The Dragon

di queenjane
(/viewuser.php?uid=758690)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Darkness ***
Capitolo 2: *** After Spala (Achilles's Song) ***
Capitolo 3: *** 1913 (I Part) ***
Capitolo 4: *** 1913 (II Part) and 1914 ***
Capitolo 5: *** 1914, Adieu ***
Capitolo 6: *** My Dragon ***
Capitolo 7: *** 1915 -I Part ***
Capitolo 8: *** 1915-II Part ***
Capitolo 9: *** 1915 III Part Not To Say Goodbye ***
Capitolo 10: *** 1915 IV part ***
Capitolo 11: *** 1915 Last Part ***
Capitolo 12: *** Liebe (Amore) ***



Capitolo 1
*** The Darkness ***


“Catherine, raccontami una storia”chiedeva il piccolo Alessio, erede al trono di tutte le Russie, atamano di tutti i cosacchi alla principessa Raulov, prediletta amica di sua sorella, Olga, nate nello stesso anno,  erano inseparabili.
Appellata principessa Sherazade, principessa cantastorie, tale era la sua sapienza narrativa, mille e una ne raccontava e pensava, nel corso degli anni rappresentò a voce forse mille fiabe, ma il fragile, emofiliaco bambino ne amava una in particolare.
 Nei tempi remoti, viveva nelle terre di Tule, che dicevano essere l’ultimo confine conosciuto degli antichi regni, viveva, appunto un drago, verdi come smeraldi le sue scaglie, rossi gli occhi, una coda lunga venti metri, con ali per volare da un confine all’altro del regno, ne era il custode, un guardiano. Era immenso, forse il più grande esistito in quei luoghi, e nel passato e nel futuro.

( La storia del dragone l’avevi già inventata. Per Olga)

" Dunque, nei tempi remoti, nelle terre di Tule, che dicevano essere l’ultimo confine conosciuto degli antichi regni, o nel Catai, decidi tu, vivevano un re ed una regina. Lui domava i cavalli, come Ettore di Troia, combatteva tutte le guerre, vincendole sempre, mentre la regina era bionda, dolce e buona. 

(Parole su parole, tutte le avventure di questa vita così lunga le ho vissute per te? Volevamo vedere il mondo, conoscere nuovi posti, essere  parte del tutto, uniti come due foglie su uno stesso ramo, ci sono riuscita, un poco? Mi mancate, oggi come allora)


"I principi erano due, un maschio ed una ragazzina che a sentire lui era un maschio mancato, quando il re era assente, invasero il regno, ma il principe combatté, trasformandosi in un drago possente, verdi come smeraldi le scaglie, occhi rossi, lunga venti metri la coda, ringraziando la principessa sua sorella, che aveva trovato l’incantesimo, lui la proteggeva, tranne che a quelle cose badava lei.
Alla fine, lo chiamarono dragone, tanto era intrepido e potente. Ti piace lo so, quindi che è quello sguardo?

" Hai scordato una cosa, questa la preciso io." Le parole roche, mi sfiorò la guancia.

" La principessa, Catherine, all’occorrenza poteva diventare il dragone della leggenda, non era un maschio mancato, semmai era una Amazzone, per combattere, fosse successo qualcosa al principe, ma anche no, in caso contrario, era brava"


"Sai, magari, il principe diceva che doveva combattere sempre, con onore, per proteggere chi amava, senza arrendersi mai, alla fine divenne il dragone della leggenda, IL VERO DRAGONE, che amava le risate e l’azzurro e LE ROSE. "
 
Alla fine, l’ho sempre portato dentro di me, Alessio, che eri un combattente nato, solo la morte ti ha sconfitto. 

E lo zarevic amava poi dire che era come Achille, un guerriero invulnerabile, intanto me lo caricavo addosso,  lieve e delicata, sullo sfonfdo mazzi di delicati boccioli candidi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** After Spala (Achilles's Song) ***


La prima parte ha come voce narrante Alexei, la seconda Catherine.
 
“Quando si muore, si smette di provare dolore?”parlavo così piano che dovesti accostare l’orecchio al mio viso. Eravamo a Spala, nell’ottobre del 1912, uno dei miei peggiori attacchi di sempre, il dolore così forte che la morte  sarebbe stata una liberazione, un paradiso.  Non ne potevo più, alla lettera. Mi raccontarono poi che la servitù si doveva mettere il cotone nelle orecchie per svolgere le sue mansioni, le grida di dolore e i rantoli provocati dallo sforzo di respirare passavano i muri della villa. Non che fossi molto presente, la maggior parte del tempo ero semi incosciente, girato sul fianco e la gamba sinistra contorta, il viso esangue.  E stavo un filino meglio, quando ti feci quel discorso, CAT; meglio rispetto a quanto sopra, chiariamoci, almeno un poco.  Il giorno prima eri venuta,  mi avevi raccontato qualcosa, ero riuscito ad assopirmi.
“Penso di sì, ma nessuno è mai tornato a raccontarlo. Un filosofo greco raccontava che è come dormire e poi ci si ritrova dinanzi a un fiume, dentro una grotta, e che se bevi quell’acqua dimentichi tutto e poi rinasci .. Lasciamo stare, ora mi metto a raccontarti del Lete e dei soldati. Anche Achille, sai, il leggendario guerriero venne immerso da sua madre in un fiume speciale, da renderlo invulnerabile, tranne che in un punto ..” ti sorrisi, a malapena un incresparsi di labbra, percepii che mi sfioravi una mano.. Cat. Non piangevi, avevi le occhiaie fino al mento e il viso scavato, quando stavo male non volevi toccarmi, avevi paura di farmi male anche non volendo, quell’estate era stata una eccezione. Lo sai quanto ti voglio bene? A parole, nei fatti lo sapevo che mi adoravi, quando ero in forma, non facevo pari a giocare con te, abbracciarti, riempierti di baci e dispetti, anche se ci dividevano quasi dieci anni.  Ricambiavi, a volte parevi tanto più bambina di me. 
E sopravissi, anche se mi avevano dato l’estrema unzione, avevo superato ogni previsione, anche me stesso, poteva essere ..pacifico, eppure .. la vita mi piaceva, la amavo anche se potevo fare molto poco. Attento, non giocare troppo forte, bada agli urti .. E i lividi, il sangue che non coagulava, il dolore su nervi e giunture e febbre e delirio.. le conseguenze fatidiche e malefiche, bastava un nulla e .. Un momento era a fare chiasso con le mie sorelle, quello dopo ero piegato dal dolore. Mia madre diceva che le preghiere di padre Grigory mi aiutavano, ma .. per quello che avevo non vi era cura, ho passato mesi, anni, a fingere di dormire, i miei genitori e i medici che parlavano sopra la mia testa, come se fossi un idiota. Ero malato, mica scemo, trattarmi sempre come un bambino piccolo o un infermo alla lunga mi riempiva di rabbia. Potevo solo cercare di stare bene.
Ricordo un pomeriggio di fine dicembre, a Carskoe Selo, fermo su un divano ascoltavo le gesta di Achille, l’assedio di Troia e compagnia, TU eri vestita di chiaro, chiffon,credo,  i capelli raccolti sulla nuca, un raggio di sole faceva diventare color rame e bronzo le ciocche.  Una coperta buttata sulle gambe, che celava un arto stretto da un apparecchio ortopedico, per raddrizzarlo, camminavo male e a fatica, mi dovevano sostenere e mi aggrappavo ai mobili, alle pareti, ogni mossa un affanno. E l’apparecchio ortopedico era un arnese di tortura, lo tolleravo come i bagni di fango eccetera per far tornare dritta la gamba. La coperta celava anche il pannolone che portavo, cercavo di non pensarci., ormai lo tenevo a giornate e lo odiavo, era necessario, che non mi reggevo in piedi, ma si poteva evitare di cambiarmelo accompagnando il tutto da smorfie e sussurri, come se fossi un bebè, avevo 8 anni, mica due mesi..
Lo sbuffo divertito di Olga, che si mise a parlare degli dei greci e romani, Atena e Apollo, forse.
E poi “Il Dio del Regno dei Morti era Ade, giusto?”
“Giusto, Alessio.”
“Allora, Zeus governava la terra, Poseidone il mare e Ade gli inferi.”
“Per la mitologia sì. “ ti avevo anche chiesto di riferire che, ove fossi morto, che costruissero un monumento di pietre nella foresta per ricordarmi.
“E come divisero le cose? Ci fu una guerra o se la giocarono, tipo con le monete o..”
“Una guerra, la lotta tra i Titani. “
“Che tristezza, erano tutti fratelli e esclusero l’ultimo.”
“Sono vecchie storie, Alessio, lo sai vero.” 

“ Ade era il dio più potente, che il suo era l’ultimo regno.  E lui non aveva paura. Mi piace, cosa credi, lui era forte e coraggioso come Achille. Io sono come Achille.. Credimi.”
“Ci  credo.”






Nessun marinaio infermiere o tate erano in giro, per un’oretta rimanemmo  in pace, quando percepii un colpo di tosse.
La zarina.
Da quanto tempo ascoltava?
Feci finta di nulla, come Olga, diedi un bacio a Alessio sulla guancia, pregando che andasse bene.
Un piccolo cenno delle falangi, andai fuori a passi lenti, nel corridoio.
“E così gli insegni i miti e la storia.”
“Con rispetto, maestà.” senza implorare scuse o altro, che male avevo fatto?
Meglio le storie di Achille e le poesie di Omero rispetto alle divagazioni del suo santone siberiano, che diceva che il mondo era una favola,  che bisognava amare le nuvole che vivevamo in esse e simili, era quasi analfabeta ma con le parole ci sapeva fare, era un istrione, per la definizione più gentile.
Alessandra sorrise, non fece nulla.
“E’ una bella cosa, lui vuole essere come Achille, forte, senza paura. “senza aggiungere altro. Anche lei, come Teti, voleva rendere invulnerabile suo figlio, dargli un regno intatto, gloria e salute, poi rimasero solo silenzio e rovine.
Mi inchinai e tutto scemò nel silenzio, poi mi richiamò “Vieni nella mauve room” E adesso?
Entrai nella famosa stanza malva e grigia, annotando il profumo dei freschi fiori di serra, il fuoco che scoppiettava gaio. Doveva dirmi qualcosa, decodificai, era da Spala, per quanto concentrata su Alessio avevo notato come mi osservasse, come se volesse sapere qualcosa e non osasse chiedere. Negli anni avevamo trovato un modus vivendi, per non urtarci a vicenda, tranne che..  “Qualcuno ti ha mai chiesto cosa ha?”
Scrollai la testa, avevo sempre evitato, se percepivo morbose curiosità cambiavo argomento o non rispondevo, la tecnica del silenzio
“E cosa pensi che abbia..?” l’emofilia e lo avevo saputo per altre vie e mi sarei tagliata la lingua, piuttosto che ammettere che avevo costretto Olga a dirmelo, forzandola senza rimedio
“Non è di mia spettanza” alzai il viso e lesse la sincerità
“Va bene”
.


“Che fai?”Risi ai primi del nuovo anno, il 1913, lo sguardo ballerino.
“Voglio andare fuori”
Una risata per dire, Alessio non sopportava di vedere le lacrime sul viso delle sorelle o della madre, includeva anche me nella sua predilezione.
I soliti veti, non poteva fare nulla, si stava riprendendo, l’immobilità lo angustiava come l’apparecchio ortopedico stretto intorno alla gamba o le premure incessanti.
“ E NIENTE STORIE”
“Figurarsi se le so, manco le inventassi” Ironizzai.  “Vuoi giocare a carte?Uscire non credo, senti che freddo”Mi ruppi i palmi nell’aprire una finestra, o quasi.
L’aria invernale fluì per qualche istante,  possibile che quelle finestre fossero sempre inchiavardate... O nessuno le apriva in quelle stagioni, di certo nessuno tranne che una principessa si sarebbe reputata degna di fare quanto di spettanza di una cameriera.
Era caduta la neve.
Gli raccontai, intanto, che ai tempi la zarina Caterina II aveva visto un bucaneve sfidare la neve in dicembre, fuori stagione, e aveva lasciato una guardia a vegliare quel fiore sottile  e delicato.  Sbuffò, dicendo che il mio era un vizio, poi mi tese le mani.
“Prendimi in braccio e fammi respirare un poca d’aria, prima di richiudere”
“Non posso, non voglio farti male, non sono in grado” in rapida successione.
“Non ti fidi di te e di me, invece. Prova, per favore” Scossi la testa, valutando che aveva l’apparecchio ortopedico, sarei stata avventata, se mi fosse caduto? E incurvò un poco le spalle.
“Lascio aperto per qualche minuto, almeno respiri, un compromesso”
“E va bene. Ma quella del bucaneve te la sei inventata!!” a mezzo tra l’essere desolato od irritato.
“Credo sia vera. Mi spiace, davvero, non me la sento”
“Tu non hai fiducia, te lo ripeto. Ma va bene”Il mio Alessio, in apparenza prigioniero delle sue fragilità, prendeva le misure, aveva indovinato su tutta la linea.
Richiusi, intanto, la mia schiena e le braccia impegnate in quel compito che competeva a una cameriera, per guadagnare tempo, gli chiesi di nuovo a cosa volesse giocare.
Ero alta e sottile, le iridi scure come onice, con poche curve, scarno il petto e snelli i fianchi, il contrario delle bellezze che si apprezzavano in genere, bionde, rubiconde e paffute, avevo preso da mia madre, pur se i tratti erano più marcati, più scure le avvenenze, differente in tutto e per tutto, come lei.
La diversa, la spagnola, epiteti dati con una sfumatura di sarcasmo, alle mie spalle, o sussurrati in modo che sentissi, tant pis, pazienza, loro non avevano come amiche Olga o le sue sorelle.
O invidia, mi paragonarono a una ninfa in versione di bruna, a charming brunette, che ero bella, come una principessa orientale, sottile e meravigliosa.
“E poi a carte.." 
“ Sì”
“Secondo te, starò bene per il tricentenario?”
“Mi auguro di sì, zarevic..” Rispetto a Spala eravamo un pezzo avanti, e non azzardavo previsioni. Per il centenario della battaglia di Borodino (1812-1912), russi contro francesi, era apparso smagliante e giocoso, nella sua uniforme su misura, un promettente erede al trono, sicuro e sorridente, nella cerimonia rievocativa sulla spianata. E poi si era inchinato con perfetta modestia, quando veniva posta la prima pietra di una cattedrale sul luogo della battaglia.
E nel 1913 ricorrevano i festeggiamenti per i primi 300 anni da quando Michele, primo zar dei Romanov, aveva preso il potere, un serio impegno.
“Lo dici per farmi contento”enunciò.
 “Lo spero, Alessio, di tutto cuore, guardami, ti ho mai detto balle volontariamente o preso in giro?”
“No” Non ancora, avrei rimediato poi, purtroppo per noi. Quindi gli raccontai qualcosa su Achille, Alessandro Magno e il suo mitico cavallo, Bucefalo. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 1913 (I Part) ***


Nel gennaio 1913, poco dopo i miei 18 anni, il mio mondo andò in frantumi, come un uovo di Fabergè, prezioso e delicato, una volta rotto più non si ricompone. E  appresi la coesistenza, nel medesimo giro di danza, di rabbia e tristezza e la potenza salvifica della passione.
E forse potevo capire il principe Raulov, ma non giustificava quello che aveva fatto a me e mia madre, o forse lo ignorava.
Pensieri ossessivi e dolorosi, mi veniva da piangere e mi imponevo di sorridere.
Continuai a visitare la famiglia dello zar, a sorridere, giocare con Alessio, che si sottoponeva a cicli di dolorosi massaggi e bagni nei fanghi termali, massaggiandogli le mani fredde, sussurrando in francese e in inglese che era un eroe, un piccolo Achille.
Il mio combattente.
Che voleva godere la vita, non tollerava restrizioni  e la malattia era una condanna, da quando era nato, la mia era invisibile, un anatema, l’essere una  probabile bastarda, come avevo appreso, lettere appassionate sancivano una relazione che datava all'epoca del mio concepimento.
.
Mi sentivo una bara, una giocoliera, Felipe, il mio antenato, ritornava come un monito. Nato fuori da legittime lenzuola, suo padre nobile, la madre una contadina,  aveva visto la luce in Spagna, salvo passare alla corte di Caterina II, aveva combattuto, guadagnandosi una sorte diversa e i suoi titoli, sposato una principessa russa, salvo poi sposarsi in seconde nozze per amore.
Aveva forgiato una dinastia nelle terre dell’est, io che discendevo da lui potevo e dovevo agire. Non rimanere una foglia in balia della sorgente, me ne sarei andata, inventando una nuova sorte.  Al diavolo tutto. Compreso Alessio che mi cercava sempre, il suo viso deluso e le sue braccia vuote le scordai, anzi le omisi.  Tanto, si meritava di meglio che sprecare il tempo con me.
Egoista fino alla mia ultima stilla.
Che poi lui mi avrebbe amato, a prescindere, i bambini sanno sempre perdonare, inventano un loro magico mondo. Anche no, lui poi rilevava che gli badavo sempre, che gli volevo bene, se ne stupiva e viceversa.
“Catherine” serissimo.
“Dimmi, ti serve qualcosa?” mi misi alla sua destra, gli massaggiai la schiena, in automatico, scacciai i pensieri per dedicarmi a lui, a stare sempre su quel divano si stava chiaramente scocciando. E camminava ancora male, si doveva aggrappare ai mobili o essere sostenuto, Deverenko e Nagorny, i suoi marinai barra tate, lo portavano in braccio, se non usava la sedia a rotelle o un bastone. Alcune volte ci pensava Marie, sua sorella, a portarlo in giro, in braccio, salvo piazzamerlo  spesso in grembo, lo serravo delicata e paziente, lo amavo sempre. E lui mi voleva bene, lo so, anche se non gli pareva possibile, e viceversa, ripeto, una predilezione continua e costante, reciproca.
“Una spiegazione..”
“Su.. “
“Cosa è la domenica di sangue, quella del 22 gennaio 1905.?”in un fiato, circospetto, come se non volessi farsi sentire.
 “Possibile che ascolti tutto.. “ esasperata, che gli dovevo dire.. La verità.
“Urlavano .. Papa no, ma uno dei suoi consiglieri, dicevano delle persone.. di quella domenica.. “
“Perché sei così curioso..” Sempre. E quello glielo avevo insegnato io, di chiedere e ben pochi gli rispondevano, considerandolo troppo piccolo. Era malato, non stupido, era acuto.“ E va bene, te lo dico, solo che sono cose delicate, e.. “avrei fatto meglio a tacere e tanto avrebbe chiesto fino allo spasimo, senza risultato e si sarebbe incaponito in maniera peggiore “.. non avevi nemmeno sei mesi, si erano verificati dei disordini per l’epifania,” ovvero un attentato a suo padre, era partito un colpo di cannone che aveva frantumato le finestre del palazzo d’Inverno, io e Olga ne sapevano qualcosa, delle schegge di vetro ci erano piovute addosso, per miracolo non eravamo rimaste ferite. “.. insomma,  erano proibiti gli assembramenti e ci fu questa marcia, Alessio, davanti al Palazzo d’Inverno” solo che gli zar erano a Carskoe Selo, al palazzo di Alessandro “.. 12.000 persone, per lo più lavoratori,  operai, che chiedevano salari più equi, un minimo,  lavorare 8 ore al giorno e non 14 o16, un giorno di riposo a settimana .. “ Mi interruppi, il peggio doveva arrivare“.. i soldati hanno aperto il fuoco, zarevic, contro gli scioperanti, uomini, donne e bambini, che non avevano armi.. Brutto” e la neve si era tinta di sangue. I morti in via ufficiale furono 92, con centinaia di feriti, ma certo i  numeri erano più elevati, comunque la capitale era rimasta sconvolta, era cinico, barbaro sparare contro una folla inerme che invocava lo zar e condizioni più decenti.
“Non è possibile.. “ smarrito, incredulo.
“E’ successo, Zarevic, bada a quello che chiedi o scopri, non sempre le risposte sono gradite” eh, Catherine.. tu ne sai proprio qualcosa.

“ E il massacro dell’incoronazione.. “
Una tragedia che aveva funestato gli inizi del regno, nel 1896. Lo guardai, era attento, voleva la verità, una tragica e vera storia.
Nel mese di maggio 1896 si svolgeva la solenne incoronazione a Mosca, la cerimonia dentro il Cremlino fu di superba bellezza e lusso.
Era la completa assunzione al trono, l’investitura di forma, dopo quella di sostanza al momento della morte di Alessandro III.
La cattedrale dell’Assunzione rutilava di ori e icone, di una folla abbigliata in modo splendido, che resistette circa cinque ore, il tempo dell’elaborata celebrazione, tra salmi e prediche, le fiammelle delle candele vorticavano sospinte dai palpiti d’aria come l’incenso che saliva dai turiboli, gli zar erano commossi mentre venivano cinti della sacra corona.
Erano  i signori della Russia, incoronati, gli unti del Signore, solo Dio e gli angeli erano loro superiori, avvolti da porpora e ermellino parevano divinità, ieratiche e perfetti nei volti e le espressioni. Tale sensazione si era avuta la sera prima, quando Alix, affacciatisi al balcone per salutare la folla, ricevette un mazzo di fiori dai notabili. Quando lo aveva preso in mano, un congegno nascosto aveva inviato un messaggio alla centrale elettrica di Mosca, che rispose inviando la corrente a tutte le lampadine, rosse, verdi, viola e blu, poste su ogni albero, cupola e cornicione, così che tutte le luci si accesero, stelle palpitanti, la città a festa illuminata solo per LEI
Venne tenuto un imponente banchetto per i nobili e i dignitari, mentre quello per il popolo era stato organizzato nei pressi della spianata di Chodynka, usata come luogo di esercitazioni militari, quindi ricco di buche e fossati.
Erano stati allestiti teatri, grandi buffet per recare i cibi e i doni dell’incoronazione, 20 spacci pubblici per le bevande, insomma una grande fiera,  ma la sera che precedeva il banchetto per il pubblico era circolata nel popolo la voce che i doni commemorativi non sarebbero bastati per tutti, quindi la folla cominciò a radunarsi per essere in prima fila fin dai primi bagliori dell’alba.
Da una cronaca di quei giorni "Una forza di polizia composta da circa 1800 persone non riuscì a mantenere l'ordine pubblico e sfollare quanti si erano radunati. L'ondata di panico che si verificò non durò più di quindici minuti nei quali 1 389 persone furono calpestate a morte e all'incirca 1 300 furono ferite.”
Lo  zar dichiarò che non si sarebbe presentato al ballo organizzato per quella sera presso l’ambasciata francese, ma gli zii paterni, lo convinsero a parteciparvi ugualmente per non offendere il diplomatico di Parigi. Alla fine,Nicola II si arrese.
Il commento di Witte, ministro di lungo corso: «Noi ci aspettavamo che la festa venisse annullata. Invece essa ebbe luogo come se nulla fosse accaduto e le danze vennero aperte dalle Loro Maestà ballando una quadriglia. Fu una serata infausta: l'imperatrice appariva sofferente e l'ambasciatore britannico ne informò la regina Vittoria.”
Molti russi ritennero che il disastro del campo di Chodynka fosse un presagio del fatto che il regno sarebbe stato infelice; altri, usarono la tragedia per rimarcare la spietatezza dell'autocrazia e  la superficialità del giovane zar e della sua "consorte tedesca".
Principiarono a chiamare l’imperatore "Nicholas the Bloody", ovvero Nicola il Sanguinario.
Un regno cominciato nel sangue si sarebbe concluso nel martirio e nella tragedia, riecheggiando un luogo comune, lo pensai cullando Alessio tra le braccia, era tetro e meditabondo, mi aveva allacciato con il braccio,  per quanto dietro ai miei affanni prevenni le sue lacrime di sconforto, lo baciai sulla fronte, ti voglio tanto bene, sai, mi spiace. Lo tenevo sicuro.. diceva .. Magari. Non gli avevo risparmiato né il dolore né altro, lo amavo e basta, ben misero ricavo e gli propinavo verità amare.



Comunque, finalmente poteva uscire, sulla sedia a rotelle, avvolto in ampio pannolone e calde coperte e morbide pellicce di zibellino, le mani guantate, respirava soddisfatto la fredda aria invernale, le iridi della sfumatura del cielo sgombro da nuvole. “Guarda, zarevic.. “indicando la delicata trama delle orme sulla neve, un ricamo di piccoli passi “Sono i vostri cervi addomesticati, saranno andati a mangiare il fieno che gli viene portato sotto le tettoie”
“E quelle?”
“Di un coniglio, credo”
“Andiamo a vedere il fortino di neve e la pista delle slitte..” ancora “Guarda, Cat, le nuvole.. ti sembra un vascello..? od un orso..”
“E dove va?” passando vicino a una panchina con della neve fresca e farinosa, feci una palla veloce e lo colpii sulla spalla “Non vale..”
“Tira, Aleksej, allunga le mani .. vedrai quante pallottole..”
“Grazie, Catherine” lo avevo messo nelle condizioni di giocare anche se non poteva muoversi con le gambe, quelle battaglie gli piacevano e Anastasia e Marie erano arrivate di rinforzo.
“Prego..” gli misi giù un ciuffetto di capelli, che spuntava perenne, irriverente come lui “Senti, Cat, ma nel parco ci sono i lupi siberiani?” eravamo nelle stanze dei bambini, cretonne verde con gai fiori e mobili di legno chiaro e lucido, con una miriade di giocattoli e stufe di maiolica per riscaldare gli ambienti, oltre a vari camini.
“Anche no, si mangerebbero cervi e conigli e zarevic in un solo boccone!!”
“Uffa, prendimi quel libro, c’è questa bella illustrazione di un lupo..”  raggiante di ingegno si inventò lui qualcosa, ah che meraviglia, che evadesse dai limiti almeno con la fantasia. “Il canto del lupo..”
“Che canto?”
“Se ululano per segnalare possono anche cantare.. penso io. Lui” decodificai Rasputin” viene dalla Siberia e ne inventa di cose..ma io ho più fantasia”
“Questa è suggestiva”
“E io preferisco le tue, di storie, sempre, mi racconti il drago e la rosa..?” prese di sua spontanea volontà del pane con la marmellata, malizioso “Non ho l’apparecchio ortopedico, almeno per ora, mi puoi prendere un poco in braccio?”
“Alessio.. dai, vieni qui”rinchiudendolo con delicatezza, era fragile e prezioso come un uovo di Fabergè, appunto,uno dei gioiellieri  della corona che ogni anno, per Pasqua, creava uno squisito capolavoro. Nicola II usava regalarne due, una alla madre, uno alla moglie, ne ricordo uno smaltato d’oro, con le aquile bicipite dei Romanov  incise sopra, aprendolo ecco apparire una replica in miniatura della carrozza dell’incoronazione, perfetta, compresa la scaletta pieghevole per accedere all’interno. Altri erano rosa e azzurro o d’argento, con brillanti e perle, con squisiti intarsi, all’interno, premendo un bottone, ecco apparire  un ritratto dello zar o dei principi imperiali o un modellino in oro di un palazzo amato.
“Scusami se sono troppo ansiosa, ho sempre paura che possa succederti qualcosa” un piccolo sussurro all’orecchio, mi appoggiò la schiena contro il torace, lo cullai per un poco, il mento sopra i suoi capelli, rise quando gli tirai un colpo sui fianchi rivestiti dal pannolone, per scherzo, sancendo che era il mio bambino, che me lo sarei portato via e tenuto sempre con me.
“Almeno lo dici, che sei ansiosa” decise di cambiare argomento, glissando sul resto “ A proposito, mi toccherà imparare per bene come fare IO un baciamano, quelli che fanno a me non li conto, e con le mie sorelle ci viene troppo da ridere..”
“Farò da cavia” concludendo per lui.
“Ecco, brava..” ridemmo anche noi, prima di imbastire qualcosa di passabile, lui sosteneva che ero più severa io dei suoi precettori in quell’ambito.


Comunque, la stagione mondana del 1913, a prescindere dalla solita assenza di Nicola II e dei suoi più intimi famigliari, brillò per sfarzo ed arroganza.  Mia madre Ella partecipò al ballo della principessa Obolenskij ispirato alla mitologia ellenica,  gli ospiti si aggiravano nel magnifico palazzo neoclassico avvolti in tuniche e sandali, mangiando grappoli d’uva e sorbendo i vini provenienti dalla Crimea, mentre la neve cadeva copiosa. Meriel Buchanan, figlia dell’ambasciatore inglese, per il ballo nella loro ambasciata si premurò di creare vari tableaux vivants avente un tema macabro, basti pensare che, tra gli altri, figuravano Barbablù e Jack the Ripper. E la contessa Kleinmichel organizzò una serata di splendide danze in bianco e nero, ove gli ospiti parevano confondersi sullo sfondo dei pavimenti marmorei del suo palazzo, appunto a scacchi, candidi e neri.
Fiorivano le danze ed i pettegolezzi, come quello sul famoso Nijinskij, ballerino di punta al teatro Marinskij, che ebbe l’idea di danzare con un costume indossato direttamente sulla pelle, le sue grazie en plein air sotto gli occhi dell’imperatrice madre, che, presente sul palco imperiale, si era fatta dare un binocolo e aveva osservato per un momento o due, salvo allontanarsi in fretta. Il giorno dopo, il ballerino era stato bandito.
E sapevo, visitando poveri e orfanotrofi, che la situazione era satura, una volta mio zio R-R sbraitò che per ogni poliziotto e per ogni centocinquanta abitanti di Piter vi erano, a voler stare modesti, tre o quattro prostitute, che era incredibile!
Il marzo 1913 portò a San Pietroburgo pioggia e foschia, come usuale, la variazione erano rombi di cannoni dalla fortezza dei Santi Pietro e Paolo, oltre che una folla immensa di dignitari russi e stranieri, finanche dall’Asia, che partecipavano all’evento di cui trattasi, ovvero il trecentesimo anno di potere dei Romanov.
La folla attendeva di veder fuggevolmente passare i Romanov che dal Palazzo d’Inverno si recavano alla cattedrale di Nostra Signora di Kazan per il Te Deum.
La città rigurgitava di curiosi, la prospettiva Nevsky era nel caos, tra auto, carrozze, filobus. Le stesse strade erano decorate dei colori imperiali, blu, rosso, bianco, le statue adorne di nastri e ghirlande, ritratti degli zar, dal passato al presente, ornavano le facciate di banche e negozi, sulle linee dei bus vi erano luci elettriche che danzavano intermittenti, sotto la registrazione “ God Save the Tsar' o ritraevano l’aquila bicipite dei Romanov con sotto “ 1613-1913”
Tornando al Te Deum, prima della cerimonia, il presidente della Duma, Rodzjanko, si trovò a dover cacciare Rasputin che si era accomodato  su una delle sedie riservate, senza invito , seguì una patetica scenata, sullo stile del periodo, poi giunse la famiglia imperiale sotto la pioggia e una processione di carrozze,  scarsi gli applausi e poca la folla, curiosa ma non plaudente.
Sfilò la corte, gli zar, le granduchesse, vestite di chiaro, e Aleksej, portato in braccio da un cosacco della guardia, ancora non si reggeva in piedi.
Durante la cerimonia vennero liberate delle colombe che si librarono sopra le teste castane dello zar e di suo figlio, come una benedizione di Dio per la dinastia.
Le fabbriche vennero chiuse, un giorno di vacanza, vennero offerti pasti gratuiti, prigionieri comuni vennero rilasciati per festeggiare l’anniversario.

Alessandra non organizzò balli per l’evento, si limitò  a partecipare a uno dato dalla nobiltà locale nella Sala delle Colonne. Vestita in bianco, coperta di brillanti,  entrò nella sala al braccio del marito, mentre suonava una polacca di Chopin, nessuno pretendeva che danzasse ma nemmeno che la folla la snervasse ed ansiasse fino al punto di un brusco ritiro, prima di svenire tra le braccia dello zar.
Una povera isterica, come sempre, chiosò la zarina madre, mentre Olga danzava, libera e leggera, di nuovo vestita di rosa come a Livadia, i suoi cugini e gli altri facevano a gara per avere un giro con lei, sei bellissima, le dissi, ed era vero, era la manifestazione della gioia di vivere, una primavera personificata. La stella della serata.
E Alix fece l’ennesima figura da arrogante e fredda, quando accompagnò lo zar al teatro Marinsky a vedere l’opera di Glinka “A Life for the Tsar” su Michele I, appunto, il primo imperatore della dinastia.
Alessio indossava l’uniforme del suo reggimento di cavalleria, tutto scarlatto e dorato, il monogramma H II sul colletto, H l’iniziale di Nicola, lo zar,in cirillico,  il solito cosacco lo aveva portato in braccio dalla carrozza al palco, Olga e le sue sorelle erano vestite di chiari colori, perle su gola e orecchie, la fascia  rossa dell’ordine di Santa Caterina di traverso sul petto, costellata di diamanti che rilucevano ad ogni respiro, parevano fate divenute reali.  
Quando cantarono l’inno nazionale, tutti gli spettatori si levarono in piedi, un omaggio bello e semplice, al presente, allo zar e al suo erede, al passato e ai fasti che rappresentavano .
E il ballo e l’opera, ballava Matilde K., amata ed amante dello zar prima delle nozze con la tedesca, la Nemka.
Alessandra,  era vestita di velluto bianco e diamanti, il nastro blu dell’ordine di Sant’Andrea disposto in diagonale sul petto, il ventaglio di bianche piume d’aquila che faceva vento alle sue chiazze rosse sulla pelle, il respiro affannoso,  in imbarazzo, come al solito e sempre nelle occasioni ufficiali, la gente notò come si ritirasse, dopo un cenno all’imperatore. Un’ondata di risentimento percosse il teatro quando la zarina scomparve dietro le tende di pesante velluto scarlatto, neanche in quella occasione si degnava di fare il suo dovere di sovrana.
Olga si sentì in imbarazzo e si vergognò per lei, sua madre  aveva timore del mondo e lanciava i suoi figli contro il mondo, che odiosa mistura, scrutò i palchi damascati, i brusii, cercò gli occhi di Catherine, appostata nel palco dei principi Raulov, con i suoi genitori, lui svagato, Ella che sorrideva indefinita, le  iridi scure come onice fisse contro le sue, di zaffiro, come quelle della sua amica, che si inchinava, leggera come una danzatrice.
FORZA.
CORAGGIO.
Dio salvi lo zar,
maestoso e potente, 
possa Egli regnare per la nostra gloria, 
e far tremare i nostri nemici.
 
Un inchino collettivo, di nuovo l’inno nell’intervallo.
Olga inclinò di nuovo la testa dorata, un omaggio a chi si inchinava a lei  e ai suoi.
“Altezza Imperiale” le strinsi il braccio, annotando che era cupa.  Era l’intervallo, appunto,  ero transitata di gran carriera, mi strinse la mano leggera come un petalo di rosa.  “Principessa Raulov, come siete bella” in pubblico usavamo il “Voi” di rigore ed i rispettivi titoli
“Come no” modesta nel mio vestito di chiffon grigio chiaro,  una soffice nuvola, con il corpetto incrostato d’argento e strategici sbuffi che mi regalavano seno, mentre perle e diamanti intrecciati nei capelli assicuravano la luminosità del viso e i toni radiosi della carnagione, combinandosi con gli orecchini e la collana e i bracciali. “ Invece sì”
“Va bene..Sua Maestà l’Imperatrice come sta”
“Ha l’emicrania” Tacqui, sua madre era come era, ma non era certo una bugiarda come la mia, lo stare a tre metri di distanza da Ella mi indisponeva come non mai“ Perché balla Matilde K?” già amante dello zar suo padre prima delle nozze, attualmente aveva come innamorato Andrej Vladimirovic Romanov, uno dei tanti cugini dello zar, che aveva speso per lei fortune in gioielli e altro. L’avrebbe voluta sposare, ma, furbo, attendeva il regale permesso, che, in denegata ipotesi, finiva in esilio con poche rendite, come il granduca Michele, fratello di Nicola II, che aveva contratto un legame matrimoniale,  senza permesso, con  una pluridivorziata, da cui aveva avuto un figlio, Giorgio. Ed attualmente erano sempre all’estero e l’imperatrice vedova Marie lo foraggiava, Michele, con munifica generosità. Pensai a Dimitri Romanov, a sua volta con il padre in esilio, per avere convolato a nozze con una borghese, anni prima gli piacevo, a Dimitri, mi avrebbe addirittura sposato, poveri noi
“Anche” chiosò “Che avete Principessa?”
“L’uggia.. posso salutare lo zarevic?”
“Certo..se non lo fate chissà che scandalo”
Dribblammo cortesi delle chiacchiere, una bevuta, fino ad arrivare in uno dei salottini privati  dietro al palco imperiale, era su una poltrona, i gomiti sui braccioli, il cappello dell’uniforme vicino a lui. “Altezza Imperiale, Zarevic, sono venuta a salutarvi”
“C..” si ricordò che eravamo in pubblico, o quasi, annotò il mio inchino, mi fece cenno di avvicinarmi “Principessa Raulov” mi baciò la mano, un perfetto arco di cortesia, appoggiando leggermente le labbra sul dorso,sorrisi
“Siete stanco, Altezza Imperiale?”
“Un poco, ma ne vale la pena” Almeno nel palco, appoggiato, senza parere, alla sedia, riusciva a stare in piedi, sorridere ed inchinarsi, senza un lamento, era il suo dovere di principe ereditario. Sorrisi ancora guardando la sua uniforme, dorata e scarlatta, il nastro del cordone di Sant’Andrea incrociato sul petto, mi parve cresciuto di statura nonostante la magrezza “Voi..? Sorridi, ma sei triste..Siete triste” scrollai le spalle, non gli volevo o potevo rispondere secondo verità totale
“Ho vari pensieri..” benedissi che lo spettacolo riprendesse a breve, tra lui e Olga, se non ci stavo attenta, mi leggevano dentro come se fossi un trasparente vetro e quello.. non lo potevo dividere, con nessuno,  nemmeno loro.
 
 “Sposami, mi vuoi sposare.. Catherine”...il palpito delle sue parole, il suo respiro contro le mie labbra, le sue mani nelle mie, il suo calore, ora e per sempre, il mio pilastro nella tempesta, ai piedi era caduto un  mazzo di violette, una piccola e profumata onda color lilla.
Dream back, un azzardo, ci conosciamo tanto poco, io e te, Luois..
Nel maggio 1913, la  famiglia Romanov si imbarcò in un pellegrinaggio commemorativo in onore di Michele I, risalendo il Volga con un battello a vapore fino a Kostroma ove viveva quando apprese di essere salito al trono.
Olga, sorella dello zar, rievocò le manifestazioni di lealtà, le folle riunite per dare una fuggevole occhiata, persone che si inginocchiavano per baciare l’ombra di Nicola II, gli applausi.
Mio zio R-R  scorse invece la mera curiosità, le celebrazioni non avevano colpito nessuno in particolare, le speranze del popolo di una rinascita, di un miglioramento non trovarono riscontro.
Comunque, l’arrivo a Mosca, capitale storica, ove Michele I era stato incoronato, fu un trionfo. 
Scesero alla stazione circondati da un numero incredibile di dignitari, lo zar salì su un cavallo bianco e cavalcò da solo, sessanta piedi davanti a tutti e alla sua scorta, verso il Cremlino dalle rosse mura circondato da una folla plaudente, come un conquistatore, facendosi beffe degli eventuali attentati.
Le decorazioni erano superbe, drappi di velluto con i simboli dei Romanov sul boulevard di Tyerskaya, ogni edificio coperto di pennoni, bandiere e quanto altro, forse ancora più suggestive di quelle di San Pietroburgo.
Nicola II scese nella Piazza Rossa, tutte le processioni religiose convergevano lì, si incamminò tra folle di sacerdoti metropoliti vestiti di velluto e raso, dalle lunghe barbe, vi era odore di cera e incenso che si levava dai turiboli, sacri inni vibravano nell’aria, camminando leggero sulla passatoia di velluto scarlatto per entrare nella cattedrale.
R-R sentì un colpo al cuore quando scorse il giovane zarevic, che doveva percorrere a piedi le ultime cento iarde come la zarina e le sue sorelle, prima di entrare nella cattedrale, una volta scesi dalle carrozze.
Stava a malapena in piedi, ancora i postumi dell’emofilia, o almeno così suggeriva un libro di recente pubblicazione, “Dietro il velo della Corte Russa”,  tanto che un cosacco della guardia lo prese tra le braccia, portandolo dentro, tra le esclamazioni addolorate di tutti.
Il piccolo  principe raddrizzò la testa e le spalle, senza fallo, deglutendo il nodo che gli serrava la gola, R-R si inchinò profondamente, fino a rimanere senza fiato, non aveva mai onorato gli zar Nicola II o suo padre Alessandro III con quel tributo.
 
“Ciao ragazzi, ci vediamo dopo tanto” ero passata da Peter Hof, la residenza imperiale per l’estate sul golfo di Finlandia, un pomeriggio di metà maggio, le rose e i lillà fiorivano, esatti, precisi
“Salvo nuove, sì, Catherine” Olga compì il gesto di darmi un bacio formale, a mezz’aria, senza toccarmi, guancia e braccia sospese, non mi sfiorava dall’annuncio del fidanzamento e del prossimo matrimonio. Nella forma era lieta per me, nella sostanza mi avrebbe messo all’angolo e scossa per le spalle, per capire, quella  rivelazione non le tornava.
Ma lei non doveva conoscere la mia disperazione, il senso di egoismo  ed impotenza
“Salvo nuove?”
“.. dopo il pellegrinaggio fluviale, siamo stati a Livadia” ricordai passeggiate sulla spiaggia, il suo braccio contro il mio, risate, ore dorate che non sarebbero più tornate, scherzi e risate durante una partita a tennis, una cavalcata.. le ore a discutere su Ulisse e Achille
“Vero, io dietro al matrimonio.. ogni giorno ne spunta una”
“Presumo,  e dopo la luna di miele dove contate di stabilirvi?”
“Parigi.. Luois è nato là, il suo incarico sta scadendo” avessi voluto, avessi chiesto allo zar che avrebbe richiesto a chi di competenza glielo avrebbero prorogato e non volevo, avevo chiesto di sposarlo e tanto era, Luois si sarebbe costruito la sua carriera per i talenti, non per i buoni uffici della sua fidanzata, non mi sposava per interesse di carriera.
“Ah..” e me ne andavo, e tanto, la voglia di sussurrare “Olga” e stare con lei non mi era passata, e viceversa, solo una smarrita intuizione.  Sbiancò leggermente, si riprese e rilevò che a  maggio si sposava la figlia del Kaiser tedesco, a giugno io, era l’anno dei matrimoni, poi ”Scusami, io devo andare a ..” generica e fece per allontanarsi.
“Olga..”  a bassa voce
“Catherine.” Mi girai svelta e lei aveva già cambiato espressione, e aveva sussurrato il mio nome, io il suo.
E tanto ero troppo avanti, non si poteva tornare indietro.  Mi appiccicai addosso un sorriso  e proseguii, lo zarevic mi era saltato tra le braccia.  “Cat, fammi un sorriso vero !! sei troppo tirata!”mi  scoccò un bacio e mi portò ad ammirare le rose bianche, un perfetto e candido tripudio.
 
Il grande evento regale del 1913 dell’Europa  fu il matrimonio a Berlino della figlia di Guglielmo II, imperatore di Germania, con il principe di Hannover, il 22 maggio. La città rutilava di bandiere, stendardi e pavesi, la stazione ferroviaria dove giungevano i vari sovrani era presidiata come un campo militare, da soldati  e agenti in borghese, per tema di attentati.
Il banchetto di Stato fu allietato da 250 ospiti, tra uniformi e gioielli era tutto un grande, immenso scintillio.
Il Kaiser, Guglielmo, in uniforme di gala da dragone reale inglese, l’ordine russo di Sant’Andrea di traverso sul petto, dava il braccio alla regina Mary d’Inghilterra, seguiva re Giorgio V, in uniforme da colonnello dei dragoni prussiani, conduceva la moglie del Kaiser. Lo zar, pure lui nell’uniforme di colonnello dei dragoni prussiani con l’ordine dell’Aquila nera degli Hohenzollen, dava il braccio alla zia del Kaiser, mentre Alessandra seguiva accompagnata dal principe ereditario tedesco, Guglielmo, alias “Piccolo Willy”
festeggiamenti mascheravano la tensione, le danze il nervosismo, le candele nei lampadari di cristallo balenavano nei preziosi intarsi dei mobili e sui monili, un ultimo palpito di luce prima che scoppiasse la catastrofe.
Che l’anno dopo il mondo era in guerra, scoppiava il primo conflitto mondiale.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 1913 (II Part) and 1914 ***


E mi sono sposata IO nel mese di giugno 1913 a Peter Hof, con Luois, mie damigelle le granduchesse, invitati gli zar e la zarina madre e molti altri.
Usammo la cappella reale, sotto le volte immense, tra le lesene dorate e fiori a profusione.
Alix sorrideva, era tranquilla e a suo agio, quel giorno non lamentava alcun malanno,  mi sposavo e andavo via, regalo migliore non potevo farle.
Mio fratello Alexander portò il cuscinetto delle fedi senza inciampare, serio e compito, mia madre pianse per buona parte della cerimonia, in modo composto, era commossa.
Infine, era stata migliore di me, mi aveva lasciato andare, aveva voluto che mi sposassi per amore.
Era amore, allora come oggi, con il senno del dopo, so che lo avrei sposato comunque.


Ho ricordi vaghi, frammenti di immagini, le firme sul registro, le candele e il bagliore del sole,  prima del rito ortodosso era stata celebrata la cerimonia civile, a Parigi ci saremmo sposati secondo i riti del cattolicesimo, tanto per stare sicuri.
Due anelli, quello di fidanzamento, uno squisito zaffiro circondato da perle, un monile di famiglia di mio marito, e la vera nuziale, una semplice fascia d’oro con incisa la data e il suo nome.

Che ho fatto?
Il vestito bianco, satin e tulle, i capelli raccolti in alto, forcine d’argento e diamanti, ringraziando Tatiana che si era profusa nel disegnare l’abito, una prova di affetto e fantasia. 
Sei bellissima.
La più bella del mondo. 
Ogni sposa è così, il giorno delle sue nozze..
Dark brightness, l’oscura lucentezza.
Mio zio chiosò che il matrimonio era in genere per tutta la vita, almeno fino al divorzio, anche lui era commosso, orgoglioso, felice.
 
Dai quaderni di Olga Romanov”..era caldo, in quegli ultimi  giorni della primavera. Arrivasti solo con dieci minuti di ritardo, era la tradizione, scommetto che ogni minuto era un anno di tormento, eri impaziente e lui scrutava il portone, vestito dell’uniforme dell’esercito francese, come se temesse qualche scherzo, un cambio di idea. Poi, eccoti, la testa alta, sotto il velo sorridevi e lui ti sorrideva. A prescindere da tutto, era innamorato di te, ricambiato. 18 anni tu, 25 lui, parevate destinati a rimanere insieme per tutta la vitaPerdonami, ma allora non riuscivo  essere del tutto felice per te

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine. “.. quando sei venuta a salutarci, dopo la crociera, ero nella camera che dividevo da sempre con Tatiana. Già, noi siamo “The Big Pair”, come Marie e Anastasia sono “The Little Pair”, una mania di nostra madre, come di vestirci in modo abbinato e farci dividere penne e quaderni per fare economia. Non divaghiamo, ero perplessa e queste cose le sai  benissimo .. Ci sono rimasta, dal gennaio 1913 all’aprile 1913 avevi rispettato in modo veloce le previsioni di mia sorella che presto ti saresti sposata … Va bene, mia madre enuncia che sposarsi e avere figli è il più bel destino per una ragazza, ma sei stata veloce e repentina.. Anche troppo, non ti capivo e mi faceva rabbia, a te è sempre riuscito anche troppo bene, di leggermi dentro ..Diciamo che non me lo aspettavo, mi sono sentita gelosa, malevola, stupida che non mi avevi raccontato nulla tranne un fatto compiuto, che ti sposavi a giugno.. Addirittura ho chiesto a tua madre di non mandarti via, a mia eterna vergogna, e lei è stata gentile, ha solo affermato che era una questione tra di voi, era tutto a posto e … Fine. Non avevo nessun diritto di rivolgermi a lei in quel modo, ma non me l’ha fatta pesare.. Ho sperato che non vi sposaste o rimandaste, mi sono illusa due volte.. La Vyribova, la cara e intima amica di mia madre, disse una volta per battuta che dovevi farlo per forza, e lei ribatté che non pensava che fossi così stupida.. Già una gravidanza fuori dal matrimonio può capitare, eri appassionata ma non avventata, almeno allora. Andai alla finestra, sistemandomi la gonna e i capelli, i signori sposi che ci volevano salutare a Peter Hof prima della loro partenza erano giunti .. era il giorno prima del nono compleanno di Alessio, l’11 agosto 1913.. Allora era un piovoso martedì, quando lo battezzarono ed incantevole, roseo e paffuto ..ed eri tra le madrine, fin da piccolissimo ti amava, quando lo prendevi si calmava subito, era prova del suo affetto. Ricambiato, in fondo, come ho poi appreso eravate affini, lui combatteva la malattia, te l’oscurità. Già, che quando qualcuno che dovrebbe amarti sostieni che non sei nulla, o soccombi o ti armi di arroganza e fiducia in te stesso, tutto che scivola addosso, come l’acqua sopra un sasso”
“Cat, che bello vederti!!” feci un passo indietro, complimentandomi per come era cresciuto, Alessio mi abbracciò, contento. Abbronzato, snello e scattante pareva lontano dal bambino che era quasi morto a Spala, unico tratto in comune i grandi occhi azzurri, gioiosi, quindi mi toccò il gomito “Sono contenta di vederti pure io”
“Rimani vero..? Da giugno è stata lunghissima.. cioè,  la crociera, le vacanze estive, cioè facevamo tante cose.. però..” un chiacchiericcio affastellato, su giochi in spiaggia, escursioni, letture e risate “Rimango il pomeriggio” mi incuneai in una pausa, ogni tanto doveva recuperare il fiato. Tirò un sassolino dentro una delle meravigliose fontane di Peter Hof, una squisita trina di pietra con alti e allegri zampilli. “E domani torno.. è il tuo compleanno”
“Sì, ma poi andiamo a Livadia e … “
“Come sempre, ci andate tutti gli anni..” calcando sul verbo. Mi venne un dubbio atroce, lui magari pensava che sarei rimasta, che sarebbe tornato come prima, cioè, ogni tanto, avevo fatto dei viaggi all’estero ed ero sempre ritornata, la cerimonia di giugno l’occasione di una bella messa con un ottimo banchetto. Tranne che ora, stabilendoci a Parigi, sarei ritornata in Russia ben poco. Olga mi tolse dai carboni ardenti, per lui, non per me, chiedendogli di farmi vedere la sua nuova carabina giocattolo e mostrare come fosse diventato bravo a marciare.
“Non lo sa..”
“ Per quanto sappia, no.. Ascolta, domani ha il compleanno, diglielo il giorno dopo, per non angosciarlo inutilmente ”una pausa, un sospiro “Per alcune cose è davvero un bambino, ci sei sempre stata e ti vuole molto bene, dà per scontato, tra virgolette, che ci sarai sempre e non dire che ti spiace o altro, non essere ipocrita” dura come l’acciaio di Toledo, il migliore con cui si fabbricavano le spade, il suo sussurro era esatto e spietato “E la questione doveva essere grave, che … gli vuoi bene pure tu”
“Hai ragione” Su tutta la linea
“E’ l’ora del tè, venite” Olga mi prese il braccio, con naturalezza, scrollando la testa, non era molto educato che strepitasse a gran voce, ma era lo zarevic e faceva tutto a modo suo, era brillante, viziato e vivace.
Ci riunimmo sotto una pagoda, il pomeriggio era incantevole, rilevai, Alessandra mi rivolse uno dei suoi sorrisi squisiti, annotai la presenza del granduca Dimitri
“Madame, è un piacere rivedervi” un inchino, un baciamano, forse un lieve rimpianto, ora era un giovane uomo di 21 anni dagli occhi scuri, gentile e sorridente che si divideva in modo equo tra l’esercito e le donne, non era più il giovane sbruffone di poche estati prima “Vostro marito è un uomo fortunato.. a proposito dov’è?”
“A Piter” così i russi chiamavano la capitale, un piccolo e grazioso abbreviativo.
“Già , ormai manca poco e ..”
“Avrete il vostro daffare a organizzare la casa e quanto altro..”Mi giostrai alla peggio, come una funambola, lieta per una volta che lo zarevic saltellasse senza prestare troppo ascolto, che il granduca lo sapeva, eccome, di Parigi.
“Cat .. vieni a giocare, dai”
“Zarevic” mi sedetti sulla panchina, la gola palpitante, avevo perso l’allenamento a giocare ad acchiapparello, gli tesi le mani e mi venne sulle gambe, un braccio dietro al mio collo, lo raccolsi contro di me, mi fece il solletico “ Duemila ottocento e coda” sancì.
“ Che numero è, Zarevic?” Ossa di fumo, capelli di seta, mi sarebbe mancato e tanto inutile che me ne dolessi, ipocrita sì, ma non su tutto.
“Sono chilometri, sai, la distanza tra Piter e Parigi”
“Vero .. un lungo viaggio”
“Quando andate di preciso?” con tristezza, repentina. “A Parigi, dico, e quanto state”
“Il 14 agosto .. fino a metà estate, la prossima” gli dissi la verità, in automatico “Mia mamma e Sasha dovrebbero venire per Natale” il principe Raulov era solo forma, avevo chiuso da un pezzo.
“E’ tanto..tantissimo”cacciò un sospiro, mi si allacciò ancora più stretto, il viso contro il mio collo, al diavolo le ruches e le trine. “Ma proprio un francese ti dovevi prendere per marito?”
“Alessio, bada a come parli” severa e dura, non si doveva permettere, zarevic o meno. “Se offendi mio marito, manchi di rispetto a me”
“E’ che..se ti sposavi con un russo, rimanevi in Russia. Mica sono scemo, che pensi, la moglie segue il marito. Mamma è nata in Germania e  quando ha sposato Papa è venuta stare in Russia, mia nonna Marie in Danimarca e ora sta in Russia, tornano dove sono nate per le vacanze o in visita” con perfetta logica, ineccepibile, era intelligente, ricordai, con una fitta, anche troppo per la sua età. “E lui è francese, quindi ..”
“Ho 18 anni, prima o poi mi sarei sposata, lo sai, e non ho mai pensato che tu sia stupido, Zarevic, mai”
“Ma non potevi sposare Dimitri, invece ..” gli posai un dito sulle labbra, per favore. “.. che lui si voleva proporre, quest’estate e Saint-Evit lo ha battuto sul tempo” percepii che mi stringeva ancora di più “.. ne parlava con Papa, qualche mese fa, rimproverandosi di non essersi proposto.. e tanto, non se lo aspettava, così di botto” sospirò e cambiò posizione, fissandomi in viso, gli misi le mani sulle scapole, era un angelo forse, o  anche no “ E no, non avrei dovuto sentire e tanto ho fatto.. E’ da quando hai 14 anni che ti chiedono in moglie, accidenti.. Non eri una vecchia zitella, che dopo la terza stagione mondana deve scappare in India per non rimanere nubile”
“Dalla Spagna.. ma ero troppo giovane, Alessio, e non mi ero innamorata.. Poteva essere a 16 come a 22“senza fare battute, che non era aria.
Increspò le labbra, mi si spezzò il cuore “Posso dire che mi mancherai? Almeno questo”  sospirò e si ricompose, lo rimisi per terra, mi prese per mano, poi cambiò parere e mi strinse per la vita, io gli cinsi le spalle, mi teneva così forte che, fosse dipeso da lui, non me ne sarei andata.  “Comunque l’anno prossimo sono dieci, di anni, promettimi che ci sarai”
“Ci sarò”
“E potete anche venire prima..”
“Non credo, Alessio…”
“Mai una balla .. nemmeno per farmi contento”desolato.
“Aspetta.. “ Mi misi davanti a lui, gli sollevai il mento “ Guardami, Alessio.. Sul momento saresti contento, forse, ma se ti prendessi in giro farei peggio, ti tratterei da stupido, e sei un ragazzo intelligente, non meriti” come Olga non meritava di essere trattata come avevo fatto e tanto era.
Dai quaderni di Olga “.. se gli avessi detto una balla sarebbe stato peggio, lo pensai quella sera quando si mise a piangere, di nascosto, dopo che lo avevano messo a letto, anche se sul momento era di scarsa consolazione. Mi era venuto il mal di testa, quindi volevo dormire presto e lo sentii. “Tesoro che c’è? Ti fa male qualcosa?” “No..”mi sedetti sulla sponda del letto, prendendogli una mano “Hai avuto un incubo..” “Sono triste..” A morsi e bocconi, capii che te lo aveva chiesto direttamente, dove andavate a stare e avevi detto la verità “Perché ..”  “Cosa..?” avevi risposto dicendo la verità, in automatico, se gli avessi detto di no e fossi sparita dopo pochi giorni a tempo quasi indeterminato (un anno per un bambino è un tempo infinito) lo avresti preso in giro e trattato da deficiente. E non era una grande consolazione, che piangeva .. Mi si spezzò il cuore, gli volevi bene e gli stavi dando un dolore. Riuscii a calmarlo e il giorno dopo non pareva, fu una bella festa, aveva nove anni, era raggiante. Come ai vecchi tempi rimanesti tutta la giornata, ridemmo rievocando quando Anastasia, al compleanno di Marie nel 1910, aveva messo una rana dentro la torta, facesti addirittura delle foto senza la solita riottosità. Eri tenera, divertente, affettuosa. Dimitri ti guardava in tralice, quando non era osservato, si sarebbe voluto proporre e tu avevi sparigliato le  carte molto bene, ad aprile. Non so se lo avresti accettato, quello che so per certo era che lui era innamorato di te, o pensava di esserlo. E comunque, di Saint Evit eri innamorata e ricambiata, fino a là ci arrivavo io pure. Quello che successe l’anno dopo .. oddio, Catherine, mi fa male ricordarmene anche oggi, andasti in tilt per la disperazione e il dolore, in totali frantumi. Da settembre 1914 ritornasti a dicembre 1915, un mutamento irreversibile, senza ritorno. Ed.. in quei pochi giorni, condensammo anni e rotti di lontananza. A proposito, di quel pomeriggio a San Pietroburgo, non certo una serata mondana ma un concerto a fini di beneficenza, mi arrivò una portentosa gomitata, sussurrasti “Andres” e controllai, ben di rado eri così istintiva. Avevi parlato di una persona affascinante, non di un ragazzo avventato, chissà perché mi venne in mente lui !! Alto, imponente e maestoso, vestiva l’uniforme del reggimento degli ussari a cavallo (come appurammo poi, una gentile concessione a R-R), riempiva tutta la stanza. Si girò e ci vide. Anzi, vide te, un sorriso gli sorse sulle labbra, come quando scorgi qualcosa di bello, amato e desiderato. Un cenno della mano, che la musica stava iniziando. Annotai che aveva gli occhi verdi, un colore scuro e profondo, come le foglie primaverili.. Piaceva, eccome, non fosse stato tuo fin da allora..“I miei omaggi, signore” Nell’intervallo era venuto con due bicchieri di limonata, ci eravamo spostate nel foyer, un angolo appartato per conversare meglio. “Vi piace il concerto?Vivaldi e Coroelli, compositori italiani, onde evitare situazioni spinose. “ era stato emanato il divieto di suonare i tedeschi, che spreco, che spregio. “Già. Io ..”Ci presentasti, in fretta, lui si inchinò, parlava bene il russo, con appena uno strano accento. “Andrej Fuentes, conte de la Cueva, figlio del principe Fuentes” come spiegasti poi, anche se era l’ultimo figlio, aveva un suo titolo personale, capii che era figlio di madre russa, nato in Spagna. Poi mi ricordai, che avevi partecipato con i tuoi a un matrimonio in Spagna, nel 1905, di lettere, di Granada e di tante descrizioni. Un cerchio che si saldava. In ogni caso, Andres  fu amabile, gentile e divertente, corretto. Come il ferro che è attratto dalla calamita, non potevate stare lontani l’uno dall’altra. Foste stati soli, vi sareste saltati addosso.. E non smettevate di sorridervi e guardarvi, e marcavate il reciproco territorio, tu sei mio, lei è mia..Mi augurai che riuscisse a renderti felice. E che non facessi troppe scemenze.. Ti volevo bene, te ne voglio, dicevo sei mia, tranne che non eri una personale proprietà della scrivente, vi era differenza e così sia, perché scrivo così lo sai. Ebbi la soddisfazione di vederti diventare color brace, quando lodai il tuo buon gusto, mormorasti grazie, io prego, mi esasperavi e facevi ridere come sempre, 40 anni in due, eravamo due ragazze, alla fine“


La sera del suo compleanno Alessio chiese la cortesia che lo mettessi a letto io, prontamente concessa. Era stanco ma non voleva dormire, teneva gli occhi aperti per puro sforzo di volontà, scendeva dal letto appena mi allontanavo, alla fine mi stesi sul fianco, accanto a lui, dopo averlo rimesso sotto le coperte per la quarta volta, o forse era la sesta “Se fai così non è una buona idea” sarebbe stato meglio di no, che lo avessi salutato direttamente, via il dente e via il dolore, un taglio netto e via, lo presi tra le braccia
“Non voglio che vai via” chiusi le labbra, per evitare una rispostaccia, naufragando nel senso di colpa, ormai era andata, non si tornava indietro
“Alessio, ormai sei grande, non puoi sempre fare le bizze” con pazienza.
“Se mi dovessi sentire male come a Spala, verresti? “
“Alessio!!” inorridita, lo strinsi addosso, baciandolo a caso sulla fronte, il mento, le guance “Verrei sì, te lo prometto, e non sia mai che ti senta così male..” cercando la calma “Ma se non succede nulla è per l’estate prossima, se posso cerco di anticipare”
“Promesso?”
“Promesso.”
“Starò attento, comunque” 
“Lo so, zarevic,..per favore.. sei stato malissimo, prego che non si ripeta mai più” soffriva così tanto che la morte sarebbe stata una liberazione e di rado, Dio, per me, ascoltava le preghiere di qualcuno,  e si fosse sentito male in maniera devastante e repentina potevo anche non arrivare in tempo. E tanto glielo avevo promesso, non fossi arrivata mai lui lo avrebbe saputo, e tanto.. Mi veniva da piangere, mi imposi di sorridere, aurea, lieve, cercai di rassicurarci.
” E   ti devi addormentare con il sorriso, senza pene.. Oggi hai avuto tanti bei regali” era la verità, senza fallo, riuscii a farlo ridere, alle nove e mezzo dormiva, però rimasi ancora, tenendolo  stretto, la sua testa contro l’incavo del gomito, sussurrando mille parole e stupidaggini affettuose  come facevo con mio fratello Alexander, dandogli un bacio ogni tanto. Per me rimaneva un mistero come mi amasse, volesse e preferisse in quel modo. Alle dieci si svegliò, annaspando “ .. Cat .. “
“Sono qui, zarevic.. stai giù.. o devi andare in bagno..”
“No..”
“Giù, tranquillo. “ alla fine rimasi con lui fino alla mattina, dormicchiando su una poltrona, Luois se lo immaginava e mi aveva dato il permesso, una mano posata vicina alla sua, ogni tanto gli davo un bacio sui capelli o la fronte, aggiustando le coperte, era irrequieto anche nel sonno ( con Andres il permesso me lo davo da sola, ma la storia è un’altra) Una deroga alla regola generale, per una volta andava bene.
“Alessio” un sussurro verso le sei, mi ero tolta il busto, che sennò sarei stramazzata “Facciamo una cosa che non abbiamo mai fatto” lo presi in braccio, delicata, le sue gambe intorno ai fianchi, lo tenevo raccolto contro il busto, si incuneò contro di me “Cat..” assonnato
“Solo un momento” scostai la tenda, ecco l’alba che sorgeva, il cielo virava dallo scuro nel turchese, con rapide pennellate rosa e arancione, delicate come il centro di una rosa tea, lo raccolsi sul fianco “Ti piace ?”
“Sì” Poi “Hai dormito qui?”
“Sulla poltrona”
“Allora non era un sogno” riportandolo a letto “
Ti è piaciuto,”
“Sì..Tutto”
Dai quaderni di Olga “..conoscendolo come lo conoscevi, il 13 agosto eri sulla banchina del molo per un saluto, mentre ci imbarcavamo per la crociera. O conoscendoci, che fece piacere a tutti e ..  Saluti lievi e frizzanti, al bando la malinconia, a presto.. O così pareva. E tanto avevamo finito” 
Here without you is very hard, my Prince. I need You, I hope that You are well, no pains, no sorrows.

Luois era nato nel 1888, da una coppia appassionata e litigiosa, il primo di tre fratelli, rimasti presto orfani.
La sua innata ironia lo salvò dal clima di tragedia, pure se divenne più chiuso e freddo.
La sua famiglia risaliva al re francese Luigi XII, erano sopravissuti alla Rivoluzione e a Napoleone, con vaste rendite e proprietà.
Dotato di una bellezza disarmante, il mio futuro marito fece l’accademia militare a Saint-Cyr, dimostrando una innata propensione per le lingue.
Scelse la via diplomatica e dal 1909 in avanti fu membro dell’ambasciata francese a San Pietroburgo, dove conquistò stima e meriti, oltre che il cuore di una principessa.
Non voglio scadere nella retorica, con il senno di poi quei mesi a Parigi con mio marito furono splendidi, smaglianti …
Una gioia, continua, nonostante i segni del mondo esterno, la brama di guerra, la Germania che potenziava le sue armate, Luois, oltre a essere un diplomatico, era un capitano dell’esercito francese, al momento in congedo.
 Fosse scoppiata una guerra, sarebbe partito, al contrario del principe Raulov, che era salito nei ranghi dell’esercito russo, ma aveva perso fortune immense al tavolo verde e se avesse potuto non avrebbe mai lasciato la capitale.
Non aveva importanza, ormai, ero giunta a patti con quella realtà, come a considerare mia madre non una divinità infallibile, quanto una donna con i suoi egoismi e le sue passioni .. che tuttavia aveva saputo pensare in grande, fondando scuole, ospedale e orfanotrofi nelle varie zone dell’impero. La carica nominale spettava alla zarina madre, nei fatti dirigeva tutto lei, smagliante e carismatica, una vera principessa che sapeva svolgere il mestiere del noblesse oblige con il cuore, la carità verso i poveri senza fronzoli o però.
Il telefono portava la sua voce sotto i cieli di Parigi, parlavamo del più e del  meno, festose, mio fratello diceva ciao, che aveva giocato con Alessio e che mi salutavano tutti.
Alla fine, ero cresciuta e dovevo accettare le fragilità ..Così tornando in Russia, forse non ero più solo una ragazzina viziata, ma una giovane donna che andava incontro, senza ancora saperlo, alle tragedie e alla maturità e alle perdite,le cerimonie degli addii,  il passato non l’ho lasciato indietro, lo ho tenuto con le unghie e con i denti.
Non mi è mancato nulla, davvero, tanto ho avuto e tanto ho perso. 


.. che era cambiato? Tutto e nulla, valutò Olga, seguivano la stessa ruotine di sempre, le vacanze a Livadia, il ciclo di lezioni, visite a comitati organizzativi e beneficenza, la presenza costante della Vyribova, presso la cui “augusta “ dimora (o meglio angusta, chiosava la ragazza, tra sé, era un microscopico villino con le fondamenta fatte male, vi era un freddo perenne) la zarina riceveva le visite di Rasputin e spesso loro passavano la serata, se non era Anya a venire da loro.
Lo zar, dopo cena, leggeva ad alta voce, libri in russo o in inglese, loro ragazze leggevano, ricavano o lavoravano a maglia, la domenica la zia Olga, se erano a Carskoe Selo, le portava con Alessio a pranzo dalla nonna paterna e poi a un tè, un giro per i negozi.
Senza fallo, il tea time delle 17 era servito su candide tovagliette, squisite le argenterie e le porcellane, burro e pane caldo o i biscotti inglesi che adorava la zarina.
“.. Altezza Imperiale! Auguri di buon compleanno“
“Ciao, grazie!! Bella invenzione, il telefono!”
“Ti ho mandato il regalo e una lettera, tranne che gli auguri preferivo farteli a voce.. già 18”
“E tu 19 a gennaio, vecchietta! “Ridendo, anche se non era una grande spiritosaggine “Per il resto, tutto a posto, Catherine? Qui nulla di particolare..”
“Tutto a posto, Olga le linee telefoniche non sono un granché, ti saluto ora prima che cada la linea. Un abbraccio”
“Un abbraccio anche a te, sono contenta di averti sentito “
“Ciao”
Mancava lei, ecco tutto, e tanto doveva farsela passare. E mancava a tutti loro fratelli, soprattutto allo zarevic. Poteva averlo avvisato, di Parigi e che avrebbe vissuto lì, ma per il bambino era dura. Era capitato che si svegliasse, di botto, chiamandola a gran voce, confuso sul momento, salvo rimanerci male, che non vi era. E non la potevano chiamare al telefono, in continuazione, anzi, che la piantasse, sarebbe stato meglio, la tua maledetta amica, come diceva Alessandra, la ama anche a distanza.
Lei aveva la sua vita, come loro. Il legame non si era spezzato, era diventato diverso, una specie di mutamento, una alchimia, che, in sincerità, se non avesse avuto dei problemi su questioni basilari con la madre, Catherine non lo avrebbe combinato, quel casino. E giustamente non lo aveva detto, che in fondo erano affari suoi, come lei, Olga,  non le diceva tutto.
Solo che lei ci arrivava, alla lunga, spiegarlo allo zarevic era un duro affare. Per tante cose era ancora un bambino, come aveva rilevato, che non si aspettava cambiamenti nel suo piccolo mondo, si era abituato ad averla sempre con lui, lo faceva ridere e aveva una grande pazienza, a livelli epici, per farlo mangiare e nel sopportare le sue monellerie, che si erano acuite e moltiplicate, con la complicità di Anastasia.
Si scrivevano, lettere singole, oltre che collettive, indirizzate da e per OTMA (acronimo formato dalle iniziali delle figlie delle zar) a e per Catherine De Saint-Evit.
“Cara Olga..” 
“Cara Catherine …” 
Scriveva in fretta, in francese, annotando qualche riflessione sui libri che andava leggendo, descrizioni sui cicli delle stagioni, qualche potin (pettegolezzo mondano) o annotazioni sulla moda, a volte metteva dei fiori pressati di Carskoe Selo o altri posti.
Catherine ricambiava, sul medesimo stile, botta e risposta, le mandava rose prese a Versailles, ove era stata in visita, e descrizioni dei quadri del Louvre, mentre lei Olga, guardava con occhi nuovi le squisite collezioni del Palazzo d’Inverno e dell’Ermitage. E riflessioni, aneddoti brillanti o salaci.
Sapendo che Tatiana e Marie erano appassionate di moda, si premurava di mandare riviste sull’argomento, per avere i vari aggiornamenti senza aspettare troppo.
“Giusto te e lei vi potete divertire con questi argomenti pesanti” brontolò una volta Anastasia, che era stramazzata dopo mezza pagina in cui disquisivano di Achille e Ulisse, peraltro in francese, che la ragazzina scriveva veramente malino. “Siete veramente pesanti” rincalcò il termine.
“Buon per te, che non ti astio allora con l’argomento..”
“Meno male.. le socie del club della mitologia e della storia e delle lingue, che noia, sei Olga” facendole una linguaccia “ E a te che dovrebbe mandare, sentiamo? Un nuovo tipo di lombrico da impiantare nelle soffitte del palazzo?” la più giovane delle granduchesse a volte aveva passatempi poco imperiali, come allevare vermi, tentativi che causavano l’irritazione dei genitori e l’altrui ilarità.
“Anche”
“Anche no, fila a studiare va”
“.. mi manchi, accidenti a te.. manchi a tutti Cat, ogni tanto Alessio piange e chiede di te, mica gli va giù.. eri la persona che gli stava meno addosso, che cercava di lasciarlo libero, quello che poteva fare e NON il proibito” scancellò la frase “…noi vediamo i limiti dell’emofilia, che non può fare nulla.. e tu cercavi di lasciarlo fare..”
“ Sai, Zarevic, …. quando il re era assente, invasero il regno, ma il principe combatté, trasformandosi in un drago possente, verdi come smeraldi le scaglie, occhi rossi, lunga venti metri la coda, ringraziando la principessa sua sorella, che aveva trovato l’incantesimo, lui la proteggeva, però almeno a quelle cose badava lei.… alla fine, lo chiamarono dragone, tanto era intrepido e potente. La principessa, all’occorrenza poteva diventare il dragone della leggenda, non era un maschio mancato, semmai era una Amazzone, per combattere, fosse successo qualcosa al principe, ma anche no, in caso contrario, era bravaSai,  il principe diceva che doveva combattere sempre, con onore, per proteggere chi amava, senza arrendersi mai, e non mi devi dire diventerai il drago della leggenda Catherine.. o un lupo che canta nelle albe” Catherine gli aveva sussurrato quella fiaba prima di andarsene. 
Da capo e di nuovo, era sempre il dragone che riappariva, ma lei sarebbe tornata? Da che aveva memoria era sempre stata presente, ironica, caustica, una sorella, o quasi, e lo aveva lasciato.
Era l’erede al trono, fragile e delicato, l’unico maschio, adorato e vezzeggiato, ed era solo.
Potevano venire a giocare con lui, i figli di un marinaio, i cadetti della scuola militare, ben di rado i suoi cugini, di più il figlio di Ella Rostov-Raulov, la mamma di Catherine, ma era più piccolo di lui, li dividevano tre anni, e tanto non avrebbe mai sperimentato cosa significava essere in una classe, litigare e giocare con gli altri bambini, che una caduta poteva avere effetti letali.

Le lezioni principiavano alle nove di mattina, con una pausa dalle undici a mezzogiorno, in cui, tempo permettendo, faceva una gita in carrozza o in auto, con uno dei suoi tutori e  i marinai, riprendendo poi le lezioni fino al pranzo, cui seguiva una pausa ulteriore, all’aperto, nel pomeriggio.  Le sue sorelle e, quando poteva, lo zar, si univano e Aleksey giocava con loro, scendendo in slitta da una montagnola di neve, le guance arrossate per il freddo e gli occhi ridenti, oppure giocava con Vanka, l’asinello già appartenuto a un circo, che lo divertiva con buffe smorfie e ragli, che ti tirava una testata sulle tasche per scoprire eventuali delizie. Alle quattro le lezioni riprendevano, con una pausa per il tè pomeridiano,  faceva poi cena alla sette, il resto della famiglia alle otto e finiva la giornata con la lettura di uno dei suoi libri preferiti.

“.. sai, Catherine, le materie sono il russo, il francese, l’aritmetica, religione, storia e geografia, inglese, la mitologia greca e romana me la propinavi solo tu..”

“.. Achille ti piaceva, Zarevic, lui era il più grande guerriero del mondo conosciuto.. comunque, sono contenta dei tuoi bigliettini, un abbraccio Catherine” 
 
Tutto sommato, rifletteva lo zar, lui aveva passato una bella infanzia con i suoi fratelli, Giorgio e Michele,giochi, lezioni e risate e punizioni condivise, ma Alessio, all’atto pratico, poteva contare sulle sue  sorelle, e i compagni di gioco gli mancavano, non era certo la stessa cosa. Vi andava pensando compiendo quella gita estemporanea in Crimea, eravamo nel mese di aprile1914, li accompagnavano Gilliard, l’insegnante di francese e pochi altri, aveva due auto, una la guidava lui stesso.  La natura era meravigliosa, fiori e profumi, una lussureggiante sinfonia di colori mentre percorrevano le foreste di pini vicino ad Yalta.
Nicola rimase commosso nel vedere suo figlio che giocava e saltava, era la gioia di vivere personificata, si era ripreso, alla fine.

“Che hai combinato di bello, Catherine?”una delle nostre solite telefonate settimanali.
“Ho preso il diploma di infermiera di primo soccorso, ho fatto gli esami e li ho passati con la lode” se pensavo che volevo fare, ai tempi, l’università alla Sorbona, un diploma da infermiera era stato relativamente facile.
“Bravissima..” percepii una sfumatura esitante, era la fine di maggio e io sarei ritornata in Russia entro poche settimane “Che c’è, Olga?”
“A giugno andremo in Romania, per ricambiare la visita che ci hanno fatto” torsi il collo per guardare l’aerea struttura della torre Eiffel, la svettante struttura di ferro su cui ero salita con Luois, la paragonavo a una torta, un bizzarro lampadario, poi scrutai la fede nuziale.
“Così è, in via ufficiale, Olga”
“E in via ufficiosa..”
“Rilevo che il principe Carol di Romania ti è vicino per età..un vostro fidanzamento e successivo matrimonio sarebbe ben visto, sia a livello politico che..”
“Catherine!! “Esasperata e divertita “Tanto hai detto quello che nessuno si premura di dirmi, a cui sono arrivata” una pausa ulteriore “Se non volessi, Papa non mi obbligherebbe, ha giurato che ognuna delle sue figlie si sposerà per amore, come lui e mia mamma, ora come ora non voglio lasciare la Russia”
“Olga, io sono l’ultima persona che può dirti qualcosa..” cercai di non influenzarla, né in positivo o in negativo “ Valuta se ti piace o meno.. In ogni caso, potresti tornare in Russia ogni volta che vorrai”
“Sarei una straniera in casa mia”  Lei era russa e voleva rimanerlo, riflettei.
“Olga, io dicevo che non mi volevo sposare e l’ho fatto in tempo di poco, quando mi sono innamorata, ripeto, valuta”
“Sei diventata una vera diplomatica. A proposito, hai detto che mi deve piacere.. e se non piacessi io a lui?”
“Olenka, tu piaceresti a qualunque uomo e non tirare fuori che sei la figlia dell’imperatore, per favore! Hai tante buone qualità, sei splendida sia fuori che dentro, i difetti li hai, non sei una santa e i tuoi pregi sono ben superiori!” e capì la mia sincerità, anche se eravamo per telefono a leghe di distanza, lei rimaneva la mia migliore amica e io la sua.
“Non vedo l’ora di rivederti, Madame!” ridendo
“Pure io, un bacione, a te e alle tue sorelle”
“Alexei no?”
“Lui è scontato”

Comunque, la visita vi fu, andarono sullo yacht Standard a Costanza, in un caldo e radioso mese di giugno.
Onori militari, spari a salve e colpi di artiglieria, ogni nave del porto aveva le sue bandiere innalzate. Olga e i suoi vennero ricevuti dal re Carol e dalla regina Elisabetta, poetessa e scrittrice sotto il nome di Carmen Sylva, Canto dei boschi, tradusse tra sé la ragazza, mentre venivano ricevuti dal resto dei rumeni. Carol era carino, ma insipido, nonostante la sua fama di Don Giovanni, mentre si incamminavamo alla cattedrale per un solenne Te Deum.
Era vestita di chiaro, con un grande cappello a fiori, ultima novità di Parigi, il principe era gentile, mentre le famiglie  parlavano in privato, argomenti generici e svagati, la bellezza dei centrotavola, il tempo favorevole per navigare, che delizia la privata residenza di Carmen Sylva ove erano, da lei fatta costruire sulla scogliera. La regina rumena annotò che amava stare per ore sulla terrazza, ascoltando il mare, sospesa tra terra e cielo, rilevò che anche la sua amica, Sissi  d’Austria, l’imperatrice, quando le aveva fatto visita aveva amato quel sito, poverina, ormai era morta da  quasi 16 anni, uccisa da un anarchico. La granduchessa prese un pezzo di pollo al crescione, era delizioso, meglio di Carol che cercava di fare colpo su di lei, annuiva e parlava a tratti, cortese, senza avere pregiudizi. Non mi dice nulla, rifletté, dopo la rivista, mentre si preparava per cena, studiando come sorridere.
Comunque la sala dei banchetti era regale, fiori a profusione, dolci le musiche di sottofondo, la sera declinava in una romantica notte, combinazione di sicuro effetto, al pari delle pareti di stucco bianco decorate da piccole lampade elettriche.. Annotò il muso lungo delle sorelle, nei limiti della buona creanza, Alessio non partecipava direttamente, per tema che ne combinasse una delle sue, la scusa ufficiale era che alle nove dormiva già. La verità era che a tavola era una mina vagante, i suoi svaghi potevano essere irritanti, una volta aveva trafugato una scarpa a una dama ignara (durante un banchetto di stato), infilandosi sotto la tavola e l’aveva consegnata allo zar, che lo aveva redarguito, e si era affrettato a riportarla, la poveretta aveva fatto un salto, accorgendosi che vi aveva messo una fragola. Sennò  si alzava di continuo, parlava sempre e non mangiava.
 Il ricevimento fu breve.


Dai quaderni di Olga “.. non me la sono sentita, Catherine, ecco tutto, chiesi a Papa di poter posticipare, ero giovane, avevo tempo, o pensavo di averne, tornai al palazzo di Alessandro con sollievo, di nuovo PeterHof a luglio, era passato un anno abbondante da quando ti eri sposata. L’estate scintillava, dorata e calda come una bocca di leone, quando saresti comparsa? Oziosa domanda, leggevo su una panchina vicino a una fontana, le gocce d’acqua che provenivano dagli spruzzi mitigavano la calura. Percepii un paio di mani che si allacciavano sul mio viso, sopra gli occhi, e profumo di arancia amara e rosa, le essenze che amavi usare. “Catherine” finalmente, tu, era il nostro particolare tipo di saluto “Olga” mi abbracciasti, un sorriso che danzava tra labbra e occhi, radiosa come l’estate, appunto. “Non è possibile” rilevando il vestito chiaro, che sottolineava la vita sottile e la carnagione, perle ai lobi, al collo il monile che ti avevamo regalato per un natale di tanti anni prima, con una piccola perla “ Racconta dai” “Cosa?” “Dimmi te..” ed era facile, come se non ci fossimo mai lasciate, la confidenza rifluiva, senza imbarazzo


Eravamo cresciute, tutte. Tatiana mi superava di qualche centimetro, tranne che con le sue proporzioni perfette non ci badavi, era snella e perfetta, la sua timidezza apparente smorzata dalle mie solite chiacchiere, Marie era diventata bellissima, la carnagione chiara che si accompagnava a folti capelli castani, sottile e con un bel seno, altro che la “piccola grassa bau-bau” come la chiamavano le altre, aveva una forza incredibile, tanto che riusciva a sollevare i suoi precettori, uomini adulti.. e rimaneva sempre gentile e quieta E Anastasia restava minuta, in termini di statura, con capelli biondo rossi che scintillavano come le sue battute, era e rimaneva un enfant-terrible, le sue spiritosaggini colpivano sempre  “Ecco qui le vecchie zitelle appassionate di mitologia.. sempre su Achille e compagnia, come siete pesanti.. “
“Davvero.. ?” Gonfiai le guance, feci una smorfia, sventolando la vera nuziale, ero una grassa signora maritata
“Dai Alessio, ci hai fatto diventare idioti da come la volevi e ora manco spiccichi un ciao” lui diventò rosso come un papavero, timido tutto insieme
“Anastasia, lascialo tranquillo” le sussurrai “Non lo mettere in imbarazzo”
“Siii.. Sapessi..”
“Basta” la interruppe Tata, accigliata e soprasedette.
 Timido e riservato, o forse, in quell’anno, o quasi,  gli era passata la nostalgia, o non era più abituato a me, con Olga ci eravamo scritte e sentite per telefono almeno una volta a settimana, rimarginando la frattura.



Univamo l’utile al dilettevole, io e Luois con quella visita. A luglio il presidente francese si sarebbe recato in via ufficiale in Russia, dove stavamo soggiornando, che le cancellerie europee erano in pieno fermento.
Poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, diceva Luois, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese erano state organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Il Kaiser Francesco Giuseppe scrisse al suo imperiale collega tedesco, Guglielmo, che quello era un crimine efferato, non imputabile a un singolo individuo, la complicità era certo da imputare al governo serbo, che voleva unificare tutti gli slavi, situazione che poteva essere un pericolo per i suoi domini e certo non potevano lasciare correre. 
L’arciduca Francesco Ferdinando era morto a Sarajevo il 28 giugno 1914, poche ore dopo, in Siberia, nel suo villaggio di provenienza, Rasputin  venne accoltellato da una finta mendicante, in realtà una prostituta con turbe mentali, allo stomaco, ferendolo dallo sterno all’ombelico, lo operarono di urgenza ma era mezzo morto, rimase a letto per mesi.  E non morì, per sventura comune.



Come rilevato in altre sedi, Anastasia aveva il gusto per gli scherzi e le buffonate, a volte era .. pesante. Solo che assorbiva come una spugna le tensioni (in particolare, lo zar era preoccupato per la questione serba, Alix per Rasputin, che Olga si sposasse e varie altre eventuali) e si sfogava a modo suo, quando io e Olenka avemmo l’onore di un tuffo improvvisato in acqua.
Una risata e due braccia che ci spingevano dentro uno dei laghetti del parco, osservando la fioritura delle ninfee da un pontile e .. splash, eccoci versioni sirenette, fradice e annaspanti “Anastasia!!”
“Peste” lei rideva e batteva le mani
“Sembrate due meduse e..” le acconciature sfatte, i vestiti adorni di alghe e ..
”Ti diverte eh”
“Si..” le presi il polso e, con grazia inopinata, tuffai pure lei
“Non vale!!”
“Bien sur, imp” la schizzai,  il livello non giungeva oltre il metro e trenta, non saremmo affogati, decisi, mentre Olga, scemata la prima arrabbiatura, rideva a tutto spiano.
“Che inventate?”
“Prendiamo il fresco, Alyosha” rispose la monella imperturbabile, e lui entrò ridendo a sua volta, mentre il povero Nagorny, il suo marinaio che poteva aspirare a un posto di angelo per la sua pazienza, si metteva le mani tra i capelli, disperato.
“Vieni, dai, zarevic” gli tesi le dita e le afferrò.
“Siete buffissime”
“Continua e fai un tuffo pure tu..bagnato per bagnato” e non lo avrei fatto, per gli urti, mai
“No” mi si serrò addosso “Ora sei tu, non sei più seria.. “
“Ah..” seria, proprio, con tutti i vestiti fradici e i capelli pietosi, poi realizzai che la timidezza gli era passata.
 “Vuoi venire sulla schiena?”
“Nuovo mezzo di locomozione..” non replicai, gli diedi un  bacio e me lo strinsi addosso.


“Zarevic, direi che può bastare” mi aveva messo il suo cappello in testa, eravamo un tantino ridicoli, tra tutti e quattro, Anastasia si era posata una ninfea sopra l’orecchio, Olga era senza fiato da quanto rideva, Nagorny si tratteneva a stento “Le prove per la crociera.. vieni?”
“Se vengo invitata..”
“Cinque giorni, poi viene Poincarè e siamo di nuovo a Peter Hof“Il presidente della repubblica francese “Tuo marito pure può venire“ chiosò lo zarevic “In crociera ..”
“Grazie” poi riflettei che dovevo cambiarmi e asciugarmi, senza che nessuno vedesse la mia schiena massacrata dalle cicatrici.


“Mi sono abituata così” dissi “A fare da sola..”finii di allacciare l’asola della camicia,  mentre Olga scuoteva la testa “Sei ancora più indipendente del solito.. e va bene, tranne che Nastenka è improponibile” A letto senza cena, una  settimana senza dolci e tre ore supplementari di lezioni al giorno,la marachella l’avrebbe ben riscontata, mentre Alessio, nulla, che era entrato in acqua spontaneamente, e tanto vi erano sempre due mesi e due misure. “Meno male che Tata ha la tua stessa taglia..Domani riavrai le tue cose lavate e stirate.. Buffo, da una parte”
 
“Una brutta storta, è saltato al momento sbagliato e.. ha preso con la caviglia l’ultimo scalino della passerella che portava al ponte dello yacht” Olga trattenne il fiato “E all’inizio pareva nulla..invece..” mi tappai le orecchie, sentivo le urla e i gemiti, l’emorragia sottocutanea che seguiva un urto era sempre tra le più dolorose
“E non pensare di portare sfortuna, Cat, da agosto dell’anno scorso” un sussurro contro il mio orecchio “ ne ha avute.. meno rispetto a quando era piccolo, e  tanto ogni mese o quasi abbiamo dolori articolari, febbri, emicranie e via così, gonfiori spontanei se traffica troppo con un coltello o prende un colpo alle braccia”
Scrutai il mare, le onde che danzavano sullo scafo, verdi e azzurre, increspate di bianco, gli isolotti quieti, la perfetta geometria della costa, il paesaggio quieto e sempre uguale. “Piuttosto, hai preso un bel diploma ufficiale da infermiera..”

Ma lì non interveniva l’infermiera, ma la ragazza che gli voleva bene, si abbattè gemendo contro la mia clavicola, i lamenti smorzati contro di me, lo serrai cercando di non mettermi a piangere, lieta che Luois fosse rimasto a Pietroburgo, che mi avrebbe chiesto spiegazioni e io sarei stata muta. Eravamo innamorati, felici, e alcune cose non potevo condividerle, come i segreti di Ella, il grande affetto per i fratelli Romanov, come io non capivo la sua ossessione per la vita militare, fossero scoppiate le ostilità sarebbe partito di gran carriera, che ritenesse una perdita di tempo (finché non fossero giunti figli, almeno) il mio amore per i libri e la cultura, la mia indipendenza sotterranea. Su come gestivo la casa e i ricevimenti nessun rilievo, ero cresciuta osservando mia madre e me la cavavo. Passato il primo impatto della luna di miele, stavamo scoprendo la realtà di tutti i giorni, un adattamento più da parte mia che sua.
“Sdraiati, sui guanciali” tenendogli una mano, asciugavo il sudore “Sei diventata davvero brava”annotò la zarina, aveva le occhiaie pure lei, solchi scuri peggio di suo figlio “Ho preso il diploma ufficiale  da infermiera” sussurrai “Questa primavera.. “ “Non ti dedichi solo ai libri o ai balli..” “No” ero stanca e innervosita, come lei, se stavamo troppo a contatto rischiavamo un litigio e non era il caso “Scusa è che..” non terminò la frase, mi sono chiesta per un pezzo cosa volesse dire. E sapeva che Alessio mi voleva bene e viceversa, che, vai a sapere come, riuscivo a tenerlo tranquillo.

Era amore, comunque, tra fratelli, tenerlo quando si inarcava e gemeva, asciugargli la fronte, la sua mano che mi carezzava il viso in una pausa, “Cat” “Alexei..”, l’aprire l’oblò per cambiare aria e osservare l’alba, che, immutabile, sorgeva a prescindere da noi che avevamo passato la notte in bianco e che lo faceva sorridere. Nessuno aveva il potere di alleviare quel dolore.
Mi andai a riposare per un paio d’ore, lo dovevano lavare e cambiare, prendendo dell’acqua, un toast. 
Una pausa, al rientro mi appiccicai un sorriso di circostanza, come se non avessi mai visto la cabina tappezzata in toni chiari, con tante icone, i giocattoli sugli scaffali, foto di famiglia e tappeti preziosi, aveva passato una notte orrenda e sul momento vi erano scarsi miglioramenti, mi ritrovai a pregare, la prima volta in tanti anni, figuriamoci, per lui, non per me.
Ti voglio tanto bene Alessio e tanto a nulla serve.. e lo stringevo, delicata, era un tesoro, un fragile bucaneve da non mollare. E lui, a prescindere dalla debolezza fisica, era già un vero imperatore, dolce, accorto e ironico, dotato di infinita pazienza.

Dai quaderni di Olga “.. Poche settimane dopo arrivò un dolore immenso, senza preavviso, che ti portò a dimenticare, almeno in apparenza, a desiderare la morte, tu che hai sempre amato la vita, l’oblio.. rimanesti tre giorni con Alessio, alternandoti con me e mamma, le altre sorelle, alla fine stava meglio, il 19 sbarcando a PeterHof, da due giorni aveva un poco di requie, tranne che dovette essere portato via a braccia, che non poteva camminare.. Per contrappasso, io e te, filammo a cavallo, dopo anni ebbi la ventura di vederti schizzare al galoppo, saltare muri ed ostacoli, una dea della guerra in fieri

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 1914, Adieu ***


Nel mese di luglio 1914 il presidente francese Poincarè visitò la Russia, per rinsaldare le relazioni diplomatiche.
Intanto, come noto, Olga aveva rifiutato di sposare il principe Carol di Romania, in giugno la corte aveva visitato la sua equivalente rumena, all’apparenza erano visite di cortesia, di sottofondo si preparavano mosse matrimoniali sullo scacchiere. Preparativi ufficiosi, ma Olga voleva rimanere in Russia, voleva sposare un russo, lo zar, come mi aveva accordato la libertà  di sposarmi con uno straniero, per amore, mai avrebbe costretta SUA figlia a lasciare la patria e unirsi in matrimonio con chi non voleva, non sopportava di essere una straniera nel suo stesso paese. Se le avesse imposto di obbedire, certo sarebbe ancora viva, dolorante, fragile, ma sempre viva, allora non sapevamo. Come non avevo ancora l’esatta percezione di  quanto mi avrebbe amato, ero sua, e mi avrebbe lasciato libera, come una tigre od un lupo, nessuno mi ha amato come lei, nessuno mi amerà poi così.


E la mente tornava a poche settimane prima uno studente serbo aveva ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando, erede degli Asburgo, se vi fosse stata una dichiarazione di guerra il gioco degli equilibri e delle alleanze, il senso dell’onore avrebbero condotto al conflitto.
La Russia per tradizione proteggeva i popoli slavi e la Serbia era composta da slavi. Se fosse stata guerra sarebbe stata di tutti contro tutti.
Effetto domino, diceva Luois, rilevando la singolare (come no) coincidenza che durante la visita del presidente francese furono organizzate due parate militari di vaste proporzioni.
Uno spettacolo marziale, enfin, le squadre che marciavano, le bande militari, qualche coro dalla folla, vecchi e giovani, infine ecco lo zar in groppa a un cavallo bianco, superbo e magnifico, dietro di lui i suoi zii e cugini, poi le carrozze con a bordo la famiglia imperiale.
Salutai con un cenno della mano guantata, mentre l’altra stringeva discreta quella di Luois, intanto che la banda modulava l’Inno della Sera, era il tramonto, sangue e ruggine,  e un presagio di guerra.
“Mi ha dato la Legione d’Onore!” lo zarevic sventolò il cordone, il pranzo con Poincarè era terminato e brillava di orgoglio
 “E’ un attestato di stima, Aleksej”
“E dice che parlo bene il francese, con un ottimo accento”
“Monsieur Gilliard è un ottimo precettore”
“ E tu una grande chiacchierona, come sempre!” ironico, affettuoso “Grazie Cat!!”
“E di cosa?”
“Di tutto”
I bambini lo sanno quando sei triste.Ti vengono vicino e ti fanno credere di aver bisogno di coccole. Ed invece sono loro che le fanno a te, mi prese il viso tra le mani, soffiando tra le ciocche di capelli, eravamo in confidenza, di nuovo, si fidava.



 Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. tempi e frammenti, avevi partecipato alla visita ufficiale e ritrovarci era stato un piacere amaro, eri preoccupata come tutti per il probabile scoppio di un conflitto armato, effetto domino, in sintesi. Dicesti queste parole mentre osservavamo i fuochi artificiali sulla nave France, mi sembra che fosse la cena finale con relativi annessi. Due bicchieri di champagne presi al volo, approfittando della calca, e brindammo, cin-cin, ognuno nei propri pensieri. Si risolverà in qualche modo, dissi io, socchiudendo le palpebre e osservando le stelle che danzavano, tremolanti. Come sempre, la tua battuta fiorì, arguta e divertente, peccato che eri allegra solo in apparenza, atteggiamento condiviso da molti, se non tutti. “

Mio marito era anche un soldato, oltretutto, Russia, Francia e Inghilterra erano alleate, come tra loro Germania e Austria, la mossa di una avrebbe implicato quella delle altre, bisognava restare uniti, rifletteva lo zar, che in fondo, riteneva Guglielmo II, imperatore di Germania, troppo accorto per gettare il suo paese allo sbaraglio, mentre Francesco Giuseppe d’Austria era vecchio e voleva certo morire in pace.
Vienna aveva mandato richieste e ispettori in Serbia, sostenendo che l’assassinio del granduca era frutto di un complotto organizzato da Belgrado, la pistola era stata fornita da funzionari serbi  e le guardie di confine erano cospiratori. Si chiedevano poteri illimitati per le indagini degli ispettori austriaci, di sopprimere tutti i gruppi nazionalistici e cessare la propaganda contro Vienna..
 
Il 28 luglio 1914, la Serbia ricevette la dichiarazione di guerra dell’Austria, il giorno dopo iniziarono i  bombardamenti di Belgrado.
Per tradizione, Santa Madre Russia si considerava protettrice dei popoli slavi e la Serbia si rivolse allo zar per avere aiuti, Nicola II ordinò di mobilitare le truppe ai confini contro l’Austria, che a sua volta venne soccorsa da Guglielmo II.
Non si trattava di scaramucce contro la Germania, la Turchia o il Giappone, era contro il mondo, tutti contro tutti, già parte della storia.
Il 31 luglio, a mezzanotte, l’ambasciatore tedesco, Pourtales,  si recò dal ministro russo degli esteri,Sazonov, con un messaggio da Berlino: la Russia, doveva annullare entro 12 ore la mobilitazione delle truppe.
A mezzogiorno del primo agosto non era giunta alcuna risposta e il Kaiser ordinò alle sue truppe di andare sui confini.
Sempre quel primo agosto Pourtales si recò da Sazonov, chiedendo che la Russia annullasse la mobilitazione, lo chiese tre volte e la risposta fu sempre negativa, era troppo tardi. “In tal caso, Signore, il mio Governo mi incarica di trasmettervi il seguente messaggio”la voce si inceppò, poi riprese “ Sua maestà l’imperatore, mio augusto sovrano,  nel nome dell’impero, accetta la sfida e si considera in stato di guerra contro la Russia” Erano le 19.10. 
La famiglia imperiale cenava alle 20, in genere, ma Nicola II tardava, Alessandra attese suo marito per quasi un’ora, prima che lui comparisse, scosso e nervoso, comunicandole che era stata dichiarata la guerra. Alessandra scoppiò in pianto e lasciò la stanza.



Il due agosto, dal Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, Nicola II dichiarò guerra alla Germania. Migliaia di persone affollavano la piazza quando lo zar, con moglie e figlie, scese dal battello e percorse la banchina prima di scomparire nell’edificio, dentro la vasta sala di Nicola per un solenne Te Deum. Al centro era stato eretto un altare, su cui era l’icona della Vergine di Kazan, il simbolo più venerato dal credo ortodosso.
Tutti erano seri e tesi, raccontò poi Olga, molte donne o ragazze come me tormentavano fazzoletti, gli occhi arrossati, gli uomini nervosi, il viso di mamma pareva scolpito nel marmo, alla fine della cerimonia i presenti si inginocchiavano, baciavano le mani, quindi  uscimmo sul balcone che dava sulla Piazza, drappeggiato di rosso, sotto vi era una folla immensa.
Erano trascorsi meno di dieci anni dalla domenica di sangue occorsa  in quel luogo, ora la folla con i suoi boati acclamava lo zar e i suoi, dopo averlo maledetto come un tiranno e un distruttore.
Si levò l’inno nazionale. “Dio salvi lo zar/ Forte e potente/ Possa egli regnare per la nostra gloria/ Regnare affinchè i nostri nemici possano tremare/ O zar ortodosso / Dio salvi lo zar”


Alessio ancora non camminava ed era rimasto a Peter Hof, dispiaciuto. Come al solito, lui non poteva fare nulla, non era come gli altri, pensava ed era il ritratto della desolazione “… hai voglia di stare con me, invece?”
  “Catherine, perché non sei a Piter..”stupito, contento
“Mi perdo un bagno nella folla, ore in piedi..” presi posto sul divanetto accanto a lui, nel piccolo padiglione vicino a una delle tante fontane, lontano il rombo del mare, il golfo di Finlandia recava brezze e sale, odore di rose, era abbronzato, e tanto magro. Nagorny mi fece un cenno, si rilassò, valeva sempre l’ordine inespresso, dello zar, che se ero nelle vicinanze potevamo allentare il controllo “No davvero, Alessio, mi fa piacere stare con te, posso?”
“ E me lo chiedi, mi sei mancata tanto..” Anche tu, non lo dissi.  E tanto mi toccava il braccio, la spalla, come se non credesse che fossimo sempre lì.  Mi imposi di scherzare, amarlo come sempre.  O al mio meglio, meno peggio rispetto al passato, comunque.
Accolsi il suo cenno, abbracciandolo, a quel giro come apriva le mani lo stringevo, era in credito, di strette e abbracci, anzi lo era per pezzo, me lo issai in grembo, era leggero come un sacchetto di piume, badando alla caviglia, che non prendesse urti “Diventerai alto, sai,come lo zar Alessandro III, tuo nonno, o giù di lì, guarderai tutti dall’alto in basso, la mia è una facile previsione, guarda che ossa lunghe tieni, sicuro segno di altezza ” Le mie scemenze vennero accolte da una risata di gioia, insieme eravamo due chiacchieroni senza misura. “Per essere una  donna sono alta, 1 e 72, giusto Tata è più alta di me..e con le sue proporzioni perfette non ci badi..E tanto mi supererai, Alessio” Eri il mio bambino, zarevic, fine. Eri mio e basta. “Non vedo l’ora che mi superi di peso e altezza, verrà la volta che parrà impossibile che eravamo così” mi fece il solletico “Ma forse la magia funzionerà ancora “ tirai fuori un copeco da dietro una delle sue orecchie, le aveva buffe, fin da quando era nato.
“Dove è il trucco, dimmelo! Dai”
“Tutto può essere se credi”
“DAI!!” ridendo”Dimmelo!”
“Che ne so..” e apparve un altro copeco 
“Non è nella maniche” valutò, osservando che mi toccavano il gomito, non vi erano nascondigli
“Ottima ed esaustiva osservazione..”
“Sempre in giro mi prendi, uffa..” ancora “Dimmelo..”
“No .. Si .. Forse” lo scrutai sorridendo,imprimendo il momento.
“Figuriamoci!” “Zarevic, ora basta solletico sei una peste!!” Poi “E una delizia”
“LO SO” fiero e buffo, lo strinsi tra le braccia
“Ti voglio tanto bene Alessio” arrossì leggermente “Sempre”
“LO SO”
 
Dal diario di Olga Romanov del mese di agosto 1914, che Catherine tradusse in inglese, francese e spagnolo, per suo privato uso, cronache giornaliere, prima della loro definitiva separazione, nel 1917 a  Carskoe Selo.“3 agosto, Papa ha visitato Alessio, ancora non cammina per la storta alla caviglia. Ieri è apparso al balcone del palazzo d’Inverno, la folla  cantava l’inno nazionale.. Ho pianto, di pena e commozione. Ha giurato che non farà mai la pace finchè un solo nemico calcherà il suolo della Russia, le parole dello zar Alessandro ai tempi in cui Napoleone dichiarò guerra  (..) Finito di leggere per la centesima volta M. B. (Acronimo per Madame Bovary) .  Mamma ha detto a M. Gilliard, il nostro precettore di francese, come non sopporti l’imperatore tedesco, lo ritiene falso, millantatore e arrogante. 
5 agosto, anche l’Inghilterra ha dichiarato Guerra.  Mamma è preoccupata per lo zio Ernie, che il Kaiser lo abbia mandato a combattere in Francia, Belgio o .. Russia? È un militare, ma sono fratelli cosa farà.. osserva che non riconosce più la Germania in cui è  nata e cresciuta, ha ricordi così poetici della sua infanzia, peccato che nelle ultime visite abbia trovato il suo paese natio così cambiato da non riconoscerlo affatto. Ho riletto l’Iliade, venuta Catherine per un thè. 
9 agosto. Papa è preoccupato per la sessione della Duma, fatto una lunga passeggiata, Sunbeam sta un poco meglio, il 12 compirà 10 anni, il 17 andremo a Mosca per rispettare la tradizione, lo Zar deve chiedere la benedizione divina su Lui  e la Russia per questa guerra. 
12 agosto. Compleanno di Alexei, già dieci. Venuta Catherine nel pomeriggio, era raggiante di gioia, manco ha scartato i regali per giocare con lei, con noi.
Eri fragile, bellissimo, Alessio, my little one, la tua allegria si scontrava nella tristezza che avevi nello sguardo. Rievoco quelle ore, glissammo che non ti reggevi in piedi per la storta, sancendo che stavi in braccio come una coccola, un regalo. 
 
La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito, Pietr Raulov e mio zio partirono per gli acquitrini della Prussia orientale, assieme alle truppe.
 
Dal diario di Olga Romanov “17 agosto, la folla dalla stazione al Cremlino era incredibile. Immensa, festante, inneggiava e le campane suonavano a distesa. " God save the Tsar !", l’inno nazionale risuonava in ogni angolo.  Domani Boysy sarà in grado di camminare fino alla cattedrale.. La grande incognita. Spero, ma non credo, ogni volta che deve apparire in pubblico gli accade qualcosa. Passato notte con lui, ha dormito  male, voleva Catherine.. la ha chiamata per un pezzo. Pensava che fosse a Parigi, si è confuso, e tanto la voleva uguale.
18 agosto, Sia Papa che Mama hanno deciso che Alessio  presenzierà alla cerimonia, anche se non cammina, non ce la fa, piangerebbe per il dolore, sarà presente lo stesso, portato in braccio da un cosacco.  Susciterà un putiferio, speriamo bene. Messa solenne, visita alle reliquie.. e l’entusiasmo delle folle continua a essere fervido, senza misura“ Catherine annotò che era stato visto come un presagio di sventura, il principe ereditario pareva fatto di cristallo tanto era fragile e la gente aveva ritirato fuori le storie che la zarina portava solo malasorte, era venuta in Russia dietro a una bara, dopo la morte del suocero, era tedesca e la sua lealtà  era solo apparente. Vergò ai margini che abbracciò lo zarevic, dolce, tranquilla, senza rimpianti, rassicurandolo, che era tutto a posto, lo amava, senza dirlo a parole, e Alessio si calmò, si fidava di lei.


Comunque, lo zarevic aveva ben appreso il suo mestiere di principe ereditario, che deve essere sempre compito, regale, affabile come dimostrò a Mosca sempre in quei giorni. Con il precettore Gilliard, ogni mattina uscivano in auto (una delle sue grandi passioni, come gli aeroplani) e visitavano vari posti, come la collina dei monaci, da cui si scorgeva la valle della Moscova e della città, dalle quaranta volte quaranta chiese, ricca di cupole a cipolla dorate, celesti e candide,  con snelli campanili, parchi e palazzi, immensa e solenne, i colori smaglianti in quella fine estate.
Da quell’altura Napoleone aveva visto la città, prima di entrarvi nel 1812.
Mosca, la terza Roma, una meraviglia, senza confini o misura, rifletteva il ragazzino, quando l’auto si fermò, per la ressa di persone in una delle strette stradine, gente comune o contadini che erano venuti al mercato o a vedere lo zar. “Lo zarevic!! Lo Zarevic” lo avevano riconosciuto, andandogli incontro, alcuni addirittura salirono i gradini dell’auto e lo sfiorarono. “L’ho toccato! Ho toccato l’erede!”
“Testa alta, un sorriso e una parola gentile per  tutti è sempre un bene” un consiglio che Catherine gli aveva dato, inopinato, risorse dalla memoria, erano esuberanti, gentili, non doveva spaventarsi da quelle manifestazioni di affetto, scorse i sorrisi e nonostante il pallore e l’imbarazzo ricambiò, un sorriso e un palmo teso.
“Grazie.. Viva la Russia.. Grazie..” gli sfioravano le mani, le baciavano,  toccavano la spalla, come se fosse una sacra icona, sorrideva e finalmente due poliziotti dispersero la folla e l’auto proseguì.
E aveva fatto quanto doveva, nonostante la sorpresa, la novità e l’imbarazzo, era un vero principe, senza se e senza ma.


La Germania dichiarò guerra alla Russia il primo agosto, passata la metà del mese mio marito, Pietr Raulov e mio zio partirono per gli acquitrini della Prussia orientale, assieme alle truppe.
Rimasi ancora, aiutando mia madre nell’organizzare ospedali militari nei nostri palazzi  e nelle nostre tenute, la principessa Ella faceva parte del comitato della Croce rossa presieduto dalla zarina madre.
Intanto, Alessandra aveva organizzato un ospedale militare a Carskoe Selo, decidendo di frequentare con le due figlie maggiori un corso per infermiere.
A Tannenberg, in Prussia, i russi rimasero schiacciati tra i prussiani e le sabbie mobili,con perdite ingenti.
Fu allora che iniziò a dirsi che se il conflitto andava male era colpa della Nemka, la tedesca, la zarina Alessandra.
Ci si aspettava una vittoria rapida e facile, l’esercito russo era immenso, uno schiacciasassi, peccato che mancassero addestramento, armi e munizioni.
E mio marito, il conte di Saint-Evit fu tra i primi a cadere.

Lo seppi al Palazzo di Caterina, che era stato riconvertito in ospedale militare.
Il vassoio di medicinali che tenevo mi scivolò dalle mani e le schegge si infransero a terra. Osservai i frammenti e il pulviscolo della polvere che danzava nell’aria, quindi marciai tra le rovine, testa alta e spalle erette.
Ero la moglie di un combattente, figlia di una principessa militante, mai avrei pianto in pubblico.
“.. gli hanno sparato alla schiena, ormai si erano ritirati e.. Non ci sono parole per dire quanto mi dispiace, il dolore che provo per te, figlia mia”
Le parole di mia madre mi rimbalzavano addosso come lame di vetro, non parlavo da quando i due giovani ufficiali mi avevano dato la notizia. Dicesi mutismo selettivo, credo. E tuttavia dovevo rincominciare, se non altro per non farmi ricoverare come matta conclamata.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita.
“Catherine.. “
“Mamma..” Soffiai quella parola.
“Cosa posso fare? Dimmi, io ..”
“Fai venire mio zio, devo sapere e ..”
“Sta arrivando ..” mamma dimmi che è un incubo, un brutto sogno, fammi ritornare dentro di te, al buio e la sicuro.. 
“Avevi ragione, mamma, non avrebbe dovuto sposarmi, almeno non sarebbe morto così”. Affondai la testa nel suo grembo e piansi, fino allo sfinimento.
“Ti ha amato. Lo hai amato e lo ami. Non a tutti succede di avere questo dono, poter amare qualcuno a sua volta libero di riamarti”Parlava per sé, in primis, tranne che la sofferenza mi ottundeva come un narcotico. “ Ora soffri in modo atroce e io ben poco posso fare, pure se vorrei soffrire io per te. E l’amore che hai avuto non è stato vano, sarà sempre parte di te”. Omise di aggiungere che sarei tornata ad amare e sorridere di nuovo, sarebbe stata una bestemmia, insieme sapeva, la saggezza che giungeva dall’esperienza, che la vita, dopo il dolore, reca gioia,compresi dove andava a parare e lei aveva glissato, intuendo che sarebbe apparso come un vuoto cliché, frasi fatte che non aveva il cuore di propinarmi.
E già avevo passato il limite.
Mamma .. una delle prime che imparano i bambini, e Felipe, mio figlio, avrebbe invocato altri rispetto a me. La sua prima parole “Ta-ta” per indicare Tatiana, la mia sorellina, poi “Pa-pa” , suo padre, Andres, che soddisfazione, eh. Nove mesi di gravidanza, il parto e.. Chi appellava? Chi amavo.


Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine” Arrivai il prima possibile, mi dissero che ti stavi riposando, entrai lo stesso, riconoscevo l’eufemismo. Avevo le labbra piene di parole di consolazione, ma.. avevi la schiena appoggiata al muro, lo sguardo fisso e di pietra, eri invecchiata di dieci anni in un solo giorno, le gonne sparse intorno come i petali di un fiore rotto, le ginocchia sotto al mento, una posa di consolazione “Catherine ..”Un minimo cenno della testa. Scivolai sul pavimento accanto a te, un braccio che ti sfiorava. Non esisteva una sola parola, in nessun linguaggio umano che poteva consolarti e scemò il silenzio. Eri pietra, ghiaccio e neve, spezzataAlla fine, avevo il davanti del vestito inzuppato delle tue lacrime, salato e amaro, nemmeno una sillaba, mi avevi buttato la testa in grembo, le spalle che sussultavano .. Ti sfiorai la nuca e piansi in silenzio a mia volta, ti addormentasti per sfinimento, risvengliandoti a tratti, ti feci inghiottire due cucchiate di minestra a stento, eri peggio di Alessio, e tanto meditavi sotto le braci, lo stallo era solo apparente. Mi addormentai pure io, era possibile che fossi legata così ad un’altra persona, ovvero te.. Tu ed io, legate a triplo filo, cenere ed assenzio divise eppure vicine”
Inutile riferire come mi sentii. Disperazione, impotenza, panico, dolore, come se il mondo intero mi fosse crollato addosso.
E così era.
Decisi di reagire, in un modo o l’altro.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita. Queste parole come una litania, un incantesimo, l’odio che germogliava come un fiore velenoso dentro il petto, nessun loto, nessuno oblio .
Osservavo tutto a occhi asciutti, colloquio dopo colloquio con mio zio, che, oltre che dell’esercito, si occupava anche della Polizia segreta zarista, la Ocharana.
Fui snervante, lucida, senza isterie.
Volevo andarmene.
Dovevo andarmene.
Una cosa Alix me la aveva insegnata, ovvero l’organizzazione, che occorre avere un piano, mai improvvisare.
Rievocavo Luois, mi pareva impossibile dover vivere senza di lui, eppure lo avevamo seppellito, i funerali erano stati celebrati, ero vestita di scuro, nero su nero.
“Luois, je suis moi.
“Catherine .. Mon amour. 
“Oui, il a dit oui, je serai ta femme. 
“Catherine ?Je t’aime.
“Moi aussi, je t'aime. Je t'aimerai pour toujours.
Quelle parole lontane, il suo sorriso quando ci eravamo incontrati, la passione dei nostri corpi, il battito di cuore e anime.
In quei pochi mesi che era durato il nostro matrimonio eravamo stati felici, che prezzo avevamo pagato.
Che prezzo.
Lui morto,io in fuga.
Je t'aimerai pour toujours.
E per sempre sei rimasto dentro di me Luois.





“Sei una vigliacca, una codarda.”
“Allora non merito alcuna perdita di tempo. No?”
Un nuovo dolore, un abbandono ulteriore. Avevi ragione, ero una vigliacca.
“Perché.. che hai in testa. Cosa vuoi dimostrare andando in Francia, come infermiera volontaria, come se qui in Russia non avessimo ospedali e feriti.
“È il mio desiderio.” Voglio morire Olga, non è incubo, tu hai fede e io no.. E la notte mi inghiottirà, e non divorerà te. La disperazione come una pestilenza. Via da me.
“E saresti andata via, senza dire nulla, il solito fatto compiuto, lo ho saputo solo per caso. “alla rabbia si mischiava la pena. Bene .. via così. Contavo di scappare alla chetichella, invece dovevo andare fino in fondo, fino alla feccia. Strinsi i pugni, le braccia incrociate dietro la schiena, dovevo andare avanti, senza lussi. Chi mi amava era maledetto, Olga, me ne andavo per proteggerti, allora ne ero davvero convinta.  Te, come i tuoi, mia madre e mio fratello, volevo la vendetta, e quando ebbi l’occasione omisi, altre erano le cose più importanti.  
E allora volevo e  dovevo punirmi. E reagire, che se il mondo mi era crollato addosso, non volevo essere una vittima, passiva, rassegnata. E la ragazzina intrepida che ero stata balenava tra le braci, quella che aveva strappato un frustino al principe Raulov e le aveva prese al posto di mia madre.
“Se resto in Russia .. Non riesco a resistere.”ed era la verità.
 
“E te ne vai. Quando ti sei sposata, va bene ne avevi motivo. Era la passione, il grande amore,diciamo così, ora.. che vuoi dimostrare? Tuo marito è morto. Nessuno te lo riporterà indietro. Ogni tua ipotetica vendetta, atto di eroismo o che non ha senso, a lui non servirà. Servirà a te, nel tuo egoismo, sei solo una grande egoista, Catherine, come al solito, pensi solo a te stessa.” Dura come una punta di selce, di ossidiana.
Silenzio.
Eravamo nel salottino privato di mia  madre a Pietrogrado, come avevano ribattezzato la capitale, in un patriottico impeto, sole a discutere.
Sole per dire, che i cosacchi della guardia che la avevano condotta lì aspettavano fuori.
La stanza, piccola e intima, con i fiori freschi e i libri e mobili pregiati, ci accoglieva con le sue luci mutevoli. Il richiamo potente di una infanzia condivisa, fino alla fanciullezza e alla adolescenza, da fuori il profumo di glicini tardivi e rose fumose.
Un tesoro perduto.
“Non importa. Non mi interessa”
“Importa a me, rispondi a questo. Se lo sapessi, di come sarebbe andata a finire lo avresti sposato”
Silenzio. Ancora. 
Mi imposi di raddrizzarmi e allargare i pugni. Nel mio egoismo, anche allora, sapevo che lo avrei sposato.
“La nuova tecnica, non rispondere. Con tutte le lingue che conosci, è una suprema ironia che non cavi una parola in francese o inglese o spagnolo, finanche di latino“Un sospiro, omise il tedesco, che non avrei risposto di me, a parti invertite io avrei fatto peggio, sicuro “Meglio chiudere qui, Madame. E tanto sarebbe sì lo stesso“
“Chiedo congedo, Altezza Imperiale, devo finire di prepararmi.” Partirò, qualunque cosa tu dica o faccia, risparmiamoci questo strazio, è solo uno stillicidio.
Una occhiata in tralice, di traverso. I capelli raccolti in uno chignon biondo dorato, il viso stravolto dalla furia, un vestito chiaro, dai riflessi iridescenti. Avevi ragione, ogni vendetta o eroismo o ardimento a Lui non sarebbe servito, che era tra i morti.
Non dovevi sapere di come mi maledivo, del senso di perdita e maledizione, che avrei ucciso quel tedesco con le mie mani.
NO.
Tu eri una principessa, io una bastarda.
“Vattene.  Questo è un addio, allora. Hai il mio permesso, congedati.”
“Avete ragione è un addio, Altezza Imperiale.” Il titolo formale, lei lo aveva sempre aborrito e mai voluto in privato, per segnare il punto formale, di netto distacco.
Mi inchinai tre volte, avanzando all’indietro, tre flessioni perfette, l’ultima così profonda che mi lasciò senza fiato per un momento, come prescriveva l’etichetta.
Quello non era il congedo tra due amiche, due sorelle, ma tra una granduchessa e una suddita, non guardava ma il decoro andava rispettato. Era ruotata di spalle, forse per celare i singhiozzi, che la figlia di un soldato non piange mai.
“Pensavo che fossi mia amica, una sorella. Invece ho sbagliato, o almeno una volta lo eri, sa il Signore quanto ti ho voluto bene“Quelle parole, come coltelli nelle carni, un soffio, una benda“E saresti andata via, senza un saluto, come se fossi una sconosciuta. La solita egoista.”
Eri la mia amica, mia sorella e me ne andavo. Codarda e vigliacca, avevi ben ragione. Una volta, di ritorno da un viaggio da casa, ero ritornata, ma quello era un periplo senza ritorno.  Odiami … Io non merito nulla.
“Vi auguro di dimenticare, Altezza Imperiale. “
“E così sia. Io dimenticherò ma Voi no, Voi mai. Addio, Madame De Saint Evit. Ricordate che non vi è peccato peggiore chi tradire chi si fida di te. Mio fratello e le mie sorelle vi vogliono bene, andate a salutarli, per loro, non certo per Voi, non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché. Specie Alessio, non capirebbe, vi è molto legato e.. Non voglio che pianga o vi cerchi, chiedendo quando tornerete, quest’anno che eravate a Parigi .. Lasciamo perdere, anche se, correttamente, avevate indicato l’estate, peccato che un anno per un bambino sia lungo, infinito. Diciamo chiaro e tondo che ve ne andate, senza data di ritorno, non create aspettative. Già che ci siamo, mandate due righe, giusto per forma e auguriamoci che dimentichi, in fondo i bambini fanno così.  Io spero solo di non vederti mai più.”
 L’ultima frase era  appena sussurrata, ma la percepii lo stesso, finsi il contrario e cadde il silenzio.
Addio Olga.
Dimentica, se puoi.
Starai meglio senza di me.
 
Io spero solo di non vederti mai più.
Sia così.
 
 
Dal diario di Olga, “21 settembre 1914. Addio.  Ho  finito e mi viene da piangere, neanche io ci credo, non si vuole fare amare. In qualunque modo ti mostri, qualsiasi maschera indossi..dentro di te sei una sola.. quando lo capirai??”



 “Che bello, uno spaniel.”
“Già come lo chiamerai, Zarevic? Vedo che ti rimane simpatico”
“Joy. O Achilles “ Stringendo il cucciolo che gli avevo regalato tra le braccia. Rapito. Contento, e sul momento non rilevava il mio viso scavato, che ero un corvo in lutto, abbracciò me e il cagnolino, almeno avrebbe avuto qualcuno che sarebbe stato sempre con lui, fedele, che non lo avrebbe lasciato.
Lo zar era al fronte, la zarina mi aveva elargito i suoi complimenti “per il tuo altruismo, a presto, vai a salutare i ragazzi” ma era l’ultimo passo. Olga non c’era, ometteva di presentarsi,ormai ci eravamo dette tutto. Vi vogliono bene, andate, a salutarli non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché.. . Specie Alessio, definire senza limite l’affetto che aveva per me era solo una perifrasi. E mi aveva assestato una stoccata riferendo che aveva chiesto di me e cercato e voluto.
E tanto ero oltre la misura.
Volevo solo chiudere gli occhi e non svegliarmi mai più.
Almeno da morta non avrei patito in quel modo.
“Meglio Joy.” Gioia in inglese, che ironia, che sarcasmo, ma lui doveva stare bene, senza sentire le mie bestemmie, i piani di congedo e fuga.
“Joy Achilles. “ Era cresciuto, ancora, sarebbe diventato alto e ben fatto,mi abbracciò per la vita rovesciando il viso, premendolo poi contro il busto, annotando il mio vestito scuro, da lutto, alla fine, che Luois fosse morto non glielo avevo detto, e tanto… lui ascoltava tutto, sempre, anche se non pareva..mi si serrò addosso, stretto.
“Le mie storie le ricordi. “ una cosa che gli lasciavo, un dono d’amore e tanto ero vuota e spenta, nulla meritavo.
“Certo. Sempre” Gli accarezzai capelli, leggera.
“Io pure.”
“Anastasia, che fai.. “un movimento fluido e ci strinse entrambi.
“Cat. Quando torni?” Un sussurro che finsi di non sentire, infinitesimale, una bolla di sapone, un soffio di voce dello zarevic.
Probabilmente mai più. Non tornerò mai più.
Gli diedi un bacio e mi congedai, approfittando di una scusa. “Cat..” “Addio, zarevic, cercate di stare bene”
 “MA..”
⏳ “Sempre” accostai la guancia contro la sua, tenera, una recita, me ne volevo solo andare e tanto.. Congedati con onore, lascia che ti ricordino tranquilla, non isterica, non vi rivedrete più, fai uno sforzo.
Per staccarmi presi spunto dal cucciolo, che stava mordicchiando un guanciale.
 
Quello era un addio, mi ricordai di sorridere, senza fallo, poi strinsi Marie e Tatiana.
Quando andai a prendere l’auto, attesi che l’autista mi aprisse la portiera, mi girai di scatto, la sensazione di essere osservata.
Dal secondo piano del palazzo di Alessandro, la mano appoggiata contro il vetro, eri lì, un raggio piombò contro i pannelli illuminando le ciocche delle sfumature dell’oro e del bronzo, come un’immagine, un dipinto .
Chinai la testa, un piccolo cenno e salii.
Mai ho sentito di un lupo che abbia pianto.


Dai quaderni di Olga Romanov” la guerra, iniziata con tanto slancio, recò invece delle promesse vittorie morti e feriti e sconfitte inenarrabili. Lo so con cognizione di causa, che nel mese di agosto 1914 avevo frequentato con mia madre e Tatiana un corso per infermiere, trovandoci poi a lavorare nel Palazzo di Caterina riconvertito in ospedale militare, dopo avere assistito a una messa alle sette di mattina. Se tutto andava male la colpa era dei tedeschi e quale migliore capro espiatorio della zarina nata in Germania? Il pomeriggio frequentavamo i corsi supplementari, la mattina assistevamo agli interventi, facendo le medicazioni e assistendo e confortando come potevamo. Sporcizia, fatica, nausea.. la prima volta che mi hanno dato un braccio amputato da mettere via stavo quasi per vomitare, a malapena sono riuscita a non svenire. Leggevo i giornali, interrogavo gli ufficiali, cercavo di capire. E mi mancavi, anche se tenevo duro. Era un addio, no.  Ai tuoi tanti gesti impulsivi e scriteriati ero abituata, definirti egocentrica era un dato oggettivo, tranne che a quel giro non ne venivo a capo. La morte di tuo marito era stata un colpo atroce, choc, panico e dolore, ma tagliavi tutti i ponti e te saresti andata senza un saluto. Lo seppi per puro caso da tua madre, che non sapeva a quale santo votarsi per farti rimanere.. “Parlatele voi .. per favore. Siete la solo persona che può convincerla..” Hai fatto soffrire me, hai fatto soffrire lei che ti dissi, non vi è peccato peggiore che tradire chi si fida di te. E con Alessio ti avevo tirato una stoccata non indifferente, ti adorava e gli eri mancata, come gli sei mancata a prescindere.  Io spero solo di non vederti mai più. Quell’ultima frase, detta a voce bassa, l’avevi sentita, eccome, ti volevo far soffrire ed ero ben riuscita nello scopo, senza ricavarne altro che amarezza, mi ero pentita il momento dopo averla pronunciata. Ma sono andata avanti, non avevo molta scelta, tutti noi ci raccontiamo delle storie per proseguire, mi domando quale sia stata la tua, e so di averti ferita a morte, a nulla è servito.
Ancora dai quaderni”.. comunque, a rate davi notizie, giungevano dei biglietti, indirizzati a CARA OTMA, le iniziali mie e delle mie sorelle, nulla di rilevante, nel primo anno di guerra ne avrai mandati una decina, per lo più brevi annotazioni, personali per i compleanni e gli auguri, poche frasi di prammatica. Chilometri di distanza, nessun obbligo, tranne che mi mancavi. Non volevo, tanto era, uno dei tanti effetti collaterali. E mi arrabbiavo con me stessa, eri stata impulsiva, sventata e egoista, pur soffrendo. Ognuno reagisce a modo suo, lezione appresa nei lunghi turni di infermiera. Vestita con l’uniforme e il velo bianco, la croce rossa ricamata, mi confondevo. Ero una sorella di misericordia. Davo il mio contributo, una goccia nel mare, sempre meglio di nulla. Come tutti, anche Marie e Anastasia, divenute patrone di un ospedale. Leggevano per i feriti al pomeriggio, lavoravano a maglia le loro cose, giocando a carte e dama per intrattenerli, scrivendo a casa sotto dettatura, cucendo vestiti e bende e fasciature. A malincuore andavano a lezione. Oltre all’attività di infermiera, facevo pure io quelle cose, insieme a Tata, in più suonavo il pianoforte. E cercavo di non pensare alle serate trascorse dalla Vyribova, che, tranne che per un concerto settimanale si ripetevano con monotona cadenza. Non vi era verso di sottrarvisi, io ero indocile, ingrata e ribelle.. As usual. E non sopportavo il Nostro Amico, come mia madre definiva Rasputin, come se le sue preghiere fossero davvero quelle di un re taumaturgo, calmava l’ansia di mia madre, non quella di Alessio.. Cat .. perché mi hai detto dopo, quando pensavamo di esserci perse per sempre e ci siamo ritrovate sull’orlo, che quando Luois de Saint Evit è morto avevi abortito per la seconda volta, eri incinta di due mesi appena, andava tutto bene, la prima gestazione poteva essersi conclusa in aborto per la precocità, la giovane età, la seconda si era chiusa per il trauma.. Ci credo che eri piena di dolori e tormenti, pure.. Potevi dirmelo. Per proteggermi, te ne sei andata, definirti contorta ed egoista è sempre stata una perifrasi. Eri il dragone solitario delle tue storie, eri ancora e sempre la mia principessa, poi di ritorno, amore non significa possesso, quando hai avuto la libertà sei ritornata, le fragilità che erano diventate un punto di forza, non ti sei arresa. E quando ho saputo .. la realtà della violenza, eri una tigre, una combattente da sempre, egoista per non arrendersi“
 
Ero riuscita ad andarmene senza scoppiare. Non sarei tornata mai più. Addio, Olga.
Addio, Aleksey. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** My Dragon ***


  Era una sorta di incubo a occhi aperti.
Maledetta guerra.
Maledetti tedeschi.
Maledetta me. Se non mi avesse conosciuto e sposato non sarebbe morto come un cane, lontano da casa, alla schiena, lui che era stato  un soldato e un uomo coraggioso per tutta la vita.
Fu allora che cominciò la mia lotta, entrando a pieno titolo nell’età adulta, dopo avere esaurito  tutte le mie lacrime.
Convinsi per sfinimento  mio zio Aleksander, elaborando un piano di stratagemmi e sotterfugi, mi reclutò come agente segreto per la polizia segreta russa, la Ocharana, per il mondo sarei partita come infermiera volontaria sulla Marna. All’epoca riteneva che avrei mollato dopo un mese, come no, ero selce, fumo, disperazione.
Peripli e incastri, la polizia segreta russa collaborava con i servizi inglesi e francesi, ebbi degli incarichi, un nome in codice, Cassiopeia 130.

Appresi a stare da sola, conoscendo una solitudine che non avrei mai reputato possibile.
Ho cercato il nome di mio marito nelle ore e nei giorni, una stella, un segreto.
Nelle notti insonni e solitarie, tornavo alla mia antica passione per la lettura. Omero, Machiavelli, Dante, Shakespeare e Flaubert, le lingue straniere, ero una furtiva ombra che danzava sotto le stelle, i lampioni, una principessa di neve.
E l’ora che precedeva l’alba era buia e fredda, mi sentivo svuotata, un cavo proiettile, rievocavo mio fratello e Olga e i suoi, un momentaneo abbandono. Solo una distrazione, un pensiero.
E un lampo azzurro, Cat, quando torni…
Non lo so, Alessio.
Forse mai più.  Dimentica, starai meglio senza di me..
 Sei solo un bambino, scorderai, no? O mi auguro questo, per te. E le assenze mi straziavano
All’atto pratico, oltre a passare da una  lingua all’altra,avevo imparato a montare e smontare le armi, sparare a un bersaglio, la lotta libera e molto altro. Addestrata come un soldato una spia.. non una principessa o una infermiera, vi sarebbe stato da ridere.
Inferno in terra, la trincea, il lamento dei feriti.. le granate.
Ero Cassiopeia 130, una spia che si occupava di combattere la rivoluzione strisciante, lecito ogni mezzo, compreso barare e mentire, la disperazione danzava nel cuore..
Poche e essenziali necessità, poi, la fame, il sonno ed  il sesso. Tutto istintivo, primario, i bisogni erano quelli di cui sopra, scoprivo la lotta tra la mente e il corpo, il mio corpo Giuda, eterno traditore, che si ricordava del respiro, della vita, ma non di quelle che aveva custodito, due volte avevo concepito e due volte avevo perso i figli di Luois nel grembo.
Mi insegnò poi Alessio a combattere, un giorno dopo l’altro, una dura lezione che appresi da LUI,  amava la vita e ci teneva, la malattia lo aveva reso delicato come un vetro veneziano e, pure, non mollava,  fosse solo per avere un giorno in più.

PER IRONIA O CASO CERCAVANO UN SOGGETTO COME ME, CHE CONOSCESSE LE LINGUE, SAPESSE CAVALCARE E .. BELLA E SEDUCENTE, UNA PIETRA DA SCOCCARE, UN PROIETTILE PER UNA FIONDA.



La sopravvivenza, come suole dirsi, quando alla paura, istintiva, subentrò una gelida collera, che voleva quello?
.. Ti piacerà, puttana, sei  vestita  da ragazzo e..NO.
Ero una bastarda, una puttana, ma non la sua, quindi non aveva nessun diritto di infliggermi quella violenza, né io avevo da riscontare quel peccato specifico.
Voleva togliersi i pantaloni, un muro alle mie spalle, dinanzi il mio potenziale stupratore e il suo alito fetido di vino.
Battaglie perse, guerre mai iniziate, un codardo come il marito di mia madre.
E valeva essere la pena essere una bastarda, pur di non essere stata generata da un vigliacco.
E un lampo azzurro, Cat, quando torni..
Non lo so, Alessio. E mi manchi, come Olga, come tutti... Tornerò, per Te, per Voi.
NON VOGLIO MORIRE così .
Un colpo al ventre, capelli strattonati, un coltello che cambiava proprietario e un dolore lancinante al braccio sinistro, rantoli e.. i miei passi che guadagnavano la cima del vicolo, cercavo la notte e le sue ombre propizie, uccidi per legittima difesa, per istinto, come un animale non devo sentirmi in colpa, non cercavi vendetta
Al mio alloggio mi spogliai, i denti stretti per non urlare il mio dolore, il suo sangue e il mio, lo squarcio sull’arto.. Bruciai  i vestiti nella stufa, gli stivali li gettai e il medico che mi curò non fece domande, si limitò a prescrivere di mangiare carne, riposarmi e che ero fortunata, un colpo più preciso e andavo al Creatore. Il sangue mi batteva dentro le orecchie, non cedere, non mollare, discendi da Felipe de Moguer, un combattente nato e combatti da una vita, che fai molli ora? NO. E allora stringi i denti e vai avanti.
Stilai il mio rapporto, riferendo di un incidente, i giornali segnalarono una rissa tra vagabondi, un morto e finì con una cicatrice in più e altra innocenza perduta per me. E volevo i miei fratelli
Alessio, mi manchi, come Olga, come tutti... Tornerò, per Te, per Voi. Te lo prometto.
In principio era per darmi un contentino, ma ebbi la fortuna di centrare degli obbiettivi e divenni indispensabile, non amo rievocarli, è solo una nebbia confusa, segni tangibili la mia cicatrice, consegno il resto all’oblio, al dio delle guerre, delle battaglie.
 
 
“Basta Alessio!! Non torna, non tornerà!” glielo aveva chiesto in un sussurro, senza aspettare che si riprendesse, era stanca e irritabile dopo ore di turno in ospedale, tra gemiti e feriti.
“Sei cattiva!!”enunciò.
“Smettila di chiamare Catherine, di cercarla .. ti ha promesso qualcosa? Di specifico” scrollò le spalle.  Se all’ospedale di Caterina vi era una certa organizzazione, un letto per ogni ferito, bende, medicinali e quanto altro, come era nelle trincee? Orrore.. E si andava avanti un minuto alla volta, la ragazza si sentiva impregnata dell’odore di medicine, etere, sangue, e tanto altro.. Aveva timore che le rimanesse appiccicato, voleva fare un bagno e.. suo fratello la cercava per quello.. Gli assenti non tornano, mai più.
“No.. però. Mi manca.” Come al solito, come sempre.
“Sarò cattiva e quello che ti pare .. ma non tornerà, mai più. La principessa che conoscevamo.. ha una nuova casa, altri amici” speriamo, per te, Catherine, che ritrovi un  minimo di pace, tanto non ti rivedrò mai più.
“E allora?” ansioso, impaziente.
“E’ finita, zarevic, non tornerà mai più, impara a dimenticare”
“NO”
“Invece sì. Mi sono abituata io, a stare senza, figuriamoci te “ E mentiva, sapendo di mentire. Le mancava, a prescindere, era una amputazione,  era sempre la sua migliore amica, una sorella, e  le aveva detto, ferita, straziata, spero solo di non vederti mai più.
“Sei bugiarda e sei cattiva, scrive..”
“Alessio .. non la rivedrai più, per come la conoscevi, ha finito, io ho finito..”il pianto del bambino si perse tra le nuvole, non osò infierire e tanto era finita, prima capiva e meglio era, anche se quelle parole erano una coltellata
 “Lasciami solo! Lasciatemi in pace!!”
“Calmati, rischi di sentirti male! Ti lascio se ti calmi, promesso.” E l’aveva cercata lui, a proposito.
“La voglio..”
“Che ti ha detto, quando ti ha salutato?”
“Cerca di stare bene e .. addio.. Colpa tua, se avete litigato solo colpa tua..” Olga diventò color brace, quindi sbiancò, fosse stato un ragazzino normale non la avrebbe passata, non doveva, che imparasse “Addio significa mai più.. Se abbiamo litigato o  meno non è di tua spettanza..”
“Invece sì..se le conseguenze mi riguardano! Dove vai, Olga?”
“In corsia e ..tanto da questo orecchio non ci senti” una pausa “Sono stanca, Alessio, facciamo turni di 12 o 14 ore e preferisco continuare” scrollò la testa, gli sfiorò una spalla. “ E non va, non va”
“Olga .. scusami”
“Scusami tu, Alessio " lo abbracciò per un momento " Anche se è andata via ne parlo, ci penso.."
"Guarda che .. ”
.. living every day like it is your last. Applicando la filosofia di Alexei, la sua infantile saggezza, era lui il vero drago, il lupo ed il combattente. E mi mancava, una ferita sempre aperta.
E io mancavo a lui.
Alexei aveva scritto una composizione in russo, per le sue lezioni, nel 1914.  “La porta si apre e un ufficiale entra nella stanza, si siede e suona il campanello. Viene un valletto” Lei gli avrebbe detto che poteva descrivere l’ambiente, il dialogo, ma la cantastorie era lei, non lui..  Cat.. Continuò a leggere.
Venne celebrato in servizio. Il reggimento marciò accompagnato da una folla immense, tutte le signore erano alla stazione per dare il loro arrivederci. Il treno lasciò la stazione, tutti dicevano "Hurrah." La moglie di A. P. tornò a casa in lacrime (…)Andò in chiesa, mise una candela di fronte all’icona della madre di Dio e pregò, con fervore” Come facevano tutte le donne, mogli, madri, fidanzate, sorelle che avevano il loro uomo alla guerra.
Trascorse un mese. Il reggimento in cui serviva A. P. fu destinato a combattere contro i tedeschi. In una battaglia il reggimento ebbe delle perdite, alcuni ufficiali vennero feriti, tra questi A. P., alla testa ed al petto (…) All’ospedale, una delle sorelle di misericordia lo vide e lo riconobbe, era suo marito. Le ferite erano serie, il paziente venne mandato a curarsi nella sua città natale di Chisinau. Sua moglie lo accompagnò (..) Si ristabilì e tornò al reggimento, portando con sé scarpe e indumenti caldi per i soldati. Sua moglie tornò all’infermeria. Entrambi sono vivi e stanno bene e rimarranno in guerra fino alla fine.
The end.
A.R. 1914"
In the war until the end
Settembre 1915, Mogilev, Quartiere Generale.
Mi chiamarono lupo, tempesta, ero lodata come una segreta punta di diamante della polizia segreta, un soldato militante.
Per altri Cassiopeia era un lupo bastardo, un ermafrodito, una puttana, le voci così esagerate da parere irreali e quindi senza fondamento.“Che il diavolo ti porti, ragazzina. “La voce di mio zio era grave “Pensavo che dopo poco ti scocciassi, ti impaurissi e che volessi tornare strisciando da tua madre e invece.. NO. E nulla ti è mancato“
“Avete sbagliato tiro. Sono stata utile, malgrado tutto, e nel giro di una settimana ho catturato chi mi sorvegliava, ammetterete che non ero una fessa”

“Già, purtroppo. O per fortuna. Almeno non hai l’arroganza di considerarti indispensabile.”
“ Per adesso, no. Posso congedarmi? Ho ..”la stanchezza mi era piovuta addosso, come una cappa malinconica, quanto tempo era che non riposavo senza il sottofondo di rumori molesti o il suono dell’artiglieria, la tensione nei muscoli e negli arti contratti? Già il non ricordarmene era una risposta adeguata, come il mancare di osservare bene mio zio ed i dettagli della sua stanza, la mia ironia era stata fuggitiva.
“Meriti una pausa. Domani incontrerai lo zar. Lui voleva trovarti già oggi, è qui con il suo erede, il ragazzino si considera un soldato, veste l’uniforme e mangia pane nero come le truppe, non che mangi molto, a dire la verità ma è davvero bravo, anche se ciarla senza sosta, una volta superata la timidezza. Sei spiritata, magra, con due occhiaie da paura, gli faresti impressione, domani gli farai meno spavento, o lo spero“ Sorrisi ascoltando quella descrizione di Alessio, evitai di offendermi sul paragone ad uno spaventapasseri.
Tacque per un momento, soppesando se dirmelo o meno, poi decise per la verità
“ Quando l’imperatore ha saputo l’identità di quella tale persona, chi era Cassiopeia, stava per picchiarmi. E non vi era modo per farti tornare indietro. Le tue operazioni andate a buon fine hanno acceso la sua curiosità,  ignorava chi fosse quella spia, il nome vero. Ha chiesto, in segreto, ho dovuto dirglielo”
Cassiopeia era il mio nome da agente
 Mi chiamavano lupo e puttana, tempesta la definizione più gentile.
Era la guerra, l’oblio. Ero come Achille, il terrore dei nemici, chi osava sussurrare quel nome? Se pensavo che un tempo, discutendo con Olga, osservavo di amare il saggio re Ulisse, la situazione attuale aveva dell’ironia senza misura,Dio si divertiva a giocare a dadi.
“ Cosa gliene importa, scusate, allo zar, di  me?”
“ Più di quanto credi, ragazzina. Sei una amazzone per davvero, e sul serio”Enigmatico.
Scrollai le spalle e uscii nella  sera settembrina, sulla soglia mi girai di scatto, il tramonto mi rivestiva di zaffiro e indaco, piccoli toni di rosso e ciliegia, un crepuscolo amaro, gli dei della guerra erano davvero lontani.“Non chiamatemi più ragazzina, non lo merito.” Ero magra e sottile, i corti capelli da ragazzo, con stivali e pantaloni potevo passare, come in effetti passavo per un maschio, la giacca ben stretta e le bende allacciate sullo sterno, nascondeva lo scarno petto, con un cappello calato sul viso mi mimetizzavo bene. E nessuno si sarebbe aspettato di trovare la discendente di Felipe de Moguer vestita in quella guisa, tutti la pensavano infermiera volontaria nelle trincee di Francia, vedova, martire in fieri, una matta conclamata.
“Hai ragione, scusami. Il tuo alloggio è nella parte posteriore. Tranne che lo zar, nessuno potrebbe riconoscerti, solo suo figlio e il suo marinaio di guardia, i suoi precettori non sono molto svegli ” almeno lo sperava. “ E meno male che la zarina e le granduchesse non sono qui”
“Lo ha portato qui?cioè è sempre qui..” quell’inverno era stato bene, sempre, non vi era stata nessuna grave crisi, per quanto di pubblico dominio, come quella di Spala.
Fece un cenno di assenso e lo lasciai alle sue carte.
Cat, quando torni??
Non lo so, Alessio.
Ho solo una grande voglia di rivederti..
Il mai più non esiste.
Sono sempre viva e mi manchi, mi mancate tutti.
E per il tuo bene, spero di non vederti.
Sono tornata.
Alessio .. cosa fai?
 
Il mio nome, nella polizia segreta, era di Cassiopeia 130, come le più luminosa costellazione dell’universo in cui ballavano gli astri .. da bambina, Olga sosteneva che erano lampade accese dagli spiriti amici.
Ed io ero solo buio.
Quando mi addestravano, poche, intense settimane,  benedicevo la stanchezza fisica, ero un automa che non si concedeva il lusso delle lacrime, mio zio era il mio diretto superiore che si rendeva complice di un azzardo, di una follia di cui si era pentito, ma ormai era andata.
Un bagno caldo, un letto morbido, un bicchiere di vino bianco, non badai ai particolari, ero tra amici, o aspiranti tali, mi fidavo .
Per quella sera non chiedevo di meglio.
Mi sdrai supina, le braccia aperte, aspettando un sonno senza stelle o sogni, come Felipe de Moguer, il mio antenato, in attesa delle battaglie.
Io sono Catherine e questa è la mia storia.
Dalla mia avevo la fortuna dei Rostov-Raulov, ero una giocatrice d’azzardo senza carte, giocavo con la vita, senza fallo, arrogante e egocentrica come mio solito.
 
Era passato un anno, era il settembre 1915 ed ero a Mogilev, il quartier generale dello zar.
Il patriottismo più sfrenato aveva portato ad assaltare l’ambasciata tedesca della capitale, che mutò nome in Pietrogrado, molto più slavo,  ai concerti vennero espunti i musicisti come Bach e Beethoven, venne abolito l’albero di Natale, che era una usanza teutonica.
Idiozie.. detto da quella che odiava i tedeschi era una suprema ironia. Anzi, un sarcasmo estremo.
Poi erano cominciate le perdite, i lutti e i morti, mancavano le munizioni e i fucili, al principio del 1915 vi era tale carenza di cappotti, stivali e uniformi che i soldati erano costretti ad aspettare la caduta dei nemici per prendere le armi e  i cappotti e via dicendo.
Si parlava di corruzione e ammutinamento, di spie che ridicevano i piani, i primi a essere chiamati in causa la zarina e il suo starec innominato, ovvero Rasputin, lascivo, senza misura, spiato e che spiava. Circolavano nuovi e feroci aneddoti sulla famiglia imperiale, un ufficiale riferì di avere trovato lo zarevic in lacrime, che non sapeva per chi piangere, che se perdevano i russi singhiozzava lo zar, se subivano perdite i tedeschi frignava la zarina .. "E lo per chi devo piangete?" Alessio non avrebbe mai fatto una tale affermazione, chiariamo, tranne che rende l'idea di come era il clima.. 
Le truppe russe combattevano le forze della  Germania e dell’Austria Ungheria sul fronte orientale, perdendo perdite immani.
Il generale Denikin, ritirandosi dalla Galizia, aveva scritto che l’artiglieria pesante spazzava via intere file di soldati, che i reggimenti erano finiti a colpi di baionette, che i ranghi dei soldati diminuivano e le pietre tombali si moltiplicavano. Chi sopravviveva, era a rischio per le infezioni  e chi non riportava lesioni fisiche aveva incubi duraturi.
Tra la primavera e l’estate del 1915, vi furono un milione e quattrocentomila tra morti e feriti, 976.000 i prigionieri.
E poi il 5 agosto era caduta Varsavia. Ultimo omaggio della Grande Ritirata.
A quel punto lo zar aveva deciso di assumere il comando delle truppe, recandosi al quartiere generale di Mogilev, esautorando suo cugino, il granduca Nicola, già comandante supremo delle truppe.
Un grave errore, che in caso di altre perdite, sarebbe stato associato ai disastri e peggio ancora, lontano dalla capitale, la zarina avrebbe sparso i suoi malefici effetti, coadiuvata da Rasputin.
I tedeschi erano nemici, lei era la Nemka, l’infida, la tedesca, la spia di suo cugino Guglielmo, Kaiser di Germania.
Quella l’opinione accreditata, gli ambasciatori di Francia e Inghilterra avevano cercato di dissuadere Nicola II da quella determinazione, tutti i ministri del suo governo si erano dimessi per protesta e non era servito, che era lì.
Rasputin, nelle more, aveva combinato un altro dei suoi scandali, al ristorante Yar di Mosca, aveva importunato pesantemente un gruppo di donne, esibendo en plein air i suoi genitali, provocando una zuffa e, non contento, aveva urinato in pubblico. Alle rimostranze del gestore del locale, aveva ribattuto che era intoccabile, la vecchia (la zarina?) gli permetteva di fare tutto.  Uno scandalo più grande dei soliti, pardon, che si aggiungeva a quelli che creava con monotona regolarità, quando risiedeva nella capitale, la polizia lo spiava e lo proteggeva, annottando su dei taccuini chi entrava e usciva dal suo appartamento, la corte di adoratrici e  quanto altro, una delle favole della capitale.
Pensavo a quelle cose, il giorno dopo, le palpebre socchiuse, tra le mani una tazza smaltata di caldo caffè, godendomi il calore del sole e il profumo delle foglie, il semplice privilegio di essere sempre viva, un cavaliere con i quattro arti intatti, un proiettile da esplodere che era in carica.
“Principessa, che hai combinato?”
“Ho combattuto, Maestà, sono un soldato” Mi inchinai, tra le mani la tazza di caffè. Erano circa le sette di mattina, lui era giunto in anticipo, ma io ero sveglia da una ora abbondante.
Le parole fluirono automatiche, per un breve momento mi chiesi cosa facesse Olga, lei si era augurata di non vedermi mai più, io continuavo a pensarla, nessuno poteva vietarmi quell’esercizio dolente, intuivo che mi pensava ogni singola ora, poteva . Speravo che stesse bene, al meglio, pardon, considerate le circostanze, lei come le sue sorelle, scacciando il pensiero di Alessio e del mio fratellino. Che se li avessi rivisti, li avrei portati via con me, dispersi per sempre verso l’orizzonte, una fantasia, come avrei fatto con  un ragazzino di otto anni, curato un emofiliaco, per favore.. appena sapevo badare a me stessa, figuriamoci se ero in grado di gestire lo zarevic.
“Oh.. Principessa. Catherine. Figlia mia”Quelle frasi penetrarono la mia dura scorza, capivo ma non volevo capire, il segreto che aveva spartito con mia madre per tutta la vita, avevo evitato con cura una idea così assurda che poteva essere vera.
Figlia mia poteva essere un eufemismo, che lui ero lo ZAR, il piccolo Padre, detto Batiuska, padre del suo popolo, io una sua suddita, sua figlia, ero tanto brava a raccontare storie che alla fine finivo pure io per credervi.
“Chiamatemi lupo, tempesta, o meglio Cassiopeia.”
“Catherine” Mi posò le mani sulle spalle, mi ero rialzata, una stretta salda e ferma. “Sei solo Catherine, il resto..”una pausa “Catherine, alla francese, lingua che parli benissimo.. Catherine e non ti sminuisco, sei una amazzone, un tornado..”
I suoi occhi chiari alla stessa altezza dei miei, scuri come miele.
Non mi sottrassi a quella limpida occhiata, tutto scemò nel silenzio.
Rievocai il suo braccio che mi accompagnava a un ballo, il permesso di poter sposare mio marito, la stretta al suo funerale, compresi .. o cominciai a capire.
Posai una mano sulla sua schiena, mi strinse le dita.
Se il destino fosse stato diverso sarei stata Ekaterina Nicolaevana Romanova, figlia dello Zar, sorella di Olga, Tatiana, Marie e Anastasie Romanov, oltre che di Alessio Romanov.
La  sua primogenita concepita in una luminosa primavera, così lontana che pareva già una leggenda.
La figlia segreta, la bastarda dello Zar
ERO IO.

 
“Te lo affido”enunciò, la voce grave, i movimenti pesanti, mentre il ragazzino vibrava di gioia, aveva fatto fessi sia me che suo padre, i suoi occhi trionfavano di gioia e soddisfazione, un folletto, birichino e malizioso.
Dormiva nella stessa stanza, sempre lo seguiva passo per passo,  e non trovandolo quella mattina si era vestito piano e lo aveva tallonato, voleva fargli una sorpresa e la sorpresa l’aveva ben fatta a entrambi, lui credeva che non si sarebbe svegliato, confidando nel suo sonno immobile, di bambino e aveva altri pensieri, ritrovare ME e tanto altro (Nicola apprese che quando aveva incontri molto delicati doveva affidarlo a persone di fiducia, per non ritrovarselo ai talloni, il talento nell’evadere e spuntare all’improvviso era infinito).
Aveva seminato il suo marinaio infermiere, le guardie,tralasciamo che era davvero presto, una felice combinazione, il suo nuovo passatempo, più cresceva e meno tollerava l’essere guardato a vista, era diventato bravo come un agente della polizia segreta, un vero segugio a cercare varchi, osservare e via così.  Ed era presto, veramente presto.
Ed era una alba come una altra, pallide nuvole scialbavano il cielo a oriente, tipiche della fine dell’estate, indaco e grigio, pensava a tutto, tranne che non si sarebbe aspettato di trovarmi.
Vestito come un ragazzo che seguiva le truppe, nel suo lungo cappotto di cadetto, vicino al quartiere generale, era passato come un semplice soldato, la figura sottile ed elegante.
La sorpresa, reciproca, un momento immobile, poi avevo aperto le braccia e mi si era buttato addosso, lo slancio così forte da far quasi perdere l’equilibrio, eccolo che mi si era stretto contro. Con gioia, incredula lo guardavo. 
Cat”
“Aleksej, amore, ciao”lo baciai, commossa, sussurrando, non mi pareva vero che fosse con me“ Tesoro mio, che bello, come sei diventato grande..” le ginocchia per terra, lo serravo tra le braccia, stretta con pari zelo.
Lui mi  riempiva il viso di baci, le dita contro i miei corti capelli. L’ultima volta che mi avevo visto li portavo lunghi fino alla vita,raccolti in suntuose trecce o chignon,  nel 1915 erano corti come quelli di un paggio irriverente, castano scuro, scintille mogano che si accendevano sotto i barbagli del sole, rubino e melagrana scuro.
Era cresciuto e, insieme, era rimasto il fanciullo che avevo amato, che amavo, desideroso di storie,che amava Achille.
Di profilo, ora ci somigliavamo come incisioni, mio zio lo aveva, infine, capito, ignorando volutamente il prezzo pagato da mia madre Ella. E non formulava la domanda, una coincidenza, ci poteva stare, di più no.
Io pensavo solo a me stessa e ai miei guai, mentre Ella cercava di fare il proprio e l’altrui bene, presiedeva ai comitati caritativi, educava il mio fratellino, dei suoi sogni o delle sue speranze nulla diceva, era una principessa, in attesa, costante, la sua bellezza si era tesa e raffinata, era sempre molto bella, nonostante la malinconia, ormai aveva scavallato le quarantaquattro primavere.
“ Cosa fai qui?” Ridendo. Commosso.  “Sei tornata, Catherine, Cat, sei tu.. Vero, non era un addio” già .. avevo fatto finta di non sentire quella sua domanda, ansiosa, precisa, illudendomi che era un bambino e avrebbe dimenticato, conoscevo tante lingue e tante parole, non avevo saputo mentirgli su quella questione specifica. “Ti tocco, ci sei, sei vera”
“Una sorpresa. Forse. Hai sbattuto da qualche parte?sono io … più ossa che carne, e tanto sono io, Zarevic, ti fa male qualcosa”
“NO. Catherine. Sono sicuro” prevenendo la successiva, ansiosa domanda.
“Sono qui, in segreto” Le mie labbra si aprirono in un sorriso mentre valutava gli stivali, i pantaloni e la scura giacca che indossavo.
“ E non devo dirlo”, contrattò svelto. “Desidero .. Anzi voglio che.. “
Lo zar scosse la testa, rassegnato. “Sentiamo, cosa vuoi?”
“Alessio. Aleksej Nicolaevich, Zarevic, bambino mio  .”Gli toccai le spalle, poi la fronte. “Cosa vuoi?” Una mezza idea la avevo.
“Passare la giornata con te. Con te, Catherine, Papa. Mi è mancata, la voglio, è mia” Ricordava così tanto Olga da spezzarmi il fiato, e non ero la sola, anche lo zar pensava la stessa cosa”Senza marinai o precettori. Per favore, ti prego, Papa“un tono a mezza strada tra la supplica e il comando, e mi si era cacciato e stretto addosso, ricambiato con trasporto, lo stringevo ed era una liberazione dal dolore e dal buio di quelle lunghe stagioni.
“Va bene. Dalle retta, le devi obbedire in tutto, nessun capriccio, non scappare a  destra e manca, come fai di solito, o è la volta buona che ti metto in punizione, te la senti, principessa?”Un cenno con il mento, non volevo deludere lo zarevic nel breve periodo, nel lungo lo avrebbe imparato troppo presto.
“Lo sapevo, che tornavi, anche se ci hai messo tanto”Glissammo di correggere il refuso grammaticale. Mi augurai di saperlo gestire, intanto mi si era già attaccato alle gambe, per maggiore sicurezza, e sradicarlo sarebbe stato un duro affare . E io gli avevo messo le mani sulle spalle, a stento mi ero trattenuto dal prenderlo di nuovo in braccio, eravamo noi, di ritorno, attenti e fragili, finalmente lo rivedevo, un tesoro senza merito.
 Rise quando lo baciai sulle guance, gioia, stupore, meraviglia, il suo nome un incantesimo contro il male, lui ripeteva Cat e mi stringeva, districarlo sarebbe stata una inutile cattiveria. E sarei andata via, senza fallo, la felicità di quei momenti l’avrebbe riscontata alla partenza.
Per questo avrei preferito non vederlo. E intanto me lo caricai addosso, ero tornata a casa.
“Alessio, zarevic, tesoro”
“Prendimi in braccio.. forza” mi sdraiai sull’erba, stringendolo “Forza, Catherine, dai”mi mise i gomiti sul petto, ridendo da capo, enunciando che ero tanto buffa. “Il MIO DRAGONE” 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 1915 -I Part ***


“Lo sai che è una parentesi?”
“Sì, Catherine”
“Che mi devi dare retta”
“ Ma ..”corrugando la fronte, un preludio a qualche questione spinosa.
“Cosa?”
“Se sei in Francia, che ci fai in Russia?”Eccoci, era davvero intelligente, altro che storie.
“Un segreto, Aleksej.” Camminavamo nei boschi vicini alla città, ogni tanto mi toccava il fianco con la spalla, il polso con le dita, giusto per sincerarsi che non fosse un incantesimo, che vi fossi per davvero. Le foglie cadute componevano un arazzo, rame, oro e bronzo sotto i piedi, nell’aria profumo di mele e more, sopra di noi volavano stromi di rari uccelli migratori.
Che  scuse si sia inventato lo Zar, gli espedienti li ignoro ancora oggi, pregavo tutti i santi del calendario e alcuni di mia invenzione che non accadesse nulla, un urto poteva avere affetti deleteri.
Ed era  l’ennesima prova di quanto Nicola II si fidasse di me, affidando il figlio delicato e cagionevole a una persona non meglio specificata, che tornava sgangherata e spiritata da ingaggi non  meglio definiti. Sua moglie sarebbe inorridita, con ogni buon diritto, sottolineo,  ogni sera alle nove entrava nella stanza dello zarevic, pregava davanti alle sue icone, come se il bambino fosse a casa, attendeva le sue note giornaliere e scriveva a sua volta, invitando lo zar a fare attenzione.
“Come un soldato. Io sono un soldato dello zar”Omettendo la stanchezza, le missioni compiute, gioco o caso, mete rincorse senza scopo, e vinte per caso.
Strinsi le palpebre.“Ma non combatto in trincea”Semplici parole per spiegare il nuovo destino, dai giorni dell’addio che mi ero forgiata dall’anno prima.
 “ In un altro modo, un reparto segreto. Già. A Olga piace Achille, a te il re Ulisse. Che si traveste e cerca sempre una soluzione. E SEI IL DRAGONE” quando le favole diventano realtà? Non ero presente, ma avevo 20 anni, andavo per i 21, una cinica adulta, lui era un bambino, arguto e dissacrante, che speso si illudeva.
“Perfetto, hai centrato il punto” peccato che Cassiopeia fosse un misto tra Achille e Ulisse.
La lezione l’aveva appresa e declinata in modo sorprendente.
 “A Olga manchi. Non dice nulla, ma scorre 10 volte le tue lettere, quelle che ci mandi, diciamo che sono pensieri raffazzonati, anzi manchi a tutti. E tanto lei non lo dirà mai, almeno a me, appena lo ammette tra di sé ” Improvviso. L’amore non segue il merito, io che ritenevo di non meritare nulla ne ricevevo, accadeva e basta.
“ Ti ricordi la storia di Achille, dei travestimenti e degli incantesimi?“Parole semplici per spiegare l’inenarrabile. Una mano sulla schiena, rimisi a posto una ciocca di capelli sul viso, frammenti di tenerezza.
Una pausa, Alessio mi osservava con tanto di occhi  sgranati, una sfumatura di zaffiro e indaco nello sguardo (come ha avuto poi Felipe, Andres aveva indovinato che sarebbero tornati dove meno li attendevo).
Omisi di chiedere di Olga,nello specifico,  in quei momenti, che non dovevo guardarmi la spalle, la sua mancanza era un tizzone avvelenato. Capì al volo che non ero pronta a parlare di Lei.
Eravamo in un momento di pausa, per intrattenerlo e non camminare per ore avevo avuto la leggiadra idea di insegnargli a smontare e rimontare la pistola, una vera. Davanti ai suoi perché  e  cosa, mi ero alleggerita, ridendo di cuore, se vuoi ti insegno.
“ Tieni così le mani, le braccia così..”
“Tre, due e uno..!
“Bravissimo.. hai preso le pigne!!!
Odore acre di polvere da sparo, la resina.. giusto due tiri, per evitare di ritrovarci addosso una pattuglia. Se non fosse stato malato come era avrebbe avuto un grande potenziale, era preciso e coordinato, le mie non erano illusioni affettuose. Sarebbe andato a caccia, a cavallo, avrebbe giocato a tennis, si sarebbe arrampicato sugli alberi, avrebbe giocato e si sarebbe goduto in pieno la vita.
“.. ho fame”.
Annuendo.
Tirai fuori due panini, ripieni di prosciutto e formaggio, Alessio aveva così fame da spazzolarlo in pochi minuti, in genere farlo mangiare era una lotta, una supplica e una contrattazione, non aveva mai appetito, ogni pasto era una tortura per lui e i suoi, si alzava di continuo, faceva le smorfie, parlava e parlava, era un successo fargli mangiare tre o quattro forchettate, non lo inibiva nemmeno la presenza di estranei, anzi, era ancora più bizzoso. Definirlo maleducato e irrispettoso era un eufemismo. O era un modo per controllare gli altri, una situazione che poteva gestire. Il cibo, osservo, lui che era monitorato a vista.
E colsi quella grazia inopinata, di non supplicare per un boccone..
Era un rischio, ogni movimento brusco poteva essere fonte di una crisi, ma, ormai, era cresciuto ed era un errore che fosse controllato a vista, come un infante. Doveva essere più autonomo possibile per avere maggiore auto controllo e la Stavka era una grande avventura, in un dato senso, lontano dal palazzo di Alessandro e dalle ossessioni materne, ansie giustificate peraltro e basate sulla imprevedibilità del morbo. Che, cresciuto, non sarebbe stato il suo bene se fosse rimasto un moccioso viziato e petulante, affascinante quanto si vuole, e tanto.. . E insieme era un macroscopico azzardo, poteva stancarsi troppo, prendere più spesso malattie o semplici scossoni rimanendo in treno con conseguenze inenarrabili.
“Con Papa, abbiamo visitato un ospedale di feriti, è stato .. duro. C’era puzza, i malati si lamentavano e molti non avevano un braccio o una gamba, o mancavano entrambi. O deliravano per il dolore”
“E che hai fatto?” bloccai il movimento, lo volevo accarezzare, una tenerezza potente e sconosciuta.
“ Il saluto militare e detto che ero orgoglioso, che erano valorosi, anche se era tremendo che fossero .. feriti. Mutilati. E visitato le truppe, tante sai”  Mi scostò delle ciocche di capelli dalla fronte, sfiorando la cicatrice, quella della caduta a cavallo del 1906, poi la guancia, la appoggiai contro il suo palmo, per un momento. 
“ C’est le guerre, Alexis” Lo dissi in francese, una leggerezza apparente, è la guerra, Alessio, incartando i resti del mio panino.
Mi era passata la fame tuttavia. Avevo timore di quello che mi avrebbe riservato mio zio. Se lo zar esponeva suo figlio, il suo solo erede a quelle realtà, a me che sarebbe spettato?
“ Già, vedo, sei una principessa soldato. Come il dragone della tua storia segreta, ribadisco”
“ Te la ricordi?”
“Sì, poi anche Olga le racconta. Vedi, fa l’infermiera con Mamma e Tata,(l’affettuoso nomignolo per Tatiana) il pomeriggio legge o suona per chi sta meglio, dei convalescenti, sta insegnando a scrivere meglio a un soldato, si chiama Michael.. e legge, come sempre, e ha annotato le storie che dicevi su un quaderno, le ripesca e le ridice” la cronaca di un bambino che raccontava una nostalgia. Spero solo di non vederti mai più.. Come no..
Sbattei le palpebre, mi stava venendo da piangere “Già, alcune sono belle. Mi  manca..”E le avevo forgiate per sottrarmi a un lungo incubo, una bambina diffidente, curiosa e arrogante, amata solo da Olga e ricambiata in ben misero modo.
“Ritorna e fate pace, se avete litigato. Comunque stasera, mi racconti te qualcosa”
“ Va bene. “Deglutii e mi ricomposi. Non era un litigio, era uno scontro tra Titani, una lotta fra sorelle, la riconciliazione sarebbe stata ben difficile.
“Intanto stamattina non ti ho pesato per bene, quanto sei cresciuto? Fatti sollevare, vieni qui” Mi allacciò per la vita, lo sollevai contro il fianco, come sempre, come al solito. I lineamenti delicati, fini e regolari, i capelli castani e le iridi meravigliose, indaco e zaffiro, era alto e sottile, gli arti snodati e magri, una meraviglia, la mia.
Dopo, con il senno degli anni, ho capito che per lo zarevic quella fu una parentesi incantata. Sempre oppresso dai divieti, dal non fare, la permanenza alla Stavka con lo zar, con annessi e connessi, fu un punto di luce.
Era un piccolo soldato e tutto poteva accadere, compreso il ritrovare me. E Andres fu suo amico, nonostante la differenza di età.
Un segreto, una favola. Amara, che, in fondo, era sensibile e timido e le continue crudeltà e molto altro gli fecero più male che bene, rendendolo nel lungo periodo irrequieto e frettoloso, con incubi notturni e risvegli continui, e mi si attaccò e lo feci attaccare a me oltre misura, peraltro ricambiato.  
Vidi che era stanco, per non umiliarlo con i soliti veti gli proposi di venirmi a cavalcioni sulla schiena, che il giorno dopo lo avrei fatto a montare a cavallo, doveva fare le prove e annuì, per educazione, senza crederci fino in fondo, se era uno scherzo ero cattiva e non lo ero mai stata in modo deliberato, con lui, e tanto era, che ne sapeva che potevo avere visto e combinato in un anno.
E sua madre, per ovvie ragioni, non glielo aveva mai permesso e pensava che lo prendessi in giro, affondò i gomiti nelle mie clavicole, fremeva dalla voglia inespressa, ai tempi ancora riuscivo a caricarlo con agio, dopo, tra che era cresciuto di altezza e di peso, oltre al resto, era una scommessa.
“Basta Zarevic.. mi avete riempito di lividi “
“.. dai, dillo.Uffa.. Te la sei cercata..” Mi si rannicchiò addosso, ridendo, le dita contro le mie labbra, gliele scaldai  con il fiato.
“E mi sei mancato, va bene.”
“Quanto?”
“BOH, un pochino.. scherzo, Zarevic, parecchio..”vedendo il suo visetto corruscato. Ogni singolo momento, Zarevic, se sapessi. Poi “Giochiamo a carte o dama ..”
“Entrambi, tanto ti batto, scaldami le mani, massaggiami le braccia, la gamba”
“Perché non lo fai?Su” notando che avevo incrociato le braccia e lo fissavo severa, giusto un angolo delle labbra sollevato in un sorriso.
“Che hai saltato? Un per piacere o simili. Che le orecchie le ho buone, mica ho sentito.”
“Per favore.. Dai, ti prego, poi giochiamo.”
“Come se Olga avesse torto a dire che ti vizio.. o almeno diceva” mi corressi.
“Uffa, per favore, Cat, scusami” Vezzoso, sbattendo le sopracciglia. A rigirarmi come voleva era sempre un campione annotai divertita. Vieni qui, sussurrai, mettendolo in grembo, cingendolo con le braccia, fatti scaldare, poi giochiamo,
Finimmo in pareggio, lo feci apposta,  Olga mi batteva a occhi chiusi, avevo all’attivo una decina di anni di partite in più rispetto a lui.
 
Quella sera mangiammo insieme, nelle stanze di mio zio, che non si fece vedere, aveva requisito lo Zar per una riunione urgente, ma Alessio non fece una piega.
Era stanco, in piedi dalle sei e rotti di mattina, alle sette e trenta di sera sbadigliava.
“Non ho fame”
“ E mi fai mangiare da sola? Siediti e fammi compagnia.Sul tuo appetito carente nulla osservo, ormai è un dato assodato” rise per quelle parole, assillarlo alla lunga a cosa serviva.
“No.” Un sorriso birichino. “ Ma tu mi hai fatto sparare, quell’altro no”
“Chi?” intanto, senza parere, mormorando mm che buono, gli avevo fatto prendere una forchettata abbondante di pollo arrosto.
“Uno.. ma è simpatico” idem come sopra per le patate, bevve un poca d’acqua per deglutire, gli sfiorai la mascella con un dito.
“Ah. Questo è veramente buono” terza spedizione nelle imperiali fauci. Aveva masticato per riflesso, abitudine.
“ Vedrai.” Quarto ingaggio, si ripulì con un tovagliolo.
Già, alla lunga ci risultammo fin troppo “simpatici”, io e “Uno”,  intanto lo avevo imboccato,Alessio,  rapide forchettate per mezza porzione abbondante, mi tirò un colpetto alle mani e mormorò solo Cat, mi hai giocato. Come no.. Se mi prendi in braccio mangio ancora qualcosa..Salta su, imperatore dei viziati..Vediamo. Allora avevi fame davvero..hai finito tutto… saltando di dire, Alessio, possibile che se hai fame, davvero e sul serio, dobbiamo fare questi teatrini, che mi si era rannicchiato sul petto, non per capriccio, quanto per rassicurazione e mancanza.
Era l’erede di un impero e voleva una bastarda, cioè IO.
L’amore non segue il rango.
Ti voglio bene, Alexei.

 Qualche giorno prima del mio arrivo si svolse il seguente incontro, che Andres mi raccontò poi. “Come vi chiamate?”
“Andres Fuentes, in russo Andrei"
“Avete un nome buffo”
“Mio padre è spagnolo, mia madre era russa”
“ E che ci fate qui?” Andres fece appello a tutta la sua pazienza. Il ragazzino petulante che gli si rivolgeva era il figlio dello zar di tutte le Russie, Nicola II, e si chiamava Alessio, alias zarevic e atamano di tutti i cosacchi e via dicendo. Nato nel 1904, a dieci anni dalle nozze tra Nicola e una tedesca, Alix von Hesse, dopo quattro figlie femmine, aveva una salute cagionevole.
Un eufemismo, il bambino era apparso ben di rado in pubblico, era sovente malato o indisposto, tanto che si vociferava che fosse epilettico, deforme o ritardato.
Ad Andres, pareva intelligente, curioso e chiacchierone, sempre dietro agli adulti, almeno a giudicare da come gli si stava rivolgendo, aveva superato la timidezza iniziale a trattare con gli ufficiali e i commensali di suo padre, normale prassi, che si era ritrovato da un ambiente chiuso e protetto come il palazzo di Alessandro nel frizzante coacervo del Quartiere Generale.
“Ci lavoro, il mio capo è il principe Rostov-Raulov” Ovvero un personaggio dai vari talenti, amico di gioventù di Nicola II, aveva fatto una strepitosa carriera nell’esercito, era membro della polizia segreta del regime, la terribile Ocharana, un Giano bifronte e Andres era tra i suoi migliori elementi, per non tacere del resto.
“ E che fate?”Senza fallo, era davvero petulante.
“Di tutto un poco”  una cauta definizione, era un agente, un baro e una spia, un camaleonte, varie e poliedriche erano le definizioni che si prestavano, alcune gentili, altre meno, come per Rostov Raulov, R-R per gli amici.
Scapolo, libertino e gaudente, era di una spiccia saggezza, ben inserito, come la principessa Ella, sua sorella, la cui prima figlia, Catherine, alla francese era un intima amica delle figlie dello zar Nicola, specie della prima Olga.
Catherine. Quel nome, un palpito. Si concentrò sul ragazzino, domandandosi dove fossero le sue guardie del corpo, pardon infermieri che lo seguivano in ogni dove, due marinai che lo controllavano a vista, come due tate.
Mistero, magari li aveva seminati, non era di sua spettanza, e sarebbe stato idiota a trattare male il figlio dello zar. Poi, alla fine gli ricordava vagamente come era stato alla sua età, ansioso, teso e con grandi occhi, per non parlare di un bambino che aveva amato e non era mai cresciuto.“E ora?”
“Vado ad allenarmi ai bersagli, prego..” Andres rasentava il metro e novanta, aveva gli occhi verdi e quando voleva, aveva molto tatto, sapeva riconoscere la fame di attenzioni.   
“Vengo con voi”Il ragazzino lo seguiva, una piccola ombra, rispetto a lui.
Nel 1912 si era sentito male, lo davano per morto, ricordava i dispacci ufficiali, i giornali listati a lutto, poi si era ripreso, pareva per un telegramma consolatorio di Rasputin, lo starec debosciato, il monaco pazzo e libertino.
L’anno dopo avevano pubblicato un libro, "Behind the Veil of the Russian Court", asserendo che lo zarevic fosse malato di emofilia, morbo trasmesso dalla madre, che a sua volta lo aveva ereditato dalla propria genitrice, Alice, figlia della regina inglese Vittoria. Di sicuro erano emofiliaci due dei figli del re di Spagna, la cui moglie era una nipote della regina Vittoria, Vittoria Eugenia di Battemberg, detta Ena.
La Corte dello Zar non aveva risposto, né in senso positivo o negativo a quella insinuazione.
Andres scrutò gli occhi azzurri dello zarevic, che ricambiò senza timore.“Volete venire?”
“Sì.” Un soffio.
Che Dio sia con me, rifletté.
“Andrej e poi? Il vostro patronimico, figlio di ..” Diceva Andrej alla russa, la versione spagnola era troppo esotica, strana.
“E’ leggermente impronunciabile in russo, Altezza Imperiale. Mio padre si chiama Xavier, mia madre, ripeto, russa non ha mai saputo traslitterarlo in modo adeguato.” Stava finendo di contare i passi, era stato fatto un campo di bersagli in cui esercitare la mira e voleva tenersi in allenamento.
Spettatore lo zarevic e si chiedeva in quanto tempo lo avrebbero trovato, di sicuro stavano impazzendo nella sua ricerca. A pronunciare Fuentes si era impaperato meno, ricordava vagamente il francese.
 Era  nato sui Pirenei spagnoli, alla rocca di Ahumada, ultimo figlio di un principe e di una dama russa.
Aveva molti talenti, tra cui l’attitudine per le lingue e a vagabondare nelle terre di suo padre, con il fratello che lo precedeva, un altro cadetto come lui, Jaime, mentre l’erede trovava conforto nei riti e nella storia dei loro grandi antenati, come la loro sorella più grande, ironica, scanzonata e ribelle.
Sapeva fare trappole per i conigli con  i fili, scavare buche per catturare un ipotetico lupo, seguire le tracce di un daino come cercare di capire le parole straniere, si portava un libro di grammatica, fosse russo, come inglese o francese o tedesco nelle sessioni di pesca.
 
Crebbe solitario, come un titano, come un eroe, amava la solitudine e non aveva nessun timore apparente.
I suoi occhi erano verdi, come gli smeraldi che sua madre amava indossare, con il principe suo padre si erano conosciuti e innamorati e sposati nel giro di poco, lui la chiamava la sua piccola perla.
Verdi come le iridi di LEI, era il figlio minore, forse  il suo prediletto. Tranne che la donna era rimasta sempre una straniera, nostalgica della Russia e delle sue luci e dei lunghi inverni, pur amando Xavier dei Fuentes senza misura e parimenti ricambiata.
Le piaceva che Andres fosse senza timori, che amasse la caccia, trattenendosi spesso nel capanno a ciò adibito, anche lui era una fiera selvatica, che rifuggiva le sue tenerezze.
Poi se ne era andato, tranne che quella era una storia su cui non amava soffermarsi.
“ Piuttosto, procediamo così. E’ sempre utile fare un controllo e.. “
BUM!!
Centrò le lattine di metallo, che caddero rotolando.“Lo fate sembrare facile” Come a dire, fatemi provare.  Pessimo, rifletté, se si fa male vado nei casini, se mi rifiuto vado nei casini uguale.
“Dipende. Questione di allenamento .. Ecco, se volete provare a tenere in mano la pistola e a vedere l’effetto, vi avviso che ho finito le pallottole. E credo che vi stiano cercando”Comparve un marinaio infermiere e Andres fu lieto di squagliarsela. Il bambino fece una smorfia.
 
 
“Oggi vi sono fischiate le orecchie, Andres?” Il principe Rostov-Raulov lo scrutava, indefinito. Pessimo segno quando gli dava del voi.
“Non troppo, anzi no,  da questa battuta deduco che oggi a pranzo sono stato oggetto di conversazione”
“Già, lo zar si è giustamente arrabbiato, che suo figlio vada in giro senza le sue tate, pardon marinai, ci credo che evada alla prima, che anche io farei così, chiariamo, ma soprattutto era curioso di avere dettagli di questo Andrej senza patronimico, che diamine ci faccio con uno spagnolo, che si porta dietro un ragazzino a sparare ai bersagli..”
“Mi si è appiccicato dietro, alla fine se nessuno gli nega nulla tranne suo padre, fatto noto, che mi dovevo inventare? E non sono idiota, non l’ho fatto sparare” (Fuentes, che volevamo sostenere???tralasciamo è meglio)
“Giusto, sempre bene non contrariare un Romanov, anche di undici anni, in particolare l’erede al trono. Che mi ha chiesto dove ti avessi trovato, pardon scovato, quella peste non sa stare a tavola, si alza di continuo, ti fa entrare il mal di testa, definirlo viziato e' un eufemismo, nemmeno mio nipote è così petulante,  comunque ha giovato che sei un principe, bada non mi interessa, il figlio di un principe è sempre un principe”
“E.. ?”
“Sì, ho raccontato. Non che ero caduto nella buca che tu e Jaime avevate scavato, sa il Signore se avete mai preso un lupo, giusto io sono infilato nel vostro fosso, tanto è..”
“Che fondatore dei Rostov-Raulov, Felipe,il vostro capostipite, veniva dalla Spagna, come noto, e che voi cercavate testimonianze, per scrivere un libro che non ha ancora visto la luce. E siete venuto a Ahumada a trovare documenti. Don Xavier dei Fuentes vi ha accolto con piacere e siete stato suo ospite. “
“E’ una battuta, Andres, sono stato io  a cadere come un allocco.. Comunque, senza farla troppo lunga, ti sei trovato un nuovo passatempo.” Rideva sardonico, le iridi scure vibravano di divertimento represso.
“NO.. 
“Sì, gli sei rimasto simpatico.  Comunque, sarà un rompiscatole, viziato e via dicendo” La voce era bassa, appena un sussurro” Ma sai del libro, quello che dice che abbia l’emofilia. Vero o meno, è spesso ammalato ed è un bambino fragile. Viziato e guardato a vista, sempre vicino a sua madre e alle sorelle”
 
“Ho capito, un unico maschio dopo quattro femmine porta a viziare in ogni caso, solo … non avete niente di meglio da assegnarmi. O di più importante”
“Andres, principe Fuentes, conte de la Cueva, hai fatto l’impossibile nei tuoi ingaggi, venendone fuori senza fallo, e ti sta pensiero lo zarevic?”
“Sì.” Affermazione che valse le sonore risate del principe.
Più che volergli bene .. Alla peggio ti capiterà questo, e se sapesse solo la metà delle tue imprese non ti mollerebbe più, Andres dei Fuentes, conte de la Cueva. Eroe della Calle Mayor, che come la metti sei un eroe
 
 
“Aspetta, non alzarti, lo prendo in braccio io”Lo zar emerse verso le nove di sera, Alessio si era appisolato  tra le mie braccia, dopo cena mi ero seduta sul divano, lui dietro, come spesso accadeva in passato, un gomito contro la mia clavicola, lo avevo serrato, come una specie di baluardo.
“A domani”
“ A domani” Sorrisi, amara, indefinita,  e mi inchinai.”Però devo mantenere una promessa”
“Sei una idiota.”Enunciò lo  Zar alla fine del mio racconto, un sussurro furtivo, a mezza voglia tra il darmi retta o tirare uno schiaffo” Lui a cavallo.. MA che hai in testa ? fallo, e taci, magari ti andrà bene, come oggi, che lo hai fatto sparare..Dovrà cominciare e meglio con te, che ti obbedisce, per convenienza o meno, ti dà retta, un prezzo per averti ritrovato” Una pausa di sofferenza. Io lo trattavo da ragazzino normale, o  cercavo,diciamo così, come mio fratello Aleksander. O ci provavo, non avrei mai consentito a Sasha di rispondermi male o fare le bizze per mangiare, ma lui non era malato e Alessio sì, la differenza era quella. E lo avevo viziato, inutile negarlo, vano che criticassi gli altri e omettessi per me, Olga mi definiva,ai bei tempi, una egocentrica trionfante, che rideva dei suoi difetti. E  non avevo mai stretto Sasha come lo zarevic, peraltro non lo avevo mai imboccato o abbracciato come con lui.. Riusciva a rendermi meno rigida, armata e guardinga di quanto in genere non fossi. Brava a me.
 E stava meglio adesso, rispetto a quando era piccolo e aveva emorragie continue e deabilitanti. Ripensai a Spala, alla sua agonia, e  poi che mi aveva chiesto di prendere l’aria da una finestra, nella convalescenza, di avergli negato quel semplice piacere. E se prendeva un urto di troppo e moriva…
“Lui sarà il vostro erede, il vostro successore. Il più tardi possibile, mi auguro” Semplici, potenti, parole. E lo dicevo per me e Alessio, lui meritava di meglio che essere trattato da malato e io avevo molto da riscattare “Dovrà sapere sparare e cavalcare, per il suo stesso bene, od almeno avere le basi”In modo da non apparire  fragile, non lo aggiunsi, credo che lo pensammo entrambi. Bastava pensare all’anno avanti quando, per una storta alla caviglia, non si reggeva in piedi, un cosacco della guardia lo aveva accompagnato in braccio alla chiesa di Mosca, per il tradizionale giuramento degli zar in caso di guerra, l’impressione era stata di pena e compatimento, una debole creatura, frutto dei lombi di una iettatrice, giunta al trono al seguito di una bara. Io ero la figlia di Ella e delle tempeste, lo amavo a prescindere, e io non ero il mondo, appena una goccia nel mare.
“ Come mia figlia Olga.. Lei cavalca il vento su Tintagel e sa sparare”
Sorrisi e non risposi“.. ha continuato a cercarti sempre e comunque. Ti vuole bene.E va bene, proviamo”
“Sire, vi prego, lasciamo fare. Scusate .. forse..“
“Glielo hai promesso”Me lo ripassò, per mutuo accordo, mi misi un cappello e ingobbii le spalle, tenendolo stretto, lo avrei riportato fino alla casa del Governatore, varcai le porte, trovandomi nella loro stanza da letto, due lettini da campo, icone e fotografie, il necessario per lavarsi, un luogo spartano. “A domani, Alessio”lo avevo spogliato e preparato per la notte, nella stanza da bagno vicina,  movimenti leggeri, impacciata da lui che mi si attaccava, un respiro e un sussurro alla volta, lo avevo lavato e gli avevo messo il pannolone per la notte, come da prassi. Come già affermato, bastava poco, un urto, un brusco movimento, anche andando in bagno per farlo sentire male, molto spesso i suoi marinai gli mettevano i pannolini SIA di giorno che di notte, per fare prima, specie ora che non era al palazzo di Alessandro, un nuovo ambiente foriero di rischi e pericoli,  a prescindere dalle sue proteste.
“Aspetta, non mi lasciare..ti prego”una supplica, non un capriccio. “Resta, mi sei mancata tanto.. Per favore“ Ancora “Non sei come i marinai” “ E che.. ti svegli a comando, “la voce bassissima, serrandolo, attenta”.. Va bene, ti addormento, domani ci ritroviamo, fidati che ti diverti” Gli appoggiai la fronte sul plesso solare, avvertii che mi sfiorava la nuca, gli diedi un bacio a caso, ricambiato  Tenera come non ero mai stata a mia memoria. “Ti voglio tanto bene, Alessio, ti va qualcosa sul mare..” Un piccolo sì assonnato, mi sdraiai sulla sua branda, lo posai contro lo sterno, riuscii ad addormentarlo a furia di favole e sussurri, sul serio, baci e carezze, un miracolo, il mio, quanto lo avevo rimpianto.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 1915-II Part ***


_ ______________________ “Sei contento?” per la gioia quasi non parlava, annuiva e mi stringeva una mano, palmo contro palmo, le dita serrate.
“Sei stato impareggiabile”
“ Ma non come te, Olga o Tatiana. Voi siete bravissime. Specie te e Olga, saltate gli ostacoli, correte al galoppo e ..”
“Dovrai imparare, meglio ora che poi, siamo andati piano,come lumache,  tenevo le redini di controllo, come ti sentivi” Era un cavaliere nato, la schiena eretta, le gambe che seguivano i movimenti del cavallo, le braccia rilassate e la testa dritta, eravamo andati rigorosamente al passo su un terreno liscio.
“In alto” Risi della sua ironia ovvia ma potente, era salito su un pony o mulo, mai su un cavallo vero, tranne che una volta con me a Friburgo, quando aveva sei anni, in compenso eravamo rimasti immobili.  “Da qualche parte bisogna pur iniziare..”
“Catherine.” Mi misi sui talloni,  alla sua altezza, sopravvissuto sarebbe stato alto come Andres, anche un poco di più.
“Dimmi” le braccia intorno al collo, mi sfiorava le ciocche con le dita, vicino anche se io mettevo la distanza, meglio per entrambi, o cercavo, gli baciai un polso, mi era mancato come una ferita, una amputazione, in una manciata di ore eravamo di nuovo legatissimi. “Tu mi lasci fare, come Papa. Anche Andrej, anche se a modo suo. Perché MAMA no ?”
Un minuscolo respiro, era sua madre, non ci sopportavamo come carattere ed entrambe gli volevamo bene, quindi omettevamo di parlare male l’una dell’altra, specie dietro le spalle “ Per lei sei sempre il suo piccolo bambino, mio piccolo zarevic, atamano di tutti i cosacchi, ti vuole proteggere da tutto. Ma un giorno sarai ZAR, quindi devi imparare. Per te e gli altri. Mai cedere. Se mi vedi con le spalle basse e la schiena curva, che pensi, che sono umile, derelitta, invece se sto dritta e gonfio il petto, che ridi”gli feci il solletico sotto il mento” sembro una regina, anche se ho i miei dispiaceri come tutti. Ma io non ho bambini, quindi che ne so” e lo avevo amato come Olga e le sue sorelle, allora, senza sapere, gli avevo dato le mie storie e il mio tempo, tacendo quando ero scappata, egoista e sventata, moglie novella e poi martire in fieri. Come ora..
“CERTO, però fidati, sarai una brava mamma” Una pausa, prevenni la domanda successiva, gli dissi che le storie della principessa cantastorie, le avrebbe avute ancora per un poco, fin quando avrebbe voluto. Allora credevo che non avrei mai avuto figli.
E in un certo senso era lui il mio bambino,  in senso traslato, chiaro.
 
Aspettai, mancava poco a pranzo.
 “Alessio io vado, ci troviamo stasera,se vuoi. E ti devo dire una cosa” che ti lascio. 
“E domani…che facciamo? Ho tante idee, tu.. Catherine, Cat, che bello trovarti”diglielo.. 
“Domani nulla, io vado via” sfilai la mano dalla sua, decisa, una netta separazione. La sera avanti non glielo avevo detto, in parte per non agitarlo, in parte perché non conoscevo la data esatta e sarei stata cattiva, la notte amplifica pensieri e separazioni.
“NO” Ecco la sua rabbia, tranne che sarebbe stato peggio andarmene alla chetichella, che mi aspettasse invano. (..Non certo per Voi, non capirebbero e si sentirebbero abbandonati, senza perché, un saluto è ben dovuto) “NON VOGLIO”
“DEVO”Alzando la voce, senza toccarlo, mi fece cenno di togliermi, stava per aprire bocca e..“ E nessun ordine. Di rimanere.Questi sono tassativi, senza appello o revisione”Prevedendo la sua mossa, lui era l’erede, viziato e capriccioso ma gli ordini dello Zar superavano i suoi.
E ogni giorno che mi trattenevo alla stavka rischiavo di voler rimanere. Non ho il delirio di onnipotenza, gli anni mi hanno insegnato l’umiltà, almeno un poco, credo, tranne che mi sono chiesta se non fossi andata via, dietro alle avventure, all’egoismo, alle storie che mi raccontavo cosa sarebbe accaduto. Magari io e Andres non saremmo stati insieme, o forse sì, quien sabe,chi lo sa.
“Prendo congedo Altezza Imperiale” mi flettei nel primo inchino, era il principe ereditario, meritava ogni cura e rispetto, in ogni situazione, e non lo avevo umiliato, sancendo che non avrei obbedito, né sfiorato con un dito, si stava agitando e non avrebbe compiuto gesti avventati, per la frustrazione, o almeno speravo, non lo volevo contenere a livello fisico, lo avrei sminuito e offeso, senza appello, come se fosse un infante, lo sapeva che doveva stare attento.
“Vattene, non ti voglio più vedere, non è che devi farlo, lo vuoi fare” era troppo sveglio, troppo..
“Allora Vi saluto ora”Secondo inchino. “ Grazie per avermi ricevuto e …”
“Quando hai detto che vai via?”
“Domani mattina..”finsi di non vedere il gesto, che mi tendeva le braccia.
“Allora quando hai fatto, ci troviamo a che ora..?” glielo dissi, un cauto orario e aveva le palpebre asciutte, mi voleva e temeva il distacco. Perdonami, Alessio.. che se avessi voluto, sarei rimasta.
“A dopo”Iniziai ad allontanarmi, se mi fosse riuscito a mantenermi saggia o cattiva, avrei proseguito, se ne sarebbe fatto una ragione, no.. un piccolo singhiozzo Invece mi girai dopo tre passi, con lui non ero mai stata cattiva in modo deliberato.. “.”Zarevic.. venite qui, se volete” Mi affondò il viso nel petto, gli circondai le scapole, me lo issai in grembo, aspettai che si calmasse
“A pranzo dove vai”
“Boh..”
“Allora mangi con me”
“ Va bene.. Ora riprendiamoci, vuoi?”gli baciai il viso, mentre si soffiava il naso con uno dei miei polsini.
Lui, come Olga, pur variando le forme e le sostanze, sono stati i miei grandi amori, l’inespresso, cenere e assenzio.
Ti è troppo legato, commentò mio zio, quando glielo passai, scrollando la testa, non imparerai mai, va bene la sorella, ma lui .. BASTA, a voce bassa, replicai, mentre Alexei schizzava dai suoi giocattoli, mi inchinai e mi preparai ad uscire.
“No”
“Cosa no, Zarevic?” trattenendomi
“Torni?”
“Certo” Una promessa amara al fiele.. Almeno quello.

E quel giorno avrei conosciuto, pardon rivisto Andres Fuentes, il mio lieto fine, uno dei pochi, veri amici che Alessio ebbe in tutta la vita, pur variando età, titoli e esperienze.
Il diavolo si porti, in ogni caso, mio zio, il principe Sasha R-R, il diminutivo che la principessa Ella aveva dato a suo fratello Aleksander Rostov- Raulov dai cento talenti.
E lo benedica.  Molto dopo, mi assicurò che in tutto il mondo non poteva esistere persona migliore per me di Andres, e viceversa, per quanto fossimo due impareggiabili scocciatori, furfanti e rompiscatole. E sorrideva nel dirlo. E anche mia madre vi aveva messo le sue principesche falangi.
 
 Ansimavo, reggendomi lo stomaco, ignorando il mondo circostante, tranne che la guancia pulsante. Fitte infinite, che ci facevo là, come era cominciata..
Le sensazioni, non i particolari definiti.
“Che dicevamo?”
“Che sei un tornado. Ti ho sottovalutato. Sei una rompiscatole”
“Già” E mi avevano definita in modi ben peggiori.
Andres Fuentes, uno dei migliori elementi di mio zio, un carismatico, prezioso asso nella manica come Cassiopeia.
Entrambi avevamo storto la bocca nell’apprendere gli ordini per il successivo ingaggio, io perché ero abituata a contare su  me stessa, lui perché riteneva che fossi una principiante, una mocciosa. “Nessuno avrà pietà di te, sei solo una donna”, aveva detto, dandomi uno schiaffo in pieno viso, che mi aveva colto di sorpresa per un breve momento, facendomi barcollare, quindi era salita la collera, rapida, chi era, che voleva.
La guerra era violenza e non potevi certo abbassare la guardia, così gli avevo rifilato un calcio nell’inguine, che lo aveva fatto piegare in due, e aveva reagito tirandomi un pugno sullo stomaco, ed era stata la volta di una mia  testata sul mento.
Ero nata donna, per quei tempi ero debole, convenzionale, tranne che ero sempre stata una diversa, sia nel bene che nel male, Andres non doveva permettersi di giudicarmi, allora ignoravo che un Fuentes valuta la persona, quello che è, non il sesso. Mio zio guardava quella zuffa nell’arena boschiva fumandosi una sigaretta, poi aveva interrotto il tutto.
“Basta!! Voi due siete i migliori che ho tra le mani, insieme farete grandi cose e badate di andare d’accordo. Tu, mia cara, hai imparato che devi sempre  stare in guardia, tu Andres, che non devi sottovalutare una donna, che ti ha messo a tappeto. Lei è Cassiopeia 130, che dici, abbiamo cambiato opinione? E va bene che è bella, abituata ad avere gli uomini ai propri piedi, ma in senso letterale, non certo metaforico, come con te, Fuentes, è forse la prima volta” Dannato R-R, lo pensammo entrambi, mandandolo al diavolo e augurandogli cose non molto educate, da non ripetere onde non essere triviali.
Fuentes spalancò gli occhi, realizzai che erano verdi, un colore scuro e profondo, come la trama dei suoi capelli neri, e che era alto, sul metro e ottantotto, con un viso armonioso e un fisico muscoloso, senza essere massiccio. In quel momento teneva una mano sui suoi preziosi genitali, ( se lo avessi castrato!!) l’altra sul mento, io cercavo  di non gemere per il dolore al viso e allo stomaco.
Ansimavo, ancora,  la guerra era violenza, inutile che mi lamentassi, me la ero cercata e non volevo cambiare idea. Potevo tornare a San Pietroburgo da Ella, andare in Francia, fare la principessa oziosa, ma il mio posto era lì, da combattente, non da mantenuta.
Stesi la mano, il braccio in avanti. “Lieta di conoscervi, Andres Fuentes”
Mi strinse il palmo, notando come ero pronta a fare perno sui talloni, il corpo in posizione di difesa, gli fosse venuto  in mente qualche tiro.
“Lieto, Catherine, nipote di Rostov- Raulov, vediamo che combineremo insieme. Non vi sottovaluterò. Almeno non volontariamente, mai più” Ricambiò la stretta, sancimmo una tregua.
“Voi comunque avete il vizio di tirare calci e pestoni.” Corrugai la fronte, certo citava un episodio, o forse più di uno, peccato capire quali, io ero quasi sicura di non averlo mai visto.  O no? Quel modo di muoversi, fluido e sicuro, senza eccessi. Come un gladiatore. Era LUI... Ne era passato di tempo e di affanni, da tanto non ci pensavo...un ballo e un matrimonio e una corrida...
Mio zio rideva sotto la barba. Sia io che Andres avemmo lo stesso pensiero, che se ne andasse al diavolo.
 
“Che hai combinato?”Alessio mi prese il viso a coppa tra le mani, osservando la guancia gonfia, nonostante vi avessi applicato del ghiaccio. Non potevo certo dirgli della lotta indecorosa, che avevo fatto a pugni come l’ultimo dei contadini, né delle trovate pindariche del mio capo. “Oggi pomeriggio, dico  ”
“Ho avuto un incontro ravvicinato con un armadio, tanto te lo avevo detto che non c’ero” Vivente, a cui avevo tirato un calcio nei genitali, stavo pensando a dove lo avessi visto, quella battuta sui calci e i pestoni, mi veniva da ridere, dalle acque della memoria affiorava qualcosa, poi realizzai, accidenti che figura. Glissai il resto del pensiero, ci mancava solo che provassi attrazione per quel barbaro, quello straniero, avevo perso mio marito solo da un anno, ed erano passati dieci anni abbondanti da Ahumada, una vita.
Si strinse nelle spalle, poi prese un mazzo di carte e giocammo. Il giorno dopo sarei andata via e lo sapeva, voleva godersi quei momenti senza domande, fingendo magari che fosse una sera come tante altre nel passato, di giochi, letture e storie. O almeno ci provò.
“Quando torni?”era inquieto, disattento, era il suo turno e non calava la mano, si agitava sulla sedia.
“Per Natale, forse prima. Tre mesi, stiamo larghi” Studiai le carte poi lo fissai, vergognandomi di me stessa, ma non a sufficienza.
“Due. “ contrattando. “Uno.. Una settimana”
“Farò prima che posso, cercherò,  non assicuro nulla” sincera per come potevo esserlo. Ironico, certo. Perché mi hai trovato Alexei, sarebbe stato meglio il contrario .. Io vado ed il tempo trascorso, un anno dall’ultima volta, non ti ha fatto scordare. Ti eri già fatto le tue idee, valutato e tanto .. So che i segreti li sai tenere, sei incredibile e ti sto arrecando pena, e tanto andrò avanti. Lasciando cenere e macerie.
“Se non ti fai ammazzare prima, per cosa poi ”Cupo, aveva pensato a sufficienza in quella ore, una ruga gli affilava la fronte, le iridi velate, scure come un fiume invernale“o se non mi viene qualche accidente. A cavallo mi è andata bene, e tanto potrei sentirmi male per ogni urto”
Scrollai la testa, non osai abbracciarlo, capiva e non era uno stupido. “E non tirare in ballo la volontà di Dio” pensava a Rasputin, o a quello che avrebbe detto sua madre..?? Omisi di toccarlo, la malattia e la sua fragilità lo avevano reso acuto, era un bambino solo per età, apparente, non per esperienza
“Magari per riprendere la mia Iliade, un libro che mi porto sempre dietro. Come l’Odissea.” Uno dei miei pochi effetti personali, assieme ai capi di vestiario, di ricambio, giusto due camicie e un paio di pantaloni, al sapone, viaggiavo leggera, solo una borsa a tracolla. Un coltello, una pistola e poco più completavano il bagaglio.
“Non mi interessa, tienilo, quando mai mi sono piaciuti i libri, MI PRENDI IN GIRO, su tutto. E domani non disturbarti a venirmi a  salutare. Anzi, bada a non farti vedere, era meglio se non ti trovavo. Mi hai illuso, sei bugiarda e cattiva” una giostra di attimi “Cattiva e bugiarda”Lo sguardo azzurro, pieno di rabbia, e disperazione, stava per mettersi a piangere e non voleva. Non scorderò mai come mi fissava. Rabbia. Dolore. Come se mi vedesse davvero, per la prima volta, avevo sempre cercato di proteggerlo, di non dargli dolori e gliene stavo dando, volontariamente, uno immane, senza revisione“E tanto ho chiesto, devi andare per forza.. Sei la più brava, accidenti a te” A chi?quando e dove? Sillabai Alexei, mise un braccio di traverso, non mi toccare e raggiunse la porta, le carte caddero per terra.
Era finita.
Uscì sbattendo la porta, diretto verso il suo alloggio, non travolgendo per poco Andres che scartò di lato, un vassoio tra le mani.
 Come Olga. Era come con Olga. E non mi avrebbero cambiato con nessuna altra al mondo.
 “Prima di rimediare un altro calcio, sappiate che sono venuto in pace e ho portato una bottiglia di vino e la cena, R-R è in riunione e farà tardi, lo zarevic è atteso fuori da uno dei suoi valletti e. lo accompagno io, se mi attendete qualche minuto, giusto il tempo per il passaggio delle consegna “
“Mangiamo pure al vostro ritorno.”  Poi : “Fuentes, siete una scocciatura, lo sapete?”
“Lo so, ma in genere le donne mi ritengono piacevole. Per la cronaca, non ho moglie o figli, quindi evitate quella faccia”
Risi, era impossibile. “Assaggio il vino, muovetemi..”  Alexei..
“Spiegami una cosa”avevamo deciso di darci del tu e parlare civilmente, forse, dividendo vino, pollo arrosto con insalata e uno sformato di patate.
“Che ci fa una principessa, amica delle figlie dello zar a fare la spia e la bara?” intuì di avere centrato il punto
“Sì. Sei giovane, ricca, piena di salute e talenti e rischi di farti ammazzare per cosa, come ha detto lo zarevic. Ho sentito anche se non volevo. E di cose ne ho viste tante e forse tu sei la più strana” mi scrutò, le luci delle lampade, accese nella sera, creavano golfi di ambra e luci  sul suo viso, le sue iridi erano verdi come le foglie di una nuova primavera. Era calmo, sicuro di sé, non il pallone gonfiato del pomeriggio.
“ Sono utile, non indispensabile, faccio quello che posso.”Presi il bicchiere tra le mani, Chablis bianco, facendo tintinnare il cristallo “ Avevo un marito, Fuentes, è morto l’anno scorso, di questi tempi, a Tannenberg, gli hanno sparato alla schiena. Si chiamava Luois de Saint-Evit. Come un animale.. devo fare qualcosa, di utile o provarci, a modo mio. Per una sorta di scherzo, Rostov Raulov è un grande nelle sue alzate di ingegno e .. Non sono ubriaca, almeno non ancora” Aveva chiesto e dovevo andare, ero la più brava.. Oddio.
“Questa è un motivo”Alzai la testa, sorpresa dal suo intuito. “E ti capisco, da una parte”
“ E le tue ragioni, Fuentes? Ora ti ho riconosciuto, sei in Russia dal 1903, almeno credo, che eri tra i segretari di mio zio, mi pare, giocavo e ti ho tirato un pestone per correre dietro al mio gatto. Non ti ho badato, ti è caduta una pila di fogli dalle mani e ti sei messo a quattro zampe per raccoglierli tutti. Avevo otto anni, ero una mocciosa viziata”percepii di arrossire”Il calcio fu ..che figura” bevve un sorso di vino, come me, adesso toccava a lui parlare. E avevo dieci anni, all’epoca successiva, ma che capivo. E non deponeva a mio favore che fossi petulante e viziata come pochi.
“Alla lunga non importa, eri ancora una bambina. La storia è lunga, comunque.. Solo a titolo di cronaca, mia madre era russa e mio padre spagnolo, ho una grande famiglia ma è meglio che stia fuori dai piedi.”la sua voce, dallo scherzo era sfumata nella serietà.
“Capisco. Forse. Alla nostra Fuentes.. “ Di sicuro conosceva le lingue, dal russo eravamo spaziati al francese e all’inglese senza imbarazzi o increspature.
“Chiamami Andres.”
“Io sono Catherine, detta lupo e tempesta. Fin da piccola, mi hanno appellata alla francese, come la omonima zarina. Olga Nicolaevna per economia Cat, alle volte Kitty Kat, gattina in inglese”Sorrisi. In quei momenti non mi faceva male ricordarla.
Catalina. In spagnolo.” Fino a lì ci arrivavo pure io. In mio nome, alla spagnola, fu come entrare in una frontiera che portava al paese dell’altrove, senza ritorno, un previsto disastro che era stato solo rimandato.
“I Rostov-Raulov discendono da uno spagnolo, si chiamava Felipe  de Moguer, si reinventò titoli e fortuna nel 1700, alla corte di Caterina II”
“Alla battaglia di Cesme, in Anatolia, prese il titolo di conte Rostov, poi sposò una principessa, Elisabetta Raulov, diventò principe ipso jure, diventando così Rostov-Raulov, per non perdere quello che si era guadagnato. Aveva 18 anni quando diventò conte, riscattando una nascita illegittima, suo padre era un marchese, Aleksander ne è sempre fiero, dice che per voi, i suoi discendenti, nulla è impossibile”
“Vedremo.. Andres, il padre di Felipe si chiamava Xavier dei Fuentes, vi suona familiare?”
“I Fuentes di Ahumada, marchesi ma il fratello di Felipe, Nicolas, divenne principe a sua volta, vennero elevati dopo la caduta di Napoleone, tanto fedeli erano rimasti al re di Spagna.”
“Andres Fuentes, principe”
“Un figlio minore, un cadetto”
“Sei sempre un principe”  nemmeno se io e Alessio ci fossimo accordati su quella battuta, che non era affatto tale. “E domani vado a salutare lo zarevic.. Per me, non per lui” Andres non ripose, mi osservava e basta, i suoi suntuosi occhi verdi erano una poesia.  
E io ero una Fuentes, allora per lontane ascendenze, parecchio risalenti, a onor del vero, e tanto era.
“Buona fortuna, Catherine, il Signore sia con voi. Ci vediamo a Natale, se non prima” lo zar benedisse me e Andres erano le sette, forse prima di mattina, un piccolo segno della croce, in tasca teneva il mio libriccino dell’Iliade, se Alessio avesse avuto voglia glielo avrebbe dato. E lo volle, per casino mio e altrui.
Tacendo che alle cinque di notte (nell’ora del cambio della guardia, lo zar d’accordo) ero passata a dargli un bacio e avevo capito che non dormiva.
Intuito e passate esperienze mie. la notte amplifica pensieri e separazioni, mi aveva trattato male ( e in fondo aveva ragione, ad essere in collera), e gli spiaceva, pensava di avere fatto qualche cosa di ineludibile.
Io di bambini non ho mai capito nulla, tranne che con lui, a grandi linee, almeno allora. “Zarevic.. vuoi, volete che resti un poco?” 
“Sì”
I’ll be back”, tornerò, avevo sussurrato in inglese, piegandomi sul ginocchio, un inchino nel buio, rischiarato dalle lampade votive dinanzi alle sue icone, rispondeva solo il respiro, era il principe ereditario, il rango andava rispettato, senza fallo. Poi avevo allungato una mano, sfiorandogli la spalla, una piccola carezza, mi aveva risposto la sua schiena rigida, contratta, salutavo il bambino che mi aveva amato e ancora mi voleva bene, forse.
“Mi dispiace. Credetemi” e lo dicevo per scarico di coscienza, la mia, chiaro, ribalda, infida.  “E .. con te, perdonatemi, con Voi, non sono mai stata cattiva in modo volontario né volevo illudervi..” tranne che dal gennaio 1913 in avanti, bugiarda che sei, quando hai scoperto le lettere e lo ignoravi, anche se eri lì con lui, scrollai la testa, ignorare la voce della coscienza era un ben duro affare.
“ Allora salutami perbene come sempre, mi hai abituato in un altro modo e non che cambi la faccenda, bada. Capito?”la sua voce sottile come vetro, le sue risate le avrei sentite di nuovo solo più avanti. 
Si mischiavano lo Zarevic, il principe ereditario, e il bambino, dove finiva uno e cominciava l’altro, il punto di sutura, o forse era un ricamo inestricabile, nessuna demarcazione.
Mi aveva posato il viso contro l’avambraccio sinistro, mentre con la destra gli  sfioravo le spalle, si era rigirato e me lo ero ritrovato addosso, in due giorni aveva imparato come stringermi, senza pesare, le nocche contro il mio plesso solare, scostandogli i capelli dalla fronte, il gesto rovesciato e gemello di quello che aveva compiuto lui due giorni prima, toccando la guancia.
 
Silenzio. Liquido e rarefatto. E le mie parole erano poi diventate, una storia, una canzone infinita di amore e perdono, ero rimasta.
“Torno, fidatevi..E io mi fido di voi, so che siete un osso duro, non mi faccio ammazzare e voi superete ogni eventuale accidente. Va bene? Non vi volevo illudere.”
Un piccolo cenno della testa.”Spiegami, perché mi dai del Voi”
“Era .. Voi siete lo zarevic, in ogni situazione vi devo rispetto” Una pausa
“Io voglio Cat, non la principessa formale, che è la più brava di tutti i reparti...so che sei brava ma così.. “
“Alexei, io..  Non pensavo di trovarti, mi hai fatto, anzi ci hai fatto una sorpresa. E mi eri mancato tanto e volevo farti fare qualcosa di bello, peccato che tu poi abbia creduto, giustamente, che sarei rimasta di più. Non ti volevo illudere o prendere in giro, tranne che vale quanto sopra, io mi fido di te, resisti, sei un osso duro”
Sbuffò “ Se non ti avessi trovato per sbaglio, ti avrei visto? So che ti sono mancato, o credo” in quello ero stata sincera
“ No, avrei evitato” Per omettere questo strazio “ E mi sei mancato, libero di credermi, ma così per te è peggio” mi strinse ancora più forte.
“ E TU NO?”
“Io sono grande, rispetto a te, meno sensibile”
“Che bugiarda .. sei più sensibile di quanto pensi”Deglutì “Dammi un bacio e a presto, mi fido di te, se sei la più brava qualcosa vuol dire” un gallo solitario cantava, ma era presto, mancavano ancora due canti. E avrebbe preferito che fossi meno abile.. la più brava a fare cosa o chi?
“Io pure, Zarevic, mi fido” gli avevo raccontato due o tre barzellette, brillanti, non aveva riso, che sennò mi dava soddisfazione, ma lo avevo distratto, baciandolo a caso, la fronte, le guance, ricambiata. Che potevo fare senza troppi danni, per non fargli venire l’ansia, che era intelligente, con una grande fantasia, o non troppa ansia, finchè ero lì era tranquillo, per dire.. Aveva chiesto, a suo padre e mio zio, ci scommettevo, e tanto era stato un fallimento
“ Ti va bene se ogni tanto ti scrivo due righe, solo per te, e ci sentiamo al telefono?”
“Sì.. Solo per me?”
“Solo per te. Ciao Aleksej, arrivederci Zarevic” omisi di affermare non ti preoccupare, che sarei stata proprio stupida. Ed  ero uscita, dopo una breve stretta, un bacio. Ave Cesar, morituri te salutant. Quella mattina non vi era nebbia e tuttavia vedevo tutto sfuocato, una steppa perlacea. E non era perché dovevo ma perché volevo, aveva ben ragione.
“…prima che il gallo canti, mi avrai rinnegato tre volte..” Tenni la schiena alta, le spalle erette, un passo dopo l’altro, vai via, senza girarti, me lo imposi, al secondo giro, che ero tornata indietro per dargli un bacio, e tre e mille, in silenzio.
Alessio, lo faccio perché voglio, oltre perché devo.. hai ragione, non ti devo prendere in giro. Se mollo non vado di mezzo solo io, ma altri.. Che hanno fiducia in me, ti prometto che starò attenta, che ci rivediamo, e intanto ti chiamo, ti scrivo.. Attenta, come te
“Mi fido, Cat”  mi sfiorò le labbra con le dita “Vai, avanti, che se rimani ancora non ti mando IO via”una pausa “Ma sono contento da una parte, ti ho visto, non ci speravo più”
“Alessio.. quando torno facciamo qualcosa di bello“
”Vai fila..”a parole, nei gesti mi si era aggrappato o forse ero io.
E tanto  non lo lasciavo, fino a quando non si calmò.

Lo zar riferì che aveva pianto per una settimana filata, prima di dormire, dopo, ma Alessio non volle parlarne e suo padre non intese forzarlo.
La malinconia gli rimase, come una sorta di nebbia, un velo.  E se non fossi andata a salutarlo sarebbe stato peggio, lo avrebbe vissuto come un abbandono, l’ennesimo,mi ha odiato e mi avrebbe odiato ancora di più se non fossi passata .
L’ora che precede l’alba è spesso fredda e buia, mi risvegliavo e mi gettavo addosso la coperta, svuotata da tutto, mi rigiravo e le nocche incontravano la sagoma di Andres, il suo caldo respiro e viceversa. Allora parlavamo ben poco.
Quattro giorni dopo, ci scambiammo due parole in croce al telefono, dopo vari passaggi. “Zarevic..” “Ci . . Ciao“ Esitante “Tutto a posto, cosa leggi?” E non rispose. “Ti chiamo e ti scrivo..”Gli soffiai un bacio nella cornetta
 
E bravi i miei ragazzi, rifletté nelle settimane successive Rostv-Raulov, appurando che l’ingaggio era andato a buon fine e che se Catherine non cambiava idea potevano fare molto e molto altro.Cat, si concesse il nomignolo privato usato da Olga Romanov, aveva fatto cantare un bolscevico in esilio, tale LP, di come la Germania voleva minare il potere offrendo aiuti e finanziamenti capillari ai bolscevichi, una rete capillare e clandestina, dopo il 1905 non si erano arresi.
La rivoluzione avanzava, se la guerra non finiva sarebbe stato un casino senza precedenti, lo Zar era fatalista, si considerava Giobbe, mandava una sua figlia al macello.
Non vi capiva nulla, allora era meglio Catherine che era una spia, un baro, una sorta di pirata, combatteva in senso lato e cercava le sue vendette che quel coacervo.
Il lupo dello Zar, la tempesta.
 
Stupido, o forse no, comunque anonimi donatori  tedeschi finanziarono gli ospedali russi, LP, un idiota perso nel suo piacere, venne arrestato alla frontiera, così  confermando la fiducia accordata, da capo  si congratulò mentalmente con lei.
Lei e Fuentes erano i migliori, nonostante o forse per le loro tragedie private.
 
Nel novembre 1915, lo Zar aveva passato in rivista le truppe del Generale Tcherbatchev. Dopo la  cerimonia, il sovrano desiderando conoscere le perdite sofferte dalle truppe chiese ai comandanti di ordinare ai tutti gli uomini che avevano combattuto fin dal principio delle ostilità di alzare le mani. 
L’ordine venne impartito e, tuttavia, solo poche braccia si alzarono rispetto a centinaia di teste, in intere compagnie non si alzò neanche un pollice.
 

L’episodio fece una grande impressione ad Alessio, per la prima volta realizzava gli orrori della guerra in modo così crudo e diretto. Prese a riguardare i biglietti che custodiva in una scatola insieme ad altri tesori, lettere di sua madre e delle sue sorelle, una biglia dai colori cangianti, un sasso dalla forma particolare  e tanto altro, in cui nessuno guardava mai, era sua personale e basta.”.. Un saluto, fa freddino, ti scrivo vicino a un bel caminetto..So che lo Zar non ama molto parlare al telefono, io lo ritengo una fantastica invenzione.. Anche per un ciao al volo, come hai detto Te, un bacione .. “  “Visto che ci hai preso gusto, sul telefono? Ciao e come stai, sei sintetico e va bene così..Baci. C.”  “Zarevic, oggi ho camminato su un prato bianco per la brina, ti ricordi quando a Carskoe giocavamo a nascondino nelle brine autunnali in attesa di costruire fortini di neve..” “ Zarevic, solo un pensiero e un abbraccio”  Vari e sparsi biglietti, un tesoro “..Oggi eri triste, credo, manchi anche a me, e comunque il Natale cattolico arriva prima del nostro, i tuoi cinque minuti diventano sempre cinque ore o cinque giorni.. Scherzo, manca poco. Sai che sto leggendo l’Eneide (io, mica te, quindi non fare smorfie) [sorrise nel rivedere quelle righe] che è il proseguo dell’Iliade, va beh, te lo racconterò a voce, che sennò diventa un romanzo, ci sono due ragazzi, Eurialo e Niso,che sono veramente coraggiosi e in gamba, indovina chi mi ricordano? TE. Fortuna audaces iuvat, la fortuna aiuta chi sa osare, te lo traduco direttamente, che è latino, l’abitudine di leggere mica mi è passata, ogni tanto devo aggiornare il repertorio, una storia per Te ci sarà sempre, se vorrai. Baci, C.  ps anche io vorrei passare cinque minuti con Te, Aleksej Nicolaevic, ironizzo, che manchi tanto anche a me” e vi era una foto di loro due, del mese di agosto 1914, lui le  circondava le spalle con un braccio, lei gli aveva appoggiato  una mano sul gomito, i capelli raccolti in uno chignon, vestita di colori chiari e delicati, il suo sorriso, aveva detto qualcosa che l’aveva fatta ridere. E ora aveva gli occhi duri, ricordò, di chi troppo ha visto, una sorta di patina, e tuttavia era sempre lei. Cat, Alexei, era venuto a salutarlo e gli voleva bene. Dove era la vecchia Catherine, l’amata principessa dalle mille storie, nella nuova ragazza che aveva trovato per sbaglio? È la migliore, non è possibile farla tornare, ormai le cose sono troppo avanti. Se non ti avessi trovato, ti avrei rivisto.. No.. per evitare questo strazio. Quanto manca a Natale? E sarebbe stato peggio, molto peggio se non l’avesse ritrovata. Si sarebbe sentito abbandonato, senza un vero perché. Come quando era andata a Parigi o era schizzata via dopo il settembre 1914.
 
 
“Alessio, ho una sorpresa..”
”Quale Papa?” Diffidente.”Aspetta e fidati..”
 
Mi ero raccolta il viso tra le mani, la tensione che mi rendeva esausta, i gomiti sulle ginocchia, poi mi ero rialzata, senza fallo, un dragone combattente, ero ACCIAIO .. UN DEMONIO. E la tristezza, con Andres eravamo andati vicini alle trincee..Che orrore, che delirio, fango, puzzo, vomito, un inferno in terra, che il lusso di un bagno caldo era per me e non per quei disgraziati. E  le missioni compiute, gioco o caso, mete rincorse senza scopo, e vinte per fortuna.
E la passione di due persone, che nonostante differenze e incomprensioni, si desiderano in un  modo inspiegabile.
 
Intanto, il mio caro zione R-R mi riceveva mentre lo zar e lo zarevic visitavano le truppe, in uno scompartimento di treno parlammo.
“TE hai bisogno di una pausa, fidati”
”Quale..Comunque Andres non è male, anzi, qual è la pausa?" 
“ La peste..spasima dalla voglia di rivederti anche per cinque minuti”
“Io pure, dici che è una peste e gli vuoi bene pure tu” Sincera nella sua mancanza
 “Ti manca, vedo e sei ben ricambiata. Cat, ormai, è andata.. Non imparerai mai, con la granduchessa Olga siete amiche, “lo eravamo state, legate, sorelle fino alla guerra e alla devastazione” Ma lui è un bambino  fragile e tanto non molla mai, per il suo bene e non il nostro, cerca di non deluderlo.. Sei la sua amata principessa e la nostra spia, la stessa nonostante le maschere, lo dico ora e poi mai più, cerca di farlo stare bene.. Hai capito? E tanto non rinuncerai a essere quello che sei diventata, anche se lo stai ancora decifrando e cerchi di capire”
“Penso..” Ci avevo capito il giusto e tanto era.
 
 
“Io sono in riunione fino a tardi, dormiamo sul treno, visto che sono occupato pensavo di lasciarti con questa persona..” Nicola II ad Alessio
“Sai che sorpresa” Sussurrò piano il ragazzino, se non stava con marinai o precettori lo appioppava sempre a qualcuno, chi era, un duro sguardo, ogni tanto scrutava sua padre con una consapevolezza superiore alla sua età, come se fosse molto più grande.
 
Il suo viso si illuminò, il sole che entra dentro una stanza dopo avere tirato le tende, quando vide chi fosse il soggetto indefinito.
“Alexei Nicolaevich, vi posso fare compagnia?”
”Papa.. E’ Catherine..E’ lei?LEI, sei tu..” battè le mani, un piccolo salto entusiasta
“ Che ti pare. Non agitarti, per favore.” era indeciso se abbracciare me o lo zar..
E intanto osservavo “Zarevic, come siete cresciuto”
“Principessa, come siete bella, ti voglio, vieni qui” Come no, ero snella, le lunghe gambe fasciate dai pantaloni, muscolose per le ore di cavalcate, le camminate, il ventre piatto, il viso illuminato dai miei grandi occhi, i capelli lavati di fresco che piovevano sulla giacca scura. Fossi sembrata uno spaventapasseri, non vi avrebbe badato. Ancora.
“Che bello,sollevami”le sue dita sul collo, la schiena,  io lo misuravo con gli occhi, mi aveva fatto un piccolo cenno e mi ero inchinata, ridendo, senza fallo e lo avevo issato sul fianco, chi ci credeva, e tanto eccolo lì, carne e ossa.
“La sorpresa..”
“Va bene lettere e telefono,  di persona eri più contento, nessuna illusione o presa in giro volontaria”Annuì, mi posò la guancia sul seno, una ciocca di capelli tra le dita .
“E’un anticipo, ci sono a dicembre e vedi che ci sono sempre, ci siamo messi d’accordo….”
“Sì..”Allacciandomi le braccia sul collo, si tirò indietro a guardarmi, gli appoggiai l’avambraccio sulle scapole, indefinito.  
 “Il mio dragone”
“La tua cretina, Alexei”
As usual.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 1915 III Part Not To Say Goodbye ***


 Alexei mi raccontò della rivista compiuta presso le truppe del generale T.,come avesse realizzato quanti pochi fossero vivi dall’inizio, io mi ero definita un soldato e.. Ero al limite e mi avvidi che si stava mettendo a singhiozzare”Alessio, non piangere, per me..Qualcosa inventiamo.. Non sparisco dopo pochi minuti, mm? I cinque minuti erano una delle mie solite battute imbecilli, cerca di non agitarti, scusami”

“Hai fatto bene a scrivermi e telefonare, che mi sono preoccupato tanto..E ti pensavo, come Mamma, le mie sorelle, loro si danno un gran daffare negli ospedali..”Quindi sfumò il discorso, che poteva essene una critica, io me ne andavo a zonzo per incarichi che avevo cura di non specificargli, vivendo una storia non meglio definita con un soggetto indisponente, ovvero Andres.

Ero stanca oltre ogni dire, tranne che i bambini, con  i loro bisogni e priorità ci salvano dalla  disperazione. Risorsi dalla stanchezza, mi concentrai su di lui, sussurrai il suo nome. “Alexei” “Cat..” ancora incerto, non ci credeva, sfiorava la spalla, il braccio
”Alexei.. Tesoro mio, vuoi giocare?”
”Si, e fare cena e poi mi addormenti te..” Svelto. “Sii” poi” Mi rivedi a dicembre, va bene, non ti arrabbi” “NOO”E la depressione mi era volata via “Fai pace con Olga?”che aveva capito benissimo, senza che nessuna delle due nulla osservasse, che ci eravamo sbranate a vicenda “Cercherò, tranne che la questione riguarda me e lei, va bene?”
“Va bene e tanto sei buffa, come sempre”
“Continua e giochi da solo.. Soldatini o marionette o ..carte” Sorridendo. Lo coccolai per tutto il tempo, era fragile come neve, forte come le leghe di titanio e intanto si rassicurava, una pausa dalla violenza.
Mi tirò un pizzicotto, non la finiva di toccarmi, rapito, contento, ci sei, SEI Tu, sì tesoro mio.  Gli massaggiai le mani, le braccia, delicata e paziente, Zarevic, bambino mio, eri una gioia infinita. E aveva una voglia ricambiata di coccole, mi abbassava la testa per darmi un bacio sulle guance, mi sfiorava le labbra con le dita, chiudi gli occhi e dimmi che ti tocco, gli zigomi come la fronte o il naso, e lo ricambiavo..

“Alexei, non sono nemmeno le nove, hai già sonno?” “No. Ma tanto in giro non devi farti vedere, (dicevamo.. era un segugio) io voglio che mi addormenti te e quindi siediti e stringimi, facciamo così. “Ossa di fumo, capelli di cristallo e pelle di seta, un dono, una meraviglia, percepì la mia risata sotto l’orecchio, lo aggiustai, abbracciandolo”La rosa e il leone rampante, iniziamo una nuova saga.. Intanto eccoti un bacio, e due e tre.”Lo avvolsi tra le braccia e inventai un nuovo ciclo, su quel divano.

“Ma le cose le fai da sola?”
“ NO, Alexei, sono con UNO..quello che hai osservato mentre sparava”
“Eh..? Dici Andrej Fuentes, quello che lavora per tuo zio R-R?”
“Sì, Alessio, lo hai chiamato Uno  e .. è simpatico, no?”
“E’ grosso come un armadio” Risi della sua involontaria battuta, o meno, a settembre mi aveva detto, che hai fatto al viso, io, di rimando avevo osservato che era uno scontro con un armadio, ovvero Andres, senza specificare che avevamo fatto a botte. 
“Lui è nato in Spagna, Alessio, chiamalo Andres..in luogo di Andrej.”
“Vedremo, un nome troppo strano, per me, manco lo so dire, se sta in Russia che si adatti alla Russia”
“Intanto torno alla storia, zarevic, basta interruzioni.. O no? Comunque la sua mamma era russa”
“Forse, vediamo, continua, non mi baciare ..l’Eneide me la racconti un’altra volta”Una pausa. Lui ascoltava me, io mi concentravo su lui, era tenero, le braccia che si toccavano, era in ascolto, intento, la testa che mi sfiorava la spalla. La vicinanza ed il respingere, avevi sofferto troppo Alexei, eri un bambino sensibile e la guerra ti aveva recato un incubo dopo un altro e infinite avventure, ti presi un palmo e lo studiai, come una mappa
“Vai.. “ “Dove..” “Vai Kitty Cat. Gattina, come ti chiama Olga, continua.” Mi sfiorò le labbra con le dita, gliele scaldai con il fiato, non lo deludere, o almeno ci provavo“Cat ..”Uno sbadiglio, mi stesi per farlo stare più comodo, cingendolo piano con le falangi, mi accostai la sua testa sul seno, una specie di riparo, il mento che sfiorava i corti capelli castani, se li faceva tagliare e accorciare come un cadetto, e mangiava il pane nero come i soldati (quando aveva voglia, chiariamo, sennò digiunava) era sempre tanto magro. “Cat..”
“Sono qui, Sunshine” Raggio di sole, come lo chiamava sua madre, con ragione, gli presi i palmi, deglutii, stai calma, lupo, la notte è ben lunga. Presi uno scialle e glielo avvolsi sulle gambe, mi tirai in piedi, lui in braccio e camminai avanti e indietro, come un galeone, cullandolo a tratti fino alle dieci e venti circa.  

“Ora è più tranquillo, grazie” “Grazie a voi, Maestà, mi avete fatto un regalo meraviglioso” poi ci mettemmo d’accordo.

Passò dalle mie braccia al suo lettino senza fretta, lo preparai per la notte spogliandolo un passo alla volta, un tenero sussurro, era rilassato, senza incubi e risvegli, almeno sul momento, gli misi il solito pannolone senza che protestasse. “Cat ..” “Stasera sto con te.. ancora un poco” “SI..” Le mani contro le spalle, la fronte contro la mia, mi tirò giù e mi fece sdraiare accanto a lui.
“RACCONTAMI DI ACHILLE E DEL DRAGO E DELLA ROSA..”
 Andai  via a mezzanotte, i cinque minuti erano diventati cinque ore.. il mio Aleksey. “Domani mattina ti posso salutare?” “Va bene”



Sbadigliai avvolgendomi nella calda pelliccia, erano le sei e trenta di mattina, il giorno sorgeva, il cielo si schiariva, grigio come il petto di una tortora, odore di legna e braci e caffè. Presi la mia sporta, mentre Andres usciva per sellare i cavalli, sulle labbra avevo il sapore dei suoi baci, sulla pelle il suo profumo. Lui il giorno prima si era svagato con le istruzioni, a me erano state riassunte da R-R.
“Lui si chiama Castore, vedi che spettacolo?”Indicai il baio con due balzane, era veloce e io leggera, un purosangue eccezionale come Tintagel ai suoi tempi, rispondeva ad ogni tocco e movimento.
Alessio gli diede una carota,  mio zio brontolò che facevamo tardi, era umido e di muoversi, lui era tutto tranne che una bambinaia “A presto, Zarevic”
“A presto Cat, bada che Andres non faccia troppi guai” Si raccomandò “E’ simpatico, fidati”
“Molto. Ora andiamo”Mi mise la manina sul polso, la strinsi e poi sorrisi. “Ciao, zarevic”
“Mi fido, non fare scherzi”
“NO..”in tono dolce, incerto.
“Niente baci, siamo in pubblico” e tanto avrei scommesso che spasimava dalla voglia di essere stretto.


“Io ti faccio accarezzare Castore,sul muso, fatti sollevare, solo un momento..!” obbedì,  lo sollevai contro la spalla, mi aveva serrato, le braccia sulla mia schiena, le gambe sui miei fianchi, avevo camminato un poco con lui addosso, poi lo avevo passato a mio zio, delicata, della serie ci vediamo a dicembre, non mollare, io sono con te.


Ci girammo un paio di volte, procedendo al passo, erano sempre lì, mio zio e il bambino, al terzo giro vi erano ancora. “Si fa?” “Si fa, lupo” Eseguimmo i movimenti e i cavalli ramparono sulle zampe posteriori e agitammo la mano, in sincronia,  quindi rompemmo al galoppo.
Saggia e distaccata in tutto, tranne che nell’amore per Alexei e le sue sorelle.

“Sono stato tanto contento..ora manca davvero poco, a presto Yours Alexei”

“Il famoso conto alla rovescia.. L’Eneide ci aspetta. E magari anche qualcosa su leoni rampanti e via così.. Ti voglio tanto bene..Un bacione”

A volte gli dei si divertono a giocare a dadi, infischiandosene della volontà e delle umane illusioni. 
Aveva preso un colpo di freddo visitando le truppe, starnutendo così forte da avere una violenta emorragia al naso, tanto che il suo tutore Gilliard e il medico imperiale avevano violato l’ordine tassativo di Nicola II di non essere disturbato, che era in corso una riunione informale, importante, tranne che lo zarevic contava di più, la sua salute aveva la precedenza .
Ero rientrata alla Stavka, ennesimo periplo, vestita da ragazzo, i capelli corti come il mio nuovo uso, con una stanchezza millenaria nelle ossa quando bussarono all’ufficio dell’imperatore, mentre controllava le mappe e le avanzate con me, mio zio e Andres.
Per esperienza, in quei momenti concitati, sapevo che nessuno badava a chi tampinava lo Zar, eravamo tutti anonimi, ombre sfuocate, quindi gli ero corsa dietro. Il cuore mi rotolava dentro il petto, e mi ero fermata, impalata rigida, quando lo avevo visto, respirando rapida e superficiale, come quando Andres mi aveva tirato un pugno sullo stomaco, sbattendomi per terra.
No. NO, No.
Il palmo contro le labbra, vedendo la cauterizzazione, le bende impregnate di sangue.
NO.
I suoi lamenti.. era l’inferno, un dolore che non meritava.
Come ricevere un ulteriore colpo sul viso, sullo stomaco.
NO. NO.
Come quando il principe Raulov mi aveva frustato, incidendo la mia schiena, chè avevo osato contrastarlo, picchiava mia madre per l’ennesima volta.
NO. NO.
Mi ero morsa le dita a sangue.
No, Aleksej, no.

“.. deve stare su.. è agitatissimo.. Speriamo che…” Brusii soffusi “ I suoi marinai sono esausti..non vuole stare fermo”
Ha paura.. idioti, ha dolore ed ha paura.. come ne avrei io, come chiunque, dategli un bacio, non toccatelo solo per fargli male.. Male per dire, occorre per le medicazioni, e nelle pause dell’emorragia non merita forse di essere confortato?Dategli una carezza, stringetegli una mano, imbecilli..
 
“Vuole ..insomma quando riusciva a parlare voleva sua madre, le sorelle e..Cat..? “ “Il gatto..”
“Qui ne abbiamo altri due, di marinai” la voce di Andres, gli avevo posato una mano sul braccio, parla tu, svelto in azione, Fuentes “Scusate.. eccoci “e tanto Botkin, uno dei medici imperiali, mi aveva riconosciuto al volo, e sarebbe stato ben muto, il suo viso era una maschera, io mi ero inclinata nell’ombra.
“Troppa gente.. Maestà, proviamo con questi nuovi, tutti fuori..”
“Cosa avete combinato?”Scosse la testa, il medico che mi aveva assistito tanti anni prima ritenne saggio omettere altre indagini
“Nulla di particolare.. Mi sa che Cat sono io, mi chiama sempre così”

“Aleksej, zarevic..”mi ero inginocchiata davanti a lui, era sporco di sangue e sudore, gli occhi appannati per il dolore e le lacrime, agitato senza rimedio.
“Zarevic sono Catherine..” in tono basso “Mi ci metto io, vuoi, a tenerti sul divano?”Una pausa “Ora ti pulisco il viso, non so il dolore che provi,sst, tranquillo, ci sono, sei Achille, un eroe, resisti a tutto, sei fortissimo”
Gli avevo tamponato le macchie di sangue e sudore, e tanto era meglio se mi mettevo dietro, stupida che ero.
E mi aveva riconosciuto, gli occhi si spalancarono, infiniti, azzurri “Va bene se Andres ti tiene sollevato, fidati, è bravissimo, solo un attimo, il tempo di sedermi..” quando era piccolo, piccolo davvero, intendo, e aveva una crisi, e il dolore lo intontiva, lasciandolo prostrato, che non mangiava o dormiva, solo gemeva, andavo (se era possibile) e mi accostavo vicina, senza toccarlo..
Che avevo paura di fargli ancora più male, parlando per minuti od ore, alla fine ci addormentavamo, e mi ritrovavo le sue manine sul viso, tra i capelli, entrambi esausti, che cercava un contatto, e quando stava bene non facevo pari a tenerlo in braccio, a giocare con lui, a viziarlo.
Ora era diverso, ero diversa, io, ammaccata e lucida, era il mio zarevic, il mio fratellino, c’ero e dovevamo affrontarla insieme, se voleva.
Appoggiai la schiena al divano, una posizione sgraziata, maschile, e aprii le braccia
“Ci siamo, piano eh.. che c’è? Andres..” “
Salve zarevic, ora vi lascio, c’è Catherine, va bene.. Ssst, andrà tutto a posto, sst querido”Sussurrò qualcosa in spagnolo, in quel suo linguaggio melodioso, che ricordava la musica del vento tra le foglie, me lo appoggiò addosso come se fosse un tesoro.Gli posai una mano sul petto, si sollevava con minore affanno “Zarevic, sono qui”

 
“Tienilo calmo, sarai meglio di una medicina, lo sa solo lui quanto ti voleva” Risposi con un cenno della testa.
Lo zar si allontanava, non sopportava a lungo i gemiti di Alessio,come al solito, Andres lo seguì per chiedere istruzioni, i suoi occhi verdi avevano incrociato i miei per un breve momento, saldandosi insieme, poi rientrò.
Sussurrai “Sono qui, Alessio, amore ”Scemenze per distrarlo, o consolarlo, oppure distrarre me stessa, almeno un poco, non so nemmeno se mi ascoltasse, sennò non sarei stata io, giusto due frasi per non smentirmi, ne dubito, anzi, stava troppo male, pure ebbe ancora una piccola reazione, mi serrò il polso mentre alzavo il busto, non ti lascio, sussurrai, tranquillo. Sono qui, non è il delirio ci sono davvero, resto, vuoi?.
Forse sussurrò Cat, uno strazio reciproco. .
 Ero appoggiata contro il grande divano, la schiena di Alessio contro il mio torace, lo avvolgevo tra le braccia, la testa che quasi sfiorava la sua, le ciocche castane mescolate, ogni tanto mi toccava il polso, spostandosi mi posava la guancia sul seno, o aspirante tale, che di curve non avevo tante, ero snella fino alla magrezza estrema.
Che ironia, mesi prima quando lo avevo portato a cavallo, non era successo nulla, era bastato un raffreddore per ridurlo in quelle condizioni, la pelle color carta, il battito irregolare. Già.
Sono qui. Sei qui. Non ti lascio, tieni duro, la passiamo insieme, va bene?cerco il coraggio, il distacco, sempre, tranne che ti adoro, Zarevic, non mi lasciare sola, se puoi. So che soffri, scotti di febbre e io non posso fare a meno di te, sei la mia parte migliore, con te non sono dura, arrogante e distaccata, superba come Lucifero, rimani ancora un poco, resisti, bambino mio, e che posso fare, se non tenerti tra le braccia.. e ti voglio tanto bene, perché non te lo ho detto a voce, invece di scriverne.. sono una disgraziata, una cretina..
 
I chirurghi imperiali avevano cauterizzato la narice, un processo doloroso, senza guardare chi lo teneva tra le braccia, cambiando le bende quando si impregnavano di sangue, uno valeva l’altro, bastava tenere calmo il regale paziente.
E tanto erano vincolati dal segreto professionale, Botkin, poveraccio, era abituato alle mie stranezze da anni. Avevo badato a parlare il meno possibile, cercando di non mettermi a piangere nel sentire i suoi gemiti, sapevo che i singhiozzi lo agitavano ancora di più. Ero stanca, piena di pena e rabbia.
“Deve stare su che da sdraiato rischia un maggiore sanguinamento”
Nicola aveva mandato un telegramma a sua moglie, che stava volando alla Stavka, reputando prudente non farlo muovere in treno per riportarlo alla capitale.
Mancava una settimana a Natale, almeno a quello di rito cattolico,realizzai. La nascita del Salvatore, ma cosa festeggiare se l’erede di tutte le Russie fosse morto, il mio era un pensiero blasfemo, cosa raccattare in quei momenti. E serrai lo Zarevic, gli avevo promesso di tornare per il Natale cattolico e non così.
Non volevo, non era giusto, ne avevo tante da farmi perdonare e non poteva morire a undici anni per una epistassi.. Per lui, è un bambino malato e ha una voglia di vivere che rompe ogni argine, a te di morire non importa nulla e ..
 
Aleksey..Sillabo il tuo nome, torno al presente, mi calmo, a te serve una persona lucida, non una isterica.
Ho più paura adesso di quando ero vicina alle trincee e il rumore delle granate rombava nell’aria, sono qui e vorrei essere da un’altra parte, rinuncio a comprendere, manco ci provo. O, in semplicità, quando soffre chi ami vorresti che fosse un incubo ed essere altrove e mica funziona così.
 
“Sei incredibile, lupo”
“In genere sostieni che sono una scocciatura”
“Siamo una buona squadra e sì, ti ho fatto un complimento. “Strinsi ancora più forte Alessio, osservando che le bende erano candide da almeno sei minuti, vigile, non parlava ma ascoltava. Gli sfiorai una guancia, se riflettevo che ai tempi della crisi dopo Spala, al palazzo di Alessandro, neanche lo volevo prendere in braccio, vi era di che ridere, seriamente. E ora ero una spia, un membro della polizia segreta, una peccatrice senza fallo, che lo stringeva e cullava, scherzando
 
Se ti rimetti, Alessio, ti porto a cavalcare e a sparare, fidati. Ci provo, guarderò te e non l’emofilia, vedrò il principe, il guerriero, non il malato, fammi provare, non lasciarmi.. Ti prego, perdona tutto il tempo che ho sprecato. Lasciami provare, fidati di me, e non lo merito.
“Raccontami di Ahumada e di quando cacciavi i lupi, e di come hai catturato una preda eccezionale, ovvero mio zio, o quasi” Sfiorai la tempia bendata dello zarevic, percependo che era in una pausa dai dolori, R-R era 1 e 85, per quasi 90 chili, era curioso di conoscere, gli pareva una barzelletta e ben si prestava, povero zio.
Intanto gli baciavo la fronte, i capelli, delicata, sapevo che gli faceva piacere, si distraeva, una pausa per entrambi.
Che il processo di cauterizzazione era dolorosissimo, meritava di avere un momento di conforto, essere toccato in modo gentile. Andres sbuffò. “Ahumada, in punto di cronaca per lo zarevic, come già detto in altre occasioni,è un castello sui Pirenei, sul versante spagnolo, circondato da boschi e foreste, la casa dei miei avi, che siamo stati marchesi, poi diventati principi, i Fuentes dai mille talenti. Nel fitto del bosco, si dava per certo che vi fossero dei lupi. Avevo tredici anni e stavo fuori con ogni tempo, alla peggio dormivo in un capanno di caccia e scavavo buche,mi davo da fare una trappola che poi ricoprivo d’erba e terra, e facevo passeggiate e giri di ricognizione, con il mio fratello più grande Jaime. Ci divertivamo anche a pescare ad un torrente, facevamo trappole per conigli .. I due vagabondi, ci appellavano al castello, mio padre da un lato ne rideva, dall’altro non sapeva che farsene di due teste matte come noi due. Comunque, doveva venire un ospite e io e Jaime eravamo latitanti nel bosco..Catherine, cazzo, sanguina di nuovo.. ”
 
Sospese il racconto, mentre rientravano i chirurghi, le bende erano di nuove intrise di sangue. Cauterizzarono, Andres, immobile, in un angolo, le dita di Alessio contro il mio polso, una stretta così forte da lasciare il segno, sussultava per il dolore, appena un gemito rivelava il grado della sofferenza .
Sentivo i mormorii, il nuovo marinaio infermiere, sul serio i miei travestimenti erano ben fatti e poi ci lasciarono soli, avevano riscontrato che tante persone agitavano Alessio, lo serrai cercando di tenere ben alto il busto, gli massaggiai lo stomaco, le costole, movimenti improvvisati, colmi di delicatezza, ti voglio tanto bene, zarevic, cerco di tenerti tranquillo, taccio che le storie le racconta Andres, io intervengo a tratti, sono con te, sempre, e so che ti reca conforto essere toccato in modo dolce, gentile. Pregai che Alessandra giungesse presto, che fosse sempre vivo. Intanto, le mie braccia e le mie gambe erano una specie di fortezza contro cui si abbandonava, capiva che avrei voluto difenderlo da ogni male, la voce del mio principe un incantesimo contro il buio. E che lo amavo, non lo avrei più lasciato senza un saluto vero.
“Racconta Andres”
“Rostov Raulov era venuto in Spagna per un libro di memorie, sul vostro capostipite., Felipe, mio padre Xavier dei Fuentes lo accolse e lo invitò a fare un giro. Il principe cadde nel fosso.. Passeggiava e finì come un allocco nella mia trappola. Poi gli sono rimasto simpatico..Lasciamo perdere”
Risi per non piangere, Alessio si mosse, credo che ne rise anche lui di quella cosa inopinata. In parte, serrò la schiena contro il mio sterno, percepii il movimento delle sue dita sui polsi, mi rovesciai un poco in avanti, rafforzando la stretta delle braccia, e si calmò, ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo.
 
“E andiamo con le storie dei Fuentes e dei pirati, queste so, non ho grande inventiva, che spetta a te, cara Catalina ”Andres mi passò un asciugamano, asciugai la fronte allo zarevic, potevo solo abbracciarlo. Quando ero arrivata a Spala, non avevo visto tutto. Alessio capiva Catalina in spagnolo, Catherine, lui intuì prima di me e Andres dove saremmo finiti.
 
 
 
Compresi la zarina, il suo strazio, almeno un poco. I particolari, ossessivi. La trama di legno delle pareti, le ciocche di Alessio che si intrecciavano alle mie quando chinavo la testa contro di lui, l’eco della cauterizzazione nell’aria ferma, fuori era caduta la neve, l’impronta delle falangi dello zarevic sui miei polsi, mi aveva stretto così forte mentre i medici facevano il loro lavoro,da lasciarmi poi i lividi, oltre che il segno delle unghie, il corpo inarcato e teso per il dolore, tenevo il busto alto, i pantaloni che indossavo,grigi, con un piccolo strappo sulle ginocchia, che ancora non avevo rammendato, gli avevo accostato la testa sul seno, a tratti.. ascolta, Alessio, ho paura come te, e insieme siamo forti, ascolta il battito del cuore, dice che ce la caveremo.
Alla fine era stato Andres a portare dell’acqua, una caraffa e una ciotola di ghiaccio in cubetti, glielo avevo sussurrato piano. Bevvi avida, avevo sete e fame, il mio corpo baro, eterno Giuda, si ricordava sempre di vivere. Diede una carezza al ragazzino sulla fronte, poi gli passò un cubetto di ghiaccio sulle labbra riarse, a farlo bere non si fidava, che poteva venirgli un attacco di tosse, pessimo nelle sue condizioni, ma era disidratato, con infinita pazienza ne passò quattro o cinque. Appena accennavo a muovermi mi stringeva ancora di più, come se lo volessi lasciare, e avevo sete, mi raccomandai ad Andres. Se non l’ho amato in principio, ho cominciato allora. Dico di Andres, che volevo bene a Alessio da un pezzo. Ed anche allora sapevo di mentire a me stessa, le scuse che tiravo fuori, le balle per non dare ai sentimenti il loro nome.. Io e il mio armadio personale avevamo fatto l’amore dieci giorni esatti dopo il nostro primo incontro, nell’ora che precedeva l’alba ognuno era per l’altro uno sfogo, una tregua. Anzi, sesso, come lo definivo, uno sfogo di lussuria, potevamo non sopportarci in principio, tranne che a letto siamo andati d’accordo fin da subito. Ed era una difesa, era piacere e amore, i nostri corpi erano ferro e calamita, acqua per purificare, fuoco per la reciproca attrazione. Pure ammettere di amare qualcuno richiede coraggio. Quali negazioni formulare, chè, indagando, avevo appreso una cosa che mi aveva fatto inorridire di me stessa. E dovevo arrendermi, lo amavo, ti amavo, Fuentes maledetto. Per le cicatrici sulla schiena aveva rilevato che era insieme a mio zio quando avevano sistemato Pietr Raulov, si era solo rammaricato di non avergliene suonate più forte. E che non dovevo vergognarmi di nulla, avevo agito per giustizia, per difendere mia madre.
“Alessio, ascolta, la tua mamma sta arrivando. Probabilmente non rimarrai qui alla Stavka, tornerai al Palazzo di Alessandro” Le parole scorrevano piano, avevo la gola roca”Per la convalescenza. Io non mi posso far vedere, lo sai, per le coperture. Non ti agitare, ascoltami. Torno a Pietrogrado, non ti lascio, cerco di fare pace con Olga, va bene, tra poco vado via, sono qui e ci vediamo presto.. “Lo avevo spostato sul braccio sinistro, tenendolo con l’altro, con una fatica immane mi sfiorò una guancia, l’unico segno di colore che aveva sul viso erano le mezzelune viola sotto gli occhi e le sopracciglia castane” Va bene, sto zitta, qualcosa ci inventiamo, piccolo principe.” Sbatté le palpebre due volte, come a dire no. quando non riusciva a parlare aveva elaborato quel sistema, due volte no, una sì. Non capivo. Tamburellò le dita sulla mia guancia, a fatica, e la toccai. Era salata di lacrime. “Non devo piangere, va bene. Hai ragione, non me ne ero proprio accorta” Per discrezione, Andres aveva voltato le spalle, osservava con interesse la tappezzeria del muro. Aspettò che mi ricomponessi, mi riuscì a tirare fuori un sorriso poi scambiammo la posizione, staccare il bambino dalla mia stretta fu una amputazione.
Lui, come me, era un coacervo, una contraddizione in termini, ironico e irriverente, si vestiva di maschere, poteva risultare ed era spesso insopportabile, superbo e egocentrico, sfrenato e carnale, come la sottoscritta. Dotato di umanità, non si tirava indietro dinanzi a nulla, fosse un ingaggio che consolare un ragazzo malato. Passai Alessio nelle sue braccia, gli diedi un bacio, non osavo affermare ci vediamo presto, aspettavo i secondi, ogni minuto che passava senza che le bende si impregnassero di sangue era ottimo. “Io vado, ragazzi. A presto. Ciao Alessio, ciao Andres” mi persi a asciugare la fronte del bambino, era madida di sudore, come la gola, la carotide batteva sotto le dita, in affanno, ma stava un poco meglio, gli tamponai i capelli sudati e l’avevo detto.. Idiozia. Gli appoggiai il viso per un momento contro il plesso solare, senza premere. “ A PROPOSITO, sono tornata.. E ci rivediamo, sai come riesco a essere petulante e egocentrica, no” Gli baciai le mani, ridendo, sommessa, i palmi più piccoli tra i miei,stringendoli, ricambiò“Alessio, amore, ora devo andare davvero, mi spiace, e ci ritroviamo. Guarda, non piango, cerca di stare tranquillo, sì, perfetto, ti voglio tanto bene, so che lo sai, e lo devo dire, so che mi vuoi bene pure tu.. arriva a casa, diamoci due o tre giorni di tregua, di riposo, poi arrivo, mi vuoi vero”Un battito di ciglia” Solo diamoci un poca di tregua, che è stata lunghissima, soprattutto per te..”Tacqui e ci scambiammo una occhiata preziosa, miele contro zaffiro, senza sillabe. Seppi, una sorta di prescienza, che sarebbe rimasto. “Riposati, amore,a presto, sono con te. Ora no, ma se vuoi al Palazzo di Alessandro ti tengo in braccio, dormo con te, ti porto fuori, ora che vuoi?“avevo inteso e non stavo capendo male il gesto , mi ricomposi.”Il mio monello preferito, eh,ripassamelo Andres, tutto a posto, vuole che lo tenga ancora!”Me lo raccolsi addosso, tenendolo in alto”Poi quando vado, non ti agiti ..” Inarcò le sopracciglia, era un sì. “Aleksej, bambino mio, tesoro mio grande” declinai ogni forma di amore e tenerezza, osservai che doveva mangiare, che poi me lo divoravo seduta stante, ora sei tutto ossa e volontà, tesoro mio.. Mi diede un bacio sulla guancia, aveva le labbra secche, riarse, gli feci bere un poca d’acqua e gli cambiai la casacca militare. “Aleksej..” mi prese una mano, rimanemmo in silenzio, lui era il mio guerriero, un lottatore, ora e sempre.
 
 
“Adesso devi andare davvero, Lupo,” enunciò Andres, dispiaciuto alla fine “Qui ci penso io”
 Staccai le mani, a malincuore, lo zarevic mi sorrise, alla fine lo avevo cambiato, era fradicio, ed era esausto, il mio tesoro, e tanto non dormiva.
Mi toccò il viso, i capelli come quando era piccolo, gli deposi un piccolo bacio all’angolo delle labbra, un gesto di affetto che voleva da anni e avevo sempre omesso, scostandomi quando tentava, che io non ero sua madre o una delle sue sorelle, e lui ribatteva che mi voleva bene come  loro.
 “Ora, zarevic, devo andare e tanto torno presto a scocciarti” si tese per ricambiare, lo lasciai fare, doveva sorridere, e  premetti il pugno sul cuore e scattai via sul serio, vietandomi di toccarlo ancora, che non sarei più andata .
Mi girai sulla porta e sorrisi a tutti e due “A presto..”
 
 
E tanto ero poco lontana, la schiena contro una parete, la testa sulle ginocchia e piangevo, uno sfogo necessario, pregando, mentre il calore si raffreddava, Dio che cretina.Cercavo la saggezza, il distacco, ero il lupo, il tormento e tanto con Alessio e i nostri fratelli non mi riusciva. E lo avevo tenuto sollevato, senza scostarmi o recedere, quello non contava.. Appunto..   
 
( Non te ne andare, resta.. )
 
“La chiamo lupo perché è agile e scattante come quella fiera, ha un fondo indomabile, selvatico. Non che sia sempre simpatica o altro, ..”Andres parlava piano in russo, sia lui che Alessio fissavano la porta dove era sparita Catherine con un vassoio tra le mani, a breve sarebbe arrivata la zarina e il rischio di fare saltare le coperture era troppo elevato. Nell’aria restava una traccia del suo profumo, leggera come una scia, arancia amara, sudore e lavanda, annotò Andres “Una volta ha indicato la zuccheriera, per il caffè, invece vi era dentro il sale. È a modo suo, molto, lo sapete meglio di me, una grande solitaria”Alessio sbattè due volte le palpebre, in segno di diniego, Andres ormai lo aveva inteso” NO? Sa stare da sola, vi è differenza, avete ragione, se può mantiene sempre la sua parola. Anzi, la mantiene sempre, come noi Fuentes, in fondo come me discende da una schiatta di combattenti. Ne riparliamo, certo, cercate di stare bene, quando avrete fiato, mi mancano le vostre chiacchiere incessanti, Altezza Imperiale, a presto”Bussarono alla porta, era lo Zar o chi per lui.
“..”lo abbracciò, poteva essere suo figlio, un gesto che osava solo allora. Un nome sorse dalla memoria, lo strazio di quei giorni lontani non finiva mai..
 
Xavier..Xavier dei Fuentes. In spagnolo, Xavier significa Casa .. Nuova Casa… tornava quando meno se lo aspettava, suo figlio.
 
“ A presto, Maestà, Altezza Imperiale” Si erse in tutta la sua statura, scattò sull’attenti, il saluto militare, era stato un soldato, per anni, le vecchie abitudini sempre affioravano. Ed anche il ragazzino era un soldato, che combatteva ben dure battaglie per sopravvivere,  cui andava ogni onore e rispetto,  e se ne andò.
 
“Sbagliate, piccolo principe, come vi chiama Catherine, lei come me è una grande solitaria, un lupo,sa amare ma teme che chiunque ami andrà incontro alla rovina..E per paura e orgoglio omettiamo di dire che amiamo, tranne che in rare occasioni” sussurrò piano, parlando per sé e tra sé.
 
Se suo figlio fosse sopravissuto sarebbe stato appena più grande dello zarevic, era nato nel 1901, come la sorella di Alessio, Anastasia .
Lo aveva chiamato Xavier, come aveva deciso con Isabel,come il principe suo padre, Xavier dei Fuentes, che riposava accanto a  sua madre, sua moglie Isabel, e alla nonna paterna, nella cappella di famiglia dei Fuentes.
Fino alla fine del mondo.
Quella sera, dopo così tanto tempo che nemmeno lo ricordava, entrò in una chiesa e accese una candela.
“Pater Nostrum.. “e mi cercò, un bisogno cieco e disperato, uno sfogo di saturazione e energia nervosa, reciproco, facemmo l’amore, disperati e impotenti, poi lo mandai a cercare notizie, se stava bene, doveva stare bene. Vi era sua madre, l’emorragia era cessata, a posto.
ALEKSEY.
TESORO.
Not to say good-bye..

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 1915 IV part ***


 Ovviamente, la zarina sostenne che era tutto merito di Rasputin, da lei avvisato, che aveva pregato per il ragazzino, se la crisi era stata domata. Non che Andres facesse i miracoli, l’essere un santo che spargeva grazie non rientrava tra i suoi meriti molteplici. Ed anche io avevo pregato, la cecità apparente di Alessandra mi procurava una rabbia senza misura, Rasputin era un millantatore, lei una finta ingenua. Preferiva la supina adorazione della sua amica Vyribova a chi osava contrastarla, si illudeva di essere lei sola in grado di governare e avere il necessario discernimento per essere al timone di comando. Di un impero, quando non comandava nemmeno in casa sua in pieno, che in tanti anni ancora non aveva imparato il prezzo esatto delle patate che si vendevano ai mercati di Carskoe Selo. Per favore.
Mi veniva da sorridere, era un teatrino, una tragedia che virava nella commedia, io una grande attrice, in senso lato. Invece di pensare a quanto fosse stata incompresa, da decenni, forse Alix avrebbe dovuto ragionare su quanto sopra..   
Sentimenti ambivalenti, quando ero piccola le avevo voluto molto bene, peccato che con gli anni, sostenendo che portassi alla ribellione e al malumore le sue figlie, specie Olga, avesse cercato di allontanarmi e ben percepivo, avevo percepito quella freddezza. In fondo, ce l’aveva con mia madre e io le somigliavo parecchio e.. Insieme, mi era affezionata, l’affetto di fondo era rimasto, reciproco, tranne che come carattere, abitudini, modi di vivere ed età eravamo agli opposti. Una tregua armata, poniamola in questi termini, che a breve le sarei piovuta tra capo e collo, a costo di prendere a testate le guardie imperiali, avrei fatto visita ad Alessio. Ammettiamolo, almeno tra noi che ero una spina nel fianco, una immensa rottura di scatole. E .. Alexei.. il suo visetto bianco, color carta, quello strazio senza fine o ritorno, le mie braccia erano vuote, in quelle ore infinite … una alchimia, eravamo insieme, lo avevo visto lottare come un leone, un respiro dopo l’altro, non si era arreso.
Mia madre era in Crimea con mio fratello, l’aveva invitata la zarina madre per il Natale e si rammaricava che fossi tornata senza preavviso, il principe Raulov, il suo illustre marito da circa un quarto di secolo, oltre che il mio violento, ubriacone e manesco padre di nome, era al fronte, certo non a combattere, era a bere o giocare d’azzardo. L’avevo rassicurata, mia madre, dal rancore ero approdata alla tenerezza, suonando convincente alle mie e alle sue orecchie, ormai ero adulta, vedova e infermiera volontaria, avrei fatto una breve sosta per poi ripartire,vi era mio zio, a badarmi o viceversa. Non ci vedevamo dal settembre 1914, ci eravamo scritte e sentite per telefono, quando potevo, se avesse saputo la verità, mi avrebbe legato alla sedia per impedirmi fisicamente di andare via. A modo suo, la principessa Ella era  tra le persone più coraggiose che conoscessi. Io una vigliacca combattente, il principe Raulov era al fronte in Galizia, per modo di dire, due codardi in trincea.
Respirai a fondo, ricordavo fin troppo bene il litigio che avevo avuto con Olga, l’anno avanti, tuttavia ero stata invitata per “un tè”, un gentile bigliettino dello zar, ero nella piccola villetta che mio zio R-R aveva a Carskoe Selo, non mi ero sentita di andare a palazzo Raulov e passare serate di divertimento nella capitale.  OLGA.
OLGA.
Eravamo state amiche una vita intera, sorelle, prima che me ne andassi e .. Che farne, di me stessa?
I primi due giorni li avevo passati a dormire, leggere e fare bagni, un ottimo ristoro mentre rifacevo il punto della situazione, vietandomi di pensare ad Andres, non sapevo che scuse inventarmi, quali negazioni formulare, ché, indagando, avevo appreso una cosa che mi aveva fatto inorridire di me stessa. E dovevo arrendermi, lo amavo, Fuentes maledetto, ti amavo, in fondo, molto in fondo sapevo che mi amava pure lui, per quanto avesse orrore dei sentimenti, visti i suoi trascorsi di tragedia (aveva perso sua moglie, morta per le lesioni del parto, il bimbo era morto dopo una settimana tra le sue braccia, aveva 18 anni all’epoca, altri sarebbero impazziti, lui no, ma il prezzo era stato il suo esilio volontario, la freddezza e la distanza)

Alessio stava meglio, dal letto era passato al divano, già qualcosa, almeno dalla tarda mattina fino a sera, con un intervallo nel pomeriggio per un sonnellino.. O lo mettevano a riposare, conoscendolo dormiva ben poco. E ignoravo quanti mesi avrebbe impiegato per riprendersi in modo effettivo, che quella crisi era stata devastante.   
Che avrei fatto? La visita promessa e poi sarei ripartita, poco ma sicuro. Nuove rotte e infiniti peripli per obliare, almeno un poco, la mia disperazione, un altro scopo, ci raccontiamo tante storie, per andare avanti e quella mi piaceva. E sapevo che, nella prima privata occasione, rivolevo stare con Andres.
Mi sfiorai la cicatrice sul braccio sinistro, era orrenda, uno squarcio irregolare che potevo celare con le maniche, uno zig zag nella tenera carne. Ed ero dimagrita così tanto che il busto non serviva nemmeno più, ma lo avrei indossato, per i capelli sempre corti avrei messo uno chignon posticcio, per vestito un color grigio fumo, da mezzo lutto, anche se, in via teorica, le vedove solo dopo 18 mesi potevano “alleggerire”. I  particolari del mondo e delle sue forme riemergevano. Se pensavo che la regina Vittoria aveva portato il lutto per quasi 40 anni, vi era di che meditare.
“Principessa Raulov, Madame, una persona chiede di voi,è nel salotto”la cameriera interruppe le mie riflessioni e sbuffai impaziente “Ho dato ordine di non volere essere disturbata. Tassativo, non credo sia difficile da capire”
“Madame, perdonate è Sua Altezza Imperiale” Tra finire di dire chi era e il precipitarmi la poveretta rimase sola.
Bussai e aprii.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. La porta si aprì in un lampo e ci ritrovammo davanti. “Altezza Imperiale, Olga Nicolaevna “, una piccola riverenza, poi rimanesti in attesa. Giusto, ero venuta io, spettava a me parlare e tutte le parole volarono fuori dalla mente, tutti i bei discorsi preparati erano scomparsi. E sapevo molte lingue, come te, tranne che non ci incastrava dirti che eri dimagrita. Ti ho vista mettere su peso una volta sola, già, ma era normale, peso per dire, a fine primavera 1917 pesavi 64 chili per un metro e 72, nell’estate 53 per ovvie ragioni, allora non sarai stata oltre i 48 vestita, io attualmente devo solo tacere, eri snella fino a essere troppo magra, come ti reggevi in piedi un mistero e tanto eri la mia Kitty Cat, la mia gattina, che aveva paura e sorrideva “
“Sei dimagrita..” le prime parole, in francese, dopo un anno, tesi le sopracciglia, quindi scoppiai a ridere.
“Giusta considerazione, come voi. Altezza imperiale, mi avete fatto una sorpresa,sul serio.”Ritornai seria e respirai “Ma non siete certo venuta per parlare di queste banalità” Un cenno di assenso. Alessio.. vuoi che facciamo pace.. rievocando il suo peso tra le braccia, la testa contro il petto, erano passati anni, mesi, una vita e sempre noi eravamo. Prima di allora non mi ero  concessa di amarlo in quel modo, aveva percepito la differenza, gli argini rotti, amarlo lo avevo sempre amato, era delicato, fragile, e non mi ero concessa di travolgerlo con il mio affetto se non ora, dopo assenze e ritorni. Fianco su fianco, in quelle ore passate e trascorse, mentre lo cauterizzavano e lo tenevo sollevato, eravamo diventati una squadra, io ci sono per te  e te per me, come io e Fuentes in altri ambiti, come io e Olga in altri tempi.
“ Avevate ragione, a dire che ero una vigliacca, una codarda, nessun atto di eroismo o martirio me lo avrebbe restituito ..Per favore, fatemi continuare”Parlavo a braccio e sapevo una cosa che tu ignoravi, almeno allora credo e spero che tu non lo abbia intuito. O forse sì.. Non lo so. Lo avevo capito a Mogilev, una certezza limpida e adamantina,avevo rifatto i calcoli sulle date e la mia nascita. E avevo confrontato la calligrafia di una delle lettere d’amore di mia madre con quella dello zar. Il passato ritornava, i pezzi combaciavano in modo diverso.
“No. È un ordine, allora io .. Sono stata orribile”
“Avevate ragione” Eravamo sorelle, figlie dello stesso padre, non potevo cambiare il destino di nascita, potevo fare qualcosa come Cassiopeia per evitare che il trono fosse rovesciato. Già allora vi erano complotti e progetti, che nei quindici mesi successivi avrebbero portato al disastro, un orrore che nessuno avrebbe mai osato immaginare, figuriamoci viverlo.
“E siamo quello che siamo..Tremanti fiammelle, sparsi  frammenti contro l’infinito” Citai quanto avevi scritto in un biglietto, anni prima, una vita prima, per un mio compleanno.
“Amiche e sorelle. Nonostante litigi e distanze” Le ultime parole, quelle di chiusura.  Lei era una poetessa, in fondo, io una principessa canta storie.
“O ci possiamo riprovare. A tornare amiche. Ai primi gennaio riparto” Secca.  
“Ci avrei scommesso”Una risata amara, senza allegria “Che ripartivi. A questo giro, almeno, lo hai detto in faccia. È bello rivederti anche se l’ultima volta avevo detto che..”
“.. non volevi vedermi mai più. Ho sentito, anche se ho finto il contrario, sono stata tra le tue amiche” Tranne che la vita è già troppo breve per sprecarla nel falso orgoglio e nel rimpianto, quella lezione l’avevamo appresa, sia pure in modi e declinazioni diverse. Ero scivolata al Tu. 
“Qui ti sbagli. Sei la mia migliore amica, l’unica che abbia mai avuto o avrò, oltre le mie sorelle, piantiamola con questo melodramma”..Sai, Cat, raccoglie le storie su un quaderno, legge le tue lettere, le manchi e lei manca a te..lo zarevic mi aveva raccontato quella nostalgia. E lei, a sua volta, mi era mancata, come un arto amputato. Un arcobaleno ed una assenza.
“ Ottimo”
“Cambiando argomento, che sennò avresti troppa soddisfazione, perché ti sei tagliata i capelli?Si vede da una versta di distanza che lo chignon è posticcio” mi toccò la nuca, un abituale gesto possessivo che non avevamo obliato. Eravamo state amiche una vita intera per lasciare che i mesi e gli anni trascorsi inghiottissero tutto.
“Diciamo che li ho tagliati per praticità, dove sono stata le comodità sono ridotte al minimo, per non dire assenti.” Ma  avevo Andres e quindi andava più che bene.
“Immagino, forse” Non credo proprio, Olga, tacqui in ogni caso, mi veniva da ridere e piangere insieme.
“Andiamo insieme a Carskoe? Se ti fa piacere, vorrei visitare l’ospedale al Palazzo di Caterina e vedere l’organizzazione, anche se .. Lascia perdere il caos.”
“Alessio non vede l’ora di rivederti, è stato male, si sta riprendendo ora. Male parecchio, intendo, mia madre è convinta che stia bene grazie a ..”il suo  sorriso frantumato dalle parole.
“Ho sentito le voci. Con rispetto, è un affare che non viene compreso, la sua predilezione per quel siberiano.”  E l’incomprensione genera pettegolezzi e maldicenze, un campo in cui Alix eccelleva, spesso suo malgrado, a quel giro se la cercava. Una volta aveva definito Rasputin un incompreso, puro come un giglio di campo, mio zio aveva chiosato, lontano da indiscrete orecchie, che quei poveri fiori si erano seccati nel paragone.
“Appunto”Stese un braccio e mi prese la mano, con naturalezza.
“Andiamo. E Catherine, mettiti un turbante, con quello chignon sei ridicola”
Oui, ma chere”. Baciai le sue nocche sottili, sussurrando ti voglio bene Olga, quanto mi sei mancata. Fece la finta tonta, si limitò a stringere i palmi, al polso sinistro portava un braccialetto dorato che le avevano regalato i suoi per il dodicesimo compleanno, per buona sorte.

Una stretta calda e delicata, mano contro mano, polso su polso e cuore su cuore,  le domande sospese e rinviate, ricordo che non la mollavo o viceversa, le serrai il gomito e quindi entrai nel palazzo di Alessandro, osservando, stupita,  come gli addobbi festosi non contemplassero gli abeti di Natale. “Un ukase di mio padre li ha aboliti, troppo teutonici, altri suoi ordini ( ukase- n.d.a) hanno vietato di suonare Mozart o Bach ai concerti per il principio di cui sopra” La figlia della zarina, nata in Germania, parlò in tedesco, io risposi che ero giunta come regalo inopinato, avessi voluto potevo evitare di farmi vedere, ma ero lì e si sapeva, era venuto fuori, glissare sarebbe stato da vigliacchi. Tacendo che avevo promesso a Alessio che non lo avrei lasciato.
Sei sempre la solita, un sussurro divertito, lasciò la mano e mi fece strada, tranne che mi fregai bellamente della imperiale etichetta, la toccai, possessiva, ancorandomi al suo gomito. E il mondo mi apparteneva di nuovo, i sogni in tasca, i pugni allentati.
E non la volevo lasciare, come Alessio si affidava a me, io mi affidavo a lei, alla fine dei passi era Olenka il vero riparo, il mio rifugio dalle violenze.  
Quando il principe Raulov, prima della definitiva rottura, picchiava me o mia madre, era sapere che Olga mi voleva bene, che ci sarebbe sempre stata, a impedirmi di affondare nel buio e farmi sommergere, tralasciando come mi fossi poi comportata. E chi sopravvive, forgiandosi tra distanze ed oblii, è per lo più egoista, io ne ero la prova.



Tatiana sorrise, un lampo negli occhi a mandorla allungati, da orientale,  ormai eravamo quasi alte uguali, lei mi superava di tre o quattro centimetri, una gioia trionfante, tranne che era perfetta, snella  e ben proporzionata, non si badava alla sua statura. Ormai abituata a mio zio e Andres, che svettavano come pini, mancando di ben poco il metro e 90,  poco altro annottavo, mi ero abituata alle loro dimensioni.  
Marie e Anastasia mi abbracciarono, osservando ( e dai!!), che ero troppo magra, Tanik  solo che non avevo bisogno del busto, tanto era snella. E radiosa. Come quando avevo 14, 15 anni e i capelli sciolti,  lunghi fino alla vita, ero in Spagna, di nuovo e da capo, era stata un’epidemia di proposte di matrimonio, più o meno serie, per il coraggio dimostrato alla grande caccia, l’avvenenza e via così. Osserviamo che mi ero leggermente fissata con gli iberici, uno in particolare, e la Spagna mi attraeva, come un magnete.


“Decoro, ragazze, fate troppa confusione” la voce di Alessandra, come una staffilata interruppe la gioia del ritrovo, sospendendo un momento di eterna dolcezza.
Mi inchinai, piegando il dorso, come esigeva l’etichetta, percependo che le ragazze avevano tenuto il contatto fisico, Anastasia la mano, Marie un braccio sulla mia vita sottile, eravamo un baluardo. 
“No è che.. “Annaspò Alix, ero la sua nemesi come mia madre, sempre in contrasto e guerra. ”Baby, lo zarevic, aspetta Madame De Saint-Evit e..
“Si stava riposando e Catherine è venuta a salutarci,Mama” La quieta voce di Tatiana, era la sua figlia prediletta e mi voleva bene, senza raggiungere il trasporto di Olga o Anastasia, o no, era riservata, impenetrabile salvò da uno scontro, un cortese dato di fatto.
Sono lieta di rivedervi, Maestà Imperiale”
“Io Voi, la vostra è una breve visita” Mi inchinai, da capo, capendo che se non sparivo in pochi giorni, il mio era un pensiero malevolo ma certo azzeccato, mi avrebbe fatto andare via lei, io che istigavo alla ribellione le sue figlie, ero arrogante, troppo sicura di me e la mia sicurezza si trasmetteva come una marea inesorabile, ineludibile, sicurezza che, uscita dalla porta, era rientrata dalla finestra, moltiplicata fino all’eccesso. Eravamo alle solite, no..

Magra, tirata, mi tese la mano da baciare, all’uso dei russi, optai per una nuova riverenza e strinsi le nocche, alla maniera inglese.  
Vestiva di scuro,  una sobria acconciatura, le rughe più marcate, rispetto all’anno avanti, era preoccupata per lo zarevic, il lungo conflitto e tanto altro. Annotai il crocifisso di zaffiri, l’anello con una grande perla e che non portava smalto, allo zar non piaceva e lei, fosse vicino o lontano, badava a quei suoi piccoli desideri.
“Siete diventata molto diretta, Madame” madame De Saint-Evit, il mio defunto marito, che riposava nei campi elisi degli eroi, morto troppo giovane e troppo presto per un colpo sparato alla schiena. E non era la guerra, quella era una morte assurda, senza giustificazioni o altro.
Ecco, il mio sorriso, come una eco, per non rispondere o cogliere provocazioni. Ero sopravissuta a due aborti, alla vedovanza, a una coltellata, spari e sibili,agli ingaggi di mio zio, sopportavo quel rompiscatole di Andres, che quando voleva era meraviglioso, quindi  la potevo fronteggiare, come se nell’infanzia o l’adolescenza mi fosse mancato qualcosa.
 Ero la figlia di Ella Rostov-Raulov, qualcosa significava, che a mia madre la faccia tosta mai è difettata.Ed ci volevamo bene, in fondo, nonostante tutto.
Mamma .. Aiutami.. non avere paura bambina mia, vicina o lontana io sono sempre con te..le tue parole, il tuo sorriso fragile, intimo.
“Molto bene, lo zarevic avrebbe piacere di incontrarvi, per di qua”
Entrai nella stanza dei giochi, rivedendo le pareti tappezzate di cretonne verde, i giocattoli  ordinati, di tutte le fogge, forme e dimensioni, dai trenini alle bambole, piccole e grandi, con suntuosi vestiti di seta e minuscoli stivali in vera pelle, accurate e perfette, come i soldatini con cui amava giocare Alessio, come un teatrino, i puzzle e i domino, la tenda indiana, le finestre alte, illuminate dal sole invernale, i piedi che si muovevano silenziosi sulla moquette.

E  lo zarevic era su un divano, la schiena sorretta da una miriade di cuscini, una coperta sulle gambe come ai tempi della convalescenza di Spala, tra le mani due soldatini  e delle biglie, la carnagione bianca come un petalo di camelia, le occhiaie meno evidenti. Con una uniforme da marinaio, sul colletto le iniziali in cirillico, A. N., Aleksey Nicolaevich, intrecciate a quelle di suo padre, N. A., Nicola Aleksandrovic, un legame tra le generazioni.

Baby, look, there is Catherine, for You, my darling” In inglese.
Catherine, you’re there” radioso.
“ Yes, Your Highness” Un inchino.
“Come to me” Aprendo il viso in un sorriso,ricambiato,  le braccia per una stretta.
“I have promised, I am called back, I see you again” la fronte contro la mia clavicola, i polsi sulla mia vita sottile, come Marie, posai i palmi sulla sua schiena, delicata, avvertendo il segno delle vertebre, i rilievi sporgenti, troppo alto e troppo magro, il mio piccolino.
“Are really you?”
“Yes.. my dear.. I am always the same, I am unique, like you” kissing his cheek, his forehead, my Zarevic… My miracle.
“I am so glad..” mi strofinò il viso contro il collo, un suo usuale gesto di affetto.

 
“Devi mangiare, Alessio, per rimetterti presto in piedi. Lo so che hai poca fame, in generale,prova però. E scusa se ti assillo” Sussurrai delle tenerezze in inglese, francese e spagnolo, Andres me lo aveva ben insegnato, lo avevo imparato, mai appreso sul serio, una piccola fitta di desiderio. E la sua lingua di nascita divenne il nostro linguaggio preferito, come per me e Olga il francese. Discendente da uno spagnolo, olivastra di carnagione, amante di un iberico rompiscatole, chi mi vietava di apprendere seriamente quella lingua, che forse un giorno la Spagna sarebbe stata la mia nuova patria.. E avevo amato Ahumada, la rocca dei Fuentes, come un ristoro.  Ero fissata, e avevo le mie ragioni.
 “Non ho fame, uffa, sempre le stesse cose, vieni qui, stringimi anche di più, mica mi rompo” da come stringeva lui, rischiava di rompere ME, lo baciai, leggera da capo, cercando di imprimere ogni dettaglio tra le falangi.  
“Per gola, no. Sennò come fai a andare dietro a Andrej, mi ha detto che ti vuole passare a trovare, o a me” Un piccolo sussurro, per non farci sentire.
“Vero, verrà, credo, tu rimani un poco.” Tradotto, non mi lasciare..
“Sì, per un pezzettino, va bene” Poi “Ho fame” che ti inventi, zarevic? Sei pallido ed inappetente e tanto le idee non ti mancano..  mi vuoi prendere in giro, ci scommetto.


“Mangi da solo” era la prassi, di farsi imboccare, quando stava poco bene e spesso sconfinava nell’abuso e nel capriccio, della serie mi trattate come un bambino piccolo e io mi comporto da tale. Sua madre formulò la richiesta, rimanendo poi spiazzata, mentre un tavolino per fare colazione a letto, in questo caso sul divano compariva magicamente. “Certo, solo per piacere (per evitare di essere brontolato) mi racconti qualcosa, Catherine?Magari sugli arabi e la caduta di Granada? Sai qualcosa sul periodo, no? Fine XV secolo, mi pare. Enciclopedia Raulov, altro che quella britannica” tesi le labbra in un sorrisino, ricambiato. Come facesse a sapere della reconquista destò l’altrui perplessità, la Storia non era precisamente la sua passione elettiva. Andres vi aveva messo le sue zampette, particolare che conoscevo, credo, solo io, ed era ironia, Fuentes era sempre un ingombro.

“ Vera o di fantasia? Qualcosa ne so, anche se a fine 1400 manco ero per l’aria, comunque..”
“ Bella lunga, vedi tu..” Mi venne in mente che adorava i cavalli, ci meditai un momento mentre lui attaccava con la prima forchettata, inarcando l’imperiale sopracciglio, della serie, comincia, io mangio. Almeno la minestra.
“I re di Spagna, Ferdinando e Isabella, cingevano d’assedio Granada, l’ultimo regno arabo della penisola iberica“le parole galoppavano, senza fretta, mentre Alessio mangiava, con calma. “Si diceva che il palazzo dell’Alhambra, il forte rosso dalle infinite e sorgive fontane, con stupendi giardini non dovesse mai cadere e invece non fu così, infatti la città si arrese il 6 gennaio 1492 e l’ultimo re arabo, Boabdil,consegnò le chiavi della città su un cuscino di seta. E.. mentre si allontanava a cavallo, si girò a osservare Granada una ultima volta da un passo di montagna sospirando, subito rimproverato dalla madre che vedendolo in quello stato disse: Piangi come una donna questo reame che non hai saputo difendere come un uomo’ e anche oggi esiste, c’e’ un passo chiamato ancora oggi ‘il sospiro del moro’… “ La zarina si mise a ridere, intanto Alessio, con esasperante lentezza, masticava e anche le sue sorelle ascoltavano, attente, se mi avevano appellato principessa Sherazade un motivo vi era di sicuro .
“Un ragazzo, un principe rimase là, era un esperto e conosceva i segreti su come addestrare i cavalli arabi, sapeva come farli impennare e scalciare e impennare, buttando giù un soldato, con gli zoccoli davanti.. “le perle che portavo ai polsi e alle orecchie brillarono come frammenti di luna, descrivendo quelle macchine da guerra.
“Questa te le sei inventata.. che mica c’era, credo”
“Chi lo sa.. tu c’eri? Passiamo ad altro, abbiamo ancora un piatto e il dolce e …posso bere un poca d’acqua? Una pausa, che ho la voce roca”Uno stop, come per lo zarevic, e tanto non lo lodai, non ci doveva prendere il vizio, almeno non subito, tuttavia gradì un momento di riposo.
“No, non c’ero, che credi. E neanche ho il bagaglio cognitivo per confutarti, le necessarie conoscenze per discutere sul punto de quo..e ..quindi..”Usando quelle auliche parole mi prendeva allegramente in giro, anche il latino il furfante, sorrisi di puro cuore” Racconta, piuttosto, per favore: Ancora” Chiuse  gli occhi, con aria da pseudo martire, io raccontavo e lui aveva da far lavorare le imperiali mascelle, un compromesso accettabile. Ed era tanto comico.
“Non ce la faccio più.. Però ..” mi tese la posata “Da solo, eh..” “Da solo ho finito..Se  vuoi, continua tu.” Si  pulì il viso sporco di minestra, mancava il secondo e il dolce, oltre che la frutta.  “Zarevic..”
“Principessa..” Ironico, tenero. “Zarevic.. Su, io non ho fretta” “Appunto..”



Tornarono le antiche abitudini, lo imboccai e ogni forchettata era una frase della storia, fino alla reciproca saturazione, basta per ora.. Pescai dai miei personali ricordi, avevo visitato Granada nel 1905, rimanendo sorpresa dalla bellezza dell’Alhambra, costruita in rossa pietra, dallo splendore dei giardini. Sorvolai sulla corrida e un certo picador, ovvero Andres, i ricordi tornavano, vibranti, nitidi.
“Ho sonno, dormo qui sul divano e  quando mi sveglio la voglio, Catherine, Kitty Cat, Gattina, Cat e..” borbottò, lo strinsi ridendo.
 Per maggior tutela mi serrò una mano, possessivo, non ci verso di annullare la stretta, aveva fiducia che non lo avrei lasciato e si premurava che non avvenisse, furbo lui, gli sfiorai una guancia, con tenerezza.
Sua madre non fece un fiato,  alle cinque venne servito il tè, su un tavolo bianco con il servizio d’argento, rito mai mutato, come i biscotti inglesi e il pane caldo con il burro, chiacchiere lievi, io presi una tazza.
Io ero tornata, lui l’accidente lo aveva passato, il mio imperatore dei viziati.
La zarina era allibita, che la buona volontà dello zarevic di mangiare, se raccontavo qualcosa, perdurasse, anzi.


 In genere era estenuante, un logorio, fargli prendere un boccone e da un lato aveva le labbra increspate in un sorriso, era proprio una comica.
Idem come sopra per cena. Raccontavo, poi lo imboccavo, sempre noi. Alix tirò fuori delle vecchie foto, dei suoi soggiorni in Italia, Firenze e Venezia, quando sua nonna la regina Vittoria svernava al Sud. Giovane e splendida, eccola nei giardini di aprile, a Firenze, stupita che vi fossero già l’erba e i fiori, rispetto agli inverni tedeschi, avvolta dalla luce dei canali di Venezia, che lo zar Pietro il grande aveva voluto ricreare costruendo la sua capitale, tanto che l’avevano appellata la Venezia del Nord. Sorridente e lieve, aveva vent’anni, lei, eccola qui, a 43, oppressa dalle preoccupazioni e dallo sfinimento, che tornava serena, almeno per un poco. “Firenze era splendida..”annotò “E sui colli vi è il Collegio della Santissima Annunziata, ove le educande ricevono una ottima educazione, è tra i più rinomati..” “Io ho rischiato di finirci..” risi “A 10 anni ..” “Alla fine.. “Cassò il commento, che poteva venirne fuori una Catherine molto più educata, magari sposata a un italiano.. Non infieriamo, non discutiamo, decisi “ La principessa Maria Josè del Belgio vi è entrata quest’autunno” disse Tata “A  questo collegio che dite..” “Ah..”il Belgio era un alleato della Russia, come l’Italia, la Francia e l’Inghilterra “E’ nata nel 1906, il principe ereditario d’Italia nel 1904..”Fiori d’arancio in fieri, pronosticai, dopo o prima, mentre, tanto per rimanere in tema,  il principe ereditario di tutte le Russie non aveva interrotto quelle chiacchiere, che mi era voluto venire in braccio, lo accontentai, alla fine aveva finito di mangiare, sei  stato davvero bravissimo, enunciai.


 Mi allacciò il collo con le braccia, uno sguardo di pura e ricambiata adorazione. “Lo so e sei brava tu pure..” me lo adagiai in grembo, le gambe magre che toccavano le mie, decisi che per quanto mi era possibile preferivo tenerlo in braccio, al diavolo se non aveva fiato per camminare, avrei fatto io per lui.
Dopo la crisi che aveva avuto era una passeggiata compiere quei gesti. E lui era tanto più calmo.


( Io non vorrò mai capire fino in fondo. Olga, la mia primogenita, la adora, Alessio la predilige e le altre mie figlie la portano in palmo di mano. Ho cercato di allontanarla, ma come un tumore, è sempre qui, costante come la malasorte. Non lo vorrò mai sapere fino in fondo, prima del nostro fidanzamento ufficiale, chi impediva a Niki di andare a letto con la ballerina K. e  la principessa Ella, concependo una bambina che potrebbe essere il segreto dello zar, la sua vera primogenita, il suo gioco di dadi, la sua bastarda, la ragazza nata nella solitudine e nella tempesta.. Catherine, figlia dei lupi e delle assenze, bella e perfetta come una miniatura, ti ho amato e odiato insieme. E mi devo ricordare che nel novembre 1893 avevo rifiutato Nicolas in via definitiva, l’aprile 1894 è stata la mia ultima occasione e l’ho colta, Ella e lui potrebbero benissimo avere avuto una relazione e tanto non voglio sapere, od anche no, a volte basta un amplesso e fine, lei da giovane era splendida, colta e sono cresciuti insieme, suo marito una disgrazia privata, è bella anche ora, ha un anno più di me e le danno 35 anni al massimo ) 


 
Dai quaderni di Olga alla principessa Catherine” Alessio ti era sempre stato molto affezionato, poco ma sicuro, tranne che a quel giro era diverso. Ti sedesti sul bordo del divano e lui si appoggiò contro di te con una grande naturalezza, mentre gli cingevi la schiena, teoricamente era un pezzo che non vi vedevate.  Come no, non era timido, affatto, ti prendeva in giro e sorrideva, tu eri meno tesa, rigida rispetto al passato. Era stato male a Mogilev per un raffreddore violentissimo, nostra madre temeva di trovarlo morto e aveva pregato padre R. di pregare. Lo aveva riportato a casa per la convalescenza e, rispetto ad altre volte, era meno insofferente e teso. Papà, il giorno prima aveva pranzato con il principe R-R, tuo zio, che aveva riferito che eri sul posto. E  si era impuntato che dovevi venire, nostra madre che diceva che forse eri troppo impegnata, era una maestra  nell’inventare scuse,al che lui aveva ribattuto che sarebbe andato lui, a piedi,  aggiungendo per favore, ti prego Mamma, in un tono deciso, che non era quello dei suoi capricci o delle bizze estemporanee. In quei mesi alla Stavka era maturato, poco ma sicuro, e se avessi giocato d’azzardo avrei scommesso che ci incastravi qualcosa”ccc

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 1915 Last Part ***


 “ E brava Catherine,hai usato una magia, qualcosa?” rise divertita, annoverando un miracolo sul calendario.
“Aveva fame, no. “ “E la merenda e la cena, la mamma era allibita, ha mangiato senza farsi pregare, TUTTO, pace che ci siamo divertiti con arabi, conquiste, cavalli da guerra, oltre che viaggi e pettegolezzi..” E avere distratto un poco la zarina, rievocando un ricordo sereno, i suoi viaggi in Italia, ottimo risultato collaterale “ E Alessio alla fine ti è  anche voluto venire un po’ in braccio, e lo hai imboccato come quando era un piccolo moccioso, a viziarlo sei un asso e tanto meglio così, la bizza era questa, che sennò non sarebbe lui. E ha usato anche dei paroloni per prenderti in giro, compreso il latino, a proposito poi. Concedendoci peraltro dieci minuti in cui non era al centro dell’attenzione, peraltro ti stava appiccicato sulle gambe” Malinconica, per un momento, le cattive maniere di Alessio a tavola e fuori erano una leggenda, avrebbe preferito che saltellasse per la stanza invece che accasciato su un divano, con appena il fiato per parlare ”Evento più unico che raro, come il non andare dalla cara Vyribova. Almeno per me, che delizia, il cara è una cosa ironica”
“Se non viene a palazzo, passate la serata da lei, nel suo villino dai freddi pavimenti?” Un cenno di assenso, una punta di fastidio. Lei l’aveva sempre ritenuta noiosa e asfissiante, atteggiamento che Alix condivideva, salvo frequentarla a prescindere, che la “Vacca”(epiteto tributato dalla cara zarina) era sempre una devota sostenitrice del corrotto sibarita che era Rasputin, che si rivolgeva della V. come tramite per avere accesso ai sovrani. Almeno su quello Alix aveva dovuto cedere, Rasputin ricevuto costantemente a palazzo, frequentando magari gli appartamenti delle granduchesse, ormai giovani donne, sarebbe stato un infinito potenziale di guai e scandali, che lui, ubriaco, allungava mani e genitali su quasi ogni essere femminile che gli capitava a portata, escludendo la zarina e la “Vacca”di cui sopra. A ogni buon conto, nel gennaio 1915 un incidente aveva resa invalida la V., si era rotta le gambe e la spina dorsale, Rasputin, of course, l’aveva salvata, dicendo di svegliarsi. Furbo, peraltro, che se moriva era per la volontà divina, se sopravviveva era grazie a lui.  Peccato che fosse rimasta sciancata, si spostava con le stampelle ed era invecchiata e ingrassata, cosa che il sommo R. aveva ben previsto, con quelle lesioni era quasi scontato, mi sarei azzardata io pure.
La avevo intravista, una collana di perle da pochi rubli le cingeva il collo, vestiva di scuro come Alessandra, come scrisse poi l’ambasciatore P.  in Francia nessuna favorita aveva mai avuto un aspetto tanto modesto, dozzinale e chiacchiere tanto ripetitive, la definirono poi disco grammofonico.  Che la famiglia imperiale, rinchiusa nel suo isolamento, non frequentasse nemmeno i suoi stretti parenti ma solo la V. aveva condotto ai pettegolezzi più biechi, nessuno si capacitava. Io ero una principessa, figlia di una prediletta dama della zarina madre, nobile e poi dispersa, in un dato senso ero ben accetta. E la volta che avevo chiesto un trattamento di favore era stato per   sposarmi, forzando le regole.. Mi vietai di pensarci.
Andres era nato nel 1883, realizzai, l’anno avanti a lei e .. accidenti, era sempre molto bello e ..appassionato. Si infilava nei miei pensieri sempre, presente  e assente che fosse, ed io nei suoi. Anche lui apprezzava il sesso femminile, chiariamo, tranne che mai avrebbe forzato una donna, anzi gli correvano dietro, riempiendolo di soddisfazione, a volte accennava la melodia del “Don Giovanni”, Leporello  sul padrone, che solo in Spagna sono appena mille e tre, era stata una mia osservazione e  gli era piaciuta, al bandito. E io ero la sola che lo aveva avuto ai suoi piedi, dopo avergli sferrato un calcio nei genitali.. La sua unica, in modo ironico, che la avrei poi riscontrata con interessi e annessi.
“A chi stai pensando? Kitty Cat, gattina” si era tolta le scarpe e le massaggiavo le caviglie gonfie per i lunghi turni in piedi in ospedale, aveva posato i piedi contro il mio grembo. Ed era tutto facile, come se non ci fossimo mai lasciate, sconcertante come intuisse i miei pensieri all’impronta. Ed eravamo state amiche e complici troppo a lungo, prima, per dimenticare. E mi conosceva bene e capiva meglio ancora.
“A una persona che ho conosciuto”Feci scorrere  il palmo sul rivestimento di cinz fiorito del divano, ero nel salottino privato delle granduchesse maggiori, sorrisi. “Tra poco le fusa le fai te..”
“Allora deve essere un uomo affascinante, oltre che intelligente” optò per essere allegra. Le strinsi un malleolo rivestito di seta. “Sì. Non è un ragazzino avventato, anche se a volte è insopportabile, con stupendi occhi verdi, che piace parecchio, anzi ci piace  “ “Ti piace.. chiariamo, molto direi“Una pendola batté le dieci sul mio sorriso. “Io mi ritiro, buonanotte Olga, anzi, mi piace parecchio, hai ragione”Lo amo..” sillabai senza voce, solo con le labbra, “I love him. “Hai appunto un sorriso di un gatto che ha trovato un piattino di panna fresca, per rimanere in tema” E avrei scommesso che aveva decodificato, la furbacchiona. “Magari alla fine saprò anche il nome di questa meraviglia, a cui certo piacerai, non?”
“A domani, alla fine sì, magari lo vedrai pure, lodando il mio buon gusto, gli piaccio, credo, anche se mi ritiene la cosa più strana che abbia mai visto” semplici, potenti parole, su cui rise. Di cuore“Quanti anni sono passati da quando mi hai chiamato Kitty Cat?” “ Troppi.. e non mi fare il solletico, streghetta“le piombai ridendo sul petto, una lotta scherzosa, dopo averle solleticato l’imperiale pianta dei piedi, calcagni e caviglie. “Miao, a domani.. Mi sei mancata tanto” “Pure tu, poi dobbiamo parlare seriamente ma dopo.. Ora godiamoci questi giorni, rilassati, è tra me e te, una questione delicata e .. Resta tra noi  ”  omisi le indagini.” E non togliere le tende, per favore” “NO” Come mi conosceva bene. Pregi e difetti, far away and near to the other side, but we’ll stay together, day by day.  “Per te, e me e Alessio.. e le mie sorelle, per favore, Cat, non te ne andare ..te lo chiedo come favore personale” “No, che in caso non mi sarei fatta vedere per niente” accostai la fronte sulla sua spalla “ Sono già scappata una volta, senza voler dirlo, che ne ho ricavato.. Nulla, tranne che di perderti”  “E io non ti ho capito, quindi siamo pari.. riproviamo, Catherine, a essere amiche” E sorelle, e tanto era una cicatrice che non si sarebbe mai chiusa del tutto. “Tranquilla, stai tranquilla..é tutto a posto”Mi sfiorò la nuca, stringendomi per un momento “Vai a dormire..A domani, e tanto sei sempre mia” “Per tua sfortuna sì” “ Stupida, togliti di torno, decido io se qualcosa o qualcuno non mi aggrada, ne hai imparate di cose sui libri e resti una cretina per altre, quelle importanti,davvero. Togliti, non mi voglio arrabbiare” “Non imparerò mai” “Speriamo.. per te, che tu impari. Ci sbatti sempre la testa, prima di capire.. Togliti Cat, non mi voglio arrabbiare, è l’ultimo avviso, non roviniamo tutto ” “Sai che mi viene in mente? Le volte che abbiamo mangiato le ciliegie, interrompendoci prima di sentirci male..” “Una tirava l’altra, le primizie della stagione.. come le more..” mi spiegai, prima che mi ritenesse andata del tutto fuori di cervello“Ecco, evitiamo la saturazione ..” “Catherine!!”Rise “Notte! Solo tu riesci a farmi ridere così, di cuore!”
Avevo dormito a Carskoe Selo nella stanza degli ospiti che mi aveva accolto tanto spesso, vicino agli appartamenti dei bambini, una cauta perifrasi, ormai erano cresciuti.
Verso le una di mattina mi tirai in su con il busto, in allarme, che cazzo succedeva, parafrasando Andres, poi mi ricordai, cosa dovevo fare”Alessio ..”le lenzuola di seta crepitarono mentre mi rialzavo, ero un pallido fantasma andando verso la camera dello zarevic. Quando stava bene, si infilava, più o meno di nascosto, nel letto di una delle sorelle, di preferenza Tatiana o Anastasia, a quel giro voleva me, mi veniva da ridere, come anni prima andavo da Tata o Olga, me lo aveva sussurrato nel pomeriggio.
Ebbi fortuna, nessuno in giro.
“Non venivi più” La sua vocina. Sottile, impaziente, in estasi, aspettava la sua cretina preferita, irrisi dentro di me.
“Dormire mai”Ribattei, mettendomi sul fianco con una risata.
“Se mi riposo tutto il giorno, vorrei vedere te, Cat, saresti sveglia come un grillo. Mi racconti del drago e della rosa” gli baciai le mani
“ E del leone” che gli veniva sonno, forse.  Benedetto Aleksey, non eri mai contento, con il senno di ora sono contenta di averti assecondato, almeno un poco.
“Certo, che hai visto i tatuaggi di Andrej sulle braccia, la torre con la conchiglia e la rosa tenuta dal leone rampante” Una domanda retorica, che mi fuggì dalle labbra. E  non mi chiese come sapessi IO di quei segni, che si era fatto incidere nel 1903, per evitarmi una situazione imbarazzante, aveva sonno o capiva che non avrei dato retta a quella curiosità specifica, più la seconda credo.

“Siamo stati a pesca e ci siamo bagnati, lui si è tolto la camicia e li ho visti”Risi e lo cinsi con le braccia “Ottimo, no?Io e Andres siamo una squadra.. come già detto,  Alessio, amore, lo sai che ..”raccolsi le sue dita irrequiete tra le mie.
“Io non ho detto nulla a nessuno, nemmeno a Mama” (Meno male!!!) Si raccolse contro il mio petto, sussurrai che mi fidavo di lui e lo sapeva, declinò, poi scivolò nel sonno, dopo le prime avventure sul leone e la rosa, lo tenevo stretto contro lo sterno,profumo di rose e infanzia, baci e carezze, io non ero nessuno tranne me stessa e mi amava lo stesso, insieme ero possessiva verso di lui e per lui fino allo spasimo. “Notte, Alessio, tesoro mio” Infanzia, paure e fragilità, infinite misericordie, mi si raccolse addosso “Ti senti sicuro così?”contro il mio petto “SI ” e  mi sfiorava il viso, con le mani, dovevo indovinare cosa toccava, a occhi chiusi, la fronte, le guance e il naso, mi sfiorò le labbra, baciai le sue dita, dissi “Basta..che mi consumi” ridendo, poi mi fece sdraiare accanto a lui. “Ti voglio tanto bene, sei la cosa più bella che ho, Alessio..” “Non Olga..?Non tuo fratello?” Tenero. “Adoro entrambi e .. sei il mio prediletto. Davvero Aleksej” “SIII.. come no. Magari fosse vero” “Dormi. E tanto non mi credi...” “Si, ti credo..” “Alessio, non dire balle..”Riconoscendo la sfumatura incerta del tono “ Mi piacerebbe tanto.. crederti, ecco, cerchi sempre di farmi contento” sbuffò e basta, non gli andava bene, era al centro dell’attenzione di tutti, avrebbe gradito esserlo anche della mia, sempre. A parole, che nei gesti me lo ero serrato addosso, come quando era piccolo, ridacchiammo, gioiosi.
Nel 1903 Andres scorrazzava tra Corea e Manciuria, per dei report per Rostov-Raulov, circa le effettive condizioni del territorio, i collegamenti e quanto altro. Alla fine aveva riferito che definire schifosi i trasporti sul fronte russo era un eufemismo, a prescindere dalla Transiberiana, che Port Arthur e gli altri avamposti russi erano un colabrodo, che se vi fosse stata una guerra, come appariva probabile, che fosse rapida, in denegata ipotesi sarebbe stato uno stillicidio. E le ostilità erano scoppiate, con perdite immense per la Russia e una sonora sconfitta, dopo l’attacco a sorpresa del Giappone nel 1904. Si era sentito una specie di Cassandra, anche se non aveva colpe.
Comunque, a Port Arthur, da un tatuatore nipponico che era lì, si era fatto incidere i tatuaggi di cui sopra, per non dimenticare. Le incisioni erano state dolorose, ma ben più sopportabili del dolore che si portava dentro, era andato via dalla Spagna per non impazzire. Aveva lasciato Ahumada a fine 1901, accogliendo l’invito di R-R, che cercava sempre nuovi elementi, ritornando solo due volte, nel 1905, per il matrimonio di sua sorella e poche altre settimane, e l’anno successivo per le celebrazioni decennali, di commemorazione in onore di sua madre e le nozze del re di Spagna.. Aveva messo in mezzo un continente ed un amaro  esilio semi volontario, una scelta definitiva, senza ritorno, come quella di Jaime di diventare sacerdote. Il matrimonio di Marianna con il marchese di Cepeuda era stato d’amore, ma anche la figlia viveva lontana. Erano rimasti lui e Enrique. E Xavier sapeva che, alla sua morte, solo Andres sarebbe stato degno di essere il suo erede, principe di Fuentes, conte di Sierra Morena, Signore di Ahumada y la Cruz. Il cadetto, il migliore, Dio si divertiva a giocare a dadi, a invertite posizioni di nascita sarebbe stato diverso. Ma non era detto.  O almeno, in fondo al cuore sperava Fuentes padre.
 
Alla Stavka, lo zarevic era migliorato su molti punti, mi raccontò Tata, mentre giravamo per le corsie dell’ospedale. Era tutto pulito, efficiente e ben organizzato, con le uniformi ed il candido velo  da infermiere passavamo quasi inosservate, tra un letto e l’altro.
Sorelle di misericordia, la mia Tatiana i cui sguardi raccontavano quello che non diceva. Io ero egocentrica, insopportabile, lei una ispirazione, la vera figlia di un imperatore, nei gesti e nei modi.
Lei poi passò alle lettere e alle richieste del suo comitato caritativo, io transitai da Olga, che si occupava più del lavoro di organizzazione che della cura dei feriti, alla lunga era stato troppo, per lei. Ci fumammo una sigaretta, la finestra aperta, una immagine che avrei serbato, di tranquillità.
 
 
 
 
 

“Ho imparato molta geografia sull’Europa e l’America, e di storia, Arabi e Medioevo, oltre che su quella russa. E parlo e scrivo meglio in francese e inglese”e anche la calligrafia era migliorata, diventando più regolare e stretta, rispetto a quella slargata, infantile e grande che avevo di solito. Glissando che, essendo spesso malato, la mia educazione si presentava carente e lacunosa per quello e quando stavo bene mi annoiavo e stare seduto era una tortura.
“ Ottimo, qualcuno ti deve avere interessato alle materie” la voce di Cat, le sorrisi.
“Andrej. Lui non ha la tua fantasia, ma conosce la storia e la geografia” E non volevo passare sempre da ignorante e somaro, Cat era una specie di enciclopedia ambulante, aveva letto di tutto, come mia sorella Olga.
Poco  ma sicuro, la rocca di Ahumada dove Andrej  era nato era STORIA. Costruita dopo il 732 e la sconfitta degli Arabi a Poitiers, il primo nucleo della rocca aveva ospitato i pellegrini che si dirigevano a Santiago, uno dei primi Fuentes era i compagni di Carlo Martello. Ottenuto il titolo di marchesi, avevano vegliato sui confini, in tempi di pace e di guerra, vigilando contro gli Arabi e onorando i re spagnoli. Erano a Granada ai tempi della reconquista, un Fuentes era salpato con Cortes alla conquista del Sud America. Viaggiatori, diplomatici, uomini di chiesa, politici, erano stati finanche vicerè del Perù e di Milano. Marchesi poi divenuti principi per avere combattuto contro Napoleone, il re Borbone, re insediato sul trono dopo il congresso di Vienna, li aveva concesso quel salto. E un bastardo dei Fuentes si era costruito titoli e fortuna, inventandosi una nuova vita alla corte di Caterina II, Felipe“E  le lingue”
“ E’ una grande storia”
“Lo so. Sei brava pure tu“, le concessi, magnanimo.
”Vuoi che ti prenda in braccio ? Non ci prendere il vizio, giusto ora.. Tra qualche anno peserai più di me e sarò uno gnomo al confronto..”
“Perché dici così?” Curioso, sorridente.  “Hai buttato via il libro e hai aperto le braccia, cosa devo dedurne??!!!”Allegra, spumeggiante. Mi prese in grembo, sapeva di rose e arancia amara, spiegando   “Diventerai alto, come lo zar Alessandro III, tuo nonno, o giù di lì, guarderai tutti dall’alto in basso, la mia è una facile previsione, guarda che ossa lunghe tieni, sicuro segno di altezza ” Risi
 “Per essere una  donna sono alta, 1 e 72, giusto Tata è più alta di me..e con le sue proporzioni perfette non ci badi..E tanto mi supererai, Alessio” Un bacio “Cat, voglio uscire” “VA BENE” Finalmente!! Quando ero reduce da Spala, con l’apparecchio ortopedico, ti avevo chiesto di prendermi in braccio e farmi respirare un poca d’aria da una finestra aperta, non te la eri sentita, per altri era buonsenso, “.. non sono in grado, non voglio farti male..” avevi detto, e mi ero sentito un vero disgraziato.
“E dai Alessio, che ci mettiamo quaranta ore” ridendo, mentre mi preparavi per uscire, tra cappotto e coperte ed altri ammennicoli, dal divano  eccomi sulla sedia a rotelle, nemmeno un marinaio in giro, che bello, comunque il medico di Corte aveva prescritto che  potevo uscire, su una sedia a rotelle, appunto,  per prendere un poca d’aria, ove la temperatura fosse stata confacente, ben avvolto nelle pellicce. Fuori, finalmente,  inebriato come per avere bevuto dello champagne a digiuno.  Tutto bianco e candido, frizzante, appunto, i rumori ovattati. “Cat” ti eri fermata vicino a una statua.
“Ecco, qui la zarina Caterina fece montare la guardia, per il bucaneve. Vedi qualcuno in giro, Alessio?”  Scossi la testa e aprii le braccia, mi sollevasti .. finalmente. Ti fidavi.
 “ Ora ti fidi. Di me e ti te“
“Sì. Ora sì, prima no, di te mi sono sempre fidata, piccolino”
“Io sempre, lo sai, no?Di me e di te”
“Ora sì, non ero pronta, scusami” boh.. chi ci capiva qualche cosa?  Risi e non feci altre domande.
Sul momento, la sera mi sbizzarrii.
 “Quando starò meglio, mi porti in giro? Con te. Con Andrej. Sarò bravo, darò sempre retta, a Te, fidati” Contrattando, svelto e furbo.
“Vediamo. Ora no, Alessio, ti direi una balla per farti contento. Ora non subito, capiamoci, caro il mio zarevic. Faremo un falò, passeggiate nei boschi, picnic, prendendo il sole.. ti piace?”  domanda retorica, pensai tra me.
“Subito nulla?”
“Vediamo, ti ripeto. Metti la testa sul mio avambraccio, fatti stringere”
“Cat, ..?” TI VOGLIO BENE..
 
 

Leave it all behind.
Olga non reputava degno di stima il principe Jussopov, marito di Irina, sua cugina. Il principe, che avrebbe poi ucciso Rasputin l’anno dopo, aveva tratto vantaggio di una legge che consentiva ai figli unici di evitare il servizio militare. Vestiva da civile in un’epoca in cui molti Romanov e soldati feriti che Olga e Tatiana avevano curato, come avrebbero poi continuato a fare, combattevano e si immolavano. Non fa nulla, tutto vestito e curato, già tanto se sfoglia una rivista, mi raccontò, pareva un pavone spennato. 
Irina Alessandrovna Romanov, una delle più belle ragazze della nostra generazione, figlia della sorella dello zar, Xenia, e del granduca Alessandro si era incaponita su Jussopov, noto eccentrico, dai gusti bisessuali, ricchissimo, colto e bello, si erano sposati nel 1914 e l’anno dopo avevano avuto una figlia, Irene. Xenia, la nonna era così preoccupata che la zarina Alessandra, in un raro empito di umorismo, aveva detto che pareva la madre e non la nonna.  (..La tripletta delle bellezze, osservò Andres, tempo dopo, tu di gennaio, lei di luglio e Olga di novembre, il 1895 è stato l’anno delle più belle principesse di sempre, anche se altre granduchesse Romanov sono assai affascinanti .. Quando era così, gli avrei torto il collo..)
Stava riepilogando una lista, per dei medicinali,  lo stress di curare mutilati e moribondi le aveva inciso una ruga profonda sulla fronte, annotai.
Ero passata a portarle una tazza di caffè, era uno degli ultimi giorni. Troppa fatica, mi hanno ceduto i nervi, mi raccontò ancora,a  settembre scorso  ho rotto tre pannelli di una finestra con l’ombrello, il mese avanti ho buttato delle bende dalla finestra, da ottobre svolgo per lo più lavoro di ufficio, non reggo più le operazioni e mi hanno fatto anche delle iniezioni di arsenico. 
La panacea per la depressione o i disordini nervosi, dissi io.
Per me stava bene, era sua madre fissata, Alix da anni viveva di Veronal, a base di arsenico, appunto, fino a definirsene satura e la depressione o le crisi nervose che attribuiva a Olga erano solo un riflesso del suo malessere cronico. Oppure non era adatta a svolgere quel lavoro, fisicamente e mentalmente era un logorio. In quel senso, Tata era molto più resistente, vedere ferite aperte non le procurava alcun disagio, anzi, lei pareva non possedere debolezze e difetti dei comuni mortali, dalla perfezione la salvava solo l’amore per la moda e gli accessori.  Poi era tutto relativo,  io dovevo solo tacere su quello che combinavo.
“Le persone in buona salute mentale non distruggono i vetri a ombrellate”
“Eri in angoscia per qualcuno, o qualcosa, oppure deve essere stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.”l’avrei giustificata sempre, in ogni caso, aveva ragione anche se era in torto, per me” Se può consolarti, negli ospedali vicino alle trincee, i dottori si addormentano in piedi dopo turni massacranti e spesso fuori dalle osterie, i soldati piangono, senza essere ubriachi, per la disperazione di quello che hanno vissuto” era ben vero, parlavo, purtroppo per me, con cognizione di causa.
“Non oso immaginare quello che puoi avere visto..”
“Quando sono andata ero già fuori di testa, per Luois e il secondo aborto, magari sono rinsavita”Una ironia amara, pesante, a mio danno.
“EH?Dimmelo, non tirarti indietro”
“A novembre 1913 sono rimasta incinta, ho saltato un ciclo peccato che a gennaio abbia perso il bambino, pare una cosa frequente, nella prima gestazione, anche se avrei preferito che non succedesse, non a me almeno. “Chinai la testa, rievocare quello era sempre straziante, avevo aperto bocca, meritava di sapere, troppo facile gettare il sasso e poi ritirare la mano, anche se le avrebbe fatto male, un altro fardello, pure meritava di conoscere perché fossi stata così superba e sventata. Già, i miei lentissimi tempi di reazione e ripresa, un vero bradipo.
Parlavo piano, dopo quasi due anni mi faceva sempre male pensarci, figuriamoci affrontare un discorso, notai che aveva posato la penna, alzandosi in piedi, venendomi vicina. Già, avevo lanciato una notizia di forte impatto.
“Sono qui, non sei sola”
“Lo so. E tanto non lo merito, taci.  A metà  estate ero di nuovo in attesa, stavo bene, dovevo evitare fatiche eccessive o emozioni devastanti, pozioni che ho ben assaggiato quando ho saputo che Luois era morto. Me ne sono andata perché stavo impazzendo, credevo di non avere altre scelte” Mi parve di sentire l’addome contrarsi, quel dolore devastante, il sangue che  colava tra le gambe, scacciai quella visione, vi era un motivo se non volevo aprire più gli occhi, allora.
Cadde il silenzio, così immobile che potevamo quasi illuderci di sentire la neve cadere, fuori.
Un giorno sarebbe stata pronta a confidarsi, not yet. Figuriamoci io, avevo tempi da bradipo, lentissimi.  Giusto a cambiare il pannolino ad Alessio, quando stava male,   ero svelta, se me lo permetteva.  
Mi strinse da dietro, per un momento. “Si può scegliere, sempre. Cerca di stare attenta, di stare bene.” Poi” Sono contenta di sapere.. Ora inizio a capire..per una volta non sei scappata.. Non mi fa piacere quello che ti è successo, bada, quanto di comprendere..”E mi sarei portata tutto dietro, l’avevo già persa due volte, e mi aveva perdonato, la terza non la avrei rischiata. E tanto mancava ancora un pezzo.
 Giorni di tregua, pausa. Frammenti preziosi, palpitanti e teneri. Ingaggiammo una battaglia epica di palle di neve, con Olga ci divertimmo (io e lei) a cavalcare nel parco imperiale, al diavolo il freddo, ridendo di tutto e nulla. Eravamo le figlie dell’inverno, due principesse di neve.
Facendo le infermiere, sia Tata che Olga fecero esperienze che altrimenti non avrebbero mai avuto. Parlavano con le altre infermiere dell’ospedale, donne che non avrebbero certo incontrato se non vi fosse stato il conflitto, conoscevano i  nomi dei loro bambini, le storie delle loro famiglie.
In alcune occasioni, si erano recate  con loro a fare acquisti nei negozi di Carskoe, usando la piccola mancia mensile che ricevevano, sbalordendo le loro accompagnatrici, che le vedevano scegliere modesti fogli di carta o annusare un profumo, le figlie dello zar come comuni mortali, tralasciando come Nicola e Alessandra avessero allevato tutti i loro figli in modo severo, spartano, senza troppi fronzoli, o avevano tentato. Che  lo zarevic rimaneva ben viziato a livello di comportamento. Sorvolando che avevo contribuito molto pure io, chiaro. O era l’eccezione che derogava alla norma, che ogni tanto lo avevo brontolato, quando era piccolo per farlo mangiare ogni boccone era una frase della storia, e mi zittivo quando tirava addosso molliche o altro, la tecnica del silenzio, era curioso e riprendevamo, di pazienza ne avevo poca in generale e con lui la trovavo, facevo di necessità virtù. Che mi ripagava, nel breve e lungo momento, affettuoso, era una stella caduta, arguto e divertente, se non fosse stato la peste che era lo avrei definito un angelo
“E’ la questione della guerra, come se anche noi non soffrissimo” e lei aveva sofferto per me, una principessa egoista e senza metodo, tacendo che il suo stesso fratello era una vittima. Il bambino, che avevo stretto, cambiato, imboccato, ridendo esasperata, delle sue trovate, brontolato per i capricci, il mio imperatore dei viziati. Che mi aveva confortato e fatto sorridere quando ero cupa, satura per i dispiaceri, sensibile e attento.
“Vi vedono come icone, come divinità, non come persone comuni, passami il termine, chi si aspetterebbe di trovarti a un pomeriggio musicale a fini di  beneficenza” Il taglio dei cappotti era sobrio, come la misura dei vestiti, grigio perla,  tinta che preferivo al malva  da mezzo lutto, sussurravamo piano, le guardie del corpo erano in incognito, lo zar le aveva dato il permesso per quella sortita ed ero il suo chaperon ( ..la fai distrarre), quando tirai una potente gomitata nel fianco della poverina. “Andres…”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. in quei pochi giorni, condensammo anni e rotti di lontananza. A proposito, di quel pomeriggio a San Pietroburgo, non certo una serata mondana ma un concerto a fini di beneficenza, mi arrivò una portentosa gomitata, sussurrasti “Andres” e controllai, ben di rado eri così istintiva. Avevi parlato di una persona affascinante, non di un ragazzo avventato, chissà perché mi venne in mente lui !! Alto, imponente e maestoso, vestiva l’uniforme del reggimento degli ussari a cavallo (come appurammo poi, una gentile concessione a R-R), riempiva tutta la stanza. Si girò e ci vide. Anzi, vide te, un sorriso gli sorse sulle labbra, come quando scorgi qualcosa di bello, amato e desiderato. Un cenno della mano, che la musica stava iniziando. Annotai che aveva gli occhi verdi, un colore scuro e profondo, come le foglie primaverili.. Piaceva, eccome, non fosse stato tuo fin da allora..“I miei omaggi, signore” Nell’intervallo era venuto con due bicchieri di limonata, ci eravamo spostate nel foyer, un angolo appartato per conversare meglio. “Vi piace il concerto?Vivaldi e Coroelli, compositori italiani, onde evitare situazioni spinose. “ era stato emanato il divieto di suonare i tedeschi, che spreco, che spregio. “Già. Io ..”Ci presentasti, in fretta, lui si inchinò, parlava bene il russo, con appena uno strano accento. “Andrej Fuentes, conte de la Cueva, figlio del principe Fuentes” come spiegasti poi, anche se era l’ultimo figlio, aveva un suo titolo personale, capii che era figlio di madre russa, nato in Spagna. Poi mi ricordai, che avevi partecipato con i tuoi a un matrimonio in Spagna, nel 1905, di lettere, di Granada e di tante descrizioni. Un cerchio che si saldava. In ogni caso, Andres  fu amabile, gentile e divertente, corretto. Come il ferro che è attratto dalla calamita, non potevate stare lontani l’uno dall’altra. Foste stati soli, vi sareste saltati addosso.. E non smettevate di sorridervi e guardarvi, e marcavate il reciproco territorio, tu sei mio, lei è mia..Mi augurai che riuscisse a renderti felice. E che non facessi troppe scemenze.. Ti volevo bene, te ne voglio, dicevo sei mia, tranne che non eri una personale proprietà della scrivente, vi era differenza e così sia, perché scrivo così lo sai. Ebbi la soddisfazione di vederti diventare color brace, quando lodai il tuo buon gusto, mormorasti grazie, io prego, mi esasperavi e facevi ridere come sempre, 40 anni in due, eravamo due ragazze, alla fine“

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Liebe (Amore) ***


SPAIN, Ahumada’s Castle, Fuentes’s Home

“…Achille, o il re, Ulisse?” Sei un guerriero o un saggio che trama nell’ombra, che va avanti a testa bassa, che lascia solo morte o rovina, pianti o allegria? Magari entrambi, una infinita battaglia..  “Lo sussurrai, straziata.
 
Finii di scorrere per l’ennesima volta i quaderni di Olga, scritti in segreto e portati dopo anni, li strinsi al petto.  
Le stagioni erano trascorse e ancora mi mancava, congratulazioni a me, la onoravo giorno per giorno, cercando di vivere.

Ai miei figli, Felipe e Leon, raccontavo la storia del dragone e della rosa, la favola della buona notte, un sigillo di tenerezza, come a Lui, ai tempi remoti.
“Alexei, LiebeLiebe, amore in tedesco, gli sussurravo nelle notti in Crimea, ricordavo come si serrasse, ero tranquilla, lui,  mi voleva bene.
“MAMMA.. raccontaci una storia..”
“MAMMA..”
 
“E questo?” sorride con malizia, affetto, le iridi color zaffiro che incrociano le mie. “Ecco che ti ieri inventata nell’ultimo viaggio a Parigi”
“Un omaggio”
“E un ricordo”
Osserva il tatuaggio, un dragone che tiene una rosa bianca, che mi copre l’avambraccio. “Un modo di celebrare i tuoi primi 30 anni”
Lui ne avrebbe compiuti  21 ad agosto, era nato il 12 agosto 1904.
Sorrisi.
 
Ist Liebe.
È amore. Alexei, Liebe, sei sopravvissuto, come sei diventato grande.

 
 A flashforward, in the future..


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3777683