Not Even Stars Last Forever

di Ode To Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stelle ***
Capitolo 2: *** Shiro ***
Capitolo 3: *** Matt ***
Capitolo 4: *** Adam ***
Capitolo 5: *** Keith ***
Capitolo 6: *** Kerberos ***
Capitolo 7: *** Per Sempre ***



Capitolo 1
*** Stelle ***




Note introduttive:

L’isteria è l’unica scusa con cui riesco a giustificare questa folle impresa. Questo è quello che succede quando si ha un gran bisogno di sfogarsi in modo più o meno costruttivo e il SDCC ti da l’occasione buona per farlo.

Chiunque non sia a conoscenza degli spoiler della S7 rilasciati durante il comicon e voglia continuare a restare all’oscuro, questo è l’ultima occasione per fare marcia indietro e non tornare mai più (o fino a dopo l’uscita della stagione in questione).

Per tutti gli altri, questa è la mia versione molto personale e molto basata sul niente della storia tra Shiro e Adam con Matt come voce narrante (e della mia coscienza).

Un capitolo al giorno fino al 10 di agosto (ancora non so se compreso o meno).

Buon countdown e buona lettura!












 
I

Stelle





Comunicazione video dalla base ribelle del sistema Paynus

ID: M. Holt






Bene… Eccoci qua.

La trasmissione sembra buona. Riesci a sentirmi chiaramente?

Ottimo…

Io non so perché sto facendo questa cosa. Lo so che abbiamo già affrontato questa fase e che ho detto sì. Ho accettato di raccontarti tutto e di aiutarti in qualsiasi cosa tu stia cercando di fare.

Tuttavia, mi sfugge il senso logico. Perché adesso? Perché dopo tutto quello che è successo? Perché a me?

Ah, certo… L’ultima domanda è abbastanza stupida.

Se non io, chi altri?

Non l’ho nemmeno mai raccontata a nessuno questa storia.

In realtà… Non avrei nemmeno ragione di raccontarla, dato che non è la mia. Io ero solo… Lì.

Per tutto il maledettissimo tempo – un decennio circa, se vuoi saperlo –, Matthew Holt era lì.

Sì, immagino che tu non abbia davvero nessun altro a cui chiedere e, aggrappandomi all’affetto che provo per te, assolverò al mio compito come richiesto. Anche se io non… Non importa, ti ho dato la mia parola e lo farò, parlerò!

Ma questa non è la mia storia!

Io ne faccio solo parte e anche tu, quindi… Forse non c’è nulla di moralmente sbagliato a parlarne ora.

Poco logico ma non moralmente sbagliato. Direi che è accettabile.

Vuoi che sia preciso? Perché questa non è la mia storia ma ho un tipo di memoria molto… Insomma, non vorrei che tu possa pensare che io aspetti di raccontare questa vicenda da chissà quanto tempo! Perché no! No! Assolutamente no!

Quando mi hai contattato mi è sfuggito anche un: “Adam, chi?”

Chi era Adam? Nemmeno ricordo esattamente quando…

Va bene, la pianto.

All’incirca - ripeto, circa- otto anni e mezzo prima del lancio per Kerberos, avevamo quattordici anni ed eravamo la nuova generazione di cadetti dell’Accademia Galaxy Garrison.

Era la fine dell’estate e l’aria condizionata nei dormitori sembrava aver esalato l’ultimo respiro proprio per il nostro arrivo. Per citare il vecchio Iverson: sembrava di stare in una stalla.

Lance sarebbe morto dopo due minuti, tu avresti dato fuoco all’edificio pensando che fosse la cosa più giusta da fare e Hunk e mia sorella si sarebbero voltati con discrezione, fingendo di non essere mai stati lì.

Ma noi no! Noi eravamo felici di essere dove eravamo e, tutto sommato, la vita era bella.








 
-10 anni e un paio di Deca-Phoeb prima-

[Terra, Accademia Galaxy Garrison.]









Shiro non aveva mai sudato così tanto in vita sua.



“Puzzo come un maiale!” Esclamò il suo amico Matt.



“Cerca di starmi dietro,” disse Shiro con pazienza, passando di continuo gli occhi grigi dalla tessera stretta tra le sue dita ai numeri scritti in arancione accanto alle porte.



L’impresa non era così semplice come poteva apparire. L’aria era irrespirabile. C’erano ragazzi seduti a terra in ogni dove e i loro averi erano stipati alla male e peggio contro le pareti del corridoio già stretto di suo.



Quelli a cui non era ancora stata assegnata una stanza non si erano fatti scoraggiare dall’attesa. Non si poteva fare un passo senza incontrare un gruppetto intento a giocare a carte, a dadi o a qualsiasi altra cosa.



“Ma l’era dei videogame è finita?” Si lamentò Matt, finendo con il piede in mezzo a una partita a poker. “Ci scommetto quello che vuoi che dalle ragazze non c’è tutto questo casino!”



Shiro lo ascoltava solo a metà, intento ad assicurarsi che i numeri arancioni accanto alle porte stessero andando in ordine crescente. Sarebbe stato già difficile percorrere quel corridoio a mani libere, farlo con tutti i loro averi in spalla era quasi peggio di una prova di resistenza fisica.



“Ma perché tutti gli anni ci riduciamo così?!” Sbottò il Comandante Iverson.



Shiro alzò la testa per vederlo venir trascinato da una corrente di studenti che si muovevano nella direzione opposta.



“Morrison! Fai aggiustare questa maledetta aria condizionata!” Aggiunse con il pugno sollevato.



Shiro non aveva idea di chi fosse Morrison ma era certo che avrebbe avuto una giornata peggiore della loro. “Ci siamo quasi, Matt,” rassicurò l’amico, asciugandosi il sudore sulla fronte con la manica della felpa.



Matt farfugliò qualcosa in risposta che Shiro non si disturbò a tradurre. Quando vide il numero 87 scritto accanto all’ennesima porta uguale a tutte le altre, Shiro sorrise come se fosse stato il primo uomo a raggiungere la luna a piedi. “Ci siamo!”



Posò il chip della tessera sullo scanner e il passaggio si aprì. Matt lo superò con una falcata disperata. “Non so chi ringraziare ma grazie!”



Shiro rise, guardandolo gettarsi sul primo letto che trovò sul suo cammino a quattro di spade. I bagagli ancora addosso.



“Così ti fai male!” Shiro lo liberò dal borsone che gli schiacciava la schiena e si sedette sul secondo letto della stanza, quello sotto la grande finestra.



Matt voltò il viso quel tanto che bastava per guardarlo. “Non mi muoverò di qui per il resto della mia vita.”



“Dobbiamo disfare i bagagli,” ribattè Shiro, togliendosi gli stivali. Fu come togliere i piedi da un braciere. “E dobbiamo farci una doccia. Non possiamo presentarci a cena in queste condizioni.” La felpa gli aderiva addosso come una seconda pelle ed era una sensazione sgradevole a dir poco.



Matt sollevò la testa dal letto, gli occhiali storti sul naso. “Dobbiamo rifare tutto il percorso al contrario per andare a cena,” notò. “Faremo schifo in ogni caso.”



“Speriamo che ognuno sia nelle propria stanza per l’ora di cena.” Shiro si voltò verso la grande finestra. Mancava almeno un’ora al tramonto e la luce era abbagliante, il paesaggio meraviglioso.



“È bellissimo, vero?” Domandò con un sorriso entusiasta.



Matt scrollò le spalle. “Lo conosci questo deserto. Giocavamo qui quando eravamo bambini e tua madre lavorava con mio padre.”



“Sì, ma è diverso!” Esclamò Shiro, sollevando gli occhi grigi sul cielo azzurro. “Adesso basta giocare…” Aggiunse a bassa voce, quasi stesse parlando a se stesso.



“Ma l’altro?” Domandò Matt



Non comprendendo a che cosa si riferiva, Shiro inarcò le sopracciglia e si voltò verso di lui. Notò che guardava qualcosa nell’angolo opposto della camera e Shiro seguì la linea del suo sguardo. Il terzo letto della stanza, quello più lontano dalla finestra, era già stato occupato da qualcuno. Il ragazzo non era lì, ma i suoi bagagli sì.



“Strano che non lo abbiamo incontrato nell’atrio durante l’assegnazione,” disse Shiro.



“Strano che non sia ancora lì fuori ad arrancare.” Matt si alzò dal suo letto con un saltello, come animato da nuova vita.



Shiro lo guardò attraversare la stanza. “Ehi! Ehi! Che fai?” Si agitò, quando vide l’amico curiosare tra i bagagli sul terzo letto.



“Uhm…” Matt si limitò a prendere la targhetta di uno dei borsoni tra le dita. “Adam… Si chiama Adam.”



Shiro gli afferrò il polso è lo invitò gentilmente a farsi indietro. “Che ti prende? Non si tocca la roba degli altri.”



Matt storse la bocca. “Avrò il sudore di almeno dieci persone sconosciute addosso, più il tuo. Ho dimenticato la civiltà all’aeroporto!”







No, non incontrammo Adam quel pomeriggio.

Non uscì dal bagno fresco di doccia, con la sua t-shirt bianca pulita ed i capelli castani ancora umidi. No, non accadde.

Perché quella che ti sto raccontando è una storia vera, non l’ultimo di una lunga generazione di teen-drama che non hanno nulla di diverso l’uno dall’altro.

Dopo la doccia, tornammo ad essere presentabili e, per la gioia di tutti noi, Morrison aggiustò l’aria condizionata.

Quella sera, nessuno di noi indossava ancora la divisa.

Solo quelli dal secondo anno in poi erano vestiti da cadetti.

Chiunque non portasse addosso quell’orribile cosa bianca e arancione non solo si sentiva terribilmente esposto, ma cercava anche di farsi il più piccolo possibile.

Shiro non era un’eccezione.








“È lui quello che ha battuto il record al simulatore durante il test di ammissione…”



Shiro non si voltò a scoprire chi stava parlando. Chiunque lo stesse facendo non si stava impegnando a non farsi sentire e lui non voleva dare corda alle provocazioni ancor prima dell’inizio delle lezioni.



Per l’inaugurazione del nuovo anno scolastico, la Garrison faceva cenare tutti i cadetti nella grande Sala degli Ufficiali. Di norma, era riservata solo alle occasioni importanti ma era l’unico spazio abbastanza grande da permettere di suddividere le tavolate a seconda degli anni di corso. Gli ufficiali e i professori sedevano in fondo alla sala, in modo da poter vedere tutti i giovani che, con un po’ di fortuna, avrebbero fatto compiere all’umanità un passo in avanti nell’esplorazione spaziale.



Shiro si consolò pensando che non ci sarebbero state molte altre occasioni di essere esposto al giudizio degli studenti più grandi.



Il confronto non lo spaventava, quello onesto e costruttivo e dubitava che i ragazzi che ridacchiavano alle sue spalle fossero interessati a quel genere di rapporto.



“Non sentirti a disagio. ” Disse Matt al suo fianco, sebbene fosse il primo a tentare di sparire contro lo schienale della sua sedia. “Parlano tanto perché si sentono minacciati… E hanno ragione a esserlo.” Lanciò un’occhiata storta al tavolo dietro al loro e la sua espressione fu comica.



Suo malgrado, Shiro ridacchiò.



“Ci trovi qualcosa di divertente, ragazzo prodigio?”



Shiro si voltò più per istinto che per volontà. Cinque ragazzi del tavolo del secondo anno lo fissavano storto, come se li avesse offesi in qualche modo.



“Ridevo con il mio amico,” disse semplicemente.



Quello che doveva essere il capo branco - un tipo con i capelli rossi e le lentiggini - lo guardò fisso. “Di noi?”



Shiro scosse la testa. “No…”



Matt allungò il braccio sotto il tavolo e afferrò il polso dell’amico. “Lascia stare…” Mormorò.



“Perché a me sembrava di sì,” disse il tizio dai capelli rossi.



Shiro inarcò le sopracciglia. “Posso assicurarti che non è così.”



“Ehi… ” lo richiamò Matt, quasi scivolando dalla sua sedia e sotto il tavolo.



“Mi stai provocando, vero?” Insistette il cadetto più grande.



Shiro comprese che ragionare con quelle persone era inutile. Si voltò, i pugni stretti e gli occhi grigi fissi sulla superficie del tavolo.



Matt gli stringeva ancora il polso e lo guardava con la coda dell’occhio. Gli chiedeva scusa in silenzio per non poterlo aiutare.



“Ehi, ma Shirogane non è uno dei cognomi che compare nella sala dei trofei e nell’aula museo?” Domandò qualcuno del gruppetto, non quello con i capelli rossi.



Matt sgranò gli occhi e guardò Shiro. L’amico fissava il tavolo di fronte a sé come se volesse perforarlo con lo sguardo. Per natura, Shiro non era aggressivo ma a quattordici anni aveva già le sue ferite e non si poteva ordinare a un ragazzino di non provare dolore.



“Adesso che mi ci fai pensare…” Ricominciò il lentiginoso dai capelli rossi. “Compariva una Shirogane nella sala dedicata a Marte. Non è un cognome comune da queste parti. Ecco svelato il segreto del ragazzo prodigio: è figlio di mammina!”



Shiro scattò in piedi. Matt strinse gli occhi come se si stesse preparando allo scoppio di una bomba.



Non accadde nulla.



Il giovane Holt impiegò un lungo minuto a trovare il coraggio di sollevare lo sguardo e scoprire il motivo di tutto quel silenzio.



Nel preciso istante in cui Shiro aveva deciso di reagire, un altro cadetto del primo anno era passato dietro la sua sedia e si era involontariamente frapposto tra lui e il gruppetto del secondo anno.



“Qualcosa non va?” Domandò il ragazzo in questione. Era alto quanto Shiro ma aveva la pelle più scura e portava gli occhiali.



Matt non conosceva il suo nome ma per il modo in cui riuscì a disinnescare la situazione con la sua sola presenza, pensò di dovergli un favore. Col senno di poi, si sarebbe rimangiato tutto.



Shiro si calmò all’istante, si ricordò di dove era e quanto era alta la posta in gioco. “No…” Rispose con voce calma, gli occhi grigi ancora grandi per la sorpresa di essersi ritrovato quel giovane a un palmo dal naso.



Il nuovo arrivato indicò la sedia vuota accanto a Shiro. “Posso?” Domandò con educazione ed evidente distacco.



“Certo,” rispose Shiro, tornando al suo posto.



Mentre il ragazzo senza nome si sedeva, Matt lanciò un’occhiata veloce a quelli del secondo anno. Il tipo dai capelli rossi era tornato a rivolgere loro la schiena, come se non avesse mai parlato.



Il giovane Holt inarcò le sopracciglia ma si tenne le sue domande per sé.



“Mi chiamo Takashi.” Shiro si presentò al ragazzo con gli occhiali, porgendogli la mano destra. “Takashi Shirogane. Gli amici mi chiamano Shiro.”



L’altro passò lo sguardo dalla mano di Shiro al suo viso, animato da un sorriso amichevole. Matt si chiese se fosse perplesso dal gesto in sé o dal suo significato.



“Adam…” Rispose infine il ragazzo con gli occhiali con voce incolore. Incrociò le braccia sul tavolo e si guardò intorno.



Shiro rimase lì con l’espressione imbarazzata e la mano sospesa a mezz’aria. Matt gli diede un pizzico sulla gamba per spingerlo a tornare in sé.



Shiro sobbalzò esageratamente e le sue ginocchia picchiarono rumorosamente sotto il tavolo. Questo gli fece guadagnare un’occhiata incuriosita da metà del tavolo dei nuovi cadetti.



Il tipo con gli occhiali, Adam, lo squadrò con un sopracciglio incaricato ma tornò presto a ignorarlo.



“Scusate…” Mormorò Shiro, le guance rosse.



“Per cosa ti stai scusando?” Domandò Adam, come se gli avesse dato fastidio.



Shiro lo guardò confuso. “Per aver fatto… Rumore?”



“Me lo stai domandando?”



Matt si massaggiò la fronte stancamente e cercò di ripensare a quando lui è Shiro erano arrivati all’aeroporto e avevano creduto di aver imboccato la strada per la realizzazione di tutti i loro sogni.



Tutto era sembrato incredibilmente facile allora… Non erano passate nemmeno ventiquattro ore e già andava tutto storto.



Shiro provò ad affrontare l’imbarazzo con la gentilezza. “Da dove vieni?” Domandò. “Io sono cresciuto tra gli Stati Uniti e il Giappone e-”



“So chi sei,” lo interruppe Adam senza guardarlo. Non aggiunse altro.



Shiro comprese che non era sua intenzione fare conversazione e tornò a fissare il tavolo di fronte a sé.



Matt si chiese se gli ufficiali ci avrebbero messo ancora molto prima di entrare, fare i loro grandi discorsi e permettere loro di cenare. A rispondergli furono le tavolate mezze vuote intorno a lui.



Perché Shiro aveva insistito tanto per arrivare in anticipo?



Perché Matt aveva pensato fosse una buona idea?



Perché le loro madri avevano perso tempo a dare loro un’educazione?



Mentre Matthew Holt rimetteva in discussione i suoi quattordici anni di esistenza e Shiro fingeva che il tipo di nome Adam accanto a lui non fosse una statua di ghiaccio, la loro tavolata cominciò a riempirsi.



“Ma tu sei Adam Sànchez!” Esclamò uno dei nuovi arrivati.



Più tardi, Shiro e Matt avrebbero scoperto che il suo nome era Oliver e che il suo entusiasmo per essere stato ammesso alla Garrison era pari alla sua ingenuità.



In quel momento, però, entrambi portarono gli occhi sul ragazzo con gli occhiali e il viso inespressivo.



“Non posso credere di sedere insieme a un Sànchez!” Esclamò Oliver, accomodandosi sul lato opposto del tavolo.



“È un cognome comune,” disse Adam.



“Ma esiste una sola famiglia Sànchez nella storia della Galaxy Garrison!” Insistette Oliver.



In quanto figli di ufficiali, Shiro e Matt lo sapevano bene. Sànchez non era un cognome comune in quel posto, ma il titolo di una lunga storia che parlava di eccellenza e grandi imprese.



Adam Sànchez era come loro. Shiro e Matt erano figli della sezione scientifica, però, e i loro nomi non saltavano all’occhio come quello dell’erede di una dinastia di esploratori spaziali.



“Tuo padre ha partecipato alla costruzione del primo insediamento su Marte,” intervenne Shiro con un sorriso sognante. “Mia madre ha lavorato per mettere insieme il progetto.”



Matt gli lanciò un’occhiataccia, tanto per ricordargli che il signor Sànchez si era rifiutato di rivolgergli la parola appena un istante prima.



A differenza che con Oliver,  Adam si disturbò a voltarsi per guardare in faccia il ragazzo che gli era seduto accanto. “Ho già detto che so chi sei, Shirogane.”



“Shirogane!” Esclamò Oliver con espressione estatica. “Quel Shirogane?”



Il numero di occhi che si voltarono a guardare Shiro fu tale che Matt prese in considerazione l’idea di brandire la sua forchetta come arma.



“Sì,” Shiro arrossì di nuovo, un timido sorriso sul volto. “Il mio non è un cognome comune.”



“Tu hai battuto il record alla prova di ammissione col simulatore!” Esclamò il ragazzino accanto ad Oliver.



In un batter d’occhio, tutta la tavolata dei novellini si strinse intorno a Shiro. Nessuno di loro dimostrò l’aggressività dei ragazzi del secondo anno o l’antipatia di Adam.



Shiro rispose educatamente a tutte le loro domande. Il rossore non scomparve mai dalle sue guance ma i suoi occhi grigi tornarono a brillare per l’entusiasmo.



Matt prese un respiro profondo e decise che l’aria era tornata respirabile.



“La Dottoressa Shirogane era nella divisione scientifica, vero?” Domandò una ragazzina carina con i capelli biondi. “Vuoi entrare nel campo della ricerca spaziale anche tu?”



Shiro scosse la testa. “No, io voglio essere un pilota,” ammise. “Voglio diplomarmi come fighter. È sempre stato il mio sogno divenire esploratore spaziale e viaggiare tra le stelle.”



“Ridicolo…” Borbottò Adam a bassa voce.



Shiro smise di sorridere e lo fissò. L’altro non ricambiò lo sguardo ma ormai l’entusiasmo era andato in pezzi.



Matt assottigliò gli occhi e decise che Adam Sànchez era il vincitore della serata per antipatia.



“Tutti ai vostri posti, cadetti!” Tuonò Iverson entrando nella sala, seguito dai suoi colleghi ufficiali.



I ragazzi del primo anno tornarono ai loro posti, ma Shiro non allontanò lo sguardo dal profilo di Adam per un altro po’.



Quando tutti furono seduti, Iverson cominciò: “benvenuti alla Galaxy Garrison…”







“Adam Sànchez, quattordici anni, nato il 27 gennaio…”



“Che cosa stai facendo?” Domandò Shiro.



Erano nell’ascensore per tornare nella loro stanza e Matt stava trafficando con il suo tablet da quando si erano alzati da tavola.



“Raccolgo informazioni su Adam Sànchez,” rispose distrattamente. “Per valutazione generale è secondo solo a te, sai?”



Shiro sgranò gli occhi e gli tolse l’apparecchio di mano. “Stai leggendo le nostre schede?”



Matt corrugò la fronte. “Non le nostre, la sua!” Le porte dell’ascensore si aprirono e riprese il suo tablet tra le mani. “Ha più un profilo da ingegnere che da pilota ma visto il suo risultato ai test di pilotaggio, potrebbe divenire qualcosa tipo…” Ci pensò. “Co-pilota e responsabile ingegnere. Cavolo, vorrei divenirlo io.”



“È illegale entrare nel database dell’Accademia,” disse Shiro guardandosi intorno, ma il corridoio era completamente vuoto. “E tu non volevi essere un ufficiale della sezione di ricerca come tuo padre?”



“Sì, ma se fossi tuo co-pilota, le ragazze sarebbero tutte mie,” ribatté Matt. “Quelle guardano i piloti, non i topi da laboratorio.”



Shiro alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva. “Metti via quella roba, non siamo solo io e te in questa stanza.” Come aveva fatto quel pomeriggio, passò la tessera sullo scanner e la porta si aprì.



“Giusto!” Matt mise il tablet in stand-bye. “Il terzo coinquilino.”



Shiro fu il primo a lanciare uno sguardo al letto nell’angolo. I bagagli erano spariti: tutto doveva essere stato sistemato al proprio posto.



“È l’uomo invisibile?” Domandò Matt.



Shiro scrollò le spalle. “Almeno è ordinato.” Si sedette sul suo letto e rivolse lo sguardo al cielo. “Wow… Guarda come si vedono le stelle nel deserto.”



“Come si sono viste negli ultimi quattordici anni, Shiro,” disse Matt, appoggiando la schiena alla parete e tornando a leggere i file che aveva hackerato. “Cavolo… C’è un Sànchez in ogni impresa spaziale degna di nota dell’ultimo mezzo secolo. Se mi mettessi a fare una ricerca approfondita-”



“Pensi che ci faranno uscire qualche volta?” Domandò Shiro, senza smettere di guardare il cielo trapunto di stelle.



“Ricordo che i cadetti avevano il permesso di uscire in giorni precisi,” rispose Matt, prendendo atto del fatto che Shiro non lo stava a sentire. “Certo, si può sempre uscire di nascosto. Sai che si può.”



Shiro ridacchiò. “Non possiamo parlare d’infrangere le regole ancor prima d’iniziare le lezioni.”



“Sei tu che vuoi uscire fuori a tutti i costi per vedere le stelle.”



Shiro si alzò dal suo letto e si lasciò cadere su quello dell’amico. “Non siamo qui per questo?”



“No, io sono qui per gli alieni!” Esclamò Matt.



Risero insieme.



“Adesso lo dico per scherzo ma un giorno proverò che esiste una forma di vita intelligente là fuori.” Matt abbandonò il tablet sul cuscino. “E se non intelligente, in via di sviluppo. Ci deve essere qualcosa là fuori e noi, mio caro Shiro, siamo destinati a provarlo al mondo!”



Shiro incrociò le braccia dietro la testa e guardò il soffitto come se fosse il cielo stellato. “Domani sarà solo il primo passo, Matt,” disse. “Finalmente… Il primo passo…”



Matt sollevò la mano a mezz’aria fingendo di reggere qualcosa tra le dita.



L’altro inarcò le sopracciglia. “Che cosa stai facendo?”



“Fino a che non sarà legale, immagina che sia una bottiglia di birra,” spiegò Matt.



Shiro imitò il gesto è fecero finta di fare un brindisi. “Alle stelle.”



“Alle stelle.”



Stretto quel patto, scoppiarono a ridere per la loro stessa idiozia.



Il rumore di uno sciacquone che veniva tirato lì fece irrigidisce entrambi. La porta del bagno adiacente si aprì e Adam Sànchez ne uscì fresco di doccia, con i capelli castani ancora umidi e l’asciugamano intorno al collo.



Lanciò ai due coetanei una breve occhiata, poi attraversò la camera e recuperò gli occhiali dal comodino.



Ammutoliti, Shiro e Matt lo guardarono prendere una felpa dal suo armadio e indossarla.



Mentre usciva dalla camera da letto, gli occhi di Adam incrociarono per un istante quelli Shiro. Non disse una parola, se ne andò e basta.



Matt rimase a bocca spalancata per un lungo minuto. “Non è successo davvero,” disse. “Queste cose non succedono nella realtà, vero?”



Shiro continuò a fissare la porta chiusa e non rispose.





E così fu.

Come nel peggiore teen-drama di sempre.

Adam Sànchez arrivò nella nostra… Nella vita di Shiro senza chiedere il permesso e in modo altrettanto silenzioso ci rimase.

Restava in camera con noi solo il tempo necessario e non parlava a meno che non fosse assolutamente costretto. Non penso di averlo mai visto coricarsi o svegliarsi la mattina.

Lo lasciavamo in sala mensa e lo ritrovavamo in classe direttamente il giorno dopo. Non ci capitò più nemmeno d’incrociarlo mentre usciva dal bagno… Anche se dubito ne avesse particolare bisogno, dato che se ne andava in giro come se avesse un palo su… Questo non avrei dovuto dirlo.

E Shiro… Ah! Shiro! Qualcosa di Adam doveva averlo toccato in malo modo. Non penso si siano mai parlati senza litigare per almeno metà del primo anno ma, nonostante questo, Shiro insisteva.

Non era da lui attaccar briga e con Adam era una certezza.

Se poi devo essere del tutto sincero, non litigavano neppure. Tu e Lance litigate! Io e mia sorella abbiamo litigato spesso!

Loro si scambiavano opinioni contrastanti con fermezza e gelida calma. Erano inquietanti da guardare.

Non c’era modo d’intervenire perché, di fatto, nessuno dei due perdeva il controllo ma tutti li ascoltavamo in attesa… Penso che, ad un certo punto, qualcuno abbia anche preso a scommettere su chi dei due avrebbe perso la calma per primo.

Accadde solo una volta...










Iverson si sentiva particolarmente frustrato.



Non era una novità. Il suo mestiere gli aveva rovinato il fegato molto tempo prima che Tooru Shirogane avesse un bambino, Sam Holt decidesse di averne due e i Sànchez gli mollassero il loro ultimo erede perfetto, ma quella generazione stava superando limiti di cui lui stesso non era consapevole.



“Abbiamo un’avaria al secondo motore,” disse Adam nello schermo della sala di comando.



“Spegnilo,” ordinò Shiro, accanto a lui.



Adam sollevò la testa dal suo display. “Se lo spegniamo, ci sbilanciamo e potremmo cominciare a roteare.”



Shiro gli lanciò un’occhiata veloce. “Riesci a ripararlo?”



“No.”



“Rischi di esplosioni?”



“Negativo. Ho isolato la zona con le porte tagliafuoco per sicurezza, ma non ci sono ancora esplosioni in corso.”



“Allora spegnilo,” ordinò Shiro.



Adam scosse la testa. “Funziona a metà ma ci stabilizza.”



“Siamo quasi vicino a terra, possiamo reggere l’impatto con un solo motore. Tenere il secondo è come portarsi dietro una bomba che non sappiamo quando detonerà.”



Iverson inarcò il sopracciglio dell’occhio buono. “Non lo spaventa prendere dei rischi, eh?” Borbottò tra sé e sé.



Il resto della classe assisteva alla simulazione alle sue spalle. Matt non si stava guardando intorno: era impossibile togliere gli occhi di dosso dallo schermo. Non era l’unico ad assistere come se la missione in corso fosse reale e non un semplice test.



“Takashi, se spegniamo il secondo motore, la perdita di controllo sarà una naturale conseguenza.” Spiegò Adam.



“Siamo vicini al terreno, se il motore esplode…”



“Non sai che cosa c’è sotto quelle nuvole, Takashi. Non sai se puoi tentare un atterraggio di emergenza. Non sai dove stiamo finendo.”



Iverson annuì con se stesso: Takashi era quello con carattere, ma Adam era quello che pianificava seguendo la logica. Il primo non aveva paura di giocare col fuoco, il secondo lo raggirava con i mezzi che aveva.



Takashi strinse le labbra. “D’accordo,” disse, infine. “Mi fido di te, Adam.”



Nella sala di controllo, Matt inarcò un sopracciglio e non poté evitare di notare il signor antipatico Sànchez fare lo stesso.



“Cerca di stabilizzare il secondo motore più che puoi,” ordinò Takashi.



Adam si mise subito al lavoro e i livelli di controllo di volo migliorarono, sebbene di poco. “L’impianto di raffreddamento funziona,” disse. “Penso sia in avaria per un guasto meccanico.”



“Cattiva manutenzione,” disse Takashi.



Iverson s’imbronciò e si voltò verso la classe. “Chi erano gli addetti alla manutenzione?” Domandò.



Con la coda dell’occhio, Matt vide due ragazzi alla sua destra farsi avanti.



“Test fallito,” disse Iverson. “Quel guasto era lì perché voi lo trovaste e lo riparaste. Ora due vostri compagni stanno rischiando la vita per una vostra negligenza.”



Tornò a guardare i due giovani piloti sullo schermo.



“Ma è solo una simulazione…” Disse uno dei cadetti ripresi.



Matt chiuse gli occhi e decise di non guardare.



Iverson si alzò dal suo posto e tutti indietreggiarono di un passo. “Oggi è una simulazione, ragazzo,” disse, quasi ringhiò. “Prendete sotto gamba la manutenzione di un navicella da carico che deve semplicemente arrivare alla nostra luna e potreste avere sulla coscienza un’intera squadra di cargo-pilot. Pensate che l’impegno e la serietà che dovete mettere nel vostro lavoro sia direttamente proporzionale all’importanza di una missione? È facile morire per un errore sulla Terra e lo è ancor di più lassù!” Puntò l’indice verso l’alto.



“Il secondo motore è esploso!” Esclamò Adam.



Tutti tornarono a guardare lo schermo.



Il co-pilota manteneva la calma ma era un controllo solo apparente. Il pilota, al contrario, era ancora concentrato.



Matt si sporse in avanti per dare un’occhiata ai livelli di stabilizzazione di volo. “Stanno… Stanno…”



“Sta pilotando in senso circolare,” disse Iverson con un sorriso orgoglioso. “Sta assecondando la caduta per non perdere il controllo e sfruttare l’unico motore che gli è rimasto.”



Matt tornò a guardare lo schermo. Adam non faceva niente, fissava Shiro e aspettava che parlasse.



Il pilota gli lanciò un’occhiata veloce. “Fidati di me,” fu tutto ciò che riuscì a offrirgli.



Con gran sorpresa di Matt, Adam non obiettò.



Tutti restarono col fiato sospeso per un minuto che parve durare un’eternità.



“Neve!” Esclamò Shiro con una gran sorriso. “Vedo terra e vedo neve! Prepararsi all’atterraggio di emergenza!”



Adam si rianimò. “Cerca di puntare su di una zona pianeggiante, faccio partire il sistema frenante di emergenza!”



Iverson si avvicinò tanto allo schermo che Matt pensò che ci avrebbe premuto contro il naso senza rendersene conto.



Lo comprendeva.



Si avvertì un urto – simulato ovviamente. Adam strinse gli occhi, Shiro li tenne aperti per tutto il tempo.



Le luci nella stanza del simulatore si accesero e una voce elettronica annunciò la conclusione di tutto: “atterraggio avvenuto con successo.”



In sala comando partì un grande applauso. Anche Iverson batté il pugno sul pannello di controllo per dare sfogo all’euforia. Allungò una mano verso l’interfono e premette il pulsante per attivare la comunicazione. “Come va, Takashi?”



Shiro sollevò la testa, un gran sorriso gli illuminò il volto. “In tutta sincerità, Comandante,” disse, “vorrei uscire fuori di qui.”



Qualcuno rise, lo fece anche Matt.



Adam non disse nulla. Rimase immobile e zitto sul lato destro dello schermo, gli occhi puntati su Shiro.



“Oh…” Pensò Matt con sarcasmo. “Lo hai notato, finalmente.”







Quando la porta del simulatore si aprì, fuori ad attenderli non c’era ancora nessuno.



“Non vedo l’ora di farmi una doccia,” disse Shiro, passandosi una mano tra i capelli umidi di sudore. Guardò il compagno silenzioso al suo fianco. “Ehi…” Gli sorrise. “Ottimo lavoro.” Gli porse la mano.



Adam lo fissava in modo strano. “È tutta sudata,” gli fece notare.



Shiro arrossí e riadagiò il braccio lungo il fianco immediatamente. “Scusami,” ridacchiò. “È l’euforia del momento.”



“Non c'è ragione di essere euforici,” disse Adam, gelido.



Shiro divenne serio di colpo. “Perché?” Domandò. “Abbiamo superato un test con avaria ad uno dei motori. Dobbiamo aver fatto un punteggio altissimo.”



Tu devi aver fatto un punteggio altissimo, pensò Adam. “Non ti valutano solo per come finisce la missione simulata,” disse, invece. “Giudicano anche il tuo comportamento durante tutto il processo. Il modo in cui reagisci, il modo in cui pensi…”



Shiro scosse la testa. “Adam, siamo riusciti ad atterrare,” gli strinse la spalla in un gesto amichevole. “Siamo una bella squadra.”



Adam lo allontanò con disgusto. “Non mi toccare.” Non urlò. Non c’era traccia di rabbia nella sua voce o nei suoi occhi. Shiro davvero non riusciva a comprendere quello che vedeva quando guardava Adam. Mentre serrava i pugni, però, decise che ne aveva abbastanza.



Iverson scelse quel momento per entrare nella stanza con il resto della classe. “Ragazzi miei, oggi la Galaxy Garrison ha motivo di essere orgogliosa dei suoi-”



“Perché sei così?” La voce del giovane pilota lo interruppe bruscamente e spinse lui è tutti i cadetti a fermarsi sulla porta.



“Perché devi sempre essere così?” Gli occhi grigi di Shiro erano ardenti di rabbia.



Quelli di Adam, invece, erano grandi e colmi di sorpresa. Non si era aspettato una reazione del genere. Lo stesso Matt, un passo dietro Iverson, non aveva mai visto l’amico in quello stato.



Rendendosi conto della presenza di altre persone, Shiro si ricompone immediatamente. “Mi perdoni, Comandante,” disse con la testa china. “Posso avere il permesso di ritirarmi?”



“Sì…” Buttò lì Iverson, completamente incapace di gestire la situazione.



Shiro superò lui e il resto della classe senza guardare in faccia nessuno. Matt tentò di attirare la sua attenzione ma non ci riuscì.



Nel vederlo sparire fuori dalla stanza, il giovane Holt si portò davanti all’ufficiale. “Comandante Iverson, io…”



“Vai, Matthew, vai…” Gli concesse con un gesto veloce della mano.



Il ragazzino non se lo fece ripetere due volte.



Iverson sospirò: il momento idilliaco era finito e ora poteva tornare a desiderare di cambiare mestiere.







Non parlò con me.

Non parlò con nessuno e decisi di rispettare i suoi spazi, anche se era una novità per me. Sai, ci eravamo sempre detti tutto, anche quando sua madre… Sì, quando è successo quello che è successo. Shiro non si è mai chiuso in se stesso.

Non riuscivo a capire che cosa l’avesse turbato al punto da lasciarmi fuori. Insomma, stavamo parlando di Adam Sànchez, lo stronzo!

Non ci si poteva aspettare nulla di diverso da lui.

Adam si adattava. Non giocava in squadra perché lo voleva ma perché era costretto a farlo.

Potrei dire che quella fu la loro prima vera litigata, anche se l’unico a urlare fu Shiro. Il giorno di quella simulazione straordinaria, entrambi persero il controllo a modo loro.

Io non sapevo che cosa aveva toccato Adam – lo avrei scoperto solo dopo – e avevo timore d’intuire quello che passava per la testa di Shiro. Tutto, però, venne innescato quel giorno. La gelida calma che avevano mantenuto dal primo incontro s’infranse lì e non ci fu più modo di tornare indietro.

O, forse, chi lo sa? Il vero inizio fu quella sera nella Sala degli Ufficiali, quando Shiro parlò a cuore aperto del suo amore per le stelle e Adam lo giudicò ridicolo.

Sì, forse iniziò così, con Shiro che non riusciva a spiegarsi come era possibile che qualcuno entrasse alla Galaxy Garrison senza desiderare le stelle.

Che te lo spiego a fare? È lo stesso desiderio che ti ha portato da lui… O ha portato lui da te. Un giorno mi spiegherai questa parte della storia!

Sta di fatto che Adam le stelle non le amava.

Shiro, per qualche ragione su cui tutt’oggi m’interrogo, non riusciva ad accettarlo.










“Io non so più cosa fare con te, Takashi,” disse Iverson, sfogliando il fascicolo del cadetto. “Non è nemmeno finito il semestre e già potrei metterti alla prova con quelli dell’ultimo anno.”



Shiro voleva essere felice di quelle parole, ma c’era Adam seduto a meno di un metro da lui e tanto bastava a fargli desiderare di uscire dall’ufficio del Comandante il più in fretta possibile.



“Hai avuto fegato in quel simulatore,” aggiunse Iverson. “Hai mantenuto la calma fino alla fine e hai saputo usare l’istinto.”



Shiro avrebbe voluto dire che c’era riuscito anche grazie ad Adam, che quella vittoria era di tutti e due. L’altro cadetto non lo avrebbe mai accettato.



“Tuttavia, la fortuna è stata dalla tua parte,” aggiunse Iverson. “Adam aveva ragione a metterti in guardia. Non sapevi che cosa avresti trovato a terra. In fondo, però, la signora fortuna è parte di questo mestiere.” Guardò il giovane Sànchez. “Hai saputo guidare il tuo pilota egregiamente e ti sei fidato di lui nel momento peggiore. È una buona evoluzione, Adam, non lasciare che rimanga incompiuta. Ogni missione è un lavoro di squadra e i vostri ingegneri da terra hanno fatto un pessimo lavoro da cui siete riusciti a sopravvivere, secondo il simulatore. Questa io la chiamo una buona squadra.”



Iverson passò gli occhi dall’uno all’altro. “Per via dei vostri risultati eccellenti, sorvolerò su quanto è avvenuto immediatamente dopo ma non provate mai più a inscenare un simile dramma adolescenziale nella mia classe.”



“Sissignore,” risposero in coro i due cadetti.



Iverson si rilassò contro lo schienale della sua poltrona. “Non sarebbe corretto dirlo prima delle prove scritte e del test in aria ma, a meno che i vostri voti non precipitino di colpo, direi che siete gli unici del vostro corso ad avere un posto sicuro nella squadra dei fighters.”



Quelle parole non ebbero un impatto immediato su Shiro. Dischiuse le labbra per dire qualcosa ma il Comandante lo precedette.



“Fatemi avere risultati poco meno che eccellenti da adesso in poi e mi rimangerò ogni cosa,” concluse. “Coraggio, sparite.”



Shiro si alzò dalla poltrona e uscì dalla porta con una serie di movimenti automatici.



Fighter. Ripeteva la sua mente incredula.



Alla fine del suo primo semestre, Shiro aveva già l’opportunità di entrare nella classe dei fighters. I cadetti che si diplomavano in quella categoria avevano più possibilità di essere scelti come primi piloti in delle missioni d’esplorazione. Col tempo e tanta pazienza, ovviamente.



Ciò non toglieva che fosse sulla strada giusta per raggiungere le stelle.



“Congratulazioni…” Disse Adam a voce tanto bassa che Shiro lo guardò confuso.



“Eh?”



“Congratulazioni,” ripeté l’altro senza guardarlo. “Stai sorridendo come un ebete. Immagino tu sia felice.”



Shiro si toccò stupidamente le labbra. “Congratulazioni anche a te,” disse, accennando un sorriso. Forse era l’occasione giusta per chiarire le cose tra loro. “Scusami per averti urlato addosso quel giorno.”



Adam scrollò le spalle. “Iverson ci vuole in squadra e questo significa che dovremmo dimenticare e andare avanti.”



Shiro annuì e fece un passo verso il compagno di classe. “Sì, lo credo anche-”



“Questo non significa che dobbiamo essere amici,” lo interruppe Adam.



Il sorriso sul viso di Shiro morì immediatamente.



“Siamo qui per due ragioni diverse,” aggiunse Adam. “Diverse e non conciliabili ma sembra che siamo l’uno per l’altro il mezzo per ottenere ciò che vogliamo, perciò… Ti assicuro che sarà una collaborazione facile.”



Shiro reclinò la testa da un lato. “Ma come fai?”



Adam fu costretto a guardarlo. “A fare cosa?”



“Tutto questo,” disse Shiro. “L’addestramento è a dir poco sfiancante, gli esami sono difficili e i test pratici… Come fai a sopportare tutto questo senza metterci passione?”



Adam lo fissò. “Non guardarmi come se fossi io il pazzo tra noi due, Takashi.”



Shiro scosse la testa. “Non sei un pazzo, Adam,” replicò. “Sei solo triste.” Fu il primo dei due ad andarsene e finse di non sentire lo sguardo dell’altro che gli perforava la schiena.







“Io non capisco perché ci tieni tanto,” ammise Matt quella sera, nella loro camera.



Shiro lanciò uno sguardo al letto vuoto di Adam e scrollò le spalle. “Non è una cosa che riesco a farmi scivolare addosso,” disse, aggiustando il telescopio sul davanzale della finestra. Non c’era stato modo di uscire dall’Accademia in quei primi mesi e Shiro aveva deciso di fare un tentativo da lì, anche con tutte le luci degli edifici accese.



Matt sospirò. “Sì, ma perché?”



Shiro lo guardò. “Sai perché desidero tanto essere pilota di una missione esplorativa con te come rappresentante della sezione scientifica?”



Matt gli rivolse il sorriso smagliante che riservava solo alle ragazze più carine – e che mai lo ricambiavano. “Perché sono fantastico?” Domandò.



“Perché i nostri sogni sono compatibili,” rispose Shiro, sollevando gli occhi verso il cielo stellato. “Stando lassù con te, saprei di avere accanto qualcuno che mi capisce. Lo so che non è fondamentale per la riuscita di una missione ma… Condividere qualcosa di grande come un’esplorazione spaziale con qualcuno che non prova neanche metà di quello che senti tu è frustrante. È triste.”



Matt sospirò profondamente. “Come recarsi a una festa con qualcuno che non vuole andare. Alla fine, nessuno si diverte. Solo che non stiamo parlando solo di una festa…” Si grattò la testa. “Se è così frustrante per te, perché non chiedi un cambio di co-pilota? Iverson ti avrebbe regalato la luna l’altro giorno! Direi che anche questo potrebbe entrare nella tua lista di record battuti!”



Shiro scosse la testa. “Adam è un co-pilota perfetto,” replicò. “Il mio è solo un capriccio.”



Matt storse la bocca in una smorfietta. “Un co-pilota perfetto con capelli altrettanto perfetti ed il fascino degli occhiali,” si tolse i suoi e li guardò con espressione critica. “Perché con me non funziona mai?”



Shiro inarcò un sopracciglio. “Che stai dicendo?”



“Niente,” ammise Matt, inforcando di nuovo gli occhiali. “Ci tieni così tanto a infondere la passione per le stelle in Adam che comincio a pormi domande.”



Shiro scosse la testa con un sorrisetto divertito. “Hai tanta fantasia, Matt.” Diede un’occhiata al cielo col suo piccolo telescopio.



“No, sono uno scienziato,” replicò il giovane Holt, fissando il profilo dell’amico. “Osservo e tiro conclusioni.”



Shiro si accorse del suo sguardo e comprese immediatamente a cosa alludeva.



Preferì non dargli corda e continuò a guardare le stelle.



 

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Capitolo 2
*** Shiro ***


II
Shiro



Sì, lo ammetto, fui il primo a spingere Shiro sulla strada per la perdizione. In mia difesa: avevo quattordici anni e non sapevo quello che dicevo. Meglio, lo sapevo ma non avevo ancora fatto mia quella lezione fondamentale che tutti impariamo troppo tardi: quello che diciamo e facciamo ha delle conseguenze.

Potrei quasi prendermi a mazzate in faccia da solo e biasimarmi per tutto quello che è successo dopo… Non mi è piaciuto arrivare a questa conclusione.

Però fui sincero! Avevo notato qualcosa tra quei due, non mi sono scomodato a indagare cosa fosse e avrei dovuto farlo, prima di aprire bocca!

Tuttavia, che mi piaccia ammetterlo ora o meno, quella era la realtà dei fatti: c’era qualcosa tra Shiro e Adam. C’era quella tensione che… Mio malgrado, adesso saprei come interpretare.

Al tempo, però, eravamo ragazzini e ciò che può sembrare logico ora, era completamente incomprensibile al tempo.

Era quell’età in cui ogni emozione era totalizzante e Shiro, lo sai, ha sempre sentito più degli altri. Adam, invece, non era abituato.

Fu in questa atmosfera da equilibrio precario che in qualche modo arrivammo alla fine del nostro primo semestre alla Galaxy Garrison.

Gli esami scritti non furono una passeggiata, quelli pratici furono un circolo di scommesse.

I più furbi puntarono su Shiro, quelli amanti dei colpi di scena su Adam.

In un modo o nell’altro, vinsero entrambe le parti. I risultati finali sarebbero usciti solo all’inizio del secondo semestre, ma tutti noi sapevamo come sarebbe andata a finire.




“Non torni in Giappone dai tuoi nonni?” Matt lo scoprì troppo tardi per cambiare i piani all’ultimo minuto. Col senno di poi, concluse che Shiro lo aveva fatto a posta, per non disturbare.

“Non esistono biglietti economici per il Giappone in questo periodo dell’anno,” rispose Shiro con un sorriso, seduto a gambe incrociate sul suo letto. “Non sono l’unico cadetto che rimane al dormitorio. Ci sono altri studenti che arrivando anche da più lontano e non possono permettersi un viaggio oltreoceano.”

Matt buttò gli ultimi vestiti nel borsone. “I tuoi nonni sarebbero felici di averti a casa, a costo di qualsiasi biglietto.”

“Mi pagano già gli studi qui.”

“Tua madre ti paga gli studi qui e né lei né i tuoi nonni vorrebbero altrimenti.”

Shiro si fece serio. “Quei soldi non servono solo per me. Devono essere anche per loro, per quando non sarò qui e avranno bisogno di una mano.”

Matt chiuse gli occhi e si diede dell’idiota. “Scusa, non volevo…” Si morse la lingua. “La faccenda dell’eredità di tua madre e tutto il resto sono affari tuoi.”

Shiro scosse la testa e provò a tornare a sorridere. “Non fa niente,” disse. Si sforzava davvero a parlare di sua madre con naturalezza, ma ancora faceva male pensare a lei.

No, la storia del biglietto troppo costoso non era solo una scusa, ma l’idea di tornare a casa e di trovare la stanza di sua madre vuota era ciò che lo spingeva a restare alla Garrison più di ogni altra cosa.

“Iverson ha detto che possiamo uscire,” aggiunse Shiro. “Abbiamo un coprifuoco ma potrò andare nel deserto a osservare le stelle come si deve. Col brevetto da cadetto-pilota posso anche prendere una delle hooverbike.”

Matt s’imbronciò. “Bravo!” Esclamò, lasciando cadere il borsone a terra. “Cacciati nei guai in mia assenza e fammi sentire sfortunato per andare in Europa!”

Shiro rise. “Ti divertirai.”

“A videochiamarti? Certo!” Matt si lasciò cadere sul letto dell’amico. “Già lo so cosa succederà: faccio in tempo a mettere piede lontano qui e nel deserto si schianta una nave aliena, con una bella aliena dentro e tu… Tu non fai niente, perché a te le signorine nemmeno piacciono!”

“Non è nemmeno detto che gli alieni siano divisi in maschi e femmine!” Esclamò Shiro tra le risate.

“Nel frattempo, io me ne starò in Italia, con la calda compagnia di una lasagna di nonna,” concluse Matt con voce da funerale. Sbatté le palpebre un paio di volte. “Adesso che ci penso… Se gli alieni fossero provvisti su ambedue i fronti, io e te come ci dovremmo comportare, di grazia?”

Shiro cercò di calmare le risate prendendo un profondo respiro. “Non per infrangere i tuoi sogni,” disse. “Ma trovare prove di forme di vita aliene è una cosa, testare in prima persona il loro modo di riprodursi è un po’ troppo fantascientifico anche per noi.”

Matt lo guardò scandalizzato. “Perché chiuderci in faccia questa porta? Gli alieni potrebbero essere già tra noi per quel che ne sappiamo… Le orecchie di Oliver sono sospette, non trovi?”

“Matt, Oliver ha solo le orecchie un po’... Evidenti.”

“È Dumbo!”

“Smettila di prenderlo in giro!”

“Non prendo in giro nessuno, sto parlando con te!” Shiro rivolse all’amico un sorriso malinconico. “Mi mancherai…”

Matt ricambiò l’espressione. “Anche tu.”

La porta della stanza si aprì e Adam entrò. Prese una giacca dal suo armadio e uscì come se gli altri due non ci fossero.

“Lui no!” Urlò Matt alla porta chiusa e sperò che il giovane Sànchez lo sentisse. “Lui non mi mancherà proprio per niente!”



E così me ne andai.

Partii per l’Europa con la mia famiglia, facendo promettere a Shiro che ci saremmo sentiti regolarmente , a dispetto della differenza di fuso orario. Ovviamente, eventuali avvistamenti alieni sarebbero dovuti essere immediatamente riportati con tutti i dettagli del caso.

… E pensare che Shiro ci avrebbe portato un alieno a casa solo sei anni dopo.

Non fare quella faccia! Devo rendere la cosa divertente perché, di fatto, non lo fu!

A che punto ero arrivato? Ah, sì, partii per l’Europa con la speranza che in quei ventuno giorni non sarebbe successo niente di memorabile.

Come avevo predetto, invasione aliena a parte, successe di tutto!




Shiro si pentì di non essere partito appena tre giorni dopo la fine delle lezioni. Nessuno del primo anno era rimasto nel dormitorio e lui passava da solo tutta la sua giornata.

Fare amicizia con i cadetti più grandi non gli sarebbe dispiaciuto, se questi non l’avessero guardato come cani rabbiosi.

Shiro era più alto dei suoi coetanei ma non così alto e se quegli altri avessero deciso di giocare alla rissa, non sarebbe durato in piedi più di due minuti.

Da quella prima sera nella Sala degli Ufficiali, non aveva più visto il tipo dai capelli rossi e il suo gruppo. Ne era sollevato.

L’Accademia era strana con tutto quel silenzio.

Il loro piano era sempre stato piuttosto tranquillo, ma c’era qualcosa di alieno nell’uscire fuori da quella porta e non trovare nessuno lungo i corridoi.

Per tre giorni, Shiro incontrò altre forme di vita solo nella sala della mensa ed erano esplicitamente ostili, quindi di poca compagnia.

Matt mantenne la parola e chiamò, mandò foto e video. Lo tenne informato su tutti i suoi spostamenti e non si fece problemi a riempirlo di commenti su tutto ciò che vedeva.

Matt non aveva il dono della sintesi ma a Shiro non importava.

Con la testa appoggiata sul cuscino, sorreggeva il tablet con una mano sola e si addormentava, mentre il suo migliore amico gli mostrava l’ennesimo monumento storico o paesaggio incantevole nel video-report del giorno.

Shiro copriva il silenzio con tutto quello che aveva ma, alla fine, dovette rendersi conto della cruda realtà: restare lontano da casa non teneva il dolore altrettanto distante.

Le conseguenze della morte di sua madre non erano chiuse nella camera vuota a casa dei nonni, ma erano lì, nel suo cuore. Privato di tutti gli stimoli che la Galaxy Garrison poteva offrire, Shiro si ritrovò da solo con quel dolore e nessuno con cui condividerlo.

Il quarto giorno andò nell’ufficio di Iverson a chiedere il permesso per usare una delle hooverbike e uscire un po’ nel deserto. L’aria aperta gli avrebbe fatto bene e il cielo stellato sarebbe stato un ottimo balsamo per il suo cuore.

Per sua sfortuna, il Comandante non era all’Accademia. “Ha deciso di prendersi una settimana per sè,” lo informò Morrison, il suo assistente. “È quasi un miracolo, non gliel’ho mai visto fare in cinque anni.”

“Capisco,” si limitò a dire Shiro. “Buona serata.”

Se non poteva avere la sua libertà nel deserto, si sarebbe consolato in un altro modo.

L’Accademia poteva apparire come una luna deserta senza i suoi cadetti, ma era solo un’impressione. Shiro aveva passato i momenti più belli della sua infanzia in quelle stanze e sapeva dove rifugiarsi quando aveva voglia di sentirsi a casa.

I laboratori nei sotterranei, quelli dove lui e Matt erano divenuti amici mentre i loro genitori lavoravano insieme, erano blindati e Shiro non poteva fare nulla per accedervi. Tuttavia, vi era un luogo dell’Accademia in cui non andava mai nessuno, un posto in cui venivano conservati i ricordi più importanti per chiunque aveva voglia di fare un viaggio nel passato.

La chiamavano ala museo, era un’attrazione interessante solo per le scolaresche o i turisti in escursione nel deserto. Chi aveva scritto le storie ricordate su quelle pareti e dentro quelle teche di vetro non metteva mai piede lì. Non ne aveva bisogno.

Alcune di quelle storie, Shiro le aveva sentite direttamente da chi le aveva vissute. Ricordava a memoria tutte quelle di sua madre e alcune del signor Holt.

Erano state le sua favole della buonanotte. Attraverso di esse, Shiro si era innamorato delle stelle. Era stato inevitabile. Ce l’aveva nel sangue.

La storia del primo insediamento su Marte avrebbe potuto leggerla facendo una breve ricerca in rete, ma a Shiro serviva qualcosa di più di una foto su di uno schermo. Aveva bisogno di leggere i nomi incisi nei trofei, sulle targhe dorate.

Non accese la luce della sala – non sapeva nemmeno come farlo. Si fece strada con una torcia, prestando poca attenzione a ciò che aveva intorno. Le luci delle teche erano spente, le foto affisse alle pareti erano coperte dal buio.

Shiro procedette con passo sicuro verso la stanza dedicata alle missioni su Marte.

Tooru Shirogane aveva partecipato ad altri progetti ma quello del primo insediamento sul pianeta rosso era stato l’unico a guadagnarsi un posto nella storia della Galaxy Garrison. Matt aveva tristemente ragione: le imprese dei piloti venivano ricordate da tutti come gesta eroiche, mentre la ricerca scientifica era qualcosa di più silenzioso, meno avvincente.

Samuel Holt ricordava Tooru come una stimata collega, una cara amica e una mente brillante, rubata alla ricerca troppo presto. Shiro gli era grato per questo, anche se non sarebbe mai riuscito a dirglielo senza scoppiare a piangere.

Ingoiò a vuoto e puntò la torcia di fronte a sè. Un sorriso triste illuminò il suo giovane volto di una pallida luce. Al centro della parete dedicata alla missione vi era una foto di gruppo.

Tooru Shirogane non era nemmeno al centro della scena ma emetteva una luce che gli altri potevano solo invidiare. Gli sorrideva, i lunghi capelli neri raccolti in una treccia morbida, abbandonata sulla spalla.

Shiro le assomigliava? Non ne era certo. I nonni dicevano che aveva ereditato il suo sorriso e lui vedeva gli occhi di lei ogni volta che si guardava allo specchio. Sua madre, però, era stata una donna minuta, dai lineamenti tanto delicati da sembrare un bambola. Sì, Shiro le somigliava ma non era il suo ritratto.

“Ciao, mamma…” Un saluto che aveva un qualcosa di spettrale, ma Shiro sentiva la necessità di parlarle e non sarebbe mai riuscito a farlo in Giappone, di fronte alla sua tomba. Preferiva farlo in quella stanza buia, dove era ancora viva attraverso la missione più grande a cui aveva preso parte.

“Mi dispiace, sarei dovuto venire prima.”

Anche se tu non sei qui, né da nessuna altra parte, pensò tristemente.

“Devo raccontarti un sacco di cose…”

E lo fece. Shiro parlò del suo primo semestre alla Galaxy Garrison, dei record battuti, della prima sera nella Sala degli Ufficiale, di Matt e di Adam… Soprattutto di Adam.

“Non è ancora ufficiale ma dovrei essere entrato nella classe dei fighters,” concluse con un gran sorriso, eppure sentiva il cuore pesante come un macigno. “C'è l’ho fatta, mamma. Se sarò all’altezza, tra qualche anno uscirò dalla Galaxy Garrison come pilota. A quel punto, basterà aspettare la missione giusta…”

Shiro smise di parlare. C’era molto altro da dire ma il nodo che gli stringeva la gola lo stava soffocando e la consapevolezza di star parlando da solo non era di alcun aiuto.

Strinse gli occhi e chinò la testa. Inspirò profondamente dal naso e ricacciò indietro le lacrime. Non poteva piangere: aveva paura che se avesse cominciato, non avrebbe più smesso.

“Che cosa stai facendo?”

Lo spavento fu tale che il cuore di Shiro saltò un battito.

Si voltò verso il fascio di luce di una seconda torcia, ma dovette immediatamente schermarsi il viso con una mano per non rimanere abbagliato. “Non riesco a vederti!” Esclamò.

Il nuovo arrivato abbassò il braccio e Shiro vide il riflesso di due lenti nella semi-oscurità. Sgranò gli occhi per la sorpresa. “Adam?”

L’altro si fece più vicino. “Riesci a vedermi?”

No, in realtà era troppo buio, ma il suo nome era l’unico a cui Shiro era riuscito a pensare. Afferrò la torcia e la puntò in direzione dell’altro cadetto.

Adam chiuse gli occhi di colpo e fece un passo indietro. “Adesso sei tu che abbagli me!” Esclamò irritato.

Shiro abbassò il fascio di luce in modo che non lo colpisse in viso. “Che cosa ci fai qui?”

“L’ho chiesto io per primo.”

“No, intendo…” Shiro si umettò le labbra. “Che cosa ci fai qui, alla Galaxy Garrison? I nostri compagni sono tutti tornati a casa!”

“Perché sei nervoso?” Domandò il giovane Sànchez con voce incolore.

“Perché dormiamo nella stessa camera e mi accorgo che tu sei ancora qui dopo quattro giorni!” Esclamò Shiro.

Adam doveva avere un potere speciale che lo aiutava a evitare le persone. Non era possibile che, circondato da tutto quel silenzio, Shiro non si fosse accorto di qualcun altro che dormiva a meno di un metro da lui.

Adam fece spallucce. “Hai il sonno pesante.”

Shiro non comprese se si trattava di un semplice commento o di un insulto. “Non ti ho mai visto nemmeno in mensa.”

“È aperta per sei ore al giorno. Sono tante. Può capitare di non vedersi.” Fu la giustificazione di Adam.

Shiro non riusciva a capacitarsi. “Perché… Perché sei qui?”

Adam sospirò pazientemente. “L’ho chiesto prima io, Takashi.”

“Io… Io…” Shiro indicò la foto di gruppo con il fascio di luce della sua torcia.

Adam comprese e annuì. “Capisco. Buona notte.”

“Ehi! Aspetta!” Shiro si alzò in piedi tanto velocemente che quasi inciampò nei suoi stessi piedi. “Tu non hai risposto”

L’altro lo guardò senza una reale espressione. “Vengo qui quando ho bisogno d’ispirarmi.”

“Ispirarti?”

“Sì. Ci sono miei parenti più su queste pareti che su quelle della mia casa di famiglia. Questo dovrebbe essere d’ispirazione a qualcuno.”

Shiro non ne era certo – interpretare le inclinazioni della voce di Adam era difficile – ma aveva la netta sensazione che lo stesse dicendo per convincere se stesso.

“Io ho sempre trovato ispirazione in mia madre,” disse Shiro, accennando un sorriso. “Ti capisco…”

“Io no.”

“Prego?”

“Non capisco quello che provi, Takashi,” disse Adam. “A me non succede.” Si voltò e si diresse verso l’uscita.

Shiro lo guardò allontanarsi. “Perché sei qui?” Non si rese conto di averlo chiesto ad alta voce fino a che Adam non si voltò.

“Te l’ho già spiegato,” rispose questi.

Shiro scosse la testa. “Perché sei alla Galaxy Garrison?” Si fece più vicino. “Non si arriva fino a qui senza un sogno!”

Adam sospirò. “Ho già vissuto questa scena, Takashi. L’ho vissuta di fronte all’ufficio di Iverson e non credo di dover aggiungere altro a quello che ho già detto quel giorno.”

“Non sono nessuno per chiederti quello che provi ma-”

“Appunto, non sei nessuno,” lo zittì Adam senza alcuna intonazione. “Buona notte, Takashi.”

Shiro non lo fermò. Rimase a guardare mentre l’oscurità lo inghiottiva, poi un pensiero illuminante lo spinse a camminare.

Adam era furbo ma quella era la peggior battuta in ritirata della storia.

Erano stati così bravi a evitarsi per un intero semestre che il giovane Sànchez non doveva averci pensato. Lo fece quando il suo compagno di stanza varcò la porta della camera insieme a lui.

Shiro sorrise vittorioso. “Questa volta non puoi evitarmi.”

Adam alzò gli occhi al cielo, posò la torcia spenta sul comodino e si sedette sul suo letto. Si chinò per slacciarsi le scarpe.

Shiro fu più veloce a liberarsi delle sue e si accomodò sulla trapunta a gambe incrociate, in attesa.

“Non pensare che faremo conversazione,” lo avvertì Adam, chino sulla scarpa sinistra.

“Va bene.” Shiro annuì. “Parlerò solo io.”

Adam chiuse gli occhi e fece appello a tutta la sua pazienza. “A che punto cominci a prendere in considerazione la resa, di solito?”

Shiro sorrise. “Mai.”

Parlò di tutto. Non smise nemmeno quando Adam si coricò fissando con caparbietà il soffitto. Anche Shiro lo fece, ma senza smettere di chiacchierare.

Gli parlò di Matt, delle loro avventure da bambini e di come la Galaxy Garrison era stato il loro parco giochi preferito, prima di divenire il luogo in cui concretizzare i loro sogni.

Sogni, sogni, sogni… E stelle.

Adam avrebbe volentieri dormito, piuttosto che ascoltare tutte quelle sciocchezze, ma Shiro non ne voleva sapere di stare zitto.

“Mia madre penso che avrebbe preferito vedermi più portato per la ricerca scientifica,” raccontò. “Credo che sognasse un rapporto con me come quello che hanno Matt e suo padre. Il maestro e l’apprendista. Non me lo ha mai fatto pesare, però. Vedeva che ero troppo innamorato del cielo per rimanere con la testa china su di un microscopio…”

Cadde il silenzio. Adam sollevò la testa per controllare se lo scocciatore si era finalmente addormentato. Gli andò male: gli occhi grigi di Shiro erano ancora aperti e svegli, stava solo guardando qualcosa fuori dalla finestra.

“Ehi…” Lo richiamò.

Shiro reclinò la testa per poterlo guardare. “Oh, scusami mi ero incantato a guardare le stelle.”

Adam lanciò un’occhiata alla finestra: senza occhiali non vedeva un granché. “Quindi non è stata tua madre?”

“A fare cosa?”

“A spingerti a venire qui.”

“Beh… Sicuramente mi ha influenzato ma… Le stelle ci sono sempre state. Le sue storie mi hanno fatto conoscere questo mondo ma farne parte è stata una mia scelta.” Shiro si fece serio e provò a dare voce a un dubbio che si portava dentro da un po’. “Tu non sei qui perché lo desideri, Adam?”

Il giovane Sànchez rispose con un’altra domanda. “Quindi non vuoi fare il pilota per attirare lo sguardo di tuo padre?”

Qualcosa si spense negli occhi di Shiro. “Io non conosco mio padre.”

Adam inarcò le sopracciglia. “Però sai chi è. Sai che è un pilota decorato e che è ancora in servizio.”

Shiro scosse la testa e rivolse lo sguardo alle stelle. “Conoscere un nome non significa conoscere la persona a cui appartiene,” disse con voce calma, ma stranamente atona.

Adam comprese che stava cercando di trattenere qualcosa. “Pensavo fossi qui per questo,” ammise e si coricò in modo da dare le spalle al compagno di stanza.

Shiro, però, aveva ancora qualcosa da dire. “Allora è per questo che sei qui,” concluse. “Stai seguendo la strada di qualcun altro. Non è così, Adam?”

Il giovane Sànchez non rispose.



Nessuno dei due dormì quella notte.



Dal giorno successivo, ignorarsi fu più difficile. Qualcosa si spezzò nell’equilibrio che era riuscito a tenerli lontani l’uno dall’altro per tutto quel tempo. Di colpo, presero ad incrociarsi nei corridoi, nella sala mensa. Capitava anche che si sfiorassero mentre si muovevano tra le quattro mura della loro camera condivisa.

Eppure, non parlavano.

Nel tentare di farsi più vicino ad Adam, Shiro aveva ottenuto solo di risvegliare i demoni di entrambi.

In un modo o nell’altro, arrivarono al decimo giorno restando ognuno nel proprio angolo.

Adam leggeva un libro seduto sul suo letto, Shiro guardava tutto quello che Matt gli inviava dall’Europa e fingevano reciprocamente che l’altro non esistesse.



Ancora una volta, fu il destino a mettersi di mezzo.



La sera dell’undicesimo giorno, Shiro uscì dalla sala mensa con particolare urgenza. Uno del terzo anno aveva vomitato tutto quello che aveva mangiato dal giorno in cui era nato sul pavimento, in mezzo alla stanza.

Finire di cenare era stato impossibile.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono sul suo piano del dormitorio, aveva ancora quel terribile odore sotto il naso. La cosa strana era che pareva farsi più forte man mano che si avvicinava alla sua stanza.

Non appena passò la tessera sullo scanner e la porta si aprì, un rumore disgustoso lo fece congelare sulla soglia. Con gli occhi sgranati adocchiò la porta del bagno e notò che era aperta.

Silenzio.

Per un attimo sperò di aver avuto un’allucinazione dovuta all’eccesso di schifo, ma l’odore era impossibile da ignorare.

Sentì che altro materiale gastrointestinale veniva rigettato nel water e strinse gli occhi. “No, no, no…” Mormorò, scuotendo la testa.

Se Matt fosse stato lì, gli avrebbe urlato di correre via a gambe levate e di accamparsi sul tetto per un paio di notti. Shiro, però, non scappava. Non era nella sua natura ed era un dettaglio che il giovane Holt aveva definito difetto genetico di autoconservazione.

Se Adam lo aveva sentito arrivare, non aveva fatto nulla per dimostrarlo.

Shiro sospirò e fece un passo in avanti. “Adam?”

“Va via…” Bofonchiò l’altro con voce strozzata, prima che un altro conato di vomito avesse la meglio.

Shiro aspettò che finisse e lo udì tirare lo sciacquone. “Posso entrare?”

“È solo un’indigestione,” disse il giovane Sànchez. “Passerà…”

Shiro scosse la testa, sebbene l’altro non potesse vederlo. “È un virus,” replicò. “Uno del terzo anno ha vomitato in sala mensa mezz’ora fa.”

Adam tossì ma Shiro non udì altri rumori raccapriccianti: l’attacco di vomito doveva essere finito per il momento. Non aspettò che l’altro gli concedesse il permesso di entrare – anche perché dubitava sarebbe mai arrivato.

Shiro premette la mano contro la porta e la spalancò del tutto. Adam era in piedi, chino sul water e la camicia che aveva addosso gli aderiva alla schiena come una seconda pelle a causa del sudore.

Doveva stare così da un po’. Gli occhiali erano stati abbandonati dentro al lavandino e Shiro pensò che doveva averli lanciati un istante prima che il primo conato lo sopraffacesse.

“Se non vuoi andartene, chiudi la porta e lasciami in pace,” ringhiò Adam, un braccio appoggiato al muro piastrellato e il respiro affaticato.

“Sei pallido,” notò Shiro. “Stai molto male. Devi averlo preso in forma violenta.” Fece un passo in avanti.

“Non ti avvicinare!” Sbraitò Adam.

Shiro non si mosse. Era la prima volta che lo vedeva perdere il controllo in quel modo. Ci voleva di più per spaventarlo. “Riesci a farti una doccia?”

Adam sollevò il viso stanco su di lui, i capelli castani gli ricaddero sugli occhi. “Cosa?”

“Fatti una doccia e mettiti a letto.” Disse Shiro, uscendo dal bagno. “Dovremmo avere ancora qualche minuto prima del prossimo attacco di vomito.”

“Non ho bisogno del tuo aiuto!” Esclamò Adam, stridulo, patetico.

Troppo tardi: Shiro era già uscito.



Scusami se rido ma avrei voluto vederlo.

Adam Sànchez costretto a letto per un virus intestinale e Shiro nel ruolo della sua infermiera. Deve essere stato così umiliante per lui!

Ma davvero così umiliante!

Uno spettacolo! Se solo avessi potuto vederlo…

Non il vomito e tutto lo schifo, eh! Solo la faccia da stronzo di Adam mentre si rendeva conto di non poter fare altro che dipendere dall’aiuto di Shiro.

Non lo conoscevamo Adam. Non sapevamo del suo problematico rapporto con qualsiasi cosa potesse passare per debolezza. Era una maniaco del controllo e quella era tra le situazioni ordinarie più incontrollabili in cui si potesse ritrovare.

Penso che capirai se dico che Shiro era l’unico con la pazienza necessaria a poterlo capire.




Steso sopra le coperte del suo letto, Adam lo guardava come se la sua sola presenza fosse un fastidio. Shiro alzò gli occhi al cielo ed estrasse dalle tasche della felpa ciò che aveva recuperato dall’infermeria.

Non appena vide le ampolle e la siringa, Adam saltò a sedere. “Che cosa hai intenzione di fare?”

“È metoclopramide,” spiegò Shiro con un sorriso rilassato, mentre afferrava la siringa e una delle ampolle. “Serve a-”

“Lo so a cosa serve,” lo interruppe Adam, poi strinse le labbra e si premette una mano contro lo stomaco.

“L’infermiera mi ha detto che non posso sommistrartelo per bocca o finirai per vomitare di nuovo,” spiegò Shiro, preparando l’iniezione. “ Con questo la nausea e le fitte all’addome dovrebbero passare. Se riesci a superare la notte senza vomitare più, domani potremo provare a farti prendere qualcosa di caldo.”

Adam premette le spalle contro l’angolo del muro. “Non ti avvicinare a me con quella cosa.”

“È solo una siringa,” disse Shiro con un sorriso rassicurante. “Non ti faccio male, promesso.”

Alle orecchie di Adam, quella promessa suonava piuttosto inquietante. “Non ho paura della siringa!”

Shiro inarcò le sopracciglia. “Hai paura di me?”

“Non mi pare che tu abbia una qualifica medica di qualche tipo!”

“Adam, io e Matt siamo cresciuti imparando a fare queste cose!”

Ora il giovane Sànchez era seriamente inquietato. “Tu non mi tocchi,” disse con gelida fermezza.

Shiro sospirò e alzò gli occhi al cielo. “Ho esperienza,” insistette. “Quando i miei nonni erano fuori e l’infermiera non era di servizio, badavo io a mia madre. Se avesse avuto un attacco, non avrei potuto permettermi di avere paura di farle un'iniezione.”

Lo raccontò con tranquillità, quasi fosse una cosa successa un milione di anni prima e non solo l’inverno precedente. Shiro finse di non accorgersi della sorpresa negli occhi di Adam, ma fu grato di vederlo avvicinarsi al bordo del letto e tendergli il braccio. Gli venne da ridere. “Non è un’iniezione che si fa lì.” Lo informò con candore, lasciando trasparire una leggera inclinazione crudele.

Gli occhi scuri di Adam si fecero enormi ma non obiettò. Mentre storceva la bocca in una smorfia e le sue guance riprendevano improvvisamente colore, si distese sull’addome e affondò il viso nel cuscino.

“Non tentare di soffocarti,” disse Shiro divertito.

“Stai zitto,” fu la replica dell’altro, mentre allungava una mano per abbassare l’elastico dei pantaloni della tuta. Scoprì solo il necessario e Shiro rise a bassa voce.

Adam strinse gli occhi e ingoiò il boccone amaro dell’umiliazione.

Shiro fu di parola e non gli fece troppo male. “Ecco fatto!” Disse allegramente.

Adam lo sentì allontanarsi dal suo letto e si aggiustò i pantaloni alla male e peggio. Non si spostò dalla posizione in cui era. Si sentiva terribilmente stanco.

“Cerca di dormire,” disse Shiro, da qualche parte.

Furono le ultime parole che Adam udì.



Quando si svegliò, fuori era ancora buio e in bocca aveva un saporaccio che gli ricordò il motivo per cui si sentiva da schifo.

Si alzò dal letto e arrivò al bagno camminando come se fosse su di una nave in mezzo ad una tempesta. Si lavò i denti tre volte, prima di ritenersi soddisfatto.

Quando tornò in camera, due occhi giri lo guardavano dal letto sotto la finestra. “Stai bene?” Domandò Shiro con voce assonnata.

Adam annuì, anche se credeva si sarebbe sentito meglio sotto un treno in corsa. “Ti ho svegliato?”

Shiro si stiracchiò e scosse la testa. “Stavo in allerta.”

“Per me?”

“Se ti fossi sentito male di nuovo.”

Adam sentì lo stomaco comprimersi per una ragione che non aveva nulla a che fare con il virus. Sentì di nuovo dell’amaro in bocca ma anche quello era solo psicologico. “Dormi. Tutta questa premura non è necessaria,” tornò a coricarsi in modo da dare le spalle al compagno di stanza.

Shiro non disse altro, ma Adam restò sveglio per un po’ ad aspettare che parlasse. Quando si rese conto che non l’avrebbe fatto, fu lui a spezzare il silenzio. “Che cosa aveva tua madre?”

Shiro lanciò una breve occhiata alla sua schiena, poi tornò a rivolgere gli occhi alle stelle. “Una malattia degenerativa dei motoneuroni.”

Adam chiuse gli occhi per un istante. “Ho sentito mio padre parlarne, ma… Non è accaduto molto tempo fa, giusto?”

“Lo scorso inverno.”

“È durata molto?” Adam non aveva il diritto di porre tutte quelle domande, ma Shiro continuò a rispondere educatamente.

“Più di quello che avevano predetto,” raccontò. “Mamma era forte. Lo è stata fino alla fine. È riuscita a sorridermi fino all’ultimo giorno, sai? È l’ultimo ricordo che ho di lei.”

Adam non seppe come rispondere a quella confidenza. “Odio tornare a casa,” disse senza pensare. “Odio starmene con i miei familiari. Non ho un bel rapporto con mio padre.”

Gli angoli della bocca di Shiro si sollevarono un poco. “È per lui che sei qui?”

“Sono qui perché sono un Sànchez,” rispose Adam, distendendosi sulla schiena. “Lo spazio è l’unica ragione per cui sono al mondo. Sarebbe pura follia pensarla diversamente.”

“E qual è il tuo sogno?” Domandò Shiro. “Il tuo vero sogno, intendo.”

Adam sorrise con amarezza al soffitto. “Non ce l’ho,” rispose. “Non ho sprecato energie in qualcosa che non sarei mai riuscito a raggiungere. Se il mio destino era la Galaxy Garrison, ho scelto di essere il migliore per quel che potevo e ci sono andato vicino.”

Shiro si sentì in colpa. “Mi dispiace…”

“Non farlo,” disse Adam con fermezza. “Non chiedere scusa per essere migliore di altri. Al tuo posto, loro non esisterebbero a schiacciarti. Se puoi essere grande, sii grande e basta.”

Shiro esaminò quelle parole con attenzione e nella loro determinazione vi trovò la fonte della solitudine di Adam, un ragazzo a cui non era permesso sognare.

“A me non importa,” aggiunse il giovane Sànchez. “A rigor di logica, tu sei un genio in quello che fai e cercare di duellare contro di te è solo una perdita di tempo ed energie. Non ho la tua passione. È più che legittimo che tu sia migliore di me.”

Shiro ne fu sorpreso. “Tuo padre non ti farà problemi?”

“Sono l’unico cadetto che può co-pilotare con il nuovo ragazzo d’oro della Garrison Galaxy. Che cosa può aver mai da ridire?”

Shiro si rigirò tra le lenzuola per guardarlo. “Io non sono il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison,” obiettò.

Adam alzò gli occhi al cielo. “Quando sei ingenuo, Takashi.” Si coprì gli occhi con un braccio. “Ora vedi di dormire. Non morirò nel sonno se abbassi la guardia.”

Nonostante l’acidità di quelle parole, Shiro sorrise. “Buona notte, Adam.”

Per la prima volta da quando le loro strade si erano incrociate, erano riusciti finalmente a parlare.



Lo so cosa stai pensando: niente di che!

Invece, no! Perché la storia inizia a farsi interessante solo ora.

Pensavi che il virus intestinale fosse la grande svolta? Bene, ti sbagliavi.

La svolta arrivò poco dopo, non fu bella e, naturalmente, avvenne in mia assenza!




“Come sarebbe a dire che non tornerai per l’inizio delle lezioni?”

Adam sollevò la testa dal suo tablet appena in tempo per vedere Shiro entrare nella loro camera bagnato come un pulcino, il cellulare premuto contro l’orecchio.

Adam non sapeva con esattezza con quanta frequenza pioveva in quel deserto, ma Shiro aveva scelto proprio uno di quei giorni per decidersi a provare una delle hooverbike dell’Accademia.

Se non fosse stato per la pozzanghera che stava creando di fronte alla porta del bagno, Adam avrebbe anche potuto ridere di quella disavventura del compagno di stanza.

“Una bufera ha bloccato tutti gli aerei per la tratta oltreoceano?” Domandò Shiro nel ricevitore con espressione delusa. “I risultati escono domani… Certo che ti terrò informato. Avrei solo voluto vederli con te.”

Adam alzò gli occhi al cielo: Shirogane, Holt e la loro strampalata amicizia. Cercò di concentrarsi sulla slide sotto i suoi occhi, ma Shiro non si era ancora deciso a togliersi i vestiti bagnati e quella ai suoi piedi non era più una pozzanghera, ma un bene naturale nazionale.

Adam sospirò annoiato e cominciò a far schioccare le dita in aria per attirare l’attenzione dell’altro.

Shiro lo guardò con espressione interrogativa e il giovane Sànchez indicò il disastro ai suoi piedi. Resosi conto del danno, Shiro gli chiese scusa in silenzio, mentre Holt continuava a urlare dall’altro capo della linea.

“Aspetta solo un secondo, Matt.” Shiro appoggiò il cellulare sulla scrivania del compagno di stanza assente ed attivò il viva voce.

“... Voglio sapere tutto quello che succede nei minimi dettagli!” La voce agitata di Matthew Holt interruppe definitivamente la pace di cui Adam aveva goduto fino a quel momento. Spense il tablet è decise di attendere che quei due idioti interrompessero la comunicazione.

“Lo sai che ti racconto tutto, Matt,” disse Shiro, cominciando a slacciarsi gli stivali.

“Sì, ma non lo fai con lo stesso impegno con cui lo faccio io!” Si lamentò Holt. “Dimmelo che ti stai divertendo anche senza di me, non mi offendo mica!” Aggiunse con un tono di voce che suggeriva il contrario delle sue parole.

Adam si massaggiò la fronte stancamente.

Shiro rise. “Smettila, lo sai che non è vero!” Si liberò della felpa bagnata e della t-shirt sottostante in un singolo movimento, come se Adam non fosse lì e non lo stesse guardando.

Il giovane Sànchez, però, era lì e i suoi occhi non avevano molto altro su cui posarsi.

“Tu cerca di tornare il primo possibile e allora torneremo a divertirci insieme,” aggiunse Shiro, continuando a spogliarsi come se fosse il solo nella stanza.

Adam rimase in silenzio.

“Tu mi nascondi qualcosa,” disse Holt sospettoso. Adam sarebbe voluto intervenire per dire che, sì, il suo migliore amico stava improvvisando uno spogliarello completamente bagnato di fronte al suo co-pilota e non stava dicendo una parola a riguardo.

Con ingenuità incalcolabile, Shiro si liberò dei pantaloni, come se l’intimo umido che gli aderiva addosso potesse ancora essere considerato un indumento coprente. Ah, sì, c’erano da considerare anche gli occhiali da motociclista che aveva ancora sopra la testa.

“Ora devo andare, Matt,” disse Shiro, riprendendo in mano il cellulare. “Sono rientrato da un giro in hooverbike e mi ha sorpreso una tempesta, quindi…” Disattivò il vivavoce e si portò l’apparecchio all’orecchio. “Saluta la tua famiglia da parte mia e rilassati. La Garrison non fugge, tranquillo… Ciao.” Riagganciò e lanciò il cellulare verso il suo letto.

Solo allora, Shiro si accorse che Adam lo fissava. “Che c’è?”

Adam scrollò le spalle. “Ti guardo.” Disse atono.

Shiro abbassò lo sguardo su di sé e si rese conto solo in quel momento dello stato in cui versava. Avvampò. “Che diavolo…” Imprecò tra i denti, sollevando i vestiti bagnati da terra per schermarsi come poteva.

Adam non ebbe alcuna reazione. “Non sei una ragazzina,” lo rassicurò.

“Ho i boxer bianchi!” Esclamò Shiro.

“Sì e ora so che sei decisamente moro anche lì sotto.” Concluse Adam con la stessa voce apatica.

Shiro aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua. “Perché non ti sei voltato dall’altra parte?”

“Perché non hai niente che io non ho,” disse Adam. “Non m’imbarazzo mica.”

“Io sì!” Shiro entrò in bagno, sbattendo la porta.

“Togliti gli occhiali dalla testa, prima di entrare nella doccia!” Esclamò. Gli angoli della sua bocca si sollevarono pericolosamente.

Non appena se ne accorse, Adam scosse la testa e recuperò il suo tablet.



I risultati dei test uscirono prima del ritorno di Matt.

Non ci fu nessun colpo di scena. Il nome di Shiro figurava primo nella lista dei nuovi fighters è quello di Adam per secondo.

Il giovane Sànchez nemmeno si disturbò a farsi strada tra la piccola folla che si era radunata nell’ingresso, sotto le bacheche: Shiro stava facendo quella fatica per lui e per il povero Holt.

“Matt sei arrivato primo nell’esame di analisi!” Esclamò quello che era ufficialmente il nuovo ragazzo d’oro della Garrison, riemergendo dal gruppo isterico di cadetti.

Adam lo aspettava vicino agli ascensori, pronto a darsi alla fuga e a evitare qualsiasi contatto umano all’infuori che col suo compagno di stanza.

“Sì, io e Adam siamo nei fighters!” Esclamò Shiro nel ricevitore sollevando il pollice in direzione del giovane Sànchez con un gran sorriso. “Che significa che vuoi una foto? Matt c’è tutta l’Accademia di fronte a quelle bacheche, sono appena riuscito a liberarmi.”

In attesa che il piccolo dramma tra i due amici avesse fine, Adam chiamò l’ascensore. Non appena le porte scorrevoli si aprirono, Shiro salì con lui.

“Tornerai il prossimo week end? È una buona notizia. Potremmo festeggiare allora. Iverson mi ha concesso l’accesso al garage e possiamo prendere una hooverbike e…”

Shiro parlava allegramente, gli occhi grigi luminosi come due stelle. Adam non poteva fare a meno di guardarlo. Non lo invidiava, non desiderava il suo successo. Era solo bello da guardare con tutta la sua passione e la sua felicità.

“Sì, lo so che il mio compleanno è domani. Tranquillo, non lo passerò da solo,” disse Shiro. “C’è Adam qui. No, non festeggerò senza di te, promesso. No, non ti sto nascondendo nulla.”

Adam ignorò il resto del battibecco per registrare l’unica informazione degna di nota che aveva carpito da quella conversazione.

“Sei nato il 28 febbraio?” Domandò, quando l’altro riagganciò.

Shiro scosse la testa. “Sono nato in un anno bisestile. Il mio compleanno capita una volta ogni quattro anni.”

L’angolo destro della bocca di Adam si sollevò. “Sei nato il 29 febbraio?” Pensò che gli si addiceva.

Perché mai Takashi Shirogane avrebbe dovuto avere un compleanno come tutti gli altri? Era ovvio che si distinguesse anche per quello.

“Stai sorridendo?” Domandò Shiro, piacevolmente sorpreso.

Adam scosse la testa è tornò a fissare le porte dell’ascensore. “Non ti sto prendendo in giro.”

“Puoi prendermi in giro quanti vuoi, se ti fa sorridere!” Shiro lo disse senza pensare e le sue guance divennero rosse non appena gli occhi confusi dell’altro incrociarono i suoi. “Scusami…” Aggiunse, abbassando il viso.

“Perché ti scusi ora?” Domandò Adam.

Shiro si passò una mano tra i capelli. “Niente…”

L’altro non insistette e la conversazione non venne più ripresa.



Shiro passò il resto del pomeriggio a parlare via Skype con i suoi nonni e informarli dei risultati degli esami. Adam rimase steso sul suo letto con il tablet in mano a leggere tutto ciò che la rete gli proponeva senza particolare interesse.

Suo padre doveva aver già chiamato Iverson in persona per sapere i risultati dei test e non doveva scomodarsi per informare nessun altro. Sentire Shiro parlare in giapponese fu l’unico evento davvero interessante della giornata. La sua voce suonava diversa e Adam si ritrovò ad ascoltare gran parte della conversazione tra lui e la sua famiglia senza capirne assolutamente nulla.

Era una lingua piacevole o forse era il modo in cui Shiro parlava a renderla tale. Non lo sapeva e decise di non pensarci oltre.

Non appena la comunicazione con i suoi nonni si concluse, Shiro spense il tablet e prese un respiro profondo, come se dovesse lasciare andare la tensione.

Adam se ne accorse. “Tutto bene a casa?”

Shiro gli sorrise e annuì. “Mi hanno fatto promettere di tornare quest’estate.”

“Dovrai farlo per forza, il dormitorio chiuderà.”

“Lo so.”

“Pensavo avessi un buon rapporto con i tuoi nonni.”

“Ce l’ho…” Shiro scese dal letto e sollevò il suo telescopio tra le braccia. “Ho un problema con le stanze vuote.”

Adam intuì che si trattava di sua madre e non chiese altro. Quando lo vide prendere la via della porta, però, inarcò le sopracciglia. “Dove stai andando?”

“Vado sul tetto a guardare le stelle,” rispose Shiro.

“Perché non le guardi qui come al solito?” Domandò Adam. Non si conoscevano ancora abbastanza perché potesse leggere negli occhi di Shiro le sue emozioni e comprendere che aveva bisogno di restare un po’ da solo.

“Prendo un po’ d’aria.” Fu la scusa.

Adam l’accettò con una scrollata di spalle.



L’aria della sera era fredda nel deserto ma Shiro non si perse d’animo, si strinse nella felpa e sollevò il cappuccio. Parlare con i suoi nonni lo aveva toccato più di quanto si era aspettato e sapeva che solo le stelle sarebbero riuscite a calmarlo un po’.

Sarebbe stato pronto a tornare a casa per l’estate e ad affrontare l’assenza di sua madre, ma non voleva ancora pensarci.

Se Matt fosse stato lì ne avrebbe parlato con lui, ma non voleva disturbare Adam con il suo caos emotivo. Aveva già il suo bel da fare con il proprio.

Shiro sistemò il cannocchiale vicino al parapetto. Rimase deluso immediatamente: il cielo si stava coprendo di nuvole.

Sospirò frustrato. “In questa zona pioverà tre volte l’anno e tutte e tre devono accadere mentre io non ho un tetto sopra la testa?” Si lamentò, sebbene sapesse che fosse inutile.

Nella speranza che fosse solo una nuvola passeggera, provò a spostarsi in un altro punto. Non trovò più fortuna.

Chinò la testa con un verso frustrato.

La porta di accesso al tetto si aprì.

“Niente da fare, Adam.” Disse Shiro, convinto che il compagno di stanza lo avesse seguito. “Le stelle non sono dalla mia parte questa sera.”

“Hai proprio ragione, ragazzo d’oro.” Rispose una voce che Shiro non conosceva.

Il pugno del nuovo arrivato lo colpì prima che potesse guardarlo in faccia.



Fu il rombare di un tuono in lontananza a distrarre Adam dalla sua lettura. Lo interpretò come il segnale che Shiro sarebbe presto tornato.

Passarono almeno dieci minuti prima che un altro tuono, più vicino, spezzasse il silenzio. Shiro doveva essere per forza sulla via del ritorno, non era possibile che non si fosse accorto che stava per piovere di nuovo.

Quando le prime gocce di pioggia cominciarono a picchiettare contro il vetro della finestra, Adam lasciò cadere il tablet sul letto.

“Dannazione, Takashi…” Sibilò, alzandosi dal letto.



Ti devo confessare una cosa: non so come sarebbe finita se Adam non fosse stato lì… Se non avesse fatto l’impiccione e fosse salito sul tetto dormitorio. Davvero… Non lo so.

Il tipo dai capelli rossi era ubriaco e così i suoi amici.

Non si sarebbero fermati.

No, non erano abbastanza lucidi per sapere quando fermarsi.




Quando Adam aprì la porta di accesso al tetto, stava piovendo tanto che i suoi occhiali divennero inutili in meno di un istante. “Takashi!” Chiamò, cercando di asciugare le lenti con l’orlo della maglietta. “Takashi! Hai qualche problema a capire quando comincia a piove-”

Le parole gli morirono in gola non appena inforcò di nuovo gli occhiali.

Non reagì immediatamente.

Shiro era raggomitolato a terra, il viso coperto di sangue, contorto in maschera di dolore.

Intorno a lui ve ne erano tre e se la ridevano di gusto. Adam, però, vide solo quello con i capelli rossi e la bottiglia rotta in mano. I frammenti erano a terra, vicino alla testa di Shiro.

Non lo avevano visto arrivare ma non si fermò a ragionare su come sfruttare al meglio quel vantaggio. Come mosso da una volontà altra, Adam si fece avanti, sotto la pioggia.

Il rosso si accorse di lui solo quando fu ad un paio di metri di distanza. Probabilmente nemmeno lo riconobbe, ma ebbe l’ardire di rivolgergli un sorriso sghembo. “Ehi, tu sei-”

Adam lo colpì sul naso con tutta la forza del suo braccio. Il tipo dai capelli rossi cadde all’indietro, il collo della bottiglia gli sfuggì di mano e finì in mille pezzi sul pavimento.

Come due codardi, gli altri non ebbero il coraggio di far alcunchè in difesa del loro leader.

Adam s’inginocchiò a terra e afferrò Shiro per le spalle. “Takashi,” chiamò.

L’altro riuscì a sollevarsi sui gomiti e il giovane Sànchez lo prese come un buon segno.

“Adam…”

“Sono qui, ti aiuto io.”

Il rosso cominciò a lanciare calci in aria. “Mi ha rotto il naso!” Sbraitò con voce nasale. “Mi ha rotto il naso, il pezzo di merda!”

I suoi due amici si avvicinarono a lui senza sapere cosa fare.

Adam si passò il braccio di Shiro intorno alle spalle e lo tirò in piedi quasi di peso. “Andiamocene di qui…”



Alla fine, il rapporto medico non fu serio come Adam aveva temuto.

“Hai avuto i riflessi pronti,” disse la dottoressa di turno, controllando che la medicazione sotto la frangia scura di Shiro fosse ben pulita. “Hai uno zigomo gonfio ma sei riuscito a parare il colpo della bottiglia con la mano, vero?”

Seduto sul letto dell’infermeria, Shiro annuì. Una volta ripulito il viso dal sangue, il suo aspetto non si era rivelato poi così terribile. Lo zigomo leso si sarebbe sgonfiato in fretta ma l’ematoma avrebbe impiegato un paio di settimane a riassorbirsi.

La dottoressa prese la mano sinistra di Shiro ed esaminò le fasciature. “Appena ti ho visto, ho pensato avessi la testa fracassata,” ammise. “Il taglio che hai sulla fronte ha sanguinato parecchio ma non è molto profondo. Resterà la cicatrice ma è tanto vicina all’attaccatura dei capelli che non si vedrà.”

Shiro annuì di nuovo.

“Dei tagli alla mano si possono rimediare,” aggiunse il medico. “Se ti fossero finite delle schegge negli occhi…” Scosse la testa e forzò un sorriso. “Non è successo,” concluse. “Tra due settimane, torna e toglieremo i punti dalla fronte. I tagli alla mano spariranno da soli.”

Ancora un cenno del capo da parte di Shiro.

Adam si chiese se aveva perso il dono della parola. Al contrario, Iverson non aveva fatto altro che borbottare a bassa voce per tutto il tempo. Adam aveva l’impressione che avesse un gran bisogno di sbraitare contro qualcuno ma si stesse trattenendo.

Quando la dottoressa parlò di nuovo, fu al giovane Sànchez che si rivolse. “L’altro ha il naso rotto.”

Adam strinse il pugno destro e lo nascose discretamente dietro la schiena. Sentiva gli occhi di Iverson su di sé e sapeva che attendeva una spiegazione. Non aveva una giustificazione da dare: aveva visto Shiro a terra e prima di portarlo via, si era concesso il privilegio di spaccare la faccia a chi lo aveva ridotto in quello stato.

Doveva chiedere scusa? Non lo avrebbe fatto.

Questo gli sarebbe costato il posto alla Garrison? Probabilmente.

“Sono stato io!” Intervenne Shiro. Fu la prima volta che pronunciò parola dall’aggressione. “Ho lanciato un pugno alla cieca per difendermi. Non credevo di avergli rotto il naso.”

Se la dottoressa gli credette sulla parola, Iverson gli rivolse un’occhiata sospettosa. “Mentire ti fa finire subito dalla parte del torto, Takashi.”

“È la verità, Comandante,” disse Shiro senza esitare. “Glielo giuro sul mio onore.”

Adam fissò il suo profilo attraverso le lenti ancora bagnate degli occhiali. Iverson si bevve quella bugia con uno sbuffo. “Non fare il drammatico, adesso,” disse stancamente. “Quei tre ti hanno aggredito senza ragione e lo hanno fatto sotto l’effetto di alcol introdotto nell’Accademia senza permesso. Nulla può salvarli dall’espulsione.”

L’espressione di Adam non cambiò di una virgola ma esultò in silenzio.

Iverson puntò l’indice verso i due cadetti. “Restate qui,” ordinò. “Tutti e due. Tornerò da voi tra poco. Dottoressa, mi scusi, ho bisogno di lei per il rapporto.”

La donna annuì. “Certamente, Comandante.”

Uscirono entrambi dalla piccola stanza e gran parte della tensione sparì con loro.

Fu Shiro a interrompere il silenzio per primo. “Ehi…” Sorrideva.

Adam non sapeva da dove gli veniva la voglia di farlo. “Stai bene?” Domandò. “Ti ha colpito da qualche altra parte?”

Shiro scosse la testa. “Non ne ha avuto il tempo, grazie a te.”

Adam adocchiò la porta chiusa e si sedette sul letto. “Parla piano o il tuo tentativo di tirarmi fuori dai guai andrà in fumo.”

Shiro reclinò la testa da un lato. “Fammi vedere la mano.”

Adam non gliela mostrò ma non si ritrasse quando Shiro la prese tra le sue. C’era una lieve abrasione sulle nocche. “Ti fa male?” Domandò.

“Passerà.”

Nonostante la rassicurazione, Shiro non lo lasciò andare. “Grazie per avermi protetto.”

“Dovere.” Fu la risposta incolore di Adam.

“No, non lo era,” obiettò Shiro. “Non sei responsabile per me. Potevi lasciar perdere.”

Adam lo guardò. “Sei il mio pilota. Sarò sempre responsabile per te. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro quaggiù, non sopravviveremo mai lassù.”

Shiro lo guardò sorpreso. “Un altro insegnamento di tuo padre?”

“No.” Adam lo guardò. “Questo è tuo.” Tenne lo sguardo fisso a terra. Non sarebbe riuscito a fare altrimenti.

Non poteva guardare Shiro negli occhi, rendersi conto che contenevano tutte le stelle che aveva sempre ignorato e mantenere un’espressione vuota.

Shiro faticò a trovare qualcosa da dire. “Eccola…” Disse, infine. “L’hai trovata.”

Adam non lo guardò nemmeno allora. Temeva che sarebbe rimasto abbagliato se avesse fatto altrimenti. “Che cosa?”

“La tua ispirazione.”

“Io non ho trovato niente. Non ho ancora un sogno da inseguire, a differenza tua.”

Shiro scosse la testa. “No, qualcosa è successo,” insistette. “Sei diverso.”

“Perché? Perché ti ho difeso da un tipo che ti ha picchiato per voglia di farlo?” Domandò Adam esasperato. “Ti rendi conto di quello che è successo? Ti hanno preso di mira perché sei il migliore e la cosa non ti tocca. Non sono io la questione qui, sei tu.”

Shiro scrollò le spalle. “Beh… Qualcuno mi ha detto che non devo chiedere scusa se sono il migliore,” disse. “E tu sei la parte più bella della storia, perciò…”

“Buon compleanno.”

“Eh?”

Shiro si accorse che Adam fissava l’orologio appeso al muro sopra la porta. Era mezzanotte.

“Per quanto buono possa essere,” aggiunse il giovane Sànchez.

Non si voltò a guardare Shiro ma sentì il suo sorriso addosso, come una carezza. “Grazie.”

Le loro mani si toccavano ancora, ma nessuno dei due ci fece caso.
 

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Capitolo 3
*** Matt ***


III
Matt



Provo a spiegartelo come io l’ho spiegato a me stesso. Non ti so dire se nacque subito qualcosa tra loro due.. Per quel che mi riguarda, ho sempre creduto che la chimica tra le persone scatti in modo piuttosto immediato. Almeno, io sono così con le ragazze carine… Ma loro non con me…

Rimaniamo in tema! Tutte le ragioni per cui Shiro orbitava con insistenza intorno ad Adam te lo ha già spiegate. Dopo quelle tre settimane insieme, il processo divenne reciproco.

Tornai dall’Europa e mi sembrò di essere atterrato su di un altro pianeta.

Non solo Adam smise di essere l’uomo invisibile della nostra stanza, ma divenne una presenza constante. Tutto il disinteresse che aveva dimostrato nei primi sei mesi alla Garrison era divenuto altro…

E qualunque cosa fosse, era rivolta a Shiro e solo a Shiro.

Eravamo noi tre insieme la maggior parte del tempo, eppure sono certo che Adam si dimenticasse della mia presenza il più delle volte. Andava ancora in giro con quell’espressione vuota e poco interessata a tutto, ma era più partecipe… A modo suo.

Sedeva con noi in mensa. Intratteneva conversazioni con Shiro riguardo alle loro sessioni di pilotaggio. Erano due fighters: finirono per crearsi una parentesi tutta loro, fatta di strategie di volo e cose che a voi piloti piacciono tanto!

Shiro aveva ragione quella sera nell’infermeria: Adam aveva trovato davvero la sua ispirazione, ma non l’aveva fatto guardando le stelle o ripercorrendo le gloriose imprese spaziali della sua famiglia.

No, quello di Adam era stato un percorso più… Semplice.

Non aveva puntato a qualcosa di grande come Shiro. Era sempre stato un tipo razionale e anche quando si trattò di trovare il suo sogno rimase con i piedi per terra.

Questo, però, è un commento che posso fare solo col senno di poi. Al tempo, io avevo quattordici anni, loro ne avevano appena compiuti quindici ed era difficile dare un nome a quello che ci passava per la testa.

Shiro e Adam sarebbero giunti alle loro conclusioni un po’ più in là, verso la fine dell’anno.

Io… Trovai qualcuno che mi diede un buon suggerimento.



“Non è altro che sana gelosia, Matt,” disse Sam Holt, sollevando gli occhi dal suo microscopio per guardare il figlio.

Il ragazzo lo fissava seduto sulla poltrona dietro la sua scrivania, le braccia incrociate contro il petto e l’espressione di chi è in collera col mondo intero.

“Io non-” Fece per obiettare Matt.

“Lo sei…” Lo interruppe suo padre, aggiustando le lenti del microscopio. “Non hai più Shiro tutto per te. È completamente normale.”

“Io non voglio Shiro tutto per me,” ribatté Matt. “Vorrei che Adam Sànchez non fosse sempre tra i piedi!”

Sam rivolse al figlio un sorriso paziente. “Che è la stessa cosa,” disse. “È il tuo migliore amico. Dividere le sue attenzioni con una terza persona ti pesa e, ripeto, è tutto completamente normale.”

Matt allargò le braccia. “Bene!” Esclamò. “Se è tutto perfettamente normale, perché mi sento così?”

“Figliolo…” Sam Holt si avvicinò e appoggiò entrambe le mani sulla scrivania. “Crescere non è un processo indolore.”

Matt inarcò un sopracciglio. “Questo sì che mi fa sentire meglio.”

“Ritroverete il vostro equilibrio,” concluse suo padre, tornando al suo lavoro. “Devi solo avere un po’ di pazienza.”

Matt si mise le mani tra i capelli. “Ma io non voglio essere paziente!” Esclamò. “Io voglio solo che Adam Sànchez sparisca dalla faccia della terra!”



Ero un adolescente un poco emotivo, lo ammetto.

È che Shiro è sempre stato il mio unico amico e dividerlo col primo stron… Va bene, la pianto!

Mi tenni la mia gelosia infantile per me e aspettai pazientemente che l’equilibrio di cui aveva parlato mio padre tornasse.

Nel frattempo, Shiro e Adam continuavano a passare tutto il tempo insieme ed io ero… Costantemente lì, ad osservare.




Shiro lo aveva convinto a uscire con uno dei pick-up dell’Accademia perché gli aveva promesso uno spettacolo mozzafiato. Adam non era rimasto senza fiato per niente in tutta la sua vita e dubitava che quella sarebbe stata un’eccezione. Suo malgrado, però, in compagnia di Shiro provava qualcosa.

Era stato in vista di una possibile pausa dalla sua noia esistenziale che aveva accettato.

Nonostante il suo scetticismo, era rimasto deluso solo a metà.

“Davvero non lo trovi mozzafiato?” Domandò Shiro incredulo.

Erano entrambi stesi sul retro del pick-up, avvolti in una coperta per proteggersi dal freddo del deserto di notte. Adam stava fissando il cielo trapunto di stelle da almeno mezz’ora, chiedendosi che cosa ci fosse di così assurdamente bello.

Conosceva il nome di ogni costellazione che i suoi occhi individuavano e non era poi così diverso dall’osservarle dalla finestra della loro stanza, al caldo.

“Tu usciresti tutte le notti solo per vedere questo?” Domandò con evidente scetticismo.

“Ti dirò di più,” rispose Shiro. “La casa dei miei nonni è vicino alla spiaggia e nelle notti d’estate uscivo spesso di nascosto per andare a fare il bagno di nascosto.”

“Grande gesto ribelle,” commentò Adam con sarcasmo.

“Rimanevo a galla sulla schiena e rivolgevo lo sguardo al cielo,” proseguì Shiro. “Il mare era un grande specchio che rifletteva la luce di tutte le stelle e io mi sentivo un po’ come se ci stessi nuotando in mezzo. Poco prima di partire, ho scoperto che mia mamma faceva lo stesso da ragazzina.”

Adam si fece più attento a quel dettaglio.

“Adesso ho paura di farlo di nuovo,” ammise Shiro.

“Perché?”

“Perché sto cercando di abituarmi alla sua assenza e farlo me la farebbe sentire più vicina.”

Adam si sollevò su di un gomito. “Non è quello che cercavi fare quella notte nell’ala museo?”

Shiro annuì con un sorriso amaro. “Sì, e non mi ha fatto bene. Come non mi ha fatto bene parlare con i miei nonni. Io sto fuggendo da qualcosa che è già successo.”

“Non è peggio così?” Domandò Adam.

Shiro lo guardò. “Lo è,” rispose. “In questo momento, però, mi fa più paura accettare il dolore.”

“E guardare le stelle così ti offre un po’ di conforto?”

“Esatto…”

Adam accettò quella verità senza dare alcun giudizio. Si stese di nuovo sulla schiena e la volta celeste rispose al suo sguardo. “No,” concluse. “Non sento niente.”

Eppure, qualcosa sentiva ma non era dovuto alle stelle. Forse aveva a che fare col calore che Shiro emanava. Adam aveva trovato il suo equilibrio nella solitudine e il silenzio non lo aveva mai disturbato.

Shiro riusciva a rispettarla quella quiete e Adam non poteva fare a meno di pensare che fosse tutto un po’ meno noioso insieme a lui, comprese quelle stelle lontane e indifferenti ai loro tumulti interiori.

Sempre ammesso che quelli che Adam sentiva si potessero definire tali. La sua indifferenza nei confronti del mondo era ancora lì.

Eppure, qualcosa sentiva.

Uno starnuto dall’interno del pick-up lo strappò dalle sue riflessioni.

Shiro si sollevò sulle ginocchia. “Matt?” Chiamò. “Matt, ti sei svegliato?”

Adam non sapeva come poteva dimenticarsi della presenza di Holt ogni volta, eppure continuava a farlo.

Matt si affacciò dalla finestrella che dava sul retro del veicolo: gli occhiali storti sul naso, i capelli spettinati e l’espressione più intontita che Adam avesse mai visto sulla faccia di un essere umano.

“Ragazzi, si congela qui!” Esclamò Holt. “Che ore sono?”

Shiro scese dal cassone. “Fatti più in là,” disse. “Torniamo a casa.”

“Guido io,” si propose Adam. Non ci teneva a fare il viaggio di ritorno con le mani in mano e Holt che lo fissava. Perché il piccoletto avrebbe preteso di sedersi in mezzo, se Shiro fosse stato alla guida.

In quel modo, Holt se ne sarebbe rimasto schiacciato contro il finestrino del passeggero, mentre Shiro avrebbe segnato una buona distanza di sicurezza tra loro due.

Altre soluzione ottimali per tutti non ce ne erano: Holt non era un pilota e non avrebbe guidato nessuno mezzo di trasporto fino ai sedici anni.

Il piano si rivelò un fiasco: Matt non si riaddormentò contro il finestrino, si sporse in avanti e lo fissò in modo strano fino a che non arrivarono al garage dell’Accademia.



Non accadde altro per il resto dell’anno scolastico.

Sul serio…

Continuammo con la nostra vita fatta di lezioni, di test e di diavolerie d’adolescenti fino a primavera inoltrata. Se Shiro si rese conto che Adam non gli staccava gli occhi di dosso e che lui stesso cercava lo sguardo del suo co-pilota sempre di più, non te lo so dire con certezza.

Quello che so, però, è che la svolta successiva avvenne in mia assenza… Di nuovo.





Alle volte succedeva, una vena d’acqua sotterranea spaccava la roccia e creava dei piccoli laghi tra le gole del canyon.

Shiro aveva trovato uno di quei luoghi durante una delle sue corse liberatorie in hooverbike ed aveva condiviso la sua scoperta sia con Matt che con Adam.

Solo il giovane Sànchez lo seguì in quella nuova avventura..

“Dov’é Holt?” Domandò Adam.

“Ore di laboratorio eccezionali per crediti extra,” rispose Shiro, liberandosi degli occhiali da motociclista e della giacca troppo pesante per quel caldo pomeriggio di primavera.

Adam non credette alle sue orecchie. “È il primo del suo corso.”

Shiro annuì. “E vuole restarci. Ha detto qualcosa a proposito del non avere bellezza e prestanza e di doversi difendere come può.”

“Ecco perché siete amici: è un altro ossessivo come te.”

Shiro ignorò il commento e si sporse oltre il ciglio del dirupo per dare un’occhiata allo specchio d’acqua sottostante. “Bello, vero?”

“Tu vedi bellezza ovunque, Takashi.”

“Qualcuno deve pur compensare te, che non la vedi da nessuna parte.”

“Sei sceso giù?” Domandò Adam.

“No.” Shiro si tolse la t-shirt con disinvoltura. “Volevo andare a dare un’occhiata oggi.”

Quando Adam si accorse di quello che stava facendo, Shiro si era quasi liberato dei pantaloni. “Che hai in mente, Takashi?” Domandò, aggrottando la fronte.

Shiro gli fece l’occhiolino. “Stai a vedere!” Lo superò correndo e si lanciò dal dirupo con un salto.

Adam gelò. Gli occhi sgranati e le labbra dischiuse in un grido che non trovò voce immediatamente. “Takashi!” Guardò di sotto e vide l’acqua increspata nel punto in cui il suo compagno di stanza era atterrato. “Takashi!”

Shiro riemerse un istante più tardi. Adam tornò a respirare, ma il suo cuore continuò a battere velocissimo.

“Vieni!” Disse Shiro a gran voce. “L'acqua è splendida!”

Adam strinse i pugni e digrignò i denti. “Tu sei un fottuto pazzo!” Tuonò. “Folle suicida! Non coinvolgermi più in una cosa del genere!”

Shiro rise e quel suono riecheggiò contro le pareti di pietra della gola. “Alla fine ci sono riuscito!”

“A fare che cosa?” Adam era fuori di sé.

“A farti arrabbiare!” Shiro sparì di nuovo sotto la superficie dell’acqua, lasciando l’altro da solo a gestire l’impatto di quelle parole.

Da quanto tempo Adam non sentiva il cuore battere così? Era panico e non c’era nulla di positivo in quello, ma era qualcosa.

Shiro riemerse una seconda volta. “Avanti, Adam! Lasciati andare!”

“Fanculo…” Sibilò tra i denti. Fece due passi indietro e si liberò velocemente dei vestiti, tranne l’intimo.

Si voltò verso il ciglio e prese un respiro profondo. Saltò senza pensare. Se avesse pensato, non lo avrebbe mai fatto.

Toccò l’acqua prima di quanto aveva previsto e non fu un impatto del tutto indolore, ma l’emozione di lanciarsi nel vuoto fu indescrivibile.

Adam tornò in superficie e ingoiò aria come se qualcuno lo avesse costretto con la testa sott’acqua. In realtà, si sentiva bene… Benissimo.

Shiro lo guardava sorridendo. “È come sentire la libertà scorrerti nelle vene, vero?”

Adam boccheggiò come un pesce fuor d’acqua per alcuni istanti. “È così che ti senti?” Domandò. “Quando voli… È così che ti senti?”

Il sorriso di Shiro assunse delle sfumature dolcissime. “No,” rispose. “Quello è anche più bello.”

Suo malgrado, anche gli angoli della bocca di Adam si sollevarono. “Sei un pazzo!” Gli schizzò l’acqua addosso.

Shiro rise e rispose al gesto.

“Hai cinque anni, Takashi?”

“Tecnicamente, ne compio quattro il prossimo anno!”

Restarono in acqua fino a che non si ritrovarono con i polpastrelli raggrinziti. Uscirono e si stessero sulla calda pietra dorata, in un punto in cui non batteva il sole.

Adam guardò il cielo e rise a sottovoce.

Shiro si sollevò sui gomiti. “Che cosa c’è?”

Adam puntò l’indice verso l’alto. “Abbiamo le hooverbike e i vestiti lassù.”

L’altro alzò lo sguardo, poi rise a sua volta. “Non credo torneremo in tempo per cena.”

“No, non lo credo nemmeno io.”

Shiro incrociò le braccia sulla roccia e vi appoggiò il viso.

Adam lo guardò: la sua bocca era parzialmente coperta dall’avambraccio ma lo capiva dalla luce dei suoi occhi che stava sorridendo.

“Sei felice,” commentò il giovane Sànchez.

“Tu no?”

“Non penso di possedere un concetto definito di felicità.”

“Non è vero.” Shiro si fece più vicino. “Ti ho visto prima. Non sei la persona efficiente ma arida che credi di essere.”

“Sono quello che sono Shiro. Né più né meno.”

“Sei una persona che dice di essere indifferente a tutto ma aiuta un compagno in difficoltà.”

“Quello è merito tuo, te l’ho detto. È pura logica. Ci si difende meglio restando in gruppo.”

Shiro rise. “Mascheri ogni emozione con la logica.”

“Tu non le mascheri affatto.”

“È un difetto?”

“Enorme. Non puoi essere il migliore e scoprirti così.”

“Ecco che provi di nuovo a proteggermi.”

“Se affondi tu, affondo anche io,” fu la giustificazione di Adam.

“Affonderemo comunque insieme,” replicò Shiro. “Non potrà essere così terribile.”

Adam gli concesse la vittoria con un sospiro. “Se la metti in questi termini…”

Rimasero in silenzio per un po’, poi Shiro allungò una mano e scostò una ciocca di capelli castani dal viso di Adam.

“Che stai facendo?” Domandò quest’ultimo.

“È strano vederti senza occhiali,” disse Shiro. “Hai gli occhi più grandi senza le lenti a coprirli.”

Adam gli afferrò la mano per allontanarla dal suo viso ma non la lasciò andare. Se la portò davanti agli occhi e la esaminò.

Shiro sorrise incuriosito. “Adesso devi dirmi che cosa stai facendo tu.”

“Niente…” Rispose Adam distrattamente. Gli piaceva solo sapere di poter toccare Shiro in quel modo per il semplice gusto di farlo.

La distanza tra loro era minima, tanto che Adam poteva avvertire il calore dell’altro sulla pelle.

Giocò con quella mano ancora per un po’. L’appoggiò sul petto, senza lasciarla andare.

Quando si voltò, Shiro era un po’ più vicino di quanto aveva previsto. Sentì le sue dita infilarsi tra le proprie e il modo in cui si toccavano smise di essere casuale per divenire intimo.

Shiro aspettava. Adam non si mosse.

Era troppo tardi per chiedersi a che punto entrambi fossero volati in quella direzione. Erano lì e non volevano tornare indietro.

Fare ancora un passo avanti, però, era più complicato. Lo era già guardarsi negli occhi con sincerità sapendo di volersi.

Shiro non aveva paura di lanciarsi nel vuoto. Lui non temeva l’ignoto nascosto tra le stelle.

Adam sì. Adam era quello che esitava, che calcolava il rischio e agiva di conseguenza.

Liberò la sua mano da quella di Shiro e si alzò in piedi. “Andiamo,” disse. “Troviamo un modo per risalire.”

Non si voltò a guardare Shiro negli occhi o avrebbe dovuto fare i conti col fatto che gli aveva fatto male.




Dopo quel pomeriggio, l’equilibrio tanto agognato tornò come per magia!

Adam sparì dalla nostra quotidianità nello stesso modo repentino in cui ci era entrato. Io non potevo essere più felice… Se non fosse stato che Shiro non lo era affatto.

Andava a lezione, incantava tutti con il suo talento e collaborava con Adam come i loro ruoli imponevano, ma non si guardavano più negli occhi.

Il pavimento della Galaxy Garrison divenne così interessante per loro quando erano in presenza l’uno dell’altro che mi fu impossibile farmi gli affari miei.

Sì, avevo di nuovo Shiro tutto per me, ma che amico sarei stato se avessi ignorato i suoi sorrisi tristi o il modo in cui si distraeva ogni due per tre?

Qualcosa era successo. Qualcosa gli aveva fatto male.

Io non avevo la minima idea della natura di quanto accaduto. Avevo una sola certezza e mi bastava: era colpa di Adam Sànchez e io lo avrei fatto cantare!




Il piano di attacco di Matthew Holt non era un vero e proprio piano di attacco. In realtà, non era neanche un piano.

Vi era l’ombra di uno schema nella scelta del posto e dell’ora in cui agire ma nulla di più. Non che avesse molta scelta.

C’era un solo giorno della settimana in cui Shiro non si presentava in sala mensa all’ora di pranzo per via delle ore extra nel simulatore: martedì.

A tre martedì precisi dalla fine delle lezioni, Matthew Holt, armato di tutto il coraggio che aveva, tese un’imboscata ad Adam Sànchez.

Si sedette, semplicemente, di fronte a lui durante l’ora di pranzo, quando la sala mensa era la zona più affollata dell’intera Accademia. Matt era stato furbo nella scelta dell’orario: nessuno avrebbe potuto ammazzarlo di botte e nascondere il suo cadavere con decine di testimoni tutt’intorno.

Anche se Adam gli era sempre sembrato troppo apatico per essere incline all’omicidio. O forse era tanto annoiato dalla vita che Matt gli stava offrendo il giusto movente per muoverla in una direzione inedita e più avvincente.

Da parte sua, Adam si limitò a guardarlo perplesso. “C’è qualche problema, Holt?”

“No,” rispose Matt troppo di fretta. “Cioè, sì!”

“Sì o no, Holt?”

“Perché non lo dici tu a me?” Matt incrociò le braccia contro il petto.

Adam sbatté le palpebre un paio di volte. “Perché io e te non abbiamo mai avuto niente da dirci…”

“E io adesso voglio parlare!” Esclamò Matt, come un bambino capriccioso. “E non fare quella faccia sorpresa, sai benissimo di cosa sto parlando!”

Adam non stava facendo nessuna faccia sorpresa. Al massimo, irritata. “So che non sono affari tuoi, tanto per cominciare.”

“Lo sono eccome, se hai fatto male al mio migliore amico!”

Adam non ebbe la risposta pronta a quell’accusa e Matt si sentì un po’ più sicuro di sé. “Non voglio litigare,” aggiunse in fretta.

“Ti sei seduto come se volessi far scoppiare una guerra,” gli fece notare Adam.

“Sono eccessivamente emotivo,” si giustificò il giovane Holt. “Voglio molto bene a Shiro e non posso vederlo stare male.”

L’altro rimase in silenzio.

“Avevo avuto l’impressione che gli volessi almeno un po' di bene anche tu, Adam.”

Ancora silenzio.

“Avete litigato?” Ipotizzò Matt. “Hai detto qualcosa contro le stelle? Shiro è piuttosto sensibile riguardo quell’argomen-”

“Non l’ho baciato perché sapevo che avrei provato qualcosa nel farlo,” lo interruppe Adam. “Sento qualcosa solo quando sto con lui, va bene? Non m’importa niente delle stelle ma la passione che prova lui è contagiosa, ti entra dentro e quando te ne accorgi è troppo tardi. Shiro non ci prova nemmeno a conquistare le persone, lo fa e basta. È nella sua natura. È nato per essere ammirato, seguito, stimato… È un astro nascente in un cielo di cui non m’importa niente ma è impossibile…” S’interruppe e fece una smorfia. “È impossibile non farsi investire da quella luce.”

Matt se ne rimase a fissarlo con espressione inebetita per un lungo istante di silenzio. “Bacio?” Domandò. “C’è stato un bacio?”

La determinazione negli occhi di Adam si tramutò in confusione. “Non c’è stato,” chiari. “Non sei qui per questo?”

Matt non era più certo di niente, tantomeno del motivo per cui era seduto a quel tavolo. “Un bacio…” Una rabbia strana gli incendiò il petto. “Tu non lo hai baciato per paura di provare qualcosa? Che razza d’idiota sei?”

Lo sguardo di Adam si fece più duro. “Non giudicarmi come se mi conoscessi.”

“No, ma io conosco Shiro!” Esclamò Matt. “So quanto può avergli fatto male questa cosa!”

Gli occhi di Adam si fecero gelidi. “Pensi che mi abbia fatto piacere?”

“Penso che sei fuggito da una cosa che poteva renderti felice,” rispose Matt. “Lo hai detto tu che provi qualcosa solo con lui. Cos’é il tuo? Una specie di suicidio emotivo?” Non rimase seduto per ascoltare la risposta. Non lo interessava.



So che tutti questi drammi potranno sembrarti ridicoli, ma devo sottolineare che avevamo quindici anni e nessuno di noi era stato ancora rapito, torturato e sbattuto al centro di una guerra.

Ciò che muoveva me erano due desideri: la felicità del mio migliore amico e capire perché non era stato onesto con me.

No, Adam non era per Shiro. Non era alla sua altezza e per me non lo sarebbe mai stato. Quello che credevo io non aveva importanza: Shiro vedeva in Adam la sua felicità e quest’ultimo gli aveva spezzato il cuore.




“Perché non me lo hai detto?” Matt entrò nella loro stanza quasi urlandolo.

Seduto sul letto, Shiro lo guardò confuso ma solo per un istante. Abbassò lo sguardo e prese un respiro profondo. “Vuoi sederti?” Propose gentilmente.

“No!” Matt aveva una gran voglia di piangere. “Voglio prendere la mazza da baseball di mio padre e spaccarla in testa ad Adam Sànchez!”

Il sorriso triste che Shiro gli rivolse non lo fece sentire meglio.

“Perché?” Domandò Matt avvicinandosi. “Perché proprio lui, Shiro? Perché un sociopatico incapace di provare qualsiasi cosa?”

Shiro scosse la testa lentamente. “Non lo so…” Mormorò con voce rotta. “Io non lo so, Matt. Non so quando o come è successo… È accaduto e basta.”

Matt piangeva. Non ne aveva alcun diritto ma lo faceva. “Non lo meritavi…” Singhiozzò. “Non meritavi quello che ti ha fatto.”

Shiro scosse la testa. “Non ha fatto niente.”

“Appunto!”

“Non è obbligato a provare qualcosa per me, se non lo vuole!” Fu il turno di Shiro di alzare la voce, di lasciare che le lacrime gli rigassero le guance. “È successo e basta, Matt. È inutile parlarne.”

Il giovane Holt tirò su col naso. “Non ti avrebbe mai capito fino in fondo, Shiro,” si sedette accanto al suo migliore amico.

“Non è vero,” replicò questi. “L’ho guardato negli occhi e ci ho vista riflessa la stessa passione che provo io.”

“Era la stessa perché era la tua,” disse Matt. “Quelli come Adam non possiedono una loro luce, possono solo vivere del calore degli altri.”

Shiro si asciugò il viso e non replicò.



Fuori dalla stanza, con i pugni serrati e la fronte appoggiata alla porta chiusa, Adam si costrinse a fare un passo indietro e se ne andò.

Gli sarebbe piaciuto poter tornare a quando non provava niente, a quando il suo petto non assomigliava a una bomba sul punto di esplodere.

Era troppo tardi. Shiro gli era entrato dentro e si era guadagnato un posto lì, vicino al suo cuore.



Cambiò qualcosa dopo il mio intervento?

Assolutamente no!

Il mondo andò avanti. Shiro cominciò a stare meglio o, forse, riuscì a fingere meglio. Non lo so!

Quando arrivò l’ultima settimana di lezioni del nostro primo anno alla Garrison, sembrava di essere retrocessi alla prima.

Unica differenza: Shiro e Adam non si parlavano più. I test al simulatore furono perfetti. La prova pratica quasi commosse Iverson… E per arrivare a commuovere Iverson ce ne vuole!

Una volta con i piedi per terra, Shiro e Adam tornavano a essere due estranei. Da parte mia, decisi che quella era la prova decisiva che Sànchez non era assolutamente materiale romantico per il mio migliore amico.

E che diavolo! A quindici anni, Shiro era già stato ferito dal mondo troppe volte ed altrettante si era rimesso in piedi con un sorriso. Potevo accettare che il primo stron… Che Adam aumentasse il carico? Assolutamente no!

Ero così arrabbiato con lui che ne parlai con mio padre, lo feci per chiedergli in prestito la mazza da baseball. Lui fu più ragionevole e mi convinse che un bel giorno, Shiro si sarebbe svegliato e quel dolore non lo avrebbe più sentito. A distanza di anni ti dico che, sì, una cotta a quindici anni andata male non ti uccide.

Tuttavia, quando ci sei in mezzo e ogni giorno ti sembra durare una vita, il consiglio “dai tempo al tempo” non è dei migliori che ti possano dare.

Shiro meritava qualcuno che avesse il suo cuore! Qualcuno che guardasse le stelle con la stessa passione… Gli avrebbe risparmiato tanti problemi più avanti.

Vedi, la cosa non mi era del tutto chiara, ma Adam ce l’aveva una passione e quella era Shiro. Provava qualcosa solo con lui in una vita fatta di noia e meccanicità, immagino che era questo che intendesse dire. E non lo biasimo… Non lo biasimo perché quello che mi disse in mensa era vero. Conosci Shiro, sai che quello che quelle parole erano solo la pura e semplice verità.

Ci era voluto quasi un anno, ma Adam aveva trovato la pazienza e la dedizione per instaurare un rapporto con un’altra persona e conoscerla.

… Doveva tenerci davvero.

Ma queste sono solo prove indiziarie! Perché io, investito del super potere del migliore amico di vedere oltre, già sapevo che Adam non poteva vivere della luce di Shiro in eterno, ma non avevo alternative da proporre, capisci?

Per fare un esempio: tu dov’eri quando Shiro aveva quindici anni? Dov’eri quando io e lui avevamo più bisogno di te? Te lo dico io dov’eri: da qualche parte ad avere otto anni ed essere legalmente inutile!

Adam non era la persona adatta per Shiro… Ma ciò non gli impedì di averlo.




L’ultimo week end prima della chiusura del dormitorio, Oliver radunò tutti i cadetti del primo anno che avevano superato gli esami finali e li convinse a passare un pomeriggio insieme nel deserto. Una specie di saluto collettivo, prima di tornare ognuno alla propria a casa.

Shiro e Matt furono dei loro prima di subito.

Seppero che anche Adam aveva accettato l’invito solo il giorno stesso, quando scesero tutti nei garage e lo trovarono già a cavallo di una hooverbike.

Matt notò l’occhiata che lui è Shiro si scambiarono ma aveva deciso che quella sarebbe stata una bella giornata e non fece nulla per gettare sale su una ferita ancora aperta.

Lo fu.

Adam non disse una parola per tutto il tempo e quello fu un bene. Liberi dal fardello degli esami, era più facile ridere insieme e ripercorrere i momenti migliori del loro primo anno. Ci fu solo un momento di malinconia: quando si resero conto che la loro classe era stata praticamente dimezzata dei giudizi finali degli insegnanti.

La Galaxy Garrison era così: solo i migliori arrivavano fino in fondo. Dei presenti quel pomeriggio, Matt sapeva che non tutti sarebbero arrivati al giorno del diploma. Lui non era meno a rischio di altri.

Di quei cadetti, avrebbe scommesso tutto a occhi chiusi solo su Shiro… Al massimo, Adam. Sànchez però si era perso per sempre la possibilità di entrargli in simpatia e Matt non avrebbe pianto per lui se se lo sarebbero persi lungo la strada.

Quel giorno ebbe un brutto difetto: fu troppo breve.



Lo so che per te la Galaxy Garrison è stata una cosa diversa.

Immagina di viverla ora. Immagina che Hunk e Lance siano stati con te fin dall’inizio e che tu abbia condiviso con loro gioie e dolori.

Che dico? Non lo devi immaginare, devi solo pensarlo in un contesto che non comprende una guerra, ma una semplice realtà scolastica.

Oh… Quanto vorrei che quel posto sia stato per te quello che è stato per noi.

Anche Shiro ne sarebbe felice, sai? Soltanto un terzo della nostra classe arrivò al diploma, eppure mi ricordo i nomi di tutti quelli che erano seduti nella Sala degli Ufficiali quella prima sera.

È un ricordo nostalgico ma mi scalda il cuore.

Avere una squadra ti fa sentire così, vero? Ora lo sai. Hai dovuto aspettare parecchio per scoprirlo, ma ora lo sai. Sai perché riuscirai a comprendere questa storia meglio di me?

Perché, come te, Adam era certo che bastassero lui e Shiro per conquistare il mondo.

Sai perché tu vinci il paragone infame che sto facendo? Perché a te il mondo non è mai bastato… E nemmeno a Shiro.

Devo dirlo di nuovo: avevamo quindici anni. E, come molti a quell’età, Shiro e Adam scambiarono il loro primo amore per quello della vita. Errore comune, quasi obbligatorio da commettere.

E indovina? Lo stronzo – sì, lo stronzo! – aspettò che me ne andassi per farlo!





Se ne andarono uno alla volta. Qualcuno parlò di valigie ancora da fare e qualcun altro di voli da prendere a orari terribili.

Matt fu l’ultimo ad alzarsi e chiese a Shiro se voleva rientrare con lui.

“No, resto ancora un po’,” disse con un sorriso. “Voglio vedere le stelle da qui un’ultima volta, prima di partire.”

Adam alzò gli occhi al cielo senza farsi vedere: sarebbe tornato a guardare le stelle nel deserto della Garrison in meno di tre mesi. Suo malgrado, però, l’angolo destro della sua bocca si sollevò nella brutta copia di un sorriso - di più non era capace di fare. Quello era Takashi Shirogane, non ci si poteva aspettare nulla di diverso da lui.

Matt non insistette oltre e s’incamminò lungo il sentiero, verso il punto in cui avevano parcheggiato le hooverbike e i pick-up.

Solo dopo che sparì dietro le rocce rese rosse dalla luce del sole calante, Adam parlò. “Tornerai in Giappone?” Domandò.

“Sì, passerò l’estate a casa dei miei nonni,” rispose Shiro. Allontanò lo sguardo dal cielo e gli rivolse lo stesso sorriso di quando si erano conosciuti. Non era passato neanche un anno d’allora, eppure ad Adam sembrava fosse trascorsa una vita intera. Era una sensazione normale a quindici anni, dicevano. Il tempo sarebbe tornato a scorrere veloce più avanti, crescendo.

Ora, però, il mondo intero sembrava essersi fermato lì, sul ciglio di quel canyon, con il vasto deserto davanti a loro e il tramonto all’orizzonte.

Adam sapeva che era solo una sensazione, che non si poteva spiegare con le leggi della fisica. Quella illusoria bolla di sapone sarebbe scoppiata non appena uno dei due si sarebbe alzato.

Adam non era ancora pronto per farlo. “Passerai dieci settimane a nuotare tra le stelle?” Domandò, riferendosi alla storiella sul mare che gli aveva raccontato tempo prima e che aveva trovato ridicola. Anche lui si sentì ridicolo a domandarlo, ma quella sensazione sparì al suono della risata di Shiro. “Sì,” rispose. “È il motivo per cui mi manca il mare.”

Adam annuì sommessamente è tornò a guardare l’orizzonte. Non aveva altro da dire, eppure non voleva alzarsi.

“Quando avrò di nuovo il mare, però, mi mancherà tutto questo,” aggiunse Shiro in un mormorio, quasi avesse paura di dirlo ad alta voce. Il sole era sparito dietro la linea dell’orizzonte e stavano spuntando le prime stelle.

Adam sapeva che Shiro aspettava che dicesse qualcosa di più ma non era bravo con le parole suggerite dal cuore. Aveva sempre coperto il silenzio con quelle ripetute con fermezza dalla ragione.

Quando la temperatura cominciò ad abbassarsi, Shiro si alzò in piedi. “Meglio andare, prima che faccia troppo freddo.”

Adam non disse nulla in proposito. Lo guardò incamminarsi lungo il sentiero e pensò che non era ancora pronto perché quel momento s’infrangesse e il tempo tornasse a scorrere.

Non chiamò il suo nome. Era già in piedi prima ancora di aprire bocca. Dovette correre per raggiungerlo e pararsi di fronte a lui.

Gli occhi grigi di Shiro si fecero grandi per la sorpresa ma Adam non gli diede il tempo di dire niente. Se avesse parlato, avrebbe ripreso a pensare e avrebbe perso il coraggio.

Lo afferrò per i fianchi e lo baciò con un po’ troppo impeto e un po’ di goffaggine. Fu più veloce di un battito di cuore, eppure fu sufficiente. Quando Adam si allontanò, gli occhi di Shiro erano ancora grandi, sorpresi ma la luce che li illuminava era pari a quella delle stelle che stavano comparendo nel cielo, sopra di loro.

Il sorriso che sbocciò sul viso di Shiro non era paragonabile a nessuno di quelli che Adam gli aveva visto rivolgere al mondo. Si convinse che fosse solo per lui.

Quel sorriso gli diceva che lo aspettava da un po’.

Eccomi. Adam non lo disse. Ci ho messo un po’, scusami.

Shiro non aveva bisogno di parole. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò a sua volta, con più calma, più dolcezza.

Il tempo si dilatò ma nel momento in cui si separano, non era passato più di un istante.

Il mondo aveva ricominciato a girare, ma era cambiato e non sarebbe più tornato lo stesso.

Shiro lo lasciò andare, fece scivolare la mano sulla sua guancia come una carezza. “Ciao…” Sussurrò, prima di voltarsi e tornare a camminare. Sapeva che Adam non lo avrebbe seguito, che aveva bisogno di un momento per abituarsi a quel mondo nuovo, dai colori così brillanti.

Adam lo guardò allontanarsi. Non si disturbò nemmeno ad aggiustare gli occhiali storti sul naso.

Il momento era finito. Il tempo era tornato a scorrere anche per lui.

Con le labbra ancora tiepide dei baci di Shiro, sorrise.



Lo giuro, quando Shiro me lo disse, reagii da buon amico e con maturità.

Sì… Me lo confidò solo alla fine delle vacanze estive, mentre eravamo alla casa al mare dei miei genitori. Ovvero, all’incirca trentacinque giorni dopo il fatto.

No, non ricordo i giorni precisi perché la cosa m’irritò.

In fondo, era la loro storia, non la mia!

Perché avrei dovuto essere informato del primo bacio del mio migliore amico?




Quando Shiro ebbe finito di raccontare, Matt lo fissò con gli occhi sgranati e le labbra dischiuse per un minuto infinito. Alla fine, Shiro arrossì e rivolse lo sguardo al mare. Erano seduti sulla spiaggia di fronte alla casa per le vacanze dei genitori di Matt, in California.

Shiro era rimasto in Giappone per più di un mese, aveva fatto felice i suoi nonni ed era riuscito a passare davanti alla camera vuota di sua madre senza avere un crollo emotivo.

Nel suo racconto, Shiro si era dimenticato di dire che una delle ragioni per cui il ritorno a casa era andato così bene era il bacio con Adam. Meglio, i due baci con Adam.

“E quindi?” Domandò Matt, senza cancellarsi dalla faccia quell’espressione esterrefatta.

Shiro sbatté le palpebre un paio di volte. “E quindi cosa?”

“Come cosa?!” Sbottò. “Vi siete baciati tre settimane dopo che lui ti aveva spezzato il cuore! Non vi siete detti niente? Non vi siete più sentiti?”

Shiro scrollò le spalle e scosse la testa. “Ci vedremo la prossima settimana alla Garrison.”

“Oh!” Matt si mise le mani tra i capelli. “Quello ha avuto tutta l’estate per andare in crisi esistenziale!”

Shiro rise. “Adam non è tipo da crisi esistenziali.”

Matt lo guardò storto. “Ti sei mai chiesto che ruolo hai avuto nella sua vita, prima che si decidesse a baciarti? È solo molto silenzioso mentre va in panico.”

“Lo conosci meglio di me, ora?” Domandò Shiro divertito.

“Ma chi ha voglia di conoscerlo?” Matt si alzò in piedi. Aveva bisogno di farsi una nuotata e di riflettere sulla nuova situazione che si era venuta a creare… E aveva già trentacinque giorni di ritardo sulla tabella di marcia.

Shiro sospirò è lo seguì. “Matt…”

Il giovane Holt lo guardò con aria sfinita.

“Sei arrabbiato?” Fu la domanda.

Matt avrebbe preferito annegare piuttosto che rispondere, ma voleva bene a Shiro e qualcosa glielo doveva. “Sei felice?” Domandò. “Se la prossima settimana Adam ti accogliesse con un bacio, tu ne saresti felice?”

Shiro annuì con un sorriso. “Sì, molto.”

Matt scrollò le spalle. “Allora va bene.” Disse, preparandosi all’inevitabile catastrofe.



Mi capisci, vero? Come potevo fidarmi dopo quello che Adam aveva già fatto?

La settimana successiva, tornai alla Garrison preparato: con la mazza da baseball di mio padre nascosta nel borsone… Per ogni evenienza.

Fu una bellezza arrivare all’Accademia e poter andare direttamente in dormitorio senza dover passare sopra un centinaio di persone.

Primo colpo di scena: Adam era già lì.

Secondo colpo di scena: pensi che l’inizio del nostro primo anno alla Garrison sia stato troppo da teen-drama? Ti svelo un segreto: l’inizio del secondo fu peggio!




Adam era accanto al proprio letto, intento a svuotare il borsone. Guardò i due compagni di stanza attraverso le lenti degli occhiali ma ne vide solo uno.

Shiro sorrise e fu come venir abbagliato dal sole, ma Adam non distolse lo sguardo.

“Ciao…” Disse il suo pilota. Sì, il suo pilota.

Adam si chinò su di lui e rubò quel sorriso luminoso con un bacio. “Ciao,” rispose con voce incolore. Eppure, era felice.

C’era sorpresa negli occhi grigi di Shiro, ma era una cosa buona.

“Ci vediamo dopo,” aggiunse Adam, superandolo.

“A dopo…” Rispose Shiro in un mormorio.

Solo quando tentò di uscire dalla porta, il giovane Sànchez si accorse della terza persona presente nella stanza.

Matt era rimasto sulla soglia come congelato, gli occhi talmente sgranati da essere quasi fuori dalle orbite e la bocca spalancata. Assomigliava a un pesce lesso ma Adam gli risparmiò il commento. “Mi fai passare, Holt?”

Matt si fece da parte molto lentamente e non tolse gli occhi di dosso da Adam fino a che non scomparve in fondo al corridoio.

“Ma sul serio?” Domandò, rivolgendosi più a se stesso che all’amico. “È tutto vero?”

Quando si voltò a guardare Shiro, il suo migliore amico sorrideva.

Come avrebbe potuto non farlo?

“Coraggio,” disse il pilota con allegria. “Disfiamo i bagagli.”

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Capitolo 4
*** Adam ***


IV
Adam



E furono felici.

Lo furono come potevano esserlo due quindicenni – sedicenni quell’inverno – al loro primo amore. Erano terribilmente discreti.

Non si nascondevano, ma lo sapevi o non lo sapevi.

Intuirlo era difficile e richiedeva un’osservazione costante dei due soggetti.

Il secondo anno volò così. Io fissavo Adam, lui ignorava me e Shiro era felice. Io e lui non eravamo amici ma vincevamo tutti e due.

Il terzo anno fu più traumatico. Non funzionava come per voi: il dormitorio era più piccolo e venivano ammessi più studenti al primo anno. Si restava in tre in una stanza, fino a che non si creava più spazio tra i cadetti dello stesso anno.

A quel punto, ci ridistribuivano in base alle specializzazioni.

Il terzo anno fu proprio quello in cui lo spazio aumentò. Shiro e Adam erano due piloti, quindi spostarono me.

Sono certo che Sànchez abbia esultato in gran segreto!

Dal punto di vista pratico, non cambiò niente tra me e Shiro. Eravamo migliori amici, non sarebbe stato un corridoio di distanza a dividerci.

Il vero cambiamento fu per Shiro e Adam.

No, non entro nei dettagli! Capiscilo da solo!




Lo spazio era aumentato nella camera numero 87 del dormitorio maschile della Galaxy Garrison. I letti si erano ridotti a due ma Shiro e Adam ne usavano solo uno, quello che era rimasto sotto la finestra, a portata del cielo.

“Vieni qui…”

Shiro affondò le dita tra i capelli castani perfettamente in ordine. Aveva una gran voglia di spettinarli.

Adam si tolse gli occhiali, li posò sul comodino e lo baciò. Shiro sorrise contro la sua bocca e questa scese a vezzeggiargli il collo.

Shiro reclinò la testa da un lato e chiuse gli occhi. Durò poco.

“Mi fai il solletico, Adam!” Esclamò, contorcendosi un poco. Se si poteva rinchiudere il mondo intero in una stanza, Shiro era certo che ci stessero andando vicino. Erano ancora goffi mentre si toglievano i vestiti ed esploravano quell’intimità completamente nuova. Shiro non aveva fretta. Accarezzava il corpo di Adam, ne studiava le linee come avrebbe fatto con quelle di una carta celeste.

Imprimeva ogni dettaglio nella memoria e ci ripensava quando sarebbe stato meglio non farlo. Era difficile rimanere concentrati in classe quando sentiva ancora l’odore di Adam addosso. Shiro faceva del suo meglio e per sua fortuna bastava, poi correva a chiudersi nella camera che divideva col suo co-pilota e si dedicava a una formazione di tutt’altra natura.

Era facile dimenticarsi di tutto quando Adam era su di lui e la sua bocca non si limitava a graziare le sue labbra. C’era dolcezza e curiosità in quei giochi erotici. Nessuna pressione, nessun turbamento.

Erano complici a letto come lo erano quando volavano, ma era solo nel primo caso che Shiro aveva l’impressione di toccare il cielo.

Quando era strettamente necessario, trovavano anche il tempo per studiare ma questo non li obbligava a tenere i vestiti addosso.

Costretta per un anno in dei confini ben precisi, la passione tra loro era divampata non appena le era stata offerta la giusta occasione.

E lasciarsi consumare da quel fuoco era bellissimo.



Seduto nell’ala lettura della biblioteca, Matthew Holt era perso in profonde riflessioni sull’omicidio.

“Dobbiamo uscire da quella camera,” aveva detto Shiro con un sospiro stanco che non aveva nulla di onesto. “Il semestre sta per finire. Ci vediamo in biblioteca per studiare?”

Matt aveva preferito non chiedere perché Shiro si era sentito in obbligo di sottolineare che doveva trovare una via di fuga dalla stanza in cui avevano dormito in tre per due anni.

Suo malgrado, trovò una spiegazione a tutto direttamente in biblioteca.

In difesa degli altri due, Matt non si era accorto di niente fino a che la penna non gli era caduta sotto il tavolo e si era dovuto chinare per raccoglierla. Perché erano colpevoli del suo turbamento? Perché quando Matt aveva visto e si era rimesso a sedere, nessuno dei due si era degnato di giustificare quella ridicolaggine.

Shiro e Adam erano seduti uno di fronte all'altro e il primo aveva allungato la gamba fino ad appoggiare il piede sulla sedia del secondo per permettergli di toccarlo.

Per il bene della cronaca, Matt aveva preso atto del fatto che Adam la mano sinistra non l’aveva mai appoggiata sul tavolo.

La parte peggiore? Entrambi se ne stavano chini sui loro appunti come se l’altro non fosse lì.

Erano in quella posizione da almeno un’ora quando Adam si alzò dal suo posto. “Vado a prendere dell’acqua,” disse. “Vuoi qualcosa?”

Shiro accennò un sorriso e scosse la testa.

Matt non si disturbò a guardare Adam in faccia mentre lo superava, ma non si perse il modo in cui Shiro si mosse sulla sua sedia per riaggiustare la gamba in una posizione normale. Aspettò che i passi del co-pilota si allontanassero. “No, Adam, non voglio niente neanche io, grazie,” disse sarcastico.

Shiro sollevò lo sguardo dai suoi appunti. “Come?”

Matt sbuffò. “Sei già in orbita e non me ne sono accorto?”

L’altro inarcò le sopracciglia perplesso.

“Shiro, ti prego…” Matt si massaggiò la fronte. “Quando uno dei due entra nella stanza, l’altro lo fissa come se stesse guardando il firmamento… Anzi, Adam non ha mai guardato così neanche quello.”

Shiro non comprese. “Siamo molto discreti,” ribatté. “Quando siamo in pubblico, Adam a stento mi sorride.”

“Non ha bisogno di sorriderti, Shiro. Non ha bisogno nemmeno di essere vicino a te. Sono gli sguardi! I vostri sguardi parlano!” Matt sbuffò di nuovo e scomparve dietro il suo tablet.

Shiro rifletté su quelle parole picchiettando distrattamente la penna sul tavolo. “E quello di Adam che cosa dice?” Domandò di colpo.

Gli occhi di Matt ricomparvero da sopra il bordo del tablet “Perché senti la necessità di chiedermelo?”

“Curiosità…”

Matt reclinò la testa da un lato. “Avete la camera tutta per voi e hai bisogno che io ti rassicuri sul modo in cui Adam ti guarda?”

Shiro accennò un sorriso, ma abbassò lo sguardo imbarazzato. “Quello non dice tutto.”

“Non lo so,” disse Matt, dondolandosi sulla sua sedia. “Non so nemmeno cosa sia quello.”

Shiro lo osservò con la coda dell’occhio, troppo imbarazzato per guardarlo dritto in faccia. “Non abbiamo ancora fatto l’amore.”

Ci mancò poco che Matt perdesse l’equilibrio e cadesse all’indietro. “Shiro, aspetta che sia almeno con tutti e due i piedi per terra prima di dare queste notizie!” Esclamò.

Il pilota si guardò intorno allarmato, ma c’erano solo loro nella biblioteca.

“E che significa che non…” Matt agitò le mani, senza dire nulla. “Non mi sono sacrificato per sapere che tu stai rendendo vani i miei sforzi!”

“Non abbiamo deciso noi di-”

“E io non ho deciso di passare intere notti a sentire Oliver russare come se non ci fosse un domani! Eppure, lo faccio! Quindi, fammi un piacere, dimmi che questa mia sofferenza serve a qualcosa!”

Shiro ridacchiò. “È così terribile?”

“Shiro!”

Il pilota sospirò. “Usiamo solo il mio letto, trai le tue conclusioni.”

“Se lo usate vestiti, non è di grande utilità.”

“Restiamo nudi la maggior parte del tempo.”

“Okay, questo non lo volevo sapere…”

Shiro prese a roteare la penna tra le sue dita, gli occhi grigi fissi sui fogli in disordine davanti a lui. “Io vorrei fare l’amore con Adam,” confessò. “Ci penso spesso.”

Matt prese un respiro profondo e, ancora una volta, rispettò il suo ruolo di migliore amico. “Ne avete parlato?”

“Non saprei nemmeno che cosa dire.”

Matt allargò le braccia. “Quello che hai appena detto a me?” Propose. “Adam, desidero fare l’amore con te?

“Mi spiace, il desiderio non è ricambiato.”

Matt sentì il sangue gelarsi nelle vene, Shiro nascose il viso tra le mani e Adam tornò al suo posto con la sua solita espressione apatica.

Il giovane Holt scosse la testa, radunò le sue cose e si alzò dal suo posto.

Shiro lo guardò. “Dove vai?”

“Sulla pista di atterraggio.”

“A fare cosa?”

“Aspetto che qualcuno atterri e mi butto sotto!” Matthew Holt uscì di scena senza voltarsi.

Shiro sospirò. Quando sollevò gli occhi su Adam, lui premeva il pugno contro le labbra nel tentativo di nascondere un sorrisetto divertito.

“Adam…” Lo riprese Shiro.

“È stato divertente.”

“È stato imbarazzante! Lo abbiamo imbarazzato!”

“Desiderare di fare l’amore con me è imbarazzante?” Domandò Adam, come se stesse ponendo una domanda sul tempo.

Gli occhi grigi di Shiro rimasero fissi sui suoi. “Non ho mai immaginato che l’argomento sarebbe divenuto oggetto di conversazione.”

“Ah, no?”

“Mi sarebbe piaciuto aspettare che accadesse e basta, come tutte le altre cose.”

Adam lo guardò con attenzione e trovò più luce in quegli occhi grigi che nelle stelle che illuminavano la notte. Come sempre, del resto. “Posso sapere come lo immagini?”

Shiro non arrossì ma esitò. “Non voglio che tu ti senta obbligato a-”

“Come lo immagini, Takashi?”

Il pilota si umettò le labbra e sorrise. “Piove sempre durante le settimane di pausa tra i due semestri,” disse. “È successo per due anni. È matematico, io metto piede fuori dall’Accademia e comincia a piovere.”

“Poi torni in camera tutto bagnato,” aggiunse Adam.

“Tremo sempre dal freddo e non vedo l’ora di farmi una doccia calda.”

“Scomoda…” Commentò Adam poggiando la guancia al pugno chiuso.

Shiro scosse la testa. “No, nella mia fantasia è qualcun altro che mi riscalda.”

Il sorriso appena visibile sulle labbra di Adam era qualcosa di bellissimo nella sua semplicità. Shiro si riscoprì desideroso di baciarlo, ma dopo quello che era stato detto sarebbe parso come un invito che non era ancora pronto a fare.

“Manca poco alla fine degli esami,” disse Adam riportando lo sguardo sui suoi appunti.

Shiro fece lo stesso. Strinse quella promessa mai pronunciata al cuore con aspettativa e nervosismo. “Sì, manca poco.”



Quell’anno non mi feci fregare.

Mio padre era impegnato con delle ricerche che non potevano essere sospese e non sarebbe tornato a casa. Io decisi di rimanere nel dormitorio, tanto per essere sicuro che non succedesse niente in mia assenza.

Vuoi sapere una cosa? Fu un errore…




Shiro non riusciva a staccare gli occhi dalla finestra.

Pioveva e le gocce che battevano contro il vetro scandivano un ritmo rilassante. Eppure, non riusciva a respirare.

“Stai bene?”

Shiro allontanò gli occhi dal cielo plumbeo e tornò al presente. Adam era sopra di lui e lo guardava con poca convinzione. Forzò un sorriso. “Sì.” Fu la sua risposta.

Il suo co-pilota gli accarezzò la coscia con il palmo aperto. Era una carezza a cui Shiro era abituato ma non lo rassicurò in alcun modo.

Adam sospirò. “Sei teso come una corda di violino, Takashi.”

“È solo un po’ di nervosismo.” Fu la spiegazione che Shiro offrì. “Vieni qui…” Trascinò Adam in un bacio caldo, lento, di quelli che non mancavano mai di fargli dimenticare tutto all’infuori di lui.

Funzionò. Solo un poco, ma funzionò.

“Non dobbiamo farlo per forza così…” Adam poggiò la fronte alla sua e si umettò le labbra. “Se non vuoi, non dobbiamo farlo affatto.”

Shiro scosse la testa. “Va bene così.” La mano nascosta sotto il cuscino strinse la federa tanto forte che si sorprese di non sentire la stoffa lacerarsi.

“Va bene.” Adam scostò le ciocche corvine per liberare gli occhi grigi. “Parlami. Voglio sapere quello che senti, d’accordo?”

Shiro annuì. Non lo abbracciò, non lo toccò. Si stava aggrappando al letto come un naufrago in mezzo a una tempesta.

Adam catturò le sue labbra in un altro bacio e fece scivolare la mano tra le sue gambe.

Shiro chiuse gli occhi e decise che si sarebbe costretto a smettere di pensare per sentire.

Sentì, ma non quello che si era aspettato.



Dopo che tutto finì, Adam restò con la fronte premuta contro il cuscino per un lungo minuto. L’orgasmo non lo stordì dolcemente come si era aspettato.

Shiro lo aveva lasciato senza fiato molte volte, ma non ritrovò quelle emozioni mentre le cosce di lui premevano contro i suoi fianchi e il suo calore lo avvolgeva ancora.

Si fece indietro lentamente e solo allora Shiro lo toccò e non per tenerlo vicino a sé. Gli occhi grigi erano aperti ma evitavano i suoi.

Fu quello a confermare ad Adam che aveva fatto un disastro.

“Vuoi che-”

“No.”

Era difficile capire se lo feriva di più non essere riuscito a dare piacere a Shiro o sentire la sua proposta di rimediare respinta.

“Mi dispiace.”

Shiro scosse la testa e si decise a guardarlo negli occhi. “Non è successo niente,” lo rassicurò e si girò su di un fianco.

Adam si coricò alle sue spalle e lo abbracciò. Shiro non lo allontanò ma, al contrario, si spinse contro di lui. Il co-pilota gli posò un bacio sulla nuca. “Mi dispiace, Takashi.”

Shiro guardò le gocce di pioggia scivolare sul vetro della finestra. “Dicono tutti che la prima volta delude,” disse. “Eppure, tutti continuano a farlo.” Avvertì il sorriso di Adam contro i suoi capelli.

La tensione era scemata e Shiro intrecciò le sue dita a quelle della mano che lo stringeva. “Ci serve pratica.” Concluse, voltandosi per guardare l’amante.

Il viso di Adam era serio. “Ti ho fatto male, Takashi, non negarlo.”

“Non dobbiamo insistere oggi,” disse Shiro rigirandosi nel suo abbraccio. “Ero talmente teso che non respiravo. Non avrei sentito qualcosa di piacevole nemmeno se avessi saputo cosa fare.”

Adam non riusciva ad essere altrettanto allegro. “Mi dispiace.”

Shiro gli diede un bacio. “Smettila…” Si rilassò contro di lui.

Il rumore del temporale li cullò entrambi.



E di pratica ce ne volle…



Non appena Shiro scomparve dietro la porta del bagno, Adam affondò il viso nel cuscino con un sospiro frustrato.

Forse, se fosse riuscito a soffocarsi da solo, sarebbe riuscito a salvare quel poco di orgoglio da uomo che gli era rimasto.

Una carezza tra i suoi capelli lo informò che non era più solo. “Adam, non è successo niente.” Lo rassicurò Shiro, tornando sotto le coperte.

Il co-pilota non diede segno di voler uscire allo scoperto.

Shiro sospirò. “Adam, passiamo ancora la maggior parte della nostra giornata senza vestiti addosso. Se avessi di che lamentarmi, mi rivestirei, non credi? Al contrario, mi sento piuttosto lusingato di farti questo effetto.”

Adam lo guardò con un solo occhio: odiava la sua gentilezza quando era impegnato a massacrare se stesso. “Sei un infame, Takashi.”

Shiro rise, posò un bacio sulla sua guancia e si rilassò tra le coperte. “Beh… Queste lezioni pratiche sono più piacevoli di quelle di astrofisica. Se vuoi aiutarmi, non mi dispiacerebbe prendere ripetizioni.”

L’invito era dolce e allettante. Adam lo rifiutò girandosi dall’altra parte. “Che razza di uomo sono se non riesco a fare questo?”

Shiro fissò la sua nuca con insistenza. “Non te la sei mai presa così per-”

“Perché non ho mai avuto ragione di prendermela!” Lo interruppe Adam, esasperato. “Riesco a essere il tuo co-pilota. Non sono al tuo livello ma riesco a tenerti testa abbastanza per fare squadra con te.”

Shiro sorrise. “Ne sei orgoglioso.”

“Smettila di essere così rilassato!” Adam si sentiva offeso nell’orgoglio e il modo in cui l’altro sminuiva la cosa non lo aiutava in alcun modo. “Lo so che ci sono infiniti modi per provare piacere, ma vorrei che il mio ragazzo lo provasse mentre fa l’amore con me.”

“Ma io lo sento, Adam.”

“Non abbastanza,” insistette il co-pilota. “Non riesco a dartene quanto tu ne dai a me.” Prese a fissare il soffitto.

Shiro si spostò sopra di lui. “Vuoi sapere una cosa?” Mormorò contro le sue labbra. “È insieme a te che sto scoprendo quello che mi piace davvero. Può non essere semplice come avevamo sperato ma è l’unica cosa che ho voglia di fare.”

Suo malgrado, Adam sorrise e lasciò che Shiro riprendesse da dove si erano interrotti.



Ovviamente, io fui discreto per tutto il tempo.

Discreto, mi viene da ridere. Il giorno dopo la prima volta che fecero l’amore… La prima volta che riuscirono a farlo come si deve, intendo, bastò guardarli in faccia per saperlo.

Valse per Adam come per Shiro.

Per fortuna eravamo sempre in pochi a restare alla Garrison durante la pausa tra i due semestri! La mattina dopo l’ultimo giorno di pioggia della stagione, il ragazzo d’oro e il suo co-pilota entrarono in sala mensa e tutti - proprio tutti - seppero.

Fu una cosa impossibile da nascondere! Come quando Shiro non mi parlò di te subito dopo averti conosciuto. Era chiaro come il sole che doveva essere successo qualcosa d’importante!




Adam l’aveva saputo.

Nel momento in cui Shiro gli aveva lanciato le chiavi della hooverbike e aveva detto con fare sicuro che il meteo non aveva previsto pioggia, l’aveva saputo.

Le prime gocce di pioggia li avevano sorpresi in mezzo al deserto e non era stato possibile rientrare abbastanza velocemente da evitare il temporale.

“Scusa! Scusa! Scusa!” Ripeté Shiro, rientrando in camera al seguito del suo ragazzo. “Giuro che le previsioni non parlavano di pioggia!”

Adam non gli rispose, appoggiò gli occhiali dalle lenti appannate sulla scrivania più vicina alla porta e prese a liberarsi dei vestiti bagnati. “Fallo anche tu prima di creare una pozzanghera davanti al bagno.” La stoffa bagnata della maglietta si arrotolò dietro la schiena. Shiro intervenne per aiutarlo. “Sei arrabbiato, vero?”

“No,” rispose Adam esasperato, afferrando l’orlo della felpa di Shiro. “Spogliati o ti prenderai il raffreddore.”

Il pilota lo lasciò fare. “Avevo pensato di passare una giornata diversa.”

“Non devi giustificarti, Takashi,” disse Adam, duellando con il bottone dei jeans scuri dato che l’altro non accennava a volersi muovere.

“Mi dispiace,” continuò Shiro sfilandosi i pantaloni dalle caviglie. “Volevo aiutarti a rilassarti un po’. Non ti ho reso le cose facili, ultimamente.”

Adam lo fissò. “Ma perché devi sempre prenderti la responsabilità di tutto?”

Shiro scrollò le spalle. “In caso d’incidente spaziale, in assenza di guasti riscontrati dalla scatola nera, il pilota è il primo responsabile per il fallimento della missione. Immagino sia deformazione professionale.”

Lo sguardo che Adam gli rivolse fu molto eloquente.

Shiro abbassò il viso. “Scusa-”

Adam lo interruppe con un bacio. “Smettila.” Si passò una mano tra gli umidi capelli castani. Shiro sospirò e lo superò. “Prendo degli asciugamani puliti.”

Adam lo seguì con lo sguardo e si godette il contrasto della pelle pallida contro l’intimo scuro che aveva ancora addosso. Le gocce di pioggia scendevano dai capelli corvini, accarezzavano quel corpo ancora acerbo ma scrigno di gloriose promesse. Adam non aveva mai dato particolare importanza al proprio riflesso nello specchio, ma non c’erano dubbi sul fatto che Shiro si stava trasformando in uno splendido giovane uomo.

E Adam era colui che era riuscito a strappare quell’astro nascente alla volta celeste.

Con quanta superbia aveva derubato il cielo della sua stella più splendente, ma non si pentiva di nulla.

Adam attraversò la stanza, premette le labbra alla base del collo di Shiro bevendo le gocce di pioggia prima che potessero graziare quella pelle pallida, che solo le sue mani potevano accarezzare.

Shiro s’irrigidì ma solo per un istante. Le mani di Adam lo invitarono a voltarsi e non si oppose.

Il bacio che si era aspettato non arrivò. Si scambiarono un lungo sguardo, mentre il rombo di un tuono spezzava il silenzio.

Quel rumore fu nulla in confronto al battere dei loro cuori.

Adam poggiò un ginocchio a terra, ma i suoi occhi non lasciarono mai quelli del pilota. Per paura che parlare avrebbe in qualche modo rovinato qualcosa, Shiro gli passò una mano sul viso, liberandolo dai capelli in disordine. Privato della sua solita compostezza, Adam era bello da perdere il fiato.

Il co-pitola fece aderire la fronte sul grembo del giovane amante e respiro l’odore della sua pelle. La pioggia aveva lasciato una lieve sfumatura su di lui e lo ritenne un errore a cui porre rimedio.

Adam afferrò l’elastico dei boxer bagnati e li abbassò.

Un leggero tremore attraversò Shiro da capo a piedi ma erano caldi i brividi che correvano sotto la sua pelle. Appoggiò la schiena alle mensole dell’armadio, le dita immerse tra i capelli di Adam e gli occhi fissi su di lui, sulla sua bocca impegnata a dargli piacere.

Reclinò la testa all’indietro e permise ad Adam di fare con lui ciò che preferiva, ma non fino in fondo.

“Aspetta…” Shiro lo invitò a farsi indietro.

Adam lo guardò dal basso, in attesa.

“Vieni.” Shiro lo guidò per mano fino al letto, sebbene fossero solo pochi passi. “Siediti, per favore.”

Il co-pilota si accomodò contro i cuscini, i suoi occhi ancora incatenati a quelli grigi del giovane amante. Shiro si spostò su di lui e si chinò per baciarlo.

Adam allungò un braccio verso il comodino, cercò alla cieca quello che gli serviva per consumare il desiderio che stava incendiando entrambi. Shiro si muoveva su di lui con bisogno e non era sua intenzione farlo attendere.

La pioggia prese a battere con più violenza contro il vetro della finestra, ma Adam udiva solo i sospiri di piacere di Shiro. I suoi occhi erano frammenti di un cielo in tempesta, una ancor più travolgente di quella in corso all’esterno.

Prima di lasciarsi andare completamente, doveva essere Adam a travolgere lui. Invertì le loro posizioni senza preavviso.

Shiro trasalì e chiamò il suo nome: “Adam?”

“Sono qui,” gli disse, premendo la fronte contro la sua. “Sono qui, Takashi.” Fece scivolare una mano tra i loro corpi e Shiro gemette contro la sua bocca, gli occhi chiusi.

Adam tenne aperti i suoi. Voleva guardarlo. Voleva ricordare ogni dettaglio di quel momento. Quell’astro nascente poteva brillare così soltanto grazie alle sue mani e questo lo faceva sentire potente come nessuna decorazione avrebbe mai potuto fare.

Shiro inarcò la schiena e si aggrappò a lui mentre tutto finiva.

Fu solo un istante, ma Adam sapeva che lo avrebbe ricordato fino alla fine dei suoi giorni.

Non sapeva che cosa la vita aveva in serbo per loro. Era troppo razionale per fare a Shiro promesse per l’eternità. Ogni cosa per sua natura era destinata a finire.

Nemmeno le stelle brillavano per sempre.

Eppure, se Adam avesse dovuto tradire la sua natura e credere in qualcosa che la sua mente riteneva impossibile, lo avrebbe fatto per Shiro.

L’orgasmo li lasciò entrambi tremanti. Rimasero stretti l’uno all’altro in silenzio, mentre il temporale infuriava.

Fu Adam a muoversi per primo, a cercare le labbra dell’amante.

Fu Shiro, però, a spezzare il silenzio. “Ti amo…”

Adam non aveva una risposta da dargli. Lo baciò e basta.
 

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Capitolo 5
*** Keith ***


V
Keith




Erano giorni felici.

Sì, forse sono troppo giovane per dirlo, per quanto mi sembri di aver già vissuto una vita intera. Eppure, posso affermare con sicurezza che gli anni che ho vissuto alla Garrison sono stati i migliori della mia vita fino ad ora.

Non so se abbia a che fare con l’adolescenza o col fatto che i nostri sogni erano ancora tutti integri, ben custoditi in un cassetto. So che quella felicità rimase intatta fino ai nostri vent’anni.

Non eravamo più cadetti, ma giovani uomini pronti a conquistare l’universo. E Shiro ci riusciva.

Missioni di piccola o media importanza, più o meno brevi. Non aveva importanza. Shiro apparteneva alle stelle e fin tanto che poteva volare, non c’era ragione di preoccuparsi per lui. Adam alle volte lo accompagnava, altre restava ad occuparsi di progetti d’ingegneria alla Garrison.

Crebbero insieme… E insieme restarono.

…Anche quando quei giorni felici finirono.




Tutto cominciò con un bicchiere rotto.

Un incidente domestico, una cosa da poco.

La Garrison aveva assegnato a Shiro e Adam un appartamento in uno degli edifici degli ufficiali. Era poco più grande della vecchia stanza nel dormitorio, ma era la loro prima casa ed era perfetta così com’era. Erano cresciuti e con loro le responsabilità sulle loro spalle. I doveri domestici erano di facile gestione, nonostante il loro lavoro li tenesse impegnati dalla mattina alla sera. La nonna di Shiro aveva fatto un buon lavoro nel renderlo una brava mogliettina, come diceva Matt. Adam non era stato restio a imparare.

Trovare un equilibrio era stato semplice… Piacevole, come lo era coricarsi accanto alla persona amata ogni notte – se Shiro non era reclamato dalle stelle –, alla fine di una lunga giornata di lavoro.

Spezzare quell'idillio fu facile come far scivolare a terra un bicchiere.



Shiro non ebbe alcuna reazione, i vetri erano schizzati in ogni direzione e solo il fondo era rimasto integro. Parte dell’acqua gli aveva bagnato i pantaloni verde militare ma il pilota non ci aveva fatto caso. La sua mente era annebbiata, il suo corpo congelato.

Non si accorse di Adam che, attratto da quel breve frastuono, uscì dalla camera da letto per controllare che cosa era successo. “Ti sei fatto male?” Domandò.

Shiro tornò in sè. “Come?”

“Ti è scivolato?” Adam prese uno strofinaccio dal piano lavoro della cucina. Prima che potesse chinarsi, Shiro glielo prese di mano con gentilezza. “Faccio io,” disse.

Adam lo lasciò fare e aprì il frigo per assicurarsi che ci fosse qualcosa da mangiare: hamburger e patatine. Meglio di niente.

“Scusami per la cena, stavo controllando dei documenti e ho perso la cognizione del tempo,” si giustificò il co-pilota, avvicinandosi alla credenza per recuperare due piatti e due bicchieri. “Fatti una doccia. Preparo io.”

Shiro non lo ascoltava. Silenzioso, raccogliendo i frammenti di vetro. Lo straccio era a terra, assorbiva l’acqua versata.

“Takashi?”

“Uhm?” Gli occhi grigi si sollevarono su quelli castani.

“È successo qualcosa?” Domandò Adam.

Shiro forzò un sorriso e scosse la testa. “Sono solo stanco.” Mentì.

L’altro accettò quella spiegazione senza obiezioni. “Ceniamo e andiamo a dormire.”

“Sì…”



Shiro passò tutta la notte steso sul fianco sinistro, la mano destra davanti al viso. Aprì e chiuse le dita come se stesse perdendo sensibilità alla mano. Adam dormiva sereno accanto a lui e non aveva idea del demone che si era risvegliato nel suo cuore.

Il bicchiere non gli era scivolato di mano. No, era caduto a terra come se le sue dita non fossero abbastanza forti da sorreggerlo.

Strinse gli occhi e l’immagine di sua madre china sui frammenti di una tazza da tè gli chiuse la gola.

Strinse il pugno destro tanto forte da ferirsi i palmi.



Io non… Anche adesso che siamo entrambi sopravvissuti all’inferno, non posso immaginare il terrore che Shiro deve aver provato in quel momento. Io ricordo bene sua madre… La ricordo prima della malattia e non ho idea di come sia stato vederla morire lentamente, un poco alla volta.

Devono essere stati gli anni peggiori per Shiro, forse anche più di quello di prigionia che seguì alla nostra cattura. Con l’inizio della malattia, però, il dolore di quei ricordi si trasformò in una condanna.

Sei mesi prima che Shiro ti trovasse, la nostra fanciullezza terminò definitivamente in una delle stanze asettiche dell’ala ospedaliera della Galaxy Garrison.




Samuel Holt era stato addestrato per far fronte a situazioni difficili. Tuttavia, nessun addestramento lo aveva preparato a far fronte a ciò che aveva di fronte.

Samuel Holt era più grande di Tooru Shirogane ma era stato suo tutor per un paio d’anni, prima del diploma. Dopo la specializzazione, era stato lui a chiederle di restare alla Garrison per affiancarlo nelle sue ricerche. Insieme avevano dato un contributo fondamentale per la creazione del primo insediamento su Marte.

Quando poi Tooru era rimasta incinta troppo giovane, con ancora troppe cose da fare per essere una madre, Sam l’aveva incoraggiata a non rinunciare al suo sogno. Il piccolo Takashi era nato senza padre, ma aveva ereditato da Tooru tutta la caparbietà e la gentilezza di cui aveva bisogno.

Sam lo aveva visto crescere accanto al proprio figlio, lo aveva guardato farsi uomo, astro luminoso della nuova generazione di piloti della Galaxy Garrison.

Takashi Shirogane aveva appena vent’anni e un futuro luminoso di fronte a sè.

Perché doveva toccare a lui, a Samuel Holt informare il figlio di Tooru che il male che si era portato via lei avrebbe condannato anche lui?

Seduto sul letto d’ospedale, Shiro aveva ascoltato ogni parola in silenzio, guardandolo dritto in faccia. Sam non aveva avuto il coraggio di rispondere al suo sguardo.

Alla fine, quando fu costretto a sollevare gli occhi dai risultati dei test medici che gli erano stati consegnati, Shiro gli parve poco più di un bambino. Non pianse, non tentò di ribellarsi a quell’esito così nefasto in nessun modo.

Accettò le parole di Sam e chinò la testa. “Hanno fatto una stima del tempo che mi resta?”

“Quattro o cinque anni,” rispose Sam. “Se ti sottoponi alla terapia di rallentamento immediatamente, possiamo sperare in più tempo. Tutto dipende da come reagirai.”

Shiro si morse il labbro inferiore ed annuì. “D’accordo…”

“D’accordo?” Domandò una terza voce.

Fu allora che Sam si ricordò che non erano soli, che Matt era accanto al letto del suo migliore amico e che Adam se ne stava davanti alla finestra. Il signor Holt non poteva vedere il viso di quest’ultimo, ma aveva la sensazione che si fosse conficcato le unghie nei palmi da quanto forte stringeva i pugni.

“Che significa, papà?” Matt si portò davanti a lui, gli occhi pieni di lacrime. “Terapia di rallentamento? Non possono curarlo e basta?”

Sam gli strinse le spalle. “Matt…”

“Siamo nel ventiduesimo secolo, la ricerca ha-”

“Va tutto bene, Matt.” Shiro sorrideva ed era terribile da vedere. “Posso restare da solo con Adam, per favore?”

“Shiro…” Matt tentò di avvicinarsi all’amico, ma suo padre gli afferrò il braccio.

“Come desideri, Shiro,” disse Sam gentilmente. “Se hai bisogno di qualcosa, siamo qui fuori.”

Shiro annuì. “Grazie di tutto…”

Non c’era nulla per cui quel ragazzo dovesse essere grato a lui, ma il signor Holt accettò quelle parole in silenzio.

Shiro guardò padre e figlio sparire nel corridoio dell’ala ospedale, poi rivolse lo sguardo al giovane fermo di fronte alla finestra.

“Adam…” Chiamò con voce incerta.

Il suo co-pilota fece finta di non averlo udito.

Shiro chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. “Posso chiedere di essere trasferito in camera di Matt.” Disse con voce pacata.

Adam fissò il proprio riflesso nel vetro. “Che cosa stai dicendo?”

“Penso che Iverson ti permetterà di tenere l’appartamento,” continuò Shiro. “Porterò via le mie cose entro la fine della settimana, se a te-”

“Che cosa stai dicendo?” Adam non aveva mai urlato in presenza di Shiro. L’unica volta che lo aveva sentito alzare la voce era stato anni prima, quando si era tuffato dentro una gola piena d’acqua senza il minimo buon senso.

Shiro rimase atterrito da quella reazione. Non era Adam. Il giovane che conosceva non avrebbe mai perso il controllo in quel modo.

“Adam…” Chiamò con voce tremante. “Ti prego, ascoltami.”

Quando l’altro si voltò, i suoi occhi scuri erano accesi d’ira. “Non ascolterò una parola di più…”

“Invece lo farai!” Fu il turno di Shiro di alzare la voce. “Ti prego,” aggiunse. “Lasciami parlare.”

Adam era talmente furente da tremare ma rispettò quella richiesta e rimase in silenzio.

“Credo che tu debba chiamare tuo padre.” Shiro si costrinse a guardarlo negli occhi. “A causa mia, non lo vedi dal giorno del diploma e…”

Adam Strinse gli occhi. “Takashi…”

“La tua famiglia non è un prezzo che devi sentirti costretto a pagare, né per me né per nessun altro,” continuò il pilota. “Io non posso essere la ragione per cui tu e tuo padre non vi parlate più.”

Adam cercò di mantenere la calma. “Sono questioni che abbiamo già affrontato.”

“Sono questioni che vanno riviste in base agli ultimi avvenimenti,” insistette Shiro. “Tutti abbiamo bisogno di una famiglia da cui tornare e-”

“Sei tu.” Adam esaurì la distanza tra loro e si sedette sul letto, accanto al suo pilota. “Sei tu la mia famiglia. Ho già fatto quella scelta, Takashi!”

Shiro sorrise tristemente. “Ma io non ho più alcun futuro da offrirti, Adam.”

“Abbiamo tempo!”

Shiro scosse la testa. “Tu non capisci...”

“No, sei tu che devi capire che scelgo di rimanere.”

“Tu non sai come sarà!” Urlò Shiro, le lacrime scesero a rigargli le guance. “Ti ho detto che mia madre ha resistito. Ti ho detto che mi ha sorriso fino alla fine ma tu non hai idea di come fosse quel sorriso. In quella smorfia non c’era niente della donna che è ritratta nella fotografia della missione su Marte.” Scosse la testa. “Non hai idea di come sia. Vedere una persona appassire in quel modo… Io non voglio che tu lo veda. Io non voglio che tu mi veda morire in quel modo, Adam!”

Il co-pilota lo strinse a sè, affondò il viso tra quei capelli corvini e lasciò che Shiro piangesse nascosto contro il suo petto.

“Io non vado da nessuna parte,” disse Adam con fermezza. “Non vado da nessuna parte, Takashi.”



Al posto di Adam, non credo che molti sarebbero rimasti.

È un punto a suo favore che non posso non considerare. Shiro era… Sì, immagino che senza speranza sia il termine adatto per descrivere la sua situazione.

Non c’era una cura al suo male. Non c’era nulla che potesse liberarlo dall’eredità che sua madre gli aveva lasciato. Il suo tempo era contato e decise di non perderne neanche un istante.

Nel momento in cui Adam dimostrò di amarlo più di ogni altra cosa, Shiro si aggrappò con tutte le forze al suo primo vero amore: quello per le stelle.




“Un’altra missione?” Domandò Adam con gli occhi sgranati. “Che significa un’altra missione?”

Shiro sedeva al centro del loro letto, gli occhi fissi sul tablet tra le sue mani. “Si tratta di un’altra spedizione su Marte. Niente di troppo pericoloso.”

Adam non riusciva a credere alle sue parole. “Takashi, sei tornato dalla tua ultima missione la settimana scorsa.”

“La Garrison non ne finanzierà altre per quest’anno,” spiegò il pilota, sollevando gli occhi sul compagno. “Non sono missioni lunghe, né particolarmente faticose. Ti porterei con me ma non mi hanno lasciato la possibilità di scegliere il mio co-pilota questa volta.”

“Takashi…” Adam si fermò ai piedi del letto. “Mi stai dicendo che sparirai per un altro mese?”

Shiro gli sorrise. “Il dottore ha detto che la situazione è stabile. Posso ancora volare, non preoccuparti.”

Adam scosse la testa. “Non si tratta di questo,” disse. “Si tratta di tempo… Tempo che passerai tra le stelle, invece che qui.”

Shiro abbassò lo sguardo. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Non ci riusciva. “È l’ultima volta per quest’anno, Adam,” lo rassicurò. “In primavera, sarò responsabile del progetto di scouting. Resterò con i piedi per terra e tornerò a casa tutte le sere, più o meno.”

Adam strinse le labbra. Un’ultima missione. C’era sempre un’ultima missione. “D’accordo…” Disse con poca convinzione. “Pensavi di fare il tutor durante il prossimo anno scolastico? Iverson te lo ha proposto, vero?”

Shiro sorrise. “Iverson ha tanta voglia di proteggermi quanto te.”

“Tiene a te, a modo suo.”

“E dedicarsi a un cadetto è utile quando vuoi tenere qualcuno con i piedi per terra.”

“Non dirlo come se fosse una punizione.”

“Non è quello che penso,” disse Shiro, serio.

“Allora perché non hai ancora accettato quel lavoro?” Domandò Adam sospettoso.

Shiro prese un respiro profondo. “Perché sono un pessimo insegnante che vuole concedersi il lusso di valutare la situazione, prima di essere coinvolto.”

Suo malgrado, Adam sorrise. “Takashi Shirogane non perde tempo se non con altri astri nascenti.”

“Perché mi metti in bocca parole che non ho detto?” Shiro sorrise.

“Perché nessuno vuole perdere tempo ad aiutare un cadetto senza speranza a fare il suo debutto in questo mondo di stelle, orizzonti sconfinati e grandi… Grandissimi sogni.” Adam ricordò il ragazzino di quattordici anni che aveva conosciuto nella Sala degli Ufficiali e si chiese se al mondo potesse davvero esisterne un altro che possedesse la stessa luce.

L’espressione di Shiro si fece intensa. “Io non ho rinunciato a niente, Adam,” disse. “Continuo a sognare e continuerò a farlo fino al mio ultimo respiro.”

Il co-pilota si fece serio. “Lo so,” disse. In cuor suo, però, sperava che Shiro smettesse di sognare per vivere nel mondo reale.



Ed eccoci arrivati alla parte della storia che conosci anche tu!

Nessuno te lo ha mai detto ma, per assurdo, tu riuscisti a tenere Adam e Shiro insieme ancora per un po’.

Per essere più precisi: Shiro ti trovò e vide in te una buona ragione per stare con i piedi per terra.

E fu così che anche tu entrasti a far parte di questa storia, Keith.




All’inizio di quell’anno scolastico, Matthew Holt era particolarmente ansioso di conoscere il nuovo corpo cadetti ammesso attraverso il progetto di scouting.

“Come lo riconoscerò?” Domandò con emozione, seguendo Shiro lungo il corridoio. “Ha i capelli chiari? Scuri? Porta gli occhiali?”

Il pilota sospirò e gli lanciò un’occhiata veloce. “Adam mi ha pregato di smettere di parlare di lui e tu non fai che chiedere dettagli.”

Matt fece un gesto scocciato con la mano. “Adam sa essere meno gradevole di Iverson!” Esclamò. “Come fa a non essere curioso quando ne parli con tanto entusiasmo? Non è umano!”

“Conosci Adam, Matt.”

“Per mia sfortuna…”

“Ancora?” Domandò Shiro, senza smettere di camminare. “Dopo tutti questi anni?”

Matt scrollò le spalle. “Sei praticamente sposato al ragazzino a cui hai dato il primo bacio. È talmente romantico da essere triste.”

Shiro rise. “Un giorno mi spiegherai la tua idea di romanticismo, Matt!”

Arrivati in fondo al corridoio, uscirono sulla balconata che dava sulla pista di decollo e atterraggio dell’Accademia.

Una ventina di ragazzini era in fila di fronte al Comandante Iverson e tutti indossavano la familiare divisa arancione e bianca.

Matt inarcò le sopracciglia. “Così pochi?”

“Adesso fanno una pre-selezione,” spiegò Shiro. “I possibili piloti vengono selezionati da un determinato punteggio in poi.”

“Oh…” Matt annuì, incrociando le braccia sul parapetto. “E quale sarebbe la nostra nuova stellina luminosa?”

Shiro gli fece l’occhiolino. “Prova a indovinare.”

“A questa distanza li vedo a stento, Shiro!” Matt, però, poteva udire Iverson abbaiare come un cane rabbioso anche da quella distanza. “Il nostro Comandante è sempre così amichevole. Sbaglio o sono quasi tutti alti quanto me?”

Keith ti piacerà,” disse Shiro senza preavviso.

Matt sgranò gli occhi. “Oh, finalmente abbiamo il nome misterioso!” Esclamò. “Lascia che torni in camera e recupero tutti i file dal database dell’Accademia.”

Shiro lo guardò storto. “Matt!”

“Cosa? Tu fai il misterioso, io dovrò pur sfoderare le mie armi quando sono utili!”

Shiro alzò gli occhi al cielo: era bello scoprire che certe cose non cambiavano mai.



Ti ricordi la prima volta che ci siamo visti?

Io me lo ricordo! Eri alto quanto me. Shiro era così orgoglioso di presentarti in giro, quasi fossi una cosa sua. Sì, eri una sua scoperta ma c’era del personale nel suo interesse. Ci teneva.

Io l’avevo capito dal modo in cui parlava di te e sicuramente l’aveva notato anche Adam. Scoprire che cosa avessi di così speciale era il mio obiettivo principale. Sì, hackerai il sistema e scoprii il tuo punteggio assurdo da solo ma ciò non bastava a soddisfare la mia curiosità. Nel tuo file c’era scritto tutto di te… Della tua famiglia, dell’orfanotrofio…

Pensai che Shiro avesse avuto uno slancio di empatia nei tuoi confronti per via della morte prematura di tuo padre e dell’abbandono di tua madre. Per quel che ci era dato sapere allora, le vostre situazioni erano simili.

Tuttavia, doveva esserci dell’altro.

Ti ricordi di Adam il giorno in cui Shiro ci presentò?




Matthew Holt cominciò a pensare che Keith Kogane fosse un alieno poco prima della fine del semestre. Era l’unica conclusione a cui era riuscito ad arrivare dopo una lunga riflessione: Shiro aveva trovato un fanciullo alieno e lo stava nascondendo gelosamente perché, in gran segreto, ci godeva a fare l’infame.

O era così… O Keith Kogane era il personaggio fittizio meglio riuscito della storia. L’unica ragione per cui Matt aveva scartato la seconda ipotesi era che, se così fosse stato, avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea che l’intera Accademia si era alleata con Shiro per fargli un dispetto.

Tutti non facevano che ripetere il nome di Keith. Tutti.

Iverson stesso si era disturbato ad impararlo per intero, nonostante lo pronunciasse con lo stesso tono con cui avrebbe sputato un insulto.

Rinchiuso nel laboratorio sotto l’Accademia sette giorni su sette, Matt si era perso tutte le occasioni d’incontrarlo di persona. Del ragazzino aveva una foto e un fascicolo dallo spessore preoccupante per soli quattordici anni di vita.

Capelli neri. Occhi grandi. Espressione da duro.

Matt si era aspettato un piccolo Shiro e si era ritrovato a fissare l’immagine di un ragazzino che sembrava pronto a dichiarare guerra al mondo. Le voci che arrivavano fino al laboratorio dicevano che si cacciava spesso nei guai.

“È un ribelle,” affermavano. “Una testa calda! Un carattere problematico…”

Nulla di più diverso da Shiro.

In comune avevano solo un dato oggettivo: erano nati per essere piloti.

Una volta – solo una – Matt si era domandato cosa ne pensasse Adam. Shiro non si limitava ad aiutare Keith nel suo percorso di studi.

Matt era venuto a conoscenza di alcune uscite con le hooverbike che non potevano essere giustificate con nessun tipo di addestramento, oppure di escursioni notturne non proprio permesse dal regolamento.

Shiro e Keith erano amici.

E questo non faceva che spingere la curiosità di Matt a trasformarsi in ossessione. Doveva conoscere quel cadetto.



Matt non metteva piede nella sala mensa degli studenti dal suo ultimo giorno di lezione alla Garrison. Quella degli Ufficiali era più accogliente, meno chiassosa e il cibo era migliore. Tuttavia, aveva capito che per prendere Shiro di sorpresa doveva giocare al suo stesso gioco.

Il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison si nascondeva tra le file dei cadetti? Allora non restava che tendergli un agguato. Quello che Matt non aveva previsto era che qualcun altro avesse avuto la stessa idea.

“Tu che cosa ci fai qui?” Domandò Adam, quando lo vide seduto a uno dei tavoli vicino alla vetrata.

Matt lo fissò. “Potrei chiederti la stessa cosa. Non mi risulta che tu sia particolarmente incline a fare amicizia con il corpo cadetti.”

Adam lanciò un’occhiata ai pochi studenti ancora presenti nella sala. “È una fortuna che sia tardi per pranzare, immagino.” Commentò, sedendosi accanto al collega.

Matt appoggiò il viso al pugno chiuso. “Sei qui di tua iniziativa o ti ha invitato lui?”

“Secondo te?” Domandò Adam senza guardarlo.

Matt rivolse la sua attenzione al paesaggio desertico fuori dalla vetrata. “Questa storia sta rasentando l’assurdo.”

“Sono d’accordo.”

Matt rabbrividì. “Non mi piace essere d’accordo con te.”

Adam alzò gli occhi al cielo. “Si chiama Keith, vero?”

Matt annuì. “Quattordici anni… Quindici a fine ottobre. Alcuni dei suoi punteggi sono superiori a quelli di Shiro.”

Adam lo guardò. “Hai rubato il suo fascicolo?”

Il giovane Holt ghignò. “Ancora mi sottovaluti?”

Adam incrociò le braccia contro il petto con espressione annoiata. Per fortuna di entrambi, l’attesa fu breve.

Shiro entrò nella sala mensa con i capelli corvini spettinati dal vento. Addosso aveva la giacca nera che indossava quando usciva per correre con la hooverbike. Gli occhiali da motociclista erano ancora sulla sua testa.

Sorrideva ma si fece serio di colpo quando li vide.

Matt alzò una mano in segno di saluto ma la sua espressione diceva: “ti ho fregato”.

Quella di Adam, invece, era indecifrabile.

Costretto con le spalle al muro, Shiro non poté fare altro che adeguarsi alla situazione. “Keith…” Chiamò, allungando un braccio verso qualcuno che non era ancora entrato nella sala. “Vieni, voglio presentarti due persone importanti per me.”

Keith Kogane fece la sua entrata in scena con espressione smarrita. Per un momento, parve solo un orfano di quattordici anni gettato in una realtà troppo complicata per il suo bene.

Non appena Shiro lo spinse gentilmente a farsi in avanti, la linea della sua bocca si fece dura e i grandi occhi viola si accesero di orgoglio. Attraversò la sala a testa alta, quasi li stesse sfidando.

Non aveva ancora detto una parola e Matt aveva già deciso che il ragazzino gli piaceva.

Keith si sedette di fronte a lui, Shiro davanti ad Adam.

“Loro sono Matthew Holt e Adam Sànchez,” disse il pilota con un sorriso. “Rispettivamente del dipartimento ricerca e del corpo piloti.”

Il cadetto fu educato e strinse la mano a entrambi, poi guardò Shiro. “Mi hai parlato di loro…”

“E lui ci ha tanto parlato di te!” Intervenne Matt allegramente. “Complimenti per i tuoi voti! Prima di te, solo Shiro riusciva far parlare tanto di sé già al suo primo semestre alla Garrison.”

“Grazie…” Disse Keith incerto. Rivolse di nuovo lo sguardo a Shiro e lui gli strinse una spalla con fare incoraggiante.

“Non vi aspettavo,” disse quest’ultimo. “È stata una sorpresa trovarvi qui…”

Matt gli rivolse un ghignetto. “Tenevi Keith così nascosto che abbiamo dovuto complottare contro di te per conoscerlo.” Si sforzò di sorridere al co-pilota seduto accanto a lui.

Adam fece finta di non accorgersene.

“Non lo tenevo nascosto,” si giustificò Shiro. “Avevo le mie ragioni…”

“Che ragioni potevano mai esserci per nasconderci la nuova stellina luminosa della Garrison?”

Keith storse la bocca. “Stellina luminosa?”

“A Matt piace scherzare,” disse Shiro con un sorriso imbarazzato. “Che ne dici se teniamo i nomignoli per un’altra volta?”

Matt s’imbronciò. “Così che tu lo possa chiudere sotto chiave e non farcelo vedere mai più?”

“Io devo andare,” disse Adam, alzandosi in piedi.

Sia Matt che Shiro lo fissarono perplessi.

“Pensi di rientrare questa sera per cena?” Aggiunse, rivolgendosi al pilota.

“Certo…” Rispose Shiro. Avrebbe voluto dire qualcos’altro, chiedergli di restare ma la freddezza negli occhi di Adam lo convinse a fare altrimenti. “A questa sera…”

Il co-pilota si limitò ad annuire e se ne andò senza salutare nessuno. Shiro lo guardò scomparire oltre la porta, ingoiò l’amarezza e tornò rivolgere tutta la sua attenzione agli altri due. Lo sguardo di Matt diceva tante cose e nessuna educata. Keith guardava fuori dalla vetrata, come se avesse voluto essere da tutt’altra parte.

Non ci voleva un genio per intuire il motivo.

“Va tutto bene, Keith,” si sentì in dovere di rassicurarlo Shiro.

Il cadetto lo guardò con la stessa espressione che il pilota gli aveva visto sul viso il giorno del suo primo richiamo. Lascia perdere, diceva. Non valgo il tuo tempo.

Shiro era determinato a dimostrargli il contrario. “Va tutto bene, sul serio.”

“Bah…” Borbottò Matt appoggiando la schiena alla vetrata. “Non farti rovinare l’umore da lui, Keith.”

Il cadetto lo guardò ma rimase in silenzio. Shiro sapeva che non era il comportamento di Adam ad averlo turbato ma il pensiero di possibili ripercussioni spiacevoli su di lui.

“Adam è così,” spiegò il pilota sforzandosi di suonare sereno.

“No, non è mai stato un gran simpaticone!” Matt gli diede man forte a modo suo. “Ma parliamo di te!” Rivolse al cadetto un gran sorriso. “Parlami un po’ di te, Keith.”

Il ragazzino sbatté le palpebre un paio di volte. “Non c’è molto da dire su di me…”

“Sappi che gli amici di Shiro sono miei amici!” Aggiunse il giovane Holt. “Se mai avrai voglia di lamentarti di lui, non esitare a venire da me.”

Suo malgrado, Shiro sorrise.

Keith, invece, lo prese sul serio. “Se sono qui, lo devo a Shiro,” disse un po’ troppo freddamente. “Non dirò né farò mai nulla che possa danneggiarlo.”

“Keith,” intervenne Shiro prontamente. “Stava scherzando.”

Il giovane Holt era senza parole ma nel modo più positivo possibile. “Oh, qualcuno qui è molto protettivo!” Esclamò. “Anzi, direi agguerrito. Farai quindici anni a ottobre, vero?”
“Sì, il ventitre.”

“E quanto tempo pensi di metterci per arrivare a diciotto?” Domandò Matt. “Il nostro Shiro ha bisogno di alternative nella sua vita e ho già scelto il mio candidato.”

“Matt!” Lo riprese Shiro un po’ bruscamente.

L’amico lo guardò storto. “Il ragazzino mi piace! Lasciami fare il mio lavoro da braccio destro!”

Gli occhi viola di Keith si fecero ancora più grandi, come se non credesse alle sue orecchie.

Matt gli sorrise. “Avanti, Keith, non essere timido,” si sporse verso il cadetto. “Perché hai scelto di seguire il nostro Shiro alla Galaxy Garrison? Qual è il tuo sogno?”

Keith non esitò a rispondere. “Le stelle…”



Eh, sì…

Quella risposta mi chiarì le idee su tante cose.

E allora diventammo amici… Accadde, vero? So che preferivi di gran lunga la compagnia di Shiro alla mia, ma io e te parlavamo… E ho imparato che riuscire a parlare con te è un privilegio per pochi!

Tornando a noi, non ho dubbi che tu abbia dimenticato Adam prima di subito. Non vi siete più incontrati, giusto?

Te lo posso assicurare: non aveva nulla contro di te. Solo un possessivo compulsivo sarebbe stato geloso di un ragazzino di quattordici anni. In un certo senso, tu gli facevi comodo: davi una ragione a Shiro per non inseguire le stelle attraverso ogni missione organizzata dalla Garrison.

Ciò che lo infastidiva non era il tempo che Shiro ti dedicava o il fatto che sembravate condividere più cose voi due che loro – capiamoci: continuavano a dormire insieme come qualunque altra coppia di vent’anni.

Era sapere di non essere abbastanza per trattenere Shiro a turbarlo.




“Keith è arrivato primo ai test pratici di fine semestre,” disse Shiro, intento a cercare qualcosa sul fondo dell’armadio. “Deve migliorare sulle prove scritte ma Matt dice che impara in fretta… Quando non si fissa.”

Steso sul suo lato del letto, Adam continuò a guardare il soffitto come se il compagno non stesse parlando.

“Pensi che se lo porterò fuori con la hooverbike durante le settimane di pausa, verremo sorpresi dalla pioggia come è di tradizione?” Domandò Shiro divertito.

Adam prese un respiro profondo e sollevò la testa. “Che cosa stai cercando?”

Shiro gli lanciò una breve occhiata. “Il mio vecchio telescopio,” rispose, continuando a cercare. “Voglio regalarlo a Keith. Ha detto che suo padre ne aveva uno ma all’orfanotrofio ha avuto vita breve.”

“Quanti anni aveva quando ha perso suo padre?” Domandò Adam. Un debole tentativo d’iniziare una conversazione.

“Otto…” Rispose Shiro con inclinazione più cupa. “Era un pompiere. È morto da eroe.”

“E sua madre lo ha abbandonato…”

Il pilota interruppe la sua ricerca per voltarsi a guardare il compagno. “Che cosa vuoi dire?”

“Niente, Takashi. Riflettevo sul fatto che avete un sacco di cose in comune,” rispose Adam con voce incolore.

Shiro non negò. “Sì, è vero. Certe volte, mi ricorda me.”

Adam poggiò la schiena al cuscino. “Tu non sei mai stato così ribelle.”

“Non mi riferisco alla personalità. Keith ha la sua, io la mia. È una questione di…” Shiro lasciò la frase in sospeso e continuò a cercare dentro l’armadio.

Adam fissò la sua schiena. “Una questione di cosa?”

Shiro rinunciò all’impresa e si avvicinò al letto con espressione sconfitta. “Non ricordo dove l’ho messo.” Si lasciò cadere sul letto e allungò una mano verso Adam, infilando le dita tra l’elastico dei boxer l’orlo della t-shirt.

Il co-pilota non lo respinse ma nemmeno lo incoraggiò ad andare avanti. Shiro si fece serio e si sollevò su un gomito. “Che cosa succede, Adam?”

“Niente…”

“Hai voluto tu che accettassi quel lavoro,” disse Shiro pazientemente. “Sono a casa. Sono con te. Che cosa sto sbagliando?”

Adam rise. Un suono sarcastico, privo di gioia. “Incredibile…” Disse. “Eppure un tempo ero io quello incapace nelle relazioni.”

Shiro strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile. “Mi trovi incapace?”

“Ti trovo distratto, Takashi,” rispose Adam freddamente. “Distante… Persino un ragazzino riesce a farti sentire qualcosa più di me.”

“Keith non centra nulla in questa storia.”

Lo difendi ma non neghi, pensò Adam. “No,” concordò. “Non centra niente.” Allungò la mano è spese la luce sul comodino. “Cerchiamo di dormire.”

Per un po’, ognuno rimase dalla sua parte del letto. Fu Shiro a non dichiarare la resa. Fu lui a farsi più vicino, a toccare Adam, a cercare di dimostrargli che era lì, al suo fianco e non sarebbe andato da nessuna parte.

E Adam non lo respinse, decise di dargli fiducia.

Per una volta nella sua vita, decise di credere all’impossibile.



Shiro non mi parlò mai della tensione tra lui e Adam.

Cominciai a nutrire dei sospetti a metà del tuo secondo anno alla Garrison, quando tu e Shiro…

Uhm… Forse non ti fa piacere ricordarlo.




“Shiro ha avuto un incidente con la hooverbike.” La voce di Keith suonò assurdamente calma dall’altra parte della linea. “È finito addosso a una parete di roccia. Non lo so… Non è riuscito a frenare. Ha cercato di cambiare direzione all’ultimo ed è caduto.”

Tutto quello che Matt riuscì a dire fu un: “arrivo subito,” prima di chiudere e di correre fino all’ala ospedaliera dell’Accademia.

Riprese a respirare solo quando vide Shiro seduto su uno dei letti del reparto di primo soccorso, la testa saldamente attaccata al collo e tutti gli arti al loro posto. Keith era con lui.

“Shiro!” Matt chiamò come un pazzo.

L’amico si voltò e gli rivolse subito un sorriso per rassicurarlo. “Va tutto bene, Matt.”

Il giovane Holt afferrò il pilota per le spalle e lo esaminò da vicino: aveva un brutto taglio sulla fronte e uno zigomo gonfio, nulla di più.

Matt prese un respiro profondo. “Hai deciso di farmi morire?”

“Sto bene,” ripetè Shiro con aria serena e l’altro si trattenne dal prenderlo a pugni. “Ho solo distrutto gli occhiali da pilota.”

“Potevi accecarti!”

“Sono caduto su un fianco. Ho una costola crinata ma passerà.”

“Potevi spaccarti la faccia! Lo sai che Iverson non può mandare avanti la baracca senza la tua faccia!”

Keith inarcò le sopracciglia con perplessità.

Shiro scoppiò a ridere. Si fermò immediatamente portandosi una mano all’addome. “Matt, ti prego, ridere mi fa male!”

Il giovane Holt lo ignorò e spostò lo sguardo sul ragazzino in piedi accanto al letto. “Tu stai bene?” Domandò preoccupato.

Keith annuì.

“Ti ho fatto prendere un brutto spavento,” disse Shiro con espressione desolata. “Scusami, Keith.”

“Tu non hai fatto niente,” replicò il cadetto con aria colpevole.

Matt non seppe spiegarsi il perché di quella espressione ma decise di rimandare le domande a dopo. “Dove devo firmare per farti uscire?”

Shiro divenne serio di colpo. “Devo aspettare il dottore.”

“Ma ti hanno già medica-” Matt comprese che non era l’incidente il motivo per cui il pilota aveva bisogno di vedere un medico.

Non è riuscito a frenare, aveva detto Keith.

Istintivamente, Matt abbassò lo sguardo sulla mancina dell’amico e si accorse che le dita erano chiuse a pugno.

Shiro si umettò le labbra. “Adam sta arrivando,” disse. “Vorrei che accompagnassi Keith fino alla sua stanza. Non voglio che torni da solo.”

Keith fece per obiettare. Matt gli strinse la spalla prima che ci riuscisse. “Nessun problema.”

Il cadetto scosse la testa. “Non possiamo lasciarlo qui da solo.”

“Non te lo ruba nessuno,” lo rassicurò Matt, circondandogli le spalle con un braccio. “Tu dovresti già essere a letto da un pezzo.”

“Ma-”

“Keith.” Shiro gli afferrò il polso gentilmente. “Io sto bene. Devo fare qualche test di routine e non è necessario che perdiamo il sonno in quattro per questo.”

Il cadetto abbassò lo sguardo, i pugni serrati. “D’accordo…”

“Ci vediamo domani,” gli assicurò Shiro facendogli l’occhiolino.

Keith annuì e lasciò che Matt lo guidasse fuori dall’ala ospedaliera.



“Certe volte Shiro sarebbe da prendere a schiaffi!” Esclamò Matt entrando nell’ascensore per accedere alle stanze dei cadetti. “Andare a correre con la hooverbike di notte! Ma dove ha la testa?”

Non si accorse del modo in cui Keith teneva la testa chinata, come se si vergognasse per qualcosa.

“Non è la prima volta che lo fa ma portare a che te…”

“Sono stato io,” confessò Keith, mentre le porte scorrevoli si richiudevano. “Sono stato io a chiedere a Shiro di uscire con le hooverbike di notte.”

Il silenzio che calò dopo fu pesante come un macigno. Matt boccheggiò come un pesce fuor d’acqua per un po’, poi si passò una mano tra i capelli con frustrazione e prese un respiro profondo. “Keith, non è colpa tua.”

Gli occhi viola del cadetto rimasero puntati a terra, nascosti dalla frangia di capelli corvini.

“Keith…” Matt gli strinse le spalle. “Shiro è un adulto. Se ha una cattiva idea, è abbastanza grande per affrontarne le conseguenze. Non sei tu a essere responsabile per lui, casomai il contrario!”

Keith si decise a sollevare lo sguardo ma la sua espressione diceva che le parole del giovane ufficiale non lo avevano nemmeno sfiorato. “Lo ha fatto per me,” insistette. “Shiro si è messo nei guai per me.”

Matt accennò un sorriso. “Mio caro Keith,” disse con tenerezza, “se riesci a convincere gli uomini a prendere decisioni sbagliate a quindici anni, ho paura del potere che avrai su di loro quando sarai un po’ più grande.”

Keith non comprese l’allusione. “Che cosa vuol dire?”

Matt chinò la testa stancamente. “Eccone un altro…”

Un altro cosa?”

“Keith…” Il giovane Holt lo fissò dritto negli occhi. “Hai un co-pilota? Te ne hanno già dato uno? Come si chiama?”

“Non me lo ricordo,” rispose Keith, sempre più confuso dal comportamento dell’altro. “Mi sembra si chiami Lance.”

“Ottimo! Mi raccomando, non innamorarti di Lance!”

Keith storse la bocca in un’espressione schifata. “Eh?” Ringhiò.

Matt gli diede una pacca sulla spalla. “Questo è lo spirito giusto!” Esclamò con euforia. “Tu sì che farai strada, Keith!”

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Capitolo 6
*** Kerberos ***


VI
Kerberos




“Questo è un bracciale che rilascia impulsi elettromagnetici,” spiegò il dottore, mentre un’infermiera sistemava il dispositivo intorno al polso di Shiro. “Per farla breve: costringe i muscoli a rispondere.”

Shiro mosse il polso per testare il peso del bracciale. Non era tanto pesante da dare fastidio e riusciva a nasconderlo facilmente sotto la manica della giacca. “Grazie,” disse con un sorriso cortese.

Adam era accanto al letto su cui era seduto. Era una presenza silenziosa e Shiro sentiva il peso del suo sguardo su di sé. Invece di rassicurarlo, la vicinanza del compagno lo angosciava.

“Non è una soluzione permanente, Shirogane,” disse il dottore con aria grave.

Shiro non smise di sorridere, abbassò solo lo sguardo. “Lo so…”




Adam rimase in silenzio fino all’indomani mattina.

Turbato dal suo silenzio, Shiro non aveva chiuso occhi ed era stato il primo ad alzarsi per preparare la colazione. Forse sarebbero riusciti a parlare di fronte un buon caffè.

E Adam parlò. Lo fece lentamente e in modo chiaro. “Chiederò a Iverson di sospenderti il permesso di guidare le hooverbike.”

Con la tazza calda stretta tra le mani, Shiro non rispose immediatamente.

“Sorvolerò sul fatto che hai portato un cadetto a correre nel deserto di notte.”

“Keith voleva vedere le-”

“Allora prenderà un richiamo.”

Shiro sbatté il pugno sul tavolo. “Adam!”

L’espressione del co-pilota era gelida. Prese un sorso del suo caffé. “Bene,” disse con voce incolore. “È ufficiale che basta minacciare lui per ottenere la tua attenzione.”

Shiro non credeva alle sue orecchie. “Ma che cosa ti sta succedendo?” Domandò. Non riconosceva il giovane uomo che aveva di fronte. Era lo stesso con cui era cresciuto insieme, eppure gli sembrava un estraneo.

Adam storse la bocca in un’espressione sarcastica. “A me?” La sua voce era veleno. “Vuoi sapere che cosa succede a me?” Appoggiò la schiena alla sua sedia, prese le distanze. “Io e te ci amiamo ancora, Takashi?”

Shiro non esitò a rispondere a tono. “Non lo so, tu non me lo hai mai detto.”

Adam non riuscì a rimenere indifferente a quelle parole. “Questo è ingiusto,” disse con rabbia a stento trattenuta.

Sì, lo era, Shiro ne era consapevole. “Non lo so se ci amiamo ancora,” disse. “So solo che non sei più felice con me.”

“Io sto cercando di proteggerti!”

“Tu mi stai rinchiudendo!” Replicò Shiro, alzandosi in piedi. “Non sono ancora morto, Adam, ma devi accettare che non c’è modo d’impedire che accada l’inevitabile.”

L’altro strinse gli occhi. “Takashi…”

“Non resterò immobile ad aspettare che quel giorno arrivi,” disse Shiro con fermezza. “Vivrò fino al mio ultimo respiro.” Si voltò, convinto a voler uscire da quell’appartamento prima che qualcos’altro si rompesse dentro di lui

C’era stato un tempo in cui Adam aveva avuto il potere di lasciarlo senza fiato. Ora lo soffoca e basta.

Shiro raggiunse la porta finendoci addosso. Adam era sempre stato più alto di lui, sebbene in modo impercettibile. Quando portò le mani ai lati della sua testa e gli impedì di andare da qualunque parte, a Shiro parve un gigante.

Si guardarono. Gli occhi di entrambi accesi dall’ira ma i loro visi erano così stanchi, troppo per la loro età.

Fu Adam a cominciare il bacio. Shiro rispose per abitudine, per sfida, non per tenerezza.

Non c’era spazio per sentimenti del genere, non più.

Non arrivarono in camera da letto.

Adam lo spinse sul divano con tutto il peso del suo corpo. Si strapparono i vestiti di dosso come se volessero lacerarsi la pelle a morsi.

Shiro costrinse Adam contro lo schienale e si mise a cavalcioni su di lui. Lo inchiodò con lo sguardo e l’altro non poté fare nulla contro il gelo di quegli occhi grigi. Fu irruento. Fece male ma il dolore si fuse così bene con l’eccitazione che Shiro lo accettò quasi volentieri.

Da quanto tempo non si toccavano con tanta passione?

Nessuno dei due ricordava più l’ultima volta che si erano cercati per qualcosa di più della semplice abitudine.

Di dolcezza, però, non ce ne era neanche l’ombra, solo rabbia.

Ad un certo punto, gli occhi di Adam tradirono una disperazione profonda, un riflesso del sentimento che un tempo li aveva uniti con tenerezza. Fu allora che Shiro chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro: non voleva vedere o capire, solo perdersi in quello che il mero sesso poteva offrire.

L’orgasmo fu travolgente, un’ondata di piacere totalizzante.

Quando i loro occhi s’incontrarono di nuovo, il fuoco si era spento ed entrambi erano ridotti in cenere.

Shiro se ne pentì immediatamente. Il senso di colpa addolcì la sua espressione ma era troppo tardi.

Adam si abbandonò contro lo schienale e lo lasciò andare, il viso rivolto verso la finestra per evitare il suo sguardo.

Scusami, avrebbe voluto dire Shiro. Si vergognava troppo per farlo.

Si rivestì senza preoccuparsi del calore bagnato che sentì scivolare lungo l’interno coscia. Quella fu la prima volta che scappò da qualcosa.



Keith era felice con il suo telescopio rosso stretto al petto. Sorrideva appena, in modo quasi impercettibile ma Shiro lo aveva notato ed era bastato ad alleggerire un po’ il suo cuore ferito.

Il suo telescopio, quello che sua madre gli aveva regalato quasi dieci anni prima, non era più riuscito a trovarlo. Un altro ricordo felice che si perdeva con l’ingresso nell’età adulta.

Lui e Matt avevano deciso di comprarne uno nuovo e di dire a Keith una bugia a fin di bene sulla sua provenienza. Se avesse saputo la verità, non lo avrebbe mai accettato.

Quando arrivò la notizia che una pioggia di asteroidi sarebbe passata sopra il deserto della Garrison, ai due giovani ufficiali parve la buona occasione per mettere alla prova il loro regalo.

“Presto!” Esclamò Matt, scendendo dal pick-up per primo. “Sta per cominciare e non durerà molto.”

Keith lo seguì a ruota, il telescopio tra le braccia. Dal posto guida, Shiro fu l’ultimo a scendere.

“Presto, Keith!” Matt aiutò il cadetto ad aggiustare il treppiedi a terra in modo che fosse stabile.

Shiro rimase accanto al pick-up. Il fenomeno sarebbe stato visibile anche a occhio nudo e non voleva che Keith fosse influenzato dalla sua malinconia.

Matt era euforico, spingeva Keith a chinarsi sul telescopio e lo riempiva d’informazioni scientifiche troppo complicate per chiunque non facesse passe della sezione scientifica. “Queste cose succedono una volta ogni cento… Ma no! Che dico? Duecento anni! Fammi dare un’occhiata!”

Keith si fece goffamente da parte e il giovane Holt prese possesso del telescopio. Il cadetto non sapeva mai come reagire di fronte all’esuberanza del giovane ufficiale, così portò gli occhi sull’unico membro del loro gruppetto che non si era lasciato coinvolgere dall’euforia.

“Ehi…” Disse, avvicinandosi al pilota seduto sul cofano del pick-up.

“Ehi,” rispose Shiro, accennando un sorriso.

Keith non aspettò che l’altro lo invitasse ad accomodarsi accanto a lui. Si sedette e sollevò gli occhi sul cielo attraversato da decine di stelle cadenti. “Deludente?” Domandò.

Shiro lo guardò. “Cosa?”

“Una volta stati lassù, tutto ciò che si vede restando con i piedi per terra è deludente, vero?”

Il pilota scosse la testa. “No,” lo rassicurò. “Il cielo è sempre bellissimo, Keith. Non smette mai di esserlo, non importa a quante missioni prendi parte. Anzi, ti faccio una confessione: alle volte, quando sono lassù, mi manca essere qui.”

Keith corrugò la fronte. “Non ci credo.”

“Invece sì,” affermò Shiro con un sorriso paziente. “Volare tra le stelle non ti permette di ammirarle in questo modo.” Sollevò lo sguardo verso il cielo. “I momenti migliori lassù sono quando esci dalla navicella con la tuta e hai qualche istante per guardarti intorno, prima che il dovere ti richiami all’ordine.”

“E com’é?” Domandò Keith, gli occhi viola brillanti come due stelle. “Com’è vedere il cielo da lassù?”

Shiro sorrise. “Ti fa sentire piccolo,” ammise, “ma non fa paura. Se guardi l’universo con gli occhi di un esploratore, quell’immensità è uno scrigno di misteri meravigliosi e non puoi che desiderare di svelarvi tutti.”

Keith sorrise. Un sorriso vero e non una timida smorfietta. “Mio padre diceva una cosa simile,” gli confidò. “Diceva che per ogni domanda che mi ponevo, le stelle avevano una risposta. Credo fosse una frase fatta solo per farmi stare zitto, ma lo diceva guardando il cielo in un modo…” Scrollò le spalle. “Quando gli domandai perché amava tanto la volta celeste, mi rispose: alle stelle devo te. Non aveva alcun senso, ma lui era così… Rivolgeva sempre lo sguardo verso l’alto come se fosse in attesa di qualcosa. Non ho mai avuto l’occasione di chiedergli cosa.” Scosse la testa. “Scusami, sto parlando troppo.”

Shiro sorrise con tenerezza e scosse la testa. “È bello sentirti parlare. Quando lo fai, so che sono riuscito a convincerti a fidarti di me.”

“Io mi fido di te!” Affermò Keith allarmato, come se temesse di aver dimostrato il contrario.

Shiro rise con gentilezza. “Lo so.” Gli circondò le spalle con un braccio e lo tirò più vicino a sé. “Un giorno volerai tra le stelle anche tu, Keith e da quella distanza ti accorgerai di quanta bellezza c’è su questo pianeta.”

Il cadetto s’imbronciò. “A me non mancherebbe niente della Terra.”

Shiro lo guardò divertito. “Nemmeno io?”

Keith sbatté le palpebre perplesso. “No, perché quando sarò lassù, tu sarai con me.”

Preso di sorpresa, Shiro si fece serio di colpo.

“Potrei cominciare come tuo co-pilota,” disse Keith. “Matt mi ha detto che non è impossibile, se i miei voti continuano ad essere quelli che sono. Potrei fare domanda dopo il diploma.” Guardò il pilota con fare incerto. “Tu lo vorresti?”

Sì, Shiro desiderava accompagnarlo fino in fondo sulla sua strada per divenire un vero pilota. Sì, voleva esserci la prima volta che Keith sarebbe uscito nello spazio aperto e avrebbe guardato le stelle come se non le avesse mai viste prima.

Shiro aveva bisogno di tempo per vedere Keith splendere come era destinato a fare. Voleva ammirare quella stella e poter dire con orgoglio di aver fatto qualcosa per farla arrivare fino al cielo.

Se Keith avesse realizzato il suo sogno, il passaggio di Shiro sulla Terra non sarebbe stato vano.

Un qualcosa di lui sarebbe rimasto, per sempre.

Quanto tempo mi resta? Shiro non lo aveva mai chiesto a se stesso perché sapeva che poi avrebbe reso quel quesito la sua ossessione. Aveva bisogno di saperlo. C’era solo una cosa che lo spaventava più della perdita della sua dignità e non era la morte, ma il pensiero di perdersi qualcosa d’importante.

Shiro non poteva perdersi quello che Keith sarebbe diventato.

Quanto tempo mi resta?

“Shiro?” Lo chiamò Keith. Il suo silenzio prolungato lo aveva turbato.

Shiro forzò un sorriso e mentì: “certo, Keith,” mormorò. “Ti prometto che un giorno voleremo tra le stelle insieme.”

E Keith sorrise felice.



Quando si allontanò dal cannocchiale, Matt non fu felice di accorgersi che aveva parlato da solo per una buona mezz’ora.



Alla fine del tuo secondo anno, Adam e Shiro stavano ancora insieme e nulla cambiò neanche durante l’estate. Penso che la tua presenza all’Accademia fu molto utile e detonizzare la situazione.

A quel punto, Adam aveva messo da parte le sue aspirazioni da pilota per dedicarsi completamente all’ingegneria spaziale.

Il suo interesse per le stelle era finito con Shiro. Si era convinto che non ci sarebbero più state missioni per lui.

Adam non aveva mai amato il cielo. Shiro era la sua unica ragione per volare.

Tolta quella, gli restò la sua intelligenza e il nome della sua famiglia da onorare – sebbene Adam avesse rinunciato anche a quella per amore di Shiro.

Non voglio mettermi a giudicare chi dei due fosse quello che amava di meno. Non credo ci sia una risposta, solo opinioni… E a cosa servirebbero? Nessuno di noi due ha vissuto il loro legame, la malattia di Shiro e la difficoltà di Adam di tenerlo accanto a sé.

In un modo o nell’altro, il loro tempo stava per scadere.

Kerberos non fu la causa della fine, fu solo il modo in cui la loro storia si concluse.




Nei corridoi della Garrison, si cominciò a parlare della missione su Kerberos tempo prima che s’iniziasse a scommettere sul nome del pilota che avrebbe compiuto l’impresa.

Adam non aveva mai preso parte a quelle conversazioni. Se Shiro era consapevole di quello che stava per accadere, non ne parlò con lui. Adam non se ne sorprese: a stento si rivolgevano parola guardandosi negli occhi.

Vivevano ancora insieme, dormivano nello stesso letto e, alle volte, giocavano a fare gli amanti. Innamorati non lo erano più.

Era inutile negare l’evidenza.

Da tempo, Adam aveva cominciato a sospettare che a tenerli insieme fosse solo il ricordo di quello che erano stati. Era troppo razionale per illudersi che ci fosse ancora un frammento di sentimento tra loro. Restavano il rimpianto e l’affetto, quello che non si poteva non provare per la persona con cui si aveva passato metà della propria vita.

Quando Iverson annunciò – a porte chiuse e in gran segreto – il progetto-Kerberos, qualcosa dentro Adam sussultò. Fu bravo a tenere quel timore per sé, ma tremava ogni volta che Shiro apriva bocca in sua presenza.

Lo fece anche il fatidico giorno in cui Shiro tornò dopo essere stato in riunione con Iverson e gli Holt. Prima di andare, gli aveva detto di non avere idea di quale fosse la ragione di quell’incontro.

Il silenzio che accompagnò il suo ritorno fu sufficiente a far intuire ad Adam la risposta.

“Va tutto bene?” Domandò, una tazza di caffé caldo tra le mani. Sapeva già che non avrebbe mai finito di berlo.

Alle sue spalle, Shiro si sedette sul divano con un sospiro stanco.

“Il Comandante Holt vuole me come pilota per la missione su Kerberos.”

Adam strinse le labbra e inspirò dal naso.

“Iverson non crede che sia la decisione giusta.” Concluse Shiro con tono grave.

Il desiderio nascosto nella sua delusione era evidente. Eppure, Adam ci provò. “Forse ha ragione,” disse. “È troppo rischioso per te.”

“Tu lo sai quanto è importante per me!” Ribattè Shiro con forza.

Sì, Adam lo sapeva. Lo aveva sempre saputo e non lo aveva mai accettato.

“È un rischio che vale la pena correre!”

Credere di poter essere qualcosa di più delle stelle era stato il suo primo errore.

In un eccesso di rabbia, Adam sbatté la tazza sul tavolo. “Takashi,” disse. “Quanto sono importante io per te? Qui non stiamo parlando di una missione, stiamo parlando della tua vita.”

“Non ricominciare,” disse Shiro esasperato. “Non ho bisogno che tu mi protegga.”

Adam chiuse gli occhi per un istante. Quando ho cominciato a sbagliare? Avrebbe dovuto chiedere. Quando hai cominciato a sentirti soffocare con me?

Non lo fece.

“Che cosa vuoi provare ancora?” Domandò, invece. “Hai battuto tutti i record che potevi battere?”

Si voltò. Shiro fissava il pavimento e non sembrava avere alcuna risposta per lui.

Che cosa devo fare per poter superare le stelle nel tuo cuore? Un’altra domanda che Adam non avrebbe mai posto. Avrebbe dovuto farlo anni prima, quando si era illuso di poter legare quell’astro splendente a sé e di divenire il suo cielo. A quindici anni non se ne era reso conto, ma aveva creduto all’impossibile ogni istante che aveva creduto di avere un futuro con Shiro

Era tardi per loro. Lo era da un po’ e la cosa più triste era che Adam non sapeva quando quel declino era cominciato.

Non poteva dare la colpa alla malattia di Shiro. Non poteva nemmeno biasimare il ragazzino che sembrava essere la sua stella gemella.

La colpa era loro, solo loro. Non valeva la pena nemmeno duellare su chi dei due fosse più colpevole.

“So che non posso fermarti.” Disse Adam, alzandosi in piedi. “Ma non ce la faccio a farlo di nuovo.” Gli occhi di Shiro erano su di lui. Adam fu un codardo: non sollevò il viso per ricambiare lo sguardo.

Fu lui a scrivere la parola fine.

“Se deciderai di partire, sappi che non sarò qui ad aspettarti quando tornerai.”

Shiro non si ribellò in alcun modo a quella sua decisione. Adam superò il divano costringendosi a tenere gli occhi fissi sulla porta.

Fino all’ultimo, pensò che Shiro lo avrebbe fermato, che non si sarebbe arreso. Era lui quello sempre pieno di speranza, quello del non arrendiamo con noi stessi.

Quando la porta del loro appartamento si richiuse alle spalle di Adam, Shiro non si era nemmeno disturbato a sollevare lo sguardo.



Shiro venne da me quella stessa sera.

Ricordo ancora come mi sentii quando aprii la porta e me lo ritrovai di fronte. Sorrideva con cortesia, come fa di solito quando qualcosa non va ma non lo vuole dare a vedere.

Aveva tutta la sua roba con sé e quando mi disse che tra lui e Adam era finita, mi crollò il mondo addosso.

Non guardarmi con quella faccia! Sì, non ho mai tifato per Sànchez ma lui è Shiro stavano insieme da una vita! La notizia non mi poteva scivolare addosso!

Se Shiro ci stava male – e ci stava – me lo nascondeva dannatamente bene. A dargli una mano furono i nostri doveri.

Una volta confermato l’equipaggio per la missione su Kerberos, Shiro si divideva tra te e l’addestramento di preparazione. Vivevamo nello stesso appartamento ma è difficile avere una conversazione a cuore aperto quando svieni non appena tocchi il letto.

Adam scomparve dalla circolazione. Qualcuno diceva che aveva aderito a dei progetti d’ingegneria spaziale lontano dalla Garrison, altri sostenevano che stava cercando di recuperare il rapporto con suo padre.

Lo confesso: non m’interessava molto.

Shiro stava andando avanti senza Adam e non poteva essere un processo indolore. Era mio dovere di amico appoggiarlo e non perdere tempo a spettegolare.

Io e Shiro non abbiamo mai più parlato di lui.

Non lo so… Davvero non lo so, Keith.

Come si fa ad essere tutto e poi divenire niente? L’amore fa paura, non trovi?

Prima del lancio, so che parlarono un’ultima volta.

Penso che, nonostante tutto, Adam avesse bisogno di dirgli addio.




Il garage dell’Accademia era buio ma c’era ancora una luce accesa nell’angolo officina.

Shiro era chino su quella vecchia hooverbike da un po’. Non era tra i suoi doveri occuparsi dei veicoli dell’Accademia, ma era un modo per tenersi occupato e liberare la testa da altri pensieri. Quando Keith era occupato con i suoi impegni da cadetto, quello era il suo modo per rilassarsi un po’.

Il rumore di una porta che veniva aperta riecheggiò contro le pareti del garage. Shiro sollevò la testa ma il buio gli impedì di vedere qualunque cosa oltre il vetro che divideva l’officina dai parcheggi.

“Keith?” Chiamò, poi sospirò. “Keith, non dovresti uscire dal dormitorio da solo a quest’ora.” Si voltò per rimettere a posto la chiave inglese.” Non ti serve un’altro richiamo dal Comandante Iver-.”

La voce gli morì in gola come la figura di un giovane uomo divenne più chiara man mano che si avvicinava.

“Ciao, Takashi,” disse Adam con voce pacata.

L’ultima volta che avevano parlato, si erano lasciati nel peggiore dei modi possibili. Eppure, complice un senso di nostalgia che forse non se ne sarebbe mai andato, Shiro gli sorrise. “Ehi…”

Adam restò sulla porta dell’officina, le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni.

“Come stai?” Domandò Shiro.

“Me la cavo,” rispose Adam.

“Ho sentito che gli ingegneri spaziali più anziani si sentono minacciati da te,” disse Shiro, recuperando la giacca nera da motociclista dalla sella della hooverbike.

“Qualche anno da pilota mi è stato utile,” disse Adam. “È più facile progettare qualcosa sapendo come la userebbe il miglior pilota della propria generazione.”

Shiro annuì e abbassò lo sguardo per un istante: era difficile guardare l’altro negli occhi e non sentire niente. “Ho sentito dire che lavori con tuo padre.”

Adam si umettò le labbra. “Sto cercando di recuperare qualcosa.”

“Mi fa piacere.” Shiro era sincero.

“E tu come stai, Takashi?”

Shiro non era certo esistesse una singola risposta a quella domanda. “Sono sulla strada su cui sono sempre voluto essere,” rispose con un sorriso malinconico. “Volerò fino ai confini del sistema solare e una nuova era dell’esplorazione spaziale avrà inizio.”

“Sarà un grande inizio,” disse Adam.

Shiro annuì. “Ci saranno nuovi cieli da esplorare per Keith,” disse, facendo il giro della hooverbike. “Per lui e per chiunque deciderà di volare con lui.”

“Ha già un co-pilota?” Chiese Adam.

La sua sua voce non tradiva particolare interesse, ma Shiro gli rispose ugualmente: “il suo co-pilota è finito nella classe dei cargo-pilot. Non è riuscito a stare al suo passo. Keith non è facile, sia da eguagliare che da capire.”

“Tu ci riesci.”

“Sì, io ci riesco. La considero una delle mie vittorie personali.”

“Non lo vedrai diventare un pilota.”

“Potrei tornare in tempo per il suo diploma o poco dopo. Vorrei poter tornare e portarlo immediatamente in missione con me…” Shiro prese un respiro profondo. “Spero di avere abbastanza tempo.”

Adam fissò la punta dei suoi stivali per un istante, poi si schiarì la gola con un colpo di tosse. “Volevo augurarti buona fortuna,” disse. “Che cos’è che ripeti sempre a quel ragazzino?”

“La pazienza porta concentrazione?”

“No, non citare gli Holt, ti prego.”

“A che cosa ti riferisci?”

“A quella che ti ripeteva tua madre quando eri bambino.”

Shiro sorrise. “Va’ e sii grande.”

Si guardarono negli occhi e per un attimo tornarono ad essere ragazzini.

“Sì, quella,” rispose Adam, accennando un sorriso. “Va’ a sii grande, Takashi.”

Quello che era per loro, però, lo avevano già fatto.

Shiro scosse la testa. “Tu non ci credi davvero.”

“Quello che credo io non importa,” replicò Adam. “Non più.” Strinse le labbra, esitò. “Nessun rimpianto?”

Shiro non smise di sorridere. “No, Adam.”

L’ingegnere annuì. “È il tuo sogno,” disse, aveva perso il coraggio di guardarlo negli occhi. “È giusto così.”

Non si toccarono. Nessuno dei due provò a esaurire il metro scarso di distanza che c’era tra loro. Non c’era più una ragione per farlo o, al contrario, ce ne erano troppe e nessuno dei due poteva rimettere tutto in discussione.

“Ciao, Takashi.”

“Ciao, Adam.”

Fu l’ultima volta che si videro.
 

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Capitolo 7
*** Per Sempre ***


VII
Per sempre
 


-Oggi-
[Da qualche parte nel sistema di Daibazaal] 


Mentre Matt finiva di raccontare, Keith teneva lo sguardo basso.

“Il resto, come si suol dire, è storia,” concluse il giovane Holt nella proiezione olografica sospesa sul pannello di controllo del Black Lion. “Keith, mi stai ascoltando?”

Il Paladino sollevò lo sguardo. “Sì, scusami.”

Matt allargò le braccia. “Pensi di poter dire qualcosa a me?” Domandò. “Ti ho raccontato tutta la storia e ancora non so il perché.”

La risposta giaceva priva di sensi sul retro del Leone e Keith non era certo che fosse il caso d’informare Matt. Anche lui aveva una storia da raccontare ma era troppo recente perché potesse parlarne senza farsi male.

Prima di farlo, doveva vedere come sarebbe andata a finire.

“Dovevo…” Il giovane Galra si umettò le labbra. “Mi serviva quella parte di lui che non ho mai potuto conoscere.”

Nella proiezione, Matt inarcò un sopracciglio. “Adam?”

Keith annuì. “So che è arrogante ma io mi sono lasciato alle spalle tutto ciò che è accaduto prima di Shiro,” confessò. “Alcune volte dimentico che lui ha avuto un passato di cui non faccio parte.”

Matt lasciò andare uno sbuffo divertito. “Ti stavi veramente crucciando per questo? Shiro non ha un passato che lo tormenta, Keith. Non ha lasciato nulla in sospeso sulla Terra… A parte la conclusione della missione su Kerberos, ma per quella siamo da biasimare in tre!” Sospirò. “Chi lo sa? Un giorno torneremo tutti sulla Terra e allora dovrò raccontare la vostra di storia.” Il pensiero lo divertì. “Dopo un’infanzia e una fanciullezza passate a credere fermamente nell’esistenza degli alieni, Matthew Holt ne incontra uno nella mensa della Galaxy Garrison grazie all’amico di sempre, Takashi Shirogane. C’è solo un problema: nemmeno l’alieno sa di essere tale.” Si fece immediatamente serio. “Che diavolo! Un’altra storia che posso raccontare ma che non mi appartiene! Anche con voi io ero solo… . È ufficiale, devo trovarmi una ragazza!”

Keith non rise alla battuta. I suoi occhi viola fissavano il vuoto e la sua espressione informò il giovane Holt che aveva perso interesse in ciò che diceva. Non se la prese, sospirò e provò a indagare più a fondo. “Ti andrebbe di raccontare una storia a me?” Domandò.

Keith sollevò lo sguardo. “Che storia?”

“La storia di quello che è successo dopo,” rispose Matt. “Noi siamo partiti e per cinque mesi è stato tutto bello. Che cosa è successo in seguito?”

Keith non ricordava il servizio al telegiornale. Era stato Iverson a pronunciare le cinque parole che avevano segnato la fine della sua fanciullezza.

“Missione fallita. Errore del pilota.”

“Sono stato espulso sei settimane dopo che la notizia di Kerberos è divenuta di dominio pubblico,” disse Keith. “Non ho molto da-”

“Non hai risposto alla mia domanda di prima, ” lo interruppe Matt. “Tu e Adam non vi siete più visti dopo quella volta in mensa? In sei mesi e mezzo non vi siete mai incrociati? ”

Keith prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, indeciso se rispondere o meno.


 
-1 anno, 6 mesi e mezzo e un paio di Deca-Phoeb prima-
[Terra, Accademia Galaxy Garrison] 


Keith cominciò a nascondersi nel vecchio appartamento che Shiro aveva diviso con Matt appena due settimane dopo la loro partenza.

Nessuno se ne accorse.

Il suo compagno di stanza era tanto felice di averlo fuori dai piedi che non si disturbò mai a denunciare la cosa agli insegnanti.

Dopo che Shiro aveva lasciato l’appartamento suo e di Adam per andare a vivere con Matt, Keith aveva ricevuto un duplicato della tessera d’identificazione per aprire la porta.

“Vieni quando vuoi,” aveva detto Shiro, prendendo la sua mano tra le proprie. “Ogni volta che ne hai bisogno.”

Dopo il lancio, nessuno era venuto da Keith a chiedergli di restituire la chiave elettronica, così l’aveva tenuta nascosta e aveva continuato ad usarla ogni volta che sentiva la necessità di prendersi una pausa dal mondo.

L’appartamento era rimasto vuoto, ovviamente, in attesa che i suoi legittimi proprietari facessero ritorno. Alle volte, Keith fantasticava di trasferirsi lì senza permesso – il suo compagno di stanza non avrebbe avuto nulla da obiettare.

Tuttavia, sapeva che era solo un pensiero. Aveva promesso a Shiro che sarebbe divenuto un pilota per il suo ritorno e per riuscirci non doveva in nessun modo cacciarsi nei guai.

Introdursi in quella stanza era l’unico atto ribelle che si era concesso. Restare in compagnia dei suoi compagni di classe sarebbe stato pericoloso. Era al terzo anno, ormai, era troppo tardi per farsi degli amici.

La solitudine era la migliore amica in cui Keith potesse sperare. Era bravo a evitare che gli ufficiali si accorgessero di lui: anni passati a fuggire di nascosto dall’orfanotrofio erano serviti a qualcosa, oltre che a fargli guadagnare la sua pessima fama.

Se lo avessero beccato, Keith non aveva idea di quali conseguenze ci sarebbero state. Senza dubbio, gli ufficiali l’avrebbero definita una violazione della proprietà privata e magari avrebbero avanzato la teoria che si era introdotto in quell’appartamento per rubare qualcosa.

C’era anche il furto tra i suoi precedenti.

Sarebbe servito a poco mostrare loro che possedeva una copia della chiave: primo, doveva essere una copia non registrata – opera di Matt –; secondo, non si sarebbero fatti scrupoli ad accusarlo di aver fatto lui stesso il duplicato. Poco importava che Keith non avesse la minima idea di come fare.

Il più grande reato che Keith aveva compiuto in vita sua era stato rubare la macchina di un giovane ufficiale della Garrison – quella di Shiro –, ma Matthew Holt aveva un potenziale criminale di tutt’altro livello.

Poco importava.

Se fosse rimasto troppo là fuori, insieme agli altri, Keith non sarebbe mai riuscito a tenersi fuori dai guai. Se doveva rischiare, tanto valeva farlo lontano dagli occhi di tutti.

In sua difesa, non faceva niente di male in quell’appartamento. Portava con sé il materiale da studiare, si sedeva sul letto di Shiro e faceva del suo meglio. All’ora di cena si presentava in sala mensa, andava in camera a farsi una doccia e non era mai in ritardo alle lezioni.

Perché chiunque si sarebbe dovuto interessare a dove e come passava il suo tempo libero?

Di fatto, non accadde. Eppure, a tre mesi e mezzo dal giorno del lancio, qualcuno lo colse sul fatto.

Meglio, fu lui a cogliere sul fatto Adam.

“Tu che cosa ci fai qui?” Domandò il giovane ufficiale.

Keith non fu in grado di rispondergli.

Aveva aperto la porta, aveva trovato le luci della cucina accese e si era ritrovato l’ingegnere davanti. Nessuna via di fuga e nessuna spiegazione valida da dare.

“Ti ho fatto una domanda, cadetto,” insistette Adam.

Nessuno lo chiamava cadetto, nemmeno Iverson.

Keith si umettò le labbra. “Ho la chiave,” si giustificò, sollevando la tessera identificativa.

Adam inarcò un sopracciglio, poi sospirò. “Fammi indovinare: Holt.”

Keith non aveva idea di cosa ci fosse da indovinare.

L’ingegnere gli fece segno di entrare con la mano. “Avanti, prima che qualcuno se ne accorga.”

Keith ubbidì e la porta si richiuse.

Adam incrociò le braccia contro il petto e poggiò la schiena al bancone della cucina. “Allora?” insistette. “Mi vuoi dire che ci fai qui o devo fare rapporto?”

Keith non si fece trovare impreparato una seconda volta. “Sei qui anche tu,” gli fece notare. “E so che non hai un duplicato. Devi aver preso una delle due originali.”

Adam gli rivolse una smorfia sarcastica. “Io non sono Takashi, ragazzino,” lo avvisò. “Non rivolgerti a me come se fossi tuo amico.”

Keith capì l’antifona. “Chiedo scusa, sir.” Strinse i pugni.

“Per la cronaca,” aggiunse Adam. “Se qualcuno ti consegna il duplicato della chiave della sua casa, non significa che puoi entrarvi quando non c’è nessuno.”

Ancora una volta, Keith fu tentato di sottolineare che anche lui stava facendo la medesima cosa ma ritenne più saggio tenere la bocca chiusa. Era vero: Adam Sànchez non era suo amico.

Non c’era nessuna ragione per cui non sarebbe dovuto andare da Iverson e denunciarlo. Keith, però, non era uno stupido: se non lo aveva già fatto, c’era qualcosa di quella situazione che lo incuriosiva. “Avvicinati,” ordinò Adam.

Keith non si mosse di un passo.

“Coraggio, spostati davanti a me.”

Il cadetto non poté rifiutarsi. Si sottopose al giudizio degli occhi di Adam senza abbassare lo sguardo.

L’espressione dell’ingegnere assunse sfumature che il più giovane non seppe come interpretare: sembrava divertito e, al contempo, malinconico.

“Due anni e mezzo e non sei più un bambino,” disse. “Eppure, non sei ancora un uomo.”

Keith non sapeva come interpretare quel commento, così rimase in silenzio.

“Arrogante…” Aggiunse Adam.

“Non ho detto niente, sir.”

“Non hai bisogno di dire qualcosa, Keith,” replicò il giovane ufficiale. “Mi basta guardarti negli occhi. Non c’è nemmeno un briciolo di rispetto nel modo in cui mi guardi.” Sospirò. “Ti dico quello che dissi a Takashi quando aveva più o meno la tua età: sei il migliore, impara a nascondere quello che provi o tutti sapranno dove attaccare.”

“So difendermi, sir.”

“Difenderti come fai ti porterà solo all’espulsione,” disse Adam. “Fatti più furbo. Torniamo a noi, che cosa stai facendo qui?”

“Niente…” Rispose Keith con la stessa voce incolore dell’altro. “Sono qui e basta, senza nessuna ragione.”

Adam lo fissò. Gli credette ma c’era una verità tra le righe che voleva portare a galla a tutti i costi. “Ti manca così tanto?”

Keith venne preso di sorpresa da quella domanda, ma fu bravo a non mostrare nulla. “È qui perché manca anche a lei, sir?”

Le labbra di Adam si piegarono in un sorriso che sapeva di sfida. “Bravo,” disse. “Non mi aspettavo niente di meno dalla stella di Takashi.”

Keith avrebbe voluto dire che la storia della stella era tutta opera di Matt, ma a cosa sarebbe servito? Adam non gli aveva permesso di restare per fare conversazione.

“Iverson ti tiene aggiornato sugli sviluppi della missione?” Domandò l’ingegnere.

Fosse stato un po’ più grande, Keith non sarebbe caduto nella tela del ragno così velocemente. Era solo un sedicenne, però, e l’assenza di Shiro gli stava spezzando il cuore.

Adam capì di aver vinto nel vedere quegli occhi viola farsi grandi e brillanti di speranza. Tuttavia, la vittoria non lo fece sentire meglio.

“Sta bene?” Era tutto quello che Keith voleva sapere.

Il viso di Adam tornò a essere inespressivo. “Sono informazioni riservate, cadetto.”

Keith ingoiò a vuoto. “Ma se fosse successo qualcosa, lo verrebbero a sapere tutti, no?”

“Non è così semplice,” spiegò Adam. “Ci sono informazioni che possono essere divulgate, alcune vengono evitate di essere dette e poi ci sono quelle create per nasconderne delle altre. È pur sempre una missione governativa.”

“Portata avanti da delle persone,” sottolineò Keith. “Persone che hanno qualcuno che li aspetta.”

Ad Adam non piacque particolarmente quell’accostamento di parole. La ragione gli suggeriva che Shiro non poteva aver raccontato niente di loro due a quel ragazzino, ma il cuore gli ricordava che Keith era stato quello capace di rubargli un’infinita quantità di tempo con il suo compagno.

Non c’era un modo gentile di metterla: Shiro aveva preferito Keith in molte occasioni e tempo prima che lui e Adam raggiungesse il loro punto di rottura.

“Shiro ha solo i suoi nonni in vita. Sono anziani e non so quanto sappiano di quello che sta accadendo al loro unico nipote,” disse Adam. “Potrebbero non essere più qui quando tornerà.”

Keith non esitò a scoprire tutte le carte. “Ma ci sarò io,” disse con una spontaneità quasi commuovente.

Adam, però, era troppo cinico per dare valore a quei sentimenti infantili. “Non trattenere il fiato, Keith,” disse. “Non farlo, non per Takashi. Aspettandolo, potresti soffocare senza rendertene conto.”

Solo allora Keith abbassò lo sguardo ma per il tempo di un respiro. “Vorrà dire che lo aspetterò solo questa volta,” disse. “Poi andrò con lui.”

Adam inspirò dal naso. “Tu sai di non avere tutto quel tempo con lui,” gli disse. “Non perdere di vista la realtà, Keith. Non credere nell’impossibile.”

Non fare come me.

Keith, però, non era divenuto la stella di Shiro per niente. “Anche quello che lui sta facendo era considerato impossibile,” replicò. “E ora stiamo tutti guardando il cielo in attesa che torni.”

Fu il turno di Adam si abbassare lo sguardo ma trovò alla svelta un modo per avere l’ultima parola. “La chiave elettronica,” ordinò, allungando la mano. “Consegnamela e nessuno saprà niente.”

Keith sgranò gli occhi e fece per obiettare.

“Ti ho detto di farti furbo, Keith,” disse Adam.

Il cadetto lo fulminò con lo sguardo. Gli consegnò la tessera senza dire ah. Aveva fatto una promessa a Shiro e se quello era il prezzo da pagare, lo avrebbe accettato.

 

-Oggi-
[Da qualche parte nel sistema di Daibazaal]


“No,” mentì Keith. “Adam non aveva ragione di frequentare noi cadetti. Era il più giovane Comandante del reparto d’ingegneria e non aveva tempo da perdere con i ragazzini.”

Keith non era mai riuscito a dire una bugia in modo efficace. Era troppo istintivo, troppo spontaneo. Portava le emozioni scritte in faccia e questo gli rendeva difficile qualsiasi recita.

Matt comprese che non gli stava dicendo la verità nel momento in cui aprì bocca. “E così Sànchez è riuscito a battere un record da qualche parte. Comandante più giovane della sezione ingegneri.”

Keith trattenne il fiato per un istante e sentì le guance colorarsi un poco. Si era tradito alla prima bugia. Shiro e Matt erano partiti mesi prima che Adam divenisse un Comandante e non c’era ragione per cui un cadetto dovesse essere informato della notizia.

“Sai…” Matt sorrise con gentilezza. “Mi sono sempre chiesto perché ti hanno espulso.”

Keith abbassò lo sguardo. “C’eri quando finivo sempre nell’ufficio di Iverson e Shiro era l’unico a difendermi.”

Matt annuì.

“Shiro non c’era più,” concluse il Paladino. “E io non ero in grado di mantenere la promessa che gli avevo fatto. Tutto qui.”

Matt ridacchiò. “Non ti credo, Keith.”

“Non ho mai amato la Garrison e lo sai,” insistette il più giovane. “Senza nessuno che mi tenesse a freno, non sono-”

“Ma smettila!” Lo interruppe Matt divertito. “Saresti morto per mantenere la promessa fatta a Shiro, a meno che…” Tornò serio di colpo. “Oh… Non avevo pensato a quell’evento.”

Keith si umettò le labbra e si costrinse a sollevare lo sguardo. “Non ho mai visto l’annuncio ufficiale del fallimento della missione,” raccontò. “Iverson, ovviamente, lo sapeva da giorni e fu abbastanza furbo da chiudermi in un simulatore nella stessa ora in cui la notizia divenne pubblica.”

Matt non se ne sorprese. “Aveva paura che scoppiassi.”

“Ho perso la testa,” confermò Keith. “Mi portarono nell’ufficio di Iverson, mi raccontarono la stessa storia che raccontarono a Pidge e a tua madre… E persi la testa.” Prese un respiro profondo. “Errore del pilota. Avevano scelto il capro espiatorio sbagliato… Non ci avrei mai creduto, Matt. Mai.”

“Abbiamo fatto rapporto quando siamo atterrati,” disse Matt. “Non potevamo esserci schiantati. Dovevano darsi una spiegazione, Keith e rapimento alieno non era sulla lista.”

“Hanno distrutto la memoria di Shiro,” sibilò Keith.

“Lo so.” Matt annuì. “E tu che cosa hai fatto? Iverson mentiva, tu eri un ragazzino sconvolto e nessuno ti avrebbe ascoltato. Non potevi andare alla ricerca di prove da solo come mia sorella. Immagino che tu abbia chiesto l’aiuto di qualcuno.”

Keith lo guardò ma non rispose immediatamente. “Doveva ascoltarmi,” disse in un mormorio. “Se aveva amato Shiro, doveva ascoltarmi per forza…”


 
-1 anno e un paio di Deca-Phoeb prima-
[Terra, Accademia Galaxy Garrison] 



Keith aveva cercato Adam per settimane.

Non si era fatto scrupoli a chiedere di lui a chiunque, anche a Iverson.

“Lascia in pace i miei uomini, ragazzino,” lo aveva avvertito il Comandante. “L’errore peggiore che puoi compiere è credere di essere l’unico ad aver perso qualcuno nella missione Kerberos.”

No, Keith non aveva una simile superbia. Sapeva che Matt aveva una madre e una sorella minore, che Samuel Holt era amato e rispettato da molti.

Quello che Keith non poteva accettare era che la vicenda umana di Shiro si concludesse in quel modo.

Errore del pilota.

Non poteva essere andata così, si rifiutava di crederlo e sapeva che Adam era l’unica persona alla Garrison che lo avrebbe ascoltato. Se aveva amato Shiro, doveva ascoltarlo.

“Lo so che sei qui dentro!” Urlò Keith battendo il pugno contro la porta dell’appartamento di Shiro e Matt. “Adam! Non puoi continuare a evitarmi!”

Perché lo stava facendo fin dal giorno dell’annuncio. Keith era arrivato fino agli edifici della sezione d’ingegneria per chiedere di lui e l’altro si era sempre fatto negare.

“Adam!” Keith diede un calcio alla porta chiusa. “Adam, devi ascoltarmi!”

L’edificio doveva essere vuoto o qualcuno sarebbe già intervenuto per portarlo via e magari buttarlo fuori a calci.

“Adam!” Keith appoggiò la fronte alla porta chiusa. “Non puoi essere come loro,” mormorò stancamente. “Non tu.”

Un distinto rumore di passi all’interno dell’appartamento spinse Keith a fare un passo indietro. La porta sparì dentro la parete e Adam comparve di fronte a lui. “Smettila di urlare,” ordinò. “Entra…”

Il cadetto non se lo fece ripetere due volte. “Adam, devi scoprire che cosa è successo,” era troppo agitato per ricordarsi che l’altro non amava farsi dare del tu da lui. “Continuano a mentire. Continuano a dire che è stata tutta colpa di Shiro. Non possiamo permetterlo!”

Adam attraversò la zona giorno del piccolo appartamento e si fermò di fronte alla grande finestra che dava sul deserto. Le luci degli altri edifici erano l’unica cosa ad illuminare la stanza.

“Adam,” chiamò Keith con urgenza. “Mi stai ascoltando?”

L’ingegnere prese un respiro profondo e si voltò. “Prima di tutto, parleremo di questa cosa ora è poi non lo faremo più,” disse gelido. “Devi smetterla di cercarmi, Keith. Devi smetterla con questo tuo delirio in fretta, se non vuoi che ci siano delle conseguenze pesanti.”

Keith aggrottò la fronte. “Adam, dicono che Shiro ha provocato lo schianto che ha ucciso lui, Matt e il professor Holt. Stanno infangando il suo nome.”

Adam incrociò le braccia contro il petto. “Stanno dicendo la verità, Keith,” disse, sforzandosi di essere paziente. “La missione Kerberos è fallita per un errore del pilota. Si ipotizza uno schianto e la conseguente morte di tutti i membri dell’equipaggio.”

Keith lo fissò con sgomento. “Come fai a dirlo come se lo credessi davvero?” Domandò. “Come puoi restare così calmo?”

Adam affondò le unghie della mancina nel proprio braccio ma, a causa del buio, il cadetto non se ne accorse. “Non è nella mia natura credere a cose impossibili,” disse. “La tua speranza lo è. La tua ricerca della verità è completamente inutile, la conclusione non cambierà: Shiro ha fallito e il suo fallimento ha messo fine alla sua vita e a quella di altre due persone.”

Keith scosse la testa. “Non puoi davvero credere che Shiro…”

“Era malato, Keith,” disse Adam. “Era malato e non sarebbe mai dovuto partire.” Qualcosa s’incrinò nella compostezza di Adam. “Se soltanto mi avesse ascoltato…”

Il cadetto inspirò profondamente dal naso. “Hai sentito la registrazione dello schianto?”

“Cosa?”

“Sei un Comandante ora, no? Se volessi, potresti…”

“Pensi che voglia sentire la registrazione degli ultimi istanti di vita di Takashi?”

Quelle parole furono come un pugno nello stomaco per Keith. Ingoiò a vuoto e si fece coraggio. “Se fosse necessario…” Strinse i pugni. “Se fosse necessario per scoprire la verità su di lui, io-”

“Smettila, Keith!” Il pugno di Adam si abbatté contro la vetrata alle sue spalle con tanta forza che il cadetto di sorprese di non vederla andare in pezzi. “Takashi non tornerà… Non importa che cosa ti ha promesso! Non importa in cosa credeva e se noi credevamo in lui, Takashi è morto! Non è più da nessuna parte! Puoi aspettarlo tutta la vita o cercarlo fino ai confini dell’universo, non servirà a niente!”

Non è vero. Keith strinse i pugni e non lo disse. Non è vero.

“Takashi è morto come voleva morire!” La rabbia aveva avuto il sopravvento su Adam e non si preoccupò di suonare crudele. “È morto tra le stelle, perché erano le sole cose che riusciva ad amare! Io ero niente… Tu eri niente per lui. Ti ha abbandonato, Keith… Ti ha messo da parte proprio come ha fatto con me…”

Se Keith fosse stato un po’ più grande, avrebbe compreso la disperazione delle parole di Adam e non si sarebbe fatto trascinare nel suo vortice di dolore.

Se Keith fosse stato un po’ più grande, sarebbe stato certo del fatto che Shiro non lo aveva lasciato di proposito.

Se… Se… Se…

Keith aveva sedici anni e troppe ferite aperte nel cuore per preoccuparsi di quelle che facevano sanguinare Adam.

Il pugno che gli diede fu tanto forte che gli spaccò sia il naso che gli occhiali.
 
-Oggi-
[Da qualche parte nel sistema di Daibazaal]


“Cazzo…” Fu tutto quello che Matt riuscì a dire.

Keith non credeva di averlo mai sentito imprecare prima di allora.

“Ti ha colpito dove faceva più male, gli hai dato un pugno e ha anche avuto il coraggio di denunciare la cosa a Iverson?”

Suo malgrado, il Paladino sorrise un poco. “Sei di parte, Matt.”

“Sono un adulto! Se sputo veleno contro un ragazzino di sedici anni, non mi aspetto che questi cominci a ragionare!”

“Sai che non funziona così…”

Il giovane Holt sbuffò. “Non ho parole,” disse. “Immagino non abbia avuto nemmeno il coraggio di guardarti mentre ti portavano via.”

Keith non rispose. Lanciò un’occhiata verso il retro buio del Black Lion. “Devo andare, Matt.” Disse e si alzò in piedi

Il ribelle si agitò sulla sua sedia. “Ehi, Keith, aspetta!”

“Grazie per avermi raccontato tutto,” disse il Paladino poggiando la mano sul pannello di comando. “Pidge ti contatterà a breve e ti spiegherà ogni cosa.”

“Keith, aspe-”

Il Galra interruppe la comunicazione e l'ologramma sparì da sopra il pannello di comando. C’era ancora luce fuori. Non doveva aver parlato per così tanto tempo da quanto gli sembrava.

Scosse la testa: il sole non era una prova sufficiente, non sapeva come funzionavano i cicli in quel sistema.

Mentre si spostava sul retro del Black Lion, Keith pensò solo che si sentiva terribilmente stanco. Alimentata dall’energia del leone, vi era una medical pod lì dietro e il giovane uomo al suo interno dormiva serenamente.

Allura non aveva ancora detto niente ma Keith aveva capito che se non si era ancora svegliato, qualcosa non stava andando nel verso giusto.

Dopo che la Principessa aveva recuperato la sua coscienza dal piano astrale, Shiro aveva recuperato i sensi solo per pochi istanti, poi si era addormentato tra le sue braccia, sfinito.

La situazione si era fatta allarmante quando Keith si era reso conto che il suo respiro non era regolare.

Ora, i segni vitali erano buoni ma non ottimali. La medical-pod lo teneva in vita ma non riusciva a rimediare alla situazione.

Keith appoggiò entrambe le mani sul vetro della capsula. “L’ultima volta che ho chiamato il tuo nome, mi hai risposto da un’altra dimensione,” disse. “Puoi farlo ancora una volta? Shiro? Shiro…”

“Nessun cambiamento?”

Gli occhi viola del Galra si sollevarono: era Allura.

“No,” rispose, riportando lo sguardo sul viso addormentato di Shiro. “È stupido pensare che si sveglierà soltanto perché chiamo il suo nome.”

La Principessa si avvicinò. “Non è stupido,” disse. “Ti ha sentito in un’altra dimensione. Sono certa che può sentirti anche ora e che sta lottando per risvegliarsi. Dobbiamo solo aspettare…”

Keith storse la bocca in una smorfia. “Sì, sono abituato ad aspettarlo.”

Allura gli strinse la spalla. “Questa è l’ultima volta, Keith, te lo prometto.”

Il giovane Galra non credeva che lei potesse fare una simile promessa, ma non glielo disse. “Ehi…” Si rivolse all’uomo addormentato nella capsula. “Continua a combattere, Shiro. Continua a combattere… Io sono qui, non mi arrendo.”

Allura sorrise.

Se Keith doveva aspettare ancora, lo avrebbe fatto.

Se necessario, lo avrebbe aspettato per sempre.

 
-Nello stesso momento-
[Terra, Accademia Galaxy Garrison]


Tutto sommato era stata una giornata tranquilla.

“Prendi Adam,” disse l’infermiera, consegnando al pilota una confezione di pillole. “Usale con buon senso. Sono antidolorifici molto forti.”

Adam Sànchez annuì ma l’aveva ascoltata solo a metà: il sole era tramontato senza che nessun attacco Galra si verificasse, ma era stata una lunga giornata.

“Il dolore all’addome sta migliorando?” Domandò la giovane donna.

Adam annuì. “Faccio fatica a dormire una notte intera ma sta migliorando.”

L’infermiera sorrise. “Grazie per quello che fai. Per quello che fate tutti voi piloti.”

Quelli come lui non erano i soli da ringraziare. Se potevano ancora volare, lo dovevano anche agli ingegneri, agli informatici e a tutti quelli che erano i figli della Galaxy Garrison.

“Dovere.” Fu l’unica risposta di Adam.


Adam Sànchez era tornato a volare dopo che l’invasione era cominciata. Era stata una necessità, una questione di vita o di morte. Iverson aveva avuto bisogno di tutti i piloti a sua disposizione per fare fronte alla minaccia, compresi quelli non ancora diplomati.

Era stata una scelta difficile, contro tutti i principi in cui il Comandante credeva. I Galra non avevano avuto alcuna pietà e non avevano lasciato loro altra scelta che difendersi con tutto quello che avevano.

I primi attacchi erano stati i peggiori. Adam aveva smesso presto di cercare di ricordare i nomi di chi volava con lui o di contare quanti ne cadevano ogni volta.

Erano in guerra e avevano dovuto abituarsi alla morte in fretta.

Per tornare a volare era dovuto tornare alla Garrison e quella era stata la parte peggiore.

Adam era fuggito da quel posto anni prima, dopo l’espulsione di Keith Kogane e la cerimonia funebre per i membri dell’equipaggio della missione Kerberos. Adam non era riuscito a rimanere all’Accademia in cui aveva passato la sua fanciullezza. Si era riscoperto incapace di restare in un posto in cui ogni angolo gli ricordava Shiro, compreso il deserto.

Sì. Adam era fuggito, si era rifugiato nei suoi progetti d’ingegneria e in qualche tiepida relazione per scacciare la noia. Non aveva cercato altro che sesso in quelle relazioni e nessuna era durata abbastanza per essere pericolosa. Nessuno si era mai fatto male.

In realtà, Adam non era mai guarito del tutto dalla ferita che il suo primo amore gli aveva inflitto. Lo aveva negato a se stesso per tanto tempo, fino a che Iverson non aveva chiamato in una notte di primavera come tante altre.

“È ancora vivo.” Aveva detto il Comandante.

Nessun nome, nessuna spiegazione. Adam non ne aveva avuto bisogno, il suo cuore si era fermato lo stesso.

“Vieni immediatamente.”

Adam non aveva aspettato il sorgere del sole per eseguire l’ordine.

Quando era arrivato alla Galaxy Garrison, non aveva trovato quello che Iverson gli aveva promesso.

“Qualcuno ci ha ha attaccati. Non sappiamo dove sia e tre cadetti sono scomparsi!” Era stata la spiegazione del Comandante.

Ad Adam non era importato. “Voglio vederlo…”

Iverson aveva sospirato. “Abbiamo i video ma… Adam…”

“Voglio vederlo!”

Lo avevano accontentato e dopo non si era sentito meglio.

“Che cosa gli è successo?” Aveva domandato guardando con orrore la cicatrice sul viso di Shiro e il braccio artificiale.

Nessuno aveva saputo rispondergli.

Avevano cercato e cercato e cercato. Alla fine, l’Accademia aveva dovuto denunciare la scomparsa di tre cadetti ma nessuno aveva fatto il nome di Takashi Shirogane.

“Non sappiamo come spiegarlo,” aveva detto Iverson. “Non possiamo far uscire quell’informazione da qui.”

“E smetteremo di cercare?” Aveva domandato Adam, fuori di sé.

Iverson non gli aveva risposto.



Se di lì a poco non fosse cominciata l’invasione, Adam avrebbe lasciato la Galaxy Garrison per non farvi più ritorno. Il suo senso del dovere lo aveva costretto a restare, a combattere ma non aveva più rivolto la parola a Iverson.



Quando la guerra era cominciata, Adam aveva fatto una cosa senza senso: si era trasferito nella stanza numero 87 del dormitorio maschile, quella che era stata sua e di Shiro negli anni più belli della loro vita. Per qualche ragione che non aveva saputo spiegarsi, lo spazio tra quelle quattro mura era la cosa più simile a casa che avesse.

Lui e Shiro erano stati felici lì. Non c’era altro luogo in cui Adam sarebbe voluto tornare.

Alla fine di quella giornata stranamente pacifica, Adam si distese sul letto sotto la finestra con ancora la divisa addosso e prese più antidolorifici di quelli che avrebbe dovuto.

Non era la prima volta che lo faceva e sapeva di non correre alcun rischio.

Era solo molto stanco ed era consapevole che il dolore alla costola non lo avrebbe fatto dormire se non si fosse stordito.

Il suo ragionamento non era molto diverso da quello di un tossico ma il suo mondo era destinato a finire. Non c’era un futuro di cui preoccuparsi, gli era rimasta solo una voce nella testa che continuava a ripetere sempre le stesse parole: “non ti arrendere.”

“Tu la fai facile,” borbottò alla stanza vuota. “Non sei qui.”

Aprì gli occhi e ciò che vide contraddisse le sue parole.

Takashi Shirogane era lì, seduto sul suo letto, con i capelli ancora corvini e nessun segno a deturpargli il volto.

Adam non sapeva se era un effetto collaterale delle pillole o solo la pazzia che avanzava. Era ancora abbastanza lucido per sapere che ciò che vedeva non era reale, ma era troppo disperato per scacciare via quell’unica occasione di sentirsi meno solo.

“Perché non mi hai dato ascolto?” Glielo domandava ogni volta.

“Potrei chiederti perché non mi hai mai detto che mi amavi,” replicò l’illusione con un sorriso gentile.

“Non sono mai stato il tipo, Takashi. Preferivo dimostrartelo.”

“Lo so.”

“Ci riuscivo?”

“Sì, ci riuscivi.”

Adam si aggiustò meglio sul letto e il dolore alla costola gli spezzò il respiro.

“Piano…” Mormorò Shiro.

Adam si maledisse per non essere abbastanza pazzo da immaginare quelle mani su di sé. Gli mancavano. No, Shiro gli mancava tutto. Aveva cercato di dimenticarlo e si era ritrovato a cercarlo in altre bocche, in altri corpi.

Non aveva funzionato.

“Perché?” Domandò. “Perché non riesco a togliermi il ricordo di te dalla testa?”

Shiro gli sorrise tristemente. “Vorresti dimenticare, Adam?”

“No. Vorrei poter ricordare senza avere l’impressione di essermi strappato da solo un arto o un’altra parte di me... Ma tu non ci sei. Non ci sei più da tanto tempo, Takashi.”

L’illusione sospirò. “Conosci la sindrome dell’arto fantasma?”

Adam ripensò al braccio artificiale che aveva visto in quel video. “Sto cercando di liberarmi di quel fantasma,” rispose. “Del tuo fantasma.”

“Non posso essere un fantasma se sono vivo, Adam.”

“Se non sei qui, non è detto che tu sia vivo.”

“Se fossi rimasto con te, sarei morto da molto tempo.”

Adam non accettò quella replica. “Se ti avessi seppellito io, forse sarei riuscito ad andare avanti.”

Shiro scosse la testa. “Ne sei sicuro?” Domandò. “Questo è troppo crudele anche per te.”

“Potevo affrontarlo, Takashi. Potevo starti vicino e non hai voluto.”

“Non è questo che ti fa star male.”

“No, hai ragione,” disse Adam con un sorriso isterico. “Ti ho lasciato andare perché non riuscivo a vivere con l’angoscia di aspettare l’inevitabile. Non potevo lasciarti partire e passare ogni giorno a chiedermi se saresti tornato.”

“Lo facevi a ogni missione, no?”

“I confini del sistema solare sono una meta un po’ più complicata da raggiungere di Marte.”

“E a che cosa è servito, Adam?” Domandò Shiro. “Tu mi stai ancora aspettando, non è così?”

Adam non avrebbe risposto a quella domanda ad anima viva, ma il giovane che aveva davanti era solo un’immagine nella sua testa. “Sì...” Ammise. “Sì, Takashi, ti sto aspettando ancora.” Sorrise amaramente. “Tutti quegli inutili tentativi di dimenticarti e, alla fine, credo che ti aspetterò per sempre.”

“Attento, Adam Sànchez.” Shiro gli sorrise come se avessero ancora quindici anni e il loro amore fosse più splendente di tutti gli astri nel cielo. “Lo sai che neanche le stelle durano per sempre?”

Adam gli sorrise debolmente, gli occhi socchiuse. “Sei stato l’unico che è riuscito a convincermi a credere nell’impossibile, Takashi.”

Cadde in un sonno senza sogni.

Al suo risveglio, nessuno sarebbe stato al suo fianco.

Adam Sànchez si sarebbe alzato e avrebbe continuato a combattere per la Terra. Anche se la ragione gli suggeriva che non avevano alcuna speranza di vincere contro i Galra, Adam non si sarebbe arreso. Per un giorno ancora, avrebbe aspettato.

Shiro era tornato a casa una volta e se era ancora vivo, non li avrebbe abbandonati ora che avevano più bisogno di lui.

“La Terra ti sta aspettando,” avrebbe detto Adam al sole appena sorto. “Rendi l’impossibile possibile ancora una volta, Takashi.”

 
Fine



***
Note di chiusura:

Ebbene, eccoci qua. È stato un viaggio breve ma intenso.
Questo progettino mi ha tenuto compagnia e mi ha fatto tanto bene sotto molteplici punti di vista. Spero che abbia allietato anche l’attesa di qualcun altro. Mancano poche ore…
Oltre a ringraziarvi per essere arrivati fino a qui, vi auguro buona visione e buon viaggio.
Ci rivediamo al punto di arrivo!



 

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