A tale of stars

di Moriko_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Invito ***
Capitolo 2: *** Nuvole ***
Capitolo 3: *** Insonnia ***
Capitolo 4: *** Segreti ***
Capitolo 5: *** Futuro ***
Capitolo 6: *** Colazione ***
Capitolo 7: *** Vento ***
Capitolo 8: *** Statua ***
Capitolo 9: *** Lettere ***
Capitolo 10: *** Diversità ***
Capitolo 11: *** Caffetteria ***
Capitolo 12: *** Viaggio ***
Capitolo 13: *** Quadro ***
Capitolo 14: *** Cucciolo ***
Capitolo 15: *** Labbra ***
Capitolo 16: *** Shopping ***
Capitolo 17: *** Promessa ***
Capitolo 18: *** Ago e filo ***
Capitolo 19: *** Rubare ***
Capitolo 20: *** Selfie ***
Capitolo 21: *** Chiave ***
Capitolo 22: *** Ombre ***
Capitolo 23: *** Dormire ***
Capitolo 24: *** Appunti ***
Capitolo 25: *** Calze ***
Capitolo 26: *** Titolo ***
Capitolo 27: *** Paradiso ***
Capitolo 28: *** Sciarpa ***
Capitolo 29: *** Colla ***
Capitolo 30: *** Matrimonio ***
Capitolo 31: *** Halloween ***



Capitolo 1
*** Invito ***


A/N: Salve a tutti, questa volta cercherò di essere breve. Spero. ^^"
Oggi, questa introduzione mi serve per spiegare il motivo di questa raccolta, anche se dalla descrizione molti di voi avranno già intuito di cosa si tratta. Qualche giorno fa ho trovato per caso una lista sul Writober - simile al più famoso Inktober dei disegnatori - e ho deciso di partecipare a questa piccola "sfida", un po’ per aggiornare di più la mia pagina (anche se ho comunque poco tempo, ditemi voi XD), un po’ per soddisfare il mio desiderio di continuare a scrivere su di loro.
Di seguito vi riporto la lista così, chi vuole, può anche contribuire con le proprie creazioni:

(Si ringrazia fanwriter.it per questa lista!)



Sì... è vero, in un certo senso ho fatto un mix: prompt consigliati per OC con personaggi di Dragon Ball. E solo io potevo farlo, accidenti! So che non è obbligatorio, però il primo elenco mi attirava di più rispetto al secondo, perdonatemi. ^^"
Detto questo, passiamo alla prima storia di questa raccolta: “Invito”. E di cosa non potevo parlare se non del famigerato invito di Gowasu a Zamasu sul suo pianeta? Dannazione, anche in Italiano quella scena è troppo. ;____;
Però, a differenza di Past and present, questa volta non si tratterà di una storia dal finale tragico. Concentrandosi solo su quella scena senza le relative conseguenze, il testo sarà più leggero e dalle atmosfere più tranquille. (Almeno, lo spero!)
Forse è la prima volta che ho trattato del loro incontro in maniera così “approfondita”. Intendo: in “Take my hand” era solo accennato (anche perché, a quei tempi, nessuno era ancora a conoscenza di quell’incontro, me compresa); in “Past and present” si faceva solo riferimento al gesto della mano di Gowasu, per cui l’intera scena è passata in secondo piano… Così, in occasione di questo prompt, sono finalmente riuscita a descrivere il loro incontro nella sua totalità. Anzi… non esattamente, dato che il tutto si svolge dal punto di vista di Zamasu, argh! XD
Ah, ovviamente questa volta niente avvertimenti “spoiler”, mentre per quelli “OOC” sì. Più o meno, se considerate che stiamo parlando di un personaggio che in origine doveva avere delle intenzioni totalmente prive di malvagità…
Detto ciò, non mi resta che augurarvi buona lettura, e allo stesso tempo vi chiedo scusa se saranno presenti errori di ogni sorta. L’unico “svantaggio” di questo evento è il creare storie nell’arco di una sola giornata per cui, avendo a disposizione così poco tempo… c’è altrettanto poco tempo anche per ricontrollare per bene il testo, sigh!




Invito.



«Che ne dici di venire nel mondo dei Kaiōshin e di studiare come mio discepolo?»

Quella frase lo colse totalmente di sorpresa.
Il Kaiō del Nord del Decimo Universo non si sarebbe mai aspettato di udire quella domanda nel corso della sua vita. Anzi, per via delle vicende legate al suo ruolo, aveva sempre immaginato di finire i suoi giorni sul quell’amato pianeta che lo aveva accolto come se fosse stato, da sempre, il suo luogo natale.
Mai avrebbe immaginato, prima o poi, di essere invitato dal Kaiōshin in persona nella sacra dimora dove nemmeno agli umani era permesso mettere piede.

… Ecco, in realtà mai avrebbe pensato di ricevere un invito di tale importanza, anche solo per bere un tè caldo in compagnia. I Kaiō, sebbene fossero divinità, non avevano un privilegio tale da poter vedere con i propri occhi il luogo dove i loro Kaiōshin svolgevano le loro attività quotidiane.
Il ragazzo sorrise sconcertato, portandosi una mano dietro la nuca. La sua mente stava iniziando ad elaborare pensieri che, se il suo interlocutore avesse letto, sarebbero stati da lui giudicati alquanto imbarazzanti.

Il sommo Kaiōshin non può essere impazzito a tal punto… giusto? Di sicuro me lo sto immaginando!

Poi, abbassando leggermente la testa, il giovane lo notò.
Vide una mano protesa verso di lui, come se avesse voluto afferrare la sua. Un gesto significativo, simbolo di un invito: così cordiale, così maledettamente sincero come il sorriso che lo stava accompagnando.
Solo allora il Kaiō comprese che quello che stava accadendo non era frutto di un sogno ad occhi aperti. E lui, orgoglioso com’era, pensò che non poteva lasciarsi sfuggire una così importante possibilità di crescita personale, dove egli sarebbe potuto diventare più forte e, finalmente, avere quel potere necessario a salvaguardare il suo amato settore dell’Universo. Anzi… l’intero Universo.
Diventare discepoli di un Kaiōshin non era di certo qualcosa che poteva accadere tutti i giorni… no?
Senza nemmeno prendersi il tempo di riflettere su quella proposta, il giovane accettò quella singolare sfida che il destino gli stava offrendo su un piatto d’argento, decidendosi ad afferrare quella mano.

«I-Io… Nel mondo dei Kaiōshin…? Sarebbe un onore! Profonderò tutte le mie energie per mantenere la pace nell’Universo!»



A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Questa volta non ho molto da dirvi.
Davvero. Non mi resta che ringraziare la Star Comics per la traduzione in Italiano di quelle due frasi che ho inserito nella mia storia. Insomma: gira e rigira, quella scena trasmette sempre le stesse emozioni, in qualsiasi versione la leggo. ;////;
A tutti voi che siete giunti fino a qui, spero che questo breve racconto vi sia piaciuto e ci vediamo al prossimo prompt: “Nuvole” e qui già la vedo dura… XD
--- Moriko

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Capitolo 2
*** Nuvole ***


A/N: Rieccomi qui: altro giro, altra corsa con il Writober di quest’anno!
Seconda storia di questa raccolta: “Nuvole”.
Ebbene. Non appena ho letto il prompt, immediatamente mi è venuto in mente un unico, solo personaggio dell’Universo 10: la dolce Cus. Nonostante ciò… ecco, all’inizio non avevo la più pallida idea del cosa poter scrivere con lei. Ah, l’ispirazione sfuggente…
Così ho iniziato a buttare giù qualche rigo e, parola su parola, è uscito fuori questo risultato. Non so se potrà essere accettabile o meno… però, intanto, vi auguro lo stesso buona lettura. (E, anche qui, spero non ci siano degli strafalcioni, sui quali vi chiedo scusa in anticipo. ^^")




Nuvole.



Nuvole.
Sin dai primi mesi di vita Cus, la prima figlia del Daishinkan, ne era affascinata. Ogni volta che il suo sguardo puntava verso il cielo, era felice di vedere quelle piccole sagome bianche che, giorno dopo giorno, assumevano diverse sfumature a seconda delle condizioni atmosferiche.
Anno dopo anno la bambina cresceva e, insieme a lei, la sua capacità di immaginazione. Fu suo padre per primo che in un giorno soleggiato, portandola su una collina di un lontano pianeta, le insegnò a riconoscere le varie sembianze che le nubi stavano tracciando al di sopra delle loro teste.
Da quel momento, l’angioletta non aveva mai smesso di giocare con la fantasia e divertirsi con quei segni che il cielo le stava mostrando.

Non aveva mai smesso di intrattenersi con quel gioco di immaginazione, nemmeno dal giorno in cui era stata ufficialmente investita del ruolo di Angelo dell’Universo 10.
Dal punto più alto del palazzo di Lord Rumsshi, il suo Hakaishin, vi era uno spettacolo meraviglioso: una grande radura si presentava agli occhi del visitatore, con qualche albero che si intravedeva in diversi punti di quella vasta zona e, sulla linea dell’orizzonte, una foresta.
In quel luogo Cus si ritirava ogniqualvolta che il Dio della Distruzione stava riposando, ed era lì che trascorreva la maggior parte di quel "tempo libero" che le era concesso, alzando lo sguardo verso il cielo e osservando le nuvole da sola.
Tranne un giorno.

«Cos’è successo, Cus? Il tuo collo ha qualche problema?»

A quel richiamo l’angioletta sobbalzò.
Da quando anche lui era giunto in quel luogo, per circa una decina di minuti Rumsshi era rimasto a lungo alle sue spalle, senza avanzare oltre e restando in silenzio. Il Distruttore notò che quest’ultima aveva la testa rivolta verso l’alto, immobile, quasi senza battere ciglio… e, dopo un paio di minuti, egli iniziò a chiedersi il motivo di quello che a lui sembrava solo un insolito gesto.
E, nonostante quell’improvviso richiamo, Cus riuscì a dargli subito una risposta, invitandolo a sedersi al suo fianco: «No, stavo solo osservando il cielo. Nota qualcosa di particolare, Lord Rumsshi?»
La divinità elefantiaca alzò lo sguardo e scosse la testa. «Vedo solo delle nuvole, nulla di più.»
«Osservi con più attenzione. Quella grande alla nostra destra, le assomiglia così tanto…»
«C-Cosa?! Stai scherzando, vero?»
Rumsshi fu colto di sorpresa da quell’affermazione: era una divinità talmente fiera di sé che l’idea di essere rappresentato in una volta celeste, seppur per caso, lo stava rendendo raggiante di felicità. Cercò di individuare la nuvola indicata dal suo Angelo, per poi trovarla e commentare orgoglioso:
«Sono d’accordo. Visto? Anche quella nuvola ha già capito chi comanda in questo Universo!»

Per un secondo, Cus spostò lo sguardo verso il suo Hakaishin e sorrise.

Mio padre aveva ragione: nessuno può resistere al fascino delle nuvole!



A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Nemmeno questa volta ho molto da dirvi.
Un'altra fanfiction tranquilla: una scena serena, quasi dal sapore quotidiano, in compagnia di due personaggi colti nella loro intimità. Beh, il vedere due divinità al di fuori del loro lavoro e che ammirano il cielo, di certo non è qualcosa che abbiamo visto tutti i giorni in Super…
A proposito di Rumsshi, nessuno di noi è a conoscenza di come potrebbe essere il suo pianeta. Così, su due piedi, ho pensato che potesse richiamare quello della savana, dove gli elefanti sono tra i "re" di questo ambiente.
Prima di concludere c'è un'altra cosa che devo aggiungere, fresca di giornata. Nella storia precedente, a proposito del prompt di oggi, da Teo5Astor mi è stato suggerito di scrivere qualcosa sulle "nuvolette di fumo che escono dalle loro tazze di tè bollenti". E, anche se avevo già ultimato questa storia prima di leggere questo suggerimento, vi annuncio che non sarà ignorato. Prima o poi (dopo questo Writober sicuramente XD) scriverò qualcosa sull'argomento, perché mi è sembrata un'idea molto interessante!
Arrivederci al prossimo prompt: “Insonnia”… e chissà chi sarà il “malcapitato” protagonista della storia che sta per nascere, ahahah! Ho già una piccola idea sul come svilupparla… XP
--- Moriko

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Capitolo 3
*** Insonnia ***


A/N: Eccoci al terzo giorno del Writober di quest’anno!
E così anche alla terza storia di questa raccolta: “Insonnia”.
Prompt che mi ha subito ispirato il raccontare di una infelice situazione capitata un po’ a tutti: quella del russare. In questo caso, non ho fatto a meno di pensare a Rumsshi e al povero malcapitato Zamasu, perché sì: in loro vedo molto materiale per litigi e battibecchi di ogni genere! Non chiedetemi come, dato che nessuno di noi ha mai visto i due interagire…
Tornando alla storia, in passato ho visto la presenza di alcune immagini sul profilo di Tetsuyo (una delle mie artiste preferite a tema Universo 10) che raffigurano Rumsshi e Zamasu punzecchiarsi su qualsiasi cosa: i dolci, il dover fare qualcosa, il dormire nella stessa stanza… Ecco, a proposito di quest’ultimo passaggio, per oggi ho pensato di scrivere qualcosa che riguardasse il tema dell’insonnia e, si sa: quando dormono, tutti gli elefanti non hanno un suono così dolce e soave…
Se non ci credete, date un’occhiata qui! (È un video che vi avevo già mostrato in occasione della quarta storia della raccolta “Their everyday life in Universe 10”; allora l’avevo fatto per la ninna-nanna in sé, invece ora per il russare XD)
Detto questo, non mi resta altro se non augurarvi buona lettura!




Insonnia.



“Gli insonni non dormono perché si preoccupano, e si preoccupano perché non dormono.” D’accordo: ho capito che Lord Rumsshi non si preoccupa di nulla (altrimenti il nostro Universo sarebbe stato classificato con un livello più alto dal Grande Zen’ō)… ma, io dico: è davvero necessario il suo profondo e polifonico russare?

Il giovane apprendista Kaiōshin chiuse il quaderno sul quale aveva appena scritto quelle parole e lo ripose sotto il cuscino del suo futon, sdraiandosi nuovamente e osservando il soffitto della stanza dove si trovava.
Doveva cercare di chiudere occhio. Doveva farlo, prima di arrivare al punto di perdere del tutto la sua sanità mentale. Tuttavia, quel fastidiosissimo rumore lo stava solo sospingendo verso un punto di non ritorno: quello di un tentato omicidio, probabilmente lo stesso che ben presto sarebbe accaduto alle sue povere orecchie, disturbate in modo così ignobile da quello strazio.
Egli si ricordò delle parole che il suo maestro gli aveva detto prima dell’arrivo dell’Hakaishin sul loro pianeta.


«Questa notte Lord Rumsshi sarà nostro ospite. Mi raccomando, massima gentilezza, anche se a volte è un po’ scorbutico: un passo falso e per entrambi sarà la fine.
Inoltre, dato che dormiremo tutti nella stessa stanza, devo avvisarti che lui ha un piccolo difetto: russa. Ma non c’è nulla di cui preoccuparsi: vedrai che dopo un po’ ti ci abituerai anche tu!»



… Nulla di cui preoccuparsi? Abituarsi? A questo russare?! Adesso ti faccio vedere io!

Alzandosi di scatto per la rabbia, il giovane rivolse lo sguardo nella direzione del suo maestro che nel frattempo stava dormendo placidamente. In quel momento notò che il volto di Gowasu sembrava essere sereno, disteso, come se quel rumore assordante per l’apprendista non lo avesse sfiorato minimamente.
Zamasu si calmò. A lenti passi si avvicinò al futon dell’anziano Kaiōshin e si sedette accanto, osservandolo mentre dormiva. Sulle labbra del giovane si delineò un leggero sorriso, ed egli non poté fare a meno di distogliere lo sguardo dal suo maestro.

Forse, per questa notte riuscirò a resistere. Ho promesso che mi sarei impegnato per mantenere la pace nell’Universo, e questo significa anche proteggere il suo sorriso, maestro…

Purtroppo per Zamasu, quel momento di tranquillità venne interrotto da “un potente boato”, per la grande intensità grazie alla quale lo aveva udito. Rumsshi aveva emesso un forte rumore cupo, che stava mandando in frantumi l’unico specchio presente in quella stanza.
L’apprendista si alzò, e con uno sguardo che faceva presagire intenzioni non del tutto buone si diresse verso l’Hakaishin, che continuava a dormire beato.
Giurò che avrebbe dato a quel maleducato d’un elefante una bella lezione che mai più avrebbe dimenticato. Non potendo ucciderlo - sapendo che ne avrebbe fatto le spese anche il suo amato maestro - con un sorriso maligno afferrò il cestino con le mele che si trovava accanto al cuscino di Rumsshi nonché spuntino notturno del Distruttore e, con uno schiocco di dita, lo fece sparire nel nulla.

Le chiedo scusa, sommo Gowasu. Per questa notte, la pace nell’Universo può aspettare!



A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
La citazione di inizio storia è di uno scrittore e giornalista statunitense, Franklin Pierce Adams (e l’ho trovata su un sito web, tra l’altro XD)
Anche qui, cosa dire: un’altra fanfiction tranquilla - e chissà quando durerà questa pace sulla mia pagina… - e, questa volta, con un tema un po’ comune a tutti noi. Per il resto non ho parole: penso che la storia abbia già parlato da sola.
Il prossimo prompt, “Segreti”, per me ha quelle mille sfumature che lo stesso termine porta con sé… perciò, chissà domani cosa mi inventerò. Alla prossima, dunque!
--- Moriko

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Capitolo 4
*** Segreti ***


A/N: Quarto giorno, quarta storia del Writober: ”Segreti”.
Tutti noi abbiamo dei segreti: piccoli o grandi, è qualcosa di cui non riusciamo a fare a meno. A volte sono quelli “stupidi” sui quali possiamo riderci su; altri trattano di fatti ben più gravi e seri… ma, insomma: ognuno di noi ha qualcosa di nascosto che non ha mai detto a nessuno.
In particolare, riguardo l’Universo 10… ci credete che questa volta inizialmente ho pensato di ricorrere ad un generatore casuale? Potevo partire da Zamasu e dal suo (non così tanto) segreto dell’odio verso gli umani; potevo parlare di Cus e del suo “segreto” (del quale Gowasu, non appena l’ha scoperto, ha reagito con un’espressione scioccata, poverino XD) di essere la prima figlia del Daishinkan; potevo parlare di Rumsshi e raccontare qualcosa legata al suo passato… e, infine, potevo parlare di Gowasu e del suo passato da apprendista Kaiōshin, con un segreto che riguarda la sua iniziale “carriera”. Per non parlare degli altri personaggi dell’Universo 10, per esempio Black e…
… appunto, Black. E qui mi si è accesa una grande lampadina che ha dato il via alla storia che state per leggere!
Avvertimenti: state per leggere un testo in cui è presente un’opinione assolutamente discutibile portata avanti dalla sottoscritta. Per cui, a tutti coloro che pensano che Black sia solo un assassino, un sanguinario, un efferato omicida senza sentimenti… a voi consiglio di saltare questa storia, perché qui comparirà un Black o, meglio, lo Zamasu che poi è diventato Black, che vi sembrerà OOC.
E, detto questo, proseguo con la spiegazione. Vi ricordate di quando Black raccontava con nonchalance la storia dell’omicidio di Gowasu, quasi vantandosi di ciò che aveva fatto sempre “per il bene dell’Universo?” Ecco… sicuramente ora spalancherete gli occhi per ciò che sto per dirvi: ho sempre pensato che, subito dopo quell’omicidio, Zamasu avesse avvertito qualcosa di strano nel suo cuore. Cioè, avrà sicuramente pensato che ciò che aveva compiuto non era né intriso di malvagità, né fosse inutile ai fini del suo piano; tuttavia, per un secondo, potrebbe aver pensato che se avesse potuto evitare di assassinare una persona comunque cara a lui (e non tentate di convincermi del contrario, per favore, perché così è già troppo doloroso ;__;) nonché qualcuno che praticamente l’ha cresciuto e insegnato un sacco di cose, lo avrebbe fatto volentieri.
In altre parole, questa storia sarà un brevissimo viaggio nei sentimenti del protagonista subito dopo quel sanguinoso omicidio. (E, ovviamente, Black non poteva sbandierare anche questo ai quattro venti, altrimenti sì che sarebbe stato OOC XD)
Detto questo, come al solito vi auguro buona lettura!




Segreti.



Un efferato omicidio premeditato, accompagnato da un urlo di dolore, aveva sconvolto la tranquillità di quel luogo sacro.
Con un violento scatto Zamasu estrasse la sua lama di ki lasciando che il corpo di colui che doveva essere il suo amato maestro, ormai privo di vita, toccasse il suolo con irruenza.
Quando si accertò che la sua vittima non stesse più dando segnali di vita, sorrise soddisfatto: si avvicinò al suo volto e afferrò i due orecchini verdi, indossandoli a sua volta. Finalmente era a due passi dalla realizzazione del suo piano contro i mortali: non gli restava altro da fare che abbandonare il luogo dove era cresciuto e aveva maturato le sue intenzioni…

Tuttavia per qualche minuto rimase immobile, osservando il cadavere e portandosi una mano sul cuore.

… Era pentimento quello che stava provando?
No, gli sembrò impossibile. Non poteva essere pentito di ciò che aveva appena compiuto: sapeva che aveva agito nel giusto e che da quel punto non si poteva più tornare indietro.
Eppure… tutto ciò non riusciva a spiegare quel senso di pesantezza e inquietudine che stava avvertendo all’altezza del petto.
Il suo sguardo si posò inavvertitamente sulla chiazza di sangue che dal corpo, ormai inerme, si stava propagando lungo il pavimento della residenza.

Dannazione. Ora mi tocca anche pulire queste tracce così ignobili…

In realtà quell’ultimo termine, “ignobili”, non fece altro che allargare quella terribile sensazione che aveva appena iniziato a percepire e, con il trascorrere dei minuti, il giovane iniziò anche ad intuire il perché.
Non si potevano cancellare con un semplice gesto anni, secoli, quasi millenni di servizio presso un Kaiōshin, nonostante la differenza di idee che da sempre aveva avuto nei suoi confronti. In quei pochi secondi non si poteva eliminare del tutto l’affetto e il rispetto che aveva provato verso l’anziano… Erano sentimenti genuini, un amore che poteva durare per sempre e che, solo in quell’attimo, non era stato così forte da farlo desistere dal compiere quell’efferato gesto.
Era come se il giovane avesse preso in mano una gomma per tentare di eliminare ogni traccia lasciata dall’inchiostro su un pezzo di carta: sarebbe stato impossibile. Così come sarebbe stato ugualmente impossibile cercare di fermare quell’unica lacrima che gli era sfuggita dall’occhio e che, ora, stava scorrendo sulla sua guancia.

Un macigno al cuore. L’unico simbolo della fragilità di quella maschera da assassino che aveva indossato. Da allora avrebbe dovuto iniziare a conviverci, senza mostrarla mai all’Universo intero. Sarebbe stato il suo piccolo segreto, quello di cui nessuno al mondo doveva venire a conoscenza… nemmeno le sue controparti. Lo avrebbe portato con sé, nelle profondità della sua anima dove nessuno l’avrebbe mai visto, nemmeno sé stesso.
Voltò le spalle, cercando di allontanarsi da quel luogo senza guardarsi indietro.
Era certo che, quando avrebbe utilizzato le Super Sfere per ottenere un nuovo corpo, tutto quello che era accaduto… anzi, il suo intero passato sarebbe stato solo un brutto ricordo.

Non sai quanto mi dispiace, Gowasu. Spero che tu possa comprendermi: il tuo assassinio è stato un sacrificio necessario.
Comunque, sappi che questo non sarà un addio. Ci rivedremo all’inferno.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ecco, non ho molto da aggiungere. Innanzitutto chiedo nuovamente scusa a tutti i fan del Black canonico che avrebbero voluto vedere uno Zamasu alle prese con pensieri molto malvagi nei confronti del suo ex maestro. Mi dispiace aver deluso le vostre aspettative. ^^”
Sul resto non ho nulla da dirvi, per cui adesso lascio la parola a voi lettori. Noi, invece, ci vediamo domani con il prossimo prompt, “Futuro”.
--- Moriko

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Capitolo 5
*** Futuro ***


A/N: E siamo giunti al quinto giorno del Writober! Vi presento la quinta storia, “Futuro”.
Oggi voglio portarvi un po’ di positività, e scrivere dei brevi monologhi da parte delle quattro divinità dell’Universo 10. Il tema è “futuro” e… beh, questa volta ho semplicemente immaginato i loro pensieri non appena sono investiti dei loro rispettivi ruoli.
A parte questo non ho nient’altro da aggiungere, e quindi vi auguro buona lettura!




Futuro.



Da oggi, anch’io sono ufficialmente un Angelo di un Universo.
Dicevano che non sarebbe stato difficile arrivare fino a questo punto. «Sei la figlia del Daishinkan, beata te!» continuavano a ripetere le persone che incontravo, giorno dopo giorno, pensando che io avessi delle agevolazioni a causa di ciò.
Essere figlia di un Dio non è affatto un privilegio... tutt’altro, e oggi sono qui per dimostrarlo, accanto al Kaiōshin e all’Hakaishin che mi hanno affidato.
Io, Cus, Angelo dell’Universo 10, prometto di diffondere ovunque gioia e allegria!

***



Ed eccomi qui.
Nessuno se lo sarebbe aspettato: mi dicevano che ero troppo arrogante, presuntuoso e, addirittura, pigro per essere una divinità di tutto rispetto.
Eppure, nonostante ciò, il Grande Zen’ō e il Daishinkan mi hanno rivestito del ruolo di Hakaishin del Decimo Universo. Ci pensate… Zen’ō in persona, colui del quale si dice che possa cancellare interi Universi con un battito di ciglia!
Sembra incredibile, vero? Ma, nonostante i difetti che mi avete sempre attribuito, anch’io sono qui, accanto al mio Angelo e al Kaiōshin che mi accompagneranno lungo il mio percorso.
Fatevene una ragione, e iniziate a tremare.
Io, Lord Rumsshi dell’Universo 10, mi farò rispettare in ogni angolo del Multiverso!

***



Sembra un sogno, ma è tutto vero.
Finalmente anch’io, seguendo le orme dei miei venerandi antenati, sono giunto fino a qui. Sono consapevole del fatto che il ruolo che mi sto accingendo a ricoprire non è affatto semplice, anzi: a volte è più facile distruggere piuttosto che creare nuove forme di vita.
L’Hakaishin che ho al mio fianco sembra essere molto sicuro di sé. E come dargli torto: quasi lo invidio per il lavoro che deve svolgere, seppure io so che anche il suo compito richiede una forte responsabilità.
Tuttavia, ammetto che è più arduo il mio. E se sbaglierò qualcosa? E se un giorno dovessi inconsapevolmente creare dei mostri che metteranno in pericolo l’intero Universo?
Però non mi arrenderò, perché è questo il mio compito. Io, Gowasu, Kaiōshin dell’Universo 10, farò di tutto per guidare i mortali sulla via della giustizia e della pace.

***



Alzo gli occhi al cielo e osservo i piccoli satelliti bianchi che si stagliano in questo cielo giallo.
Io, Zamasu, Kaiō del Nord dell’Universo 10, mai avrei immaginato di arrivare fino a questo punto. Credevo che avrei finito i miei giorni sul mio pianeta, in compagnia del mio caro animaletto, in assoluta pace e tranquillità.
Invece per uno strano caso del destino mi trovo qui, sul sacro pianeta dei Kaiōshin, ad intraprendere un lungo percorso che mi porterà ad essere, un giorno, il successore del sommo Gowasu.
Strana la vita, vero? Un giorno pensi che tutto sia già prestabilito, il giorno dopo accade qualcosa che sconvolge i tuoi piani. Ed è bello così perché, da oggi, penserò al futuro come qualcosa di inatteso ma di straordinario, come una luce che illumina la strada di ritorno sulla via di casa.


Mi impegnerò con tutte le mie forze per preservare la pace in questo Universo!





A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Questa volta non ho davvero nulla da segnalarvi. Si tratta di una storia con ciò che potrebbero aver pensato Cus, Rumsshi, Gowasu e Zamasu prima di ricoprire i ruoli nei quali li abbiamo conosciuti. Quindi... niente: questa volta solo positività! ^^
A domani con “Colazione”… della quale ho pensato che sarebbe fantastico pubblicarla al mattino presto (ma di certo non farò in tempo a scriverla per quell'ora, ahahah XD)
--- Moriko

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Capitolo 6
*** Colazione ***


A/N: Salve a tutti, ecco a voi la sesta storia del Writober: “Colazione”.
Anche qui abbiamo come protagonisti le divinità dell’Universo 10… erm, ok: un giorno arriveranno anche gli altri personaggi. È che al momento solo le divinità mi stanno offrendo degli spunti “interessanti” (diciamo così) su questi prompt; però mi impegnerò per inserire nei prossimi giorni anche qualcuno dei guerrieri! :D
Riguardo la storia di oggi, il tema è “colazione”. Tutti sappiamo che la colazione è un momento fondamentale della giornata: ci svegliamo e, grazie ad essa, ricarichiamo le nostre energie per affrontare al meglio la giornata. Secondo voi… come la vivranno le divinità sul pianeta dei Kaiōshin? Ovviamente, conoscendo Gowasu (almeno lui) sempre con il sorriso sulle labbra!
Tuttavia, la colazione di oggi sarà un po'... particolare. Come mai?
Detto questo, vi lascio alla lettura del testo.




Colazione.



Nella biblioteca situata nella residenza dei Kaiōshin, Zamasu era nel pieno di una ricerca per lui importante. Nel primo pomeriggio il suo maestro aveva iniziato ad avere i sintomi dell’influenza e, per questo, si era insolitamente ritirato nella sua stanza per riposarsi.
Per aiutare il Kaiōshin a riprendersi, Zamasu pensò che sarebbe stato utile trovare qualche ricetta adatta in queste situazioni: una speciale miscela di tè, un brodo caldo o qualche particolare medicinale.
Vi erano un sacco di scaffali nei quali erano riposte, in ordine di argomento, le centinaia di libri presenti nella struttura. Il giovane si diresse nella zona dedicata alla medicina e al cibo per capire se quei volumi impolverati potevano essere utili per il suo scopo.
All’improvviso, mentre stava prendendo un libro dalla pila riposta al fianco di uno degli scaffali, sulla sua testa cadde un piccolo fascicolo. In un primo momento pensò, a causa della sua leggerezza, che si trattasse di qualcosa di superfluo ma, quando il suo sguardo si posò su quell’oggetto, lesse il titolo:

“Aforismi sulla prima colazione. Come iniziare al meglio la giornata, recuperando le energie che ti servono!”

Bah, totalmente inutile, pensò. Decise comunque di prenderlo - giusto per darci un’occhiata quando non avrò nulla da fare - insieme a due volumi sull’influenza che aveva trovato.

---

Zamasu decise di recarsi nelle cucine per preparare la colazione per lui e per il suo maestro.
Mentre stava seguendo l’ebollizione a fuoco lento di uno speciale decotto che aveva ricavato da una ricetta indicata in uno dei volumi che aveva preso, nell’attesa decise di dare un’occhiata anche a quel fascicolo che accidentalmente gli era capitato tra le mani.
Dando un rapido sguardo nelle prime pagine, in particolare furono due le frasi che subito attirarono la sua attenzione.

«Per iniziare la giornata scelgo un caffè, per continuarla, un sorriso.» (Stephen Littleword)

«La più buona colazione è un bel sorriso regalato di prima mattina. Se ci aggiungi una bella dose di entusiasmo e di energia la ricetta del buon umore è perfetta!» (Franxy Sant)

Così come tante altre, delle quali il giovane comprese che il filo conduttore era il sorriso.
Forse sarà solo una stupidaggine - pensò - ma in fondo… non è ciò che mi consiglia sempre il sommo Kaiōshin? Iniziare la giornata con un sorriso, tutti i giorni. Devo provarci anche oggi, chissà: forse potrebbe davvero giovare alla sua guarigione…
Una volta che il decotto era pronto, lo prese e si avviò verso le camere da letto della residenza.



Da quando era entrato in quella stanza, l’apprendista non aveva mai smesso di sorridere all’anziano Kaiōshin: i due restarono in silenzio mentre Gowasu, con molta tranquillità, stava bevendo il suo decotto. Solo quando lo finì, quest’ultimo disse: «Sai… ora mi sento meglio rispetto a ieri: ti ringrazio.»
Zamasu gli rivolse un inchino come ringraziamento e rispose: «Sarà merito del riposo e di questo decotto.».
Il vegliardo gli porse la tazza e scosse la testa.
«In realtà… penso che il merito vada soprattutto al tuo sorriso. È proprio vero che, per iniziare la giornata con il piede giusto, c’è proprio bisogno di tanta positività!»



A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Gosh: che storia banale, argh! È una delle peggiori che abbia scritto finora... ^^"
Anche qui, solo poche parole. Si sa che un motivo per iniziare bene la giornata (a parte un’ottima colazione, quella è fondamentale!) è la presenza di un bel sorriso… Anche se poi la giornata prenderà una piega inaspettata e negativa - perché, purtroppo, ci sono anche giornate “no” nella nostra vita - un sorriso di prima mattina fa iniziare tutto con molta carica positiva!
Detto questo ci vediamo domani con la settima storia, “Vento”. A tal proposito, in realtà avevo già scritto una storia con questa tematica… ma, dato che quella riguarda un argomento più complesso, per domani ci sarà qualcosa di completamente diverso. Di certo più allegro rispetto a quella storia, sì! XD
Alla prossima!
--- Moriko

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Capitolo 7
*** Vento ***


A/N: Settimo giorno, dunque settima storia del Writober: “Vento”.
Qui abbiamo come protagonista della storia di oggi non più una divinità ma un comune mortale, in particolare una dei guerrieri del Team più sfortunato di tutti i tempi Universo 10: Lilibeu.
Ora… vi confesso che a me, come personaggio, è piaciuta molto. (Unpopular opinion, lo so.) Anche se poi si è dimenticata di usare le sue ali nel corso del Torneo - e su questo argomento preferirei sorvolare XD – nonostante ciò mi ha fatto una grande tenerezza. Ok, in quel momento dell’anime ha compiuto una stupidaggine… però mi sono chiesta: chi, in preda alla paura, non compie delle sciocchezze? Tra l’altro, ho amato il momento in cui Gowasu (sic!) la consola incoraggiandola a fare il tifo per i suoi compagni. Awww~
Tornando al testo in questione, per questo prompt si poteva scegliere chiunque come protagonista, e costruire delle storie interessanti a seconda del loro rapporto con il vento. Mi è stato giustamente notato (e ringrazio Il corsaro nero per la segnalazione) come la mia Past and Present ruoti intorno al tema del vento, ed è vero: il vento può essere segnale di positività o di sciagure.
Oggi, in questa sede, vi porto il vento visto come qualcosa che ti trascina, che ti porta lontano, che ti trasmette dei messaggi e al quale puoi affidarne qualcuno senza il timore di essere tradito.
Come al solito, vi auguro buona lettura.




Vento.



Sin da piccola Lilibeu amava il vento.
Del vento le piaceva il dolce muoversi delle fronde degli alberi, dell’odore che dai fiori si sprigionava e si diffondeva per l’aria, dello spronare l’intensità delle onde del mare, del calore del sole che illuminava le terre. Il vento intensificava tutto questo: viaggiava in tutto il pianeta, a volte con una maggiore potenza ed a volte con minore intensità.
Per sentire tutto questo sulla sua pelle, spesso si sedeva da sola e, chiudendo gli occhi, cercava di individuare gli odori e le sensazioni che il vento le trasmetteva di volta in volta. Spesso era al vento che rivelava i suoi segreti più nascosti, proprio perché le piaceva il modo in cui il vento scacciava i suoi pensieri negativi e, allo stesso tempo, diffondeva la gioia che c’era nell’aria.
Amava il modo in cui il vento aveva la capacità di soffiare dove voleva, su qualunque cosa, verso chiunque: il suo linguaggio era universale, e non aveva né nazionalità né colori. Il vento non faceva discriminazioni, ed era questo il lato che le piaceva di più.

Non appena imparò a volare, le piaceva librarsi nel cielo e lasciarsi guidare dalla direzione che il vento le indicava. Come un cavallo libero nella prateria anche lei non si stancava mai di spostarsi nell’aria, da un punto all’altro del suo pianeta natale: era la sua linfa vitale, qualcosa che aveva dentro fin dalla sua nascita. Non le importava se era di forte intensità o solo una leggera brezza: a lei non dava fastidio.
Le piaceva essere accarezzata e seguita dal vento, e ben presto imparò a fare di tutto ciò la base del suo potere.

Eppure, nonostante avesse promesso a se stessa che avrebbe volato per tutta la vita… nel corso del Torneo del Potere si era dimenticata di farlo.
La paura di morire aveva preso il sopravvento e, per la prima volta, la giovane guerriera aveva rimosso ciò che per lei era diventato essenziale. Non aveva tenuto conto della grande velocità e impetuosità di quegli eventi burrascosi, che in quei minuti erano stati più forti di una forte tempesta.

«Sono un fallimento…»

Più che al suo Team, lo ripeteva a se stessa. L’Hakaishin aveva ragione: come aveva fatto a dimenticarsi all’improvviso di avere due ali e, con quelle, obliterare anche l’azione stessa del volare? Era come se avesse chiesto ai mortali di dimenticarsi dell’uso delle gambe per camminare: era una necessaria funzione, senza la quale sarebbe stato arduo - anche se non impossibile - sopravvivere.
Però, grazie all’aiuto del sommo Kaiōshin, a poco a poco era riuscita a recuperare subito il sorriso e la fiducia in se stessa. Come il berillio era, sì, fragile ma, allo stesso tempo, forte e leggera come il vento che l’aveva sempre guidata.
Aveva promesso a se stessa che, una volta tornata a casa, avrebbe fatto di tutto per non cadere più in quell’errore fatale. Anche se non ci sarebbe stato del vento, come era successo in quel Torneo, lei avrebbe continuato ad avvertire la sua presenza, perché sapeva che era lì.
Pronto ad attenderla per un nuovo giro di danza.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
A proposito del vento, nella storia precedente vi avevo scritto che esisteva una storia che aveva la stessa tematica. In realtà è ancora inedita, per cui al momento preferisco non anticipare nulla (la curiosità è che anche quella era una flashfic, dunque potevo tranquillamente "barare" e pubblicare quella al posto del testo che avete appena letto, ahahah XD) Non l’ho ancora pubblicata per una ragione, che vi scriverò nel giorno in cui sarà online. ;)
A domani con l’ottava storia, “Statua”. Ok… di persone megalomane ne abbiamo, dunque: chi sarà la “vittima” del prossimo testo?
A risentirci, dunque!
--- Moriko

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Capitolo 8
*** Statua ***


A/N: Rieccoci per l’ottava storia del Writober: “Statua”.
Senza fare troppi giri di parole, sono certa che anche voi avete pensato a due personaggi in particolare (intendo dell’Universo 10, dato che questa raccolta è su di loro): Rumsshi e Zamasu. Loro due sono stati i candidati perfetti per una storia nella quale la parola “statua” viene intesa come oggetto fisico… e, si sa: la statua è da sempre il mezzo ideale per diffondere e rafforzare un determinato culto, e sentire la divinità più vicina all’umanità.
Alla fine ho scelto Rumsshi anche perché finora Zamasu era sul punto di prendere il monopolio di queste storie e ho pensato ad una scena nella quale ha scoperto per la prima volta questo valore della statua in rapporto agli abitanti del suo Universo. Inoltre, ormai sappiamo che una delle caratteristiche di questo personaggio è proprio il suo desiderio di essere elogiato e lodato, ragion per cui ho trovato questo prompt perfetto per lui!
Detto ciò, vi auguro buona lettura.




Statua.



Era una tranquilla giornata sul pianeta dell’Hakaishin dell’Universo 10. Come era solito fare, il Dio della Distruzione stava riposando nella sua stanza… o, per meglio dire, stava placidamente ronfando tra due enormi guanciali, scoperto dalla vita in su, con una gamba che gli penzolava fuori dal letto.
Tutto questo mentre il suo Angelo Cus, seduta sul balcone di quella camera da letto, dalla sfera del suo scettro stava osservando una vera e propria faida tra due famiglie, da sempre in lotta sul loro pianeta. Non amava per niente le scene che erano proiettate di fronte a lei: intere famiglie che si organizzavano in bande per tendere delle trappole ai loro nemici, e innocenti che fuggivano in preda al terrore.
Ogni volta che i suoi occhi vedevano tutta questa violenza, la ragazza stringeva il suo scettro. Più volte - invano - aveva provato a svegliare l’Hakaishin… tuttavia quest’ultimo non ne voleva sapere di ridestarsi.
Così, non appena lei vide un enorme mostro - creato da una delle famiglie in guerra per sconfiggere, in pochi secondi, i suoi acerrimi rivali - arrivare al punto di coinvolgere la stabilità dell’intero pianeta, Cus pensò che non c’era bisogno di andare oltre. Si alzò, entrò nella stanza e rovesciò sulla testa del Distruttore l’intero sacchetto di mele che era accanto al letto. A quel punto, di scatto egli si sedette e, per il forte dolore, si massaggiò la testa.
«Ti sembra il caso di svegliarmi in questo modo?»
La ragazza incrociò le braccia e sentenziò: «È il momento di agire: c’è una malvagia creatura che potrebbe diventare una minaccia per l’intero Universo.»

---

Il duo si fermò su una collina, intento ad osservare gli eventi disastrosi che stavano accadendo a valle. Spronato dall’Angelo - dietro ad una generosa ricompensa di mele - Rumsshi utilizzò il suo potere per distruggere, in pochi secondi, quel mostro.
«E anche questa è fatta,» avrebbe voluto dire… sennonché un urlo alle sue spalle interruppe quel suo “momento di gloria”.
Cus si voltò, e vide un giovanotto che li stava osservando con molto stupore. Quel ragazzo, però, non pensò due volte a correre verso i suoi compagni che erano scampati alla distruzione e urlare a squarciagola: «Eccolo lì, il nostro Dio che ha salvati! Presto, erigiamo una statua in suo onore!»
Il Distruttore rimase spiazzato di fronte a quelle parole. «C-Come? Una statua… di me?!» disse stupefatto.
«È un modo dei mortali per renderle omaggio, Lord Rumsshi,» rispose l’Angelo con un sorriso, per poi voltarsi verso di lui. «Beh… cosa ne dice se li raggiungessimo per---»
Ma Rumsshi si era già dileguato dalla sua vista; Cus lo vide a valle, in mezzo a quel gruppo di persone, pronto a farsi venerare e dare indicazioni sulla costruzione della sua statua.
«Ehi, Cus!» urlò, invitando l’angioletta a seguirlo. «Non sapevo di questa tradizione delle statue: mi conviene distruggere più spesso se voglio farmi adorare da tutto l’Universo!»
Di fronte a quella scena la fanciulla sorrise rassegnata e si incamminò verso la valle.

Speriamo che, non appena termineranno la sua statua, non perda di nuovo la voglia di lavorare…




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Scusate se sono ripetitiva, ma di storia in storia ho sempre meno parole nelle note finali. Diciamo che ho già detto tutto nell’introduzione, per cui passo subito oltre! A dire il vero, anche questa storia è molto banale... argh!
A domani con la nona storia, “Lettere”. Anche qui c’è solo l’imbarazzo della scelta (però, in realtà, ho già un’idea…)
--- Moriko

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Capitolo 9
*** Lettere ***


A/N: Nona storia del Writober: “Lettere”.
E chi poteva mai essere il protagonista, se non il mio personaggio preferito di questo Universo, ovvero Gowasu? Viva l’originalità, sì! XD
Sarò breve. Ho trovato questo tema molto interessante per il nostro Kaiōshin, perché è (circa) da sempre che, dopo tutti i tristi eventi accaduti nella saga di Black, l'ho immaginato mentre ha scritto qualche lettera per il suo ex apprendista, nel silenzio della sua stanza. Sono lettere che non arriveranno mai al suo discepolo ma che, per l’intensità dei suoi sentimenti, ha deciso di scriverle nero su bianco pur sapendo che tutto ciò diventerebbe solo un dialogo a senso unico - un po’ se parlasse da solo, in effetti… poverino.
Il testo sarà interamente in corsivo perché sono testi scritti dal Kaiōshin in persona (o, almeno, ci si prova ^^”) Si tratta di due lettere, una scritta dopo gli eventi della saga di Black e una dopo quelli del Torneo del Potere.
Detto ciò, vi auguro buona lettura.




Lettere.



Cosa dire a qualcuno come te che, per la prima volta, è riuscito a mettere in evidenza i miei errori?
Se in questo momento potessi vederti, probabilmente non riuscirei nemmeno a guardarti negli occhi… proprio come sto facendo con chiunque stia incontrando.
Lo riconosco: ho miseramente fallito. Con il mio gesto ho condannato un intero Multiverso alternativo alla totale distruzione, e ho rischiato di fare lo stesso anche con il nostro.
Mi vergogno di me stesso, di ciò che ti ho fatto diventare.
Sono un mostro, lo so.
L’unico rimpianto che ho è quello di non poterti incontrare di nuovo per chiederti perdono. Però… nonostante l’evidenza, una piccola parte di me è convinta che tu possa continuare a percepire i miei pensieri, perché una divinità non può essere distrutta per sempre.
E spero che, da qualche parte, tu possa ascoltarmi e accettare le mie scuse.
Intanto io continuerò il mio cammino, con questo senso di vuoto all’altezza del petto che sta divorando la mia anima. E lo farò stringendo tra le mani questo anello verde, simbolo dei miei peccati e di ciò che, nel frattempo, sono diventato: una divinità in lacrime che indossa una maschera che sorride.





Sai…
… sono trascorse diverse settimane dalla fine del Torneo del Potere, e ancora non riesco a crederci.
Non solo siamo tornati in vita, ma il Grande Zen’ō ha rivelato che il suo scopo era quello di trovare mortali che fossero così virtuosi da mettere da parte il proprio egoismo per il bene del Multiverso.
Come avrei voluto che anche tu fossi presente! Sarebbe stato molto interessante vedere il tuo volto, sorpreso da tale notizia - e, chissà: scommetto che in un primo momento ti saresti anche infuriato!
Perché ormai ti conosco fin troppo bene: so che l’avresti fatto. Ma non per la decisione del Grande Zen’ō… già. Ti saresti adirato perché, per la prima volta, l’evidenza dei fatti avrebbe smentito le tue idee sui mortali. L’Universo 7, dal quale proviene il tuo odiato Son Goku… è lo stesso che ha generato guerrieri valorosi come C17, che hanno pensato anche al nostro bene.
Ma anche gli altri Universi non sono stati da meno… Pensa anche al nostro: grazie a Lord Rumsshi e Lady Cus ho conosciuto persone come Obuni, che hanno combattuto per il bene del loro pianeta e dei loro cari. Quanto vorrei che tu fossi qui, proprio ora. Ci saresti rimasto male, sì, ma poi avresti sorriso e ringraziato il cielo di questa meravigliosa scoperta.
Noi, come la volta stellata, continueremo a vegliare non solo sui malvagi ma anche sui buoni.
Ti prometto che d’ora in poi mi impegnerò a svolgere al meglio il mio ruolo… e (almeno ci provo) ad incitare Lord Rumsshi a smetterla di essere pigro. Spero che anche lui abbia imparato la lezione che ci ha dato questo Torneo…
Nel frattempo io continuerò a vivere. Lo farò anche per te, che avresti voluto vedere tutto questo.

Un mondo in pace, dove tutti collaborano per il suo bene.





A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ecco qui: in poche parole è stato un viaggio nei sentimenti dell’anziano Kaiōshin dopo gli eventi che ha vissuto in Super. E, detto questo, per oggi possiamo chiuderla qui.
A domani con la decima storia, “Diversità”. Siamo già alla decima?! Come passa il tempo… :3
--- Moriko

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Capitolo 10
*** Diversità ***


A/N: E siamo giunti alla decima storia del Writober: “Diversità”. Prima colonna, superata! ^^
Qui facciamo un passo indietro e torniamo agli eventi pre Super (almeno nella seconda parte, considerato come è andata a finire…) In breve, per oggi vi presento una veloce e sommaria descrizione del rapporto - e soprattutto delle differenze, visto il prompt - tra le due “coppie” delle divinità di questo Universo: Cus e Rumsshi, Gowasu e Zamasu.
Senza indugiare oltre, come al solito vi auguro buona lettura.




Diversità.



Un Angelo e un Dio della Distruzione.
Strana accoppiata, si poteva pensare… ed era proprio così per l’Universo 10. Cus e Rumsshi erano diversi tra loro: un’angioletta allegra e solare, dall’aspetto di una ragazzina di circa dodici anni, e un possente elefante antropomorfo, burbero e pigro, che adorava essere venerato in ogni parte del loro Universo.
Lei guardava il mondo con occhi disinteressati; lui osservava gli eventi con severità e arroganza.
A prima vista, nessuno avrebbe detto di loro che sarebbero stati uniti da un legame di complicità molto forte: sembravano due persone messe lì a caso, che dovevano stare insieme solo per via del loro ruolo, senza implicazioni sentimentali di alcun tipo.

Erano diversi, eppure molto simili.
Ben presto entrambi si affezionarono l’uno all’altra, sapendo che era proprio la loro differenza a permettere di completarsi a vicenda, come le tessere di un mosaico.
Per Rumsshi, Cus era diventata al pari di una madre, una figura materna che lo rimproverava quando sbagliava e lo accudiva dolcemente quando era giù di morale.
Per Cus, Rumsshi era diventato come un figlio, se non qualcosa di più: un valido alleato, un grande complice e compagno di avventure, un amico al quale confidarsi nel momento del bisogno.
Davanti alle altre divinità non lo davano troppo a vedere, ma nell’intimità della loro dimora riuscivano a dimostrare l’affetto che provavano a vicenda.
Quella diversità nel fisico e nel carattere non aveva impedito loro di volersi bene.





Un Kaiōshin e il suo apprendista.
A prima vista si poteva pensare che quest’ultimo fosse stato solo un subordinato di una grande divinità, una sorta di suo clone, che aveva le sue stesse opinioni. Nel caso di Gowasu e Zamasu non era affatto così, e ciò emergeva soprattutto durante la loro vita quotidiana nella dimora dei Kaiōshin dell’Universo 10.
Vedevano l’Universo con occhi diversi e, questo, implicava inevitabilmente una differenza di idee e opinioni su qualsiasi argomento, a partire da quelle più “banali” come il cibo, fino ad arrivare a quelle più “filosofiche” come, nel loro caso, sugli individui che dovevano proteggere: i mortali.

Eppure si apprezzavano, perché entrambi sapevano di essere unici in quell’Universo. Erano consapevoli che la loro differenza non li avrebbe danneggiati ma, anzi, avrebbe portato loro molto arricchimento, perché il vedere certe scene con quattro occhi al posto di due sarebbe stato benefico per la crescita di entrambi.
Sapevano che la diversità, intesa come disparità, avrebbe portato loro alla frattura del loro legame, fino alla totale cesura e frantumazione. Dovevano camminare l’uno accanto all’altro e accettare le loro differenti opinioni con serenità e tolleranza. C’era spazio per entrambi nel mondo delle divinità: insieme, nella loro diversità, avrebbero fatto grandi cose e avrebbero raggiunto qualsiasi obiettivo.
In fondo, il loro legame non era solo quello di un maestro e di un allievo. Era molto più forte, come quello che intercorre tra padre e figlio: un filo rosso che, anno dopo anno, secolo dopo secolo, li avrebbe stretti sempre più e legati per l’eternità.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Prima di concludere, di seguito vi riporto una citazione che ho trovato su Internet… e che, personalmente, ho trovato perfetta per riassumere il legame che c’è tra le quattro divinità: “Bisogna somigliarsi un po’ per comprendersi, ma bisogna essere un po’ differenti per amarsi.” (Paul Géraldy)
Detto questo, ci vediamo domani con l’undicesima storia, “Caffetteria”. Beh: in un Universo dove tutti bevono il tè… questa volta ci sarà qualche cambiamento? Chissà!
--- Moriko

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Capitolo 11
*** Caffetteria ***


A/N: Ciao a tutti e ben ritrovati al consueto appuntamento del Writober. Oggi, ecco a voi l’undicesima storia: “Caffetteria”.
Anche qui, storia pre Super… e, proprio per non farci mancare nulla, sempre una storia su Gowasu e Zamasu. Ormai conosciamo molto bene l’amore per il tè che hanno questi due personaggi… tuttavia, cosa accadrebbe se uno di loro si mostrasse interessato a qualche altra bevanda, come il caffè?
Esatto: di certo NON sarà questa la storia di oggi. XD
Questa volta, dato che il prompt è “Caffetteria”, ho voluto raccontare una storia dove il Kaiōshin, nella sua attività quotidiana di osservazione dei pianeti del suo Universo, si accorge di qualcuno che vuole aprire una caffetteria. E, dato che i Kaiōshin di solito apprezzano molto il tè… potete immaginare la breve conclusione che ha tratto da questo episodio. :3
Detto questo, vi lascio alla lettura.




Caffetteria.



Tutto aveva avuto inizio durante quella che sembrava essere una tranquilla giornata sul pianeta dei Kaiōshin.
Com’era solito fare, il giovane apprendista Zamasu stava versando il tè al suo maestro, il quale nel frattempo stava osservando dalla sfera tutto ciò che stava accadendo nei pianeti dell’Universo. In particolare, il suo sguardo si era posato su quella che l’apprendista avrebbe definito una strana scena: una coppia stava sistemando un vecchio negozio per trasformarlo nell’idea che insieme avevano progettato.
Una caffetteria.
Zamasu notò negli occhi dell’anziano Kaiōshin una luce diversa dal solito. Il vegliardo sembrava essere felice, entusiasta dell’idea alla quale il giovane, invece, era indifferente. Che cosa c’è di così speciale in un negozio? - pensò.
«Maestro Gowasu.»
«Dimmi, Zamasu.»
«Ho bisogno di saperlo: perché è così interessato alla costruzione di quel negozio?»
Il Kaiōshin continuò ad osservare, in silenzio, la scena che era proiettata in quella sfera. Poi, ad un tratto, si voltò verso il suo discepolo e, con un cenno della mano, lo invitò ad accomodarsi accanto a lui. Zamasu si sedette, e fu allora che il vegliardo gli rispose sorridendo: «Lo sai che la vita è un bellissimo e interminabile viaggio alla ricerca della perfetta tazza di tè?»
Il giovane spalancò gli occhi. Conosceva molto bene il carattere scherzoso e solare del suo maestro e, dunque, anche le sue improvvise battute. «Veramente, maestro Gowasu… si tratta del caffè. E la sua è una citazione di un’umana di nome Barbara A. Daniels: l’ha palesemente modificata per inserire la parola “tè”.»
Colpito e affondato: l’amore del Kaiōshin per quella deliziosa bevanda non conosceva davvero limiti. Gowasu incrociò le braccia e, con uno sguardo di disapprovazione, disse: «Ma io intendevo proprio il tè. A me non piace il caffè, mi rende nervoso.»
Ora fu Zamasu a sorridere. Gli era bastato poco: da quei pochi gesti del suo maestro, così spontanei e sinceri, già aveva capito dove l'altro voleva arrivare con quel discorso.
«In altre parole vuole aprire una sorta di caffetteria, o mi sbaglio?» domandò il ragazzo.
Il vegliardo sorrise nuovamente. «Te l’ho già detto che odio il caffè, perciò… sì, mi piacerebbe aprire una sala da tè. Da qualche parte nell’Universo, non importa dove.»
I due tornarono ad osservare la coppia che stava sistemando la loro caffetteria: quei ragazzi stavano urlando di gioia perché avevano appena testato la macchina del caffè e scoperto che funzionava alla perfezione.
«Forse devo darle ragione, maestro…» commentò Zamasu. «Il caffè deve avere qualche proprietà che, entrata in funzione nel corpo dei mortali, li porta ad uno stato di eccitazione e di euforia…»
«A dire il vero, loro non hanno ancora---»
«Però ho colto il loro spirito.»
Le ultime parole di Zamasu sorpresero in positivo l’anziano Kaiōshin. L’apprendista si alzò e, riponendo le tazze ormai vuote sul carrello, si avviò verso la porta che lo divideva dalle cucine.
«Vada per la sala da tè. Il principio è lo stesso: che sia una caffetteria, un bar o una sala da tè… l’importante è accogliere il cliente con il sorriso sulle labbra.»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Oggi, mentre cercavo qualcosa a tema caffè per farmi ispirare, mi sono imbattuta in una citazione che vorrei riportarvi: "Quando entro in un bar, più della qualità del caffè, mi importa la sincerità del sorriso con cui il barista mi saluta." [Greygoose975 su Twitter] Così tutto è partito da qui, dato che ho pensato che i due (soprattutto Gowasu) si sono distinti per la loro gentilezza. E poi è vero: quando si entra in un qualsiasi negozio, ciò che conta davvero è il sorriso e la cordialità di chi ti accoglie.
A questo punto, mi chiedo: chissà se, alla fine, i nostri due personaggi avranno inaugurato una sala da tè per davvero… Chissà!
A domani con la dodicesima storia, “Viaggio”. Piccola anticipazione: anche questa volta il protagonista non sarà una divinità...
--- Moriko

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Capitolo 12
*** Viaggio ***


A/N: Rieccoci qui con un’altra storia del Writober, la dodicesima: “Viaggio”.
Questa volta ho scelto un personaggio del quale non sappiamo quasi nulla: Jilcol, che… vi dirò: prima di vedere Obuni in azione, ho creduto che lui fosse l’asso nella manica di questo Team, ahahah! In conclusione: ho finito per essere colta di sorpresa quando è stato sconfitto nell’anime, sigh!
A parte le pochissime informazioni sul suo stile di combattimento e il suo aspetto fisico… per il resto non ci viene detto nulla. Così, ho pensato di approfittare del prompt di oggi per raccontare il pensiero che io ho su questo personaggio.
Secondo me, è il personaggio che più di tutti (a parte le divinità, si intende) ha fatto del viaggio la sua vita. L’ho immaginato nomade, mentre vaga di paese in paese, vivendo in parsimonia e facendo amicizia con chiunque lui abbia incontrato lungo il suo cammino e che, come un asceta, si ritira in luoghi deserti per meditare.
Quindi, insomma: solo questo, e scusate se è poco. ^^”
Detto questo, vi auguro buona lettura.




Viaggio.



La sua vita era un lungo viaggio.
Jilcol era nato in una famiglia nomade, che era abituata - per via della loro attività di pastorizia - a spostarsi di luogo in luogo, alla ricerca di qualcosa che potesse dare loro sostentamento per gli anni a venire. I suoi grandi occhi di bambino avevano visto mille volti in centinaia di scenari, e fin da subito i suoi genitori gli avevano insegnato a fare amicizia con gli abitanti dei villaggi che incontravano di volta in volta.

Da ragazzo si era dedicato all’arte dell’artigianato, intessendo stoffe che poi rivendeva nei mercati e nelle fiere del suo pianeta. Era orgoglioso dei suoi prodotti e dei risultati che aveva raggiunto, impegnandosi ogni giorno senza mai fermarsi.
Raggiunta la maggiore età aveva deciso, come era da tradizione nella sua tribù, di allontanarsi dalla sua famiglia per viaggiare da solo e scoprire il mondo. Entrò in contatto con molte persone, soprattutto persone povere come lui, e non esitava a dare loro aiuto e sostegno nei momenti di difficoltà.
Non sentiva il bisogno di avere terre, né una fissa dimora: voleva vivere libero, con ciò che la natura gli avrebbe offerto, senza pretendere qualcosa in più da quello che sembrava essere il suo destino da nomade.
E, in quella stessa natura, lontana dalla civiltà, aveva deciso di dedicarsi ad un’antica arte meditativa: lo yoga. Si era allenato molto, unendo le arti marziali a questa disciplina, per cercare di essere più forte e proteggersi dagli assalti dei banditi.

Proprio mentre aveva pensato di aver trovato se stesso… un giorno, all’improvviso venne preso per un braccio e teletrasportato in un luogo che non aveva mai visto in vita sua. Anzi: se doveva essere sincero, non gli sembrava nemmeno di trovarsi sul suo stesso pianeta.
Di fronte a lui vi era un possente elefante antropomorfo - forse una divinità, a giudicare dagli abiti che indossava - che in pochi minuti gli spiegò il motivo per il quale si trovava laggiù, insieme ad altre persone che non aveva ancora incontrato lungo il suo cammino.
Jilcol comprese che il suo Universo era in pericolo, e che la sua forza interiore poteva essere una valida carta per la sua salvezza.
Non riusciva a crederci, ma doveva farlo.
Doveva combattere, se voleva proteggere il suo pianeta… e la sua tribù.



«Cosa farai, adesso? Se vuoi, puoi continuare a stare con noi.»
Il leader del suo Team, Murichim, conosceva molto bene il suo vissuto e sapeva che quel guerriero non aveva una fissa dimora. Forse era l’unico, in quella bizzarra squadra, a condurre una vita del genere.
Egli pensava di fargli un favore rivolgendogli quella richiesta. Ma, a sua grande sorpresa, il combattente gli sorrise e gli voltò le spalle, rimettendosi il sacco sulle spalle e incamminandosi verso l’orizzonte.

Non mi dimenticherò mai di voi, però il viaggio è la mia casa. Grazie a questo Torneo, ora so che ho ancora molta strada da fare… e, per questo motivo, devo continuare a camminare senza una meta.
Ma sono certo che un giorno ci rivedremo.
Grazie di tutto.





A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
A dire il vero, a fine storia volevo inserire questa citazione… ma poi ho pensato di farlo qui perché la trovo adatta per tutti, non solo per il personaggio. “Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita.” [Jack Kerouac]
Detto questo, ci vediamo domani con la tredicesima storia, “Quadro”. Questa volta niente anticipazione: devo studiare il tema… XD
--- Moriko

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Capitolo 13
*** Quadro ***


A/N: Salve a tutti e ben ritrovati con la tredicesima storia del Writober: “Quadro”.
Scelta difficilissima, a dire il vero: all'inizio non avevo la più pallida idea del cosa scrivere, ahahah. Così, dopo tanto pensare, alla fine ho deciso di puntare su quella che doveva essere, almeno dalle informazioni aggiuntive che ci sono arrivate da Animedia, la punta di diamante del Team Universo 10. Ed io, più ci penso e più continuo a non crederci perché, al fianco di guerrieri come Jiren, Caulifla e Ribrianne abbiamo anche… Jirasen.
Proprio lui, esatto: il tizio con la rosa che insegue in continuazione Piccolo/Junior durante il Torneo del Potere e, sfortunatamente, viene preso in pieno dal colpo di Ribrianne che lo scaraventa fuori dal ring. La cosa più strana è che lui e Jilcol erano considerati dei keyplayer del loro Team ma, alla fine, non hanno fatto nulla di così rilevante. Forse mancanza di tempo da parte della produzione dell’anime… ? Per me resterà un mistero.
A parte questo, in questa raccolta vorrei cercare di includere qualche storia anche su questi personaggi secondari anche se, in realtà, sono così affezionata alle quattro divinità che mi riesce più facile scrivere su di loro. Però… mi piacerebbe utilizzare questo angolo anche per gettare qualche spunto su qualche, ipotetica, futura storia su di loro: visto che non sappiamo quasi nulla di questi guerrieri, scrivo ciò che penso io - quindi assolutamente discutibile e confutabile - in attesa di altre informazioni che forse non arriveranno.
Dopo questo lungo preambolo, anche qui non sappiamo quasi nulla del protagonista, se non due cose: è un narcisista e porta sempre con sé una rosa. (E che, forse, molto probabilmente non gli interessano le donne o semplicemente non è vulnerabile a certi attacchi dato che, mentre i suoi compagni erano rimasti incantati dal colpo di Ribrianne nell’Episodio 102, in tutto quel casino lui non solo evita gli attacchi ma… a sua volta attacca Piccolo. Embè, mi sembra giusto approfittare di un po’ di polverone per eliminare qualcuno di scomodo: non si sa mai XD)
A parte questo, oggi volevo associare a questo personaggio il prompt “Quadro” perché… boh. La prima cosa che ho pensato è stato il voler raccontare il suo lato non da guerriero ma da quello che potrebbe fare al di là dei combattimenti e quindi, dopo un po’ di riflessione, sono giunta a dargli un background attinente al mondo dello spettacolo. Non chiedetemi il perché: saranno i vestiti, sarà quella rosa che ha tra le mani… però mi è riuscito facile immaginarlo nelle vesti di attore.
Fatto ciò, così mi è risultato ancora più semplice passare alla scrittura di una breve storia con questo particolare prompt. Ho immaginato che doveva esserci, da qualche parte sul suo pianeta d’origine, una sorta di “hall of fame” o in modo più semplice “wall of fame”, dove erano rappresentati, in una serie di dipinti, tutti i più grandi artisti della storia.
Punto extra: ho immaginato che anche i suoi genitori dovevano essere degli artisti molto rinomati, dunque… eeeh, era per giustificare come doveva essere nato il suo lato di narcisista, tutto qui. Chiedo scusa ^^”
Chiusa questa parentesi, vi lascio alla lettura.




Quadro.



Nel pianeta dove Jirasen era nato e cresciuto, il teatro era la forma più sublime dell’arte. Chiunque si impegnava in questo settore era molto apprezzato tra la gente e riceveva numerosi riconoscimenti grazie alla propria bravura.
La famiglia di Jirasen era tra le più ricche di quel pianeta. I suoi genitori erano tra i miglior artisti che si erano esibiti nei palcoscenici di tutto il loro mondo: il padre era un grande direttore artistico, mentre la madre una splendida attrice e una talentuosa violinista.
Com’era naturale, dunque, il loro unico figlio era cresciuto in un ambiente dove tutti avevano grandi ambizioni su di lui: sin dall’infanzia gli avevano insegnato i segreti del teatro e dello spettacolo in generale e lo portavano sempre con loro, talvolta facendolo direttamente intervenire nelle stesse esibizioni che avevano organizzato per incantare il pubblico.
Con il passare degli anni il piccolo prendeva sempre più consapevolezza del posto che i suoi genitori gli avevano preparato: resosi conto del successo che riceveva dalle persone, iniziò a vantarsi e a utilizzare gli applausi come incentivo per migliorarsi. Già a quell’età sapeva molto bene di essere amato da tutti, e che niente e nessuno avrebbe sminuito la sua importanza.

Tuttavia… all’età di sette anni Jirasen aveva affrontato il suo primo ostacolo da superare. Suo padre era scomparso in un tragico incidente avvenuto nelle quinte e, da allora, era diventato sempre più difficile comparire negli spettacoli programmati, dato che il nuovo direttore artistico era molto intransigente sull’età minima degli artisti che vi concorrevano: nonostante la presenza della madre, era stato deciso di allontanare il piccolo per un po’ di tempo.
Ma Jirasen non si era arreso e nei mesi successivi aveva continuato, in tutta la sua dimora, a recitare e ad improvvisare dei piccoli spettacoli dove capitava: nel giardino colmo di rose, nel grande atrio del palazzo, nei lunghi corridoi che portavano nelle sale, fino ad arrivare nelle stanze riservate ai servitori.
La madre, ogni volta che rincasava, si divertiva ad ascoltare i racconti sul figlio che la sua educatrice le riservava, e lei era orgogliosa di tutto ciò.
Una sera, entrata nella cameretta del piccolo, aveva preso quest’ultimo per mano e lo aveva invitato a seguirla, fino ad arrivare in un lungo corridoio dove vi era una serie di quadri appesi sulle pareti laterali. Erano dei ritratti di loro familiari che non erano più in vita: grandi attori del passato, musicisti di orchestre rinomate e performers in circhi famosi in tutto il pianeta.
Ad un tratto i due si erano soffermati sull’ultimo quadro, quello del padre di Jirasen, e fu in quell’occasione che sua madre gli aveva detto quella frase.

«Sei la fotocopia di tuo padre.»

Sei semplici parole che avevano fatto breccia nel cuore del piccolo. Una frase che lui, da quel giorno, non avrebbe mai dimenticato.
E sua madre, porgendogli una rosa che stava portando tra i capelli, aveva aggiunto:
«Guarda: avete la stessa espressione! Sull’aspetto fisico non vi assomigliate molto, ma di carattere hai ereditato tutto da lui: furbizia, intelligenza… e, soprattutto, un grande amore per voi stessi, come questa rosa.»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Anche per oggi è andata! Ed è così banale, ahahah ^^”
Dato che non ho più nulla da dirvi, l’appuntamento è domani con la quattordicesima storia, “Cucciolo”. Beh, qui c’è l’imbarazzo della scelta: in fondo chiunque ama i cuccioli…
--- Moriko

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Capitolo 14
*** Cucciolo ***


A/N: Ciao a tutti, ecco a voi la quattordicesima storia del Writober: “Cucciolo”.
A dire il vero, devo ringraziare una ragazza che ho conosciuto per essere stata d’ispirazione per questa storia. Lei è un’ottima roleplayer e, in ambito di Dragon Ball, ruola proprio Black.
Nel suo percorso lei ha voluto inserire la storia di un cucciolo al quale il suo personaggio è affezionato. Ora… la sua storia è un po’ lunga per trattarla in questa sede, però sappiate che è interessante proprio per l’amore che questo personaggio ha nei confronti della natura. Come dire: è spietato con i mortali, ma non torcerebbe un capello agli animali di alcun tipo, eheheh! (Confermato anche da questa simpatica scena extra dove Zamasu e Black stanno facendo una selezione su cosa eliminare e cosa no… e, tra le seconde, ci sono anche degli animali come i gatti, eheheh! XD)
Detto questo, vi auguro buona lettura.




Cucciolo.



La divinità dai capelli corvini non conosceva pietà ogniqualvolta che attuava il suo piano “0 Umani”. Era pronto ad assassinare chiunque ostacolasse il suo progetto di salvezza dell’Universo, anche donne e bambini indifesi.
Per lui, l’umanità rappresentava l’incarnazione del male. Doveva essere cancellata dall’esistenza, per permettere all’Universo di ritrovare quella primitiva armonia che sembrava aver perso per sempre.

Nonostante la sua crudeltà, Black non aveva ancora perso il suo amore per la natura. La fusione della sua anima divina con il corpo di un mortale non aveva permesso la totale eliminazione di quei principi di bellezza e meraviglia che la natura aveva da offrire all’Universo intero.
Era l’umanità che l’aveva deturpata nel corso dei secoli: la stessa natura non ne aveva colpa.
E non aveva smesso di pensarla in tal modo nemmeno quando un giorno, sull’uscio di quella baita dove abitava con il suo compagno, aveva trovato quel cucciolo di cane. All’inizio, Black provò ad ignorare la sua presenza… ma nulla da fare: il piccolo si ostinava a seguirlo ovunque ogni volta che usciva di casa, e ad aspettarlo quando si allontanava per andare a caccia di umani.
Dopo qualche giorno, il Dio decise che non era il caso di lasciare quell’animale a se stesso.
Lasciandosi vincere dall’affetto che ancora provava per la natura, lo prese con sé e lo portò a casa.



Il suo compagno non l’aveva preso molto in simpatia. Per lui quel cane era come tutti i mortali in circolazione: non ascoltava mai le sue parole, faceva quel che voleva… e sporcava molto. Ovunque.
In più, durante la notte, il piccolo voleva dormire nello stesso letto con loro.
Troppi peli, troppo sporco… dunque: molti batteri.
Zamasu del futuro non sopportava il fatto di averlo in casa. Era un animale e, in quanto tale, doveva restare con i suoi simili: fuori da quella baita.

Ma un giorno, nonostante lui non sopportasse la presenza di quel cagnolino, dovette restare con lui senza di Black.
Il piccolo, una volta che il suo padrone si era allontanato in volo, iniziò a piangere, segno che sentiva la sua mancanza. Zamasu sbuffò: l’ultima cosa che avrebbe voluto sentire da quell’animale era l’inizio di un piagnisteo.
Così materializzò una calda coperta, che avvolse subito il cucciolo. «Ecco… così dovresti stare meglio,» sentenziò con impassibilità. Ma il cucciolo, ricevuto quel regalo, lo guardò e abbaiò in segno di riconoscenza.
«Non guardarmi così,» disse Zamasu, distogliendo lo sguardo dal piccolo animale. «L’ho fatto solo perché il tuo pianto mi dava fastidio. Fai pena: dovresti imparare a cavartela da solo.»
Il cagnolino lo ignorò e si accoccolò, chiudendo lentamente gli occhi e addormentandosi.
Solo allora il giovane tornò ad osservarlo, e pensò.
In fondo… un tempo anch’io ero come lui: così piccolo e indifeso. Eppure sono stato cresciuto bene, con severità e austerità. Molto probabilmente, se lo lascio nelle mani di quel pazzoide… questo cucciolo farà la fine di un rammollito senza spina dorsale.
Bisogna agire: devo educarlo a dovere quando Zamasu non sarà a casa.





A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Anche qui, non ho molto da dire... perciò, a domani con la quindicesima storia, “Labbra”. Su questo prompt ho già un’idea particolare… e per questo vi dirò solo di non dare nulla per scontato. Non c’entrerà con una storia d’amore, questo è certo!
--- Moriko

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Capitolo 15
*** Labbra ***


A/N: E siamo giunti a metà percorso! Quindicesima storia del Writober: “Labbra”.
Niente scene d’amore (per questa volta) ma solo un pizzico di discorsi “filosofici” intorno alla valenza delle labbra. Anche oggi i protagonisti sono delle divinità, per cui... ci sta!
Come al solito auguro a voi buona lettura.




Labbra.



Le labbra sono veicolo di parole dal diverso significato: possono essere in grado di dare amore, così come odio.
Dalle labbra partono diversi sentimenti di gioia e dolore, e da esse può avere inizio un colpo di scena, una rivoluzione nelle vite dei loro proprietari e delle persone a loro vicine. Possono essere una sorta di fionda, che scaglia colpi che lasciano il segno a chi li riceve.


Sulle labbra di un Angelo partono parole dolci e soavi, come un prezioso condimento in grado di rendere docile la vita di una persona apparentemente burbera e antipatica. L’Angelo è il suo compagno fedele, e lo riprende se ha compiuto un’azione a danno di persone che non lo meritavano, ma lo calma e lo rassicura se invece ha portato a termine il suo dovere.
Dalle labbra dell’Angelo quella persona ha udito spesso parole di gioia, di affetto e anche di rimprovero: le ama perché sono labbra sottili, quasi perfette, dalle quali non sono mai partite frasi di supplica o di rabbia.
Il suo compagno sa che basta poco per far sgorgare quel dolce sorriso che adora, e sa che basta altrettanto poco per eliminarlo. Ma lui non ha mai voluto essere l’artefice di quella sparizione, perché gli è sufficiente guardare quelle labbra per placare il suo cuore che si lascia guidare dall’istinto e che vorrebbe fare cose che ferirebbero quello sguardo così innocente, eppure così fragile.
In segreto ha giurato di essere il protettore di quel sorriso, e di non permettere a niente e a nessuno di farlo svanire, mai.


Dalle labbra di un anziano maestro escono frasi severe. Sono parole taglienti, che feriscono l’animo di un giovane discepolo come una lama che, a poco a poco, lacera la pelle nelle profondità.
Quelle labbra fanno emergere anni di grande saggezza ed esperienza, e spesso non possono essere contraddette… anche se apparentemente le parole che fuoriescono da esse e racchiudono un intero vissuto sembrano così assurde nonché contraddittorie.
Ma, spesso, dietro quelle labbra si celano parole non dette, che non hanno quasi il coraggio di uscire e dire ciò che l’anima, invece, vorrebbe urlare. A volte quelle stesse labbra dichiarano amore e fanno trasparire quel grande affetto verso quel discepolo, considerato al pari di un figlio, che è la causa del loro sorriso.
Dietro a parole gentili le labbra fanno trasparire un angolo di cielo, e esprimono una parte di ciò che si trova nel cuore di un vegliardo che ha vissuto qualsiasi genere di situazione nella sua vita.
Quel giovane ancora non lo comprende, ma dietro quel sorriso che illumina le loro giornate vi sono secoli di difficoltà e di sofferenza. E, allo stesso tempo, il suo maestro non riesce a vedere che a volte, dietro allo sguardo apparentemente così tranquillo del suo discepolo, come una maschera si cela un sentimento di odio e sdegno che, prima o poi, rischierà di prendere la forma di una terribile devastazione mai vista prima.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Anche per oggi è fatta! (E, come al solito, non ho molto da scrivere in questo angolo… ^^”)
Ci vediamo domani con la sedicesima storia, “Shopping”. Questa volta non abbiamo persone ossessionate dallo shopping però… mi inventerò qualcosa. XD
--- Moriko

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Capitolo 16
*** Shopping ***


A/N: Ciao, e ben ritrovati con la sedicesima storia del Writober: “Shopping”.
Come la mia introduzione, questa che state per leggere sarà una storia molto breve, anche perché oggi non avevo molte idee in mente. Ero partita da un’idea molto divertente che ruotava intorno all’amore che Gowasu ha per il tè, perciò una giornata un po’ movimentata a causa di uno shopping sfrenato… e sono finita per scrivere una ff dal finale dolceamaro.
E, così, vi lascio alla lettura.




Shopping.



Ogni volta che Zamasu e Gowasu si allontanavano dal loro pianeta non era solo per osservare gli avvenimenti che erano in corso in tutto l’Universo: a volte le esigenze che avevano erano tra le più semplici, tra quelle che appartenevano alla loro sfera quotidiana. Sebbene loro, in quanto divinità, avessero la capacità di materializzare dal nulla tutto ciò di cui avevano bisogno… vi era una cosa della quale non riuscivano proprio a fare a meno, ed era proprio il loro amato .
Maestro e discepolo amavano andare in ogni angolo dell’Universo alla ricerca di nuove piante o nuove specialità realizzate con questo prodotto come, per esempio, qualche particolare tisana. Spesso, però, i due si divertivano a visitare alcuni pianeti, nei quali vi erano dei negozi che vendevano oggetti legati alla preparazione di questa bevanda: tazze con esclusive decorazioni, interi set da tè, oppure lo stesso arredamento come decoro della stanza dove l’infuso veniva degustato.
Per diversi secoli i due avevano comprato molto materiale da questi negozi, anche se sotto mentite spoglie per evitare spiacevoli conseguenze da parte dei mortali. In modo particolare, con il passare del tempo e lo sviluppo del loro rapporto, entrambi avevano preso l’abitudine di viaggiare all’insaputa l’uno dell’altro, per preparare dei regali in occasione di alcune ricorrenze.
Tra questi vi era un set, composto da due tazze e una teiera, che Zamasu aveva acquistato - di nascosto al suo maestro - come regalo da dare all’anziano Kaiōshin per il suo compleanno. Erano oggetti speciali poiché prodotti artigianalmente e unici in tutto l’Universo, con un colorato motivo floreale che correva lungo tutta la loro struttura, e quasi infrangibili per la qualità del materiale utilizzato per crearle.
Quando Gowasu aveva avuto modo di vederli e di conoscere la storia che vi era dietro la loro fabbricazione, il suo cuore era esploso di gioia per la loro bellezza e per il sentimento d’affetto che lo accompagnava. Da quel giorno aveva trattato quel set come se fosse stato il suo tesoro: non lo aveva mostrato a nessuno, tranne al suo discepolo con il quale continuò a farne uso quando non avevano ospiti.
E il vegliardo non aveva smesso di farlo nemmeno quando, per una serie sfortunata d’eventi, quel ragazzo venne cancellato dall’esistenza. Quando si ritrovava da solo in quella vasta residenza, Gowasu tornava a prendere quegli oggetti e ad osservarli con attenzione, sedendosi e riportando alla mente quelli che per lui erano i ricordi più belli della sua vita.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Cosa dire… la storia parla da sola. Ci sono giornate nelle quali non si ha molta creatività e i testi sembrano molto piatti nella descrizione: per me questa è una di quelle. Perciò, chiedo nuovamente scusa per la banalità che è presente nel testo. ^^"
A domani con la diciassettesima storia, “Promessa”.
--- Moriko

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Capitolo 17
*** Promessa ***


A/N: Salve a tutti, e ben ritrovati con la diciassettesima storia del Writober: “Promessa”.
Ok. Sono arrivata al punto di pubblicare una “What if?”, ahahah! La storia che state per leggere è qualcosa che è stata prodotta facendomi influenzare dalle role della suddetta ragazza (della storia n.14) che ruola Black, eccetera eccetera… perché lei, non solo ha creato un Black amante degli animali, ma ha creato una serie di role con questo rapporto dolceamaro con il suo ex maestro. (Questo davvero in poche parole, altrimenti non la smetto più XD)
Inoltre, in più, c’è una vignetta del Capitolo 21 del manga che mi ha dato molto da pensare - e forse ne ho già parlato da qualche parte, ma in caso affermativo lo riscrivo. Quando Gowasu propone a Black di ricominciare insieme, per qualche secondo l’altro resta in silenzio e, ad un tratto, dice la frase “Non si può più tornare indietro”, come per affermare che ormai era troppo tardi per tornare sui suoi passi e cominciare una nuova vita con il suo maestro, cancellando tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento. E, niente: sono sempre la solita, evidentemente mi piace farmi del male con queste supposizioni… ^^”
È una What if perché i due non si sono incontrati di nuovo in modo "pacifico" dopo il tentato omicidio di Gowasu da parte di Black… mentre, per tutto il resto, come al solito vi auguro buona lettura.




Promessa.



«Allora. Cosa aspetti ad andartene, così da non averti più tra i piedi?»

Black e Gowasu, nuovamente l’uno di fronte all’altro.
Quella volta, però, si incontrarono per caso. Il vegliardo notò Black accanto ad un tavolino con una tazza di tè ancora fumante e, un po’ sorpreso da quell’incontro e da quella domanda così spontanea, gli si avvicinò con fermezza.
«Non lo farò. Ecco…»

Non credi che sia troppo tardi per dirlo, Gowasu?

A quel pensiero, di istinto il Kaiōshin colpì con la mano la tazza che aveva di fronte a sé, e la fece cadere a terra, frantumandola in mille pezzi.
«Vedi? È più facile rompere una cosa che rimetterla in sesto.
Se io ti odiassi, come suppongo stiano facendo tutti… significa spezzare un legame già fragile... e sarebbe semplice per entrambi detestarci, credo. Ma… se un giorno io decidessi di ripensarci e tornare indietro, oppure lo faresti tu… significherebbe ricomporre quel legame, che a quel punto… sì: diventerebbe ancora più fragile.»
Con un piccolo movimento della mano, fece levitare i cocci di ceramica che ormai erano sparsi per il pavimento, e li ricompose fino a dare loro nuovamente l’aspetto di una tazza.
«Osserva. Una volta che rimetti insieme tutti i pezzi, restano sempre delle crepe. Un altro brusco movimento e la tazza si romperà di nuovo e, questa volta, in maniera irreparabile. Ed è così che non voglio che finisca il rapporto che c’è stato tra noi.»
Black guardò il Kaiōshin e l’intera scena della tazza con maggiore ferocia. Strinse i pugni, cercando di mantenere - anche se ancora per poco - quel poco di pazienza che gli era rimasta.

Cosa pensa di fare, quel cretino? Crede che io, davvero, possa tornare con lui?
Davvero non capisce che non mi faccio scrupoli nell’ucciderlo di nuovo, senza avere pietà?


«… Perché?» sussurrò la divinità decaduta, cercando di trovare una valida spiegazione per quelli che gli sembravano essere solo dei deliri di un anziano uscito di senno.
«“Perché”… di cosa?»
«Non fare il finto tonto. Nessuno in questo Multiverso, dopo tutto quello che ho fatto, può trovare delle giustificazioni ai miei gesti e perdonarmi. Invece tu, proprio tu, ti ostini a farlo, nonostante io ti abbia assassinato per ben due volte e ci abbia provato una terza volta.
Perciò… finiscila di blaterare. Smettila di dire che tra noi due c’è un legame: sparisci dalla mia vista, prima che tu possa pentirtene.»
Gowasu non si lasciò influenzare da quelle provocazioni. Pensò che, all’interno di quell’involucro mortale di un efferato omicida, esisteva ancora il suo amato discepolo… una persona gentile e cordiale, che amava la natura e, soprattutto, aveva nei suoi confronti un profondo rispetto e affetto.
Sorrise e tese la mano al suo interlocutore, non avendo timore di affrontare la morte per una seconda volta.

«Perché è una promessa. Quando ci siamo incontrati ti ho promesso che ti avrei guidato sulla via della vera giustizia e della rettitudine, e continuerò a farlo.
Anche se questo significa precipitare insieme all’inferno.»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Come avete notato, il finale di questa storia è aperto. Ora sta a voi decidere se il Kaiōshin se la vedrà brutta oppure, per via di un miracolo, si salverà anche questa volta. Fosse per me… beh, mi piacerebbe vedere semplicemente Black girare i tacchi e andare via seccato, ahahah!
A domani con la diciottesima storia, “Ago e filo” quindi crossover con il negozio delle "Sorelle Ago e Filo" di Animal Crossing? Ovviamente no, scherzo XD
--- Moriko

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Capitolo 18
*** Ago e filo ***


A/N: Ed eccoci alla diciottesima storia del Writober: “Ago e filo”.
Come ho già anticipato, vorrei cercare di inserire in questa raccolta tutti gli altri personaggi dell’Universo 10… e, questa volta, è toccato a Murisarm. È lo stesso combattente che nell’anime viene scaraventato dal ring da un colpo di Cabba, e nel manga è addirittura il primo tra tutti i guerrieri a tornare sugli spalti. Che Team sfortunato. ^^”
Dalla bio presente sul sito ufficiale dell’anime di Super, sappiamo che Murisarm usa uno stile di combattimento simile al Muay Thai, un’arte marziale di pugilato thailandese. Premetto che io non so nulla di questa disciplina, ma ho consultato velocemente qualche sito… e ho inserito qualche elemento in più proveniente da questo mondo, cioè il kai muay (la palestra) e i kruang ruang (i bracciali realizzati dal maestro che i combattenti indossano in occasione dei combattimenti e che possono contenere al loro interno degli elementi dei quali sono a conoscenza solo il guerriero e il maestro che li ha realizzati, per simboleggiare il legame che li unisce).
Spero di non aver fatto errori, almeno in questo! In caso contrario, se tra i lettori c’è qualcuno che pratica questa disciplina e vuole avanzare qualche correzione, può farlo senza problemi.
Detto questo vi auguro buona lettura.




Ago e filo.



«Devi essere fiero di ciò che stai per affrontare. Questa sarà la battaglia più dura della tua vita: se la supererai con successo… a quel punto niente e nessuno potrà fermarti.»

Nel grande kai muay dove si era allenato per buona parte delle sua vita, Murisarm e il suo maestro avevano iniziato a discutere degli eventi che stavano per avvenire nel giro di poche ore. Era trascorso poco tempo dalla visita dell’Hakaishin del loro Universo che, dopo averlo visto combattere, aveva invitato il giovane guerriero ad unirsi a lui per “salvare il loro pianeta dall’imminente distruzione”.
Prima del ritorno della divinità, Murisarm stava preparando tutto l’occorrente di cui aveva bisogno per quella grande battaglia per la sopravvivenza: la sua fedele divisa da combattimento… ma in modo particolare i suoi amati bracciali, preparati dal suo maestro in persona. Quando aveva visto quella coppia di kruang ruang si ricordò del loro contenuto e del significato che sia lui che il suo mentore avevano dato: eccetto loro due nessun’altro ne era a conoscenza, ed era qualcosa che ricordava il loro indissolubile e eterno legame.
Li indossò fieramente, pregando che quella che stava per affrontare non sarebbe stata per davvero l’ultima battaglia della sua vita.

Dall’altra parte del kai muay il suo maestro, intanto, era intento a cucire degli scaldamuscoli per gli arti inferiori. Murisarm si avvicinò e iniziò ad osservarlo incuriosito: pensò che, se quello sarebbe stato il loro ultimo momento insieme, doveva viverlo fino in fondo.
I due restarono in silenzio finché il maestro non terminò il suo lavoro e, piegando le sue creazioni, le porse al suo allievo.
«Indossa questi prima di partire,» gli ordinò. «Ho appena fatto su di loro un piccolo rituale di benedizione, perciò non avere timore di riceverli.»
L’altro li prese in mano con venerazione e, andandosi a cambiare, ritornò mostrando al suo maestro uno sguardo colmo di soddisfazione. «I kruang ruang sembrano essere perfettamente abbinati a questi nuovi scaldamuscoli: risaltano che sono una meraviglia!»
Il vegliardo sorrise e pose le mani sulle spalle di Murisarm. «Sappi che, qualunque cosa accadrà, sono fiero di te e dei tuoi compagni. Cerca di fare il possibile e metticela tutta.»
Il combattente annuì, dopodiché il maestro proseguì: «Ho trascorso tutta la vita rafforzando il corpo e la mente attraverso questa disciplina, e ho trasmesso le mie conoscenze a voi allievi. Sono certo che in questo Torneo saprai farti valere, se resterai concentrato e avrai fede nel potere degli amuleti che stai indossando. Perciò, non lasciarti influenzare pensando che il giudizio delle divinità supreme sarà a nostro sfavore. Da quegli ornamenti che veneri e rispetti troverai la forza per superare qualsiasi difficoltà.»
Mentre il saggio stava ancora parlando, alle sue spalle comparve nuovamente l’Hakaishin con la sua assistente: a quel punto capì che era giunto il momento di affidare loro il suo discepolo… e l’intero pianeta sul quale vivevano.
Con un sorriso, maestro e allievo si salutarono con un pugno contro pugno.

«Ora vai. Sali su quel ring… e vinci!»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
E invece è stato uno dei primi a perdere, che ironia della sorte. Poveretto ^^”
Comunque, con questo personaggio siamo a quota -6 del Team Universe 10! (Vi anticipo che quasi a fine Writober altri due di questo gruppo saranno protagonisti; riguardo gli altri… vedremo cosa accadrà, in base all’ispirazione!)
A domani con la diciannovesima storia, “Rubare”. *Parte sigla di Lupin III… una qualunque, a caso. XD*
--- Moriko

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Capitolo 19
*** Rubare ***


A/N: Diciannovesima storia del Writober: “Rubare”.
Indovinate un po’ chi sono i due sventurati "malfattori" di questa storia? Esatto: la "strana coppia" dell’anime, Methiop e Napapa! (Perdonatemi per ciò che sto per dire, ma… nell’anime sono arrivata al punto di detestarli un pochino per come hanno trattato Kale. Fine della storia.)
E per questo ho deciso di "vendicarmi" con questa breve storia! Fanfiction post!Torneo, dove ho immaginato i due malcapitati, con tanto di cappuccio, vagare a notte fonda e rubare qualche oggetto prezioso, per cercare di non arrivare a mani vuote per l’appuntamento con… nientepopodimeno che *rullo di tamburi* le loro avversarie Kale e Caulifla!
Sì, perché ho sempre pensato che, in qualche modo, i due venissero puniti per il modo in cui si sono scagliati contro Kale durante il Torneo. E non parlo di Rumsshi (anche se a lui farebbe piacere punire i suoi sottoposti ;P)… ma dello stesso Gowasu, che potrebbe non aver gradito lo spettacolo che si svolgeva sotto i suoi occhi.
E quindi, niente di che: una breve storia su ciò che potrebbe essere accaduto dopo il Torneo del Potere. Chiedo scusa in anticipo se le due "special guest" di questa storia possono sembrarvi fuori dai loro schemi: non è stato semplice riassumere il tutto in così poche parole... ^^"
Come al solito vi auguro buona lettura.





Rubare.



«Mi spieghi perché ci troviamo qui? Non vedo la necessità di tornare da quelle due pazze…»
«Ancora una volta, caro Methiop: il sommo Gowasu ci ha ordinato di chiedere loro scusa… e noi chi siamo per controbattergli? Il Mago del Bordo Ring non può inimicarsi le divinità del suo stesso Universo!»
«Non mi interessa: io a quella deboluccia non chiedo scusa! Non sa nemmeno combattere!»

Se qualcuno avesse avuto la possibilità di riprendere la scena per caricarla su KamiTube, avrebbe potuto classificarla tra quelle divertenti. Napapa, robusto com’era, stava trascinando un Methiop che non riusciva nemmeno a ribellarsi nonostante ci stesse provando, proprio perché più gracile e leggero del suo compagno.
Grazie all’aiuto di Cus, i due erano atterrati sul pianeta Sadala dell’Universo 6 seguendo l’ordine del loro Kaiōshin.



«Mi dispiace, ma voi due avete giocato sporco. Dovete andare dalla signorina Kale e chiederle scusa per il vostro comportamento ignobile; in caso contrario, il qui presente Lord Rumsshi vi distruggerà.»
«Io--- cosa, scusa?»
«Lord Rumsshi, non si preoccupi: il sommo Gowasu sa quello che fa.»




I due tremarono ancora per quel ricordo. A loro era sembrato di essere di fronte ad un tribunale, con le tre divinità nelle vesti di giudici.
«Andiamo, Methiop: almeno sforzati di farti andare bene questa cosa!»
«No, no e ancora no: io a Kale non chiedo scusa!»

«Kale? La mia protetta?»

La coppia di guerrieri dell’Universo 10 sobbalzò a quella frase pronunciata alle loro spalle. Avevano riconosciuto la voce… e, sfortunatamente per loro, era proprio la persona che, mai, avrebbero voluto incontrare.
Si voltarono lentamente, come due agnelli impauriti di fronte ai lupi.
«S-Salve, s-signorina Caulifla… Come va?» disse Napapa con tremore, mentre Methiop si ammutolì.
«Male, ora che ho visto le vostre brutte facce,» rispose la guerriera Saiyan, incrociando le braccia. «Allora… siete qui per Kale?»
A quella domanda, dalle sue spalle si affacciò la sua compagna con uno sguardo timido ma imbronciato.

«Come abbiamo fatto a non notarla?!», esclamarono in pensiero gli altri due. In effetti, loro non si erano ancora accorti della presenza della mite Saiyan.
Nonostante l’atmosfera fosse già carica di tensione, Napapa si avvicinò timoroso alle ragazze - trascinando per un braccio Methiop che, invece, stava già pensando alla fuga - e, con un piccolo inchino, porse loro uno strano oggetto dorato.
«Vogliamo chiedere scusa a Kale per la mancanza di tatto dimostrata nel Torneo. Questo è un orologio speciale, creato con l’argento più pregiato che esiste nell’Universo 10…»
«… in realtà l’ha rubato dal cofanetto di un suo rivale.»
Napapa portò una mano sulla bocca di Methiop, che per ripicca aveva appena svelato il loro “piccolo segreto”. Tutto ciò, però, fece sorridere Caulifla, che strappò quell’oggetto dalla mano di Napapa e lo esaminò.
«Complimenti. Grazie per il bottino che avete generosamente condiviso con noi! Kale, perdoniamoli: saranno due imbecilli, ma sanno rubare meglio di noi.»
La Saiyan voltò loro le spalle e si allontanò, seguita da Kale che, prima di andarsene, rivolse loro un inchino e disse: «I-Io vi chiedo scusa, e vi ringrazio: è davvero molto bello…»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Siamo ufficialmente a quota -4 con i personaggi! All’appello mancano ancora Obuni, Murichim, Rubalt e Zium! (Non vi preoccupate, cercherò di inserirli tutti e quattro da qualche parte… spero.
Tornando alla storia, ecco: è stata breve, però vi confesso che mi sono divertita molto a scriverla! Chissà: un giorno, forse, ci sarà una versione più estesa… perché, come ho scritto all'inizio, il riassumere tutto ciò che avevo in testa in una flashfic non è stato facile ^^”
Detto questo, ci vediamo domani con la ventesima storia, “Selfie”. EH: con un aspirante KamiTuber in circolazione, chissà che storia ne uscirà fuori!
--- Moriko

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Capitolo 20
*** Selfie ***


A/N: Benvenuti nella ventesima storia del Writober: “Selfie”. E anche la seconda colonna è andata!
Allora… premetto che questa storia è nata con uno scopo e ha finito per averne un altro. Volevo raccontare di un Gowasu alle prese con la mania degli autoscatti perché, sì: io li chiamo ancora così XDD, con un povero Zamasu continuamente coinvolto… e, come al solito, sono finita per raccontare di qualcosa di più serio e meno “leggero”. Ma va bene lo stesso: sempre di “selfie” stiamo parlando!
L’idea per la ff finale è nata, più che altro, da un video che ho visto - davvero per caso - tempo fa in televisione: questo, per la precisione. Ammetto che, la prima volta che l’ho visto… ho avuto paura di proseguire proprio perché temevo il peggio per quei coraggiosi (o incoscienti, a seconda del punto di vista) ragazzi che erano stati ripresi. Perciò, consiglio di non aprire il link a chi si impressiona facilmente, anche se alla fine nel video in sé non ci sono scene molto forti ^^”
A questo aggiungiamo uno Zamasu che osserva i mortali… e, voilà! Al di là del carattere di Zamasu, che odia molto i mortali, davvero: ho scritto questa storia per lanciare un appello a chi si diverte a fare questo tipo di riprese. Ad essere sincera il mio consiglio è quello di cercare di smetterla nonostante la tentazione sia forte (anche perché… credo che si possano fare molti like anche pubblicando una foto spettacolare di un tramonto), ma se proprio non ci riuscite… state attenti e fatelo con le dovute precauzioni e protezioni.
Al di là di ciò... piccola regola generale: cerchiamo di amare e apprezzare ogni singolo momento della nostra esistenza, perché quelli più belli valgono più di centinaia e migliaia di like virtuali sui social network!
Detto questo, come al solito vi auguro buona lettura.





Selfie.



「Siamo l’esercito del selfie
Di chi si abbronza con l’iPhone…」


«Questa canzone… Maestro, i mortali non possono aver subito una devoluzione in quel modo, vero?»
Zamasu stava osservando l’attività di un pianeta come Gowasu gli aveva ordinato, mentre in sottofondo era in onda una delle stazioni radio promosse dalle divinità. KamiRadio era la più ascoltata dai Kaiōshin e Hakaishin e, oltre a canzoni provenienti dal mondo divino, ogni giorno trasmetteva la classifica delle hit-parade prodotte dai mortali e quotidianamente ascoltate anche dalle stesse divinità.

「E questa era ‘L’esercito del selfie’ di Takagi & Ketra, con la straordinaria partecipazione di Lorenzo Fragola e Arisa!」
「Devo ammettere che dalla Terra dell’Universo 7 arrivano certe canzoni… che lasciano il segno! Se i mortali potessero ascoltarci direi loro: cari ragazzi, usate responsabilmente i vostri mezzi di comunicazione e non isolatevi guardando uno schermo e ignorando ciò che c’è intorno a voi!」


«Appunto: è quello che dico ogni giorno! Guardi qui, maestro: questi imbecilli non stanno facendo altro che fare questi cosiddetti “selfie” mettendo in pericolo la loro stessa vita e quella degli altri!»
L’apprendista Kaiōshin si alzò di scatto dalla sua postazione, indicando nervosamente la sfera e invitando Gowasu, che in quel momento stava sistemando della documentazione all’interno dei cassetti della loro scrivania, ad osservarla. All’interno di essa vi era una scena che riguardava due giovani ragazzi che stavano percorrendo un precipizio e registrando una live con un selfie stick.
«Sa quante morti assurde si possono evitare se questi irresponsabili diventassero più consapevoli delle loro azioni? Perché i mortali sprecano la loro vita in quel modo, al posto di leggere un libro o passeggiare nella natura?»
Gowasu chiuse gli occhi e non disse nemmeno una parola. Il suo discepolo aveva ragione: quei mortali erano usciti di senno, per compiere quelle - apparentemente per loro - insignificanti azioni. Annuì, portando una mano sulla spalla del discepolo, cercando di fargli capire, silenziosamente, che non aveva tutti i torti.
Nel momento in cui, nella sfera, le due divinità videro uno dei due ragazzi barcollare e scivolare su quel precipizio, Zamasu diede loro uno sguardo truce. Se non fosse stata per la destrezza dell’altro giovane, il quale aveva afferrato in tempo il suo compagno d’avventure, quest’ultimo sarebbe precipitato nel vuoto.
«Io… davvero non li capisco…» sussurrò l’apprendista allontanandosi, a lenti passi, verso l’uscita. «Non capisco cosa ci trovano di così divertente in queste cose…»
Si fermò sull’uscio, appoggiando la mano sul legno della porta ancora chiusa. Gowasu lo guardò ma, ad un tratto, gli si avvicinò e velocemente estrasse il cellulare, puntandolo verso di loro.
«Ma cosa---»
Con un sonoro “beep”, Zamasu potè giurare che dall’oggetto che il suo maestro aveva in mano era stata scattata una fotografia. «Quante volte le ho detto di non fare autoscatti a sorpresa con me presente?»
«Lo so, ma non ho resistito!» rispose. «Eri così triste che ho pensato potesse farti del bene!»

Il giovane sorrise.
Forse, non tutti i selfie erano pericolosi… anche se, a volte, il suo maestro poteva esserlo di più.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Morale della favola: ripeto, i selfie sono una cosa buona e giusta… ma cercate di evitare quelli “estremi”, che possono diventare abbastanza pericolosi per la vostra vita e quella degli altri.
A domani con la ventunesima storia, “Chiave”. Una chiave fisica? La chiave del cuore? Chissà…
--- Moriko

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Capitolo 21
*** Chiave ***


A/N: Ciao, ben ritrovati con la ventunesima storia del Writober: “Chiave”.
Come ho scritto nelle note finali della storia precedente, le chiavi possono essere sia quelle fisiche, ma anche quelle della mente. E, oggi, la mia storia si concentrerà sul secondo concetto.
Anche questa volta, i protagonisti saranno Zamasu e Gowasu (perché… sì, su queste tematiche un po’ “complesse” loro sono perfetti), quindi non ho nient’altro da aggiungere.
E così, come al solito vi auguro buona lettura.





Chiave.



Ognuno di noi nasconde dei segreti nella propria mente. Idee, concetti, parole ancora non dette… delle quali non si possiedono le chiavi per svelarne il loro contenuto. A volte ci è difficile trovare quella giusta per poter comprendere i pensieri di chi ci sta di fronte.
Spesso l’anziano Kaiōshin ci riflette su, ogni volta che il suo sguardo si rivolge verso la figura del suo discepolo.
E se anche lui, in fondo, pensasse a qualcosa che non ha ancora detto e che io non riesco ancora a decifrare?
Da maestro, il suo maggior timore è proprio quello di non riuscire a trovare quella chiave per comprenderlo appieno.
E teme di sbagliare, di arrivare al punto di scontrarsi con lui proprio per parole che non ha ancora ascoltato - o che, per meglio dire, ha fatto passare in secondo piano, bollandole come qualcosa di passeggero e che il suo discepolo, mai più, pronuncerà nel resto della sua vita.

Da alleato, Gowasu ha paura che le chiavi che sta usando per sondare la mente del suo pupillo non possano essere quelle giuste e, anzi, col tempo possano risultare anche abbastanza ingombranti.
Più volte ha cercato di prevedere i suoi sentimenti e le sue reazioni nei confronti dei mortali, per capire se essi lo avrebbero portato, in un vicino o lontano futuro, a compiere azioni indegne di una divinità del loro calibro.
Ma dall’altra parte tutto sembra tacere, mascherato da quel perfetto sorriso senza quelle sfumature negative che, invece, potevano aiutarlo a decifrare le sue reali intenzioni.
Zamasu sembra essere enigmatico anche in questo: di fronte al suo silenzio, forse, bisogna cambiare strategia e usare un grimaldello.

Da amico… anzi, quasi da padre, il vegliardo cerca di provare tutte le chiavi che ha nel suo mazzo per condurre Zamasu su quello che, per lui, sembra essere il percorso giusto. Cerca di non arrendersi di fronte a quella che non vuole considerare come un’evidenza, quella prova che invece farebbe meglio a tenere in considerazione quando deve discutere con il giovane sul perché loro, proprio loro, devono semplicemente supervisionare le azioni dei mortali, senza mai intervenire.
… Perché quello è il compito dell’Hakaishin, giusto?
Ma il Kaiōshin non riesce a comprendere che è proprio quello il punto cruciale della questione: avere un collega che, allo stato attuale delle cose, non sa svolgere con adeguatezza il suo lavoro. Così continua a far finta di niente, a sorvolare su quella questione che, invece, dovrebbe ben tenere in mente: il loro compito è quello di osservare e mai agire, e loro devono continuare su quella strada… senza rendersi conto che, nel frattempo, quei cupi pensieri del suo discepolo stanno creando una voragine, modificando la serratura del suo cuore in modo tale che, ad un tratto, la chiave che sta utilizzando per comprenderlo rischia di non entrarci più.

Perché, si sa. Se non si arriva a conoscere bene una persona a noi cara, si arriva a quel rischio peggiore che possa capitare a qualcuno nella vita: diventare un estraneo.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
A conclusione di questa storia riporto, come ho già fatto qualche volta, una citazione: “La parola è una chiave, ma il silenzio è un grimaldello.” (di Gesualdo Bufalino). Ammetto di averla utilizzata e implicitamente inserita nel testo perché, sì: a volte dietro ad un silenzio possono nascondersi i veri sentimenti della persona che ci sta di fronte… e quindi, in quei casi, una semplice chiave non basta.
Detto questo, ci vediamo domani con la ventiduesima storia, “Ombre”. E quindi… già potete immaginare chi sarà il protagonista della prossima ff! :D
--- Moriko

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Capitolo 22
*** Ombre ***


A/N: Eccoci alle ventiduesima storia del Writober: “Ombre”.
E, qui, vi annuncio che ieri vi ho involontariamente mentito nelle note finali. Oggi l’ispirazione ha puntato su un altro combattente del Team Universe 10, ovvero Jium.
È un personaggio che, personalmente, non mi ha colpito particolarmente… a parte il fatto che io e un’altra ragazza ci siamo divertite nel definirlo affettuosamente “Il Fantozzi dell’Universo 10”. E, infatti, proprio come lui anche questo guerriero è abbastanza sfortunato: nonostante la presenza delle ali è il secondo combattente di questo Universo a cadere, nonché il primo a ricevere una punizione “fisica” da parte di Rumsshi comunque, il vederlo colpito dalla sua proboscide in testa è stato abbastanza divertente XD
A parte questo, anche con lui ho sfruttato il tema del volare ma, allo stesso tempo, unendolo a quello proposto oggi: l’ombra, che esiste grazie alla luce.
Detto questo non mi resta altro da fare, se non augurarvi buona lettura.





Ombre.



“Rivolgi il viso verso il sole e le ombre cadranno alle tue spalle.”
(Proverbio Maori)


Per Jium l’ombra, insieme alla luce, era la cosa più bella del mondo. Amava librarsi nel cielo durante le giornate di sole, e osservare come al suolo quelle deformate figure nere - tra le quali vi era la sua - si proiettavano sulle verdi colline che attraversava.
L’ombra gli portava molta felicità e, grazie ad essa, spesso faceva divertire i piccoli del luogo dove risiedeva. Era un maestro delle ombre cinesi: ogni volta riusciva ad incantare tutti coloro che osservavano questo meraviglioso spettacolo.

Quando fece il suo ingresso su quel ring, la prima cosa che notò fu il proiettarsi delle varie ombre dei guerrieri. Da quel buio che avvolgeva il Mondo del Nulla e quella luce che illuminava solo l’arena, gli sembrò di essere all’interno del gioco di quelle ombre cinesi che tanto adorava.
Non era mai stato timoroso delle conseguenze di qualsiasi combattimento che aveva affrontato ma, per la prima volta nella sua vita, un brivido gli attraversò la schiena. La paura di essere sconfitto insieme al proprio Team e di essere cancellati dall’esistenza venne accentuata ancora di più da quello strano luogo dove si trovava.
Troppa tensione nell’aria.
Abbassò la testa e, dalla sua posizione di volo, osservò la sua ombra che era proiettata sul pavimento di quel ring. In quel momento pensò che la sua vita e quelle degli altri guerrieri erano davvero come le ombre: quando c’era luce, esistevano; quando le tenebre calavano, venivano assorbite da esse per poi scomparire.
Ed era così anche per tutti loro. “Pulvis et umbra sumus”, disse tra sé e sé richiamando le parole di un famoso poeta dell’antichità - Orazio, se la memoria non lo stava ingannando: “Siamo polvere e ombra”
Ma, proprio in quel momento, si fece strada nella sua mente un altro pensiero, che illuminò la sua mente come il sole d’estate.

Però… le ombre esistono proprio quando c’è luce, no?

Lentamente si posò sul ring per poi rivolgere lo sguardo verso l’alto. Quella luce intensa, che all’inizio sembrava quasi fastidiosa, non gli fece più paura. A poco a poco quella fonte di luce diventò anche l’origine del suo coraggio: sapeva che l’ombra era anche lo specchio dell’anima… e, nel momento in cui spalancò le sue ali, vide che la sua forma stava cambiando, diventando sempre più grande e più rilevante rispetto a quella degli altri.
E, non appena il Gran Sacerdote diede il via ai combattimenti che avrebbero segnato il destino di ben otto Universi, Jium spiccò il volo e da lì discese in picchiata verso i suoi avversari, guardando la sua ombra inglobare sempre più quelle scie scure provenienti dagli altri guerrieri.
A quella vista, si sentì invincibile.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
E, anche lui, alla fine in combattimento non è durato molto. Altro che invincibile, sigh ^^”
Non avendo altro da aggiungere, ci vediamo domani con la ventitreesima storia, “Dormire”. Salutare! - ok, no? XD
--- Moriko

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Capitolo 23
*** Dormire ***


A/N: Eccoci alle ventitreesima storia del Writober: “Dormire”.
Questa volta il protagonista è Rubalt, il soldato che è sopravvissuto alle fiamme della guerra. No, non l’ho detto io ma la scheda ufficiale del personaggio, ahahah!
In questo caso ho collegato il tema del dormire con quello classico del “riposo del guerriero”, e questo è il risultato. Per il resto non ho nulla da dirvi, anche perché nemmeno su questo personaggio conosciamo moltissimo…
Detto questo non mi resta altro da fare, se non augurarvi buona lettura.





Dormire.



Il guerriero alzò gli occhi al cielo, ormai stanco di quella guerra.
Da quanti anni era in battaglia? Tanti, forse troppi per Rubalt che, in quel momento di riposo, sembrava aver trovato un attimo di pace.
Di recente aveva preso l’abitudine di non chiudere occhio, proprio per cercare di restare in stato di allerta nel caso di improvvisi attacchi da parte del nemico, cercando di essere pronto per prevenire o affrontare qualsiasi minaccia.
Il campo di battaglia era feroce, e non conosceva pietà per niente e nessuno... nemmeno quando aveva inghiottito con la sua crudeltà un giovane da un solo braccio che sorrideva sempre, nonostante la gravità delle situazioni che i combattenti stavano affrontando.
Di fronte a quel ricordo, Rubalt spalancò gli occhi. Strinse i pugni, ripensando a quello che era accaduto qualche tempo prima.



Nei primi giorni, Rubalt non riusciva a sopportare quel ragazzo. L’atteggiamento di quest’ultimo gli sembrava fin troppo fastidioso: per quale assurdo e inspiegabile motivo lui era così colmo di gioia? Era davvero insopportabile.
Inoltre… per quale ragione si trovava lì, sebbene fosse privo di un braccio? Per Rubalt, sarebbe stato meglio se l’esercito non lo avesse arruolato: con un braccio in meno avrebbe trascinato in serie difficoltà tutto il plotone. In teoria non sarebbe nemmeno stato in grado di portare con sé un oggetto pesante…

«Sì: forse per qualcuno di voi sarò inutile… ma, state tranquilli: andrà tutto bene.»

«Andrà tutto bene un corno!» gli aveva risposto Rubalt. «Non siamo qui per divertirci: qui le uniche cose in gioco sono le nostre vite! Perciò, levati quel sorrisetto dalla faccia o sarò io a privarti dell’altro braccio!»
Ma quel giovane non aveva risposto e, anzi, con quel sorriso aveva giurato a se stesso di dimostrare, a quel guerriero così arrogante, di essere nel giusto.
Nei mesi successivi, il destino fece capitare i due nella stessa coppia. All’inizio, questa situazione dava ancora fastidio a Rubalt, pensando di essere stato costretto a fare da balia a qualcuno che, per lui, non doveva essere lì... tuttavia, ben presto, si dovette ricredere quando quel giovane iniziò ad affrontare con coraggio e grande abilità - nonostante il suo “difetto fisico” - le imprese più ardue.
Fu solo allora che Rubalt iniziò ad avere maggiore fiducia e stima nei suoi confronti.
Forse, in fondo, l’inutilità è solo questione di punti di vista.
Ben presto iniziò anche ad ammirare quelle tre parole che il giovane, nel frattempo divenuto un suo fedele alleato, continuava a ripetere quasi senza sosta.

«Andrà tutto bene.»

«Andrà tutto bene!»

«Andrà…»


Fino all’ultimo istante quando, gravemente ferito a causa di un nemico difficile da sconfiggere, si addormentò tra le braccia di colui che stava iniziando a considerare un amico.
«Non preoccuparti… mi sto solo riposando… Non appena mi sveglierò, sarò più forte di prima perché…»


… Il riposo è un’arma, quella letale.
Ricordandosi di quelle ultime parole, finalmente Rubalt riuscì ad appisolarsi. Con quel pensiero nella mente, sarebbe presto tornato sul campo di battaglia per vendicarsi della triste dipartita del suo fedele alleato.

«Giuro che se incontro di nuovo il tuo brutto muso… ti spacco la faccia per ciò che hai fatto!»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ecco, solo questo per oggi. Davvero: non so più cosa scrivere: ho finito le parole assieme alla storia, mi dispiace... ^^”
Ci vediamo domani con la ventiquattresima storia, “Appunti”.
--- Moriko

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Capitolo 24
*** Appunti ***


A/N: Salve a tutti, e benvenuti alla ventiquattresima storia del Writober: “Appunti”.
Sempre in breve: altra storia su Zamasu, questa volta su quel Kaiō allegro e spensierato della scena extra tratta dal quarto volume di Super (sob!) La storia si svolge nei primi giorni di residenza sul pianeta dei Kaiōshin dell’Universo 10 - subito dopo quella scena che vi ho appena citato, dunque - non appena Zamasu è diventato ufficialmente l’apprendista di Gowasu.
Non aspettatevi cose un po’ “dark”, questa volta. Dato che mi riferirò a un Zamasu che ancora non è entrato in contatto con l’argomento “mortali”, il protagonista di questa storia può risultarvi leggermente OOC.
E quindi… anche questa volta vi auguro buona lettura.





Appunti.



Zamasu amava il movimento della sua mano quando tracciava quelle parole.
In quei primi giorni di residenza sul pianeta dei Kaiōshin, il giovane seguiva in silenzio gli insegnamenti del suo fidato maestro, prendendo nota di ogni parola che usciva dalla sua bocca. Quasi si divertiva nell’ascoltarlo e nel seguirlo dovunque andava e qualunque cosa faceva: quelle frasi, per l'apprendista, erano sagge e ricche di insegnamento.
Le amava e per questo motivo ogni volta che, prima di andare a dormire, rileggeva quelle parole che aveva appuntato sul suo quaderno, sorrideva felice e soddisfatto.
Tecniche e segreti della Creazione erano tra le sue mani, e sapeva che tutto questo gli sarebbe servito, un giorno, per un grande scopo: proteggere l’Universo a lui affidato.

Quelle parole erano lì, nero su bianco. Esse avevano il potere di cambiare la sua vita, di portargli dei grandi vantaggi che lo avrebbero aiutato a svolgere adeguatamente il suo compito.
Ogni tanto, nel corso della giornata, tornava a sfogliare quelle pagine di appunti, guardandole più volte e rileggendole con molta attenzione. E, in esse, ritrovava la voce del suo maestro, la stessa che lo stava guidando sulla via della giustizia e della rettitudine, elemento essenziale nella vita di un Kaiōshin.

Parole che lo accompagnavano in ogni giorno della sua esistenza, che gli portavano consigli… che lo aiutavano a vivere con saggezza e semplicità. Un insieme di lettere, dietro alle quali vi era una ferrea volontà di perseguire il proprio compito.
Sapeva di essere un prescelto, e quel quaderno di appunti ne era una chiara testimonianza, una prova tangibile della sua grande abilità sia fisica che mentale. Lui era stato chiamato dal Kaiōshin in persona, proprio perché era adatto a svolgere il ruolo che gli avevano assegnato: solo lui, nessun’altro, sarebbe stato in grado di assolvere a quel difficile compito.
I suoi appunti erano anche lo specchio della sua anima. Erano ordinati e senza cancellazioni, come un libro stampato, dalle parole scritte con una meravigliosa calligrafia. Zamasu ci teneva molto: non accettava errori e, quando li faceva - anche se era abbastanza raro - bastava uno schiocco di dita e, grazie ai suoi poteri, sparivano nel nulla.
Ogni cosa in quel quaderno era perfetta, esattamente come il suo proprietario. E la perfezione era una caratteristica fondamentale per le divinità come lui: bisognava essere infallibili e privi di difetti, in tutto e per tutto.
Per il giovane apprendista era un onore seguire le lezioni del Kaiōshin. Il vegliardo era diventato per lui un modello da seguire, e Zamasu si era promesso di seguire le sue orme… per raggiungere sempre più quel grado di perfezione riflesso nei suoi appunti.

Ne era certo: se avrebbe continuato su questa strada… presto o tardi sarebbe diventato il Kaiōshin più potente di tutti i tempi.
Era solo questione di tempo.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
A conclusione, anche oggi vi riporto un’altra citazione che riguarda la scrittura in generale… che, devo dire la verità, forse non c'entra molto con il tema di oggi ma l’ho trovata adatta per tutti noi.
“Scrivere è un po’ come il sesso quando si invecchia: cominciare diventa ogni giorno un po’ più difficile, ma quando hai cominciato non vorresti mai finire.” (Stephen King)
Detto questo, ci vediamo domani con la venticinquesima storia, “Calze”. Le uniche calze che mi vengono in mente sono quelle di Cus… ditemi voi! XD
--- Moriko

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Capitolo 25
*** Calze ***


A/N: Salve a tutti, e benvenuti alla venticinquesima storia del Writober: “Calze”.
Vi giuro: questa volta non avevo la più pallida idea di chi rendere protagonista. Così… boh, ho scelto il primo personaggio che mi è venuto in mente: Cus.
Perciò, non aspettatevi molto da questa storia… e, quindi, vi auguro subito buona lettura.





Calze.



“Siamo così, dolcemente complicate…”
Dall’Universo 7 Whis aveva spedito a Cus un piccolo cd dove, tra le tante, l'angioletta aveva ascoltato la canzone dalla quale è stata tratta questa frase. Incuriosita, aveva deciso di chiedere al fratello la sua origine; tuttavia lui aveva ammesso di averla sentita per la prima volta in uno spot pubblicitario… di calze.
Lei fu incuriosita da tale rivelazione. Come mai hanno associato questa perla… ad uno spot di calze? - aveva pensato.

Ebbene: per lei, ciò che ne conseguì fu quasi un uragano.
Un giorno, nella sua stanza personale posta all’interno della dimora del suo Hakaishin, Cus si ridestò dalla sua meditazione con questa canzone di sottofondo. Inizialmente non riusciva a capire da dove provenisse, dato che lei ricordava benissimo di non averla inserita da qualche parte…
Solo dopo qualche minuto comprese cosa potesse essere accaduto.
In quel momento era in vestaglia quindi, per verificare la sua teoria, dovette velocemente rivestirsi.
All’improvviso, nell’indossare proprio le calze, si bloccò. Si sentì osservata, come se qualcuno la stesse riprendendo per qualche pubblicità di abbigliamento intimo…

In tutta la sua vita, Cus non aveva mai dato un urlo di imbarazzo così potente come in quel giorno.

A quel grido il Dio della Distruzione si spaventò. In quel momento si trovava nella cucina, mentre stava per addentare una mela, e subito credette che l’angioletta fosse in pericolo. Così, con il delizioso frutto ancora in mano, si precipitò verso le stanze di quella sontuosa residenza e, in un baleno, distrusse la porta che lo separava dalla stanza della fanciulla.
«Cus, stai be---»
Ma la sua domanda venne subito bloccata da un asciugamano che, fortunatamente, gli coprì all’improvviso il suo volto. L’angioletta, infatti, non appena vide il suo Hakaishin entrare in quella stanza, gli aveva lanciato quell’asciugamano per evitare di mostrarsi al suo compagno con le calze che stavano coprendo circa metà delle sue gambe.
«M-Mi dispiace, Lord Rumsshi… ma ho dovuto farlo,» disse Cus con un forte paonazzo che gli stava colorando le guance. «La prego di non togliersi quell’asciugamano: non… non sono in condizioni presentabili… Cerchi di capirmi.»
In pochi secondi, l’altro comprese cosa era appena successo… o, meglio, cosa stava per accadere se lui non si fosse allontanato da quel luogo in men che non si dica. Voltò le spalle all’angioletta, lanciando per aria l’asciugamano e, rosso in volto, uscì dalla stanza.
«Ok, ricevuto. Mi raccomando: acqua in bocca con tuo padre, in fondo io non ho visto niente.»

Cus tirò un sospiro di sollievo e, velocemente, si sistemò le calze e indossò la sua consueta divisa da Angelo. Nell’aria continuò a sentirsi quella canzone… e, anche se a Cus piaceva molto, il ricordo di ciò che proprio quella melodia aveva scatenato poco prima era ancora vivo nella sua mente.
La giovane giurò a se stessa che, la prossima volta che Whis le avrebbe regalato un altro cd, lo avrebbe distrutto sulla sua testa.

«Lord Rumsshi, mi faccia un favore: tolga subito quella musica di sottofondo, prima che io possa combinare altri danni al suo palazzo!»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ebbene sì! Mi è venuto in mente questo spot non appena ho letto di questo singolare prompt! Ogni riferimento ad aziende di abbigliamento realmente esistenti è puramente casuale e mai fatto per pubblicità o scopo di lucro.
Comunque, la canzone è meravigliosa… e l’ho trovata molto adatta per Cus - ma, più in generale, per tutte le donne di Dragon Ball.
Chiedo scusa per l’imbarazzo che ne è sorto con i miei personaggi, ma ho scritto questa storia semplicemente seguendo l’ispirazione… Ed è la prima volta che ho catapultato due personaggi in una situazione del genere: non avendo mai scritto ff romantiche o che trattano di questo tema in modo comico, spero di essere riuscita a trasmettere quello che avevo in mente… ^^”
Detto questo, ci vediamo domani con la ventiseiesima storia, “Titolo”. Diciamo che almeno non dovrò scrivere un titolo alla prossima ff, ahahah XD
--- Moriko

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Capitolo 26
*** Titolo ***


A/N: Ecco a voi la ventiseiesima storia del Writober: “Titolo”. Ovviamente senza un titolo perché il titolo è già questo… sì? XD
A parte questo, anche oggi il protagonista è una divinità. Avendo un sacco di personaggi che sono chiamati in modo diverso a seconda dei loro ruoli (dalle stesse divinità come Gowasu a semplici combattenti come Napapa)… alla fine ho preferito concentrarmi, di nuovo, su una divinità.
Quindi… perché proprio Zamasu? Beh, semplice: è quello che più di tutti mette in discussione uno dei titoli considerati tra i più prestigiosi di Dragon Ball: quello del Kaiōshin.
Per il resto sapete già come è andata a finire con lui… perciò non vi dico più altro e vi lascio alla lettura.





Titolo.



Kaiōshin.
Un titolo prestigioso, al quale possono aspirare solo poche persone nell’Universo. È un compito affascinante ma allo stesso tempo difficile, poiché essere un Dio della Creazione significa avere molte responsabilità e doveri: far nascere nuove forme di vita, cercare di guidarle verso la strada giusta ed essere attenti se le loro azioni possono essere d’intralcio per il resto dell’Universo…
Tuttavia, i Kaiōshin hanno un solo divieto in questo: se i mortali sbagliano, queste divinità hanno l’obbligo di non intervenire al fine della loro totale estinzione. Perché quello è il compito di un’altra entità suprema, l’Hakaishin che, in collaborazione con gli Dei della Creazione, decidono del fato di tutte le persone presenti nell’Universo.


Zamasu aveva studiato ciò nei libri di scuola, nei tempi in cui era un giovane studente sul suo pianeta natale, e ne era rimasto molto colpito. Sapeva che, un giorno, se si sarebbe impegnato fino in fondo… avrebbe avuto l’opportunità di collaborare con un Kaiōshin.
Pensava che, forse, anche quella remota possibilità non sarebbe stata male. Sarebbe diventato un Kaiō di tutto rispetto, e con quella divinità avrebbe collaborato per la pace nell’Universo.

Ma un giorno, mentre era nella sua stanza, il giovane ebbe modo di riflettere sul ruolo degli alberi Kaiju* presenti sul loro pianeta natale. I Kaiōshin erano predestinati ad essere tali fin dalla nascita, poiché nati da un frutto dorato… mentre tutti gli altri - lui compreso - erano stati generati da un frutto normale, che non aveva nulla di speciale.
Gli venne da pensare sul compito stesso dei Kaiōshin e, soprattutto, sul reale peso di quel titolo che gravava sulle loro spalle.

Non deve essere facile creare nuove vite, pensare al loro bene, guidarle sulla strada giusta. Se io fossi al loro posto, non so se riuscirei a reggere un peso del genere senza crollare…


Eppure…

Quando, in seguito, venne invitato dal Kaiōshin in persona per diventare il suo apprendista, Zamasu spalancò gli occhi per la gioia.
Un semplice Kaiō come lui, nato da un comunissimo frutto… invitato a ricoprire tale ruolo?
Non riuscì a crederci. Probabilmente quel vegliardo stava perdendo la testa a causa della vecchiaia… oppure qualcosa nel loro regno stava cambiando.
E lui ne fu contento e onorato allo stesso tempo. Giurò di mettercela tutta per essere degno di essere chiamato con quel titolo, un giorno.


Un macigno.

Con il passare del tempo, ambire a quel titolo gli divenne un’ombra di oppressione che, a poco a poco, avvolse il suo cuore puro di divinità. Ogni giorno, la stessa lotta tra ciò che era il dovere e quello che, secondo lui, era il giusto.
Perché aspirare ad essere Kaiōshin se, alla fine, non vi era il potere di far capire a quelle creature con ogni mezzo - compresa la violenza - di smetterla di ripetere gli stessi errori e, dunque, cadere più volte nel peccato?
Quel titolo, per come il suo popolo lo aveva concepito, gli stava pesando fin troppo… a tal punto da fargli prendere quella drastica decisione che presto avrebbe sconvolto l’equilibrio dei dodici Universi.

L’unica divinità degna di questo titolo… sono solo io.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
*Kaiju = letteralmente “albero/alberi del Mondo”. Sono gli alberi che danno la vita ai futuri Kaiō e Kaiōshin attraverso dei frutti che generano. Conosciamo la loro esistenza e le modalità di selezione dei ruoli di queste divinità grazie a un’intervista a Toriyama presente nel Dragon Ball Super Exciting Guide del 2009. Non è chiaro, però, se Kaishin - il pianeta d’origine di queste divinità - esista al di fuori degli Universi, o se ogni Universo ne abbia uno; così come per l’esistenza degli stessi alberi, dei quali non sappiamo ce ne sono diversi su quel pianeta oppure ne esiste solo uno.
(Se qualcuno ne sa di più di me, per favore fatemelo sapere così provvedo a correggere! ^^)

A questo punto penso di non avere altro da aggiungere, quindi ci vediamo domani con la ventisettesima storia, “Paradiso”.
--- Moriko

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Capitolo 27
*** Paradiso ***


A/N: Salve a tutti, e benvenuti alla ventisettesima storia del Writober: “Paradiso”.
Come una lampadina che si è accesa sulla mia testa (?), oggi ho deciso di raccontare un altro frammento della storia tragica dei Rumsshi e Cus della linea temporale alternativa di Dragon Ball Super (quelli, insomma, che cessano il ruolo a causa di Black… ^^”)
Tempo fa avevo già affrontato questo argomento in un’altra storia, ovvero “A story of blood and despair”, e qui… beh, considerate quest’opera come una sorta di “spin-off” di quella fanfiction.
Detto questo vi auguro buona lettura.





Paradiso.



“Il paradiso è sempre dove l’amore dimora.”
(Jean Paul)


«Dimmi, Cus… Non andrò in paradiso, vero?»
L’angioletta sentì il suo compagno di una vita tossire violentemente, mentre era ancora adagiata sul suo fianco. Nemmeno lei, ormai, riusciva ad aprire nuovamente gli occhi o muoversi: il suo legame con l’Hakaishin stava per essere completamente reciso.
Suo padre lo aveva preannunciato, nel giorno in cui la fanciulla aveva acquisito il titolo di Angelo del Decimo Universo. Se ci sarebbe stata una grave calamità con la quale il suo Dio della Distruzione avrebbe inavvertitamente terminato il suo ruolo, senza una cerimonia ufficiale con il richiamo dell’Angelo guida nel palazzo del Grande Zen’ō - come stava accadendo in quel caso - anche la giovane avrebbe cessato le sue mansioni con una sorta di disattivazione.
Da un momento all’altro, lei sarebbe crollata in un sonno profondo… dal quale, chissà quando, un giorno si sarebbe nuovamente risvegliata.
Il suo pensiero si rivolse a Rumsshi, che sicuramente stava patendo le più atroci sofferenze in quella disperata situazione. Lo stava aiutando solo con la voce… e, in quel momento, si rammaricò di non riuscire a dargli ciò di cui realmente aveva bisogno.
Su richiesta dell’Hakaishin aveva provato a cantargli una ninna nanna… finché non fu egli stesso a rivolgerle quella domanda, quasi spezzata dal pianto.

Per Cus, quelle parole la intristirono ulteriormente.
Anche le divinità della Creazione e della Distruzione avevano accesso ad una sorta di “paradiso” e “inferno” dopo la loro scomparsa, tuttavia… con un groppo alla gola la fanciulla pensò che, in ogni caso, loro non si sarebbero mai più incontrati. Gli Angeli erano ad un gradino superiore rispetto ai Kaiōshin e agli Hakaishin e, in quanto neutrali, non dovevano provare sentimenti di alcun genere. Per loro, quelle divinità non erano differenti dagli oggetti che utilizzavano per il loro ruolo…
… Ma così non era per lei.
Rumsshi era qualcosa di più: un compagno, un amico, una spalla sulla quale sfogarsi quando ne aveva bisogno. E la cosa era reciproca: anche per l’Hakaishin, Cus non era solo una guida che gli avevano assegnato per il suo compito di Distruttore, ma era diventata una persona a lui cara, da proteggere e da rispettare.
Per questo, l’angioletta provò a rispondere a quella difficile domanda cercando di rasserenarlo. Lui aveva commesso troppi peccati, e chissà se sarebbe davvero finito in quel paradiso oppure la sua anima sarebbe stata purificata come avveniva per i peccatori più incalliti.
«Penso di sì. Fossi nel Giudice delle Anime… ti farei passare senza problemi.»
«Lo dici solo perché mi vuoi troppo bene… e di questo ti ringrazio. Per me… l’aver vissuto al tuo fianco è stato già come essere in paradiso.»
L’angioletta si commosse a quella risposta. Udire quelle parole per lei erano una prova dell’affetto che Rumsshi provava nei suoi confronti: nonostante tutte le discussioni che avevano avuto… alla fine il Distruttore aveva dimostrato di ricambiare i suoi sentimenti.
Ma, in quel momento drammatico, un’altra domanda la sorprese ulteriormente.

«Dici che, prima di andare all’inferno… rivedrò anche Gowasu?»




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ora, la domanda che mi pongo è la seguente: che fine faranno mai le divinità (intendo Kaiōshin e Hakaishin) una volta che muoiono? In effetti, in un certo senso i Kaiōshin operano già nell'aldilà...
Sappiamo che a Kaiōshin il Sommo dell’Universo 7, donando la vita a Goku durante lo scontro con Majin Bu, gli compare solo un’aureola ma resta sempre sul pianeta dei Kaiōshin; non sappiamo del destino degli altri Kaiōshin di quello stesso Universo che muoiono in battaglia contro Majin Bu (nel senso che non li vediamo da nessuna parte per il resto della serie), mentre al caro Kaiō del Nord dell’Universo 7 durante lo scontro contro Cell capita la stessa cosa del Kaiōshin il Sommo dell’Universo 7... Perciò, in teoria, forse loro non hanno davvero un paradiso o un inferno nel quale andare una volta defunti. Nonostante ciò, mi piacerebbe che anche per loro ci sia una cosa del genere, dove ritrovarsi tutti una volta terminato il loro compito.
Sarebbe bello se Toriyama, un giorno, arrivasse a spiegare per bene ogni dettaglio sulle divinità e sul loro mondo, con approfondimenti sulla loro vita, dalla nascita alla morte. Ci vorrebbe un volume a parte, secondo me! :D
Per oggi termino qui, ci vediamo domani con la ventottesima storia, “Sciarpa”.
--- Moriko

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Capitolo 28
*** Sciarpa ***


A/N: Salve a tutti, e benvenuti alla ventottesima storia del Writober: “Sciarpa”.
La ruota della fortuna (?) ha scelto per oggi - e solo per oggi anche perché la raccolta è quasi terminata - uno dei guerrieri del Team Universe 10. Signori e signore, diamo il benvenuto al leader del gruppo, Murichim!
Ok, detto questo… non è che avevo molta scelta, in realtà. Del Team erano ancora rimasti lui e Obuni, e a quanto pare di personaggi con la sciarpa non ve ne sono molti in giro per l’Universo 10. Boh, si vede che preferiscono di più essere scalzi e a torso nudo…
Così è nata questa storia… perciò, a questo punto, come al solito vi auguro buona lettura.





Sciarpa.



Spesso, incrociando gli sguardi increduli degli altri, a Murichim veniva posta la stessa, identica domanda. Era diventata talmente palese che ormai la conosceva a memoria, ed a volte riusciva anche ad anticiparla prima che gli venisse posta.

«Perché quella sciarpa rossa?»

Sembrava un colpo nell’occhio, considerato il suo modo di vivere e quello di vestire. Nessun guerriero al mondo avrebbe mai sognato di andare in giro a torso nudo… indossando una sciarpa vistosa.
Nemmeno un foulard: proprio una sciarpa.

«Oh, si vede che hai del buon gusto! Notare un dettaglio del genere non è da tutti, eheheh!»

Bugia.
Ormai Murichim era abituato a rispondere così a tutti. In realtà, dopo aver ascoltato tante domande di quel genere, si era un po’ stufato: al posto di chiedere qualcosa relativa alla sua muscolatura, lo sguardo di chiunque si posava sempre e solo su quella - maledetta - sciarpa.
Come se la presenza di quella sciarpa avesse dato fastidio all’intera comunità.
E, ogni volta, era sempre pronto a raccontare la stessa storia.



«Uff… che seccatura.»
Murichim aveva appena congedato due giovani monaci ai quali aveva offerto delle indicazioni e, se non fosse stato per l’argomento “sciarpa”, per lui sarebbero stati anche abbastanza simpatici.
Sbuffando, stava per andarsene anche lui da quel luogo, quando una voce femminile richiamò la sua attenzione.
«Ciao, sembri molto forte.»
Nel voltarsi, il guerriero notò la presenza di una persona più bassa di lui che reggeva in mano uno scettro e, accanto a lei, uno strano individuo della sua stessa altezza e meno muscoloso di lui.
Ok: sicuramente questi sono turisti - aveva pensato, dato che (a suo dire) quella coppia gli sembrava così… diversa dal suo popolo: la ragazza bassina aveva la pelle blu e un cerchio intorno al suo collo; invece l’altro era, in poche parole, un elefante bipede.
Soddisfatto, Murichim si mise in posa e mostrò loro i muscoli dei quali andava fiero. «Certo che sono forte. Tutto merito delle bevande proteiche… e tanto, tanto allenamento!»
A quell’affermazione la fanciulla gli si avvicinò e, rivolgendosi al suo partner, gli disse: «Per me lui è dentro!»
«In effetti coi muscoli ci siamo…»
Il guerriero si incuriosì a quel breve scambio di battute. «Dentro… per cosa, scusate?»
«Per il Torneo del Potere!» rispose la ragazza. «Il vincitore potrà esaudire qualunque desiderio, anche quello che sembra impossibile!»
Qualunque?
Era un’occasione da non perdere. Dato che il desiderare un corpo perfetto era un obiettivo già raggiunto, l’unica cosa che voleva era il far smettere alle persone di chiedergli del perché di quella sciarpa che a loro sembrava fuori posto.
Sarebbe stata la fine di una tortura.
«Volentieri!»
La fanciulla sorrise, mentre il suo compagno si avvicinò al guerriero e iniziò ad osservare la sciarpa con uno sguardo piuttosto sospetto.
«Una domanda, prima che mi dimostri di che pasta sei fatto. Ma quella sciarpa… la stai indossando per pura estetica personale?»

Per fortuna Murichim riuscì a trattenersi.
Solo per quella fastidiosa domanda… fu ad un passo dal spaccare la faccia a quello strano essere.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Ora… so che siete curiosi di conoscere la storia dietro a quella sciarpa. A mio parere, Murichim la indossa per mettere ancora di più in risalto i suoi adorati muscoli… però, potete dare qualsiasi interpretazione che preferite. :D
Detto questo, ci vediamo domani con la ventinovesima storia, “Colla”.
--- Moriko

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Capitolo 29
*** Colla ***


A/N: Salve a tutti, e benvenuti alla ventinovesima storia del Writober: “Colla”.
Anche qui, all’inizio non avevo la più pallida idea del cosa scrivere… ma, grazie ad un suggerimento di stellaskia, sono giunta ad una soluzione!
Fanfiction incentrata sul personaggio di Cus, e sul legame che lei ha con le altre divinità… ovviamente, con il prompt “Colla” in mezzo.
Detto questo, come al solito vi lascio alla lettura.






Colla.



La creazione di un legame.
In qualsiasi Universo conosciuto, la colla serve per tenere insieme due parti che fino a quel momento sono separate. Fin da piccola, Cus si divertiva a utilizzare questo prezioso materiale per unire qualunque cosa le capitasse tra le mani: due parti che, in apparenza, provenivano da contesti differenti… oppure, in modo più semplice e ingenuo, due pezzi da un oggetto che nel frattempo si era rotto e, senza di essi, non poteva più essere utilizzato.
Da bambina non sapeva, però, che ben presto lei stessa sarebbe stata una sorta di colla per unire due divinità. Un Angelo era proprio questo: essere una sorta di ago da bilancia tra l’Hakaishin, che aveva il compito di distruggere pianeti, e il Kaiōshin, che aveva il dovere opposto.
E, quando le venne rivelato lo scopo per il quale era nata e stava studiando, lei ne fu felice: diventare un vero e proprio adesivo per creare un legame tra due persone era, per lei, una cosa bella.



Il Kaiōshin e l’Hakaishin che le avevano affidato avevano due personalità differenti.
L’angioletta amava le loro discussioni, i loro diversi punti di vista su qualsiasi questione che affrontavano ogni giorno. Spesso, mentre li osservava, prendeva dei fogli di carta e si divertiva a ricavarne da esse delle piccole figure somiglianti a quelle due persone che, ben presto, sarebbero diventate suoi grandi amici.
A volte, però, le piaceva unire quelle due figure attraverso della colla che applicava sulle parti che rappresentavano le mani. Ciò accadeva quando Gowasu e Rumsshi riuscivano ad arrivare ad un accordo, oppure parlavano allegramente sulla loro comune bevanda preferita, il .
Quelle due immagini che si tenevano per mano rappresentavano molto bene il legame che li univa: Cus sapeva molto bene che, se uno dei due moriva, l’altro era inevitabilmente destinato a perire.



Subito dopo la fine del Torneo del Potere Cus si precipitò sul pianeta dell’Hakaishin, che nel frattempo era diventata anche la sua dimora. Sapeva che Rumsshi non era ancora tornato perciò, senza nemmeno pensarci, tirò fuori dal comodino della sua stanza un altro foglio bianco… dal quale ritagliò una terza figura che non aveva ancora creato.
Una volta terminato il lavoro, dallo stesso cassetto prese le altre due figure e si teletrasportò sul pianeta dei Kaiōshin.

«… Gowasu sama! Rumsshi sama!»

Fu contenta nel ritrovarli, entrambi, sotto quel maestoso albero. Corse verso di loro per abbracciarli; dopodiché mostrò a loro la sua ultima creazione, con uno sguardo molto felice e rasserenato.
Porse loro un foglio, sul quale erano incollate tre figure. Il duo conosceva molto bene le prime due, che li rappresentavano… ma il loro sguardo si posò su quella terza figura, a loro ancora inedita. Quell’immagine era stata incollata per prima, e raffigurava una giovane fanciulla dalla pelle blu che, dalle spalle, stava abbracciando le altre due figure.
Gowasu e Rumsshi si commossero nel vedere quella scena e sorrisero, ringraziando e stringendo nuovamente a sé il loro Angelo.


“Gli piaceva ricordare a se stesso che il proprio mondo non era andato completamente in pezzi. A volte abbiamo bisogno di tutta la colla che riusciamo a trovare per tenerci insieme.” (Cecelia Ahern)





A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Grazie alla citazione finale ho sforato di molto… ma, non appena l’ho letta, mi sono sentita in dovere di inserirla nella storia! L’ho trovata perfetta per il mondo di queste tre divinità che, davvero, hanno affrontato di tutto e di più…
Detto questo, ci vediamo domani con la trentesima storia, “Matrimonio”. Questa volta potete tranquillamente immaginare l’unico (che conosciamo finora) personaggio di questo Universo che si è sposato… ;)
--- Moriko

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Capitolo 30
*** Matrimonio ***


A/N: Trentesima e penultima storia del Writober: “Matrimonio”.
Attualmente, tra i personaggi dell’Universo 10 l’unico sposato nonché l’unico che mancava alla lista era proprio Obuni! Dunque… su di lui personalmente non ho molto da dire, anche perché ormai lo conoscono tutti: l’ultimo guerriero del Team a lasciare il ring, che ha fatto una bella figura sia nell’anime (contro Gohan) che nel manga (contro Kale) e sul quale abbiamo più informazioni rispetto agli altri personaggi (stile di combattimento e background)
In questa sede, parlerò di questo personaggio in rapporto all’anime… anche se, in un certo senso, potete applicare lo stesso concetto anche nel manga. “Matrimonio” perché lui ha una famiglia che, indirettamente, ha cercato di proteggere durante il Torneo… e possiamo immaginare che era molto legato ad essa, in modo particolare a sua moglie e suo figlio.
Detto questo non mi resta altro da fare, se non augurarvi buona lettura.





Matrimonio.



Vergogna, ecco cosa provava.
Il giovane guerriero non era riuscito nemmeno a rispondere al saggio Kaiōshin. Aveva solo abbassato la testa, rammaricandosi del risultato che aveva raggiunto con la sua sconfitta.
Era l’ultimo rimasto in campo e su di lui tutti avevano riposto le speranze per la salvezza del loro Universo e dei loro cari. Già… i loro amici e le loro famiglie, come la sua.
D’istinto si portò una mano sul petto, alla ricerca del ciondolo che indossava quotidianamente. Si sorprese di non trovarlo al suo solito posto: con molta probabilità era andato distrutto durante il suo ultimo combattimento.
«Dannazione…» disse in pensiero, «… dannazione!»
Quel prezioso ricordo, raffigurante sua moglie e suo figlio… non esisteva più. Come, a breve, non lo sarebbero stati il loro intero pianeta e le loro vite.

«Prometto di esserti fedele sempre…»

All’improvviso si ricordò di quel momento, quello del suo matrimonio. Lo stesso durante il quale aveva guardato negli occhi colei che era appena diventata sua moglie e le aveva promesso di restarle accanto, qualunque cosa sarebbe accaduta.
Il fatto di aver appena infranto quella promessa gli stava rodendo l’anima.

«Perdonami… Quel giorno ho promesso di restarti accanto fino alla fine, e speravo di morire insieme a te, stringendoti le mani come ho fatto allora.
Mi dispiace…»




Il loro bambino scoppiò a piangere.
La donna dai capelli ricci lo prese in braccio, e nel tentativo di calmarlo, iniziò a cullarlo. «Su, non piangere…» disse, avvicinandosi alla finestra e alzando lo sguardo verso il cielo.
Su quel pianeta era ormai giunta la sera: la volta celeste brillava di una miriade di stelle, ma lei sembrò non essere entusiasta di quel meraviglioso spettacolo. Ripensò a suo marito, al momento in cui si erano salutati… e, in quell’attimo, pregò che non sarebbe stato l’ultimo, che presto sarebbe tornato a casa vincitore, così da riabbracciare lei e suo figlio.
Ma il tempo sembrava essersi fermato… e di suo marito, ancora nessuna notizia.
Ad un tratto la giovane ebbe un tuffo al cuore. Istintivamente si portò una mano al centro del petto, dove indossava il suo ciondolo: lo prese in mano e lo aprì, rivelando una fotografia di famiglia.
Diventò triste nell’osservarla.

«Nella gioia e nel dolore…»

Anche lei si ricordò del loro matrimonio, e del momento in cui si erano scambiati quella promessa.
E, in quel momento, il suo sguardo venne attirato da alcune forti scie luminose che sembravano provenire dal cielo e avvolgere, come delle spire, il paesaggio circostante.

Solo allora in una manciata di secondi la ragazza capì cosa stava per accadere. In lacrime strinse a sé il suo bambino, pensando al peggio.
«… Perdonami! Avrei voluto riabbracciarti prima della nostra fine… Non è giusto, non possiamo infrangere la promessa che ci siamo scambiati quel giorno!»

E, in un attimo, il nulla.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
E con questo abbiamo quasi terminato il Writober! Perciò, il prossimo appuntamento è domani con la trentunesima e ultima storia, “Halloween”.
--- Moriko

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Capitolo 31
*** Halloween ***


A/N: E, finalmente, siamo giunti alla trentunesima, nonché ultima storia del Writober: “Halloween”.
Questa storia sarà diversa dalle altre… già per la lunghezza della stessa: non è una flashfic ma è una vera e propria long. Questa lunghezza non era in programma… ma questa volta (anche per mancanza di tempo) non sono riuscita ad accorciarla - e di questo vi chiedo scusa ^^”
Sul resto è una storia con protagoniste le quattro divinità dell’Universo 10… e non potevamo chiudere questa “rubrica” senza di loro, che in un certo senso ci hanno accompagnato per tutto questo mese!
A questo punto, vi auguro buona lettura.





Halloween.



«Ma che razza di tradizione è?!»

Zamasu stava osservando, come da suo compito, i mortali presenti nei vari pianeti dell’Universo 10… ma, quel giorno, notò che tra loro c’era una strana euforia.
Tutti stavano acquistando costumi, trucchi, decorazioni e altro materiale per festeggiare una ricorrenza che sembrava non promettere nulla di buono, almeno per l’apprendista Kaiōshin. Quest’ultimo invitò il suo maestro a dare un’occhiata a quelle scene singolari, dove vi erano finti zombie, mostri, vampiri e streghe. A differenza del giovane, il vegliardo non sembrava essere sorpreso… anzi, tutt’altro.

«Ah, parli di Halloween? È normale che in questo periodo i mortali si comportano in quel modo, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Di certo non è ancora giunta la fine del mondo… anche se, in effetti, non ho ancora capito perché prima rifuggono la morte e poi sono entusiasti di festeggiare qualcosa che la ricordi in tutto e per tutto.»
«Qui ci sono persone che si fanno chiamare “zombie”,» disse Zamasu, «Fanno ribrezzo con il loro comportamento… però non esistono creature del genere, vero?»
Gowasu scosse la testa. «Non sottovalutare i segreti dell’Oltretomba.»
«Eppure l’ho studiato e, quindi, so che non esistono. Il concetto di “non morti” è pressoché inesistente nel nostro mondo; figuriamoci esseri… di tale disgusto. Nessun Kaiōshin al mondo potrebbe anche solo immaginare di creare una cosa del genere.
… Ma ho capito. Mi sta forse mettendo alla prova per vedere se davvero ho appreso ogni vostro insegnamento, sommo Gowasu?»
Con un sorriso enigmatico il saggio si allontanò dal suo discepolo, portando le mani dietro la schiena.
«Forse, caro Zamasu… Forse.»



«Zombie… bah! Il sommo Gowasu pensa ancora che io sia un bambino ingenuo, che crede a qualsiasi idiozia che gli viene raccontata…»
Il giovane apprendista si era appena tirato le coperte per coricarsi e, nel frattempo, continuò a riflettere sugli insegnamenti che il suo maestro gli aveva dato nel corso della giornata.
Zamasu sapeva fin troppo bene che la figura dello zombie era solo un’invenzione dei mortali, creata per affrontare con maggiore determinazione la morte… perciò, in quel momento, aveva l’animo sereno.
Non appena i suoi occhi si chiusero sentì dei lenti passi provenire dal corridoio, ma non si curò più di tanto.

Ci risiamo, è di nuovo il sommo Gowasu che non ha chiuso occhio. Fossi in lui resterei a letto: alla sua età non gli farebbe bene dormire così poco…

Zamasu non si ridestò nemmeno quando le sue orecchie udirono il suono della porta aprirsi fin troppo lentamente. Anche in quel caso il giovane pensò che si trattava sempre del vegliardo che, come un genitore, senza farsi notare voleva assicurarsi che il suo discepolo stesse bene.
Ma, subito dopo, sentì qualcuno avvicinarsi al suo letto.

… Un momento. Perché ora sto percependo ben due presenze? E nessuna delle due sembra essere quella del sommo Gowasu…

E, non appena aprì gli occhi, comprese che la situazione era ben diversa. Di fronte a lui vi erano Rumsshi e Cus vestiti e truccati in modo piuttosto insolito, come due zombie.
Zamasu iniziò ad allarmarsi e si alzò in piedi, ripetutamente rivolgendo loro un inchino.

… Che diamine ci fanno loro qui?! A quest’ora così insolita?

«V-Vi chiedo scusa per la mia mancanza di rispetto, Lord Rumsshi e Lady Cus! S-Sono appena andato a letto, e---»
«Lord Rumsshi? Chi è questo Lord Rumsshi?» interruppe la divinità elefantiaca con un tono più grave del solito, quasi demoniaco.
Il giovane spalancò gli occhi e la fanciulla, accortasi della reazione così sorpresa dell’apprendista, disse con una voce più profonda: «Non si preoccupi, è normale che lui non sappia nulla… In fondo è la prima volta che ci incontriamo con lui, vero… Lord Ihssmur
«Scusate… per caso voi due mi state prendendo in giro?» sentenziò uno Zamasu sempre più incredulo di quella che gli stava sembrando un’assurda situazione. «Lady Cus… ormai so riconoscere lontano da un miglio uno scherzo del nostro amato Hakaishin, perciò---»
Ma il suo discorso venne fermato da un gesto della fanciulla, che posò dolcemente l’indice sulle labbra del giovane apprendista. «Ohohoh, ma io non sono la Lady Cus che conosci, anche se le assomiglio così tanto… Io sono Lady Usuk, la piccola demone assistente di Lord Ihssmur… il Re degli zombie. E oggi siamo qui perché tu sembri così… appetitoso
Zamasu deglutì nervosamente. Sapeva che, se quello fosse stato davvero uno scherzo, di solito quello era il punto in cui Lady Cus sarebbe scoppiata a ridere e avrebbe rivelato tutto, così dal far infuriare il suo Hakaishin e contemporaneamente far sorridere lui.
Tuttavia quella figura, un tempo dall’aspetto così angelico e soave… in quel momento gli sembrava tutto tranne colei che conosceva molto bene. E il giovane se ne accorse molto di più quando la ragazzina iniziò a giocare con la sua vestaglia per scoprigli il suo torace.
A quel gesto Zamasu fece un balzo all’indietro, portando le mani al petto e iniziando a respirare affannosamente per la paura.
Aveva compreso ogni cosa: che quelle due figure non erano le divinità che conosceva, che probabilmente gli zombie esistevano per davvero e, da quel che aveva studiato, probabilmente le sue normali tecniche di combattimento non avrebbero avuto effetto su di loro.
A quel punto gli restò un’ultima possibilità di salvezza.

… Ok, ho capito. Qui ci vuole un piano di fuga semplice ma efficace.

Inspirò profondamente e, facendo un passo all’indietro… uscì velocemente da quella stanza, e in preda al terrore urlò il nome del suo maestro.
Sperò di trovarlo in tempo, per attuare con lui una strategia per sconfiggere quelle due enigmatiche entità presenti a casa loro.





[Bonus.]

«Non devi preoccuparti: quello scemo non mi sembra il tipo che bada a certe cose…»
La divinità elefantiaca aveva appoggiato delicatamente la mano sulla testa della fanciulla, la quale si era messa in ginocchio per chiedere perdono.
«Vi chiedo scusa: questa volta ho esagerato! Non mi piace togliere i vestiti alle persone senza il loro permesso!»
«Sei stata brava. Hai solo seguito gli ordini di Gowasu, e se nel copione c’era scritto di tentare di scoprirgli il torace per provare ad azzannarlo…»
L’angioletta alzò la testa, incrociando lo sguardo del suo Hakaishin. Materializzò un piccolo asciugamano, con il quale si tolse il trucco che aveva sul volto. «Ma, in ogni caso… secondo lei, questa volta Zamasu si sarà spaventato un po’ troppo?»
L’Hakaishin voltò le spalle a Cus e diede una piccola risata. «Meglio così. Oggi ho avuto la mia rivincita: ho dimostrato che, in fondo, Zamasu non è quella cima di sapienza che Gowasu si vanta di avere ogni giorno al suo fianco…»
La fanciulla sorrise, aiutando il suo compagno a togliersi il trucco che anche lui aveva indossato. «Però ci siamo dimenticati una cosa, Lord Rumsshi… Dovevamo subito chiedergli “Dolcetto o scherzetto?” prima di presentarci. È questa la tradizione di Halloween, il dolce lato che tutti adorano!»
A quelle parole il distruttore diede un profondo sbuffo di rabbia. In una situazione del genere… era certo che Zamasu avrebbe preparato per lui, ben volentieri, quintali di squisiti dolcetti.
«… Merda,» fu l’unica cosa che riuscì a borbottare.




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
“Sembrava impossibile, ma ce l’avevamo fatta.” (cit.)
A conclusione di questo fantastico Writober (che ha quasi prosciugato le mie energie, LOL), vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito in questa piacevole avventura!
Prima di tutto, ringrazio Il corsaro nero che è stata così diligente nel lasciarmi una recensione ad ogni singolo capitolo. Parlando in generale è davvero ammirevole, considerato che io - per esempio - non ho lo stesso tempo e la stessa costanza nel leggere e commentare le storie degli altri. Grazie, davvero. <3
Ringrazio anche Teo5Astor che ha recensito qualche storia di questa raccolta e ne ha ampiamente apprezzato il contenuto, come sempre. ^^
Un ringraziamento speciale va a stellaskia che, anche se è stata quasi invisibile su questo sito, dovete sapere che in realtà è stata sempre presente nel “dietro le quinte” di questa raccolta… anche se ultimamente mi limitavo solo ad inviarle i link delle varie storie, ahahah ^^” Però… anche a te: grazie mille anche perché l’hai messa tra le seguite, awww :’)
Infine, ringrazio anche tutti quei “lettori silenziosi” che in questa raccolta ci sono capitati per caso, aprendo il link che ogni giorno usciva nella loro home. (Perché sono convinta che c’è stato chi, ogni tanto, ha cliccato sulla mia raccolta solo per curiosità :3)
Un ringraziamento a parte va alla pagina Fanwriter.it che ha promosso questa iniziativa e sostenuta fino ad oggi.
Bene! Ora che siamo giunti alla fine, vi annuncio che non so quando tornerò a pubblicare qui… Sinceramente, davvero: non lo so. Però, grazie a tutte le recensioni che mi sono giunte su questa raccolta, ho ancora del materiale sull’Universo 10, perciò… stay tuned!
Grazie mille a tutti, alla prossima!
--- Moriko



[Piccole note solitarie di fondo delle quali non si sentiva la mancanza: per chi ancora non lo sapesse, con l’uscita del quinto volume del manga di Super in Italia, i nomi delle divinità del Decimo Universo sono stati tradotti in “Kusu” e “Rumushi”. Finora, per mancanza di adattamento ufficiale, mi sono limitata ad utilizzare i nomi della versione inglese - che, nel frattempo, anche quelli sono cambiati - perciò… niente di che: se nelle mie prossime storie troverete questi adattamenti, sarà solo per il motivo sopracitato.
(Comunque, se proprio volete sapere la verità… in fondo, per me fin dall’inizio sono sempre rimasti “Kusu” e “Ramūshi”, in altre parole la loro pronuncia XD)
Detto questo, di nuovo: a presto!]

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