Their everyday life in Universe 10

di Moriko_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Like a family ***
Capitolo 2: *** A story of blood and despair ***
Capitolo 3: *** Bonds ***
Capitolo 4: *** Like brother and sister ***



Capitolo 1
*** Like a family ***


A/N: Rieccomi qui!
Le lunghe assenze si stanno facendo sentire… e - ahimè! - purtroppo fino a fine anno sarò molto impegnata, per cui non so quando riuscirò ad aggiornare il mio profilo con nuove storie. Perciò, mi scuso subito con chi (?) in questi mesi aveva visitato la pagina sperando di trovare nuove ff, e invece dal 28/05 ad oggi è trascorso… ecco: molto, molto tempo!
Ma, bando alle ciance e passiamo subito al contenuto di questa nuova sezione. Guess what? Come al solito, sull'Universo 10 (il quale evidentemente sta subendo in occasione del Torneo in corso qualche maledizione da parte di qualche nemico di Gowasu o Rumsshi… forse.)
In onore suo e dei personaggi che lo popolano è dedicata questa raccolta di storie!
Ovviamenti, i soliti avvertimenti: Spoiler! Saga di “Mirai” Trunks e seguenti, per la presenza di nuovi personaggi ancora inediti in Italia.
Riguardo il titolo della raccolta: perché “Their everyday life in Universe 10”? Molto semplice: in questa sezione cercherò di raccontare alcune vicende quotidiane e non dei personaggi che popolano il mio Universo preferito, a partire dalle divinità fino ai comuni mortali… per quest’ultima parte, se avrò qualche idea in più su di loro, dato che nemmeno il tempo di conoscerli che praticamente stanno uscendo ad ogni episodio.
I primi capitoli tratteranno di scene realmente accadute nella serie ufficiale (anime e manga), per poi passare a veri e propri spaccati di vita quotidiana. Sinossi e personaggi verranno volta per volta aggiunti e aggiornati nelle caratteristiche della storia.
Detto questo…

Primo racconto: Like a family.
Forse quasi nessuno lo sa, ma nel tempo libero mi piace anche disegnare. E, tempo fa, ho creato questa mini storia che riassume in maniera semplice e silenziosa ciò che, secondo me, potrebbe essere la nascita e il proseguimento del rapporto che intercorre tra le divinità dell’Universo 10, unite tra loro da un sottile "filo rosso": la loro bevanda preferita, il .
E la ff che state per leggere è una sorta di “trasposizione letteraria” di questa storia. In breve, si parlerà del primo incontro tra Cus, Rumsshi e Zamasu, e ciò che è successo subito dopo gli eventi della saga di “Mirai” Trunks: una breve raccolta di due “Missing moments”, se così possiamo definire le due parti del racconto.
Per adesso non ho nient’altro da aggiungere, se non augurarvi - ancora una volta - buona lettura!

Nota: I soliti ringraziamenti alla sempre più paziente stellaskia per l'immagine che accompagna il titolo!



Like a family.



Se c’è un elemento che unisce le divinità dell’Universo 10, si può dire che si tratta del tè.
Questa bevanda, ricavata da piccoli arbusti dalle foglie di un lucente colore verde chiaro, è nota per le caratteristiche del suo liquido limpido e brillante e del suo sapore, deciso o delicato a seconda dei casi.
Da sempre, coloro che abitano in questo Universo sono accomunati dall'amore per il tè, e le loro abitudini quotidiane vertono intorno ad esso. La cerimonia del tè è il momento cardine della loro giornata, durante il quale si vive un forte momento di serenità e convivialità che unisce diversi individui provenienti da luoghi più disparati.

In particolare, le divinità dell'Universo 10 considerano questa bevanda come il simbolo della loro vita. È il loro filo rosso: qualcosa che, dall'alba dei secoli, unisce in un legame indissolubile tre persone le quali - in apparenza - svolgono tre ruoli diversi, e in un certo senso contrastanti tra loro.
Un Dio della Distruzione, abituato a svolgere il proprio lavoro solo quando la pigrizia non prende su di lui il sopravvento.
Un Angelo, che non appena sente parlare dello scontro tra bene e male si infiamma a tal punto da diventare euforica.
E infine un Kaiōshin, che adora sedersi ai piedi di un grande albero ed osservare tutto ciò che accade nel suo Universo dalla sua sfera di cristallo.
Ben presto, secoli dopo il loro primo incontro, il legame che si era rafforzato grazie alla comune passione per il tè sarebbe diventato indissolubile, grazie alla salda complicità che li congiungeva ovunque essi si trovavano.

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Quel giorno di molti secoli fa, Rumsshi e il suo angelo decisero di recarsi sul pianeta dei Kaiōshin per il loro consueto incontro con Gowasu. L’appuntamento settimanale con il saggio Kaiōshin del loro Universo era diventata per loro un’occasione per rilassarsi dai loro doveri di divinità, e per trascorrere qualche ora diversa dal solito, ricca di cordialità e allegria.
Appena giunsero in quel territorio sacro, dove a nessun mortale era permesso mettere piede, i due bussarono alla porta dell’imponente dimora di Gowasu. Dopo pochi minuti la porta si aprì e dall’uscio si affacciò l’anziano Kaiōshin.
Le tre divinità si salutarono con un inchino, rivolgendosi a vicenda un profondo e sincero sorriso.
«È un piacere rivederla.»
«Siamo qui per il tè.»
«Prego, potete entrare.» disse il vegliardo, facendosi da parte e invitando gli altri due a entrare con un elegante gesto della mano.

Cus e Rumsshi non esitarono ad accomodarsi presso il robusto tavolo che si trovava al centro dell’atrio. La fanciulla stava aspettando che Gowasu si allontanasse da loro, per recarsi presso le cucine per preparare loro il tè; tuttavia notò con grande sorpresa che, ad un tratto, anche l’anziano Kaiōshin si era seduto accanto a loro.
Anche il Dio della Distruzione notò quell’atteggiamento così inconsueto per Gowasu, e la cosa non gli piacque. Pigro com’era, pensò subito che il saggio stesse per giocare loro un tiro mancino, costringendolo a fare qualcosa che lui detestava: preparare qualcosa.
«Non credo che il tè si serva da solo…» borbottò l’elefante, mentre il Kaiōshin si limitò a sorridergli.
«Non preoccuparti: da oggi abbiamo qualcuno che lo farà per noi.»
Rumsshi sbuffò e iniziò a dire: «Ti ripeto che il tè non si serve da---» ma venne interrotto dalla voce allegra dell’Angelo.
«Qualcun altro?»
«Esattamente. C’è qualcuno in questo Universo che è molto bravo a preparare il tè. Anzi… è il migliore in questo campo.»
Gowasu sorrise. La sua espressione era cambiata: in seguito a quell’affermazione sembrava che si fosse riempita di dolcezza e di serenità; cosa che, a quanto pare, non scalfì minimamente l’animo di Rumsshi, il quale continuava a credere che si trattasse di uno scherzo. «No, non è vero. Tutti sanno molto bene che il tuo tè è il più buono di questo Universo.»
Il Kaiōshin soffocò una risata. Attraverso gli sguardi seccati dell’elefante, iniziò a ricordarsi di quello che gli era accaduto qualche settimana prima. Anche lui aveva lo stesso pensiero del Dio della Distruzione: il suo tè era il più buono dei dodici Universi, decisamente. Tuttavia si era dovuto ricredere da quando aveva incontrato quello Shin…
«Sono certo che anche tu cambierai idea.»

Ad un tratto, mentre i tre erano intenti a conversare su varie questioni riguardanti il loro Universo, si spalancarono le maestose porte che separavano l’atrio dalle zone più interne della dimora. Ne uscì un alto giovanotto, di aspetto simile al Kaiōshin, trascinando un carrello con alcune tazze e una teiera fumante.
«Sommo Gowasu, le ho portato il tè come mi aveva richiesto.»
A quella voce le due divinità ospiti smisero di parlare e si voltarono nella direzione del giovane, stupendosi della sua presenza. Era evidente che non lo conoscevano; eppure, a prima vista, entrambi compresero di avere di fronte a loro una divinità dal cuore sincero e puro.
D’altra parte, il ragazzo rimase stupefatto. Nemmeno lui aveva mai incontrato le due divinità e, se doveva dire la verità, gli sembrò che lo sguardo dell’Hakaishin fosse ostile nei suoi confronti. Quegli occhi piccoli, ma taglienti, lo stavano scrutando attentamente, cercando di cogliere ogni singola debolezza presente nel suo animo.
Ciononostante lo Shin decise di ignorarlo nascondendo la sua paura, e salutò il Kaiōshin con un profondo inchino. L’altro gli sorrise e gli rivolse la parola per primo.
«Ben svegliato. Come hai trascorso la tua prima notte qui?»
Rumsshi e Cus osservarono in silenzio la scena. Non avevano ancora idea del chi fosse quel giovane, eppure una cosa era ormai ovvia: quei due Shin si conoscevano di sicuro. Allora perché Gowasu non ne aveva mai parlato fino ad allora?
Il ragazzo rimase ancora nella posizione di inchino, e rispose: «Abbastanza bene, sommo Kaiōshin. Questo luogo non ha nulla a che vedere con il pianeta dove ho vissuto finora.»
Terminata la frase, si raddrizzò e ricambiò il sorriso del vegliardo. «Questo… è davvero un altro mondo. Ho come l’impressione che qui troverò finalmente la pace che sto cercando da tempo.»
«Lo farai.»
Gowasu lo accompagnò al cospetto delle due divinità, accingendosi a presentarlo a loro. Non appena i due Shin furono più vicini, l’Angelo fu la prima a comprendere tutta la situazione.
«È lui?»
A quella domanda, il saggio si avvicinò al giovane e gli disse: «Oh, dimenticavo: oggi abbiamo due ospiti. Ti presento Rumsshi, Dio della Distruzione di questo Universo, e Cus, il suo Angelo assistente.»
«Lieto di fare la vostra conoscenza.» rispose lo Shin, inchinandosi nella direzione delle due divinità. «Io sono Zamasu, apprendista Kaiōshin del sommo Gowasu. Sarò lieto di servirvi.»
L’Angelo sorrise, e si lasciò sfuggire una leggera risata. «Hai davvero un bel nome, mi piace!»
Viceversa, l’elefante si limitò ad osservarlo. Quel giovanotto aveva attirato la sua attenzione e, nell’osservarlo attentamente, si ricordò di quando aveva conosciuto colui che, da quel momento in poi, avrebbe avuto la vita intrecciata in un legame indissolubile con la sua.

«Lieto di fare la sua conoscenza. Mi chiamo Gowasu, e da oggi in poi sarò il Kaiōshin di questo Universo.»

D’altronde, anche il nome di quello Shin - Zamasu - gli aveva dato una maggiore conferma. I due nomi erano molto simili e, probabilmente, erano anche accomunati dalla stessa radice etimologica.
Negli occhi di quell’assistente e nei suoi atteggiamenti vi aveva riconosciuto un Gowasu più giovane, e nella mente dell’Hakaishin i due sembravano essere due gocce d’acqua. La gentilezza e il rispetto di Zamasu avevano toccato le profondità del suo animo, facendo riaffiorare alla sua mente antiche reminiscenze del suo passato.
Rumsshi rivolse lo sguardo verso il suo Angelo che, a sua volta, annuì. Grazie alla loro complicità, entrambi sapevano come comportarsi al meglio con il loro nuovo conoscente.
Cus fu la prima dei due a prendere la parola. «Il sommo Kaiōshin ci stava raccontando che sai preparare un tè molto buono.»
«Possiamo provarlo?» chiese il Dio della Distruzione.
Poi, sorridendo, i due chiesero all’unisono:
«Per favore?»
Di fronte a quegli sguardi di cordialità e di letizia, Zamasu rimase inizialmente sorpreso. Possibile che, solo per sentito dire, le due divinità supreme erano davvero curiose di provare il suo tè?
A quel pensiero, il giovane Shin sorrise soddisfatto: era certo che Rumsshi e Cus non sarebbero rimasti delusi.
Con una punta di orgoglio, Zamasu acconsentì alla richiesta.
«Molto volentieri!»





L’allegria che aveva sempre avvolto quel luogo sembrava essere svanita nel nulla. I sorrisi, gli sguardi pieni di felicità e di spensieratezza erano solo un dolce ricordo, che emergeva ogni volta che dalla solitaria tazza di tè, posta all’angolo di quel grande tavolo ospite di deliziosi banchetti, saliva silenziosamente una sottile nuvola di fumo.
Gli occhi dell’anziano Kaiōshin erano fissi nel guardare lo specchio lucente del liquido contenuto nella tazza che aveva di fronte a sé.
Sembravano essere persi nel vuoto, quasi senza vita.
Ora, quegli stessi occhi neri che avevano visto scene ed azioni di vario genere non avevano conosciuto prima di allora la disperazione che in quel momento li stava avvolgendo.
Il Kaiōshin rimase immobile, in silenzio, senza reagire. In quel momento non gli importò se il tè si fosse raffreddato: non aveva più motivo di berlo.

Come era ormai consueto, Rumsshi e Cus giunsero ancora una volta sul pianeta dei Kaiōshin e bussarono alla porta. Furono sorpresi quando, al battere dei loro pugni sul grande portone d’ingresso, quest’ultimo si spostò verso l’interno con un leggero movimento.
«Che strano. È già aperto, Lord Rumsshi.» disse l'Angelo, spalancando gli occhi per lo stupore. Entrambe le divinità sapevano che Gowasu era una persona molto precisa e scrupolosa: non era da lui commettere distrazioni del genere come lasciare la porta d’accesso alla sua dimora aperta.
Il cuore del Dio della Distruzione ebbe un sussulto, e un funesto pensiero attraversò la sua mente come un lampo: se fosse accaduto qualcosa di grave all’anziano Kaiōshin non avrebbe potuto perdonarselo.
«Entriamo dentro.» sussurrò con un tono di paura mista a preoccupazione. Cus notò i sentimenti di timore del suo Rumsshi, e lo rassicurò:
«Non preoccupatevi. Sento che il sommo Gowasu è ancora vivo.»

I due spinsero il portone già aperto e giunsero nell’atrio. Non appena notarono la presenza del Kaiōshin seduto al centro dell’area, tirarono un sospiro di sollievo.
L’angioletta si avvicinò a lui, seguita dall’Hakaishin; dopodiché entrambi si inchinarono al cospetto del vegliardo. «Sommo Gowasu, siamo lieti di rivederla!» disse Cus, cercando di scandire le parole con molta allegria e nascondendo quel sospetto che poco prima aveva avvolto le menti delle due divinità.
Il destinatario di quelle parole non rispose nulla. Non reagì, e sembrò non essersi nemmeno accorto della presenza dei due ospiti.
Tuttavia, Cus non ci fece caso… o, meglio, aveva notato lo strano comportamento del Kaiōshin, ma cercò di ignorarlo e di aiutarlo a “distrarsi” concentrando il discorso su ciò che amavano di più al mondo, e che era la causa del fuggire dai problemi quotidiani del loro lavoro.
«Come ben sa, siamo qui per lei. Adesso beviamo una bella tazza di tè, tutti insieme!» esclamò allegramente, accomodandosi su una sedia posta accanto a quella del vegliardo. Poi proseguì il discorso, ma… se avesse saputo che la causa del problema di Gowasu riguardasse proprio quell’argomento, di sicuro l’angioletta non avrebbe più aperto bocca.
Però, fu proprio il suo parlare a complicare una situazione già di per sé piuttosto difficile da risolvere.
«A proposito, dov’è Zamasu? Non vedo l’ora di provare di nuovo il suo tè: è davvero molto buono!»
A quella frase il Kaiōshin mosse bruscamente la testa, distogliendola dallo sguardo del suo interlocutore e nascondendolo nella direzione opposta. Solo allora, finalmente, emersero i primi segnali di reazione: le sue spalle, accompagnate da brevi gemiti di angoscia, si sollevarono e si abbassarono rapidamente.
«Sommo Gowasu…» mormorò Cus, preoccupata per lo stato d’animo del vegliardo. Aveva compreso di aver toccato un tasto dolente, anche se non capiva ancora il perché. Forse i due avevano avuto una forte discussione, e in quel momento Gowasu si sentiva in colpa?
Rumsshi osservò il suo Kaiōshin restando in silenzio. Era l’unico ad aver compreso, solo nel guardarlo, a cosa fosse dovuta tutta quella sofferenza. E, quando l’Angelo vide una sottile goccia d’acqua scivolare dal volto del vegliardo e seguita nel suo percorso da altre, stava per aprire bocca per consolarlo, ma venne interrotta da quest’ultimo.
«Dimenticatelo... Zamasu… non c’è più.» singhiozzò, per poi scoppiare in un irrefrenabile pianto.
Di fronte a quell’affermazione, Cus spalancò gli occhi. Adesso, anche lei aveva finalmente capito cosa stesse affliggendo l’animo di Gowasu.
Da quel giorno, la tranquilla e lieta vita delle tre divinità era cambiata per sempre… di nuovo.

---

Per circa due settimane, l’Hakaishin e il suo Angelo non fecero più ritorno sul pianeta dei Kaiōshin.
Sebbene fosse un individuo apparentemente freddo e senza sentimenti, Rumsshi sentì in quei giorni un forte desiderio di correre da Gowasu per consolarlo per la sua grande perdita. Tuttavia, ogni volta che era in procinto di partire, l’Angelo lo fermava, e così successe anche in quel giorno.
«Non è ancora giunto il momento.» sentenziò la piccola divinità dai capelli bianchi, puntando il suo scettro verso il Dio della Distruzione.
«Ma io devo andarci!» urlò Rumsshi, emettendo un grande barrito per sottolineare ciò che aveva appena detto. «Gowasu non può finire i suoi giorni per l’angoscia che sta provando! Devo fargli dimenticare il passato, se voglio che lui abbia una fine degna del suo operato!»
L’elefante prese in mano lo scettro di Cus, guardandola con uno sguardo di ghiaccio. L’angioletta lo osservò a sua volta, sospirando. “Perché Lord Rumsshi non mette lo stesso impegno nel svolgere il suo lavoro di distruzione?” pensò. Con uno strattone, tirò indietro il suo scettro e con esso colpì la fronte dell’elefante, rispondendogli con un secco: «No.»
Di fronte a quell’atteggiamento apparentemente senza emozioni, il Dio della Distruzione sbuffò rabbiosamente. «Allora… mi stai dicendo che non te ne importi niente? Non sei preoccupata per lui?»
Cus non rispose, limitandosi a fissare il suo Hakaishin.
«Beh. Dopo di questo, suppongo che non ti preoccupi neanche di me.» disse Rumsshi, voltando le spalle al suo interlocutore.
«Non ho mai detto ciò.»
«Non l’hai detto, ma di sicuro lo hai pensato. Sai molto bene che, se Gowasu morisse, anch’io scomparirei. È il nostro patto: noi siamo destinati a lasciare questo Universo nello stesso momento, insieme. E anche tu… non dico che farai la nostra stessa fine, ma ci andrai vicino. Ti conviene così tanto lasciarci morire così? Pensa al Daishinkan e al grande Zen’ō: cosa penseranno di Cus, che ha concluso la carriera nell’Universo 10 senza infamia e senza gloria?»
Di fronte a quella sincera affermazione dell’elefante, l’Angelo mostrò un sorriso di rassegnazione. «Touché. Su questo non ho nulla da ridire: hai ragione.» Si avvicinò a Rumsshi e, alzandosi in volo, posò la mano sulla spalla del Dio della Distruzione.
«Però… io ho vissuto più di te, e per questo posso dirti con certezza che solo il tempo può curare certe ferite. Tu non puoi farci nulla, io nemmeno: nessuno di noi due può colmare il vuoto che quel Zamasu ha lasciato nel cuore del sommo Gowasu.»
L’Hakaishin abbassò il suo sguardo. «Lo so. Tuttavia… non sopporto l’idea di sapere che Gowasu stia soffrendo per la perdita del suo migliore allievo, senza nemmeno muovere un dito per alleviare il suo dolore.»
«Ormai ti conosco molto bene…» disse Cus, «… e so cosa hai intenzione di fare. Andrai dal sommo Kaiōshin e, nel parlare con lui, finirai per rimproverarlo. Gli urlerai che è stato un idiota, che non sa svolgere bene il suo lavoro e - quel che è peggio - che è stato un ingenuo a scegliere un Kaiō e promuoverlo a Kaiōshin, andando contro le regole del suo popolo.
Non ho forse ragione? In fondo sei un Dio della Distruzione: per tua natura sei sempre stato molto impulsivo e poco riflessivo.»
Cus aveva appena toccato un lato dolente del carattere dell’elefante: il suo essere privo di tatto. Rumsshi barrì e si adirò con lei, che nel frattempo si lasciò sfuggire una leggera risata.
«Ti pare che, in un momento di così grande sofferenza, mi metta seriamente a sbraitare contro Gowasu? Vuoi che lo finisca di uccidere, condannando anche me stesso a morte certa?!»
«E allora sentiamo, genio. Cosa hai pensato di fare in alternativa?»
A quell’ultima domanda dell’Angelo, pronunciata con una punta di ironia, l’Hakaishin alzò lo sguardo e incrociò le braccia.
«Beh, non lo so. Se hai un’idea migliore… allora suggeriscila tu!»
Cus sospirò ancora una volta. I suoi sospetti si erano rivelati fondati: Rumsshi non aveva la più pallida idea del come agire per risolvere questa situazione.
Anzi: a dir la verità, nemmeno lei sapeva cosa fare. Non era facile consolare qualcuno che aveva avuto un grave lutto soprattutto se, nel caso di Gowasu, la persona alla quale quest’ultimo si era affezionato fosse scomparsa all’improvviso.
I due iniziarono a ragionare sul da farsi. Poi, ad un tratto, l’Angelo ebbe un’idea.
«Ok. Credo di aver trovato un ottimo piano. Lord Rumsshi, le va di ascoltarne i dettagli?»

Qualche minuto dopo, le due divinità si teletrasportarono sul pianeta dei Kaiōshin. Questa volta, tuttavia, non giunsero all’ingresso della sontuosa residenza, ma nella rigogliosa area verde dove sorgeva un grande albero secolare.
Davanti a loro, come se stesse guardando il tronco dell’albero, vi era un rustico tavolo rosso, dove il saggio Kaiōshin si sedeva quotidianamente per gustare il tè del suo pupillo. Quel giorno il tavolo si presentava agli occhi delle due divinità così com’era: semplice e senza decorazioni, con un piano sul quale non vi era appoggiato nulla.
Di fronte a quello scenario, Cus e Rumsshi si guardarono negli occhi e si sorrisero a vicenda.

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Nello stesso momento, Gowasu spalancò le porte d’ingresso della sua dimora e sospirò.
Erano trascorse diverse settimane dalla scomparsa del suo adorato discepolo, e da quel momento era rimasto all’interno della sua residenza, saltando la sua consueta passeggiata verso il grande albero secolare. Ogni giorno si sedeva nell’atrio, al suo solito posto, e attraverso la sua sfera di cristallo osservava con una strana apatia il destino dei mondi a lui affidati, senza fare nulla di più.
Gli sembrò che quei sentimenti di apparente indifferenza verso le vicende del suo Universo aiutassero a distrarlo da un pensiero terribile che, dal profondo del suo animo, gli stava lentamente lacerando il cuore.

Tuttavia, quel giorno decise di provare a riprendere quell’abitudine salutare che aveva perso da tempo. In quel momento la sua adorata casa - ormai diventata il simbolo della sua disfatta - gli sembrò improvvisamente fastidiosa e insopportabile, e pensò che l’uscire da quel luogo potesse scacciare via quei pensieri che avevano occupato la sua mente.
In tutti quei passi verso il grande albero, percorsi a breve distanza l’uno dall’altro, il vegliardo rifletté in continuazione su tutto ciò che era accaduto fino ad allora. Quella passeggiata fu l’occasione nella quale, dopo tanto tempo, per la prima volta i recenti avvenimenti del suo passato stavano riaffiorando con prepotenza, come un severo monito per il suo operato.
Aveva posto tutti in una situazione di grave pericolo, e tutto per colpa del suo egoismo. Non si sentiva più all’altezza del gravoso ruolo che ricopriva con grande orgoglio e rispetto: “Non ne sono degno” era il suo pensiero quotidiano. E, anche in quel momento, mentre si dirigeva verso il grande albero, lo stava pensando.
Sebbene stesse provando a reagire, in realtà si stava sentendo sempre più male. Voleva sprofondare, scomparire per sempre se ne avesse mai avuto la possibilità di farlo; per pagare il prezzo del suo atroce peccato sarebbe stato disposto a tutto, anche ad essere condannato all’eterno oblio, in nome di quella giustizia che era così a cuore a tutte le divinità.

Intrappolato nel turbinio di questi pensieri, il vegliardo alzò lo sguardo per osservare il grande albero che adesso era di fronte a lui.
E… fu solo allora che qualcosa di nuovo attirò la sua attenzione. I suoi occhi, ormai stanchi e afflitti per gli ultimi dolorosi avvenimenti, si illuminarono nel vedere Rumsshi e Cus di fronte al suo amato tavolo, ora imbandito con una teiera fumante, tazze colme di un tè dal liquido scintillante, e piatti nei quali vi erano gustosi dolci di forme e colori diversi.
Insieme - l’elefante con la sua proboscide e l’Angelo con la sua mano destra - le due divinità presero una di quelle tazze e la porsero a Gowasu.
«Vuole unirsi al nostro “Tea Party”?» chiesero all’unisono. Inizialmente, Gowasu rimase sorpreso. Lui stava soffrendo a causa di un suo grande errore del passato, e le due divinità cosa stavano pensando di fare sul suo pianeta? Avevano preparato quella che, apparentemente, sembrava essere una festicciola? Erano impazziti, forse?
«Perdonatemi, ma oggi non sono in vena di fare festa.»
Si inchinò per scusarsi e stava per voltare loro le spalle quando, all’improvviso, il suo braccio destro venne afferrato da qualcosa. Si voltò e vide Cus che lo stava osservando con determinazione: il suo sguardo era serio - insolito per l’Angelo - e pronto a reggere qualsiasi genere di confronto.
«La prego, sommo Gowasu. Non faccia così.»
L’invito sembrò quasi un rimprovero; tuttavia Cus tornò a sorridere subito dopo, e con uno strattone trascinò Gowasu di qualche passo nella direzione di Rumsshi, sussurrando qualcosa che fu motivo di sorpresa per il Kaiōshin.

«Non abbattetevi. Sappiamo che non è affatto facile… ma, con il nostro aiuto, riuscirà ad affrontare il futuro. Ricordatevi che saremo sempre al suo fianco.»

Quella frase giunse nella mente del vegliardo come un fulmine a ciel sereno: mai avrebbe immaginato di avere qualcuno al suo fianco che sarebbe stato disposto ad accettarlo nonostante ciò che avesse compiuto in passato.
L’essere divorato dai sensi di colpa lo aveva precipitato in un periodo nel quale non riusciva più ad accettarsi per ciò che era. Eppure, in quello che sembrava essere uno scenario completamente oscuro, qualcuno gli aveva teso la mano e gli stava offrendo aiuto.
Aveva perso il suo discepolo prediletto a causa della sua incompetenza… ma, allo stesso tempo, aveva ritrovato due valorosi compagni, con i quali condividere in serenità l’ultima fase della sua vita.
A quel pensiero, sulle labbra di Gowasu si delineò un piccolo sorriso.
Nessuno lo stava più rimproverando per i suoi errori del passato: il Dio della Distruzione e il suo Angelo lo avevano perdonato e - anzi - lo stavano invitando a prendere il tè insieme.
Come una famiglia.
Si asciugò gli occhi, divenuti umidi per la commozione di fronte alla bontà e alla generosità delle due divinità, e si avvicinò velocemente verso di loro.
E, in quel momento, il mondo dei Kaiōshin iniziò a riempirsi di nuovo di molta gioia e allegria.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Solo una piccola nota di fondo.
Sapete della storia dell'origine comune che hanno i nomi di Zamasu e Gowasu? Per chi non ne fosse ancora al corrente, entrambi i nomi derivano da una variante arcaica del verbo essere nella lingua giapponese, a seconda della regione d'origine. Potete leggere maggiori approfondimenti a tal proposito in questo sito.
Infine... vi ricordate del piccolo appello che ho lanciato nella mia prima ff, quella di questo sondaggio?
Innanzitutto, vi ringrazio tantissimo per essere riusciti ad inserire alcuni personaggi della precedente saga come Zamasu, Mirai!Mai, eccetera.
Ri-lancio l’appello dicendovi che quel povero sfortunato d’un Kaiōshin di Gowasu è ancora in quella lista. Probabilmente l’inserimento del suo nome avverrà solo con la messa in onda della saga di “Mirai” Trunks in Italia, ma… sarei molto felice se nel frattempo qualcuno che vorrebbe leggere storie su di lui voglia lasciare un voto anche per questo personaggio, così inizierà a salire nella classifica.
Per adesso è tutto. Grazie a tutti voi che siete giunti fino alla fine, ci vediamo al prossimo racconto di questa raccolta!
--- Moriko

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Capitolo 2
*** A story of blood and despair ***


A/N: Salve a tutti, sono tornata per aggiornare questa raccolta.
Dopo l’introduzione dello scorso capitolo, a dire il vero non ho più nulla da dirvi riguardo la struttura generale della raccolta, per cui passiamo subito oltre!

Secondo racconto: A story of blood and despair.
Questa storia è ambientata nella linea temporale di Trunks del Futuro, e questa volta i protagonisti sono Cus e Rumsshi. Per questo motivo, ci sono alcuni spoiler legati alla saga di “Mirai” Trunks (Episodi 47-67) riguardo il destino di una certa persona che - ahinoi! - coinvolge anche gli altri con un effetto domino.
Mi sono sempre chiesta quale sia stata la fine che ha avuto il Rumsshi della linea temporale di Trunks del Futuro alla morte di Gowasu. Questa che seguirà è una mia visione personale (e assolutamente discutibile) delle vicende accadute sul pianeta dell’Hakaishin dell’Universo 10, mentre sul pianeta dei Kaiōshin Black si stava per incontrare con lo Zamasu di quella linea temporale…
Ovviamente, sia Rumsshi che Cus non avevano idea del cosa stesse succedendo nella dimora di Gowasu… ecco, a meno che a Cus non sia venuto in mente di verificare dal suo scettro e così permettere al povero Rumsshi di mandare a quel paese Zamasu per ciò che aveva appena fatto. (XD)
Ma diciamo che io la penso diversamente su questo argomento. Ho sempre immaginato Rumsshi non prendere bene in simpatia l’apprendista di Gowasu proprio a causa del suo punto di vista sui mortali, mentre Cus osservarlo in atteggiamento “neutrale” e a volte anche discutere pacificamente con lui riguardo questi argomenti. Nonostante ciò, le due divinità lo rispettano e - anzi - adorano bere il suo tè; perciò mi diverto ad immaginarli mentre, insieme a Gowasu, organizzano spesso un sacco di “Tea Party”!
Invece, riguardo il rapporto tra Cus e Rumsshi… beh, nemmeno qui non sappiamo molto; tuttavia da quel poco che abbiamo visto su di loro (la riunione degli Hakaishin nell’Episodio 85 e le due scene ambientate sul pianeta dei Kaiōshin dell’Universo 10 negli Episodi 90-91) e il loro breve profilo che si trova sul sito della Toei sembra che il legame che li unisce sia di forte complicità. Per cui, ho supposto l’esistenza di un rapporto anche affettivo - al di là di quello puramente “professionale” tra queste due divinità, e l’ho resa oggetto di questa storia.
Tutto qui, non ho altro da aggiungere. Auguro buona lettura a tutti!

Nota: E anche a questo giro si ringrazia stellaskia per l'immagine che accompagna il titolo!



A story of blood and despair.



«Lord Rumsshi, la colazione è pronta.»
Cus - il grazioso angelo che accompagnava il Dio della Distruzione dell’Universo 10 - aveva iniziato la consueta routine sul lontano pianeta del massiccio elefante rosa. Come era solita fare, con l'aiuto del suo scettro aveva preparato tutto ciò che avrebbe reso più confortevole il risveglio del suo Hakaishin.
Rumsshi mugolò in segno di protesta, mentre si girava in continuazione nel suo giaciglio.
«Se non si sveglia subito, non penso che faremo in tempo per svolgere tutte le faccende previste per oggi. E poi… sarò costretta a dimezzare il suo spuntino quotidiano di mele.» gli disse l’Angelo, restando sulla soglia della camera. Il suo compagno, tuttavia, sembrava non voler capire di alzarsi dal suo letto.
«Che strano… Di solito questo tipo di minaccia funziona.» mormorò Cus mentre si decise ad avvicinarsi di più al letto sul quale l’Hakaishin stava riposando. Fu solo allora che la maestosa divinità sussurrò una frase, con un filo di voce, rivolta al suo maestro.
«Cus… Oggi non mi sento molto bene.»
Quell’affermazione sancì l’inizio di una giornata burrascosa per entrambe le divinità.

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«Come sta? Il dolore allo stomaco si è alleviato?»
Per risolvere il problema che stava affliggendo l’elefante rosa, l’Angelo si recò nella cucina per preparare una tisana. Rumsshi infatti stava lamentando un forte dolore all’altezza dello stomaco, e per questo motivo lei decise di preparare qualcosa che gli desse sollievo.
Adesso era lì, seduta al capezzale del suo Dio della Distruzione, mentre reggeva la tazza che aveva appena portato in quella stanza. E, fortunatamente, la sua “bevanda miracolosa” sembrò funzionare alla perfezione.
«Abbastanza bene. Mi sento come se fossi rinato!» disse l’Hakaishin, sorridendo al suo Angelo per rassicurarla.
«Mi fa piacere che stia meglio, Lord Rumsshi.» gli rispose, mostrandogli uno sguardo di sollievo. «E… non importa se siamo in ritardo sulla tabella di marcia: dobbiamo essere entrambi in forma se vuole svolgere bene il suo compito!»
«In questo momento mi sento molto bene… perciò, non ti deluderò!»
Kusu sorrise. Era risaputo che le parole “lavoro” e “dovere” solitamente non erano nelle corde del Distruttore, per cui il sentirgli dire quel “Non ti deluderò” fu per lei motivo di orgoglio.
Peccato che Lord Rumsshi non presenti così spesso questa forza di volontà. Sarebbe un sollievo per questo Universo se iniziasse a distruggere di più ed a poltrire di meno!
L’Angelo si alzò dal capezzale, e disse:
«Se non le dispiace, vorrei congedarmi da lei. Farò il solito giro del pianeta per vedere se è tutto a posto.»
L’elefante rosa acconsentì alla sua decisione con un cenno della testa, poi aggiunse. «Come al solito, se avrò bisogno di qualcosa in tua assenza: un barrito e ti precipiterai qui in meno di un secondo. Intesi?»
Il tono con il quale l’altro aveva pronunciato quell’ordine era severo, ma allo stesso tempo carico di tranquillità.
Rassicurata, Cus si incamminò verso l’uscita della stanza.
«Intesi, Lord Rumsshi.»

Eppure… lo stesso Rumsshi non si sentì affatto tranquillo dopo che la sua dolce assistente aveva lasciato quel luogo.
Si sentiva così… strano.
Per quale motivo? Qual era la causa che aveva scatenato quel dolore che aveva percepito poco prima?
L’elefante adagiò la tazza sul comodino, sospirando. In tutta la sua vita non aveva mai provato quel tipo di dolore. Sembrava quasi che qualcuno avesse aperto con una lama una grande ferita tra lo stomaco e il petto.
Uno squarcio.
Fu allora che gli tornò in mente il sogno che la settimana precedente lo aveva tormentato per ore senza sosta.
L’Hakaishin stava camminando a passi lenti in ciò che gli sembrava essere un luogo senza luce e senza uscita, apparentemente senza una meta. All’improvviso, una voce - che in quel momento non sembrava essergli familiare - lo aveva chiamato per nome.

«Kukuku… Rumsshi…»

Il suono di quella risata gli era risultato piuttosto inquietante e sinistro.
Si voltò e notò la presenza di un uomo. Un mortale, dai capelli e dagli occhi neri come la pece, con indosso una tuta di colore grigio e nero. All’apparenza sembrava essere una persona normale, ma un particolare colpì l’attenzione del Distruttore: un singolo orecchino di colore verde sul lobo destro della misteriosa figura.
Rumsshi era perfettamente a conoscenza del fatto che solo i Kaiōshin potevano avere l’onore di indossare quegli orecchini rari in tutto il Multiverso, simbolo del prestigioso ruolo di Creatori che coprivano. Eppure, quell’uomo gli sembrò tutto tranne che un Dio della Creazione.
«Chi… sei?» gli chiese l'Hakaishin con sospetto.
Il mortale il cui nero dominava le sue vesti sogghignò. «Non hai bisogno di conoscere il mio nome, caro Rumsshi. Però sappi che sono colui che farà germogliare una nuova era in questo mondo.»
E, in un attimo… non appena quel tale finì di pronunciare quelle parole, un maestoso fascio di luce esplose alle sue spalle e li avvolse completamente, quasi accecando gli occhi del possente elefante. In quel momento, l’uomo materializzò una lama di ki nella sua mano destra e, continuando a sghignazzare come un folle, si diresse velocemente verso Rumsshi, il quale nel frattempo aveva ripreso il controllo della propria lucidità mentale e aveva previsto i movimenti della persona che gli stava dinanzi.
«Hmph! Sei una nullità in confronto a me!» esclamò, preparandosi a parare il colpo e a contrattaccare subito dopo; tuttavia, nel momento in cui entrambi furono a pochi centimetri di distanza l'uno dall’altro, quel mortale si portò due dita sulla fronte e sparì nel nulla.
Il Dio della Distruzione spalancò gli occhi. Era rimasto sorpreso da quella misteriosa tecnica del suo avversario e, per questo, stava cercando di individuarlo in mezzo a tutta quella oscurità. Si accorse nuovamente della sua presenza non appena udì un acuto urlo di dolore - questa volta di una persona che conosceva molto bene - provenire dalle sue spalle. Aveva subito riconosciuto quella voce, e solo allora comprese l’astuto piano dell’uomo misterioso.
Costui non aveva mirato al Distruttore… no.
«Non sono così ingenuo come credi, Rumsshi…»
Lo spettacolo che si stava presentando a Rumsshi era raccapricciante. Di fronte a lui, ai piedi del suo avversario, una terza figura giaceva al suolo in un mare di sangue, con uno squarcio nel petto.
«È vero: sarò pur sempre una formica in confronto a te, ma per lui… si può dire lo stesso?»
Quelle parole, accompagnate da un profondo risolino, non fecero altro che aumentare la disperazione negli occhi dell’Hakaishin.
«Bastardo…» disse quest’ultimo con le lacrime agli occhi, «Come hai osato uccidere Gowasu?!»
L’elefante caricò una sfera d’energia nella sua mano destra, e si preparò a scagliarla contro la misteriosa figura, esclamando: «La pagherai caro per questo!»
Ma… sfortunatamente qualcosa stava andando storto. La sfera si dissolse nell’aria contro la sua volontà, e immediatamente il Dio della Distruzione si accasciò al suolo, lamentando un forte dolore tra lo stomaco e il petto.
Di fronte a quella scena l’altro rise di gusto. Il suo piano era riuscito alla perfezione: eliminando quel Gowasu, il Kaiōshin dell’Universo 10, aveva eliminato anche Rumsshi, per il legame che li stava unendo.
«Non ti rimarrà molto da vivere…» sentenziò, mentre si avvicinò all’Hakaishin e, con grande forza, premette lo stivale sulla sua testa, come se volesse marcare ancora di più la sua superiorità.
«Tra sette giorni verrò a prenderti.»

A quel terribile ricordo Rumsshi tornò a sudare freddo. Quel maledetto sogno lo aveva turbato parecchio, a tal punto da non pensarci due volte a confidarlo a colei che gli era al suo fianco per i suoi ultimi secoli di vita: il suo Angelo, Cus.
Rammentò ciò che lei gli aveva detto a tal proposito.
«Non si preoccupi, Lord Rumsshi. Si chiamano “sogni” perché non sono reali, no? Inoltre, l’umano che mi ha appena descritto non corrisponde a nessuno dei mortali attualmente presenti in questo Universo.
Perciò stia tranquillo. E, nel caso in cui dovesse presentarsi una minaccia, non permetteremo che accada qualcosa di male al sommo Gowasu.»

Il Distruttore si ricordò anche che quel sogno era stato talmente realistico per lui che, per la prima volta in tutta la sua vita, era scoppiato a piangere di fronte al suo Angelo. Non l’aveva mai fatto prima d’allora, eppure lo shock emotivo che gli aveva provocato era stato molto forte.
E ne ebbe paura.
«E… se fosse un sogno premonitore? So che né a me, né a Gowasu resta molto da vivere. Forse quella figura… è il “triste mietitore” di cui tutti parlano?»
A quel punto, quando le aveva confidato questo suo timore, l'angioletta si era seduta accanto a lui e aveva iniziato ad accarezzargli la proboscide. Quante volte l’elefante, in altre circostanze, aveva evitato quei contatti ravvicinati con la fanciulla, proprio perché non amava essere toccato, specialmente in zone per lui sensibili come la sua amata proboscide.
Eppure, in quel momento non lo aveva fatto. Non aveva voluto scostarsi da quel dolce contatto: aveva bisogno di un minimo di conforto da qualcuno e Cus era la persona più adatta.
Lei non lo aveva fatto per scherzo, né per giocare con lui. Lo aveva fatto solo per consolarlo e incoraggiarlo a rimettersi in piedi. E tutto questo, per un essere solitamente burbero come Rumsshi, significava tanto in quel momento di grande disperazione.
«Le assicuro che la morte non ha di certo quel volto così… brutto e malvagio.» gli aveva detto l’Angelo, continuando ad accarezzare la proboscide del Distruttore. «Mi ascolti. Cosa ne dice… se verificassimo che sia tutto a posto a casa del sommo Gowasu? In tal modo si accerterà che sta bene: da quel che abbiamo avuto modo di vedere, il suo discepolo Zamasu si sta prendendo cura di lui in modo eccellente e premuroso.»

Ricordandosi di quella tenera scena, l’elefante tornò a sorridere. Tra lui e l’Angelo si era instaurato un rapporto di complicità e di fiducia, e per il Dio della Distruzione Cus era diventata il suo punto di riferimento… quasi come una madre. E, in fondo, a volte lui stesso si vedeva come un bambino troppo cresciuto, ancora in cerca di affetto e di conforto.
Si risollevò.
Si alzò dal letto e si affacciò alla finestra della sua stanza. Il suo pianeta sembrava essere così tranquillo. Un nuovo giorno stava per avere inizio, e Rumsshi si sentì finalmente libero da quel terribile ricordo che era stato la causa del suo brusco risveglio…

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Nel frattempo Cus stava terminando quella che definiva la sua “quotidiana passeggiata”. Anche quel giorno non aveva notato nulla di sospetto, per cui il suo animo era colmo di soddisfazione.
Al termine di quel giro, il suo pensiero volò al suo Dio della Distruzione. Chissà se si è alzato… pensò. Quando l’ho lasciato, il suo volto aveva un bel colorito. Scommetto che a quest’ora starà brontolando in cucina e chiedendo delle succulenti mele come spuntino mattutino!
Sorrise. Per lei, quel Rumsshi era ormai diventato parte del suo mondo. Quel massiccio elefante rosa, che lei aveva allenato ed istruito su ordine di suo padre, il Gran Sacerdote, con il tempo le era diventato abbastanza simpatico e divertente. Nonostante spesso e volentieri fosse scontroso e pigro, nelle rare volte in cui era ligio ai propri doveri di Dio della Distruzione era da ammirare.
Un’ottima memoria, una grande forza e una forte tenacia nella resistenza.
In più, allo stesso tempo, dietro a quell’atteggiamento scorbutico si nascondeva un essere molto affettuoso e rispettoso dei legami. Per tutte queste qualità, era inevitabile che ben presto sarebbe nata una forte e sincera complicità tra loro.
Lei, che spesso aveva un carattere da bambina ma molto seria quando si trattava di doveri. Lui, con un carattere riservato ma così capriccioso come un bambino nel suo lavoro.
Quando si incontrarono per la prima volta, loro due compresero subito che sarebbero andati molto d’accordo e che sarebbero rimasti insieme a lungo: entrambi erano convinti che niente e nessuno li avrebbe mai separati.

Tuttavia… nello stesso giorno in cui Rumsshi si era svegliato con quell'atroce dolore allo stomaco, entrambi dovettero fare i conti con una triste realtà.
Cus aveva appena posato i piedi al suolo quando, all’improvviso, il vento si alzò e un potente urlo di dolore riecheggiò nell’intera area. L’Angelo riconobbe subito quella voce, e immediatamente comprese la gravità della situazione.
Il suo Dio della Distruzione si era sentito nuovamente male, e questa volta sembrava essere peggio della prima.

«L-Lord Rumsshi!»

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L’Angioletta corse senza sosta nella direzione del grido che aveva appena percepito, ed entrò bruscamente nella stanza del suo Hakaishin. I suoi occhi si spalancarono quando, dalla soglia, notò in piedi vicino alla finestra il possente elefante, che si stava contorcendo per il forte dolore avvertito, questa volta, all’altezza del petto, a giudicare dalle mani strette vicino al cuore.
«Lord Rumsshi! Cosa sta succedendo?!» esclamò la giovane, mentre tentò di reagire cercando di muovere le sue gambe per potersi avvicinare a lui. Mai prima d’allora aveva visto il suo compagno, così forte e resistente a qualunque genere di attacco, lamentarsi in quel modo per un dolore estenuante: per lei, che aveva intuito che il suo Dio della Distruzione fosse in serio pericolo, quella scena fu motivo di uno shock emotivo che aveva paralizzato tutti i muscoli del suo corpo.
Solitamente, di fronte a qualsiasi genere di dolore Rumsshi tendeva a non farlo notare all’angioletta: anche se dentro di sé stava soffrendo le pene dell’inferno, spesso rifiutava le cure di Cus ripetendole di stare bene e di non aver bisogno di lei, per non farla stare in ansia.
Quel giorno, invece, il Distruttore si arrese di fronte a quella che stava per definire una vera e propria tortura atroce. Il dolore al petto divenne sempre più forte e ingestibile, fino ad esplodere come un improvviso incendio.
Di fronte a quello spettacolo così spaventoso, gli occhi di Cus iniziarono ad inumidirsi. La tristezza, la paura di non poter fare qualcosa per alleviare quel tormento presero il sopravvento su di lei, e subito un terribile pensiero attraversò la sua mente.
«Lei crede… che il sommo Gowasu…» domandò tremante, con un filo di voce. E, nonostante il dolore fosse così grande da non farlo più ragionare, Rumsshi riuscì a sentire la voce della ragazza e così a risponderle.
«S-Sì… Temo che per lui… sia accaduto il peggio…»
Subito dopo aver dato quella risposta, il Dio della Distruzione si accasciò al suolo: il suo corpo ormai senza forze cadde come un pesante macigno nell’acqua, facendo tremare tutta la stanza. Le mani che stringevano l’area del petto si riempirono ben presto di un vivace liquido rosso, e solo allora entrambe le divinità compresero ciò che era accaduto qualche minuto prima.
«Stupido d’un Gowasu… Si è fatto assassinare… come nel mio sogno…» disse l’Hakaishin, rannicchiandosi sempre più per il forte dolore.
«M-Ma… come è potuto accadere, Lord Rumsshi?!»
«Era davvero… un sogno premonitore… B-Bastardo d’un mortale…»
A quella frase, l’Angelo finalmente accorse al cospetto del suo compagno, e dal suo scettro materializzò un kit di primo pronto soccorso con il quale iniziò a cercare di tamponare la profonda ferita dell’Hakaishin; tuttavia, quest’ultimo la fermò, afferrandola per un braccio.
«Lo sai benissimo anche tu… È inutile…»
«Niente è inutile!» urlò Cus con le lacrime agli occhi.
Ma, nonostante l’insistenza del suo maestro, l’Hakaishin strinse ancora di più il braccio della giovane. «Ti prego… Pensa a recarti sul pianeta dei Kaiōshin… e accertati che almeno Zamasu stia bene…»
«Z-Zamasu?»
«Sì… Anche se non mi è molto simpatico… almeno lui deve salvarsi… Lui è il prediletto di Gowasu, non posso permettere che---»
Il Distruttore venne interrotto da un improvviso attacco di tosse. Dalla sua bocca uscì un fiotto di sangue, che l’Angelo provvide subito a pulire con un fazzoletto che stava reggendo nella mano libera. Poi proseguì: «Zamasu è più forte e più scaltro di Gowasu… Mi auguro che sia riuscito a mettersi in salvo… Perciò, non indugiare più: vai da lui…»
«Ma io…»
«Ti ho detto di andare… È un ordine, Cus... Non farmi adirare ancora: c’è poco tempo… Vai!»
Con quell’ultima parola, Rumsshi scostò bruscamente il braccio della fanciulla, invitandola ad eseguire quell’ordine che le aveva appena dato. In un primo momento lei titubò… ma, di fronte all’insistenza del suo partner, ebbe la forza di alzarsi e indietreggiare a lenti passi, preparandosi a lasciare quel luogo.
Tuttavia, non appena lo fece, la giovane barcollò e si accasciò al suolo.
Si sentì mancare le forze all’improvviso: i muscoli non risposero più ai suoi comandi e la sua vista si annebbiò.
«L-Lord Rumsshi…» iniziò a dire, con un fremito di voce. «Credo che… anche per me sia giunta la fine…»
L’Hakaishin la guardò in silenzio, senza dire una parola. Comprese subito cosa stesse accadendo al corpo della giovane. Le regole erano chiare: quando un Dio della Distruzione era in pericolo di vita, alla sua morte il suo Angelo avrebbe cessato di svolgere le proprie funzioni, fino alla nomina di un nuovo Hakaishin.
L’elefante non aveva idea del come Cus avrebbe terminato il suo compito, eppure in quel momento gli fu tutto chiaro. Lo avrebbe fatto letteralmente, addormentandosi in un sonno profondo dal quale non si sarebbe subito risvegliata.
Di fronte all’immobilità della sua compagna, con le ultime forze che gli erano rimaste avvolse il corpo dell’Angelo nella sua proboscide e la adagiò accanto a sé, quasi stringendola in un grande abbraccio.
«Uff… E va bene…» le sussurrò. «Sempre la solita… Certo che sei davvero ostinata… Non vuoi proprio sapere di lasciarmi da solo… nemmeno per un attimo…»
Cus sorrise. «Eheheh… Sappia che per me è un onore restarle accanto fino alla fine.»
«È lo stesso… anche per me…»
Il loro abbraccio divenne sempre più forte: i due non vollero staccarsi, nemmeno per un secondo. E, anche se i suoi occhi erano ormai chiusi, Cus riuscì a materializzare dal suo scettro una grande coperta, con la quale poi l’Hakaishin avvolse i loro corpi, sempre più deboli e freddi.
«Così… sarebbe questa la morte? È piuttosto atroce… Mai avrei immaginato di finire i miei giorni… in questo modo…»
«Il dolore è qualcosa di passeggero, Lord Rumsshi. Le assicuro che a breve smetterà di soffrire…»
Il respiro del Dio della Distruzione divenne sempre più affannoso. Ciononostante lui si sforzò di sorridere. Il suo sguardo si posò sul volto dell’Angelo, che sembrava essere permeato da uno stato di profondo rilassamento: ora, il suo sorriso sembrava leggero, libero da sofferenze.
A quella vista il cuore dell’Hakaishin si alleggerì, e lui iniziò a pensare che tra loro due almeno lei avrebbe continuato a vivere.
Anche se, d’ora in avanti, senza di lui e del suo continuo borbottare.
«Ascolta, Cus… Devo chiederti un favore…» disse l’elefante con dolcezza, accompagnando quella richiesta con un brusco colpo di tosse.
A quella voce l’Angelo si voltò verso il suo allievo e poggiò la testa sul suo petto, senza smettere di sorridere. Era pronta a fare qualunque cosa pur di alleviare le sue sofferenze e, prima di addormentarsi per lungo tempo, voleva sapere che il suo Hakaishin fosse felice e sollevato nonostante la sua triste fine.
L’ultimo ricordo che voleva avere del possente elefante doveva essere il più possibile lieto, non triste. Quando si sarebbe nuovamente risvegliata, tra le braccia di suo padre e accanto al suo nuovo Dio della Distruzione, voleva ricordare colui che aveva lasciato - nonché il suo allievo preferito, fino a quel momento - con gioia.
Rumsshi accarezzò dolcemente la testa di lei con la sua proboscide e, dopo aver dato un altro colpo di tosse, chiuse gli occhi e disse:
«Cantami una ninna-nanna.»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Certo che queste note di fondo diventano sempre più striminzite ad ogni racconto: ho detto tutto all’inizio! Perciò, per questa volta lascio una piccola riflessione.
Senza scendere troppo nei dettagli, chi sta seguendo la nuova saga sa già che Domenica 13 Agosto rivedremo in azione (anche) Cus. Da un lato sono felice, perché vedendo altre scene in cui parla forse ci verrà data anche qualche altra pillola sul rapporto che c'è tra lei e le altre due divinità dell'Universo 10. Dall’altro, però… non so se gioire del tutto per un suo intervento, vedendola nell’anteprima con quell’espressione (triste? Annoiata? Rammaricata? Chi lo sa cosa si nasconde dietro all’effettiva “neutralità” di questi Angeli…)
So solo che fin dall’inizio mi è sempre piaciuta, e con la coppia di episodi 90-91 l’ho amata ancora di più. A prescindere come andrà a finire questo “Torneo della malora” per l’Universo 10, mi auguro che lei continui ad essere allegra come ha sempre fatto.
Anche per oggi è tutto. Ci rivediamo alla prossima storia!
--- Moriko

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Capitolo 3
*** Bonds ***


A/N: Salve a tutti - di nuovo!
E siamo così giunti, dopo circa tre mesi, ad aggiornare questa raccolta. Ahi, questi lunghi ritardi...

Terzo racconto: Bonds.
Dopo la storia precedente, ambientata nella linea temporale di Trunks del Futuro, siamo tornati alla nostra, cara, linea temporale del presente, dove le divinità del mio Universo preferito sono ancora tutte sane e salve… più o meno, ma in questa storia ci sono e godono di ottima salute! Perciò, anche qui, spoiler legati alla saga di “Mirai” Trunks (Episodi 47-67) e, in particolar modo, a ciò che potrebbe essere accaduto subito dopo la fine di questa saga.
Devo farvi una confessione prima di proseguire la premessa. Ho scritto la storia che state per leggere insieme alle altre due che ho già pubblicato, per cui (dato che si parla del mese di Agosto) nessuno di noi sapeva ancora come Rumsshi aveva reagito alla notizia di ciò che, nel frattempo, Zamasu aveva combinato in più linee temporali. Questo fino al mese di Settembre, quando è stato pubblicato il Capitolo 28 del manga - e, vi anticipo: ovviamente non ha reagito benissimo nel momento in cui è venuto a conoscenza di tutta la verità (e per “tutta” intendo anche a chi ha risolto la situazione nel presente…)
Così, per chi sta leggendo il manga, ho deciso di lasciare il mio testo inalterato: potete anche pensare che la reazione di Rumsshi nel manga sia accaduta in un secondo momento, dopo questo racconto.
Sul resto, potreste considerare ciò che state per leggere come una “versione alternativa” della prima storia pubblicata in questa raccolta, perché di base la storia è più o meno la stessa: Cus e Rumsshi che arrivano sul pianeta dei Kaiōshin, scoprono che Zamasu non c’è più e, alla fine, consolano Gowasu che ha comunque perso il suo discepolo. Solo che, a differenza della prima storia, nella seguente troviamo qualche elemento in più che potrebbe avvicinarlo alla categoria “Missing moments”.
Termino qui la premessa e vi auguro buona lettura.

Nota: E come negare i ringraziamenti alla solita stellaskia per l'immagine che accompagna il titolo?



Bonds.



Era l’alba di un nuovo giorno, sul pianeta dell’Hakaishin dell’Universo 10.
Come era consueto Cus, l’angelo che accompagnava il Dio della Distruzione, entrò nella stanza dove il possente elefante rosa si riposava.
«La prego di svegliarsi, Lord Rumsshi.»
L’Hakaishin, quasi seccato, voltò le spalle al grazioso essere, mormorando un «Lasciami dormire.»
«Deve alzarsi dal letto, altrimenti faremo tardi.»
«Altri cinque minuti, Cus.»
L’Angelo sospirò. Si avvicinò alle tende chiuse e le spostò di colpo, facendo entrare all’improvviso un forte bagliore che accecò gli occhi del Distruttore. Quest’ultimo fu costretto, per l’intensità della luce, a coprire il volto con la sua proboscide ed a tirarsi bruscamente le coperte con le sue enormi mani fino ad avvolgere il capo.
«Vuoi smetterla con questa tortura?!» esclamò con un barrito, che rimbombò per tutta la stanza.
Cus si lasciò sfuggire una dolce risata. «Se non si alza da quel letto entro cinque minuti, sarò costretta a dimezzare le mele previste per il suo spuntino quotidiano.»
Rumsshi smise di dimenarsi. In un attimo balzò in piedi, atterrando accanto al suo giaciglio ora disfatto. Si ricompose, dando un’occhiata truce all’Angioletta, e sbuffò.
«Non puoi continuare con questi sporchi ricatti…» disse con un tono molto serio, per poi continuare quella frase mugolando tristemente: «… No… Le mie adorate mele no!»
Lei gli voltò le spalle e sorrise soddisfatta, uscendo dalla stanza. Stava pensando che, dopotutto, il suo compagno d’avventure, così forte e potente, causa della distruzione di diversi pianeti e per questo temuto da tutti, che non aveva paura di niente e di nessuno… in fondo avesse l’anima ingenua e capricciosa come quella di un bambino.
E la cosa la divertì.

Mentre le due divinità erano in procinto di fare colazione, l’Hakaishin chiese al suo maestro quali fossero i loro programmi per la giornata: tra i due, l’Angelo aveva infatti il compito di organizzare, giorno dopo giorno, tutti gli impegni ai quali entrambe le divinità dovevano adempiere per svolgere bene il loro lavoro di mantenere il fragile equilibrio del loro Universo.
«Dunque, Lord Rumsshi…» iniziò il grazioso essere, materializzando dal suo scettro una piccola agenda, che immediatamente consultò. «I programmi previsti per oggi sono, nell’ordine: allenamento, distruzione del pianeta 693-214, visita al pianeta dei Kaiōshin, pranzo, e nel pomeriggio---»
L’elenco che l’Angioletta stava illustrando venne interrotta da un’improvvisa osservazione del Distruttore. «Possiamo anticipare la visita al pianeta dei Kaiōshin dopo l’allenamento?»
Cus fu sorpresa da quella strana richiesta. «Come mai?» chiese.
«Voglio solo accertarmi che Gowasu stia bene.»
Lei sgranò gli occhi a quell’affermazione. Gli Hakaishin erano i primi tra le divinità a percepire qualcosa di strano nell’aria, come avveniva per gli animali selvatici. Da ciò, l’Angioletta comprese che, probabilmente, il suo allievo aveva avuto una strana sensazione riguardante l’anziano Kaiōshin dell’Universo 10.
Come se la sua vita fosse stata in grave pericolo.
Ne era certa poiché anche lei, in quel momento, aveva provato gli stessi sentimenti dell’elefante. Finì di bere il suo tè e si alzò in piedi, rivolgendo uno sguardo serio all’Hakaishin.
«Sono d’accordo. Ultimamente ci sono troppi strani individui in giro: è sempre un bene verificare ed accertarsi che anche il sommo Gowasu stia bene.»

Al termine del loro consueto allenamento, le due divinità partirono alla volta del pianeta dei Kaiōshin, dove Gowasu e il suo apprendista Zamasu risiedevano, osservando gli eventi che accadevano nei vari luoghi del loro Universo.
Rumsshi e il suo Angelo atterrarono sul suolo di quel pacifico pianeta, giungendo all’ingresso della maestosa residenza dei Kaiōshin e bussando al grande portone.
«Sommo Gowasu, siamo noi.» disse Cus con allegria, e stava per continuare la sua introduzione quando venne interrotta dalla grave voce dell’elefante.
«Zamasu, apri la porta!»
Com’era prevedibile, d’istinto l’Angioletta colpì con maggiore forza la testa del Distruttore con la punta del suo scettro. L’Hakaishin diede un urlo e si massaggiò il capo dolorante.
«Ahio! Perché lo hai fatto?»
A quella domanda, la fanciulla lo fulminò con uno sguardo truce. «È stato molto maleducato da parte sua, Lord Rumsshi. Deve portare più rispetto nei confronti dei suoi simili, in modo particolare ai Kaiōshin e ai loro apprendisti.»
Il Dio della Distruzione continuò a massaggiarsi la testa mugolando, e guardò il suo maestro con occhi che imploravano pietà. «Ok, ho capito… Uff.»
«Ne sono lieta. E, comunque, si ricordi che Zamasu un giorno sarà il successore del sommo Gowasu. Cerchi di portare maggiore rispetto anche nei suoi confronti.»
«In confidenza, cara Cus…» la interruppe Rumsshi.
«Mi dica.»
L’Hakaishin si avvicinò all’Angioletta e le sussurrò qualcosa al suo orecchio. «Sai… Quel Zamasu non è il massimo della simpatia, per me. È molto educato, anzi fin troppo per i miei gusti, e in più è molto riservato e... teso, in un certo senso. Non mi sono mai piaciute le persone come lui: gentili e cordiali in apparenza e poi, quando meno te l’aspetti…»
A quelle parole lo sguardo della piccola divenne ancora più tetro, e quello fu il segnale per Rumsshi di spostare il discorso altrove.
«A-Ad ogni modo… è vero che su certe questioni siamo perfettamente d’accordo, ma a volte tende ad esagerare quando afferma che i mortali sono gli errori di noi divinità. Non credi?»
Cus restò in silenzio per qualche secondo, dopodiché gli rispose: «Ciò non toglie che è suo dovere portargli comunque del rispetto. Zamasu non è il servo del sommo Gowasu. Si ricordi che un giorno…»
«La smetti di farmi la predica?» la interruppe il Distruttore con un profondo sbuffo. «Ho capito, ho capito.»
Nel pronunciare l’ultima frase l’Hakaishin si appoggiò al portone e, all’improvviso, finì rovinosamente al suolo permettendo, così, l’apertura del maestoso ingresso.
«Oh, che sorpresa. Era già aperto, Lord Rumsshi.» commentò la fanciulla con l’indifferenza tipica del suo popolo.
«Che imbecilli: certo che potevano avvisare…» borbottò Rumsshi, appuntandosi mentalmente di rimproverare poi i due Shin per questa grave disattenzione.
Anzi, solo Zamasu. Scommetto che è stato quell’idiota d’un apprendista a “dimenticarsene”!

Le due divinità entrarono nell’ampio atrio del palazzo, dove notarono subito sul tavolo che vi era al centro la presenza di un bicchiere e di un piatto vuoto, dentro al quale l’elefante rosa notò la presenza di alcune briciole bianche che vi erano rimaste. Si avvicinò al piatto e con la proboscide lo annusò.
«Mhhh… Noto che Gowasu ha iniziato a mangiare gustosi dolci senza di me.» mormorò, mentre allontanò la proboscide dall’oggetto che aveva attirato la sua attenzione.
«A proposito del sommo Gowasu… dov’è?»
La domanda dell’Angelo incuriosì l’Hakaishin, che aggiunse: «Già: dov’è?»
«Eppure sento che è qui.»
«Anch’io ho la tua stessa impressione. Possibile che sia già andato a riposare?»
«Lord Rumsshi, le chiedo scusa se mi permetto, però la sua è una teoria abbastanza assurda: è ancora pieno giorno.»
«Ma ormai anche lui ha una certa età. Si sarà stancato… E poi, si sa: dopo mangiato, a tutti viene sempre sonno!»
L’ultima affermazione del Distruttore strappò un sorriso all’Angioletta che, tuttavia, notò un particolare che apparentemente stava sfuggendo all’Hakaishin.
«Eppure… sembra che Zamasu sia svanito nel nulla. Non percepisco la sua presenza… né in questo luogo, né altrove.»
Rumsshi rizzò le orecchie a quella frase. Constatò che il suo maestro aveva ragione: l’apprendista Kaiōshin non era presente su quel pianeta. Caso strano, considerato che il giovane apprendista era sempre al fianco di Gowasu, ed era difficile per lui allontanarsi da quelle terre. «Forse è in giro per l’Universo a prendere qualcosa per Gowasu.» sussurrò con un tono serio a Cus.
«Quando gli Shin hanno la capacità di materializzare ciò che vogliono dal nulla?»
L’Hakaishin rimase senza parole. «Allora non so: per caso tu sai che fine ha fatto Zamasu?» disse rivolgendosi all’Angelo con un tono colmo d’ironia: era evidente che nemmeno lei sapesse dove si trovava in quel momento l’apprendista Kaiōshin.
«Zamasu non c’è.»
Una terza voce interruppe la conversazione di Cus e Rumsshi. Le due divinità si voltarono nella direzione di quel suono per loro familiare, e così notarono alle loro spalle la presenza di uno Shin anziano, dalla carnagione gialla.
Gowasu! - lo riconobbero Cus e Rumsshi nello stesso istante.
Alla sua improvvisa comparsa, si inchinarono con ossequio e, dopo aver ricambiato il rispettoso saluto, il Kaiōshin fece loro cenno di ricomporsi.
«Questa sì che è una sorpresa...» disse loro il vegliardo. «Non vi aspettavo a quest’ora: siete in largo anticipo.»
L’Hakaishin lo scrutò dalla testa ai piedi. Notò che gli occhi dello Shin stavano nascondendo molto bene un profondo stato di turbamento e di angoscia. Come mai? - gli venne da pensare.
«Volevo solo accertarmi che stessi bene. Tutto qui.»
Gowasu abbassò la testa, quasi sforzandosi di sorridere per garantire a Rumsshi che il suo stato di salute fosse ancora buono. «Adesso sì, ma poco prima…»
Poi si interruppe. «Mi dispiace...» disse, inchinandosi davanti alle due divinità ora confuse da quel suo gesto. «Oggi non potrò ricevervi. Sono molto stanco: spero che possiate capirmi.»
Cus non disse una parola. Continuò a restare in silenzio, osservandolo: comprese in un batter d’occhio la causa di quella profonda tristezza che stava avvolgendo l’animo del vegliardo.
Diverso fu l’atteggiamento dell’Hakaishin. Rumsshi voleva trascorrere del tempo su quel pianeta, accanto a Gowasu: se c’era qualcosa che avrebbe potuto alleviare l’animo del vegliardo, lui sarebbe stato pronto a farlo.
«Dimmi cosa è successo, Gowasu. Non è da te avere quella faccia da funerale.»
«Lord Rumsshi!»
L’Angioletta lo riprese, cercando di bloccare il discorso dell’Hakaishin prima che potesse andare oltre e dire qualcosa che potesse sconvolgere ancora di più l’animo del saggio. Tuttavia, all’udire quelle parole, il Kaiōshin non si scompose.
«Lascialo parlare...» sentenziò, e rivolse lo sguardo verso il cielo. Cus rimase in silenzio, mentre il Dio della Distruzione continuò, cercando di nascondere il più possibile il timore che potesse essere accaduto qualcosa di grave prima del loro arrivo. «… Allora?» domandò con il suo solito sguardo accigliato.
«Hai ragione quando hai detto che ho “una faccia da funerale”…» Il vegliardo iniziò ad allontanarsi a lenti passi dalle altre due divinità. Giunto sulla soglia d’ingresso dell’interno della sua residenza, aprì le porte e si preparò a lasciare quel luogo, senza prima aver detto una breve e incisiva frase che, insolitamente, sorprese di nuovo Rumsshi e Cus.
«… Zamasu ci ha lasciati.»

Alla chiusura di quelle porte, all’Hakaishin sfuggì un mugolio di dolore. Sebbene non avesse molto a simpatia l’apprendista Kaiōshin, egli sapeva molto bene del profondo affetto che Gowasu aveva provato nei confronti di quel Zamasu, per una ragione che lui - forse - non avrebbe mai capito, così orgoglioso e poco confidente degli altri rispetto all’anziano Kaiōshin.
Anche Cus rimase di stucco di fronte a quella che in apparenza sembrava solo una tragica notizia. Fu molto dispiaciuta e, pensando all’anziano saggio, le fu difficile immaginare l’immenso dolore che il Kaiōshin stava nascondendo di fronte a loro, poco prima.
«Non ci credo. Proprio lui…» mormorò, con la voce quasi rotta dall’angoscia che stava provando. Al contrario del suo Dio della Distruzione, lei si era affezionata al giovane Shin e, anche se da Angelo faceva fatica condividere quell’astio che Zamasu provava nei confronti dei mortali, alla fine aveva iniziato a volergli bene. Aveva sempre adorato come lui si era sempre mostrato al loro cospetto, così rispettoso e gentile, e il modo in cui preparava il tè che bevevano come ospiti sul pianeta dei Kaiōshin.
Ignari del perché e del come Zamasu non fosse più vivo, Rumsshi e Cus non poterono fare altro che restare immobili di fronte a quel silenzio che, ora, stava calando su quell’area.
Finché, ad un tratto, proprio Rumsshi riuscì a percepire un odore diverso dal solito. Sfruttando il senso dell’olfatto con la proboscide, si allontanò di qualche passo dal tavolo dove vi erano il piatto e il bicchiere ormai vuoti, per dirigersi in un punto apparentemente non definito dell’atrio.
L’Angioletta si accorse subito dello strano comportamento del suo compagno, così lo richiamò.
«Qualcosa non va, Lord Rumsshi?»
Ma dall’interpellato, nessuna risposta: continuò solo a camminare, e all’improvviso si fermò. Annusò l’aria del punto in cui aveva arrestato i propri passi, e solo allora riprese a parlare:
«Cus. Che tu sappia, oggi Gowasu aveva in programma di incontrarsi con un’altra divinità?»
La fanciulla si sorprese di fronte a quell’insolita domanda. «N-Non mi sembra, Lord Rumsshi. Però, come mai ha chiesto ciò?»
«Confermo. Beerus del Settimo Universo è stato qui, e non vorrei che quell’apprendista da strapazzo…»
Quella risposta la fece sbalordire ancora di più.
E, in pochi secondi, la ragazza capì subito quale sarebbe stata la prossima mossa dell’elefante rosa.


Sul pianeta del Dio della Distruzione dell’Universo 7, Beerus era appena rientrato nelle sue stanze per dedicarsi, come era solito fare, al suo adorato pisolino. Le recenti vicende che avevano coinvolto il Settimo e il Decimo Universo erano state faticose per lui; così, non appena tornò a casa insieme a colui che lo accompagnava, aveva detto a quest’ultimo che sarebbe andato a riposare.
Come era solito fare, appunto.
Whis sospirò, ma questa volta non gli fu difficile dare torto al suo Hakaishin. Le ultime ore che entrambi avevano vissuto erano state piene di adrenalina e tensione; nonostante il suo status di Angelo, un’entità di gran lunga più potente degli stessi Dei della Distruzione, anche lui si sentiva stanco. Per questo, dopo aver caricato le sveglie-bomba nella camera da letto di Beerus, si preparò per uscire dalla sua dimora, pensando di recarsi nei pressi del lago per rilassarsi un po’.
Ma, non appena giunse all’ingresso della residenza dell’Hakaishin, improvvisamente si materializzarono due figure a lui familiari davanti ai suoi occhi.
«Oh, che sorpresa!» disse l’angelica figura, inchinandosi di fronte alle due divinità. «È sempre un piacere rivedervi, Lord Rumsshi… Lady Cus
I due ricambiarono l’inchino, dopodiché l’elefante rosa sentenziò con tono severo:
«Devo vedere Beerus.»
Inizialmente, Whis fu sorpreso da quell’atteggiamento che gli sembrò ostile. «Mi dispiace, ma Lord Beerus è appena rientrato nella sua stanza. Adesso sta riposando e, come lei ben sa, non vuole essere disturbato.»
Rumsshi diminuì la distanza che lo separava dall’Angelo e gli disse con prepotenza: «Non mi interessa. Fallo venire qui, immediatamente
La risposta di Whis fu prevedibile: lui, più di tutti, conosceva molto bene i ritmi di vita del suo allievo, e per questo motivo in un primo momento cercò di desistere l’altro dal suo proposito. «Lord Rumsshi, deve rispettare gli orari del Dio della Distruzione di questo Universo. Le consiglio di ripassare fra qualche ora, quando si risveglierà.»
Fu allora che, di fronte a quell’ultima risposta di dissenso, il possente Distruttore smise di trattenersi. «Le chiedo scusa, ma è piuttosto urgente.» Detto ciò, spostò bruscamente l’Angelo e, così, riuscì ad entrare nella residenza a grandi passi.
L’altro stava per fermarlo, infastidito dal suo gesto così irrispettoso, ma sua sorella lo bloccò, trattenendolo per un braccio. «Lascialo fare. Ha un ottimo motivo per svegliarlo.»
Gli occhi di Whis si illuminarono di gioia, nel credere che il motivo che stava spingendo l’Hakaishin a comportarsi in quel modo era quello di ringraziare il suo collega per avergli, indirettamente, salvato la vita.
«Ho capito, sorellina.» Il suo volto si rasserenò, e con un dolce cenno della sua mano destra fece accomodare Cus all’interno della dimora.

Nel salotto, i due Angeli si rilassarono bevendo una salutare tazza di tè verde. La più piccola cercò di non perdere la calma di fronte all’atteggiamento allegro e gioioso di suo fratello e, nel momento in cui buttò giù un sorso di quella deliziosa bevanda, per un attimo riuscì a “dimenticare” il vero motivo per il quale si trovava in quel luogo.
«Wow: questo infuso è molto buono!» Le papille gustative dell’Angioletta furono stimolate da nuove e piacevoli sensazioni: il tè che stava bevendo era davvero eccezionale.
Con la sua solita allegria, Whis ringraziò la sorella minore. In fondo, ogni volta che si parlava di cibo, lui era capace di parlare per molto, molto tempo. «Questa qualità di tè viene da un lontano pianeta di questo Universo, la Terra. Un giorno devi assolutamente visitarla: ci sono un sacco di cibi buoni e persone cordiali e disponibili a offrirti di tutto!»
«Lo ammetto: solo il tè di Zamasu potrebbe superare la sua bontà!» rispose Cus con un sorriso. Poi, la sua espressione di gioia cambiò sfumature: fu quel nome, pronunciato in maniera quasi accidentale, a farla tornare alla realtà.
«Adesso capisco perchè Lord Beerus abbia deciso di eliminarlo.»
«Mh?»
«Non disturbarti con le spiegazioni. Io e Lord Rumsshi sappiamo tutto: qualche ora fa siete stati sul pianeta dei Kaiōshin del nostro Universo. Complimenti… davvero.»
«Ce l’abbiamo fatta per il rotto della cuffia: abbiamo sventrato una minaccia in tempo. Se non fosse stato per il nostro intervento, saremmo capitati in una situazione difficile da risolvere.»
Come fa ad essere così calmo? Hanno appena assassinato una persona a me cara… Gli occhi di Cus si riempirono di lacrime a quel pensiero: non sopportava l’atteggiamento di suo fratello di fronte ad una morte per lei ancora senza senso, e fu allora che l’Angioletta esplose di rabbia.
«Sì, vi capisco… Una minaccia per le vostre papille gustative!»
Perse la pazienza, alzandosi di scatto e sbattendo i propri pugni sul tavolo. «Cosa ti è preso, Whis? Non pensavo sostenessi Lord Beerus in tutte le sue follie! Non sei degno di avere il titolo di Angelo, per sostenere un omicidio al solo scopo di far fuori un rivale di un altro Universo… sul cibo, per giunta! E poi io… in realtà, per me...»
Solo allora, Whis comprese il fraintendimento.
Era ovvio: né lei, né il suo Hakaishin potevano sapere cosa fosse realmente accaduto sul pianeta di Gowasu. Il potere di Whis di riavvolgere il tempo per tre minuti non aveva influito su di lui e le persone che in quel momento erano al suo fianco; tuttavia, per gli altri, era come se non fosse accaduto nulla del genere. Come era accaduto per l’anziano Kaiōshin, anche Cus e Rumsshi non potevano sapere del tentativo di omicidio da parte di Zamasu del suo maestro. Non potevano sapere di essere stati salvati da morte certa, finché qualcuno non lo avrebbe loro rivelato.
Whis si avvicinò all’Angioletta e la abbracciò, nonostante in un primo momento lei avesse cercato di rifiutarlo. «Mi dispiace, sorellina… Se avessimo potuto evitarlo lo avremmo fatto, credimi.»
«Lasciami!»
Lei cercò disperatamente di divincolarsi, cercando di liberarsi da quella stretta. «No, non è vero: non avete voluto farlo!»
In preda a sentimenti di rancore la fanciulla continuò a urlare quelle parole, ma suo fratello restò impassibile e la strinse ancora di più a sé, per farle sentire la sua vicinanza.
«Ascoltami… È normale che tu non lo sappia, ma devo dirtelo. Fino alla fine, Zamasu non si è pentito.»
A quella frase Cus smise di agitarsi, anche se le parole che aveva appena ascoltato furono per lei scioccanti. «C-Come? Non si è… pentito?»
«In nome della giustizia che tanto bramava… ha tentato di fare fuori il suo anziano maestro, e commettere qualcosa che avrebbe portato a delle conseguenze irreparabili… come l’eliminare ogni singolo mortale dai dodici Universi, nonché le stesse divinità che li governano.
Sorellina, tu non puoi saperlo perché per fare questo ho dovuto riavvolgere il tempo e salvare così la vita al sommo Gowasu… ma, credimi: Zamasu era disposto a tutto pur di portare a termine il suo piano.»
Lei si immobilizzò di fronte a quella notizia. Aveva appena udito una storia terribile e sanguinosa, che mai avrebbe immaginato che sarebbe potuta accadere per mano di una persona come il discepolo del Kaiōshin: anche se sapeva molto bene che Zamasu non aveva di buon occhio i mortali e in più occasioni aveva espresso il desiderio di vedere un mondo libero dalla loro presenza… mai e poi mai avrebbe immaginato che sarebbe arrivato a compiere tali azioni efferate.
Per questo la fanciulla faceva fatica a credere a ciò che le era stato appena riferito, e stava cercando di negare in tutti i modi l’evidenza. «No… È uno scherzo, vero? Dimmi che è così...»
Solo allora Whis decise di staccarsi dall’abbraccio e, facendo apparire il suo scettro, proiettò alcune immagini di ciò che era accaduto sul pianeta dei Kaiōshin dell’Universo 10 qualche ora prima. E, di fronte a ciò, Cus cadde a terra terrorizzata e scoppiò in lacrime, chiedendo ripetutamente scusa al fratello maggiore per aver inveito contro di lui e Beerus.
«Perdonami, Whis… Mi hai salvato la vita, ma sono stata così ingrata nei tuo confronti… Perdonami!»
Il fratello la aiutò ad alzarsi e la abbracciò nuovamente.
«Stai tranquilla. È tutto finito.»

All’improvviso, un enorme barrito rimbombò per tutta la sala. Una delle pareti del salotto si sbriciolò e, accompagnato da una grande folata di vento, il corpo di Beerus venne violentemente sbalzato contro la parete opposta.
Dallo squarcio che si era appena creato comparve un Rumsshi avvolto da un’aura colma di violenza e di rabbia.
Il Distruttore dell’Universo 10 urlò: «E ringrazia che non ti stia uccidendo per questo! Non mi importa se mi fai delle scortesie, ma… non ti perdonerò mai per aver fatto soffrire Gowasu!»
Beerus si rialzò e a grande velocità si avvicinò all’altra divinità, adirato per l’affronto subito. «Non solo hai osato interrompere il mio dolce sonno… ingrato. Ma, quel che è peggio, nemmeno mi stai ringraziando per aver salvato la tua pellaccia!»
«Perchè mai devo ringraziarti?!» rispose l’Hakaishin. «Anzi, sei tu che dovresti chiedere a me scusa!»
«E di cosa, di grazia? Rumsshi, hai bevuto troppo tè questa mattina?»
I due Distruttori caricarono le loro aure con un’energia sempre maggiore. L'ostilità che vi era tra loro aveva creato forti scariche elettriche che stavano avvolgendo l’intero luogo dove si trovavano le quattro divinità.
Percependo il pericolo che stava per accadere, i due Angeli si posero tra i loro allievi e li separarono.
«Lord Rumsshi, Lord Beerus ha ragione: dobbiamo ringraziarlo!» disse la graziosa fanciulla.
L’elefante rosa si infuriò di più e cercò di farsi spazio nella barriera che Cus aveva creato per fermarlo, per affrontare nuovamente Beerus. «E perchè mai, Cus?! Ci ha fatto fuori quell’apprendista da strapazzo, che però sapeva preparare il tè più buono di tutti gli Universi: devo stendergli un tappeto rosso per questo? Diamogli anche un premio, già che ci siamo!»
L’Angioletta non demorse e lo prese per un braccio. «Lord Beerus… ci ha davvero salvato la vita. Credimi: Lord Whis mi ha spiegato tutto, ed è normale che noi non siamo a conoscenza di certi fatti. Perciò, la prego di fermarsi.»
Il Distruttore iniziò ad esitare ed a calmarsi di fronte alla testardaggine della fanciulla. «Cus… Spiegati, per favore.»
A quel punto intervenne anche Whis. «Lord Rumsshi, per eliminare una minaccia comparsa nel futuro alternativo dei nostri Universi, abbiamo ritenuto necessario eliminarne l’origine… cioè, Zamasu. Lei non ne è a conoscenza, ma sappia che ho dovuto utilizzare i miei poteri per evitare l’irreparabile.»
«Ed io poi ho distrutto quello Shin psicopatico!» aggiunse Beerus, incrociando le braccia e assumendo un’espressione di soddisfazione. «Sono un eroe, non è vero?»
Rumsshi rimase in silenzio. Anche a lui Whis mostrò le immagini della tragedia evitata, e il Distruttore si limitò ad abbassare la testa. Poi, voltando le spalle alle due divinità dell’Universo 7, disse:
«Andiamo via, Cus.»
«Cosa?»
«Si torna a casa.»
L’Angioletta dell’Universo 10 annuì in silenzio e, dopo aver salutato le due divinità con un profondo inchino, si avvicinò al suo compagno d’avventure ed entrambi partirono alla volta del loro Universo.
Di fronte a quella scena, Beerus sbuffò.
«Che ingrato: alla fine non mi ha nemmeno ringraziato. La prossima volta che ci incontriamo, quell’idiota d’un elefante capirà cosa significa non portare rispetto a Lord Beerus!»


Non appena giunsero nuovamente all’ingresso della dimora dei Kaiōshin, le due divinità furono di fronte allo stesso scenario che avevano visto qualche ora prima: il portone aperto, e l’assenza di Gowasu nella corte.
Senza pensarci due volte, Rumsshi si precipitò all’interno della residenza. Cus non lo fermò, preferendo restare nel luogo sul quale era atterrata insieme all’Hakaishin: aveva compreso i sentimenti che stava provando il Distruttore in quel momento, e per questo preferì non intervenire.
Era certa che la possente divinità non provasse ostilità nei confronti di Gowasu… non, almeno, in quel primo momento.
Il suo sguardo si posò sul carrello posto accanto al tavolino. Su di esso vi erano solo una teiera - vuota e inutilizzata - ed una tazza capovolta, come se fosse stata appena acquistata in un negozio di porcellane antiche. L’Angioletta chiuse gli occhi, comprendendo il perché della presenza del carrello in quel punto preciso dell’area - e della teiera completamente vuota.
«Sommo Gowasu…» sussurrò, mentre il vento spostò dolcemente il carrello, muovendo lievemente le ruote con un sottile cigolio.

Nel frattempo, Rumsshi era entrato negli ambienti più interni e nascosti di quella sontuosa residenza e si era avvicinato di fronte all’ingresso di una stanza.
Era abituato, per la natura del suo lavoro, a percepire la tristezza e l’angoscia da parte di tutti, e il fatto che si fosse fermato proprio davanti a quella porta non era stata del tutto una casualità. Al suo interno, infatti, aveva avvertito la presenza di qualcuno che stava provando sentimenti di solitudine e angoscia.
A quella triste sensazione, per la prima volta in tutta la sua vita, Rumsshi provò afflizione e desolazione dentro di sé. Non era bravo a consolare chi stesse soffrendo - d’altronde lui era abituato a distruggere speranze, non a costruirle - e per questo non sapeva bene quali parole utilizzare per invitare il suo amico ad uscire fuori da quelle quattro mura.
Nonostante ciò, sapeva molto bene cosa fare: voleva restare il più possibile accanto all’anziano Kaiōshin, voleva fare di tutto pur di non vederlo più soffrire per la perdita del suo amato discepolo.
Così diede dei leggeri colpi alla porta, ormai deciso a fare qualunque cosa per donargli un minimo di conforto.
«Gowasu, sono io. Apri.»
Com’era prevedibile, la porta restò chiusa. Nessun rumore, nessun movimento sospetto come risposta a quell’invito… anzi: era come se all’improvviso fosse calato un cupo silenzio in quel luogo, come se dall’altra parte di quel muro che stava separando le due divinità in realtà non ci fosse stato nessuno.
L’Hakaishin sfiorò la porta con la sua proboscide, cercando di appoggiare la sua fronte sul legno della porta, per far sentire all’altro ancora di più la sua presenza.
«Apri… ti prego.»
Ancora nessuna risposta.
Rumsshi si strinse ancora di più a quella parete sottile e chiuse gli occhi, rassegnandosi al fatto che l’altro non lo avrebbe mai ascoltato. Una parte di lui avrebbe voluto sfondare quella maledetta porta, correre verso l’anziano Kaiōshin e iniziare ad inveire contro di lui, per il suo comportamento da ingenuo che lo aveva portato a scegliere come apprendista una persona come Zamasu.
Ma non lo fece. Nei giorni successivi, quando il saggio avrebbe iniziato a riprendersi, l’Hakaishin lo avrebbe sicuramente rimproverato… ma capì che, di certo, non era quello il momento per sfogarsi in quel modo contro qualcuno che, in fondo, aveva agito pensando al bene del loro Universo.

Gowasu non ne ha colpa.
Perché devo continuare ad essere arrabbiato con lui che, ingenuamente, aveva riposto tutta la sua fiducia in quell’idiota che sarebbe diventato il nostro futuro? Non abbiamo fatto lo stesso anche io e Cus, in fondo?
Se solo non mi fossi lasciato dominare dalla pigrizia…


«Io…» iniziò a dire Rumsshi, mentre dai suoi occhi iniziarono a scendere lacrime di dolore. «Sono sempre stato un Dio orgoglioso e sicuro di sé… Avrei dovuto restare più accanto a te e pensare meno di dormire, dovevo esserci mentre stavi scegliendo colui che un giorno sarebbe diventato il tuo successore, così da poter compiere la scelta giusta per tutti…
Sai: quel tuo apprendista, Zamasu… non mi è mai andato a genio. Era presuntuoso, arrogante e prepotente… come me. Ma anch’io, in fondo, sono stato cieco come te: se avessi trascorso più tempo insieme a voi due, forse a quest’ora avrei potuto evitarti un dolore così immenso…»
Il Distruttore scivolò lungo lo stipite della porta, arrivando ad inginocchiarsi davanti all’ingresso e singhiozzando.
«Perdonami… Sono stato un grande egoista…»

Cus aprì nuovamente gli occhi solo quando percepì alle sue spalle la presenza dell’Hakaishin. La prima cosa che notò, guardandolo, fu il suo volto colmo di tristezza e gli occhi rossi per il pianto.
Non ho mai visto Lord Rumsshi così afflitto, fu il suo pensiero.
Dall’altra parte, anche lo stesso Dio della Distruzione notò nell’Angioletta, la quale solitamente era allegra e gioiosa, sentimenti di tristezza.

Eh, già: a quanto pare Zamasu ha combinato un gran bel casino qui. Far rattristire anche Cus… che bel gentiluomo che sei stato!

Senza dire una parola, Rumsshi si avvicinò alla fanciulla e le posò la mano sulla sua spalla, pronto a tornare sul suo pianeta. Anche lei stava per prepararsi a lasciare quel luogo… quando, ad un tratto, una voce stanca e afflitta richiamò l’attenzione delle due divinità.
«A-Aspettate, per favore!»
L’Hakaishin si voltò e vide sulla soglia della porta d’ingresso ai locali interni un Gowasu visibilmente affannato. Quest’ultimo cercò di riprendere il più possibile il fiato; dopodiché disse a bassa voce: «Lord Rumsshi, io…»
L’altro tolse velocemente la mano dalla spalla di Cus e gli si avvicinò, interrompendo il discorso che il vegliardo stava cercando di intraprendere. «Certo che potevi anche aprire la porta della tua stanza, se avevi bisogno di dirmi qualcosa. Alla tua età non fa bene correre così tanto.»
Gowasu abbassò la testa. «Perdonatemi, ma avevo bisogno di dirle una cosa…»
Il Distruttore restò in silenzio, continuando a fissare il Kaiōshin. Quando sentì quest’ultimo sussurrare qualcosa di impercettibile per tutti - ma non per l’Hakaishin - in silenzio, Rumsshi gli si avvicinò ulteriormente e avvolse il corpo dell’altro con la proboscide, per poi stringerlo in un caldo abbraccio.
Lacrime di dolore bagnarono il petto del Distruttore, mentre Rumsshi chiuse gli occhi e, attraverso questo dolce contatto, in questo modo silenzioso cercò di consolare il più possibile il Kaiōshin.

«Perdonami, Rumsshi… È solo colpa mia.»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Come unica nota di fondo, probabilmente avete notato il cambio di registro linguistico che Gowasu ha a fine storia. No, non è stato un semplice errore di battitura.
Nel già citato Capitolo 28, in originale Gowasu si rivolge a Rumsshi chiamandolo col suffisso -sama, che molti traducono (in riferimento agli Hakaishin) come “Lord” (come nei casi di Lord Beerus, Lord Champa, e così via…) Nella frase conclusiva, tuttavia, ho deciso che il Kaiōshin doveva dargli del “tu”… e volete sapere il perché? Il vero motivo è che, in realtà, al di là delle formalità li ho sempre immaginati in un forte legame di amicizia e di complicità. Tutto questo prima dell’uscita di quel capitolo, si intende.
Perciò, almeno alla fine volevo inserire questo lieve richiamo al mio pensiero su di loro, richiamando il fatto che mi piace immaginare le divinità dell’Universo 10 come un’unica, grande famiglia.
Infine, un grazie speciale va a tutti coloro che in questo sondaggio di EFP hanno votato per Gowasu. Finalmente siamo riusciti ad inserire anche lui in lista… Vai così! \(^w^)/
Detto questo, arrivederci (si spera prima della fine dell’anno) alla prossima storia!
--- Moriko

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Capitolo 4
*** Like brother and sister ***


[Aggiornamento del 04/06/2018] Questa storia - così come le relative note - è stata scritta e pubblicata prima dell’uscita del volume 6 di Super. Tra i contenuti extra vi è una scena dove viene svelato che Cus è in realtà la prima dei figli del Daishinkan. Ergo, ciò significa che la storia che state per leggere è una grande “What if” dove Cus è la minore dei suoi fratelli e, per questo motivo, al suo interno accadono degli eventi che sono legati a questo particolare. La "scena incriminata" è la seguente, per chi è interessato.


A/N: E rieccoci qui, dopo mesi e mesi dall’ultimo aggiornamento… Se nell’ultimo racconto avevo scritto (testuali parole) “si spera prima della fine dell’anno”, non solo nel frattempo è giunta la fine dell’anno 2017, ma sono trascorsi cinque mesi. Cinque.
Ok: posso farcela, ahahah… ^^”

Quarto racconto: Like brother and sister.
Questa storia… in realtà è un piccolo esperimento. È vero che i protagonisti sono Cus e Rumsshi, ma questa volta ho esteso il mio racconto all’intera famiglia angelica… e, devo dirlo, è stata una bella sfida scrivere partendo dai genitori di Cus per poi arrivare alla loro figlioletta.
Una piccola premessa: credo che il Daishinkan abbia avuto una moglie che poi, per qualche motivo, è in seguito deceduta. (Oppure che lui abbia generato i figli per mitosi, come avviene per le piante. XD) Ma, personalmente parlando, punto molto sulla prima teoria.
Ho sempre fantasticato sulla probabile “Lady Daishinkan”, sul quale fosse il suo aspetto e carattere, e sul perché non compare mai nella serie originale.
E, per questo racconto, sono partita proprio da qui. Mia teoria: non compare perché diciamoci la verità: gli autori non hanno mai pensato di disegnarla, ma esiste XD è scomparsa subito dopo la nascita di Cus. Ho pensato a causa di un parto finito nel peggiore dei modi oppure per qualche malattia/uccisione da parte dei nemici…
Da qui, ho gettato le basi per poi spiegare le origini del legame di Cus con il resto della sua famiglia (ovvero suo padre e i fratelli e sorelle finora canonicamente riconosciuti come tali) e, successivamente, con il suo futuro Dio della Distruzione: il caro, vecchio Rumsshi.
Infine, un’altra premessa. Riguardo il rapporto tra Angeli e Hakaishin, si parte da una splendida teoria messa in campo dagli artisti giapponesi (in particolar modo penso a RAKU), cioè quello che gli Angeli si prendono cura di loro fin da quando sono piccoli, in modo tale da prepararli adeguatamente al loro compito. Solo che, in questo caso, sia Cus che Rumsshi sarebbero entrambi fanciulli… cosa accadrà?
Vi auguro buona lettura!


Nota: La bravissima stellaskia… vabbè, lo sapete già. Ringraziamola per l’immagine di copertina che accompagna il titolo!



Like brother and sister.



Accadde tanto tempo fa.
Un forte vagito riempì l’immensa sala, dove alcune persone e dei fanciulli si erano radunati intorno a un letto regale, adornato da candide lenzuola.
Fuori da quella stanza, lo scenario sembrava essere ben diverso da quel lieto evento che era appena accaduto. Un miracolo, continuarono a sussurrare nelle loro menti i residenti di quella dimora immensa, e che ora si trovavano lì, testimoni di un gioioso avvenimento.
La giovane, una bellissima ragazza dai lunghi capelli argentei, con grande fermezza diede il frutto del suo grembo alla figlia minore, raccomandandola di tenerla tra le mani con cura; dopodiché si rivolse al resto del gruppo, dando loro quest’ordine:
«Mettetevi in salvo. Io e mio marito vi raggiungeremo al più presto, quando ci accerteremo che tutti gli abitanti di questa città saranno al sicuro.»
Annuendo, gli altri si presero per mano, svanendo sotto gli occhi della ragazza che aveva appena partorito.
La sala si svuotò ben presto. Tutti erano andati via, tranne la giovane madre e un ragazzo minuto, che non aveva mai smesso di stringere la sua mano.
Il silenzio che riecheggiava nell’aria fu il segnale per i loro intenti.
La giovane si issò sui gomiti, a fatica, e si trascinò nel tentativo di scendere dal letto; il suo compagno accorse subito in suo aiuto, sorreggendola con un braccio dietro la schiena.
Dopo aver materializzato il suo scettro, la ragazza disse a colui che aveva scelto di rimanere al suo fianco:
«Andrà tutto bene: nessuno potrà fare del male ai nostri figli. Ora... dobbiamo pensare a salvare i civili.»

---

Secoli dopo, quella famiglia stava vivendo la sua nuova vita in un luogo diverso da quello d’origine. La guerra nelle terre natie non si era ancora conclusa, ma fortunatamente quei due giovani, ora adulti, avevano deciso di dividersi i compiti, dedicandosi serenamente alla crescita dei loro figli e, quando il dovere chiamava, cercavano di non far pesare troppo la loro assenza, spesso agendo a notte fonda e comunicando a distanza.
L’ultima arrivata, la piccola Cus, a differenza dei suoi genitori e dei suoi fratelli e sorelle non aveva ancora visto con i propri occhi il dolore e la sofferenza della guerra. Non sapeva cosa significasse perdere qualcuno, e non aveva mai visto piangere qualcuno… tranne quando i suoi due fratelli iniziavano a bisticciare per i lunghi capelli del più giovane.
Ma la bambina sapeva benissimo che quelle lacrime che Whis versava quando Korn tirava i suoi capelli per dispetto erano passeggere. I due erano capaci di mettere il broncio quando la loro mamma li rimproverava, l’uno perché non voleva sapere di accorciare quella folta chioma, l’altro perché amava prendere in giro il suo fratellino per l’essere così stravagante.
Per Cus, piangere significava “essere monelli”.
Non sapeva ancora che il pianto poteva avere anche altre sfumature, più profonde e dai significati più tragici.

Un bel giorno, la piccola stava rientrando allegramente nella sua cameretta. Era felice poiché una delle sue sorelle, Marcarita, le aveva regalato un libro da colorare su alcuni degli esseri che popolavano gli Universi.
Quando l’aveva ricevuto, ne aveva sfogliato le pagine in continuazione, senza smettere mai di ammirare le figure che vi erano ritratte. Uccelli, pesci, cani, gatti…
Nel momento in cui entrò nella sua stanza e chiuse la porta, Cus girò un altro foglio e in quello successivo notò la presenza di un’illustrazione che subito attirò la sua attenzione. I suoi grandi occhi viola scrutarono con attenzione quella strana figura, che quasi la ipnotizzò.
«Ti piace?»
La bambina sussultò all’udire quella voce. Alzò lo sguardo e incrociò quello di suo padre, che nel frattempo le si era avvicinato e aveva iniziato ad accarezzarle dolcemente i capelli.
«Sì! È molto buffo, ma bello!» esclamò Cus con entusiasmo. «Posso vederne uno dal vivo? Ti prego, ti prego!»
«Adesso è un po’ difficile, cara Cus… Però ti prometto che un giorno ti mostrerò questo, e tanto altro ancora.»
Suo padre la prese in braccio e si sedette sul lettino, aiutando la figlioletta a sfogliare le altre pagine di quel libro. «Quando sarai più grande ti porterò al palazzo del grande Zen'ō, e da lì potrai vedere le meraviglie di molti Universi.»
All’improvviso, mentre aiutava sua figlia a vedere quel libro, il suo scettro si materializzò dal nulla e la sfera che si trovava sulla punta iniziò a lampeggiare.
Capendo subito chi lo stesse cercando, il genitore adagiò la bambina sul letto. «La mamma deve portare delle provviste al grande Zen'ō e, dato che ne sono tante, devo aiutarla. Ma torneremo presto, te lo prometto.»
Al chiudersi della porta alle sue spalle, il giovane iniziò a precipitarsi verso l’uscita della sua dimora. Con quella bugia, la prima che aveva detto in tutta la sua vita, desiderava proteggere l’anima della sua figlia più piccola da qualsiasi notizia funesta.
Era quello che aveva giurato insieme a sua moglie il giorno in cui lei era nata.

«Qualunque cosa accada, Cus non dovrà conoscere il significato del termine “soffrire”.
Dobbiamo fare in modo che viva un’infanzia felice, lontano dagli orrori di questa guerra insensata.»



Eppure… se era stato facile dirlo a parole, difficile era l’attuarlo nella realtà.
Era accaduto tutto nel giro di poco tempo, e solo qualche giorno dopo essere stato nominato a titolo di “Daishinkan”. Durante una delle loro missioni segrete, ideate per aiutare i più bisognosi, sua moglie era svenuta all’improvviso. Dai primi soccorsi, la situazione si era presentata subito grave: aveva contratto un letale virus, che a poco a poco stava danneggiando i suoi organi interni. Non appena venne informato della notizia, lui non esitò a comparire al suo cospetto e riportarla a casa, avendo cura di adagiarla sul loro letto.
Stava per accadere l’irreparabile, e lui non riusciva a perdonarselo. Con le lacrime agli occhi, cercò invano di guarire le ferite interne della sua amata sposa; ma fu tutto inutile.
«Se non avessi accettato quel dannato titolo, a quest’ora… A quest’ora… !»
Lei afferrò lo scettro del marito, che nel frattempo era riuscito almeno a guarire le ferite esterne, per poi scivolare lentamente verso la sua mano, appoggiandovi con amore la sua.
«Non è colpa tua. Anzi, sono sempre orgogliosa che il grande Zen---»
La giovane non riuscì a finire la frase a causa di un cigolio proveniente dalla porta d’ingresso. Da lì fece capolino la piccola Cus che, insieme ai suoi fratelli e sorelle, entrarono trionfanti nella camera, esclamando «Sorpresa!»
«Che cosa ci fate qui?» mormorò il loro padre, cercando di evitare che la piccola di casa venisse a conoscenza dell’amara verità.
«L’idea è stata di Cus,» rispose Korn, per poi avvicinarsi a lui e sussurrare a bassa voce: «Padre, stia tranquillo. Lei è l’unica a non aver capito: pensa che nostra madre abbia solo la febbre, nulla di più. Non appena ha percepito la sua presenza, ci ha convocati tutti e ha pensato di organizzare una bella festa per farla stare meglio.»

Fu un giorno bellissimo per la piccola Cus.
I bambini cantavano e ballavano, seguiti dal ritmo dato dalla loro madre con il battere delle mani, mentre il loro padre stava osservando la scena in silenzio. Il suo sguardo si alternava tra la figura sorridente della moglie, la quale con estrema abilità stava mascherando il forte dolore che il suo corpo stava percependo, e quello pieno di brio di Cus, che non faceva altro che ridere e scherzare con tutti.
Fu sul punto di piangere.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che la loro famiglia avrebbe vissuto un momento del genere… insieme. Quella sarebbe stata l’ultima volta che Cus avrebbe visto sua madre ancora in vita, ma la bambina se ne sarebbe resa conto solo con il passare del tempo.
Riuscì a trattenere le lacrime per tutta la durata della festa, mascherandole dietro ad un rigido sorriso. Sapeva che doveva farlo per sua moglie e per i suoi figli, e soprattutto doveva farlo per Cus.
E, solo quando la sua amata ordinò a tutti i suoi figli di ritirarsi nelle loro stanze, non senza prima raccomandare a ciascuno di loro quelli che sarebbero stati i suoi ultimi consigli… finalmente cedette a quel fiume di emozioni che lo stava travolgendo silenziosamente.
Strinse sua moglie in un affettuoso abbraccio e scoppiò a piangere, pregandola di continuare a vegliare sui loro figli e rinnovando quella promessa di non far comprendere a Cus cosa stesse per accadere di lì a pochi minuti.
Anche se sarebbe stata la più ardua tra le sue imprese.

---

Secoli dopo Cus, ormai divenuta una ragazzina, stava studiando per diventare un Angelo guida. Non aveva mai dimenticato quella promessa che suo padre le aveva fatto quando era ancora una bambina e, quando un giorno gli aveva chiesto maggiori informazioni sul palazzo di Zen’ō, lui le aveva fatto questa proposta:
«C’è un modo per realizzare il tuo desiderio. Ti andrebbe di diventare un Angelo guida?»
Dopo aver ottenuto maggiori informazioni su questo ambito ruolo, la giovane Cus accettò. Voleva vedere con i suoi occhi tutte le figure di quel libro che conservava con cura nel cassetto della sua scrivania e che, ogni tanto, ancora prendeva e sfogliava con un sorriso.
Nel frattempo aveva colorato quelle varie illustrazioni, in particolare quella che da bambina aveva definito “buffa”, sulla quale i suoi occhi si soffermavano sempre. Chissà se un giorno, accanto al suo futuro allievo, avrebbe visto un essere vivente simile ad essa...
La sfera che aveva sul comodino si illuminò, proiettando un messaggio di suo padre: sarebbe passata a prenderla in una quindicina di minuti per condurla al palazzo del grande Zen’ō.

Non era la prima volta che aveva fatto visita a quel luogo immenso; inoltre, da figlia del Daishinkan, aveva già fatto conoscenza con la figura più autorevole dei sedici Universi allora conosciuti. Sapeva anche che, da candidata Angelo guida, un nuova coppia di Universi stavano per essere creati, che ben presto avrebbero affiancato quelli già preesistenti.
Ciò che Cus non sapeva ancora era se in futuro lei avrebbe sostituito i suoi predecessori, oppure sarebbe stata colei che per prima, insieme al Dio della Distruzione e al Dio della Creazione, avrebbe guidato il destino di uno di quei due futuri Universi.
… Tanto è ancora presto per pensarci. Prima di tutto, vediamo perché mio padre mi ha convocata qui.
Dopo aver attraversato un lungo corridoio, lei e suo padre entrarono in una stanza che doveva essere probabilmente l’archivio, piena com’era di documenti infilati in scaffali o addirittura impilati in alte colonne che poggiavano sul pavimento.
Il genitore si avvicinò a una grande scrivania posta al centro della sala. Vi prese l’unico rotolo poggiato sul piano, e lo consegnò a sua figlia.
«Il grande Zen’ō desidera che tu incontri una persona. Immagino che tu abbia studiato per bene il capitolo della gestazione e del parto di un essere antropomorfo.»
Cus annuì. Sapeva bene a cosa si stesse riferendo il Daishinkan: le piaceva molto studiare e apprendere nozioni sempre nuove, una passione trasmessa dalle sorelle Vados e Marcarita, le quali l’avevano sempre aiutata nello svolgere correttamente i suoi doveri.
In particolare, aveva approfondito la differenza tra un parto angelico e quello, più difficile e complesso, dei mortali. Per lei era difficile da comprendere il motivo di tale differenza d’intensità: come mai ai mortali era riservata la sofferenza, mentre agli Angeli no?
Quella fu la prima volta che Cus udì il termine sofferenza. Le femmine dei mortali soffrivano nel dare alla luce i loro pargoli, con forti urla e lacrime. Tuttavia, aveva capito che non si trattava delle stesse lacrime che, da piccolo, Whis aveva spesso versato.
Erano lacrime di dolore.

Dolóre: “Qualunque sensazione soggettiva di sofferenza provocata da un male fisico.”

Era quello che Cus aveva letto nel suo dizionario durante le sue ore di studio, e aveva subito associato questo significato a ciò che le donne mortali provavano durante il parto. In quel momento si era chiesta se anche i suoi genitori, o i suoi fratelli e sorelle più grandi, avevano mai provato dolore in situazioni simili.
La sua attenzione, però, era caduta sul secondo significato che il dizionario le stava dando.

Dolóre: “Patimento dell’animo, strazio, sofferenza morale.”

A poco a poco, la giovane stava apprendendo le diverse sfumature della sofferenza. Quel secondo significato le era più familiare dato che poteva giurare che, secoli prima, in un’occasione aveva provato un’emozione del genere.
Dal giorno in cui non aveva più visto sua madre.
Nessuno era riuscito a darle una spiegazione sul come e sul perché sua madre era svanita nel nulla. Dopo aver dato quella festa, il giorno dopo Cus non l’aveva più trovata nella stanza, né in tutta la loro dimora. Nemmeno suo padre non fu capace di informarla sul dove fosse finita.
«Papà… dov’è la mamma? Perché oggi non è a letto? Sta bene adesso?»
Lui aveva preferito evitare di iniziare un discorso difficile, limitandosi a sorridere ed a accarezzare la testa di sua figlia e dirle: «La mamma sta bene. È partita per un lungo viaggio, ma tornerà presto...»
E, nei giorni successivi la situazione non la aiutò. Suo padre iniziò ad essere sempre meno presente per via del suo importante lavoro e, con il trascorrere di altri secoli, a poco a poco anche i suoi fratelli e sorelle, diventati degli Angeli guida, lasciarono casa. L’ultima ad andarsene fu proprio Marcarita… ma, per una strana e fortunata coincidenza, fu lo stesso giorno nel quale suo padre le aveva fatto quell’interessante proposta.
Coincidenza o meno, da quel momento in poi i due sarebbero stati più vicini di quanto lei avrebbe potuto immaginare.


Il pianeta sul quale la giovane era atterrata, seguendo le indicazioni del rotolo che le era stato appena consegnato, era ricco di vegetazione erbosa, con pochi arbusti e alberi distanziati l’uno dall’altro. Il cielo, colorato di un intenso azzurro, era dominato da numerose nuvole bianche che quasi tracciavano degli strani e curiosi disegni lungo tutta la volta celeste.
Incamminandosi lungo la selvaggia vegetazione, dopo qualche minuto Cus notò la presenza di un piccolo villaggio, nel quale vi erano delle modeste abitazioni con il tetto dalla forma conica.
Entrando in quel ristretto territorio, agli occhi del piccolo Angelo vi fu una bella sorpresa.
Dei piccoli cuccioli d’elefante, antropomorfi, correvano felici in tutto il villaggio, mentre alcune donne adulte dalle loro stesse sembianze si erano radunate per produrre dei piccoli manufatti destinati alla cucina.
Fu una visione meravigliosa. A parte il fatto di essere entrata in un mondo semplice, composto da poche regole… per la prima volta nella sua vita, Cus aveva visto dal vivo quell’essere buffo che era sul libro che la sorella le aveva regalato secoli prima.
E, in quel villaggio, ve n’erano a decina. Per lei sembrava di vivere un sogno dal quale sarebbe stato difficile risvegliarsi. Si stropicciò gli occhi, ma fu tutto inutile: loro erano ancora lì o, meglio, era lei ad essere ancora .
Dopo qualche minuto scosse la testa. In mezzo a tutto quel pacifico e incontaminato gruppo, sarebbe stato compito dell’angioletta trovare quella persona che le aveva indicato suo padre. A godersi quello spettacolo ci avrebbe pensato più tardi, quando avrebbe adempiuto al suo dovere.

Dopo aver chiesto qualche informazione agli abitanti di quel luogo, Cus fece il suo ingresso in una dimora che si distingueva dalle altre per la sua maggior grandezza.
Al centro della sala vi era una giovane donna dalle vesti regali, circondata da alcune delle sue servitrici. Non appena vide Cus, le si avvicinò e la omaggiò con un inchino: evidentemente aveva almeno una vaga idea di chi le stava dinanzi.
Di fronte a quel saluto, l’angioletta fu sorpresa non poco: era la prima volta che qualcuno stava avendo un alto grado di rispetto nei suoi confronti, e per questo non sapeva come comportarsi.
Fai come ha sempre insegnato tuo padre, si stava ripetendo nella sua mente. Si inchinò a sua volta e rivolse un rispettoso saluto nei confronti della donna.
«Salve. Lei deve essere Lady Amber: mio pad… Mi perdoni: il Daishinkan mi ha detto di consegnarle questo.»
Detto ciò, Cus affidò alla donna il rotolo che le aveva dato suo padre. L’altra lo aprì e, dopo aver verificato il contenuto, sorrise. «Capisco… Può comunicare al Gran Sacerdote che rispetterò le volontà del grande Zen’ō.»
«Sarà fatto.»
Terminato il suo compito, l’angioletta restò immobile: a quanto sembrava agli occhi di Amber, la cosa era alquanto strana. E la domanda che uscì dalla sua bocca fu spontanea:
«Le chiedo scusa… ma non dovrebbe congedarsi da me? Oppure deve riferirmi altro?»
«Mi è stato chiesto di restarle accanto. Vedo che lei aspetta un erede, Lady Amber. È mio compito verificare che lei stia bene.»
La donna fu sorpresa. Richiamando alla mente ciò che aveva letto nel rotolo, forse non era poi così strano che la giovane Cus si trovasse lì. Una mano in più non poteva far male, no?
Amber raggiunse il trono della sala e si sedette, facendo più volte roteare in aria il rotolo che aveva tra le mani. «Posso supporre che lei non conosca il contenuto del rotolo che mi ha appena consegnato, perché di solito è segreto. Ad ogni modo, sappia che io sono la regina di questa terra e, in quanto tale, ho già molto aiuto per il parto che sta per avvenire. Però apprezzo la disponibilità del sommo Daishinkan e, di conseguenza, apprezzo molto la sua, dato che non è qui controvoglia… immagino.»
«Controvoglia o no, gli ordini sono ordini. Tuttavia, Lady Amber, lei ha ragione: mi è stato ordinato di essere qui, anche se ho notato che è un posto bellissimo, per cui ci sarei rimasta volentieri.»
«Non esageriamo! È molto modesto, dopotutto. Nulla a che vedere con il palazzo del grande Zen’ō… Anche se non l’ho mai visto con i miei occhi, posso immaginare che è stupendo…»
Cus chiuse gli occhi. «Può affermarlo con certezza. È il più bello degli Universi.»

Seguendo gli ordini di suo padre, l’Angelo continuava a tenere sotto controllo Amber, recandosi ovunque con lei e provvedendo ad ogni sua necessità.
Trascorsero così tre giorni, nei quali le due giovani iniziarono a conoscersi meglio ed a rispettarsi a vicenda. E, fu proprio nel corso di una delle tante conversazioni che nacquero tra di loro che Amber raccontò a Cus della perdita di suo marito.
L’angioletta avvertì un peso all’altezza del cuore. Il modo in cui la giovane elefante antropomorfa aveva fatto trasparire la sua sofferenza di fronte a quella grave perdita, lasciandola incinta di soli pochi mesi, fece ricordare a Cus del giorno in cui sua madre era scomparsa.
Il secondo significato della parola dolore era di nuovo lì, che stava rimbalzando nella sua mente come una palla.
E lei, in confidenza, cercò di raccontare ad Amber della sua esperienza.
«Anche gli Angeli soffrono? Che strano: ero convinta che, essendo messaggeri del grande Zen’ō, non avessero bisogno di questi sentimenti…» fu la risposta di quest’ultima, sfiorandosi la pancia.
E, prima che Cus potesse controbattere, cercando di dimostrare che in realtà non era vero, l’altra iniziò a contorcersi per l’improvviso e lacerante dolore che aveva iniziato a provare nel basso ventre.
«N-Ne parliamo più tardi… S-Sempre se sopravvivo al parto!»


Fortunatamente tutto procedette per il verso giusto. Il parto fu molto lungo, ma anche grazie alle cure di Cus la donna riuscì a partorire senza problemi.
Era la prima volta che l’Angelo aveva visto una scena del genere dal vivo, e comprese ancora di più quel primo significato del dolore che aveva letto sul suo dizionario. Il dolore come tormento fisico, sofferenza in una determinata parte del corpo, non come stato d’animo.
E, infatti, lo stato d’animo di Lady Amber era tutt’altro che triste! La donna pianse di gioia, mentre in pena a quei tormenti cercò di cullare il suo cucciolo che nel frattempo stava emettendo i suoi primi vagiti.
Poi, all’improvviso, un forte barrito riempì tutta la sala. L’ostetrica, insieme alle servitori della regina, svennero dopo pochi secondi. Le uniche che riuscirono a rimanere con i sensi ancora perfettamente funzionanti furono proprio Cus e Amber.
L’angioletta spalancò gli occhi. Possibile che un cucciolo del genere abbia già questa grande capacità?
«Certo che a momenti ci stava stordendo con il suo barrito! È appena nato, ma sa farsi valere…» disse Amber, anche lei sorpresa di fronte a quella che per lei sembrava essere una novità.
Cus rise di cuore di fronte a quella scena. A differenza degli altri che erano ancora svenuti, la madre si era subito ripresa e non aveva esitato a dare al figlio ciò che egli voleva: il latte.
L’Angelo decise di lasciarli da soli e tornare al Palazzo di Zen’ō, dove il padre la stava aspettando. Il suo compito era terminato: lei aveva assistito con successo ad un parto, per cui la sua presenza in quel luogo non era più necessaria.
Con un profondo e rispettoso inchino si congedò da Lady Amber. «Ora devo andare, ma nei prossimi giorni verrò sicuramente a trovarla. Anzi… a trovarvi
Accarezzò dolcemente la testa del figlio di Amber, che a poco a poco si stava addormentando e, dopo aver fatto un inchino, svanì agli occhi dei presenti.

Trascorsero altri due giorni da quell’ultimo incontro. La piccola Cus stava studiando nella sua stanza personale, quando fece l’ingresso suo padre, portando con sé un grande rotolo. La giovane si inchinò, ma il Daishinkan le fece cenno di ricomporsi.
«Figliola, vedo che ti stai impegnando molto per diventare un ottimo Angelo guida… però, almeno in privato, noi due possiamo ancora salutarci come un tempo.»
A quell’invito la fanciulla, come se l’avessero appena liberata da una prigione, corse verso il padre e lo abbracciò.
«Sai, papà! Ti ricordi di Lady Amber, quella giovane elefante che mi hai fatto conoscere qualche giorno fa? Ha avuto un bel pargoletto dalla voce potente!»
La risposta del genitore non si fece attendere. «Sì, mi ricordo di lei. Ed è per questo che sono qui oggi: voglio che sia tu a portarle un messaggio dal grande Zen’ō.»
A quelle parole, Cus rimase sorpresa. Cosa vi era di così importante da riferire ad una persona apparentemente insignificante come Lady Amber? Era già la seconda volta che Zen’ō aveva qualcosa da dirle: che Amber in realtà stesse nascondendo un segreto?
Il Daishinkan le affidò il rotolo che stava reggendo tra le proprie mani, mostrando a sua figlia il contenuto. Sul rotolo vi era il sigillo del Consiglio Angelico e, all’interno del documento, la firma del grande Zen’ō. Fu allora che la piccola Cus capì cosa stava per accadere.

“Ordine del grande Zen’ō.
Alla morte di Lady Amber saremo lieti di affidarle suo figlio, con la speranza che un giorno possa diventare un grande Hakaishin.”



«Lo so: il Daishinkan mi ha appena riferito della decisione del grande Zen’ō, ancor prima del suo arrivo. Mi raccomando, si prenda cura di lui, anche se è il mio unico figlio…»
Amber stava cullando suo figlio quando riapparve al suo cospetto Cus. Quest’ultima notò nella donna qualcosa di diverso: sembrava più magra e più pallida rispetto a qualche giorno prima, quando l’aveva lasciata per tornare a casa. Non appena la sua presenza venne notata, Amber non esitò a sciogliere da quell’affettuoso abbraccio il piccolo e porgerlo a Cus.
«A-Aspetti, Lady Amber. Cosa sta… N-Non ho fretta: la prego, si fermi!»
Il gesto della donna colse di sorpresa l’angioletta. Quest’ultima sapeva che prima o poi glielo avrebbe affidato, ma non pensava che il passaggio sarebbe avvenuto immediatamente. Notando il dubbio insito negli occhi della giovane, Amber le disse: «Non mi resta molto da vivere, Lady Cus. Vedi, ora il piccolo sta dormendo e non voglio che sappia ciò che sto per dirti…»
Cus porse le braccia ma esitò nel voler prendere ciò che la donna le stava affidando. Con una punta di tristezza, Lady Amber continuò:
«… Sai, alla fine il parto non è andato proprio bene. Dal giorno successivo alla tua partenza ci sono state delle complicazioni e, vedi… non mi hanno dato molto da vivere. Perciò, non pensi che sia meglio per entrambi se mi liberi ora di mio figlio
Amber pronunciò l’ultima parte di quella domanda con l’angoscia nel cuore, che si stava palesando sottoforma di lacrime che a poco a poco stavano sgorgando dai suoi occhi.
Nessuna madre al mondo ha mai voluto negarsi la felicità di crescere un figlio, se voluto e desiderato da molto tempo. Ed era proprio il caso di Amber, la quale pur di non abbandonare suo figlio davanti ai suoi occhi, stava preferendo separarsi da lui in quel modo, mentre riposava placidamente.
«Abbia cura di lui, Lady Cus. Sono certa che saprà trasmettergli gioia e affetto anche da parte mia…»
«Ma…»
«… perché, anche se non lo vedrò crescere, continuerò a volergli bene!»
Detto questo, Amber lasciò completamente suo figlio tra le braccia dell’angioletta che, nonostante il grande peso, con l’ausilio dei suoi poteri riuscì a reggere il cucciolo. Cus la guardò con tristezza: l’ultima cosa che voleva fare in quel momento era l’allontanarsi dal suo capezzale.
«L-Lady Amber… Se c’è qualcosa che posso fare per lei, io---»
«Sei una brava ragazza. Sono certa che saprai prenderti cura di lui: mi fido di te. Adesso… andate: non voglio che mio figlio veda il momento in cui i miei occhi si chiuderanno per sempre.»
Amber sorrise, cercando di nascondere il più possibile il forte dolore che la stava divorando. Con un cenno del capo, invitò l’angioletta ad uscire da quella stanza: a quel punto, a Cus non restò altro che eseguire l’ordine che le era appena stato impartito, inchinandosi silenziosamente e attraversando l’uscio che divideva quella stanza dall’esterno.
Fu solo allora che il piccolo elefante riprese a piangere.
Con lui ancora in braccio, uscì dalla dimora correndo: nessuno di quelli che incontrò cercò di fermarla, né qualcuno sospettò di un possibile rapimento del figlio di Amber per chissà quali scopi.
Neanche per i sudditi della regina erano mai state un mistero le sue vere condizioni, e pertanto non mossero un dito per impedire a Cus di adempiere al suo compito, augurandole silenziosamente buona fortuna per l’importante avvenire che l’attendeva da quel giorno in poi.

Dopo essere giunta sul pianeta dove avrebbe allenato il futuro Hakaishin, l’angioletta si fermò, cercando di cullare il più possibile il cucciolo che le era stato affidato.
Ma il piccolo continuò a vagire, ignorando il fatto di essere stato teletrasportato in un altro luogo dove, volente o no, sarebbe stato costretto a vivere per lungo tempo.
«Suvvia, Lord Rumsshi: non faccia così… La mamma arriverà presto, vedrete!»
A quelle parole il piccolo elefante smise di piangere per qualche secondo. Cus se ne risollevò.
Naturalmente, il pianto riprese subito dopo, con un tono sempre più disperato.
Di fronte a tutto ciò, Cus continuò a cullarlo; tuttavia, vedendo che questo metodo non stava dando dei concreti risultati, si lasciò sfuggire un forte sospiro e decise di mettere a dormire il piccolo.
Si teletrasportò nella stanza privata del futuro Distruttore, avendo cura di adagiarlo delicatamente sul grande letto.
«Sa... Forse la capisco…» disse, mentre gli rimboccava le coperte e si sedeva accanto a lui. «Anche a me manca tanto il mio papà… e la mia mamma…»

Sua madre, chissà dov’era in quel momento. Una donna forte, coraggiosa e molto, molto affettuosa nei confronti dei figli; in particolare con Cus, l’ultima arrivata.
Il giorno in cui lei se ne andò, alla domanda della più piccola di casa, così innocente e spontanea allo stesso tempo… suo padre non seppe dare una risposta altrettanto sincera.
«La mamma… anche se non è qui fisicamente, è come se fosse ancora accanto a noi e ci pensa sempre,» le disse, accarezzandole la testa e sorridendole.
Seppur fosse ancora molto piccola, Cus notò subito che il sorriso del padre era in realtà colmo di menzogna. Lo sguardo dei fratelli maggiori, che cercavano in tutti i modi di nascondere la loro tristezza, fu un’ulteriore conferma.
Sua madre non sarebbe tornata, mai più.

Il piagnucolare del piccolo elefante la fece tornare alla realtà.
L’angioletta cercò di sorridere, ricacciando in gola le lacrime che stavano per uscire di fronte al ricordo della madre, e accarezzò dolcemente la proboscide del neonato.
«Questa notte possiamo dormire insieme, se ti va.»
A quel gesto così affettuoso il piccolo stava per scostarsi ma, non appena udì la voce dell’Angelo, si fermò. Smise di piangere, rivolgendo lo sguardo verso colei che aveva appena pronunciato quelle parole. Il suo dolce sorriso fu per il futuro Hakaishin una garanzia del fatto che, almeno lei, gli sarebbe rimasta accanto per il resto della sua vita.
I suoi occhi fissarono quelli di Cus, in attesa di un gesto o una parola da parte di quest’ultima. Lei, nel frattempo, non aveva smesso di accarezzarlo, e ad un tratto si sdraiò accanto a lui, decisa a mantenere quella promessa che gli aveva appena fatto.
«Ha davvero dei begli occhi. Azzurri, come me!» disse la piccola allegramente, portando la sua mano vicino al volto dell’elefante. «Vede: il colore della mia pelle è azzurro, e i suoi occhi lo sono altrettanto!» Poi prese dal comodino posto accanto al letto uno specchio rotondo, e lo mostrò all’elefante.
Il neonato restò in silenzio e non si mosse di un millimetro, continuando a fissare l’angioletta.
«Ah, già. Le chiedo scusa, ha ragione: è appena nato e per questo le sue capacità visive sono ancora molto limitate,» mormorò, abbassando lo specchio con fare triste.
All’improvviso le venne in mente un’idea, con la quale probabilmente sarebbe riuscita a rendere felice il piccolo elefante.
«Ho trovato! Le canto una ninna nanna, così ci addormentiamo tutti e due… Insieme!» Dallo stesso comodino da cui aveva preso lo specchio, Cus recuperò un fazzoletto di stoffa, e agitandolo dolcemente iniziò ad intonare una melodia rasserenante per il nuovo arrivato.
A poco a poco, seguendo il movimento oscillante del fazzolettino, Rumsshi avvertiva le palpebre farsi sempre più pesanti, sempre di più man mano che ascoltava quella ninna nanna così rilassante, finché, senza neanche accorgersene, chiuse del tutto gli occhietti e si addormentò quietamente.
Di fronte a quella scena, l’angioletta tornò a sorridere e si raggomitolò accanto al neonato, intonandosi poi un’altra ninna nanna, ma a voce più bassa per non svegliare il piccolo. Questa volta, la melodia era quella che sua madre le cantava sempre per farla dormire.
Lentamente, chiuse i suoi occhi, mentre una lacrima iniziava a bagnare la sua guancia.
«Mamma…» sussurrò, prima di prendere sonno.


---


«Lord Rumsshi. La prego di svegliarsi, altrimenti faremo tardi.»
Anche secoli dopo, nulla sembrava essere cambiato sul lontano pianeta degli Hakaishin dell’Universo 10. Sebbene fisicamente l’angioletta sembrasse non essere cresciuta di un millimetro, e viceversa quel piccolo elefante fosse diventato più alto e più robusto, la situazione era rimasta sempre la stessa tra loro.
Nei primi tempi, Cus aveva creduto che quel tratto burbero e pigro che sembrava caratterizzare il giovane elefante avesse rappresentato solo una fase della crescita del Distruttore. Tuttavia, col passare del tempo, dovette ricredersi.
Rumsshi era pigro di natura.
L’angioletta sospirò. Che figura avrebbe fatto di fronte a suo padre e al grande Zen’ō se il suo Dio della Distruzione… non aveva voglia di distruggere?
In passato era giunta a chiedere aiuto al più giovane tra i suoi fratelli, Whis, ma di recente anche lui era piombato in una situazione molto simile alla sua.
«Beata te, sorellina. L’ultimo Dio della Distruzione che mi hanno assegnato pensa solo a dormire tutto il giorno, e non appena si sveglia pretende solo del cibo! Oh, cielo: mi chiedo come farà a gestire i compiti della distruzione nel suo Universo di questo passo…» le disse nel corso di una conversazione a distanza, prima che il suo Hakaishin gli strappasse lo scettro e per dispetto chiudesse la linea.
Da allora Cus non si era più azzardata a chiedergli consigli. Aveva compreso che, probabilmente, Whis stesse avendo a che fare con un problema più grande del suo. E, per quanto stesse per fare lo stesso anche con Vados… al solo udire la frase «Mi hanno appena dato il compito di allenare l’Hakaishin gemello di quello di Whis» aveva deciso di rinunciare in partenza.
Dopo quella conversazione, aveva poi pensato di contattare la sorella più grande, Martinu… ma quest’ultima continuava a ripeterle: «Puoi farcela da sola, non preoccuparti! Sei molto brava e lo educherai a dovere!»
… Grazie, sorellona. Con un tipo come Geene hai avuto solo vita facile. - aveva pensato Cus con sarcasmo.
Per non parlare di Korn, il maggiore: ogni volta che si sentivano, lui era sempre coinvolto in una sessione di allenamento con Liquiir, suo Hakaishin, e per questo non riusciva mai a parlarne con tranquillità. Sempre, ogni volta.
All’appello di famiglia era rimasta solo Marcarita. Aveva provato così a mettersi in contatto con lei, ma per qualche strana ragione era sempre impegnata e non riusciva mai a rispondere alle telefonate. Con molta probabilità, il suo piccolo Dio della Distruzione aveva richiesto, ancora una volta, di volare intorno alla sua dimora perché “da grande voleva diventare un supereroe e sconfiggere il male!”
A quel punto, l’angioletta dovette rassegnarsi. Non le restò altro da fare se non richiamare alla sua memoria ciò che i fratelli le avevano detto a proposito del suo compito.
A differenza loro, per lei era la prima volta… e, in quanto tale, non poteva permettersi di fallire.

«Le ripeto per l’ultima volta. Si alzi.»
Reggendo saldamente il suo scettro tra le mani, Cus pronunciò con una voce imponente quell’ordine. L’elefante non si mosse minimamente e, anzi, aveva ripreso a russare.
L’angioletta cercò di non perdere la calma.

Come aveva detto Martinu, in casi del genere? “Mai perdere la pazienza con un Dio della Distruzione, mai.”
E Korn… ecco, non ricordo. Forse non mi ha ancora detto nulla a tal proposito, sempre impegnato com’è…
Il consiglio di Whis: “Lascialo stare. Accontentalo in ogni sua richiesta.” E la sorellona Vados aveva aggiunto: “Dagli da mangiare, e vedrai che ti ubbidirà!”
Marcarita: “Gioca con lui.”
… Gioca con lui. Gioca, sì.
Ma… se dorme, cosa faccio? Come farò a svegliarlo?


Nessuno di quei consigli le venne in aiuto. Sospirò, lasciando quella stanza e dirigendosi in cucina per preparare il pranzo per entrambi.
O forse era più giusto dire “solo per lei”, dato che l’altro non si decideva a svegliarsi.
Ad un certo punto, mentre si era recata nella dispensa per prendere delle spezie, aveva notato in un cesto delle piccole mele rosse.
Mele…
Dopo qualche secondo, nel fissare quelle mele di un rosso vivace e che sembravano così succulenti, Cus ebbe un lampo di genio.
«… Vero! Lord Rumsshi è un elefante, del resto, un erbivoro: di sicuro le apprezzerà!»
Prese tutto il cesto e corse al capezzale del Distruttore, esclamando a gran voce: «Se non si alza entro due secondi, queste succulenti mele finiranno dritte dritte nella mia pancia!»
A quel richiamo, in meno di un secondo l’elefante si alzò e stava per strappare il cestino dalle mani dell’angioletta, che con una grande velocità lo ritrasse all’indietro e, sorridendo, scosse la testa.
«Eh: no-no, Lord Rumsshi!» gli disse. «Prima si deve allenare, si ricorda? Al termine, se si sarà comportato bene e avrà seguito i miei ordini, potrà mangiarne quante ne vuole!»
Il futuro Dio della Distruzione mise il broncio e incrociò le braccia. «Cus, non iniziamo con i ricatti.»
«E invece inizio. Si ricordi che deve fare tutto ciò che io le dirò.»
«Tu…»
Rumsshi diede un profondo sbuffo. Sebbene fosse testardo, comprese che non era il caso di ragionare con il suo Angelo… se davvero ci teneva a quelle succulenti mele.
«… D’accordo. Dimmi cosa devo fare.»
La giovane sorrise soddisfatta. Pose un dito sotto il suo mento con fare pensieroso. «Dunque, Lord Rumsshi: per prima cosa…»


… Appunto.
Cosa non avrebbe fatto Rumsshi, il futuro Dio della Distruzione dell’Universo 10, di fronte a quell’appetitoso premio?
Si promise che avrebbe fatto di tutto, tranne una cosa. Quella che odiava di più al mondo, e che in quella circostanza si ritrovò costretto a fare.
Meditare.
Ed eccolo lì: seduto al centro della sala d’allenamento del palazzo, gambe incrociate nella posizione del Loto, occhi chiusi e mente svuotata da ogni pensiero come da prassi, mentre la piccola Cus passeggiava intorno a lui, battendo il suo scettro ogni quattro passi e mormorando delle strane parole nel linguaggio degli Angeli.
Certo che, con gli occhi chiusi, sto avendo una leggera sonnolenza… pensò il possente elefante rosa, mentre a poco a poco la sua testa iniziò a calare sempre più verso il basso. Il sonno lo stava lentamente dominando, al pensiero che tutto ciò che stesse vivendo era solamente noioso.
Avrebbe preferito correre, urlare con il suo solito impeto, distruggere qualcosa… qualunque cosa, appunto, pur di evitare quella noia più grande con la quale avrebbe dovuto avere a che fare di tanto in tanto.
Un colpo secco che piombò sulla cima della sua testa fu il segnale del brusco risveglio del futuro Hakaishin.
«Si ricordi: niente sonnellini!» sentenziò la graziosa fanciulla angelica con uno sguardo corrucciato.
«Ma io mi sto annoiando!» urlò Rumsshi, aprendo gli occhi e sbattendo le mani sul freddo pavimento di quella stanza.
Cus osservò la scena senza cambiare espressione. «Se lei continua a comportarsi così, difficilmente potrà diventare un Dio della Distruzione.»
L’elefante diede un forte sbuffo. Lui voleva davvero diventare un Hakaishin… solo che non immaginava che sarebbe stato così arduo!
«… Cus. Dimmi solo una cosa.»
«L’ascolto.»
«Com’era… la mia famiglia? I miei genitori… Avevo qualche fratello o sorella? E tu… anche tu avevi una famiglia prima di venire qui?»
Quella serie di domande sembrò essere saltata fuori dal nulla.
L’angioletta non sapeva bene cosa dire: in fondo, parlare della famiglia del suo compagno sarebbe stato un po’ complicato. Per non parlare della sua: cosa gli avrebbe detto, con un padre sempre impegnato con il suo lavoro legato al grande Zen’ō, e i suoi fratelli e sorelle coinvolti già nei loro doveri di attendenti delle loro rispettive divinità?
Eppure, nonostante ciò…


«Guarda, papà: Cus ha appena aperto gli occhi! È bellissima!»

«Certo che a momenti ci stava stordendo con il suo barrito! È appena nato, ma sa farsi valere…»




«Ti raccomando, ascolta sempre i consigli di tuo padre. Ricordati che papà ha vissuto molte esperienze: di sicuro lui saprà dirvi cosa è giusto fare nel momento del bisogno.»

«Lo so: il Daishinkan mi ha appena riferito della decisione del grande Zen’ō. Mi raccomando, si prenda cura di lui, anche se è il mio unico figlio…»




«Vi voglio bene… figli miei!»

«… perché, anche se non lo vedrò crescere, continuerò a volergli bene!»




«Papà… dov’è la mamma? Perché oggi non è a letto? Sta bene adesso?»

«Bwaaaah!»




«La più straordinaria che lei possa conoscere, Lord Rumsshi.»
Il futuro Distruttore rimase sorpreso da quell’affermazione. Davvero la sua famiglia era così straordinaria? Oppure la giovane stava facendo in modo di nascondergli una crudele verità dietro a quelle poche parole così colme di elogio?
«Quale delle due, la mia o la tua?» le chiese.
Cus fu diretta nel rispondergli. Chiuse gli occhi e sorrise.
«Entrambe.»


---


Trascorsero altri secoli, e giunse il momento della nomina di Rumsshi a Dio della Distruzione del Decimo Universo. Di lì a poco il possente elefante si sarebbe ricongiunto alla sua maestra di sempre, Cus, e avrebbe incontrato colui al quale sarebbe stato legato per il resto dei suoi giorni, cioè il futuro Kaiōshin.
Mentre attendeva - con un leggero nervosismo - l’arrivo del suo Angelo, così come quello del Kaiōshin che sarebbe stato suo alleato da quel giorno in poi, davanti a lui si materializzò in un nonnulla il Daishinkan, accompagnato nientemeno che dalla figlia minore.
«È un piacere rivederla, signor Rumsshi. O, come la chiamerò d’ora in avanti, Lord Rumsshi.»
Il Distruttore gli rivolse un silenzioso inchino: aveva imparato (seppur con grande fatica, agli inizi) a rivolgere il dovuto rispetto a Zen’ō e al suo seguito, compreso il Gran Sacerdote.
Quest’ultimo rispose al formale saluto con un altro inchino e, prima di svanire nuovamente, gli rivolse queste parole: «Nel frattempo che vado ad accogliere il vostro Kaiōshin all’ingresso, le affido Lady Cus. Mi raccomando, la tratti con rispetto… anche se immagino che saprà già come comportarsi nei suoi confronti.»
Alla scomparsa del Daishinkan, Rumsshi rimase in silenzio. In quel momento Cus divenne l’ultimo dei suoi pensieri, mentre la sua mente iniziò a fantasticare sull’identità del Kaiōshin che avrebbe incontrato di lì a poco.
Sarà alto e robusto come me? Oppure basso e mingherlino come Cus? Mi porrà il dovuto rispetto, oppure sarà un autentico mascalzone?
… No, impossibile: Cus ha sempre detto che in generale i Kaiōshin sono tutti leali e di buon cuo---


Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da un’improvvisa stretta di mano che Cus rivolse al suo partner.
«Prima che arrivi il nostro Kaiōshin e fare amicizia con lui, mi prometta una cosa.»
N-Non di nuovo! Di solito le sue “promesse” riguardano il fare esercizio fisico e studiare… Non ci sto!
Nonostante la sua mente stesse gridando una serie di imprecazioni contro l’ipotetica “promessa” alla quale stava pensando l’elefante rosa, il sereno sorriso di Cus, libero da qualsiasi bricconeria e furbizia, non permise di fargli esprimere a parole tutto quello che voleva dire.
L’angioletta strinse le proprie dita intorno a quelle dell’Hakaishin, e lo guardò negli occhi.
«Mi prometta che, qualunque cosa accadrà d’ora in poi, noi due staremo sempre insieme.»
«Questo è poco ma sicuro,» la interruppe Rumsshi. «Dubito che mi lascerai libero di fare ciò che voglio, dato che da oggi mi sorveglierai ancora più di prima.»
«N-Non intendevo questo!»
La risposta di Cus lo colse di sorpresa. Notò che, nonostante il sorriso che lei stava cercando di tenere, gli occhi della giovane divennero lucidi.
«Io e lei siamo cresciuti insieme… come una famiglia, non trova? Perciò, mi impegnerò per restarle accanto e continuare a condividere con lei tante altre belle esperienze. E, nei momenti di difficoltà… sappia che può contare sul mio sostegno. Su questo ha la mia parola!»
Rumsshi la guardò negli occhi per circa un minuto, restando in silenzio. Poi, di scatto, allontanò violentemente la sua mano da quella della ragazza e si discostò da lei, mettendosi poi alle sue spalle.
«Sei troppo sentimentale, Cus. Andiamo, non ci sarà bisogno di tali promesse!»
L’angioletta rimase scioccata. Aveva vissuto al suo fianco per tanti secoli, e quello era il suo modo di ringraziarla? Ammise a se stessa che, di certo, non si aspettava un abbraccio caloroso… ma almeno un come risposta lo aspettava, eccome!
Però, sapeva che Rumsshi aveva ragione: lei si lasciava ancora sopraffare dalle emozioni, e questo non andava bene per un Angelo, che invece doveva essere abituato ad essere il più possibile inespressivo e incurante di ciò che sarebbe accaduto intorno a sé.
Lasciò cadere le braccia lungo il suo corpo, basita da quel che le sue orecchie avevano appena udito.
Ad un tratto, da lontano Cus notò l’arrivo di due figure che, a poco a poco, si stavano avvicinando a loro. L’una era quella di suo padre; l’altra era quella di un essere che ancora non conosceva, ma le fu facile intuire che si trattava di colui che il duo delle divinità dell’Universo 10 stava aspettando.
«Dopotutto…»
Cus sentì quell’ultima parola dietro di sé. Si voltò, e vide il suo Hakaishin ancora di spalle, ma con il volto rivolto verso di lei, mentre gli stava rivolgendo un sorriso compiaciuto.

«Noi due siamo già una famiglia, perciò… niente e nessuno potrà infrangere il nostro legame!»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Prima di tutto, si ringrazia la sacrosanta Treccani per averci gentilmente fornito il significato del termine “dolore”.
Per il resto, quando ho scritto del metodo di Cus per far addormentare il piccolo Rumsshi, qualche mese fa mi sono imbattuta in questo video, dove una donna tailandese riesce a far addormentare gli elefanti agitando un fazzoletto di stoffa e cantando. Vi immaginate un Rumsshi da adulto che si addormenta in questo modo con Cus? Scommetto che farà tremare l’intero suo palazzo mentre si appisola, ahahah X’D
Per il resto, all’inizio della storia probabilmente per molti di voi il Daishinkan vi sarà sembrato leggermente OOC. Non l’abbiamo mai visto triste o in lacrime, però ho immaginato che anche lui (al di là del suo status di Angelo) fosse in grado di provare dei sentimenti nei confronti di chi ha amato per buona parte della sua vita. Perciò, ecco il pianto e la disperazione di fronte all’imminente perdita di sua moglie - fortunatamente per coloro che sperano che lui abbia un animo di ghiaccio, solo in privato e nella sua mente. ;)
Infine, passiamo al nome della madre di Rumsshi, Lady Amber. Beh, "Lady" perché l'ho immaginata di origini regali - o che, comunque, abbia fatto parte della famiglia regale delle terre nelle quali ha vissuto - mentre "Amber" ha un doppio riferimento: sia all'ambra (come pietra preziosa o al suo straordinario colore), sia... ecco, al rum! Ero alla ricerca di un nome che potesse ricollegarsi a quello di Rumsshi, e alla fine ho trovato il "rum oro", chiamato anche Amber, e conosciuto anche come "ambrato" di colore rame chiaro. Dato che non sono amante di alcolici, per qualsiasi approfondimento vi rimando direttamente alla pagina di Wikipedia!
Alla fine di questo breve commento, un ringraziamento speciale va a coloro che hanno avuto la pensata di inserire e di votare “Cus” nella lista dei nuovi personaggi. Non so chi siete, ma vi ringrazio per questa splendida idea! <3 (E se qualcun altro vuole lasciare un voto per lei, è libero di farlo!)
A presto, arrivederci alla prossima storia!
--- Moriko

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