiule che aveva legato in vita. Indossava un abitino azzurro
modesto ma di un colore talmente perfetto per lei da renderla
irresistibile, valorizzando i colori dei suoi capelli e dei suoi
occhi. "Dar da mangiare agli animali non è stancante e
qualcuno
doveva pur farlo, no?".
Ross
sospirò. Non sarebbe riuscito a tenerla a letto nemmeno
sotto
minaccia di tortura. "Dwight che ti ha detto?".
"Te
lo dico stasera dopo cena" – rispose lei, con uno strano
sorriso malizioso sul viso.
Ross
si accigliò, senza capire. "Demelza...".
Ma
lei lo bloccò, dandogli un bacio sulle labbra. "Che ti ha
detto
Lord Falmouth?".
Era
adorabile, come poteva dirle il motivo della sua conversazione con
quell'uomo? Sembrava così serena e felice e tutto in quel
bosco
suggeriva amore e gioia... Avrebbe voluto che quel momento durasse
per sempre, proteggere la contentezza e la leggerezza di sua moglie e
dei suoi bambini per sempre, ma sapeva che prima di tutto dovevano
affrontare altre battaglie insieme. Ma forse, per qualche ora,
quell'idilio poteva continuare. Sorrise, da perfetto impertinente
impenitente, restiuendole il bacio. "Credo... che te lo dirò
stasera".
Lei
lo guardò storto. "Brutte notizie?".
Ross
si tolse la camicia, ridendo. "Ho detto stasera" –
ripeté, lanciandogliela fra le mani.
Demelza
lo guardò, accigliata. "Che fai?".
"Vado
a farmi un bagno coi bambini, amore mio! A dopo". E così
dicendo corse dai piccoli, tuffandosi rumorosamente in acqua. I tre
bambini gli saltarono subito al collo ridendo e in quel momento si
sentì l'uomo più fortunato della terra. Aveva
tutti i mezzi per
proteggere quel suo mondo e la famiglia che amava. E li avrebbe usati
tutti!
...
Era
stata una giornata strana, quella, che era iniziata male ma che poi
si era trasformata in qualcosa di bello e perfetto. Era attanagliato
da mille pensieri e Demelza se n'era accorta, anche se si era
limitata ad osservarlo silenziosamente di tanto in tanto senza
chiedere nulla, però era riuscito anche a ridere di gusto e
a
godersi la sua famiglia, come se per loro non esistessero problemi al
mondo.
Era
stata una buona idea, in fondo, trasferirsi tutti in quella piccola
casa nel bosco di Illugan, lontano da tutto e tutti. Era stato
l'ideale per ritrovarsi, imparare a conoscersi di nuovo e stare
insieme senza interferenze esterne.
Durante
la giornata aveva dovuto inseguire cinque volte Garrick che aveva
tentato di mangiarsi uno dei coniglietti di Ellie, Clowance, sotto la
guida di sua madre, era riuscita a scrivere il suo nome nella sabbia
davanti al torrente mentre Jeremy, durante la cena, aveva perso il
suo primo dente da latte.
In
fondo tutto questo faceva famiglia e lui non si era mai accorto di
quanto quei momenti forse uguali a quelli di tante altre famiglie,
fossero in realtà preziosi e unici.
I
bambini avevano giocato come matti tutto il giorno in acqua e la
sera, dopo che Demelza li aveva lavati nella tinozza e preparati per
la notte, si erano addormentati come sassi nella loro stanzetta,
tutti insieme nell'unico grande letto disponibile per loro. Adoravano
dormire insieme e Ross si chiese se anche a Nampara, una volta
tornati, avrebbero proseguito con quella loro routine.
Finita
la cena, mentre Demelza dava un'ultima controllata ai figli e a
Garrick, uscì a sedersi in riva al torrente. Con la camicia
slacciata, i piedi a mollo nell'acqua e la mente lontana, cercava
refrigerio alla calura e le parole giuste da dire a Demelza. Era ora
della verità e anche lei lo sapeva... Ora erano soli, i
bimbi
dormivano sereni nel loro mondo e c'era tanto da dire...
Osservò
il lento scorrere nel ruscello, quello stesso ruscello dove i suoi
figli avevano giocato come matti per ore, quasi rapito dalla
limpidezza dell'acqua dentro cui si rifletteva una luminosissima luna
piena. Era circondato dal silenzio, interrotto solamente dai tenui
rumori del bosco, dal canto dei grilli in lontananza e dalla voce di
un gufo che era appollaiato chissà dove. Non avrebbe mai
creduto che
Illugan fosse tanto bella, prima di viverci... O forse era solo
quell'angolo del loro mondo ad apparirgli magico perché
aveva ben
presente di trovarsi in prossimità di un villaggio abitato
da gente
poverissima e senza quasi speranze per il futuro. Eppure tutto
appariva lontano ed ovattato, ora...
La
mano gentile di Demelza si appoggiò sulla sua spalla e lui
si voltò
a guardarla. "Sei arrivata... Credevo che ti saresti
addormentata coi bambini".
Lei
ridacchiò. "In effetti la mezza idea c'era... Tu che ci fai
quì
tutto solo?".
"Penso.
E cerco un pò di fresco".
Demelza
abbassò lo sguardo. "Pensi a Lord Falmouth? E' da quando sei
tornato che rimugini su qualcosa... Cattive notizie da Londra?".
"No".
"E
allora che voleva da te? Era arrabbiato per il tuo mancato ritorno
nella capitale?".
Ross
scosse la testa, era ora di dire la verità e
pregò di trovare le
parole giuste. "Era arrabbiato, in effetti. Ma per motivi
diversi...".
"Di
cosa voleva parlarti?".
Prese
un lungo respiro. "Di Ellie".
Demelza
spalancò gli occhi, mentre uno strano misto di
preoccupazione e
terrore iniziava a farsi largo sul suo viso. "Ellie? La mia
Ellie?".
"Già"
– rispose, cercando di prenderle la mano.
Ma
lei si ritrasse, per un attimo contrariata. "Cosa voleva da
te?".
Ross
sospirò. "Sa che Ellie è figlia di Hugh... A
Londra circolano
voci incontrollate su una piccola Boscawen illegittima e a breve
queste voci potrebbero diventare uno scandalo che Lord Falmouth vuole
assolutamente evitare".
Demelza
deglutì. "Voci? Chi le ha messe in giro? Io non ho mai detto
nulla, Hugh non sapeva della mia gravidanza e gli unici che ne sono a
conoscenza sono Dwight e Caroline e Lady Dorothy Armitage. E' stata
la madre di Hugh a...?".
Scosse
la testa, cercando di sorriderle. "No, non è stata lei.
Anzi,
credo che sia sinceramente preoccupata per la piega che potrebbero
prendere le cose".
"E
allora chi è stato?" - urlò quasi, Demelza.
"George
Warleggan" – rispose, sospirando, cercando di tenere a bada
l'odio che provava verso di lui. "Quando ci ha visti tutti
insieme mentre andavamo da Pascoe, ha fatto delle ricerche sulla
bambina e ha messo in giro la voce. Ovviamente non ha prove, sono
solo supposizioni le sue, ma in questo caso corrispondono a
verità e
bastano ad irritare Falmouth e il suo casato. Sono una famiglia
nobile e senza macchia, Demelza. E non vogliono un'onta simile sul
nome del loro casato".
Gli
occhi di sua moglie divennero lucidi, come se solo in quel momento
avesse capito l'entità del pericolo che stava correndo ad
essere la
madre di Eleanor. "Io non ho mai chiesto niente a nessuno, ho
pensato sempre da sola alla bambina e ora... cosa vogliono da me? Da
lei?".
Le
cinse le spalle con un braccio, attirandola a se. "Vogliono fare
esattamente quello che fanno tutte le famiglie nobili che si
ritrovano nella medesima situazione".
"E
sarebbe?".
Inspirò
profondamente, era arrivato il momento che tanto temeva. "Nascondere
al mondo l'esistenza della bambina, cancellarla... Metterla in un
istituto, con o senza il tuo consenso, cambiarle nome e dimenticare
persino che sia nata".
Uno
sguardo di puro terrore attraversò il viso di Demelza. La
sentì
tremare, mentre le lacrime prendevano a rigarle il viso,
incontrollabili. "Possono farlo?".
"Usando
la loro forza e il loro potere, sì".
Sua
moglie scosse la testa, si rifugiò nel suo abbraccio e
scoppiò a
piangere disperatamente. "Ross, ti prego, non voglio che la
portino via! Ti prego, aiutami".
Rimase
stupito da quella supplica. Era come se temesse che lui non si
sarebbe opposto... Questo atteggiamento lo feriva e allo stesso tempo
lo comprendeva, era spaventata e preoccupata ed entrambi ricordavano
perfettamente come lui aveva reagito, quando aveva scoperto
l'esistenza di Ellie. "Demelza, credi che potrei acconsentire a
una cosa simile? Santo cielo, se non fosse quasi anziano, lo avrei
preso a pugni per aver osato mettere il becco in casa nostra".
Lei
lo guardò con gli occhi velati di lacrime. "Davvero?".
"Certo!".
La baciò sulla fronte, stringendola a se. "Credi che gli
permetterei di fare del male ad Ellie?".
"Ma...
Prima hai detto che loro hanno il potere di portarla via... Oh Ross,
è solo una bambina, non ha nulla in comune con quelle
persone,
nemmeno li conosce i Boscawen e se me la prendono... come
farà a
cavarsela da sola? Ha solo due anni, ama la sua famiglia e la sua
casa, il mondo che conosce e che è la sua certezza... E' la
mia
bambina, non la loro! E la amo, non possono portarmela via".
Le
accarezzò la schiena, cercando di tranquillizzarla. Poteva
capire la
sua angoscia e la sua paura, quella che si stava materializzando
davanti agli occhi di sua moglie era la più grande paura di
ogni
madre. "Demelza, calma! Sistemeremo le cose, ma ho bisogno del
tuo aiuto per farlo. E Lord Falmouth ha fretta, quindi dovremo essere
veloci e lui ci lascerà stare e sparirà dalle
nostre vite".
Demelza
si asciugò le lacrime col dorso della mano. "Un modo? Quale?
Scappare?".
Le
sorrise, non riuscì a farne a meno. E la baciò
sulle labbra. "Non
sarà necessario! Sono tuo marito, no? Si da il caso che i
bambini
che hai partorito dovrebbero portare il mio cognome e sarà
sufficiente che io legittimi Ellie e che lei diventi a tutti gli
effetti una Poldark e tutto si sistemerà. E' solo questo che
Lord
Falmouth vuole! Del resto non gli importa. A me non interessa nulla
se parlano di me a Londra, non sono Lord Falmouth e non ho intenzione
di dar retta ai pettegolezzi che girano su di noi, né per
smentirli,
né per confutarli. A me interessa solo che le persone che
amo, la
mia famiglia... Voglio solo che stiate bene! Fammi legittimare Ellie,
solo tu puoi acconsentire, a questo punto".
Lei
si staccò momentaneamente da lui, guardandolo a bocca
aperta. "Ross,
hai idea di cosa stai dicendo? Legittimare Ellie
significherà essere
suo padre a tutti gli effetti... Sei sicuro di voler davvero dare il
nome della tua famiglia alla mia bambina? Non è troppo, per
te?".
Divenne
serio, davanti a quei suoi legittimi dubbi. "Credi che non ami
Ellie?".
"Certo,
so che la ami. Ma essere suo padre...".
Le
sorrise. "Ascolta, Demelza! Amare Ellie non è stato facile e
anzi, all'inizio era una cosa che mi risultava quasi impossibile. Ma
ora è diverso. Per me è mia figlia, come lo sono
Jeremy e Clowance
e non voglio legittimarla perché Lord Falmouth mi ha
minacciato o
perché mi senta costretto dalle circostanze, voglio
legittimarla
perché la sento mia. Oggi, mentre quell'uomo mi parlava,
riuscivo
solo a pensare al faccino di Ellie e al fatto che un perfetto
sconosciuto pensasse di essere in diritto di decidere del suo
destino. Volevo ucciderlo, Demelza... Ucciderei davvero, se qualcuno
cercasse di farle del male. Un giorno mi hai detto che Ellie non era
di Hugh, che era solo tua. Vorrei che diventasse nostra. Non sei
stata tu a dirmi che i figli sono di chi li cresce e ama? Tutti
dovremmo avere un padre e se mi farai l'onore di accettarmi come
tale, per lei, io ne sarò solo felice".
Demelza
gli sorrise, un sorriso dolce e tenerissimo. Gli accarezzò
la
guancia con la mano, piano, baciandolo sulla punta del naso. "Ross,
per me sarebbe una grande gioia saperti padre di Ellie e per la mia
bimba non posso immaginare nulla di meglio. Ma ne sei davvero sicuro?
Non diventerà un peso?".
Lui
alzò le spalle. "Ellie crescerà con noi, con lei
scherzerò e
forse un giorno ci litigherò, quando capiterà che
non saremo
d'accordo su qualcosa. Come del resto succederà con Jeremy o
Clowance... O col nuovo bimbo. Essere genitori, credo, significhi
prendere ciò che regalano i figli un pò a scatola
chiusa. Ma non mi
pentirò mai di essere il loro padre. MAI!".
"E
io non mi pentirò mai di averti permesso di esserlo, Ross".
Ross
la baciò, commosso. "Credi che lei mi vorrà come
padre?".
Demelza
sorrise. "Glielo dovresti chiedere!".
"A
Ellie?".
"Sì,
a Ellie! E' piccola ma sa quel che vuole".
Ross
ci pensò su. "In fondo credo di piacerle".
"Penso
proprio di sì. Ma ora, che si fa?" - chiese lei, titubante.
La
guardò, era ancora preoccupata ed era normale, in fondo.
Tutto era
un'incognita per loro, in quel momento. "Che ti ha detto Dwight,
oggi?".
Demelza
si accigliò. "Cosa c'entra, adesso?".
"C'entra
eccome!".
Lei
si accarezzò il ventre, dolcemente. "Ha detto che questo
bambino è gigante, vivacissimo e che gode di ottima salute.
E che
anche io sto bene... Dice che non c'è più nessun
pericolo, che
posso vivere normalmente la mia vita e fare tutto quello che facevo
prima di restare incinta, pur senza sforzarmi troppo".
Ottimo,
era quello che voleva sentirsi dire! Aveva notato quanto fosse
rifiorita nelle ultime settimane, il suo colorito roseo e il suo
umore finalmente allegro e giocoso e ci sperava davvero, in quel
responso. "Puoi viaggiare?".
Lei
annuì. "Sì, Dwight ha detto che ci farebbe bene
una vacanza
finché non sarò troppo grassa per muovermi. Ha
detto di..." -
arrossì, impercettibilmente – "Di...".
"Cosa?"
- chiese, impaziente.
"Di
fare l'amore... Di farlo, che ci farà bene e farà
bene al bambino.
Ora non ci sono più pericoli".
Ross
spalancò gli occhi. Queste sì che erano OTTIME
notizie! "Davvero?"
- chiese, incredulo.
"Davvero!
Ma che c'entra il viaggio?".
La
baciò sulle labbra, con passione. "Andremo a Londra, allora!
Prima di tornare a casa, stamattina, sono passato da Pascoe a
chiedere informazioni su chi potrebbe aiutarci nella pratica di
legittimazione di Ellie e mi ha parlato di un suo caro amico di
Londra, una persona di sua assoluta fiducia che può fare
tutto nella
più assoluta discrezione. Partiremo, compileremo le
scartoffie
necessarie e Ellie sarà mia. Nostra... E quando
nascerà il nuovo
bambino, non ci sarà più nessuna ombra su di noi".
"Ross,
davvero?". Demelza rise, abbracciandolo, incredula di quanto
avesse fatto in quella giornata per lei, per Ellie... Era felice,
felice davvero in quel momento. E Ross si sentì fiero di
essere
riuscito a rassicurarla e a togliere ogni ombra di tristezza dal suo
viso e dal suo cuore.
Si
alzò in piedi, forzandola a fare altrettanto, poi la
baciò con
passione, passandole la mano fra i lunghi capelli rossi. "Che ha
detto Dwight, circa il fare l'amore?".
Lei
lo guardò, maliziosa. "Vuoi prenderlo in parola da subito?".
"Certo,
ha detto che ti farà bene!" - rispose lui, togliendosi la
camicia.
Demelza
lo guardò storto. "Ross, che fai? Non vorrai...? Non siamo
nella nostra stanza, se non te ne fossi accorto".
Le
si avvicinò, cingendole la vita con le braccia. "Certo che
me
ne sono accorto. Ma siamo vicini a un torrente fresco ed invitante e
sarà meraviglioso fare l'amore con te in quest'acqua".
Lei
rise. "Sei pazzo? Se i bambini si svegliassero?".
"E'
più probabile che si sveglino se entriamo in casa, non
trovi?"
- obiettò lui.
Demelza
si guardò attorno, sospirando. "Non mi va, non
quì, la luna fa
troppa luce. Non voglio che tu mi veda... troppo...".
Non
capì quella sua strana ritrosìa, erano sposati da
anni e conosceva
il suo corpo meglio delle sue tasche. "Demelza, non ti sembra
tardi per essere timida?".
"Ohhh
Ross" – si lamentò lei, incrociando le braccia al
petto –
"Sono incinta e non mi sento per niente bella o seducente.
Preferisco una camera buia a quello che hai in mente tu".
La
guardò, rendendosi conto che forse non si era mai curato
troppo di
farla sentire bella e desiderabile. Eppure, ai suoi occhi, Demelza
era quanto di più bello esistesse al mondo ed era proprio
quando era
incinta che la trovava ancora più seducente e desiderabile.
Le si
avvicinò, attirandola a se ed accarezzandole il viso. "Io
voglio vederti, invece. Voglio vederti come si desidera vedere tutto
ciò che si considera estremamente bello..." -
sussurrò,
baciandola sul collo. "Tre anni, Demelza... Lontano da te è
stata una tortura e ora ho bisogno di amarti e lasciare indietro
tutto ciò che ci ha diviso. Farà parte del
passato ma adesso, quì,
inizia il nostro presente e il nostro futuro. Amo il tuo corpo, ogni
singolo centimetro della tua pelle. E non voglio una stanza buia
per dimostrartelo, voglio vederti, mentre faccio l'amore con te. E
non c'è posto migliore di quest'erba, di questo torrente e
di questo
bosco, per noi".
Demelza
rimase in silenzio per lunghi istanti, abbracciata a lui, senza
muoversi di un centimetro. Poi, dopo aver preso fiato, gli prese le
mani nelle sue, guidandole sui bottoni del suo vestito. Glieli
sbottonò in silenzio, uno ad uno, si tolsero lentamente di
dosso
ogni indumento e poi, prendendola per mano, la condusse in acqua. Si
baciarono a lungo mentre le loro mani si accarezzavano senza sosta,
senza alcuna inibizione. Ora, nel torrente, anche lei sembrava
più
sicura di se stessa... Le accarezzò il pancino dove cresceva
il loro
bambino, le bagnò i capelli passando fra le ciocche le sue
mani
bagnate e Demelza fece altrettanto, come spesso aveva fatto in
passato quando lo aveva aiutato a fare il bagno a Nampara.
Si
stesero sulla riva, con l'acqua che bagnava le loro gambe e
finalmente fece l'amore con lei.
"Ti
amo" – sussurrò al suo orecchio, possedendola con
passione e
dolcezza, baciandola senza sosta sulle labbra e sul collo. "Lo
sai vero, Demelza Poldark?".
Lei
poggiò la fronte contro la sua, con gli occhi resi languidi
dal
piacere. "Lo so, ora lo so davvero Ross Poldark".
La
zittì con un bacio, era tutto quello che voleva sentire. E
nel
silenzio della notte fece a lungo l'amore con lei.
Era
davvero un nuovo inizio, quello... Per loro, Ellie e la loro
famiglia...
E
lo sapevano finalmente entrambi...
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Capitolo 38 *** Capitolo trentotto ***
Pascoe
aveva organizzato l'incontro con Mister Fritz Harrald nei minimi
dettagli e l'uomo li aspettava nel suo ufficio a Londra subito dopo
il pranzo di un assolato 10 settembre. Il notaio aveva già
pronti
tutti i documenti necessari per legittimare la piccola Ellie come
figlia di Ross e mancavano solo le loro firme per mettere al riparo
la bimba dalle grinfie dei Boscawen ed essere a tutti gli effetti una
grande famiglia unita.
Erano
partiti in carrozza il giorno prima, viaggiando con comodità
in modo
da non stressare troppo i bambini e potersi permettere più
pause
durante la tratta. Sarebbero arrivati a casa prima di mezzogiorno,
avrebbero pranzato e poi, dopo aver lasciato i bimbi con Etta,
sarebbero andati a quell'importante appuntamento.
Jeremy
e Clowance erano contenti di tornare a Londra per qualche giorno e
rivedere Miss Etta e Ross e Demelza avevano spiegato loro, in maniera
semplice, il perché di quel viaggio. Il fatto che Ross
sarebbe
diventato papà di Ellie non li aveva stupiti troppo, per i
due
bambini lei era stata da subito una sorellina e forse era
più
anomalo per loro che chiamasse il loro padre per nome. Non erano
entrati nei particolari, avevano semplicemente detto loro che visti
tutti i problemi che c'erano stati negli ultimi anni, bisognava
sistemare i documenti di nascita della piccola Ellie in modo che
anche lei fosse una Poldark a tutti gli effetti. Nessuna menzione fu
fatta a Hugh e alla storia di Demelza con lui, Eleanor sarebbe
cresciuta come una Poldark, come una figlia e come una sorella... Il
resto faceva parte di un passato che non faceva più male e
che tutti
si erano lasciati alle spalle.
Alla
piccola Ellie non fu detto nulla, eccetto che avrebbero fatto un
lungo viaggio per un motivo speciale che le avrebbero spiegato una
volta sistemate tutte le cose che dovevano fare a Londra. Sia Ross
che Demelza ritenevano che fosse troppo piccola per spiegazioni
preliminari che avrebbe dimenticato nel giro di poche ore o che non
avrebbe capito. Avrebbero firmato le carte da Mister Harrald e poi,
una volta finito, Ross le avrebbe spiegato con parole semplici che
era il suo papà. Demelza gli aveva chiesto di ritagliarsi un
momento
solo per lui e per la bambina per spiegargli tutto quanto e lui aveva
accettato perché sì, era giusto così.
Aveva deciso di essere suo
padre e da padre avrebbe dovuto da solo trovare il modo giusto per
raccontarle che cosa sarebbero stati e soprattutto come farsi
accettare da lei. Una volta tornati dal notaio, avrebbe preso la
bimba e l'avrebbe portata in un posto che avrebbe forse adorato e
avrebbero parlato...
Ross
guardò i bimbi, dormivano tutti e tre sulla carrozza da
un'ora
abbondante. Jeremy stringeva fra le mani un cavallino intagliato nel
legno, Clowance la sua bambola preferita ed Ellie...
Si
soffermò su di lei, rendendosi conto che di lì a
poche ore sarebbe
diventato di nuovo padre. Suo padre... La piccola dormiva abbracciata
a Kiky, col suo tricorno in testa. Aveva fatto la pazza per
portarselo dietro, benché Demelza le avesse tentate tutte
per farle
cambiare idea e metterle un cappellino di paglia con un fiocco rosa
più adatto a lei, ma la bimba era stata irremovibile. Alla
fine sua
moglie aveva ceduto e lui era contento che lo avesse fatto. Quel
cappello e l'attaccamento che Ellie nutriva per quell'oggetto
nascondevano un segreto che Ross voleva assolutamente scoprire
perché
sentiva che in qualche modo lo riguardava. E forse quello sarebbe
stato il giorno più adatto per raggiungere tale scopo. "Mi
chiedo perché ami tanto quel cappello" –
mormorò.
Demelza,
poggiata con la testa alla sua spalla, alzò lo sguardo.
"Mh...
cosa?".
Scosse
la testa. "No, nulla... Pensavo ad alta voce... Mi chiedo
perché
Ellie ami tanto il tricorno".
Demelza
sospirò. "I bambini sono così, a volte si fissano
su qualcosa
senza motivo".
"E
se ci fosse un motivo?".
Lei
lo guardò, massaggiandosi il ventre. La pancia era cresciuta
molto
in quelle ultime settimane, rendendola ancora più bella ai
suoi
occhi. Avevano ritrovato quell'intimità che per tanto era
mancata ad
entrambi e in quelle ultime settimane era stato un pò come
tornare
alla passione dei primi tempi del loro matrimonio, anche se ora era
più difficile ritagliarsi momenti solo per loro in una casa
tanto
piccola e piena di bambini. Ma erano felici lo stesso, nonostante
questi piccoli intoppi, e con la sensazione che tutto sarebbe volto
al bello. Avevano ripreso a ridere insieme, a chiacchierare per ore,
a scherzare, a fare progetti e sì, a fare l'amore tutti i
giorni
nonostante i figli, il cane, i conigli e le galline e il poco spazio
a loro disposizione. "Ross, se anche ci fosse un motivo, Ellie
è
troppo piccola per riuscire a spiegartelo. E temo che quando
sarà
abbastanza grande per farlo, non se lo ricorderà
più e tu non lo
saprai mai".
La
guardò storto, notando la mano sul suo ventre ed entrando
subito in
allarme. "Stai male?". Dwight aveva detto che poteva
viaggiare, ma la prudenza non era mai troppa.
"No,
sto bene. E' colpa tua che parli, Ross".
Si
accigliò. "Colpa mia?".
"Sì,
tua". Demelza si tirò su, a sedersi più composta.
"Quando
sente la tua voce, il bambino si agita e continua a scalciare come un
pazzo. Viaggiare in carrozza con qualcuno che ti massacra pancia e
stomaco non è sempre piacevole".
Ross
sorrise, orgoglioso. "Davvero lo fa quando mi sente parlare?".
"Sì"
– sospirò lei.
La
abbracciò, dandole un bacio a stampo sulla fronte. "Sta
cercando di arruffianarsi suo padre. E' indubbiamente una femmina, ne
sono sicuro".
Demelza
lo guardò storto. "Perché dovrebbe essere una
femmina?".
Ross
rise. "Le bimbe sono così, è una tattica tutta
femminile. E
lei ha già capito che con me sta funzionando alla grande!".
Sua
moglie alzò gli occhi al cielo. "Bene, avremo una figlia
ruffiana e grassa. Santo cielo Ross, questa bimba è enorme,
con gli
altri figli non avevo questa pancia e questi calcioni, al sesto mese
di gravidanza! Come faccio a partorire una bambina gigante?".
Le
sorrise dolcemente, stringendola delicatamente a se. Sapeva che aveva
mille paure su quella gravidanza ma in quel momento si sentiva
talmente ottimista da voler solo che lei si liberasse di ogni
preoccupazione e guardasse unicamente al bello della loro vita
insieme, che stava pian piano ricominciando. "Ce la farai, come
hai sempre fatto. Andrà bene, sei forte" –
sussurrò, fra i
suoi capelli. "Sei felice, Demelza?".
A
quella domanda lei cercò la sua mano e la strinse, alzando
lo
sguardo su di lui. La sua espressione si fece dolce e serena, in quel
momento. "Certo che sono felice. Di averti vicino, di dare un
padre ad Ellie, di essere a Londra e di aspettare una bambina
gigante. Sono fortunata e ne sono consapevole, anche se a volte
divento una lagna...".
La
baciò sulle labbra, accarezzandole il ventre. "Posso parlare
ancora un pò?".
"Perché?".
Alzò
le spalle. "Così, voglio sentirla scalciare ancora prima di
arrivare a destinazione. Visto che sappiamo che è una
femmina,
potremmo decidere il suo nome, ad esempio".
Lei
si accigliò, divertita. "In realtà non lo
sappiamo se sarà
una femmina, sono solo supposizioni".
"Pensi
a un maschietto?".
Demelza
sospirò. "No, credo sia una bambina. Ma magari mi
sbaglio...".
"Io
credo di no" – rispose lui, mentre la piccola gli tirava un
altro calcio sul palmo della mano. Sapeva che Demelza era felice ma
voleva sentirglielo dire dopo il suo iniziale rifiuto per quella
gravidanza e le mille paure che l'avevano accompagnata fino a poche
settimane prima. Non avrebbe mai più dato per scontato nulla
nel suo
matrimonio! Era stata eccitata e spaventata nei giorni precedenti,
per quel viaggio a Londra e per le mille implicazioni che avrebbe
comportato. Si era chiesta spesso se sarebbe stata all'altezza di
affrontare la capitale dopo tanto tempo relegata ad Illugan ed in
questo gli sembrava la Demelza di inizio matrimonio, pensò
con una
punta di nostalgia per quei tempi lontani. Voleva mostrarle la
città,
farle conoscere quel mondo che lo aveva catturato e allontanato dalla
Cornovaglia per due anni, farle conoscere Etta che si era presa cura
a lungo dei loro figli e... e mille altre cose. Sarebbero stati dieci
giorni emozionanti per tutti loro. Londra non gli era mai apparsa
tanto bella come quel giorno, con lei.
...
Arrivarono
a casa alle undici del mattino. Ellie si era rannicchiata fra le
braccia di Demelza, intimidita per quella casa e quei posti
sconosciuti, mentre gli altri due bambini erano eccitati di rivedere
Etta.
In
realtà lo era anche Demelza che aveva spesso sentito parlare
di lei
ma che non l'aveva ancora incontrata di persona... Ross gli aveva
detto che era esattamente il contrario di Prudie, precisa,
puntigliosa, con una perfetta educazione e un maniacale senso
dell'ordine.
La
governante, che aveva sistemato la casa per il loro arrivo, si
materializzò davanti a loro appena sentì la porta
aprirsi.
Clowance
e Jeremy fecero per corrergli incontro ma si bloccarono subito,
mentre Ross spalancava gli occhi e Demelza lo fissava impietrita.
"Ross..."
- sussurrò sua moglie, toccandogli il braccio.
Etta
si esibì in un inchino, ma nessuno ebbe la forza di porre un
saluto.
Erano tutti sconvolti da...
"Etta,
i tuoi capelli! Sono blu!" - disse Ross, deglutendo. Santo
cielo, l'aveva assunta che aveva la capigliatura bianca come neve,
poi era diventata riccia come una capretta bionda e ora...
L'anziana
donna sorrise amabilmente. "Vi piacciono, signore? E' l'ultima
moda londinese...".
"Eeeehhh".
Ross si grattò la guancia, sconvolto. Come non offendere una
vecchia signora dai capelli blu? Quel quesito forse lo avrebbe
tormentato a vita! "Ecco... sembra il colore... del mare..."
- disse, con la prima cosa che gli veniva in mente.
Etta
si illuminò. "Davvero?".
"Il
vestito della mia bambola ha lo stesso colore" – aggiunse
Clowance, un pò titubante.
Demelza
toccò la stoffa della manica della camicia di suo marito.
"Ross,
la donna che dovrà curare i nostri bimbi ha i capelli
azzurri...".
Etta,
un pò sorda per l'età e assolutamente convinta di
essere
bellissima, non sentì nemmeno quei commenti. O, se li aveva
sentiti,
aveva deciso di ignorarli. Si avvicinò a Demelza e si
inchinò di
nuovo, esibendosi in una perfetta riverenza. "Signora, è un
vero piacere conoscere voi e la piccola di famiglia. Spero di
servirvi al meglio. Avete dei bellissimi capelli rossi e spero che
vostro marito non abbia mai mancato occasione per ricordarvelo. Sono
meravigliosi".
Arrossendo
e trattenendo un sorriso imbarazzato, Demelza abbassò lo
sguardo per
evitare di fissare troppo quei capelli blu. In fondo Etta gli
sembrava una persona anziana, gentile e amabile e lei non amava
giudicare qualcuno dalle apparenze. "I miei figli mi parlano
sempre molto bene di voi e sono sicura che siete un'ottima domestica.
Vi devo ringraziare per quello che avete fatto per Clowance e Jeremy
in mia assenza".
"Grazie
signora ma non dovete, è il mio mestiere" –
rispose Etta,
accarezzando i capelli di Ellie che però si
rannicchiò contro il
petto di sua madre.
Ross,
con un sospiro, prese la bimba, mettendola a terra. Eleanor era una
bambina vivace e allegra, ma diventata timida e introversa negli
ambienti che non conosceva e questo stato di cose doveva cambiare.
Voleva che si sentisse sicura indipendentemente da dove si trovasse e
che iniziasse a sentirsi a suo agio anche lontana da sua madre.
Inoltre lui e Demelza dovevano uscire subito dopo pranzo per andare
dal notaio e la piccola doveva abituarsi all'idea di stare coi suoi
fratelli, da sola con Etta. "Su, perché non vai ad esplorare
la
casa?".
"Sì,
corri piccola" – la incoraggiò Etta.
Demelza
sospirò, chiamando a se i figli più grandi.
"Bambini, portate
Eleanor a vedere la casa e giocate un pò, così
poi pranzeremo e
potrete riposare mentre io e papà andiamo a fare delle firme
importanti".
Eleanor
non sembrava troppo convinta. Si calò sugli occhi il
tricorno che
teneva in testa, strinse a se Kiky e piagnucolò. "Veni
mamma"
– implorò, cercando la sua mano.
Ross
sospirò, anticipando Demelza. Prese la piccola, gli strinse
la
manina e gli strizzò l'occhio. Poi la prese in braccio,
sollevandole il tricorno dagli occhi. Beh, poteva iniziare ad
aiutarla lui stesso, invece che i bambini. Magari lontano da Etta e
dai suoi capelli blu che di certo non servivano a tranquillizzare la
piccola... "Su, andiamo a vedere la tua stanza, mentre mamma e i
tuoi fratelli aiutano Etta col pranzo".
Demelza
gli sorrise, stringendo a se i bimbi più grandi e, un
pò titubante,
seguì la governante fino alla cucina.
"Venga
signora, vi mostro il menù che ho predisposto per oggi.
Spero sia di
vostro gradimento".
Demelza
parve sinceramente sorpresa da quei modi di fare tanto differenti da
quelli di Prudie. Sorrise dolcemente, prendendo Clowance e Jeremy per
mano, e la seguì, forse finendo di stupirsi per il colore
dei
capelli ed apprezzando semplicemente la sua cordialità.
Etta
si voltò verso Ross. "Penso io alla signora ma non mi avete
ancora risposto!".
"A
cosa?" - chiese Ross, perplesso.
"I
miei capelli blu! Vi piacciono?".
Ross
sospirò. "Ehm... Mi ci devo un pò abituare... e
dopo,
forse...". Già, forse si sarebbe abituato, fra mille
secoli...
Era
ora di cambiare aria... Strinse a se Ellie e la portò in una
delle
due camerette, adagiandola sul letto. Era una camera dalle tinte
pastello confortevole e piena di giocattoli, con un letto colorato da
una variopinta coperta e con tanti libri illustrati sulla mensola.
Era la cameretta di Clowance ma i lettini presenti erano due
perché
spesso Jeremy, in passato, aveva voluto dormire con la sorella. Ma
ora il secondo lettino sarebbe stato di Ellie e Jeremy, che ormai
aveva sette anni e mezzo, avrebbe avuto la sua camera. "Non devi
avere paura. Sei a casa".
"No"
– rispose la bimba, corrucciata.
"Questa
non è Illugan, vero. Ma è lo stesso la tua casa
perché lo sai,
ogni posto dove andremo insieme sarà casa nostra".
Ellie
non sembrava molto convinta. "Dopo tu e mamma via?".
Le
scostò una ciocca di capelli dagli occhi. "Un pochino, non
molto. Farai un riposino e poi, quando ti sveglerai, io sarò
già
tornato e andremo insieme, solo io e te, in un posto che ti
piacerà
molto".
Lei
sorrise timidamente. "Davelo?".
"Davvero!
Ma devi fare la brava mentre non ci sono e non devi piangere con Miss
Etta. Me lo prometti?".
"Sì".
Ross
prese Kiky, strofinandoglielo scherzosamente sul nasino. "E lo
prometti anche a Kiky?".
Ellie
rise. "Cetto, non pango".
"Sicura?".
"Sì".
La
prese in braccio, baciandola sulla guancia. "Brava! E ora su,
andiamo a mangiare! Etta ci ha preparato un sacco di cose buone".
"Sì"
– rispose la bimba, affidandosi completamente a lui.
La
strinse a se, rendendosi conto che per entrambi sarebbe stata una
giornata importante. Lei era piccola e inconsapevole di tutto ma
entro sera lui avrebbe dovuto spiegargli in modo semplice ogni cosa.
Da solo! In un certo senso avrebbe voluto Demelza accanto, ma da
un'altro punto di vista desiderava quel momento solo per lui, assieme
ad Ellie. Si chiese se l'avrebbe accettato come padre e se avrebbe
voluto chiamarlo papà... In un certo senso aveva una strana
paura,
la stessa paura che provava ogni volta che Demelza aspettava un
bambino e lui non sapeva cosa aspettarsi. Eppure erano paure stupide
perché Ellie già c'era, la conosceva. Ma
stranamente era come se
per lui stesse nascendo in quel momento...
Scosse
la testa, ragionare a stomaco vuoto si stava rivelando una pessima
scelta. Meglio mangiare, andare a fare quelle firme e non pensarci
troppo! Avere un figlio era sempre un salto nel buio e lui stava per
compierne uno! E con paura, era una cosa che sentiva di desiderare!
Solo questo importava, ora!
...
Quando
il notaio Harrald gli porse il foglio da firmare, la sua mano
tremò.
Gli era capitata la stessa cosa quando aveva preso in braccio i suoi
figli appena nati e forse in un certo senso, era la stessa cosa, la
stessa sensazione di quando si diventa padre.
Stava
firmando un impegno per la vita...
Per
un attimo vacillò, si sentì in dubbio e
provò dei sensi di colpa
per questo. Era davvero sicuro di volerlo? Era davvero certo che non
se ne sarebbe pentito? La voleva davvero quella bambina?
Scosse
la testa ricordando che all'inizio, di Eleanor, nemmeno voleva sapere
il nome. Era la bambina che sua moglie aveva avuto con l'uomo con cui
l'aveva tradito, la causa di due lunghi anni di dolore e sofferenza
in cui credeva di aver perso tutto...
Il
voler riconoscere Ellie come sua figlia, era un atto nobile e dettato
dall'amore?
O
il gesto di un folle, come gli aveva detto Lord Falmouth?
Davanti
a quel foglio, per la prima volta, mille dubbi lo assalirono. Demelza
se ne accorse e gli fiorò gentilmente la mano. "Ross, non
sei
obbligato a farlo".
Guardò
sua moglie, la sua bellissima moglie. Osservò il suo sguardo
dolce e
fiero, ricordò quanto avesse sofferto anche lei in quegli
ultimi
anni così duri per tutti, guardò con tenerezza la
linea morbida del
suo ventre dentro il quale stava crescendo una nuova vita e
capì che
voleva che Ellie ne fosse la sorella. E sua figlia... Se non avesse
apposto quella firma, Demelza non gliene avrebbe mai fatto una colpa.
Ma lui non avrebbe mai potuto perdonare se stesso.
Pensò
alla sua piccola, bellissima Eleanor... La bimba che amava il
tricorno e il suo coniglietto e che odiava i cavalli, che piangeva
cercando il suo abbraccio quando era spaventata da qualcosa e che
ogni mattino, all'alba, faceva capolino nel suo letto, era
già di
fatto sua.
Una
firma non avrebbe cambiato nulla per lui...
Ma
per Ellie avrebbe cambiato tutto e nessuno avrebbe più
potuto farle
del male...
Sorrise
a Demelza, ricambiando la stretta sulla sua mano. "Fa sempre un
pò paura diventare padre" – disse, a lei e
all'anziano notaio
che aveva davanti.
E
poi firmò, con un tratto tremolante, inspirò
profondamente e si
sentì più leggero. Era fatta, ora non si poteva
più tornare
indietro.
Il
notaio riprese il foglio, dopo averlo fatto firmare anche a Demelza
che, silenziosa, era rimasta in disparte. "Bene, la parte
burocratica per voi è terminata, penserò io al
resto ma la bambina,
da questo momento, porterà ufficialmente il vostro cognome,
Sir.
Eleanor Carne non esiste più, da oggi lei sarà
ufficialemente
Eleanor Poldark, vostra erede e figlia, con tutti i doveri e i
diritti collegati a questo stato di cose".
Ross
chiuse gli occhi, assaporando il suono di quel nome. Eleanor
Poldark... Suonava così dannatamente bene... Era sua figlia,
adesso!
E lui era suo padre... Da quel momento Hugh Armitage e i Boscawen non
esistevano più.
Ringraziò
il notaio e poi prese Demelza per mano, uscendo dal suo studio. E
appena in strada, senza dirsi mezza parola, semplicemente guardandosi
negli occhi, si abbracciarono. Respirò il profumo dei
capelli di sua
moglie, il suo corpo esile e assaporò la morbidezza delle
sue
labbra con un bacio. "Faceva paura" – sussurrò,
con la
bocca contro la sua.
Lei
sorrise. "Lo so. Hai fatto una cosa molto bella oggi, Ross. Per
Ellie e per me".
Lui
scosse la testa, non era del tutto d'accordo con lei. "Forse...
Forse l'ho fatto più per me stesso. Rivoglio la mia famiglia
unita e
Ellie ne fa parte. Non so se questo sia amore o egoismo, ma voglio
essere il padre di tutti i tuoi figli. E di nessun altro".
Chiudendo di fatto anche ogni ulteriore discorso su Valentine, la
baciò sulla fronte, scompigliandole i capelli per cercare di
stemperare quel momento tanto intenso. "Andiamo? Abbiamo
programmi per oggi, no? Essere seri e sdolcinati troppo a lungo, dopo
tutto, non fa per noi".
Demelza
rise. "Clowance vuole portarmi a vedere la residenza reale della
regina e Jeremy il parco dove va a giocare con Miss Etta. Saranno la
mia guida per oggi".
Ross
annuì, si erano messi d'accordo poco prima durante il
pranzo. I
bambini volevano portare la loro mamma nei posti che preferivano a
Londra, in modo che scoprisse tratti della loro vita che le erano
stati preclusi per due anni e lui... lui avrebbe invece colmato quel
vuoto che ancora lo divideva da Ellie.
C'era
ancora tanto da fare, per quel giorno così sereno e luminoso
e in
fondo quella firma non era stata la cosa più importante.
Ellie era
importante, il resto erano solo carta e burocrazia e a lui di tutto
questo era sempre importato poco. Prese Demelza per mano, attirandola
a se. "Su, sbrighiamoci e andiamo a prendere i bambini".
...
Miss
Etta aveva fatto indossare ad Ellie un grazioso abitino bianco con un
nastrino blu in vita che richiamava il colore dei suoi occhi, le
aveva pettinato i bellissimi boccoli biondi e messo un fiocco blu fra
i capelli, delle scarpine di vernice e l'aveva preparata al meglio
per la passeggiata con lui.
Vestita
così sembrava davvero una bimba di città,
elegante e ricercata.
Purtroppo pure Etta però aveva dovuto alzare bandiera bianca
davanti
al tricorno, per il giretto pomeridiano con Ross.
Lui
rise, prendendo la bimba che lo attendeva nel salotto, in braccio.
"Etta, da questo cappello è inseparabile. Soprattutto quando
si
trova in posti che non conosce" – disse, salutando Demelza e
gli altri due bambini che uscivano per la loro passeggiata.
La
domestica sbuffò. "Con il vestitino, il tricorno lega male".
Ellie
si imbronciò. "MIO!" - disse, risoluta.
Demelza
rise, dando un bacio sulle guance alla bambina e uno sguardo d'intesa
a Ross. Sapeva che sarebbe stato un pomeriggio importante per sua
figlia e suo marito ed era semplicemente felice per loro.
Ross
ricambiò lo sguardo, strizzò l'occhio ad Ellie e
salutò Etta.
"Sentito? E' suo, lasciamole mettere in testa ciò che
vuole".
E
poi uscì, con la piccola fra le braccia. Destinazione: il
laghetto
cittadino.
Vi
giunse che erano quasi le tre del pomeriggio. Non ci era mai stato in
un giorno lavorativo ed era pieno di bambinaie e bambini che
giocavano sotto gli alberi e correvano sulle rive del lago.
Ross
mise a terra Ellie che si guardava attorno incuriosita e poi la prese
per mano. Spesso aveva passeggiato così con lei, negli
ultimi mesi.
Ma prima erano solo Eleanor e Ross e invece ora era un padre che
portava a passeggio la sua bambina. Le indicò un porticciolo
da cui
si potevano prendere delle barche per un breve giro del lago. "Hai
voglia di salire lì sopra?".
"No".
"Perché?".
"Ho
palura" – mugugnò la bimba.
Con
un sospiro, la trascinò comunque alla zona dell'imbarco dove
un
vecchio dava i remi a chi voleva noleggiare le barchette. "Non
devi avere paura, io sono molto bravo ad andare in barca e se ti fidi
e vieni, vedrai i cigni".
Ellie
non parve troppo convinta, ma lo seguì comunque. Ross
pagò la
barca, ci mise su la bimba e salì a bordo, facendosi passare
i remi
dal vecchio. "Grazie, saremo indietro fra un'ora".
L'uomo
annuì. "Buon divertimento signore, a voi e alla vostra
incantevole figlia".
Quelle
parole gli fecero uno strano effetto, era la prima volta che qualcuno
lo diceva ad alta voce. Certo, quell'uomo non sapeva nulla di loro,
ma in quelle poche parole che aveva pronunciato, gli aveva illustrato
il più grande salto nel vuoto compiuto nella sua vita.
Ellie,
col tricorno in testa, si era appoggiata con le braccia ai lati della
barca, osservando un pò intimorita tutto ciò che
la circondava.
Ross remò, non togliendole gli occhi di dosso, accorgendosi
che in
fondo si sentiva abbastanza a suo agio e non era spaventata come gli
era sembrato pochi minuti prima. "Guarda i cigni" –
disse, indicandogliene alcuni che nuotavano a una decina di metri da
loro.
Era
una giornata soleggiata e piacevole di fine estate, il cielo era di
un azzurro intenso, percorso qua e la da nuvole bianche di varie
forme. Ellie osservò i cigni, succhiandosi il pollice.
"Pecché
nuotano?".
"Fanno
una passeggiata, come noi".
La
bimba alzò le spalle, avvicinandosi a lui carponi.
"Sì".
Ross
la prese sulle ginocchia, stringendola a se. Erano soli, in un posto
incantevole e tranquillo. Era ora di parlarle, anche se non aveva ben
idea di quello che lei avrebbe capito. "Ellie, sai perché
siamo
venuti quì a Londra?".
"No"
– rispose lei, dondolando le gambette nel vuoto.
No,
era ovvio che non lo sapesse, che si aspettava? "Ecco... Io e la
mamma abbiamo fatto un pò di confusione quando sei nata e
allora
siamo dovuti venire quì per firmare delle cose importanti e
sistemare tutto".
"Pecché?".
"Beh,
perché io e la mamma siamo sposati e tu, Clowance, Jeremy e
il
bambino nuovo che sta per nascere siete tutti nostri figli. E non era
giusto che tu...". Sudò freddo e si sentì idiota,
si stava
incartando in un discorso astruso e complicato che Ellie non avrebbe
capito e che l'avrebbe annoiata. Inspirò profondamente,
cercando di
facilitare le cose ad entrambi, mentre la bimba lo guardava
incuriosita e, a suo modo, attenta. "Ecco, vorrei che tu mi
chiamassi papà" – disse infine, di getto.
Ellie
spalancò gli occhi, senza dire nulla. Sembrava stupita e
forse,
benché tanto piccola, pareva aver compreso
l'enormità di quello che
lui le aveva appena detto.
Davanti
al suo silenzio, col cuore che gli balzava nel petto, Ross le
sfiorò
il mento. Era una bellissima bambina, intelligente e sensibile. Ed
era sua... E sperava che lei lo accettasse come padre. Anche se gli
inizi erano stati tremendamente duri fra loro, anche se aveva tentato
in ogni modo di odiarla, anche se aveva a lungo desiderato che
sparisse per sempre dalle loro vite, voleva che sentisse che la amava
e che per lui era una figlia. Solo una figlia. "Vuoi?".
Ellie
si grattò il mento. "Mamma si alabbia" – rispose,
titubante.
Le
sorrise, accarezzandole la guancia. "No, ne sarà contenta.
E'
stata lei a dirmi di chiedertelo e lo vorrebbe tanto. Ma la cosa
importante è se lo vuoi tu... Ora puoi farlo, puoi chiamarmi
così
se vuoi".
Ellie
per un attimo rimase ferma, come pensierosa. Poi, con un gesto lento,
si tolse il tricorno, poggiandolo nelle sue mani. "Tuo".
Rimase
stupito, interdetto da quel gesto. Perché? Perché
glielo stava
restituendo, se fino a pochi secondi prima sembrava inseparabile da
quell'oggetto? Era un gesto positivo o negativo, quello? "Non lo
vuoi più?".
Lei,
timidamente, sorrise. "Non mi sevve adesso".
"E
prima ti serviva?". Il tricorno... Sembrava che Ellie volesse
risolvere quel dilemma per lui, finalmente. Aveva sempre saputo, in
cuor suo, che dietro quell'attaccamento al tricorno si nascondeva
qualcosa di importante e ora aveva la sensazione di essere a un passo
dalla soluzione di quell'enigma.
"Sì,
prima sì".
"Perché?".
Ellie
si voltò verso di lui e sembrava talmente seria da
dimostrare molta
più maturità dei suoi due anni e mezzo. "Tutti i
papà dei
bimbi hanno quetto cappello. Io plima no".
Ross
si concentrò, cercando di capire cosa volesse dirgli Ellie.
Era
molto piccola e ancora non sapeva parlare correttamente ma aveva come
l'impressione che stesse cercando di dirgli qualcosa di molto
importante. "No, prima non lo avevi. Te l'ho regalato io quando
avevi il morbillo. Perché lo volevi?".
Eleanor
sospirò. "Pecché se c'avevo il cappello poi
veniva anche il
papà. Come li attri bimbi".
Lo
fissò in viso, quasi innervosita dal non sapersi spiegare
meglio. I
loro occhi si incontrarono e improvvisamente Ross capì. E si
diede
dell'idiota per non esserci arrivato prima... Ellie non aveva mai
avuto un padre ma in un certo senso ne aveva avvertito la mancanza,
da sempre. Accompagnando Demelza ad Illugan aveva visto gli altri
bambini in compagnia di padri con quel cappello in testa e doveva
aver collegato, nella sua mente di bimba, il tricorno alla figura
paterna. Arrivando a desiderarne uno e colmare, con esso, quel
qualcosa che evidentemente gli era sempre mancato.
Era
strano, aveva voluto il suo di tricorno. Non quello di Dwight, che
pur conosceva da quando era nata. E nemmeno quello di qualcuno degli
amici di Demelza di Illugan. Aveva voluto il SUO tricorno, lei aveva
già scelto LUI prima ancora che lui decidesse cosa volesse
fare
nella vita. Lo aveva scelto e cercato, silenziosamente, fin dal
giorno in cui lui aveva colpito la sua manina quando aveva cercato di
prendere quel cappello dal tavolo.
Questo
lo riempì di sensi di colpa ma anche d'orgoglio e tenerezza.
Questo
spazzò via ogni paura o dubbio che l'aveva colto in quel
giorno.
Ellie
voleva un padre che portasse il tricorno.
Hugh
Armitage non aveva mai indossato nulla del genere...
Hugh
Armitage non avrebbe mai potuto essere suo padre, ora Ross ne aveva
la conferma definitiva.
Pensò
che nessuno sceglieva chi avere come padre. E nessun padre chi avere
come figlio. Erano caso e destino a formare le famiglie e non c'era
libero arbitrio in questo.
Ma
per lui ed Ellie era diverso. Lui aveva scelto lei e soprattutto, LEI
aveva scelto LUI. Questo lo riempiva di una sorta di orgoglio,
ebbrezza e gioia che forse lo avrebbero accompagnato tutta la vita.
Questo valeva tutta la paura e i dubbi che aveva superato con fatica.
No,
quel cappello ad Ellie non sarebbe più servito...
Si
stese sulla barca, trascinando la bimba con se e stringendosela al
petto. "Ellie, saresti capace di chiamarmi papà?".
"Sì".
"Fallo!".
Lei
si voltò, affondando il faccino nel suo petto.
"Papà" –
disse, con la vocina stentata.
Ross
sorrise profondamente emozionato. Detto da lei aveva un suono
dolcissimo. "Brava, è così che dovrai chiamarmi
per sempre"
– sussurrò, baciandole la fronte.
"Sempre"
– ripeté la bimba.
Le
accarezzò i capelli, osservando con lei, sul fondo della
barca, la
forma delle nuvole in cielo. In silenzio, in uno stato di pace
profonda. "Faremo tante cose insieme, Ellie" – le
promise.
"Cosa?".
"Tutto
quello che vorrai. Ti insegnerò anche ad andare a cavallo"
–
disse, ridacchiando e ricordando quanto temesse quell'animale.
E
infatti, Ellie... "NOOOOO".
Ross
rise, divertito. Sarebbe riuscito, un giorno, a farle amare
l'equitazione. "D'accordo, d'accordo! Non vuoi nemmeno un
peluches a forma di cavallo".
"No.
Quetto lo legaliamo al fratellino novo. Io c'ho Kiky" –
disse,
indicando una nuvola in cielo a forma di coniglio.
Questo
lo fece ridere, aveva una testolina intelligente e acuta e in quel
momento si chiese quanti pensieri si agitassero in lei, ancora
incapaci di venire allo scoperto. "Chiamami ancora papà!".
Ellie
rise, divertita da quella richiesta. "Papà" –
esclamò
più sicura di se stessa, battendo le manine sul suo petto.
Era
contenta e vederla così gli scaldava il cuore. "Ridillo!".
"Papà".
La
baciò sulla guancia. "Ora che mi hai restituito il tricorno,
che ne dici di andare a compare un cappellino nuovo che piacia anche
ad Etta?".
Lei
annuì. "Sì".
E
in quel momento Ellie abbandonò il tricorno e ciò
che
simbolicamente rappresentava per lei, capendo che finalmente aveva un
padre vero. Quello che si era scelta, silenziosamente, già
da tanto
tempo.
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Capitolo 39 *** Capitolo trentanove ***
Demelza
era uscita sola coi bambini, quel pomeriggio. Ross era stato chiamato
per una riunione al Parlamento e visto che sarebbero rimasti nella
capitale ancora una settimana, alla fine aveva ceduto alle richieste
e aveva accettato l'invito.
Sarebbe
tornato a sera, per l'ora di cena, e lei e i bambini sarebbero
rimasti soli tutto il giorno.
La
mattina era piovuto ma dopo pranzo era spuntato un timido sole e
Jeremy e Clowance avevano insistito per andare al parco con lei.
Volevano farle vedere i posti dove giocavano quando erano a Londra e
in fondo Demelza era curiosa di scoprire luoghi nuovi. Stava bene ed
eccetto per il fatto che la bimba che aspettava era scatenata, non si
sentiva stanca o bisognosa di riposo.
Etta
aveva rimuginato su qualcosa per tutta la giornata, borbottando in
silenzio fra se e se, e aveva preferito non accompagnarli nella loro
passeggiata pomeridiana e così, dopo aver pranzato, aveva
preparato
lei stessa i bambini ed erano usciti.
Ellie
trotterellava dietro ai due fratelli più grandi e a Demelza
si
gonfiò il cuore quando vide Jeremy e Clowance darle la mano
per
tenerla fra loro. Erano davvero, ora, tre fratellini...
Era
rimasta così sorpresa quando Ross, due giorni prima, le
aveva
raccontato il significato dell'attaccamento di Ellie al suo tricorno
e si era rimproverata di non aver capito prima quali fossero i
sentimenti della bimba. Ross aveva capito che ci doveva essere
qualcosa di importante dietro quel comportamento e, se da una parte
era dispiaciuta per non averlo compreso anche lei, dall'altra era
orgogliosa del modo attento con cui suo marito si rapportava ad
Eleanor. Era davvero lui suo padre, lui e nessun altro. Non c'era MAI
stato nessun altro per Ellie, prima di Ross. E lei si sentiva
infinitamente fortunata che fosse andata a finire così
perché la
sua bimba non avrebbe potuto avere padre migliore... E lei, con Ross,
aveva ritrovato tutti i suoi figli e ora si sentiva di nuovo
completa. Era stata terrorizzata quando aveva scoperto di essere
incinta ma ora era semplicemente felice e non vedeva l'ora di
stringere fra le braccia la sua nuova piccola.
Giunti
al parco, enorme, pieno di piante secolari e di prati perfettamente
curati, i bimbi corsero con Ellie a giocare vicino a un piccolo
laghetto dove una miriade di altri piccoli si intratteneva sulla
riva.
Demelza
sorrise, appoggiandosi a una pianta per osservarli. Jeremy correva
lungo la riva con altri bimbi che probabilmente conosceva, mentre
Clowance ed Eleanor si erano inginocchiate a giocare con la sabbia.
Era
pieno di bambini, quel parco. A quell'ora era un via vai di piccoli
eleganti figli dell'alta società accompagnati da tate o da
madri
elegantemente vestite. Nel guardare quelle donne si sentì a
disagio,
un sentimento simile a quello provato appena sposato Ross. Erano
tutte altere e perfette, vestite elegantemente e piene di gioielli
mentre lei... Beh, indossava un abito azzurro che le cadeva
morbidamente sul ventre, fatto di tessuto pregiato ed elaborato, ma
niente di troppo pomposo. Glielo aveva regalato Ross appena arrivati
a Londra ed era comodo per una donna incinta, decoroso per la buona
società della capitale ma per fortuna non lussuoso. Non ci
si
sarebbe sentita a suo agio. Negli ultimi tre anni aveva vissuto
indossando abiti modesti, arrabattandosi per mettere insieme una cena
e lavorando sodo, a contatto con gente povera e senza nulla e ora,
anche se era tornata ad essere la moglie di Ross a tutti gli effetti,
gli risultava difficile conformarsi a quel mondo così
lussuoso ed
artefatto. Lei era Demelza di Illugan, una donna che aveva sposato un
uomo altolocato di campagna ma che viveva in modo semplice e senza
pretese. Non sarebbe mai cambiata in questo e in questo aveva trovato
un marito che la pensava esattamente come lei.
Sospirando,
fece due passi fino a una altalena posta sotto una pianta. Vi si
sedette, dondolandosi lentamente avanti e indietro, non togliendo gli
occhi di dosso ai bambini.
Si
stavano divertendo da matti, erano scalmanati e vivaci e
probabilmente molto più selvaggi, dopo l'intera estate
passata ad
Illugan, dell'ultima volta che erano stati a Londra. Ed Ellie pareva
perfettamente a suo agio con loro e gli altri bimbi. Era serena,
contenta e il cambiamento avvenuto nella sua vita nel suo rapporto
con Ross non ne aveva scalfito il carattere gioviale e allegro che la
contraddistingueva. Chiamare Ross 'papà' le era venuto
talmente
naturale che Demelza si era chiesta da quanto tempo lo desiderasse in
silenzio.
Si
era chiesta tante cose, in quei giorni, nella strana quiete che
precede un parto, in cui si pensa a tante cose. Si era chiesta se ci
fosse un motivo specifico, alla nascita di Ellie. Si era chiesta se
ci fosse un fine dietro a quella bambina, arrivata dopo un veloce
rapporto rubato al suo matrimonio e alla sua coscienza. Non aveva mai
creduto al fatto che le cose potessero succedere per caso e spesso si
era soffermata a chiedersi perché. Era stata sfortuna,
tramutata poi
in una dolce bambina che aveva saputo rubare il cuore anche di Ross?
Oppure tutto quello che aveva vissuto e che la aspettava, seguiva un
determinato percorso logico che doveva portare a un qualche
obbiettivo che ancora le era oscuro?
Persa
in quei pensieri tranquilli e allo stesso tempo tormentati, si
dondolò lievemente sull'altalena, finché una
figura gli si
avvicinò, mettendo fine in maniera brusca a quell'attimo di
pace.
Demelza deglutì, imprecando fra se e se come faceva da
ragazzina. E
lei che ci faceva, lì? Negli ultimi anni l'aveva incontrata
raramente e sempre in presenza di Ross ma ora, vedersela davanti,
faccia a faccia e senza filtri, le metteva una strana angoscia.
Eccola, era lei, la donna che le aveva rovinato la vita e che per
tanti anni l'aveva fatta sentire la seconda scelta, la donna che
aveva cercato di portarle via suo marito, la donna che era stata il
tormento di Ross a lungo, tanto da arrivare a distruggere il suo
matrimonio. Ed ora era lì, a Londra, inspiegabilmente
vicina, che si
dirigeva verso di lei con sguardo fiero e con il solito portamento
elegante. Ma il tempo di sentirsi inferiori era finito ormai, per
lei. "Elizabeth..." - disse, fra i denti, chiedendosi che
ci facesse in quel parco. E solo allora si accorse del bambino che
era con lei, Valentine, che giocava tutto solo seduto nell'erba e in
disparte dagli altri bambini, coi capelli neri mossi dal vento e lo
sguardo vacuo e triste.
"Allora
non mi sono sbagliata, sei davvero tu Demelza" – rispose
Elizabeth, in tono glaciale.
Demelza
deglutì. Un tempo era quasi riuscita a crederla amica, ma
ora sapeva
che ogni gesto, ogni parola, ogni sorriso che le aveva riservato
erano atti solo a tentare di portargli via Ross. Non si fidava di
lei, non si sarebbe mai più fidata di quella donna. "Ho
portato
i bambini al parco a giocare" – rispose, chiedendosi
perché
le stesse rispondendo.
"Anche
io".
Demelza
guardò il piccolo Valentine e i suoi ricci neri tanto simili
a
quelli di Ross. Sembrava un bambino triste e solo e non riusciva a
scorgere sul suo viso alcun segno della vivacità infantile
che
invece contraddistingueva i suoi figli. Provò pena per lui
ma si
impose di non farci caso. "E allora gioca con lui invece di
lasciarlo lì tutto solo" – concluse, secca.
Elizabeth
parve non volerla ascoltare. Le si avvicinò, osservandole la
pancia.
"La tua gravidanza procede bene, vedo. Ross è contento?".
"Più
di me, forse".
"Mi
pare che il parto sia previsto per dicembre, giusto?".
Demelza
sospirò. Che diavolo voleva da lei? Possibile che non
capisse che
non voleva fare alcuna conversazione? "Sì".
Elizabeth
continuò, come studiando ogni sua risposta. "Si raccontano
strane cose su di voi, quì a Londra. Dicono che siate venuti
quì
per far riconoscere a Ross la tua terza figlia. Dicono sia di
Armitage".
Il
tono sibillino della sua voce, le fece saltare i nervi. Che cosa
diavolo voleva da lei? Come poteva intromettersi ancora nella sua
vita, magari giudicando? E soprattutto, a quale scopo? "La gente
ne dice tante di cose. Bisogna stare attenti ai pettegolezzi, oggi
toccano me e forse ti sembrano divertenti, ma magari domani possono
toccare te. E in fondo ne avrebbero motivo, no, di volgere lo sguardo
a casa tua..." - disse, osservando il piccolo Valentine che, a
diversi metri da loro, scavava una buca nel terreno.
Elizabeth
impallidì, forse pentendosi finalmente di essere venuta da
lei. "Non
so di cosa parli".
"Lo
sai benissimo. Mi auguro, per Valentine, che George si riveli un uomo
degno di questo nome. Ma non succederà e lo sai anche tu,
giusto?
Conosci bene il valore dell'uomo che hai sposato, ognuna di noi
conosce perfettamente i propri mariti e... E forse te lo meriti, per
quello che hai fatto a me e ai miei figli! Ma Valentine no, lui non
lo merita! Cerca di ricordarlo, per il suo bene".
A
quelle parole, Elizabeth le riservò uno sguardo carico di
risentimento unito però a una strana, profonda, stanchezza
che non
faceva parte di lei. Non della Elizabeth che Demelza aveva conosciuto
fino a quel momento, almeno. "Quando nascerà il tuo
bambino?".
"A
gennaio".
Demelza
la squadrò. "Gennaio?" - chiese, scettica, ricordando lo
stupido consiglio datole da Ross. "Sicura?".
"Sicura.
O almeno penso, i bambini nascono quando ne hanno voglia loro".
Demelza
sorrise freddamente. "O quando lo decidono i genitori" –
rispose, sibillina. Che strano era, parlarle così... Che
strano era
ricordare come una volta si fosse sentita piccola e inconsistente
davanti a lei... E ora le faceva solo pena e rabbia per la pochezza
di animo e spirito, per il male che aveva fatto con calcolo e per non
essere mai stata capace di tutelare se stessa e i suoi figli.
Elizabeth
parve percepire i suoi pensieri. "So cosa pensi e forse hai
ragione, non avremmo mai potuto essere amiche. Se la cosa ti
può far
piacere comunque, ora ho deposto le armi. Ross ha scelto te e io non
resterò nell'ombra sapendo di non valere, ai suoi occhi,
quanto te.
Lotterò per far funzionare il mio matrimonio e
affinché i miei
figli abbiano una vita serena. Forse non avrò la vita felice
e
idilliaca che avete tu e Ross ma...".
Demelza
fece un sorrisetto sarcastico. "Vita idilliaca? Tu non hai
nemmeno idea di quante battaglie abbiamo combattuto, io e Ross. O
forse ne hai idea ma fingi di non ricordartene... Non esistono le
favole, Elizabeth. Esiste l'amore che va alimentato e che ci si deve
tenere stretti nei momenti bui, senza perderlo di vista. Esistono le
lacrime ed esiste chi ti ama e le asciuga. Esistono le liti. Esiste
lo smarrire la strada ed esiste la mano ferma di chi hai accanto che
afferra la tua per aiutarti a tornare indietro".
"E
tu hai trovato tutto questo. E anche Ross..." - rispose
Elizabeth, mestamente.
Quelle
parole sembravano sincere, una resa su tutti i fronti. Demelza si
accarezzò la pancia nel punto in cui la piccolina le aveva
appena
dato un calcio. "Sì, noi abbiamo trovato tutto questo"
–
ammise infine.
Jeremy,
Clowance ed Ellie corsero da lei, interrompendo il loro discorso.
"Mamma, andiamo a casa?" - chiese il maschietto, cercando
di sbottonarsi il primo bottone della camicia. "Vogliamo la
merenda e poi... posso slacciarmi un pò la camicia? Soffoco".
Clowance
lo rimbeccò. "Se ti slacci il bottone, non sei
più un signore!
Miss Etta dice che i gentiluomini vanno in giro con la camicia tutta
abbottonata, mamma".
Demelza
sorrise, inginocchiandosi davanti a Jeremy. "Certo che puoi
slacciarlo, c'è tempo per essere un signore" –
sussurrò
dolcemenente, aiutando il figlio sotto lo sguardo di Elizabeth.
"Mamma,
merenda" – disse Ellie, aggrappandosi alla sua gonna.
"Va
bene, andiamo a casa allora". Prese le bimbe per mano mentre
Jeremy, più grandicello, corse da solo verso il vialetto.
Demelza
osservò di sfuggita Elizabeth, accennando un cenno del capo
come
saluto. Aveva una strana sensazione, come se quello fosse un commiato
definitivo fra loro... Eppure era una sensazione stupida ed
irrazionale, lo sapeva che si sarebbero riviste in Cornovaglia.
Elizabeth viveva a Trenwith e lei sarebbe presto tornata a Nampara,
sarebbe capitato spesso di incrociarsi. "Devo andare, buona
fortuna per il tuo parto di gennaio".
Elizabeth
rispose al saluto. "E a te per il tuo parto di dicembre".
Si
guardarono negli occhi e per un istante si accesero scintille fra
loro. Ma poi, ognuna voltò lo sguardo verso i propri figli,
l'unica
cosa che davvero contasse in fondo. Demelza si avviò verso
il
sentiero dove la aspettava Jeremy e non si voltò mai. Era
ora di
andare a casa coi bambini ed era giusto che lo facesse anche
Elizabeth. Le loro strade ormai avevano intrapreso direzioni diverse
e Demelza sapeva che mai più si sarebbero incrociate. E ora,
con
tanto sollievo nel cuore, sapeva che anche per Ross sarebbe stato
così.
...
Quando
giunse a casa, Miss Etta la aspettava sulla porta d'ingresso, con la
sua mantellina sulle spalle. "Io devo uscire, signora" –
disse, senza mezzi termini – "Potete pensare voi alla merenda
dei bambini?".
Demelza
le sorrise, mentre i piccoli correvano in casa. "Certo. E'
successo qualcosa?".
"E'
colpa di vostro marito!" - sbottò la governante.
Spalancò
gli occhi. "Ross? Che ha fatto?".
Etta
si sfiorò i capelli blu, mortificata. "Mi guarda male ogni
volta che ci incrociamo. Non gli piacciono... Vado a cambiare
colore".
"Ohhh...".
Beh, dirle che nemmeno a lei faceva impazzire quel colore, sarebbe
stato scortese, così come il riderle in faccia. Era una
situazione
abbastanza buffa quella e i modi di fare di Etta la divertivano,
nonostante tutto. "Certo, ma Ross... Beh lui si intende poco di
capelli da signora. Non dovete prendervela".
"I
vostri capelli gli piacciono, però" –
osservò Etta.
Santo
cielo, che situazione imbarazzante... "Sì, i miei capelli
sì!
Ma io sono sua moglie" – si giustificò, quasi
sentendosi in
colpa.
La
governante si fece seria mentre i bimbi, in salotto, facevano un
baccano assurdo facendo merenda coi biscotti che avevano trovato sul
tavolo. "Rossi! Ecco, li tingerò di rosso, come i vostri".
Demelza
fece per replicare, ma non ne ebbe il coraggio. Deglutendo,
annuì.
"Rossi?".
"Sì,
come i vostri! Il signore li adorerà".
"Certo...".
Demelza non ebbe il coraggio di dire nulla, era una situazione
surreale e la faccenda-Etta aveva alleggerito il suo animo,
appesantito dall'incontro con Elizabeth. "Fate con calma,
prendetevi tutto il pomeriggio, ci penso io ai bambini".
"Grazie!".
Etta
sparì in un istante e Demelza un pò incredula,
ridacchiando, finì
di dar la merenda ai suoi figli che poi, ancora desiderosi di
giocare, corsero nel piccolo cortiletto sul retro.
Demelza
li sentì ridere e decise che poteva rilassarsi un
pò prima che
tornasse a casa Ross. Si avvicinò alla spinetta che era
posta
all'angolo del salotto, sedendosi e sfiorandola con le dita. Erano
almeno tre anni che non ne suonava una e desiderava farlo. Dal suo
arrivo a Londra l'aveva osservata con desiderio, senza però
trovare
il coraggio di suonarla. Spesso, a Nampara, si era intrattenuta in
quel passatempo che sapeva infonderle pace ed era un qualcosa che ad
Illugan le era mancato molto. La musica, il calore che sapeva
sprigionare, la sensazione di pace e di essere a casa...
Ripensò
alla sua spinetta a Nampara e... alle sue aiuole, al suo giardino,
alla cucina, alla stalla, a Prudie che non aveva mai voglia di fare
nulla... Mille ricordi si affacciarono alla sua mente con una
prepotenza inusuale per lei. Non le sembrava vero di essere stata
lontana tanto a lungo dalla sua unica e vera casa... Per la prima
volta da quel giorno in cui se n'era andata a cavallo con Hugh,
sentì
che Nampara le mancava.
Le
sue dita scivolarono sulla spinetta, componendo una nota...
Osservò
la tastiera, quasi timorosa di proseguire... Stava pian piano
ritrovando la sua vecchia vita ed era meraviglioso e allo stesso
tempo faceva un pò paura. Stava tornando ad essere la
Demelza di
Nampara e stava abbandonando di nuovo la Demelza di Illugan. Era la
seconda volta nella sua vita, che succedeva... La prima era stata
quel giorno in cui Ross l'aveva salvata, assieme a Garrick, alla
fiera di Sawle... Era passato così tanto tempo, da allora...
"Suona
ancora".
La
voce di suo marito, la fece sussultare. Demelza si voltò,
trovando
Ross dietro di lei. Non l'aveva sentito rientrare... "Ti farebbe
piacere?" - chiese, deglutendo. C'era un silenzio surreale e
stranamente pesante in quel momento, fra loro, carico di attrazione
ed emozione.
"Sì,
mi farebbe piacere" – rispose Ross con voce calda, sedendosi
accanto a lei. "Mi chiedevo quando ne avresti avuto voglia"
– disse, cingendole la vita.
"Non
so se ne sono ancora capace".
"Prova".
Demelza
scacciò dalla sua mente gli ultimi ricordi dell'incontro con
Elizabeth, concentrandosi sulla tastiera. Poi inspirò,
iniziando a
suonare un motivetto lento e rilassante. Sentiva le mani di Ross che
le cingevano la vita, il suo fiato caldo sul collo e...
E
improvvisamente, al suono della musica, la piccola le diede un
calcione talmente forte da spezzare quel momento romantico e farla
sussultare. "Giuda!" - urlò, toccandosi il ventre.
Ross,
quasi destandosi di colpo da quel momento di tranche, la
fissò
preoccupato. "Che c'è?".
"La
bambina! Ho appena scoperto che c'è qualcosa che ama
più della tua
voce".
Ross
fissò la pancia. "Che piccola traditrice! Cosa
potrà mai
amare, più di suo padre?".
"La
musica! Appena ho iniziato a suonare, si è scatenata".
Lui
scoppiò a ridere. "Somiglia a te, allora. Mi ama e ama la
musica".
Demelza
ci pensò su. "Vorrei somigliasse a te, però". Lo
desiderava più di ogni altra cosa...
Ross
annuì. "Sì, potrebbe essere una buona idea.
Capelli neri e
amore per la musica. Sarà una bambina fantastica! Hai
pensato a un
nome?".
Demelza
sospirò. "No... E tu?".
Lui
sorrise, fiero di se stesso. "Sì! Sarà una
bellissima bambina
e quindi serve un nome appropriato. Isabella... Bella! Che ne dici?".
Demelza
sfiorò con le dita i petali di una rosa messa nel vaso
poggiato
sulla spinetta, pensierosa. "Isabella Poldark...". Poi,
osservando il fiore, sorrise dolcemente. "Isabella-Rose
Poldark... Che ne dici?" - propose, ammirando la bellezza
splendente ma gentile della rosa.
L'espressione
di Ross si intenerì. "Isabella-Rose... E' un nome perfetto".
In lontananza sentì le risate dei bambini e, guardandosi
attorno, si
accorse che erano soli. "Abbiamo il nome per nostra figlia ma...
Dov'è Etta?".
"Dal
parrucchiere".
"Di
nuovo?" - chiese, terrorizzato.
"Vuole
cambiare il colore dei capelli".
Lui
alzò gli occhi al cielo. "Che Dio la benedica...".
"E'
per colpa tua, la mortifica il fatto che il blu non ti piaccia!".
"Santo
cielo, vorrei ben vedere!".
Lei
ridacchiò. "Sai di che colore li tingerà?".
"Ho
quasi paura a chiedertelo".
"Rossi,
come i miei!".
Ross,
per lunghi istanti, rimase in silenzio. Poi, con un sospiro, le
accarezzò il viso, baciandola sulla punta del naso. "Rossi
come
i tuoi... E' inquietante, direi che possiamo tornare a casa da ORA!
Oggi ho sistemato tutte le faccende in sospeso quì a Londra
e ho
timore che i bimbi siano preda di incubi, con quei capelli che
cambiano colore alla velocità della luce".
Casa...
Un suono dolce pensò, accarezzandosi la pancia. Mancavano
tre mesi
al parto e sì, voleva trascorrerli a casa. "Ross,
sì. Portami
a casa".
"Certo".
Lei
sorrise. "Nella nostra VERA casa, però. Ross, torniamo a
Nampara...".
Ross
spalancò gli occhi e per alcuni istanti non disse e non fece
nulla.
Poi le sorrise in un modo talmente dolce che forse non aveva mai
visto. E la abbracciò, baciandola sulle labbra. "Certo amore
mio, torniamo a casa nostra! A Nampara...".
"Sì,
a Nampara" – ripeté Demelza in un sussurro.
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Capitolo 40 *** Capitolo quaranta ***
Erano
partiti da Londra la sera prima, decidendo di viaggiare di notte per
far dormire i bambini durante il tragitto. Avevano salutato Etta i
cui capelli, dopo che da blu si era tentato di farli diventare rossi,
erano invece diventati verdi e avevano lasciato la capitale.
I
piccoli erano stati bravi durante il viaggio e Jeremy e Clowance
erano stati eccitati all'idea di tornare a Nampara con la loro mamma,
mentre Ellie aveva appreso in silenzio la notizia, con una nota di
timore nel viso. Demelza conosceva sua figlia, sapeva che per
carattere tendeva a chiudersi a riccio nelle situazioni nuove in cui
si trovava, ma sperava che la presenza dei suoi fratelli e il vedere
lei e Ross contenti, l'avrebbero tranquillizzata. Sperava che presto
anche lei potesse considerare Nampara la sua casa.
Giunsero
con la carrozza vicino alla Wheal Grace che era l'alba e Demelza fu
colta da una strana ansia. I bambini dormivano e forse suo marito
poteva percorrere da solo con loro le ultime miglia con la carrozza
mentre lei vi arrivava a piedi. Aveva bisogno di camminare.
Ross
aveva fatto fermare la carrozza senza chiederle nulla, forse capendo
il suo stato d'animo. Stava tornando a Nampara. NAMPARA! E in lei
c'era una strana agitazione unita a gioia e paura... Tre anni prima
aveva giurato di non tornare più indietro, di non crederci,
di non
cascarci ancora per non farsi del male, e ora...
Ora
era meraviglioso ma si sentiva spaventata...
Scese
dalla carrozza, col vento dell'autunno che si agitava in un'alba
fresca ma serena e che le scompigliava i capelli. Lei e Ross si
sarebbero rivisti a casa...
Camminò
nel silenzio della brughiera, costeggiando le scogliere maestose di
quella terra ed osservando silenziosamente il mare che quella mattina
era di un azzurro intenso e limpido.
La
piccola le diede un calcetto contro le costole e Demelza sorrise.
Grazie a quella passeggiata aveva finito con lo svegliarla e la bimba
le stava facendo capire che non ne era troppo contenta.
Dimostrava
già il bel caratterino dei Poldark e ancora non era nemmeno
nata...
Ross ne sarebbe stato orgoglioso!
Pensò
che da quando era rimasta incinta, mai si era soffermata a pensare in
maniera profonda a questa nuova vita, mai aveva avuto un momento
intimo solo con lei. Quando aspettava gli altri figli, spesso si era
fermata ad accarezzarsi il pancione, a cantare una canzone, a
'chiacchierare' col bimbo in arrivo. Era stato così con
tutti, ma
ancora non era riuscita ad avere un momento madre-figlia solo per
loro due, con Isabella-Rose. C'erano troppe problematiche nella sua
vita, c'era stato troppo dolore da affrontare e un rapporto con suo
marito da ricostruire... La sua esistenza, negli ultimi mesi, era
vorticata pericolosamente come una trottola e non aveva mai avuto
modo di godersi davvero la gravidanza.
Si
accarezzò la pancia, forse quella passeggiata avrebbe
regalato a lei
e Isabella-Rose quel momento solo loro che fin'ora era mancato.
"Sai"
– disse, mormorando – "Stiamo tornando a casa. Tu
non ci sei
mai stata e non hai idea di cosa significhi per me. Credevo di aver
perso tutto, Nampara, i miei figli e l'amore del mio uomo... Credevo
che la mia vita sarebbe finita nel posto dov'era iniziata, a
Illugan... Forse non ti ho mai ringraziata per essere piombata nella
mia vita perché senza di te, forse io e tuo padre non
avremmo mai
avuto il coraggio di vivere i nostri sentimenti, di essere sinceri e
di prenderci nuovamente per mano. Mi spiace di aver pianto e di non
essere stata contenta del tuo arrivo, all'inizio. Lo sai che ti amavo
già, vero? Lo sai che quel dolore e quelle lacrime non erano
rivolte
a te, vero? Lo sai, lo sentivi che avevo solo paura?
Sarai
una bambina amata, avrai due genitori che ti adoreranno, due sorelle
e un fratello che non vedono l'ora di conoscerti e io stessa non vedo
l'ora che tu sia quì e di sentire le vostre risate nel
cortile di
casa.
La
vita a volte sa essere imprevedibile, lo imparerai presto,
Isabella-Rose. Imprevedibile nel bene ma anche nel male. Ma se si
riesce a raggiungere un equilibrio, anche dalle cose brutte che si
alterneranno a quelle belle, allora potrai trovare arricchimento e
crescita. Io e tuo padre saremo al tuo fianco, sia quando sbaglierai,
sia quando sarai brava in ciò che ti piacerà
fare. Saremo sempre
accanto a te e qualunque cosa farai, ne saremo fieri.
Il
fatto che tu sia quì, che io sia quì e che tua
sorella Eleanor
abbia un padre non erano così scontati, sai? Eppure, grazie
a te e
soprattutto grazie a tuo padre, ho scoperto che la vita, anche quando
diventa buia, può tornare a splendere.
Sarà
bello passare questi mesi in tua attesa a casa. Ho pensato a mille
cose fin'ora ma adesso vorrei pensare a te. A noi...".
Aveva
parlato tanto a lungo che non si era accorta di essere giunta in
prossimità di Nampara. La vide stagliarsi nell'orizzonte...
La sua
casa, la sua vita, tutto ciò che lei era... Ecco, era
tornata al
luogo dove sentiva di appartenere.
Illugan
era stato il suo rifugio ma forse non l'aveva mai considerata davvero
una casa. Ripensò al giorno in cui, con Hugh, se n'era
andata via a
cavallo e quel dolore, quella sofferenza, quel disincanto patito
allora per un attimo sembrarono sopraffarla.
Ma
fu solo un attimo...
Era
a casa, era tornata per restare e Ross la amava, solo questo contava.
Isabella-Rose le diede un altro calcione nella pancia, forse per
incitarla a non avere paura.
E
Demelza sorrise...
Tornare
era stato un atto di amore e coraggio, quel coraggio che aveva
smarrito un giorno di giugno di tre anni prima.
Era
a casa, adesso. Ed era ora di riprendere la sua vita...
...
Era
stata una giornata strana, quella. Spesso in quei tre anni aveva
visto Prudie, ma sempre ad Illugan. Ed ora ritrovarsi a Nampara,
ancora una volta nelle vesti di padrona, le faceva un certo senso.
Prudie si era dimostrata una madre e un'amica in quegli anni
difficili, aveva spesso asciugato le sue lacrime, l'aveva aiutata con
Eleanor quando erano sole al mondo e l'aveva confortata quando, in
silenzio, piangeva per Ross e i suoi figli perduti.
Appena
entrata in casa l'aveva abbracciata, in silenzio, mentre Ross e i
bambini la guardavano senza fiatare, forse anche loro preda di mille
emozioni capaci di ammutolirli. Vederla a casa dopo tanto, doveva
essere un'emozione forte anche per loro...
Mentre
Ellie dormiva in braccio a Ross, Clowance e Jeremy corsero da lei,
prendendola per mano, seguiti da Garrick che scodinzolava senza sosta
fin dal suo ingresso in casa.
Demelza
camminò in quegli ambienti tanto famigliari ma allo stesso
tempo
estranei. Ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi di nuovo a quella
casa.
Coi
due figli più grandi osservò i mobili, la cucina,
le scale, la
credenza, la disposizione delle sedie, lo studio di Ross... Non era
cambiato niente, tutto era rimasto uguale.
Sentì
gli occhi inumidirsi e si sentì stupida. Perché
diavolo le stava
venendo da piangere?
Ross
le andò vicino, mentre Jeremy la fissava preoccupato. "Va
tutto
bene, amore mio?".
"Sì...
La gravidanza mi rende un pò troppo sensibile, tutto
quì".
Clowance
rise mentre Jeremy aumentò la stretta sulla sua mano. Lui
era il più
grande, quello che più aveva sofferto e forse pure quello
che meglio
la capiva.
"Bambini
sto bene, davvero! E sono felice di essere a casa" – disse,
per tranquillizzare tutti.
Prudie
le toccò la spalla. "Dove la facciamo dormire, la nana?" -
disse indicando Ellie che, sonnecchiosa, aveva aperto gli occhi e
aveva affondato il viso fra le braccia di suo padre.
Clowance
saltellò. "Con noi, con noi! Come a Londra e a Illugan!
Tutti
insieme, vero papà?".
Ross
annuì. "Come preferite, per me va benissimo. A te va bene?"
- chiese, rivolto alla piccola.
Ellie
scosse la testa, piagnucolando. "Casa? Vojo la mia casa".
Demelza
mise da parte le sue emozioni, accarezzando la schiena della piccola.
"Amore, questa è la nostra casa, ora. Vivremo quì
tutti
insieme e vedrai, ti piacerà".
"Ma
i conilli e le galline? E i puccini?".
Ross
la baciò sulla fronte per tranquillizzarla. "Li ha portati
quì
Prudie, sono tutti nella stalla" – disse, mettendola a terra.
Jeremy
prese la piccola per mano. "Dai, vieni a vedere!".
Ellie,
sospettosa, guardò Ross. "Davelo?".
"Davvero".
Clowance,
ridendo, le prese l'altra mano. "Dai, andiamo nella stalla a
giocare. I tuoi animali di Illugan sono tutti là".
Demelza
e Ross sorrisero. I bambini non vedevano l'ora di stare all'aria
aperta per divertirsi come avevano fatto tutta estate ad Illugan.
Prudie
corse loro dietro e lei e suo marito rimasero da soli.
Ross
sospirò. "Tenerli in casa sarà un problema,
questo inverno".
"Credo
di sì. Ma si distrarranno con Isabella-Rose" –
mormorò
Demelza, accarezzandosi il ventre.
Ross
la baciò sulla fronte, stringendola a se. "Bentornata.
Credevo
che questo giorno non sarebbe mai arrivato".
"Nemmeno
io Ross, nemmeno io...".
Lui
la guardò con espressione seria. "Quel giorno te ne sei
andata
perché non avevi più la forza di credere in noi.
Non è più così,
vero?".
Demelza
gli accarezzò la guancia, anche Ross aveva bisogno di
rassicurazioni, come tutti loro. "No! Non sarei mai tornata se
non credessi in noi".
"Ti
fa un effetto strano essere di nuovo quì, vero?".
"Vero.
E' tutto uguale ad allora e allo stesso tempo mi sembra tutto
diverso. Mi sento un pò spaesata come Ellie".
"Passerà".
Demelza
sorrise, abbracciandolo. "Passerà, lo so".
"Sei
felice?" - chiese Ross, improvvisamente.
E
a quella domanda, le si strinse il cuore. Le aveva chiesto se era
felice e quale espressione migliore dell'amore, se non quella di
preoccuparsi della felicità di chi si ha accanto?
"Sì, sono
felice. E tu?".
"Anche
io" – rispose lui, dandole un tenero bacio sulle labbra.
...
La
giornata era trascorsa in modo sereno, nonostante Ellie fosse stata
un pò piagnucolosa e capricciosa. Ross l'aveva tenuta in
braccio per
la maggior parte del tempo e il suo viso si era illuminato ogni volta
che lei lo aveva chiamato papà.
Clowance
e Jeremy invece erano stati sempre attaccati alla loro mamma, quando
non erano impegnati a giocare fuori casa.
Dopo
cena avevano fatto una passeggiata sulla spiaggia e al ritorno a casa
avevano fatto fare un bagno caldo ai tre bambini e li avevano messi a
letto mentre anche Ross, a sua volta, prendeva il loro posto nella
tinozza.
Demelza
aveva sentito le bambine ridere e parlottare e, visto che Prudie era
già andata a dormire, ne aveva approfittato per piegare
alcune
tovaglie rimaste in disordine sul tavolo della cucina.
Canticchiando,
non si rese conto dell'arrivo di Jeremy che, giunto alle sue spalle,
le cinse la vita. "Mamma".
"Tesoro,
cosa c'è? Sei stanco di sentire Clowance parlare di
bambole?".
Il
bimbo annuì. Aveva quasi otto anni e in quei mesi aveva
perso
diversi denti da latte e questo lo rendeva piuttosto buffo quando
parlava o rideva. "Un pò. Però... posso chiederti
una cosa?".
Parlò
con tono di voce serio e Demelza capì che qualcosa si
agitava in
lui. Lo prese per mano e insieme si sedettero sulle scale. "Chiedimi
pure tutto quello che vuoi".
Lui
la guardò, serio. "Tu e papà adesso non litigate
più, vero?".
Demelza
deglutì. Quante ferite aveva inferto a suo figlio, in quegli
anni in
cui erano stati lontani? Quante paure, quanto dolore aveva dovuto
affrontare il suo bambino? Clowance era piccola quando lei se n'era
andata ma Jeremy... "Certo che litigheremo e probabilmente ci
terremo pure il muso per alcuni giorni, quando succederà. E'
così,
succede... Anche questo è amore, sai? Ma ti giuro che mai,
MAI più
me ne andrò da quì. Io e il tuo papà
ci amiamo e come vedi, non
siamo capaci di stare lontani... Mi dispiace di essermene andata,
c'erano tante cose difficili nella mia vita quando l'ho fatto. So che
ti ho fatto soffrire e ti giuro che era l'ultima cosa che avrei
voluto. Non avevo scelta, allora. Ma ora sono quì e staremo
insieme.
Tu, io, papà e le tue sorelle".
Jeremy
annuì, più tranquillo. "Anche con Isabella-Rose?".
"Certo!
Dove vuoi metterla? A dormire nella stalla?" - chiese lei
ridendo, facendogli il solletico sul pancino.
Jeremy
rise, abbracciandola. "Sono contento che sei quì a casa.
Anche
Clowance lo è. E Prudie! E Garrick".
Lo
baciò sulla fronte, stringendolo a se per rassicurarlo. Era
ancora
il suo bambino sensibile, quello con cui aveva il legame più
profondo e saldo. Amava tutti i suoi figli ma Jeremy era qualcosa di
diverso dagli altri... Con lui, aggrappandosi a lui, aveva superato
il momento più difficile della sua vita quando Elizabeth gli
aveva
quasi portato via Ross in una notte maledetta... Sarebbe impazzita se
non avesse avuto Jeremy con se, allora...
"Mamma!".
La voce di Clowance, allarmata, giunse alle sue spalle. "Ellie
piange!".
Demelza
guardò Jeremy negli occhi e poi, coi due figli per mano,
salì le
scale per andare nella stanzetta dei bambini.
Ellie,
abbracciata a Kiky, sembrava inconsolabile. "Amore, cosa
c'è?".
La
piccola la abbracciò in maniera convulsa, senza riuscire a
dire cosa
la tormentasse, anche se Demelza sapeva bene cosa avesse. Si sentiva
spersa in quella casa ancora sconosciuta per lei e le prime notti
sarebbero state difficili da gestire. "Ellie, ci siamo noi con
te. E Kiky".
"Casa"
– piagnucolò la piccola.
"Siamo
a casa" – la corresse Demelza.
Ellie
pianse più forte e a quel punto, per fortuna, dal bagno
arrivò
Ross. Era a petto nudo, coi capelli bagnati e con indosso solo un
paio di pantaloni. "Che cos'ha la mia bambina bionda che ama i
conigli?" - esclamò, prendendola in braccio.
"Casa"
– piagnucolò Ellie.
Ross
si sedette sul letto, con la piccola sulle ginocchia. "Sei a
casa, mamma ha ragione. La nostra casa è dove siamo tutti
insieme e
lo vedi? C'è tua madre, ci sono Jeremy e Clowance,
c'è Garrick e i
tuoi coniglietti e le tue galline coi pulcini sono nella stalla.
C'è
anche Kiky, giusto?".
"Sì".
Ross
si chinò si di lei, baciandole la fronte. "E c'è
papà qua con
te, vero?".
Ellie
lo guardò con quei suoi occhi azzurri e trasparenti.
"Papà..."
- disse, con quella sua vocina infantile e stentata di chi ancora
faticava a crederci. Però poi sorrise. "Casa?".
"Certo,
sei a casa e non devi avere paura".
Ellie
si asciugò le lacrime. "Nanna con te e mamma?".
Ross
sospirò, evidentemente aveva altri programmi per la serata.
E
Demelza rise, aspettando che se la cavasse da solo. "Mamma e
papà dormono nella stanza quì a fianco, tu
dormirai quì con i tuoi
fratelli e con Kiky e quando sarà mattina e ci
sarà un pò di luce,
potrai venire nel lettone da noi. Ma per adesso, ognuno nel proprio
letto".
Ellie
annuì, anche se non troppo convinta. "Tu e mamma, vicini?".
"Sì,
siamo vicini a te" – si intromise Demelza, accarezzandole i
capelli.
La
bimba si tranquillizzò e Demelza e Ross la misero nel letto
stretta
al suo coniglio, fra Clowance e Jeremy.
Demelza
raccontò loro una fiaba come faceva la sera ad Illugan e
presto, in
un modo o nell'altro, tutti e tre dormirono. Spensero le candele, li
coprirono con un lenzuolo e poi si avviarono verso la loro camera,
col cuore in tumulto. Avevano fatto spesso l'amore nelle ultime
settimane ma ora erano a Nampara, nella loro stanza, nel letto dove
Ross l'aveva fatta diventare una donna. Il ricordo di quel vestito
blu e di quella notte la emozionavano ancora...
Appena
vi giunsero, Ross chiuse la porta. Demelza si sedette sul letto,
accarezzando la coperta messa come copriletto. "Mi è mancato
tutto questo".
Lui
le si avvicinò. "Anche a me".
Demelza
gli accarezzò la guancia. "Sei stato bravo prima, con Ellie".
"Grazie.
Non preoccuparti, si abituerà presto a Nampara".
Si
guardarono negli occhi e Ross le cinse la vita con le braccia. "So
che è stato difficile oggi per te, essere quì".
Lei
sorrise. "Lo è stato per tutti, credo".
"Ma
per te particolarmente. Sono orgoglioso di te, di noi".
Demelza
lo baciò sulle labbra, lentamente. "C'è voluto
coraggio ma ora
sono semplicemente felice. Tu sei quì, i bambini dormono,
Isabella-Rose dorme e non mi da calci e io... io voglio solo te"
– sussurrò, contro le sue labbra.
Gli
occhi di Ross si accesero di desiderio. Le sfiorò il bordo
del collo
della camicia da notte, accarezzandola sulla mascella e sul mento. "E
io te. Ho sempre desiderato te e che tu tornassi... Te e nessun altro
e ora che so che ci credi, sono l'uomo più felice che ci sia
in
Cornovaglia".
Demelza
non gli rispose. Lo baciò sulle labbra, un bacio lungo e
appassionato. E Ross si costrinse al silenzio, come lei.
Non
era più il momento di parlare.
Si
stesero sul letto, sul LORO letto. E fecero l'amore con la stessa
passione e la stessa emozione di quella loro prima volta di tanti
anni prima.
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Capitolo 41 *** Capitolo quarantuno ***
Fu
un pò complicato da gestire, all'inizio.
Mentre
Ross, assieme a Demelza, Jeremy e Clowance, si gustava la ritrovata
unione famigliare a Nampara, per la piccola Ellie le prime settimane
nella nuova casa furono piuttosto difficili.
Se
durante il giorno giocava ed appariva serena come era sempre stata,
lo stesso non poteva dirsi per la sera dove, immancabilmente,
scoppiava a piangere subito dopo cena e pareva diventare
inconsolabile. Addormentarla, anche nel letto assieme ai fratelli,
era spesso lungo e complicato e a volte Ross e Demelza avevano dovuto
cedere e portarla nella loro stanza anche se, pure lì, il
suo sonno
era agitato.
Ross
ci rimuginò sù, per cercare di capire. Ellie non
era mai stata
capricciosa ma al contrario, era una bambina dall'animo buono e aveva
un sorriso delizioso e biricchino che sapeva conquistare tutti,
eppure, ora sembrava un'altra persona... Demelza era preoccupata e a
fine gravidanza, era stanca e provata e non riusciva a pensare
lucidamente a come risolvere il problema della piccola. E in
realtà,
lui nemmeno voleva che per sua moglie diventasse un problema
insormontabile e fonte di nuove ansie. Ellie stava fisicamente bene,
il suo pianto non era sintomo di malattie o problemi seri e bisognava
semplicemente capire cosa la turbasse tanto.
Il
fatto che ancora non sapesse esprimersi bene a parole, non era di
molto aiuto. E forse, anche sapendo parlare, nemmeno lei avrebbe
potuto spiegare cosa la turbasse tanto. Di giorno, finché il
tempo
si manteneva bello, giocava allegramente in cortile con Jeremy e
Clowance e stava ore nella stalla, assieme a Prudie, a prendersi cura
degli animali.
Ellie
amava i suoi coniglietti e le sue galline e probabilmente il suo
attaccamente ad essi era aumentato a Nampara. Erano un legame, un
vincolo a quello che era stato il suo mondo fino a poco prima, ad
Illugan... Prendersi cura di loro la faceva sentire sicura.
Ma
quando si faceva buio e si doveva preparare la cena, Ellie diventava
malinconica. Demelza le aveva provate tutte: suonare la spinetta,
raccontare una fiaba, cantare una ninna-nanna. Ma nulla pareva
funzionare ed Ellie piangeva e, anche quando si addormentava
abbracciata a Kiky, il suo sonno era disturbato da mille incubi e
pensieri che la facevano svegliare in lacrime.
E
così, dopo due settimane di nottate in bianco, Ross decise
di
cambiare tattica.
La
sua idea non entusiasmò Demelza ma lui la convinse a
lasciarlo
provare. Le notti di quell'autunno erano ancora abbastanza tiepide e
forse c'era un posto dove dormire che poteva essere di aiuto alla
piccola.
Dopo
molte insistenze, Demelza cedette. Ross permise a Clowance e Jeremy
di dormire nel lettone mentre lui, dopo aver avvolto Ellie e Kiky in
una coperta, avrebbe provato a dormire in quella stalla che la sua
figlia più piccola sembrava amare tanto.
Con
la lanterna in una mano e la piccola stretta nell'altro braccio,
raggiunse la stalla. Ellie pareva aver preso bene quella
novità e lo
guardava incuriosita. Quella sera non aveva più pianto, dopo
aver
saputo i programmi per la notte... "Questa notte dormiremo
quì,
sei contenta? Quì ti piace, vero?" - disse, mettendo la
piccola
su della paglia pulita che aveva ammucchiato prima di cena.
Ellie
si strinse nella coperta, abbracciando Kiky. "Sì".
Le
si sedette accanto. "Solo io, te e il tuo coniglietto. Assieme a
tutti gli animali che curi con Prudie e che hai portato quì
da
Illugan".
Ellie
si guardò attorno, fissando prima i vitelli, poi il recinto
delle
galline e dei pulcini e infine l'angolo dove dormivano i coniglietti.
"Tutti la nanna?".
"Tutti
la nanna, sì".
Lei
sorrise. "Allola non pango!".
Ross
sospirò. "Davvero quì non piangi?".
"Davelo".
"Perché
in casa, sì? In casa ci sono la mamma, Clowance e Jeremy,
Prudie e
la sorellina che deve nascere. Non sei più contenta con
loro?".
"Sì".
Sbuffò.
Cercare di capire cosa le passasse per la testa era difficile. "E
allora perché piangi tanto e non ci fai dormire?". La
situazione era preoccupante! Eleanor non amava dormire e la piccola
Isabella-Rose si scatenava nel pancione, appena Demelza si metteva a
letto. Lui e sua moglie non avrebbero chiuso occhio per anni, temeva!
Incurante
dei suoi pensieri Ellie, col ditino, indicò i suoi animali.
"Pecché
sono da soli. Quì tutto grandissimo e io dommo lontana.
Plima ero
vicina".
Ross
fissò gli animaletti che si erano portati dietro da Illugan.
Ricordava che da subito, ben prima che nascesse Eleanor, Demelza
aveva comprato alcune galline e alcuni coniglietti da allevare e se
ne era poi presa cura con la bimba, insieme. Il mulino di Illugan era
piccolo, ad Ellie bastava affacciarsi alla finestra o uscire dalla
porta per vedere i suoi animali e probabilmente, averli sott'occhio,
la faceva stare tranquilla. Nampara era diversa, la stalla era
staccata dalla casa e sì, erano più lontani da
lei e quindi, in un
certo senso, la piccola ne aveva avvertito il distacco. Ed
essendosene presa cura da sempre, si sentiva responsabile per loro.
Si
rese conto che Ellie era davvero tanto sensibile, molto più
di
quello che avrebbe immaginato. Ne aveva avuto una prima conferma con
la storia del tricorno e anche ora era riuscita a lasciarlo a bocca
aperta. Le accarezzò i capelli biondi, sprofondando fra la
paglia e
stringendola a se. "Ellie, ma sai, anche se sei più lontana,
non vedi? Ora hanno una casa grande dove dormire, più
spazio, più
fieno e più caldo. Stanno bene, guarda!".
Ellie
annuì. "Davelo?".
Ross
le strizzò l'occhio. "Certo, davvero! Staremo quì
a dormire
con loro e vedrai che sono tranquilli e al sicuro più di
prima. E
quando verrà freddo, gli porteremo delle coperte di lana per
scaldarli. Saranno all'asciutto e al caldo in un posto tutto per
loro! Come te, che ora hai una casa più grande".
Ellie
lo aveva ascoltato in silenzio, assorta, succhiandosi il pollice. Poi
aveva sorriso, rannicchiandosi contro al suo petto. "Papà".
"Cosa?".
"Papà...".
Lo
ripeté una seconda volta, come assaporando il suono di
quella parola
che ora era finalmente anche sua. Poi stette in silenzio, alzando lo
sguardo su di lui per guardarlo negli occhi.
Ross
sussultò. Aveva la stessa espressione seria che le aveva
visto in
viso quando, a Londra, le aveva restituito il tricorno. Una
serietà
così atipica in una bambina tanto piccola, così
come la strana vena
di malinconia che pareva attraversarle il viso.
Lui
lo sapeva, che lei sapeva...
Ellie
aveva capito che poterlo chiamare papà non era stata una
cosa
scontata, lei lo sapeva che aveva dovuto conquistarselo il suo amore,
lei aveva compreso ogni cosa osservando in silenzio lui e Demelza per
oltre un anno. Qualcuno, una volta, glielo aveva detto che i bambini
sanno vedere molto più in la degli adulti e che sanno
cogliere la
verità anche dietro apparenti bugie raccontate per tenerli
lontani
dalla sofferenza.
Glielo
aveva insegnato Jeremy, durante la separazione da Demelza...
E
ora Ellie gli aveva ribadito il concetto...
Ross
la baciò sulla fronte, dolcemente. Lei sapeva, ma lui aveva
dalla
sua parte il tempo e l'età giovanissima di sua figlia.
Avrebbe
saputo essere un buon padre e lei, pian piano, avrebbe dimenticato
che una volta per lui era solo baby Armitage e non era affatto
desiderata.
...
L'autunno
era passato velocemente e Demelza, pian piano, si era riabituata alla
sua vecchia vita a Nampara. In fondo non era stato difficile per lei
perché sempre, silenziosamente, aveva rimpianto quella che
riteneva
la sua unica e vera casa.
L'autunno
era stato piuttosto caldo e clemente e i bambini lo avevano passato
per lo più all'aria aperta mentre Ross, in evidente crisi
nel
rapporto con Lord Falmouth, aveva troncato ogni rapporto con Londra
ed era tornato ad occuparsi a tempo pieno della Wheal Grace. Demelza
non sapeva se si trattasse solo di una fase, in quei mesi aveva
scoperto che a Ross l'esperienza politica era piaciuta e quindi,
probabilmente, prima o poi ne avrebbe sentito nuovamente il richiamo
perché era consapevole che quella era la sua strada e
l'unico modo
di fare qualcosa per le persone a cui teneva. L'aveva nel sangue,
come il rame e le miniere...
Jeremy
e Clowance le stavano sempre vicino, cercando di aiutarla in mille
modi. Ross aveva spiegato loro che ora che era quasi a fine
gravidanza, dovevano darle una mano perché lei si sarebbe
stancata
spesso e i bimbi avevano preso molto seriamente la questione.
Si
sentiva coccolata e amata e in un certo senso sperava che questo
stato di cose durasse il più a lungo possibile. Per due
anni, ad
Illugan, mai si era sentita tanto riposata e serena.
Ellie
aveva dormito con Ross nella stalla per dieci notti. Con occhio
attento aveva osservato i suoi animali e pian piano aveva compreso
che, come lei, avevano trovato una nuova casa e si era
tranquillizzata.
Ross
non l'aveva forzata a rientrare e aveva aspettato che fosse la bimba
a chiedere di tornare a dormire in casa.
E
dopo dieci notti, Ellie aveva chiesto di dormire con i suoi
fratelli... Da allora aveva smesso di piangere la sera e pian piano
si era riappropriata della sua vita serena e delle sue abitudini.
Demelza
aveva tirato un sospiro di sollievo. Era preoccupata per la sua bimba
e non aveva idea di cosa potesse fare per aiutarla.
Ma
Ross...
Ross
aveva trovato invece la strada giusta per capire, per tenderle una
mano e infine superare quel piccolo momento difficile che lei stava
vivendo. Suo marito era molto bravo a capire Ellie, in un certo senso
più di quanto lo fosse lei che quella bambina l'aveva messa
al
mondo.
Non
era gelosa di questo, ne era orgogliosa e felice e alla fine aveva
capito che in fondo era normale per loro capirsi tanto bene. Ellie e
Ross avevano dovuto conoscersi e accettarsi e fino a quel momento
avevano avuto, pur per ragioni diverse, un percorso molto simile. Ora
le loro strade si erano unite e insieme stavano superando gli ultimi
strascichi di quel faticoso processo che avevano compiuto insieme.
Ora
Ellie era felice. E anche Ross...
Ora
erano una grande famiglia che presto si sarebbe ulteriormente
allargata con l'arrivo della piccola Isabella-Rose.
Gli
ultimi mesi di gravidanza, in quell'autunno, erano stati fisicamente
pesanti e spesso aveva passato i pomeriggi a letto. La bambina era
grande, molto pesante e si muoveva senza sosta e lei era davvero
stanca.
Isabella-Rose
si stava già dimostrando vivacissima e Demelza, a quel
pensiero,
sorrideva: concepita in un giorno di tempesta, era decisamente una
Poldark, quella piccolina!
E
lei non vedeva l'ora di conoscerla!
...
Era
una serata molto fredda quella. Mancavano cinque giorni a Natale e
finalmente un leggero strato di neve era giunto a donare candore a
quegli ultimi scampoli di Avvento, regalando un aspetto magico ai
giardini di Trenwith.
Elizabeth
era felice e in attesa. Geoffrey Charles sarebbe tornato a casa per
le feste fra tre giorni, George era diventato più gentile e
affettuoso da quando era rimasta nuovamente incinta e anche Valentine
sembrava godere di questa strana armonia famigliare.
George
non era mai particolarmente affettuoso con il figlio ma ultimamente
sembrava non voler più protestare per le attenzioni che lei
gli
riservava, tenendosi per se tutte le accuse di volerlo viziare.
In
realtà per lei leggere una storia a suo figlio di sera,
prima che si
addormentasse, non era un vizio ma un momento magico e solo suo che
voleva godersi più dello stesso Valentine.
Elizabeth
si sentiva spesso in colpa verso di lui perché sapeva di non
amarlo
al pari di Geoffrey Charles. Lo amava, certo, ma non di quell'amore
viscerale che provava per il suo primogenito...
Sperava
che, con la nascita del nuovo bambino, anche il suo atteggiamento
verso Valentine sarebbe cambiato, oltre a quello di George.
Guardare
Valentine era difficile perché in lui rivedeva Ross e con
esso il
sapore amaro della sconfitta. Ross l'aveva amata da ragazzo e lei, a
quell'amore, ci si era aggrappata sempre, pur sposando altri due
uomini.
Sapeva
che non era nella posizione di chiedergli nulla ma l'idea che lui
fosse rimasto comunque in suo potere, la consapevolezza di ammaliarlo
ancora e che una parte del suo cuore era rimasta legata a lei,
l'avevano sempre riempita di una strana euforia e di un senso di
superiorità che la faceva sentire superiore rispetto ad ogni
altra
donna.
Ma
poi, a conti fatti, nonostante Valentine, nonostante quella notte,
lui aveva scelto lei...
Lei,
che lo aveva lasciato...
Lei,
arrivata dal nulla senza educazione e poco avvezza all'etichetta...
Lei,
che non era altro che la sua sguattera...
Lei,
che si diceva avesse avuto una figlia da un'altro...
Eppure
aveva scelto lei!
Eppure,
inspiegabilmente, amava lei...
E
ora guardare Valentine faceva male, avrebbe sempre fatto male ogni
volta che il pensiero fosse caduto su colui che poteva essere suo
padre.
Ma
Elizabeth aveva deciso, a modo suo, di superare quello sfregio alla
sua presunta superiorità. Ross Poldark aveva scelto la sua
sguattera? Amava lei? Bene, evidentemente quello che si diceva di lui
corrispondeva al vero, era un selvaggio che non sapeva seguire le
regole, un eversivo, un uomo di cui non fidarsi. Uno così
poteva
andar bene solo con una donna da poco come Demelza, una donna che non
conosceva alcuna morale! E averlo perso, per lei, era stata solo una
fortuna!
"Mamma,
ma domani mi leggi la fine della storia?" - chiese Valentine,
sprofondato fra le coperte e i cuscini del suo lettino.
Elizabeth
gli sorrise, scostandogli con la mano i ricciolini neri che gli
coprivano gli occhi. Era ormai tardi ed era ora di andare a letto per
lui. E lei aveva altro da fare... "Domani saprai la fine".
Lui
annuì. "Ma quindi domani mi racconti se Tristano se la
sposa,
Isotta? Alla fine si sposeranno, vero mamma?".
"Lo
saprai domani!" - gli rispose, pentendosi di aver scelto, fra le
tante storie a sua disposizione, un libro che narrava una vicenda
tanto tragica. Tristano e Isotta non sarebbero mai stati felici, non
avrebbero mai coronato il loro sogno d'amore e sarebbero sempre stati
il simbolo che l'amore vero, a volte, non vince. Beh, ripensandoci
forse era meglio così, era meglio che Valentine lo capisse
da subito
che le favole non esistono e che i lieti fini ce li si deve costruire
da soli, proprio come avrebbe fatto lei quella sera.
"Me
lo hai promesso, non dimenticarlo!" - la ammonì il bimbo.
"Giuro,
domani finiremo la storia!" - rispose lei. Lo baciò sulla
fronte, gli rimboccò le coperte e poi, dopo aver spento la
candela,
uscì dalla stanza.
Percorse
i corridoi bui e silenziosi di Trenwith, osservando i quadri alle
pareti. Quella sera George era impegnato in una riunione a Redruth e
quindi era il momento ideale per portare a compimento il suo piano.
Entrò
nella sua stanza, si tolse la vestaglia e poi, dopo aver preso una
piccola ampollina nascosta nella sua cassettiera, fra i suoi vestiti,
si sedette sul letto.
Si
accarezzò il pancione, rimuginando sul da farsi e
chiedendosi se non
fosse troppo presto per portare a termine il suo piano.
Aveva
letto molti libri sui bambini prematuri in quel periodo e alla fine
aveva scoperto che, pur nascendo un mese prima, i neonati non
presentavano gravi problemi di salute, per lo più.
Il
suo bambino era piuttosto vispo, scalciava vigorosamente ed era
indubbiamente sano. Nascere un mese prima non avrebbe comportato
nulla per lui ma avrebbe significato tutto per lei e Valentine.
C'era
un unico modo per convincere George che lei metteva al mondo solo
bambini prematuri, mettendo fine a tutti i suoi dubbi sulla
paternità
di Valentine e riacquistare una serena pace famigliare: far nascere,
un mese prima, il piccolo erede Warleggan che stava aspettando.
Gennaio
non era lontano, in fondo. Mancavano quattro settimane alla data
ufficiale del parto e il bambino, decise, era abbastanza grande per
venire al mondo. Quella che doveva partorire a dicembre era Demelza
che, da quel che sapeva, era ancora incinta. Beh, le avrebbe rubato
il suo momento di gloria, partorendo prima di lei! Anche questa era
una vittoria, dopo tutto... In fondo, chiunque sarebbe corso a
conoscere il piccolo erede Warleggan, appartenente a una delle
famiglie più ricche della Cornovaglia. Di Ross e Demelza,
forse, si
sarebbero accorti solo quei pezzenti minatori che loro consideravano
amici. Solo loro, forse, si sarebbero interessati a quella nascita...
Aveva
fatto preparare di nascosto da tutti, da un erborista di Truro, un
composto che le avrebbe provocato le doglie. Il suo piano era
perfetto: avrebbe partorito in nottata o il giorno dopo e, all'arrivo
di Geoffrey Charles, la famiglia sarebbe stata finalmente riunita e
felice con un nuovo bambino ad allietarla.
Osservò
l'ampolla fra le sue mani, col suo contenuto verdastro. Da quel
piccolo oggetto dipendeva tutta la sua vita. E quella dei suoi figli.
Si
massaggiò nuovamente il ventre, il suo bambino pareva
tranquillo
quella sera. "E' ora, piccolo mio, fra poco ci vedremo" –
sussurrò.
Poi
aprì l'ampolla, bevendone il contenuto in un sorso.
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Capitolo 42 *** Capitolo quarantadue ***
Mancavano
quattro giorni a Natale, la piccola Isabella-Rose era in ritardo e
Demelza si chiedeva se avrebbe passato le festività con
quell'enorme
pancione che sembrava voler esplodere da un momento all'altro.
Nonostante
fosse indubbiamente stretta, la piccola riusciva ancora a scalciare
vigorosamente anche se sembrava non avere troppa fretta di nascere.
Demelza
si sentiva stanca, goffa ed enorme e non vedeva l'ora di partorire e
di stringere fra le braccia quella bimba che, inconsapevolmente,
aveva donato a lei e a Ross una seconda chances.
Quella
mattina suo marito era uscito presto per andare alla miniera a
consegnare gli stipendi ai minatori. L'estrazione di rame era andata
a gonfie vele negli ultimi mesi e i guadagni erano triplicati,
sarebbe stato un bel Natale per tutti.
Anche
se Demelza sospettava che quella di Ross fosse anche una fuga... Si
rendeva conto di essere 'vagamente' nervosa in quegli ultimi giorni,
pronta a mordere a ogni minima contrarietà e suo marito era
colui
che più di tutti veniva preso di mira per sfogare la
tensione di
quegli ultimi scampoli di gravidanza. Questo, nonostante fosse
nervosa come un gatto, la divertiva...
Faceva
freddo e una leggera spolverata di neve aveva reso il paesaggio
ancora più gelido, ma i bambini avevano insistito comunque
per
andare di persona nella stalla a dar da mangiare agli animali.
In
quei giorni erano eccitati per il Natale, per i doni e per il fatto
di essere tutti insieme a Nampara ma Ross aveva dovuto spegnere un
pò
del loro entusiasmo spiegandogli che avrebbero fatto una piccola
festa per pochi intimi, visto che la sorellina doveva nascere a
momenti. A meno che Isabella-Rose avesse deciso di nascere proprio a
Natale e allora non ci sarebbe stato nemmeno tempo per il pranzo...
Avevano
organizzato solo un piccolo rinfresco con Dwight e Caroline, assieme
a Prudie, niente di più. Se la bimba avesse deciso di
nascere
proprio durante le festività, i loro due amici avrebbero
capito la
situazione e sarebbero semplicemente stati felici per loro.
Impastando
un pasticcio di carne che doveva fungere da pranzo, Demelza si
massaggiò il ventre. Quella mattina aveva strani dolorini ad
intermittenza che non volevano passare...
Era
già capitato altre volte nell'ultima settimana e alla fine
si era
sempre rivelato un falso allarme e quindi non voleva illudersi.
Conosceva i dolori del travaglio e quelli non lo erano affatto! Anche
se, doveva ammettere, era piuttosto fastidioso. "Giuda" –
mormorò, mordendosi il labbro.
Prudie,
seduta accanto a lei e intenta a lucidare dei bicchieri,
alzò lo
sguardo. "Ci siamo?".
Demelza
alzò gli occhi al cielo! Dannazione, sarebbe impazzita se
continuavano a porle quella domanda! Glielo chiedeva sempre Ross ogni
volta che la vedeva cambiare espressione, glielo chiedevano i
bambini, glielo chiedevano i vicini! Glielo chiedevano tutti e lei
sentiva di non avere pazienza per nessuno! Voleva solo silenzio e la
sua bambina! "No, non ci siamo!".
"Senti
male, mi pare" – borbottò di sbieco la serva.
"Solo
qualche doloretto!".
Prudie
alzò le spalle. "Sarà, ma oggi mi sembri diversa!
Entro
stasera, secondo me, avremo una nanetta urlante per casa!".
Con
un gesto stizzito, Demelza picchiò il pasticcio appena
impastato sul
tavolo, alzando una nuvola di farina. Era nervosa come un gatto e se
Prudie non fosse stata zitta, se la sarebbe mangiata per pranzo. "Se
non stai zitta, farò urlare te!".
Prudie
alzò il sopracciglio, per nulla intimorita. "Sì,
decisamente
ci siamo" – bisbigliò, ridendo sotto i baffi.
Demelza
la fulminò con lo sguardo poi, dopo essersi tolta il
grembiule e
averlo lanciato sul tavolo, si avviò verso la porta.
"Dove
vai?" - urlò Prudie.
"A
controllare che i bambini non siano congelati nella stalla. Non
preoccuparti, non partorirò nel breve tratto che mi separa
da loro"
– borbottò, sarcastica.
Ma
quando fece per aprire la porta, qualcuno bussò a quello
stesso
uscio.
Demelza,
sorpresa, aprì, trovandosi davanti un volto conosciuto e
amico.
"Dwight? Che ci fai quì?" - chiese, stupita di trovarsi
davanti a quell'ora del mattino, il medico. Era inusuale che Dwight
venisse all'improvviso e ancor più lo era a quell'ora in
cui, di
solito, visitava i suoi pazienti alle miniere della zona. Demelza si
accigliò. Era pallido e pareva preoccupato e stravolto. "E'
successo qualcosa? Caroline sta bene?" - balbettò,
lasciandolo
entrare.
Dwight,
quasi in tranche e senza risponderle, entrò in casa e si
tolse il
tricorno. "Ross non c'è?".
"E'
alla miniera, oggi è giorno di paga".
Il
medico si sedette sulla panca mentre Prudie, dopo un'occhiataccia
della sua padrona, si sbrigava a servigli un bicchiere di Porto.
"Grazie" – disse lui, bevendolo in un sorso.
Demelza
si sedette vicino a lui, sfiorandogli la mano. "Dwight, cosa
è
successo?". Se era lì, in quelle condizioni, DOVEVA essere
successo qualcosa. Non era una visita di cortesia, quella...
Lui
scosse la testa. "Caroline sta bene e pian piano ci stiamo
riprendendo dalla perdita di Sarah. Non sono quì per lei".
Alzò
lo sguardo, a guardarla in viso. "Ho bisogno di parlare con
Ross. Ma forse posso parlare anche con te, se te la senti".
Demelza
annuì. "Certo che me la sento, che ti salta in mente?"
–
chiese, massaggiandosi il ventre in preda a una nuova fitta.
Dwight
si accigliò. "Stai bene?".
Prudie,
dietro alle loro spalle, ghignò e Demelza, dopo averle
lanciato
un'altra occhiata assassina, annuì. "Sì, sto
bene. Mi sento
enorme come una balena ma sono in forma... Per quanto lo si possa
essere negli ultimi giorni di gravidanza".
"Vuoi
che ti faccia una visita? La bambina dovrebbe essere nata
già da
qualche giorno e, a questo punto, ogni momento può essere
quello
buono".
Demelza
sorrise. "Sta tranquillo, non ho bisogno di visite, sto bene.
Sono solo incinta, non è la fine del mondo! E ho
già partorito
quattro volte, so come funziona".
Dwight
si oscurò in volto. "Non sottovalutare i rischi, Demelza...
Il
destino a volte è...".
Lei
gli prese le mani, non voleva che proseguisse e non gli sembrava
nemmeno da lui tutto quel pessimismo esibito davanti a una donna che
si apprestava a partorire. "Dwight, cosa c'è?
Cos'è successo?
Mi chiedi se sto bene ma quì quello che sembra a pezzi sei
tu".
L'uomo
prese un profondo respiro. "Sono stato chiamato a Trenwith poco
dopo la mezzanotte e torno proprio ora da lì".
Spalancò
gli occhi. "Trenwith? Come mai?". Valentine stava di nuovo
male? Oppure si trattava di George o Elizabeth?
Il
medico si prese la testa fra le mani, scuotendo il capo. "E'
successo qualcosa che non capisco".
"A
chi?".
"Elizabeth
Warleggan ha partorito stanotte. Una bambina, Ursula...".
Demelza,
suo malgrado, sorrise freddamente. Che lei avesse trovato il modo di
partorire in anticipo, o di farlo credere a George, era una cosa che
si aspettava. Una nuova fitta la fece sussultare, ma la
ignorò.
"Bene... George sarà felice di avere una nuova, piccola
erede".
Dwight
sospirò, prendendole le mani fra le sue. "Credo che abbia
ben
altri problemi, ora. Il parto non è andato bene, purtroppo".
Demelza
deglutì. "La bambina non sta bene?".
"E'
piccola, è nata almeno quattro settimane prima del termine
ma sembra
essere in forze per superare il fatto di essere sotto peso. E'
Elizabeth che...".
Una
strana inquietudine si impossessò di lei. "Cos'è
successo ad
Elizabeth?".
Dwight
scosse la testa. "Non lo so con certezza, anche se ho dei
sospetti... Non sono riuscito a capirlo con precisione
perché lei si
è rifiutata di dirmelo... Potevo salvarle la vita, se avesse
parlato...".
Demelza
guardò Dwight, stava singhiozzando, non l'aveva mai visto in
quello
stato e se tanto gli dava tanto, a Trenwith doveva essere successo
qualcosa di terribile. Lei stessa sentì il fiato venirle
meno per
quel qualcosa che ancora il suo amico non aveva detto a chiare
lettere ma che aveva già intuito... Un qualcosa di enorme,
una
tragedia che avrebbe potuto abbattersi con violenza, come una
mareggiata di quei loro mari tanto tempestosi, su tutti loro. Su di
lei, sui suoi figli, sul piccolo Valentine... Su Ross... "Che
cosa è successo ad Elizabeth?".
"E'
morta, Demelza!".
Quelle
tre parole furono come il più violento degli schiaffi che
avesse mai
ricevuto. Elizabeth era morta... Di parto... Per qualche assurdo
motivo era morta... La donna che aveva rovinato la sua vita, quella
dei suoi figli, colei che era sempre stata un'ombra e una presenza
ingombrante nel suo matrimonio era morta... "Come...? Cos'è
successo?".
Dwight
sospirò. "Il parto è stato prematuro ma fino a un
certo punto
si è svolto come da manuale. La bimba era piccola ma
respirava bene
e sembrava in forze, tanto da non destare in me particolari
preoccupazioni. Anche Elizabeth sembrava star bene ma poi ha iniziato
a urlare, preda di convulsioni che non riuscivo a bloccare. Non ho
mai visto nulla del genere in un parto, non ho mai visto nulla del
genere eccetto in persone che avevano assunto veleni o sostanze
tossiche. L'ho impolorata di dirmi se avesse preso qualcosa, di
spiegarmi. Ma lei non ha aperto bocca. E' morta in modo atroce senza
nemmeno essere riuscita a prendere in braccio la piccola Ursula. E
appena morta, il suo corpo ha iniziato subito a deteriorarsi, una
scena orribile Demelza! Non è morta di parto, è
morta avvelenata e
io non so perché!".
Demelza
sentì il suo fiato farsi affannato. Non poteva capire, non
riusciva
ad immaginare cosa avesse fatto per arrivare a quel punto,
né poteva
sapere se fosse un esito che lei aveva desiderato o qualcosa di
inaspettato. Sapeva solo che Elizabeth era morta per proteggere un
errore e un segreto e non aveva idea di come suo marito avrebbe
reagito alla cosa. "Ross lo deve sapere".
Dwight
annuì. "Sono quì per questo. So che per te
sarà difficile, ma
lo deve sapere".
Demelza
chiuse gli occhi per cercare di rimettere in ordine le mille idee
confuse che si agitavano in quel momento nella sua testa. Il corpo di
Elizabeth che si distruggeva, la sua morte, George, il piccolo
Valentine rimasto solo, i suoi figli, suo marito e poi lei e i suoi
sentimenti. Aveva odiato Elizabeth per anni, aveva desiderato
prenderla a schiaffi e farle male eppure ora, saperla morta, sapere
che era giunta a un epilogo tanto grave per cercare di superare gli
strascichi dei suoi errori, la riempiva di uno strano senso di dolore
e pietà. Per lei, che se n'era andata molto giovane e per
incapacità
a gestire la sua vita e per i suoi bambini che sarebbero cresciuti
senza la loro madre. E per il piccolo Valentine che ora, senza
più
nessuno a proteggerlo, avrebbe pagato da solo colpe non sue. George
lo avrebbe distrutto, lo sapeva! E davanti a questo, come avrebbe
reagito Ross? Si alzò di scatto dalla sedia, anche se delle
blande
contrazioni le davano il presagio che, forse, Prudie aveva ragione.
"Devo andare alla Wheal Grace".
Dwight,
allarmato, si alzò. "No, non nelle tue condizioni!".
Santo
cielo, ora avrebbe preso a schiaffi anche lui! Odiava essere trattata
da moribonda e soprattutto odiava sentirsi invalida in un momento in
cui aveva voglia di urlare per la frustrazione e per la paura. Non
era malata, era SOLO incinta! "Dwight, io non mi trovo in
nessuna condizione particolare! E odio quando qualcuno mi rivolge
questa frase".
Dwight
spalancò gli occhi perché forse, per la prima
volta, la vedeva
tanto aggressiva. "Demelza, sei sicura di sentirti bene?" -
disse, deglutendo.
"Mai
stata meglio!".
Prudie,
alle sue spalle, ridacchiò. "Dottore, se non volete seguire
la
gattamorta nel regno dei morti, oggi vi conviene non contraddire la
mia padrona. Morde più del cane!".
Ma
Dwight finse di non sentirla. "Demelza, manca poco, potresti
partorire anche oggi per quel che ne sappiamo. Non è una
buona idea
che tu vada da sola alla Wheal Grace, soprattutto con questo tempo da
lupi. Andrò io a parlare con Ross, sta tranquilla".
No,
non glielo avrebbe permesso. Non poteva essere Dwight a dirglielo, un
momento tanto doloroso e delicato doveva viverlo lei, con suo marito.
Soprattutto se riguardava Elizabeth. I silenzi e le incomprensioni
avevano diviso lei e Ross per anni, portandoli a commettere errori
imperdonabili e ora, indipendentemente dalla reazione di suo marito a
quella notizia, solo lei poteva stargli vicino. O parole non dette o
mal interpretate avrebbero potuto produrre un nuovo disastro... "Sto
bene, la Wheal Grace è vicina e devo andare da lui. E poi,
sono
abbastanza nervosa oggi. Ho bisogno di camminare".
"Vuoi
che ti accompagni?".
Demelza
gli sorrise, mettendosi la mantella sulle spalle. "No, voglio
rimanere un pò da sola per pensare alle parole giuste da
dire a
Ross. Sempre che esistano parole giuste".
Dwight
le accarezzò la guancia. "Tu e Ross ne avete superate tante,
ormai siete forti e indistruttibili. Stagli vicino, non essere gelosa
del suo dolore e condividilo con lui... Ama te ma lei è
stata parte
della sua vita e la sua morte non potrà lasciarlo
indifferente".
"Lo
so, Dwight. Ed è per questo che devo dirglielo io. Devo
essere forte
e stargli vicino come lui ha fatto con me ed Ellie, ora è il
mio
turno... Tu va a casa da Caroline e riposa, hai passato una notte
terribile e hai bisogno di dormire. Chissà che prima di sera
non
debba assistere a un altro parto...".
Dwight
fece per replicare ma poi, dopo averle lanciato uno sguardo
indagatore, decise di ascoltarla e di andare a casa. "Mi
raccomando, non stancarti troppo. E se senti contrazioni ravvicinate,
mandami subito a chiamare".
"Lo
farò, stanne certo". Lasciò che il medico si
accomiatasse e
poi, dopo aver chiuso la porta e finito di prepararsi, si
appoggiò
con la mano al tavolo, massaggiandosi il ventre. Dannazione, con
Dwight aveva finto, ma le contrazioni ora erano piuttosto frequenti e
vagamente dolorose. Doveva sbrigarsi. "Occupati dei bambini,
mentre sono via" – sussurro a Prudie.
La
serva scosse la testa. "E' una pessima idea, quella di uscire".
Demelza
prese un profondo respiro, cercando di regolarizzare gli spasmi.
"Fatti gli affari tuoi e non provare a correre a chiamare Dwight
finché non sarò di ritorno. Le contrazioni sono
ancora molto
distanziate, c'è ancora tempo".
Prudie
le prese il braccio, fissandola con sguardo severo. "Fa freddo,
c'è neve e sei quasi in travaglio. La vuoi partorire per
strada,
questa povera bambina? O alla miniera?".
Demelza
si morse il labbro, in preda a una nuova fitta. "CURA-I-BAMBINI!"
- ordinò, chiudendo ogni discorso. Se non si sbrigava ad
uscire,
c'era il serio rischio che la bambina la partorisse in cucina.
Prudie
scosse la testa. "Identici, anime gemelle con la stessa testa
dura. Se non torni fra un'ora col signor Ross...".
Demelza
si tirò su, impedendole di proseguire il discorso. Con uno
strattone
si liberò dalla presa di Prudie e poi spalancò la
porta, venendo
investita da una folata di vento gelido.
Infine,
dopo essersi chiusa l'uscio alle spalle, si avviò verso la
Wheal
Grace, pronta a dare a Ross quella notizia che, temeva, avrebbe
sconvolto nuovamente le loro vite.
|
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Capitolo 43 *** Capitolo quarantatre ***
Quando
Demelza arrivò alla Wheal Grace, nevicava copiosamente.
Fiocchi di
neve piccoli ma gelati stavano ricoprendo tutta la brughiera e
sembravano preparare quelle terre al candore dell'imminente Natale.
Lungo
il tragitto Demelza dovette fermarsi alcune volte per le contrazioni
sempre più forti e ravvicinate ma alla fine la sua tenacia
ebbe la
meglio sulle forze della natura e, quando spalancò la porta
dell'ufficio dove suo marito stava finendo di compilare i registri
dopo aver distribuito paghe tutta la mattina, si sentì
orgogliosa e
soddisfatta di se stessa. La sua forza, unita alle preghiere alla
piccola Isabella-Rose di aspettare ancora qualche ora, avevano
sortito l'effetto sperato.
Quando
arrivò, non c'era più nessuno. Suo marito aveva
concesso una
settimana di ferie ai suoi minatori e quindi, a parte l'appuntamento
di quella mattina con la busta paga, non c'era più altro da
fare per
loro in quel posto. Ross, seduto alla sua scrivania davanti a un
vecchio e impolverato registro, vedendola arrivare alzò lo
sguardo.
Era sorpreso. "Demelza, che ci fai quì? C'è un
tempo da lupi,
dovresti essere a casa".
La
donna prese un profondo respiro, ringraziando il cielo che in quel
momento non avesse dolori e che lui non avesse detto la fatidica
frase... 'Nelle tue condizioni'. "Dovevo parlarti".
"Sarei
tornato a casa per pranzo, non potevi aspettare?".
"Evidentemente
no!". Mh, aveva la sensazione di essere brusca e non era il
caso, ma si era svegliata col piede storto, la notizia giunta da
Trenwith l'aveva sconvolta e l'inizio del travaglio non migliorava
molto il suo umore.
Ross
la studiò attentamente alcuni minuti poi sospirò,
alzandosi e
costringendola a sedersi sulla sedia. "Stai bene?".
"Di
questo preferirei parlare dopo..." - disse lei, evitando di
rispondergli.
Ross
le prese la mano. "Cosa devi dirmi di tanto urgente?".
Lo
guardò. Lo amava da morire e sapeva che la notizia che stava
portando l'avrebbe annientato. Sapeva che Elizabeth per suo marito
rappresentava il passato, che lui la amava, sapeva che per Ross non
ci sarebbe stata nessun'altra a parte lei e sapeva che accettare
Ellie nella sua vita era stata la più grande prova d'amore
che
potesse dargli. Non aveva paura di un suo allontanamento, aveva solo
paura di vederlo soffrire perché Dwight aveva ragione,
Elizabeth era
stata una parte importante del suo passato e la sua morte non lo
avrebbe lasciato indifferente. "Prima è passato Dwight".
Ross
si accigliò. "Dwight? Perché?".
Demelza
prese un profondo respiro sia per fronteggiare una nuova contrazione
che, sentiva, stava arrivando, sia per trovare il coraggio di dirgli
la verità. "Tornava da Trenwith, ha passato la notte
lì".
Lui
sospirò. "Chi è malato?".
Deglutì
e poi si morse il labbro. "Elizabeth ha partorito questa notte
una bambina...".
Ross
rimase per un attimo in silenzio, come immagazzinando
quell'informazione. Poi socchiuse leggermente gli occhi, pensieroso.
"Non doveva partorire a fine gennaio?".
"Sì.
Ma in qualche modo ha trovato il modo per farlo succedere un mese
prima".
"La
bambina sta bene?" - chiese lui, cercando di mantenere un tono
di voce calmo e distaccato.
"Sì.
Dwight dice che è piccola ma forte e sana e che sa
già respirare
senza problemi".
Ross
sospirò. "Bene, allora non ci sono problemi! Non dirmi che
sei
venuta fin quì con la neve e con quel pancione solo per
dirmi
questo?".
Demelza
deglutì. Ross sembrava irritato e preoccupato e di certo non
poteva
dargli torto perché si rendeva perfettamente conto di aver
fatto
qualcosa di pericoloso mentre stava iniziando il travaglio, ma doveva
dirglielo prima che lo scoprisse da altri. Per un attimo quella
situazione le ricordò la rocambolesca nascita di Jeremy,
anche
quella avvenuta in circostanze eccezionali, con un Ross furioso e lei
che si era messa nei guai nonostante mille avvertimenti, rischiando
di partorire in barca. "Non è tutto, Ross".
"Cosa
c'è ancora?".
Demelza
si alzò, sfiorandogli la mano e stringendola nella sua. Era
fredda,
Ross stava tremando e in quel momento si rese conto che suo marito le
stava leggendo nell'anima e aveva capito, senza che ancora lei
dicesse nulla, che era successo qualcosa di grave. "Elizabeth...
Dwight dice che ha preso qualcosa di tossico... Dice che solo in casi
di avvelentamento ha visto una cosa così..." -
balbettò. Santo
cielo, come poteva dirgli che quel consiglio che lui le aveva
sussurrato con leggerezza ma in buona fede davanti alla tomba di zia
Agatha anni prima, aveva portato con ogni probabilità
Elizabeth
nella tomba?
Suo
marito le sfiorò le spalle, guardandola negli occhi.
"Demelza?".
Le
divennero gli occhi lucidi. Per lui, per quello che avrebbe provato,
per loro e sì, forse anche per Elizabeth e i suoi bambini
che
sarebbero cresciuti senza mamma. "Dwight non ne è sicuro ma
quando è nata la bambina, Elizabeth è stata male
in modo strano.
L'ha implorata di dirgli se avesse preso qualcosa, l'ha pregata, ma
lei non ha aperto bocca. Lui non ha potuto salvarla ed è
morta... Oh
Ross, è morta come se avesse del veleno in corpo e io...".
Gli
occhi di Ross si ripempirono di orrore. Un orrore puro mischiato a un
profondo dolore, una ferita che forse gli avrebbe lacerato l'anima e
che non si sarebbe probabilmente mai risanata del tutto. "Elizabeth
è morta? E' impossibile... E' giovane, ha una vita davanti,
dei
figli piccoli... Dwight deve essersi sbagliato!" - urlò,
quasi,
annientato dall'incredulità e da quella notizia orribile.
Gli
accarezzò la guancia, dolcemente. In quel momento non sapeva
che
fare, cosa dire, non riusciva a trovare una soluzione valida al
grande dolore che gli aveva appena inferto. Poteva solo essere
lì, a
condividerlo con lui... "Ross, mi dispiace! Forse non ci
crederai ma mi dispiace davvero".
Ross
non disse nulla. Abbassò lo sguardo, le sfiorò
dolcemente il
pancione e poi la strinse a se in modo talmente convulso che sembrava
avesse paura che lei potesse scomparire da un momento all'altro. Di
tutte le reazioni che si aspettava, quella era la più
inattesa. "E'
morta di parto..." - sussurrò solo, col volto sprofondato
fra i
suoi capelli rossi.
Demelza
gli accarezzò dolcemente i riccioli neri ma di colpo dovette
fermarsi. Si irrigidì e strinse i denti, poggiandosi a lui
sopraffatta dal dolore. "Giuda!" - urlò quasi, sfiorandosi
la pancia. Di tutte le contrazioni avvertite da quella mattina,
quella era la più micidiale.
Ross
si tirò su, accarezzandole la guancia. "Demelza? Cosa
c'è?".
Prese
un profondo respiro. "Ho qualche contrazione da stamattina e
quella che ho ora mi sta uccidendo" – ammise, poggiandosi al
tavolo.
Ross
divenne rosso in viso, sul punto di esplodere. "E tu sei uscita
e sei venuta fin quì con le doglie?".
"Non
urlare!" - gridò lei, a sua volta.
Lui
quasi non la sentì. "Santo cielo, sei un'irresponsabile! Non
ti
sei fermata a pensare che era pericoloso? Le donne che devono
partorire stanno a casa, al caldo davanti al camino o magari a letto!
Non si avventurano per la brughiera mentre nevica e non c'è
in giro
anima viva, col rischio di partorire su un sentiero di campagna!".
Dannazione,
era arrabbiato davvero! Non lo vedeva così... da quando era
nato
Jeremy! Improvvisamente ebbe l'impressione che quanto accaduto a
Trenwith, per Ross, davanti alle sue doglie, fosse passato in secondo
piano. "Ross, sto per partorire! Non riesco a litigare con te
mentre ho le doglie! Non potremmo rimandare a più tardi?".
"No!
Perché tu non ti rendi conto del pericolo che hai corso
assieme alla
nostra bambina! E hai già fatto una cosa simile, mi pare...".
Ahhh
era il suo giorno sfortunato, pure lui ricordava bene la nascita di
Jeremy, a quanto sembrava. "Ti prego, parliamone dopo! Non
riesco a risponderti a tono mentre i dolori mi squarciano il ventre e
nostra figlia scalpita per nascere".
Ross
si mise il mantello in tutta fretta, prendendola per la vita. "Puoi
giurarci che ne parleremo dopo! Appena avrai partorito, avremo la
più
grossa litigata della nostra vita".
"Va
bene, litigheremo! Lo giuro, te lo devo! Ma davvero, possiamo farlo
dopo?". Si inginocchiò, aveva come l'impressione che la
bambina
volesse nascere lì.
Ross
deglutì, inginocchiandosi accanto a lei. "Demelza?".
Lei
sorrise, nonostante tutto. "E' da quando ti conosco che mi
dicono che i Poldark hanno la miniera nel sangue, ma nascerci, in una
miniera, mi sembra eccessivo!".
Lui
impallidì come un cencio. "Sta nascendo?".
"Non
credo che manchi molto".
"Stringi
le gambe, mia cara! E ordina alla piccola di aspettare!".
Lei
lo fulminò con lo sguardo. "Provaci tu ad argomentare con
lei
questa cosa".
Ross
la prese fra le braccia. "Ah mia cara, l'idea di venire quì
è
tua. Parlaci tu con nostra figlia!".
Lei
si rannicchiò contro il suo petto. Aveva bisogno di sentirlo
vicino
perché di colpo le contrazioni divennero forti e
ravvicinate. "Ross,
sei tanto arrabbiato davvero?".
Lui
la guardò storto. "Tu cosa ne dici?".
"Ma
litigheremo dopo, vero?".
"Vero!".
"Ross?".
"Cosa?"
- sbottò lui, mentre apriva la porta della miniera per
uscire, con
lei fra le braccia a peso morto.
"Non
voglio che mi porti in braccio, mi vergogno".
Lui
scosse la testa. "Non sei nella posizione per contrattare e non
c'è in giro anima viva. A parte te che dovresti essere a
letto a
partorire!".
"Ti
prego, voglio camminare!".
Ross
però fu irremovibile. "Ti porterò in braccio!
Punto!!! Come
non voglio che la piccola nasca nella miniera, così non
voglio che
nasca nella neve, sulla scogliera".
Fece
per rispondergli a tono, la situazione era divertente e surreale,
nonostante tutto. E quando era arrivata alla Wheal Grace si sarebbe
aspettata di tutto tranne questo... "Va bene, ti CONCEDO di
portarmi in braccio, vista la situazione".
Lui
la fulminò con lo sguardo. "Che coraggio...". Poi non
disse più niente, chiuse di colpo la porta della Wheal
Grace, si
incamminò lungo il sentiero e corse verso casa tenendola
stretta a
se. "Ti porto subito a casa, a letto, ordino a Prudie di
assisterti e corro a chiamare Dwight".
Demelza,
con gli occhi chiusi e i sensi annebbiati dal dolore, sentì
la sua
voce lontana. "Così poi partorisco e potremo litigare,
vero?".
Lui
cercò di imporsi di non ridere ma dalla sua faccia sembrava
facesse
piuttosto fatica. Anche a suo marito quella situazione doveva
apparire estremamente assurda... "Esatto, vedo che hai compreso
perfettamente i miei piani per la giornata".
Un
fugace ricordo le fece aprire gli occhi, cercando il contatto con suo
marito. Era inverno, era quasi Natale e c'era la neve... "Ross,
ti ricordi il Natale dello scorso anno?".
"Sì,
ma che c'entra adesso?" - rispose lui, mentre camminava a passo
spedito.
Lei
sorrise. "Nemmeno ci parlavamo ed era Prudie a portarmi i
bambini ad Illugan. Non sopportavi Ellie ed eri arrabbiato con me
e...".
"Sono
arrabbiato con te anche adesso, se devo essere onesto" – la
interruppe lui.
Lei
annuì, in effetti come dargli torto? "E' stato a Natale che
abbiamo riniziato a parlarci, lo ricordi? Sai, non te l'ho mai detto
ma un anno fa, quando sei venuto di sera da me a portarmi i bambini,
mi hai fatto il più bel regalo che abbia mai ricevuto a
Natale. E
guarda in un anno quante cose sono cambiate! Non è
strabiliante che
ora stia per nascere la nostra piccola?".
Ross
si fermò, a quelle parole. E nonostante fosse arrabbiato con
lei, si
chinò a darle un dolce bacio sulle labbra. "E' vero,
è
strabiliante. Ma andrà tutto bene, vero amore mio?".
"Certo..."
- lo rincuorò. In quel momento poteva scorgere in Ross una
paura
profonda, resa ancora più acuta da quanto successo ad
Elizabeth. "Ma
sbrigati o, davvero, la bimba nascerà sulla spiaggia".
...
Camminò
avanti e indietro nella libreria, mentre i suoi tre bambini lo
guardavano preoccupati.
Era
giunto a casa con Demelza stremata e Prudie, borbottando, l'aveva
aiutato a metterla a letto. Poi era corso a chiamare Dwight e, dopo
averlo svegliato dal riposino che si era concesso dopo la notte in
bianco, erano tornati a Nampara.
Ed
ora il suo amico medico era chiuso in camera con Demelza, aiutato da
Prudie, intento a far nascere la sua bambina.
Durante
il rocambolesco tragitto dalla casa di Dwight a Nampara, non aveva
chiesto nulla al suo amico. L'idea di indagare su quanto successo a
Trenwith lo annientava perché immaginare Elizabeth morta era
una
cosa troppo grossa per lui ma saperla morta di parto, con Demelza che
stava partorendo, era una cosa addirittura insopportabile.
Non
voleva pensarci, non finché tutto non fosse finito...
Era
stato felice di quella gravidanza, l'aveva vissuta come un dono dal
cielo ma la notizia giunta da Trenwith quella mattina aveva calato di
colpo su di lui una coperta scura che aveva scatenato le sue
più
profonde paure per la donna che amava.
Soffriva
per Elizabeth, soffriva perché in lei vedeva
l'ineluttabilità e
l'imprevedibità del destino.
Scosse
la testa, non voleva quei pensieri e non voleva nemmeno angosciare i
suoi figli che, osservandolo, percepivano tutte le sue paure.
Prese
Ellie e Jeremy in braccio, sedendosi sulla sedia a dondolo e
stringendoli a se. Clowance si era rannicchiata con la sua bambola
vicino alla finestra e, conoscendo sua figlia, sapeva che lei
preferiva vivere con riservatezza i momenti più difficili.
Aveva
deciso di rispettare questo lato del suo carattere mentre aveva
stretto a se gli altri due bambini perché sapeva che loro, a
differenza della sorella, avevano bisogno di contatto fisico per
essere rassicurati.
Ellie,
che stringeva a se Kiky, lo guardò. "Mamma piange?".
"No,
non credo".
"Plima
sì" – sussurrò la bimba, abbassando lo
sguardo.
"Sì,
prima piangeva" – aggiunse Jeremy.
Ross
sospirò, ai suoi figli non poteva nascondere nulla. "Avere
un
bambino è doloroso, oltre che molto bello. Ma la mamma
è forte e
vedrete che presto starà meglio di tutti noi".
D'un
tratto il rumore di passi concitati sulle scale fece sussultare tutti
e quattro. Dwight comparve sulla soglia col viso rosso dall'emozione
e i capelli completamente spettinati.
Ross
mise a terra i bambini, balzando in piedi. Era lì da nemmeno
mezz'ora, cosa era successo? "Dwight?".
Il
medico gli si avvicinò, dandogli una sonora pacca sulle
spalle.
"Congratulazioni, sei padre di una bimba di quasi quattro chili
e mezzo, vispa e vivacissima. Scoppia di salute, è una
meraviglia!".
A
Ross sembrò che gli si prosciugasse il fiato nei polmoni.
"E'
nata? Di già? Sei... Sei appena arrivato!".
Dwight
scoppiò a ridere mentre i bambini gli si aggrappavano ai
pantaloni,
riempiendolo di domande. "Quando sono arrivato, Demelza aveva
fatto già gran parte del lavoro. Un parto velocissimo e
senza alcuna
complicazione, una meraviglia considerando quanto è grossa
la
bambina e quanto Demelza abbia patito col parto di Eleanor".
"Possiamo
vedere nostra sorella e la mamma?" - implorò Jeremy,
aggrappandosi alla giacca del dottore.
Dwight
strizzò l'occhio a Ross. "Prima lasciate che vada
papà da lei.
Ora mamma è stanca e anche la vostra sorellina. Fra qualche
ora,
quando si saranno riposate, potrete andare da loro".
Ross
annuì, grato. Gli affidò i bambini in attesa che
Prudie, una volta
terminato di sistemare Demelza, tornasse da loro e poi corse su per
le scale. Quando aprì la porta, la domestica stava
ammassando delle
lenzuola sporche in una cesta di vimini e Demelza, avvolta in morbide
coperte di lana dal colore bianco, era appena visibile nel letto.
Prudie
borbottò, superandolo con la cesta in mano. "Lo dicevo io,
che
questa sera avremmo avuto in casa una neonata urlante! Ma nessuno
ascolta mai Prudie e tutti fanno di testa loro e poi bisogna correre
per tamponare le emergenze ed evitare che i marmocchi nascando nella
brughiera in mezzo alla neve".
Ross
non interruppe il suo sprolquio, tutto quello che voleva era andare
da Demelza e dalla sua bambina. Si avvicinò al letto e
guardò sua
moglie che, perfettamente sveglia e all'apparenza in forma, lo
guardava con le guance arrossate e i capelli rossi che,
selvaggiamente, le ricadevano sulle spalle un pò arruffati.
Sembrava
tornata da una passeggiata, non aveva affatto l'aria di una che aveva
appena partorito.
"Ross"
– sussurrò lei, con la testa sprofondata sul
cuscino, prendendogli
la mano.
Si
sedette sul letto accanto a lei, baciandola sulla fronte e cercando
di sbirciare nel fagottino bianco che sua moglie stringeva fra le
braccia. "Hai fatto incredibilmente in fretta e in tempo per
l'ora di pranzo" – sussurrò lui, cercando di
esorcizzare
l'emozione nel suo tono di voce.
Demelza
sorrise. "Sì, ci tenevo a mangiare il pasticcio di carne,
dopo
tutta la fatica di questa mattina".
Ross
la baciò di nuovo, sulle labbra stavolta. Vederla scherzare
e star
bene era un balsamo per il suo animo tanto tormentato e spaventato.
Sua moglie era lì, sana e salva, assieme alla loro bambina.
Tutto il
resto si sarebbe aggiustato col tempo... "Dwight dice che stai
bene. E anche la bambina. E' così, vero?".
Demelza
non rispose ma, mentre abbassava lo sguardo, con la mano
scostò la
copertina che nascondeva il visino della piccola Isabella-Rose,
mostrandola al padre. "Direi che sta benissimo, che ne dici?".
Ross
spalancò gli occhi, emozionandosi come forse non aveva mai
fatto per
gli altri figli. Era semplicemente perfetta! Davanti a lui, con una
folta chioma scura, le lunghe sopracciglia nere, un minuscolo nasino
all'insù e due guance rosse, piene e cicciottelle, c'era sua
figlia,
colei senza la quale forse non avrebbe trovato la strada per
ricomporre la sua famiglia. Il suo nuovo inizio, una bambina nata
nello stesso rocambolesco modo in cui era stata concepita. Una
bambina arrivata dopo che, per tanto, aveva creduto tutto perduto.
Una bambina che era lì a testimoniare che l'amore vero
esiste e che
è tanto forte da vincere su tutto e tutti. "E' bellissima,
Demelza" – sussurrò, con la voce rotta. "Santo
cielo, è
perfetta, un capolavoro".
Si
chinò, baciando la bimba sulla fronte ed imprimendosi nelle
narici
quel profumo dolce di neonato che gli infondeva pace.
La
bimba aprì i suoi occhioni, al suono della sua voce. Lo
osservò,
poi agitò le gambette come se lo avesse riconosciuto.
Demelza
la strinse a se per evitare che le scivolasse dalle braccia. "E'
vivacissima, da quando è nata non è stata ferma
un attimo".
"E'
una Poldark" – sussurrò Ross, guardando sua figlia.
Demelza
annuì. "Ed è stata concepita in un giorno di
tempesta... Non
potevamo certo aspettarci di avere una figlia delicata e tranquilla,
no?".
"Direi
di no" – ammise lui, divertito. Prese la piccola fra le
braccia e la strinse a se, provando quella sensazione tanto simile al
colpo di fulmine che aveva già provato con gli altri suoi
figli. Ma
ora non aveva più paura di amarli, ora aveva capito che il
dolore
per la perdita di Julia non poteva compromettere l'amore per i suoi
fratellini e sorelline. "Dwight dice che pesa tantissimo ma, a
vederla così, a me sembra semplicemente piccola e indifesa".
Demelza
lo guardò storto. "A me non sembrava tanto piccola, mentre
partorivo!".
"Ma
hai fatto in fretta" – ribatté lui.
Demelza
rise, abbandonandosi sul cuscino e lasciando che Ross le rimettesse
la piccola sul petto. "Veloce e intenso..." - disse solo,
vaga.
Ross
si stese accanto a lei, stringendola fra le braccia assieme alla
piccola che lo guardava ciucciandosi la manina. "Credo che abbia
fame".
"Sì,
lo credo anche io" – rispose Demelza, poggiandosi a lui e
scoprendosi il seno per allattarla.
Ross
la osservò mentre lo faceva, incantato da quello che madre e
figlia,
pur essendo la loro prima volta, vivevano come qualcosa di
estremamente naturale. Era una specie di magia per lui quella, che
aveva sempre adorato, di Demelza. Vederla allattare i loro figli era
un qualcosa che lo aveva sempre emozionato e riempito d'orgoglio ed
era felice che i bambini avessero una madre come lei. "Non
capisco perché tante donne paghino delle balie per farlo"
–
disse, vago.
"Lo
fanno le donne aristocratiche, Ross. E' giudicato scandaloso
allattare figli, per le persone dell'alta società".
Lui
la baciò sulla nuca. "Per fortuna tu la pensi diversamente.
Bella sembra tanto contenta. E anche tu!" –
osservò, vedendo
la piccola che poppava con vigore.
Demelza
fronteggiò il suo sguardo. "Tu non sei sposato con
un'aristocratica, Ross!".
Sostenne
il suo sguardo, serio, ringraziando il cielo che la sua vita fosse
così, con LEI accanto a lui. Lei e nessun'altra. "Per
fortuna
no! Non vorrei nulla di diverso per niente al mondo".
A
quelle parole e al grande significato che avevano per loro, per la
loro storia passata, per il dolore di rimpianti che a lungo li
avevano divisi, lei lo baciò commossa. "E' una bella
dichiarazione d'amore, sai?".
Lui
la guardò storto. "E nemmeno te la meriteresti. Non dovevamo
litigare, dopo il parto?".
Lei
ridacchiò. "Sì, i programmi mi pare fossero
questi...".
Santo
cielo, le avrebbe perdonato ogni cosa... Era adorabile e l'amava...
Ed era corsa da lui, in mezzo alla neve e con le doglie, per stargli
accanto in un momento difficile. "Come dicevo prima, non ti
vorrei MAI diversa da come sei... Anche se sei un'irresponsabile.
Magari ci terremo da conto la litigata per un'altra occasione, che ne
dici?".
"Credo
sia una buona idea". Lo sguardo di Demelza si addolcì,
ripensando ai fatti di quella mattina. "Dovresti andare a
Trenwith".
Già,
doveva andare, lo sapeva anche lui. Ma non ora, non in quel momento.
"Dopo...".
"Ross...".
La
bloccò, doveva spiegarle, doveva farle capire che non era
per paura
che rimandava. "Ci tieni davvero che io vada?".
"Sì".
"E
questo non ti preoccupa? Vuoi che vada a piangere al capezzale di
Elizabeth?".
Demelza
sorrise, stringendo a se Bella che, incurante dei loro discorsi,
continuava a mangiare. "Quando ho deciso di tenere questa
bambina e quando ho deciso che mi fidavo di te, riaffidandoti il mio
cuore e la mia vita, mi sono lasciata tutto ciò che
è successo fra
noi alle spalle. Mi hai detto che lei fa parte del tuo passato e io
ti credo perché so che è così. Ma lei
nel tuo passato c'era e tu
devi dirgli addio o non te lo perdonerai mai. Quando Dwight mi ha
detto che Hugh stava morendo, io ho sentito che dovevo esserci e
stargli accanto perché aveva lasciato un'impronta nella mia
vita. E
credo che per te debba essere lo stesso. Se non vuoi andare per me,
per paura che io ne soffra, puoi stare tranquillo. Mi ami, so che
è
così e a me basta. Voglio il meglio per te e so che non
andare ti
farebbe male".
La
baciò, appassionatamente, non poté farne a meno.
Lei sapeva leggere
dentro di lui meglio di chiunque altro, meglio anche di se stesso. Ed
era sua moglie, la sua amante, la sua migliore amica e la custode del
suo cuore e della sua anima. "Ci andrò oggi pomeriggio,
prima
che faccia buio. Ma non adesso..." - disse, accarezzando la
testolina della bimba. "Sai, per ora, per un pò, voglio solo
stare con i miei figli e con te. Ho avuto paura, sai? Perché
Elizabeth è morta partorendo e l'idea che tu...".
Demelza
gli strinse le mani, cercando di scaldarle col suo calore. "Ross,
io sono quì, sto bene ed è questo l'importante.
Solo questo...".
"Ma
un giorno qualcosa... qualcuno... Ti ho persa per due anni ed
è
stato orribile ma eri viva e sapevo, speravo... che forse... Ma
davanti alla morte non c'è appello, non si torna indietro e
io so
che arriverà il giorno in cui tu potresti non sentire
più la mia
voce o io la tua e... Io lo trovo insopportabile".
Lei
lo bloccò. "Un giorno ogni cosa finirà ma ora
siamo quì,
insieme, felici e coi nostri bambini. Non pensare alle cose brutte e
alle variabili della vita perché qualsiasi cosa
succederà, non
potremo evitarla. Goditi la tua bimba, goditi la famiglia che abbiamo
ricostruito insieme e vivi felicemente, Ross. Ama, è l'unica
cosa
che dia un senso alla vita e che donerà ad ognuno di noi dei
ricordi
che ci scalderanno il cuore quando arriveranno momenti bui. Non
vivere nel timore del dolore o finirai per perderti quanto di bello
c'è attorno a te".
Ross
sorrise. Sua moglie aveva dieci anni meno di lui eppure c'era tanta
saggezza in lei, tanta conoscenza... E sapeva sempre cosa dire per
rassicurarlo e tranquillizzarlo. Era davvero la sua custode, tutto il
suo mondo. "Hai ragione! Santo cielo, come fai ad essere tanto
saggia?".
"Mi
sono fatta le ossa grazie a te!" - rispose lei, in tono
scherzoso, cambiando posizione alla bambina perché mangiasse
anche
dall'altro seno.
Ross
osservò sua figlia. "Ma quanto mangia?".
Demelza
sospirò. "Quanto è necessario".
Lui
accarezzò la guancia della piccolina che, disturbata da quel
gesto,
lo guardò storto. Santo cielo, era la figlia che
più gli
somigliava! "Va bene Bella, ti concedo in prestito il corpo di
mamma per qualche mese. Ma ricorda che è mio e che questo
stato di
cose è temporaneo".
Isabella-Rose
si rannicchiò contro sua madre e Demelza rise. "Ross, credo
che
sia anche permalosa. Attento a quel che dici".
Ross
sorrise, scacciando dalla mente tutti i fantasmi che, quel
pomeriggio, lo avrebbero investito di nuovo appena varcate le soglie
di Trenwith. Ma non ora, Demelza aveva ragione! Ora era a casa con la
sua famiglia e doveva solo essere felice. Baciò nuovamente
Bella
mentre di sotto sentiva i bambini con Dwight e Prudie che facevano
baccano. "E' una Poldark, fatta e finita!".
Demelza
sospirò, sorridendo. "Ed è arrivata prima di
Natale per poter
festeggiare con noi".
Ross
annuì. "Avevi ragione prima, quando mi hai detto che
è stato
un anno importante in cui sono successe tante cose fenomenali"
–
disse, riferendosi alla conversazione avuta mentre rientravano dalla
miniera. "Ho ritrovato te e la mia famiglia e sono diventato
padre per ben due volte in soli dodici mesi. E sono un uomo che
dovrebbe solo essere contento, null'altro" – disse, pensando
anche alla sofferta ma felice decisione di diventare il padre di
Ellie.
Davanti
a quelle parole, gli occhi di Demelza divennero lucidi. E pure per
lei sparirono, almeno momentaneamente, gli echi della disgrazia
successa a Trenwith.
Ross
si stese accanto a lei, la strinse a se. E nel silenzio di quel
pomeriggio d'inverno entrambi decisero che per qualche ora il mondo
poteva scordarsi di loro e che potevano essere semplicemente felici
di quanto avevano costruito insieme.
|
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Capitolo 44 *** Capitolo quarantaquattro ***
I
bambini avevano reagito ognuno in modo molto diverso alla nascita
della sorellina: Jeremy aveva abbracciato forte Demelza e poi aveva
dato un bacino sulla fronte a Bella, Clowance l'aveva scrutata per
lunghi istanti prima di dire che forse non era così grossa
come
dicevano e che lei si aspettava una bambina grande come un orso e
invece era solo una neonata un pò grassa e decisamente meno
bella di
lei, Eleanor aveva guardato in silenzio la neonata, aveva cercato di
pizzicarle la guancia e poi si era rifugiata fra le braccia di sua
madre.
Beh
come inizio non c'era male, non scoppiavano dalla gioia e
dall'entusiasmo ma non avevano nemmeno espresso il desiderio di
abbandonare la sorellina nella neve...
Ross
osservò la sua famiglia, tutta riunita sul lettone. E si
sentì
orgoglioso di quello che aveva creato con Demelza. Aveva una casa
accogliente, una moglie che lo amava, dei bambini sani e bellissimi e
una famiglia che viveva in armonia e che era stata capace di
affrontare una tempesta mostruosa, uscendone più forte di
prima.
I
bimbi investirono Demelza di domande e lei rispose loro
pazientemente, nonostante fosse evidente quanto era stanca. Ross li
lasciò fare per un pò, era giusto così
ed era un bene che
cominciassero a conoscere la loro sorellina, scacciando eventuali
gelosie.
Bella,
dal canto suo, dopo aver mangiato si era addormentata pacificamente
e, incurante del vociare dei fratelli, aveva dormito per la maggior
parte del tempo. E quando si svegliò, a metà
pomeriggio, Ross
decise che era ora che i bambini tornassero da Prudie per lasciare
tranquille mamma e neonata che, da come strillava, pareva decisamente
affamata. Di nuovo...
Quando
i figli furono fuori, nonostante le loro lamentele, Ross sorrise. Si
avvicinò a Demelza che stava allattando ed
osservò la piccola che
sembrava avere una fame mostruosa e succhiava con vigore. "Credo
che a Natale si offenderà per il fatto di non poter
partecipare al
pranzo. Sembra una buongustaia, una che ama il cibo".
Demelza
ridacchiò. "Per fortuna non è ancora consapevole
di cosa sia
il Natale e anche di cosa sia un banchetto, altrimenti finirebbe per
divorare noi per il fatto di non poterne fare parte per quest'anno".
Ross
tentò di disturbare la poppata della piccola, sfiorandola
con
l'indice sulla guancia, ma Bella lo scacciò via con la
manina. "Ha
un gran brutto carattere questa quì, mi sa!" -
esclamò
divertito.
Trattenendo
un ghigno, Demelza alzò il sopracciglio. "Chissà
da chi ha
preso...".
Ross
osservò la piccola. "Da Prudie! Stessa stazza e stesso
carattere".
"Smettila,
non è vero!".
"Vorresti
obiettare, mia cara? Paiono gemelle!".
Demelza
scosse la testa, mascherando un sorriso. "Sei peggio dei
bambini!".
"A
proposito dei bambini..." - la interruppe lui, dandole una
leggera carezza sui capelli – "Sei stata brava con loro prima
a rispondere a tutte le domande che ti hanno fatto, ma cerca di non
stancarti".
"Lo
farò, non preoccuparti. Appena Isabella-Rose finisce di
mangiare,
credo che dormirò un pò".
"Ottima
idea".
Con
la piccola fra le braccia, lei guardò prima la finestra e
poi lui.
"Nevica e sta già imbrunendo. Va a Trenwith Ross, o a breve
sarà sera".
Deglutì.
Aveva cercato di non pensarci ma sapeva di dover andare e sapeva
anche che Demelza glielo avrebbe ricordato. "Sei sicura?" -
chiese. Aveva paura che ne soffrisse e soprattutto provava il terrore
che le succedesse qualcosa mentre era via. Aveva appena partorito ed
Elizabeth era morta di parto, un'associazione di idee e avvenimenti
che lo facevano impazzire dalla paura...
Demelza,
quasi intuendo i suoi pensieri, gli prese la mano e la strinse,
intrecciando le dita con le sue. "Io sto bene, non preoccuparti.
Starò quì buona buona a letto assieme a Bella, al
caldo. E i
bambini sono con Prudie e Garrick, è tutto a posto".
Ross
sospirò, arrendendosi all'evidenza. Poi si chinò
e, dopo averla
baciata sulle labbra, si mise il mantello poggiato sulla sedia, sulle
spalle. "Mi raccomando!".
Demelza
sorrise dolcemente. "Starò a letto, lo giuro".
"Brava,
dormi un pò" – le disse, accomiatandosi da lei.
Scese
al piano di sotto e, dopo aver intimato a Prudie di occuparsi dei
bambini e di non svegliare Demelza, uscì per dirigersi verso
Trenwith.
Una
strana ansia e un dolore profondo lo invasero, mentre procedeva nella
neve che, a fiocchi radi ma costanti, gli sferzava il viso. Durante
la giornata i suoi pensieri erano stati interamente occupati da
Demelza e dall'arrivo di quel piccolo uragano di nome Isabella-Rose,
ma ora...
Ora
solo, in mezzo alla brughiera e alla neve, il pensiero di quella
morte e di cosa poteva rappresentare per lui, faceva male.
Elizabeth
era stata la sua giovinezza spensierata, l'età dei sogni e
priva dei
problemi, il credere di avere il mondo ai propri piedi e tutto il
tempo per conquistarlo.
E
ora se n'era andata, per sempre...
Elizabeth
era stata la sua ossessione, il suo primo amore e colei che
rappresentava il suo più grande errore le cui conseguenze lo
avrebbero dilaniato per il resto della sua vita. Aveva rappresentato
i suoi sogni di ragazzo, l'amarezza del giovane uomo e ora era un
ricordo di un tempo ormai finito da tanto. Era stata importante per
lui, era stata colei che gli aveva insegnato la potenza dei
sentimenti e che in un certo senso lo aveva preparato a vivere e
conoscere l'amore vero, quando l'aveva trovato in Demelza.
E
ora era morta, ancora nel fiore degli anni e congelata per sempre in
quella sua bellezza che sarebbe stata eterna e non avrebbe conosciuto
vecchiaia...
Camminava
e mille ricordi di affastellavano in lui senza sosta. Ricordi di una
vita troppo breve, il pensiero a bambini che sarebbero cresciuti
senza mamma e la consapevolezza che lei, a carissimo prezzo, aveva
pagato quell'errore madornale occorso in una notte folle che Ross, se
avesse potuto, avrebbe volentieri cancellato.
Ma
non poteva farlo e sia lui che Elizabeth avevano pagato a loro modo
quell'azzardo: lui aveva perso per due lunghi anni la donna che amava
e lei la vita, forse nel disperato tentativo di nascondere con un
colpo di spugna le conseguenze di quell'errore.
Arrivò
a Trenwith che era quasi buio, oltrepassò con sguardo torvo
il
portone e le porte di quella casa che rappresentava la sua infanzia e
che ora non gli apparteneva più e gli appariva gelida ed
estranea e
poi, attraverso le scale, andò diretto al piano di sopra.
Evitò di
guardarsi attorno perché quell'ambiente ormai cupo e privo
di
appigli al glorioso passato della sua famiglia, in ogni angolo gli
ricordava suo padre, suo zio, Francis, zia Agatha, l'infanzia, le
cene di Natale e i suoi giochi coi cugini di quando era bambino. Non
esisteva più nulla di quel mondo, Trenwith era persa e con
Elizabeth
morta e Geoffrey Charles lontano, anche ciò che rimaneva del
suo
casato era sfumato. Per un attimo pensò a Valentine e al
fatto che,
forse, in qualche modo anche lui apparteneva al casato dei Poldark,
ma poi scacciò quel pensiero e decise che mai più
vi si sarebbe
soffermato. Qualunque sangue scorresse nelle vene di quel bambino,
Valentine era di George. Sarebbe cresciuto con i valori dei
Warleggan, col cognome dei Warleggan e sarebbero stati per sempre due
estranei. Un figlio – e questo glielo aveva insegnato la
piccola
Ellie – è colui che cresci a ami. Non basta, non
serve un semplice
legame di sangue, in certi casi...
A
metà della scalinata, fu costretto a fermarsi.
George
Warleggan, con sguardo torno, gli venne incontro scendendo lentamente
gli scalini. "Ross, la tua educazione è e rimane sempre
pessima. Ci si fa annunciare, quando si entra in casa di qualcuno.
Soprattutto in certe circostanze".
Ross
scosse la testa. Santo cielo, pure in un'occasione del genere il suo
nemico non perdeva l'occasione di fargli la guerra. Era il tempo del
dolore, quello... E sperava che George lo capisse e lo vivesse...
"Non devo farmi annunciare, questa è una dimora della mia
famiglia".
"La
tua famiglia non vive più quì. Non è
rimasto nessun Poldark a
Trenwith" – disse George, scandendo le parole.
"Questa
casa appartiene e Jeoffrey Charles Poldark ed entrerà in suo
possesso appena avrà l'età giusta" - gli rispose,
rendendosi
conto di quanto ridicola ed irreale fosse quella conversazione fra
loro.
George
parve non accorgersene. "In questo momento è in viaggio. Sta
tornando da Londra e comunque sono il suo tutore. Ciò che
è suo, è
mio".
Ross
decise di lasciar cadere l'argomento. Che cosa importava di Trenwith,
davanti alla morte di una giovane donna che lasciava tre orfani?
Nulla, proprio nulla... "Non sono quì per discutere di
questo.
Sono venuto solo a fare visita e a porgere le mie condiglianze. Mi
dispiace davvero per quello che è successo, è una
tragedia".
George
aspettò un attimo a rispondergli e, quando si decise a
farlo, fu
interrotto dal pianto disperato di un bambino e dai rimbrotti di una
domestica.
Una
donna di mezza età comparve davanti a loro, tenendo per mano
un
bambino di circa sei anni dalla folta chioma nera e piena di
riccioli. A Ross non ci volle molto per riconoscerlo, era
Valentine... Aveva gli occhi gonfi di ogni bambino che piange la
morte della madre e le sue guance erano rigate da lacrime che non
accennavano a fermarsi. Indossava abitini eleganti e raffinati, era
perfettamente pettinato e sembrava un piccolo lord ma nulla in lui
faceva presagire la spensieratezza dell'infanzia.
George,
con sguardo torvo, osservò il bambino. "Che hai da piangere?
Siamo IN-LUTTO! Tua madre è morta e le si deve portare
rispetto in
silenzio!".
Ross
sussultò, colpito dalla durezza sia delle parole che del
tono di
voce. Era un bambino che cercava solo un abbraccio e suo padre...
perché George era SUO padre... sembrava avere in mente tutto
tranne
quello. Pensò a Nampara, agli abbracci che lui e Demelza
davano ai
loro bambini, alla pazienza portata quando Ellie non voleva dormire,
al modo dolce e gentile in cui sua moglie tranquillizzava i loro
figli dalle loro paure e non poté non provare una profonda
pena per
quel bambino che, sicuramente, non conosceva nulla del genere.
Elizabeth era stata una brava madre per Jeoffrey Charles ma Ross
sapeva anche quanti guai gli avesse procurato la nascita di Valentine
e di certo questo doveva averla lasciata fredda nei confronti del
bambino. Ma era pur sempre una buona madre e ora Valentine, senza di
lei, si trovava da solo a fronteggiare il clima di odio e sospetti
alimentato da suo padre nei suoi confronti...
Un
bambino, solo, costretto a pagare le conseguenze degli errori
altrui...
Per
un attimo sentì l'impulso di prenderlo in braccio e portarlo
via da
lì, ma fu solo un attimo. Poi tornò alla ragione
e alla triste
realtà: chiunque fosse, Valentine non era suo... Voleva
salvarlo
come aveva voluto salvare tanti altri suoi amici in
difficoltà ma
non se ne sentiva padre. Nonostante tutto, George non avrebbe mai
permesso alcun legame fra loro... Mai si sarebbero conosciuti e mai
avrebbe potuto essere qualcos'altro, oltre che un vicino di casa, per
lui.
Valentine
tirò su col naso, imponendosi un contegno che a sei anni non
poteva
avere. "Mamma mi ha promesso, ieri sera, che mi avrebbe letto la
fine della storia che mi stava raccontando. Me l'aveva promesso e le
promesse vanno mantenute!".
George
divenne rosso di rabbia. Non capiva che era quello non era un
capriccio ma un grido di dolore di un bambino che cercava un modo per
riavere accanto sua madre. "TUA-MADRE-E'-MORTA!!! Come puoi
essere tanto pessimo da pensare a una fiaba? Vattene in camera e
medita sul tuo oltraggioso comportamento! Tua sorella Ursula, che
è
una neonata, è molto più assennata e sensibile di
te".
La
cameriera prese di forza il braccio del bambino, trascinandolo via
prima che George desse in escandescenze. Il piccolo si
dimenò ma
alla fine fu costretto a cedere a quella punizione ingiusta e
crudele...
Ross
guardò George e nel suo animo sentiva dolore. Oltre alla
rabbia, era
il dolore nel volto di Valentine che lo aveva colpito. "E' solo
un bambino che ha perso la mamma".
"E
io sono un uomo che ha perso la moglie!".
Dovette
mordersi il labbro per non rispondergli a tono e mancare
così di
rispetto alla memoria di Elizabeth. "Posso vederla?" -
chiese solo, tagliando corto.
Gli
occhi di George si assottigliarono. "Certo. Scommetto che
conosci più che bene la strada che porta alla camera da
letto".
Ross,
questa volta, non riuscì ad alzare lo sguardo
perché sapeva che, se
lo avesse fatto, si sarebbe tradito. E avrebbe messo ancora
più nei
guai Valentine. La paternità di quel bambino doveva rimanere
solo un
sospetto o la sua vita futura sarebbe stata ancora più
infernale.
"Ci metto un attimo" – disse solo, superandolo.
Percorse
gli scalini che gli mancavano, con la morte nel cuore. E quando
entrò
in quella camera da letto ogni istante con lei, ogni momento di
quella notte di follia che aveva portato a quella valanga che aveva
travolto tutti, scorse davanti ai suoi occhi. Si sentì in
colpa...
Cosa aveva fatto? Ad Elizabeth, a Demelza, a Valentine e a se stesso?
E
ora, ora come poteva, seppur in parte, rimediare?
Come
poteva...?
Si
avvicinò al letto, le lenzuola erano ancora macchiate di
sangue ed
Elizabeth aveva il volto marmoreo della morte. Sembrava di
porcellana, una porcellana fine che pareva sul punto di rompersi.
Un
dolore forte e acre emanava dal suo corpo, come se fosse morta da
giorni e non da ore. Dwight aveva ragione, il corpo di quella donna
tanto amata in passato si stava disfacendo per qualche strano, letale
veleno che aveva ingerito... Entro pochi giorni nulla sarebbe rimasto
di lei, tanto eterea e bella, tanto sognata in gioventù e
tanto
ammirata in società...
Era
morta e non avrebbe potuto più essere felice, non avrebbe
più
potuto abbracciare la sua bambina e i suoi figli sarebbero stati
soli. Si chinò, pensando a quanto doveva essere stata
disperata
quando aveva capito che era alla fine. Provò
pietà per la piccola
Ursula che mai avrebbe potuto godere della vicinanza della mamma e il
pensiero andò a Bella che, invece, in quel momento dormiva
felice
fra le braccia di Demelza, come se non avesse bisogno d'altro.
Si
chinò, dandole un bacio di addio sulla fronte. "Mi
dispiace...
E ti giuro che troverò il modo per riparare, almeno in
parte, il
torto che hai subito... Troverò il modo, te lo prometto! Per
te e
per i tuoi figli".
Gli
rispose il silenzio della morte...
E
arrendendosi a ciò, dopo averle dato un ultimo sguardo, si
avviò
verso la porta. Chiuse l'uscio e con esso l'ultimo appiglio alla sua
gioventù e al ragazzo che era stato e che non esisteva
più.
Nel
corridoio, ad attenderlo, rivide George. La casa era avvolta nel
silenzio, la piccola Ursula probabilmente dormiva accudita dalle
balie e Valentine aveva smesso di piangere. Erano soli... "E'
terribile. So che non mi crederai mai, ma mi dispiace per te e per
tutto questo. Come sta la piccola?".
"Bene,
è una Warleggan ed è forte. Pure tu, da quel che
si dice in giro,
sei diventato padre oggi".
Ross
sorrise amaramente. "Le voci corrono, a quanto pare...".
George
proseguì. "Ma tu hai sposato una popolana e si sa, quelle
son
fatte solo per sfornare figli. Come le vacche, non muoiono di
parto...".
Ross
sentì l'impulso di prenderlo a pugni ma si trattenne.
Demelza si
sarebbe arrabbiata da morire, nonostante tutto, e poi... E poi George
gli faceva solo pena in quel momento. "Mia moglie sta bene e
anche mia figlia. Del resto non mi importa, so di essere un uomo
fortunato. E ora, credo che tornerò a casa".
George
alzò il braccio, poggiando la mano contro il muro e
sbarrandogli la
strada. "Fermo!".
"Cosa
vuoi?".
George
si avvicinò, fino ad essere viso a viso. Indicò
con la mano la
porta della camera matrimoniale dove c'era Elizabeth e lo
fulminò
con lo sguardo. "Non so ancora come sia successo, né
perché.
Il tuo amico Enys non mi ha dato risposte certe su cosa sia successo
ad Elizabeth ma io SO che tu c'entri! Non mi importa come, non mi
importa nulla se non del fatto che la sua morte è anche
opera tua!".
A
quelle parole, impietrito, Ross rimase in silenzio. Come
controbattare a lui e ai mille sensi di colpa che si affollavano
nella sua mente?
George,
con un ghigno, si allontanò, lasciandogli libero il
passaggio. "Te
la farò pagare! Ideerò un modo, ma te la
farò pagare!".
Ross
scosse la testa, superandolo. "Tua moglie è morta, pensa a
lei
e a ciò che ti ha lasciato. Non perdere tempo dietro a
vendette che
non ti restituiranno nulla di ciò che hai perso".
Scese
le scale, ma la voce di George lo raggiunse alle spalle.
"Me
la pagherai, hai capito Ross Poldark?".
Sì,
aveva capito che doveva guardarsi alle spalle. Pur nel dolore della
perdita, George avrebbe mantenuto la sua promessa. E prima o poi lo
avrebbe colpito... Aveva fatto di quella guerra fra loro la sua
ragione di vita e non avrebbe perso l'occasione per un'altra
battaglia.
Ma
Ross quella sera non voleva pensarci. Aveva solo voglia di andare a
casa, dalla sua famiglia, ad abbracciare i suoi bambini e sua moglie
ed accendere con loro le candele dell'albero di Natale.
Solo
questo contava... Prendere in braccio Bella e coccolarla, sentire
Demelza raccontare la fiaba di Natale a Clowance ed Ellie, intagliare
gli animaletti di legno da regalare a Jeremy, dare un bacio a alla
sua donna...
Questa
era la sua vita, la vita che faticosamente aveva riconquistato... E
non avrebbe permesso a nessuno di distoglierlo da tutto questo.
Quando
arrivò a casa era ormai buio e la neve aveva iniziato a
cadere in
maniera decisa. Faceva freddo e il tepore del camino fu come una
manna dal cielo per lui.
I
bambini, con Prudie, erano in cucina. Ross sentì le loro
risate
appena varcata la soglia e, quando li raggiunse, li trovò
sporchi di
farina dalla testa ai piedi.
"Papà!"
- esclamò Jeremy, correndogli incontro – "Stiamo
facendo i
biscotti di Natale con le forme dei personaggi del Presepe".
Ross
si avvicinò al tavolo dove Prudie, più sporca dei
bambini, si
dilettava ad intagliare la pasta frolla con forme che, almeno nelle
sue intenzioni, dovevano ricordare la natività. "Quando
avrete
finito, il bagno ai bambini lo farai tu, vero?".
"Certo
signore" – rispose la serva con fare distratto.
Ross
ne era quasi commosso. Finalmente sembrava assorta in un lavoro...
"Ne avete fatti tanti di biscotti" – disse, accarezzando
i boccoli biondi di Clowance.
La
bimba lo abbracciò, aggrappandosi come suo solito alla sua
vita con
fare da ruffiana. "Sono per il dopo cena. Così anche mamma e
Bella potranno mangiarli".
Ross
rise. "Beh, mamma ne sarà contenta ma credo che Bella,
benché
ne sarebbe sicuramente felice, non potrà assaggiarli".
Ellie,
seduta sul tavolo fra farina e pasta frolla, lo guardò
storto.
"Pecché?",
"Perché
non ha i denti".
"Pecché?".
"Perché
è piccola e mangia solo il latte della mamma".
"Pecché?".
Ross
sudò freddo, non ne sarebbe uscito vivo da quella
conversazione.
Baciò la bimba senza risponderle e poi si rivolse a Prudie.
"La
signora?".
"Lei
e la piccola dormono. Sono stata in camera poco fa a mettere della
legna nel camino ed erano entrambe nel mondo dei sogni".
Ross
sospirò rinrancato. Sua moglie si stava dimostrando
ragionevole...
"Bene, vado da lei. Voi finite i biscotti, FATE UN BAGNO e solo
quando sarete puliti e in ordine, potete venire il camera dalla
mamma".
I
bambini annuirono e Ross si sentì orgoglioso di loro. Forse
era la
magia del Natale, il calore del camino, le loro risate, l'armonia che
regnava in casa o forse non era nulla di tutto ciò, ma si
sentiva
immensamente fortunato e fiero di ciò che aveva costruito,
della
famiglia che aveva reso Nampara una vera casa facendo apparire ancora
più fredda e spettrale Trenwith e dell'uomo e della donna
che lui e
Demelza erano diventati. Erano cresciuti insieme e solo ora capiva
quanto questo fosse meraviglioso...
Salì
in camera e trovò sua moglie ancora addormentata. Demelza
dormiva
avvolta in morbide coperte, con Bella sul suo petto. Si sedette sulla
poltrona per non disturbare il loro riposo ma dopo alcuni minuti la
piccola emise un vagito e Ross sapeva che Demelza si sarebbe
svegliata per questo. Da sempre, da quando era giovanissima ed
avevano Julia, pur nel sonno sapeva percepire il più piccolo
movimento dei loro figli.
E
infatti Demelza aprì gli occhi poco dopo, osservando subito,
d'istinto, la bambina che però sembrava voler dormire ancora
qualche
minuto.
"Ben
svegliata, hai dormito parecchio e oggi, fra Prudie che pare aver
trovato la voglia di lavorare e tu che mi ascolti e stai a riposo,
posso definirmi commosso" – disse, dalla poltrona.
Demelza
lo fissò, poi guardò fuori dalla finestra
accorgendosi che era
ormai sera. "Ho dormito parecchio, credo".
"Hai
dormito il giusto" – rispose Ross, alzandosi e mettendosi sul
letto accanto a lei. "Come va?".
"Bene,
mai stata meglio. E tu Ross? Sei tornato ora da Trenwith?".
Lo
sguardo preoccupato che lei gli rivolse, lo turbò. E decise
di
tranquillizzarla. "Mezz'ora fa".
"Come
è andata?" - chiese Demelza, stringendo Bella a se.
Ross
sospirò, accarezzandole i capelli. "E' andata nel classico
modo
in cui deve andare quando si va a far visita a una persona morta.
Penoso... Ogni cosa a Trenwith è penosa".
Demelza
si appoggiò a lui. "Ti senti bene? L'hai vista?".
Annuì,
non voleva nasconderle nulla, aveva imparato dagli errori passati.
"Fa uno strano effetto, sai? E' giovane, bellissima, ha tre
figli che cresceranno senza madre e ha lasciato tutto nelle mani di
George. Ha fatto male vederla così, senza vita, il suo corpo
che
sembrava volersi consumare prima del tempo... In un certo senso lei
rappresentava la mia gioventù e il passato, dei momenti
ormai
lontani e chiusi ma pur sempre vivi. Ora non c'è davvero
più nulla.
Tu sei il mio presente e il mio futuro, lei faceva parte dei miei
ricordi di ragazzo, assieme a tanti altri che se ne sono andati... E'
difficile dire cosa ho provato, ma credo che sia qualcosa di molto
simile a quello che hai provato tu quando hai visto Hugh Armitage
morto".
Demelza
alzò lo sguardo su di lui. In lei c'era comprensione e un
muto
desiderio di condividere il suo dolore. "Pena, come dici tu!
Hugh aveva tutta la vita davanti come Elizabeth... E ogni loro sogno
si è infranto. Non ho provato dolore per me, quando ho visto
Hugh
morto. Ho provato dolore per lui e per quello che non sarebbe mai
diventato".
Ross
annuì. Era in un certo senso la medesima sensazione, anche
se nel
suo caso, a tutto ciò, si aggiungevano tanti sensi di colpa
che non
sapeva ancora come fronteggiare. "Ho visto Valentine, a
Trenwith. Con George... Santo cielo Demelza, è orribile come
si
comporta con quel bambino e io ho dovuto stare impotente ad
osservarli, senza poter muovere un dito".
Demelza
deglutì. "George sospetta che Valentine non sia suo".
"Lo
so. A un certo punto ho provato la voglia di prendere quel bambino
per portarlo via da quell'inferno ma poi sono rimasto fermo e zitto.
Non potevo farlo...".
Demelza
osservò Bella che, sonnolenta, si sfregava gli occhietti.
"Avresti
dovuto farlo, invece".
Ross
spalancò gli occhi. "Portarla quì? E saresti
stata
d'accordo?".
Lei
sospirò. "George non te lo avrebbe mai permesso, non
ammetterà
mai davanti a nessuno che c'è la possibilità che
stia crescendo un
figlio non suo e che Elizabeth l'abbia tradito. Ma se per qualche
motivo assurdo lo avesse permesso, avresti davvero dovuto portar via
da lì quel bambino".
"Per
portarlo quì?".
Demelza
sorrise, inaspettatamente. "Lo avrei accettato. E amato! Avrei
imparato a farlo come tu sei riuscito a farlo con Eleanor".
Rimase
stupito da quelle parole e non voleva che lei si sentisse in dovere
di fare una cosa simile. "Tu non mi hai imposto Eleanor! Io ho
scelto di renderla mia".
"E
tu non mi imporresti Valentine! Sono io che scelgo di averlo
quì, se
le condizioni fossero favorevoli. Ma non succederà mai e le
mie sono
solo parole vane. Ma credo ci sia qualcosa che tu puoi fare per lui,
per farlo sentire meno solo ed essere un punto di riferimento".
"Cosa?".
Voleva senire cosa aveva da dire perché forse proprio
Demelza
avrebbe potuto dargli la soluzione per tener fede alla promessa che
aveva fatto poco prima sul letto di morte di Elizabeth.
Demelza
annuì, mentre Bella apriva gli occhietti e si metteva subito
alla
ricerca del suo seno. "Essere per Valentine ciò che sei
sempre
stato per Jeoffrey Charles. Uno zio, un punto di riferimento, un
amico... Qualcuno da cui correre quando ne hai bisogno, per sfogarti
e trovare supporto. Non importa se Valentine sia tuo o no, la cosa
che importa è che il sospetto lo rende un bambino solo e
bisognoso
d'amore. E quì potrà trovarlo, se lo
vorrà e ti farai conoscere da
lui".
Ross
la baciò sulle labbra. "Ti amo e non so cosa farei senza di
te".
"Ti
amo anch'io. Ti ho sempre amato, Ross. Il mio cuore non è
mai
appartenuto a Hugh, lo sai, vero?".
"Lo
so" – sussurrò, commosso. Tentò di
baciarla ancora ma Bella,
fra loro, protestò. Era affamata e lui la stava disturbando.
Ross
osservò la piccola. Santo cielo, era davvero nata per
mangiare, era
proprio molto... "Come hai fatto a fare una bambina così?".
"Così
come?".
"Così
grassa! Santo cielo, somiglia davvero a Prudie e ci costerà
una
fortuna mantenerla!".
Demelza
lo fulminò con lo sguardo, mentre ogni traccia di dolore per
quanto
successo a Trenwith pareva svanire nell'aria. "Non è grassa,
è
giusta".
"Pesa
quasi quattro chili e mezzo. Quante volte ha mangiato da quando
è
nata stamattina?" - chiese, osservando la piccola che faceva la
sua poppata e pareva vorace come un lupo che sbrana la sua preda.
"Dieci".
Spalancò
gli occhi. "Dieci? Le verrà mal di pancia!".
Lei
rise. "Prova a spiegarglielo! E smettila di dire che somiglia a
Prudie, credo sia anche permalosa".
Ross
annuì. Permalosa e dal carattere deciso! Una vera, piccola
Poldark
in erba! Santo cielo, si sarebbero divertiti da matti loro due!
"Comunque ci è venuta proprio bene! Pensa se non avessi
insistito per fare l'amore con te, quel giorno...".
Credeva
che Demelza gli avrebbe risposto a tono, ma il suo sguardo si
addolcì
mentre gli accarezzava la guancia con la mano. "Devo
ringraziarti per averlo fatto".
Ross
si chinò su di lei, baciandola sulla fronte. "E io devo
ringraziare te per aver dato un'altra possibilità a questa
nostra
disastrata famiglia".
Calò
il silenzio, un silenzio sereno e tranquillo. Demelza si
poggiò sul
petto di Ross e la piccola continuò a mangiare tranquilla.
"Ross?"
- disse, dopo un pò – "Non ti sembra davvero
strano e in un
certo senso triste che la nascita di Bella corrisponda al giorno
della morte di...".
"NO!".
Ross la bloccò, deciso. Poi si chinò a baciare la
testolina della
bimba che, distratta da quel gesto, alzò lo sguardo su di
lui
allungando la manina per prendergli un ciuffo di capelli. "Questo
per noi non è un giorno di lutto e mai
relazionerò la nascita di
mia figlia a una morte. Questo sarà il giorno del suo
compleanno e
per me sarà solo questo! Sarei un pessimo padre se facessi
altrimenti e Bella non me lo perdonerebbe. E avrebbe ragione!".
Demelza
lo baciò sulle labbra, un bacio lento e sensuale, il bacio
di una
donna profondamente innamorata. E in quel momento, i bimbi irruppero
nella stanza coi loro pigiamini, puliti, pettinati e con un vassoio
pieno di biscotti.
"Mamma,
abbiamo portato il dolce!" - esclamò Jeremy.
Demelza
allungò la mano verso di loro e i tre bambini corsero,
saltando sul
lettone. Ross gli fece posto fra lui e Demelza, facendo sedere le
bimbe sulle sue gambe. Era un momento magico, più magico del
Natale.
Ed era tutto perfetto... "E questo cosa sarebbe?" - chiese,
prendendo dal vassoio un biscotto dalla forma strana.
Clowance
si imbronciò. "Ma papà, è la stella
cometa!".
Demelza
rise e Ross si accigliò. La forma era talmente strana...
"Pensavo
fosse l'asinello".
Ellie
allungò la mano verso il vassoio, prendendo un altro strano
biscotto. "Quetto è l'anisello".
"Che
è quasi uguale al cavallo!".
Ellie
si imbronciò. "NNNOoooo! Blutto il cavallo".
Ross
scosse la testa. "Oh, amerai i cavalli, un giorno".
Ellie
prese il biscotto, spingendoglielo in bocca per farlo stare zitto. E
vedendo la bambina serena, allegra, l'amore che i suoi bambini
respiravano e che regnava in quella casa, Ross decise di seguire il
consiglio di Demelza.
George
gli aveva promesso vendetta e sapeva che in qualche modo avrebbe
trovato la strada giusta per procurargli dei guai ma a Ross non
importava di alcuna ritorsione. Avrebbe allungato la mano e sarebbe
diventato amico e zio di Valentine, togliendolo dal buco nero di
solitudine e dolore in cui era sprofondato senza colpa e che lo stava
annientando.
Sì,
lo avrebbe fatto! A qualunque costo!
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Capitolo 45 *** Capitolo quarantacinque ***
Era
stata una notte terribile, quella, una di quelle notti dove un uomo
non può non rimpiangere quando era uno scapolo impenitente
che
dormiva quando gli andava e, se faceva le ore piccole, poteva
recuperare il sonno perduto al mattino che tanto nessuno lo avrebbe
disturbato.
Ora
non c'era più certezza, né di notte,
né di giorno!
Bella
aveva pianto come una matta fin dopo mezzanotte ed era sembrata
inconsolabile. Quando finalmente si era addormentata, sfinita, e lui
e Demelza si stavano appisolando, era arrivata Ellie in lacrime per
un incubo. E avevano ospitato pure lei nel loro letto...
Dopo
aver addormentato anche lei con una serie infinita di favole, si era
risvegliata Bella per la sua poppata. Finito con lei, quando quel
tunnel nero in cui lui e sua moglie sembravano essere caduti fosse
giunto alla sua naturale conclusione, era arrivata anche Clowance
che, gelosa, aveva voluto raggiungere le sorelline più
piccole nel
letto dei genitori.
E
così Ross si era ritrovato a dormire sul bordo del letto con
Ellie
spalmata sul suo petto e Clowance rannicchiata contro di lui come un
koala. Per fortuna Jeremy se n'era rimasto a dormire in camera sua,
altrimenti lui si sarebbe trovato a condividere la cuccia con
Garrick...
E
quando, sfinito, era riuscito ad addormentarsi, era ormai ora di
alzarsi per andare in miniera per far esplodere un nuovo tunnel con
la dinamite.
E
ora si aggirava per la cucina come uno zombie con le occhiaie mentre
Prudie, gongolante, lo guardava ridendo sotto i baffi.
Aveva
lasciato Demelza con le bambine nel letto, raccomandandosi che non si
sforzasse troppo. Aveva partorito da due settimane ma sembrava aver
ancora bisogno di riposo e la piccola Isabella-Rose si stava
dimostrando una bambina molto impegnativa ed esigente.
Le
aveva dato un bacio nel dormiveglia e sua moglie aveva aperto gli
occhi, raccomandandogli a sua volta di stare attento visto il poco
riposo. Avevano ridacchiato per la notte infernale appena trascorsa e
Ross aveva deciso che amava di più la sua vita attuale che
quella
scapestrata del passato. Aveva molto più sonno di allora,
certo, ma
era infinitamente più ricco in spirito e in amore.
In
fondo le bimbe sarebbero cresciute prima o poi e lui e Demelza
avrebbero potuto tirare il fiato... Bisognava solo aver pazienza!
Sbocconcellò
qualcosa ripensando a quelle ultime, frenetiche settimane. Era nata
Bella, Dwight e Caroline erano venuti a far visita a Natale
annunciando una nuova gravidanza e... Elizabeth era morta.
Aveva
partecipato al suo funerale col gelo nel cuore, osservando da lontano
la bara della donna che una volta aveva amato, venir calata nella
terra fredda scossa dal vento e ricoperta dalla neve. Aveva osservato
lo sguardo di ghiaccio di George, muto ed immobile come una statua
che stava sicuramente soffrendo per la sua perdita ma soprattutto per
ciò che questa comportava. Aveva voluto bene, a suo modo, ad
Elizabeth, ma lei era sempre stata per lui anche un trofeo che, nella
sua mente contorta, rappresentava la sua vittoria contro di lui. Si
era sempre illuso di avergli arrecato un dolore sposandola, di averlo
privato della donna bramata, di averlo battuto senza accorgersi che
lui aveva costruito la sua vita altrove, era felice con la donna che
aveva sposato ed era riuscito ad andare avanti.
Più
di tutti però, lo aveva straziato il vedere il dolore di
Geoffrey
Charles e del piccolo Valentine. Suo nipote aveva tenuto un
comportamento dignitoso e composto ma il suo sguardo era di puro
sgomento e dolore. Era ormai un ragazzo ma ancora talmente giovane
che, l'idea di essere rimasto solo, doveva terrorizzarlo. Eppure,
allo stesso tempo, era ormai abbastanza grande per capire quanto
ciò
avrebbe influito sulla sua vita... Ora non c'era nessuno, a parte lui
e Demelza, che potesse tutelarlo da George e dalle sue mire...
Valentine
invece aveva pianto sommessamente, quasi timoroso di farsi vedere.
Aveva cercato con lo sguardo suo padre, una carezza, un gesto
gentile, ma non lo aveva trovato e alla fine si era arreso e aveva
abbassato il capo mentre seppellivano sua madre, rifugiandosi in
chissà quali pensieri. Ross lo aveva osservato a lungo e
ancora una
volta non se n'era sentito padre. Quel bambino gli era estraneo, era
un Warleggan e tutto quello che vedeva era un piccolo orfano
disperato per aver perso la mamma. Non era uno sfuggire dalle sue
responsabilità, era una questione di cuore. Non poteva
sentirsi
padre di uno sconosciuto, anche se per quello sconosciuto e per
aiutarlo, si sarebbe gettato nel fuoco se necessario.
Ross
non aveva potuto fare altro che prendere Geoffrey Charles da parte,
finita la funzione, per consolarlo e ribadirgli che Nampara sarebbe
stata la sua casa e lui, Demelza e i loro figli la sua famiglia, ogni
volta che ne avesse sentito la necessità e la voglia di
andarli a
trovare. E che lo stesso valeva per suo fratello, erano entrambi i
benvenuti.
Finendo
di bere una tazza di caffé ormai freddo, mentre ripensava a
quel
giorno di quasi due settimane prima, fu raggiunto dal piccolo Jeremy
che, in camicia da notte e con le gambette nude, si era già
svegliato.
Prudie,
borbottando, corse in camera a prendere una copertina per scaldarlo e
Ross lo prese in braccio, mettendolo seduto sul tavolo. "Che ci
fai già in piedi?".
Il
bimbo alzò le spalle. "Dove sono finite Clowance ed Ellie?
Mi
sono svegliato e non c'erano!".
Ross
sospirò. "In camera, dalla mamma! Stanotte loro, assieme a
Bella, ci hanno tenuti svegli. Tu invece sei stato bravo e sei
rimasto a letto e per oggi ti sei guadagnato il titolo di mio figlio
preferito!" - eclamò, dandogli un buffetto sulla guancia.
Jeremy
rise. "Papà, posso venire alla miniera con te? Voglio vedere
come esplode la dinamite".
Scosse
il capo. Prima o poi lo avrebbe portato con lui ma era ancora troppo
piccolo per una giornata di lavoro pericolosa come quella. "Credo
che sia meglio che per oggi resti a casa con la mamma o lei si
arrabbierà con me. La dinamite non è roba per
bambini e tu sei
ancora troppo piccolo per queste cose".
"Ma
papà..." - piagnucolò Jeremy.
"Nei
prossimi giorni ti porterò con me e ti insegnerò
a riconoscere le
vene di rame nella roccia. Ma oggi no, oggi resta ad aiutare mamma e
Prudie!".
Jeremy
sbuffò. "Uffa, tu esci e io rimango l'unico maschio in casa!
Son tutte femmine".
Ross
scoppiò a ridere. "Fra qualche anno sognerai una situazione
simile, te lo garantisco".
"Perché".
Con
un'unica sorsata, Ross finì il caffé nella tazza.
"Hai quasi
nove anni, lo capirai a breve... E comunque..." - indicò
Garrick che, speranzoso, si aggirava attorno al tavolo nella speranza
che del pane finisse a terra – "Non sei l'unico maschio della
casa".
Jeremy
fece per rispondergli, quando un energico bussare alla porta fece
sussultare entrambi. Ross andò ad aprire e, con enorme
sorpresa, si
trovò davanti Zachy Martin. "Che ci fai quì a
quest'ora? E'
successo qualcosa alla miniera?" - chiese in allarme, mentre
Prudie metteva una coperta sulle spalle del bambino e si avvicinava
sospettosa.
Zachy
scosse la testa. "Non alla nostra, di miniera".
Ross
si oscurò. "Dove?".
"La
Wheal Jared, sir".
"La
Wheak Jared? Non è una delle miniere più grandi
di George
Warleggan?".
Zachy
annuì. "Lo era...".
Entrò
in allarme, ripensando alle minacce vaghe che George gli aveva
rivolto due settimane prima, al capezzale di Elizabeth. "Che
è
successo?". Non riusciva a capire, la Jared era una delle
miniere più prospere e floride della Cornovaglia e George,
pur con
tutti i suoi difetti, aveva attuato una strategia atta a prevenire
ogni possibile incidente ai suoi minatori, dotandosi di costosi
sistemi di sicurezza.
Zachy
fugò ogni suo dubbio. "L'ha chiusa! Messa all'asta, sir! Da
un
giorno all'altro... Gettando nella disperazione le duecento famiglie
di minatori che vi lavoravano".
Prudie
sussultò, Jeremy lo fissò con attenzione e Ross
rimase senza fiato.
La Wheal Jared chiusa? Perché lo aveva fatto?
Perché chiudere una
miniera prospera che regalava ricchezza e donava lavoro a tanti
disperati? "Per quale motivo?".
Zachy
scosse la testa. "Non c'è motivo, il signor Warleggan ha
semplicemente detto che ha un numero troppo alto di miniere da
gestire e che i profitti a volte non coprono i costi, soprattutto
delle miniere più grosse. Mi sembra una scusa talmente
assurda da
risultarmi incredibile... E' come se il signor Warleggan abbia voluto
fare semplicemente un dispetto".
"Un
dispetto a chi?" - chiese Jeremy, intervenendo nella
discussione.
Zachy
scosse la testa ma Ross divenne cupo. Un dispetto a chi? Beh, era
quanto di più ovvio, se ben ci pensava... George sapeva
quanto lui
tenesse alle condizioni di vita dei minatori, sapeva quanto avesse
lottato per loro e sapeva anche che, venire a conoscenza di duecento
famiglie messe alla gogna, lo avrebbe fatto impazzire. Ecco la
vendetta che gli aveva paventato, in tutto il suo crudo cinismo...
"Hai detto che ha messo all'asta la miniera?".
"Sì".
"A
quale prezzo?". Fosse stato nelle sue possibilità, pur di
indebitarsi, l'avrebbe acquisita lui con i proventi della Wheal
Grace.
Zachy
però infranse ogni sua speranza di risolvere la situazione.
"Una
cifra assurda, impossibile da sostenere per chiunque, da queste
parti".
"La
cifra, Zachy!".
"Quarantamila
sterline".
"Giuda!!!"
- esclamò Prudie, mettendosi a sedere sulla panca.
Jeremy
si aggrappò alla sua giacca. "Papà, son tanti
soldi?".
Lo
accarezzò sui capelli, distrattamente. "Sì, son
tanti soldi".
Tanti, troppi... Nemmeno mettendosi in società con altri
suoi pari,
avrebbe potuto trovare una cifra del genere, una cifra talmente
spropositata da dargli la certezza che fosse stata ideata apposta per
non permettere a nessuno di acquistare la miniera. Stavolta George
aveva vinto e lo aveva messo con le spalle al muro, trascinando nella
miseria centinaia di persone per una disputa personale fra loro che
non aveva alcun senso.
"E
allora capitano, che si fa?" - chiese infine Zachy, con tono di
voce sconfitto.
Ross
gli diede una pacca amichevole sulla spalla. "Purtroppo nulla...
Ci ha messi all'angolo, mettendo la miniera all'asta per quella cifra
sa di sicuro che nessuno potrà acquistarla e la
chiuderà, lasciando
nella disperazione le famiglie di duecento minatori".
"Ma
signor Ross, forse, se ci pensiamo bene, un'idea ci potrebbe venire"
– intervenne Prudie, stringendo a se il piccolo Jeremy.
Ross
scosse la testa. No, nemmeno pensandoci avrebbero trovato una
soluzione a quella catastrofe architettata da George Warleggan. Forse
avrebbe potuto assumere qualcuno di quei disperati alla Wheal Grace,
una manciata di persone in più non avrebbero inciso sulla
sua
miniera, ma duecento persone...
Strinse
la mano a Zachy con aria sconfitta. "Ti ringrazio per avermi
informato. Aspettami alla miniera, finisco di prepararmi e fra al
massimo un'ora sono lì per far saltare il tunnel".
"Si
signore".
Zachy
se ne andò, salutando Prudie e Jeremy con un cenno del capo.
E una
volta uscito, Ross si sedette alla panca, mettendosi le mani fra i
capelli. Ecco, questa era un'altra delle catastrofiche conseguenze di
quella notte folle fra lui ed Elizabeth... A quanta gente aveva fatto
del male?
"Papà!".
La
vocina di Jeremy lo fece sussultare. "Cosa c'è?".
Il
bimbo si sedette accanto a lui sulla panca mentre Prudie,
borbottando, andò nel salotto ad accendere il camino per
scaldare
l'ambiente per le bambine più piccole che a breve si
sarebbero
svegliate. "Lo sai, forse io e Clowance possiamo aiutarti".
Gli
sorrise, accarezzandogli i ricciolini castani ancora spettinati.
"Come?".
Jeremy
fece un sorriso furbo. "Sai che Miss Etta, a Londra, ci dava una
paghetta?".
"Cosa?".
"Sì,
quando io e Clowance facciamo i bravi, lei ci da uno scellino a
testa. Li teniamo in un salvadanaio, è pieno ormai! Magari
ci puoi
comprare la miniera, se te li diamo! Sono tantissimi scellini, anche
se la maggior parte sono miei perché Clowance fa sempre i
capricci e
Miss Etta mica la premia così spesso".
Ross
pensò che, da quando era padre, quella era la volta in cui
si era
sentito più orgoglioso dei suoi figli.
L'ingenuità, la generosità,
il candore con cui Jeremy gli stava offrendo i suoi risparmi, erano
un qualcosa che avrebbe reso fiero qualsiasi genitore. Pur con tutte
le brutte notizie di quella mattina, quel gesto di Jeremy riusciva a
regalare un raggio di sole in una giornata cupa, dandogli la speranza
che ci fossero speranza e futuro per il mondo, se i bambini che un
giorno l'avrebbero guidato avessero mantenuto intatta la loro
generosità. "Ti ringrazio, è un gesto molto bello
ma quei
soldi sono tuoi e di Clowance. Li avete guadagnati ed è
giusto che
li usiate per voi".
Jeremy
alzò le spalle. "Li riguadagneremo, se faremo i bravi
ancora!".
Ross,
con gentilezza, lo bloccò. "Purtroppo non basterebbero
comunque, Jeremy. Quella miniera costa troppo, nessuno potrebbe
comprarla".
"Oh...".
Il bimbo abbassò lo sguardo. Era generoso e sensibile, in
questo
aveva preso indubbiamente da Demelza ma Ross era fiero che, come lui,
avesse a cuore la sorte delle persone che li circondavano.
"Ross...".
Si
voltarono, lui e Jeremy, al suono della voce di Demelza che, in
camicia da notte e coi capelli ancora sciolti e spettinati, li aveva
raggiunti in cucina.
"Demelza?
Che ci fai in piedi?".
La
donna si avvicinò loro, sedendosi sulla panca faccia a
faccia con
suo marito. "Ho sentito la voce di Zachy e mi sono preoccupata.
E' successo qualcosa di grave?" - chiese, prendendo Jeremy sulle
sue ginocchia.
Ross
sospirò, vergognandosi perché sapeva che in un
certo senso era di
nuovo colpa sua. Riaprire quel discorso con Demelza era sempre
doloroso per lui quanto per lei e non c'era mai modo di metterci una
pietra sopra. La guardò negli occhi e poi, lentamente, le
spiegò
quanto riferitogli da Zachy.
Demelza
spalancò gli occhi, tremando lievemente. "Giuda! Ross,
quarantamila sterline sono una cifra assurda!".
"Lo
so, lo ha fatto apposta per non permettere a nessuno di comprare la
Wheal Jared all'asta. Facendo così, sa di colpire me e i
miei
ideali".
Demelza
si morse il labbro, cercando in modo febbrile una soluzione. "Se
chiedessimo a Caroline...?".
Ross
scartò subito l'idea. "E' una cifra troppo elevata e non me
la
sento di chiederle nulla, soprattutto ora che è di nuovo
incinta".
"Sì
ma la Wheal Jared è una miniera prospera e potremmo
restituirle la
somma, col tempo".
"No
Demelza, ci vorrebbe troppo! Pur con tutti i guadagni che ne
scaturirebbero, quarantamila sterline sono un'enormità da
restituire".
Demelza
si guardò in giro, osservando la casa. "Se mettessimo
un'ipoteca su Nampara? Lo abbiamo già fatto...".
Ross
le sorrise, accarezzandole il viso. "Non ne ricaveremmo comunque
una cifra simile. E poi, non mi va di rischiare la nostra casa o la
Wheal Grace. Anche ipotecando entrambe, finiremmo solo per
indebitarci, rischiando il posto di lavoro anche dei nostri di
minatori. E poi...".
"E
poi cosa, Ross?".
Lui
osservò suo figlio che, attento e senza fiatare, ascoltava
la loro
conversazione. "E poi abbiamo quattro bambini piccoli, non
possiamo rischiare. Non me la sento più e questo vuol dire o
che
sono diventato vecchio oppure saggio. Ma il risultato non cambia".
Demelza
fece un timido sorriso a quella battuta, allungando la mano per
stringere quella del marito. "Quindi ha vinto George?".
"Quindi
ha vinto George...".
Lei
scosse la testa amareggiata. "Santo cielo, quell'uomo è un
mostro! E la cosa grave è che riesce a dormire la notte
mentre
duecento minatori assieme alle loro famiglie arriveranno alla fame a
causa sua e di un suo capriccio".
Ross
osservò distrattamente la neve che, fuori dalla finestra,
cadeva
incessantemente. E in quel momento si rese conto che le favole che
sua madre gli raccontava da piccolo erano solo menzogne: i buoni non
sempre vincono e anzi, spesso, sono i cattivi ad avere l'ultima e
definitiva parola. "Già, duecento famiglie senza lavoro da
un
giorno all'altro, in pieno inverno".
"Cosa
possiamo fare per loro?" - chiese Demelza, temendo già la
risposta.
"Nulla,
amore mio. Proprio nulla se non raccomandarli a Dio, pregandolo di
essere misericordioso".
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Capitolo 46 *** Capitolo quarantasei ***
Bella
aveva compiuto tre mesi ed Ellie quel giorno compiva tre anni. Era
nata il primo giorno di primavera e quell'anno sembrava che la bella
stagione avesse voglia di accelerare i tempi, regalando un piacevole
tepore che di solito si avvertiva a maggio.
Il
cielo era limpido e terso, la temperatura piacevole e i bambini
passavano la maggior parte della giornata nell'aia o nella stalla a
giocare.
L'inverno
era stato rigido e duro, molti dei minatori che avevano perso il
lavoro a causa della chiusura della Wheal Jared avevano sofferto la
fame e Ross e Demelza avevano cercato di aiutarli coi pochi mezzi a
loro disposizione, dando cibo ai loro bambini ed assumendo quanti
più
uomini possibili alla Wheal Grace. Ma non era bastato, non sarebbe
mai bastato...
La
miseria che aleggiava da mesi in quelle terre era qualcosa da
togliere il sonno e la serenità e Ross, pur scervellandosi,
non
aveva trovato una via d'uscita.
Ma
quel giorno doveva essere felice, era un giorno speciale! Non aveva
mai festeggiato il compleanno di Eleanor, era la prima volta per lui.
L'anno prima era passato senza quasi che se ne accorgesse mentre due
anni prima... Beh, non voleva pensare a come fosse la sua vita due
anni prima, a come odiasse quella bimba che ora amava e considerava
sua figlia. Ripensandoci, riusciva ancora a vergognarsi di se stesso
e del suo comportamento di allora...
Ellie,
inconsapevole di tutto ciò, voleva semplicemente giocare.
Alla
richiesta di quale regalo volesse, aveva detto candidamente che
voleva dei coniglietti nuovi per fare compagnia a quelli che avevano
nella stalla e lui e Demelza gliene avevano regalati tre, come i suoi
anni. Per il resto, era solo eccitata perché la sua mamma e
Prudie
le avevano promesso una torta di compleanno con le fragole e non
sembrava minimamente interessata al fatto che sarebbe stata la
festeggiata e la principessina di casa. Candidamente, quel giorno per
lei era solo questo: una torta da mangiare coi suoi fratelli e dei
coniglietti nuovi con cui giocare e da curare.
Era
cresciuta molto in quegli ultimi mesi. Si era fatta più
paffuta, i
capelli le erano cresciuti in morbidi boccoli biondi che le
arrivavano in vita, aveva iniziato a non svegliarsi più la
notte e
ormai sapeva parlare correttamente quasi quanto i fratelli. Ed era di
una bellezza disarmante, tanto che Ross rimanveva incantato a volte,
quando si fermava ad osservarla. Aveva un portamento a suo modo
elegante che forse proveniva dai Boscawen, ma il suo animo era
semplice. Amava stare all'aria aperta, giocare con gli animali,
difficilmente la si vedeva fare i capricci e ci voleva sempre poco
per renderla contenta. E in questo somigliava a Demelza,
indubbiamente e meravigliosamente.
Mentre
il profumo della torta invadeva la casa, Ross si mise a studiare le
mappe dei tunnel sotterranei della Wheal Grace, alla ricerca di
sbocchi per nuovi filoni. Demelza era al piano di sopra, intenta ad
allattare Bella, le risate dei bambini nella stalla risuonavano
allegre per la casa e in fondo, nonostante la difficile situazione di
tanti, poteva definirsi felice.
Improvvisamente
la tranquillità fu spezzata dall'ingresso di Prudie, giunta
col suo
passo pesante nella biblioteca. "Avete ospiti" – disse la
serva, con aria seccata.
Ross
parve esserne stupito. Avevano invitato Caroline e Dwight per il
compleanno di Ellie ma loro avevano rifiutato a causa delle nausee
della donna e quindi, non aspettavano nessuno. "Chi sarebbe?".
Prudie
si voltò verso l'uscio e una donna elegantissima, sulla
cinquantina,
apparve davanti a lui. "Una lady di Londra" – disse la
donna, prima di lasciarlo solo con la sua ospite.
Ross
guardò la nuova arrivata, accorgendosi che non aveva idea di
chi
fosse! Aveva abiti ricercati e alla moda, indossava gioielli di gran
valore, non aveva un capello fuori posto ma a parte questo, niente in
lei gli diceva qualcosa. Anche se, osservandola, qualcosa di
famigliare c'era, in lei... "Con chi ho il piacere di parlare?".
La
donna chiuse la porta, avvicinandosi alla scrivania. "Posso
sedermi?" - chiese, senza rispondere alla sua domanda.
"Prego"
– rispose lui indicandole la sedia, sempre più
curioso.
La
signora si accomodò, poi estrasse un plico di carta
dall'elegante
borsetta che aveva fra le mani. "Sono venuta fin quì per
parlare di affari".
"Non
so nemmeno il vostro nome, mia lady, e non ho idea di che genere
d'affari potrei concludere con voi".
La
donna sorrise. "Conoscete mio fratello, Lord Falmouth. Mi chiamo
Dorothy, vedova Armitage... Sono la madre di Hugh".
Ross
impallidì, nell'udire quel nome. "Cosa volete?" - chiese
subito, freddamente, temendo che fosse venuta per Ellie. E
soprattutto, turbato dall'averla in casa. I Boscawen, lord Falmouth e
Hugh erano fonte di spiacevoli ricordi e a loro era legato il periodo
più cupo della sua vita.
La
donna parve capire i suoi pensieri. "Non sono quì per la
piccola, sono quì per affari, come vi ho detto".
Ross
si accigliò, non capiva. Cosa ci faceva lì quella
donna? Che genere
di affari voleva concludere con lui? E davvero, Ellie non c'entrava?
"Che tipo di affari?" - chiese, osservando il plico che la
donna aveva messo sul suo tavolo. "Cos'è?".
La
donna accavallò elegantemente le gambe. "Le quote della
Wheal
Jared che ho acquistato al termine di una divertente asta che si
è
tenuta a Londra dieci giorni fa".
Spalancò
gli occhi, le mani gli presero a tremare e il suo raziocinio
andò in
tilt. "Le quote della Wheal Jared? VOI avreste acquistato le
quote della Wheal Jared?".
"Esattamente".
"Perché?".
Dorothy
alzò le spalle. "Così, avevo un pomeriggio
libero, nessun
sarto a disposizione a cui dare il mio denaro per abiti nuovi e ho
deciso di inventarmi qualche gioco nuovo. Dicono che il mondo delle
miniere sia divertente".
Ross
fece un sorrisetto sarcastico. Quella donna era sicuramente esperta
di balli, pizzi e merletti ma in quanto a miniere, non avrebbe saputo
distinguere un sasso da una vena di rame. "Congratulazioni per
il vostro nuovo gioco allora, signora!" - esclamò alla fine,
con tono ironico.
Lei
rispose al sorriso con lo stesso sarcasmo. "Non mi chiedete
perché ho comprato queste azioni?".
Ross
si alzò dalla sedia, appoggiandosi al davanzale della
finestra. "No!
Non ritengo siano affari miei e continuo a non capire il motivo della
vostra visita quì".
"Voglio
che gestiate questa miniera per me".
"Perché
dovrei farlo? Non sono io ad averla comprata, è vostra" -
gli
disse, diretto e brusco.
Lei
non ne parve minimamente intimorita. "Perché io non so nulla
di
miniere mentre voi, dicono, siete esperto".
A
piccoli passi, Ross si riavvicinò alla scrivania. "Appunto,
voi
non sapete nulla di miniere e quindi mi chiedo perché
abbiate speso
una cifra così considerevole per comprare queste azioni".
Lei
allargò le braccia. "Spirito di solidarietà con
quei poveri
minatori, forse?".
Ross
rise di nuovo con sarcasmo. "A voi non importa nulla dei
minatori e nemmeno delle miniere".
Lei
incassò il colpo con classe, non scomponendosi. "Vero, su
questo vi do ragione".
"Vostro
fratello sa di questa vostra spesa folle?" - chiese Ross,
ricordando bene quanto poco importasse a Lord Falmouth del mondo
delle miniere.
"Mio
fratello gestisce il suo, di denaro. Io il mio... E onestamente,
quarantamila sterline per me son cosa di poco conto, un capriccio...
Mi potrebbe bastare vendere uno dei miei anelli per recuperare quella
cifra" – rispose lei, osservando le sue unghie ingioiellate e
perfettamente colorate.
Ross
trattenne il fiato. Santo cielo, aveva davanti una delle donne
più
facoltose d'Inghilterra ed Ellie, se le cose fossero andate
diversamente, sarebbe stata una delle bambine più ricche
della
nazione. Gli venne la pelle d'oca al pensiero realizzando quanto
avesse perso quella bimba assumendo il cognome Poldark
anziché
Armitage. "Perché avete comprato quelle azioni? La
verità,
intendo!".
"Vendetta"
– rispose lei in tono diretto, talmente diretto che quella
non
poteva che essere la verità.
Ross
la guardò, sorpreso. "Vendetta? Contro chi?".
"George
Warleggan".
"Cosa
vi ha fatto, signora, se mi è permesso chiedere?". Non ci
stava
capendo un accidente... Fra lui e George non era mai corso buon
sangue e fra loro era in atto da anni una guerra, ma che aveva fatto
a quella ricca signora che, conoscendolo, non aveva sicuramente fatto
altro che elogiare per essere ammesso nei suoi salotti?
Lo
sguardo di Dorothy perse la sua sicurezza e in un attimo divenne
apparentemente più fragile e meno pronta a sostenere la
conversazione. "Le voci che lui ha messo in giro l'estate scorsa
su mio figlio, vostra moglie e la piccola Eleanor potevano portare a
conseguenze molto pericolose e voi lo sapete meglio di me. Per il
semplice gusto di gettarvi nel fango, quell'uomo avrebbe distrutto la
vita della mia nipotina senza pensarci due volte e io non glielo
perdonerò mai. Ho aspettato per mesi l'occasione giusta per
vendicarmi e quando ho saputo della vendita della Wheal Jared, ho
immaginato che lo avesse fatto per cercare di colpire nuovamente voi
che, a sua differenza, vi siete sempre battuto per il bene dei
minatori. Vederlo sbiancare nel corso di quell'asta, quando ho fatto
la mia offerta, è stata la mia soddisfazione più
grande".
Ross,
in silenzio, l'aveva ascoltata attentamente, rendendosi conto di aver
davanti una donna combattiva, molto più terrena e molto meno
sognatrice di suo figlio. Una donna che sicuramente amava il lusso ma
che la vita, negli ultimi anni, aveva temprato e reso una guerriera
vendicativa forse più di lui. "Quindi, in un certo senso,
avevo
ragione io! Lo avete fatto per la bambina".
Lei
scosse la testa. "L'ho fatto per vendetta, UNICAMENTE per
vendetta".
Ross
si risedette alla scrivania. "Non prendiamoci in giro, mia lady!
Comprendo e condivido le motivazioni che vi hanno spinta a comprare
delle azioni il cui prezzo, per ognuno di noi della Cornovaglia, era
proibitivo. Ma se non fosse stato per Eleanor, non vi sarebbe
importato nulla di quello che George diceva di me e mia moglie a
Londra, giusto?".
"Giusto"-
ammise lei. Dorothy prese il plico di azioni, spingendoli nelle sue
mani. "Signor Poldark, volete sapere la verità, la VERA
verità?".
"Certo".
Lei
sorrise, stavolta dolcemente. "Non mi piaceva vostra moglie,
all'inizio. La tolleravo perché Hugh desiderava averla
vicina ma io,
a differenza di mio figlio, avevo capito che lei era incinta e che
questo avrebbe potuto rappresentare un problema. Avrei voluto che
interrompesse la gravidanza, le offrì dei soldi per comprare
il suo
silenzio ma lei li rifiutò, promettendomi che non avrebbe
tradito la
memoria di mio figlio. Mantenne la promessa, sparì dalle
nostre vite
e da sola si prese la responsabilità della bambina. E
così iniziai
ad ammirarla e a capire perché Hugh ne era così
innamorato. Era
coraggiosa, affascinante e selvaggia ma matura, sapeva prendersi le
sue responsabilità e soprattutto, senza ascoltare nessuno,
ha messo
al mondo quella bambina che è tutto quello che resta di mio
figlio.
Non la ringrazierò mai abbastanza per questo e
ammirerò per sempre
la grande dignità che ha dimostrato fin dall'inizio".
Ross
la bloccò. Faceva male sentirla parlare di Hugh e di Ellie,
faceva
male sentirla dire che quella bambina era... era... "Eleanor
è
mia figlia! Mi spiace darvi questo dispiacere ma Hugh non ne
è mai
stato padre né mai lo sarà".
Lo
disse seccamente, facendola sussultare. "Signor Poldark, so
benissimo che è vostra e che non ho alcun diritto su di lei.
Ma
niente, nemmeno voi potrà impedirmi di pensare, ovunque io
sia, che
nel mondo c'è una mia nipotina che cresce felice con una
famiglia
meravigliosa che la ama. Questo è per me motivo di gioia,
dopo la
morte di mio figlio. La mia consolazione... E devo ringraziare vostra
moglie per questo! Non interferirò mai nelle vostre vite,
voglio
solo che abbiate queste quote della miniera che ho comprato e che la
facciate fruttare talmente bene da far venire una gastrite cronica a
Warleggan. Solo questo. Vostra moglie rifiutò il mio denaro
e di voi
si dice che siate altrettanto ostinatamente orgoglioso e quindi
sapevo che donarvi le quarantamila sterline per partecipare all'asta
sarebbe stato un errore. Non vi do denaro, quindi, vi do una miniera!
E la miniera è il vostro mondo! Accettela come un dono e
date una
speranza di vita a quei minatori... Trovare vendetta facendo del
bene, in fondo, non è una cosa caritatevole?".
Ross,
a quell'affermazione, rise. In effetti era furba e sapeva cosa dire e
come dirlo... "Credo che nostro Signore avrebbe qualcosa da
ridire...".
"A
suo tempo, ne discuterò anche con lui".
Ross
annuì, osservando i fogli sulla sua scrivania. Era tentato,
dannatamente tentato di accettare ma aveva paura. E se quelle azioni
avessero dato vita a una sorta di pretesa della donna su Ellie?
Dorothy cominciava a piacergli ma non avrebbe mai barattato la sua
bambina, per nulla al mondo... "Signora, io non potrò
restituirvi questi soldi. Sono troppi".
"Non
li rivoglio indietro. Voglio che gestiate solo la miniera per mio
conto".
"Questo
però mi porrebbe in una situazione di debito verso di voi".
Dorothy
guardò fuori dalla finestra e i suoi occhi si persero
nell'azzurro
del cielo sereno. "Queste risate infantili che si sentono, sono
dei vostri bambini?".
"Sì,
stanno giocando nella stalla. Abbiamo quattro bambini e questa casa
non è mai silenziosa".
La
donna sorrise dolcemente. "Beh, è una casa allegra e felice.
L'ideale per crescere". Si appoggiò alla spalliera della
sedia,
sistemandosi con la mano una piega del vestito. "Sapete, io una
volta l'ho vista Eleanor".
Ross
parve esserne sorpreso. "Quando?".
Lei
lo guardò negli occhi. "Aveva poche settimane di vita e la
curiosità mi spinse ad andare in quel bosco di Illugan, a
cavallo.
Lì vidi Demelza, con la bambina. La teneva avvolta in una
fascia,
era talmente piccola ed indifesa... E bellissima e perfetta! Temevo
che Demelza, dopo il modo in cui mi ero comportata con lei, si
rifiutasse di farmela vedere ma invece lei mi permise di avvicinarmi,
chiedendomi se volessi tenerla in braccio. Non ho mai dimenticato
quel gesto e non l'ho mai ringraziata per averlo compiuto. Voi dite
che se accettate quelle azioni, sareste in debito con me? Signor
Poldark, sono io ad essere in debito con voi... Avete dato una casa e
una famiglia ad Eleanor, amore, dei fratellini con cui crescere e
giocare e voi... Voi l'avete accettata nel vostro cuore e nella
vostra vita e io so, sono sicura che non esista al mondo un padre
migliore di voi, per lei. Hugh non avrebbe mai potuto esserlo, non ne
sarebbe stato capace. Voi sì e quindi, se permettete,
quarantamila
sterline non hanno alcun valore per me, se rapportate al valore della
felicità di Eleanor".
Ross,
colpito dalla profondità e dalla sincerità di
quelle parole,
sorrise mettendo da parte ogni preoccupazione. Ora, finalmente, non
si sentiva più in pericolo dall'arrivo di quella donna e si
sentiva
certo delle sue buone intenzioni. "Una gastrite cronica a George
Warleggan, dite?".
Lei
fece un sorriso furbo. "Non sarebbe divertente?".
"Assolutamente"
– le rispose, rendendosi conto di quanto fosse diversa da suo
figlio.
In
quel momento la porta si aprì e comparve Demelza con in
braccio
Bella. "Ross, Prudie mi ha detto che abbiamo osp...". La
donna si bloccò, spalancando gli occhi. "Dorothy"
–
sussurrò, con un filo di voce, osservando Ross in cerca di
risposte.
Dorothy
annuì. "E' molto che non ci vediamo, signora Poldark. Vi
faccio
le congratulazioni per la nuova arrivata" – disse, indicando
Bella.
Ross
si mise fra le due per affrettarsi a dare una spiegazione a sua
moglie che, attonita e timorosa, guardava la loro ospite. "Ora
ti spiego tutto, non devi preoccuparti".
Dorothy
si avvicinò. "Non sono quì con cattive
intenzioni, sono venuta
solo per parlare di affari" – disse, sbirciando la bambina
che, perfettamente sveglia, muoveva le gambette. "E' bellissima.
Somiglia a suo padre!".
Ross
guardò la piccolina di casa con un moto di orgoglio. Aveva
una massa
bella folta di capelli neri, i suoi stessi occhi grigi ed era
bellissima. Adorava mangiare, era curiosa e vispa, aveva un carattere
meraviglioso ed era sempre col sorriso sulle labbra e piangeva
raramente anche se, quando lo faceva, strillava talmente forte da far
tremare le pareti di Nampara. "Vi presento Isabella-Rose, la
nostra ultima arrivata".
"Sono
felice per voi" – disse la donna che, più di
tutti, sapeva
quali tribulazioni avessero affrontato loro due a causa di Hugh.
Demelza,
come fece tre anni prima con Ellie, si avvicinò per
fargliela
toccare. "E' stata una benedizione per noi, questa bambina. La
amiamo, i suoi fratelli la torturano un pò ma in fondo la
adorano".
Ross
le mise la mano sulle spalle, attirandola a se. E poi, con poche e
semplici parole, le spiegò il motivo della visita di Dorothy.
Al
termine del suo racconto, Demelza sbiancò. "Giuda,
quarantamila
sterline!? Avete speso tutto quel denaro per...".
Dorothy
scrollò le spalle. "A volte, al gioco, perdo di
più... Non
ditelo a mio fratello però, se lo vedete...".
Ross
e Demelza si guardarono negli occhi, increduli di sentirla dire con
tanta leggerezza una cosa simile. Demelza deglutì, sfiorando
il
braccio del marito. "Che fai, accetti?".
Ross
ci pensò su un attimo, sciogliendo le ultime riserve. "Tu
che
faresti?".
Demelza
guardò Dorothy, poi sorrise. Era ora di dare fiducia a
quella
donna... "Io accetterei, c'è troppo in gioco. Non per George
o
per vendetta ma perché aiuteresti tante persone facendo una
cosa che
ti piace e in cui sei bravo. Però...".
"Però
cosa?" - chiese Dorothy.
Demelza
la guardò. "Però vorrei che foste voi la
proprietaria della
miniera, a tutti gli effetti. E Ross si dovrà impegnare a
tenervi
informata e a discutere con voi dell'andamento della miniera.
Dovreste occuparvene, per quel che riuscite. Parlo per me ma conosco
mio marito e so che è d'accordo con me su questo! Non
vogliamo che
la miniera ci venga regalata, accetteremo solo se voi ci
considererete soci. Ross ci metterà passione ed esperienza,
voi il
denaro. Siete d'accordo?".
Ross
guardò sua moglie con ammirazione. La proposta che aveva
fatto era
la più giusta e ragionevole per tutti. "E allora?".
Dorothy
annuì. "Mi annoierò da morire a sentir parlare di
sassi e
dubito che vi potrò essere utile ma va bene, sono
d'accordo".
Si avvicinò alla porta, sfiorando l'uscio. "Ci incontreremo
quando sarò quì in Cornovaglia e mi scriverete
quando sarò a
Londra".
Demelza
le sbarrò la strada, impedendole di uscire. "Andate
già via?
Perché non vi fermate a prendere un té e a
mangiare una fetta di
torta?".
Ross
rimase un pò interdetto da quella proposta ma poi decise che
Demelza
aveva ragione. Eleanor era sua figlia e niente avrebbe cambiato
questo stato di cose e quindi non doveva temere che Dorothy la
vedesse. "Mia moglie ha ragione, fermatevi un attimo ancora.
L'unica cosa che vi chiedo è di trattare i miei figli tutti
allo
stesso modo. So che per voi Eleanor è speciale ma se saremo
soci,
vorrei che foste imparziale quando i miei figli saranno presenti.
Eleanor cresce con loro, si sentono un'unica cosa e fare preferenze
finirebbe solo per farla sentire diversa".
Dorothy,
sopresa da quella proposta, tremò lievemente. "Non vedo
Eleanor
da quando era neonata".
Un
chiasso che proveniva dal salotto, fece interromere bruscamente la
conversazione. I tre bambini spalancarono la porta della biblioteca
ed entrarono di corsa, attaccandosi alle gambe dei genitori.
Dorothy
spalancò gli occhi e Demelza e Ross si misero le mani nei
capelli. I
loro tre figli, sudati, spettinati, con la paglia fra i capelli e i
vestiti sporchi, sembravano usciti da una miniera.
Dorothy
osservò la piccola Eleanor e Ross la vide tremare
dall'emozione,
sebbene fu capace di non darlo a vedere. La bimba aveva le guance
arrossate, nei suoi boccoli biondi c'erano infinite pagliuzze di
paglia e il suo vestitino azzurro era chiazzato di terra. Si
inginocchiò davanti a lei, prendendola in braccio. "Sei la
bimba che compie gli anni più sporca della terra"
– esclamò,
mentre Demelza rideva nel vedere i suoi figli conciati a quel modo.
Dorothy
intervenne, osservando i bambini. "Direi che quì abbiamo tre
piccoli bimbi che sembrano essersi divertiti molto".
Ross
guardò la piccola Ellie fra le sue braccia e poi gli altri
due
bambini. Eleanor e Jeremy erano sporchissimi, Clowance lo era
decisamente meno... "Come mai i tuoi abiti e i tuoi capelli sono
quasi puliti? Non dovevate dar da mangiare tutti e tre ai
vitellini?".
Sua
figlia maggiore si mise le mani sui fianchi, battendo il piedino. "Ma
papà, io non mi voglio sporcare e visto che a Jeremy e a
Ellie piace
occuparsi degli animali, sono generosa e lascio fare a loro anche il
mio lavoro. Loro son contenti e io son pulita, semplice!".
Dorothy
osservò Clowance con ammirazione, dimenticando per un attimo
di
sciogliersi alla vista di Ellie. "Che bambina di classe! E
già
con le idee chiare, sono incantata e sinceramente ammirata dalla sua
innata faccia tosta".
Demelza
si avvicinò a Clowance, cingendole le spalle con le braccia.
"Lei
è Clowance ed è la più nobile e
viziata della famiglia".
"Voglio
fare la principessa, da grande! Anzi, la regina" –
asserì
Clowance, osservando con attenzione l'eleganza della loro ospite.
Dorothy
le sorrise. "La regina? Sai che io la conosco?".
Clowance
spalancò gli occhi. "Davvero?" - sussurrò, col
fiato
corto per l'emozione.
"Sì,
certo! Ho partecipato a numerosi balli nel palazzo reale".
"E
com'è?".
"Chi,
la regina?".
"Sì".
Dorothy
le strizzò l'occhio. "Noiosa! E' più divertente
stare quì a
giocare coi tuoi fratelli, te lo assicuro".
Clowance
le si avvicinò, guardando il suo abito e i suoi gioielli.
"Ma
ci sono bambini che vanno ai balli della regina?".
"Sì,
a volte".
"E
quanti anni bisogna avere?".
Dorothy
ci pensò su. "Otto, dieci... Tu quanti ne hai?".
"Quasi
sei!" - disse veloce la bambina.
Jeremy
la contraddisse, ridacchiando. "Non è vero, ne ha solo
cinque".
Clowance,
imbronciata, gli fece la linguaccia. "Cinque anni e quattro
mesi, vero mamma? Vero che cinque anni e quattro mesi son quasi
sei?".
Ross
decise che era ora di mettere fine a quella disputa. Mise a terra
Ellie e chiamò a se gli altri bambini. "Avanti, basta!
Correte
da Prudie e ditele di farvi un bagno e darvi abiti puliti o non solo
non sarete mai ammessi al cospetto della regina, ma nemmeno alla
nostra tavola per mangiare la torta di compleanno. La nostra ospite
starà pensando che siete dei selvaggi".
Ellie
si aggrappò alla sua gamba mentre Dorothy riprendeva a
guardarla.
"Papà?".
"Sì?".
"Andiamo
al mare a fare il bagno?".
Ross
rise davanti a quella domanda che nascondeva una notevole faccia
tosta. "No, nella vasca da bagno! Avanti, correte tutti e tre a
lavarvi".
Clowance
osservò Dorothy e, desiderosa di fare buona impressione su
di lei,
ubbidì subito. "Io per prima".
"No,
io!" - ribatté Jeremy cercando di spingerla da parte,
imitato
da Ellie che rideva.
I
tre bambini, spingendosi, scomparvero alla loro vista e Dorothy
sorrise dolcemente. "C'è molta allegria in questa casa.
Gioia!
Come dicevo prima, sono io ad essere in debito con voi...".
Guardò Demelza, con gli occhi lucidi. "Lei è
bellissima,
perfetta come l'ho sempre immaginata. E felice... Si vede che
è una
bambina tanto amata da tutti voi. Io l'avrei riempita di vizi e
merletti ma non avrei mai potuto darle ciò che ha
quì. E nemmeno
Hugh...".
Demelza
rispose al sorriso. "E' una brava bambina, ha un animo gentile e
ama tutti gli animali eccetto i cavalli, di cui ha paura".
Ross
si appoggiò alla scrivania, pensieroso. "L'unico suo difetto
è
che non ama troppo dormire, la notte".
Dorothy
rise, a quelle parole. "Come Hugh... Anche lui, da piccolo,
aveva problemi col sonno".
Ross
la fissò, desideroso di controbattere a quella divagazione
su QUEL
nome che non voleva sentire, in maniera sibillina. "Come dice
mia moglie, Ellie è piena di pregi, presi tutti da sua
madre. Ma
come tutti gli esseri umani ha dei difetti e ora sappiamo da chi li
ha ereditati".
"ROSS!"
- lo fulminò Demelza.
Ross
fece un sorriso falso e amabile e Dorothy fece altrettanto. Non se
l'era presa ma, al contrario, ne sembrava divertita. In un certo
senso erano pungenti alla stessa maniera...
Dorothy
sospirò, piegando fra le sue braccia la mantella. "Se
davvero
desiderate che resti per la merenda, vado ad avvertire il mio
cocchiere di ripassare a prendermi fra un paio d'ore. Discuteremo di
affari e chiacchiererò con i vostri figli. Ellie
è meravigliosa ma
anche gli altri due... E la piccola Clowance... Una vera perfetta
lady che, se introdotta da qualcuno che se ne intende nell'alta
società londinese, grazie alla sua bellezza e alla sua
grazia saprà
conquistare i giovanotti più ambiti della capitale, fra
qualche
anno".
Ross
tossicchiò, non molto felice dell'idea. "Credo che dovreste
andare ad avvertire il cocchiere, mia lady".
Dorothy
annuì, ridendo sotto i baffi. E poi uscì,
lasciando Ross e Demelza
momentaneamente soli con Bella che, incuriosita, era stata buona e
zitta tutto quel tempo fra le braccia di sua madre.
"Ross,
non ti dispiace che le abbia proposto di rimanere per la merenda,
vero?".
Lui
le cinse la vita, attirandola a se e baciandola sulle labbra. "No,
hai fatto bene. In fondo non ho niente da temere, Eleanor è
mia per
legge ed è mia figlia. Il resto non mi importa e in fondo,
se ci
imbarchiamo in questa avventura con la Wheal Jared, dovremo averci a
che fare".
Demelza
sorrise dolcemente. "Ma ci pensi? Quei duecento minatori
riavranno il loro posto di lavoro e la loro vita, assieme a quella
dei loro cari, è salva. E con te come capo, sicuramente
vivranno un
ambiente di lavoro notevolmente migliorato rispetto a quando c'era
George Warleggan".
Ross
si soffermò su quelle parole e sul significato che
quell'impresa,
grazie a Dorothy, avrebbe comportato per tanta gente. "Sai,
mentre lei mi parlava delle azioni che aveva comprato, ho pensato a
una cosa che mi hai detto un pò di tempo fa".
"A
cosa?".
"A
quando mi hai detto che nel tuo cuore hai sempre pensato che Eleanor
sia nata per un motivo ben preciso e non per caso".
Demelza
si accigliò. "Che c'entra la nascita di Ellie con la Wheal
Jared?".
Ross
le sorrise dolcemente, rendendosi conto che ora aveva tutte le
risposte che a lungo aveva cercato. "Se Eleanor non fosse
esistita, Elizabeth sarebbe comunque morta, George avrebbe chiuso in
qualunque caso la miniera, ma Dorothy non avrebbe mai comprato quelle
azioni per poi donarle a noi e tutte quelle persone sarebbero morte
di fame o carestia. Nascendo, quella bambina ha donato a duecento
minatori una nuova vita e una nuova opportunità. Sai, io
credo che
Dio a volte abbia dei fini nascosti che persegue attraverso strade
tortuose e incomprensibili. Strade che ci temprano, che ci mettono
alla prova, che ci fanno cadere ma che poi ci aiutano a rialzarci
più
forti e saggi di prima. Ellie non ha aiutato solo duecento minatori
ad avere un lavoro ma ha migliorato me, mi ha reso un uomo migliore e
ha arricchito la mia vita. Ha messo alla prova te e ne sei uscita
più
forte di prima e i nostri figli hanno una sorellina in più
con cui
affrontare la loro vita. Non c'è nulla da recriminare e
niente di
cui lamentarci, Eleanor è stata un dono e ha portato solo
del bene
ad ognuno di noi. E io sono orgoglioso di essere suo padre" –
concluse, dando un dolce bacio a fior di labbra a sua moglie e poi un
bacino sulla fronte a Bella.
Il
dolore era alle spalle, così come la sensazione di essere
stato
tradito. Tutto aveva un fine e Demelza aveva avuto ragione per
l'ennesima volta: no, Eleanor non era nata per caso e amandola e
accettandola nella sua vita, aveva superato ogni prova che il destino
e il cielo avevano avuto in serbo per lui e per ognuno di loro. "Ti
amo Demelza Poldark".
"E
io amo te, Ross Poldark". Lo prese per mano, sorridendogli. "E
ora su, andiamo a recuperare i bambini dalla vasca da bagno e
facciamo gli onori di casa con la nostra ospite che, se continuiamo a
rimanere rintanati quì, si sentirà abbandonata".
Ross
rise. E docilmente la seguì.
...
Era
stata una bella giornata e il compleanno di Eleanor, festeggiato in
maniera semplice coi bambini e con Dorothy e Prudie, era stato
gioioso e spensierato.
Quando
Dorothy se n'era andata, Ross aveva deciso di fare una passeggiata
fino alla Wheal Jared e Ellie aveva insistito per andare con lui.
Il
sole iniziava a tramontare e un cielo rosso fuoco accompagnava la
loro camminata a ridosso delle scogliere.
"Ti
piacciono i coniglietti nuovi?" - disse Ross, tenendola per
mano.
"Sì.
Sai papà che Timmy e Tippy hanno fatto nascere i
conigliettini
piccoli?".
Ross
sospirò. Timmy e Tippy erano due dei conigli portati da
Illugan e
sfornavano un numero impressionante di cuccioli. "Di nuovo?".
"Sì,
cinque! Come noi" – rispose Ellie.
Ross
rise, era evidente che non sapeva ancora contare. "Voi siete in
quattro, Ellie".
La
bimba lo guardò, seria. "Adesso! Ma poi diventiamo cinque".
Ross
sbiancò, iniziando a temere che forse c'era qualcosa che
Demelza non
gli aveva ancora detto... Santo cielo, non era possibile, Bella era
nata solo da tre mesi! "Come mai diventate cinque?" -
chiese, col terrore nel cuore.
Ellie
ci pensò su. "Quando poi nella pancia di mamma cresce un
altro
bimbo, poi nasce e noi siamo in cinque".
Ok,
niente panico, doveva soffermarsi sulla parola POI. Ellie, aveva
deciso, era stata mandata dal destino e forse aveva un sesto senso
che prevedeva le cose MOLTO future. Un futuro lontano, ecco... "Ma
adesso non c'è nessuno nella pancia di mamma, vero?".
"No,
adesso no! Ma dopo sì".
Ross
sospirò, sollevato. "Ok, ma mi raccomando, non dirlo alla
mamma! Sarà il nostro segreto o mi ritroverò a
dormire in cantina".
Ellie
fece per replicare ma Ross si fermò improvvisamente,
ammirando ciò
che il suo sguardo aveva incontrato. Erano arrivati! Prese in braccio
Ellie e, orgoglioso, gli mostro la Wheal Jared che, a pochi metri da
loro, era pronta a riprendere vita. "Guarda tesoro, quella è
la
nostra nuova miniera".
Ellie,
stupita, fissò l'ingresso. "Grande".
"Molto
grande" – le rispose, sedendosi su un grosso masso e
mettendosela sulle ginocchia. La guardò, era incantevole.
Demelza le
aveva messo un abitino rosa e un nastro del medesimo colore fra i
capelli e i suoi lunghi boccoli biondi ora si muovevano nella brezza
della sera, mentre il sole del tramonto donava loro tonalità
color
pastello. "La vuoi sentire una storia?".
"Sì".
Ross
la baciò sulla nuca. "C'erano una volta due contadini, un
uomo
e una donna, che avevano molti figli, pochi soldi e tanti problemi.
Vivevano in un posto povero dove vivevano solo persone povere,
litigavano sempre e non riuscivano a parlarsi e a capirsi, a causa
dei loro problemi. Anche se si volevano bene, erano sempre arrabbiati
e tristi, distanti... Un giorno, nel bosco, trovarono una neonata
piccola piccola che non sapevano da dove venisse e siccome non
potevano lasciarla lì da sola, decisero di portarla a casa.
Era
incredibile e non capivano il perché una bambina sola fosse
nel
bosco. Non erano felici di averla trovata, erano troppo poveri e
avevano troppi problemi e una bambina in più da sfamare era
un
grosso guaio.
Litigarono
tanto a causa di questo e di tante altre cose ma però,
siccome
avevano il cuore d'oro, si presero comunque cura della bambina che
crebbe assieme ai loro altri figli. Tanto che, alla fine, era una
diventata anche lei la loro bambina.
E
un giorno, la loro bontà venne premiata. Alla loro povera
porta
bussò una fata che gli disse che la bambina che avevano
trovato era
magica, che arrivava dal mondo delle fate e che, visto che l'avevano
amata e se ne erano presi cura, sarebbero stati ricompensati. I due
contadini furono sommersi da monete d'oro, talmente tante da non
riuscire a contarle. E capirono così che quella bimba non
era
arrivata per caso ma cercava proprio loro per metterli alla prova ed
aiutarli. Divennero ricchi e regalarono il denaro in più ai
loro
vicini che, così, poterono vivere una vita serena. Tutto
grazie a
una bambina che non era arrivata per caso e che aveva insegnato loro
che l'amore, quando è sincero, vince su tutto. Smisero di
litigare,
smisero di avere problemi e vissero per sempre felici e contenti
tutti quanti".
Ellie
lo aveva ascoltato in silenzio, muovendo le gambette nell'aria. "E
la bambina?" - chiese.
Ross
le sorrise, stringendola fra le sue braccia e baciandola sulla
fronte. "Beh, la bambina trovò nei contadini una vera mamma
e
un vero papà. E, circondata dall'amore della sua famiglia e
da tanti
fratelli, visse per sempre felice e amata".
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