Fernweh

di Iperuranioemo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** //1// ***
Capitolo 2: *** //2// ***



Capitolo 1
*** //1// ***


Il sogno venne interrotto bruscamente dal frastuono della sveglia, programmata per le sei e cinquanta. Dominique tirò fuori il braccio dal lenzuolo e lo allungò verso il comodino, cercando di spegnere l'apparecchio senza farlo cadere. Il rumore dell'oggetto si interruppe, facendo ritornare il silenzio nella stanza. Si mise seduto, a gambe incrociate e si stropicciò gli occhi, per poi stiracchiarsi, allungando la schiena più che poteva. Gli occhi gli bruciavano per aver aperto velocemente le palpebre, rendendo difficile farli abituare alla luce soffusa della stanza, proveniente dalle fessure degli scuri della finestra.

Piccoli raggi si direzionavano verso la superficie opposta alla finestra, dove si trovava la porta. La stanza era di pianta rettangolare, con il pavimento in parquet e la carta da parati verde bosco, che ormai cadeva a terra a causa della muffa che si stava depositando nelle pareti. Sul soffitto il lampadario in ferro, con tre lampadine, era pieno di polvere e di ragnatele. La mobilia, in stile vittoriano, era misera e usurata dal tempo, essendo in quella stanza da più di quarant'anni. Come si entrava nella camera, se si guardava a sinistra, collocato al centro della parete, vi era un piccolo armadio in mogano dove, ai lati delle due ante e del cassetto sottostante, delle lesene intagliate con capitello coronavano il mobile. Se si guardava a destra, invece, vi era un letto singolo in ferro battuto, posizionato orizzontalmente con la testiera e il lato destro appoggiati al muro; alla sinistra del letto, un piccolo tavolino, anche esso in mogano, fungeva da comodino, dove al si trovava una pila disordinata di fogli, una penna e un paio di occhiali.

Si sentiva strano, come se gli mancasse qualcosa che prima gli procurava felicità. Una sorta di nostalgia, supponeva Dominique, anche se a primo impatto non riusciva a trovare la motrice per cui questo stato d'animo si fosse presentato. Rimase un attimo a pensare e gli venne in mente il sogno precedentemente fatto. Non ricordava molto, solo che si trovava nella stiva di una nave, che aveva sentito dei passi e che una mano gli aveva preso il braccio, portandolo verso di sé. Sapeva ci fosse dell'altro, ma ormai quelle scene si erano disperse e depositate in chissà quale angolo della propria mente. La cosa che lo stupiva era che, per quanto fosse preoccupato all'interno di quella realtà, il contatto con quello sconosciuto lo aveva calmato, come se gli avesse donato della sicurezza. Sapeva di non essere in pericolo solo perché c'era lui. Cercò di riflettere e di fare mente locale sull'identità di quel personaggio, ma i risultati furono fallimentari perché, poco dopo, si rese conto di non ricordarne il volto. Suppose che, probabilmente, visto che il tocco di quella persona lo faceva sentire al sicuro, di conseguenza era quest'ultima che gli faceva provare queste sensazioni e che, non avendola più accanto, ne sentiva la nostalgia. Non pensava che un estraneo potesse ridurlo in quello stato.

Improvvisamente si ricordò che aveva promesso a sua sorella che sarebbe andato a casa sua per passare la giornata assieme a lei e a suo marito. Si alzò e, con passo veloce, prese il primo completo che trovò nell'armadio, ovvero uno marrone scuro leggermente sdrucito, e si diresse in bagno, per prepararsi in fretta. Non sopportava arrivare tardi agli appuntamenti, ma quel sogno lo aveva distratto. Si rese conto, inoltre, che quella nostalgia non lo aveva ancora abbandonato. 'Passerà' pensò fra sé.


Uscì di casa di corsa. Con la mano destra teneva il cappello sulla nuca, con la sinistra la sciarpa sul collo. Era una giornata fredda. Le nuvole erano fitte e grigie, molto probabilmente avrebbe piovuto. La casa di sua sorella distava, all'incirca, due chilometri, bastava uscire da Rue Marbeuf e percorrere tutta Champs-Élysées. Le strade avevano iniziato a pullulare di gente, tra uomini d'affari diretti a lavoro e venditori che si accingevano ad aprire i loro negozi. Aveva dimenticato gli occhiali a casa e faceva fatica a districarsi nella folla: infatti urtò un paio di persone, ad una facendo pure cadere la valigetta. La sua mente era troppo assente quel giorno, era ancora talmente tanto confuso dal sogno, che non gli sembrava nemmeno di essere fisicamente lì, in una delle vie principali di Parigi.

La casa dei Lefebvre si trovava a due passi dall'arco di trionfo. Il signor Lefebvre era un bancario e aveva conosciuto la moglie due anni prima, all'epoca la signorina Anastasie Giraud, al teatro durante la messa in scena de La Traviata, accompagnata dal fratello, quando ancora era osannato dalla critica per la sua raccolta di poesie. Durante lo stacco tra il primo e il secondo atto, nell'atrio del teatro, vide la signorina con il fratello e si avvicinò, iniziando una conversazione sulle opere di Verdi, che continuò anche dopo la fine del secondo atto e alla fine della rappresentazione. Dominique aveva notato l'intesa che c'era tra il signor Lefebvre e sua sorella, e ne fu felice, perché con un'eventuale matrimonio Anastasie poteva sistemarsi. Poco dopo un anno di fidanzamento, i due si sposarono, trasferendosi a Champs-Élysées.

Arrivato alla soglia della porta, Dominique suonò il campanello e venne aperto da una domestica, una ragazza poco più che diciottenne. L'ospite venne fatto accomodare nel salotto, in attesa dei padroni di casa che si trovavano nelle camere al piano di sopra. La stanza era tappezzata da una carta da parati gialla con dei piccoli fiori di campo disegnati. Il divano in pelle si trovava al centro, accanto ad una poltrona del medesimo materiale, posto sopra un tappeto rosso. Di fronte c'era il camino con dei piedriti e la cappa in mattoni a vista. Tra il divano e il camino vi era un tavolino da soggiorno, con le gambe a forma di "esse". Una grande finestra, coronata da tende di seta, illuminava il salotto. Nella parete opposta alla finestra una libreria occupava tutta la superficie. Dominique sapeva che il signor Lefebvre era un accanito lettore, specialmente di saggi riguardanti l'uomo. Notò subito un titolo che lo incuriosì, “L'interpretazione dei sogni” di Freud.

"Quella che stai guardando è la sezione di psicologia, una scienza emergente che si occupa dello studio della psiche umana. Personalmente mi risulta difficile credere a determinate affermazioni, mi appaiono sol che delle fesserie".

Alle sue spalle si materializzò il signor Lefebvre, che iniziò ad osservare la sua collezione di libri. Aveva da poco compiuto trent'anni, sebbene delle piccole rughe avevano iniziato a formarsi nella fronte e nel contorno occhi. Indossava un completo bianco e i capelli castani erano tirati perfettamente all'indietro. L'odore della sua acqua di colonia si era diffuso in tutta la stanza. Dominique prese il libro e chiese se poteva prenderlo in prestito.

"Hai qualche dubbio su un sogno fatto di recente? Beh buona fortuna, questo libro non l'ho tanto apprezzato. È solo una teoria, preferisco approfondire libri che affermino verità, per quanto la scienza continui ad essere relativa. Magari lo trovi interessante e utile".

Mentre pronunciava queste parole, arrivò in sala Anastasie che, sbuffando, chiese gentilmente a suo marito di non annoiare suo fratello con tutte le sue speculazioni.

"Ma io non voglio convincere nessuno con le mie idee, solo che penso che la scienza debba essere il più veritiera possibile, non affermare supposizioni".

"Maxime caro, so quanto ti stia a cuore questo argomento, ma ho invitato mio fratello per conversare di argomenti meno dediti al sapere scientifico e più inclini alla quotidianità".

Dopo aver rimproverato il marito, Anastasie abbracciò il fratello, avvolgendolo con il suo vestito color crema e i suoi capelli biondi ondulati, che arrivavano fino alle spalle. Alla signora Lafebvre non piacevano le acconciature raccolte, quindi optava sempre per tenere i capelli sciolti, aggiungendo sempre un fermaglio; quel giorno ne aveva uno a forma di libellula, con incastonati degli smeraldi, che si intonavano con i suoi occhi. Dopo essere rimasti abbracciati per un minuto, la signora Lafebvre fece accomodare il fratello sul divano, mentre il marito si sedette sulla poltrona. La sorella iniziò a raccontare tutti gli eventi della settimana, dal momento che Dominique era solito non uscire di casa molto spesso, facendo vedere al fratello i giornali degli ultimi sette giorni. L'evento di maggiore scalpore fu il naufragio del Titanic, con un articolo in prima pagina nel giornale di questa mattina.

"17 aprile 1912
Il più disastroso naufragio della storia: 1325 morti"

Tutti consideravano il Titanic, al suo completamento, il transatlantico più lussuoso e grande mai costruito. Era stato progettato per collegare il Regno Unito e gli Stati Uniti, ma non rinunciando allo sfarzo e alla comodità di cui potevano usufruire i passeggeri. Però questa grande ambizione inglese venne demolita la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, quando il Titanic urtò contro un iceberg, affondando e facendo morire piú di mille persone. Le dinamiche dell'incidente erano ancora incerte, molto probabilmente erano state calcolate male le distanze tra il transatlantico e la massa di ghiaccio, rendendo complicate le deviazioni di rotta.

"É stato davvero un brutto colpo, posso solo immaginare come sia ridotto l'orgoglio degli inglesi: provare a costruire un transatlantico di quelle dimensioni, spendere 7.5 milioni di dollari, per poi vederlo affondare a causa di un iceberg non ti ripaga del tuo lavoro" commentò il signor Lafebvre, con un tono un poco dispiaciuto.

Fu un duro colpo per tutti sentire che il Titanic, chiamato anche "l'Inaffondabile", potesse fare una fine del genere.

"Sono sicuro che non sarebbe successo se avessero fatto più attenzione ai materiali usati, noi uomini siamo più potenti della natura".

Ma sua moglie non era d'accordo.

"A giudicare dalle ultime notizie, sembrerebbe che l'iceberg fosse di notevole dimensioni e, contando che il transatlantico navigava nei mari del nord, può essere difficile preservare la sicurezza dei passeggeri, anche con il materiale più resistente. Semmai, il problema di fondo sta nelle scarse capacità del capitano".

Dominique ascoltava in silenzio, anche se con scarso interesse. Per lui trovare per forza un capro espiatorio su un evento che ha causato notevoli vittime, anche se non si hanno prove certe, lo trovava inutile. In generale, trovava inutile seguire i fatti di cronaca. Non gli importava più delle conquiste e delle sconfitte dell'uomo, aveva perso completamente interesse per il mondo esterno. Lo vedeva estraneo a lui, come se fosse un universo lontano anni luce. La società, ormai, lo aveva abbandonato, denigrandolo per quello che scriveva, perché continuare ad interessarsene?

Sua sorella, però, ci teneva che Dominique non perdesse completamente i contatti con la realtà, quindi ogni settimana lo invitava a casa sua per mostrargli i giornali e per raccontargli qualche pettegolezzo.

 

Si erano fatte le dodici quando la conversazione venne interrotta dalla domestica che annunciava che il pranzo era pronto.

 

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Capitolo 2
*** //2// ***


Anastasie stava spezzettando una pagnotta di pane in tanti piccoli pezzetti, mentre Maxime si stava versando il suo terzo bicchiere di un vino rosso, prodotto dalle vigne di un suo amico in Borgogna. Il pranzo ormai si stava per concludere. Il piatto principale era costituito da tre filetti di carne d'anatra con contorno delle verdure. I padroni di casa mangiarono con gusto il pranzo preparato dalla domestica, la quale riceveva continui complimenti per le sue doti culinarie. Dominique, però, non ebbe lo stesso appetito dei Lafebvre: mangiò metà del suo piatto e rimase per tutto il tempo del pranzo a giocherellare con quello che aveva lasciato, come un bambino che aveva davanti un piatto che odiava. In sé la carne gli piaceva, ma era da un po' di tempo che aveva perso completamente l'appetito. Il cibo è fonte di sussistenza dell'uomo e, per molti, uno dei principali godimento terreni, ma lui non avvertiva né l'istinto di sopravvivenza né il piacere. Ogni sensazione era ormai svanita nel momento in cui aveva capito di non essere più vivo, con l’anima che si era definitivamente staccata dal corpo. Quando arrivò la cameriera per sparecchiare, dovette sforzarsi di sorridere e di biascicare un complimento, seguito da una giustifica per il fatto di aver mangiato poco.

“Come hai passato questa settimana Dominique? Sei uscito a prendere almeno una boccata d'aria?” domandò Anastasie, per poi mangiare l'ultimo pezzetto di pane.

“Lunedì sera sono andato alla cattedrale della Santa Trinità e mi sono seduto su una panchina. Sono rimasto lì per circa un'ora”.

“E il resto della settimana sei rimasto a casa?”

“Sì, ho una nuova idea per un possibile romanzo, questa volta d'amore. Magari così ho un pubblico più ampio”.

La signora Lafebvre era preoccupata della situazione in cui versava il fratello. Era da gennaio che aveva iniziato a chiudersi sempre di più in se stesso e a rifiutare il più possibile i contatti con altre persone. Rimaneva nella sua camera, seduto sul letto a rimuginare su una possibile idea per riemergere. Più passava il tempo e più aveva perso il piacere di scrivere qualsiasi cosa: la sua demotivazione lo aveva portato dallo scrivere per diletto allo scrivere per avere una rivincita sulla società. Non cercava una strategia per guadagnare, poteva abbandonare in ogni momento la sua carriera per iniziarne una nuova, ma voleva sentirsi di nuovo vivo. E l'unico modo sembrava quello di venire apprezzato e accettato una seconda volta, anche solo per poco. Anastasie cercava in tutti i modi di far uscire Dominique di casa. Agli inizi quasi tutti i giorni andava a casa sua e lo invitava a qualche evento mondano, ma dopo un mese smise. Il fratello, ad ogni richiesta, si infuriava e si barricava ancora di più nella sua solitudine; essendo una persona testarda, però, era riuscita a convincerlo a venire a casa sua una volta alla settimana, il mercoledì.

“Come fai a pretendere di voler parlare d'amore, se non l'hai mai provato? Inoltre si dovrebbe parlare di questo sentimento tanto caro agli uomini non per un misero motivo come il tuo, ma per esaltarlo”.

Il signor Lafebvre si intromise nella conversazione, alterato per l'affermazione di Dominique.

“Oh caro perché devi essere sempre così duro con gli altri?” intervenne la moglie per difendere il fratello “Ognuno di noi non sempre compie delle azioni perché vuole farle, ma perché le circostanze lo obbligano. Per esempio tu hai dovuto studiare per essere un banchiere, ma da quel che mi hai detto so che non è un lavoro che ti è mai interessato, dal momento che sei stato obbligato dalla tua famiglia.”

“Hai ragione Anastasie, non volevo assolutamente dedicarmi agli studi economici, per poi diventare banchiere. Volevo fare il pittore ed essere un po' come il registra della vita di ogni persona: avrei voluto viaggiare, sedermi e analizzare i passanti, per poi dipingere i loro pensieri e le loro abitudini. I miei genitori, però, volevano che facessi un lavoro che mi desse la possibilità di occupare una posizione discreta all'interno della società, quindi decisi di abbandonare la pittura e mi dedicai all'economia. Basandomi sulla mia esperienza dico solo che, dal momento che lui ha le possibilità, di non dedicarsi ad un romanzo puramente per il successo, ma perché nel cuor suo c'è una forza maggiore che lo spinge a prendere una penna”.

Maxime disse tutto d'un fiato e con tanta foga che si sentiva esausto, tanto da versarsi il suo quarto bicchiere di vino.

Dominique, anche questa volta, ascoltava in silenzio. Nella sua mente rimbombava il discorso del cognato, gli ricordava lui stesso di sei anni prima. Nel 1906 aveva iniziato a pubblicare dei racconti su vari giornali, in cui narrava scene di vita quotidiana che apparivano felici, ma che facevano intravedere l'alienazione dell'uomo contemporaneo, sempre di più accecato dall'industrializzazione e dal consumismo. Nel giro di un anno aveva iniziato a fare parte della vita mondana di Parigi. Veniva spesso invitato nei salotti per leggere dei suoi racconti e, soprattutto, delle sue poesie. È da questi incontri che nacque "Exubérance et Pensée", una raccolta di poesie che raccontavano l’amarezza della vita e la fuggevolezza dei piaceri. La sua fama aumentò e la sua acutezza nell'individuare le varie sfaccettature dell'esistenza divenne uno degli emblemi della società parigina. Motivato dal successo, continuò la sua carriera con serenità, ma ben presto si rese conto che stava riscontrando delle difficoltà, aveva esaurito le idee. Ormai la sua anima era stata svuotata interamente: gli sembrava di aver già viaggiato abbastanza nella sua interiorità da conoscerla a memoria, senza dubitare delle direzioni che prendeva per esplorare delle aree che sembravano sconosciute. La sua scrittura era diventata forzata e le tematiche, oltre ad essere le stesse, venivano affrontate nello stesso modo. Quindi le sue opere piacquero sempre di meno alla critica, che notava sempre di più questo suo cambiamento; anche i salotti smisero di invitarlo e i giornali si rifiutarono di fargli pubblicare qualsiasi cosa lui proponesse. Era diventato completamente un estraneo dalla società, la stessa che poco tempo prima lo acclamava. Di conseguenza smise di guadagnare e dovette vendere la sua casa sul finire del 1911, per poi prendere in affitto una stanza. Sua sorella cercò di convincerlo a venire da vivere da lei e da suo marito, ma Dominique rifiutò. Si vedeva un peso per la sua condizione sociale, non sopportava diventarlo anche a livello economico. Anastasie, però, gli dava spesso un paio di franchi, così era sicura che avesse sempre dei soldi a portata di mano, anche se non sempre il fratello li accettava.


Dominique era talmente immerso nei suoi pensieri che non si rese conto di essere nel salotto, seduto sul divano con sua sorella a destra e Maxime sulla poltrona.

“Senti Dominique, tu sai quanto io ci tenga a te e quanto desideri vederti felice. Non ti ho mai detto di abbandonare la scrittura e di trovarti un altro lavoro, anche se umile come quello dell'operaio. Penso che ognuno di noi, se ha il destino a proprio favore, deve fare ciò che desidera. Questo discorso vale anche per il tempo libero”.

Anastasie fece una pausa e si inumidì le labbra. Le sue mani tremavano e il suo corpo iniziava a sudare freddo. Sapeva che suo fratello non avrebbe gradito il suo gesto, ma lei era decisa a raggiungere il suo obbiettivo. Fece un gran respiro e riprese a parlare.

“Venerdì a teatro ci sarà un concerto di pianoforte, dove suonerà Niklas Lang. Non so se lo conosci, ma è un pianista viennese emergente, ne ho sentito parlare bene. Suonerà Beethoven. Dal momento che a tutti noi piace il pianoforte e che tu apprezzi Beethoven come compositore, ho preso tre biglietti per questo spettacolo”.

“Sarà un'esperienza molto piacevole” s'intromise Maxime “oltre ad ascoltare buona musica, pensavo sarebbe stato piacevole mangiare in un ristorante italiano a due passi dal teatro”.

Come i Lafebvre smisero di parlare, nella stanza calò il silenzio. L'aria divenne irrespirabile e l'agitazione aumentava sempre di più. I padroni di casa si aspettavano una scena esagerata, tipica del loro ospite, ogni volta che gli veniva proposto una qualsiasi uscita. Di solito tendeva ad alzare la voce e a dire che dovevano smetterla di invitarlo, che lui preferiva rimanere solo con i propri pensieri e che, se avessero continuato, avrebbe troncato i rapporti con entrambi. La reazione era dettata soprattutto dall'imbarazzo nel recarsi in luoghi in cui sicuramente avrebbe trovato delle persone, che un tempo lo acclamavano, ridere al suo passaggio, per poi raccontarlo a tutti i conoscenti del loro incontro insolito. Dal momento che la sua reputazione non era di certo delle migliori in un ambiente mondano, anche solo per il vestiario a poco prezzo, non poteva neanche rispondere alle critiche, sarebbe stato sia scortese che ridicolo, e la sua posizione sociale si sarebbe aggravata ancora di più.

Dominique, però, rimase immobile. Aveva appoggiato i gomiti sulle cosce e teneva la testa con le mani. I suoi occhi osservavano il tappeto, in prossimità delle gambe del tavolino, con uno sguardo perso nel vuoto. Maxime guardava il cognato con la fronte corrugata, innervosito dal suo comportamento indifferente. Anastasie lo guardava con sguardo dolce ma preoccupato, non riusciva a capire se fosse tranquillo e stesse semplicemente pensando sull'accettare l'invito o se si stesse preparando ad un eccesso di rabbia. Rimase in quella posizione per un minuto, che per i Lafebvre sembrava un'ora. Quando Maxime stava per alzarsi dalla poltrona per andarsene e Anastasie stava per chiedergli se avesse detto qualcosa di sbagliato, Dominique si alzò per avviarsi verso l'uscita. Prese la giacca, che si trovava sull'appendiabiti dell'ingresso, e indossò con cura il cappello e la sciarpa. Appoggiò la mano sul pomello della porta, per poi girare la testa sui Lafebvre, che in quel momento lo guardavano incuriosito.

“Per questa volta posso provare”.

Ed uscì di casa, lasciando pietrificati marito e moglie.

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