Just imagine: you and me and the world at our feet di Fuuma (/viewuser.php?uid=1725)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Be careful, you know what they say about hatters ***
Capitolo 2: *** Jump ***
Capitolo 3: *** I found a treasure in you ***
Capitolo 4: *** We're not just stories in a book ***
Capitolo 1 *** Be careful, you know what they say about hatters ***
Characters: Killian
Jones - Captain Hook; Jefferson - Mad Hatter;
Pairing: Killian/Jefferson { madhook }
Warning: slash;
pre-serie
Be careful, you know
what they say about hatters
La porta della cabina
si spalancò sotto la manata di Captain Hook.
Per quante volte era
entrato in quella stanza, nell’ultima settimana, ancora non era
riuscito ad abituarsi a quanto si mostrava: un uomo incatenato al
suo letto e un unico maledetto girone infernale racchiuso nel suo
corpo perfetto.
Le catene ai polsi li
tenevano sollevati sulla testa, legati al sostegno superiore del
letto a baldacchino che troneggiava elegante contro il lato sinistro
della stanza. Legarlo e spogliarlo dei suoi averi non era servito a
togliergli dalla faccia l'espressione divertita di un bambino nel
paese dei balocchi. Non che l’uomo avesse molto con sé, oltre a un
cilindro fin troppo vistoso e la sacca con cui l'aveva sorpreso –
all’interno solo i gioielli rubati dalla Jolly Roger e uno zufolo di Pan
che aveva aggrovigliato lo stomaco del pirata.
Entrò, richiudendo la
porta alle proprie spalle.
L'uomo (Jefferson,
al vostro servizio – si era presentato) sbadigliò,
richiuse la bocca masticando il vuoto e arricciò il naso in un
fastidio infantile, esagerando teatralmente ogni espressione.
«Credete che possa avere un po' del vostro miglior grog? Sto
crepando di sete. L'ospitalità da queste parti è piuttosto scarsa.»
Killian spalancò le
braccia, incredulo.
«Sul serio, mate,
sei mio prigioniero da quasi una maledetta settimana. Potresti
calarti un po' di più nella parte?»
Jefferson scrollò le
spalle.
Averlo catturato era
stato il peggior affare della vita di Hook e, se non fosse stato
attaccato mano e uncino al proprio orgoglio di pirata, avrebbe
giurato che quel tale si fosse lasciato prendere di proposito. Era
comparso dal nulla con quella sua aria scanzonata, l'aveva trovato
ballare in quella stessa cabina, volteggiando dal baule all'armadio,
scassinando serrature al ritmo di musica – una canzonetta che era
rimasta incastrata nella testa di Killian e che il prigioniero
fischiettava quando l'altro lo lasciava da solo con i propri
pensieri.
A
very merry unbirthday to me.
To who?
To me.
Oh you![1]
Jefferson passò la
lingua sulle labbra.
«Suvvia, mi serve
qualcosa di forte per potermi sciogliere» miagolò, ammiccando. «Vi
prometto che ne varrà la pena.»
«Non devi avere tutte
le rotelle a posto, mio caro.»
«Non ve l'hanno mai
detto, pirata? Tutta la gente migliore è pazza.» Gettò il capo
all'indietro, abbandonandosi ad una risata grassa e fragorosa. Le
sue risa avevano il suono irritante della follia che danzava sul
filo di un rasoio, erano fatte di denti bianchi e labbra spalancate
dall'osceno colore delle rose appena sbocciate, di occhi lucidi e
socchiusi e di fusa arrotolate sulla lingua.
Killian strinse tra le
dita la punta argentata dell'uncino, assaporando l'idea di
affondarla nella gola dell'uomo e tranciare ogni risata, ogni fusa e
ogni languida occhiata, ma, com'era cominciata, la risata di
Jefferson si spense.
«Non è strano che, dopo
una settimana, non abbiate ancora deciso cosa farne di me?»
La domanda lo colse in
contropiede. Non erano state le parole a scalfirlo, quanto invece lo
sguardo sottile con cui Jefferson lo fissava, come se già conoscesse
la risposta e non aspettasse altro che di sentirgliela pronunciare.
Killian deglutì.
La mano continuava ad
armeggiare con l'uncino, ruotandolo ed incastrandolo nei perni del
moncherino. Avrebbe dovuto buttarlo in pasto agli squali molto tempo
prima, prima di scoprire che la sua era una follia contagiosa e che
ormai gli era già entrata sotto la pelle.
«Niente grog. Niente
tè. Niente biscotti.» Jefferson incurvò le labbra in un broncetto.
«Posso avere almeno un assaggio di quella?»
Killian si guardò alle
spalle, cercando la risposta in una porta chiusa. «Quella?»
«La vostra bocca,
pirata. Le vostre labbra. La vostra lingua. In cambio potete avere
la mia.» Aprì la bocca, allungando la lingua a mostrarla come una
prostituta in un bordello pronta a tuffare il volto tra le gambe di
un cliente. Non c’era un’oncia di pudore negli occhi di Jefferson,
c’era invece l’assoluta convinzione di poter fare qualsiasi cosa
desiderasse e di potersi immergersi in ciò che più lo aggradava
senza regole, senza restrizioni, senza catene.
Proprio le catene ai
polsi dell’uomo tintinnarono – tin-tin-tin-tin-tin-tin tin-tin,
perfino il metallo cantava.
Hook rabbrividì; era
stato lui a catturare Jefferson o il contrario?
Avanzò, battendo il
tacco basso e squadrato degli stivali sulle assi di legno –
toc-toc toc-toc, scandendo falcate veloci al ritmo di una
canzone incastrata nella testa. Si appese con la mano sana alle
catene dell’uomo, mentre con l'uncino ne sollevò il mento alla
portata delle proprie labbra.
«Mi farai impazzire»
confessò.
Jefferson sorrise e
Killian gli coprì la bocca con la propria.
«Mio buon Capitano,
è il mondo ad essere pazzo. Tanto vale adeguarsi.»
[ 757 parole ] |
[1] la canzone del Cappellaio matto e della lepre marzolina nel
cartone di Alice nel paese delle meraviglie.
---
Note sulla raccolta:
grazie al gruppo di WAOFP sono riuscita a scrivere perfino sulla
sfigaship madhook, che è praticamente la mia otp di questo
fandom, anche se in realtà a me basta che ci sia Jeferson, che
possibilmente sia una coppia slash e sono comunque felice.
In ogni caso, non so se mi
capiterà o meno di scriverne altre in futuro, ma per ora ho deciso
di sistemarle tutte in una stessa raccolta.
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Scritta per:
il Colore
Giallo della
7 Days of Pride @We
are out for prompt
–
prompt: Ilaria
Ciccarelli ~ Hook/Jefferson: le follie si fanno in due |
|
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Capitolo 2 *** Jump ***
Characters: Killian
Jones - Captain Hook; Jefferson - Mad Hatter;
Pairing: Killian/Jefferson { madhook }
Warning: slash;
pre-serie
Jump
I.
Jefferson tese la mano
in un ampio gesticolare del braccio, pomposo come l'invito di un
principe alla sua principessa.
Killian inarcò un
sopracciglio, guardava con scetticismo il cilindro caduto ai loro
piedi. Poteva sentire l'aria frizzante diventare elettrica nel punto
in cui sfiorava la tesa e un senso di vuoto aprirsi nello stomaco se
focalizzava lo sguardo nel centro, in quel buco nero che sembrava
allargarsi di secondo in secondo, ma rimaneva pur sempre un
cilindro.
«Mi perdonerai se non
mi fido, mate» commentò, senza risparmiarsi il sarcasmo.
«La diffidenza è la tua
migliore dote, amico mio.» Jefferson sorrise, aveva canini
pronunciati e la piacevole curva delle labbra si trasformava sempre
nel sorriso stregato dei gatti, piccole adorabili bestiole
opportuniste.
Non aveva ritratto la
mano. Killian la guardò a lungo prima di cedere e afferrarla tra le
proprie dita, in una presa decisa dell'unica mano – si stupì nel
pensare a come quella di Jefferson fosse più piccola di quanto non
apparisse.
«Ora prendi un bel
respiro e chiudi gli occhi» gli suggerì l'uomo.
«Tante moine per un
cappello.»
«Non farti pregare, mio
caro.»
Killian sospirò, le
palpebre calarono sugli occhi e il mondo si tinse brevemente di
nero.
Per i primi istanti non
accadde nulla. Sentiva lo sguardo di Jefferson su di sé: pur senza
vederlo, poteva immaginarlo spalancare gli occhi in quella sua
espressione allucinata – in quei momenti, era convinto il pirata,
vedeva ogni cosa chiaramente, vedeva il mondo per quello che era
realmente. E vedeva lui come realmente era.
Hook aggrottò la fronte
ad occhi chiusi. «È tardi per confessarti che la pazienza non è mai
stata il mio forte, darling?»
Il silenzio di
Jefferson si caricò del suo respiro.
Vicino.
Caldo.
Soffice.
Come le sue labbra
premute contro quelle del pirata e il suo braccio sollevato a
circondargli le spalle.
Hook aprì gli occhi.
Davanti a sé il volto di Jefferson era un ritratto a olio dipinto
dalla mano di un pittore innamorato: la pelle chiara era spennellata
di un leggero porpora sulle guance, i capelli – una zazzera
spettinata dal taglio asimmetrico – rigavano di castano la fronte,
le labbra avevano una bellezza femminea, di un rosa intenso e
succoso, ed infine gli occhi. Oh, i suoi occhi erano abissi
di lucida follia, oceani in cui Killian avrebbe potuto navigare per
sempre e quando vi si tuffò, non si accorse di star cadendo per
davvero.
Jefferson li aveva
spinti entrambi nel cilindro. In quel bacio, i due erano caduti,
risucchiati dalla magia del cappello.
II.
Poggiato con la schiena
contro il tronco di un albero, Jefferson sbuffò annoiato
dall'attesa.
Avere un pirata {
Capitano, my love. Capitano. } come compagno di giochi
aveva i suoi lati positivi: non c'erano morali o giudizi sulle sue
azioni, non c'erano restrizioni su ciò che avrebbe o non avrebbe
potuto fare e si respirava tra loro una piacevole brezza di libertà.
Erano vento, erano acqua, ed erano, soprattutto, imprendibili.
D'altra parte capitava spesso che i loro obbiettivi e i loro impegni
li portassero a separarsi temporaneamente e il potersi ritrovare era
sempre una scommessa. Ci sarebbe stato il giorno in cui uno dei due
l'avrebbe persa.
Jefferson si rigirò tra
le mani il cilindro, controllando un'ultima volta la strada battuta
che aveva percorso e le orme dei suoi stivali rimaste nel fango.
L'idea di andarsene – gettare il cappello e abbandonare quel mondo e
i suoi abitanti, per tornare al proprio – lo accarezzò e le dita
passarono sul nastro che incoronava il cilindro.
Dondolò con il capo da
un lato all'altro delle spalle, incurvando le labbra in una smorfia
che riempì il volto.
Temporeggiò, inventando
nuove scuse per guadagnare altri minuti e continuare ad aspettare.
Poi...
«SMEE!»
Quell'urlo.
Jefferson si staccò dal
tronco con un colpo di reni.
Lo aveva sentito forte
e chiaro provenire dagli alberi. Passi in corsa spezzavano i
ramoscelli caduti in terra e facevano scricchiolare il tappeto di
foglie secche.
In lontananza, sul
sentiero, Killian Jones correva come se avesse avuto i cani
dell'inferno alle calcagna; dietro di lui, il povero Smee lo seguiva
con passo traballante, trascinandosi una sacca gonfia e pesante.
Jefferson allargò le
braccia, fermo sulla traiettoria del Capitano. «Aspettarti è stato
un tormento, Killian, l'ora del tè è passata da un pezzo.»
L'altro continuò a
correre. Gli caracollò incontro, lo afferrò per un polso e lo
trascinò con sé nella fuga a perdifiato.
«Un impegno mi ha
trattenuto, darling.»
Jefferson si guardò
alle spalle. «I tuoi impegni hanno i forconi.»
«Aye.»
Da qualche parte
esplose un colpo e un pallettone di ferro si conficcò in uno degli
arbusti, crepandone il tronco.
«Uh, hanno anche i
fucili.»
«Aye. È il
momento giusto per usare quel tuo cappello, non credi?»
Si guardarono e Killian
sorrise. Aveva il volto madido di sudore e il colletto del giaccone
lacerato in più punti, là dove la punta di una spada aveva
incontrato il cuoio; eppure era come se risplendesse di luce
propria, di un'energia corroborante che si rifletteva nello sguardo
briccone quando ammiccò verso Jefferson.
La mano del pirata
abbandonò il suo polso per incrociare le dita con le sue; lo
trascinava con una forza che l’altro non avrebbe mai posseduto e
correvano così veloci da fargli venire le vertigini – Jefferson
aveva l'agilità di un felino, era un ladro e un bugiardo e come tale
la fuga era la sua specialità, ma Killian era ali ai piedi e vento
in poppa.
«A proposito, non
pensavo mi aspettassi.»
Jefferson scrollò le
spalle. «Quando ho sentito battere le cinque, ho pensato seriamente
di andarmene.»
«La mancanza della mia
ineguagliabile bellezza ti ha fatto cambiare idea?»
«No, è che,
riflettendoci, è sempre l'ora del te.»
Killian non tentò
nemmeno di seguirne i ragionamenti; aveva la mano di Jefferson
stretta nella propria, un bottino di tutto rispetto (sulle spalle
di Smee) e una nave pronta a solcare ogni oceano conosciuto e
non, dall'altra parte di un cilindro. Affianco a quell’uomo, perfino
la sete di vendetta di Captain Hook svaniva, perduta tra le falde di
un cappello magico.
III.
Il cilindro ruotò sul
ponte della Jolly Roger e la luna illuminò lo sguardo eccitato di
Jefferson. Batteva le mani a ritmo, impaziente di gettarsi in un
altro mondo.
Killian si inginocchiò
e allungò la mano al cappello, fermandone il ruotare – il portale si
richiuse su se stesso, ingoiato nell’interruzione di una magia che
non aveva nemmeno fatto in tempo ad essere creata.
«Non questa volta,
mate» disse, davanti allo sguardo deluso di Jefferson.
«Stanco di saltare?»
«E perdermi una nuova
avventura? Mai. Ma non mi hai ancora detto come funziona
quest'affare.» Sollevò il cappello, guardandovi all'interno. Tra le
proprie mani non era nulla più che un eccentrico cilindro, ma quando
Jefferson si tese per recuperarlo, al suo semplice tocco il velo che
separava la Foresta Incantata dagli altri mondi si mostrò seppur
sottile, aprendo una finestra in cui scorrevano immagini di paesaggi
sconosciuti: un castello di ghiaccio, una città di smeraldo, un
palazzo in bianco e nero…
«Stai pensando di
rubarmelo, Capitano? Come bottino non vale granché senza di me, non
potresti usarlo.»
«In questo caso, per
tua fortuna ho già trovato quello che cercavo nell'ultimo mondo che
abbiamo visitato.»
«Il tuo Coccodrillo?»
Killian tacque, stupito
e Jefferson unì le labbra in un broncetto fanciullesco.
«Sono pazzo, Hook, non
stupido.»
Killian scosse il capo.
Non aveva mai pensato lo fosse e forse iniziava a dubitare anche
sulla sua follia.
Si sedette sul ponte,
con le gambe divaricate e le ginocchia sollevate. Batté la mano
sulle assi, in un invito implicito che Jefferson fu felice di
accogliere, gattonandogli più vicino per prendere posto tra le sue
cosce.
«Quando i miei affari
in sospeso con quel dannato Coccodrillo saranno conclusi, ti
assicuro, se ne accorgerà l'intera Foresta Incantata. Nel
frattempo…» Infilò la mano nella tasca del giaccone, lo stesso che
ancora portava i segni sul colletto dell'ultimo mondo visitato.
Quando la estrasse, un anello d'argento, con un rubino grezzo
incastonato nel centro, riposava sul palmo. Non era raro che quel
genere di gioielli finisse nelle sue tasche e quindi a inanellare le
proprie dita – il rosso, in fondo, era il suo colore. Regalare
quell'anello a Jefferson, tuttavia, fu altrettanto naturale.
«Per me?» gli chiese
l'altro.
«Per te» confermò.
«Oh, per me!»
Killian ebbe
l'impressione di aver già assistito ad uno scambio di battute come
quello. Sorrise quando gli ritornò alla mente.
Incastrò l'uncino al
polso di Jefferson, sollevandogli la mano per infilargli
personalmente l'anello. Gli baciò il dorso, in quella sua eleganza
da gentiluomo che nemmeno una vita da pirata gli aveva potuto
togliere e, con le dita ancora strette in quelle di Jefferson, il
sussurro scivolò caldo sulla pelle.
«Buon non
compleanno, my love.»
[ 1.449 parole ] |
Scritta per:
il Colore
Turchese della
7 Days of Pride @We
are out for prompt
–
prompt: Ilaria
Ciccarelli ~
Hook/Jefferson: la magia del cappello di Jefferson era qualcosa di
cui entrambi sapevano ben servirsi |
|
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Capitolo 3 *** I found a treasure in you ***
Characters: Killian
Jones - Captain Hook; Jefferson - Mad Hatter;
Pairing: Killian/Jefferson { madhook }
Warning: slash;
pre-serie
I found a treasure in
you
Giustizia era
stata la parola che aveva rovinato tutto.
Si era insinuata tra
loro come una malattia venerea che aveva spento all'istante la
libido di Jefferson e gli aveva chiuso le gambe, lasciandolo
sdraiato nel letto della Jolly Roger con un broncio offeso sul volto
e le guance infantilmente gonfiate.
Gli occhi avevano
ruotato all'indietro, il bianco lattiginoso del bulbo aveva fatto
passare ogni voglia anche a Killian e il pirata si era tirato
indietro. Seduto sul bordo, braccia incrociate e uncino poggiato al
bicipite, aveva iniziato a pensare che forse si fosse lasciato
sfuggire una parola di troppo.
Giustizia.
Ops.
Se ne era pentito nell'esatto istante in cui gli era rotolata sulla
lingua, mentre leccava l'interno coscia dell'uomo e sussurrava sulla
pelle il piano di vendetta contro il Coccodrillo che si era preso la
sua mano { Oh, quando avrò quel maledetto coccodrillo tra le mie
grinfie, il mio uncino conoscerà l'interno delle sue viscere. Oh,
aspetta solo che abbia la mia vendetta e vedrai se non sarà quella
la giustizia }
Sospirò. «Darling...»
Gli occhi azzurri di
Jefferson tornarono a guardare il pirata.
Si mise a sedere a
gambe incrociate, il membro molle che scivolava tra le cosce
bagnando con la punta ancora umida di liquido preseminale le
lenzuola spiegazzate sotto di sé.
Bello, nudo, fiero. Di
quello che era amava ogni oncia e di sentimenti come la vergogna non
aveva ancora avuto occasione di provarli { Non è come se fossi
padre e dovessi preoccuparmi di una figlia, e sì, Capitano, sarebbe
femmina: la mia coniglietta } e non avrebbe trattenuto il
respiro in attesa di farlo.
I capelli erano un
elegante disastro, con ciuffi castani che puntavano in ogni
direzione dipingendo la follia su quel volto giovane e perfetto.
«Vorrei poterti dire
che mi dispiace perché non sei tu, ma sono io…» Jefferson aveva
ripreso a parlare. Spalancò le braccia e tirò la testa indietro,
lasciandosi nuovamente ricadere sdraiato nel letto, in un tonfo
pesante «Ma no, sei definitivamente tu, Kill. Mi uccidi.»
«Stai diventando
drammatico, my love.»
«La vita è un'infinita
opera teatrale composta da un atto drammatico dopo l’altro.»
«E qui mi hai davvero
perso.»
Jefferson fece
spallucce. «Sono sicuro che saprai come ritrovarti, qualora il tuo
alligatore masticamani dovesse fare la sua comparsa.»
Killian sentì
perfettamente la frecciatina colpirlo.
Giustizia non era stata
la parola che aveva rovinato tutto. La sua ossessione lo era stata e
tra le righe della lucida follia di Jefferson (non era pazzo,
era, anzi, diversamente sano e straordinariamente sagace) era
chiara la gelosia che pizzicava i nervi dell'uomo, quasi riusciva a
sentire la melodia infastidita che il suo cervello doveva aver
iniziato a suonare, come un pianoforte dalle note scordate.
Il pirata si alzò dal letto e regalò la coda dell'occhio al suo
corpo ancora nudo, mentre raggiungeva la seggiola alla scrivania –
poteva essere arrabbiato quanto voleva, ma non c'erano regole o
questioni d'onore che gli vietassero di cibarsi di quel bocconcino
che era il saltatore di portali.
La sua giacca posava con cura sullo schienale alto. La recuperò, per
tornare da Jefferson e tendergli una mano.
L'altro la studiò come
se fosse coperta di spine.
«Posso darti l'uncino,
se ti fa sentire meglio.»
Era il tono mellifluo
che faceva sorridere Jefferson, il modo in cui qualsiasi scusa per
Killian fosse buona per flirtare, per fargli gli occhi dolci o anche
solo per scivolargli accanto e stargli tanto vicino che alle volte
dimenticavano entrambi di essere due entità separate. Oh, avrebbe
vissuto bene nella pelle del pirata, attraverso i suoi occhi e nel
metallo del suo uncino.
Non si sarebbe
annoiato, questo no.
Era la solitudine il
problema. Insieme erano due, separati erano soli e quella era
una malattia crudele.
Allacciò le mani alle sue. Killian lo aiutò a tirarsi su e gli posò
il proprio giaccone sulle spalle, avvolgendone il corpo snello e
asciutto nel cuoio nero, chiudendoglielo addosso con un abbraccio da
dietro.
Jefferson posò le mani
sulle sue braccia. «Mi son sempre piaciuti i pirati gentiluomini.»
«Per te, questo ed
altro, mate.»
La camicia era aperta
sul petto di Killian e a fasciare le sue gambe c'erano ancora i
calzoni, su cui la fibbia della cintura rimbalzava a ritmo dei suoi
passi. Non si preoccupò della decenza, quando condusse
entrambi sul ponte, davanti agli sguardi curiosi di una ciurma ormai
abituata a questo genere di uscite.
Lo portò fino a poppa,
dove la scia del veliero serpeggiava tra le acque del mare.
Jefferson chiuse gli
occhi e respirò a pieni polmoni. Il profumo di salsedine era lo
stesso che impregnava la pelle di Killian e gli piaceva la
sensazione che gli dava.
Il pirata allargò le
braccia per imprigionarlo contro la balaustra, tra il legno e il
proprio corpo, premendogli il petto contro la schiena e poggiando il
mento sulla sua spalla.
«Apri gli occhi, my
love, voglio mostrarti una cosa» gli sussurrò all'orecchio e ne
leccò il lobo.
Jefferson obbedì.
Il sole calava oltre
l'orizzonte e tra le onde cristalline del male si allungavano le
artigliate arancioni degli ultimi raggi morenti di un tramonto che
sembrava dipinto su tela.
«Non farti ingannare
dalla mia sete di giustizia –»
«Si chiama vendetta,
pirata, nulla di così elegante come vorresti.»
Il sorriso di Killian
si stampò sul collo di Jefferson e la punta dell'uncino scorse lungo
la sua giugulare, dandogli i brividi. «Dunque, non farti ingannare
dalla mia sete di vendetta. Avrò il coccodrillo alla mia mercé un
giorno e quando lo avrò ucciso sarà finita. Ma a te offro il mare e
le sue avventure e quelle, darling, come i suoi pericoli,
sono infinite.»
Jefferson si spinse
indietro, pesando contro il petto del pirata. Ruotò il capo, per
mostrargli un sorriso affilato e felino e si strofinò contro di lui,
in un lento ondeggiare di anche che sembrava andare a tempo con il
rollio del veliero.
«You can be Alice I'll
be the Mad Hatter[1]»
intonò, cantandolo sottovoce e ruotando tra le sue braccia, per
trovarsi di fronte a lui, a dare le spalle alle onde e al cielo che
andava rabbuiandosi.
Killian lo guardò, ammirando il gioco di vedo e non vedo che il
giaccone creava con il suo corpo.
«Mi chiedo come tu
faccia a conoscere tutte queste canzoni, mate.»
«C'è sempre una qualche
canzone ad accompagnarmi, nella mia testa. Come credi che possa
permettermi di avere tutto questo stile, altrimenti?» Jefferson
allargò le braccia. Il giaccone si spalancò sui fianchi, a mostrare
le sue nudità, mentre si metteva in posa come un giovane Adone in
attesa di veder scolpita una scultura a propria immagine e
somiglianza.
Killian inarcò un
sopracciglio, battendo l'uncino contro il mento. «Con un ottimo
sarto, a dire il vero. Beh, in questo caso, con il mio ottimo
sarto.»
Jefferson rise. Si
appese al bavero della camicia del pirata e gli strappò un bacio,
mordendogli le labbra, intrappolandogli quello inferiore in un
sorriso fatto di denti e occhi così azzurri che nemmeno il mare
avrebbe potuto colpevole.
«Vuoi sapere un
segreto, Captain Hook?»
«Aye.» La risposta di
Killian arrivò contro il suo mento, quando il pirata si vendicò
mordendoglielo. Occhio per occhio – a proposito di giustizia.
Jefferson si leccò le
labbra, emettendo un lungo gemito vibrato come le fusa di un gatto.
«Sono di nuovo
eccitato.»
«Oh, my love, a
quello si può rimediare.»
[ 1.225 parole ] |
[1] Mad Hatter di
Melanie Martinez // lo so, la uso sempre quando scrivo di MadCaptain,
ma la adoro e ce l’ho sempre in sottofondo.
---
Lo so, avevo parlato di
waofp, ma avevo dimenticato di avere anche questa fic e ho preferita
inserirla insieme al mucchio.
Scritta per:
l'8° Settimana del
Cow-t8 @lande
di fandom - prompt: Missione 6; giustizia |
|
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Capitolo 4 *** We're not just stories in a book ***
Characters: Killian
Jones - Captain Hook; Jefferson - Mad Hatter; Grace;
Pairing: Killian/Jefferson { madhook }
Warning: slash;
pre-serie;
established relationship (iniziata e
pure finita);
We're
not just stories in a book
Killian fece fatica a
riconoscere l’uomo davanti a sé. Se non fosse stato per il sorriso –
aveva canini pronunciati e la curva frastagliata di nostalgia
ricordava quella folle di un gatto stregato – e per gli occhi dai
colori di un oceano infinito, il nome di Jefferson non gli sarebbe
mai saltato alla mente.
«Guarda, guarda, se
questa non è una piacevole novità.» Calò con gli occhi ad assaporare
quella nuova immagine che, in qualche modo, sembrava così ben
incollata al vecchio Jefferson, da non fargli sentire la mancanza
del giaccone in pelle nera, del trucco sotto agli occhi e del taglio
sbarazzino di capelli corti e ribelli.
Perfino lo stupore nel
suo sguardo si era fatto diverso: genuino, dolciastro, nulla a che
vedere con la meraviglia infantile e stravagante dell’uomo che era
stato, del saltatore di portali per cui un solo mondo non bastava
mai.
L’altro lo riconobbe
all’istante. «Capitano. Chi non muore si rivede e, per di più, sulla
terra ferma.»
«Ironia della sorte,
darling.»
Il sorriso di Jefferson
si accentuò. Anni erano passati dall’ultima volta che si erano
incontrati (prima che la vita si mettesse in mezzo, a separarne le
strade) e sentirsi di nuovo appellare con uno dei vezzeggiativi
preferiti del pirata tirava su una ventata di nostalgia, trascinando
memorie di giorni che sembravano appartenere a qualcun altro o letti
tra le pagine di un libro d’avventura.
«Sei qui per piacere o
per depredare qualche poveraccio sfortunato?»
«My love, sono
un pirata che si rispetti, io: depredo solo in mare.»
Jefferson inarcò un
sopracciglio.
Killian rise. «…e chi
se lo merita.»
«Non sei cambiato per
niente.»
Annuì. Non avrebbe
potuto dire la stessa cosa di lui e, quando al giaccone dell’uomo si
appese una manina infantile, Killian si rese conto di cosa lo
avesse cambiato tanto. Il faccino infantile ricamato di boccoli di
una bambina lo guardava da sotto un cappuccio rosso, stringendo con
una mano al petto il pupazzo cucito male di un coniglietto.
Jefferson seguì lo
sguardo del pirata e sorrise, incontrando gli occhi grandi di sua
figlia.
«Lei è Grace.» Annunciò
con orgoglio. «È il mio –»
«Tesoro.» Completò
Killian – non esisteva un concetto più semplice, in fondo, per un
pirata.
Mosse un inchino alla
bambina, combattendo il peso che aveva iniziato a schiacciargli il
petto.
Jefferson prese la
piccola in braccio, gentile e saldo al tempo stesso, e quando
reclinò il capo contro quello di lei, Killian riuscì a scorgere ogni
similitudine: avevano labbra identiche, carnose e dello stesso
morbido rosa pastello, la stessa aria sveglia, lo stesso sguardo
acuto e il sorriso… Il pirata abbassò gli occhi davanti a quel
sorriso, incapace di sostenerlo. Tastò con la mano sana sotto il
proprio cappotto la latta di rum – che fosse dannato se non avesse
preferito continuare a vivere nell’ignoranza e non sapere mai che
Jefferson (il suo adorabile, lunatico, sleale, Jefferson)
aveva girato pagina, interi capitoli, lasciando lui al suo oceano e
alla sua nave. Aveva bisogno di un goccio, anche più di uno.
L’altro, però, indicò
il pirata con un cenno del mento.
«Lui è Killian Jones»
sussurrò alla figlia.
La bambina sembrò
illuminarsi di colpo e, per lo stupore (lo stesso identico stupore
genuino ch’era stato del padre) perse la presa al pupazzo di pezza.
«Il Capitano
Hook?» pigolò, col rispetto che i bambini danno solo agli eroi.
Killian raccolse il
pupazzo e lo tese alla piccola. «In carne e ossa, tesoro.»
Arrossita, Grace
ridacchiò, tornando a stringere il coniglietto e affondando il volto
tra le orecchie di questo.
La latta di rum non
sembrò più così invitante ora, mentre il pirata allungava la mano
tra i suoi capelli in una carezza gentile, che svirgolò sino alla
guancia di Jefferson, macchiata dalla cortissima barba.
«Le hai raccontato di
me?»
Jefferson ruotò il
capo, posando un bacio al suo palmo. «Le ho raccontato di tutto ciò
che è importante per me.» E nonostante il tempo trascorso e gli anni
passati, fu come se non si fossero mai separati. «Resta. Per cena.
Per colazione. Per il tempo che vuoi.»
Killian chinò il capo,
non chiese quando posò le labbra alle sue. Glielo rubò quel bacio, in onore dei
vecchi tempi, quando entrambi erano canaglie e ladri, quando nulla
c’era a legarli ed eppure non esisteva nessuno più giusto dell’uno
per l’altro.
«Solo perché sei tu a
chiederlo, my love.»
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