"Non voglio dire che dalle ceneri di una
barbara prigionia
non si sia
mai personificata metafora più grande
della Fenice nella storia
dell'uomo!"
[Tony Stark - Iron Man 2]
*
.
Prologo
.
.
Let
the flames begin
"Dark
shines
Bringing me down
Making my heart feel
sore"
[Dark Shines - Muse]
Forse
è solo svenuto.
È buio e non scorge un singolo barlume di luce
a parte la vaga luminescenza del reattore arc. Pochi secondi e anche
quella si dissolve tremolando, lasciandolo sprofondare
nell'oscurità
più assoluta e facendogli perdere un battito, atterrito
dalla
consapevolezza che il suo cuore potrebbe fermarsi da un momento
all'altro.
Non accade.
Fa per muoversi e si accorge
dall'insolita leggerezza del suo corpo che non indossa più
l'armatura. È nudo, vulnerabile e indifeso.
Non riesce a capire
come sia possibile. La sua mente sembra girare su se stessa nel
tentativo di orientarsi, di rievocare un'immagine familiare e
rassicurante. L’ultima cosa che ricorda è che fino
a poco fa era
su un tetto, in un'armatura semidistrutta e con Iron Monger deciso a
ucciderlo.
Barcolla come i pensieri che gli sfrecciano caotici
in testa, senza riuscire a formulare una spiegazione coerente.
Cerca di guardarsi le mani, ma è così buio che
non ne distingue
nemmeno il profilo. Non ha la percezione dello spazio attorno a
sé:
è
come se fosse incorporeo. Sembra che faccia molto freddo,
perché ha
l'impressione che il suo respiro si condensi in vapore, ma il buio gli
impedisce di esserne certo. Compie infine qualche passo incerto,
temendo di incontrare il vuoto sotto di lui. Un senso di nausea lo
assale quando a tratti non riconosce più il sotto dal sopra,
la
destra dalla sinistra...
“Ho perso i sensi?”
Le vertigini
lo fanno quasi crollare in ginocchio ed è costretto a
fermarsi,
pregando che il mondo, qualunque esso sia, smetta di vorticare
attorno a lui.
“Sono morto?” è il successivo pensiero
che lo
assale, così chiaro e definitivo che se ne sente quasi
schiacciare.
Improvvisamente sente un forte click, che
associa istintivamente a un qualche meccanismo che non riesce a
vedere, e pochi istanti dopo un vago bagliore illumina quella che
identifica come una specie di parete. Non riesce a capire da dove
provenga la luce: non vede lampade, non ci sono globi luminosi,
né
neon. Esiste e basta. E dopo qualche istante nota,
con
un'inquietudine che non sa spiegarsi, che ha una tenue sfumatura
azzurra.
Acquista un poco di visuale, che gli dà solo un'idea
più
precisa di quanto sia immenso il luogo in cui si trova: un ambiente
sconfinato, avvolto di nero, con un soffitto che non riesce a
distinguere e che non è neanche sicuro ci sia, come se si
trovasse
nello spazio profondo.
Non riesce a stupirsi.
***
Pepper
premette il pulsante con foga disperata, sentendo il richiamo di Tony
che somigliava più a un grido di dolore.
Un improvviso boato le
riverberò nelle ossa, facendola sobbalzare, e vide i flussi
di
energia del reattore accumularsi nel fragile involucro di vetro,
sfrigolando e sprizzando scintille mentre si caricava sempre
più,
diventando incontenibile.
Spinta dall'istinto si gettò dietro a
un mucchio di casse in acciaio, appena in tempo per ripararsi
dall'onda d'urto che si sprigionò di lì a pochi
secondi. Rimase
immobile per istanti interminabili, rintronata dal tintinnio dei
resti del lucernaio andato in frantumi.
Represse la paura solo quando
realizzò che Tony era ancora sul tetto, solo, ferito,
forse...
Annullò il pensiero e scattò in piedi, uscendo
dal suo
nascondiglio. Scorse qualcosa di molto grosso e molto pesante cadere
dal tetto, diretto proprio nel cuore del congegno. Riconobbe con uno
spasmo di terrore l'armatura di Stane, e rimase paralizzata sul
posto, gridando alle proprie gambe di muoversi. Scattò verso
l’uscita nell’istante in cui il corpo esanime di
Stane sprofondò
nell’energia liquida che ancora ribolliva nel reattore.
Registrò
appena l'agente Coulson che la afferrava per un braccio costringendola
a
correre più veloce.
Uscì nell’aria fredda della notte e
sentì
il calore dell’esplosione bruciarle la schiena e il ruggito
delle
fiamme dietro di lei. Si girò di scatto verso l'edificio,
ridotto
ormai in macerie, e corse di nuovo dentro ignorando la paura che la
attanagliava e i richiami allarmati di Coulson.
Il calore era soffocante, ma non vi badò, addentrandosi
nella struttura ed evitando i focolai brucianti che avviluppavano le
apparecchiature. Era appena giunta in vista
dei resti fumanti e carbonizzati della sala del reattore quando
accelerò il passo, allarmata da un clangore metallico, come
se
qualcosa si fosse appena schiantato dal... tetto. C'era
una
sola altra persona in quell'edificio oltre a lei, e sentì un
morsa
di panico stritolarle lo stomaco. Sbucò infine davanti al
reattore,
col respiro corto. Una sagoma, avvolta dai resti contorti di
un'armatura rosso-oro, era abbandonata inerte sul pavimento irto di
vetri.
Per un attimo non riuscì neanche a pensare, a muoversi, a
respirare. Poi il fiato che aveva trattenuto si riversò in
un grido
straziato:
«Tony!»
***
Si
accorge che quello che aveva scambiato per una parete è in
realtà
uno specchio. Fissa il suo riflesso, accigliato, e la
perplessità
inizia a farsi largo in lui: dovrebbe avere un taglio sulla tempia e
uno
squarcio sulla gamba destra, ma la pelle è intatta, il
reattore arc
al suo posto, anche se spento. Nota una macchia vermiglia che gli
sfigura il volto, indefinita, di un rosso così scuro da
sembrare
nero. Ruota leggermente il capo per vedere meglio, ma ora il suo viso
è perfettamente normale e integro. Forse era solo un'ombra.
Forse sta impazzendo. Forse è già impazzito.
Ticchetta
sulla piastra metallica del reattore in un gesto abituale. Cerca di
riflettere ma la sua mente è vuota e indolente, offuscata da
una
nebbia oscura e venefica.
Non riesce a capire.
Sente il velo della
paura posarsi sulla sua pelle.
***
Il
suo volto era una maschera di sangue, tanto da essere quasi
irriconoscibile. La gamba era piegata in un’angolazione
innaturale,
una massa indistinta di metallo e carne che la fece rabbrividire. Il
reattore arc nel suo petto lampeggiava irregolarmente, e il
braccio... il braccio.
Sentì un vuoto allo stomaco,
mentre continuava a chiamare il suo nome con tutte le forze che aveva
e tentava invano di fargli aprire gli occhi.
***
Uno strano pizzicore gli
irrita il braccio e lo guarda d'istinto. Spalanca gli
occhi, esterrefatto: la sua pelle si sta ritirando,
come onde
dopo essere scivolate sulla spiaggia.
Grida, orripilato, ma
non sente
dolore, solo una sorta di fastidio e prurito; guarda il resto del suo
corpo, ma è intatto, a parte la gamba destra, che sta
subendo la
stessa sorte del braccio. Grida ancora, inziando a respirare
affannosamente, senza sapere come fermare quell'orrore. Avverte un
vago prurito anche all'occhio sinistro e scorge per un attimo se
stesso nello specchio, ma distoglie immediatamente lo sguardo. O
almeno vorrebbe
distogliere lo sguardo, ma è come ipnotizzato.
Riesce a scorgere vene,
tendini e legamenti all'interno del suo
corpo, in modo così dettagliato da poterne rimanere quasi
affascinato, se
un cieco terrore non avesse preso il controllo della sua mente.
Il
processo si blocca e rimane a fissare il suo braccio scarnificato.
Ha il respiro corto e gli sembra che il suo petto stia per
collassare.
All'improvviso, una
sottile patina argentea ricopre
l'osso, poi pian piano il resto dell'arto, facendolo rilucere
debolmente nella penombra. Sobbalza e si volta, cercando di ritrarsi,
di scappare, ma dietro di lui è apparso un altro specchio
che
gli
restituisce la stessa immagine proiettata all'infinito. Al posto dei
legamenti si stanno formando altre componenti dall'aspetto metallico,
e le vene e le arterie sono di un blu e un rosso troppo acceso per
essere naturali.
Lo stesso accade alla
gamba e, immagina, anche
alla parte sinistra del volto, che si rifiuta di guardare e scorge
solo come un alone rossastro e indistinto. Paradossalmente si calma, ma
il cuore gli martella le costole e i pensieri sembrano
voler schizzare via dal cranio per quanto sono numerosi.
Sta
diventando veramente
un “uomo
di ferro”?
Tra poco
toccherà forse al suo intero corpo diventare un automa di
metallo?
Non prova ancora dolore,
e forse è la cosa che lo spaventa
di più.
***
Le
parole di Rhodes risuonavano lontane, incomprensibili. Coulson che
tentava di allontanarla dal corpo di Tony sembrava una presenza
incorporea, perché lei non voleva muoversi, non voleva
lasciarlo
lì. Si divincolò dalla sua
stretta, incapace di parlare,
e lui la lasciò, dicendole qualcosa che non comprese, ma che
sapeva
essere importante. Si lasciò infine portare un poco
più lontano
per lasciare spazio ai soccorsi. Si sentiva avvolta da una spessa
nebbia che sembrava isolarla da tutto ciò che le accadeva
intorno.
L’urlo di Tony la riportò alla
realtà e si girò di scatto, vedendolo contorcersi
in preda a un
dolore convulso. Fece per precipitarsi da lui, ma Phil la trattenne con
fermezza per le spalle, e lei non poté fare altro che
rimanere a guardare
mentre gli agenti dello SHIELD cercavano di trasportarlo su un
elicottero. Non riusciva più a parlare e si sentiva come se
qualcosa le avesse risucchiato ogni energia, così si
lasciò scivolare a
terra, improvvisamente annientata dal dolore e dalla fatica.
Phil
le parlava in tono gentile e rassicurante, ma lei escluse le sue
parole e chiuse gli occhi, esausta.
***
Il
dolore divampò nel suo corpo facendolo ripiegare su se
stesso.
Era
troppo, più di quando gli era esploso quel missile
addosso, più di
quando gli avevano impiantato il reattore, più di quando
erano
morti i
suoi genitori. Si sentì annichilito dalla sofferenza e
spalancò la
bocca in un grido muto, mentre i polmoni ardevano per la mancanza
d'aria. La testa sembrò implodere dalla sofferenza. Il mondo
diventò un concerto di lampi psichedelici, un abbraccio
rovente che
lo avvolse e lo soffocò prima di gettarlo nel buio.
Sentì il
clangore degli arti metallici che toccavano terra, poi un grido.
Un
altro.
Un boato ovattato e infine un mormorio lontano...
«Dove
sono?»
AVVISO [11/05/2018]:
Questa storia è stata completamente revisionata. In alcuni casi le modifiche sono superficiali, in altri i capitoli hanno subito pesanti rimaneggiamenti per far fronte all'evoluzione della storia nel corso di questi anni. Se c'è qualche anima pia che ancora segue e capita da queste parti, si consiglia la rilettura completa della fan-fiction prima di leggere i capitoli nuovi – dal 30° in poi :)
(Le note di fine capitolo sono rimaste inalterate, salvo chiarimenti relativi alle aggiunte/modifiche.)
[_Lightning_]
Note Delle Autrici:
N.B:
- L: _Lightning_
-S: MoonRay
Dopo quattro mesi di assenza da EFP risorgiamo dalle ceneri. E non c'è da ridere, stavolta: Tony soffre! Che intuito, davvero.
Dunque, dunque, dunque. Che dire? Non diciamo, perché sta a voi scoprire cosa è successo a quel povero cristo. Eh, già, niente spoiler in questo primo capitolo. Fatevi forza e, se siete intrepidi/e, passate al prossimo!
Sappiate solo che, toccato il fondo, non si può che risalire. Quante, quante volte ripeteremo questa frase nel corso della storia... tenetevi forte.
Vi lasciamo all'inizio di questo sclero con tanti baci e abbracci, per quanto lo possa consentire un capitolo del genere.
Un grazie a chi leggerà/recensirà :)
Moon&Light
P.S.: Le altre nostre storie sono sui nostri account separati, of course. Chi avesse voglia di sorbirsi un po' d'angst/scleri vari, è invitato a prendere il depliant e iniziare la visita guidata del magico mondo di Moon&Light! Per ora, la nostra è una convivenza temporanea [L:"Mi ha chiamato, Watson?"] (S: Sherlock, a cuccia! èwé) *sclero-time* Glaucopis capirà...
EDIT 08/05/2019: In seguito al ritrovamento di un appunto comune datato 2014 (fare una rilettura completa di tutto, e dico TUTTO, prima del gran finale si è rivelato cruciale) ho apportato delle modifiche al capitolo, cambiando layout e tempi verbali. A dispetto delle apparenze, è una modifica molto rilevante.
© Marvel