Soldati blu

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


SOLDATI BLU



Capitolo 1

Il soldato Halloran si sistemò la giubba dell'uniforme da fatica, poi immerse la redazza nel secchio di liscivia diluita, la strizzò e cominciò con grande impegno a strofinare il pavimento della camerata. Il suo intento era quello di fare buona impressione: quella corvè era una delle meno pesanti, perlomeno si stava all'ombra e relativamente al fresco, e magari, se l'avesse svolta a regola d'arte, il sergente Keane avrebbe deciso di assegnargliela ancora.
Ripassò lo spazzolone su una macchia, insistendo fino a che non riuscì a scrostarla via, poi lo immerse di nuovo nel secchio, lo lasciò gocciolare e si piegò per spingerlo sotto la prima delle brande. Lavò con cura dappertutto, poi sollevò per una delle maniglie la cassetta azzurra degli effetti personali che si trovava ai piedi del letto e passò la redazza anche lì sotto.
Stava lavorando da un po' quando una voce lo fece sussultare: “Te la cavi bene a leccare i pavimenti, Bonnie.”
Halloran si girò di scatto e si trovò di fronte il soldato Perkins, sei piedi e otto pollici, famoso per riuscire a sollevare l'incudine del fabbro con un braccio solo. Fece un passo indietro.
L'altro gli rivolse un sorrisetto e disse: “Se lecchi così bene lì sotto, chissà cosa saresti in grado di fare con il mio uccello.”
Halloran si limitò ad arretrare di un altro passo. Fece guizzare lo sguardo tutt'intorno, ma erano soli e in un'area lontana da porte e finestre.
Non dici niente, Bonnie?”
Non... non chiamarmi così.” Un altro passo indietro.
Perkins lo incalzò, tranquillo come un cacciatore che ormai ha la preda nel mirino. Gli prese di mano lo spazzolone con un gesto quasi premuroso, e poi lo lasciò cadere da una parte. “E perché? Sei carino come una ragazza.” Si avvicinò ancora. “Una bella ragazza, naturalmente. Di quelle che piacciono a me, biondine e delicate. A Fort Tadlock almeno qualche puttana si rimediava, ma in questo posto di merda non ci sono da fottere neanche le squaw. Ho pensato che potremmo arrangiarci fra di noi.”
Halloran arretrò ancora, finendo con le spalle contro il muro. “Non sono una ragazza,” si limitò a balbettare. Deglutì a fatica, cercando di non ansimare troppo vistosamente. “E non... lecco proprio nulla,” mormorò poi.
L'altro avanzò fino a che non fu a un palmo da lui. “E invece so che lo fai,” sussurrò. Gli pose due dita sotto il mento e gli fece alzare il viso. “Lo sanno tutti perché sei qui. Gira voce che tu sia un piccolo esperto, in certe cose.” Aderì a lui col corpo. Halloran sussultò sentendo la sua erezione contro l'addome, e tentò di sgusciare via, ma Perkins fu lesto ad appoggiare la mano sul muro, accanto alla sua testa. “Dove vuoi andare, Bonnie?” lo canzonò. “Vuoi scappare via, hai paura?”
Per favore...”
Per favore,” ripeté l'altro, imitando il suo tono di voce. “Per favore... Così mi fai eccitare ancora di più. Così mi viene voglia di sbatterti su quella branda e strapparti i vestiti a uno a uno, e poi scoparti fino a che non mi chiedi pietà.”
Di nuovo, Halloran cercò di sottrarsi, ma Perkins gli appoggiò la mano libera sulla spalla. “Non così in fretta, Bonnie,” ghignò. “È da maleducati andarsene in questo modo, non ti pare?”
Lasciami!”
Lo sguardo di Perkins si fece minaccioso. “Allora vuoi farmi innervosire, Bonnie? Vuoi che diventi cattivo? Ti piace così?”
Lasciami stare, ti ho detto!” rispose angosciato l'altro, puntandogli le mani contro il petto in un infruttuoso tentativo allontanarlo.
In quel momento echeggiò una voce imperiosa: “Halloran! Dannato moccioso scansafatiche, dove accidenti ti sei imboscato?”
Perkins si irrigidì, poi brontolò un'imprecazione. “Non finisce qui,” gli promise, ma l'altro non rispose nemmeno: in un attimo si sottrasse alla sua presa, poi corse fuori rapido come un coniglio che è riuscito a liberarsi da una trappola.

La luce forte dell'esterno gli fece sbattere le palpebre. Con il sole che c'era, guardare le mura imbiancate a calce di Fort Hope faceva addirittura male agli occhi.
Che accidenti combinavi, là dentro? Dormivi?” lo apostrofò Keane. “È un po' che non sento strofinare.”
Il ragazzo si mise sull'attenti. “No, sergente.”
Hai finito, almeno?”
Halloran deglutì. “No, sergente.”
Keane lo fissò come se avesse voluto incenerirlo. “Pezzo di impiastro buono a nulla,” ringhiò, “Credi di essere venuto qui in villeggiatura? Magari per fare i bagni di sole come certi damerini di Boston?”
No, sergente.”
Fila fuori, specie di idiota. Alla torretta est hanno giusto bisogno di un paio di braccia in più.”
Il ragazzo corse via senza farselo ripetere. Non sapeva se Keane fosse intervenuto perché aveva sentito qualcosa o se fosse semplicemente passato di lì per caso, tuttavia persino un servizio massacrante come la torretta, ovvero scarrozzare travi di legno e secchi di malta sotto il sole a picco, gli parve un sollievo, paragonato a quello che aveva appena rischiato.
Raggiunse un gruppo di soldati che si affaccendavano a torso nudo intorno a un'impalcatura allestita contro una delle torri di vedetta. Il tetto era parzialmente crollato, e da esso spuntavano i monconi anneriti di travi consumate dal fuoco.
Ehi, ragazzi, c'è Bonnie!” esclamò uno di essi vedendolo arrivare.
Gli altri risposero con una risata.
Vieni qua, Bonnie, abbiamo giusto bisogno di due mani delicate per fare la malta!”
Il ragazzo si avvicinò in silenzio, sapeva già per esperienza che se avesse provato a far presente che il suo nome non era Bonnie sarebbe stato seppellito di lazzi e risate. Andò presso la buca della calce, e il soldato Hayner gli passò un badile. “Impasta bene,” gli raccomandò. “Falla liscia e compatta come la merda di Big Joe. Non vogliamo che la prossima volta quei musi rossi bastardi ci tirino giù anche i muri.”
Apache figli di puttana,” giunse dall'alto dell'impalcatura. “Sai dove gliele ficcherei, le loro frecce incendiarie del cazzo? Però accese!”
Ci fu qualche risata.
Halloran cominciò a rivoltare la malta, che era grumosa e pesante, e si attaccava con tenacia al badile. Ben presto fu in un bagno di sudore, la tela ruvida dell'uniforme gli graffiava la pelle, e il sole cocente lo costringeva a tenere lo sguardo rivolto a terra. Si asciugò la fronte con la manica, e per non pensare ai suoi guai cominciò a prestare orecchio alle chiacchiere degli altri.
Se ti beccano, quei bastardi ti tagliano a pezzi ancora vivo,” disse Tacker. Calò con fare significativo l'accetta su una trave, creandovi una profonda intaccatura.
Ehi, sta' attento,” grugnì Hayner, “con quel legno ci dobbiamo fare il tetto.”
Per tua norma e regola, io tagliavo tronchi quando tu ancora andavi a scuola.”
E per tua norma e regola, io a scuola non ci sono mai andato.”
Dev'essere per quello che anche Big Joe legge meglio di te!”
Seguì una salva di risate.
Ehi, Bonnie!” giunse dopo un po' dall'alto del ponteggio, “Hai finito con quella malta? Sembra che stai rimestando lo stufato della domenica!”
Il ragazzo emise un sospiro. “Sissignore.”
Beh, allora porta su un secchio, datti una mossa!”
Sotto lo sguardo critico di Hayner, Halloran riempì un mastello con parte dell'impasto che era riuscito faticosamente a ottenere, poi andò all'impalcatura e cominciò a salire adagio, tenendosi con una mano e reggendo il pesante contenitore con l'altra.
Quando raggiunse la piattaforma della torretta, trovò il soldato Rosat in piedi su una cassa rovesciata, intento a sistemare una delle quattro colonne in muratura che sostenevano il tetto. “Muoviti,” gli disse questi.
Vengo.”
L'altro fece una risatina. “Eh, verrei volentieri anch'io. Dentro una bella figa, magari.”
Il ragazzo lo fissò incerto, temendo che stesse per ripetersi la scena della camerata, ma dopo la battuta Rosat sembrava di nuovo concentrato nel suo lavoro.
Gli lasciò il secchio di calce vicino alla cassa e se ne tornò giù più rapidamente possibile.

Fu solo a pomeriggio inoltrato che il caporale Maybrey, al comando della squadra addetta al ripristino della torre est, ordinò una pausa.
Tutti i soldati abbandonarono l'impalcatura e si raccolsero all'ombra del muro di cinta, sedendosi chi per terra e chi su un abbeveratoio rovesciato. Quelli che l'avevano ancora addosso si tolsero la giubba, e lasciarono che l'aria li rinfrescasse.
Girò un secchio d’acqua con dentro un mestolo, e a turno tutti bevvero.
Che caldo,” si lamentò Rosat, che si stava togliendo di dosso gli schizzi di calce con uno straccio umido. “Non lo sentono quegli stronzi dei musi rossi?”
Quelli vengono dall’inferno,” replicò Tacker, “è normale che non lo sentono.” Fece una pausa, poi in tono cupo proseguì: “Lo sapete cos’hanno fatto nella zona di Fort Davis?”
Gli altri si scambiarono un’occhiata. “No, che cosa?” volle sapere Hayner.
Hanno catturato una ragazza, se la sono tenuta al campo per qualche giorno, dandole da mangiare e facendole credere che erano tutti grandi amiconi, poi a un certo punto l’hanno presa, l’hanno spogliata, l’hanno appesa per le braccia e sotto i piedi le hanno acceso un fuoco. Intanto, la colpivano con le lance e con dei rami incendiati.” Fece girare lo sguardo sull’allibita platea, poi concluse: “L’hanno fatta durare un bel po’, prima di ammazzarla, e più urlava, più si divertivano.”
Al racconto seguì un lungo silenzio. Infine, il caporale Maybrey commentò: “Selvaggi senza Dio. Ha ragione il generale Sheridan: gli unici indiani buoni sono quelli morti.” Si alzò in piedi, poi ammonì: “Ricordatevelo sempre, ragazzi: tenete l’ultimo colpo per voi, se non volete fare la stessa fine. E ora forza, tornate al lavoro.”
Rispose un coro di grugniti di disappunto, ma i soldati si alzarono e tornarono intorno alle impalcature.
Rosat andò su, e dopo un po’ Halloran riempì un altro secchio di malta e a sua volta si arrampicò sulla malferma scaletta che portava alla torre. Trovò il commilitone intento a scrutare l’orizzonte. Guardò a sua volta: con il sole calante, le alture che circondavano il forte prendevano una tonalità livida, mentre gli arbusti che le ricoprivano diventavano grovigli neri. Sui crinali, dove arrivavano gli ultimi raggi, le pietre avevano un caldo colore rossastro, screziato di miele e oro. Il cielo aveva perso il bianco da vecchio lenzuolo che assumeva nella calura del meriggio per diventare una sontuosa cappa di turchese cupo, punteggiata qua e là delle prime stelle.
L’aria finalmente era fresca e profumata di erbe selvatiche.
Rosat si voltò verso di lui e disse: “Ancora non rientrano.”
Dove sono andati?” chiese il ragazzo.
L’altro si strinse nelle spalle. “Giro largo. Dopo quello che è successo, bisogna far vedere ai musi rossi che non scherziamo.”
Vuoi dire fino al Sand Creek?”
Anche oltre, penso. Secondo me, torneranno che fa buio.” Fece una pausa, poi in tono lugubre soggiunse: “Se tornano.”
Il ragazzo non rispose. Che con gli Apache non fosse il caso di scherzare l’aveva imparato il primo giorno della sua assegnazione a Fort Hope: era stato aggregato a una pattuglia addetta al recupero di tre cadaveri. Sulle prime era rimasto abbastanza tranquillo: aveva già visto qualche cadavere nella sua vita, e non lo avevano particolarmente impressionato. Gente che sembrava addormentata, più che altro, oppure corpi avvolti nei sudari, mere sagome bianche che gli avevano suscitato solo una vaga, triste curiosità.
La pattuglia era stata un’esperienza del tutto diversa.
Non riusciva a ricordare se in quell’occasione aveva più pianto o vomitato. Sapeva solo che aveva fatto entrambe le cose fin quasi a soffocarsi.
Aveva visto corpi straziati, con mutilazioni inimmaginabili. Sulle prime aveva addirittura fatto fatica a capire che si trattava di esseri umani, poi aveva riconosciuto qualche brandello insanguinato dei pantaloni azzurri con la banda gialla, l’unica parte dell’equipaggiamento che gli indiani non si erano portati via.
Ricordava solo che a un certo punto qualcuno lo aveva spinto su un cavallo, e quando era tornato in grado di capire cosa stava succedendo era già tra le mura bianche di Fort Hope.
La voce di Rosat lo distrasse dai suoi pensieri: “Eccoli là. E sembra che ci siano tutti.”
Il ragazzo guardò a sua volta e vide stagliarsi contro il cielo che andava scurendosi una lunga fila di cavalieri. “Meno male,” sospirò.
Dal basso giunse la voce di Maybrey: “Cosa vedi, Rosat?”
Ci sono tutti, caporale.”
Prima che il graduato avesse modo di rispondere, qualcuno disse: “Allora si vede che si sono tenuti lontani dagli Apache.” Seguì qualche risata.
Dopo un po’ arrivò un’altra domanda: “C’è anche il Dixie?”
Stanno rientrando tutti, quindi sì, c’è anche lui.”
Ci furono delle imprecazioni. “Mai che i musi rossi ammazzino quello giusto,” grugnì qualcuno.
Silenzio!” ordinò il caporale.

Halloran corse giù e si diresse verso il piazzale. “Dove vai, Bonnie?” gli gridò dietro qualcuno, ma lui non ci fece nemmeno caso. Arrivò che stavano aprendo il portone.
Il primo a entrare fu il sergente Burt. Era coperto di polvere dalla testa ai piedi, tanto che l’uniforme sembrava più grigiastra che blu. Il suo cavallo trascinava gli zoccoli come se avesse avuto dei ferri fatti di piombo. Dietro di lui, il resto della pattuglia non era in condizioni migliori.
Solo l’ultimo della fila si teneva dritto in sella, con la testa alta e lo sguardo fisso in avanti. La cosa non lo stupì: conosceva quel soldato praticamente solo di vista, ma sapeva dalle chiacchiere dei commilitoni che nemmeno il sergente O’Rourke, che era il terrore di Fort Hope, era mai riuscito a coglierlo in fallo una volta.
Lui non dava confidenza a nessuno, riservando a chiunque solo una distaccata cortesia, e gli altri di sicuro non lo amavano.
Qualcuno gli tolga quel fottuto bastone dal culo,” brontolò infatti un soldato alle spalle del ragazzo.
Sempre con quel merdoso atteggiamento da primo della classe,” replicò un altro. “Io vorrei sapere chi cazzo crede di essere.”
Ah, lascia perdere. Quello stronzo pensa di stare ancora con il generale Lee.”
A voce più alta, un altro lo apostrofò: “Ehi, Dixie, da quella parte per Gettysburg!”
Seguirono delle risate.
Halloran fissò l’oggetto di quei lazzi. Inquadrato nei ranghi, il soldato non poteva ovviamente reagire, tuttavia notò che aveva irrigidito ulteriormente la postura e stretto le dita sulle redini.
Che c’è, Dixie, ti mancano i campi di cotone?” lo provocò qualcun altro.
Di nuovo, tutti risero.
Silenzio!” sbraitò a quel punto il sergente Burt. “Sembra di stare al circo, nella gabbia delle scimmie!”
Le risate si affievolirono fino a cessare, e gli unici rumori rimasero lo scalpiccio degli zoccoli e lo scricchiolio dei finimenti di cuoio.
Halloran rimase fermo a seguire con lo sguardo la colonna che si allontanava. Anche nella luce ormai scarsa, si notava la differenza di postura tra il soldato che chiamavano Dixie e gli altri. Considerò che non sapeva nemmeno il suo vero nome, dal momento che anche i graduati si rivolgevano a lui in quel modo.
In quel momento, una voce lo riscosse: “Bonnie! Datti una mossa e vieni qui!”
Si voltò: il soldato Tacker lo stava chiamando con ampi gesti. “Credi di aver finito? C’è da sistemare la roba prima del rancio.”
Halloran lanciò un’ultima occhiata alla colonna, poi corse via.

§

Il ragazzo sollevò il coperchio della propria cassetta e ne estrasse la scatola di latta che conteneva il lucido, la spazzola e uno straccio, poi si sedette sulla branda, si sfilò gli stivali e cominciò a lucidarli.
Si sentiva tranquillo, perché nessuno faceva caso a lui, e nessuno lo prendeva in giro chiamandolo con l’umiliante soprannome di Bonnie, o lo provocava con allusioni oscene.
I quattro veterani del plotone, che in virtù della loro anzianità di servizio avevano diritto all’uso del tavolino, stavano facendo una partita a poker. Altri sistemavano il proprio equipaggiamento, chi sapeva farlo scriveva lettere, per sé o per i commilitoni. Seduto sull’ultima branda della fila, la faccia rivolta alla parete, il soldato che chiamavano Dixie aveva steso sulla sua cassetta un telo più bianco di una tovaglia da tè. Accanto a sé, sulla branda, aveva un flacone di olio per armi, uno scovolo e uno straccio.
Prese la sua carabina, e per prima cosa controllò che non avesse il colpo in canna. Successivamente sbloccò il fermo sul calcio ed estrasse il caricatore tubolare, che posò sul telo. Poi vi appoggiò anche l’arma, prese lo straccio, lo spiegò, lo scosse, lo ripiegò meticolosamente in quattro e lo imbevette di olio per armi. Mise anche quello sulla cassa, la parte con l’olio verso l’alto, con l’aria di chi posiziona un dessert particolarmente gustoso accanto al proprio coperto.
Ehi, Dixie!” urlò qualcuno a questo punto. “Che fai con quell’altarino, vuoi dire messa?”
L’uomo rimase impassibile. Prese la carabina, infilò lo scovolo nella canna e cominciò a farlo andare su e giù.
Sarà il suo modo di scopare,” commentò qualcun altro, di nuovo senza ottenere la più piccola reazione.
Il soldato continuò a pulire l’arma come se i commilitoni semplicemente non esistessero. Oliò accuratamente tutte le parti metalliche, le ripassò con un panno pulito, quindi provò due o tre volte il meccanismo di estrazione, fino a che esso non funzionò in modo perfettamente fluido.
Fatto questo riabbassò con cautela il cane, inserì nuovamente il caricatore e la appese al gancio accanto alla branda.
Quando la carabina fu al suo posto, Halloran ebbe l’impressione di essere un bambino al quale di colpo era stata sottratta la lanterna magica. Aveva visto pulire una Spencer 1865 migliaia di volte, ma mai con quella solennità quasi mistica.
Sbatté gli occhi e si accorse di avere ancora lo stesso stivale fra le mani, ormai lucidissimo. Lo posò e si alzò dalla branda, poi mosse qualche esitante passo verso il commilitone. Si fermò occhieggiandolo speranzoso, ma l’altro non diede segno di essersi accorto di lui.
Il ragazzo allora fece qualche altro passo.
A quel punto il soldato alzò la testa e lo fissò serio. Halloran lo fissò a sua volta, rendendosi conto che non l'aveva mai fatto così da vicino: poteva avere sui trentacinque anni, aveva la fronte alta e gli occhi chiari, e in generale lineamenti fini, che gli parvero fuori posto in quella camerata chiassosa. Lo sguardo era freddo, vagamente malinconico.
Il ragazzo si schiarì la gola, di colpo stranamente intimidito, e disse: “Salve, io sono...”
Halloran,” lo interruppe l’altro con distacco. “So chi sei.”
Il più giovane si sentì avvampare come se avesse appena fatto qualcosa di molto sconveniente. Si schiarì di nuovo la gola e proseguì: “E… e tu sei…?”
Finch.”
Oh, ehm…” Halloran prese il coraggio a quattro mani. “Finch, e poi?”
L’altro lo fissò dritto negli occhi, poi rispose: “Non devi finire di lucidare gli stivali, Halloran?” Il tono era quieto, distaccato.
Nonostante la pacatezza della replica, il ragazzo arretrò come se avesse appena ricevuto un pugno. Boccheggiò in cerca di una risposta, ma non riuscì a trovarla.
In quel momento, Hayner annunciò: “Ragazzi, tra un po’ è il quindici.”
A quelle parole, Adams alzò la testa dal mazzo di carte e brontolò: “Il solito uccellaccio del malaugurio.”
Prenditela con il calendario, non con me,” replicò l’altro, stringendosi nelle spalle.
Vaffanculo, mi stavo godendo la partita, stavo anche spennando Hartwood. Ti sembra il caso di tirare fuori certi argomenti?”
Comunque il quindici arriva,” replicò Hayner imperterrito, “E a qualcuno toccherà la corvè.”
Ah, merda,” imprecò Rosat dalla sua branda, sollevando lo sguardo da una consunta collezione di fotografie osé. “A me non tocca di sicuro, io me la sono già beccata il mese scorso.”
Tacker ghignò. “Ma certo, il signore ha già dato. Dipende da quello che decide O’Rourke, idiota. C’è gente che se l’è fatta tre volte di seguito.”
Tre volte?” chiese qualcuno dal fondo della camerata. “E ha portato a casa la pelle?”
Puoi chiederglielo: è Charles Maize del Plotone B. Vacci piano però, perché dopo l'ultima gli si è un po' squinternata la testa.”
L’argomento riscuoteva il generale interesse e dopo un po’ tutto il plotone, a parte Halloran e Finch, era riunito intorno al tavolo da gioco. Le carte vennero abbandonate.
Io dico che quell’avamposto andrebbe lasciato agli avvoltoi,” proclamò Hartwood con tono da rivoluzionario. “È in mezzo al territorio degli Apache, non puoi neanche andare a cagare senza portarti dietro il fucile, e devi guardare anche sotto i sassi per vedere se c’è un muso rosso nascosto. Ma che cazzo lo tengono a fare, dico io!”
Per far vedere agli Indiani che abbiamo le palle,” fu la risposta di Tacker. “Se no quei bastardi ci pisciano in testa.”
Veramente ci pisciano già in testa,” brontolò Rosat.
La discussione andò avanti per un po’. Alla fine Hayner impose il silenzio con un gesto, quindi in tono solenne concluse: “E comunque, la faccenda è sempre la solita: tra un po’ è il quindici. Parte la roba per Coyote Point, e qualcuno dovrà andare a scortare il carico. Ma la domanda è: chi sceglierà O'Rourke?”
'Fanculo, me no di sicuro,” brontolò Adams.
E perché no? Chi sei, il più bello?” Gli altri risero.
Non ho preso punizioni.” Raccolse le carte e le fissò intensamente, come a far capire che desiderava riprendere la partita.
Hayner, imperterrito, disse: “Ah, se bastasse non prendere punizioni, sarebbe facile. Anche se fossimo tutti angioletti scesi dal cielo, in quindici una ventina di noi dovrà partire.”
Vaffanculo, Hayner,” brontolò Rosat dalla sua branda, “Non si possono neanche guardare le fotografie in pace, quando ci sei tu in giro.”
Fatti delle seghe finché puoi,” lo rimbeccò l'altro, “perché se gli Apache ti beccano, la prima cosa che ti tagliano è il cazzo.”

§

Appoggiato al parapetto della torre est, la carabina sulla spalla, Halloran scrutava nel buio. Era una notte senza luna, e guardare fuori dava l’impressione di fissare un sipario di velluto nero: non si vedeva niente, e si immaginavano un sacco di cose.
Tese l’orecchio, ma l’unico suono che si udiva era il frinire monotono di qualche insetto.
L’aria era immobile, come in attesa di qualcosa.
Mosse qualche passo su e giù, facendo scricchiolare le assi del pavimento. Nonostante i recenti lavori di ripristino, nella postazione era rimasto un vago odore di bruciato, che si mescolava con quello di resina e vernice delle travi nuove.
Si sistemò meglio la cinghia del fucile sulla spalla e si passò un dito nel colletto dell’uniforme, che gli grattava la pelle delicata del collo. Di nuovo rivolse lo sguardo al deserto, ma non percepì altro che quiete.
Alle sue spalle, la vita del forte si svolgeva ordinata. Udì il richiamo di Adams dalla torre nord, e girandosi verso l'edificio del comando scorse attraverso la finestra aperta il maggiore Lane, che approfittando del fresco lavorava nel suo studio.
Tornò ad appoggiarsi al parapetto, sistemandosi come aveva visto fare ai veterani, in modo che il fucile sulla spalla non gli pesasse troppo, e per un po' rimase fermo, con lo sguardo che galleggiava nel velluto nero come una barca alla deriva.
Ripensò al soldato Finch. Anche lui in un certo senso era un sipario, dietro cui si indovinava l'esistenza di molto altro. Nessuno a Fort Hope poteva vantare un passato limpido, fare il soldato normalmente era l'unica alternativa alla fame o alla galera, ma quel Finch gli dava un'impressione strana: era come se al tempo stesso fosse nel suo elemento e fuori posto, come un libro nello scaffale sbagliato.
Non riuscì ad andare oltre nei suoi ragionamenti: udì dei passi pesanti sulle scale, e un attimo dopo la voce di Adams annunciò: “Ti do il cambio, Bonnie.”
Il più giovane si limitò a uno scarno: “Niente da segnalare.” Raccolse il cappello, si sistemò per l'ennesima volta la cinghia della carabina sulla spalla e scese per tornare in camerata.

Arrivò al piazzale, lo attraversò e si diresse verso l'edificio delle camerate, già pregustando il momento in cui avrebbe finalmente appeso al gancio quel maledetto fucile e si sarebbe infilato sotto le coperte, per godersi almeno qualche ora di sonno.
Era ancora immerso nei suoi pensieri quando si sentì afferrare e trascinare indietro. Istintivamente si divincolò, ma prima che potesse chiamare aiuto, una mano pesante gli tappò la bocca. “Non ti agitare, Bonnie,” gli sussurrò all'orecchio la voce di Perkins, “o dovrò farti male.”
Il ragazzo si tese per cercare di liberarsi, ma la presa dell'altro gli mozzava in respiro. Mugolò come poteva.
Sta' zitto,” ringhiò il commilitone, stringendolo così forte che Halloran sentì le costole scricchiolare, “non ci metto niente a tirarti il collo.”
Lo sbatté con le spalle contro una parete e in un attimo gli fu addosso. “Ora farai il bravo con me,” ansimò contro di lui, “farai quello che ti dico, e poi te ne portai tornare dentro come se niente fosse.” Fece una breve risata, poi soggiunse: “Non è quello che hai sempre fatto, Bonnie?”
Spaventato e disgustato, Halloran si divincolò di nuovo. “Lasciami!” inveì.
Avanti, lo sappiamo tutti cosa facevi prima di venire qui. Magari dopo ti do anche un quarto di dollaro, eh? Così ti sembrerà di ritornare ai vecchi tempi.”
Lasciami stare!” protestò il ragazzo, ma prima che potesse aggiungere altro, un pugno all'addome gli mozzò il respiro.
Ti avevo detto di stare zitto,” disse Perkins con il tono di un maestro che sgrida un allievo un po' tardo. “Ora sarò costretto a farti davvero male.”
Il ragazzo sentì la sua grossa mano circondargli il collo. La presa cominciò a stringersi, lenta e inesorabile come una morsa. Gli afferrò il polso, ma era come cercare di spostare una sbarra di ferro.
Aprì la bocca per gridare, ma riuscì solo a emettere un specie di rantolo. Davanti agli occhi cominciarono a comparirgli puntini luminosi.
A quel punto, qualcuno disse: “Lascialo.” Era una voce distaccata, quasi cortese, nella quale si indovinava però un'imperiosità inflessibile.
Senza abbandonare la presa, Perkins si girò in quella direzione. In tono minaccioso chiese: “E tu che cazzo vuoi, Dixie?”
Pacata, giunse la risposta: “Voglio che tu lasci stare il ragazzo.”
L'altro sogghignò. “E se io decidessi che non mi va?”
Sarò costretto a farti male.”
Ci fu qualche secondo di silenzio teso, poi Perkins emise una breve risata e si erse in tutta la sua rispettabile mole. “Voglio proprio vedere come farai,” disse in tono di scherno.
Un istante dopo, Halloran percepì il rumore secco di carne che colpiva altra carne, e poi un gemito soffocato. La mano che gli stava stingendo il collo scomparve, ed egli si ritrovò seduto per terra ad ansimare a bocca aperta, con una mano sulla gola e il corpo scosso da tremiti.
Il tramestio proseguì per un po', infine udì la voce di Perkins che in tono minaccioso ammoniva: “Non finisce qui.”
I suoi passi pesanti si allontanarono nel buio.
Poi silenzio. Il ragazzo si guardò intorno, ma non c'era più nessuno. “Finch?” chiamò con voce sommessa.
Non gli giunse risposta.
Si alzò adagio, puntellandosi alla parete, e di nuovo si passò la mano sul collo indolenzito. “Finch, sei qui?” chiese. Attese quasi mezzo minuto, infine avvilito mormorò: “Se n'è andato.”
Raccolse la sua carabina, che nel trambusto era caduta per terra, e si incamminò a testa bassa verso le camerate.

§

Il poligono di tiro si trovava appena fuori dal muro di cinta del forte, in un avvallamento naturale delimitato da irregolari creste di roccia.
Nel fondo di quel catino arroventato dal sole era stata ricavata una linea di tiro, con le piazzole contrassegnate da piramidi di sassi poste a intervalli regolari. A una distanza di circa cinquanta iarde da esse era stata scavata una trincea che tagliava trasversalmente lo spiazzo, e oltre quella si trovavano i bersagli, ovvero tavole di legno su cui erano stati dipinti dei disegni a cerchi concentrici rossi e bianchi, oppure delle rozze sagome di cavalieri in nero.
Un ginocchio nella polvere, rintronato dall'eco degli spari contro le pareti della conca, Halloran cercò di imbracciare la carabina più strettamente possibile. Inquadrò il bersaglio nel mirino, inspirò lentamente, trattenne il fiato per un paio di secondi e tirò il grilletto cercando di non strappare. Il crepitare secco dello sparo gli fece fischiare l'orecchio, e il rinculo dell'arma contro la spalla lo fece mugolare di disappunto.
Dalla trincea si alzò lentamente una bandierina rossa.
Guarda nel mirino, idiota!” abbaiò la voce di Keane alle sue spalle.
Sì, sergente,” rispose meccanicamente il ragazzo, quindi azionò la leva di eiezione e mise un altro colpo in canna.
Sparò, e di nuovo si alzò la bandierina rossa.
Halloran emise un sospiro, posò l'arma accanto a sé e si asciugò il sudore dalla fronte con la manica dell'uniforme.
La voce del sergente lo fece letteralmente sussultare: “Che cazzo stai facendo? Raccogli subito quella carabina.”
Il ragazzo si affrettò a eseguire l'ordine. Si posizionò di nuovo l'arma contro la spalla, mise il colpo in canna e cercò di rilassare i muscoli intorpiditi. Inspirò ed espirò un paio di volte, facendo del suo meglio per ignorare il caldo, il rumore e la scomodità, poi tirò il grilletto più lentamente che poté.
Finalmente si alzò una bandierina bianca.
Continuò a sparare fino a che il sergente non gli ordinò di abbandonare la postazione. A quel punto scaricò l'arma, se la mise a spall'arm e arretrò fino a una zona all'ombra. Lì si sedette su un sasso e rimase a osservare gli altri.
Cercò con lo sguardo Finch: il soldato era in una piazzola poco distante da quella che aveva occupato lui. Teneva una posizione impeccabile, e imbracciava il fucile come se non avesse mai fatto altro nella vita. Sparava con calma, un colpo dopo l'altro, ripetendo sempre gli stessi misurati movimenti, e ogni volta si alzava dal fossato la bandierina bianca.
Halloran appoggiò i gomiti sulle cosce e il mento tra le mani, poi emise un sospiro. Erano passati ormai tre giorni da quando Finch l'aveva difeso, ma non era ancora riuscito a ringraziarlo per il suo aiuto.
Non che le occasioni fossero mancate: sembrava piuttosto che fosse l'ombroso commilitone a non voler avere a che fare con lui.
Di nuovo il sergente diede un ordine, e la squadra che stava sparando si preparò ad abbandonare le postazioni. Finch si alzò in piedi, si spazzolò con le mani l'uniforme imbiancata di polvere, si mise il fucile in spalla e si diresse calmo verso la zona d'ombra. Una volta lì, si sedette su un sasso e si tolse il cappello, poi si passò una mano fra i capelli chiari.
Halloran prese la propria borraccia e gli si avvicinò cauto. Aspettò che l'altro rivolgesse lo sguardo su di lui, poi gliela porse. “Vuoi bere?” gli chiese.
Finch aggrottò appena le sopracciglia, il ragazzo stabilì che sembrava stupito, più che irritato. Continuò a tendergli la borraccia.
Alla fine l'altro allungò una mano e prese il recipiente. “Grazie,” gli disse, poi lo portò alle labbra e bevve.
In quel momento si levarono scomposti clamori dalle linee di tiro. “Guardate qua!” stava gridando il soldato Tacker, “Più stretta di una vergine!”
Halloran si girò a vedere cosa stavano facendo, poi tornò a voltarsi verso Finch. “Parlano della tua rosata,” disse. Si accorse di sentirsi quasi in imbarazzo per la trivialità del paragone.
Il sergente Keane raggiunse il chiassoso gruppo. Osservò il bersaglio e sollevò meravigliato le sopracciglia. “Chi ha fatto una cosa del genere?” volle sapere.
Tacker si erse tronfio: “Io.” Fece girare lo sguardo tutt'intorno, come sfidando i presenti a contraddirlo, e infine lo fissò su Finch. Questi si limitò a rivolgergli uno sguardo indifferente.
Io!” ripeté allora il primo. “Ve l'avevo detto che oggi ero in gran forma!” Si allontanò seguito da una torma di militari acclamanti.
Senza parole per lo stupore, Halloran rivolse lo sguardo al gruppetto, e poi di nuovo a Finch. Questi si limitò a restituirgli la borraccia, poi gli girò leggermente le spalle, tirò fuori dalla tasca interna della giacca un piccolo portadocumenti di cuoio decorato con un monogramma dorato, ne estrasse delle carte scritte a mano e cominciò a sfogliarle adagio, con la cautela affettuosa di chi tocca un oggetto molto fragile e molto prezioso.

§

Halloran buttò giù l'ultimo boccone di manzo salato e cercò di masticarlo il minimo necessario per non farselo rimanere incastrato in gola, poi ci bevve dietro una tazza d'acqua, ma gli rimase in bocca il sapore di rancido della carne mal conservata. Emise un sospiro: l'unica cosa che rimpiangeva della sua vita precedente era il mangiare, anche se probabilmente persino quello che mangiavano gli Apache era meglio del rancio di Fort Hope.
A un certo punto sentì qualcuno dire: Ehi, Dixie, chi cazzo sei, la regina d'Inghilterra?”
Guardò verso il fondo della tavolata, e vide Finch che sedeva come al solito dritto e composto. Teneva i gomiti aderenti al corpo, e le posate in punta di dita. Aveva addirittura il tovagliolo sulle ginocchia.
Un altro soldato gli disse qualcosa, ma lui rimase perfettamente impassibile. Si forbì anzi la bocca con gesto elegante, quindi ripiegò il tovagliolo e se lo mise in tasca, poi appoggiò le posate sul piatto di latta come un conte avrebbe appoggiato l’argenteria su un piatto di porcellana finissima.
Il ragazzo raccolse la scodella ammaccata, vi aggiunse la tazza d’acciaio e consegnò tutto al cuciniere, quindi uscì dalla mensa. Stava calando la sera, e il plotone era sparso qua e là a gruppetti. Alcuni fumavano e giocavano a carte, altri chiacchieravano dell'imminente missione a Coyote Point, facendo pronostici su chi sarebbe stato scelto per far parte della scorta.
Vide uscire Finch, che come al solito evitò il contatto con gli altri, si sedette vicino alla finestra della fureria per sfruttarne la luce, e tirò fuori le sue carte.
Il ragazzo rimase per un po' a guardarlo incuriosito: l'uomo stava leggendo un foglio un po' macchiato, con gli angoli consumati. Quando ebbe finito lo ripiegò con cura e lo rimise nel portadocumenti. Successivamente tirò fuori alcune fotografie e le scorse adagio, soffermandosi per qualche secondo su ognuna di esse.
A quel punto, Halloran si mosse verso di lui. L'altro alzò la testa e gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Io...” Il ragazzo deglutì senza sapere bene cosa dire. Si mosse esitante da un piede all'altro. “Io, ecco...”
Finch continuava a guardarlo serio.
Halloran fece per dire qualcosa, ma si accorse che l’espressione dell’altro si era fatta d’improvviso tesa. Si guardò intorno e vide che il cortile era stranamente deserto.
Vattene,” sibilò Finch, ma non fece in tempo ad aggiungere altro: una figura poderosa uscì dalle tenebre e gli si lanciò addosso, facendolo crollare al suolo. Tutte le carte e le fotografie che aveva in mano si sparsero in giro.
I due rotolarono avvinghiati, poi si rialzarono, e Halloran vide che l’aggressore era Perkins. Dal buio però uscirono a dargli man forte altri due, della sua stessa taglia.
Finch si mise in guardia, l’altro si fece avanti con un diretto destro. Il primo riuscì a schivarlo, ma uno degli altri due lo afferrò da dietro e lo sbilanciò, costringendolo a rompere la sua posizione difensiva, cosa che permise a Perkins di colpirlo con un pugno all’addome. Egli emise un gemito soffocato, subito un altro gli fu addosso colpendolo con un gancio alla mascella. Finch però riuscì ad allontanare Perkins con un calcio, poi si scrollò di dosso il soldato che lo stava tenendo per le braccia, si girò e lo colpì al mento con un montante, poi balzò indietro, ma finì contro il terzo dei suoi aggressori, che gli passò le braccia sotto le ascelle e gliele intrecciò dietro la nuca, poi lo sbilanciò indietro con l’intenzione di bloccarlo. Finch si abbassò, scivolando via dalla presa, quindi si girò fulmineo e sferrò un gancio all’avversario, facendolo crollare al suolo.
Dopo il primo attimo di sorpresa, Halloran cercò di dare man forte al commilitone, ma immediatamente un pugno lo spedì gambe all’aria con la sensazione che gli fosse crollata addosso una casa.
Si rialzò incerto, scrollando la testa per cercare di recuperare la lucidità, e gli fu chiaro che la sua unica speranza di far cessare lo scontro era cercare un graduato.
Corse all'edificio del comando. “Sergente Keane!” cominciò a chiamare, prima ancora di averlo raggiunto, “Sergente, dovete venire subito!”
L'uomo comparve sulla soglia in maniche di camicia. “Che diavolo hai da sbraitare, Halloran?”
Si stanno picchiando!” ansò il ragazzo.
Chi si sta picchiando?”
Il soldato Finch è stato...” cominciò Halloran, ma l'altro in tono duro lo interruppe: “Sempre quel maledetto Dixie, dannazione a lui.”
Prima che l'altro potesse replicare, scomparve nella baracca, e ne uscì un attimo dopo col berretto in testa, abbottonandosi la giubba. “Andiamo,” disse conciso. “Portami da quel piantagrane.”

I quattro stavano ancora lottando furiosamente. Finch era addossato a un muro, e gli altri tre gli si accanivano contro. Gli unici suoni che si udivano erano il tramestio dei piedi e il rumore delle percosse, accompagnato di tanto in tanto da qualche gemito soffocato.
Il sergente fissò per qualche secondo i contendenti con i pugni puntati sui fianchi, poi sbraitò: “Per tutti i diavoli! Cosa accidenti sta succedendo qui?” Avanzò di un paio di passi, poi proseguì: “Dixie! Specie di idiota, che cazzo ti credi di fare?”
Ansanti e sanguinanti, gli uomini si immobilizzarono. Perkins fece un passo indietro, poi disse: “Mi ha aggredito, sergente. Mi ha chiamato sporco Yankee e poi mi è saltato addosso.”
Il sottufficiale si voltò verso Finch. “È vero quello che dice?” lo apostrofò in tono rude. Il soldato si limitò a far girare sugli aggressori uno sguardo sprezzante.
Non rispondi, brutto idiota?”
L’altro continuò a tacere.
Il graduato annuì con l’aria di chi non si sarebbe aspettato niente di diverso. “Ma certo,” disse, “dovevo immaginarlo. Tutti così, voialtri del sud, altezzosi come puttane d'alto bordo. Credete di essere ancora in mezzo ai vostri campi di cotone, con gli schiavi negri e il mint julep [1] ghiacciato da bere.” Poi, a voce più alta: “Per questa notte finite tutti in cella di rigore, poi domani sarà il maggiore Lane a decidere cosa fare di voi.”
Ma sergente!” protestò con fare indignato Maize, uno dei due che avevano dato man forte a Perkins, “Noi siamo stati provocati!”
E allora avreste dovuto chiamare me, invece di picchiarvi come selvaggi.”
Ma...”
Tutti in cella, marsch!”
Halloran rimase fermo a fissare i soldati che venivano spinti via, e quando fu di nuovo solo si guardò intorno: le carte di Finch erano sparse dappertutto. Alcune erano state calpestate, ed erano spiegazzate e sporche.
Si chinò e cominciò a raccoglierle, ripiegò i fogli e sistemò le fotografie. Per una sorta di strano pudore cercò di guardarle il meno possibile mentre lo faceva, ma intravide comunque delle figure femminili in vaporosi abiti di tulle e una villa tutta bianca con la facciata ornata di colonne. C’era anche un uomo in uniforme, ritratto sullo sfondo della bandiera confederata.
Ripose tutto nel portadocumenti, che era di marocchino fine, anche se ormai rovinato e stinto. Guardò l’elegante monogramma, ancora dorato in alcuni punti: CFH. La F doveva essere quella di Finch, ma per cosa stavano le altre due lettere?
Si infilò la piccola cartella nella tasca interna della giacca e richiuse accuratamente i bottoni. Si guardò intorno dopo averlo fatto, come per accertarsi che nessuno l’avesse visto appropriarsi di quello strano tesoro, poi si diresse rapido in camerata.







[1] Cocktail bevuto negli Stati del sud, tradizionalmente fatto con ghiaccio tritato, bourbon, rametti di menta fresca e zucchero. Si serve in un’apposita coppa d’argento.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Signori e signore, eccoci qui con la seconda parte delle (dis)avventure dei nostri eroi. Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito, ricordato e preferito, ma anche tutti coloro che hanno solo letto: sappiate che se una storia esiste, è grazie a voi. Un ringraziamento speciale va a chi è stato così cortese da lasciarmi il suo parere, ovvero mystery_koopa, John Spangler, Saelde_und_Ehre, alessandroago_94, Star_Rover, queenjane, fiore di girasole, Syila, Enchalott e PerseoeAndromeda.






Capitolo 2

Dalla sua posizione in fondo alla colonna, Halloran si sporse sulla sella per guardare cosa stava succedendo più avanti. La porta di Fort Hope si spalancò con un lungo cigolio e al di là comparve una distesa ondulata e arsa, sulla quale crescevano radi arbusti.
Il cielo era ancora azzurro, e l'aria relativamente fresca. La poca umidità della notte avrebbe impedito alla polvere alcalina di alzarsi almeno nelle prime ore di marcia. Poi però si sarebbe sollevata, circondando tutta la colonna, facendo bruciare gli occhi e la bocca, costringendo a tenere il fazzoletto fin sopra il naso e il cappello calcato in testa.
La posizione di retroguardia, ovvero quella che era stata assegnata a lui e a Finch, era naturalmente la peggiore, dal punto di vista della polvere: si sarebbero presi quella spostata dal vento, ma anche quella alzata dagli zoccoli degli animali e dalle ruote dei carri.
Emise un sospiro: lui e Finch.
Il taciturno soldato non sarebbe stato originariamente destinato alla scorta dei carri per Coyote Point, ma era stato ritenuto responsabile della rissa, e quella era la punizione.
Si voltò verso l’uomo, che sedeva composto in sella, con le spalle dritte e la consueta espressione impassibile. Il suo equipaggiamento era come sempre perfetto: la coperta di lana grigia arrotolata sull'arcione, il sacco con le razioni per sé e la biada per il cavallo, la fondina della Colt 45, quella della carabina Spencer...
Trovò stranamente rassicurante il fatto che la scazzottata con Perkins e gli altri gli avesse lasciato qualche livido in faccia. Gli dava una connotazione umana, in un certo senso.
Mentre era assorto in quelle considerazioni vide arrivare il tenente Weiland, un giovanotto fresco di nomina, probabilmente poco più vecchio di lui. L’ufficiale si mise alla testa della colonna, poi si voltò in direzione del sergente Burt. Questi lo raggiunse, e i due confabularono brevemente, poi Weiland diede il segnale di partenza.
L’unità si mise in movimento.

La polvere circondava la colonna come una specie di nebbia, il sole ormai alto aveva sbiancato il cielo. A parte il rumore degli zoccoli e il cigolio delle ruote dei carri, nell’aria c’era un silenzio spettrale.
Halloran si aggiustò il fazzoletto sul viso, poi si sfilò un guanto e si strofinò gli occhi. Tossì un paio di volte. Abbassò lo sguardo sulla borraccia, indeciso se bere o no, ma poi vi rinunciò: meglio tenersi la bocca asciutta, piuttosto che rischiare di rimanere senz’acqua in mezzo al deserto.
Sapeva che c’erano punti di approvvigionamento lungo il percorso, anche perché muli e cavalli non potevano certo accontentarsi del contenuto di una borraccia, ma sapeva anche molto bene che era proprio lì intorno, di solito, che si appostavano gli Apache.
A quel pensiero si guardò intorno a disagio, poi si girò verso il commilitone. A differenza sua, Finch non aveva né il fazzoletto sul viso, né il cappello calcato sugli occhi. Cavalcava dritto e composto come al solito, con lo sguardo fisso davanti a sé.
Lo chiamò.
L’altro si girò verso di lui. “Cosa c’è?”
Tu pensi che arriveranno gli Indiani?”
Finch si guardò intorno, poi disse: “Non oggi.”
Halloran fece scorrere a sua volta lo sguardo sul paesaggio. Pietre a perdita d’occhio, qualche cactus, creste aguzze che si stagliavano contro il cielo come i denti di una vecchia sega. “Non oggi?” ripeté, in tono vagamente incerto.
No, siamo ancora troppo vicini al forte.”
Il ragazzo annuì a disagio. Sapeva da solo che i dintorni non erano sicuri, ma un conto era avere una generale impressione di pericolo, e un conto era sentirsi confermare da un soldato esperto che effettivamente il pericolo c’era.
Si guardò intorno di nuovo, e vide passare in lontananza una delle pattuglie di esploratori che giravano costantemente intorno alla colonna. Si rivolse di nuovo a Finch e disse: “Se c’è qualcosa di strano, loro se ne accorgeranno, non trovi?”
Se gli Apache non li fanno fuori prima.”
A quel punto, Halloran preferì lasciar perdere la conversazione. Seguì con lo sguardo il volo di un rapace, che tagliò l’orizzonte lanciando un grido acuto, poi staccò dalla sella la borraccia e bevve un sorso.

§

Il soldato Tacker si mise in spalla il fucile, quindi disse: “Vedi di non addormentarti, Bonnie.”
Ignorando l’umiliante nomignolo, Halloran replicò: “Certo, per chi mi prendi?”
Per uno che deve fare il primo turno di guardia con me, e magari mi deve anche parare il culo se arrivano i musi rossi. Non voglio trovarmi un tomahawk in mezzo alla schiena perché tu hai pensato di farti un sonnellino approfittando del fresco.”
Io non mi addormento,” ribatté il ragazzo in tono risentito.
Così parlando si spostarono ai margini del campo. “Tieni gli occhi aperti,” gli raccomandò Tacker, “quei figli di puttana te li trovi addosso quando meno te lo aspetti.”
Finch ha detto che stasera non arriveranno,” replicò il ragazzo, quasi sentendosi fiero di poter sfoggiare quell’autorevole parere, “Siamo ancora troppo vicini al forte.”
Chi l’ha detto?”
Finch.”
Il Dixie? Ma quello viene dai campi di cotone, cosa vuoi che sappia di Indiani?”
Il ragazzo si girò a guardare l’accampamento da sopra la spalla. Ormai era buio, e dal punto in cui si trovavano si coglieva solo il bagliore dei fuochi. Trasportati dalla brezza, giungevano fin lì l’eco delle conversazioni e l’odore dei cavalli, del fumo e del lardo coi fagioli che era stato cotto per cena. Un po’ più lontano si sentiva il raschiare lieve di chi stava lavando le stoviglie con la sabbia di fiume.
Tornò a voltarsi verso il deserto, e fece qualche passo avanti e indietro cercando di abituare lo sguardo all’oscurità. Tutto sembrava immobile, ma la cosa non lo rassicurava per nulla. L’unica cosa che in qualche modo leniva l’ansia di trovarsi al di fuori del cerchio di luce dei fuochi e lontano dai commilitoni era paradossalmente la scarna rassicurazione che Finch gli aveva elargito: non oggi.
Si sistemò meglio la cinghia della carabina sulla spalla, poi si portò la mano al petto, e palpò attraverso la stoffa dell’uniforme la sagoma del portadocumenti in pelle. Sorrise fra sé e sé.

La notte passò, ed effettivamente non successe nulla. Le prime luci dell’alba sorpresero Halloran raggomitolato nella coperta, infreddolito e con la sensazione di aver dormito un decimo di quello che gli sarebbe servito.
Il ragazzo si strofinò gli occhi, poi fece scorrere lo sguardo sull’accampamento: i cavalli e i muli lasciavano ciondolare la testa, e le uniche persone in piedi sembravano essere le sentinelle, che ancora scrutavano verso pietraie deserte, colorate di indaco e grigio nella foschia lattiginosa del primo mattino.
Percepì un rumore a poca distanza, e istintivamente si girò in quella direzione: vide Finch seduto su una pietra, già vestito, con gli stivali lucidi. Teneva accanto a sé una tazza di latta piena a metà d’acqua, e guardandosi in un piccolo specchio appoggiato su una roccia, si stava insaponando la metà inferiore del viso.
Il ragazzo, che aveva aperto la bocca per parlare, la richiuse senza aver emesso un suono. Rimase a guardarlo sbalordito.
L’uomo posò il pennello da barba, poi tirò fuori dal proprio equipaggiamento un rasoio e cominciò a passarselo sulle guance con gesti lenti e misurati, muovendo di volta in volta la testa per facilitare il percorso della lama. Alla fine si passò un asciugamano sul viso, pulì gli strumenti che aveva usato e li ripose nella sacca, poi si alzò e si guardò intorno con una vaga aria di disapprovazione.
Il ragazzo si alzò a sua volta, attirando l’attenzione del commilitone. “Buon giorno, Finch,” gli disse. “Avevi ragione sugli Indiani.”
Buon giorno,” fu la laconica risposta.
Halloran gli si avvicinò. Si infilò la mano nella tasca interna della giacca e ne trasse la cartelletta di marocchino. “Ho qui qualcosa di tuo,” disse porgendogliela.
L’altro abbassò gli occhi sul portadocumenti, poi li rialzò fino a fissarli in quelli del ragazzo. “Che significa?” chiese diffidente.
Questo è tuo,” ripeté cauto Halloran, sentendosi una specie di domatore nella gabbia dei leoni.
Passarono lunghi secondi, poi finalmente Finch allungò una mano e prese il piccolo oggetto. Lo toccò constatando che conservava il suo contenuto, e a quel punto alzò su di lui uno sguardo sollevato, ma anche perplesso, di chi vuole capire bene come stiano le cose.
Ho raccolto tutto,” gli disse il ragazzo con un sorriso. “Non manca niente.”
Seguì un lungo silenzio.
Infine l’altro annuì, di nuovo abbassò lo sguardo sulla cartelletta, poi lo rialzò fino a incontrare il suo e chiese: “Ce l’hai un nome, Halloran?”
Rory.”
Allora grazie, Rory.”
Il ragazzo sorrise. “Mi sembrava che ci tenessi.”
Finch annuì. “Ci tengo molto,” confermò con un sospiro. Poi raddrizzò la testa, si erse nella persona e solennemente gli tese la mano. “Clarence Finch-Hatton,” si presentò.
Il ragazzo gliela strinse. “Due cognomi?” non poté fare a meno di chiedere. Se ne sentì vagamente intimidito: i nobili, per quanto ne sapeva, avevano più di un cognome.
Puoi chiamarmi solo Finch.”
O anche Clarence?” azzardò Halloran.
L’altro chinò la testa. “D’accordo, anche Clarence, se preferisci.”
E io sono Rory.”
Finch si infilò in tasca il portadocumenti. “Grazie, Rory, davvero.”
Il ragazzo lo fissò negli occhi. “Ero in debito: tu mi hai difeso. E poi l’ho fatto perché ho visto che ci tenevi.”
Un’ombra passò sul volto liscio di Finch. “È la cosa più preziosa che ho,” ammise.
Halloran lo fissò incerto, poi azzardò: “È la tua famiglia?”
Lo era.”
Oh...” Il ragazzo si sentì avvampare. “Scusa, io non volevo...” Tacque imbarazzato.
L’altro fece un gesto come per dire che non importava. “Fa niente,” disse poi, “non potevi saperlo.” Si voltò verso il campo, quindi soggiunse: “E adesso sarà meglio che cominciamo a muoverci, così avremo tempo di controllare le armi prima della partenza.”

§

Finch spinse il cavallo su un’altura e da lì rimase fermo a osservare i dintorni. Alle sue spalle, Halloran fece a sua volta girare lo sguardo sulla pianura. Il sole era alto, non tirava un filo d’aria.
Più in basso, il convoglio avanzava lento sulla pista battuta, e il ragazzo ebbe l’impressione che fin da quella distanza si percepissero il rumore cigolante e l’odore di cavallo che si portava dietro.
Rivolse lo sguardo al compagno. Questi si voltò verso di lui e disse: “Tieni gli occhi aperti.”
Il più giovane gli restituì un’occhiata di apprensione. “Potrebbero arrivare?”
Sì. Adesso sì. Ma credo che aspetteranno.”
Perché?”
Vorranno vedere quanti siamo e quanto siamo agguerriti. Per questo, se li incontriamo bisogna attaccarli nel modo più violento, e possibilmente ucciderli tutti. Non che questo possa cambiare molto le cose, in effetti, ma più si fanno l'idea che sappiamo difenderci, meno sarà facile che assaltino il convoglio. Non amano le razzie troppo faticose.”
Halloran fece scorrere di nuovo lo sguardo sulla pianura, che gli parve più che mai enorme e vuota. “Come facciamo?” chiese sconsolato.
Finch non rispose. Spronò il cavallo e scese dall’altura, poi si addentrò fra creste di roccia scavate dall’erosione. Gli zoccoli dell’animale producevano soffici tonfi sul fondo di sabbia, la calura era mitigata dalle zone d’ombra. In alcuni punti, le rocce conservavano qualcosa dell’umidità notturna e alla loro base spuntavano arbusti dalle foglie coriacee.
Procedettero in quel modo per un po', poi a un certo punto Finch si girò sulla sella e fece cenno di tacere, tirò le redini, smontò ed estrasse adagio la carabina dal fodero.
Halloran scese a sua volta, interrogandolo con lo sguardo.
Per tutta risposta Finch gli consegnò le redini del suo cavallo e si incamminò silenziosamente verso una fenditura tra le rocce.
Il ragazzo rimase a guardare il punto in cui l’altro era sparito. Il cuore gli batteva forte, e come sempre quando era teso, la bocca gli si era fatta più secca della sabbia che c’era tutt’intorno. Deglutì faticosamente e fece un passo avanti nella speranza di vedere il commilitone.
Nel silenzio che regnava ovunque sentì l’inconfondibile rumore metallico della leva della Spencer che spingeva il colpo in canna.
In quel momento, qualcosa gli piombò addosso. Percepì un odore come di selvatico, o di strane erbe medicinali. Una voce sibilò qualcosa in una lingua sconosciuta.
Il ragazzo fece del suo meglio per divincolarsi, ma qualcuno lo stava tenendo saldamente. Una mano secca e dura come vecchio legno gli tappò la bocca. Egli tentò di nuovo di liberarsi, e percepì qualcosa di freddo e affilato sul collo. Si irrigidì.
È finita, pensò in un lampo, e si dispiacque perché avrebbe deluso la fiducia che Clarence aveva riposto in lui affidandogli il cavallo.
Poi uno sparo lo fece sussultare, e chi lo teneva fermo smise di farlo.
Il ragazzo si portò una mano alla gola, e barcollando appoggiò la schiena alla parete di roccia, poi alzò lo sguardo su Finch, e lo vide caricare di nuovo la carabina e puntarla nella sua direzione. Fu attraversato da un lampo di terrore, e istintivamente si circondò la testa con le braccia. Si udì un secondo sparo, e un altro corpo cadde prono.
Il ragazzo si voltò a guardarlo: capelli lunghi e neri, una fascia colorata in testa, una sdrucita giacca blu ornata di piume e stringhe di pelle, mocassini. Sentì il sangue abbandonargli la faccia. “Apache,” mormorò.
Finch non rispose. Scomparve di nuovo tra le rocce, e si udirono altre tre detonazioni. Passò un’altra manciata di angosciosi secondi, durante i quali Halloran fece del suo meglio per tenere calmi i cavalli, poi l’uomo ricomparve. “Andiamo,” ordinò conciso.
Ancora frastornato, il ragazzo si limitò a montare in sella e a spronare.

Raggiunsero rapidamente il convoglio, che in allarme per gli spari si era già contratto come un bruco disturbato. I soldati cavalcavano più vicini, le rare chiacchiere avevano lasciato il posto a un silenzio teso. Finch si portò alla testa della colonna, salutò militarmente e rivolto all’ufficiale disse: “Signore, esploratori Apache a mezzo miglio da qui. Ne ho uccisi tre, ma temo che un quarto sia riuscito a scappare.”
Il giovane ufficiale lo fissò con aria vagamente contrariata, poi chiese: “Perché non avete ucciso anche l’ultimo, soldato?” Lanciò una fugace occhiata al sergente Burt, Halloran ebbe quasi l’impressione che stesse cercando la sua approvazione.
Il sergente annuì leggermente, sebbene non molto convinto.
Finch mantenne un’espressione impenetrabile, e in tono neutro rispose: “Temo che l’Indiano sia scappato, signore.”
E non l’avete inseguito?”
Non l’ho visto direttamente, signore, c’erano solo le orme di un cavallo che si allontanava. Ho pensato fosse più importante riferire dell’avvistamento.”
L’ufficiale – poco più di un moccioso, parve a Halloran – sollevò le sopracciglia come se non avesse mai sentito nulla di più strano. “Avete pensato. Nientemeno.” Poi, dopo una pausa: “Mi credete sordo, soldato? I vostri spari, cinque, per la precisione, si sono uditi perfettamente. Dato che non stiamo compiendo un’escursione venatoria, non è stato particolarmente difficile immaginare cosa stesse succedendo.”
Finch mantenne l’espressione della Sfinge.
Potete andare,” concesse dopo un po’ il tenente Weiland, con un gesto di congedo degno del Re Sole, poi di nuovo si voltò verso il sergente, che però questa volta rimase impassibile.
Gli Apache non attaccheranno,” si sentì allora in dovere di chiarire l’ufficiale, “è scritto a chiare lettere in ogni manuale di guerra contro i pellerossa. Hanno capito che non scherziamo, e quindi staranno alla larga. È ben noto del resto che sono tronfi ma vili, e attaccano solo in forte superiorità numerica.” Poi, visto che Finch non si muoveva, in tono infastidito soggiunse: “Ho detto che potete andare, soldato.”
Questi salutò, e seguito da Halloran raggiunse il suo posto in fondo alla colonna.
Davvero non attaccheranno?” chiese il ragazzo quando furono nuovamente nei ranghi.
Al contrario: adesso la situazione comincia a farsi veramente pericolosa. Sanno cosa trasportiamo, visto che il convoglio parte ogni mese, e vorranno anche farcela pagare per quelli che ho fatto fuori.”
Il più giovane emise un sospiro e disse: “È colpa mia, vero? Forse, se non mi fossi lasciato sorprendere in quel modo...”
Finch alzò le spalle. “Questa è guerra, Rory. Prima o poi avrebbero attaccato comunque.”

§

Il campo venne allestito in un silenzio guardingo. Nonostante la sicumera del tenente, il sergente Burt aveva organizzato doppi turni di guardia, e lasciato sentinelle armate anche sui carri e intorno ai cavalli. Nessuno era autorizzato ad allontanarsi dalla luce dei falò.
Seduto sulla coperta ai margini della zona autorizzata, la carabina di traverso sulle ginocchia e la Colt in cintura, Finch stava sfogliando le sue carte.
Halloran lo raggiunse. “Ciao Clarence,” lo salutò.
L’altro alzò gli occhi. “Ciao Rory.”
Posso sedermi un po’ qui con te?” chiese il ragazzo. Poi, a mo’ di giustificazione, soggiunse: “Ho paura di essere un po’ nervoso.”
Finch si limitò a fargli posto sulla coperta.
Halloran si accomodò accanto a lui. Per un po’ si limitò a sedere in silenzio, seguendo con vaga apprensione i rumori del campo, poi chiese: “Posso vedere le tue fotografie, Clarence?”
Il più vecchio sembrò esitare per qualche istante, poi gli porse le preziose immagini. Egli le prese con reverenza.
La prima rappresentava una giovane donna snella e graziosa, dai capelli raccolti in una pettinatura semplice, con un abito chiaro e un ombrellino di pizzo. Il ragazzo si rivolse al compagno in una muta richiesta di spiegazioni.
Mia sorella Eleanore,” disse Finch.
Comparve poi una coppia matura, orgogliosamente in posa davanti a una villa tutta bianca.
Mia madre e mio padre. Quella era la la casa padronale di Mon Repos, la nostra tenuta.”
È davvero stupenda.”
Lo era,” lo corresse Finch. “È stata rasa al suolo dagli Unionisti, durante la cosiddetta marcia verso il mare di Sherman. La tenuta, centinaia di acri coltivati a tabacco e cotone, è stata completamente devastata.”
Si susseguirono altre immagini, donne, uomini, famiglie. C’erano anche persone di colore. Per ognuna di esse Finch gli dava qualche sommaria notizia: nessuno era vivo.
Alla fine comparve la fotografia dell’uomo in uniforme, e Halloran non poté trattenere un’esclamazione di sorpresa. “Ma questo sei tu,” disse.
Ero nel Virginia Cavalleria,” fu la scarna risposta di Finch.
Ma sei… eri un maggiore.” Il ragazzo lo fissò come se lo vedesse per la prima volta.
L’altro rimase in silenzio così a lungo che Halloran pensò che non avrebbe più parlato. Infine distolse lo sguardo e con voce incolore rispose: “Ora non sono più niente.”
Il ragazzo si voltò a fissarlo e dovette faticare per reprimere l’impulso di abbracciarlo. “Sei il mio amico,” gli disse alla fine in tono affettuoso. “Non sarà gran che, ma...”
Lascia stare,” lo interruppe Finch in tono duro. “Io porto l’uniforme dell’esercito che ha ucciso la mia famiglia e distrutto la mia casa. Non merito l’amicizia di nessuno.”
Si alzò con un movimento busco, si mise la carabina in spalla e si allontanò nel buio.
Halloran d’istinto fece per seguirlo, ma poi ci rinunciò. Scorse ancora una volta le fotografie dai bordi consumati, e dopo averle guardate tutte si rese conto che l’unica che ritraeva una persona ancora in vita era quella di Clarence. E poi considerò che non era nemmeno così vero, perché anche il maggiore Finch-Hatton in un certo senso era morto.
In quel momento si udì un grido, e una delle sentinelle crollò a terra con una freccia nella schiena.
Il ragazzo si ficcò in tasca le fotografie, poi afferrò la carabina e mentre cercava di capire cosa stava succedendo mise il colpo in canna.
Cominciò a sentire degli spari, vide cadere un altro soldato, sentì la voce di Finch che gridava: “State lontano dai fuochi!”
D'istinto si spostò obbedendogli e si appiattì contro la fiancata di uno dei due carri. Vide arrivare delle figure silenziose, rapide, che si portavano dietro una sinistra aura di pericolo. Senza pensare puntò il fucile e fece fuoco, e una di esse cadde nella polvere e non si mosse più. Ricaricò e si guardò intorno alla ricerca di un altro bersaglio, chiedendosi nel frattempo dove fosse Clarence.
I cavalli nitrirono, qualcuno urlò: “Non fateglieli prendere!” Si udì un lamento, gli animali ondeggiarono, una freccia dalla punta incendiata solcò l'aria come una specie di meteora e scomparve nel buio.
Poi un guerriero Apache emerse dalle tenebre e corse verso i carri, così che Halloran se lo trovò proprio di fronte: non poteva avere più di quindici o sedici anni, e aveva un'espressione a metà fra esaltazione e paura. Il soldato pensò che fosse alla sua prima scorribanda, e magari volesse dare buona prova di sé, ma al tempo stesso fosse spaventato e spaesato esattamente come lo era lui.
Si trovarono occhi negli occhi.
Per un lungo istante nessuno dei due si mosse, poi l'Apache sollevò il tomahawk per colpirlo. D'istinto, Halloran puntò la carabina e fece fuoco, e il colpo a bruciapelo scaraventò a terra l'Indiano, che si contorse con un lamento e poi rimase immobile.
Ansante, il fucile ancora stretto fra le mani, il soldato vide arrivare un secondo Apache. Questi era un guerriero dall'aspetto autorevole, con molti trofei e ornamenti. Illuminato dal bagliore delle fiamme, il suo volto scuro appariva solcato da rughe profonde. Gli occhi neri dapprima lo trafissero feroci, poi si posarono sul corpo a terra, ed egli mormorò qualcosa. Fece per inginocchiarsi, ma un altro guerriero emerse dalle tenebre, lo prese per una spalla e gli disse qualcosa, poi lo trascinò indietro. Il primo tentò inizialmente di opporsi, e protestò indicando il corpo riverso, ma poi si lasciò condurre via.
Rimasto solo, Halloran sbatté gli occhi e pian piano rilassò le dita, che stringevano ancora convulsamente il fucile. Inspirò adagio cercando di dominare il tremito che l'aveva invaso.
Un tocco sulla spalla lo fece sussultare.
Calma,” gli raccomandò la voce pacata di Finch.
Il ragazzo si voltò verso di lui. Cercò di deglutire, ma gli pareva di avere in gola una pietra.
Se ne sono andati,” gli disse l'altro, poi lo fissò aggrottando le sopracciglia. “Sei ferito?”
Halloran si limitò a scuotere la testa. Si sentiva lo sguardo vitreo del morto piantato addosso.
Finch abbassò a sua volta gli occhi sul corpo e disse: “Era più giovane di te. Avrebbe fatto meglio a rimanere al campo con le squaw.”
Clarence, io...”
L'altro gli circondò le spalle con un braccio. “Vieni via,” gli disse in tono gentile, “vieni a bere un po' d'acqua.”
Clarence,” ripeté il ragazzo con voce incerta, abbandonandosi contro di lui con un sospiro.
Va tutto bene, Rory.”

§

Halloran riaprì gli occhi raggomitolato sotto una coperta. Accanto a lui, Finch stava finendo di farsi la barba. Ferme ai margini del campo, le sentinelle apparivano come sagome indistinte nella foschia dell'alba.
Sentì delle voci. Si voltò in quella direzione e vide il tenente Weiland e il sergente Burt che parlavano fra loro. L'ufficiale camminava impettito, fissando con aria sprezzante i corpi degli Apache allineati a terra, ma il sottufficiale aveva l'aria preoccupata.
Mentre stava guardando i due, un tocco sui capelli lo distrasse. Si voltò e incontrò lo sguardo di Finch. “Ieri sera sei proprio crollato,” gli disse l'uomo con un sorriso.
Scusami,” rispose imbarazzato il ragazzo. Si rizzò a sedere, facendo scivolare giù la coperta nel movimento, poi si voltò verso i pellerossa morti. “Pensi che torneranno?” chiese.
Sì.”
Anche se li abbiamo respinti?”
L'unica ambizione che ha un Apache è quella di diventare un grande guerriero e un abile predone, e anche quel ragazzo che ti ha fatto tanta pena, se avesse potuto ti avrebbe ammazzato senza un ripensamento. Torneranno quando saranno in superiorità numerica.”
E... ci uccideranno tutti?”
Perlomeno ci proveranno,” rispose Finch con distacco. Si alzò in piedi e si sistemò la già impeccabile uniforme.
A quel punto, il sergente Burt da lontano disse: “Visto che sei già pronto, Dixie, prendi un piccone e una pala e comincia a scavare un buco per seppellire Adams e Miller.”
Impassibile come sempre, Finch andò ai carri e si fece consegnare gli attrezzi, poi si spostò accanto ai due caduti e cominciò a scavare.
E vedi di darti una mossa, Dixie!” urlò qualcuno. Si udirono delle risate.
Halloran guardò lui, poi guardò tutti gli altri, che si stavano mettendo in fila per la colazione: Clarence non avrebbe fatto in tempo a mangiare nulla.
Andò all’equipaggiamento dell’amico e recuperò la tazza, poi prese anche la propria e si diresse verso la cucina da campo.
Quando fu il suo turno, il cuoco lo fissò stupito. “Due tazze, Bonnie? Vuoi fare la scorta per dopo?”
Una è per Finch.”
Davvero? È il tuo nuovo amichetto?”
Gli altri ridacchiarono. Halloran ritirò la testa fra le spalle, ma non si mosse. “Il sergente gli ha ordinato di scavare la fossa,” rispose a mo' di spiegazione.
E quindi?”
Non può venire a prendere il caffè, così glielo porto io.”
Berrà dell'acqua, Bonnie,” disse il cuoco. “Gli ordini sono chiari: i soldati devono venire personalmente a prendere il rancio, non vogliamo principini con la puzza sotto il naso che si fanno servire dagli altri.”

Clarence?”
Il soldato smise di picconare il suolo arido, si raddrizzò e chiese: “Che c'è, Rory?”
Il ragazzo gli porse una tazza. “Per te,” disse semplicemente. “È ancora caldo.”
L'altro prese il recipiente, dal quale si levava un invitante odore di caffè. “E tu?”
Io l'ho già bevuto.”
Prendine un po'.”
Ma no, davvero. Io l'ho bevuto prima.”
Finch sorbì un sorso, poi passò la tazza al ragazzo. “Beviamo un po' per uno.”
Il più giovane sorrise. “E io poi ti aiuto a scavare, va bene?”
Non sei obbligato.”
Lo so che non lo sono, ma siamo amici, mi fa piacere aiutarti.”
Il ragazzo si girò fugacemente verso i due caduti. Gli Indiani non avevano avuto tempo di infierire sui corpi, per cui erano relativamente integri. I volti erano lividi, uno dei due conservava una strana espressione di costernato sbigottimento: sembrava che la morte l’avesse colto di sorpresa, come uno scherzo di cattivo gusto.
L’altro invece aveva la bocca aperta, dalla quale righe di sangue secco si perdevano lungo il collo. Da uno squarcio nel ventre gli intestini protrudevano come serpenti grigiastri. Le prime mosche cominciavano già a ronzargli intorno.
Ti fa impressione?” chiese Finch, notando che il suo sguardo non riusciva a staccarsi dalla scena.
Un po’.”
Li conoscevi?”
Adams era del mio plotone.” Il ragazzo lo rivide mentre giocava a carte con gli altri veterani. “Aveva una brutta sensazione prima di partire.”
Anche una recluta con tre giorni di servizio avrebbe una brutta sensazione all’idea di andare a Coyote Point.”
Nel frattempo la tazza di caffè era finita. La appoggiarono da una parte e ricominciarono a scavare il suolo arido. Dopo un po’, senza smettere di lavorare il ragazzo chiese: “Tu hai paura, Clarence?”
Di cosa?”
Degli Apache.”
Tengo l’ultimo colpo per me.”
Ma non ti fa paura l’idea di morire?”
Non ho molto da perdere.”
Di nuovo fra i due cadde il silenzio. Da lontano, qualcuno gridò: “Bonnie, l’hai mai tenuto in mano un badile prima di adesso?” Tra le risate generali, un altro rincarò: “O hai impugnato solo dei cazzi, con quelle manine bianche?”
Halloran ritirò la testa fra le spalle sentendosi avvampare.
Ehi, Bonnie!” gridò un altro, “Lo sai che a vederti così piegato in avanti mi viene quasi voglia di farmi un giro?”
Di nuovo la frase fu seguita da risate generali.
Alla fine dovette intervenire Burt: “Non avete un accidente da fare, branco di idioti?”
I soldati si dispersero mugugnando.
Dopo un po’, Finch chiese: “Perché ti chiamano Bonnie?”
Il ragazzo emise un sospiro. “Non ti piacerebbe saperlo.”
Se non vuoi dirmelo fa lo stesso.”
No, è che...” Halloran deglutì e fissò il compagno di sottecchi. “È che se te lo dico, ho paura che poi non vorrai più avermi vicino.”
Finch sollevò la testa dal lavoro e gli rivolse un pallido sorriso. “Tutti quelli che sono qui hanno qualcosa da nascondere. Io ero un ufficiale confederato, qual è la tua colpa?”
Il ragazzo si morse il labbro inferiore, poi faticosamente mormorò: “Io… andavo a letto con gli uomini per soldi.”
A quella frase seguì un silenzio rotto solo dal raschiare delle pale sulla terra secca. Quando esso si fece troppo pesante, timidamente Halloran chiese: “Ora che l’hai saputo, preferisci che non ti rivolga più la parola?”
Finch sollevò lo sguardo fino a fissarlo nel suo. “Perché?”
Magari quello che ti ho appena detto ti fa schifo.”
L’altro scosse la testa. “A me piace Bonnie. Mi fa pensare alla Bonnie blue flag [1]. E adesso aiutami a calare giù questi poveracci, per favore.”

La colonna si mise in marcia poco dopo, lasciandosi dietro le tracce dei fuochi di bivacco, i corpi degli Apache morti e una fossa poco profonda, rozzamente ricoperta di pietre, dove riposavano i due soldati. Qualcuno aveva tentato di porvi sopra una croce, ma il sergente Burt l’aveva impedito, per evitare che gli Indiani le profanassero.
Halloran, ultimo della colonna, si girò sulla sella e guardò indietro. Al suo fianco, Finch gli chiese: “Cosa fai?”
L’altro si voltò di nuovo in avanti. “Nulla,” rispose chinando appena la testa.
Non devi guardare indietro,” disse il più vecchio. “Fa solo male.”
Scusa, Clarence.”
Guardare indietro è come custodire un cimitero.”
Il ragazzo sulle prime non replicò, poi, dopo qualche minuto, timidamente osò chiedere: “Non stai parlando solo del campo che abbiamo lasciato, vero?”
Finch non rispose, ma chinò appena la testa e si aggiustò il cappello in modo che la tesa gli ombreggiasse maggiormente il volto. “Io ci provo, ma non sempre ci riesco,” disse poi.
In quel momento udirono un cavallo avvicinarsi al galoppo, e un soldato disse: “Finch: a rapporto dal sergente Burt.”
L'uomo uscì dalla colonna, istintivamente il ragazzo gli tenne dietro. Raggiunsero il sottufficiale. “Si può dire di te quello che si vuole, Dxie,” disse questi quando Finch si fu avvicinato, “ma non sei mai caduto da piccolo, e mi fido più di te che di tutti gli altri messi insieme. Prenditi qualcuno e va a fare un giro qui intorno.”
Sì, sergente,” rispose il soldato. Poi, rivolto al Ragazzo: “Vieni.”
Senza attendere risposta, girò il cavallo e si diresse al piccolo galoppo verso le alture che correvano a circa un miglio dalla pista.
Quando si furono allontananti un po’, Halloran disse: “Perché hai chiamato me?”
Finch non rispose.
Perché?” insisté il ragazzo.
L’altro si voltò a fissarlo. Gli parve bello e severo, come doveva essere stato con l’uniforme da ufficiale. Le pupille strette per la luce intensa facevano sembrare i suoi occhi ancora più chiari e trasparenti, la sua postura era elegante e carica di dignità, nonostante la sdrucita uniforme da soldato semplice che indossava.
Ti dispiace, per caso?” gli chiese.
No, ma...”
Allora procediamo. C’è troppa calma, voglio capire cosa sta succedendo.”
Raggiunsero le alture, blocchi di arenaria rossa scavata dal vento, che si ergevano da banchi di sabbia granulosa, che frusciava sotto gli zoccoli dei cavalli.
Tra le colonne di pietra il silenzio sembrava ancora più intenso, e per i loro occhi, abituati alla luce che costringeva ad abbassare lo sguardo, le zone d’ombra erano come pozzi oscuri che inghiottivano i contorni delle cose.
Ogni tanto spirava un vento lieve, che mormorava tra pareti di roccia sinuose come stoffe.
Finch procedeva adagio, guardandosi intorno e fermandosi di tanto in tanto. Alla fine disse: “Bisogna salire.”
Rory guardò in alto: le cuspidi color mattone svettavano contro un cielo di smalto turchese. Un rapace enorme, con le ali spalancate e le remiganti aperte come dita, descriveva ampi circoli sulle correnti ascensionali.
Finch richiamò la sua attenzione con un colpetto sulla coscia. Il ragazzo si riscosse, e si accorse che era smontato da cavallo, e gli stava porgendo le redini. “Io vedo se c’è un modo per andare su,” gli disse. “Tu resta qui, e occhi aperti.”
Halloran si limitò ad annuire. Smontò a sua volta, strinse in pugno le redini di entrambi gli animali, poi cercò una rientranza della roccia e vi si addossò con la schiena, in modo da scongiurare attacchi alle spalle. Tese le orecchie, ma a parte il canto sommesso del vento e il raro frusciare delle code dei cavalli, non si udiva alcun suono. Persino i passi di Finch sembravano scomparsi nel nulla.
Poi si accorse di un ticchettio irregolare che proveniva dall’alto. Sollevò lo sguardo e vide un sassolino che cadeva rimbalzando contro le pareti di roccia. Si obbligò a mantenere il silenzio: era Finch, quello che si muoveva lassù, o un Apache? Il giorno prima se li era trovati addosso all’improvviso, senza nemmeno accorgersi che stavano arrivando. Rabbrividì al pensiero che se in quell’occasione non fosse sopraggiunto Clarence, gli Indiani l’avrebbero ucciso.
Cadde un secondo sassolino. Il ragazzo si arrischiò a sporgersi dalla nicchia, e con sollievo colse un baluginare di blu e giallo, su in alto.
Rory!” gli giunse asciutto il richiamo di Finch.
Il ragazzo guardò di nuovo in su, cercando di individuarlo. “Dove sei?”
Rory, lascia i cavalli e vieni a vedere.” Poi, forse notando la sua titubanza: “Passa da dietro, c'è un percorso abbastanza facile.”
Quando, sudato e impolverato di color mattone, il ragazzo arrivò alla sommità dell'altura, l'altro era accovacciato e stava osservando delle tracce sulla sabbia.
Cosa c'è?” chiese Halloran.
Sono stati qui. Probabilmente è da quando siamo partiti da Fort Hope che ci stanno seguendo, e l'attacco di ieri sera è stato un modo per capire quanto siamo forti.”
E quindi hanno deciso di andarsene?”
No, hanno fatto come i ratti: hanno mandato avanti un gruppetto per vedere com'era la situazione, e adesso che l'hanno saputo, faranno avanzare il grosso del gruppo.”
Il ragazzo deglutì. “Questo vuol dire che arriveranno?”
E presto, anche. Forse addirittura oggi stesso.” Si mosse per cominciare a scendere, poi proseguì: “Dobbiamo andare immediatamente ad avvisare gli altri. Non so cosa sarà possibile fare, così in campo aperto, ma perlomeno si potrà tentare di organizzare una difesa.”
Non ci tengo a finire nelle mani degli Apache,” mormorò il ragazzo, con la voce resa roca dalla mancanza di saliva.
Tieni l'ultimo colpo per te. Non pensare che quelle bestie si impietosiscano perché sei giovane o perché sei carino: sei un soldato blu e tanto basta.”

Erano appena montati in sella quando nell'aria immobile si udì qualcosa che assomigliava a un lontano crepitio.
Subito Finch alzò la testa con uno scatto, e rimase in ascolto.
Cosa succede?” chiese Halloran, ma l'altro gli fece cenno di tacere. Spinse il cavallo verso la pianura, e di nuovo rimase immobile ad ascoltare. “Degli spari,” disse infine.
Rory bevve un sorso dalla borraccia, poi faticosamente ripeté: “Degli spari?”
Finch annuì grave.
Questo significa che...”
Che sono arrivati.”
Ma...” Il ragazzo fissò smarrito il compagno, con l'aria di non sapere a che santo votarsi. “Ma allora dobbiamo andare da loro, dobbiamo aiutarli!” Fece per spronare il cavallo, ma l'altro lo fermò con un gesto. “Dove vuoi andare, Rory?” gli chiese sconsolato, “Se hanno attaccato, significa che saranno almeno il doppio dei nostri, se non di più. Otterremmo solo di morire anche noi.”
Rory rimase a fissarlo in silenzio.
Non credere che non ci abbia pensato, sai,” riprese allora l'uomo in tono amaro. “Anzi, forse in altri tempi l'avrei anche fatto.” Si interruppe.
E adesso, invece?” buttò lì il ragazzo, quando il silenzio si fece troppo pesante.
Adesso... ho te.”
Halloran sentì il cuore balzargli nel petto. “Che... che intendi dire?” mormorò. Cercò il suo sguardo, ma l'altro lo manteneva ostinatamente rivolto altrove.
“Voglio dire che tu ti fidi di me, e avere la fiducia di qualcuno è una grande responsabilità.”
Rory portò il cavallo ad affiancarsi al suo, e in un sussurro chiese: “È solo questo, Clarence?”
Finch sollevò lo sguardo e lo fissò dritto nei suoi occhi. Rimase immobile qualche istante, poi d'un tratto sembrò riscuotersi, e quel momento carico di aspettativa svanì come una bolla di sapone. Fece scorrere lo sguardo sull'orizzonte, poi disse: “Possiamo fare una sola cosa per i nostri compagni: arrivare a Coyote Point e chiedere aiuto.” Senza attendere risposta spronò il cavallo, spingendolo al piccolo galoppo lungo le pendici delle formazioni rocciose.
Rory lo raggiunse, e per un po' procedettero affiancati. Il ragazzo avrebbe voluto chiedergli in che modo gli uomini di Coyote Point, a un giorno di marcia da lì, sarebbero potuti intervenire, ma la risposta poteva darsela da solo: al massimo avrebbero attaccato l'accampamento degli Apache, per liberare i disgraziati che non erano riusciti a tirarsi un colpo in testa prima di essere catturati, o per recuperare qualcosa di quello che gli Indiani avrebbero razziato.

Stavano procedendo da un po' quando una freccia si piantò fra le zampe anteriori del cavallo di Halloran, facendogli fare una mezza impennata. D'istinto il ragazzo urlò: “Clarence!” Poi guardò in alto e vide stagliarsi su una cresta di roccia un Apache armato di arco.
Clarence!” ripeté, “Gli Indiani!”
Udì uno sparo, si voltò verso il compagno e lo vide con la pistola fumante in mano. Un Indiano fece per avventarglisi addosso, l'altro sparò di nuovo, ma il primo lo trascinò giù da cavallo, e i due rotolarono a terra avvinghiati. Vide baluginare la lama di un coltello.
Nonostante la paura, e l'angoscia di perdere il momento in cui tirarsi la famosa ultima pallottola in testa, il suo primo impulso fu quello di intervenire in suo aiuto, ma si trovava a fronteggiare altri due guerrieri, e doveva intanto mantenersi a ridosso della parete rocciosa, per sfuggire alle micidiali frecce che continuavano a piovere dall'alto.
Qualcuno lo afferrò per tirarlo giù da cavallo, il ragazzo fece arretrare l’animale, una freccia lo sfiorò lasciandogli una striscia di sangue su una gamba e in un istante di lucidità, lui si stupì di non provare alcun dolore. Subito dopo sentì qualcuno afferrarlo, e darsi la spinta per montare sul cavallo dietro di lui, si divincolò, poi si udì una detonazione, l’Indiano si irrigidì e ricadde al suolo.
“Rory, vattene!” urlò Finch.
“No!” gridò di rimando il ragazzo, poi spinse l’animale contro un Apache stava prendendo di mira il commilitone, facendogli perdere l’equilibrio. Questi però lo afferrò per il cinturone riuscendo a disarcionarlo, Halloran rotolò con il guerriero addosso, riuscì a estrarre la pistola, gli sparò, poi si rialzò in piedi ansante e si guardò intorno: gli Indiani erano tutti morti, Finch era addossato alla parete, ancora più pallido del solito. Si teneva una mano premuta sulla spalla, e rivoli di sangue gli filtravano fra le dita.
“Clarence!” urlò.













[1] “The bonnie blue flag”, anche nota come “We are a band of brothers”, è l’inno non ufficiale degli Stati Confederati, ed era molto popolare tra soldati e cittadini.



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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cari,
eccoci alla conclusione di questa vicenda di soldati blu e indiani. Ringrazio tutti quelli che hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui: chi mi ha letto, chi mi ha messo in qualche lista, ma in particolare chi è stato così gentile da lasciarmi un parere, ovvero John Spangler, Enchalott, Saelde_und_Ehre, Syila, aelfgifu, alessandroago_94, Star_Rover, mystery_koopa, fiore di girasole e queenjane.




Capitolo 3

Rory rinfoderò la pistola e si precipitò verso il compagno. “Clarence!” ripeté angosciato. Lo aiutò a sedersi, poi cominciò a sbottonargli la giubba. “Fammi vedere,” gli disse.
L’altro lasciava fare, cosa che al ragazzo parve più preoccupante di qualsiasi altro sintomo. “Clarence,” ripeté a bassa voce. Si tolse il guanto e gli passò una mano sulla fronte coperta di sudore freddo.
Sto bene, Rory,” mormorò l’altro socchiudendo gli occhi.
Il ragazzo lo fissò preoccupato, poi rispose: “Certo, starai bene, non preoccuparti.” Nel frattempo gli aveva messo a nudo la spalla sinistra, sulla quale c’era una profonda ferita da punta, proprio sotto la clavicola. “Ora ti bendo e poi ci riposiamo un po’, d’accordo?”
Non possiamo riposarci.”
Devi riprendere fiato, Clarence. Non puoi cavalcare così.”
L’altro non rispose. Il ragazzo gli appoggiò sulla ferita una compressa di stoffa realizzata col fazzoletto che portava al collo, poi si guardò intorno alla ricerca del proprio cavallo, dato che nelle bisacce della sella aveva bendaggi da campo, ma lo vide scomparire dietro uno sperone di roccia. Subito si alzò per inseguirlo. “Aspetta! Dove vai?” gli disse, cercando di non spaventarlo con clamori troppo forti.
L’animale non sembrava imbizzarrito o innervosito. Si muoveva tranquillo, come chi sa perfettamente cosa fare. Ogni tanto si fermava e fiutava l’aria con atteggiamento pensoso, dilatando le froge, poi riprendeva il cammino. Halloran notò che il sentiero che esso stava percorrendo era già battuto da altre impronte di zoccoli.
Cos’hai trovato, una giumenta?” borbottò. Si voltò indietro indeciso, temendo di allontanarsi troppo dal compagno, ma preoccupato che il cavallo decidesse di scappare via dimenticandosi dei suoi doveri.
Poi la bestia si fermò e raspò la terra con lo zoccolo. Fiutò di nuovo l’aria, abbassò la testa e fiutò anche il suolo, aggirò un ultimo sperone di roccia e poi allungò il passo fino a un piccolo rigagnolo. Vi immerse il muso con uno sbuffo di soddisfazione e prese a bere avidamente.
Rory lo raggiunse, poi gli diede una pacca sulla spalla e disse: “Sentivi l’odore dell’acqua, vero?”
L’animale continuò a dissetarsi senza prestargli attenzione. Il ragazzo notò poco lontano i segni di un bivacco, e nella cenere ancora calda monconi d'osso bruciacchiati. Appoggiata da una parte c’era una lancia Apache. Si guardò intorno, ma tutto sembrava tranquillo. Concluse che quello era il rifugio degli Indiani che li avevano attaccati.
Beh, andiamo a prendere l’altro cavallo,” disse fra sé e sé. “Anche lui vorrà bere. E Clarence, ovviamente. Quella ferita ha un gran bisogno di essere lavata. Gli Apache sporcano le punte delle frecce con interiora putrefatte per far infettare le ferite, e scommetto che lo fanno anche con le lame dei coltelli.”

Finch, che sembrava addormentato ai piedi della parete di roccia, al suo arrivo aprì gli occhi e lo fissò attento.
Il ragazzo si avvicinò e si chinò accanto a lui. In tono morbido, gli chiese: “Ce la fai ad alzarti? Sembra che il mio cavallo abbia trovato dell’acqua. È un ra... come si chiamano quei tizi che trovano l'acqua con la bacchetta biforcuta?”
Rabdomanti?”
Sì, quelli,” rispose subito il ragazzo, poi ripeté: “Rabdomante.” fece una pausa, annuì convinto. “Mi piace, ha un suono solenne. Il mio cavallo si chiamerebbe Hushpuppy, che ne dici se d'ora in poi lo ribattezzo Rabdomante?”
Finch tentò una risata, che però si trasformò subito in una smorfia di dolore.
Halloran controllò il tampone di stoffa che gli aveva lasciato sulla ferita: da giallo che era, il fazzoletto era diventato di un rosso cupo, più intenso dove il sangue l’aveva impregnato maggiormente. “Ora andiamo, Clarence,” gli sussurrò all'orecchio. Si piegò a posargli un lieve bacio sulla tempia. L'altro non si ribellò.
Ce la fai?” gli chiese dopo un po', vedendo che non si muoveva. Lo prese per il braccio sano, lo aiutò ad alzarsi, lo strinse a sé. Finch si appoggiò a lui con un gemito.
Ti fa male?” chiese subito Halloran.
Un po'.”
Dai, ora ti lavo la ferita, e poi te la fascio. Sono bravo con le bende, sai?”
Davvero?”
Uh-huh. Bravissimo.”
Dove hai imparato?”
Quando ero piccolo e c'era la guerra, mia madre ha fatto per un po' l'infermiera in un ospedale da campo.”
Tu eri lì con lei?”
Beh, sì. Dove vuoi che mi mettesse? Eravamo solo noi due.”
Quanti anni avevi?”
Una decina. Aiutavo con le fasciature o altro, quando c’era bisogno.”
Così parlando, il ragazzo si incamminò verso il punto dove aveva lasciato il cavallo. L'altro cavallo, evidentemente addestrato a non allontanarsi dal padrone, seguiva Finch anche senza bisogno di essere condotto per le redini.
Quando arrivarono a destinazione, Rory aiutò per prima cosa il compagno a sedersi a terra accanto al rigagnolo, con la schiena contro una roccia, poi andò ad attingere un po' d'acqua, si inginocchiò di fianco a lui e gliela fece bere. “Come va?” gli chiese.
Sono stato meglio.” Finch cercò senza successo di raddrizzarsi, poi proseguì: “Ma tu... dopo tutto quello che avrai visto negli ospedali, hai scelto lo stesso di fare il soldato?”
Il ragazzo gli rivolse un sorriso amaro. “Diciamo che non ho avuto molta scelta, in realtà. O soldato o in prigione, e puoi immaginare cosa succede a quelli come me in prigione.”
Così parlando, riprese il suo fazzoletto, lo lavò, lo strizzò e cominciò a pulire la ferita. Finch si irrigidì appena.
Ti faccio male?” chiese Rory preoccupato.
Non tanto.”
Posso continuare?”
L'altro accennò di sì con la testa. Dopo un po' che il ragazzo si occupava del taglio, a bassa voce, in tono quasi esitante, gli chiese: “Rory... a te piaceva?”
Halloran si fermò. “Cosa?”
Quello che...” Clarence esitò, forse alla ricerca di un’espressione che non suonasse troppo cruda. Alla fine scelse: “Quello che facevi per vivere.”
Il ragazzo ebbe l'impressione che fosse molto tempo che il compagno stava rimuginando quella domanda. Ponderò se dirgli di sì o di no, cercò di immaginare cosa avrebbe comportato l’una o l’altra risposta. “Dipende,” rispose alla fine con sincerità.
Da cosa?”
Il più delle volte lo facevo solo per tirare avanti, ma con alcuni mi piaceva.” Deglutì: nel bene e nel male, si rese conto che ormai si era spinto troppo avanti per tornare indietro. Con voce incerta aggiunse: “Con te mi piacerebbe.”
A quella frase seguì un lungo silenzio, tanto che il ragazzo si convinse di aver osato troppo, e che la confidenza così faticosamente raggiunta si fosse irrimediabilmente incrinata, poi Finch in tono grave disse: “Mi fai onore.”
Rory sentì il cuore saltare un battito. Lo fissò negli occhi, cercando ansiosamente nel suo sguardo una conferma di ciò che aveva appena udito. “Cosa?” mormorò con voce appena udibile.
Mi fai onore,” ripeté Clarence con fermezza.
Il ragazzo abbassò gli occhi sulla propria mano, che stringeva ancora il fazzoletto intriso di sangue. Senza accorgersene, aveva serrato le dita così forte che rivoli rossi gli scomparivano giù per la manica.
Ti faccio… onore?” mormorò con voce incerta. Si era sentito dire di tutto, nella sua breve vita, ma mai nulla che avesse a che fare con l’onore.
Sei un giovane leale e coraggioso, sarei stato orgoglioso di averti nel mio squadrone.”
Il ragazzo si rese conto che quello probabilmente era per l’uomo il complimento più grande che avrebbe potuto rivolgergli. “E io...” Alzò lo sguardo fino a incontrare il suo. Sbatté gli occhi, che di colpo si erano fatti umidi, e si accorse che un groppo in gola gli rendeva difficile parlare. “Io sarei stato orgoglioso di servire ai tuoi ordini.”
L’altro sollevò il braccio sano a cingergli le spalle, e lo tirò verso di sé. Egli si piegò appena in avanti, e gli posò un bacio sulle labbra, che a quel tocco fremettero.
Poi si fece indietro e rimasero a guardarsi incerti, forse timorosi di fare di più. Alla fine il ragazzo si passò una mano sul viso asciugandosi gli occhi, sorrise e disse: “Sarà meglio che finisca di sistemare la tua spalla, che ne dici?”
Va bene.”
Gli sfiorò il petto con una carezza, sentì il suo cuore battere forte e involontariamente sorrise. Di nuovo pensò al passato: era stato scopato in ogni modo possibile, aveva concesso tutto di sé a uomini che poi non aveva mai più rivisto. Aveva preso cazzi, brutalmente parlando, di ogni genere. Ma l’unico che gli era entrato veramente nell’anima era Clarence Finch-Hatton, al quale aveva dato solo un bacio come quelli che si scambiano i ragazzini alla prima cotta.

§

Il crepitare del piccolo fuoco era l’unico suono che si udiva nella gola. In alto, tra le cuspidi ormai nere dei monti, il cielo andava tingendosi di indaco e cobalto, e qua e là cominciavano a fare capolino le prime stelle.
Illuminato dai riflessi arancioni delle fiamme, il ragazzo sedeva quieto, lo sguardo fisso su un piccolo recipiente di metallo nel quale sobbollivano magre razioni militari di lardo e fagioli. Un po’ di pane raffermo si stava scaldando su una pietra.
Poco lontano, avvolto nelle due coperte, Finch dormiva un sonno inquieto, probabilmente gravato da incubi. Rory si alzò, gli andò vicino. “Va tutto bene, Clarence,” sussurrò accarezzandogli i capelli. Gli aggiustò le coperte e l’uomo parve calmarsi un po’. Si chiese se stesse sognando della guerra, o della sua casa distrutta dalle truppe del generale Sherman.
Si tastò la tasca, nella quale c’erano ancora le fotografie di Clarence, che lui aveva frettolosamente messo via quando gli Indiani avevano attaccato l’accampamento.
Tornò al suo posto accanto al fuoco, rimestò il pasto con una forchetta, poi le tirò fuori e di nuovo le scorse lentamente, soffermandosi su ognuna di esse. Era come se ormai conoscesse anche lui tutte quelle persone: la sorella di Clarence, i suoi genitori, la sua governante di colore, il suo cane di razza, il purosangue… E lui stesso, in uniforme, bello e severo, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore in un’espressione che riusciva a essere al tempo stesso indagatrice e altera. Era più giovane, in quell’immagine, era baldanzoso. Aveva lo sguardo sereno e fiero, come chi è chiamato a compiere un dovere duro ma necessario.
Rimise via le foto, raccolse le ginocchia contro il petto e vi appoggiò sopra il mento. Fissò di nuovo lo sguardo sul compagno. Il baluginare mutevole delle fiamme lo faceva apparire e scomparire nella penombra: ogni tanto il fuoco si rifletteva sui suoi capelli biondi, oppure metteva in risalto la linea netta e decisa della mascella, o il rilievo nervoso dei muscoli del collo.
Avrebbe voluto abbandonare la cena al suo destino, andare a sdraiarsi accanto a lui e stringerlo a sé. Immaginò il peso e il calore di quel corpo forte contro il suo e dovette distogliere lo sguardo mentre un’ondata di eccitazione lo attraversava come fluido elettrico.
Rimestò di nuovo la cena. Non molto, obiettivamente, ma abbastanza per dar loro un po’ di forze fino a Coyote Point. “Ammesso che riusciamo ad arrivarci,” disse a mezza voce, rivolgendosi ai due cavalli, che masticavano tranquilli col muso immerso nel sacco della biada.
Quella pur sussurrata constatazione ebbe il potere di ridestare Finch, che aprì gli occhi e si guardò intorno stranito. “Che ore sono?” chiese con voce roca.
Il ragazzo si voltò verso di lui e rispose: “Non lo so, non ho l’orologio, però ormai è buio.”
L’altro fece per mettersi seduto, ma una fitta di dolore lo costrinse a interrompere il movimento. “Perché mi hai lasciato dormire?” chiese comunque, guardandosi intorno come se faticasse a riconoscere ciò che lo circondava.
Ne avevi bisogno,” rispose il ragazzo, “hai perso molto sangue.”
Non c’è tempo di dormire.” Finch sondò i dintorni, aggrottando le sopracciglia nella luce ormai scarsa. “La mia giubba?” chiese. Si toccò la fasciatura. Cercò di muovere il braccio, ma il volto gli si contrasse in una smorfia di dolore. “Dobbiamo andare,” disse comunque.
Siediti, Clarence,” disse il più giovane. “Sai anche tu che dieci minuti in più o in meno non faranno poi quella differenza.”
Finch chinò la testa come per un rimprovero. “Se solo non avessi dormito così tanto...” mormorò, con lo sguardo fisso sulla sabbia, che alla luce delle fiamme prendeva una tonalità di ruggine scura come vecchio ferro dimenticato.
Sei ferito.”
L’altro rialzò il capo con uno scatto. “E che importa?” replicò, il tono improvvisamente duro. “Che importa se sono ferito o stanco, quando la salvezza dei miei compagni dipende da me?”
Se non sei in grado di stare in sella perché sei troppo debole, importa eccome.”
Finch non replicò, e si chiuse in un silenzio che a Rory parve carico di brutti ricordi.
Il ragazzo lasciò passare qualche minuto, poi tolse dal fuoco il recipiente che aveva posto a scaldare, raccolse le fette di pane e lo raggiunse. “Mangiamo qualcosa,” gli propose. Si sedette accanto a lui, sufficientemente vicino da sfiorarlo con la spalla, e si protese a baciarlo piano sui capelli. Gli mise in mano un cucchiaio. “Mangiamo,” ripeté.
Io...”
Non dire che non ti va, l’ho fatto con le mie mani.”
Clarence fece un pallido sorriso e rispose: “D’accordo, mangiamo qualcosa.” Piegò la testa fino a sfiorare quella del ragazzo.

Quando ebbero finito, Finch si guardò intorno e chiese: “Dov’è la mia giubba?”
L’ho lavata, era fradicia di sangue.”
Dov’è?” ripeté l’altro imperterrito.
Il ragazzo gliela porse. “Sarà un po’ umida,” lo avvertì.
Fa niente.” Poi, dopo una pausa: “Aiutami a indossarla, per favore.”
Rory gliela fece passare sulla spalla ferita, stando attento a non rovinare il bendaggio di fortuna che aveva improvvisato con la propria camicia di ricambio. Guardò il cielo, che era ormai nero, e punteggiato delle prime stelle, poi chiese: “Vuoi partire adesso?”
Sarà più difficile che ci vedano.”
Il ragazzo fece girare uno sguardo tutt’intorno, come se temesse di veder spuntare degli Apache da un momento all’altro. “C’è pericolo?” gli chiese.
Finch annuì. “Gli Indiani non sono stupidi, sanno che i convogli mandano in giro delle pattuglie a esplorare i dintorni. Benché solo soldati semplici, tu ed io abbiamo pur sempre due cavalli, due carabine, due pistole, delle coperte e dei vestiti. È un buon bottino.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Senza contare che vorranno evitare il rischio di una spedizione punitiva.”
Tu dici che ci sarà una spedizione punitiva?”
Fa parte del gioco. Se riusciamo ad arrivare a Coyote Point e a dire che hanno ucciso un bel po’ dei nostri e razziato tutti i rifornimenti, ci sarà la ritorsione.”
Halloran non rispose. Quella era una strana guerra, che sembrava combattuta di ritorsione in ritorsione. Indiani che attaccavano i convogli dei pionieri, soldati che attaccavano gli accampamenti degli Indiani che avevano attaccato i convogli, Indiani che attaccavano i forti dei soldati che avevano attaccato gli accampamenti… e così via. “Finirà mai?” chiese, quasi rivolgendosi a se stesso.
Carica le armi,” disse Finch per tutta risposta, “e ricorda: tieni l’ultimo colpo per te.”

§

Si lasciarono alle spalle la fenditura tra le rocce e il rigagnolo dal lieve mormorio ipnotico. Il fuoco ormai spento aveva smesso di donare alle pareti di arenaria sfumature di miele e ambra, e davanti a loro si estendeva la brulla immensità della pianura, blu-grigia sotto la luce fredda della luna.
È meglio che stiamo a ridosso delle montagne,” disse Finch, “saremo meno visibili.”
Si misero in movimento.
Man mano che i suoi occhi si abituavano all’oscurità, il ragazzo riusciva a cogliere sempre più particolari di ciò che lo circondava: vide una volpe schizzare fuori da dietro una roccia, e afferrare qualcosa che emise un debole squittio, e vide la sagoma scura di un rapace notturno che li scrutava dal ramo di un albero secco.
Se si concentrava, riusciva a cogliere mille suoni, dal richiamo basso del gufo al frinire lontano degli insetti. L’aria era fresca, e si portava dietro il profumo amaro dell’enotera. Halloran si sorprese a scrutare il terreno alla ricerca delle sue corolle gialle.
La catena che stavano costeggiando era una massa nera e frastagliata, che ricordava un drago addormentato. Era incombente, nei suoi tratti più impervi, e si addolciva, coprendosi addirittura di una bassa vegetazione, nelle zone che il vento aveva scavato maggiormente. Fra le pietre erose di udiva a tratti il lontano mormorio dell’acqua.
Il ragazzo spronò il cavallo fino ad affiancarsi al compagno, e a bassa voce gli chiese: “Come va, Clarence?”
Posso farcela.”
Ti fa male la spalla?”
Non tanto.”
Per un po’ proseguirono in silenzio, poi a un tratto Finch disse: “Mi piaceva la notte. Quando arrivava l’estate, a Mon Repos fiorivano le gardenie, e c’erano cascate di glicini e gelsomini: l’aria era così carica di profumi che stordiva.” Si interruppe, il ragazzo lo fissò, ma non osò dire nulla. Fu l’altro che dopo un po’ riprese: “A Eleanor piaceva stare fuori, nelle notti d’estate. Si faceva portare una lanterna sul patio, e poi sedeva sulla sua poltrona di vimini e ricamava o leggeva, e intanto ascoltava il canto degli usignoli.” Di nuovo fece una pausa, a Rory parve di vederlo deglutire come quando si cerca di non piangere. Infine proseguì: “Quando sono arrivati, lei era sul patio che leggeva. Uno sparo pulito, in mezzo agli occhi. Penso che non si sia nemmeno accorta di morire.”
Il ragazzo ripensò alla fotografia della giovane donna graziosa, con l’abito chiaro e l’ombrellino di pizzo. “Mi dispiace,” mormorò.
L’altro alzò le spalle. “Io ero al fronte,” disse poi, “non ho potuto fare niente, se non continuare a combattere.” Poi tacque, e per un po’ gli unici rumori che si udirono furono lo scalpiccio degli zoccoli e il tintinnare dei finimenti.
Clarence?” mormorò il ragazzo dopo un po’.
Ma è servito a poco,” concluse l’altro in tono cupo. “Vedi dove sono finito.”
Clarence.” Rory fece spostare il cavallo finché non furono a contatto di staffa, e poi protese una mano a toccare le sue, strette sulle redini. “Per quello che può valere, io ti voglio bene,” gli disse.
L’altro esitò qualche secondo, poi rispose: “Anch’io te ne voglio, Rory.”

L’alba arrivò con una linea dorata sull’orizzonte, e con pennellate di rosa e viola sulle ondulazioni della pianura. Le rocce persero l’aspetto di fantasmi neri e cominciarono a colorarsi di ocra nel cielo che andava impallidendo.
I primi raggi del sole facevano brillare come gemme le rare gocce di rugiada.
Finch tirò le redini e si guardò intorno. “Non siamo lontani,” disse poi.
Il ragazzo scrutò a sua volta la distesa brulla, che si estendeva a perdita d’occhio: niente faceva pensare che di lì a poco avrebbero trovato un fortino difeso da soldati blu.
Qualche miglio e ci siamo,” precisò l’altro.
Come fai a saperlo?”
Ho visto una mappa nell’ufficio di Lane, la catena che abbiamo seguito corre parallela alla pista. Se consideri che quando ci hanno attaccati mancava più o meno un giorno di marcia a Coyote Point, direi che ormai dovremmo esserci.”
Beh, non sarà mai troppo presto,” commentò il ragazzo, che con l’aumentare della luce cominciava a sentirsi sempre più vulnerabile.
Ripresero la marcia. L’aria era ancora fresca, ma già risuonavano i richiami dei primi uccelli diurni. Il sole basso sull’orizzonte costringeva a tenere il cappello calato sugli occhi.

Poteva essere passata un’ora quando Finch d’improvviso tirò le redini, e prese a scrutare ansiosamente in lontananza. Halloran guardò nella stessa direzione, e si sentì gelare il sangue: qualcosa si muoveva.
Si voltò verso il compagno, e vide che aveva la sua stessa espressione tesa. “Apache?” mormorò.
Andiamo,” disse l’altro per tutta risposta.
Ripresero la marcia. Già stanchi per il trasferimento notturno, i cavalli sbuffavano e inciampavano sulle pietre.
Halloran, che ogni tanto si voltava indietro, vedeva le figure farsi sempre più grandi. “Clarence, cosa facciamo?” osò chiedere dopo un po’.
Possiamo solo andare avanti, e pregare che Coyote Point non sia lontano.”
Procedettero. Gli Apache ormai li avevano individuati, e fin da quella distanza si udivano flebili le roche grida di guerra con le quali si incitavano l’un l’altro.
I due cavalli erano coperti di sudore, ansimavano e sbuffavano costretti a un’andatura che non sarebbero riusciti a mantenere a lungo.
All’orizzonte comparve una sagoma scura, leggermente ammantata di foschia. “Coyote Point!” urlò il ragazzo. Il sibilo di una freccia spense immediatamente il suo entusiasmo: si girò e vide che la banda di guerrieri Apache si era avvicinata ulteriormente.
Ormai siamo a tiro,” disse Finch al suo fianco.
Che facciamo?”
Ci fu qualche secondo di angoscioso silenzio, infine Clarence chiese: “Rory, ti fidi di me?”
Il ragazzo si voltò stupefatto verso di lui. “Sì, certo,” gli rispose di getto.
Allora devi fare esattamente quello che ti dico.”
L’altro aggrottò le sopracciglia mentre una sorda sensazione di angoscia lo pervadeva. “Sarebbe a dire?”
Mi lasci la tua carabina e le munizioni, io mi metto su una roccia in copertura e li tengo lontani. Tu intanto ti porti dietro il mio cavallo e parti più veloce che puoi verso il forte. Appena il tuo cavallo non ce la fa più monti sul mio, vai a chiedere aiuto e poi torni qui, d’accordo?”
Rory si sentì mancare la terra sotto i piedi. “Ma io non voglio lasciarti!” esclamò.
L’altro gli rivolse uno sguardo duro e rispose: “Non abbiamo altra scelta. Gli Apache stanno arrivando, non ce la faremmo mai a raggiungere il forte in queste condizioni, ci prenderebbero entrambi. Così invece hai una possibilità.”
E tu?”
Io li tengo a bada da qui.”
Ma Clarence...” Avrebbe voluto dirgli che non sarebbe andato da nessuna parte senza di lui, che preferiva mille volte morire piuttosto che abbandonarlo, che nessun guerriero Apache era in grado di spaventarlo se aveva lui accanto, ma l’altro lo incalzò: “Non abbiamo molto tempo, Rory.”
Il ragazzo sentì le lacrime pungergli gli occhi. “Non voglio lasciarti,” mormorò con voce rotta, ma l’altro replicò: “Devi andare, Rory. È la nostra unica possibilità.”

E Rory Halloran, soldato della cavalleria delle pianure, si trovò a galoppare, con le ultime energie del suo povero cavallo stanco e le lacrime che gli annebbiavano la vista, verso la mole tozza del fortino di Coyote Point.

§

Clarence Finch-Hatton si sistemò nella nicchia sopraelevata che aveva individuato nel fianco dell’altura, e controllò che la copertura dal basso fosse completa. La ferita gli doleva, ma era alla spalla sinistra, non gli avrebbe dato fastidio per sparare. Con gesti misurati appoggiò accanto a sé le due carabine cariche. Sapeva che non avrebbe avuto il tempo di ricaricarle. Si sporse a controllare il numero di guerrieri in avvicinamento, quindi estrasse dal fodero anche la Colt e la posò su una pietra poco lontano.
Inspirò profondamente: provava per la prima volta dopo tanto tempo una sensazione di pace interiore, di completezza. Era come se Dio gli stesse offrendo la possibilità che dieci anni prima gli aveva negato.
Non ti prenderanno, Rory,” disse fra sé e sé. Imbracciò la prima delle carabine, si stese sulle pietre cercando di far sì che il suo corpo aderisse completamente a esse, strinse l’arma quasi con tenerezza. Inquadrò nel mirino il primo degli Indiani e fece fuoco. L’uomo rotolò giù da cavallo.
Impassibile, Finch azionò la leva di caricamento. Il bossolo rovente schizzò via e atterrò dietro le sue spalle con un tintinnio, il secondo proiettile entrò nella camera di scoppio.

§

Il cavallo letteralmente gemeva a ogni falcata, i fianchi erano coperti di schiuma.
Resisti! Resisti!” implorava il ragazzo, con le lacrime che gli scendevano dagli occhi come linfa da una vite tagliata. “Ti prego, resisti!”
La pianura era diventata una macchia indistinta, il forte in avvicinamento era un cubo scuro che da quella distanza sembrava quasi un giocattolo per bambini.
Resisti!” urlò per l’ennesima volta, spronando l’esausto animale.
Il forte cominciò a delinearsi nei suoi contorni, comparvero delle torrette, spuntò una bandiera a stelle e strisce che ondeggiava pigra nella brezza del mattino. Individuò dei soldati.
Aiutatemi!” gridò. “Aiuto! Vi prego, aiuto!” Agitò il braccio sopra la testa.
Ormai non sapeva più nemmeno cosa stava dicendo, implorava, piangeva, incitava il cavallo, si raccomandava a Dio e ai Santi, pregandoli di risparmiare la vita di Clarence. Di prendersi la sua, se proprio volevano, ma di lasciare in vita lui.

Riaprì gli occhi circondato da una decina di soldati vocianti. Era sdraiato per terra, non vedeva più il cavallo. Cercò di alzarsi, ma qualcuno lo spinse giù. Gli porsero una borraccia, lui si divincolò e l’acqua gli finì addosso. “Aiutatemi!” ansimò. “Vi prego, dobbiamo andare subito! Il mio compagno è rimasto indietro!”
I militari si scambiarono occhiate perplesse. “Indietro?” disse qualcuno, “Allora è bell’e morto.”
No!” L’urlo che uscì dalla gola del ragazzo fece indietreggiare chi si trovava più vicino. Halloran saltò in piedi. “No!” ripeté angosciato. “Non è morto! Dobbiamo andare ad aiutarlo, vi dico!”
Arrivò un graduato, che lo fissò perplesso e chiese: “Che cosa succede, soldato?”
Il mio compagno è rimasto indietro!” ripeté per l’ennesima volta. Si guardò intorno agitato, con la sensazione di essere circondato da immobili statue di cera. Perché nessuno voleva dargli ascolto? Perché non si precipitavano fuori a salvare Clarence? “Aiutatemi!” urlò, con la gola che ormai gli bruciava come fuoco.
L’altro lo prese per le spalle e lo scrollò. “Adesso calmati, soldato,” gli ingiunse. “Cosa sta succedendo?”
Gli Apache ci stavano inseguendo. Il mio compagno è rimasto indietro per trattenerli, in modo da dare a me il tempo di arrivare qui. Ora dobbiamo aiutarlo, vi prego!”
Al concitato racconto, l’altro annuì grave. Fissò il ragazzo negli occhi, una strana lunga occhiata, poi ordinò: “Una pattuglia con me.”
Fatemi venire!” lo implorò Halloran.
Il graduato gli diede un paio di pacche sulla schiena, come avrebbe fatto per calmare un bambino in preda al panico. “Certo che verrai, giovanotto. Senza di te, come faremmo a trovarlo?”
Solo quando fu in sella assieme agli altri rifletté su quello che il sottufficiale gli aveva detto: perché avevano bisogno di lui per trovare Clarence? Ovviamente il suo compagno si sarebbe presentato da solo, alla vista delle uniformi blu.

§

I guerrieri a terra erano più di dieci, degli altri non c’era traccia. Sulla zona regnava un silenzio assoluto.
Rory si guardò intorno stranito, e quasi sussultò quando il graduato gli chiese: “Ebbene, dove si era nascosto il tuo compagno?”
Era.
Con mano tremante, il ragazzo indicò la rientranza fra le rocce.
Beh, andiamo a vedere,” disse l’altro.
Il ragazzo smontò da cavallo. D’improvviso si accorse di sentire male in tutto il corpo, e di avere la testa pesante come dopo una sbronza. Si mosse come in trance, incespicando. Sentì qualcuno chiedere: “Che fai, piangi?”

Si imbatterono dapprima nel corpo di un guerriero raggomitolato, con due buchi di pallottole nel petto, poi ne trovarono un altro colpito all’addome.
Infine c’era lui.
Clarence Finch-Hatton stringeva ancora la pistola in pugno. Giaceva supino, il volto aveva un’espressione serena, sembrava quasi che sulle labbra gli aleggiasse un vago sorriso. La ferita alla tempia quasi non si notava: sembrava piuttosto che fosse addormentato, e immerso in un bel sogno.
Clarence,” balbettò Rory con voce incolore.
Andiamo, prima che quelli tornino,” disse qualcuno.
Il vento del mattino trasportava roche grida di guerra. Il ragazzo sorrise fra sé e sé e mormorò: “Forse ci rivedremo presto, Clarence.”

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