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Autore: Ode To Joy    05/08/2018    1 recensioni
[!!!SPOILER S7!!!]
In seguito al salvataggio di Shiro dal piano astrale, Matt si ritrova a raccontare a Keith una vecchia storia che non gli appartiene ma di cui, suo malgrado, ha fatto parte.
E di cui, a sua insaputa, il giovane Galra ha scritto la fine.
"Adam non era la persona adatta per Shiro... Ma questo non gli impedì di averlo."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Holt Matt, Kogane Keith, Takashi Shirogane
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Note introduttive:

L’isteria è l’unica scusa con cui riesco a giustificare questa folle impresa. Questo è quello che succede quando si ha un gran bisogno di sfogarsi in modo più o meno costruttivo e il SDCC ti da l’occasione buona per farlo.

Chiunque non sia a conoscenza degli spoiler della S7 rilasciati durante il comicon e voglia continuare a restare all’oscuro, questo è l’ultima occasione per fare marcia indietro e non tornare mai più (o fino a dopo l’uscita della stagione in questione).

Per tutti gli altri, questa è la mia versione molto personale e molto basata sul niente della storia tra Shiro e Adam con Matt come voce narrante (e della mia coscienza).

Un capitolo al giorno fino al 10 di agosto (ancora non so se compreso o meno).

Buon countdown e buona lettura!












 
I

Stelle





Comunicazione video dalla base ribelle del sistema Paynus

ID: M. Holt






Bene… Eccoci qua.

La trasmissione sembra buona. Riesci a sentirmi chiaramente?

Ottimo…

Io non so perché sto facendo questa cosa. Lo so che abbiamo già affrontato questa fase e che ho detto sì. Ho accettato di raccontarti tutto e di aiutarti in qualsiasi cosa tu stia cercando di fare.

Tuttavia, mi sfugge il senso logico. Perché adesso? Perché dopo tutto quello che è successo? Perché a me?

Ah, certo… L’ultima domanda è abbastanza stupida.

Se non io, chi altri?

Non l’ho nemmeno mai raccontata a nessuno questa storia.

In realtà… Non avrei nemmeno ragione di raccontarla, dato che non è la mia. Io ero solo… Lì.

Per tutto il maledettissimo tempo – un decennio circa, se vuoi saperlo –, Matthew Holt era lì.

Sì, immagino che tu non abbia davvero nessun altro a cui chiedere e, aggrappandomi all’affetto che provo per te, assolverò al mio compito come richiesto. Anche se io non… Non importa, ti ho dato la mia parola e lo farò, parlerò!

Ma questa non è la mia storia!

Io ne faccio solo parte e anche tu, quindi… Forse non c’è nulla di moralmente sbagliato a parlarne ora.

Poco logico ma non moralmente sbagliato. Direi che è accettabile.

Vuoi che sia preciso? Perché questa non è la mia storia ma ho un tipo di memoria molto… Insomma, non vorrei che tu possa pensare che io aspetti di raccontare questa vicenda da chissà quanto tempo! Perché no! No! Assolutamente no!

Quando mi hai contattato mi è sfuggito anche un: “Adam, chi?”

Chi era Adam? Nemmeno ricordo esattamente quando…

Va bene, la pianto.

All’incirca - ripeto, circa- otto anni e mezzo prima del lancio per Kerberos, avevamo quattordici anni ed eravamo la nuova generazione di cadetti dell’Accademia Galaxy Garrison.

Era la fine dell’estate e l’aria condizionata nei dormitori sembrava aver esalato l’ultimo respiro proprio per il nostro arrivo. Per citare il vecchio Iverson: sembrava di stare in una stalla.

Lance sarebbe morto dopo due minuti, tu avresti dato fuoco all’edificio pensando che fosse la cosa più giusta da fare e Hunk e mia sorella si sarebbero voltati con discrezione, fingendo di non essere mai stati lì.

Ma noi no! Noi eravamo felici di essere dove eravamo e, tutto sommato, la vita era bella.








 
-10 anni e un paio di Deca-Phoeb prima-

[Terra, Accademia Galaxy Garrison.]









Shiro non aveva mai sudato così tanto in vita sua.



“Puzzo come un maiale!” Esclamò il suo amico Matt.



“Cerca di starmi dietro,” disse Shiro con pazienza, passando di continuo gli occhi grigi dalla tessera stretta tra le sue dita ai numeri scritti in arancione accanto alle porte.



L’impresa non era così semplice come poteva apparire. L’aria era irrespirabile. C’erano ragazzi seduti a terra in ogni dove e i loro averi erano stipati alla male e peggio contro le pareti del corridoio già stretto di suo.



Quelli a cui non era ancora stata assegnata una stanza non si erano fatti scoraggiare dall’attesa. Non si poteva fare un passo senza incontrare un gruppetto intento a giocare a carte, a dadi o a qualsiasi altra cosa.



“Ma l’era dei videogame è finita?” Si lamentò Matt, finendo con il piede in mezzo a una partita a poker. “Ci scommetto quello che vuoi che dalle ragazze non c’è tutto questo casino!”



Shiro lo ascoltava solo a metà, intento ad assicurarsi che i numeri arancioni accanto alle porte stessero andando in ordine crescente. Sarebbe stato già difficile percorrere quel corridoio a mani libere, farlo con tutti i loro averi in spalla era quasi peggio di una prova di resistenza fisica.



“Ma perché tutti gli anni ci riduciamo così?!” Sbottò il Comandante Iverson.



Shiro alzò la testa per vederlo venir trascinato da una corrente di studenti che si muovevano nella direzione opposta.



“Morrison! Fai aggiustare questa maledetta aria condizionata!” Aggiunse con il pugno sollevato.



Shiro non aveva idea di chi fosse Morrison ma era certo che avrebbe avuto una giornata peggiore della loro. “Ci siamo quasi, Matt,” rassicurò l’amico, asciugandosi il sudore sulla fronte con la manica della felpa.



Matt farfugliò qualcosa in risposta che Shiro non si disturbò a tradurre. Quando vide il numero 87 scritto accanto all’ennesima porta uguale a tutte le altre, Shiro sorrise come se fosse stato il primo uomo a raggiungere la luna a piedi. “Ci siamo!”



Posò il chip della tessera sullo scanner e il passaggio si aprì. Matt lo superò con una falcata disperata. “Non so chi ringraziare ma grazie!”



Shiro rise, guardandolo gettarsi sul primo letto che trovò sul suo cammino a quattro di spade. I bagagli ancora addosso.



“Così ti fai male!” Shiro lo liberò dal borsone che gli schiacciava la schiena e si sedette sul secondo letto della stanza, quello sotto la grande finestra.



Matt voltò il viso quel tanto che bastava per guardarlo. “Non mi muoverò di qui per il resto della mia vita.”



“Dobbiamo disfare i bagagli,” ribattè Shiro, togliendosi gli stivali. Fu come togliere i piedi da un braciere. “E dobbiamo farci una doccia. Non possiamo presentarci a cena in queste condizioni.” La felpa gli aderiva addosso come una seconda pelle ed era una sensazione sgradevole a dir poco.



Matt sollevò la testa dal letto, gli occhiali storti sul naso. “Dobbiamo rifare tutto il percorso al contrario per andare a cena,” notò. “Faremo schifo in ogni caso.”



“Speriamo che ognuno sia nelle propria stanza per l’ora di cena.” Shiro si voltò verso la grande finestra. Mancava almeno un’ora al tramonto e la luce era abbagliante, il paesaggio meraviglioso.



“È bellissimo, vero?” Domandò con un sorriso entusiasta.



Matt scrollò le spalle. “Lo conosci questo deserto. Giocavamo qui quando eravamo bambini e tua madre lavorava con mio padre.”



“Sì, ma è diverso!” Esclamò Shiro, sollevando gli occhi grigi sul cielo azzurro. “Adesso basta giocare…” Aggiunse a bassa voce, quasi stesse parlando a se stesso.



“Ma l’altro?” Domandò Matt



Non comprendendo a che cosa si riferiva, Shiro inarcò le sopracciglia e si voltò verso di lui. Notò che guardava qualcosa nell’angolo opposto della camera e Shiro seguì la linea del suo sguardo. Il terzo letto della stanza, quello più lontano dalla finestra, era già stato occupato da qualcuno. Il ragazzo non era lì, ma i suoi bagagli sì.



“Strano che non lo abbiamo incontrato nell’atrio durante l’assegnazione,” disse Shiro.



“Strano che non sia ancora lì fuori ad arrancare.” Matt si alzò dal suo letto con un saltello, come animato da nuova vita.



Shiro lo guardò attraversare la stanza. “Ehi! Ehi! Che fai?” Si agitò, quando vide l’amico curiosare tra i bagagli sul terzo letto.



“Uhm…” Matt si limitò a prendere la targhetta di uno dei borsoni tra le dita. “Adam… Si chiama Adam.”



Shiro gli afferrò il polso è lo invitò gentilmente a farsi indietro. “Che ti prende? Non si tocca la roba degli altri.”



Matt storse la bocca. “Avrò il sudore di almeno dieci persone sconosciute addosso, più il tuo. Ho dimenticato la civiltà all’aeroporto!”







No, non incontrammo Adam quel pomeriggio.

Non uscì dal bagno fresco di doccia, con la sua t-shirt bianca pulita ed i capelli castani ancora umidi. No, non accadde.

Perché quella che ti sto raccontando è una storia vera, non l’ultimo di una lunga generazione di teen-drama che non hanno nulla di diverso l’uno dall’altro.

Dopo la doccia, tornammo ad essere presentabili e, per la gioia di tutti noi, Morrison aggiustò l’aria condizionata.

Quella sera, nessuno di noi indossava ancora la divisa.

Solo quelli dal secondo anno in poi erano vestiti da cadetti.

Chiunque non portasse addosso quell’orribile cosa bianca e arancione non solo si sentiva terribilmente esposto, ma cercava anche di farsi il più piccolo possibile.

Shiro non era un’eccezione.








“È lui quello che ha battuto il record al simulatore durante il test di ammissione…”



Shiro non si voltò a scoprire chi stava parlando. Chiunque lo stesse facendo non si stava impegnando a non farsi sentire e lui non voleva dare corda alle provocazioni ancor prima dell’inizio delle lezioni.



Per l’inaugurazione del nuovo anno scolastico, la Garrison faceva cenare tutti i cadetti nella grande Sala degli Ufficiali. Di norma, era riservata solo alle occasioni importanti ma era l’unico spazio abbastanza grande da permettere di suddividere le tavolate a seconda degli anni di corso. Gli ufficiali e i professori sedevano in fondo alla sala, in modo da poter vedere tutti i giovani che, con un po’ di fortuna, avrebbero fatto compiere all’umanità un passo in avanti nell’esplorazione spaziale.



Shiro si consolò pensando che non ci sarebbero state molte altre occasioni di essere esposto al giudizio degli studenti più grandi.



Il confronto non lo spaventava, quello onesto e costruttivo e dubitava che i ragazzi che ridacchiavano alle sue spalle fossero interessati a quel genere di rapporto.



“Non sentirti a disagio. ” Disse Matt al suo fianco, sebbene fosse il primo a tentare di sparire contro lo schienale della sua sedia. “Parlano tanto perché si sentono minacciati… E hanno ragione a esserlo.” Lanciò un’occhiata storta al tavolo dietro al loro e la sua espressione fu comica.



Suo malgrado, Shiro ridacchiò.



“Ci trovi qualcosa di divertente, ragazzo prodigio?”



Shiro si voltò più per istinto che per volontà. Cinque ragazzi del tavolo del secondo anno lo fissavano storto, come se li avesse offesi in qualche modo.



“Ridevo con il mio amico,” disse semplicemente.



Quello che doveva essere il capo branco - un tipo con i capelli rossi e le lentiggini - lo guardò fisso. “Di noi?”



Shiro scosse la testa. “No…”



Matt allungò il braccio sotto il tavolo e afferrò il polso dell’amico. “Lascia stare…” Mormorò.



“Perché a me sembrava di sì,” disse il tizio dai capelli rossi.



Shiro inarcò le sopracciglia. “Posso assicurarti che non è così.”



“Ehi… ” lo richiamò Matt, quasi scivolando dalla sua sedia e sotto il tavolo.



“Mi stai provocando, vero?” Insistette il cadetto più grande.



Shiro comprese che ragionare con quelle persone era inutile. Si voltò, i pugni stretti e gli occhi grigi fissi sulla superficie del tavolo.



Matt gli stringeva ancora il polso e lo guardava con la coda dell’occhio. Gli chiedeva scusa in silenzio per non poterlo aiutare.



“Ehi, ma Shirogane non è uno dei cognomi che compare nella sala dei trofei e nell’aula museo?” Domandò qualcuno del gruppetto, non quello con i capelli rossi.



Matt sgranò gli occhi e guardò Shiro. L’amico fissava il tavolo di fronte a sé come se volesse perforarlo con lo sguardo. Per natura, Shiro non era aggressivo ma a quattordici anni aveva già le sue ferite e non si poteva ordinare a un ragazzino di non provare dolore.



“Adesso che mi ci fai pensare…” Ricominciò il lentiginoso dai capelli rossi. “Compariva una Shirogane nella sala dedicata a Marte. Non è un cognome comune da queste parti. Ecco svelato il segreto del ragazzo prodigio: è figlio di mammina!”



Shiro scattò in piedi. Matt strinse gli occhi come se si stesse preparando allo scoppio di una bomba.



Non accadde nulla.



Il giovane Holt impiegò un lungo minuto a trovare il coraggio di sollevare lo sguardo e scoprire il motivo di tutto quel silenzio.



Nel preciso istante in cui Shiro aveva deciso di reagire, un altro cadetto del primo anno era passato dietro la sua sedia e si era involontariamente frapposto tra lui e il gruppetto del secondo anno.



“Qualcosa non va?” Domandò il ragazzo in questione. Era alto quanto Shiro ma aveva la pelle più scura e portava gli occhiali.



Matt non conosceva il suo nome ma per il modo in cui riuscì a disinnescare la situazione con la sua sola presenza, pensò di dovergli un favore. Col senno di poi, si sarebbe rimangiato tutto.



Shiro si calmò all’istante, si ricordò di dove era e quanto era alta la posta in gioco. “No…” Rispose con voce calma, gli occhi grigi ancora grandi per la sorpresa di essersi ritrovato quel giovane a un palmo dal naso.



Il nuovo arrivato indicò la sedia vuota accanto a Shiro. “Posso?” Domandò con educazione ed evidente distacco.



“Certo,” rispose Shiro, tornando al suo posto.



Mentre il ragazzo senza nome si sedeva, Matt lanciò un’occhiata veloce a quelli del secondo anno. Il tipo dai capelli rossi era tornato a rivolgere loro la schiena, come se non avesse mai parlato.



Il giovane Holt inarcò le sopracciglia ma si tenne le sue domande per sé.



“Mi chiamo Takashi.” Shiro si presentò al ragazzo con gli occhiali, porgendogli la mano destra. “Takashi Shirogane. Gli amici mi chiamano Shiro.”



L’altro passò lo sguardo dalla mano di Shiro al suo viso, animato da un sorriso amichevole. Matt si chiese se fosse perplesso dal gesto in sé o dal suo significato.



“Adam…” Rispose infine il ragazzo con gli occhiali con voce incolore. Incrociò le braccia sul tavolo e si guardò intorno.



Shiro rimase lì con l’espressione imbarazzata e la mano sospesa a mezz’aria. Matt gli diede un pizzico sulla gamba per spingerlo a tornare in sé.



Shiro sobbalzò esageratamente e le sue ginocchia picchiarono rumorosamente sotto il tavolo. Questo gli fece guadagnare un’occhiata incuriosita da metà del tavolo dei nuovi cadetti.



Il tipo con gli occhiali, Adam, lo squadrò con un sopracciglio incaricato ma tornò presto a ignorarlo.



“Scusate…” Mormorò Shiro, le guance rosse.



“Per cosa ti stai scusando?” Domandò Adam, come se gli avesse dato fastidio.



Shiro lo guardò confuso. “Per aver fatto… Rumore?”



“Me lo stai domandando?”



Matt si massaggiò la fronte stancamente e cercò di ripensare a quando lui è Shiro erano arrivati all’aeroporto e avevano creduto di aver imboccato la strada per la realizzazione di tutti i loro sogni.



Tutto era sembrato incredibilmente facile allora… Non erano passate nemmeno ventiquattro ore e già andava tutto storto.



Shiro provò ad affrontare l’imbarazzo con la gentilezza. “Da dove vieni?” Domandò. “Io sono cresciuto tra gli Stati Uniti e il Giappone e-”



“So chi sei,” lo interruppe Adam senza guardarlo. Non aggiunse altro.



Shiro comprese che non era sua intenzione fare conversazione e tornò a fissare il tavolo di fronte a sé.



Matt si chiese se gli ufficiali ci avrebbero messo ancora molto prima di entrare, fare i loro grandi discorsi e permettere loro di cenare. A rispondergli furono le tavolate mezze vuote intorno a lui.



Perché Shiro aveva insistito tanto per arrivare in anticipo?



Perché Matt aveva pensato fosse una buona idea?



Perché le loro madri avevano perso tempo a dare loro un’educazione?



Mentre Matthew Holt rimetteva in discussione i suoi quattordici anni di esistenza e Shiro fingeva che il tipo di nome Adam accanto a lui non fosse una statua di ghiaccio, la loro tavolata cominciò a riempirsi.



“Ma tu sei Adam Sànchez!” Esclamò uno dei nuovi arrivati.



Più tardi, Shiro e Matt avrebbero scoperto che il suo nome era Oliver e che il suo entusiasmo per essere stato ammesso alla Garrison era pari alla sua ingenuità.



In quel momento, però, entrambi portarono gli occhi sul ragazzo con gli occhiali e il viso inespressivo.



“Non posso credere di sedere insieme a un Sànchez!” Esclamò Oliver, accomodandosi sul lato opposto del tavolo.



“È un cognome comune,” disse Adam.



“Ma esiste una sola famiglia Sànchez nella storia della Galaxy Garrison!” Insistette Oliver.



In quanto figli di ufficiali, Shiro e Matt lo sapevano bene. Sànchez non era un cognome comune in quel posto, ma il titolo di una lunga storia che parlava di eccellenza e grandi imprese.



Adam Sànchez era come loro. Shiro e Matt erano figli della sezione scientifica, però, e i loro nomi non saltavano all’occhio come quello dell’erede di una dinastia di esploratori spaziali.



“Tuo padre ha partecipato alla costruzione del primo insediamento su Marte,” intervenne Shiro con un sorriso sognante. “Mia madre ha lavorato per mettere insieme il progetto.”



Matt gli lanciò un’occhiataccia, tanto per ricordargli che il signor Sànchez si era rifiutato di rivolgergli la parola appena un istante prima.



A differenza che con Oliver,  Adam si disturbò a voltarsi per guardare in faccia il ragazzo che gli era seduto accanto. “Ho già detto che so chi sei, Shirogane.”



“Shirogane!” Esclamò Oliver con espressione estatica. “Quel Shirogane?”



Il numero di occhi che si voltarono a guardare Shiro fu tale che Matt prese in considerazione l’idea di brandire la sua forchetta come arma.



“Sì,” Shiro arrossì di nuovo, un timido sorriso sul volto. “Il mio non è un cognome comune.”



“Tu hai battuto il record alla prova di ammissione col simulatore!” Esclamò il ragazzino accanto ad Oliver.



In un batter d’occhio, tutta la tavolata dei novellini si strinse intorno a Shiro. Nessuno di loro dimostrò l’aggressività dei ragazzi del secondo anno o l’antipatia di Adam.



Shiro rispose educatamente a tutte le loro domande. Il rossore non scomparve mai dalle sue guance ma i suoi occhi grigi tornarono a brillare per l’entusiasmo.



Matt prese un respiro profondo e decise che l’aria era tornata respirabile.



“La Dottoressa Shirogane era nella divisione scientifica, vero?” Domandò una ragazzina carina con i capelli biondi. “Vuoi entrare nel campo della ricerca spaziale anche tu?”



Shiro scosse la testa. “No, io voglio essere un pilota,” ammise. “Voglio diplomarmi come fighter. È sempre stato il mio sogno divenire esploratore spaziale e viaggiare tra le stelle.”



“Ridicolo…” Borbottò Adam a bassa voce.



Shiro smise di sorridere e lo fissò. L’altro non ricambiò lo sguardo ma ormai l’entusiasmo era andato in pezzi.



Matt assottigliò gli occhi e decise che Adam Sànchez era il vincitore della serata per antipatia.



“Tutti ai vostri posti, cadetti!” Tuonò Iverson entrando nella sala, seguito dai suoi colleghi ufficiali.



I ragazzi del primo anno tornarono ai loro posti, ma Shiro non allontanò lo sguardo dal profilo di Adam per un altro po’.



Quando tutti furono seduti, Iverson cominciò: “benvenuti alla Galaxy Garrison…”







“Adam Sànchez, quattordici anni, nato il 27 gennaio…”



“Che cosa stai facendo?” Domandò Shiro.



Erano nell’ascensore per tornare nella loro stanza e Matt stava trafficando con il suo tablet da quando si erano alzati da tavola.



“Raccolgo informazioni su Adam Sànchez,” rispose distrattamente. “Per valutazione generale è secondo solo a te, sai?”



Shiro sgranò gli occhi e gli tolse l’apparecchio di mano. “Stai leggendo le nostre schede?”



Matt corrugò la fronte. “Non le nostre, la sua!” Le porte dell’ascensore si aprirono e riprese il suo tablet tra le mani. “Ha più un profilo da ingegnere che da pilota ma visto il suo risultato ai test di pilotaggio, potrebbe divenire qualcosa tipo…” Ci pensò. “Co-pilota e responsabile ingegnere. Cavolo, vorrei divenirlo io.”



“È illegale entrare nel database dell’Accademia,” disse Shiro guardandosi intorno, ma il corridoio era completamente vuoto. “E tu non volevi essere un ufficiale della sezione di ricerca come tuo padre?”



“Sì, ma se fossi tuo co-pilota, le ragazze sarebbero tutte mie,” ribatté Matt. “Quelle guardano i piloti, non i topi da laboratorio.”



Shiro alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva. “Metti via quella roba, non siamo solo io e te in questa stanza.” Come aveva fatto quel pomeriggio, passò la tessera sullo scanner e la porta si aprì.



“Giusto!” Matt mise il tablet in stand-bye. “Il terzo coinquilino.”



Shiro fu il primo a lanciare uno sguardo al letto nell’angolo. I bagagli erano spariti: tutto doveva essere stato sistemato al proprio posto.



“È l’uomo invisibile?” Domandò Matt.



Shiro scrollò le spalle. “Almeno è ordinato.” Si sedette sul suo letto e rivolse lo sguardo al cielo. “Wow… Guarda come si vedono le stelle nel deserto.”



“Come si sono viste negli ultimi quattordici anni, Shiro,” disse Matt, appoggiando la schiena alla parete e tornando a leggere i file che aveva hackerato. “Cavolo… C’è un Sànchez in ogni impresa spaziale degna di nota dell’ultimo mezzo secolo. Se mi mettessi a fare una ricerca approfondita-”



“Pensi che ci faranno uscire qualche volta?” Domandò Shiro, senza smettere di guardare il cielo trapunto di stelle.



“Ricordo che i cadetti avevano il permesso di uscire in giorni precisi,” rispose Matt, prendendo atto del fatto che Shiro non lo stava a sentire. “Certo, si può sempre uscire di nascosto. Sai che si può.”



Shiro ridacchiò. “Non possiamo parlare d’infrangere le regole ancor prima d’iniziare le lezioni.”



“Sei tu che vuoi uscire fuori a tutti i costi per vedere le stelle.”



Shiro si alzò dal suo letto e si lasciò cadere su quello dell’amico. “Non siamo qui per questo?”



“No, io sono qui per gli alieni!” Esclamò Matt.



Risero insieme.



“Adesso lo dico per scherzo ma un giorno proverò che esiste una forma di vita intelligente là fuori.” Matt abbandonò il tablet sul cuscino. “E se non intelligente, in via di sviluppo. Ci deve essere qualcosa là fuori e noi, mio caro Shiro, siamo destinati a provarlo al mondo!”



Shiro incrociò le braccia dietro la testa e guardò il soffitto come se fosse il cielo stellato. “Domani sarà solo il primo passo, Matt,” disse. “Finalmente… Il primo passo…”



Matt sollevò la mano a mezz’aria fingendo di reggere qualcosa tra le dita.



L’altro inarcò le sopracciglia. “Che cosa stai facendo?”



“Fino a che non sarà legale, immagina che sia una bottiglia di birra,” spiegò Matt.



Shiro imitò il gesto è fecero finta di fare un brindisi. “Alle stelle.”



“Alle stelle.”



Stretto quel patto, scoppiarono a ridere per la loro stessa idiozia.



Il rumore di uno sciacquone che veniva tirato lì fece irrigidisce entrambi. La porta del bagno adiacente si aprì e Adam Sànchez ne uscì fresco di doccia, con i capelli castani ancora umidi e l’asciugamano intorno al collo.



Lanciò ai due coetanei una breve occhiata, poi attraversò la camera e recuperò gli occhiali dal comodino.



Ammutoliti, Shiro e Matt lo guardarono prendere una felpa dal suo armadio e indossarla.



Mentre usciva dalla camera da letto, gli occhi di Adam incrociarono per un istante quelli Shiro. Non disse una parola, se ne andò e basta.



Matt rimase a bocca spalancata per un lungo minuto. “Non è successo davvero,” disse. “Queste cose non succedono nella realtà, vero?”



Shiro continuò a fissare la porta chiusa e non rispose.





E così fu.

Come nel peggiore teen-drama di sempre.

Adam Sànchez arrivò nella nostra… Nella vita di Shiro senza chiedere il permesso e in modo altrettanto silenzioso ci rimase.

Restava in camera con noi solo il tempo necessario e non parlava a meno che non fosse assolutamente costretto. Non penso di averlo mai visto coricarsi o svegliarsi la mattina.

Lo lasciavamo in sala mensa e lo ritrovavamo in classe direttamente il giorno dopo. Non ci capitò più nemmeno d’incrociarlo mentre usciva dal bagno… Anche se dubito ne avesse particolare bisogno, dato che se ne andava in giro come se avesse un palo su… Questo non avrei dovuto dirlo.

E Shiro… Ah! Shiro! Qualcosa di Adam doveva averlo toccato in malo modo. Non penso si siano mai parlati senza litigare per almeno metà del primo anno ma, nonostante questo, Shiro insisteva.

Non era da lui attaccar briga e con Adam era una certezza.

Se poi devo essere del tutto sincero, non litigavano neppure. Tu e Lance litigate! Io e mia sorella abbiamo litigato spesso!

Loro si scambiavano opinioni contrastanti con fermezza e gelida calma. Erano inquietanti da guardare.

Non c’era modo d’intervenire perché, di fatto, nessuno dei due perdeva il controllo ma tutti li ascoltavamo in attesa… Penso che, ad un certo punto, qualcuno abbia anche preso a scommettere su chi dei due avrebbe perso la calma per primo.

Accadde solo una volta...










Iverson si sentiva particolarmente frustrato.



Non era una novità. Il suo mestiere gli aveva rovinato il fegato molto tempo prima che Tooru Shirogane avesse un bambino, Sam Holt decidesse di averne due e i Sànchez gli mollassero il loro ultimo erede perfetto, ma quella generazione stava superando limiti di cui lui stesso non era consapevole.



“Abbiamo un’avaria al secondo motore,” disse Adam nello schermo della sala di comando.



“Spegnilo,” ordinò Shiro, accanto a lui.



Adam sollevò la testa dal suo display. “Se lo spegniamo, ci sbilanciamo e potremmo cominciare a roteare.”



Shiro gli lanciò un’occhiata veloce. “Riesci a ripararlo?”



“No.”



“Rischi di esplosioni?”



“Negativo. Ho isolato la zona con le porte tagliafuoco per sicurezza, ma non ci sono ancora esplosioni in corso.”



“Allora spegnilo,” ordinò Shiro.



Adam scosse la testa. “Funziona a metà ma ci stabilizza.”



“Siamo quasi vicino a terra, possiamo reggere l’impatto con un solo motore. Tenere il secondo è come portarsi dietro una bomba che non sappiamo quando detonerà.”



Iverson inarcò il sopracciglio dell’occhio buono. “Non lo spaventa prendere dei rischi, eh?” Borbottò tra sé e sé.



Il resto della classe assisteva alla simulazione alle sue spalle. Matt non si stava guardando intorno: era impossibile togliere gli occhi di dosso dallo schermo. Non era l’unico ad assistere come se la missione in corso fosse reale e non un semplice test.



“Takashi, se spegniamo il secondo motore, la perdita di controllo sarà una naturale conseguenza.” Spiegò Adam.



“Siamo vicini al terreno, se il motore esplode…”



“Non sai che cosa c’è sotto quelle nuvole, Takashi. Non sai se puoi tentare un atterraggio di emergenza. Non sai dove stiamo finendo.”



Iverson annuì con se stesso: Takashi era quello con carattere, ma Adam era quello che pianificava seguendo la logica. Il primo non aveva paura di giocare col fuoco, il secondo lo raggirava con i mezzi che aveva.



Takashi strinse le labbra. “D’accordo,” disse, infine. “Mi fido di te, Adam.”



Nella sala di controllo, Matt inarcò un sopracciglio e non poté evitare di notare il signor antipatico Sànchez fare lo stesso.



“Cerca di stabilizzare il secondo motore più che puoi,” ordinò Takashi.



Adam si mise subito al lavoro e i livelli di controllo di volo migliorarono, sebbene di poco. “L’impianto di raffreddamento funziona,” disse. “Penso sia in avaria per un guasto meccanico.”



“Cattiva manutenzione,” disse Takashi.



Iverson s’imbronciò e si voltò verso la classe. “Chi erano gli addetti alla manutenzione?” Domandò.



Con la coda dell’occhio, Matt vide due ragazzi alla sua destra farsi avanti.



“Test fallito,” disse Iverson. “Quel guasto era lì perché voi lo trovaste e lo riparaste. Ora due vostri compagni stanno rischiando la vita per una vostra negligenza.”



Tornò a guardare i due giovani piloti sullo schermo.



“Ma è solo una simulazione…” Disse uno dei cadetti ripresi.



Matt chiuse gli occhi e decise di non guardare.



Iverson si alzò dal suo posto e tutti indietreggiarono di un passo. “Oggi è una simulazione, ragazzo,” disse, quasi ringhiò. “Prendete sotto gamba la manutenzione di un navicella da carico che deve semplicemente arrivare alla nostra luna e potreste avere sulla coscienza un’intera squadra di cargo-pilot. Pensate che l’impegno e la serietà che dovete mettere nel vostro lavoro sia direttamente proporzionale all’importanza di una missione? È facile morire per un errore sulla Terra e lo è ancor di più lassù!” Puntò l’indice verso l’alto.



“Il secondo motore è esploso!” Esclamò Adam.



Tutti tornarono a guardare lo schermo.



Il co-pilota manteneva la calma ma era un controllo solo apparente. Il pilota, al contrario, era ancora concentrato.



Matt si sporse in avanti per dare un’occhiata ai livelli di stabilizzazione di volo. “Stanno… Stanno…”



“Sta pilotando in senso circolare,” disse Iverson con un sorriso orgoglioso. “Sta assecondando la caduta per non perdere il controllo e sfruttare l’unico motore che gli è rimasto.”



Matt tornò a guardare lo schermo. Adam non faceva niente, fissava Shiro e aspettava che parlasse.



Il pilota gli lanciò un’occhiata veloce. “Fidati di me,” fu tutto ciò che riuscì a offrirgli.



Con gran sorpresa di Matt, Adam non obiettò.



Tutti restarono col fiato sospeso per un minuto che parve durare un’eternità.



“Neve!” Esclamò Shiro con una gran sorriso. “Vedo terra e vedo neve! Prepararsi all’atterraggio di emergenza!”



Adam si rianimò. “Cerca di puntare su di una zona pianeggiante, faccio partire il sistema frenante di emergenza!”



Iverson si avvicinò tanto allo schermo che Matt pensò che ci avrebbe premuto contro il naso senza rendersene conto.



Lo comprendeva.



Si avvertì un urto – simulato ovviamente. Adam strinse gli occhi, Shiro li tenne aperti per tutto il tempo.



Le luci nella stanza del simulatore si accesero e una voce elettronica annunciò la conclusione di tutto: “atterraggio avvenuto con successo.”



In sala comando partì un grande applauso. Anche Iverson batté il pugno sul pannello di controllo per dare sfogo all’euforia. Allungò una mano verso l’interfono e premette il pulsante per attivare la comunicazione. “Come va, Takashi?”



Shiro sollevò la testa, un gran sorriso gli illuminò il volto. “In tutta sincerità, Comandante,” disse, “vorrei uscire fuori di qui.”



Qualcuno rise, lo fece anche Matt.



Adam non disse nulla. Rimase immobile e zitto sul lato destro dello schermo, gli occhi puntati su Shiro.



“Oh…” Pensò Matt con sarcasmo. “Lo hai notato, finalmente.”







Quando la porta del simulatore si aprì, fuori ad attenderli non c’era ancora nessuno.



“Non vedo l’ora di farmi una doccia,” disse Shiro, passandosi una mano tra i capelli umidi di sudore. Guardò il compagno silenzioso al suo fianco. “Ehi…” Gli sorrise. “Ottimo lavoro.” Gli porse la mano.



Adam lo fissava in modo strano. “È tutta sudata,” gli fece notare.



Shiro arrossí e riadagiò il braccio lungo il fianco immediatamente. “Scusami,” ridacchiò. “È l’euforia del momento.”



“Non c'è ragione di essere euforici,” disse Adam, gelido.



Shiro divenne serio di colpo. “Perché?” Domandò. “Abbiamo superato un test con avaria ad uno dei motori. Dobbiamo aver fatto un punteggio altissimo.”



Tu devi aver fatto un punteggio altissimo, pensò Adam. “Non ti valutano solo per come finisce la missione simulata,” disse, invece. “Giudicano anche il tuo comportamento durante tutto il processo. Il modo in cui reagisci, il modo in cui pensi…”



Shiro scosse la testa. “Adam, siamo riusciti ad atterrare,” gli strinse la spalla in un gesto amichevole. “Siamo una bella squadra.”



Adam lo allontanò con disgusto. “Non mi toccare.” Non urlò. Non c’era traccia di rabbia nella sua voce o nei suoi occhi. Shiro davvero non riusciva a comprendere quello che vedeva quando guardava Adam. Mentre serrava i pugni, però, decise che ne aveva abbastanza.



Iverson scelse quel momento per entrare nella stanza con il resto della classe. “Ragazzi miei, oggi la Galaxy Garrison ha motivo di essere orgogliosa dei suoi-”



“Perché sei così?” La voce del giovane pilota lo interruppe bruscamente e spinse lui è tutti i cadetti a fermarsi sulla porta.



“Perché devi sempre essere così?” Gli occhi grigi di Shiro erano ardenti di rabbia.



Quelli di Adam, invece, erano grandi e colmi di sorpresa. Non si era aspettato una reazione del genere. Lo stesso Matt, un passo dietro Iverson, non aveva mai visto l’amico in quello stato.



Rendendosi conto della presenza di altre persone, Shiro si ricompone immediatamente. “Mi perdoni, Comandante,” disse con la testa china. “Posso avere il permesso di ritirarmi?”



“Sì…” Buttò lì Iverson, completamente incapace di gestire la situazione.



Shiro superò lui e il resto della classe senza guardare in faccia nessuno. Matt tentò di attirare la sua attenzione ma non ci riuscì.



Nel vederlo sparire fuori dalla stanza, il giovane Holt si portò davanti all’ufficiale. “Comandante Iverson, io…”



“Vai, Matthew, vai…” Gli concesse con un gesto veloce della mano.



Il ragazzino non se lo fece ripetere due volte.



Iverson sospirò: il momento idilliaco era finito e ora poteva tornare a desiderare di cambiare mestiere.







Non parlò con me.

Non parlò con nessuno e decisi di rispettare i suoi spazi, anche se era una novità per me. Sai, ci eravamo sempre detti tutto, anche quando sua madre… Sì, quando è successo quello che è successo. Shiro non si è mai chiuso in se stesso.

Non riuscivo a capire che cosa l’avesse turbato al punto da lasciarmi fuori. Insomma, stavamo parlando di Adam Sànchez, lo stronzo!

Non ci si poteva aspettare nulla di diverso da lui.

Adam si adattava. Non giocava in squadra perché lo voleva ma perché era costretto a farlo.

Potrei dire che quella fu la loro prima vera litigata, anche se l’unico a urlare fu Shiro. Il giorno di quella simulazione straordinaria, entrambi persero il controllo a modo loro.

Io non sapevo che cosa aveva toccato Adam – lo avrei scoperto solo dopo – e avevo timore d’intuire quello che passava per la testa di Shiro. Tutto, però, venne innescato quel giorno. La gelida calma che avevano mantenuto dal primo incontro s’infranse lì e non ci fu più modo di tornare indietro.

O, forse, chi lo sa? Il vero inizio fu quella sera nella Sala degli Ufficiali, quando Shiro parlò a cuore aperto del suo amore per le stelle e Adam lo giudicò ridicolo.

Sì, forse iniziò così, con Shiro che non riusciva a spiegarsi come era possibile che qualcuno entrasse alla Galaxy Garrison senza desiderare le stelle.

Che te lo spiego a fare? È lo stesso desiderio che ti ha portato da lui… O ha portato lui da te. Un giorno mi spiegherai questa parte della storia!

Sta di fatto che Adam le stelle non le amava.

Shiro, per qualche ragione su cui tutt’oggi m’interrogo, non riusciva ad accettarlo.










“Io non so più cosa fare con te, Takashi,” disse Iverson, sfogliando il fascicolo del cadetto. “Non è nemmeno finito il semestre e già potrei metterti alla prova con quelli dell’ultimo anno.”



Shiro voleva essere felice di quelle parole, ma c’era Adam seduto a meno di un metro da lui e tanto bastava a fargli desiderare di uscire dall’ufficio del Comandante il più in fretta possibile.



“Hai avuto fegato in quel simulatore,” aggiunse Iverson. “Hai mantenuto la calma fino alla fine e hai saputo usare l’istinto.”



Shiro avrebbe voluto dire che c’era riuscito anche grazie ad Adam, che quella vittoria era di tutti e due. L’altro cadetto non lo avrebbe mai accettato.



“Tuttavia, la fortuna è stata dalla tua parte,” aggiunse Iverson. “Adam aveva ragione a metterti in guardia. Non sapevi che cosa avresti trovato a terra. In fondo, però, la signora fortuna è parte di questo mestiere.” Guardò il giovane Sànchez. “Hai saputo guidare il tuo pilota egregiamente e ti sei fidato di lui nel momento peggiore. È una buona evoluzione, Adam, non lasciare che rimanga incompiuta. Ogni missione è un lavoro di squadra e i vostri ingegneri da terra hanno fatto un pessimo lavoro da cui siete riusciti a sopravvivere, secondo il simulatore. Questa io la chiamo una buona squadra.”



Iverson passò gli occhi dall’uno all’altro. “Per via dei vostri risultati eccellenti, sorvolerò su quanto è avvenuto immediatamente dopo ma non provate mai più a inscenare un simile dramma adolescenziale nella mia classe.”



“Sissignore,” risposero in coro i due cadetti.



Iverson si rilassò contro lo schienale della sua poltrona. “Non sarebbe corretto dirlo prima delle prove scritte e del test in aria ma, a meno che i vostri voti non precipitino di colpo, direi che siete gli unici del vostro corso ad avere un posto sicuro nella squadra dei fighters.”



Quelle parole non ebbero un impatto immediato su Shiro. Dischiuse le labbra per dire qualcosa ma il Comandante lo precedette.



“Fatemi avere risultati poco meno che eccellenti da adesso in poi e mi rimangerò ogni cosa,” concluse. “Coraggio, sparite.”



Shiro si alzò dalla poltrona e uscì dalla porta con una serie di movimenti automatici.



Fighter. Ripeteva la sua mente incredula.



Alla fine del suo primo semestre, Shiro aveva già l’opportunità di entrare nella classe dei fighters. I cadetti che si diplomavano in quella categoria avevano più possibilità di essere scelti come primi piloti in delle missioni d’esplorazione. Col tempo e tanta pazienza, ovviamente.



Ciò non toglieva che fosse sulla strada giusta per raggiungere le stelle.



“Congratulazioni…” Disse Adam a voce tanto bassa che Shiro lo guardò confuso.



“Eh?”



“Congratulazioni,” ripeté l’altro senza guardarlo. “Stai sorridendo come un ebete. Immagino tu sia felice.”



Shiro si toccò stupidamente le labbra. “Congratulazioni anche a te,” disse, accennando un sorriso. Forse era l’occasione giusta per chiarire le cose tra loro. “Scusami per averti urlato addosso quel giorno.”



Adam scrollò le spalle. “Iverson ci vuole in squadra e questo significa che dovremmo dimenticare e andare avanti.”



Shiro annuì e fece un passo verso il compagno di classe. “Sì, lo credo anche-”



“Questo non significa che dobbiamo essere amici,” lo interruppe Adam.



Il sorriso sul viso di Shiro morì immediatamente.



“Siamo qui per due ragioni diverse,” aggiunse Adam. “Diverse e non conciliabili ma sembra che siamo l’uno per l’altro il mezzo per ottenere ciò che vogliamo, perciò… Ti assicuro che sarà una collaborazione facile.”



Shiro reclinò la testa da un lato. “Ma come fai?”



Adam fu costretto a guardarlo. “A fare cosa?”



“Tutto questo,” disse Shiro. “L’addestramento è a dir poco sfiancante, gli esami sono difficili e i test pratici… Come fai a sopportare tutto questo senza metterci passione?”



Adam lo fissò. “Non guardarmi come se fossi io il pazzo tra noi due, Takashi.”



Shiro scosse la testa. “Non sei un pazzo, Adam,” replicò. “Sei solo triste.” Fu il primo dei due ad andarsene e finse di non sentire lo sguardo dell’altro che gli perforava la schiena.







“Io non capisco perché ci tieni tanto,” ammise Matt quella sera, nella loro camera.



Shiro lanciò uno sguardo al letto vuoto di Adam e scrollò le spalle. “Non è una cosa che riesco a farmi scivolare addosso,” disse, aggiustando il telescopio sul davanzale della finestra. Non c’era stato modo di uscire dall’Accademia in quei primi mesi e Shiro aveva deciso di fare un tentativo da lì, anche con tutte le luci degli edifici accese.



Matt sospirò. “Sì, ma perché?”



Shiro lo guardò. “Sai perché desidero tanto essere pilota di una missione esplorativa con te come rappresentante della sezione scientifica?”



Matt gli rivolse il sorriso smagliante che riservava solo alle ragazze più carine – e che mai lo ricambiavano. “Perché sono fantastico?” Domandò.



“Perché i nostri sogni sono compatibili,” rispose Shiro, sollevando gli occhi verso il cielo stellato. “Stando lassù con te, saprei di avere accanto qualcuno che mi capisce. Lo so che non è fondamentale per la riuscita di una missione ma… Condividere qualcosa di grande come un’esplorazione spaziale con qualcuno che non prova neanche metà di quello che senti tu è frustrante. È triste.”



Matt sospirò profondamente. “Come recarsi a una festa con qualcuno che non vuole andare. Alla fine, nessuno si diverte. Solo che non stiamo parlando solo di una festa…” Si grattò la testa. “Se è così frustrante per te, perché non chiedi un cambio di co-pilota? Iverson ti avrebbe regalato la luna l’altro giorno! Direi che anche questo potrebbe entrare nella tua lista di record battuti!”



Shiro scosse la testa. “Adam è un co-pilota perfetto,” replicò. “Il mio è solo un capriccio.”



Matt storse la bocca in una smorfietta. “Un co-pilota perfetto con capelli altrettanto perfetti ed il fascino degli occhiali,” si tolse i suoi e li guardò con espressione critica. “Perché con me non funziona mai?”



Shiro inarcò un sopracciglio. “Che stai dicendo?”



“Niente,” ammise Matt, inforcando di nuovo gli occhiali. “Ci tieni così tanto a infondere la passione per le stelle in Adam che comincio a pormi domande.”



Shiro scosse la testa con un sorrisetto divertito. “Hai tanta fantasia, Matt.” Diede un’occhiata al cielo col suo piccolo telescopio.



“No, sono uno scienziato,” replicò il giovane Holt, fissando il profilo dell’amico. “Osservo e tiro conclusioni.”



Shiro si accorse del suo sguardo e comprese immediatamente a cosa alludeva.



Preferì non dargli corda e continuò a guardare le stelle.



 
   
 
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