La Maschera nell'Ombra

di syila
(/viewuser.php?uid=948770)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Ballo in Maschera ***
Capitolo 2: *** Cho Cho san ***
Capitolo 3: *** Scorrendo uniti remota via ***
Capitolo 4: *** Oh! Come furon lunghi i di lontan da te ***
Capitolo 5: *** Regnava nel silenzio ***
Capitolo 6: *** Largo al Factotum! ***
Capitolo 7: *** Qual fiamma avea nel guardo! ***
Capitolo 8: *** Vicino a te s'acqueta l'irrequieta anima mia ***
Capitolo 9: *** Una furtiva lagrima ***
Capitolo 10: *** Pura siccome un Angelo ***
Capitolo 11: *** Su, crudeli, e chi v'arresta? Scritto è in cielo il mio dolor! ***
Capitolo 12: *** Vesti la giubba ***
Capitolo 13: *** Una voce poco fa ***
Capitolo 14: *** Suoni la tromba e intrepido io pugnerò da forte ***
Capitolo 15: *** Parigi, o cara ***
Capitolo 16: *** Possente  amor  mi  chiama ***



Capitolo 1
*** Un Ballo in Maschera ***


Questa storia partecipa alla challenge di Halloween (Ripopoliamo i Fandom!) indetta dal gruppo facebook
Il Giardino di Efp e prende spunto da "Il Fantasma dell'Opera"

banner

Quante notti ho vegliato anelante!
Come a lungo infelice lottai!
Quante volte dal cielo implorai
la pietà, che tu chiedi da me! ~
Ma per questo ho potuto un istante,
infelice, non viver di te?


Un Ballo in Maschera - Scena Seconda - Giuseppe Verdi

Un Ballo in Maschera

“Che cosa fai lì?”
“Cosa si fa in un letto di solito?”
“Ah, dipende! Si può fare colazione, si può leggere, studiare, dormire, si può fare anche altro quando si è in due o in tre...”
“Fermati! Dormire! Dormire era quello che appunto stavo tentando di fare fino ad un attimo fa...” l'espressione imbarazzata e insonnolita del suo compagno di stanza emerse dalle coperte e un paio di occhi bruni dal taglio allungato scrutarono l'importuno che alla luce dell'abat-jour gli sorrideva divertito.
I denti candidi e la pelle ambrata di Phichit scintillavano nella bolla dorata e Yuuri emise un sospiro sconfitto, lui e la sua aria ammiccante erano lì per restare e non se ne sarebbero andati prima di aver ottenuto ciò per cui erano venuti.
“Facciamo ancora in tempo, dai alzati, dobbiamo vestirci, ho già rimediato tutto l'occorrente”
“Per andare... Dove?” chiese di rimando l'altro, angustiato all'idea di lasciare il tiepido giaciglio per avventurarsi Dio solo lo sapeva, assecondando l'ultima idea balzana dell'amico.
Stavolta fu Phichit a stupirsi “E me lo domandi? È la notte di Capodanno! Andiamo al Gran Ballo dell'Operà!”
Yuuri socchiuse le palpebre accentuando la delicata mandorla dello sguardo in una sottile pennellata corvina tracciata in modo mirabile sui morbidi lineamenti del suo viso.
“Non se ne parla”
La sua dichiarazione risoluta venne bloccata dal gesto fulmineo del giovane thailandese, il quale, una volta seduto sulla sponda del letto, gli afferrò le mani tra le sue scuotendole vigorosamente “Come puoi pensare di passare l'ultima notte dell'anno a dormire!”
“Non solo lo penso, sto per metterlo in pratica!” fu la risposta piccata seguita da un paio di blandi tentativi di liberarsi dall'insistente disturbatore.
“E io? Vuoi lasciarmi da solo?”
Yuuri esitò, giocarsi la carta dell'amicizia fraterna era un colpo basso, che lui non poteva ignorare.
“Phichit sono stanco, le prove, lo spettacolo pomeridiano, cerca di essere comprensivo! E poi non sarai da solo, anche tua madre è stata invitata, no?”
“Vuoi farmi andare con la mamma? Come un marmocchio o una fanciulla in età da marito? Dai Yuuri... Accompagnami...” insistette lamentoso, mentre lo tirava per un braccio “Prometto che torneremo presto”
“Aspettiamo la Mezzanotte, brindiamo e torniamo a casa, d'accordo?”
Il sorriso dell'amico divenne, se possibile, ancora più luminoso.




“Devi viverla come un'occasione di fare un po' di public relations”
“Credi che ne abbia bisogno?”
Il ragazzo dalla pelle ambrata gli scoccò un'occhiata eloquente dietro la mascherina d'oro, che faceva risaltare il brillio gioioso dei suoi occhi neri; Yuuri sospirò, indossò a sua volta la maschera bianca decorata di piume e cristalli e si preparò a varcare la soglia del magnifico Foyer parato a festa con una profusione di luci e cascate di addobbi floreali dietro i quali contava di nascondersi una volta esauriti i convenevoli di rito.

Stando al parere dell'amico le pubbliche relazioni erano il segreto del successo, anche in un mondo elitario come quello della lirica “Oggigiorno non sei nessuno se non sai venderti al tuo pubblico”.
E lui, all'indomani del fortunoso debutto nella Tosca, come sostituto del brillante tenore canadese Jean Jeaques Leroy, si era trovato per le mani un successo che non era abituato a gestire.
“Sono solo un paio di recensioni sui blog di appassionati” aveva provato a minimizzare subito conoscendo la predisposizione di Phichit a qualsiasi cosa odorasse anche lontanamente di “mediatico”.
“Ah si? E la critica allo spettacolo su Le Monde? Ne vogliamo parlare?”
“Era un piccolo trafiletto...”
“Quel Coreano... Seung-Gil Lee è tirchio come l'Avaro di Moliére nei suoi giudizi, sai bene che i coreani sono ancora più maniacali dei giapponesi con la lirica, eppure ha parlato benissimo di te!”
“Ha scritto solo che il tenore chiamato in sostituzione del protagonista ha delle qualità interessanti ed è da tenere d'occhio... Non ha nemmeno fatto il mio nome!”
“Già! Ma per questo ci sono i social e gli amici che sanno usarli!”
“Si... Grazie Phichit...”
“Oh, figurati! Lo faccio volentieri!”
“Era ironico...”
“Oh...”
Senza dirgli nulla il thailandese aveva caricato il video della rappresentazione ovunque fosse possibile, corredandolo di foto prese dalle prove, dal backstage e perfino dal camerino, mentre si cambiava d'abito, beveva o mangiava un tramezzino al volo.
Il risultato era stato l'abbordaggio ai suoi profili di un'orda di internaute entusiaste, che probabilmente non distinguevano i tenori Verdiani da quelli Mozartiani, ma che in compenso strillavano in maiuscolo quanto il cantante giapponese fosse KAWAIII, CUUUTE o SUPERCUTE, in base al grado di entusiasmo.
Le più convinte poi si lanciavano in paragoni spericolati tra lui e la stella pop del momento, giudicandolo alla stregua di un idol. “Magari si aspettano che salga sul palco e mi metta a improvvisare un rap su Celeste Aida...”
“Come si dice: in bene o in male l'importante è che se ne parli” aveva sentenziato l'amico atteggiandosi a vecchio saggio della montagna e Yuuri aveva abbozzato.
La recensione a cui teneva di più, però, non era mai arrivata.
Da una settimana il suo account di posta produceva solo spam, avvisi di scadenza e solleciti di pagamento, sembrava che Cho-cho san fosse sparita dalla faccia della Terra.




“Potresti incontrarla qui stasera...”
“Eh?”
“Dico... La tua Madama Butterfly, magari è venuta anche lei alla festa”
Il giovane giapponese si sentì accapponare la pelle, come se un blocco di ghiaccio si stesse strusciando languidamente sulla sua schiena; a volte sospettava che Phichit gli avesse installato a sua insaputa una specie di microchip in grado di leggere pensieri, senza calcolare che le emozioni affioravano spontaneamente sul suo viso e chi lo conosceva bene capiva subito se aveva qualche cruccio, se soffriva di nostalgia per la sua famiglia o se, come in quel momento, stava pensando ad una certa persona particolare.
“Sciocchezze!” balbettò arrossendo suo malgrado “Quale motivo avrebbe di essere qui? Per quel che ne so potrebbe vivere a Pechino, a New York, fare la casalinga, avere ottant'anni e dieci nipoti!”
Phichit lo vide ingollare spavaldamente un intero calice di champagne nel tentativo di nascondere il suo disagio e sorrise; forse sarebbero rimasti alla festa ben oltre la Mezzanotte.
“E allora mi spieghi come fa la nostra pensionata a conoscere così bene le tue abitudini e il tuo indirizzo?”

Touché.
L'invio di mail da parte della misteriosa Cho-cho san era cominciato pochi giorni dopo il suo approdo alla Compagnia dell'Operà di Parigi.
Si era appena trasferito dagli Stati Uniti dove aveva lasciato un ingaggio sicuro, ma poco appagante nella Compagnia del tenore italiano Celestino Cialdini, per seguire un sogno: calcare il palcoscenico dell'Operà e poi di tutti i maggiori teatri mondiali.
Pur di lavorare e cantare nel tempio della musica francese aveva accettato un umiliante demansionamento passando dall'essere il protagonista di piccole produzioni provinciali a corista, comparsa, perfino trovarobe.
Era così che aveva conosciuto Phichit; sua madre era una delle sarte del teatro e lui studiava e lavorava da costumista.
Avevano un letto in più nell'alloggio che il Teatro affittava a canone agevolato ai suoi dipendenti e un coinquilino avrebbe aiutato ad alleggerire le ingenti spese che comunque il vivere a Parigi comportava.
Yuuri continuava a studiare da solo, perché i soldi del suo ingaggio non bastavano a coprire i costi delle lezioni di un insegnante privato; aveva scovato una piccola aula di danza in disuso adibita a magazzino nel dedalo di stanze e corridoi del teatro e l'aveva accomodata adattandola alle sue necessità.
Era convinto che nessuno sarebbe venuto a disturbarlo in un posto tanto fuori mano, né si sarebbero lagnati del rumore o della musica dato che le pareti erano insonorizzate.
Spesso si tratteneva di sera o andava lì al mattino presto prima di cominciare le prove, quando l' edificio era popolato solo da operai e macchinisti chiamati a mantenere in perfetta efficienza la complessa struttura scenica e l'enorme impianto di fili, tubi e quadri elettrici che alimentava la magia dell'Operà.
Nonostante la quiete di quell'angolo remoto però Yuuri aveva avuto da subito la sensazione di non essere solo; più di una volta era uscito in corridoio cercando di dare corpo alle sue paure, ma fuori non c'era nessuno e se tendeva l'orecchio poteva sentire i carpentieri al lavoro di sotto o la musica del pianoforte che saliva dalla sala prove.
La settimana successiva al suo trasloco era arrivata la prima E-mail.
L'oggetto riportava “Suggerimenti per accedere all'aula B (questo il nome del suo piccolo studio improvvisato) anche fuori dall'orario di apertura del teatro”
Appurato che non si trattava di spam il giovane giapponese aprì gli allegati e trovò una dettagliata descrizione del percorso da fare per avere libero accesso all'edificio in qualsiasi momento, corredata da una piantina tecnica e dal percorso consigliato”
In firma era riportato un formale quanto singolare:
"Cordiali saluti, vostra Cho-cho san"

Solo Phichit e sua madre erano a conoscenza del fatto che si fermasse a provare in quel bugigattolo, ma quando esibì loro il testo della mail entrambi si mostrarono stupiti quanto lui.
Nemmeno la signora Chulanont, che lavorava a Teatro da più di dieci anni conosceva quella scorciatoia!
Le indicazioni, tuttavia, si rivelarono esatte, ma i ringraziamenti di Yuuri non ebbero alcuna risposta.
La successiva mail di Cho-cho san arrivò tre giorni più tardi e stavolta tono e contenuti erano molto diversi: in un inglese pulito, quasi letterario la misteriosa utente aveva letteralmente crocifisso la sua performance nel coro del Nabucco, stroncando senza appello la sua inconsistenza scenica e arrivando a definirlo un “Pesce che apriva la bocca a comando senza far uscire nient'altro che aria”.
Il soggetto chiamato in causa era scioccato, più che per la critica negativa, per il fatto che sarebbe stato impossibile distinguere la sua voce da quella degli altri coristi a meno di essere all'interno del coro o dietro le quinte!
Del resto la valutazione era motivata; quel giorno Yuuri era quasi afono a causa di una brutta raucedine e aveva risposto scusandosi con lei, senza aspettarsi una eventuale replica.
Invece la replica era arrivata, sebbene in una forma un po' inusuale.
Il giorno successivo un fattorino si era presentato a casa e gli aveva consegnato un cesto pieno di arance; vuotandolo scoprì anche una sciarpa, un paio di guanti e una cuffia di cachemire impacchettati con cura accompagnati da un bigliettino su cui era stampigliata in rilievo una farfalla.
Senza dubbio un dono di Cho-cho san.
“Per essere una stalker ti fa dei bei regali! Prova a dirle che ti fanno male le gambe a fine giornata, potrebbe comprarti un'auto!” aveva esclamato Phichit ridendo e Yuuri aveva brontolato qualcosa di incomprensibile, poi aveva preso un'arancia, la sciarpa e si era chiuso in camera a meditare sull'accaduto.
Da quel momento le e-mail e i regali si erano succeduti ad un ritmo regolare; non passava giorno senza notizie da quella che Yuuri aveva classificato come una sorta di dispotica fata madrina; un angelo custode terribilmente autorevole e competente, prodigo di suggerimenti, quanto parco di informazioni private.
Di lui invece sembrava sapere tutto, non solo quelle scarne indicazioni disponibili online, ma i suoi gusti musicali, le sue preferenze cinematografiche, perfino la sua debolezza riguardo al cibo.
L'idea che una sconosciuta entrasse in modo tanto perentorio nella vita privata di qualcuno avrebbe autorizzato una persona mediamente perspicace ad allarmarsi e non che il giovane giapponese non fosse preoccupato, però, al di là di consigli pertinenti e piccoli pensieri, la misteriosa Cho-cho san teneva a distanza il suo interlocutore innalzando una rigida barriera di formalismi contro la naturale curiosità di Yuuri.
Ad esempio usava il “voi” nei discorsi e si firmava col cordiale distacco di un direttore bancario.
Mai c'erano state allusioni sessuali o affettive e se faceva riferimento al suo corpo era per appuntare una critica sulla capigliatura da istrice ola sciatteria con cui aveva annodato il cravattino.




“Phichit come ti sembra il fiocco del papillon?”
“Hai tenuto conto del fatto che possa essere un uomo?” chiese lui di rimando, facendolo impallidire.
No, o meglio si, l'idea lo ha sfiorato qualche volta; alcuni indizi lo suggerivano: nonostante il linguaggio ricercato, quasi poetico, il suo modo di esprimersi era diretto, franco, andava al punto e sviscerava le questioni con una durezza aliena da una mente femminile, più incline alla metafora e all'allusione.
Una donna sarebbe stata meno diretta nelle sue critiche, ma Yuuri dovette ammettere con sé stesso che i tempi erano cambiati e di donne sgradevoli e aggressive ormai era pieno il mondo.
“È importante in definitiva?”
“Tu cosa preferiresti: uomo o donna?” insistette il giovane thailandese.
“Cambia poco” rispose l'altro con un accento forse troppo risentito e per darsi un tono buttò giù il secondo calice di champagne della serata “In fondo è solo un'entità virtuale, è apparsa all'improvviso e altrettanto all'improvviso è scomparsa” Phichit intuì che il silenzio della misteriosa Madame Butterfly aveva ferito l'amico più delle sue critiche al vetriolo e per rimediare azzardò un cauto “Forse le si è impallato il computer o la connessione internet, succede anche ai migliori nerd!”
“O forse la mia prova di Cavaradossi è stata il colpo di grazia alla scarsa considerazione che ha delle mie doti e ha deciso di bannarmi a vita”
“Le tue vibrazioni negative sono fuori controllo!” decretò il suo interlocutore “in questi casi c'è solo una cosa da fare! Saccheggiare il buffet prima che l'orda dei barbari spazzoli via anche le briciole! Aspettami qui, tornerò tra poco coi generi di conforto”
Yuuri seguì la zazzera corvina finché non si confuse nel caos colorato della festa, che impazzava attorno a lui incurante delle sue gramaglie, celate dalla vezzosa mascherina bianca.
Prese al volo una coppa dal vassoio di un cameriere di passaggio e si immerse in nuove, tristi, considerazioni.

La richiesta di sostituire il brillante, famosissimo e strapagato tenore canadese Jean Jeaques Leroy era arrivata come un fulmine a ciel sereno nella tranquilla routine di Yuuri.
Il Direttore dell'Operà si era presentato in sala prove seguito da un'assortita rappresentanza del personale amministrativo e dopo un concitato consulto coi suoi omologhi del coro e dell'orchestra lo avevano chiamato da parte sbattendogli in faccia la proposta indecente.
Non c'era la busta di riserva; a due giorni dalla Prima e con la Stagione lirica in pieno svolgimento le opzioni erano: prendere o prendere.
E lui aveva accettato.
Poi era andato a casa e si era buttato a letto senza cenare, con un febbrone da cavallo scaturito da una mostruosa ansia da prestazione e dal terrore di fallire.
Le quarantottore successive erano trascorse in una folle corsa alla preparazione: le prove dei costumi, le prove con l'orchestra, le prove con un maestro di canto chiamato all'ultimo per rifinire i dettagli della sua interpretazione, le prove delle prove, la prova generale.
Yuuri era arrivato alla sera del debutto con la testa avvolta nella bambagia e lo stomaco attorcigliato, in preda ai crampi. Era pallido come un cencio, le gambe gli tremavano e sudava freddo.
Non ce l'avrebbe fatta; guardava le assi di legno del palcoscenico, testimoni di tanta gloria passata e sapeva che poteva inciamparci, steccare un acuto o peggio uscire completamente afono.
Il suo problema non era la voce, la pronuncia in quell'italiano ostico contro cui combatteva da quando Celestino lo aveva voluto nella sua scuola, non era nemmeno la difficoltà di cantare muovendosi e gestendo il difficile spazio della scena e l'interazione con gli altri protagonisti.
No il problema era che temeva il ridicolo più della stonatura; aborriva l'idea che il pubblico sarebbe scoppiato a ridere una volta alzato il sipario, perché... Sul serio: non era credibile un giapponese smilzo, alto un metro e settanta nei panni prestanti del bel pittore della Tosca.
Una cortigiana d'alto bordo come lei lo avrebbe tenuto giusto come reggi-lampada o valletto, non come amante!
A un'ora dall'inizio dello spettacolo Phichit aveva fatto irruzione in camerino rompendo la sacra concentrazione dell'artista al debutto e gli aveva mostrato il suo portatile indicando con enfasi la casella mail.
“Cho-cho san ti ha scritto dieci minuti fa!”
Ah!
La nebbia nel cervello di Yuuri si diradò quel tanto da permettergli di leggere la missiva senza accavallare le lettere.

“Pregevole monsieur Katsuki v'immagino immerso e coinvolto nei momenti convulsi che precedono l'alzarsi del sipario, quindi non vi tedierò con inutili raccomandazioni.
Abbiamo già ampiamente discusso delle vostre qualità vocali e dei vostri limiti, ciò che più mi preme ora è il vostro stato d'animo. Se l'ansia vi attanaglia e temete il giudizio del pubblico o della coprotagonista sappiate che ciò è nulla al confronto del fatto che assisterò personalmente allo spettacolo e vi terrò gli occhi addosso fino alla fine.
Devotamente vostra,
Cho-cho san”

Phichit non aveva mai sentito l'amico imprecare, ma quello che era uscito dalle sue labbra un attimo prima di chiudersi in bagno a rimettere l'anima era proprio un anatema da scomunica.
Il resto ormai era storia; il giapponese era salito su quel dannato palco e aveva portato a termine la sua missione, da bravo soldato; era perfino uscito sul proscenio a raccogliere i meritatissimi applausi dal pubblico delle grandi occasioni, poi si era trascinato fino al backstage dove era svenuto restando incosciente fino al giorno successivo.



Fine Prima parte


† La voce della coscienza †

Eccomi qui!
Di nuovo direte voi :3
Che volete farci, quando ho visto la proposta di questa challenge mi si è accesa la proverbiale lampadina, i due neuroni superstiti si sono messi al lavoro e, memore di un riferimento al Fantasma dell'Opera nella saga dei vampiri, è nata questa versione in salsa Mistery, dove, vorrei precisare: NON ci sono vampiri!
Ma un po' di suspance, un filo di mistero, romanticismo e un pizzico di angst.
Vedremo Yuuri, giovane e promettente cantante lirico, un po' sottostimato, anche a causa della sua timidizza e ritrosia, alle prese con una enigmatica stalker che si firma come la Madama Butterfly dell'opera pucciniana e che è prodiga di consigli, di doni e anche di stroncature feroci.
Riuscirà davvero ad incontrarla al ballo di Capodanno come dice Phichit?
La sorte, complice uno svizzero di nostra conoscenza, ci metterà lo zampino e...
Il seguito al prossimo capitolo!
Io e il nostro tenorino con gli occhi a mandorla saremo felici di sapere cosa ne pensate di questo esperimento; amo molto la lirica, anche se non mi azzardo a definirmi un'esperta o una melomane :3 Cho-cho san invece aspetta silenziosa nell'ombra, chi c'è dietro la maschera? Mhhh scommetto che avete già dei sospetti :3
Acuti sparsi e qualche Do di petto a tutti! :3



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cho Cho san ***


Questa storia partecipa alla challenge di Halloween (Ripopoliamo i Fandom!) indetta dal gruppo facebook
Il Giardino di Efp e prende spunto da "Il Fantasma dell'Opera"

banner

Dicon ch'oltre mare
se cade in man dell'uom, ogni farfalla
da uno spillo è trafitta
ed in tavola infitta!

Un po' di vero c'è.
E tu lo sai perché?
Perché non fugga più.
Io t'ho ghermita...
ti serro palpitante.
Sei mia.

Sì, per la vita


Madama Butterfly - Atto Primo Scena Sesta (Duetto) - Puccini

Cho Cho san

“Guarda-guarda che sorpresa!”
La voce suonò così vicina al suo orecchio da farlo trasalire e nella frazione di secondo successiva realizzò che: primo, aveva già sentito quel tono petulante e querulo dal forte accento francese, secondo, il proprietario della voce era lo stesso che gli aveva piazzato una mano sul fondoschiena palpeggiandolo con impegno, come se si trattasse di un'attività particolarmente piacevole.
“M-monsieur Giacometti!” scattò Yuuri portandosi in un attimo fuori dall'area del palpeggiatore compulsivo, il quale, per inciso, non si mostrò sorpreso, accennando un brindisi verso il malcapitato col suo calice di champagne.
“Ebbene si, mi hai riconosciuto, nonostante la maschera” ridacchiò l'aitante uomo biondo.
Ti ho riconosciuto dal modo in cui mi hai toccato il culo, specie di maniaco! Avrebbe voluto dirgli.
Ma purtroppo il maniaco in questione era anche il figlio del Direttore dell'Operà e se il suo hobby era cosa nota e risaputa, era altrettanto vero che nessuno si sarebbe sognato di denunciarlo, pena il licenziamento in tronco e l'impossibilità di trovare un altro lavoro in qualsiasi teatro del pianeta degno di questo nome.
“Chi devo ringraziare per averti convinto a presenziare alla festa mon coeur? Ho spedito... Personalmente il tuo invito, tuttavia disperavo di vederti qui stasera”
“Ah... Si? I-invece eccomi”
“Oh, lo vedo” gli occhi verdi del suo interlocutore scintillarono felini dietro la maschera di velluto “E sono davvero” sottolineò la parola insinuando una sfumatura maliziosa nel resto del discorso “Contento che tu sia venuto, avremo modo di approfondire meglio la nostra conoscenza”
Che il titolato rampollo nutrisse un certo interesse nei suoi confronti lo aveva capito anche una persona timida e chiusa come Yuuri, tuttavia, fino a quel momento era stato bravissimo ad evitare ogni occasione che potesse dare adito ad equivoci e fraintendimenti.
“Veramente non sono da solo” iniziò il cantante mettendo subito le mani avanti “Aspetto che Phichit torni dal buffet e poi andremo a casa”
Christophe Giacometti inarcò un sopracciglio, probabilmente stava processando l'informazione nel tentativo di associare il nome dell'amico a un culo di sua conoscenza.
“Phichit... Il figlio di madame Chulanont, ma naturellement! Una delle nostre migliori sarte, lui è un apprendista costumista, dico bene?”
Le labbra di Yuuri si stirarono in una piega nervosa; per sua sfortuna Giacometti non era solo un gaudente libertino palpeggiatore, era anche una persona perspicace, astuta e intelligente.
Quelle parole dall'aria innocua nascondevano un messaggio preciso: di apprendisti ambiziosi Parigi è piena, la mamma è una risorsa preziosa per il teatro, però il figlio può essere tranquillamente licenziato dall'oggi al domani.
“Lo aspetteremo insieme, magari in un posto meno affollato, che ne dici?”
Accompagnò la sua proposta con un sorrisetto divertito, poi gli cinse le spalle col braccio e lo spinse dove il turbine della festa era meno intenso. Yuuri lanciò delle occhiate nervose in direzione del buffet, nella speranza di vedere la sagoma di Phichit sulla via del ritorno, ma l'amico sembrava essere stato inghiottito nella ressa attorno al tavolo del rinfresco.
“Devo ancora farti i complimenti per la tua esibizione di Sabato scorso, è stata... Superlativa, chéry
“Grazie monsieur Giacometti...” rispose l'altro palesemente a disagio in quella situazione; sentiva che presto il discorso avrebbe preso una piega sgradevole e si lambiccava le meningi alla disperata ricerca di una soluzione.
“Oh, ti prego chiamami Chris, come tutti”

Tutti chi? I suoi amanti probabilmente!

Lo svizzero aveva di certo colto l'imbarazzo del suo interlocutore e sembrava intenzionato a goderne il più a lungo possibile.
“Avevamo un simile gioiello in casa e nessuno lo sapeva...” intanto continuava imperterrito il suo ragionamento “Ne parlavo giusto un paio di sere fa con mon père a cena... Come potremmo valorizzarti? Insomma quella era solo una sostituzione mon dieu! Bisogna ragionare su qualcosa di più sostanzioso; dei concerti, un'intera stagione lirica... Che te ne pare?”
“Ah... I-io sono lusingato e-e stupito... Solo che è tutto così improvviso...” balbettò il giovane addossandosi alla colonna dove si era messo in trappola da solo, perché la via di fuga era sbarrata da un metro e ottantacinque di muscoli cresciuti a latte, cioccolato ed Emmenthal.
“Abbiamo tutto il tempo, che ne diresti di proseguire questa discussione con calma nel mio loft?” ma per Yuuri diventava difficile rispondere se l'altro provava a mettergli la lingua in bocca.



“Ah-ehm”
La salvezza si annunciò con un discreto colpo di tosse alle spalle di Christophe, tuttavia non aveva le fattezze familiari dell'amico; la nuova presenza lasciò l'importuno di stucco e Yuuri letteralmente pietrificato.
“Madame...”
Lo svizzero fu il primo a riprendersi dallo sbalordimento, il savoir-faire non gli difettava e la signora davanti a lui rientrava a buon diritto nella categoria di donne con le quali avrebbe flirtato volentieri, perché, come un'ape, riteneva di doversi posare di fiore in fiore senza far torto a nessuno.
La figura fece un passo avanti e il suo kimono produsse un armonico fruscio di seta; il costume da geisha si drappeggiava attorno al suo corpo in linee eleganti e ieratiche, mentre il suo volto esprimeva l'astratta metafora di un sorriso: enigmatico, indecifrabile, dipinto, come quello della Gioconda, sulla sottile pellicola di cartapesta di una maschera di scena.
Il fatto che fosse alta quasi quanto lui non trattenne Christophe da rivolgerle qualche galante smanceria e dal prodursi in un perfetto baciamano a cui la misteriosa dama abbandonò la destra, mentre con la sinistra continuava ad agitare mollemente un raffinato ventaglio sensu di carta di riso.
“Si è persa madame? Posso rendermi utile?”
“Lei? No grazie” rispose pacata, la voce usciva soffocata a causa della maschera e oltre ad essere profonda e vagamente roca era difficile stabilire se avesse un timbro maschile o femmile “Monsieur Kastuki invece si, mi ha promesso un ballo e poi si è dileguato subito dopo, lasciandomi da sola”
“Oh, imperdonabile da parte tua chéry” lo rimproverò bonariamente il giovane biondo, anche se il suo sorriso si era alquanto raffreddato “Non si illude in questo modo una donna... E nemmeno un uomo” gli sussurrò spingendolo verso di lei “ Tranquillo mon petit rossignol, riprenderemo molto presto il nostro discorso...”



“Vi succede spesso monsieur Katsuki ?”
Yuuri si lasciò trasportare dalla dama al centro della pista da ballo, ricreata per l'occasione nel magnifico atrio del Teatro, senza opporre resistenza; era ancora troppo scioccato dalla sua apparizione improvvisa e dalle avances di quel cialtrone di Giacometti per reagire.
“...”
La geisha prese atto della mancata risposta e sistemò la mano destra del giovane sul fianco, sollevando la sinistra nella sua, doveva condurre lui nella coppia, questo era un postulato imprescindibile di un valzer; poco importava che il cavaliere fosse un po' più basso e ostentasse una rigidità paragonabile al rigor mortis.
“Dicevo, vi succede spesso di trovare sulla vostra strada quel genere di bellimbusti?”
“Cho-cho... San?” rantolò Yuuri incredulo.
“È da maleducati rispondere ad una domanda con un'altra domanda, tuttavia se vi rassicura saperlo: si”
“I-io...”
La sua ballerina constatò l'impossibilità del suo partner di continuare a guidare la coppia e, con invidiabile noncuranza, ribaltò i ruoli mettendosi saldamente al comando.
“È anche disdicevole svenire in pista, ma vi posso assicurare che vi prenderei al volo prima di toccare terra”
“S-si ma...”
“Pensate di riuscire a reggere una conversazione più articolata di qualche monosillabo monsieur Katsuki?”
“La immaginavo... Diversa!”
“Ah, spunto interessante, continuate”
“E pensavo che non volesse più avere niente a che fare con me dopo... Lo spettacolo della Tosca della settimana scorsa”
Yuuri scorgeva solo il leggiadro sorriso dipinto sulla maschera, ma poteva giurare che la misteriosa Madame Butterfly stesse sorridendo a sua volta.
O meglio: i suoi occhi sorridevano; occhi insoliti per una geisha, di un punto d'azzurro particolare, che un pittore avrebbe definito “pervinca”.
Come insolito era il colore dei suoi capelli raccolti da elaborati kanzashi floreali e fermati da un prezioso pettine d'avorio; sotto la luce dei lampadari prendevano una sfumatura color platino.
Notò che aveva dei morbidi guanti di raso, calzati su dita lunghe, affusolate e parimenti una sciarpa di seta avvolta in uno sbuffo di stoffa impalpabile al collo.
Due licenze poetiche al costume tradizionale, di contro assolutamente impeccabile, che il giovane tenore motivò col timore di prendere freddo.
“Se fosse così non sarei qui stasera”
“S-si ecco è per questo che sono rimasto senza parole!”
“Sono riuscita a sorprendervi quindi...”
“Direi...”
La presa sulla mano di Yuuri si fece più forte, mentre lo sguardo nell'ombra della maschera si addolcì per un momento.
L'attimo dopo, però, s'incupì diventando severo, inflessibile.
“Anche io sono molto sorpresa di trovarvi qui”

Ai margini della pista due persone li tenevano d'occhio, con intenti diversi; Phichit li osservava trasognato; Christophe Giacometti, poco distante, masticava amaro e preparava la riscossa; quel maledetto valzer doveva pur finire prima o poi!
“Sembrano essere in confidenza” disse rivolto al thailandese “Conosci la signora con cui sta ballando?”
“Chi? Cho-cho san?” il ragazzo corvino sgranò un sorriso “Non di persona, lei e Yuuri si scambiano delle e-mail... Io me lo sentivo che l'avrebbe incontrata! Ah! È così romantico!” concluse gongolante senza avvedersi dell'espressione contrariata dello svizzero.



“Perché? Non faccio niente di male...” sotto lo sguardo di riprovazione della sua partner Yuuri sentì il bisogno di giustificarsi, come se fosse ancora a scuola davanti al maestro.
“Perché questo ambiente non fa per te” sentenziò la misteriosa interlocutrice passando dal distacco della seconda persona plurale alla diretta informalità della seconda singolare “Sono persone false, superficiali, disposte ad adularti oggi e a pugnalarti alla schiena domani. Guardati attorno...” aggiunse alludendo alla folla “Sono gli stessi che ti avrebbero seppellito di fischi e insulti nel caso la tua performance fosse stata deludente”
“Ma non lo è stata” di fronte a parole tanto denigratorie il giovane ritrovò un briciolo di amor proprio e sfidò la sua dama in un gioco di sguardi.
“No. Perché io a differenza loro, del Direttore e di quel libertino di suo figlio non ho mai avuto dubbi riguardo alle tue capacità, ti mancava solo l'occasione per dimostrarle e mi sono premurata di crearne una su misura per te”
“Che... Cosa sta dicendo?” mormorò Yuuri confuso.
“Parlo dell'infortunio a quel pallone gonfiato canadese, pensi sia stata solo una... Sfortunata coincidenza?”
Il giovane si sentì gelare il sangue.
Andò con la memoria al giorno delle prove: Jean Jeaques Leroy, nel ruolo del pittore Cavaradossi, era all'opera sull'affresco in chiesa nella prima scena; uno dei pioli della scala su cui poggiava aveva ceduto all'improvviso e il cantante era caduto giù come un sacco di patate rimediando una slogatura alla caviglia, un mese di lontananza forzata dai concerti e un cospicuo risarcimento dall'assicurazione del Teatro.
I periti avevano stabilito che il piolo era vecchio e logoro e non sarebbe riuscito a reggere il peso del tenore.
Tuttavia nulla vietava di ipotizzare che una sega avesse dato un piccolo aiuto al pezzo di legno già malandato.
“È stato... Un incidente” ribadì Yuuri pallido sotto la maschera.
All'improvviso l'idea della stalker pericolosa tornò ad affacciarsi di prepotenza tra i suoi pensieri, fece per allontanarsi, ma la sua dama non sembrava intenzionata a lasciarlo andare.
“Allora lo chiameremo così: un incidente. Sarà il nostro piccolo segreto” convenne sibillina lei, stringendolo a sé “Dove vuoi andare Yuuri? Il valzer non è ancora finito e tra poco suonerà la Mezzanotte”
“Per favore... Phichit mi starà cercando” piagnucolò guardandosi attorno.
“Dal tono si direbbe quasi che tu abbia paura di me. Ti faccio paura forse?”
“N-no” articolò con un tono che voleva dire l'esatto contrario.
“Bene, perché per avere davvero paura di me dovresti conoscermi meglio...”

“Che stanno combinando quei due?”
Christophe grazie alla sua altezza riusciva a seguire il movimenti della coppia; Phichit invece se allungava il collo vedeva solo una marea agitata di piume, cappelli e maschere.
Mancava una manciata di secondi a Mezzanotte e tutti volevano assicurarsi una coppa di champagne per brindare al nuovo anno in compagnia degli amici.
“Non saprei monsieur Giacometti, qualcosa non va?”
“Puoi scommetterci ragazzo”
Il giovane svizzero cominciò a fendere la folla deciso a raggiungere la coppia in cui il suo cantante, quello sul quale era intenzionato a mettere le mani e anche qualcos'altro, appariva in palese difficoltà: la geisha lo stava strattonando per i polsi ed erano entrambi impegnati in un concitato alterco.
Posto che esistevano donne più forti e muscolose di lui e che il giapponese fosse un articolo di rara goffaggine l'andazzo di quella discussione lo impensieriva.
“Madame devo chiedervi di lasciare monsieur Katsuki, state... Sgualcendo la nostra futura etoile dell'Operà”
Yuuri mai avrebbe pensato di gioire dell'arrivo di Giacometti, mentre Phichit, lo seguiva a ruota preoccupato e perplesso.
“Yuuri! Tutto bene?” chiese nel notare che la situazione nella coppia era radicalmente mutata; il suo amico sembrava impaurito e Cho-cho san lo tratteneva malamente per un braccio.
“Non un passo di più signori, o il vostro Teatro dovrà cercare un altro usignolo, dopo che a questo avrò tagliato la gola...”
La geisha, affatto limitata dai movimenti del kimono si trasse da parte portandosi velocemente alle spalle del giovane giapponese e gli puntò un sottile stiletto al collo.
Doveva averlo tenuto nascosto nell'ampia manica o forse nell'obi, di certo la lama era affilata e non si trattava di un semplice oggetto di scena.
Merde!” esclamò Christophe fermandosi a pochi passi da loro.
Subito dopo scoppiò il finimondo.
Nel foyer gli ospiti stavano scandendo il conto alla rovescia e allo scoccare della Mezzanotte saltarono i tappi delle bottiglie e cadde una copiosa nevicata di coriandoli e stelle filanti.
L'atrio si tinse dell'azzurro, rosso, oro dello spettacolo pirotecnico che illuminava il cielo di Parigi.
Gli invitati si precipitarono alle vetriate, i più audaci sfidarono la serata rigida uscendo lungo il colonnato ad ammirare i fuochi artificiali, il cui concerto di fischi e scoppi finì per coprire le grida di acclamazione.
La confusione era all'apice e nessuno faceva caso alla surreale vicenda che si stava svolgendo ai margini della pista da ballo.
L'enigmatica dama, rivelatasi piuttosto energica, lungi dal lasciare libero il suo ostaggio retrocedeva pian piano verso l'interno seguita a distanza da Christophe e dal Thailandese.
“Yuuri! Per favore, lo lasci andare madame!” esclamò Phichit già col telefono in mano pronto a chiamare la polizia.
“Ah-ha! Giù quell'affare giovanotto” la voce della donna sotto la maschera restava calma, determinata “Il signor Katsuki è senz'altro ferrato in cultura giapponese e potrà assicurarvi che questa lama è piccola, ma letale in mano ad una persona esperta”
“È... Un wakiwashi... Phichit fai come dice!” esclamò Yuuri spaventato.
“Che intenzioni ha?” ringhiò Christophe costretto a tenersi a distanza.
“Bella domanda detta da chi, appena dieci minuti fa, pensava di portarselo a letto e poi scaricarlo una volta goduto di lui, monsieur. Vi risponderò che non sono affari vostri”
Pute Bâtarde!
“Ah-ha! Vi sembra questo il modo di rivolgervi ad una signora?” la punta d'acciaio sfiorò la pelle del giovane tenore e ne uscì una piccola goccia di sangue “Vedete? Mi fate innervosire e il vostro protetto ne subisce le conseguenze”
Un boato più fragoroso degli altri, seguito da un bagliore accecante illuminò a giorno l'atrio e costrinse per un attimo i due a distogliere lo sguardo.
Quando aprirono gli occhi, Yuuri e la donna misteriosa erano scomparsi.


Fine Seconda parte


† La voce della coscienza †

L'ingresso in scena di Christophe è stato... Da manuale.
Per un estimatore del lato B come lui il fondoschiena di Yuuri rappresenta un'attrattiva irresistibile!
Peccato però che non voglia limitarsi ad una palpatina e le sue intenzioni vadano direttamente al fine serata, complice la sua posizione di erede del Direttore dell'Operà, che intende far valere per portarsi a letto il giappino.
A salvare il tenore da una situazione a dir poco... Scomoda arriva a sorpresa... La nostra affascinante e misteriosa geisha, che nel breve volgere di qualche giro di valzer lo salva, lo cazzia e lo sequestra, lasciando Phichit e Christophe con un palmo di naso!
Presumo che ora i sospetti sulla sua identità comincino a diradarsi, ma cosa vorrà davvero lo strano personaggio?
Che sia pericoloso è fuori di dubbio, per sgombrare la strada a Yuuri non ha esitato a provocare un incidente di scena al povero JJ togliendolo di mezzo e non si è fatto scrupoli nel puntargli un pugnale alla gola e a rapirlo nel pieno della festa.
Per scoprire i suoi piani e soprattutto la reazione di Yuuri restate sintonizzate sul prossimo (ed ultimo, almeno per ora) aggiornamento!

Annotazioni varie:
Il ventaglio sensu è il tipico ventaglio pieghevole giapponese con stecche di bambù e carta di riso finemente decorata. E' spesso impiegato nel teatro e nella danza tradizionali.
Il wakiwashi è la spada corta giapponese, usata dai samurai in coppia con la Katana, viene detta anche "Guardiana dell'onore" perché era utilizzata per commettere seppuku. Alcune fonti la citano anche come arma di difesa delle geishe, perché piccola, leggera e molto maneggevole.
I Kanzashi sono i tipici ornamenti floreali che adornano le acconciature delle donne giapponesi.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Scorrendo uniti remota via ***


Questa storia partecipa alla challenge di Halloween (Ripopoliamo i Fandom!) indetta dal gruppo facebook
Il Giardino di Efp e prende spunto da "Il Fantasma dell'Opera"

banner

Scorrendo uniti remota via
Brev'ora dopo caduto il dì:
Come previsto ben s'era in prima
Rara beltade ci si scoprì.
Era l'amante di Rigoletto
Che, vista appena, si dileguò.
Già di rapirla s'avea il progetto,
Quando il buffone ver noi spuntò
...
Quand'ei s'accorse della vendetta
Restò scornato ad imprecar.


Rigoletto - Atto Secondo, scena seconda - Giuseppe Verdi

Scorrendo uniti remota via

“Erano qui fino ad un momento fa!”
“Yuuri santo cielo... Se gli avesse fatto del male...”
“Hai chiamato la polizia?”
“Certo monsieur Giacometti! Manderanno una pattuglia appena possibile!”
“Appena... Possibile? Dieu du Monde! Stiamo parlando di un sequestro di persona e di un'aggressione!”
“Lo so! Ma è anche Capodanno monsieur! Hanno tutti gli agenti impegnati sul campo, sia per l'ordine pubblico che per la questione terrorismo e attentati!”
Christophe proruppe in una bestemmia irriferibile.
“Proviamo a vedere nel ristorante, forse sono passati di là” propose subito dopo trovando un flebile pigolio di approvazione da parte del giovane thailandese, in ansia per la sorte dell'amico.
I passi si allontanarono in fretta portandosi appresso l'eco curioso di alcuni invitati che ormai avevano capito che era successo qualcosa di strano e tramite il passaparola cercavano d'informarsi.
Yuuri aveva sentito tutto al di là della parete divisoria oltre la quale era intrappolato, ma la sua rapitrice lo aveva zittito mettendogli una mano sulla bocca ed era stato costretto ad ascoltare impotente i suoi salvatori dirigersi dalla parte sbagliata.
C'era un passaggio segreto sotto la meravigliosa scalinata in marmo dell'ingresso; il giapponese ne aveva sentito parlare e come tutti considerava quella dei sotterranei dell'Operà poco più di una leggenda metropolitana, come il suo famoso Fantasma, i morti in agguato nelle catacombe parigine o i coccodrilli nelle fognature.
Invece negli ultimi minuti era stato costretto a ricredersi su almeno due di quelle voci: i passaggi segreti esistevano e c'era chi sapeva come usarli.
“Molto bene Yuuri, è il caso di dire... Finalmente soli”
La voce dietro la maschera aveva cambiato registro, scendendo verso la modulazione più grave dei toni maschili e tanto bastò al diretto interessato di farsi passare la voglia di ulteriori ipotesi.
La sua risposta fu talmente rapida che non diede tempo Cho-cho san di schivarla, forse nemmeno il suo sequestratore aveva messo in conto che una persona timida e impacciata come lui potesse reagire d'istinto e con tale forza.
La testata colpì violentemente il mento dell'uomo alle sue spalle allontanandolo da lui; la raffinata geisha si era trasformata in un groviglio d'imprecazioni alle quali Yuuri non volle controbattere.

Al contrario di ciò che si vede nei film d'azione dove l'eroe e l'antagonista si sprecano in lunghissime filippiche per esigenze di copione, il giovane tenore si diede subito alla fuga, scappando alla cieca, nel buio, in quello che sembrava uno stretto corridoio di servizio dove una persona di media corporatura faticava a passare.
Non si curò di controllare se il suo rapitore lo stesse inseguendo, doveva trovare un'uscita, ma quel dannato budello sembrava infinito.
O almeno lo fu finché Yuuri non si schiantò contro una parete emersa all'improvviso dalle tenebre.
La sua corsa finiva in un vicolo cieco quindi?
Ansimando provò a guardarsi attorno, tastò il muro per verificare se proseguiva a destra o a sinistra, sempre con l'ansia di veder sbucare dal nulla il pazzo col pugnale.
I suoi occhi intanto si stavano abituando all'oscurità, il nero si scompose in tonalità di grigio, che gli permisero di identificare grossomodo un percorso; forse un po' di luce filtrava dal soffitto o da qualche altra uscita segreta, ma la penombra purtroppo gli rivelò anche qualcos'altro: una sagoma chiara veniva verso di lui dal corridoio e lo costrinse a scegliere in fretta una direzione: svoltò a sinistra incurante della voce alle sue spalle che gridava il suo nome e gli chiedeva di fermarsi.

Merda! Non voglio morire qui sotto!

A proposito: sotto o sopra?
Era difficile orizzontarsi, capire se stava salendo o scendendo, ma il pavimento sembrava avere una leggera pendenza verso il basso.
La luce di una vecchia uscita d'emergenza gli venne incontro brillando come un faro in una notte tempestosa.
Yuuri si gettò sulla porta solo per scoprire che le maniglie erano chiuse da una robusta catena d'acciaio, sigillata da un lucchetto altrettanto robusto. Provò a scuoterlo, a tirarlo senza alcun risultato.
“Yuuri aspetta! Fermati! È pericoloso qui!”
Il giovane soffocò un gemito, lasciò il lucchetto e infilò la prima via di fuga utile che si apriva davanti a lui: una stretta scala a chiocciola che portava ai piani inferiori.
“Fermati! Non voglio farti del male!”
“Fanculo!” strillò l'altro in preda al panico, mentre era alle prese coi gradini traballanti; quella scala doveva pur portare da qualche parte!
Quando mise piede a terra sentì subito il freddo pungente, il mucido tipico degli ambienti sotterranei in cui l'odore di muffa si mescolava all'umidità e dava all'aria un sentore malsano e pesante.
Si trovava in un locale ampio, dagli alti soffitti, come intuì dall'eco che si riverberava sulle pareti; quel rumore metallico e sincopato lo mise di nuovo in allarme: erano i passi dello psicopatico che scendevano a precipizio dagli scalini.
“Yuuri fermati!” gli intimò ancora e se il giovane non avesse avuto in circolo tutta quell'adrenalina avrebbe potuto notare una sfumatura spaventata nella voce del suo inseguitore.
Ma Yuuri riusciva solo ad elucubrare scenari terribili nel caso fosse riuscito a catturarlo di nuovo; sarebbero potute passare settimane, mesi o anni prima che qualcuno rinvenisse i suoi resti in quella specie di labirinto!
Sempre che volesse lasciare dei resti!
Aveva l'aria di un pazzo bene organizzato, di quelli meticolosi, che curano i dettagli; lo avrebbe torturato a morte e poi fatto a pezzi!
Magari era di quei soggetti che conservavano i cadaveri nel freezer e li cucinavano nelle occasioni speciali!
Ok, forse aveva visto troppe serie TV sui serial killer.
“Fanculo!” ribadì scappando; gli era parso di sentir scorrere dell'acqua da qualche parte davanti a sé, magari era finito in una specie di collettore fognario e in tal caso gli bastava seguire il canale di scolo per arrivare ad una scala che portava ad un tombino in superficie e quindi alla salvezza.
Alla difficoltà di procedere nel buio totale si aggiunse la superficie viscida e insidiosa su cui le sue scarpe, ideali per una festa elegante, si rivelarono del tutto inutili; scivolava, pattinava letteralmente su uno strato vischioso di cui volle ignorare la composizione.
L'unica nota positiva era il silenzio calato alle sue spalle; forse il maniaco aveva rinunciato a inseguirlo e l'unico rumore a fargli compagnia insieme allo sciabordio dell'acqua era il furioso martellare del suo cuore.
Quanta strada aveva fatto?
E dove conduceva il tunnel?
Tastando le pareti aveva trovato solo mattoni umidi rivestiti di un sottile strato di muschio.
Niente scale, niente vie di fuga.
Ad un certo punto il rumore d'acqua si fece più forte; credette di riconoscere il boato di un fiume e aveva senso, perché la Senna scorreva nei paraggi del Teatro; presto avrebbe trovato una porta, una grata e, se la fortuna non gli aveva voltato le spalle, poteva ancora guadagnare la libertà!



Qualcosa lo abbrancò alla vita e lo trascinò indietro prima che potesse muovere un altro passo; a Yuuri mancarono il respiro e la possibilità di reagire sentendosi portare via.
Poi le luci del vecchio impianto elettrico sfrigolarono, si accesero e il giovane realizzò cosa c'era appena oltre e soprattutto chi lo aveva salvato da un salto di almeno una decina di metri in un enorme pozzo di raccolta delle acque.
“Lasciami maledetto bastardo! Lasciami!”
Adesso che ci vedeva avrebbe venduto cara la pelle: si divincolava, scalciava, urlava e mordeva qualsiasi cosa trovasse a portata dei suoi denti e per l'altro diventava difficile tenerlo fermo, figurarsi provare a parlargli e rassicurarlo sulle sue intenzioni!
Usando il suo peso il giovane riuscì a destabilizzarlo e a farlo retrocedere spingendolo contro la parete, annaspò con le mani alla cieca nel tentativo di afferrargli i capelli, o un orecchio per indurlo ad abbandonare la presa ferrea in  cui lo teneva imprigionato, ma l'unica cosa che riuscì a strappargli fu la maschera.
E l'uomo, a sorpresa, lo lasciò andare coprendosi il volto con un grido di rabbia; l'altro, sbilanciato, cadde in avanti e quando fece per voltarsi ad affrontarlo un oggetto lo colpì con tale forza da mandarlo a sbattere per terra dove rimase cosciente alcuni istanti poco prima di perdere i sensi; il tempo sufficiente ad inquadrare una sagoma fuori fuoco china su di lui e di maturare la consapevolezza che era ancora nelle mani del suo rapitore.



Yuuri era sveglio già da un po' di tempo, ma resistendo all'impulso di alzarsi subito per tentare la fuga, aveva imposto al suo corpo l'immobilità assoluta.
Faceva affidamento su udito, tatto e olfatto per capire dove si trovava.
Innanzitutto era sdraiato su qualcosa di abbastanza morbido da escludere che fosse un pavimento o un tavolaccio di legno; non era legato, imbavagliato o bloccato, tuttavia una cosa fredda e umida pesava sulla sua testa e gli bagnava i capelli.
Faceva più caldo dei sotterranei in cui si era svolto il folle inseguimento e l'odore di quel posto aveva qualcosa di rassicurante; profumo di dolci... No, anzi di cannella, spezie, arance candite.
Perfetto se si fosse trovato nel retrobottega di una pasticceria o di un erborista, peccato che l'invasato col pugnale non lo avrebbe portato a fare shopping nei suoi negozi preferiti!
Nel tendere le orecchie scoprì poco o nulla: c'era un gran silenzio, ovattato, morbido appena venato da un sommesso fruscio dalle cause incerte.
Sotto le palpebre captava un ambiente buio o almeno poco illuminato e questo lo convinse a sollevarle appena, scoprendo con sommo disappunto di avere davanti un mare di nebbia indistinta.
Il motivo era facile da spiegare: durante la colluttazione aveva perso le lenti a contatto e questo lo metteva definitamente nella merda, per usare un delicato eufemismo.
Come tutti i miopi strizzò gli occhi e si sforzò di mettere a fuoco i dettagli dell'ambiente, ma una vaporosa figura emersa dalla penombra gli premette una mano sul petto spingendolo di nuovo giù.
“Hai battuto la testa, devi rimanere sdraiato”
“D-disse il padrone di casa mentre affilava la mannaia per fare a pezzi il suo ospite...”
“Oh, lo spirito c'è, buon segno” convenne la figura con un tono conciliante.
Yuuri provava a distinguere i tratti del suo viso, però intravedeva solo la massa chiara dei suoi lunghi capelli che incorniciava un volto levigatissimo, di un pallore perfetto e innaturale.
Un'altra maschera.
“L'ironia rende le carni più tenere, si sa” disse cercando di nuovo di alzarsi.
“No-no, mettiti giù” ribadì il suo sequestratore.
Quando Yuuri provò a muoversi l'oggetto freddo gli scivolò sulla faccia e scoprì che si trattava di una borsa del ghiaccio “E il freddo le frolla meglio”
Tornò a sdraiarsi solo perché aveva scoperto che appena provava a girare la testa tutto saliva su una giostra che ruotava a velocità folle e lui soffriva le giostre fin da bambino.
“Yuuri... Yuuri se il mio scopo fosse stato ucciderti avrei trovato un metodo più discreto”
“Come per Jean Jeaques Leroy?”
“A quest'ora quel borioso calcascene si starà godendo i soldi dell'assicurazione in una bella baita di Saint Moritz insieme alla sua fidanzata”
“Poteva farsi male sul serio, poteva morire!” esclamò il giovane giapponese alle prese con un nuovo capogiro.
“Non conosco nessuno che sia morto per essere caduto ad un metro da terra, però, forse trattandosi di te si, ci sarebbe questo pericolo”.

“Facciamola breve” rispose Yuuri aggrottando la fronte “Se non vuole uccidermi, cosa vuole da me? Soldi? Favori... Particolari?”
“Oh-oh!” Il tono dietro la maschera si fece divertito “Non avevo valutato questo aspetto, però adesso che mi ci fai pensare... Perché no?”
L'interlocutore ammutolì, si era appena cacciato con le sue mani in un mare di guano e una replica poteva solo peggiorare la situazione. La figura sfocata reclinò appena il capo, come a volerlo studiare meglio.
“Quindi pensi che io voglia qualcosa da te...”
“Le circostanze lasciano poco spazio ad altre interpretazioni” mormorò il cantante sentendosi a disagio in quella specie di conversazione calata in un contesto così surreale.
“Concordo, ma, nonostante mi sia arrovellato durante le ultime settimane, non sono riuscito a trovare un modo migliore di presentarmi” “B-bussare alla sala prove... O aspettarmi all'uscita del Teatro ad esempio?”
L'uomo si scostò in modo brusco alzandosi dalla larga ottomana su cui Yuuri giaceva sdraiato; il giovane lo vide rifugiarsi nelle ombre fino a diventare tutt'uno con esse; ignorava i motivi di quel repentino cambiamento, ma lui era stato la causa scatenante e ne provava timore.
“Ho... Detto qualcosa di sbagliato?”
“Non sei tu ad essere sbagliato Yuuri” gli rispose una voce atona dall'oscurità, poi dopo una lunghissima pausa aggiunse “Lo è il mondo là fuori e io ho deciso di troncare i rapporti con lui quando lui lo ha fatto con me”
Il giapponese stava per partire con una difesa d'ufficio sulla bellezza della vita, però si morse la lingua; nemmeno per lui il mondo era una scoperta così straordinaria, sarebbe stato ipocrita da parte sua decantargli virtù inesistenti; tanto più che il misterioso personaggio sembrava soffrire di una feroce misantropia e di una avversione totale al genere umano.
Doveva tenere bene a mente che quello era lo stesso psicopatico vestito da donna che lo aveva minacciato con un pugnale e che, fino a prova contraria, lo teneva confinato chissà dove nei sotterranei dell'Operà.
Se voleva avere qualche speranza di rivedere la luce del Sole, Phichit e la sua famiglia, doveva essere cauto e assecondarlo in ogni modo.
“Perciò ti starai chiedendo perché sei qui e cosa hai fatto per meritare questa fortuna data la mia intolleranza verso i miei simili...” Yuuri arrossì, colto in flagranza di cattivi pensieri.
L'uomo produsse una risata discreta velata dalla maschera e tornò ad avvicinarsi al suo ospite, il quale lo fissava con gli occhi spalancati del cerbiatto fermo in mezzo alla strada che vede arrivare i fari di una automobile.
“È una mia curiosità... I-in effetti” mormorò in un tremulo filo di voce.
“In realtà non voglio niente da te in questo momento, niente che tu non voglia darmi di tua... Spontanea volontà” gli occhi di Yuuri si fecero se possibile ancora più grandi “Sono io che posso dare qualcosa a te. Volevo approfittare del ballo per avvicinarti e parlartene con calma, però quando ho visto quella canaglia di svizzero metterti alle strette ho dovuto rivedere in fretta tutti i miei piani”
“Beh, lo fa con tutti... è una specie di... Cerimonia di Benvenuto. Il lato positivo è che una volta provato l'articolo si stanca e va a cercarne uno nuovo”
“È uno zotico irritante!” l'esclamazione livida di rabbia fece sussultare il giovane, che si rintanò nel divano “Dovrebbe vivere nella consapevolezza che ogni volta che allunga le mani su una vittima indifesa potrebbe essere l'ultima!”
“M-mi dispiace”
“Ti dispiace per lui?”
“Mi dispiace, so che dovrei impormi di più, farmi valere, ma... Non ne sono capace...” mormorò Yuuri rigirandosi tra le mani la borsa del ghiaccio.

L'uomo a quelle parole sembrò calmarsi di colpo, prese la borsa e la sistemò di nuovo sulla sua testa, poi rabbuffò il cuscino e aggiustò il panno con cui lo aveva coperto; come se volesse scusarsi della risposta aggressiva.
Aveva un modo di fare scostante e insieme premuroso, in questo era identico alla Cho-cho san delle mail, semmai vi fossero ancora dubbi sulla sua vera identità.
“Preparo un tè, ti aiuterà a sentirti meglio”
Yuuri fu sul punto di rifiutare, però si trattenne per paura della reazione, i suoi scatti d'ira, i cambiamenti d'umore repentini lo spaventavano anche se adesso giocava al Padrone di casa ospitale.
Forse per lui si trattava di questo: un gioco.
Indossare una maschera equivaleva ad interpretare una parte e chissà chi nascondevano davvero quei volti di cartapesta.
Era ovvio che il giovane fosse curioso di sapere perché celasse la sua identità, ed era altrettanto ovvio che l'idea di chiederglielo lo terrorizzava.
“Ecco, tieni, fa attenzione perché è bollente” gli disse tornando da una stanza attigua a cui lo sguardo miope di Yuuri non era arrivato.
Adesso si trattava di bere dalla tazza che l'uomo gli stava porgendo; cosa fare? Declinare l'offerta equivaleva a contrariarlo, d'altronde lì dentro poteva esserci qualunque cosa: dalla cicuta ad una dose da cavallo di LSD.
“S-si... Grazie” le loro mani si sfiorarono per un lungo istante; la mancina era ancora avvolta in un guanto nero, che pareva tutt'uno col maglione a collo alto; attraverso la stoffa sottile percepì il suo calore e arrossì senza apparente motivo.
“Oh, questo è sconveniente” sottolineò l'uomo a cui non era sfuggito il suo disagio e lentamente abbandonò la presa lasciandogli la tazza“I giapponesi non amano il contatto fisico, soprattutto se si tratta di estranei”
“I-in realtà è una leggenda! Ormai ci siamo abituati a stringere la mano alle persone che conosciamo e ad abbracciarle”
“Si? Quindi mi abbracceresti Yuuri?”
Il cantante, che aveva appena bagnato cautamente le labbra nel liquido ambrato si fece andare di traverso il sorso di tè e fu costretto a ingoiarlo insieme ad eventuali sostanze estranee ivi presenti.
Come se si aspettasse una reazione del genere l'uomo scoppiò a ridere e lo aiutò a non soffocare con delle pacche leggere sulla schiena.
“Scherzavo! Te l'ho detto non voglio niente che tu non sia disposto a darmi di tua spontanea volontà; soprattutto perché potremmo non avere il tempo di conoscerci meglio e questo essere il nostro primo e ultimo incontro”
“Perché ne parla così?” chiese l'altro d'impulso; che diavolo stava dicendo? Ragionando a mente fredda doveva saltare di gioia!
“Perché se vorrai rivedermi dipenderà da te; posso fare molto di più che darti qualche consiglio via E-mail, togliere di torno la concorrenza o rapirti da un corteggiatore molesto. Posso darti lezioni di canto, di portamento e di dizione, posso fare di questa ballerina di fila una etoile di prima grandezza; posso farti innamorare di nuovo di questo mestiere, perché io vedo la passione che hai dentro e che invece tu pensi di avere perso”
La sua espressione restava un enigma, la maschera bianca rimandava sempre una serena e assoluta neutralità, ma Yuuri percepì il tono: comunicava aspettativa, entusiasmo, passione, la sua stessa passione per il canto.
Se si fosse basato sugli ultimi dieci minuti di conversazione per dare una risposta avrebbe accettato all'istante, ma la sua parte razionale si fece sotto di prepotenza mettendo all'angolo l'euforia.
Quello era un estraneo che si nascondeva dietro una maschera, non si era fatto scrupolo a “togliere di mezzo” Leroy o minacciare Giacometti.
Gli aveva puntato un pugnale alla gola in mezzo alla gente e lo aveva sequestrato, mettendo a rischio la sua vita.
“I-io...” non sapeva come continuare, cosa rispondere.
Si morse il labbro e strinse la presa sulla tazza che reggeva in grembo.
L'interlocutore intuì la sua confusione e intervenne a toglierlo dall'imbarazzo da lui stesso provocato.
“Tutto congiura contro di me. Posso capirlo. Se fossimo in un processo le prove sarebbero sufficienti a condannarmi. Ma, Vostro Onore, vorrei invocare l'attenuante della mia competenza in materia...”
Yuuri annuì e il contenuto delle E-mail lo dimostrava; non erano citazioni pescate da Wikepedia, le sue osservazioni tecniche erano sempre state precise, puntuali, circostanziate.
Poteva essere realmente un melomane, un musicista o egli stesso un cantante.
Questo tuttavia non escludeva il fatto che fosse anche pericoloso.
Uno sbadiglio interruppe il filo del ragionamento; Yuuri se ne stupì e si vergognò; questo si era disdicevole!
Sbadigliare e starnutire in pubblico erano ancora considerati gesti estremamente scortesi in Giappone!
Al primo ne seguì un altro e un altro ancora; il giovane farfugliò delle scuse scoprendo che riusciva a fatica a tenere gli occhi aperti.
“È l'effetto dell'antidolorifico che ho messo nel tè” spiegò l'uomo con naturalezza.
Allora aveva messo davvero qualcosa nella tazza quella maledetta canaglia!
“Per il colpo alla testa che hai preso prima, ti aiuterà col dolore, ma quando verranno a prenderti, non fare l'eroe, lascia che ti accompagnino al Pronto Soccorso, potrebbe essere un leggero trauma cranico ed è meglio evitare di correre rischi”
Il giovane lo guardò di traverso.
All'improvviso si sentiva così stanco!
“In realtà potrai raccontare ciò che vuoi ai tuoi soccorritori, anche che c'è un uomo che vive e si nasconde nei sotterranei del Teatro, prima o poi troveranno l'accesso ai passaggi segreti e lo scopriranno in ogni caso”
“E chi mi crederebbe... Hanno visto una donna e poi... Io non so nemmeno il suo vero nome!”
“Tutto a suo tempo Yuuri” l'uomo gli tolse la tazza dalle mani e lo aiutò a sdraiarsi di nuovo “Non sforzarti di rimanere sveglio, i soccorritori ti troveranno facilmente”
“S-si, ma...” le parole si impastavano in bocca insieme al sapore del tè e da lì in poi tutto si fece confuso; il suo bizzarro rapitore aveva continuato a parlargli, o forse no, stava cantando per lui e avrebbe voluto dirgli di cantare ancora, di non smettere, aveva una voce così bella, così dolce; perfino dietro l'ingombrante schermo della maschera.



“Si... Canta...”
“Chi Yuuri? Chi sta cantando?”
“Cho-cho san... Canta...”
“Ossignore è sveglio! Si è svegliato!”
“Lasci fare a noi, si allontani per favore”
Il giovane avvertiva delle presenze attorno a sé e una voce familiare, alterata dalla preoccupazione: Phichit!
Una luce violenta scavò nelle sue pupille e gli strappò un'imprecazione di disappunto.
“Quando maledice in giapponese è buon segno!” il tono di Phichit adesso era tinto di sollievo.
Il pungolo luminoso si allontanò insieme al suo utilizzatore e altre voci si intrecciarono al chiacchiericcio di fondo.
“C'è reazione pupillare, ma lo portiamo in ospedale per accertamenti...”
“Ma certo, certo! Fate tutti gli esami del caso!”
“Monsieur Giacometti dovrebbe leggere e firmare il verbale per la polizia e abbiamo bisogno del suo nulla osta per visionare i filmati delle telecamere di sicurezza”
Merde! E al mio cantante chi pensa?”
“Io! Vado io sull'ambulanza insieme a lui!”
A quel punto Yuuri era abbastanza sveglio da riconoscere la sagoma sorridente del suo amico seduta al suo fianco.
“Dove...”
“Siamo sull'ambulanza, adesso ti portiamo all'Ospedale, perché sospettano un trauma cranico”
“S-si... Probabile” biascicò il giovane giapponese chiudendo gli occhi; il riflesso intermittente del lampeggiante sui vetri gli dava la nausea.
“Ti abbiamo trovato svenuto nel Palco Reale dopo averti cercato ovunque! Quella pazza...”
“Qua... Quale pazza, di chi stai parlando?”
“Yuuri non ricordi cosa è successo? Oddio... I medici lo dicevano che sarebbe potuto succedere! Parlo di Madama Butterfly! Alla festa!” “Il Ballo in Maschera...”
“Si! Hai ballato con Cho-cho san, poi lei...”
“Il pugnale...”
“Si e poi... Siete spariti! Dove ti ha portato?”
Yuuri strizzò gli occhi sforzandosi di ricordare, poi alzò la mano e fece un blando gesto di diniego.
“Niente... è tutto così confuso...”
“Va bene, va bene! Non devi sforzarti!” l'amico strinse la mano tra le sue e sgranò un largo sorriso “L'importante è che tu sia vivo!”
Lui però voleva ricordare!
C'era un vuoto importante tra gli ultimi momenti alla festa e il suo risveglio in ambulanza!
In quel vuoto era successo qualcosa di straordinario; qualcosa che faceva sembrare i rapimenti alieni roba da fumettacci di terz'ordine! Però la stanchezza ebbe la meglio ancora una volta.
Decise di farsi bastare l'entusiasmo di Phichit, almeno finché non si fosse diradata la nebbia fitta che aveva in testa.
Dentro quella nebbia c'era la risposta a tutte le sue domande, non solo sui fatti relativi al ballo, a Cho-cho san e alla sua sparizione, ma soprattutto su chi era davvero Yuuri Katsuki e dove stava andando.


Fine Terza parte


† La voce della coscienza †

Ohi-ohi!
Quest'ultimo capitolo oltre ad essere lungo è anche piuttosto movimentato!
La nostra (o meglio IL nostro) Cho-cho san è impegnato con uno Yuuri piuttosto riluttante a credere alle sue buone intenzioni (chiunque lo sarebbe X°D).
Eppur qualcosa nel giappino si muove!
Insomma pare che la proposta fatta dal bislacco sequestratore mascherato lo abbia impressionato più di quanto dia ad intendere!
E' la Sindrome di Stoccolma, la curiosità o una cronica mancanza di denaro a spingerlo verso quella direzione?
Non appena avrà assorbito gli effetti della botta in testa e gli sarà tornata la memoria lo scopriremo!
Perché il finale resta aperto e io ho tutta l'intenzione di scoprire che combinerà Yuuri nei giorni successivi.
Se interessa anche a voi abbiate fede e un po' di pazienza, perché sono già al lavoro :3

Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito fino a qui, la prima parte è conclusa, la seconda è tutta da scrivere! -corre a mettersi avanti prima di perdere l'ispirazione- °-°'


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Oh! Come furon lunghi i di lontan da te ***


banner

A te ne vengo come a un santo altar!
Oh! come furon lunghi i dì lontan da te,
E come mi struggeva il desio di rivederti!


La Wally – Atto IV° - Luigi Illica

Oh! Come furon lunghi i di lontan da te

Dopo una buona mezzora passata immobile davanti al numero diciassette di Rue des Minimes Yuuri cominciava a non sentire più le gambe, i piedi li dava già per persi a causa di un inevitabile processo di assideramento.
Foderarsi in lana e piumino d'oca non era bastato; il freddo di metà Gennaio mordeva in modo implacabile Parigi, che, dismesse le luminarie dei giorni di festa, mostrava il suo volto gelido e grigio.
La metropoli appariva indifferente, insensibile, quasi inospitale.
Una sfumatura che solo lui coglieva, forse a causa del sedere che si stava congelando e non lo invitava ad afflati poetici sulla Ville Lumière.
Oltretutto qualcuno cominciava a notare la presenza di quella figura imbacuccata ferma sul marciapiede a fissare il portone chiuso senza risolversi ad entrare e, in tempi di continue allerte terrorismo, poteva quasi sembrare sospetta.
Il giovane giapponese sospirò e una nuvoletta di vapore si fece strada tra gli strati della sciarpa.
Non era arrivato fin lì dopo un delirante carosello di ricerche, per farsi fermare e identificare da una pattuglia della Gendarmerie.
Prese la chiave di tasca, la osservò alla scarsa luce dei lampioni stradali e la infilò nella serratura del piccolo portoncino. Girava a meraviglia.



Trascorse le quarantottore canoniche in osservazione Yuuri era stato dimesso con due settimane di prognosi e una terapia a base di antidolorifici.
Tac e radiografie avevano evidenziato solo una lieve commozione celebrale, mentre gli esami avevano escluso altri tipi di traumi e, come la casistica prevedeva, la memoria cominciò a tornargli già dal giorno successivo.
All'inizio furono dei brevi flash, sensazioni, frammenti d'immagini: la corsa lungo i corridoi bui, un volto bianco che emergeva dall'oscurità, il fragore delle acque nel pozzo di raccolta.
Allo psicologo dell'ospedale però raccontò solo il minimo necessario e Phichit chiese, ed ottenne con la sua petulante insistenza, che lo lasciassero tranquillo; tanto non avrebbe potuto fornire elementi utili alle indagini, nessuno dei presenti alla festa avrebbe potuto.
L'amico lo teneva al corrente degli sviluppi, dato che Yuuri sembrava interessato a capire che fine avesse fatto Cho-cho san. Chiunque nelle sue condizioni lo sarebbe stato; quella pazza pericolosa era ancora in libertà e poteva farsi viva di nuovo; per questo avevano messo sotto controllo il suo cellulare e fatto piantonare con discrezione la sua stanza in ospedale.
Raramente uno stalker rinunciava alla sua vittima.
Yuuri aveva convenuto ringraziando i funzionari di polizia e il suo amico della loro sollecitudine, ma aveva taciuto un piccolo, piccolissimo dettaglio che ora lo rendeva complice dell'inafferrabile Madama Butterfly: la polizia cercava una donna, mentre lui non aveva detto ad anima viva che in realtà la geisha era un uomo.
Una volta a casa era stato messo a riposo forzato dalla signora Chulanont; niente attività fisiche pericolose, il massimo che gli era consentito era sollevare le bacchette per il ramen e rispondere al telefono.
I suoi genitori erano stati informati dell'accaduto ed era arrivato il consueto tsunami di chiamate a cui aveva dovuto rispondere con snervanti sessioni di rassicurazioni, corredate da opportune prove fotografiche di referti medici, radiografie e scatole di medicinali.
Yuuri apparteneva a quella categoria di figli che anche in capo al mondo non avrebbe mai reciso il cordone ombelicale con la famiglia, ma sentire sua madre strepitare al telefono “Ti mando Mari!” come se si trattasse di spedire la sorella dal lattaio e non a migliaia di chilometri di distanza forse era troppo perfino per lui.
Dopo i primi giorni di assoluta nullafacenza il giovane giapponese cominciava ad andare in smania; non poteva esercitarsi nel canto, perché faceva parte di quelle attività sconsigliate durante la convalescenza, ed era stato costretto a sciropparsi decine di televendite e quegli insulsi programmi noti come TV del dolore perché inducevano all'autolesionismo i poveri telespettatori!
L'unica nota positiva era che il suo caso aveva smesso quasi subito di suscitare clamore; venne archiviato in fretta dai titoli di giornali e notiziari diventando di competenza esclusiva della polizia, che con discrezione continuava le indagini.
Con tutto quel polverone era inutile aspettarsi un tentativo di Cho-cho san di mettersi in contatto con lui; la casella mail restava vuota e gli unici pacchi che gli avevano recapitato erano fiori e cesti della Direzione del Teatro dell'Opéra e dei suoi colleghi del coro. Al solito Christophe Giacometti aveva voluto strafare inviandogli un cesto talmente grande da passare a malapena dalle scale; secondo Phichit e sua madre, avrebbe potuto tranquillamente sfamare un famiglia di quattro persone per un mese.

Una settimana più tardi, invece, il corriere gli recapitò un pacchettino leggero, dalle dimensioni contenute che aveva come mittente un piccolo studio di registrazione poco fuori Parigi. In genere studi come quelli consentivano anche a cantanti emergenti, con pochi mezzi, di produrre demo decorose da inviare alle Major o, ancor meglio, di caricare i video direttamente in rete.
Si prestavano poi a tutta una serie di servizi accessori: montaggio, riversamento di tracce magnetiche sul digitale, fino alle canzoni personalizzate per feste e compleanni. Yuuri le conosceva, ma non capiva perché avessero inviato a lui quel CD assolutamente anonimo che si rigirava tra le mani senza decidersi ad infilarlo nello stereo.
A calamitare la sua attenzione era l'altra busta contenuta nel pacchetto; di quelle imbottite col pluriball, un materiale adatto a proteggere oggetti fragili o preziosi; dall'esterno si faticava ad indovinarne il contenuto; ma di certo non era un altro CD; il giovane l'aveva tastata, rigirata e soppesata facendo alcune ipotesi a riguardo e adesso aveva paura di trovarvi riscontro.
Alla fine però la curiosità aveva avuto la meglio; nella busta morbida aveva trovato esattamente ciò che immaginava e il suo cuore aveva sobbalzato nell'estrarre dall'imballaggio una preziosa maschera da geisha.
Veloce infilò il CD nello stereo aspettandosi di trovare un messaggio vocale di Cho-cho san e invece sulle prime rimase stupito e un po' deluso del suo contenuto: si trattava di una traccia presa dal Don Giovanni di Mozart; il duetto di Don Giovanni e Zerlina per essere precisi.
“Là ci darem la mano” era un'aria famosa, in cui si erano cimentati moltissimi tenori, fino a stelle di prima grandezza come Domingo e Pavarotti, però non riusciva ad identificare il cantante maschile; il suo timbro aveva qualcosa di familiare all'orecchio, un accento straniero, quasi impercettibile; dove lo aveva già sentito?
All'improvviso gli si accese la proverbiale lampadina: non riusciva a riconoscere la voce, perché l'aveva udita coi postumi della botta in testa e attraverso lo schermo deformante di una maschera; quella era la voce di Cho-cho san, che libera da impedimenti poteva dispiegarsi in tutta la sua estensione!
Fece ripartire la traccia una volta, due, tre; il brano era molto breve e anche prestando attenzione non riusciva a cogliere altri indizi, parole, rumori che lo aiutassero a decifrare il messaggio del suo rapitore.
Tanto la sua mente era un groviglio contorto e contraddittorio quanto la sua voce era limpida, ariosa e potente.
Magari non doveva cercare significati criptati, forse il messaggio era proprio il testo stesso del duetto: una coppia clandestina che progetta una fuga il giorno prima delle nozze di lei.
No, non gli stava suggerendo di fuggire con lui, probabilmente gli stava dando un appuntamento o un'indicazione su dove raggiungerlo!
Allo studio di registrazione?
Yuuri aveva controllato l'indirizzo, un sobborgo malfamato di Parigi in cui il meno che poteva capitare era di essere rapinati.
Possibile che lo volesse attirare in un posto del genere?
Nella scatola non c'era nient'altro; niente biglietti, post-it o lettere.
Alla fine il suo interesse si appuntò ancora sulla maschera: un oggetto pregiato, un pezzo unico, decorato da una mano esperta e un artigiano è solito firmare i suoi lavori.
A Yuuri bastò guardare all'interno per trovare stampigliato il nome e l'indirizzo del laboratorio che l'aveva creata.
Conosceva quel posto, perché era vicino all'Opéra; talvolta le sarte e i costumisti del teatro si servivano di loro per decorazioni e oggetti di scena.
Aveva dannatamente senso.
L'indomani il giovane cantante, eludendo la sorveglianza di Phichit e della madre, sgattaiolò fuori dalla sua prigione dorata e andò a bussare alle porte del Théâtre des rêves.
Il laboratorio era qualcosa a metà tra un magazzino, un robivecchi e un museo; c'erano oggetti enormi: capitelli scolpiti, cavalli e animali a grandezza naturale, armi e armature e naturalmente una marea di costumi e maschere.
Il proprietario, un omino delicato, che sembrava fatto di cartapesta come le sue creazioni, riconobbe subito l'oggetto mostratogli da Yuuri e alla prevedibile richiesta di sapere chi lo aveva commissionato e se lo aveva visto di persona il fragile omino canuto annuì e partì col snocciolare una descrizione dettagliata del soggetto.
Peccato che fosse in francese, lingua contro cui Yuuri aveva rinunciato a combattere, servendosi dell'inglese come un passe-partout universale.
Dalle sue scarse conoscenze aveva potuto ricavare solo alcune informazioni: l'uomo si era presentato al laboratorio una decina di giorni addietro e gli aveva richiesto il lavoro, pagando un extra, perché finisse prima.
Gli aveva detto il suo nome?
Si certo! Lo aveva anche appuntato nel registro degli ordini!
Jean Martin... Come dire John Smith o Mario Rossi.
Chiaramente falso.
Però il pagamento...
Spiacente: il signore aveva pagato in contanti.
Magari... L'aveva visto in volto?
Si... E anche no.
L'uomo aveva una parte del viso bendata e indossava una sciarpa e un cappello a tesa larga, che travisavano i suoi lineamenti.
Il giovane giapponese si ritrovò col classico un pugno di mosche, stava per andarsene quando l'omino di cartapesta lo richiamò indietro; benedetti ragazzi d'oggi che avevano sempre fretta, stava dimenticando di dargli quello che il cliente aveva lasciato per lui!
Aveva lasciato qualcosa per lui?
Quindi sapeva che sarebbe passato di lì? Era una persona così prevedibile?
Dannato maniaco, aveva calcolato tutto e lo stava coinvolgendo in una specie di caccia al tesoro!
Pensava che fosse divertente uscire sfidando il freddo di Gennaio, quando i medici gli avevano chiaramente prescritto riposo?
Poi ripensò alle televendite, al divano in cui era stato confinato e la prospettiva di una passeggiata gli sembrò molto più ragionevole.



Lo spettacolo degli artisti di strada era stato prolungato di una settimana dopo le festività natalizie visto il successo ottenuto; si esibivano tutti i pomeriggi al Campo di Marte, ai piedi della Tour Eiffel come recitava lo sgualcito volantino che teneva tra le mani, aggirandosi come un pesce fuor d'acqua tra le bancarelle e le varie attrazioni.
Quell'invito era l'indizio che gli avevano consegnato al laboratorio teatrale e Yuuri non ci si raccapezzava: lo avrebbe incontrato lì? Si nascondeva tra gli artisti? Molti indossavano delle maschere o erano truccati da clown, sarebbe stato facile per Cho-cho san mimetizzarsi.
Mentre girovagava senza meta una delle ragazze dello spettacolo di magia lo catturò a tradimento e il giovane si ritrovò catapultato davanti ad un pubblico eterogeneo composto da genitori e bambini.
Pregò che la maga lo facesse sparire, perché all'imbarazzo della situazione stava subentrando una crisi di panico.
Odiava essere al centro dell'attenzione e questo era un bel paradosso per chi aveva scelto di dedicarsi alla carriera operistica.
Yuuri avrebbe dovuto essere abituato a stare su un palco, sotto le luci dei riflettori; si esibiva fin da bambino, prima nel coro della scuola, poi nei saggi del conservatorio e infine in veri e propri teatri, ma per lui l'ansia da prestazione non finiva mai.
Aveva provato di tutto: meditazione zen, melatonina, valeriana, reiki, riflessologia, perfino l'agopuntura, tuttavia nessun ritrovato scientifico o empirico sembrava in grado di aiutarlo.
Fortunatamente dovette solo prestarsi come cavia a piccoli trucchetti innocui e la sua aria tenera e impacciata da turista nipponico disperso garantì il successo dell'esibizione, terminata la quale Yuuri puntava a defilarsi rapidamente, ma la prestigiatrice di nuovo lo fermò: era stato bravo, non voleva una ricompensa?
Provò a declinare, ma venne sommerso dai gridolini d'incitamento dei marmocchi, che avevano già subodorato un ultimo trucco di magia ai danni del povero giapponese.
Yuuri venne invitato ad infilare la mano dentro al classico cilindro da mago, cosa avrebbe pescato?
Esattamente quello che ci si aspettava di trovare in un oggetto del genere: un soffice, candido, minuscolo coniglietto nano.
Vivo.
Ecco il premio!
Un bell'applauso per Goliah e il suo nuovo padroncino!
Che persona fortunata!
I bambini avrebbero dato chissà cosa per essere al suo posto!
Dietro le quinte il giovane ci aveva provato a restituirlo, ma la ragazza era stata irremovibile: quello era un regalo, una persona lo aveva portato un paio di giorni prima, con la sua descrizione: età, colore e taglio di capelli, altezza, corporatura, occhiali con una montatura azzurra, nazionalità, nome e cognome.
“Sei tu Yuuri Katsuki, no?”
Si diamine, anche se era tentato di dire di no!
“Perfetto, quindi Goliah è tuo e questo il suo trasportino, quel signore ha pensato a tutto!”
Almeno lo aveva visto in faccia?
Si... E no.
Indossava una felpa col cappuccio e un ciuffo di capelli lunghi che gli copriva metà del viso.
Fottuto maniaco fuori di testa...
Seduto su una panchina ai margini del Campo di Marte Yuuri cercò di riordinare le idee e nel farlo gli venne sotto gli occhi un dettaglio a cui subito non aveva dato importanza: la palla di pelo indossava un collarino e al posto della medaglietta c'era un biglietto arrotolato con un altro indirizzo.
Perché non riusciva ad essere sorpreso?
Goliah, il testimone oculare, l'unico che poteva aver visto in faccia la sfuggente Cho-cho san taceva e rosicava un filo di paglia; Phichit lo avrebbe adorato.



Le pasticcerie di Pierre Hermé erano una sorta di istituzione del campo dell'arte dolciaria francese; l'indirizzo del coniglietto aveva portato Yuuri davanti alla sede dell'antico quartiere del Marais e già in fondo alla via riusciva a sentire l'odore ipnotico dei dolci e del cioccolato.
Di solito per i suoi peccati di gola preferiva il salato, ma quel profumo era così invitante da renderlo disponibile ad una piccola eccezione.
Riferì il suo nome al commesso e questi annuì convinto: si c'era una prenotazione in effetti, una magnifica torta Babà Isphan al lampone,con litchi e crema al mascarpone, il tutto irrorato di sciroppo sempre al lampone e guarnito di petali di rosa canditi.
Già a metà elenco aveva la bava alla bocca, il commesso gliela incartò in una elegante confezione di cartone e stavolta Yuuri non perse tempo a chiedere conto della persona che aveva ordinato la torta pagandola in anticipo; tanto quello schizzato aveva sicuramente trovato il modo di camuffarsi rendendosi irriconoscibile.
Il Babà non arrivò a varcare la soglia di casa; Yuuri lo aggredì lungo le scale, sedendosi sui gradini e infilandoci le mani con una sorta di feroce soddisfazione; una volta tanto che lo sbarellato ne aveva combinata una giusta aveva il diritto di godersela fino in fondo!
A sua discolpa andava detto che aveva intenzione di lasciarne metà per Phichit e sua madre, ma mentre addentava quella goduria di pasta brioche inzuppata e piena di crema i suoi denti si scontrarono con qualcosa di così duro che temette di averci rimesso mezza arcata dentale.
Il maledetto figlio di buona donna aveva fatto mettere una chiave nel ripieno e quell'idiota del commesso non glielo aveva detto!
O magari si, dato che lui e il francese erano due pianeti distanti ed era tanto se capiva una parola su dieci.
Una volta ripulito il corpo estraneo si rivelò essere esattamente ciò che sembrava: una tipica chiave di un tipico portone parigino; conoscendo ormai il modus operandi del maniaco canterino Yuuri scavò nella torta e scoprì una capsula di plastica dentro cui era avvolto un bigliettino con un nuovo indirizzo.
Per trovarlo consultò internet: si trattava di una viuzza tranquilla proprio nel Marais, poco distante dall'Opérà e da casa sua.
Anche questo aveva senso... Pensò mentre terminava d'ingozzarsi con gli ultimi bocconi di Babà, deciso a disfarsi di tutte le prove del misfatto.




Il giovane alzò lo sguardo; dalle finestre dei piani superiori non trapelava alcuna luce; Cho-cho san lo stava aspettando o quella era semplicemente una nuova tappa della folle caccia al tesoro?
Lo avrebbe scoperto presto.
Il portoncino si aprì docile e Yuuri scomparve poco dopo nell'ingresso buio.


Fine Quarta Parte


† La voce della coscienza †

Ohi-ohi!
Siamo tornati!
Le vicende del fantasmino erano rimaste appese al trauma cranico di Yuuri e alla scomparsa della misteriosa stalker vestita da geisha.
Nonostante la botta in testa, il rapimento e i modi perlomeno discutibili di Chocho san il nostro giappino è felice che il bislacco tizio mascherato sia tornato a farsi vivo e tolta qualche comprensibile riserva, non esita a gettarsi nella bizzarra caccia al tesoro che la figura mascherata gli propone per ritrovarlo.
Perché un semplice appuntamento al bar sotto casa pareva brutto e un po' scontato!
Chocho san trascina Yuuri tra robivecchi, artisti di strada e una famosa pasticceria parigina e oltre ad un simpatico coniglietto nano (segnatevi il suo nome perché Goliah salterà ancora fuori più avanti!) ha guadagnato un mazzo di chiavi e un indirizzo; sarà l'ingresso per il paradiso o per l'inferno? Lo scopriremo tra un paio di settimane :3 Per non intasare il fandom conto di pubblicare un capitolo ogni 15 giorni circa :3

A chi fosse in vena di ascoltare un po' di lirica consiglio il celebre duetto mozartiano che ho citato più su ^^ https://www.youtube.com/watch?v=EVzKIjd1myE
Mentre questo è il brano della Wally che da il titolo al Capitolo :3 https://www.youtube.com/watch?v=kB2F6PmHtm4


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Regnava nel silenzio ***


banner

Regnava nel silenzio
alta la notte e bruna...
Colpia la fonte un pallido
raggio di tetra luna...
Quando un sommesso gemito
fra l'aure udir si fe';
ed ecco a quel margin
ah! l'ombra mostrarsi a me.

(Lucia di Lammermoor – Atto primo – Gaetano Donizetti)

Regnava nel silenzio

Yuuri avanzò a tentoni nell'oscurità cercando sulle pareti un pulsante della luce che evidentemente non c'era. Davanti Al primo ostacolo che ostruiva l'ingresso si rassegnò ad accendere lo smartphone e ad utilizzare la flebile luce del display per capire come muoversi.
Il piano terra somigliava ad un cantiere; c'erano sacchi di cemento e pile di mattonelle addossate ai muri; lui aveva urtato una dei queste e per guadagnare le scale fu costretto ad una pericolosa gimcana tra betoniere, carriole e assi di legno.
Il numero diciassette di Rue des Minimes consisteva in una “fetta” di casa parzialmente ristrutturata: i soffitti presentavano le caratteristiche travi a vista e le scale una elaborata ringhiera in ferro battuto.
Tolti i segni degli operai però sembrava completamente disabitata; dovette salire al primo piano per trovare tracce di “vita vissuta”: lì infatti era posizionata una cucina, molto essenziale, ma dotata di elettrodomestici con allacci volanti e se c'erano i fili doveva esserci la corrente...
L'interruttore accese una lampadina solitaria che pendeva dal soffitto e finalmente Yuuri poté avere un quadro più chiaro della situazione; esaminò il frigorifero e l'acquaio trovandovi una tazza da colazione ancora da lavare.
Le provviste nella dispensa erano ridotte all'essenziale: zucchero, caffé, qualche pacco di pasta; se Cho-cha san abitava lì si trattava davvero male!
Il pensiero lo bloccò davanti alla rampa che portava al secondo piano: se quella era la casa del bisbetico canterino lui c'era entrato senza nemmeno chiedere permesso!
D'accordo aveva le chiavi e ci aveva quasi rimesso un dente per entrarne in possesso, ma questo non giustificava il fatto che avesse cominciato subito a rovistare come un ladro senza nemmeno salutare!
Inspirò, schiarì la voce e si annunciò “Buonasera! Sono Yuuri Katsuki... Io...” tese l'orecchio senza ricevere risposta “Ah, fanculo.. Io sono un'idiota... E qui non c'è nessuno” bofonchiò deciso a proseguire la sua esplorazione.
Il piano di sopra ospitava un salotto; il giovane giapponese si soffermò ad ammirarlo per qualche istante, perché rispetto al caos e alla precarietà che caratterizzavano gli ambienti sottostanti, questo era praticamente terminato.
Il pavimento era rivestito di caldo parquet, c'erano tappeti, poltrone, un piccolo camino a gas, un romantico tavolo da pranzo vicino alla finestra da cui ammirare una fetta di cielo parigino.
Travi a vista sabbiate e sbiancate scandivano il soffitto dove erano stati sistemati dei moderni punti luce in grado di fornire la giusta atmosfera.
Però nemmeno qui c'erano segni recenti della presenza di Cho-cho san, soprattutto niente oggetti personali, come i classici ricordi di famiglia: fotografie, dipinti, soprammobili... Li tutto era elegante e anonimo.
Yuuri imboccò l'altra rampa di scale, al terzo piano dovevano esserci le camere e di nuovo si fermò; e se il maniaco stesse dormendo? Magari non lo aveva sentito entrare, magari aveva il sonno pensante e trovandoselo lì di punto in bianco poteva reagire male.
Considerato il soggetto non ci sarebbe stato di che stupirsi.
“Sono... Yuuri Katsuki, si ricorda di me?” certo che si ricordava di lui, gli aveva dato anche le chiavi di casa!
“Cho-cho san?” chiese, usando quell'appellativo che suonava tremendamente ridicolo considerata la vera identità dell'uomo e la sua stazza, ma era l'unico con cui poteva chiamarlo.
La porta della camera padronale era aperta e Yuuri osò mettere il naso all'interno: anche questo era un ambiente terminato, intimo e allo stesso tempo neutro; letto perfettamente rifatto con piumino e lenzuola candide, altrettanto candide erano le piastrelle e le spugne del bagno dirimpetto.
Ordinato, pulito, ma affatto vissuto.
Restava un ultimo piano da esplorare: la mansarda a cui si accedeva tramite una stretta scala a chiocciola che fece venire il mal di mare all'intrepido avventuriero.
L'interruttore era staccato e dovette rassegnarsi a perlustrarla servendosi dello smartphone e della luce che entrava dall'abbaino.
Sembrava una specie di aula di musica: c'erano un pianoforte a parete, un grosso stereo e alcuni scaffali dove erano accatastati spartiti, libretti operistici, CD e libri; passò in rassegna i titoli e scoprì alcune chicche da collezionisti, praticamente impossibili da trovare anche su internet.



“Hai trovato qualcosa di interessante?”
“Si, questo concerto di Mario del Monaco a...”
Yuuri era così concentrato a scorrere la raccolta dei dischi da aver dimenticato tutto il resto, compresa l'eventualità che ci fosse qualcuno in casa.
Quel "qualcuno" si era avvicinato di soppiatto e ora stazionava dietro di lui osservando con interesse le sue azioni.
Poteva sentire la sua presenza in modo quasi tangibile insieme al solito blocco di ghiaccio che stava scendendo lungo la schiena e ai capelli che gli si rizzavano in testa.
Quando trovò il coraggio di spostare lo sguardo alla sua sinistra poté anche cogliere una fugace macchia bianca entrare nel suo campo visivo.
Questo un attimo prima di mettersi ad urlare con tutto il fiato che aveva nei polmoni, gettare in aria le custodie dei CD , girarsi, inciampare e sbattere contro lo scaffale facendo crollare la mensola e il suo contenuto.
Il tutto senza smettere di gridare.
“Notevole, hai un'ottima resistenza” annuì la figura dietro di lui, ferma a braccia conserte in attesa che il giochino giapponese esaurisse le batterie.
Purtroppo appena Yuuri si rese conto che l'uomo indossava un'inquietante maschera bianca ricominciò ad urlare più forte di prima.
“Per fortuna ho chiesto di insonorizzare la mansarda o a quest'ora avremmo i pompieri e la polizia qui sotto e i reparti speciali sul tetto... Hai finito?” chiese cortese reclinando appena il capo.
“Cho-cho san...”
“Dovremo fare qualcosa per quel nome... È imbarazzante in effetti...”
“Io non... La chiave”
“Sono stato io a dartela”
“Nessuno rispondeva...”
“Volevo che arrivassi quassù”
“Io pensavo...”
“Ti piace la casa? Certo mancano il piano terreno e il primo piano, e poi non hai visto la piccola corte interna scommetto, voglio farci un giardino zen... Comunque è meglio dei sotterranei del teatro, ne converrai anche tu”
“Si però...”
“Vuoi un tè? Santo cielo, stai tremando... ” disse l'uomo che avanzò di un passo provocando la contemporanea ritirata del suo ospite.
“Succede quando si appare all'improvviso alle spalle di una persona!” sbraitò Yuuri cominciando di nuovo a connettere “E non lo voglio il tè! Grazie! L'ultima volta era drogato!”
“Uhm, era solo un antidolorifico, forse ho esagerato con la dose... Quindi, se non vuoi il tè cosa vuoi Yuuri, perché sei venuto?”
Il giovane cantante strabuzzò gli occhi; aveva sentito bene? Gli stava chiedendo perché si trovava lì dopo averlo fatto partecipare alla sua fantastica caccia al tesoro?



“Avevamo una questione in sospeso o sbaglio?” chiese dopo essersi bagnato le labbra nella tazza di té una volta che il padrone di casa aveva versato l'acqua bollente direttamente dalla kettle e lui aveva potuto scegliere e scartare la bustina di infuso che preferiva, tenendo sott'occhio tutte le sue mosse.
I due sedevano al grazioso tavolo da pranzo in salotto e Yuuri si sforzava di considerare normale una situazione che di normale non aveva proprio niente.
Stava prendendo il tè con uno sconosciuto mascherato, potenzialmente pazzo o almeno parecchio disagiato, che viveva nell'ombra, si travestiva e non gli aveva detto nemmeno il suo nome!
Se fosse stato un filo più “tosto” lo avrebbe affrontato a muso duro e gli avrebbe detto “Che problemi hai fratello? Perché ti nascondi? Guai con la legge? Un rivale in amore ti ha rifatto i connotati?”
Ma Yuuri era un torroncino col cuore morbido, un burrito ripieno, una madleine molto friabile, soprattutto era molto, troppo giapponese e tutte quelle tempestose riflessioni le tenne per sé in attesa di una risposta dallo schizzato.
“Goliah sta bene?”
Come volevasi dimostrare.
La risposta non sarebbe arrivata.
Non spontaneamente almeno.
“Benissimo, Phichit lo ha messo nella gabbia dei criceti e vanno molto d'accordo...”
“Phichit... è il tuo ragazzo?”
Al giovane tenore andò di traverso il tè e per poco non lo sputò sul tavolo “Sono domande da farsi?” rantolò con la voce strozzata dallo sforzo.
“Era per fare conversazione” dichiarò l'individuo annuendo compunto dietro lo schermo neutro della maschera “Come avrai intuito non ricevo spesso ospiti e credo di essere un pessimo padrone di casa, però so che durante certe riunioni si conversa amabilmente, cercavo di metterti a tuo agio”
“Chiedendomi se ho il ragazzo... P-p-poi perché dovrei avere un ragazzo!” strepitò il suo interlocutore rosso di vergogna “Perché non una ragazza invece?”
“Perché non mi sembri il tipo che s'interessa alle ragazze, altrimenti alla festa di Capodanno saresti venuto portando una compagnia femminile invece del tuo migliore amico, puoi smentirmi, se sbaglio.” ribadì l'altro incrociando le braccia al petto, mentre si dondolava sulla sedia, insensibile allo sguardo sconvolto dell'ospite.
“P-possiamo parlare invece del motivo per cui sono qui?”
“Oh... Certo”
Silenzio.
Yuuri ebbe la netta impressione che lo sbarellato avesse dimenticato la causa del suo bislacco “invito”.
“Quel discorso sul farmi passare dall'essere una ballerina di fila ad una etoile di prima grandezza!” sbottò infine davanti al prolungarsi della pausa di riflessione.
Gli occhi chiari dell'uomo ebbero un guizzo gioioso e la sua voce si spostò su un registro soddisfatto, come se all'improvviso avesse ricordato “Le lezioni di canto!”
Smise di dondolare sulla sedia, si alzò con un movimento elastico, si avvicinò a Yuuri e gli posò le mani sulle spalle, provocando il suo repentino irrigidimento.
A dispetto di quanto aveva affermato non era poi così abituato al contatto fisico, specie con estranei, soprattutto quelli che avevano già dato prova di una certa pericolosità.
“Lezioni?” ripeté a bassa voce.
“Posso darti lezioni di canto; hai sentito il CD?”
“S-si, ma...”
“Hai riconosciuto la voce immagino...”
“Si però...”
“Hai un buon orecchio musicale...”
“S-si”
“Quindi converrai che sarei un insegnante qualificato... Ho tutto ciò che serve...”
“Io vorrei...”
“Conservatorio, dieci anni di canto lirico e pianoforte, questo solo per iniziare...”
“Si, è davvero molto interessante, ma io non ho i soldi per pagare le lezioni!”
Finalmente Yuuri era riuscito ad inserirsi nel compiaciuto panegirico alla sua persona e a riportare la discussione su binari molto più terreni.
Nonostante l'apatica espressione del viso di cartapesta dall'uomo parve trapelare una certa sorpresa, che poco dopo divenne disappunto.
“Ti ho forse chiesto del denaro?”
“N-no!” rispose il giovane preso alla sprovvista “Però di solito funziona così: le lezioni sono a pagamento e nessun maestro che ho interpellato qui a Parigi era disposto a prendere meno di....”
L'indice si posò perentorio sulle sue labbra vietandogli di proseguire.
“Ah-ha. Io non sono un maestro qualsiasi...”
“Ne sono convinto quindi...” di nuovo il dito premette imperioso sulla sua bocca intimandogli il silenzio.
“Quindi stabilirò il prezzo e mi riserverò di cambiarlo di volta in volta alla fine di ogni lezione. In base a quanto mi avrai soddisfatto come allievo. Questo naturalmente solo... Se deciderai di diventare mio allievo”
Perché quella proposta oltreché vagamente indecente continuava a suonare nella sua testa come molto rischiosa?
Cosa gli era saltato in mente di infilarsi in una situazione del genere?
Lui non era tagliato per le imprese estreme!
La cosa più estrema che aveva fatto era seguire le avventure di Bear Grills in televisione!
Accettare equivaleva ad un salto nel buio, rifiutare poteva significare scatenare le ire del paranoide mascherato.
“Leggo nei tuoi occhi una specie di conflitto interiore” constatò l'uomo con una punta d'ironia.
“N-no. Più che conflitto... è proprio paura”
“Oh, sei sincero. Una virtù rara oggigiorno. Dovresti avere paura del provolone svizzero, non di me...”
All'immaginare Christophe Giacometti come una forma di provolone Yuuri si lasciò sfuggire una risata e il padrone di casa annuì contento, era il primo, minuscolo segnale di disgelo da parte del timidissimo cantante.
“Però... Io non so niente di lei” ammise subito dopo in un sussurro.
“Sai dove abito. E dovrà restare un segreto. Come avrai immaginato tengo molto alla mia privacy”
“Io... Ho taciuto con la polizia! Non gli ho detto dei sotterranei, né che lei è... Un uomo”
“Scelta saggia, non te ne pentirai, anzi!” esclamò deciso il suo interlocutore “Per premiarti la prima lezione sarà gratuita e... Potrai farmi due domande a cui risponderò altrettanto sinceramente”
“Ah si? Q-quando cominciamo?”
“Questa era una domanda...”
“No! Aspetti!”
“Troppo tardi. La risposta è: cominciamo subito, avvisa il tuo amico che stasera ritarderai e di stare tranquillo, ti farò tornare in taxi.”
“Aspetti! Non è giusto, questo a casa mia si chiama imbrogliare!” protestò il giovane indignato.
“Oh, anche i giapponesi imbrogliano? Viviamo in tempi davvero oscuri! Hai un'altra domanda Yuuri, pensaci bene”
Il suo nuovo allievo aveva preso la sfida sul serio come dedusse dalle rughe sottili che gli increspavano la fronte “Beh... A questo punto vorrei sapere il suo nome, il vero nome, perché dubito che sia Jean Martin”
“E se lo fosse invece? Ti saresti giocato l'ultimo bonus della serata” il giapponese strabuzzò lo sguardo e di rimando l'altro si concesse una risatina, appena udibile dietro la maschera “Yuuri... Yuuri... Sei così ingenuo che non c'è gusto a giocare con te! Potevi chiedere qualsiasi cosa: anche di vedermi in faccia, invece hai preferito sapere il mio nome...”
L'uomo si prese una pausa per osservare gli effetti delle sue parole: Yuuri era passato dal bianco cadaverico al rosso paonazzo e si mordeva il labbro, probabilmente si stava dando dell'idiota e del babbeo per essersi fatto fregare di nuovo.
Lo gratificava l'opportunità di disporre di un animo così candido, ancora tutto da educare e plasmare, ma questo non glielo disse; si limitò a passargli un braccio attorno alla vita e a sospingerlo avanti, verso le scale a chiocciola.

“E questi cosa sono?” chiese perplesso fermandosi all'improvviso; poi iniziò a pinzargli il fianco e affondando le dita dentro il soffice rotolo adiposo percepibile oltre lo spessore del maglione di lana.
“I-i fianchi!” esclamò il giovane ritraendosi, scandalizzato davanti a tanta confidenza.
“Questo non c'era due settimane fa” obiettò indispettito il padrone di casa continuando imperterrito a tastare la zona incriminata.
“B-beh i medici mi hanno prescritto riposo assoluto e le uniche cose che potevo fare erano guardare la Tv e mangiare!”
“Non va bene”
Suonava come una sentenza di condanna e l'interpellato si sentì tremendamente in colpa pur senza averne motivo.
“Oggigiorno i cantanti lirici hanno sviluppato una tecnica che permette loro di affrancarsi dalla massa grassa usata come cassa di risonanza della voce...” cominciò l'altro frugando nelle tasche per estrarre poi un portafogli e da lì un bigliettino che porse ad uno sconvolto Yuuri “Andrai in questa palestra, la proprietaria è una tua connazionale, quindi ti troverai bene, le dirai che ti mando io e ti farà un ottimo prezzo; sarà lei a studiare il programma giusto per farti perdere peso e guadagnare in coordinazione ed eleganza...”
“Minako...” effettivamente il nome sul bigliettino era giapponese “Ecco io...”
“Non ringraziarmi... In qualità di mio allievo devi essere impeccabile sotto tutti i punti di vista...”
“Si, ma...”
“Che c'è?” l'uomo sospirò all'ennesima obiezione.
“Devo presentarmi a nome suo e non mi ha ancora detto come si chiama!”
“Oh...”
Adesso era il turno di Yuuri di sospirare, doveva capire se il pazzoide c'era o ci faceva e in quale misura, perché interagire con lui poteva risultare un tantino frustrante!
“Lo saprai alla fine della lezione, come pattuito! Nel frattempo puoi chiamarmi Maestro” esclamò l'altro in risposta e Yuuri dedusse, dal suo tono compiaciuto, che non solo ci era e ci faceva, ma pure ci marciava!


Fine Quinta Parte


† La voce della coscienza †

Diciamoci la verità, chiunque urlerebbe se un tizio mascherato apparisse all'improvviso alle vostre spalle chiedendovi cortese se avete bisogno di qualcosa!
Il nostro giappino è arrivato alla fine della stravagante caccia al tesoro e il premio è commisurato ai suoi sforzi!
E che premio!
Cho-cho san adora le entrate ad effetto, anche a costo di mettere a rischio le coronarie dell'interessato!
Per fortuna sappiamo che Yuuri è robusto e passato lo spavento cerca di dare un senso al bizzarro appuntamento; peccato che lo stravagante soggetto mascherato sembra aver dimenticato i motivi della sua convocazione.
E' il giappino a ricordarglieli e si sente fare una proposta davvero indecente: gli offirà lezioni di canto in cambio di... Lo scoprirà molto presto e avrà tutti i motivi di pentirsi di avere accettato!
E se rimarrete a bordo lo scoprirete anche voi tra un paio di settimane! *-*
Preparatevi perché il compenso che richiederà il maestro sarà commisurato alla sua stranezza! :D

Per chi è interessato questo è il brano che da il titolo al capitolo :) https://www.youtube.com/watch?v=y9vA13kgPBs



Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Largo al Factotum! ***


banner

Oh, bravo Figaro!
Bravo, bravissimo! Bravo!
Fortunatissimo per verità! Bravo!
Fortunatissimo per verità, fortunatissimo per verità!
Pronto a far tutto,
la notte e il giorno
sempre d'intorno in giro sta.

(Il Barbiere di Siviglia - Atto Primo - Gioachino Rossini)

Largo al factotum!

"Sei nervoso Yuuri? Non ne hai motivo... Dopotutto... Non è la prima volta che lo facciamo"
La lezione era finita e si, Yuuri era molto nervoso, come sempre da un paio di settimane a questa parte; ovvero, da quando aveva cominciato a frequentare regolarmente quella casa e il suo eccentrico proprietario.
Il suo istinto aveva visto giusto nel diffidare fin da subito dell'offerta di seguirlo come insegnante di canto e non perché l'uomo mascherato non fosse qualificato per farlo.
Anzi nel suo modo di porsi, nell'organizzare il programma, nello scegliere i pezzi o nell'insistere sulle correzioni c'erano un puntiglio, una maniacalità e una competenza che superavano perfino quelle del maestro Cialdini e in alcune occasioni aveva anche rimpianto il cordiale e bonario cantante italiano.
No.
A preoccupare Yuuri era il famoso "pagamento".

La prima volta che aveva specificato trattarsi di un pagamento "in natura" il giovane giapponese aveva spiccato un salto indietro e aveva tentato una maldestra fuga inciampando nei sacchi di cemento dell'ingresso e finendo lungo disteso, coperto di polvere grigia, sul pavimento.
Il suo insegnante probabilmente se lo aspettava tanto che si prese tempo per raggiungerlo, dopodiché lo aiutò ad alzarsi e a togliersi di dosso l'infarinatura.
Se gli avesse lasciato tempo di finire il discorso avrebbe potuto chiarire cosa intendesse per "Pagamento in natura"; il bisbetico mascherato e la sua casa avevano bisogno di cure, di attenzioni e sarebbe toccato a Yuuri provvedere affinché fossero soddisfatti.
Dato che il giapponese ancora non capiva l'uomo mise mano al portafogli e gli consegnò alcune banconote per la spesa.
"Il frigo e la dispensa piangono mio caro ragazzo; dovresti provvedere; ci sono alcune botteghe nei paraggi; non mi piacciono i supermercati né i centri commerciali, comprerai tutto qui nel quartiere. Così non dovrai andare troppo lontano"
Carino da parte sua!
Peccato che fosse tornato carico come un asino da soma e avesse dovuto trascinare le buste piene fino al primo piano, aprirle e sistemare il contenuto, mentre l'uomo lo rimirava dalla penisola della cucina, coi gomiti puntellati sul piano di lavoro e l'aria rapita, o così immaginava Yuuri, dietro l'espressione neutra e vagamente beffarda della sua maschera bianca.
"C'è altro maestro Victor?"
"No, per stasera è tutto, puoi andare Yuuri, ci vediamo Mercoledì"


A questo punto bisogna fare una piccola digressione: il Maestro aveva un nome finalmente.
Solo un nome, niente cognomi, nomignoli, soprannomi, niente di niente.
Aveva mantenuto la promessa, però questo era stato il massimo contributo alla conoscenza della sua persona.
Nemmeno Minako, l'insegnante di danza che lo aveva accolto premurosamente sotto la sua ala, nonostante le striminzite referenze che il suo connazionale le aveva presentato, era stata in grado di dirgli qualcosa di più.
Il fantomatico Victor contribuiva con delle donazioni in denaro alla sua Scuola, ma i bonifici arrivavano dal conto di una banca svizzera intestato ad una associazione filantropica culturale con sede in Lussemburgo.
Tutto il resto Yuuri lo aveva ricavato dalle stravaganti richieste del suo insegnante.

La spesa doveva essere una specie di test, giusto per rompere i ghiaccio e saggiare la disponibilità (o meglio la disperazione) dell'allievo.
La volta successiva al termine di una massacrante lezione sul personaggio di Calaf nella Turandot era arrivata la prima vera richiesta imbarazzante.
Victor gli aveva chiesto una tazza di tè, non preteso, si badi bene, il tanghero mascherato non imponeva, non pretendeva mai, ma con abili giri di parole riusciva ad ottenere da Yuuri tutto ciò che voleva, nel canto e nelle attività, per così dire, extrascolastiche.
Preparare un tè caldo avrebbe dovuto essere un minimo sindacale, in dotazione ad ogni individuo mediamente autonomo e Yuuri sarebbe stato in grado di assolvere al suo compito in dieci minuti se, scendendo in cucina, non avesse trovato pronto sul tavolo un set completo per la cerimonia del tè giapponese e una yukata di un bellissimo blu notturno corredata dei relativi gheta.
“Sul serio?” aveva chiesto affacciandosi in mansarda dove il maestro stava riordinando gli spartiti.
"Il colore della Yukata è sbagliato?" aveva ribattuto il padrone di casa quasi mortificato "Eppure avrei giurato che ti piacesse il blu"
"I-io non so fare il tè alla maniera tradizionale!"
"Ma sei giapponese, avrai assistito alla cerimonia qualche volta"
Yuuri inspirò profondamente e si impose la calma.
Inutile.
Tutto inutile.
Quell'uomo riuscita ad irritarlo e a smuovergli un'insospettabile aggressività latente rimasta fino ad allora sepolta sotto strati di timidezza e ritrosia.
"Si sono giapponese e con questo? Sarebbe come pretendere da uno scozzese che suonasse la cornamusa o da uno spagnolo che ballasse il flamenco solo perché ce li immaginiamo così!"
Il suo interlocutore si picchiettò il mento con l'indice, parve valutare seriamente la cosa, poi esclamò allegro.
"So che farai del tuo meglio!"
Alla fine aveva vinto lui.
Il giovane tenore aveva armeggiato con gli strumenti e le tazze di porcellana per più di un'ora; aveva anche assaggiato la brodaglia verdognola ed era abbastanza certo che fosse disgustosa.
Dal canto suo il maestro aveva seguito le sue mosse con l'atteggiamento del bambino a cui stanno apparecchiando la tavola di Natale e al momento di servirgli il vassoio con le piccole tazzine da degustazione aveva perfino battuto le mani.
C'era un motivo preciso per cui Yuuri si era prestato a quella pantomima: se aveva chiesto il tè voleva berlo e per berlo avrebbe dovuto togliersi finalmente quella maledetta maschera; quella, più dell'atteggiamento dispotico e indisponente era il vero cruccio del giapponese.
Chi celava davvero?
Perché darsi tanta pena per nascondere il suo aspetto?
Oggigiorno la gente non si scandalizzava più riguardo a menomazioni o cicatrici, di certo non lui, né glielo avrebbe fatto pesare o messo in ridicolo.
I due rimasero a fissarsi alcuni instanti in silenzio; yuuri accucciato su talloni secondo le usanze di casa sua, il maestro seduto sul divano in evidente attesa di qualcosa.
"Ahm... Il tè si raffredda" chiarì.
"Oh si certo!"
"Quindi?"
"Per stasera è tutto Yuuri, puoi andare, ci vediamo tra due giorni"
Il giovane socchiuse le palpebre allungando lo sguardo in una sottile linea minacciosa, l'altro parve intuire che tirava brutta aria e aggiunse "La yukata è tua! è un regalo e... Ti servirà ancora"




Ormai cominciava ad essere abbastanza sicuro che il suo... Maestro avesse una sorta di perversione o feticismo per il Giappone, o peggio, per i giapponesi (se fosse stato più attento ai dettagli: per un giapponese in particolare!) e alla seconda richiesta di pagamento l'impressione divenne una certezza.

La lezione era stata interessante;il maestro l'aveva quasi tutta incentrata sull'ascolto di brani musicali; voleva che Yuuri cogliesse le differenze interpretative tra i cantanti della seconda metà del Novecento e quelli moderni; a suo pare essere un tenore non significava solo aprire la bocca e darle aria, ma anche possedere una vasta cultura musicale riguardo ai mostri sacri della lirica e agli artisti contemporanei.
Le due ore erano scivolate via lisce come l'olio e allo scadere del tempo il giovane cominciò a domandarsi cosa gli avrebbe chiesto stavolta in cambio; nella sua mente si era costruito alcune ipotesi in base alle quali a lezioni più impegnative corrispondevano compiti più leggeri, perciò se questa era stata una sessione tranquilla il pagamento doveva essere l'esatto opposto.
"Adesso vorrei che scendessi in cucina, ho fatto portare delle cose per te... Questo servizio della spesa a domicilio è fantastico!" esclamò l'uomo.
"Se l'avesse scoperto la settimana scorsa mi avrebbe risparmiato la maratona nei negozi del quartiere..." bofonchiò Yuuri contrariato, mentre esaminava il contenuto delle buste.
A giudicare dalla sua esperienza in materia c'erano tutti gli ingredienti per preparare un'ottima, gustosa cenetta giapponese: riso, ramen, alghe Nori, un trancio di tonno freschissimo, un filetto di maiale, salsa wasabi, spezie e decine di altri prodotti che avrebbero potuto sfamare un esercito; ma la cosa assurda era che non si era limitato a comprare gli ingredienti, aveva provveduto alle pentole, ai coltelli e perfino ai piatti affinché tutto fosse coordinato.
"Posso restare mentre cucini?"
"Prego, è casa sua..." rispose Yuuri sarcastico.
"C'è qualcosa che ti ispira? Hai già in mente la ricetta?"
"Cosa le da la certezza che io sappia cucinare?" chiese conficcando un affilato coltello da sfilettatura dentro il ceppo di legno.
Il suo atteggiamento sornione riusciva di nuovo a smuovergli il lato Oscuro.
"Oh, il fatto che sei stato tanti in anni in America ad esempio; chi vive lontano da casa in genere sente nostalgia dei piatti della sua terra e andare tutte le sere al ristorante può essere costoso... Allora... Cosa c'è per cena?”
Preparare il katsudon non era esattamente come fare un uovo in padella; era servito tempo per cuocere il riso, preparare la bistecca, friggerla, versare le uova sbattute al momento giusto affinché si rapprendessero, facendo attenzione alla consistenza e alla stratificazione degli ingredienti nella ciotola.
Il giovane aveva lavorato per un'ora abbondante e doveva ringraziare sua madre che lo teneva sempre con sé in cucina mentre preparava questa tipica leccornia del Kyushu. Di norma avrebbe fatto carte false per mangiarsene almeno un paio di ciotole, ma alla fine era così stanco e contrariato che alla richiesta del suo commensale di rimanere a cena rispose picche, si impacchettò nel piumino e infilò le scale senza nemmeno voltarsi indietro, lasciando il maestro in intimità col suo prelibato katsudon.
Solo quando fu a metà strada realizzò che la canaglia lo aveva invitato a mangiare con lui; formulò un augurio silenzioso che un fulmine lo incenerisse durante la notte, calcò la cuffia in testa e tornò a marciare verso casa a passo di carica.
Aveva appena perso un'altra occasione di scoprire la sua identità.




“Vai a lezione?” Phichit lo aveva intercettato all'uscita dalla sala prove del Teatro; Yuuri caracollava affannato all'uscita con una manica infilata nel giaccone e un plico di fogli in bocca.
Il giovane annuì mugugnando che sarebbe tornato a casa un po' più tardi e l'amico sorrise.
Era contento, finalmente aveva trovato un valido insegnante di musica, in grado di aiutarlo ad un prezzo ragionevole.
Le circostanze in cui si erano conosciuti non gli erano ancora del tutto chiare, il maestro Victor era venuto a conoscenza di quanto gli era capitato sui giornali e gli aveva scritto offrendosi di seguirlo.
Yuuri era stato molto vago nel descriverlo e il thailandese ci aveva ricamato un po' su, figurandoselo come un canuto e pedante vecchietto esigente, eccentrico e probabilmente benestante, dato che si era accordato con lui per alcuni lavoretti domestici in cambio delle lezioni.
“Cucinare, preparargli il tè, fare la spesa... Cose così” gli aveva detto, evitando di scendere nei particolari.
“Wow, ti è andata di lusso! Se è competente come dici quello che ci guadagna sei tu!” aveva esclamato Phichit, sempre incline a vedere il bicchiere mezzo pieno.
“Si... Diciamo di si”
Yuuri aveva ritenuto opportuno omettere un piccolo dettaglio che avrebbe subito fatto cambiare opinione all'amico: il maestro e Cho-cho san erano la stessa persona!

Il terzo incontro verté tutto su esercizi di dizione e pronuncia; a sentire il maestro l'italiano di Yuuri era tremendo, le sillabe delle parole gli scappavano da tutte le parti, gli accenti si vergognavano così tanto da ammutinarsi e scomparire.
“Mi meraviglio che il signor Cialdini non ti abbia ripudiato e diseredato! La terra del Bel Canto si starà rivoltando dalle fondamenta!”
Yuuri incassava e annuiva mortificato; finché si trattava dell'inglese poteva dire di cavarsela bene, ma l'Opera lirica disgraziatamente non parlava inglese, si esprimeva in italiano, tedesco, francese, tutte lingue contro cui combatteva da anni una fiera battaglia che spesso lo vedeva umiliato e sconfitto.
Il suo insegnante invece aveva una pronuncia fluente, musicale, anche e a dispetto della maschera; il giovane tenore aveva fatto diverse ipotesi sulla sua provenienza, c'era una leggerissima cadenza straniera nella sua voce, di cui era difficile individuare l'origine; gli occhi azzurri, i capelli di un biondo così chiaro da sembrare argento filato e la corporatura facevano propendere per un'origine nord europea o slava, tuttavia non aveva mai trovato il coraggio di chiedergli conto del suo paese d'origine, anche se c'erano momenti in cui aveva la netta impressione che il suo maestro quasi si aspettasse delle domande da parte sua e rimanesse deluso ogni volta che restavano in sospeso tra loro.
Quello era uno di quei momenti; a lezione finita l'attenzione di Yuuri si tramutava in aspettativa; alcuni interminabili istanti di incertezza assoluta potevano spingerlo finalmente a fargli qualche domanda che un'indole più curiosa si sarebbe premurata di formulare già da un pezzo.
“Stasera avrei una richiesta particolare...” iniziò vedendo il silenzio prolungarsi a oltranza.
Il giovane inarcò un sopracciglio, più particolare di una cerimonia del tè o di una cena tipica?
“Ti dispiacerebbe seguirmi in camera da letto?”
L'allievo lo fissò scioccato.
Si, si certo che gli dispiaceva maledizione!
Doveva aspettarsela la proposta oscena prima o poi!
Almeno quel provolone di Giacometti si era fatto intendere fin da subito!
Invece il maniaco mascherato aveva voluto fare il giro largo!
Aveva carpito la sua fiducia, facendogli assaggiare la carota prima del bastone...
E non stava parlando per metafora!
Altro che concedersi di sua spontanea volontà!
“Yuuri...” Victor fece un passo avanti e specularmente lui ne fece uno indietro.
Dalla maschera uscì un sospiro.
“Forse dovevo spiegarmi meglio...”
“Le assicuro che si è fatto intendere benissimo! Io non sono quel tipo di...”
“Vorrei un massaggio...”
“Eh?”
Lo stupore accrebbe, se possibile, la buffa espressione del giapponese: uno strano connubio di terrore e indignazione.
“Un... Massaggio. Di quelli che fate voi asiatici, qualcosa di rilassante.”
“M-ma io...”
“Ah-ha stavolta non puoi accampare scuse; so che la tua famiglia gestisce un albergo termale e sono certo che tu conosci bene tutti i trattamenti che offrono...”
“S-si ma...”
Stava per dirgli, che la loro era una modesta locanda tradizionale e nel caso in cui un cliente avesse voluto dei massaggi chiamavano un'amica di sua sorella che non aveva mai finito il corso professionale e per sbarcare il lunario faceva anche l'infermeria e l'assistente a domicilio!
Invece l'assurdo soggetto mascherato non gli diede tempo di replicare aprì la cerniera del maglione a collo alto e lo sfilò con nonchalance rivelando qualcosa che tolse a Yuuri una decina di anni di vita.
“Vado prepararmi, in bagno troverai tutto l'occorrente”
“Eh...” rantolò il giovane tenendo lo sguardo fisso sulla sua schiena.
Di norma lui non era tipo da sbavare sulle immagini di cantanti, modelli, attori, nudi o vestiti che fossero; Phichit ogni tanto gli buttava sotto il naso il profilo Instagram di qualche tizio palestrato, con l'addominale giusto e il culo di marmo, ma lui si limitava ad un sobrio apprezzamento che lasciava l'amico insoddisfatto.
“Insomma come faccio a capire quali maschi ti piacciono se me li bocci tutti?”
Ecco.
Quello che si stava sfilando i pantaloni e i boxer nella camera di fronte poteva rispondere alla domanda di Phichit: glutei perfetti, muscoli allungati, eleganti, appena rilevati sotto un'epidermide lunare; nella penombra il suo incarnato sembrava brillare di luce propria.
Yuuri deglutì; per essere un fantasma aveva fin troppo sostanza!
Quando trovò il coraggio di entrare, il suo “cliente” era già steso prono sul letto e si era coperto pudicamente le parti dove non batte il sole con una microscopica salvietta; l'unica cosa che non aveva tolto era la maschera e al giovane venne spontaneo farglielo notare, pentendosene subito dopo.
“Oh, in effetti hai ragione”
“No-no-no! Faccia conto che non lo abbia detto!” esclamò preoccupato dalla sua reazione.
“Però lo hai fatto; sai Yuuri ci sono sempre delle conseguenze alle proprie azioni...” iniziò lentamente l'altro “Io potrei togliere la maschera... A patto che tu...”
“Che io...”
“Sia disposto a bendarti gli occhi”
“Eh?” bisbigliò incredulo rischiando l'infarto per la terza volta nella serata “Cioè... Dovrei fare ... Un massaggio bendato? Alla cieca?”
“Ah-ha e a luce spenta, la definirei una prova di... Fiducia”
A quel punto Yuuri era già nel pallone; non riusciva più a capire se la circostanza in cui era finito era erotica, spaventosa, o entrambe le cose, ma era un po' tardi per preoccuparsene e la colpa era solo sua!
Doveva tirare fuori gli attributi e dimostrare allo sbarellato che era perfettamente in grado di gestire “da uomo” la situazione; lui era un professionista, gli aveva chiesto un massaggio e dannazione avrebbe avuto il massaggio più professionale del mondo!
Un'ora e mezza più tardi il giapponese strisciò fuori dalla camera buia in condizioni pietose e non solo perché aveva lavorato con pazienza certosina su ogni singolo muscolo di schiena, braccia e gambe della sua cavia per allentare e sciogliere le tensioni, ma soprattutto perché era terribilmente eccitato e frustrato.
Avere sotto le mani un fisico così ed essere costretto ad attenersi al suo ruolo era equivalso ad una tortura; al di là degli stereotipi legati alla sua terra d'origine a Yuuri piaceva entrare fisicamente in contatto con le altre persone: un abbraccio, una carezza avevano, al di là del significato rassicurante il valore aggiunto della vicinanza e della condivisione.
Victor non lo aveva capito, oppure si e allora si prendeva crudelmente gioco di lui in quel modo.
Forse doveva dirglielo prima che a lui non importava nulla se sotto quella maschera nascondeva delle ustioni, delle cicatrici o una voglia della pelle verde fosforescente; poteva mostrarsi senza timore; non lo avrebbe irriso o giudicato.
Il maestro era una persona con evidenti problemi e lui, invece di rassicurarlo, di spingerlo a fidarsi si chiudeva a riccio ogni volta che l'altro tentava di avvicinarsi.
“Yuuri è molto tardi, perché non chiami a casa e dici che ti fermi a dormire qui?”
“Mh?”
Nel lasso di tempo impiegato a girarsi e a formulare una risposta il giovane realizzò che: uno, l'uomo aveva già indossato la maschera; due, era uscito dalla camera da letto completamente nudo.
“Chikushou*!” trasalì puntandogli il dito contro col viso in fiamme e l'aria scandalizzata “Io invece me torno a casa ADESSO! E-e veda di mettersi qualcosa addosso, è... È indecente!”
Fece dietrofront e imboccò risoluto le scale; si era appena ricordato il motivo per cui lo teneva a debita distanza e il notevole attrezzo che gli ciondolava in mezzo alle gambe aveva rafforzato la sua opinione in merito!


Fine Quinta Parte


† La voce della coscienza †

Che il misterioso soggetto mascherato fosse un tipo bizzarro lo avevamo già intuito, ma adesso, con le sue "richieste di pagamento" ne abbiamo la conferma!
Il maestro Victor (c'è un nome finalmente!!! Ahm si, però solo quello -_-) ama sorprendere il suo allievo, ma soprattutto ama che il suo allievo si prenda cura di lui, che lo vizi e lo coccoli con attenzioni in cambio delle lezioni di canto.
E se Yuuri da una parte si trova ad accettare a causa di una cronica mancanza di soldi (e probabilmente di un certo interesse che nutre nei confronti di Cho-cho san!) dall'altra queste richieste riescono a smuovere il suo "lato oscuro".
Insomma Victor gli fa venire i nervi col suo modo di fare!
Fino a quando il nostro giappino riuscirà a sopportare la strana situazione?
SI accettano scommesse sullo scoppio della bomba! °-°

Chikushou = Maledizione! In giapponese.

Per chi è interessato questo è il brano che da il titolo al capitolo :) https://www.youtube.com/watch?v=RTk79LAd0eM



Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Qual fiamma avea nel guardo! ***


banner

Qual fiamma avea nel guardo! 
Gli occhi abbassai per tema ch'ei leggesse 
il mio pensier segreto! 
Oh! s'ei mi sorprendesse... 
brutale come egli è! 

I Pagliacci – Leoncavallo

Qual fiamma avea nel guardo! 

Ci sono giorni in cui si capisce subito che andrà tutto storto; prima ancora di aprire gli occhi e formulare pensieri razionali, una parte del subconscio è lì a sussurrarvi di rimanere a letto, di evitare di affrontare qualcosa di più impegnativo di una sana dormita, perché qualsiasi cosa farete sarà comunque, inevitabilmente un disastro.

Yuuri ebbe una di queste premonizioni svegliandosi la mattina di Venerdì 13 Febbraio.
Di norma la gente di spettacolo è molto superstiziosa; gli abiti viola, le scale, i gatti neri, il sale che si rovescia, gli specchi rotti sono virtualmente altrettante disgrazie, ma il giovane tenore era giapponese e aveva già il suo bagaglio di credenze; il quattro ad esempio era un numero da cui tenersi alla larga, mentre il tredici non gli suggeriva niente di pericoloso, nonostante facesse coppia col Venerdì.
Ebbe modo di ricredersi appena mise piede in cucina: la signora Chulanont aveva bruciato la colazione e fu costretto ad uscire a stomaco vuoto.
Arrivò in ritardo a Teatro a causa di uno sciopero dei mezzi pubblici e il Direttore del Coro ne approfittò per scaricare su di lui le sue tensioni familiari accusandolo davanti agli altri di menefreghismo e negligenza.
Yuuri aveva incassato solo per scoprire che nella sua brasserie preferita avevano finito il sandwich speciale che lui, da buon abitudinario, consumava ogni venerdì a pranzo.
Aveva trascorso il pomeriggio a provare e riprovare lo stesso brano grazie ad un Direttore ancora in lite con la moglie ed era uscito sotto sera con le palle che toccavano terra e il morale ancora più basso.
Nel breve tragitto per arrivare in Rue des Minimes aveva rivalutato la storia della sfortuna e ormai anche lui considerava Venerdì 13 sotto una luce nuova.
Molto sinistra.
Di luce ne trapelava anche dalla mansarda all'ultimo piano, segno che il maestro lo stava già aspettando e dalle sue labbra, insieme ad un sospiro, uscì anche una silenziosa preghiera affinché almeno la lezione serale filasse via senza complicazioni.



Invece, dopo due ore di correzioni, riprese e puntigliose sottolineature su questioni marginali di un brano del Don Giovanni di Mozart che gli aveva assegnato la volta precedente, si poteva dare per assodato che Yuuri fosse ormai a livello di guardia.
“No”
“Come prego?” le dita di Victor si staccarono dalla tastiera del pianoforte interrompendo l'attacco di Deh, vieni alla finestra e la maschera bianca si rivolse al suo allievo; nell'ombra gli occhi azzurri lasciavano trapelare una certa sorpresa.
“Ho detto di no, non riprenderò quell'aria stasera, ne domani o dopodomani, perché non c'è più niente da rifinire!”
“Pensi di saperne più del tuo maestro?”
“Ne so abbastanza da ritenere che lei attende l'ora della lezione per rifarsi con me di una giornata noiosa in cui ha ciondolato tutto il giorno per casa...”
“Diamine...” mormorò l'altro, ma fu bruscamente zittito da uno Yuuri che aveva rotto gli argini.
“Mentre io mi alzo alle sei, riordino, corro a Teatro dove devo evitare gli appostamenti di Giacometti e le frustrazioni del Direttore del Coro che si sta separando dalla moglie, spesso salto il pranzo e quando esco nel pomeriggio vado in palestra da Minako sensei, che mi massacra ogni volta su postura e portamento, poi se non devo fare la spesa di casa la devo fare per lei, che se ne sta a contemplare le ragnatele sul soffitto...”
“Ci sono delle ragnatele?”
“E infine...” lo interruppe di nuovo ormai fuori controllo “Penso che quella stupida maschera sia solo una scusa per non uscire, non c'è niente che non va nel suo viso, ma avere un babbeo che le fa trovare la pappa pronta è molto più comodo!”
A quel punto Yuuri si fermò; se avesse potuto vedersi avrebbe stentato a riconoscersi: ansante, paonazzo in viso, con le vene del collo gonfie, i pugni serrati e gli occhiali storti.
Tuttavia, lungi dall'incutere timore, il suo aspetto suscitava un sentimento più simile all'indulgenza: un cucciolo arrabbiato che abbaiava furiosamente, ma era incapace di fare del male a qualcuno.
Gli occorse una manciata di istanti per “rientrare nei ranghi” e rendersi conto della mole di ingiurie che aveva appena vomitato addosso al suo maestro a cui si aggiunsero un paio di secondi in cui valutò che forse aveva scelto la persona sbagliata per farlo.
L'eccentrico mascherato non era esattamente un modello di controllo, equilibrio e compassione buddica; provocarlo in quel modo poteva scatenare una reazione uguale e contraria.
Tuttavia, rimase fermo sulle sue posizioni, non arretrò quando l'uomo si alzò in piedi, né accennò a mutare la sua postura aggressiva, allorché Victor si mise di fronte a lui e lo osservò con attenzione, reclinando il capo da una parte e dall'altra.
Era sempre stato così alto o era la sua paranoia ad ingigantirlo?
“Hai avuto una brutta giornata”
“Eh?”
“É stata una brutta giornata. Lo capisco.” ribadì l'altro e gli posò la mano sulla nuca accennando ad una cauta carezza, come se dovesse ammansire il suddetto cucciolo feroce.
Yuuri fu preso alla sprovvista, non si aspettava quel tipo di risposta e, invece di calmarlo, gettò benzina sul fuoco.
“Ah si?” sbraitò “Lo ha capito però ha pensato bene di metterci la sua parte e di esasperarmi ancora di più! N-non poteva farne a meno! No! Certo che no! Perché tanto l'idiota giapponese è troppo educato per ribattere o ribellarsi!”
“Wao...” riuscì a mormorare l'uomo prima di venire nuovamente travolto dal fiume in piena di insulti.
“E le dirò di più! Lei non è l'unico maestro di canto sulla faccia della terra, forse può essere il più bravo, magari quello più economico, di certo è quello più stronzo! Francamente ne ho le palle piene delle sue richieste assurde e dei suoi capricci da prima attrice; se vuole un massaggio assuma una fisioterapista e se vuole una cena giapponese chiami uno chef a domicilio! Sono certo che apprezzeranno molto più di me l'avere a che fare con un figlio di buona donna, paranoide, fuori di testa, che si crede cazzuto e romantico solo perché indossa una maschera! Glielo dico io cosa sembra!”
“Un coglione?”
“Ci stavo arrivando! Non si permetta di rubarmi le battute!”
A quel punto Yuuri aveva finito la scorta d'ossigeno e dovette mettere un freno allo sproloquio per respirare.
E al di là del respiro affannoso del giovane tenore in casa non si sentiva volare una mosca; perfino in strada lo scarso traffico della stretta viuzza sembrava scomparso.
Anche il suo maestro era rimasto come paralizzato con la mano protesa verso il capo dell'allievo, che pian piano ritirò fino a lasciarla cadere lungo il fianco.
“È vero, ti ho provocato. Ho voluto tirare troppo la corda e mi dispiace. Lo faccio ad ogni lezione da quasi due mesi perché spero di sapere cosa pensi di me... Tuttavia... Wow... Sentirselo dire in questi termini è dura. Ma lo ammetto: me lo sono meritato. Come posso rimediare?”
“M-magari potrebbe cominciare offrendomi un tè”
Yuuri si ascoltò e si sorprese di aver trovato una replica così pronta.
Gli aveva davvero chiesto un tè quando la cosa più sensata da fare era scappare da lì e non tornare più?
“È un buon inizio” convenne annuendo il suo maestro con un tono sollevato, quasi avesse temuto che il giapponese mettesse in pratica quel proposito che aveva solo immaginato.



Mezzora più tardi erano entrambi seduti nel confortevole salottino al primo piano; la luce della piantana liberty creava un'atmosfera soffusa e forse per la prima volta, da quando aveva cominciato a frequentare quella casa e il suo bizzarro proprietario, Yuuri percepiva un clima più tranquillo e rilassato.
Nessuno dei due aveva ancora spiccato parola, fu Victor a rompere il silenzio, sollevando lo sguardo dal liquido dorato che ondeggiava nella tazza, da cui non aveva ancora bevuto.
“Hai ragione”
“Eh?” il giovane lo scrutò da sopra il bordo di porcellana della tazza, si stava godendo il primo vero attimo di calma dal momento in cui aveva messo i piedi giù dal letto e presentì che stava per finire.
“Questa maschera non ha niente di romantico, ed è piuttosto scomoda, nel caso in cui, ad esempio, volessi bere il tè in tua compagnia”
Il suo interlocutore non fiatò, si limitò a fissarlo cercando di nascondere la sua inquietudine.
“Quindi mi domando: cosa ci sarebbe di male se la togliessi adesso?”
“Eh no! A-aspetti un momento!” esclamò Yuuri posando la tazza prima di combinare un disastro “Non è obbligato a farlo! I-io... Ho detto quelle cose senza pensarle davvero!”
“Io sono convinto di si invece. Quando si è in preda alla collera esce il nostro vero Io” rispose l'uomo con calma “Tu sei una di quelle persone che si tengono tutto dentro e invece di esprimere ciò che pensi quando è necessario sopporti e accumuli fino ad esplodere. Non sono arrabbiato con te, lo prendo come un momento liberatorio, violento e tuttavia necessario.”
“I-io avrei solo voluto dirle che non è un problema q-quello che nasconde là sotto” mormorò Yuuri imbarazzato, giocando col bordo del suo maglione, senza guardarlo in viso “E non dovrebbe vergognarsi, almeno non con me”
“Sono sicuro che cambieresti opinione una volta eliminato questo ostacolo”
“No! No!” si affrettò a rassicurarlo “I-insomma se teme una reazione disgustata o inorridita... Si sbaglia”
“Oh, sul serio?”
“S-si” confermò il giovane vagamente preoccupato dal tono ringalluzzito del maestro.
Lui voleva mostrarsi un uomo tutto d'un pezzo, non una mammoletta pavida dall'isterismo facile, ma forse si era impegnato un po' avventatamente in quella dichiarazione.
Si ricordò che tendeva a svenire alla vista del sangue, soprattutto se era il suo e quando per sbaglio capitava su quei programmi TV che trasmettevano documentari su casi clinici estremi cambiava subito canale.
“Forse preferisci lasciare le cose come stanno...”
Le parole di Victor s'insinuarono nei suoi pensieri con invidiabile tempismo.
Gli stavano suggerendo che quella era l'ultima possibilità di continuare vivere nel suo bozzolo di ignavia, dove forse stava un poco stretto, ma che in fondo era così comodo...
A questo punto il suo senso dell'onore ebbe un sussulto.
Che razza di uomo era se non riusciva nemmeno a guardare in faccia il suo maestro di canto? Come avrebbe potuto affrontare le sfide e le difficoltà che la carriera e la vita gli proponevano continuamente?
Doveva abbracciare e seguire il cambiamento ovunque lo avesse portato.
“Io...” iniziò a voce bassa serrando i pugni sulle ginocchia “invece penso che sia venuto il momento di cambiarle le cose”
“Cambieranno per entrambi” ribadì tranquillo l'uomo, alzandosi dalla sua poltroncina per sedersi accanto a lui.
Yuuri non capì il senso di quell'affermazione finché non vide lo vide rimuovere lo schermo bianco dall'espressione neutra ed indecifrabile che aveva imparato a conoscere nelle ultime settimane.
Sulla sua identità aveva ricamato spesso di fantasia partendo dalle poche certezze in suo possesso; aveva un fisico asciutto, ben modellato, quindi era una persona a cui piaceva tenersi in esercizio, o molto attenta alla sua alimentazione.
Eventualità scartata dopo aver scoperto ciò che conteneva la sua dispensa ed avergli portato a casa la prima spesa.
All'eccentrico mascherato piacevano i dolciumi, soprattutto il cioccolato, adorava il burro, le salse e i condimenti piccanti.
Incrociando questi dati con la sua età apparente Yuuri aveva dedotto che il suo maestro possedesse un metabolismo eccezionale.
Aveva anche una certa disponibilità economica; acquistare e ristrutturare una palazzina nel pieno centro di Parigi richiedeva delle notevoli risorse; risorse che peraltro non lesinava quando si trattava di comprare cibo e frivolezze, come il set di pentole e coltelli giapponesi o la raffinata yukata che gli aveva regalato.
Non da ultimo possedeva una bellissima voce e una vasta cultura musicale.
Ma pur tentando di incastrare questi indizi dentro una persona reale al giovane continuava a sfuggire il senso del travestimento.
Se era ricco poteva ricorrere ai più rinomati chirurghi plastici internazionali, i quali avrebbero provveduto a sanare i postumi di una malattia o di un incidente.
Viceversa, se voleva isolarsi, avrebbe potuto ritirarsi su un atollo in Polinesia e vivere il resto della sua vita in un magnifico paradiso tropicale invece di condurre un'esistenza quasi clandestina in una metropoli patinata e frenetica come Parigi.
Talvolta aveva immaginato un volto sotto quella maschera.
Un volto-senza-volto, privo di tratti somatici, come quello di un pupazzo, con un paio di occhi di vetro e una linea sottile al posto delle labbra. Altre volte aveva sognato di togliergli la maschera e di trovarne sotto un'altra e un'altra e un'altra ancora, in un angoscioso gioco di scatole cinesi.
Invece scoprì che ciò che nascondeva andava molto al di là delle sue paure e delle ipotesi più spaventose e bizzarre.
Non solo c'era un volto, ma lui quel volto lo conosceva bene.


Fine Sesta Parte


† La voce della coscienza †

E alla fine com'era prevedibile Yuuri è esploso, uno scoppio devastante che ha travolto e ha lasciato basito anche il nostro eccentrico mascherato, il quale forse capisce che è arrivato il momento di mettere le carte in tavola col giappino rivelandogli finalmente la sua identità.
Alle prime spiegazioni sincere dopo settimane di silenzi e omissioni imbarazzanti segue finalmente il momento che Yuuri ha atteso e paventato dal momento in cui ha conosciuto la misteriosa Chocho san.
Chi c'è dietro la maschera?
Perché Yuuri lo conosce?
Sono domande che troveranno risposta nel prossimo capitolo!
Per ora gustiamoci la riscossa del giappino dopo la sarabanda di pretese e allucinanti richieste da parte del suo bizzoso maestro! :D

Per chi è interessato questo è il brano che da il titolo al capitolo :)
https://www.youtube.com/watch?v=PxlcHEMPxbk



Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Vicino a te s'acqueta l'irrequieta anima mia ***


banner

Vicino a te s'acqueta l'irrequieta anima mia;
tu sei la meta d'ogni desio, d'ogni sogno, d'ogni poesia!
Entro il tuo sguardo l'iridescenza scerno de li spazi infiniti.

Andrea Chénier – Umberto Giordano

Vicino a te s'acqueta l'irrequieta anima mia

"Sei sicuro di stare bene? Hai una faccia..."
All'ennesima domanda sul suo stato di salute Yuuri si decise finalmente a sollevare il naso dalla tazza di latte e cereali incontrando gli sguardi preoccupati della signora Chulanont e di suo figlio.
Doveva propinargli una giustificazione credibile e in fretta, prima che l'innocente e legittima curiosità si trasformasse in un interrogatorio.
"È che... Non ho chiuso occhio stanotte! Quel letto era scomodissimo e senza il mio cuscino mi è venuto il mal di testa da cervicale"
"Oh..." fecero all'unisono i due thailandesi; subito dopo la madre di Phichit scattò a recuperare una pomata alle erbe per fargli un massaggio e l'amico gli suggerì di saltare le prove del coro, almeno quella mattina!
Yuuri non aveva mentito, non su tutto almeno; il mal di testa l'aveva davvero, anzi era una feroce emicrania, del tipo in cui sembra di avere degli spilli conficcati nella testa e gli occhi infossati nelle orbite.
E il merito era ancora una volta tutto del maniaco mascherato.



L'urlo dovevano averlo sentito fino in fondo alla strada.
Era partito in differita, qualche istante dopo aver realizzato l'identità del suo bisbetico maestro di canto.
Lui l'aveva presa bene, si era limitato a fargli i complimenti per la sua capacità polmonare e ad attendere che si esaurisse l'effetto sorpresa.
Un po' se l'aspettava quella reazione e sapeva anche che non era dettata dal ribrezzo dato dalle sue cicatrici.
Un volto famoso, per quanto deturpato, restava riconoscibile e il suo aveva campeggiato ovunque su media cartacei e digitali fino a un paio di anni prima.
Fino al giorno dell'incidente.

"Un grave infortunio interrompe la Prova Generale della Tosca all'Opéra Garnier"
"Victor Nikiforov vittima di un terribile incidente di scena durante le prove di Tosca"
"La prognosi del giovane e famosissimo tenore russo resta riservata"
"L'incidente all'Opéra di Parigi: fatalità o negligenza?"
"Aperta un'inchiesta da parte della Magistratura francese per accertare le responsabilità dell'incidente"
"I fotografi assediano l'Ospedale Europeo Georges Pompidou, massimo riserbo sulle condizioni del famoso cantante Victor Nikiforov"
"Il tenore russo ha lasciato l'Ospedale Europeo, discordanti sono i pareri riguardo alla sua destinazione: Svizzera, Russia, Emirati Arabi o Stati Uniti le mete più probabili"
"Victor Nikiforov avvistato alla clinica Hirslanden a Zurigo sfugge ai fotografi per un soffio"
"Tutti vogliono conoscere le reali condizioni del tenore più glamour degli ultimi anni, ma dal suo agente arriva un secco no-comment"
“Annunciata e poi smentita l'intervista di Mr Nikiforov alla BBC”
“Cancellati tutti gli impegni a medio e lungo termine del cantante”
“Continua il silenzio sulle condizioni di Victor Nikiforov. Si teme che l'incidente di sei mesi fa abbia danneggiato irrimediabilmente le sue corde vocali”
“Victor Nikiforov l'astro nascente della lirica moderna è già tramontato?”
“È la fine della brillante carriera del talentuoso artista russo?”

Yuuri li aveva letti tutti quegli articoli e come molti ammiratori aveva trepidato, sperato e infine si era rassegnato all'uscita di scena del suo mito.
Ma per il giapponese Victor Nikiforov non era solo un cantante di successo, un'icona di stile, un nuovo gossip di cui parlare in pausa pranzo; quando pensava a chi avrebbe voluto somigliare, su chi avrebbe voluto improntare la sua carriera di certo i grandi tenori del passato come Caruso, Gigli, Corelli, suscitavano la sua venerazione; mentre il russo lo spingeva all'emulazione, a migliorarsi, a spostare più in là i propri limiti.

Ecco, si diceva fin da adolescente, un giorno sarò bravo quanto lui, anzi di più! E quel giorno... Magari... Lui si accorgerà di me e mi chiederà di tenere un concerto insieme.

Cantare con Victor era il suo sogno proibito; la dove i comuni mortali fantasticavano di farsi l'attricetta o il fotomodello di turno in tutte le posizioni praticabili, Yuuri coltivava la flebile speranza di poter calcare un giorno lo stesso palcoscenico del suo idolo.
L'incidente all'Operà di Parigi aveva troncato le sue aspirazioni; Nikiforov era finito chissà dove, forse in un “buon ritiro”, una prigione dorata in cui godersi l'altissimo risarcimento che l'assicurazione del Teatro aveva versato per evitare di finire in tribunale, in una lunga causa dall'esito incerto.
Il giovane a quel tempo era ancora negli Stati Uniti, ma ricordava bene lo scalpore suscitato dal caso, la curiosità morbosa della stampa, e la reticenza dell'Amministrazione teatrale, che aveva portato alle dimissioni in blocco del consiglio e all'arrivo degli svizzeri.
Ricordava anche che nell'ambiente circolavano le voci più disparate; alcuni colleghi giuravano di averlo visto proprio a Parigi e che il suo volto era sfigurato, i più mondani lo avevano individuato a bordo del solito yatch multimilionario, i pessimisti erano pronti a scommettere che stesse affogando la sua disperazione nell'alcol e in una vita miserabile dopo aver allontanato tutti, perfino il suo vecchio maestro Yakov Felstman a cui era affezionato come a un padre.
Il tamburo del pettegolezzo risuonò per alcune settimane, poi tutto il rumore scemò in un tenue mormorio e la scena vuota venne occupata da soggetti ambiziosi e ancora più presenzialisti, come Jean Jeaques Leroy, dotato nel canto quanto nel promuovere sé stesso.

Perciò trovarselo davanti in carne e ossa, senza un minimo di preparazione, con la consapevolezza di averlo conosciuto in circostanze così stravaganti e infine di averlo accettato come maestro di canto, aveva comprensibilmente suscitato un terremoto nell'animo sensibile del giovane tenore.
Victor ignorava i suoi cataclismi interiori, pur immaginando lo choc che gli aveva procurato.
“Mi dispiace” ammise una volta calato il silenzio “Ti avevo detto che le cose sarebbero cambiate per entrambi”
Rigirava la maschera bianca tra le mani, anche lui era indeciso, combattuto.
“ Forse sarebbe meglio se la indossassi di nuovo, ti sentiresti più a tuo agio” aggiunse nonostante a quel punto l'idea di tornare indietro gli sembrasse ridicola. Aveva paura che Yuuri lo rifiutasse, che se ne andasse davvero stavolta, o peggio che potesse ispirargli solo pietà.
Cosa voleva instillare in quel timido giapponese?
Forza d'animo?
Sicurezza?
Fiducia in sé stesso?
Riconoscenza?
Ammirazione?
Magari solo un po' di affetto disinteressato.
Voleva una persona meno fatua e volubile delle amicizie mondane che aveva frequentato all'apice della sua carriera e che non avevano esitato a voltargli le spalle una volta caduto in disgrazia.
Voleva qualcuno che non si sentisse obbligato ad assisterlo per una sorta di dovere paterno come Yakov.
Voleva qualcuno capace di ragionare fuori dagli schemi e vedere oltre le apparenze.
Aveva studiato Yuuri per settimane dal suo dedalo di passaggi segreti e telecamere.
Aveva esitato a mandare la prima E-mail come Cho-Cho san preoccupato dalla sua eventuale reazione.
Invece Yuuri aveva letto, risposto e cosa ancor più incredibile, aveva ascoltato e messo in pratica i suoi suggerimenti.
Questo lo aveva spinto ad osare, a mostrarsi fisicamente e, nonostante il loro primo incontro fosse stato... Piuttosto movimentato lui lo aveva stupito ancora buttandosi in una specie di folle caccia al tesoro pur di rintracciarlo.
Alla fine Victor si era convinto che il giovane fosse esattamente la persona che stava cercando e se adesso non si alzava e scappava via davanti al deprimente spettacolo di un divo in declino poteva dire che la sua Buona Stella era tornata ad occuparsi di lui.

“Posso?” domandò con discrezione fermando la sua mano sulle ciocche argentate che, ricadendo disordinate, gli oscuravano la parte offesa del viso.
Victor trattenne il respiro, poi annuì, dopo i chirurghi non aveva più permesso a nessuno di toccarlo o vedere le sue cicatrici.
“Te lo sei guadagnato” ammise stornando lo sguardo.
“I giornali... Insomma non hanno mai detto...” Yuuri indugiò con le dita sulla cortina setosa dei capelli senza scostarla.
“Cos'era successo quel giorno alle prove? È stato concordato con la dirigenza del Teatro, però a te penso di dovere una versione dei fatti più completa”
“No... N-non deve sentirsi obbligato...”
“Non è un obbligo, mi togli un peso in realtà, sei la prima persona a cui ne parlo dopo i medici che mi hanno curato e il mio maestro di canto”
“Stavamo provando la scena finale sulle mura di Castel Sant'Angelo, la finta fucilazione di Cavaradossi" iniziò dipo una lunga pausa "Durante le altre prove era andato tutto bene, ma alla Generale il moschetto di una comparsa si è inceppato. Sono andati a cercarne un altro, ma eravamo già in ritardo; io dovevo presenziare ad un cocktail quella sera, non volevo perdere tanto tempo, ero spazientito e mi sono avvicinato per capire qual'era il problema. Nel nostro mestiere incidenti come questi sono all'ordine del giorno e dopo un po' si diventa pratici nel maneggiare le attrezzature di scena. Nel momento in cui l'ho preso in mano e ho tentato di controllare il meccanismo di accensione, la polvere usata per il colpo a salve è esplosa e il risultato è ciò che vedi”

Cosa stava guardando Yuuri in quel momento con la sua aria assorta e concentrata ?
Vedeva le cicatrici che avevano rabberciato alla meglio i brandelli di pelle tra fronte, palpebra e zigomo?
L'occhio era stato risparmiato, ma un solco rossastro lo attraversava in verticale dove era stata ricomposta la fragile epidermide della zona oculare.
Se il danno si fosse limitato a quello gli avrebbe conferito un fascino romantico, piratesco.
Invece lo scoppio aveva causato una ragnatela di ferite più o meno profonde a cui si era aggiunte le difficoltà post operatorie dovute alla scarsa capacità di cicatrizzazione della sua pelle, che avevano guastato irrimediabilmente l'armonia dei lineamenti.
Quelli per cui era famoso almeno quanto per la voce e che avevano contribuito alla sua celebrità.
Quindi cosa stava cercando Yuuri tra le pieghe tormentate del suo volto?
La conferma di una carriera stroncata?
La delusione di un ammiratore?
O vedeva qualcosa oltre?




Nei giorni successivi Yuuri cominciò a funzionare a “corrente alternata”.
In pratica oscillava tra due stati: una sorta di trance mistica in cui appariva totalmente immerso nel mondo dei sogni (con immaginabili conseguenze se questo accadeva in orario di prove) e una specie di nevrosi paranoide in cui sembrava una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.
Phichit, pur col suo carattere allegro, positivo e ottimista, non era l'ultimo degli ingenui e a fronte di una situazione ormai divenuta ingestibile trasse le debite conclusioni.
“Cho-cho san è tornata a farsi viva?” gli chiese a bruciapelo entrando in camera, mentre Yuuri era appunto nella sua fase contemplativa e fissava immobile la tappezzeria floreale della parete di fronte.
L'amico, preso alla sprovvista, ingoiò un sorso d'aria e strabuzzò gli occhi fissandolo come se il thailandese fosse diventato un drago a due teste.
“C-come ti viene in mente...” boccheggiò poi arretrando sul letto e mettendosi con le spalle al muro.
Temeva che sarebbe successo: in qualche modo si era tradito e il suo segreto era stato scoperto vanificando settimane di sforzi volti a proteggere la vera identità della stalker col kimono.
“Ecco... Negli ultimi giorni sei strano, la mamma è preoccupata, io sono preoccupato; ho paura che quella pazza cerchi di mettersi ancora in contatto con te!”
“M-ma no!” rispose Yuuri ricominciando a respirare dopo una lunghissima apnea.
“Tu... Me lo diresti, vero?” esclamò Phichit afferrandogli e stringendo entrambe le mani tra le sue.
“C-certo che te lo direi!” annuì l'altro, mentre cercava di fare una faccia convinta.
L'espressione del thailandese si rasserenò e anche lui trovò la forza di regalargli un sorriso e qualche altra rassicurazione.

Il suo maestro di canto era molto... Esigente.
Ed ecco chiarito l'atteggiamento bipolare di quell'ultimo periodo.
Lo stava mettendo sotto pressione.
Gli chiedeva di più in termini di studio e tempo.
E questo apparentemente spiegava i ritardi serali, il suo trattenersi talvolta fino a tarda sera da lui, la stanchezza con cui si trascinava in camera senza neppure cenare.
Tutto a posto quindi?
Nemmeno per sogno!
Phichit sentiva di dover approfondire le indagini sul fantomatico insegnante, di cui possedeva solo il nome e una vaga indicazione del domicilio.
Da quando era apparso nella vita di Yuuri il suo amico era cambiato.
All'inizio lo aveva giudicato un buon segno per la sua carriera.
Lui era destinato a cose più grandi di un lavoro da corista e avere un buon maestro di canto era indispensabile.
Però il suo comportamento evasivo, il fatto che non volesse farsi accompagnare o venire a prendere lo insospettivano... E se quello stimato professionista fosse stato in realtà un laido approfittatore?
Se Yuuri in un momento di disperazione avesse accettato una specie di patto col diavolo?
Lezioni in cambio di favori sessuali!
Il timido giapponese si sarebbe vergognato di essere caduto così in basso e sarebbe morto pur di mantenere il segreto.
“È... Orribile!” esclamò una volta chiarite le dinamiche dei fatti.
“Assolutamente” affermò il direttore artistico “Quella lampada è un oggetto Liberty, non c'entra nulla col mobilio vittoriano... Chulanont vai in magazzino a recuperarmi qualche candelabro argentato... E vedi di non perderti tra gli scaffali come tuo solito”
“S-si Direttore, vado subito”
Era arrivato il momento di agire, di entrare in azione.



La sera successiva...

"Mamma io esco! Yuuri ha dimenticato l'ombrello e fuori pioviggina, faccio una corsa e glielo allungo!"
L'ombrello era la scusa perfetta per uscire e seguirlo senza destare sospetti.
Il loro inquilino era uscito un paio di minuti prima, calcolando il tempo impiegato a scende le scale, poteva aver percorso si e no una cinquantina di metri.
Ed eccolo infatti trottare di buona lena sul Lungo Senna diretto al quartiere del Marais dove abitava il suo maestro.
A Phichit bastò tenersi una decina di passi dietro a lui, del resto il giovane tenore era così assorto e compreso nel suo mondo interiore che a malapena si accorgeva dei semafori e degli attraversamenti pedonali.
Nei fine settimana il Marais, uno dei quartieri più antichi e vivaci di Parigi, pullulava di residenti e turisti, in cerca dell'autentica anima parigina.
I ristoranti e le brasserie erano piene di gente e per le strade c'era un fiume allegro e frenetico di persone.
Pedinare Yuuri cominciava ad essere difficile, doveva rischiare ed avvicinarsi di più se non voleva perderlo.
Finché rimase su Rue de Rivoli e Rue de Sainte-Antoine riuscì a seguire agevolmente la buffa cuffia di lana con l'enorme pon-pon che saltellava ritmicamente ad ogni passo, ma all'improvviso la cuffia e il proprietario sparirono dalla sua vista svoltando verso Place des Vosges.
Phichit aumentò l'andatura, tuttavia, quando giunse nell'ampio quadrilatero della piazza più antica di Parigi del giapponese non c'era più traccia.
Aveva la netta sensazione che fosse molto vicino e provò a cercarlo nelle strade laterali, meno turistiche e molto più tranquille, ma senza alcun risultato.
La pista, per usare un gergo poliziesco, era ormai fredda e al ragazzo non rimase che tornare sui suoi passi rimandando il pedinamento a tempi più propizi.


Fine Ottava Parte


† La voce della coscienza †

Davanti alla scoperta dell'identità dello stravagante soggetto mascherato Yuuri ha reagito... Alla Yuuri ovviamente!
Con un urlo da manuale e un'espressione scioccata che Phichit avrebbe venduto l'anima per poter fotografare! :D
D'altro canto Victor è quasi sollevato di essersi tolto quel peso, è riuscito a superare la paura e la vergogna di mostrarsi e le parole e l'atteggiamento del giapponesino sono riusciti a rassicurarlo.
Almeno per ora!
Adesso che il ghiaccio tra i due è rotto cosa succederà?
Yuuri riuscirà a non tradirsi col migliore amico, giustamente preoccupato per lui e per lo strano atteggiamento degli ultimi giorni?
E Giacometti?
Avrà rinunciato all'idea di mettere le mani sul delizioso bocconcino?
Questi e altri sviluppi nel prossimo aggiornamento, sempre qui tra un paio di settimane *-*
Nel frattempo vi mando involtini, spartiti e tanto ammmmrore! *-*


Per chi è interessato questo è il brano che da il titolo al capitolo :)
https://www.youtube.com/watch?v=sN5WoIjIn68



Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Una furtiva lagrima ***


banner

Un solo istante i palpiti
del suo bel cor sentir!
I miei sospir, confondere
per poco a' suoi sospir!
I palpiti, i palpiti sentir
confondere i miei co'suoi sospir!
Cielo! Si può morir!
Di più non chiedo, non chiedo.
Ah, cielo! Si può morir d'amor.

Elisir d'Amore - Gaetano Donizetti

Una furtiva lagrima

“Ah, signor Katsuki, giusto lei, entri, si accomodi”
L'anta della porta si aprì del tutto permettendo a Yuuri di entrare nell'enorme studio del Direttore Generale; dal fatto che l'uomo fosse appoggiato in maniera rilassata alla scrivania, mentre suo figlio Christophe era comodamente sprofondato in poltrona, dedusse che si trattava di un colloquio informale.
Non tirava aria di cazziatoni, come aveva paventato quando la segretaria era scesa in sala prove a convocarlo negli uffici amministrativi, eppure i presupposti c'erano eccome!
Il Direttore del Coro non faceva che lamentarsi della sua scarsa attenzione, ma se il giovane tenore fosse stato un po' più obiettivo, si sarebbe accorto che l'uomo, in piena crisi matrimoniale, tendeva a riprendere tutti quelli che gli capitavano a tiro.
“Con permesso”
Yuuri salutò con discrezione i due uomini e finse di ignorare lo sguardo ammiccante e malizioso che gli aveva lanciato Giacometti Junior, il quale, subito dopo, si alzò e mise garbatamente a disposizione del nuovo arrivato la sua poltrona.
“Credo sia meglio che tu ti sieda” tubò facendogli l'occhietto davanti al prevedibile rifiuto del giapponese “Mon pére ha qualcosa da comunicarti” Quindi le cose erano già a quel punto?
Oltre il cazziatone.
Oltre i provvedimenti disciplinari e la sospensione senza stipendio!
Il colloquio era solo per riferirgli che era stato licenziato!
I suoi processi cognitivi si rifiutarono di elaborare eventuali scenari di lui costretto a mendicare sotto i ponti di Parigi o peggio cantare alle feste di compleanno di qualche ricco rampollo viziato.
A quel punto l'offerta di sedersi non gli parve più così assurda.
"Sicuramente è a conoscenza delle iniziative con cui l'Opèra Garnier partecipa alle celebrazioni del Quattordici Luglio signor Katsuki..."
L'interpellato annuì incapace di spiccare parola a causa dell'ansia che gli aveva seccato la bocca.
In occasione della festa nazionale più sentita dai francesi il teatro promuoveva un cartellone speciale: una settimana di spettacoli che culminava in un grande concerto la sera del Quattordici, a cui di solito partecipavano tutti gli alti papaveri della politica, della cultura e della finanza francese, dal Presidente della Repubblica in giù.
L'anno precedente gli era già toccato questo onore, perché aveva cantato la Marsigliese col coro dell'Opèra in apertura di serata.
"Quest'anno su espressa richiesta del Presidente il concerto sarà legato ad una iniziativa benefica, quindi avrà ancora maggiore rilevanza"
Yuuri annuì di nuovo, mentre il suo sguardo perplesso rimpallava tra i due svizzeri.
"Dai papà, smettila di tenerlo sulle corde" lo rimproverò bonariamente Christophe rivolgendosi poi al giovane "Quello che mon pére vuole dirti è che quest'anno ti vogliamo sul palco, insieme agli altri cantanti che abbiamo invitato a partecipare"
L'interessato sbiancò.
I nomi circolavano già da qualche giorno e si trattava di personaggi di prima grandezza, non solo della lirica, ma anche della musica pop e rock.
Si parlava di duetti, di improvvisare, di ospiti a sorpresa.
I puristi storcevano il naso davanti alla contaminazione tra i generi, ma la maggioranza dell'opinione pubblica era entusiasta.
"P-perché avete pensato a me?"
Più che entusiasta Yuuri invece sembrava terrorizzato.
I Giacometti si scambiarono un'occhiata e gli rivolsero un sorrisetto conciliante.
"Perché dopo la tua performance in Tosca pensiamo che tu sia la persona adatta a rappresentare l'Opèra e la Francia" dichiarò poi con tono solenne il Direttore.
"Il volto giovane e cosmopolita che vogliamo dare alla nostra struttura" proseguì Christophe sullo stesso tono "Basta con l'aria ammuffita e stantia che troppo spesso viene associata alla Lirica: i grandi teatri si contendono i nomi celebri a suon di contratti milionari e proteggono i propri piccoli confini, come se fossimo in guerra! Nel frattempo c'è un autentico vivaio di giovani leve molto dotate che non ha modo di esprimersi! La Cultura, la musica sono un patrimonio universale e un talento resta tale che abbia gli occhi a mandorla o la pelle scura"
"S-si, ma..."
"Oh e tu sei indubbiamente un talento Yuuri, scoprirlo quasi per caso è stata una fortuna che mon père e io intendiamo non lasciarci sfuggire una seconda volta!"
Il giovane si rese conto che ora toccava a lui intervenire.
"S-si ma... Sono praticamente uno sconosciuto, sono... Estremamente onorato che abbiate pensato a me, però voi rischiate... Il buon nome del teatro... Ci sono cantanti di maggiore esperienza... più qualificati... Gli anni di carriera contano... Forse sono troppo giovane, se qualcosa andasse storto... " argomentò affannato.
"Cosa potrebbe andare storto signor Katsuki?"
Praticamente... Tutto.



"Non deve decidere adesso signor Katsuki, si prenda il resto della settimana per pensarci, abbiamo la fortuna di essere partiti molto in anticipo col programma..."
Alla fine il Direttore Generale si era mostrato molto comprensivo e accondiscendente, ma gli aveva anche fatto intendere che una sua risposta positiva avrebbe agevolato e non poco la sua introduzione nel cartellone lirico della successiva stagione invernale; un'opera, forse due, un paio di concerti.
Basta comparsate, basta ingrassare i numeri del coro, le sue doti meritavano di essere valorizzate.
E tra una lusinga e una minaccia era stato accompagnato all'uscita, dove Christophe, con la scusa di offrirgli un caffè, colse l'occasione per "lavorarselo un po'".
"Avremmo pensato a tre, quattro brani e un duetto mon cher e sceglierai tu; preparerai una lista di pezzi, diciamo i tuoi... Cavalli di battaglia e insieme vedremo di selezionare quelli più adatti alla serata. Lavoreremo a stretto contatto, non sarà fantastico?"
Di fantastico c'era stato solo il palpeggiamento ai danni del suo fondoschiena, che l'aitante svizzero gli aveva elargito a mo' di saluto prima di congedarsi.

Se quelle erano le premesse lo aspettavano delle settimane da incubo...




"In questa battuta la voce deve tenere e allo stesso tempo devi avere abbastanza fiato per agganciarti a quella successiva...Yuuri? Yuuri mi stai ascoltando?"
Poi c'era lui: Victor Nikiforov.
Il suo insegnante di canto.
Per l'appunto.
Famoso, talentuoso, esigente, bisbetico.
E ancora all'oscuro di tutto.
Il giovane giapponese gli rivolse un'occhiata mortificata.
"M-mi dispiace, credo di aver perso il filo del discorso"
"Questo era abbastanza evidente"
Le labbra del russo si piegarono in una smorfia di disappunto, che accentuò le asperità di quella parte del volto compromessa dall'incidente.
Da quando l'aveva tolta, la maschera era rimasta posata sul tavolinetto del soggiorno, né lui né Victor avevano più affrontato l'argomento, perciò dava per scontato che finalmente il lunatico personaggio avesse fatto pace col suo aspetto e, cosa ancora più importante, avesse compreso che a lui non creava problemi.
Yuuri, non sapendo come giustificarsi, distolse subito lo sguardo e lo appuntò sugli spartiti, iniziando a sgualcire nervosamente gli angoli delle pagine.
"Sono tre giorni che sei distratto e svogliato, qualcosa ti preoccupa?"
"Il Direttore del Coro..."
"Non accampare pretesti; quando ti ho conosciuto quell'uomo era già una spina nel fianco per te" dichiarò il maestro, che lasciò il pianoforte mettendosi di fronte a lui.
Era il momento giusto per dirgli della proposta indecente da parte dei Giacometti, ma a causa del modo e dell'altezza da cui lo guardava riuscì a metterlo in soggezione e Yuuri fu in grado di balbettare solo qualche sillaba di scuse.
"Ho capito..."
Seguì una lunga pausa di silenzio chiusa da un altrettanto prolungato sospiro, poi, senza aggiungere altro Victor lo oltrepassò e discese le scale, che dalla mansarda portavano alla zona notte.
Yuuri sentì la porta della sua camera chiudersi e realizzò in quel momento, che il suo atteggiamento doveva averlo ferito... Oppure offeso... O entrambe le cose e andò nel panico.
“È... È permesso? Maestro?”
Aveva bussato con un tocco leggero, la porta lasciata socchiusa lasciava intravedere la camera completamente immersa nell'oscurità.
“Victor posso entrare?” decise di insistere e armandosi di coraggio mise da parte le formalità e dopo aver dato un paio di colpi risoluti sul legno si decise ad entrare.
La stanza non era enorme, ma i suoi occhi impiegarono qualche istante per abituarsi al buio ed individuare la figura del russo “incastrata” nel davanzale della finestra, dove i muri spessi avevano consentito di ricavare una specie di nicchia che fungeva anche da panca.
“Si... Sente poco bene forse?”
L'uomo si strinse nelle spalle.
Il suo essere raggomitolato con le ginocchia al petto nello spazio ristretto della finestra, l'ostentata piega risentita delle sue labbra avevano qualcosa che induceva alla tenerezza.
Sembrava un bambino messo in castigo.
Yuuri non poté impedirsi di allungare un dito e sfiorargli la scriminatura dei capelli facendolo trasalire e sbuffare.
“Ho la sua attenzione adesso?”
Doveva essere un gesto che lo infastidiva, perché subito aveva cominciato a sfregare la zona incriminata e a brontolare qualcosa nella sua lingua madre.
“Mi dispiace non parlo il russo...” il giovane sorrise.
“Sono io a dovermi scusare... Se il mio aspetto ti causa tanto disagio e imbarazzo”
“Eh?”
Yuuri cadde dalle nuvole.
“Immagino sia penoso vedere ogni volta queste cicatrici... Almeno quanto lo è per me mostrarle...”
“N-no aspetti ha frainteso!”
“... Forse dovresti trovare un altro insegnante”
“Come?”
“Ho ancora delle conoscenze nel giro... Non sarà ugualmente bravo, ma...”
“Io non voglio un altro insegnante!” Strepitò Yuuri interrompendo il monologo del russo, che, sorpreso dal suo impeto, reclinò il capo osservandolo incuriosito.
“E già che ci siamo chiariamo questa faccenda delle cicatrici in maniera definitiva! Non mi danno fastidio! Semmai a darmi fastidio è il suo atteggiamento di autocommiserazione!”
Ecco.
La sua foga lo stava trascinando di nuovo in uno sproloquio aggressivo; aspetto insolito e affascinante in un soggetto per altri versi così docile.
“Usa il suo infortunio come scusa se vuole scansare qualsiasi incombenza noiosa e reclamare più attenzioni!”
“Oh, wao...”
“Mentre basterebbe chiederlo... M-magari con gentilezza! In verità lei è pigro e terribilmente lavativo, nella vita quotidiana come in quella privata!”
“Sul serio? Mi basterebbe essere... Gentile... Per ottenere qualcosa da te?”
Il tono languido e il sorriso sornione dell'uomo furono in grado di bloccare il fiume in piena di rimproveri; il giapponese si fermò interdetto con le labbra socchiuse in una espressione di muto stupore.
Probabilmente si era appena reso conto di aver esagerato e di essersi infilato in una situazione imbarazzante, che del resto rappresentava una prassi quotidiana da quando aveva conosciuto il suo bizzarro maestro di canto.



“E-era per dire...” balbettò “Si preoccupa delle cicatrici e cerca di nasconderle, ma... Ma allo stesso tempo nasconde anche la sua bellezza interiore”
“Oh-ho, è in arrivo una predica zen...” il russo accennò un sorriso ironico “sono vaccinato ai discorsi edificanti Yuuri: la bellezza non è tutto, prima o poi se ne va... Sei così giovane e hai tante opportunità, puoi fare altro nella vita! Compiangerti non serve a niente, pensa positivo... Bla... Bla... Bla. Sai quante volte me lo sono sentito ripetere?”
“No! Non lo so!” lo interruppe l'altro “Però probabilmente quelle persone non l'hanno guardata davvero! Si sono fermati all'involucro esteriore senza scendere più in profondità”
“E tu invece mi hai guardato... Davvero?”
Yuuri arrossì e poi accennò un segno affermativo col capo.
“Quindi cosa avresti scoperto?” l'uomo socchiuse le palpebre come a voler scandagliare la figura davanti a sé in cerca di segnali che ne tradissero eventuali menzogne o ipocrisie.
“Che la anche la luna più splendente acquista fascino se viene oscurata dalle nubi...”
“Oh una metafora filosofica per addolcire la pillola. È appropriato e ti si addice”
“I-in realtà è una massima di un maestro del tè vissuto nel sedicesimo secolo... Ma non è questo il” punto!”
“E quale sarebbe?”
“Finora le è mancato qualcuno che sapesse vederla per com'è veramente. L-le persone là fuori ammiravano e invidiavano la sua bravura, la vita brillante, sempre sotto i riflettori, la... La sua bellezza e anche io ero come loro! Pensavo alla sua straordinaria carriera e avrei dato qualunque cosa per poter essere al suo posto, senza considerare minimamente se c'erano sacrifici, rinunce o solitudine dietro la facciata scintillante! Perché lei faceva sembrare tutto così... Così...”
“Facile?”
“Eh-eh” Yuuri assentì convinto.
“Temo che quell'atteggiamento mi si sia rivoltato contro” ammise il russo a bassa voce, tornando a rivolgere lo sguardo al panorama notturno oltre la finestra. Le luci dei lampioni ne illuminavano il profilo perfetto lasciando in ombra la metà sfigurata.
“Tutti, persino Yakov, persino i medici davano per scontato che mi sarei ripreso in fretta, lasciandomi scivolare addosso la menomazione. Yakov aveva già organizzato un'intervista alla TV americana, a suo giudizio dovevo andare e mostrarmi senza timore, il pubblico avrebbe apprezzato il coraggio di presentarmi con queste... Chiamiamole... Ferite di guerra e mi avrebbe amato ancora di più.”
“Invece cosa l'ha spinta ad annullare tutto e a sparire?” chiese sommessamente il giovane che si era accoccolato in ginocchio accanto a lui.
“Oh, è semplice: io non sono coraggioso; ho avuto paura, una paura terribile di essere deriso... O compatito... Non volevo finire la mia carriera come testimonial della pietà popolare, chiamato di tanto in tanto in qualche show o manifestazione a raccontare l'ennesima volta la mia disgrazia. Ci sono personaggi che hanno costruito la loro fortuna su questo, ma non io, non Victor Nikiforov”
“Però in questo modo ha privato il mondo del suo talento”
Il russo sollevò le spalle in modo noncurante.
“Mi hanno rimpiazzato in fretta, avevano bisogno di una nuova celebrità da idolatrare, non della mia voce”
“Forse l'hanno rimpiazzata, di certo non l'hanno dimenticata e se... Gli altri adesso avessero la mia stessa fortuna, ossia conoscere il vero Victor Nikiforov, tornerebbero ad amarla più di prima”
L'uomo gli rivolse un'occhiata scettica e lasciò scorrere qualche istante prima di rispondere “Temo che tu mi abbia idealizzato, mi attribuisci qualità che non ho”
“Al contrario direi! Lei è pieno di difetti!”
“Ah!”
“Di manie, di fragilità e di paure! Ed è ciò che la rende interessante e...” Yuuri gli allontanò i capelli dal viso e si accostò maggiormente a lui “Bellissimo”
“Forse mi sfugge qualcosa nelle tue parole” sussurrò l'altro socchiudendo le palpebre.
“Perché dovrebbe guardarsi con gli occhi di un giapponese, noi troviamo sempre la bellezza nell'imperfezione: un albero che cresce storto, una tazza sbreccata, la luna nascosta dalle nubi sono belli perché ci ricordano che in natura niente è perfetto o eterno, perché prima o poi ogni cosa si trasforma e la vera bellezza risiede nel mutamento”
“Questa predica zen è decisamente meglio delle altre, potrei ascoltarti per ore...”
“Non... Era nelle mie intenzioni farle la predica”
“E quali sarebbero le tue... Intenzioni?” domandò il russo in un sottile bisbiglio quando ormai i loro nasi giocavano a sfiorarsi.
“Ha presente quel discorso sul concedere qualcosa di mia spontanea volontà?”
“Ah-ha”
“Ecco... Vale anche nel caso io decidessi di prendere qualcosa?”
“Non saprei, ma... Potresti sempre provare a sorprendermi”

I suoi sogni proibiti su Victor Nikiforov si erano sempre limitati al palcoscenico; Yuuri si era vietato di pensare a lui in termini men che onorevoli e anche se certe mattine i risvegli da quei sogni erano stati tutt'altro che casti, riteneva impossibile che potessero realizzarsi davvero.
Invece il sapore delle sue labbra era reale, come lo era la traccia zuccherina lasciata dal miele con cui dolcificava le tisane e il calore umido della bocca che si schiudeva piano per accogliere la sua.
Per una volta riuscì ad accantonare il perenne senso di inadeguatezza e venne a patti con la sua goffaggine, in quel bacio discontinuo, a tratti timido, a tratti vorace e disperato anche lui accettava di mostrarsi a Victor nella sua vera essenza.
Forse l'indomani ci sarebbero state delle conseguenze e quei cambiamenti di cui favoleggiava poc'anzi avrebbero fatto definitivamente deragliare il tranquillo e monotono convoglio che era la sua vita, forse si sarebbe sentito in colpa per aver osato tanto, per aver osato troppo o magari per essersi sentito felice.
Forse, al contrario, non sarebbe successo niente.
Il giorno dopo sarebbero stati di nuovo insegnante e allievo, bisbetico viziato e pavido remissivo.
Sarebbero tornati alle formalità, al tu e al lei, ma finché durava l'incantesimo di quel bacio c'erano soltanto un sempre e un Noi.


Fine Nona Parte


† La voce della coscienza †

-sparge feels e ammmmore ovunque-
Allora finalmente, dopo una partenza tribolata è arrivato il sospirato bacio tra i nostri due protagonisti canterini.
E a prendere l'iniziativa è stato proprio Yuuri, che ha vinto paure, paranoie e incertezze e ha spiattellato chiaro e tondo a Victor quello che pensa e prova per lui!
Tutto a posto quindi?
Ovvamente no!
Perché il nostro giappino, intenzionalmente o meno, non ha avuto il coraggio di affrontare l'argomento "Concerto del 14 Luglio" col suo maestro e a questo si aggiunga che nel prossimo capitolo riceverà una visita davvero inaspettata... Dalla Russia... Con amore!
I nervi del tenorino con gli occhi a mandarla saranno messi di nuovo a dura prova, state tonni e non abbassate la guardia!

Per chi è interessato questo è il brano che da il titolo al capitolo :)
https://www.youtube.com/watch?v=JgIUsiD-o8M



Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Pura siccome un Angelo ***


banner

Ah, dunque sperdasi
tal sogno seduttore.
Siate di mia famiglia
l’angiol consolatore!
Violetta, deh, pensateci,
ne siete in tempo ancor.
È Dio che ispira, o giovine,
tai detti a un genitor.

Pura siccome un angelo – Traviata – Atto II° - Giuseppe Verdi

Pura siccome un angelo

“Signor Katsuki c'è una visita per lei”
Quando uno degli uscieri si era presentato in sala prove era appena terminata una sessione particolarmente cruenta in cui un sempre più stressato Direttore aveva fatto le pulci a tutti, perfino ai veterani, che nel Coro dell'Opera militavano da vent'anni.
Yuuri fu ben felice di sottrarsi ai tempi supplementari della predica e di seguire il messo al ristorante, dove era atteso.
“Mi scusi, ha detto per caso il suo nome, le ha lasciato un biglietto da visita?” chiese il giovane tenore incuriosito circa l'identità del misterioso visitatore.
Aveva già scartato la sua famiglia, che avrebbe avvisato con settimane di anticipo del viaggio.
“Oh, non c'è stato bisogno signor Katsuki, l'ho riconosciuto subito!” Nella testa di Yuuri si formò per un attimo l'immagine di Victor, una trovata così plateale era proprio da lui e involontariamente sorrise “D'altra parte il signor Feltsman è uno dei più famosi insegnanti di canto in circolazione!”
“I-il... Signor Feltsman? Yakov... Feltsman?” ansimò il giapponese incredulo.
L'usciere annuì aprendo la porta del ristorante e nel mostrargli l'unico tavolo occupato precisò “Proprio lui”
In quel momento il russo alzò lo sguardo sui nuovi arrivati togliendo a Yuuri qualsiasi possibilità di fuga.
Gli sembrò che l'espressione dell'uomo si fosse incupita, di certo era accigliato e non si curò di nasconderlo, mentre lui si avvicinava al tavolo.
Cercò affannosamente qualche frase di circostanza, dei complimenti, dei convenevoli cortesi in modo da intavolare una conversazione, ma la sua testa era uno spartito vuoto dove perfino le righe del pentagramma avevano dato forfait.
Si limitò a tendergli la mano e balbettare un Yuuri Katsuki, è un piacere conoscerla maestro a cui rispose una stretta d'acciaio che quasi sicuramente gli aveva stritolato un paio di falangi.
“Hai un'idea del perché sia qui?” chiese l'uomo una volta che si erano accomodati al tavolo.
L'interpellato notò a malapena che aveva saltato preamboli e formalità tralasciando il Lei per un diretto e piuttosto rude Tu.
Yuuri era rigido come un blocco di cemento, ma dentro aveva il caos.
Appena riusciva a formare un pensiero di senso compiuto un altro si accavallava al primo e il risultato era una marmellata di panico, ansia e imbarazzo.
“Posso azzardare un'ipotesi...” disse con un tono basso e rauco, come se la gola fosse piena di sabbia.
“Non azzardare, andrò direttamente al punto” il russo scompose e ricompose l'ordine delle posate, rigirò il manico della tazzina di caffè e sbuffò infastidito, forse era l'espressione terrorizzata di Yuuri a disturbarlo, l'interessato non ebbe il coraggio di approfondire “Ho iniziato la mia carriera quando la Russia si chiamava ancora Unione Sovietica e pur con tutti i suoi limiti il governo d'allora aveva a cuore la cultura e sosteneva i giovani meritevoli... In seguito mi sono dedicato all'insegnamento e...”

Diamine, pensò il giovane, che educatamente ascoltava, taceva e di tanto in tanto annuiva, per essere uno che va dritto al punto gli piace fare il giro largo...

“...Vitya è stato senza ombra di dubbio l'allievo più brillante e dotato che...”
“Vitya?” lo interruppe Yuuri ricollegatosi in ritardo al dilagante monologo del russo.
“Si, si Vitya” rispose spazientito l'altro “Victor Nikiforov, chi sennò? È a causa sua se ho preso armi e bagagli, ho lasciato San Pietroburgo e sono venuto qui, sudando sette camicie per trovarti!”
Abbiamo sudato, vecchio, hai trascinato anche me nella tua battuta di caccia! E per la cronaca: sono stato io a rintracciare il giapponese, coi tuoi metodi anteguerra saresti ancora all'aeroporto Charles de Gaulle a capire come ritirare i bagagli!”
L'intromissione spostò l'attenzione di entrambi sulla terza presenza che si era palesata alle spalle di Feltsman.
Un ragazzino biondo, esile come una silfide e dall'aria molto scocciata, che sulle prime Yuuri aveva scambiato per una ragazza.
“Non stavi visitando il teatro?”
“Si, il giro turistico è finito e adesso m'è venuta fame, ne avrai per molto?”
“Siamo in un ristorante Yuratchka, ordina quello che vuoi” rispose l'uomo con un sospiro rassegnato.
“Io volevo un hamburger!”
“Niente schifezze, hai una dieta da seguire! Chiedi un tramezzino, senza salsa”
“Yavol herr kommandant!”
Yuuri si sentì gelare il sangue nelle vene a vedergli fare il saluto militare, ma il maestro Feltsman doveva essere abituato a certe uscite, perché la liquidò con un'alzata di spalle.
“È in piena ribellione adolescenziale, non farci caso” disse poi rivolgendosi al giapponese dopo aver notato la sua aria scandalizzata.
“Se gli dai corda è finita. Temo che l'era degli allievi diligenti e disciplinati sia terminata con Vitya. Lui...” disse indicando il piccoletto che si allontanava verso le cucine “è tanto dotato quanto impossibile da gestire”
Yuuri bisbigliò un flebile “Immagino” poi si armò di coraggio e aggiunse “Ancora non mi ha detto il motivo della sua visita”
“Giusto: te la farò breve...”
Oh, no... Stava per attaccare una nuova, interminabile filippica esplicativa.



“So che sei in contatto con Vitya”
L'interlocutore saltò sulla sedia, come se fosse diventata rovente “Eh? I-io non capisco! C-ci deve essere un equivoco, l'hanno informata male...”
“Non provare a fare il finto tonto con me!” sbraitò l'uomo nella sala vuota, facendo voltare anche il biondino, intento a divorare il suo sandwich, rigorosamente farcito di salse, seduto al bancone del bar.
Yuuri sgranò gli occhi e andò in apnea, tenendosi ancorato ai braccioli per non scappare; il maestro Feltsman aveva fama di essere burbero e inflessibile, però sentirlo urlare dal vivo era un'altra storia.
“Sono io che gestisco la contabilità di Victor, a me arrivano regolarmente tutte le copie di spese e fatture: so che ha acquistato una proprietà qui a Parigi, la sta ristrutturando e ha mandato diversi pacchi ad un certo indirizzo: il tuo. Perciò non provare a mentirmi o la tua carriera nel mondo della lirica finirà ancor prima di cominciare!”
L'interpellato sbiancò.
“L-lei mi sta... Minacciando forse?” chiese con un filo di voce strozzato dalla paura.
“Togli il forse!”
“Non può venire qui e minacciare le persone, magari in Russia funziona così...” provò ad argomentare Yuuri sotto lo sguardo intimidatorio dell'uomo.
Era più basso e corpulento di lui, era anche più vecchio, ma uno scapaccione restava uno scapaccione e lui non poteva permettersi di restituirlo con gli interessi, picchiando una persona anziana, nonché il maestro di Victor e uno dei più stimati professionisti del mondo della lirica!
“Posso eccome se ci sono in ballo la salute e la sicurezza di Vitya, poppante!” diede una manata sul tavolo facendo sussultare le raffinate porcellane poi prese un lungo respiro e sembrò calmarsi “Temo che tu non abbia chiara la situazione; Victor non sta bene, saprai già dell'incidente e di come sia sparito improvvisamente di scena”
Yuuri annuì prudente, l'istinto gli suggeriva di ascoltare molto e parlare poco.
Gli suggeriva inoltre di proteggere il segreto di Victor, almeno fino a quando non avesse saputo di più di tutta la faccenda.
“Sai anche che è rimasto sfigurato?”

Domanda trabocchetto: pensa Yuuri, pensa!

“Ecco... Io... Lo sospettavo... Da... Da quello che hanno detto i media”
Il russo parve convinto della sua risposta e proseguì il discorso “In realtà il problema è molto più grave. L'incidente lo ha cambiato. Ha avuto un crollo psicologico, non riusciva più ad accettarsi e quando gli interventi di chirurgia plastica a cui si è sottoposto non hanno avuto gli esiti sperati è scappato dalla clinica svizzera dov'era in convalescenza facendo perdere ogni traccia.”
Il giovane giapponese lo ascoltava in silenzio col fiato sospeso e gli occhi sgranati.
Era all'oscuro di questa parte della storia e il racconto di Feltsman meritava un ulteriore approfondimento.
“Fortunatamente a Vitya manca del tutto il senso del denaro, spende e spande senza preoccuparsi di coprire le sue tracce e dopo due settimane da incubo senza notizie, sono arrivati i primi estratti conto. Ho ricostruito i suoi spostamenti: ha soggiornato in Italia per un po', poi si è spostato in Francia, prima in Provenza e poi a Parigi e qui ha cominciato a inviare dei pacchi al tuo indirizzo pagandoli con la carta di credito. È in questo modo che siamo riusciti a rintracciarti. Non so che genere di relazione tu abbia con Vitya...” Yuuri non poté impedirsi di arrossire a quelle parole fissando lo sguardo sull'orlo ricamato della tovaglia di lino “E in fondo non sono affari miei, ma lui, lui dannazione si, è affare mio. L'ho allevato io in pratica, dall'età di otto anni, gli ho soffiato il naso, l'ho curato quando aveva la febbre, controllavo i suoi compiti. C'ero io alla cerimonia di diploma del Conservatorio e al suo primo debutto importante. E c'ero ancora io insieme a lui a leggere le recensioni entusiaste degli spettacoli e le critiche maligne al suo stile di vita troppo... Disinibito. Ero io a pagare i fotografi, perché gli stessero lontano e a depistare i più agguerriti che non ne volevano sapere di lasciarlo in pace. Perciò ragazzo, se pensi che non abbia il diritto di essere qui a cercare sue notizie e a tentare di riportarlo a casa, beh ti sbagli di grosso”
“Lei... Vuole che torni a casa... In Russia?” chiese Yuuri sorpreso.
“Si, dove potrebbe essere seguito da psicologi e medici specializzati” annuì l'uomo convinto.
Il suo interlocutore non poté nascondere la sorpresa e anche l'indignazione che la notizia gli aveva procurato; a sentire il maestro Feltsman Victor era incapace di intendere e volere, o quantomeno faticava a distinguere la realtà dal suo mondo immaginario.
Lo scenario più probabile era con lui ricoverato in una di quelle cliniche lussuose per ricchi depressi imbottito di psicofarmaci e ridotto all'ombra di sé stesso.
Yakov aveva colto il conflitto interiore in corso nell'animo del giapponese e si affrettò a rassicurarlo: no, non c'erano secondi fini, lui amministrava già legalmente il suo patrimonio e no, lui aveva sempre insistito affinché il suo allievo tornasse a cantare; magari incidendo dischi, se non se la sentiva di affrontare di nuovo lo sguardo cinico e impietoso del pubblico.

“Perché queste cose che sta dicendo a me non le dice a Victor, di persona” la frase uscì dalle labbra di Yuuri come un bisbiglio.
Il russo sospirò, le sue spalle persero la fierezza della postura e all'improvviso si rivelò ai suoi occhi come una persona stanca e provata “Perché lo conosco abbastanza per sapere che si darebbe alla fuga il giorno stesso. Le mie argomentazioni non fanno più presa su di lui ormai, ma tu... Tu hai suscitato il suo interesse. Forse perché in apparenza niente vi accomuna; sei un tenore esordiente che ancora fatica a trovare la sua identità e il suo spazio... Lui è stato acclamato fin da subito come un giovane prodigio”
“I- i paragoni impietosi sono un omaggio della casa?” chiese il giapponese offeso dal giudizio tagliente del russo.
Sapeva anche da solo che tra lui e Victor c'era un abisso, ma non era disposto a cedere a buon mercato quel po' di autostima che gli rimaneva.
“È solo una constatazione oggettiva, ho fatto delle ricerche su di te, mi sono informato prima di venire qui e sai cos'ho trovato?”
Yuuri inarcò un sopracciglio.
“Niente che fosse degno di nota. A parte la tua sostituzione nella Tosca. Sai, a volte mi piacerebbe poter credere alle coincidenze, ma l'esperienza mi ha dimostrato che non esistono: tu che esordisci nel tuo primo spettacolo importante nella Tosca, Victor che con l'incidente nella Tosca ha interrotto la sua carriera... Come la chiameresti tu?”
“Una... Coincidenza?”
Il maestro socchiuse le palpebre appuntando lo sguardo sull'interpellato, già pronto ad un altro terribile scoppio di collera.
Che però non giunse mai.
“Parla con Vitya. Per il suo bene e anche per il tuo. Persone come lui non hanno... Moderazione o giudizio quando si tratta di sentimenti; riescono a ferire in modo crudele anche gli affetti più cari e spesso lo fanno armati delle migliori intenzioni. Per quel ragazzo tutto è come nell'Opera: enfatizzato, esagerato, eccessivo e ora che è stato privato del suo palcoscenico sta cercando nuovi modi di sfogare la sua perenne insoddisfazione. Si è interessato a te, ma domani potrebbe essere preso da qualcos'altro e in men che non si dica ti ritroverai solo, in un letto freddo, con l'amarezza e il rimpianto a farti compagnia ”
La sicurezza e la durezza con cui l'uomo ne parlava lasciava supporre che Victor avesse già dato prova di questa incostanza e che lui lo conoscesse bene.



Yakov e il suo pestifero allievo sarebbero rimasti qualche altro giorno a Parigi, l'uomo avrebbe aspettato una risposta o comunque delle notizie attendibili sulle condizioni di Victor.
Yuuri non gli aveva promesso niente di preciso, ma non aveva saputo dirgli di no.
Al di là dei modi aggressivi e scostanti aveva intuito una reale preoccupazione per la salute fisica e mentale del suo allievo.
Tuttavia questo metteva il giovane tenore in una situazione davvero scomoda, perché adesso diventavano due le cose da comunicare a Victor, ed entrambe comportavano delle reazioni potenzialmente spiacevoli da parte del bizzoso maestro.
L'evento del Quattordici Luglio è ancora lontano, possono succedere molte cose nel frattempo, magari i Giacometti cambieranno idea su di me strada facendo... Pensava mentre apriva il portoncino della casa di Rue de Minimes.
Forse prima dovrei accennargli della visita di Feltsman... Però in questo modo saprà che è in contatto con me e se... Si spaventasse e scappasse come ha detto lui io riuscirei a rintracciarlo dopo? È difficile trovare un fantasma se non è lui a volersi mostrare...

Le sue congetture furono interrotte da una serie di tonfi diseguali provenienti dal piano di sopra, qualcuno stava scendendo le scale a precipizio e subito dopo quel qualcuno lo travolse in un abbraccio irruento spingendolo all'angolo del pianerottolo.
“Yuuri! Sei arrivato!”
“S-si!”
“Ero in pensiero!”
“Perché? Avevamo detto per le diciannove!”
“Si... E sono le diciannove e dieci minuti...”
“Gomen Victor...! Ma sono solo dieci minuti!”
“I giapponesi non sono mai in ritardo!”
“Quelli sono i treni, mi hai scambiato per un treno forse?”
Il russo ridacchiò e borbottò qualcosa d'intellegibile stringendolo a sé.
Solo in quell'istante Yuuri si accorse di una protuberanza sospetta premuta contro il suo bacino e realizzò che il bizzarro soggetto era di nuovo in tenuta adamitica...
“Chikushou!” esclamò scandalizzato “S-sei nudo!”
“Eh-eh! Volevo ottimizzare i tempi visto che eri in ritardo...” trillava l'uomo strofinandosi su di lui, del tutto incurante di provocargli un imbarazzante risveglio delle parti basse.
“Prenderai freddo!” provò ad argomentare, senza riuscire a scollarselo di dosso.
“Adesso ci sei tu a scaldarmi! Mi scaldi Yuuri?”
Gli rispose un sospiro sconfitto; i suoi buoni propositi erano appena stati accantonati a favore di altre più importanti priorità.
Domani.
Domani affronteremo il discorso.
Come due persone adulte...
Ok...
Come un adulto e un adolescente scatenato...

Rettificò quando il russo se lo caricò sulle spalle e intonando la Marsigliese si diresse a passo di marcia verso la camera da letto.


Fine Nona Parte


† La voce della coscienza †

Dalla Russia con ammmòre... Si fa per dire ^^
Di tutte le visite che poteva ricevere, quella del maestro Feltsman è sicuramente la più inaspettata e quella destinata a metterlo maggiormente in difficoltà, perché Yakov (accompagnato da un ferocissimo allievo in piena ribellione adolescenziale... Che fa Plisetsky di cognome X°D) gli spiattella chiaro e tondo come stanno le cose, poi, dimostrando di conoscere bene Vitya, lo mette in guardia sui pericoli derivanti dalla sua precaria salute mentale.
Yuuri prende le sue parole con la dovuta cautela promettendo di adoperarsi per parlare a Victor, ma presto, molto presto avrà modo di constatare quanto i discorsi del maestro Feltsman fossero premonitori!
Nel prossimo capitolo preparatevi a razioni di angst e a qualche colpo basso °-°

Questo è il brano che da il titolo al capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=oD4bOueOejA



Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Su, crudeli, e chi v'arresta? Scritto è in cielo il mio dolor! ***


banner

Su, crudeli, e chi v'arresta?
Scritto è in cielo il mio dolor!
Su, venite, ell' è una festa;
sparsa l'ara sia di fior.
Già la tomba a me s'appresta;
ricoperta in nefra vel sia la trista fidanzata,
che reietta, disperata, non avrà perdono in ciel.
Maledetta, disperata, non avrà perdono in ciel.

La Favorita – Gaetano Donizetti

Su, crudeli, e chi v'arresta?
Scritto è in cielo il mio dolor!


La finestra inquadrava uno spicchio di cielo color lapislazzuli; la primavera era ormai nell'aria e ingentiliva i balconi e le finestre delle case dirimpetto riempiendoli di piante e fiori.
Parigi sapeva essere molto generosa con gli innamorati, regalando loro romantici scorci di tetti, luci e stelle come quello che stava contemplando adesso dalla camera da letto.
Yuuri sospirò appagato e le braccia dell'amante si strinsero appena attorno al suo petto.
Alla fine non ne avevano discusso il giorno dopo, né quello successivo o l'altro ancora.
Victor lo aveva travolto, in pochi giorni aveva preso e trasformato la loro relazione in qualcosa di totalizzante.
Adesso erano oltre il rapporto Maestro e Allievo, di pupillo e Pigmalione, erano più che amanti e Yuuri si era sentito in diritto di godere almeno per qualche tempo di quella felicità, che mai aveva provato, se non cantando.
La sua arte ne aveva beneficiato; la sua vita ne aveva beneficiato.
Il Direttore del Coro non riusciva più a trovare un solo difetto nelle sue prestazioni e si era rassegnato a scaricare le tensioni matrimoniali su altri malcapitati.
Phichit dal canto suo vedeva l'amico sotto una luce completamente nuova: ora sprizzava gioia e voglia di fare e aveva dedotto che l'unico in grado di compiere un simile miracolo fosse stato il misterioso maestro.
Ma quando si era avventurato a chiedere del loro rapporto aveva ottenuto solo una parca conferma al fatto che fosse migliorato e che adesso riuscivano ad intendersi molto meglio.
Il giovane thailandese, piuttosto sveglio su certe cose, aveva intuito che c'era qualcosa sotto, anche perché Yuuri si fermava sempre più spesso dall'insegnante, fino a tarda ora e quando aveva provato a seguirlo di nuovo lo aveva visto sparire dentro un portoncino di una casa in una strada del Marais.
Il fatto davvero singolare è che lui aveva le chiavi!
In attesa di ulteriori indagini o che Yuuri si decidesse a vuotare il sacco doveva accontentarsi del suo innegabile miglioramento d'umore.
“Victor?” chiese piano.
Il suo nome aleggiò nella penombra azzurra in cui la stanza era avvolta.
Il russo era tanto creativo a letto, quanto restio a mostrarsi alla luce e Yuuri gli stava lasciando i suoi tempi; forse un giorno avrebbe smesso di dare importanza a quelle dannate cicatrici, forse un giorno l'avrebbe preso per mano e sarebbero usciti, avrebbero passeggiato sugli Champs Elysees, avrebbero fatto shopping e visitato insieme il Louvre o Notre Dame.
Senza maschere o travestimenti.
L'amore stava curando la sua vita, perché per Victor non poteva essere altrettanto?
“Mh?” un fruscio di lenzuola sottolineò che l'uomo era sveglio.
“Ho una bella notizia... E volevo condividerla con te”
“Oh... Il Direttore del Coro ha finalmente divorziato da quella strega di sua moglie?”
Yuuri ridacchiò.
“No, no”
“Allora qualcuno ha fatto la festa a Giacometti? Tuttavia dubito che a lui dispiacerebbe...”
“Eh?... Ecco... Si, in un certo senso c'entra Giacometti... Suo padre più che altro”
Victor a quel punto era completamente sveglio, si era girato sul fianco e lo studiava preoccupato.
Yuuri vedeva i suoi occhi chiari scintillare nell'oscurità come quelli dei gatti.
“H-ho detto che è una bella notizia!”
“Sono curioso” fu la replica concisa.
“Saprai sicuramente degli eventi in cartellone per la settimana del Quattordici Luglio...” iniziò il giovane tenore prendendola alla lontana.
"Ti hanno riconfermato nel coro?" chiese il russo.
"N-no... È qualcosa di diverso... Più... Impegnativo"
L'uomo inarcò un sopracciglio, però attese che terminasse il discorso, anche se Yuuri sembrava in palese difficoltà.



"I-il Direttore mi ha... Chiesto di esibirmi come solista durante il Concerto di Gala"
"No..."
"Sono solo tre brani..."
"No"
"E un duetto..."
"Ho detto no!"
"Victor!"
"Quei maledetti... Dilettanti!" esplose l'altro dopo il crescendo di negazioni. Abbandonò il letto e si rifugiò accanto alla finestra sotto lo sguardo esterrefatto del giapponese "Vogliono dirigere l'Opera con lo stesso piglio che userebbero per una fabbrica di conserve!"
" È un evento importante! Ci saranno il Presidente della Repubblica e sua moglie!"
"Oh, ma davvero?"
" È anche un'iniziativa benefica!"
"Si? Sai quanto gliene importa ai tuoi Giacometti del Presidente e delle cause nobili? Quello che conta davvero è che ci siano i papaveri della finanza e qualche politico disposto a farsi ungere gli ingranaggi e ad allentare i cordoni della borsa, il resto è tutta vetrina a beneficio degli ingenui!"
Yuuri lo vedeva percorrere a passi furiosi il breve tragitto tra la porta e la finestra; temeva che l'avrebbe presa male, ma la sua reazione collerica superava di gran lunga le previsioni!
"È un'opportunità... Per me" mormorò arrestando finalmente lo snervante moto perpetuo del suo maestro, che incrociò le braccia al petto guardandolo di sottecchi "Potrei farmi conoscere ad un pubblico più vasto..."
"Una massa di cialtroni incompetenti vorrai dire!" esclamò dando di nuovo in escandescenze "Pensi che a loro importi qualcosa delle tue qualità vocali? Che resteranno estasiati e se ne andranno arricchiti nell'animo e con le orecchie colme di meraviglia?"
"F-forse sarebbe pretendere troppo, ma... La televisione... La Diretta..."
"Ti sto educando per... Per questo? Per cantare in televisione come un pappagallino ammaestrato? Per avere qualche follower in più sui tuoi profili social? È il massimo a cui ambisci?"
"Victor così mi offendi"
La risposta dell'interpellato arrivò a stretto giro.
"Gli unici che insultano le tue doti sono il Direttore e quel depravato di suo figlio!" esclamò "Voglio sono abbagliarti con un po' di glamour e di celebrità effimera! Perché non ti offrono un contratto per la prossima stagione lirica? Perché lo hanno già offerto a Jean Jeaques Leroy!"
"T-tu come fai a saperlo..." mormorò sorpreso.
Era una notizia riservata, tenuta al riparo da possibili indiscrezioni giornalistiche, ma la soluzione era piuttosto ovvia, Victor conosceva il teatro come le sue tasche, poteva aver origliato i discorsi del Direttore da uno dei suoi passaggi segreti.
"Non hanno bisogno di una voce nuova" ripartì a testa bassa il russo "Non si arrischieranno ad investire su uno sconosciuto per tutta la stagione, ma un concerto di un paio d'ore è un gioco che può valere la candela e Christophe Giacometti ne approfitterà per farsi bello ai tuoi occhi!"
"Stai insinuando che vuole sedurmi comprandomi in cambio di un po' di popolarità? è questo che pensi?" la pazienza e la tolleranza del giapponese erano ormai a livello di guardia; non se ne sarebbe stato nell'angolino a subire i rimproveri del maestro come un allievo disubbidiente. Si alzò e affrontò Victor raggiungendolo sotto l'arco della finestra "Puoi pensare tutto il male possibile di Giacometti, però non ti azzardare a farlo con me! Credi che mi venderei per così poco?"
"Dimostramelo"
"Cosa?"
"Dimostrami che oltre ad una bella voce hai una spina dorsale Yuuri, rifiuta quella proposta. Sei giovane, hai decine di occasioni davanti, hai la possibilità di cantare in grosse produzioni, su palchi prestigiosi, forse non sarà l'Operà, magari saranno il Metropolitan, o la Scala!" Victor mise le mani sulle sue spalle e lo attirò a sé abbracciandolo con forza, quasi con disperazione "Sto cercando di trasmetterti tutto quello che ho imparato, le mie esperienze, i trucchi del mestiere, non per vederti cantare in qualche concerto e poi magari finire a fare il giudice in uno show televisivo! Tu hai le doti per diventare un grande cantante lirico, di quelli che un giorno la gente additerà come un maestro!"
"E se l'occasione giusta non arrivasse mai?" chiese il giovane in un flebile mormorio, a malapena percepibile nel rumore prodotto dai loro cuori in tumulto "Se il momento giusto fosse adesso e poi non si ripresentasse più, cosa dovrei fare Victor? Nascondermi? Vivere nell'ombra come fai tu?"
“Ora sei tu che mi offendi”
La voce del russo arrivò dopo una profonda pausa di silenzio e fu come un soffio gelido nell'aria immobile della stanza; l'uomo sciolse le braccia e le lasciò cadere inerti lungo i fianchi allontanandosi da lui fino ad appoggiarsi alla parete retrostante da dove rimase a fissarlo con un'espressione che Yuuri non riuscì ad interpretare.
Almeno finché i trascorsi del celebre tenore non gli vennero in aiuto.
Poteva esserci solo una spiegazione al suo atteggiamento di rabbioso rifiuto: Victor era geloso.
Geloso dell'opportunità che gli era stata offerta, della visibilità di cui avrebbe goduto durante il concerto.
Per una persona abituata a stare sotto i riflettori, ad avere una vita mondana tanto frenetica, il passare dalla luce all'oscurità era stato traumatico e non riusciva ad accettare che il suo allievo, un emerito signor Nessuno, potesse salire alla ribalta al posto suo.
A questo si aggiungeva la paura di perderlo; che qualcuno gli offrisse un ingaggio allettante portandolo lontano da lui.
Lo voleva vicino, anche a costo di tenerlo per sempre nell'oscurità.
Adesso che poteva vederlo davvero nella sua fragilità acquistavano un senso le parole del maestro Feltsman: Victor pensava, agiva e reagiva come il personaggio di un'Opera: in modo drammatico,esagerato, eccessivo.



“Hai detto che mi stai preparando a cantare in produzioni di alto livello; adesso spiegami: quando pensi che sarò pronto al debutto? Ad un qualsiasi debutto!”
“Vuoi una data? Una scadenza? Lo sai che noi continuiamo a perfezionarci durante tutta la carriera!” esclamò di rimando l'interpellato “Io desidero solo che tu non faccia i miei stessi errori, io mi sono venduto a questi... Eventi! E cosa ne ho ricavato? Solo un oblio più veloce!”
“Quindi si tratta sempre di Victor Nikiforov in definitiva!” scattò il giapponese con foga “O si fa come vuole la Prima Donna della Compagnia o niente! Voglio il mio diritto a provare e a sbagliare, voglio avere la mia occasione, tu le hai avute e se le hai sprecate o le rimpiangi mi dispiace molto, però non puoi obbligarmi a morire nell'anonimato con te!”
“Quei cialtroni e le loro lusinghe hanno offuscato la tua capacità di giudizio!” ringhiò il russo, la collera deformava i suoi lineamenti già provati, trasformandoli in una maschera di odio e rancore che spaventò Yuuri costringendolo a retrocedere “Tu non sei pronto per tutto questo!”
"P-pensi che sia un debole? Che non sappia reggere lo stress? Tu? Che te ne stai rinchiuso qui come un animale nella tana? Che ti sposti nei cunicoli e nelle fognature, spii in segreto le vite degli altri ed eviti chiunque? La definisci sprezzantemente misantropia, puoi chiamarla come ti pare, ma la tua è solo paura!"
A quel punto la discussione si era spinta troppo in là perché uno dei due avesse voglia di fare un passo indietro.
Il pugno di Victor impattò sulla mascella di Yuuri segnando l'apice e la conclusione dell'alterco.
Il giapponese, che non si aspetta niente del genere, non ebbe il tempo di accennare ad una reazione, perse l'equilibrio, barcollò e ricadde sul letto sfatto, con un'espressione stupita e disorientata dipinta sul viso.
L'adrenalina e lo shock gli impedivano di provare dolore, di valutare se il colpo aveva prodotto danni e se questi sarebbero stati visibili l'indomani.
Riusciva solo a pensare che il suo amante, il suo maestro, il modello da cui traeva ispirazione lo aveva colpito a tradimento, quando la verità delle sue parole lo aveva ferito.
"Quindi è così?" chiese massaggiandosi la mascella indolenzita, mentre Victor scuoteva piano la testa; egli stesso era incredulo e inorridito da quel gesto "Quando ti trovi a corto di argomentazioni la violenza è una buona alternativa...”
"No Yuuri no... Io non..."
"Non.Ti.Avvicinare!" lo ammonì vedendolo muoversi nella sua direzione, forse intenzionato a rimediare in qualche modo "Non azzardarti!"
La voce del giovane mostrava i cedimenti nervosi di un pianto imminente e il russo si fermò a pochi passi da lui accucciandosi sul pavimento nell'atteggiamento pentito del bambino che sapeva di averla combinata grossa.
"Yuuri... Per favore... No! No! Dove vai!?" esclamò spaventato quando lo vide alzarsi e raccattare in fretta i suoi vestiti, nell'intento neppure troppo velato di andarsene "Io non volevo!"
"Feltsman aveva ragione!" lo interruppe l'altro e a sentir pronunciare quel nome gli occhi di Victor si sgranarono in una muta meraviglia "Stai perdendo il contatto con la realtà, pensi che la tua vita sia come un Libretto operistico, ma quel che è peggio lo pensi anche delle vite degli altri, inclusa la mia!"
"Yakov... È stato qui? Hai... Parlato con lui? Quando..."
“Non ha importanza!” proruppe Yuuri esasperato “Ma dovresti seguire il suo consiglio e smetterla di giocare all'artista decadente! Torna in Russia da lui e prova a costruirti una vita... Normale! Io non sono in grado di aiutarti come speravo, mi dispiace Victor...”
“Yuuri...”
“Mi dispiace...”
Fu tutto quello che riuscì ad ottenere dal giapponese, che imboccò il corridoio e scese frettolosamente i gradini, senza nemmeno infilarsi la giacca.
“Yuuri!” di nuovo il suo nome pronunciato con un intonazione ben più disperata lo costrinse a fermarsi nell'ingresso e ad alzare lo sguardo verso le scale: il russo si era affacciato dalla ringhiera del primo piano e lo stava implorando di non andarsene.
In altre circostanze avrebbe gettato le sue cose a terra e sarebbe corso ad asciugargli le lacrime, a rassicurarlo, a consolarlo, a dirgli che mai e poi mai lo avrebbe abbandonato.
E l'impulso a farlo c'era ancora.
Su quella scala stava lasciando una persona fragile, ferita, spaventata e probabilmente anche una buona fetta della sua felicità.
Perciò non fu tanto il pulsare doloroso della mascella a spingerlo invece verso il portone di casa, quanto le parole del maestro Felstman, che continuavano a tormentarlo: Victor riusciva a fare del male alle persone che amava nonostante fosse armato delle migliori intenzioni.
Quella discussione ne era la prova lampante: Victor aveva deciso che non poteva volare più in alto di lui e lo costringeva a scegliere tra l'amore e la carriera; cosa ne sarebbe stato della loro relazione se avesse ceduto la prima volta?
Scoprì di non essere pronto a rispondere a quella domanda.


Fine Undicesima Parte


† La voce della coscienza †

Ohi-Ohi, la frittata è fatta!
Yuuri alla fine si è deciso a raccontare a Victor del concerto e il russo l'ha presa malissimo, innescando a sua volta la risposta del giapponesino, che si è sentito sminuito e, peggio ancora, ha creduto che Victor lo volesse di proposito tenere nell'ombra per una sorta di malsana gelosia.
Scoprirà a breve che il suo giudizio è stato quantomeno frettoloso, ma nel frattempo che farà Victor dopo aver troncato col suo allievo in questo modo drammatico e violento?
E soprattutto cosa farà quel provolone di Giacometti adesso che ha campo libero?
Un po' di risposte arriveranno nei prossimi due capitoli, tenetevi vicino il tè freddo e il ventaglio scaccia ansia!

Questo è il brano che da il titolo al capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=9rsqC08GXDA



Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Vesti la giubba ***


banner

Vesti la giubba e la faccia infarina.
La gente paga, e rider vuole qua.
E se Arlecchin t'invola Colombina,
ridi, Pagliaccio... e ognun applaudirà!
Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto;
in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor...
Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto!
Ridi del duol che t'avvelena il cor!

Vesti la Giubba – Atto Primo de I Pagliacci – Leoncavallo

Vesti la Giubba

Il Direttore del Teatro trovò il giapponese che lo attendeva fuori dall'ufficio ad un orario improponibile.
Era arrivato addirittura prima della sua segretaria e aveva l'aria pesta e stropicciata di qualcuno che aveva passato la notte in bianco.
A fare bagordi o al Pronto Soccorso a giudicare dal vistoso livido violaceo sulla mascella, che il tenore tentava senza troppo successo di nascondere con la sciarpa e che lui finse di non notare.
"Signor Kastuki, così mattiniero... Il Direttore del Coro sarà estasiato" iniziò l'uomo facendogli cenno di accomodarsi, ma Yuuri rimase dov'era, strinse i pugni ed esclamò "Sono venuto a comunicarle che accetto di esibirmi al Gala del Quattordici Luglio!"
"Oh, questa è una magnifica notizia!" una voce squillante li fece voltare entrambi; alle spalle del giovane era apparso Christophe Giacometti "Dobbiamo festeggiare! Hai già fatto colazione?"
"V-veramente io non..." balbettò l'interpellato preso alla sprovvista dal suo entusiasmo.
"Scendiamo al bar, offro io, così potremo discutere dei dettagli. Ti unisci a noi papà?"
"Mi sembra ovvio!"
Yuuri si trovò intrappolato tra i due svizzeri che lo scortarono di sotto e in un certo senso gli fu grato del fitto cicaleccio col quale lo stordirono a tavola, perché gli impediva di pensare, di fermarsi a riflettere sulle conseguenze del suo gesto e di levarsi dalla mente l'immagine di un Victor in lacrime aggrappato al corrimano delle scale che lo supplicava di rimanere.
Una volta in strada aveva deciso di non tornare a casa e aveva vagato fino all'alba per le viuzze del Marais ancora deserte.
Si era seduto su una panchina di Place de Vosges e aveva atteso che il cielo scolorisse in una pallida sfumatura grigio-rosata prima di dirigersi all'Opera.
Una piccola parte di lui aveva sperato che in quel lasso di tempo Victor lo avesse cercato, trovato e convinto a tornare; era la parte romantica, ingenua e fiduciosa che aveva custodito gelosamente fin da piccolo, determinato a donarla solo ad una persona speciale.
Ma il dolore al mento gli aveva ricordato che non era Victor quella persona.
Appoggiarsi a lui era come pretendere che uno storpio accompagnasse un cieco; era pieno di dubbi, di insicurezze e paure, in quale modo pretendeva di aiutare una persona spezzata, piena di rancore e rabbia?
Doveva mettere da parte ciò che provava o credeva di provare nei suoi confronti: amore, devozione, desiderio e zittire la voce interiore che lo accusava di essere uno schifoso egoista, uno che si era approfittato di lui, delle sue debolezze e al primo accenno di difficoltà sceglieva di scappare, comportandosi da vigliacco.
Non stava abbandonando un cucciolo ai margini della tangenziale.
Lo faceva solo per il suo bene.
Per quello di entrambi.
Molto meglio prima che poi.
Troncare subito avrebbe lasciato strascichi meno dolorosi.
Tornare dal maestro Feltsman era senza dubbio la soluzione giusta.
Lo avrebbe aiutato e magari un giorno... Forse...
Si sarebbero ritrovati in circostanze migliori.
Doveva convincersi.
Doveva aggrapparsi a questa idea e provare a volare con le sue ali; se fosse caduto, perché erano ancora troppo fragili, pazienza, si sarebbe rialzato e avrebbe tentato di nuovo.
Rimanere nel nido, come voleva Victor, equivaleva a morire di fame.



Nei giorni successivi con l'attenuarsi dell'ematoma anche la determinazione di rimanere arrabbiato ad oltranza col russo andò scemando; Yuuri provò ancora ad indignarsi, a rammentare cos'era successo l'ultima volta che si erano visti, ma la collera aveva esaurito la sua spinta e sentiva dentro solo un grande vuoto.
“Yuuri è arrivato il taxi!”
Phichit si affacciò dalla porta del bagno ed emise un breve fischio di apprezzamento, l'amico era intento a dare gli ultimi ritocchi al suo smoking e senza occhiali, coi capelli pettinati all'indietro sembrava un figurino.
“Grazie, scendo subito”
“Dove ti porta di bello Monsieur Giacometti stasera?”
“Phichit! Non è un'uscita di piacere!” esclamò il giovane giapponese rosso in viso.
“Beh... Qualunque posto contempli un ricco buffet, musica e champagne è un'uscita di piacere...” ammiccò l'altro facendolo arrossire ancora di più.
“È una cena di lavoro... Tanti convenevoli, molte strette di mano e poco da mangiare” bofonchiò in tutta risposta Yuuri, che prese la giacca e nell'uscire evitò d'incrociare il suo sguardo.
Era ben consapevole infatti che negli occhi scuri del thailandese c'era una domanda inespressa riguardante il suo Maestro.
Quello che dall'oggi al domani era stato messo da parte a favore di appuntamenti, cockatils, vernissage, quello di cui all'improvviso non si parlava più, se non con vaghi cenni all'impossibilità di seguire le sue lezioni per mancanza di tempo.
Phichit aveva deciso di tacere, ma aveva preso atto che l'improvviso silenzio dietro cui si trincerava l'amico si accompagnava al suo drastico cambiamento d'umore e non serviva Sherlock Holmes per capire che la causa era la rottura del rapporto col misterioso insegnante.



“Sei stanco mon cher?”
“N-no!”
“La serata è noiosa?”
“Affatto!”
“Strano... Allora perché stai cercando di mimetizzarti tra le piante di Ficus Beniamino?”
Yuuri emise un leggero sospirò e uscì dal suo nascondiglio dove contava di passare inosservato fino all'ora di andare via.
Christophe Giacometti gli rivolse uno dei suoi sorrisi smaglianti e gli circondò le spalle col braccio invitandolo a seguirlo, la figlia zitella dell'industriale tal dei tali, appassionata di lirica, voleva assolutamente conoscerlo e loro erano lì per fare un po' di public relations per il Teatro dopotutto... Yuuri faceva buon viso a cattivo gioco, quelle serate mondane lo mettevano a disagio, specie se finiva al centro dell'attenzione e gli veniva chiesto di cantare, magari accompagnato dal pianista di turno ingaggiato per l'occasione.
Le prime volte aveva provato a declinare, ma Christophe gli aveva fatto capire che era un piccolo prezzo da pagare per accedere a quel mondo esclusivo ed avere l'attenzione delle persone giuste.
A sua lode andava detto che lo svizzero si stava comportando in maniera impeccabile con lui.
Non aveva più cercato di mettergli la lingua in bocca a tradimento, né di tastare il suo fondoschiena.
Si era limitato ad apprezzarne la ritrovata forma fisica, approvando con vigoroso entusiasmo l'idea della palestra.
Un'idea di Victor, gli rammentò la cattiva coscienza.
Da due settimane non aveva notizie del russo e invece di attenuarsi, come aveva sperato, la sua angoscia cresceva giorno dopo giorno.
Le parole del maestro lo perseguitavano come una maledizione; non era pronto per quello e solo adesso capiva cosa stava cercando di dirgli: vendersi, fare compromessi, mostrare gratitudine a persone sciocche e superficiali avrebbe finito per cambiarlo trasformandolo da aspirante stella del palcoscenico a zerbino da salotti.
Victor aveva visto giusto, parlava per esperienza e lui non aveva voluto ascoltarlo, ma l'orgoglio ferito ancora lo tratteneva dall'andare da lui e scusarsi.



Maggio ormai era agli sgoccioli e una sera, rincasando dal vernissage di un famoso gallerista d'arte, trovò Phichit ad attenderlo in cucina nonostante l'ora tarda.
Anche l'amicizia col giovane thailandese risentiva dei suoi vorticosi impegni mondani; i due a malapena riuscivano ad incrociarsi al mattino e, a causa del ritmo serrato delle prove del coro e dello spettacolo non potevano nemmeno trovarsi in pausa pranzo.
"Cosa fai alzato?" chiese impensierito "Ti senti poco bene?"
"Ti stavo aspettando" rispose l'altro scoccandogli un sorriso "E ne ho approfittato per mettere le gocce nelle orecchie di Goliah, il veterinario ha detto tre o quattro volte al giorno se il prurito diventa fastidioso"
La palla di pelo se ne stava tranquilla in braccio al ragazzo rosicando una mezza carota e il legittimo proprietario nel guardarlo emise un rumoroso sospiro.
"Mi dispiace"
"E di cosa?"
"Di averti scaricato il coniglio e tutte le responsabilità di accudirlo"
"Yuuri! Lo faccio volentieri!" esclamò l'amico "Adoro gli animali e se non avessi studiato come costumista teatrale, avrei fatto veterinaria!"
“Dovrei occuparmene io...” mormorò e prese il piccolo roditore tra le mani, alzando le spalle quando Phichit gli fece notare che avrebbe riempito l'abito scuro di peli.
“Non è un problema, sul serio, poi tu sei così impegnato”
“Già... Impegnato”
“Yuuri... Qualcosa non va?”
“Uhm...” mugugnò vago il giapponese.
“Non mi sembri felice in questo periodo”
“N-no! No! Non fraintendere! È una grande occasione per me, ho conosciuto molte persone importanti!
Christophe dice che saranno utili alla mia carriera!”
“Christophe eh...” il ragazzo dalla pelle ambrata lo squadrò con sufficienza “E il tuo maestro che ne pensa?”
Yuuri incassò il colpo e deglutì.
“Noi... Siamo... Eravamo in disaccordo su questo”
L'amico inarcò un sopracciglio e attese che continuasse il discorso.
“Abbiamo discusso e ci siamo lasciati in malo modo”
Finalmente era riuscito confessarlo e a condividere il peso che si portava dentro da settimane; rotto l'argine il fiume in piena di parole dilagò e Phichit ebbe quei riscontri che aspettava da mesi.
Siete qualcosa di più che maestro e allievo?
Si.
Hai pensato che parlasse in quel modo non per gelosia, ma nel tuo interesse?
Si, maledizione!
Peccato che ci avesse pensato a danno avvenuto, quando ormai era stato risucchiato dalle serate mondane dei Giacometti!
Lo hai più visto o sentito?
No.
“Ah, Yuuri” il suo interlocutore lo guardò scuotendo il capo mestamente. Solo uno come lui riusciva a impelagarsi in certe situazioni senza fare niente in pratica!
“Quindi ti ha dato un pugno...”
“Eh...” l'interpellato annuì e si strinse nelle spalle.
“E tu sei stato lì a prenderle?”
“Cosa?” esclamò il giapponese.
“Si dico... Uno ti da un pugno e tu non reagisci? Dovevi restituirglielo con gli interessi!”
“Phichit!” disse l'altro incredulo “La violenza non è mai una soluzione!”
“Ma a volte una rissa chiarisce molte cose... Sai è una pratica corrente tra esemplari maschi della stessa specie...” ridacchiò il più piccolo, mentre l'amico si passava una mano sulla faccia come a voler cancellare quella terribile visione.
“Vuoi il mio parere?”
Yuuri annuì convinto.
“Dovresti tornare da lui e finire quello che avete cominciato, non importa se lo farete seduti davanti ad una tazza di tè come due gentiluomini inglesi o a terra dopo esservi picchiati di santa ragione, tu devi ascoltare le sue ragioni e lui le tue” Yuuri fece per interromperlo, ma l'altro proseguì imperterrito “Sai è difficile trovare un buon maestro, ma credo sia ancora più difficile trovare un'anima gemella; da quello che mi hai detto ho capito che c'è molto di più del canto e dell'attrazione fisica a legarvi. Lui tiene davvero a te o non ti avrebbe detto quelle cose, ti avrebbe lasciato andare allo sbaraglio senza nemmeno provare a fermarti. E tu invece di valutare le conseguenze lo hai messo da parte in fretta, come uno straccio che non serviva più. Io ti ho visto felice quando andavi da lui, anche se tornavi a casa stravolto dalla stanchezza; invece ora che vai quasi tutte le sere a feste e cene sei sempre triste e preoccupato”



Il giovane giapponese sapeva che ogni singola parola di quel discorso era la pura verità; perciò la sera successiva declinò con gentile fermezza l'ennesimo invito ad un cocktails da parte di Giacometti, adducendo un grave e improvviso impegno personale e si recò in Rue de Minimes, dove non aveva più messo piede da un mese.
Phichit lo aveva motivato e supportato col solito ottimismo, tuttavia Yuuri non riusciva a condividerlo; forse perché conosceva la vera identità del maestro: una persona dall'animo provato e ferito, dalle reazioni imprevedibili.
Lui si era illuso di poterle gestire, ma la verità era che sapeva a malapena gestire sé stesso.
Perciò era andato senza prepararsi discorsi o giustificazioni, avrebbe deciso al momento una volta che fosse stato faccia a faccia con Victor.
Quando infilò la chiave nella serratura del portoncino la sua disposizione d'animo non era delle migliori e somigliava a quella del proverbiale tappo di sughero in balia della tempesta.
Al mancato scatto della serratura aggrottò la fronte perplesso e fece un nuovo tentativo ottenendo il medesimo risultato.
La chiave restava bloccata nel meccanismo e non ruotava più.
Siccome non era spezzata o rotta c'era solo una spiegazione possibile: il padrone di casa aveva cambiato la serratura.
Yuuri si sentì morire.
E sapeva di non averne il diritto.
Era lui ad essersene andato sbattendo la porta.
Victor si era solo premurato che non entrasse di nuovo, magari per sbaglio.
“Victor...” iniziò a bussare piano, poi aumentò la frequenza e l'intensità dei colpi vedendo che non otteneva risposta “Victor apri! Per favore!”
Infierì sul battente d'ottone e si attaccò al campanello; il suono secco e perentorio si riverberò nel silenzio assoluto dell'edificio rafforzando l'idea che in casa non ci fosse nessuno.
Col cuore stretto dall'ansia abbandonò la porta e attraversò la strada, per avere una visione migliore delle finestre che si affacciavano su Rue de Minimes, ma le tende erano abbassate e nessun movimento o luce sospetta balenò dietro ai vetri.
Il giovane rimase appostato sul marciapiedi antistante per un'ora senza che niente accadesse; provò ad inviare messaggi e mail al cellulare di Victor, che risultò staccato e alla fine si arrese all'evidenza: il russo aveva deciso di seguire il suo consiglio, aveva fatto i bagagli ed era tornato dal maestro Feltsman.
Del resto lui avrebbe fatto la stessa cosa trovandosi al suo posto dopo un simile benservito.
O forse aveva semplicemente scelto di sparire, all'improvviso com'era apparso, come il Fantasma a cui si ispirava.
Non lo avrebbe più rivisto.
Quell'improvvisa consapevolezza lo colpì dolorosamente, più del pugno o delle parole di Phichit, aveva perso l'unica persona con cui voleva condividere successi e insuccessi, che lo aveva ispirato fin da ragazzo, che lo aveva fatto sentire vivo, che sapeva tirargli fuori il meglio e il peggio dell'uomo e dell'artista.
Aveva perso l'unica persona che amava.


Fine Dodicesima Parte


† La voce della coscienza †

A botta calda e con l'orgoglio ferito Yuuri cerca disperatamente di convincersi che aver troncato i rapporti con Victor sia stata la scelta migliore per entrambi.
Ma più passa il tempo, più Christophe lo trascina a feste, cene, party, più il nostro giovane tenorino capisce che il maestro non aveva tutti i torti riguardo a quell'ambiente, eppure ostinatamente si rifiuta di ammetterlo.
E' grazie al nostro Master Hamster Phichit e ad una conversazione in notturna con lui che alla fine riesce ad capire i suoi sbagli e a trovare il coraggio di rimediare e tornare a cercare Victor.
Peccato che la bisbetica geisha russa lo abbia chiuso fuori di casa e anzi, sembri proprio svanita nel nulla.
Inutile dire che Yuuri sprofonda nel baratro del dolore e dei sensi colpa e se ne va distrutto.
Sarà così? Il bizzarro soggetto mascherato sarà scomparso dalla vita di Yuuri lasciandolo in pasto allo squalo svizzero?
Il concerto del 14 Luglio si avvicina, il momento della verità anche!
Prendete i vostri binocoli da teatro e i ventagli il prossimo capitolo sarà molto caldo e ricco di colpi di scena! *-*

Questo è il brano che da il titolo al capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=Z0PMq4XGtZ4



Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Una voce poco fa ***


banner

"Io sono docile, son rispettosa, sono ubbidiente, dolce e amorosa, ma se mi toccano, dov'è il mio debole, sarò una vipera sarò. E cento trappole, prima di cedere, saprò giocar saprò giocar"
Una voce poco fa – Don Giovanni - Mozart

Una voce poco fa

“Sono arrivati il Presidente e la Premiere Dame!” annunciò eccitato Phichit entrando in camerino, dove un giapponese particolarmente nervoso tentava di trovare la giusta concentrazione per affrontare al meglio il concerto.
La disposizione d'animo, invece, l'aveva persa nel momento in cui la scomparsa di Victor era diventata un fatto acclarato.
Dopo quella sera era tornato in Rue de Minimes avendo cura di cambiare orari e mezzi di trasporto; era passato davanti all'abitazione di Victor in taxi e in bicicletta; al mattino presto e a tarda notte, ma dalla casa nessuno era entrato o uscito.
Al colmo della disperazione era arrivato ad interrogare i vicini, i quali confermarono che da giorni non si vedevano movimenti al numero diciassette; niente più consegne a domicilio, niente corrieri, niente operai al lavoro nel cantiere del piano terreno.
Contattare il maestro Feltsman era stata l'ultima risorsa a cui attingere. Il giovane tenore la prese molto alla lontana raccontandogli che aveva parlato con Victor e gli aveva consigliato di tornare in Russia.
Yuuri sperava di sentirsi dire che il suo allievo era già con lui, ma Yakov lo aveva ringraziato col solito modo burbero dicendogli che lo avrebbe aspettato e sperava di vederlo presto.
Si concretizzava così l'ipotesi peggiore: Victor era tornato ad essere un fantasma sfuggente, inafferrabile, imprevedibile.
Forse aveva già lasciato Parigi e la Francia diretto chissà dove e l'idea di saperlo alla ventura per il mondo in quelle condizioni faceva aumentare a dismisura il suo senso di colpa.
E sicuramente era a causa di quel senso di colpa che qualche volta, attardandosi ad uscire dal Teatro, aveva avuto la sensazione di essere seguito; era tornato sui suoi passi per tentare di scoprire se effettivamente qualcuno lo stava spiando, ma era riuscito solo a cogliere il sospiro di una porta che si chiudeva e un vago rumore di passi in rapido allontanamento.
Attribuì tutto alla sua paranoia; Cho-cho san non si sarebbe più fatta vedere da quelle parti; almeno non dopo che Christophe gli aveva annunciato di aver implementato il sistema di sorveglianza e di allarme con nuove telecamere sistemate anche nei magazzini sotterranei.



“Ah si?” rispose distratto Yuuri, mentre consultava le partiture dei suoi pezzi.
Le sapeva a memoria, ma il terrore di dimenticare un attacco o una battuta gli faceva maneggiare in maniera compulsiva gli spartiti, ormai ridotti ad un plico spiegazzato e sgualcito.
“Yuuri andrà tutto bene!” il giovane thailandese gli posò una mano sulla spalla facendolo sussultare, di solito il suo entusiasmo era contagioso, però dannazione non era lui a doversi esibire sulla TV nazionale davanti al Presidente francese!
Aveva la gola secca, le palpitazioni e sentiva le gambe molli come gelatina.
Phichit se ne accorse e si offrì di andargli a prendere dell'acqua.
“Vuoi qualcos'altro?”
“S-si una tazza di cicuta o un pugnale rituale per fare seppuku...”
“Farò finta di non aver sentito!” cinguettò il ragazzo e scomparve lasciando il tenore alla sue ambasce.
“Grazie Phichitto-kun...”
“Forse un calice di champagne sarebbe meglio mon cher
Yuuri allungò meccanicamente la mano verso la bottiglietta, poi fu costretto a voltarsi in tutta fretta quando sentì la voce dall'inconfondibile accento francese.
“Christophe? Cosa... Cosa fai dietro le quinte? Pensavo fossi insieme a tuo padre ad accogliere le autorità al palco d'onore...” mormorò sorpreso.
“Oh, mio padre se la cava benissimo da solo coi convenevoli, la mia presenza era molto più utile qui che altrove... Nest-ce pas? Volevo farti gli auguri e portarti un incoraggiamento, immagino che sarai un po' nervoso”
Lo svizzero chiuse la porta a chiave e se la mise in tasca, poi si avvicinò con un sorriso sornione, tuttavia Yuuri era troppo agitato per notarlo, si limitò a sorridergli di rimando e a ringraziarlo, girandosi verso il mobile da toeletta per prendere le lenti a contatto dal suo beauty.
Impresa facile sulla carta, ma con le mani che tremavano il contenitore sterile gli sfuggì insieme ad una colorita parolaccia.
“Sai conosco un rimedio infallibile per allentare la tensione...”
"L'unico rimedio davvero risolutivo sarebbe una botta in testa..." borbottò il giovane che trasalì nel momento in cui le mani dell'uomo si posarono sulle sue spalle stringendole in quello che aveva tutta l'aria di essere un massaggio.
"Christophe!" esclamò lasciando che la sua voce salisse di un'ottava.
"Oh si, sei davvero molto teso" tubò l'interpellato al suo orecchio ignorando il tono allarmato del cantante.
"N-non c'è tempo! Io devo finire di prepararmi! Lo... spettacolo!" farfugliò Yuuri, che nel tentativo di sfuggirgli finì addosso alla porta e si accorse finalmente che era chiusa.
"Cercavi questa?"
La piccola chiave argentata brillò tra le mani dell'uomo e poi sparì nella tasca dello smoking.
"Abbiamo ancora mezzora prima dell'inizio, quindi se tu sarai collaborativo, è un tempo più che sufficiente"
"Che... Stai... Facendo?" chiese scandendo ogni parola "Cos'hai in mente?"
"Non lo hai capito? Oh cher la tua ingenuità è estremamente eccitante!"
“Sei impazzito! Se ti avvicini mi metto a urlare!” esclamò il giovane giapponese schiacciato contro la porta.
“Sul serio? Vuoi che scoppi uno scandalo? Faresti saltare lo spettacolo?” Christophe invece si avvicinò senza dare troppo peso alle sue minacce, mettendosi come un ostacolo insormontabile tra lui e qualsiasi via di fuga “Col Presidente e tutte le autorità già sedute nel palco d'onore e la platea gremita?”
“Phichit tornerà a momenti!”
“Ne dubito, gli ho chiesto di andare a prendere il portasigarette di mio padre in ufficio e di portarglielo”
“Christophe per favore...” la supplica di Yuuri venne zittita dall'indice dello svizzero che si era posato sulle sue labbra.
“Via mon petit rossignol non dirmi che non ti piace... Certe... Inclinazioni le riconosco da lontano. I soggetti candidi poi sono i più depravati una volta che ci hanno preso gusto...”
“Chris...!”
“Ssst!” la mano premette con forza sulla bocca di Yuuri e il sussurro al suo orecchio mutò da un divertito rimprovero ad una sottile minaccia “Dovresti almeno mostrarmi un po' di gratitudine mon cher, per l'occasione che ti ho servito su un piatto d'argento, adesso fa il bravo... Se sarai gentile la tua carriera avrà un futuro luminoso qui all'Opera. So essere molto generoso coi miei protetti. Lo farai per me? Si?”
Il giovane si trovò ad annuire; doveva reagire come gli aveva suggerito Phichit, ma la verità era che la paura lo aveva paralizzato e le argomentazioni di Giacometti erano terribilmente convincenti; se scoppiava uno scandalo il Direttore lo avrebbe cacciato e nessuno sarebbe stato disposto ad offrirgli un ingaggio, perciò lasciò che le labbra di Christophe sfiorassero le sue e le mani liberassero i bottoni del panciotto e della camicia di seta dello smoking insinuandosi sotto il tessuto.
Per lo svizzero si trattava soprattutto di levarsi un capriccio; aveva messo gli occhi su quel timido giapponese fin dal suo arrivo all'Opera e, nonostante vari tentati di approccio, le sue attenzioni erano sempre state rispedite al mittente.
Questo non aveva scoraggiato le sue ambizioni, anzi lo aveva spinto a cercare una soluzione più creativa per farlo cadere in trappola.
E pazienza se suo padre all'inizio si era opposto e non ne voleva sapere di inserire il nome di Yuuri Katsuki nella scaletta dei cantanti, la provvidenziale sostituzione nella Tosca lo aveva convinto a cambiare idea e da lì la strada era stata tutta in discesa.
Dall'alto della considerazione che aveva di sé Christophe era convinto che avrebbe trasformato la riluttanza ostentata da Yuuri in passione e del resto tutti i suoi amanti erano stati più che soddisfatti di lui.
Senza contare che la variante esotica era una novità nel suo catalogo di conquiste, mentre la ritrosia e l'inesperienza erano un afrodisiaco irresistibile e lo spingevano ad osare di più nell'esplorare il suo corpo morbido e arrendevole.



Erano a quel punto solo per colpa sua, a causa della sua ostinazione, aveva ignorato gli avvertimenti di Victor, anzi aveva creduto che fossero dettati dall'invidia e adesso doveva fare i conti col peggiore dei compromessi: vendere il talento non era stato sufficiente, doveva vendere sé stesso.
Ricordò di aver pregato che finisse in fretta o che Phichit tornasse prima del previsto, poi il piccolo camerino piombò nel buio più totale.
Christophe ridacchiò mormorando qualcosa sull'oscurità che rendeva le cose più divertenti, subito prima che dagli spogliatoi attigui e dal corridoio si levassero le prime voci spaventate e le prime imprecazioni degli operai, che costrinsero l'uomo ad abbandonare le sue piacevoli occupazioni.
Quando qualcuno urlò all'attentato la paura si diffuse come un'onda e Giacometti fu costretto in fretta e furia a cercare la chiave, spostò Yuuri, ancora spaventato e confuso, in modo sbrigativo e si precipitò nel corridoio fiocamente illuminato dalle luci di emergenza.
“Che succede? Maledizione ditemi che succede!” urlò per sovrastare il caos che aveva attorno: macchinisti e operai sciamavano impazziti, coristi e orchestrali, a cui nessuno aveva spiegato cosa fare in questi casi, si mettevano in mezzo intralciando il passaggio.
Christophe fermò un anziano caposquadra, ma nemmeno lui aveva informazioni precise; il black out riguardava solo il teatro e aveva spedito tre squadre dei suoi uomini alla ricerca del guasto; quanto a lui era meglio che si presentasse in platea, perché gli spettatori erano in preda al panico e le procedure di evacuazione erano già cominciate.
Lo svizzero non riusciva ad immaginare uno scenario peggiore: le autorità costrette ad allontanarsi, la scorta personale del Presidente in massima allerta, vigilanza e polizia ovunque.
Raggiunse suo padre ondeggiando tra la folla che premeva per uscire, tuttavia non ebbe il tempo di ragionare con lui sul da farsi.
Un occhio di bue si accese come un faro nel buio e illuminò il sipario; davanti al magnifico fondale dipinto un piccolo oggetto scintillò colpito dalla luce fluttuando e ruotando su sé stesso apparentemente sospeso nel nulla.
Non ci volle molto a capire che si trattava di un CD legato ad un filo di nylon.
“Qualcuno prenda quell'affare e me lo porti... Subito!” sbraitò il capo della polizia all'agente più vicino; ma il recupero del disco fu più complicato del previsto dato che, in piena paranoia da terrorismo, poteva essere una trappola preparata ad arte.
Mandarono un artificiere bardato di tutto punto ad esaminare la situazione, mentre la folla cominciava a defluire nel foyer con una parvenza di ordine e solo dopo cinque minuti passati col fiato sospeso il militare diede il via libera e staccò il CD dal filo senza che nulla accadesse.
Nel frattempo qualcuno dietro le quinte aveva recuperato un portatile in cui venne infilato l'oggetto da visionare.
Gli agenti si aspettavano una qualche rivendicazione, un delirante proclama ambientalista o anarchico o magari un eclatante video di propaganda di un misconosciuto gruppo di martiri combattenti.
“Porca puttana...” sibilò il tecnico audio una volta tolte le cuffie, poi accese le casse per condividere la sua scoperta: tra la sorpresa e lo sgomento generale partirono le note di un brano del Don Giovanni di Mozart.
“È uno scherzo?” si chiesero gli astanti.
“Tutto questo dannato puttanaio è successo per... Uno scherzo?” iniziò ad urlare il capo della polizia, poco incline a cogliere l'ironia delle circostanze “Trovatemi il Direttore di questo fottuto teatro! Voglio sapere come funziona il sistema di sorveglianza e perché è stato così facile violarlo!”
Alla task force radunata attorno al tavolo per esaminare il contenuto del disco si era unito anche Christophe Giacometti, che aveva ascoltato la traccia audio e gli strilli del Commissario; pallido di rabbia azzardò una replica “Sono il Vice Direttore e posso assicurarle che il nostro sistema di sorveglianza è efficiente, lo verifichiamo costantemente e...”
“E allora perché non è scattato l'allarme e nei video non si vede nessuno? Chi poteva avere accesso alle impalcature e all'impianto delle luci? Avete un fantasma? Ah! Già! Il famoso fantasma dell'Opera!” lo interruppe con foga l'altro.



Yuuri si affacciò alla zona operativa ancora frastornato trovandovi una situazione surreale: Chris stava prendendo una lavata di capo da un poliziotto che gli urlava di essere un idiota incompetente, mentre in sottofondo si sentivano le note di un'aria del Don Giovanni di Mozart che conosceva bene...
"Io sono docile, son rispettosa, sono ubbidiente, dolce e amorosa, ma se mi toccano, dov'è il mio debole, sarò una vipera sarò. E cento trappole, prima di cedere, saprò giocar saprò giocar"
Il giovane tenore aggrottò la fronte e provò a fare mente locale; nel tragitto dal camerino alle quinte dietro il palcoscenico aveva incontrato Phichit, o meglio: si era scontrato con lui a causa della confusione e del blackout.
L'amico lo aveva informato sommariamente di ciò che stava succedendo e una volta assicuratosi che stava bene tentò di dissuaderlo ad andare di sopra, ma lui non aveva voluto sentire ragioni; quell'incidente aveva qualcosa di strano, qualcosa non gli tornava, così sentendo la musica e il Capo della Polizia parlare di un fantasma il quadro all'improvviso gli fu chiaro: c'era Victor dietro tutto quanto.
Solo lui avrebbe potuto intrufolarsi nei locali tecnici e manomettere gli impianti di illuminazione senza farsi sorprendere dalle telecamere e sempre lui poteva facilmente salire sulle passerelle sospese sopra il palcoscenico e appendere il CD senza lasciare traccia.
E tutto era successo con un tempismo inquietante, proprio quando Christophe lo aveva intrappolato nel camerino.
Questo poteva significare solo una cosa...
Il russo doveva essere ancora lì!
Yuuri sgranò gli occhi e iniziò a guardarsi attorno: nella penombra rischiarata dalle luci di emergenza, dalle torce e da un paio di fotoelettriche dei vigili del fuoco, operai, musicisti e personale del teatro andavano e venivano in un frenetico via-vai, che rendeva difficile distinguerli al suo sguardo miope; tuttavia, ad un certo punto, gli parve di vedere il guizzo di un volto bianco emergere e spiccare nell'oscurità per una frazione di secondo per poi scomparire subito nei recessi del backstage.
Fu l'assoluta mancanza di tratti riconoscibili ad impressionarlo: quel viso candido era una maschera.
“Victor...” mormorò incredulo “Victor aspettami!”
Senza riflettere afferrò una torcia e cominciò a correre in quella direzione, ignorando i richiami di Christophe, che si era accorto di lui e gli intimava di non allontanarsi.

Fine Tredicesima Parte


† La voce della coscienza †

Il sentore che Chris prima o poi sarebbe passato a battere cassa era nell'aria e difatti eccolo puntuale presentarsi alla porta del camerino di Yuuri a mezzora dall'inizio del concerto reclamando quello che gli è dovuto, certo che il giapponesino non potrà rifiutare col rischio di fare scoppiare uno scandalo proprio durante la serata di gala!
Ma mentre la provola svizzera è alle prese col giovane tenore il teatro piomba in un black out totale.
Si pensa ad un attentato, ma col ritrovamento e l'ascolto del CD si capisce che è stata una burla bene architettata per mandare all'aria il concerto.
Solo Yuuri però ha capito chi ne è stato l'artefice e anzi riesce ad individuare la sua maschera bianca confusa nel caos dietro le quinte e senza esitare si getta al suo inseguimento!
Per il prossimo capitolo indossate guantoni, caschetto e paradenti, perché ci sarà un incontro epico tra Svizzera e Russia, una resa dei conti, che Rocky Balboa levate proprio! X°D

Questo è il brano che da il titolo al capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=mDyXqf0at_w



Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Suoni la tromba e intrepido io pugnerò da forte ***


banner

Suoni la tromba e intrepido
Io pugnerò da forte;
Bello è affrontar la morte
Gridando: libertà!
Amor di patria impavido
Mieta i sanguigni allori,
Poi terga i bei sudori
E i pianti la pietà.
Sia voce di terror:
Patria, vittoria, onor.
I Puritani -Vincenzo bellini

Suoni la tromba e intrepido io pugnerò da forte

Quella sera in Rue de Minimes la sua andatura barcollante, quell'asciugarsi stizzito delle lacrime con le maniche della giacca, quasi senza badare ai passanti o ai veicoli in strada che potevano urtarlo, non erano sfuggiti allo sguardo attento di un paio di occhi turchesi appostati dietro le finestre della mansarda.
Victor ne era consapevole: la pazienza premiava sempre.
Non era ancora il momento di riavvicinarsi a Yuuri.
Quanto al tornare in Russia da Yakov, non gli era neppure passato per l'anticamera del cervello.
Ma andava bene che il suo adorabile, testardo allievo lo avesse creduto.
Adesso la cosa più importante era fermare la giostra impazzita su cui era salito; aveva già alcune idee a riguardo e tutte finivano con la reputazione dei Giacometti in rovina.


La voce del giapponese lo costrinse a rallentare la corsa e a rivedere i suoi piani di fuga; Yuuri aveva trovato il modo d'infilarsi nei sotterranei e questo lo metteva automaticamente in pericolo.
La prima volta aveva evitato per un soffio che cadesse nel pozzo di raccolta delle acque e lì sotto c'era un vero e proprio labirinto di tunnel disseminato di simili trappole.
“Victor!” il suo nome si riverberò sopra di lui e si spense in un eco metallica; doveva essere finito nel settore dei locali tecnologici quando lo aveva seguito dal backstage; valutò che poteva raggiungerlo usando l'impianto di aerazione accessibile da una scaletta d'emergenza, ma nel momento in cui ne afferrò le estremità si sentì abbrancare con forza alla vita da qualcuno che lo strappò via da quell'appiglio e lo mandò a sbattere contro il muro.
“Tu! Quindi c'eri tu dietro tutto questo!” ringhiò una voce deformata dalla rabbia “Perché la cosa non mi sorprende?”
“Non sai... che le signore non si toccano nemmeno con un fiore?” lo apostrofò ironico il russo, dopo aver tossito ed essersi messo in guardia; Christophe Giacometti rappresentava pur sempre un avversario di tutto rispetto.
Fils de pute !” inveì lo svizzero “Avrei dovuto strapparti quella maschera a Capodanno!”
"Sei ancora in tempo per provarci... Ammesso che tu ci riesca!"
Christophe non perse tempo a replicare e si gettò addosso al suo rivale; fisicamente si equivalevano, ma mentre il biondo si era temprato in lunghe sessioni di palestra, il gentiluomo mascherato era molto più veloce e agile e riusciva a schivare la maggior parte dei suoi attacchi.
I colpi s'incrociavano a mezz'aria insieme alle offese, su cui nessuno dei due si sentiva di lesinare.
"Picchi come una femminuccia Giacometti!"
"Bastardo! Ti farò sputare sangue prima di consegnarti alla polizia!"
Un pugno andato a segno all'altezza della milza fece boccheggiare e arretrare il russo fino alla parete, che usò come puntello per darsi slancio gettandosi di nuovo in avanti.
Riuscì a caricare un destro e a calarlo sulla mascella di Christophe, che barcollò e fu costretto ad indietreggiare a sua volta.
Dal labbro spaccato colava un filo di sangue e dalla maschera del suo avversario si udì un sogghigno divertito.
"Così per un po' non andrai in giro a mostrare quel bel faccino e a fare il cascamorto coi tuoi cantanti!"
"Quindi... è a causa del giapponese!" urlò l'altro "Hai mandato a puttane il concerto... P-per lui!"
"Oh, puoi giurarci e lo rifarei subito se fosse necessario..."
L'attimo successivo trascorse con esasperante lentezza, scandito dai respiri irregolari dei contendenti, che avevano bisogno di rifiatare; al Vice Direttore servì inoltre a realizzare le dimensioni del putiferio che quel dannato maniaco aveva scatenato per il timido involtino di riso e a fomentare ancor di più la sua rabbia.
"Ti preso tanto disturbo per niente... Il ragazzino non ne valeva la pena!" Sbraitò fuori di sé provocando la contemporanea risposta del russo.
"Dovevi tenere le mani lontano da lui!"
"Va te faire mettre!"
Subito dopo i due si avvinghiarono in un intrico di braccia e gambe, persero l'equilibrio e rotolarono a terra.
Ormai avevano messo da parte la nobile arte della boxe per un pragmatico e disordinato corpo a corpo dove valeva tutto: calci, morsi, strattoni e anche se la stanchezza cominciava a farsi sentire non erano disposti a cedere niente all'avversario.
Victor fu il primo a riuscire a mettersi in piedi, dei due era quello che aveva meno interesse a proseguire lo scontro; la sua priorità era trovare Yuuri, accertarsi che stesse bene e condurlo fuori dai sotterranei, ma lo svizzero non era dello stesso avviso, si diede una vigorosa spinta con la schiena e protendendo le braccia in avanti riuscì a ghermire la maschera e a strappargliela via.
"Bordel de merde..." esclamò appena la sorpresa gli consentì di parlare “Tu sei...”
“Giacometti! Hai fatto davvero una cosa molto stupida!” ruggì Victor, che approfittò dello sbalordimento del suo avversario per colpirlo con un altro pugno; solo che stavolta non terminò la sua corsa sul volto tumefatto dello svizzero, ma incontrò qualcosa di più morbido, che lo assorbì e mandò l'autore dell'inopportuna intromissione al tappeto.



“Merda!!!” gridarono all'unisono i contendenti rendendosi conto di quanto era successo: il giovane tenore li aveva trovati e senza pensare alle conseguenze si era messo in mezzo con l'intenzione di dividerli e fermarli, ma non aveva fatto i conti con la rabbia e la foga dei due e aveva rimediato un cazzotto da manuale allo zigomo.
“Yuuri!”
“Fermo lì razza di canaglia!”
Victor si era mosso d'istinto per soccorrerlo, ma Christophe lo aveva afferrato per impedirglielo, ed erano di nuovo ai ferri corti.
“È colpa tua!” esclamò Giacometti strattonandolo rudemente.
“Se lo avessi lasciato in pace non saremmo a questo punto!” rispondeva il russo prendendolo a spintoni “Tu lo hai perseguitato e sequestrato cazzo di maniaco fuori di testa!”
Un'imprecazione orribile li convinse a desistere; che fosse una bestemmia non serviva il traduttore online dal giapponese per capirlo e che fosse qualcosa di cui anche un boss della Yakuza sarebbe andato orgoglioso lo si poteva capire dall'espressione incazzata ed esasperata di Yuuri, che li fissava entrambi da terra come se volesse incenerirli.
“Voi due!” sbraitò mentre tentava di rimettersi in piedi e teneva a bada con l'indice puntato chiunque avesse azzardato un passo nella sua direzione “Smettetela immediatamente!”
“Yuu...” le parole morirono in gola a Victor quando il dito del giapponese puntò nella sua direzione.
“È la seconda volta che mi colpisci con un pugno!”
“Ti sei messo in mezzo e io...” l'indice si sollevò e ridusse l'uomo al silenzio.
“Tu lo ha già picchiato?” lo rintuzzò Christophe scandalizzato “Che razza di bestia sei diventato dopo l'incidente Nikiforov!”
“Tu stavi per fartelo in camerino! E non venirmi a dire che era consenziente!”
“Ci stavi spiando?!”
“Ho detto... Basta!”
A rischio di prenderle ancora Yuuri si era interposto per dividerli fisicamente.
Sul suo zigomo sinistro stava emergendo un vistoso ematoma, lo smoking era sporco di polvere e ragnatele e i suoi capelli somigliavano ad un istrice svegliato male.
"Victor basta!" ribadì il giovane giapponese bloccando l'ennesimo tentativo di continuare la rissa.
"Tu... Lo conosci" mormorò sorpreso Christophe, mentre cominciava a realizzare cosa ci fosse dietro quell'incontro all'apparenza fortuito "E... Ed eri a conoscenza della sua identità! Lo hai... Protetto in tutti questi mesi! Hai idea di quante persone lo stanno cercando e che c'è una denuncia di sequestro di persona nei suoi confronti?"
"I-in realtà l'ho scoperto qualche tempo dopo e... La denuncia è ancora contro ignoti, dato che nessuno ha mai visto in volto Cho-Cho san!"
"Finora!"
"Io non consegnerò Victor alla polizia!" esclamò mettendosi davanti lui, come per proteggerlo e all'espressione sbalordita dello svizzero continuò "P-perchè l'ho già perso una volta e mi sono reso conto troppo tardi dello sbaglio che ho fatto, perciò se hai intenzione di fargli del male o impedirgli di fuggire dovrai vedertela con me Giacometti"
"Yuuri..." mormorò una voce alle sue spalle.
"Stai zitto tu e vedi di andartene finché sei in tempo! Quanto pensi che impiegherà la polizia a trovare gli accessi ai sotterranei dopo il casino che hai combinato?” lo apostrofò bruscamente Yuuri.
“Io non me ne vado, non senza di te!” fu la replica altrettanto decisa.
"Bordel de Merde... Mi sembra di essere dentro un melodramma romantico" mormorò Christophe, che li osservava incredulo massaggiandosi il mento dolorante “Quindi io avrei la parte del cattivo che vuole dividere i due sventurati amanti...”
“Hai scelto tu di nasconderti e di vivere nell'ombra, ricordi? Mi hai perfino fatto credere di essere andato via! Hai idea di quanto abbia sofferto nelle ultime settimane?”
“Volevo che ti rendessi conto del mondo falso, superficiale e crudele in cui LUI ti stava portando e comunque la sofferenza si sopporta meglio con caviale e champagne, no? Il signor Giacometti... Ha fatto le cose in grande per te: feste, cene, party! Non ti sei negato niente!”
“Che problemi hai Victor? Deciditi, perché non riesco a capire se vuoi farmi la predica o... O una scenata di gelosia!”
Adesso erano il russo e il giapponese a discutere, ignorando platealmente la presenza dell'altro, che cominciava a sentirsi una specie di terzo incomodo.
“Sentite...” provò a intromettersi, ma venne respinto da una nuova ondata di recriminazioni.
“Forse entrambe le cose, d'altronde me ne hai dato motivo!”
“Pensavo che te ne fossi andato! Vuoi sempre essere al centro dell'attenzione anche se sei assente!”



Un fischio prolungato li zittì entrambi e li costrinse a voltarsi verso lo Svizzero.
“Ok! Pausa! Fine dell'incontro!” l'uomo schiarì la voce e nel proseguire assunse il tono più formale che gli consentivano il luogo e il momento “Maestro Nikiforov, non so per quanto ma sono ancora il Vice Direttore di questo teatro e Yuuri è un nostro collaboratore. Lei ci ha appena procurato un danno enorme e ha coinvolto il signor Katsuki che rischia come minimo il licenziamento, oltre ad varie azioni legali e forse addirittura un'incriminazione per favoreggiamento e ostacolo alle indagini; direi che le vostre questioni personali possono passare in secondo piano, almeno per adesso, che ne dite?”
Davanti ad una presa di posizione così decisa i due litiganti si scambiarono un'occhiata e convennero contriti.
Christophe annuì soddisfatto e ripulitosi alla meglio il labbro sanguinante proseguì il discorso “Vi propongo un modo per rimediare e risolvere la situazione...”
“Io non tratto con te Giacometti!” abbaiò il russo.
“Oh, ma non è una trattativa è un ultimatum e la decisione è da prendere qui ed ora, perché l'offerta non verrà ripetuta”
“Cos'hai in mente...” Yuuri lo studiava sospettoso, ormai lo conosceva abbastanza per capire che stava facendo sul serio.
“Oh, c'est très simple: il maestro Nikiforov tornerà a cantare e lo farà qui all'Opera di Parigi”
“No!” esclamò d'impulso Victor, mentre il giapponese era troppo sbalordito per verbalizzare una replica e si limitava a fissarlo incredulo, con gli occhi sbarrati.
“Vi invito a considerare i vantaggi; l'interesse mediatico sul suo ritorno in scena farà passare in secondo piano questo... Spiacevole incidente, che faremo in modo di archiviare in fretta...”
“E queste le hai considerate?” il russo lo interruppe mostrandogli rabbiosamente le cicatrici, anche nella scarsa luce dei sotterranei era ben visibile l'offesa che gli deturpava il volto “Sei più idiota di quello che pensavo se pensi che mi presterò a farti guadagnare soldi e pubblicità con la mia disgrazia! Non tornerò ad esibirmi in pubblico! Mai più!” concluse allontanandosi in fretta.
“Lasciami un momento per parlare con lui Christophe!” Yuuri si trovò costretto ad inseguirlo. “Non ho nessuna fretta di tornare di sopra, fate con calma” asserì serafico l'interpellato, intento a sistemare i vestiti sgualciti e strappati a causa della lotta.
“Victor fermati!” esclamò il giovane giapponese trattenendolo per un braccio “Insomma fermati! Perché non vuoi nemmeno valutare questa opportunità?”
“Oh, per te è un'opportunità magari, ma per me sarebbe solo un'umiliazione!” rispose l'altro cercando di liberarsi “Anche se mi esibissi in modo superlativo al pubblico importerebbe solo del mio aspetto...”
“L'unico ad avere difficoltà col suo aspetto sei tu Victor...” Il giovane prese un lungo respiro e continuò “Quelle cicatrici non mi hanno impedito di innamorarmi di te, né a Christophe di prenderti a pugni, come vedi non sono un handicap o un ostacolo, smettila di nasconderti, il palcoscenico ti manca! Come ti mancano gli applausi, l'ansia, l'aspettativa, l'aria magica che si respira dietro le quinte prima che si alzi il sipario!”
“Ti sbagli!” esclamò brusco il russo, tuttavia aveva rinunciato ad allontanarsi lasciando la mano tra quelle di Yuuri.
“Davvero? Pensi che non abbia notato la tua espressione malinconica quando ascoltavamo qualche brano lirico? Quando guardavamo il video di un concerto? Quando facevi la critica a qualche tenore? Quando mi dicevi: se ci fossi io al suo posto! Il tuo posto non è chiuso in una soffitta buia, devi uscire dall'ombra!”
“No!” ribadì, mentre la convinzione lasciava il posto all'orgoglioso puntiglio.

“Se posso permettermi...” intervenne Christophe annunciandosi alla coppia con un leggero colpo di tosse.
“No, non puoi Giacometti!” inveì il russo, irritato dal suo pessimo tempismo.
“Christophe... Per favore...” lo supplicò Yuuri, che temeva un nuovo scoppio d'ira.
“Qual'è il problema? Le cicatrici? La chirurgia plastica ha fatto passi da gigante, sono certo che un buon chirurgo migliorerebbe la...”
“Impossibile! Credi che non abbia già tentato di tutto?” lo interruppe Victor “Qui a Parigi, poi dalle tue parti, in Svizzera; le cliniche più prestigiose, i medici più rinomati, il dolore delle operazioni e dei trattamenti in questi ultimi due anni... Tutto per arrivare a cosa? A quello che vedi! Un mostro!” “La sua pelle ha dei problemi di cicatrizzazione” aggiunse Yuuri mortificato.
“Uhm...” l'uomo biondo incrociò le braccia al petto e reclinò il capo “È chiaro. Per questo al maestro Nikiforov non serve una comune clinica estetica, ma un centro di ricerca”
I due lo osservarono perplessi.
“Il centro Pitanguy” annuì Christhope dopo aver riflettuto un momento “a Rio de Janeiro”
“In Brasile?”
Yuuri era dubbioso.
Se pensava a Ospedali famosi e importanti gli venivano in mente gli Stati Uniti e l'Europa non certo un paese dell'America Latina!
“Oh non farti trarre in inganno dalla location esotica mon petite rossignol. È un istituto all'avanguardia, un punto di riferimento internazionale sulla chirurgia plastica ed estetica, se esiste un posto in cui possono curare con successo il maestro è proprio quello”
“Com'è che sei così bene informato?” chiese il russo diffidente e l'interpellato rispose facendogli l'occhietto.
“Ho... Diciamo qualche conoscenza nel giro. D'altra parte prendersi cura di sé è un dovere per persone di successo come noi... E sarebbe nel mio interesse che una stella di prima grandezza come Victor Nikiforov salisse sul palco dell'Opera in forma smagliante. Alors... Affare fatto?” chiese tendendogli la mano per siglare il loro accordo.
“Tu dai troppe cose per scontate” il russo tuttavia esitava “Pensi che mi sottoporrei di nuovo ad altri interventi e a procedure dolorose per assecondare la tua ambizione?”
“No, no, certo che no.” Christophe sorrise senza ritrarre la destra “Ma lo faresti, perché come dice Yuuri ti manca il palcoscenico e starne lontano è una sofferenza ancora più grande di quella che affronteresti in clinica e in definitiva... Lo faresti anche per le petite japonais
Victor abbassò lo sguardo e incontrò quello colmo di aspettative di Yuuri.
Forse poteva dubitare delle parole di Giacometti, della sua generosità interessata, ma non poteva dubitare di quegli occhi liquidi e dolci, che avevano saputo vedere oltre le cicatrici, oltre le bizze e i capricci del divo incompreso, che non lo avevano mai giudicato o deriso, in cui si poteva specchiare trovando la parte migliore di sé.
“Victor...” mormorò Yuuri vedendolo ancora così combattuto.
“Diamine... So già che me ne pentirò” sbuffò l'interpellato stringendo la mano di Christophe.
“E io farò in modo che non succeda!” concluse sollevato il giovane tenore sgranando finalmente un largo sorriso.

Fine Quattordicesima Parte


† La voce della coscienza †

Il triangolare Russia-Svizzera-Giappone si è concluso con un sostianziale pareggio, dopo esserci virilmente scazzottati e insultati Victor e Christophe, grazie a Yuuri (e ad un altro pugno che gli è arrivato nella mischia!) hanno finalmente modo di chiarirsi e il tenore russo trova il coraggio di andare oltre le sue paure affrontando un percorso clinico che lo aiuti a risolvere il problema delle cicatrici.
Ci aspetta un viaggio dall'altra parte del mondo adesso, ma i nostri due piccioncini canterini non potevano affrontarlo tutto da soli!
Riuscite ad indovinare chi li accompagnerà? :D
Si esatto... Proprio loro...
Come se un russo non fosse abbastanza Yuuri dovrà barcamenarsi con un vecchio maestro brontolone e un feroce tigrotto!
Restate di vedetta e battete un colpo se ci siete, siamo a -2 capitoli dalla fine!

Questo è il brano che da il titolo al capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=V-ImYoaZbl4



Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Parigi, o cara ***


banner

Parigi, o cara, noi lasceremo,
la vita uniti trascorreremo.
De’ corsi affanni compenso avrai,
la tua salute rifiorirà.
Sospiro e luce tu mi sarai,
tutto il futuro ne arriderà.
La Traviata - Atto III° - Giuseppe Verdi

Parigi, o cara

“Allora oggi è il grande giorno! Quando gli tolgono le bende? Lo hanno già fatto?”
“Andiamo più tardi, nel pomeriggio... Phichit... Per caso … È Pad Thai quello?”
“Si e quello è un filo di bava o sbaglio? Sei già stanco di mangiare banane, cocco e ananas?”
Il ragazzo moro si allontanò per un attimo dal monitor portando con sé la grossa ciotola di cibo che Yuuri seguì dall'altra parte del mondo con l'occhio languido e la frustrazione di essere costretto ad una dieta totalmente diversa dalle sue abitudini alimentari.
“Tua madre fa il Pad Thai più buono del mondo...” ammise con un sospiro e l'amico ridacchiando rispose “Se tutto va bene tra qualche settimana potrai mangiarne quanto ne vuoi!”
“Già...”
“Yuuri!” esclamò il suo interlocutore vedendolo in preda allo sconforto, una situazione non nuova da quando si era imbarcato in quella specie di avventura “Il maestro Nikiforov è nervoso?”
“Lo siamo tutti in realtà”
Rumori d'incerta natura e un brusio minaccioso si sovrapposero al dialogo via Skype, tanto che il giovane giapponese fu costretto ad abbandonare la postazione e a barricarsi in terrazza chiudendo la porta-finestra.
“Che succede? Ancora la scimmietta dispettosa?”
“Se sa che lo chiamiamo scimmietta è capace di ucciderci, lui è una Tigre!” rispose ridendo l'altro.
“Se il nanerottolo è una Tigre io sono il Re del Siam!”
“È entrato in competizione con Victor e si punzecchiano in continuazione su qualunque cosa, il bello è che nessuno dei due è disposto a cedere di un millimetro!”
“E tu e il maestro Feltsman...”
“Facciamo in modo che non si eliminino a vicenda... Magari nel sonno”
Le urla ormai avevano raggiunto e valicato anche l'ultimo baluardo di pace in cui Yuuri aveva trovato rifugio, in quelle condizioni portare avanti la chiamata con Phichit era impossibile.
“Vado a vedere, appena avremo l'esito ti contatterò!”
“Io e Goliah aspetteremo tue notizie!” esclamò il ragazzo con la pelle ambrata e nel salutare l'amico sollevò il coniglietto per mostrarglielo; a dispetto della qualifica di coniglio nano stava crescendo a dismisura e aveva costretto la famiglia Chulanont a comprargli una nuova gabbia adeguata alle sue dimensioni.
“Insomma che succede?” l'ingresso di Yuuri sorprese i contendenti, mentre si stavano disputando il telecomando della TV satellitare.
“Il vecchio vuole vedere il telegiornale, io a quest'ora in Russia guardo la mia serie horror preferita!” sbraitò la furia bionda strattonando rudemente l'oggetto del contendere.
“Yuuri” si lamentò Victor deciso a tenere per sé il telecomando “Diglielo che non può trattarmi così! Sono malato! Lui non ha alcun riguardo!”
“Victor... Non sei malato, al massimo convalescente...” sospirò il giovane giapponese massaggiandosi la fronte “Dov'è il maestro Feltsman?”
“Fuori a rosolarsi al sole, magari è la volta buona che gli evapora il cervello!”
“Yuri Plisetsky dovresti vergognarti di dire e pensare certe cose!” lo rimproverò il suo omonimo, ma dato che la minaccia rimase inascoltata lasciò i due a sbranarsi e andò alla ricerca dell'unico russo disposto a dargli retta in quel delirio.

Nell'attraversare il residence che avevano affittato vicino alla spiaggia, in un quartiere tranquillo, poco lontano dalla città e dal Centro Pitanguy Yuuri ripercorse con la memoria gli ultimi incredibili mesi.
Da quando erano usciti dai sotterranei dell'Opera quella sera del Quattordici Luglio ne erano successe di cose!
Innanzitutto c'era stata la decisione di licenziarsi e seguire Victor in Brasile; aveva giurato a sé stesso che non lo avrebbe mai più abbandonato ed era pronto a mettere da parte la sua carriera anche per un anno o due pur di stargli vicino durante le fasi delicate dell'intervento e della guarigione.
Ma anche così il trasferimento non era stato facile e immediato; c'era stato un primo consulto con l'equipe medica, l'attesa spasmodica dei risultati degli esami, poi la partenza definitiva.
Spiegarlo alla sua famiglia, poi si era rivelato piuttosto complicato; i suoi genitori non capivano infatti perché il loro rampollo, su cui avevano investito tempo, denaro e preoccupazioni affinché studiasse lirica, aveva deciso di punto in bianco di abbandonare il Coro dell'Opera per seguire il maestro di canto in Brasile.
La situazione si chiarì quando il figlio gli rivelò finalmente il nome del maestro e le circostanze straordinarie del loro incontro.
Victor Nikiforov era di casa all'Onsen della famiglia Katsuki, in senso letterale, perché le pareti della camera di Yuuri erano tappezzate di poster e locandine dei suoi spettacoli!
E per non lasciare adito a dubbi il giovane aveva precisato che a spingerlo a quella scelta non erano solo ammirazione e gratitudine; il maestro era la persona che amava e con cui voleva passare il resto della sua vita.
Lasciare le cose in sospeso era controproducente, ormai aveva imparato la lezione e, mentre la famiglia assimilava questa specie di rivoluzione avvenuta nella vita del secondogenito, Yuuri aveva deciso di affrontare anche Phichit; il suo migliore amico non meritava di rimanere all'oscuro di tutto, così a pochi giorni dalla partenza per Rio lo aveva coinvolto in una riunione al vertice in cucina dove, tirando l'alba, gli aveva raccontato per filo e per segno chi era Cho-Cho san e come aveva scoperto che la stalker mascherata e il maestro Nikiforov erano la stessa persona.
Phichit, dopo un primo momento di smarrimento e sorpresa, l'aveva presa bene, era troppo affezionato a Yuuri per rinfacciargli di aver taciuto con lui in tutti quei mesi.
Però aveva preteso l'esclusiva su tutte le novità che riguardavano la loro vita di coppia e un posto in prima fila al concerto del maestro Nikiforov e al loro matrimonio.
Imbarazzatissimo il giovane giapponese aveva provato a fargli capire che parlare di nozze era fuori luogo o quantomeno azzardato; Phichit si era già fatto una scaletta mentale e probabilmente stava già pensando al catering e alla location!
Restava un'ultima persona da affrontare ed era quella che lo spaventava di più.
Yuuri dovette fare appello a tutto il suo coraggio per alzare il telefono e contattare Yakov Feltsman.
Dirgli che aveva trovato Victor (o meglio era Victor a non averlo mai perso di vista) era la parte facile; il difficile era spiegargli perché il suo allievo prediletto aveva acquistato due biglietti aerei per il Brasile e si accingeva ad affrontare una nuova operazione di chirurgia plastica senza averlo consultato; poi, superati gli strali di insulti e gli strilli da parte del coriaceo russo, veniva la richiesta più delicata: convincerlo a raggiungerli a Rio de Janeiro.
Victor aveva ancora bisogno di lui, avevano bisogno l'uno dell'altro, nonostante fossero troppo orgogliosi per ammetterlo.
A dispetto dei suoi timori il maestro Feltsman si era calmato mugugnando un “Vedremo...” Seguito da una nuova ondata di recriminazioni all'indirizzo del malcapitato giapponese.
Una settimana dopo il loro arrivo nella metropoli brasiliana se lo era ritrovato davanti alla porta di casa insieme ad una “Scimmietta dispettosa”, particolarmente incarognita e riluttante.



“Maestro?”
Come previsto era in giardino a crogiolarsi al sole e al grato tepore dell'inverno tropicale; le temperature in quella parte dell'anno erano molto gradevoli senza il caldo afoso tipico della zona.
Yakov sollevò il Panama dal viso e aprì un occhio dedicando una lunga occhiata interlocutoria all'importuno affacciato alla veranda, che osava disturbarlo durante il pisolino.
Ma guai a farglielo notare!
A detta sua lui non dormiva mai, non mangiava mai e il frigorifero si svuotava da solo!
“Dobbiamo prepararci per andare in clinica” chiarì rispettoso il giovane tenore.
Servirono altri decimi di secondo per elaborare l'informazione e infine l'uomo annuì.
“Dov'è Yura?”
“Si stava disputando il telecomando con Victor...”
“Ho capito” sbuffò l'anziano maestro abbandonando la comoda sedia a sdraio “Andiamo a controllare se ci sono morti e feriti...” Yuuri sorrise “E tu hai fatto i tuoi esercizi di solfeggio?”
“Si certo!”
“E quelli di dizione?”
“Stamattina!”
“E i vocalizzi?”
“Ecco...”
“Li farai appena torniamo e invece di un'ora saranno due!”
“S-si maestro!”
“Maledizione, l'unico giapponese lavativo è capitato a me...”
Il sorriso di Yuuri si allargò, ormai conosceva le sue reazioni, sotto le apparenze burbere, le minacce e gli scoppi d'ira c'era una persona molto altruista; prova ne era che aveva accettato di prenderlo sotto la sua ala occupandosi delle lezioni di canto quando Victor era stato costretto al riposo assoluto dopo l'intervento.
L'aveva fatto di sua iniziativa, senza che nessuno gli chiedesse nulla, riservandogli la stessa attenzione e dedizione che dedicava agli altri due e Yuuri di questo gli era infinitamente grato.
A modo suo anche la Scimmietta gli voleva bene, nonostante tra loro volassero parole grosse più che nozioni di musica.
Il giovane tenore attese che il maestro Feltsman prelevasse a viva forza il biondino dalla camera di Victor, poi si affacciò alla porta. Il signor Nikiforov era rimasto padrone del telecomando e gongolando sfotteva garbatamente il suo irrequieto connazionale, che dall'altra parte del residence gli rispondeva per le rime.
“Victor basta...” sospirò Yuuri, scegliendo dall'armadio una camicia pulita “Metti via quell'affare, è ora di prepararsi”
“Posso vedere il telegiornale nel frattempo? Me lo sono guadagnato!”
“A volte ho proprio l'impressione di avere a che fare con due bambini...”
“Ma io sono il tuo preferito, vero?”
L'interpellato sorrise e si strinse nelle spalle, poi lo aiutò a cambiarsi e lo fece accomodare al bordo del letto per pettinarlo.
Occuparsi dei suoi lunghi capelli era diventato una specie di rituale quotidiano; Victor permetteva solo a lui di toccarli e Yuuri aveva l'impressione che prendersene cura lo aiutasse a rilassarsi.
Con pazienza ne districava i nodi lasciando che gli ricadessero lucenti e setosi sulle spalle, oppure a volte li legava in una coda o in una treccia.
Li aveva lasciati crescere per nascondere la parte del viso deturpata dall'incidente e aveva finito con l'affezionarcisi, ma forse di lì a poche ore sarebbero diventati inutili.
“Pensi che dovrei tagliarli dopo?” chiese il russo, che con le palpebre abbassate si godeva i delicati passaggi della spazzola.
“Uhm...”
“Come li avevo due anni fa...”
“Uhm...”
“Non sei d'accordo?”
“Ecco...” Yuuri interruppe il suo lavoro e fissò entrambi attraverso lo specchio dell'armadio di fronte “Ormai fanno parte di te; tu sei una persona diversa da quella che eri due anni fa, è giusto che anche il tuo aspetto rifletta questo cambiamento e le persone lo notino”
“Forse non sarà il solo cambiamento che noteranno” ammise il russo sfiorando la sottile pellicola opalescente che proteggeva e nascondeva gli esiti del recente intervento “Anche questa è una maschera in fondo”
“Che oggi finalmente toglieremo” il giovane lo cinse tra le braccia e lo attirò a sé “Qualunque sia il risultato...”
“Lo so... Lo so... I chirurghi sono stati chiari, non c'è nessun miracolo all'orizzonte! Anche scapicollarci fino in cima al Monte Pan di Zucchero per visitare il Cristo Redentore è stata una fatica inutile!” lo interruppe Victor sbuffando.
“E perderci l'unica occasione in cui la Scimmietta bionda è rimasta senza parole per la sfacchinata?” ridacchiò l'altro posandogli un bacio sulla nuca “Intendevo che il risultato non influenzerà le tue doti di cantante, né potrebbe mutare ciò che provo per te”
“Rimarrai mentre mi toglieranno le bende?”
“Certo, se è questo che vuoi”
Il russo assentì vigorosamente.
“E rimarrai anche dopo?”
“Non andrò più da nessuna parte senza di te”
“Yuuri...”
“Oh no! No! No! Victor non devi piangere! S-si bagna la medicazione!!!”
“La colpa è tua Yuuri Katsuki e delle cose che dici! Mi prendi sempre alla sprovvista! Adesso devi rimediare in qualche modo...” concluse in un soffio malizioso.
I due impiegarono più tempo del previsto ad uscire dalla camera e gli altri finsero di non notare il sorriso gongolante di Vitya e il vistoso bollo rosso sul collo del più giovane, che aveva tentato di camuffarlo con un foulard... Per proteggere la gola dai colpi d'aria.



Come promesso Yuuri rimase nell'ambulatorio per tutto il tempo del consulto e quando venne il momento di rimuovere le medicazioni e gli offrirono lo specchio Victor rifiutò in maniera decisa “Non mi serve, voglio lui”disse indicando il suo accompagnatore “Nessuno specchio potrebbe essere altrettanto fedele e giusto nel riflettere la mia immagine; Yuuri vieni Lyubov moy, avvicinati e dimmi cosa vedi...”
L'interpellato si fece coraggio e avanzò fino a raccogliere quella mano protesa tra le sue. Doveva essere obiettivo, ferirlo con una menzogna sarebbe stato crudele, tuttavia, nel constatare il risultato dopo settimane di apprensione, anche lui rimase senza parole.
“Allora?” insistette Victor con la voce che vibrava d'incertezza “È così... terribile?”
“Il tuo viso... Adesso...”
“Si?”
Il giovane giapponese prese lo specchio e lentamente glielo mostrò “Adesso il tuo viso racconta una storia”
Victor capì cosa intendesse appena incontrò la sua immagine riflessa; come avevano previsto i medici non c'erano stati miracoli, ma lui era talmente preparato al peggio da restare sbalordito davanti agli innegabili progressi.
L'intervento aveva rimediato ai danni più grossi eliminando la pelle inspessita e raggrinzita attorno alle cicatrici, invece i trattamenti estetici e farmacologici avevano attenuato i problemi più lievi.
E c'era ancora un margine di miglioramento se avesse seguito in modo scrupoloso tutte le terapie che gli avevano prescritto.
“Dovrai evitare di esporti al sole soprattutto nelle ore centrali della giornata...”
“Quindi da fantasma mi hanno promosso a Vampiro!”
Baka!” Yuuri sollevò il naso dal foglio delle prescrizioni e lo redarguì con un'occhiataccia “Ascolta piuttosto... C'è una lista di cose da comprare in farmacia...”
“Mh-mh... Mandiamo Yakov e la scimmietta bionda e gli diciamo di prendersela comoda” incurante di essere ancora nell'atrio della clinica il russo lo aveva intrappolato in un abbraccio e sotto lo sguardo perplesso e incuriosito di pazienti e personale si strofinava contro di lui.
“Victor... Che intenzioni hai?” esclamò Yuuri preoccupato.
Erano alle solite: il russo ci andava a nozze con le circostanze imbarazzanti, mentre lui voleva solo seppellirsi per la vergogna!
“Cattive, molto cattive...” ridacchiò l'uomo “Ora che la situazione si è risolta è tempo di fare un po' di conti: mi devi ancora il pagamento dell'ultima lezione!”
“Stai... Scherzando vero?” chiese, anzi urlò l'interessato in mezzo alla hall.
“Affatto! Esigo il mio pagamento in natura!”
“Adesso?”
“Ah-ha”
Yuuri socchiuse le palpebre e sollevò il mento in un gesto di sfida; anche a distanza di mesi quell'uomo continuava a smuovere il suo lato più turpe e aggressivo.
“Al residence. Subito.” dichiarò in un sussurro che fece scaturire un enorme sorriso a cuore sulle labbra del russo.
“Oh! Wao! Tu sai come farmi felice Lyubov moy!”
“Io aspetterei a cantare vittoria se fossi in te... Non te la caverai a buon mercato stavolta; voglio onorare il debito con tutti gli interessi!”

Fine Quindicesima Parte


† La voce della coscienza †

Drastico cambio di location in questo capitolo!
I nostri beniamini passano dalla vecchia Europa al paradiso tropicale di Rio de Janeiro e si portano appresso il dispotico Tigrotto e il vecchio maestro brontolone con le inevitabili tensioni dovute alla strana convivenza forzata.
Yuuri si rivela un vero maestro di diplomazia e un ottimo equilibrista e riesce a farli andare d'amore (quasi!) e d'accordo.
E' deciso a non nascondere più la testa sotto la sabbia e affronta sia la sua famiglia che Phichit, il quale anche a migliaia di chilometri di distanza è sempre presente per ascoltarlo e supportarlo insieme a Goliah.
Alla fine i trattamenti innovativi della clinica brasiliana hanno dato ottimi risultati e Victor, con Yuuri al suo fianco, è pronto a tornare sulle scene e a sostenere insieme a lui le future sfide della carriera e della vita privata.
Il prossimo capitolo li seguirà in questa grande rentree proprio al Teatro dell'Opera di Parigi dove per l'occasione rivedremo tutti i protagonisti e una sorpresa che farà molto felice un certo prezzemolino thailandese...
Prenotate il vostro palco o il posto in platea, la fine di questa avventura ci aspetta in una scintillante serata di gala!

Questo è il brano che da il titolo al capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=AQLnO-2TB7g



Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Possente  amor  mi  chiama ***


banner

Possente  amor  mi  chiama,
Volar  io  deggio  a lei;
Il  serto  mio  darei
Per  consolar  quel  cor.
Ah!  Sappia  alfin  chi l'ama,
Conosca  appien  chi sono,
Apprenda  ch'anco in  trono
Ha degli  schiavi  Amor

Rigoletto – Giuseppe Verdi

Possente  amor  mi  chiama

Lo scintillio delle luminarie natalizie di una Parigi parata a festa riusciva almeno in parte a mitigare il freddo decembrino, che attanagliava la città in un abbraccio cristallizzato di pioggia gelata.
Gli spettatori entravano alla spicciolata nel sontuoso foyer del teatro, anche le celebrites si concedevano ai flash e ai cellulari dei curiosi solo il minimo indispensabile a mostrare un sorriso o il luccicare prezioso dell'abito da sera.
La stagione dell'Opera, annunciata in pompa magna e con largo anticipo, si apriva con un evento d'eccezione: il ritorno sulle scene del celebre tenore russo Victor Nikiforov a due anni di distanza dalla sua ultima apparizione e dal grave incidente che lo aveva costretto ad un ritiro prematuro.
L'attesa, sapientemente alimentata da indiscrezioni, pettegolezzi, foto rubate e postate in rete, era enorme, non solo da parte del grosso pubblico, morbosamente attirato dal clamore nato attorno al “Caso Nikiforov” nelle ultime settimane, ma anche dagli addetti al settore, famosi per i loro giudizi severi e la mancanza di empatia nei confronti delle disgrazie altrui.
Uno dei più noti era già seduto in platea; la sua poltroncina si trovava all'incrocio dei corridoi centrali; una posizione ottimale da cui vedere il palco e soprattutto ascoltare le performance dei cantanti.
“Sa che si esibirà anche Yuuri Katsuki durante il concerto? Hanno in programma un duetto...”
Seung Gil Lee spostò lentamente lo sguardo dal sipario ancora calato al suo vicino di posto, incontrando un paio di occhi neri ardenti e vivaci sotto una zazzera corvina lisciata e tirata all'indietro per lasciare scoperta la fronte “Lui è il mio migliore amico e anche ex inquilino... Ex perché adesso vive con Victor... Cioè volevo dire col Maestro Nikiforov”
Phichit sgranò un sorriso che andava da un orecchio all'altro e il coreano si senti obbligato a ricambiare con un sobrio cenno del capo.
Il giovane trovarobe lo interpretò come un segnale d'incoraggiamento e aggiunse “Forse lei non lo ricorda, ma aveva scritto una recensione molto lusinghiera su di lui in occasione della sua sostituzione in Tosca lo scorso anno...”
“Ricordo esattamente ogni riga che scrivo, in quel caso era un trafiletto di un paio di frasi in cui suggerivo di tenerlo d'occhio” rispose l'altro, deciso a troncare la vivace parlantina del ragazzo dalla pelle ambrata. L'ultima cosa che voleva era guastarsi la serata con un ammiratore petulante.
Ma non aveva fatto i conti con l'entusiasmo e la determinazione di Phichit.
“Quindi... È qui per sentirlo cantare?”
“Magari... Se ne avessi la possibilità... Si”
“Oh, m-ma certo” il thailandese afferrò il concetto, aggiustò il papillon e schiarì la voce con un colpo di tosse.

Stava suonando il campanello che invitava il pubblico a prendere posto e avevano abbassato le luci; l'orchestra era pronta e il suono degli strumenti accordati si confondeva col brusio di fondo della platea e dei palchetti.
Per Seung Gil era un momento di raccoglimento in cui il suo Io interiore, la sua parte spirituale si preparava ad accogliere la bellezza (o a volte la bruttezza) dello spettacolo che era chiamato a recensire.
Nei suoi articoli era solito dire che il suo lavoro era una sorta di missione; lui era un guardiano, il Custode della tradizione lirica, il Sacerdote del Bel Canto e questo lo portava ad essere spietato nei suoi giudizi, a non concedere nulla che non fosse ampiamente meritato.
“Di solito a quest'ora sono con Yuuri dietro le quinte... I cinque minuti prima di entrare in scena sono i più tragici. Ha mai visto una persona in preda ad una crisi di panico?”
Il Difensore del Melodramma socchiuse le palpebre ed emise un leggerissimo sospiro.
“No e presumo che me ne darà una descrizione dettagliata” rispose l'interpellato, ormai rassegnato a reggere la conversazione fino all'inizio del concerto.
“È superfluo! Ormai Yuuri ha superato le sue paure, grazie al maestro Nikiforov; certo l'ansia e l'aspettativa quelle restano sempre, ma è naturale, no? Voglio dire: fanno parte del pacchetto! Un artista ha bisogno di un riscontro, di sapere se il frutto del suo lavoro, delle sue fatiche sarà apprezzato o è destinato a cadere nel dimenticatoio”
“Immagino di si”
“Lei ci pensa mai?”
Il coreano inarcò un sopracciglio.
“Voglio dire... Quando scrive le sue sferzanti recensioni, pensa mai al fatto che c'è una persona in carne e ossa a riceverle? Si è mai messo nei panni di quella persona? Di quanto peserà nella sua vita un elogio, un suggerimento o una feroce stroncatura?”
Le sopracciglia inarcate divennero due; Seung Gil cominciava a intuire dove volesse andare a parare il linguacciuto moccioso che gli era capitato in sorte come vicino di posto.
“Le mie recensioni non sono... Sferzanti” puntualizzò in un bisbiglio asciutto stirando le labbra in una smorfia di disappunto “Sono eque. Perché alla fine ciò che conta è il risultato. Possono esserci dietro ore di lavoro, di lacrime e sofferenza, ma se l'esecuzione non è pulita e all'altezza delle aspettative sono stati tutti sforzi inutili”
“E l'emozione?”
Il critico musicale alzò gli occhi al cielo, ecco l'ennesimo dilettante digiuno di competenze che pretendeva di fargli la morale.
“Scommetto che adesso tirerà fuori un discorso su quelle esibizioni in grado di arrivare o meno all'anima dello spettatore; le do un'informazione signor...”
“Chulanont, Phichit Chulanont, ma mi chiami pure Phichit, signor Lee”
Il sorriso smagliante del ragazzo lo distrasse per una frazione di secondo dal ragionamento, ma fu abbastanza per insinuare nella sua testa l'ombra del sospetto che le sue considerazioni in fondo meritavano di essere recepite.
“Bene... Phichit. Le svelerò una cosa: la musica, il canto, si ascoltano con le orecchie e si elaborano col cervello, non faccia anche lei l'errore di tanti: ascoltare con la pancia ed elaborare col cuore; sono due organi preposti ad altre funzioni”

“Mi sta dicendo che nei suoi giudizi non c'è spazio per nient'altro oltre alle qualità tecniche?”
“Evito di farmi influenzare dalle emozioni e scindo l'aspetto tecnico da quella che può essere la mia simpatia o... Antipatia nei confronti dell'artista e delle sue vicende umane” annuì il suo interlocutore che a sottolineare la sua soddisfazione per quel pensiero congiunse i polpastrelli flettendo le lunghe dita in un movimento elastico.
“Quindi se il mio amico e il maestro Nikiforov canteranno male sarà solo perché... La loro preparazione non era all'altezza delle aspettative”
“Proprio così”
“E nel caso cantassero bene?”
“La risposta è piuttosto ovvia...” concluse Seung Gil con un sorrisetto accomodante.
“Affatto!”esclamò con forza sorprendendo l'uomo al suo fianco, che sussultò “Non è affatto ovvio... O Scontato! Se canteranno bene, cosa di cui sono convinto, sarà perché l'esperienza che li ha fatti incontrare e li ha uniti li ha resi due persone molto diverse! La tecnica non può insegnare la passione, la sofferenza, la paura o la speranza, bisogna viverle per riuscire a trasmetterle agli altri”
“Oh e io lo capirò durante il concerto di stasera? Percepirò questo... Cambiamento?”
“Sono pronto a scommetterci”
Phichit tese la mano verso di lui, non si aspettava davvero che il famoso esperto accettasse la sfida; in realtà si sarebbe accontentato di una risposta possibilista, perciò, quando il coreano strinse la mano nella sua rimase interdetto a fissarla.
“Andata. Cosa vuole scommettere Phichit?”
Il giovane thailandese era in difficoltà e si trovò a formulare una richiesta che a mente fredda non avrebbe mai fatto.
“S-se vinco mi offrirà la cena nel ristorante del Teatro, mentre se vince lei...”
“Toccherà a lei offrirmi la cena”
Phichit compose un sorriso raggiante in risposta a quello del suo vicino.
Il diavolo non era poi così brutto come lo dipingevano.
E forse i critici musicali non erano tutti dei giudici crudeli, senz'anima.



“Victor Nikiforov tieni a posto quelle mani o giuro che te le taglio!”
La frase pronunciata ad alto volume oltrepassò la soglia di uno dei camerini e fece voltare qualche macchinista di passaggio nei corridoi, che subito dopo proseguì con la serena consapevolezza di chi ha visto accadere di tutto dietro le quinte, per restare turbato da una dichiarazione del genere.
“Non posso lyubov moy! Mi prude il naso!”
Yuuri sospirò sconfitto e lasciò che il cantante grattasse la sensibile appendice, poi riprese la sua paziente opera di stesura del trucco.
“Yuuri...”
“No! Sta! Fermo!” minacciò.
“Mi si è intorpidito il sedere a forza di stare seduto su questo sgabello...”
Il giovane giapponese abbassò le palpebre in uno sguardo minaccioso e Victor si rassegnò a sopportare stoicamente la scomoda seduta.
Il russo aveva un bel da reclamare, ma si trattava di un lavoro di precisione che richiedeva pazienza e se lui continuava ad agitarsi come un bambino iperattivo sarebbe andato in scena col viso a macchie, come un panda.
Il camouflage non era semplice cerone, ma un vero e proprio trattamento farmacologico che serviva a levigare e uniformare la pelle, proteggendola allo stesso tempo dal calore intenso dei riflettori.
Di solito era Victor il vanitoso della situazione, tuttavia, quando il giovane era venuto a conoscenza di quei ritrovati cosmetici glieli aveva praticamente imposti.
Yuuri conosceva e temeva l'impietoso giudizio della folla e almeno per quella sera, la sera del suo grande ritorno, il pubblico doveva concentrarsi solo sulla sua voce, non sul viso.
In quel momento la porta si aprì portando all'interno dell'angusto bugigattolo una ventata di applausi e acclamazioni.
“Yura che te ne pare?” chiese il truccatore mostrando la sua opera alla persona che era entrata senza bussare e che era all'origine della reazione euforica degli spettatori.
La scimmietta bionda aggrottò la fronte e arricciò le labbra prendendosi qualche istante per valutare il suo operato.
“Un bel lavoro direi. Sembra perfino più giovane!”
“Ehi! Io sono giovane!” lo rintuzzò l'altro russo.
“Ah si? E come mai non mostri a nessuno il tuo passaporto? Hai paura che leggano la data di nascita... Vecchio?”
“Sempre meglio che viaggiare con la riduzione speciale per i bambini, poppante!”
“Basta! Smettetela!” Yuuri era impegnato a tenerli lontani quando il maestro Feltsman entrò per annunciare che toccava di nuovo al più piccolo dei suoi allievi esibirsi.
“C'è l'aria della Regina della Notte in scaletta, vedi di non strafare coi virtuosismi e non spingere troppo sugli acuti, piuttosto pensa...”
“... Alla coloritura drammatica del personaggio” completò a memoria il biondino alzando gli occhi al soffitto con aria annoiata “Lo so. Lo so”
“Li stregherai...”
“So anche questo”
“Buona Fortuna Yura!”
Il biondino si girò verso Yuuri inviperito “Hah! Tanti anni in teatro e ancora non sai fare un augurio come si deve? Si dice Merda Katsuki! Merda!” “Ahm... Va bene lo stesso Merde? Il francese è più fine...” rispose il tenore con un sorrisino imbarazzato.
Yuri Plisetsky se ne andò sacramentando come uno scaricatore di porto; il che era in totale contrasto con l'immagine eterea e raffinata del suo essere sopranista.
Un dono raro nel panorama lirico moderno, che il maestro Feltsman coltivava con la feroce dedizione di una chioccia. Interpretare parti femminili richiedeva un registro vocale unico, che in passato era stato appannaggio dei “Castrati”, di cui l'esponente più noto era senza dubbio Farinelli.
Il piccoletto aveva chiarito fin da subito che lui gli attributi li aveva e funzionavano bene, quindi niente battute di dubbio gusto sulla sua arte, chi ci aveva provato stava ancora raccogliendo i cocci dei suoi gioielli di famiglia.



“Dovresti controllare la respirazione... Per i-il diaframma sai”
“Yuuri”
“Hai scaldato a sufficienza le corde vocali? Abbiamo ancora qualche minuto...”
“Yuuri”
“L'attacco. Ricordati di non perdere l'attacco, quella canaglia del nostro Direttore d'orchestra ha l'abitudine di partire a testa bassa e tutti devono corrergli dietro!”
“Yuuri!”
“Respira Victor... Respira!”
“Yuuri sei tu che hai smesso di respirare! Guardami!”
Il russo gli prese il viso tra le mani e risolutamente lo baciò costringendolo a tornare sulla terra.
“Va meglio?” chiese con un leggero sorriso staccandosi appena da lui.
Il giovane incamerò un sorso d'aria e poi espirò.
“Meglio si...”

“Andrà bene e sai perché? Perché ci sei tu al mio fianco”
“Non ti toglierò gli occhi di dosso quando sarai su quel palco”
“Guai a te se lo fai...”


E Yuuri era lì, appena nascosto dai cortinaggi del sipario, vicino al suo omonimo e a Yakov, che si ostinava a trattenere il pianto, perché diamine, lui era un russo tutto d'un pezzo e non un sentimentale rincitrullito con la lacrima pronta in tasca!
“Hah! Fortuna che ho portato i fazzoletti...” brontolò il biondino passandogli il pacchetto.
“Non servono!”
“Certo che ti servono! Perché io il naso non te lo soffio sia chiaro!”
“Pensi ancora tutto il male possibile di me mon trésor?”
Il giovane giapponese concentrato sullo spettacolo, sussultò e spiccò un balzo in avanti, rischiando di finire in scena prima del tempo. Una mano gli aveva palpato il fondoschiena e voltandosi incontrò il ghigno sornione di Christophe Giacometti.
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio!”
“Che vuoi farci, la colpa è del tuo irresistibile derrière...” rispose lo svizzero atteggiando le labbra ad un adorabile broncio “Allora? cosa te ne pare della serata? Il nostro Chocho san non ha perso il suo smalto” con un cenno del capo alluse agli applausi che piovevano copiosi dai palchetti e della platea e che, riversandosi sul palcoscenico come un'onda arrivavano a lambire anche lui, gratificando la sua anima di artista.
Era anche merito suo se Victor era tornato sotto i riflettori e il pubblico gli tributava quegli omaggi entusiasti; un po' gli appartenevano e lo riempivano d'orgoglio.
Gli sarebbe bastato questo per essere felice; il russo aveva appena concluso una memorabile interpretazione dell'aria Possente Amor mi chiama del Duca di Mantova tratta dal Rigoletto, che aveva scatenato il teatro e sciolto definitivamente in lacrime l'immusonito maestro Feltsman; nemmeno lui si capacitava che la sua voce non solo avesse mantenuto l'eccezionale limpidezza ed estensione che aveva all'apice della sua carriera, ma si fosse arricchita di nuove sfumature e avesse guadagnato in agilità.
Il vecchio mentore non avrebbe osato sperare tanto, perciò, quando fu il turno di Yuuri di salire sul palco glielo spintonò a forza e alle sue rimostranze brontolò scontroso “Poche storie! Vai e fammi vedere quanto vali! Non voglio sentire niente dalle tue labbra che non sia perfetto! E bada alla dizione o ti prendo a calci nel sedere fino a Tokyo!”
Era il suo modo di augurargli buona fortuna e di accompagnarlo verso un desiderio che finalmente si realizzava.
Cantare con Victor Nikoforov sullo stesso palcoscenico era stato un bel sogno, di quelli che si fanno da adolescenti; sogni fatti in grande, senza badare a spese.
Tanto perfetti quanto irrealizzabili, come aveva capito crescendo e scontrandosi coi primi fallimenti e le disillusioni.
La sua vita era entrata in tunnel fatto di routine e rassicurante monotonia e si era quasi rassegnato a vederla scorrere davanti ai suoi occhi, ad avere il ruolo del passeggero seduto a lato del finestrino, del figurante chiamato a fare numero, del corista che fa da cassa di risonanza al successo altrui.
Non aveva capito quanto gli andassero stretti quei costumi da comparsa finché non era salita alla ribalta della sua grigia esistenza l'imprevedibile ed eccessiva geisha mascherata.

“Yuuri vieni...” Victor gli era andato incontro e lo aveva preso per mano, perché il suo giapponese esitava a raggiungerlo e se ne stava lì intimidito, quasi avesse paura di rompere il magico rapporto empatico che si era riannodato tra il cantante e gli spettatori.
Yuuri compose sulle labbra un sorriso incerto, che si paralizzò quando si accorse che gli applausi anziché scemare col suo ingresso in scena crescevano d'intensità.
Non capiva.
Ma il pubblico, quella mostruosa creatura senza volto, che sapeva essere terribile quanto generosa nel dimostrare odio e amore, si.
Aveva colto nella premurosa sollecitudine del russo il legame speciale che lo univa al collega più giovane, un quasi "perfetto sconosciuto", tuttavia così indispensabile da volerlo sul palco con lui a chiudere trionfalmente il concerto.
Sprofondato nella comoda poltroncina di velluto Phichit assaporava l'attimo: se Yuuri era uscito dall'anonimato era anche frutto del suo lavoro sui social, delle notti insonni spese a rastrellare like, a rispondere a domande di curiosi e ammiratori, a neutralizzare i (pochi) haters e i leoni da tastiera.
Per scoprire una stella non bastava la fortuna, si doveva puntare il telescopio nella giusta direzione!



"Non rimane ad ascoltare l'ultimo brano signor Lee?" chiese stupito vedendo il suo vicino alzarsi.
"No, è inutile. Ho sentito abbastanza da avere un'idea di quello che scriverò domani"
"Oh..." il tono serio del coreano non lasciava presagire niente di buono.
"Quindi vado ad informarmi sull'orario di chiusura del ristorante e se accettano ancora delle prenotazioni. Le piace lo champagne Phichit?"
A quelle parole il volto del giovane s'illuminò "Adoro lo champagne!"
"È adeguato alle circostanze" concluse sorridendo Seung Gil, poi si allontanò mentre l'orchestra attaccava le prime note del celeberrimo Brindisi della Traviata.

Fine


† La voce della coscienza †

Siamo arrivate alla fine anche di questa avventura cominciata circa un anno fa con una challenge legata al tema di Halloween; come al solito mi sono fatta prendere la mano e quelli che dovevano essere tre capitoletti sono diventati sedici!
Qualcuna di voi ha detto che le mie storie tendono a lievita come il pane e in effetti sembra proprio così, ma vicende e personaggi prendono spazio con prepotenza a suon di calci e spintoni, capitemi, non potevo lasciar fuori il Tigrotto! O non dare al provolone svizzero l'occasione di riscattarsi! Nè potevo evitare di regalare una gioia al nostro signore dei criceti, che si porta a casa una bella cena col serioso critico d'arte coreano ( e da cosa nasce cosa... Huh-huh-huuu).
Soprattutto non potevo tenere separati i due amorini canterini, che nello stare insieme finalmente hanno trovato un loro equilibrio e una loro centratura.
Il loro futuro è tutto da scrivere e lascio a voi il compito di immaginare quali saranno le possibili (dis)avventure della coppia; convoleranno a nozze come desidera Phichit? Adotteranno il felide biondo? Faranno un tour mondiale? Siamo nell'Happy End Zone! Tutto è possibile! *o*

Infine un po' di doverosi ringraziamenti a chi ha seguito il mappazzone operistico come recensore assiduo o occasionale, a chi ha preferito-ricordato-seguito il delirio tenorile e ai lettori silenziosi che hanno visto lo spettacolo dietro le quinte!^.^
Un grazie quindi a Old Fashioned, che ha sopportato gli scleri della geisha mascherata e mi ha dato tantissimi spunti, consigli e suggerimenti anche lirici nel corso della stesura!
A Riiko fedelissima che ha seguito passo passo gli sviluppi della vicenda, se potessi consegnarle il premio assiduità le regalerei Goliah, il coniglio bianco che è stata la mascotte di questa storia!
A Dragonfly la mia sorella in scrittura che mi ha supportato con entusiasmo calandosi nello stravagante mondo della geisha russa e del tenorino nipponico con intrepido coraggio; a te regalo una fetta di provolone svizzero, scegli tu quale! :D
A Berry Tart che nei suoi commenti mi fa sempre capire quanto la storia riesca ad appassionarla e a coinvolgerla e... devo dirlo: sono troppo divertenti da leggere! *-*
A 1234OK che nella sintesi riesce a cogliere sempre il cuore dei vari capitoli, ragazza dove sei? Batti un colpo!
Alla Vampy... Ehi dove sei finita? Non vorrai perderti proprio il finale? Vero? °-°
A Stilly, Isilme e Nanami chan fatemi sapere che ci siete e non vi ho perso per strada! :D

Questo è il brano che da il titolo al capitolo:
https://www.youtube.com/watch?v=ACmH2Jyp6Rk
Il tenore è Alfredo Kraus, meno famoso si altri celebri maestri e a torto, perché ha una voce meravigliosa.
Se penso a Victor che canta quest'aria, penso alla voce di ALfredo Kraus :3
E poi c'è il Brindisi della Traviata a concludere trionfalmente il concerto, il duetto è di Alfredo e Violetta, quindi un tenore e un soprano, ma in questo caso saranno due tenori a cantare e chi lo trova strano... Provi ad ascoltarne tre ^^
https://www.youtube.com/watch?v=yRhdA1QLtQM



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3716572