Bring me the Horizon (II) - the hunting party

di Luana89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nemesi ***
Capitolo 2: *** We all have a Monster within; the difference is in degree, not in kind. ***
Capitolo 3: *** Irina ***
Capitolo 4: *** Arrêté! C'est ici L'Empire de la Mort. ***
Capitolo 5: *** Till I collapse. ***
Capitolo 6: *** So I bare my skin and I count my sins ***
Capitolo 7: *** Soon, I'd be home again. Soon, God willing, I'd be asleep. ***
Capitolo 8: *** Stench of Death ***
Capitolo 9: *** Mad love. ***
Capitolo 10: *** Now, you'll remember your promise, won't you? ***
Capitolo 11: *** We are our choices. ***
Capitolo 12: *** Be in your nature. ***
Capitolo 13: *** Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia ***
Capitolo 14: *** From blood and pain come perfection. ***
Capitolo 15: *** It's time for a showdown. ***
Capitolo 16: *** Put down your lies lay down next to me don’t listen when I scream bury your doubts and fall asleep for neither ever nor never (ending) ***



Capitolo 1
*** Nemesi ***





 

          Prologo       )


 
Il canarino cinguettò spaventato non appena il palmo della mano di Sergej si chiuse sul suo esile corpo, rendendolo prigioniero dell’ennesima gabbia.
 
«Petrov vince anche questa mano», guardai l'uomo con l'ombra di un sorriso, stava sul serio provando a togliere i soldi a me con quei trucchi da conta carte fallito? Sorseggiai il brandy preparandomi a rilanciare ma una pesante mano sulla spalla attirò la mia attenzione.
«Il Vor vuole vederti, vieni con me Dima». Quando Sergej chiamava nessuno poteva rifiutare, neppure io Dimitri Cernenko, il figlio dell'uomo che assieme al Vor aveva iniziato l'ascesa nella criminalità. Aprii la porta in pesante legno massiccio soppesando con lo sguardo la stanza, nell'angolo in penombra una figura spiccava ritta – quasi guardinga –  ci fissammo sorridendoci complici.
«Perché hai voluto vedermi?» Sergej mi indicò una delle poltrone, presi posto in quella di fronte osservandolo accarezzare il capo piumato dell'uccellino che cinguettava ancora spaventato.
«Dima, sai quale storia piaceva particolarmente a Shùra?». Il repentino cambio d'argomento mi spiazzò, quei nomi ormai erano proibiti ovunque e per chiunque.
«Quale?» Il Vor piegò le labbra in un mesto sorriso, sapeva di consapevolezza, di rimpianti, di amore e odio. «La storia di Icaro. Il ragazzino che peccando di superbia si spinse vicino al sole bruciando le sue ali, e schiantandosi». Il canarino pigolò.
«Gli piaceva perché aveva fatto di Icaro la sua nemesi?» Sergej sollevò lo sguardo, era furibondo e sapevo bene quanto questo potesse portare solo fottutissime rogne.
«Oh no, pensavo anch'io fosse così. Ma ora ho capito, lui aveva preso come modello Icaro perché il fallimento non è mai stato nelle sue intenzioni». Estrasse una foto spiegazzata poggiandola proprio di fronte a me, spiccavano una data, un luogo ed un soggetto. ‘’Buenos Aires, 120321’’ Mikhail Volkov osservava il nulla con le sue iridi azzurre. I miei occhi presero piena consapevolezza, mentre un lento sorriso curvava le mie labbra aride: «Sono ancora vivi.»
«Devi fare qualcosa per me, Dima. Porto ogni giorno fiori alle tombe vuote dei miei due ragazzi, voglio che tu le riempia. E porta con loro Nadja e Sonech'ka». Ci fissammo, i nostri sguardi così diversi il mio calmo ed affabile come sempre.
«Non sarà un problema, lasciami Misha. Shùra uscirà fuori di sua iniziativa non appena l'altra metà del suo cuore andrà in pezzi». Il pugno chiuso di Sergej si strinse attorno all'uccellino che emise l'ultimo rantolo di vita prima di schiantarsi al suolo ormai privo di vita. Mi alzai osservando l'animaletto adesso raggrinzito. «Icaro ebbe la sua punizione per aver peccato di superbia. L'avranno anche loro.»
La famiglia è sangue. La famiglia non si tradisce. Queste erano le dottrine instillate nella mente di tutti i ''familiari'' della famosa Brigata del Sole. Ero cresciuto all'interno di quella famiglia, e a differenza di coloro che reputavo amici però non avevo mai preteso amore né tanto meno ero stato disposto a darne. Afferrai la pistola dirigendomi al tavolo da gioco.
Puntare.
Fuoco.
Petrov  si accasciò privo di vita e con un foro in più sul capo sotto il silenzio generale.
«Se provi a fottermi questa è la ricompensa», la caccia era appena iniziata.
 
 
 
Buenos Aires
 
 
Balvanera era tutto fuorché un bel quartiere, era ciò che più si adattava a me ed era ciò che una feccia come Mikhail avrebbe scelto. I suoi fondi erano stati prosciugati, non avrebbe potuto salvare la pelle neppure tornando il denaro alla bratva. Io adoravo quel ragazzo in fondo, era riuscito a sperperare milioni di dollari col gioco d’azzardo e pessimi investimenti riducendosi praticamente alla stregua di un barbone; avrei voluto chiedergli, poco prima di ammazzarlo, se era ancora convinto che dopo tutto quel casino ne fosse valsa la pena.
Il locale non possedeva aria condizionata, vi entrai con la certezza di essere nel posto giusto fingendo di non vedere le pistole poggiate senza cura sopra i tavolini; passare per uno sprovveduto era ciò che di più divertente potessi fare. Due donne si avvicinarono, puzzavano di ingordigia e di tante altre malattie veneree probabilmente.
«Okay amico, dammi qualcosa da bere. Capisci il russo? Vuoi che parli inglese?» il barista mi fissò in cagnesco senza rispondere.
«Che ci fa qui uno straniero?». Osservai la donna con un mesto sorriso, se avesse saputo cosa ci facevo lì davvero non sarebbe stata così solerte nell'accarezzare il cavallo dei miei jeans. La ignorai sorridendo a entrambe.
«Allora ragazze vi offro da bere, cos'ho qui? Pesos, dollari, rubli ..e questi cosa sono? Euro? Conoscete l'Euro? Banconote viola, sembrano importanti», una mano si poggiò sulla mia spalla non proprio delicatamente, mi voltai osservando i due uomini; uno alto e con gli occhiali da sole, aveva la classica aura da ''braccio destro'', l'altro basso e vestito come un piccolo boss che non ha ancora scoperto le gioie della sartoria. Una delle due donne lo chiamò ''Tesoro'', sorrisi leccandomi le labbra.
«Qué estás haciendo con mi esposa? No sé si entiendes una palabra de lo que estoy diciendo, hijo de puta» definire mia madre puttana era una concessione che neppure Yuri, il mio migliore amico e braccio destro, si era permesso spesso.
«Quién es tu esposa? las niñas corta y rechoncha; o la fea?». L'uomo estrasse la pistola a quelle parole, evidentemente nonostante sua moglie fosse una gran puttana voleva ugualmente tenere alto il suo onore. Il suono di un mitra interruppe quella situazione; entrambi si voltarono osservando un uomo tarchiato dai capelli rossicci.
«Stepanov, mi mancavi. Prendili e portali nella stanza accanto, io e Don Nessuno dobbiamo fare una bella chiacchierata»
 
«Continuare a stare in silenzio non ti aiuterà. Li vedi quegli uomini?». Indicai i tre soggetti poco distante «Dopo aver ammazzato come un cane il tuo amico stupreranno tua moglie, più volte, e la sua testa penzolerà nella piazza fuori da questo fottuto bar, intendi vero?». I suoi occhi iniziarono a prendere consapevolezza, sapete cos’è il bello del potere mafioso? La gerarchia. Tu sai quando arriva qualcuno ben più in alto di te, ne percepisci l’odore, le tue carni si rizzano e il fetore di urina riempie le tue belle mutande firmate.
«L’ho ospitato per due settimane, dovevo un favore a quel bastardo di Aleksandr Belov..» il suo inglese stentato mi urtò, curvai le labbra in una smorfia.
«A me non frega un cazzo di dove ha dormito, voglio sapere dove sta adesso». Feci un cenno a Yuri che afferrò il suo braccio immobilizzandolo, estrassi il coltello e le sue urla si persero all’interno della stanza angusta.
«TI PREGO. TI PREGO». I suoi occhi sbarrati fissarono il coltello, la lama tranciò di netto il suo mignolo macchiandomi la camicia bianca e sudata. Temetti potesse svenirmi lì, afferrai un secchio pieno di acqua sporca rovesciandoglielo addosso.
«Mantente despierto y concéntrate en mí, bastardo». Sembrava indeciso se urlare o vomitare, sfregai la mano contro la mia fronte, stavo perdendo la calma.
«Ho visto.. ho visto un biglietto aereo dentro la sua ..borsa. Las Vegas, era diretto lì». Avvicinai il mio viso per sentire meglio.
«C’era una puttana insieme a lui? Bionda con l’aria da figa di legno». Il suo capo si mosse in un cenno di diniego.
«E’ venuto da solo, nessuna donna con lui..» annuii soddisfatto facendo segno agli altri di uscire, superai Yuri senza più voltarmi sentendo i suoi passi seguirmi pochi secondi dopo.
«Lo lasci vivo?» il suo tono stupito mi fece quasi ridere.
«Devo. Spero si metta in contatto con uno dei due pezzi di merda, devono sapere che Dimitri Cernenko è tornato dall’inferno per cercarli». Il sole cocente mi disturbò, entrai dentro la berlina scura infossandomi contro i sedili in pelle, dovevo meditare e concentrarmi. Sebbene Shùra fosse da sempre la mente tra i due, non dovevo sottovalutare quel figlio di puttana pazzo. Imprevedibile com’era alle volte riusciva a essere ben più pericoloso del fratello.
«Quindi andiamo a Las Vegas?». Ci fissammo dallo specchietto retrovisore.
«Prima andiamo in albergo, non so se noti le mie condizioni». Il mio sorrisino asciutto valse la sua occhiataccia più ostile.
«Una volta lì qual è il piano?»
«A parte ammazzare come un cane Misha, il traffico di droga e puttane ha bisogno di me lì. In quanto potremo aprire il club?». Il ‘’club’’ altri non era che un ritrovo per ricconi almeno ufficialmente, ufficiosamente ospitava le riunioni dei maggiori capo mafia e dettava i traffici illeciti nelle zone controllate dalla bratva.
«I ragazzi sono già all’opera, vuoi qualcosa di eclatante?». Sorrisi muovendomi sul sedile, alle volte mi sentivo felice immotivatamente.
«Ovvio che si, chi sono io Yuri?»
«Uno stronzo sadico pazzo e arrogante». Frenò bruscamente a un semaforo imprecando contro un pedone.
«Esattamente»

 
 
 
Two years before – Mosca:
 
 
Le due bare scesero lentamente nella fossa, neppure un granello di terra vi era stato ancora deposto. Perdere due fratelli, perdere un pezzo del proprio passato per un membro della fratellanza era una sconfitta. Mi sentivo dilaniato tra il dolore per la perdita e l'odio per il tradimento; qualcosa nella mia mente non funzionava a dovere, i pezzi non sembravano incastrarsi. Accanto a me Sergej mostrava dolore, dolore per essere stato l'esecutore non materiale di quelle morti e vicino ad esso vi era Nadja la principessa di ghiaccio. Avrei dovuto capire da quello quale pezzo non era stato messo al suo posto. La freddezza forzata puzza ad un chilometro.
Dasha Iglenko fu la prima ad andar via, la nuova amante del Vor venuta lì solo per apparire e spiccare tra la folla. Lentamente se ne andarono tutti, una lacrima si congelò sulla mia guancia mentre il pugno chiuso della mano si aprì gettando il primo cumulo di terra sulla tomba di quelli che consideravo fratelli. Poco prima di andar via un raggio di sole colpì i miei occhi, fu lì che lo vidi: Shùra vicino ad un albero mentre la neve lentamente iniziava a cadere.
«La perdita di una persona cara provoca brutti scherzi Dima, non pensarci più», così disse Yuri e così mi dissi io per due interi anni nonostante quel pensiero non avesse mai smesso di tormentarmi.
 

 

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Capitolo 2
*** We all have a Monster within; the difference is in degree, not in kind. ***





 
— Puoi ripetere per favore?
— Dimitri Cernenko è stato qui.
— Quando?
— Pochi giorni fa, che cazzo avete fatto? Come cazzo mi ripagherai il dito?
— Gli hai detto qualcosa?
— Mi ha chiesto dove fosse Misha.
— Gli hai detto qualcosa, rispondimi Pedro.
— Non gli ho detto nulla.
 
 
La linea si interruppe bruscamente, portai una mano sul viso a coprirlo mentre una goccia di sudore si perse oltre il bordo della maglia lungo la schiena contratta. Due anni. Erano passati solo due fottuti anni prima che la bolla tornasse a rompersi di nuovo, e nel momento meno opportuno. Chiusi gli occhi provando a mantenere la calma, non volevo che i miei occhi mostrassero tutto il turbamento che quella notizia mi aveva provocato, più terrificante della bratva stessa vi era un solo uomo: Dimitri Cernenko. Cresciuti insieme, avevo visto quel viso infantile divenire adulto, una cosa che non era invece mai cambiata in lui era lo sguardo. Letale, arido e vuoto. Il Demonio che diventa carne e cammina sulla terra.
«Shùra?». La voce di Sophia interruppe i miei pensieri, la fissai con un sorriso improvvisamente addolcito. Una testa bruna sbucò da oltre le sue gambe.
«Vedo per caso un ometto?» Eleazar era la mia fotocopia ma con gli occhi grandi della madre, portava il nome di mio padre e nella sua indole vedevo spesso lui con sprazzi di me stesso. Aveva compiuto due anni da poco, le sue piccole mani si aggrapparono alle cosce della madre che toccava la propria pancia non ancora evidente. Aspettavamo un altro figlio e il mio mondo stava crollando.
«Eleazar vai a giocare fuori». Era incredibile come pendesse dalle sue labbra, o forse no forse in questo era sin troppo simile a me. Dopo una vita passata insieme non c’era volta in cui Sophia non capisse il mio umore e anche quella volta sembrò intuire sedendosi accanto a me.
«Ti ho promesso una vita diversa, ti ho promesso dolori diversi da quelli affrontati in tutti questi anni e ho sempre avuto l’intenzione di mantenere la parola data». Le afferrai la mano, sentii il tocco delle sue dita sui miei capelli.
«Cos’ha il mio Shùra? Che è successo..» non riuscì a nascondere la voce lievemente tesa e spaventata, strinse i denti respirando profondamente.
«Dimitri Cernenko ci sta dando la caccia, sa di noi». Sobbalzò spaventata e io temetti di vederla frantumarsi ancora una volta. Poggiai una mano sul suo stomaco, ci fissammo intensamente.
«Non tornerai lì, me l’hai promesso. Shùra tu—» non finì la frase, non ce n’era bisogno.
«Non lo farò, troverò il modo di risolvere le cose come sempre. Devo riuscire a mettermi in contatto con Misha prima di tutto». Sophia annuì, il pensiero del fratello era fonte di dolore continua soprattutto osservando il modo in cui continuava a vivere.
«Hai notizie di Nadja?». Sospirai curvando le labbra in una smorfia.
«No». Il fatto che si fossero lasciati tempo prima aveva gettato tutti nello sconforto tranne me, era qualcosa che in realtà sentivo nelle ossa. Eppure qualcosa mi diceva che quel capitolo della loro vita non era concluso. Quando mia moglie uscì dalla stanza i miei occhi si poggiarono su un punto ben definito del pavimento, laddove un’asse sembrava diversa dalle altre, e lì si bloccarono. Un ricordo sfrecciò nella mia mente.

 
 
A quindici anni ebbi il mio battesimo del fuoco, dovevo uccidere un uomo per conto della bratva e a spalleggiarmi ci sarebbe stato Dima all’epoca diciassettenne. Sentivo ogni parte del mio corpo sudare, i muscoli contratti mentre impugnavo la pistola fissando l’uomo in piedi che supplicava pietà.
«Avanti, uccidilo». La voce secca di Dimitri mi rese solo più ansioso, a differenza mia lui aveva già ucciso e sempre a differenza mia questo non sembrava avergli portato alcuno strascico evidente.
«Non so se posso farlo». Quella fu la prima e ultima volta in cui tremai e titubai di fronte a un bersaglio.
«Se non lo uccidi lui ucciderà te, vero Liev?». L’uomo scosse il capo in cenno di diniego, Dimitri estrasse la pistola grattandosi la tempia con la canna. «Vediamo se così funziona.. due spari rimbombarono lungo la strada deserta, due fori uno per ogni gamba». L’uomo si accasciò a terra urlando di dolore, fissai quello che reputavo un amico con occhi increduli.
«Che cazzo hai fatto?». Mi scostai appena allargando le braccia.
«Ho iniziato il lavoro al posto tuo, guarda come soffre vuoi lasciarlo così?». Sorrise, un sorriso quasi gentile, il sorriso di qualcuno che non conosceva neppure lontanamente il significato di pietà e clemenza. Sparai dritto alla sua fronte finendolo sul colpo, vidi in quegli occhi chiari e lucenti una luce di vittoria. Poggiò la mano sulla mia spalla battendola più volte.
«Farai grandi cose, Shùra». Mi chiedo se oggi lui ricordi come me quel momento, e mi chiedo se pensi ancora le medesime cose.
 
 
 

Misha

 
 
Las Vegas era la mia fogna preferita, qui avevo tutto: soldi, gioco e donne. Si è vero, dopo due anni non era cambiato quasi un cazzo nella mia vita, restavo ancora un inutile sacco di merda dedito ai piaceri del mondo. Mi sentivo relativamente fiero dell’aver dilapidato quasi tutti i trenta milioni di dollari sul mio conto, o meglio quindici. Si perché poco dopo averli avuti tra le mani ne diedi la metà a mia sorella Irina. Volevo che non le mancasse nulla, volevo che avesse il meglio. Viveva a NYC adesso, vicina a Sophia e Shùra in modo tale da rendermi tranquillo. Una zaffata di profumo colpì le mie narici, mi volta osservando una donna bionda superarmi a passo spedito, per un istante pensai fosse lei. Ma non lo era. C’eravamo lasciati ormai (a suo dire definitivamente) la mia gelosia e il mio essere una continua testa di cazzo senza recupero uniti a quella sua aria perennemente saccente avevano incrinato quella patina luminosa che rivestiva la nostra relazione. Io sapevo non fosse finita, sapevo che prima o poi avrei bussato alla sua porta perché Nadja era il mio destino. E dal destino non puoi scappare.
Punto tutto sul rosso. Sorrisi fissando una mora accanto a me, okay dal destino non potevi scappare ma non potevano neppure scoppiarmi le palle nell’attesa.
 
 
Il cellulare squillò nel cuore della notte, mi mossi afferrandolo a tentoni ignorando il corpo nudo accanto a me, sul display il nome di mio fratello fece collassare il mio cuore. Eleazar stava male? Irina? Sophia aveva di nuovo problemi con la gravidanza?
 
— Che cazzo è successo?
— Dove sei?
— A Las Vegas, perché?
— Per quale porca puttana di motivo sei lì?
— Mi stai sul serio chiamando alle cinque del mattino per questo?
— Ti ho chiesto miliardi di volte di venire qui, lavora con me.
— E io ti ho risposto miliardi di volte che non è il momento.
— Non è mai il momento per te, quando cazzo diverrai un essere umano?
— Insisti?
— Misha la situazione è seria.
— Non esageriamo, ho ancora qualche spiccio da parte.
— Non parlo di quello. Dimitri sa di noi, ti sta cercando.
— Non credo di aver capito, Dimitri chi.
— CERNENKO PORCA PUTTANA.
— Come cazzo..
— Apri gli occhi da questo momento, tu sai come lavora.
— Tieni al sicuro Irina.
— Tengo al sicuro tutti, e pure te. Vieni qui.
— Separati siamo bersagli più difficili.
— Misha porca puttana.
 
Chiusi la chiamata alzandomi, il rumore della città appena sveglia non riuscì a frenare i miei pensieri. Come cazzo era successo? Pensavo di essermi lasciato alle spalle tutta la merda che era stata la mia vita a Mosca, com’era possibile adesso ripiombare in quel buco nero? Respirai profondamente cercando di mantenere la calma, osservando la gente da sopra il mio attico, macchie indistinte di colore: tra esse c’era lui? Focalizzai nella mia mente il suo viso, spigoloso e quasi attraente per molte donne, tutte attratte dalla sua patina scintillante ma nessuna consapevole del marciume nella sua anima. Non ero un santo, non lo sarò mai, ma Dimitri.. lui era qualcosa di assolutamente riprovevole, qualcosa di così totalmente disumano da farmi sentire in trappola persino lì a metri e metri d’altezza, chiuso nella mia bella camera d’albergo.
Non sarei caduto così, non senza combattere, che venisse pure a cercarmi. Lo avrei atteso a braccia aperte e armi in mano. Lo smeraldo verde sul mio anulare destro brillò quasi volesse attirare la mia attenzione, lo fissai con un mezzo sorriso quello era l’unico regalo che quel bastardo di Sergej si era mai degnato di farmi. L’anello della fratellanza, tenerlo era un semplice schiaffo morale, che mi baciassero tutti il culo non sarei mai caduto.
 

 

 
 

Dimitri

 
 
Il brusio delle voci faceva da sottofondo ai miei pensieri, ero a Las Vegas da pochi giorni e di Misha ancora nessuna traccia, non che ne fossi stupito in effetti era tipico degli scarafaggi ficcarsi nei piccoli anfratti sfuggendo ai predatori. Il coltellino tolse la buccia della mela ferendomi il dito, succhiai il sangue sentendo il boato della porta e i miei occhi fissarono la figura di Nikolai sorridente venirmi incontro.
«Fratello!». Odiavo quel nomignolo di merda, eravamo cresciuti insieme ma il mio disgusto per lui era solo aumentato col passare del tempo. Nikolai, o Kolia per la fratellanza, il figlio inutile della bratva e l’unico figlio di Sergej.
«Non pensavo di vederti qui Nikolaj, che succede?». Feci come mio solito buon viso a cattivo gioco, la mia scalata all’interno della famiglia non era avvenuta così dall’oggi al domani, reprimere e attaccare al momento giusto erano le due cose che da sempre mi riuscivano bene. Lo fissai sedersi sul divanetto di fronte la scrivania.
«Ho saputo di quei due bastardi, ho sempre avuto ragione su di loro». Non potevo biasimarlo in quel caso, per quanto fosse un coglione senza spina dorsale il suo odio c’aveva sempre visto giusto.
«Non preoccuparti, hanno i giorni contati». La mia voce pacata sembrò tranquillizzarlo, il silenzio venne interrotto da un colpo di tosse, lo fissai aspettando che parlasse.
«Ti occupi tu del carico di droga stanotte?». I miei occhi si assottigliarono, non poteva essere una domanda casuale questa.
«Si, perché?». Lo vidi sorridere eccitato.
«La smerceremo dove dico io, un quartiere vicino Downtown». Raddrizzai la schiena gettando la mela sulla scrivania.
«Non possiamo smerciare lì, non ancora. Non abbiamo preso noi quella zona, sarebbe come dichiarare guerra alle bande lì dentro». Smussai per bene le parole, cercando di fargliele entrare in quella testa di cazzo che si ritrovava.
«Non me ne frega un cazzo. Hai capito chi sono no? Se dico qualcosa è legge». Si diede un tono provocandomi un insano divertimento, si schermava da sempre dietro il potere del padre, dietro la sua legittimità al ‘’trono’’ finale, un trono che avrebbe dovuto condividere con me ma che sembrava dimenticare sempre. Leccai le mie labbra secche annuendo lentamente.
«Vuoi occupartene tu, Kolia? Sono sicuro che tuo padre sarebbe fiero di te». Lo stupido sorrise giocando con la fede al proprio dito, la fissai ricordando la mia che ormai giaceva in un cassetto impolverato della mia villa a Mosca.
«Sapevo avresti capito». Si alzò e senza aggiungere altro varcò la soglia lasciando il posto a Yuri che entrò con sguardo confuso indicando la porta adesso chiusa.
«Che ci faceva qui il coglione?». Allargai le braccia sospirando.
«Vuole smerciare il carico di stanotte nei pressi di Downtown, gli ho detto si». Lo vidi strabuzzare gli occhi fissandomi come fossi impazzito.
«Sei pazzo? Lo ammazzeranno». Il mio sorriso valse più di mille parole, addentai la mela masticandola voracemente.
«Me lo auguro, prega che questo succeda Yuri perché senza di lui indovina chi erediterà tutto alla fine dei giochi?». Inarcai un sopracciglio e mille parole inespresse passarono tra noi. Non ero Misha, non ero Shùra, l’amore per me era qualcosa di lontano e utopico. Niente e nessuno mi avrebbe fermato dai miei propositi, e alla fine avrei ottenuto ciò per cui sapevo di essere nato, ciò per cui avevo versato il mio sangue e dato la mia anima già nera: la brigata del sole.
 
 
Nel mio mondo nessuno era importante quanto me stesso, ogni persona passata per caso nella mia vita era un tassello per raggiungere i miei scopi. Lo stesso fu per Maria Fedorovna, o Masha come amavano chiamarla in famiglia. Aveva il nome di una famosa Vergine, e lo stesso candore. I matrimoni di convenienza tra famiglie erano all'ordine del giorno, e io sapevo bene che prima o poi sarebbe successo anche a me e non me ne stupii quando la notizia rimbalzò ai piani alti scivolando lentamente nella mia vita. Plasmai quella giovane anima ai miei voleri, stravolgendone gli schemi, ciò in cui credeva, le cose per cui si batteva, furono tutte piegate secondo il mio preciso ordine e la mia totale volontà. Controllavo la sua anima e la sua mente, senza che lei neppure se ne rendesse conto.
«Masha è un ottimo investimento, saprò sfruttarlo bene», le mie parole mancavano d'amore, di gentilezza e umanità, eppure lei sembrava non capirlo; cieca di fronte a un mazzo di fiori che giustificava le perenni assenze e un diamante per coprire i tradimenti. Ci sposammo a Giugno, un pomeriggio assolato dell'anno 2018, parteciparono in molti. Masha rideva allegra, e io brindavo con i nuovi acquisti del mio impero marcio.
I ''ladri'' vennero a sporcare innocenza e fedeltà quella notte; quando  li vidi irrompere nella stanza riuscii ad afferrare la pistola ed ucciderne uno, prima che un colpo perforasse il mio addome.
«La Yakuza non scherza Dimitri Cernenko, adesso supplicami per non ammazzare la tua donna» Masha capì, capì in quella notte che profumava di gelsomini quanto poco contasse per l'uomo a cui aveva donato se stessa, per me. Poco prima che la pallottola perforasse la sua tempia le tende dei suoi occhi si sollevarono, riuscii a vederle chiaramente. Io non ero il cavaliere dalla splendente armatura, ma il fine che l'aveva condotta alla morte. Se gli uomini della bratva fossero arrivati pochi minuti prima, forse, Masha avrebbe avuto salvezza. Ma così non fu. L'ultima cosa che vide fu il mio sguardo freddo e la mia voce tagliente che diceva: «Ammazzatela, non vale nulla per me»
Il sipario cala. Lo sparo squarcia l'aria. C'è chi resta e chi va via, in quella notte infinita che a distanza di anni urla ancora alla ricerca di vendetta. Morirono quasi tutti per mano mia, ma quella macchina infernale che porta il mio nome non riesce a soddisfarsi. Forse perché resta ancora una fossa da riempire: la mia.
 
 
 
La stecca colpì con precisione la palla che rotolò lungo il panno verde entrando dentro la buca nell’angolo sinistro, un fischiò ammirato seguì la mia brillante performance. Mi voltai osservando Slonko a braccia incrociate.
«Ho saputo che mi cercavi». Annuii indicandogli lo sgabello, raggiungendolo poco dopo per versare dentro due bicchierini della vodka, la bevvi in un’unica sorsata estraendo una foto dalla tasca.
«Guardala bene, ti ricorda qualcuno?». Il soggetto lo conoscevo bene, nonostante non l’avessi mai vista, ma quegli occhi di ghiaccio..
«Ma è Misha?». Schioccai la lingua contro il palato allargando le narici.
«Si con la parrucca e un culo atomico». Lo fissai con sarcasmo guadagnandomi il suo sorriso più sterile.
«Chi cazzo è?»
«Irina, sua sorella». Il silenzio si frappose tra noi annunciando l’arrivo di Yuri che si unì a quella riunione improvvisata senza spiccicare parola.
«Che devo fare?» Slonko si rigirò la foto tra le mani.
«Devi prenderla e portarla qui». Sbattei il bicchierino vuoto sul ripiano in legno, Yuri annuì facendo un cenno al cugino.
«Sappiamo già dove vive?». Sorrisi ambiguamente versandomi ancora una generosa dose d’alcool.
«New York, si occupa della gestione di un albergo, quell’albergo non ha un vero proprietario. Mi è bastato scavare un po’, credo l’abbia comprato lei lasciando un prestanome nell’atto. Sapete cosa vuol dire questo?» li fissai entrambi senza batter ciglio «Vuol dire che la puttanella ha i nostri soldi, o comunque una parte».
«O magari il fratello lo ha preso per lei?» Slonko interruppe il mio brillante discorso facendomi sbuffare, sollevai una mano muovendola nell’aria.
«Come ti pare. Prendetela e portatela da me». Yuri si alzò incamminandosi verso l’uscita, voltandosi solo all’ultimo.
«Che pensi di fare una volta portata qui?» Mi accarezzai il mento, la barba punse le mie dita.
«Distruggerò le loro vite pezzo dopo pezzo»

 

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Capitolo 3
*** Irina ***





 
Gli occhi di Aleksandr si posarono su di me e lì restarono per un tempo che mi parve infinito, come mio fratello sembravo subire parecchio il suo ascendente, forse per quell’aura lievemente despota che si portava dietro o per il trascorso che io stessa avevo vissuto sulla mia pelle. Se oggi ero una donna libera lo dovevo anche a lui.
«Non sento Misha da una settimana, ne sai qualcosa?» Sentii Sophia trattenere il respiro mentre si affaccendava a ripulire la tavola, avrei voluto aiutarla ma qualcosa sembrava frenarmi, sentivo le mie gambe piene di piombo.
«Irina dobbiamo parlare.»
«Non sento Misha da una settimana.» La mia voce sembrava monotona come un loop infinito dopo averlo ascoltato per ore consecutive.
«La bratva ci ha ritrovati.» un piatto si frantumò a terra, vidi Shùra scattare in piedi correndo dalla moglie ad aiutarla. La mia testa invece sembrava essersi improvvisamente svuotata, la sentivo leggera. Troppo leggera. Ciò che successe dopo lo ricordo confusamente, come se un dio dispettoso si fosse divertito a portare avanti il nastro della mia giornata. Senza rendermene conto ero seduta sul divano, una tazza di tè tra le mani, due ore dopo.
«Cosa pensi di fare?» Lo fissai attentamente, lui era Shùra doveva avere un piano.
«La prima cosa è convincere Misha a tornare da Las Vegas. Quel demente pensa sia meglio stare divisi, io penso invece che sarà la nostra condanna.» non riuscivo a fissare Sophia nonostante fosse accanto a lui. Eleazar interruppe quel momento decidendo di svegliarsi, e fu allora che restammo soli.
«Dimmi la verità Shùra ..cosa vuoi fare?». Mi sporsi verso di lui, sentivo le lacrime pronte a sbucare fuori.
«Se la situazione dovesse richiederlo non potrò fare altro.. Irina, voglio solo che tu e Sophia restiate al sicuro». Portai una mano contro la bocca soffocando un singhiozzo, non potevo credere alle mie orecchie.
«Sei un padre adesso e un marito. Come pensi che potrebbero.. come pensi che potrebbero vivere senza di te?» Il mio tono disperato sembrò scuoterlo da dentro e per un istante la sua maschera di compostezza di sgretolò.
«Promettimi che qualsiasi cosa succeda resterai qui al sicuro con loro.» era l’unica promessa che avrei provato a mantenere. E per ironia fu la prima che vidi frantumarsi sotto i miei occhi.
 
 
Era passata una sola settimana dalla mia cena in casa Belov, il ticchettio dei miei tacchi si confondeva con il frastuono della metropoli. Il modo in cui piombarono su di me mi fece pensare di avere immaginato tutto mentre sentivo la lama del coltello poggiarsi sul mio collo.
«Una parola. Un grido. Qualsiasi cosa e sei morta Irina Volkova.» I miei occhi azzurri fissarono la sagoma a pochi centimetri da me, non riuscivo invece a visualizzare l’uomo che mi teneva ferma.
«C’è una persona che vorrebbe discutere con te, Dimitri Cernenko ti manda i suoi ossequi.» Il sorriso bonario fu l’ultima cosa che vidi prima che l’oscurità mi portasse con se.

 
 
 

Shùra

 
 
«Fammi capire, il tuo capo non si presenta a lavoro da tre giorni e tu non fai un cazzo?» il tipo rossiccio dall’aria stralunata scosse il capo nervosamente, un altro battito di palpebre da parte sua e gli avrei cavato quei cazzo di occhi con le mie stesse dita.
«Ha- ha lasciato un biglietto.» Inarcai un sopracciglio sollevando il palmo della mano, il ragazzo corse a prendermi il biglietto cedendomelo. Lo lessi velocemente accartocciandolo tra le mie mani.
«Se dovesse chiamare Misha, il fratello, digli di chiamare me.» La scrittura sul biglietto non era di Irina, e questo poteva voler dire solo una cosa: l’avevano presa.
 

 

Dimitri

 
 
La palla andò in buca nell’istante in cui la porta del mio ufficio venne spalancata, fissai Roman ancora chino sul panno verde in attesa.
«Hanno chiamato i ragazzi, la donna è qui e chiedono dove tenerla.» mi grattai la tempia e la mia espressione insofferente sembrò spaventarlo, mi piacque.
«Portatela nella solita camera del motel, e prendetele ogni effetto personale, voglio il suo cazzo di cellulare sulla mia scrivania entro dieci minuti.» Lo vidi annuire e accingersi a uscire. «Ah Roman, quasi dimenticavo.. se qualcuno di voi osa, e dico osa, anche solo respirarle addosso io vi uccido tutti strappandovi le budella. E tu sai che ne sono capace vero?»
«Si. Ma so che è parecchio aggressiva..» sbuffai stringendo la stecca tra le mani.
«Non me ne frega un cazzo se Yuri la prende a ceffoni, hai capito perfettamente cosa intendo dire io.» ci fissammo attentamente prima che sparisse dalla mia vista. Divertirsi con le ragazze, o i ragazzi, era una routine per tutti. Ma non con lei, non volevo la toccassero. Se c’era qualcuno che doveva metterle le mani addosso, quello ero io. Immaginai la faccia di Misha e sorrisi.
 
Rintracciare il numero di telefono del fratello fu qualcosa di estremamente semplice, cambiava spesso numero, e l’ultimo era ancora in uso. La mia mente partorì un piano, le cose perverse a me erano sempre piaciute, non traevo godimento dall’uccidere semplicemente qualcuno, era la sofferenza a stimolare ogni mia più piccola terminazione nervosa. Composi il numero attendendo la risposta dall’altro capo.
 
— Irina.
— Sono biondo e non ho gli occhioni blu.
— Ascoltami bene sacco di merda-
— No, ascoltami tu. Mi conosci Misha, pensi che esiterei a entrare nella sua stanza e ucciderla nel modo più atroce?
— Non toccarla Dimitri, non toccarla o giuro che ti uccido.
— E fammi vedere, uccidimi grand’uomo. Ma prima, i soldi.
— Non ne ho più, ho dilapidato tutti i trenta milioni, fottiti.
— Tua sorella sostiene il contrario.
— …
— Facciamo così, parliamone con calma che ne pensi?
— Io ti apro il culo con molta calma.
— Domani a mezzanotte, ti mando le coordinate del palazzo, se non ti presenti Irina e ogni fottuto mobile del posto salteranno in aria.
— Tu sei un fottuto maniaco di merda.
— Arrossisco. A presto Misha.
 
 
Il punto era che io non sapevo se Irina avesse o meno i soldi, era più un’intuizione la mia che volevo trovasse conferma. Misha non avrebbe mai parlato di sua iniziativa, la sorella poteva forse essere più malleabile? Mi auguravo fosse meno cogliona del parente quantomeno. Yuri interruppe le mie elucubrazioni mentali facendomi cenno di seguirlo.
«Si è calmata?» Indossai la giacca con noncuranza.
«Per un cazzo. Lo vedi il mio occhio? Ottimo, perché quella puttana mi ha dato una testata.» Scoppiai a ridergli in faccia e questo sembrò irritarlo ancora peggio.
«Mi state diventando un branco di checche inutili.»
«Col cazzo. Penso non avesse assaggiato abbastanza schiaffi nella sua vita, ho provveduto personalmente.» Sospirai avviandomi verso la berlina dai vetri oscurati.
«Se me l’hai sfregiata farò lo stesso a tua sorella Marina.»
 

 

Irina

 
 
La mia mandibola dolorante era solo l’ultimo dei miei pensieri. ‘’Rieducazione’’ così l’aveva chiamata l’uomo sulla quarantina prima di schiaffeggiarmi con violenza al mio ennesimo gesto di ribellione. Ricordavo la mia infanzia passata con quell’uomo, lo stesso che avrebbe voluto vendermi e farmi diventare una puttana. Pensavo di essermi lasciata tutto alle spalle, perché adesso? Perché adesso, quando la mia vita aveva assunto un senso e il mio problema maggiore era mandare soldi a Misha cercando di convincerlo a non sprecarli ai casinò? Chiusi gli occhi e mi immaginai in Arizona, era la meta preferita di Misha, Shùra e Sophia. Mi avevano portato con loro soltanto pochi mesi prima, adesso sembrava essere passata un’eternità. La sabbia sotto ai piedi, il caldo torrido, le imprecazioni di mio fratello. Eleazar così piccolo e indifeso, Shùra sempre calmo mentre guidava l’auto portandoci in giro e infine Sophia, così materna e bizzarra. La mia famiglia.
«Irina.» Una voce calda, rovente oserei dire, sferzò la pelle incandescente del mio viso tumefatto. Aprii gli occhi trovandomi davanti un angelo nel pieno della sua dannazione. Solo così avrei potuto descrivere colui che mi si presentò come: Dimitri Cernenko.
Sputai vicino alle sue costose scarpe fissandolo con astio beccandomi una risata da parte sua.
«Sono desolato per il trattamento lievemente.. brutale». La parola ‘’brutale’’ mi fece accapponare la pelle, avevo come l’impressione che per lui quei lividi fossero ben poca roba. Il quarantenne dall’aria stizzita mi fissava truce vicino la porta. Non spiccicai parola. Sapevo che qualsiasi cosa l’avrebbero usata contro il mio Misha, e Dimitri parve comprendermi mentre afferrava una sedia che trascinò di fronte la mia prendendo posto.
«Non sei obbligata a parlare, devi semplicemente ascoltarmi.» ascoltarlo? Ascoltare cosa. Sembrò leggermi negli occhi sorridendo. «Misha verrà qui presto, ma .. non per te, o almeno non credo.» Aggrottai la fronte, mi prendeva in giro? «Gli ho detto di aver trovato anche Shùra, ho mentito lo ammetto ma lui non lo sa.»  
«Sei un bastardo.» La mia voce rabbiosa sembrò colpirlo.
«Sembra che almeno la lingua sia ancora intatta. Facciamo un gioco Irina, solo io e te.» mi afferrò il mento con due dita, più provavo a divincolarmi più la presa si serrava divenendo dolorosa. «Chi sceglierà Misha? Te, o lui? Suppongo lo scopriremo domani.» Lo vidi alzarsi come se avesse improvvisamente perso interesse per me.
«Perché non mi uccidi e basta?» La sua schiena contratta restò voltata.
«Perché non è nel tuo destino. Non ancora almeno.» Desiderai restasse con me, non volevo affrontare la solitudine e la disperazione di quella camera. Non da sola almeno. Il seme del dubbio adesso divorava le mie membra, sembrava aver colpito il punto più nascosto della mia debolezza: chi avrebbe scelto Misha? La sorella che non aveva mai avuto, o l’uomo alla quale era più legato?
 
«Vuoi bene a Shùra?»
«Lui è la mia metà, senza di lui non esisto.»
 
 
 

Misha

 
 
La mia vita era diventata un fottuto incubo. Irina era nelle mani di Dimitri, il boia della bratva, la stessa persona che al solo passaggio faceva urlare di disperazione i muri. L’avevo visto in azione, l’avevo visto far piangere sangue alle sue vittime, per lui non aveva importanza la razza, il sesso, l’età. Non aveva pietà, non la conosceva, era come una macchina indistruttibile che si cibava di morte. E la mia Irina era lì con lui. Il mio cuore si sgretolò pezzo dopo pezzo. Dovevo chiamare Shùra? Per dirgli cosa? Sarebbe venuto mollando Sophia incinta ed Eleazar?
Il cellulare squillò in quel preciso momento, riconobbi il numero e la tentazione di non rispondere fu grande ma cedetti. Lo facevo da più di vent’anni.
 
 
— Misha dove cazzo sei.
— Ascoltami bene.
— No, ascoltami tu.
— Per quale cazzo di motivo devo essere sempre io ad ascoltare voi. Shùra-
— Irina è scomparsa.
— Lo so..
— Misha, no..
— Resta dove sei, e non venire, la risolverò da solo.
— Non esiste, tu sai chi è Dimitri. Non puoi farcela da solo.
— Mi faccio risentire io.
— MISHA PORCA PUTTANA NO.
 
 
Chiusi la comunicazione bloccando il numero. Era l’unico modo per non cedere alla tentazione, era bravo quel bastardo di Shùra con la sua voce suadente e sicura, mi avrebbe convinto come un allocco e avrei tenuto anche lui sulla coscienza. Avevo fatto una promessa a Sophia, dovevo mantenerla e tenere suo marito il più lontano possibile da loro. Il telefono squillò ancora, stavolta non esitai.
 
— Dove cazzo sta Irina figlio di puttana.
— Ti ho mandato le coordinate del palazzo, a mezzanotte e non un minuto più tardi.
 
 
Affogavo nella consapevolezza di aver fallito nel mio intento. Avevo un unico scopo, quello che mi ero prefissato sin dall'inizio; proteggere Irina.
La sanità mentale era diventata il mio inferno, mentre la pazzia era diventata il rifugio che conservavo nei sogni.
Un messaggio sul display del cellulare, che quasi avevo frantumato il giorno prima, mi ricordava che dalle mie azioni sarebbe dipeso tutto.
I sette piani di scale sembrarono esser diventati ventisei, la luce fioca della stanza all'ultimo piano sembrava illuminare quel rottame di posto in cui mi trovavo. Sembrava volermi dare un barlume di speranza, di volontà, ma il mio respiro sembrava quasi cessare all'eventualità che niente sarebbe andato come speravo.
Non vi era nessuna porta dinanzi all'uscio freddo, nessuno respiro aldilà dell'arco, non un solo rumore; era tutto troppo silenzioso. Sollevai il viso, non vi era anima viva.
Era una trappola.
Mi guardai attorno, le mani afferrarono le ciocche, già scompigliate, dei capelli, come per cercare invano una soluzione. Cosa accidenti voleva ottenere Dimitri?
 
 

Dimitri
 

Non mi bastava ammazzarlo, io volevo distruggerlo pezzo dopo pezzo. E per farlo dovevo togliergli ogni cosa, e fu per questo che diedi a Misha l’indirizzo sbagliato, mentre con tutta tranquillità io e Irina lo osservavamo dal palazzo di fronte. La sua immagine nei monitor appariva ben definita, così come la sua faccia disperata mentre si guardava attorno non trovando nulla. Fissai la ragazza legata a una sedia, andandole dietro per poi chinarmi, aveva un odore dolce e intenso.
«Ha scelto Shùra, era prevedibile in fondo no?» I suoi occhi pieni di lacrime non mi commossero.
«Cos’è che vuoi adesso? Un applauso?»
«Voglio vendetta, tu no?» mi fissò stranita mentre estraevo un piccolo telecomando avente un singolo bottone rosso al centro, indicando il monitor. «Quel palazzo è pieno di dinamite, premilo e salterà in aria assieme a Misha. Non premerlo e resterai nelle mie mani, per cosa poi? Per qualcuno che ti ha scartato come la peggiore delle inutilità?» Ammetto che inventarmi la presenza di un finto Shùra nel palazzo era stata un’idea al di sopra dei miei standard, me ne compiacevo davvero. La vidi fissare il telecomando, glielo porsi con un mezzo sorriso.
«Premilo Irina.» La mia voce risuonò nella stanza vuota e abbandonata, le sue dita afferrarono l’oggetto carezzando il bottone rosso. Che scelta avrebbe preso?

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Capitolo 4
*** Arrêté! C'est ici L'Empire de la Mort. ***





 
Non esiste sacro, senza profano.
La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi. Pensai a questo mentre stringevo il telecomando tra le mani che presero a tremare, se per rancore o paura non seppi dirlo. Lo scaraventai contro il muro distruggendolo pochi secondi dopo e non me ne pentii neppure per mezzo istante, Dimitri mi fissò sorridendo quasi bonario e dal monitor vidi Misha uscire di lì correndo. Era salvo.
«Non ucciderò mio fratello per il tuo sadico piacere.»
«Questo è un peccato, pensi quindi la tua vita valga così poco?» Lo guardai girarmi attorno, quando si chinò pensai mi avrebbe colpito ma le sue dita gentili mi aiutarono a sollevarmi. A separarci venti centimetri buoni, fissai la mandibola spigolosa, la sua bellezza crudele mi confondeva.
«Se vuoi uccidermi accomodati, fallo velocemente..» la sua risatina mi provocò brividi lungo la schiena, avevo paura di morire? La risposta arrivò immediata al mio cervello: si.
«Ma io non voglio ucciderti Irina, tu sei speciale.» Mi accarezzò il viso con deferenza, provai a scostarmi ma il corpo non ubbidì ai comandi del cervello e quando mi baciò riuscii semplicemente a socchiudere gli occhi e schiudere le labbra. La lingua umida e calda sondò le profondità della mia bocca, carezzandola in maniera erotica. Sentii le gambe cedere e dovetti aggrapparmi alla manica della sua camicia. Il viso di mio fratello si intromise in quel momento, lo rividi con gli occhi imbarazzati e quel grosso orso di peluche tra le mani. Le lacrime uscirono involontarie, lo strattonai allontanandomi, asciugandomi con ferocia la bocca come a voler cancellare qualsiasi traccia di lui.
«Mi fai schifo.» Sputai quelle parole con voce tremante, la mia insicurezza lo fece ridere. Non mi accorsi di Slonko alle mie spalle finché questi non mi afferrò il braccio torcendolo dolorosamente, urlai fissando entrambi rabbiosa.
«Avresti dovuto giocare d’astuzia mia bella Irina, se pensi io sia ripugnante vedrai i clienti che avrai da questo momento.» Clienti? Quali clienti? Sembrò leggere il terrore nei miei occhi e se ne cibò. «Portala al bordello, è lì che lavorerà da oggi.»
«NO.» Provai a opporre resistenza senza successo, le dita si aggrapparono alla sua camicia strappandola con le unghie ma non si scompose limitandosi a fissarmi e scrollarsi dalla presa guardandomi andar via tra lacrime e urla. Mi aveva appena venduta come animale da macello. Sarei diventata una delle tante puttane della mafia russa? Una delle tante donne che mio fratello per anni aveva comprato e rivenduto. Mi fu tutto chiaro: non era stata una scelta casuale ma premeditata, ero l’arma perfetta per distruggere Misha.
«Un po’ di tempo dentro quel posto magari ti farà arrivare a più miti consigli, e chissà magari sarai anche disposta a dirmi dove sono i soldi della ‘’famiglia’’.»

 
 

Dimitri POV

 
 
La rossa in ginocchio in mezzo alle mie cosce mi donava più piacere di quanto fossi disposto a dargliene io, chiusi gli occhi svuotando la mente ma un sordo rumore interruppe bruscamente le mie attività ‘’ricreative’’. Ebbi il tempo di vedere il grosso fermacarte schizzare nella mia direzione prima di chinarmi giusto in tempo per sentirlo fracassarsi contro il muro alle mie spalle piuttosto che nel mio cranio. Dasha e i suoi occhi di fuoco mi trapassavano, la rossa urlò scostandosi spaventata.
«Ho interrotto qualcosa?»
«Ma figurati, sono un tipo resistente dovresti saperlo, eravamo solo all’inizio.» mi alzai con calma abbottonandomi i pantaloni facendo cenno ad Ania di lasciare a camera. Fissai l’amante del Vor in tutta la sua selvaggia bellezza, sembrava passato un secolo da quando i nostri occhi si erano incrociati per la prima volta. L’avevo voluta per me sin dal primo istante, nonostante le donne di Sergej fossero notoriamente intoccabili, e forse fu proprio questo a spingermi verso di lei anni prima. Il brivido del proibito, qualcosa che smuovesse la mia anima perennemente nera, atrofizzata ed apatica al mondo.
«Sono venuta a porgerti i miei saluti Dimitri Cernenko, e quelli di Sergej.» Il suo sorriso accattivante mi elettrizzò trasformando la mia espressione irriverente in una smorfia di sadico piacere. Mi toccai l’erezione ancora visibile attraverso i jeans, schioccando la lingua contro il palato.
«Voci di corridoio mi dicono che stai premendo per farmi tornare a Mosca.» Mi permisi una pausa tattica per raccogliere il fermacarte e fissare il buco sul muro. «Cosa potrebbe mai spingere la donna di Sergej a volermi fuori da San Francisco?»
«Non sei l’uomo giusto per lavorare qui, so cos’hai in mente Dima, io ti conosco.» Oh, che dolce illusa. «Vuoi mettere fuori gioco Kolia e Sergej, non Shura e Misha.»
«Oh Dashen’ka..» provai a mostrarmi il più dolente possibile.
«Non chiamarmi così fottuto bastardo, non ne hai più il diritto.» 
«La gelosia è stata sempre una tua grave distrazione, senza saresti la donna perfetta.»
«Tu non mi conosci, non sai di cosa sono capace.» Qualche idea in realtà l’avevo. Daria, o Dasha per la famiglia, aveva scalzato i più alti ranghi della fratellanza infilandosi tra le lenzuola del Vor. La sua mente brillante le aveva permesso spesso di raggirare il vecchio russo a suo piacimento, non era da sottovalutare. Ma non era comunque alla mia altezza, e forse lo sapeva anche lei.
«Questo è il momento in cui mi strappi i vestiti di dosso? Accomodati, hai già metà del lavoro fatto.» Allargai le braccia con una risatina invogliandola a sfamarsi.
«Non avrai neppure un centimetro del mio corpo, non più. Sei stato la mia delusione più grande.»
«Parli come tutte le mie ex, questo mi delude.» I suoi lineamenti si alterarono a causa della rabbia.
«Non sono e non sarò mai come loro.»
«Vero, difatti sei l’unica che non mi riscopo quando ne ho voglia.» Yuri interruppe provvidenzialmente il nostro accorato discorso, non gli era mai piaciuta Dasha e non potevo biasimarlo. Un uomo con sete di potere è pericoloso, ma una donna è assolutamente devastante.
«Ci rivedremo presto, Dima.» Sillabò il nome usato nella fratellanza sparendo in una nuvola di pizzo e profumo. Fissai Yuri ricadendo sulla comoda poltrona, aspettando notizie. Avrei chiesto dopo chi avesse permesso l’entrata di quella valchiria dai capelli rossi, esigendo la testa del colpevole.
«L’abbiamo portata nel bordello gestito da Regina, come vuoi procedere?» Ottima domanda, prima dell’episodio nell’edificio ero deciso a metterla in una camera con decine di uomini. Non sarebbe uscita viva da uno stupro di gruppo di quel tipo, non sana di mente almeno. Ma adesso..
«Non voglio che la tocchino.»
«Stai scherzando?» Mi fissò come avrei fissato anch’io qualsiasi persona al di fuori di me stesso in quel momento, sorrisi massaggiandomi il collo.
«Dì a Regina di farle fare da accompagnatrice, farle pulire i cessi, qualsiasi cosa meno che quello. Se c’è qualcuno che deve prendersi il piacere di averla.. quello sono io.» Mi alzai afferrando una mela, mordendola con gusto.
«Ti piace quella puttana?» Ci fissammo in silenzio qualche secondo.
«Misha impazzirebbe sapendo chi ha preso la verginità di sua sorella.» Scoppiai a ridere e improvvisamente la mela perse interesse, mi pentii di averla lasciata andare quella notte. Avevo voglia di lei, e della sua ingenuità.
«Spero sia davvero questo il motivo.»
«Pensi sia innamorato di lei?» Inarcai un sopracciglio sinceramente incuriosito. «Mi piacerebbe potesse succedere..» mormorai quelle parole tra me e me, non ero capace di provare quel tipo di sentimenti. Non ero Shura, non ero capace di mettere una donna prima di me stesso, o prima della famiglia. Non quando i miei piani erano ormai avviati, quando era ormai questione di tempo prima di ereditare ogni fottuta cosa all’interno della bratva. Una donna? Era ridicolo e per qualche motivo pensai nuovamente a Maria, mi aveva amato così candidamente, c’era stato un attimo – anche piccolo – in cui avevo provato il medesimo sentimento? Morsi la mela dandomi l’amara e ovvia risposta. «Troviamo quella puttana frigida di Nadja, è arrivato il momento di far tremare ancora una volta il piccolo Mikhail, e stavolta definitivamente.»
 
 

Aleksandr POV

 
Feci leva sul metallo cercando di sradicare la mattonella malferma, un sordo ‘’crack’’ annunciò la riuscita della mia impresa; scostai con una mano la polvere dai miei occhi fissando la cassetta di sicurezza sepolta in profondità, il fatto che l’avessi creata mi confermava solo quanto nella mia mente certi meccanismi non si fossero mai del tutto spenti. Digitai il codice segreto aprendola e osservando le armi i documenti falsi e i soldi al suo interno.
«Ho sempre saputo della sua esistenza.» Quella voce fece tremare il mio asse, ancora una volta. Guardai nella sua direzione lasciando cadere con un tonfo assordante il grosso pezzo di ferro che rimbombò nel silenzio.
«E’ solo per qualsiasi evenienza—» non mi fece continuare.
«Non andrà come in passato Aleksandr, non mi terrai fuori da questa storia stavolta. Sono tua moglie, ci sono dentro anch’io.» fissai il suo ventre ancora piatto, al suo interno vi era la seconda cosa buona della mia vita, la prima dormiva nella sua cameretta blu a luci soffuse.
«Irina è sparita, Mikhail non si mette in contatto con me da giorni ormai.» E io sto impazzendo, non lo dissi ma lo capì ugualmente venendomi vicina, mi accucciai contro il suo grembo cercando quella pace che solo Sophia poteva darmi; era ancora la ragazzina ottimista e svampita, ma alcuni aspetti del suo carattere erano maturati, si erano induriti.
«Se vai a Las Vegas adesso morirai, è ciò che vuole Dimitri.» Lo sapevo bene, ero da solo stavolta. Nessuna Anastasia, nessun Igor e niente artiglieria pesante. Ero sicuro non sapesse ancora dove mi nascondevo, ed ero sicuro che il suo piano fosse farmi uscire allo scoperto usando Misha. Il mio Misha. Dove diavolo si era cacciato?
«Se lo uccidessi..» in uno scontro a due ero sicuro di potercela fare, o comunque di portarlo con me all’inferno.
«Dobbiamo chiamare Anastasia, lei è l’unica che può rintracciare Misha; ma soprattutto dobbiamo recuperare Nadja. È in pericolo anche lei.» La sua voce sicura mi fece sorridere insoddisfatto, sollevai il viso accarezzandole la guancia calda e pallida.
«La mia donna è una guerriera.»
«La tua donna non ti permetterà di morire, non in questa vita Aleksandr Petrov.» Non le dissi che temevo di tornare l’Aleksandr Belov che ero sicuro d’aver ucciso su quella nave mercantile.
 
Trovare Anastasia non fu complicato, dopo aver intascato e dieci milioni si era dileguata senza lasciare traccia, ma a meno che non sparisci da questo mondo tutti in un modo o nell’altro possono essere ritrovati. L’avevo scoperto a mie spese in fondo, no? Nastia si trovava a Tenerife, sotto falso nome.
 
— Non ci posso credere..
— Ti conviene darti svariati pizzicotti allora, Nastia.
— Non pensavo ti avrei più risentito.. che diavolo è successo?
— E’ successo che siamo tutti nella merda, compresa te.
— Spiegami..
— Sergej sa, e Dimitri Cernenko ha preso Irina.
 
Bastarono quei due nomi per provocare un terremoto interiore nella mia irreprensibile (ex) segretaria. Lei più di tutti conosceva entrambi gli uomini, aveva sempre provato un terrore viscerale per Dima, se Misha la spaventava il biondo era in grado di gelarle il sangue nelle vene. Sapeva cosa le sarebbe successo se avessero trovato me e dopo lei, non ci sarebbero andati leggeri solo perché donna, anzi. Avrebbe preso il primo volo per New York e da lì avremmo escogitato un piano per trovare Misha.
 
 

Irina POV

 
Osservai l’arredamento sobrio e i tappeti costosi, non so bene cosa mi aspettassi da un bordello a conti fatti non ne avevo mai visto uno nella mia vita. Ma Misha si, lui ne aveva gestito uno per conto della bratva. La saliva mi si incastrò in gola, le gambe tremarono e ripensai al mio patrigno, laddove aveva fallito lui era riuscito Dimitri. Non riuscivo a pensare a quel nome senza che le immagini confuse del nostro bacio mi serrassero in una morsa dolorosa, mi sentivo sporca. Una vera traditrice. Cosa avrebbe pensato mio fratello se avesse scoperto che mi ero fatta abbindolare dall’uomo che esigeva la sua testa? Chiusi gli occhi cercando di non piangere, ero più forte di così o almeno questo era ciò che volevo credere.
«E’ lei?» La voce femminile attirò la mia attenzione, guardai la donna alta e slanciata di fronte a me, l’avevano chiamata ‘’Regina’’, non sapevo se questo fosse un nome reale o fittizio. La sua bellezza mi affascinò, era altera nei lineamenti, quasi intoccabile, con capelli biondi e lunghi, un’età indefinita avrei potuto darle 35 anni e scoprire che ne aveva 28 senza stupirmene.
«La prego mi aiuti..» la mia voce uscì stentata attirando l’attenzione di quelle pietre color dell’oro, mi si avvicinò afferrandomi il mento con due dita e per un attimo nei suoi occhi scorsi un sentimento simile alla pietà.
«Sei molto bella.. molto più di tuo fratello.» Conosceva Misha? I miei occhi sembrarono parlare per me facendola sorridere. «Lavatela con cura e portatela nella sua camera.» Se avevo pensato fosse un’alleata beh.. mi ero sbagliata.
«LA PREGO NO, NON MI FACCIA QUESTO.» Urlai e scalciai senza risultato, venendo trascinata verso le scale finché la sua schiena dritta e fredda non sparì dalla mia visuale.
 
Il fatto che mi avessero lavato delle donne mitigò la paura del mio cuore, seduta su una poltrona fissavo il letto a baldacchino (molto da bordello?) e la stoffa delicata del mio vestito. O avrei dovuto dire sottoveste? Strinsi le dita a pugno serrando le palpebre, mi avrebbero venduta? Magari picchiata e poi abusata? Mi asciugai nervosamente le lacrime quando sentii la serratura scattare, apparve una delle ragazze che aveva avuto l’ingrato compito di lavarmi. Era mulatta, la sua pelle sembrava luccicare, aveva una bellezza che non pensavo potesse appartenere a questo mondo.
«Regina ha detto di dormire, domani sarà una lunga giornata dolcezza.»
«Aspetta..» mi alzai afferrandole di slancio le dita ingioiellate, quanti anni poteva avere? «Dov’è Dimitri?» A quel nome la vidi sorridere sorpresa.
«Oh lui non è venuto.. o avrebbe chiesto di me.» Le lasciai andare la mano come se mi fossi scottata, come poteva sorridere in quel modo a qualcosa di così disgustoso e degradante?
«Sei anche tu sua complice..»
«Oh tesoro.. qui siamo tutte vittime, ma se inizi a fartelo piacere forse avrai una vita meno schifosa di quello che pensi.» Quando la porta si richiuse alla mie spalle non trovai nulla di meglio se non crollare sul pavimento, ero sicura mi avessero dato tregua di proposito per aumentare la mia ansia. E c’erano riusciti magnificamente. Al pensiero dell’incertezza non riuscii a chiudere occhio tutta la notte.
 

 

Nadja POV

 
 
Sorseggiai il cappuccino osservando il cellulare attraverso le lenti da sole scure, Misha era sparito ormai da più di due mesi. Quel figlio di puttana mi aveva quindi accantonata davvero? Il cuore mi si strinse in una morsa dolorosa, così forte da costringermi a serrare le dita all’altezza del petto. Per quanto lo negassi a me stessa la nostra storia non era mai finita, nonostante l’addio che mi aveva vista chiudere la porta dell’appartamento in cui avevamo vissuto, trascinandomi stancamente valigie e dolore, io sapevo che lui sarebbe stato per sempre mio.
Li vidi arrivare in quel preciso momento, riconobbi Yuri e seppi con certezza d’essere un bersaglio mobile; mi avevano trovato? Avevano trovato anche Misha? E Shura? Mi guardai freneticamente attorno alla ricerca di una via di fuga, non c’era tempo per pensare ma solo per agire e fu per questo che afferrata frettolosamente la borsa lasciai la caffetteria a passo svelto. Una mano pesante sulla mia spalla e un semplice saluto in russo, una voce pesante ma sconosciuta; mi voltai con velocità estraendo dalla tasca del cappotto un coltellino con la quale ferii lo sconosciuto. Fu l’unico atto che mi venne permesso prima di sentire un braccio avvolgersi al mio collo e un ago conficcarsi nella mia pelle.
«Quella puttana mi ha ferito.» Furono le ultime parole che sentii prima di sprofondare nell’incoscienza più terrificante della mia esistenza. Misha, dove sei?
 

Misha POV

 
Mi svegliai sudato e ansante, le lenzuola fradice si staccarono a fatica dalla mia schiena. Avevo sentito qualcuno chiamarmi, ne ero assolutamente certo, ma chi? Era la mia Irina? Mi sfregai gli occhi stanchi afferrando il pacchetto di sigarette mezzo vuoto, accendendone una. Avevo fatto perdere le mie tracce una volta uscito dal capannone, l’unico cellulare ancora acceso era quello nella quale Dima avrebbe chiamato. Sia io che quel figlio di puttana sapevamo che sarei accorso immediatamente, aveva nelle sue mani mia sorella e il solo pensiero metteva nelle mie vene fuoco liquido che mi bruciava pezzo dopo pezzo. Non potevo né volevo pensare a ciò che avrebbe potuto farle, il solo pensarlo era per me insostenibile. Ricordai la donna a Minsk, i suoi piedi feriti e la gonna sollevata sopra la testa come a coprire il viso ormai immobile e cadaverico in un ultimo gesto di pudore. Le mutilazioni che vidi mi fecero vomitare accanto al suo cadavere, persino Shura in quell’occasione tremò appena. A farlo era stato Dimitri, l’unica colpa di quella donna? Essere la moglie di un ex membro della fratellanza.
«Ti ucciderò con le mie mani, pezzo di merda…» fissai ancora una volta il cellulare muto, sin troppo. Avrei dovuto chiamare Shura, era la cosa più giusta ma non ci riuscivo. Saperlo al sicuro insieme a Sophia mi permetteva di non uscire fuori di testa del tutto, e cazzo se ero io stesso a dirlo la situazione pensavo fosse grave. Per non parlare di Nadja, da quanto non la sentivo? Forse due mesi, mi mancava. Mi mancavano persino le sue urla isteriche e i suoi rimbrotti da trita cazzo. Sapevo fosse in Texas e lì doveva rimanere, qualsiasi cosa fosse accaduta. Il cellulare vibrò in quel preciso momento, lo afferrai chiudendo gli occhi.
 
— Misha..
 
Quella voce gelò ogni fibra del mio fottutissimo corpo e per la prima volta nella mia vita desiderai davvero mettermi in un angolo e piangere. Prima Irina e adesso Nadja, mi stava mutilando lentamente e dolorosamente. Come la donna a Minsk.

 

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Capitolo 5
*** Till I collapse. ***




 
La luce artificiale di una lampada ferì i miei occhi, mi mossi appena sentendo una fitta di dolore alla schiena rendendomi conto in quel momento d’avere i polsi legati da una corda spessa, ogni minimo movimento sembrava lacerare la mia carne. Mi guardai attorno freneticamente, non era il momento di perdere la calma quello, dovevo riflettere attentamente e trovare il modo di uscirne da sola.
«Pensavo non ti saresti svegliata più, Naden’ka.» quella voce. L’avrei riconosciuta tra mille, baritonale e profonda, la voce di Dimitri Cernenko in persona. Sentii la paura diramarsi in ogni fibra del mio essere, perché tra tutti lui? Avevo il terrore di ciò che avrebbe potuto farmi quella bestia, e lui la percepì a giudicare dal sorriso divertito che mi riservò.
«Vorrei capire perché sono qui.» Giocare d’astuzia era l’unica soluzione, più credibile ero e meno malconcia ne sarei uscita. Mi si accucciò vicino, il suo fiato mi fece rabbrividire costringendomi a scostarmi nauseata ma la presa ferrea sui miei capelli mi strappò un urlo.
«Hai sul serio pensato di poter fottere la famiglia? Hai sul serio dato fiducia a Shura?» Digrignai i denti mentre mille aghi sembravano conficcarsi nel mio cranio, quando mollò la presa sentii per un secondo qualcosa di simile al sollievo.
«Ti stai sbagliando, li ho solo aiutati a fuggire e null’altro.. non li vedo da quel giorno sulla nave mercantile..» lo schiaffo che mi colpì ebbe il potere di zittirmi e mozzarmi il respiro.
«Non mentirmi Nadja, lo sai quanto odio le menzogne.» Ancora uno schiaffo più forte del primo, le mie guance si colorarono di un rosso vermiglio.
«Non ti stanchi mai d’essere il leccapiedi di Sergej? Ha cambiato la targhetta al tuo guinzaglio?» Sentii la sua risata poco prima che mi trascinasse a qualche metro di distanza, la caviglia mi faceva male ma sembrava nulla se paragonata a quella stretta sui miei capelli. Quando vidi la vasca piena d’acqua provai ad opporre resistenza ma fu tutto inutile, affondò il mio viso bloccandomi il respiro e io vidi tutto nero. L’aria non fluiva più nei miei polmoni, sentivo le mani agitarsi e provai a riemergere ma fu solo quando la stretta s’allentò che ci riuscii. Respirai affannosamente stringendo i bordi della vasca.
«Vediamo se così riusciamo a curare la tua bocca bugiarda. Voglio che tu mi dica qualcosa, se lo farai penserò attentamente a non farti troppo male Naden’ka.»
«Non so nulla—» anche in questo caso non ebbi l’agio di finire, ancora una volta il mio viso finì dentro quella vasca, e mi resi conto con sommo disgusto di quanto fosse sozza e lurida quell’acqua. Quando riemersi  provai a contrastare la nausea.
«Voglio una conferma da te, Irina.. è lei che possiede parte dei nostri soldi vero?» Mi bloccai per qualche istante, come diamine faceva a saperlo.
«Non lo so, non sento Misha da anni come devo dirtelo?» Urlai di disperazione e i ceffoni ricominciarono ancora più forti di prima. Quando finì non sentivo più il mio viso, ma solo del formicolio doloroso. Lo guardai accarezzarsi i palmi delle mani, come se dolessero anche a lui. Figlio di puttana. Sputai del sangue misto a saliva.
«Tra qualche istante entrerà Yuri, puoi decidere se farti uccidere da lui o collaborare con me. Vedi, la vita è fatta di scelte dolcezza, devi essere furba per sopravvivere a una vita simile, non lo sai?» Cosa mi stava chiedendo esattamente? Provai a sollevarmi scuotendo il capo, mi sentivo confusa come se miliardi di campanelli suonassero dentro le mie orecchie. «Dimmi come sono stati spartiti i soldi e uscirai da qui con le tue gambe, e un nuovo alleato.. me.» Mi trovavo a un bivio, dovevo afferrare quella mano? Se fossi divenuta sua complice avrei potuto scoprire i suoi piani, avvisare Shura e Misha.. se aveva trovato me così facilmente cosa gli impediva di fare lo stesso col resto?
«Dieci milioni sono andati a Nastia, la segret-» tossii sputando ancora sangue avevo la lingua ferita, il mio respiro adesso pesante. «I sessanta milioni sono stati divisi equamente tra i due, ma Misha ha aiutato anche la sorella.» Chiusi gli occhi facendomi forza, continuavo a ripetermi che era la cosa giusta da fare, da morta non sarei stata utile a nessuno, e adesso avevo qualcosa di importante da proteggere.
«Vedi? Era così facile. Portatela via, ha bisogno di darsi una ripulita.» Mi lasciai andare a mani sconosciute facendomi trascinare fuori da quel tugurio, non avevo la forza fisica e neppure emotiva per fare altro. Sentivo come se il mio mondo fosse appena crollato a pezzi, uguale alla morte di mio padre. Ieri avevo visto la sua bara scendere, oggi sarebbe toccata alla nostra?

 
 

Dimitri POV

 
«Sei impazzito del tutto?» Reclinai il giornale fissando Yuri con espressione placida, scrollando poi le spalle.
«Non credo, quando impazzirò del tutto te ne accorgerai suppongo.» O magari era già successo e nessuno l’aveva notato?
 «Pensi sul serio Nadja sia disposta ad allearsi con te? Alla prima occasione ti ficcherà il bisturi su per il culo.» Mi alzai versandomi da bere, l’alcool scese giù infiammando la mia gola e il mio petto. Mi leccai le labbra sorridendo.
«Il punto è proprio questo, chi colpirà prima chi? Con Nadja e Irina nelle mie mani è solo questione di tempo prima che anche gli altri escano allo scoperto.» Avevo dato un ultimatum a Misha, la sua vita in cambio delle due donne ed ero assolutamente certo che avrebbe accettato. Quando la testa di Misha sarebbe caduta, non avrei avuto alcun bisogno di trovare Aleksandr perché lui stesso sarebbe venuto da me. Quando la metà del suo cuore sarebbe esplosa dolorosamente, l’avrei visto di fronte a me nella sua ultima battaglia suicida. Era lui a farmi saltare i nervi più degli altri, si nascondeva bene e non riuscivo a trovarlo; ero certo avesse cambiato nome e cognome, cancellato completamente la sua esistenza avvisato da quel coglione di Mikhail.
«Anastasia si trovava a Tenerife fino a due giorni fa, ma è sparita senza lasciare traccia.» Inarcai un sopracciglio ingollando un’altra dose di liquore, quindi erano già arrivati a lei? Poco male, un piccolo vantaggio dovevo pur darglielo, no?
«Continua a tenere d’occhio Dasha, sono sicuro abbia qualcosa in mente.» Ed ero anche sicuro che qualsiasi cosa fosse non mi sarebbe piaciuta per niente.
 
*
 
Indah mi venne incontro con quel suo incedere sinuoso, ero da sempre convinto che le balinesi possedessero una bellezza diversa e lei confermava solo le mie teorie. Era finita nel giro della prostituzione dopo un viaggio di piacere negli Stati Uniti, l’uso costante di droga l’aveva messa nella triste posizione di dover vendere il suo corpo. L’avevo trovata così in mezzo alla strada, percependo subito quanto speciale fosse quel fiore piantato per caso sull’asfalto sporco e rovente della metropoli. Si era ormai ripulita dalle droghe, ma uscire dal giro quello era praticamente impossibile. Servizievole e placida, a volte sembrava le piacesse quella vita da puttana di lusso che conduceva, ma il solo guardare in quegli occhi color miele ti faceva sorgere parecchi dubbi.
«Sei venuto per me?» Mi gettò le braccia al collo con un sorriso, la ripagai con un’occhiata apatica scrollandomela di dosso.
«Dov’è Regina?»
«Non c’è, a quanto pare aveva delle commissioni da sbrigare e mi ha lasciato qui a sovrintendere tutto.» Peccato, mi sarebbe piaciuto vedere la mia Maitresse preferita tra tutte, ma non ero comunque lì per lei.
«Non voglio essere disturbato per nessun motivo al mondo.» Mi diressi al piano di sopra percependo quegli occhi a mandorla scavarmi un buco sulla schiena. Ad occhi inesperti sarebbe sembrata semplice gelosia, ma io sapevo che così non era. Le puttane erano più solidali di quanto si potesse mai pensare.
La stanza di Irina era illuminata a giorno, come se temesse di rimanere al buio in quel luogo; osservai il suo corpo steso nel grande letto, a ridosso dell’angolo, dormiente. Mi sedetti sulla poltrona restando a fissarla attentamente, lei era sicuramente la chiave di tutto. Teneva sottoscacco Misha e avrebbe tenuto sottoscacco anche Shura dopo la dipartita del fratello, ero sicuro che in mezzo a quel caos il sicario avrebbe cercato di salvare l’unico legame che gli rimaneva con l’amico di una vita. I miei taciti pensieri sembrarono arrivare fino a lei, si mosse aprendo gli occhi assonnati, quei fottuti occhi azzurri così penetranti che quando mi videro cambiarono quasi sfumatura divenendo ancora più glaciali per la paura. Si ritrasse di scatto mettendosi a sedere.
«Ti trattano bene, principessa?» Mi curvai verso di lei con espressione divertita, per un secondo ebbi quasi l’impressione che fosse felice di vedermi. Nella disperazione probabilmente trovava conforto nel riconoscere un viso. Il peggiore però.
«Dov’è Misha?» Bella domanda, avrei voluto una risposta per lei. Sinceramente.
«Sono reduce da un incontro molto interessante, sai? Qualcuno che ti manda i suoi saluti..» la vidi farsi attenta, poggiare i piedi nudi sul pavimento e fissarmi. «Nadja, è qualcosa come.. tua cognata?»
«Cosa le hai fatto..» la sua voce tremò di lacrime mai del tutto ingoiate, mandai giù il bolo di saliva raddrizzando la schiena.
«Nulla, a differenza tua lei è stata collaborativa. Mi ha detto parecchie cose interessanti..» bugie e verità, mischiarle era da sempre un dono che mi portavo dietro. «Dieci milioni a Nastia, e metà dei soldi di Misha.. a te.» Percepii l’esatto momento in cui il suo cuore si spezzò, forse per quello che reputava un tradimento.
«Sono i soldi che vuoi quindi?» La fissai incuriosito, sembrava pronta a estrarli da un cappello magico.
«E se ti dicessi che voglio te?» Avvampò all’istante, se di rabbia o imbarazzo non avrei saputo dirlo.
«Ti direi che dovresti accontentarti dei soldi, sono l’unica cosa che avrai da me.» Sputò quelle parole con il tipico orgoglio dei Volkov, quante volte l’avevo visto in suo fratello? Si alzò come una furia mettendo una distanza di sicurezza tra me e lei. «Sono bloccati in un conto estero, una parte invece risiedono nell’albergo che possiedo a NYC.. vale circa nove milioni di dollari.»
«E il resto?» Mi alzai lentamente avvicinandomi a lei, non si scostò sollevando il mento.
«Misha ha dilapidato tutto giocando..» non mentiva, quel figlio di puttana inutile aveva sperperato quindici milioni di dollari in puttane e casinò. Dio, l’avrei ucciso con le mie fottutissime mani.
«Vestiti, ti porto a cena fuori.» Le indicai l’armadio di fronte tornando a sedermi sulla poltrona, restò immobile come se non avesse afferrato bene e quando capì che non sarei uscito da lì sembrò perdere colore sul viso. Trattenni una risatina mettendomi comodo mentre l’osservavo denudarsi, aveva la pelle diafana, quasi di porcellana, le curve dolci e non eccessivamente pronunciate. «O potremmo rimanere qui in camera.»
«Cosa..?» Mi fissò terrorizzata, mi resi conto d’aver parlato ad alta voce e sorrisi irriverente scrollando le spalle, poteva biasimarmi?
«Hai due minuti per vestirti, prima che cambi idea..» quella minaccia sembrò metterle l’argento vivo addosso mentre afferrava il primo abito dall’armadio indossandolo alla velocità della luce. Mi beai del poco che ebbi modo di vedere prima di afferrarle il polso e trascinarla fuori da lì.

 
 

Nadja POV

 
Il labbro gonfio e spaccato doleva da morire, lo accarezzai con dita tremanti cercando di ricacciare indietro il groppo in gola. Da quando ero diventata così debole? La risposta mi arrivò come uno schiaffo violento sul viso, ben peggiore di quelli ricevuti da Dimitri. Adesso ero nelle sue mani, e lui nelle mie, sapevo bene non si fidasse di questa alleanza e neppure volevo lo facesse. Il solo pensare di lavorare per lui mi dava la nausea, soffocai un rigurgito con le dita strette a pugno sulla bocca, i lividi sul mio viso mi rendevano quasi irriconoscibile e la mano andò senza volerlo sul ventre appena gonfio. Non ero riuscita neppure a dirgli che presto sarebbe diventato padre. Mi accasciai sul letto in posizione fetale, dovevo proteggere quella creatura a costo della mia stessa vita.
 
 

Irina POV
 

Il club brillava di sfarzo e puzzava di corruzione, avevo orecchie attente a captare ogni cosa. Da quando eravamo lì pochi erano i visi che non avevo riconosciuto, politici, lobbisti, gente che contava; capii che Dimitri aveva le mani in pasta su tante cose, il suo potere non era da sottovalutare. Se ai tempi Shura possedeva l’indiscussa fiducia di Sergej, Dimitri deteneva qualcosa di ben più importante: l’eredità. In quei giorni da puttana reclusa avevo ascoltato Regina e Indah (soprattutto lei), scoprendo così che Felix Cernenko altri non era che il socio ormai morto del Vor e come tale il figlio avrebbe dovuto spartire ogni cosa con un tale Nikolai, non avevo ancora avuto il dispiacere di conoscerlo però. Quel posto non era altro che una semplice copertura per i loro traffici, sembrava qualcosa simile a un ritrovo un luogo dove incontrarsi e decidere il bello e il cattivo tempo di noi comuni mortali. Fissai Dimitri sorseggiare dello champagne, il mio sostava ancora intatto tra le mie mani, guardai il movimento della sua gola ogni volta che il liquido vi scendeva e rabbrividii. Non capivo perché mi sentissi così attratta da quel mostro, forse gli schiaffi ricevuti avevano leso parte del mio cervello? Eppure nonostante tutto ero intenzionata a non dimenticare cosa volesse fare delle nostre vite, avevo un debito immenso nei confronti di Shura e l’avrei ripagato in un modo o nell’altro, qualsiasi fosse il prezzo da pagare. Bevvi avidamente e i nostri occhi si incrociarono legandosi indissolubilmente.
«Ti piace questo posto?» Uscimmo sul terrazzo, la brezza fresca agitò i miei capelli.
«Perché mi hai portato qui?»
«Un po’ d’aria fresca ho pensato ti avrebbe fatto bene.» Recitare la parte del magnanimo sembrava decisamente nelle sue corde. I suoi occhi sembravano spogliarmi d’ogni veste, compresa la mia misera pelle rimescolandomi da dentro, strinsi lo stelo del bicchiere con forza.
«Non avrai ciò che vuoi.» Con mia sorpresa ascoltai il rumore della sua risata che si perse nell’aria.
«E cos’è che voglio secondo te?» Per un attimo mi sentii insicura, cos’è che voleva effettivamente? Il velo sui miei occhi sembrò calare per un attimo.
«Me, non l’hai forse detto tu?» Sembrò soddisfatto della risposta mentre azzerava le distanze tra noi accarezzandomi la guancia fredda con le dita bollenti, ero sicura m’avesse marchiato a fuoco proprio in quel momento. Percepii l’esatto momento in cui il suo desiderio s’infiammò e le mie resistenze si distrussero annullando le distanze tra le nostre labbra. Non aveva un modo comune di baciare, era come se si nutrisse letteralmente della mia vita, rendendo le mie gambe cedevoli e costringendomi ad aggrapparmi a lui. Persa in quella spirale di follia aprii gli occhi un secondo: ripagherò il mio debito Shura, te lo prometto.
 
Mi augurai mi sentisse ovunque fosse.
 
 

Aleksandr POV

 
In un’altra circostanza avrei accolto Anastasia con più gioia di quella dimostrata al nostro incontro al porto, l’abbracciai dandole una pacca sulla schiena e lo stesso fece Sophia accanto a me. A quanto pare avevano cercato pure lei, e questo faceva suonare dentro la mia testa non uno ma ben mille campanelli d’allarme, il fatto che Nadja fosse sparita dal Texas era un presagio funesto sotto ogni punto di vista. Ero sicuro che fosse stata presa anche lei, dovevo averne solo la certezza, capire in che modo Dimitri avesse posizionato le pedine nella scacchiera e muovermi di conseguenza. Per farlo avevo bisogno della donna accanto a me, le presi le valigie ma il cellulare mi distrasse. Fissai lo schermo senza riconoscere il numero.
 
— Aleksandr Belov.
— Aleksandr Belov è morto anni fa.
— Beh, ti conviene riesumarlo dalla tomba se vuoi avere qualche speranza, ma soprattutto un’alleata.
— Chi è che lo cerca?
— Daria Iglenko, o dovrei dire Dasha?
 

 

Dimitri POV

 
Mia madre si chiamava Anna.
Era bionda, bella, con una dolcezza atipica per una donna russa. Amava me e amava mio padre, mia madre amava un po' tutti gli uomini a dirla tutta; non riusciva a farne a meno, adorava essere desiderata e cercata, le sue cosce si aprirono spesso e volentieri a piaceri proibiti, a piaceri che non venivano donati da mio padre. Eppure era una brava madre, mi faceva i Pirozhki per chiedere scusa se pensava di aver fatto arrabbiare ''l'amore della sua vita'', il suo ''biondino'', mi chiamava così. Mi offriva la vodka e la bevevamo insieme nelle notti d'estate, tra canti e risate. Alle volte mi guardava attentamente e diceva: I tuoi occhi non sono simili a me, non sono simili a quelli di Felix.. alle volte penso tu sia nato per scelta tua. Era divertente ascoltarla.
Morì di AIDS, mio padre le strinse la mano fino all'ultimo istante, le sue avventure e quelle della donna furono cancellate come d'incanto di fronte alla morte.
Mio padre come ho già detto si chiamava Felix.
Biondo, prestante, credo di aver preso da lui la stazza che mi ritrovo. Non era il tipo da effusioni, e neppure io, non portava armi in casa, non portava droga, niente di niente. Era un uomo tutto d'un pezzo, ma troppo attento alla riservatezza e all'onore, lui era più il tipo che rinunciava al potere pubblico in favore di qualcosa di più nascosto. Insieme a Sergej fondò la bratva, la persero e la ripresero con gli interessi anni dopo. Chiunque scopra ciò che faccio pensa sia colpa sua se oggi sono così, pensano io sia stato ''deviato'' da questa vita oscena. Mio padre si aspettava la mia entrata nella fratellanza dopo i diciotto anni, il mio spirito mi ci portò a 14 appena compiuti. C'è qualcosa che ho capito da molto tempo: quando mia madre esalò l'ultimo respiro, quando lo fece anche mio padre in quell'agguato, allora mi fu chiaro. Non c'era colpa, l'utero di mia madre era stato fecondato dal seme di mio padre dando vita a qualcosa di concreto che aveva vita propria.
Sono nato così. Questo sono io.

 
L'aria era satura, ad ogni respiro zaffate di sangue, fluidi corporei e morte entravano dentro le mie narici. Mossi lentamente qualche passo piazzandomi a pochi metri dall’uomo incatenato. Misha respirava rumorosamente, in ginocchio e con i polsi legati sopra la testa, sembrava il ritratto della remissione più totale ma sapevo bene che non era reale ciò che l'occhio comune poteva vedere. Il piede scattò senza preavviso dritto contro la faccia del mio ormai ex compagno che sputò sangue e quello che mi parse un pezzo di dente; i nostri sguardi si incrociarono per qualche secondo, rividi come in un distinto attimo frammezato quelli della sorella ma questo per sua sfortuna non sarebbe bastato a fermarmi. Ormai era mio.
 

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Capitolo 6
*** So I bare my skin and I count my sins ***






 
«Sei un bravo ometto Mickhail, non hai sentito la mia mancanza in questi due giorni?» Due fottuti giorni, sul serio? Mi sembrava fossi chiuso lì dentro da decenni, pensavo che riguardandomi allo specchio avrei visto le rughe sul mio viso, i capelli bianchi e i denti (se mai me ne avesse lasciati in bocca) ormai marci e caduti. Invece erano solo 48 ore quelle passate lì dentro. Mi ero consegnato di mia iniziativa dopo aver saputo della cattura di Nadja, cercavo in ogni modo di arginare i danni anche a costo della mia schifosa esistenza. Sentivo la voce di Shura rimbombarmi nelle orecchie, tra le pareti del cuore ferito ‘’hai commesso un errore di giudizio come sempre, Misha’’, cristo non ricordavo quasi più la sua voce, era storpiata quasi grottesca forse perché alla sua si accavallava quella di Dima.
«Da morire.. letteralmente.» Quantomeno non perdevo il mio senso dell’umorismo, la sua risata inacidì le mie vene, se solo non avessi avuto quelle catene ai polsi lo avrei scuoiato vivo ascoltandone le urla.  
«Adesso che so dove sono i soldi, penso dovrei ucciderti velocemente.» Lo guardai afferrare dei cavi elettrici, sapeva dove stavano i soldi? Supponevo Irina avesse parlato, come biasimarla d’altra parte? «Persino Nadja ha capito da quale parte schierarsi, le sono bastati due schiaffi..» provai a rompere le catene ai polsi, stavano legate direttamente alla parete dietro di me, quella mia esplosione di rabbia sembrò solo appagare il sadismo nella quale sguazzava.
«Lascia andare Irina e Nadja, figlio di puttana.» Sputai nella sua direzione osservandolo fissarmi senza scomporsi.
«E se ti dicessi che vogliono restare loro insieme a me?» I cavi vennero collegati, bagnò il mio petto con dell’acqua prima di accendere l’interruttore. La scossa che mi investì mi mozzò il fiato, non ebbi nemmeno la forza di urlare in un primo momento raggrinzendomi su me stesso. Non ero mai stato un credente convinto, non come Aleksandr almeno eppure in quel momento desiderai con tutto me stesso quello che la gente chiama: miracolo. Ma i miracoli si sa vengono chiamati tali perché non succedono quasi mai, o che cazzo esisterebbero a fare? E perché mai Dio avrebbe dovuto aiutare me? L’aveva già fatto una volta, sul pontile di una nave, mentre sorreggevo una pistola puntandola contro mi fratello. Dovevo essere ingordo e richiederne un secondo?
«Sai cosa mi urta veramente? Dover stare qui con te, piuttosto che altrove. Sono da sempre abituato a criminali di un certo tipo, non a spazzatura simile.» Beh, non faticavo a crederci, il grande Dimitri Cernenko, il fottuto erede della bratva bazzicava solo ai piani alti.
«Vorresti qualcun altro al posto mio?» Sorrisi leccandomi il labbro, sentendo il sapore ferroso del sangue inondarmi il palato.
«Quella puttana di tua madre.. o Shura.» Si accucciò accanto a me, nei suoi occhi non albergava la minima traccia di vita. «Lui è decisamente migliore, ha sempre avuto del merdoso stile non trovi? Ha dilapidato un intero conto della bratva, e lo ha pure diviso con un parassita della tua specie.» Respirai profondamente restando in silenzio, immaginavo dove volesse andare a parare con quel discorso anche se non mi sentivo di dargli torto. Voleva sentirmi urlare, ma non l’avrei fatto, sarei morto in silenzio e allo stesso modo avrei sofferto.
«Shura avrebbe fottuto pure il trono su cui vuoi fare accomodare il tuo bel culo, se lo avesse voluto.. non dovresti ringraziarlo?» La testata che mi arrivò tre secondi dopo mi strappò un gemito soffocato, sputai a terra osservando i grumi di sangue.
«Invece di delirare, perché non mi dici dove sta? Ti risparmieresti la morte dolorosa che ti ho preparato.» Interessante ricatto, dovevo ammetterlo. Conoscendolo ero già preparato a essere spellato vivo, o fatto a pezzi in maniera tale da rimanere vigile fino all’ultimo. L’idea della morte non mi spaventava come avevo sempre pensato, quella del dolore forse.. tornai in me e il mio sguardo ridivenne attento, curvai le labbra all’insù arricciando il naso in un’espressione irriverente (ammesso ne fossi in grado visto che temevo d’avere la faccia paralizzata a causa dei lividi).
«Marcirò all’inferno, è da sempre il mio posto preferito.» Dimitri annuì alzandosi, scrollando la polvere dalle mani. Vidi Yuri davanti la porta, quello spiraglio di luce mi fece più male delle percosse, avevo la libertà a pochi metri e non potevo neppure usufruirne.
«Chiudilo qui dentro coi ratti, si divertiranno loro con lui..» chiusi gli occhi trattenendo un’imprecazione e svariate bestemmie (sia mai dio avesse deciso di aiutarmi davvero e s’offendesse sul più bello). «Sai qual è il vero peccato Misha? Domani avrai la morte che tanto hai sempre desiderato.. e non vedrai mai la nascita di tuo figlio.» E Dimitri ottenne ciò che voleva, le mie urla rimbombarono nel palazzo vuoto e più su fino al Dio che m’aveva abbandonato.
 
 

Aleksandr POV

 
Misha era nelle loro mani. Quella notizia bastò a scombussolare il mio intero asse, osservai le mie mani attentamente.. non tremavano. Sui palmi portavo ancora i calli dovuti all’uso della pistola, neppure i due anni a Perm, fissando quello specchio incrostato, erano bastati a cancellare chi ero. Lo portavo dentro, ogni traccia di me diceva chi ero stato. Il mio modo di muovermi, sempre furtivo, il mio andare al poligono due volte a settimana, i miei tatuaggi e le mie mani. Fissai ancora una volta l’angolo sinistro del pavimento, cosa mi tratteneva? Forse la consapevolezza che riprendendo un’arma in mano sarei ripiombato nelle vecchie abitudini. Ero un marito adesso, un padre.. ma ero anche un fratello, anzi ero soprattutto quello. Non potevo dimenticare, non potevo esimermi, mi alzai con impeto andando verso l’angolo ma il telefonino tornò a suonare, fissai il numero che adesso conoscevo rispondendo al secondo squillo.
 
— So dove hanno portato Misha.
— Pensi di riuscire a tirarlo fuori?
— Ho i miei metodi si..
— Cos’è che vuoi in cambio, Dasha?
— Pensi voglia qualcosa?
— Nessuno fa niente per niente, soprattutto la puttana del Vor.
— A tempo debito, Shura.

 
La linea si interruppe e io rimasi a fissare il cellulare adesso muto, che avrebbe potuto chiedere l’amante di Sergej? Era evidente lo stesse tradendo, così com’era evidente che volesse fottere Dima, ma io in che modo potevo esserle d’aiuto? Mi veniva in mente solo una cosa: informazioni. Ero stato per anni dentro quella famiglia, nulla mi era precluso, talmente tanto da essere riuscito a risalire ai loro conti. La porta cigolò distraendomi, Sophia entrò e io mi focalizzai sul suo ventre appena accennato, il materasso si piegò appena sotto il suo peso e la sua mano coprì la mia.
«Pensi che riuscirà a salvare Misha?» La sua voce tremava, sapevo che era prossima al pianto non faceva altro ormai da due giorni. La notte quando pensava io dormissi, sgattaiolava in bagno e lì si chiudeva sfogando il suo dolore.
«Pensi non ci riuscirà?» La guardai accarezzandole la guancia, era pallida più del solito.
«A volte penso tu sia l’unico a poterci riuscire.. ma so che se ti esponi non avremo più alcun vantaggio su Dimitri o su Sergej.» Erano le mie stesse paure quelle, entrare in azione equivaleva a mettermi allo scoperto, e mettermi allo scoperto equivaleva a giocare l’unica carta che avevamo. Il loro non sapere dove fossimo era l’unica arma nelle nostre mani, potevo darla via così facilmente? Il viso di Misha simile ad artigli affilati mi strinse il petto. Avrei dato via ben altro per salvarlo, lo sapevo sin troppo bene.
 

Dimitri POV.

 
 
Quando entrai nel mio ufficio percepii subito qualcosa di diverso, per un maniaco dell’ordine come me persino un sopramobile spostato equivaleva a un’intera stanza nel caos. I miei occhi si fecero attenti, cercavo la nota stonata come un pazzo cerca le medicine in mezzo a un mucchio di merda. Yuri mi venne alle spalle senza preavviso.
«Che diavolo fai lì impalato?» Lo afferrai per la maglia strattonandolo fin dentro la camera.
«Qualcuno è stato qui, adesso mi domando.. dove stavano le fottute guardie?» Guardò il mio sorriso, mi conosceva abbastanza bene da sapere quanto questo non preannunciasse nulla di buono. La mia euforia per l’imminente assassinio di Misha era stata spazzata completamente via.
«Io non vedo un cazzo..» mi sfregai gli occhi sbuffando spazientito, sedendomi sulla poltrona girevole.
«Questa è la sostanziale differenza tra noi, ed è sempre per questo che io comando e tu no.»
«Ah, pensavo fosse perché tuo padre era socio di Sergej.» Sorrisi fintamente divertito, adoravo quella sua crudele ironia seriamente.
«Visiona le telecamere, e fallo immediatamente.»
Due ore dopo scoprii perché nessuno aveva notato intrusi nel mio ufficio: l’unica persona ad averci messo piede era Dasha. Osservai i filmati con attenzione, guardava dentro i cassetti e in alcune cartelle, cosa cercava? Probabilmente se lo stava chiedendo anche Yuri al mio fianco senza trovare una risposta.
«Cosa pensi voglia? A parte rompere il cazzo come suo solito.» Quella era un’ipotesi non trascurabile, dovevo ammetterlo. Daria Iglenko a volte faceva cose per il puro gusto di irritarti, ma non stavolta.
«Sta guardando i registri contabili, è evidente cerchi qualcosa di specifico.. probabilmente i conti con le affiliazioni terroristiche.» Era sempre stata ossessionata da quel traffico, la sua natura votata al caos non riusciva a resistere di fronte a certe cose.
«Benissimo, adesso non abbiamo solo a che fare con una puttana pazza.. ma con una puttana pazza e pure bombarola.» Risi di gusto asciugandomi l’angolo dell’occhio, schioccando la lingua contro il palato.
«Oh si, le piace proprio far saltare le cose in aria.. ma stavolta salterà in aria pure lei, posso assicurartelo.» La porta si spalancò con un boato, Slonko aveva tutta l’aria d’aver visto un cadavere.
«Misha.. è scappato.» Avevo ragione, aveva appena visto un cadavere fuggire.
 
«Se non trovate Misha entro 24 ore, la cattedrale rossa avrà delle belle teste appese entro il prossimo tramonto.» Ero sicuro come lo ero di star sorseggiando il mio brandy preferito, che dietro a quella fuga ci fosse quella puttana di Dasha, avevo solo bisogno di prove inequivocabili per mandarla dal boia. Ovvero me. Perché lo avevo giurato, a ucciderla sarei stato solo e soltanto io. L’oggetto dei miei pensieri si materializzò davanti a me, vestita di bellezza e di un vestito che non serviva nemmeno a coprire il culo. Restai in silenzio facendo cenno a Yuri di uscire, guardandola accomodarsi di fronte a me.
«Ti stai divertendo, dolcezza?» Mi chinai verso di lei poggiandole una mano sul ginocchio, i suoi occhi azzurri sembrarono incenerirmela solo con lo sguardo.
«Da morire..» le labbra scarlatte si curvarono in un sorriso, avrei voluto dirle che, come per Misha, quell’espressione usata la trovavo molto azzeccata al momento.
«Ti stai infilando in giochi più grandi di te, e non riesci a rendertene conto Dasha.» Il mio ammonimento bonario non sembrò scalfirla, era tipico dei folli non fiutare il pericolo laddove l’avevano praticamente sotto al naso.
«Ti garantisco che prima della fine di questo glorioso anno, la bratva sarà mia.» La mia mano scattò veloce stringendosi sul suo collo, la vidi sbarrare gli occhi e conficcarmi le unghie nella carne dolorosamente. Non feci una piega avvicinandomi col viso al suo, stringendo lentamente la presa.
«Dove sta Misha?» Una semplice domanda, ma della quale esigevo la risposta. Risposta che non arrivò, a meno che la risata soffocata che mise su non si potesse considerare tale.
«Vai a farti fottere.» Strinsi ancora di più la presa lasciandola andare con uno strattone, non volevo ucciderla così. Soffocarla sarebbe stato banale, oltre che poco doloroso. No, Dasha meritava una morte in grande stile, e io stavo già preparando le sue doverose condoglianze.
«Dovresti frequentare gente più raccomandabile, sai?»
«Parli di te o?» Mi girai di spalle alzandomi per dirigermi verso la grande finestra, le mani nelle tasche e la schiena contratta.
«O no, parlo di Shura.» Il silenzio mi accolse, lo scacco matto che le avevo appena mosso non sarebbe passato in sordina, lo sapevo. Aveva appena avuto la certezza d’essere sorvegliata, avrebbe provato a muoversi d’anticipo ma era ormai tardi: sapevo che teneva contatti con Aleksandr Belov, trovarlo era solo questione di tempo. Bastava avere pazienza, e per fortuna quella non mi era mai mancata.
 
 

Irina POV

 
 
Regina entrò in camera mia con passo risoluto, la sua faccia sembrava scolpita nella pietra mentre mi annunciava che quella sera io e altre ragazze avremmo fatto da ‘’accompagnatrici’’ a un gruppo di uomini facoltosi, probabilmente politici o perché no anche criminali visto chi gestiva quel posto. Mi accasciai sul letto stringendo le lenzuola tra le dita, mi trovavo in quella fase della mia vita nella quale non sapevo dove o come muovermi, ben peggiore di quando scappai dal mio patrigno senza lasciare traccia. Non sapevo stavolta chi mi avrebbe accolta al mio ritorno, non sapevo a quale porta bussare, mi sentivo nuovamente naufraga di me stessa. E tra tutte le mie paure a torreggiare, bello come la dannazione, vi era il viso di Dimitri. Ricordavo il nostro bacio su quel terrazzo, la reazione del mio corpo, quanto tempo era passato? Solo poche settimane in realtà, eppure a me sembrava un’eternità. E adesso eccomi lì, a mettere nuovamente in gioco la mia identità e integrità, c’era lui dietro a tutto questo? Probabilmente si, forse il suo era un semplice giochetto psicologico per farmi capire quale fosse il male minore: concedermi ad un’unica persona o essere il giocattolino di tanti. Coprii il viso con le mani che tremavano stendendomi, anzi raggomitolandomi su me stessa, non dovevo perdere la calma perché lì fuori c’era ancora Shura con Misha.. il mio Misha. Come stava? Nonostante quella notte avesse scelto il fratello di una vita a me non gli serbavo rancore, la mia paura per lui surclassava qualsiasi altro sentimento dentro di me rendendomi incapace di provare altro. Mi ci volle più di un’ora per prepararmi, le mie dita tremanti non sembravano obbedire ai miei comandi.
 
Eravamo in quattro, fissavo le altre tre ragazze con occhi stralunati, sembravano non provare la minima vergogna per quello che facevano. O forse le avevano talmente svuotate con la violenza da renderle simili a dei robot? Mi sarei ridotta anch’io in quello stato? Continuavo a sentire sempre gli stessi occhi su di me, erano di un uomo sulla trentina dall’espressione dismessa e cauta, beveva e beveva guardandomi attraverso l’orlo del bicchiere. Il mio vestitino mi sembrava improvvisamente più corto e trasparente di quanto non fosse. Regina mi aveva assicurato che non avrei dormito con nessuno di loro, quando la ringraziai mi aveva semplicemente sorriso tristemente accarezzandomi una ciocca di capelli. Non sapevo se ero stata graziata per volontà sua o per quella di Dimitri, il pensiero che lui non mi volesse con altri uomini mi faceva sentire strana, come un intenso pizzicore all’altezza dell’addome seguito da calore inspiegabile al viso. Avevo preso consapevolezza di ciò che provavo, un’attrazione mischiata alla repulsione e non per lui ma per me stessa. La me stessa che sentiva l’impellente bisogno di rispondere ai suoi baci e che allo stesso tempo sapeva di star tradendo tutte le persone che mi avevano amata davvero in quella vita. Probabilmente quei baci facevano parte del piano di Dima per distruggere mio fratello, mi stava usando per i suoi giochi sadici e io glielo permettevo, dio quanto ero patetica. Una mano sulla coscia mi fece trasalire, mi scansai fissando l’uomo di poco prima, quando diamine si era avvicinato? Provò ad approcciarsi ancora, e io tolsi le sue dita dal mio ginocchio con un sorriso contratto. Non riuscivo a fare la carina come mi avevano chiesto, sapevo che la mia prima volta con qualsiasi dei clienti sarebbe stato un vero e proprio stupro e la sola idea mi atterriva peggio di qualsiasi punizione fisica. Mi alzai di scatto uscendo da quella stanza, era meglio mi schiarissi le idee prima di tornare dentro; mi diressi al bagno dove restai aggrappata al lavandino fissando il mio viso truccato, non ero abituata a mettere nulla forse per questo il mio riflesso mi appariva così diverso. Sembravo più adulta, più consapevole, i miei occhi di quello strano azzurro apparivano più maliziosi, ma io non ero così. Mi pulii le labbra col dorso della mano, il rossetto si tolse sbavandosi sulla guancia e io sentii il bisogno di piangere, volevo mio fratello lì ad abbracciarmi e regalarmi un altro orso gigante, non mi importava se avesse parlato ancora una volta di Shura come quella sera di anni prima, purché mi guardasse e sorridesse ancora con quel calore e quella stramba timidezza.
Uscii barcollando appena dopo essermi data una ripulita, lo vidi solo all’ultimo e per poco non caddi, mi stava aspettando davanti la porta della camera dalla quale sentivo ancora gli schiamazzi, mi sorrise e io rabbrividii.
«Lì dentro c’è troppo casino, perché non andiamo sopra?» Indicò il primo piano dell’edificio, laddove evidentemente anche lui sapeva ci fossero le camere da letto. Sorrisi provando a superarlo ma me lo impedì afferrandomi per il polso.
«Mi lasci, per favore.» Cercai di divincolarmi senza molto successo, i suoi occhi prima così dismessi adesso sembravano alterati da rabbia e ferocia, evidentemente non gli piaceva essere rifiutato.
«Sei una puttana e come tale devi fare ciò che ti dico io.»
«Sono una puttana non una schiava.» Mi arrivò un ceffone violento sul viso che scattò di lato, sentivo la guancia in fiamme mentre tornavo a guardarlo incredula. Non mi diede il tempo di reagire avventandosi contro di me, non capivo se volesse picchiarmi o molestarmi, ma quando sentii le sue mani sotto il vestitino mi fu abbastanza chiaro. Mi divincolai cercando di fuggire senza successo, urlando affinché qualcuno mi aiutasse.
«Adesso urli, ma dopo ti piacerà. » Mi venne da vomitare a quelle parole mentre lo graffiavo alla cieca beccandomi solo l’ennesimo schiaffo finché un rumore assordante e un tonfo non mi resero libera. Aprii gli occhi fissando la folla di ragazze che s’era formata, a capo del gruppo Regina con una bottiglia spaccata tra le mani sporca di sangue.
«Dio, questi uomini mi esasperano.» La sua voce annoiata mal si accordava con l’arma scheggiata che teneva ancora tra le dita, sentivo il mio cuore prossimo ad esplodere mentre con le gambe malferme mi aggrappavo a lei. «Non c’è nulla da guardare, Indah chiama i ragazzi e fallo sbattere fuori.. e voi tornate a lavorare.» Le ragazze obbedienti si dispersero e io venni condotta nel salotto poco distante, mi accomodai sulla poltrona ma i brividi squassanti che mi attanagliavano mi impedivano anche solo di pronunciare un semplice ‘’grazie’’. Regina mi porse un bicchiere di liquore invitandomi a berlo, e dopo tre sorsate il calore mi permise di accasciarmi.
«Grazie.. ero così spaventata, io..» la vidi scuotere la testa come a fermarmi, bevendo con eleganza.
«Dimitri mi avrebbe scuoiata viva se ti fosse successo qualcosa.» Mi feci d’improvviso attenta al suono di quel nome raddrizzandomi sulla poltrona.
«Pensavo.. pensavo che volesse proprio questo.» Non voleva forse farmi brutalmente sodomizzare per far soffrire Misha?
«Oh dolcezza, non hai ancora capito? E’ Dima che detta le leggi..» no effettivamente non capivo, più che altro non comprendevo dove volesse andare a parare e forse la mia espressione interdetta parlò per me. La vidi fissarmi con commiserazione. «Non so se fosse peggio l’idea di volerti dare in pasto a tanti, o questa..»
«Questa?»
«L’idea di darti in pasto a lui.»

 
 

Dimitri POV

 
 
Era iniziata come un gioco sadico verso Misha, e probabilmente lo era ancora, ma dentro s’era insinuato quel sottile piacere nel vederla e nell’averla tra le mie braccia. Da quanto non la vedevo? Non ero il tipo da tenere il conto, né da struggermi nella sua assenza, ma quando la vidi scendere le scale mi gratificai di quella visione lamentandomi di non essere venuto prima. Molto prima.
Indossava un vestito a fiori su sfondo bianco dal corpetto aderente, la gonna scendeva più larga arrivando sopra il ginocchio, scoprendole le gambe perfette e affusolate. Neppure Indah con la sua bellezza esotica poteva competerle, di questo ne ero sicuro.
«Hai sentito la mia mancanza?»
«Si.» La fissai attentamente, o era un’ottima bugiarda o stava dicendo la verità, cosa mi sarei dovuto augurare? Non mi ci soffermai troppo limitandomi a prenderle la mano e portarla via dalla triste dimora che avevo scelto come sua nuova casa. Regina mi aveva raccontato del piccolo ‘’inconveniente’’ accaduto qualche sera prima, e io mi ero assicurato che l’uomo in questione non potesse gioire più di nessuna donna, non solo di Irina.
«Hai trovato mio fratello?» Sorrisi divertito sorseggiando il vino, non sapeva neppure lontanamente quanto quella domanda apparisse ironica in quel preciso momento. La caccia a Misha si era aperta ufficialmente tre giorni prima, avevo persino scovato uno dei ragazzi che aveva aiutato Dasha in quel piano di fuga, restava solo da capire come farlo parlare e io sapevo che pure Yuri teneva metodi molto persuasivi.
«Vuoi sul serio parlare di Misha, Irina?» Reclinai il viso osservandole le labbra imbronciate e non truccate, mi rendevo conto di quanto il fratello fosse effettivamente un muro tra di noi. Ciò di cui non mi rendevo conto era quanto e cosa volessi da lei veramente, i miei pensieri apparivano abbastanza ottenebrati al momento. Notai le sue dita esitanti sporgersi verso la mia giacca, togliendomi un qualcosa che non mi premurai neppure d’osservare mentre le mie dita scattavano leste sul suo polso che strattonai con forza facendo collidere i nostri visi. La fissai intensamente per una manciata di secondi prima di seguire l’istinto e appropriarmi della sua bocca che con un sospiro si schiuse al mio assalto dandomi completo potere. Il potere di invaderla con la mia lingua e scoprire la sua, sentendo quella strana elettricità formarsi ancora una volta tra di noi, era chiaro desiderio sessuale quello che sentivo scorrere tra i nostri corpi, mi voleva tanto quanto io volevo lei, per quante scuse potesse accampare sapevamo che era solo questione di tempo. Il cellulare squillò proprio in quel momento interrompendoci, riposi senza staccarle gli occhi di dosso, aveva il fiatone e le labbra arrossate e gonfie, un piacere per ogni mio senso. Ma più di quello un altro piacere si insinuò in me quando la voce dall’altro capo pronunciò una semplice frase, due semplici parole: l’abbiamo trovato.
 

Oh mia bella Irina, i mostri non sono mai stati sotto al mio letto né dentro il mio armadio. Dicevano fossero nella mia testa, lo pensi anche tu? Pensi io debba esserne spaventato? Terrorizzato, magari. Ma vedi, non temo nulla, perché nulla v’è da temere. E sai perché? Perché il vero mostro sono io e forse tu un po’ lo sai.
Mi perdonerai mai?

 

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Capitolo 7
*** Soon, I'd be home again. Soon, God willing, I'd be asleep. ***






 
Misha era stato nuovamente individuato, a cantare uno degli uomini di Dasha perché come sostenevo da una vita: tutti avevano un prezzo. Più delle percosse e delle torture erano i soldi a convincere la gente. I miei piani erano adesso cambiati mentre monitoravo ogni movimento del mio fuggiasco preferito, stando agli ultimi aggiornamenti non poteva muoversi ancora autonomamente il che lo rendeva a tutti gli effetti un topolino indifeso. La porta sia aprì e Vania, uno dei miei uomini, comparve con la sua peggiore espressione a rovinare l’idillio di quella giornata. Quando uno di loro bussava restando impalato a fissarmi solitamente le notizie non preannunciavano nulla di buono.
«Se sei venuto a dirmi che Misha è fuggito di nuovo..» attaccai con un sospiro alzandomi dalla sedia, ma la sua espressione mi bloccò a metà.
«Dima..» gli occhi evasivi iniziarono a far ribollire in me la rabbia, odiavo la gente che tergiversava inutilmente.
«Cosa. Dima, cosa? E’ morto qualcuno? Fammi mandare dei fottuti fiori, ma parla ADESSO.» Vania occupò il mio intero campo visivo oscurando la porta, avevo come l’impressione che tendesse a tenersela vicina per fuggire.
«Si tratta della partita di droga che è arrivata questa notte..» non mi pronunciai aspettando che continuasse, nonostante dentro di me albergassero già svariati campanelli d’allarme. «Il container è esploso.» Ci fissammo in silenzio mentre assimilavo quella notizia, non si trattava della droga andata persa ma dei soldi che questa rappresentava (circa cinquantamilioni di dollari netti) oltre che il mio personale fallimento.
«Esploso? Mi stai dicendo che un fottuto container è esploso così a caso nella notte?» La mia voce divenne tesa, Vania arretrò di qualche passo ma non gli diedi l’agio di continuare piombando su di lui pochi secondi dopo. Lo afferrai per il collo scaraventandolo contro il tavolino in vetro che si frantumò sotto il suo peso. «CINQUANTAMILIONI VANIA, COME PENSI DI COMPENSARLI? NEPPURE UN TUO MERDOSO RENE BASTEREBBE.» Calciai il suo fianco sperando di farglielo sputare quel fottuto rene osservandolo accasciarsi e provare a rialzarsi. La mia rabbia implacabile non glielo permise, la punta della scarpa colpì il viso e il naso schizzò sangue.
«DIMITRI.» La voce di Yuri non mi fermò mentre afferravo il bicchiere in cristallo che ruppi contro il muro, le schegge tra le mie dita le avrei conficcate direttamente nella sua scatola cranica. Vania si sarebbe dovuto occupare del carico, ma il lavoro era mio ergo era un mio personale fallimento da dover scontare con Sergej. Non era la paura a dominare la mia rabbia, ma lo smacco di quella disfatta. Io ero Dimitri Cernenko, e non fallivo mai. Mi sentii afferrare il polso e ringhiai strattonandolo. «Lascialo andare, non è colpa sua, vuoi uccidere lui o il colpevole?» A quelle parole mi bloccai respirando profondamente, quando mollò la presa sul mio polso sferrai un ultimo calcio sull’addome di Vania allontanandomi verso la grande vetrata.
«Voglio sapere chi è stato e lo voglio sapere adesso.» Fissavo i grattacieli di Las Vegas senza vederli, era come se una patina si fosse intromessa tra i miei occhi e il panorama diurno.
«Hanno visto una donna allontanarsi dal molo..» aggrottai la fronte versandomi da bere in silenzio. «Una donna dai capelli rossi, Dima.» Sorrisi senza gioia bevendo un sorso di brandy prima di lanciare il bicchiere contro la vetrata. Quella puttana di Dasha, ancora lei, sempre e solo lei.
«Sergej è stato avvisato?»
«Si, a quanto sappiamo sta prendendo il primo aereo per venire.» Ottimo, c’erano altre belle notizie in serbo per me?
 
Daria Iglenko era a tutti gli effetti sparita, dissolta nell’aria e quella era la prova più evidente del suo tradimento. Il suo modo di dichiarare ufficialmente guerra non solo a me ma anche a Sergej in persona. Ero seriamente indeciso sulle motivazioni dietro i suoi atteggiamenti, voleva la bratva o voleva farmi pagare l’aver preferito io la bratva a lei? Composi veloce un numero ascoltando gli squilli sordi, in attesa.
 
— Sapevo mi avresti chiamata.
— Sei sempre stata una puttana di classe, Dasha, ma non stavolta.. perché?
— Piaciuto il regalino? Ho confezionato personalmente la bomba.
— Ma non mi dire.. sei consapevole d’aver chiuso vero? Sergej sta arrivando.
— Salutamelo, e già che ci sei digli che io sono stata semplicemente il mezzo.
— Per chi lavori, Daria Iglenko?
— Per Aleksandr Belov. Ti manda i suoi saluti.

 
Risi fino a scorticarmi la gola mentre fissavo il cellulare adesso muto. Era così quindi? Il sicario della bratva era tornato dal regno dei morti? Slonko entrò in quel momento restando in silenzio, supponevo Sergej fosse arrivato.
«La situazione diventa interessante, amico mio, ho appena deciso cosa fare di Misha.»  
 
 

Aleksandr POV

 
Misha stava nascosto in un motel fuori città, la notte successiva un camion a noleggio lo avrebbe ricondotto a casa, da me e dalla sua famiglia. Insieme avremmo tirato fuori Irina e Nadja da quel giro pericoloso in cui Dimitri le aveva inserite, bastava solo avere ancora un po’ di pazienza. Attraversai l’incrocio osservando l’insegna scolorita e vecchia, avevo visto spesso questa chiesa durante le mie passeggiate senza però mai entrarvi, a differenza d’adesso. L’aria odorava d’incenso, le panche completamente vuote a differenza di una, portava un velo nero a coprire i capelli lunghi di un rosso intenso, respirai profondamente prendendo posto dietro di lei in silenzio. Restammo così senza parlare per un tempo che mi parve infinito, io pregavo il mio Dio, i miei mostri, Misha lontano da me e Sophia ignara che mi aspettava in casa.. e lei chi stava pregando?
«Un posto peculiare dove vederci, non trovi Shura?» La sua voce esattamente come la ricordavo spezzò il silenzio solenne nella quale sembravamo caduti.
«Di sicuro suggestivo, Dasha.» Non voltò il viso ma sentii le sue spalle curvarsi appena, probabilmente sorrideva.
«Dimitri mi ha cercata proprio come avevi pensato, gli ho mandato i tuoi saluti.» Stavolta fui io a sorridere divertito, i miei occhi si sollevarono verso la croce di fronte a me. Cercavo con ogni mezzo di rimanere ai margini, di mantenere la promessa fatta anni prima.
«Sergej non farà passare sottogamba questa perdita, cinquantamilioni sono soldi anche per la bratva.»
«Sono più preoccupata per Dimitri, è lui che non si farà passare questo smacco al suo onore.» Annuii leccandomi fugacemente le labbra secche.
«E’ proprio ciò che mi auguro.. Misha?» A quel nome finalmente si girò, i suoi occhi chiari erano freddi come li ricordavo, una bellezza che di certo non passava inosservata.
«Partirà domani, come concordato, tra 48 ore dovresti riaverlo in casa.» Inarcò un sopracciglio con aria astuta e io feci per alzarmi, le sue dita si chiusero sul mio polso. Le fissai con curiosità.
«Pensavo gli anni ti avessero cambiato Shura, invece sei ancora quello di un tempo.» Lo ero davvero? Quel pensiero non suonava come un complimento, non alle mie orecchie almeno. «E’ un peccato non esserci conosciuti meglio.» Sorrisi divertito scrollandomi dalla sua presa, chinai il capo in un saluto silenzioso al vero padrone di quel luogo prima di guardare la donna un’ultima volta.
«Hai ragione, sono ancora quello di un tempo.. e fu proprio lo Shura di un tempo a uccidere la puttana del Vor, tienilo bene a mente.»
 

 

Dimitri POV

 
Sistemai i polsini della mia camicia con cura, Sergej era arrivato da meno di ventiquattrore e una riunione con i più grossi capi mafia del momento era stata indetta. Fissai il mio riflesso senza vederlo davvero, ero sicuro che Sasaki non si sarebbe presentato e la mia mente volò ad anni prima, un tempo ormai lontano per molti annebbiato e vecchio ma per me ancora presente come lo vivessi in quel momento. Accarezzai distrattamente il mio petto, laddove spiccava rialzata la cicatrice lasciatami in quella notte senza tempo.
Dopo aver ucciso Masha, mia moglie, sotto ai miei occhi Sasaki aveva estratto il coltello sfregiando una delle due stelle a più punte simbolo della bratva incise sul mio petto. Lo smacco più profondo e umiliante che avessi mai vissuto in un’intera vita e a cui giurai vendetta. Una vendetta che purtroppo non mi era ancora stata concessa; avevo portato pazienza, Sergej voleva continuare i traffici con la Yakuza, ma dentro di me l’odio non si placava ma anzi ribolliva e infettava ogni parte del mio essere. Non mancava molto prima di arrivare come un giudice implacabile e annunciare la mia sentenza.
 
Spalancai la porta osservando gli uomini seduti alla grande tavola, notai subito l’assenza di Nikolai accanto a Sergej, la colmai io prendendo posto. Il vecchio bastardo si voltò a scrutarmi e io ricambiai con un sorrisino irriverente. Me l’avrebbe fatta passare come sempre, l’assenza del figlio era un chiaro segnale di quanto mi reputasse vitale per portare avanti la famiglia.
«Dimitri Cernenko a questo tavolo, quale sorpresa. Avevo circa dieci anni più di te quando mi fu permesso partecipare.» Osservai Jiho Lim, in Corea del Sud era uno dei più potenti chaebol, controllava partiti politici e persino alte cariche funzionarie. La mafia lì funzionava diversamente, ma il succo in fondo era sempre lo stesso.
«Non siamo nati tutti con le medesime capacità.» Scoppiò a ridere raucamente aspirando una boccata della sua sigaretta come se ne valesse della sua stessa vita.
«E’ strano sentirti parlare di capacità..» si stoppò un attimo, sapevo già dove volesse andare a parare il pezzo di merda. «Soprattutto dopo la notizia del carico di droga, come controlli i tuoi affari?» Una parte di me avrebbe semplicemente estratto la pistola piantandogli un foto dritto in fronte; Sergej restò in silenzio sorseggiando il suo liquore preferito.
«Non preoccuparti, quei soldi torneranno con gli interessi.» Poggiai le mani sul tavolo in legno sporgendomi verso di lui con un sorrisino mesto e il viso di Dasha si intromise negli anfratti della mia mente, l’avrebbe pagata e presto. E con lei Shura, a carissimo prezzo.
 
«Come pensi di compensare questa perdita, Dima?» Eravamo ormai rimasti soli nella grande sala, gli accordi erano stati siglati come ogni volta senza problemi e le casse della Bratva rimpinzate a dovere. Mi alzai sospirando, accarezzandomi il collo che sentivo contratto.
«Portandoti la prima testa che hai richiesto suppongo, Misha non vale quei soldi?» Inarcai un sopracciglio versandomi da bere, la sua risata riempì la stanza seguita dal suono della mano sbattuta con forza contro il tavolo.
«Non provocarmi Dimitri Cernenko, cinquantamilioni di dollari non sono caramelle.» Oh lo sapevo bene, era questo a darmi rabbia più di qualsiasi altra cosa. «Del prossimo carico se ne occuperà mio figlio Kolia.» Mi irrigidii per una frazione di secondo mettendomi a sedere di fronte a lui.
«Vuoi che si occupi di un mio lavoro?» Mi sorrise affabile, mi conosceva così bene da darmi sui nervi, lui sapeva quale fosse il modo peggiore per punirmi.
«Peggio di te non potrà fare sicuramente.» Sergej non avrebbe mai neppure lontanamente immaginato quanto quel momento incise sulla mia scelta di non aspettare la sua morte per ricevere la mia parte di eredità. Sorrisi annuendo mesto.
«Brindiamo allora.»
«A cosa?» Mi fissò furbamente, non era un uomo che potessi giostrarmi a mio piacere come il resto.
«Alla famiglia.» E alla morte di questa, a cominciare dal suo prezioso figlio.
 

 

Irina POV

 
Accostai la porta della mia camera tendendo l’orecchio, dal piano di sotto sentivo voci concitate e schiamazzi sospetti. Di recente mi ero resa conto di quanto la mia tempra si fosse irrobustita stando lì, mi sentivo probabilmente più coraggiosa o semplicemente consapevole, ero stanca di nascondermi come un topolino impaurito.
Scesi con cautela le scale e arrivando all’ultima rampa notai il gruppetto di uomini che riconobbi come membri della bratva accerchiare una delle ragazze. Ricordavo i suoi capelli così biondi da apparire quasi bianchi, ma non il nome. Mi ero rifiutata sempre di socializzare con loro, considerandole erroneamente complici di quella gente. Ma adesso vederla bistrattata da quegli uomini mi fece capire quanto fossimo tutte nella stessa barca.
«Che state facendo? Lasciatela andare, subito.» La mia voce provocò un silenzio generale, poggiai le mie iridi chiare su quel viso infantile osservando il rivoletto di sangue che macchiava il naso scendendo verso la bocca.
«Torna nella tua stanza, puttana.» Mi parlò in russo, aveva una stazza non indifferente e dei capelli rossicci portati quasi del tutto rasati. Scesi gli ultimi gradini afferrando la ragazza per il polso mettendola dietro le mie spalle.
«Vai a farti fottere.» Silenzio e poi un mucchio di risate ad accavallarsi tutte insieme, alcuni di loro beffeggiarono il Rosso per la mia presa di posizione. Non sembrò prendere bene quegli scherni afferrandomi per i capelli e gettandomi contro la poltroncina nella quale ricaddi, lo fissai fieramente senza mostrare paura.
«Lo dico sempre a Regina, queste puttane hanno bisogno di essere educate.» Mi schiaffeggiò con forza facendomi ricadere semidistesa, non cedetti tornando a raddrizzarmi.
«Probabilmente è l’unico modo che hai per convincere una donna a scopare con te.» Sorrisi asciugandomi il labbro spaccato e vidi nei suoi occhi il bagliore della rabbia, la ragazza a poca distanza piangeva senza sapere cosa fare avrei voluto dirle di andare via e stare tranquilla. Il russo slacciò la cinta, pensavo volesse violentarmi lì davanti a tutti ma quando sentii la cinghia rompere l’aria capii che la sua idea non era esattamente quella.
«Vediamo quanto ci mette quella bella pelle a spaccarsi.» Mi diede i brividi lungo tutto il corpo, provai a rialzarmi ma la cinghiata sulla coscia mi fece urlare obbligandomi a sedermi, non piansi fissandolo con odio. Quando il suo braccio tornò a sollevarsi ero già pronta alla botta di dolore ma una voce ben conosciuta mi fece sciogliere letteralmente sul posto costringendomi a fissarlo, bello e terrificante fermo lì sulla soglia.
«Cosa cazzo pensi di fare?» Dimitri sorrideva incredulo, le mani nelle tasche come se la scena a cui stava assistendo fosse surreale.
«Questa puttana mi ha mancato di rispetto.» L’uomo indietreggiò, nonostante fisicamente si somigliassero io percepii la sua paura. Potevo biasimarlo forse? Dimitri trasudava pazzia e violenza da ogni poro.
«Questa puttana potrebbe pure pisciarti in bocca se volesse, lo capisci?» La sua voce era dolce, pacata, come se stesse spiegando nozioni spicce a un bambino e io mi sentii stupidamente gratificata.
«Non prendo ordini da una fottuta donna, neppure se apre le cosce per te.» Sputò a terra proprio vicino ai miei piedi, mi ritrassi schifata e Dimitri annuì sporgendo appena le labbra.
«Capisco..» non vidi neppure la sua mano poggiarsi sul retro della cinta, vidi solo la pistola e lo sparo dritto sulla faccia del russo che ricadde con un tonfo a terra. L’urlo che sentii pensai fosse venuto da me, ma mi avvidi pochi secondi dopo che a farlo era stata la ragazzina adesso rannicchiata in un angolo. Soffocai la bile guardando a occhi sbarrati quell’angelo vendicatore. «Qualcuno ha altre domande?» Gli uomini scossero la testa indietreggiando e lui sorrise soddisfatto prima di guardarmi attentamente e farmi cenno di seguirlo verso il piano superiore.
Restammo in silenzio per tutto il tragitto e anche dentro la camera mentre lo guardavo togliersi la giacca e posare l’arma sopra la scrivania; avevo sentito Regina parlare con Indah quella mattina, sembrava che un carico di droga gestito da Dima fosse letteralmente esploso provocando ingenti danni economici, mi ero chiesta come l’avesse presa e adesso avevo la mia risposta.
«Perché sei venuto?» Non mi azzardai ad avvicinarmi fissando la sua schiena contratta.
«Non lo so, mi sei venuta in mente tu ed eccomi qui..» scrollò le spalle senza voltarsi e io colmai le distanze poggiandogli una mano al centro esatto della schiena, era bollente anche attraverso il tessuto della camicia, sentivo i battiti del cuore.
«Uno.. due..» contai ad alta voce senza rendermene conto finché non si voltò a fissarmi incuriosito, il sorriso che mi dedicò fece tremare le mie ginocchia. E non di paura.
«Avresti dovuto prendere la pistola, te l’avevo pure messa a portata di mano.» Guardammo entrambi l’arma abbandonata a pochi passo e io risi senza gioia.
«Magari ho perso la speranza di poter fuggire da te.»
«O magari non vuoi?» Inarcò un sopracciglio ma senza avvicinarsi, fui io a fare il primo passo stavolta allacciandogli le braccia al collo per arrivare alle sue labbra. Le trovai schiuse e pronte per me, capii quanto la sua frase non si discostasse poi molto dalla verità, lo volevo più di qualsiasi logica e ragione. Sapevo chi fosse e cosa volesse fare, sapevo quanto fosse pericoloso, instabile e persino folle. Un mostro lucido. Eppure..
Eppure i miei vestiti caddero ugualmente a terra, mi spogliai per lui mostrandomi per la prima volta nuda a un uomo, i suoi occhi mi gratificarono dell’attesa mentre con le dita tracciava una linea retta dal petto all’inguine strappandomi un brivido. Non si fermò lì, scese ancora tra le mie cosce, toccò parti di me che nessuno aveva fino a quel momento anche solo osato sfiorare, con le dita mi aggrappai alle sue spalle cercando un appiglio per non cadere mentre sentivo le gambe simili a gelatina. Il suo sorriso compiaciuto fu l’ultima cosa che vidi prima che cadesse in ginocchio ai miei piedi, e alle mani sostituisse le labbra mandandomi letteralmente a fuoco. Non c’era Misha, non c’era Shura, non c’era nessuno in quella stanza a parte noi due e il mio piacere. Un piacere che tramutava i miei respiri in gemiti.
«Cos’è che vuoi Irina?» Abbassai il capo incontrando i suoi occhi, così taglienti e fieri eppure stranamente ammorbiditi.
«Voglio te..» non riuscii a mentire, a rifiutarlo, seppi solo seguirlo su quel letto e lasciarmi guidare in quella danza che non conoscevo. Forse dopo quella notte avrebbe perso interesse per me, forse mi avrebbe uccisa come aveva fatto poco fa con quell’uomo, ma non riuscivo comunque a provare paura o disgusto. Guidò la mia mano verso la sua eccitazione, mi diede il giusto ritmo da seguire e scoprii quanto gratificante fosse sentirlo gemere contro il mio orecchio. Il mio ginocchio si piegò carezzando il suo fianco, le mie cosce s’allargarono accogliendolo e quando entrò dentro di me mi inarcai offrendomi a tutto quel dolore, desiderandone ancora. Forse era questa la verità, soffrire mi piaceva per questo mi stavo donando a lui mentre spinta dopo spinta prendeva non solo la mia verginità ma anche la mia anima. Un’anima che adesso sapevo sarebbe stata macchiata per sempre.
 
 

Dimitri POV

 
Mi rivestii in silenzio fissando la sagoma nuda sul letto, Irina vestita solo di bellezza e lenzuola dallo strano odore di lavanda. Il cellulare vibrò nella mia tasca, osservai il numero senza rispondere, sapevo già dove andare e la mia coscienza non ebbe il minimo cedimento mentre uscivo da quella stanza consapevole di stare per frantumare un pezzo del cuore di quella donna. Ero riuscito ad averla, pensavo mi sarei sentito sazio, pensavo l’avrei uccisa senza alcun dolore mentre dormiva, magari sparandole nel sonno per non farla soffrire ma la verità era che la mia anima non si sentiva ancora sazia, di lei, del suo corpo, del suo modo di graffiarmi la schiena e cedersi a me.
Quando arrivai la strada era pressoché deserta, non ebbi il tempo di muovere un altro passo che l’esplosione mi fece arretrare provocando un boato assordante che svegliò l’intera via facendo scattare centinai di allarmi. Guardai il camion ridotto in poltiglia, le fiamme si alzavano su fino al cielo e io ne seguii il cammino immaginando di vedere l’anima di Misha sollevarsi assieme a loro. Non sorrisi quando Yuri mi venne incontro, teneva tra le mani qualcosa di luccicante, di un verde abbagliante, che mi consegnò.
«Era l’anello che Misha portava al dito, dallo a Sergej gli farà piacere averlo.» Lo rigirai tra le mani annuendo, ne avevo uno identico in casa mia e lo stesso Shura.
«Shura ha distrutto il mio carico, e io il suo.. chi pensi abbia perso di più?» Yuri non mi rispose, ce n’era bisogno? Avevo regolato i conti a modo mio, l’unico modo concessoci in quella vita. «Sgombera la strada e fai andar via i ragazzi, la polizia sarà qui a momenti.» Diedi le spalle a quel panorama di morte sentendo voci concitate farsi sempre più vicine. Misha era morto da solo, senza le persone che amava, esattamente come volevo e come pensavo meritasse.
 
 

Nadja POV

 
Un sordo bussare mi svegliò di soprassalto, scesi dal letto dirigendomi cautamente verso la porta e dallo spiraglio vidi l’inimmaginabile: Dimitri Cernenko.
Dopo quella farsa del nostro patto non si era più presentato, eppure vedevo ogni giorno i suoi uomini darsi il cambio dall’altro lato della strada per tenermi d’occhio. Aprii la porta fissandolo senza gioia, mi feci da parte per farlo passare senza neppure accendere le luci.
«Ti ho portato una cosa, penso dovresti averla tu.» Aggrottai la fronte osservandolo lanciarmi un oggetto che presi tra le mani, quando le schiusi riconobbi l’anello di Misha e mi fu tutto chiaro.
«Dimmi che non è vero.. ti prego.» Le ultime parole si sciolsero nelle lacrime mentre scuotevo il capo sentendo la mia vita distruggersi in mille pezzi.
«E’ morto bene, non preoccuparti, ho fatto esplodere il camion che lo avrebbe portato da Shura, sono quasi sicuro non abbia sentito nulla.» Le mie gambe non ressero, sentivo la bile pronta a schizzarmi fuori in fiotti di vomito. Si era sentita così Sophia quando aveva scoperto chi erano davvero i due uomini della sua vita? Era quel tipo di dolore che l’aveva fatta abortire come Shura aveva sempre temuto? Mi tenni il ventre e un tonfo accanto a me mi distrasse, osservai la corda che Dimitri mi aveva lanciato.
«Le travi di questa casa sono robuste, ti consiglio di farlo alla svelta.. o vuoi crescere un figlio bastardo e senza padre?» Strinsi la corda tra le dita restando in ginocchio pure quando sentii la porta chiudersi restando sola col mio dolore. Mi alzai a fatica annaspando alla ricerca di aria, e guardai involontariamente il soffitto, l’idea di impiccarmi non divenne un semplice pensiero fugace ma un vero e proprio bisogno viscerale. Lo specchio mi rimandò il mio riflesso e con esso il ventre gonfio che toccai, mi aggrappai letteralmente a esso con le mie dita. Se c’era una motivazione per vivere l’avevo appena trovata, e con essa l’idea di uccidere Dimitri Cernenko.
 
 

 

Aleksandr POV

 
Le tre di notte dicono sia un orario infausto, non ho mai creduto a queste cazzate eppure quando il cellulare squillò il mio cuore sembrò attorcigliarsi dolorosamente. Avevo come la sensazione di un buco nero all’altezza dello stomaco, sentii Sophia agitarsi accanto a me sgusciando fuori dal letto per fissarmi nella penombra mentre afferravo il cellulare e ascoltavo la voce dall’altro capo del telefono. Non credo di poter spiegare esattamente ciò che provai in quel preciso momento, era come se fossi stato annullato, sterminato, asfaltato al suolo in un bagno di sangue: il suo. Non riuscivo a respirare, ne sentivo il sapore ferroso in gola, come se mi ostruisse senza possibilità di fuga. Non stringermi così forte Misha, ti prego, non riesco a respirare..
«No.. no.. NO NO NO NO NO.» Le urla di Sophia ero sicuro avessero superato la barriera del suono mentre la guardavo accasciarsi al suolo e mettersi carponi tremando come se avesse le convulsioni, per la prima volta nella mia vita non riuscii ad andare da lei e consolarla perché cercavo disperatamente di non scivolare io per primo nel baratro. Lo sentii sotto i miei piedi, sprofondavo e le ombre mi avvolgevano. Come un automa andai in cucina afferrando il martello dentro al cassetto dirigendomi di nuovo nella stanza, ignorai la vocina di mio figlio senza captare neppure le parole iniziando a distruggere il pavimento finché l’angolo sinistro non fu totalmente dissestato. Lì sotto giacevano conservate le mie armi, afferrai una pistola caricandola con gesti secchi e automatici e quando la poggiai al pavimento, finalmente, le mie urla proruppero liberando tutto il male. Non esisteva vita, o quotidianità, o gioia o quieto oblio senza Misha, semplicemente.
 

I mean, they say you die twice.
One time when you stop breathing and a second time, a bit later on,
when somebody says your name for the last time.

 

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Capitolo 8
*** Stench of Death ***





 
Tik tok, l’orologio sembrava scandire ogni millesimo di secondo, era come se le lancette a ogni rintocco conficcassero aghi sotto la mia pelle. Mi sentivo svuotato, un uomo grande e grosso come me rannicchiato nell’angolo più buio della stanza. Mi resi conto guardandomi attorno che quella casa non portava tracce di Misha al suo interno, c’era stato così poche volte da non essere riuscito a farla sua, e quello tra tutti era sicuramente il pensiero meno doloroso. Cos’aveva pensato prima che il camion esplodesse? Mi aveva chiamato? Proprio come da bambini, quando si sbucciava il ginocchio andando in bici e urlava piangendo il mio nome, e io correvo da lui rimproverandolo. Ero stato troppo duro con lui in tutti quegli anni? Lo avevo amato abbastanza? V’era stato un momento in quella misera vita condivisa in cui s’era sentito appagato da ciò che gli davo? Portai le mani tremanti a coprire il viso, non ricordavo nella mia esistenza un dolore più viscerale di quello, neppure l’aborto di Sophia, il suo tradimento o la mancanza di mio padre.
«Ha oscurato persino te..» parlai con l’uomo che per anni era stato un fantasma silenzioso, da tempo avevo smesso di vederlo accanto a me, e anche in quel caso ad accogliermi arrivò solo il silenzio. La porta si aprì e io non ebbi la forza di alzarmi o sollevare il viso, sapevo già chi fosse e non riuscivo a guardarla in faccia. Sentivo i suoi occhi su di me, mentre i miei si ostinavano a restar bloccati sul pavimento.
«Eleazar ha chiesto di te, voleva giocare..» non risposti serrando i denti, che donna forte mi ero scelto, vero? Quel suo fingersi di ferro durante il giorno, e piangere in silenzio la notte iniziava pericolosamente a logorarmi dentro. In quella casa era vietato urlare dopo quella notte in cui nostro figlio ci aveva visti devastati. «Mi ascolti? Eleazar piange ogni notte, dice che suo papà ha la ‘’bua’’.»
«Ed è la verità Sophia, suo papà non sta bene.» La mia voce apparve troppo calma anche per me, non sapevo neppure da dove fosse uscita.
«Noi abbiamo bisogno di te Shura..» scattai in piedi come se avessi delle fottute molle, slanciandomi verso di lei.
«E a me? A me chi cazzo ci pensa?» Battei il dito contro il mio petto, avrei voluto sfondarlo di netto e strapparmi il cuore.
«IO, IO.» Ci fissammo ansimanti e increduli, sentii Eleazar piangere vicino la porta probabilmente spaventato dalle urla. «Guarda cos’hai fatto..» Sophia mi girò le spalle, non le permisi di andar via trattenendola con uno strattone.
«Cos’ho fatto? Ho ucciso Misha? La nostra finta bella famigliola felice?» Lo schiaffo che m’arrivò non fu poi così imprevedibile, mollai la presa su di lei carezzandomi la guancia, perché non sentivo assolutamente nulla? Neppure il minimo dolore fisico.
«Pensi io non stia soffrendo? Sto solo cercando di sopravvivere, come faccio da una vita Aleksandr.» Lo sapevo bene, sapevo d’averle provocato l’ennesimo dolore e forse per questo cercavo con insistenza la sua rabbia, il suo odio.
«Non posso mantenere ancora la promessa che ti feci..» fissai la sua schiena tesa, si voltò a scrutarmi con gli occhi colmi di un passato che mai avremmo dimenticato.
«Non voglio tu la mantenga.. io voglio vendetta, tanto quanto la vuoi tu. Non sei l’unico a soffrire, non è solo il tuo cuore agonizzante.. renditene conto e torna da noi, Eleazar ti aspetta e anche lui..» si toccò la pancia, non sapevamo ancora il sesso del bambino nonostante lei si ostinasse a dire fosse un altro maschio. La superai uscendo da quella stanza, afferrando mio figlio ancora piangente. Quando lo strinsi a me il suo odore mi confortò, avevo lasciato una traccia di me a questo mondo, una traccia buona che profumava d’amore.
 

 

Dimitri POV

 
Gettai i registri sopra la scrivania, a due settimane dalla morte di Misha non avevo avuto nessun contatto con Dasha né con Aleksandr, come se si fossero smolecolati nella fottuta aria. Persino Nikita, l’uomo che li aveva traditi sembrava essere sparito dopo aver intascato i soldi pattuiti. Come biasimarlo? Avrei ucciso pure lui se solo mi fosse girata male. Non avevo ancora detto a Irina della morte di suo fratello, continuavo a farla vivere nella sua bolla ‘’felice’’ andando da lei quasi ogni notte, cercando e trovando piacere tra le sue braccia. La porta si aprì e Slonko mi sorrise complice.
«Il jet è pronto, partiamo tra poco.» Annuii indossando la giacca, dovevo tornare a Mosca e concludere alcuni affari, questione di pochi giorni prima di tornare nuovamente negli stati uniti. Eppure l’idea di rivedere la mia patria mi rendeva stranamente euforico, forse perché mi sentivo visceralmente legato ad essa più che a qualunque altra parte del mondo vista nella mia vita.
«Sanno del mio arrivo?» Al suo cenno d’assenso non indugiai oltre lasciando l’ufficio del club. Mancavo da casa ormai da mesi, ero sicuro fosse in uno stato pietoso per questo avevo chiesto ad altri di occuparsene e ripulirla in vista del mio ritorno. Per un secondo pensai di portare con me Irina, che reazione avrebbe avuto all’idea di tornare nella sua patria d’origine? Fu un pensiero nato e morto nel medesimo istante prima che il portello dell’aereo non si chiudesse e io mi lasciassi andare contro i sedili.
 
La Russia mi accolse maestosa e fredda proprio come l’avevo lasciata, approfittai di quella gita improvvisata per incontrare alcune delle famiglie di spicco del posto. In molti aspettavano ormai da anni il cambio della guardia a capo della bratva, e nessuno a parte me era adatto a ricoprire il ruolo che Sergej si accingeva a lasciare senza saperlo. Avevo l’approvazione di molti e tanto mi bastava, avrei iniziato da Kolia finendo poi con il tanto amato Vor. Affetto, amore, erano tutte cose innecessarie nella mia vita se non riguardavano la Brigata del Sole, esisteva solo quella come unico limite per me, e Sergej lo sapeva bene per questo non potevo affrettare le cose, ero quasi sicuro immaginasse un mio colpo di testa dopo avermi tolto il lavoro e non potevo rischiare che i miei piani naufragassero per questo.
«Torniamo a casa?» Slonko mi guardò dallo specchietto retrovisore, da quanto ci conoscevamo? Da tutta la vita probabilmente, eravamo cresciuti tutti insieme compreso Yuri, suo cugino.
«No, andiamo a teatro, ho appuntamento con Sergej.» Chiusi gli occhi sprofondando tra i sedili, mi sarei rilassato con l’ennesima noiosa trasposizione di un qualche famoso balletto della quale non me ne fregava una beneamata minchia, ma a cui partecipavo ormai da anni lasciandomi fotografare e intervistare.
Ci sedemmo uno accanto all’altro, parlando poco e sommessamente, ridendo alle vicendevoli battute in un clima distensivo e colloquiale. Che si fottesse. Se c’era una cosa in cui mi reputavo bravo era di sicuro reggere le farse, soprattutto se imbastite dagli altri come in quel caso.
«Quando tornerai a Las Vegas?» Scendemmo le scale del teatro ignorando i fotografi, dirigendoci alle nostre auto.
«Due giorni al massimo, il tempo di mangiare i pirozki di Maria.» Sorrisi divertito seguito da Sergej finché qualcosa non mi distrasse, un impercettibile cambio nell’aria o forse il semplice frutto della mia immaginazione. Fu come vedere una scena al rallentatore, Slonko mi guardò e salì in auto, poi il boato a pochi metri da me. Venni sbalzato a terra dall’onda d’urto ricadendo sull’asfalto, sentendo la giacca lacerarsi all’altezza del gomito e un rivolo di sangue colarmi dalla tempia. Le urla riempirono l’aria mentre Sergej veniva scortato nella sua auto e io guardavo la mia andare a fuoco. Con Slonko dentro. Mi alzai guardandomi attorno e in quel momento lo sentii: la cabina telefonica a pochi metri squillava. Non so cosa mi portò ad afferrare la cornetta, forse la certezza che quella chiamata fosse diretta solo e soltanto a me.
 
— Cosa si prova a veder morire come un topo l’amico di una vita?
— Sei arrivato al nostro versetto preferito della bibbia? Occhio per occhio..
— Non basterà la sua vita a compensare quella di Misha.
— Oh no, ma probabilmente basterà la tua.. Shura.
— Vieni a prendermi allora, ti aspetto.
 

La chiamata si interruppe bruscamente, fissai la cornetta e le mie dita annerite. Il fumo acre contaminava ormai tutta l’aria bruciando i miei occhi, sentii le sirene dell’ambulanza in lontananza e avrei voluto avvisarli di non correre con tanta solerzia: ormai era troppo tardi per Slonko.

 
 

Irina POV
 

 
Quando Indah apparve sulla soglia dentro di me qualcosa si mise in allarme, forse era colpa del suo sguardo nervoso o dei movimenti veloci e secchi mentre scandagliava il mio armadio.
«Una persona vuole vederti, ma dobbiamo fare alla svelta..» ci fissammo in silenzio qualche istante mentre cercavo di capire dove volesse andare a parare.
«Non dirmi che è un uomo perché..» non mi fece finire tappandomi la bocca, guardando nervosamente la porta chiusa.
«Non lo è, vieni con me e basta.» Mi strattonò per il polso trascinandomi verso le scale, non capivo chi mai potesse volermi vedere soprattutto a quell’ora del giorno, tutti sapevano che il bordello non apriva prima delle sei. Forse per questo avevano scelto un’ora così bizzarra? Le ragazze, compresa Regina, dormivano sempre e non si svegliavano mai prima delle due in tempo per un pranzo leggero prima di prepararsi al ‘’lavoro’’. Aprimmo la porta di servizio immettendoci nel piccolo cortile privato, la vidi subito con quell’abbigliamento ricercato e costoso unito a dei capelli rossi che difficilmente passavano inosservati.
«E’ lei?» Si rivolse a Indah e io percepii il forte e marcato accento russo, nonostante parlasse in inglese. Al suo cenno d’assenso tornò a fissarmi con un sorrisino mesto. «Mi domando perché ti tenga ancora con se..» non ci voleva una laurea o la magia per capire chi fosse il soggetto del discorso.
«Tu sai chi sono, ma io non so chi sei tu però..» la sua risata non mi coinvolse, mi limitai a fissarla freddamente aspettando pazientemente che rispondesse.
«Lavoro con Shura.» A quel nome mossi un passo nella sua direzione, ma venni trattenuta da Indah che m’ammonì silenziosamente. «Sono venuta a porgerti le mie condoglianze e vedere se stai bene..» mi bloccai alla prima parte del discorso mentre il mio cervello iniziava a incepparsi come se d’improvviso ai meccanismi fosse venuto a mancare l’olio.
«Condoglianze.. Shura?» Non era possibile, aveva appena detto di lavorare per lui, che gli fosse successo qualcosa?
«Oh no, non lui.. tuo fratello Misha. E’ morto due settimane fa, non lo sapevi suppongo.» Un forte fischio alle orecchie mi impedì di sentire il continuo delle sue parole, tutto attorno a me iniziò a girare vorticosamente come se fossi salita su una giostra subito dopo aver mangiato. Mi accasciai sputando succhi gastrici dovuti al digiuno della precedente sera, aggrappandomi con le unghie al muro. Le lacrime mi impedivano di vedere chiaramente i visi delle due donne, la testa continuava a girare e girare finché non crollai stesa sul suolo senza riuscire più ad aprire gli occhi.

 
 

Dimitri POV

 
 
Dal suo atterraggio a Mosca Yuri non aveva spiccicato parola, limitandosi a guardare il corpo carbonizzato del cugino sul tavolo sterile dell’obitorio. Sergej era riuscito a mettere tutto a tacere, e i giornali parlavano adesso di un malfunzionamento dell’auto che aveva provocato la violenta esplosione, ma noi sapevamo la verità. Mi versai da bere guardando il pianoforte nell’angolo del soggiorno, sorseggiando il vino con lentezza come a volermelo gustare a fondo.
«Domani torniamo a Las Vegas, abbiamo posticipato già troppo.»
«Ottimo.» O almeno credetti d’aver sentito questo, visto che Yuri ormai abbaiava parole piuttosto che pronunciarle. Sospirai voltandomi a fissarlo.
«Qual è il problema?» Fu come mettere uno zippo vicino a una miccia, lo vidi divenire paonazzo pronto per l’esplosione devastante (parlare d’esplosione in questo caso mi sembrava alquanto beffardo).
«Mi domandavo la stessa fottuta cosa. Ma tu dei sentimenti li hai?» Continuai a bere in silenzio consapevole che il discorso fosse ancora al suo nefasto inizio. «Slonko è morto come un fottuto cane dentro la tua fottuta auto, e tutto quello che hai da dire è ‘’torniamo a Las Vegas’’?»
«Cosa dovrei dirti quindi?»   allargai le braccia con un sorriso sprezzante. «Non capisci? Misha è morto come un fottuto topo dalla bomba che TU hai piazzato sotto MIO ordine, e Slonko è stato il prezzo da pagare, per entrambi. Sono io a doverti dire quindi come vanno le cose qui?»
«Inizio a domandarmi se ti vedrò mai versare una singola schifosa lacrima, se dovessi crepare io cosa diresti ‘’mi raccomando domenica voglio le lasagne a pranzo’’?» scimmiottò la mia voce in maniera alquanto grottesca, sospirai provando a dominare il fastidio.
«E’ una questione sentimentale quindi? Devo sciogliermi in lacrime davanti a te per provarti quanto mi dispiaccia?» Svuotai il contenuto del mio bicchiere sbattendolo contro il mobile, fissando l’amico di tutta una vita.
«No, vorrei solo avere la certezza che Slonko non è morto inutilmente ma per qualcosa che vale la pena.» Restammo in silenzio per minuti interminabili, ognuno perso probabilmente nei propri pensieri.
«Se Sergej fosse qui ti direbbe che per la famiglia ne vale sempre la pena, non sei cresciuto anche tu con noi?» Sentendo e risentendo quelle parole incessantemente, Yuri lo sapeva bene e il suo sguardo me lo confermò.
«Voglio sapere cosa ne pensi tu, non quel vecchio di merda.» Risi senza gioia scrollando le spalle, afferrando stavolta l’intera bottiglia per portarla alle labbra e bere come fossi assetato.
«Non ne vale mai la pena Yuri, morire per amore di qualcuno? Per fiducia o lealtà? Stronzate, tutti vogliamo vivere, metti in una stanza due innamorati affamati.. e vedrai come si strapperanno di dosso la pelle a vicenda.» Mi venne in mente Irina, ogni volta che la situazione diveniva pesante o soffocante i suoi occhi apparivano a non darmi tregua. Lei avrebbe mangiato sicuramente la mia carne pezzo dopo pezzo, e lo stesso avrei fatto io probabilmente. 
 
La villa di Regina era esattamente come la ricordavo, non mi curai di annunciare il mio arrivo salendo direttamente le scale che m’avrebbero condotto alle camere. Conoscevo ormai la sua e lì mi diressi senza indugio aprendo la porta, la penombra mi accolse e i miei occhi faticarono un attimo ad abituarsi all’oscurità. Con la mano cercai l’interruttore trovandolo e accendendo la luce, la sua sagoma stava ritta contro l’armadio fissandomi con occhi taglienti e arrossati e io lessi con assoluta chiarezza la morte di Misha nelle sue iridi ghiaccio. Come a volermi confermare quel pensiero si slanciò su di me con un urlo graffiandomi e strappandomi la camicia.
«BASTARDO. ASSASSINO, SEI UN MOSTRO. TI ODIO.» Non voleva darmi né darsi tregua, odiandomi e odiandosi per cose che ad alta voce neppure osava dire ma che entrambi sapevamo bene. Provai a bloccarne la rabbia fermandole i polsi ma pareva inarrestabile, sentii un forte bruciore alla guancia e qualcosa di denso e viscoso colare dalla ferita mentre le sue unghie si striavano di rosso cremisi. La spinsi rudemente facendola cadere sul letto, provò a rialzarsi e aggredirmi ancora ma il mio peso la bloccò, si dimenò urlando e uccidendomi miliardi di volte con gli occhi fino a sputarmi dritto in faccia. «Mi fai schifo..» le parole uscirono stanche dalle sue labbra esangui, il respiro affannato e il corpo adesso immobile, quasi fiacco.
«Sei soddisfatta adesso?» Ci fissammo e una goccia del mio sangue sporcò le sue labbra, lo leccò con gli occhi colmi di lacrime.
«Per esserlo dovresti semplicemente morire..»
«Non lo saresti neppure in quel caso, è per questo che mi odi.» Voltò il viso come se l’avessi schiaffeggiata e io lentamente mollai la presa ricadendole accanto in silenzio. Era un rapporto che avevo voluto e forzato io, era iniziato come una vendetta ai danni di Misha e m’ero ritrovato invischiato oltre ogni previsione. Ci saremmo semplicemente distrutti a vicenda, io probabilmente sarei sopravvissuto anche a quello ma Irina no, e nonostante quella consapevolezza non l’avrei lasciata andare. Anche a costo di vederla morire davanti a me, proprio come Masha. Quella sposa bambina che mai avevo amato, il paragone adesso sembrava ridicolo. Amavo quindi Irina? No, non ero capace di amare qualcuno all’infuori di me stesso, per questo non sapevo come catalogare ciò che sentivo e sempre per questo mi ritrovavo più confuso ogni volta.
«Mi costringi a stare qui e a odiarti.. ti diverte?» La sua voce appariva spenta, stava rannicchiata con le ginocchia al petto dandomi le spalle.
«Puoi uscire da quella porta e andare via, se vuoi.» No, non era vero non glielo avrei mai permesso. Non era più Misha a tenerla segregata lì, era la mia ossessione per lei.
«Non lo capisci? E’ proprio questo il problema, odiarti e non riuscire a starti lontana.. hai ucciso mio fratello, uccidi anche me e falla finita tu.» Le circondai la schiena con le braccia attirandola contro il mio petto, seppellendo il viso contro i suoi capelli. Odorava di vaniglia, un profumo di cui mi ero scoperto dipendente solo dopo aver conosciuto lei.
«Mi sono domandato spesso se saresti riuscita a perdonarmi.»
«E che risposta ti sei dato?» Quella calma tra di noi suonava ancora più assordante del caos di poco prima.
«Sophia ha perdonato Shura.» La provocai sorridendo arcigno, sapeva bene dove volessi andare a parare.
«Shura è una persona capace di amare e compensare con quello gli errori.. tu no.» La risposta non era sicuramente quella che mi aspettavo, forse per questo mi sentivo così dipendente da lei. Lei che non andava mai nella direzione che avevo delineato. «Finché avrò fiato in questo corpo, non avrai il perdono che cerchi.»
«Pensi voglia il tuo perdono?» Sollevai appena il viso improvvisamente attento, il suo corpo si era afflosciato contro il mio come un fiore a cui mancava l’acqua.
«Lo vuoi, solo che non te ne rendi conto e questa sarà la mia punizione per te. Non oggi, non domani, ma in futuro questo tarlo ti porterà alla pazzia.. e io ti guarderò gioendo Dimitri Cernenko. Mio amore odiato.»
 
«Quanto ti piace il Giappone, dolcezza?» Yuri mi fissò in cagnesco, se per la meta scelta o per il vezzeggiativo era tutto da vedere.
«Quando sei tu a nominarlo non mi piace per niente.» Sorrisi mellifluo colpendo la palla che andò dritta in buca, decretando la completa disfatta del mio avversario.
«Dicono che in questo periodo fioriscano i ciliegi, ti consiglio di portarti vestiti leggeri.» Lo guardai poggiare la stecca sul tavolo e fissarmi con cautela.
«Cosa cazzo stai dicendo, adesso?» Sospirai sistemando nuovamente le palle sul panno verde.
«Hai forse dimenticato il conto in sospeso con Sasaki? Beh, io no.» Non mi curai d’osservare la sua espressione, sapevo già da me quali fossero le sue idee in merito. A detta sua bisognava andare avanti e stendere i rapporti con la mafia giapponese, ed era ciò che volevo ovviamente.. ma a modo mio.
«Lascia che ti spieghi due o tre cosette, Dima.»
«Oh si ti prego, non vedo l’ora.» Incrociai le braccia al petto stirando le labbra in quello che mi parve un sorriso, non che mi importasse molto farlo apparire come tale.
«Hai in mente un colpo di stato ai danni di una delle famiglie più influenti del mondo: la bratva. In una situazione simile devi lasciare perdere tutto il resto, lo capisci? Se ti inimichi la Yakuza..»
«No, non la Yakuza ma la famiglia di Sasaki ed è ben diverso, sai cosa muove questo mondo Yuri?» Inarcai un sopracciglio afferrando la pallina bianca distante dalla piramide colorata che io stesso avevo formato. «E’ la paura amico mio, lancia un lupo in un gregge di pecore e guarda queste come si disperdono..» scaraventai il pallino sul tavolo osservando le sfere sfrecciare sul panno verde con occhi divertiti. «E dopo essersi disperse, catturale tutte.. una per una.»
«Posso dire una cosa?» Lo guardai alzare la mano come fossimo a scuola.
«Se proprio devi..»
«Sei proprio un coglione pazzo.»
 
«Fai la valigia, partiamo tra meno di due ore.» Irina seduta si voltò a fissarmi, indossava ancora la vestaglia ma i suoi occhi non portavano tracce di sonno.
«Dove andiamo?»
«In Giappone, che ne pensi?» Lo dissi come se mi importasse davvero quanto o se volesse venire, e lei sembrò leggermi lo sguardo accigliandosi e fissandomi sprezzante. Nonostante i sentimenti che sentivo fluire fuori dalla sua persona, dopo quella notte persisteva nel fondo delle sue iridi una durezza che prima non c’era. Continuava a non perdonarmi, e forse non l’avrebbe fatto mai.
«Vai lì per affari..?» si informò cautamente aprendo l’armadio per estrarre una valigia che iniziò a riempire apparentemente alla rinfusa ma dettagliatamente con un preciso ordine.
«Potremmo chiamarli così si..» feci il vago di proposito aprendo il cassetto della biancheria intima, gettando dentro la valigia il mio completo intimo preferito. Non apprezzò la battuta incenerendomi con un’occhiata. Ma il completino rimase lì dove stava.
Che male c’era a unire l’utile al dilettevole? Nel caso specifico uccidere Sasaki e godermi la terra nipponica con Irina? Ai miei occhi nulla, in quelli di Yuri c’era di tutto e di più.
«Non ti stanchi mai a vivere d’ansia? Come cazzo campi.» Gli diedi una botta assestata tra capo e collo beccandomi i suoi insulti, sedendomi accanto a lui senza perdere d’occhio Irina a pochi metri di distanza intenta a fissare oltre l’oblò l’immensa distesa di nuvole.
«Stiamo facendo un fottuto casino, me lo sento.» Mi grattai la tempia con un sospiro, iniziavo a perdere la pazienza e non era mai un bene.
«Chi prova a calpestarmi deve pagare Yuri, non è un semplice dato di fatto questo.. è legge.» Lo fissai sfidandolo a ribattere, capì probabilmente dove avessi piazzato il limite a quella conversazione e restò in silenzio affossandosi contro la poltrona con la chiara intenzione di ignorarmi e dormire.
 
«Non siate avari coi proiettili.» Caricai il fucile con un colpo secco, fuori la porta una prima scia di sangue, all’interno un vociare insistente. Avevo lasciato Irina in albergo, mi aveva fissato poco prima che uscissi con il tipico sguardo di chi ti ha già spogliato dell’anima e la sta rivoltando a suo piacere.
«Non è meglio coprire il volto?» La voce di Yuri mi strappò uno sbuffo.
«Hai mai visto un morto che fa la spia?» Sorrisi asciutto beccandomi la sua occhiata più feroce. Non aveva idea del fatto che io volessi far sapere a tutti chi era il responsabile di quella carneficina. Il tempo sembrò fermarsi finché al mio cenno la porta non si aprì con un boato. «Sasaki è mio, non toccatelo..» e tra le urla, il fumo e gli spari arrivai finalmente a colui che avevo atteso per anni. Il colpo era arrivato dritto alla sua spina dorsale costringendolo a terra, sembrava essersi pisciato sotto peccato sguazzasse nel suo sangue. Mi chinai sorridendo meditabondo.
«L’idea di lasciarti vivo su una sedia a rotelle è allettante, ma non quanto quella di toglierti tutto..» afferrai il coltello che conficcai dritto nella sua fronte, piantandolo contro il pavimento. I suoi occhi sbarrati e annacquati continuarono a fissarmi mentre scoprivo il suo petto osservando i tatuaggi, tracciando nella carne una profonda e gigantesca ‘’D’’. Tutti dovevano sapere chi aveva ucciso il boss della yakuza Sasaki.
 
 

Aleksandr POV

 
 
In quei giorni avevo avuto la conferma di quanto fosse stato difficile uscire da quella vita di sangue e morte, e allo stesso tempo di quanto fosse stato facile rientrare nel giro. In pochi anni di assenza nessuno aveva dimenticato il sicario della bratva considerato morto e riapparso come un moderno Lazzaro. Se la bratva aveva i suoi tentacoli ovunque, allo stesso modo possedeva nemici in ogni angolo. Gente disposta a mettersi al mio fianco per la mia personale vendetta, la stessa gente che irruppe con me nel bordello di Regina. Tramite una soffiata ero riuscito a sapere dove tenesse segregata Irina, ed ero lì proprio per lei. Tipico di Dimitri chiudere la sorella di Misha in un fottuto bordello, se solo lo avessi avuto faccia a faccia ero sicuro di lui non sarebbe rimasta neppure la pelle, mi sarei accertato di staccarla personalmente. Quando mi guardavo allo specchio sentivo di non riconoscermi più, come se Misha si fosse portato con se una parte di me stesso e della mia umanità.
«State commettendo uno sbaglio.» Fissai Regina seduta sulla poltrona mentre i ragazzi mettevano a soqquadro il posto distruggendo tutto. Le sorrisi divertito avvicinandomi a lei.
«Dovresti essere felice, ti diamo la pensione anticipata.» Allungai una mano verso di lei, la schiaffeggiò con forza incenerendomi con un’occhiata.
«Irina non è qui, Dima l’ha portata con se.» A quella notizia il mio sorriso sparì dal viso in favore di un’occhiata più truce. Mi guardai attorno richiamando l’attenzione di un uomo.
«Di questo posto non devono restare neppure le fondamenta, getta la benzina e uscite tutti fuori.»
«NO.» Regina si sporse verso di me, la spinsi rudemente afferrandola poi per il braccio, trascinandola fuori da quella casa per poi rientrare. Osservai l’atrio desolato e silenzioso, le scale che portavano ai piani superiori ed estrassi lo zippo.
«Brucia all’inferno figlio di puttana.» Quando mi allontani lungo la via le fiamme stavano già avvolgendo l’intero edificio, uno dei luoghi di punta della prostituzione curata dalla bratva; non riuscii comunque a sorridere, continuavo a sentire freddo dentro l’anima fino a congelare del tutto. Misha, come posso pensare di vivere questa vita per entrambi?
 

 

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Capitolo 9
*** Mad love. ***





 
Quando tornai in albergo era ormai notte fonda, sentii Irina muoversi sul letto e accendere la lampada fissandomi attentamente. Ero sporco di sangue sia negli abiti che nel viso, eppure non disse nulla limitandosi ad alzarsi e dirigersi verso il bagno dove pochi secondi dopo lo scrosciare dell’acqua arrivò alle mie orecchie.
«Quanti cadaveri pensi che possa portare la tua coscienza?» Il suo tono non portava accuse, solo genuina curiosità o così mi volle far credere.
«Ingenuo da parte tua pensare io ne abbia una.» Nudo di fronte a lei accarezzai la sua guancia accaldata mentre le sue dita toccavano la mia cicatrice sul petto ancora in rilievo. V’era una strana calma quella notte, come se gli spari e la morte di poco prima non fossero mai esistiti. Come se la morte di Misha non fosse mai avvenuta, o forse si? Scandagliai il suo sguardo e trovai ancora lì le accuse silenziose, quel suo eterno non perdonarmi. Entrai dentro la vasca calda con un sospiro, sentivo tutti i muscoli contratti e il mio braccio in automatico si allungò verso di lei per afferrarla. Mi lasciò fare chinandosi per sciacquare via il sangue dalla mia pelle, l’acqua si tinse di rosso cremisi e guardandola la vidi spogliarsi ed entrare nuda anche lei.
«Stai facendo il bagno nel tuo stesso peccato.» I suoi occhi color del ghiaccio mi inchiodarono senza via di fuga, sorrisi appena attirandola contro di me.
«Ho intenzione di fare anche sesso immerso nel mio stesso peccato.» La baciai con voglia e lentezza sentendo le sue labbra schiudersi e le mani accarezzarmi i capelli affondandovi dentro. Il perché la desiderassi così visceralmente non mi era ancora chiaro,il perché mi desiderasse così visceralmente anche lei ancor meno.
«Fare sesso.. è questo il vero peccato per noi due.» La sua bocca scese lungo il mio collo strappandomi un brivido, mi rilassai contro il bordo stringendo i suoi fianchi che collisero col mio bacino provocandomi una scossa di piacere. Aveva ragione lei, era un peccato capitale per noi due unirci carnalmente. Era come uccidere di nuovo Misha, o Shura o tutte le cose buone fatte fino a quel momento, eppure Irina non diceva ancora basta né io avevo la forza di farlo. La sua mano s’immerse nell’acqua ormai appannata, la sentii chiudersi sulla mia erezione in un lento e continuo su e giù che mi toglieva ogni capacità di raziocinio. Non volevo si fermasse, i miei gemiti d’approvazione glielo dissero più chiaramente di qualsiasi parola e lei continuò fino a portarmi alla pazzia, al piacere più assoluto per poi afferrarlo saldamente e dirottarlo in mezzo alle sue cosce, scendendo bruscamente fino a prenderlo completamente togliendomi il respiro.
 
Il mio non era mai stato un sonno completo e ristoratore, da quando conducevo quella vita bastava il minimo rumore per riportarmi a galla da qualsiasi limbo fossi piombato e quella volta non fece eccezioni. Non so cosa mi svegliò, forse un banale fruscio di lenzuola, un movimento accennato del corpo accanto al mio, non avrei saputo dirlo con certezza. Quando i miei occhi si abituarono all’oscurità la vidi in ginocchio sul materasso a fissarmi insistentemente, tra le mani un rompighiaccio che sembrava scintillare alla luce della luna.
«Vuoi uccidermi?» Non mi mossi continuando a guardarla.
«E se uccidessi me stessa? Credo scombinerebbe i tuoi piani scontentandoti. Mi piace l’idea di vederti furioso e triste.» Reclinò il viso e io vidi la punta di quell’arma improvvisata carezzare la curva perfetta del suo collo, la stessa che fino a poche ore prima avevo assaporato io stesso con la mia lingua. Aveva ragione lei, vederla agonizzante su quel letto mi avrebbe strappato via tutto ciò che volevo, incattivendomi.
«Avrei dovuto sposare te non Masha, anni fa.» Ci fissammo attentamente e io vidi la curiosità nei sui occhi probabilmente nata dal fatto che fino a quel momento non aveva pensato minimamente a me come un uomo sposato.
«Hai ucciso anche lei?» Ancora una volta le sue risposte non andavano mai dove mi ero prefisso, e ancora una volta la sensazione di instabilità mi piacque.
«L’hanno uccisa la prima notte di nozze, e stanotte ho avuto la mia vendetta.» Non era propriamente vero, la vendetta che avevo cercato e avuto riguardava solamente me non Masha. Quando vidi la pistola puntata contro la sua tempia non provai la minima ansia al pensiero della sua morte, considerandola semplicemente necessaria ad altri fini. Ma se quella pistola l’avesse puntata lei stessa alla propria tempia, l’avrei presa allo stesso modo? Forse si, forse era questa la sostanziale differenza tra le due donne.
«La volevi come vuoi me?» Continuavo insistentemente a fissare quella fottuta lama sul suo collo pensando al modo più efficace per toglierla e scaraventarla lontano.
«Cos’è questa, una pseudo scenata di gelosia? Vuoi sapere se preferisco te?» Inarcai un sopracciglio sollevandomi appena sul gomito, bastò quel movimento per farla arretrare e affondare la lama sulla carne che si ferì appena lasciando zampillare qualche goccia di sangue. La stoppai con la mano respirando profondamente, sentendo un’innaturale tensione alla schiena.
«Non la volevo, né più né meno, semplicemente.» Non capii se fosse o meno soddisfatta di quella risposta, ero troppo preso dal vedere come disarmarla e alla fine optai per l’unico modo che conoscevo in situazioni simili: l’attacco. Mi avventai su di lei che sembrava aspettarselo visto come tentò di scartare lateralmente, ma il mio peso unito alla velocità ebbero la meglio costringendola contro il materasso, i polsi bloccati dalle mie dita serrate. «Hai ideato questo nuovo giochetto sadico per punirmi?» Aumentai la stretta al suo ennesimo scatto di forza.
«Pensavo ti piacessero i giochetti sadici.» Mi sorrise nella penombra, non c’era ilarità però nei suoi occhi mentre lentamente lasciava andare il rompighiaccio che rotolò silenziosamente giù dal letto con un tonfo sordo finale. «Hai avuto paura di perdermi?»
«E se dicessi si?» Allentai la presa mentre sentivo il rigore abbandonare appena il mio corpo, mi chinai su di lei poggiando la fronte contro il suo petto. Sentii il suo cuore battere talmente forte da assordarmi e allora sorrisi. «Non l’avresti fatto, puoi mentire con le parole ma il cuore non può farlo.» Provò a spingermi e rifiutarmi ma non glielo permisi scivolando lateralmente e ingabbiandola con braccia e gambe finché non smise di dibattersi acquietandosi. Anche in quel caso continuai a stringerla.
«Anche tu sei incapace di mentire, Dimitri.» La sua voce mi giunse attutita, restai in silenzio ascoltando il ticchettio dell’orologio mentre lei vittoriosa ascoltava quello del mio cuore. Scacco matto.
 
 
Yuri entrò a passo di carica con sguardo accigliato, ormai aveva una paralisi vista la scarsa varietà di espressioni sul suo viso. In quel preciso frangente era probabilmente incazzato perché dopo esattamente 24 ore dall’agguato piuttosto che andar via eravamo rimasti lì, in attesa.
«Tara Ishii è qui, e vuole vederti.» Restai seduto sulla poltrona annuendo mesto, ricordavo molto vividamente la donna a capo di una delle più importanti famiglie di spicco della Yakuza, il fatto che fosse lì poteva voler dire solo due cose: o guerra o alleanza.
«Falla entrare.»
«Ci sono i suoi uomini con lei, sei completamente uscito di testa?» Indicò l’uscio ancora chiuso picchiettandosi poi la tempia, roteai lo sguardo annoiato.
«Quando dico ‘’falla entrare’’ intendo lei, non lei e i cani da guardia.» Irina apparve dalla camera da letto, osservai il graffio sul suo collo memore della notte prima. Andò a sedersi in un angolo della camera, sfidandomi quasi a farla rimanere lì con me. Sorrisi scuotendo il capo attendendo il mio ospite che non tardò a fare il suo ingresso. Come dico da sempre le bellezze asiatiche hanno sempre avuto un forte ascendente su di me, Tara non faceva di sicuro eccezione con la sua pelle chiara e gli occhi felini dalle ciglia lunghe. Quella mattina portava i capelli corvini sciolti, possedevano una rara lucidità che alla luce del sole faceva apparire i suoi riflessi bluastri.
«Finalmente ci rivediamo, anche se non nella situazione che mi sarei aspettata.» Il suo inglese fluente avrebbe fatto invidia a molti, non mi porse la mano mirando direttamente alla mia guancia. I miei occhi andarono automaticamente a Irina, la vidi irrigidirsi inarcando un sopracciglio e me ne sentii stranamente gratificato.
«Suppongo tu sia qui per darmi notizie, spero positive.» Mi accomodai nuovamente sulla poltrona seguito a ruota dalla donna che sospirò tatticamente lisciandosi le pieghe della gonna scura e corta.
«Hanno indetto una riunione per domani, temo quello sarà il tuo patibolo Dimitri Cernenko.» Mi grattai la tempia e non potei fare a meno di sorridere scrollando le spalle.
«Pensi lo sarà?» Si curvò nella mia direzione poggiandomi le dita sul ginocchio, risalendo lentamente ad accarezzare la stoffa del pantalone, fu in quel momento che notò la presenza di Irina poco distante forse a causa del suo sbuffo per niente elegante ma a mio avviso estremamente divertente. Tara come la migliore (o la peggiore) delle donne si limitò a fissarla e poi ignorarla, tornando a concentrarsi su di me. Forse l’aveva scambiata per una delle mie puttane da compagnia? Anche se riflettendoci come avrei dovuto catalogarla? Da quando Irina era entrata nel mio letto nessun’altra donna l’aveva fatto, e conoscendomi questo era un segno abbastanza forte.
«Non saresti rimasto nella tana del leone solo per farti sbranare, o sbaglio?» Si dimostrò ancora una volta intelligente e scaltra, una delle poche donne che stimavo davvero in quell’ambiente. Mi sovvenne la notte passata insieme, a letto si era dimostrata lo specchio di ciò che era tutti i giorni: dominante e severa.
«Dimmi solo se avrò il tuo appoggio, il resto lo vedrai da te domani.»
«Sei la squadra vincente Dimitri, mi sembra logico appoggiarti.» Ma nessuno lo avrebbe saputo fino a giochi fatti, non lo disse ma fu evidente. Si voltò a guardare Irina improvvisamente interessata, adesso che le questioni lavorative erano state messe da parte supponevo fosse propensa a distrarsi.
«E questo uccellino chi è?» Andò incontro a Irina che in quel momento somigliava più a una tigre in gabbia che a un tenero uccellino, e l’occhiata glaciale che le riservò fu abbastanza eloquente.
«Vuoi sapere chi è?» Guardai la mia donna con un sorriso enigmatico, cosa avrei dovuto dire in quel frangente? Probabilmente anche Irina era curiosa della spiegazione che avrei dato. Mi alzai versandomi da bere, e dopo un abbondante sorso tornai a guardare le due donne. «E’ un ostaggio.» Inarcai un sopracciglio sfidandola silenziosamente, la vidi cogliere la sfida e calpestarla sotto i suoi piedi, da come mi guardava ero sicuro che dopo piuttosto che infilzare se stessa con un tagliacarte avrebbe provato a uccidere me.
«E io che pensavo avessi messo la testa a posto.» Tara e la sua falsa delusione, uno spettacolo esilarante. Mi si avvicinò carezzandomi la guancia, la sua altezza era ridicola se paragonata alla mia eppure riusciva a non sfigurare. «In questo caso offrimi la cena prima della tua partenza, ti assicuro che il dolce non ti deluderà.» Sorrise in maniera seducente e io leccai l’angolo delle labbra con sguardo irriverente. Irina si alzò dalla sedia e io temetti di vederla afferrare i capelli corvini dell’altra trascinandola per tutta la stanza. Sono sicuro il pensiero le fosse sfrecciato nella sua piccola mente machiavellica, alla fine però ci superò richiudendo la porta della camera con un tonfo secco. La discussione non si protrasse per molto, senza Irina non era divertente flirtare con Tara, e quando andò via restai seduto a meditare aspettando Yuri che apparve mezzora dopo con l’aria accigliata.
«Ti è per caso venuta una paresi nella notte e io non sono stato avvisato? La tua mono-espressività inizia a preoccuparmi.» Lo beffeggiai crudelmente ignorando il suo dito medio, offrendogli invece un bicchiere di martini.
«Dimmi solo che hai in mente, prima andiamo via di qui e prima starò meglio.» Scolò tutto il contenuto del bicchiere in un sorso. Avevo già un piano in effetti, proprio come pensava Tara e l’avrei messo in atto a quella fottuta riunione nella quale pensavano di potermi mettere all’angolo. Avrei dimostrato a tutti cosa significava avere a che fare con me, ma soprattutto avermi come potenziale nemico.
«Domani vedremo in che direzione si sparpaglieranno le pecore in presenza del lupo, amico mio.»
 
 

Irina POV

 
Sentivo il vociare sommesso nell’altra stanza mentre con lentezza aprivo la valigia estraendo la biancheria intima e un vestitino color argento regalo di Dimitri. Nella mia breve esistenza non avevo avuto modo di provare sentimenti romantici, tantomeno la gelosia, tutte quelle sensazioni stavano venendo a galla con lui, col peggiore, con l’unico che non avrei mai dovuto neppure guardare figuriamoci amare. Eppure era successo, se Misha fosse stato lì probabilmente non avrei neppure saputo prodigarmi in spiegazioni o scusanti perché mi rendevo conto non ce ne fossero. Ma di una cosa ero certa, se Dimitri pensava di poter fare il bello e il cattivo tempo non aveva fatto i conti con me, non ero l’agnellino sacrificale di nessuno e lo avrebbe capito a sue spese. Mi preparai con doverosa cura, valorizzando i miei occhi e il mio incarnato con del trucco appena accennato, calcando la mano sulle labbra adesso scarlatte. Quando osservai il mio riflesso ciò che vidi mi piacque, indossai delle scarpe dal tacco vertiginoso e aprii la porta presentandomi ai due uomini. Negli occhi di Dimitri lessi la concupiscenza più nera, un sentimento così forte da rimescolarmi dentro e seppi d’essermi preparata al meglio; inarcai un sopracciglio sorridendo e rivolgendomi a Yuri.
«Sono stanca di star chiusa qui dentro, mi porti in giro?» L’uomo restò per un secondo spiazzato, incapace di prendere una decisione senza la totale approvazione della persona accanto a lui.
«Dove vorresti andare?» Fu Dimitri a parlare, ero sicura avesse capito il perché di quella mia richiesta, il nostro ormai era un gioco a carte scoperte.
«Non ho chiesto a te, ma a Yuri.» Continuai a guardare il soggetto delle mie insistenti richieste aspettando una risposta e quando Dimitri tacque supposi fosse un assenso silenzioso, voleva forse vedere sin dove mi sarei spinta? «Non aspettarmi sveglio, farò tardi.» Mi sentii afferrare per il gomito poco prima di uscire, i suoi occhi mi scandagliarono nel profondo e il suo piede calciò la porta che si richiuse con un boato lasciando Yuri fuori.
«Sei consapevole di non avere possibilità di scelta vero? Se voglio ti tengo qui, anche usando la forza.» Snocciolò con lentezza le ultime parole, come a volermele marchiare a fuoco sulla pelle.
«Non sono una tua proprietà, se voglio scoparmi uno sconosciuto in un locale lo faccio.» Lo spinsi divincolandomi dalla sua presa, tornò ad afferrarmi con forza facendomi gemere di dolore avvicinandomi al suo viso, mi sentii sollevata quasi di peso. Il suo respiro si infranse mescolandosi al mio, era bollente e furente. Mi piacque.
«Ti consiglio di sceglierti la scopata migliore della tua vita, perché sarà anche l’ultima.» Non gli diedi la soddisfazione di vedermi rabbrividire a quella minaccia limitandomi a spingerlo e voltargli le spalle per uscire da lì.
«Chiama Tara, magari potrai sfogare con lei il tuo delirio di possessione.»
«Oh si, è pure parecchio brava a differenza di altre.» Lo fissai furente desiderando strappargli quel sorrisino dal viso.
«Spero allora a lei non tocchi fingere orgasmi.» Aprii la porta sbattendola con forza e soddisfazione, ma la sua risata che mi accompagnava lungo il corridoio sminuì gran parte di quei sentimenti.
 
Scelsi un locale alla moda della capitale, non riuscivo neppure a pronunciarne il nome ma a giudicare dal tipo di clientela ero sicura d’aver scelto bene. Yuri al mi fianco non sembrava per niente contento di dover sottostare a quella guerra tra me e Dima, perché di questo si trattava. Non avevo la minima voglia di conoscere uomini o farmi avventure da una notte e via, probabilmente perché l’uomo che avevo compensava egregiamente ogni mio bisogno. Tranne quelli primari come l’amore, la tenerezza, la lealtà.
«Non ho mai visto Dimitri star dietro a delle liti infantili da innamorati.» Guardai Yuri, era al terzo bicchiere di vodka e sembrava ancora lucidissimo.
«Perché gli sei fedele? Potrebbe ucciderti senza alcuna incertezza se solo gli girasse male.» Rubai il suo bicchierino sorseggiando il forte alcolico, la gola mi pizzicò e io tossii rumorosamente.
«Certe presenze nella tua vita non te le scegli, arrivano e basta. Pensi tuo fratello sia stato un uomo migliore? O Shura?» Una risatina fastidiosa proruppe dalle sue labbra, lo osservai attentamente per la prima volta. Aveva una quindicina d’anni abbondanti rispetto a me, i capelli chiari iniziavano a stempiarsi ai lati, aveva una bellezza alquanto rude.
«Lo penso si, quantomeno loro possedevano una coscienza e dei sentimenti.» Annuì meditabondo come se gli avessi fornito spunti nuovi su cui riflettere.
«Eppure continui ad amarlo, e non fermi quest’auto.» Un’auto dai freni rotti, lo pensammo entrambi ma nessuno lo disse.
«Tu credi nelle anime predestinate?» Mi fissò con stupore e una risatina incredula, io ci credevo eccome, Dimitri e io avevamo un destino legato indissolubilmente. Un destino di morte, probabilmente.
Ballavo al centro della pista sotto gli occhi di tutti, soprattutto di Yuri che ero sicuro si preparasse a fare un resoconto dettagliato il mattino successivo. Un ragazzo si avvicinò piazzandosi alle mie spalle, ballai sinuosamente muovendo i fianchi contro il suo bacino senza staccare gli occhi di dosso dalla mia guardia del corpo improvvisata, e quando lo vidi pronto a intervenire mi allontanai semplicemente dal mio spasimante senza dargli l’agio di portare a termine ciò che si era prefissato. Rifeci il giochino parecchie volte nell’arco della notte, e solo quando mi reputai soddisfatta e stanca gli permisi di riaccompagnarmi in auto e poi all’Hotel.
Con i tacchi in mano entrai nella camera completamente al buio, un rumore attirò la mia attenzione e allora lo vidi seduto nella stessa poltrona della mattina, a versarsi del vino da una bottiglia ormai quasi vuota. Accesi l’interruttore della luce avvicinandomi in silenzio, gettando le scarpe da una parte.
«Non mi sembri molto occupato, strano.» Mimai un sorrisetto di scherno incrociando le braccia al petto.
«Oh ma lo sono stato, moltissimo anche.» Aggrottai la fronte fissando la bottiglia semivuota.
«Suppongo che per te bere sia un dispendio di tempo ed energia, si.» Si alzò con lentezza e la sua stazza occupò il mio intero campo visivo tubandomi. Aveva una calma glaciale e pericolosa al contempo.
«Ero impegnato a guardare ciò che è mio far la puttana con altri uomini.» Finì il vino dentro il calice che gettò contro il muro frantumandolo. Arretrai portandomi inconsciamente le mani a tapparmi le orecchie.
«Avresti potuto unirti a noi, nessuno te lo impediva.» Mi sorrise arcigno togliendosi la maglia con un movimento fluido, osservai il suo corpo che sembrava scolpito nella pietra arretrando ancora.
«Perché mai? Volevo vedere sin dove saresti arrivata Irina.»
«Piaciuta la visione?» La sua lingua leccò fugacemente l’angolo delle labbra mentre annuiva con finta convinzione.
«Abbastanza, penso d’essere stato troppo tenero con te.» Oh davvero?
«Suppongo di si, uccidere mio fratello è una bazzecola in fondo.» Il mio tono si inasprì inacidendosi, mossi un passo nella sua direzione pronta a scagliarmi contro di lui ma la visione del suo braccio me lo impedì, vidi lo schiaffo arrivare veloce e potente voltai il viso di lato chiudendo gli occhi, ma non sentii assolutamente nulla. Quando riaprii le palpebre Dimitri era ancora nella medesima posizione, la mano a pochi centimetri dalla mia guancia, gli occhi furenti.
«Se ti colpissi avresti ciò che vuoi, e io odio accontentarti.» Respirai affannosamente stringendo i pugni fino a conficcarmi le unghie contro i palmi. Mi si avvicinò con aria minacciosa e io arretrai inciampando nei miei stessi piedi cadendo contro il tappeto.
«Allontanati da me.» Urlai senza rendermene conto mentre Dimitri slacciava la cinta lasciandola cadere a terra, a quella seguirono i pantaloni.
«Ciò che invece non vuoi è questo, giusto? Fammi sentire come simuli gli orgasmi Irina, sono curioso. La notte è ancora lunga.» Urlai divincolandomi ma il suo peso mi schiacciò a terra, sentivo le sue mani sollevarmi il vestitino, per quanto tentassi di fermarlo non ci riuscivo. Il rumore di uno strappo mi bloccò, le mie mutandine giacevano a brandelli ormai poco distanti, provai a tener chiuse le cosce di fronte alla sua presa.
«LASCIAMI, FIGLIO DI PUTTANA.» Morsi con violenza la sua bocca sentendo il sapore ferroso del sangue invadermi il palato, ne gioii senza motivo finché la forza con cui entrò in me non mi tolse letteralmente il fiato. Digrignai i denti provando a rimanere in assoluto silenzio mentre sopra di me il suo corpo si muoveva incessantemente, sapevo dove volesse andare a parare. Voleva la mia disfatta totale mentre provavo a non afferrarmi alla sua schiena gemendo senza ritegno.
Mantenne la sua parola, per tutta la notte non mi diede tregua e all’alba sentì finalmente la mia disfatta nel gemito del suo nome.
 

 

Dimitri POV

 
La riunione si accingeva ormai ad iniziare, la dimora che l’avrebbe ospitata si ergeva tra i vicoli più antichi della capitale, seduto sui sedili anteriori della mia berlina scura osservavo la casa in stile tradizionale piuttosto caratteristica.
«Sono tutti dentro.» Yuri spezzò il flusso dei miei pensieri, lo guardai annuendo poco prima di scendere. Avevo lasciato Irina dormiente sul letto, quando mi ero voltato per andare via le sue dita si erano chiuse sulla mia giacca strattonandomi appena; m’aveva fissato con gli occhi ancora lucidi di sonno sussurrando un ‘’tornerai?’’ a cui non avevo risposto. Non perché avessi qualche dubbio, ma perché il suo tono sporco di apprensione aveva semplicemente messo a tacere la mia voce.
Aprii la porta con un colpo secco e dieci paia d’occhi si posarono su di me con la medesima intensità, sorrisi arcigno camminando lentamente fino all’unica sedia libera, non mi accomodai stringendo semplicemente la spalliera tra le dita sentendo lo sguardo di Tara occhieggiarmi con insistenza. Avrei dovuto dirle che la nostra cena sarebbe saltata, suppongo.
«Sono in ritardo, amici miei?»
«Nessuno ti è amico qui dentro Dimitri Cernenko, non più.» Fissai il vecchio Takahashi con occhi ridenti abbassando appena il capo.
«E’ un peccato sentirtelo dire, senza quel dolce sentimento chiamato ‘’amicizia’’ dove potremo mai andare?» Ignorai i mormorii che si levarono nella stanza concentrandomi su di lui.
«La tua presenza qui è solo un’ulteriore ammissione di colpevolezza.» Ma non mi dire, ecco il capitan ovvio della situazione.
«Ho squarciato il petto di Sasaki incidendogli una D, mi sembra un po’ bizzarro negare le mie responsabilità a questo punto, non trovi?» Tara sorrise divertita accennando un colpo di tosse.
«Sergej è a conoscenza di questo tuo lavoro?» Takahashi mi fissò sperando di cogliermi in fallo, la mia espressione restò neutra e imperturbabile. No, Sergej non era stato avvisato per il semplice motivo che quella era una MIA personale crociata. Avevo atteso anche troppo nell’esigere vendetta, mi ero stancato.
«Pensi io abbia bisogno del permesso del Vor per muovermi?» Non gli diedi l’agio di rispondermi sbattendo la mano contro al tavolo, le dita sbottonarono velocemente parte della mia camicia mettendo in mostra la cicatrice sul petto. «Sasaki ha offeso ME, ciò in cui credo, ciò per cui lavoro, la morte è stata quasi una liberazione rispetto all’offesa recata. Non sono qui per appianare i rapporti, sono qui per capire chi di voi vuole schierarsi contro me.» Li guardai uno per uno, Takahashi fu il primo a sollevare la mano con un sorriso di sfida seguito da altri. Annuii schioccando la lingua contro il palato.
«Non credo uscirai vivo da qui, Cernenko.» Bizzarro come io credessi la medesima cosa di loro, sorrisi strizzando appena gli occhi, arricciando il naso in un’espressione irriverente.
«Ricordi l’ultima riunione? Ti dissi che potevo uccidere con un solo dito chiunque mi si fosse messo contro. Voglio dimostrartelo adesso.» Sollevai le dita che formarono una pistola immaginaria, puntai alla testa di Takahashi e al mio ‘’bang’’ appena sussurrato un proiettile trapassò la finestra piantandosi dritto al centro del suo cranio. Lo vidi cadere a terra con un tonfo e il panico esplose dentro la sala, le armi vennero estratte mentre guardavo la paura negli occhi di tutti, la domanda inespressa che ognuno si poneva era: chi sarà il prossimo?
«SEI UN FOLLE.» Non capii da dove provenisse quell’ingiuria (peraltro vera) ai miei danni e neppure me ne curai. Estrassi l’arma dalla cinta poggiandola sul tavolo per poi prendere posto, quello era il mio personale segnale ogni qualvolta mi accingevo a prendere parte a una riunione, un po’ come dire ‘’adesso possiamo iniziare’’.
«Adesso voglio che solleviate ancora le mani, chi è in disaccordo con i miei metodi come dire.. educativi?» Nessuno parlò, nessun movimento venne anche solo accennato. «Ottimo, direi che la riunione può anche iniziare giusto?»
«Direi di si.» Fu Tara a parlare seguita da svariati assensi, i miei occhi si posarono su Yuri adesso più rilassato, nei miei occhi lesse la risposta alla domanda della sera prima. Aveva visto la direzione presa dalle pecore all’attacco del lupo.
 
La mia soddisfazione per la riunione appena conclusasi durò ben poco, cessò ufficialmente quando Vania (ormai portatore ufficiale di disgrazie ai miei danni) non arrivò comunicandoci la distruzione del bordello di Regina. Lo fissai svariati secondi in silenzio come se non avessi letteralmente assimilato quelle parole.
«Regina ha detto semplicemente ‘’Shura ti manda i suoi saluti’’.» La mia mano sbatté sul tavolo seguita da uno scroscio di risate che non sembravano volersi frenare, mi accasciai fissando i due uomini con occhi lucidi e assassini mentre la consapevolezza di dover arginare i danni diveniva man mano più pressante dentro di me. Forse era il caso di rivedere il piano, e scendere a compromessi.

 

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Capitolo 10
*** Now, you'll remember your promise, won't you? ***






 
Del bordello di Regina non rimanevano che cumuli di macerie, nessuna traccia delle ragazze né della padrona del posto, mi chiesi che fine avesse fatto Indah. Avevano scoperto i suoi contatti con Shura e la rossa misteriosa? Rabbrividii al pensiero di cosa potessero farle e i miei occhi corsero a Dimitri fermo di fronte la dimora ormai fatiscente. La sua schiena contratta mi lasciava presupporre quanta rabbia stesse albergando dentro di lui al momento, e la faccia sfatta di Yuri non faceva altro che confermare le mie teorie. Mi avvicinai cautamente ascoltando la loro discussione.
«.. Sono state tutte trasferite.» Pur non avendo ascoltato la frase per intero, dedussi parlassero delle ragazze risolvendo in questo modo una delle mie tante domande.
«Lo avete trovato?» Di chi parlava? Colui che aveva appiccato l’incendio forse? Gli andai più vicino improvvisamente curiosa, nessuno dei due badava a me né sembrava porsi il problema che le mie orecchie captassero il discorso.
«Abbiamo ristretto il campo, dammi 24 ore, il problema è capire cosa colpirà adesso e se lo farà prima di noi. Shura è completamente imprevedibile, lo sai anche tu come lavora..» sorrisi divertita a quel nome, adesso sapevo chi ringraziare per quello splendido trionfo di fango e detriti. E il mio sorriso divenne una risata dapprima contenuta e poi sempre più forte, ai bordi degli occhi sentivo il pizzicore tipico delle lacrime quando ridi troppo, una sensazione che ormai avevo dimenticato. Dimitri mi fissò con un sorrisino stanco e nervoso.
«Suppongo tu sia felice, hai visto Yuri? La mia donna è felice.» La sua donna, mi considerava tale quindi? Non ero più un semplice ostaggio come detto a Tara?
«Lo sono tantissimo, voglio immortalare la tua espressione in questo momento. Come titolo: la disfatta di Dimitri Cernenko.» Un altro scoppio di risate incontrollate, mi afflosciai appena tenendomi la pancia con le braccia. Yuri impassibile serrò le labbra, non capivo se volesse ridere anche lui per la disperazione o malmenarmi. Su Dimitri avevo pochi dubbi al momento, soprattutto da come indossò gli occhiali da sole superandomi senza degnarmi di uno sguardo.
«Spero la tua risata continui anche dopo aver saputo dove vivrai da oggi.» Mi stoppai asciugandomi gli occhi, frenando i singhiozzi ormai isterici velocizzando il passo per raggiungerlo e strattonarlo.
«Hai in mente un altro bordello per me?» Stavolta fu lui a sorridermi divertito guardando un punto indefinito nell’orizzonte.
«Ovvio che no, vivrai in casa mia.. non sei felice?» Afferrò il mio mento con due dita stringendo la presa quando provai a divincolarmi. «Shura ti cerca, dovrà venire nella tana del lupo per riaverti.» Che figlio di puttana, si trattava solo di questo quindi? Mantenermi vicina per attirare Aleksandr dritto nella bocca del leone? Soffocai la mia cocente delusione mandando giù il bolo amaro che s’era formato in gola, improvvisamente la mia voglia di ridere s’era ridotta ai minimi storici.
 
 

Sophia POV

 
Come la sabbia rinchiusa dentro una clessidra allo stesso modo vedevo i secondi tramutarsi in minuti, e a questi seguire le ore poi i giorni e infine le settimane. Riuscivo a stringere il tempo tra le mie dita ferite, dalla notte in cui tutto era finito. Perché la morte di Misha era un po’ come il sipario metaforico della mia intera esistenza. Pensavo che il mio passato m’avesse indurita più del dovuto, ma paragonato a questo ciò che avevo visto e vissuto sembrava essere un nonnulla nell’abisso dei dolori. Guardavo mio marito divenire l’ombra dell’uomo che era stato in quegli anni, non potevo neppure paragonarlo allo Shura di un tempo, quel tempo che m’aveva vista innocente e ignara, no era molto peggio. Io sapevo che Aleksandr era un po’ morto quella notte, e quindi mi ero ritrovata a piangere non un lutto ma ben due e uno peggiore dell’altro. Fissai Eleazar dormiente nel lettino, sarebbe riuscito a perdonarmi se avessi dovuto allontanarmi da lui? Se per tenerlo al sicuro avessi dovuto rinunciare al privilegio d’essergli madre lo avrei fatto, perché nessun amore era viscerale come quello che io nutrivo per la mia stessa carne. Se non fosse stato per lui e per i continui calci dentro la mia pancia, avrei pensato d’essere deceduta senza saperlo. Mi sentivo completamente invisibile, persino quando scendevo al minimarket vicino casa e passavo accanto alla gente avevo come l’impressione di non essere vista, un cadavere non ancora putrefatto. Erano però gli occhi di Shura ogni notte a ricordarmi che fossi viva, il modo in cui mi fissava mi faceva sentire ancorata a questo mondo, seppur piena di dolore e per questo stranamente mi sentivo in dovere di ringraziarlo; lui non avrebbe capito, avrebbe storto le labbra in una smorfia chiudendosi nella sua fortezza del dolore, laddove lui era il sovrano indiscusso dei colpevoli. Perché in fondo lo sapevo, sapevo quanto si considerasse responsabile della morte di Misha, se non fosse stato per la promessa fattami anni prima avrebbe preso in mano la situazione molto prima. Se non fosse stato per la testardaggine di Misha nel tornare qui da noi a NYC. Se Irina non fosse stata lasciata sola in albergo. Se, troppi se, uno peggiore dell’altro e mio marito per non colpevolizzare chi amava, preferiva riversare tutto l’odio su di se come sempre. Un rumore attirò la mia attenzione, mi alzai cautamente dal lettino di Eleazar chiudendo la porta e guardando il salone buio, una sensazione strisciante si insinuò dentro di me, non poteva essere Aleksandr, aveva le chiavi perché quindi forzare la serratura? Un secondo scatto mi mise le ali ai piedi, strisciai verso la camera da letto e senza indugio afferrai una pistola nascosta nel ripiano alto dell’armadio, la caricai con un gesto secco e la minima emozione nello sguardo. Non me ne avevano lasciate, prosciugandomi.
Conoscevo casa mia molto meglio dell’intruso, mi nascosi tra la parete e il mobile della cucina in attesa finché non lo vidi, camminava in maniera furtiva guardandosi attorno finché non mirò alla stanza di mio figlio; strinsi le palpebre sentendo un rivolo di sudore colare lungo la schiena e quando notai la pistola stretta nella mano destra agii senza pensarci. Uscii, mirai e sparai. Cadde con un tonfo sordo e il silenzio annunciò il pianto di mio figlio da cui corsi senza neppure guardare il cadavere riverso a terra. Lo abbracciai accarezzandogli i capelli, cullandolo tra le braccia finché la figura di Aleksandr non apparve davanti la porta. Era pallido e scioccato, mi fissò incredulo e io sorrisi.
«Non sei l’unico a essere cambiato, ho smesso di essere la vittima inconsapevole quando persi nostro figlio.» Il primo e mai dimenticato. Non disse nulla ma vidi il cambio evidente nel suo respiro, mi girò le spalle tornando in salotto probabilmente a disfarsi di quel corpo sudicio che stava contaminando casa nostra.
«E’ troppo tardi vero?» Esordii con queste parole all’alba, quando mi decisi a tornare in soggiorno, lo trovai seduto a fumare in silenzio, la bottiglia di vodka consumata a metà.
«Lo è. Portava i tatuaggi della bratva..» fece una pausa come a voler raccogliere i pensieri. «Questo significa solo una cosa: Dimitri ci ha trovati, e io non posso permettere succeda qualcosa a te o Eleazar.» Mi accarezzai inconsciamente il ventre, i miei occhi guardavano la sua sagoma senza vederla davvero, persa nelle mie paure e nei miei ragionamenti.
«Manderò via Eleazar.»
«Eleazar?» Mi fissò in tralice afferrando la bottiglia per versarne un’altra generosa dose che ingollò in un sorso. «Devi sparire anche tu Sophia.»
«Oh, ti piacerebbe.» Risi senza gioia ma lui non mi seguì continuando a guardarmi incredulo, quando si alzò la sua stazza mi oscurò completamente, più s’avvicinava più avvertivo il violento controllo che stava esercitando su se stesso per non perdere del tutto le staffe.
«Che cazzo stai dicendo, Sophia?»
«Sto dicendo che non vado da nessuna parte, non hai visto quello che ho fatto stanotte? Lo rifarei se necessario, ho appena ucciso un uomo o forse ti è sfuggita questa parte?» Respirava come se gli costasse fatica, mi strinse il braccio strattonandomi, a ogni parola seguiva uno spintone doloroso.
«Che. Cazzo. Stai. Dicendo. SOPHIA.» Mi divincolai andando a chiudere la porta di Eleazar, non volevo assistesse all’ennesima lite dei genitori. Ormai non facevamo altro.
«Non ti lascio qui da solo Shura, se vai tu vado anch’io. Ho giurato non ti avrei più lasciato andare e non lo farò.» Strinsi le palpebre alla sequela di imprecazioni che proruppero dalla sua bocca, ruppe la bottiglia frantumandola contro il tavolo, conoscevo ormai il suo modo di fare. Prima mi avrebbe minacciata, poi avrebbe provato ad adularmi, anche a sedurmi se necessario e infine sarebbe tornata nuovamente la rabbia ma non avrei comunque ceduto. Dopo ore estenuanti dichiarò la sua disfatta fissandomi con occhi colmi di troppe cose, cose che non potevo guardare senza cadervi dentro.
«Lo sai che se perdo te è finita, vero? Se lui riesce a togliermi te..» si stoppò come se non riuscisse a continuare, la paura e il dolore come una morsa violenta e infida. «Semplicemente non esiste vita senza di te, Sophia. Ancora come allora, senza di te sono solo un omicida senza scopo o ragione.» Colmai le distanze accarezzandogli il viso, baciando le sue labbra, toccandole con venerazione.
«Se pensi davvero tutto questo non chiedermi di lasciarti.. se perdo te è finita anche per me.. sei mio marito, viviamo insieme o moriamo insieme.» Lo baciai con trasporto sentendo quella calda familiarità che come sempre divampò in un incendio di sensi, mi sollevò e io cinsi i suoi fianchi con le cosce facendomi trascinare in camera da letto. Non riuscimmo neppure ad arrivare al letto, bloccandoci sul pavimento e ritrovandoci. Finalmente la tregua tanto agognata arrivò, ma come tutte le cose belle anche questa ebbe fine.
 
Misha, continuo a ripetermi che la vita andrà avanti anche senza di te, che questo dovrebbe essere abbastanza per camminare passo dopo passo. Ma perché sento come se invece questa fosse la consapevolezza più triste?
 
 

Dimitri POV

 
La scacchiera era ormai stata disposta, le pedine continuavano ad avanzare senza tregua tra me e Aleksandr. A ogni mia azione corrispondeva una sua reazione, ma sapevo che l’irruzione in casa sua avrebbe smosso qualcosa in quel meccanismo tossico e ormai eccessivamente statico. Il mio era un chiaro messaggio: posso trovarti sempre e dovunque. Ero certo che lui l’avrebbe colto, Sophia magari no ma non me ne curavo. Quei due ormai tendevo a considerarli un’unica entità, se saltava uno sarebbe automaticamente saltato l’altro. Due giorni dopo finalmente il telefono squillò e io sorrisi pregustando il seguito del mio piano.
 
— La testa del tuo uomo verrà recapitata direttamente a casa tua.
— Carino come pensiero, mettici pure un fiocco rosso mi raccomando.
— E’ una tregua quella che cerchi?
— E tu?
— Dovremmo parlarne faccia a faccia, non ti manco nemmeno un po’ Dima?
— Ti sogno ogni notte, Shura.
 

Nessun doppio gioco stavolta, nessun tranello, ci accordammo per vederci quella notte con le migliori intenzioni. Se avessi visto anche solo l’ombra di una trappola avrei raso al suolo quel posto e lo stesso ero sicuro avrebbe fatto lui. Eravamo sicuri l’uno dell’altro perché entrambi avevamo qualcosa che ci premeva avere, per questo motivo ci trovavamo costretti a rimandare il nostro vicendevole omicidio. Aprii la porta dell’ufficio richiamando all’ordine Yuri e Vania, avrebbero perlustrato la zona per me, e gli altri si sarebbero mantenuti a distanza di sicurezza per eventuali colpi di testa.
«Il carico di Kolia arriverà domani notte.» Quel carico in teoria doveva essere mio, non avevo di certo dimenticato la mia personale vendetta a Sergej.
«E’ il momento per Kolia di chiudere definitivamente con gli affari della famiglia.» Afferrai una mela sbucciandola con attenzione. «E noi sappiamo bene che da questo mondo puoi uscirne solo in due modi: o in manette, o dentro una bara.» Sorrisi addentando il frutto, gustandone il succo dolciastro, persino Shura ai tempi aveva scelto una delle due opzioni per salutarci. Kolia però non avrebbe avuto quel lusso.
 
Il club quella sera sembrava ancora più affollato, avevo creato quel posto ufficialmente come locale per la gente che contava a Las Vegas, ufficiosamente v’erano continue riunioni dei capi mafia più in vista e smercio di droga e puttane. Percepii il suo arrivo ancora prima di vederne il viso, la sua sagoma si stagliava a pochi metri da me, schiena dritta e mani in tasca, Aleksandr ricambiò la mia occhiata spostandosi lateralmente verso uno dei privè nella quale lo seguii. Yuri si allontanò a perlustrare il posto, ero sicuro non fosse venuto solo ma non importava molto in quel momento.
«Questo club puzza di illegalità a chilometri.» Si sistemò la giacca sedendosi comodamente su uno dei divanetti, occhieggiandomi. Nei suoi occhi leggevo la furia per la morte di Misha, ero certo che quella tregua lo rendesse ancor più furente, se il fratello fosse stato ancora in vita avremmo potuto fare grandi cose insieme.
«La tua agenzia ai tempi non era da meno.» Scrollai le spalle con indolenza accomodandomi di fronte, versando da bere a entrambi. Il silenzio fece da padrone per svariati minuti, interrotto solo dai bicchieri che sbattevano sulla superficie in cristallo e dal vociare insistente oltre la grande tenda scura.
«Voglio Irina e Nadja, e le voglio adesso.» Una risatina proruppe dalle mie labbra, le leccai avidamente sentendo il retrogusto dell’alcool, scuotendo appena il capo.
«Un po’ avido non trovi? Hai sempre avuto questa smania d’avere tutto e subito.» Mi stoppai meditando, eravamo lì per uno scambio equo o almeno così pareva.
«Ti cederò Nadja, posso dirti dove si trova in questo preciso momento.» I suoi occhi s’affilarono al solo sentire quel nome, portò i gomiti sul tavolo curvandosi verso di me.
«Pensi sul serio io sia così stupido? Non appena avrai avuto ciò che vuoi la farai sparire ancora prima che possa arrivarci.» Mi mostrai soddisfatto dal suo acume, mi piaceva fare affari con lui per questo. Mai prevedibile e soprattutto ingenuo. «Portala qui e portala adesso, Dima.» Parlavamo in russo, quella lingua a entrambi familiare.
«In cambio sai già chi voglio..» Bevvi un sorso di vodka sospirando soddisfatto, Shura sorrise mellifluo chinando il capo.
«Dasha, giusto?» Avrei voluto Irina ad ascoltare in quel preciso momento e chiederle dopo se pensava ancora quei due fossero migliori di me. Non ci aveva pensato un attimo a vendermi la donna che lo aveva aiutato a far fuggire Misha soltanto per avere Nadja, che ai miei occhi contava meno di zero. «Quando avrò Nadja qui ti dirò dove trovarla, lo sai che mantengo sempre la mia parola.»
«Anche perché ho ancora Irina con me, deve pagare lei per i tuoi peccati e tranelli?» A quel nome i suoi lineamenti si distorsero, chiaramente avrebbe voluto salvare prima la sorella piuttosto che l’amante di Misha. «Hai preso la decisione corretta, Nadja ha bisogno di te.. ma forse tu non lo sai ancora.»
«Sapere cosa?» Il suo sguardo attento mi fece capire non mentisse, risi dentro di me versandogli ancora da bere.
«Questo si che è un buon motivo per brindare.. diventerai presto zio, e neppure lo sapevi.» La sua faccia perse per un attimo colore nella consapevolezza di ciò che stavo dicendo, il figlio di Misha nel ventre della donna che aveva amato.
«Misha lo sapeva?» Digrignò i denti e io ebbi come l’impressione fosse tentato d’estrarre l’arma e uccidermi seduta stante.
«Lo immaginava credo, non saprei.» Feci di proposito il vago muovendo in aria le dita con espressione neutra, Shura però non abboccò fissandomi con ira repressa.
«Se non avessi ucciso Misha, io e te avremmo in questo preciso momento dei rapporti quasi cordiali.»
«Pensavo la stessa cosa, sai?» Reclinai il viso fissandolo con sincero interesse, tra tutti era l’unico uomo che avessi mai stimato in quell’ambiente, l’unico che avrei voluto accanto a me quando il trono della bratva sarebbe passato nelle mie mani. «E’ un peccato non sia andato tutto come volevo..»
«Lo sai che se tocchi anche un solo capello di Irina, ti troverò e ti ucciderò vero? Nel modo più doloroso possibile, Dima.» Il suo dito picchiettò la superficie riflettente del tavolo e io non ebbi motivo di dubitare a quella minaccia.
«Non voglio farle nulla, puoi credermi.»
 
 

Aleksandr POV

 
Cosa mi sfuggiva? C’era qualcosa, come un tassello che non riuscivo ad incastrare guardando Dimitri e la sua espressione mentre parlava di Irina. Conoscevo i suoi giochetti sadici e perversi, più volte avevo pensato potesse farle del male per colpire Misha, eppure nel fondo dei suoi occhi coglievo una luce strana, ambigua, quasi concupiscente. Vedeva sul serio Irina solo come un mero ostaggio? Un oggetto da intercambiare per i suoi scopi lerci? E se era così davvero perché non mi aveva dato lei piuttosto che Nadja? Adesso che sapevo della sua gravidanza mi rendevo conto fosse uno scambio ben più ghiotto rispetto alla sorella di Misha. Eppure me l’aveva ceduta senza batter ciglio. Lo guardai parlottare con Yuri, conoscevo bene anche lui più volte nell’arco della nostra vita eravamo usciti a bighellonare insieme o anche solo a ‘’lavorare’’. Mi ero sempre trovato bene con quell’uomo, pulito ed efficiente nei lavori non lasciava mai niente al caso, per questo Dima lo aveva tenuto stretto, a prescindere dal rapporto quasi ‘’fraterno’’ che tutti sapevamo nutrissero. Su Dimitri avevo seri dubbi. Era capace di provare determinati affetti? Quella macchina da guerra e morte?
«Stanno per condurre Nadja qui, dovresti adesso compiere la tua parte del patto.» Sorrisi sghembo estraendo una penna dalla tasca, afferrando uno dei fazzolettini sul tavolo nella quale scrissi frettolosamente qualcosa per poi piegarlo con cura. Lo sventolai tra due dita senza però darglielo.
«Qui c’è il luogo esatto nella quale puoi trovarla, fai ciò che vuoi di lei.» Il mio tono non conteneva la minima traccia di sentimento, avevo imparato spesso che in quel mondo il più debole era facilmente sacrificabile, nessuno escluso.
«Non sei cambiato per niente, Shura.» Era vero, come anni prima avevo ucciso con queste stesse mani la puttana del Vor, adesso stavo consegnandone un’altra. Mi sovvenne il nostro incontro in chiesa e le mie profetiche parole quando l’avevo salutata, sorrisi senza gioia cedendo un altro piccolo tassello della mia umanità.
Nadja arrivò mezzora dopo, quando la vidi scattai in piedi osservando il ventre appena pronunciato con una fitta di dolore al petto. Il figlio di Misha. Come avrei potuto crescerlo senza di lui? Lui che si sarebbe perso quel tipo di amore e gioia, lui che aveva appena condannato a una vita di dolore Nadja. Vidi nei suoi occhi la morte, spenta come se qualcuno gli avesse tolto le pile eppure non appena mi vide un guizzo di sentimento passò nei suoi occhi azzurri. Mi venne incontro abbracciandomi, la strinsi a me in silenzio.
«Molto commovente davvero, ma adesso se volete scusarmi avrei degli affari da sbrigare.» Dimitri interruppe quel momento col suo solito tatto e il tono sbrigativo avvicinandosi a me, gli consegnai il foglio piegato che mise nella tasca dei pantaloni guardandomi con intensità.
«Questo è solo un arrivederci, giusto?» Com’era perspicace, sorrisi senza gioia muovendo un passo nella sua direzione, mettendo Nadja al sicuro dietro di me.
«Sergej sa di questo accordo?» E io vidi in quel momento nei suoi occhi lo sguardo di un rapace, il seme del tradimento gettato lì nero su bianco.
«Salutami Sonech’ka, dille che presto riceverà delle liete notizie.» Non disse altro arretrando di un passo, lasciandomi capire la fine di quella discussione. Non lo guardai più mentre scortavo fuori di lì Nadja, quando l’aria fresca ci colpì il viso esplose in un pianto disperato accasciandosi a terra.
«Insegnamelo tu. Insegnamelo tu, Shura.» Insegnarti cosa Nadja? Non riuscivo a capirla mentre provavo a sollevarla, e lei sembrò comprendere la mia domanda inespressa piantandomi i suoi occhi bagnati e dolenti addosso. «Insegnami tu come vivere senza di lui.» Le mie mani ebbero un fremito, come potevo insegnarle qualcosa che neppure io avevo ancora imparato?
 

 

Dimitri POV

 
Arrivammo quella notte stessa a prenderla, noi cupi mietitori senza Dio. Non ci vide neppure se non quando la porta venne sfondata, i suoi occhi freddi e taglienti si poggiarono su di me e in quel momento capì chi l’avesse tradita.
«Ho sempre saputo quanto fosse diabolico e infido quell’uomo, sai? Pensavo tu fossi il peggiore che avessi incontrato nella mia vita.» Sorrisi mentre uno schiaffo ben assestato la fece ruzzolare in terra, sputò sangue misto a saliva e io mi chinai su di lei.
«Oh Dasha, ma è davvero così.. sono io il peggiore.» Poggiai la lama sulla sua gola candida, la vidi deglutire e sudare mentre il coltello recideva la carne come fosse burro. Da parte a parte. Il sangue uscì a fiotti e il suo intenso gorgogliare fu come musica per le mie orecchie. Mentre guardavo i suoi occhi spegnersi ricordai la notte in cui era iniziato tutto tra di noi.
 
Rinchiuso in uno dei miei soliti bar bevevo e bevevo affogando in questo modo le voci assordanti dentro la mia testa, come ogni volta durante l’anniversario della morte di mio padre tendevo a isolarmi preda dei miei stessi pensieri. Non ho mai ben capito cosa esattamente mi provocasse quella sensazione di sofferenza che faceva formicolare la mia pelle, ancora oggi succede e come arriva poi va via.
Mi venne vicino poggiandomi una mano sulla spalla, ci guardammo in silenzio qualche secondo. L’avevo vista spesso in compagnia di Sergej, così fredda e altera nei movimenti e nei silenzi che riservava a chiunque.
«Il Vor ti cerca.» Persino la sua voce non assumeva mai inclinazioni tenere.
«Il Vor, o tu?» In quel momento i nostri occhi si incrociarono nuovamente e con una nuova consapevolezza. Quella notte Sergej non riuscì a trovarmi.

 
«Ripulite tutto e portate il cadavere al solito posto.» In piedi osservavo il suo corpo adesso privo di vita, i suoi occhi erano rimasti aperti a fissarmi e sussurrarmi segreti inconfessabili.
«Non vuoi bruciarla?» Curvai un angolo delle labbra in alto scuotendo il capo.
«Oh no, la seppellirò io stesso. E’ Dasha, e lei merita una degna sepoltura.»
 

 

Aleksandr POV

 
Nadja stava adesso seduta sul divano accanto a Sophia che le sussurrava parole che non riuscivo a captare, probabilmente provava a distrarla dalle continue crisi isteriche che le prendevano a ore alterne. Negli occhi di mia moglie avevo visto il sentimento violento quando ci vide apparire alla porta e notò il ventre gonfio dell’altra, non mi guardò mai ma sapevo quanto in quel momento condividessimo i medesimi sentimenti e dolori. Eleazar era stato affidato a un’amica, una donna che Sophia aveva conosciuto nei due anni in cui era rimasta sola, lo avrebbe accudito in vece nostra finché le acque non si fossero calmate, mentre noi eravamo andati in un albergo distante dalla nostra casa. Nonostante l’accordo con Dima continuavo a non fidarmi di lui, ma soprattutto continuavo a cercare un modo per riavere anche Irina lì con noi. Bevvi avidamente dell’acqua come fossi assetato avvicinandomi alle due sagome, sentii la voce di Nadja rotta come un vaso le cui crepe avevano improvvisamente ceduto.
«E’ un maschio, lo chiamerò Aleksandr.. come voleva suo padre.» Vidi Sophia cedere per la prima volta incassando il viso contro il petto, incapace di trattenersi e mentire ancora per tenere in piedi i resti di quella serata dal retrogusto doloroso. Guardai la mia bottiglietta ormai vuota senza vederla davvero, mi sovvenne alla mente ancora una volta la domanda disperata di Nadja e seppi con certezza che mai avrei potuto darle una risposta. Perché semplicemente non esisteva. Non esisteva un modo corretto di vivere senza Misha, né adesso né mai.
 
 
Uno sparo, due spari, tre spari. Gli arrivai alle spalle piantandogli uno schiaffo tra capo e collo che incassò con un urlo e un’imprecazione.
«Ma che cazzo, possibile che sai solo menarmi?» Sputò a terra caricando l’arma ancora una volta, era la parte che preferiva del suo addestramento. Non era nato per essere un sicario Misha, troppo poco preciso e inefficiente, ma era palese quanto gli assalti fossero il suo cavallo di battaglia.
«Tre tiri e neppure un fottuto centro, fammi capire sei miope? Non lo vedi lo stramerdoso segnale lì al centro?» Indicai la sagoma distante parecchi metri e Misha sbuffo andando a sedersi sopra un tronco caduto, bevendo avidamente.
«Qual è il problema? Devo solo uccidere, no? Colpisco finché non cade, che importa se becco prima la coscia o il cazzo?» Non risi alla sua espressione divertita storcendo le labbra in una smorfia. Il suo battesimo del fuoco si avvicinava, e lui continuava a prenderla alla leggera. Come ogni fottutissima volta.
«Misha anche un singolo colpo a vuoto può innescare conseguenze. Dai il margine all’altro per spararti e colpirti.» Il suo sguardo divenne improvvisamente serio, reclinò il viso come a volermi mettere a fuoco.
«E quindi? Morirò, ma con una consapevolezza.» Aggrottai la fronte accendendomi una sigaretta, con lui i miei nervi venivano messi sempre a dura prova.
«E quale sarebbe?»
«Tu sarai lì con me, mi stringerai la mano e mi dirai di andarmene in pace.» Il fumo restò incastrato nella mia bocca mentre lo fissavo con espressione dolente. Il solo pensare a un’ipotesi simile mi faceva accapponare la pelle.
«E se non ci fossi?» Sorrise riafferrando l’arma preparandosi a sparare.
«In quel caso mi rifiuterò di morire, semplicemente. O con te o nulla, inizia tutto con te e allo stesso modo finisce, giusto Shura?»

 
I suoi occhi in quella giornata di sole sono impressi a fuoco nella mia mente, e quella sua promessa mai mantenuta mi perseguiterà per tutta la vita.
 
 

 

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Capitolo 11
*** We are our choices. ***





 

Il sordo bussare interruppe la mia intensa mattinata di lavoro, Sasha – uno dei miei ragazzi – mi fissò con un mezzo sorrisino sbieco.
«Hai visite, Dima.» Inarcai un sopracciglio chiudendo lentamente la cartelletta rossa tra le mie mani.
«Chi?»
«Ti rovinerei la sorpresa, è meglio tu lo veda da solo.» Non ebbi il tempo di fare una cernita mentale di tutti i possibili ospiti, a giudicare dal suo sorrisino supponevo fosse qualcuno di gradito ma visti gli ultimi avvenimenti restare sul chi vive mi sembrava una saggia mossa. Quando la porta tornò ad accostarsi il viso di Anastasia Ivanova occupò il mio intero campo visivo, mi lasciai andare contro la poltrona sciogliendomi in una risatina divertita.
«Occhioni blu in carne e ossa.» E curve, ma questo lo tenni per me. Anastasia Ivanova unica figlia di Oleg Ivanov, il capo indiscusso nonché fondatore della Izmajlovskaja gruppirovka, una delle mafie russe più antiche e pericolose. Dopo la perdita di potere degli anni '90 e le conseguenti uccisioni dei membri di spicco, avevano deciso saggiamente di unirsi alla Bratva provando in qualche modo a ripristinare l'antico splendore. Ne avevano ricavato soldi, potere, ma non il primato assoluto, quello che in fondo sapevo bramasse Oleg. I rapporti fintamente idilliaci, nascondevano tensioni sotto il terreno fertile della criminalità, come amavo sovente dire ‘’in un mondo simile le amicizie sono utopia, la destra stringe la tua mano e la sinistra dietro la schiena impugna la pistola’’.
«Ciao bel biondino, è da un po’ che non ci vediamo.» Provai a ricordare il nostro ultimo incontro ma solo il nulla riempì i miei pensieri, nonostante Nastia fosse una donna degna di nota in quanto a bellezza e sfacciataggine non riuscivo comunque a provare un interesse ulteriore per lei.
«La figlia di Oleg Ivanov è qui nel mio ufficio, dovrei preoccuparmi?»
«Riesci a provare preoccupazione quindi?» La mia era più curiosità e la stronza lo sapeva bene temporeggiando, alla fine si accomodò di fronte a me accavallando le lunghe gambe fasciate dai jeans, accendendosi una sigaretta. « I ‘’nostri’’ affari qui a San Francisco hanno subito una battuta d’arresto, solo tu puoi occupartene.» Il termine ‘’nostri’’ a mio avviso non era molto corretto, loro smerciavano semplicemente la droga presa da terzi e la Bratva intascava il 30% dei profitti netti.
«Cos’è successo?» Mi mostrai accomodante mentre il mio cervello già lavorava all’idea di poter ricavare qualcosa.
«Gli accordi con chi ci fornisce la droga sono saltati, motivi economici ovviamente.» Ovviamente, non erano da sempre i soldi la matrice del problema? Attesi in silenzio aspettando il continuo. «Non vogliono accordarsi per quanto pattuito. Mi aiuterai?»
«Certo che si, come potrei dire di no a te?» Non cascò nel mio tranello affilando lo sguardo, chiunque sapeva che Dimitri Cernenko non faceva mai niente per niente.
«Cos’è che vuoi?»
«Il 70% dei profitti da questo momento.» La sigaretta si consumava lentamente tra le sue dita smaltate e curate, rise sprezzante.
«Non giocare con me Dima, potresti trovarti un coltello dritto nella carotide.» Finsi un brivido a quella minaccia eccitante sondando con lo sguardo le sue gambe perfette.
«Prendere o lasciare Nastia, se l’accordo salta sarete voi a perdere tutto.. la bratva ricomprerebbe quella piazza come niente.» Schioccai le dita scrollando le spalle con noncuranza, non stavo mentendo e lo sapeva bene. Vidi il dubbio oscurare i suoi occhi come un cielo in tempesta, era evidente fosse stata mandata lì dal padre e non volesse prendere decisioni avventate. Alla fine però il piattino della bilancia pendette a mio favore, verso la decisione con minor perdite.
«Il 45% più un regalo.» Mi sporsi verso di lei assottigliando lo sguardo.
«Vuoi comprarmi con una scopata?» Avevo un serio problema col sesso me ne rendevo conto, e pure Irina probabilmente.
«Neppure se fossi l’ultimo dei vermi rimasto sulla terra per fecondarla.» Mi sorrise soavemente spegnendo la cicca con una botta decisa, mi forzai a non ridere aspettando che finisse. «Non appena risolverai il problema compreremo la droga da voi, nella seconda piazza di spaccio. Mi sembra equo, no?» Lo era eccome, a differenza loro noi la droga non l’acquistavamo da terzi, la producevamo di tasca nostra avendo quindi un doppio guadagno. Le strinsi la mano siglando quel patto e alla fine ci rilassammo entrambi.
«Ti fermerai molto a San Francisco?»
«Forse.. papà vorrebbe. Non hai sentito cosa si vocifera lungo i corridoi?» Il tono che usò non seppi bene se mi piacesse o meno.
«Cos’è che si vocifera?» Sorrise astutamente afferrando la borsa accanto a se.
«Dicono sarò la nuova moglie di Dimitri Cernenko.» Le mie labbra si schiusero in una smorfia divertita, inarcai un sopracciglio tamburellando le dita contro la scrivania. Non faticavo a crederci, per quanto Anastasia bramasse l’eredità del padre era pur sempre una donna, e come tale vista con pregiudizi, ad Oleg serviva qualcuno che ereditasse tutto in favore della figlia.
«Vedovo per la seconda volta? Quale dramma.» Incassò egregiamente mostrandomi la sua espressione più fiera, curvando la schiena per superare la barriera tra noi venendomi vicino col viso.
«Io non sono Masha.» Già, non lo era per sua fortuna. Ma questo non era un per nulla un vantaggio, nonostante lei credesse l’opposto.
 

 

Irina POV

 
 
Casa di Dimitri era esattamente come l’avevo immaginata, immensa e impersonale un po’ come la sua persona quando ancora non avevi avuto modo di scoprirla bene. Poi passavano i giorni, giravi e rigiravi per i corridoi di quell’attico immenso e avevi un quadro chiaro della sua complessità e particolarità. Notai poche foto appese ai muri o nel suo ufficio, nessuna camera mi era preclusa, nessun posto chiuso sottochiave quando lui non c’era, come se non avesse segreti. Ironico se consideriamo che Dimitri era sicuramente una delle persone con più di una vita da mostrare al mondo. Avevo però notato come in pochi avessero libero accesso alla casa oltre me e Yuri, pochi i ragazzi che andavano e venivano per consegnare qualcosa o anche solo per chiudersi con lui in ufficio o nella sala giochi, persino la donna delle pulizie aveva precise disposizioni e non s’azzardava mai e sgarrare. La porta si aprì in quel preciso momento e il suo viso comparve a riempire la mia serata, mi fissò con quella sua solita espressine capace di rimescolarmi dentro facendomi cenno di seguirlo in camera da pranzo.
«Stare in casa tutto il giorno mi annoia e stanca.» Sbocconcellai il cibo nel piatto distruggendone la composizione piuttosto che mangiarlo veramente.
«E perché non esci?» Sorrisi amaramente posando la forchetta.
«A un ostaggio è permesso uscire?» Sapevo d’essere rancorosa, e ormai lo aveva capito anche lui. Lui che sembrava però divertirsi ogni volta che gli rinfacciavo qualcosa mettendo in luce fastidi e gelosie.
«Pensi tema di non vederti tornare più?» Si alzò dandomi le spalle, dirigendosi verso il corridoio lo seguii di buona lena osservando la sua schiena ampia che sapevo ricoperta di tatuaggi. Pensavo ormai di conoscerli a memoria.
«Lo penso, dovresti aspettartelo in fondo.» Lo sfidai versandomi da bere, aveva una così grande varietà di alcolici che iniziavo a farmi un po’ la bocca provandoli e gustandoli.
«Tornerai, tornerai sempre da me.» Nel suo tono non v’era traccia di scherno, sembrava più una stancante verità quella appena pronunciata. O una lugubre sentenza.
«Allora permettimi di uscire.» Bevve fissandomi da sopra il bordo del bicchiere come meditando.
«Hai una vaga idea di chi io sia, Irina?» Non mi lasciai ingannare dall’apparente banalità di quella frase restando in silenzio. «Ho gente che vorrebbe la mia testa da ogni lato, hai mai pensato potrebbero prendere te?» Rabbrividii più per la paura che uccidessero lui che per me stessa, e quando me ne resi conto mi sentii disgustata. Che diamine stavo diventando?
«Sei preoccupato per me?» Mi sorrise furbamente mettendosi comodo sul divano.
«Ho consegnato Nadja a Shura, mi sembrava giusto dirtelo.» Quel brusco (quanto tattico) cambio d’argomento servì egregiamente al suo scopo, mi feci attenta andandogli incontro.
«Perché hai consegnato lei?» E non me. Non lo dissi ma era chiara la mia domanda, ci guardammo soppesandoci.
«Magari è stato Shura a scegliere tra voi due.» Respirai profondamente cercando di dominare la rabbia, con lui era sempre così. Continuava con quei giochini psicologici senza mai cambiare.
«Sai cosa? Non mi importa.» Scrollai le spalle con indolenza svuotando il contenuto del bicchiere, quando feci per andarmene la sua stretta sul polso mi impedì di avanzare, mi voltai guardandolo ancora lì seduto perso a fissare il mio viso alla ricerca di qualcosa che neppure io comprendevo.
«Mi sposeresti?» Sbarrai gli occhi aprendo più volte la bocca per parlare senza che nessun suono ne uscisse, ma Dimitri non sembrava propenso ad aiutarmi delucidandomi sul perché di quella proposta improvvisa.
«Perché vorresti sposarmi?» Scrollò le spalle mollando la presa su di me, sentivo attorno al polso il marchio delle sue dita.
«Oggi è venuta una donna, qualcuno che conosco da tempo e che probabilmente finirò per sposare per semplice successione e affari.» Arretrai di un passo cercando di non far cedere le mie gambe, quella doveva essere a tutti gli effetti una grandiosa notizia. Se Dimitri si sposava io cessavo in automatico d’essere il suo giocattolino, eppure il semplice pensiero di lui a pronunciare delle promesse a una sconosciuta mi provocava svariati conati di vomito. «Eppure, quando ho pensato attentamente all’idea, mi sei venuta in mente tu..» Stavolta mi guardò e il suo sguardo mi travolse letteralmente facendomi annegare al suo interno. Restai in silenzio finché qualcuno non bussò interrompendoci.
«E’ ora, dobbiamo andare..» la voce attutita di Yuri spezzò il momento tra di noi, Dimitri smise di fissarmi alzandosi per indossare nuovamente la giacca.
«E’ tardi.. dove vai?» Non pensavo mi avrebbe risposto, non dava mai spiegazioni lui.
«Conosci Nikolai, il figlio di Sergej?» Al mio cenno d’assenso sorrise sghembo. «Vado a salutarlo.» E quando Dimitri Cernenko ti salutava.. era per sempre.
 

 

Aleksandr POV

 
La notizia della morte di Kolia rimbalzò come una palla impazzita lungo le spire della malavita, era qualcosa di talmente scombussolante che persino io dovetti stare qualche minuto ad assimilarne il senso. Questo cambiava tutto, ripristinando nuovi equilibri che nessuno sapeva dove avrebbero condotto. Sapevo bene chi fosse la matrice di tutto, e adesso persino la sua frase finale in quel locale assumeva altri contorni, quando aveva salutato Sophia dicendo che presto avrebbe avuto liete notizie parlava ovviamente dell’omicidio di quello che per anni era stato suo fratello. Guardai mia moglie dopo averle dato la notizia, cercando tracce di dolore che notai nel fondo dei suoi occhi. In fondo Kolia, per quanto pessimo e stupido nel suo piccolo era stato decisamente un buon fratello.
«E Sergej? Quando toccherà a lui?» La ruvidezza della sua domanda mi spiazzò quasi facendomi sorridere stancamente e scuotere il capo.
«Dovremmo preoccuparci di restare in vita abbastanza da vedere la sua morte, non credi?» Non rispose e il silenzio si bagnò di apprensione. La notizia era arrivata all’alba, a quanto pareva Kolia si trovava al molo per una partita di droga e qualcuno gli aveva teso un imboscata. Lo avevano trovato già freddo con un singolo proiettile sulla fronte, e questo nella malavita poteva voler dire solo una cosa: un’esecuzione in piena regola. Ma chi fosse stato pareva un mistero, e io già immaginavo Sergej impazzire all’idea che il suo unico successore fosse appena stato abbattuto come un cavallo zoppo che non serve più alla sua scuderia. Senza pietà né gloria.
Osservai la camera di Nadja, dormiva nell’unica stanza da letto disponibile mentre io e Sophia avevamo optato per il soggiorno, o meglio lei dormiva sul grande e comodo divano io invece fingevo semplicemente captando ogni rumore oltre la soglia. Non usciva neppure per mangiare, e quando le portavamo del cibo spesso restava intatto. Mi alzai andando da lei, trovandola sul letto supina con le tende ancora chiuse.
«E’ arrivato il momento di alzarti Nadja..» si mosse appena guardandomi senza espressione.
«Lo so..» aprii le tende lasciando filtrare la luce, si mosse alzandosi e mettendosi a sedere contro la spalliera del letto guardandomi. «Devo parlarti, ho pensato a tante cose..»
«E sarebbero?» Perché avevo come l’impressione che non mi sarebbero piaciute?
«Quando tutto questo finirà.. perché io so che finirà prima o poi.» Beata lei, io era già tanto se pensavo al fatto d’essere vivo in quella giornata. «Vorrei prendessi tu mio figlio.»
«Non credo d’aver capito.» Restai immobile a fissarla cercando di assimilare ciò che diceva.
«Non capisci.. non posso crescere questo bambino da sola.» Si toccò distrattamente la pancia e io mi incazzai.
«Non sarai sola, ci sarò io con te e anche Sophia.» Conoscevo Nadja, una donna forte e indipendente come lei aveva paura di crescere un figlio senza padre?
«Allora diciamo che non posso pensare di guardarlo tutta la vita e vederci il viso di Misha.» Il silenzio piombò tra di noi come un coltello affilato, la sentivo parlare ma il rumore mi giungeva attutito.
«Mi stai sul serio dicendo di voler lasciare tuo figlio a me e andare via?» Mi avvicinai cautamente sedendomi sul bordo del letto, la mia mano andò a sfiorarle la gamba era la prima volta che tra di noi intercorreva un contatto simile, qualcosa che somigliava all’effetto e al calore. «Non avresti pace neppure un secondo, un figlio non è qualcosa che puoi dimenticare.. e io lo so bene.» Pensavo costantemente ad Eleazar, l’idea di non sapere quanto sarei stato lontano e quanto mi sarei perso della sua crescita mi devastava dentro.
«Il posto in cui voglio andare non è adatto a lui, ha ancora una vita da vivere e so che con te crescerà bene.» Il sangue mi si gelò nelle vene, mi stava parlando di suicidio come si parla del tempo in una conversazione priva di spunti. La strattonai con foga costringendola a guardarmi.
«Misha non te lo perdonerebbe mai, e non perdonerebbe mai neppure me. Se c’è un’unica fottutissima cosa che mi tiene ancora a galla è l’idea di vivere nel suo ricordo Nadja. Non permetterò mai che tu faccia qualcosa che so lo renderebbe infelice, mai.» I nostri visi vicini fusero i loro respiri prima che il suo pianto non spezzasse la tensione. L’abbracciai sussurrandole parole di conforto, parole in cui neppure io credevo probabilmente e quando sollevai lo sguardo incontrai gli occhi di Sophia umidi di lacrime. Nella mia vita avevo trovato sempre soluzioni per ogni problema o situazione, ero sicuro che entrambe contassero su di me per capire come vivere quella vita senza Misha.. e mi resi conto che per la prima volta in assoluto avrei deluso entrambe.  

 
 

Dimitri POV

 
 
La vita è fatta di scelte..
 
Vi sono attimi che compongono un’intera vita, decisioni prese in grado di stravolgere tempo e logica formando crepe in quel muro che è la tua quotidianità. Quella sera avevo indetto personalmente la serata di gala al mio club, fotografi e giornalisti, gente famosa, tutti riuniti lì per celebrare il mio trionfo. Col senno di poi non avrei saputo dire perché non portai Irina con me, forse perché dopo la nostra ultima discussione agevolavo il suo mutismo trincerandomi nel mio, cercando di capire se quella voglia, quel desiderio, potessero davvero bastare a far diventare le mie pressanti fantasie delle concrete realtà.
Guardai Yuri dall’altro capo della stanza mentre sorseggiavo lo champagne consegnatomi direttamente da un cameriere, al terzo sorso iniziai a sentire una pressante nausea attanagliarmi lo stomaco. Capii in quel momento la matrice del mio malessere, quando alla nausea si unì una confusione mentale mai provata prima di quel momento: avevano drogato il mio champagne.
 
.. e quelle scelte finiscono per delinearla..
 
Chiunque fosse il colpevole doveva conoscermi parecchio bene, sapeva che tra il perdere i sensi davanti a tutti macchiando in questo modo il prestigio del mio club, e allontanarmi finendo con l’essere una preda facile avrei scelto la seconda. La mia vista offuscata cercò tracce dei miei uomini senza trovarne, mentre a passo lento mi dirigevo verso l’uscita cercando di non crollare lì in mezzo alla calca. Ebbi appena il tempo d’uscire e fissare quello che mi parve il parcheggio prima che i sensi mi si ottenebrassero del tutto e l’incoscienza m’avvolgesse.
 
.. indissolubilmente.

 
 

Irina POV

 
 
Un rumore mi svegliò di soprassalto, tesi l’orecchio sentendo passi frettolosi lungo il corridoio, scostai le coperte alzandomi per uscire fuori e capire a chi appartenesse quell’irruzione. Ero sicura non fosse Dima, o comunque non solo lui e quando vidi Yuri insieme ad alcuni uomini capii che qualcosa era successa. Mi avvicinai cautamente alla porta dell’ufficio socchiusa, lo vidi sbraitare ordini e sbattere la mano sulla scrivania con enfasi.
«Come diavolo è potuto succedere, dove cazzo stavate? VOGLIO A SOQQUADRO TUTTA LA MERDOSISSIMA CITTA’» Mi feci vedere stoppando la sua invettiva, mi guardò con gravità respirando affannosamente alzandosi per spingermi bruscamente fuori. Non glielo permisi ribellandomi, strattonando la sua maglia.
«Che succede.» Non gli diedi l’agio di sgusciare via, lo vidi preda delle sue stesse indecisioni e alla fine capitolò.
«Hanno preso Dimitri, non sappiamo chi né dove sia stato condotto.» Le mie orecchie fischiarono come fossi immersa nel fondo di un gigantesco oceano, barcollai mollando la presa su di lui. «Resta chiusa in casa, non possiamo sapere cosa succederà.» Credetti d’averglielo sentito dire ma non ne ero sicura, ancora fossilizzata sul pensiero di Dimitri sparito. Era stato da sempre un mio ardito desiderio, vedergli scontare tutte le punizioni che pensavo meritasse, ma adesso messa di fronte a quella realtà la terra mi venne a mancare sotto i piedi. Cosa ne sarebbe stato di me, di noi due, se lui non fosse più tornato? Cercai disperatamente di ricordare il nostro ultimo discorso, l’ultima volta in cui mi aveva guardato e l’intensità con cui l’aveva fatto, il suo ultimo bacio, la sua ultima carezza, la nostra ultima notte insieme. Quelle immagini schizzavano nel mio cervello frammezzate e sparse, provavo ad acchiapparle metaforicamente con le dita e rimetterle insieme ma non ci riuscivo. Seduta sul letto fissai la distesa scura del cielo, non avevo neppure risposto alla sua proposta assurda di matrimonio e probabilmente non ne avrei mai più avuto l’occasione.

 

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Capitolo 12
*** Be in your nature. ***




 

«Sveglia Dima, sveglia.» Quella voce sconosciuta ferì la mia testa già dolente riportandomi alla realtà, non sapevo se fossero passate ore o un intero giorno, ma l’ambiente sconosciuto e i miei polsi legati mi fecero presupporre che a trovarmi non fosse stato Yuri. Scossi il capo cercando di riacquistare lucidità, mi resi conto d’essere steso su una trave di legno larga e lunga, i miei arti immobilizzati da corde spesse. Un rumore fastidioso e uno scossone prima che la trave non si piegasse immergendomi nell’acqua gelida, spalancai la bocca in un urlo silenzioso e sorpreso bevendo involontariamente e quando riemersi tossii sputando e provando a riprendere fiato.
«Ti sei svegliato finalmente.» Avrei voluto fargli i complimenti per la sagacia ma evitai ostinandomi nel mio silenzio, se c’era una cosa di cui ero consapevole e che quei giochetti solitamente servivano a farti parlare.
Dasha era morta, Shura aveva stilato una sottospecie di tregua silenziosa, Osaki marciva coi vermi, chi mi teneva prigioniero? Il rumore familiare della trave interruppe i miei pensieri mentre venivo nuovamente costretto sott’acqua, stavolta mantenni la bocca serrata ma i miei occhi restarono spalancati e attenti, osservai la superficie riflettente e il tetto che da quell’angolazione appariva distorto e lontano (più di quanto già non fosse), mi venne in mente l’ultima vacanza fatta con Slonko non so perché, andammo ai tropici godendoci il mare e il sole, la sua risata divenne un eco stridente mentre l’aria usciva completamente fuori dal mio corpo e il senso di soffocamento divenne quasi morte. Riemersi annaspando e tossendo guardandomi attorno per cercare di capire chi ci fosse insieme a me dentro quella stanza delle torture, vidi un’ombra poco distante, i giochi di luce e buio mi impedivano di metterla a fuoco.
«Allora, il gatto ti ha mangiato la lingua?» Sorrisi in silenzio continuando a fissare la sagoma, la mia ostinazione sembrò dare i suoi frutti e l’uomo continuò a parlare senza che io intervenissi. «Ciò che voglio è semplice, i registri contabili della bratva e i nomi di tutti gli affiliati.» Scoppiai a ridere senza ritegno inarcando appena la schiena nuda e questo sembrò contrariare il burattinaio che pensò bene di immergermi nuovamente in quell’acqua sozza e gelata. Continuai a ridere e bere sentendo la gola scorticata e irritata. Mi venne in mente Nadja, le avevo fatto pressoché la medesima cosa. Quando risalii l’uomo mosse un passo verso la porta. «Sei l’unico a cui Sergej lo ha detto, se vuoi una morte veloce e dignitosa allora ti conviene parlare.» Quella frase mi disturbò per un motivo che non riuscii a cogliere, come un tassello che non si incastrava bene al quadro caotico che mi ero fatto.
«Vai a farti fottere, coglione.» Sputai quelle parole dando vita a un altro scroscio di risate che continuarono anche quando la porta venne chiusa e la solitudine restò l’unica a tenermi compagnia.
 
 

Aleksandr POV

 
Come la notizia della morte di Kolia, anche quella della scomparsa di Dimitri non ci mise molto ad arrivare alle mie orecchie. Mi sedetti nel salone in penombra meditando sulla situazione, non sapevo se lo avessero già ammazzato ma era altamente probabile fosse questione di tempo, Dimitri non era una persona comune, alle sue spalle centinaia di persone desideravano la sua dipartita. Non ero forse uno di questi? Ripensai a Misha, alla sua promessa mai mantenuta e al suo sorriso. Non so perché mi sovvenne proprio quello, in un momento specifico della nostra vita: lo rividi in sella alla moto, mi aveva chiesto ancora soldi non faceva altro quello stronzo ingrato, al mio ennesimo diniego ricordo solo quel sorriso sghembo e furbo tipico di chi ti avvisa dell’imminente catastrofe. Avrei dato metà della mia vita per rivedere anche solo per un singolo istante quella curva irriverente e quegli occhi glaciali.
«Cosa pensi di fare adesso?» Sophia irruppe senza avvisare, tipico di lei, seguita da Nadja che sembrava riprendersi piano piano (quantomeno non parlava più di morte e affini). Sospirai poggiandomi al comodo schienale, le braccia conserte e la fronte aggrottata, ormai possedevo ben poche espressioni nella mia giornata tipo e nessuna gioiosa.
«Cosa pensi dovrei fare mia bella moglie?» Sorrisi sterile e lei incassò con una scrollata di spalle sedendosi elegantemente di fronte a me, dalla morte di Misha stentavo spesso a riconoscerla in molte occasioni.
«Dobbiamo approfittarne e trovare Irina, adesso che tutti sono concentrati sulla scomparsa di quel verme.» Non si era discostata molto da quelli che erano i miei pensieri, il problema era uno: io sapevo dove fosse Irina adesso, ed era questo a preoccuparmi.
«Irina è in casa di Dimitri Cernenko, hai idea di cosa voglia dire questo?» Ci fissammo in silenzio e Nadja si lasciò cadere accanto a me coprendosi il volto con le mani.
«Prenderla sarà pressoché impossibile, quella casa è blindata.. io lo so.» Non le chiesi come facesse a saperlo, conoscevo anch’io Dima ed ero sicuro che avesse riprodotto le medesime accortezze della dimora di Mosca. Sospirai in silenzio e alla fine guardai mia moglie.
«So come farle arrivare il messaggio, Irina è una ragazza furba e saprà cogliere l’occasione.»

 
 

Irina POV
 

 
Erano trascorse solo ventiquattrore ma in quel mondo sapevo quanto potessero essere vitali e compromettenti. Ero rimasta chiusa in camera quasi tutto il giorno, sentivo il via vai di ragazzi fuori la mia porta, tutti alla ricerca di colui che da anni li mandava a morire. La loro lealtà mi sconvolgeva eppure riuscivo in qualche modo a capirla, non lo stavo forse aspettando pure io? Il pensiero di non vederlo più mi squassava dentro peggio dell’idea di rivederlo e tornare a cadere in quel vortice malato e caotico nella quale eravamo piombati dal primo sguardo datoci vicendevolmente. Qualcuno bussò e la porta si aprì prima che potessi dare il permesso di varcarla, Vania mi fissò truce (non aveva una grossa simpatia per me, come biasimarlo) facendosi da parte per far passare Indah, mi alzai di scatto andandole incontro.
«Pensavo non ti avrei rivista più..» l’abbracciai e lei rise pacatamente accarezzandomi la schiena in un gesto di conforto.
«Sono qui insieme a Regina, è venuta per sapere di più sulla situazione..» il tono divenne evasivo, probabilmente anche lei temeva per la vita di Dimitri ma soprattutto per il suo destino dopo la morte di colui che a tutti gli effetti la teneva in quel posto. Quando Vania chiuse la porta il suo sguardo cambiò, ricordai il giorno in cui mi aveva trascinato dalla donna sconosciuta e allo stesso modo afferrò il mio polso conducendomi sulla sponda del letto nella quale mi sedetti. La vidi infilare una mano dentro la maglia ed estrarre un biglietto, mi fece cenno di tacere passandomelo. Sentii le mie mani tremare mentre tentavo di aprirlo più volte con scarso successo, quando ci riuscii riconobbi immediatamente la grafia severa ed elegante.
 
Guardian Angel Cathedral, a mezzanotte in punto. Ti aspetto.
 
Le lacrime punsero i miei occhi, le sentii scivolare sulla guancia adesso rovente mentre stringevo il pezzo di carta tra le dita. Shura mi stava cercando e aveva trovato il modo di farmelo sapere, ripensai a Dimitri e alla sua bugia. Quella era la mia occasione per fuggire da lui, da quel mondo, tornare alla mia vita di sempre pure se questa non avrebbe più compreso Misha. Respirai profondamente guardando Indah, lavorava per lui quindi? La devozione che avevo letto nei suoi occhi la prima volta in cui l’avevo incontrata era evidentemente solo finzione, anche lei come tutte le altre ragazze odiava l’uomo che le aveva ridotte praticamente in schiavitù. Mi strappò il biglietto dalle mani e con mio sommo stupore la vidi infilarlo in bocca e masticarlo letteralmente, rattrappii le labbra in una smorfia di disgusto che non sembrò scalfirla mentre ingoiava la carta guardando con sospetto la porta.
«Non hai ancora imparato? In questo mondo devi vendere cara la tua pelle Irina, o non sopravvivrai a lungo.» Mi diede i brividi quel tono letale simile a una sentenza, annuii in silenzio sentendo il materasso cedere appena quando si sedette accanto a me, probabilmente capì il mio stato d’animo preferendo rimanere in silenzio tenendomi la mano. La mia mente era affollata da pensieri e visi, affioravano a intermittenza in maniera sempre più veloce e nauseante e quando Indah andò via e io restai sola avevo finalmente preso la mia decisione. Mi alzai iniziando a vestirmi.

 
 

Dimitri POV

 
 
Sapevo cosa cercavano di farmi, non lo avevo forse fatto io per primo miliardi di volte? Annullarti, annullare sia l’involucro che il contenuto fino a renderti una semplice fantoccio privo di volontà. Partendo dall’impossibilità di contare il tempo chiuso lì dentro, ore? Giorni? Non ne avevo idea, avevo provato a capirlo ma la benda sui miei occhi mi aveva reso impossibile il compito. Non distinguevo ormai più la luce dal buio. La goccia cadde di nuovo sul pavimento, accanto ai miei piedi, per mantenermi vigile avevo preso a contarle ed eravamo arrivati alla millesima. Rumore di passi fuori dalla porta, le mie orecchie si tesero, avevo distinto circa due tipi diversi di calzature a giudicare dal suono che produceva la suola camminando, ma magari erano di più. Ormai era diventata una routine, entravano e mi picchiavano, non era sempre la stessa mano a volte si davano il cambio, e ogni volta con maggior forza come se fossimo in un gioco a premi nella quale ogni livello diventa più difficile. La porta cigolò annunciandomi l’ennesima visita, a occhi bendati sollevai semplicemente il viso dritto di fronte a me immaginando la sagoma che avevo visto poco dopo essermi svegliato, cercavo di darle delle fattezze reali ma non ci riuscivo mai.
«Sono qui per sapere se hai cambiato idea.» Avrei pagato per un sorso d’acqua, la mia lingua era gonfia e tagliata.
«Penso che dovrei, in fondo sei una persona magnanima..» scossi il capo cercando la lucidità per affrontare quella conversazione.
«Mi reputi magnanimo?» La sua voce stupita mi costrinse a sorridere.
«Certo che si, se non lo fossi toglieresti questa benda lasciandomi vedere la tua faccia di cazzo. Quella si che sarebbe una vera tortura.» Scoppiai a ridere poco prima che un pugno si schiantasse contro il mio viso, non ebbi il tempo di sputare il sangue che sentii dentro il palato perché ne arrivò un secondo e poi un terzo, così veloci da non captare l’esatto momento in cui la mia pelle si squarciò internamente provocandomi l’ennesimo taglio. Un calcio ben assestato al mio addome fece cadere la sedia e io rimasi steso sul pavimento preda della tosse.  
«Pensi sia ancora il momento degli scherzi? Magari questo ti farà cambiare idea.» Sentii delle mani sollevarmi e rimettermi seduto, percepii il rumore tipico dell’elettricità e capii dove volesse andare a parare. «L’hai fatto anche tu spesso, o sbaglio?» Aggrottai la fronte e mi venne in mente Misha, a lui lo avevo fatto e con immenso piacere anche. Era per caso il karma che veniva a bussare senza chiedere permesso? O era più semplicemente uno stronzo come tanti che sapeva bene come lavorare in queste situazioni. I fili graffiarono la mia pelle prima che l’elettricità non invadesse ogni mio muscolo facendomi sobbalzare sulla sedia, il dolore fu talmente sfiancante da impedirmi persino di urlare. Ero ben consapevole fosse durato pochi istanti ma per me valsero un’intera vita.
«Dammi quei registri e quei nomi Dimitri.»
«Cosa vorresti farne dopo averli avuti, sono curioso.» Cercavo di capire per chi lavorasse, anche avendo quei registri cosa pensavano di farne? Cercare altre affiliazioni per conto proprio? La vedevo improbabile, era più logico pensare volessero distruggere dall’interno la Famiglia.
«Se me li darai vedrai coi tuoi occhi cosa ne farò.» Ebbi la forza di sorridere respirando affannosamente.
«Ah si? Non mi strapperai quindi gli occhi? Questo sarebbe molto da me.» Nessuna risposta arrivò ma un’altra scossa ben più potente della prima che ribaltò la sedia e me con lei lasciandomi tremante a terra, stavolta urlai preda degli spasmi.
«Non ti ucciderò, non ancora, voglio farti sentire cosa si prova a essere il perdente, il topolino indifeso.» Sentii un sospiro provenire dalle mie spalle, mi sembrò familiare pur non riuscendo a catalogarlo.
«Non capisci? Sono ancora io ad avere il pieno potere.. ho mani e piedi legati, eppure continui a tenermi bendato e sai perché?» Restai in silenzio cercando di racimolare energie e fiato. «Perché continui ad avere terrore di me, e questo fa di te un fottuto fallito.» La mia risata risuonò forte e chiara mentre un secchio d’acqua gelata mi veniva rovesciato addosso facendomi rabbrividire, sentii il singolo momento in cui i passi svanirono lasciandomi nuovamente solo. Nel buio più totale.

 
 

Irina POV

 
 
Uscire da quella casa fu più semplice del previsto, c’era stato un trambusto enorme mentre provavo e riprovavo una scusa plausibile per abbandonare la mia camera e alla fine mi ero semplicemente diretta alla porta senza che nessuno facesse caso a me. Avevano avuto notizie di Dima? O di chi lo teneva prigioniero? Mi violentai per non chiedere nulla senza voltarmi indietro, percorrendo le strade illuminate e gremite di gente, respirando l’aria fresca della sera con un pressante senso di libertà. Era questo che si provava nell’uscire nuovamente alla vita? La sensazione mi deluse, pensavo mi sarei sentita molto più viva ed energica invece mi limitavo semplicemente a trascinarmi per le vie a passo svelto guardando ossessivamente alle mie spalle, alla ricerca di un viso conosciuto. Il suo. Ma lui non sarebbe venuto a riprendermi, e forse non l’avrebbe fatto mai più.
Fui la prima a vederlo, stava ritto contro una colonna, vedevo la schiena fiera e familiare, iniziai a correre senza rendermene conto piombandogli dritta tra le braccia.
«Finalmente ti ho trovata.» Mi accarezzò i capelli mentre stringevo convulsamente la sua maglia, il suo odore arrivò alle narici ma sfortunatamente non era quello giusto. Tirai su col naso scostandomi appena per guardarlo, sembrava stanco e lievemente invecchiato. Lessi nei suoi occhi il dolore, era sempre presente nel fondo di quelle iridi color caramello, mi resi conto che tra tutti Aleksandr sarebbe stato l’eterno infelice alla fine di quella guerra. Lo vidi come un ramo spezzato che non riesce più a ricomporsi, come se la sua linfa vitale si fosse esaurita. Marciava senza sosta e senza stanchezza solo per raggiungere il traguardo, e quando l’avrebbe fatto che sarebbe successo? Si sarebbe semplicemente accasciato ormai stanco o avrebbe continuato quella parvenza di vita che doveva a sua moglie e ai suoi figli?
«Sophia e Nadja stanno bene?» Annuì con un sorriso continuando a fissarmi come incredulo nel vedermi lì.
«Sembri diversa.. più grande.» Il suo sguardo furbo mi disse più delle parole, avevo come l’impressione che sapesse del mio segreto più grande e ignobile.
«Ho vissuto più di una vita in questi mesi, Aleksandr Belov.» Sembrò capire ciò che intendessi senza bisogno d’aggiungere altro, si scostò guardandomi attentamente a quando non vide valigie o borse tra le mie mani un lampo di dolore passò sul suo viso.
«Non sei venuta per restare, sei venuta per salutarmi.» Lo vidi incredulo e furente mentre afferrava il mio braccio stringendolo in una morsa dolorosa. Avevo preso la mia decisione era vero, e questa non comprendeva l’idea di tornare insieme a lui e alla famiglia.
«Non riusciresti a capire neppure se provassi a spiegarmi..» le lacrime strabordarono dai miei occhi e un singhiozzo spezzò l’aria improvvisamente fredda.
«Spiegami come potrei capire, perché sul serio non ci riesco. Dimitri probabilmente è morto, ne sei consapevole?» Se mi avesse schiaffeggiata avrebbe fatto meno male, annuii provando a mandare giù il bolo di saliva.
«Non posso andarmene senza averlo salutato.. anche se dovesse essere l’ultimo saluto.» Mi divincolai dalla sua presa sfruttando la sorpresa nel suo sguardo che rendeva i suoi movimenti quasi meccanici. Gli afferrai la mano stringendola a me. «Poco prima di dirigerti in quel pontile, sapendo di poter morire, non hai forse salutato la tua Sophia?» I suoi occhi divennero di ghiaccio, il paragone non gli piacque per niente e avevo due o tre motivazioni valide al riguardo.
«Sei innamorata di lui?» Sputò quelle parole come se non riuscisse a tenerle in bocca senza vomitare, mi ferì quella consapevolezza che spalancò davanti a me un futuro di desolazione e solitudine.
«Non chiedermelo, ti prego.» Mollai la presa sulla sua mano chinando il capo sconfitta e umiliata, lasciando che le lacrime lavassero i miei occhi sperando di vederci meglio alla fine, ma questo non accadde e quando tornai a sollevare lo sguardo le mie consapevolezze non erano cambiate.
«Non esiste una scelta per te Irina, dovrai tornare da noi. Non esiste una vita assieme a Dimitri, qualsiasi cosa lui ti dica o ti faccia credere.. semplicemente non esiste, non accanto a lui.» Lui che non sapeva amare, ma sopratutto lui che aveva ucciso mio fratello non lo disse e per questo gliene fui quasi grata, il mio sorriso stanco sembrò parlare per me. A onor del vero non mi aveva mai illusa né mentito, non sul nostro rapporto almeno quindi in questo Shura si sbagliava ma non glielo dissi limitandomi a muovere un passo indietro. Non provò a riprendermi restando immobile contro il vento che adesso si levava nell’aria come parole inespresse di un Dio che si divertiva a guardarci.
«Tornerò da voi, sicuramente. Salutami Sophia .. e Nadja.» Voltai le spalle incamminandomi nella direzione opposta.
«Nadja è incinta, quel bambino è il figlio di Misha.. del tuo Misha, è tuo nipote.» Mi bloccai mentre il vento portava alle mie orecchie quelle parole provocandomi un sordo dolore al petto, capii che probabilmente il mio tempo insieme a Dimitri era ormai scaduto, mi stavo semplicemente concedendo quell’ultimo saluto che la me ingenua di un tempo avrebbe pensato mi potesse dare la pace e la rassegnazione. Ma la me di oggi era ben consapevole che quelle erano sciocche favolette, dopo Dimitri ci sarebbe stata solo la dannazione.
 

 
Dimitri POV

 
 
Che giorno era?
Che anno era?
Che ora era?

Non riuscivo a pensare ad altro che non fosse la fame, il dolore e la sete. Quella sete che sembrava bruciarmi la gola già ferita ancora più delle percosse. Sentivo la mia pelle lacerarsi a ogni minimo movimento, un dolore sordo e viscerale persino quando provavo a respirare, percepivo un continuo stordimento dovuto alle iniezioni fatte per tenermi buono e malleabile durante gli interrogatori. Quei figli di puttana. Sputai in terra guardandomi intorno, il fatto che la benda mi fosse stata tolta non preannunciava nulla di buono, se la paura di mostrarsi era passata poteva esserci una sola spiegazione: la fine era arrivata. E come ogni campana che emette una sentenza questa si palesò quando il cigolio della porta annunciò una visita, forse l’ultima. Mi presi l’agio di guardare finalmente uno dei due carnefici che mi avevano tenuto compagnia dentro quel capannone, ma la delusione arrivò cocente: non lo conoscevo. Non era l’uomo che avevo percepito alle mie spalle durante le torture, ma ero sicuro fosse quello venuto a darmi il benservito.
«I piani sono cambiati Cernenko, la tua vita non vale più un cazzo, hai qualche ultima parola da spendere?» Mi sollevai sui gomiti cercando una posizione quantomeno dignitosa per crepare osservando la pistola tra le sue mani. Se avevo un ultimo desiderio? Mi ritrovai indeciso tra la scontata libertà, e Irina. Era la prima volta che la pensavo da quando mi ero ritrovato chiuso lì dentro, forse perché tra tutti era il pensiero più pulito, non valeva la pena insozzarla più di quanto non avessi già fatto con le mie azioni.
«Non saprei, hai qualche suggerimento?» Sorrisi tossendo pochi istanti dopo, sentendo un dolore atroce al fianco lacerato che mi compressi con la mano.
«Ti suggerisco di non pregare, all’inferno serve a ben poco.» Non aveva tutti i torti, com’era l’inferno? Avrei dominato anche lì? Probabilmente, e quel pensiero mi fece sorridere divertito; fu in quel momento che percepii una presenza alle sue spalle, la mia vista sfocata non riuscì a metterla bene a fuoco finché non venne colpita dalla luce, allora sorrisi leccandomi le labbra secche e spaccate in più punti.
«E tu? Tu che ultimo desiderio vorresti esprimere?» Sembrò sorpreso da quella domanda.
«Perché dovrei esprimerlo?» Il mio sorriso divenne quasi più ampio, provai a sollevarmi senza riuscirci e alla fine mi limitai a guardarlo dritto in faccia.
«Sai cosa mi piace pazzamente? Guardare gli occhi di un uomo che muore.» Lo sparo arrivò dritto e preciso contro la sua nuca, si accasciò senza emettere fiato e al suo posto comparve il volto di Yuri.
«Cristo, pensavo di trovarti ormai concimato.» Mi aggrappai a lui digrignando i denti quando sollevandomi sentii le ferite aprirsi in più punti.
«Ci sei andato fottutamente vicino, credimi..» forse fu il sollievo della libertà ritrovata, o semplicemente tutta la merda che ancora girava dentro il mio sangue, ma l’incoscienza arrivò violenta e improvvisa facendomi perdere nuovamente i sensi.
 
«Come ti senti? Sei proprio un cesso.» Storsi le labbra in una smorfia fissando Vania entrare accompagnato da Yuri, sistemai meglio i cuscini fissandoli col mio solito cipiglio alterato. Avevo ben più di un’ammaccatura, e probabilmente il medico aveva suturato più adesso che in tutta la mia intera vita, eppure mi sentivo decisamente meglio. Forse la consapevolezza di essere nuovamente padrone di me stesso mi aveva dato la giusta forza per affrontare quella convalescenza forzata.
«Con un bel martini dry stai sicuro che tornerò come nuovo.» Sorrisi asciutto bevendo un sorso d’acqua, ignorando l’espressione annoiata di Yuri a quella battuta. «Dobbiamo trovare il secondo uomo..» posai il bicchiere con un tonfo sordo attirando nuovamente la loro attenzione.
«Non c’era nessuno nel capannone, lo abbiamo rivoltato da cima a fondo ma di questo presunto uomo neppure l’ombra.» Ero sicuro ci fosse ed ero sicuro fosse semplicemente scappato all’arrivo dei miei uomini. Non sapevo perché fossi così ossessionato all’idea di ritrovarlo, sapevo solo che avrebbe risolto parecchi dei miei dubbi. «Hai detto che cercavano i registri contabili e le affiliazioni?»
«A quanto pare..» ecco quello era un altro mio dubbio, per quanto avessi provato a cercare spiegazioni plausibili non me ne sovvenivano, era vero che la Bratva aveva parecchi nemici ma chi tra loro poteva essere interessato a quei registri? Ma soprattutto come faceva a sapere che tra tutti Sergej li aveva consegnati a me? Erano in pochi a conoscenza di quel dettaglio fondamentale.
«Pensi mentissero?» Serrai le labbra inarcando un sopracciglio.
«Diciamo che penso volessero anche altro.» Ma cosa? Yuri sembrò leggermi dentro e non aggiunse altro, probabilmente formare congetture era controproducente, dovevo prima mettere ordine e dopo unire i tasselli. La porta socchiusa si aprì appena e finalmente vidi l’ultimo viso pensato quando credevo di stare per morire.
«Per stasera potete andare.» Cacciai via le due spine nel fianco sostenendo quello sguardo azzurro e glaciale, notai solo in quel momento le occhiaie violacee che solitamente non aveva.
«Pensavo saresti morto..» allungai un braccio verso di lei che strinse la mia mano lasciandosi avvicinare, sedendosi sul bordo del letto. La cinsi risalendo con le dita ad accarezzarle il viso, soffermandomi sulle labbra.
«E l’idea ti ha reso felice?» Sorrisi in maniera furba ma stavolta lei non mi seguì scostando il viso per sfuggire alla mia carezza.
«Pensavo di si. Poi Shura mi ha trovato.» A quel nome mi irrigidii appena assottigliando lo sguardo, era andata da lui? Sembrò leggere la mia domanda inespressa e sorrise. «Non avevi forse il dubbio che lasciandomi andare non sarei più tornata?»
«No, per niente.» Non mentivo, lo sapeva bene lei e infatti eccola lì accanto a me la prova schiacciante di quanto fossimo visceralmente legati.
«Quindi mi sposerai?» Attorcigliai le dita tra i capelli serici e lunghi, costringendola ad arcuarsi verso di me.
«Quindi mi dirai di si?» Sfiorai le sue labbra con le mie, erano ancora come le ricordavo, morbide e piene, sapevano di miele.
«Si.» Sorrisi a quella parola suggellando la promessa con un bacio che per la prima volta sentii arrivare sin dentro la mia anima nera e sporca, rimescolandola da cima a fondo senza alcuna pietà.

 

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Capitolo 13
*** Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia ***






 
L’ascensore cigolò fermandosi bruscamente, quando la saracinesca in ferro si aprì davanti a me si parò il magazzino in penombra, strisciai la mazza tra le mie mani lungo il pavimento provocando un sordo rumore che si diramò lungo tutti gli scaffali. Più mi avvicinavo e più i suoi singhiozzi divenivano udibili, sorrisi senza alcuna gioia entrando nella stanza completamente vuota, al centro un’unica sedia sulla quale sostavano i suoi piedi scalzi, risalii la figura osservando il collo delicato avvolto dal cappio, le mani legate dietro la schiena.
«Ricordi cosa ti dissi quando ci conoscemmo, vero?» Mi fissò piangendo e vidi nei suoi occhi il mio medesimo ricordo. Sporca e tremante in piena crisi d’astinenza afferrò la mia mano lasciandosi condurre in quel mondo, consapevole di non aver vita lunga lì su quelle strade. L’avevo ripulita dalla merda in circolo nel suo corpo, vestita con gli abiti migliori, scopata anche lo ammetto ma sono sempre stato debole di fronte alle pelli di seta e gli occhi grandi. Le avevo posto una singola domanda prima di stringerle la mano: con me o contro di me? «Allora, sto aspettando, ricordi?»
«Si..» la voce uscì fievole ma non terrorizzata.
«Con me o contro di me Indah, eppure hai deciso comunque di tradirmi.. perché?» Sul serio non riuscivo a capire perché si fosse alleata con Shura pugnalandomi alle spalle. Non mi era stato difficile risalire al colpevole della fuga di Irina, avevo già avuto i primi sospetti quando venne informata della morte di suo fratello Misha. Ero stato comunque sollevato nello scoprire non fosse Regina la talpa.
«Pensavi davvero potessi esserti sinceramente leale?» Improvvisamente il suo tono cambiò, pregno di divertimento e cattiveria. Mi piacque.
«Mi sei sempre piaciuta, così ribelle e coriacea. Sei sopravvissuta per questo tra quelle strade.» Reclinai il viso avvicinandomi alla sedia, carezzando con il legno della mia mazza le sue cosce nude, si ritrasse appena cercando di non perdere l’equilibrio e finire impiccata.
«Tu mi ripugni, sei un demonio e bada bene Dimitri.. non avrai ciò che più brami e ami.» Mi bloccai inarcando un sopracciglio, era sempre stata propensa a quelle sottospecie di predizioni spicce.
«Ma io lo avrò, ormai è questione di tempo.. e la bratva sarà mia.» Stavolta fu lei a ridere sputando sui miei piedi, leccai le labbra respirando profondamente mantenendo una calma stoica.
«Pensi parlassi di quella? Così stupido e cieco.» Mi irrigidii senza aggiungere altro, probabilmente sapevo dove volesse andare a parare e non era nel mio interesse soffermarmi.
«Prima di salutarci è bene tu mi dica ciò che sai, è stato Shura a organizzare il mio rapimento?» Mi fissò intensamente e per la prima volta lessi la tensione nei suoi occhi.
«Se te lo dico mi libererai?» Adesso toccò a me ridere, sembrava una sorta di partita a tennis dove sarebbe caduta la palla al prossimo giro?
«Mi sento sollevato, pensavo non avessi alcuna paura di morire.» Restò in silenzio, la risposta in fondo era scontata quanto stupida: nessuno a questo mondo voleva morire. «Allora Indah, è stato Shura?»
«No, neppure lui era a conoscenza del tuo rapimento finché non gliel’ho detto io..» annuii allontanandomi di un passo, guardandola per quella che sapevo fosse l’ultima volta. La sua bellezza in quel momento avrebbe dovuto essere dipinta tanto era sconvolgente e battagliera. I suoi occhi luminosi di lacrime e odio mi guardarono mentre sollevavo entrambe le braccia colpendo con la mazza le sue gambe, le spezzai dolorosamente e il peso del suo corpo cedette lasciando che la corda facesse il resto. Non riuscì neppure a urlare, mi allontanai di spalle ascoltando i suoi versi gracchianti, immaginandone il viso congestionato e gli occhi iniettati di sangue.
 
Yuri mi si accodò pochi istanti dopo seguendomi fuori da quel posto che puzzava di merda, mi sistemai la giacca slacciando il bottone, percepii il suo nervosismo e mi incuriosii fissandolo.
«Si può sapere che hai adesso? Cristo.» Sbuffò di fronte al mio tono arrancando il passo per raggiungermi.
«Sergej ha saputo della liberazione di Nadja, e te lo dico: non è per niente felice.» Restai in silenzio elaborando velocemente la situazione, qualcuno aveva evidentemente parlato prima del previsto. Dopo la morte di Kolia la situazione era tesa, sapere della liberazione di quella che avrei dovuto uccidere senza pietà supponevo potesse provocare svariati sospetti su di me.
«Dove si trova adesso il vecchio?»
«Sicuramente non a Mosca, non mi stupirebbe vederlo a casa tua seduto sul divano ad aspettarti. La morte di Kolia lo ha reso più schizzato e paranoico di quanto già non fosse.» Mi massaggiai il collo teso curvando le labbra in una smorfia infastidita, supponevo di dover accelerare i tempi del mio piano, il problema era capire come. Era ancora troppo presto, non avevo abbastanza alleati per sopportare una guerra di quel tipo.
«Porta via Irina da quella casa, è vitale non venga vista da Sergej.» Yuri sospirò insoddisfatto aprendo la portiera dell’auto.
«Già fatto, l’ho portata in uno dei nostri casinò.»
 
 

Aleksandr POV

 
 
«Quella balinese non risponde più alle nostre chiamate.» Sophia lanciò il cellulare sul tavolino gemendo di frustrazione, curvai la schiena fissando il pavimento.
«Non chiamarla più, suppongo sia inutile..» non mi sentii di continuare il discorso, come me anche lei sapeva bene che quando qualcuno diveniva irreperibile in quell’ambiente le soluzioni erano due: o era morto o era scappato. Nel caso di Indah ero quasi certo fosse la prima delle due, non aveva alcun posto nella quale tornare, e i nostri patti erano chiari più informazioni mi avrebbe dato e più avrebbe avuto possibilità di fuggire dalla bratva. Dimitri l’aveva scoperta, ma come? Sospirai insoddisfatto guardando le due donne accanto a me, la situazione sembrava essere arrivata a un punto di stallo, e sapevo per esperienza quanto fossero più pericolosi i vicoli ciechi che quelli pieni di sbocchi. Ripensavo ossessivamente a Irina, se solo si fosse lasciata portare via a quest’ora staremmo tutti lontani dispersi chissà dove, vivendo la nostra vita. Ma che vita era quella se dovevi nasconderti a ogni passo e guardarti sempre le spalle? Non era ciò che volevo, non l’avevo voluto già durante la mia prima fuga figuriamoci adesso, ed eccolo nuovamente il maledetto punto cieco. Qualcuno bussò alla porta, mi alzai caricando l’arma facendo cenno alle due di tacere, dirigendomi cautamente verso quel suono ascoltando possibili rumori.
«Chi è?» Un lungo silenzio e poi un sospiro spazientito.
«Ramirez, apri.» Roteai gli occhi aprendo con un colpo secco, fissando l’uomo dalla carnagione olivastra basso e tarchiato.
«Già che ci sei vuoi appendere i manifesti all’ingresso dell’albergo? ‘’Ehi gente, Aleksandr e famiglia alloggiano qui’’.» Ignorò il mio sarcasmo entrando e accomodandosi nella poltrona in pelle con un tonfo sordo. Nella stupida speranza di portare via Irina eravamo venuti tutti a Las Vegas, dritti nella tana del lupo, per quanto sembrasse folle però aveva senso: chi mai ci avrebbe cercati lì? Erano tutti convinti fossimo presi a nasconderci il più lontano possibile, ma anche in quel caso a preoccuparmi era Dimitri.
«Qualcuno vuole morto Dimitri Cernenko.» E dove stava esattamente la novità? Aveva più nemici lui che un dittatore durante la guerra. «E vuole il tuo aiuto.» Adesso si faceva interessante, accesi una sigaretta aspirando il fumo acre che calmò i miei nervi.
«Ha parlato con te?» Scosse il capo fissando mia moglie intenta ad ascoltare con apprensione malcelata, la conoscevo così bene da essere quasi comica ai miei occhi.
«No, per il momento non sembra intenzionato a farsi vedere.. comprensibile, Dimitri sta cercando il suo aguzzino come un folle.» Era quindi stato quest’uomo a ordire il rapimento? Ramirez sembrò leggermi nel pensiero annuendo con un mezzo sorriso. «C’hai preso. Il fatto che voglia te come complice non mi stupisce, in fondo chi più di te lo vuole morto dopo Mish—» si stoppò rendendosi conto in quel momento della presenza di Nadja che incassò in silenzio aggrappandosi al bracciolo del divano. Il silenzio calò tra noi, fissavo la brace ardente della mia sigaretta consumarsi tra le mie dita proprio come la mia vita dalla morte di Misha. A volte pensavo fosse tutto inutile ciò che facevo, come se combattere e sopravvivere fosse diventato una sorta di ‘’in più’’ facilmente accantonabile. Poi però fissavo Sophia, nel suo viso vedevo la nostra storia, vedevo tutte le mie cicatrici che coprivo coi vestiti migliori lasciandole scoperte solo la notte nel letto con lei, vedevo tutto ciò che avevo fatto per tornare vivo da lei, vedevo il suo amore e vedevo il mio che ancora viveva più forte che mai, ma soprattutto vedevo Eleazar. Così bello e acerbo, nei suoi tratti infantili tutti dicevano di vedere me, ma io vedevo sua madre. Come potevo quindi mollare? Alzai il capo fissando Pedro davanti a me, scesi a guardare il dito che mancava alla sua mano uno dei tanti regali di Dima in quella guerra.
«Riesci a mettermi in contatto con lui?» Nonostante quella sorta di tregua impostaci sapevamo entrambi che finché non l’avessi ucciso vendicando Misha non mi sarei mai sentito appagato.
«Posso provarci, ti farò sapere meglio nei prossimi giorni.» Annuii carezzandomi l’interno della guancia con la lingua.
«Hai altre novità per me?» Sembrò rianimarsi sorridendo divertito, e stavolta i suoi occhi abbracciarono tutti come se quella notizia toccasse ognuno di noi.
«Qualcuno ha avvisato Sergej della liberazione di Nadja, chissà magari non riusciremo ad uccidere Dima.. perché qualcuno ci precederà.» Sophia sorrise vittoriosa e io mi lasciai andare contro lo schienale con un sospiro, reclinai il capo guardando il tetto senza vederlo.
«Non cantate vittoria troppo presto.. Dimitri non è qualcuno che s’abbatte così facilmente.»
 

 

Dimitri POV

 
 
Come aveva supposto Yuri trovai Sergej ad attendermi seduto sul mio fottuto divano, nella penombra sorseggiava quello che mi parse brandy, le sue spalle irrigidite trasudavano tutto il malcontento che non manifestava a gesti.
«Non sapevo della tua visita.» Lasciai cadere la giacca sulla sedia versandomi da bere, fu allora che si girò a fissarmi ingollando tutto il contenuto del suo bicchiere.
«Non sono qualcuno che ha bisogno di avvisare.» Mettere in chiaro chi fosse il capo era sicuramente una mossa degna di nota, sorrisi arcigno bevendo il forte alcolico tutto d’un sorso, mi sentii riscaldare da dentro.
«Qual è il problema, Sergej?» Il bicchiere si frantumò al pavimento e la sua faccia sembrò voler esplodere da un momento all’altro.
«Mi chiedi qual è? Davvero non lo sai?» Restai in silenzio aspettando che continuasse lui stesso. «Per quale fottuto motivo Nadja si trova al sicuro in casa di Shura, e non sotto metri di terra assieme a quel verme di Misha. PERCHE’ DIMITRI.» Mi fissò ansante era evidente attendesse una risposta, aggrottai la fronte versandomi ancora da bere.
«Hai detto che avrei potuto giocarmela come meglio credevo, non ti ho forse già portato la testa di Misha?» Fissai il suo anulare, spiccava grande e ingombrante quasi l’anello strappato al cadavere di Mikhail dopo la sua morte come simbolo della sua personale vittoria.
«Il tuo operato inizia a non andare più bene Dima, dimmi pensi di essere ancora degno della mia fiducia?» Per niente, e forse se ne stava rendendo conto anche lui. Sorrisi da sopra il bordo del bicchiere percependo dei passi alle mie spalle, non ebbi bisogno di voltarmi per sapere chi fossero: i suoi leccapiedi.
«Sei venuto qui per sentire delle spiegazioni o per punirmi?» Posai il bicchiere e la mia mano accarezzò la pistola nella cinta.
«Sono stanco delle spiegazioni.» Yuri comparve dall’ombra nella quale era rimasto restando silenzioso ma visibile, in un tacito ammonimento.
«Cosa vuoi che faccia quindi?» Gli occhi di Sergej restarono incollati all’uomo dietro di me, forse pensava a quanti danni avrebbe tratto in una possibile sparatoria e al modo migliore per pararsi il culo.
«Entro la fine di questo mese voglio la testa di Sophia, Nadja, Shura.. e Irina Volkova.» La mia espressione restò forzatamente neutra mentre dentro di me mi sentivo corrodere come sommerso da veleno e acido. «Altrimenti prenderò la tua a compensare le loro.» I suoi uomini si diressero verso la porta, li seguì pochi secondi dopo senza aggiungere altro lasciandomi da solo. Strinsi il bicchiere tra le dita frantumandolo, ignorai il sordo dolore alla mano respirando affannosamente, Yuri non si avvicinò conosceva bene il mio temperamento in quel momento.
«Entro la fine di questo mese sarà la sua testa a penzolare dalla cattedrale rossa, posso assicurartelo.» Solo in quel momento s’arrischiò ad avvicinarsi sedendosi sul divano di fronte a me, fissandomi attentamente.
«Hai un piano? Perché conoscendolo sono certo che appena finirai il lavoro, ti ucciderà.» Serrai le labbra in una linea dritta e dura.
«Chi oltre me vuole la sua morte? Pensaci.» Lo vidi farsi attento, era palese fossero in molti a desiderare la dipartita del Vor, ma io mi riferivo a qualcuno di specifico. Quando capì sorrise scuotendo il capo.
«Pensi Shura voglia più la sua morte che la tua?» Scrollai le spalle togliendo distrattamente i cocci di vetro incastratisi nel palmo della mia mano, ignorando le chiazze di sangue sul tappeto chiaro.
«Penso gli ci voglia un incentivo e noi glielo daremo..» sorrisi nella penombra guardando infine l’uomo a poca distanza. «Trovami dove si nasconde, se è venuto per Irina sono sicuro non possa essersi allontanato poi molto.» Conoscevo bene Shura, non era il tipo che gettava la spugna al primo fallimento, avrebbe riprovato cento anzi mille volte a portare con se Irina e per farlo doveva restarle vicino. Molto vicino. Bastava solo capire quanto.
 
 
Le suite del casinò avevano quasi tutte il medesimo lussuoso arredamento, entrai in quella che avrei condiviso con Irina guardandomi attorno, la trovai a fissare il pacco ancora chiuso che le avevo fatto recapitare quella mattina.
«Deduco tu non lo abbia ancora aperto.» Il mio ingresso silenzioso la spaventò, mi fissò con occhi spauriti prima di prendere coscienza di chi fossi e rilassarsi. Il fatto che si sentisse al sicuro in mia presenza era gratificante, nonostante lì nel fondo delle sue iridi io vedessi le accuse silenziose e il suo ostinato non perdonarmi. Come la peggiore delle predizioni in quella notte senza tempo in cui era rimasta rannicchiata a me, essa si era avverata: le accuse nei suoi occhi mi perseguitavano ogni giorno di più.
«Cos’è?» Accarezzò il fiocco di raso con delicatezza.
«E’ un regalo, per te.» Le andai dietro circondandole le spalle con le braccia, attirandola a me, la sentii sciogliersi a quel contatto e una scarica d’adrenalina e desiderio mi pervase come ogni volta in cui l’avevo accanto. Quando aprì la scatola sollevò il vestito da sera che le avevo regalato a occhi sgranati.
«Perché?» Sembrava incapace di capire il motivo per cui avessi voluto farle un regalo simile, sorrisi divertito lasciandomi cadere sul divano.
«Perché ho pensato saresti stata magnifica con quello indosso.» I suoi occhi di ghiaccio si spostarono sulla fasciatura nella mia mano, inarcò un sopracciglio sedendosi accanto a me per osservarla meglio. La ritrassi leccandomi le labbra.
«Cos’è successo?» Quanto e cosa avrei dovuto dirle? A lei, la donna che avevo deciso contro ogni logica e ragione di sposare.
«Penso Sergej stia progettando il mio omicidio.» Sbiancò ritraendosi appena, provai ad avvicinarla ma oppose resistenza divenendo improvvisamente aggressiva, balzando in piedi.
«Per quanto ancora Dimitri? Per quanto ancora dovrò vivere così?» Restai in silenzio a fissarla, cosa si aspettava che dicessi esattamente?
«Vorresti che mollassi tutto per fuggire con te?» Sorrisi stancamente reclinando appena il viso. «Non succederà mai, Irina.»
«Perché vuoi sposarmi allora? Per rendermi una vedova ricercata dai sicari?» Perché volevo sposarla? Era quella la vera domanda essenziale. Più cercavo risposte e meno ne trovavo, semplicemente la volevo mia in ogni senso possibile. Avevo già preso tutto ciò che poteva darmi, lo sapevo bene, ma non ero ancora sazio. E allo stesso modo senza rendermene conto a mia volta le avevo dato più di quanto non pensavo d’avere. Persino la fedeltà, per me un concetto utopico prima di incontrare lei.
«Non morirò, non ho alcuna intenzione di mollare e lasciarti qui.» Ci fissammo con la medesima intensità e gravità e quando le afferrai il polso non oppose resistenza lasciandosi cadere su di me. Le sue mani iniziarono a spogliarmi facendomi dimenticare Sergej, Shura e qualsiasi altro problema avessi avuto per la testa. La sua pelle liscia era come seta sotto i miei polpastrelli, l’accarezzai con desiderio spogliandola di quegli abiti, mi piaceva averla nuda tra le mie braccia, sentirla muoversi sinuosa mentre le aprivo le cosce e mi facevo strada dentro di lei, il modo in cui conficcava le unghie nella mia schiena, come ansimava di piacere assecondando le mie spinte col bacino, il modo in cui urlava il mio nome quando non le concedevo ciò che voleva spingendo sempre più forte, facendole male e bene allo stesso tempo. Mentre sentivo l’orgasmo montarmi dentro mi resi conto d’essermi totalmente fottuto il cervello, in ogni spazio della mia mente c’era il suo viso marchiato a fuoco e la sua voce che malinconica mi sussurrava: ‘’il mio non perdonarti sarà la mia punizione per te. Non oggi, non domani, ma in futuro questo tarlo ti porterà alla pazzia.. e io ti guarderò gioendo Dimitri Cernenko. Mio amore odiato’’.
 
Mano nella mano ci dirigemmo al tavolo della roulette, Irina sembrava simile a una bambina che vede per la prima volta un parco giochi, era tutto completamente nuovo per lei. Io invece ero più interessato a fissare il vestito color ghiaccio in raso che fasciava perfettamente ogni curva del suo corpo, lungo e stretto col corpetto aderente Irina era sicuramente la donna più bella in tutto il casinò. Ed era mia.
Le feci tirare i dadi parecchie volte, le vinse quasi tutte con sommo stupore di tutto il tavolo e la sua risata che per la prima volta riuscii a sentire chiaramente. In un modo contorto riuscivo comunque a compensare tutte le mancanze che sapevo di avere, quel rapporto malato e morboso nella quale c’eravamo trovati incastrati per causa mia. Non riuscivo comunque a pentirmene, nonostante le parole di Indah prima della sua morte rodessero come un tarlo fastidioso. Era di Irina che parlava? L’avrei persa quindi alla fine dei giochi? La guardai sentendo dentro di me una possessività tale da spaventarmi quasi, non avrei lasciato me la portassero via. Né a Sergej né a nessun’altro.
«I casinò sono divertenti..» Risi divertito annuendo a quell’affermazione.
«Oh si, ma solo se hai soldi da poter perdere senza finire sul lastrico.» Ne avevo vista di gente rovinarsi in quei posti. La guardai camminare di fianco a me, sollevando il vestito per paura che si sporcasse. «Vieni con me?»
«Dove?» Mi fissò incuriosita e io mi chiusi ermeticamente.
«A farti rispettare la tua promessa.» Non aggiunsi altro facendole cenno di salire nell’auto, obbedì continuando a scrutarmi nell’ombra del suo posto per tutto il tragitto. La portai nel giardino dietro una chiesa, e quando arrivammo probabilmente anche lei capì le mie intenzioni visto il modo in cui strinse la mia mano guardandomi. Aveva un’intensità tale da superare persino la mia.
«E tu Dimitri? Tu rispetti le promesse?» Non era nella mia indole rispettarle perché non ero decisamente il tipo da farne, in qualsiasi situazione.
«Magari lo sono, vuoi che ti prometta qualcosa?» Sembrò per un secondo indecisa su cosa dire, alla fine mi fissò risoluta.
«Le uniche promesse che devi mantenere sono quelle che stai per dire.» prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. Nessuno dei due volle aggiungere ‘’finché morte non ci separi’’. La fissai pronunciare quelle parole piangendo, con le dita unite alle mie nello sfondo di quel giardino e mi resi conto solo in quel momento di quanto quella apparisse come la prima vera volta in cui mi sposavo. Non ricordavo un singolo frammento della funzione con Masha, neppure il più piccolo. Indelebile dentro di me vi erano solo i suoi occhi morenti mentre mi fissava come se tutto il suo microcosmo fosse andato in pezzi lasciando il posto alla crudele realtà. Irina era la mia punizione per Masha e per tutti gli altri peccati di quella mia ancora breve esistenza percorsa? Quando le donai il mio anello e lei mi baciò circondandomi il collo con le braccia, temetti che la risposta fosse si.

 

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Capitolo 14
*** From blood and pain come perfection. ***





 

Sollevai la mia mano fissando il grosso anello posto all’anulare sinistro, al centro spiccava un rubino che non passava di sicuro inosservato. Quello che era stato il simbolo della ‘’fratellanza’’ per Dimitri, adesso era divenuto il simbolo della nostra unione, ripensai a quello di Misha ne aveva uno simile ma con una pietra verde al centro, il mio cuore sussultò preda di quei sensi di colpa che non volevano abbandonarmi mai. Cosa stavo facendo esattamente? Avevo sposato l’assassino di mio fratello, di colui che aveva brutalmente ucciso metà del mio cuore e della mia vita ma che allo stesso tempo riempiva l’altra metà di un amore viscerale e morboso. Ero rimasta con lui nella stupida e infantile convinzione di dovergli dire addio e mi ero ritrovata legata indissolubilmente da quel matrimonio; nessuno mi aveva costretto, avevo scelto io per me la strada che pensavo mi fosse destinata. Per la prima volta nella mia vita non mi ero lasciata trascinare dagli eventi, non ero stata succube delle decisioni altrui, avevo semplicemente preso quella strada con dolorosa consapevolezza. Me ne pentivo? Voltai appena il viso a fissare Dimitri dormiente accanto a me, accarezzai il suo profilo in una lenta carezza soffermandomi sul naso dalla linea dritta e severa e sulla fossetta posta sul mento dandomi immediatamente la risposta: no. Io lo amavo, e da questo sentimento non potevo fuggire. Magari per lui non era lo stesso, forse avermi era solo l’ennesimo atto crudele mosso ai danni di Shura, ma non riuscivo comunque a esserne scalfita, non come avrei voluto almeno. La sagoma accanto a me si mosse, quando aprì gli occhi lo vidi focalizzarsi con lo sguardo sui miei, ciò che lessi mi arrossò le guance rimescolandomi dentro.
«Sergej esige la tua testa insieme a quella di Shura.» Non era di sicuro il buongiorno che mi sarei aspettata quello. Mi misi a sedere riavviandomi i capelli scompigliati, per ovvi motivi avevo imparato a gestire meglio l’ansia e le pessime notizie, forse perché da mesi ormai non facevo altro che incassarne senza sosta.
«Perché me lo stai dicendo?»
«Perché adesso sei mia moglie, sei la mia prima alleata Irina.» Marcò quelle parole con decisione e io ne colsi il messaggio subliminale. Diceva di fidarsi, ma di volere prova di quella fiducia, non gli bastava quindi il fatto che fossi tornata da lui quella notte?
«Cos’hai in mente di fare?» Lo guardai sollevarsi ignorando il suo corpo completamente nudo, Dimitri non aveva la minima idea di cosa fosse il pudore e avevo scoperto quanto questo suo lato mi piacesse.
«Costringere Shura ad aiutarmi, se Sergej muore entrambi ricaviamo qualcosa.» Inarcai un sopracciglio lasciando la mia domanda inespressa, la colse ugualmente sorridendo mellifluo. «Io ottengo il potere assoluto, e Shura la salvezza. La sua e quella di sua moglie e suo figlio.. senza Sergej nessuno li cercherà ancora.» Sgranai gli occhi reprimendo le lacrime, aveva sul serio intenzione di lasciarli andare?
«Manterrai davvero questa promessa?» Mi fissò intensamente qualche secondo e alla fine si sporse rubandomi un bacio, cercai di trattenerlo inutilmente.
«Mi perdoneresti se non dovessi farlo?» Restai in silenzio guardandolo con consapevolezza, nel fondo dei miei occhi ancora viva l’accusa e la rabbia per la morte di mio fratello. Era il suo modo per dire che sapeva e che le mie parole si erano finalmente avverate?

 
 

Dimitri POV

 
 
Il tempo delle chiacchiere era finito, adesso bisognava solo agire e muoversi. La ricerca di Shura era iniziata da giorni senza dare frutti, almeno fino a quel momento ma era vitale per me trovarlo e costringerlo ad allearsi con me. Con qualsiasi mezzo a mia disposizione, anche Irina. La guardai spazzolarsi i lunghi i capelli rimirandosi allo specchio, la sua bellezza era ogni volta una coltellata in pieno petto. Così candida e innocente nonostante la vita che le avevo imposto, come diamine ci riusciva? Avrei voluto mi confidasse il suo segreto, come preservare umanità in una vita come quella? E se chi come me non ne aveva mai avuta, come poterla acquistare adesso? Tutte domande che ero sicuro non avrebbero trovato mai una risposta. Yuri entrò in quel momento bloccandosi alla vista di mia moglie, indeciso se parlare o meno; gli feci cenno di proseguire anche in sua presenza.
«Abbiamo trovato Shura.» Sentii Irina smettere di respirare divenendo improvvisamente attenta a ogni parola detta. «Alloggia in un albergo in città, ricordi Pedro Ramirez?» Aggrottai la fronte rovistando nella mia memoria, finché non mi sovvenne il quartiere di Belvanera laddove tutto era iniziato e allora sorrisi.
«Mantiene i contatti con lui?» Yuri annuì soffiando fuori una sottospecie di risatina.
«Quando mi hanno detto si trovasse in città l’ho considerato sospetto, mi è bastato tenerlo d’occhio qualche giorno. Si è recato ben due volte nello stesso albergo, le ipotesi sono due: o tiene una puttana, o vede Shura.» Inarcai un sopracciglio bevendo dell’acqua, sentivo la gola riarsa.
«E perché non potrebbe essere una puttana?»
«Con quale puttana ti intrattieni per un quarto d’ora?» Magari aveva problemi di eiaculazione precoce, io e Yuri ci fissammo capendoci e scoppiando a ridere nello stesso momento. Irina ci guardò confusamente afferrandomi il braccio, attirando la mia attenzione.
«Fammi venire con te.» La vedevo già pronta alla battaglia di convincimento e persuasione, il mio sorriso la spiazzò. Le accarezzai il viso lentamente osservandone le fattezze cesellate.
«Tu verrai, sei il mio lasciapassare per l’inferno amore mio.»
 
L’aria afosa si appiccicava alla mia pelle in maniera fastidiosa, persino il vento che sferzava era bollente mentre s’infrangeva sul mio viso. All’uscita del casinò dove alloggiavo la berlina nera sostava immobile aspettandomi, osservai Vania poggiato allo sportello del guidatore col cellulare tra le mani ed ebbi come un paradossale quanto inquietante déjà-vu: mi rividi all’uscita del teatro a Mosca, accanto a Sergej poco prima dell’esplosione che era costata la vita di Slonko. Mi guardai attorno e fu in quel momento che li vidi, come un piccolo puntino di luce diretto verso di me.
«A TERRA.» Spinsi Yuri accanto a me poco prima che la sfilza di proiettili non trapassasse l’auto mirando ai bersagli mobili. Quei fottuti bersagli eravamo noi. Sembravano non finire mai mentre sentivo le urla della gente che fuggiva provando a mettersi in salvo, strisciai verso la fiancata dell’auto tirando Vania per un braccio, vidi il sangue sulla sua maglia e imprecai nella mia lingua madre e in tutte quelle che conoscevo. Quello era un agguato in piena regola, mi sollevai appena per capire da dove venissero i proiettili estraendo l’arma, mirai e sparai beccandone uno. Non era abbastanza. Ne contai almeno sei, e per quanto io e Yuri potessimo sparare sembrava non bastare mai. Di colpo tutto cessò proprio com’era iniziato, mi guardai intorno respirando l’aria satura di polvere da sparo e detriti, tossendo per cercare di scacciare dalla gola una specie di magone che mi rendeva difficile respirare.
«Credo siano andati via..» fu Yuri stavolta a parlare sollevandosi cautamente per guardarsi intorno, lo seguii a ruota fissando il punto dove avevo mirato e senza attendere oltre attraversai l’incrocio ignorando le urla di Yuri. Lo trovai riverso a terra, il proiettile aveva colpito la gola, mi fissava ad occhi sbarrati soffocando nel suo stesso sangue, mi chinai afferrandolo per il bavero della maglia.
«Chi cazzo ti manda.» Mi guardò con occhi vacui e un sorriso striato di rosso senza proferire parola prima di morire davanti ai miei occhi. Urlai di frustrazione alzandomi e guardandomi intorno, ero quasi sicuro non fosse stato Sergej a mandarli, l’uomo non faceva parte dei suoi uomini e inoltre quello non era il suo modus operandi di uccidere. Yuri mi raggiunse fissandomi con gravità.
«Risparmiami la manfrina, che qualcuno voglia uccidermi è chiaro pure a me testa di cazzo.» Lo spinsi senza neppure farlo parlare, avviandomi verso l’ingresso del casinò.
«Dobbiamo portare Vania da un medico, ha una ferita seria.» Fissai il mio uomo ancora in terra sentendo la rabbia ribollire nelle mie vene.
«Portalo via velocemente, la polizia arriverà da un momento all’altro. Non farti vedere più per oggi.» Lo spinsi con solerzia rientrando dentro il palazzo, avevo come il presentimento che tutto quel casino riguardasse Shura in qualche modo ed era ormai evidente che dovessi vederlo e parlargli prima che questo pazzo non tentasse nuovamente di farmi la pelle.
 
 

Aleksandr POV

 
I miei passi rimbombarono lungo il corridoio in penombra, dalle camere chiuse proveniva attutita lo schiamazzo della musica unito alle urla dei clienti. Indire riunioni in uno pseudo bordello era di sicuro nel classico stampo di gente come quella, ma d’altra parte a me serviva il loro appoggio e soprattutto le loro soffiate. Entrai nella solita stanza fissando Pedro insieme ad altri uomini che conoscevo da una vita, sedendomi e versandomi da bere.
«Pensavamo non arrivassi più.» Sorseggiai l’alcolico senza prendermi la briga di rispondere, supponevo fosse inutile visto che stavo lì di fronte a loro. L’uomo parve capire schiarendosi la voce. «Oggi qualcuno ha teso un agguato a Dimitri Cernenko.» Mi feci improvvisamente attento assottigliando lo sguardo.
«Si sa chi è stato?» Pedro serrò le labbra in una linea dritta e dura sbuffando poi insoddisfatto.
«Non proprio..» che cazzo significava? Sembrò leggere il mio sguardo sollevando le mani come a dirmi ‘’stai calmo, non è colpa mia’’. «Dice di essere un tuo amico e un amico di Misha.» A quel nome il mio stomaco sembrò spalancarsi in una voragine immensa e infine rattrappirsi fino a sparire del tutto. Dolorosamente.
«Cazzate, io e Misha non avevamo amici.» Bevvi improvvisamente assetato versandomene ancora, io e lui avevamo vissuto un’intera vita da soli, bastandoci a vicenda. Chi cazzo era l’uomo che diceva di conoscerci? Rovistai nella mia mente alla ricerca di un nome, qualcosa che potesse anche solo darmi un mero indizio ma non ne trovai. Quando il vuoto mi accolse mi sentii nuovamente sbalzato nel tanto odiato vicolo cieco, passai una mano sul viso deglutendo il bolo amaro di saliva.
«Io ti dico solo ciò che so, quindi tieni gli occhi aperti perché sono sicuro si metterà in contatto con te.. in qualche modo.» Inarcai un sopracciglio annuendo meditabondo, che venisse pure lo avrei aspettato con molta ansia, in quel mondo nessuno faceva niente per niente e se questo tizio si stava dando così tanto da fare per uccidere Dimitri al posto mio era evidente che alla fine dei giochi avrebbe voluto un compenso. Ma quale?
 
Rientrai a notte fonda in camera ritrovando Sophia e Nadja sedute ad aspettarmi, sospirai occhieggiandole con biasimo.
«In questa fottuta camera non si dorme mai?» Mia moglie sorrise in maniera acida e acre alzandosi.
«Potrei farti la stessa domanda, hai intenzione di sgusciar via ogni notte?» Ecco che ricominciava, era una via senza sbocco quella. Lei pretendeva indissi le riunioni lì dove poteva ascoltare tutto, e io mi rifiutavo per la sua incolumità.
«Non avrai ciò che vuoi Sophia, lo sai che è impossibile.» Nadja si alzò provando a mettersi tra di noi, il suo ventre diveniva giorno dopo giorno più evidente, non riuscivo neppure a fissarlo per troppo senza sentire il bisogno di strozzarmi con le mie mani. Immaginavo quindi solo vagamente cosa volesse dire per lei portarlo dentro di se.
«Per favore non ricominciate a litigare.» Non facevamo altro ormai, come biasimarla? Eravamo tutti al nostro massimo livello di sopportazione. Fu in quel momento che sentii il rumore della maniglia che cedeva sotto i colpi di un’arma dotata di silenziatore, estrassi la pistola puntandola alla porta facendo cenno a Sophia di fuggire in camera sua, fu Nadja a trascinarla provvidenzialmente via incurante delle sue urla mentre il viso di Dimitri appariva di fronte a me seguito da quello di.. Irina.
 

 

Dimitri POV

 
 
Vania se la sarebbe cavata con qualche settimana di riposo, eravamo arrivati appena in tempo a bloccare l’emorragia e suturare la ferita prima che venisse spedito anche lui al creatore. Al buio nella mia camera riflettevo attentamente facendo un sudoku mentale di tutti i miei possibili nemici, arrivando a metà desistetti. Se c’era un collegamento a Shura l’unico che avrebbe potuto risolvere il mistero era proprio lui, ammesso e non concesso non fosse proprio esso stesso il mandante e in quel caso il mio piano d’alleanza diveniva lievemente più difficile da mettere in pratica. Yuri comparve in quel momento facendomi cenno, era il momento di andare a trovare il mio sicario preferito e chiedere spiegazioni. Mi alzai caricando l’arma con un colpo secco, riponendola nella cinta accuratamente coperta dalla giacca, Irina apparve proprio in quel momento già vestita e pronta per venire con me, i suoi occhi risoluti mi colpirono.
«Sei pronta a rivedere la tua famiglia?» Sorrise a quella mia battuta maligna senza farsi scalfire, sapeva quanto io mi considerassi la sua nuova famiglia in quel pazzo universo che eravamo andati a crearci.
«Dovunque tu sarai, lì io sarò. Non hai detto forse così quella notte?» Ripensai al nostro matrimonio e alle promesse recitate di fronte colui che c’aveva sposato, mi domandavo spesso se Dio in quel momento si fosse voltato dall’altra parte o avesse benedetto quell’unione. Ero convinto che l’avrei comunque scoperto a mie spese molto presto.
 
«Suppongo che non sia il caso di bussare a quest’ora della notte.» Avevo lasciato Yuri ad attendermi sotto con tutti gli altri ragazzi, portando solo Irina con me. Estrassi la pistola e prima che potesse porre obiezioni sparai tre colpi alla serratura che cadde con un tonfo sordo, quando aprii la porta trovai Aleksandr in piedi con la pistola tra le mani, gli puntai contro la mia spingendo Irina dentro la stanza.
«Ah-ah, non è questo il giusto modo di accogliere gli ospiti, non ti pare?» I suoi occhi si soffermavano spesso su mia moglie, indecisi quasi su cosa dire o fare.
«Non ho mai visto un fottuto ospite entrare in casa altrui così, io.» Mi ricambiò il sarcasmo con la medesima irriverenza senza abbassare l’arma, sembravamo in una fase di stallo critica dove nessuno dei due avrebbe mosso un passo.
«Perché non abbassi la pistola e parliamo?» Reclinai appena il viso invogliandolo a un’obbedienza che per natura Shura non aveva mai avuto.
«Perché non l’abbassi tu?» Sorrisi divertito arricciando il naso, con la coda dell’occhio vidi Irina allontanarsi impercettibilmente, andando sempre più nell’angolo in ombra come se non volesse farsi vedere con eccessiva chiarezza.
«Abbassa la pistola, pezzo di merda.» La voce chiara e cristallina mi colse di sorpresa, mi voltai osservando Sophia con una pistola tra le mani intenta a puntarmela contro, accanto a lei Nadja e i suoi occhi selvaggi e carichi d’odio. Sospirai scuotendo il capo, come un padre di fronte a dei figli un po’ troppo vivaci.
«Sophia, so che non mi crederai ma è un vero piacere vederti.. da quanto non ci vediamo?» Forse dal matrimonio dell’ormai defunto Kolia, non lo dissi ma sembrammo pensarlo nel medesimo istante. La sua mano non tremava mentre mi minacciava di scaricarmi l’intero caricatore addosso, ma Shura dal canto suo non sembrava per niente contento di quell’entrata in scena.
«E’ brutto quando la tua donna ha più palle di un uomo, vero?» Lo presi in giro beccandomi soltanto la sua occhiata più glaciale. Sentii dei passi dietro di me, la presenza di Yuri ripristinò gli equilibri ridandoci ancora una volta lo stallo del pareggio.
«Da questa stanza uscirai con un fottuto buco in fronte Dimitri, te lo posso assicurare.» Shura mi fissò con rabbia, comprensibile ogni volta che qualcuno metteva in pericolo la sua fottuta principessa Sophia non sembrava capace di ragionare lucidamente. E questo per me poteva solo essere un vantaggio, spostai l’arma dirigendola contro la donna. Lo vidi quasi pronto a slanciarsi ma bloccarsi quando premetti appena il grilletto.
«Se non vuoi restare vedovo ti consiglio di fare abbassare l’arma alla tua valchiria assetata di sangue, e parlare come gente civile.» Ciò che successe in quel preciso momento per molti avrebbe avuto dell’incredibile, per altri sarebbe stato un miracolo, ma a me bastò guardare gli occhi di Aleksandr mentre fissava qualcosa alle mie spalle, quell’incredulità mista a dolore e amore che solo una persona avrebbe potuto causargli. Sentii il freddo dell’arma contro la mia nuca e poi quella voce così familiare.
«Ho atteso questo momento per mesi, figlio di puttana.» Non riuscii a trattenere una risata mentre l’entrata di Misha sconvolgeva ogni anima presente in quella camera, compreso me, e la mia ilarità divenne ancora più incontrollata, scuotevo il capo senza smettere di mirare al viso della bella Sophia adesso sconvolta e in lacrime.
«Dovevo aspettarmelo, le scorie non muoiono mai.» Il ritrovamento dell’anello, il corpo carbonizzato, tutte cose che avrebbero dovuto mettermi in allarme. Sentii il singhiozzo di Irina ma quando mi voltai con la propria arma mirava verso il fratello.
«Lascialo andare.. ti prego, non è qui per uccidere.»
«IRINA CHE CAZZO STAI FACENDO.» Le urla di Shura fecero tremare le mura mentre svincolavo da quella presa mettendomi accanto alla mia donna, abbassando l’arma in segno di tregua.
«Adesso, possiamo parlare e rimandare a dopo le lacrime e i piagnistei?» Osservai il viso di Misha, sulla guancia spiccava una cicatrice non ancora del tutto rimarginata, i suoi occhi identici a come li avevo lasciati.
 
 

Mikhail POV

 
 
Quella era una fottuta giostra impazzita, il mio ingresso tra i vivi era stato completamente adombrato da mia sorella con quell’arma in mano. La fissavo incredulo mentre Nadja mi piombava tra le braccia accarezzandomi il viso, non riuscivo a guardarla troppo preso da Irina accanto a quel mostro, il modo in cui gli stava vicino non era per nulla quello di una prigioniera col proprio carnefice.
«Sono venuto qui per parlare di affari.» La voce di Dimitri mi distrasse, lo guardai con odio e sfiducia, ogni volta che quel demonio stipulava patti come minimo dovevi dargli in cambio il culo o la tua anima. E francamente non ero bendisposto verso nessuna delle due.
«Che tipo di affari.» Fu Shura stavolta a intervenire, la sua voce uscì stentata come se avesse graffiato la sua gola per farsi sentire, mi fissava come si fissano i morti. Non potevo biasimarlo, ero sicuro mi stesse odiando in quel preciso momento per ciò che la mia pseudo morte gli aveva fatto passare.
«La morte di Sergej e la vostra totale libertà.» Mi feci improvvisamente attento sedendomi sul divano.
«A quanto so Sergej ha tutta l’intenzione di farti il culo.» Mi leccai le labbra sorridendo divertito, non ero cambiato poi molto quelle piccole gioie servivano a rendermi perennemente euforico. Dimitri mi fissò come si fisserebbe il moscerino sul parabrezza e io desiderai freddarlo lì sul posto, ma ancora una volta la presenza di Irina accanto a lui mi scioccò talmente tanto da farmi restare immobile.
«Vero, ma solo dopo la vostra morte.» Restammo tutti in silenzio metabolizzando la situazione, iniziavo a capire cosa volesse da noi e perché. «Se togliamo di mezzo lui, posso assicurarvi che per voi la Bratva sarà soltanto un lontano ricordo.. e stavolta definitivamente.»
«Perché dovremmo fidarci? Di te poi, sei soltanto uno scarto umano..» La voce di Sophia era ancora come la ricordavo, mi confortò guardarla, ancora bella come l’avevo lasciata nonostante il suo viso portasse tracce di stanchezza. Dirottai la mia mano sul ventre di Nadja, era stato quel pensiero a non farmi impazzire e farmi restare nascosto senza dire a nessuno la verità.
«Non sta mentendo, è qui per una tregua.» La voce di mia sorella spezzò nuovamente il silenzio la fissai ma non sembrò in grado di sostenere il mio sguardo. Tipico dei colpevoli.
«Hai già un piano?» Shura andò dritto al sodo, per quanto potessimo tentennare allearci a Dima era la scelta più ovvia. Magari resistendo saremmo anche riusciti a ucciderlo prima o poi ma a che prezzo? Non v’era paragone tra le sue risorse e le nostre.
«Ciò che più brama Sergej è vederti morire Shura, come pensi reagirà quando gli proporrò di darti il colpo di grazia?» Lo vidi sorridere e giuro che ai suoi piedi pensai di vedere il terreno frantumarsi e lasciare posto alle fiamme dell’inferno. Quell’uomo non conosceva Dio né amore, suo padre non avrebbe mai neppure pensato di tradire Sergej e prendersi il totale dominio e forse per questo era finito ucciso in quella sparatoria. «Quindi, accettate?» Ci guardammo tra noi per quello che mi parve un istante interminabile, i miei occhi e quelli di Shura restarono incollati tra loro mentre lo vedevo accettare quel patto siglando verbalmente l’accordo. Quando Dimitri si alzò Irina lo seguì, allungai la mano afferrandole il polso che strinsi con forza.
«Dove pensi di andare?» A quel punto fu Dimitri ad afferrarle l’altro e portarla vicino a se, mi fissò con un sorriso.
«Dove pensi che vada? A casa con suo marito.» Solo in quel momento vidi l’anello al suo anulare e il mio mondo perse consistenza, penso che persino le mie palle la persero facendo un buco sul terreno.
«Sei un figlio di puttana..» Irina mi strinse la mano e infine mi abbracciò, sentii quell’antico affetto fraterno mai sopito neppure con la distanza che ci aveva spesso visti protagonisti. L’abbracciai senza l’intenzione di lasciarla andare, non potevo lasciarla nelle sue mani non potevo pensare di vivere ancora in sua assenza.
«Devo andare..»
«Devi?» Continuai a stringerla.
«Voglio Misha, voglio..» la mia presa s’allentò appena e il dolore mi sommerse, stavo sul serio perdendo contro di lui? La scostai fissandola in quegli occhi così identici ai miei, la mia incredulità sembrò schiaffeggiarla con forza. «Non è un addio, per noi non lo sarà mai, lo prometto.» Mi baciò sulle labbra voltandomi le spalle, le mie mani strinsero l’aria mentre la guardavo andare via mano nella mano con l’unico uomo che avevo sul serio odiato dopo mio padre e Sergej. Ero tornato ma perché mi sentivo come piombato dritto all’inferno?
 
six months before ;
 
 
Vennero a prelevarmi nel cuore della notte, quando pensavo per me non ci fossero più speranze. Li vidi arrivare in gruppo, uccisero gli uomini di guardia sollevandomi di peso, uno di loro disse solo ‘’Shura ti sta aspettando’’, e allora mi concessi il lusso di perdere i sensi lasciandomi cullare da quella consapevolezza. Mio fratello era vivo, mio fratello non si era dimenticato di me.
Passai tre giorni chiuso in un motel che puzzava di merda e sperma, non che facesse poi molta differenza, non sono mai stato un tipo schizzinoso e inoltre muovermi mi veniva parecchio difficile con le ferite che quel bastardo mi aveva procurato. Riuscii a capire sommariamente il piano, con un camion che portava finta merce alimentare sarei uscito dalla città, da lì la puttana del Vor mi avrebbe scortato da Shura. Qualcosa però non andò come previsto, fu la prima volta in assoluto in cui gli insegnamenti di mio fratello mi servirono sul serio a qualcosa; quel trasferimento mi puzzava di trappola, e la mia teoria trovò una quasi conferma quando la mia scorta venne quasi del tutto sostituita lasciando posto solo a due uomini. In silenzio steso su una barella di fortuna ascoltavo il rumore della città dormiente, guardando il tipo seduto poco distante da me.
«Non mi stai portando a destinazione, vero?» Mi fissò con un mezzo sorriso infame scuotendo il capo.
«Dipende da quale destinazione t’aspetti.» Toccai l’anello al mio dito estraendolo con difficoltà, facendogli cenno d’avvicinarsi.
«Questo dallo a quel figlio di puttana di Dimitri, con i miei saluti.» Ebbe il tempo di allungare la mano per afferrarlo prima che la mia stretta sul suo polso non divenisse letale, urlò di dolore ma io non mi fermai, una botta secca e decisa prima di vedere l’osso schizzare fuori dalla carne facendolo quasi svenire per lo shock del dolore. Mi gettai su di lui e fu allora che mi squarciai la guancia sull’angolo appuntito della barella, non sentii neppure il dolore solo il sangue che fluiva dentro il mio palato mentre infilavo l’anello al suo dito, uscendo da quel fottuto camion poco prima che l’esplosione non mi sbalzasse svariati metri distante. Il mio unico punto fermo era non perdere i sensi proprio lì, strisciai il più lontano possibile osservando Yuri guardare il veicolo in fiamme e solo dopo notare il cadavere carbonizzato credendo fosse il mio. Mentre fissavo la mia seconda finta morte mi chiedevo come l’avrebbe presa Shura, e fu quel pensiero a farmi cedere per un secondo desiderando di tornare a casa, ma a che sarebbe valso? Un morto era più efficace di un vivo, se Dima e Sergej credevano alla mia dipartita avrei potuto agire più facilmente e riprendermi soprattutto dalle ferite. Giurai vendetta e continuai a giurarla dopo aver rapito Dimitri, dopo averlo torturato e dopo la sparatoria di fronte al casinò. Potevo dirmi soddisfatto? Guardando Irina andare via insieme a lui la risposta fu lampante quanto dolorosa: no. Ero stato nuovamente sconfitto.

 

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Capitolo 15
*** It's time for a showdown. ***





 

Era l’alba quando la nostra stanza d’albergo divenne finalmente silenziosa. Dopo la venuta di Dimitri eravamo rimasti tutti e quattro nel salone comune a fissarci senza sapere cosa dire, tutti non riuscivamo a staccare gli occhi da Misha. Il nostro Misha. Che di rimando non accennava a dare spiegazioni su cosa avesse fatto, come fosse sopravvissuto, e nessuno di noi sembrava intenzionato a chiedere nulla. Nadja era rimasta attaccata a lui tutto il tempo, i suoi occhi glaciali così familiari si spostavano dal suo ventre al mio viso e quello di Sophia che non riusciva a trattenere le lacrime. Poco prima di sprofondare nell’incoscienza mia moglie mi aveva guardato dicendo semplicemente ‘’c’è ancora speranza per noi’’, per la prima volta dopo mesi riuscii a respirare davvero.
Quando accostai la porta della mia camera lo trovai seduto nel medesimo divano a fumare e bere, la sua schiena contratta e ingobbita, riuscivo a leggere il lavorio dei suoi pensieri tutti concentrati sulla sorella.
«Ho provato ma ho fallito.» Mi sedetti dirimpetto versandomi da bere, Misha mi fissò aspirando una lunga boccata, sapeva mi riferissi a Irina e alla sua scelta di rimanere con Dimitri.
«Quando tutto sarà finito, lei tornerà qui. Con noi. La sua unica famiglia.» L’accendino scattò tra le mie dita incendiando la brace della mia sigaretta, restai in silenzio senza esporre le mie paure. Avevo visto i suoi occhi, ma soprattutto avevo visto quelli di Dima.. e francamente non riuscivo a credere a ciò che avevo letto. La guardava come io guardavo da anni Sophia, ma con della follia e morbosità in più. L’avrebbe lasciata andare?
«Non ti dirò cosa abbiamo passato dalla notizia della tua morte.» Lo fissai con gravità e rabbia, almeno a me avrebbe dovuto dirlo, mi sarei risparmiato la seconda morte della mia anima.
«Tu sei Shura..» mi sorrise sghembo e vidi la sua mano tremare. «Tu puoi perdonarmi ogni cosa.» Incassai la testa tra le spalle stringendo i denti, avrei desiderato un singolo momento in totale solitudine per poter cedere e crollare, e poi rialzarmi più forte di prima ma non sembrava essermi concesso in quella girandola impazzita.
«Dobbiamo accettare l’accordo di Dima, anche se questo ti farà incazzare.» Aspirai dalla sigaretta quasi del tutto consumata, parlavamo a bassa voce come se potessimo frantumare ogni cosa alzando il tono di una singola ottava. Lo vidi combattere con se stesso. «Potrà non essere oggi, potrà non essere Dimitri ma prima o poi dentro un auto che esplode ci sarai davvero tu, o io.. o Sophia e Nadja.» Il solo pensiero mise nei nostri occhi la medesima angoscia. Lo sentii soffocare un’imprecazione stringendo tra le dita contratte il bicchiere.
«Se me lo avessero detto qualche mese fa non ci avrei mai creduto.. noi alleati a Dimitri Cernenko.» Soffocai una risatina amara ingollando una generosa dose di vodka. «Come te la sei cavata in mia assenza?» Ci guardammo nella penombra e io percepii il suo bisogno di sapere, di essere confortato e anche amato.
«Non è andata, semplicemente. Senza di te non esiste vita Misha, quindi vedi di restare su questa fottuta terra fino alla mia morte almeno.» Rise a bassa voce annuendo.
«Non un giorno di più Shura, te lo prometto.» Sollevammo i bicchieri brindando silenziosamente e quando anche lui si ritirò in camera finalmente cedetti affossandomi contro la poltrona. Che liberazione.
 

 

Dimitri POV

 
 
«Quanto pensi ci metterà la notizia della resurrezione di Misha ad arrivare alle orecchie di Sergej?» Allargai le narici senza dar cenno di aver sentito quella domanda, versandomi da bere con gesti secchi e nervosi. Il punto era proprio quello, il Vor non doveva sapere nulla per il momento almeno fino a quando il piano non sarebbe arrivato al suo apice e finalmente avrebbe salutato quella terra facendomi la cortesia di togliersi dai coglioni e lasciarmi le redini della Fratellanza.
«Suppongo lo saprà il minuto prima di morire.» Mi voltai trovando Yuri a fissarmi sbieco e arcigno, di sicuro neppure lui aveva apprezzato quel tiro mancino ai suoi danni. Scoppiai a ridere aumentando la sua indisposizione nei miei confronti. «Devi ammetterlo amico, è stato un tiro magistrale fingersi morto.» Scrollai le spalle allargando le braccia, tra tutti non avrei scommesso nemmeno un centesimo su Misha, eppure..
«Suppongo che tutti quegli anni con Shura abbiano dato qualche risultato.» Annuii accondiscendente sedendomi scomposto, riflettendo attentamente sulla situazione. Nonostante tenessi il fiato sul collo di quelle due piaghe e di Sergej, ciò che mi distraeva era Irina. Con Misha ancora vivo tutti gli equilibri venivano a mancare, e io potevo ritrovarmi con un pugno di mosche in mano prima di quanto pensassi. Per la prima volta nella mia vita temevo di perdere qualcosa o qualcuno, sarei stato in grado di tenerla accanto a me? Bevvi avidamente fissando la porta che si aprì come richiamata dal mio pensiero, Irina mi guardò intensamente e sembrò leggermi dentro.. e forse per questo tornò a chiudere la porta. Era una risposta silenziosa quella? Chiusi gli occhi stringendo le palpebre tra le dita, mi sarei volentieri cavato gli occhi pur di non vedere arrivare quel momento.
 
Quando entrai in camera la trovai a darmi le spalle, le ginocchia incollate al petto e il respiro regolare. Mi spogliai in silenzio senza staccarle gli occhi di dosso.
«Mi fai male.» La sua voce attutita mi strappò un sorrisino malevolo, era forse una novità? Non le avevo fatto altro che male dal mio primo sguardo.
«Non puoi fuggire da me, Irina.» Si alzò con veemenza e io vidi i suoi occhi arrossati da pianto e ira.
«Io non voglio fuggire da te, Dimitri.»
«Ma?» C’era sempre un ‘’ma’’ tra di noi, lì presente ma silenzioso in ogni istante della nostra relazione.
«Ma cosa mi stai chiedendo di scegliere? Te o mio fratello? L’unica persona che mi ama a questo mondo.» Lessi ogni mia colpa in quegli occhi, l’ennesimo dardo infuocato ai miei danni. Sorrisi senza gioia piazzandomi sul bordo del letto, la mia mano si allungò velocemente catturandole il polso con forza e violenza strattonandola fino a farla arrivare vicino a me. Provò a dibattersi ma l’altra mano si chiuse con forza sul suo mento.
«Siamo ancora a questi mezzucci Irina? Vuoi sentirti dire che ti amo?» Mi fissò e improvvisamente scoppiò a ridere, le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi, il suono di quella risata così grottesco e folle da farmi allentare la presa sul suo viso.
«Non ne ho bisogno Dimitri, non capisci? Tu mi ami.» Restai in silenzio stringendo i denti. «Il punto è che sei capace d’amare solo.. così.» Sputò l’ultima parola come fosse un cancro da estirpare, mi sentii dilaniato da denti aguzzi e affilati, dritti nella mia carne.
«Così? Il mio modo non ti piace, principessa?» La beffeggiai e non schivai il suo schiaffo che arrivò dritto alla mia guancia infuocandola. Ci guardammo ansanti.
«Non esiste una vita insieme a te, cosa pretendi che diventi? La moglie del boss? Pregando ogni giorno affinché tu non uccida decine di anime innocenti? Portando dentro il mio ventre.. qualcuno come te.» La spinsi con forza facendola ricadere sul letto, vidi la paura nei suoi occhi mentre torreggiavo su di lei, ma l’orgoglio ancora più forte non le permise di retrocedere o chinare il capo, fronteggiandomi.
«Sei sicura? Sei sicura io sia il cattivo nella nostra storia? A volte penso sia tu la vera carnefice.» Restò in silenzio incassando quella triste verità, per quanto le mie mani fossero sozze e insanguinate lei non era meglio di me, e lo sapeva benissimo. Mi chinai a baciarla, morse le mie labbra con rabbia provando a divincolarsi, le mie dita si chiusero sul suo collo togliendole l’aria e i suoi occhi di ghiaccio divennero lucidi.
«Pagherò ogni giorno per i miei peccati, Dimitri. Il mio inferno è appena iniziato.»
«E come pagherai?» Le lacrime bagnarono le sue guance scarlatte, mollai appena la presa sul suo collo.
«Amandoti ogni secondo fino al mio ultimo respiro.. che spero arrivi presto.» Quando lo disse non ebbi bisogno di chiederle spiegazioni, lo sperava perché sicura che avrebbe passato il resto della vita senza di me. Quella notte dormii sul divano.
 
 
«Hai pure altre espressioni in repertorio, o ti è venuta una paralisi?» Fissai Misha con un mezzo sorrisino sghembo che non ricambiò occhieggiandomi ancora più trucemente.
«Sai cosa? In fondo io ti stimo, hai fatto saltare in aria il camion dove stavo convinto di ridurmi concime per la terra, e nonostante questo sei seduto qui di fronte a me come se niente fosse.» Scrollai le spalle con finta modestia a quell’altrettanto finto complimento, sospirando.
«Che posso dirti? E’ una dote.»
«La piantate entrambi?» Shura si intromise sbattendo la mano sul tavolo, il fratello lo fissò colpevole e io risi divertito. C’eravamo dati appuntamento in una camera di motel per definire gli ultimi particolari del piano, ma tra una frecciatina e l’altra sembravamo a una fase di stallo.
«La situazione sta procedendo bene, ho avuto parecchie riunioni interessanti in questi giorni.» Li vidi farsi attenti e mi sporsi verso di loro abbassando il tono. «L’era di Sergej dentro la famiglia è ormai finita, il malcontento gira da troppo dentro la fratellanza, ma soprattutto dentro le famiglie esterne alla Bratva.» Shura annuì senza stupore sul viso.
«Sono anni che gestisce male gli affari, ha ucciso troppa gente immotivatamente e questo non si perdona facilmente.» Stavolta toccò a me concordare, il Vor sembrava essere divenuto paranoico di giorno in giorno, più il suo potere aumentava e più lui sembrava insoddisfatto. Sarebbe successo anche a me? Sorrisi arcigno a quel pensiero.
«Quindi sono disposti ad appoggiare la tua ascesa?» Misha mi fissò e stavolta non scorsi tracce di sarcasmo.
«Esattamente, ma non sembrano avere molta pazienza quindi suppongo dovremo accelerare i tempi.» Massaggiai pensieroso il mento riflettendo sul punto della situazione, avevamo deciso di tendergli un’imboscata attirandolo con Shura a fungere da esca. Fissai il sicario ma la voce di Misha mi distrasse.
«Dobbiamo decidere chi sparerà a quel figlio di puttana, e io mi candido volentieri.» Risi di gusto versandomi da bere.
«Seriamente sei sopravvissuto al mio agguato? Mi è ancora impossibile da credere.»
«Se vuoi ti ficco la mia scarpa su per il culo, così ti diventerà credibile di colpo.» Alzai le mani in segno di finta resa e Shura sospirò insoddisfatto.
«Seriamente mi state snervando, perché non parlate chiaro una volta per tutte?» Sapevo cosa volesse Misha, e mi divertiva vederlo impazzire.
«Irina vorrebbe vederti.» A quel nome divenne improvvisamente attento mettendo su un’espressione addolorata che provò a camuffare male.
«Pensi sul serio ti lascerò mia sorella alla fine di questa storia?» Lo disse come a voler enfatizzare l’incredulità della cosa, senza capire che già a dirlo risultava poco credibile.
«Pensi sul serio di poter scegliere per lei?» Si alzò scaraventando il bicchiere per terra, il viso contratto dalla rabbia.
«Lei non ha possibilità di scelta.» La voce si alzò divenendo assordante, feci una smorfia di fastidio mettendomi in piedi.
«Fai il bravo Misha, e magari ti lascerò sparare a Sergej.» Gli feci l’occhiolino osservando Shura trattenerlo poco prima che si slanciasse verso di me, supponevo la riunione fosse appena finita.
«NON AVRAI CIO’ CHE VUOI DIMITRI, RICORDATI QUESTE PAROLE.» Oh le avrei ricordate eccome, Misha non lo sapeva ma quella frase mi era stata ripetuta sin troppe volte. Talmente tante da averci iniziato a credere pure io, mio malgrado.
 
 
 

Mikhail POV

 
 
Mi sentivo come un fottuto leone in gabbia, adesso sapevo cosa provavano chiusi in quelle gabbie del cazzo negli zoo. Avevo consumato le suole a furia di girare in tondo per quella stanza che mi soffocava. Ma a soffocarmi ancor di più il silenzio di Irina, dovevo vederla, dovevo parlarle, dovevo convincerla.. dovevo..
«Devi calmarti.» La voce di Nadja mi riscosse da quei pensieri, la fissai scendendo poi sul ventre ormai enorme, neppure la consapevolezza di aver generato una vita riusciva a distrarmi per più di poche ore.
«Come posso calmarmi? Mia sorella vive in casa di quel mostro, e sai qual è la cosa più assurda? Ci vuole stare per sua scelta. Per sua fottutissima scelta.» Mi scompigliai i capelli, le sue mani esili le tolsero gentilmente stringendole tra le proprie, mi baciò e io respirai il suo odore così familiare.
«Ho avuto paura di non vedere più te e lui..» toccai la sua pancia facendola sorridere, ma nei suoi occhi ancora il dolore provato in tutti quei mesi.
«Sei così sicuro sia maschio?» Mi punzecchiò divertita, sapeva decisamente come distrarmi.
«Ovviamente, Aleksandr Volkov come ti suona?»
«Spero prenda un minimo di responsabilità del suo padrino, piuttosto che dal padre.» Storsi le labbra in una smorfia, non potevo biasimarla. Se fosse nata una testa di cazzo come me sarebbe stato un grosso problema. «E se fosse femmina?»
«Povera lei, mi toccherà chiuderla in una torre.» Scoppiò a ridere sedendosi con fatica, mi misi accanto a lei stendendomi sulle sue gambe, mi piaceva poggiare l’orecchio e provare a sentire il battito di mio figlio, l’unica cosa buona della mia vita.
«Supereremo anche questa, e quando tutto sarà finito potremo finalmente goderci la vita.. tutti insieme.»
«Anche Irina?» La sua mano stoppò per un secondo le carezze di cui mi faceva oggetto, quando riprese sentii il suo respiro acquietarsi nuovamente.
«Anche lei, ne sono sicura.»
 
Irina arrivò davvero, inaspettata come solo lei riusciva a essere. Me la ritrovai davanti la porta della camera, torceva le dita con fare impacciato e io provai ancora una volta quel moto di tenerezza e protezione che da sempre mi teneva legato a lei. Ci guardammo in silenzio finché non si decise ad entrare piazzandosi al centro esatto del salone comune, guardandosi attorno come se fosse la prima volta che vi entrava. Probabilmente perché l’ultima volta i suoi occhi erano impegnati a guardare altro. Sembrò leggere i miei pensieri e le sue labbra si curvarono in un sorriso pieno di scuse.
«Durante la strada mi ero preparata tutto un discorso, ma adesso..» adesso semplicemente le parole non uscivano, forse perché non ce ne stavano di giuste o di sbagliate.
«Sei qui, è questo che conta.. ho avuto paura di non rivederti più.» Mi afferrò le mani stringendole con forza e affetto, portandole alle labbra quasi a volersele tappare per non pronunciare parole dolorose. Sentii il mio petto scavare la carne con sofferenza.
«Anche se volessi spiegarti non potresti mai capire..» odiavo vederla piangere, soprattutto a causa mia ed era proprio ciò che stava succedendo.
«Perché sposarlo Irina.. non lo capirò mai.» Scossi il capo sconsolato sciogliendo la presa delle nostre mani, come a mettere una distanza metaforica tra di noi.
«Io lo amo Misha.. lo amo davvero.» Provai a mantenere la calma contando mentalmente fino a dieci, proprio come mi aveva insegnato Sophia un tempo che sembrava non essere esistito mai. «Ma allo stesso tempo so bene chi è, lo so meglio di quanto lo saprai mai tu..» sembrò leggere la mia domanda dall’espressione interdetta del mio viso. Perché diavolo ci stava allora? «Non si sceglie chi amare, tu hai scelto Sophia?»
«Oh che fottuto colpo basso, stai proprio prendendo lezioni da tuo marito.» Alzai le braccia storcendo le labbra in una smorfia sprezzante. Non desistette rimettendosi davanti a me.
«Io sono tua sorella, Misha. Sei riuscito a lasciare andare il tuo grande amore, no?» Non risposi e non capii perché. «Lo hai fatto, vero?» Guardai la camera chiusa di Shura e annuii con convinzione e sincerità.
«L’ho fatto, si.»
«Allora proverò a farlo anch’io.» Non risposi sentendo uno strano dolore al petto, perché mi sentivo come un boia che emette la condanna per la sua stessa carne?
«Un giorno capirai che questa è l’unica scelta sensata.» Ci fissammo e io non ebbi la forza di asciugarle le lacrime, lo fece da sola tirando su col naso e sorridendomi.
«Ci vediamo presto…»
 

 

Aleksandr POV

 
 
Il tanto temuto giorno era finalmente arrivato, la chiamata di Dimitri era stata breve e lapidaria. L’esca era stata gettata e Sergej si accingeva a darmi il suo ultimo saluto, respirai profondamente afferrando la pistola che caricai con un colpo secco sentendo in quel momento degli occhi familiari fissarmi. Sophia poco distante mi guardava come se da quello sguardo dipendesse la sua intera esistenza, quanti mesi mancavano ormai al parto? Circa due. Mi avvicinai a lei ignorando Misha alle prese con Nadja e la propria arma.
«Tornerò da te, è l’unica promessa che manterrò sempre.» Mi toccò il viso e io mi persi in quella carezza respirando il suo odore che sapeva confortarmi e farmi sentire amato.
«Portami con te..» la sua disperazione sembrò coltello rovente che dilaniava la mia carne, le afferrai il viso con forza costringendola a guardarmi.
«Devi rimanere qui e aspettarmi, quando tornerò ..» le parole mi morirono in bocca fissando i suoi occhi pieni di lacrime, la baciai con trasporto desiderando altri due minuti di quella dolce sofferenza, ma ancora una volta il tempo mi era nemico e la voce di Misha che richiamava il mio nome me lo ricordò. Mi allontanai da lei con quella frase in sospeso, perché sapevamo bene come non avessimo bisogno di riempirla con altre parole. Era questo che ci aveva sempre distinto dagli altri, Sophia era nata per me, era stata modellata da Dio solo e soltanto per me e così sarebbe stato fino al giorno del mio ultimo respiro. E forse anche dopo.
«Sei pronto?» Mi bloccai in corridoio strattonandolo per attirare la sua attenzione.
«Ho bisogno che tu mi prometta una cosa.» Misha scosse il capo come se prevedesse già ciò che volevo dirgli.
«No, non lo farò. Non osare o ti giuro che—» non lo feci continuare spingendolo contro la parete, afferrandolo per il bavero della giacca.
«Se qualcosa dovesse andare storto, se dovesse succedermi qualcosa.. devi solo fuggire e tornare qui, prendere Nadja, la nostra Sophia e sparire.» Continuava a scuotere la testa come in preda a una specie di loop meccanico. «Misha, promettimelo.»
«Come puoi chiedermi una cosa simile.. tu mi lasceresti lì?» Lo fissai e come tante volte nella mia vita mentii con freddezza.
«Si. Perché ho una moglie che amo e due figli che mi aspettano, e lo stesso tu.» Mi fissò incredulo mentre muovevo passi forzatamente sicuri verso l’ascensore.
«Sei un figlio di puttana bugiardo, e io prendo le scale non ci vengo con te pezzo di merda.» Sorrisi tristemente a quei dispetti infantili così tipici di lui, fissandolo con il dito sul pulsante.
«Lo hai promesso Misha, ricordalo.» Premetti con forza osservando i suoi occhi lucidi e dolenti mentre le porte si chiudevano lentamente, restando solo nell’abitacolo angusto.
 

 

Dimitri POV

 
 
Per la prima volta nella mia vita non sapevo come si sarebbe concluso quel piano che io e Shura avevamo definito ‘’suicida’’. Le risorse di Sergej non erano da sottovalutare, e inoltre non ero più sicuro di quanto si fidasse di me e questo era un elemento importante per la riuscita del piano, lo sapevamo bene tutti. Aleksandr sarebbe stato la cavia perfetta, e avevo anche contemplato la possibilità che morisse prima di poter uccidere Sergej, non che mi cambiasse poi molto in realtà. Certo perdere il famoso sicario in quel modo era un peccato, ma se serviva al raggiungimento dei miei scopi a che pro rimuginarci? Irina mi fissava stesa sul letto in silenzio, non parlavamo più da quella notte probabilmente perché entrambi avevamo solo parole dolorose da dirci e lo sapevamo. Mi ero rifiutato di portarla con me stavolta, e lei non aveva obiettato stranamente. Mi domandavo se l’avessi ritrovata al mio ritorno, e quel pensiero mi bloccò sul posto costringendomi a guardarla, lei ricambiò e tra noi passarono parole silenziose.
«Torna sano e salvo..»
«Mi aspetterai?» Sorrise stancamente e sembrò quasi sul punto di allungare la mano per afferrarmi.
«Ti aspetterò per sempre, Dimitri Cernenko.»
 
L’appuntamento era stato concordato al molo, all’interno di un capannone in disuso, quando arrivai non una ma ben dieci macchine sostavano parcheggiate, sorrisi sprezzante guardando Yuri.
«Quanto ci metteranno ad arrivare i nostri?» Si guardò attorno nervosamente prima di fissarmi.
«Dovrebbero essere già qui, usciranno al nostro segnale.» Annuii sistemandomi la giacca e aprendo la portiera, quando entrai l’aria era satura di sporcizia e umidità nella penombra vidi la sagoma familiare di Aleksandr che si voltò al mio arrivo. La sua espressione però cambiò quando vide qualcosa dietro di me, non ebbi bisogno di girarmi per capire chi fosse.
«Hai mantenuto la tua parola, Dimitri. Iniziavo a pensare di non potermi più fidare di te.» Sorrisi arcigno voltandomi a guardare Sergej, il suo tono era sporco di menzogne. Capii che dentro quel capannone non voleva freddare solo Shura ma anche me.
«Spero non ti dispiaccia se mi unisco alla festa.» La voce di Misha rimbombò da un angolo della grande stanza, lo vidi avanzare con l’arma tra le mani e Sergej sorrise.
«Fin da quando ti trovai in quel soggiorno lercio, a fissare tua madre morta, capii che la tua scorza era dura Misha.» Il suono di un click mi distrasse, osservai Shura estrarre l’arma seguito a ruota da me. Puntammo di fronte a noi osservando Vania piazzarsi accanto al Vor.
«Che figlio di puttana.» Mi leccai le labbra ridendo con incredulità.
«Non lo sai? In una vita come la nostra fidarsi è sempre un errore Dima..» la voce di Sergej trasudava gentilezza da ogni poro. Era così quindi? Vania mi aveva tradito, e probabilmente aveva detto i miei piani senza tralasciare nulla. Sarebbero arrivati davvero gli uomini che avevo assoldato? Con la coda dell’occhio vidi Shura guardare Misha, gli parlava silenziosamente di qualcosa che a me era precluso e che all’altro sembrava provocare dolore. Ma cosa? Improvvisamente capii, voleva Misha scappasse non appena le cose si mettevano male.
«Il mio indirizzo lo conosci, giusto?» Guardai quello stronzetto arrogante inarcando un sopracciglio, aggrottò la fronte confusamente. «Quando arrivi troverai ciò che cerchi, prendilo e portalo con te.» Capì in quel momento mi riferissi a Irina restando in silenzio. Sergej estrasse l’arma puntandola contro Shura che avanzò sorridendo.
«Aspetto questo momento da anni..» colui che per una vita gli aveva fatto da padre lo guardò senza un guizzo di sentimento.
«Avrei dovuto occuparmene io sin dall’inizio, riposa in pace Aleksandr Petrov.» Un forte rumore di spari mi distrasse, guardai fuori osservando i miei uomini arrivare in soccorso. Giusto in tempo? Non ne ero più sicuro.

 
 

Irina POV

 
Saltai giù dal letto afferrando la valigia dentro l’armadio, iniziando a mettere dentro gli abiti alla rinfusa mentre le lacrime non smettevano di cadere dai miei occhi bagnando le mie mani. Non mi rendevo neppure conto di singhiozzare finché il suono non sembrò squarciare il mio stesso petto in maniera dolorosa. Come avrei vissuto senza di lui? Non ne avevo idea, ma sapevo di doverlo fare. Il sordo bussare mi colse di sorpresa, non poteva essere Dimitri. Mi asciugai alla meno peggio le lacrime aprendo e fissando con mia grande sorpresa Sophia, la sua mano si piazzò sull’uscio come a impedirmi di chiudere e nei suoi occhi lessi una ferocia mai vista.
«Portami da loro.»
«Cosa..» la guardai confusamente muovendo un passo indietro, mi afferrò con forza per il braccio strappandomi un urlo di dolore, strattonandomi ed estraendo la pistola che mi puntò dritto in faccia.
«Portami. Da. Mio. Marito. ADESSO.»

 

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Capitolo 16
*** Put down your lies lay down next to me don’t listen when I scream bury your doubts and fall asleep for neither ever nor never (ending) ***






 
La resa dei conti che entrambi aspettavamo da anni era finalmente arrivata, non mi tirai indietro mentre osservavo la canna della pistola piazzarsi dritta sulla mia traiettoria. Sollevai la mia puntandogliela contro, sorridendo con gli occhi pieni di troppi ricordi. Mi venne in mente il nostro primo incontro su quel vicolo sporco e cieco, simile a quello nella quale mi aveva poi condotto quando la sua mano afferrò la mia. Lo sfarzo della sua casa, le sue mani bonarie sul mio capo sempre così stonate, ricordavano il pallido ricordo di quelle di mio padre. Lo vidi accanto a Sergej per una frazione di secondo, sapevo di averlo deluso milioni di volte ma non questa; come aveva fatto lui anni prima, così adesso anch’io stavo proteggendo le persone che amavo, mio figlio, mia moglie e Misha. Sparammo nel medesimo istante, mirai alla sua testa ma il suo proiettile si conficcò sulla mia spalla facendomi mancare il tiro, beccandolo solo di striscio. Incassai il dolore sentendo il braccio improvvisamente pesante, il suo sorriso non mi coinvolse mentre fissavo Misha con occhi furibondi: perché era ancora lì? Non ebbi neppure il tempo di urlarglielo, una voce fin troppo familiare sgretolò quel momento come le bolle di sapone che tanto piacevano al mio piccolo Eleazar.
«PAPA’.» Sophia camminava a passo sicuro, pistola nella mano, con Irina accanto. Gli occhi dell’altra però erano concentrati su Dima alle prese con Vania e altri uomini.
«Non sei un’assassina, figlia mia, non sparerai.» La sua espressione per un istante sembrò mostrare quell’amore puro e viscerale di cui l’aveva circondata in tutti quegli anni, ma nelle iridi di mia moglie vi era l’aridità più nera.
«Sophia..» pronunciai a malapena il suo nome mentre Sergej riprendeva la mira stavolta con il chiaro intento di andare a segno, ciò che successe dopo l’avrei ricordato per sempre in ogni mio incubo.
«Questo è per il mio bambino mai nato, figlio di puttana.» Sophia sparò con precisione beccandolo al centro esatto della schiena, cadde in ginocchio e con la sola forza di volontà di chi ha passato una vita a vincere sollevò il braccio mirando alla figlia. Il secondo sparo fu quello fatale, non gli diede neppure il tempo di premere il grilletto centrandolo in fronte. Lo vidi stramazzare al suolo fissandomi a occhi sbarrati, la vita ormai lontana da quel corpo simile a un fantoccio.
«Stai bene?» Mi sentii scuotere senza capire, quando mi riscossi la vidi in ginocchio accanto a me, le sue mani sul mio viso a scovare tracce di ferite. Mi pressai quella alla spalla respirando profondamente.
«Quando nostro figlio nascerà, io e te faremo i conti..» trattenni l’urlo di frustrazione che ostruiva la mia gola, il pensiero di averla lì in mezzo a tutto quel caos mi faceva impazzire. Mi alzai con tutta la forza rimastami dopo quei mesi infernali spingendola verso l’uscita secondaria, mi bastò voltarmi per capire che la morte del Vor aveva decretato la fine di quella faida. Dima sparò con precisione verso Vania completando l’opera di Misha nell’agguato di poche settimane prima, uccidendolo. Sporchi e insanguinati ci fissammo senza dire nulla, tutti persi nei nostri pensieri, tutti increduli d’essere usciti vivi da quell’inferno. Tornai a guardare mia moglie, aveva appena ucciso l’uomo che per anni era stato un padre per lei, le afferrai il mento cercando tracce di dolore nei suoi occhi.
«Non ne troverai, Shura.» Si scostò dalla mia presa con espressione seria abbozzando un sorriso addolorato. «Dovevo essere io a chiudere i conti con lui, nessun’altro.» Non risposi limitandomi a circondarla con le mie braccia, un urlo attirò la mia attenzione, mi voltai osservando Irina puntare l’arma contro Dima.
 
 

 

Irina POV

 
 
La resa dei conti che avevo atteso per mesi era finalmente arrivata, si stava consumando sotto i miei occhi impotenti mentre cercavo Dima trovandolo intento ad uccidere uomini con espressione implacabile. Misha accanto a lui gli copriva le spalle, mentre il mio cuore tremava nell’ansia di vedere uno dei due cadere a terra privo di vita. Mi ero recata lì spinta dalla furia di Sophia, ma adesso sapevo che quello era il posto nella quale avrei dovuto essere, laddove tutto si sarebbe veramente concluso, evidentemente non era nel mio destino congedarmi in silenzio e fuggire come una ladra. I miei occhi tornarono a Dimitri, osservai la sagoma alle sue spalle e urlai con tutto il fiato che avevo in gola, lo vidi fissarmi e capire voltandosi con rapidità per sparare a Vania colui che per anni era stato come un fratello e che in un secondo era divenuto il peggiore nemico. Ancora una volta avevo nero su bianco la prova di come da quella vita non v’erano vie d’uscita, ma soprattutto di come mio marito non ne volesse.
«Dobbiamo andare via, stanno per dare fuoco a tutto.» La voce di mio fratello mi riscosse, fissai la sua presa sul mio polso e infine il suo viso. «E’ il momento di tornare dalla tua famiglia.»
«Lo so..» sorrisi accarezzandogli il viso. La vita è fatta di scelte, e quelle scelte portano conseguenze. Io la mia l’avevo fatta, avevo scelto consapevolmente di rimanere accanto a Dimitri e adesso stavo scegliendo consapevolmente di lasciarlo lì privandolo del mio amore. Per tutta la vita.
«Dove pensi di andare.» La sua voce lapidaria mi bloccò sul posto, mi voltai osservandolo puntarci l’arma contro, Misha ringhiò di rabbia piazzandosi davanti a me.
«Abbassa l’arma, pezzo di merda.» Dima rise senza gioia scrollando le spalle.
«Non puoi chiedermelo, non quando provi a portarmi via da sotto il naso la mia donna..» mosse un passo in tondo senza abbassare l’arma. Osservai mio fratello, la mia mano scivolò sulla sua, mi fissò confusamente mentre intrecciavo le mie dita alle sue e fu in quel momento che presi possesso della sua pistola sollevandola contro l’uomo che amavo. Ci fissammo fronteggiandoci, sentii le lacrime bagnare le mie guance ma la mia voce non tremò.
«Lo sapevi che questo momento sarebbe arrivato, vuoi davvero che finisca così?» Cercavo un modo per supplicarlo di smetterla, ma conoscevo così bene il suo temperamento da sapere quanto i miei sforzi fossero vani.
«Abbiamo iniziato allo stesso modo, te lo dissi non ricordi? Da me non puoi scappare, Irina.» Premette appena il grilletto e io sentii come distante l’urlo di mio fratello, mandai giù il bolo di saliva tirando su col naso, i suoi occhi mi parlavano anzi mi urlavano e piangevano senza versare una singola lacrima. Capii che voleva questo, lo voleva per lasciarmi andare o forse per dare a me la possibilità di voltarmi senza tornare indietro.
«Non è mai esistita una singola possibilità che lasciassi tutto per me, vero?» Non rispose, eppure nella tempesta dei suoi occhi per la prima volta lessi tutto l’amore che provava per me, chiusi gli occhi stringendoli con ogni minuscola forza che mi era rimasta e quando li riaprii sparai centrandolo all’addome. Sentii un urlo che mi parve distante, non capii bene se fosse stato Shura o Misha, o magari Yuri che vidi correre verso Dima adesso accasciato con la mano a pressare la ferita insanguinata. Mio fratello mi strappò la pistola dalle mani trascinandomi lontano da quel posto, mentre io non riuscivo a staccare gli occhi di dosso all’uomo che era riuscito a entrarmi dentro e che sapevo non ne sarebbe uscito mai più. Compresi come non mi sarei mai rassegnata a quell’addio, lo avrei aspettato per sempre nella speranza che tornasse da me o che io fossi in grado di raggiungerlo. Un giorno. Forse mai.
 
 

two months later ;
 
 
Le sue dita artigliarono i miei capelli ferocemente, sbuffò digrignando i denti per poi urlare come se la stessero scuoiando viva.
«Spingi amore, ancora un ultimo sforzo è quasi nata..» Sophia mi guardò con uno scintillio omicida negli occhi, tirando con più forza i miei capelli, sentii quasi il mio scalpo chiedere pietà.
«E’ tutta colpa tua, brutto bastardo.. SEI TU AD AVERMI FATTO QUESTO.» Ancora un urlo e una spinta prima di sentire il suono di un pianto che tolse a entrambi ogni forza, rigenerandone una nuova. Guardai il suo corpicino appiccicoso e arrossato, aveva i capelli scurissimi e le guance arrossate.
«Avete già pensato a un nome?» Ci fissammo per un secondo con un sorriso complice, annuendo.
 

 

Mikhail POV

 
«Auguri paparino.» La sua voce mi strappò un sorrisino divertito mentre fissavo dal vetro le mie due nuove ragioni di vita. Si, due. Aleksandr era decisamente quello più rumoroso e rompicoglioni, vedevo già di che pasta era fatto. La mia, purtroppo.
«Due gemelli. Due fottutissimi gemelli, Shura.» Mi guardò con commiserazione mista a divertimento, lo odiavo quando faceva così perché sembrava perennemente prendermi per il culo. Gli diedi una botta secca con la spalla tornando a guardare le due culle, accanto alla loro mia nipote dormiva placidamente. Tre bambini, nati nello stesso giorno a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, in quanti altri modi Dio avrebbe dovuto dimostrarmi quanto i nostri destini fossero indissolubilmente legati?
«Come sta Nadja?» Sbuffai sedendomi stancamente.
«Sta benissimo, pure troppo, non fa altro che comandarmi dicendo che è il minimo dopo avermi dato due gemelli. Ma fatemi capire, questi fottuti marmocchi sono solo miei?» Scoppiò a ridere accasciandosi accanto a me.
«Consolati, quantomeno lei non ha strappato metà dei tuoi capelli.» Lo fissai pensando a Sophia preda di urla isteriche, potevano essere peggiori di quelle che aveva giornalmente? Mediamente due, se andava male pure quattro. Pensandola mi tornò in mente mia sorella, era andata a casa a riposare e cambiarsi dopo aver messo le tende praticamente in ospedale, pensavo a lei che aveva lasciato Dimitri ferito in quel capannone senza più parlarne. E io non avevo il coraggio di spezzare quel silenzio, forse perché mi sentivo responsabile di quel sacrificio, eppure continuavo a essere convinto d’aver preso la decisione giusta.
«Pensi avrei dovuto lasciarla con Dimitri?» Evitai di guardarlo, temevo la risposta contenuta nei suoi occhi.
«Pensi quindi l’abbia lasciato a causa tua?» Stavolta mi venne impossibile non sollevare il viso e guardarlo, mi fissava con un sopracciglio inarcato e l’espressione tranquilla. Aggrottai la fronte restando in silenzio, e lui sospirò. «Irina ha fatto una scelta, sapeva che tipo di vita avrebbe potuto offrirle Dimitri, e non l’ha accettata. Tu sei stato semplicemente il tassello finale che l’ha spinta a compiere l’estrema decisione Misha.» Rimuginai in silenzio su quelle parole, sorridendo stancamente.
«Non tutte le storie d’amore hanno un lieto fine, giusto?» Quando ci guardammo seppi con certezza che entrambi pensavamo alla medesima donna, in fondo era stata lei il nostro seme della discordia per anni.
«E a volte sei così fortunato da trovare altro, qualcosa di migliore per la tua vita.» Risi in silenzio annuendo, il viso di Nadja mi piombò alla mente come un uragano, un po’ com’era entrata nella mia esistenza. «Magari capiterà anche a lei.» Nessuno di noi due disse altro, eppure sapevo che condividevamo lo stesso identico timore. E se non capitasse?
«Ho chiesto a Nadja di sposarmi.» Si voltò a occhi sgranati fissandomi come se avessi delle antenne di merda sopra la testa.
«Quante sberle ti ha dato mentre partoriva?» Scoppiò a ridere schivando il mio calcio, storsi le labbra in una smorfia rassegnata.
«Tantissime. La proposta di matrimonio è stata la mia salvezza, vedessi come si è calmata.» Stavolta scoppiammo a ridere entrambi senza riuscire a frenarci, mentre l’alba sorgeva dalle finestre poco distante dandoci un nuovo buongiorno. Un nuovo orizzonte.
 

 

Dimitri POV

 
 
Slacciai il bottone della mia giacca scendendo le scale diretto verso la mia auto, alle mie spalle il club aperto ormai un anno prima spiccava nella sua eccessiva opulenza. Yuri mi aprì la portiera sbarrandomi la strada con un braccio, lo fissai sbuffando.
«Mi stai diventando pesante, lo sai vero?» Glielo ripetevo da anni, mediamente due volte al giorno ma non sembrava decidersi a cambiare.
«Anastasia Ivanova ti aspetta a cena stasera, lo sai vero?» Sporsi le labbra in un broncio pensieroso annuendo appena, la figlia di Oleg come tanti era stata richiamata dall’odore del potere, tutti miravano a conquistare la benevolenza del nuovo Vor: me.
«Mi auguro non venga con il padre, non potrei portarmela in camera a fine serata.» Lo vidi roteare gli occhi con fare scocciato a quella battuta mettendo su un sorrisetto affettato.
«Ah quindi il cazzo ti funziona ancora? Pensavo t’avesse sparato ai coglioni e non al fianco, quella stronza.» Carezzai l’interno della guancia con la punta della lingua e per la prima volta nessuna risposta arguta mi sovvenne a togliermi dall’impiccio in maniera vincente. Erano passati due mesi dal suo addio, due mesi che pesavano come anni per intensità e mancanza. Eppure la mia vita sembrava proseguire, ogni giorno sempre più fitta e impegnata ma mai abbastanza da cancellare i suoi occhi di ghiaccio dal mio cuore e dai miei pensieri. Diedi una botta secca e dolorosa al suo braccio fissandolo malevolo.
«Se vuoi continuare a essere il mio braccio destro piazza il tuo culo su quel sedile e guida, cristo santo.» Mi sedetti sbattendo la portiera sollevando il vetro divisorio per non guardare quella sua faccia di cazzo e la sua espressione soddisfatta come ogni volta che sapeva di fare centro. Chiusi gli occhi affossandomi contro i sedili, ripercorrendo quella giornata infernale che ci aveva visti protagonisti, le sue lacrime, le sue labbra che non pronunciavano alcun ‘’ti amo’’ ma che sembravano averlo urlato con una forza spaventosa. Ne sentivo ancora l’eco nelle pareti sorde del mio cuore, un cuore che non aveva mai battuto come in quel momento. Eppure continuavo la mia strada, senza di lei. Avevo voluto e ottenuto quell’addio doloroso e insanguinato, l’unico modo affinché almeno Irina riuscisse a mettere una pietra sopra la nostra storia, sopra il nostro matrimonio. Accarezzai l’anello al mio dito sinistro, non l’avevo ancora tolto e ogni giorno aspettavo di veder comparire qualcuno con le carte del divorzio tra le mani, e quando questo non succedeva tornavo a respirare e iniziava un nuovo giorno. Incastrato in quel loop infernale per tutta la vita. Forse era proprio questa la mia punizione, la condanna per ogni vita strappata, per ogni guizzo di pietà mai provato, per aver voluto e avuto Lei oltre ogni logica, per averla fatta mia e aver provato a trattenerla in quella spirale tossica che era la mia esistenza. Voltai il capo con espressione sofferente, era l’unico momento in cui potevo permettermi di mostrarla e fu in quel momento che la vidi. Sbattei le palpebre cercando di capire se stessi sognando e fosse l’ennesima proiezione della mia mente malata, ma lei era lì davvero intenta a guardare il cellulare con espressione concentrata e quasi divertita. La mia parte egoista suppurò nel saperla ‘’felice’’. Alle sue spalle l’ospedale, era lì per se stessa? Ricordai Nadja e Sophia prossime al parto, magari per loro? Bussai due volte sul vetro, il segnale convenuto per far fermare l’auto, abbassai il finestrino lasciando che la brezza primaverile inondasse l’abitacolo. Indossava un vestito dei suoi, con quei colori pastello che avevo sempre preso in giro, le gambe scoperte erano ancora uno spettacolo per pochi. I miei occhi richiamarono i suoi, e quando li posò sul mio viso vidi tutta la nostra storia passare attraverso i suoi lineamenti. Irina era stata la mia condanna e tale sarebbe rimasta finché l’ultimo alito di vita non avrebbe abbandonato il mio corpo. La vidi muovere un passo malfermo nella mia direzione, probabilmente si domandava come stessi dopo il suo regalo d’addio, se la pensassi mai, se come me anche lei era diventata la disperazione delle mie notti, provai a fissarla cercando di rispondere a quelle domande silenziose e quando i passi divennero due e poi tre bussai nuovamente al vetro e l’auto partì senza esitazione.
Non ci sarebbe mai stato un addio per noi due, mai. Prima o poi la vita ci avrebbe ricongiunti e stavolta per sempre, non oggi, non domani, ma un giorno si. Irina era il mio destino e da quello non potevi mai scappare.
 

 

Irina pov

 
 
Quei due mesi erano stati talmente intensi da non avermi lasciato il tempo nemmeno di respirare correttamente, eppure la notte nel buio della mia camera toglievo la maschera e mi permettevo di soffrire come volevo. Quando fissavo il cielo e la luna mi convincevo che anche lui guardava il mio stesso panorama, e questo ci rendeva più vicini di quanto non fossimo mai stati. Ero diventata zia e ben due volte, la notizia dei due gemelli aveva scioccato tutti soprattutto Misha che già era abbastanza traumatizzato dall’idea di divenire padre una volta, figuriamoci due. Abbozzai un sorriso a quel ricordo scuotendo il capo, il cellulare squillò in quel momento, lo estrassi leggendo il messaggio di Shura che mi chiedeva dove diamine fossi, probabilmente si era stancato di star dietro le lagne di mio fratello. In quel preciso momento il vento sembrò cambiare intensità, divenne più caldo portando con se un odore nascosto nell’angolo più remoto della mia mente, quando sollevai il viso lui era lì a un passo da me. Fermo con l’auto accanto al marciapiede, quella bellezza perennemente dannata e violenta che non mutava mai, e quegli occhi incandescenti che avevano da sempre il potere di cambiare la velocità del mio flusso sanguigno. La mia decisione ultima mi piombò tra capo e collo violentemente, come delle percosse brutali che non riuscivo a schivare. Mi sembrò tutto vano, il mio sparo, il mio addio, il mio stringere la mano di mio fratello uscendo da quel capannone, il mio non voltarmi indietro nemmeno una volta per guardarlo lì ferito e sanguinante, il mio aver continuato a vivere sopprimendo la voglia di porre fine a tutto compresa me stessa. Mossi un passo verso di lui, era così vicino che mi sembrava bastasse allungare il braccio per toccarlo, mancava ancora poco. Pochissimo. E sarei stata a un respiro da lui. Quando stavo quasi per riuscirci la sua auto partì lasciandomi lì da sola preda della mia disperazione.
 

«Hai ideato questo nuovo giochetto sadico per punirmi?» aumentò la stretta al mio ennesimo scatto rabbioso.
«Pensavo ti piacessero i giochetti sadici.» Gli sorrisi nella penombra, non c’era ilarità però nei miei occhi mentre lentamente lasciavo andare il rompighiaccio che rotolò silenziosamente giù dal letto con un tonfo sordo finale. «Hai avuto paura di perdermi?»
«E se dicessi si?» Allentò la presa mentre sentivo il rigore abbandonare appena il mio corpo, si chinò su di me poggiando la fronte contro il mio petto. Sentì il mio cuore battere talmente forte da assordarci e allora sorrise. «Non l’avresti fatto, puoi mentire con le parole ma il cuore non può farlo.» Provai a spingerlo e rifiutarlo ma non me lo permise scivolando lateralmente e ingabbiandomi con braccia e gambe finché non smisi di dibattermi acquietandomi. Anche in quel caso continuò a stringermi.
«Anche tu sei incapace di mentire, Dimitri.» La mia voce giunse attutita, restò in silenzio ascoltando il ticchettio dell’orologio 
mentre la me vittoriosa ascoltava quello del suo cuore. Scacco matto.

Il vento sferzò nuovamente i miei capelli, era tornato nuovamente freddo e riempiva gli spifferi del mio cuore in maniera dolorosa. Quando il cellulare suonò nuovamente riaprii gli occhi fissando il numero, ricordando nuovamente chi fossi e cosa dovessi fare. Eppure mentre salivo le scale dell’ospedale il mio passo era cambiato, più risoluto e deciso, forse perché avevo preso consapevolezza di dover abbracciare il mio destino. Ovunque esso fosse..  ma con Dimitri Cernenko, il mio unico e grande amore odiato.
 
 

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