montana

di insiemete
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. la rabbia fa venire fame ***
Capitolo 2: *** 2. una piacevole sorpresa ***
Capitolo 3: *** 3. tutta colpa di George Eliot ***
Capitolo 4: *** 4. un papà è per tutta la vita ***



Capitolo 1
*** 1. la rabbia fa venire fame ***


Non c'è molto da raccontare. Sono figlia di un pastore. O meglio dire un uomo che alleva pecore e le vende al mercato cittadino. Probabilmente la mia vita è la più triste del mondo.
Ho quattro fratelli, che amo abbastanza, e un cane, un pastore del Lagorai. 
Sono felice qualche volta, poi mi cade una lacrima. 
«Patty, mi fai lo stufato?» chiede Jimmy, il più piccolo dei miei fratelli.
Così, chiudo il libro e mi dirigo in cucina a preparare il suo piatto preferito.
Affetto le carote mentre la pioggia cade contro i battenti. 
È triste anche il cielo.
Papà non è casa, lui lo si vede poco. Porta le pecore in montagna, rimane via anche per giorni. Così, io, la sorella maggiore, devo badare ai miei fratelli. A volte non mi sentivo considerata per quella che sono. 
Faccio cuocere. 
Jimmy sta giocando con dei cavalli in miniatura mentre i gemelli, Bart e John, guardano la televisione. Probabilmente Austin sta dormendo, lui dorme sempre.
A diciott'anni vorresti essere fuori casa, al college insieme alle tue amiche, studiando e facendo festa fino alla mattina del giorno successivo, ma per me è diverso. Non ho i soldi per pagarmi gli studi. E non sono riuscita ad avere una borsa di studio.
Anche per questo sono triste. 
Mio padre non ha mai tirato in ballo questo argomento, sapeva che non avrebbe avuto un lieto fine. Ci mancavano i soldi. E io non potevo oppormi.
Più volte avevo cercato un lavoro, cosicché da guadagnarmi qualche spiccio, ma lui me l'aveva sempre negato. 
«Chi baderà ai miei figli?» diceva, e io non venivo considerata una di essi. 
Essere l'unica donna in casa fa male. Tante cose le ho dovute cercare su Google o chiederle alla mia unica amica di infanzia, Josie. In casa nessuno mi capisce e nessuno si mette nei miei panni. 
Anche per questo sono triste.
Jimmy mi tira un cavallo sui piedi. «Giochi con me? Mi manca un altro soldato.»
Annuisco. Non mi considera nemmeno come donna.
Abbozzo un sorriso e mi siedo sul tappeto consunto del salottino, beccandomi un'occhiata amara dai gemelli. 
«Spostati che non vediamo le chiappe di Megan Fox» dice Bart, il più schietto dei due.
Così, scivolo su un fianco e presto la mia attenzione al piccolo. 
I gemelli ed io non ci amiamo particolarmente. Loro hanno sempre fatto fatica ad accettarmi, forse perché sono gli unici a capire che avrei preso l'incarico di essere la donna, la madre in casa. 
Gli accompagnai io a scuola, per la prima volta. E sempre io, parlavo con i loro professori. 
Bart e John hanno quindici anni e per quindici anni non hanno fatto altro che detestarmi.
Al contrario, il piccolo Jimmy mi ama. E io amo allo stesso modo lui. Forse per l'innocenza dei suoi cinque anni, non capisce il ruolo della sua sorella maggiore e non si pone tutte queste domande. Spero rimanga per sempre così, il nostro rapporto. 
Austin è il fratello più taciturno e riflessivo del gruppo Sinclair. Lui non ha un bel rapporto con nessuno di noi, parla poco ed esce dalla sua camera solo per mangiare ed andare in bagno. Il restante del tempo lo passa leggendo fumetti della DC comics. Non conosco molto Austin, ogni volta che cercavo di avvicinarmi, lui si allontanava e la sua presenza diveniva sempre più spettrale in casa. Ora, la è totalmente.
«Hai perso!» trilla il piccolo, facendo cadere tutte le pedine sul cartone. 
Faccio spallucce. «Oramai sei un campione.» So che un giorno sarà un vincente, lo vedo dal suo sguardo. 
«Grazie Pie» dice, abbracciandomi calorosamente. Poi si stacca, stupito. «I veri uomini non abbracciano mai.»
Sorrido. «I veri uomini dovrebbero portare i pantaloni in casa.» Sposto lo sguardo sui due gemelli. Sono seduti sulla stessa poltrona.
«Ti abbiamo sentita, strega» borboglia Bart. Non lo sopporto in questo momento. 
Così, ordino a Jimmy di mettere a posto il gioco. Lui cerca di svignarsela, ma poi mi asseconda. 
Lo stufato è quasi pronto e di papà non c'è ancora traccia. Guardo fuori, mentre un fulmine colpisce il campo. 
Non mi fanno più paura i temporali, da quando mio padre mi ha affidato la casa, ho dovuto combattere contro le mie insicurezze. Ora non mi spaventa più niente e nessuno. 
Sento dei passi pesanti dietro di me, mi giro. La faccia assonnata di Austin mi scruta perplessa. 
«Hai fatto lo stufato?» chiede.
«È bello rivederti» dico, incrociando le braccia sotto il seno. Finalmente si è degnato di uscire. 
«Perché lo hai fatto?» 
«Me lo ha chiesto Jimmy» abbozzo un sorriso verso il piccolo.
Austin arriccia il naso e mi lancia uno sguardo collerico. So perché è dovuto, quello era il piatto preferito di nostra madre.
«Spero sia degno di essere chiamato stufato» insinua, sedendosi a tavola e portando un tozzo di pane alla bocca. 
«Che dici, Austin! Nostra sorella fa lo stufato più buono della contea» lo canzona Jimmy. 
Non ha tutti i torti, però. Nessuno faceva uno stufato buono come quello di nostra madre. 
A volte mi mancava in cucina. 
Ho imparato, ma non sono ancora brava come lei. Preparo tutto quel che mi chiedono i ragazzi, ma lo vedo dall'espressione di Jimmy che i miei waffles non sono buoni come i suoi. E così, mi rattristo.
«Ho fatto anche una torta pere e cioccolato» mi intrometto nel loro discorso, impedendogli di continuare quel battibecco.
Austin ama quel dolce. Così, mi sorride. Non lo fa quasi mai e mi si scalda il cuore. 
«Papà a che ora torna?» 
John avanza verso il tavolo della cucina, mentre sistema i suoi capelli biondi con un pettine. 
«Credo si sia fermato per via della tempesta» rispondo, guardando nuovamente il punto colpito dal fulmine.
Non gli è successo niente, lui sta a duemila metri di quota, probabilmente là non ci arrivano nemmeno queste nuvole. È al riparo. 
Prendo cinque piatti e li poso sotto i nasi dei miei fratelli. 
«Se fai la brava questa volta ti lasciamo un pezzo di carne» sghignazza Bart, mordendosi il labbro famelico. 
L'ultima volta ha mangiato tutto purché non toccassi cibo. 
«Tranquillo, i lombi li ho già mangiati io» affermo.
Lo sento ringhiare, ma non gli do importanza. Lui è l'ultimo a ricevere il cibo.
«Sono rimaste le frattaglie. Io opterei per il cervello, non ne avrai mai abbastanza.»
John sghignazza, Bart gli tira un calcio da sotto il tavolo. 
Quell'ingrato non mi avrebbe presa in giro di nuovo. Questo mi rende un po' più felice.

 

 

Hey, hey.
Ho scritto questa storia breve ancora tempo fa, ma non ho mai avuto la possibilità di pubblicarla. Sarà molto corta, i capitoli avranno questa lunghezza, e credo non superino i 20. E' una lettura molto leggera e spero, piacevole. 
Vi lascio il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=tZa-W54CoYc&feature=youtu.be
Spero tanto vi piaccia.

Mi trovate sempre su wattpad come whatlou.

Patty Sinclair

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Capitolo 2
*** 2. una piacevole sorpresa ***


 

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Buona lettura

 

Non mi piace il Montana. Non c'è nulla.
Probabilmente la città più grande si trova a mille miglia da qui e io non ci sono mai andata.
Non sono mai uscita molto. Mio padre non me lo permetteva. Eppure, non mi lamentavo.
Uscivo solo per andare a scuola. A volte mi mancava. Forse perché, almeno lì, prendevo una boccata di libertà, lontana da tutto e da tutti. E perché lì, almeno per quel poco, venivo considerata.
Non avevo molti amici. C'era Josie e io c'ero per lei e questo era già abbastanza. Il resto non mi importava.
Quella mattina, mi risveglia il crepitare del fuoco, la legna che arde. La mia camera puzza di fumo ed io inalo l'odore. Mi sposto e guardo l'ora: manca poco alle sette. Devo preparare la colazione ai miei fratelli. Papà non è ancora tornato e io sono preoccupata. Se avesse un cellulare probabilmente l'avrei chiamato.
Apro una finestra e assaporo l'aria. La tempesta si è portata dietro tutto il suo male: il giardinetto fuori casa è distrutto, il capanno degli attrezzi ha perso qualche tegola. Sbuffo, rattristata. Sbatto un uovo e metto a friggere del bacon. Forse dovrei sistemare il giardino. Mamma l'avrebbe fatto e ora tocca a me.
«Ciao, Pie» la voce di Jimmy trilla nelle mie orecchie. Mi giro, prendendolo in braccio. Odio quel soprannome più di qualsiasi altra cosa, ma so anche quanto lo ami lui e quindi non controbatto. Era nato dall'unione delle due cose che ama di più: i dolci e me. E Pie è una torta ripiena.
«Dormito bene, marmocchio?» domando, strofinando il naso contro la sua guancia.
Lui mi stringe a sé. «No, mi manca papà.»
Vorrei tanto confortarlo ma non posso. Chissà quando sarebbe tornato. Lo appoggio a terra e metto un uovo sul suo piatto. «Vuoi anche del succo?»
«No...» abbassa lo sguardo, impugnando con vigore la forchetta, «lo sciroppo d'acero.»
Jimmy ha la strana tendenza di mettere lo sciroppo d'acero su qualsiasi alimento. Non posso mai oppormi, piangerebbe tutto il giorno.
«I tuoi fratelli sono in bagno?» domando, guardando l'orologio sulla parete. Sono le sette passate, faranno tardi a scuola.
«Pie» grugnisce, con la bocca piena, «Austin dorme e i gemelli non vogliono uscire dalla stanza. Si sono chiusi dentro a chiave.»
Stringo i pugni. «Va bene, me ne occuperò io.»
A Bart e John piace molto stuzzicarmi, sanno che non sono forte come do a vedere e sanno che non sono poi così paziente. Si compiacciono quando perdo le staffe. Così, cerco sempre di controllarmi mentre salgo le scale e busso alla loro porta. Lo faccio per tre volte e loro non rispondono mai. Ma, mi reputo più furba di loro, così prendo una forcina e la giro nella toppa, aprendola. Bart e John sono distesi sullo stesso letto in boxer, che mi guardano allibiti.
«Come diavolo hai fatto?» John scende dal letto e avanza verso di me.
Mi chiudo la porta alle spalle e incrocio le braccia sotto il seno. «Mi dimenticavo sempre la combinazione dell'armadietto» proferisco, mostrandogli la forcina. Stranamente non risponde.
«Vestitevi e scendete.» Non gli è mai piaciuto il mio tono autoritario. Dopotutto non sono molto più grande di loro e non vogliono sentirsi sottomessi. John indietreggia e si infila un paio di jeans spiegazzati. Bart, continua a guardarmi truce.
«Devi smetterla di comandarci, non sei nessuno» sputa, tagliente come vetro satinato, velenoso come una serpe.
«Sono vostra sorella maggiore. E in quanto papà non c'è dovete ascoltarmi.»
A Bart non piace aver ordini. Lui è un solitario, molto più del gemello. Si avvicina, abbassando il viso alla mia altezza. Il suo fiato mi sfregia il volto.
«Non sei nessuno Patience, non sarai mai lei.»
Non vengo mai chiamata col mio vero nome. Non mi rispecchia.
«Non sono lei e mai lo vorrò essere, ma sono quella che non ti darà più da mangiare se non ti vesti immediatamente.»
Bart rimane muto. Apro la porta e la richiudo alle spalle. Lo odio. Lascio che la rabbia si affievolisca, prima di bussare alla porta di Austin. Se è stato difficile con i gemelli, con lui sarà ancora peggio. Austin è la persona più caparbia che conosca. Se si mette in testa qualcosa, solo lui stesso può auto-convincersi del contrario. Busso e sento un grugnito provenire dall'interno. Austin è steso sul suo letto, al contrario dei gemelli è già agghindato, perfetto nei suoi pantaloni di tela e il pullover morbido sui fianchi. Sta leggendo Lanterna Verde.
«E' pronta la colazione» dico con tono affabile. Le mani ancora mi prudono. Alza il busto e punta lo sguardo nel mio.
«Non ho fame.»
«Ma la colazione è il pasto più importante della giornata, non puoi resistere fino a pranzo senza toccare cibo...»
«Patty, ho un panino nella cartella.»
Mi ammutolisco, guardando un punto indefinito sulla parete. La camera è immacolata come al suo solito, la polvere sembra non averla mai violata. Mi chiedo a chi assomigli questo ragazzo, è il più distante fra tutti noi. Sia caratterialmente che fisicamente. Austin è l'unico corvino nella famiglia ed è anche l'unico ordinato. E' bello nella sua diversità. Abbasso il capo e faccio per andarmene, quando lui mi richiama.
«Patty, sei libera oggi?»
Aggrotto la fronte. «Mh devo andare a fare delle compere, ma sì, perché?»
Chiude il fumetto e si alza. «Mi porteresti in biblioteca?»
Rimango alquanto sorpresa dalla sua richiesta. Andare in biblioteca, per lui, è una cosa molto intima. Non me l'aveva mai chiesto prima ed ero sicura che non l'avrebbe mai fatto. Un sorriso ebete mi spunta sul viso e lo guardo trasognante.
«Davvero?» domando, forse con troppa enfasi.
Lui mi risponde serio. «Sì.»
Mi mordo il labbro, tenendo a freno il mio entusiasmo. Basta poco per essere felici. 

 

 

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Capitolo 3
*** 3. tutta colpa di George Eliot ***


 

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Buona lettura

 

Non ho mai parlato molto di Austin.
Al contrario degli altri, non pensavo molto a lui e perciò non mi importava sapere cosa facesse o con chi si sentisse.
Eravamo due entità opposte che di tanto in tanto collidevano.
Quando Josie mi chiedeva come andava a casa io rispondevo sempre alla solita maniera e non includevo mai il suo nome.
Probabilmente pure lei se lo era dimenticato.
A volte qualche ricordo d'infanzia mi tornava alla mente e mi rabbuiavo, ma poi esso passava, perché Austin non era più lo stesso dei miei pensieri.
Io e mio fratello abbiamo poco meno di un anno di differenza. Nostra madre è rimasta incinta di lui un paio di mesi dopo la mia nascita. Da infanti eravamo inseparabili.
Poi sono arrivati i gemelli e la nostra simbiosi si ruppe. A quei due piace distruggere tutto.
Quella mattina sbrigo le faccende in completo silenzio. Di solito accendo la radio e mi faccio trasportare da qualche canzone country, ma quella mattina, credo che i miei pensieri avrebbero fatto più rumore. I ragazzi sono tutti a scuola. Per punizione ho portato i gemelli con l'auto, cosicché sarebbero entrati. Odiano quando lo faccio, si sentono in imbarazzo. Loro sono dei veri divi al liceo.
Forse per questo mi odiano, non li ho mai trovati così speciali.
Il vecchio pick-up di nostro padre borbotta troppo, probabilmente dovrei portarlo dal meccanico. Lui ancora non si fa vedere. Impacchetto un sandwich e lo metto nello zaino. Ho pensato di preparare uno spuntino ad Austin. Magari quel giorno sarebbe stato speciale. Prendo le chiavi ed esco. L'aria mi fa ondeggiare i capelli al vento. Mi faccio baciare per qualche secondo. Il tragitto verso la scuola è corto, mi fa venire in mente i tempi passati.
Parcheggio davanti al cancello e aspetto di veder comparire la faccia familiare di mio fratello di fianco.
«Che cavolo fai qua» la voce scocciata di mio fratello Bart riecheggia all'esterno. Abbasso il finestrino per vedere il suo naso spuntare all'esterno.
«Non sono qui per voi.»
«A chi vuoi rovinare la vita oggi?» Stringo con veemenza il volante fra le dita e mi trattengo dall'urlare.
«Sei nevrotica, lo sai?» prorompe, facendo uno dei suoi soliti ghigni. Avrei voluto farlo zittire.
«Bart, la vuoi sapere una cosa?» Aggrotta le sopracciglia.
«Cosa?»
«Tu ti aspetti tante cose da me, ma io non mi aspetto nulla di meglio da te.»
La collera gli divora l'espressione del volto. Mi prende il mento tra due dita e mi punta gli occhi addosso. L'azzurro delle iridi appare nero, stracolmo d'ira. «Non farmi arrabbiare, Patience.»
«Mi chiamo Patty» ribatto a denti stretti. Non mi fa paura. Ci fissiamo acutamente per qualche secondo.
«Bart?» John lo richiama, «Bethany mi ha chiesto se andiamo con loro, ci sei?»
«Arrivo.»
«Ciao Patty.» John mi fa un cenno, interrompendo quel momento.
«Tornate a casa per la cena» mi rivolgo al più placido dei due.
«Smettila di darci ordini!» Gli lascio andare.
Bart mi avrebbe uccisa un giorno. A volte perde completamente le staffe e non capisce che le sue parole, soprattutto dette a sua sorella, fanno male ed hanno un peso non poco indifferente. E' vero, molto spesso sono severa ed esigente, ma non voglio che si facciano male. Il liceo è bello, ma pericoloso sotto certi aspetti. Vorrei solo fossero più riflessivi.
A volte vorrei chiedergli scusa, ma poi mi ritraggo. Probabilmente, al mio posto, avrebbero fatto così anche loro. Dieci minuti dopo, Austin fa la sua comparsa e mette a tacere i miei pensieri.
«Ciao fratellino.» Mi guarda e mi fa cenno di partire. «Ti ho preparato un sandwich. E' il tuo preferito: gouda e uova.»
«Grazie ma non ho molta fame.» Arriccio il naso, mentre mi imbocco sulla strada principale.
«Come mai oggi sei uscito così tardi?» Accende la radio. Kygo risuona nell'abitacolo.
«E' arrivato un nuovo ragazzo a scuola e il signor Hegel mi ha chiesto di fargli vedere le aule.»
E' una novità, nessuno si trasferirebbe in questa cittadina.
«Come mai è qui?»
«Il padre fa il carabiniere e l'hanno trasferito.»
Decido di porre fine alla discussione. Non sembra molto interessato a parlare con me. Ci sarebbe servito più tempo. Parcheggio fuori dalla piccola biblioteca comunale, Austin si fionda fuori prima che abbia spento il motore. Io lo seguo qualche momento dopo. E' un anno che non entro in questo posto. L'odore di mucido mi preme nelle narici. Austin è già salito al secondo piano. Spilucco qua e là qualche libro da qualche scaffale. Molti di quelli li ho già letti. Magari rileggendoli una seconda volta li avrei amati di più. Prendo un libro di George Eliot tra le mani.
«Scusami, tu lavori qui?» qualcuno domanda, ed io all'inizio non capisco di essere la destinataria. Mi giro confusa. Probabilmente la mia maglietta con stampato un libro gliel'ha fatto intuire.
«No, io-a dire il ve-.»
«Voglio prendere un libro per mia sorella, ma non so quale.»
Tento di ribattere, ma lui mi interrompe nuovamente.
«E' il suo diciottesimo compleanno, voglio che lo ricordi.»
Io lo ricordo bene il mio diciottesimo compleanno.
«Non so che tipo sia.»
Il ragazzo si passa una mano tra i capelli. «Beh lei è molto timida, romantica. Ha cominciato il college e studia lettere, vuole fare la scrittrice. Le piace la poesia contemporanea e... non so che altro dire.»
Apprezzo il suo imbarazzo. Bart e John non saprebbero nemmeno che dire di me. Così, mi volto verso gli scaffali e guardo qualche titolo.
«Ti ha mai detto qual è il suo libro preferito?»
«Me ne ha detti una decina.»
Mi mordo il labbro. «Ricordi qualche autore?»
«Una certa Osten-»
«Austen» ribatto prontamente.
Adocchio altri volumi ma nessuno mi sembra adatto al punto giusto. Poi, la mia attenzione si sposta al libro che tengo gelosamente stretto al petto. Middlemarch.
«Credo di averlo trovato» dico, guardandolo negli occhi. Gli passo lo scritto in mano e lui mi guarda confuso.
«Non lo stavi leggendo?»
«L'ho già fatto. Credo lo apprezzerà.»
Il ragazzo mi sorride calorosamente e per un istante sembra volermi abbracciare. Io rimango rigida, nessuna emozione traspare dal mio volto.
«Grazie, sei la mia salvezza» dice, dandomi un'ultima occhiata e scappando verso il bancone. Chi lo sa, magari anche tu potresti essere la mia.

 

 

Hey ciao ragazze, come state? In questo capitolo vediamo un nuovo personaggio, chissà che ruolo avrà nella storia. Grazie mille per essere arrivate fino a qui. Un bacio.
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Capitolo 4
*** 4. un papà è per tutta la vita ***


 

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Buona lettura

 
Quando mamma ci ha abbandonati, io non ho versato una lacrima. Sapevo quanto odiasse vivere con noi e questo suo risentimento aveva portato me, la sua primogenita, ad odiare lei. C'erano giorni che volevo sul serio sparisse. La sua presenza in casa stava diventando sempre più passeggera.
Un giorno i miei desideri si sono avverati.
E nel voler perdere lei, ho perso i miei fratelli.
Prendo gli occhiali dal comodino e mi alzo dal letto.
È un altro giorno, un'altra mattina. Vado in bagno e mi sistemo. Devo preparare la colazione per quattro persone.
Scendo le scale controvoglia e metto su della legna nel camino.
Noto una figura distesa sul divano.
«Papà» la mia voce lo desta dal sonno. Corro verso di lui e gli butto le braccia al collo.
«Finalmente sei tornato» dico, con le lacrime agli occhi.
Lui non mi stringe. Sento freddo.
«Che cosa succede?» chiedo, guardandolo malinconica.
Di solito mi stringe e non mi lascia più. Quando non lo fa, è triste.
«Ho perso dieci pecore.»
Il gregge è composto da centinaia di animali, ma anche dieci fanno la differenza.
«La nebbia, il temporale, le ha spinte giù per il dirupo. Blake non è riuscito a fermarle.»
Mi mordo il labbro. Il suo viso è rivolto verso il pavimento.
«Ne compreremo altre.»
«No, tesoro. Non ho soldi nemmeno per sfamare i miei figli, come puoi pretendere che compri altri animali?»
Gli carezzo una nocca ruvida. «Te l'ho detto, troverò un lavoro.»
«Ma io non voglio.»
«Sono grande abbastanza per farlo.»
Scuote la testa e mi sposta una ciocca bruna dietro l'orecchio. «Sei la mia donna.»
Gli bacio una lacrima che gli è sfuggita. «Voglio che tu sia felice.»
«Felice? Non lo sarò mai dopo quello che ti ho fatto.»
Non voglio che tiri fuori quell'argomento, così mi alzo. Lui mi segue. Si siede su una sedia e punta i gomiti sul tavolo della cucina. «Ti ho negato una delle cose a cui tenevi di più.»
Prendo un bicchiere dal lavello. Lo riempio di succo. «Non importa, ormai non ci penso più.»
Che falsità, ci penso ancora tutti i giorni. Ci penserò tutta la vita. Lo sa che la tristezza mi divora gli organi. Ma non posso farci niente. E' meglio che sia infelice io che tutti gli altri.
«Mi sento colpevole.»
Metto il caffè nella moka e mi giro verso il suo viso provato. «Io sto bene, papà.»
E' lui che non lo è: felice.
Poggio la bevanda fumante sotto il suo naso. Prende un cucchiaino dal porta posate e la grappa dalla mensola. Affoga un cubetto di zucchero all'interno.
«I ragazzi mi odieranno» dice, mescolando.
Guardo fuori dalla finestra, ammutolita.
«Tornerò a casa il mese prossimo.»
Spalanco la bocca. «Cosa? Perché?» irrompo, sedendomi di fronte a lui e guardandolo con gli occhi velati di lacrime.
«Non posso portare giù le pecore, tesoro. E' troppo pericoloso. Ne perderò per strada. Non posso permetterlo, ora che il gregge si è ridimensionato.»
Gli prendo una mano e la porto alla bocca. «Non ce la posso fare senza di te.»
Lui si rabbuia, poi alza il tono della voce. «Non dirlo nemmeno per scherzo.»
Non sarebbe stato facile, ma per lui ci avrei provato. Immaginarlo lontano da noi fa male, persino per me. Cosa avrei fatto senza di lui? Se Jimmy si fosse ammalato? Se i gemelli avessero rotto qualcosa? Io cosa potrei fare? Papà dice che io trovo sempre una soluzione a tutto. Ma, per la prima volta, sono costretta a dissentire.
«Sei più vicina a loro più di quanto lo sia mai stato io.»
Ma non ci tengono quanto dovrebbero.
«Quando partirai?» domando, speranzosa di sentirgli dire il più tardi possibile.
Lui mi bacia il palmo della mano. «Finito il caffè.»
«E i ragazzi?» reclamo.
«Ho scritto un bigliettino e l'ho lasciato sui loro comodini. Ho fatto un regalo a Jimmy, è sopra il suo armadio. Daglielo domani.»
E' il suo sesto compleanno.
Ingoia l'ultimo sorso e mette la tazzina nel lavello.
«Sono così fiero di te, tesoro» dice, stringendomi in un abbraccio e baciandomi i capelli.
Lo attiro quanto posso a me. Ora non sento più freddo.
Rimaniamo così per qualche attimo, poi si allontana, senza girarsi più.
Papà? Mi manchi già.

 

 
Perdonate l'imperdonabile ritardo.
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