Tightrope

di ClodiaSpirit_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Teatro di Bugie ***
Capitolo 2: *** Come un animale da palcoscenico ***
Capitolo 3: *** Animale da palconoscenico IN or OUT ***
Capitolo 4: *** 3. Prigionieri solo quando ci si arrende (parte 2) ***
Capitolo 5: *** Pensieri Rivoltati ***
Capitolo 6: *** Sogno o Incoscio? ***
Capitolo 7: *** Come un libro aperto ***
Capitolo 8: *** Il destino di Orfeo ***
Capitolo 9: *** Danzando sulle tue nuvole ***
Capitolo 10: *** Il salto della corda ***
Capitolo 11: *** Verità e parole importanti ***
Capitolo 12: *** Sull'orlo del mondo - ***
Capitolo 13: *** Salutando una vita. ***
Capitolo 14: *** La fuga. ***
Capitolo 15: *** Di veri sentimenti - ***
Capitolo 16: *** Girovagando ad Abingdon. ***
Capitolo 17: *** Colpi di scena. ***
Capitolo 18: *** La resa dei conti. ***
Capitolo 19: *** Il giorno che viene. ***
Capitolo 20: *** Madri, mater, mothers. ***



Capitolo 1
*** Un Teatro di Bugie ***


Clodia's: Ragazzi, erano secoli (okay, credo un anno e mezzo su per giù) che non scrivevo così tanto. Il che è tutto dire dato che l'uni come primo anno mi ha abbastanza spremuta e strizzata a dovere ( letteralmente) Tutto questo però non ha mai spento la mia fantasia o meglio, i miei filmini mentali a propulsione (rumore di razzi in sottofondo) Che dire, per chi è nella Shadow family sa cosa sta accadendo da almeno un mese e sa cosa stiamo facendo noi e i nosti ogni giorno.

Keep going strong, ragazzi.
Possiamo fare tutto: ricordatevolo.
E che dire, spero vi piaccia questo mio nuovo progetto,
ci tengo tanto come se fosse mio figlio (i'm not joking) 
Buona lettura
#SaveShadowhunters



Niente guarisce il passato come il tempo.

Forse è solo un modo di dire, forse è davvero quello che serve. Ciò che può definirsi certo è che il passato rimane sempre lì, anche se in minima parte, ritorna a galla per sprazzi, attimi, microsecondi che s’incatenano nella mente, nel corpo.
Il passato lo senti ovunque ed è inevitabile. Lo senti peggio di quando senti di stare male, lo senti molto di più di un influenza.
Una figura indefinita rise amaramente. Sbiadita quasi, inesistente veniva invasa dal passato ogni volta che chiudeva le palpebre.




La penombra di solito veniva ad aiutarti in caso di distanza dalla realtà. Dicono che quando ci si sente soli la cosa migliore è cercare qualcuno. Rifugiarsi in qualcosa. Una di quelle sensazioni che senti solo tue, che percepisci confortanti e confrontandoti faccia a faccia in silenzio e che offuscano tutto intorno. Solo che non c’è nebbia.
E’ tutto come sempre, terribilmente preciso, definito che non può cambiare.
Il rumore si assottiglia, diventando ovatta che si disfa e si disperde nell’aria.
Un pensiero profondo ma che inganna se si analizza e si mette un po’ a fuoco quello che, giustamente, Alec si trovava a fare in quel preciso istante. Alec era un ragazzo giovane, una ventina d’anni, più o meno.
Come un po’ tutto il via vai delle cose della vita, si ritrovava piantato con un cuscino schiacciato all’altezza delle orecchie per sentire solo il rumore del suo corpo. I battiti, le gocce di sudore, tutto fuorché le voci ormai eco, che provenivano al di fuori della sua porta chiusa intelligentemente a chiave. Alec si definiva un ragazzo senza problemi, una volta uscito fuori nel mondo – estraneo - per definirlo al meglio.
Come un po’ quelle persone che preferiscono svagarsi e riempirsi i timpani con la musica, l’alcool, qualsiasi cosa le mandi fuori dal posto o luogo di eventi sfortunato in cui si trovano. Mentre Alec cercava di concentrarsi su ciò che perturbava e si sviluppava nel suo corpo, gli venne in mente la distanza rispetto alla sua infanzia, alla sua adolescenza, alla casualità che prima era solo quello: caso. Adesso non era più una coincidenza se il suo essere in conflitto col vivere, forse ad aver messo in dubbio sé stesso anche, portava chi lo aveva messo al mondo a litigare, ogni giorno, stessa ora, stesse urla.
Motivi? Ah, quelli erano una nuvola nera sopra la sua testa tanto quanto quella dei suoi genitori. Eppure pensava di aver capito, assimilato nel tempo che il sentimento che legava due persone, lasciava sempre spazio, sempre un compromesso, un passo in avanti rispetto all’altro per cedere all’armonia.
Eppure, poteva pensare di essere fortunato.
Vivendo in una contea come quella dell’HertfordShire, possedendo una casa con almeno tre piani e vantare di un giardino, sentire il canto degli uccelli arrivare direttamente sotto la tua finestra, dovrebbe pur essere qualcosa che poteva dirsi fortuna. Non tutti potevano di certo vantare lo stesso. Aggiungi anche una famiglia unita, che si ama, che dimostra il suo interesse e che potrebbe arrivare a sacrificarsi per il tuo bene stesso ed è un quadro indimenticabile, cornice di una foto che non può essere scalfita all’interno. Il solo pensiero gli diede il voltastomaco. Se l’amore era qualcosa che avrebbe dovuto ritenersi sacrificio, rispetto e fiducia, l’immagine di quelle emozioni nel suo quadro si erano arrugginite e riempite di polvere e ragnatele da almeno un po’ di anni.
Alec aveva ventiquattro anni. E gli sembrava di essersi fermato lì da una vita. La stessa vita che proseguiva più veloce, in corsa.
Senza possibilità di dire stop.
Non ricordava nemmeno l’ultima volta che li aveva compiuti in modo decente. E non intendeva in grande, ma in modo sentito. Di quelli che anche solo pochi sorrisi di chi è presente e una torta riempiono la stanza. Anni.
E con un po’, forse Alec intendeva almeno sei o sette anni. Credeva fermamente di averne perso il conto e anche l’importanza. D’altra parte, chi era lui per mettere in discussione il carattere austero del padre e quello della dittatrice di leggi della madre? E dio solo sa quanto avesse invano provato a sedici, diciassette anni. Età vissute ma in modo sgranato, i bordi mangiati dalla fiamma dell’indifferenza più totale. E chi era lui per ricordare l’affetto di ogni bacio e storia della buona notte, per la perdita di poter essere ascoltato o tenuto in considerazione nell’arco degli ultimi anni, delle cene con lui e sua sorella Isabelle - che adesso era lontana da tutto quello – e di cui sentiva tanto la mancanza? Sua sorella, la più piccola di qualche giorno, mese, anno, la stessa che con il suo aiuto era riuscito a fuggire verso una destinazione meno oscura, la stessa che gli aveva fatto capire tante cose. La stessa che aveva sentito solo qualche settimana fa.
Alec rise amaramente, sentendo il suo riso che si strozzava contro il rumore del suo stomaco in ribellione.
L’arte della recita, della finzione…com’era quella famosa frase Shakespeariana?
Ah sì.

‘’ La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di suoni e furore, significante niente’’

Come di ogni buon libro, restava la citazione o l’aforismo che si imprimeva dentro.
E Alec di libri, ne aveva letti fin troppi.
La vita in questione, era diventata solo un antro ristretto e soffocante, per lo più oscillava in bilico tra oggi sarà sempre lo stesso e vorrei scappare. E quella piccola sensazione che si faceva spazio pesava e si svuotava solo quando Alec decideva di prendere possesso della sua voglia di liberarsi dalla morsa che lo intrappolava. Incastrato neanche fosse dentro una gabbia fatta apposta per lui, con misure e il resto.
All’ennesimo scatto di ira che vibrò lungo le pareti simulando il tono del padre, Alec buttò il cuscino incurante dove potesse andare a finire, se per terra o sul suo stesso letto, prese la giacca scura – in quel momento era l’icona del suo stato d’animo – le chiavi di casa posate sulla scrivania ordinata, candida, in legno chiaro e pulito di fronte il letto. La luce entrava dalla finestra creando un’illusoria sensazione di pace, le tende che simulavano piccole righe d’ombra serpentine, come rettili. Si guardò allo specchio laccato e intarsiato.
I suoi capelli neri corvino erano come sempre un ammasso arruffato più del solito. Gli occhi sembravano più grigi che verdi quel giorno. Per non parlare dell’accenno di barba che stava crescendo. Le sopracciglia folti ma disegnate, due archi che gli davano un aspetto autoritario. Sembrava stranamente più grande. Aveva già le scarpe ai piedi, si era dimenticato anche di togliersele. Respirò a fondo, aprì la porta, la richiuse e corse fino al corridoio sfuggendo al possibile sguardo di attenzione che, non sarebbe arrivato. La porta sbatté così forte sulla parete quasi come fosse fatta di piombo.


**

Alec.

Alec Lightwood stava camminando, ma più che camminare, sembrava stesse pesando ogni suo passo verso l’ignoto. La poca luce del sole era ormai calata e adesso una scia violetta mista al blu pesto solcava il cielo sopra le teste di qualche altro passante per il centro della città. Parliament Square era semivuota, se non per qualche lampione e negozio aperto. La statua del cervo si alzava così, al centro di quello spazio, di quelle case e negozi e la luna ne illuminava la testa e le corna ramificate. Come se fosse uno spirito dominante dall’alto. Alec si sentì giudicato in qualche modo, dentro di sé, sentendo di dover spostare lo sguardo.
Hertford era una piccola città della contea dell’HertfodShire e di giorno poteva sembrare piccola e basta. Se invece, ti ci perdevi nella notte e vedevi gli angoli accendersi e altri restare in penombra, se ti concentravi sul suo silenzio e le finestre grandi e illuminate, era qualcosa di diverso. Addirittura qualcosa che suggeriva magia.
Alec si sentiva abbracciato dalle stradine che diramandosi sembravano invitarlo a continuare, fino a tarda ora. Gli orologi tondi quasi cristallizzati al suo passaggio sospesi sui mattoni dei vari edifici. Era come se avessero saputo prenderlo, avessero avuto modo di conoscerlo a memoria dopo tutti quegli anni. Strano il pensiero che una cosa inanimata, come una città, potesse parlare nel silenzio e accoglierti, Ma mai più strano di sentirsi estraneo all’interno di ciò che avrebbe dovuto chiamarsi casa. Non andava bene mescolare due cose completamente opposte, Alec pensava ed era questo il problema.

Andare in profondità è peggio.

Bisognava offuscare la mente, era necessario spegnere per un attimo quel vortice. Alec guardò in basso: i suoi piedi, dentro dei mocassini lucidi, proseguivano ad inerz
ia lungo l’asfalto, incontrando ogni tanto qualche tombino e schivandolo di conseguenza. Soltanto in quel modo riusciva a stare bene. Fuori, perso, senza meta, senza richiamo, senza niente. Le case assomigliavano a quelle delle favole, piccole, quadrate, in ordine, qualcuna con qualche fiore alla finestra, qualcun’altra che riportava il segno del tempo. Alec poteva vederci dentro delle figure, ombre indaffarate nelle loro cose, travolte in semplici affari, altre che si scambiavano piccoli gesti, altre ancora che fermavano le porte principali e spegnevano le luci.
La loro quotidianità normale e mai vuota. Come mi piacerebbe farne parte.
Mentre ricorreva a queste meditazioni interiori, si ritrovò in al 31 di Bull Plain senza nemmeno accorgersi di starsi dirigendo verso uno dei bar in cui capitava spesso di rifugiarsi e fermarsi fino a quando il sonno non vinceva su di lui. L’Old Barge dava proprio sulla riva del fiume di Hertford in cui si riversavano altri tre, il Lea River.
Di solito Alec non prendeva niente di speciale, si limitava a sedersi e basta, chiedendo soltanto qualcosa da bere. Svoltò l’angolo e si ritrovò l’edificio davanti. Pochi tavolini vuoti fuori, probabilmente la gente sentiva troppo freddo considerando l’aria di ottobre. Alec era apatico al clima a quanto pare. La caratteristica porta rossa, il tetto spiovente e le poche luci che creavano zone di penombra inghiottendo i mattoni lo invitarono come una calamita. Nonostante non sentisse l’aria che tagliava il respiro, Alec entrò dentro: l’ambiente era accogliente, caldo, due divani lungo le due sale, camini, pareti rosse che si sposavano agli infissi di legno che seguivano i tavolini però più scuri, qualche candela, rosa dentro qualche bottiglia decorava sopra. Dei poster e quadri riempivano qua e là rendendo il tutto vintage. Prese posto e la prima occhiata fu della ragazza (non sorpresa dal vederlo lì) al piccolo bar ad isola anch’esso in legno, intenta ad asciugare uno dei bicchieri di vetro. Ogni sera, era diversa. Ma l’obiettivo era sempre lo stesso: evadere.

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Capitolo 2
*** Come un animale da palcoscenico ***


Clodia's Spirit: Eccoci qui, aggiornamento un po' rapido questa settimana.
Spero vi stiate rilassando (io peno ancora per un esame e non so quando finirò #chegioia but never mind) e che tutto vada bene.
Ultimamente sono successe un po' di cose che mi hanno distolto dalla scrittura, ma spero di riprendere presto e che tutto vada meglio... mai abbattersi!
Keyword del capitolo: c i r c u s.
Adesso scappo.
Buona lettura guys






Svegliatosi nella piena penombra della stanza, Alec sentiva un forte dolore alle tempie percuotere come casse elettroniche. Si girò su un fianco alzando con un gesto netto delle dita le lenzuola portandosele alla testa. Senza nemmeno sapere se fosse presto o tardi, cercò di riprendere sonno.
Alec sentì il pieno fracasso fargli visita, di nuovo.
No, non era possibile riaddormentarsi.
Cos’è successo.
Che fosse abituato a quello era ormai normale, ma gli risultava ogni volta ricostruire le serate precedenti alla fuga con il ritorno a casa. Frammenti di scene fluttuavano nella sua testa, senza però riuscire a sceglierne solo uno per non confondersi ancora di più. Ricordava vagamente di vedere il viso di sua madre, Helena, urlargli contro per l’ennesima volta che fosse ritornato così tardi mentre suo padre forse già dormiva o se ne stava tranquillamente seduto sul divano a fumare la sua pipa. Peccato che Alec venisse ripreso soltanto in quei casi. E per lo più, con lasciato con un banale vedi di finirla, sei irrecuperabile Alexander, per poi finire lì.
Helena era stata una madre premurosa, non c’era da stupirsi in quello, almeno fino a quando non erano cominciate le liti col marito e viceversa.
Molto spesso, Alec lo trovava a notte tarda a versarsi da bere in veranda e ogni tanto, poteva aver giurato di sentire la puzza e l’alito del fumo mischiarsi nell’aria insieme all’odore di terra umida e bagnata. Insomma, non che servisse a qualcosa. Alec nella sua vita, fino a quell’istante, pensava di aver sempre difeso la madre al posto del padre. Tutto quello era assurdo forse.
Helena era una donna fragile se non si considerava il suo interesse per la bell’immagine sociale e gli affari economici di famiglia. Mai tanto quanto il padre. Aveva fatto carriera come notaio, per un breve periodo della sua vita, prima che Alec nascesse, era stato un noto giornalista nell’ambiente londinese. Poi, aveva trovato in Helena la donna per lui – o almeno così era stato e si erano entrambi trasferiti dalla mondanità di Londra, alla tranquillità della contea. Si vociferava avesse ereditato qualche proprietà, in giro, i signori Lightwood erano noti a Londra e quando avevano deciso di trasferirsi, la gente non aveva potuto far altro se non parlare o infangare. Dipende ciò a cui si voleva credere.
Sua sorella Isabelle, era l’unica a riuscire a tirare fuori la voce in famiglia e a riprendere il padre. Alec ricordava in particolare una volta in cui, durante una cena molto tesa, la ragazza si era alzata rispondendo al capofamiglia scatenando una stortura nella perfetta (all’apparenza) immagine famigliare. Alec era stato fiero di lei. Lui lo era sempre stato, ammirava il suo carattere. Il fratello si era spento col tempo, invece. L’unica fonte di salvezza era anche radicata nella musica e quindi quando proprio voleva chiudere con tutto, se ne faceva interi bagni, bagni di volume alto. Alcune volte aveva assistito anche a qualche cosa di simile, a Hetford Town molti artisti di strada si fermavano, offrivano le loro note e la loro voce a pochi oppure, cercavano di farli sorridere, qualcosa che Alec voleva riuscire a provare di nuovo. Cos’avrebbe dato per vivere in modo diverso forse in modo rischioso ma più vivo di tutto quello, più vero.
Questa volta Alec si girò completamente, la faccia spiaccicata sul cuscino e il silenzio che inevitabilmente contrastava con la sua testa in piena confusione.




Quello stesso tardo pomeriggio, Alec era rimasto da solo a casa ( non che questo lo sorprendesse ovvio) e per qualche motivazione i suoi erano usciti. Separati.
Il ragazzo aveva sentito la porta chiudersi in due momenti diversi. Osservando le lancette correre in due tempi altrettanto diversi. Si sentiva un po’ il giudice, un po’ lo stalker del caso. Ma quanto ti abitui a certe abitudini è difficile scollarsene. Disteso ora, lungo la sedia comoda del soggiorno, si ritrovava a passare una delle dita affusolate lungo la pagina, la mano destra a reggere il libro. Stava leggendo I miserabili e si ritrovava perfettamente nel personaggio di Jean Valjean. Uno dei pezzi che aveva lasciato indietro gli era rimasto impresso:
‘’Dobbiamo invece aver paura di noi stessi. I pregiudizi, ecco i ladri: i vizi, ecco gli assassini.’’
Jean si sentiva vuoto dopo essersi liberato dalle catene, arrestato perché aveva rubato del pane e stava vagando senza una meta. discriminato per il suo passato. Però Jean era stato accolto da un prete che gli aveva offerto un tetto, un letto, del cibo. Lo stesso prete che aveva citato il pezzo preferito che Alec aveva a cuore. E nonostante Jean per la sua indole dispersa e in naufragio nella notte avesse cercato di derubarlo, il mattino seguente Monsieur Myriel fece finta di niente, proteggendolo. Nonostante abbia rubato, viene perdonato. Nonostante sia perso, visto come un emarginato, viene accolto. Alec pensò che pochi avevano la fortuna di incontrare una mano tesa come quella di quel prete nei confronti di una povera anima.
Forse, c’è speranza per ognuno, pensò. Forse era il caso di ritornare alle cose serie: uscire e mettere un punto.
Ed è quello che fece. Mise il segnalibro in mezzo alla pagina, lo richiuse e lo ripose sulla libreria di fronte. Dopodiché si diede un occhiata allo specchio in camera. Si cambiò, mettendo una camicia, era bianca, i polsini erano leggermente merlettati. Era una di quelle poche cose che Alec riteneva belle da vedere. Prese la giacca e uscì.





Arrivato di nuovo ad Hetford Town, Alec decise di cambiare rotta e immergersi in uno spazio ancora più silenzioso di quanto potesse chiedere la sua testa. Trovò la biglietteria dopo alcune traverse. Altri pochi passi e salì per la prima fermata dell’autobus che lo portasse un altro po’ più lontano. Dopo aver mostrato il biglietto al controllore, si sedette. Cominciò ad osservare il paesaggio che cambiava forma via via che il veicolo sfrecciava, ogni tanto fermandosi facendo le dovute fermate. Quello che scorreva davanti agli occhi di Alec era pace man mano che si allontana e si buttava tutto quel peso dietro. Era come riavviare tutto e ripartire. E non importava dove sarebbe andato, qualsiasi posto andava bene in fondo. Il bus andava forse troppo veloce, ma Alec non ci faceva caso, era troppo preso dall’arte fisica oltre il vetro.
Accanto a lui, una madre con un piccolo involucro che teneva tra le braccia, nascondeva un bambino. I suoi occhi erano così vividi che Alec pensò fossero finti. Un’altra delle cose belle che gli capitavano quel giorno.
La madre indossava una lunga fascia al collo, i capelli legati e i tratti del viso stanchi, segnati, in poche parole: una mamma.
Ammassi di immagini sfrecciavano sformandosi: era come un gioco di colori, come se fosse un dipinto schizzato e d’effetto solo, in movimento.
Il bus fece le prime due fermate e il bambino si dimenò nelle braccia della donna. Alec venne catturato dal suo amorevole gesto di portare un dito lungo la guancia di suo figlio, accarezzandola e sussurrando per calmarlo. Inevitabilmente, Alec si sentì gli prudere gli occhi, una riga fredda gli bagnò lo zigomo. Si trovò a deglutire e subito ad asciugarsi subito gli occhi con la mano. Si concentrò subito su altro e continuò a guardare fuori dal finestrino. Gli parve di vedere altro: verde e ancora verde. Un infinità.
Meglio scendere.
Panshanger Park nelle vicinanze. Allora si alzò e appena il veicolo si fermò, scese subito.



In realtà Panshanger Park non era propriamente il nome del parco, ma da una casa di campagna tra Hetford e la città di Welwyn che fu costruita su volere di un alto cancelliere della Gran Bretagna per poi essere ereditata e infine demolita. Alec aveva sempre amato pensare come potesse essere e cosa potesse contenere, se non altro la posizione e il panorama in cui era stata costruita una volta, erano pazzeschi. Magari se fosse nato circa mille o duemila anni prima, sarebbe riuscito a visitarla o quanto meno a guardarci dentro. La visione però, avrebbe battuto qualunque tipo di casa: un immenso spazio verde si estendeva per kilometri. Un fiume vi si snodava in mezzo facendo capolino di tanto in tanto, creando con gli alberi e la vegetazione circostante che si rifletteva dentro, un’altra immagine fantastica. Alec respirò a pieni polmoni, era disteso sull’erba, la testa sollevata, gli occhi chiusi. Si sentì umido… leccato. Abbassò la testa e si trovò davanti un cane di media stazza dagli occhi curiosi. Rise.
E sentirsi ridere quasi lo fece sentire strano, ma anche bene. Si sollevò, accovacciandosi sulle ginocchia.
« Se cerchi qualcosa da mangiare mi dispiace piccolo, » gli portò le mani dietro le orecchie disegnando piccoli cerchi immaginari « Non ho nulla » il cane in tutta risposta uscì fuori la lingua e oscillando la testa leccò una delle mani di Alec. Il ragazzo sorrise un altro po’. Una signora si avvicinò abbassandosi verso l’animale.
« Baston! BASTON! Ecco dov’eri finito, » la voce era ansante, come se avesse corso per metri « Non farlo mai più , hai capito? Mi scusi, » continuò la donna nervosamente, « ma ogni tanto preferisce stare libero anziché al guinzaglio.»
Non ci vuole certo un genio, per capirlo.
Solo adesso Alec si accorgeva del collare rosso porpora al collo del povero animale. I suoi occhi restarono lì per un po’, il sorriso piccolo sulle labbra.
« Non è nulla, si figuri » La signora gli sorrise e con fare rapido si alzò e con il guinzaglio in mano trascinò leggermente il suo animale. Alec seguì la donna con lo sguardo e poco dopo, altra gente si stava dirigendo tutta nella stessa direzione. Cosa ci sarà mai da camminare tutti nello stesso punto, pensò. Con un piccolo scatto si mise in piedi e guardandosi intorno, le mani in tasca, si unì a quelle figure in coppia, con i propri cani o bambini e camminò con loro.


**



Aguzzando meglio la vista, Alec notò una struttura rotonda, ampia, dai colori accesi. O forse erano luci. Non si capiva bene perché distava ancora un po’ camminando, ma lui aveva tempo, tutto il tempo che voleva. D’altra parte, il sole era da poco calato e adesso, il cielo era di un plumbeo intenso e finto. E lui non sarebbe rientrato a casa prima delle undici o mezzanotte. Per riunire tutta quella gente doveva pur esserci un motivo valido, qualche festa? Qualche evento in particolare? Non gli veniva in mente niente. Per fortuna quel giorno aveva scelto delle scarpe comode e avrebbe potuto fare tratte più lunghe. Ad un certo punto si sentì un boato provenire da quel punto in cui tanti omini si stavano dirigendo, farsi sempre più vicino. Sembravano sirene, no…trombe, percussioni e tamburi. Guardò meglio: era un tendone bianco e rosso da circo nel bel mezzo del verde, tra questi e il fiume. Delle luminarie erano appese a due lunghi fili annodati in modo precario, che percorrevano la grande struttura ad arco rovesciato. Da lontano, sembrava molto più piccolo ma occupava uno spazio vasto in realtà. Affianco, un piccolo stand vendeva qualcosa: cibo, pensò Alec. Guardò di più, biglietti, non solo cibo. Il circo stava dando uno spettacolo proprio lì e la gente stava andando per divertirsi, con i propri cari. Alec non ricordava di esserci mai entrato, aveva imparato a scuola cos’era un circo, ma l’unico appellativo che gli venne in mente fu fenomeni da baraccone, immagini di clown e quant’altro ne seguiva. Si toccò la giacca: aveva dei soldi. Pensò bastassero in fondo. E poi era una serata diversa. Si accodò alla fila e venne colpito da chi teneva aperto il tendone: una figura esile e slanciata femminile in un costume attillato e luminoso sfoderava un sorriso a ogni persona. Fu il suo turno e Alec uscì il denaro indicato da un piccolo cartellino:

CINQUE STERLINE PER ASSISTERE. SE VOLETE OFFRIRE UN CONTRIBUTO SIETE LIBERI DI FARLO.

Alec passò oltre, la ragazza lo degnò dello stesso sorriso ed entrò dento. I suoi occhi vagarono per tutta la struttura che se vista dall’esterno sembrava grande, dentro quasi si moltiplicava. Una pista semisferica di legno era al centro e riportava il disegno di tanti spicchi rossi e gialli. Il resto sopra di sé, un manto blu notte, era circondato da quelle che dovevano sembrare luci lungo attrezzature verticali. Un grande drappo rosso scarlatto a sipario chiudeva lo spazio circolare dietro. Ai suoi lati, destra, sinistra, di fronte, delle piccole grate ma più che tali, erano tanti posti gli uni vicini agli altri a creare delle piccole cavee moderne.
Alec aveva studiato e ricordava ancora qualche dettaglio dell’arte greca classica. La cosa che più lo lasciava senza fiato era stata, alzando gli occhi, una lunga fune sospesa in aria, andante da un estremità all’altra del tendone. L’altezza era incredibile e non osava immaginare chi fosse tanto pazzo da salirci sopra. All’improvviso più gente cominciò a prendere posto e così Alec, si mise comodo, decidendo che dalla grata centrale si aveva una vista migliore. Le luci si spensero e lo spettacolo iniziò.




**




Alec non poteva credere a quello che stava guardando.
Due uomini al centro stavano letteralmente giocando a passarsi sul corpo delle piccole aste che esplodevano in cima con piccole fiamme di fuoco. Ci giocavano, lanciandole in aria e prendendole con agilità, girandosi a ritmo della musica in sottofondo mentre se le passavano dietro la schiena, mentre si inginocchiavano e le facevano ondeggiare come degli yo-yo infuocati. A un certo punto calò il silenzio e uno dei due si posizionò al centro, con un solo volteggiò in aria atterrando in spaccata, acchiappando l’asta e portandosi la punta alla bocca. Alec strabuzzò gli occhi. Quell’uomo aveva appena ingerito del fuoco e adesso lo gettava fuori in aria, come fosse un drago. Il pubblico si ritrovò in un grosso boato, applaudendo. Alec rimase senza fiato.
Il prossimo numero era portato da due ragazze, su due cerchi sollevati alla stessa altezza della fune che poco prima Alec aveva adocchiato. I loro corpi sembravano fatti di burro: si contorcevano ed entravano e uscivano dal cerchio, assumendo pose armoniose , simili a statue antiche, appoggiando il bacino e portando il corpo in fuori a piegarsi all’indietro, riproponevano il movimento vorticando su se stesse, tenendo le gambe piegate sull’estremità dell’esile strumento che avevano a disposizione. Sembravano delle trottole umane. Man mano che si andava avanti con i numeri, Alec si rese conto di quanto lavoro ci fosse dietro. Era assolutamente incredibile vedere tutte quelle persone diventare per un attimo qualcos’altro: uccelli, trottole, tutto fuorché esseri ordinari. Appena finì quello, ne cominciò un altro. Una figura piccola in basso, stava facendosi spazio. Era in penombra, quindi Alec non poteva distinguere se fosse un uomo o una donna. La figura era ancora immobile al centro della piattaforma e venne annunciato solo un nome: The flying man.
Ci fu silenzio.
Una musica lenta sfumò via la tensione e quella figura con una mano tirò uno dei due tessuti lunghi, bianchi che Alec non aveva notato prima. Contrastavano per grandezza contro la sua figura umana. Il braccio si tese e la figura si sollevò in aria, arrampicandosi con entrambe le gambe fino in cima. Con l’altra mano si allungò per afferrare l’altra striscia di tessuto e intrecciandovi attorno le gambe cominciò a roteare. La musica si sollevò di un soffio e l’artista cambiò posizione, legò il tessuto all’altezza delle anche e piedi e si ritrovò a fluttuare a testa in giù. Alec sgranò gli occhi: era un uomo. I riflettori puntarono sul suo viso e Alec notò che indossava solo una canottiera e dei lunghi pantaloni viola fluorescente attillati e i piedi rigorosamente scalzi. I suoi occhi forse scuri, con la luce sembravano brillare. I capelli erano sollevati in aria, simili a spuntoni che ricadevano morbidi, con un ciuffo a sinistra, come il suo corpo stesso in quel momento sbilanciato, ma Alec non capiva se lo fossero per natura propria o perché avessero deciso di conciarli proprio in quel modo. La musica incalzò ed era davvero molto incantevole.
Ma mai quanto quell’uomo in quell’istante: legò il tessuto alla vita e con una sola spinta cominciò a srotolarsi in velocità, rientrando perfettamente in sincrono con la musica. Da lì, in quella posizione, sembrava abbracciare l’intero tendone. Le gambe tese ma aperte, il collo sollevato e la mascella pronunciata in evidenza. Le gambe erano a volte in versi opposti, disegnando delle figure. A un altro rintocco incalzante, l’uomo slegò le sue gambe e sempre reggendosi con le mani a entrambi i tessuti, legò questa volta soltanto l’addome lasciando le gambe libere, ricadde di nuovo in velocità ma fermandosi a mezz’aria. Una gamba, la sinistra a toccare le due strisce bianche e la destra piegata e portata alla testa. Si potevano vedere i muscoli della schiena, pronunciata ( Alec pensava fosse minuto ma cambiò idea appena assunse quella posizione) in tensione e il suo leggero voltarsi verso le sedute. La pelle era lucida, olivastra e i tratti del volto non erano inglesi. Lentamente mentre la musica sbiadiva, roteò senza fretta verso il pubblico, liberò la mano non impegnata a tenersi la gamba e la protrasse in avanti, aprendo il palmo. Alec si alzò in piedi, insieme all’onda del pubblico coinvolto dall’esibizione, applaudendo.
I suoi occhi si focalizzarono sul volto dell’artista. Nonostante quello sguardo fosse lontano, Alec poté indovinare che erano diversi rispetto a quelli che aveva visto tante volte. Erano decisi e sicuri fuori, ma dentro nascondevano una fragilità evidente sotto tutto il trucco di scena che li metteva ancora più in risalto.

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Capitolo 3
*** Animale da palconoscenico IN or OUT ***


Clodia's: Buongiorno o buonaseraaaaaaa
(dipende da quando avete visto e cliccato su questa pagina, si prega di restare a leggere se
interessati e se siete capitati per caso, spero possiate incuriosirvi)
Bando alle ciance, how you doin guys?
Io sono andata per ben tre volte al mare. Tre.
Il che è un miracolo perché di solito prima di dare una materia esco poco o niente causa a n s i a.
Spero che voi siate allegri e spensierati, un po' come chi sta per andare all'ITACON a vedere il Cast. Sigh.
Meglio non pensarci. Hope you enjoy this chapter.
See you soon.






Tutte le cose belle finiscono, viene detto. Eccetto per il fatto che per Alec, era solo cominciata una serie di volte in cui le cose in questione sarebbero andate avanti per un bel po’. Da settimane intavolava qualche parola a casa, ma restava sul vago. Mai che desse una spiegazione ragionevole o più concisa.
« Allora Alexander, si può sapere cosa ti porta ad uscire ogni sera?» Helena riprese suo figlio mentre entrava in camera sua per posare qualche indumento di biancheria già stirato. Alec aveva sempre trovato strano che negli ultimi tempi, si sforzasse di fare qualcosa per rendersi attiva, cucinava, lavorava a maglia o forse si annoiava soltanto e doveva impiegare quella metà del tempo che non sprecava a urlare contro suo marito. In tutta risposta il ragazzo aveva emesso un sospiro di sfiducia. Non solo nei confronti della madre, ma di tutto il genere umano. Perché me lo stai chiedendo adesso. Perché non puoi capirlo da sola, va avanti da anni, come fai ad essere così cieca?
« Credo che tu ti sia già risposta da sola» e detto questo, si portò di nuovo una delle due cuffie all’orecchio. Helena s’irrigidì, le dita delle mani che si muovevano come non controllandosi e date da leggeri spasmi nervosi. Era una donna sulla quarantina, ancora giovane. Molte altre persone arrivavano a quell’età sfoggiandola in modo diverso, impiegandola al meglio.
Quella però non era Helena.
« E questo cosa vorrebbe dire?» la sua voce salì di un ottava. Lo sguardo di Alec era vacuo e perso in chissà cosa, si tolse di nuovo la cuffia per terminare cosa sarebbe iniziato da lì a poco in tutta fretta.
« Credi davvero di non saperlo o fai solo finta, mamma? Perché, sono serio, » guardava dritto davanti a sé, la parete, il pulviscolo nell’aria, qualcosa di indefinito « Hai già la tua risposta.» La hai da anni. Sul viso di Helena si disegnò la stanchezza, ma rimase muta e senza rispondere così com’era piombata in camera del figlio, così ne uscì.
Quella non sarebbe stata una giornata facile da affrontare. Nessuna lo era.
Quanto meno Alec poteva contare sull’illusione di crearsi una dimensione nuova altrove almeno per un paio di ore.


**


Il telefono squillò e Alec corse in soggiorno. Fu il primo e forse l’unico lì dentro davvero interessato a rispondere alla chiamata. La voce alla cornetta gli riportò il buonumore.
« Izzy!» era sempre stato il soprannome che aveva scelto per sua sorella. Isabelle suonava fin troppo lungo e poi, neanche lei come suo fratello amava farsi chiamare per intero. Per questo Alec, molte volte nelle conversazioni con i suoi, cancellava di aver ascoltato il suo nome di battesimo.
« Alec! Fratellone, come stai?» la voce di sua sorella era così colorata che quasi si sentì un estraneo piuttosto che suo fratello, sangue del suo stesso sangue per alcuni secondi. Si girò il telefono per passarlo all’altro orecchio. Si morse le labbra esitando.
«
Alec-»
« Scusa Izzy, ti dispiace se insomma, parliamo un po’ noi due, senza che mi sentano mamma e papà? Non vorrei sinceramente sentirli discutere per un po’…» Sentì Isabelle sospirare e se la immaginò mentre portava una mano alla fronte in modo plateale.
« Sì, certo Alec, capisco » Alec si guardò intorno, captando la presenza di qualcuno dei due. Appena ebbe la conferma che erano impegnati in tutt’altro ne approfittò e filò di corsa in camera. Si buttò in ginocchio sul letto per poi prendere una posizione più comoda. Incrociò le gambe.
« Eccomi » si sforzò di avere un tono più allegro. « Alec… come sta andando? E’ cambiato qualcosa o-»
« Sempre il solito. La mamma non vuole ammettere che cosa succede e papà beh…» Alec rise amaramente e deglutì, la mano libera giocava a stropicciare un pezzo di coperta lì vicino « lo conosci. E’ orgoglioso, è tutto tranne che comprensivo, non si parlano quasi mai quando sono qui a casa e quando non ci sono…» sospirò.
« Quando non sei a casa? Alec?» il ragazzo deglutì e socchiuse gli occhi. Sentì la voce della sorella farsi preoccupata e la cosa non gli piaceva affatto.
« Alec…» Isabelle parlò piano « Stai ancora fuori fino a tardi per questo? »
« Non ho altro modo Iz, non ci riesco, sta diventando una gabbia di matti qua dentro,» la sua voce era bassa e grave, quasi atona « tu non ci sei e io non riesco a concludere niente. Mi manchi » Ci fu qualche secondo di silenzio.
« Alec anche tu mi manchi, » poteva sentire il piccolo tono intenerito della sorella che il più delle volte, fingeva di fare la spaccona ma in realtà aveva un cuore di panna « ma devi capire che non puoi continuare così, » ed ecco che lo rimproverava « se un giorno tu decidessi di andartene senza che loro abbiano risolto, se succedesse qualcosa -»
« Che vuoi che succeda?» la interruppe « Loro arriveranno a separarsi. E’ inevitabile. E quel giorno voglio solo essere il più lontano possibile » aveva due piccoli solchi sotto gli occhi per via del poco sonno in quei giorni, ma pensò che non fu il caso di informare la sorella.
« Lo so. Ma so anche come sei e che su cento dei loro problemi tu ne prendi novantanove. Voglio solo che tu stia bene, che non ti vengano strane idee. Sei pur sempre il mio fratellone »
« Sì, lo so » Alec girò con lo sguardo e trovò la loro foto sullo scaffale. Era di qualche anno fa, mentre lei cercava di fare una foto decente e lui era venuto come risultato con una smorfia degna di un cartone animato di genere fantastico, Isabelle rideva in quella foto e lo sfondo era di un bel verde con poche nuvole.
« Come va lì, in Spagna? » Izzy aveva trovato lavoro come pasticcera dopo che per tanto tempo, la sua passione per la cucina e le sue richieste per concorsi, erano rimasti solo un vago sogno da rinchiudere e buttare via la chiave.
« Madrid » sottolineò sbuffando lei.
« Che è pur sempre in Spagna» precisò Alec.
« Va bene. Ogni giorno sono piena di lavoro, la paga è buona, la gente è deliziosa, ogni tanto durante le pause riesco a farmi un giro e sto progettando di andare a Barcellona un giorno di questi. Cosa che non ho pensato affatto invece: proprio una settimana fa ho provato a chiamare a casa, ma ha risposto la mamma dicendo che non sapeva dove fossi, » ricominciò a blaterare e Alec dovette fermarsi dall’implodere un b a s t a con questa storia « e così ho parlato con lei. Non mi è sembrata in sé, rispetto all’ultima volta, intendo. » chiarì.« Comunque sia la prossima volta vorrei che chiamassi direttamente me e non a casa se vuoi sapere dove va a cacciarsi di tanto pericoloso tuo fratello » le fece il verso. Isabelle in tutta risposta sospirò di nuovo.
« Stiamo parlando adesso. Sono vivo. Fammi un favore, stai tranquilla, non sono io che sto a 1.779,49 km di distanza da qua »
La sorella scoppiò in una risata fragorosa. Alec venne contagiato.
« Adesso sei anche un genio matematico! Incredibile. Va bene, non ti prometto niente, ma tu » fu canzonatoria « non commettere stupidaggini »



**



E così Alec era uscito di nuovo, evitando volontariamente lo sguardo del padre seguito da Helena, mentre girava la maniglia della porta e usciva. Fuori pioveva e quindi si contraddistingueva per un look spartano, inusuale ma comodo: capelli arruffati, una felpa nera pesante, dei jeans un po’ più vecchi e delle scarpe da tennis che aveva conservato nonostante sua madre avesse cercato in ogni modo di buttargliele.
« Non sono adeguate al nostro tenore di vita e poi erano di tuo padre prima che fossero tue quindi chissà da quanti anni le abbiamo in casa! » In tutta sincerità, ad Alec piacevano quel scarpe e non erano per niente usurate, tranne forse per i lacci (ma sostituibili) , erano ancora seminuove. Aveva più volte escogitato nuovi nascondigli grazie anche all’aiuto di Izzy. Non si era portato un ombrello perché riteneva scomodo usarlo per tratti brevi visto che, aveva smesso di piovere una volta arrivato a Panshanger Park.
Vedendo la solita gente radunarsi intorno al tendone, sapeva di doversi sbrigare.
Da almeno una settimana o forse un po’ di più, ogni venerdì, l’appuntamento era fisso. Alec usciva nel tardo pomeriggio per ritornare alle 12.
Non aspettava altro. Certe volte rimaneva ancora un’ora fuori anche se il bus lo aveva già lasciato a Hertford e camminava fino a casa con calma. Ogni volta ne rimaneva stupito, ogni volta c’era uno sguardo diverso in quello che osservava, i corpi che si snodavano, l’ambiente colorato e insolito, addirittura la presenza di strani clown che al posto della solita parrucca arancione, ne portavano una luminosa di tanti colori.
Ogni sera c’era quel ragazzo (Alec non sapeva quanti anni potesse avere) che volteggiava in aria, che celava qualcosa che Alec interpretava come affascinante e fragile al tempo stesso. Era difficile da spiegare. Però, qualcosa glielo diceva dentro di lui e dopo giorni, pensava di essere sempre più vicino alla soluzione. E come di consueto, Alec stava ritornandoci ancora, quella stessa sera.



Il tendone quella sera gli parve più illuminato e vivo che mai, anche se forse era sempre lo stesso e Alec stava solo ingigantendo la sensazione. Ma era come vivere decisamente in un altro mondo, il mondo che lui voleva tanto per se stesso. Come vivere in modo libero, senza ossessioni. Uno governato solo dall’armonia e euforia del momento. E vedere come quella stessa donna se ne stava al centro, cantando a voce piena, era perdersi in quello stesso mondo. Non aveva nessun talento in particolare se non quello di arrivarti dritta al petto creando il soul soltanto con le sue corde vocali. Era una donna di colore, un vestito blu con una giacca e dei risvoltini gialli le davano un aspetto più grande, un cappello in testa da cui fuoriuscivano i suoi ricci, si intonava con l’abito.
Dietro di lei, degli acrobati si prendevano e buttavano, in equilibrio su piccoli trapezi come fossero nati per fare solo quello. Appena finì intonando l’ultimo acuto, Alec si alzò in piedi applaudendo con tutta la forza che aveva in corpo. Cominciarono a uscire tutti gli artisti che come ogni sera in fila, venivano chiamati da quel signore (forse il capo) – anch’esso dotato di cappello a cilindro, guanti bianchi alle mani, ma con una giacca diversa perché con bottoni d’ottone e terminante a pinguino sulla schiena – che pronunciava a uno a uno i loro nomi. Il ragazzo volteggiante fu presentato per ultimo e Alec quasi sobbalzò: si era cambiato d’abito, indossava qualcosa di molto simile a un body, ma color carne scuro, più della sua stessa pelle. Il ragazzo fece un inchino e sorrise ampiamente. Alec quasi si perse in quel gesto, il suo sorriso raccontava tutt’altro rispetto ai suoi occhi. Allora gli venne un’idea. Lo spettacolo era finito da almeno dieci minuti, ma Alec stava cercando una via secondaria all’uscita: una che portasse dietro la struttura. Doveva pur esserci. L’entrata principale portava all’uscita, doveva trovarne una laterale.
Si guardò attorno e adocchiò un’apertura coperta da una trave in fondo a sinistra. Sarebbe stata proprio invisibile senza la presenza del ferro che spiccava, poiché ciò che si vedeva fuori era completamente buio Forse è già notte, pensò. Ho perso la cognizione del tempo, si ravvivò i capelli con una mano. Alec avvicinò l’orecchio all’apertura grande come un arcata superiormente e stretta quanto la sua larghezza. Ci sarebbe passato, il problema era come spostare l’asse di ferro, peserà almeno 10 chili. Sentì prima delle voci dall’altro lato, poi ne sentì altre arrivare, ma questa volta da dentro il tendone stesso. Si nascose. C’era una piccola sporgenza vicino a lui, un piccolo spazio vicino la serie di sedute che creava una curvatura più bassa. Si accovacciò il più possibile per non farsi vedere. Passarono davanti a lui delle ombre ben piazzate e tozze che stavano discutendo.
« No, non è possibile. Mr. Sanders è completamente fuori! » Affermò una delle due, arrabbiata. L’altra avanzò dirigendosi verso l’apertura nascosta. Alec sbirciò sporgendosi un attimo. Erano gli omaccioni dalle barbe folte: i mangiatori di fuoco. Alec si stupì di poter vedere adesso da vicino quegli occhi chiari come due ghiacci accesi davanti a un cero.
«Sì, ti dico che ha ordinato di raddoppiare gli orari di prove » Azzardando dal tono, Alec capì che fosse straniero. Era una cadenza strana mischiata alla sua lingua, con i baffi sopra la barba che si muovevano insieme alla bocca: forse era russo. Peccato che Alec aveva mancato di riconoscere dalla cadenza molte lingue, il suo campo di studi era stato ben altro. « Uno di questi giorni quell’uomo ci ridurrà in pezzi » concluse l’altro. Con un gesto abile e una forza bruta, l’uomo sollevò la trave abbattendola di lato. Di colpo Alec sembrò scorgere un pezzo di cielo e delle figure. In realtà solo figure sfocate, ma era pur sempre qualcosa. L’omone stava per passare, quando venne trattenuto per il braccio dall’altro.
« JAY! » Lo riprese l’altro, il tono ansioso « Non puoi lasciarla » indicò l’asse.
L’omone in questione, si portò le mani sui fianchi, si guardò intorno e sospirò pesantemente:
« Non arriverà nessuno James, sono tutti andati via da un pezzo » allargò le braccia e sparì dall’altra parte.
James si girò per guardare davanti a sé dubbioso. Scrollò le spalle e seguì il compagno.
Alec aveva la sua occasione.

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Capitolo 4
*** 3. Prigionieri solo quando ci si arrende (parte 2) ***


Una dozzina di roulotte riempivano l’area dietro il tendone.
In mezzo bazzicavano gran parte dei circensi, chi mangiava, chi beveva, chi era impegnato a fare altro.
Alec sviò lo sguardo, l’ultima cosa a cui teneva era assistere a una visita e scambio di germi e tonsille. Oggetti di scena erano sparsi un po’ ovunque cogliendo i riflessi della luce lunare. Un intrico di luce e ombre si creava tra le varie cianfrusaglie e oggetti ammassati ovunque, in mezzo a quegli omini particolari, ancora con gi abiti dell'esibizione addosso. Cercò di concentrarsi sulle persone in lontananza.
Notò la donna che adesso gli sembrava più una ragazza, che si era esibita alla fine, la coppia di danzatori.... un ragazzo con una tuta color carne.
Eccolo.
Alec cercò di allontanarsi dalla folla, passando attraverso le varie roulotte. Sarebbe arrivato comunque dato che, il ragazzo era situato a metà tra un attrezzo di scena e una toiletta movibile a luci fisse. Continuò a zigzagare come un segugio. In quel momento se glielo avessero chiesto avrebbe sicuramente risposto di essere una spia. Una spia dei circi inglesi. L’aria era un po’ più pungente delle altre sere e Alec maledì di essersi soltanto messo una maglia e una felpa sopra.
Le sue mani si erano ricacciate nella sua tasca e i suoi occhi erano puntati ovunque come microspie per cogliere un momento di distrazione da parte degli altri. C’era gente rammucchiata come formiche, formiche però eleganti, ognuna dotata di body o di tute scintillanti e appariscenti. Alec pensò di stare impazzendo, ovunque il suo sguardo si posasse, non riusciva a rintracciare chi voleva. Finalmente, dopo aver scavalcato l’ultimo ostacolo e cioè un vecchio ubriaco (Alec non ricordava di averlo visto in scena) completamente privo di sensi, arrivò dietro le spalle dell’artista. Non sapeva che dire. Provò a formulare una frase concreta, un saluto, qualcosa che potesse sembrare normale e - il ragazzo si girò.
Adesso che Alec lo aveva davanti a sé, si vergognò subito di ciò che aveva interpretato, per averlo definito minuto.
Quel termine non gli si addiceva affatto.
Quella figura ora aveva preso una forma concreta, forse un po’ di più di quanto Alec avesse osato dipingere con i suoi stessi occhi. Il ragazzo era affascinante: i suoi tratti erano orientali, tanto belli quanto particolari, il suo naso, la sua mascella era pronunciata e delineata, gli occhi a mandorla erano scuri, le labbra esili e perfettamente disegnate. Qualche capello che prima gli sembrava di aver visto come più appuntito in scena, era appiccicato alla fronte imperlata di sudore. L’incarnato era olivastro ma gli donava tantissimo, sposandosi con quelle gemme scure. Guardando dalle spalle al torace, si poteva dire che era allenato e questo non era certo per gente minuta.
« …Ti sei perso? » gli chiese il ragazzo. Gli occhi piccoli ma magnetici lo scrutavano divertiti. Alec su ritrovò a perdere proprio il significato della parola. Cercò di calmarsi.
« Uhm » mormorò « No, non proprio » riuscì a dire. Il ragazzo di fronte a lui sollevò le sopracciglia sorpreso, teneva in mano un bicchiere con dentro qualcosa di molto simile al vino ma non poteva giurarci. Il liquido oscillava un po’ seguendo il movimento del suo padrone.
« Vuoi un autografo? » ridacchiò. Il bicchiere che finiva alla bocca, lo sguardo che invece sosteneva il suo. Alec si lasciò prendere in giro, non si sentiva offeso affatto, anzi.
« Nemmeno questo» chiarì grattandosi la testa. Il ragazzo prese un sorso del liquido e deglutendo, alzò il bicchiere:
« Posso aiutarti in qualche modo allora? » consigliò, sorridendogli.
« Sì, ecco... » mormorò Alec, chiedendosi come avesse perso stranamente l’uso momentaneo del cervello. Cosa sto facendo, cosa posso dire. Alec calmo, respira. Pensa a qualcosa di normale. « Voglio sapere come ti chiami. »
Il ragazzo sollevò le sopracciglia, la cui attaccatura quasi arrivò a fin sopra la fronte. Le sue sopracciglia erano sottili e piccole, si adattavano agli occhi. Non c’era niente che non stonasse nella fisionomia del ragazzo. Quello posò il bicchiere sulla grande toiletta, i cui specchi laterali formavano una curva, dietro di sé. Alec pensò che non sarebbe mai stato tanto idiota quanto in quell’istante, ma ormai era andata così.
« E quindi, un ragazzo sconosciuto, che non ho mai visto prima, » abbozzò un sorriso divertito « vuole sapere come mi chiamo. »
« Il tuo nome, sì » la prima volta durante quella conversazione che Alec raccolse la sicurezza.
« Interessante » concluse il ragazzo, pensandoci su. Alec notò come le pieghe di espressione gli si formavano proprio attorno agli zigomi appena sorrideva. « E che cosa te ne faresti, di un semplice nome, intendo, » le sue mani si muovevano a tempo quando potresti avere una firma o un omaggio gratis al circo, una foto ricordo- »
« Nulla. Soltanto il tuo nome. » lo anticipò Alec.
Il ragazzo rimase con la mano a mezz’aria, chiuse la bocca e annuì.
« Immagino che the flying man non sia molto affidabile come identità » sospirò sconfitto « bene se è un nome che vuoi, allora è un nome che avrai » Girò su sé stesso piano e anche in quel momento ad Alec sembrò che stesse volando (o forse aveva completamente fatto fuori uso ogni cellula neuronale).
« Magnus , » disse « Magnus Bane. » Allungò una mano e Alec gliela strinse.
Si guardarono per un secondo e sul viso dell’altro si disegnò il sospetto.
« Sai che non è educato non presentarsi? » finse serietà ma scherzò e finì per ridere. Alec era in trans. « Sì, giusto, io sono Alec, » la stretta era più salda « Alec Lightwood »
« Alec...diminutivo di? »
« Non amo molto il mio nome per intero, ecco » mormorò velocemente.
Si sentì osservato da quella specie di uomo appena uscito dal marmo di qualche statua greca. Deglutì in modo evidente.
« Alexander »
« Alexander... » pronunciò Magnus. Era strano e odioso l’effetto che faceva quando qualcuno pronunciava interamente il tuo nome. O almeno ad Alec lo aveva sempre definito così, tranne in quel momento. « È un bel nome. Il nome di condottieri, gente importante. Per citarne uno, il grande Alessandro Magno » Alec sembrò quasi notare un lampo attraversare quelle due pupille attente « Mi piace » Magnus mise molta enfasi alla fine e Alec non capiva se lo fece apposta o semplicemente fosse così. In ogni caso, non dava peso nemmeno a quello. In tutto quello, l’artista studiò attentamente il ragazzo davanti a sé. Alec sorrise nervosamente guardandosi attorno, cogliendo mentre con si portava una mano dietro la nuca, cogliendo uno dei tanti professionisti lanciargli un occhiata torva.
« Vorrei tanto capire, » Magnus incrociò le braccia al petto, il fare di un pensatore curioso « cosa porta un ragazzo pulito come te, in un posto così » alzò leggermente il viso e il suo mento e la mascella si trovarono in bella mostra. Alec boccheggiò prima di trovare una risposta che potesse suonare normale e non folle. Come ad esempio: non ti ho stalkerato, se è questo che pensi.
Il che, non poteva suonare in altro modo se non inquietantemente insano « Rettifico, » Magnus abbozzò un risolino appena visibile sulle sue labbra increspate, « un ragazzo pulito e carino » ostentò, mentre gli si dipingeva in volto una sfacciataggine sincera, che gli si addiceva.
« Non credo sia un posto tanto tremendo, se insomma, riuscite a fare tutte quelle cose » replicò Alec.
La bocca di Magnus assunse una smorfia riflessiva mentre, molto piano, sganciava una delle sue mani dalle braccia per ricacciarsi indietro un capello fuori posto dietro l’orecchio.
« Più che legittimo pensarla così, » sospirò « per uno spettatore » concluse con un tono cristallino.
« Beh, è evidente che amate ciò che fate, » cominciò Alec deglutendo, le mani in circolo davanti alla sua figura « e la gente vi guarda e vorrebbe… vorrebbe trovare un modo per essere così leggera, priva di dubbi o paure » Alec non capì perché stava intavolando quel pensiero proprio in quel momento, ma vide l’altro concentrato, riprendere il bicchiere dietro di sé un attimo e bagnarcisi le labbra con l’ultimo sorso. Poi allo stesso modo con cui lo aveva preso, l’oggetto di vetro finì di nuovo sull’oggetto di scena dietro di lui. Magnus annuì piano, cercando di mettere su un sorriso.
« E’ la cosa più autentica e sentita che qualcuno mi abbia mai detto su ciò che faccio,» notò, il capo che oscillava in lusinga « ma anche noi siamo essere umani » aggiunse ridacchiando appena. I due sembrarono avvolti da un solo nucleo, estraneo e denso, racchiuso intorno a pensieri e parole non dette.
Un omaccione buttò la sua voce avvicinandosi minaccioso verso loro due.
« MAGNUS! Cosa ci fa questo ragazzo qui? » l’omone era rabbioso, la faccia una gradazione tra rosso e viola. Si aggregò anche l’altro ragazzo che prima Alec aveva sentito parlare, James.
« Cosa sta succedendo? » Il bruto era di stazza inferiore ma comunque paurosa, appena adocchiò Alec, sul suo volto si disegnò il panico, si voltò verso Jay preoccupato « Te lo avevo detto, te lo avevo detto! » Alzò le braccia in aria. Jay lo colpì allo stomaco e l’altro si toccò il punto dolorante. Una smorfia si affacciò sul viso del piccolo bruto. Magnus in tutta risposta sbuffò e subito si mise avanti ad Alec, come a proteggerlo.
«Va tutto bene Jay, » disse calmo portando le mani in avanti « È solo un fan che si è perso e voleva un autografo, » si girò un attimo per scoccargli un occhiolino, Alec scosse la testa in basso evidentemente a disagio « ora lo riaccompagno io, non preoccuparti. »
« Sarà meglio »


 
**



Alec e Magnus erano ritornati indietro. Ovviamente Magnus era davanti per dare prova che fosse solo un fan spettatore e che lo stesse portando fuori dal suo luogo di lavoro. Appena l'artista scostò un lembo del tendone, si trovarono all'ingresso principale e Alec notò fissando il cielo che doveva pressa poco essere l'ora di ritornare anche se, avrebbe preferito rimanere lì in tutta onestà. Magnus era diverso, in senso positivo.
« Bene, fine della corsa, Alexander » disse. « Sono comunque stato lusingato che un mio fan abbia preso il coraggio di venire a cercarmi personalmente, » continuò a voce ben ampia, il fare teatrale « lo apprezzo » concluse. Alec si ritrovò a sorridere inconsapevolmente e Magnus lo riprese « Ti suggerisco di non provarci una seconda volta, » sussurrò, la mano sopra la bocca, il naso arricciato « Non perché non mi faccia piacere avere un ammiratore, ma ci lavoro qui e se il mio capo va in escandescenza ci sarà poi del sangue di innocenti da pulire, non so se mi spiego...»
Vedeva il bagliore del glitter attorno ai suoi occhi, non in modo esagerato, ma quel poco da metterne in risalto la loro forma a guscio, delicata, esotica. Se Alec avrebbe potuto descriverli in una parola sola: sensuali. Alec annuì senza però smettere di levarsi quel sorriso stampato sulle labbra. Sì, era proprio diverso.
« Capito... » rispose Alec « quindi, in quale orario non è prevista, uhg, una carneficina?» tentò nonostante sapeva fosse azzardato, banale, forse anche scontato. Magnus si morse le labbra, intrigato. Alec notò che fosse indeciso se parlare o meno, era così concentrato, attento a ciò che aveva appena detto che quasi Alec trovò strano che qualcuno lo degnasse di un tale interesse. Era la prima volta, dopo tanto.
« Sei uno che non molla, proprio eh? Anzi, rettifico, sei un semisconosciuto trovatosi nel bel mezzo della notte in un circo - che non molla. » ridacchiò spezzando l'aria gelida che filtrava, portò una mano sotto il mento con fare pensante « Durante le prove di pomeriggio se vuoi, puoi... » esitò per un secondo.... « puoi venire a guardare, incominciamo tutti i giorni verso le quattro o giù di lì, prima dello spettacolo serale. Se ti va, puoi venire. Ovviamente, devi avere un permesso che... insomma, testimoni che non combinerai nulla durante le nostre prove. Hai bisogno che qualcuno ti faccia entrare ... » Alec lo osservava e poteva vedere che oltre lo spirito umoristico c'era anche qualcosa che lo portava a riflettere dietro ogni parola « Me ne occuperò io stesso, se potrò. » annuì lentamente Magnus. Alec quasi non toccò più terra. Se ogni pomeriggio avrebbe avuto modo, sarebbe venuto lì, si sarebbe immerso nell'atmosfera danzante e giocosa di quel circo. E stava solo a lui deciderlo. Magnus però lo anticipò nei pensieri: « Non posso essere più chiaro, ma ti prego evita di intrufolarti di nuovo, anche se mi sto chiedendo ancora come tu abbia fatto... »
Una voce rimbombò da lontano:
« MAGNUS, HAI FATTO? Perché ci stai mettendo così tanto?! »
Il ragazzo quasi sobbalzò in aria, si girò di scatto e ritornò a guardare velocemente il diretto interessato.
« Adesso è meglio che vada, ciao! » Magnus si affrettò e voltandosi indietro , salutò il ragazzo malcapitato e appena conosciuto con un cenno della mano che ondeggiava. Ma tu guarda che svolta ha preso la serata sorrise tra sé e sé speriamo di non finire in grossi guai, pensò Magnus ritornando alle roulotte.





Alec ritornò molto tardi quella sera. Aspettò il bus delle tre e ritornò a casa col buio pesto del soggiorno, l’aria silenziosa, il che lo aveva portato come un ladro a chiudersi piano la porta della camera dietro di sé. La finestra era rimasta aperta e le tende venivano risucchiate emulando un po’ il movimento di due polmoni che si gonfiano e sgonfiano per prendere aria. Alec buttò la felpa sulla sedia, centrandola in pieno, dopodiché toccò a lui, sfilare le scarpe, sprofondare nel letto. Sei uno che non molla. Sentì riecheggiare la voce di quel personaggio tanto nuovo che era Magnus.
Sei uno che non molla.
Di nuovo.
Alec non sapeva se fosse davvero così, sapeva solo che era stato incuriosito, che l’ultima volta che qualcuno aveva scatenato curiosità nella sua vita, era stata la prima litigata dei suoi. E ricordava anche immagini bagnate di sé stesso mentre cercava di tapparsi le orecchie e chiudere con tutto. Sei uno che non molla. E ricordava dei piccoli dolcetti sfornati da sua sorella per una delle sue feste. Poi nero, completamente nero.






Clodia's: Niente, oggi efp ha fatto le beffe. Io sto mezza abbattuta se non tutta (causa: il ciclo d'estate dovrebbe andare a nascondersi e tornare direttamente in ottobre, d'autunno e d'inverno e non presentarsi in questi tre mesi)
Io aggiungerò comunque parte 2 ogni volta che un capitolo intende continuare, quindi in dovuta sincerità è come se questo fosse la seconda parte del 3 capitolo, just so you know. Ma bando alle cianceeeeee, here we are ragazzuoli. Vi è piaciuto? Ma più che altro, ma quanto è bello il Magnus flirtuoso che conosciamo, il suo bicchiere, la sua presenza evidentemente non indifferente. Lo so, lo so cosa vi starete chiedendo: ma Alec è davvero così bravo e furtivo? Allora, premettiamo una cosa: Shadowhunter o non, l'Alec che immagino io è sempre molto testardo e se vuole qualcosa che lo fa stare bene, prova ad acciuffarla. O quanto meno prova a non pensarci troppo e a seguire ciò che gli dice l'istinto (se non qualcos'altro if you know what I meant). Mentre Magnus è tanto sorpreso quanto intrigato, but still, sono artisti valli a capire ( lo so per esperienza)
Alla prossima ragazzi <3

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Capitolo 5
*** Pensieri Rivoltati ***


prologo
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Clodia's: Ragazzi torno dal mare e ho appena preso colore dopo almeno sei bagni.
Sono soddisfatta, yuuuuuhuuu.
Bando alle ciance, l'aggiornamento è qui sotto e come potete notare, ho lavorato anche alla copertina che rimandasse alla storia, grazie all'aiuto di Rob, con la quale scambio sempre pareri, cazzate e amori telefilmici o letterari. Inoltre lei è più brava di me con la grafica quindi dopo una mia idea e bozza dell'immagine, lei si è presa carico di modificarla e di inserire titolo e quant'altro.
Grazie love of mine.
Buona lettura.


 


Ricadde in giù cercando di ricordare la posizione da assumere, le mani lungo il bacino, la testa piegata.
Era in equilibrio precario sul suo stesso strumento.
Sbuffò scoraggiato, riprovò.
« No, no, non ce la faccio, » ritornò nella prima posizione lungo le due fasce «Dustin, per favore, puoi ricordarmi esattamente dove dovevo portare le gambe? »
Un ragazzo con una tuta larga, una collana terminante con una piuma e un paio di dreadlocks e un sorriso quasi simile a un ghigno si spostò i capelli dalle spalle per raccoglierli in una coda disordinata.

« Gambe a quarantacinque gradi…sì, così » osservò Magnus mentre riprovava a mettersi in modo corretto, avvinghiando le gambe lungo il tessuto di destra e arrotolando le braccia a quello di sinistra « testa all’indietro e dovrebbe essere fatta! »
disse soddisfatto Dustin.
Magnus cercò di srotolarsi ma non succedeva.
« C’è qualcosa che non va » sospirò confuso. Si fissò le gambe. Ma certo. « Ti sei dimenticato: le gambe vanno arrotolate attorno al nastro perché io mi sleghi »
Dustin si toccò uno dei dreads e rispose indispettito :
« Beh, non sono qui io l’acrobata sui nastri, mi occupo di spade, non di nastri
»
rispose seccamente.
« Dustin, ti ringrazio per averci provato, ma » Magnus cercò di fuoriuscire dal groviglio che aveva combinato con le mani, non sapeva cosa gli passasse per la testa quel giorno, « potresti evitare di lamentarti e aiutarmi? »
Il ragazzo rasta sbuffò e si mise sotto Magnus per prenderlo mentre questi, si scioglieva le mani e la corda gli sfilava sulla pelle veloce.
« Di solito sei tu il perfettino, mi sembra strano che oggi, sia io a doverti ricordare le figure » blaterò Dustin intelligentemente.
« Non so proprio cosa mi prende oggi… » scese atterrando piano sulle braccia di Dustin e lasciandosi portare a terra. Dustin aveva una faccia che la sapeva lunga al riguardo, era come se volesse dire tutto e al tempo stesso niente e lui lo conosceva fin troppo bene per evitare che stesse zitto.
« Avanti Dustin, » mormorò « Non trattenerti » sospirò. Quello allora, facendo spallucce, lo intrattenne canzonandolo nel suo modo unico e irreparabile.
« Hai dormito? Hai mangiato? Sei andato regolarmente in- » Magnus roteò gli occhi fulminandolo con lo sguardo, Dustin s’arrestò subito in linea di arrivo « Okay, la smetto » Dustin portò il palmo delle mani aperto in avanti, sembrò riflettere ed assumere per la prima volta in quella giornata, un espressione che fosse seria « Sei sicuro che non sia per quello strano ragazzo di due sere fa che stai così? »
Alec.
Magnus si atteggiò in una smorfia, arricciò le labbra che assunsero subito la forma di un cuore stretto.
Facciamo i seri, non riesco a concentrarmi per uno sconosciuto, siamo davvero giunti a questi livelli, Mags?
Scosse la testa scacciando quel pensiero.
« E tu cosa ne sai? » sbottò invece. Dustin fu serio e scrollò le spalle, fissandosi i piedi nudi.
« Quasi tutti ne sono al corrente. Vediamo… Jay e James lo hanno detto a Claris, che lo ha detto a Rolan, che lo ha detto a Candace che lo ha detto a me - »
« Sì, va bene. Ho capito. Il segreto di Pulcinella » rispose frustato.
Era assurdo come quasi tutti lì dentro si impicciassero di ogni minima cosa, anche la più superficiale. Insomma, era pur sempre la sua famiglia questo è anche vero, però il più delle volte Magnus preferiva tenere le cose per sé. Sapeva che fosse sbagliato tenere un'alta percentuale di quelle segregate e all'oscuro, ma non si sentiva sempre al sicuro per poterle lasciare uscire. E poi in effetti, c'era anche altro che si aggiungeva a quel suo bisogno, ed era la domanda che ora gli sorgeva spontanea e fluida. Non capiva perchè se la stesse ponendo. Non capiva nemmeno perché si stesse preoccupando tanto. Era un ragazzo che si era perso, forse venuto addirittura a prenderlo in giro senza che lui se ne accorgesse e teniamo in chiaro una cosa: nessuno, nessuno poteva farla franca con Magnus Bane. Era stato carino ma era finita lì.
Insomma, quando gli hai detto l’orario delle prove non sembrava proprio una cosa morta lì, sul nascere. Sicuramente neanche lo avrebbe rivisto più.

« Fammi entrare, ho avuto, ho avuto il permesso di-»

Un mormorio di voci che si alzavano sempre di più di tono raggiunse l’entrata del tendone. Dustin e Magnus si guardarono all’unisono confusi.
Una voce giovane si divincolava per passare a quanto pare ma qualcuno glielo impediva.

« Quale permesso? Nessuno qui è autorizzato da nessuno. Di cosa stai blaterando ragazzo?! »

« Scusami, ma è quello che ho detto: è stato uno dei vostri. Si chiama-»

« Ho capito chi è, mi credi un sordo oltre che uno stupido? »

All’improvviso si sentì il mormorio sempre più forte fin quando, un piccolo ragazzo di all’incirca quindici anni ne portò dentro un altro tenendolo per la maglietta, dai capelli corvini, gli occhi verdi e lo sguardo confuso tanto quanto quello dei due che stavano provando. Magnus lo guardò meglio: sopracciglia folte, labbra carnose, fare intimorito. O forse era solo l'imbarazzo a far pensare quell'emozione.
Alec.
« Magnus, questo ragazzo ha detto, cito testuali parole: che ti conosce e che era stato autorizzato ad entrare da te- » Magnus lo fermò subito, si avvicinò un po’.
« T-Jey sì, sì è… » cercò di inventarsi una scusa decente che potesse reggere quella situazione imbarazzante, pensa Magnus, pensa.
« E’ il mio nuovo consulente di immagine » affermò deciso.
Cosa aveva detto a proposito dei guai?
Ah, sì. Quelli.
Dustin lo guardò, le sopracciglia fino all’attaccatura della fronte. Magnus si sentì stupido, ma in qualche modo doveva pur uscire da quella situazione. Dustin affianco a sé non aiutò però di molto, scoppiò a ridere fragorosamente. Magnus finse un tono scocciato che gli riuscì perfettamente. « Non c’è niente da ridere, » lo bacchettò « anche tu dovresti averne uno Dustin, è per essere riconosciuti per strada, ovunque richiedano i nostri continui spostamenti. Questo ragazzo, » continuò gesticolando, cercando di mantenere lo stesso tono, acquistando sicurezza « è venuto a farmi visita due giorni fa e mi ha lasciato un bigliettino per contattarlo, »spiegò, notando lo sguardo di Alec farsi sempre più confuso, ci sono tesoro, ce la posso fare, « e così qualche ora fa lo ho chiamato, per informarmi meglio e capire come avrebbe cercato di insomma… promuovermi, in poche parole» finì di parlare e si beccò un occhiataccia dal sedicenne, Magnus gli fece cenno di andare e lo sottolineò anche con la mano. Il fanciullo non chiese altro e non staccando però gli occhi dallo sconosciuto, come se fosse una presenza maligna o indesiderata che era appena entrata nel tendone, uscì.
Magnus si voltò verso Dustin, il quale stava cercando di trattenere una risata per come le labbra si stavano sempre più incurvando e comprimendo secondo spasmi muscolari evidenti e capì senza bisogno di altre parole.
Appena furono soli, Magnus si portò entrambe le mani sulla fronte e con fare esasperato disse:
« Ma che sorpresa Alexander, » si portò una mano dietro l’orecchio e alzò lo sguardo verso il ragazzo immobile all’entrata « Hai un tempismo fantastico » dichiarò.



**




« Scusami, ma come vedi non ti aspettavo proprio… »
Magnus camminò come se volesse girare intorno ma andando verso la sua destra, poi lo guardò e accennò un sorriso. Alec annuì piano, lo sguardo rivolto in basso.
Magnus si morse il palato. « Non che mi fossi dimenticato, » chiarì, la mano che già iniziava a muoversi « ma è con tutto questo » indicò sopra con l’indice che portava un anello « credo mi sia passato di mente… »
Da quando dici le bugie, Mags?
Il volto di Alec si dipinse di un espressione che Magnus conosceva bene: delusione. D’altronde come poteva biasimarlo?
Gli aveva fatto una promessa, più o meno. E chi era lui per negargliela?
« Ma per favore, » lo invitò riprendendo il suo umore cordiale « Entra, non credo che debba arrivare più nessuno, almeno spero. »
Alec venne avanti lentamente, si guardò intorno con fare evidentemente imbarazzato e decise di concentrare la sua attenzione sul tendone da circo colorato della luce naturale proveniente da un'apertura sulla destra e una piccola laterale in fondo, all'estremità opposta.
« Stavi... stavi provando? » non lo guardò. Alec si stupì di quanto piccolo sembrasse l'ambiente senza quella marea di gente a riempirlo.
« Sì, » confermò Magnus « quanto meno stavo cercando di provare. Ecco » scherzò. Alec lo colse dare le spalle per ritornare a quelle lunghe strisce che aveva visto usare durante l'esibizione. Ne osservò le mani e notò due fasciature bianche sporco come due elastici ma più spesse, prendevano tutte e due i suoi polsi e rendevano le spalle lasciate libere dalla canottiera fissata dento i suoi pantaloni, un po’ più grandi.
« Le cambiano mai? » disse tutto ad un tratto, Magnus si girò e Alec indicò i due strumenti lunghi « quelle » le lunghe strisce dietro fecero girare il destinatario. Magnus boccheggiò qualche secondo. Nessuno si era mai interessato a ciò che faceva.
« Sì, qualche volta le uso di un altro colore » rispose « oppure utilizzo una corda semplice e apposita con un peso da una parte, in modo da non rimanere appeso in caso di pericolo qualcuno, » spiegò, la sua mano carezzò il tessuto « può tirarla tutta da sotto o alzarla per farmi salire o scendere »
Magnus si aggrappò di colpo, le gambe agili salirono lungo la stoffa appoggiandovisi quasi con fare meccanico e si posizionò verticalmente al centro con le mani che stringevano le due estremità superiori.
« È difficile? » Alec pensò di schiaffeggiarsi per una domanda così ovvia.
Magnus rise.
« Beh, non è proprio una passeggiata » Alec poteva vederlo sorridere con tutti i denti « Non è come saltare o come giocare a nascondino. C'è bisogno di pratica, allenamento... » si dondolò leggermente in avanti. « E soprattutto, » puntualizzò guardandolo per la prima volta durante tutta la conversazione
« devi fidarti di te stesso. E non pensare a niente che possa deconcentrarti."
« Tipo? » chiese Alec attento.
« Vediamo... » ci pensò su « ad esempio, una cosa che eviterei di riportare alla mente sono cose che mi danno rabbia, che mi infastidiscono, » la voce di Magnus si colorò in modo saggio « che mi fanno stare male e a cui... non posso porre rimedio. »
Gli occhi.
Alec notò ancora quella sfumatura triste nei suoi occhi, la stessa che gli era parsa di vedere la prima volta che era venuto al circo, era più malinconica ora. Magnus sembrò ricomporsi e riprese.
« Direi che queste sono le cose da non dimenticare mai quando sei sospeso, queste e guardare in basso. » ondeggiò con la testa « Potresti provocarti immediatamente la nausea e bloccarti » Magnus cambiò posizione di scatto, giro le gambe creando un semicerchio con esse e acchiappò la stoffa di destra, arrotolandole. Le braccia si avvolsero alla parte opposta e con un solo gesto, si srotolò cadendo in avanti. Il braccio destro ora era libero e anche la gamba destra.
« Lo fai sembrare così facile. » aggiunse indicando di nuovo lo strumento base.
La voce di Magnus uscì un po' mischiata dallo sforzo, un po' dalla concentrazione: tesa.
« Ti ringrazio Alexander » pronunciò, « Ma a volte è solo questione di testa, oltre che di pratica. » Magnus si sollevò piano, sganciò il piede sinistro e scivolò sul tessuto sinistro portandosi a terra.
« Mi dispiace » esalò d’un tratto fuori Alec « averti dato questo...peso, di insomma... farmi entrare e il resto. » Magnus col fiato corto lo guardò, la gabbia toracica che si riempiva e si svuotava in modo meccanico. Sembrava così in colpa per qualcosa che aveva sorvolato lui, assurdo.
Questo ragazzo è strano.
« Nessun peso, » rispose, abbozzò un sorriso stanco « Mi conoscono qui, so come farmi...rispettare, in qualche modo diciamo,
» ridacchiò pensando a come aveva mandato via T-Jey poco prima « in tal caso, sono io che dovrei dispiacermi per essermene quasi dimenticato. »
« Non credo sia inusuale, con quello che fai... » Magnus annuì leggermente, abbassò gli occhi. Si posizionò vicino a un piccolo cesto posto davanti a lui pieno di una sostanza bianca: borotalco.
Magnus ci mise le mani dentro girandole un po', Alec lo osservava curioso.
Dopodichè, Magnus se le sfregò l'una con l'altra e poi le batté di con un colpo.
Il modo in cui ci metteva così tanta cura, attenzione… era metodico in ogni piccolo gesto, ogni cosa richiedeva il suo tempo. Scendeva per riposarsi e saliva per esercitarsi. Alec pensò cosa dovesse fare quando non faceva quello, quale fosse qualche altra cosa che amasse fare tanto quanto l’acrobata.
« Alec… Alec » si sentì chiamare e tornò alla realtà. Magnus lo guardò ancora, il volto ridotto a un miscuglio intrinseco di curiosità. « Sembravi ipnotizzato » ridacchiò. Alec si risvegliò quasi « Tutto bene? » inclinò la testa, un sopracciglio più altro dell'altro. Alec scosse la testa.
« Scusa, ero sovrappensiero... »
« Pensieri belli o pensieri brutti? » chiese mentre si dirigeva di nuovo verso le due stoffe.
Mi stavo chiedendo cosa ti piacesse fare fuori da qui.
« Uhm...credo belli, ma è strano, » rivelò senza freno « di solito sono di più quelli brutti. » concluse. Portò le labbra in dentro pensando di essersi lasciato sfuggire qualcosa di troppo. Si sentì lo sguardo dell'altro addosso. Alzò gli occhi e non fu stupito di trovare due occhi nocciola intensi a interrogarsi.
« Pensieri... pesanti ? »
Alec esitò pensando quanto realmente impiegava il suo tempo a riempire la sua testa di domande, di risposte, di pensieri.
« Sì, è come se... » si fermò un attimo. Deglutì e si concentrò su un punto indefinito sulla grata di legno su cui si trovava appoggiato con i gomiti « come se non potessi spegnerli a volte. Come se vadano da soli, senza che io li cerchi." Magnus sembrava fissare il vuoto davanti a sé, guardò in basso.
« Certe volte, » iniziò « provo a sviarli. Non so se riesci a capirmi, cerco una motivazione facile e svelta per non dargli più modo di venire a trovarmi, » le sue mani si muovevano «quando ad esempio penso a quanto vorrei una cosa, la metabolizzo e mi ripeto che arriverà, che devo avere pazienza, » si arrampicò piano sulle due strisce « e se non arriva, sarà già deciso all’infuori di me… o quando...quando vorrei evadere, » ad Alec si addrizzarono le orecchie a quella parola « mi dico che ci riuscirò, prima o poi, che troverò il coraggio »
Alec meditò su quelle parole. Coraggio. Nessuno glielo aveva mai detto. Nemmeno sua sorella. L'unica soluzione per lui era sempre stato il blocco, la pausa, la staticità. Non aveva mai considerato l'azione.
«Quindi, » disse « dici che la base è l'azione in pratica? » Magnus si spostò in modo obliquo, il suo corpo ora si trovava in diagonale e Alec immaginò che qualsiasi sua figura fosse speciale.
Magnus lo guardò da sotto, in quella posizione.
« L'azione e la pazienza » disse con voce tesa ma soddisfatta
« la prima viene in conseguenza dell'altra » e gli scoccò un occhiolino. Alec si mise a ridere abbassando il capo, sentendo un po' di calore arrivargli alle guance. « Cosa c'è Alexander, » mormorò, con il viso rivolto verso di lui in quel modo sembrava un animale curioso « non si può flirtare con te?» scherzò.
Alec si sentì in vena di non farsi prendere in giro questa volta ma fu fermato ancora prima di rispondere. Magnus si prese un po' troppa libertà. « Ho capito, » si ritrovò a sospirare e portò le mani in alto mentre bilanciava il peso col corpo stando in equilibrio « sei impegnato »
« A dire la verità no, » brontolò guardando altrove, un sorriso timido si era fatto evidente « Non per ora almeno » Magnus non rispose ma Alec credette di vederlo alzare gli occhi dovunque. «Comunque grazie » Magnus si sbilanciò di poco, gli occhi che si facevano chiari finalmente.
« Di nulla, Alexander. »



Quella sera allo spettacolo venne aggiunto un numero diverso dal solito. Alec si sentì inghiottito dall’atmosfera ancora più stravagante: su due file due pagliacci dalle parrucche tutt’altro che arancioni ma viola, verdi, blu, fucsia sfilavano davanti ai bambini in prima fila spruzzando acqua da fiori finti o assumendo le smorfie più buffe possibili. Alec ogni tanto si perdeva nel riso di qualche bambino che rispondeva con una linguaccia o sottraeva qualcosa da sotto le braccia o dalle enormi valigie posate a terra dal pagliaccio. Palloncini non ancora gonfiati, coriandoli, trombette scoppiettanti erano l’allegria del numero, portando i genitori di molti di quei piccoli a incoraggiarli a stringere la loro mano agli strambi personaggi o a restituire l’oggetto confiscato in questione.
Ad un certo punto, fecero capolino alcuni performers e quelle figure imbellettate di bianco e rosso, cominciarono ad essere burlate anche da loro. Un trapezista veniva rincorso percorrendo ad ampie falcate e più volte la zona circolare della scena, chi invece, nella confusione generale, chiudeva e acchiappava la valigetta lanciandola a un altro compagno, che adesso entrava in scena.
Alec riconobbe i due omoni barbuti, imponenti, illuminati a ritmo di musica adesso repentina e giocosa. L'umore crebbe a dismisura in quello spazio così povero ma così ricco di spirito. Le uniche luci messe in gioco erano sulla piattaforma e scattavano di tanto in tanto sulle marionette in azione, lasciando il resto del pubblico in penombra ad assistere alla prossima burla.
Alec neanche notò l'orario e neanche pensò che ci fosse da dover tornare a casa, dato com'era preso. Vedere tutto quello gli lasciava sempre un anima e un pensiero leggeri, una volta che la sua mente riproponeva le varie immagini.
Tante volte non si era sentito ridere di gusto e questa era una di quelle, uno sprazzo, un bagliore concessogli da macchiette vestite luccicanti e da volti genuini, sorpresi. Tutto quello era lì, anche un po' per lui, pensò.
All’improvviso una figura spuntò fuori, estraendo una spada e brandendola come un guerriero si mise al centro, cogliendo l’attenzione: emise un urlo fiducioso e potente, divaricò le gambe e tutti gli altri impauriti, compresi i pagliacci, se la diedero a gambe. Le risa riempirono il tendone. L’atmosfera divenne più accesa quando il giocoliere di spade, cominciò a sfoggiare il suo talento e a farsi anche uso del sottofondo di silenzio, richiesto solo attraverso il gesto delle sue mani. Tutto il pubblico si zittì immediatamente, rimanendo in sospeso come un equilibrista sulla corda. Il ragazzo indossava pantaloni alla turca, ricadenti davanti, i suoi piedi erano scalzi e una moltitudine di capelli terminava lungo la sua schiena, legata in cima solo da un piccolo nodo che gli fasciava come uno chignon, ma più disordinato. Le spade alle mani sfilavano, sfiorando la pelle, arrivavano dietro la schiena dell’artista con un solo colpo agile della spalla. Il sottofondo si riempì di ooh all’unisono e di qualche fiato sospeso o spezzato in un leggero bisbiglio. Quel ragazzo sembrava impossessato da una danza tribale mentre, si sentiva il pizzicare vorticoso di un arpa, in fondo, all’altezza del sipario, che freneticamente strimpellava e tirava le corde come se lo strumento fosse dotato di carne e ossa, sangue e ritmo.
Alec non seppe distinguere il ragazzo poichè troppo in ombra rispetto all'artista che incantava tutti i presenti. Il corpo del ragazzo lanciò una delle due spade in aria. Immediatamente cominciò a vorticare, saltando e roteando su ste stesso come una trottola senza controllo, assestando la velocità e la sua forza. Atterrò in ginocchio in sincrono perfetto e afferrò la spada, la quale brillò di luce riflessa.
Il suo capo era chino e il fiato che riempiva ora il petto nudo. Al collo, aguzzando meglio la vista, Alec notò una piuma legata attorno a una corda corta che si fermava in modo netto, dando l’impressione straniera e incredibilmente trasognata di un paese orientato geograficamente a sud, pieno di sole, torrido e popolato. Il suo colorito era diverso da Magnus, era più marcato, più scuro, color del castagno coronato da labbra simili a due pesche mature e chiare, occhi grandi e identici all’incarnato, così uguali, che si confondevano.
Alec si stupì ancora una volta di quanto per l’ennesima volta, ci fosse qualcun altro a cogliere e a non far calare la sua attenzione fisicamente: nessuno lì dentro sfuggiva alla curiosità. Se solo pensava alla sua conversazione giornaliera, pensava a quanto fosse insolito che un circense lo avesse accolto dentro il tendone per le prove. Sorrise inconsciamente, ripetendosi che non aveva fatto niente di male dopotutto.
La sua concentrazione ritornò alla scena. Il ragazzo piroettò di nuovo e questa volta incrementò il rischio, poiché lanciò con forza entrambe le spade: le prese entrambe al volo, assumendo una posizione sospesa e veloce in aria a gambe divaricate. Si chinò a terra, una gamba era divaricata e l'altra in ginocchio, il ventre visibile si alzava e abbassava in respirazione, il capo rivolto verso il basso e le braccia larghe che esponevano le spade lucenti.
Il pubblico acclamò in ovazione.

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Capitolo 6
*** Sogno o Incoscio? ***


Clodia's: Buongiorno ragazzi. Sono tempi duri, ieri il cast si è scatenato
e ha provocato una rivolta di kleenex e pianti a go-go.
Ringraziamo anche Todd per questo regalo.
Btw, I don't give up, we'll change this ShadowFam's destiny...
Riusciremo a cambiare la sorte e a far ragionare chi deve ragionare.
Adesso vi lascio a questo capitolo, molto freudiano come avevo detto a Rob.
Già dal titolo lo si può percepire, gn.
Buona lettura nice people.




Quando rientrò in roulotte Magnus si sentì stranamente leggero. Era come se il peso di tutta quella giornata si fosse annullato. Accese la piccola lampada a goccia poggiata su un piccolo vaso abbastanza alto da poterlo raggiungere senza abbassarsi. In fattore di gusto, era sempre stato pretenzioso. Non che fosse una novità, però di quel poco che guadagnava, Magnus spendeva in cose belle. Anche l’occhio voleva la sua parte.
Si sciacquò la faccia, l’acqua uscì presto dal rubinetto del lavabo del piccolo bagno e si fermò ad asciugarsela una volta finito con l’asciugamano all’angolo della doccia. Quella sera non si era truccato molto e gli bastò passarsi un detergente per poi strofinarsi il viso con un fazzoletto, che catturò i pochi segni sporchi artificiali della pelle. Si fermò per qualche secondo, analizzandosi allo specchietto misero, che non arrivava nemmeno a riflettere interamente le sue spalle o il suo petto.
Anche in quella situazione che andava avanti da anni, una vita passata da nomade, a saltare da città in città senza fermarsi un attimo ogni tanto gli capitava di vedersi slegato da quell’ambiente, impegnato in altro. Però poi pensava alla sensazione che gli scorreva dentro quando si muoveva sulla croda o sul nastro e allora riavvolgeva tutto. C’era una cosa che avrebbe cambiato assolutamente, una cosa che teneva solo e unicamente per sé. Si osservò allo specchio, scoprendo lo spazio tra la clavicola e l’inizio della spalla. Quello che vedeva gli faceva salire la bile, gli distruggeva subito quel momento di leggerezza che si era creato. Una striscia scura, un cerchio spezzato.
Serrò gli occhi e respinse via quell’immagine che gli colava addosso velenosa. Si spogliò piano, girando lo specchio verso la parete. Indossò una maglia dal tessuto bianco, un po’ gualcita ai lati, un po’ larga ma profumava di sapone e di bono. Completò con un paio di pantaloni da tuta striati e brillanti ai fianchi (li metteva in scena, ma erano i suoi preferiti) e levò le ciabatte. Scalzo, puntò al letto ripensando alla giornata che aveva passato.
La visita di Alec era stata inaspettata, ma piacevole. Era stato carino che si fosse interessato a ciò che faceva con così tanta curiosità. Magnus pensò a quelle sue strane sopracciglia folte, ma regolari… che sembravano cozzare per carattere con quegli occhi grandi, da cerbiatto. Gli era sembrato tutto sommato un ragazzo normale. Seppur riservato a suo modo, ma comunque socievole.
Si stupì di come solo dopo il suo arrivo era riuscito a completare quasi tutte le figure, poi si era stancato e siccome Mr. Sanders quel giorno non si era presentato per seguirli nelle prove, era andato a trovare Candace nella sua roulotte e poi aveva deciso di andarsi a stendere. Pensò che forse avrebbe potuto azzardare di più e provare a dare il suo numero a quello sconosciuto – che più tanto sconosciuto non era – o forse era troppo presto. Troppo banale. Non che avesse un cellulare nuovo, era quasi un mini rottame ( se si poteva definire così dal modello) ma gli avrebbe fatto piacere usarlo per qualcosa di utile e carino, come scambiarsi qualche messaggio. Magnus si ricordò che Alec gli avesse detto di non avere qualcuno. Questo lo fece riflettere.
Non aveva qualcuno perché non voleva nessuno o perché nessuno si era fatto mai avanti? Lasciando quell’interrogativo in sospeso, Magnus spense la luce alla sua sinistra e si girà dall’altra parte, concentrandosi sul suo stesso battito per potersi addormentare.




I giorni passavano e Alec trovava sempre un modo per sfuggire dall’ordinarietà quotidiana e arrivare al tendone. Quello che però non riusciva a fare era riuscire a prendere sempre lo stesso posto però. Certe volte capitava un po’ più spostato al lato di destra, altre a sinistra. La gente che copriva qualche volta sì e qualche no tutte le sedute a disposizione. Ogni venerdì si colorava, altre volte si accendeva come fuochi d’artificio e ciò che restava ad Alec era una serie di immagini viventi e pulsanti quando la sera aspettava di addormentarsi a casa. Era un po’come vivere un rullino di foto, però, quello che correva davanti a lui era il più delle volte l’immagine di un acrobata vestito di poco e che usava un semplice strumento per danzare in aria. Nei pomeriggi si ritrovava a disturbare dentro il tendone, puntuale come sempre, mentre l’acrobata l’accoglieva come meglio poteva.
La curiosità di Alec sembrava non fermarsi mai quando si trattava di Magnus e di quel mondo colorato.



La sera dopo prima di andare in scena, sembrava che fosse tutto tranquillo. Candace come al solito era nervosa e allora aveva cercato di calmarla come meglio poteva, Dustin aveva fatto scivolare le spade dalle mani più di una volta, Jay e James...beh, lasciamo stare. L'ultima volta che Magnus li aveva visti era durante l'allenamento e non erano molto in sintonia, più che altro discutevano di cose stupide in modo stupido.
Appena sentì Mr. Sanders presentarsi al pubblico e annunciare il primo numero, Magnus si sgranchì il collo. Le braccia gli ricadevano giù come budino. Pensò fosse dovuto a tutto l’esercizio di quei giorni ma ormai era fatta. Tra qualche secondo quel sipario si sarebbe spalancato e sarebbe cominciata la solita attesa per esibirsi. Mentre cercava di rilassarsi, Candace lo tirò per un braccio.
Magnus la assecondò e i due si ritrovarono all’estremità del tessuto rosso e pesante. La ragazza spostò leggermente il drappo e una piccola porzione si mostrò: c'era meno gente anche quella sera. Il che voleva dire meno soldi cioè incasso, il tutto veniva tradotto con una sfuriata del capo del circo. Magnus sospirò affannosamente.
« Candace non possiamo prevedere quanta gente ci sarà. Abbiamo già tolto due sere. Non abbiamo la sfera magica a portata di mano. » terminò infastidito. La ragazza per tutta risposta lo spinse dolcemente in avanti a guardare.
« La sfera magica no, ma il tuo sesto senso sì » rispose furbamente Candace. Magnus la guardò in cagnesco, come se avesse appena pronunciato un indovinello difficilissimo. Forse era quello che mancava al loro show: un mago. Avrebbe funzionato di più per stupire la gente, oltre che per le vendite. La ragazza gli diede un leggero buffetto sulla spalla. « Terra chiama Magnus »
« Sì, stavo cercando di criptare ciò che avevi appena detto. » arricciò il naso. Candace era una ragazza forte, risoluta, divertente, ma quando ci si metteva sapeva essere criptica come un libro centenario di aramaico impossibile a chiunque da interpretare.
« Quello che stavo dicendo è, » roteò gli occhi color castano cioccolato « che non sei realmente magico ma è come se lo fossi, guarda bene, » Magnus riportò gli occhi fuori osservando le sedute una ad una notando bambini, anziani, coppie « dimmi, c'è qualcuno che riconosci lì in mezzo? »
Magnus non capiva proprio dove la ragazza, nonché sua mica oltre che collega, volesse arrivare. Magnus osservò prima tutta la fila laterale a destra, poi tutta quella a sinistra. Un certo sentimento d'ansia lo colpì e non sapeva neppure lui spiegarselo. Che sciocchezza.
«Candace-»
« Sssh e continua a guardare » Per ultimo gli rimase la fila centrale. Andando per ordine, cominciò a dividere per età, sembrava che la gente si sedesse a scacchiera: adulti e bambini, anziani, coppie, adulti, bambini e anziani, coppie, coppie, anziani e... Magnus si ritrovò a sorridere inconsapevolmente. In uno dei posti centrali spostato più a destra c'era Alec. Non che lo avesse pensato subito, ma ne rimase felice. « Hai trovato quello che cercavi? » lo stuzzicò Candace. Magnus si scostò dal sipario. I lunghi capelli ricci della ragazza erano accolti in uno chignon pieni di gel quella sera.
« Candace, » pronunciò ogni lettera scandendola bene, le mise le mani saldamente intorno alle spalle « Non costruirti film nella tua testa perché non esistono » fu serio. Candace schioccò la lingua.
« Sarò anche lontana dalle vostre usanze o mentalità, » la ragazza si riferiva alle tradizioni di Magnus dato che non era nato né in Inghilterra, né in America « Ma una cosa la capisco bene: sei un grandissimo cretino. » concluse sfoggiando un sorriso caloroso. « E tu sei davvero simpatica quando fai così, Candace. » gli rispose Magnus frustrato ma esalando per finire un "ma ti voglio bene". I due si riavvicinarono agli altri, camminando abbracciati in una piccola morsa accogliente.


**



Quella mattina Alec si ritrovò immerso in un sogno strano, così com'era strano che avesse ripreso a sognare la notte. Si trovava sul precipizio di un burrone, non sapendo nemmeno lui come ci fosse arrivato, guardò sotto e vide un enorme voragine sotto i suoi piedi. Dell'acqua scura in profondità, scorreva veloce. Attorno a sé solo grandi ammassi di doccia calcarea, come quella su cui si trovava sopra. Cercò di tornare indietro, ma la roccia cominciò a tremare. Alec chiuse forse gli occhi pensando che non ne sarebbe uscito vivo. L'aria era ferma e soltanto il rumore dei sassolini sotto di sé riempiva le sue orecchie rimbombando sempre di più. Allora, visto che non c'era rimedio, provò a sporgersi lungo la linea interrotta e provare a gettarsi in acqua.
And all I need is a little escape citava una delle sue canzoni preferite nella testa. Si dimenò nelle coperte, sentendo tanto caldo, come se il sole lo stesse colpendo dappertutto in modo troppo forte.
Alec urlò e mugolò nel sonno, convinto di stare vivendo tutto il suo percorso: le rocce a forma leggermente aguzza era il rapporto con i suoi genitori, l'acqua era il suo rifugio in qualche modo, il deserto era quello che si sentiva dentro. Una mano però lo afferrò in tempo, trascinandolo via e in fretta, come se questo angelo avesse avuto le ali, Alec si ritrovò sulla terraferma, incolume. Alec si svegliò di soprassalto tutto sudato, la fronte imperlata, gli occhi completamente aperti, il fiato corto. Quel che aveva appena visto seppur nella sua immaginazione, lo aveva preso così tanto come se stesse davvero succedendo. Cercò di riportare il volto di chi lo aveva risvegliato alla normalità ma ricordò solo qualcosa di trasparente, un volto che non si celava. S'alzò, aprì tutta la finestra e in men che non si dica, la porta della camera si spalancò: Helena. Alec si toccò la fronte con la mano.
« Alexander » mormorò la madre con la voce impastata « che è successo? »
Alec si stupì di vedere sua madre preoccupata, era passato così tanto tempo. Sentì l'amaro in bocca.
«Niente... ho solo... » soffiò « era solo un sogno. Tutto qui » disse piano. Helena annuì lentamente, guardò il figlio quasi con malinconia.
« Se hai fame, » Helena indicò il corridoio « la colazione è pronta. Mi sono svegliata un po' più presto stamattina » Alec guardò la finestra, le tendine che oscillavano.
«Grazie, ma... » mormorò « Non ho tanta fame » Helena allora si avvicinò al figlio, legandosi a lui in un abbraccio. Alec fu doppiamente stupito di quel testo. « Ti ricordi quando, » cominciò lei « da piccolo facevi un brutto sogno e allora, riempivo sia te che Isabelle di scones, la mattina? » Alec poté giurare di sentire la voce della madre spezzarsi. Solo in quel momento il figlio rispose all'abbraccio. « Tu eri il primo a fiondarti in cucina, tuo padre non c'era e Isabelle arrivava dopo »
« Mi additava sempre di mangiare anche qualche sua porzione, » allargò le labbra in un sorriso nostalgico « me lo ricordo »
La madre rise piano e Alec ricordò com'era quando una volta la donna rideva sempre.
« Eri così felice… così piccolo, ogni volta pensavo non fossi mio figlio per questo e tua sorella, » era come se Helena stesse narrando un ricordo così lontano, come se stesse allungando la mano per catturarlo eppure quello, sfuggiva ogni volta che le dita arrivavano a sfiorarne la superficie « era una vera perla »
« Mamma… » Alec sentì il silenzio della sua testa completamente vuota. Non riusciva a pensare a niente, a cosa dire, a cosa fare in quel momento. Seppe solo che, subito dopo avvertì una scossa, come un singhiozzo che, purtroppo, non veniva da lui. Strinse le sue braccia intorno alla schiena della madre in una presa più salda e sicura.



**


« Credo di non aver visto mai nessuno muoversi così » riecheggiò la voce amichevole nell’ambiente spazioso, leggermente polveroso. Le luminarie spente per via della luce che filtrava dall’entrata lasciata aperta. Il ragazzo che stava ascoltando sorrise compiaciuto. Per un ragazzo di quindici anni, era un grandissimo complimento. Il migliore. Forse una cosa positiva per i suoi genitori, una cosa che lo afferrava e sosteneva dentro, pensò. Era tutto così nuovo e frastornante, ma era l’inizio. Il signore esile e lungo, una figura quasi da cartone animato, strinse la mano al ragazzo e quella la prese, un po’, molto più grande della sua. Magnus si srotolò nelle coperte, creandosi una coda al posto delle gambe. In testa gli rimase l’immagine di un piccolo che s’affacciava al mondo del circo, inesperto ma con una gran voglia di fare. Il ragazzo venne sfumato da un’altra immagine che ora si sovrapponeva: il sorriso della madre, mentre gli comunicava con tanta gioia la notizia appena ricevuta. Magnus si strinse al cuscino, le labbra si incurvarono per la bella memoria e ritornò a farsi cullare in questi bei ricordi.



Il mese stava quasi arrivando al suo termine. Le foglie stavano cadendo e gli alberi di Hetford town erano colorati di arancio, marrone e verde ormai secco. La gente andava in giro con i cappotti, i bambini venivano sgridati perché non si coprivano abbastanza, i negozi chiudevano prima adesso e i proprietari non vedevano l'ora di chiudere per ritornare a casa. Le stradine erano quasi sempre gremite di gente che andava e veniva, che si sedeva sulle panche perché stanca di camminare, che leggeva il giornale in solitudine. Era il ritmo del piccolo paese di contea che di scioglieva in inverno come dopo un letargo durato abbastanza. Si poteva percepire il fruscio degli alberi e ascoltarne la melodia anche guardandolo in alta velocità: le chiome ondulavano ma la corteccia rimaneva salda al suolo. La musica suonava forte nelle orecchie di Alec, mentre alcune persone affaccendate, altre con un sorriso, molte con l’aria stanca e infastidita si apprestavano a salire alla fermata dell'autobus che stava da lì a poco per partire.





« Su con quelle spalle, cosa sei gobbo per caso? » affermò quella voce autoritaria, mentre lo teneva sotto d’occhio. Magnus si sentiva tremendamente a disagio, nonostante amasse quello che faceva, come lo faceva e il perché. Si tenne stretto alla corda, stringendo, le sue mani erano bianche, fino alle nocche per lo sforzo. Soffiò fuori l’aria e la riprese subito. Si slanciò in avanti, cancellando l’aria e rimanendo sospeso. « Molto meglio, Magnus » annunciò più soddisfatta la figura che girava intorno all’aerea d’esibizione. Quella stessa figura si portò una mano al mento, grattandoselo. Il cappello veniva tolto per lasciare spazio a una delle sue mani che si liberava dal prurito, per ravvivarsi indietro il cuoio capelluto. « Ho bisogno di cinque minuti di pausa » esalò fuori Magnus, sudato e visibilmente esausto. La figura sembrò trasformarsi come sotto incantesimo in un attento animale nei confronti della sua preda, gli occhi erano fissi, puntati, come due luci così abbaglianti da portare chiunque a sviare lo sguardo. Magnus però sostenne bene quegli occhi: sfortunatamente li conosceva e sapeva che, quando capitava, riusciva a vincere piccole (seppur minime nei loro risultati) battaglie. L’uomo sospirò esasperata, mentre si sistemava il cappotto sul petto e si abbottonava alcuni bottoni sganciatisi dal gilet.
« Va bene, ma ti concedo soltanto questa » rispose secco e mal volentieri « E fai sì che cinque, durino almeno due, per favore » il suo broncio si abbinava perfettamente alla sua faccia metafora di camuffamento, ostilità, vanità: tutti aggettivi che facevano al caso suo. « Ah » aggiunse mentre se ne andava con le braccia incrociate, il sorriso celato sulle labbra « Per stasera voglio che tu mi raggiunga nel mio ufficio, » sospirò e ghignò « Se, ovviamente, riuscirai a raccogliere lo stesso clamore di due sere fa, ovvio » e dicendo così se ne andò dall’area del tendone addetta agli allenamenti. Magnus si sganciò dai due tessuti e atterrando dolcemente a terra, chiuse gli occhi, sentendo la bile salirgli in gola, respirò una, due volte, sentendo che quella sensazione non sarebbe mai sparita dentro di lui.
Recuperò l’acqua, vicino alle varie sedute, l’asciugamano e il cellulare. Questo, riportava un nuovo messaggio nella casella di posta, strano. Il numero gli sembrava nuovo. Si asciugò il collo e col pollice scorse verso su l’icona.

17:00 Scusami se non sono potuto venire oggi e se te lo stai chiedendo, sono Alec.

Certo, Alec.
Gli aveva dato il suo numero e siccome l’altro non sapeva riportarlo a memoria, lo aveva ricordato di farglielo sapere per memorizzarlo, attraverso un messaggio o una semplice chiamata. Magnus sorrise guardandosi attorno, accertandosi che nessuno lo stesse vedendo. Rispose immediatamente.

17:01 Nessun problema, anche perché oggi sarebbe stato difficile parlare…
Comunque grazie per avermelo ricordato, Alexander
.


17:02 Duro lavoro? O più bagno di sudore?

Magnus ci pensò su, ma non attese molto a rispondere digitando i tastini della sua scatoletta obsoleta.
17:03 Diciamo entrambe… ti va di sentirci stasera? Sempre che insomma, tu non abbia di meglio da fare. E’ chiaro…

17:04 Negativo, sono più che libero. Se tu non hai problemi…

17:05 Per niente. Adesso devo andare. A dopo Alexander.

17:05 A dopo : )

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Capitolo 7
*** Come un libro aperto ***


Magnus passò oltre il tendone, nell’area posteriore, pensando che per quella mattina il minimo che potesse fare era concedersi una pausa che includeva anche quella del pranzo. Nonostante le scorte non fossero granché, mangiava sempre con appetito, riempiendosi per ottenere energia pronta da consumare. Il più delle volte quello che toccava ai colleghi erano sandwich con contorno di verdure precotte o pollo servito con aromi e pochissime patate per ognuno di loro.
Pensò a una di quelle poche pietanze fermandosi all’altezza dello spiazzo verde davanti a lui: il sole faceva capolino tra le nubi creando una patina che si propagava oltre quegli ammassi di cotone soffici.
« Ehi straniero » chiamò una voce familiare. Candace era appena uscita dalla sua roulotte, teneva una bottiglia d’acqua in mano, un berretto le copriva parte dei capelli voluminosi , il corpo formoso coperto da una maglia a maniche lunghe simile al tessuto del jeans e un paio di pantaloni svasati alle caviglie culminava quel look trasandato. Alle orecchie due cerchi sfavillanti oscillavano mentre scendeva frettolosamente i pochi scalini « Non dovevi essere a provare o vuoi che ti copra le spalle anche questa volta? » ridacchiò con quella sua voce fluente e socievole.
« Non riprenderò prima di questo pomeriggio, se Sanders vuole che stramazzi al suolo, » sospirò portandosi le braccia sui fianchi « ci sta riuscendo e poi, » Candace gli era già vicino « ho bisogno di mangiare » chiarì enfatizzando il sentimento di un succulento pezzo caldo di qualcosa di commestibile sotto i suoi denti.
Candace annuì, sistemandosi il berretto. « E comunque, le lanciò uno sguardo furtivo ma decisamente afferrabile « nessuno ti ha chiesto di coprirmi, anche perché, non è fare niente di male » sottolineò, mentre lui e la ragazza cominciarono a camminare lungo il verde e fermandosi di tanto in tanto a guardare il lago.
« Mi aspettavo un ringraziamento e invece, siamo sospettosi come sempre, Mags » gli diede una gomitata amichevole e l’altro si massaggiò la pelle.
« Non sono sospettoso. Sto solo provando ad essere sincero » i due amici si scambiarono un occhiata consapevole. Candace sbuffò sonoramente, scalciò via un filo d’erba davanti a sé.
« Lo so e ho sempre apprezzato questo tuo aspetto, » spiegò « ma se so una cosa, è che non accetti spesso e con facilità che qualcuno ti conosca. Voglio dire, » Candace mise le mani avanti « è abbastanza positiva come cosa. »
« Sì… non lo nego » Magnus sembrava annuire con convinzione ma non capiva dove l’amica volesse andare a parare.
« Se solo penso a quanto poco c’è voluto per me »
« Perché tu sei fantastica e lo si capisce già guardandoti cara » le sfilò il berretto e se lo sistemò in testa, facendo ridacchiare l’altra.
« Aggiungerei che prima o poi, in quanto fantastica » gli sistemò meglio il copricapo in moto da non coprirgli le orecchie « Vorrei aver modo di conoscere questo Alec, sai, per sapere com’è fatto almeno » rise giusto un po’, beccandosi un occhiata ben assestata di Magnus.
« Se ti interessa così tanto, posso fissarti un appuntamento » le scoccò un occhiolino sarcastico e Candace incrociò le braccia offesa.
« Sei sarcastico o dici sul serio? »
« Perché pensi che possa scherzare al riguardo? » mormorò fissando l’increspatura leggera dell’acqua lontana.
« Perché sai che non è nel mio interesse e vuoi farmi solo sentire in torto quando sai, » spiegò diplomatica lei « che hai benissimo il fiuto per certe cose » le sue dita imitarono delle virgolette nell’aria. Magnus la guardò e sorrise lusingato.
« Sì, lo ho »
Che Alec non fosse proprio o del tutto etero era assodato, solo che Magnus non aveva capito in soli pochi incontri se non lo fosse in assoluto.
« E allora è solo questione di novità, di accettarsi o no? » chiese curiosa.
« No… non ha bisogno di accettarsi, almeno non da quello che ho captato… » fu vago mentre riallacciava i vari segnali « E’ solo… è nostalgico. Ed è un tale spreco… se solo potesse sorridere di più… forse ha bisogno di qualcosa che non ha o » sospirò « o forse è solo questione di carattere. C’è chi di nostalgia ci vive tutti i giorni, chi ha bisogno di trovare la libertà, un angolo per sé e restarci per un po’» scrollò le spalle. Candace sembrò pensierosa ma non tardò a rispondere.
« Assomiglia a qualcuno che conosco » puntualizzò. Magnus roteò teatralmente gli occhi. « E se è soltanto questo il caso, chissà, potrà anche essere la svolta giusta »
« Quel treno è già passato Candace e l’ultima volta non è andata proprio bene »
« Stai parlando di chi penso io? »
Magnus sospirò amareggiato ma consapevole di essere già andato avanti.
« Jeremiah » mormorò lascivo.

«
Appunto »
« Sono passati due anni e so per certo che quel treno è andato avanti senza di me, per fortuna » deciso e impenetrabile, Magnus annuì a se stesso più che all’amica. Jeremiah era stato un loro collega quando la compagnia circense precedente aveva fallito e insieme a lei, il suo capo comico nonché proprietario. E da quel momento l’attività era stata presa da Mr. Sanders. Ma prima di ciò, Jeremiah era un funambolo. E all’interno del tendone, era nato un rapporto, almeno per Magnus. Ma Jeremiah dopo mesi si era rivelato solo bugia e spreco di tempo, spreco di energia e cuore e aveva ricevuto poco dopo la fine la rottura di quell’anno una proposta all’estero.
« Ma se quel treno fosse passato una seconda volta e non fosse Jeremiah, » Candace si dimostrò più determinata e saggia del solito « non varrebbe la pena di essere preso?»
Magnus fissò un punto indefinito tra la loro carovana disordinata e il limpido paesaggio pianeggiante.

« Prima di salire, dovrei vedere cosa c’è dentro e se quel che c’è dentro può farmi male o no » terminò.




« Dustin, » Magnus si fermò al centro perfetto della piattaforma, di fronte al ragazzo, col fiato che gli mancava per la corsa fatta dalle roulotte di ognuno dei suoi colleghi « hai per caso visto Candace? » finì cercando di prendere aria. Dustin, con due spade alle mani, torso nudo e pantaloni larghi cadenti, fece un ultimo gesto portando la spada in aria e girandosi di scatto come un lampo prendendola con la mano dietro la schiena. Si ritrovò in ginocchio su una gamba.
« No, » rispose mentre portava le lame dritte « ma ho sentito da Jay che è andata con Mr. Sanders a comprare dei nuovi telai e credo dei nuovi costumi di scena » finì, ritornando in posizione eretta. Magnus sbuffò, le mani sui fianchi. Era incredibile, quando aveva bisogno di parlarle lei o era impegnata o si dileguava nel nulla.
« È sempre la solita, » sbottò fuori « dovevamo vederci per pranzo, quanto meno poteva dirmelo- »
« Veramente non doveva, Mr. Sanders voleva fosse una sorpresa e Jay mi aveva pregato di non dire niente, » sospirò « appunto, mi aveva: passato. » Fuoriuscì i suoi lunghi capelli folti e spessi dal codino a mo' di cerchio che aveva fatto intorno alla testa con un elastico. Portò il capo all'ingiù e cominciò a muoverli. Magnus si allontanò quel che bastava per non venirne colpito.
« Quindi, » fu stranito « costumi nuovi, eh? » Dustin annuì. Magnus si girò attorno. Quelli erano modi per comprare e zittire tutti loro rispetto a quanto quell'uomo li faceva ammazzare di lavoro, Il più delle volte, totalmente inutile. Raddoppiare i turni era stata un'idea che solo un folle avrebbe preso in considerazione. « Non mi stupisce per niente, » rispose velenoso « deve sempre trovare un modo per fermare la rivoluzione » Dustin lo guardò consapevole, con una smorfia di sconforto sul volto.

«Per favore, vengo in pace » supplicò una voce fuori.
Un’altra si impuntò, la voce era infantile, tipica di un adolescente in fase di sviluppo.

Era almeno la quinta volta che succedeva in quella settimana, una scena comica ma che necessitava un salvataggio.
Questa volta Magnus non ebbe bisogno di conferme riguardo a chi appartenesse quella voce. Scostò il telo fuori e guardò T-Jey in un atteggiamento di sfida nonostante fosse più basso di Alec a sinistra. Magnus ricordava che fosse alto. Ma non così tanto. Cercò di evitare lotte clandestine e intervenne. « T-Jey, va tutto bene. Non ci piazzerà una bomba sotto il tendone o il palco, » disse ridendo verso il sedicenne, Alec si accorse della sua presenza « puoi farlo entrare » T-Jey sostenne lo sguardo di Magnus e poi lo spostò sospettoso su Alec, senza mai staccarlo. Magnus roteò gli occhi e inclinando la testa fece cenno ad Alec di entrare dentro.
« Alexander, ciao » sorrise, cortese, girandosi verso di lui. Alec si inclinò la testa di lato in segno di assenso.
« Magnus » sibilò piano ma in modo carino.
« Scusa per il rapporto del soldato-adolescente fuori, » indicò l'entrata « Ma ogni tanto gli piace fare il duro anche se non ne è capace. » scherzò.
« Sono contento di non aver portato davvero una bomba allora » Magnus si voltò e lo vide sorridere. Gli si formavano delle rughe proprio lì, vicino gli occhi, sembrava come un bambino felice dopo aver comprato un gelato. Adorabile , pensò.
« Così tu sei - » la voce di Dustin interruppe l’altro che stava per replicare. Il ragazzo corse fino a loro due, avendo prima posato le spade ovviamente. Alec riconobbe il lanciatore di spade: aveva un ottima memoria fotografica. Osservò come i suoi capelli fossero più grandi della sua stessa testa ovale, ma allungata, dei capelli folti e lunghi, spessi che tutto sommato non stonavano affatto con la sua carnagione mulatta e il suo naso dalle narici ampie.
« Alec! Sei davvero bravo con quelle » rispose l'interessato indicando con un cenno le due lame. Dustin gli diede una stretta di mano vigorosa, un sorriso sul viso però poco dopo si girò confuso verso Mags.
« Oh, grazie, sono più leggere di quel che sembra » risultava scherzoso e di buon umore « Aspetta, » farneticò « Ma se ti chiami Alec, perché tu lo chiami Alexander? » storse il naso. Magnus boccheggiò ma il ragazzo dai capelli corvini gli venne in soccorso.
« È il mio nome di battesimo per intero, ma a me non piace molto » spiegò Alec. Dustin disegnò una 'o' con la bocca, come avendo capito. Subito dopo però si contraddisse da solo.
« Ma se a te non piace, » corrugò la fronte « perché Magnus ti chiama così? Per scherno? O-»
Magnus intervenne, sentendo la calma andargli a fuoco. Tappategli quel forno
« Dustin, » si schiarì la gola, evidentemente nervoso « ma non avevi finito di allenarti?» sbatté le palpebre più volte cercando di fargli capire. Stava per usare il suo sguardo fulmineo e quindi Dustin scrollò le spalle.
«Sì, sì avevo finito» confermò subito, guardò di nuovo il ragazzo di fronte a sé « è stato un piacere conoscerti, Alec . » e non capì del tutto ma Mags poté giurare che il modo in cui Dustin lo aveva appena detto fosse stato per puro divertimento nei suoi confronti. Sbuffò sonoramente.
« Sì, anche per lui Dustin, anche per lui » gli si bloccò un sorriso falso in viso. Il ragazzo si dileguò uscendo dietro il l'apertura in fondo.
«Ti giuro, » si rivolse subito verso Alec « di solito non è così idiota. Lo fa solo quando ci sono persone che non conosce o per colpire me direttamente. » spiegò.
« Sembra simpatico
» sottolineò Alec in tono sincero.
« Sì, lo è. Lo è davvero, è buono ma ogni tanto gli prende la vena scema ed è la fine » sospirò disperato.
« È davvero così pesante come lo dipingi? » chiese curioso. « Tu non sei costretto a viverci 24h su 24 » Alec ridacchiò. Magnus si passò un dito dietro l'orecchio: Alec notò che portava un orecchino proprio lì, in prossimità della cartilagine e a metà un orecchino serpentinato, che girava attorno alla pelle, terminava con una piccola pietra nera.
« Devi provare molto anche oggi? » gli chiese. Magnus si toccò l'orecchio come se stesse pensando.
« Sì ma non così tanto, » spiegò « stasera non ci esibiamo e il nostro capo ha avuto la faccia tosta di comunicarlo qualche ora fa quindi... »
« Oh »
« Già... » Magnus sfiorò leggermente la mano col pollice destro « Se vuoi ecco, possiamo, » suggerì « aspettare che io finisca di fare qualche esercizio e andare insomma, non so... fare una passeggiata qui intorno... » stava parlando velocemente.
« Sì, sì, va bene » replicò Alec, annuendo.



**



Seduto nella sua sedia, Mr. Sanders era impegnato a contare il ricavo dalle precedenti serate, la lingua imperlava veloce di sudore le banconote per lasciarle scorrere meglio sulla filigrana delicata e preziosa. Quel passatempo era oro per lui.
Ciò che avevano racimolato in sei serate non era poco, ma neanche poteva considerarsi molto, secondo le sue aspettative. Posò parte delle monetine affianco, in una cassetta lucida e imperlata di ghirigori però impolverati, come se fossero stati un aspetto tralasciabile. Le monete ticchettarono sulla superficie della cassetta, alcune si posarono dopo alcuni giri intorno come delle trottole o delle molle, mentre con l’altra mano, il capo del circo ordinava le varie sterline lungo diverse linee, dividendo le spese che avrebbero coperto altri oggetti di scena, riparazioni, luci e i circensi. Ovviamente, mise da parte anche il suo profitto, raddoppiandolo a insaputa, com’era solito fare. Solo una ridicola parte andava per sé, ma era comunque parte non del suo unico sudore. Ricacciò tutto con cura dentro delle piccole buste, contando e controllando non mancasse niente.
Era metodico quando si parlava di profitto, così come quando si parlava di farsi rispettare. Guardò la sua mano, al dito quella fede, sporca anch’essa, ma più delle decorazioni del piccolo oggetto come scrigno alla sua destra. La fede che aveva tenuto nonostante i sette anni dalla fine del suo fidanzamento: una liberazione, pensò. Il dito era diventato solo un’altra insulsa offesa all’oggettino d’oro rotondo, che rifletteva in parte il suo viso.
Un riflesso frammentato, lo specchio della sua stessa anima e lurido pensiero: una finzione nella finzione. Se la minima parte ancora lucida dell’anello riportava l’immagine di un uomo composto, di tutto punto, il cappello sfilato dalla testa, con quei fili di capelli sistemati ai lati con un solo tocco, dall’altra ritrovò l’altezza della fronte e degli occhi frammentata, come cocci di vetro, la bocca soddisfatta in un ghigno simile a quella di un essere deformato.
Tutto risuonava storto e tenebroso, ma mai tanto reale come in quel caso.
D’altra parte, c’era ancora chi seguiva la sua insana mentalità: sé stesso.
Ed era tutto quello che tristemente gli bastava.
Rise beffardo, sfilandosela e posandola dentro la cassetta, che richiuse a chiave metodicamente.




**





Magnus aveva finito prima quel pomeriggio e lui ed Alec erano usciti fuori.
L'aria era un po' fredda ma non si stava malissimo, Magnus aveva trovato un piccolo scialle buttato su una sedia in roulotte ed era andato a prenderlo. Il paesaggio era così bello: nonostante il verde ora era macchiato dal giallo e dal bruno autunnali, si poteva sempre vedere nascosta un’intera radura di alberi verdi potati, costeggiata dal fiume trasparente. Magnus e Alec camminavano piano lungo il bordo in mezzo a quel posto incontaminato.
« E così hai studiato a Londra? » chiese Magnus, le mani dentro le tasche dei jeans chiarissimi, sbiaditi.
« Sì »
Alec portò una mano lungo una siepe e ne sentì l'erba ruvida e umida « Ho frequentato lì il liceo e l'università »
« Dev'essere stato fantastico... » immaginò trasognato Magnus.
« Beh, diciamo che Londra è molto bella, anche se caotica. Buckingham Palace è la casata reale, i parchi, Oxford Street… Però sì, lo è stato » confermò.
« Hai visto qualcos'altro? Oltre a Londra, intendo »
Magnus calciò con il piede un sassolino piccolo che volò avanti fino a quando non riuscì più a vederlo.
« Ho avuto tempo prima di fermarmi… per decidere cosa fare sai » sospirò sconfortato.
« Mia madre diceva sempre di non avere fretta a capire cosa si vuole nella vita »
Se solo tua madre la pensasse come i miei, sarebbe fatta.
« Allora vorrà dire che sto andando bene anche non andando da nessuna parte »
Magnus scrollò le spalle, riempendo i polmoni.
« Non pensarla in questo modo » Pensava davvero che l’altro vivesse di una strana patina opaca che gli oscurava tutto, anche ciò che di positivo c’era. Magnus pensava Alec non si meritasse questo trattamento che si riservava. « Le strade non sono sempre scritte per tutti » deglutì « E certe volte è meglio così » abbozzò un mezzo sorriso.
Alec annuì piano continuando ciò che aveva lasciato in sospeso.
« Un viaggio che ricordo di aver fatto, durante gli studi universitari, è stata la Scozia» il tono di Alec da atono si trasformò « E come se fossi solo tu e la natura. Le Highlands sono pazzesche, solo immagina questo posto, » con il palmo aperto della mano indicò l'erba, il cielo, l'acqua « moltiplicato per mille. Montagne, ruscelli, ogni volta qualche castello medievale con lo stesso identico scenario. È proprio bello per questo: non c'è niente ma in realtà c'è già tutto quello che può meravigliarti »
Magnus provò a immaginare Panshanger Park come Alec glielo descriveva, i ruscelli che scorrevano, le montagne che si incurvavano, il cielo che si colorava di grigio o di azzurro.
« È bellissimo » aveva gli occhi chiusi.
Camminarono prendendo un piccolo sentiero che si proponeva dritto davanti a loro. Adesso c'era un po' più terra che verde e una serie di paletti ficcati nel terreno. Alec pensò che si stessero dirigendo vicino a qualche pascolo. « Mi piacerebbe un giorno visitare uno di questi posti, » soffiò con la testa piena di idee « andare da qualche parte. E fermarmi per più tempo di un mese o due » sottolineò stancamente ritornando alla realtà. Il fiume trovò la sua attenzione, una tavola piatta e grigia ma lucida. Uno specchio pulito, toccato qua e la da vere e da erba umidiccia. Panshanger Park si presentava sempre così, accogliente ma nostalgica.
« Non te l'ho mai chiesto, ma » esitò Alec « non ho ancora capito da dove vieni, » chiarì, le mani in avanti « non che, insomma non sono un ragazzo che ha dei pregiudizi per chi non sia inglese, sia chiaro, » Magnus lo vedeva parlare freneticamente che si senti in dovere di fermarlo ma non lo fece proprio, era proprio carino « Non c'è cosa che trovo peggiore: insultare qualcuno perché è diverso. »
Magnus però intervenne trascinato da quella frase.
« In fondo sono proprio le differenze che ci fanno capire chi siamo »
Alec annuì lentamente, confortato di non dover più trovarsi a parlare come una macchinetta. « E non preoccuparti, va bene sì, ecco, mia madre è di origine asiatica, è nata in Cina » Alec rimase affascinato anche se, aveva sospettato che ci fosse del sangue orientale dato gli occhi di Magnus « mio padre era di origine indiana, un miscuglio particolare. Però in tutto questo, » rise, le labbra si incresparono « Sono nato in un paesino della Cina perché mio padre era così legato a mia madre che la seguì fin lì, la avrebbe seguita ovunque, credo » concluse teneramente, arricciando il naso.
« È una bella storia » Alec si era completamente sciolto.
« Sì, lo è stata, » Magnus guardò in basso mordendosi le labbra « almeno fin quando a quindici anni, avendo fatto fatica a continuare in società ecco... » deglutì. Alec sentì subito il petto stringersi « Non ce la facevamo a pagare l’affitto e sono dovuto andarmene. Erano arrivati questi signori a promuovere nuove attività sparse in tutto il mondo, allora non sapevo che cosa fosse un circo, non c'ero mai stato, » cominciò a parlare e Alec si calò in un'altra storia, la sua « cercavano ragazzini… ed io mi sono presentato. Ho cominciato ad allenarmi e ho scoperto che mi piaceva, che ogni volta che lo facevo, provavo la soddisfazione di un traguardo...qualcosa di appagante, » Magnus sorrise amaramente, la faccia si colorò di un colore spento « Ma da lì a poco, a distanza di due anni, ho cominciato a spostarmi. « Mio padre si era ammalato e ho avuto almeno la forza di vederlo un’ultima volta. Mia madre poi ha cominciato a seguirmi, spostandosi con me, fino a quando ha cominciato ad invecchiare »
Alec non poteva capire cosa Magnus avesse provato, lontano da casa, fuori nel mondo, non aveva avuto la sua stessa fortuna, era qualcosa che lo faceva sentire ingiusto « ora vado a trovarla in un piccolo ospizio nelle vicinanze di Oxford, più zone di campagna, ogni volta che posso. L'ultima volta è stato un mese fa » appena non ebbe più niente da dire Magnus si sentì in colpa, non amava essere vulnerabile di fronte agli altri. Lo detestava. « Non so nemmeno perché ti ho detto tutto questo, » scosse la testa mentre il vento gli piangeva gli occhi « non è una bella storia fino in fondo. »
Quel cassetto aperto aveva portato Alec a capire ancora una volta che la gente che si amava e formava una famiglia, esisteva e che, ancora una volta, la sua non era riuscita a creare, fare altrettanto. Nonostante il cassetto di Magnus fosse finito in quel modo, aveva ricordi più o meno felici ed non era stato colpito dall’abisso da cui Alec si sentiva sommerso ogni giorno, per anni che erano diventante pause di vita indesiderate.
« So che non aiuterà molto ma mi dispiace molto, » Alec lo guardò lentamente come se avesse paura di rompere il discorso da un secondo all'altro « per ciò che hai passato. Non deve essere stato facile »
Magnus si ritrovò due occhi grossi e verdi che lo osservavano e pensò di vederci sempre quello che trovava in ogni sguardo: pietà.
Ma quegli occhi da cerbiatto erano sinceri al contrario di quello che aveva visto. Magnus annuì distogliendo lo sguardo.
« Quindi qualche altra passione oltre a girare il mondo? » cambiò argomento l'acrobata.
« Oh, beh la lettura, » disse deciso « ci sono tanti libri da cui imparare, in particolare classici e mitologia greca. »
Magnus annuì incerto su come rispondere. Lui aveva avuto un educazione basilare, non aveva frequentato tutti gli anni di scuola e si sentiva abbastanza scarso in materia. « C'è questo libro, si chiama La metamorfosi di Ovidio, uno scrittore latino, » Alec fu di una precisione accademica, questa volta toccò a Magnus rimanere attento «che parla di questo cantore Orfeo, un suonatore di lira, uno strumento musicale usato dallo stesso popolo di origini dello scrittore, che stava per sposare questa ninfa, Euridice. Ma che il giorno delle nozze venne morsa da un serpente e morì, perché il matrimonio era stato preceduto da tanti presagi e Orfeo, »
Magnus notava l'attenzione con cui descriveva ogni passo « è disposto a raggiungerla e a poterla rivedere, scendendo agli inferi, cantando per poter rivedere il suo volto » Alec ottenne uno sguardo di totale stupore da Magnus da sentirsi in imbarazzo. Si grattò la testa. « Beh ecco, sì, è uno tra i miei preferiti »
« E ce la fa? »
Alec lo guardò interrogativo. « Orfeo, ce la fa a rivedere Euridice? »

Alec abbozzò un sorriso, cercando di restare il più impassibile possibile. Non posso rovinargli il finale, sarebbe tremendo.
« Non posso dirtelo... » Sul volto di Magnus si disegnò la delusione ma non per molto perché ad Alec venne subito un'idea
« Ma potrai scoprirlo tu stesso. » Magnus lo guardò confuso. « Il libro, posso prestartelo» svelò l'altro.
« Sei serio?! » Magnus cercò di non mordersi la lingua per la proposta appena ricevuta.
« Certo, » Alec cercò di risultare serio anche se la faccia dell'altro non è che gli lasciasse molta scelta « posso portatelo domani, se vuoi »
E allora accadde qualcosa che né Alec né Magnus avevano previsto: Magnus gettò le braccia al collo del ragazzo velocemente, mentre un piccolo grido di gioia si levava dalla sua bocca.
« Giuro che te lo restituirò subito, » confessò Magnus sbrigativo «appena lo finirò- » Alec si irradiò completamente sentendo il suo tono allegro e poté sentire anche il profumo di Magnus addosso, che era decisamente nuovo, sapeva di sandalo. Quello si staccò subito dopo, ravvivandosi una ciocca di capelli con la mano, appena scese quella si accarezzò il gomito.
« Puoi tenerlo per tutto il tempo che vuoi, non è un problema » mormorò Alec mentre la voce si rompeva in un sorriso.









Clodia'sTesori oggi abbiamo fatto le cose a velocità supersonica.
The fact is: sto riprendendo i libri in mano ed è una fatica quadrupla, quintupla, infinita.
Il mio cervello è come se fosse ancora in letargo e so che sarà dura rimettermi in moto
il problema è solo dargli una svegliata.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo e la citazione classica -
anche se io non ho fatto il classico, ringrazio la bravura di
uno scrittore quale A. D'avenia per
avermi fatto conoscere la storia di Orfeo\Euridice - e poi per com'è appassionato
Alec, non potevo dargli roba da poco.
Lui stesso è un'opera d'arte.
You will see.
Grazie per il vostro supporto e alla prossima, bacioni.

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Capitolo 8
*** Il destino di Orfeo ***


prologo
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Clodia's: Andiamo avanti e sta passando anche agosto.
Che tristezza che mi viene pensandoci... ma sapete cosa mi rende più triste? Che man mano stiamo sempre più vicini alla dirittura d'arrivo per la fine della storia. E io già penso al periodo che mi legherà ai libri (e no okay, questa cosa è troppo angst) Questo è l'aggiornamento .

Non voletemi male appena arriverete alla fine. E arrivando alla fine capirete alcune cose che prima o poi dovevano accadere. E un'altra cosa, ho deciso includerò l'immagine della storia ogni qual volta si presenterà uno dei miei passi preferiti. Grazie, scappo via .
E buona lettura.





Le mani si stringevano intorno alla corda, bianche, quasi evanescenti, le vene delle braccia cominciavano ad emergere e delle piccole gocce di sudore gli bagnavano la pelle. Il freddo non sembrava più un problema mentre si dondolava in avanti tenendo tese le gambe, riportandole indietro, il peso che diventava quasi piuma, quasi minuscola essenza leggera nell’aria. Si slegò dalle due liane di cordame e scese atterrando dritto, portandosi in equilibrio con le ginocchia. Magnus si asciugò la fronte con un piccolo asciugamano, l’incavo del collo, per poi tenerlo tra le mani mentre ritrovando il respiro e il battito che si acquistava normalità man mano le sue gambe si abituavano al terreno. Si allontanò dalla piattaforma per tornare alla roulotte.
Appena salì dalla porticina ovale, andò al piccolo lavabo, si sciacquò il viso, il collo, visibilmente rossi per lo sforzo avvenuto poco fa.
Le sessioni di stretching e riscaldamento lo stancavano quasi più dell’allenamento vero e proprio. Si levò l’unico indumento appiccicato alla sua pelle e si infilò dentro il piccolo doccino.

Asciutto e con il rumore del phon prestatogli da Candace che si ripeteva con un rumore piacevole e che gli formava dei piccoli brividi lungo il corpo, si sentì più rilassato e meno in tensione. Aveva messo dei pantaloni da tuta puliti e una maglia vecchia, coperta da una felpa il doppio della sua misura. Quando quasi nessuno era ancora sveglio o tardava ad alzarsi, Magnus adorava sgattaiolare fuori e prendersi un po' di tempo per sé, dopo aver provato. Così come aveva fatto quel giorno.
Afferrò un piccolo oggetto con un gesto abile della mano e uscì dalla roulotte. Magnus si distese fuori nel parco, con quel tempo che imperversava, nuvole grigie e scure sopra la sua testa, fisse all’attaccatura del verde, dell’arancione e del bruno, che creavano i colori tipici dell’autunno. Le gambe erano piegate, rivolte verso il fiume, lo sguardo concentrato. Aprì il libro datogli da Alec giorni prima e spostando il dito tra le pagine, trovò quella che aveva leggermente piegato all’estremità per riprendere il segno da dove si era interrotto. Tenne fermo il libro sul suo grembo e si perse nella lettura. Orfeo stava suonando la sua lira per intercedere presso Plutone e Proserpina, per riavere indietro Euridice.
La ninfa era posta dal profilo sinistro, proiettata come un immagine particolare, evocatrice, fortemente minacciosa ma poetica al tempo stesso.
Magnus la trovò affascinante anche se oscura.
Euridice era ritratta con i capelli raccolti in una lunga coda in cui si insinuava strisciando un serpente. La dichiarazione di Orfeo era qualcosa di estremamente triste quanto bella.


‘’O dèi del mondo che sta sottoterra, dove tutti veniamo a ricadere, noi mortali creature, senza distinzione, se posso parlare e se mi permettete di dire la verità, senza i rigiri di chi dice il falso […] a ragione del mio viaggio è mia moglie, nel cui corpo una vipera calpestata ha iniettato veleno, troncandone la giovane esistenza. Avrei voluto sopportare, e non posso dire di non aver tentato. Ma amore ha vinto!’’

Magnus pensò di non aver mai letto qualcosa di così forte, straziante e bello in vita sua. Trovava affascinante il modo in cui si stava appassionando alla lettura, a perdersi tra le pagine e alcune parole. Fortunatamente l'edizione che Alec gli aveva prestato aveva la traduzione al lato della pagina, in modo che Magnus non si perdesse nemmeno una volta nella storia. Era come se Orfeo stesse gridando in tutti i modi quanto fosse niente senza quella donna, come se ogni parte di lui fosse morta insieme a lei.


‘’Vi prego solo di ridarmela in prestito. Ma se il mio destino mi nega questa grazia per la mia consorte, io non voglio riandarmene, no. Così godrete della morte di due! Piangevano le anime esangui mentre egli diceva queste cose e accompagnava le parole col suono della lira (…) Si narra che allora per la prima volta s’inumidirono di lacrime le guance delle Furie, commosse dal canto.’’

E non solo quelle delle furie, Magnus scacciò via una piccola lacrima dagli occhi inumiditi. Si ricompose. Era come se stesse leggendo la chiave segreta del sacrificio, Orfeo era pronto a ricevere qualsiasi esito da chi lo stava giudicando per meritarsi di nuovo l’amore. Magnus stava per girare pagina quando qualcosa, vibrò. Il micro schermo del cellulare di Magnus fu tirato fuori dalla tasca sinistra e trovò lampeggiare un icona a forma di busta: 1 nuovo messaggio.

Magnus lo aprì, leggendo il mittente: Alec. Pochi giorni prima si erano scambiati i numeri.

12:20. Come sta andando la lettura?

Un sorriso si fece spazio sulle labbra e rispose subito.

12:20. Bene. E’ normale che abbia io già provato a smettere di piangere per due volte consecutive o..?

12:21. Sì, più che normale.

A che passo sei arrivato?

12:22. Orfeo ha appena finito di cantare per le divinità degli inferi e ha appena richiesto Euridice indietro.

12:23. Oh.
Quella parte. Sì, è una delle più belle.


12:24. Non è normale che delle pagine scritte possano distruggere così l’anima… è assurdo.

12:24. Anche questo è piuttosto normale se ci pensi… Quante belle frasi sono state da autori diversi, ad esempio:

Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum

Magnus storse il naso. Era sicuramente latino, ricordava vagamente di aver fatto qualcosa di simile ma poco, al primo anno di liceo… ma era passato tanto tempo da quando aveva quattordici anni.

12:26. Latino.

Cosa vuol dire, di chi è?

Magnus notò che Alec impiegò molto a rispondergli. Non era mai stato un tipo ansioso, per quanto conoscesse se stesso, non aveva mai avuto problemi d’ansia, se non tensione quando doveva esibirsi. All’ennesimo sguardo dello schermo, Magnus posò l’aggeggio sull’erba, cercando di riprendere il filo della lettura. Cosa che non gli fu possibile dato che il telefono vibrò ancora.

12:32 Dammi baci cento baci mille baci
E ancora baci, altri cento baci, altri mille baci

Catullo.

Magnus si sentì stranamente colpito da un pensiero nuovo. Scosse la testa, non credeva Alec lo stesse prendendo in giro. E poi pensò anche che Alec stesse lontanamente provandoci con lui. No, nessun film Mags, ricordi?

12:34. Non vorrei mettere in dubbio la tua conoscenza, ma sei sicuro che voglia dire questo?

Mandò il messaggio e si sentì più sicuro. Come si ripeteva ogni volta, nessuno poteva prenderlo in giro. A meno che Magnus non lo capisse subito e lo stroncasse sul nascere.

12:35. Perché non dovrebbe voler dire questo?

Nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda.

12:36. …

12:36. Carme 5, una delle tante dedicate a Lesbia.

Magnus si diede ufficialmente dello stupido.

12:37. Sei molto più preparato di me, scusa… che significa invece questa?

12:38. Non preoccuparti.

Significa: Ma quando muore il nostro breve giorno,

una notte infinita dormiremo.


12:38. E’ veramente bellissima…

12.39. Posso prestarti anche questo se vuoi, è più piccolo e raccoglie tutte le poesie.

12:39. Alexander, non pensi che io me ne stia approfittando un po’ troppo?

Eccolo lì, il senso di imbarazzo. Ma quale imbarazzo, in fondo, si prestava a una cosa innocente come scambiarsi qualche informazione, favore? Si sentiva come se si trovasse ad avere di nuovo quindici anni, alle prese con le prime relazioni innocenti. Se mai fosse ritornato indietro, avrebbe riprovato tutto, ma adesso di fronte alla situazione che gli si presentava, l'imbarazzo aveva bussato e si sforzò di capire perchè. Magnus si diede un pizzicotto dopo aver inviato quel messaggio, non pensi che me ne stia approfittando, ma che modo è di essere delicati?

12:40 No, non lo penso. Affatto.

Silenzio.

Magnus rilesse quelle tre righe. Era ufficiale: stava diventando stupido.

12:42. E’ che…insomma Alec, non vorrei che tu pensassi che voglia solo ecco… non so, farlo solo per questo.
Per ottenere cose. Beh non voglio questo, non ne sono il tipo.

12:43. Non penso che tu lo sia.

Credo di essere più un peso io per te di quanto tu lo sia per me.

Vengo a trovarti quasi ogni giorno e non tengo conto che a te possa magari dare fastidio.

Ma non sei un peso. Né un approfittatore. Sei tu.

Magnus rilesse tutto il messaggio almeno tre volte. Era ovvio che entrambi sembravano sentirsi in colpa per qualcosa che non era assolutamente vero. Magnus trovava piacevoli le giornate con Alec. Gli piaceva passare il tempo a parlare e a pensare ad altro oltre che alle prove, al numero, alla stanchezza. Era bello avere qualcuno che ti portasse via la realtà per qualche ora. Magnus pensò che Alec non se ne rendesse conto, ma la sua presenza al tendone gli faceva bene. Più bene di quanto anche Magnus stesso arrivasse a percepire.

12:46. Come io non lo sono per te, tu non lo sei per me, Alec.

Mi fa piacere stare in tua compagnia, sono serio.

Non pensare che possa annoiarmi, alcune giornate sono… difficili. Certe volte penso che non ne arriverò a capo ma poi penso… penso a quanto tu ti sia interessato o ricordato di me. E allora… allora mi sento diversamente, mi sento più.. felice.

Magnus esalò fuori una nuvola d’aria pesante e fredda, che si condensò davanti ai suoi occhi e poi si librò in alto.

12:47. Davvero lo pensi? Tutto questo?

12:48. Non mi piacciono le bugie. Quindi sì, lo penso.

Il piccolo schermo si rigirava fra le sue mani, la testa si alzava, si fissava su un punto indefinito e poi ritornava a osservare il telefono. Per Magnus, era strano ma così naturale parlare con l’altro che quasi dimenticava perché in quel momento, si sentisse tanto nervoso.

Alec si ritrovò quel testo così d’improvviso che quasi non era pronto. Ma pronto per cosa poi? Lui non era un peso. Magnus lo ringraziava della sua presenza. Tu non lo sei per me, rilesse. Si portò il telefono con le mani sotto al mento, la testa immobile ferma alla parete, gli occhi chiusi. Tutte quelle volte che aveva ricevuto una chiara traduzione di indifferenza, quando suo padre lo lasciava da solo, quando provava ad urlare ma l’urlo gli si fermava in gola. Tutte quelle volte sembravano solo polvere ora. Certe volte penso che non ne verrò mai a capo, Alec sentì la propria voce nella sua testa, ma poi penso a quanto tu ti sia interessato, ricordato di me.

Così riprese la tastiera fra le mani e digitò di getto.

12:52. Magnus, se tu sapessi, capiresti perché.

Voglio solo dirti:

grazie.


Alec spense il cellulare, rifugiandosi nel suo involucro, nel suo rifugio. Questa volta però sembrò respirare meglio l’aria del giardino fuori, mentre si appoggiava al muretto, gli occhi puntati al cielo e la striscia bianca, forse di un aereo che tagliava il blu grigiastro smorzandone la tinta uniforme.



**



Il mese passò lasciando un novembre già presente nel clima e nel tempo che scorreva, portando con sé le ultime ore di pratiche, le ultime repliche. Magnus sapeva che una volta finite quelle sarebbe dovuto salire di nuovo su qualche treno malconcio pieno di bagagli e altre suppellettili, per chissà quale altra località. Non sapevano poi molto, solo qualche diceria che avrebbe potuto riguardare sempre l’Inghilterra ma spostandosi completamente. Un posto quotato da tutti fu sicuramente la zona a sud-ovest dell'Inghilterra, come South Hampton. Secondo le teorie dei restanti suoi colleghi invece si sarebbero spostati ancora di più, incrociando le scogliere o la vastità dell’Isola di Smeraldo irlandese con il suo folklore e la sua brilla allegria. Magnus non conosceva poi molto, ma aveva sentito dire che era uno dei posti più belli da vedere nel mondo. L’idea era allettante per alcuni aspetti ma contrariamente al sentimento collettivo, Magnus pregò soltanto che tutto quello sarebbe avvenuto più tardi possibile. Il loro capo comico doveva ancora contare tutto ciò che aveva guadagnato – secondo lui più da solo e per conto suo, che per la loro presenza e i loro sforzi – in quei giorni di serate. Alcune erano state un totale disastro, altre invece avevano riscosso obiettivi portandoli a pieno compimento.

**



Andando avanti, Magnus non faceva più caso ai ritmi a cui era sottoposto. Solo, avrebbe preferito che fosse concessa un po’ di grazia a lui, quanto a tutti i suoi colleghi lì dentro. Candace era stata costretta a lavorare duramente tutto il giorno per un capriccio di Mr. Sanders e si era visto a consolarla - com’era giusto che fosse – per quanto le corde vocali le facessero male e fosse stata costretta a raccontargli tutto quasi mimandolo. Tutto quello necessitava coraggio. Quindi si armò di questo e a piene falcate, si diresse dritto nel piccolo stanzino, adibito ad ufficio del proprietario se non che capo del circo. Quel posto gli faceva venire i brividi per quanto era angusto. Più ricordava tutte le volte che c’era stato, più avrebbe voluto uscire e ritornare indietro. Ma ormai era lì e doveva cavarsela da solo. E poi il solo pensiero di ritornare indietro, di tirarsi indietro, gli rimandava il viso rigato di Candace e il suo continuo gesto, la mano che si toccava la gola e la disperazione dipinta sugli occhi. E poi lui era pur sempre Magnus Bane, mica nessuno. L’uomo in questione, era di spalle, se ne intravedeva solo la schiena girata coperta da una giacca di velluto bordeaux, i capelli bruni ma più sul biondo erano mossi e secchi all’altezza del viso. Tutto quello doveva finire.
« Mr. Sanders » esclamò Magnus immobile, nel silenzio della stanza. L’uomo alzò la testa, in ascolto.
« Magnus » la voce di Mr. Sanders era un misto di acido e grave «Dimmi, cosa ci fai tu qui, » l’uomo si guardò una mano e le dita di questa si abbassarono una dopo l’altra « cosa posso fare per te? »
« Dobbiamo parlare di ciò che è successo con Candace o meglio » Magnus si schiarì la voce cercando di non vacillare, uscì più determinata « di ciò che lei ha causato perché forse è troppo cieco e forse senza un cuore per poter capire »
Finalmente l’uomo si girò, le mani completamente aperte sul piccolo tavolo da scrivania. Con un unico colpo di reni si alzò, facendo trascinare con violenza la sedia sul pavimento che emise un rumore stridulo. Mr. Sanders aveva circa una quarantina d’anni. Se li sarebbe portati bene, se non fosse stato per le rughe ai lati degli occhi e i solchi evidenti lungo il naso arrivando quasi fino alla bocca. Aveva degli occhi color ghiaccio, come se un pezzo di vetro si fosse sostituito alle iridi.
« Spiegati meglio, ragazzo! » uscì acido alzando la voce. Magnus se lo trovò di fronte, appoggiato al bordo della scrivania, con le braccia conserte.
« Sto dicendo che non va bene quello che le ha fatto, » Magnus spiegò mentre sentiva una forza costruirglisi nel petto ed espandersi sempre più « Sto dicendo, » continuò deciso « che non va bene quello che sta facendo a noi Mr Sanders » mise più enfasi alla fine, sperando di essersi fatto capire.
Mr. Sanders arricciò la bocca, annuendo poco convinto, alzò gli occhi e squadrò Magnus attentamente.
« E così, l’anello debole » di tutto ciò rise in modo beffardo e falso, sporco « sarei io, dunque? » constatò. Magnus sentì la rabbia corrergli dentro ma cercò di tenerla a bada. La tensione si tagliava col coltello nella stanza.
« Come nostro superiore, non penso assolutamente. Vorremo solo essere lasciati liberi di sapere cosa succederebbe se provassimo a trovare un accordo, gestire le ore di dovuto allenamento. Niente aggiunte, né diminuzioni, » chiarì Magnus « solo non vorremmo che si arrivasse ai livelli di questi giorni, di oggi » rimarcò saggiamente.
Il signor Sanders si trovò ad alzarsi dalla sua postazione a camminare avanti. Magnus si sentiva quello sguardo di vetro conficcato dentro, iniziava a contrarsi, a iniettarsi di rosso, le vene attorno al bianco cominciare ad uscire.
« Vi sono sembrato scortese » la sua sembrava più un affermazione o una meditazione del tutto vuota di convinzione, la mano del capo circo si toccò la cinghia dei pantaloni, alzandoseli appena. Magnus meditò bene le parole che dovevano uscire dalla sua bocca ed arrivare in modo diretto a quell’ombra che assumeva piano le forme di un cannibale.
« Mr Sanders, » pronunciò con cautela « non vogliamo più soldi, né più costumi. Per quel che so, i miei vanno benissimo. Potrei anche portarmi avanti con quelli per diverse sere di fila, » analizzò la questione toccandola piano con un soffio di fiato « Vorremo capire perché questo costa più il nostro sforzo, che quello di essere soltanto capiti. Quello che sto cercando di dire è… » deglutì davanti gli occhi in attesa e a lampadina del capo circo « Vogliamo provare in modo tranquillo »
« Sarei la distrazione cattiva o il carnefice quindi? » l’insolenza salì nel tono, tramutandosi in vetro.
« Non ho detto questo, signore » replicò Magnus.
« Provate
tranquillamente. Non sono io a distrarvi, ma la vostra insana idea di essere già arrivati. Da quando, sentiamo » pronunciò di un tono più alto « sono la sfera di tutti i vostri ripensamenti? » La fronte si pieghettò in almeno tre linee pesanti « Da quanto ricordo, non la sono mai stata »
« Nessun ripensamento, qui si parla del nostro umore e della nostra stabilità come esseri umani, quali siamo » forse Magnus aveva caricato troppo.
« E da quando se posso permettermi, dio santo, » il tono salì in grandezza
« SAREI IO A SUBIRE GLI ORDINI DEI MIEI STESSI ARTISTI? » i denti digrignati, l’espressione furiosa. Sembrava una bestia. Magnus non osò fiatare. Mr. Sanders si portò una mano a ravvivarsi i capelli, alcuni di questi ora erano fuori posto e gli ricadevano molli sulla fronte. La sua pelle era già lucida per i nervi, il sudore, il calore del sangue che velenoso gli pompava in corpo. « Vi ho dato un tetto, un lavoro, una casa, un pubblico, vi ho accolti quando nemmeno la metà di voi aveva un futuro deciso. Ho acquistato questa impresa e ho cercato di costruirvi un riparo dalla strada, vagabondi e miserabili com’eravate. » esclamò allargando le braccia « ED E’ COSI CHE MI RIPAGATE?! » ringhiò.
« Non vogliamo impartire ordini » chiarì Magnus evidentemente frustrato e disperato
« Vogliamo solo essere ascoltati. Non vogliamo dettare nessuna legge: vogliamo solo non doverci preoccupare di farci del male per arrivare a soddisfare i suoi interessi. Lei sembra non voler capire... » Magnus deglutì e serrò le mani a pugno lungo i fianchi « Siamo abbastanza giovani e in forze per poter continuare, ma non arriveremo a farci sfruttare come delle bestie, se è questo che si aspetta da noi! » azzardò anche lui questa volta facendo sentire la sua voce. Forse Magnus non avrebbe dovuto dirlo dopotutto. Ma era vero. Erano diventati stanchi di subire e lui, lui doveva pur riuscire a smuovere le cose. Mr. Sanders girò lentamente lo sguardo a terra, chiuse gli occhi. Fu un attimo interminabile. La calma prima della tempesta. « Vogliamo solo farci sentire, » sussurrò impercettibilmente, non spiegandoselo le parole non uscivano più alte. « e vogliamo continuare a lavorare, ma non così. » Forse la richiesta in fin dei conti era troppo, ma era pur sempre un canto disperato per essere capiti.
Forse però l’unico disperato in quel momento poteva sembrare lui, in piedi di fronte alla figura impostata di un uomo che sfruttava le carte a suo favore.
Quella carta, si sentiva nel profondo, era lui. Magnus avrebbe ricordato anche quel giorno, come tutti gli altri del resto. Ogni volta nasceva da una cosa diversa. Ma se c’era una cosa che non cambiava mai oltre alle modalità in cui quello avveniva, era il carattere ostinato di quell’uomo tanto da trasformarlo in qualcos’altro, in un demonio.
« Non detterete nessuna legge, Magnus » confermò.
Arrogante l’uomo rialzò lo sguardo, il tono acido che si abbassava in determinata cattiveria « Non oggi, né domani. E sai perché? Perché non siete nessuno per poterlo fare » il collo gli s’irrigidì mentre parlava « Hanno mandato te, perché loro avevano paura, non è così? »
Magnus fece cenno di no. L’uomo sorrise derisoriamente. « E anche se fossero venuti, non avrebbero risolto nulla. Hai del coraggio, te lo riconosco » l’uomo si portò una mano alla cinghia, le dita tozze e dalle unghia corte che giravano sfiorando freneticamente la fibbia grande e appuntita, Magnus si ritrovò ad indietreggiare, lo sguardo consapevole, la gola che gli bruciava come se ci stesse ardendo o scoppiettando del fuoco all’interno. Neanche quel giorno avrebbe potuto essere cancellato « Te ne do atto. Davvero un gran coraggio. Ma vedi, Magnus » rise beffardamente, un gorgoglio che usciva prepotente, cominciò a sfilarsi la cinta « Il coraggio non serve quando non si ha il potere sugli altri. Non è niente quando si demolisce e si scala la vetta: sono le basi. E’ pura legge di sopravvivenza »

Sopravvivere era l’unica opzione nella gabbia di quel circo, l’unica e sola.

Mr Sanders sembrava l’immagine evanescente di un mezzo uomo o forse era solo un impressione e anche la metà di quell’uomo era già bella che sfumata. Dicendo così, l’essere avanzò di più. Magnus cercò di dirigersi verso la porta.
Era socchiusa, visto che non ci si degnava mai di farla chiudere nonostante si tenessero anche conversazioni private lì dentro. Sembrò arrivarci quando una mano adulta dietro di lui toccò la maniglia e girò la chiave di forma rotonda e di ferro, per poi infilarsela nella tasca dei pantaloni. Magnus provò a prendere il piede di porco dentro quel vaso, in basso, vicino a quella ma proprio mentre ci arrivò con le dita, sfiorandone la punta, fu afferrato violentemente per un braccio e costretto a girarsi. Magnus resistette ma avvertiva la morsa. La carne quasi stritolata come se fosse un essere umano qualunque, senza importanza e senza tante cerimonie di coscienza. Magnus chiuse gli occhi, le sue labbra tremarono inevitabilmente. Solo pochi minuti e sarà tutto finito, si ripeté. L’uomo alleggerì di poco la presa, fino a sganciarla. Senza che l’uomo lo toccasse ancora, Magnus scansò un altro tocco della sua mano e si girò da solo.

«Adesso, da bravo » sibilò a denti stretti Mr Sanders mentre annodava la cinghia tra le mani « sfilati la maglietta »

L’orrore di quella stanza lo avrebbe percepito chiunque in quel momento.

In modo diverso però, l’orrore lo subì soltanto Magnus.



Raccontano che per sette mesi continui egli pianse […] e facendo muovere le querce con il canto: come all’ombra di un pioppo un afflitto usignolo lamenta i piccoli perduti. Piange nella notte e immobile su un ramo, rinnova il canto.

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Capitolo 9
*** Danzando sulle tue nuvole ***


Clodia's: ♪ ♫ I'm singing in the rain I'm singing in the rain
what a glorius feeling I'm haaaappy again
♩ ♬
Oggi ritorno in anticipissimo causa?
Molto probabilmente noia che mi assale e la
consapevolezza che quest'estate - che non è stata tale -
sta finendo.
Raga sto troppo overthinking in questi giorni - non è un buon segno -
vabbè lasciamo star e vi lascio questo chapter
lululuuulalalaaà

 



Magnus si svegliò dolorante a terra.
La testa gli pesava, aprì piano gli occhi facendo attenzione a cosa ci fosse davanti a sé… quello che vide gli fece venire voglia di vomitare. Vedeva una mano che si agitava sopra di lui, sentiva la voce di Mr. Sanders aumentare di tono e venire coperta da quello dell’arma. La visuale della stanza si disegnò davanti ai suoi occhi: il legno della roulotte era perso nella penombra.
Ricollegò insieme i pezzi e capì di essere svenuto a pochi metri dalla soglia della roulotte. Si alzò a fatica, guardando fuori dall’apertura ovale della porticina: era aperta. Molto piano, Magnus allungò la mano per chiuderla raggiungendo la maniglia...
Ricostruì la scena: era arrivato a piedi fino a lì, aiutandosi a camminare con qualsiasi cosa potesse aggrapparsi come sostegno.
Il cielo era buio pesto e piccoli puntini invisibili e bianchi dovevano essere stelle ma a lui sembrarono solo pallini sfocati. Appena aprì la porticina, guardò davanti a sé, tutto era in ordine, tranne forse per lui in quel momento, in piedi confuso, dopo aver appena perso i sensi pochi minuti o ore prima. Respirò faticosamente e si avvicinò lentamente allo specchio ai lati del letto. Magnus deglutì cacciando via la sensazione di rifiuto che lo veniva a perseguitare ogni dannata volta. Sfilò delicatamente la maglia, accorgendosi che era macchiata. Da lì a poco, avrebbe dovuto lavarla con del sapone e strizzarla per bene. Non si sarebbe messo a dormire fin quando non avrebbe tolto l’ultima sfocatura di rosso. Riuscì nell’intento e sollevandola, la testa che uscì fuori dalla copertura del tessuto di cotone impregnato di umido.
Strizzò gli occhi.
Aveva paura ad aprirli, ma prima d’ora c’era sempre riuscito, perché non ci riesco adesso?
La maglia fu infine tolta con un unico colpo e tenuta tra le mani, appallottolata appena. Tutto si limitò a pochi secondi. Lo specchio oblungo e vecchio riflesse l’immagine creatasi come un incubo.
A torso nudo, osservò la sua pelle marchiata, spire rosse la solcavano dietro la sua schiena ma evitò di soffermarcisi a lungo. Il sangue si stava seccando, ma il suo odore era presente e subito riconoscibile, pungente e ferroso. Sapeva che si sarebbe richiusa l’apertura attorno, ma non sarebbe comunque servito.
Le sue dita tracciarono piano le curve come strisce però rette, i cerchi lividi all’altezza dell’addome calciati da pugni e scossoni, la pelle che si contorceva cercando di venire a patti con l’immagine che ne rifletteva lo specchio. Più ci ripassava, meno sussultava, come abituandosi. Una traccia bagnata, come un’impronta umida, gli bagnò la guancia, scendendo libera.
Sentì il corpo vibrare, l’anima farsi pesante. Il rumore della cinghia che si dimenava avanzando vicino alla sua carne.
La stanza riprese a girare come se fosse la terra o qualche strano universo nascosto.
Cadde all’indietro, in ginocchio, ai piedi del letto.





« Magnus tesoro » l’immagine splendeva come fosse una visione violenta e calda, un raggio in pieno viso. Magnus sentì la voce femminile già ascoltata prima di allora, davanti a sé la figura era opaca, ma alta, un vestito leggero svolazzava e dei capelli raccolti in delle trecce erano visibili mentre il viso era un incognita. « Tesoro sono io » echeggiò di nuovo e più dolcemente questa volta.
« Mamma? » si trovò più confuso di quanto fosse prima di cadere sul pavimento.
La figura si piegò, accovacciandosi verso di lui, i suoi capelli lunghi intrecciati sembravano pura poesia. Magnus riuscì a vedere un sorriso pieno, a denti scoperti.
« Magnus, devi alzarti e combattere » disse mentre la sua voce flebile si mischiava con il gesto delle sue mani poggiate sulle ginocchia del figlio. Magnus vide gli occhi di sua madre e si sentì traboccare di felicità e anche di colpevolezza.
« Mi dispiace » Magnus venne irradiato da una brezza proveniente da chissà dove « Sarei dovuto venire da te » lamentò « E abbandonare questo posto, per stare con te»
« Oh, mio dolce bambino, » le mani della donna gli accarezzarono la pelle, poggiandosi a coppa sulla guancia del figlio, ma quel tocco sembrò a Magnus più che il poggiarsi di una piuma che qualcosa di reale e tangibile. « Io sto bene e so che da poco anche tu, riesci ad esserlo. Non in solitudine. So che ami spingerti sul filo e al limite e danzarci sopra, ma non continuare sopportare questo peso da solo. » la voce della donna quasi come una dolce litania, portò Magnus a cercare dentro di lui il significato di quelle parole.
« Non capisco, mamma »
Magnus voleva soltanto rimanere con sua madre più di un attimo, più di un semplice soffio di vento. Il vestito bianco della madre si alzava creandone una figura angelica, un misto tra il sogno e l’arte, con quei suoi lineamenti fini, il suo stesso naso e lo sguardo pieno di mistero, impregnato di luce.
« Non preoccuparti, non sta a me spiegartelo, » e dicendo così, sorrise come solo una madre riesce a fare, portandosi via il contatto con un leggere tocco di labbra che sfioravano la fronte di Magnus « Lo capirai. La libertà è quella a cui puntare, ricorda » La donna venne a confondersi nella luce, creando una nebbia vaporosa, lasciando quel pensiero in sospeso nella mente del figlio.





Alec si alzò da una delle panchine vicino il monumento del grande cervo al centro della città. Andò avanti anche quella volta, la musica nelle orecchie. Non rinunciare mai, sentiva cantare, verserò una la lacrima, intonava la voce che adesso, si univa in coro ad altre. E’ facile nuotare quando le onde non sono contro di te. Alec pensò subito a una cosa bella, stupendosi di aver raggiunto qualcosa di completamente opposto a ciò che si sentiva. Ricordò che Magnus non aveva mai visto Hetford o si era fermato a guardare qualcosa fuori dal circo per più di un secondo. Corse fino al seguente svincolo, il filo delle cuffie che rimbalzava sul suo giacchino beige, i piedi che avanzavano come se andassero letteralmente a fuoco.
Se fosse andato al rallentatore forse sarebbe stata una buona idea per girarci un filmato, ma Alec non aveva tempo per farsi distrarre. Il tempo scorreva.



Appena arrivato, Alec non trovò nessuno fortunatamente davanti il tendone. L'ultima cosa che voleva era cominciare di nuovo a discutere sul perché fosse lì e perché dovesse esserci. Gli sembrava piuttosto chiaro, ma esitò ancora di introdursi in spazi misteriosi della sua mente che non voleva aprire. Entrò dentro spostando i due lembi. Notò subito che non c'era nessuno ad allenarsi. Si agitò. Continuò a guardare senza sapere cosa fare. Si portò una mano alla tempia. Pensa Alec, pensa. Devo trovarlo.
Avanzò oltre, l'apertura era stata lasciata aperta. Passò. L'aria era in subbuglio, alcuni degli artisti erano in giro e Alec conosceva almeno di vista alcuni di loro: Jay, Dustin, il ragazzo che lo aveva fermato più di una volta, doveva chiamarsi T-Jey. Beccò solo lo sguardo di Dustin, che gli sorrise, gli fece un cenno con la testa e con il braccio, indicandogli una roulotte a destra in fondo.
Alec annuì e mimando un grazie, superò un altro paio di quei veicoli, arrivando alla porticina ovale.
Fece un breve respiro e bussò. Aspettò. Sentì dei passi all'interno muoversi a poco a poco verso di lui.
La porta si aprì.
« Alexander- » Magnus boccheggiò, la mano ancora sulla maniglia. Alec lo guardò: indossava solo una canotta bianca da cui si notavano subito i muscoli delle braccia che ne uscivano fuori, i pantaloni da tuta. I suoi capelli erano ricadenti da una parte, il viso al naturale senza trucco. Alec pensò fosse bello anche in quel modo.
« Non...non hai ricevuto il messaggio? » cominciò a dire improvvisamente « Non posso oggi, ho da provare, io-» era preoccupato. Certo che Alec aveva ricevuto il messaggio, a piene lettere maiuscole, ma sapeva che non lo intendeva in modo arrabbiato quanto più per avvisarlo. Era arrivato ma non era sempre meglio stravolgere i piani qualche volta?
« Sì, lo so, ma » Alec afferrò delicatamente il suo braccio e si spinse in avanti sulla piccola scaletta, adesso erano meno distanti « devi venire con me » lo guardò dritto negli occhi. Magnus restò con il braccio a mezz'aria, la mano di Alec ferma all'altezza del gomito. Si sentiva osservato da quegli occhi grandi, entusiasti.
« Alec, mi piacerebbe, ma come ti ho già detto-»
« Esatto, ti piacerebbe » lo riprese Alec, si avvicinò di più inconsapevolmente spinto da una forza determinata « quindi, per favore, » lo pregò ma fu serio « riposati per un giorno e dimenticati di seguire le regole, » poté vedere un guizzo di sorpresa negli occhi di Magnus, un guizzo felice attraversarli « e vieni » terminò.
Magnus restò fermo, Alec a due soli scalini di distanza che attendeva una sua risposta. Si guardò attorno: quel pomeriggio c'era il sole, casualmente. Ritornò a guardarlo. Annuì piano, per poi accelerare più convinto. Alec si accese completamente.
« Ma prima, » esitò un secondo soltanto « Vorrei... vorrei cambiarmi se per te non è un problema » si indicò il petto. Alec disegnò un 'o' con la bocca e chiuse gli occhi, consapevole.
« Sì, certo, vai » Per un attimo Alec fu convinto di aver finito di rispondere. Ma mancava solo una cosa: la mano era ancora ferma sul braccio dell'artista. Magnus sollevò lo sguardo nello stesso momento in cui l'altro lo fece.
« Sì, scusa, » rise nervosamente « non me ne ero accorto » Magnus si concentrò su come Alec potesse essere adorabile anche in quel frangente.
« Tranquillo, io...entro, non ci metterò molto » disse soltanto ed entrò dentro richiudendo la porta dietro di sé.




Magnus non credeva di essere saluto su un autobus. Era solo abituato alla sua roulotte. Ai treni. Ma non era mai salito sopra uno di quelli. L'autista gli riservò un’occhiata speciale e Magnus ricambiò, perché anche per lui era la prima volta che ne vedeva uno. Si ricordava vagamente i vari capo treno durante i loro lunghi viaggi e traslochi in capo al mondo, ma vedendo quell’uniforme mancante e il signore dotato di sola camicia dentro ai pantaloni, gli destò curiosità.
Durante tutto il tragitto, Alec lo vide concentrato a fissare il paesaggio che scorreva sul finestrino, ogni tanto sorridere a bocca aperta. Arrivati, scesero e si trovarono in una delle tante traverse di Hetford. Magnus si girò intorno, camminando indietro.
« Tu vivi qui?» gli chiese. Alec ridacchiò.
« Sì, non proprio qui qui,» evidenziò « la mia casa è un po' più in periferia ma sì» Magnus avanzò, sentiva il mormorio delle strade, la gente che ci camminava, le facciate dei negozi, le case di mattoni dalle finestre ampie. Alec gli si mise affianco e cominciarono a camminare. Ad ogni volta che Magnus si girava, Alec coglieva il suo stupore, la sua attenzione crescere sempre di più. « E così, è davvero la prima volta che vedi Hertford?»
« Te l'ho detto, » Magnus si portò un dito della mano dietro l'orecchio « Sono stato in tanti posti ma non ho visto mai qualcosa che fosse oltre il tendone del circo » confessò. L'aria si era un po' alzata e Magnus si teneva stretto con una mano al petto, l'unico dei due giacconi che possedeva. Aveva scelto quello rosso, anche se molto usato, era ancora quello che preferiva. Alec se ne accorse.
« Hai freddo? »
« Non molto, » biascicò « ma di solito non mi rendo conto di quanto sia volubile il tempo, dato che non mi muovo mai dal-»
« Tendone. . Il dio, la divinità suprema, colei che è sacra » lo prese in giro Alec, riempendo i polmoni in una voce tronfio. Magnus gli rivolse un espressione torva ma poco dopo scoppiò a ridere. Gli diede un colpetto sulla spalla.
« Hai ragione, » disse Magnus sconfitto « basta parlarne. Solo, devo ritornare per le sette » Alec roteò gli occhi infastidito. « Ho finito, » Magnus portò le mani in alto « lo giuro » Si avviarono verso la piazza di Parliament Square. Magnus si fermò in mezzo, osservando come il cielo plumbeo si adattasse perfettamente con la punta del muso dell'animale in cima dominante dall'alto. « Perché un cervo? » chiese Magnus incuriosito.
« Perché la città prende il nome dal lemme ford che significa guado e hart, cervo. E perché si pensava che il cervo, » spiegò Alec conciso « fosse il protettore delle contee inglesi » Magnus si girò di scatto, oscillò il capo, fece una piccola smorfia.
« C'è qualcosa che non sai? »
« Oh, ci sono molte cose che non so...» Alec pensò che forse erano più le cose che non sapeva rispetto a quelle che conosceva: i libri erano un po' come la sua seconda casa, l'arte erano come qualcosa che si proiettava ai suoi occhi con meraviglia e potenza. Nuotare gli era sempre sembrato più un bisogno fisico che uno sport, la cucina era qualcosa che gli riusciva ma mai quanto sua sorella Isabelle. Non conosceva cose come: la prima sensazione che si prova quando qualcuno ti tocca dentro, quando si arriva alla sommità dell'anima; la consapevolezza del sapere cosa si prova ad innamorarsi. Mentre pensava a questo, Magnus andò verso il monumento in modo teatrale, le mani in fuori, il passo cadenzato... puntò lo scalino e si ci sedette sopra incrociando le gambe.
« Che cosa non sai fare, Alexander? Avanti, sono tutto orecchi » lo stuzzicò. Alec si grattò la testa, arricciò il naso.
« Non so ballare » ammise. Magnus scoppiò a ridere. Alec lo guardò serio « Dico sul serio, non so ballare, » sottolineò « sono un pezzo di legno » Magnus riacquistò compostezza.
« Tutti sanno ballare, » sospirò tranquillamente « chi bene, chi male ma tutti appena sentono della musica sentono il bisogno di muoversi » scrollò le spalle.
« Anche chi non sa seguire il ritmo? »
Magnus si alzò in un balzo e raggiunse l'altro che gli stava di fronte ora. Gli mise una mano sulla spalla e con l'altra cercò quella destra di Alec. « Magnus, che stai- »
« Ssh. Segui me, » lo guardò dando istruzioni « prendi la mia mano, ecco e porta l'altra dietro la mia schiena » suggerì mentre seguiva attentamente che Alec non sbagliasse quelle due semplici cose « ora, questo è un ballo classico e mi stupisci che tu non lo conosca- »
« Per la cronaca sono i più difficili e andrebbero evitati proprio per questo » puntualizzò Alec. Magnus ridacchiò cercando di abbassare il tono alla vista di alcuni bambini che stavano passando per la strada.
« Bene, allora partirai avvantaggiato, » si morse le labbra « è un semplice valzer, niente di più, niente di meno » Alec provò a districarsi ma Magnus lo bloccò tenendolo fermo « Due passi indietro, due in avanti, appena vado indietro io, vai indietro tu. E così via, » rialzò l'attenzione sui sulle punti dei suoi capelli neri che ora si muovevano « Capito?»
Il ragazzo annuì. Appena Magnus si mosse, Alec lo seguì. Appena però andò avanti Alec rimase fermo. Magnus lo spronò ancora una volta, provando di nuovo. Bastarono solo altri pochi tentativi. Quella volta Alec osservò come le punte dei piedi dell'altro andando avanti e indietro era come se saltellassero o comunque mettessero la spinta verso la fine del passo. Cercò di fare lo stesso. Dopo alcuni secondo aveva capito come guidare Magnus e i due stavano già ballando da soli, senza musica, la gente passava ma Alec sembrava concentrato solo a non pestare i piedi di Magnus o di fargli male. Magnus si ritrovò a guardarlo fin troppo, memorizzando piano la sua testa che si abbassava a guardare i loro piedi muoversi e che si sollelevava, rivelando occhi verde denso.
« Vedi? » gli ripeté, riprendendo la sua convinzione « Tutti sanno ballare, anche tu » mormorò.
Alec sorrise, guardando lateralmente ora, che la gente ogni tanto si girava e buttava uno sguardo interessato. Si concentrò meglio e provò a non farsi cogliere mentre diventava rosso.
« Credo non lo sappia più soltanto io, adesso » tossicchiò e Magnus si girò per notare che un gruppo di bambini li osservava incuriositi lì davanti.
« Meglio, » ridacchiò Magnus ritornando ad Alec che cercava di nascondere l'imbarazzo « hai già il tuo primo pubblico »



**



« No, no, no » Magnus cercò di schivare Alec mentre cercava di macchiarlo di panna con la sua cioccolata calda che teneva in mano. Erano passati al The Old Bridge e Alec aveva insistito per pagare, mente Magnus gli aveva ripetuto più di una volta che gli avrebbe restituito presto i soldi che aveva speso. « Alexander non osare, » alzò l'indice della mano libera che non teneva il bicchiere con all'interno la bevanda calda « Questi capelli sono delicati e l'unica cosa in cui non trovo nessun sforzi a fare » disse chiaramente, girò il cucchiaio nella panna immergendola dentro quel colore marrone invitante e caldo.
Camminarono avanti, notando le piccole lucine dei lampioni che piano piano si accendevano illuminando le zone che ormai stavano diventando buie. Magnus prese altri due sorsi di cioccolata e si sentì subito meglio. Un altro e la panna gli coprì dolcemente il palato.
« Fammi indovinare, » azzardò Alec col cucchiaio sollevato « Anche questa non c'è al tendone del circo? » rise poco. Magnus si girò e per tutta risposta finì quello che c'era dentro il bicchiere in un sorso. Alec rise ancora di più guardandolo, l'altro lo guardò subito accigliandosi confusamente.
« Aspetta, » Alec si tastò la giacca con la mano libera e uscì dalla tasca un paio di fazzoletti e lo porse a Magnus, « ecco » Magnus capì di essere leggermente sporco con una striscia di residuo di cioccolato e la mandò via usando uno di quelli.
« Grazie » sussurrò, fu un suono impercettibile. Dopo che ebbe buttato il bicchiere in uno degli appositi contenitori, si stinse nel suo indumento, mente l'aria sferzava e tagliava un po' di più i visi della gente. Soprattutto il suo. Alec lo vide tremare e anche lì fu preparato all'evenienza. Cucchiaino alla bocca, bicchiere in mano a Magnus.
« Tienilo un attimo solo » biascicò col cucchiaino di plastica in bilico sulla bocca, era un immagine divertente. Alec si sfilò la sciarpa che aveva intorno al collo velocemente.
« No, no sto bene, Alexander davvero, » Magnus obbiettò allontanandosi dall'altro che cercava di coprirlo. Era una scena più che comica « Sto già meglio, non c'è bisogno-» Finalmente Alec riuscì a raggiungerlo correndo, il cucchiaio che rimbalzava su e giù, le mani che finalmente coprivano il collo di Magnus con la sciarpa.
« Io sono abituato a questo tempo, » soffiò fuori, riprese il suo bicchiere « è meglio coprirsi altrimenti ti beccherai qualcosa e non voglio che il tuo capo ti picchi per questo » scherzò. Ma Magnus questa volta non rise. Proseguì avanti e così calò giusto un po' di silenzio. Sembrava a disagio, come se avesse toccato un punto dolente. Stai calmo, calmo. Magnus serrò gli occhi e ingoio parte della saliva che gli impastava il palato. Il silenzio però non durò perché l’altro lo spezzò.
« Ehi, » lo fermò Alec « Sicuro di stare bene? » Magnus sembrò sorridere stancamente.
« Sì, credo di essere solo.. solo un po' stanco » Alec annuì poco convinto, c’era qualcosa che lo turbava, era evidente.
« Quindi, » cambiò discorso « ti sta piacendo ugh, il libro che ti ho dato? » Magnus si illuminò un po' con lo sguardo, soffermandosi sulla luce di una casa che veniva da una dentro una finestra aperta.
« Sì, moltissimo,» sospirò « Ma è triste sapere che soltanto perché Orfeo si volta indietro, con un semplice gesto rovini tutto » mormorò.
« Se ci pensi è del tutto normale, » spiegò l'altro « Voglio dire, dopo che non vedi da tanto qualcuno, avresti voglia di abbracciare quella persona, guardala »
« Sì, ma Orfeo avrebbe dovuto pensare prima a lei, avrebbe comunque avuto tutto il tempo del mondo dopo, una volta ritornato sulla terra per farlo,» evidenziò Magnus deluso « e invece la guarda proprio quando gli viene detto di non farlo. Un atto coraggioso ma pur sempre rischioso » sussurrò.
« Credo che tutti sarebbero stati un po' egoisti, la cosa è, » si fermò un solo secondo e notò che Magnus si sistemava meglio la sciarpa, per un attimo Alec pensò stesse respirandoci l'odore dentro ma forse fu solo un impressione « che nessuno sarebbe disposto ad ammetterlo »
Stettero un po' fermi, così senza parlare, camminarono soltanto. Il buio stava per mangiare il cielo. Magnus fissò l'orologio panciuto fissato ad una casa. « Alexander » disse scosso, i numeri che non volevano tornare indietro, l'altro si girò a guardare il quadrante.
« Merda » esclamò. Magnus fu sorpreso di sentirlo usare quel linguaggio e ridacchiò. Il quadrante segnava le sei e mezza.
Magnus doveva essere di ritorno alle sette. E dovevano ancora arrivare in piazza. Senza preavviso però, Magnus afferrò la mano di Alec e cominciò a correre senza perder tempo.
« Ricordi dove dobbiamo andare, vero? » gli urlò Alec senza fiato dietro. Magnus si voltò. « No, ma è questo il bello, » ritornò a guardare la strada davanti a sé « sarai tu a guidarmi! »

**



Presero il bus per un pelo, ci salirono su e per tutto il tempo Magnus batteva entrambi i piedi sul piccolo spazio in cui stava seduto, impaziente. Guardava ansiosamente la campagna che ora s’affacciava in vista.
« Ehi, stiamo arrivando » provò a rassicurarlo Alec. Magnus annuì, il panico che gli si leggeva in faccia. Aveva bisogno di essere distratto. Alec, allora, si riempì i polmoni d’aria, chiuse gli occhi e…
« Cantami, o Diva, del pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
»


Alec cominciò a intonare quasi come un canto, una melodia e Magnus si lasciò scappare lo stupore dal viso: il ragazzo aveva gli occhi chiusi e con una voce bassa e lenta, pronunciava a memoria le parole. Era incredibile come tutto pronunciato da lui, assumesse un significato denso e pieno.

« Generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò
»


Magnus era senza parole, sembrava che Alec stesse declamando i versi importanti, - che ovviamente lui riconosceva, ma solo in piccola parte – ed era tutto preso nell’esposizione.

« […]
Da quando primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.
»



Appena finì Alec riaprì gli occhi e si sentì lo sguardo colpito dell’altro addosso. Sorrise piano, la sua testa aderì sullo schienale del sedile.
« Non smetti mai di stupirmi, Alexander » sussurrò Magnus. Alec si ritrovò a implodere per quelle parole, ma in segreto, soltanto nella sua testa sentiva un piccolo lume accendersi: era caldo, era scatenato da come l’altro lo guardava con interesse.




Al tendone, Magnus si guardò circospetto, Alec guardò il suo orologio.
« Le sette e dieci » mormorò dispiaciuto. Magnus entrò di soppiatto dentro, tirando un sospiro di sollievo non vedendo nessuno. Si girò verso Alec. Notò quasi la sua preoccupazione per l’essere arrivati un po’ in ritardo, però non ce ne era bisogno, d’altronde non dipendeva da lui.
« Grazie » pronunciò con una sfumatura di voce diversa dal solito « Per la giornata, per… tutto »
Il ragazzo si limitò a sorridere mentre muoveva gli occhi ovunque.
« Quando vuoi, dove vuoi, non c’è… problema »
Magnus annuì grato, i ciuffi di capelli che ondulavano quasi danzando. Si voltò verso la direzione opposta: eccomi di nuovo, pensò.
L’avventura è finita. Ritornò per un’ultima volta a guardare Alec e piano si sporse, lasciandogli un bacio sulla guancia. Alec rimase immobile, evidentemente sorpreso.
« Buonanotte Alexander » sussurrò e con un piccolo movimento ritornò alla base, diretto verso la porta ad arco oscura. Alec rimase lì, senza neanche avere il tempo di
rispondere.

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Capitolo 10
*** Il salto della corda ***


prologo
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Clodia's: Good morning, guys.
Oggi non so cosa scrivere qui perché sinceramente mi sento
molto emo e questa volta lo intendo come sadness.

Per quel che mi riguarda io vi auguro
un inizio Settembre buono e migliore
(nel caso avesse avuto tre di questi mesi
non proprio fantastici o come avrebbe voluto fossero)
Oggi è il 31 agosto e niente è già triste così.

Un piccolo indizio che posso darvi sul capitolo è
la parola
aria.
Grazie ancora e non aggiungo altro.






Erano ormai passate le undici e la notte, le varie roulotte e l’erba erano stati bagnati da una pioggia fitta che da poco, si era calmata.
L’aria era umida e la terra saliva alle narici inebriandolo completamente.
Magnus si era tolto tutto ciò che riguardasse il costume di scena, si era attentamente seduto sullo spazio incastonato a mo’ di panca alla finestra. Forse non si era struccato, ma non gli pesava affatto. Molte volte dopo gli spettacoli andava a dormire indossando quel velo colorato o scuro – a seconda del suo umore.
Amava scegliere i colori e abbinarli a quei pochi abiti di scena che indossava per i suoi numeri. Mentre guardava fuori, qualcuno bussò con furia alla porta. Magnus sollevò un sopracciglio e quando quello si ripeté, fece attenzione ad alzarsi dalla piccola sporgenza alla finestrella della roulotte e andò ad aprire trovandosi una Candace dallo sguardo sospettoso e abbastanza irritato.
« Buonasera, Mags! » sbottò. Magnus la guardò preoccupato.
I capelli della ragazza erano raccolti in una crocchia di riccioli ricadenti ai lati del viso, in mezzo a questi portava una spilla - che di solito metteva con uno dei tanti vestiti sul palco – il pigiama o quello che poteva esserne uno, dato le maniche lunghe e i leggins felpati. Ai piedi invece, aveva due pantofole chiuse come se fossero due scarpe da ballerina.
« Buonanotte a quest’ora » la ragazza sembrava profondamente segnata « Candace, stai bene? E’ successo qualcosa? » la voce gli uscì premurosa anche se stanca. Candace lo squadrò andandosi a sedere esausta sul suo letto.
« Non fingere di non sapere, » lo indicò col dito.« so di come sei andato a parlare con Mr. Sanders l’altro ieri, » deglutì la ragazza con il terrore nel tono « ti ho visto sgattaiolare fuori dal suo ufficio e non eri in te » sentenziò.
Magnus cercò di evitare di sentire il dolore all’altezza del fianco e su, sopra, all’addome. Pensò che fosse stato spiato ma in fondo si stava solo creando una visione di come erano andate le cose: l’ufficio angusto, il buio, la vista che gli si annebbiava mentre ritornava alla roulotte quella tarda serata. Finse un sorriso che però si spense subito dopo.
« Candace, ti posso spiegare, » cominciò portando una mano alle tempie per pensare, la testa gli martellava come un tamburo « ho soltanto provato a chiedergli di annullare le ore doppie di allenamento, » allargò le braccia « tutto qui »
Candace aveva i capelli annodati lungo uno chignon mal fatto, alcuni ricci scappavano ricadendo ai lati della sua faccia.
« Tutto qui? Senza dirmelo? » gli fece il verso con voce atona. L’altro scrollò le spalle.
« Cosa volevi, che mi desse un premio in cambio? » scherzò Magnus « È ovvio che non sia servito a nulla, però almeno ho provato-»
« Non è divertente, Magnus » disse seriamente la ragazza « Non si scherza con quell’uomo » lo ammonì « lo sappiamo tutti »
« Non ho scherzato con lui, » ribatté Magnus convinto « ho provato a dirgli come stanno le cose, tutto qua » alzò leggermente la voce e si sentì tirare la pelle, istintivamente si portò una mano al ventre.
Candace se ne accorse e si fece ancora più preoccupata.
« Magnus, ti sei...che ti sei fatto? » la ragazza ebbe paura anche a chiederlo.
Magnus scosse la testa, la mano libera che accennava a un gesto tranquillo.
« Sono solo caduto un po’ di volte dalle corde, mi sono distratto e ho perso la concentrazione » sospirò.
Muovendosi di poco, si andò a sedere al suo angolo di qualche minuto prima.
Candace lo guardò torvo.
« Magnus se è un ematoma, è meglio che qualcuno lo controlli » Candace aveva studiato infermieristica prima di diventare un artista da circo, aveva seguito lezioni e corsi ma non era mai arrivata a diplomarsi per via del declino economico della famiglia.
« Non sarà niente, » la rassicurò Magnus, arricciò le labbra « solo qualche livido »
La ragazza si alzò dal letto e afferrò i bordi della maglia a maniche lunghe del ragazzo.
« Candace- »
« Se è davvero un livido e devo ancora credere al tono e a ciò che ricordo di aver visto alcuni giorni fa, » dichiarò lei alterata « Voglio vederlo con i miei occhi »
In un solo gesto, la ragazza alzò la maglia di Magnus fino al suo petto, scoprendo la sua pelle fino ai pettorali.
Candace si coprì la bocca con una mano. Magnus sviò lo sguardo cercando di non incontrare quello della ragazza.
Due grossi ematomi si trovavano a destra dell’addome, il rosso porpora e il viola si mischiavano al nero, più giù verso il fianco scendeva una riga, forse causata da un oggetto appuntito, sembrava in fase di infezione.
A sinistra c’erano lividi viola e alcuni più piccoli di colore giallo.
« Dio mio, Magnus… » la ragazza adesso aveva la voce bagnata, sconvolta « Questo non è ciò che si ha con una caduta... » Candace aveva visto e avuto modo di studiare molte ferite, contusioni durante i vari corsi e capiva che quello, quello che attraversava la pelle del suo amico era frutto di una violenza. La ragazza spostò con il pollice sotto il mento, il viso di Magnus per far in modo che la guardasse.
Magnus era una statua di cera, impassibile, dipinta nel vuoto. Però una statua dagli occhi lucidi. « Magnus, » disse piano « è stato lui a farti questo? »
Magnus sussurrò, senza un minimo di emozione nella voce.
« Che importanza ha?»
« La ha eccome, » a giudicare dalle ferite che aveva subito, non era la prima volta che Magnus provasse quelle torture, la pelle era un ammasso di lividi anche all’altezza della schiena, adesso che la ragazza lo faceva girare « la ha se ti ha ridotto così, » Candace sembrava sull’orlo di crollare « Quel verme schifoso, quel figlio di puttana...»
Magnus raggiunse la mano dell’amica e cercò di farle forza.
« Candace sono vivo... »
« Per quanto?! » la ragazza si irrigidì, gli occhi si dipinsero di scuro come se immaginasse il peggio « C’è una cosa per i bastardi così: si chiama prigione » sillabò la ragazza « Ed è dove finirà lui, dove finiscono tutti quelli come lui »
Magnus non rispose, rimase in silenzio.
La ragazza si mise a cercare lungo la piccola porzione di spazio, andandosi a cacciare nel piccolo bagno di servizio, convinta nella sua decisione di allievare il dolore dell’amico.
Magnus non le chiese cosa stesse cercando e la lasciò fare. Sembrava impotente.Qualsiasi cosa avrebbe fatto in quel momento, non avrebbe cambiato di certo le cose.
Finalmente Candace ritornò da lui con una cassetta medica che ognuno aveva sempre con sé in caso di graffi o infortuni. Tirò fuori un flaconcino, del disinfettante, delle bende, qualunque cosa potesse servire.
« Se c’è una cosa di cui non sono fiera, » cominciò sempre sulla stessa modalità scossa « è che tu non me lo abbia detto subito, Magnus, » deglutì a forza di ricacciare giù il dispiacere di non aver potuto fare niente prima. « Da quanto tempo va avanti? » lo incalzò mentre applicava il disinfettante delicatamente tamponando la ferita in basso con del cotone.
Magnus strinse forte i denti, contraendosi, il dolore si trasformò in fuoco all’istante, sentì tirare il tessuto, l’alcool gli bruciava la pelle « Va tutto bene, » Candace sembrò riacquistare un tono quasi normale « È normale che bruci »
« Da luglio… »
Candace si rabbuiò completamente.
« Cinque mesi? Cinque mesi e non hai pensato neanche lontanamente di dirlo a qualcuno? A nessuno? »
Magnus si sentì la gola secca e la colpa salirgli in bocca. Odiava il tono con cui la ragazza si stava preoccupando, odiava di aver tenuto dentro quel segreto.
« E che mi dici di Alec? » sussurrò la ragazza. Magnus non voleva nemmeno pensarci in quel momento ad Alec. Un immagine troppo bella di era disegnata intorno a quel ragazzo e non voleva certo sporcarla con... quello. Era come macchiare col fango un opera d'arte, o quasi.
« Non l’ho detto nemmeno a lui, » confessò « Non doveva saperlo nessuno »
Candace lo guardò male, Magnus soppesò di nuovo la sua colpa « So che almeno avrei dovuto confidarmi con te e mi dispiace, avrei dovuto dirlo all’unica che qua dentro sembra volermi veramente bene, » Magnus sembrava inciampare nelle sue stesse emozioni « l’unica che sembra ascoltarmi quando parlo, l’unica che mi capisce»
Magnus scoppiò: lacrime come rivoli d’argento gli bagnarono le guance, mentre la linea nera di matita che prima portava colò sbiadendo due linee troppo perfette.
Candace passò ai suoi lividi, cercando il prodotto per le contusioni.
Lo sentì singhiozzare e allora pensò di essersi lasciata troppo andare, nonostante odiasse sapere che quella bestia lo avesse percosso chissà quante volte e che Magnus non glielo aveva detto, era pur sempre il suo amico.
« Anche Alec sembra volerti bene,» lo guardò con dolcezza « altrimenti non sarebbe qui per te tutte le volte che può, beccandosi le occhiatacce degli altri »
Magnus deglutì, mentre un altro singhiozzo lo scuoteva.
« Alec non deve saperlo » buttò fuori « Non voglio che p-provi pena per me, sai quanto odio che.. v-vedere quello sguardo che ha la g-gente quando insomma... »
« Ma Mags, » Candace gli sollevò il viso asciugandogli una lacrima « credi che proverebbe davvero quello che vedono tutti gli altri? A me non sembra scontato, né tanto meno come tutti gli altri. »
Magnus guardò Candace dritta negli occhi, riflettendo su cosa aveva appena detto. Scosse la testa.
« Non lo è, no… » mormorò tra le scosse del suo petto « Ma non voglio che comunque lo sappia, » sottolineò deciso « Inoltre, posso ritenermi fortunato, » tirò su col naso, cercò di ricomporsi « ho resistito per mesi, perché non potrei resistere ancora per un a-anno? » disse e Candace cercò di interromperlo ma non ci riuscì « Se racconterò questa cosa, voi tutti finirete di nuovo senza niente, per colpa mia e non voglio che succeda… » si asciugò il viso « Non voglio essere la causa e il problema di tutti, se posso fare qualcosa, è questo » terminò alzando il mento in un piccolo spasmo.
« Mags ma non lo sei, » Candace gli accarezzò piano la guancia « Non capisci che devi essere protetto? Non puoi andare avanti così! »
Magnus portò lentamente uno dei ricci di Candace annodandolo al suo dito.
« Candace, » disse Magnus saggiamente, guardandola con quel bene che solo a lei voleva « ognuno ha il suo numero, la sua parte: questa è la mia »




**




« Credo che la lontananza ti farà bene, mi farà bene Carl. Forse diventerai finalmente ciò che meriti di essere » sentiva l’eco delle parole dell’ex moglie e sembrò sussultare appena in tutta la confidenza costruitasi in anni di rimproveri e di osservazione della figura paterna. Non ricordava più nemmeno l’ultima volta che il padre lo aveva guardato fieramente, se non per i suoi quasi trent’anni quando aveva deciso di partire e andarsene dalla Carolina del sud, luogo amabile ma fin troppo poco per la sua scarsa intelligenza e prontezza, come affermava il padre. Uomo di alta stima, imprenditore, fattosi da sé e per sé. Le origini del capo circo erano per metà britanniche e metà americane, infide e velenose.
« Diventerai un uomo finalmente, quindi. Non dipenderai più da noi e metterai in pratica tutto ciò che ti ho insegnato, ciò che realmente conta nella vita » aveva esordito suo padre alzando il mento, lo sguardo risoluto sul suo unico figlio « non è vero, Carl? »
Se c’erano due cose che importavano per Mr. Sanders sugli insegnamenti di quella figura risonante e ricadente come piombo sui suoi obiettivi presenti, erano la fama, la ricchezza, la sicurezza che avrebbe fatto udire il suo nome fin dove sarebbe arrivato senza contare sull’aiuto e supporto di nessuno, arrivando a schiacciare anche chi deteneva il podio.
E questo contava sia dove si trovava adesso, sia dove sarebbe stato appena la sua testa gli avrebbe costruito l’altra possibile e inimmaginabile meta.
« Tu sarai come me un giorno. Carl, sei padrone della tua vita. Non gli altri, non chi sfrutta il sentimentalismo come arma, quello non vale a nulla »
Il che spiegava perché suo padre fosse stato lasciato in tarda età - ma a dirsi ancora non troppo anziana - alla madre, forse stanca di quell’uomo ancorato a una mentalità troppo ottusa, troppo originale per i gusti coniugali. E di conseguenza questa spiegava l’indole e il destino che era capitato a lui con la sua di coniuge. Erano della stessa pasta, stessa matrice, stessa radice.
Mr Sanders era ciò che era per metà del suo grande esempio e per metà della sua maturata incoscienza.






Magnus sembrò sentirsi meglio. Si svegliò dopo esser crollato, perché Candace aveva insistito per farlo riposare, per fermarlo dalla pazzia che voleva ancora portare avanti. Appena fu certa che si fosse addormentato, era ritornata alla sua roulotte. La luce del giorno lo irradiò portandogli un po’ di sollievo. Anche il suo corpo ne aveva tratto beneficio, l’addome gli faceva ancora male, ma era come se fosse anestetizzato in qualche modo e sentisse il dolore solo a metà dopo i trattamenti premurosi della ragazza.
Magnus pensò di doverle il mondo, letteralmente . Era sempre stato lui a fare molto per tanti, ad ascoltarli, a provare a risolvere in qualche modo i loro dubbi. Persone della sua infanzia, persone della sua adolescenza. Il suo scudo era formato da questo: non sapeva quando fermarsi ad aiutare gli altri, era una sua caratteristica.
Si alzò per bere qualcosa, consumò un succo di frutta la prima cosa che trovò nel mini frigo. Poi, si mise di nuovo in piedi, contento di riuscire a non ricadere indietro e a passi piccoli e lenti, camminò verso il tendone. Nessuno era ancora in giro, il che significava che fossero almeno le otto.
Ancora nessuno aveva deciso di alzarsi.
Magnus sperò solo che quell’uomo non si presentasse a dargli il tormento. Raggiunto il tendone, ad aspettarlo dentro, c’era l’unica persona che Magnus pensava dovesse rimanere il più possibile lontano da quell’orrore: Alec. Si portò le mani lungo i fianchi, sorrise di sua spontanea natura senza filtri.

« Alec » si portò in avanti per andare a salutarlo meglio.
« Magnus » Il ragazzo aveva quel fare distratto forse consapevole, come se sapesse, infatti subito dopo lo chiese. « Scusa se sono venuto così presto, ma proprio non riuscivo a restare a casa, va tutto bene? » Magnus avanzò mentre captava che il suo malumore era percepibile ancora, nonostante fossero passate ore. Sospirò.
« Non è un problema, non lo è mai… » si sfiorò la spalla « Diciamo che è stata una giornata… assolutamente impegnativa » concluse.
Alec inspirò, osservandolo meglio.
« C’è qualcosa che posso fare per insomma… farti stare meglio, » Alec cominciò a muovere le mani in avanti, gli occhi che erano il doppio della dolcezza « vuoi parlarne magari? » disse finalmente. Magnus respirò aria vuota, la richiuse dentro, sorridendo soltanto.
« Grazie, ma non è niente che non si possa risolvere »
« Sicuro? » Un sopracciglio andò in alto mentre l’altro restò al suo posto. Magnus rise giusto un po’, guardò la piattaforma già pronta con la corda al centro e il peso spostato di lato.
« Sono sicuro, Alexander » e dicendo così, posò il piccolo giacchetto contro la seduta, fu un attimo e si preparò per andarsi a mettere in posizione « Come stai tu, piuttosto… » Alec guardò in basso, sembrava confuso, perso. Magnus lo notò all’istante. Non parlò subito, guardandosi le mani, torturandosi le nocche.
« Potrebbe andare meglio. Tutto, tutto quanto » deglutì buttando giù quel pensiero, frustrato. Le mani sul viso come uno scudo sicuro e le gambe che si erano già sedute per terra. Magnus si allontanò di nuovo e gli si mise affianco, incrociando le gambe.
« Cos’è che non va, che succede? … » non poté mentire in quel frangente. Lo sentì strano, come distante.
« Che cosa non succede, forse sarebbe meglio dire » Alec si grattò la testa, le mani che ricadevano sulle gambe piegate.
« Prova a spiegarmi » lo guardò « Alexander, sono qua » continuò « Non inizio se prima non ne parli » si intestardì, ma la sua voce era colorata di pacatezza, i palmi delle mani aperti all’insù. Alec lo guardò, cercando il modo, allora provò a fissare il pavimento perché gli riusciva meglio non avere gli occhi di Magnus che lo interrogavano.
« Ricordi quando ti ho detto che, beh… la tua era una bella storia? Quella dei tuoi genitori, intendo…» Magnus annuì piano. « Beh, la verità è proprio questa: la fortuna che hai avuto non è paragonabile con ciò che ho avuto io, che continuo ad avere… » Magnus sapeva che la voce di Alec era così bassa e atona per evitare che si spezzasse, gli si mise di fronte allora, inclinò il capo per cercare di notare i suoi occhi grandi « Da quando ho quindici anni, i miei hanno cominciato a litigare. E pensavo, rise amaramente quale non lo fa? Mia sorella, Izzy, mi diceva che era normale. A volte capita di riprendersi per motivi futili, giustificabili »
« Non mi avevi detto di avere una sorella » puntualizzò Magnus
« Sì, credo mi sia sfuggito ultimamente… la chiamo Izzy ma il suo nome è Isabelle...è più piccola di me, ma è la mia roccia. C’è sempre stata, anche se per ora è fuori per lavoro. Quanto vorrei fosse qui… » spiegò.
Magnus annuì, capendo, avvicinando la mano destra inconsapevolmente sul ginocchio di Alec, quella si muoveva disegnando piccoli cerchi inesistenti per calmarlo come poteva. « Comunque, ecco, arrivo a sedici anni. E i miei continuano. Passo i diciassette e mi ritrovo all’età che tutti lodano, che non vanificano perché insomma, diventi un adulto Alec sentì la voce farsi fragile « e come adulto dovresti farti sentire, capire e non continuare a pregare di non sentire le urla dei tuoi alle due di notte e i piatti della cucina rompersi e la porta sbattere » Magnus non ce la fece più e gli sollevò lentamente il viso. Alec sostenne lo sguardo dell’altro « Arrivi ai venti e vorresti solo cominciare a finirla di pensare possa smettere. I ventidue e i ventitré passano in un lampo perché sei fuori casa e quindi vivi. Ritorni ai ventiquattro, cioè adesso e vorresti solo fuggire. E l’unica cosa, l’unica cosa che ti fa stare bene, veramente a tuo agio » Alec stava pensando a come la sua voce si fosse spezzata ma nonostante ciò continuò, come nulla fosse, ridendo mentre si strozzava « è venire in un tendone da circo a pochi metri di distanza » sorrise malamente e deglutì « … Sono ridicolo, tutta questa situazione lo è »
Ridicola è la vita, pensò con l’unico grammo di speranza che gli si aggrappava dentro.
« Non dire altro…»
Magnus sentì il petto cedere e allora, prese d’istinto Alec e lo coprì in un abbraccio, le mani intorno alla sua schiena, la testa tra la sua spalla e l’incavo.



**




Stettero in quella posizione per un po’ anche quando Alec smise di sentirsi come se l’aria mancasse, gli piaceva respirare l’odore di Magnus, quel profumo di sandalo, lo rilassava. E più lo respirava più si sentiva meglio.
« Magnus, » mormorò nell’aria « grazie »
Magnus però non lo lasciò andare « Mi sento meglio, adesso » continuò Alec.
« Questa volta tocca a me chiedertelo: sicuro? » gli chiese piano.
Alec annuì dentro quella morsa piacevole. Non avrebbe voluto staccarsene. Magnus si staccò piano e lo guardò per accettarsene.
« Puoi smetterla? » ridacchiò mentre Magnus lo guardava attentamente, affilava lo sguardo, dritto, di lato, a sinistra, a destra « Magnus! » lo riprese, le fossette che si formavano per le risate.
Magnus sembrò soddisfatto.
« Ecco, ora, che sono sicuro » confermò. Si alzò e gli tese una mano, Alec la afferrò « Che ne dici di aiutarmi? »
« Aiutarti? » domandò.
« Sì, farmi da assistente » indicò la corda al centro « ho bisogno di qualcuno che tenga fermo il peso, ovviamente ti spiegherò come si fa » « Un ammiratore, un consulente d’immagine, ed ora un assistente » replicò Alec, Magnus scoppiò in una risata, le pieghe attorno alla bocca « Sono curioso di sapere che ruolo avrò la prossima volta »
« Mi piace essere versatile, Alexander » si pavoneggiò quasi, Alec restò con quel sorriso confuso stampato addosso « Allora, vuoi aiutarmi o no?»
« Oh...okay, sì, certo » annuì velocemente.
« Bene » sorrise Magnus, si posizionò sotto la corda e appena l’altro fu vicino, indicò il piccolo peso da quasi 1 kilo e mezzo « Come ti dicevo tempo fa, il peso è difficile da giostrare ma con un po’ d’occhio, » suggerì « puoi capire come non farti fregare. »
« E sarebbe? » chiese attento Alec.
« Ti basta sapere che appena questo sale più della metà continua per conto suo, dato che io, » Magnus indicò la corda « sarò la sopra e secondo la forza di gravità crollerei giù e noi non vogliamo che questo succeda »
« Assolutamente no » replicò Alec.
« Quindi, dovrai solo seguire le mie istruzioni mentre mi arrampico sopra e cerco di fare qualche figura, andrà tutto bene » terminò sicuro. Alec sembrava aver capito. Peso troppo su, Magnus giù. Peso più giù, Magnus su.
Era chiaro. « Ah, un’altra cosa » Magnus cominciò ad arrampicarsi e Alec era già pronto a tenere il peso fermo « molto tempo fa, è successo che il peso si bloccasse, per nessuna ragione, » Ad Alec sembrava un elegante scimmia che si arrampicava per raggiungere qualcosa di luccicante in cima, era così agile che subito il paragone all'animale gli sembrò sbagliato perché mancante di bellezza « se succede non andare nel panico okay? »
« Okay, tutto chiaro » replicò. Magnus era arrivato quasi in cima. Le gambe si avvinghiavano alla corda e le braccia di aiutavano nel movimento.
« Alexander, » Alec si sentì chiamare e allungò la visuale sull’altro « Adesso, prendi il peso e cerca di alzarlo un po’ »
Alec eseguì l’indicazione che gli era appena stata data. Il peso si posizionò e Magnus cominciò a muoversi: portò i piedi annodati sopra e la testa in basso mentre divaricava le gambe creando un arco.
« Perfetto, adesso, » Magnus si spostò piano ritornando alla posizione iniziale, gambe legate attorno alla corda e braccia piegate con le mani che vi si aggrappavano « prova ad alzarlo di più ma non di molto » disse chiaramente, la voce sforzata.
Alec sollevò la sfera del peso con entrambe le mani su, ma questa non si sistemava. Riprovò di nuovo e questa non rispondeva al suo sforzo.
« Magnus ho quasi fatto, » provò a sollevare anche le braccia, stringeva i denti, mise più forza. Solo allora il peso si sbloccò « Okay, adesso dovrebb-»
In un solo secondo, Alec vide il peso cominciare a sfuggire dalle sue mani, allora allungò le mani sopra la piccola rientranza - che era il manico- e cercò di riportarlo giù. Non ci fu proprio nulla da fare, Alec fu sollevato istantaneamente insieme al peso e mentre saliva su, mentre si staccava con i piedi, sentiva il battito farsi frenetico, sbattere contro il petto, la testa svuotarsi completamente.
Alec si degnò di aprire gli occhi. Era praticamente alla stessa altezza dell’altro e se lo ritrovò di fronte.
« ALEXANDER! » parlò forte Magnus, scosso, sorpreso. L’altro era praticamente sospeso in aria, gli occhi serrati per l’altezza. « Okay, cerca di non pensarci, respira, respira » gli disse per calmarlo.
Alec deglutì forte e cercò di respirare ma pensava solo ai suoi piedi sospesi e alle gambe che ora praticamente non avevano più il suolo sotto di loro, ma l’aria « Alexander, guardami » d’altronde l’altro non poteva guardare altro in effetti « Adesso mi sbilancerò avanti e indietro, cercando di fare muovere la corda » la sua mano era avanti, Alec muoveva il capo senza una ragione « Cercherò di avvicinarmi a te, » continuò anche se la sua voce era presa dall’ansia « E quando te lo dico io, dovrai saltare, okay? »
Alec annuì anche se pensò di stare soltanto di stare continuando ad agitarsi per inerzia. Magnus mimò un va bene, respirò profondamente e cominciò a muoversi allargando le gambe avanti e indietro, avanti e indietro.
La forza nelle braccia di attivò e le vene si fecero evidenti, scattanti sotto la sua pelle.
Alec pensò che sarebbe rimasto lì volentieri se solo questo non avesse significato avere paura di trovarsi a non so quanti metri da terra.
Con un colpo di reni, Magnus si trovò a protrarre il braccio, la mano in avanti, Alec la guardò e in un solo istante la afferrò.
« Alec, adesso, » disse « SALTA!» gridò Magnus. Alec si diede una spinta in avanti, senti il corpo spostarsi e sembrò non cadere mai...
« Tieniti forte, stringiti a me » mormorò Magnus.
Alec si trovò a girare. La sua testa girava, il tendone girava. Magnus girava. Si concentrò meglio e si trovò praticamente Magnus davanti. Le mani di entrambi erano strette intorno alle loro schiene e la mano destra di Magnus teneva ancora saldamente la corda. Erano in un groviglio stretto, i loro corpi si toccavano, le gambe di Magnus cercavano di tenere Alec il più fermo possibile.
« Devo solo, devo solo muoverla un altro po’ così che il peso si abbassi » lo rassicurò. Alec sembrava fissare tutto, tutto quanto. Sembrava come quegli animali curiosi e spaventati che fissano dappertutto tranne chi vuole aiutarli. « Alec, devi fidarti di me » disse all’improvviso l’altro.
Alec lo guardò, la paura negli occhi ma la sensazione subito densa e vivida che era puramente ovvia e non un mistero.
« Lo faccio. Mi fido di te » sussurrò impercettibilmente. Magnus respirò di sollievo, annuendo. Lo fissò, forse troppo a lungo prima di iniziare a spostare il peso lateralmente.
L’altro distolse subito la sua attenzione e allora tutto sembrò muoversi. Magnus non poté fare a meno di accorgersene lo fermò, rintracciando i suoi occhi. In un altra occasione forse, avrebbe trovato la cosa comica o addirittura fastidiosa, ma appeso com'era con l'altro terrorizzato, aumentò solo il suo sentimento di dover agire e armarsi solo di buona volontà.
« Non guardare in basso, ricordi? » gli disse dolcemente.
« Potrei bloccarmi... e rimettere, s-sì » completò Alec. Magnus annuì sollevato, in qualche modo sereno che almeno Alec rispondesse alle sue parole, voleva dire che si stava riprendendo.
Magnus si ritrovò ad aumentare la velocità dell’oscillazione della corda, nonostante tenesse anche Alec e fosse tenuto da lui. Quel pensiero lo portò ad evitare di pensare a quanto il suo braccio desse i primi segnali di cedimento. La corsa del cordame incominciò a creare semicerchi nell’aria, delle piccole curve che si ingrandivano.
Alec boccheggiò meravigliato. Adesso i suoi occhi si aprivano completamente. Sembrava una danza fluida, ondulatoria, un insieme di giravolte innumerevoli al secondo. Adesso, rideva.
« È... » esitò, vedeva il manto blu sopra la sua testa girare come se quel cupolone imitasse il cielo in pieno vorticare « E’ come avessi le ali, » alzò la voce euforico «Dio, è come volare »
Magnus rise insieme a lui, annuendo in risposta. L’aria creava il vento che a velocità che li colpiva e scompigliava loro i capelli.
« Sì, sì è vero... » I sorrisi si sprecavano e la meraviglia si plasmava, era arte aerea. Alec pensò che nemmeno da piccolo era riuscito a capire così, fino in fondo il significato di avere la testa fra le nuvole e letteralmente adesso, era in alto e ci stava in mezzo, vedendo Magnus che sorrideva e ogni tanto, controllava la presa. Dopo pochi giri in cui la velocità aveva preso il suo ritmo, il peso cominciò a scendere e così come quello scendeva, cominciavano a rallentare anche loro. I cerchi diminuivano, dimezzandosi, azzerandosi.
All’arrivo atterrarono dolcemente a terra, sempre l’uno stretto all’ altro, il respiro corto di Magnus e quello mozzato di Alec. Il peso si era abbassato, ristabilendosi completamente.
Toccarono la terraferma con i piedi, fermi, mentre cercavano di riprendere entrambi fiato.
« È stato... assurdo » sussurrò a malapena Alec. Si sentiva ancora lassù, perso nel volo, neanche fosse un uccello.
« Sì... » Magnus si sfiorò con un dito l’orecchio.
« Hai, hai un… » Alec si interruppe per poi proseguire « aspetta, » allungò una mano allontanandola dalla schiena dell’altro, per spostargli delle ciocche di capelli sudati davanti la fronte « ecco, fatto »
Magnus s’irrigidì un po’ ma il tocco di Alec lo portò a respirare più faticosamente, il petto andava come un treno e l’unica cosa che voleva era concedersi un po’ di felicità. Felicità. Dopo quella giornata, voleva solo smettere di stare male e di dar peso a ciò che non andava nella sua vita. Stare male, soffrire, pensare. Emozioni delicate, stupide emozioni… ma quella che voleva non accendeva il pianto, non era destinata a quello. Alec lo guardava ancora e lui si diede poco tempo, giusto come se sentisse di rivelare un segreto. Uno che nemmeno lui aveva ancora capito.
Guardò le sue labbra e si sporse per baciarlo.
Fu un bacio delicato, leggero, che Magnus pensò di lasciare come si lascia un piccolo fiore sull’ uscio di una porta, un cuore di carta.
Quello che non capì o di cui non si rese conto però, fu che non era ancora finito perché Alec aveva ricambiato il bacio, continuandolo. Cercò di restare lucido ma era inevitabile, Magnus si sentì tanti piccoli fuochi esplodere dentro.
Le loro bocche si cercavano e il bacio si approfondì ulteriormente, mentre Magnus sentiva la mano di Alec dietro l’incavo del suo collo. Tutto era così spontaneo.
Il contatto di Alec era inesperto, come se fosse la prima volta per lui, ma stava dando tutto ciò che aveva. E si sentiva.
Magnus si intenerì, non sentiva di dover reprimere nulla, il sapore di Alec era tutto quello che gli bastava in quel momento... ed era completamente perso. Sentiva il suo calore, la sua presenza, sentiva il suo cuore battere forte contro il petto come se stesse per esplodere ma era così dannatamente bello, così tutto dannatamente forte che avrebbe voluto avere il cuore pompargli in quel modo sempre, tutte le volte.
Era un po’ come salire sulla corda, ma vibrava secondo un ritmo diverso.
La sua lingua si incontrava con quella di Alec e gli venne soltanto voglia di prolungare ancora quell’istante.
Si staccarono per riprendere fiato e Alec giurò di vedere Magnus chiudere gli occhi prima di guardarlo.
Uno di fronte all’altro. Le fronti premute insieme.
Si ritrovarono a ridere entrambi, mentre i loro sorrisi facevano luce sulle loro anime.

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Capitolo 11
*** Verità e parole importanti ***


Here I am, dopo un anno e più ritorno.
Eh lo so, non ho scuse - tranne forse che per uni, impegni e altro,
non mi sono più ritrovata il tempo per pubblicare i capitoli pronti che avevo già scritto.
L'idea, è più o meno questa: pubblicherò i capitoli pronti che avevo nascosti
nel mio asso della manica (that's not funny, I tried)
Pubblicherò recentemente, ma non so dove mi fermerò, in tal caso,
ci risentiremo *spero* il più presto possibile.
Vi consiglio di andare a ritroso se non ricordate
con chiarezza ciò che era successo fino ad adesso.
Grazie e scusate ancora.






L’attimo.

Carpe diem.

Cos’è in fondo l’attimo in sé e per sé?

C’è chi lo definisce un battito di ciglia, chi lo ritiene ancora più fugace, come una colomba che spicca il volo e sa che dovrà avanzare in fretta prima che arrivi l’imbrunire.

E chi invece, lo rivive in pochi secondi e lo afferra di continuo.

 

L’attimo che era scattato dentro il tendone da circo, tagliava l’aria, sfumava la brezza e tirava su le nuvole. Due figure si trovavano al centro, pronte a riviverlo o a bloccarlo - o entrambe le cose. Magnus e Alec si trovarono sospesi in quel limbo. Nessuno dei due parlava.
Forse era difficile trovare qualche parola per descrivere cosa entrambi stessero effettivamente provando in quel momento, forse era così che ci si doveva sentire o no?
Magnus guardava quegli occhi da cerbiatto e sentiva di aver appena scoperto qualcosa che nemmeno lui riusciva a vedere.
Quante volte ci si trovava davanti qualcosa, forse per metà della propria vita e lo si guardava davvero, per la prima volta, quando ci andava a sbattere irrimediabilmente contro.
Alec d’altro canto, sembrava voler dire qualcosa, l’altro poteva capirlo semplicemente da come gli si increspavano le labbra, due piccoli solchi giusto lì, alla fine del contorno.
« Magnus » esclamò piano, mentre lentamente la sua mano gli sfiorava il palmo. L’altro lo lasciò fare.
In fondo, era così bello sentire ancora il suo contatto, anche se non si stavano più baciando. Le sue dita erano lunghe e affusolate, eleganti, come quelle che venivano descritte banalmente nei romanzi « Io-» qualcosa vibrò a pochi metri di lontananza, portando entrambi ad alzare lo sguardo verso la fonte in questione: una musica leggera proveniva da un aggeggio infernale.
Alec sospirò, la bocca aperta. Un’occhiata riuscì a far capire precisamente che se, da un lato avrebbe voluto lasciarlo squillare, l’altra si plasmava su un incertezza più che evidente.
Magnus annuì, limitandosi a sorridere, così che Alec ruppe mal volentieri il contatto, raggiungendo il piccolo zaino che aveva posato a terra, appena entrato. Lo aprì e schiacciò l’icona verde per rispondere alla chiamata.
Magnus nel frattempo si trovò a ciondolare, quasi piroettare, oscillare intorno, lanciando qualche occhiata al peso abbandonato in un angolo. Forse avrebbe dovuto raccoglierlo ed evitare che qualcuno entrando, ci inciampasse sopra. O che senza mai ci avesse provato, salendo su, trovandosi impossibilitato a scendere.
Sorrise stupidamente.
Un semplice pesetto da allenamento aveva causato la cosa più bella che sarebbe potuta capitare quel giorno. Si voltò verso Alec: il ragazzo teneva il telefono stretto all’orecchio, parlava e sembrava... illuminarsi mentre lo faceva, lo sguardo però puntato di sottecchi verso l’altro. Il circense ne seguiva la forma dritta e la punta rotonda del naso, la forma della bocca che si allargava con la dentatura regolare e il mento che spiccava, ora di profilo. Sbirciava la sua figura alta, i capelli che non amava - a quanto aveva ormai capito - tenere neanche un minimo in ordine. Gli sembrava di descrivere accuratamente ciò che vedeva e contemporaneamente, come se gli sfuggisse continuamente qualcosa.
« Okay, » Alec mormorò entusiasta « sì, sì sono lì tra un paio di minuti... dipende tutto dal bus, » abbozzò una smorfia per poi sorridere « Izzy, » pronunciò, lasciando una certa vena di curiosità alla figura a poca distanza che lo stava ascoltando « Sì, certo che voglio vederti, tra poco sarò lì » e concludendo la conversazione, riagganciò. Alec si infilò l’apparecchio nella tasca, si riavvicinò subito dopo, un braccio che si piegava, per portarsi la mano dietro la nuca.
« Era mia sorella, » disse « ha trovato un volo all’ ultimo secondo e ha deciso di venire a trovarci, » Magnus lo vide perfettamente dentro quel quadro di famiglia, con Isabelle, una sorella forse più estroversa, loquace, ma non di bellezza inferiore « Adesso è a casa, ad aspettarmi » terminò. L’ultima volta che aveva visto sua sorella, erano passati tanti di quei mesi che ormai non lo ricordava nemmeno più. Il suo tempismo era perfetto, aveva proprio spaccato il secondo.
Alec però si trasformò da lì a poco, consapevole di quello che voleva dire. Aprì la bocca per poter dire altro.
« Magnus, i-io- » cercò di spiegarsi.
Magnus gli portò una mano, il palmo aperto sul petto e con fare sereno, sorprendendo addirittura sé stesso, lo fermò subito.
« Capisco » annuì, la consapevolezza che Alec avesse qualcun altro con cui parlare, a cui aprirsi. Tra l’altro, se per lui c’era Candice e la compagnia, per Alec c’era sempre stata sua sorella. « Vai » sussurrò.
Alec si morse il labbro inferiore, tentennando, Magnus era così vicino e quello che era appena successo era qualcosa di cui dovere necessariamente parlare.
Alec lo attirò a sé e lo baciò per qualche secondo, sentendo quanto questa volta entrambi fossero più rilassati e calmi, ma sempre curiosi di studiarsi.
Magnus chiuse gli occhi, come in stato di estasi, quando si staccarono.
« Ti mando un messaggio, appena arrivo » gli soffiò sulle labbra, spostando lo sguardo continuamente da quelle ai suoi occhi.
Magnus non rispose. Alec si diresse fuori, arrivando ad aprire uno dei lembi del telo, si girò prima di uscire.
« Vai, » Magnus disse piano « Tua sorella ti aspetta » sorrise.

 

 

 


Rientrato a casa, Alec si guardò in giro.
La casa era vuota. Confuso, proseguì fino in cucina, anche quella sembrò deserta. Era strano, l'ultima volta aveva lasciato i suoi, impegnati a trincerarsi nel silenzio e a non dargli minimamente retta. Ora, si aggiungeva anche la presenza della sorella dalla cascata di capelli neri che sembrava più invisibile che presente tra quelle quattro mura. Continuò a camminare, finchp avvertì un ghigno.
Subito, ritornò alla realtà, perchè qualcosa lo toccò da dietro, non qualcosa, qualcuno.
« FRATELLONE! » gridò Isabelle dietro di lui, mentre lo abbracciava.
Alec sorrise girandosi a guardarla. Era ancora più raggiante e bella di quanto la ricordasse: si era tagliata un po’ i capelli neri, come i suoi, all’altezza delle spalle, ma stava comunque benissimo. Ogni cosa le stava bene e ogni volta più Alec la vedeva più si convinceva che fosse la seconda donna più bella della vita. La prima sarebbe rimasta la madre, per entrambi. Isabelle indossava una maglia a maniche lunghe rossa e dei pantaloni neri che le disegnavano in modo sensuale le cosce, le ginocchia terminavano con degli stivali di camoscio leggermente più chiari del suo indumento inferiore. Al collo portava la collana di perle, regalo che lui le aveva fatto il Natale scorso, quando era rientrata per le vacanze.
« Izzy » Alec la strinse a sé, lasciandosi andare nella stretta con sua sorella.
Appena si staccarono, Isabelle lo guardò meglio, radiosa, le labbra tinte di rossetto rosso vivo, il neo al di sopra di quelle e gli occhi grandi e castani, attraenti.
« Alec, sei davvero tu? » chiese mentre lo squadrava, indagando, girandogli attorno « Sembri diverso » la ragazza si portò l’ indice sul mento.
Alec la guardò in cagnesco, mentre assumeva un espressione seria ma che nascondeva comunque serenità.
« Sì, sempre lo stesso. Da 24 anni » chiarì.
Alec era più alto rispetto a Isabelle e questo si notava perché lei gli arrivava al petto.
« Sembri più...felice » sottolineò, stupita. Sorrise ampiamente, la dentatura perfettamente in ordine, le spalle dritte e l’aria di chi sospettava già la presenza di novità. Isabelle andò di nuovo in contro a suo fratello, osservandolo da più vicino « Beh, ti sta proprio bene questo sentimento addosso, devi raccontarmi un po’ di cose » ammiccò la ragazza determinata. Alec serrò le labbra, guardando il modo in cui, nonostante fosse più piccola di lui non riuscisse mai a dimostrare la sua vera età. Quel portamento, il volto maturo, quella piena sicurezza nello sguardo: una donna che sapeva il fatto suo.
« Si vede così tanto? » sbuffò il fratello.
Isabelle si limitò solo ad appoggiare la sua testa sul petto del fratello maggiore.
« Non è una brutta cosa Alec, » disse sofficemente Isabelle con quella sua voce calda « Significa che stai bene »

 

**

 

« Non ti starai rilassando troppo, Bane?» echeggiò imperiosa la voce di Dustin, imitando il tono acido del capo comico. Magnus alzò il viso, posò il cellulare accanto a sé.
« Stavo solo facendo una pausa » sospirò, i suoi piedi dondolarono in avanti, andandosi ad incrociare. Fissò le sue ciabatte viola e come avesse sfruttato l’occasione per quello che indossava quel giorno.
« Capisco, » Dustin spostò i suoi lunghi capelli e incrociò le braccia, la magli gli aderì al petto, facendola sembrare minuscola rispetto al suo fisico « e la pausa comprende forse Alec? »
Magnus adocchiò una delle sue scarpe e optò per lasciar perdere. Erano scarpe troppo belle e intatte per lanciarle contro di lui.
« Simpatico Dustin, » gli fece il verso « ma no, non stavo parlando con lui… o almeno, non ora »
Gli stava dando il suo spazio ed era giusto così. D’altra parte anche lui, per sé, aveva bisogno di pensare a cos’era successo e a ciò che conveniva fare o non fare. Era un circense, non aveva nulla da dargli, eccetto sé stesso - e tutti i suoi vestiti di scena - pensò. Quanto alle storie, ne aveva molte sì, così tante da poterci scrivere sopra, non annoiare mai. Magnus non era mai stata una persona così tanto materialista in fatto di sentimenti, però, questa volta era difficile capire quanto tutto quello che era potesse bastare. Dustin gli si sedette vicino, le mani giunte sulle ginocchia che sbucavano fuori da un paio di jeans strappati.
« Non ti sto rimproverando se è quel che pensi » chiarì portando in avanti i palmi delle mani. Magnus si girò verso di lui.
« Lo so, so che ci provi gusto qualche volta » sospirò mentre l’altro aprì i palmi della mani, scrollando le spalle.
« Sai che lo faccio perché ti voglio bene e anche perché, non mi piacciono i musoni » Magnus annuì, sorridendo appena « E so per certo, che tu non sei uno di quelli » i capelli dell’altro vibrarono tanto erano lunghi. Mentre la maglia lunga gli copriva la pelle scura di un color cachi. Dustin era più grande di lui, eppure sembravano avere la stessa età.
« Non so, Dustin… questa cosa, » il cellulare immobile sulla seduta affianco a lui sembrava un piccolo oggetto indifeso « è nuova… »
« Secondo me la stai facendo più complicata di come sembra » sottolineò scrollando le spalle. « Voglio dire Magnus Bane che ha paura suona difficile da credere »
« Tutti abbiamo paura di qualcosa »
Dustin sospirò, fissando lo spazio che li circondava. La piattaforma pronta ma vuota, l’aria di novembre che s’avvicinava per la temperatura leggermente più bassa del solito, loro due a piedi nudi sulla superficie liscia.
« Ti rivelo una cosa: non te l’ho mai detto, ma io in realtà ho paura degli oggetti appuntiti. O almeno, ce l’ho ancora, ma di meno » Magnus restò incredulo.
« Stai scherzando »
« Assolutamente no » Dustin arricciò le labbra voluminose « ho sempre temuto che le lame di coltelli o le stesse spade che uso, potessero colpirmi. Ma ne ho fatto un esercizio e di esercizio, una qualche sorta di abilità, se si può considerare tale. Ho iniziato da adolescente e ho assopito di una percentuale più piccola la mia stessa paura. Ed eccomi qui ora, » Magnus pensò attentamente ai numeri del collega, tutti che richiedessero concentrazione, pratica, anche convinzione, niente paura. Era assurdo come potesse aver paura del suo stesso strumento. « Seduto con un acrobata-aereo che sale e scende alto e rapido come un professionista, senza batter ciglio ma che si dibatte in problemi relazionali. Chi non ne ha, è davvero fortunato questo è certo, » gli regalò uno sguardo incoraggiante « il che mi ricorda molto la cotta di una che ebbi per una certa Nancie, al terzo liceo, » rabbrividì al pensiero, la sua faccia diventò plastica, rabbrividendo, come se qualcosa di viscido lo avesse toccato. La sua espressione era tanto realistica, da far ridere l’altro « Un esperienza da non ripetere » mormorò, poi ritornò serio. « Di cosa hai paura? » fu netto.
« Io non ho paura di quando uso i miei strumenti da lavoro, i tessuti… è come se fossero una seconda pelle. E mi piace portarmela addosso, è come se potessi rifugiarmici, lì sono al sicuro. E’ la mia casa, anche se non fisica.
Dustin annuì, mentre si faceva comodo, su una delle sedute. « Ma di questo…» si morse le labbra, la sincerità non aspettò oltre « temo che possa finire come le altre volte, come due anni fa forse. Semplicemente non mi aspettavo niente del genere » confessò. E in verità non si aspettava nemmeno succedesse, precisò nella sua testa. Dustin si grattò il mento con una mano, mentre l’altra si appoggiava alla spalla dell’amico.
« Non conosco Alec bene come te o del modo in cui tu possa averlo conosciuto, » mostrò dei denti bianchi, a contrasto con le labbra « ma so che persone che arrivano così, sono solo una benedizione. Per quanto riguarda J, » Magnus aveva avuto modo di raccontare a Dustin in una delle occasioni e tarde nottate - con i loro vari turni che si permettevano dopo le serate senza che Sanders venisse a saperlo - e il suo collega da quel momento in poi lo aveva chiamato solo J , perché pensava che non meritasse di avere un nome tutto suo « E’ passata, no? Il passato è sempre meglio lasciarlo da parte, altrimenti ti seguirà come un’ombra e poi, sai come si dice »
« Se vuoi rifilarmi la teoria del treno anche tu, mi dispiace ma passo » ridacchiò Magnus, pur non escludendo la logica dietro il ragionamento di Candace.
« Veramente ti avrei rifilato quello della chiusura della porta e l’apertura del portone ma va bene, » arricciò il naso mentre si faceva prendere dal buon umore « se vuoi qualcosa di meno banale e molto più diretto, posso dirti solo “buttati” »
I due colleghi nonché amici, si guardarono e bastò solo quello affinché Magnus piazzasse una mano sul ginocchio dell’altro a mo’ di ringraziamento. Magnus avrebbe voluto abbracciarlo in realtà ma Dustin lo anticipò subito dopo, rubandogli l’idea.
« Cos’è questo? Cosa ci fate lì impalati? Dustin, Magnus!» la figura di Sanders irruppe dentro l’area d’allenamento, mentre si portava i capelli come fili tesi di pali elettrici dietro in un codino sfatto « DIO MIO, » sbuffò, ticchettando con le sue scarpe « Finiamola con queste scene melense e datevi una mossa! Cristo, vi pago per LAVORARE » urlò battendo le mani in aria. I due artisti saltarono in aria mentre Sanders con il nervosismo più che la forza, lanciava uno degli oggetti di scena presenti per terra. I due si alzarono e finalmente il capo circo scaricò i suoi nervi altrove, uscendo drammaticamente dal tendone.

**


« Quindi, loro se ne sono già andati? » Alec sfiorò una delle copertine dei suoi libri con il pollice.
La camera era attraversata da un raggio di luce che dava a tutto un tocco tra l’azzurro e il grigio. L’atmosfera era molto graziosa e al contempo con un tocco malinconico. Isabelle era seduta sul letto, i piedi liberi dagli stivali e scalzi sul piumone spesso e pesante.
« Sì, prima che arrivassi tu, ero già qua da un’ora » Alec si girò a guardarla leggermente offeso, la sorella portò le mani in alto « In mia difesa non rispondevi, ti ho chiamato più di una volta, non hai controllato? » il fratello biascicò qualche parola ma senza successo. Sospirò e fece cenno di no con la testa. Isabelle gli lanciò uno sguardo tranquillo. « Era evidente che fossi impegnato in altro, » strascicò quelle due parole sulla lingua, mentre continuava « Ma comunque, avevano fretta, mi hanno detto di non preoccuparti. Soprattutto la mamma, » Alec immaginò il viso della madre mentre usciva di casa con suo padre, magari pensando a dove lui fosse stato e se fosse tornato per vedere la sorella « mi è sembrata insicura fino all’ultimo istante, le ho detto di stare tranquilla… sia per lei che per te, Alec. E’ assurdo, sei pur sempre più grande di me... Loro staranno via per qualche giorno per trovare un esperto in... ecco.. » Isabelle non sapeva come dirlo senza ferire il fratello.
« Un divorzista » concluse Alec terminando la frase. Isabelle lo guardò teneramente dispiaciuta, le mani in grembo. Le sue unghie erano di un colore leggero, sul naturale.
« Hanno valutato che il professionista che avrebbe dovuto aiutarli qua, aveva già la lista d’appuntamenti piena fino alla settimana prossima e così, si sono organizzati con un altro. Non che faccia differenza, » si ravvivò i capelli la ragazza « alla fine è tutta una questione burocratica per loro, mentre per noi è un’altra gatta da pelare. » Isabelle deglutì, guardando il cuscino che ora stringeva tra le mani, alzò lo sguardo su Alec: ci lesse consapevolezza e rassegnazione « Mi dispiace , Alec » mormorò. Alec le si avvicinò, raggiungendola e mettendole una mano sul ginocchio, mentre cercava di trovare le parole giuste. Restarono un poco in silenzio, ascoltando solo i rumori provenire dalla strada fuori dalla finestra.
« Era inevitabile » disse in tono consapevole anche se nostalgico « Sono passati anni e le possibilità si contavano sulle dita di una mano. Ci sarebbe voluto un miracolo, » mormorò stanco « ma forse non esistono » Isabelle appoggiò la testa sulla spalla del fratello, accarezzando con la mano il cuscino che aveva sul grembo.
« Per lo meno, » aggiunse Isabelle rincuorandolo « Per qualche giorno staremo tranquilli » Alec osservò le dita della sorella intrecciate nelle sue.
« Per quanto tempo ti fermerai?» le chiese Alec, un po’ di paura lo colpì. La aveva appena ritrovata e gli sarebbe dispiaciuto vederla andare via presto. Isabelle girò il viso poggiando il mento sulla spalla del fratello, sorrise
« Dovrai sopportarmi per cinque giorni » disse soddisfatta. Il fratello superiore rimase un po’ deluso.
« È di meno, rispetto alla volta precedente » Alec ricordò finalmente il mese in cui Izzy era venuta in visita a casa oltre il periodo natalizio: il mese di febbraio e quello di maggio e giugno. Ma sommando i giorni in cui era stata, non si contavano nemmeno due settimane. Isabelle lo riprese, guardandolo fiduciosa, piena d’amore. « Non potevano darmi un permesso più lungo,» annunciò « sono avanzata di ruolo e ho dovuto inventare come scusa che tu dovevi operarti, ho subito pensato di non ingrandirla tanto e così, secondo le mie doti ti sei lussato una gamba »
Alec scoppiò a ridere sentendo quelle parole, Isabelle si imbronciò, una smorfia che non durò più di due secondi le si disegnò in viso « Sssh, zitto, era l’unico modo per fermarmi di più. Questo o solo due miseri giorni » annuì, mentre sferrava un colpo allo stomaco del fratello. Alec però non si fece niente, era più forte fisicamente di quanto si potesse pensare, oltre che il più alto tra i due. Isabelle si lasciò contagiare e ridacchiò.
« Ti trattano bene a lavoro? » disse serio.
« Sì, Alec, lo fanno, » la ragazza roteò gli occhi adocchiando il muro sopra di sé
« Mi pagano bene e riesco a pagare l’affitto del piccolo appartamento. Potresti venirmi a trovare ogni tanto comunque, » accarezzò la trama del cuscino che aveva tra le mani « sai che ti pagherei io il viaggio, senza che mamma e papà si scomodino, sai che sarebbe come a casa, una casa come la intendiamo noi - »
« Lo so, lo so » replicò il fratello « e lo farò, puoi contarci. Non lascio certo mia sorella in mano agli spagnoli »
Isabelle gli fece la linguaccia.
« Ah ah che simpatico » gli fece il verso, si spostò una ciocca di lunghi capelli neri lucenti « E quindi, » le sue dita girarono disegnando piccoli cerchi sulla spalla di Alec « Qual era il motivo perché non hai risposto alle mie chiamate? » il tono della sorella adesso, era un misto tra felino e intrigo. Alec si portò una mano dietro la nuca, la ragazza era in attesa.
« Beh, non ero qui, questo lo avrai capito » si diede dello stupido, perché era così vago? Sua sorella, era pur sempre sua sorella...l’unica che in fattore di cuore ne sapesse qualcosa in più di lui.
« Uh, uh sì, lo avevo intuito non vedendoti crogiolarti o immerso nell’ombra della casa » sottolineò la ragazza ridendo.
Alec la guardò, notando tanta curiosità, tanto affetto, tanto bisogno di sapere.
« In queste settimane sono succede tante di quelle cose, » cominciò a spiegare Alec « Sono uscito tante di quelle volte per cercare di stare bene, di trovare un posto che annullasse quello che provavo qua, » Alec toccò il materasso con un gesto pesante, sotto lo sguardo attento di Isabelle « Ed è successo ciò che credevo impossibile: sono riuscito a rinascere, se così posso definire ciò che è accaduto, » Alec sorrise piano, riportando alla memoria quello stesso pomeriggio, si girò a guardare la sorella « E ho conosciuto una persona, » confessò finalmente « ma non è semplicemente questo, solo una persona. È stata... un amico, ma nemmeno questo ci si avvicina, » Alec continuò a scavare a fondo, contraddicendosi ma dando forma e ragione a ciò che in effetti era confusione « è stata... è, » si corresse «quello che non mi aspettavo, » Isabelle vedeva Alec farsi profondo, vero, come quelle pupille che improvvisamente si riempivano di verde chiaro « Ed è stata inaspettata e penso sia questo che renda tutto... tutto nuovo » Alec sorrise, le mani che ora venivano coperte da quelle della sorella, il ragazzo abbassò lo sguardo su quelle « È una cosa non pensavo mi potesse succedere » concluse stordito.
Isabelle lo portò a guardalo, gli sorrise come una sorella dovrebbe con un fratello, piena d’amore, di felicità, di speranza.
« Come si chiama, questa persona?» chiese lentamente, cercando di non spezzare incantesimo che era stato fatto ad Alec per essere così...in pace.
Alec chiuse gli occhi, visualizzò subito quella persona nella sua testa.
« Magnus, » emise un suono melodico « Si chiama Magnus »
Isabelle si allargò in un sorriso grande e baciò il fratello sulla guancia. Alec si sentì per la prima volta senza colpa, grato di quelle piccole luci di attenzioni. Sua sorella era l’unica benedizione in famiglia da tanto ricordasse e averla lì in quel momento era come respirare un po’ di più, riuscire a capirsi e a farsi capire senza intoppi e senza inganni o forzature.
« E questo ragazzo, » sillabò Izzy « Magnus, è.. è anche lui di qui?» chiese curiosa. Alec esitò un istante. Doveva dirgli che non era inglese? Che non apparteneva di certo al loro mondo? Che era la cosa che finalmente la notte lo faceva dormire, vivere sopra le nuvole?
« No, non è inglese » rispose Alec.
« Uhm, descrivimelo » lo incoraggiò Izzy.
Non saprei davvero dove cominciare...
« Beh, ha origini indiane e orientali, » spiegò il fratello, addentrandosi nella descrizione « È davvero... è bello. Ha questi occhi, così intensi» Alec cercò di dare giustizia a ciò che era Magnus « che sebbene piccoli ti colpiscono subito per quanto sono esotici, ti attraggono... e poi è divertente, lo definirei con un grande senso dello spirito, dell’umorismo » continuò elencando sempre più qualità « È umile, riesce ad ascoltarti senza interrompere, ascoltandoti perché vuole davvero farlo. È saggio... e ha un grande coraggio, più di quanto possano averne due persone insieme » finì.
« Sembra molto attraente » enfatizzò Izzy « e una persona speciale » abbozzando un piccolo cenno curioso del capo.
« Oh, beh, sì decisamente » Alec avrebbe voluto dire diverso, ma solo nel modo in cui lui lo intendeva: ciò che ci rende diversi ci rende ciò che siamo.
Riecheggiò nella sua testa la voce conosciuta di una sola persona.
« Mi piacerebbe sapere di più, » Isabelle si mise seduta, spostandosi al centro letto, le ginocchia al petto « che interessi ha, cosa fa, se lavora, se come te, » lo indicò « è soltanto in fase di capire cosa vuole »
Alec non sapeva se fosse il caso di dire alla sorella di cosa in realtà si occupasse il ragazzo in questione. Non si vergognava affatto di Magnus.
Ma teneva conto dell’opinione e del consiglio della sorella. Esitò. Isabelle lo guardò stranita, con quel misto di ansia.
« Ecco lui...» trattiene il fiato, lasciandolo andare dopo qualche secondo « è un artista circense » tossicchiò Alec, Isabelle s’interessò completamente strabuzzando gli occhi « un acrobata aereo, per essere preciso »
Isabelle restò silente. Alec però solo di non averla in qualche modo sconvolta con quell’informazione.
« Alec » replicò la ragazza « Quando si fa una descrizione, si cita tutto e non si lascia niente al caso, come ad esempio, il fatto che possa lavorare sul proprio corpo e che possa insomma, sì, » Isabelle accennò uno sguardo malizioso ma sincero, lei era fatta così « avere un alta percentuale per essere sexy »
Alec la guardò sbiancando completamente, Isabelle scoppiò a ridere. Si spostò,
lo raggiunse, le mani sopra le spalle del fratello. Alec sospirò di sollievo ma fece fatica a levarsi dalla testa l’immagine di due braccia in pieno sforzo, imperlate di sudore.
« Non ricordo l’ultima volta che ti ho visto in imbarazzo, fratellone » scherzò, accarezzandogli ora i capelli « deve essere una cosa più seria di quanto credessi »
« Lo è » mormorò Alec incerto se continuare a vedere dove quella conversazione andasse « Insomma sì, che io sappia è un bel ragazzo, sia fuori che dentro. Mi fa stare bene » biascicò abbassando il tono della voce, colorandosi di sincerità.
I due fratelli si trovarono a guardarsi. Lo scatto di luce negli occhi di Isabelle era evidente, l’espressione orgogliosa.
« Mi piacerebbe tanto poterlo conoscere e... Alec? » il ragazzo si rilassò mentre la sorella lo chiamava dolcemente « È giusto che le cose vadano piano » consigliò « Non fare niente che tu non ti senta di fare, è questo l’importante, questo e » spostò le braccia legandosi a lui in un abbraccio « che sei felice, felice come quando lo eri una volta » e dicendo così la sorella si fermò, prolungando quel meraviglioso gesto.

 

 

 

 

 

 

Jay e James si stavano allenando duramente dentro il tendone. Avevano dato il cambio a Magnus, che adesso si ritrovava a osservare il suo cellulare, il numero dell’ospizio memorizzato dentro premuto adesso, mentre si portava il cellulare all'orecchio. Dopo tre squilli, una delle responsabili rispose e Magnus si ritrovò con la voce tremante a chiedere di una donna, una certa Jian Lin che da sposata ma ormai vedeva risultava Jian Lin Bane.
Aspettò qualche secondo in linea, contando metodicamente i suoi respiri e pensando a tutti quei giorni in cui la voce dell’unica donna che amava non era arrivata alle sue orecchie.
Deglutì quando sentì una delle addette riferire alla donna in questione chi fosse che la cercasse e poté sentire il tono felice nella sua voce. « Amore mio » risuonò la voce di Jian in un cinese gentile e pieno d’amore. Magnus quasi si sentì gli occhi umidi, ma al posto di piangere, pensò che non fosse il caso dato la circostanza: sentiva la madre dopo un mese e quindi non c’era spazio per le lacrime ma solo per la gioia.
« Mamma » mormorò Magnus.
« Sai che proprio ieri pensavo a te, » la madre nonostante l’età aveva la voce come quella di una giovane di trent’anni « Ho ricevuto i tuoi splendidi fiori, grazie » Su sua commissione, era riuscito a far mandare dei gigli e qualche altro bel fiore all’ospizio, incaricando dei venditori ambulanti o ghirlandai,- gli era sembrato di capire - che passavano lì, da Panshanger Park. Li aveva pregati più e più volte, pagandoli un po’ di più rispetto alla usuale cifra per un mazzo di fiori freschi. I metodi di Magnus si ritenevano efficaci, almeno quasi sempre. Fortunatamente, uno dei due era provvisto di veicolo e riusciva a mantenere e trasportare varie specie di fiori al fresco. Avrebbe impiegato come minimo qualche ora per arrivare all’indirizzo che gli aveva fornito Magnus che per puro ringraziamento, aveva frugato subito in roulotte per regalargli dei biglietti.
Mr. Sanders sicuramente non avrebbe apprezzato, ma non doveva per forza dirgli tutto, anzi, non rientrava nelle sue priorità.
« Sono contento che ti siano piaciuti » sorrise « Come va lì? Ti trattano bene? Stai mangiando e facendo quello che ti dicono di fare? » chiese in apprensione.
Sentì Jian sbuffare annoiata, mentre il figlio ridacchiava dall’altro lato del telefono.
« Sono una donna adulta, Magnus, cerca di tenerlo sempre a mente, » gracchiò come una bisbetica ma per poi finire con una tonalità dolciastra « Mangio, dormo e leggo. Ma credo che vada bene più a me che a te, ci potrei scommettere tutto » concluse. Magnus in un certo senso avrebbe voluto svelare l’arcano mistero per cui sua madre riuscisse ad indovinare come stesse andando la sua vita meglio di lui. « Me la cavo ogni giorno, non preoccuparti per me » farneticò, mentre si torturava il gomito.
« E conosco quando non dici realmente come vanno le cose, amore mio » ripeté di nuovo nella sua lingua natia.
« E’ una storia lunga, mamma, e tu devi riposare. »
« Ho tutto il tempo per le storie e ho già dormito come un panda che ha attraversato il Giappone per arrivare in Cina – solo dopo una buona dose di bambù, » Jian sembrava non sforzarsi affatto mentre si impegnava in quegli aforismi che richiamavano a parte delle sue tradizioni « Raccontami Magnus, voglio sapere, sono o no la donna che ti ha messo al mondo? » il tono che cercava di imitare un rimprovero ma che assomigliava più a un ordine materno tenero e costante, invitò Magnus a mettersi comodo lungo il muro dalla parte del letto e a pensare da dove iniziare quel suo racconto. Tralasciò la figura di Mr. Sanders, così come aveva sempre fatto quando la andava a trovare, ma parlò ampiamente di come andassero le cose, le prove, gli spettacoli. Parlò anche di Alec, anche se in minima parte rispetto alle altre cose, destando la curiosità di Jian che esordì con un perciò era di questo spasimante di cui ero all’oscuro, provocando l’astuzia di Magnus che le rispose solo che le cose non fossero proprio dirette in quel senso. Jian però, era una madre intelligente oltre che furba e gli disse solo che ci credeva tanto quanto aveva creduto al disinteresse di suo padre quando le faceva la corte.
Magnus le disse solo che qualche giorno fa, i due si erano baciati dentro il tendone. Non omise quel particolare un po’ perché gli formicolavano ancora le mani a pensarci e un po’ perché era come se avesse congelato il momento troppo perfettamente per essere rimosso. Jian si trovò a fare domande e poi altre domande, a cui Magnus non rispose, non a tutte per lo meno. L’interrogatorio materno aveva avuto inizio ed era difficile scapparne. Sentiva che una volta raccontatole quello, la madre avrebbe cominciato a fantasticare sulla vita sentimentale del figlio. Non fraintendiamoci, Magnus amava l’interessamento della madre nella sua vita, nelle sue passioni, ma riguardo a questioni amorose, la madre era sempre stata all’erta, cercando di consigliarlo il più possibile sulla base di ciò di cui veniva a conoscenza. I dettagli, diceva lei, sono fondamentali.
La chiamata durò circa un’ora, mentre Magnus senza difficoltà, riusciva a cambiare argomento, quando sua madre gli raccontò di come passava le giornate e di come avesse stretto amicizia con alcune signore inglesi o a gentiluomini provenienti dalla Cornovaglia che erano pieni di acciacchi. Jian citò anche al thè inglese a cui ormai si era abituata, ma che mancava sempre dell’aroma, della presenza e respiro di casa, della sua ormai lontana Cina. Gli infusi di thè verde sul tavolino del soggiorno che ricordava prendessero seduti sul pavimento tutti e tre insieme. Magnus le disse senza spiegarle o spiegarsi lui stesso la ragione, di averla sognata più volte quei giorni e che nonostante ricordasse delle sue tradizioni e degli antichi spiriti orientali, non sapeva cosa volesse dire.
« Non sono maligni, Magnus, può stare tranquillo, » gli aveva chiarito Jian « Ma hai ricordi, in particolare? » Magnus le rispose che ricordava solo di proseguire non portando del peso, da solo. Ma il peso, non era stato specificato.
« Tesoro sicuro di starmi dicendo tutto? » In ogni caso, Magnus riuscì a tranquillizzarla che era solo sinonimo di curiosità. Jian gli disse che nel peggiore dei casi, tralasciando vari significati come la protezione o le radici di famiglia, si trattava sicuramente di bisogno di sicurezza o conflitti interiori.
Appena finirono gli argomenti, Magnus desiderò dirle di più, ma sapeva che doveva sbrigarsi perché prima o poi qualcuno avrebbe bussato alla sua roulotte per riportarlo alla fatica. Si salutarono in cinese e si dissero ti voglio bene all’unisono. Magnus le promise che sarebbe andato a trovarla presto e sperò con tutto se stesso, una volta riattaccato, che quelle parole non sarebbero state vane promesse.

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Capitolo 12
*** Sull'orlo del mondo - ***


Ragazzouoli, più veloce della luce (neanche fossi Flash in persona),
ecco  il dodicesimo capitolo.
As I said, spero di postarvene almeno un altro prima che,
il ciclo universitario mi divori l'anima.
Scherzi a parte, godetevelo tutto perché è davvero una bella chicca,
ho rivisto alcune cose, ma ne vado soddisfatta.
Il prossimo aggiornamento potrebbe anche
slittare, ma intanto non vi lascio col fiato sospeso.
Enjoy.
Clodia's







La mattina seguente, Isabelle camminò per la casa, passando per il tavolo e trovandoci appollaiato una figura simile al fratello, intenta a fare colazione. La tazza colma di cereali e la mano che girava il cucchiaio senza prenderne nemmeno una cucchiata.
« Buongiorno Alec » gli diede un buffetto sulla spalla, un bacio e il ragazzo quasi sobbalzò. Biascicò qualcosa, che poi riformulò subito dopo.
« Buongiorno Izzy » sospirò, mentre il cucchiaio finalmente si muoveva e veniva portato alla bocca.
Isabelle si sistemò la sua vestaglia bianca e rossa e andò a prendere la sua tazza in cucina, il latte e qualche briosche. Si sistemò alla sedia, uscì i suoi occhiali dalla tasca e lesse l'etichetta del latte ad alta voce.
« Latte parzialmente scremato, » recitò, portandosi un dito sul mento « ma ciò non ha importanza, » continuò, adocchiando lo sguardo del fratello fisso su uno dei cereali appena sprofondato nel liquido perlato « perché se non dovesse piacere, prima dovrebbe essere provato almeno - il latte -» enfatizzò, beccandosi un occhiata in cagnesco dell'altro, ora all'ascolto « altrimenti come si potrebbe dire che non piace? » alzò il largo contenitore, lo svitò e se lo versò. Portò un pezzo di briosche alla bocca e noncurante della maleducazione e aggiunse. « Così come il latte, anche nella vita ciò ha un suo perché. Non dici che non ti piace il latte, se non lo hai mai bevuto, assaggiato. Non dici che qualcosa non potrebbe funzionare, se non ci provi nemmeno » sottolineò, scoccando un occhiolino ad Alec.
Alec si ritrovò completamente in stato di totale ammirazione, ma anche di totale offesa, sentendosi il centro a cui Isabelle stava mirando.
« Non c'è che dire, geniale e diretta come sempre, Izzy » rispose seccamente, mentre mandava giù un altro boccone.
Isabelle sorseggiò il suo latte, aggiungendo il caffè caldo, che solo ora adocchiava sul tavolo.
« Non sono la sola ad esserlo, Alec, siamo o no fratelli? » chiese testarda.
« Sì, » annuì, i capelli completamente ognuno per i fatti loro « Ma non sicuro tanto quanto te. Lo sai. Tra l'altro sarebbe la mia prima, primissima volta » corresse.
« E qual è il problema, scusa? » Isabelle diede un altro morso alla sua colazione.
Alec sembrò titubante al riguardo. Aveva inviato il messaggio che aveva promesso di inviare a Magnus, la sera precedente, ma non aveva ricevuto risposta. Si era limitato a un semplice "dobbiamo parlare, domani, se trovi del tempo", veloce e rapido. Non aveva aggiunto però la sua tensione, mentre digitava.
« Non è quello, è solo... » ispirò lentamente, mentre si portava una mano per massaggiarsi una delle tempie. « Non so se andrà in porto, voglio dire, mi piace Iz, mi piace. Tanto. » sorrise poco, mentre sentiva ancora la bella sensazione impressa di quell'ultimo incontro « Ma se non provasse lo stesso o se per qualche ragione, dovessi rovinare tutto? » fu timoroso nel dirlo, lo sussurrò.
La sorella annuì, la sua lunga cascata nera che di solito le scendeva sulle spalle, era raccolta in coda quasi della stessa lunghezza e il viso era tranquillo e in ascolto del fratello in bisogno.
« Hai agito di impulso, no? »
Alec annuì, portandola a continuare « Non ha rifiutato,nessuno di voi due lo ha fatto, » mostrò un sorriso pieno, mentre delle piccole borse si formavano sotto gli occhi grandi e attraenti « è chiaro Alec. In più ti piace, cosa c'è di sbagliato in questo? »
« Niente, assolutamente niente... »
Il rumore di un messaggio non mancò ad arrivare. Era il suo, Alec guardò velocemente la sorella, la quale lo incitò battendo la mano sul tavolo, trepidante.
Nel messaggio, Magnus gli confermava che quel pomeriggio sarebbe riusciti ad avere qualche ora di pausa, ma non di più.
Alec stava sorridendo senza nemmeno aver letto ancora metà di ciò che c'era scritto.
« Che dice, che dice? » squittì incalzandolo, Isabelle.
« Devo... devo andare al tendone, uhm, sì, » controllò l'orario sul piccolo schermo e calcolò più o meno la tempistica.
Le prove iniziavano la mattina, staccavano per pranzo e se tutto andava bene, per il tardo pomeriggio si finiva, in casi eccezionali. « Dio, Izzy devo essere fuori per le quattro... »
« Che succede? » lo guardò perplessa mentre finiva con gli ultimi sorsi il suo caffelatte.
« Non voglio lasciarti qui sola, » dichiarò guardandola dritto negli occhi « avevo deciso, se Magnus non mi avesse risposto, sarei rimasto con te. Stai già così poco ed è già la seconda volta che sono fuori casa » era amareggiato. E anche in quel momento, pensò che se avesse potuto combinare entrambe le due persone a cui teneva, una di famiglia, di sangue e l'altra, che si era insinuata nei suoi pensieri, le avrebbe prese entrambe con sé.
Isabelle aggrottò la fronte e scrollò le spalle.
« Ma ti ha risposto e i tuoi piani sono cambiati. »
« Vorrei poter restare » mormorò, visibilmente dispiaciuto.
« Alec, fratellone, non succederà niente, non preoccuparti. Sono una donna, so cavarmela, sono furbizia e ingegno, » sorrise ammaliante, mentre la sua mano si poggiava su quella libera di Alec, il palmo aperto, pronto per accogliere la sua mano altrettanto fine ma di poco più piccola « E poi abbiamo ancora tre giorni, da passare insieme. Non dimenticarlo. »
Il ragazzo annuì, in cuor suo sapeva che era pur sempre una giornata, però gli costava mandar giù che avrebbe perso anche quella per poter stare con lei.
« So che sei in grado di cavartela, » pronunciò consapevole lui, mordendosi il labbro, la sua sorellina era ormai una donna adulta, una bella donna sicura di sé « ci sei sempre riuscita con o senza l'aiuto di nessuno. »
« Neanche tu te la sei cavata male, Alec. Sei sopravvissuto a questo, » Isabelle indicò le pareti della casa, la situazione che si portava sulle spalle da solo, da quando se ne era andata « non importa come, ma sei forte e determinato quanto me e adesso devi solo correre ancora un po', » disse, un leggero luccichio le riempì gli occhi « correre per te. »
« Ti voglio bene Iz » sussurrò Alec.
« Anche io, fratellone »
Ricevuto un altro sorriso dalla sorella, Alec si precipitò a finire la sua colazione e subito, deposti la tazza e il cucchiaio nel lavabo, si guardò nel lungo specchio posizionato prima del soggiorno.
Studiò i suoi capelli, formavano delle piccole saette andanti in direzioni diverse, mentre soffermandosi sul busto, la maglia del pigiama gli andava tremendamente larga sopra, tantoché dovette alzarsi una delle spalline di cotone, che ricadeva pesantemente lungo una delle spalle.
« Dio, ho proprio bisogno di una doccia » esclamò, guardandosi meglio.
« Oh, quello è sicuro, » abbozzò la sorella girandosi di un fianco sulla sedia dov'era seduta « e soprattutto, hai bisogno di buttare quel sacco che ti ritrovi come pigiama »
Alec tastò la sua maglia color glicine, leggermente scolorita. Ci dormiva da tempo ormai, quando avanzavano le stagioni più fredde dell'anno. Non aveva mai pensato di cambiarlo, più che altro non avea fatto caso alla sua usura nel tempo.
« Ci dormo da una vita ormai... » mormorò.
La ragazza sembrò meditabonda, mentre piano si alzava e studiava la figura del fratello, entrando di poco anche lei, nel riflesso dello specchio.
« Te ne serve uno nuovo, allora » consigliò.
« È solo un pigiama, Iz » Alec sbuffò sonoramente
« Sì, ma non è il caso di prendertene uno nuovo? » si imbronciò, le mani sui fianchi. L'indice della ragazza indicò le sue spalle, poi, l'addome « Sei dimagrito un po'... niente a cui non si possa risolvere » sorrise, riprendendosi la sorella. Si mosse di lato e prendendo la borsa lasciata sul divano da quando era arrivata, ne uscì fuori un piccolo porta tutto « Per prima cosa, » fu abbastanza chiara, ma anche dolce, le chiavi di casa tra l'indice il pollice, continuò « usciremo e andremo a fare la spesa, perché con quello che di poco c'è in dispensa, soffriremo la fame, poi, » Alec si girò a guardarla attento, le sue guance si imporporarono, dato che l'ultima volta che aveva fatto la spesa risaliva ad almeno due settimane fa « andremo a comprarti qualcosa di nuovo, incluso il pigiama »
Alec roteò gli occhi, ma la sorella lo ammonì.
« Niente obiezioni, hai bisogno di entrambe le cose. E poi, » aggiunse scrollando le spalle, « dobbiamo uscire un po' da questa casa, no? »




La giornata volò, con i due fratelli intenti a scegliere cosa portare a casa, passando da qualche mercatino nelle vicinanze, scegliendo cosa cucinare, cosa potesse andar bene con la fisicità di Alec.
Ogni tanto si fermavano su qualche panchina, per una sosta, osservando la grande statua di cervo al centro della cittadina.
Riornarono a casa stremati, nonostante avesse guidato Isabelle, la sua energia iperattiva non si era ancora arrestata del tutto, nemmeno quando le venne in testa di preparare un dolce, i cui ingredienti erano appena stati comprati e sistemati.
Dopo aver sistemato le cose avevano pranzato, tutte e due in compagnia solo delle chiacchiere riguardanti la giornata di spese che avevano appena passato. Andarono avanti, lavando le posate, i piatti, mentre Isabelle organizzava invece il resto della giornata. Una cosa era chiara, avrebbe riaccolto il fratello per la sera, con qualcosa di dolce, solo che non sapeva nemmeno lei con che tipo di leccornia.
Si salutarono - o meglio - Alec la abbracciò forte, mentre lei, tranquillamente gli diede in mano il piccolo involucro che si era dimenticato.
« Per favore, cambiati prima di andare, » sospirò « quella felpa è logora »
Alec ridacchiò, rapidamente corse in camera, si sfilò la parte superiore, cambiandola con una camicia semplice, bianca bordata leggermente ai polsini, ma nuova. Forse sua sorella in fondo aveva ragione, aveva bisogno di dedicarsi un po' a se stesso, di lasciare la questione dei suoi fuori e aprirsi ad altre possibilità.
Alla svelta, si precipitò alla porta e si lasciò dietro la ragazza che lo salutava.
« Buona fortuna! » gli gridò.





Era un novembre già freddo, in cui la nebbia cominciava piano a farsi fitta e il respiro veniva a riempirsi dei primi brividi autunnali. Se Alec non avesse portato con se il suo giubbotto più pensare, probabilmente il vento gli sarebbe entrato dentro le ossa. L'autobus che lo aveva lasciato, contava pochi passeggeri, quindi fece tutta l'andata praticamente in solitaria, guardando dai finestrini e abbandonandosi ai pensieri e ai soliti giochi della sua testa.
Al tendone attraversò l'entrata, sbarrata con un cartello che diceva più o meno così:

« L'ENTRATA E' RISERVATA SOLO ALLA COMPAGNIA CIRCENSE E NON OLTRE.
Si invitano gli spettatori a ritornare all'orario serale
» con tanto di orari e indicazioni dei prezzi dei biglietti.

Alec ipotizzò che quella trovata fosse recente, dato che il cartello era verniciato di fresco e qualche lettera in bianco e nero si era mischiata creando una leggere sfumatura venata di rosa.
Entrò, facendo attenzione a non dare nell'occhio. Il giubbotto gli servì anche a questo, lo alzò sul viso, mentre procedeva ai lati del tendone, stringendosi tra questo e lo spazio che aveva davanti. Da lì, vedeva benissimo il modo in cui era tenuto in piedi, fissato con dei cordoni, terminanti in ganci metallici fissati, insieme a dei piccoli paletti, conficcati dentro il terreno.
Proseguì così a zig zag e sempre coprendosi, arrivò allo spazio delle roulotte.
Un viso piuttosto familiare gli si presentò davanti, un ragazzo con dei lunghi capelli stava bevendo dell'acqua, bagnandosi la faccia e il collo, appiccicati dal sudore.
Mentre avanzava, quello si girò e fece giusto in tempo per vederlo.
L'espressione consapevole e la mano che prendeva un asciugamano e si aiutava la fronte: Dustin.
Di lì a poco si unì, un'altra persona, una ragazza dalla pelle scura, i capelli raccolti in due cignòn simili a due pon-pon sopra la sua testa. Indossava un fascia seno e dei pantaloni da tuta rosati.
« Alec, ehi » fu Dustin a parlare, si sporse in avanti e gli strinse la mano. Alec rispose al saluto, anche se in modo impacciato « Sei un po' in ritardo oggi, huh? » domandò. Da vicino quei capelli sembravano tanti rami intricati, solo ricoperti di peluria.
« Meglio tardi che mai » abbozzò Alec.
Candice che affiancava il suo collega, lo guardò incuriosita, mentre si scaldava prima di entrare ad allenarsi.
« Come sei riuscito a passare senza farti vedere? » stavolta fu lei a parlare, il braccio che si fletteva, per essere stirato.
« Oh beh, » Alec si grattò la testa « ho fatto del mio meglio per non dare nell'occhio, credo, » era sicuro, adocchiò come la ragazza avesse cambiato gamba, mentre la sua faccia si contorceva leggermente « di aver capito da dove non prendere »
« Ci credo, altrimenti il capo, non avrebbe esitato a farti fuori » ridacchiò Dustin, che venne ricompensato beccandosi una gomitata da Candice appena si alzò per sistemarsi in un’altra posizione. Candice lo guardò truce e Alec si limitò a nascondere il sorriso confuso affiorato in quel preciso momento.
« Ahia! Che c'è? » Dustin si strofinò il fianco, appena colpito. Una smorfia che simulava il lamento gli si dipinse sulla faccia, mentre si massaggiava con la mano la zona dolorante..
« Succede, che faresti bene a startene zitto certe volte! » lo riprese Candice, sussurrando in modo ammonitorio.
« Si da il caso, che potresti evitare di colpirmi ogni volta che hai bisogno di sfogare la tua frustrazione femminile, Candice » scandì tutte le lettere del nome della ragazza, la quale roteò gli occhi e ispirò per calmarsi.
« Mi dispiace che tu non capisca neanche che non si tratta di quello stavolta, » alzò in aria le braccia, ributtandole sui fianchi irritata « Idiota! »
Dustin le stava per rispondere, abbastanza seccato, si sporse in avanti, il sospiro stancante che gli usciva dalla bocca..
« Starei cercando Magnus » li interruppe non curante, sovrastando le loro voci. Entrambi i due ragazzi si guardarono, sembrava che avessero ripristinato l'aria serena di poco prima.
« Dovrebbe finire l'allenamento tra qualche minuto » rispose Candice, mostrandogli un sorriso rassicurante, allargò le gambe e si piegò a toccarsi un piede con le mani.
« Sì, » aggiunse Dustin « nel frattempo se ti va, puoi aspettarlo più avanti, » indicò lo spazio verde davanti le roulotte che si espandeva di poco più in fondo, era segnato da una striscia di cipressi più o meno alti « lì non ci disturba mai nessuno e sei anche meno visibile. » si arrotolò le maniche della maglia e Alec notò i brividi di freddo sulla pelle « Tranquillo, ci penserò io a dirglielo »
Alec annuì in segno di ringraziamento e notando che scosse leggermente il corpo, come per riscaldarsi, non ci pensò oltre e si tolse il suo giubbotto.
« Tienilo tu, appena dovrò ritornare me lo ridarai » la sua mano glielo offrì, leggera e gentile. Dustin lo guardò stupito, ma si allargò in quei denti avorio e squadrati.
« Grazie Alec, » era grato « ultimamente fa più freddo qui e ho lasciato il mio prima di partire. Di solito uso una vecchia coperta, » aggiunse « ma è scomodo portasela dietro »
« A me non serve, » mentì un po', ma pensò che non sarebbe successo niente se non lo avesse tenuto per un paio d'ore « è solo parte della mia copertura »
Dustin non perse tempo e se lo provò immediatamente, gli calzava bene, le mani gli scivolarono sull’apertura, la quale era leggermente stretta davanti.
« Andrà bene, non lo avrei chiuso, comunque » se lo sistemò meglio dietro « Grazie ancora »
Scambiandosi un'ultima occhiata, Alec si diresse su consiglio più avanti, si sedette sull'erba, dove una schiera di alberi si stagliava dietro di lui, come una protezione. Mentre il lago, prendeva la sua visuale frontale.


**



Magnus arrivò correndo, il fiatone che non era ancora rallentato. Subito dopo essere uscito da una lavata di capo di Sanders, si era ritrovato il suo amico, pronto a dirgli che una certa persona gli aveva fatto una certa visita. In poche parole, Dustin aveva evitato di pronunciare nome e cognome davanti il capo del circo, per evitare possibili problemi.
Adesso, si ritrovava a correre, verso la distesa degli alberi, preso da una strana e irrefrenabile voglia di urlare. Non capiva se però avrebbe urlato per ciò che era appena successo nel tendone o per quello a cui stava andando incontro. Tutto ciò che aveva addosso erano una maglia felpata a maniche lunghe e dei jeans scuri, mentre a piedi nudi, si affiancavano l'uno all'altro nella corsa sull'erba.
Vide la sagoma di Alec farsi sempre più vivida, finché non lo ebbe davanti a sè.
« Ehi » soffiò fuori affaticato.
La prima cosa che notò, furono i suoi occhi, i quali sembravano più chiari, a discapito del tempo grigio.
« Magnus, ciao » mormorò.
Dopo aver corso, si sedette piano, incrociando le gambe, poggiando il peso sulle braccia, le mani che ignoravano piano il terreno umido.
Ci fu silenzio, non imbarazzante, solo di studio. Era come se non sapesse cosa dire, quando in realtà ci aveva pensato bene per tutta la notte, aveva più o meno capito da dove iniziare, ma ora che lo aveva vicino, era leggermente diverso, perché era reale.
« Magnus » si schiarì la voce, l'acqua che si increspava davanti al suo sguardo « Se c'è una cosa che voglio dirti è... dio, è dura, » chiuse gli occhi, gli uscì un sorriso spontaneo « è giusto sapere cosa dover dire prima e poi non riuscire a spiegarlo? »
« Non so, ma non mi capita quasi mai, » rispose, arricciando il naso, serio « ed è questa la cosa strana » deglutì.
Lo guardò e si rese conto di quanto fosse bello quel giorno. Non che non lo fosse tutti gli altri, ma aveva questa particolare luce, sprigionava qualcosa di simile alla calma.
Alec si inumidì le labbra.
« Quello che so è questo, » riprese « so che mi piace ascoltarti, Magnus, so che mi piace farlo perché so che mi ascolterai. Mi piace parlare con te, starti vicino, mi sembra tutti così naturale, » affermò, mentre si voltava a guardarlo finalmente, le mani poggiate sulle ginocchia piegate in avanti « mi piace anche solo sentire la tua voce e il modo in cui vedi determinate cose, perché penso, » spiegò
« che non sia distante dal modo in cui le veda io. E se così non fosse, » continuò, sincero « allora credo mi piaccia anche quello Ed è così nuova questa sensazione, quello che sento, così nuova che non voglio rovinarla ancora prima che inizi, perché è una delle cose più belle che abbia mai avuto. » dichiarò.
Magnus si sentì sobbalzare, diede la colpa al freddo per i brividi che gli salivano lungo le braccia, ma in realtà pensò che Alec stesse arrivando alla fine. E se era anche nettamente superiore a quello che gli stava già dicendo, si sentiva già pronto a dirgli quello che provava lui.
« Era la tua prima volta? » fu diretto.
Alec sembrò pensarci su, anche se sapeva già cosa rispondere.
« Sì » rispose secco « E’ così evidente?»
Magnus rise questa volta, il volto che si girava di lato di scatto.
« Alec, » disse all'improvviso, « devi sapere una che ho avuto altre relazioni prima » era consapevole di cosa stesse tirando fuori dal cappello.
Alec inclinò la testa, lo sguardo attento « So com'è quando ... quando tutto è nuovo, quando si vive tutto inconsapevolmente. Tu hai mai avuto rapporti con qualcuno ?» fu sfacciato questa volta, erano lì per un motivo d'altra parte, entrambi su quell'erba adesso lucida.
L’altro si morse le labbra e rimandò indietro il tempo.
« Ai tempi in cui frequentavo l'università, ebbi questa... questa strana relazione al primo anno con una ragazza del mio corso-»
« Che era...?» .
« Arte, il mio corso era arte comprendeva: reperti, storia antica, beni di valore, » spiegò beccandosi un occhiata affascinata dall'altro « Comunque sia, iniziammo a frequentaci per un po' ma non ho... non ho mai provato niente oltre alla semplice amicizia, per quanto mi sforzassi, una volta fu lei a baciarmi » Magnus lo ascoltava con interesse, un po’ per la storia, un po' per le dita di Alec affusolate che cercavano le sue « E c’era il vuoto, non sentivo niente » terminò.
« Quindi, sei... » Magnus sembrò pesare quella parola dentro la sua testa e ripensò a quella volta in cui Alec gli aveva detto di non avere nessun pregiudizio « Insomma, ti piacciono gli uomini? » uscì fuori.
Alec mise su un sorriso piccolo e velato, trasparente. Ricordava, anche se non aveva avuto tanto, quel dettaglio che veniva fuori dai bordi dopo la sua adolescenza, ricordava quel frammento anche se non aveva avuto molte altre occasioni per arricchire il suo bagaglio personale.
« Dopo quel primo anno, non seppi più niente di quella ragazza, credo si legò a qualcuno che davvero potesse darle ciò che meritava,» disse tristemente « passato quello... sapevo che non era comune che io mi trovassi il più della metà del tempo a guardare i ragazzi, piuttosto che le ragazze, » fu semplice come togliersi uno strato di pelle e trovarne sotto un intatto « Lo capì a ventun'anni. E non ci volle un maestro per capire che ai miei non interessava o semplicemente trattavano la cosa se la intuivano, con totale indifferenza » deglutì e Magnus prese la sua mano e la carezzò con il pollice, Alec si sentì avvampare leggermente « Non loro, ma mia sorella per me era un libro aperto e c'era arrivata forse anche prima di me » concluse.
Era così liberatorio aprirsi e uscire dalle proprie corazze.
« Alec prima di continuare, devi sapere un’altra cosa, » ammise, la presa delle mani che si allentava e oscillava ora in avanti « io non ho avuto solo esperienze maschili, maggiormente quelle. Quello che sto cercando di dire, è che sono attratto tanto dagli uomini quanto dalle donne, » osservò lo sguardo di Alec, chiaramente sorpreso, ma comunque composto « ho avuto un po' di relazioni e ad alcuni non andava bene » era nervoso, ma sapeva che era se stesso che parlava, non qualcun'altro « ma sono sempre stato io, all'età di quattordici anni, sapevo che l'attrazione non si divideva solo per genere. Io ho sempre conosciuto la persona, prima della sua sessualità, » Alec annuì piano, mentre i suoi occhi si posavano sulle mani dell'altro, intente a staccare qualche filo d'erba « ho sempre scelto istintivamente, di fidarmi di chi avevo davanti. E non se la persona in questione portasse un pantalone o una gonna, non ha mai avuto importanza per me. E voglio che tu lo sappia, » i suoi occhi si agganciarono a quelle pozze verdi, che cercavano di trasmettere tutto, fuorché la negazione o la paura « ero un ragazzino, ma sapevo già che non avrei rinnegato ciò che ero. Come potevo? » scosse la testa, la quale ricadde in basso pesantemente « I miei genitori, dio li ringrazi, non mi hanno ostacolato in questo, mi hanno sempre incoraggiato a essere chi sono adesso. Alexander, voglio che tu sappia che non voglio costringerti a fare niente che tu non voglia, » chiarì, osservando il lago di un blu anemico davanti a sé, l’acqua che piano si increspava su un letto verde e marrone « è nuova questa parte di te, è affascinante magari, la troverai diversa, ma è radicata. E non perché lo abbia scelto tu, ma perché ci sei nato. E affronterai anche altri aspetti oltre a questo...»
« So che sono questo e non posso voltarmi e fingere di essere una parte, un pezzo di chissà quale vita che non mi corrisponde... » gesticolò, le dita che si indicavano « Non credo che sarà facile, ma non ho mai pensato lo fosse. Non mi sento costretto in niente, nessuno mi ha imposto di venire oggi o gli scorsi giorni » le sue mani questa volta si spostarono e presero le sue « nessuno » mormorò.
« Lo stesso vale per me, » gli angoli della bocca si alzarono in un sorriso complice « non facevo altro che aspettare che arrivassi, » confessò « era come se ogni volta che ti trovavo lì, in quel tendone, » deglutì visibilmente, abbassando il tono di voce « il mio peso si alleggeriva man mano, ero altrove e potevo permettermi di farlo, di stare tra le nuvole. Il che non è da me, non è mai stato da me. Mi sono sempre affidato all'istinto, non ho mai rimuginato tanto su ciò che volevo. »
Magnus si fermò, stava studiando il viso dell'altro, le grandi sopracciglia, le ciglia nere e visibili date lo sguardo basso, i capelli stranamente più pettinati.
« Eri il motivo, » aggiunse il moro « per cui scappavo qui, perché pensavo sarebbe andato bene per distaccarmi da tutto. Ma poi mi sono abituato, mi sono abituato ad andare via, a non vedermi più rinchiuso. Mi sono trovato qui tante di quelle volte, che ormai non penso tornerei più indietro a dov'ero prima, un posto brutto, squallido. E quel posto, ero diventato io. »
« Alec, » Magnus incontrò finalmente l'altro, utilizzò il nome breve - non capì nemmeno lui il perché - il quale aveva leggermente gli occhi lucidi, ma senza tristezza « non vorrei dire niente di troppo affrettato, non voglio farlo, ma non posso evitarmelo. Io, » pronunciò quelle parole in modo così soffice e leggero, come una carezza posata su qualcuno « io penso di essermi innamorato di te »
Magnus si ritrovò così vicino a sentirsi bucare dentro il petto, che forse avvertì la sensazione del cuore che pompava il sangue, come se riuscisse a capire il meccanismo che portava l'organo e sbattere contro la gabbia toracica.
Alec invece, sorrideva, avvertiva il formicolio ai piedi e distese le gambe, intorpidite. Mentre si sistemava, non osava aver staccato per un attimo i suoi occhi dalle loro mani unite.
« Alexander, » il suo nome risuonò enfatico, come se stesse caricando già di prime responsabilità ancora sconosciute, l’altro « potresti dire qualcosa? »
« Sì » rispose, avvicinandosi piano al viso dell'altro.
« Cosa vorrebbe dire "sì", per l'amore del cielo, Alex- »
« Sì, lo so. So di essermi innamorato anch'io di te. » disse tutto d'un fiato. Magnus si sentì così pieno di informazioni, che non resistette più. L'altro era troppo vicino e lui voleva troppo sentirlo, sentire che tutto quello non se lo stava immaginando. Che lui era lì e c'era una persona come Alec ad accoglierlo.
Si toccarono, le loro bocche si toccarono, con tutto il disordine, il fare inesperto di Alec, che provocarono un risolino in Magnus, le cui mani erano ormai avvinghiate al collo dell'altro.
« Aspetta, » si staccò rapidamente, lo sguardo di Alec un'icona interrogativa « riguardo a ciò che ti ho detto prima, » esitò « non hai niente da dire, insomma, è pur sempre qualcosa da elaborare » si sbrigò a dire.
Le mani di Alec gli circondarono il viso, la barba che stava crescendo sul mento. Scosse il capo.
« Non hai smesso certo per così poco di piacermi
» lo vedeva sorridere ampiamente.



**



Si distesero piano, i ciuffi d'erba che si muovevano, i piedi rivolti verso il fiume, i corpi ruotati di fianco. Una delle loro mani era un intreccio di dita e di pelle. Magnus teneva la testa poggiata sulla maglia di Alec, mentre sentiva la brezza aumentare leggermente e il sole offuscare le nuvole, non lasciando intendere esattamente il tempo.
Respirò a fondo, Alec sapeva di tante cose che gli erano state insegnate con l'esperienza ma che, adesso, avendole di nuovo di fronte sembravano nuove, diverse. Come se dovesse resettare tutto con il suo arrivo. Sapeva che avrebbe dovuto procedere con cautela, ma il suo cuore stranamente non era della sua stessa idea. Se si fermava a contare le esperienze, Magnus poteva anche procedere con i piedi di piombo, se invece le azzerava allora avrebbe potuto darsi delle tempistiche tutte sue. I piedi scalzi sentivano la brezza e si mossero leggermente. Alec era intento a guardarlo, incerto se parlare o no. Per la prima volta in vita sua si sentiva nel posto giusto al momento giusto.
« Magnus, » sussurrò piano « Non dovresti ritornare dentro?»
Magnus sembrò bofonchiare qualcosa che si impastò con la sua voce brontolante. Alec rise.
« C'è ancora tempo » si lamentò, il viso che si rispecchiava negli occhi da cerbiatto di Alec « Ancora un altro po' »
« Isabelle starà dando di matto » ridacchiò immaginando la sorella alle prese con il telefono, inviando messaggi, provando a chiamare, a cercarlo in ogni modo. E lui da fratello più grande, disteso com'era, lo aveva silenziato. Il circense si mise più comodo, in modo da poterlo guardare meglio. « Aveva in mente di prepararmi qualcosa di dolce per questa sera e starà aspettando che le faccia il resoconto di tutto » spiegò.
« Deve essere davvero deliziosa, » commentò, « tua sorella »
Alec annuì brevemente, mentre si beava del sole che adesso aveva fatto per poco capolino in mezzo ai nuvoloni di una giornata intera, sarebbe rimasto lì, se solo avesse potuto. « Magnus » ripeté più piano, come se intonasse una ninna nanna « quindi ecco, » esitò per un istante, l'altro lo guardò attentamente, il volto sereno ma che si fece subito serio « pensi che io possa avere qualche ruolo diverso, ...adesso?»
Magnus sentì la sua testa svuotarsi all'improvviso. Alec aveva tutto il diritto di chiedergli quello.
Il ragazzo sorrise, gli occhi magnetici che si facevano sempre più vicini.
« Sì, Alec, » annuì « voglio provarci, se tu... se tu vuoi » ammise.
Alec si ritrovò a sfiorare piano il suo braccio e Magnus sentì il suo tocco delicato lungo la pelle.
I suoi capelli neri erano così disordinati, Magnus immortalato in mezzo al verde, la maglia nera che si alzava di poco sull'orlo.

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Capitolo 13
*** Salutando una vita. ***


So che un aggiornamento a quest'ora è strano, ma in realtà, se dopo una giornata che inizia male e finisce nel modo più sano non porti a casa la bellezza delle piccole cose, il senso quale è? Quante volte ci limitiamo di essere quanto meno sereni? Quante volte siamo liberi da presupposizioni e brutti presentimenti?
Ecco a voi il capitolo
a una me a un nuovo anno da ricominciare,
a un nuovo anno di disperazione, preoccupazioni
a anche cose belle, anche se semplici.

Clodia's








La presenza femminile in casa si sentiva.
Alec stava trascorrendo le giornate in compagnia della sua infanzia, quella da ricordare. Sua sorella, lo aveva riempito di novità, tra cui quella dove a quanto pare, un certo Simone si affiancava alla sua ruotine spagnola.
Sembrava così felice di potergli raccontare anche lei, che la sua vita sembrava stare decollando: un buon lavoro, un piccolo appartamento che riusciva a mantenere e l’incontro con quel ragazzo dall’aria fresca e molto trasgressiva. Gli raccontò che Simone aveva origini italiane, aveva una band a Madrid e che una sera, per caso, si era ritrovata a passare in quel locale. Era lì, che lo aveva notato.
Per Isabelle non era mai stato un problema aprirsi con qualcuno, sapeva che tasti toccare e soprattutto, come adeguarsi a certe situazioni. Alec fu grato per la sua presenza in quei giorni, ma in tutto quello, non smise di sentirsi con Magnus, al quale mandava dei messaggi per lo più la notte, sapendo che neanche l’altro si addormentasse così presto.
Isabelle cucinò due dolci in solo una giornata, convinta che in quel modo, Alec avrebbe messo su del peso che aveva perso nei mesi precedenti. Preoccupata com’era, nascondeva tutto con un sorriso ammaliante e scaltro, mentre sciorinava al fratello come ottenere dei perfetti scones alla crema.
Alec non sembrò darlo a notare, ma era davvero rincuorato che lei non avesse dimenticato le loro tradizioni, come ad esempio, quella di sdraiarsi sul divano e commentare qualsiasi cosa trasmettessero alla tv o addirittura, di sedersi a tavola e consumare i pasti che cucinavano entrambi.
Non sembrava, ma Alec sapeva cavarsela sul salato, per i dolci, ci sarebbe stata sempre Isabella a dare una marcia in più. Quei tre giorni trascorsero troppo velocemente, tanto che, quando arrivò la sera della partenza, Alec avrebbe voluto stracciarle il biglietto aereo e non farla partire.
« Mi mancherai » la abbracciò forte e lei nascose il suo viso nel suo petto, laddove quella maglia lunga e nera, si confondeva con i suoi capelli. Poi si scostò, guardandolo bene in volto.
« Sai benissimo che questo non è vero, » aveva gli occhi come splendenti due zaffiri, nonostante il loro colore fosse un semplice castano cioccolato « mancherai tu di più a me »

La strinse più forte, fino a quando non fu per lei l’ora di andare. Aveva deciso di accompagnarla fino a dove aveva posteggiato la macchina, che la avrebbe portata all’aeroporto. « Scrivimi! » alzò la voce, prima di entrare dentro il veicolo.





Trascorse una settimana e gli appuntamenti al tendone ritornarono regolari. Gli sembrava di aver perso una delle sue abitudini, ma quando ritornò in quel posto, ebbe la sensazione di non aver lasciato niente che veramente non ricordasse, perché ormai lo custodiva peggio di un segreto.

« Magnus » la voce risuonò seria, anche se lo stato d'animo non durò o servì a molto. Alec si appoggiò alla seduta, le braccia consente portate al petto.
Il tendone, con lo spazio destinato alle prove, era pieno di strumenti quella giornata, tutti sparsi intorno come dei giocattoli pronti, per essere utilizzati. Avevano di recente pulito il pavimento in legno, la cui superficie risplendeva lucida qua e la, lasciando intravedere macchie scolorite e altre, segnate da un bruno più scuro.
La figura di Magnus se ne stava in piedi, il busto eretto, la testa che si muoveva a per sciogliere i muscoli del collo. Immerse le mani, che si unirono nella vaschetta davanti a suoi piedi nudi, contenente il borotalco.
« Alexander, » gli occhi concentrati, le spalle che si scioglievano nell'atto di fare un po' di stretching, le gambe che si divaricavano formando un triangolo largo « non cominciare » lo ammonì.
« Cominciare cosa? » Alec arricciò il naso, con fare ingenuo beccandosi un’occhiata accigliata dall’altro.
« Sai bene cosa »
Alec scrollò le spalle larghe, la bocca formava una leggera smorfia. Magnus cominciò a portare la testa indietro, fino a che uno scrocchiare del collo, non lo lasciò tramortito. Il rumore delle ossa si sentì chiaro e cristallino mentre la mano improntata di borotalco, si fermava alla base del punto dolorante e cominciò a tastarlo « Aaah » si lamentò.
« Questo succede spesso, è regolare o..?»
Alec s'incuriosì, che tradotto nella lingua di Magnus era più un preoccuparsi in quel frangente. La mano a palmo aperto però lo fermò lì dov'era, vedendolo venire in avanti.
« No, non da molto, » chiarì, infastidito, si sentiva bloccato giusto all'altezza della spalla « Ma credo sia normale, » sbuffò guardandolo, « ultimamente gioco anziché provare » continuò seccato. Alec s'indicò e Magnus annuì, mentre cercava disperatamente di creare un momento circolare e lento, in modo da abituare il muscolo sottostante.
« Non mi sembra che tu abbia fatto tanta resistenza » notò puntiglioso, con il suo modo di fare accademico.
Il circense roteò gli occhi, l’espressione di dolore gli bloccava il viso e la canottiera che indossava per allenarsi, gli si alzò piano, mostrando parte del suo ventre olivastro.

« Dio » imprecò, bloccandosi completamente, la bocca semi aperta e gli occhi strozzati.
« Sai, » Alec si avvicinò finalmente senza nessun esitazione o sorveglia da parte di Magnus « quando qualcuno è teso, quello che dovrebbe fare è rilassarsi »
« Beh, per chi non deve allenarsi come un matto, è facile parlare » si lamentò acidamente, immobile com’era avvertendo che anche il solo minimo movimento avrebbe potuto peggiorare le cose.
« Rilassati » mormorò Alec. Magnus si accorse dell'altro dietro di lui, respirò affannosamente.
« Alexander, non ti avevo detto di startene seduto? Insomm-»
« Tu, solo… rilassati, okay? » ordinò.
« Non c'è davvero modo di farti desistere, vero? » replicò rinunciando alla testardaggine di Alec. D'altra parte, non che si potesse evitare che l'altro se ne stesse fermo in un punto tutto il santo giorno, mai impuntarsi su una persona come lui. Non che fosse difficile, ma Magnus preferiva essere ascoltato, che obbedire a sua volta.
« No, mi dispiace. Ora, per favore, fa come ti dico » Magnus annuì debolmente, mentre Alec spostò piano la mano sopra la sua spalla, evitando di farlo spostare. Le sue mani ancora a mezz'aria, insicuro su quale fosse davvero il punto che risentiva del dolore e dello sforzo fisico. « Puoi indicarmi esattamente il punto dove ti fa male? » chiese premurosamente.
Magnus alzò lentamente le sue dita e con una, metà bianca e metà del colore della sua pelle, indicò la zona tra la spalla e l’attaccatura finale del collo.
« Okay » esalò fuori.
Le mani di Alec si posizionarono proprio dove aveva indicato Magnus e cominciarono a muoversi piano, facendo attenzione a non premere troppo. Ricordava vagamente che se si schiacciava, facendo pressione, avrebbe potuto aumentare la tensione e tirare di più i nervi sottostanti. Alec si concentrò, utilizzando indice e pollice di entrambe le mani. Si mosse creando dei piccoli movimenti delicati ma intensi. Se avesse avuto qualche cosa come un olio o una crema il risultato sarebbe sicuramente stato migliore, ma si arrangiò come poteva e facendo del suo meglio. Magnus si abituò alla sensazione piacevole, le lunghe dita di Alec si muovevano in modo fluido, ma senza esagerare. Si rilassò e ripresosi di più, sentì che dopo l’altro si spostò, dedicandosi questa volta, alla sua spalla.
« Alexander, » mormorò Magnus, visibilmente più rilassato di pochi attimi fa « eri un fisioterapista in una vita precedente o...? » il ragazzo pensò che scherzasse e ridacchiò, il tono che si colorava. Magnus sembrò rincarare la dose, il suo tono si fece serio anche se, più strascicato per l'abilità completamente inedita appena scoperta. « Dico davvero! Sento meno dolore... » ammise sincero. Alec si ritrovò a passare sempre con lo stesso movimento sul punto di prima e Magnus sospirò beato.
« Va meglio? »
« Decisamente » Magnus provò a girarsi, sempre con molta cautela, sentendo che il muscolo tirava ma molto meno rispetto al momento precedente. Tutto quello che sentiva era un lieve pizzichio veloce e nulla più.
I suoi occhi ben disegnati e scuri incontrarono un Alec piazzato dietro la sua figura, piuttosto soddisfatto. Poteva sembrare pienamente fiero del suo piccolo lavoro, anche se le sue guance erano diventate di un colore tra il cadmio e il porpora. « Quindi, adesso posso anche elevarti di grado, » Magnus si girò completamente verso l'altro, il tono che cercava di essere diplomatico e professionale. « Massaggiatore personale » soffiò, trovandosi l’altro più che interessato alla proposta. L'altro si avvicinò di poco, le braccia che circondavano il bacino di Magnus. Magnus si sentì attratto come una calamita, solo che in quel caso davanti c'era Alec e non un magnete qualsiasi. Il suo tocco era delicato e attento, Magnus sentiva in che modo corretto l'altro cercasse di attirarlo, ma contemporaneamente pensò di trasgredire alcune regole. Regole che anche lui si prefiggeva. Fin quando non... non si parla delle mie cicatrici andrà tutto bene, non c'è bisogno di escludersi quello. Magnus deglutì, pensando di far riemergere qualcosa di troppo radicato dentro le sue stesse ossa, per essere rinvenuto intatto e senza troppo clamore. Quelle cicatrici bruciavano vivide, erano l’unico muro che lo dividevano in due. Uno spirito separato dal proprio corpo dal quale non riusciva più a riconoscersi.
Il suo sguardo era basso, ma si risollevò subito, a discapito delle sue infide, piccole fessure cutanee.
« Magnus, va tutto bene? »
Annuì, forse poco convinto.
« Quindi sei d'accordo? » riprese, le mani di Magnus si aprivano e posavano sulla maglia color blu plumbeo, che indossava Alec quel giorno « Posso averti come massaggiatore ufficiale? Ultima offerta » alzò il mento, la mascella disegnata, evidente in mostra, gli occhi come due gusci forniti di gocce più scure all'interno. Alec si fece più vicino, Magnus sentì di stare già perdendo forma rispetto a ciò che si era detto prima sul restare tranquillo. È Alec. « Posso essere tutto quello che vuoi » dichiarò.
L'altro si sentì vacillare, la sua bocca che si aprì e si chiuse un sorriso inaspettato che sindepositava su quelle labbra piccole.
« Alec, » la mano di Magnus si posizionò dietro i suoi capelli, ne avvertì la consistenza, si trovò ad accarezzarli involontariamente « Sei già qualcosa di più per me » confessò piano. Alec si approfittò della situazione, preso com'era da come le parole potevano a volte portare ad agire senza più bisogno di perdercisi o di incespicare in altri giri lunghi e soltanto inutili. Lo baciò, sentendo Magnus inspirare forte, le lingue che si incontravano e si studiavano per l'ennesima volta quella settimana. E partì tutto sfumando in una profondità di cui nessuno dei due riuscì a non stupirsi. Magnus riconobbe subito il sapore di Alec, un sapore dolciastro misto al suo calore, come se esplodesse come un fuocherello dentro la sua bocca. Il suo respiro che si faceva più affannato o forse più ritmico. Non se ne accorse, seppe solo che si ritrovò ad annaspare in cerca d'aria.
« Non è un gioco per me questo »
Il ragazzo cercò conferme, era così serio, da avere quasi un aspetto rigido, più adulto di quanto dimostrasse. I giochi erano quelli di lingua, le parole, combinate o mal pronunciate. Quello, non sembrava esserne più vagamente somigliante. Magnus si accigliò giusto un po'.
« Alexander, non lo è nemmeno per me, » cercò i suoi occhi così presi a guardarlo « Se ti riferisci a prima... » mise su un sorriso divertito, unì le labbra mordendosele « non te l'ho detto, » disse piano « mancano poche repliche, per questo ho bisogno di provare molto di più in questi giorni... » ammise, Alec lo guardò più perso di prima « Non so esattamente quando ci sposteremo » concluse triste.
« ...Quindi questo vuol dire.. » mormorò inespressivo.
« Non vuol dire niente, » lo fermò Magnus « Se dovrò farmi due ore di viaggio saltando gli allenamenti per venire a trovarti, » fu deciso e cocciuto « allora lo farò » Alec lo osservò: aveva lo sguardo così determinato che quasi pensò che tutto quello era inarrivabile, il modo in cui provava a spiegarsi ciò che sentiva con lui, era indescrivibile. Annuì piano « Lo farò, Alec » replicò, la mano che si spostava di nuovo al petto « Anche se dovessi.. se dovessi trovarmi a provare fino alle luci dell'alba » spiegò, al sollievo dell'altro, Magnus si rincuorò.
Uno scroscio di mani che applaudivano si levò da una delle sedute laterali alla loro destra. Si voltarono. La figura di Sanders si alzò in piedi, con tutta la sua spavalderia, la sua aspra e acida sicurezza primeggiava appesantendo l’aria del tendone. La sua entrata era tipica del suo stile: provocatoria e indesiderata. Magnus sentì il sangue gelarsi nelle vene, il corpo immobilizzarsi seguito in coda dalla sua testa, in cui si stavano formando immagini davvero spiacevoli.
« CHE SPETTACOLO! » affilò la sua lingua facendosi largo lungo la piattaforma e come un istrione, urlò a piena voce. Girò intorno, come un avvoltoio con la sue due prede. « Quindi è questo che fai... che facevi nelle ore di prove, Magnus » rise beffardamente, si avvicinò ancora di più. Magnus si mise davanti ad Alec, l'altro completamente confuso. Magnus si leccò le labbra, spazientito.
« Non ti sei degnato di presentarti e venirci a controllare in queste settimane, » ringhiò Magnus « e lo fai adesso? » Mr.Sanders adesso si trovava a pochi metri da entrambi, immobile, mentre si sfilava uno dei guanti bianchi. I capelli erano in disordine, sembrava un pazzo perché alcuni erano come elettrizzati sopra la sua testa. Affilò un sorriso spavaldo.
« Usiamo il tu, sono sorpreso » notò « ma non tanto quanto il tuo amichetto, lì » indicò con il dito della mano ormai libero dal tessuto del guanto. Magnus si sentì bollire ora, il sangue in circolo, i nervi che ritornavano, cercò di controllarsi.
« Se non trattassi le persone come delle nullità, magari sapresti che queste hanno un anche un nome! » rispose Magnus a tono, le mani lungo i fianchi, si stavano chiudendo in dei pugni.
« Oh beh, mi dispiace, » disse ironicamente, lo sguardo tempestato di ostilità « Non ci siamo presentati, sono il proprietario di tutto ciò che vedi, » disse sprezzante, i suoi occhi puntarono di nuovo su Magnus « Anche il ragazzo che stavi stringendo prima. In realtà tutte le persone che ci vivono sono frutto del mio lavoro. Un giorno ti viene un’idea brillante, l’altro la realizzi. Un po’ come quando capiti a tiro un bel faccino in giro e decidi di portartelo sotto le tue coperte » spiegò, accendendosi.
« Magnus, che cosa sta succedendo? » mormorò Alec, cercando spiegazioni. Magnus non si girò, ma allungò una mano e trovò la sua, gliela strinse.
« Sta calmo Alec, è solo... cerca solo di intimorirci » azzardò visibilmente fuori di sé e preso dall'ansia.
« Sì, sto solo cercando di riportare Magnus » piagnucolò, simulando la voce del ragazzo alto « al suo lavoro, cosa che avrebbe già dovuto fare più di mezz'ora fa, » Mr.Sanders si avvicinò, trovandoseli di fronte, Magnus poteva sentirne la puzza di marcio e di disgusto da lì « Un bel giocattolo quello che ti sei trovato Magnus, complimenti » ribadì in tono perentorio « Ma ora se non ti dispiace, il gioco è finito!» sputò fuori.
« Ci stavamo salutando, » improvvisò Magnus non staccando il contatto visivo con quel maestro di bestie « Alec… » si girò repentinamente, annuendo piano per farsi capire, una goccia d'acqua scese bagnandogli la fronte.
Alec però non si convinse nemmeno un po'. Se c'era una cosa che lo aveva messo in guardia era stato il fatto che Magnus fosse così in panico da stare già sudando. E non sapeva se fosse per la rabbia o perché aveva paura. Alec sganciò la presa e si portò avanti, a mo' di protezione, scudo lasciandosi l'altro dietro. Alec lo aveva fatto tante volte per proteggere sua sorella quando combinava qualcosa o quando entrambi ne erano colpevoli e allora decideva di assumersene la responsabilità. Respirò nervosamente scontrandosi con quell'uomo che sembrava innocuo. « Ah, questa sì che è bella, » Mr.Sanders si portò una mano dietro la nuca « Il tuo amichetto ti difende, Magnus, che coraggio » fece il verso e Magnus capì subito che stava riferendosi a quando si era esposto per parlare per gli altri, a quando aveva cercato di dirgli di smetterla di sfilare la cinta, strinse i denti, la rabbia gli salì di colpo.
« Prova a passare oltre e finisci male » ringhiò Alec davanti a lui.
« Alec, per favore » Magnus cercò di fermarlo, s’impuntò, la mano che si avvinghiava al suo braccio per muoverlo da lì.
Il ragazzo rimase fermo, era ancora più alto adesso. Si mosse con scatto e si avvicinò all'uomo in questione che si stava guardando le unghia di una mano con fare annoiato.
« Mi hai sentito?! » continuò il tono di voce basso e determinato « Lascialo stare » sibilò. Mr.Sanders lo sfidò, lo sguardo di ghiaccio, era proprio davanti ad Alec e sembrava che avesse davanti una delle tante bestie a cui si riferiva nel suo immaginario.
« Ragazzo, fatti da parte! » sibilò digrignando i denti alla fine. Alec però con determinazione lo afferrò per la giacca. Era più alto di lui, quindi si abbassò di poco. L’altro sembrava solo una misera pedina inconcludente nella sua scalata alla vittoria, una piccola e innocua - ridicola - pedina.
Una testata fu sufficiente per una fuoriuscita di sangue dal naso, quel naso simile a un bue da combattimento. Quello cominciò a colare, un rivolo rosso ramificato che scendeva e che venne fermato solo dal dorso della mano di Mrs. Sanders, la quale si sporcò all’altezza delle dita, del dorso. L’uomo si ritrovò a prendere controllo e scansare via la presa ancora salda di Alec. Mr.Sanders si aggiustò il colletto, i ciuffi di capelli usciti fuori come fili elettrici, l'aspetto di un completo bastardo fuori controllo.
« Ti avevo detto di fatti da parte, perché i mocciosi come te, non vogliono mai ascoltare? » E sferrò un pugno, dritto sulla sua faccia, colpendolo sulla bocca e poi, rincarò sullo zigomo. Venne spinto.
Alec si rialzò da dove era caduto e gli si avvicinò di nuovo, la mano pronta a sferrare un pugno che andò a segno, colpendo l’uomo più anziano dritto sul naso, poi in un occhio. Sanders però, approfittò di un momento di distrazione e gli sferrò due calci nello stomaco, facendolo piegare in due. Alec ricadde quasi a terra, senza trovare la forza di rialzarsi, la mano che si teneva il grembo e Magnus si precipitò a sorreggerlo.
Un'ombra si avvicinò ancora di più e Magnus urlò.
Urlò più forte di quanto avesse mai fatto in vita sua. Sentì i polmoni svuotarsi e la gola quasi stridere e chiedere pietà. Dei piedi scalpiccianti si sentirono echeggiare, qualcuno correva, dei passi erano in vicinanza.
Alec stava disteso senza parlare, lo sguardo vacuo, il rossore sullo zigomo che stava diventando scuro e il labbro inferiore spaccato. Il sangue stava piano riversandosi sul mento, formando una piccola pozza intorno, Magnus vide Alec portarsi la manica della maglia sopra e tamponarselo.
« Sei solo un ingrato, vedi cosa mi tocca fare per farti stare calmo, Mags? » la risatina acida riecheggiò nelle orecchie del circense che come se la terra tremasse, si girò, gli occhi ardenti come due tizzoni.
Magnus rivolse uno sguardo di fuoco a Mr. Sanders in piedi davanti a quello scempio.
« Vai via! » ringhiò Magnus non muovendosi da terra « Brutto figlio di puttana, » esordì senza paura né rimorso « Giuro che se non vai via, finisce qui. Non mi vedrai più. Se lo tocchi un'altra volta, se osi farlo... me ne andrò. TUTTO QUELLO CHE VEDI, » delle facce conosciute si affacciarono all'apertura laterale « SARÀ FINITO » deglutì, pieno di fuoco e furia « Tu come uomo già lo sei, non meriti niente, niente » sibilò affilato, velenoso « VAI VIA, VIA! » urlò di nuovo.
Mr. Sanders si accorse degli altri che stavano osservando la scena, Magnus non si girò a guardarli, sentiva Alec accasciarsi sempre di più mentre gli sosteneva la schiena con una mano. Era abbastanza forte da sorreggerlo ancora, ma notava che stava lentamente perdendo coscienza.
L'uomo si diresse verso l'entrata e così com'era entrato in effetto, uscì di scena. Magnus si voltò verso Alec, dispiaciuto, il cuore che sussultava vedendolo combinato in quel modo.
« Cosa credevi di fare? » sussurrò piano disperato quasi, mentre sentiva la colpa invaderlo « Dio mio, mi dispiace, Alexander, mi dispiace, non doveva succedere » continuò Magnus senza sapere cos'altro dire.
« Magnus » buttò fuori Alec.
Aveva gli occhi socchiusi, le labbra che si muovevano lentamente. Perse i sensi. In suo soccorso arrivarono tre volti familiari: Dustin, Candace e T-Jey attorniarono tutti le loro due figure. Tutti e tre quei volti erano attraversati dal terrore e dal dispiacere.




**



Alec si teneva la mano destra all’altezza dello zigomo gonfio e la sinistra sullo stomaco, mentre veniva accompagnato alla roulotte. Candace era rimasta con lui, mentre Dustin e T-Jey gli avevano subito fornito del ghiaccio avvolto in un canovaccio.
Alec si sentiva il lato destro della faccia come di pietra, indolenzito e freddo.
« Alec, non dovrei essere qui, » sospirò la ragazza portandosi una mano ai capelli ricci e voluminosi, « ma non ci tengo a rientrare dentro e vedere se quel disgraziato è tornato » mormorò.
Alec annuì. La ragazza spostò la sua attenzione sul piccolo blocco freddo che il ragazzo schiacciava. La sua mano si mosse, alleggerendo la presa « Se devo proprio essere sincera Alec, » la ragazza sembrava amareggiata « Penso che il tuo sia stato un gesto bellissimo... Magnus è mio amico. E devi sapere che tengo a lui più di quanto abbia tenuto a qualcuno in vita mia. » puntualizzò premurosamente.
Sapeva cosa voleva dire, tenere a Magnus. Era così anche per lui, solo che lui non era più solo un amico. O almeno così credeva.
Alec cercò di sorridere ma sentì subito tirare, strinse le labbra e sentì pulsare la ferita « E soprattutto, » aggiunse « sta ben attento alle sue parole, se riesci a capire qualcosa, non fermarti lì... » continuò preoccupata. Alec alzò un sopracciglio.
« Perché? C’è qualcosa che non so? » pronunciò e aprì le labbra lentamente facendo attenzione.
La ragazza sospirò e riappoggiò piano la mano sul suo fianco. Osservò la roulotte la cui porta si stava aprendo piano.
« Non tocca a me dirtelo, ma a Magnus » sussurrò e poi sparì, vedendo apparire l’interessato che si affacciava dalla porticina e fare cenno ad Alec di entrare.
Il ragazzo esitò, guardandola andarsene senza speranza quasi. Alec deglutì ed entrò dentro la roulotte.



**





« Siediti sul letto » lo invitò Magnus.

Alec entrò in quel piccolo spazio di legno, la luce ci batteva dentro e questo sembrava riflettere il sole in qualche modo. O forse si sentiva solo frastornato. Alec adocchiò lo sguardo un po’ ovunque: il capezzale a forma di goccia, la rientranza di legno bianco a forma di panca sotto la finestra, la micro cucina con un mini frigo in fondo a destra e un tavolino con due sedie al centro, scartoffie di giornali, riviste forse, a sinistra del letto entro uno scaffale nero. Uno stanzino era chiuso alla sua destra e separato da una piccola parete, il bagno. Era tutto in ordine.
Magnus ritornò con una scatola con disegnata sopra una croce rossa. Si sedette affianco a lui e ne uscì fuori del cotone e del disinfettante. Versò due gocce del liquido sul cotone.
« Sei stato un pazzo a sfidare quell’uomo, » Magnus cominciò a tamponare piano la ferita del labbro spaccato ora di Alec che sussultò non appena sentì l’alcool bruciare « Così come solo un pazzo avrebbe fatto qualcosa del genere per difendermi » tamponò piano, evitando di premere forte. Alec gli rivolse uno sguardo sincero, sembrava che gli sorridessero gli occhi.
« Se lo meritava » ammise in tono acido, vedendo Magnus annuire leggermente.
« Lui, ma non io » sospirò, mentre spostava leggermente il viso di Alec per vedere a che punto era il gonfiore: lo zigomo gli pulsava e anche se il ghiaccio era servito per il bruciore, era comunque in condizioni pessime.
« Questo lascialo decidere a me » lo guardò seriamente Alec.
Magnus avvolse il cotone ormai sporco di sangue, linee rossastre, dentro un fazzoletto che buttò dentro la cassetta medica. Poi dalla stessa, ne estrasse un piccolo flacone: una sorta di prodotto per le contusioni. Magnus ringraziò mentalmente Candace per avergli fatto capire a che cosa ogni prodotto servisse.
« Nessuno lo aveva mai fatto prima…» mormorò, mentre due dita prendevano una dose generosa di prodotto, sembrava gelatinoso.
« C’è sempre una prima volta per tutto, » Alec sentì il gel freddo mentre Magnus glielo applicava sulla pelle gonfia « Se potessi lo rifarei daccapo »
Magnus ridacchiò piano, due piccoli movimenti circolari che lenti permettevano al liquido denso di assorbirsi e allievare il dolore.
« Beh, grazie, Alexander » soffiò. Alec si limitò a guardarlo come se lo stesse studiando.
« Non voglio essere ringraziato, chiunque sano di mente avrebbe fermato quello psicopatico, » spiegò, gli occhi ridotti a due fessure infastidite « E’ sempre stato così?»
Magnus gli fece gesto di scostare la maglia che indossava e Alec ubbidì.
Due vistose chiazze di un rosa violaceo, gli premevano alla base del fianco, laddove un’altra pomata alla portata del circense, lasciò la sua traccia. Alec s’irrigidì, mentre l’altro gentilmente sfiorava piano la parte tramortita.
« Dipende da cosa intendi. Se intendi un mostro senza cuore, allora sì.»
Mentre lasciava assorbire, prese una garza lunga e ne strappò l’estremità con i denti.
« E nessuno ha mai fatto niente al riguardo? » era sorpreso. Magnus applicò la garza per la lunghezza del fianco, e una volta finito, ripose e rimise gli strumenti nell’apposita cassetta, poggiandola a terra. In quel momento, Alec notò qualcosa che lo lasciò inerme. Non devo essere io a dirtelo, ma Magnus…
La maglia verde militare di Magnus si sollevò ai lati quel tanto da rivelarne una cicatrice leggermente più chiara del suo incarnato che scendeva lungo il fianco e delle macchie scure sbiadite, dei lividi salienti su, per l’addome. Alec deglutì.
C’è qualcosa che non so? Sentì improvvisamente la testa pesante: gli occhi tristi, i silenzi a certe affermazioni, lo sguardo vago di quando qualche volta sembrava pensare a tutt’altro.
« Quelli come te li sei fatti? » deglutì, ma non provò timore a chiedere. Doveva sapere. Magnus si portò dritto e seguì lo sguardo dell’altro. I suoi occhi si fecero veloci e con un colpo si abbassò subito la maglia.
« Oh, non… non è niente di cui preoccuparsi » mentì. Alec gli afferrò di scatto la mano, quella mano che Magnus che stava usando adesso, per coprirsi la pelle.
« Magnus » replicò Alec dolcemente, il respiro regolare e la faccia di marmo.
Magnus chiuse gli occhi e inspirò profondamente, l’aria uscì tremolante, la gola si fece subito secca.
Non posso più nascondergli niente.
« Alec, prima che tu sappia la verità, voglio che tu non dia di matto » lo avvisò, la mano che ora veniva stretta dall’altro e portata sul ginocchio di Magnus. Alec però non sembrò dello stesso parere, infatti rincarò e uscì fuori le sue conclusioni.
« E’ stato lui… è stato lui a farti questo? »
Magnus sentì l’aria farsi subito pesante, gli mancava il terreno da sotto i piedi e non voleva assolutamente che quello cambiasse niente. Non voleva che una bestia d’uomo rovinasse anche Alec, oltre che lui. Magnus chiuse gli occhi e sospirò.
« Sì » Il viso di Alec si colorò di sorpresa. Poi questa diventò rabbia, poi la sua bocca si aprì, le labbra si serrarono, gli occhi erano così grandi da leggerci la delusione dentro.
« Perché non me ne hai parlato prima? » la sua voce uscì così tagliente che Magnus sembrò prendersi una lama dritta in pieno petto.
« C’è un motivo valido se non l’ho fatto, nessuno lo sapeva, nessuno » cominciò a giustificarsi mentre sentiva davvero che il terreno stesse cedendo e sgretolandosi, si morse le labbra « Fino a due settimane fa, almeno era così. Poi Candace mi ha visto una sera e ha voluto spiegazioni, non ho potuto tenerle nascosto niente…» la voce di Magnus era così veloce, cercava la calma. Alec arricciò le labbra in una smorfia.
« Quindi Candace pensava di dirmelo e non l’ha fatto perché…»
« Alec, » Magnus gli prese anche l’altra mano « sono io che gliel’ho vietato. Non volevo che nessun’altro sapesse niente. Specialmente tu »
« Hai detto che c’era un motivo valido, » Alec sembrava davvero amareggiato, stava parlando in un modo che Magnus stava sperimentando per la prima volta « credo di avere il diritto di conoscerlo »
« Non volevo che lo sapessi perché… » Magnus sospirò stancamente « non volevo che mi guardassi in modo diverso da come lo fai adesso, » ricevette un occhiata in cagnesco da parte dell’altro « non volevo che provassi pietà o compassione, nella mia vita, » riprese ogni coccio di ogni esperienza e lo soppesò ancora « ho incontrato tanta di quella gente che lo ha fatto. E’ stato uno strazio venirne accapo, gente che oltre questo, » Magnus indicò se stesso con quell’intreccio di mani « non ha mai visto altro » rispose avvilito. Alec lo osservò ancora, quelle sopracciglia folte e quelle labbra sporche di sangue secco all’angolo. « Venivo truccato o coperto in scena, per evitare che si vedessero, » sentì la forza venirgli meno « Non avevo intenzione di farti vedere questo: è qualcosa di cui non vado fiero »
« Ma non ne hai colpa. Io non lo farei mai, sono segni di percosse di qualcun’altro » era ferito, Magnus lo percepì completamente, dal modo in cui la sua fronte si aggrottò, dai suoi occhi confusi e che si muovevano un po’ troppo « sei stato una vittima, Magnus. Io non ne sono il tipo, non ho pregiudizi, ricordi?»
« E anche se non avessi provato pietà, » riprese Magnus « non volevo che ne fossi coinvolto. Mr. Sanders è un uomo… non è un uomo, mettiamola così, non si ferma davanti a niente e … solo poco riesce veramente a tenerlo a freno »
Alec si agganciò ai suoi occhi. La voglia che sentiva di stringerlo a sé in quel momento era troppa, ma evitò. C'erano volte in cui parlare a cuore aperto, faceva la differenza.
« Perché non lo denunci? » tagliò corto, evidentemente colpito « Uomini come lui meritano la prigione, meritano tante volte e anche di più di quello che hanno commesso, meritano di soffrire così tanto da non vivere più e dormici la notte. E non è ancora sufficiente, rispetto a quello che meriterebbero »
« Non posso Alexander, non posso » scosse il capo.
« Perché no? » ribatté Alec con il tono spezzato, gli occhi come due concetti sempre più persi nella confusione « Quel bastardo ti ha percosso, ti ha… dio, ti ha usato per chissà quanto tempo… » deglutì. L'altro non lo stava guardando già più, perso in quale altro anfratto delle sue memorie. Alec si inclinò per incontrare i suoi occhi « Da quanto dura, questo, da quanto? »
« Solo qualche giorno e saranno.. sei mesi »
« Merda » esordì, Alec serrò gli occhi mentre un brivido lo scuoteva, gli occhi tristi dell’altro, l’imbarazzo che provava a guardarlo adesso, dopo la rivelazione. Ecco che l’alone di stranezza riemergeva fuori, quella sensazione insana che gli suscitavano i suoi momenti di silenzio, di segretezza. « Magnus, quell’uomo merita di essere punito. Bisogna fare giustizia. Quel brutto schifoso, quel verme! Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo subito e dico subito, » Alec sganciò la presa dalla mano di quello e si tastò la tasca, dove identificò la forma del telefono « Agire »
Magnus lo bloccò giusto in tempo, la decisione sul volto.
« No, » cercò di far capire la sua decisione anche se stupida, insensata ma per lui era l’unica logica « se lo faccio, tutte queste persone ne soffriranno. Sono diventate la mia famiglia… Candace, Dustin, anche Jay e James che molte volte non vengono capiti, sono tutti quanti sotto questo tetto, » spiegò respirando freneticamente, incespicando nelle sue stesse parole « E se lo farò, ci andranno di mezzo. Si troveranno di nuovo in mezzo a una strada e dovranno di nuovo vedersela con la vita che avevano prima. Una vita assente, senza sbocchi, priva di obiettivi, » Magnus si beccò l’occhiata corrucciata ma comprensiva di Alec « E non voglio far loro questo, non voglio esserne la causa. Non me lo perdonerei mai »
« Magnus, non farai loro nulla di tutto questo. Non continuerai a sacrificarti, a subire, stiamo parlando della tua sicurezza…» lo riprese Alec portando una mano a coppa sulla sua guancia e la sua nuca. Aveva un volto così elegante e più piccolo rispetto alla mano di Alec. « Se non vuoi farlo per te stesso, fallo almeno per me»
Magnus scosse la testa ripetutamente, sentendosi un completo disastro. Gli occhi gli bruciavano e si inumidirono subito dopo. Alec lo attirò a sé e finì contro il suo petto, mentre una delle sue mani gli accarezzava i capelli.
Poi nel silenzio che si era creato, i piccoli sussulti di Magnus, Alec pensò all’unica cosa che girava attorno alla sua vita, quella soluzione che aveva utilizzato più e più volte ed aveva sempre, nel suo caso, funzionato.
« Perché non fuggire? »

La voce di Alec suonò cristallina nelle orecchie di Magnus, il quale lo guardò completamente in confusione, gli occhi bagnati agli angoli.

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Capitolo 14
*** La fuga. ***


« Alexander, sei impazzito?! » la sua voce si colorò confusa e incredula.
Magnus lo guardò serio, mentre si strofinava gli occhi col dorso di una mano, l’altro lo osservò sicuro, mentre cercava di fargli capire, cercava la spiegazione che si era costruito in testa.
« No o almeno credo di no. Se non vuoi ricorrere alla denuncia, c’è solo una via d’uscita: fuggire »
Magnus continuò a guardarlo con quei suoi occhi sgranati, pieni di domande.  
« Alexander, pensa a quello che lasceresti qui, » cominciò, la mano si reggeva la testa improvvisamente pesante come se gravitasse come un pianeta « la tua casa, in cui sei cresciuto, i tuoi »
« I miei si sono separati o comunque stanno per separarsi » lo interruppe Alec.
Magnus boccheggiò, la mano che si fermava di nuovo sul petto dell’altro.  
« Mi dispiace » mormorò, un sorriso triste gli si affacciò in pieno viso.  
Alec scrollò le spalle, le ginocchia ancora incrociate e la presenza di Magnus così vicina da farlo tremare ma allo stesso tempo che lo rassicurava.
« Doveva succedere… » ammise consapevole « e poi non lascerei nessuno tecnicamente. Informerò tutti, lascerò una lettera a mia madre, le scriverò tutto, per filo e per segno. Lei è una dei motivi per cui ho continuato a vederti, dopo Izzy » Alec si imporporò le guance e Magnus rimase un attimo in stato di trans, un sorriso intenerito e grato fece capolino subito.
« Sono contento che tu abbia recuperato con lei »
Alec annuì piano, guardò le sue mani, due gioielli per le due dita dell’indice e del pollice che adornavano la pelle bronzea quasi.
« Lo sono anch’io » fu sincero « ma comunque, spero capirà, lo faccio per una buona ragione, » Alec afferrò una mano di Magnus « Magnus, sarà una pazzia, ma è pur sempre l’unica alternativa che ti resta » sottolineò.
Magnus sembrava aver perso da un lato la forza di continuare a portare avanti quel teatrino e dall’altra avrebbe voluto gridare ad Alec che tutto quello fosse veramente da sconsiderati.
« Alexander, se dicessi di sì, finiresti per diventare un mezzo ricercato anche tu, se conosco bene Sanders, » lo guardò con quel terrore pieno e profondo « so che non si fermerà a niente per riottenere un pezzo del mercato perso per strada, » deglutì mentre le pozze verdi e le mani grandi « e quel pezzo sono io »
« Beh, non mi interessa » ribatté « qui non c’è più niente per me, mia sorella capirà, mia madre lo imparerà col tempo e scriverò ad entrambe, » Alec rafforzò la presa di Magnus che in risposta si trovò spiazzato « una volta mi è stato detto che la chiave è agire » sillabò.
Magnus si morse le labbra, incerto sul da farsi.
Si parlava di lasciare tutti lì, di dire loro addio in qualche modo, di lasciare il tendone.
Ma in fondo cosa aveva lasciato il tendone negli ultimi mesi se non ferite sul suo corpo? La riluttante memoria che riviveva ogni volta dovendo accettare l’ostilità, la bestialità di un unico uomo che non aveva nessun diritto di essere definito tale. La memoria di sua madre che rievocava nei momenti di debolezza e la ninna nanna che si cantava in testa per calmarsi.
Magnus guardò seriamente Alec.
« Quando dovremo partire, secondo i piani?» lo incalzò.
L’altro sembrò pensarci su, ma in realtà aveva già la risposta.
« Tu stesso hai detto che avete poche repliche ancora » notò « quindi se vuoi aspettare, non posso obbligarti, né metterti fretta… è l’ultima cosa che voglio fare » lo guardò con dolcezza. 
Magnus abbassò lo sguardo sulle sue gambe, la coperta che rivestiva il materasso.
Dire addio a tutto. Non sapere quando fare ritorno e non sapere se ci sarebbero riusciti.
Era tutto una grande incognita.
« Dovrei salutare tutti, ognuno di loro, » richiuse le labbra per poi riaprirle « Vorrei informarli personalmente, almeno alcuni di loro. Candace prima di tutti » rialzò lo sguardo incontrando quello di Alec attento.
Aspettare.
Aspettare ancora quanto?
Magnus annuì, prese forza e coraggio. Aspettare avrebbe solo portato altra sofferenza e altre notti in cui faticava a guardarsi allo specchio.
« Non voglio aspettare, » affermò « se dobbiamo andare via, sarebbe meglio farlo quanto prima » annuì deciso.  
« Sei sicuro?»
« Sicuro come la volta in cui ti dissi che ero già sicuro di questo » Magnus indicò entrambi con le dita della mano.
Alec cercò qualche segno di negazione o resa in Magnus, ma non trovò la conferma « Ti conviene salutare tutti entro domani mattina, Candace, Dustin... tutto il tempo che ti serve, » decise mentre intrecciava le sue dita a quelle ingioiellate dell’altro « ma ce ne andremo domani, ti farò sapere l’ora con un messaggio e mi farò trovare all’entrata del tendone »
« E io avvertirò gli altri per far sì che mi avvertano di Sanders, in tal caso dovesse essere nei paraggi, » continuò Magnus « Passerò lateralmente, sarò dalla parte che si trova più a est di Panshanger, non è molto distante da qui.» spiegò in modo astuto « Non ti conviene il tendone, è troppo pericoloso, non mi fido di lasciarti ad aspettare lì, » Magnus lo guardò attentamente, parlava velocemente come se qualcuno dovesse sentirli « Ti basta sapere che troverai un albero grande, una quercia secolare, ha una chioma striata adesso per via del mese, bruna e verdastra, è secolare. Porterò un foulard al collo, così capirai subito che sono io. » Alec annuì memorizzando tutto.
« Okay, una quercia e un foulard. Per quanto riguarda i bagagli...due piccole valigie, basteranno, uno per me e uno per te » affermò titubante.
« Sì, ho il mio da viaggio... non ho molte cose quindi penso di poterlo riempire facilmente » disse ansiosamente.  
Alec cercò di calmarlo un po’ la bocca che delicatamente si posava sulla sua guancia, Magnus che abbozzava un sorriso ma nervoso.
« Manca l’ultima cosa » rifletté Magnus.
« Orario, posto, valigie...» elencò mentalmente Alec.
« Soldi » affermò anticipandolo l’altro.
Alec annuì, strizzando gli occhi. Giusto. Nessuna buona fuga riesce se non hai del denaro con te, qualcosa che ti permetta di dormire, mangiare. Due cose basilari lungo un viaggio. E Alec non sapeva nemmeno se sarebbe stato così corto.
« Ho dei risparmi, » disse Alec appena si staccò. « un po’ miei, un po’ dalla mia borsa di studio mai spesi, useremo quelli- »
« No, Alexander, » lo fermò, gli occhi nocciola scuro che si fondevano al verde « ho anch’io qualcosa, ciò che fortunatamente mi è stato pagato di questa stagione. Se dobbiamo andarcene in due,» sospirò, era determinato « allora in due ce ne andremo, se dobbiamo fare questa cosa, la faremo insieme. »
Alec sorrise piano, condivise in testa ciò che Magnus aveva appena detto.
Loro due stavano per fare quello insieme.  
« Quindi ricapitolando, stiamo per diventare due fuggitivi?» sottolineò Magnus volendo scherzare ma gli uscì un tono piuttosto nervoso.
« A quanto pare. Anche se, » Alec gli sfiorò col pollice il dorso della mano per calmarlo « Non ne abbiamo...non ne hai colpa » soffiò piano.
Magnus annuì, la lingua che si inumidiva il labbro inferiore.
« Alexander? » chiese nervoso.
« Sì? »
« Sei mai scappato prima? »
Alec notò quei piccoli solchi sotto gli occhi di Magnus e pensò che era davvero da troppo che quello non dormiva beatamente, perseguitato da una macchia, ombra scura riluttante ad andarsene dal suo cammino.
« Se sarà come tutte le volte che sono scappato per venire qui, » Alec lo prese con se, il naso che si toccava con quello di Magnus « Allora non sarà poi così difficile »
Magnus sorrise, un sorriso stanco ma pieno di qualcosa che poteva coniugarsi con un sommesso grazie. Non gratitudine ma grazie.                                                                         
Grazie per questo.
Grazie Alec.
Grazie perché ci sei
.
Magnus alzò il capo quel poco che bastava e lasciò un bacio umido sulla fronte di Alec.



 

L’indomani mattina Alec si alzò molto presto, alzò la finestra e calò la tenda evitando che entrasse troppa luce. Controllò dal corridoio la porta ancora chiusa dei suoi, nel silenzio più assoluto della casa.                                                     
Rientrò in camera, si sedette alla scrivania e munito di carta e penna, cominciò a scrivere.
Le parole scivolavano da sole, come se l’inchiostro si fosse unito alla sua anima in quel preciso istante. Era quel bisogno di buttare tutto giù, di abbassare i muri e farli crollare al suolo tutti in un’unica volta. Scrisse di getto svuotando tutto ciò che aveva dentro.
Mentre la mano destra si muoveva pensava a sua madre, Helen, sua sorella, Isabelle e se veramente le due donne avrebbero accettato il suo gesto. Ma in fondo non poteva cambiare più idea , presa quella scelta, non si tornava più indietro.
Non era una scelta, ma piuttosto un bisogno.
Alec si sentiva come al primo incrocio di un nuovo inizio. 
Magnus aveva bisogno di evadere.

E lui poteva sentire i suoi stessi singhiozzi echeggiare mentre scriveva il perché di tutto quello, il perché di una fuga così repentina, mentre firmava e un po’ sentiva mischiarsi il sorriso di Izzy, le labbra della madre incresparsi forse per il dispiacere, forse per la delusione, forse per averlo accettato.

 

 

Il messaggio non tardò ad arrivare.                                                                                   
Magnus, col piccolo bagaglio già pronto dalla sera prima, si fasciò il collo con un foulard rosso arancio, il piccolo orecchino al lobo e l’altro serpentinato a metà, una voglia di convincersi che stesse per arrivare al punto in cui non esisteva più il dolore, la sofferenza subite. Cercò di convincersi che avrebbe rivisto in qualche modo quei volti che adesso stava salutando. Per prima salutò Candace che lo stritolò in un abbraccio struggente, Magnus non avrebbe mai dimenticato la sua amica. Le disse che le avrebbe scritto tutte le volte che poteva. Poi salutò Dustin che nonostante non fosse un tipo affettuoso, lo chiuse in un abbraccio veloce e scherzò ipotizzando se Alec potesse in qualche modo aver fatto qualche strano incantesimo su di lui. Poi arrivò il sedicenne, T-Jey, poi fu il turno di Timothy e per James e Jay bastò uno sguardo consapevole e deciso, da duri. Jay gli diede una pacca amichevole sulla spalla, quell’aspetto un po’ da bruto ma con un cuore tenero. Il bruto col suo accento rozzo e di origine russa disse soltanto:

« Dasvidania Magnus, spero tu e quel ragazzo possiate stare bene, » la barba folta, la mano libera che si stringeva a pugno in aspetto forzuto, le braccia prepotenti scoperte « ma se le cose non dovessero andare, fammi sapere e lo sistemerò io! » scherzò ridendo raucamente.
                                                                                                             
Magnus abbozzò un sorriso mentre sentiva il famoso prurito agli occhi farsi presente. Aveva passato quattro anni della sua vita con quelle persone, con ognuna in modo diverso, che fosse stato piccolo o grande non importava: erano diventati la sua seconda famiglia.  Salutati tutti, Magnus si fece strada intuendo poco dopo il cenno di Candace, cominciò a spostarsi, la valigia vecchia in una mano e il foulard che si alzava nella leggera brezza. Si posizionò, dopo aver seguito il piccolo sentiero di terra ed erba che si inerpicava a sinistra del fiume, sotto la grande quercia, appoggiandoci la schiena, la valigia sull’erba verde.

 

 

Alec appena arrivato a Panshanger Park, camminò verso est come gli era stato indicato. Ci vollero un po’ di passi, non s’impegnò a contarli, anche perché l’unico pensiero era rivolto all’altro, allo strano sole delle undici che faceva capolino in mezzo a una coltre di nubi in quel particolare giorno di inizio novembre era spuntato. La quercia si stagliava e una figura vi era appoggiata di spalle, rivolta verso le varie cuciture di verde naturale, la fine di velo rosso scendeva sulla spalla destra.              
Alec picchiettò sulla spalla di Magnus e quello si girò. Un piccolo cenno di consenso bastò ad entrambi per prendersi per mano, le altre due che tenevano i piccoli bagagli, l’anima che sembrava invasa da cento mila sfumature di dubbi diverse.    
Il viaggio che li attendeva era sconosciuto. Durante la prima tratta sul bus che li avrebbe portati prima di tutti al centro città di Hetford, Alec chiese a Magnus dove preferisse andare. Magnus si era ritrovato più spaesato che mai, era la persona più sbagliata a cui chiederlo, così l’altro lo rassicurò e decise che avrebbero scelto una volta arrivati alla stazione.
Dopo quaranta minuti, si ritrovarono in città, diretti verso la stazione.                                          
Nessuno dei due chiese se l’altro avesse fame anche perché se Alec parlava Magnus si sentiva perso in uno stato completamente appannato, ma ogni qual volta sembrava rispondere a monosillabi o comunque annuire.                                                               
Alla biglietteria, lo sguardo ricadde sulle varie mete: Londra, Manchester, Oxford… Gli occhi di Magnus caddero su una locandina riportante immenso verde, qualche casetta piccola in lontananza, un cielo solcato dal sole, sembrava suggestivo. Molto simile a quando Alec gli aveva accennato alla Scozia. La scritta riportava in giallo due nomi, uno della città e l’altro in altrettanti in caratteri fini: OxfordShire.                      
La locandina com’era riportava girandola, l’immagine di un fiume coronato da piccoli sprazzi di cespugli, agglomerati di case in mattoni rossi e la cima a punta di una torre, forse parte di una cattedrale, spiccare in alto.                                                    
Prese la locandina e con poche parole, si sporse al finestrino del bigliettaio mentre Alec si voltava a guardare la sua espressione questa volta, rilassata:                                                                                               
« Due biglietti per Abingdon, grazie » comunicò.                                                                     
Si girò e trovò affianco a sé la presa di Alec più salda mentre con un piccolo gesto posava un attimo il valigiotto a terra e usciva dalla tasca del giubbino i soldi per pagare.

 

 

La linea ferroviaria del National Rail Great Northern proseguiva spedita, levando il lamento di qualche passeggero ogni tanto, attraversando il paese e superando Hetford.                                                                      
I
l bigliettaio aveva informato entrambi che sarebbe stato un viaggio di almeno tre ore.
Abingdon sul Thames però, avrebbe richiesto una camminata di un’altra mezzora almeno da quello che era stato detto ad Alec, che si era informato con uno dei tanti passeggeri (gente davvero singolare per la sua mescolanza europea, c’era da dirlo) facendosi spiegare come da lì, si potesse arrivare ad Abingdon.                                                   
« Come va…il gonfiore? »                                                                                                            
Si distrasse pochi secondi, vedendo lo zigomo di Alec più rilassato, ma il gonfiore era ancora evidente, la ferita sulle labbra si era subito cicatrizzata lasciando una piccola striscia scura all’angolo. « Ho portato della pomata, qualche cosa contro gli ematomi e poca altra roba così, nel caso sai… »
« Sto bene, va meglio » lo interruppe Alec, portando Magnus ad annuire immediatamente dopo.
Il paesaggio sfilava come una maschera di colori o un barattolo pieno scoppiato fuori dai grandi finestrini, con le tende da contorno, e avesse sparso il verde per l’erba, le montagne, più scuro per gli alberi, il blu che ora si macchiava di tante nuvole bianche.
« Stiamo veramente… lo stiamo facendo davvero » soffiò fuori tutto d’uni fiato preso dal momento. Alec ridacchiò, la lingua che si inumidiva le labbra.
« Sì »
Magnus guardò rapidamente fuori per poi ritornare a osservarlo. «  Sei… sei preoccupato? » chiese esitante.
Alec sospirò, ci pensò qualche secondo.
« No, solo… penso a cosa si farà una volta arrivati, » osservò come le chiome degli alberi a velocità spedita si deformavano e venivano risucchiate « dovremo trovare un posto per la notte»
Magnus annuì. « Tu?» si morse il palato, ricacciando il pizzicore lungo la sua gola, deglutì. Le mano era ancora lì, tenuta dall’altro.
« No, credo… » alzò gli occhi, il sorriso che portava il volto a ricadere in giù « Credo in tutta sincerità, di non aver mai viaggiato così bene, dentro un treno normale, non carico di roba, con un ragazzo pronto a portarmi via »
Alec abbassò lo sguardo preso alla sprovvista, lo rialzò in quello di Magnus e ci trovò qualcosa che non pensava di aver mai avuto fino in fondo: quella era attenzione e non perché gliela doveva, ma perché l’altro la sentiva. E aveva quel modo sfacciato ed ironico nel farlo, Alec ormai lo aveva capito e gli piaceva. Gli piaceva da impazzire.
« Te lo avevo detto, quando vuoi, dove vuoi » i loro occhi si incontrarono e Magnus non poté non riportare alla mente quando Alec lo aveva portato ad Hetford infischiandosene delle sue prove, di tutto. Annuì piano.
Avrebbe voluto tanto baciarlo in quel momento, ma invece si portò soltanto le loro mani intrecciate alla bocca e ne baciò le nocche.

 

 

La cittadina era piccola, graziosa. Assomigliava molto ad Hertford dal centro città per certi versi, per altri invece sapeva di nuovo. Almeno agli occhi di Magnus. C’era lo spazio per le macchine sulla strada per passare ma non c’era tanto traffico. Da dove erano stati lasciati, Magnus e Alec avevano davanti a loro una chiesa. Dovevano esserci molti monumenti storici ad Abingdon a vedere dalle varie indicazioni in marrone con le scritte in bianco. E se erano tutte come quell’edificio, dovevano avere uno stile medievale, no, forse gotico, segnate dal tempo. Le finestre ad arcate e le cime aguzze. Mentre Magnus se lo domandava, si lasciò trascinare da Alec, il quale seguì ciò che leggeva su alcune frecce indicative e di informazione.

 

 

**
 



Camminarono per almeno mezz’ora, chiedendo ogni tanto informazioni a qualche passante, fermandosi finalmente davanti una casa. Ma più che casa, come affermava il piccolo cancelletto fuori, una pensione. La pensione si stagliava in mezzo al verde, distinta da un tetto spiovente di mattoni rossi e forse di due piani. La ciminiera si piazzava alta sulla facciata che era interamente in mattoni grigi, molte finestre di legno erano su quasi ogni lato e un tappeto verde, come giardino molto curato la circondava. Il cielo intanto si colorava sfumando il suo colore in uno via via più sbiadito.                                
Decisero di entrare, le valigie in mano, i piedi stanchi, l’anima stranamente più leggera. L'aria che si respirava dentro sapeva di caldo e vagamente di speziato.                   
Il muro in pietra completava l'aspetto accogliente, quasi affettivo, mentre, decentrata, quella che doveva essere una reception, si limitava a una rientranza in legno antico ma lucido, affiancata da due scaffali pieni di libri e una piccola luce. Un caminetto con del legno dentro all'estrema sinistra, era affiancato da un mini tavolino, qualche sedia imbottita con qualche cuscino ricamato sopra. Magnus tirò una piccola campanellina sopra la sua testa e subito un eco di passi risuonò nella stanza.
Una donna, con uno chignon che le teneva i capelli striati di grigio, una maglia coperta da una giacchetta beige cucita all'uncinetto e una gonna, delle calze che si infilavano dentro delle ciabatte, si presentò davanti a loro facendogli un gran sorriso, le mani giunte. A vedere com'era vestita doveva sentir parecchio freddo.                                                                                         
« Buon pomeriggio, » la signora aveva un tono premuroso e cordiale « avete bisogno di una camera? » e dicendo così si posizionò dietro l'incurvatura legnosa e uscì un quaderno rilegato e delle chiavi che tintinnarono sulla superficie sensibile. Alec e Magnus si scambiarono uno sguardo e dopo qualche minuto uno dei due parlò.
« Sì, non sappiamo però per quanto ci fermeremo, » Alec si portò una mano dietro la nuca incerto su come continuare « Non so se va bene lasciare qualcosa in più o...» La signora sembrò capire subito cosa intendesse dire e annuì comprensiva.
« Ho capito perfettamente, » sfoggiò un breve sorriso e Magnus notò quanto fossero chiari i suoi occhi, cerulei che si intonavano con quella carnagione chiara soltanto toccata da un filo di rossetto « Però intanto per questa notte siete sicuri, no? » Entrambi annuirono.
La signora uscì fuori un paio di chiavi mentre Alec che venne fermato subito da Magnus, avvicinatosi al bancone, creando perplessità nella custode.  
« Uomini, » mormorò Magnus « Saprà come sono fatti. Ci scusi, » seppe gestire la situazione molto intelligentemente anche se doveva ammettere che il nervosismo lo stava un po' assalendo, si cacciò la mano libera nella tasca del giubbino pesante che aveva addosso e ne uscì un po' di banconote « Vuole un documento, uhm qualcosa perché insomma...» tentennò non sapendo cos'altro dire e così Alec venne in suo soccorso. 
« Sfortunatamente, ci siamo accorti troppo tardi che solo uno dei due si è ricordato di portare un documento, » si schiarì la voce Alec mentre Magnus preso dal nervosismo, trovò sollievo subito dopo che l'altro venne in suo soccorso « Va bene lo stesso o...? » Se prima si erano sentiti più tranquilli, adesso invece sentivano quel timore di aver fatto tanta strada per niente. La signora prese solo la metà del denaro e lanciò una piccola occhiata passando da uno, all'altro. L'attimo sembrò non finire mai. 
« Nessun problema, uno basterà, ma avrei bisogno comunque di un nominativo, un modo purché il conto venga registrato…un documento solo, » chiarì la signora fingendo un tono severo « a patto che non mi diate del lei. Non sono ancora sulla sessantina, » scoppiò a ridere e Magnus e Alec si sciolsero di conseguenza « chiamatemi pure Caroline e datemi del tu, » e così dicendo allungò la mano per dar loro le chiavi « la vostra stanza è la seconda sulla destra al piano di sopra »
« Grazie mille, Caroline » rispose Alec, mentre Magnus sfoggiò un sorriso grato « se posso chiedere, la cena è prevista per che ora esattamente? »  
« Oh, sarete affamati immagino » notò Caroline non sorpresa.
« È stato un lungo viaggio e non sappiamo nemmeno che ora si sia fatta » puntualizzò Magnus.
La signora annuì comprendendo la situazione, fissò il suo orologio da polso e sospirò piano.
« Tra venti minuti saranno le sei. Di solito serviamo intorno alle otto...» si fermò e osservò meglio le due figure che le stavano di fronte. Entrambi sembravano non avere più tanta forza dal modo in cui si reggevano sul bancone di legno « Ma posso darvi il tempo di posare le vostre cose e anticipare alle sette, » continuò riprendendo in uno sguardo ammiccante e svelto « Però vi farò sedere in modo che nessuno se ne accorga. Non faccio mai questo trattamento, a nessuno» puntualizzò, vedendo in quei due ragazzi un qualcosa di speciale e curioso « Ma sarete stanchi, da dove venite esattamente? »                                                              
Alec si grattò il capo, l'espressione stanca.
« Hetford. Entrambi veniamo da » gettò uno sguardo a Magnus e l'altro annuì verso la custode.
« Dio santo, » imprecò Caroline e premurosamente, non indugiò oltre « sarete distrutti, allora, andate subito a posare i vostri bagagli, io cercherò di organizzarmi per la cena! » e dicendo così la signora li lasciò con un piccolo cenno del capo e i due salirono di sopra.

 

 

La cena cominciò in modo tranquillo, Caroline li aveva serviti di molte cose, così tante che soltanto a guardare il tavolo di legno, sarebbe venuta la confusione a chiunque.
Della carne, con verdure cotte e patate calde con pomodorini, erano state servite in una teglia ovale e poi del pane, il cui odore fragrante e la forma tonda portavano all’idea che fosse stato fatto in casa.
Una bottiglia di vino e una brocca d’acqua erano spostate tra una portata e l’altra.
Magnus e Alec si servirono resistendo fino all’ultimo piatto portato prima di mettere qualcosa sotto i denti. Dopo un intera giornata di viaggio, ci voleva una rifocillata di energia per il giorno dopo. E chissà cosa avrebbero fatto, ma nel frattempo, consumavano una cena deliziosa, prima di tutti.
Le patate finirono quasi subito, seguite dalle verdure.
La carne era stata condita con qualche salsina, ed era cotta a puntino.
Magnus emise un sospiro soddisfatto tra un boccone e l’altro.
« Dio, non ho mai amato il cibo come in questo momento »
Alec ridacchiò, mentre spezzava un pezzo di pane con le mani.
« La custode è stata davvero gentile... mi domando se sia spostata » si portò il pane alla bocca. Magnus si fermò con la forchetta a mezz’aria, pensandoci davvero.
« Non mi ricordo di averle visto la fede al dito...» disse a metà tra un boccone e la parola.
« Forse non vuole perderla » ipotizzò Alec.
Magnus guardò all’ultimo pezzetto di carne e lo tagliò col coltello.
« Potrebbe... ma comunque non sono affari nostri » si portò il pezzo alla bocca.
« Giusto »
Alec inghiottì l’ultima porzione di verdure che aveva ancora nel piatto.
Pensò che erano davvero fuori da Hetford osservando quella piccola pensione, ora dentro il piccolo spazio arrangiato con dei tavoli in file particolari in legno, la luce soffusa con le luci dei lampadari al muro di pietra. Delle piccole immagini, forse stampe, erano appese sopra. Era tutto curato.
« Sai, ho sempre pensato una cosa » cominciò Alec « È assurdo come certe persone si incontrino... quello che le porta ad avvicinarsi »
Magnus abbozzò un piccolo sorriso, sapendo dove Alec volesse andare con quel discorso.
« C’è chi lo chiama destino, » sospirò pensando a qualcosa ormai passata « a me piace pensare che succeda e basta…senza per forza una ragione » arricciò il naso. Alec prese il bicchiere con dentro un po’ di liquido rossastro.
« Tutte le persone si incontrano e se lo fanno un motivo ci sarà pure… non credi? »               
« Non credo debba essere per forza scritto. Alcune cose accadono e basta ,senza che le si aspettino » replicò Magnus scrollando leggermente le spalle.
Alec inghiottì il vino, che esplose giù per la gola, le labbra che si stringevano in una piccola smorfia.
« Comunque sia lo fanno. Almeno penso, credo due persone si avvicinino per tanti motivi diversi, anche per interessi, culture diverse…»
« Sì e non è un male »
Magnus sembrò perdere l’obiettivo in termine di parole di Alec.
« Affatto » sospirò e posò il bicchiere sul tavolo « dico solo che alcune si trovano anche se sono completamente diverse.  »
« E questo vorrebbe dire?» il tono dell’altro sembrò infastidito verso la fine                              
« Magnus-»
« Alec, se ti riferisci a beh… a questo, sappi che non… insomma, non capisco…» deglutì, ma il tono sembrava rigido, meditato ma più distaccato rispetto a prima.                                                                                                                                            
« Stavo parlando in generale, non stavo per forza parlando di noi » si sbrigò a dire. Forse però finì troppo presto, tempestivamente.                                                                        
« Quindi, in poche parole, » le narici di Magnus si dilatarono un po’, i suoi occhi fissi sulle posate, poi alzati su Alec « stai cercando di farmi capire che siamo diversi noi, ma ci giri attorno »
« Non è quello che stavo dicendo e anche se, non è per forza di cose, una brutta cosa » Alec sembrò sul punto di mordersi la lingua per quanto fu veloce.  Cosa stava succedendo, adesso? Sentiva la tensione in quel corridoio pieno di tavoli eppure vuoto. In pochi secondi si era abbattuta una situazione indesiderata.
« No, non lo è. Non lo è mai stata, per me non è nemmeno, mai esistita » Magnus lo guardò affilato, come se stesse usando il coltello su di lui, anziché per il pane. La sua voce era spenta e piena di amarezza « Sì, lo siamo, siamo diversi, Alec.  E se te ne stai facendo un cruccio, » si trovò a deglutire sentendo una rabbia dentro, però diversa, come amara e densa farsi spazio « beh, allora tanto valeva non arrivare fino a questo punto. »  
Alec si ritrovò spiazzato a quell’affermazione.                                                                      
« Magnus, per favore, ascolta: non era quello che intendevo, non sto dicendo che siamo sba-» 
« E forse, l’idea di andarsene ha soltanto reso tutto diverso, no? Lo ha cambiato ancora, come se all’inizio invece non lo fosse. Lo ha reso ancora più estraneo » sbottò ridendo amaramente Magnus, mentre la forchetta ricadeva pesantemente dentro il piatto suonandoci. Avvertì la saliva sparire e la bocca farsi immediatamente secca.                              
Alec ripartì subito, dandosi alla carica , provando a ricucire una trama di un filo appena uscito dal quadro del tessuto. Ma ricucire che cosa poi? Non ricordava nemmeno perché fosse scoppiata quella bomba, proprio adesso.
« Mi chiedo perché tu abbia accettato, allora. Magnus non è normale resistere per cinque mesi, tormentato, dio mio, percosso da… da un uomo come quello. No, non si può nemmeno definire così » cercò di raggiungere la sua mano al tavolo ma Magnus la spostò, evitando il contatto. Il suo volto era fisso, mentre l’altro parlava. « Non volevi denunciarlo, abbiamo deciso e … pensavo fosse questo il motivo per cui hai accettato. Per cui hai… hai scelto di venire e di andare via da lì, per cui ti sei fidato, lo hai scelto. Lo abbiamo scelto. » Il petto gli si strinse. Fiducia. Gli aveva detto di fidarsi di lui, ma era ancora così? Era ancora l’attimo in cui si trovavano appesi a un'unica corda, incuranti che quello potesse succedere?                                                                
« Non sai cosa voglia dire e poi, non si sta parlando di quello. O almeno, non solo di quello. » alzò lo sguardo. 
Alec si sentì subito male, gli occhi di Magnus si erano fatti opachi, colmi di un sentimento che non riusciva a definire e faceva male. Dio, si sentiva impotente, non sapeva cosa fare.   
« E allora qual è il problema? » mormorò piano non trovando più la forza.                      
« Hai appena detto che siamo diversi, perché lo siamo. E mi è sembrato di intuire questo, non andiamo bene per questo? Non eri tu che non avevi pregiudizi al riguardo o me lo sono immaginato? » Magnus sentì gli occhi pizzicare ma decise di non dare ascolto ai segnali del suo corpo.

Ti pare che posso ancora continuare così, a sopportarti? Non ce la posso fare, non sono una macchina, cazzo, Helen!
NON STARE
COSI

Alec aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì nulla. Quegli occhi da cerbiatto erano invasi dalla paura. Magnus si guardò le mani, entrambe appoggiate al legno.

E a me non pensi? Siamo in due in questa cosa, Robert. Ci sono i nostri figli di mezzo...

Forse non è più nemmeno una cosa la nostra, siamo diventati troppi diversi!
                              

Un piccolo bambino, sentiva le voci provenire dal corridoio, si stropicciò gli occhi, mentre guardandosi dietro le spalle, la figura di una bambina, dormiva tranquilla nel suo lettino.

Non ce la faccio, finiamola qui. Sono stanco, me ne vado! NON ASPETTARMI SVEGLIA urlò la figura maggiore, prese le chiavi e sbatté la porta andandosene via.

   

« E no, grazie, non voglio parlare proprio adesso di quell’uomo » deglutì, rabbrividendo. Prese forza e sicurezza e con tutta la lucidità che gli rimaneva in corpo, decise. Nessuno la vinceva con Magnus , anche se quello era Alec. 
Il circense fece l’unica cosa che sentiva ed era in grado di fare. Il tovagliolo che si posava sul tavolo in un gesto di sconfitta, la figura che si alzava dalla sedia. Serrò gli occhi e senza nemmeno guardarlo esordì uno stanco:                                   
« Ho bisogno d’aria » si girò e si diresse sopra in stanza senza voltarsi.

 

 

 

 

Magnus era salito in stanza da almeno mezz’ora, i piedi che giravano lo spazio, sempre uguale e semplice.
Il muro in pietra, gli infissi in legno sopra la sua testa, il letto a due piazze con lenzuola bianche decentrato, la finestra al muro leggermente aperta, le tendine rosse sbiadito, l’ aspetto di una luce data da entrambe le piccole abat-jour ai lati del letto. Un armadio vecchio anch’esso in legno si stagliava vicino alla porta.
Non sapeva cosa farci, di quello che aveva detto prima.
Non sapeva perché lo aveva fatto ma gli era venuto così tutto fuori senza una ragione apparente. Forse era solo stanco. O forse era soltanto stato portato a evitare la questione: non sapeva nemmeno se Alec fosse ancora di sotto. Sinceramente, per quel che gli frullava in testa, avrebbe avuto tutto il diritto di andarsene. Magnus pensò subito all’intera giornata: i saluti, il viaggio, tutto era trascorso sommando la sua ansia. Sì, non sapeva definirla una cosa negativa. In fondo, era normale aver paura di qualcosa di nuovo, no? La paura è pur sempre un emozione.
Eppure non era stato così difficile andarsene alla fine. Erano bastate solo delle ore e adesso, si trovava dentro quello spazio nuovo, che sentiva leggermente allontanarsi dal suo corpo, come se fosse animato.
Deglutì forte, le scarpe ai piedi del letto e i piedi scalzi, che sentivano la moquette morbida e piacevole, lo sguardo fu catturato da altro.
La sua valigia non poco distante dalla porta era ancora aperta, mostrando dentro i suoi effetti personali. Lui e Alec avevano avuto poco tempo per sistemare le loro cose ed erano corsi a cenare su consiglio della custode.
Socchiuse gli occhi, mise le mani sui fianchi e piano si avvicinò all’ oggetto, le ginocchia in avanti, il peso sui talloni.
Appena la guardò dentro realizzò che non era la sua, ma quella di Alec.
Un piccolo oggetto visibile e alla sua portata colse la sua attenzione.
Magnus lo prese tra le mani e ne accarezzò con le dita la copertina rigida, un piccolo accenno di sorriso s’affacciò sul suo viso.
Era l’Illiade, i cui versi Magnus ricordava, Alec gli aveva recitato quando gli aveva fatto visitare Hetford al loro ritorno. Al centro vi era la decorazione riportante l’immagine di due elmi elaborati e due scudi un po’ più sotto e il titolo ad incorniciare.
Era buffo come, anche lui avesse portato un libro, il libro che Alec gli aveva prestato e non aveva trovato il tempo in tutto quel trambusto, di restituirgli. 
Le metamorfosi di Ovidio era dentro la sua valigia, sistemato nella piccola tasca protettiva, come fosse l’unico tesoro che possedesse. La storia di Orfeo lo aveva preso così tanto.
Magnus si ritrovò a rigirarsi quel libro tra le mani, ricordando, toccando piano la superficie avanti e indietro, tutte le volte che Alec gli aveva accennato a ciò che sapeva, che lo aveva affascinato con storie diverse, con quel fare che sapeva solo lui. Quella bellezza interiore e quello sguardo attento, quelle iridi grandi e piene, l’attenzione che la catturava.
Un sentimento amaro lo colpì alla bocca dello stomaco: era dispiacere, era colpa.
Non avrebbe dovuto inveire così contro Alec, era l’ultima cosa che meritava. Dopo ciò che aveva fatto per lui, dopo avergli reso la vita diversa. Diversa, come un’avventura, come qualcosa che ti fa sentire vivo, diversa come loro. Ma era bella, questa cosa diversa. 
Era quello di cui aveva bisogno.
Se pensava a tutte le volte in cui Alec gli aveva salvato la giornata, dopo le sfuriate, dopo la brutalità, dopo tutto quello che ne era conseguito... se ci pensava, poteva solo definirsi un idiota ad averlo trattato come aveva fatto prima.
Alec era diventato tutto in poco tempo e nemmeno lui poteva spiegarselo, ma era successo e di certo, non avrebbe voluto annullare quelle belle emozioni che gli provocava.
La stanza era statica, entrava solo un leggera brezza che lo rimandò subito alla giornata in cui era riuscito a volare, volare con qualcun’altro. Non più da solo. 
Magnus sospirò, sentendo invaderlo un’improvvisa morsa, la maniglia alla sua destra si mosse e la porta si aprì. 

 

 

 


 

Mamma, ti scrivo perché ne sento la necessità.                                                              
Ma più di tutto, il bisogno di essere capito. Forse rimarrai sorpresa, forse è stupido da parte mia, ma voglio comunque darti delle spiegazioni, te le meriti. Non credere che non ci abbia pensato a fondo, nel caso te lo stessi chiedendo, perché non potrei essere più serio. La serietà che mi ha preso sempre più negli anni, quella, credo tu la conosca bene. 
Ho bisogno di allontanarmi per un po', tranquilla, non mi è successo niente. Almeno non a me. È entrata questa persona, nella mia vita, mamma. Da un po' di tempo, in effetti, ma che cos'è in effetti il tempo non lo so perché se lo conto mentre ci sto insieme, il tempo lo perdo e devo ricominciare daccapo.
E potrebbe anche finire lì, ma il fatto è, che questa, non è come tutte le altre. Credo sia, una delle persone che amo di più al mondo, dopo di te, dopo Izzy. Questa persona ha bisogno del mio aiuto e io non posso negarglielo, perché se è riuscita a tirarmi fuori da dove ero finito, posso fare lo stesso per lei. Non lo faccio perché devo, ma perché voglio.
E volere qualcosa, ti porta a lottare per questa nonostante tutto.
Non sarà facile risolverla, ma farò del mio meglio per alleviare il dolore che prova.
E l'ho capito. Ho capito cosa eravate tu e papà: semplicemente non vi amavate più. Succede e non te ne faccio una colpa. È l'ultima cosa che posso decidere è chi dei due abbia cominciato prima a capirlo e chi dopo, trascinando con quella situazione inconsapevolmente, i propri figli. Ma ci avete messo troppo tempo a capirlo, o forse, ce ne ho messo io troppo poco per capire che la persona per cui mi sto allontanando, ha completamente preso ciò che ero prima e lo ha fatto uscire alla luce. Senza inganno e senza trucco.
Ti voglio bene, mamma, voglio che tu lo tenga a mente.
Questo e che, appena tutto andrà meglio, vedrai quanto la vita possa svoltare in un solo giorno ciò che avevi ormai dato per perso.



Questa volta mi tocca scrivere qui. Mi scuso per l'aggiornamento tardo, ma ho avuto una settimana molto impegnativa: che dire, la vita da universitaria pendolare è questa. Aggiungerei: anche la vita di Magnus e Alec per ora è questa. Problemi relazionali? È ovvio che non possa andare tutto sempre liscio, c'est la vie

See you next time.
- Clodia's

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Capitolo 15
*** Di veri sentimenti - ***


Penso : Questo è ciò di cui sentirò la mancanza.
Penso : Piuttosto che rinunciare a questo, preferisco morire.
Penso : Quanto tempo ci resta?

La canzone di Achille



Che vi dico, vi dico solo solo che il ritardo è più che giustificato: il fine settimana di una pendolare che ritorna a casa è sacro . Spero vi piaccia e ricordate: quando c'è vero interesse, c'è tutto. - Clodia's









Il ragazzo sembrava ancora più alto, così, in piedi davanti la porta. Quella figura accovacciata sul pavimento, fissò con quegli occhi da gufo curioso, la valigia che aveva davanti a sé. Sembrò appesantirsi per qualche attimo l'aria che tirava dentro la stanza, colorata appena dalle luci soffuse ai due capezzali.
« Scusa, pensavo... pensavo fosse la mia » si sbrigò a dire Magnus, il libro ancore in mano, che ora rimetteva dove lo aveva trovato.
Venne guardato ancora in silenzio, chiuse piano la porta dietro di sé.
« Tranquillo non... preoccuparti » era distaccato, distante. Seppure nella stessa stanza, risultava assente.
Magnus annuì, si alzò in piedi facendo forza sulle gambe in un solo scatto e prese posto al lato del letto, proprio laddove il tessuto che lo ricopriva, formava una piccola fossa. Si inumidì le labbra e poi si morse il palato.
« Alec… » soffiò fuori Magnus cautamente, gli occhi che si alzavano sull'interessato e la mani in grembo « Alexander, scusami, per prima, » cominciò « per come me ne sono uscito, per ciò che ho detto, non sono stato giusto, avrei potuto...evitare, scusa »
Alec si sedette poco distante da lui, mentre posava il cellulare sulla colonnetta sopra la abat-jour. Ancora non parlava e allora Magnus decise di svestire altre parole non dette « Non so cosa mi sia preso, » continuò di nuovo, questa volta prendendo più sicurezza « credo solo di... di trovare nuovo tutto questo, il contesto, cosa stiamo facendo » sottolineò, guardandosi le mani « oppure, oppure credo solo che sia troppo, tu e me, ecco » terminò lentamente.
Alec si voltò per guardarlo meglio, gli occhi grandi e le iridi liquide.
« Magnus, » mormorò « se stai dicendo che vuoi finirla qui- »
Magnus si girò energeticamente, fermandogli le mani che già gesticolavano per conto loro, animate da una forza ansiosa.
« No, affatto, » lo guardò deciso, mentre gli occhi di Alec erano quasi più chiari per via della luce della stanza « ma credo di non aver mai pensato a noi, come noi, in quanto diversi. Non mi sono mai soffermato su questo. Almeno non dopo l’inizio. La mia testa è andata dritta a fiondarsi su quel punto e poi lo ha lasciato lì, in pausa. Ho pensato di non poter competere » puntualizzò.
« Per quanto mi riguarda, potresti anche essere stato biondo o non so, basso, pelato, avrei potuto incontrarti in qualsiasi altro posto, » Magnus soffocò un risata mentre si rendeva conto che Alec era serio in quel momento « ma non credo avrebbe cambiato di una virgola quello che sento adesso » concluse, mentre si fermava a osservarlo dolcemente.
Magnus si sentì doppiamente un idiota in quell'istante. Alec sapeva essere adorabile con quella tonalità sulle guance.
« Siamo di due mondi completamente diversi » gli sfiorò il dorso delle mani con i pollici.
« E’ un ragionamento valido, ma non tiene, » arricciò il naso « questo dovrebbe importare più di quello che proviamo? »
Magnus lo guardò con tutto quel vortice che aveva dentro, il vortice scatenato dal modo in cui Alec aveva appena detto quelle parole, sganciò una sola delle mani dalla sua, per poggiata sulla sua guancia lentamente.
« No, no per niente » sussurrò.
Alec sorrise, poco a poco, quelle pieghe ben note si formarono attorno alle sua bocca e Magnus venne contagiato « Se è una condizione meramente sociale di cui dobbiamo preoccuparci, non ne vale la pena » Alec abbassò lo sguardo notando la stretta che si faceva più salda, più avvolgente. « Ma, » rialzò gli occhi sull'altro « quando hai parlato di noi, ecco, » Magnus sembrò perdere un po' il contegno mentre parlava perché si fermò un attimo, come se si stesse prendendo in giro da solo. « Dovremmo capire cosa siamo. Non amo mettere etichette, ma credo... sia arrivato il momento, non credi? »
« Uhm… giusto » sembrò pensarci, la bocca smorfiosa, gli occhi in su e Magnus lo riprese.
« Sono serio » l’altro ritornò di nuovo serio, lo sguardo risoluto e allungò la sua mano, adesso ancorata piano al fianco di Magnus, entrambi l'uno di fronte all'altro, le gambe incrociate o piegate.
« Bene, quindi cosa siamo?»
Magnus notò la posizione scomoda in cui era stato messo, in fondo la domanda spettava tanto ad Alec quando a lui.
« Vediamo, » elencò « ci siamo trovati in situazioni analoghe, ci siamo avvicinati, siamo fuggiti insieme, » Alec scoppiò a ridere fragorosamente, Magnus si godeva la visione in religioso silenzio « direi che non siamo amici, questo è ovvio »
« Quindi, » l’enfasi portata ad allungare la i, mentre cercava di evadere da qualche delusione in agguato « questo fa di noi...»
« Alexander, questo farebbe di te e dio, mi sembra di riavvolgere un filo di ricordi e di aspettative, » sospirò scherzando, poi si fece estremamente premuroso « il mio ragazzo » concluse.
Alec non rispose.

Lo tirò leggermente a sé, i loro nasi si sfioravano e pochi centimetri pericolosi li separavano.

« Magnus Bane, il mio ragazzo » disse più pensandolo che affermandolo davvero. L’altro rise.
« Possiamo anche renderlo meno ufficiale, se preferisci » lo prese in giro.
Alec esplorò quei gusci piccoli, quelle iridi castane intense e calde, sembravano come sussurrargli che sarebbe andato bene, fin tanto che sarebbero rimaste così, simili a due sorrisi.
« Quindi, dopo una carriera da promoter di immagine, assistente, sono arrivato alla vetta con un salto di qualità, alla fine » Magnus continuò a ridere mentre ondeggiava il capo, pensando a quanto gli fosse mancato tutto quello fino a poche ore fa « Interessante »
Magnus gli prese il viso tra le mani e lo baciò zittendolo. Era come respirare, toccare quelle labbra soffici e sentire quel respiro caldo vicino. Esplorare il suo palato con la lingua e sentirne il sapore famigliare di Alec con sé, la sua voglia corrisposta, l'abitudine che non gli sarebbe mai passata.
Magnus sentì Alec annaspare e avvertendo il proprio fiato mancare, si staccò piano, trovando le labbra di Alec più colorite di prima.
Si guardarono attentamente, mentre Alec cercava di formulare una frase con un minimo di senso logico.
« Se ti sei pentito insomma... di questa cosa, dell'idea di andare via, » Alec si trovò riflesso nelle pupille dell'altro, il cuore aperto « Non è tardi per tornare indietro »
Magnus scosse il capo e tornò a guardarlo di nuovo.
« Niente di più lontano dalla verità, » respirò con meno fatica « Non mi pento di niente » terminò. L'altro annuì piano, le sue mani erano sulla sua maglietta « Se non fosse per te sarei chissà dove, rivoltato per terra, immerso in chissà quale inferno » pronunciò quelle ultime parole in modo affaticato. Alec gli sollevò piano il viso.
« Magnus, se avessi potuto fare qualcosa, lo sai... »
« Non potevi, » un sorriso amaro e scuro sul suo viso « nessuno poteva. Avevo deciso di non dirlo a nessuno per una ragione precisa »
« Avresti potuto avere aiuto, una mano dalla tua parte » lo informò senza sorpresa Alec.
Magnus annuì.
« Lo so, ma non credo avrebbe cambiato molto le cose...ci sono alcune persone che non cambiano o si piegano nemmeno col fuoco » sospirò. Magnus si staccò piano spostandosi al lato destro del letto, il peso su un fianco, il cuscino schiacciato dalla sua testa. Sospirò pesantemente, un braccio sotto quello.




Magnus restò a fissarlo – notò che un accenno di barba stava crescendo sulla mascella, il suo aspetto era più maturo in quel modo – e pensò che se avesse potuto, lo avrebbe guardato per molto tempo.
« Ho più volte pensato a come sarebbe potuto essere, se invece di essere trascinato giù, fossi rimasto sano. »
« Non potevi prevederlo »
« Sai, Sanders non era così i primi giorni in cui ci faceva allenare, » ritornò a parlare « era autoritario, sì, ma non aveva ancora mostrato la sua vera forma » tremò leggermente, ma si ripeté di restare saldo.
« Quando è cominciata? »
Alec sembrava all’apparenza così rilassato, ma nel suo tono c’era una vera di agitazione. Il circense giocherellò nervosamente con le sue mani, posò i suoi occhi pensiesori sulle sue stesse nocche.
« Più o meno, verso il primo mese di luglio. Me lo ricordo, perché faceva caldo e d’estate lavorare è ancora più dura. Il tuo corpo bagna di sudore, avverti solo quello, i piccoli insetti ti girano attorno e si poggiano sulle attrezzature. Il più delle volte non riesci nemmeno a concentrarti. » sospirò, serrando gli occhi « Ero stato chiamato dentro e quel mese, già si comportava stranamente. Pensavamo tutti fosse più agitato del solito, che fosse dovuto alla distorta organizzazione delle repliche, ma c’era di più. Non era normale, trovarsi faccia a faccia con un uomo così maniacale da volerti controllare fisicamente, ogni giorno »
« Magnus » sussurrò amaramente.
« Tranquillo, ormai è simile ad acqua fresca. Sono stato bagnato più volte, è solo che, una percentuale d’acqua è rimasta ancora dentro… Molte volte lui… aveva difficoltà a scegliere con cosa picchiarmi, » confessò, mentre un leggero brivido lo scuoteva « mi faceva entrare dentro il tendone e si assicurava che fosse chiuso per bene e che nessuno disturbasse o venisse a sbirciare. Davvero premuroso, da parte sua » rise amaramente « Altre volte, mi rifiutavo di trovarmi da solo con lui e qualcuno assisteva ai miei esercizi, in modo che lui non potesse farmi niente, » le dita si massacrarono ancora, ma la mano di Alec le afferrò e delicatamente le strinse, quel gesto fu come una vampata di calore per l’altro, che si rilassò all’istante « altre, non potevo proprio ribellarmi a ciò che imponeva: mi aveva sempre minacciato di sbattermi fuori. E per quanto ne sapevo, ne aveva il potere.
Si presentava irritato, le sue entrate ad effetto erano già l’indizio che non fosse dotato di morale, non penso abbia mai capito cosa fosse averne una » continuò « ero patetico, in un certo senso, ma qualche volta riuscivo a cavarmela. Candace si sostituiva alle mie prove o inventava qualche scusa da propinargli riguardante i costumi o le luci, » questa volta rise ma più sereno al ricordo « le dicevo semplicemente che con me si comportava male: cercava di toccarmi, ma in tutt’altro modo da come in realtà faceva. Lei credeva che ogni volta fosse sul punto di.. beh di avere un rapporto con me, » era disgustato « e senza nemmeno saperlo, mi salvava. » deglutì mentre gli si incrinava la voce.
« Non sei patetico, » cercò di tranquillizzarlo, anche se la sua espressione toccava la tristezza, le nocche di Magnus alle labbra, nell’intento di baciarle « sei più forte di quanto tu creda »
Magnus si impresse quello, la stanza dove si trovavano, la luce che si posava sulle sue spalle, le tende della finestra fluttuanti e a righe. Se lo impresse, nella speranza che in un modo o nell’altro, potesse sormontare la valanga che piano piano, andava sgretolandosi.


**



Distesi così, si ritrovarono a guardarsi senza un motivo preciso per un po'. Magnus vedeva Alec e di conseguenza l'altro si rifletteva negli occhi dell’altro fino a quando l’altro si sporse, portando Magnus ad abbassarsi su di lui catturando la sua bocca, creando quella vicinanza che annullava adesso lo spazio. I loro corpi erano premuti l'uno sull'altro, i piedi si muovevano di poco e Magnus si ritrovò a vagare con le sue mani lungo le mutande di Alec. Le dita artigliarono l'indumento con calma, senza fretta, abbassandolo di poco ai lati ogni qual volta cercava di riuscire a prendere fiato dalle attenzioni dell'altro. Con un altro ultimo tentativo, Magnus riuscì a sollevarsi, permettendo così lo scorrere della biancheria, la quale fu ricacciata chissà dove, grazie ai piedi di Alec, che la catturarono per buttarla via. A cavalcioni sopra di lui, si beò di quello che stava guardando, cercando di memorizzarlo.
Magnus osservò il ragazzo sotto di sé, nudo e con la sola luce delle abat-jour ad illuminarlo a spicchi, il volto, l'inizio delle clavicole, i glutei.
« Alexander » mormorò chinandosi sul suo viso mentre si perdeva a sfiorare la pelle tracciando linee sottili e premurose « sei bellissimo » soffiò prima di baciarlo.
Quando si rituffò però, Alec lo riportò da lui, guidando i loro corpi a scontrarsi e a premere l'uno con l'altro.
Alec mugolò qualcosa di incomprensibile, sentì il suo rigonfiamento e una sensazione calda arrivare al suo stomaco.
« Magnus » mormorò gutturalmente. L'altro annuì senza pensarci due volte, si spostò di poco, cercando come meglio poteva di levarsi l'ultimo inutile indumento che frenava tutto. Alec lo osservò, quasi in contemplazione.
Si tirò su sul cuscino con i gomiti, le sue mani si posizionarono sopra quelle di Magnus, aiutandolo. Magnus sentì il tremolio nelle mani grandi e affusolate di Alec e allora si diede tutto il tempo possibile, ricordando che fosse sempre lui il più nervoso tra i due. Lo guardò teneramente, nell'unico modo che riuscì, mentre la fronte di quello era già semi sudata.
« Oh, » la presenza così vicina, gli fece quasi dimenticare di come doveva stare lui, in preda a un’altra cosa nuova come quella « se vuoi possiamo anche… » si sospese.
« No, » Alec evitò di guardarlo e baciò il suo bacino, piegandosi un po' « ci sono quasi »
Magnus notò il movimento agile e deciso con cui aveva mosso le mani, calando giù il pezzo di cotone e lasciando a lui il compito di abbandonare lungo la via delle sue gambe e poi dei piedi, la biancheria.
Appena anche lui ne fu privo, Alec rimase letteralmente senza parole. I suoi occhi vagarono dal suo petto, all'addome, l'ombelico che incontrava quelle v morbide, che scendevano in basso a disegnare i muscoli delle coscie. Da lì in poi non c'era altro da dire, Alec era la prima volta che vedeva un ragazzo in vita sua, che vedeva Magnus dopo tante volte ma in modo completo, esposto così, davanti a lui. Una mano sola si mosse, ancorandosi al suo fianco, mentre scendeva e gli accarezzava i glutei, esplorando qualcosa che non aveva mai avuto modo di esplorare. E farlo con Magnus, portò il suo cuore a fracassargli contro la gabbia toracica, a lasciarlo a bocca asciutta.
« Ti senti bene lì sotto o per caso assomiglio a qualcuno che conosci? » ridacchiò Magnus, prendendolo in giro. Quello scosse la testa mentre alzava gli occhi su di lui.
« Sembri una statua greca ,» affermò sognante « solo che sei carne vera, » Alec sentì Magnus calarsi di nuovo su di lui mentre lo diceva, il suo movimento sembrava quello di un gatto studiato e elegante « assurdo » mormorò appena, il fiato corto.
« Beh, grazie, » sfiorò il suo naso « anche tu non sei per niente male » il ragazzo moro rise, per poi unirsi in un altro bacio.
La complicità e il contatto però furono diversi da prima, poiché Magnus sentì la veemenza con cui Alec lo cercava, lo studiava, rendendo tutto ancora più complesso e intricato. Come se Alec sapesse di potersi consumare e scavare anche fino a svuotarsi del tutto, pur di cercare l'altro. Perse un battito per quello stesso pensiero e annaspò dentro la ricerca dell’altro, la pelle calda e le labbra pronte, il corpo che rispondeva subito, mentre bramava le labbra più scure di Alec a pochi centimetri dal suo viso.
« Magnus » esordì a voce bassa e grave.
« Possiamo… andare piano se è quello che vuoi » ma in realtà Magnus non capì perché lo stesse dicendo se in quel momento Alec era più lucido che mai, sudato e caldo, ma comunque ragionante. « Insomma è pur sempre la tua prima volta, » aggiunse trovando il miglior modo, il senso delle sue parole « e io non voglio farti male »
« Non me ne farai » la sua mano fu presa e baciata. Un’altra dose di quegli occhi e Magnus si ritrovò disarmato, esposto del tutto. « Mi fido di te » Quell'espressione che nascondeva il suo nervosismo, che celava novità, ma che gli infondeva solo sincerità, la fiducia. Fiducia che lo aveva portato al riparo, lontano dall’inferno marcato dal tendone, dai suoi demoni.
Annuì sorridendo, sentendo i suoi occhi pizzicare, obbligandosi a ricacciare indietro le lacrime, non di tristezza, questa volta.
Si sporse per lasciargli un bacio veloce e poi cominciò a frugare nel cassetto che faceva al caso loro. Quello che non ricordava era che avesse portato qualcosa di simile con sé, non ricordava nemmeno l'ultima volta che ne aveva fatto uso. Scordarsi comunque che cosa doveva andare fatto era praticamente impossibile.
Provò il primo cassetto, ma non diede i risultati sperati, Magnus trovò soltanto delle creme e qualche altra cianfrusaglia; aprì quello grande in basso e trovò di tutto: da alcuni shampoo, a qualche deodorante...e poi una bottiglietta sigillata attirò la sua attenzione. Aveva fatto bingo.
Magnus trascinò la bottiglietta del lubrificante con sé, le gambe divaricate affianco ad Alec adesso. Con una mano sola, con l'altro svitò il tappo sigillato che scoppiettò giusto un secondo.
« Sarebbe la mia seconda volta nella mia vita, in realtà » confessò Alec.
Magnus rimase spiazzato, gli passò il tappo per posarlo sul cassetto.
« E quando sarebbe stata la prima?! » arricciò il naso.
Alec crollò le spalle.
« Quando sono venuto al circo, » deglutì e trovò Magnus che lo guardava ormai perso, colmi di amore « e ho deciso di seguirti »
Si spostò di nuovo divaricando le gambe in mezzo ad Alec, si versò una quantità generosa sulle dita della mano destra. Alec lo guardò incuriosito, chiedendosi in cosa consisteva il tutto. Appena quello finì l’intero procedimento, sembrò finalmente svelargli il mistero.
« Non voglio farti male e quindi, ho bisogno che tu ti rilassi » lo disse nel modo più pacato possibile – per quanto, l’idea di entrare dentro l’altro, lo mandasse in brodo di giuggiole. Il ragazzo annuì meccanicamente.
Magnus respirò piano e si avvicinò ancora per trovarsi all'altezza delle cosce di Alec « Devi solo... divaricare le gambe »
L’altro fece quello che gli era stato detto, sotto istruzione di Magnus, sentendosi a metà tra lo stupido e l'incuriosito. Non sapeva trovare una via di mezzo. Magnus delicatamente lo preparò infilando il primo dito dentro la sua apertura e Alec inarcò leggermente la schiena, Magnus gli accarezzò subito la coscia.
« Alexander, tranquillo, cerca di rilassarti » gli intimò piano, il suo compagno serrò le labbra. Dopo i movimenti del primo dito, Magnus studiò bene la situazione: Alec sembrava dimenarsi di meno, quindi, proseguì con il secondo, incurvandolo, muovendolo prima poco e poi un po' di più. Alec emise dei versi così bassi che Magnus fece fatica a concentrarsi, lo vedeva mentre i suoi occhi si serravano, la sua bocca si apriva, le gambe gli tremavano. Ed era come se fosse la prima volta che vedesse qualcuno reagire così sotto le sue mani e i suoi tocchi. Il terzo dito entrò più facilmente rispetto ai precedenti e Magnus ebbe modo di muoverlo in alto e in basso e di ruotarlo. Stava pensando di iniziare con l'ultimo ma Alec lo colpì, la fronte spalmata completamente sulla sua spalla.
« M a g n u s » sillabò confusamente preso com'era da quel caldo che lo avvolgeva. Magnus gli baciò.
« Sto finendo Al- »
« Magnus n-no » scosse la testa, mentre si mordeva un labbro, cercò il miglior modo per non chiudere lo sguardo, appena prese visione della pelle olivastra, risalendo alla mascella marcata, il suo piccolo naso e quegli occhi felini, ne ebbe la certezza « Ti voglio »
Si sentì quegli occhi scavare ed entrare dentro, non proferì parola, veniva guardato in supplica, ma con una tale determinazione che lo mandò in tilt, mandò a farsi benedire i pensieri più delicati che aveva trattenuto. Magnus annuì velocemente, uscì delicatamente e uno alla volta ognuna delle sue dita e riprendendo il lubrificante da terra, cominciò a cospargerlo lungo l'apertura di Alec.
« È freddo » vibrò visibilmente con quel liquido gelatinoso quasi e freddoloso.
« O forse sei tu che sei dannatamente bollente » ammise Magnus mentre il suo tono si faceva più schietto. In situazioni come quelle, era più forte di lui. In tutta risposta Alec si leccò el labbra e Magnus sentì di dover davvero rimandare il discorso temperatura corporea ad un altro momento. Preparò anche se stesso per bene, cospargendo il suo membro del liquido, che riposò una volta finito. In tutto quello, Alec non gli aveva staccato gli occhi di dosso neanche un solo secondo. Magnus si avvicinò piano. Non voleva farlo girare, non voleva che la prima avvenisse così, voleva guardarlo, voleva vederlo mentre cercava di farlo stare bene. Così come lui lo faceva sentire, in modo nuovo e fantastico dopo tanto tempo. Trovatosi quasi alla sua stessa altezza, come se Alec avesse intuito, le sue gambe si mossero solo per intrecciarsi al bacino di Magnus, che lo teneva fermo con una mano sul fianco e un'altra portata alla nuca. Magnus entrò piano dentro Alec, scatenando una smorfia di dolore e di sorpresa per quest'ultimo. Non si mosse e prese le sue labbra con sé, la sua mano sentiva la sua pelle più calda della sua, le sue guance dovevano già essere rosse. S'intenerì al solo pensiero. Però Alec si staccò presto.
« Quando sei pronto » lo tranquillizzò Magnus.
Alec gli sistemò una ciocca caduta sulla fronte, anch'essa sudata.
« Vai »
Magnus cercò la sua esitazione, ma Alec invitava solo all'estrema sincerità, le palpebre che sbattevano con lentezza, il respiro lento ma teso. Cominciò a muoversi piano dentro l'altro, cercando di abituarlo ai movimenti. Senza fretta, senza corsa.
La mano di Alec si allungò a stringere le lenzuola sotto di sé, sentendosi invaso da tanto calore piacevole, il capo all'indietro, la bocca semiaperta e gli occhi fissi su Magnus. L'altro ne approfittò per riprenderlo a baciarlo, sentendo la mancanza del suo sapore, di quella punta di dolcezza che si mischiava ai loro corpi premuti, alla mano libera di Alec che ora si insinuava sulla sua schiena, gli accarezzava inconsciamente altri lividi, altri ricordi spiacevoli, la linea che scendeva in basso fino al suo sedere.
Man mano che si muoveva, la sua pelle sembrava abituarsi a quel tocco amplificandosi in tutti i suoi nervi, Alec accarezzò i suoi glutei, portando Magnus a gemere nella sua bocca.
« Magnus, » mugolò Alec « più veloce »
Magnus si sentì di nuovo perso, così confuso perché Alec era preso da quell'espressione di piacere, calda, con gli occhi grandi e verdi, i capelli neri ovunque, scombinati e sparsi ovunque sul cuscino. Alec lo baciò portandolo giù. « Starò bene, » riprese spostandosi nelle pozze marroni dell'altro « lo voglio »
L'enfasi di Alec significò lo sconvolgimento di Magnus, come se stesse vivendo tutto nuovamente, come se lui lo avesse portato a ricominciare daccapo tutto quello: i primi baci, le prime volte, i sussulti per abituarsi. Non se lo spiegava.
Magnus lo prese con sé mentre, cominciava ad aumentare le spinte e a procedere per gradi, i movimenti da lenti si fecero più frequenti, il cuore cominciò a salirgli quasi in gola, mentre sul petto fracassava quello di Alec.
Sentì la mano stringersi così tanto sulla sua schiena, le gambe avvinghiarsi di più attorno a lui. Alec gemeva suoni incomprensibili, bassi, gutturali e Magnus lo guardava, lo guardava avvicinarlo e cercare sempre più contatto, il che era impossibile visto la loro fusione. « Magnus » gemette, mentre la sua mano artigliava suoi capelli.
I movimenti si fecero più repentini e Alec non mancò di deliziarlo con qualche altro suono « Dio mio, Magnus » inclinò la testa per lasciargli un bacio sulla mascella. Magnus sentì l'umidità dell'aria mandata via solo dalla finestra aperta, sentì l'altra sua mano artigliarsi all'altro fianco di Alec.
« Alexander » emise. Il ragazzo parve di sentire la felinità quasi di un gatto nella sua voce. « Alexander, » mormorò « guardami »
Magnus colpì il punto preciso, vedendo l'altro gemere più forte di prima, gli occhi che si aprivano a una leggera carezza del suo viso. E prendere le sue labbra mentre respirava a fatica e annaspava per l’aria. Baciarlo così, disordinatamente, in modo languido, confondendo denti e lingue, corpo e sudore, nel vortice che li stava afferrando in una morsa più stretta.
« Magnus » s'agitò mentre le lenzuola non erano altro che un mucchio di pieghe adesso « Dio, »
Magnus gli baciò quella vena pulsante del collo, risalendo su fino alla mascella, all'angolo della bocca, il naso. In tutto quello Alec aveva gli occhi chiusi, l'espressione serena anche se poteva sembrare una smorfia. Un sorriso sghembo, uno di quello che accentuava ancora di più la bellezza di quel ragazzo.
Si muovevano in sincronia e le loro mani si cercavano in punti di pelle anche nascosta, come le dita di Alec che vagarono sull'apertura dell'altro o Magnus lasciava un bacio umido sulla sua spalla.
I movimenti arrivarono al culmine, mentre con un ultimo gemito, Magnus usciva piano e veniva su di lui e poco dopo, Alec fece lo stesso, senza però portare entrambi a scollarsi.

Appiccicati e sudati, erano l'immagine di un respiro affannato che si alzava e si abbassava, un sorriso che li colpiva. Gocce di sudore caddero dalla fronte di Magnus, cadendo sulla trama della coperta. Sfiniti ma felici, avevano appena scoperto cos'era sentirsi davvero vivi.
Allora Magnus sussurrò qualcosa, qualcosa che suonò impercettibile alle orecchie di Alec la prima volta. Qualcosa che non pensò nemmeno, perché lasciò parlare la sua anima.
Alec lo guardò curioso, mentre gli portava una mano a coppa sulla guancia.

« Che cosa? » era curioso, sereno.

Magnus deglutì, ma capì subito che non voleva nascondere anche quello così come la violenza subita. Soltanto che, della violenza in quello che avevano appena fatto, non c’era minima traccia. Farlo stare bene era stato facile da capire, ma realizzarlo un'altra cosa. Ripristinare tutto se stesso, intorno all’altro e lasciarlo entrare, senza più forzature.
« Ti amo » proclamò limpido, capendo finalmente cosa volesse dire il modo in cui si sentiva con lui, cosa voleva dire spegnere le preoccupazioni o riaccenderle solo per chiedersi quel dubbio inafferrabile. Cos'era sentirlo vicino o semplicemente ricevere un suo gesto.
Il silenzio lo lasciò lì, con quelle parole fluttuanti nell'aria in attesa che venissero afferrate.
L’altro lo osservò a lungo, il volto che si inclinava più sul cuscino. Lo vide poi sorridere, accendersi come mai aveva visto, i denti in mostra, lo sguardo vivo nonostante la stanchezza.
« Ti amo anch'io, Magnus » strofinò il suo naso con il proprio e cercò di immobilizzò quell'immagine dell'altro, con i suoi occhi lucidi, nella sua testa.

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Capitolo 16
*** Girovagando ad Abingdon. ***


Il sole batteva sulle tendine e sugli infissi in legno della finestra leggermente sollevata, permettendo al vento di entrare con il suo parlare mattutino.
Angoli di luce spezzavano la stanza in più parti, rendendola simile quasi a specchi di luce quasi da spettacolo però più naturale e sincera. Luce che scaldava dentro e faceva alzare, fluttuare il pulviscolo all’interno del piccolo spazio della stanza.
Magnus venne colpito prima da quel bagliore e poi uno di quei piccoli fiocchi di polvere invisibili, quasi, svolazzò davanti al suo naso, portandolo a incuriosirsi. Rimase per qualche attimo a fissarlo e poi lentamente, appoggiandosi sui gomiti, si voltò dall’altro lato del letto. Alec era un intrico di coperte scombinate insieme ai suoi capelli, al suo torso scoperto a metà, le braccia in avanti che prima acchiappavano e tenevano strette qualcos’altro. Magnus si portò piano su un fianco, adagiandosi piano al materasso, il capo sul cuscino leggermente alzato.
Guardò quelle dita affusolate a pochi centimetri da sé e risalì piano lungo la sua figura, cercando di memorizzarne pienamente i tratti, ogni aspetto. Il petto dato da quella peluria leggera si alzava e si abbassava in un movimento continuo, le spalle portavano all’attaccatura delle clavicole. Le labbra rosate e carnose erano rilassate in serenità, quella barba che stava crescendo, gli occhi serrati da quelle ciglia lunghe, le sopracciglia sempre folte come le ricordava che gli davano un aspetto autoritario. L’involucro bianco di coperte che si era creato attorno al corpo, lo rendevano simile a un bambino dopo una lunga lotta per addormentarsi. O forse era solo stata questione di comodità.
Nel silenzio della camera, percepiva soltanto qualche cinguettio di qualche uccellino fuori, ma niente di più. Facendo molta più attenzione, in effetti, volavano solo frammenti indelebili di ciò che era rimasto dalla notte scorsa. Magnus sorrise, si rilassò di più e si concesse di guardarlo ancora un altro po’ prima di svegliarlo.







« Buongiorno » impostato dal sonno, aprì gli occhi senza darsi il tempo di abituare la sua vista. Alec si sistemò meglio la testa sul cuscino e guardò l’altro luminoso proprio a pochi centimetri da lui.
« Buongiorno Alexander » sussurrò e andò a lasciargli un bacio umido all’angolo della bocca. Alec in tutta risposta riuscì a muoversi di poco affinché non fosse un semplice bacio a stampo, riuscendo a centrare le sue labbra.
« Uhm » soffiò Magnus « non hai sonno? »  
« Sì, però non mi impedisce certo di baciarti » lo disse fissando la forma delle sue piccole e delicate labbra.
« E se ti dicessi » blaterò « che non ho affatto voglia di farlo? » sviò lo sguardo e subito afferrò la coperta coprendosi il viso per gioco. Alec afferrò l’estremità restante e raggiungendo la pelle scoperta di Magnus, cominciò a solleticarla. L’altro si trattenne, cercando di difendersi come riusciva.  
« Così non vale però! » rise, scalciando un po’ con i piedi, iniziando a muoversi sotto le mani di Alec che gli provocavano il solletico.  
Magnus arrivò a bloccargli entrambe i polsi delle mani non senza difficoltà, notando solo in quel momento che quella lotta aveva portato Alec sopra di lui, il respiro che gli cadeva addosso e la lunghezza della coperta che non era stata sufficiente per coprire entrambi. Avrebbe voluto sganciare la presa, ma si mise in all’erta nel caso il moro volesse prenderlo di sorpresa.  
« Ti consiglio di non fare movimenti bruschi » mormorò Magnus mentre si specchiava nelle iridi verde-nocciola riempite per metà di luce.  
« Altrimenti, cosa succede? » lo sfidò.  
Magnus da un certo punto di vista apprezzava quella testardaggine, ma dall’altro avrebbe voluto che l’altro gli desse ascolto. Le mani erano ancora artigliate attorno ai suoi polsi e di accontentò se non di toccarlo, quanto meno di baciarlo. La sua bocca si protese catturando il labbro inferiore di Alec e tirandolo di conseguenza giù con lui, le loro lingue si esplorarono, abituate com’erano a quel doppio sapore, alla presenza umida ormai conosciuta e famigliare.
« Forse se la smettessi di guardarmi così, » sussurrò Magnus « potrei anche riuscire a resisterti » soffiò fuori, il viso a poca distanza. Sganciò le mani dalla presa e quelle calde e grandi, protettive si posarono sul suo viso.
Alec sorrise dentro un altro bacio e Magnus pensò di essere finito in paradiso per quanto ricordava: uno fatto di momenti come quelli, occhi chiari, capelli neri e battiti scattanti. Appena si staccarono, Alec si portò piano dall’altra parte, non senza uno sguardo attento dell’altro vicino.
« Aaah » un grugnito più simile a un lamento si levò piano appena si piegò sul materasso, cercando di mettersi in una posizione più comoda. Dal torso al bacino andava tutto bene, il problema lo avvertiva all’altezza del fondoschiena.  
« Te lo avevo detto » Magnus schioccò la lingua « Cerca di restare disteso per ora » gli consigliò « È normale... le prime volte, » incontrò il volto di un Alec in apprensione, confuso come una serie di punti interrogativi in fila « più che normale » sottolineò.
L’altro annuì, evidentemente non a conoscenza di quel piccolo particolare. Scivolò sul materasso, notando che fosse scoperto tranne che ai piedi, quindi girò il viso sul cuscino nella direzione opposta.
« Quindi, » Alec cercò di suonare meno giocoso possibile, ma non poteva farsene un cruccio, era pieno di così tante immagini nelle sua testa che non sapeva decidersi a sceglierne soltanto una « È successo…» arricciò le labbra.
« Sei perspicace Alexander, complimenti » lo schernì teneramente l’altro. Alec si inumidì la bocca, sorridendo appena « Sì, » continuò Magnus « e per ciò che ho detto, insomma- »
« È stato bellissimo » lo fermò sul tempo.
Magnus osservò lo sguardo pieno accendersi ancora, le paiuzze diventare oro. Gli accarezzò i capelli dietro la nuca.
« Sì, Alexander » mormorò sorridendo ampiamente « Devo confessarti: è stata la tua prima volta, ma in un certo senso... non lo so, è strano. Mi sono sentito come se fosse anche la mia, » spiegò « Voglio dire, il modo in cui è successo mi ha annullato, in senso positivo » scese con la sua mano e sfiorò piano il suo petto « Ho avuto tante esperienze nella mia vita, molte di queste non sono andate come mi aspettavo o credevo... ma non penso di essermi mai sentito così, in intimità con una persona, nonostante sapessi cosa fare, » il tono saggio di chi porta avanti una scoperta fino a prima sconosciuta « Volevo solo perdermi con te e basta…penso sia questo » concluse, le dita che disegnavano figure strane sulla pelle.
« Magnus » si allungò per stampargli un bacio veloce.
« Per ciò che ti ho detto, alla fine, ecco… » stentò a continuare il suo discorso. Alec poteva anche non ricordarsi data la calura, l’euforia del momento della scorsa notte. 
« Ehi, »  si ritrovò a sorridere mentre il porpora sbiadiva dalle sue guance « non c’è cosa più vera, se penso a ciò che stava succedendo, mi rendo conto che me ne sono accorto anche un po’ più tardi del dovuto. E che sì, è tutto vero » era così risoluto ma con l’aspetto di un bambino in quel momento che Magnus sentiva il cuore stringersi per quanto amava quel particolare dettaglio nell’aspetto.
« Alexander, sarebbe bello svelare il mistero e sapere cosa io abbia fatto per meritarti… » i nasi si toccavano « ti amo così tanto che se non avessi fame, » azzardò mentre con due occhi letteralmente a cuore continuava « rimarrei in questo letto per il resto della giornata » ghignò.
« E se... » Alec lo prese per i fianchi e lo avvicinò pericolosamente « io non avessi fame?»
« No, » Magnus gli diede un buffetto sulla spalla « dobbiamo mangiare qualcosa, anche perché ho intenzione di vedere un po’ la città oggi »
« Hai intenzione? » gli fece il verso « e io cosa sarei, invisibile? » fece finta di imbronciarsi.
« Se vorrai accompagnarmi, sei il benvenuto » si divertiva a prenderlo in giro, a guardare quell’ espressione di sfida disegnarsi e lasciare spazio a uno sguardo riflessivo, le sopracciglia alzate, per la prossima mossa.
« Non vorresti rimanere qui, tipo per altri cinque, dieci minuti? »  
« Alec, » sospirò « lo vorrei tanto, » giocherellò con le lenzuola abbassandole di poco « ma ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti-»  
In un solo gesto Alec riuscì a farsi spazio alzando quell’ involucro bianco, cancellando l’attrito bloccato provocato da quello.
« Vorrà dire che la tua fame aspetterà per un po’ » e così dicendo, si attaccò all’ altro, ghermendolo in un abbraccio che venne corrisposto subito ma non senza qualche lamento.
« Ti concedo dieci minuti, » mormorò mentre si lasciava a tutta quella carne, a quel corpo che disperatamente voleva imprimere a memoria, a quell’ odore di sapone dell’altro e al suo « non uno di più »

                             

 

**





Dopo una ricca colazione fatta a base di uova, pancetta, pane tostato e un bicchiere di succo e la soddisfazione dipinta sul viso di Magnus, i due avevano salutato Caroline, già sveglia da almeno due ore prima di loro per preparare tutto.                 
Uscirono fuori dalla pensione decisi che avevano tutto il tempo a disposizione per visitare quella piccola città. Più camminavano per la cittadina, più ne scoprivano monumenti medievali e antichi e l sua gente intenta tranquillamente a parlare ai lati della strada o sedute nelle panchine di pietra.  
Abingdon sul Tamigi si scoprì, grazie all’aiuto e alla conoscenza di un signore incontrato durante la passeggiata che chiese loro di dove fossero, una storica città mercato costruita tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo, parrocchia civile parte sempre dell’Oxfordshire.
La cittadina sorgeva a quanto pare in valle dove l’abbazia si trovava ubicata. Il signore poi si congedò loro, augurandogli una buona giornata. Magnus e Alec si ritrovarono a camminare proprio sul verde che circondava il porticciolo di barche di vario colore sul fiume, mentre alzando lo sguardo la guglia della Chiesa parrocchiale di St Helen (come gli era stato spiegato dall’uomo di poco prima) svettava imponente, come punto di riferimento sull’intero panorama. Alec sentì il bisogno di entrarci nel pomeriggio, anche perché appena l’uomo la aveva citata il pensiero era subito andato a sua madre. La donna che aveva lasciato soltanto pochi giorni prima per iniziare quella specie di avventura per far sì che l’altro scampasse a un destino ignobile. E Magnus lo notò.  
« Alexander, va tutto bene? »  inclinò il capo e si portò una mano sul foulard che quella mattina aveva deciso di indossare dato la brezza che soffiava. Brezza che incideva un sole che restava fermo tra nuvole bianche.               
« Helen, » spiegò con un sorriso malinconico « è anche il nome di mia madre »  
Sul volto dell’altro si disegnò la tenerezza abbandonata al pensiero anch’esso rivolto di conseguenza alla sua di madre. Alec non gli aveva mai svelato il nome dei suoi, soltanto Isabelle era sfuggita a quella segretezza e Magnus sentì che tra di loro si stava piano aprendo una nuova strada: quella del conoscersi più in profondità.         
« La mia si chiama Jian » i suoi piedi si mossero piano mentre rivolgeva gli occhi sulla superficie piatta quasi fattasi olio del Tamigi colmo di piccole barche « In cinese vuol dire forte o forza, dipende da come lo si intende »   
« Le fa onore, per ciò che ha passato quindi » fece notare Alec. La perdita di un marito certe volte porta a chiudersi o troppe volte a domandarsi come portare avanti tutto il peso familiare da soli. 
« Alexander non dimenticarti di cosa ha affrontato la tua, »  Magnus lo guardò convinto « la perdita di mio padre beh… » una mano si teneva la stoffa che portava attorno al collo e l’altra dentro i pantaloni « ha fatto male, è vero. Ma credo che mia madre abbia capito subito che lui avrebbe voluto andasse avanti, nonostante poi l’età la abbia colta subito, il punto è, » spiegò guardandolo ancora « che la vita va troppo veloce per fermarsi a pensare per più tempo del dovuto. I tuoi forse non erano fatti per stare insieme, ma le cose accadono e non possiamo prevederle. Dovremmo essere grati di ciò che abbiamo, anche se non è interamente ciò che volevamo » 
Alec annuì, il bagliore del sole catturato dal verde delle iridi. Quelle parole erano tanto sagge quanto sincere, quello di cui al momento aveva bisogno.  
« Quello di cui mi pento è non aver potuto fare niente per aiutarla… E poi, beh, le ho lasciato una lettera sì, due giorni fa, prima che partissimo ho sentito mia sorella… è stato come respirare. Quando mi sono ritrovato a scrivere, invece, una parte di me avrebbe voluto portarla via da quella casa, non so se capisci »  
« Sì, capisco...»
 « Non mi pento di ciò che ho potuto fare ora, anche se poco, però, » chiarì, trovandosi la mano di Magnus che afferrava la sua di scatto « lo rifarei di nuovo, se potessi. Forse, proverei ad accorgermene prima »
« Accorgerti della sua sofferenza?» 
« Accorgermi di quella, anche se non la dava a vedere e della tua » confessò. Magnus si concentrò sui suoi piedi che calciavano i fili d’erba. 
« Non è qualcosa che potevi prevedere » 
« Ma ho sempre visto i tuoi occhi » lo disse come se fosse lampante, la cosa più ovvia che potesse esistere « quella tristezza racchiusa, che in un certo modo, mi faceva pensare alla mia. » deglutì leggermente « Io non ho mai voluto nasconderla, perché pensavo che ormai non ci fosse cura, che ormai avessi capito che vivere era solo quello: assistere alla furia dei miei e subirne l’atmosfera, lo strazio. Vivere come se fossi avvolto da una bolla, con il solo effetto che anziché sgonfiarsi, quella bolla è finita per esplodere » la sua voce si affievolì tanto da confondersi col vocio delle altre persone intorno.                                                  
« Se c’è una cosa che ho notato subito, » intervenne Magnus che fino a quel momento era rimasto in silenzio, ascoltandolo « è che nessuno avrebbe fatto quello che tu hai voluto fare per me, » la sua mano venne stretta di più, una morsa sicura e protettiva « così come ho notato che per te non è affatto finita qui. So quanto ti manca Helen, » e Alec notò come non gli costò affatto ripetere il nome di sua madre, perché lo tinse di giustizia « che avresti voluto darle di più, ma avrai tempo per quello. Hai ancora tutto il tempo, Alec. Se potessi rivedere la mia, giocherei carte false. Ma so che prima o poi, le rivedremo entrambi, più prima che poi »  Alec annuì e abbozzò un sorriso leggero mentre entrambi camminavano e si gustavano il silenzio della giornata, alcune barche che adesso vedevano i loro proprietari preparare il motore e posizionarsi ai timoni in legno e avviarsi lungo quella tavola grigia bagnata dalla luce. « Per quanto riguarda la storia della bolla beh, » s’inumidì le labbra incerto « forse non ne sarò stato direttamente la causa, ma mi piace pensare che abbai contribuito almeno un po’ a toglierla » sospirò.                                                                                                                                                                       
Alec lo guardava nel modo che più l’altro non sospettava: gli occhi da cerbiatto più grandi del solito, il sorriso che si era come immobilizzato, ma quello sguardo si conficcava dentro il petto e l’anima e non ne usciva più. 

« La parte più bella è che non hai neanche dovuto toccarla per farla scoppiare, Magnus, » si sporse per baciargli appena le labbra « è bastato soltanto conoscerti » 

 

 

**

Passarono un edificio rosso a Park Road. 
L’edificio in questione seguiva più le linee di un monumento ecclesiastico, come una cappella o la struttura di una chiesa e come il resto lì intorno, era sempre immerso in mezzo a un prato verde all’inglese. Dallo stemma affisso ad un palo, doveva forse essere qualche specie di scuola o collegio dato l’iscrizione in latino che rimandava alla religione che Alec non mancò a tradurgli subito. Era quindi senza ombra di dubbio un collegio praticante l’anglicanesimo. Oltrepassata la scuola, la piccola freccia indicava Park Crescent, una stradina normale fiancheggiata da case, che sfrecciava in avanti e presentava come sparti strada un muro oltre il quale abbondava il verde e delle chiome longilinee svettavano in alto.  
Magnus e Alec camminarono ai lati, visualizzando l’entrata al parco, da un cancello nero sbiadato dal tempo, aperto e dalle modeste dimensioni. Vi era un incisione in legno all’ entrata, che recitava a caratteri delicati e informativi Albert Park, 1860.
« Albert, non mi suona famigliare »
Magnus si girò verso Alec, finalmente qualcosa su cui potersi dimostrare acculturato.  
« Albert, principe di Sassonia che sposò la regina Vittoria, » Magnus si toccò le dita ingioiellate entrando, vedendo l’altro che lo seguiva girandosi solo per un secondo « e da cui nacquero un numero insolito di figli »
Alec gli rivolse uno sguardo tra l’ ammirato e lo stupore. « Lo so perché è una delle poche cose che ho studiato nella mia vita, inoltre la regina Vittoria è conosciuta ovunque per il regno più lungo che abbia mai governato » Magnus sembrava come una guida in quel momento solo che le guide non erano mai così belle e interessanti insieme, non avevano quegli occhi o quel fare convincente.
« Dopo quello della regina attuale » continuò Alec.                                   
« Che c’è? » si sentiva osservato.
« Niente, sono solo... » gli uscì un sorriso sghembo « felice, credo »
Si spostarono in avanti notando l’ immensità degli abeti e dei cipressi intorno, vedendo scorrazzare bambini e persone di quasi ogni età.  
Il parco era circondato da case residenziali e molte di quelle sembravano essere piene dentro dello stesso splendore di cui risultavano all’ esterno.
Più avanti entrambi riuscirono a distinguere finalmente un monumento lungo e alto di marmo, che doveva rappresentare lo stesso principe tedesco, incluso in Inghilterra per il suo amore per la regina nuova al trono a quei tempi. Camminarono a lungo prima di scoprire che vi era uno spazio verde libero, con le voci dei bambini sempre in vicinanza, ma si poteva benissimo rilassarcisi qualche secondo.
Come se si leggessero dentro di sdraiarono entrambi, con quella statua a poche miglia da loro, alcune panchine di fronte e gli alberi ormai completamente arancioni, con qualche sprazzo di marrone, in file allineate.  
« Ciò che ti ho detto prima, riguardo mia madre, » cominciò Alec, le mani sul ventre « non so perché non te ne ho parlato prima, ma credo sia stato perché non è mai un argomento facile per me, » deglutì appena « preferirei parlare mille volte di libri o di ciò che mi distrae piuttosto. Mia madre ultimamente sembra essere ritornata in sè, la donna che mi ha cresciuto, che ha in qualche modo cercato di difendermi prima che tutto questo accadesse »  
« Non potevi essere un bambino e un adulto insieme, Alexander » quello adorava il modo in cui il suo nome suonava in bocca all’altro, come quello assumesse un significato diverso e importante detto da lui « È stata dura e non devi portarne tutto il peso » il foulard di Magnus rosso arancio controbilanciava perfettamente con la sua pelle, ma non rendeva giustizia alla sua immagine.
« Helen e Isabelle sono tutto per me, mio padre non so nemmeno chi sia o che fine abbia fatto e non mi interessa saperlo, per quel che so. Almeno per adesso. »
Magnus allungò la sua mano e si posò su quella che Alec portava allo stomaco. L’altro gli riservò tutta la sua attenzione mentre la prendeva e ne accarezzava il dorso.
« Ho parlato troppo di me, » lo osservò « mi hai detto che Jian, è in un ospizio e che insomma non la vedi da tempo »
Magnus sospirò pensando al profumo di sua madre.
« Sì, beh prima che partissimo sono riuscito a spedirle dei fiori e dall’ ultima volta che l’ho sentita era felice, anche se stanca, » Magnus assunse un tono delicato « mi ha chiesto molte cose allora, è una donna forte e più osservatrice di me. Tira avanti anche se si lamenta per le pillole e che le persone molte volte lì dentro la urtino. » si affacciò un sorriso in memoria al carattere della madre.
« Sono sicuro che mi piacerebbe allora »
« Dimostra di meno dell’età che ha, quindi penso potresti anche corteggiarla se proprio volessi » scherzò.  
« Beh non vedo perché no, soltanto che c’è un piccolo problema, » mormorò « mi sono già innamorato di suo figlio »
Magnus si segnò quella risata che veniva fuori e si affievoliva piano, come una sorta di canto.
« A proposito di questo non ho potuto fare a meno di dirle di quello che è successo »
« Intendi, tra di noi? » un sorriso sornione si fece largo.
Magnus si voltò a guardarlo, sentì l’erba soffice accoglierlo sotto di sé.
« Ho dovuto raccontarle di te che venivi a trovarmi, di ciò che è successo con la corda » fu vago e si toccò la punta dell’orecchio.
« Quindi sa? » Alec arricciò il naso curioso.  
« Sarebbe meglio dire cosa non sa, cioè che non sa di questa pazzia, non sa di Sanders, non sa che stiamo insieme, perché quando l’ho sentita c’era Isabelle con te »
Sul volto di Alec si disegnò un po’ di premura e preoccupazione.
« Non sa di Sanders? » replicò.
« No, non volevo darle questo colpo Alec, ho detto che è una donna forte, sì, » si inumidì le labbra « ma questo sarebbe un colpo, immagino cosa potrebbe scatenare se le dicessi che suo figlio veniva... veniva picchiato » tremò.  
« Magnus » mormorò.
« So cosa stai pensando: avrei dovuto parlargliene » disse amareggiato.
« No, no assolutamente, » Alec cercò di farsi guardare da Magnus e ci riuscì spostando il peso sul fianco e ritrovandosi l’ erba in visibilità adesso « hai fatto ciò che ritenevi giusto, ma penso... credo che prima o poi dovrà saperlo »
Magnus annuì sentendosi in colpa.  
« Non so come potrebbe reagire, è questo che mi spaventa » confessò.
« Non devi pensarci adesso, » lo tranquillizzò « appena la vedrai saprai cosa fare »
« Bicester non è proprio a due passi da qui » sospirò.
Secondo le scarse conoscenze di Alec, in quel momento geograficamente parlando si trovavano dalla parte opposta rispetto a Bicester. 
Il viaggio avrebbe richiesto qualche ora, quindi ipotizzò che Magnus stesse soltanto cercando di allontanare il possibile stato di sorpresa o choc della madre, quando e se glielo avesse detto.  
Alec decise di cambiare argomento.
« Parlami un po’ della tua terra »  
Magnus si trovò preso un po’ in contropiede.
« Ti interessa davvero farti annoiare? » brontolò.
« Se la curiosità è noia allora sì, annoiami » ripetè Alec.
Magnus roteò gli occhi, rimanendo in quella posizione, vedendo le nuvole che si spostavano sopra il suo naso.
« Va bene, allora... da dove comincio... » Magnus vagò all’interno della sua testa, afferrando il primo ricordo sbiadito ma ancora presente, era della sua terra che si stava parlando, quella in cui era nato e da cui se ne era andato « quello che mi ricordo della Cina è prima di tutto il thè. Forse risulta banale, ma ricordo di quando io, mia madre e mio padre usavamo prenderlo sul piccolo tavolino in soggiorno, tutti quanti con le gambe incrociate, mentre ci raccontavamo piccolezze o com’ era andata la nostra giornata, » Magnus chiuse gli occhi, assaporando mentalmente l’odore e il profumo della bevanda tipica « Il thè verde è la prima cosa che trovi in Cina, dopo il riso ovviamente. Viene usato non solo come rito quotidiano ma anche per molte cerimonie e anche a scopo medicinale, » Magnus riportò alla mente suo padre che cercava di specializzarsi e in effetti c’era alla fine riuscito in medicina cinese « lo ricordo perché mio padre si era specializzato dopo aver lasciato l’ India per seguire mia madre » abbozzò un piccolo sorriso malinconico.  
« Un gesto bellissimo »  
Magnus guardò Alec e ci trovò la sincerità e la mancanza dell’esperienza dell’unione completa famigliare.
« Abbiamo molte festività, ad esempio il festival di capodanno per noi è sacro, » si perse nella narrazione ricreando i colori orientali « i fuochi d’artificio si dice per leggenda allontanino gli spiriti, ma io non c’ho mai creduto tanto, non l’ho mai detto a nessuno » ridacchiò « avevo paura di ricevere occhiate dagli anziani o che i loro figli potessero allontanarmi dagli altri bambini »
« Siete particolarmente superstiziosi » puntualizzò Alec divertito.
« Sì beh, particolarmente attaccati alla fede o alle tradizioni direi... comunque per l’occasione si realizzano delle lanterne rosse di carta di riso e si appendono alle porte delle proprie case, » Magnus raccontò tutto metodicamente senza tralasciare niente « da bambino amavo molto appenderci qualcosa di mio come un nastro o un adesivo, anche una sciocchezza. Quindici giorni dopo, queste si staccano e si lanciano in aria nella festa a loro dedicata »
« Dev’essere meraviglioso, il cielo riempito di lucciole rosse »
Magnus annuì.
« Lo è eccome »
« E il simbolo del vostro pensiero? Quello in generale, intendo »
« Senza ombra di dubbio il tao. Sicuramente lo avrai chiamato più volte come yin e yang » chiarì. Alec annuì. « Il tao riassume tutto il pensiero cinese. Il cerchio » spiegò Magnus, muovendo piano le dita di una mano disegnando un tondo « rappresenta l’unità e l’armonia tra due forze, che contrapposte ma complementari, corrono l’una verso l’altra. Ognuna si contiene a vicenda » divise il tondo a metà leggermente ondulate alla fine « Yin e Yang sono dappertutto e muovono, regolano tutte le cose. Lo yin è nero, sarebbe la quiete e l’accumulo di energia mentre lo yang è bianca e simboleggia l’esteriorità, il movimento »
« Quindi lo yin sarebbe la figura maschile e lo yang quella femminile » affermò Alec credendo di aver capito.
« Esatto » 
« E agiscono insieme? »
« Sì, l’ una non si separa mai dall’ altra, mia madre me ne regalò una piccola collana... ma quando lasciai la Cina per spostarmi col circo, decisi di lasciare che lei la conservasse »
« Ti manca? » chiese di getto Alec.
« Non ho portato la collana con me perché non volevo pensare alla mia casa mentre ero lontano...ma mia madre è sempre stata con me, che la portassi o no »
Magnus si girò su un fianco questa volta, ringraziando l’ erba che lo accarezzava e la presenza di Alec, pronto ad ascoltarlo.
« Se potessi ritorneresti lì? »
Magnus ci pensò su, tutto ciò che aveva vissuto una volta approdato al mondo del circo era stata una montagna russa senza fine.
« Mi manca la mia terra, ci sarebbe molte cose ancora da dire... ne sento la mancanza così come mi manca muovermi sulla corda, » mormorò onesto, stuzzicandosi le dita « ma non penso ritornerei in Cina per restarci. Se siamo interessanti su alcuni punti, su altri il nostro pensiero è ancora rimasto indietro... e poi…» lasciò tutto in sospeso « sono già legato a molte cose qui e non posso andarmene» sospirò lentamente.
La brezza si fece più pungente e Alec aveva soltanto addosso una maglia con maniche a tre quarti e il giubbotto legato alla vita, i suoi capelli erano stranamente composti e gli occhi più verdi che nocciola « Ho lasciato un mondo e ne ho trovato un altro, » scollò le spalle « adesso voglio sapere di te »
« Che cosa in particolare? »
« Quello che vuoi »
« Devi essere più specifico » evidenziò diplomatico. 
Magnus roteò gli occhi.
« Perché hai scelto l’arte come corso di studi? » buttò fuori senza pensarci.
Alec navigò poco su quella domanda.
« Non è poi una grande storia »
« Mi annoio volentieri come te prima, su » lo incalzò. L’altro capì che non faceva una piega, che entrambi si stavano aprendo in modo genuino e senza sforzi.  
« I miei genitori…» Alec adottò un tono tranquillo nonostante quello che stava per dire « quello che non ti ho mai detto è che non sono stato solo io a viaggiare un po’ e vedere cosa ci fosse attorno a me, ma anche loro prima che io e mia sorella nascessimo, hanno visto un po’ di posti, prima che si sposassero. » iniziò a spiegare mentre Magnus notava come gli cambiava lo sguardo « Mi mettevano a letto ma prima che mi addormentassi. mi raccontavano sempre di queste storie , delle cose che avevano visto, mentre mia sorella già dormiva a sonno pieno, » Alec si sentì ridere anche se per poco « sentivo con curiosità tutto quello che avevano letto in libri o venivo a conoscenza dell’esistenza di qualche popolo antico come quello greco e ne rimanevo colpito, » Magnus capì subito da dove veniva la sua passione per la mitologia e si sentì sciogliere, era dovuta ai suoi genitori nonostante quello che li aveva travolti « sono piccoli sprazzi in cui mi ricordo perfettamente che i miei andassero ancora d’accordo. O forse lo nascondevano solo molto bene. Così mi sono appassionato alla lettura e quando tutti i miei coetanei giocavano a palla o trovavano interessante qualche gioco nuovo, io facevo solo nuoto, scrivevo o buttavo giù qualche schizzo, » sbuffò divertito da quell’immagine già formata anche in infanzia « ero un bambino molto precoce e estraneo »  
« Io lo trovo molto affascinante invece » affermò Magnus.
« Per un bambino di nove anni, ci si aspetterebbe altro » 
« Per qualsiasi bambino, sì »  
Alec si toccò i denti superiori con la lingua, allargando la sua bocca in un sorriso diverso. Magnus ci lesse tanta mancanza di istanti come quello, gli istanti in cui cercava di esprimergli la sua gratitudine facendosi del bene e non rinchiudendosi in quella famosa bolla.  
« In questo momento, » Alec si avvicinò un po’« vorrei baciarti » sentenziò. 
Magnus lo aveva così vicino che sentì subito il suo petto darsi da fare e il suo respiro fremere. Ma si era voltato giusto un attimo e l’immagine che aveva di fronte era più curiosa che mai.  
« Oh beh, mi piacerebbe Alexander, » ridacchiò a bassa voce « ma credo che dovremo aspettare » mosse leggermente il capo e Alec seguì con gli occhi un bambino seduto che li guardava sulla panchina proprio di fronte a loro, intento a mangiare un gelato. I suoi occhietti erano vispi, di un colore caldo, mentre i capelli a caschetto lo rendevano un adatto principino biondo. 
 « E’ un pubblico abbastanza limitato, non credo succederà niente » si sforzò di rimanere serio, ma l’altro sembrava farlo cedere mentre incredulo lo guardava in maniera perentoria.  « E’ comunque un bambino » ripeté Magnus.
« E’ solo un bambino » chiarì. 
Alec si sporse, nascondendo metà del suo viso e coprendo la guancia di Magnus con la sua mano grande, come se stesse circondando qualcosa di prezioso, sprofondando piano in un bacio casto, mentre sentiva la mano intrecciata formicolargli. Cercò di muoversi con dolcezza e ci riuscì effettivamente per i primi secondi. Non poté però riuscire a mantenere quella posizione a lungo perché aveva bisogno di più spazio e soprattutto del calore di Magnus. Sganciò la presa della sua mano, spostandola alla nuca mentre l’altro si aggrappava ai suoi capelli tirandoglieli piano e sentendolo annaspare mentre le loro lingue si invadevano a vicenda.                    
Magnus si trattenne soffocando i suoi stessi gemiti, ma quello non tarpava le ali di certo alla sensazione che stava provando: le labbra di Alec erano  così soffici e lui finì per mordergli leggermente il labbro inferiore.  
« E’ scappato? » sussurrò una volta che furono separati, anche se potevano sfiorarsi la punta del naso. Alec si girò velocemente notando quella figura curiosa che terminava la sua merenda, la faccia sporca ma tutta sorridente.                                                           
« Beh, veramente-» ma non finì di parlare perché l’altro s’infischiò completamente di chi li stesse guardando o meno, tirandolo di nuovo giù su di sé.        





Clodia's: Eccomi qui ragazzi.

Spero vi sia piaciuto, ho deciso di slegarmi un attimo per fare ricerca, per concentrarmi su ciò che ancora non sanno l’uno dell’altro. Dovevano essere solo loro, lontani dalla prossima turbolenza. Okay, evitiamo di dire altro.


Vi posto qui la chiesa di Sant'Elena e anche Park Crescent, esistono davvero,
insieme alla statua del principe Alberto. Noi ci vediamo direttamente al prossimo appuntamento - hold on tight.



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Capitolo 17
*** Colpi di scena. ***


Eccomi qui.
Chiedo venia per il ritardo, questo è il mio saluto prima della festa dei "morti ", dopo di che devo riaggiornarmi fin dove sono giunta,
sono giunti e avvertirvi che restano solo pochi passi e anche questa storia sarà completa.
Non disperate però, prometto che andrà bene. Lo spero.
Clò.




La chiesa di St Nicolas, si trovava a sinistra del County Hall Museum.
Il museo di Abingdon fu costruito quando la città faceva parte della contea del Berkshire e secondo la storia che vantava indietro nel tempo, stabilito nel piccolo centro della città, era stato ormai adibito a collezioni museali dai primi anni del novecento.
Era un edificio grazioso, dotato di soli due piani, una scala centrale che permetteva di entrare.
Entrando e salendo sopra, al primo piano, lo spazio era occupato da alcune colonne dal marmo e materiale ristrutturato ma con alcune reminiscenze dell’arte vittoriana ben visibili, ospitava l’esibizione di alcuni oggetti e cimeli antichi. Vasi, cimeli come tazzine da tè o anche piccoli macina grano di tutti i tipi dentro vetri d’ esposizione
Queste, erano stati informati, cambiavano ogni mese e le proposte venivano ricevute da artisti o studiosi, con i quali gli organizzatori del posto si tenevano abitualmente in contatto.
Magnus si stupì a osservare alcune cose come vesti antichi monarchi o gente di ceto più basso (decisamente di altri tempi) , mentre Alec, gli spiegava alcune cose soltanto leggendo le piccole informazioni sotto ogni oggetto valutato e datato in antichità o comunque, usciva il suo cellulare e ogni tanto, gli capitava di immortalare l’altro proprio mentre era incuriosito e impegnato a fissare le teche.
Si era fermato proprio qualche minuto prima, l’ultima foto che aveva appena scattato: Magnus era di profilo, intento a osservare un dipinto raffigurante la regina Victoria, la veste blu cobalto, i capelli con due trecce che scendevano sulle orecchie davanti, seduta, con ai piedi il suo cagnolino. Era in contemplazione, ma quello che ad Alec piaceva di più di quello scatto, era come fosse riuscito a catturare la sua posizione con le mani davanti, gli occhi in attrazione e il profilo del mento, del naso, come li vedeva ogni giorno attraverso i suoi di occhi. Pensò subito fosse una di quelle immagini da incorniciare.
« Alec, vieni a guardare dai, è così realistico! »
Alec alzò gli occhi e sorrise, mentre Magnus si avvicinava in fibrillazione « Non ho visto mai niente del genere, » espresse in voce stupita « e siamo anche entrati gratis »
« Una delle caratteristiche dell’Inghilterra »
Magnus mirò al suo cellulare.
« Si può sapere, cos’hai fotografato? » lo raggiunse e l altro velocizzò a portarsi l’oggetto dietro la schiena.
« Niente che tu non abbia già visto » replicò immediatamente, l’ altro lo guardò sospettoso.
« Quindi posso vederlo, huh? » buttò giù, allungando la mano e inclinando il capo. Alec lo osservò.
« Okay, » uscì fuori il cellulare e illuminò il tasto con lo schermo « vedi, ma non giudicare »
« Non lo farei mai » rispose subito, volgendo il capo all’ immagine.
La stessa stanza dove si trovavano lui e alcune persone, poneva un osservatore e un quadro, un piccolo vaso di fiori vicino a un tavolino, ad adornare.
Magnus ci mise poco a riconoscerne il soggetto, arricciò le labbra.
« Pensavo avessi fatto foto solo alle opere d’arte qua dentro » mormorò
« Appunto. È quello che ho fatto »
Magnus non disse niente, si limitò a un sospiro. Era già la seconda volta che l’altro lo definiva in quel modo e si sentiva come se davvero potesse essere tutto quello che lui vedeva: forse la persona che si era fin ora data per difendere, subendo, aveva chiuso quel capitolo. Non parlò ma si girò e gli stampò un bacio non potendo evitare di sorridere. Poi dopo, prese lo stesso cellulare e impostando la telecamera interna, inquadrò entrambi. Alec allora lo tenne fermo e Magnus premette il pulsante per scattare.




Le mani tremavano. I guanti gli si appiccicavano ai palmi sudati, che cercava in tutti i modi di non togliersi per mantenere l’ordine. L’ordine nel caos. Cos’era, in fondo, un’altra presa di potere, se non un altro modo di farsi temere? Cos’era poi, l’abbandono di una quasi formata famiglia, quando lasciarsi sopraffare era molto più spontaneo, insito, venuto fuori alla luce, la repulsione e la distanza dalla tua stessa anima? La redenzione non esiste, è banale, pensò. L' uomo si aggiustò il colletto, ricomponendosi. « Forse non ci siamo capiti, » fu perentorio « mi devi una spiegazione, devi dirmi tutto »
La figura legata alla sedia, alzò il mento in fare sottomesso, ma senza cacciare fuori un orgoglio fiero e indelebile.
« Non dovrei avere paura di te, non sei nessuno » ringhiò grave.
L’uomo si avvicinò, la mano che si ravvivava i capelli, le gambe che scattavano come al rallentatore. Le scarpe lucide, - di certo non pagate a poc
o prezzo - si mossero sul pavimento in legno, che scricchiolò appena. Quell’ambiente puzzava come una bettola da quattro soldi, la luce funzionava male e di certo, non si avvicinava benché minimo alla festività del tendone.

« Forse non lo sarò per te, » vibrò, la mano si posò sullo schienale della sedia, posta al centro della stanza più come messa in scena che come scelta d’arredamento, mentre il sudore gli macchiava la camicia « ma hai bisogno di me per continuare a tenerti stretto ciò che ami fare »
I capelli ricci le si mossero lentamente, mentre qualcosa di fastidioso e pungente gli scendeva lungo la guancia ben disegnata e imperlata d’acqua e bronzea.
« Non dovrai fargli del male... »
« Lascialo decidere a me, questo »
« No, » inclinò il capo, scuotendolo poi « non gli farai niente, questo me lo devi! » la forza di un leone nascosto nell’ombra, dalla chioma voluminosa e lo sguardo concentrato. Il capo circo s’agganciò alla sua risolutezza e annuì, mal volentieri.
« Non so cosa ti devo, ragazzina, » la prese in giro ridendo algido, « ma ho bisogno di sapere dove si trova »


**


Il giro per la giornata continuò, portandoli nella zona del marcato, macchiato qua e la da, aiuole di fiori ben curati e colorati. Si ritrovarono di nuovo nei pressi della chiesa di St Helen, approfittandone per fare qualche altra foto. Magnus immortalò Alec vicino al fiume, sullo sfondo caratteristico da cartolina, mentre l’altro colse lui mentre si distendeva sul prato, incurante della gente che passava.
Si divertirono passando il tempo a stuzzicarsi mentre scattavano.
Passarono anche verso la zona dei piccoli negozi, entrando e osservando le botteghe e le merci.
Poi Alec dovette aspettare Magnus fuori da una di quelle, perché aveva evidentemente visto qualcosa che gli interessava. Lo vide uscire con un paio di occhiali da sole (nonostante fosse pieno autunno) e un piccolo bracciale al polso.
Affiancarono la strada anche dei piccoli bar e consumarono due panini e due birre per pranzo. Lungo la strada del ritorno, un’edicola colorata, dai vetri che riflettevano carta e altro, si stagliava lateralmente, una grossa insegna in maiuscolo invitava ad entrare.
Ma non ce n’era bisogno, anche perché alcuni giornali e riviste erano esposti anche fuori dall’entrata.
Magnus avrebbe continuato a camminare, seguendo Alec se non fosse stato per un’immagine che lo colpì.
Era una locandina rossa con tanto di testo poggiata su un paio di scatoloni semi aperti, la carta d’imballaggio che li proteggeva quasi del tutto strappata. Magnus si avvicinò piano.
Alec lo trovò immobile, quasi di pietra e lo raggiunse.
Magnus deglutì: al centro in quello schizzo splendente contro il rosso, era riportata l’immagine di spalle di un acrobata su due tessuti, anche se il viso non era in mostra il profilo era evidente. La scritta con caratteri grandi e abbastanza leggibili, recitava questo:

RICERCATO

Circense acrobata, asiatico, di giovane età, media altezza, in forma scomparso dalla compagnia circense CIRCULAND stanziata per ora ad Hetford, Panshanger Park.
Non abbiamo più notizie da un paio di giorni.
Chiunque lo veda o sappia qualcosa, verrà ricompensato: chiamate al numero qui sotto.
La paga è di ben 3000 sterline
.

Il capo circo, Carl Sanders.

Si sentì quasi tremare mentre teneva tra le mani quel foglio di carta, consapevole che dentro lo scatolone ce ne sarebbero stati altri. Ne ebbe la conferma quando Alec dopo aver finito di leggere, spostò leggermente un ala del cartone e ve ne trovò altre pronte per essere affisse.
Le mani stritolarono involontariamente i bordi di quella locandina così elaborata e diretta.
Non era finita.
Che idiota, si disse, sono stato completamente stupido.
Si sentì attraversare da un sussulto, forse un brivido ma non si muoveva, ancora.
Magnus rimase a fissare il vuoto per alcuni secondi, immobilizzato in mezzo alla strada.
Alec sviò lo sguardo e staccandogliela dalla mano, la accartocciò per poi buttarla nel contenitore apposito lì vicino.
« Magnus, andiamo »
Lo prese sotto braccio e lo portò via da quell’edicola. Durante la camminata nessuno dei due parlò, semplicemente perché ognuno pensava a cose diverse ma connesse.
Magnus si ritrovò a navigare nel pensiero più brutto: sarebbe ritornato alla vita di prima. In qualche modo, con qualche strategia, qualcuno ce lo avrebbe riportato.
Mentre sentiva i suoi piedi muoversi, non si rese nemmeno conto dell’altro che lo sorreggeva. Navigava senza più essere certo nemmeno di quello che erano stati quei tre giorni.
Non guardava nemmeno dove fossero arrivati, forse il solo rivolgersi a quella città in quell’ istante era solo peggio.



« Non posso crederci » sibilò Magnus, portandosi le mani sul viso, mentre camminava avanti e indietro lungo la stanza della pensione. Alec era preoccupato, allarmato, il suo viso lo rifletteva completamente « Non posso credere che ci stia riuscendo, » mormorò amareggiato « farà di tutto e questo è solo l’inizio » quegli occhi erano come grigi, spenti.
« Non fasciamoci la testa senza prima essere certi di essercela rotta, » avanzò diplomatico, Alec, portandosi la mano alla nuca « c’è qualche modo in cui può essere venuto a saperlo? »
Magnus deglutì, sentiva in suoi denti premere sul labbro inferiore e l’avvicinarsi del sapore ferroso del sangue.
« No, nessuno. Sono stato attento, » era lucido e pensieroso « lo siamo stati entrambi » specificò.
Alec si avvicinò a Magnus, pensando a qualche cosa che era possibile gli fosse sfuggita.
Si fidava dei suoi, che poi per suoi si intendevano sua madre e sua sorella, le donne della sua vita che aveva lasciato una con una lettera e una con alcuni messaggi di due giorni prima.
« Tu sei sicuro, insomma, di ognuno dei tuoi colleghi? » gli chiese calmo.
Magnus lo guardò mentre cercava di non tradire i suoi amici in quel modo.
Erano i suoi amici prima che colleghi, era ovvio che nessuno ne avesse fatto parola.
« Alec, sono persone che conosco, » rispose leggermente infastidito « mi fido di loro e se dovessi affidargli la mia vita, come ho appena fatto » confessò « lo farei di nuovo »
Alec annuì, una smorfia gli si disegnò sul viso. Magnus se ne accorse. « Cos’è, non mi credi? » sputò fuori « Ho vissuto con loro per gli ultimi due anni, Alec, dannazione » soffiò in modo pesante nell’aria chiusa della camera.
« Non ho detto niente del genere, » Alec sollevò le sopracciglia in sorpresa, la luce del giorno che calava ormai e arrivava al culmine gli solleticò il viso. Accarezzò leggermente il braccio dell’altro e cercò di evitare possibili e inutili scenate. Non era il caso di iniziare qualcosa che sarebbe finita per diventare una stupidaggine. « So che ti fidi di loro e so che gli vuoi bene, » chiarì, vedendo l’ altro rilassarsi « ma magari qualcuno di loro è stato messo alle strette, » ipotizzò « e non ha potuto farci niente. Come hai detto tu, Sanders sarebbe capace di ogni cosa. »
Magnus sembrò rifletterci.
Gli occhi si fecero arguti e il pensiero assordante come mai.
Che qualcuno avesse subito le pressioni di Sanders? E perché avrebbe lasciato il suo nome di battesimo esponendosi così tanto per un unico suo numero da circo?
« Potrebbe... ma trovo che ognuno lì abbia sviluppato un suo scudo, » spiegò, le mani si mossero mostrando gli unici anelli che aveva indosso « e che comunque, qualsiasi cosa lui possa fare loro, abbiano un modo per raggirarlo» mosse il capo, Alec lo adocchiò realmente dispiaciuto « Li conosco. Non sai cosa abbiamo vissuto prima che tu arrivassi, » prese un tono sicuro « col tempo si sviluppa sempre un modo di difendersi, che sia chiudersi o fortificarsi. Nel mio caso è stata anche la sopportazione e la pazienza »
« Quindi, » la buttò lì, senza perdere però la smorfia confusa che gli dipingeva il viso « come pensi ci sia arrivato? »
Magnus esitò a dire quale fosse la sua teoria, però vedeva come l’altro attendeva una sua risposta. Mormorò piano e poi crebbe nella sua idea. « Poche persone sapevano della partenza » Era vago e la cosa gli sembrò davvero inutile in quel frangente, se aveva supposizioni, era meglio esporle. Lo guardò ancora e finalmente decise a dire cosa ne pensava al riguardo. « Tua madre o tua sorella, » uscì fuori, si allontanò dall’altro « hai lasciato Helen con una lettera »
« Sì, l’ho fatto. Ma è mia madre, » allargò le braccia innocentemente e visibilmente confuso « non avrei potuto fare altrimenti e comunque non è il tipo. Non farebbe mai una cosa del genere, la conosco. »
« E Isabelle? » si morse più forte il labbro, le braccia lungo i fianchi.
Alec sentì perdere un battito per ciò che stava sentendo « Vi siete... sentiti in questo giorni, Alec. Non è affar mio, ma se fosse trapelato qualcosa di troppo e lo capirei, » deglutì, rimanendo però lucido « non credi sarebbe meglio dirlo? »
« Pensi che io te lo terrei nascosto? Una cosa del genere? » evidenziò stupito.
« No, Alec. Ma per una persona che si ama, si è in grado di fare di tutto. Anche di farsi scappare un segreto. » affermò Magnus.
Ci fu silenzio per qualche secondo e la tensione si trasformò taciturna com’era, in affilata. Il ragazzo alto sembrò stranamente rimpicciolirsi, la schiena lungo la parete legata insieme alle due pupille ristrettesi di colpo.
« Credi che le abbia parlato di dove siamo esattamente ogni ora o ogni giorno, quindi? E che ti metterebbe di conseguenza nei guai? » adesso era lui quello infastidito, colpito. La fronte di Alec si corrugò, la sua postura si irrigidì.
« Alec, per favore- »
« Ci siamo sentiti due giorni fa. E sì, le parlo perché è l’unico contatto che ho, diversamente da mia madre, » continuò non lasciando parlare Magnus, il quale decise di rimanere zitto « secondo quale logica tu dovresti fidarti dei tuoi amici e io non della mia famiglia? » il suo tono era sfumato, intaccato.
« Alec... »
Ma l’altro non lo ascoltava già più.
« Non avrei fatto quello che ho fatto se non mi fossi fidato di loro. È anche grazie a loro se l’ho fatto. Isabelle mi ha visto felice, » Magnus fu preso in pieno, mentre si avvicinava di nuovo e Alec scansava il suo tocco, rivoltato « per una volta, potevo ritenermi fortunato. Mia madre le ha detto che avrebbe accettato anche una cosa meno plateale pur di vedermi così! E l’ho fatto, per te. Prima che per me, l’ho fatto per te. E forse ho sbagliato, ho sbagliato a credere di poter esserti d'aiuto... » deglutì mormorando piano quelle parole. Mentre si girò per afferrare la giacca, Magnus provò di nuovo a farsi guardare in faccia « No, Magnus ho bisogno di uscire da qui » mormorò distaccato e uscì dalla porta, senza nemmeno chiuderla. Magnus rimase in sospeso, chiudendo gli occhi e sospirando stancamente.







Magnus corse al piano di sotto, circa un’ora più tardi.
Pensò di essersi logorato abbastanza col pensiero ingombrante e stupido di come avesse lasciato andare Alec.
Era assurdo il modo in cui si era creata quella nube improvvisa tra di loro, eppure le cose erano andate benissimo durante tutto il giorno. Quella maledetta locandina, pensò, non mi è mai piaciuta la nostra stessa pubblicità , figuriamoci una richiesta di ricompensa da parte di un essere così ripugnante, si ripeté.
Valeva tremila sterline, come oggetto o come persona? Sospirò stancamente, mentre si massaggiava le tempie con le dita della mano destra.
Si chiese perché mai stesse perdendo ancora tempo e percorse ad ampie falcate le scale. Ogni passo gli alleggerì la mente, portando ogni cosa lì dentro ad acquistare una vibrazione diversa.
Dalle piccole finestre dell'ingresso, già con i tavolini in legno pronti per la cena, con candele accolte dentro piccole bocce di vetro, ognuna con un nastrino legato attorno di diverso colore per ognuno dei posti a sedere. L'immagine sarebbe parsa calda, ma era solo apparenza, per via del blu notturno che si affacciava misterioso e cupo fuori.
Si fermò ad osservare solo le lunghe luci fuori dalla casa, illuminavano con barlumi sprazzi di terreno intorno, creando una certa aria di curiosità.
Cambiò poi direzione e si affacciò al bancone in legno al centro dell'ingresso.
Magnus chiamò la custode, più di una volta.
« Caroline » disse la prima cortesemente. I piedi ticchettavano sulla pavimentazione, in attesa. Guardandosi ancora intorno, riprovò alzando la voce questa volta. «CAROLINE!»
Quando la chiamò con più impeto la terza volta, decise di lasciar perdere e di cercare Alec da sé.
Poteva anche essere nella sala successiva, adibita alla padrona o a quella vicino i bagni di servizio.
Controllò, ma trovò soltanto altra gente intenta a parlottare tra loro e uscire alcuni dai servizi. Ritornando all'ingresso, si diresse verso la porta e tirandola verso di sé, la maniglia gelida. Uscì fuori, il buio lo colpì subito.
Non essendoci molta luce in quel manto verde, ma solo qualche lampione che dava sulla stradina su cui si affacciava la pensione, l'erba somigliava più a un tappeto grigiastro. La brezza lo colpì, ricordandosi di aver dimenticato il copri spalle in camera.
Guardò e vicino una delle finestre all’ altezza della cucina, ci trovò Alec.
Sospirò e si avvicinò sollevato.
« Alec... » sussurrò nella sua direzione. L’immagine da prima sgranata, si aggiustò dando forma alla figura distesa con le gambe divaricate, la testa appoggiata al muro della facciata. Magnus sgranò gli occhi appena notò cosa portava alla mano destra: una bottiglia di vino dal tappo svitato, portava dentro ancora del liquido scintillante mentre oscillava. « Dio mio » mormorò dispiaciuto senza cambiare il tono.
Alec si voltò verso l’ altro, un sorriso amaro sembrò dipingersi su quello.
« Magnus... » la voce di Alec era pregna di confusione, brilla e sfocata. Gli occhi quasi tristi.
Magnus si trovava di fronte a lui, gli si accovacciò piano vicino.
« Mi dispiace, scusami » pronunciò senza timore mentre lo sguardo di quello si trasformava in ascolto « Non avrei dovuto dubitare di ciò che hai detto. Avrei dovuto fidarmi, così come ho fatto fino ad adesso, » esitò piano, la sua mano raggiunse il braccio di Alec « so solo che mi sono trovato spiazzato, Alec. Non pensavo più una cosa così potesse accadere ed è stato abbastanza da incosciente. Quell’uomo è irrecuperabile e se ho pensato si arrestasse per un momento, mi si è annebbiato il cervello. Non è stato giusto da parte mia, » lo guardò sinceramente e raggiunse la sua mano e sfilò via la bottiglia da quella « mi fido di te. E se mi dici che la tua famiglia non c’entra, io ti credo » sussurrò dolcemente. Afferrò saldamente la bottiglia e poi porse il palmo aperto della mano ad Alec. L’altro guardò prima lui e poi fissò il liquido rossastro e nero del vino. Magnus seguì i suoi occhi.
« Hai finito quasi un’intera bottiglia di vino?! » chiese incredulo e la voce gli si alzò in stupore.
« Quando sono sceso, ho chiesto a Caroline se aveva qualcosa... qualcosa di forte in dispensa, non mi sentivo di mangiare e poi non volevo ritornare di sopra » spiegò Alec strascicando qualche parola, la vacuità nello sguardo in lontananza « me l’ha data e ha detto che non la avrebbe messa sul conto… e p-poi avevo sete. »
« Bene, » replicò Magnus « se hai finito di consolarti, entriamo dentro » afferrò la sua mano e lo fece alzare in piedi.

**

« Non stavo facendo niente di male » biascicò stancamente « credevo non mi sarebbe successo niente... e poi sto bene! » si indicò con un dito e sembrò barcollare senza tener conto dei suoi piedi sul terreno. Magnus lo tenne fermo come meglio poté, era evidente che ciò che aveva bevuto gli stava già salendo alla testa.
« Sì, stai benissimo » brontolò mentre si portava un suo braccio attorno alla spalla per sorreggerlo meglio « Così bene che non riesci nemmeno a mettere un piede davanti all’altro » scherzò più sofficemente questa volta.
« È stata solo una bottiglia » grugnì giustificandosi Alec, gesticolò con la mano libera.
« In questo momento somigli tanto a una persona che conoscevo e che non ho voglia di ricordare »
Alec lo guardò interrogativo, mentre si muovevano di poco.
« Chi? »
« Nessuno » si affrettò a dire Magnus, mordendosi la lingua per aver tirato fuori quella cosa in quel momento. Portare Alec ubriaco e barcollante era una cosa, parlare di uno dei suo ex, un’altra. Di certo non era il modo di passare inosservati senza riscuotere curiosità.
Alec lo fissò, temendo di cadergli addosso, ma si sforzò di rimanere quanto meno fermo.
« Niente più segreti, ricordi? » quelle pupille dense vagarono in quelle castane del ragazzo.
Magnus annuì mentre si costringeva a sostenere di nuovo l’altro.
« Un ragazzo di nome Jeremiah » fu sbrigativo.
Alec assunse una smorfia: sembrava più adorabile in quello stato di semi incoscienza, perché le labbra si incurvarono e le sopracciglia si strinsero in curiosità. Forse non gli aveva poi fatto male starsene un po’ per sé, pensò, ma addirittura bere... perché l’ho lasciato bere?
« Una delle tue tante conquiste? » glielo chiese più perché era su di giri più che per curiosità e mentre lo faceva rise, la voce risultò impastata dall’alcool e le fossette evidenti lo facevano sembrare simile a un bambino.
« È lusinghiero chiamarla così, » ridacchiò Magnus e sospirò amaramente « ma no, niente di più lontano » e dicendo così, cominciarono a camminare verso l’entrata.
« Jeremiah » mormorò Alec. Magnus aprì la porta abbastanza da permettere ad entrambi di entrare « Non ricordo di averlo visto nella compagnia » se non fosse stato ubriaco, Magnus lo avrebbe sicuramente colpito da qualche parte, senza fargli male - ovviamente.
« Dobbiamo salire sopra, » disse una volta che furono dentro e puntò le scale « Vedrò se Caroline, dopo che avrò messo seriamente in dubbio i suoi metodi per accogliere gli ospiti – ammesso che riesca a trovarla sveglia - può darti qualcosa per... per la sbornia » sospirò e si intenerì quando Alec si imbronciò proprio perché aveva cambiato argomento.





**



Magnus tornò in camera con un bicchiere pieno, in cui un liquido ambrato galleggiava e un cestino con dentro della frutta. Abilmente chiuse la porta dietro di sé con un movimento rapido di bacino e si avvicinò alla figura accovacciata sul letto.
La figura in questione stava cercando di togliersi la maglia, senza però riuscire nell'impresa.
Ridacchiò di gusto, posò il cestino sul piccolo comodino affianco al letto e fermò l'ingarbuglio che stava creando Alec.
« Fermo, fermo » la voce ancora presa dall'immagine, gli riabbassò la maglia sul petto e gli porse il bicchiere « prima bevi questo »
Alec fissò il bicchiere con grande interesse, i suoi occhi erano così vividi, come se ci fosse dell'acqua che ondeggiava all'interno.
« Che cos'è esattamente? » farfugliò.
« È acqua tiepida con un po' di miele, un cucchiaio di succo di limone, sale e bicarbonato »
Alec grugnì in risposta. « Alexander Lightwood, » pronunciò il suo nome intero « ti aiuterà a sentir meno che la stanza giri, poi, se ti andrà qualcosa da mangiare, Caroline mi ha detto che la frutta è utile per le sbronze »
« Non potrei mangiare prima la frutta e poi bere quest'intruglio? » Alec impastò le parole.
« Mi dispiace, ma non credo avrà lo stesso effetto così » strizzando gli occhi, Alec si portò il bicchiere alla bocca controvoglia e bevve il suo contenuto. Consumò quel miscuglio tutto d’un fiato. Appena quello fu vuoto, Magnus incuriosito lo prese e esaminò l’aspetto della cavia o del paziente davanti a sé. « Uh, meglio degli sciroppi per la tosse » tossicchiò e rabbrividì leggermente con una smorfia di disgusto.
« Credo dovrai aspettare un po’ di tempo prima che faccia effetto » lo avvertì, vedendo l’oscurità dell’altra parte della stanza invaderlo.


« Ti senti meglio? » chiese dopo una decina di minuti, seduto questa volta sulla trama del letto, privo di scarpe.
« Mi sento meno stordito, questo è certo » mormorò, portandosi una palmo aperto sulla fronte. « Sei arrabbiato? » Magnus si sedette al bordo del letto, la luce dell’unica abat-jour rendeva la loro parte sia in ombra che in luce. Due righe creavano due ombre all’altezza del naso e della bocca di Magnus. « No, non lo sono » fu onesto, abbozzò un sorriso, la mano si allungò verso Alec indicandogli il bicchiere, l’altro lo vide poco convinto. « Caroline ha percepito qualcosa di strano, per questo ti ha dato la bottiglia senza esitare, mi ha chiesto se fosse successo qualcosa » si morse il palato. Alec si mise seduto, non senza difficoltà e trovò l’equilibrio solo grazie alla mano di Magnus che si poggiò sulla sua spalla. Alec prese il bicchiere ormai vuoto e preferì guardarci dentro. « È stato stupido, bere così, » sospirò « ma non volevo capirci niente, » si girò verso Magnus « volevo dimenticarmi per qualche ora dove mi trovassi » ammise. « Non ti piace stare qui? » « No, non per quello. Ho rivissuto qualcosa di simile alle sfuriate dei miei genitori in qualche modo, » osservò il bicchiere vuoto tra le sue mani, il miele che in minoranza era rimasto appiccicato sul fondo « credo che mi sia fatto prendere, tutto qui »Magnus accanto a lui annuì piano, dandosi del tempo per capire cosa dire.
Alec poggiò il bicchiere sul pavimento e finalmente si sfilò la maglia, si alzò camminando lentamente per depositarla su una sedia più vicina.
« Alexander, » fu distratto dalla sua voce e si irrigidì « sei stato stupido, questo è vero, ma non sarà il primo dei litigi e nemmeno l'ultimo »
« Lo so »

Magnus si alzò e lo sfiorò, la mano che si posava sulla spalla, mentre cercava di capire un po' di più « So che è normale, ma è riaffiorato comunque il ricordo, » le sue mani erano attaccate allo schienale della sedia, « ma la cosa che più mi turba è affiancarlo al nostro » Magnus poggiò il suo viso nell'incavo del suo collo e ci lasciò un bacio umido e veloce.
« Non siamo gli errori di chi ci cresce. Siamo i nostri, di errori, Alexander » sussurrò nostalgico « non vederlo come tale, cerca di vederla per te come una scusa per capire quanto non ti piace bere » rise piano, ma Alec si girò sorridendogli poco per quel che gli permetteva l'umore.






« Prima hai detto che ti ricordavo Jeremiah, » chiese all'improvviso « perché? Se posso saperlo, è solo curiosità » il suo tono era quasi atono, senza spessore. Magnus si ritrovò a circondare con le sue braccia la vita dell'altro, mentre respirava e parlava contro la sua pelle. Gli raccontò di come aveva preso solo lui per seria quella relazione, gli raccontò di quanto entrambi si era illuso, che tra lui e il funambolista, potesse funzionare.
« Jeremiah è stata una delle mie esperienze,» si focalizzò su ciò che vedeva davanti a sé, oltre i capelli neri di Alec, c'era un dipinto raffigurante un lago immerso nella vegetazione, con al di sopra un ponte in pietra, il tutto incorniciato dal legno come bordo « lavoravamo insieme, nella compagnia. Insieme, almeno era iniziata perché io avevo fatto il primo passo, » spiegò attentamente « sarebbe dovuto rimanere pochi mesi e invece durò per due anni, era bravo. Mentre io mi arrampicavo, lui volteggiava sul trapezio. Un gran bel ragazzo, nulla da ridire su questo, » rise amaramente « ma Jeremiah amava bere. E con il bere, amava anche mentire. È così che lo scoprì: diceva di essere confuso sulla sua sessualità, « la nascondeva, tanto che nessuno seppe di noi i primi mesi. Si vergognava credo più di noi, che di se stesso. Era, all'apparenza molto sicuro, ma quando eravamo soli... poco importava chi si trovava intorno a lui, quello che voleva non raggiungeva mai la sua soddisfazione. Ho sofferto, mi tiravo dietro una relazione che non arrivava a scorgere la luce del sole »
Alec non lo aveva interrotto, né detto una parola, si era soltanto voltato a guardarlo mentre il suo corpo piano si girava e Magnus trovava la sua testa contro il suo petto.
« Non ricordo ancora come, ma ero riuscito a farlo uscire fuori dal suo guscio, dopo all'incirca un anno o giù di lì, » la sua voce sfumò di nostalgia « ed andava tutto bene. Tranne forse, per quanto ero ingenuo all'epoca. I miei vent'anni non erano ancora segno di maturità, » deglutì, ancora colpito dalla potenza del ricordo « veniva a trovarmi la sera, mi supplicava, ma sapevo, che aveva bevuto più del solito. Mi aveva rifilato tante storie sull'accettazione, di come aveva paura di se stesso, » sbuffò « così tante. Due mesi dopo partì: aveva ricevuto un contratto di quattro anni da prolungare all'estero e non lo rividi più. » Alec accarezzò piano la sua schiena, disegnando linee immaginarie, l’indice che si muoveva lentamente « Quando dico che mi ha ricordato te, è perché lo trovavo spesso buttato in qualche angolo della roulotte, a vedere come unica uscita dal suo orientamento l'alcool, » giustificò « non che tu ne sia dipendente come lo era lui, » si specchiò nelle pozze liquefatte di Alec, alto di poco rispetto a lui e illuminato dalla fievole luce delle abat-jour « ma non vuol dire che i problemi vadano risolti così »
« Lo amavi? » mormorò, lo sguardo finalmente rilassato.
« Sì, anche troppo, » sentì la mano che gli carezzava una guancia, chiuse gli occhi al tocco « tanto da mettermi quasi in ombra, ma è stato tempo fa »
« Non berrò più se proprio non lo vorrò. Non lo farò per scappare, Magnus. Mi sento già uno schifo così, » riecco la smorfia « non ho intenzione di bere di nuovo quella roba »
Magnus ridacchiò leggermente e gli diede un buffetto sulla spalla.
« Te lo prometto » sussurrò, baciandolo.
Magnus si inebriò del contatto leggero, che durò appena qualche secondo. Quando si staccarono, Alec tenendolo ancora sott'occhio, ne studiò l'espressione. La camera si riempì del silenzio, il rumore del vento udibile dalla finestra aperta.
« Ci pensi, ogni tanto? Se avrebbero funzionato le cose tra voi due, intendo » disse Alec.
« Sì e no, non me lo sono più chiesto da un po' e non ho intenzione di ritornarci. Sono andato avanti » annunciò.
« Quindi sarei la sua versione, ma migliore? » abbozzò, arricciando il naso.
« Non sei la sua versione Alexander, non potreste essere più diversi, Jeremiah era piacevole, ma si fingeva sicuro solo all’esterno. In realtà non si è mai accettato fino in fondo e poi… ha sempre trovato interesse solo nel fare successo » chiarì, mentre rievocava l’immagine di quel biondino sulla fune « Non ha niente a che fare con te, » elencò mentre l’altro si faceva sempre più curioso « tu hai molte qualità che ti fanno onore » Alec allora se lo avvicinò di poco, lesse tutto ciò che voleva sapere come resto: lo baciò avidamente, contento di essersi sciacquato la bocca da quell’intruglio più di una volta, sentendo l’altro rilassarsi e rispondere ai suoi movimenti. Le mani si mossero in cerca degli indumenti da sfilare, le bocche si staccarono e cominciarono ad arrossarsi e gonfiarsi. Alec era già sopra di lui quando sussurrò al suo orecchio.
« Ti amo Magnus »
Il vento soffiava e riempiva la stanza, la coperta era sollevata e copriva contro la brezza pungente di novembre.
« Credi che riuscirà nel suo intento? » Distesi sotto le coperte, le mani aperte sul petto di Alec, mentre respirava quel profumo di sapone e sudore, anche una punta di menta, data forse dal dentifricio che aveva usato poco prima dopo essersi lavato i denti. « Ce ne andremo, se arriverà qui, » la mano grande si posò a coppa sulla sua guancia « troveremo un altro posto » « No… no, che venga pure… non mi muoverò da qui, » Se doveva entrare, che lo facesse pure. Non sarebbe stato solo, erano pur sempre in un luogo abitato, tutto avrebbe creato scandalo se non interesse nella zona, Magnus si rinforzò « E’ un luogo pubblico… non oserà toccarmi, sarebbe un passo falso. Sa in fondo che non può rischiare così tanto » Alec annuì, poco convinto. « Ma sarà più facile per lui » puntualizzò. « Chiunque abbia parlato, avrà avuto le sue ragioni, » mormorò mentre gli accarezzava piano la nuca, più saldo di come si era rovinata la giornata « non ho intenzione di farmi prendere dallo sconforto. Venga pure, non sono solo qui » Venne guardato fiero, il modo in cui si dimostrava in casi come quelli: prima aveva saputo della violenza e lo aveva portato via, ora pensava di non nascondersi e affrontare quell’uomo in uno scontro aperto. Questa volta però, Alec sarebbe stato lì.
« Allora non ci riuscirà »
Magnus si sentì più sereno, contro il corpo caldo di Alec, disteso con solo i rumori provenienti dalla finestra, incurante di non aver cenato, pensando che quando lo avrebbe rivisto, lo avrebbe messo al suo posto. La conseguenza sarebbe stata salata, peggiore di quella che era toccata a lui.

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Capitolo 18
*** La resa dei conti. ***


L'immagine buia gli arrivò come un antro senza finestre, senza porte.
Riconobbe solo uno spiraglio colorato sopra di sé, i cui spicchi giravano su se stessi come se questo, fosse una girandola in continuo movimento. Non si accorse di stare correndo, senza precipitarsi a capire perché fosse da solo, perché Alec non fosse con lui. Stava correndo, non avvertendo nemmeno il minimo sforzo o contrazione, le gambe però sembravano assumere i brividi tipici della pelle d'oca. Eppure non c'erano finestre a parte lo spiraglio, il quale cominciò a diventare sempre più piccolo man mano che si allontanava da lì.
Ma da lì, dove esattamente?
Magnus correva senza avvertire un uscita, il respiro gli si accorciò come una miccia che si affievoliva al solo tremolio del fiato.
Davanti a sé apparì la figura dell'ultima persona desiderasse vedere.
Quella sorrise come un diavolo liberato dal suo castigo e cominciò ad avanzare. Magnus si girò correndo in senso opposto, dalla direzione da cui era venuto, senza perdere tempo.
Solo un rombo, era un lampo. Poi un altro.
Vide in lontananza il bagliore spegnersi e poi riaccendersi. La scossa luminosa, apparve dallo spiraglio di nuovo sopra la sua testa.
Il boato naturale e per quanto curioso però non lo distolse dal suo obiettivo: correre via.
Le gambe cominciarono a cedere, mentre Magnus cambiava direzione, trovandosi circondato di porte tutte serrate, tranne un buco scavato nel muro in quello strano posto buio.
S'intrufolò dentro, accovacciandosi a terra. Il respiro prese normalmente il suo corso nei polmoni.
Si sollevò che il suo sistema funzionasse ancora, visto le palpitazioni avute durante la corsa.
Magnus serrò gli occhi, volendo materializzare l'unica ancora che in quel momento necessitava. L'immagine cominciò a costruirsi nella sua mente, quando, una mano lo afferrò dalla maglia e il sorriso del capo circo brillò nel buio.

Individuò del sangue cadere a terra, gocciolava dal suo braccio, se lo strinse mentre degli occhi di ghiaccio gli graffiavano dentro.

Magnus urlò.

Le coperte si tirarono su con lui, il suo corpo si sollevò, le mani sul materasso e la testa indietro. La figura affianco a lui si mise di fronte a lui, un groviglio di ciuffi e nero.
 

« Magnus, che succede? » lo guardò, gli occhi in preoccupazione e ancora semi chiusi. Magnus quasi sembrò assicurarsi che l'altro fosse davvero affianco a lui, perché gli toccò due volte la mani e si tranquillizzò un po'.
« Era... è stato un incubo » mormorò, portandosi una mano a stropicciarsi gli occhi.
Alec lo osservò bene, annuiva.
« Hai sognato...? »
« Sì » rispose Magnus senza lasciarlo nemmeno finire.
Alec gli lasciò un bacio sulla fronte, avvicinandolo leggermente.
« È solo la tua immaginazione, lui non è qui »  fu protettivo e premuroso il modo in cui parlò che Magnus sembrò riprendersi molto prima.
« Lo so » sussurrò.
Alec pensò a quanto dovesse essere difficile pensare positivo in quel momento. Erano lì da tre giorni ormai e non sapeva fino a quanto ci sarebbero rimasti. Di una cosa era sicuro: mai avrebbe permesso che quell'uomo si fosse riavvicinato a Magnus, era l'ultima cosa che doveva accadere. Lo guardò, mentre osservava i suoi occhi riprendersi il colore intenso e scuro che amava.
« Che ne dici di uscire un po'? »
Magnus assunse una piccola smorfia.
« E dove andiamo questa volta? »
Alec guardò in giro per la stanza, poi posò i suoi occhi sulla sua valigia.
« Potremo andare un po' in città, comprare qualcosa, mangiare fuori » propose.
« Mmh » mormorò baciandolo sulla bocca « comprare e mangiare, adoro questi due verbi »
Alec rise dentro il bacio, portandolo a fiondarcisi contro.
« Sei riuscito a dormire stanotte? » gli chiese poi, scompigliandogli ancora di più i capelli morbidi e corvini.
« Sì, ma mi sono addormentato tardi »
« Non riuscivi a prendere sonno? »
« No, ho contemplato un po' l'arte »
Magnus corrugò la fronte, confuso, avvolse le sue braccia attorno al collo di Alec.
« Ti sei rimesso a leggere? Non capisco »
« No, molto meglio, » sussurrò, gli baciò una spalla e risalì fino alla guancia « Ho contemplato te, mentre dormivi » si beccò un occhiata tra il lusingato occhi che invece roteavano mentre si alzava per andarsi a fare una doccia.


 

  **

 

 

Erano in quella pensione da cinque giorni. Il cielo che circondava l'edificio era grigio e cupo, la pioggia era piombata a svegliarli di nuovo - entrambi assopitisi di nuovo - con il suo rumore dentro le orecchie e il suo odore di erba e di abete. Vicino alla pensione erano presenti altre case, di cui qualche pianta o qualche giardino esibiva chiome curate e rigogliose. Dalle finestre dell'area adibita ai pasti, si percepiva che da lì a poco si sarebbe buttato sicuramente qualche tuono o che comunque, il tempo sarebbe peggiorato. Caroline li accolse con un saluto, apparendo in tenuta altrettanto dettagliata. Quella mattina portava una veste rosa antico allacciata alla vita che le disegnava le forme in maniera graziosa, ai piedi portava delle scarpe comode e la sua testa era fasciata da un piccolo nastro. I suoi occhi azzurri colpivano maggiormente perché non si era ancora passata neanche un filo di ombretto.  Scesi al piano di sotto, presero posto al solito tavolino e meditando, rivolgevano entrambi lo sguardo al cielo incorniciato dalla finestra legnosa, battuta dall'acqua. L'aria terrosa e lo spirito vago.
« Sei triste per via del tempo?»
L'altro si girò a guardarlo, evidentemente stravolto per tanti di quei pensieri che gli passavano per la testa.
« No, non proprio » Magnus sospirò, una mano accarezzò le piccole orchidee dentro al vaso poggiato al centro della tavola « non mi piace però l'idea di rimanere bloccato qui »
Alec annuì, mentre Caroline si presentò con alcuni strumenti utili per la colazione: coltelli accompagnati da burro e marmellata, tovagliolini e una zuccheriera.
« Ragazzi, che lo vogliate o no, oggi si prevede una giornataccia » affermò con fare esperto la custode, che sorrise cordialmente ad entrambi.
« Spero vada tutto bene » continuò dopo, osservandoli accuratamente.
« Tutto bene Caroline, » rispose Alec mentre la aiutava a posare le cose « non c'è fretta stamattina davvero, » la guardò trovandola incuriosita « non dobbiamo uscire, non è vero Magnus? » chiese aiuto all'altro, vedendolo molto distante in quel momento. Nonostante quello però rispose, rivolgendo un accenno alla custode. Caroline allora annuì e ritornò in cucina.
« Magnus, » sussurrò Alec, sfiorò le dita che toccavano un petalo del fiore « stai ancora pensando al volantino?»
Magnus si lasciò catturare dalla pelle di Alec e smise di torturare il povero vegetale.
« Vorrei smettere, ma non ci riesco, ho come il presentimento che non possa rilassarmi... » replicò, il tono amaro, Alec stava per parlare ma lui lo fermò « e no, non intendo andarmene. Non ancora. »
Alec gli prese la mano, l'altro la intreccio di conseguenza.
« So che non posso farti cambiare idea, » disse riluttante « sei irremovibile su questo, ma vorrei che non pensassi al peggio » chiarì.
« Ci provo, non posso dire che ci riuscirò... » sorrise leggermente, mentre la voce si confondeva con la pioggia fuori, l'orologio sopra il bancone in cui Caroline accoglieva i nuovi ospiti che segnava a malapena le dieci.
Alec annuì e si portò le loro mani intrecciate alla bocca, baciandole.
Caroline se la prese comoda, così come i due gli avevano suggerito, mentre l'aria fuori si accumulava di nuvoloni densi. Non pioveva più eppure sembrava che il cielo non avesse completamente finito di scatenarsi sul suolo quella giornata.
Il rumore di qualcosa si levò per la strada, forse un furgone o un grande autoveicolo a più ruote. Magnus e Alec non si scomposero, però quello aveva distratto la custode, la quale si pulì subito le mani su un grembiule che si trovava addosso (forse perché si trovava già all'opera per la colazione) e facendo un cenno a Magnus e Alec, si era affrettata alla porta.
« Faccio subito ragazzi, » disse sbrigativa « saranno sicuramente i signori per le consegne oppure il postino con qualche bolletta da pagare » e si congedò uscendo fuori. 

 


 

Passarono dei minuti, Alec si ritrovò stranamente a controllare le lancette dell'orologio appeso alla parete, proprio di fronte al servizio di posate, brocche, bicchieri, roba appena sfornata dalla cucina e dei cestini con dentro marmellate. Caroline era fuori da quasi mezz'ora e la cosa che lo lasciava più sorpreso era che non avesse chiesto aiuto. Che strano, pensò.
Magnus sembrò leggerlo nel pensiero.
« Pensi che sia successo qualcosa...? » Magnus era visibilmente stranito, contando che, la custode se avesse dovuto portare qualche pacco o ritirare.
« Non andiamo nel panico, » mormorò mentre sfilacciava il suo pane tostato « potrebbe aver ricevuto qualcosa di pesante e magari non lo sappiamo »
Alec annuì distrattamente.
Della semplice posta avrebbe quanto meno impiegato meno tempo, ma qualcosa non quadrava.                                                         « È strano che ci metta tanto per delle consegne, » ticchettò sul tavolo « e poi con questo tempo non si può mai sapere, » mostrò uno sguardo tra il preoccupato e il confuso « forse è meglio andare a vedere » e si alzò dalla sedia, lo striidio che emise a contatto col pavimento in legno si percepì all'istante.
Magnus restò fermo, annuì soltanto mentre vedeva l'altro avviarsi alla porta.
Proprio quando Alec afferrò la maniglia, quella si aprì rivelando una Candace dal volto più bianco cupo e decisamente spento rispetto al suo umore giornaliero. La donna chiuse la porta dietro le sue spalle e lanciò uno sguardo a Magnus, lo incatenò ai suoi occhi chiarissimi.
Alec non mancò a notarlo.
« Caroline, cos'è successo? » guardò lei e poi Magnus, il quale guardò prima lei e poi lui.
Caroline sospirò pesantemente e frugò nella tasca del grembiule e ne uscì un pezzo di carta stropicciato e bagnato, quasi zuppo.
Magnus si alzò dalla sedia lentamente, Alec lo teneva già in mano.
Il pezzo di carta era rosso, una scritta, l'immagine di una sagoma di profilo. Alec deglutì visibilmente, Magnus invece non emise un fiato.
« C'è un signore qui fuori, » spiegò Caroline lentamente, e studiando le espressioni di entrambi « ha chiesto di un certo Magnus Bane, un circense. Mi ha detto che è stato catturato o comunque preso in ostaggio, » la donna si agganciò allo sguardo deciso dell'interessato «  ha chiesto se ne sapessi qualcosa o se lo avessi visto qui intorno...ha detto che mi avrebbe ripagato se gli avessi saputo dare notizia. » Caroline si passò un  capello scomposto dietro l'orecchio « Ho risposto di no, che non sapevo nulla né della ricerca né della ricompensa in palio... ha una faccia terribile, quell'uomo...» mormorò incupita, si fermò e guardò dritta negli occhi Magnus. « Non sei in ostaggio e non sei nemmeno stato catturato. »
« No » replicò Magnus sincero.
La donna annuì, prima che potesse chiedere altro, lui parlò « Sono stato io a scappare via, via da lui » continuò mentre l'altra stava ancora ancorata alla porta, le spalle leggermente curve « e non ha una bella faccia perché in realtà è un mostro, ecco cos'è, è ora della resa dei conti » sputò fuori.
Alec osservò dalla finestra che dava direttamente sulla strada, all'altezza dei servizi: un furgone bianco e dai vetri appannati, era fermo a pochi metri dalla pensione e al volante non c'era nessuno.
« È ancora qui fuori, non se ne andrà. Sarà meglio evitare di farci vedere » Alec prese il pezzetto di carta e lo stracciò completamente, poi lo buttò dentro il camino acceso poco in fondo alla loro zona.
« Non ho nessun problema a non farlo entrare o ad aiutarvi, » Caroline si armò di coraggio e determinazione, i pugni serrati « ho sentito dal primo istante che quell'uomo mi stesse mentendo... »
« E non fa solo quello, vedesse la mia schiena » ad Alec si raggelò il sangue per il modo in cui lo disse, in aria potente e priva di sentimento.
Conosceva molto bene quei segni sulla pelle dell'altro, ma le amava con ogni parte di se stesso, perché erano il segno della sua continua battaglia.
Caroline si portò una mano alla bocca e si affrettò a cercare la chiave, andando al bancone.
« No, non fermi nulla, non mi nasconderò ancora, » disse Magnus in modo più forte « è ora che affronti la mia paura »
Alec lo fermò per un braccio mentre quello si girava.
« Magnus, cos'hai intenzione di fare? » la sua voce risultò fin troppo seria e prepotente.
Magnus si limitò a guardarlo mentre sentiva la bile salirgli in gola.
Quell'uomo non meritava di averla vinta, così come non meritava la gloria, il successo, la stima. Niente di tutto quello era per lui. Non lo sarebbe stato, lui non lo avrebbe permesso ancora.
« Di uscire e farmi vedere, » si impuntò determinato « è una zona frequentata, non potrà farmi niente. »
« Almeno lasciami venire con te » non supplicò, ma lo disse con così tanta premura che Magnus sembrò ricordarsi per qualche secondo che esisteva anche qualcuno che non gli avvelenasse il pensiero.
Gli sembrava ancora presto, come quando erano stati svegliati dalla pioggia, avvolti ancora dalle lenzuola, mentre Alec gli leggeva qualche passo dell'Iliade che aveva comprato in uno dei tanti mercatini.  Il rumore fitto dell'acqua che accompagnava l'altro mentre leggeva e lui lo ascoltava, aveva annullato ogni cosa. In realtà non era il tempo ad averlo messo di malumore, ma una sensazione strana appena Caroline aveva piede fuori.
Il passo che gli aveva letto e tradotto a tratti, ancora tra il caldo delle coperte, riguardava il principe di Ftia e di un ragazzo di nome Patroclo.
Magnus ricordava di come avesse azzeccato minimamente qualche parola in latino, per la vaga e decisa memoria ed esclusione con le altre e lo sguardo soddisfatto dell'altro.
Forse fu solo quel pensiero tranquillo che era svanito così presto che lo invase e lo portò ad andare avanti in tutto quello.
Magnus annuì deciso verso Alec e l'altro allora fece un unico cenno alla donna al bancone che li guardava preoccupata e confusa, le chiavi tintinnanti finalmente trovare alla mano.
La custode sembrò immobilizzarsi, lasciando solo che quello strumento in ottone parlasse.
« Ci auguri buona fortuna » e detto così, Alec seguì dietro Magnus, che oltrepassava la porta.

 


 

 

« Bene, eccoli qui, » la schiena di Sanders era contro il piccolo furgone parcheggiato proprio davanti il la pensione « possiamo finire qui, questa storia? »
Magnus si piazzò leggermente più avanti, le braccia conserte e il viso duro. L’acqua gli cadeva come una qualche specie di incantesimo, che non gli permetteva nemmeno di avvertirla. Studiava quell'uomo, intento a fumare un mozzicone di sigaretta, le spire di fumo che salivano rapide, simili a frustate nell'aria.
« Non penso sarà finita, almeno fino a quando non la finirai di minacciarmi » tagliò affilato.
Sanders lo guardò accigliato, il mento si sollevò e i capelli completamente sciolti, e ricadenti sul viso, lo fecero sembrare molto più vecchio. I suoi occhi però, erano ghiaccio puro, impenetrabile.
« Andiamo, » la buttò lì, ispirò un'altra boccata di tabacco « non hai più un lavoro, non hai più gli applausi, » ridacchiò perfido « ti rimane solo quel moccioso » si passò la lingua sulle labbra beffardo.
Alec si mosse, ma Magnus lo fermò con un braccio.
« Ci sono, posso farcela, » mormorò guardandolo « sta tranquillo »
L'altro annuì, comunque preoccupato.  « Lui si chiama Alec! » alzò la voce, allargando le braccia « ed è migliore di quanto potresti mai esserlo tu. Né oggi, né domani, » prese tutto il coraggio che possedeva « mi pentirò di essermene andato. Quello, era sfruttamento, » affilò la lingua « non lavoro. Hai trasformato la passione di tante persone, in un obbligo, alla fatica continua. Hai ridotto me, » deglutì, preso da tutto quello che stava uscendo fuori dai suoi pensieri, dandogli la forma delle parole di quei sei mesi, intrappolate dentro « nel tuo misero burattino, ma non lo sarò più. Non sarò più niente per te! Non lo sono mai stato a prescindere » concluse.
Sanders lo scrutò attentamente, buttò il resto della sua sigaretta e la schiacciò con un piede. Con un gesto, si ravvivò i capelli e aprendo l'altro sportello del veicolo, ne costrinse a uscire fuori un'altra figura. Questa, si ribellò allo strattone che ricevette, che quasi urlò. Venbe trascinata fuori dal furgone: aveva un livido lungo il viso e un graffio sul collo, il quale era scoperto, per via di una maglia con un collo a v.
Magnus s'impietrì e sentì la furia ribollirgli dentro, riconobbe subito l'amica.
« Candace! » gridò, la ragazza alzò lo sguardo, mentre la mano del capo circo era conficcata nel suo braccio « Sei solo un bastardo, lasciala andare! Candace! » cominciò a muoversi quasi fino a percorrere tutto il viottolo fino all'inizio della strada, ma Alec lo bloccò.
« Vedi, Magnus, le cose sono due, » elencò con una schifosa padronanza di sé l'uomo « o ritorni e dimentichiamo questa faccenda, » la sua mano libera sfiorò i capelli della ragazza, la quale serrò gli occhi spaventata « oppure non mi resterà molto da fare, se non passare un po' di tempo con la tua amica qui presente » rise. Il sangue gli pompava dentro come non mai prima d'ora, non lo sentiva così ferroso sul palato nemmeno quando si ostinava a recuperare un allenamento andato male. Nemmeno quando era Sanders stesso a picchiarlo.
« Non dev'essere molto diverso, vero? » Sanders sganciò la presa dalla ragazza, la quale cominciò a massaggiarsi la pelle, delle lacrime le rigavano il viso « Quello che farò a questa ragazza, » continuò « non sarà molto simile al trattamento usavo riservarti, sono gusti, questo è certo, » Magnus pompò la sua rabbia al suo limite « ma capisci ugualmente, no? D'altra parte, è una zoccola, » sillabò « proprio come te »                                                                                                                                                                   
Questa volta, nulla fermò Magnus, il quale si staccò dalla presa del suo ragazzo e si schiantò contro l'uomo. Alec urlò il suo nome, ma sembrò come un eco sordo che non arrivava mai.
Forse era troppo lontano, ma riprovò. La prima, la seconda, la terza volta. La sua voce si alzò angosciata, così come si alzò la paura.
Magnus riuscì a stendere l'uomo, poiché arrivò colpendolo dritto e forte sui genitali e servendosi sempre delle sue gambe, lo colpì alle costole. Gli bastò vederlo a terra, mentre cercava di rialzarsi, per controllare che Candace stesse bene. La ragazza in pieno stato di choc, singhiozzava e tremava, la bocca aperta. Venne subito aiutata da Alec, il quale annuì a Magnus senza bisogno che parlasse e non esitò a portarla velocemente dentro. La tenne per un fianco, mentre lei si faceva piccola piccola contro la sua maglia appena inzuppata. Alla della soglia dell'edificio, vide affacciata la signora Caroline. Alec non capì da quanto tempo fosse rimasta lì a guardare, ma era sicuro che avesse avuto prova che le vite che quell'uomo aveva usato e sfruttato, andassero ripagate.
« Tu, » esalò fuori in modo acido e avvelenato «  ti credi un uomo, non è così? » lo prese in giro, Magnus, godendosi la vista dall'alto. Sanders stava lentamente risalendo appoggiandosi al furgone, ma le gambe non lo accompagnarono granché. « Un uomo senza valori, non è un uomo. Ti do questa notizia, » continuò avvicinandosi al suo viso « se solo riprovi ad avvicinarti a me, finirà male, Sanders. » sussurrò, il suo sguardo era pura cenere. L'uomo però, rise anche in quell'istante, si alzò dolorante e tirò svelto un coltellino affilato dalla tasca. Il rumore dell'arma appena sguainata squarciò l'aria. Magnus saettò indietro.
Qualcuno urlò in lontananza.
La signora Caroline avvertì in quel modo Alec, mentre lei prendeva con sé la ragazza.
A quel richiamo, i suoi occhi misero subito a fuoco le due figure sgranate, sul ciglio della strada.
« Credi davvero, che mi sarei arreso così? » sibilò, puntandogli l'arma contro. Magnus indietreggiò cautamente, ma non perse la sua tempra.
« Non adesso, ma lo farai, » mormorò « perché perderai tutto, » fu come una lettura di mano, una veggenza « e non potrai farci niente, non potrai ritornare indietro sui tuoi passi »
« Che sia tardi, allora » Sanders saettò in avanti, lo sguardo pazzo « poi potrò anche andare all'inferno »
Magnus schivò ancora una volta un altro possibile colpo, mentre Sanders si muoveva in cerchio, cercando di dimenticare il dolore all'addome che gli comprimeva quasi il fiato. Era come una danza: l'avvoltoio e il leone, l'uomo e il mostro dall'altra.
Magnus vedeva quanto quello fosse stanco, ma digrignava i denti, gli occhi sembravano uscirgli fuori dalle orbite. Soltanto che il colore, il colore del ghiaccio, sembrava solo con lo sguardo sciogliere qualsiasi ghiacciaio e rendere arido tutto ciò che veniva a contatto con lui, che passava sotto la sua mano.
L'uomo di avvicinò, la lama luccicò nella sua mano, il riverbero del suo indice che sfregava contro la base in legno duro.
Per un attimo, sembrò arrestarsi tutto, in un solo atto. 
Appena realizzò cosa stava succedendo, Alec cominciò a gridare, si sentivano le sue corde vocali al limite, mentre vedeva l'altro totalmente inerme.
La mano libera di Sanders si posizionò sul cavallo dei jeans del circense, come mosso da una strana idea appena piombatagli in testa.
« Potrei farlo io, se può servire a farti ritornare »                                                                                                                           Magnus sussultò, disgustato da dove la mano di quell'essere stesse calando su di lui. In un solo gesto, allontanò la presa, che si era fatta più interna e deglutì.
Non lo aveva mai toccato così. Il solo pensiero gli fece venire il volta stomaco, sentì la bile salirgli in gola, come se avesse potuto rigettare   con quel minuscolo preavviso.
« Se ti serve un piccolo anticipo, » farfugliò con voce astuta « devi solo chiedere » concluse, i suoi capelli erano fili di paglia sudati, talmente sottili, da somigliare a delle lunghe fruste.
« Prova a farlo e ti uccido! » ringhiò Magnus.
« Perché, non è questo che vuoi? » si insinuò di nuovo su di lui, il coltellino che riposava ancora nella sua presa salda.
Il suo fiato sul collo sapeva di tabacco e di sporco, di sudicio misto a petrolio.
Quando posò le sue labbra, Magnus fu al limite massimo della sopportazione. Con una sola mano e con l'adrenalina che pompava in corpo, lo spinse forte, mentre si strofinava quella parte sporca appena sfiorata, reprimendo l'impulso di fargli di peggio in quel momento.
« Mi fai schifo » sputò fuori urlandogli contro. Il viso ricoperto di acqua, come lacrime violente e consapevoli, il maglione che quel giorno Alec gli aveva prestato completamente fradicio.                                                                                                                  Ritornarono alle basi, mentre Sanders sembrava volerselo mangiare. Rincarò la presa sul coltello e cominciò di nuovo a girare.
« È davvero un peccato, potevamo divertirci »
« Non sai niente, non significa niente per te. È solo un altro dei tuoi trucchi, sei solo marcio dentro, » lo insultò « NON AVVICINARTI! »  Il coltello lo sfiorò impercettibile, di lato, sul braccio, lasciandogli un segno netto. Un rivolo di sangue non tardò a fuoriuscire e venne bagnato dalla pioggia, mentre non gli staccava gli occhi di dosso.               
Fu un colpo solo, uno soltanto.
Sembrò infinito, ma avvenne solo una volta. Lo avvertì all'improvviso, colto del tutto impreparato.
Alec prontamente bloccò Sanders prendendolo da dietro, le braccia schiacciate contro la schiena, lo fece piegare a terra mentre Magnus afferrò l'arma e gli portò la testa all'indietro.
« Prova a venire di nuovo a cercarmi, » mormorò Magnus affannato e visibilmente pronto « e non riceverai lo stesso benvenuto! » concluse.
Dopo di che la signora Caroline si avvicinò a una distanza abbastanza ben visibile per Sanders affinché la vedesse. Distinse un oggetto con lei, aveva un telefono in mano. Il sudore gli imperlava ancora di più la fronte, in stato di apprensione.
Magnus fece segno ad Alec e contemporaneamente lo lasciarono andare.
L'uomo continuò a lanciare sguardi a tutti i presenti, fino a trovarsi a una spanna dal viso del suo dipendente.
Alec gli si piazzò davanti.
« Vattene, adesso » disse. con forza. E più Sanders insisteva a scalfire Magnus guardandolo, più Alec lo incitò truce a andarsene « Vattene » sibilò ancora.
L'uomo non potendo fare nulla, salì sul furgone, non con poche difficoltà. Il suo corpo dolorante e stancato, inserì le chiavi per accendere il quadro, si sistemò lentamente sul posto del guidatore e lanciando un ultima occhiata ai due disse:
« Non è finita, fino a quando non lo dico io » mise in moto il veicolo e partì. Magnus lo guardò in lontananza, le ruote che scomparivano lungo la strada, diventando un ricordo sempre più lontano, invisibile. E poi inesistente.
Si sentì stranamente più leggero e sicuro dentro di sé, si era risvegliato, aveva ripreso possesso della propria vita. E quello, lo aveva fatto tutto da solo.
« Non se decido io come » sospirò, Alec lo tenne stretto, la sua fronte che si poggiava sulla spalla del circense, la preoccupazione ancora presente. « Ti denuncerò, se c'è davvero giustizia, » mormorò « la farò finita con te »
Baciò la fronte al suo ragazzo e quando rialzò lo sguardo su due occhi familiari e ancora coperti dalla paura, disse:  « Metteremo un punto a questa storia, » buttò fuori l'aria, che si condensò subito « insieme »
Alec capì, annuì rapidamente, ma si limitò soltanto a portare le mani a coppa su quel viso, con le loro fronti che si toccavano, ringraziando in silenzio che non fosse successo niente.




Clodia's space: Chiedo scusa per il ritardo, ma la vita da universitaria riempie. Come avrete capito, è successo. Non poteva essere altrimenti. Le cose si sono mosse e il colore con cui  mi sono presentata stavolta, non è stato scelto a caso. Se c’è una cosa che mi sta frullando in testa al momento, è se questa storia potrebbe continuare chiusosi questo “capitolo” intero. Ovviamente è solo un pensiero, dovrei averne anche il tempo e l’occasione.

Vi lascio come io mi sono immaginata la famosa pensione dove soggiornano - al momento - i due piccioncini.
 

 

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Alla prossima volta, tesori.

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Capitolo 19
*** Il giorno che viene. ***


Il giorno dopo, la tensione era diminuita.
Candice era stata la causa della posizione di Magnus e Alec. Era stata interrogata pesantemente da Sanders e non era riuscita a rimanere in silenzio. Aveva comunicato solo le ultime notizie che Magnus le aveva dato, una lettera prima di andare, dove lui le diceva che avrebbero cambiato zona, ma sarebbero comunque rimasti in terra inglese. Dopo di che, l'uomo aveva fatto le sue ricerche e aveva capito che non potendosi allontanare troppo, i due si sarebbero sicuramente fermati per la notte in qualche ostello lungo la strada. Dopo aver verificato per due giorni, il terzo, gli fu cospicuo.
Esisteva una cittadina, dove aveva diffuso i suoi manifesti, che non aveva controllato. Gli era bastato solo un recapito telefonico e all'ennesima chiamata senza risposta, aveva deciso di mettersi in cammino.
Candice era rimasta con loro, aveva deciso di affittare una stanzetta per conto suo, ma la signora Caroline era parsa subito contraria. Alla fine aveva deciso di farla dormire con lei, nella sua stanza adiacente di poco alle cucine. La ragazza si era sdebitata con entrambi, più che altro, non sapeva in che altro modo avrebbe potuto scrollarsi di dosso quello che era recentemente successo.
Candice sapeva che avrebbe dovuto trovare un posto più tranquillo, ma Magnus la tranquillizzò. Sarebbe finito anche quello, appena si fossero mossi per la denuncia. E lei era essenziale come testimone.

« Le avevo scritto solo una piccola lettera, non era proprio una di quelle, » spiegò Magnus, mentre capivano con cosa volevano fare colazione quella mattina « volevo lasciarle qualcosa, era un messaggio in carta, alcune cose erano scritte in codice, » sospirò, mentre adocchiava un waffle con sopra dello sciroppo « ma quel bastardo la ha presa di mira »
« Magnus sta tranquillo, » si inumidì le labbra « fin quando starà qui, sarà al sicuro. E per quanto riguarda il nostro litigio, » si grattò il capo « è stato inutile, » lo guardò pieno di attenzione, premuroso « ci siamo attaccati per nulla »
Magnus sorrise un po', scosse la testa.
« Non per nulla, » lo corresse « ci siamo fortificati »
« Tu eri già forte, Magnus » gli sorrise, mentre afferrava una mela.
« Sì, ma lo avevo dimenticato, » gli diede un bacio sulla guancia, le punte dei piedi che per gioco si allungavano di poco « mi è cresciuta un'adrenalina che pensavo seppellita »
« Beh, la tua adrenalina ti ha quasi fatto uccidere » mormorò piano Alec, mentre si rigirava il frutto in mano. Magnus lo guardò teneramente, come se fosse lì lì per sciogliersi.
« Ho avuto una paura matta, » continuò, abbassando la voce, lo fissò « era così vicino e ho immaginato qualsiasi scenario »
La sua mano venne presa, baciata e stretta, un sorriso si affacciava sul viso del diretto interessato, il quale puntò adesso una serie di fritelle davanti a sé. Poi ritornò ad Alec.
« Ma non è successo »
« Non glielo avrei permesso »
Magnus afferrò il piatto e mise dentro tre frittelle, allungò la mano per il panetto di burro, lo sciroppo e dei pezzi di frutta.
« Siamo affamati oggi,huh? » cambiò discorso Alec.
« Alexander, » si sporse guardando bene la sua bocca, poi quelle pepite verdi più in algo « se potessi mangerei anche te! » esclamò, ridendo appena.
« Oh beh, » fu rapido « se la metti così »
In un attimo Alec lo tirò a sé, catturando le sue labbra, sentendosi tirare per l'attaccatura dei capelli. Magnus si inebriò del calore del suo ragazzo, di quel sapore di cui aveva sentita mancanza e con tutta la tensione che c'era stata, non era riuscito tanto a rilassarsi.
Le loro lingue si cercarono, incuranti se qualcuno avesse potuto sorprenderli.
Più si spingeva, più l'altro cercava di invadere il suo spazio, cosicchè, Alec annaspò in cerca di aria dopo un po'.
A quella vista, Magnus mosse il suo naso sull'altro come segno di vittoria e sorrise beato. Chiuse gli occhi e lo abbracciò.
Il viso di Alec si poggiava sulla sua spalla, ma lasciava solo intravedere la massa di capelli ribelli data l'altezza.
Ebbe l'istinto di sussurrargli qualcosa, ma evitò, era così bello essere stretti da qualcuno che non avesse mal intenzioni o voglia di predominare. In più le mani di Alec, grandi e protettive lungo la sua schiena, fecero sentire Magnus sollevato.

« Voi due, » li sorprese una voce vicina di gran determinazione e familiare « siete così presi, che non vi accorgereste nemmeno di chi vi si trova intorno! »
Alec sgranò gli occhi, la testa che sbucava fuori in stato di pura sopresa. Riconobbe la figura formosa, vestita con un maglione rosso, pantaloni neri e i capelli raccolti e schiacciati in un cappello a fungo invernale. Solo con le labbra tinte di un rosa caldo in viso, stava sorridendo ampiamente, beccandosi un occhiata incuriosita di Magnus.
« Izzy? » replicò Alec bocheggiante.


**

Erano seduti al tavolo, ognuno con la sua colazione davanti. Isabelle era proprio di fronte a suo fratello, mentre Magnus si portava un pezzo di fritella alla bocca.
« Appena mamma mi ha chiamata, ho pensato fosse successo qualcosa » spiegò Isabelle, con un gesto rapido della mano, la quale scintillò per via di alcuni bracciali « E venendo a conoscienza della tua piccola fuga, ho subito pensato di venire a trovarti » la luce della finestra sotto la quale si trovavano, illuminava il tavolo in legno, colpendo dritta il volto di Isabelle e lasciando in ombra gli altri due. La tovaglia stesa sul tavolo si limitava a un materiale in stoffa color bordeaux.
« Sì, ma come hai fatto? » mormorò Alec, insospettito.
Isabelle bevve un sorso di succo d'arancia che aveva davanti a sé.
« Semplice, » cominciò « ho pensato che essendo fuga, avresti avuto solo un documento con te, cioè il tuo. Ho chiamato a un po' di numeri in realtà, ma appena ho chiesto del nominativo, hanno saputo rispondermi che il documento era intestato a un certo Lightwood » fece un occhiolino e alzò le sopracciglia in segno di furbizia. Alec roteò gli occhi, ma sorrise infine.
« Comunque piacere, » la ragazza si voltò verso Magnus « sono Isabelle » sfoggiò un sorriso ampio.
« Il piacere è mio » rispose Magnus ricambiando con uno sguardo tra l'incuriosito e il premuroso. « Sai, Alec mi ha parlato molto di te »
« Oh, davvero? » Isabelle lanciò un occhiata sorpresa al fratello. Magnus tagliò un altro pezzo della sua fritella, il cibo sulla forchetra.
« Sì, mi ha detto che sei praticamente stata la sua ancora quando ne ha avuto bisogno, » Magnus mordicchiò il pezzettino dolce « mi ha raccontato di quando facevate le lotte in casa e i vostri genitori ci davano il tormento, ma soprattutto » Isabelle ridacchiò. « mi ha detto che non ce l'avrebbe fatta senza di te, in questi anni »
Isabelle si sentì pizzicare gli occhi agli angoli, come se un mare stesse per riversarsene fuori, ma lo tenne a freno. Guardò Alec, che in quel momento sorrideva consapevole.
« Beh, anche lui mi ha parlato di te, Magnus » si riconcentrò sul circense « ed è più o meno come ti ha descritto »
« Uhm, » Magnus fece fuori una fragola dal suo piatto « cosa ti ha detto, se posso chiedere? »
La ragazza sembrò pensarci su, ma sapeva già cosa dire, le mani attorno al bicchiere di vetro, dove la sua spremuta la attendeva.
« Oh, mi ha detto che eri un bel tipo, » cominciò
« premuroso, gentile, saggio... ti ha descritto fisicamente, abbastanza sexy » sottolineò le ultime parole.
Alec si fece piccolo contro la sedia, il volto che diventò subito di un colore diverso
« Capisco, » Magnus lanciò uno sguardo al suo ragazzo, il quale fissò la superficie del legno
« E rispondo a tutte queste caratteristiche secondo te, Isabelle? »
Stavano flirtando. Le persone che più contavano nella sua vita stavano cercando di metterlo in imbarazzo più di quanto già non fosse in quell'istante.
« Sì, riesco a vedere che hai degli occhi gentili,» confessò la ragazza « ma sei leggermente più bello di come mi aspettavo »
Colpì nel segno, perchè mentre Magnus evidentemente lusingato le stava per rispondere, Alec si intromise.
« Bene, vi siete conosciuti » si schiarì la voce, ergendosi sullo schienale, riacquistando padronanza « mi fa piacere che andiate d'accordo! » tagliò corto
« Alexander, » lo riprese « Ho comunicato che fossero urgenze di famiglia e mi sembra proprio che lo siano » evidenziò, preoccupata.
« Di cosa ti occupi? » la buttò lì Magnus.
Isabelle si riprese e con un leggero sorriso, rispose a quel ragazzo così particolare, le sembrava di non aver visto mai dei tratti del genere.
« Faccio la pasticcera, ma è solo una piccola impresa » pronunciò soddisfatta « invece so che tu sei un circense »
« Ero, » sospirò nostalgico « ed è qualcosa che mi manca a dire il vero »
Isabelle gli riservò un occhiata triste, ma totalmente confusa. Guardò di nuovo il fratello.
« È... è una lunga storia » rispose Alec.
« Beh, dato che è qui per te, non credi sia il caso di raccontarle tutto? »
Magnus sembrava essersi trasformato dall'inizio della conversazione, fattosi più cupo.
Alec annuì, mentre la mano della sorella nella sua, gli ispirava forza.


Magnus raccontò tutto.
Raccontò di come fosse stato dato per ricercato, quando in realtà se ne era andato per l'unica ragione che lo faceva sentire in trappola. Raccontò di come Alec, aveva ideato di fuggire insieme, di lasciarsi quello che aveva per respirare di nuovo.
Isabelle ascoltò tutto per filo e per segno, perdendosi ogni tanto in quale punto e ritornandoci un attimo dopo, quando Magnus entrava nei dettagli. Si svuotò di un altro peso che gli permise di far conoscere la sua storia a qualcun'altro che non fosse unicamente Alec.
« Che grandissimo bastardo » esalò fuori, Isabelle, scostandosi i capelli dal viso.
Magnus rispose seccato.
« È per questo, che oggi mi sto caricando per esporre denuncia e non si tratta solo di me, » si inumidì le labbra « ma di tutta la gente che ha lavorato per lui »
Isabelle provò a dire qualcosa, ma le bastò semplicemente guardarlo con fierezza, per far sì che quello si facesse forza. « E se devo dirla tutta, non sono solo io che sto rischiando. Ma anche tuo fratello, » ammise « ha l'anima di un guerriero »
Gli occhi castani della ragazza si illuminarono, le paiuzze delle iridi si fecero quasi dorate.
« Non dirlo neanche per scherzo, Magnus, non ci si fa giustizia da soli, e poi » diede un piccolo colpetto sul tavolo « mio fratello avrebbe fatto anche di più, se lo conosco bene »
I due si guardarono con rispetto reciproco, la bocca di Magnus che si incrinava in un sorriso grato.« Mi dispiace, per quanto tu te lo sia sentito già dire, immagino cosa tu abbia dovuto passare... » si limitò ad aggiungere, il tono basso che sfumava via.
« Va molto meglio adesso, » Alec strinse forte la presa sul suo thè, mentre lui parlava « e spero un giorno di poter tornare a cio che facevo prima. « Per me salire in cima, avvolgermi tra i tessuti, » mormirò estasiato « è un po' come spegnere per un attimo il mondo e starmene da solo, con me stesso. Ci sono solo io, posso sbagliare, ma la sensazione che provo non cessa mai. »
« È come quando cucino un dolce, » fu subito pronta a rispondere, annuendo, sentitasi presa in causa « posso anche inventarmi la ricetta ma segnare le dosi. Far crescere un impasto, mi da la sensazione di esserci entrata in contatto, per farlo crescere. Sto lì, con le mani imburrate » i palmi delle sue mani si alzarono, simulando il gesto « e mi ritorna in mente l'infanzia, la tranquillità »
In tutto quello Alec li stava a sentire con piacere, masticava e aveva come l'impressione che quella giornata sarebbe spiccata in positivo.
« Allora puoi capirmi, » Magnus le riservò un occhiata d'intesa « è così che mi sento. »
Parlando del più e del meno, avevano finito le loro colazioni, mentre si conoscevano meglio. Il sole era svanito, lasciando incombere sugli altri clienti e sull'aria da pranzo, un'aria del tutto invernale. Il tempo cambiava spesso, quei giorni.
« Sai invece che lui non sa nemmeno cucinare?» indicò Alec, puntandolo.
Alec alzò le mani in segno di difesa.
« Non mettetemi in mezzo! »
« Sai, da piccolo, » Isabelle sostenne gli occhi verdi scuri del fratello, mentre la sua attenzione si sposava di nuovo verso Magnus « amava mettersi i miei vestiti, quando giocavamo, » Magnus cominciò a ridere insieme a lei, Alec sbuffò « era così buffo. Diceva che tutto ciò che era mio, era anche suo. Lo trovavo sul fatto, intento a provarsi varie cose, tra cui coroncine di fiori o di gonnelloni »
« Adorabile » sussurrò Magnus, mentre lanciava uno sguardo al suo ragazzo in preda a una fase di imbarazzo.
« Ogni volta che lo beccavo, » continuò dolcemente la ragazza « non potevo oppormi. Era una testa dura, in realtà, lo siamo sempre stati entrambi, » Alec lesse nel viso della sorella un ricordo sfocato, che si fece via via strada nella sua testa « voleva sistemarmi di continuo i capelli e voleva che non dicessi niente a nostra madre quando prendeva le mie cose, » gli occhi di Alec erano vividi, mentre le sue guance si coloravano sempre di più « eravamo complici anche da bambini » concluse.
Magnus si intenerì al solo pensiero di un piccolo Alec girovagare per casa, con in testa una coroncina, alle spalle un mantello e ai polsi magari qualche bracciale di sua sorella.
La sua era stata un'infanzia diversa, perché aveva già capito chi voleva essere, solo che, l'adulto non aveva metabolizzato ancora quel bambino innocente che giocava senza limiti.
Quei due avevano condiviso tanto e pensò che avessero un legame unico, come quando sentiva i racconti dei vari legami di parentela nella compagnia. Erano pochi che potevano vantare di un sopporto e sostegno famigliare e sicuramente, altri si sarebbero sognati un rapporto come il loro.
« Una curiosità: quando ha incominciato a russare? » chiese, incuriosito. Alec si mise le mani in faccia, volendosi sotterrare.
Se l'obiettivo era quello di resuscitare tutti i suoi momenti inopportuni e insensati, ci stavano riuscendo benissimo.
« Io non russo! » mormorò soffocando una voce esausta.
« Per quanto mi piaccia guardarlo dormire la sera, » confessò, beccandosi un occhiata stupita dell'altro, che sollevò di poco le mani dalla faccia scoprendo gli occhi « sì, Alexander, sei così bello che mi metti in difficoltà. Cosa stavo dicendo? Sì,» continuò, mentre quello cercava di cancellarsi dal viso l'espressione d'amore più ovvia « non posso fare a meno di sentire il suo sonnecchiare. Non è tanto pesante, ma ti arriva dritto come il canto di una sirena. »
La ragazza ridacchiò per quella metafora, pensando che Magnus dovesse essere un tipo pronto al sarcasmo e all'humour, oltre che molto affascinante.
« Beh, questa è facile, » azzardò Isabelle « avevamo più o meno tredici anni, lo sorpresi mentre dormiva rannicchiato contro un immagine appesa alla parete di- »
« Okay!» rispose esasperato il fratello, le mani che si sistemavano lungo la tavola « direi basta così. Voi due, » li squadrò entrambi, la minaccia dipinta in un solo colpo « siete un pericolo pubblico insieme »
Magnus e Isabelle scoppiarono a ridere, mentre condividevano quello spazio intimo, diventato in cosi pochi minuti famigliare. Quel primo pomeriggio, andarono tutti con la macchina di Isabelle, la quale si mise a disposizione per portarli alla stazione di polizia più vicina nel centro della città.
La signora Caroline non aveva esitato per preparare a tutti qualcosa da mangiare, nonostante alcuni di loro non avrebbero voluto recarle altro disturbo. Isabelle colta da quella gentilezza, al contrario, aveva accettato di buon grado.
Appena entrati nel veicolo, Candice si mise davanti, affianco al posto del guidatore, mentre lei e Isabelle si scambiavano qualche parola.
La ragazza sembrava più o meno sicura, rispetto a come Magnus era andata a trovarla in camera la sera prima, ma non poteva darlo per certo.
Candice era di indole tenace e molte volte, riusciva a mascherare qualche sua preoccupazione con la sua energia.
Le due sembravano andare d'accordo, dal modo in cui si scambiarono consigli e altro.
Isabelle stava parlando della sua routine quotidiana e dei pasti che preferiva, riempiendo il viaggio di come uscire di casa senza cio che riteneva più necessario, come un rossetto o anche solo uno specchietto.
Argomenti che seppur interessanti, non arrivarono in fondo alla macchina, in cui Magnus e Alec, ai sedili posteriori invece, erano più silenziosi, intenti a pensare ad altro e a guardare il paesaggio che sfrecciava fuori dal finestrino.
« Tutto bene? »
Alec lo risveglio dallo stato in cui si trovava.
« Sì, » la testa piena di capelli all'insù, con quelle piccole ciocche rischiarate dal sole « sono pronto »
« Finirà presto » mormorò.
Magnus annuì semplicemente, mentre una serie di alberi, lasciavano il posto ai primi edifici, case in prossimità del centro.
Alec gli scoccò un bacio sulla fronte e Magnus respirò il suo profumo, rilassandosi.


Davanti al poliziotto seduto nella sua scrivania, nella piccola stanzina piena di scartoffie, armadi con innumerevoli fascicoli, Magnus cominciò a narrare i fatti.
Si erano muniti di uno dei giornali quella stessa mattina, in cui spuntava la sua foto in prima pagina, seguita da un piccolo ritaglio dove compariva il volto di Sanders.
All'interno dei pochi metri quadrati, entrava poca luce, le serrande erano tirate a metà e un fascio di colore simile all'azzurro penetrò all'interno. Dentro, Magnus aveva voluto ci fossero tutri: Alec era in piedi davanti la porta, Isabelle era uscita qualche secondo fuori, Candice invece, era seduta accanto all'amico.
Il poliziotto si portò una mano al mento, mentre seguiva il filo della storia. Era giovane, non poteva avere che sulla trentina, una barba fine gli copriva la mascella e un paio di baffi scuri, gli nascondevano le labbra. I suoi occhi erano grigi, ma non per questo banali.
« E questo Sanders, » si raddrizzò sulla sedia il poliziotto « che lei sappia, ha commesso qualche altro reato? »
Magnus scosse la testa.
« No, non so dirlo per certo. »
« Mi racconti qualcos'altro, lei ha preso un bel rischio a non venire prima, » lo rimproverò, ma senza rabbia « certe feccie vanno stanate il prima possibile »
Magnus respirò profondamente, mentre aggiungeva qualcos'altro alla sua testimonianza. Gli sembrò passato poco tempo da quando avevano lasciato la pensione, ma in realtà era già da mezz'ora che si trovava lì, con la luce della lampada puntata su vari fogli, su cui l'uomo appuntava ogni tanto qualcosa.
« Ci fu una volta, » riportò alla mente qualcosa che aveva voluto dimenticare « in cui noi tutti abbiamo dubitato che ciò che andava dicendo fosse vero. La nostra compagnia è stata sempre nomade, » spiegò, gesticolando appena, Candice lo guardava di sottecchi, mentre lui le annuiva, come se stesse per rivelare qualcosa di grosso. « e all'inizio delle prime settimane, un tale, Erickson se non sbaglio, era appena entrato a far parte del circo. Venne assunto come pagliaccio, aveva varie esperienze, » fu preciso nei dettagli « tra cui quella di riuscire ad aumentare i guadagni. All'epoca non era ancora cominciata... Sanders sembrava mansueto. » deglutì, portando Alec a poggiargli una mano sulla spalla. La porta cigolò leggermente mentre Isabelle rientrava, lo sguardo del poliziotto sembrò minacciarla, mentre sillabava un scusate. Dopo la breve interruzione, l'uomo fece a Magnus segno di continuare.
Isabelle dopo aver lasciato un bicchiere d'acqua alle mani di Magnus, si sedette in un angolo della stanza in completo silenzio.
« Bene, Erickson, sembrava essersi ammalato. Era andata bene, ma poi qualcosa andò storto. Durò all'incirca una settimana. E non fu per sforzo, era molto metodico a riposarsi e soprattutto a evitare di farsi male in qualche modo. Non avevamo saputo niente, tranne che una forte tosse e febbre, lo avevano steso all'improvviso una sera, dopo la prima. Il presentimento colpì tutti, ma non potendo dimostrare niente, lasciammo stare » confessò, serio. Si girò verso Candice la quale, si agganciò a lui.
« In realtà, non lo abbiamo mai saputo con certezza, » continuò lei, assumendo un'aria sincera e misteriosa « eravamo stati mandati subito ai nostri cambi quella sera, mentre lui aveva deciso di portare con sè alcuni regalini che la gente gli aveva lanciato e di firmare qualchs biglietto. Sa com'è, » fece un piccolo sorriso fanciullesco « quando si è bravi si conquistano le folle. In ogni caso, l'indomani, c'era stato detto da Sanders stesso che Chris Erickson, era passato a miglior vita. Portarono via il cadavere in un sudario, » sospirò triste « erano due figure, una donna e un uomo. Forse erano i genitori. La sera dopo, la avevamo dedicata a lui, come tributo » concluse.
Il poliziotto studiò gli appunti che aveva preso e cominciò ad annuire ad entrambi i testimoni.
Si alzò un attimo, cercando tra i vari fascicoli alla libreria in ferro, per uscirne dei casi di morte recenti, datigli in caso di ricerca sulla loro presunta dipartita.
« Sapreste dirmi più o meno, quanti anni poteva avere Erickson? » il tomo sotto braccio e la mano che si massaggiava le tempie.
« Non doveva avere più di quarant'anni » rispose secca Candice.
Alec sembrò imbambolato sulla figura del suo ragazzo, che in quel momento stava cercando di reprimere la collera mista a impotenza.
« Crede che possa averlo fatto fuori? » tuonò in modo diretto Magnus.
Il poliziotto si grattò la barba, si infilò una mano in tasca e ne uscì delle caramelle. Se ne ficcò una in bocca e la masticò. Dopo di che ritornò su Magnus, facendogli un sorriso comprensivo.
« Se c'è qualcosa o qualche informazione, non si proeccupi che la troverò. L'unica cosa che deve fare lei adesso, » gli consigliò, la scatoletta di caramelle che veniva offerta ai presenti « è di bersi qualcosa di fresco e uscire da qui con la testa più leggera. Deve solo lasciarmi il suo numero e le dirò cosa ho trovato. »



**

Al ritorno, Isabelle si fermò per la notte, avvisando il fratello che sarebbe ritornata il giorno dopo da Helen, almeno per salutarla e tranquillizzarla.
Si allontanò pochi minuti per chiamarla, in privato. Alec gliene fu grato per averlo liberato di quel piccolo peso, anche se, pensò che prima o poi se la sarebbe vista con sua madre. Com'era giusto che fosse.

« Non volevi parlarne? » Candace sembrava davvero presa a tirarsi uno dei tanti ricci.
L'aria della pensione era abbastanza leggera e intima quella sera, forse perché era l'ora prima della cena o semplicemente perché all'entrata erano presenti davvero in pochi.
Magnus sospirò, scacciò via una briciola di pane dal tavolo.
« Penso che qualsiasi cosa sarebbe andata bene, affinchè aiuti la ricerca » soffiò fuori.
Candace annuì, distratta, lanciò un occhiata al ragazzo alto, che stava in un angolo del banco della reception, affianco al salottino con i due divanetti, dietro di lui.
« Scommetto che non gliene avevi parlato »
« Candace, » Magnus seguì l'occhiata dell'amica « credo la notazia fosse solo di contorno, dopo tutto quello che è venuto a sapere, era minima... »
Candace aguzzò scattante lo sguardo su di lui.
« Quindi sa...? »
« Sì, lo sa » ammise Magnus, le dita delle mani che si muovevano sul tovagliolo ricamato.
« Me lo ha chiesto, sai? » un angolo della sua bocca si incurvò « Mi è sembrato più curioso, che geloso, ma mi ha fatto piacere dirglielo. D'altra parte, » ritornò a guardarlo « è un capitolo chiuso, storia antica. »
Candace gli diede un buffetto sulla mano libera e sfoggiò uno di quei sorrisi calorosi che le riuscivano tanto bene.
« Jeremiah non avrebbe mai trovato il coraggio di fare una cosa del genere » confessò.
« Non avrebbe nemmeno pensato a farla una cosa del genere » la corresse.
La sua amica annuì, una mano poggiata sul viso, il gomito puntato sul legno scuro. Il piccolo fuocherello del camino venne acceso dalla custode, dando calore a tutta lo spazio intorno. Si sentiva il crepitio delle fiammelle e qualche altra persona che parlava.
« Stai bene? » una punta di preoccupazione nella voce.
« Sì, perché? »
« Niente, è solo... da quando sei stata presa, portata qui, non c'è stato il tempo per parlarne di più» fu apprensivo.
« Magnus.. » tremò leggermente, deglutì, la testa che si scuoteva muovendo a loro volta i ricci ribelli fermati alla sommità da una fascia.
« Credo di... riuscire a lasciarmelo dietro. Mi sono sentita in trappola, se ancora ci ripenso... avrei voglia di cancellarlo » si morse le labbra.
Magnus si corrucciò dal dispiacere, non era certo sua la colpa, lei non c'entrava niente con quell'inferno. « Se stai ripensando a quanto questo non fosse giusto, » si sbrigò a sottolineare lei « fermati immediatamente »
« No, lo rifarei, ma forse, se le cose fossero andate diversamente, » mormorò esausto « se io avessi agito prima, non sarebbe successo » guardò quel piccolo alone attorno al suo occhio, la chiazza stava sparendo piano, mm era ancora evidente sotto lo strato di trucco leggero che il colorito fosse di grn lunga diverso. Le prese la mano, ne accarezzò le dita, notandone i calli.
« Candace, qualsiasi cosa, io sono qui » la incoraggiò « vuoto il sacco io, vuoti il sacco tu, ricordi? »
Quell'espressione era nata all'interno del tendone, uno dei tanti giorni di allenamento. E da allora, la avevano sempre usata per confidarsi, almeno fino a quando Magnus non aveva covato per mesi la violenza fisica.
« Sono stata meglio, è vero, » ammise, un sorriso di circostanza le incurvò le labbra « ma quell'uomo non deve avere potere su di me, non lo merita. Non posso dimenticarlo, come credo anche tu. Sono stata portata via, minacciata, » continuò sprezzante « strattonata, tutto nell'arco di due giorni e Magnus, se quello che abbiamo appena fatto non è un modo per fare giustizia, » vibrò trionfante « non so quale lo sia »
Calò leggermente il silenzio, il circense annuì senza aggiungere nient'altro mentre la ragazza cercava in qualche modo di farlo restare in pace.
« Non c'è niente di cui parlare, » mormorò, gli occhi caldi « fidati » Il volto si colorò di nuovo, passando da un triste amaro a uno più speranzoso e di buona sostanza.
« Comunque... Isabelle è stata un amore, per tutto il viaggio, » al solo pensiero di lei e Isabelle che passavano da un argomento all'altro, Candace sembrò riprendere la capacità di andare avanti. E mentre ci pensava, una sagoma si era lentamente avvicinata al tavolo « Stavo giusto parlando di tua sorella, sai se è già salita di sopra? »
Alec si grattò il capo, la maglia che indossava quel giorno era di un rosso particolarmente avvolgente, dava sul bordeaux e bilanciava col verde dei suoi occhi.
« Stava parlando al telefono fino a qualche minuto fa, » si girò e vide la chioma corvina della sorella affiorare dal vetro della finestra « oh, è fuori »
« Credo che la raggiungerò allora, prima di andare a dormire » Candace poggiò al lato le sue posate sul cibo appena consumato.
Magnus le dedicò un sorriso curioso e lei si limitò a scrollare le spalle. « Se tutto andrà com'è giusto che vada, già domani avremo dimenticato questa storia, Mags » e dicendo così, uscì fuori.
Il ragazzo la guardò andare fuori, Isabelle che le sorrideva e ricacciava il telefono nella tasca dei pantaloni.
« Chissà perchè, » si sistemò la manica della maglia « ma riesce sempre a far colpo, con chiunque »
Magnus studiò il viso di Alec, aveva notato come il rossore sulla guancia fosse del tutto sparito, lasciando solo un mero ricordo. Le iridi erano leggermente più scure e si era rasato l'accenno di barba.
« Forse è una prerogativa di famiglia » abbozzò eloquente.
Alec si inumidì le labbra, condivise il suo commento in maniera molto lusinghiera.
« Oh, non saprei »
« Lo so io, però » ribattè.
La mano con qualche anello al dito si allungò a circondargli la mascella e la guancia, mentre il ragazzo si avvicinava al suo viso.
« Ha ragione, » mormorò Alec « andrà tutto bene, dobbiamo solo aspettare »
« Quindi non sei...» rimase in sospeso qualche secondo, incerto se continuare o meno « amareggiato per cui non ti ho detto niente riguardo l'episodio? »
Alec inspirò, le narici si allargarono, le labbra che dettavano una calma piatta.
« No, perchè dovrei? » sembrò stupito « Mi hai raccontato di quello che hai vissuto tu. E di certo non mi sorprende cosa abbia potuto fare a qualcun'altro prima »
L'altro annuì, la fronte che toccava quella del moro, intento a depositare un bacio veloce sulla bocca.
« E poi, potevi anche non volermi dentro con te a sentire la tua dichiarazione, » continuò « eppure non lo hai fatto »
« Avevo bisogno che ci fossi » dichiarò impercettibilmente « ormai è più forte di me, Alexander, la tua presenza mi tranquillizza »
Alec ridacchiò appena, mentre con un pollice della mano accarezzava la parte scoperta del collo dell'altro. Indossava uno dei suoi maglioni, gli veniva un po' largo e il colletto davanti gli ricadeva come una tovaglia.
« Ho fiducia in quel poliziotto, vedrai »
« Io ho fiducia che prima o poi, ritorneremo »
Magnus guardò il modo in cui un commensale, solo due tavoli più avanti, si stava leccando le dita dopo aver appena divorato un dolcino.
« Le mie promesse hanno un loro perchè » gli rispose premurosamente « E poi, non hai mai visto davvero casa mia, » evidenziò « non che sia così carina, però... » alzò gli occhi lungo gli infissi in legno e le tendine rustiche.
« Credo sia pur sempre meglio di una roulotte però »
Alec annuì, le dita che gli solleticavano l'inizio della mascella, il colore della terra mista al miele.
« Ho voglia di cenare presto, stasera » mormorò.
Magnus sostenne il suo sguardo, incapace veramente di tirar fuori che cosa stesse pensando in quel momento.
« Io non ho molta fame, per adesso »
« Beh, potrei mangiare prima io e aspettarti »
Magnus si ritrovò ad annaspare, il sapore di Alec gli arrivò dritto come un profumo troppo insistente e fragrante per non essere avvertito.
Non durò molto, giusto il tempo lungo il quale si rese conto che la sua lingua si muoveva lenta e circospetta.
« Ho capito » si convinse « ceniamo » sussurrò, lasciandosi davanti lo spettacolo di un Alec che gli lasciava un piccolo bacio lungo la guancia.



« Non ci credo che stai di nuovo andando » la figura della sorella svanì quasi, seppellita nell'abbraccio del fratello. Respirò contro quello che sembrava uno scricciolo, ma in realtà era un uomo ormai.
« Fratellone, ora non hai più scuse, vieni a trovarmi » mormorò contro il suo petto, la testa che si inclinava per guardarne in broncio.
Sciolsero quella stretta con difficoltà, mentre lui, si ricordò di andarle a prendere il piccolo borsone che aveva portato con sé.
« Faccio subito » annunciò, scoccandole un bacio sulla fronte.
Appena rientrò dentro, le uniche persone che restavano erano Magnus e Candace.
Isabelle scambiò un’occhiata con la seconda, una loro stretta tutta al femminile, augurandole il meglio. Magnus capì che Candace aveva trovato un'altra amica fidata, ma non ne era affatto geloso. Se quello significava far entrare un altro Lightwood dentro la sua cerchia di persone fidate, ne era più che entusiasta.
Dopo di che, Isabelle si avvicinò a lui, l'aria quasi di rimprovero sul viso che però si addolcì immediatamente: lo abbracciò di colpo.
Magnus si trovò spiazzato, mentre la sua mano si poggiava sulla schiena della ragazza, un sorriso s'affacciò curioso.
« Grazie per avermi ridato Alec, » mormorò, la voce intrisa di certezze « qualsiasi cosa tu sia riuscito a fare, non lo vedevo così felice da tanto, era passato troppo tempo. » continuò, portando il circense a tenersi saldo per evitare di commuoversi e lasciarsi travolgere « Sono felice che quella persona sia arrivata, » si scostò piano, un sorriso largo mostrava una dentatura regolare, sopra un rossetto chiaro « e che sia tu » terminò.
Il circense si ritrovò senza parole, mentre quella, tirava qualcosa all'interno della sua borsa.
« Devo in qualche modo a tuo fratello, lo stesso. Quello che mi ha dato, spero di poterglielo restituire » il suo tono si tramutò subito in liquido, come se la mano della ragazza in quel momento gli stesse offrendo la cosa più bella che potesse dargli: la fiducia. La fiducia che ci sarebbe stata così per Alec, così come per lui.
« Ho pensato molto a quello che è successo, » si rigirò un piccolo pacchettino tre le mani « non sarà molto, ma credo possa piacerti »
Isabelle allungò il dono verso Magnus, il quale lo accettò aggrottando la fronte. Aprì piano il fiocco che avvolgeva la carta, tirandone fuori una scatolina. Il contenuto scintillava nella sua mano, le palline a formare un bracciale e un ciondolo riportante un animale sopra. Sorrise.
« Dicono porti fortuna, » indicò la ragazza « l'elefante » puntualizzò.
Il ciondolo presentava un elefante decorato ai bordi, color legno, così come il resto delle perline.
Magnus annuì, non staccandole gli occhi di dosso.
« Sì, è... è davvero bello. Grazie Isabelle, davvero »
La ragazza si spostò un ciuffo di capelli dal viso, scordandosi della presenza del fratello appena tornato.
Magnus si infilò al polso il regalo appena ricevuto e la abbracciò di nuovo in modo veloce.
« Spero possiate essere felici, ve lo meritate »
Alec restò fermo, ad ammirare la scena che gli si presentava davanti. Se solo avesse potuto esserci sua madre, avrebbe sicuramente percepito l'amore nell'aria, qualcosa che le era mancato da fin troppo tempo.
Si ricompose, notando come la presenza di entrambi fosse d'intesa e soprattutto sincera.
« Adesso, basta, » si riprese Isabelle « altrimenti resterò qui e non vorrò più andarmene! » rise con una punta di emozione.
Si girò verso il fratello, il quale gli porse il borsone. Erano entrambi all'entrata della pensione, la macchina pronta sulla strada.

« Abbi cura di te, fratellone » sussurrò.
Alec le prese la mano, stringendola un po' di più di come avrebbe dovuto. Quella manina era cresciuta così tanto dall'ultima volta in cui gliela teneva giocando a scappare o a rincorrersi per casa.
« Verrò a trovarti, appena... » rimase in sospeso, respirò « appena tutto questo sarà finito »
La ragazza annuì.
« E prenditi cura anche di lui » continuò dolcemente « anche se, ha un mondo dentro, è forte. »
Alec annuì consapevole.
« A proposito cosa vi siete detti? » chiese circospetto. La ragazza schioccò la lingua, il bagagliaio che ora veniva chiuso e lo sportello del guidatore che veniva aperto.
« Niente di importante, » fece un gesto non curante con la mano « tu, tienimi aggiornata »
Alec roteò gli occhi, mentre sentiva la sorella ridacchiare.
« Mi piace » mormorò, la faccia che assumeva un espressione convinta e furba.
« Sarei stupito del contrario » rispose secco.
« E non solo perchè é un bel ragazzo, » continuò incurante dello sguardo di Alec in quel momento « credo che la mamma non farà problemi »
« E da quando quello che decide lei è legge? » sbuffò lui. Una ruga d'espressione si presentò appena Isabelle accese il quadro della macchina.
« Mai, fratellone. Solo... penso che piacerà anche a lei »
Alec si trovò quei pezzi di cuore come indirizzati verso un senso, un duplice senso. Se prima erano stati ricomposti dopo aver incontrato Magnus, ora, pensò al sorriso di Helen mentre poteva raccontargli finalmente tutto.
« Glielo dirai? Di...»
« Solo quello che sarà necessario, Alec, » fu sincera « il resto tocca a te »

 




Clodia's: Ci tengo a dire che sto morendo dal freddo da giorni, dopo una tosse durata almeno quattro, ora la notte ho i brividi.
Non è normale il cambio repentino di temperatura.
Anyway, avete visto chi è tornata? (sì, anche se per poco, I know, accontentatevi,
lei ha da fare in pasticceria e
col suo ragazzo eh), ISAAAABEEELLE TESSSSSOROOO sei tutti noi, sei me soprattutto con Magnus, aw.
Che dirvi, le cose si stanno piano piano aggiustando. Love u, lettori.

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Capitolo 20
*** Madri, mater, mothers. ***


Clodia's: Chiedo venia sulla lunga attesa, ma ho avuto un laboratorio teatrale in sede universitaria che mi ha preso una settimana piena. Sono rimasta due settimane in terra palermitana, ma ho pianto, ho sentito e soprattutto adesso, è difficile staccarsi dall'esperienza meravigliosa vissuta.
Spero possiate perdonarmi, ecco a voi uno dei piccoli pezzi prima della fine.
A voi.






« Dovremo aspettare »
I suoi capelli dentro l'asciugamano vennero scossi, mentre Alec annuì, mentre mordicchiava una mela.
« E non so se sono più in ansia per quello, » sospirò mentre una goccia scendeva lungo l'apertura del lavandino « o per quello che accadrà dopo » concluse.
I suoi occhi vagarono in cerca della spazzola da viaggio, posata in malo modo sul piccolo sgabello affianco alla porta del bagno. Alec fissò il piccolo frutto tra le sue mani, uno strato giallo lo ammaccava, la nel punto dove era stato morso.
« Quello che farei io, » abbozzò Alec, il suo corpo seduto sul letto, il maglione che gli copriva fino al collo « è pensare solo al presente. Ad adesso. »
Magnus lasciò andare un piccolo respiro, mentre cominciava a pettinarsi guardandosi n piccolo specchio.
« In questo momento mi sembra impossibile, » continuò, la voce mutata in lamento, trovò un piccolo nodo e lo sciolse dopo una mossa piena di energia « non ho certezze, » chiuse gli occhi, sentendo la spazzola che veniva meno alla presa, serrò gli occhi in uno stato di frustazione « inoltre dopo che Candace ha deciso di andarsene... » l'amica aveva trovato un posto dove stare, al sicuro, raccomantadogli da Caroline, la custode stessa « sento che debba essere solo un mio peso »
« Perchè lo pensi? » si rabbuiò Alec.
« Perchè, sono stato io a cacciarla in tutto questo e sono stato io che le ho consigliato di allontanarsene. Come è giusto che fosse. Sono il suo amico, forse lo è più lei per me che io per lei. O forse entrambi. Lo sento come mio. Perchè è da una vita che mi sembra di essere bloccato e invece , dall'inzio, è solo passata appena una settimana » sputò tutto fuori come se lo tenesse segregato a chiave dentro, da giorni.
« Ehi, » sentì una mano dietro accarezzargli la spalla, il viso che si risollevava sullo specchio e il viso di Alec che si materializzava dentro « respira. Non è tua responsabilità ciò che è successo a Candice, non potevamo fare niente, » la sua mano scorreva delicatamente, mentre Magnus portava la sua a coprirla.
« È ora che tu la smetta di darti la colpa. Il fatto che tu ti senta fermo adesso, non vuol dire che durerà in eterno. Anche perchè, non sarebbe da te » i suoi occhi lo guardarono dallo specchio in modo deciso, Magnus abbozzò un sorriso breve « Se sarà lì, su per le corde che vorrai tornare, lo farai. Dobbiamo solo essere pazienti, arriveranno notizie e quando le avremo, » gli stampò un bacio sulla guancia, mentre l'altro scioglieva la sua tensione « decideremo il da farsi »
Magnus, lì, con l'asciugamano di lato, i capelli bagnati, sembrava essere appena uscito da un incubo, ma in realtà era solo l'evidenza dei fatti, di come stavano le cose. Era una domenica e solo lui sapeva come le aveva trascorse fino a quel giorno. L'immagine sullo specchio era più chiara che mai.
« In verità, una certezza la ho » Magnus si ritrovò a vedere l'uomo allo specchio sorridere incosapevolmente, mentre si voltava verso l'altra figura disegnata dietro « Si chiama Alexander »



« Ha smesso di piovere?»
« Sì, almeno per ora »
Alec si avvicinò allo zaino posto sul davanzale, mentre Magnus sembrò stranirsi.
« Che succede? Dobbiamo andare da qualche parte? » arricciò il naso indicando l'oggetto che ora Alec teneva in mano.
« Ho pensato che fosse carino distrarti un po', sai » scrollò le spalle. Magnus boccheggiò qualcosa e si guardò velocemente. Era in tenuta da casa: una tuta e una larga felpa abbandonata sul suo corpo facevano una perfetta combinazione per poltrire al letto tutto il giorno. « Dove andiamo? »
« Oh, in giro »
« Non posso uscire così! » portò le braccia a sbattare lungo i fianchi « Vado a cambiarmi » sentenziò, infilandosi in bagno.
Alec ridacchiò, infilando le chiavi della stanza, il portafogli, l'ombrello dentro, nel caso fosse stato necessario. Digitò qualcosa al cellulare e la risposta arrivò subito:


È già qua sotto.
Alec, che devo dire al signore dell'affittario?


Il ragazzo rispose subito e cambiando cartella, digitò un nome dalla rubrica e poi, il tasto della chiamata.
« Alec..? » la voce di Helen risuonò nelle sue orecchie. Sorrise contro il telefono, come se qualcosa lo avesse subito portato a un bel ricordo.
« Mamma sì, sono io » Dopo le parole che lui e Isabelle si erano scambiati pochi giorni fa, aveva capito di dover trovare il modo e il tempo per prepararsi a parlale. L'unica cosa che forse non voleva era farlo in quel modo, con la distanza come ostacolo.
« Tesoro... come stai? Tutto bene? Scusa, » sentì la voce di sua madre tremare e si sentì subito colpevole « è solo che non mi aspettavo chiamassi.. »
« Mamma, scusami. Se non mi sono fatto sentire prima... io » si gratti la testa, il petto si gonfiò e ne uscì fuori quello che avrebbe dovuto dire già da tempo « Noi, » si corresse « siamo stati piuttosto impegnati, è successo di tutto e non volevo farti preoccupare, ma mi rendo conto di averlo fatto in ogni caso. »
« Alec, sono tua madre. È naturale che io mi preoccupi, ringrazia che tua sorella mi abbia detto qualcosa, altrimenti ti sarei venuto a cercare personalmente »
Helen sembrava in fase di rimprovero, ma si addolcì subito appena continuò « Quel noi, credo sia la motivazione della lettera e perchè ti trovi in quella pensione, immagino » la sua voce fu come una coccola, alla quale Alec non sapeva se nascondere il viso o semplicemente far sì che quel sorriso si allargasse ancora di più.
« Sì, lo è » confermò.
« Hai sempre avuto questo spirito generoso, Alec. Certo, negli anni si era un po' spento... ma » sua madre sapeva che punti toccare, perchè il ragazzo si fece di nuovo serio, ripensando a ciò che aveva passato lei, a ciò che aveva passato la sua famiglia mentre cresceva « è ritornato. Sono sicura che sia per una buona ragione, non è vero? »
« Non sarei qui se non lo fosse » deglutì, impaziente mentre contava i secondi in cui la porta del bagno nella sua visuale rimaneva chiusa « Mi dispiace che tu debba affrontare tutto questo da sola, vorrei essere lì con te »
« Alec, ma io sto bene. Certo, la casa è vuota alcune volte, » sentì Helen sospirare stancamente per poi riprendere un tono pieno di energia « ma sto meglio. Va meglio di giorno in giorno »
Alec annuì, mentre si immaginava sua madre mentre annaffiava le piante o ritornava a cucinare o andava in giro nel vicinato.« Tua sorella mi è stata vicino. Ed era come se ci fossi anche tu con lei in qualche modo. Solo che mi sei mancato comunque »
« Appena si risolverà questa situazione, non dovrebbe volerci ancora molto, ritornerò a casa, » annunciò, le dita che giocavano con un piccolo posacenere a forma di animale « e se tu vorrai, te lo presenterò. Anche se non so quanto... insomma, se potrà piacerti »
Ci fu silenzio dall'altra linea del telefono e Alec giurò di sentire unicamente il battito del suo cuore e qualcosa che veniva mossa all'interno del bagno. « Alec, lo sai che non ci sarebbe alcun problema al riguardo »
« Sei sicura? » rispose con una punta di insicurezza, come se sua madre si fosse materializzata lì in quella stanza a incombere nelle sue decisioni di vita.
« Sì, non sto scherzando. Non sono nata nel medioevo, per chi mi prendi? » lo prese in giro.
Alec respirò sollevato, mentre la maniglia del bagno si muoveva. Si sbrigò. « Perfetto, ti scriverò. Non potrò chiamare sempre, ma ti lascerò un messaggio ogni sera. Spero che vada bene lo stesso » fu apprensivo, mentre la figura di Magnus si affacciava. « Okay, molto meglio. Però Alec, sta attento. »
« Lo sarò. Ti voglio bene, mamma »
« Te ne voglio anch'io tesoro, scrivi! »
E così dicendo, bastò solo un nano secondo a Magnus per capire con chi stesse parlando. Recuperò e mise subito da parte il pensiero triste che gli frullava in testa in quel momento e si mosse pianon, il piccolo foulard lo seguì svolazzando con grazia. Alec si rimise il cellulare in tasca e dopo aver aggiunto qualche altra cosa al suo zaino, se lo portò in spalla. « Siamo pronti? »
Magnus annuì, non prima di depositargli un bacio a stampo. « Sì, andiamo »



Il viaggio in macchina era appena cominciato e i primi panorami si avvistavano dal finestrino. Pezzi di terreni, case, scorrevano a velocità media.
« Si può sapere dove stiamo andando? »
Magnus incrociò le braccia al petto curioso, mentre Alec era al volante, un espressione nascosta per metà per l'attenzione rivolta alla strada. « Non c'è fretta, è una sorpresa » sorrise furbo.
Magnus si morse le labbra in tutta risposta e osservò un albero dalla forma stranamente ricurva che gli diede come l'impressione di piegarsi al loro passaggio.
« È già stata una sorpresa per me che sapessi guidare, » evidenziò « non so per l'affitto, ma è stata comunque una novità »
Alec gli rivolse una piccola occhiata di sfuggita, le mani si spostarono a palmi aperti sul volante.
« In realtà non lo facevo da almeno un anno, sai, da quando i miei... sono venuti ai ferri corti, » sospirò « non servivo io per fare le spese quando c'era mia madre che si ostinava, non faceva altro che riempire le mura con i litigi. Ho preso la patente per spostarmi all'università »
Magnus annuì, immaginando anche solo quando avrebbe potuto essere nuova per lui quella cosa. Aveva portato una bici, ma niente che avesse più di quelle due ruote. « A che pensi? » venne disturbato dai suoi pensieri.
« Al fatto che io non abbia mai avuto modo di imparare a guidarne una » ridacchiò.
Alec scrollò le spalle, il viso acceso come una lampadina. « Potrei insegnarti »
Con aria di sorpresa, l'attaccatura delle sopracciglia divento quasi un tutt'uno con la sua fronte. « Stai scherzando? »
« No, in realtà sono serio » una delle sue mani si sganciò dal cambio marcia solo per raggiungere quella dell'altro.
« Hai davvero tutta questa pazienza? » lo stuzzicò.
« Non meno di quanto ne abbia tu, Magnus » rispose secco.
Magnus si posizionò meglio nel suo sedile, mentre Alec cambiava ancora la marcia, fermandosi a uno stop.
« Beh, allora te lo lascerò fare, » disse convinto, la sua lingua si inumidì il labbro inferiore « a patto che tu mi dica dove siamo diretti, di grazia » mise enfasi sull'ultima parola.
« Bel tentativo, ma credo lo farò lo stesso, » lo canzonò « senza dirti dove ti sto portando »
« Ah! Allora hai un piano » si esaltò sul sedile, mentre cercava di capire cosa intendesse dire con quello.
« Un piano? Cosa sono, un cattivo dei fumetti? » il suo volto si trasformò in una smorfia, la fronte agrottata.
« No, sei più il bello e tenebroso, ma comunque da cui guardarsi le spalle » Alec scoppiò a ridere, svoltò alla curva e un piccolo cartello al suo lato sinistro, annunciava il nome della città. Si voltò giusto in tempo per oscurarne la vista a Magnus. « Siamo quasi arrivati »
« Era ora, » sbuffò Magnus, quell'orecchino che portava all'orecchio scintillò mentre si voltava, il maglione color sabbia gli metteva in risalto la pelle « non riesco più a farti fallire. E non è da me, mi disorienti Alexander »
« Ed è un bene o un male? »
Magnus sembrò pensarci su, sospirò e subito strizzò l'occhio.
« Entrambe »




Appena la macchina fu parcheggiata, Magnus si affrettò ad uscire, mente il corpo si metteva in moto, la vista si arrestò subito. Un grande vialetto che interrompeva la strada, presentava una struttura in muratura a due piani, dietro cui correva un giardino con qualche albero, aiula appena potata e panchina intorno. L'aspetto era quello di una casa di riposo, ma molto più accogliente, dato il colore bianco di ogni infisso delle finestre e la porta a vetri d'accesso cui si rifletteva il pochissimo sole. Non seppe cosa dire quando lesse il cartello che annunciava il nome della struttura, affisso a qualche metro da lui. "Ospizio Winghtom Holl" Chiuse gli occhi e qualcosa di simile alla felicità liquida, che scorreva lungo tutti i suoi muscoli, lo invase completamente. « Alexander » mormorò voltandosi piano. L'incontro che ne ebbe, fu quello del ragazzo che chiudeva la macchina e si avvicinava di conseguenza. Piccole pozze agli angoli degli occhi, quasi come rugiada ma più dense, si fecero presenti. Magnus era sul punto di piangere. « Questo è... » sorrise, sentendosi pungere gli occhi « sei incredibile » concluse, non sapendo cos'altro dire. Si avvicinò di poco, dato che adesso erano alla stessa distanza l'uno dall'altro e lo baciò. Le braccia si strinsero intorno al suo collo, tirandolo leggermente, mentre riaffiorava il sorriso di poco prima. Avrebbe rivisto Jian. E si diede dello stupido per non averlo capito prima, per non aver capito che Alec avrebbe voluto portarlo lì. Appena si staccò, ebbe la sensazione di essere più leggero, come se stesse sulle punte, invece che sulle intere piante dei piedi. « Entriamo? » Magnus lo prese per mano, la sensazione di una piuma ancora presente, annuì. Entrarono dentro. Ad attenderli, una sala con delle sedie e divani agli angoli. Lo spazio era concentrato e apriva a una serie di addetti e di persone anziane o di un'età più avanzata impegnata in diverse attività. Chi giocava a scacchi, perché altri doveva essere l'ora di pranzo, altri invece venivano accompagnati chissà dove dal personale. Magnus si diresse alla recepiton, se così poteva essere definito un centro di informazioni di una casa di riposo. La signora che gli rispose fu molto cortese, mentre gli indicava il numero di stanza di sua madre. Si congedò da lui non appena adocchiò un signore fare qualcosa che andava contro le regole. « Agitato? » chiese Alec. Camminavano lungo il corridoio con un pavimento in legno e i muri di un colore che dava sul beige. « No, sono... solo felice. Non la vedo da tanto e devo essere sincero, » sospirò « non credevo che la avrei rivista così presto » Alec strinse la presa e si avviarono verso la stanza 110.





Le pareti in legno bianco della camera facevano risultare la luce nella stanza ancora più chiara, come se tutto fosse estremamente ovattato e candido. Ogni cosa era al suo posto, le due piccole foto vicino al capezzale, la coperta che copriva i piedi della piccola donna a letto. « Jian, hai visite » abbozzò la voce di un infermiere. La donna si alzò sui gomiti, lo sguardo camuffato in un punto interrogativo. L'infermiere si rivolse di spalle verso i due che entrarono, lasciando la donna impossibilitata a capire chi fossero. Appena l'addetto si mosse, la figura di un uomo dal sorriso dolce e dallo sguardo tanto intenso, quanto indelebile, la fecero quasi balbettare. « Magnus? » Jian si sollevò ancora un po', mentre gli occhi le si riempivano di acqua. Magnus corse subito vicino al letto, mentre si sporgeva per tenere saldamente sua madre, dentro le sue braccia. « Tesoro mio » disse questa volta, nella sua lingua, nella loro « Sei davvero tu » sospirò, la voce colma di tante cose non dette. « Mamma, mi sei mancata tanto » mormorò, il suo viso che odorava quel profumo lieve, delicato, e gli occhi che guardavano quei capelli lunghi e neri, lungo le spalle. Jian osservò meglio suo figlio, mentre questo le sedeva accanto in una delle piccole sedie disposte affianco al letto. Notò i suoi piccoli occhi, come i suoi, due gusci ben definiti, le labbra, le piccole pieghe che queste formavano. Poco dopo, con fare quasi incerto, anche Alec li raggiunse. Restò in piedi, non volendo rovinare quel momento che si era appena creato. Lo sguardo di Jian non potè che posarsi su di lui questa volta. Alec osservò come lei e Magnus si somigliassero, condividevano lo stesso sguardo, gli stessi tratti, ad eccezione del naso, più allargato per Magnus verso la fine. Le labbra di Jian inoltre erano più carnose mentre il colore degli occhi era lo stesso per madre e figlio. La donna portava un taglio lungo, una frangetta le copriva la fronte e i capelli, erano neri strati a tratti dal grigio sulle punte. Sembrava una saggia, illuminata com'era dalla luce del giorno che veniva dalla finestra sopra la sua testa. « Mamma, lui è... Alec » la informò, allontando qualche altra possibile domanda in merito. La donna annuì, mentre i suoi occhi si posavano ancora « È.. è parte del perchè ci ho messo tanto per venire qui, a rivederti » confessò in breve. Jian ritornò al figlio, mentre la sua mano cercava la sua. Più pallida e molto più affusolata, quella si posò automaticamente. « Magnus, spero ci sia una buona ragione per cui non ti ho più sentito, dopo gli ultimi dieci giorni » rispose calma, meditando le sue stesse parole. « C'è. E credimi, « se fosse così brutta non sarei qui oggi per raccontarla » restò sul vago, mentre si portava la mano della madre sul viso. La donna sembrò cascare per quel gesto, ma studiò bene l'espressione del ragazzo al suo fianco. Alec si era tradito in una smorfia benchè lontana dalla rassicurazione. « Ho sentio di un capo circo ricercato, al telegiornale, inutile dire che io ti abbia pensato » Jian rimase in sospeso, il viso che si increspò leggermente. Magnus guardò le vene che le solcavano la mano liscia ed elgante. « Che devi dirmi, Magnus? » rincalzò Jian, adocchiando come Alec adesso, aveva abbassato lo sguardo. Magnus boccheggiò, cercando di rispondere in maniera più tranquilla possibile. « Mamma, voglio che tu non te la prenda con Alec, lui è stato tutto tranne che un problema, » chiarì, gli occhi che si posavano velocemente sull'altro « non c'è affermazione più lontana di questa » Il ragazzo alto poggiò una mano sulla spalla di Magnus e intimandogli quel poco di supporto, annuì piano a Jian. « C'è qualcosa che devi dirmi, Magnus? » la donna sembrava così calma, ma il suo tono tradiva molto la sua espressione facciale. « Vi lascio da soli » uscì piano dalla stanza, mentre lo sguardo di Magnus lo seguì finchè non fu più visibile fuori dalla porta.





Due pozze scure erano contornate da un nocciola chiaro, mentre le sue mani si aggrappavano alle spalle del figlio. Magnus sentì il petto spaccarsi, ad ogni tremore di sua madre contro la sua spalla.
« Perchè non dirmelo prima, » le mani che gli circondavano ora il viso, mentre i suli occhi si spostavano in ogni punto del suo corpo « perchè, Magnus? »
Il ragazzo sospirò, mentre la sua fronte si poggiava contro quella di Jian, visibilmente scioccata.
« Sapevo che dicendolo ti avrei fatta stare male, forse anche peggio di così » le fece notare, la gola secca mentre cercava di rimanere un soldato. Le accarezzò i capelli con la mano destra. « Ho preferito che passasse tutto, » le stampò un bacio « passerà tutto, mamma. Non sono stato solo in tutto questo »
Asciugò piano una delle sue guance bagnate, mentre Jian si riprendeva non con poca difficoltà.
« Quel ragazzo, Alec? »
E fu come se Magnus si fosse tuffato in un'altra fossa - come se ne uscisse di nuovo per la prima volta, anche se non lo era.
Annuì.
« Mi è stato vicino, in qualsiasi modo possibile, ci siamo trovati, » si morse le labbra e sorrise leggermente « è stato lui a tirarmene fuori. Se solo lo conoscessi, capiresti a cosa mi riferisco » confessò.
Gli occhi di Jian parvero illuminarsi a quella dichiarazione, il viso di suo figlio come colorato di un'aurea intensa e impossibile da nascondere. Aveva notato come aveva lanciato uno sguardo oltre la porta, una volta che quello se ne era andato. Jian sorrise, mentre si strofinava le restanti goccioline dalla pelle.
« Sei stato un incosciente, » lo rimproverò « avrebbe potuto farti di tutto, non voglio nemmeno pensare a cosa sarebbe potuto accadere se avessi aspettato ancora » era leggermente amareggiata, ma il suo tono si velò di tenerezza. La sua mano coprì quelle del figlio, appoggiate ora sul lenzuolo del letto dell'ospizio.
« Sono qui, è andato tutto bene. So cosa ho rischiato, non passa giorno che non lo ricordi »
« E sono sicura che ci sei arrivato anche perchè sei stato aiutato. Ti conosco, so di che stoffa è fatto mio figlio, ma l'ultima volta non eri stato tanto fortunato con certi incontri » ridacchiò.
Magnus alzò gli occhi al cielo, ma la seguì nelle risa. « Mamma, sono passati due anni »
« Ma ci sei rimasto comunque male » constatò premurosa.
« Questa volta è diverso »
Jian guardò come la sua decisione fosse evidente, avrebbe potuto continuare a punzecchiarlo quanto voleva, ma non avrebbe mai tradito la verità del suo tono, del suo sguardo. Quello che conosceva dal momento in cui era diventato consapevole delle sue azioni, di ciò che voleva fare, di chi voleva amare. « Hai deciso di seguire questo percorso e non te ne ho mai fatto un problema, » soffiò Jian calma e metodica « anche se dovessi ricominciare daccapo, ricordati sempre di non tradire te stesso, Magnus. Sei troppo intelligente per fare una cosa del genere.»
« Dio, se mi sei mancata » le sorrise, questa volta riportando lui tracce visibili di commozione. « Tu mi sei mancato di più. Ogni tanto tuo padre mi trova in sogno e gli racconto qualcosa. »
Magnus si sorprese, teneramente rispose. « Che cosa gli racconti? »
« Di me, di noi, di come tu sia cresciuto »
« A me non viene mai a trovare quando dorme, ma lo penso spesso, » ammise, il capo che si abbassava « soprattutto quando mi mostrava come pescare » azzardò.
« Non eri per niente bravo »
« Non mi era mai piaciuto farlo, ma lo rendeva felice » commentò sincero.
Ricordando suo padre, provò quasi tristezza nel riconoscere che la sua immagine gli piombava davanti solo quando ne ricordava frammenti e ricordi. Non veniva mai a cercarlo in sogno, non lo aveva mai fatto. Una volta però, gli sembrava di averlo visto su una delle sedute del circo, in piedi ad applaudirlo. Gli era sembrato surreale.
« Erano tante le cose che lo facevano stare meglio »
« Una di queste eri tu, » la riprese « sempre pronta a bacchettarlo! »
« Sono curiosa di sapere cosa possa piacere ad Alec »
La vaghezza di Jian portò Magnus a rispondere per le rime, in modo giocoso.
« Perchè non glielo chiedi tu stesso? »




Dopo qualche ora che gli parve un eternità, un viso familiare si affacciò dalla porta, richiudendosela alle spalle. Sembrava un viso abbastanza sorpreso, ma calmo per il resto.
« Tutto bene? »
Alec bevve quel sorso di caffè tutto d'un fiato, mentre la caffeina gli scendeva dritta lungo la gola riscaldandolo. Magnus teneva le braccia conserte, la camminata disinvolta e le spalle che si mossero « com'è andata? »
« È stata una botta per lei, questo è sicuro. » Alec annuì, dispiaciuto. « Ma ne abbiamo parlato e penso che se ne farà una ragione. È mia madre. »
« Certo, chi meglio di lei può capirti? » ticchettò sul bicchierino che teneva nella mano destra.
Magnus alzò gli occhi verso la porta della stanza dove aveva lasciato da poco Jian.
« Stai cercando di dimenticare che è l'ora di pranzo o...? » indicò la bevanda appena finita.
« Sì e no, il mio corpo richiedeva qualcosa di caldo e il thè era finito, quindi...» « Capisco »

« Dovremmo... uhm, non so salutarla- »
« Vuole parlare con te »
Alec aggrottò la fronte, la bacchetta per girare la bevanda che gli pendeva dalla bocca, se la tolse di colpo e la buttò insieme al bicchiero nel cestino affianco alla macchinetta.
« Cosa le hai detto, esattamente? »
Magnus gli stampò un bacio sulla guancia. Quello si rilassò di poco, mentre due occhi innocenti lo osservavano.
« Vai a scoprirlo tu stesso »




**

La porta si aprì piano, mentre il suo passo si fece cauto e cercava di trattenere l'ansia che gli parlava rumorosamente in petto. Appena la donna lo vide, gli sorrise caldamente. Si sedette piano sulla sedia color magenta e sentì esattamente il suo scricchiolio, appena il suo peso ci fu sopra.
Jian era così simile a Magnus che per qualche secondo, Alec pensò semplicemente di dirgli cosa aveva intenzione di mangiare una volta usciti dalla struttura. Ma quella donna non era l'uomo di cui si era innamorato, quindi evitò di dire cose inopportune.
« Alec » pronunciò Jian, le mani incrociate in grembo e l'aria assorta « puoi passarmi quella foto lì? » indicò una piccola cornice sul capezzale più distante. Alec annuì e facendo un piccolo giro della stanza, recuperò l'oggetto. Glielo porse « Qui ero più giovane, come puoi ben vedere » indicò, portandosi subito al naso gli occhiali da vista, tenuti dentro la tasca della camicia da notte. La foto mostrava una donna dai lunghi capelli di profilo, la sua mano era tenuta dentro quella di un bambino alla sua sinistra, un uomo, non si distingueva bene, stava sullo sfondo, messo fuori fuoco.
« È assurdo pensare che si cresca così velocemente, senza che nemmeno che tu possa accorgertene » sospirò, sognante.
« È molto bella » rispose Alec.
Jian si voltò a guardarlo e annuì, semplicemente. « Qui eravamo ancora nella nostra terra. Stavo portando Magnus a vedere i fuochi » sottolineò. Lo sguardo di Alec si fermò sul piccolo bimbo, del quale si vedevano sia gli occhi che la smorfia simile a un sorriso « È sempre stato testardo. Fin da piccolo, era un vulcano, » parlò lentamente « sono poche le volte in cui io lo abbia visto davvero in difficoltà, » deglutì « ho sempre cercato di infondergli sicurezza. Io e mio marito, lo abbiamo sempre appoggiato. »
« Questo la rende davvero un esempio, » le sue palpebre sbatterono un paio di volte « non tutti possono dire lo stesso »
« Ti starai chiedendo perchè volevo parlare con te da sola » arrivò al sodo, senza troppi preamboli. Alec cercò di rispondere nel modo meno palese possibile.
« Io... di certo sono rimasto sorpreso »
« Sei un ragazzo umile, Alec, » Jian posò la foto sul suo grembo, mentre una mano ne accarezzava la cornice « potevi dirmi da subito cos'era e perchè era successo tutto. Prendertene il merito, ma no. Hai lasciato parlare Magnus » respirò a fondo, mentre uno sguardo simile a quello di un protettore faceva capolino « lo hai portato qui. »
« Non sono quel tipo di persona, il mio merito è stato solo quello di essere riuscito a incontrare suo figlio » confessò, un piccolo brivido gli serpentinò dentro, mentre riaffiorava il modo in cui Magnus lo aveva fatto uscire dal suo di buio. « Mi ha raccontato cosa hai fatto per lui, » continuò Jian, mentre si sfilava gli occhiali da vista « per quel che ne so, poteva finire molto peggio »
« Signora- »
« Chiamami Jian, per favore, » rise leggermente « non mi faccio chiamare più in quel modo nemmeno dagli infermieri o badanti »
Alec annuì di rimando, le mani che si muovevano perchè non riuscivano a starsene ferme.
« Quello che so, è che ho aiutato Magnus quanto lui ha aiutato me, niente di più e niente di meno » La donna sembrò scrutare dentro quelle iridi verdi colpite dalla luce che filtrava, battendo sulle sue ciglia nere « Sapevo quanto fosse importante per lui venire qui, so cosa significa ricongiungersi con una parte della famiglia che si credeva ormai morta » Jian dischiuse la bocca, colpita da ciò che il ragazzo aveva appena detto. Non sembrava essere un disonesto, ne tanto meno un bugiardo, il suo tono la diceva lunga su quello. « Sei una brava persona allora, non posso trovarti un singolo difetto »
« Mi creda, » la fermò lui « quelli li ho. Come tutti, del resto. »
« Non sarò io a metterlo in dubbio allora. Tutto quello che posso dirti, Alec, è grazie » riprese Jian, la mano che si posava gentilmente su quelle giunte dell'altro « Grazie per far stare bene Magnus, grazie per esserci stato. »
Alec sembrò perdere tutta la forza di rimanere saldo in quel preciso momento, si sentì così vicino a quella donna, la foto che ancora non allontanava dal grembo e la fiducia semi dipinta sul volto « Ho letto tante volte il suo sguardo, ma quello.. » alzò gli occhi e ridacchiò al ricordo « quello lì, è come quello del bambino in questa foto, » toccò la cornice con la mano libera. « solo che adesso è un adulto. E ha trovato qualcun'altro che lo accompagni »
« Non lo dica, » si inumidì le labbra, gli occhi che pizzicavano « lei è sua madre »
« Ma non può innamorarsi di nuovo di sua madre, » le parole di Jian lo investirono per l'impatto e la crudezza « non può avere certi occhi per me. Ed è giusto che sia così »
« Se non fosse stato per la fretta, sarebbe venuto prima »
« Lo so, » Alec sentì il tono di Jian farsi allegro « lo conosco. E se sono ancora minimamente brava nel capire certe cose, so anche che ne passerà un po' prima che possa ritornare » Alec si sentì guardato troppo intimamente, ma afferrò subito le parole della donna. Si riferiva al circo, al suo tendone, alle radici inequivocabili del figlio.
« Se lui volesse riprendere la sua vita di prima, non troverà ostacoli, » confermò senza paure « quello è il suo mondo »
Jian si trovò lì lì per aggiungere qualcosa a quello, ma evitò. Si limitò ad annuire, tenendo quel pensiero per sè. Se era ancora brava nel suo lavoro di madre, il tempo le avrebbe dato ragione.

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