Scacchi

di Le due zie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bianco avorio ***
Capitolo 2: *** Nero ebano ***
Capitolo 3: *** Nero ossidiana ***
Capitolo 4: *** Opale bianco ***



Capitolo 1
*** Bianco avorio ***


Bianco Avorio
 
C'è profumo d’autunno, ovunque, intorno a lui. 
André appoggia il capo al tronco ruvido del grande olmo e chiude gli occhi, intenzionato a lasciarsi avvolgere da quell’aria ancor tiepida ma striata di foglie secche e impalpabili foschie. Dal prato, poco distante, gli giungono una serie di fruscii e di tintinnii: Oscar ha deciso di dedicare le ultime ore di luce per allenarsi con la pistola e, apparentemente infaticabile, sta disponendo con cura le bottiglie che userà come bersagli.
Appoggia meglio le spalle ed espira lentamente: dovrebbe riporre le spade, che ha lasciato cadere a poca distanza dalla coperta su cui si è abbandonato, ma prima sente il bisogno di rilassare la schiena indolenzita dal lungo allenamento cui Oscar lo ha sottoposto anche quel giorno; percepisce il proprio respiro tornare normale mentre raccoglie le gambe per appoggiarvi le braccia e inclina un poco la testa all’indietro per lasciarsi rapire dal baluginio dell’ultimo sole che filtra tra le foglie già rade. 
Adora i giorni stanchi di fine settembre intrisi del ricordo della calura estiva ma gonfi di promesse di gelo invernale, le serate sempre più lunghe e le prime nebbie da sconfiggere davanti ad un camino acceso, in compagnia di un bicchiere di buon cognac e di una scacchiera. 
Il pensiero del loro piccolo mondo bicolore e della partita che hanno in sospeso da più di una settimana gli strappa un lieve sospiro: quanto tempo hanno trascorso in compagnia degli scacchi, negli ultimi anni? Quanta vita è passata tra quei pezzi intagliati, quante lacrime si sono asciugate, quanti silenzi sono diventati parole, sullo sfondo bianco e nero della loro scacchiera? 
L'ombra di un sorriso gli stira le labbra al ricordo del borbottio irritato che sua nonna emette ogni qualvolta si trova a dover spiegare alla domestica incaricata di spolverare che la scacchiera nel salottino deve essere spolverata così com’è, senza che nessuno dei pezzi venga mosso dalla posizione in cui si trova. Era successo, e probabilmente sarebbe capitato ancora, che le loro partite durassero giorni, a volte anche settimane, abili come erano entrambi nel prevedere le reciproche mosse ed a parlarsi, muti ed immobili, con silenzi carichi di tutto ciò che le parole non potevano dire. 
Gli scacchi erano stati il ponte tra le loro anime, pensa André ed il sorriso che ancora gli aleggia sulle labbra scende ad avvolgergli il cuore mentre ritrova la consapevolezza di quanto ha sentito cambiare Oscar, partita dopo partita, in quegli ultimi anni, forse i più lunghi ed i più difficili delle loro vite; anni carichi di moti dolorosi dell'anima e sensazioni da accettare, soprattutto per lei, che si era ritrovata a dover affrontare per la prima volta i suoi sentimenti di donna, quelli che aveva deciso di soffocare fanciulla e che era sempre stata sicura di saper dominare. 
Il sorriso scompare definitivamente dal suo viso, mentre riapre gli occhi, richiamato dal cinguettio sommesso e dal frullare di ali di uno stormo in volo: il ricordo di quei lunghi mesi passati a dibattersi in una sofferenza che non trovava nemmeno il coraggio di manifestarsi è ancora oltremodo doloroso per lui. Avevano rimesso mano agli scacchi proprio in quello stesso periodo, sei anni prima, in una sera solitaria qualche settimana dopo la partenza del Conte di Fersen per il continente americano.  
Oscar, annichilita da un dolore che non poteva permettersi di esternare, aveva deciso di limitare allo stretto indispensabile le sue uscite pubbliche e le serate si erano susseguite vuote e silenziose fino a quando ad André era tornata in mente la scacchiera, dono di un lontano parente. Era stata loro compagna inseparabile nelle sere perdute dell’infanzia, quando pian piano avevano imparato a conoscersi ed avevano gettato le fondamenta della loro strana amicizia e forse avrebbe potuto esserlo di nuovo, ora che i percorsi della vita avevano tanto mutato il loro rapporto. 
Così, mentre disponeva meticolosamente i pezzi di ebano ed avorio finemente intagliati, aveva pregato una domestica di chiamare Oscar e si era augurato di essere in grado di aiutarla, una volta ancora. 
Lei era arrivata parecchi minuti dopo, gli occhi arrossati di lacrime appena scacciate ed il respiro ancora gonfio di singhiozzi trattenuti. André non aveva parlato: si era limitato a spostare la poltroncina che lei era solita occupare per poi sedersi a sua volta, in attesa.  
Quella sera e molte altre, nelle settimane successive, avevano giocato in assoluto silenzio, gli occhi fissi al legno intagliato e le urla mute delle loro diverse sofferenze a saturare ogni angolo della stanza. 
Poi, lentamente, il tempo aveva steso la sua trama misericordiosa sul cuore di Oscar ed i suoi occhi erano tornati quieti, a tratti quasi sereni. 
Le partite si erano arricchite di chiacchiere sulla giornata appena trascorsa e di piccole burle, specie quando uno dei due azzardava una mossa frettolosa che lo avrebbe portato inesorabilmente alla sconfitta, e le risate erano tornate a rincorrersi sotto le volte affrescate, come tanti anni prima. 
In quei lunghissimi mesi André aveva visto Oscar rinascere dalle ceneri del suo cuore infranto e ricostruirsi pezzo per pezzo. Quella rinascita l’aveva vissuta a sua volta nella profondità della sua anima e del suo cuore, entrambi feriti dal dolore di lei e gravati dal peso dell’amore che le portava e che mai aveva pensato di poterle confidare. 
Il cuore prende ad accelerare di colpo, al solo abbozzo di quel pensiero: mai, fino a quelle ultime settimane di sintonia assoluta. André aveva avuto sin dall'infanzia ben chiaro in mente quale sarebbe sempre stato il suo posto nel cuore e nella vita di Oscar e, benché la conoscesse abbastanza da sapere che non lo avrebbe mai considerato solamente un sottoposto, sapeva di doversi porre alla stregua di un fratello, per lei. Una spalla su cui piangere dopo una sbronza o una schiena ampia a cui appoggiarsi durante un’imboscata, non certo un abbraccio caldo in cui rifugiarsi ed al quale chiedere il conforto di un amore così unico da cancellare tutto il resto. Eppure … eppure quel ritrovarla, così meravigliosamente simile alla sua lontana amica d’infanzia, tanto inatteso quanto stupefacente, lo ha indotto suo malgrado a sperare. Non sa perché, ma in un minuscolo, remoto, indomito anfratto della sua anima si fa ogni giorno più tenace la convinzione che qualcosa in Oscar, si sia acceso per lui. E' certo di averlo visto nei suoi sorrisi, ogni giorno più caldi, colto nella sua voce più morbida, percepito nell’arrendevolezza dolce del corpo, quando cavalcano affiancati e lei abbandona l’abituale postura altera per seguire lieve i movimenti del cavallo senza timore di rivelarsi.
Incredibilmente anche le distanze sono tornate ad accorciarsi tra loro. Aveva avuto paura di sognare la prima volta che lei aveva cercato la sua mano per rialzarsi dopo un ruzzolone al termine di un duello ed il cuore gli si era quasi fermato quando qualche giorno dopo aveva appoggiato con una naturalezza disarmante la fronte alla sua spalla, stremata dall’allenamento. Trattenersi dall’accarezzarle i capelli era stata la cosa più difficile della sua vita, così come convincersi che era stato solo un gesto di amicizia, cosa che il suo cuore caparbio non aveva assolutamente inteso di fare.  
Di nuovo sente il battito accelerare mentre la cerca con lo sguardo e si ritrova a trattenere il fiato quando gli occhi si posano sulla sua figura a pochi passi di distanza da lui, il profilo di filigrana stagliato nell'oro del tramonto, concentratissima a prendere la mira per colpire la fila di bottiglie ben allineate davanti a lei. 
La osserva, le labbra distese in un sorriso suo malgrado gonfio di orgoglio, mentre preme ritmicamente il grilletto, il braccio ben fermo e la schiena flessuosa tesa fino allo spasimo, in un insieme armonioso e sicuro al tempo stesso, e nulla gli sembra più naturale, in quella luce dorata, di quell'inusuale binomio in cui la raffinata bellezza di Oscar diviene un tutt'uno con la forza dirompente che dal suo braccio si dirama per trasformare le bottiglie in scintille brillanti. 
I vetri tintinnano lievi mentre si posano sull'erba arrossata dal tramonto e per alcuni istanti, scemato il fragore dello sparo, non si ode che il gracchiare spaventato di alcuni corvi in volo; poi tutto è di nuovo silenzio, tranne le parole di disappunto con cui Oscar accompagna la scoperta di una bottiglia, incredibilmente intatta tra tutto quello scintillio di cocci. 
- Stai perdendo la mano - la apostrofa allegramente, accompagnando le parole con un ampio sorriso, mentre si muove per farle posto accanto a sé - Nessuna bottiglia è mai uscita intera da un confronto con te, prima d'ora! –
La risata lieve di Oscar lo avvolge mentre lei si lascia cadere pesantemente accanto a lui, uno sbuffo a gonfiarle per un attimo le guance.
- Hai ragione, accidenti a te! - risponde - Non mi alleno come si deve da un sacco di tempo! –
Ma, a dispetto delle parole, non c'è nervosismo nella sua voce, né nei gesti aggraziati con cui muove collo e spalle nel tentativo di liberarli dalla tensione; non ci sono regole da rispettare in quel momento o traguardi da raggiungere e limiti da non oltrepassare: è un momento perfetto, nella sua unicità, colmo solo dei raggi dorati del sole al tramonto e dei movimenti inconsapevolmente sensuali di Oscar che, gli occhi chiusi e la testa un poco arrovesciata all'indietro, porta le mani alla serica massa dorata dei suoi capelli per sollevarli sulla nuca e godere della fresca aria autunnale. Movimenti che parlano di un affiatamento profondo, di una fiducia totale, di una complicità che sconfina quasi nell'intimità.  
È questione di un istante: quando André percepisce la gola farsi arsa è già troppo tardi per staccare gli occhi dalle guance di lei, arrossate dal cimento di poco prima, e dalla vena azzurrina che pulsa rapida alla base del collo; tardi per rifuggire la visione della sua bocca sul calore di quel viso e sul picchiettare di quella vena a suggerne tepore e morbidezza. Gli effetti di quell'immagine uniti al suo profumo che lo avvolge, sono devastanti e non può far altro che spostarsi bruscamente da lei per impedire che la reazione del suo corpo sia manifesta: con una torsione improbabile e decisamente goffa cerca con la schiena il tronco nodoso dell'albero per appellarsi alla sua dolorosa ruvidezza e provare a riguadagnare un minimo di autocontrollo.
Un attimo dopo, consapevole che la visione del collo bianchissimo di Oscar da divorare con le labbra dopo averla mollemente adagiata sulla coperta, non lo abbandonerà facilmente, si accuccia sui talloni, una mano appoggiata ad un ginocchio, perché sia chiaro anche a lei il suo intento ad alzarsi per andarsene.
Ma Oscar non pare comprendere la sua fretta e, riaprendo gli occhi, meravigliata da quel gesto brusco, lo apostrofa stupita - Che diavolo ti prende? - domanda voltandosi a mezzo verso di lui, la scollatura della camicia che rivela la seta della pelle sottostante e precipita André in un pozzo di irrefrenabile tentazione - Vuoi già andartene? Non mi sembra poi così tardi! -  
Vorrebbe risponderle che per lui è tardi, tardissimo, che era già tardi, per salvarsi, un istante dopo averla guardata la prima volta, che tenerle nascosto il desiderio ardente che lo tortura quando lei gli è così vicina sta diventando ogni giorno più difficile, praticamente un'impresa titanica, ma non può farlo. E non vuole. Non vuole tornare a casa, non vuole privarsi di nessuno degli attimi preziosi che condivide da solo con lei, lunghi sorsi di una bevanda inebriante e insostituibile, non vuole che quel pomeriggio così speciale finisca, anche a costo di strozzarsi nel suo stesso respiro per ritrovare il governo di sé. Riesce a farlo giusto in tempo per la richiesta di Oscar, che si sta guardando intorno curiosa. - Si è per caso avanzata una mela, André? –
Mentre parla completa la sua torsione verso di lui ed appoggia con grazia una mano non lontana dalle sue gambe, per sorreggersi meglio e riuscire a sollevare il busto da terra, lo sguardo puntato oltre il corpo di lui, là dove sono posate le loro bisacce. 
Anche André, nel tentativo di esaudire la sua richiesta, allunga un braccio nella stessa direzione e, recuperato l'ultimo lucido frutto rosso, volge il braccio in direzione di Oscar e al contempo con l'altra mano cerca il terreno per puntellarsi e ritrovare l'equilibrio un poco compromesso dalla velocità dei movimenti. 
Ma non è l'erba quella che trovano le sue dita, quando giungono a destinazione.  
Sono le dita tiepide di lei quelle che percepisce sotto il suo palmo. 
La brezza pare arrestarsi, così come lo stormire delle foglie ed il cinguettare dei passeri mentre entrambi prendono consapevolezza l'uno del calore della mano dell'altra, e qualcosa suggerisce loro che quel tocco si sta prolungando oltre il dovuto, che le lunghe dita abbronzate di André non hanno alcuna intenzione di abbandonare quelle esili e candide di lei.  
La mela rotola lontana, tra l'erba alta oltre il bordo della coperta, nulla più di un fruscio che nessuno dei due percepisce davvero, ed ancora quelle mani non si sono lasciate, e gli occhi di entrambi si scoprono a guardarle affascinati, come se faticassero a credere a ciò che stanno vedendo. È Oscar la prima a sollevare lo sguardo, le palpebre percorse da un fremito lieve che diventa brivido leggero quando incontra lo sguardo di lui e ravvede in quel verde striato dall'oro del tramonto qualcosa che non vi aveva mai scorto. 
Un istante dopo l'oro scompare da quelle iridi che hanno catturato le sue e lo sguardo di André si fa scuro, caldissimo, quasi quanto la sua voce - Devo dirti una cosa, Oscar. -
È talmente dirompente il tono di quel bisbiglio che l'azzurro degli occhi di lei si colora di un tono diaccio di paura, e appena un poco più fredde si fanno anche le dita ancora dolcemente prigioniere sotto al palmo di lui.
- Ho paura anche io, credimi - continua André, percependo chiaro il timore di Oscar, - Ho una dannata paura di dire ciò che sto per dirti ma ... - il pollice si muove lentissimo sul dorso della sua mano, ora, a disegnare piccole mezzaluna tiepide e serene - ma ho ancora più paura a non farlo, perché temo che me ne pentirei per il resto dei miei giorni. –
Le dita di lui si intersecano strette e il suo tono è così urgente e diverso e bisognoso che Oscar sente il respiro accelerare e non può più reggere la forza di quello sguardo; il suo cuore sbanda, impazzito e i suoi occhi, in un piccolo vagare spaventato, trovano le labbra di lui, inspiegabilmente molto più vicine alle sue di quanto pensasse.
Le vede aprirsi quelle labbra, e percepisce la voce di lui, rovente ed ipnotica - Oscar, io ti ... - poi il mondo intorno a loro esplode in piccoli frammenti di vetro verde e, mentre sul terreno ricade inerte ciò che rimane della bottiglia superstite, il frangersi dello sparo si acquieta e lascia posto al risuonare di una risata quasi dimenticata ma inconfondibile.


Come il caldo soffocante, le zanzare e i temporali che rovinano le scampagnate, siamo tornate anche questa estate per festeggiare a modo nostro (e con un po' di anticipo) il compleanno di André.
Grazie fin d'ora a chi vorrà unirsi a noi!
Un bacio (anzi, due)
Le due zie

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Capitolo 2
*** Nero ebano ***


Nero Ebano
 
Sono i frammenti aguzzi in cui il suo cuore si è frantumato a scricchiolare in modo sinistro sotto le suole dei suoi stivali mentre aggira il muretto di sassi per controllare quante bottiglie buone siano rimaste accatastate, pronte per il prossimo allenamento di tiro. Gli è sufficiente un’occhiata per scorgere l’esiguo numero di bersagli a disposizione, eppure scaccia con uno sbuffo l’idea di provvedere nell’immediato a ricostituire la scorta, certo di avere altro di cui occuparsi, qualcosa di ben più urgente di qualche bottiglia destinata ad andare in pezzi.
Solleva appena lo sguardo in direzione dell’olmo ai piedi del quale è solito assistere Oscar nei suoi esercizi di tiro e una stretta al petto gli mozza di nuovo il fiato nello scorgere le due figure che ora, ad un passo l’una dall’altra, sono così impegnate a discorrere tra loro, da essersi completamente estraniate dal mondo reale, relegandolo a fare da sfondo ad uno spettacolo al quale avrebbe fatto volentieri a meno di assistere.
Non riesce nemmeno a ricostruire esattamente la sequenza di ciò che è accaduto, ma una serie di immagini tagliano i suoi ricordi e scompongono quei pochi istanti in scene che per lo più gli risultano confuse, ma che a tratti diventano percezioni lucide e assolutamente definite.
Ricorda di aver sollevato il capo istintivamente dopo aver udito quella risata impossibile da non riconoscere e ha ancora chiara la sensazione di vuoto assoluto che ha provato nel percepire le dita di Oscar scivolare dalla presa delle proprie, solo un istante più tardi.
Quando aveva abbassato di nuovo il capo, sotto di sé aveva trovato solo la trama consumata della coperta e niente di più. Poi aveva scorto Oscar risalire di corsa l’erta erbosa fino al sentiero che ne percorre la sommità; l’aveva vista incespicare quasi tra i ciuffi d’erba che rendono irregolare la china, piegarsi rapida per trovare un appiglio saldo e proseguire la propria corsa con una fretta che l’aveva resa quasi irriconoscibile; aveva udito la sua voce chiamare con sorpresa, ed esagerato entusiasmo, il nuovo arrivato. Il sangue si era gelato nelle sue vene nel vederla così trasformata al solo udire la voce del conte e per un attimo il tempo non solo si era fermato, ma aveva riavvolto le sue spire maligne, scavando nel passato e riportando al presente quella Oscar che André credeva fosse ormai un lontano ricordo: quella che si era illusa per un legame impossibile, che aveva sofferto e pianto nella solitudine buia della delusione per un amore non corrisposto; quella stessa che lui aveva faticosamente raccolto dalle ceneri della tristezza e pazientemente ricostruito, pezzo su pezzo, fino a che lei non aveva recuperato il sorriso e la luce nel suo sguardo di zaffiro … scacciando il passato come uno spettro dimenticato, che ora tornava prepotente.
Non ricorda nemmeno come abbia superato quell’istante di stallo in cui il Conte, odiosamente solerte nelle buone maniere, gli si è rivolto, salutandolo dall’alto della china – Bentrovato anche a te, André! Ti trovo in ottima forma! –. Non sa con quali parole gli abbia risposto, mentre i suoi occhi erano incollati alle spalle di Oscar, completamente assorbita dal proprio ospite, e non sa come potrà rivolgersi di nuovo al Conte senza cedere alla tentazione di provocarlo, o di rinfacciargli quanto sia cieco, sordo e ottuso, o di sputargli addosso tutto il rancore che in tanto tempo aveva creduto di aver soffocato e che invece adesso si era risvegliato come un mostro dentro il suo petto.
Ora, al vederli là, insieme sotto il loro olmo, a violare quel luogo di pace, si sente ferito o peggio, tradito. La rabbia monta rapida come stretta che chiude le viscere e toglie il respiro, quando il conte si fa ancora più vicino a lei; troppo vicino, tanto da metterle una mano su una spalla e permettersi di tenere la presa come se lei fosse un amico qualunque, un compagno di battaglia o di bevute … La mano del Conte sembra essersi inchiodata lì, sulla spalla di Oscar … ma André, quella presa, la sente sua propria gola, sempre più stretta, quasi fosse un artiglio che lo soffoca senza pietà. Lo osserva e assottiglia lo sguardo, osservandolo trascurato e provato dal viaggio, dalla guerra e dalla malattia; si domanda come abbia potuto avere così poco riguardo da presentarsi al cospetto Oscar in quelle condizioni, ma poi sbuffa soffocando una risata amara, al pensiero che il Conte si ritenga in ogni caso un uomo a cui nessuno possa negare attenzione e riguardo, in nessun caso …
Non ha ancora nemmeno mosso un passo per tornare all’olmo, quando si accorge che Oscar e il Conte di Fersen si stanno ormai allontanando lungo il sentiero, passeggiando l’uno accanto all’altra, in direzione di Palazzo Jarjayes. Allora stringe le dita sui palmi, chiudendo i pugni fino a far tremare le braccia, e poi ingoia rabbia e delusione, serrando i denti fino a soffocare una sorta di ringhio.
Quando le due figure sono ormai lontane, recupera rapido le spade, il cofanetto con la pistola e il necessario per fare esercizio di tiro; il cavallo del Conte, rimasto sul sentiero, sembra osservarlo con sguardo mite, in attesa di essere condotto al proprio meritato riposo.
 
I suoi passi pesanti percorrono il corridoio del primo piano per l’ennesima volta, lo sguardo basso scorre sul parquet mentre le porte delle diverse stanze sfilano rapide; quando giunge davanti alla più elegante delle stanze degli ospiti, si ferma e, con un movimento agile delle spalle, si infila tra i battenti socchiusi. Raggiunge la grande vasca sistemata al camino e, con un gesto secco, posa i secchi a terra restando poi a fissare la propria immagine riflessa dalla superficie dell’acqua.
E’ stanco e accaldato; con i capelli legati malamente sulla nuca, le ciocche sfuggite al nastro ormai incollate sulla fronte e la camicia sgualcita dalla giornata di allenamenti, si immergerebbe volentieri in quella vasca invitante e invece da un quarto d’ora fa la spola per preparare il bagno profumato per l’illustre ospite di Palazzo.
- Ancora un secchio e si finirà per allagare la stanza prima ancora che ci entri … - osserva a mezza voce, finendo per mordersi il labbro, mentre svuota nella vasca il contenuto dei secchi e una nuvola di vapore si leva investendolo in volto. Pensa che la nonna esageri sempre, quando si tratta di ospiti di un certo livello, e lo sguardo corre dall’acqua alla fila di flaconi di essenze profumate che fanno bella mostra di sé sul tavolino poco discosto dalla vasca. Così, sospeso sull’acqua fumante, il viso si fa umido, gli occhi si chiudono in due fessure e iniziano a bruciare, mentre il respiro diventa sempre più pesante e spezzato … finché André, di colpo, non prende ad arretrare, scuotendo il capo. Raccoglie i secchi e, svelto, si allontana dalla vasca, risoluto; attraversa rapido la stanza e infila la porta …
D’improvviso, urta contro qualcosa che gli arriva a mala pena al petto, che urla e poi prende a lamentarsi.
– Santo cielo, André! E’ questo il modo di uscire dalla stanza? – lo redarguisce, pronta, la nonna – Sai che non tollero questi modi e che … -
Ma lui non la ascolta nemmeno e già si sta allontanando lungo il corridoio; non ha nessuna intenzione di mettersi a discutere con lei e sente solo il bisogno di allontanarsi da lì, da quella stanza, da Palazzo e dal mondo intero ...
Alle sue spalle, la nonna non demorde – Se hai finito con l’acqua calda, puoi avvisare il nostro ospite che il bagno è pronto. Il Conte è ancora in biblioteca, insieme a Madamigella Oscar. –
André arresta i suoi passi solo un istante, senza nemmeno voltarsi – E’ meglio che ti occupi tu del nostro ospite, nonna: con tutta l’acqua che è stata riscaldata, è bene che io vada alla legnaia a spaccare dei ciocchi per ripristinare la scorta. -
- André! Ma che modi …? – sente borbottare la nonna, ma non le dà tempo nemmeno per proseguire.
- Tranquilla nonna: mi farà bene un po’ di duro lavoro … e sarò a tua disposizione per il servizio della cena. – chiude infine, allungando il passo definitivamente.
 
Rientra in camera e chiude la porta restando per alcuni istanti immobile, con la mano stretta alla maniglia, quasi volesse assicurarsi che tutto il mondo fosse veramente rimasto chiuso fuori. Intanto, cerca di governare il respiro, di riacquistare un poco di calma, mentre le immagini di quanto appena vissuto tornano prepotenti.
E’ rientrato dalla legnaia di malavoglia, dopo aver riversato tutta la sua energia su qualche malcapitato ciocco di legno; ha colpito più e più volte quei tronchi senza colpa … riducendone alcuni ad un mucchio di trucioli senza valore, fino quasi ad accanirsi su di essi, pur di rimandare il momento del rientro, pur di sfuggire alla tortura del servizio a tavola. Ma poi ha dovuto cedere al dovere e al rientro ha dovuto subire pure le invettive della nonna, perché era in ritardo, perché la cena di Madamigella e del suo ospite era già in corso e perché lui non era nemmeno presentabile! Così è stato spedito in camera a rinfrescarsi, in modo da poter prendere servizio come si conviene, perché già il necessario per la sua toeletta era stato predisposto in camera sua.
Lascia la presa sulla maniglia e si volta, scorgendo a terra, accanto al catino, un unico secchio di acqua che al tatto si rivela fredda come se nemmeno fosse stata mai sopra al fuoco. Allora solleva un braccio e afferra giusto dietro al proprio collo la camicia, in modo da levarla in un unico, rapido gesto, finendo per gettarla all’aria, da qualche parte nella stanza. Strappa dal sostegno la pezzuola e la affonda nel catino, per poi strizzarla e torcerla con veemenza, fino a far tremare le proprie braccia … fino a sentir scricchiolare la stoffa tra le dita.
Deve rendersi presentabile … ma per quale ragione? Per chi, poi?
 
Quando giunge in cucina, la nonna lo fulmina con lo sguardo e lui non fatica a comprenderne il motivo; senza una parola, si dispone in attesa di ordini, consapevole che già le giovani cameriere si stiano occupando del servizio delle portate e del ritiro dalla tavola.
- Tu occupati del vino, André. – gli ordina subito la nonna e lui, senza fiatare, si solleva dalla credenza alla quale si era appoggiato, per prendere a preparare una brocca da portare in sala. Non alza nemmeno lo sguardo, quando lascia la cucina e attraversa l’atrio, percorrendo il passaggio di servizio fino a raggiungere la sala da pranzo: sa già cosa spettarsi di trovare, perché nel corso del pomeriggio, trasportando secchi e sfilando invisibile nei passaggi di servizio, ha potuto vederli in più occasioni, attraverso le fessure tra i battenti lasciati socchiusi … Sa bene che il Conte è un uomo di mondo, che sa perfettamente come incantare una donna e come intrattenerla, così come ha potuto constatare con i propri occhi che Oscar non attendeva altro che il suo ritorno. Ha compreso di essersi ingannato … di aver lasciato che la propria immaginazione, il proprio cuore, finisse per travisare il comportamento di Oscar e la sua apparente serenità, nonostante la lontananza del Conte. Li ha scorti, vicini, vicinissimi, con il Conte preso dai suoi racconti e Oscar assorta, quasi concentrata nel suo ascolto …
Giunto alla sala da pranzo, tuttavia, quasi fatica a credere a ciò che vede non appena discosta il pannello della porta: li vede entrambi in volto, Oscar sul lato corto del tavolo e il Conte poco discosto da lei; pranzano uno accanto all’altra … come Oscar non aveva mai acconsentito di fare con nessun ospite accolto a Palazzo. Istintivamente, si morde il labbro, soffocando la propria furia; si sente defraudato … perché quello al fianco di Oscar era il suo, e solo il suo, posto a tavola, durante i pasti informali che consumano da qualche tempo in cucina, senza troppo riguardo all’etichetta … in un passato prossimo, che ormai pare lontanissimo.
Governa il respiro e resta immobile sulla soglia; sopprime un sussulto quando il suo sguardo si fissa sulle loro mani unite … Per un attimo crede di morire, lì in quello stesso istante, ma poi un fuoco pare accendersi dentro al petto, dandogli forza per resistere anche di fronte a quella assurda scenetta romantica. Oscar, inaspettatamente solleva lo sguardo, proprio mentre lui già si accinge a interromperli.
 - Oscar, Conte di Fersen ... gradite altro vino? –
Li serve, uno dopo l’altro, cercando di dare ascolto alle parole che il Conte, con il suo solito tono di porcellana, gli rivolge e di rispondergli con tutto il garbo possibile; cerca di mantenere la calma, pur sapendo che non potrà resistere a lungo dentro quella sala … e poi, certo di aver già raggiunto il suo stesso limite di sopportazione, decide che non sia il caso di intrattenersi oltre. Riesce persino ad augurare loro un buon proseguimento di serata, ma poi china lo sguardo e si allontana, cercando rifugio oltre il varco nascosto da cui è giunto.
- Vi prego di scusarmi se vi abbandono così presto ma sono un po' stanco. Vi auguro di trascorrere una buona serata. –
Muove qualche passo nel corridoio appena illuminato e poi si ferma, quasi tremante. Si guarda alle spalle, nel buio del passaggio e poi scuote il capo, soffiando in un unico sbuffo tutta la tensione accumulata e sente dalle viscere risalire una schiuma rabbiosa che gli serra la gola.
Desidera solo scomparire … allontanarsi da quella sala e da quella giornata terribile; vorrebbe affogare nel suo stesso dolore e nella rabbia, o forse cercare nel sonno, o nel vino, una via di fuga, auspicando che l’indomani, al risveglio, questo incubo sia completamente dissolto.
Tuttavia, prima di nascondersi o sotterrarsi, ubriacarsi o gettarsi nel vuoto, ha ancora una cosa da fare …


Grazie di cuore a chi ci legge... a chi ci apprezza e ha deciso di lasciarci il suo pensiero; è un  piacere avervi con noi!
A presto
Le due zie

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Capitolo 3
*** Nero ossidiana ***


Nero ossidiana
 
Non le riesce di starlo a sentire. Ci sta provando inutilmente da quando la cena ha avuto inizio ma non riesce a concentrarsi su ciò che il suo commensale le sta animatamente raccontando, la bella voce dall'accento straniero un poco incrinata da tutti quegli anni ricolmi di ordini urlati, sempre, anche a sé stesso, per sconfiggere il terrore della morte troppo vicina, e indebolita dalla febbre che lo ha tormentato per mesi.
Lo guarda, seduto vicinissimo a lei: mentre ancora i domestici apparecchiavano per la cena, infatti,  lui ha chiesto ed ottenuto, coi suoi modi garbati ed irresistibili, che Nanny desse ordine di predisporre il suo desco proprio vicino alla sua ospite e non all'altro capo del lungo tavolo intagliato, quasi temesse di restare solo un minuto di più; si costringe ad osservarlo con più attenzione ed il suo sguardo nota il corpo smagrito dalla malattia, le mani aristocratiche sempre eleganti anche se rovinate dal cuoio scadente dalle briglie che ha stretto fino a poche ore prima, i capelli ancora lunghi ed incolti, sebbene di nuovo ordinati in una coda ben disciplinata dopo il bagno che i domestici hanno preparato per lui, sbiaditi dalla tanta polvere ed illuminati da qualche filo argenteo. Poi basta un piccolo movimento di lui, intento nel fervore del suo discorso perché possa addirittura percepirne il profumo tanto gli è vicino: cenere, alloro e lavanda, tipico dei panni lavati nella lavanderia di palazzo che la governante ha amorevolmente fatto trovare nella camera degli ospiti, misti al sentore inconsueto che la pelle dorata della gola ancora trattiene nella sua grana irruvidita dalle intemperie: incertezza, solitudine, paura. Tanta, tanta paura. La stessa che coglie nel suo sguardo d'opale, bello come un tempo ma gonfio di ombre scure, pregno del troppo orrore che ha dovuto sopportare, sfinito dalle troppe lacrime che ha dovuto imporsi di trattenere in quei lunghi anni sul campo di battaglia. 
Tuttavia non lo vede davvero. Non ci riesce. 
E non sente nulla per lui, se non il sollievo che ciascuno prova alla notizia che un conoscente è scampato ad un grave pericolo mista a un po' di compassione per quel timore che, malgrado lui faccia di tutto per contenere, ancora pervade la sua anima, rende nervosi i suoi gesti e spezza a tratti il suo raccontare. 
Non c'è la gioia che aveva immaginato di provare. Non c'è entusiasmo per quel ritorno. Passata la sorpresa dei primi momenti, quando tante domande le si sono affollate alle labbra, non c'è una vera e propria gioia di ritrovarlo. Non c'è l'emozione di leggere speranza per un sentimento diverso, in quel cercarla non appena messo piede sul suolo francese, o sollievo per non aver mai colto nessun riferimento a colei per la quale aveva affrontato tutta quella sofferenza.
Nulla.
Nessun sospiro trattenuto o battito impazzito o poetico sfarfallare alla bocca dello stomaco.
Nulla.
Maledizione è Hans!! - si ripete, mentre affonda con finta decisione la forchetta nel pasticcio di quaglia che ha nel piatto, salvo poi abbandonarlo senza nemmeno provare a portarlo alla bocca, esasperata dalla freddezza che sente e che fatica a spiegarsi.
È lui! - torna a ripetersi - Proprio lui, qui, in persona, a un passo da me! -. Stringe la posata sino a sentire gli intagli penetrare quasi la carne. - È la stessa persona per cui ho pianto, sognato, pregato ... è l'uomo del quale sono stata sicura di essere innamorata per anni ... come può essermi, di colpo completamente indifferente? 
La frustrazione rischia di travolgerla e deve posare la forchetta, preda di un nervosismo che rischia di farle compiere gesti bruschi e che coglie di sorpresa Fersen, il quale interrompe il suo racconto e con un gesto rapido e assolutamente spiazzante posa la sua mano sulle dita fredde di lei.
- Vi sentite bene Madamigella Oscar? - domanda, la voce di un tono più bassa, a richiamare una preoccupazione ben più che amichevole - Siete pallida e silenziosa, stasera. Non vorrei avervi turbata io, con i miei truculenti racconti ... certo, voi siete un soldato ma siete anche una donna e mai come stasera, alla luce di queste candele, mi rendo conto di quanto siate incantevole ... –
Le dita di lui aumentano la presa sulle sue e, per la seconda volta nel giro di poche ore Oscar non riesce a trovare il tempo di rispondere prima che il cuore prenda a correrle imbizzarrito ai margini della gola, la mano dimenticata sotto alle dita sciupate di Fersen quasi trafitta dallo sguardo di André, gelido quanto la sua voce.
- Oscar, Conte di Fersen ... gradite altro vino? -
Lo vede entrare con la caraffa colma di liquido scuro, i passi misurati ed i gesti sicuri, le lunghe dita strette sul manico di cristallo. Ne segue le movenze aggraziate, mentre mesce il Borgogna d'annata nel calice che Hans gli ha avvicinato con un sorriso, poi percepisce la rabbia contenuta con cui giunge alle sue spalle, tanto vicino da coglierne il calore e l'accenno di muschio che echeggia tra le pieghe bianche della camicia, là dove il lino aderisce alla pelle e si permea dell'afrore umido ed intenso che Oscar ben riconosce: è il profumo dei loro duelli, dei loro respiri aspri e veloci, del loro cercarsi con le spade, come in quel loro ultimo incredibile pomeriggio. Oscar si rende a malapena conto di trattenere il respiro mentre, con una consapevolezza che la destabilizza, con lo sguardo cerca bramosa le dita di André, smaniosa di ritrovarne il calore e la morbidezza, e il tocco suadente e delicato, foriero di calore e protezione e ...
- Versane un poco anche ad Oscar, ti prego, André. - di nuovo la voce di Hans si sovrappone al desiderio di ignoto che appena qualche ora prima le dita di André le avevano regalato e spezza quell'anelito mai provato, annegandolo nello sciabordio gorgogliante del vino contro le pareti del bicchiere - Credo ne abbia bisogno, dopo il campionario di orrori che l'ho costretta ad ascoltare. -
Oscar vorrebbe ribattere, ma la voce che pure stava trovando la via lungo le pareti arse della gola, le si spezza nell'incontrare lo sguardo di André, che è tornato sulle loro mani ancora allacciate, verde e luminoso di furore, quale solo quelli dei gatti selvatici in caccia che a volte avevano avuto la fortuna di osservare da bambini.
C'è una tensione fortissima tra le pareti ricoperte di tessuto color avorio della sala da pranzo: Oscar la percepisce sulla sua pelle, simile al crepitio leggero che a volte inframmezza l'aria negli attimi che precedono il fulmine e giurerebbe di sentire nell'immobilità di André, ancora in piedi dietro la sua sedia, la tensione che sa lo pervade quando sta per colpire, quando la sua infinita pazienza è a un soffio dal limite, messa a dura prova da provocazioni e colpi bassi ripetuti sino allo sfinimento, e per un attimo la schiena le si ghiaccia al pensiero di ciò che potrebbe succedere se davvero lui si scagliasse contro il conte, senza un motivo apparente e lo colpisse.  Ma è questione di un attimo: la voce di André, perfettamente controllata le permette di tornare a respirare liberamente.
- Allora auspico che possiate parlare di argomenti più lievi, nel proseguo della serata. –
Lo vede compiere un paio di passi per posare la brocca sul tavolo e poi indietreggiare un poco, verso la porta di servizio abilmente nascosta nella tappezzeria damascata. Tutto è controllato, nel suo atteggiamento, tranne un impercettibile contrarsi della mascella e il brillio verdissimo dei suoi occhi, incollati alle loro mani ancora intrecciate, letali come fuoco: Oscar ritira in fretta la mano, scottata dalla sofferenza di quelle iridi ma André si sta già inchinando, garbato e perfetto, e lei non è certa che abbia visto con quanta decisione ha rinunciato alla stretta di quelle dita ormai vuote di ogni significato.
- Vi prego di scusarmi se vi abbandono così presto ma sono un po' stanco. Vi auguro di trascorrere una buona serata. –
Di nuovo la parlantina di Fersen le viene in aiuto: - Davvero già ti ritiri André? - domanda, nella voce una sorpresa priva di ogni affettazione - Speravo di poter fare una partita a scacchi con te, dopo cena ... sono anni che non trovo un avversario con cui sia davvero divertente misurarmi! –
Oscar si trattiene a stento dal trasalire in modo troppo vistoso, quando sente nominare gli scacchi: la loro scacchiera un po' vetusta, i loro pezzi, impregnati di tanti loro respiri, il loro piccolo mondo bianco e nero ...
Cerca lo sguardo di André ma lui lo tiene ostinatamente abbassato mentre indietreggia di un altro passo.
- Mi dispiace Conte - gli sente dire - Sono veramente molto stanco ... Ma sono certo che Oscar saprà essere un avversario altrettanto valido: oltretutto non me la sento di rischiare, sapendovi mio avversario. –
Oscar li vede i suoi occhi ora, abissi scuri di rabbia e sofferenza.
- Ho già ... perduto ... anche troppo, oggi. -
Il rumore della porticina si perde nel saluto distratto che Fersen gli indirizza e nelle sue parole, che riprendono il filo del discorso interrotto poco prima - ... di cosa vi stavo raccontando? Ah, sì la battaglia di Moore’s Creek Bridge. Come vi dicevo, Oscar, stavamo per mettere in atto una tattica davvero ardita e pericolosa, di fatto un salto nel buio ... -
Di nuovo, per Oscar, la voce di Hans si sfuma in un brusio di sottofondo mentre il senso di vuoto che quello sguardo dolente ha iniziato a scavare nel suo cuore si ingigantisce e le serra lo stomaco in una morsa crudele che le impedisce di mangiare altro, malgrado le portate previste da Nanny per accogliere l'ospite tanto prestigioso quanto inatteso siano ancora molte e tutte succulente; quando si alzano da tavola per raggiungere il salottino e accondiscendere al desiderio del Conte di cimentarsi con gli scacchi, la notte è già scura fuori dalle alte finestre e il vuoto nell'animo di Oscar è un peso opprimente che le ha permesso a malapena di rispondere alle molte domande di Hans e di mantenere con lui una parvenza di conversazione che, ne è certa, non oltrepassa di molto il limite dell'educazione.
Stranamente dalla stanza verso cui si dirigono già si diffonde una luce calda ed invitante: evidentemente qualche domestico deve aver riferito alla governante il desiderio che Fersen ha palesato ed ella deve aver mandato qualcuno ad accendere il camino e ad illuminare l'ambiente. Oscar trattiene un piccolo sospiro: darebbe l'anima per poter salutare Fersen e cercare il conforto silenzioso della sua camera per provare a riordinare le idee e dare un senso alla miriade di sensazioni che la stretta di André ed il tono sconosciuto della sua voce le hanno acceso dentro, in quello scampolo di pomeriggio così irreale, ma non può abbandonare Hans, glielo impongono le convenzioni e una sorta di benevolenza che l'atteggiamento di lui, apparentemente così bisognoso di compagnia, le suscita. Allora atteggia le labbra ad un sorriso di circostanza e varca la soglia del salottino, ben attenta a non sfiorare il braccio con cui il Conte le sta cavallerescamente dando strada.
La sua impressione era giusta, qualche valletto solerte ha addirittura posizionato un candelabro proprio a ridosso della scacchiera, su cui spiccano le pedine così come le hanno lasciate lei ed André quando hanno giocato l'ultima volta, alcune sere prima. Sarebbe toccato a lui muovere, ricorda, ed al pensiero del brontolio irritato con cui aveva compreso che lei, con la sua ultima mossa, lo avrebbe obbligato a sacrificargli un alfiere il sorriso le si allarga ed il calore delle candele sembra espandersi e scioglierle un poco quel nodo doloroso che ancora le torce lo stomaco.
Nel frattempo Hans l'ha preceduta per predisporre la poltroncina e farla accomodare togliendole momentaneamente la visuale della scacchiera. Muove un passo nella sua direzione e, quando è quasi completamente seduta, osserva i pezzi e il respiro le muore in gola, lo stomaco nuovamente duro come pietra, il rifulgere disperato degli occhi André a rendere quella pietra ghiaccio: l'alfiere nero di André giace coricato, annientato nella resa, ai piedi della regina bianca.
André le ha ceduto la partita, abbandonando il gioco. Ma per lei, ora, è scacco. Scacco alla regina bianca.


Se avete resistito, dopo il duro colpo di Nero ebano, ora forse avete un quadro più chiaro della situazione... 
Da parte nostra, vi ringraziamo di essere qua!
A presto
Le due zie

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Capitolo 4
*** Opale bianco ***


Opale bianco
 
Bussa tre colpi leggeri sul battente, scrutando guardinga la penombra del corridoio deserto e appena illuminato da un’unica candela tremolante. Poggia la fronte alla porta e resta in attesa, ascoltando invano il silenzio proveniente dalla camera.
Bussa di nuovo, appena più forte, ipotizzando che i primi colpi fossero davvero troppo deboli perché lui potesse udirli; aspetta ancora un poco e poi torna a bussare, questa volta con maggiore impeto, certa che, anche in un eventuale sonno, lui non possa ignorare il richiamo.
Ma nulla. Nessuna risposta, nessun rumore dall’interno della camera.
Guarda di nuovo attorno a sé: le porte sono tutte chiuse e le stanze silenziose … Probabilmente gli altri occupanti stanno già tutti riposando, o almeno se lo augura, come spera che nessuno si accorga della sua presenza lì.
- André! – prova a chiamarlo, soffocando la voce e al contempo sperando di raggiungerlo oltre il legno del battente; – André! – chiama ancora, prolungando il più possibile quell’ultima vocale, nel vano tentativo di ottenere risposta.
L’unica risposta è un cigolio sommesso che, dal fondo buio del corridoio, la fa sobbalzare; una cuffietta da notte fa capolino attraverso lo spiraglio di luce calda che fende la notte.
- Ma … Madamigella … posso aiutarvi? Avete bisogno di qualche servigio? – domanda una vocetta incerta e lei si sente morire, scoperta a cercare André nella sua stanza a tarda ora.
Scuote istintivamente il capo, mentre cerca una giustificazione plausibile alla propria presenza lì – No, ecco … Io ho bisogno di parlare con André per una questione importante. – si morde il labbro, raddrizza la schiena e aggiunge immediatamente - Di lavoro. –
- Oh, certo … - la domestica annuisce prontamente – Allora io torno a ritirarmi e vi auguro una buona notte, Madamigella … Con il vostro permesso … -
La lama di luce si chiude insieme alla porta della camera e il silenzio buio della notte torna a dominare il corridoio; Oscar serra le labbra ma non demorde.
- André so bene che sei lì. – riprende, con il viso contro il legno del battente – Fino a poco fa il bagliore del doppiere illuminava la tua finestra. –
Di nuovo, ha la netta impressione di parlare da sola, o peggio, ad un pezzo di legno.
- ANDRE’!!! – chiama infine, questa volta palesemente spazientita, e di nuovo uno spiraglio di luce invade il corridoio, poco lontano. Le basta voltarsi in direzione della lama di luce, lanciando un’unica occhiata accigliata e tesa, perché la porta torni a serrarsi, rapida.
Sbuffa, ormai al limite della pazienza e riprende, scandendo bene le parole contro il battente – André apri subito questa porta o quando lo farai, dovrai giustificare il tuo comportamento da mulo cocciuto davanti a tutto il palazzo ormai sveglio! –
Il fiato si spezza e arretra di un passo, quando intuisce i suoi movimenti, udendo dei passi; riesce quasi a vederlo, nella sua mente, mentre si alza da letto e si avvicina, eppure sobbalza, quando sente la chiave scattare nella serratura e vede il battente muoversi appena. Nello spiraglio sottile che lui le concede, riesce a scorgerlo, scuro in volto e con la mascella tesa, in attesa che lei parli; si sente quasi avvampare, quando si accorge che le ha aperto senza nemmeno infilarsi la camicia e che è lì, al suo cospetto, con i soli pantaloni addosso, chiuso nel suo ostinato silenzio.
- André dobbiamo parlare … -  riesce appena dirgli, cercando di controllare la propria voce e tornando a farsi più vicina – Io … - ma poi le parole le muoiono in gola, quando la sua voce, bassa e insolitamente fredda, fende il silenzio.
- Se ti ha spezzato ancora il cuore, sappi che in questo momento non ho intenzione di mettermi a raccoglierne le briciole e a ricomporlo … davvero, non sono dell’umore adatto. –
Ha seguito ogni sua parola trattenendo il respiro, incredula e con lo sguardo fisso sulle sue labbra; quando lui si interrompe, lei spalanca lo sguardo, senza riuscire a rispondergli alcunché. Intuisce appena la sua reazione, un sopracciglio sollevato, come una provocazione.
- Strano, però … - riprende allora lui – perché mi siete parsi a buon punto, durante la cena, davvero … - conclude infine.
Le sue parole la colpiscono profondamente, ma non appena intuisce che lui sta arretrando e che la fessura che le ha concesso si sta facendo più sottile, riesce a reagire, bloccando la porta con una un gomito e facendosi più vicina – Non è di questo, che dobbiamo parlare. –
André si irrigidisce, gli occhi si fanno due fessure sottili e scure – Dobbiamo parlare? – ripete calcando volutamente quel dobbiamo – E da quando parliamo entrambi? – le domanda poi, provocandola apertamente – Perché vedi, Oscar, io oggi stavo parlando … e ti stavo dicendo qualcosa che per me era davvero importante, quando tu sei svanita nel nulla e mi hai piantato lì, da solo, per correre da … da … - non riesce nemmeno a terminare la frase e la lascia in sospeso, scuotendo impercettibilmente il capo, mentre di nuovo la sofferenza di quei momenti torna ad attanagliare il suo animo.
- E’ proprio di questo che dobbiamo parlare, André … - si intromette allora lei, approfittando di quell’attimo di incertezza – Io … io devo sapere … -
Il sorriso che ottiene in risposta è venato di amarezza – Mi dispiace, Oscar: non c’è più niente da dire, ormai … niente che tu debba sapere … - conclude aspro.
A quelle parole, sente un nodo chiuderle la gola e le lacrime salire fino a pungere dietro alle palpebre serrate. Il respiro si spezza per un istante in un singhiozzo che riesce a mala pena a soffocare; serra le labbra e fatica a trattenere le emozioni, mentre il suo sguardo scivola sul volto ancora scuro e teso di André.
- Ti prego … - riesce appena a dirgli – Ti prego … vieni almeno a parlarne fuori di qua … - sussurra ancora, ma lui non sembra intenzionato ad ascoltarla, perché ancora è immobile e chiuso nella sua ombra nera e pesante.
- Te lo chiedo per favore, André … - gli chiede ancora, stringendo i pugni come a infondere in se stessa una forza che sente di perdere sempre di più, ogni volta che incontra quello sguardo torvo; e in quel gesto, in quelle dita serrate, trova uno spiraglio di salvezza e lo spunto per ultimo, disperato, tentativo. Allunga il braccio, senza nemmeno pensare davvero a ciò che sta facendo, spinge il battente fino ad aprirlo un poco, e si sporge per afferrargli una mano, tirandola verso di sé. André è colto di sorpresa, non reagisce e per un istante la lascia fare, mentre lei apre il palmo della sua mano davanti a sé, depositandovi qualcosa di caldo e liscio, per poi ripiegarvi sopra le sue dita.
- Io ti aspetterò, André. – gli dice allora lei, la voce improvvisamente ferma e calda; – La partita non è finita. – aggiunge, prima di arretrare, legando il proprio sguardo a quello di lui ancora per un istante.
Poi gli volta le spalle e si allontana, lasciandolo di nuovo solo, ma certa che lui abbia compreso.
 
Poggia i gomiti sul tavolino e porta le mani alla fronte. Si chiede in continuazione se sia possibile che lui decida di non venire da lei … e trema, trema al pensiero di quanto male deve avergli fatto durante tutto il tempo in cui non l’ha degnato di uno sguardo, dedicandosi completamente a Hans.
Hans … sente ancora il suo tocco fraterno sopra la spalla quando lei è rimasta di stucco, imbambolata a fissare la scacchiera e quell’alfiere nero rovesciato ai piedi della regina bianca. Anche Hans è abile nel gioco degli scacchi e sa perfettamente che quella non era una partita da abbandonare; gli è bastato un attimo per realizzare quanto lei fosse stata strana e distante, non per i suoi racconti di guerra, ma per una battaglia che ancora era in corso, proprio lì, nel suo animo. E se in principio non aveva compreso … in quell’istante gli era stato tutto incredibilmente chiaro. Le si era fatto vicino, facendo appena più salda la presa sulla sua spalla, e le aveva detto semplicemente – Madamigella Oscar … sono stato uno stupido ad insistere per impegnarvi anche in una partita a scacchi, quando ne avete già una, ben più importante, in corso … - poi aveva afferrato i due pezzi tra le dita, proprio sotto il suo sguardo ancora disorientato, li aveva quasi accarezzati, e, sorridendo appena, li aveva depositati tra le sue mani. Aveva atteso che lei li stringesse tra le dita, prima di riprendere a parlare.
- In confidenza, Madamigella, credo di essere davvero stanco e di aver bisogno di riposo: non sarei un avversario all’altezza delle vostre aspettative. – non le aveva lasciato il tempo di rispondere, di usare la gentilezza di una buona ospite per invitarlo a restare ancora un poco, o forse lei stessa non aveva trovato parole per spiegargli quanto bisogno avesse lei stessa di interrompere la loro serata, e aveva proseguito – Vi prego di scusarmi, se mi ritiro di già … e vi auguro una buona notte, amica mia. –
Torna a scrutare la scacchiera e si inquieta alla vista delle ombre lunghe e tremolanti dei pezzi ancora in gioco … fra i quali continua a colpirla l’assenza dei due pezzi ora più necessari.
Poi, di colpo, alza lo sguardo richiamata non sa nemmeno da cosa, se da un rumore impercettibile o da un battito che le è mancato, nel petto, e l'ha obbligata a trattenere il respiro, gli occhi un poco sgranati.
Lui è lì, nello spiraglio scuro della porta, la camicia malamente rincalzata nei pantaloni, i capelli a malapena trattenuti sulla nuca, le guance ombreggiate di scuro a rendere ancora più torvi e guardinghi i suoi occhi. Non parla, si limita ad avvicinarsi al tavolino; poi scosta la poltroncina, si siede e dispone le due pedine che ha portato con sé, i polsi magri e nervosi che sbucano dalle ampie maniche dai polsini slacciati.
Posiziona per prima la regina bianca; poi si occupa dell'alfiere nero, su cui trattiene le dita e lo sguardo, quasi indeciso sul da farsi e Oscar si accorge di trattenere il fiato: ha ubbidito alla sua preghiera, l'ha raggiunta e le ha riportato i pezzi, ricomponendo lo scenario della partita, così com'era prima che gli avvenimenti del pomeriggio aprissero il gioco a mosse del tutto impreviste. Ma ora? Cosa farà? Accetterà di riprendere la partita o di nuovo abbandonerà il gioco, condannando per sempre l'alfiere, infinitamente deluso dalla cecità della regina bianca? 
Ancora non ha ripreso a respirare quando André alza gli occhi dalla pedina e ritira la mano, lasciandola, ben ritta, al suo posto. Allaccia lo sguardo al suo e, ancora, non parla. Tuttavia, scorge qualcosa che prima non c'era, nel verde profondo dei suoi occhi. C'è una scintilla di speranza, sebbene minuscola ed ancora offuscata dalla rabbia e dalla frustrazione delle ultime ore; c'è il desiderio di far sì che quella speranza possa crescere e concretizzarsi, per ritrovare quella magia andata in frantumi con quella dannata bottiglia, qualche ora prima. 
È poco, pochissimo, ma per Oscar è sufficiente: prende un respiro profondo e solleva il mento, pronta a raccogliere la sfida di saper alimentare e custodire quella speranza, gli occhi blu scintillanti come lapislazzuli dorati.
Il gioco si riapre; la posta in gioco è altissima.
Di nuovo il salottino, il loro mondo, quello in cui si sono ritrovati, un giorno dopo l'altro, caldo di quell'essere insieme e di braci vive.
Di nuovo uno di fronte all'altra, occhi negli occhi, un tripudio di fuoco riflesso e ombre fonde.
È Oscar la prima a parlare, la voce ferma e sicura, ora, ma un po' roca, morbida a sufficienza da instillare capogiri.
- Termina la frase, André. Finisci di dire ciò che stavi per dirmi. - le dita di alabastro si muovono veloci e già un pedone nero è divenuto preda. Una mossa, un primo passo verso la conquista di una nuova fiducia.
Di nuovo il suo profumo, come in quegli attimi infiniti sotto al loro olmo, insieme a quel timbro gutturale che lo stordisce, e il sangue che scorre veloce, appena sotto la pelle dei polsi.
- Sei sicura di volerlo sapere, Oscar? - le dita trovano una pedina bianca e se ne impadroniscono. È difficile abbassare la guardia: la rabbia non si è ancora offuscata del tutto e cova nera appena dietro il riflesso dorato dei suoi riccioli, nascosta nell'ombra scura delle tende.
- Sicura come non sono mai stata in vita mia, André. - non indugiano le dita e si stringono sul cavallo nero che sparisce dietro la regina bianca. La conquista è a un passo, lo sente, nel profumo di lui che si arricchisce di una nota nuova, languida, a sovrastare l'amaro.
- Ne sei proprio certa? Anche sapendo che se te lo dico, la partita potrebbe cambiare radicalmente? - ora è la torre bianca, un muro ancora oltre a cui trincerarsi, a divenire preda delle lunghe dita di André.
- Sono pronta a cambiare ogni cosa. - un soffio caldo e gli occhi che non abbandonano i suoi, nemmeno quando i polpastrelli sfiorano e poi stringono dolci e crudeli insieme il pedone nero, definitivamente preda della regina bianca.
- Dimostramelo. - la voce di André è un sussurro roco mentre cattura l'alfiere bianco, ultimo baluardo della virtù della regina, e risuona e vibra come un diapason, alla base della gola di Oscar.
Non ci sono più mosse, tranne una. E le dita di lei non hanno esitazioni.
Vittoriosa e bellissima la regina bianca invade il territorio dell'alfiere nero e si ferma al suo fianco. Poi le dita si schiudono per lasciare la pedina e muoversi come seta liquida verso la mano di André, ferma ai bordi della scacchiera. Si muovono lentissime, ma inesorabili e decise sino ad arrivare alla punta dei polpastrelli per cercare un contatto che è fuoco puro. André non può più sottrarsi, o dubitare.
- Ti amo, Oscar. Ti ho sempre amata. -
Scacco.
Scacco alla regina bianca, al suo cuore, al suo respiro. Alle sue gambe, che diventano cera, e alle sue guance che si fanno accese; ai suoi occhi che si illuminano di gocce scintillanti e alle sue labbra che si schiudono appena e che lui ora vuole, pretende, senza che possa aspettare un attimo di più.
- Ti amo ... da sempre. Dalla prima volta che ti ho visto o forse ancora da prima. È tutto quello che ho desiderato dirti per tutta la vita: ti amo. -
Le mani abbandonano il legno del tavolino e salgono, dotate di vita propria per affondare una nel folto dei capelli a cercare il tepore morbido della nuca e l'altra il vermiglio di quella guancia in fiamme, mentre lui si solleva dalla poltroncina e si protende verso di lei. Poi ci sono solo le sue labbra, soffici e fresche da accarezzare con le proprie, piano, lieve, per non farle paura. C'è il suo sapore, mille notti immaginato, la dolcezza della sua pelle a invadergli i sensi, il duro dei denti quando la sua bocca avida preme, esigente, ed il ritmo del suo respiro battente sotto il pollice che è sceso ad esplorare la gola; e poi, stordente, la meraviglia di quelle labbra che si schiudono sotto alle sue a rivelare la rugiada bollente della sua bocca, nettare inebriante, tanto perfetto da condurlo alla pazzia. E ora non c'è più controllo, c'è il sangue che ruggisce forte, che tutto obnubila e cancella, e lo obbliga a stringerla e ad affondare pieno nella tenerezza di quella bocca per impadronirsi di tutto, a scendere con la mano per far sua anche la spalla e scostare il colletto per toccare la pelle e continuare impazzito a cercare i fianchi e stringerla forte, tanto, come se ...
- Dannazione!!! –
E’ un grido soffocato a stento, quello che gli raschia la gola mentre cerca appiglio sul bracciolo della seduta di Oscar nel tentativo di non rovinarle addosso, quando il tavolino si inclina sotto il suo peso, fino a scivolare a terra in un tonfo appena attutito dal pesante tappeto, e tutto attorno i pezzi allargano una macchia bicolore, in un disordinato cioccare di tocchi sordi. Con la coda dell’occhio riesce appena ad intuire il rollare lento di qualche pezzo rotolato lontano, ma il suo sguardo non può sciogliersi da quello di Oscar che ora, ad un soffio dal suo viso, lo osserva stupita, con occhi sgranati, lucidi e scurissimi. André si muove di un poco, ancora sospeso sopra di lei, e con lo sguardo la accarezza, scivolando lento da quel blu intenso, alle sue labbra tumide, che ora sa morbidissime; si morde un labbro, rapito da quelle di lei che vede tremare impercettibilmente, per poi tendersi appena nell’alba di un sorriso. Così cerca ancora i suoi occhi, il cuore che inciampa e perde il ritmo; teme di illudersi, ma crede di riconoscere il suo stesso bruciante desiderio, nelle fessure brillanti che ora lo scrutano, quasi fossero in attesa. Si sente paralizzato, ma a riscuoterlo è il tocco che scivola leggero dai suoi fianchi, accarezzandolo attraverso la stoffa della camicia, per poi fermarsi e farsi saldo sulla stoffa leggera, graffiando la pelle. La presa è salda e il segnale forte, impossibile da travisare, quando lui tenta di spostarsi da quella posizione di precario equilibrio, ma Oscar lo trattiene con decisione.
- Aspetta … - mormora allora sulle sue labbra, mentre scavalca il tavolino per avvicinarsi ancora di più a lei – Solo un istante … -
André si china a terra, con un movimento distratto spinge lontano il re bianco, che gli era di intralcio; lei segue il suo farsi vicino e istintivamente lo accoglie, allargando appena le proprie ginocchia e portando le mani alle sue spalle, tirandolo ancora a sé. Riesce ad osservarla, di sotto in su, accarezzata dalla luce dorata dei doppieri, con la camicia in disordine e i capelli un poco arruffati, sospesa in una dimensione silenziosa e calda, tanto calda da bruciargli nel petto …
- Allora? – sono le sue labbra a richiamarlo e le sue mani a riprendere a muoversi, risalendo lente in un solletico dolce dietro la nuca, che finisce per affondare tra i capelli ormai sfuggiti al nastro – Guarda che non ho intenzione di aspettare a lungo … -
André socchiude lo sguardo e lei si fa più vicina; l’ombra nasconde la sua espressione, ma lui riesce a percepire ogni sfumatura del suo respiro lento e il profumo selvatico della sua determinazione. Le mani di lei scendono ai lati della gola, i suoi pollici scivolano lungo gli zigomi e lo trattengono, fino a che la fronte non trova la sua.
- Hai detto che la partita sarebbe cambiata radicalmente e mi hai sfidata … - gli sussurra allora ad un soffio dalle sue labbra - Ma ora cosa fai? Pensi di poterti arrendere? -
 
E’ simile ad una carezza il soffio leggero che avverte sulla pelle, fresco e delicato, tanto da provocargli un brivido che dalla base della schiena, risale fino alle spalle. Allora si accomoda un poco tra le lenzuola e inarca la schiena, sgranchendo i muscoli, pronto a cedere di nuovo alla lusinga del riposo e dei sogni confusi che lo possono accompagnare; poi sfila le braccia da sotto il soffice guanciale e trae un profondo respiro, di quelli che lasciano in bilico tra sonno e veglia, e benché si inizi a comprendere che sia ormai giunto il momento di lasciare il letto, regalano l’illusione di un altro lungo sonno …
E’ in quel momento, invece, che il suo cuore trema, nel tentativo di trovare l’incastro perfetto tra i frammenti che i suoi sensi confusi rimandano alla mente.
La pace del riposo, l’abbraccio accogliente delle lenzuola … e il suo profumo?
Aggrotta la fronte e socchiude lo sguardo, ancora confuso; la prima immagine che riesce a cogliere distintamente è quella della grande finestra dai battenti socchiusi, con i lunghi drappi delle tende, bianche e impalpabili, che si sollevano in una danza lieve a seguire lo stesso soffio che l’ha svegliato poco prima. Resta per qualche istante rapito da quel movimento suadente e leggero, seguendone l’ondeggiare ritmico e pur imprevedibile … fino a quando realizza di conoscere bene quella tenda e quella stessa finestra …
Allora si volta, sollevandosi sui gomiti, e finalmente ogni ricordo torna vivo, insieme all’immagine di lei, il corpo appena coperto dal lenzuolo stropicciato, il volto rilassato in un sonno senza nubi che si riflette sulle sue labbra che paiono distese in un sorriso.
Chiude gli occhi e trattiene il groppo che gli si chiude in gola e che fa salire le lacrime a pungere dietro le palpebre, perché troppo grande è l’emozione che prova al solo pensiero della notte trascorsa: una notte in cui aveva creduto fosse giunto il momento di abbandonare l’unica partita che invece, aveva poi scoperto, valesse la pena di giocare … e di perdere; una notte in cui da alfiere senza speranza … si era trovato re.
Re scelto dalla regina che aveva sempre amato.

Le due zie si fermano qua, per ora. Ma chissà che non abbiano altro da raccontare...
Un abbraccio e un sincero ringraziamento a chi ci ha accompagnate e ha resistito fin qui!
A questo punto, da brave ziette, andiamo a mettere sul fuoco il bollitore per offrire a tutte una tazza di buon té e qualche pasticcino preparato da noi... 
Grazie a tutte!
Monica e Maddy - Le due zie

 

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