Verso di te.

di Teddy_bear
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II. ***
Capitolo 4: *** Capitolo III. ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Ci sono fatti, di ciò che riserva la vita, dei quali non si è a conoscenza. Il senso della vita stesso, invero, nessuno lo so. Perché uno nasce, per poi lasciare questo mondo e morire? Perché si studia, si trova un lavoro, si guadagna, si trova l’amore, se poi tutto questo deve finire?

Ammettiamo che ci siano due frazioni che riguardano il percorso di un uomo ed una donna. Frazioni che chiameremo, molto semplicemente, thànatos e zoí: morte e vita. Al di là di tutto, ci sono queste due realtà, che sono come due mondi a parte, due mondi che non si vogliono mai incontrare, che hanno astio e conflitto tra di loro, ma che hanno il loro dovere da compiere. 

Essere uno dei thànatos o dei zoí è difficile: devi superare delle prove, mostrare che non hai problemi e che non ti leghi agli esseri umani a cui sei stato affidato. Perché, sia che fai morire, sia che fai nascere qualcuno, devi mostrarti distaccato. Hai fatto la tua mansione? Bene, ora te ne aspetta un’altra. In caso contrario, se tu ti affezioni ad un anthrópinos (umano) tu scompari. Non importa nulla, niente. Tu sparisci dalla circolazione e sarà colui che ha creato questo mondo, che chiameremo L’Elevatissimo, a decidere la tua sorte. Ma, queste due creature, non sono da confondere con gli angeli e demoni, precisiamolo. Son tutt’altro. 

Chiaramente, queste poi sono leggende, nessuno sa se esiste davvero un mondo simile, dove la vita e la morte hanno la tua persona in mano. O almeno, così si era convinta Sakura Kinomoto, nel corso dei suoi giorni. Quando da bambina suo fratello Touya le raccontava queste storie, lei era terrorizzata, credendo che un thànatos un giorno potesse prenderla e portarla nell’oblio. Ma ora lei è una giovane donna, non ha più tempo per pensare queste cose, si sta laureando in scienze dell’educazione e vuole solo lavorare con i bambini. Niente di più, niente di meno. Non ha ancora trovato l’amore, ma non lo reputa un problema perché, secondo lei, esso esiste per tutti. 

 

***

 

“È lei.” 

La voce che pronuncia queste due lettere è rauca. Spietata, cattiva. 

“È molto giovane.” 

Questa è meno crudele, ma non preannuncia comunque niente di buono. 

“Ha venticinque anni, ma deve morire. È stato deciso così, dal nostro Supremo.”

“Perché è stata affidata proprio a me?”

L’altro ghigna. 

“Hai la sua stessa età. Sei un thànatos da venticinque anni.”

“Quindi devo andare sulla terra e fingermi umano?”

“Cercando di capire quale sia la migliore causa per guidarla verso l’oblio. Esatto.” viene spiegato dal maggiore tra i due. 

“Va bene. Sia fatta la volontà del Supremo.”  

I due continuano a guardare la figura della ragazza nello specchio. 

“Si chiama Sakura Kinomoto. Stai attento ai zoí, sai che cercheranno di metterti i bastoni tra le ruote.”

“Naturalmente. Il mio nome umano quale sarà, invece?” 

L’altro apre la mano, prima stretta a pugno, e delle parole si formano al di sopra di essa, dentro una nuvoletta violacea. 

“Shaoran Li. Ti chiamerai Shaoran Li.”

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Capitolo 2
*** Capitolo I. ***


Era la quinta volta. La sua quinta volta. Non l’ha mai fatto spesso, ci sono stati altri suoi compagni che lo hanno fatto molte, molte volte. La sua è solo la quinta. È stato in Germania, in Francia, in Cina ed in Russia. Ma mai, prima d’ora, era stato in Giappone. Non aveva mai avuto la visione di quel paese, così popolato da molte persone che non dovevano avvicinarsi per nessun motivo a lui. Ecco, questa era una delle regole: non toccarlo. Se osi solo sfiorare la sua pelle, o meglio, quella che a te sembrerà pelle, la tua mano sentirà un immenso dolore. È il prezzo da pagare, quando sei un thanàtos. 

Il numero 350 scende dal taxi, una volta arrivato a destinazione, e guarda la casa di fronte ai suoi occhi. Ecco, questo sarà il suo nido.

“Signor Li.” 

Il numero 350, questa volta, ha un aspetto diverso dagli altri. Stavolta è moro, ha i capelli scurissimi, tendenti al nero, molto sbarazzini. Gli occhi sono del medesimo colore. La carnagione è chiara. I vestiti che indossa, sembrano quelli appena usciti da un film di vampiri. Molto ironico il destino, alle volte. 

“Signor Li.” 

Il numero 350 si gira verso il tassista. È vero: ora non è più un numero, ora ha un nome ed un cognome. Shaoran Li.

“Sì, mi scusi.” la sua capacità di sapere ogni lingua straniera senza sforzi, è uno tra i poteri che preferisce. Essere la morte, in fondo, non è poi così male. Consegna all’uomo i soldi, stando attento a non far sfiorare le loro dita. Poi prende la sua valigia, la sua patetica valigia di scena, che gli ha consegnato il numero 120. Si dirige verso l’ingresso di quella villa. È grande, forse fin troppo, per lui. È da solo, alla fine. E resterà in questo paese non per molto, quindi perché non prendere un appartamento? Sbuffa, aprendo il cancellino con le chiavi. D’un tratto, sente un rumore dietro di lui, e si volta subito. I suoi occhi si spalancano, quando vedono il vero motivo per cui i cacciatori superiori lo hanno destinato a vivere in quella villa abbandonata da chissà quanto tempo. Sakura Kinomoto è davanti a lui, intenta a mettersi alla guida di quella che si presume essere la sua automobile. 

Siamo vicini di casa, pensa. Shaoran scruta attentamente la figura della ragazza, e si vede che ella è proprio opera di uno zoí, di un donatore. Sembra uscire da qualche dipinto. La sua bellezza è innocente, forse fin troppo. E non ha mai visto degli occhi chiari come i suoi, di questo ne è sicuro. 

“Perché devo ucciderti?” domanda, ad alta voce. Sospira, poi.

“Dovrò proprio farlo.” scuote il capo, girandosi nuovamente verso la sua nuova abitazione. 

“Oh, ma guarda chi c’è.” 

Gli occhi del moro si spalancano. Oh, no. 

“Il numero 350 dei cacciatori.” dice sprezzante, la figura davanti a lui. È un ragazzo, alto poco meno di lui, con gli occhi celesti ed i capelli biondo scuri. 

“Il numero 580 dei donatori, ciao. È sempre bello vedere che volete rovinare i nostri piani.” serra la mano a pugno, e la stringe. 

Ricordati che avete un patto, pensa. Non devi fargli del male, non puoi. 

“Quindi, tu risiedi in questa via?” 

Il cacciatore annuisce, non dicendo altro.

“Ma pensa, io sono poco distante da qui.” 

“Non me ne frega un cazzo.” 

“Voi thanàtos avete sempre questo carattere orrendo. Perennemente arrabbiati. Però, vedo che le parolacce le sai proprio dire in ogni lingua.” 

“Si può sapere cosa vuoi?” domanda esasperato, Shaoran. 

“Non potete davvero uccidere quella ragazza.”

“Dobbiamo ucciderla. Anzi, devo.” dice, evitando il contatto visivo.

“Siete sempre a caccia delle anime più pure. Questa cosa sta diventando ingestibile.”

“Noi dobbiamo fare il nostro lavoro, e voi il vostro.” spiega, il numero 350. 

“Comunque devo dire che hai un look molto poco raccomandabile, stavolta. Difficile che lei si avvicinerà a te.” ridacchia, il donatore. 

“Lo vedremo.” 

“Sai già che ti rallenterò il processo il più possibile, in modo tale che scadrà il tempo?”

“Sai che sarò più furbo di te.” 

Shaoran Li è determinato. Lui è la morte. Lui ha un compito, e lui lo porterà a termine. Costi quel che costi. 

“Be’, se il tempo scade e tu non hai ancora trovato un modo per ucciderla…”

“So quello che succede, non serve che me lo spieghi. Ora, hai finito di scassare il cazzo, angioletto?”

Il numero 580 ride, roteando gli occhi. 

“Sono un donatore, non un angelo.” Shaoran gesticola con la mano, come a fargli capire che non gli interessa. Finalmente, poi, entra nel cancello della sua nuova casa. 

“Ah, 350.”

Si sente richiamare. 

“Cosa?”

“Il tuo nome quale sarà, stavolta?”

“Shaoran Li.” risponde, il moro. 

“Il mio è Hisato Miura, piacere di conoscerti.” 

 

***

 

Non ha mangiato niente. Essere un umano è devastante ogni volta. Prima che ci si riabitui a come vive un uomo, passano minimo due settimane ogni volta. Non sente la sete, la fame, il sonno. Non sente niente. Finché non entra in contatto con la vita vera e propria, allora lì le cose cambiano. Sta sistemando dei vestiti in un armadio vecchio stile della sua casa, come ogni volta che deve. Detesta sentire la stoffa addosso, e sta già rimpiangendo la sua vera forma. Il suo mantello nero, soprattutto. Quanto gli manca. Sbuffa, lasciando poi perdere i vestiti, e si affaccia alla finestra. Tra le foglie ed il verde degli alberi, riesce a vedere la villa di Sakura Kinomoto, la sua vittima. È una casa a due piani, moderna, di un colore giallo tenue. Ha molte finestre, quindi gli interni saranno molto luminosi. Una di queste, mostra un lampadario acceso e la ragazza passa davanti ad essa, incurante di essere osservata. Shaoran assottiglia gli occhi, per vederci di più, per vederci meglio. Nota che questa ha in braccio un gatto, e lo sta accarezzando con dedizione.

“Così me la rendi troppo facile, però, Sakura.” 

Il numero 350 alza la mano, e punta un dito. Chiude gli occhi, mentre pensa ad una scena da proiettare. Quando li riapre, il gatto si dimena tra le braccia della ragazza, e lei si lamenta del dolore. 

“Eh sì, tesoro. Ti ha appena graffiata.” continua ad osservare la scena, mentre lei prende un fazzoletto e lo tampona delicatamente sul suo polso, da dove sembra uscire un po’ di sangue. 

“Piacere di conoscerti, piccola. Questo è niente in confronto a quello che ti farò.” ghigna poi, determinato.

ANGOLO AUTRICE: se per Preludio avevo un’idea generale su come svolgere la trama, qui non ce l’ho. Ho solo dei pensieri sconnessi tra di loro, e spero di far fruttare qualcosa. Ora, vi dico cosa dovete aspettarvi da questa storia: angst, dolore, sofferenza, amore non corrisposto (vedrete poi fa parte di chi), dolore, sofferenza, angst. Non è una storia leggera. E Shaoran Li sarà veramente spietato, stavolta. Ma spero che voi capite che è il genere. Ed è nuovo anche per me. Detto questo, vi assicuro che cercherò di non scrivere cavolate. Ditemi cosa ne pensate, intanto! Bacioni x.

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Capitolo 3
*** Capitolo II. ***


Detesta il pianeta terra. È così: lo detesta. Si sta decisamente meglio nel suo mondo. Invece no, ora è costretto a vivere qui, in questa casa. Ed è anche costretto ad atteggiarsi da domestica, facendo le pulizie. Detesta assolutamente dover fare questo. È brutto non poter uccidere le persone subito, in modo tale da tornare a vivere la quotidianità come si deve. Sempre se "quotidianità" si possa definire. Il salotto di quella villa è grande, ha anche uno di quei cosi che chiamano -camino- gli esseri umani. Ha imparato con il tempo che serve per riscaldare, ed ha sentito dire che molte persone, lì sopra, ci cuociono un frutto autunnale. Castagne, gli sembra di ricordare. Scuote la testa, riprendendosi da quei pensieri. La stanza ora sembra più pulita, con molta meno polvere. Con il tempo, è venuto a conoscenza del fatto che non possa tenere né piante né animali in casa. Non può toccare o prendersi cura di niente. È contro la sua natura. Contro il suo essere. Ma tanto meglio così, lui la vita non la sopporta. Nemmeno un briciolo. Ormai vive qui da qualche giorno, e sulla ragazza del suo incarico ha già scoperto molte cose. Lavora come assistente all’infanzia presso l’asilo nido della città, in attesa di laurearsi in scienze dell’educazione. Non è molto alta, ha il fisico minuto, i suoi capelli sono corti (le arrivano poco sopra le spalle, alle base del collo) e sono biondi, gli occhi sono verdi (fin troppo) e grandi. Sorride sempre, quando lo vede, in un modo estremamente gentile. Il suo nome significa "fiore di ciliegio". Suo padre e quello che sembra esser suo fratello le sono spesso accanto, e sembra andare molto d’accordo con loro. C’è solo un dettaglio che gli nuoce: è già diventata amica di Hisato. Ha avuto modo di parlare con il donatore l’altro giorno, il quale l’ha informato di quanto lui e Sakura abbiano un buon rapporto, di quanto lei sia speciale e buona e di quanto invece lui, cacciatore, sia un grandissimo bastardo. Perché loro non vengono definiti in altri modi, nessuno li comprende. Come ci dev’essere la vita, ci deve anche essere la morte. È un ciclo continuo che va accettato. Ad ogni modo, poco gli importa se il donatore ha già stretto amicizia con la prescelta. A lui basta solo indagare sulla sua vita, trovando il punto debole dove colpirla. Non si può fare altrimenti. Il campanello di casa sua suona, e lui sbuffa, alzandosi. Quando apre la porta, si ritrova davanti colei che occupa i suoi pensieri da un po’ di tempo. Ha in mano una teglia da forno che profuma, dentro di essa Shaoran suppone che ci sia una torta o qualcosa del genere. La biondina gli sta sorridendo, e nota come le sue mani siano molto impacciate a tenere saldo quel dessert. Al numero 350 viene quasi da ridere. 

“Ciao, sono la tua nuova vicina!” esclama. È la prima volta che sente la sua voce. La sua voce. Chiude gli occhi per un secondo, mentre le parole annebbiano la mente, gli annientano i timpani. Cazzo, ha la voce di una bambina. Shaoran riapre gli occhi, ed inarca un sopracciglio. 

“Ops, hai ragione.” ridacchia, Sakura “Sei tu ad essere il mio nuovo vicino. È comunque un piacere conoscerti, abito nella casa di fronte.” stacca una mano dalla taglia, ed indica con un indice la zona in cui abita. La teglia traballa nella sua sola mano, e deve subito tornare a tenerla come si deve. 

“Questa è una crostata ai lamponi, come dono di benvenuto, spero che ti piaccia.” dice. Il moro annuisce un po’, poi prende tra le mani la torta e la posa suo tavolo della cucina, che si trova di fianco al salotto. Non dice una parola, quindi la ragazza si trova sulla soglia della porta a domandarsi se può entrare o meno. Passa qualche secondo e, quando la morte vede che Sakura non accenna a muoversi di un passo, è lui a tornare verso di lei. 

“Puoi entrare, non ti mangio mica.” sono le prima parole che le rivolge. 

Infatti non voglio mangiarti, devo ucciderti. Pensa, poi.

“Grazie. Permesso.” entra cauta. Altro aggettivo per descrivere Sakura: timida. Santo cielo, quant’è timida. 

“Io comunque sono Sakura. Non mi ero ancora presentata, scusami.” ella le porge una mano, come si fa solitamente quando ci si saluta. Shaoran la scruta, mentre rammenta dentro di sé che non può assolutamente toccarla, anche se vorrebbe. Lo vorrebbe tanto. Sembra così debole, che farle del male dev’essere un gioco da ragazzi. Tuttavia deve trovare una scusa, che non faccia fare troppe domande a questo fiorellino. Anche se non sembra una che si fa molte domande, al contrario, sembra essere ingenua e credulona. 

“Ti sei fatta male al polso?” domanda, quindi, tornando verso la cucina. Non sa come ci si comporta per essere gentili, quindi tenta di essere neutrale. 

“Oh, un po’ di sere fa il mio gatto mi ha graffiata. È stato orribile.” 

Lo so bene, bambina. Benvenuta nel mio mondo. 

“Capisco. Mi dispiace. In ogni caso, grazie per la torta.” 

Quante stronzate. 

“Ah, figurati. Anche se, ad essere onesta, mio papà mi ha aiutato molto per prepararla. Io sono un po’ imbranata ai fornelli. Tuttavia, spero che ti piaccia. E che tu riesca a trovarti bene nella nostra città.” gli sorride, ancora una volta. Shaoran annuisce. 

“Come vedi sto cercando di sistemare la casa.” le dice, poi.

“Oh sì, lo noto! Questa villa è abbandonata da chissà quanto tempo. Quell’antipatico di mio fratello diceva che è infestata, per spaventarmi.” sbuffa un po’, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio. I suoi capelli hanno il profumo delle rose. Lo sente distintamente. Una rosa ha sempre questo profumo, prima che lui le faccia sfiorire e decedere. Così come deve fare con questa ragazza, questo piccolo bocciolo, quasi appena nato, che non conosce niente del mondo. 

“Ti spaventano le cose soprannaturali?” domanda, beffardo. Questo argomento, d’un tratto, gli interessa. 

“Non più.” la ragazza alza lo sguardo verso di lui, e gli sorride ancora. 

Non più.

Ah, ma così mi avvantaggi, piccola. Vedrai come ti spaventeranno ancora. 

“Fai bene. Non esiste nulla, al di fuori di noi uomini.” ridacchia, dandole ragione. Le fa le spallucce, abbassando il capo.

“Ho conosciuto un tuo amico, poco tempo fa.” 

“Un mio amico?” suona perplesso, il numero 350.

“Sì, Hisato. Mi ha detto che vi conoscete.” gli spiega. 

“Sakura, conoscere è diverso che essere amici.” 

La ragazza annuisce.

“Be’…” inizia, guardandosi in giro “sarà meglio che vada. Spero che ti piaccia la torta. Ci vediamo, d’accordo?” si dirige verso la porta. Shaoran nota bene come i suoi capelli si muovano mentre lei cammina. È appena percettibile, ma lui lo vede. Lo vede così tanto. 

“Ci vedremo sicuramente, Sakura.” 

Anche se non ti piacerà conoscere dove, aggiunge dentro ai suoi pensieri. 

“Ma certo! È stato un piacere grande conoscerti.” 

La prescelta ha appena varcato la soglia della porta, ed è davanti a lui. Usa sempre questo tono smielato, per parlare? Shaoran avrebbe voglia di allungare una mano verso di lei, e toccarle il viso. Vedere come sarebbe pieno di dolore, che smorfia assumerebbe a sentire la pelle bruciare sotto le sue dita di fuoco. Oppure stringere una mano attorno alla gola, vedendola piangere, pregandolo di smettere. Vuole vederla nel momento prima di morire, più che vederla morta. Sono appaganti entrambi, ma il primo, molto di più. Sicuramente molto di più.

“Ah, non mi hai ancora detto il tuo nome!” la sua voce da bambina lo riporta alla realtà. 

“Shaoran Li.” risponde, in automatico. Ella fa cenno di sì, poi lo saluta un’ultima volta, allontanandosi del tutto. Shaoran si maledice, per non averla toccata. Ma non può fare altro, non ancora, almeno. Sarà difficile resistere, tuttavia. Se lo sente. Si sente completamente perso, più delle altre volte. Chiude la porta di casa, andando verso il tavolo della cucina. La fame, in effetti, inizia a farsi sentire. Ne taglia una fetta, e la posa su un piatto, iniziando a mangiare.

“Non so ancora se sarà un peccato o un onore toglierti da questo mondo, bambina.”

 

***

 

“Com’è il nuovo vicino, quindi?” 

Sakura si aspettava questa domanda da suo padre che, ora, sta cucinando per la cena di stasera. Si ritrova a storcere un po’ la bocca, riflettendo su cosa dire. 

“Sembra un po’ riservato.” decide di rispondere, restando sul vago. Però, se dev’essere onesta, l’ha trovato un po’ strano. Il suo comportamento, è stato strano.

“Ah, son certo che andrete d’accordo. Guarda con Hisato: hai stretto subito amicizia.”

Annuisce. 

“Hai ragione.”

Il padre le sorride, per poi tornare ai fornelli. Sakura si dirige verso il salotto, mentre sente il cuore in gola. Dalla prima volta che l’ha visto, ha sentito il suo cuore battere velocemente. Troppo velocemente. È un ragazzo diverso dagli altri, ha qualcosa che non sa spiegarsi. Piano piano, riuscirà a capire cosa. Ne è certa.

“Hisato, benvenuto!” suo padre accoglie in casa il suo nuovo amico. Aggrotta le sopracciglia. Neanche aveva sentito il campanello.

“Ah, è vero che ti avevo invitato a cena!” la ragazza si alza, e va ad accogliere l’ospite. La sua mente però è ancora ferma a poco prima, quando ha conosciuto quel ragazzo. Shaoran.

ANGOLO AUTRICE: nuovo capitolo :)) spero che vi piaccia. Ditemi cosa ne pensate! Grazie a tutti! Bacioni x.

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Capitolo 4
*** Capitolo III. ***


SHAORAN

 

Dover imparare le varie stagioni che ci sono nel pianeta terra non è stato facile per me, così come i mesi. Ho capito dopo tempo che esistono periodi più freddi e periodi più caldi. E, guarda caso, stavolta la mia missione è proprio in una stagione fredda. Dovrebbe essere autunno, eppure non ce la faccio già più a tollerare quest’aria per me fin troppo gelida. Sbuffo sonoramente, mentre ammucchio le foglie aiutandomi con un rastrello. Capisco il fatto che Sakura sia la mia vicina di casa, però non mi piace per niente vivere in un posto così grande. Non riesco a gestire tutto, e non posso nemmeno aiutarmi con i miei poteri. Mi chino a terra, raccogliendo le foglie per poi buttarle nel secchio. Quando mi rialzo, sento due occhi verdi che mi stanno fissando. Sono voltato di schiena, quindi non posso vederla, ma so che è lei. Riconoscerei la sua anima pura ovunque. 

“Sakura.” mi volto immediatamente, e lei sobbalza, come un piccolo cerbiatto. 

“Shaoran, ciao.” balbetta appena. Giudicando dalle ore che sono, dovrebbe aver appena finito di lavorare. Un giorno di questi, dovrei andare a spiarla sul lavoro, sfruttando la mia invisibilità. 

“Hai perso qualcosa? Magari cercavi il tuo gatto. L’ho visto rientrare in casa tua poco fa.” dico, guardandomi in giro. Lei spalanca gli occhi, ed un lieve rossore invade le sue gote. Poi scuote la testa e deglutisce. Sento la sua tensione arrivarmi dritto al petto. Non so quanto riuscirò a reggere ancora senza nemmeno sfiorarla. 

“No, no. Sono uscita a prendere una boccata d’aria. Sono tornata da poco dal lavoro, quindi…” mi spiega, lasciando la frase in sospeso.  

Lo so, dolcezza. Lo so. 

“Vuoi che ti aiuti?” mi chiede. 

Scuoto il capo. 

“No, sei gentile. Ma me la cavo.” 

“Dai, lo faccio volentieri.” insiste “La tua casa è molto grande, ed il tuo giardino non è da meno. Lasciati aiutare, almeno finisci il lavoro prima.”

Vorrei terminare presto anche un altro lavoro, come quello di ucciderti. Non mi fa neanche formulare una risposta, che ha già invaso il mio giardino, presentandosi davanti a me, con quei suoi occhi giganti ed un sorriso troppo… troppo. Dov’è finita la sua timidezza? Sospiro, lasciandola fare. 

“Preferisci che ammucchi le foglie, o io che le tiri su?” 

Mi mordo la lingua. 

“Direi che io ammucchio le foglie. Il lavoro difficile lascialo a me.” cerco di essere gentile, probabilmente ci riesco anche, visto il modo in cui mi sorridere, dicendomi un semplice "va bene".

“Allora…” inizia, raccogliendo qualche foglia “come mai ti sei trasferito qui? Sempre se non sono indiscreta.”

Sakura Kinomoto: timida all’inizio, smielata e fin troppo gentile, occhi grandi, ficcanaso. Nuovo aggettivo aggiunto. 

“Ho un lavoro che mi fa viaggiare spesso. Per ora sono qui, poi chissà dove andrò.” resto sul vago, nonostante è come se le avessi detto qualcosa di vero nel mezzo.

“Di cosa ti occupi?”

Merda. Di cosa mi occupo? 

“Uhm… di…”

Ragioniamo. Come si chiamava quella scusa che aveva usato il numero 642 dei cacciatori? Che lavoro era? Rammentalo, 350. Sforzati. 

“Di ricerche nel campo biologico.” proferisco, tentennante. È giusto? Lei annuisce convinta, complimentandosi. 

“Dev’esser dura non stare mai in un posto fisso.” storce la bocca. 

“Non come si pensa.” ammetto. Lei continua il suo operato, sorridendomi ancora. 

“Io sono educatrice all’asilo nido della città. Mi sto laureando in scienze dell’educazione.” 

Mi sta rendendo partecipe di qualcosa che le dovrò togliere. 

“Ti piacciono i bambini?”

Annuisce energicamente, raccogliendo le ultime foglie. 

“Morirei per loro.” 

Spalanco gli occhi. 

“In realtà per far del bene, sarei disposta a rinunciare alla mia vita.” guarda il vuoto, poi sembra ricomporsi. Si schiarisce la voce, e torna a posare l’attenzione su di me. Questa ragazza ha qualcosa di… strano. Sì, strano. Ed è ancora più bizzarro che sia io a dirlo. Andiamo avanti a sistemare il giardino, ed a renderlo di un’estetica migliore. Quando abbiamo finito, lei sospira alzandosi. 

“Bene, guarda che meraviglia!” esclama, indicando l’area circostante. Mi guardo attorno, e constato che è davvero mille volte migliore rispetto a prima. 

“Grazie.” mi esce spontaneo dirle. Non doveva aiutarmi. In realtà, se sapesse, starebbe lontano da me, per ovvie ragioni. Di certo non mi guarderebbe in questo modo così dolce. Improvvisamente, allunga una mano sulla mia spalla, con cautela, in modo lento. 

No, non farlo. Non farlo. Non riesco a spostarmi, sono quasi bloccato. La sua corsa verso il mio corpo non si arresta, anzi, continua e mentre la sua mano è sospesa nell’aria, come a rallentatore, a me viene voglia di andarmene, ricordandomi che non deve toccare la mia persona, il mio essere. Perché io sono la morte, sono un cacciatore, ma questo Sakura non lo sa. Quindi la sua mano piccola si posa sulla mia spalla, ed il suo tocco dura pochissimi secondi. 

“Ah!” grida quasi, portandosi una mano al centro del petto. Deglutisco, nervoso, mentre vedo il suo viso mostrare una smorfia di dolore che non ha uguali. Non ho mai visto qualcuno soffrire così a causa mia. Sakura è di una bellezza rara, ne sono consapevole, me l’hanno confermato anche gli altri cacciatori. Oltre che per la sua esteriorità, il suo essere così pura ed innocente la rende una preda affascinante. Ed ora che è qui, davanti a me, con gli occhi serrati ed il labbro inferiore fra i denti, a lamentarsi del dolore che ha alla mano, io mi sento potente. Mi sento perso in quello sguardo sofferente. Mi sento invincibile, indistruttibile, grande. Tutto il mio sadismo non è mai stato a questi livelli prima di incontrare Sakura. Lei è troppo. Lei mi fa provare un piacere pari a quello di quando uccidi una grande quantità di persone. Mi è successo solo una volta, ma è stato così appagante che volevo ripetere l’esperienza. E con lei è come se fosse anche meglio. Ucciderla sarà un piacere, me lo sento. 

“Scusami, mi sono fatta male.” 

Le ho fatto del male io, e mi chiede perdono lei? Sta scherzando?

“Sono sempre così imbranata.” si rimprovera. Aggrotto le sopracciglia. Lo ripeto: sta scherzando? Scuoto il capo, riprendendomi dal mio stato di trance. Ci vorrà un bel po’ prima di abituarsi al fatto che non devo perdermi troppo tra i miei pensieri, che sono un essere che esiste, adesso. 

“Probabilmente hai fatto qualche movimento brusco mentre raccoglievi le foglie.” sto sulla difensiva. Lei annuisce, sorridendomi. Poi, mi chiede ancora scusa. Non è possibile questa cosa. 

“Ti conviene andare a casa a mettere su un po’ di ghiaccio.” allungo una mano verso di lei, poi rammento che non posso, e faccio finta che la mia intenzione fosse quella di metterla in tasca. Devo trattenermi. 

“Hai ragione. Allora, ci vediamo nei prossimi giorni. Grazie per la compagnia, e scusami per… questo.” dice, indicandosi la mano dolorante. Le rispondo di non preoccuparsi. Dopo aver ricevuto un suo sorriso, la vedo sparire dal mio giardino, diretta verso casa sua. Seguo il modo in cui si muove il suo corpo, sono di nuovo tentato di procurarle dolore, ma non posso. Per oggi ho già avuto abbastanza, e devo accontentarmi. Tuttavia, un’ultima cosa posso farla. 

 

***

 

La camera di Sakura è il classico clichè delle ragazzine che ho già visto: pupazzi, lenzuola con i fiori, pareti color violetto appena accennato. Roteo gli occhi. Davvero, un classico. Non poteva fare di meglio. Lei ora è sul suo letto, ha messo del ghiaccio sul polso, il quale è rossissimo. Non ho mai visto una pelle di una tonalità così accesa di rosso. Mi lecco le labbra, mentre mi ripeto mentalmente di no. Il fatto che Sakura ora, non possa vedermi, gioca a mio favore. Posso spiarla in ogni azione che fa, in ogni gesto che compie, il che è inebriante. È come una droga, per me. Quando questa si alza, io me ne sorprendo, perché lo fa di scatto. Sospira, posando il ghiaccio sulla sua scrivania. Guarda l’orologio appeso alla parete, e bofonchia che è l’ora che deve farsi una doccia. Mi brillano gli occhi al suono di quel suo sussurro: è la mia occasione per vedere il suo corpo, per capire dove devo colpirla. Meraviglioso. Dopo aver riportato il ghiaccio nel posto apposito, si dirige nel bagno di casa sua, ed io la seguo a ruota. Quando inizia a spogliarsi, io seguo attentamente ogni suo gesto. I suoi vestiti cadono a terra, e lei si affretta a raccoglierli, per poi metterli in un cesto. Ora è completamente nuda, davanti a me. Riesco a vedere le sue ossa, evidenti come non ne ho mai viste prima. Completamente mie, da frantumare se solo volessi allungare un dito. Sarebbe una sensazione fin troppo appagante. La biondina si guarda allo specchio, e di colpo succede qualcosa che non mi aspettavo: i suoi occhi si fanno lucidi. Prende un respiro profondo, poi sale su un oggetto. Mette prima su di esso il piede sinistro, poi il destro. Aggrotto le sopracciglia: è un oggetto di forma quadrata, piatto, con uno piccolo schermo al centro che mostra dei numeri. Accanto ad essi c’è una scritta "kg". Cosa sono i kg? Leggo il numero scritto, ed è un numero piccolo. Cosa significa? Sakura non lo guarda tuttavia, ha gli occhi chiusi. Poi li riapre e, quando guarda verso il basso, scoppia a piangere quasi istericamente. Mi chiedo se abbia del dolore fisico, se sente che la morte è vicina a lei, che io sono vicino a lei, perché altri motivi non ne trovo. Perché gli umani piangono, se non quando hanno un dolore? Subito dopo, scende da quell’arnese, ed entra in doccia, dopo aver aperto il rubinetto dell’acqua calda. Quando è dentro di essa, la sento chiaramente lamentarsi in modo più sonoro. Non capisco cosa ho fatto stavolta, ma sono pronto a scoprirlo. E devo parlarne assolutamente con qualcuno. 

 

***

 

“Mi hanno detto che volevi vedermi.” mi dice il numero 700 dei cacciatori. Annuisco. 

“È così.” confermo. 

“Come mai?” mi domanda. Il numero 700 è colui con cui io mi confronto sempre, quando ho dei dubbi. Ha una grande esperienza con gli uomini, e gliene do atto.  Perciò, gli racconto di quanto è successo in quella giornata, e lui ascolta attentamente ogni mia parola. Attorno a me ci sono anche altri thanàtos, il che mi facilita il compito. Essere nel mio luogo d’origine mi trasmette sempre molta calma. 

“Be’, è evidente che a quella ragazza non hai fatto del male fisico. Noi non possiamo fare del male se non tocchiamo, e lo sai. Quindi… penso che abbia un grande dolore emotivo. In questo tu, però, non c’entri nulla. Non è una conseguenza ad una tua azione.” mi spiega brevemente. Rifletto. Un dolore emotivo?

“Dolore emotivo?” domando, non capendo. 

“Gli umani hanno questa cosa che provano sentimenti ed emozioni, come ben sai. È qualcosa che nasce dall’interno, non posso spiegartela. Quella di Sakura, che hai visto tu, si chiama tristezza.” 

“Tristezza.” ripeto. 

“La capirai solo vedendola, non posso davvero illustrartela.” 

Annuisco alle sue parole. 

Tristezza. Cos’è la tristezza? Avrei dovuto comprenderlo il prima possibile, se volevo portare a termine la mia missione. Ed ero intenzionato a farlo.

ANGOLO AUTRICE: prima cosa prima che io me ne dimentichi: TANTI AUGURI SHAORAAAAAN! <3 bene. Ora passiamo al capitolo. Ho deciso di metterlo in prima persona, quindi, d’ora in avanti, scriverò tutto sotto il punto di vista di Shaoran. E sistemerò anche i capitoli precedenti. Secondo, la morte conosce solo il dolore fisico degli uomini (sarà spiegato poi nel prossimo capitolo) per questo, Shaoran, è così sbigottito di fronte al pianto di Sakura, la quale anche lei ha le sue sofferenze, che sicuramente da qua si capiscono, ma verranno affrontate più avanti, in modo abbastanza importante. Non sarà assolutamente leggero, vi avviso. Detto ciò, ditemi cosa ne pensate :3 grazie di tutto! Bacioni x.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV. ***


SHAORAN 

 

Sul soffitto del mio muro ci sono cinque bolle di vernice. La vernice color bianco candido si sta staccando, a poco a poco. Ma non mi interessa. Son steso sul divano, a guardare il soffitto. Cinque bolle. Sembra uno scherzo del destino, sembrano ricordarmi le volte in cui sono stato qui, sulla Terra, a compiere il mio dovere da cacciatore. Sono messe a pentagono, per ironia, come se non bastasse. Sbuffo, sentendo i miei occhi farsi pesanti. Sto continuando a trascinare i miei passi verso qualcosa che vorrei finisse immediatamente. Dovrò scoprire di più su quella ragazza, per fare in modo di compiere il mio dovere. È la regola numero due: mai uccidere a sproposito e senza motivo, soprattutto colui che ti è stato affidato. Già. Gran bella regola di merda. Queste regole, un giorno o l’altro, mi faranno diventare pazzo. Seguirle non è poi così facile, ma devo farlo. Si tratta del mio onore. 

Il campanello di casa mia suona, così mi alzo, sapendo già chi è oltre alla porta. Cosa desidererà, adesso?

“Sakura.” dico a mo’ di saluto. La vedo stringersi nel suo cappotto marrone. Ha dei guanti verdi a fasciarle le mani ed una sciarpa del medesimo colore che quasi le stritola il collo. Non deve proprio tollerarlo, il freddo. 

“Ciao, Shaoran. Come stai?” 

Mette le mani in tasca, sorridendo. La sua parlantina ha creato delle nuvolette di vapore. Ma che ora è? Prendo quello che ho imparato sia un cellulare, e noto che sono le dieci e mezza del mattino. Non dovrebbe essere a lavorare? O in università a dare gli ultimi esami per la laurea?

“Bene, come mai sei qui? Non dovresti…” faccio un cenno con la mano. Le sue gote si tingono di rosso, ed io mi sento inerme. Impotente. È una dolce creatura, decisamente. 

“Vorrei portarti in un posto, adesso. Insomma, se non disturbo. Voglio dire, vedo che sei sempre in casa. E ci salutiamo ogni giorno, ma non parliamo quasi mai. Quindi, pensavo che…” non conclude la frase, la voce le muore in gola. Deglutisco, mandando giù il boccone succulento di Sakura intimidita. Mi fa sentire sazio. 

“Pensavi che..?” la incito, stronzo come non mai. 

“Pensavo di portarti in un posto carino.” ammette, alzando lo sguardo. Il modo in cui i suoi occhi chiari cercando una mia conferma mi rende desideroso di stare in silenzio, sadicamente, per qualche secondo. Finché lei non cede, ed abbassa lo sguardo. In quel momento, capisco quanto lei sia veramente in mio potere. 

“Dai, andiamo.” l’accontento, tenendo comunque un suono distaccato nella mia voce. Lei sembra illuminarsi, e saltella di poco sul posto, per poi ridacchiare. 

 

***

 

È la prima volta che vedo di fronte ai miei occhi una cosa del genere. Sapevo dell’esistenza dell’acqua, del fuoco, della terra, dell’aria. Ma non sapevo dell’esistenza di questo che, come un grande contenitore, le possiede dentro tutte assieme. 

“Il mare qui è favoloso, d’inverno è anche meglio.” mi dice. Sistema una coperta sulla sabbia, tenendosi distante da quella compagnia di amici che aveva acceso un fuoco la sera precedente di sicuro. Aggrotto le sopracciglia, sentendomi uno stolto. Okay: mare. Si chiama mare. È la prima volta che, comunque, lo vedo. 

“Vuoi sederti qui?” indica il posto accanto a lei. Titubante, mi siede, tenendomi comunque un po’ distante. Grazie al cielo, la coperta è grande. 

“Perché mi hai portato qui?” comincio con il chiederle. Sono sbigottito. Non capisco. 

“Per parlarti come si deve. Avremo più o meno la stessa età, siamo vicini di casa. Non so, volevo conoscerti meglio.” fa spallucce. Alzo un sopracciglio. Ma sta bene, questa ragazzina?

“Non c’è niente da sapere su di me, di importante.” tolgo lo sguardo dalle sue iridi, e lo proietto verso il mare. Immenso, agitato, blu. E freddo. Tanto freddo. 

“Nemmeno su di me.” mi punzecchia, incrociando le gambe per restare più comoda. 

“Allora di cosa vuoi parlare? Del niente?” 

“Sei una di quelle persone con cui starei anche in silenzio.” è la sua risposta. 

“In che senso?”

“Nel senso che tu sembri più tormentato di me.” ridacchia, per poi aggiungere “Ed io lascio avvicinare solo chi è più freddo della mia persona, da chi è più cinico, da chi è più… così.” indica l’immensità azzurra, che ora è tanto mossa. 

“Quindi tu soffri?” domando, a bruciapelo. Ricordo le parole del mio compagno cacciatore, riguardo la tristezza umana, che può causare dolore. Quindi, ora, ne sono curioso, ed anche affascinato. 

“Che importanza ha? Tu, di sicuro, no.” è tranquilla, quando parla. Come se stesse raccontando di un’avventura bella, non di qualche dolore. 

“Cosa ti fa pensare che io non soffra?”

“Ci sono persone che hanno gli occhi tristi. Prendi Hisato, ad esempio. Lui si vede che ha provato a stare male, oppure altre mie amiche. Io stessa. Tu… no. È come se nei tuoi occhi ci fosse il nulla.” mi spiega, giocando con la sabbia, disegnando dei cerchi immaginari. 

“Non ti piace esser toccato, guardato, nemmeno preso in considerazione. Non so, è come se tu fossi freddo. Di ghiaccio. Per questo ti ho portato qui.” si ferma, prende una pausa “Sei come il mare d’inverno: intoccabile e gelido.” conclude. Mi sento colto nel segno, ma non posso ribattere. L’aria che le scosta i capelli, facendoglieli finire sul viso, mi rende vulnerabile alla tentazione di ferirla. Così, torno a fissare l’acqua, deglutendo. 

“Non ci posso fare niente.” ammetto, infine. 

“Quindi, ho fatto centro? Non riesci a provare nulla, per niente?” 

Piccola, sono la Morte in persona. Come potrei?

“È così.” bofonchio. 

“Be’. Per questo ti vorrei vicino a me. È triste quando una persona sta male, non lo nego. Ma è milioni di volte più triste quando una persona non sente dolore. Perché la sofferenza non dura tutta la vita, del niente… del niente non ce ne se libera mai.” china il capo. Prendo un respiro profondo. Il rumore delle onde riesce a sistemarmi i pensieri, le parole, le frasi da dirle.

“Vorresti farmi provare dolore?” quindi chiedo. Lei scuote energicamente il capo. 

“Vorrei farti provare qualcosa. Vorrei farti provare tutte le emozioni.” dichiara, schietta. 

“Perché?” 

“Perché tu riesci a farmi stare meglio anche solo senza parlarmi.” 

Schiocco la lingua al palato. Mi sento soffocare. 

“Ciò non toglie che tu sia triste.” ribalto la situazione, soffermandomi su di lei. 

“Ciò non toglie che tu non sappia neanche cosa sia la tristezza, quindi non mi comprenderesti. Ma te ne parlerò. Ti parlerò di quello che mi succede, di quello che si prova. Di tutto.” mi sorride, ora. Radiosa. Come se mi avesse appena detto una cosa bellissima. Forse, l’ha fatto davvero. In questo modo, saprò di lei. 

“Da me cosa vuoi, Sakura?” voglio arrivare dritto al sodo, capirci qualcosa una volta per tutte. 

“Vederti emozionare.” 

Sbuffo una risata sarcastica. 

“E cosa accadrà, quando vedrai con i tuoi occhi che non funziona?” ribatto. 

“Resti bellissimo anche quando non sorridi, Shaoran.”

Spalanco gli occhi, soffermandomi sul fatto che questo è troppo. E non va bene. Niente di tutto quello che è successo oggi, se ci penso lucidamente, va bene. Nulla. Mi alzo in fretta, e cammino velocemente. 

“Shaoran!” la sento richiamarmi, ma io aumento solo il passo. Finché arrivo alla macchina. Prendo il mio volto tra le mani, e borbotto frasi incomprensibili. Non deve andare storto nulla. Nulla. Non voglio assolutamente che lei si avvicini troppo a me, o le cose potrebbero peggiorare più di così.  

 
ANGOLO AUTRICE: ehehe, eccomi. Scusate il ritardo. Come potete immaginare, in questa storia ci sarà molto angst, che sarà approfondito nei vari capitoli. Ditemi cosa ne pensate di questo! Grazie di tutto. Bacioni x.

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