Baltimora, 2001 (ovvero, quella volta che Tony Stark perse gli occhiali da sole)

di _Lightning_
(/viewuser.php?uid=123574)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di sbronze e discorsi improvvisati ***
Capitolo 2: *** Di sbornie e discussioni impreviste ***



Capitolo 1
*** Di sbronze e discorsi improvvisati ***


Parte I

 

Di sbronze e discorsi improvvisati

 

 

 

She’s blinding, I’m flying
Right behind the rear-view mirror now
Got the feeling, power steering
Pistons popping, ain’t no stopping now

[Panama – Van Halen]

 

 

 

«È un disastro, signorina Potts!»

«Non potrei essere più d’accordo! Cosa diavolo le è saltato in mente?»

«Devo essermi distratto...»

«Come ha fatto a distrarsi al punto da perdersi un “dettaglio” del genere?»

«Ho una mente geniale molto difficile da tenere a bada, ormai dovrebbe saperlo.»

«Infatti sta divagando.»

«Concordo, è meglio concentrarsi sul problema più urgente.»

«Mi sembra un po’ tardi per pensarci!»

«Non sia così pessimista, non ho ancora perso le speranze.»

«Io sì, considerata la situazione.»

«Aspetti, stiamo parlando della stessa cosa?»

«C’è altro di cui parlare, a parte il fatto di avermi messa in ridicolo?»

Tony si distolse infine dalla sua occupazione principale, ovvero guardarsi intorno freneticamente, scrutando ogni centimetro quadro del mattonato rossiccio che circondava la piscina, tentando allo stesso tempo di farlo tenendo lo sguardo basso per non dare nell’occhio. Non ci stava riuscendo molto bene, visto che dava l’impressione di occhieggiare in modo molto sfacciato le svariate ragazze in costume da bagno che sgallettavano a un palmo dal suo naso.

Riportò l’attenzione alla sua assistente, ritta di fronte a lui e con in volto l’espressione più furibonda che le avesse mai visto da quando l’aveva assunta. Il suo nervosismo e il timore della sua ira funesta vennero sostituiti all’istante da un senso di profondo autocompiacimento nel capire a cosa si stesse riferendo la donna.

«Oh, è di quello che parlava,» rilevò, indicando il suo vestito elegante con aria falsamente sorpresa.

«Che intuito, signor Stark,» sibilò quest’ultima, e Tony ringraziò che gli sguardi non potessero uccidere.

«Trovo invece che le stia magnificamente, signorina Potts. S’intona ai suoi occhi.»

«È un tubino

«Ancora meglio.»

«È una festa in piscina! È totalmente fuori luogo, sembro vestita per un gran galà!»

«Vorrà dire che oggi ruberà il posto sul piedistallo che di solito spetta a me,» sciorinò lui con un sorriso inattaccabile «Sapevo che questa si sarebbe rivelata un’ottima idea...» aggiunse a mezza voce, in un eccesso di audacia.

«L’ha fatto apposta?»

Chissà, forse dopotutto gli sguardi potevano uccidere, e Tony si affrettò a correre ai ripari per non sperimentare la cosa sulla propria pelle.

«Ok, forse avrei dovuto dirle la verità!» disse in fretta, alzando entrambe le mani e rischiando di far traboccare il suo calice di prosecco «Ma così non sarebbe mai venuta, visto che il dress-code da me scelto prevede questo...» accennò alla sua larga camicia di lino bianca con le maniche arrotolate, corredata da bermuda color kaki ed espadrilles variopinte «... e quello.» indicò con un cenno del capo il vasto assortimento di bikini e parei di varia foggia alle sue spalle, che sembravano fare a gara per risultare il più striminziti e il meno coprenti possibili.

«Sarebbe bastato dirmi di indossare qualcosa di estivo,» puntualizzò lei, infervorandosi ancor di più.

«E poi dov’è il divertimento?» le rivolse una smorfia dispettosa «Lo ammetta, se avesse saputo la location non si sarebbe mai presentata,» aggiunse, con un pizzico di serietà in più.

«Detesto le feste in piscina,» confessò controvoglia lei, stringendosi a disagio le braccia lasciate scoperte dal vestito e spostando il peso da un vertiginoso tacco dall’aria scomodissima all’altro.

«Lo so. Ma io le adoro, e volevo che ci fosse anche lei. È merito suo se festeggiamo.»

«Non esageri.»

Lei distolse appena lo sguardo e un tenue rossore andò a nascondere le sue efelidi.

«Non esagero,» garantì lui. «Senza di lei l’azienda sarebbe allo sbando.»

«Lei sarebbe allo sbando.»

«Verissimo,» e confermò le sue parole afferrando con una mossa da giocoliere un altro bicchiere di prosecco da un cameriere di passaggio, scambiandolo col suo ormai vuoto. «E lo sono anche al momento,» aggiunse, storcendo con fare insoddisfatto le labbra e riprendendo a setacciare il perimetro della piscina, di nuovo incupito.

«Qual è il suo problema?» si decise a chiedere Pepper.

«I miei occhiali da sole. Sono spariti,» affermò contrariato, tastandosi il taschino della camicia dove ricordava di averli riposti in via del tutto eccezionale, visto che in pubblico erano praticamente sempre saldati sul suo naso.

Anche senza guardarla poté percepire il suo sguardo perplesso posarsi su di lui, cosa che lo fece sentire lievemente a disagio. Sarebbe stato molto più semplice camuffarlo, se solo avesse avuto quelle dannate lenti a schermargli gli occhi.

«Li avrà lasciati in camera.» Pepper accennò al sontuoso hotel alle loro spalle.

«No,» replicò lui con fermezza. «Li ho sempre con me e li ho indossati per tutto il giorno.»

«Signor Stark, è quasi sera ed è nuvoloso, non mi sembra così grave.»

«Devo tenere un discorso,» ribatté lui, ritenendo che ciò bastasse a spiegare tutto. «Mi servono. Quindi devo trovarli al più presto,» concluse, scolando in un sorso il suo secondo calice con un gesto seccato.

Lei sospirò, senza curarsi di nasconderlo.

«Signor Stark, io mi occupo del suo lavoro d’ufficio, non dei suoi effetti personali,» asserì monocorde.

Tony le lanciò un’occhiata incuriosita, incrociando per un istante le sue iridi cerulee per poi tornare a osservare il party che si stava svolgendo attorno a loro. Di solito Pepper era molto più bendisposta e si limitava a lanciargli silenziose occhiatacce di rimprovero quando faceva qualcosa di indecoroso o disdicevole – ovvero molto spesso – unite a qualche secco commento che lo riportava prontamente nei limiti della decenza come nessun altro era mai riuscito a fare.

Quella sera sembrava che la sua pazienza si fosse notevolmente assottigliata in seguito al “malinteso” del vestiario. Era palese che stesse diventando sempre più insofferente, in quel vestito stretto e troppo vistoso e su quei tacchi che offrivano ben poca stabilità sul pavimento costellato di pozze d’acqua attorno alla piscina e sulla ghiaia del giardino circostante. Avvertì una punta di colpevolezza decisamente imprevista.

«Facciamo così,» esordì illuminandosi. «Se trova i miei occhiali, io le rimedio un paio di scarpe più comode di quelle e un vestito più consono,» propose con brio, fiero della sua idea.

Pepper arrossì ancora e sembrò sul punto di negare l’evidente fastidio che gli stavano causando i décolleté e il tubino, poi sospirò, capitolando a quella proposta evidentemente troppo allettante.

«Penso di poterle recuperare un paio di occhiali, da qualche parte.»

«Preferirei ritrovare i miei. Sono Ray-Ban e sono nuovi,» puntualizzò lui.

«Ci provo, ma se li ha persi in città dubito di poter fare qualcosa,» gli fece notare lei. «Vista la fama di Baltimora1, non mi stupirei se glieli avessero rubati mentre era impegnato a fare shopping,» aggiunse, per poi scrutarlo con improvvisa intensità.

Tony puntò ostentatamente lo sguardo dalla parte opposta, fingendo di concentrarsi sul DJ che si dimenava in un angolo a ritmo coi Duran Duran. Poteva prevedere quale domanda aleggiava nella mente di Pepper e non aveva molta voglia di rispondere, soprattutto senza i suoi fidati compari appollaiati sul naso.

«A proposito, perché proprio Baltimora?» chiese infatti la donna.

Lui alzò le spalle con noncuranza, sempre senza guardarla.

«Perché no?» buttò lì, alzando indolentemente un sopracciglio e chiudendo così il discorso. «Allora, affare fatto?» aggiunse con più verve, e si girò di nuovo verso di lei rivolgendole il sorriso più sfacciato che gli riuscì, appaiandovi anche un’occhiata ammaliante, visto che almeno poteva sfruttare appieno il magnetismo dei suoi occhi scuri.

Incontrò quelli inquisitori di Pepper, che sembrarono valutare la serietà di quell’affermazione e che non vacillarono assolutamente di fronte al suo sguardo languido.

«Delle scarpe e un vestito per un paio di occhiali. Mi sembra uno scambio onesto e anche decisamente sbilanciato in suo favore, signorina Potts,» insistette ancora, cogliendo la sua diffidenza e donando al suo sorriso una sfumatura più suadente per blandirla, inclinandosi appena verso di lei.

Pepper gli aveva già dimostrato più volte che i suoi trucchi da dongiovanni non erano assolutamente in grado di scalfirla come accadeva al resto del genere femminile, ma a parer suo valeva la pena tentare.

«Signor Stark,» esordì infatti, con mortale serietà e uno sguardo truce, «le giuro che se si presenta con un vestito inferiore a questa lunghezza,» e segnò col dito un punto con suo rammarico di poco superiore al ginocchio, «o ad ogni modo inappropriato o ottenuto per vie traverse, e ha capito perfettamente cosa intendo, finirà la sua serata là dentro,» e indicò la piscina con fare minaccioso.

«Non c’è pericolo che mi presenti con nulla di simile addosso: penso di poter fare colpo su di lei anche così come sono,» civettò lui godendosi divertito la sua reazione, che si limitò a un breve ma eloquente lampo omicida che balenò nei suoi occhi «Non si preoccupi, mi impegnerò al massimo per trovare qualcosa di assolutamente discreto e adatto a lei,» la tranquillizzò poi, in tono tutt’altro che convincente.

«Se usasse un decimo dell’impegno che mette in queste sue bravate per gestire l’azienda, il mio lavoro sarebbe molto più leggero,» sospirò Pepper, lasciandosi però sfuggire un sorriso.

«E molto più noioso,» sogghignò lui, schivando il non tanto velato rimprovero per poi lanciare un’occhiata al vistoso Rolex che aveva al polso:

«Rendez-vouz sotto al palco tra un’ora,» stabilì poi in finto tono militaresco, agguantando al volo un altro drink «Ah, ovviamente... niente occhiali, niente discorso,» aggiunse con leggerezza, con lo stesso tono che avrebbe usato per commentare il tempo.
A quelle parole Pepper perse una nota di colore in volto e strabuzzò gli occhi.

«Signor Stark, è una festa per la sua azienda, se non tiene lei il discorso, chi...» s’interruppe nel notare il suo sogghigno eloquente «No. No, non se ne parla,» lo anticipò, facendo un mezzo passo minaccioso verso di lui, che si scostò agilmente.

«Signorina Potts, l’anno lavorativo è andato a gonfie vele anche grazie al suo zelo, sarebbe del tutto naturale che fosse lei a...»

«Lei salirà su quel palco, con o senza occhiali,» lo troncò perentoriamente Pepper.

«Chi lo sa... non dipende mica da me,» la punzecchiò lui con fare sicuro di sé. «Ancora una volta il destino dell’azienda è nelle sue mani,» annunciò pomposamente, facendole un ultimo occhiolino prima di sgattaiolare via tra la folla e lasciarla con un palmo di naso.



 

§


 

 

Tony prese un sorso distratto del suo Cuba Libre, intento ad osservare con scrupolosità lo spazio relativamente ristretto e affollato del gazebo che ospitava il bar, mentre se ne stava poggiato mollemente al bancone.

“Troppo osé,” concluse, osservando criticamente la ragazza che gli era appena passata accanto, con addosso un vestito di raso semi-trasparente che lasciava ben poco spazio all’immaginazione.

A dire il vero la sua, di immaginazione, stava già galoppando a briglia sciolta con un po’ troppo entusiasmo nel figurarsi Pepper in indumenti che gli avrebbero sicuramente fatto vincere una cinquina in faccia, se proposti alla diretta interessata.

“Troppo poco,” commentò ancora tra sé, adocchiando con poca convinzione uno scialbo prendisole a motivi floreali che a parer suo non avrebbe reso giustizia all’innata raffinatezza di Pepper.

Realizzò che probabilmente lei avrebbe l’avrebbe invece accolto a braccia aperte e che, a pensarci bene, sarebbe stato molto più difficile trovare qualcosa che le stesse male. Relegò quella considerazione sensata in un angolino della sua mente, determinato a trovare qualcosa all’altezza della sua assistente e che rispettasse anche i propri parametri. Doveva pur lasciarsi ispirare, prima di inviare Happy nel suo personale martirio a caccia di indumenti femminili.

“Troppo... troppo,” si redarguì dopo poco, e dovette fare un notevole sforzo di autocontrollo per non accodarsi a una donna con le curve a clessidra fasciate da una tutina inguinale di un rosso acceso, la cui scollatura a V arrivava sin quasi all’ombelico.

Si impegnò anche a richiudere la bocca rimasta stolidamente semiaperta occupandola con la cannuccia del suo drink, invece di indugiare in fantasticherie poco appropriate. 

Sbuffò, causando un gorgoglio di bolle nel bicchiere, e perserverò nel gesto come un bambino annoiato a corto di passatempi. Erano già passati venti minuti dalla sua proposta avventata e non aveva ottenuto risultati concreti, se non nel constatare che le le donne in possesso di vestiti che rasentassero la soglia della decenza erano un numero drasticamente esiguo. Buon per lui... un po’ meno per Pepper.

Stava giusto per contemplare l’idea di avventurarsi personalmente per le strade di Baltimora e infilarsi nel primo negozio d’abbigliamento femminile a tiro, in barba ad Happy e alle sue manie di sicurezza, quando aguzzò improvvisamente lo sguardo. A circa venti metri da lì, sul bordo piscina, completamente incustoditi e sorprendentemente non avvolti da un’aura mistica, giaceva un elegante paio di sandali a plateu con un tacco moderato. 

Di scarpe non se ne intendeva, ma sembravano decisamente più comodi dei trampoli infernali su cui era costretta a bilanciarsi Pepper al momento. E lei non doveva necessariamente sapere come li avesse rimediati.

Tracannò senza tante cerimonie ciò che rimaneva del drink, cosa che gli diede leggermente alla testa, e fece per fiondarsi verso le calzature con la stessa foga che avrebbe avuto un rugbista nello slanciarsi verso la mèta. Una mano energica e familiare si abbatté giovialmente sulla sua schiena, troncando il suo movimento affrettato e distruggendo i suoi sogni trionfanti.

«Tony! Eccoti qui!» Obadiah quasi gli stritolò la spalla nei suoi consueti saluti troppo espansivi.

«Ehi, Obie.» replicò lui, con un mezzo sorriso compassato che avrebbe raggelato un vulcano.

Svicolò agile dalla sua stretta e si ricompose all’istante stampandosi in faccia l’aria più innocente del mondo, come se non avesse mai avuto intenzione di abbandonare il suo posto in fretta e furia, ma continuò ad occhieggiare il suo obiettivo alle spalle dell’amico per assicurarsi che rimanesse al proprio posto.

«Immaginavo di trovarti qua.» commentò l’altro, accennando alla parete stipata di alcolici con fare complice «Due Martini.» ordinò poi al barman, poggiandosi sul bancone accanto a lui, con una disinvoltura che solo chi indossava un panama abbinato a un’orrida camicia hawaiana gialla e rossa poteva ostentare.

«Oh, magari più tardi, adesso non...» cominciò Tony, ritenendo di dover rimanere lucido almeno il tempo di recuperare quei maledetti vestiti, ma Obie gli cacciò in mano il calice mettendo a tacere le sue proteste senza troppe difficoltà.

Forzò un sorrisetto e il desiderio di avere le sue lenti a schermargli gli occhi si intensificò di colpo.

«Andiamo, ti sembra il momento di fare il bravo ragazzo, proprio ora che dobbiamo festeggiare?» lo prese in giro il suo socio, inclinando verso di lui il bicchiere in un accenno di brindisi.

«Giusto... ho una reputazione da difendere.» lui alzò appena le sopracciglia con fare sardonico, facendo tintinnare i vetri prima di prendere un sorso poco convinto.

Doveva assolutamente liberarsi di lui prima che cominciasse a rintronarlo coi suoi sproloqui riguardo all’azienda, ai consigli d’amministrazione mancati, alla sua assenza al briefing di quella mattina e chissà cos’altro, ma fu battuto sul tempo:

«Hai preparato il discorso, vero?» s’informò infatti, inclinandosi verso di lui con fare inquisitorio.

«I discorsi vanno preparati?» svagò lui, suscitando un’espressione non troppo sorpresa sul volto dell’altro.

«Tony, sei bravo a improvvisare, ma è un’occasione importante. Non puoi lasciarla al caso, come se...»

«Devo solo dire che siamo i migliori, che le Stark Industries sono al loro apogeo, che il prossimo anno porterà ancora più profitti... la solita solfa, no?»

«Sì, certo, certo...» lo assecondò lui, poi frugò brevemente nel taschino della camicia e ne tirò fuori una piccola risma di foglietti «Ma tieni questi a portata di mano, giusto in caso.»

«Obie, sono terribile a seguire il gobbo, lo sai.» si ritrasse d’istinto, senza accennare a volerli prendere direttamente, al che l’altro li posò in un gesto esasperato sul bancone, spingendoli poi verso di lui.

Solo allora Tony si decise ad accettarli, prendendo a sfogliarli in modo svogliato e corrucciandosi dopo poco.

«Non menzionerò mio padre.» sfilò con stizza un cartoncino dalla risma e lo piantò senza tanti complimenti nel ghiaccio del suo bicchiere già vuoto.

«Lo so che ti infastidisce, ma fa sempre buona pubblicità, soprattutto vista la...»

«Basto io a fare “pubblicità”, visto che sono attualmente lo sponsor della Playboy

«Quella non è buona pubblicità. Ma fa’ come vuoi.» sospirò Obadiah, scuotendo sconfitto la testa.

«L’ho sempre fatto e andiamo a gonfie vele, mi sembra.» replicò lui piccato, cacciando comunque i restanti foglietti nella tasca posteriore dei bermuda.

L’altro alzò una mano in segno di resa, a significare che non aveva intenzione di discuterne ulteriormente, ma con un cenno d’assenso al fatto che avesse conservato il gobbo.

«Basta che tu dica quello che devi dire senza farci sfigurare.» lo ammonì poi, con un’occhiata significativa che Tony ignorò, decidendo piuttosto che un Daiquiri era proprio quello che gli ci voleva per sopportare meglio quella chiacchierata molesta.

Apprezzava la dedizione di Obadiah nei confronti dell’azienda: senza di lui sarebbero probabilmente colati a picco da tempo, ma non poteva fare a meno di trovarlo opprimente, quando si fissava su quelle inezie.

«Non farò nulla di più compromettente del solito. Lo sai quali sono i miei standard in pubblico.» lo rassicurò infine, alzando le spalle con totale sicurezza.

«Non fare il finto tonto, ragazzo.» Obadiah gli puntò contro l’indice e sorrise con fare paterno, ma i suoi occhi rimasero seri «Ti ho accordato Baltimora, ma non potrò pararti le chiappe se esageri.»

Tony mescolò il suo drink con fare del tutto disinteressato, senza alcuna intenzione di dargli corda. Il tintinnio del ghiaccio riempì il silenzio, seguito dal rumore della cannuccia che risucchiava intenzionalmente a vuoto. Obie liberò un sonoro sospiro, voltando le spalle al bancone e poggiandovisi coi gomiti, come si fosse infine rassegnato a qualcosa di inevitabile.

«Il CEO della Republic Oil2 e il rappresentante aziendale della Roxxon3 sono qui. Quindi cerca di...»

«Cosa?!» Tony alzò di scatto la testa, adirato «E perché diavolo li hai invitati senza...»

«... non comprometterci. E abbassa la voce.»

«... dirmi nulla? Che mi sentissero pure!»

«Ho dovuto agire diplomaticamente, cosa che tu sei incapace di fare.» lo rimbrottò Obadiah in tono più duro, per poi posargli di nuovo una mano sulla spalla con fare incoraggiante «Non pensarci, ok? Tieni un profilo basso, goditi il successo, fai l’anima della festa e lascia a me i panni sporchi. Siamo un team, no? Tu ci metti la faccia e il genio e io mi occupo del resto per evitarci grane.»

Tony emise un mugugno poco contento, ma non ribatté e prese invece un generoso sorso del suo cocktail, sentendo che i buoni propositi di rimanere sobrio venivano meno grazie a quella notizia inattesa e sgradevole. Ci mancava solo quella feccia tra i piedi.

«Senti, per caso hai visto i miei occhiali da sole?» cambiò repentinamente discorso, col tono più neutrale che gli riuscì.

Obie rimase disorientato per qualche secondo, ma fu abbastanza perspicace da intuire la sua richiesta indiretta e lo assecondò, lasciando cadere l’argomento.

«Mi pareva mancasse qualcosa.» commentò, accennando al suo volto scoperto «Comunque no, ma mi guarderò in giro.»

«Fa niente. Tanto li sta cercando Pepper.» si lasciò sfuggire lui con un sorriso divertito «È come se li avessi già ritrovati.» non sapeva perché, ma gli era venuto spontaneo dirlo, e forse aveva a che fare col notevole quantitativo d’alcol che aveva ingerito in poco meno di dieci minuti.

Obie fece una delle sue risate spezzate, guardandolo con un misto di incredulità e rassegnazione.

«Tony, Tony... è strano sentirti riporre così tanta fiducia in qualcuno. Potrei seriamente preoccuparmi.»

Lui alzò le spalle.

«Si tratta di un paio di occhiali.» minimizzò con tenue perplessità «Non è come se le avessi affidato la mia vita.»

«Il fatto stesso che tu abbia un’assistente personale è degno di nota.»

«È stato Happy a insistere.» si difese lui, storcendo la bocca al ricordo «Ed è meno peggio di quanto avessi pensato.»

«Deve esserlo, visto che da quanto so gestisce tutti i documenti aziendali, le permetti di firmare contratti a nome tuo e ha persino libero accesso al tuo laboratorio. Per uno che non si fida neanche della propria ombra è allarmante.»

«Qual è il problema?» la voce di Tony virò su una nota più dura, stemperata solo in parte dal suo solito sorrisetto di facciata.

«Nessun problema, sto solo commentando i fatti.» lo ammansì evasivamente l’altro.

«Mi sembra che i fatti parlino chiaro: è stata l’unica ad accorgersi di quell’errore di contabilità4 e me l’ha riferito tempestivamente.» insistette lui con veemenza, forse anche un po’ alterato dall’alcol «E per questo l’ho inserita tra la lista di dipendenti meritevoli che ringrazierò pubblicamente stasera.» rivelò in tono di sfida.

A quel punto, Obadiah fece tanto d’occhi, per poi passarsi nervosamente una mano sulla folta barba che iniziava a ingrigirsi.

«Non mi sembra una mossa saggia. In quella lista figurano solo veterani del settore, gente che è alle Industries da un decennio. Lei lavora per noi da appena un anno, rischi di sollevare un vespaio.»

«Lavora per me, e già questo dovrebbe bastare a tutti. L’hai detto tu che non mi fido di nessuno, e di lei mi fido.» si lasciò sfuggire nella foga.

Obadiah sollevò con fare saputo le sopracciglia e si illuminò, come se con quelle parole avesse appena confermato i suoi sospetti in modo inconfutabile.

«La cosa è più grave di quanto pensassi.»

Tony a quel punto si voltò verso di lui, senza più celare il suo fastidio.

«Obie, grazie a lei abbiamo evitato uno scandalo che ci sarebbe costato milioni, si merita come minimo una menzione d’onore.»

«Stai ragionando con... con gli occhi per usare un’espressione elegante. Usa questo, piuttosto,» e gli puntò un dito a un soffio dalla fronte «prima che la gente cominci a chiacchierare.»

«Se me la fossi voluta portare a letto, l’avrei già fatto.» ribatté lui a denti stretti, cogliendo la non troppo velata allusione e dubitando in verità delle proprie parole.

«Aspetta, non l’hai fatto?» lo incalzò lui, preso alla sprovvista.

«No.» rimarcò lui, lapidario e sempre più indispettito.

«Insolito, da parte tua.» Obie lo scrutò di sottecchi «Non importa, l’opinione pubblica è comunque convinta che tu l’abbia fatto più volte e che sia proprio quello il motivo per cui è diventata la tua assistente personale.» alzò le spalle, come costernato dall’ingiustizia di quel mondo meschino.

Tony si limitò a rispondere con un verso stizzito, percependo al contempo un sottile velo d’inquietudine posarsi sulla sua coscienza. Non era tipo da farsi turbare dal gossip, anzi, il più delle volte ci sguazzava dentro... ma non aveva mai pensato alle possibili ripercussioni su Pepper e a come lei fosse più vulnerabile agli occhi della stampa. A pensarci, ricordava qualche titolo poco lusinghiero nei suoi confronti, soprattutto nei primi mesi di lavoro, ma lei non aveva mosso alcun commento in proposito. Se si fosse mai sentita attaccata gliel’avrebbe fatto presente. 

“Giusto?”

Prese un sorso nervoso del suo cocktail, col volto basso. Mai come in quel momento avrebbe voluto avere gli occhiali a celare il suo sguardo.

«Pepper è competente, scrupolosa e qualificata. Non l’ho assunta solo per avere un bel faccino in casa.» disse dopo quella pausa, in tono irremovibile.

Obadiah lo scrutò a fondo, mentre un sorrisetto divertito e condiscendente si allargava sul suo volto.

«Ok, l’ho assunta anche per quello.» ammise malvolentieri lui «Ma si è rivelata una scelta vincente, no?»

«L’hai assunta alla cieca mentre smaltivi una sbornia di Capodanno5 e sei fortunato che non si sia ancora rivelata un’approfittatrice o una spia aziendale.»

«Ancora?» ripeté Tony, scandendo la parola in modo ora apertamente ostile, sfidandolo a completare quel commento inespresso.

«È un mondo di squali, Tony. Attento a chi ti tieni vicino.» lo mise in guardia lui con fare noncurante, prendendo l’ultimo sorso di Martini.

Lui si limitò a scuotere sgomento la testa senza degnarlo di una risposta, che in quel momento avrebbe rischiato di essere fin troppo colorita.

«E a proposito, tornando ai nostri amici della Roxxon e della Rep Oil...» continuò poi il suo socio, passandogli un braccio attorno alle spalle «Ricorda quello che diceva tuo padre: “tieni i tuoi amici ricchi e i tuoi nemici ricchi...»

«... e aspetta di scoprire chi è chi.”6» completò meccanicamente Tony in un borbottio seccato, togliendosi di peso il suo braccio di dosso «Sì, me l’ha ripetuto solo milioni di volte. Vuoi citare anche Capitan America, visto che ci sei, così completiamo il revival di Howard Stark?» aggiunse caustico, scostandosi da lui con irritazione crescente.

Obie rispose con un sorriso mesto e un lieve sospiro, lasciandolo andare.

«Non era mia intenzione rovinarti la serata. Voglio solo assicurarmi che tu sappia tutto ciò che c’è da sapere.» spiegò in tono conciliante.

Tony affondò le mani nelle tasche ostentando rilassatezza e si scostò ancora di un mezzo passo, dandosi modo per riflettere su quelle parole. Concluse a malincuore che i timori di Obie erano in parte fondati, considerando la sua media comportamentale in pubblico e la sua scarsa capacità di giudizio per quanto riguardava le donne, anche se si sentiva decisamente seccato per le insinuazioni rivolte a Pepper. Si ripromise di tenere un occhio più attento sul modo in cui il suo socio si poneva nei suoi confronti, possibilmente in modo molto discreto.

«Bene, adesso so tutto e agirò di conseguenza.» abbozzò un mezzo sorriso non molto riuscito, in un debole gesto di riappacificazione «Quindi...» accennò con la testa al party che si svolgeva attorno a loro, col chiaro intento di defilarsi.

«Vai a divertirti, te lo sei meritato.» lo congedò Obadiah, liquidando la questione con una rapida pacca sulla spalla e sfilandosi poi un sigaro dal taschino.

A quel punto Tony sfoggiò un’espressione enigmatica, alzando esageratamente un sopracciglio.

«Prima devo completare una missione.» sogghignò appena con ritrovata leggerezza.

Si diresse quindi a passo di carica verso i sandali ancora abbandonati sul mattonato e li afferrò con un gesto vittorioso, sotto lo sguardo decisamente perplesso di Obadiah.



 

§




Un anno come assistente personale di Tony Stark le aveva insegnato innumerevoli cose.

Per esempio, ad essere molto guardinga rispetto a qualunque invito provenisse da parte sua, a sospettare di ogni evento di cui sembrava stranamente ben informato su location, svolgimento e organizzazione e a declinare garbatamente tutte le richieste di fargli da “accompagnatrice” – termine che la stampa associava a un tipo di compagnia molto specifica che lui sembrava attirare al pari di una calamita.

Dato che il party organizzato a Baltimora aveva fatto scattare questi tre campanelli d’allarme, sottrarvisi, rimanere a casa e godersi un giorno di stacco – sperando che il proprio capo non andasse in coma etilico lasciandola disoccupata – le era sembrata la soluzione più appetibile e sensata. Peccato che si trattasse della festa di fine anno aziendale delle Stark Industries ed era quindi irrinunciabile per l’assistente del loro proprietario, come questi si era premurato di sottolineare pedantemente un centinaio di volte al giorno nel corso dell’ultima, snervante settimana. Tutta quell’insistenza le aveva suscitato un bruttissimo presentimento. Detestava avere ragione.

Non che il fatto di essere oltremodo agghindata per una serata informale la disturbasse più di tanto e, nonostante i tacchi le stessero davvero facendo vedere le stelle, era del tutto in grado di destreggiarsi su un paio particolarmente scomodo per una serata.

Non era neanche troppo irritata col suo capo per lo scherzo in sé, anche se meditava di ricambiare il favore con tanto di quel lavoro d’ufficio extra da inchiodarlo alla scrivania per un mese. In circostanze differenti sarebbe anche stata capace di riderci su, visto che in fin dei conti si era trattato di uno stratagemma per convincerla a presenziare.

Quelle circostanze implicavano il non sentirsi tremendamente a disagio nel percepire ogni singolo sguardo appuntato addosso; almeno, questa era stata la sua impressione nel perlustrare il giardino esterno e poi la hall dell’albergo in cerca di quei dannatissimi occhiali da sole. Le era anche sembrato di cogliere un paio di flash al suo passaggio, cosa che le aveva fatto desiderare di sprofondare all’istante sottoterra.

In realtà si era ritrovata a pensare che, anche con un anonimo vestito addosso, la situazione non sarebbe poi variata molto: erano gli svantaggi di essere la prima assistente personale che Tony Stark avesse mai avuto in vita e in casa sua. Un impiego inaudito, che oltre a far brillare il suo curriculum aveva portato con sé una ventata di dicerie e pettegolezzi che le facevano ringraziare il fatto di dover lavorare la maggior parte del tempo a Villa Stark e solo saltuariamente alle Industries, risparmiandosi il piacere di ascoltare le malelingue di persona.

Finora l’arma dell’indifferenza si era rivelata una carta vincente, soprattutto abbinata all’enorme soddisfazione che trovava nel proprio lavoro, ma andare in giro con l’equivalente di un’insegna luminosa a neon sgargianti a segnalare la sua presenza stava facendo vacillare quelle tenui difese.

Dubitava che il suo capo avesse preventivato gli effetti collaterali del proprio raggiro a fin di bene, nella convinzione errata che vivere perennemente su un palcoscenico coi riflettori puntati addosso fosse qualcosa di piacevole per chiunque e non solo per lui e il suo ego ipertrofico. Lui non aveva mai sentito il bisogno di muovere un dito per smorzare il gossip sfrenato sulla propria vita festaiola e disinibita che si guadagnava la prima pagina almeno una volta al mese, anzi, spesso sembrava divertirsi a fomentarlo tanto per vedere quanto i giornalisti sapessero lavorare di fantasia.

Nonostante la sua affermata fama di donnaiolo, Pepper doveva ammettere che almeno con lei era riuscito a mantenere una condotta più o meno irreprensibile. Questo dopo una spudorata “proposta” da parte sua dopo neanche una settimana di assunzione; proposta che si era guadagnata solo il suo sdegno, una minaccia di dimissioni e una letterale porta sbattuta in faccia. La cosa aveva duramente ammaccato il suo orgoglio maschile: si era limitato a incassare il colpo, esibire un sorrisino un po’ meno tronfio del solito e ribattezzarla prontamente “Pepper”, che, nel linguaggio astruso e sibillino di quell’uomo impossibile per il quale aveva avuto la malsana idea di lavorare, doveva valere come una sorta di “rito di scuse” indiretto per salvarsi la faccia.

Da quel momento aveva troncato qualsiasi avance che non fosse intrisa di una buona dose d’ironia e aveva dato il via al suo nuovo sport preferito, ovvero darle sui nervi in ogni modo immaginabile. Se non fosse stata lei stessa testimone del grado di subdola malignità che potevano assumere le battute del suo capo e di quanto fosse privo di scrupoli nel mettere alla berlina chi non gli andava a genio nel minor numero di parole possibile, avrebbe pensato che si trattasse di una ripicca per il rifiuto ricevuto.

Aveva invece osservato una componente giocosa ben marcata in quel nuovo atteggiamento... oltre a una viva, quasi infantile curiosità per le sue reazioni, come se quello fosse il suo personale modo di metterla alla prova e non potesse credere al fatto che qualcuno fosse effettivamente in grado di dirgli “no” e mantenere il punto. Se all’inizio aveva trovato la cosa estenuante, col passare del tempo ci aveva preso gusto anche lei e aveva affinato l’arte di tener testa a Tony Stark – e anche di tenergli la testa da sbronzo, cosa che sperava non sarebbe mai figurata nel proprio curriculum.

Adesso, avere l’ultima parola era per lei quasi una questione d’onore, e anche quando perdeva verbalmente poteva dire di aver quasi sempre intascato la vittoria morale.

Per questo non si lasciò intenerire, quando quel disgraziato gli si presentò davanti con le mani innocentemente dietro la schiena, sfoggiando lo sguardo più angelico che gli avesse mai visto stampato in faccia. Peccato che, abbinato alla costante e involontaria piega da mascalzone delle sue labbra, le diede l’impressione di stare fissando un lupo con una pelle d’agnello addosso, e anche piuttosto striminzita.

Dal suo passo più adatto al ponte di una nave in balìa delle onde che al solido brecciolino circostante il palco intuì che, ovviamente, aveva alzato un po’ troppo il gomito. L’assenza dei suoi tanto agognati occhiali era un deciso punto a suo sfavore in quel senso, visto che rivelava le iridi nocciola un po’ troppo lucide per l’alcol e, notò, più irrequiete e mobili del solito, forse proprio per il fatto di essere prive di difese.

Pepper si stava giusto preparando a redarguirlo sia per la sbronza che per essersi fatto vivo solo ora per il suo discorso, che fortunatamente Stane stava ritardando grazie alla sua parlantina, quando lui rivelò con uno svolazzo ciò che fino ad allora aveva tenuto nascosto dietro di sé, lasciandola interdetta.

«Questi sono per lei.» annunciò, mostrandole un paio di plateau a dir poco orrendi, che però le fecero brillare all’istante gli occhi «Che non si dica che mi presento a mani vuote.» chiosò, invitandola a prenderli e iniziando subito a rassicurarla sui metodi di disinfezione degni di una clinica privata a cui erano stati sottoposti con la collaborazione di Happy.

Aveva a malapena finito di parlare, che Pepper aveva già calzato le nuove scarpe con enorme sollievo, abbandonando con leggero disgusto e senza troppi rimpianti le sue Louboutin.

«Meglio?» sogghignò nel vederla più rilassata.

«Molto.» confermò lei, ancora intenta a constatare l’integrità dei propri piedi e l’assenza di danni permanenti.

«Per il vestito, nulla da fare.» si rammaricò poi lui, forse con sincerità «Ho spedito Happy a rimediarne uno in città, ma...»

«... non arriverà mai in tempo utile.» completò lei, un po’ delusa e di nuovo in tensione per il fatto di non poter tornare a passare quasi inosservata «Neanch’io sono a mani vuote.» aggiunse però, aprendo la pochette.

Ne estrasse un paio di occhiali da sole a specchio argentati che qualcuno aveva dimenticato al bar poco prima. L’espressione di puro raccapriccio che attraversò il volto del suo capo le confermò che, come aveva sospettato, non erano di suo gradimento.

«Avrebbe potuto dirmi che ci teneva così tanto a fare lei il discorso.» commentò svagato, non accennando minimamente a prendere gli occhiali.

«Avrebbe potuto dirmi che ci teneva così tanto a sfigurare di fronte alla sua intera azienda.» ribatté impassibile, porgendogli l’oggetto della trattativa per una stanghetta.

«Comparire di fronte mia azienda con quelli addosso otterrebbe lo stesso risultato, oltre ad essere un imperdonabile sfoggio di cattivo gusto.» s’impuntò lui, senza cedere di un millimetro.

«Vorrà dire che dovrà farne a meno.» concluse lei, con finto rammarico.

«Non erano questi i patti.» ribatté immusonito lui, come un bambino insoddisfatto del proprio regalo di compleanno.

«I patti non riguardavano il suo discorso. E se anche fosse, le faccio notare che ho ancora un tubino addosso.»

«Ma la sua altezza è notevolmente diminuita.» affermò, indicando con fare compiaciuto i sandali; nel farlo s’inclinò pericolosamente verso di lei e solo allora Pepper si rese conto che era molto più alticcio di quanto avesse pensato.

Puntò fermamente un indice sul suo petto col duplice scopo di impedire un’imminente caduta e di mantenerlo a una distanza ragionevole dal suo volto. Lui a quella pressione piombò di nuovo sui talloni, ripristinando il suo precario equilibrio.

«Le do il tempo di incipriarsi il naso, poi salirà su quel palco.» decretò lei, cacciandogli in mano gli occhiali senza tante cerimonie.

A quel gesto lui sobbalzò quasi gli avesse dato la scossa, prendendo a cincischiare a mezz’aria; dopo qualche volteggio se li fece sfuggire dalle dita, destinandoli a una fatale caduta sul ghiaino. Per un istante rimasero entrambi a fissare allibiti le lenti specchiate irrimediabilmente incrinate ai loro piedi, per poi tornare a guardarsi in faccia.

«Lo sa che odio che mi si porgano le cose.» le rammentò in un borbottio seccato, ma apparentemente non troppo dispiaciuto per la misera fine degli occhiali.

«Inizio ad avere serie difficoltà a ricordarmi tutte le sue stranezze, signor Stark.» sbottò lei, con una punta d’esasperazione ben palpabile nella sua voce.

Lui parve preso alla sprovvista da quell’improvvisa veemenza, perché non ribatté istantaneamente come suo solito, forse anche rallentato dalla sua sbronza incipiente; Pepper ne approfittò per precludergli del tutto la possibilità di farlo:

«Ho passato la serata a caccia dei suoi occhiali perché è distratto, e ad essere paparazzata per colpa del suo opinabile senso dell’umorismo; adesso, come minimo deve...»

«L’hanno paparazzata?» la interruppe lui, in un barlume di lucidità «Perché l’hanno...»

«Secondo lei perché?» lo interruppe lei, con un gesto eloquente al suo tubino attillato di un vivo blu elettrico e ai suoi tacchi dodici abbandonati lì accanto.

Forse, per una volta, vide una fugace ombra di colpevolezza fare capolino sul suo volto, prontamente soffocata dalla sua solita aria indifferente. Si sfregò il pizzetto e fece per dire qualcosa, quando quel momentaneo silenzio fu spezzato da un applauso improvviso che soffocò il sottofondo monotono della voce di Obadiah, come sempre intento a coprire i proverbiali ritardi del suo socio. Doveva aver appena annunciato il suo ingresso, perché dopo una breve pausa riprese a parlare in tono gioviale:

«A quanto pare il nostro Tony non sa tenersi lontano dal lavoro neanche alle feste... dev’essere ancora impegnato in quella telefonata coi nostri clienti in Medio Oriente, quindi dovremo aspettarlo ancora un po’...» continuò a blaterare, probabilmente pensando che Tony fosse in realtà “impegnato” al casinò, al bar o in qualche stanza dell’hotel in prevedibile compagnia.

A quel punto Pepper lo fulminò con l’occhiata più minacciosa che riuscì a produrre.

«Signor Stark, ha tre secondi per...»

«Sto andando!» si arrese d’un tratto lui, alzando gli occhi al cielo «E mi occupo io dei paparazzi, lei non ha di che preoccuparsi; e poi conosco un po’ di giornaliste e sono sicuro di poter contrattare per...»

«So benissimo quali giornaliste conosce e non voglio sapere come intende contrattare.» lo bloccò subito, realizzando perché alcuni volti le fossero risultati familiari e sentendosi ancor più irritata «Adesso si sbrighi, prima che Obadiah attacchi di nuovo con le sue filippiche e faccia morire di noia gli invitati.» lo incitò sospingendolo senza mezzi termini verso le scalette e salendo lei stessa sul primo gradino per ostruirgli ogni via di fuga.

«Giusto, è ora di movimentare la serata.» concordò lui, illuminandosi di colpo e rassettandosi con un gesto deciso il blazer blu notte che aveva indossato per darsi un tono durante il discorso.

«Non combini disastri.» si raccomandò lei, allarmata da quelle parole che, in bocca a Tony Stark, non potevano promettere nulla di buono.

«Si goda lo spettacolo!» ribatté invece lui in modo un po’ troppo allegro, prima di voltarle le spalle e salire i gradini con passo inaspettatamente pimpante all’ennesimo richiamo di Stane.



 

§




Pepper si prese la radice del naso tra le dita, inspirò a fondo e si costrinse a distendere il volto mentre tentava di mimetizzarsi tra la folla, che nel frattempo aveva accolto l’ingresso di Tony con uno scroscio di applausi intervallati da fischi entusiasti.

Lui si stava come sempre beando di quelle acclamazioni e sfoggiava un ghigno più arrogante del solito mentre si profondeva in mezzi inchini a destra e a manca, con un contegno invidiabile anche da brillo. Strinse la mano a Obadiah che gli stava cedendo il posto d’onore e Pepper colse un brevissimo scambio di parole tra i due; un lampo di fastidio attraversò il volto di Tony, prima di tornare alla consueta impassibilità.

Quando l’ovazione scemò,intrecciò le mani dietro la schiena e scrutò brevemente il suo pubblico, come a valutarlo, infine si accostò al microfono e iniziò a parlare con voce bassa e pacata:

«Signori e signore,» regalò uno sguardo ammiccante alla sua audience femminile e Pepper trattenne un sospiro rassegnato «buonasera e benvenuti alla nostra tradizionale festicciola di fine anno.» esordì quasi formalmente, nonostante quelle parole fossero accompagnate da un’espressione beffarda «Stavolta ho voluto organizzare qualcosa di contenuto, ma sono modestamente sicurissimo che l’idea sia stata di vostro gradimento.»

A quel punto scoccò un’occhiata proprio nella sua direzione e le fece un occhiolino; Pepper si chiese se un lancio ben assestato della pochette sarebbe bastato a farlo cadere dal palco. A giudicare dalla portata dell’applauso che seguì quella dichiarazione gli invitati sembrarono invece concordare con lui, complici probabilmente l’open bar e il buffet illimitato.

Lui alzò le mani a schernirsi da quell’entusiasmo e al contempo quietare il pubblico per riottenere il silenzio. Pepper si stupì che non gli fosse spuntata una coda di pavone e che non avesse iniziato a fare la ruota, tanto si stava compiacendo per l’apprezzamento che gli pioveva addosso. Occhiali da sole o meno, rimaneva pur sempre la quintessenza dell’egocentrismo.

«Forse dovrei dire due parole sulla nostra azienda, ma credo che il mio socio abbia fatto in tempo a ripercorrere la sua storia dalle origini ai giorni nostri mentre mi aspettavate.» fece un gesto di finto rammarico «Quindi mi limiterò a dire che vado molto fiero dei successi e dei guadagni di quest’anno, che sono stati possibili grazie a voi. E grazie al mio contratto con la Playboy.» sorrise sfrontato e si levò qualche risatina qua e là.

Tony si permise a sua volta una breve risata e Pepper si accigliò appena: a un occhio inesperto sarebbe apparso solo molto su di giri per la serata, ma riconobbe nei suoi movimenti quei piccoli, ben noti segni che tradivano quanto stesse iniziando ad accusare l’alcool, dal modo in cui continuava a spostare il peso da un piede all’altro, alla sua postura fiacca con un pollice nella tasca anteriore dei bermuda, al fatto che si concedesse di ridere alle sue stesse battute invece di mantenere il suo solito aplombe disincantato. Sperò solo che fosse in grado di portare a termine il discorso senza afflosciarsi sul palco stroncato dal tasso etilico fuori norma, anche perché ciò avrebbe significato un pronto intervento da parte sua e di Happy.

Quando riprese a parlare si appoggiò di peso all’asta del microfono facendole credere che i suoi timori fossero sul punto di avverarsi, ma fortunatamente la sua voce risuonò ancora abbastanza salda da far passare inosservato il suo modo di fare sopra le righe:

«A dir la verità non so cos’altro dovrei fare quassù, a parte blaterare felicemente riguardo a quanto le nostre azioni siano cresciute nell’ultimo anno...» fece una pausa ad effetto attendendo la replica del pubblico, che non tardò ad arrivare sotto forma di ovazione «... al fatto che abbiamo rinnovato il nostro contratto col Dipartimento della Difesa per il terzo anno consecutivo...» un altro boato riempì il patio «... e ad essere fiero per il nostro primato assoluto nel campo dell’industria bellica e tecnologica a livello mondiale.» a quel punto fece un mezzo inchino e poco ci mancò che perdesse l’equilibrio, ma riuscì a farlo passare per uno svolazzo voluto.

Pepper continuò ad applaudire meccanicamente, chiedendosi se non fosse il caso di recuperare Happy per impedire a Tony di rompersi l’osso del collo.

«Davvero, non so cos’altro dovrei aggiungere, ma proverò a improvvisare!» annunciò nel mentre, compiaciuto «E il mio infallibile istinto mi suggerisce di concludere in fretta per arrivare al rinfresco e di passare quindi ai ringraziamenti... primo fra tutti il mio socio e amico Obadiah Stane, al quale sarò sempre grato per aver permesso alle Industries di arrivare fin qui.» Tony protese una mano a indicarlo con un gesto teatrale tra la folla.

Pepper lo intravide mentre gli rivolgeva un cenno di ringraziamento per la menzione per poi allontanarsi in direzione dell’hotel. Riportò lo sguardo su Tony, adesso praticamente accasciato sul microfono mentre scrutava con insolita intensità il pubblico, come se cercasse qualcuno. Si riscosse bruscamente e trasse un foglietto dal taschino del blazer, iniziando a declamare i nomi dei dipendenti meritevoli di quell’anno, donando a ciascuno di essi il proprio momento di gloria, oltre alla promessa implicita di un bonus nel successivo stipendio.

Dopo la prima dozzina di nomi Pepper smise di prestare attenzione, meditando se defilarsi per fare una capatina alla toilette e allentarsi per qualche minuto quel vestito dal corpetto soffocante, che le faceva apprezzare di non essere nata nel Settecento. I suoi propositi di fuga furono demoliti dalle successive parole di Tony:

«... e dulcis in fundo, la mia assistente personale, Virginia Potts...»

Pepper sobbalzò tanto violentemente che credette di perdere l’equilibrio, e intuì molte teste girarsi verso di lei.

«... che ci ha evitato l’imbarazzo di dover spiegare alla Oracle7 perché mancassero un paio di milioni dal loro pacchetto azionario e che si fa carico del compito non indifferente di provare a farmi partecipare alla vita aziendale senza causare troppi danni.» concluse con leggerezza, prima di iniziare lui stesso un applauso che era tardato ad arrivare e che crebbe ben presto d’intensità.

Pepper sfuggì lo sguardo di chiunque la circondasse e ringraziò che la frangetta scivolasse a celarle almeno in parte gli occhi. Forzò un imbarazzato sorriso di circostanza, perfettamente conscia di aver acquisito almeno due tonalità di rosso in più sul volto.

Non aveva idea di come interpretare quel gesto inatteso da parte del proprio capo, ma era certa che avrebbe preferito un ringraziamento in separata sede, piuttosto che davanti a molti di coloro che, pur applaudendo ipocritamente, avevano fatto commenti maliziosi sulla natura della sua relazione con Tony Stark e sul suo “dubbio iter di assunzione”.

Per fortuna la cerimonia sembrava giunta al termine e avrebbe avuto occasione di battere in ritirata direttamente nella sua stanza d’albergo: conciata così dubitava di poter sopportare anche il rinfresco, gli assalti dei giornalisti e gli incontri molesti coi membri del consiglio d’amministrazione, che si sarebbero sentiti in diritto di squadrarla dall’alto in basso ancor più di quanto facessero alle Industries. Avrebbe solo intercettato il suo capo per ringraziarlo della menzione e informarlo che non avrebbe preso parte al resto della festa: d’altronde non credeva di dovergli alcuna spiegazione, visto che quella sera era lui il principale responsabile dei suoi travagli.

Ancora una volta fu proprio lui a troncare i suoi programmi sul nascere, quando sganciò il microfono dal suo supporto e s’incamminò vacillando verso l’estremità del palco con un sorriso fin troppo gioviale stampato in faccia:

«Signori, pazientate ancora un momento!» li sollecitò «Perdonatemi, ma mi ero quasi dimenticato di ringraziare il nostro ospite d’onore... Signor Durden!8» esclamò, rivolto a qualcuno in particolare ai margini della folla, e si esibì in uno sfrontato cenno della mano che sembrava più adatto a richiamare un cane che una persona.

Pepper si mise subito in allarme nell’udire la chiara nota provocatoria nel tono dell’uomo e che, unita al suo stato decisamente non lucido, non poteva che essere il preambolo dello “spettacolo” annunciatole poco prima. Si fece largo verso di lui con la massima discrezione che le riuscì, ma non riuscì a vedere a chi si stesse rivolgendo.

«Ehi, dove va? Non sia timido!» a quel punto Tony saltò giù dal palco in un guizzo d’agilità inaspettato, e la folla si aprì in due ali per permettergli di avanzare verso il suo interlocutore ancora invisibile.

Pepper scorse infine un individuo piuttosto anonimo sulla trentina, magro, allampanato e coi capelli scuri, che spiccava solo per il vivace rosso delle foglie d’acero stampate sulla sua camicia9. Anche lui aveva l’aspetto di chi ha abusato un po’ troppo dell’open bar e forse fu per quello che non riuscì a sottrarsi quando Tony gli gettò un braccio attorno alle spalle con allegra disinvoltura, in quella che sembrava più una presa di wrestling che un gesto amichevole. Si divincolò debolmente e un’espressione a metà tra lo spaesato e l’infastidito gli attraversò il volto, come se volesse uscire da quella situazione ma non riuscisse a trovare un modo per farlo passando inosservato.

«Andiamo, un bell’applauso per il signor Durden, il nostro ultimo acquisto!» annunciò con entusiasmo Tony «... letteralmente.» aggiunse, a voce più bassa ma ancora ben distinguibile.

L’applauso che seguì fu scarno e incerto, ma ciò non sembrò turbare più di tanto Tony, che sembrava invece godersi appieno il suo “spettacolo” nonostante la chiara perplessità che aleggiava attorno a lui.

«Il nostro amico fa parte del pacchetto della Roxxon, che abbiamo avuto il piacere di acquistare giusto un paio di mesi fa, con somma gioia di tutti... vero?» battè fin troppo vigorosamente la mano sulla spalla dell’amico in questione, che adesso aveva assunto un’espressione torva e corrucciata «Ma a parte le chiacchiere: ci tenevo a ringraziare la Roxxon per aver fatto la scelta giusta e aver accettato il nostro aiuto invece di lasciarsi colare a picco. E visto che ci sono volevo dire alla Republic Oil di non dispiacersi troppo per essere stati messi da parte: saremo ben disposti ad aiutare anche loro quanto prima.» annunciò con enfasi, sfoggiando un sorriso tanto grande quanto falso.

Pepper ascoltava tormentandosi la fascia del vestito e chiedendosi cosa diavolo gli fosse saltato in testa, senza peraltro capire appieno di cosa stesse farneticando. Certo, ricordava le pratiche svolte per acquisire la casa automobilistica Roxxon e strapparla al controllo della Republic Oil, gigante petrolifero in storica rivalità con le Industries; le era però sfuggito che la cosa avesse un profilo così personale e sentito per il suo capo.

Cercò con lo sguardo Happy tra la folla senza trovarlo, prima di ricordarsi che probabilmente era ancora a zonzo per Baltimora in cerca del suo vestito d’emergenza. E nessuno sembrava intenzionato a intervenire per disinnescare quella che ai suoi occhi sembrava molto una bomba ad orologeria sempre più vicina alla detonazione ad ogni parola che lasciava la bocca di Tony.

«Per concludere, volevo congratularmi col signor Durden per la sua brillante carriera della quale sono stato testimone: ricordo che quando l’ho incontrato era solo un banale consulente assicurativo per la Roxxon, mentre ora è addirittura un rappresentante aziendale. Un notevole scatto di qualità, devo dire.» commentò, in un modo che non poteva che essere definito minaccioso.

A quel punto l’altro borbottò qualcosa che risultò inudibile; Tony s’illuminò come se avesse sentito la notizia più bella della giornata:

«No, non faccia il modesto: si è meritato ogni successo.» le sue labbra si schiusero in una piega malevola «Così come si merita di ricevere direttamente da me l’annuncio del suo licenziamento, ad effetto immediato.»

Ci fu un breve attimo di gelido silenzio in cui Durden sembrò ipnotizzato dalla punta delle proprie scarpe, mentre Tony emanava solo puro, spietato compiacimento condensato in un sorriso a trentadue denti.

«Bene, ora che abbiamo terminato le formalità, direi di fare un ultimo applauso al nostro ex-rappresentante e di...»

Fu interrotto dal movimento improvviso di Durden, che alzò di scatto la testa per piantare gli occhi scuri in quelli di Tony, col volto deformato dalla rabbia. Proferì qualcosa che il microfono non captò, ma Pepper vide con sgomento Tony illividire e contrarre il braccio, come se fosse sul punto di stringere la presa per strozzarlo. Invece, si disimpegnò bruscamente da quella posa falsa, lasciò cadere il microfono in un fracasso di altoparlanti e gli assestò un deciso spintone verso la piscina.

Ogni traccia di scherzo o giocosità era evaporata dai suoi occhi mentre lo apostrofava aspramente, la voce persa nel coro sorpreso e allarmato che si levò dalla folla e a cui si unì involontariamente anche Pepper. Stava pregando che qualcuno, chiunque, intervenisse, o che Durden avesse poco orgoglio e abbastanza buonsenso da lasciar correre la cosa. Ma quest’ultimo barcollò, recuperò l’equilibrio appena in tempo e ricambiò il gesto con altrettanta violenza, scaraventando a terra un Tony troppo alticcio per mantenersi in piedi.

Lo vide impattare di schianto sul mattonato, dove rimase immobile e stordito. Sperò che fosse troppo ubriaco per muoversi ancora. Fu smentita quando si rialzò di scatto e si scagliò come una furia contro Durden, assestandogli un pugno in pieno volto.

Il pubblico si profuse in esclamazioni sorprese e si scansò d’istinto, ostruendole la visuale e sballottandola qua e là. Si formò una sorta di arena semicircolare per i due contendenti, ora occupati ad azzuffarsi a pochi metri dal bordo della piscina. Ancora una volta sembrò che nessuno avesse intenzione di separarli.

Pepper perse di vista Tony e si decise ad agire: recuperò il cellulare dalla pochette e compose il numero di Happy, cercando allo stesso tempo di farsi largo oltre il muro di persone che le sbarrava il passo. Riuscì infine a fare capolino oltre il divisorio di spalle e schiene davanti a lei: in quel breve lasso di tempo, qualche colpo era andato a segno da entrambe le parti, come dimostravano l’occhio già pesto di Durden e lo spacco sanguinante sul labbro di Tony. Quest’ultimo si stava trovando in svantaggio nonostante la stazza nettamente superiore a quella dell’avversario, che al contrario di lui riusciva a insultarlo e picchiarlo senza incespicare nei suoi stessi piedi.

Scorse Tony che schivava per un soffio un colpo in pieno viso, ma non il diretto all’addome che lo lasciò a boccheggiare in cerca d’aria, aggrappandosi di peso all’avversario per non cadere. Pepper sussultò e fu poi trascinata indietro di qualche passo da un movimento improvviso del pubblico; adesso sì che quei tacchi le avrebbero fatto comodo...

Finalmente lo squillo del telefono fu interrotto dallo scatto della risposta:

«Harold! Dove sei?» esclamò sollevata, cambiando postazione per seguire con gli occhi i due che continuavano ad accapigliarsi senza demordere in un concerto di urla e grugniti soffocati.

L’unica reazione degna di nota attorno a loro erano i flash delle macchinette fotografiche e qualche incitamento e fischio da stadio, neanche fossero a un incontro di boxe.

«Ehi, Virginia.» rispose lui, tranquillo e beatamente ignaro dello scompiglio che si era appena scatenato «Sono appena rientrato all’hotel e ho trovato giusto quello che ti...»

«Lascia perdere tutto e vieni qui subito, è un’emergenza!»

Ci fu una brevissima pausa, inframmezzata da un capo dal respiro affannato dell’autista che scattava in una corsa e dall’altro dal secco suono di un pugno che trovava il suo bersaglio. Pepper sperò che quest’ultimo non fosse di nuovo Tony.

«Non dirmi che è un’altra rissa.» sbottò infine Happy, probabilmente captando la pittoresca cacofonia di insulti che il suo capo aveva appena proferito, un attimo prima di essere placcato e inchiodato duramente a terra dall’avversario.

«Vieni a vedere coi tuoi occhi, magari prima che Tony finisca all’ospedale!» ribatté lei, alterata per la solita flemma del suo collega e allarmandosi nel vedere Tony che, soverchiato, aveva smesso di reagire portando le braccia a pararsi il volto.

Non riuscì a trattenere un moto di sollievo quando riuscì infine a districarsi da quella posizione critica mettendo a segno una sonora testata sul naso di Durden, non prima di aver incassato una raffica di colpi.

In quel momento, vide finalmente Happy precipitarsi fuori dall’hotel, tallonato ad ampie falcate da Stane. Non riuscì ad incalzare ulteriormente l’autista, che l’ennesima colluttazione tra i due sfidanti divenne anche l’ultima: Tony afferrò Durden per il bavero e gli rifilò un gancio, ma questi riuscì a rompere il suo già precario equilibrio con una ginocchiata all’addome che gli fece perdere la presa, lasciandolo a mulinare le braccia in bilico sul ciglio della piscina.

Pepper ebbe appena il tempo di emettere un sottile sospiro rassegnato, prima che il suo capo piombasse a peso morto in acqua.




 


Note:
1 Baltimora: una delle città col più alto tasso di criminalità negli Stati Uniti.
2 Republic Oil: multinazionale petrolifera realmente esistente nell’universo Marvel, storicamente rivale delle Stark Industries. Nei fumetti viene incorporata alla Roxxon Oil Company.
Roxxon: un’altra multinazionale petrolifera nei fumetti che ha avuto contrasti con le Industries; in questa storia è una casa automobilistica, ma comunque subordinata alla Rep Oil.
Nei fumetti Pepper lavora come impiegata alle Stark Industries e viene promossa ad assistente da Tony stesso quando lo informa di un grave errore di contabilità sfuggito ai suoi superiori. Nella storia, questo fatto avviene dopo la sua assunzione.
Riferimento a una mia altra one-shot, Di brutta musica e coincidenze (mancate), riguardante l’assunzione di Pepper.
Citazione da Age of Ultron, qui liberamente attribuita a Howard Stark.
Oracle Corporation: multinazionale informatica realmente esistente, menzionata in Iron Man 2.
Durden: per chi ha letto/visto Fight Club, questo personaggio risulterà familiare ;)
La camicia è una di quelle di Tyler Durden nel film, ma immaginate che sia Edward Norton a indossarla, non Brad Pitt. Non che in effetti faccia molta differenza :P


Note Dell’Autrice:

Buonasera <3
Dopo la sfilza infinita di note, ecco a voi altre note!
Questa storia è nata per caso qualche mese fa ed è cresciuta e si è ampliata più o meno di sua volontà, fino a svilupparsi in due parti distinte (per evitare una one-shot di 40 pagine decisamente indigesta).
C’è Tony, c’è la sua faccia da schiaffi pre-Iron Man, c’è Pepper costretta a destreggiarsi in un mondo (e su dei tacchi) molto scomodi, c’è un Obadiah già manipolativo e con le redini dell’azienda in mano e c’è un ospite speciale da uno dei miei libri preferiti. E se volete di più, c’è il prossimo capitolo :P

Mollo qui questo papiro prima di partire per una settimana in un luogo privo di internet, quindi non disperate se tardo a rispondere. Al rientro pubblicherò la seconda parte, quella conclusiva :)
Spero di aver suscitato la vostra curiosità e che la lettura sia stata gradevole. Grazie a chiunque leggerà e/o recensirà, ogni commento è bene accetto :) E grazie a quel santo del mio ragazzo che si è preso la briga di istruirmi al magico mondo delle risse maschili <3
A presto,

-Light-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Di sbornie e discussioni impreviste ***


Parte II

 

Di sbornie e discussioni impreviste

 

 

 

 

"For you, oh, I’d lose it all
And give me one good reason
Why I should never make a change
Baby, if you hold me
Then all of this will go away"

[Budapest – George Ezra]

 

 

 

«Ottima dimostrazione di “basso profilo”,» esordì seccamente Obie, piantandosi sulla soglia della stanza con le mani sui fianchi e uno sguardo deluso.

La combinazione tra la sua statuaria compostezza e quell’orrenda camicia hawaiana non lo aiutava ad essere preso sul serio, ma almeno si era tolto il panama.

«Non posso distrarmi un momento, che ne combini una delle tue,» lo accusò ancora, probabilmente aspettandosi un qualche commento acido in risposta.

Tony tacque, tirando cautamente le labbra e continuando a premersi il pacchetto di ghiaccio mezzo sciolto e insanguinato sul mento. Si sedette più comodamente sul bordo del materasso, incurante di averlo inzuppato coi vestiti ancora fradici, senza alzare lo sguardo leggermente annebbiato. Sentiva gli occhi pizzicare per il contatto col cloro e sbatté ripetutamente e con fastidio le palpebre nel tentativo di mettere a fuoco.

Udì l’esagerato sospiro di Obadiah, che si decise infine a varcare la soglia chiudendo la porta dietro di sé con uno scatto secco.

«Questo
incidente del tutto evitabile ci causerà problemi con la più grande fetta di azionisti attivi sul mercato petrolifero,» riprese con più vigore, ma in tono tutto sommato ancora pacato. «In pratica, ci siamo preclusi ogni futuro accordo con la Rep Oil. Spero tu sia soddisfatto. E complimenti anche per il figurone davanti alla stampa... ne avranno per settimane,» rincarò, evidentemente sempre più seccato dal suo mutismo e col chiaro obiettivo di strappargli una qualunque reazione.

Tony sentì le orecchie incendiarsi al pensiero del suo tuffo in diretta, ma continuò a tacere. Soprattutto perché il labbro gli doleva a tal punto da convincerlo ad evitare qualunque movimento che lo coinvolgesse. Spostò il ghiaccio su di esso e accolse con sollievo il freddo sullo spacco bollente, socchiudendo gli occhi.

«Anthony, il trattamento del silenzio non...»

«Non chiamarmi così,» sbottò lui in un riflesso condizionato, pur realizzando di aver appena fatto il suo gioco.

«Oh, sai ancora parlare!» esclamò infatti lui in tono oltremodo sorpreso, come se si stesse rivolgendo a un bambino di sei anni «Bene, temevo che quel tizio avesse messo KO anche la tua loquacità.»

«Vai al diavolo,» scattò lui, punto sul vivo, ma sottovoce e in modo per nulla minaccioso.

Stavolta fu il turno di Obie per rimanere in silenzio. Incrociò le braccia e si piazzò di fronte a lui, in attesa. La pazienza di Tony si esaurì dopo appena dieci secondi:

«Cosa vuoi che ti dica? Che mi dispiace?» sollevò un sopracciglio un po’ ammaccato, desiderando solo che il suo socio sparisse dalla sua vista e lo lasciasse a collassare sul letto.

«Potrebbe essere un inizio, sai?» replicò lui pacatamente, senza abboccare alla provocazione.

«Peccato che non mi dispiaccia affatto,» sibilò, facendo per alzarsi ma accantonando subito l’idea nel sentire quanto le sue gambe sembrassero ancora di gelatina.

Stane si accigliò e si prese il mento nella mano, osservandolo come se stesse tentando di risolvere un rompicapo molto complesso e poco collaborativo. Tony gli scoccò un’occhiata esasperata, per poi tornare ad occuparsi delle molteplici ecchimosi sul suo volto, spostando con gesti meccanici il pacchetto di ghiaccio ormai inservibile da una chiazza violacea all’altra.

«Ok. Proviamo un altro approccio,» capitolò il suo socio, poggiandosi poi alla porta del bagno come se non avesse più le forze per sostenere quella conversazione. «Cosa speravi di ottenere, con questa bravata?»

Tony lo degnò solo di una fiacca scrollata di spalle. Tenne per sé ogni commento che gli affiorò alle labbra, a partire dal fatto che tutto ciò si sarebbe potuto tranquillamente evitare, se solo lui non avesse invitato quell’idiota. A conti fatti, era colpa sua. Obie scosse di rimando la testa.

«Tony, non sono ottuso: posso immaginare le tue motivazioni, ma pensavo che ti bastasse aver acquistato la Roxxon per metterti l’anima in pace.»

«La questione sarà chiusa quando anche le Rep Oil andrà fallita,» replicò lui, monocorde.

«E scatenare una rissa col rappresentante aziendale della Roxxon ti sembra un buon modo per farlo?» lo rimbeccò caustico Stane, alzando un poco la voce.

«Volevo togliermi lo sfizio,» commentò lui, sempre senza alcuna inflessione.

A quel punto Obie fu incapace di mantenere oltre la facciata paterna e comprensiva che aveva mirabilmente allestito e si staccò di colpo dal muro, avanzando verso di lui.

«Maledizione, Tony, smettila di fare il ragazzino! Sono passati dieci anni, per quanto...»

«Nove.»

«... ancora vuoi mandare avanti questa storia?» terminò, ignorando il suo intervento e piantandogli quindi l’indice sul petto con fare aggressivo.

«Finché qualcuno non pagherà!» sbottò lui, scansando con un gesto rabbioso la sua mano e rimproverandosi per aver perso a sua volta il controllo della propria voce «E la Roxxon e la Rep Oil pagheranno, dovessi finire sul lastrico.» concluse, inspirando a fondo dal naso nell’inutile tentativo di moderarsi.

A quelle parole Obie si scostò appena, col dito ancora puntato contro di lui e gli occhi azzurri congelati in un’espressione incredula.

«E poi?» lo incalzò, incrociando di nuovo le braccia e recuperando il proprio contegno con sorprendente rapidità.

Tony vacillò appena, spiazzato da quella domanda alla quale non si era mai davvero impegnato a trovare una risposta.

«Al
poi penserò quando sarà il momento,» svicolò infine «Sono un genio, miliardario e playboy: sono sicuro di poter trovare o inventare qualcosa con cui occupare il mio tempo libero. Magari fondo la città del futuro e inizio a governarla, tanto per non annoiarmi troppo1.» concluse con voluta presunzione, per il puro gusto di irritare Obadiah.

Lui lo deluse, decidendo invece di ignorare quello sfoggio di arroganza.

«Non è ciò che avrebbe voluto tuo padre,» asserì, in tono freddo.

«E cosa avrebbe voluto?» s’inalberò di nuovo Tony «Non ha mai avuto la decenza di dirmelo e adesso è troppo tardi per chiederlo a lui, ma a quanto pare tu lo sai benissimo!» continuò amareggiato, odiandosi per la nota quasi supplichevole che si era intromessa nella sua voce.

«Vorrebbe che seguissi le sue orme,» rispose l’altro, senza più scomporsi.

Tony si costrinse a non ribattere, dominando il leggero affanno che gli aveva rotto il respiro e rifiutandosi di incontrare i suoi occhi, temendo di leggervi una compassione che l’avrebbe solo reso più furioso. Portò una mano al taschino in un gesto istintivo, solo per constatare per l’ennesima volta l’assenza degli occhiali; la lasciò ricadere di scatto sul materasso, frustrato.

Sentì Obie sbuffare sonoramente, per poi dirigersi a passi pesanti verso il minibar e recuperare un altro panetto di ghiaccio istantaneo. Tony lo osservò indolentemente ma con pungente insistenza, senza fare mistero del fatto che avrebbe voluto essere lasciato da solo, a smaltire in santa pace la sua sbornia.

«Se continui così, finirai solo per buttare via la tua vita,» sospirò infine Obie, tendendogli il pacchetto che aveva appena spezzato.

Tony ignorò l’offerta e voltò ostinatamente il capo, indifferente a quelle parole che si era sentito ripetere all’infinito e che sentiva diventare sempre più vere e pesanti col trascorrere degli anni. Era esasperato dal modo in cui Obadiah riuscisse sempre a colpire i suoi nervi scoperti con precisione disarmante, semplicemente attingendo dal pozzo inesauribile del fardello lasciatogli sulle spalle da suo padre.

«Smettila di rincorrere fantasmi,» concluse il suo socio con fare più comprensivo, lasciando infine cadere il ghiaccio sul letto.

Tony lo raccolse dopo qualche istante di esitazione, tornando a tamponarsi il taglio sul labbro con fare assente e intontito dall’alcol. Stava ripensando all’obitorio, a quanto fosse ancora più freddo di quel ghiaccio, al vetro appannato dal suo stesso respiro frapposto tra lui e i due corpi irriconoscibili stesi sulle barelle d’acciaio. Scosse appena la testa, a riscuotersi anche da quelle immagini.

«Dammi qualche mese e non ne avrò più motivo,» replicò con caparbietà.

Obie si piantò di nuovo le mani sui fianchi, lasciandosi andare a un sorriso esasperato che mascherava solo in parte la sua irritazione.

«Tony, non puoi continuare a prendere a pugni chi non ti è simpatico. Ti stai inimicando personalità potenti.»

Tony emise un verso di scherno.

«Quel bastardo fatico a definirlo
persona, figuriamoci personalità. Ha osato dire che...»

«Non vuoi proprio imparare, eh?» lo interruppe Obie, alzando di nuovo la voce «Non mi interessa cosa ti ha detto! Ma ti senti quando parli? Così non stai deludendo solo Howard...»

Tony presagì subito dove stesse andando a parare – era così prevedibile – e si irrigidì, contraendo dolorosamente la mascella.

«Obie.»

«... Maria ha sempre sofferto a vederti...»

«Obie!» lo fulminò con un unico sguardo furente «Fuori di qui! Adesso, o il prossimo che prendo a pugni sarai tu.» terminò, con voce tremante.

L’altro lo fissò incredulo e per un momento Tony pensò di dover davvero mettere in pratica la sua minaccia per indurlo ad eseguire il suo ordine. Invece lo vide alzare entrambe le mani in uno stizzito gesto di resa.

«Farò finta di non aver sentito e che tu sia troppo ubriaco per sapere quello che stai dicendo.» asserì, con una gelida durezza che non gli aveva mai sentito usare.

«So perfettamente quello che...» fece per ribattere, ma fu troncato dal collega:

«No, non lo sai,» lo mise a tacere con distacco, lasciando intendere che fosse meglio per lui fare almeno finta che fosse così.

Tony per una volta seguì la direttiva, frenando la rabbia che sentiva montare di nuovo, scalpitando per straripare ed esacerbata dai fumi dell’alcol.

«Ti lascio a smaltire. Ne riparleremo domattina, quando sarai più lucido,» concluse Obadiah, avviandosi inviperito verso l’uscita «E datti un’asciugata, prima che ti prenda anche una polmonite!» gli intimò dalla soglia, in un modo perentorio e condiscendente che si sovrappose alla voce di suo padre.

«Vaffanculo!» gli ringhiò dietro, ma fu coperto dal suono della porta che sbatteva con violenza.

Accolse il silenzio che seguì come un toccasana per la sua emicrania. Si stese sul letto, sprofondando la testa ancora bagnata nel cuscino col ghiaccio sulla fronte e gli occhi fissi sullo smorto soffitto ocra.

Ecco, adesso poteva ritenersi soddisfatto: aveva spaccato il muso a quello stronzo della Roxxon, l’aveva umiliato di fronte a tutti ed era anche riuscito a tener testa a Obadiah per ben due volte. Era stata una giornata produttiva, almeno così concluse il suo cervello ancora brillo ma in grado di intendere, di volere e di riconoscere i frutti del proprio operato. Era stata una bella giornata, si ripeté ancora, senza avvertire alcuna reale emozione a confermare quel fatto.

Forzò un sorriso tronfio, ma tutto ciò che ottenne fu una fitta al labbro spaccato.



 

§




Erano le undici passate quando Pepper, seduta con Happy al lounge bar dellhotel, decise che era ora di congedarsi.

«Stanca?» le chiese lautista, con un sorriso comprensivo che rimandava allassalto dei giornalisti da lei tenuti a bada in seguito alla rissa.

«È stata una giornata impegnativa,» eufemizzò lei, alzandosi dallalta sedia del bar.

Si sistemò le pieghe del vestito che Happy le aveva rimediato: un semplice abito lungo con un modesto scollo a barca e motivi floreali, fine ma discreto. Probabilmente le direttive che aveva ricevuto in proposito erano state tuttaltre, ma aveva apprezzato quella piccola ribellione e gliene era grata.

«Non ti invidio. Preferirei mille volte un Tony Stark ubriaco alla stampa,» concordò lui, alzandosi a sua volta «Passi tu da lui?» sinformò poi, mentre lasciava la mancia al barman.

«Per completare lopera?» replicò lei pungente, suscitando la sua ilarità «Pensi che sia una buona idea? Prima Stane sembrava furibondo.» chiese poi, accigliandosi nel ricordare lespressione temporalesca dell’uomo quando era tornato dal “colloquio” con Tony, un paio d’ore prima.

Li aveva degnati appena di un cenno di saluto, non aveva proferito parola e si era piazzato su un divanetto dellarea fumatori a ruminare un sigaro. La frequenza serrata da locomotiva con cui le nuvolette lasciavano la sua bocca aveva dato loro unidea della sua viva irritazione.

«Se vuoi ci faccio un salto io,» scrollò le spalle luomo, mentre si avviavano insieme alle rispettive stanze. «Ma considerando che ho dovuto ripescarlo dalla piscina e trascinarlo in camera mentre mi insultava, sarà sicuramente più felice di vedere te. E uno di noi due deve pur assicurarsi che non muoia dissanguato,» aggiunse sbuffando.

«Non capisco perché debba sempre finire così. O in un bagno a vomitare lanima,» borbottò Pepper, più tra sé che rivolta ad Happy.

«È un uomo complicato,» rispose questi, le sembrò un po evasivamente.

«È un uomo stupido,» ribatté lei, con fermezza. «E, sinceramente, non so per quanto ancora potrò sopportare lui tutto il resto,» si lasciò sfuggire, proprio quando furono arrivati davanti alla porta di Happy.

Lui non nascose la sua sorpresa a quelle parole ed esitò brevemente, con la chiave magnetica a mezzaria.

«Stai pensando di mollare?» tastò il terreno con perspicacia, scostandosi con fare nervoso i capelli dietro lorecchio.

Pepper fece un cenno ambiguo col capo, a metà tra un gesto dassenso e uno di diniego, restia a sbilanciarsi.

«Sto riconsiderando la mia posizione. Ma non dirlo a...»

«No, scherzi? Si strapperebbe capelli e pizzetto, a saperlo,» la sorprese lui, con un mezzo sorriso ironico.

«Troverebbe un rimpiazzo in men che non si dica,» osservò lei, con sufficienza.

«Probabile. Ma non credo lo farebbe.»

Pepper incrociò le braccia sotto il seno, fissandolo incuriosita. Happy fece il gesto di indietreggiare e incontrò la porta. Si mosse sul posto, come rendendosi conto di aver detto troppo, ma si rassegnò a proseguire:

«Senti, Tony è un disastro e uno stronzo, e sa di esserlo. Lo conosco da otto anni e riuscirei a contare i giorni in cui è stato sobrio su due mani,» allargò i palmi davanti al suo volto a sottolineare il concetto. «La situazione è degenerata col tempo. Lo scorso Capodanno ha toccato il fondo e si è presentato completamente sbronzo a un evento di portata internazionale... ha tenuto il palco e dato spettacolo come oggi, ma non puoi gestire una conferenza da ubriaco e farti beffe di tutta la comunità scientifica sperando di uscirne indenne. La critica lha distrutto, probabilmente si è precluso il Nobel a vita e a lui...» fece un mezzo sospiro incredulo. «A lui non interessa. E Stane lha sempre lasciato a briglia sciolta,» spiegò ancora, con palese disapprovazione. «Sono stato io a insistere per fargli assumere un assistente.»

«Un baby-sitter, intendi,» precisò Pepper un po risentita, mentre assorbiva quelle informazioni.

«Io pensavo a un punto di riferimento,» la contraddisse lui. «Chiamalo come vuoi: ha funzionato e ho perso il conto dei suoi giorni sobri. Probabilmente averti costantemente attorno è il solo motivo per cui si ricorda di avere una dignità e non si attacca a una bottiglia appena mette piede fuori dal letto.»

Pepper rimase spiazzata per qualche istante, faticando a trovare una risposta adeguata.

«Non mi sembra che stasera la mia presenza abbia fatto molta differenza,» commentò, con una fiacca scrollata di spalle.

«Era una situazione molto particolare,» svagò lui, di nuovo sulle spine.

Pepper non insistette: aveva già avuto modo di intuire lanormalità del comportamento di Tony, anche rispetto ai suoi standard decisamente sopra le righe. Happy era probabilmente al corrente dei retroscena della faccenda, ma sembrava anche poco propenso a condividerli, forse per salvaguardare la poca privacy rimasta al loro capo.

«A te non dà retta? Lo conosci da più tempo,» considerò poi, cautamente e cambiando con tatto argomento.

Era comunque un po riluttante a porre altre domande personali al collega, ancor di più quando notò il modo in cui lui sfuggì il suo sguardo, quasi si sentisse colto in fallo. Ma era suo malgrado interessata a quel discorso che gettava un po di luce sulla figura del suo datore di lavoro, sempre sotto i riflettori ma allo stesso tempo nascosto nellombra, così si affrettò a vincere le sue remore:

«E quel maggiore dellesercito? Anche lui sembra...»

«Chi, Rhodey? È il suo migliore amico, ma non fa molta differenza,» Happy gonfiò appena le guance, come se vi si fossero accumulate troppe parole «Mettiamola così: lui non ha la pazienza e io non ho la tempra per stargli sempre dietro.»

«E io avrei tempra e pazienza?» dedusse scetticamente lei, socchiudendo gli occhi e inclinandosi appena allindietro come a valutare la cosa da una prospettiva più distaccata.

«Evidentemente,» Happy allargò appena le braccia, a esprimere anche la propria perplessità. «Senti, in fondo non mi sembra che ti dispiaccia così tanto lavorare qui, no?» indagò poi, a bruciapelo.

«È sicuramente limpiego meno noioso che abbia mai avuto. E il più stressante. Ma no, non mi dispiace affatto,» ammise lei, con altrettanta franchezza.

«Tony non lo ammetterebbe neanche morto, ma penso che sarebbe disposto a compiere almeno qualche sforzo, se servisse da incentivo a farti rimanere.»

«Dubito di essere una motivazione sufficiente,» si schermì lei, dondolando appena impacciata sui piedi.

Happy la fissò, esitando per qualche istante; storse appena la bocca, come se non fosse entusiasta di dire ciò che stava per dire:

«La lista dei dipendenti meritevoli viene stilata ogni anno da Stane,» rivelò concisamente. «Tony non la guarda nemmeno, si limita a leggerla in pubblico. Ne ho una copia per sicurezza... un paio di volte se lè persa.»

Happy prese a frugare nella tasca interna della giacca.


«Non stento a crederlo,» commentò piano lei, ripensando agli occhiali ancora introvabili e seguendo con curiosità i suoi armeggi.

Happy recuperò infine un foglietto e glielo porse, invitandola a leggere. Lei lo aprì titubante, scorrendone rapidamente i nominativi.

«No, non sei nell’elenco: ti ha aggiunta lui last-minute, di sua iniziativa,» le confermò, quando lei prese a rileggerla da capo credendo di aver avuto una svista. «È “sufficiente”?» aggiunse con un lieve sorriso soddisfatto.

«È... inaspettato,» si constrinse a dire lei, sentendo però un pizzico d’
orgoglio farsi strada in lei.

Gli restituì il foglio, rendendosi conto di essere arrossita e sapendo di non poter fare nulla per nasconderlo. Sentiva crescere un miscuglio di imbarazzo, piacevole sorpresa e gratificazione nel sentirsi dire e constatare con mano di avere una così grande influenza su una personalità del calibro di Tony Stark, e che lui stesso, tutto sommato un genio, la considerasse meritevole. Per ora stava vincendo a mani basse limbarazzo.

«Non sto dicendo di volermene andare domani,» disse piano, agitandosi appena e scostandosi la frangetta fulva dagli occhi.

Tentennò ancora qualche istante, sentendosi bloccata in una conversazione che non era certa di voler affrontare. Dubitava però di potersi confidare con qualcun altro a parte Happy su quel determinato argomento.

«Ci sono solo degli... aspetti di questo lavoro che iniziano a pesarmi. Oggi si sono fatti sentire più del solito,» confessò infine, ripensando al disagio che laveva pervasa per tutta la sera nel sentirsi nel mirino dei paparazzi, prima, e dei giornalisti, poi.

Per non parlare dei suoi colleghi alle Industries: presentarsi agli uffici era come scendere nella fossa dei leoni e non si sentiva tranquilla finché non varcava nuovamente la soglia di Villa Stark. Happy dovette intuire a cosa si riferisse, perché sincupì e incrociò le braccia massicce.

«Non è un ambiente facile, soprattutto per i nuovi arrivati, e i media non migliorano le cose. È normale che ti mettano pressione,» proferì serio. «Parlane con lui,» suggerì poi, con un cenno del mento in direzione della porta allaltro capo del corridoio.

Pepper scosse la testa, pur ripensando alla prontezza con cui Tony si era offerto di occuparsi personalmente dei paparazzi.

«Magari glielo farò presente quando sarà in grado di pensare e parlare allo stesso tempo,» concluse evasiva, con una smorfia ancora dubbiosa «Adesso è meglio non mandarlo in sovraccarico.»

«Vuoi che vada a controllarlo io?» si offrì di nuovo Happy, volenteroso, ma lei scosse la testa.

«No, Harold, ci penso io; tu vai pure a dormire. E grazie,» disse poi, con garbo. «Di nuovo,» aggiunse ancora, sollevando un lembo del vestito con fare esplicativo, mentre lui già sbloccava la porta.

«Di niente. E chiamami Happy, ormai quasi non riconosco più il mio nome,» la invitò, fermandosi sulla soglia con un sospiro ironico. «Tu invece preferisci...?» si arrischiò, indicandola con titubanza.

«Pepper andrà bene,» lo rassicurò divertita, roteando teatralmente gli occhi a quel soprannome che, dopotutto, non le dispiaceva.


 

§




La prima, lieve di serie di colpi sulla porta non ottenne risposta, e Pepper aspettò qualche decina di secondi prima di decidersi a bussare con più fermezza.

«Obie, ti ho detto di lasciarmi in pace!» la replica le arrivò ovattata, ma non tanto da celare la nota di stizza.

Si chiese se non fosse davvero il caso di lasciarlo per conto suo a smaltire.

«Signor Stark?» tentò comunque, cercando di non alzare troppo la voce nel corridoio deserto.

Qualche secondo di silenzio sinterpose tra loro e per un momento credette che non lavesse sentita. Poi percepì delle lievi vibrazioni cadenzate, un lamento soffocato e infine la porta si schiuse appena, rivelando il volto pesto di Tony parzialmente sepolto sotto un pacchetto di ghiaccio sintetico ormai sciolto.

«Lei può entrare,» dichiarò con voce sommessa, facendosi da parte con un passo malfermo mentre spalancava la porta.

Pepper varcò la soglia con una lieve incertezza che però passò inosservata. Tony chiuse la porta e la superò per sedersi pesantemente sul letto, mantenendo un insolito silenzio che le diede unidea di quanto ancora fosse frastornato dalla sbronza e dalla batosta subita, sia fisica che morale.

Il suo aspetto era più simile a qualcuno sopravvissuto a un frontale con un tram, che a una banale rissa.

Doveva essersi fatto una doccia e si era dato una sistemata: i capelli erano umidi ma pettinati e indossava t-shirt e pantaloncini del pigiama; sul pavimento del bagno giacevano in un bozzolo fradicio gli indumenti che aveva indossato fino a qualche ora prima. La sua faccia era ancora una costellazione di lividi, escoriazioni e graffi, ma si era ripulito quel tanto che bastava per lasciar intravedere i lineamenti sottostanti. Lo spacco sul labbro doveva essere particolarmente ostinato, a giudicare dal mucchietto di fazzoletti chiazzati di rosso accatastati sul comodino e dal modo in aveva recuperato un asciugamano bagnato per tamponarlo.


«Non doveva farsi bella per me,» bofonchiò infine lui contro la stoffa, adocchiando il vestito nuovo.

«Presentarmi in pigiama sarebbe stato inappropriato,» osservò la donna, accennando appena al suo.

«Dice?» insinuò lui, con un debole sorrisetto malizioso di cui si pentì allistante, a giudicare dal sibilo che gli sfuggì e dal modo in cui aumentò la pressione sul labbro ferito.

«Dico,» lo mise a tacere, senza scomporsi minimamente.

«Su, potrebbe darmi almeno un po di corda, ogni tanto,» fece finta di offendersi lui.

«Se le dessi anche solo ununghia, lei si prenderebbe tutto il braccio,» osservò lei, scoccandoglì unocchiata significativa a intendere che, conoscendolo, si sarebbe preso anche di più.

«Non mi permetterei mai,» la contraddisse lui con inaspettata serietà, prima di distogliere repentinamente lo sguardo. «Piuttosto, spero che non sia venuta anche lei a farmi la ramanzina.»

«Credo che sia abbastanza intelligente da capire da solo di aver fatto una cosa molto stupida. Non ha bisogno anche del mio feedback al riguardo.»

«Questa assomiglia molto a una ramanzina,» brontolò lui.

«Forse perché se la meriterebbe, considerando landazzo della serata,» gli fece notare con una punta di rimprovero.

«Sarebbe stato del tutto evitabile, se avessi avuto i miei occhiali da sole,» sbottò lui a sproposito, al che Pepper si irrigidì.

«Spero stia scherzando. Adesso sarebbe colpa mia?» interpretò, incredula.

«Non è lei quella coi lividi in faccia e un labbro rotto, mi sembra.»

Lei provò la forte tentazione di replicare che le aveva “rotto
” ben altro, ma sarebbe risultato assolutamente non professionale, così si limitò a fulminarlo con lo sguardo, concedendogli dieci secondi per tacere, chiedere scusa o dire qualcosa di sensato, prima di lasciarlo solo con la sua arroganza. Per sua fortuna, dimostrò buonsenso e si esibì in un impacciato misto delle tre cose:

«Sono lividi meritati,» borbottò dopo un breve silenzio. «E non è colpa sua,» aggiunse ancor più piano, cercando brevemente un contatto visivo in quello che era probabilmente inteso come un gesto di scuse.

Pepper lo esaminò nel complesso, partendo dal ghiaccio inservibile premuto sul labbro, passando per il vasto assortimento di macchie violacee sul viso e finendo per soffermarsi sull
espressione afflitta e incredibilmente poco insolente, per essere esibita da Tony Stark. Risentiva chiaramente dellalcol e doveva avere un mal di testa devastante, ma sembrava in condizioni abbastanza buone, considerando i suoi precedenti.

Si chiese ancora come e perché finisse sempre per ridursi in quello stato, anche se per una volta sembrava essere consapevole delle proprie azioni sconclusionate, arrivando forse persino a pentirsene. 
Decise di soprassedere sul commento e di accettare quelle ennesime scuse indirette, preferendo concentrarsi sul motivo della sua visita, ovvero assicurarsi che fosse in grado di superare la notte senza ulteriore assistenza.

«Sta bene?» chiese, recuperando un tono distaccato.

Tony scostò lasciugamano, scoprendo il taglio sul labbro ancora sanguinante. Alzò le spalle, a significare che non era nulla di grave. Pepper si avvicinò poco convinta e pose con delicatezza due dita sotto il suo mento; lui inclinò docilmente la testa così da farle valutare lentità del danno.

Effettivamente non sembrava nulla di troppo preoccupante, ma la ferita era comunque abbastanza profonda e gonfia da farla accigliare, senza contare che continuava a perdere sangue.

«Forse dovrebbe mettersi dei punti,» rilevò, già prevedendo la reazione delluomo.

«Che esagerazione. Non è la mia prima rissa,» minimizzò infatti lui, sfuggendo alla sua presa e riprendendo a tamponarsi lo spacco. «Com’è che si dice... “doveva vedere l’altro”,» aggiunse con un debole sogghigno da teppista che gli inclinò solo il lato sano della bocca.

«L
ho visto,» lo rimbeccò. «Non mi sembrava messo molto peggio, anzi.»

«Ahia. Questo sì che ha fatto male,» commentò lui, con voce leggermente impastata e unalzata di sopracciglia.

Si sfregò gli occhi ancora arrossati per il cloro e li puntò con aria assente sulla sua mano libera, concentrandosi sulle nocche contuse e intorpidite. Stese cautamente le dita, traendone uno scricchiolio preoccupante che convinse Pepper a dedicare lultimo pacchetto di ghiaccio rimasto nel minibar a quella probabile frattura.

Badò bene a non darglielo direttamente, posandolo con un gesto involontariamente brusco accanto a lui, memore dell
episodio degli occhiali e ancora un po irritata da quella sua fisima. Lui lo prese senza dire una parola, di nuovo a sguardo basso.

«Posso dire a Happy di portarla al pronto soccorso,» gli propose senza provare davvero a convincerlo.

Lui rispose solo con un incerto mugugno di diniego, con la testa reclinata in avanti e lo sguardo vacuo come se fosse già mezzo addormentato, o forse solo perso nei suoi pensieri ancora rimescolati dalla sbronza. Pepper stava giusto per congedarsi, ritenendo che tutto ciò di cui aveva bisogno luomo in quel momento erano una lunga dormita e unaspirina, quando lui ruppe inaspettatamente il silenzio:

«Prima mi ha chiesto “perché Baltimora
”,» esordì rapido e un po’ incerto, come se avesse pensato a lungo a come formulare la frase e non fosse comunque riuscito ad ottenere un risultato soddisfacente.

Pepper lo scrutò interrogativa, notando il modo in cui evitava i suoi occhi nel parlare, preferendo fissarli su un punto alle sue spalle.

«Immagino che se lo stia ancora chiedendo... oltre a un mucchio di altre cose che in realtà troverebbero comunque risposta grazie alla prima domanda...» sinterruppe come fosse a corto di parole.

«Signor Stark, da quel che ho capito, mi sembra una questione personale. Non è tenuto a dirmi nulla,» lo frenò lei, rammentandosi del suo stato probabilmente non del tutto lucido e delle parole di Happy.

«Certo, lo so,» replicò affrettato lui, ma si intuiva come non aspettasse altro che una domanda diretta, così da avere una scusa per parlare anche di tutto il resto.

Tony Stark non era tipo da chiedere, per avere qualcosa: tendenzialmente la otteneva senza muovere un dito, la acquistava o se la procurava da solo grazie al suo ingegno. Eppure in quel modo di fare così inspiegabilmente cauto, quasi stesse tastando il terreno attorno a sé nel timore di vederlo crollare, intuiva una richiesta di per sé semplice da intuire e altrettanto da realizzare.

«Perché Baltimora?» chiese quindi, rimanendo di fronte a lui in attesa.

Lui batté stolidamente le palpebre e quasi si ritrasse, come preso in contropiede dal fatto che fosse disposta ad ascoltarlo. Si sfregò la punta del naso arrossato, sfuggì il suo sguardo e si schiarì discretamente la gola, accennando infine alla finestra.

«Si affacci,» la esortò, con voce ferma ma leggermente più flebile del solito.

Lei eseguì, sebbene un po perplessa, e scostò appena la tenda, rivelando la sfavillante skyline notturna di Baltimora e le luci affollate del porto ancora in fermento dallaltra parte della baia. Non rilevò nulla fuori dallordinario e stava per chiedere delucidazioni, quando lui, portatosi nel frattempo al suo fianco, aprì del tutto la tenda.

«Là,» disse semplicemente, accostandosi a lei col dito puntato contro il vetro allaltezza dei suoi occhi.

Pepper ne seguì la direzione e aguzzò lo sguardo. Fu allora che, nella foresta di insegne luminose che si ergeva sugli edifici antistanti il porto, distinse quella della Roxxon. Rivolse di nuovo la sua attenzione a Tony, adesso appoggiato coi palmi sul davanzale, con la fronte che quasi sfiorava il vetro e gli occhi fissi sulla scritta vermiglia stagliata contro il cielo buio. Le sue sopracciglia erano corrugate, non sapeva dire se per semplice concentrazione per mettere a fuoco linsegna, ma le linee del suo volto si erano indurite, come qualche ora prima durante la rissa.

«La loro sede principale è proprio qui,» strinse la mano ferita con un po troppa forza, senza badarvi. «Come le dicevo: un posto come un altro per festeggiare,» mormorò ancora, assente.

Pepper non capì come dovesse intendere quella frase, se con ironia o aperto disprezzo, ma le sembrò che stesse cercando di fare un passo indietro. Cercò di determinare quanto fosse lucido, ma a parte gli occhi leggermente liquidi era ben saldo sulle gambe e non emanava altro odore se non una lieve fragranza di bagnoschiuma al muschio e una traccia di mentolo. Anche la sua voce era controllata, sebbene esitante, e non le sembrava affatto fuori di sé, solo molto stanco.

«Signor Stark, ha diritto ai suoi segreti,» affermò infine in tono gentile, dandogli di nuovo la possibilità di svicolare dal discorso.

Lui in tutta risposta le lanciò una breve occhiata indecifrabile, abbozzò un sorriso mal riuscito e tornò a sedersi sul letto. Recuperò lasciugamano, riprendendo a tamponarsi la ferita sul labbro.

«Dallanno prossimo non si vedrà più neanche una Roxxon in giro,» esordì, ignorando implicitamente lofferta ricevuta. «È un sollievo aver liberato il mondo da una macchina così brutta.»

Pepper tacque, tentando senza successo di carpire il nodo di tutta quella faccenda; si appoggiò di schiena al davanzale, mettendosi in ascolto di fronte a lui.

«Non capisco come le Industries potrebbero trarre profitto dallacquisto di quella ditta,» ammise, incrociando le braccia sotto al seno.

«Non lo faranno. Ho intenzione di liquidarla al più presto,» replicò lui, lapidario.

Lei ammutolì, fissandolo attonita.

«Signor Stark, con tutto il rispetto, ma quello che vuole fare non ha alcun senso,» gli fece notare, pur intuendo che dietro quella decisione vi fosse un filo logico ben distante dal mondo degli affari.

«Ha senso per me,» ribatté infatti, prendendo poi un rapido respiro che sembrava dover calmare il suo petto ora agitato.

I suoi occhi erano incupiti e irrequieti: seguivano distratti la skyline allorizzonte soffermandosi più volte nello stesso punto; Pepper non ebbe bisogno di voltarsi per capire quale.

Cera tristezza nella sua voce, e a Pepper ci volle qualche secondo per realizzarlo.

Lunica volta in cui lavesse visto dumore così torvo era stato allinizio di dicembre, poco prima che partisse per le Bahamas2 per le vacanze natalizie. Si era assentato per tutto il mese ed era tornato giusto in tempo per Capodanno, meno teso e pronto a inaugurare il nuovo anno con uno dei suoi memorabili festini, ma unombra di mestizia era rimasta a schermargli gli occhi assieme alle sue abituali lenti scure. Adesso quellimpressione sembrava amplificata, come se permeasse il suo intero corpo.

Lo guardò e non vide il miliardario esibizionista e sregolato che modellava la propria vita a piacimento, né il genio arrogante che si faceva beffe del mondo intero, né il playboy dissoluto e impenitente che si crogiolava tra riflettori e telecamere; non vide nemmeno lerede di un impero finanziario e intellettuale, impettito in un vistoso completo in pendant con la sua spavalderia. Vide solo un uomo seduto come un bambino a gambe incrociate sul letto, con una maglietta scolorita dei Deep Purple addosso, i capelli scarmigliati e i grandi occhi nocciola smarriti e incorniciati da lividi.

Del Tony Stark che conoscevano tutti rimaneva il tenue brillio impertinente nelle iridi scure e la piega delle labbra appena obliqua, che non stemperavano però le ombre sul suo volto.

«Mi aiuti a capire, allora,» lo sollecitò, con delicatezza.

«Ha mai dato unocchiata al numero di incidenti che coinvolgono le Roxxon?» riprese lui, con calma forzata «In realtà ne dubito, visto che ci tengono a farlo passare sotto silenzio.» si rispose subito, con disgusto.

«Che intende?»

Lui inspirò di nuovo a fondo; adesso faticava a star fermo.

«Errori di progettazione, assemblaggi frettolosi, materiali scadenti...» elencò monocorde con un ampio gesto della mano, a indicare che la lista non terminava lì.

«Si riferisce allo scandalo di un paio danni fa?» realizzò Pepper, richiamando qualche servizio in proposito che non aveva seguito attivamente: allepoca le Roxxon erano decisamente fuori budget per lei e non aveva avuto motivo dinteressarsi alla vicenda.

«Quello dei differenziali difettosi3?» esitò per una sospetta frazione di secondo «Esatto,» confermò evasivo.

Strinse le labbra, improvvisamente incurante del taglio che le solcava.

«Se la sono cavata solo grazie a buoni avvocati e ottime protezioni dallalto... la Republic Oil. Ti basta questo ed esci pulito anche dalla peggior fogna, come daltra parte facciamo noi,» concluse, con una vena di disprezzo ben palpabile.

«Signor Stark, perché le interessa tanto?» si decise a chiedere lei, senza ulteriori divagazioni.

«Sono macchine pericolose,» alzò le spalle con noncuranza. «Sto solo facendo un favore a tutti.»

«Non mi sembra proprio il tipo da gesti disinteressati,» lo rimbeccò lei con schiettezza.

Tony si accigliò di colpo e per un attimo temette che si fosse offeso, ma dopo il primo momento di sconcerto si limitò a reclinare appena la testa in avanti, annuendo a conferma di quelle parole.

«Touché,» concesse, e sembrò quasi divertito, prima che sollevasse di nuovo il capo rivelando gli occhi seri e scuriti. «Aveva ragione: è personale,» riconobbe, attorcigliando nervosamente lasciugamano tra le dita.

Per un singolo istante, Pepper desiderò che non continuasse, percependo tutti il disagio che gli causava quellargomento; poi lo vide raddrizzarsi appena, come a rimanere saldo nella sua decisione.

«I miei guidavano una Roxxon,» esalò piattamente, coi pugni serrati sulla stoffa screziata di rosso.

Pepper non trattenne un moto di sorpresa e non poté impedire che il suo volto si venasse di rimando di repentina tristezza, realizzando tutti i sottintesi di quella semplice affermazione. Le bastava quel tassello per mettere al posto giusto tutti gli altri apparentemente sconclusionati che avevano costellato la serata. A quelli si aggiunse la spiacevole consapevolezza del perché Tony avesse preferito passare il Natale lontano da tutti.

«Lei è al corrente...» cominciò lui, colto dal dubbio.

«Lo lessi sui giornali, allepoca,» lo fermò con dolcezza, evitandogli il dolore di doverle raccontare i fatti. «Mi dispiace,» aggiunse, in modo forse inutile, ma sentito.

Lui accettò quelle parole con un piccolo cenno del capo.

«Mi ci sono scervellato per anni,» continuò poi, con voce bassa e misurata. «Ho sempre pensato che non potesse essere solo un incidente.»

«La fama della Roxxon non è mai stata delle migliori,» ammise lei, attenta a non sbilanciarsi troppo.

«Affatto.»

«E lei è propenso a credere che la macchina dei suoi genitori fosse difettosa.»

«È la conclusione a cui sono arrivato... dopo aver scartato lomicidio e il suicidio,» ammise con riluttanza, sempre senza guardarla.

«Ha delle prove al riguardo?»

«Mio padre era un pilota provetto4. Ed è riuscito a schiantarsi contro un albero, su un rettilineo, a velocità moderata,» elencò con evidente, nervoso scetticismo. «Deve per forza esserci stato un guasto, magari ai freni o...» scosse appena la testa, interrompendosi.

Pepper incrociò un po più strettamente le braccia e si astenne dal mettere in dubbio l’oggettività di quella “prova”. Poteva capire il rifiuto di Tony rispetto all’accaduto, e quanto avesse bisogno di trovarvi una spiegazione razionale, ancor meglio se con un colpevole da condannare, ma le era anche evidente come quello fosse solo uno scudo per evitare di affrontare lucidamente la cosa. Ovvero che gli incidenti, purtroppo, potevano capitare a chiunque.

«Lo so cosa sta pensando,» insinuò lui sulla difensiva, notando il suo sguardo. «Ma ci sono tutti gli altri incidenti a darmi ragione ed è un’ipotesi più plausibile del “colpo di sonno”,» schioccò con sprezzo la lingua, accigliandosi maggiormente.

«Quella è la spiegazione ufficiale?» chiese, senza nascondere la propria perplessità.

«La migliore che si sono degnati di trovare e l
unica che abbiano reso pubblica,» si umettò le labbra, prendendosi un paio di secondi prima di continuare. «Quella sera erano diretti al Pentagono, quindi le indagini sono state molto riservate. Anchio sono stato tenuto a distanza e le informazioni al riguardo sono poche e irreperibili persino per me.» A quel punto Tony strinse con tanta forza un pugno da sbiancarsi le nocche «E la macchina è andata a fuoco dopo lo schianto cancellando... gran parte delle prove. Molto conveniente,» osservò, di nuovo in quella voce spenta che si sforzava di essere indifferente.

Pepper chiuse brevemente gli occhi, incassando la notizia e non osando immaginare quali ricordi potesse aver rievocato nella mente delluomo.

«Quindi il caso è ufficialmente chiuso,» constatò, e Tony alzò le spalle a mo di conferma.

«Mio padre non era ben visto nel suo ambiente: nessuno del governo aveva interesse ad andare in fondo alla vicenda. Hanno fatto un buon lavoro a insabbiare tutto e immagino che la Roxxon sia stata al gioco per salvarsi dallo scandalo.»

Era tornato a parlare con apparente disinvoltura, ma i suoi lineamenti rimasero contratti, la piega della bocca dura.

«Con la protezione della Republic Oil se la sono cavata per dieci anni. Obie non mi ha mai voluto aiutare... anche ora la ritiene una perdita di tempo.» Scosse la testa con chiara delusione. «Così, ho agito per conto mio. Ora la Roxxon è mia e anche la Rep Oil è sull
orlo del fallimento: conto di mandarla in bancarotta entro un paio di mesi,» rimase col capo chino, deciso a fissare il logo della sua t-shirt piuttosto che sollevare lo sguardo.

«E Durden?» chiese infine Pepper, cogliendo un sussulto da parte di Tony.

«Era il legale della Roxxon con cui ebbi a che fare allepoca. Un uomo insulso, ma competente. Grazie a lui lhanno sfangata. Linchiesta si arenò per mancanza di prove,» enunciò stringato, senza nascondere il proprio astio. «Quando lho visto lì alla festa, come se nulla fosse...» la sua voce si contrasse, ostruita dalla rabbia.

«Ha voluto umiliarlo,» concluse Pepper, con tenue disapprovazione, anche se non poteva dire di biasimarlo del tutto. «E per farlo era davvero necessario ridursi così?» aggiunse più severa, accennando al suo stato pietoso.

Lui rialzò di scatto la testa, colto in fallo, e la sua espressione sinasprì, per poi essere sostituita da un abbozzo del suo solito sorrisetto sprezzante.

«Ha avuto ciò che si meritava,» simpuntò, con soddisfazione innegabile, apparentemente dimentico del suo aspetto più adatto a un reduce di guerra che a un miliardario.

«Pensavo che licenziarlo e liquidare lintera ditta potesse bastare,» commentò atona Pepper, stavolta senza riuscire a trattenersi.

Di nuovo, Tony inspirò a fondo dal naso, squadrandola con intensità, ma senza risentimento, fermo nella convinzione di essere nel giusto.

«Ha detto che mio padre era ubriaco,» fremette, per poi incurvare le spalle come sotto un peso. «Ma quella sera era sobrio. Era sempre sobrio quando accompagnava mia madre...» la sua voce si affievolì, improvvisamente addolorata, come se volesse credere con tutto se stesso a ciò che stava dicendo.

Pepper percepì una stretta al petto nel sentirlo parlare in quel tono così vulnerabile dei suoi genitori, quando normalmente evitava persino di menzionarli. Allo stesso tempo sentiva crescere in sé unimprovvisa ondata dirritazione nel ripensare a quelle azioni così avventate e distruttive che sicuramente non rispecchiavano lindubbia intelligenza di Tony, sempre propenso ad annegarla in un bicchiere dalcol.

«È stata unaccusa meschina.» concordò dopo un po, rimanendo salda al suo posto «Così come è stato meschino lei nel licenziarlo a quel modo e nel voler liquidare in tronco lintera ditta.»

Tony la fissò frastornato, chiaramente non aspettandosi di essere accusato in modo così diretto e apparentemente assurdo.

«Ma ha ascoltato quel che ho detto? Quello stronzo ha...»

«... fatto il suo lavoro, così come tutti gli altri dipendenti che lavorano ignari alla Roxxon e che adesso si ritroveranno disoccupati per un suo capriccio.» completò Pepper, irremovibile.

«Capriccio?» boccheggiò lui, talmente incredulo da sopprimere momentaneamente la rabbia per ciò che gli stava dicendo.

Pepper sospirò appena, staccandosi dal davanzale e portandosi di fronte a lui, rimanendo a braccia conserte.

«Potrebbe scegliere tra una miriade di opzioni di compromesso: accorpare direttamente la Roxxon alle Industries, acquistare il marchio e porlo sotto il nostro controllo, stilare un contratto per far occupare noi della progettazione e mettere in sicurezza le auto, porre sotto inchiesta i veri responsabili degli incidenti... e in ogni caso avrebbe comunque potuto licenziare Durden, se lo riteneva davvero così indispensabile,» sciorinò, accalorandosi senza volerlo. «Nella scelta che sta facendo lei non vince nessuno, se non il suo orgoglio,» concluse con durezza, incontrando il suo sguardo spaesato.

Aveva previsto che Tony desse in escandescenze, che perlomeno si ritenesse offeso o indignato per quelle parole, magari addirittura che la licenziasse data la sensibilità dell’argomento, ma la sua unica reazione degna di nota fu quella di puntare i gomiti sulle ginocchia incrociate, fissandola per la prima volta negli occhi come se stesse osservando qualcosa di assolutamente bizzarro e inspiegabile. Pepper non si sottrasse e sostenne il suo sguardo, dicendosi che, se davvero doveva essere un “punto fermo”, tanto valeva rimanere coerente con se stessa.

«Questa non era esattamente la ramanzina che mi ero aspettato,» commentò infine Tony, con espressione indecifrabile ma in apparenza tranquillo, come se stesse ancora cercando di convertire in concetti di senso compiuto ciò che aveva appena sentito.

«Voleva essere uno spunto di riflessione,» ribatté lei, in modo più accomodante.


Tony sembrava aver perso la sua risposta pronta, con le sopracciglia aggrottate nel chiaro tentativo di raccapezzarsi, ma finì per esalare un unico, flebile sospiro.

«Credo di aver bisogno di qualche ora di sonno, per sfruttarlo appieno,» disse, socchiudendo appena gli occhi con fare esausto.

Pepper colse lantifona e si portò dallaltro lato del letto, diretta alla porta. Tony non la trattenne, apparentemente meditabondo e forse anche un po assonnato.

Non lo prese per un gesto risentito, ma come una semplice richiesta di rientrare nel proprio spazio, da parte di una persona che non era abituata a condividerlo.

«Allora, buonanotte,» gli augurò con naturalezza.

«Non era tenuta a rimanere,» replicò invece lui con malcelata curiosità, bloccandola a un passo dalla porta.

«Lei non era tenuto a raccontarmi nulla,» gli fece notare acutamente, in un tono gentile che esprimeva quanto fosse in realtà contenta per il fatto che si fosse aperto a quel modo.

Tony rimase interdetto e per un istante parve quasi in imbarazzo, unemozione per lui molto rara, al pari delle molte altre che aveva esibito quella sera.

«Allora, direi che siamo pari,» concluse con fare sbrigativo, rivolgendole unocchiata fugace e, forse, grata. «Anche se il suo stipendio non copre incarichi da crocerossina e strizzacervelli,» osservò infine, facendola voltare di nuovo un attimo prima di afferrare la maniglia.

Lo sorprese a fissarla con sguardo incerto e sospettoso, come se stesse cercando il trucco in tutta quella faccenda.

«Adesso non sto lavorando,» asserì infine lei, rivolgendogli un piccolo sorriso che emerse spontaneo sulle sue labbra.

Lui non rispose ma, proprio mentre chiudeva la porta dietro di sé, Pepper intravide un tenue sorriso fare capolino di riflesso sul suo volto.


 

§




Il caffè dellalbergo emanava per Tony un aroma paradisiaco del tutto illusorio, probabilmente contraffatto delle sue sinapsi ancora ebbre e bisognose di una scarica di caffeina per rimettersi in sesto.

Decise comunque di cadere nell
inganno: ne afferrò una tazza ben colma, equilibrò il piatto col suo brunch sullaltra mano e incastrò una ciotolina di macedonia nellincavo del gomito, allungando poi il collo per guardarsi intorno nella sala da pranzo gremita. Individuò finalmente una chioma ramata seduta a un tavolino sotto a una finestra e fece rotta in quella direzione zigzagando precariamente tra gli altri ospiti, incurante delle occhiate curiose che si attirava.

«È libero?» chiese retorico, scostando appena la sedia vuota con un piede e guadagnandosi unocchiata penetrante da Pepper da dietro il bordo della sua tazza di tè.

Lo squadrò da capo a piedi, apparentemente sollevata nel vederlo in un impeccabile gessato, che faceva involontariamente pendant con le chiazze ancora bluastre sul suo volto.

«Buongiorno anche a lei, signor Stark,» lo accolse col consueto garbo, poggiando la tazza sul piattino.

Tony lo prese per un “sì
” e si accomodò con sollievo, districandosi tra le varie stoviglie e riuscendo miracolosamente a non provocare danni. Pepper adocchiò la porzione di frutta con apparente orrore e la distanziò da sè col manico del cucchiaino.

«Sono allergica alle fragole,» chiarificò, al suo sguardo interrogativo.

«Buono a sapersi,» annotò lui, neutralizzando la potenziale minaccia in pochi bocconi e attaccando quindi il suo brunch sotto lo sguardo ora vagamente divertito di Pepper.


«Vedo che almeno ha appetito.»

«Le sbronze mi mettono fame. E anche le risse,» alzò le spalle lui, prendendo un sorso di caffè che dissipò ogni sua ottimistica aspettativa riguardo al suo sapore.

Non trattenne una smorfia disgustata che gli provocò una fitta al labbro ancora sensibile, costringendolo a correre ai ripari dietro al tovagliolo. Pepper non commentò, ma poteva leggerle in faccia che, secondo lei, avrebbe fatto meglio ad accettare il suggerimento dei punti e del pronto soccorso. Forse aveva ragione. A conti fatti, forse aveva ragione anche su un altro paio di questioni.

Fissò il suo piatto, giocherellando col bacon senza decidersi a inforchettarlo, improvvisamente restio a mangiare. La discussione della sera prima gli aveva lasciato lamaro in bocca, ma non per colpa di Pepper. Lei si era limitata a far crollare con un soffio il castello di carte delle instabili convinzioni dietro le quali si era arroccato per anni, rifiutandosi di vederne le falle.

Una parte di lui gli suggeriva di esserle grato, l
altra era ancora in preda allo smarrimento per aver perso lunico obiettivo a cui si era aggrappato per un decennio e covava un irrazionale risentimento. Unaltra ancora insinuava del tutto a sproposito che, non fosse stato per lassenza dei suoi fidati scudi davanti agli occhi, sarebbe stato in grado di tirarsi fuori egregiamente da ogni situazione scomoda in cui si era andato a cacciare nelle ultime diciotto ore.

Comunque fosse, quello che avevano indirettamente lasciato intendere sia Obie che Pepper coincideva: stava portando avanti qualcosa di inutile e fine a se stesso. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto dopo aver concluso la sua personale battaglia contro la Roxxon e la Rep Oil. E non sapeva neanche se quella sorta di tardiva vendetta lo avrebbe fatto riemergere dal circolo vizioso in cui si era gettato.

Gli ci erano volute due ore insonni per rassegnarsi a prendere in considerazione quei fatti e altre due per realizzare che erano più veri di quanto volesse ammettere. Peccato che non avesse idea di cosa farsene, di quelle conclusioni.


Sollevò lo sguardo su Pepper, presa a scorrere e compilare scartoffie, di nuovo composta e a suo agio in un sobrio tailleur sabbia. Adesso stava lavorando. Per lui. Come al solito.

«Stanotte ho riflettuto,» si decise a dire, riprendendo a mangiare con fare tranquillo.

Lei gli scoccò unocchiata interdetta, come se non si aspettasse che fosse lui a tornare di sua sponte sul discorso.

«E la cosa ha dato i suoi frutti?» sinformò con naturalezza, celando il suo interesse.

«Per ora sono semi e non so che farci, né cosa ne verrà fuori. Dovrò rifletterci ancora.»

Badò a rimanere concentrato sul cibo per non incontrare gli specchi cerulei davanti a lui: a parer suo riuscivano a leggerlo un po troppo bene, e finché non avesse messo le mani su un paio di lenti scure non aveva intenzione di esporsi ulteriormente. Pepper sembrò soddisfatta dalla risposta, per quanto evasiva.

«Magari dovrò offrirle altri “spunti di riflessione
”,» commentò serenamente.

«Potrebbe essere una buona idea,» ammise lui. «Anche un genio ha bisogno d’
ispirazione,» sogghignò poi, moderando il suo apprezzamento.

Lei alzò gli occhi al cielo, a schernire le sue sbruffonerie, ma gli rivolse un sorriso più ampio di quello della sera prima. La cosa lo rallegrò particolarmente, soprattutto ripensando a quanto fosse stata infuriata con lui per...

“Oh, merda,
 realizzò, folgorato e allo stesso tempo ancor più sconcertato dal fatto che si fosse presa la briga di assisterlo nonostante la serata tremenda che le aveva fatto passare.

Era senso di colpa, quello? In tal caso, era lieto di provarlo così raramente, visto lo spiacevole nodo allo stomaco che gli causò, e che si strinse nel ricordare la faccenda dei paparazzi e le basse osservazioni di Obadiah.

«Senta, signorina Potts, ultimamente non le è mai capitato di sentirsi... a disagio, vero?» la prese alla larga, prima di rendersi conto di quanto fosse fuori posto quella domanda.


Infatti la donna corrugò appena le sopracciglia, perplessa, e riprese a girarsi la tazza tra le mani nonostante fosse vuota.

«Che intende?» chiese però, senza sottrarsi allargomento inaspettato.

«Che se qualcuno si azzarda a mancarle di rispetto si ritroverà messo alla porta da me in persona, in modo decisamente poco cortese,» esplicò, abbandonando i giri di parole

Pepper abbassò fugacemente lo sguardo.

«Dipende a cosa si riferisce,» rimase ancora sulle sue, dopo un istante di silenzio.

Tony non si stupì: si era aspettato quella riservatezza da parte sua.

«Intendo in ambito lavorativo,» precisò asciutto, pur consapevole di includersi così nella conta.

Una scintilla di comprensione balenò negli occhi di Pepper, che imbastì un sorriso di circostanza.

«È gentile da parte sua preoccuparsi, ma so tener testa a qualche dirigente cascamorto e insolente e a qualche membro del consiglio borioso e sessista.»

Tony a quelle parole si sentì raggelare. La squadrò a fondo, corrucciato e del tutto dimentico del suo brunch, del caffè e della sua bocca ancora schiusa nellatto di addentare la sua forchettata di pancake. Mollò un po bruscamente la posata sul piatto e si tamponò la bocca col tovagliolo, incurante del taglio, celando almeno per qualche secondo la piega rigida in cui si erano curvate le sue labbra.

Colse l
occhiata perplessa di Pepper, ma si impose di evitare ogni contatto visivo; trangugiò il pancake e prese poi a punzecchiare con fare disinteressato il tuorlo delluovo con la forchetta. Poteva percepire il fatto che lei fosse in attesa. Si schiarì la voce prima di parlare:

«Con questo non intende che anchio sono un...» fece un gesto incalzante con la mano, a riprendere ciò che lei aveva appena detto e si tradì alzando infine gli occhi inquieti su di lei «... tutte quelle cose. Vero?» inclinò appena la testa di lato in cerca di conferma, sentendosi forse per la prima volta in vita sua timoroso di una risposta.

Stavolta il sorriso di Pepper assunse una piega più naturale.

«Lei è sicuramente borioso, narcisista, arrogante e trovi lei tutti gli aggettivi adatti a descrivere un ego decisamente fuori misura come il suo, ma...»

«E non sarebbe neanche lunica cosa fuori mi–»

«Signor Stark, non mi faccia rimangiare quello che non le ho ancora detto.»

«Me lha servita su un piatto dargento,» sogghignò lui, ancora un po nervoso. «Prego, continui pure,» aggiunse, rivolgendole un collaudato sguardo da cane bastonato che passò come sempre inosservato.

«Non mi sono mai sentita umiliata da lei.»

Lui la guardò fisso più di quanto fosse educato fare, oscillando tra il sollievo e la sorpresa.

«Quindi non se lè presa per lo... uh, scherzetto di ieri,» distolse lo sguardo.

Quello di Pepper si acuì a tal punto che si stupì di non sentirsi trapassare da due spilli gelidi.

«Lavrei gettata volentieri io in quella piscina, ma ha avuto laccortezza di tuffarcisi da solo.» Non nascose il suo tenue divertimento nel ricordare la scena, ma non infierì. «E mi sembra che lei abbia passato mezza serata a caccia di scarpe e vestiti, quando avrebbe potuto semplicemente ridersela alle mie spalle per poi andare a...» sinterruppe, titubante.

«... a “spassarmela
” come faccio di solito. Può dirlo, non la reputo un’offesa,» le venne in aiuto lui, senza un briciolo dimbarazzo. «In realtà è stato quasi divertente...» intuì la sua fine imminente e corse ai ripari, «ma dora in poi eviterò le feste in piscina,» concluse a mo di scusa, nascondendo subito il volto dietro alla tazza di caffè.

«È stato uno scherzo discutibile da non ripetersi, ma nulla per cui rassegnare le mie dimissioni. Anche se stasera ho seriamente considerato di farlo per altri motivi.» sinterruppe bruscamente, catturando del tutto lattenzione di Tony.

«La stampa?» indovinò, a colpo sicuro.

«Cera già stato qualche episodio imbarazzante con le riviste di gossip,» confermò lei, cautamente. «Ieri sera labbigliamento non ha contribuito a farmi passare inosservata. E non tutti sono a proprio agio su un palcoscenico, soprattutto mentre stanno lavorando.»

Tony accusò la frecciatina in silenzio.

«Lepisodio di ieri non è così grave. Ma diciamo che in generale mi sento fuori posto,» concluse infine lei, con un po di riluttanza e una sfumatura appena più rossa a tingerle gli zigomi.

«O la fanno sentire così,» insinuò lui, senza nascondere il proprio vivo fastidio al pensiero.

«Non è un ambiente facile,» disse lei, quasi meccanicamente.

Lui sbuffò, reclinandosi poi sullo schienale a braccia incrociate.

«È un ambiente di imbecilli...» esitò, per poi accennare distinto al suo viso livido con un sogghigno autoironico, «... come ormai avrà capito.»

Pepper gli offrì sorriso appena intuibile. A quel punto Tony si alzò, assumendo unaria saputa e alzando furbamente un sopracciglio mentre si rassettava la giacca con un gesto studiato:

«Pepper, se proprio deve dar retta agli imbecilli, ascolti un imbecille borioso, narcisista e arrogante con un ego fuori misura che almeno è anche un genio: lei è esattamente al posto giusto.»


 

§




Il rombo del jet scemò fino a diventare una vibrazione quasi impercettibile. Tony lanciò unultima occhiata a Baltimora che rimpiccioliva sotto di loro, prima di sparire alla prima, lenta virata.

“Un posto come un altro,
 concluse, distogliendosi dall’oblò e concentrandosi sulla sua assistente seduta di fronte a lui, ancora intenta ad ammirare il panorama.

Gli sembrava molto più rilassata rispetto ad appena qualche ora prima, e volle pensare che avesse a che fare con la loro chiacchierata mattutina, di certo più piacevole di quella notturna. Forse a ciò contribuiva il fatto che Stane si era trattenuto a Baltimora per risanare i rapporti con la Rep Oil. Lui non aveva mosso alcuna obiezione. Si era limitato a delegare a lui anche lintera faccenda della Roxxon, dicendogli che confidava nel suo fiuto per gli affari.

Non aveva esattamente preso una decisione, ma in quel caso aveva concluso che la scelta migliore fosse non prenderne alcuna. Per ora, si ripeteva, sarebbe bastato.


«Signor Stark, quasi dimenticavo.»

La voce allegra di Pepper lo riscosse dalle sue riflessioni e seguì interessato i suoi movimenti mentre cercava qualcosa nella propria borsa. Ciò che ne estrasse lo lasciò basito per un paio di secondi buoni, prima che le sue labbra si allargassero in un – dolorante – sorriso estasiato.

«Sapevo che li avrebbe trovati,» la adulò, additando i propri occhiali da sole con fare trionfante.

Pepper in tutta risposta sfoderò unespressione più che compiaciuta che le illuminò il volto. Glieli tese, per poi esitare e fare per poggiarli sul tavolinetto in mezzo a loro, ma Tony intercettò il gesto, prendendoli direttamente dalle sue mani.

«È la mia assistente,» spiegò, notando la sua perplessità. «Per lei posso fare uneccezione.»

Alzò le spalle con fare ovvio e prese nota di come quella semplice constatazione pareva averle fatto più piacere di qualunque altro complimento le avesse mai rivolto.


«Doverano?» chiese poi, rigirandoseli tra le dita e constatando che erano intatti, se non per le lenti leggermente offuscate.

A quel punto Pepper parve curiosamente sul punto di scoppiare a ridere.

«Nella piscina,» rivelò, riuscendo a trattenersi.

A lui, invece, scappò una risatina imprevista e un po acuta, di quelle che raramente si lasciava sfuggire di fronte ad altri e che colse entrambi di sorpresa. Fece per inforcare i ritrovati occhiali con sollievo, bloccandosi però a metà del gesto. Esitò un istante, poi ripiegò le stanghette e li ripose con cura nel taschino, tornando a guardarla in volto.

«Lei è la migliore assistente personale che io abbia mai avuto,» disse con semplicità, così come gli era venuto.

«Sono stata anche lunica, da quel che mi risulta,» cercò di schermirsi lei.

«Vuol dire che non avrei potuto sopportare nessuno se non lei,» risolse lui con unovvia scrollata di spalle.

«Io non sono sicura di poter sopportare unaltra festa del genere,» replicò lei con finta severità.

«È stata così terribile?» lasciò che una punta di giocosa apprensione trapelasse dal suo tono.

«Disastrosa,» affermò lei irremovibile, ma stava sorridendo di nuovo suo malgrado.

«Vedrò di farmi perdonare. Ho i miei metodi...» si vantò con unocchiolino allusivo.

Pepper volse gli occhi al cielo.

«Mi riferivo alle mie squisite omelettes, che conoscendomi avrà sicuramente il piacere di degustare, prima o poi. Non la facevo così maliziosa.» la stuzzicò poi, divertendosi un mondo quando il volto della donna si infiammò «Comunque... direi che un brindisi è dobbligo!» aggiunse con convinzione, alzando appena la voce e facendo un cenno alla hostess.

Pepper lo squadrò storto.

«Pensavo ne avesse abbastanza,» accennò alla bottiglia di champagne sul carrello apparso accanto a loro.

«Farò un sacrificio solo per lei,» annunciò lui, melodrammatico.

Le offrì il flûte, che lei accettò con un gesto elegante.

«Quindi... brindiamo a loro,» sfiorò gli occhiali nel taschino, «a me,» accennò al taglio sul labbro, al che Pepper scosse la testa con divertita contrarietà, «e a lei, che sopporta e spero sopporterà ancora me, i miei sproloqui notturni e le mie feste,» concluse soddisfatto, riservandole uno sguardo più caloroso.

Pepper si riparò dietro il suo bicchiere, nel chiaro tentativo di nascondere anche limbarazzo, che si palesò comunque sulle sue guance imporporate.

«Lunica nota positiva è che Baltimora sarà un record molto difficile da battere,» osservò con fare speranzoso.

Tony inclinò il flûte verso di lei, rivolgendole un sorriso sornione.

«Mi dia tempo. È solo il primo anno, signorina Potts.»




   
Fine


 
Note:
1Città del Futuro: doppio riferimento sia alla Città del Futuro ideata da Howard Stark, sia agli eventi del fumetto Superior Iron Man, in cui Tony si pone come governatore assoluto di una futuristica San Francisco.
2Bahamas: è dove erano diretti in vacanza Howard e Maria il 16 Dicembre. Ho immaginato che potessero avere una qualche proprietà lì e che Tony lavesse mantenuta (perché non è affatto un tipo nostalgico, giusto?)
3Differenziali difettosi: vengono citati come un possibile guasto in Fight Club.
4In Agent Carter si vede Howard guidare auto in modo capace e spericolato e pilotare competentemente un aeroplano.



Note Dell’Autrice:

Bonjour!
Alzi la mano chi, conoscendomi, si aspettava l’arrivo dell’angst. E quale angst migliore di "Rapporto Missione: 16 Dicembre 1991"? Ho cercato di mascherare l’inserimento di questo elemento per aumentare un po’ la suspense, anche se temo fosse intuibile sin dall’inizio di questo capitolo; spero comunque che sia stata una svolta inaspettata :P

L’intento era offrire uno spaccato sia di Tony nel suo periodo di "sbando", alcolismo incluso; sia di Obadiah, ancora più o meno disposto a star dietro al suo protetto; sia di Pepper e della delicata posizione in cui si trova all’inizio, insieme al suo progressivo avvicinamento a Tony "oltre la facciata" (e oltre gli occhiali).
Non l’ho mai considerato amore a prima vista (infatti nell’headcanon in cui si inserisce la storia, Tony la sceglie per caso e come inconscio "chiodo scaccia chiodo" dopo Maya). Qui ho solo voluto gettare le prime, solide basi su cui poi si costruisce poi il loro intero rapporto di fiducia reciproca.

"Qualche" precisazione: nei fumetti non viene mai esplicitata la causa dell’incidente dei coniugi Stark, nonostante in una delle versioni vi siano forti sospetti sulla Roxxon. Non sembra comunque essere "solo" un incidente e Tony indaga sulla faccenda sospettando un sabotaggio dell’auto. In questa storia abbandona la pista dell’omicidio per concentrarsi su un presunto difetto di costruzione, motivo per cui ho deciso di inserire Tyler Durden (oltre che per la sua abilità nella lotta): in Fight Club lui è il "coordinatore delle azioni di ritiro al mercato" di una ditta automobilistica, qui "consulente assicurativo" e "legale" generico per scorrevolezza. Trovate qui la famosa "equazione" che esplicita meglio il ruolo di Durden.
Detto ciò, questa storia si colloca nel MCU (ed è in realtà un blando spin-off della long Phoenix), quindi il vero responsabile è il Soldato d’Inverno e le "indagini frettolose" sono da attribuire all’ingerenza dell’HYDRA, piuttosto che della Roxxon/Rep Oil. Ma questo Tony non può ovviamente immaginarlo :/
Come mio solito, i riferimenti e le riprese ai vari film sono sparsi un po’ ovunque, incluse un preciso paio di battute che, sebbene rielaborate, spero siano molto riconoscibili ;)

Dopo ’sto papiro, ringrazio tantissimo shilyss e _Atlas_ che hanno commentato lo scorso capitolo e tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite o hanno semplicemente letto questo piccolo siparietto estivo <3
A presto (è una minaccia),

-Light-

P.S. Parentesi molto, molto stupida: questa era l’immagine che avevo in testa nel descrivere Obadiah e il suo abbigliamento. Già.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3784874