Per sempre felici e contenti

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1373 DR: Assalto al castello ***
Capitolo 2: *** 1373 DR: Vita da principessa ***



Capitolo 1
*** 1373 DR: Assalto al castello ***


1373 DR: Assalto al castello


Ultimo giorno del mese di Mirtul, poco prima del tramonto

Lady Rebecca Dumpling in Finnegan contemplava il panorama dalla strada, con il viso rivolto verso l'alto. La cittadella fortificata di Bormton si trovava sopra la sua testa, abbarbicata su una collina. L'unica collina di quella regione dell’Amn; svettava al di sopra del paesaggio dolcemente ondulato. Le leggende locali sostenevano che la collina fosse la tomba di un antico gigante, ma non esistevano giganti così grandi, non erano mai esistiti. Lei lo sapeva. Era una maga, quindi era istruita.
“Una donna” e “istruita” non era un’accoppiata molto comune in quella regione, men che meno nei piccoli borghi come Bormton. Lei però non era una persona qualunque, era la figlia del lord.
Quale crudele scherzo del destino, che ora si trovasse dall'altra parte della barricata. La città era serrata, chiusa come un riccio, protetta da una serie di difese balistiche e magiche. Sulle mura erano state installate delle catapulte, e dalle gargolle di pietra i difensori potevano far colare olio bollente o qualsiasi altra sostanza atta a scoraggiare gli invasori.
Invasori, o per meglio dire liberatori.
Lady Rebecca odiava l'idea di aver messo sotto assedio la sua stessa città. Ma quella città al momento era nelle mani dei seguaci di Cyric, che la gestivano per conto dell’esercito del malvagio Ogre Magi, Sothillis.
Correvano voci che quel sodalizio fosse già in fase di logoramento, ma questo non cambiava le cose: Bormton era sotto il controllo di una setta di pazzi assassini, che stavano affamando il popolo e tenendo prigioniero lord Dumpling, il legittimo signore della città. Il padre di Rebecca.
“Signora, Bormton non cederà facilmente”. Le disse sir Jassel, uno dei comandanti dell'esercito di Athkatla. “Questo assedio potrebbe protrarsi troppo a lungo, e Bormton non è la nostra priorità. Dobbiamo dirigerci a sud e riunirci al corpo centrale dell'esercito, a Trademeet.”
Rebecca ascoltò quelle rimostranze con mezzo orecchio, perché se le aspettava. Lei stessa non voleva un lungo assedio: sarebbe stato il suo stesso popolo a patirne le conseguenze.
“Quando sono fuggita da Bormton, mesi fa, l'ho fatto grazie ad un bracciale magico che mi ha teletrasportata fuori dalle mura, e poi sulle ali di una creatura volante.” Mormorò fra sé e sé, come se potesse servirle a mettere in ordine le idee. “Ma all'epoca la guerra non era alle porte, i cultisti di Cyric non avevano motivo di essere sospettosi, e soprattutto uscire è sempre più facile che entrare.”
“Ora il cielo sarà controllato, mia signora”. Azzardò il cavaliere. Aveva il doppio degli anni di Rebecca, ma si rivolgeva a lei con il rispetto dovuto al suo rango e alla sua abilità con le arti magiche. “Quanto ai teletrasporti, abbiamo già tentato e fallito. La città deve avere un mago davvero potente a sua difesa.”
“Non la città.” Scattò lei, in tono reso quasi acido dalla frustrazione. “I malvagi invasori che detengono la città con la forza. Il verme nella mela.”
Sir Jassel chinò il capo in segno di accettazione. Comprendeva il sentimento patriottico di Rebecca, era normale che provasse attaccamento per il suo borgo natìo, ma agli occhi dell'esperto soldato questa distinzione non esisteva. Chiunque detenesse il potere sulla cittadella stava usando tutte le sue risorse per difendere quella posizione arroccata.
Non si prese la briga di discutere, perché sapeva quanto potessero diventare umorali le donne. La maga sarebbe dovuta scendere a patti con la realtà, come tutti. Bormton non era prendibile in tempi brevi.
“Due giorni, lady Rebecca.” Le comunicó infine. “Questi sono gli ordini. Fra due giorni all'alba toglieremo il campo e l'assedio, con o senza aver riconquistato la città.”

Rebecca passò la notte ad arrovellarsi su quel problema, ma non vedeva soluzione.
Verso le tre del mattino si risolse ad usare l'ultima carta: aveva una specie di alleato in città, forse. Un doppelganger, un mutaforma mercenario che era stato il punto di svolta nell'organizzazione della sua fuga da Bormton. Non sapeva se fosse ancora in città. Non sapeva nemmeno se fosse davvero un alleato. Forse era già andato via, alle prime minacce di guerra. Forse era passato dalla parte del nemico. C'era un solo modo per saperlo, ed era contattarlo.
La magia impediva il teletrasporto, non la comunicazione magica.

La tenda del comando era stata eretta in mezzo all'accampamento. Era una costruzione opulenta, nello stile dell’Amn: una mostruosità di velluto blu, con il simbolo sacro di Selune ricamato in filo d'argento sopra l'ingresso del padiglione.
Poco più che uno specchietto per allodole. I veri consigli di guerra si tenevano in un'anonima tenda marrone, contrassegnata con il simbolo che l'esercito usava per le infermerie da campo.
Fu lì che Rebecca fece il suo ingresso trionfale, la mattina dopo.
“Ho un piano.” Annunció, con un sorriso furbo. I militari di alto rango che erano lì per consigliarla rimasero in silenzio, condividendo uno sguardo di perplessità.
Rebecca lanciò un incantesimo che avrebbe impedito ai nemici di ascoltare la loro conversazione, poi si lanciò in una serie di spiegazioni dettagliate e pregne di speranza. Era così infervorata che dimenticò perfino di fare colazione.
I comandanti si guardarono l’un l’altro. Era un piano molto rischioso, e che comportava dei costi molto alti, in termini economici.
Tuttavia, accettarono all'unanimità e senza esitazioni. Lady Rebecca aveva promesso di farsi carico personalmente del pagamento del mercenario infiltrato in città, quindi l'esercito di Athkatla non ci avrebbe rimesso nemmeno una moneta di rame. Inoltre, il suo piano prevedeva che l'esercito smontasse l'assedio il giorno stesso e proseguisse verso Trademeet, cosa che loro non vedevano l'ora di fare. Il loro dovere era a sud, e anche la gloria.
Solo un piccolo contingente scelto sarebbe rimasto a Bormton. Agli ordini di lady Rebecca.


Primo giorno del mese di Kythorn, qualche minuto dopo mezzodì

La stanza faceva parte del complesso dei sotterranei di Castello Bormton. Rebecca non aveva mai amato quel nome, ma era sempre meglio che ribattezzarlo Castello Dumpling. Al momento però la sua mente era lontana mille miglia da pensieri simili; era a casa. Sì, forse nella parte più buia e umida di casa, ma pur sempre a casa.
Il doppelganger era riuscito a fare quanto aveva promesso: abbassare le difese magiche della città, solo per pochi minuti. Abbastanza perché Rebecca e i suoi guerrieri potessero scivolare dentro la cittadella con un incantesimo di teletrasporto.
Il mercenario aveva fatto il suo dovere, e ora li guardava in silenzio in quella piccola stanza vuota.
“Non conosco bene questa parte del castello”. Confessó Rebecca, decidendo per un approccio diretto. “Come so che avete rispettato i piani?”
La creatura scrollò le spalle, ma il suo volto grigio e privo di lineamenti non rivelò alcuna emozione.
“Siete voi che dovete rispettare i patti, lady Rebecca Dumpling. La seconda metà del mio pagamento per la vostra fuga, come pattuito con il guitto al servizio del signor Finnegan. In aggiunta, il compenso per avervi fatti entrare. Non è stato semplice sopprimere la magia dell'artefatto che bloccava i viaggi interplanari.” La sua voce era un fastidioso fischio, che usciva da quella bocca senza labbra, simile a un becco. Il mutaforma nel suo aspetto originale era rivoltante, ma Rebecca sapeva di dovergli la vita. Anzi, di più: la libertà.
Sapere che era un artefatto a bloccare i teletrasporti, e non un potentissimo mago, fu un immenso sollievo per lei e per tutti. Forse. Non sapeva se i guerrieri ne capissero abbastanza per apprezzare la notizia.
“Sono pronta a rispettare l'accordo che avevate con il signor Finnegan e il nuovo accordo che ora avete stipulato con me.” Rebecca portò la mano alla scarsella che aveva agganciata alla cintura, con gesti lenti e deliberati. Non voleva che il suo reticente alleato pensasse che lei stesse preparando un incantesimo. Estrasse dalla borsa una pergamena che era stata ripiegata più volte su sé stessa, anziché essere arrotolata come le normali pergamene. “Il guitto mi ha consegnato questo, la seconda parte del vostro pagamento per la mia libertà.”
“Avete dunque l'autorità per agire per conto del signor Finnegan?” Inquisí lui, senza accennare a prendere l'oggetto che gli veniva porto.
“Sono la signora Finnegan, adesso.” Rispose lei, con semplicità.
I soldati alle sue spalle si guardarono intorno, cercando di dissimulare il disagio e l'imbarazzo. Le nobildonne dell’Amn non avrebbero dovuto scegliere il proprio marito. Tantomeno se erano già sposate con un altro uomo.
“Capisco.” Il doppelganger non dubitó della sua spiegazione. Aveva i suoi metodi per capire se gli veniva detta la verità. “È comprensibile, per una giovane vedova.”
Rebecca s’irrigidí, colta dal panico all'idea che fosse successo qualcosa al suo amato Felix. Ma… pochi giorni prima Felix stava bene, e qualunque cosa fosse accaduta da allora, come poteva saperlo questo doppelganger?
“Vedova…?”
“Milady, quando siete fuggita ho dovuto prendere il vostro posto.” Le ricordó la creatura. “Ma non avrete pensato che io accettassi di subire le angherie di quel crudele bastardo che era vostro marito? La prima volta che ha cercato di alzare un dito su di me, gli ho strappato… la testa. Be', alla fine. Ma ci sono discorsi che non sono adatti alle orecchie di una lady.”
Rebecca sentì un forte calore che le saliva alla testa. Non aveva un nome per quella sensazione. Era… sollevata e arrabbiata insieme. Sollevata, perché quel verme violento era morto. In collera, perché avrebbe voluto ucciderlo lei. Era stata defraudata della sua vendetta. Ma il pensiero che l'ex marito fosse morto provando dolore e paura, aiutò a mitigare la sua delusione. Cercò di immaginarsi la scena. Richiamó alla mente il volto affilato del suo carceriere, l'espressione crudele e deliziata che aveva quando stava per farle del male. Poteva vedere quell'espressione mutarsi in terrore, mentre si accorgeva che la sua timida sposa era stata rimpiazzata da un mutaforma capace di sollevare un tavolo con una mano.
Sì. Qualsiasi cosa il doppelganger gli avesse strappato, aveva la sua piena approvazione.

“Non siamo qui per parlare di frivolezze, anche se approvo le tue scelte.” Dichiarò Rebecca, costringendosi a tornare al presente. “Dalla sua morte, immagino che tu abbia preso il suo posto?”
“Era la cosa più logica.” Confermó lui.
“E cosa è successo a me? Ufficialmente?”
“Siete stata relegata in camera vostra, anzi, nostra. Il vostro caro marito è diventato ancora più geloso e possessivo, e non permette a nessuno di vedervi. Il popolo vocifera che siate morta. La cosa non piace a nessuno. Si sarebbero già ribellati, se non avessero tanta paura di… me”.
“Benissimo. Vi siete meritato il vostro pagamento. Quanto alle vostre manovre per farci entrare…”
“Cinquantamila monete d'oro, o il loro equivalente in gemme od oggetti magici.” Le ricordó il doppelganger.
“Le casse di Bormton non coprono una simile cifra, ma questo lo sapete.” Ammise Rebecca. “Io però dispongo di maggiori risorse personali.”
“È quello che mi auguro, mia signora Finnegan. Perché siete in una stanza senza altre uscite oltre a quella alle mie spalle, e sarebbe fin troppo facile per me chiamare tutti i cultisti di Cyric della città per schiacciarvi.”
Rebecca annuì, senza perdere la calma. Non si aspettava lealtà da un mercenario, ma sapeva di poterlo pagare. Non aveva lasciato la cittadella solo per unirsi all’esercito; aveva viaggiato per il mondo e affrontato altri pericoli per ritrovare il suo amato Felix. Per un periodo si era infiltrata fra i folli cultisti che veneravano i draghi. Quando il loro covo era stato distrutto, era riuscita a portarsi via un certo bottino. Alcuni di quegli oggetti magici non li avrebbe mai usati, perché erano di natura clericale oppure semplicemente perché la loro magia era troppo empia per le sue mani. Non le piaceva l'idea di restituire al mondo oggetti creati per mani malvagie, ma si trattava di una goccia nel mare, e al momento salvare Bormton era la sua priorità.
Mostró il suo campionario al doppelganger. Per la prima volta, le sembró di vedere uno sfoggio di emozioni sul suo volto. La creatura aveva un becco al posto delle labbra, ma quel becco riuscì a piegarsi in un sorriso di cupidigia.
“È un piacere fare affari con la famiglia Finnegan.”

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Capitolo 2
*** 1373 DR: Vita da principessa ***


1373 DR: Vita da principessa


Primo giorno del mese di Kythorn, poco prima di mezzanotte

Il castello era preso. Quasi tutti i cultisti di Cyric erano stati uccisi o catturati. Solo uno o due di loro erano riusciti a darsi alla macchia in città, ma non sarebbero durati. Tutto il popolo li odiava, ogni singolo artigiano, contadino, mendicante che risiedeva a Bormton avrebbe denunciato la loro presenza, e nessuno li avrebbe accolti in casa propria. Il popolo aveva subito per mesi le angherie dei malvagi invasori, la gente si era vista strappare il cibo di mano perché fosse inviato alle truppe di goblinoidi che stavano invadendo le loro terre. Tutto per ordine dei seguaci di Cyric, altri esseri umani come loro, gente dell'Amn come loro. Traditori. Era così che il popolo di Bormton li vedeva.
Traditori che non sarebbero sopravvissuti a lungo, quindi Rebecca delegó volentieri la loro ricerca alle guardie cittadine.
Il ritorno della maga era stato accolto come se un Messia fosse sceso dal cielo. Già prima di questo, la famiglia che governava Bormton non era mai stata lontana dal popolo, non erano il tipo di nobili che si mostra alla gente solo quando vuole riscuotere le tasse. Il padre di Rebecca era molto amato per il suo carattere accomodante e per il suo buonsenso. Ma non era mai stato rispettato e osannato come lo era sua figlia in quel giorno di vittoria.

“Figlia mia!” Lord Ichabold Dumpling entrò nella grande sala delle udienze, dove Rebecca stava tenendo un ultimo consiglio di guerra con le sue truppe scelte. Più che entrare, venne portato dentro a braccia, sorretto da due servitori di palazzo.
La giovane maga sgranó gli occhi, il suo cuore si strinse per la commozione alla vista del padre. Quando era fuggita da Bormton credeva di disprezzarlo, perché era stato debole e aveva praticamente consegnato la città ai nemici, senza tentare di combattere. Lei sapeva che aveva scelto quella linea d'azione per risparmiare la guerra al suo popolo, ma per come la vedeva lei, aveva condannato tutti a mesi di angherie e soprusi. Anche la sua stessa figlia.
Adesso però, vedendo quell'uomo fragile che a stento si reggeva sulle gambe, non riuscì a rimanere in collera con lui. Gli occhi di suo padre erano lucidi di lacrime, e tendeva le mani verso di lei come se avesse appena ritrovato un tesoro.
Rebecca ricordò all'improvviso quanto amava suo padre, nonostante i suoi difetti e il suo carattere pavido. Corse fra le sue braccia, come faceva quando era bambina. Lord Ichabold ricambió l'abbraccio con la poca forza che aveva.
“Padre, non mi sembri in salute.” Sussurrò la ragazza. Prima della guerra, l'uomo era stato una figura imponente, sia in altezza (per gli standard di un uomo calishita), sia in… robustezza. Adesso i vestiti gli cascavano addosso. Non si notava subito a causa del suo viso tondo e grassoccio, ma lord Dumpling aveva perso quasi trenta chili in meno di un anno. I suoi abiti erano eleganti e costosi, ma ora puzzavano di sudore e di muffa. Rebecca comprese che ad un certo punto il vecchio lord era stato rinchiuso da qualche parte, e decise che il doppelganger era stato fin troppo ligio al suo ruolo. Peccato che se ne fosse già andato. Purtroppo, quando avevano contrattato, era lui ad avere il coltello dalla parte del manico.
“Padre, mi dispiace così tanto.” Mormorò lei. “Sono tornata a Bormton non appena l'esercito ha accettato di fare tappa qui.”
“L'esercito…? Sei tornata? Che cosa stai dicendo?” Balbettò lui, confuso.
“Non è necessario parlarne ora, padre. Cerchiamo un guaritore. Devi rimetterti in forze ora. Bormton ha nuovamente bisogno della tua guida.”
Il signore di Bormton si lasciò condurre nella sua vecchia stanza, troppo stanco e debole per mettersi a discutere. Non gli sfuggí il fatto che i servitori avessero aspettato un cenno di Rebecca, e non gli ordini del loro signore, per portarlo via.


Secondo giorno del mese di Kythorn, mattina

Nell'Amn la colazione era una faccenda seria. Si cominciava alle sette del mattino e poteva durare anche fino alle dieci, se c'erano faccende importanti da discutere.
Sul tavolo del lord di Bormton non c'era molto cibo. La dominazione dei malvagi cultisti aveva imposto un duro tributo sotto forma di viveri e altri beni di prima necessità. Nemmeno il castello era stato risparmiato.
Non che lord Dumpling avesse fame. Il macabro trofeo di Rebecca gli aveva fatto passare ogni appetito.
“Intendi tenere quella cosa?” Le domandò ad un certo punto.
“Ma certo.” Rebecca sorrise a labbra strette, picchiettando un dito contro il barattolo di vetro. “È tutto quello che mi rimane del mio amato primo marito.”
“È osceno. La sua testa in un barattolo… è… è blasfemo.”
“Più blasfemo delle cose che faceva in vita?”
“E che cosa dovrebbe essere quell’oggetto che ha in bocca?” Domandò ancora, schifato.
Ovviamente la domanda di Rebecca non ricevette risposta. Suo padre non era tenuto a piegarsi al filo logico dei discorsi di lei, era lui il lord. Rebecca invece aveva il dovere di rispondere alle sue domande.
“Quello, padre, è ciò che resta del suo organo che una donna non può nominare.”
Lord Dumpling sbiancó e allontanò con malagrazia il piatto della colazione.
“Stai scherzando? Figlia… questo vilipendio è… è…”
“Questo vilipendio del corpo maschile è inaccettabile. Lo so. Ma era accettabile che lui mi costringesse a compiacerlo. Era accettabile che mi battesse perché non lo amavo come lui amava me. Non hai mai detto nulla su quello, mi par di ricordare.” Ribatté lei, senza staccare gli occhi dalla testa che galleggiava nel liquido alchemico di preservazione. Non era stata lei a mettere la testa nel barattolo. Il malvagio sacerdote di Cyric era morto da mesi. Lord Dumpling però non lo sapeva.
“Mia amata bambina, non sai quanto ho sofferto per le angherie che sei stata costretta a sopportare.” Confessó l'uomo, in tono sinceramente triste. “Mi è dispiaciuto così tanto, averti dovuto concedere a quell'uomo malvagio. Ha abusato dei suoi diritti di marito e questo è l'esatto contrario di ciò che avrei voluto per te. Ma tu sai che è stata una scelta obbligata, per salvare la nostra città dalla guerra.”
I suoi diritti di marito. La donna strinse le labbra in una smorfia. Certo, ha esagerato, ma era nei suoi diritti.
“Arrendersi per non essere conquistati.” Convenne Rebecca, con una punta di sarcasmo. All'epoca era stata d'accordo con suo padre, e ancora oggi riconosceva che un anno prima avevano ben poca scelta. Non c'era alcun esercito di Athkatla a promettergli protezione. Erano soli contro quell'orda di mostri, e potevano scegliere solo fra la distruzione della città o la resa ai malvagi seguaci di Cyric, alleati degli Ogre Magi. Mettersi in mano agli umani era sembrato il male minore. Tuttavia, ripensandoci ora, i seguaci di Cyric non si erano dimostrati meno crudeli. Forse soltanto più civilizzati.
“Mia cara, ti prometto che il tuo prossimo marito sarà una persona di buon cuore, che ti tratterà con il rispetto che meriti.”
“Lo so, padre. Il mio attuale marito è proprio questo genere di persona.” Disse con tutta calma.
Con la differenza che lui mi rispetta davvero, non come farebbe un nobile amniano, tethyriano o calishita. Non come se fossi un cagnolino straordinariamente intelligente.
Questo però non lo disse a suo padre. C'era un limite all’elasticità mentale di un uomo di quasi cinquant'anni. Rebecca sapeva che un po’ di paternalistica gentilezza era il massimo che poteva aspettarsi da lord Ichabold.
“Il tuo… perdonami cara. Il tuo cosa?”
“Il mio attuale marito. Come ti ho accennato ieri, caro padre, non ho passato tutti questi mesi ad attendere di essere salvata.”
Rebecca passò la successiva ora a raccontare a suo padre tutte le sue avventure dell'ultimo anno, la sua fuga grazie all'aiuto indiretto di Felix, il viaggio verso Athkatla sul dorso di un drago, le trattative infinite con il Consiglio di Athkatla e con la Chiesa di Selune. Poi, finalmente, la guerra. L'assedio di Imnescar, la licenza invernale che aveva impiegato per ritrovare il suo amato Felix. Poi la lunga primavera in cui l'esercito si era accampato nelle gole e nei passi montani, riconquistando palmo a palmo la via del commercio; la logorante guerra all'ombra dei monti e delle Torri dell’Eterna Eclisse, e finalmente il crollo delle torri e la rapida discesa verso Bormton.
“Tu… sei fuggita di casa, abbandonando il tetto coniugale.” Mormorò il padre alla fine del racconto. Sembrava completamente spiazzato.
“Ho abbandonato una prigione.”
“Hai combattuto in una guerra…”
“Sì. Ma prima di questo, mi sono esposta in prima persona prendendo accordi perché questa guerra cominciasse. Athkatla era restia ad inviare le sue truppe contro un esercito di ogre, orchi e goblinoidi di quella portata. Non aveva motivo di farlo per salvare città che erano sue concorrenti nel commercio.”
“E hai sposato un avventuriero senza patria e senza prospettive, che era passato nella nostra città una volta…”
“Ho sposato l'uomo che si è innamorato di me prima che io mi innamorassi di lui, che anche a distanza ha continuato a scrivermi e a preoccuparsi per me, e che è arrivato ad assoldare un mutaforma per permettermi di scappare…”
“Dal tuo matrimonio, perché ti voleva per sé.”
“Dalla mia prigione, perché mi ama!” ribatté la maga, senza lasciarsi intimidire.
Seguì un momento di silenzio pesante.
“Non è neanche un uomo.” Mormorò lord Ichabold, pallido di indignazione. “È un mezzo elfo, una creatura senza radici.”
Rebecca strinse la mano intorno alla forchetta, costringendosi a continuare a respirare. “Che cosa hai detto, padre?”
“Mia cara, non ho niente contro i mezzelfi per quel che sono, ma… il popolo di Bormton non accetterà un simile governante.”
“Il popolo di Bormton avrà tutto il tempo di abituarsi all'idea. Per i prossimi vent'anni saremo un protettorato di Athkatla. Questo era l'accordo. Chiunque governerà, lo farà in nome di Athkatla… la città che presto sarà capitale dell’Amn, di fatto oltre che di nome.”
Lord Dumpling sentì che stava per avere un capogiro e si appoggiò allo schienale del suo scranno.
“Per gli dèi. La nostra indipendenza…”
“Vuoi dire l'indipendenza che avevamo quando eravamo sotto la dominazione dei cultisti di Cyric?”
“Rebecca!” L'uomo sbatté entrambi i pugni sul tavolo. Non era abituato ad essere contestato e rimproverato da sua figlia. “Che cosa ne è stato della mia figlia mite e obbediente?”
“Ha dovuto sposare un mostro.” Rispose lei, tranquillamente. “È stata tradita dalla vita, e alla fine ha capito che l'intelligenza è un valore molto più importante dell'obbedienza. La tua figlia mite e obbediente è rimasta a Bormton a piangere sui suoi errori. La tua figlia saggia invece ha accettato un aiuto per scappare. La tua figlia intraprendente ha negoziato a tuo nome con i nobili della Capitale. La tua figlia intelligente ha studiato incantesimi che mai avrebbe sognato, per essere utile in questa guerra. E la tua figlia libera ha sposato il mezzelfo che ama. Se questo non ti sta bene, padre, abbandona l'idea di avere ancora una figlia.”
Lord Dumpling abbassò lo sguardo sul tavolo, accarezzando il tessuto ricamato, come per trovare conforto da quella sensazione tattile. In parte era così. Fino a ventiquattr’ore prima non pensava che sarebbe mai tornato in possesso del suo castello e di ciò che conteneva. Adesso la sua vita stava tornando più o meno come prima, e a quanto pare era merito di sua figlia.
Una parte di lui era immensamente fiera del coraggio e della forza d'animo di Rebecca. Ma tutto questo era in contrasto con la sua idea del mondo.
“Sapevo che viaggiare mette in testa strane idee.” Borbottò. “Immagino di non poterti impedire di vivere la tua vita, specialmente se hai imparato incantesimi che ti erano proibiti. Non oso immaginare che cosa puoi fare ora, e quale delirio di onnipotenza abbia traviato la tua mente. Se solo tu fossi un maschio, a quest'ora saresti osannata come un eroe cittadino.”
Sono osannata, padre. Il popolo è dalla mia parte.”
“Lo sei adesso.” Sbottó lui. “Il popolo reagisce di pancia. Il tuo comportamento ha migliorato le nostre condizioni di vita adesso, ma sul lungo termine sei un pessimo esempio per tutte le ragazze di Bormton. Le tue scelte mettono a rischio il nostro tessuto sociale.”
“Le città del nord e delle isole vivono secondo criteri di maggiore libertà, e funzionano benissimo.”
“E cosa mi dici della successione? Non posso disconoscerti, hai salvato la città e sei la mia unica figlia. Ma tu pensi che il popolo di Bormton accetterà un governante con sangue elfico nelle vene? Tuo marito non sarà mai niente più che una stranezza, e i vostri figli non saranno completamente uomini.”
Rebecca si appoggiò con tutta calma allo schienale della sedia, più semplice e più piccola di quella del lord. Le sue dita morbide, fin troppo simili a quelle di Ichabold, cominciarono a giocherellare con i suoi riccioli castani. Era il momento di sconvolgere suo padre una volta di più. Tutto ciò che aveva detto fino a questo momento era stato un tentativo di prepararlo a questo.
“Ebbene, mio caro padre, permettimi di dire che se i miei figli erediteranno un po’ della grazia dei loro antenati elfi, non potrò che esserne felice. In famiglia abbiamo tutti le ossa grosse, una particolarità apprezzabile su un uomo come te, ma un fastidio per una donna come me. Quello che penserà di loro il popolo di Bormton non mi interessa, perché nessuno dei miei figli erediterà il tuo titolo.”
Lord Dumpling sbatté le palpebre un paio di volte, senza capire.
“Ma dovranno ereditarlo.”
“No, padre. Io sono tua figlia, ma le figlie non ereditano se hanno dei fratelli.”
“Non hai fratelli, Rebecca.” Le ricordó lui.
“Solo perché la mamma non è mai stata in grado di darti un maschio. Ma non sei troppo vecchio, padre. Oggi stesso comincerai a cercare moglie, e poi ti darai da fare per darmi un fratellino.”
Lord Dumpling restó a bocca aperta, incapace di trovare le parole. Sia per l'idea, sia per il tono in cui era stata espressa. Mai nessuno gli aveva dato ordini in quel modo, tantomeno sua figlia.
“Io amavo tua madre, non ho mai desiderato risposarmi.”
“Se tu puoi scegliere per amore allora posso farlo anch'io. Ma se io devo piegarmi al dovere, allora devi farlo anche tu. Ne va della sopravvivenza della nostra famiglia, mio caro padre. Ti occorre un erede. Pensaci; non devi sposarti per amore. Trovati una brava donna che sia fertile e compiacente. Le ragazze del popolo di solito hanno più figli rispetto alle nobili, e ti sarà abbastanza grata per l'elevazione sociale da impegnarsi il più possibile. Tu sei un uomo buono, so che potresti essere ancora felice nel matrimonio e far felice una donna.”
Una donna dall'educazione calishita, quanto meno.
“Dovrei sposare una popolana?”
Rebecca si strinse nelle spalle.
“Per i prossimi vent'anni non sarai un partito molto ambito per le donne aristocratiche, visto che la nostra cittadina sarà un'appendice politica di Athkatla.”
“Mia figlia mi parla in questo modo…”
Rebecca si alzò da tavola, senza aspettare di essere congedata. Raccolse il barattolo con il suo macabro contenuto e gli diede un colpetto amichevole sul tappo. “Sì. Tua figlia che conosce magie proibite. Ho assoldato il vecchio sacerdote Pahrin Munleet per pianificare il matrimonio. Una bella cerimonia per risollevare gli animi del popolo!”
“Ma…”
“Ti sposerai alla prossima luna piena, con la benedizione di Selune. Per allora avrai scelto una sposa di tuo gusto, altrimenti prenderai quella che io sceglierò per te.”
Ma…
“E ricorda, padre: dammi un fratellino.” Rebecca piegò leggermente il busto in avanti, incombendo sull'uomo che ormai annaspava in chiaro stato confusionale. Gli regalò un sorriso così dolce da risultare terrificante. “Datti da fare, perché non resterai fertile per sempre. Buona giornata.”
La maga lasciò la sala da pranzo, ancheggiando con la sicurezza di una donna che ha il controllo della sua vita. Lord Ichabold la seguì con lo sguardo, in silenzioso sgomento. Per la prima volta stava per conoscere l'ansia che ogni donna calishita sperimentava al momento del matrimonio: la necessità implicita di mettere al mondo un figlio maschio, il prima possibile, per non incorrere nei disappunto di una persona più potente.

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