Ticking bomb.

di Wings_of_Mercurio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 23:31 ***
Capitolo 2: *** 23:32 ***
Capitolo 3: *** 23:33 ***
Capitolo 4: *** 23:34 ***
Capitolo 5: *** 23:35 ***
Capitolo 6: *** 23:36 ***
Capitolo 7: *** 23:37 ***
Capitolo 8: *** 23:38 ***
Capitolo 9: *** 23:39 ***
Capitolo 10: *** 23:40 ***
Capitolo 11: *** 23:41 ***
Capitolo 12: *** 23:42 ***
Capitolo 13: *** 23:43 ***
Capitolo 14: *** 23:44 ***
Capitolo 15: *** 23:45 ***
Capitolo 16: *** 23:46 ***
Capitolo 17: *** 23:47 ***
Capitolo 18: *** 23:48 ***
Capitolo 19: *** 23:49 ***
Capitolo 20: *** 23:50 ***
Capitolo 21: *** 23:51 ***
Capitolo 22: *** 23:52 ***
Capitolo 23: *** 23:53 ***
Capitolo 24: *** 23:54 ***
Capitolo 25: *** 23:55 ***
Capitolo 26: *** 23:56 ***
Capitolo 27: *** 23:57 ***
Capitolo 28: *** 23:58 ***
Capitolo 29: *** 23:59 ***
Capitolo 30: *** 00:00 ***
Capitolo 31: *** 00:01 ***
Capitolo 32: *** 00:02 ***
Capitolo 33: *** 00:03 ***
Capitolo 34: *** 00:04 ***
Capitolo 35: *** 00:05 ***
Capitolo 36: *** 00:06 ***
Capitolo 37: *** 00:07 ***
Capitolo 38: *** 00:08 ***
Capitolo 39: *** 00:09 ***
Capitolo 40: *** 00:10 ***
Capitolo 41: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 23:31 ***


1. 23:31

« Ehi amico, lasciatelo dire, hai davvero un pessimo aspetto ».
Grazie tante Kyle, aspettavo proprio che qualcuno me lo facesse notare, pensò. Tuttavia non lo disse. Stan Marsh poteva diventare davvero antipatico e lagnoso il giorno dopo una sbornia. Era irritabile e se ne rendeva conto, e dovette trattenersi per non mandare al diavolo il suo migliore amico.
Aveva delle occhiaie profonde e il viso di un pallore umidiccio, come se fosse malato. Non si era neanche preoccupato di sistemarsi i capelli e non ricordava da quanto non si facesse una doccia. Era anche appena consapevole dell'ambiente che lo circondava; sapeva solo che stava percorrendo il corridoio della scuola nell'ala davanti agli armadietti. Si era accorto di star trasportando uno zaino sulle spalle, perché ne sentiva il peso, ma davvero non riusciva a ricordare se avesse preso tutti i libri, il che era secondario, dal momento che neanche ricordava che lezioni avesse quel giorno.
Sentì il rosso sospirare al suo fianco.
« Ok, è abbastanza » decretò Kyle, tagliandogli la strada e imponendosi dinanzi a lui, così da costringerlo a guardarlo « Che diavolo ti succede? ».
Stan riuscì a stento a portare lo sguardo su di lui e a metterlo a fuoco. Aveva così tanto sonno che i suoi occhi non volevano saperne di restare aperti.
« Oh, dai! » si lamentò, schioccando la lingua in un gesto di impazienza. Avrebbe potuto superarlo facilmente in circostanze normali, ma adesso gli era difficile muoversi troppo, stava semplicemente muovendosi per inerzia.
« Hai passato tutto il weekend in giro per le feste. E non sei stato sobrio una volta. Ti sei addormentato per due ore in croce ieri, con la testa sopra le tette di Bebe Stevens, la quale aveva la sua sul secchio dell'immondizia dei Donovan. Clyde vuole farti un occhio nero, a proposito. Avresti fatto meglio a restare a casa a rimetterti insieme » gli ricordò con la sua voce petulante.
« Dio, Kyle. Ogni tua parola è una stilettata nel cervello » chiuse gli occhi e si portò le dita sull'attaccatura del naso, stringendola com'era solito. Poi si passò una mano in viso.
« Scusa se te lo dico, amico, ma se stai cercando di attirare la sua attenzione, non è questo il modo ».
« Fottiti » riuscì finalmente a dire. Kyle poteva essere un vero stronzo quando ci si metteva.
« Senti, fa come vuoi! Però non contare su di me, la prossima volta che vomiti pure l'anima! » la sua voce era mutata da accorata a fredda in un niente.  Ed era aumentata di tono; era da ciò che capivi che fosse davvero alterato.
Aveva voltato i tacchi e se ne era andato. Che andasse davvero al diavolo! Kyle non capiva che non avesse bisogno delle sue prediche in quel periodo, e neanche che tuttavia avesse bisogno di lui o, almeno, che non lo abbandonasse di lunedì mattina in mezzo ad un corridoio rumoroso dopo uno dei dopo-sbornia più brutti della sua vita.
E poi lui non stava cercando di attirare l'attenzione di Wendy. Al contrario, cercava di evitarla. E non solo lei.



Cercò di aggiustare un bottone nell'asola della camicia quando si rese conto che gli si vedeva la pancia, dal momento che l'aveva abbottonata male. Le sue dita però continuavano a scivolare intorno ad essa mentre tremavano nervose e il bottone non trovava la via per entrare.
« Tch! » si lamentò, stizzito, prima di rinunciare e dare un lieve colpo al banco coi pugni chiusi.
Alcune ragazze dai primi banchi si voltarono verso il fondo dell'aula, dov'era lui, che strinse gli occhi insieme per l'imbarazzo e la rabbia.
Red indugiò ad osservarlo; l'aveva a stento salutato con un cenno del capo appena era entrato mentre Bebe, accanto a lei, lo aveva solo guardato stupita. Adesso parlavano con delle ragazze che non conosceva e di certo non erano nella loro classe due anni prima.
Nel banco vicino al suo un ragazzo storpio lo guardava interessato.
Era entrato zoppicando sulle sue stampelle e si era seduto nel banco accanto alla finestra senza né chiedergli chi fosse né dirgli se avesse occupato il banco di qualcun altro, e ciò non fece altro che accrescere l'apprensione di Tweek.
Inoltre non aveva ancora visto nessuno dei ragazzi e si chiese se fosse nell'aula giusta, anche se aveva contemplato il numero scritto sulla porta per un ammontare considerevole di tempo, confrontandolo con quello sulla sua scheda.
« Tu-tutto bene? » aveva infine parlato lo storpio, e Tweek si voltò verso di lui ad osservarlo.
« Ggh! Sì! » quasi gridò, fallendo nel proposito di controllarsi « Oddio- sono Tweek! Tweek Tweak! Tu chi sei? Dove sono Kyle e gli altri? Non ho sbagliato classe, vero? » concluse in un crescendo di panico.
« Ca-calmati, ami-mico. Io sono Jimmy. E Ky-Ky-Ky- » chiuse gli occhi per sforzarsi di pronunciare il nome « Kyle e gli altri stanno p-per arrivare, credo ».
« Oddio » sospirò, dal momento che la realizzazione ebbe più il potere di agitarlo che di calmarlo.
Fu in quel momento che Cartman entrò arrancando, seguito da Kenny e Kyle. Erano tutti e tre troppo impegnati nella loro conversazione per accorgersi della sua presenza; si erano diretti ai banchi davanti a quello di Jimmy.
« L'ho lasciato da solo in corridoio, ne ho abbastanza della sua merda! » stava dicendo Kyle, il ragazzo dai capelli ricci e rossi.
« Tweek! » aveva esclamato Kenny, interrompendolo, una volta che i suoi occhi si erano posati sul banco in fondo, e gli altri due avevano voltato la testa verso di lui.
Tweek poté osservare gli occhi di Kyle farsi grandi dallo stupore.
« Ehi, Tweek » lo salutò « Come te la passi, amico? ».
« B-bene! Voi? Gah! Come ve la passate? ».
« Bene! Non, non sapevamo che tornassi adesso » continuò il ragazzo coi capelli ricci, mentre si avvicinava insieme a Kenny al suo banco « Potevi dircelo! ».
Cartman era rimasto indietro, in imbarazzo. Tweek lo occhieggiò un attimo prima di rivolgere le attenzioni agli altri due.
« Non mi sembrava un'opzione -ngh!- dal momento che abbiamo perso i contatti » e non li stava accusando di niente, era solo un dato di fatto, ma ciò non fermò l'ondata di colpa che attraversò gli occhi verdi di Kyle.
« Ehi, amico, parlavamo di te proprio l'altro giorno! » disse Kenny « Ci chiedevamo proprio quando ti avremmo rivisto. Sono contento di vederti! » gli strinse una spalla.
McCormick era sempre stato gentile con lui, lo era con tutti; ma Tweek si ritrasse spaventato al suo contatto. Essere toccato dal ragazzo più bello di South Park gli metteva troppa pressione addosso, lo imbarazzava.
« Gah! Anch'io! Dov'è Stan? » chiese, cercando di calmarsi.
Kyle aveva fatto un'espressione seccata « Sta per arrivare ».
Come se lo avesse quasi evocato, ecco che il ragazzo entrò trascinandosi con un'incazzatura evidente. Aveva un aspetto a dir poco indecente, ma era comunque il più carino del gruppo dopo Kenny, con quell'aria da anima dannata che si portava sempre dietro.
Aveva preso posto allo stesso banco di Kyle, lanciato in malo modo a terra lo zaino e si era sotterrato con la testa nelle braccia.
« Non è proprio al meglio, come puoi vedere » sospirò Kyle, prima di allontanarsi verso il proprio banco.
Kenny fece per seguirlo, poi si fermò come se si fosse dimenticato qualcosa, e si voltò di nuovo  verso di lui « Forse dovresti sederti vicino a Jimmy ».
Tweek guardò il ragazzo al lato del suo banco, ma questi stava scribacchiando qualcosa su un foglio.
« Ha ha ha ha! » le risate di un ragazzo dalla voce profonda richiamarono la sua attenzione verso la porta. Vide un gruppo di tre che non conosceva ma che chiaramente dovevano essere in classe con lui.
Il ragazzo che aveva riso era scuro di pelle e teneva il passo ad un ragazzo più basso di lui che aveva folti capelli castani e indossava la giacca da quarterback della scuola. Quest'ultimo aveva un'aria tronfia mentre camminava, da sbruffone, del tutto differente dal terzo ragazzo alto dietro di lui con lo sguardo truce.
« Oddio » si ritrovò a sussurrare fra sé e sé. Sembravano dei bulli. Doveva stare in classe con quei tipi?
Notò con ansia che si stavano avvicinando al suo banco. Il quarterback smise di sorridere non appena si rese conto della sua presenza.
« Ma che cazzo- » esordì.
Il ragazzo alto, al suo fianco, si avvicinò quel tanto che gli permettesse di calciare la sedia di Tweek in mezzo alle sue gambe, cosicché la sedia cadde contro il muro e lui si ritrovò bloccato in bilico con le spalle appoggiate ad esso e la sedia che minacciava di scivolargli da sotto.
« Gah!!! » urlò, terrorizzato.
Il viso dell'altro non tradì un'emozione, guardava Tweek semplicemente con i suoi occhi di ghiaccio mentre l'irritazione del quarterback accanto a lui cresceva a vista d'occhio.
« Questo è il nostro banco » lo informò, con una diplomazia fuori luogo, il ragazzo afroamericano.
« N-Non lo sapevo!! » tremava Tweek, sotto lo sguardo attento dei tre.
« Be', adesso lo sai, quindi smamma » parlò per la prima volta il ragazzo col cappello blu, quello che per poco non l’aveva fatto cadere con quel calcio.
« Oh Madonnina, ma cosa succede? » sentì sussurrare al lato della sua visuale. Riconosceva quella voce, era di Butters « Ma è Tweek! Ehi, Tweek, bentornato! ». 
Tweek osò appena voltare la testa verso di lui con negli occhi un’espressione di puro panico, ma Butters non lo stava più guardando, osservava i tre ragazzi nuovi che lo guardavano in cagnesco.
« Oh mamma » commentò.
« Tweek… » lo chiamò con cattiveria il ragazzo con la giacca da football scolastica « Stai provocando le persone sbagliate » lo minacciò con un sorriso lugubre.
« Me ne vado! Gah! » allungò le braccia verso il banco per darsi lo slancio e rimettersi diritto, ma il ragazzo di prima calciò un piede della sedia per sbilanciarlo. Tweek  riuscì comunque a rimettersi in piedi senza cadere, ma non ad evitare che la sedia lo colpisse dietro l’incavo del ginocchio.
I tre ridacchiarono.
« CAZZO, TUCKER! » la voce di Stan risuonò dal centro dell’aula, intrisa di irritazione. Non aveva neanche del tutto voltato la testa verso di loro « SMETTILA DI FARE TUTTO QUEL CAZZO DI RUMORE! ».
Il ragazzo dal cappello blu assottigliò gli occhi « Stai zitto, Marsh » e gli rivolse il dito medio.
Nonostante Tweek fosse sicuro che Stan non potesse vedere il gesto, lo vide ricambiare alzando il dito in aria, come se si aspettasse di riceverlo.
« Aspetta un secondo, Marsh » berciò il quarterback.
« Cazzo vuoi, Clyde? ».
« Clyde » la debole voce di Bebe, apprensiva, dal fronte dell’aula, non riuscì a dissuadere il ragazzo dall’iniziare a marciare verso Stan con rabbia.
Fu la voce risoluta di Tucker a fermarlo « Clyde ».
Il ragazzo in questione si voltò verso l’amico con espressione astiosa, ma non fece più un passo.
Tweek raccolse in fretta le sue cose e si spostò il più lontano possibile da quei tre. Il quarterback e il ragazzo di colore occuparono il banco appena liberato mentre quel tal Tucker si sedette ad un banco lì vicino, come se non avesse appena minacciato un ragazzo per prendersi un altro banco.
Tweek occhieggiò il posto accanto a Jimmy e con desolazione si accorse che era occupato da Butters.
L’unico posto libero in aula era quello vicino al bullo terrificante di prima, e l’ansia iniziò a prendergli il petto. 
Fece un respiro profondo. Non poteva essere il suo primo giorno di scuola, si rifiutava di crederlo. Non poteva essere già iniziato così male, peggio delle sue previsioni; era surreale.
Si avvicinò al ragazzo dal cappello blu che se ne stava seduto scomposto sulla sedia con le spalle poggiate al muro laterale della classe.
Il ragazzo lo osservò con i suoi occhi blu, senza dire una parola, con espressione stoica.
« Questo -gh!- è l’unico posto libero ».
Tucker gli rivolse uno sguardo penetrante, prima di spostare i piedi dalla sedia accanto alla sua per fargli posto. Poi si sotterrò con lo sguardo nel suo smartphone e non disse più una parola.


Dal preside. Il signor Garrison lo aveva mandato dal preside! 
Stan se ne stava seduto fuori dall’ufficio in attesa che lo accogliessero all’interno. 
Kyle aveva ragione, era stata una mossa stupida farsi vedere lì, da tutti, dall’insegnante, in quelle condizioni. Il professore l’aveva richiamato un paio di volte prima di rendersi conto che Stan fosse reduce da una sbornia e così, come il rottinculo che era, aveva pensato bene di metterlo in punizione invece di mandarlo in infermeria, come forse avrebbe avuto bisogno. 
Kenny ci era comunque andato al posto suo con la scusa di andare in bagno e gli aveva portato un’aspirina con un bicchiere d’acqua. Stan lo aveva ringraziato e lo aveva guardato allontanarsi. Kenny sì che era un amico, non come quello stronzo di Kyle. A volte si chiedeva perché facesse di tutto per lui solo per non essere ripagato di niente quando ne aveva bisogno. 
Però Kyle aveva ragione, si ritrovò a pensare ancora una volta, aveva ragione perché se era lì quella mattina, a mettersi in ridicolo, era solo per attirare le attenzioni di Wendy, la sua ex che lo lasciava un trimestre sì e l’altro pure.
Il sediolino accanto al suo cigolò quando un ragazzo vi  scivolò sopra. Restò in silenzio ma Stan lo riconobbe subito, senza necessità di guardarlo. Si passò una mano in viso, sconcertato.
« Hai di nuovo mandato a fanculo il professore? » chiese, con scherno, chiedendosi se lo avesse fatto di proposito per seguirlo.
« Io almeno non sono ubriaco » rispose flemmatico Craig.
Stan avrebbe voluto argomentare che non lo era. 
« Ti preferisco quando lo sei » disse acido.
« Non avevo nessun dubbio. Anche io, preferisco quando lo siamo ».
Stan smise di respirare per qualche secondo. Non poteva averlo detto, era un incubo. Non stava davvero toccando l’argomento, vero?
Si voltò verso di lui rivolgendo lo sguardo verso l’alto, perché era chinato in avanti, con le braccia sulle ginocchia. Craig lo stava guardando con lo sguardo altero, certo, ma sempre pieno di sottintesi. 
Intrecciò le mani in un pugno e se le portò davanti al viso, pensando a cosa dire.
« Craig, a proposito di ciò che è successo venerdì… ».
« Marsh » lo interruppe l’altro « Eravamo ubriachi » gli ricordò.
E Stan sapeva che non volesse dire proprio nulla. Perché l’alcol può essere una scusa, ma solo una scusa, per fare ciò che vorresti fare. E Craig lo sapeva anche lui. Tutta quella tensione fra di loro, la rivalità accesa, i colpi di testa, non potevano che portare da una sola parte. E lui, almeno lui, non lo aveva realizzato se non quel fine settimana.
Buttò fuori un sospiro di sollievo.
« Era per dirti che, semmai ti venisse in mente di dirlo a qualcuno, io ti… » iniziò minaccioso il ragazzo dal cappello blu, ma la minaccia scemò quando lesse negli occhi di Stan che aveva inteso.
Eppure Stan si chiese perché non avesse completato la frase. Adesso sarebbe vissuto nel dubbio di cosa gli avesse fatto nel caso, o anche se la minaccia potesse essere effettivamente reale o no.
Portò due dita a mimare la chiusura di una cerniera davanti alla bocca, prima che il preside lo chiamasse dall’ufficio.

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Capitolo 2
*** 23:32 ***


2. 23:32


Craig. Craig Tucker. Era così che si chiamava il ragazzo che adesso gli sedeva a fianco. Tweek aveva scoperto che l’anno in cui era mancato avevano accorpato le due classi, la sua e quella di Tucker.
Quella mattina c’era un compito. Nulla di serio, era una sorta di test di valutazione, che doveva servire all’insegnante per capire quanto sapessero del programma dell’anno precedente. Lei, come Tweek, era nuova, e il ragazzo lo considerò un colpo di fortuna.
Aveva studiato, nell’anno in cui era stato via, quindi non aveva niente da temere. 
Al momento era tutto concentrato sul foglio, per cercare soprattutto di scrivere in una calligrafia comprensibile, dato che quella era una sua grande pecca. Non per svogliatezza, ma perché i suoi genitori lo avevano tirato su come un caffeinomane, e aveva un po’ di difficoltà a controllare i tremori che la caffeina gli causava. 
Nella clinica in cui era stato, erano anche riusciti a disintossicarlo, per così dire, per preservare la sua salute. Una volta a casa, però, aveva ripreso ad abusarne, complice il fatto che i suoi avessero un negozio di caffè.
Dovette trattenere un urletto, quando Craig gli assestò un calcio alla sedia.
<< Stai fermo, schizzato, non riesco a scrivere >> gli intimò velenoso, in un sussurro.
Craig lo terrorizzava. Non faceva altro che chiamarlo schizzato, psicotico, squilibrato, ma stramboide era il suo preferito. Ovviamente, anche Clyde e Token, l’altro ragazzo del gruppo, partecipavano con entusiasmo alla sagra dei sinonimi. 
Niente di nuovo sotto al Sole, insomma. Perlopiù Tweek tentava di ignorarli. 
Craig allungò una mano per tirare verso di sé il foglio su cui stava scrivendo, e lo occhieggiò con un cipiglio. 
<< La tua scrittura fa schifo >> disse.
<< Grazie tante >> rispose infastidito, mentre l’altro cercava di copiare i suoi scritti. 
Dopo che ebbe finito, gli rilanciò il foglio indietro con una manata, facendolo quasi cadere dal banco. Tweek lo afferrò giusto in tempo. Era innervosito. Avrebbe voluto aggredire Craig e dirgli di andare a farsi fottere, ma si impose di mantenere la calma.
<< 1775 >> sussurrò Craig senza guardarlo. Tweek alzò gli occhi su di lui << Era il 1775 quando scoppiò la guerra d’indipendenza. 1778 è la data in cui divenne un conflitto mondiale, ma scoppiò nel ’75 >> lo informò, ancora concentrato sul suo foglio.
Tweek tornò ad osservare il suo compito, stupito, poi con la penna corresse la data sbagliata. 
Si ritrovò a pensare che dopotutto Craig non doveva essere una cattiva persona.


Era solo la millesima volta, no? Perché gli faceva male? Sapeva che fosse  questione di tempo -e stavolta ce ne aveva messo davvero tanto- prima che Wendy iniziasse ad uscire con un altro. Ciò che gli faceva male, era che l’altro fosse Gregory-sonoilpiùfigodiYardale, suo rivale in amore praticamente da sempre.
Ogni volta che lui e Wendy litigavano, Gregory trovava sempre il modo di mettersi tra di loro. Stan sapeva che al ragazzo non era mai andato giù che Wendy avesse scelto Stan, tra i due. E Wendy sembrava ciondolare fra di loro neanche fosse un pendolo. 
L’ultima volta che Wendy e Gregory erano stati insieme risaliva a più di un anno e mezzo prima; da allora, Wendy aveva giurato a Stan che mai più sarebbe uscita con Gregory, per poi frequentare altri ragazzi ancora quando le cose tra loro non andavano bene. Ed ecco perché questa volta sapeva più di tradimento. Alla fine si era riavvicinata a Gregory; senza contare che questo era il periodo più lungo in cui lei e Stan erano stati lontani, e il ragazzo iniziava davvero a temere che fosse la volta definitiva.
Non era riuscito a restare in palestra, durante l’ora di educazione fisica, quando li aveva trovati vicini in quel modo. Così se ne era andato, lontano dalla vista, in un posto dove nessuno andava, dietro l’edificio scolastico, a ridosso del muro di cinta che dava sul lago ghiacciato.
Si era lasciato scivolare seduto a terra contro il muro, incurante dei residui di neve che potevano inzaccherargli i vestiti.
Si passò le mani in faccia fino a intrufolarle sotto il cappello blu e rosso e toglierselo, le guance rosse per il freddo e le lacrime calde che avevano preso a scendergli dagli occhi senza che lo avesse preventivato.
Quando sentì un rumore di passi, si asciugò rapido gli occhi con le mani. 
Era Craig, l’espressione svogliata e una sigaretta tra le dita lunghe e pallide.
<< Stai piangendo, Marsh? >> gli chiese con scherno.
<< Perché mi segui, Craig? >>
Il ragazzo sollevò un sopracciglio verso di lui << Adoro come siamo passati ai nomi di battesimo >> 
Si sedette di fianco a lui, lanciando il mozzicone lontano, a spegnersi nella neve.
<< Disturbato dalla visione di Wendy che scopre nuove lande? >>
<< Sono forse affari tuoi? Mi vuoi dire perché sei qui? >>
<< Perché ti ho seguito >> 
Stan si passò di nuovo le mani in faccia << Questo era ovvio. Ma perché? >>
<< Prova ad indovinare >> sorrise sornione, voltandosi verso di lui.
Restarono a scrutarsi negli occhi, blu contro azzurro, come in uno specchio.
<< Sei ubriaco? >> chiese Stan, alludendo alla conversazione del giorno prima.
<< Nah >> 
Stan avvicinò il viso a quello di Craig << Io forse un po’ >>
<< Forse basta >> gli soffiò il fiato sulla bocca.
Stan lo afferrò per il lato del cappello, portandolo verso di sé, e lo baciò. 
Craig sollevò una mano a coppa sulla sua guancia, rispondendo con impeto. Si tirò indietro e si sistemò in modo da permettere a Stan di sedersi a cavalcioni su di lui.
Continuarono a baciarsi mentre Craig percorreva la schiena dell’altro con le mani, su e giù, e Stan affondava le mani ripetutamente fra le ciocche nere di Craig, causando la caduta del cappello blu sul cemento umido.
Sperando che nessuno li trovasse, si lasciarono andare.


In punizione. Il preside aveva deciso di punirli entrambi, lui e Marsh, per motivi diversi, obbligandoli a restare oltre l’orario scolastico per scrivere un saggio sull’importanza dell’ordine scolastico e sul rispetto dell’autorità, sotto la supervisione indesiderata del signor Garrison. Indesiderata per entrambe le controparti.
L’insegnante non faceva altro che lanciare frecciatine su come per colpa loro aveva dovuto rimandare tutti i suoi impegni.
In classe c’erano pochi altri ragazzi: Cristophe, il francese dell’ultimo anno, un tipo tosto con cui Craig e i suoi avevano spesso a che fare, e poi Firkle della cricca dei ragazzi goth. Doveva esserci  anche Damien, da ciò che aveva sentito da Garrison. Ma lui non veniva neanche a lezione, figurarsi se si presentava per una punizione. Per questo era in una punizione costante, senza che avesse mai iniziato a scontarla.
Stan era due banchi davanti a lui, sulla destra. Si voltò verso di lui, senza farsi notare troppo dall’insegnante, che era comunque troppo impegnato a sfogliare le sue riviste di gossip.
Lo occhieggiò per un po’ da sopra una spalla, poi gli rivolse un sorriso e si rigirò davanti.
Craig sorrise anche lui, rivolto al nulla. Stan Marsh era un bel ragazzo, e si era sempre trovato attratto da lui, soprattutto per il modo in cui lo fronteggiava; non come faceva Kyle, quando attaccava coi suoi discorsi petulanti su cosa fosse giusto e cosa no. Stan aveva la risolutezza negli occhi, un ardore che si accendeva soprattutto quando doveva difendere i suoi amici, e Craig si era sempre chiesto come sarebbe stato, ad avere un amico così, che metteva tutto se stesso nel suo rapporto con te. Se la loro rivalità non ci fosse stata, si sarebbero trovati su quante cose? Sapeva che a Stan piacevano particolarmente gli animali, e i modellini collezionabili, cose che piacevano un sacco anche a lui. Oppure, veniva sempre a sapere che giocassero agli stessi videogiochi, mentre magari Clyde e Token snobbavano la maggior parte delle cose che piacevano a lui. 
Quindi aveva sempre voluto venire a contatto con quel mondo che era Stan Marsh, ma adesso aveva trovato un modo del tutto inusuale.
Il fatto era che non era riuscito a pensare ad altro, da quel venerdì di festa a casa di Token, quando si erano ritrovati da soli, ubriachi e disinibiti, senza sapere come fossero passati dagli improperi all’avere l’uno le labbra su quelle dell’altro. 
Sapeva solo che gli aveva fottuto la testa.

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Capitolo 3
*** 23:33 ***


3. 23:33


<< Ehi, stramboide >> 
Tweek aveva alzato lo sguardo sulla mano tesa verso di lui.
<< Gah! Cosa?! >> aveva chiesto in una voce impanicata. Craig era a fianco al loro banco, e lo guardava come se si aspettasse qualcosa. Aveva ancora lo zaino in spalla, dato che non aveva preso ancora posto.
<< I compiti >>
Tweek restò a guardare per un po' la sua mano, poi il suo sguardo impassibile, prima di capire cosa Craig volesse.
<< Che?! Vuoi copiarli? >> 
<< Se li copio il signor Garrison se ne accorgerà >> rispose flemmatico, anche un po' annoiato, non ritirando peraltro la mano. 
L'ombra della realizzazione passò sulla faccia di Tweek.
<< NO! Non esiste! Non ti darò i miei -argh!- compiti! Mi metterà un'insufficienza! >>
Craig lasciò cadere la mano lungo il fianco, lo sguardo che adesso mostrava una scintilla di irritazione.
<< Bèh, meglio a te che a me >> 
Tweek schizzò in alto senza potersi controllare e battè i palmi sul banco << NO! NON ESISTE! >> 
Improvvisamente, si rese conto di ciò che aveva fatto, spalancò gli occhi su Craig e iniziò a tremare, sicuro che le avrebbe prese. 
Il resto dell'aula si era voltato verso di lui in shock; solo Craig non si era fatto sorprendere dalla sua uscita da psicopatico. Il ragazzo si piegò verso di lui e snudò i denti << Raffreddati, squilibrato, e accontentami >> 
Tweek colse lo scintillio metallico dell'apparecchio dell'altro. Non si era accorto che lo portasse, fino ad allora, forse perché Craig non sorrideva. O almeno, era una cosa che non gli aveva mai visto fare.
Si lasciò cadere di nuovo sulla sedia, per allontanarsi dal volto dell'altro.
<< Tieni >> disse una voce alle spalle di Craig.
Solo quando il ragazzo si voltò, vide Wendy dietro di lui che osservava Craig con i suoi risoluti occhi viola. Gli stava porgendo i suoi quaderni.
<< Prenditi i miei, e lascia stare in pace Tweek. Tanto comunque la sua scrittura è troppo arzigogolata per essere scambiata per la tua >>
Craig la scrutò dalla testa ai piedi << Chi cazzo ti ha chiesto niente? >>
Wendy gli schiaffò i quaderni con una manata in petto, poi lo ignorò completamente per rivolgersi a Tweek.
<< Tweek, tutto bene? Se vuoi cambiare compagno di banco ti lascio il posto a fianco di Bebe, e mi siedo io qui >>
<< No, grazie >> rispose prontamente Craig, superandola per avvicinarsi a Tweek. Poi gli passò un braccio intorno al collo, tirandoselo vicino, come se volesse strozzarlo, il che aumentò il panico di Tweek.
<< Tweek è il mio compagno di banco, non voglio sedermi vicino a una sgualdrina >>
Non finì neanche di dirlo, che la ragazza gli tirò uno schiaffo poderoso, tanto che gli lasciò immediatamente il segno.
<< Urgh! Amico! >> esclamò Clyde, dal suo banco, sul volto un'espressione di dolore.
La maschera di Craig invece era ancora lì, solo era rimasto nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato lo schiaffo, con lo sguardo rivolto verso il muro, e il braccio ancora intorno al collo di Tweek, il quale prontamente tentò di sgusciare via.
Ormai si era creato un piccolo teatrino; Tweek scorse in lontananza il volto preoccupato di Kyle, e, al suo fianco, quello scioccato di Stan.
Lentamente, forse realizzando cosa fosse successo, Craig si portò una mano sulla guancia lesa, e riportò lo sguardo su Wendy, i cui occhi sembravano ancora impossessati dalla rabbia.
Tweek si sentì irrimediabilmente in imbarazzo, perché era lui ad aver creato quella situazione.
<< Che succede? Dove sono le tue palle adesso? Bèh! Te lo dico io! Non ce le hai! Fai tanto il tipo tosto perché nessuno ti ha mai messo a posto! >> rincarò ancora Wendy.
<< Ehi, bella, non stai esagerando? >> chiese Clyde, dalla sua postazione.
Wendy si voltò come una furia verso di lui << E tu sei anche peggio, Clyde! Fai tanto lo sbruffone ma ti fai pisciare in bocca da Craig! >>
<< Urgh >> commentò solo il quarterback, mettendo su un'espressione schifata, mentre Token, al suo fianco, sembrava guardare Wendy con una sorta di mistica adorazione.
Craig fece un passo verso di lei, alzando il dito medio contro la sua faccia, in una sorta di apatica provocazione.
<< Salutami tua madre, Wendy >> 
La ragazza stava forse per reagire di nuovo, quando il signor Garrison entrò in classe esordendo con: << Va bene, merde, vediamo di fare qualcosa, oggi >>
Wendy non poté fare altro che lanciare un ultimo sguardo infervorato verso Craig, poi si diresse al suo posto.


Per tutta l'ora, Stan non aveva fatto altro che fissare Wendy. Era un miracolo che non avesse aperto un buco nel cranio della ragazza solo con l'intensità del suo sguardo.
Era questo che lo faceva impazzire per lei: il suo essere cazzuta, leale e disposta ad intervenire a favore del prossimo. Stan aveva un debole per le personalità forti, e forse per questo era anche amico di Kyle da così tanto tempo.
Alla fine con lui aveva risolto; era stato sempre lui, a fare le scuse al rosso, ovviamente, perché Kyle era testardo da morire ed inoltre mai e poi mai faceva un passo indietro quando credeva di avere ragione.
Quando l'altro si accorse che l'attenzione di Stan fosse tutta concentrata su Wendy, invece che sulla lezione, gli assestò una gomitata sotto l'ascella.
<< Stai sbavando >>
<< Non è vero >> aveva risposto, sapendo che lo aveva colto in fallo.
<< Comunque se non fosse intervenuta lei, sarei intervenuto io >> lo informò.
Stan guardò l'amico per un attimo. Conoscendo Kyle, sapeva perché fosse così apprensivo nei confronti di Tweek. D'altronde, era l'unico del loro gruppo ad aver stretto di più con il ragazzo biondo, e forse si sentiva anche in colpa per aver interrotto i rapporti con lui. 
Stava per dire "tenterò di parlare con Craig", ma si trattenne, perché non sapeva se fosse una buona idea continuare a stare da solo con lui.
Lanciò un'occhiata verso il banco in fondo, e sospirò. 
Alla fine, Craig e Wendy si erano beccati entrambi un 2: Wendy perché non sapeva che fine avessero fatto i suoi quaderni; Craig doveva averglieli nascosti per dispetto; e lui perché Garrison aveva riconosciuto che la scrittura fosse di Tweek nonostante Craig sostenesse che i quaderni fossero i suoi. Il bastardo aveva scansato per poco un'altra punizione.
Alla terza ora, durante l'intervallo, Stan era saltato su dalla sua sedia e aveva fermato Wendy sulla soglia della porta, proprio mentre lei stava per scendere in cortile.
<< Ehi >>
Aveva visto la sua chioma nera muoversi, prima che si voltasse a fronteggiarlo.
<< Ehi. Cosa vuoi, Stan? >>
Diretta.
<< Mi chiedevo se volessi prendere un gelato con me, oggi >> provò. Ci aveva riflettuto, e il pensiero di vedersela soffiare da sotto al naso era insopportabile, così aveva deciso di passare all'attacco.
Wendy lo guardò scioccata. Dio, quanto era bella, lo era con qualsiasi espressione che si dipingesse sul suo viso.
<< Stan, non so se non hai capito, ma io sto uscendo con Gregory, adesso >>
<< Lo stesso Gregory che non volevi più frequentare? >>
Wendy si voltò del tutto verso di lui e incrociò le braccia, prendendo un lungo sospiro. << Stan... non puoi più dirmi chi dovrei vedere e chi no. Lo so che ti avevo detto che non lo avrei più frequentato. E l'ho fatto, per farti stare tranquillo. Ma, adesso che non ci stiamo più sentendo, non vedo perché dovrei lasciar perdere Greg, che mi ha anche perdonata, per non avergli più rivolto la parola... >>
<< Greg... >> sputò schifato il nomignolo, al che Wendy ruotò gli occhi << Lo sai, tanto alla fine torneremo insieme. Perché non ci saltiamo tutta la parte dei dispetti e ci riproviamo? >>
<< Stanley... >> iniziò, prendendosi il naso fra le dita, in un gesto di sconcerto che gli aveva trasmesso stesso lui << ...non è così. Guarda, sto cercando di andare avanti ed...>> assunse un'espressione mortificata << ...ed uscire da questa relazione inconcludente. Penso che dovresti farlo anche tu >> concluse, toccandogli il braccio in un gesto che voleva essere di conforto, prima di voltarsi e andare via.
<< Cazzo... >> mormorò Stan fra i denti; aveva improvvisamente voglia di bere, di nuovo.
<< Marsh >> sentì il suo nome pronunciato dal ragazzo che gli stava passando accanto. Ruotò gli occhi << Perché continui a parlare con quella pazza? Non vedi cosa mi ha fatto, oggi? >> 
Si voltò verso Craig << Sinceramente, te lo sei meritato. Ha fatto quello che io avrei avuto voglia di fare tante volte >>
Il ragazzo si portò alle labbra la sigaretta che aveva cacciato fuori dal pacchetto, per liberare la mano e fargli il dito medio, prima di sparire anche lui verso il cortile.

Fortuna che la sua voglia di bere era coincisa con la loro uscita settimanale. 
Si erano diretti al pub tutti e quattro, lui, Kyle, Kenny e Cartman.
Non si era sorpreso di trovare lì la gang di Craig che bazzicava intorno a Damien e Cristophe. Infatti, se andavano lì, era giusto per incontrare gli altri ragazzi di South Park, tanto più che a Kyle non piaceva bere e Cartman non era un gran bevitore.
In teoria, non avrebbero neanche potuto servirlì lì, in quanto non ancora maggiorenni, ma a nessuno a South Park sembrava importare.
Lui e Kenny si erano seduti al bancone e avevano iniziato la loro personale sfida a chi beveva di più. Una volta il biondo lo avrebbe battuto, ma adesso Stan era più confidente nella sua capacità di metabolizzare l'alcol, il che comunque era squallido e triste.
<< Sai cosa? Sono uscito per divertirmi. Non voglio pensare a Wendy >>
Kenny ruotò gli occhi << Eppure è la cinquantesima volta che pronunci il suo nome >> poi saltò giù dallo sgabello << Io sono uscito per divertirmi, quindi adesso smetto di ascoltarti. Ho già fatto abbondantemente il mio dovere di amico >> detto ciò, scolò la sua tequila in un sorso, in procinto di andare via.
Stan ridacchiò << Sei uno stronzo >>
Kenny gli battè amorevolmente la mano sulla spalla e poi si diresse verso Kyle e Cartman, che giocavano a biliardo contro Butters e Kevin Stoley. 
Il suo posto però non rimase vuoto al lungo; Stan vide la figura sottile e slanciata di Craig scivolare accanto a lui, e porgere un bigliettone al barista.
<< Rum e Coca >> ordinò.
Stan allungò la mano sulla sua, quella che stringeva i soldi, abbassandogliela. Tirò fuori dalla tasca un'altra banconota e la porse al barman al posto di quella.
<< Dagli del whisky >>
<< Non voglio del whisky >> si oppose senza troppo sentimento Craig << E poi perché mi stai pagando da bere? >>
<< Numero uno: non fare la checca, fammi compagnia >> alzò il suo bicchiere di whisky per mostrarglielo, proprio mentre il barista ne riempiva un altro per Craig << Numero due: voglio che tu lasci in pace Tweek >>
<< Sono già qui per farti compagnia >> ignorò completamente il punto della questione; ma Stan non insistette, perché non riusciva a concentrarsi.
<< Carino, da parte tua >>
Craig prese un sorso.
<< Abbastanza ubriaco? >> chiese, con nonchalance.
Stan lo occhieggiò un attimo, le viscere che si contorcevano sotto l'incantesimo di una strana eccitazione, poi scolò d'un sorso quello che restava del suo bicchiere, proprio come aveva fatto Kenny prima. Saltò anche lui giù dallo sgabello, mentre Craig lo imitava e mandava giù tutto. 
Stan lo oltrepassò e si avviò verso il retro del locale, dove erano i bagni. Craig lo seguì subito dopo, senza neanche guardarsi intorno.
<< Qui >> lo chiamò Stan. Si era intrufolato in un piccolo sgabuzzino buio pieno di scope. Craig aveva seguito la sua voce e vi era entrato anche lui, cosicché Stan potè chiudere la porta. 
Poteva osservare il profilo appuntito del volto del ragazzo solo per la luce che filtrava da una piccola feritoia in alto. Craig lo guardava, in silenzio, e così lui. 
I ruoli erano già definiti. Craig gli chiedeva se fosse ubriaco, lui diceva di sì anche se non lo era, poi Stan faceva la prima mossa. Ed era ciò che Craig stava aspettando, in quel momento.
Stan si avvicinò con urgenza portando una mano al lato del viso dell'altro, e gli diede un bacio a fior di labbra, giusto per sentire la morbidezza di quelle dell'altro, accertarsi che fosse lì, che la sua mente obnubilata non stesse galoppando da sola. Perché lui era lui, e sapeva perché lo stava facendo. Ma Craig?
Doveva sapere perché stava per succedere una terza volta.
<< Cos'è questo? >> chiese.
<< Un bacio >> rispose, sornione, l'altro.
Stan si avvicinò di più, e lo baciò di nuovo, stavolta con la lingua, tremando leggermente quando Craig ricambiò le attenzioni.
Si staccò dopo un po'.
<< E questo? >>
<< Un bacio incrementato >>
Stan sorrise, divertito. Strinse le braccia intorno al ragazzo, suscitandogli un moto di sorpresa. 
<< Questo? >> lo sfidò.
<< Un abbraccio davvero non necessario >>
Affondò il viso nel collo dell'altro, e inizò a riempirlo di piccoli baci, mentre con una mano gli teneva fermo il collo e l'altra iniziava ad accarezzargli la pelle sotto il cappotto.
Fermò la sua ascesa di baci solo per chiedergli all'orecchio, con la voce più maliziosa di prima: << E questo? >>
Craig teneva gli occhi stretti, e le mani aggrappate al cappotto di Stan.
<< Questo sei tu che mi fai impazzire, Marsh >> rispose in una voce un po' troppo calda, per sembrare realmente la sua.
Stan sorrise nell'incavo del collo dell'altro, e lo spinse piano verso il muro dietro di lui.

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Capitolo 4
*** 23:34 ***


4. 23:34


Tweek osservò i suoi compagni di classe, cercando di trovare su di loro i segni della serata precedente.
Il giorno prima, con suo grande sollievo, Jimmy l'aveva invitato a casa sua. Era stato più difficile del previsto tornare a scuola; l'amicizia che aveva coi ragazzi si stava ricostruendo a fatica, e Kyle e gli altri sembravano prenderla con cautela. Non gli avevano ancora chiesto una volta di uscire o unirsi a loro, ma erano solo i primi giorni, quindi Tweek era fiducioso. 
Jimmy era stato così gentile da invitarlo a stare da lui per studiare insieme e poi giocare con qualche videogame.
"S-sai" gli aveva detto "ca-capisco come ti-ti senti. N-nessuno vuole mai invitare i raga-gazzi con pro-problemi" e poi gli aveva detto di aver sentito che quella sera gli altri sarebbero andati al locale.
Non seppe cosa di quelle dichiarazioni lo avesse fatto stare più male, se il fatto che agli occhi degli altri lui doveva sembrare solo un ragazzo con dei problemi o il fatto che Kyle, Stan e Kenny non avessero proprio preso in considerazione di invitarlo al club.
Prima che fosse costretto ad andarsene, andava spesso con loro lì, e non avevano mai fatto a meno di invitarlo. Era un attimo, e potevi passare dal fare parte di un gruppo affiatato a ritrovarti relegato al margine senza possibilità di cambiare le cose. Si chiese se gli altri adesso lo vedessero in maniera diversa.
Chi voleva prendere in giro? Per forza, lo vedevano in maniera diversa, e forse magari avevano anche paura di lui. 
Si comportavano come se dovessero contenere una bomba, come quando Wendy era intervenuta il giorno prima contro Craig per lui. A dirla tutta, nessuno glielo aveva chiesto, ed era parecchio seccante che una ragazza cercasse di difenderlo. Non che dubitasse delle buone motivazioni di lei, solo che Craig poteva gestirlo da solo.
Lanciò un'occhiata timida al ragazzo vicino a sé, che guardava annoiato verso la cattedra. Quanto sapevano lui, Clyde e Token di quello che era successo solo un anno e mezzo prima? Glielo avevano raccontato? O peggio, il resto della scuola era venuto a saperlo lo stesso? 
Si disse che era improbabile che sapessero, dato che erano gli unici a trattarlo, seppur male, ma almeno senza inutili e frustranti riguardi. Sarebbe stato decisamente più semplice, costruire una nuova amicizia con loro, invece che riprendere quella coi suoi vecchi amici, se solo ne fossero stati minimamente interessati.
Continuò a fissare Craig di sottecchi, con la speranza di intravedere di nuovo il suo apparecchio, fra le labbra sottili ma tornite.  
Arrossì. Non aveva intenzione di concentrarsi sulle sue labbra; solo che, dal giorno prima, nella sua mente non faceva altro che ripresentarsi l'immagine di Craig che si piegava verso di lui per minacciarlo, col dettaglio delle sue labbra che si aprivano sui  denti ricoperti di quell'aggiunta metallica, e si ritrovava a pensare ogni volta che fosse carino. L'apparecchio, intendeva; gli donava un sacco, lo rendeva ... tenero. Arrossì ancora più violentemente. Certo, questa volta il tenero era riferito a Craig.
Si concesse di osservare meglio il ragazzo, scandagliarne il profilo appuntito, le ciglia nere intorno ai suoi occhi blu scuro, i capelli neri che, ribelli, sfuggivano al cappello, e poi di nuovo le sue labbra.
Iniziò a sentirsi stranamente teso ad ogni movimento di lui. Per tutta la mattina gli lanciò occhiatine furtive. Solo una volta riuscì a scorgere il bagliore metallico fra i suoi denti: Craig stava ghignando per qualcosa che aveva letto sul suo telefono, e il cuore di Tweek iniziò a battere come impazzito.
<< Schizzato >>
<< Gah! >> Tweek saltò letteralmente dalla sedia, colto in flagrante nell'atto di spiare il suo compagno di banco.  
Era stato Clyde a parlare, dietro di lui.
<< C-COSA VUOI? >> chiese indispettito, mentre cercava di calmare il suo cuore che aveva accelerato all'inverosimile.
Clyde lo guardò sospettoso << Cosa stavi facendo? >> 
<< Mi stava fissando >> lo informò, senza smettere di guardare il suo smartphone, Craig.
<< NON! Non è vero! >> negò.
<< Sì, invece. Smettila di farlo perché mi fai sentire a disagio >>
Clyde lo afferrò per il colletto della camicia, e se lo portò verso di sé << EH? Ma sei malato? Hai sentito Craig? Non dargli fastidio! >>
<< Gah!!! >> squittì Tweek << La-lasciami! >>
<< Rimettilo giù, Clyde >> ordinò Craig come se in realtà non gli interessasse. 
<< Cosa? >> chiese Clyde, credendo di aver capito male.
Craig alzò per la prima volta lo sguardo sul suo amico << Ho detto di lasciare stare Tweek. Non toccarlo >> terminò, con il tono freddo che lo contraddistingueva. 
<< Come vuoi >> bofonchiò il ragazzo dai capelli castani, mollando la presa sul biondo.
Tweek sospirò, appena fu rimesso giù.
<< Comunque levati di torno, devo parlare con Craig >> chiese Clyde.
Tweek gli lanciò un'occhiataccia, poi si alzò raccogliendo i suoi quaderni, e andò via. 


Token stava organizzando un'altra festa per il fine settimana. Era questo che Clyde era venuto a riferirgli, tutto eccitato per discutere con lui i dettagli.
Ne avevano continuato a parlare anche quando era cominciato l'intervallo. Clyde lo aveva accompagnato dietro la scuola dove Craig si dirigeva sempre per fumare in pace. Solitamente lì c'era sempre anche Cristophe, ma oggi no. Doveva aver saltato la scuola.
<< Perché mi hai detto di lasciare stare Tweek? >> chiese, improvvisamente, il quarterback.
Craig non lo sapeva. Sapeva solo che Stan glielo aveva chiesto, e lui si era sforzato tutto il giorno di non dare il tormento al suo compagno di banco. 
Si diceva che era solo perché Marsh gli aveva offerto da bere; era come se avessero fatto un patto, e lui era tutto tranne che una persona che non mantiene la parola. Tuttavia, gli era chiaro che questa fosse solo una giustificazione, perché la realtà era che Stan glielo aveva chiesto e Craig lo stava facendo per lui.
<< Perché è il mio compagno di banco >> rispose, semplicemente.
Clyde non parve convinto << E quando mai questo ha contato? >>
Craig prese un tiro profondo dalla sigaretta che portava fra le dita.
<< Lui mi sta simpatico. Sigaretta? >> tentò di cambiare argomento.
<< No, grazie >> rispose desolato Clyde << Devo andare da Bebe >>
Craig annuì, e lo guardò allontanarsi, ma presto un'altra figura attirò la sua attenzione.
Stan Marsh stava venendo verso di lui, con un'espressione contrita in volto.
<< Ehi, come va? >> aveva esordito, affiancandolo. 
<< Quindi adesso siamo amici, Marsh? >> chiese; tuttavia allungò il pacchetto di sigarette verso di lui. Aveva questa paura fottuta di allontanarlo, che lui decidesse di non rivolgergli più la parola. E questo lo faceva sentire come se stesse perdendo il controllo delle sue emozioni.
Stan si servì, poi si chinò verso la fiamma dell'accendino che Craig aveva fatto scattare per lui. Prese una boccata di fumo e lentamente lo rilasciò. Non fumava sempre; solo di tanto in tanto.
<< Visto che hai introdotto l'argomento, noi, cosa siamo? >> chiese il ragazzo, leggermente a disagio.
<< Intendi nella società, o biologicamente? >> cercò di dissimulare. Non voleva affrontare l'argomento. Non gli piaceva l'idea che Stan potesse tirarsi indietro, adesso.
<< Lo sai >>
<< No? >> chiese con un la voce un po' troppo intrisa di scherno.
<< Io ti piaccio? >> aveva chiesto Stan, senza rivolgergli lo sguardo. Magari era rosso, ma Craig non si sentiva abbastanza coraggioso da guardarlo per accertarsene.
<< E se anche fosse? >> rispose, con il tono della presa in giro.
Stan schioccò la lingua in frustrazione << Perché non sai dare delle risposte normali? >> 
Craig fece un piccolo sorriso ironico.
<< Senti, sta diventando tutto strano. Lo sai vero, che voglio tornare con Wendy? >>
<< Quindi? >> domandò, la noia che sovveniva. Non voleva sentir parlare di quella. Quella. Nessun epiteto era abbastanza dispregiativo per lui nella sua mente.
<< Quindi era per dire che, non so perché fai quello che fai; se lo fai perché vuoi qualcosa in più, dovremmo smettere >> 
Craig sentì una stilettata nel petto. Cosa si aspettava?
<< Non mi interessano quelli che sono i tuoi progetti di vita, Marsh. Io faccio quello che faccio perché mi va di farlo >>
<< Quindi non ti interessa? >> chiese l'altro, quasi illuminandosi.
Craig lo osservò, stranito. Scosse le spalle << Sei tu che lo stai facendo diventare strano >>
Restarono per un po' ad osservarsi.
<< Allora... >> riprese Stan << ...oggi vuoi venire a casa mia? >>
Craig inizialmente rimase stupito. Stan stava portando la loro non-relazione ad un livello successivo. Si lasciò sfuggire un piccolo sorriso << Se prometti di non ammorbarmi con la storia della tua vita... >>
Stan rise, poi ricambiò il suo sorriso, gongolando.






Ghetto dell'autrice: Salve! Taccio da troppi capitoli, ormai, ma finalmente ho il tempo per qualche nota! Spero che la storia vi stia piacendo, mi farebbe piacere conoscere l'opinioni di lettori/lettrici, soprattutto perché inizio a pensare che su questo fandom siano rimasti solo fantasmi! 
A parte questo, in questo capitolo iniziano a venire fuori i sentimenti di Tweek, e Stan e Craig sembrano aver fatto un accordo. Mi sa che qualcuno resterà scottato, qui. Vedremo!
Al prossimo capitolo !
<3

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Capitolo 5
*** 23:35 ***


5. 23:35


Ed eccolo. Fuori la casa di Stan incollato al campanello. 
Ad aprire fu una ragazza che doveva aver finito almeno le superiori, con ispidi capelli castani e un cipiglio in volto.
Craig la riconobbe. Da piccolo, la vedeva spesso nel quartiere; era una bambinetta brutta e racchia con dei capelli castani orrendi e un apparecchio preistorico che le prendeva tutto il viso. Spesso e volentieri, mentre era fuori a giocare, magari a fare pupazzi di neve o altro, lei lo aveva pure preso di mira, chiamandolo stronzetto o altre cose quando capitava che Craig si trovasse sulla sua strada.
Adesso l’apparecchio era andato; lo sviluppo sembrava essere stato più clemente con lei ed anche lei sembrava metterci del suo, almeno dallo sforzo che doveva aver profuso per domare quei capelli.
<< Staaan, uno dei tuoi amici merdosi è qui alla porta >> lo avvertì con la sua voce gracchiante. 
Il ragazzo in questione apparve sulla soglia spintonandola di lato.
<< Oh, ehi Craig >> lo salutò.
Craig gli fece solo un cenno del capo.
<< Ehi, stronzo >> lo apostrofò la sorella. Adesso Stan era più alto di lei, ma un tempo non doveva essere stato così, e, magari, doveva aver bullizzato anche lui, oltre agli altri bambini.
<< Shelly, perché non vai a farti un giro? >>
Gli occhi di Shelly si allargarono di stupore, facendo scivolare lo sguardo dal fratello a Craig, fino a fermarsi su quest’ultimo. 
Craig poté notare la rapida discesa nel panico di Stan, quando si rese conto che Shelly doveva aver realizzato più del dovuto.
<< Per caso Wendy ha cambiato sesso? >>
<< Non fare la deficiente, dobbiamo studiare, ci disturbi >> cercò di riprendere il contegno.
Shelly assestò una gomitata nel fianco di Stan, che mugugnò di dolore. 
<< Sei tu che disturbi la mia esistenza, stronzo! E non osare chiamarmi in quel modo! >> 
Tuttavia, aveva appena sfilato un giubbino dall’appendiabiti, indossandolo.
<< Ad ogni modo, qualsiasi cosa stia per succedere qui… >> e lanciò un’occhiata d’ispezione verso Craig << …io non voglio assistervi >>
Detto questo, attraversò il pianerottolo fulminando Craig con lo sguardo, il quale dovette trattenersi per non darle il dito medio. 
Stan gli fece strada dentro, richiudendo il portone.
Si  avviarono lungo le scale che portavano al piano superiore.
<< Scusala >>
<< Simpatica >> commentò Craig << Come un dito in culo >>
<< Già, avete molto in comune >>
Craig gli fece il gestaccio che aveva tanto trattenuto prima, e Stan ridacchiò.
Quando entrarono nella sua camera, Craig non ebbe il tempo di guardarsi intorno, perché Stan chiuse la porta alle sue spalle e ve lo inchiodò contro, le mani premute ai lati della sua faccia. 
Craig guardò verso il ragazzo più basso di lui, ma non certo meno audace. Stan lo fissava con un sorriso malizioso, un leggero rossore sulle gote e i suoi intensi occhi azzurri. Allungò una mano per chiudere a chiave la porta.
<< Giusto nel caso arrivino i miei >> spiegò. 
Sorprendendolo, Craig gli afferrò la testa fra le mani e fu il primo a baciarlo. 
Stan rispose con impeto, aggrappandosi al suo cappotto. Non si accorse neanche di quando glielo tolse e gli sfilò il cappello. 
Si baciarono con fervore fin quando Stan non si allontanò da lui.
<< Vieni >> disse, rivolgendogli un sorriso bellissimo e tirandolo per una manica verso il letto. 
Lo spinse a sedere, poi salì con le ginocchia sul materasso dietro di lui.
Craig si fece dentro e tirò su i piedi, mettendosi a gambe incrociate.
Il cuore gli batteva a mille mentre la presenza di Stan sulla sua schiena gli mozzava il respiro. Avvertì l'altro prendere a baciargli il collo, poi l'orecchio, la punta del naso che sfregava contro la sua guancia. E poi la sua mano così ferma e forte sul suo avambraccio, l'altra che lo accarezzava piano sul torso. 
Inclinò la testa di lato per dargli più spazio.
<< Non devi impegnarti così tanto >> gli disse.
<< Shhh >> lo rimbrottò Stan, nell'orecchio. 
Craig allungò una mano per premergliela sulla bocca e spingerlo via, poi si voltò verso di lui, entrambi trattenendo una risata.
<< Vieni qui >> lo invitò Craig, agitando una mano.
Stan non se lo fece dire due volte, e si tuffò fra le sue braccia.


Era stato lento ed intenso, ed ora era strano, essere sdraiati l'uno accanto all'altro a guardare il soffitto senza niente da dire. 
Craig osservò l'enorme poster di Mad Max sulla parete. Stan era assorto nei suoi pensieri, lontano anni luce.
<< Posso fumare? >> chiese.
<< Alla finestra >>
Craig si alzò lentamente e scavalcò il ragazzo di fianco a lui, dato che si trovava dalla parte interna del letto, vicino alla parete. Recuperò i suoi vestiti ad uno ad uno e iniziò a rivestirsi, sentendo il freddo crescere dentro di lui mentre si copriva. I jeans furono gli ultimi, poi Craig si infilò il cappello prima di aprire la finestra e accendersi la sigaretta.
L'aria fredda gli colpì subito le guance ed il naso.
Fuori il paesaggio innevato di South Park sembrava statico, triste, una perfetta cartolina della sua mente in quel momento.
<< Merda >> sentì imprecare Stan << Non potevi aspettare che mi rivestissi? >>
Il ragazzo iniziò a infilarsi i vestiti in fretta, lamentandosi del freddo. Poi lo affiancò, ispezionando bene le case vicine, come ad accertarsi che nessuno potesse vederli.
Gli occhi di Stan si posarono un attimo sulle sue labbra, poi si avvicinò per dargli un bacio.
Craig lo guardò stranito << E questo perché? >>
Stan ridacchiò, poi scrollò le spalle  << Sono un tipo romantico >>
<< Marsh, è solo sesso >> contestò.
<< E il sesso non può essere romantico? >>
Craig scrollò le spalle. 
Lanciò la sigaretta non del tutto consumata lontano, dalla finestra.
<< Ho solo bisogno di un attimo per riprendermi, poi vado via >>
Stan guardò verso l'interno della stanza << Non devi andartene per forza adesso, possiamo giocare a Call of Duty >> poi ripose lo sguardo su di lui.
Poteva passare del tempo con Stan; fingere per una volta di andare d'accordo e di essere amici, anche se Craig non sapeva più se fosse ciò che voleva, ormai. Tuttavia il fatto che glielo avesse chiesto lo rese felice.
<< Certo >> assentì.
Passarono il tempo a giocare sul pavimento come se la situazione fra di loro non fosse complicata, bevendo bibite gassate e ridendo di Shelly, che nel frattempo era ritornata, insieme ai genitori di Stan.
<< Staaan, tesoro >> sentirono sua madre dal piano inferiore << C'è Kyle >>
<< Merda! >> il ragazzo saltò su spegnendo la playstation in un secondo << Sarebbe strano farci vedere insieme! >> 
Afferrò Craig per un braccio costringendolo ad alzarsi.
<< Ehi! >> si lamentò il ragazzo, mentre i passi di Kyle rimbombavano sulle scale.
<< Scusa, Craig, ho bisogno che tu ti nasconda >> detto ciò, lo infilò nell'armadio con uno sguardo di scuse; Craig ebbe appena il tempo di fargli il dito medio, prima che lo chiudesse dentro.
Sentì Kyle spalancare la porta.
<< Che cazzo, amico? Puzza. Di fumo e... puzza >>
<< Non ne ho idea. Che ci fai qui? >>
<< Perché ci sono tutte queste lattine a terra? >>
Sentì Stan sospirare << Adesso vuoi rompere le palle anche per la Fanta? >>
<< Chiedevo solo, mr. permaloso. Tua madre mi ha detto che eri con qualcuno >>
<< No, si è sbagliata. Vorrei andare al Walmart. Vuoi venire? >>
<< Eh? All'improvviso? >>
<< Per un paio di cuffie nuove >>
Kyle sbuffò << Ok >>
I due lasciarono la stanza.
<< Aspetta, inizia a scendere, ho dimenticato il cappello >> udì in lontananza.
Avvertì i passi concitati di Stan avvicinarsi all'armadio, prima che gli aprisse. La stanza adesso era al buio, c'era solo la luce che proveniva dal corridoio, e gli occhi luminosi di Stan davanti a lui.
<< Puoi scendere subito dopo di noi, mia madre non ci farà caso >> disse, prima di scappare fuori. Dovette ritornare di nuovo per afferrare il cappello dimenticato sulla scrivania.
<< Fottiti >> riuscì giusto a dirgli Craig, prima che il ragazzo sparisse.

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Capitolo 6
*** 23:36 ***


6. 23:36


Un rombo assordante e un bagliore dorato squarciarono il cielo.
Fuori la tempesta imperversava, e Tweek si tirò terrorizzato a sedere sul letto. Non riusciva a smettere di tremare. C'era qualcuno nella stanza.
Lo sapeva che era la sua immaginazione, ma davvero si sentiva osservato, come se i fulmini e l'acquazzone avessero disturbato qualcosa, qualcosa che poi aveva deciso di intrufolarsi nella sua stanza.
Poteva essere nell'armadio, o sotto il letto, ma Tweek non voleva guardare. 
Le persiane erano rotte, la tenda si era bloccata sui binari, così il cielo minaccioso gli imcombeva direttamente in camera, proiettando ombre terribili sulle pareti ad ogni lampo.
Aveva un desiderio fortissimo di correre a svegliare sua madre; ma non lo avrebbe mai fatto, era consapevole di essere troppo grande per non gestire un temporale da solo, anche se la sua paranoia non sembrava essere d'accordo.
Aveva provato a seppellirsi nelle coperte, tirandole fin sopra la testa, ma non aveva funzionato, si sentiva osservato.
Così alla fine optò per scendere al piano di sotto; recuperò la coperta che teneva addosso e corse fuori dalla stanza ad occhi chiusi.
Si sentì al sicuro non appena raggiunse il salotto al piano inferiore e accese la luce. 
Le imposte erano chiuse, i rumori ancora si sentivano, ma non si vedevano i bagliori. 
Stringendosi bene addosso la coperta, decise di andare in cucina a farsi un caffè. Quantomeno lo avrebbe scaldato e l'avrebbe tenuto occupato.
Sì, poteva gestirlo, lo stava gestendo.
Nel mentre che la sua tazza di caffè fu pronta, gli parve che la tempesta si stesse acquietando, ma forse erano solo i suoi sensi ad essersi rilassati.
Si sedette al tavolo stringendo tra le mani la tazza. Al primo sorso, il calore della bevanda che scendeva lungo la gola iniziò a tranquillizzarlo.
Presto i suoi pensieri slittarono dai mostri senza volto al piano superiore a dei ricordi meno recenti, ma relativi.
L'ultima volta che un temporale del genere lo aveva svegliato di notte, lì, nella sua stanza, era con Kyle. La loro amicizia stava diventando più profonda; Tweek non credeva di poter sostituire Stan come suo migliore amico, non ci sperava neanche, ma lui e Kyle erano entrati molto in confidenza, durante quell'anno, complice il fatto che Stan fosse troppo preso dai suoi allenamenti di football e dalla sua ragazza.
Era stata solo una delle molte occasioni in cui Kyle era rimasto per la notte, magari dopo aver studiato, o essere stato invitato da sua madre a cena. 
Anche quella notte, era sobbalzato dal letto, tremando e piagnucolando. 
Kyle si era svegliato spaventato, e gli aveva chiesto cosa avesse. Tweek teneva premute le mani sulle orecchie, non riuscendo a calmarsi abbastanza per rispondergli.
"Vuoi scendere giù?" gli aveva chiesto l'altro, il tono accondiscendente, i capelli disordinati e crespi, gli occhi assonnati.
Tweek aveva solo annuito, e Kyle lo aveva trascinato fuori dal letto e poi di sotto, gli aveva preparato del caffè ed era rimasto fino alla mattina con lui sul divano a guardare la televisione.
Si vergognava così tanto, ogni volta che ricordava quell'episodio, ma, allo stesso tempo, si sentiva così grato nei confronti del rosso, nonostante adesso non fossero più amici. 
L'anno precedente invece era stato solo, si era ritrovato ad affrontare l'inferno solo con l'aiuto della sua famiglia, senza nessun amico.
L'idea che sarebbe continuata così fino al suo diploma gli fece venire le lacrime agli occhi. Tutto per uno stupido, singolo, episodio. Come sarebbe andata a finire se quel momento non ci fosse mai stato? Sarebbe stato ancora amico di Kyle? Magari sarebbe potuto diventare suo amico più di Stan? Forse sì, e questo suonava in maniera terribile.
Il forse no, quello era accettabile.
Decise di provare a stendersi sul divano; il temporale era passato, ma non si sentiva abbastanza sicuro da ritornare nella sua camera.
Fu lì che il sonno lo prese, con gli occhi ancora umidi di lacrime. E fu lì che sua madre lo trovò la mattina seguente e provvide a svegliarlo per la scuola. 



Non ci era voluto molto prima che ricominciasse a piovere. 
Tweek si sentiva sfatto, proprio come il tempo, depresso e lugubre. Doveva avere una faccia orribile; non aveva salutato nessuno, quella mattina, neanche Butters e Jimmy che si erano così prodigati per attirare la sua attenzione.
Ringraziò almeno che gli eventi non gli avessero concesso di avere il banco vicino alla finestra, perché dal tragitto da casa sua a scuola non aveva fatto altro che intravedere ombre orribili fra le nubi.
L'unico che sembrava rispecchiare appieno la tristezza della giornata, era Craig. Il ragazzo era entrato in aula silenziosamente, non degnando nessuno di attenzione; gli si poteva leggere in faccia che fosse irritabile. Forse era metereopatico. 
Che bello, per la prima volta sembravano essere sulla stessa lunghezza d'onda.
Quando la professoressa aveva iniziato a spiegare, Tweek era ancora perso nei suoi pensieri. 
Non si era neanche accorto di aver iniziato a tremare, in seguito all'ennesimo lampo che aveva illuminato l'aula, fin quando non aveva sentito la mano di Craig sulla sua coscia.
Sussultò, e si voltò verso il ragazzo a fianco a lui. 
Craig lo stava solo guardando dagli angoli degli occhi, senza voltarsi verso di lui, ma la sua mano era ancora lì, e gli trasmetteva sicurezza. Non stava più tremando, e lo trovò affascinante.
<< Qual è il tuo problema? Stai tremando >> il tono sussurrato poteva sembrare rude, ma Tweek vi lesse una sincera preoccupazione.
<< È questo stupido temporale >> rispose, e, quasi come un riflesso, portò la mano a stringere quella di Craig sulla sua coscia.
Il ragazzo ritirò la mano in fretta, e gli rivolse un'espressione di sconcerto. 
Tweek arrossì all'inverosimile.
<< È -ngh! >> tentò di dire qualcosa; non sapeva neanche lui cosa.
Prima che potesse farlo, però, l'espressione di Craig tornò normale e la sua attenzione all'insegnante, ignorandolo.
Merda, pensò. Cosa diamine aveva nel cervello?
<< Sto per assegnarvi la redazione di un'intervista. Per questo dovrete lavorare a coppie, quindi. Nessun baccano, vanno bene gli accoppiamenti col vostro compagno di banco >> spiegò la signorina Choksondik.
Craig gli lanciò un'occhiataccia, e Tweek iniziò ad andare in panico. Ecco, adesso lo odiava. Stava per morire. Sarebbe stato pestato a sangue fuori scuola e il suo corpo sarebbe stato gettato nel lago. Non lo avrebbero trovato fino alla primavera successiva durante il disgelo. Sua madre avrebbe pianto. Non avrebbe avuto una tomba e nessuno sarebbe andato al suo funerale. Sicuro come la morte.
<< Ngh! >>
L'intervallo suonò, gli altri iniziarono ad alzarsi per scendere giù.
<< Schizzato >>
<< Gah! >> 
Ecco, aveva ricominciato a chiamarlo così, lo odiava.
Craig si era alzato anche lui, già una sigaretta spenta fra le labbra.
<< Non ho intenzione di lavorare con te fuori dalla scuola, quindi ci vediamo tra cinque minuti in mensa, e finiremo questa cosa >>
Tweek annuì solo, prima di guardare il ragazzo andare via. 
Il cuore gli batteva a mille, più per la vergogna che altro, ma era contento che almeno Craig non volesse ucciderlo nell'immediato.


<< Ehi, Craig >>
Stan aveva iniziato a tampinarlo mentre tornava dal cortile e si dirigeva verso la mensa. Doveva aver pensato di poter parlargli dietro l'edificio, come l'ultima volta, ma Craig era di fretta e stava già tornando.
Non aveva comunque voglia di parlare con il ragazzo. Gli rivolse contro il dito medio senza neanche fermarsi.
Era arrabbiato con lui; non poteva farci niente. Lo aveva trattato come il nulla perché non aveva avuto le palle di inventarsi una scusa per Kyle. 
Avrebbe dovuto ostentare indifferenza per la cosa, ma in quel momento il suo umore non era dei migliori per riuscire a fingere di non esserne toccato.
<< Mi dispiace, ok? Che potevo fare? >> provò Stan, ormai in vicinanza alle porte della mensa scolastica.
<< Non me ne frega un cazzo >> chiarì Craig, prima di varcare la soglia.
Stan non osò seguirlo; certo, come avrebbe spiegato agli altri del perché stava pregando così accoratamente Craig Tucker? Che andasse a farsi fottere.
Craig non sapeva perché si stesse comportando così da femminuccia, neanche lui voleva esporsi troppo, ma l'idea che Stan odiasse persino farsi vedere con lui, gli dava sui nervi. Quasi come se lui fosse chissà che feccia da cui stare lontano.
Adocchiò il tavolo a cui era Tweek. I suoi capelli biondi non passavano esattamente inosservati, tanto più uniti al suo costante tremolio.
Si sedette di fronte a lui.
<< Ehi, stramboide >>
<< GAH! >> Tweek alzò gli occhi dagli appunti che stava leggendo << No-non ti avevo visto arrivare! >> 
Craig iniziò a tirare fuori i quaderni dallo zaino che si era portato dietro. Sentiva su di sé lo sguardo costante di Tweek. Ci stava iniziando a fare l'abitudine. Quel ragazzo era strano, forse non doveva farci troppo caso. 
Solo in quel momento si ricordò che Tweek gli aveva stretto la mano, in classe. Era stato...strano. Sì, strano era la parola chiave. 
Non sapeva neanche perché gli avesse toccato una coscia, in primo luogo. Lo aveva fatto in modo istintivo, solo per tirarlo fuori dall'universo parallelo dei tremolii in cui sembrava essere sprofondato.
Quando Craig alzò lo sguardo sull'altro, si accorse che Tweek era di nuovo calato nei suoi appunti. 
<< Tu hai qualcosa di interessante nella tua vita? >> gli chiese improvvisamente il biondo.
<< Cioè? >> chiese Craig.
<< Uno di noi due -ng!- deve essere intervistato. Io non saprei su cosa. Non sono in nessun club, non ho particolari hobby. Tu pratichi sport? Magari potremmo farlo su quello! >> concluse, prendendo un lungo respiro.
<< No >> tagliò corto Craig << Potremmo inventare >>
Tweek si guardò intorno sconsolato << Bèh, hai... hai qualche idea? >>
<< Non ho... >>
<< No, ng, è troppa pressione, non ce la faccio >> lo interruppe, seppur sussurrando e rivolgendosi a se stesso. Le sue mani corsero a stringere le ciocche bionde e disordinate. 
Tweek aveva chiuso gli occhi. Craig si ritrovò a constatare quanto particolare fosse il colore dei suoi capelli; e, ora che Tweek lo aveva fatto, moriva anche lui dalla voglia di toccarli, giusto per capire che consistenza avessero. Anche le sue ciglia, adesso chiuse sulle sue guance, erano bionde, e -oh, wow- aveva le lentiggini. 
<< Ce la faccio, ce la posso fare... >> stava autoconvincendosi Tweek << Oh, sì, tutto bene >> confermò alla fine, aprendo gli occhi.
<< Stavo dicendo che non ho una grande fantasia >> riprese Craig, poi scrollò le spalle.
<< Vuoi intervistarmi sul negozio di famiglia? >> proprose Tweek.
<< Che negozio? >>
<< Tweek Bros. >>
<< Non sapevo fosse tuo. Anche se avrei potuto immaginarlo >>
Tweek gli rivolse un debole sorriso << Che ne dici se scriviamo qualche domanda? Posso rispondere io a casa e fare la relazione >>
<< Certo >>
Era ben felice di scaricare a lui il compito, doveva ammetterlo.
Si mise a lavoro. 
Tweek stava bevendo una tazza di caffè, ma le mani gli tremavano talmente tanto che lo aveva versato sul tavolo e in parte sui suoi quaderni.
<< Merda >> lo sentì imprecare.
Craig si alzò per prendere dei fazzolettini, ed entrambi iniziarono a tamponare quel disastro.
<< Perché tremi sempre? >> lo chiese con interesse.
<< Ehm -ngh!- non posso evitarlo. Se ti riferisci a stamattina, ho paura dei temporali >> poi divenne rosso, ricordando ciò che era successo.
<< A cosa pensavi? Eri tutto triste >> voleva essere una specie di richiamo, ma Tweek rispose lo stesso, sorprendendo lui e se stesso.
<< A Kyle >> sputò, coprendosi poi subito la bocca con le mani.
Craig alzò un sopracciglio << E perché? >>
Tweek si mosse per un attimo a disagio, non voleva approfondire quella conversazione, ma neanche essere antipatico, anzi, era alquanto felice che stesse conversando con Craig civilmente.
Il ragazzo era tornato a sedersi composto al suo posto dopo averlo aiutato a dare una pulita, e Tweek era rosso per l'imbarazzo. 
<< Bèh -ngh- solo per vecchie cose. E tu? Perché sei di cattivo umore oggi? >> tentò di cambiare argomento, nonostante la sua ansia di fondo gli dicesse che Craig avrebbe potuto cambiare attitudine in un attimo e strozzarlo lì sul posto se gli avesse fatto domande poco opportune.
<< Diciamo che è sempre colpa di Kyle >> rispose il moro, alzando le spalle, anche non sapendo perché lo avesse fatto. Forse aveva solo bisogno di sfogarsi con qualcuno, dire ciò che si portava dentro anche non dicendolo. 
Non era neanche vero; era colpa di Stan il suo malumore, ma Kyle ne era stato la causa. Continuava a chiedersi come sarebbe stato se Kyle non si fosse presentato. Quell'ebreo aveva tutte le fortune del mondo, e non se ne rendeva neanche conto. Cartman aveva ragione.
Tweek non osò chiedergli più niente, ma continuava a fissarlo, nonostante Craig si fosse rimesso al lavoro mettendo fine alla conversazione.
<< Ok, adesso mi spieghi perché continui a fissarmi? Ti ho già detto che è snervante >> chiese irritato, alzando lo sguardo sull'altro.
Gli occhi di Tweek si spalancarono dal terrore, e iniziò ad agitarsi.
<<  È solo -GAH!- che penso -ngh- che l'apparecchio...ti doni >> arrossì, fin sulla punta delle orecchie. Perché l'aveva detto? Cosa diavolo aveva in testa? Era un suicidio. Un suicidio sociale, ma era andato nel panico e voleva dire qualcosa di carino e invece aveva detto solo qualcosa di stupido. Guardò Craig paralizzato; il ragazzo lo osservava stupito.
<< Mi prendi in giro? >> grugnì.
<< NO! >> rispose precipitevole, e anche questa volta si coprì la bocca << Oh Dio! No! Lascia stare, lascia stare. Oh Dio! >> tuffò di nuovo le mani nei capelli, abbassando la testa per nascondersi da Craig mentre sprofondava nella sua vergogna.
Craig si rilassò un attimo, impietosito dalla reazione.
<< L'apparecchio fa schifo. Lo odio >> disse.
Tweek parve calmarsi, e rivolse nuovamente lo sguardo su di lui, in modo timido.
<< Però ti rende carino >> osò. Se non era morto fino a quel momento, non sarebbe morto adesso, no? Voleva che Craig sapesse cosa pensava di lui, forse sperava di addolcirlo.
Incredibilmente le labbra di Craig si incurvarono in un sorriso compiaciuto.
<< Lo dici nel senso gay? >>
CHE?! 
Agitò le mani davanti al viso in modo stupido << No! Non sono gay! >>
O almeno credeva. Gli piaceva Craig?
Craig lo guardò incredulo. Il fatto che gli facesse certi complimenti lo faceva essere sicuro del contrario. Scrollò le spalle.
<< Buon per te >> commentò, giusto per recitare il ruolo che Tweek gli cuciva addosso. Perché sapeva che per il ragazzo di fronte a lui doveva sembrare una brutta persona, un bullo, e come dargli torto? Era ciò che voleva sembrasse.
Eppure perché Tweek era così aperto e gentile con lui? Possibile che fosse così naïve? 
Fu lui a continuare a fissarlo per il resto dell'intervallo, questa volta. 

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Capitolo 7
*** 23:37 ***


7. 23:37


Si chiese perché si trovasse in aula così presto. Sapeva solo che Cristophe l'aveva fatto incazzare per un commento che neanche ricordava. Ah già, stava disquisendo su quanto ce l'avesse pelosa sua madre. Craig era uno che si faceva scivolare addosso gli insulti, solitamente, e non aveva ucciso Cartman per aver ripreso sua madre nuda con un drone solo perché dopo avrebbe dovuto uccidere anche Kenny e Butters, che ne erano stati complici, e Stan e Kyle che avevano interceduto per questi ultimi. 
Inoltre, non era propriamente una persona permalosa; se faceva il prepotente di solito era per difendere o favorire Clyde e Token, ma Cristophe lo tartassava da mesi con la stessa storia e lui era stanco.
Finse di non accorgersi delle occhiate insistenti di Stan, che stava parlando coi suoi amici, ma la cui postura era rivolta verso di lui. Non poteva reggere quello sguardo da cane bastonato, da emo depresso egocentrico qual era. Perché a Stan Marsh importava solo di se stesso. Forse l'unica persona che teneva realmente in considerazione, oltre sé, era Kyle, ma solo perché probabilmente Kyle toccava un livello di santità a cui Stan non poteva sperare di avvicinarsi, il suo grillo parlante che lo riportava sempre sulla giusta strada. 
Sì, Stan Marsh era una persona corretta e piena di buoni propositi, sempre pronto ad aiutare gli altri, ma solo per accrescere il suo ego. Doveva capirlo.
O forse era solo il fatto che si sentisse usato a fargli vedere questi aspetti di lui.
Vide Tweek avvicinarsi al banco, di buon umore. Il che probabilmente era merito del Sole che splendeva alto nel cielo terso.
<< Ehi Craig >> lo salutò. Tirò fuori alcuni fogli dallo zaino << Guarda qui! L'ho completata! >>
Craig afferrò i fogli che il biondo gli porgeva << Ah. La relazione? Ottimo >> gli concesse un piccolo sorriso, per il quale Tweek parve illuminarsi ancora di più. 
Il ragazzo si sistemò nel banco gongolando.
Craig diede una rapida scorsa alle righe, e Tweek parve farsi apprensivo.
<< Che te ne pare? >>
Scrollò le spalle << Mi fido >> disse, ridandogliela indietro.
<< Ehi Tweek >>
<< GAH! >> sussultò l'interessato.
Era stato Token a salutarlo, appena entrato in aula, seguito da Clyde.
<< E-ehi ragazzi >> ricambiò. Non si aspettava quell'approccio dai due.
<< AH! Ecco a chi somiglia! >> realizzò Clyde, chinandosi verso Tweek, che era saltato dalla sedia terrorizzato, per osservarlo meglio.
Craig e Token si scambiarono delle occhiate interrogative.
<< A Striscia! Cioè non vi ricorda lui? Sempre a tremare e a sussultare? >> provò ad accarezzargli la testa, ma Tweek si ritrasse spaventato.
<< Gah! Chi?! >> chiese.
Craig lo osservava intensamente, come se lo studiasse, il che aumentò il suo panico.
<< Craig? >>
<< Ma dai, fa anche gli stessi versi! >> ridacchiò Clyde.
<< Non hai tutti i torti >> convenne Token.
<< Chi è Striscia? È- è un animale? >>
<< No >> rispose con tono duro Craig << Non è un animale, è il mio porcellino d'india, il mio migliore amico >>
<< Non era morto? >> un'altra voce si aggiunse al coro. Era Eric Cartman. La sua figura faceva capolino da dietro i profili di Clyde e Token. I due si ritrassero per guardare il nuovo arrivato.
<< Sì, è vero, ci hai costretti a venire al funerale >> ricordò Butters, che si era avvicinato con lui.
<< Ma si è reincarnato in un altro porcellino d'india >> spiegò Craig. Credeva fermamente nella cosa. Striscia non moriva, si reincarnava. Era così fin da quando aveva sette anni. Striscia I si era reincarnato e reincarnato fino a diventare Striscia XV.
<< Sèh, come no >> lo prese in giro Cartman.
<< Vuoi che ti faccia dimagrire a suon di pugni? >> lo minacciò Craig.
<< Se... se dice che si è reincarnato, allora dev'essere così >> lo appoggiò Tweek.
Craig gli rivolse un'occhiata ammirata e stupita insieme, poi annuì. Finalmente qualcuno che capiva.
Cartman non ebbe più il coraggio di argomentare. Tremò sotto lo sguardo di Tweek.
<< Vabbè, fottetevi, me ne vado >> disse solo, allontanandosi.
<< Ehi Tweek >> lo richiamò di nuovo Token, negli occhi delle note di incredulità e ammirazione << Vorresti venire alla festa a casa mia questo sabato? >>
Tweek lo guardò stupito << Eh?! Davvero? >>
Guardò Craig, che era ritornato indietro alla sua espressione impassibile.
<< Sì! Ngh- va bene, ci-ci sarò! >>
<< Sono invitato anch'io, vero Token? >> chiese speranzoso Butters.
<< Sì Butters, va bene >>
<< Evviva! >> gioì il ragazzo.
Clyde ruotò gli occhi.


Perché cavolo la sfortuna lo perseguitava? Chi aveva deciso che dovessero avere educazione fisica con la classe di Gregory? 
Stan osservò il ragazzo dalla panchina su cui era seduto, in cagnesco. 
L'altro si stava cambiando davanti al suo armadietto per indossare la tuta da ginnastica, col suo fisico da alice sott'olio e i suoi odiosissimi capelli biondi e ricci da putto del Rinascimento. 
Gregory intercettò la sua occhiata, e gli rivolse un sorrisetto di scherno. Lo stronzo era tutto compiaciuto per avergli fregato Wendy, huh? 
Gli rivolse il dito medio.
<< Avanti Stan, ti sbrighi? >>
Kyle era eccitato perché quel giorno dovevano giocare a basket, il suo sport preferito, in cui era anche piuttosto bravo.
<< Vai, mi sto allacciando le scarpe >>
<< Ok >>
In un attimo lo spogliatoio si svuotò, ma lui non voleva uscire. Non era pronto ad affrontare di nuovo la visione di Wendy e Gregory insieme. Due volte in una settimana, in cui avevano educazione fisica con la classe di Gregory, era insostenibile. 
Solo dopo si accorse che dall'altro lato degli armadietti c'era anche Craig; lo aveva sentito imprecare qualcosa contro i pantaloni ma non lo vedeva.
Quando il ragazzo superò gli armadietti per entrare in palestra, si bloccò alla vista di Stan.
Stan aveva deciso di lasciarlo perdere, non aveva bisogno di un'altra principessina da rincorrere, e non capiva perché Craig stesse facendo il difficile. Avevano fatto patti chiari, no?
<< Ew, ti nascondi come lo scarafaggio che sei? >> lo punzecchiò.
<< Fottiti, Craig. Anzi, no, dovresti ucciderti. Muori. Puoi farmi questo piacere? >> si alzò per mettere i vestiti che si era tolto nell'armadietto, con fare incazzoso, buttando tutto alla rinfusa, anche le scarpe << Seriamente, puoi morire? >>
<< No, e fottiti tu. Che problemi hai? >> 
<< Nessuno, tu? Mario Bros. non è venuto a salvarti? >>
<< Era troppo impegnato a piangere sulla principessa Peach e Bowser, pensa un po'?! >>
A Stan venne da ridere. 
<< Quindi tu chi saresti? >>
Craig scrollò le spalle, e si guardò intorno con aria teatrale << Toad? >>
Stan ridacchiò.
<< Vuoi saltare l'ora con me? >> propose. Voleva davvero che Craig gli dicesse di sì, aveva bisogno di scappare, e non gli importava di continuare ad offendersi a vicenda, quando era chiaro che entrambi lo stavano trovando divertente.
<< Thank you, Mario, but our princess is in another castle * >> sorrise sornione, poi entrò in palestra lasciando Stan lì da solo.
Il ragazzo sorrise fra sé e sé. Decise che avrebbe provato a chiamarlo più tardi, e che per ora poteva concedergli il lusso dell'ultima battuta.


* 'Thank you, Mario, but our princess is in another castle' = 'Grazie, Mario, ma la nostra principessa è in un altro castello'. So che Super Mario Bros. è un gioco molto famoso, ma per chi non ci avesse mai giocato, Mario è il paladino che tenta di salvare la principessa Peach, rapita dal 'mostro' Bowser, antagonista di Mario. Toad è un fungo umanoide che, alla fine di ogni livello in un castello, viene salvato da parte di Mario da Bowser dicendo la famosa frase: "Grazie Mario, ma la nostra principessa è in un altro castello". 
Ovviamente, Craig si riferisce a Wendy e a Gregory quando parla di Peach e Bowser, e a Stan quando parla di Mario. Il fatto che dica di essere Toad è perché sa di essere un palliativo, qualcosa di meno importante, per Stan, sulla strada per la sua principessa. Inoltre, dicendo quella frase, è come se dicesse a Stan: "Grazie lo stesso, ma so che non sono io ciò che stai cercando".

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Capitolo 8
*** 23:38 ***


8. 23:38


<< Wow >> commentò, con la bocca aperta e il naso all'insù dall'ammirazione.
<< G-già >> convenne Jimmy.
Erano appena usciti dall'auto.
Il padre di Tweek era passato a prendere anche Jimmy, dal momento che doveva mostrargli dove abitasse Token e questa era la soluzione più comoda.
Bastava che gli dicessero, comunque, che fosse la villa a pochi passi dal Tweek Bros., e Tweek l'avrebbe riconosciuta subito. 
Attraversarono l'ampio giardino e furono aperti dal padrone di casa in persona.
<< Benvenuti! >> esclamò il ragazzo, mentre Nichole, la sua nuova fiamma, gli soffiava nell'orecchio un fischietto da party.
Da dentro proveniva una musica caraibica, e c'erano dei coriandoli sul pavimento, come in una festa per bambini, solo che l'evidenza che non lo fosse era nei numerosi alcolici che si intravedevano sul tavolo alle spalle del ragazzo.
<< E-ehi >> salutò Jimmy, ed entrambi riuscirono appena ad entrare nel salotto quando Stan si precipitò come una furia su Token.
<< Sul serio? Perché GREGORY È QUI? >> 
<< Perché è il ragazzo di Wendy >> rispose con ovvietà Token.
<< E Wendy è la migliore amica di Bebe che è la ragazza di Clyde che è il migliore amico di Token? >> propose Nichole.
<< Non si poteva proprio evitare? >> 
Token scrollò le spalle, e Stan si allontanò sbuffando verso il tavolo degli alcolici.
Fu in quel momento che Tweek vide Craig passargli davanti.
<< Ehi Craig! >> lo salutò.
<< Ehi schizzato, mettiti comodo! >> lo liquidò, mentre raggiungeva Clyde dall'altra parte della stanza. Il ragazzo in questione aveva appena strappato i joystick dalle mani di Kyle e Cartman.
<< Jimmy! Tweek! Qui! >> Butters li chiamò dal divano dove era stravaccato anche Kenny, mentre una consistente parte delle ragazze, a pochi passi da loro, era ammassata intorno a Wendy e a Gregory, che le faceva pendere dalle sue labbra. 
Tweek si avvicinò a lui e si lasciò cadere sul divano.
Era felice, di essere finalmente uscito coi ragazzi, e anche se non riusciva a seguire tutto ciò che stava dicendo Butters - qualcosa a proposito di quanto fosse brillante e politicamente impegnato Gregory, tanto da fargli desiderare di fare altrettanto- amò essere lì.


Qualcuno aveva pensato bene di costringere tutti a fare il gioco della bottiglia. E chi poteva avere idee così stupide, se non Clyde?
Si erano disposti tutti in cerchio, i ragazzi da un lato e le ragazze dall'altro, per aumentare la probabilità di creare delle coppie eterosessuali. Clyde e Token si erano messi di fronte, rispettivamente, a Bebe e a Nichole, per poter essere gli unici a baciarle. Davvero stupido, pensava Craig, dal momento che non avevano bisogno di quello stupido gioco per baciare le proprie ragazze. E poi perché lo avevano proposto se volevano che nessun altro le baciasse?
Si ritrovò stretto tra Clyde, che si muoveva troppo, e Gregory, che gli faceva venire voglia di mettersi un fazzoletto sul naso per quanta acqua di colonia si era messo. 
Il gioco era iniziato in modo tranquillo.
Era toccato per primi a Butters e a Theresa. La ragazza era diventata rossissima; aveva insistito per non giocare, ma Bebe era stata più insistente di lei, dicendole che doveva imparare a vincere la sua timidezza. E Butters poteva sembrare facilmente un depravato per quanto era felice che fosse toccato a lui. La cosa si era risolta in un timido sfiorarsi di labbra, con lei che aveva fatto dietrofront subito. 
Poi Kenny aveva baciato Red, con grande depressione di Kevin, che solo Dio sapeva da quanto le stava dietro.
Dopodiché la bottiglia aveva tradito le aspettative di tutti ed aveva puntato Clyde e Christophe, il quale sembrava troppo poco contento di essere lì in generale. Clyde aveva dovuto insistere perché partecipasse alla festa, e probabilmente l'omone francese se ne stava pentendo. La cosa aveva destato l'ilarità di tutti, e la disperazione teatrale di Clyde, che, a dirla tutta, se lo meritava, per aver trascinato tutti in un gioco così cretino. Chissà quante coppie sarebbero scoppiate quella sera. 
Bebe almeno sembrava contenta che il suo fidanzato non dovesse baciare un'altra ragazza. 
Alla fine, Clyde si era avvicinato al francese, vincendo la sua resistenza e i suoi improperi blasfemi, ed era riuscito a stampargli un bacio sulle labbra, tra l'acclamazione generale.
Dopo era toccato a Jimmy. L'altra estremità delle bottiglia aveva designato Lola come sua partner. La ragazza non era sembrata molto contenta, ma non aveva osato lamentarsi, per paura di essere scambiata per un'infame denigratrice. Così aveva aspettato a disagio che il ragazzo si alzasse con difficoltà in piedi sulle sue stampelle per cercare un contatto appassionato su quelle labbra che invece erano rimaste rigide e strette.
La situazione aveva iniziato a degenerare quando la bottiglia si era fermata, con grande imbarazzo di Kyle, fra lui e Heidi.
<< No! Col cazzo! >> era esploso Cartman << Non osare baciarla, ebreo! >>
<< Questo è il gioco! >> si era difeso Kyle << Vattene, se non ti sta bene, grassone! >>
<< Eddai, Cartman! Kyle ha ragione, è questo il gioco, e poi chi ti fa parlare se tu ed Heidi vi siete ormai lasciati da tempo? >> era intervenuta in loro difesa Wendy.
<< Wendy! >> aveva provato a richiamarla timidamente Heidi. La ragazza si sentiva ancora in colpa per come era finita tra lei e il grassone, dato che si erano lasciati proprio per mezzo di Kyle. 
Si sapeva, Kyle si faceva difficilmente i fatti suoi e non sopportava le ingiustizie, così, senza ascoltare i consigli di nessuno, era andato a riferire ad Heidi quanto Cartman si comportasse da pezzo di merda alle sue spalle, prendendola in giro e manipolandola per farla passare per quello che non era. Era diventato poi intimo con Heidi, decidendo solo a malincuore di lasciar perdere perché Cartman non la smetteva di importunarla, più per cercare di averla vinta su di lui che effettivamente per interesse nei confronti della ragazza.
<< Perché è un ebreo di merda! Sono sicuro che l'ha fatto apposta a far finire la bottiglia su di lei! >>
<< Ma se neanche l'ho girata io la bottiglia! >> si difese Kyle, nervoso, bloccato in ginocchio a metà strada sulla via per Heidi.
<< Aaaaw >> si lamentò Stan, le dita strette intorno alla base del naso << Falla finita, Cartman! Kyle, baciala e basta! >> aveva tirato giù Eric con uno strattone al suo posto.
Craig osservò il ragazzo. Era ubriaco, di nuovo. Era ubriaco come quando lo aveva chiamato chiedendogli di andare da lui, il giorno prima. Craig aveva fatto il sostenuto, e l'altro aveva iniziato un dirty talking a telefono che lo aveva fatto eccitare non poco, ma non ci era andato lo stesso, per principio, perché aveva capito che Stan era fuori di sé più del solito, e lui non voleva essergli da consolazione.
Kyle si avvicinò ad Heidi e tutti trattennero il fiato, quando i due si baciarono. Erano chiaramente gli unici due della serata che avrebbero voluto baciarsi; il loro era stato un contatto tenero e pieno, entrambi avevano mosso le labbra su quelle dell'altro; si vedeva che erano stati costretti a staccarsi a malincuore solo perché erano davanti agli altri. Delle moine e dei fischi si erano sollevati tutt'intorno. Kyle sembrava completamente intontito mentre tornava al suo posto, ed Heidi mostrava un sorrisetto mal trattenuto.
Cartman li guardava torvo, e di sicuro stava già progettando la sua vendetta sul suo eterno rivale.
La bottiglia si era poi fermata tra Token ed Annie. La ragazza aveva guardato Nichole con uno sguardo di scuse, poi si era incontrata a metà strada con l'altro, che, a dispetto delle regole, l'aveva baciata interponendo il palmo della mano fra di loro.
<< Ma non vale!! >> contestò Clyde.
<< Casa mia, regole mie! >> aveva gongolato Token, ritornando al suo posto, e lanciando un bacio alla sua amata di fronte a lui.
Tutti si erano lamentati, ma il gioco era andato avanti.
Kenny si era alzato per far girare la bottiglia, incitando un "Tweek, Tweek, Tweek!", facendo sollevare dei versetti d'inquietudine dallo schizzato seduto vicino a lui. Poi era tornato al suo posto, lasciando tutti col fiato sospeso ad osservare la bottiglia di birra che ruotava e ruotava sul pavimento.
Tutti dovettero realizzare la stessa cosa, quando la bottiglia si fermò. Che il gioco aveva smesso di essere divertente, perché la bottiglia puntava tra Wendy e Stan.
Tutti restarono in silenzio, i due sollevarono gli occhi dal centro del cerchio lentamente l'uno verso l'altra. 
Wendy era sbiancata.
<< No... non ci penso proprio! >> si rifiutò con un fil di voce.
<< "Questo è il gioco" >> la scimmiottò Cartman.
Stan sorrise malevolo << Esatto, questo è il gioco >>
<< Ti avverto, Stanley... >> stava iniziando Gregory, alzandosi.
<< E va bene! Greg, è tutto ok, è solo uno stupido gioco, lasciagli fare il bambino da solo! >> disse stizzita Wendy. 
Come a dimostrare la sua posizione di donna alpha, scattò su in piedi e si diresse furente verso Stan, decisa a stampargli un bacio secco. Il ragazzo però non lasciò che venisse da lui, si alzò e si precipitò verso di lei, afferrandole il viso tra le mani e mordendole le labbra. Wendy cercò di divincolarsi, spingerlo indietro, gli occhi spalancati dallo stupore.
Craig strinse i pugni nella felpa, mentre le labbra di Stan si muovevano disperate su quelle di lei, cercando la sua risposta.
<< Ehi! Lasciala! >> Gregory scattò verso di loro, cercando di separarli.
Si alzarono tutti in realtà, mentre Wendy si divincolava e Stan cercava di non farla andare via. Alla fine, lei riuscì a spingerlo via, guardandolo inviperita, con gli occhi lucidi.
Stan aveva gli occhi lucidi anche lui, e questo aprì una voragine nel petto di Craig.
Gregory si avventò subito su di lui con un pugno, che andò a segno solo per metà, poi i due iniziarono a litigare.
Craig non poteva più vederli, dato che gli altri vi si erano ammassati intorno cercando di separarli.
<< STAI LONTANO DA LEI, BRUTTO PEZZO DI MERDA! >>
<< CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA! >>
Uscì dalla porta con l'urgenza di fumare, e lasciarsi tutto alle spalle.

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Capitolo 9
*** 23:39 ***


9. 23:39


Prese un sorso dall'ultima bottiglia di birra che aveva potuto trovare.
Le luci del giardino di Token danzavano dentro e fuori dal suo cervello. Aveva mal di testa, e non era sicuro che gli restasse ancora qualcosa al di sotto della gabbia toracica, perché sentiva solo vuoto.
I suoi occhi. I suoi occhi gli pungevano da dietro le orbite come se si fossero marchiati a fuoco. I suoi occhi erano un grumo di rabbia, paura, e delusione. 
Si passò una mano sulla faccia per scacciare via il freddo pungente, senza risultato. Dal porticato si udiva il vociare dei pochi che erano rimasti dentro.
Non lei, però. Lei se ne era andata, con Gregory, subito dopo il litigio. Gli uscì un verso di piagnucolio, che non ebbe il potere di trattenere, come se non dovesse uscire dalle sue labbra. 
Negli occhi di lei era inciso il rifiuto; l'ennesimo; l'ennesimo rifiuto di riportare le cose nella posizione in cui avrebbero dovuto stare. Di riaggiustare l'universo e il modo in cui si era fottuto, da quando si erano lasciati.
Era tutto così sbagliato. Gli occhi di lei erano così sbagliati. La risposta che non era arrivata dalle sue labbra era così sbagliata, imperdonabile, traditrice. Perché Stan si sentiva tradito, da Wendy, dall'energia statica prodotta dal loro tocco, dall'elettricità che aveva attraversato la sua pelle e anche la pelle di lei, che però non l'aveva accolta. 
Dio mio, perché semplicemente non tornava indietro e metteva le cose a posto? 
Stronza.
<< Stan >> il richiamo fermo ma cauto di Kyle lo raggiunse. Il ragazzo si richiuse la porta d'entrata alle spalle e si avvicinò per sedersi vicino a lui.
<< Che vuoi, Kyle? Sei venuto a ricordarmi che sono un coglione? >> sputò con rabbia. Non ce l'aveva con Kyle, ce l'aveva con se stesso, perché non era pronto a sentirsi dire di aver sbagliato.
Kyle sospirò solo, ma non disse niente, perché probabilmente Stan aveva fatto centro.
<< Solo... non ti fa bene bere così tanto. Non risolve i tuoi problemi. Ti fa stare solo male, e ti fa fare cose di cui poi ti penti >>
<< Bèh? Ho una notizia! Neanche tu risolvi i miei problemi! >> lo aggredì. Ma non aveva il coraggio di guardarlo, perché sapeva che nel suo sguardo avrebbe letto preoccupazione e non giudizio, e aveva paura di scoppiare a piangere alla vista. Così si teneva la testa fra le mani, fingendo di tenere a bada un mal di testa, che a dirla tutta aveva davvero.
<< Vuoi che ti dica che cosa penso?! >> si risolse allora Kyle, indispettito. 
<< Aaaar... >> si lamentò Stan, ruotando gli occhi con tutta la superbia che potè. Alla fine Kyle doveva sempre dire la sua, in un modo o nell'altro.
<< Penso che a te non freghi niente di Wendy! >> parlò su di lui << Stai solo ribollendo perché non sai accettare il rifiuto! >>
Stan sentì un'ondata di rabbia risalirgli dal petto fino alla bocca << Ah sì? Io almeno non strumentalizzo Heidi per ferire Cartman! >>
Kyle scattò furente ad afferrargli il colletto del cappotto e sollevò il pugno contro di lui. Aveva sempre avuto un'indole violenta, ma solitamente scattava solo per Cartman; era la prima volta che Stan vedeva quel particolare scintillio negli occhi dell'amico rivolto a lui, anche se non era la prima volta che avevano finito per picchiarsi.
Aveva dovuto fare un'espressione confusa e spaventata, perché Kyle non l'aveva colpito.
<< Non costringermi a farlo, Stan! >>
Stan avrebbe voluto davvero prenderlo a pugni, per quello che aveva detto su lui e Wendy.
<< Fanculo! >> disse, scrollandoselo di dosso e lasciandolo perdere.
<< Io non strumentalizzo Heidi! Lei mi piace! È Cartman che lo fa >> si sentì in dovere di specificare.
<< Lo so >> ammise Stan << E a me importa davvero di Wendy >>
Kyle sospirò.
<< Se ti importa davvero di lei allora lasciala andare >> 
<< È un consiglio del cazzo >> 
<< Non - >> si fermò per scalpitare coi piedi << Ok, allora, riprenditela, ma non bere più. Vado dentro, mi sto gelando le chiappe >> si alzò pulendosi i jeans con una mano, poi entrò, lasciandolo solo.
Stan guardò verso la casa, per istinto, e fu allora che scorse qualcuno che lo stava guardando dalla finestra.
Craig lo stava osservando mentre sorseggiava di tanto in tanto da una bottiglia di birra. Stan diede una rapida occhiata a quella che aveva in mano. Dove diavolo aveva trovato Craig altra birra? 
Quando rialzò gli occhi alla finestra, Craig fiatò sul vetro, che subito si appannò per la condensa. Poi lo vide scrivere qualcosa con le dita, accoratamente. Cercò di strizzare gli occhi per vedere cosa stesse scrivendo, ma la visione traballava. Quindi si alzò per avvicinarsi.
FUCK U , c'era scritto.1
Stan rise, davanti all'espressione stoica di Craig.
Si chinò in avanti, fiatando anche lui accanto alla U, e disegnò un punto interrogativo al contrario -o almeno credeva, non era troppo lucido per dirlo-, in modo che il vetro dicesse:
FUCK U?  2
Poi gli fece un occhiolino, con il sorriso più indecente che riuscì a fare.
Il sorriso contagiò persino Craig, che si guardò intorno prima di cancellare con una manata il messaggio incriminatorio. Chissà se la signora Black, pulendo, lo avesse trovato? Sarebbe stato divertente, sempre se la signora Black puliva da sé e non aveva domestiche.
Craig sparì da dietro la finestra, solo per uscire dalla porta poco dopo. Non aveva più con sé la birra, però sfilò una sigaretta dal pacchetto.
<< Sei un pezzo di merda >> lo apostrofò Stan, mentre l'altro si andava a sedere dove lui era seduto poco prima.
<< Perché? >> chiese Craig, senza una particolare inflessione della voce.
Stan andò a sedersi affianco a lui << Ieri non ti sei presentato >>
<< Non faccio beneficenza, Marsh >>
<< Fottiti >> rispose sdegnato. 
Si sentiva già abbastanza una merda senza che vi si aggiungesse anche Craig, che a dirla tutta di fare il superiore non se lo poteva proprio permettere. Ci mancava solo che lo rifiutasse anche lui.
<< Perché sei qui, allora? Non sei venuto a fare beneficenza? >> sputò.
<< Tu mi hai invitato >> gli fece notare, accendendosi la sigaretta.
Si fissarono per un attimo negli occhi. Per un attimo, il solo movimento tra di loro fu la mano di Craig che riportava il filtro della sigaretta alle labbra.
<< Sì, l'ho fatto >> ammise << Quindi vuoi scopare. Sei venuto per approfittare della situazione, eh? >> lo accusò. Sentì un sapore amaro sulla lingua. A Craig non poteva fregare di meno del suo dramma, e lui neanche sapeva perché avesse importanza.
Ci fu un attimo di silenzio.
<< Vaffanculo >> squittì Craig, sorprendendolo. 
"Tu sei l'unico che mi sta usando" avrebbe voluto dirgli, invece strinse solo le labbra.
<< Fanculo, Marsh. Non ho bisogno di questo >> e fece per alzarsi, per lasciarlo lì da solo ad annegare nella sua merda, dove meritava di stare.
<< Io sì >> piagnucolò Stan, trattenendolo per un braccio. 
Craig provò a liberarsi dalla sua presa con scarsi risultati.
<< Senti, io... >> cercò le parole nella sua mente obnubilata dall'alcol << ...ce l'ho con il mondo in questo momento. Mi sto comportando da coglione, e tu... anche tu, a dire il vero, con quel fatto della beneficenza... >> poteva farcela << ...ma non me ne frega un cazzo, non te ne andare >>
Craig smise di provare a scappare, e prese un lungo respiro << Sono le scuse più incasinate che io abbia mai sentito. Sei davvero una testa di cazzo, Marsh, e io ti odio davvero >>
Stan ridacchiò << La mia vita fa schifo. Tutti mi odiano >>
<< Non fare l'emo >>
<< È vero. Wendy mi odia >> si adombrò. Realizzò in quel momento che il suo braccio si trovava ancora aggrappato a quello di Craig. Se qualcuno li avessi visti sarebbe sembrato strano, ma non gliene poteva importare di meno, in quel momento. E Craig non sembrava volerlo allontanare, comunque.
Odiava farsi vedere in quello stato proprio da lui.
<< No, davvero? Eppure stai facendo un così buon lavoro >> commentò con ironia l'altro.
<< Fottiti >> gli ripetè Stan, con un mezzo sorriso.
<< Non dovevi farlo tu? >> sorrise sornione, prima di prendere un'altra boccata di fumo.
<< Mi piace la piega che sta prendendo questa cosa >> gli sorrise malizioso, poi si avvicinò per baciarlo, e quando lo fece trovò saliva e fumo.
Craig si allontanò stralunato, e guardò verso la casa, per accertarsi che nessuno fosse alla finestra.
<< Sei impazzito? >>
<< Nàh, solo ubriaco >> ridacchiò << Dov'è che i Black non vanno mai? >>
<< Forse lo so >> disse Craig, spegnendo la sigaretta sulle scale e gettando il mozzicone sotto una pianta affinché i Black, al loro ritorno, non la notassero.
<< Vieni >> lo invitò, alzandosi.
Stan lo seguì verso il fondo del giardino, fino ad un capanno degli attrezzi.
Craig dovette armeggiare un po' per aprirlo.
<< Che fortuna >> osservò Stan, quando la porta si aprì. In ogni caso lì dentro non c'era granché, e forse la fortuna di trovarlo aperto era dovuta a questo. 
Entrarono e vi si chiusero dentro.
Craig lo mise all'angolo. Stan si avventò su di lui senza neanche dargli il tempo di realizzare, aggrappandosi come una scimmia al ragazzo più alto di lui. Appena riuscì ad avere le sue labbra iniziò una danza forsennata con le sue, includendo denti e lingua. Craig rispose con impeto, alzandolo sotto le cosce in modo da avere Stan più vicino, e sistemandosi meglio fra le gambe di lui.
Stan mugulò in modo osceno, come non faceva quando era sobrio. 
Le mani di Craig cercarono accesso sotto il giubbino dell'altro, Stan tremò.
<< Toccami il meno possibile, hai le mani gelate >>
Come risposta Craig appoggiò tutto il palmo sul suo fianco.
<< Dannazione >>
<< Zitto >> gli intimò Craig, mentre gli assaltava il collo.
Averlo così vicino, stretto a sé, sullo stomaco, gli stava facendo male. A Stan girava la testa.
<< Lasciami andare >> chiese << Mi sento male >>
Craig lo lasciò andare all'istante, e Stan faticò per non perdere l'equilibrio quando ricadde coi piedi a terra.
Meglio. Afferrò la spalla di Craig, e provò a spingerlo verso il basso.
<< Vuoi venire giù da me? >> chiese.
Craig avrebbe voluto chiedergli se avesse capito bene, ma si arrese di fronte alla supplica che lesse negli occhi lucidi dell'altro. Non riuscì a combattere l'eccitazione che montava. 
Si inginocchiò davanti a Stan e tentò di liberarlo dalla cintura, ma presto la mano di Stan gli premette sulla testa spingendolo via, poi si allontanò quel tanto che poté per vomitare a terra.
<< Dio, Stan, che schifo! >> 
Stan si teneva con una mano alla parete, e, dopo aver esaurito i conati di vomito, vi appoggiò la testa.
<< Aaaar, mi sento uno schifo >>
Craig sospirò.
<< Ok, rientriamo >> disse. Si avvicinò per aiutarlo a stare in piedi.
<< Dobbiamo pulire >>
<< Tu devi pulire >>
Passarono i cinque minuti successivi a recuperare, trasportare, ed usare la pompa del giardino. Il pomello era anche ghiacciato, e Craig dovette metterci tutta la forza necessaria per sbloccarlo. 
Alla fine si ritrovarono più infreddoliti del solito, con l'ansia di dover spiegare agli altri la loro lunga assenza.




^1  la scritta dice "FOTTITI"
^2  la scritta dice "FOTTERE TE?"

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Capitolo 10
*** 23:40 ***


10. 23:40

 
<< Ti piacciono i bastoncini di pesce? >>
Kenny guardò il ragazzo di fronte a sé con sguardo assente, poi rispose << Sì? >>
<< E-e ti-ti piace anche me-metterli in bocca i ba-bastoncini di pe-pesce? >> continuò Jimmy, indicando con un dito la sua bocca.
<< Sì? >> rispose cauto Kenny, che probabilmente vedeva dinanzi a sé un triplo Jimmy.
<< Qui-quindi sei un pesce gay >>
Kenny lo osservò a lungo, poi scoppiò in una risata rumorosa, più di quanto quella battuta meritasse, ma era da ore che Kenny rideva per nulla, ripeteva "non capisco" e poi rideva ancora. Aveva detto addio alla lucidità dopo uno shottino di tequila e cinque birre, mentre Jimmy aveva detto addio alla dignità quando le sue battute erano scese di livello, solo per continuare a far ridere l'altro.
Questa volta anche Tweek rise, contagiato dall'ilarità di Kenny. 
Anche lui aveva bevuto, disgraziatamente, non troppo perché non vi era abituato, e l'alcol non gli piaceva poi così tanto. E adesso si sentiva brillo.
<< Gra-grazie. Pubblico stu-stupendo >> si congratulò Jimmy, e Kenny rise ancora.
Tweek si sentiva benedetto da una parte, per il fatto che i due avessero passato tutta la serata con lui; specialmente dal fatto che Kenny avesse provato di tutto per farlo sentire a suo agio, ma da un'altra parte gli si era aperta una voragine nel cuore.
Aveva sperato di riuscire a parlare con Kyle, o che magari, dato che si erano trovati nello stesso posto, il rosso si sentisse spinto a parlargli. Invece così non era stato; volontariamente o meno, Kyle non gli si era avvicinato.
Però gli era servito, essere lì, perché aveva realizzato che Craig gli piacesse davvero. Non aveva fatto altro che cercarlo continuamente con lo sguardo per tutta la serata, provando ad acuire l'udito quando lo vedeva interagire con qualcuno. Aveva studiato da lontano tutte le sue movenze, tutte le sue smorfie, tutte le sue reazioni, e si sorprese a riuscire a leggere sul suo volto qualcosa che andava oltre la sua superficiale impassibilità.
La realizzazione lo aveva poi colpito forte quando si era ritrovato a sperare che la bottiglia di vetro lo appaiasse con Craig, così come aveva fatto con Clyde e Christophe. Perché avrebbe dovuto sperare di baciare un ragazzo quando erano presenti un sacco di ragazze carine?
Anche Theresa era lì, e Tweek ricordava di aver avuto una cotta per lei, qualche anno prima; poi era stato ricoverato e non l'aveva più vista. Anche vederla baciare Butters non gli aveva suscitato niente; in compenso, il timore che la bottiglia indicasse se stesso o Craig lo stava facendo uscire di testa.
La cosa peggiore era che, dopo quell'approccio iniziale, al suo arrivo, Craig non l'avesse guardato nemmeno per sbaglio. Si stava riempiendo la testa con fantasie irrealizzabili, perché di certo a Craig non piacevano i ragazzi, e, anche se gli fossero piaciuti, non avrebbe guardato di certo lui, no?
Eppure, più ripensava al suo ‘lo dici in senso gay?’ pronunciato in mensa, più una piccola fiammella di speranza si accendeva in lui. Craig non era sembrato disgustato, o scioccato dal suo complimento, ma solo curioso. Che magari gli piacessero davvero i ragazzi?
E poi, domanda ancora più importante, stava davvero considerando la possibilità che ci potesse essere qualcosa con lui? Con un ragazzo? Magari la sua era una cotta passeggera, magari stava solo impazzendo, non c'era bisogno di incasinare tutto per questo, ma non riusciva a smettere di pensarci.
Adesso Craig era sparito, era lì fuori da qualche parte da un bel po' di tempo. Persino Bebe e le ragazze erano andate via.
In sostanza, bere gli era servito per contrastare un imminente attacco di panico.
<< Che fine hanno fatto Craig e Stan? >> chiese Clyde.
Kyle si avvicinò alla finestra per sbirciare fuori.
<< Stan era lì, adesso però non c'è >>
<< Credo che Craig sia uscito a fumare >> li informò Butters.
Si guardarono tutti in silenzio.
<< Dovremmo preoccuparci? >> chiese Token.
<< GAH! E se... e se li avessero rapiti? Oh, Dio! Oh no, e se fossero stati gli alieni? >>
<< Non essere sciocco, Tweek >> lo riprese Kyle << Gli alieni non esistono >>
<< Questo è quello che pensi tu, Khal >> controbatté Cartman << Quei figli di puttana mi hanno impiantato una sonda anale quando ero piccolo. Non ricordi? >>
<< Te lo sei inventato, Cartman, come ogni cosa! >> ruotò gli occhi.
<< Lo so che la tua casta di illuminati ebrei non vuole che si sappia >>
Kyle lo ignorò, ma gli ci volle ogni fibra del suo buon senso per non ricominciare a litigare con lui.
D'un tratto qualcuno bussò alla porta, e quando Clyde aprì, videro Craig che sorreggeva Stan per un braccio.
<< Cosa è successo? >> chiese Kyle, preoccupato.
Craig fece qualche passo avanti e poi si liberò di Stan, causandone la caduta sul pavimento. Stan gli rivolse un'occhiata omicida.
<< Mi ha vomitato sulle scarpe >> disse solo, poi si rivolse a Token << Abbiamo pulito >>
Token annuì, poi aiutò Stan ad alzarsi, insieme a Kyle.
<< Cazzo, amico, vacci piano con l'alcol. Puzzi da schifo >> gli disse il padrone di casa.
<< So tenermi in piedi da solo >> li allontanò Stan.
<< Ok, penso sia meglio che ti accompagni a casa >> propose Kyle.
<< Ah! gh- Penso sia meglio che vada anch'io! >> Tweek provò ad alzarsi, e fece per avviarsi verso l'angolo dove aveva lasciato il giubbino, ma subito si accorse che tutti lo fissavano << GAH! Che- che c'è? >>
<< Quanto hai bevuto, Tweek? >> domandò Kyle, stralunato.
<< Uhm, un po'? >>
<< Barcolli >> gli fece notare, poi chiuse gli occhi, prendendo un gran sospiro << Ok. Cartman? Puoi accompagnare Stan a casa, così io accompagno Tweek? >>
<< No, non ci penso proprio >> sogghignò malefico il ciccione, mentre si infilava il giubbino << Fottetevi, tu e il tuo ragazzo >>
<< Posso tornare da solo >> propose Stan << Sto bene. Posso aiutarti ad accompagnare Tweek >>
Kyle lo ignorò << Kenny? >> cercò dei segni di vita dall'amico, il cui sedere era ormai cementificato sul divano << Puoi accompagnare Stan a casa senza che faccia altre cazzate? >> chiese esasperato.
Evitava di guardare Stan, probabilmente perché stava cercando di non innervosirsi.
<< Mmh? Sì, certo! >> rispose allegro Kenny, alzandosi in modo precipitoso.
Tweek non capì cosa volesse fare o dove volesse andare, quando nella foga rovesciò il tavolino dei Black cadendoci sopra, suscitando l'orrore di Token, che rimase paralizzato al suo posto. Poi Kenny iniziò a ridere, con grande sconforto di Kyle.
<< Penso proprio che resterò a dormire qui! >> 
<< Potete fermarvi tutti, a dormire >> ricordò loro Token, leggermente scosso, mentre Clyde aiutava il biondo a rialzarsi.
<< Io e Stan non abbiamo avvisato a casa. E se domani mattina mia madre si sveglia e non mi trova a casa sarò un uomo morto >> Kyle sbiancò al solo pensiero. Sua madre era il suo terrore, e anche Tweek aveva paura di lei, a dire il vero. Sheila Brovfloski era un carro armato di donna, sia per la stazza che per la tempra. 
<< A-anch'io devo tornare >> si aggiunse Tweek. Non che ai suoi realmente importasse, ma non voleva dormire in un posto sconosciuto esposto a pericoli che non conosceva. Se poi si fosse svegliato gridando, sarebbe stato imbarazzante. In più, soffriva d'insonnia, e se aveva anche solo una remota possibilità di addormentarsi, questa era legata al suo letto.
<< I-io invece re-resterei a do-dormire, se non ti spiace >> chiese Jimmy.
<< Figurati, anche Clyde e Craig si fermano qui... bèh, e Kenny >> spiegò Token.
<< Già. Perché è povero. Quando gli ricapita di dormire in una villa? >> rise Cartman. Butters rise a sua volta.
<< Facciamo così, posso riaccompagnare a casa Tweek, che tanto abita qui vicino, e poi tornare per Stan >>
<< Non è che ci devi portare in spalla, Kyle. Posso venire anche io da Tweek! >> gli ricordò indignato Stan, che stava iniziando ad odiare di essere ignorato.
<< Non sono sicuro di riuscire a gestirvi entrambi! >>
<< Allora, guarda. Tu accompagna pure Tweek, così puoi prendere la strada del parco e andare direttamente a casa. Io vado da solo >>
<< Ok, accompagno Tweek e torno indietro >>
Clyde sbottò esasperato << Che ne dite se accompagno io Tweek? >>
Kyle lo guardò dalla testa ai piedi << Non è che sei più lucido di lui! >>
<< Ok. Allora che ne dici se lo accompagna Craig? >>
Tutti si voltarono verso il ragazzo, che ricambiò le loro occhiate senza mostrare particolari emozioni.
<< GAH! Io posso- posso tornare da solo! >> Tweek iniziò ad andare in panico.
<< Va bene >> acconsentì Craig, stupendo tutti. 
 
 
Tweek si strinse nel suo giubbino. L'aria era fredda, e il meteo aveva previsto neve per la notte. 
Avevano lasciato casa di Token da poco, e da allora Tweek non aveva aperto bocca. 
Non che a Craig dispiacesse. Anzi, se ne stava a guardare il cielo coperto immerso nei suoi pensieri, concentrato su quel pasticcio di sentimenti che non riusciva a spiegare. Aveva voglia di distaccarsi, elevarsi al di sopra dei casini di Stan e dal fatto che ci stesse cadendo dentro, ma poi i suoi occhi lo risucchiavano, e le colpe dell'altro si mescolavano con le sue. Più Stan toccava il fondo, più a Craig sembrava di essere in una posizione privilegiata. Solo così poteva sperare di avvicinarsi all'altro, quando l'altro cadeva al suo livello di inadeguatezza e solitudine. Si chiese se non fosse vero, ciò che Stan credeva, e cioè che stesse approfittando della situazione.
Probabilmente invece si stavano usando entrambi. Ma lui aveva tutto da perdere, perché l'unica cosa che aveva adesso era Stan, mentre Stan avrebbe riavuto il mondo non appena fosse stato meglio. Una parte di Craig sperava che una piccola parte di mondo Stan avrebbe voluto condividerla con lui. E invece forse si stavano solo trascinando giù a vicenda.
Un lampo illuminò la strada. Vide Tweek scattare sull'attenti al suo fianco, e squittire al tuono che seguì subito dopo. Più che neve sembrava in arrivo un temporale.
Craig lo osservò di sottecchi: gli occhi del ragazzo scrutavano un lato e l'altro della strada, le braccia strette intorno al busto. Sembrava davvero un porcellino d'india. Erano i suoi capelli spettinati in particolare, che ricordavano il pelo di una cavia abissina.
Un altro tuono lo fece sussultare.
<< Dio! >> esclamò, senza riuscire a trattenersi.
Craig sospirò, non poteva vederlo così, gli ricordava troppo Striscia quando sua sorella faceva movimenti troppo bruschi e lo spaventava. Il 99% dei litigi che aveva con lei erano dovuti proprio a questo.
Si tolse il cappello e lo infilò rude sulla testa di Tweek, tirandolo per i copri-orecchie in modo che gli aderisse bene in testa. 
Tweek si fermò a guardarlo con occhi enormi, di un verde trasparente, pieni di confusione. Era arrossito.
Craig gli tenne ancora per un po' i lati del cappello premuti sulle orecchie, in modo da coprire il più possibile il boato di un tuono imminente.
<< Tienilo così. Sentirai meno i rumori >>
Timidamente Tweek alzò le mani, e Craig lo lasciò affinché potessero prendere il posto delle sue.
<< Uhm, grazie >> mormorò Tweek, rosso come non mai.
Ripresero a camminare, e dopo poco giunsero davanti all'insegna del Tweek Bros.
Tweek si attaccò al campanello.
<< Abiti al piano di sopra? >>
<< Ehm, sì. Ho...ho -ngh- dimenticato le chiavi >>
Restarono ancora per un po' a gelarsi fuori, perché i parenti del biondo non rispondevano. 
<< Gah! Devono essersi addormentati >> 
<< Torniamo indietro >> propose, di certo a Token non sarebbe dispiaciuto, e in più non sembrava che i genitori di Tweek lo stessero aspettando. 
Tweek parve pensarci un po'. Guardò il cielo su di lui, forse pensando che non voleva restare all'aperto un attimo di più.
<< So come entrare >> disse << Però... >>
Craig lo guardò interrogativo.
Tweek scosse la testa << Devi aiutarmi. Ngh! Vieni! >> lo portò verso il retro dell'edificio, e si mise a fissare un finestrone orizzontale.
<< Questo è rotto >> spiegò << Po-posso passare di qui, però, gah! Non lo dirai a nessuno, vero? Se i ladri lo sapessero ruberebbero nel locale! GAH! >> iniziò ad agitarsi alla sola idea.
A chi poteva dirlo? Forse avrebbe potuto vendere l'informazione a Cristophe, o a Damien. Era un'idea, ma Craig non l'avrebbe mai fatto, specialmente se Tweek glielo chiedeva in quel modo tenero.
<< Parola di scout >>
<< Sei stato uno scout? >> chiese Tweek, interessato.
<< No >> 
Si osservarono per un secondo, poi Tweek rise, e Craig non riuscì a trattenersi dal ridere anche lui alla sua espressione.
<< Pensavo che non sapessi ridere >>
<< Solo alle mie battute >>
Si guardarono di nuovo, e di nuovo risero insieme.
<< Ehm, puoi sollevarmi verso la finestra? >> chiese Tweek, il rossore che si estendeva sulle sue gote.
Craig annuì, poi lo alzò afferrandolo per le gambe mentre Tweek allungava le braccia verso l'apertura. Riuscì ad aggrapparvisi, e si sollevò con le braccia, mentre Craig lo sospinse per le gambe fino a quando poté. 
Sentì il rumore di lui che cadeva sul pavimento, all'interno della struttura. Attese un attimo per sentire un lamento, o un saluto, però, vedendo che l'altro non dava più segni di vita, decise di andarsene.
Riuscì ad arrivare sul fronte dell'edificio e stava per avviarsi quando sentì la serratura della porta del locale scattare.
Si voltò per vedere Tweek che, trafelato, lo guardava dall'uscio. 
<< Craig! >> lo chiamò.
Craig lo osservò senza fiatare, in attesa che l'altro aggiungesse qualcosa.
Restarono per un po' a guardarsi, poi Tweek si tolse il chullo dalla testa.
<< Il cappello >> disse, porgendoglielo.
Craig si fece strada fino a dove stava l'altro, e afferrò l'indumento.
Tweek non lo aveva lasciato del tutto quando gli chiese: << Fa...fa freddo. Vu-vuoi venire dentro a prendere una tazza di caffé? >>
Craig osservò il cielo nero, i tuoni sempre più frequenti, ma lontani.
Scrollò le spalle << Sembra che ci metterà un po' per piovere >>
Poi entrò spedito dentro, rinfilandosi il cappello in testa. Il Tweek Bros. era diverso di notte, rispetto al calore e il movimento che lo animavano di giorno. Le sedie erano sollevate sui tavolini, i macchinari erano coperti e il bancone sgombro. 
Tweek si richiuse la porta alle spalle.
<< Devo avviare la macchina del caffé. Ngh! Ci- ci vorrà del tempo >>
Armeggiò con l'apparecchio mentre Craig prendeva posto al bancone. Si tolse la sciarpa e il giubbino, nonostante facesse freddo. Anche i riscaldamenti dovevano essere spenti.
<< Hai qualche preferenza? >>
Craig guardò il menù affisso sulla testa di Tweek.
<< Brasiliano, con latte >>
Restò ad osservarlo mentre caricava la macchina.
<< Perché sorridi? >> 
<< No, ehm, gah! È anche il mio preferito. I-Il brasiliano intendo, senza latte >>
<< Ci lavori? >>
Tweek annuì << Quando posso, do una mano >>
Calò il silenzio fin quando furono pronti i caffé. Tweek gli posò il suo di fronte, poi si sistemò su una sedia di fronte a lui dall'altra parte del bancone. Gli sorrideva, e restarono ad osservarsi mentre bevevano. 
Gli occhi di Tweek contenevano l'universo, in quel momento. Erano luminosi ed infiniti come mai Craig li aveva visti. Non nascondevano paura, rimorso, rancore, colpa, e desiderio. Non vi era nessuna emozione negativa, e a Craig vennero in mente i racconti del Piccolo Principe che sua madre gli leggeva sempre da piccolo.
Aveva davanti a sé l'esatta immagine della copertina. 
Anche i suoi occhi si addolcirono, e si ritrovarono entrambi a sorridersi.
<< Grazie. Per avermi accompagnato. E -ah!- per il cappello >>
<< Non dovresti aver paura dei temporali. E poi posso accompagnarti quando vuoi, se poi mi fai un caffé così >>
Tweek gli sorrise << Così come? È buono? >>
<< Gratis >>
Scoppiarono entrambi a ridere, Craig dovette inghiottire un sorso a forza, per non strozzarsi.
<< Mi piace con meno zucchero >> lo informò.
<< Lo terrò presente, per le prossime volte >> 
<< Anche perché mi devi un bel po' di favori >>
<< Perché? >> chiese perplesso Tweek, e la sua espressione concentrata gli fece uscire uno sbuffo di risa.
<< Non presto il mio chullo a tutti >> spiegò.
<< Solo a me? >>
<< Solo a chi pensa che l'apparecchio mi doni >> gli sorrise sornione. Forse flirtare un po' era troppo?
<< Gah! Mi-mi stai prendendo in giro! >> osservò scandalizzato.
Craig rise.
<< D-dovresti ridere di più >> 
<< Mmh? >>
Tweek arrossì << Fai meno paura di quello che pensassi >> confessò.
Craig smise di ridere << Ci fanno paura solo le cose che non conosciamo >>
Tweek abbassò lo sguardo << Conosco tutta la fisica dei temporali. Eppure mi fanno paura lo stesso >>
Quando si riguardarono, scoppiarono a ridere di nuovo.
<< Penso sia meglio che vada, prima che inizi a piovere >> disse Craig, afferrando il giubbino e la sciarpa lì vicino << Tu... come sali al piano di sopra? >>
<< Ci sono delle scale di là. AH! >> gridò, poi si mise a scavare sotto al bancone, fino a quando non trovò una penna.
Craig lo guardò con aria interrogativa. Tweek sfilò l'etichetta di cartone con il logo della caffetteria dal bicchiere di Craig, e con mani tremanti iniziò a scrivere un numero. Glielo porse.
Craig guardò indeciso il pezzo di carta, poi lo prese fra le mani. Perché gli stava dando il suo numero? 
<< N-non voglio che ti succeda qualcosa per strada per -gah!- per colpa mia. Avvertimi quando arrivi! Altrimenti penserò che ti hanno rapito gli alieni! >>
Craig lo guardò sconvolto << Gli alieni? >>
<< Ngh! Sì, oppure l'uomorsomaiale. H-hai visto It? Anche nella scena del bambino che sparisce pioveva! >>
Craig guardò meglio il numero nelle sue mani.
<< Tweek... >> iniziò con pazienza. Non sapeva neanche perché glielo stesse spiegando << L'uomorsomaiale non esiste, è una leggenda metropolitana, e It è solo un film. Per quanto riguarda gli alieni, bèh, loro ci fanno gli esperimenti, quindi rapiscono solo persone intelligenti, non me >> 
Tweek non parve molto convinto << Ti prego, mandami almeno un messaggio, così posso andare a dormire! >>
<< Ok >> acconsentì, infilandosi l'etichetta in tasca. Si preparò una sigaretta da fumare per strada.
Tweek lo accompagnò alla porta. Craig uscì, poi si voltò a guardare l'altro, che aveva abbandonato la tranquillità di poco prima e aveva indossato la maschera dell'apprensione.
<< Dormi >> ordinò << Ci vediamo lunedì >>
Tweek annuì << Grazie ancora, Craig >> 
Il suo nome acquisì un suono diverso, più caldo, rispetto a tutte le volte in cui le persone lo avevano pronunciato. 

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Capitolo 11
*** 23:41 ***


11. 23:41


Si era commiserato durante tutto il weekend per come si era comportato.
Quella mattina, nei corridoi della scuola, Wendy era filata diritta per la sua strada senza neanche salutare Kyle e Kenny, per evitare lui. 
Si sentiva uno schifo, e gli pareva che tutti lo guardassero male. Persino bere era diventato deprimente, perché in fondo era colpa dell'alcol se era caduto così in basso.
Dulcis in fundo, si era messo in ridicolo davanti a Craig, il che lo metteva irrimediabilmente in imbarazzo. Era stato come ritornare alle elementari, quando Wendy cercava di parlare con lui e lui finiva per vomitarle sempre davanti, perché aveva lo stomaco debole e lei gli faceva venire le farfalle nello stomaco. La differenza era che Wendy gli piaceva, invece con Craig aveva bevuto troppo. Non era stato meno vergognoso, però.
Doveva sistemare le cose, farle tornare almeno come prima della festa, se voleva che un giorno Wendy si decidesse a tornare con lui. Aveva provato a chiamarla, il giorno prima, ma la ragazza gli aveva staccato il telefono in faccia, così Stan ritentò un approccio durante l'intervallo.
Wendy era seduta in mensa con Bebe e le altre ragazze, e Stan si avvicinò di soppiatto al loro tavolo.
<< Wendy, posso parlarti? >> si schiaffeggiò mentalmente quando gli venne da chiamarla 'piccola', come soleva fare quando si frequentavano. Ci sarebbe mancato solo quello.
Wendy non si girò neanche; fece finta di non sentirlo, mentre Bebe e Red si voltarono verso di lui, con un'espressione mortificata. Stan tentò di non farci caso.
<< Wendy... >> la chiamò di nuovo, poi si andò a sedere al tavolo di fronte a lei, facendosi posto a fianco di Red, così da costringerla a guardarlo, ma Wendy teneva ostinatamente gli occhi puntati sul suo vassoio, il solco tra le sue sopracciglia a testimoniare che fosse arrabbiata.
<< Wendy, ti prego, giuro che non ci metterò molto. Vuoi venire un attimo di là? >>
Finalmente Wendy alzò lo sguardo su di lui << Di là a fare cosa, Stan? Così puoi provare a baciarmi di nuovo? >>
Si guardarono intensamente, con astio.
Bebe fece segno a Red e ad Annie di alzarsi, e tutte e tre raccolsero i loro vassoi.
<< Dove state andando? >> le richiamò Wendy.
<< Non sono fatti nostri, Wendy. E nessuna di noi è in vena di deja vù >> spiegò Bebe.
Wendy inspirò profondamente come a calmarsi, mentre incrociava le braccia e guardava le altre abbandonarla.
Quando restarono da soli, Stan si decise a parlare.
<< Mi dispiace davvero, davvero tanto per come mi sono comportato sabato, credimi >> il suo tono uscì pieno di rammarico, e non riuscì a trattenere un'espressione da cane bastonato. Era davvero mortificato, e gli occhi dardeggianti dell'altra gli bruciavano sul viso.
<< Dove vuoi arrivare con questo? >> chiese Wendy, una vena di accusa nella voce.
Stan si passò le mani in faccia, prendendo un respiro profondo << Da nessuna parte. Non voglio questa situazione, questo clima. Ho sbagliato e lo so. Non avrei mai dovuto comportarmi così da bambino. È solo che ero... >>
<< Ubriaco? >> lo interruppe Wendy, un fremito nelle narici << Eri ubriaco, Stan? Vedi, il tuo problema è questo, che sei sempre ubriaco! >>
Stan sentì le lacrime affiorargli agli occhi. Sì, il suo problema era quello, e lo rendeva colpevole e vittima. 
<< Non voglio litigare, Wendy. Non... >> non sono più problemi tuoi << ...devi più preoccuparti di questo. Solo scusami, ti chiedo perdono. Dimenticalo >>
Si alzò dal tavolo senza neanche guardarla, stava per piangere, lo sapeva, e si diresse spedito fuori dalla mensa, ignorando la voce di lei che lo chiamava. Non voleva crollare di fronte a lei, mostrarsi debole e darle motivo di credere che stesse recitando. Non aveva preventivato di essere così emotivo.
Si diresse nei bagni. Si chiuse in uno dei cubicoli, si sedette sul gabinetto e iniziò a piangere.
Dopo si sarebbe sentito meglio, ma adesso voleva solo sfogare tutta la sua frustrazione. Non sapeva che comportarsi da vittima, ma era lui il responsabile di quanto gli stesse accadendo, lo sapeva. Avrebbe voluto che qualcuno lo aiutasse, ma non riusciva ad aiutarsi neanche da solo; stava diventando volubile e patetico come suo padre, tutto ciò che avrebbe preferito non essere. Continuava a ferire quelli che gli stavano intorno, sempre come suo padre, e non riusciva neanche più a vedersi per la brava persona che era una volta. Non poteva biasimare Wendy se lei non lo voleva più. Tutto ciò di cui si stava circondando erano bugie e rancore, e si sentiva indegno sia dell'amicizia dei suoi amici, sia della fiducia di Kyle, che dell'amore della sua famiglia, e anche del tempo che stava rubando a Craig, perché continuava a rifiutarsi di investigare a fondo i sentimenti dell'altro, per una questione di comodo. Craig era l'appiglio di cui aveva bisogno, qualcuno che -anche se lui non aveva idea del perché- lo voleva nonostante il disastro che era diventato. Qualcuno che aveva bisogno di lui perché era un disastro a sua volta. Era forse la cosa più sincera che aveva nella vita in quel momento, nonostante si stessero solo usando a vicenda. Triste.
E lui, ancora aspettava e sperava, stupidamente, che Wendy tornasse a salvarlo da tutto, da suo padre, dalla sua dipendenza, da se stesso.


C'era stato un cambio nell'orario scolastico. Il professore di educazione fisica aveva chiesto al signor Garrison di poter fare lezione quel giorno cedendo le ore della sua prossima lezione a lui.
Voleva dire che il giorno dopo non avrebbe più dovuto vedere Gregory, cosa che risollevò l'umore di Stan. Kyle gli aveva detto che, per essere corretto, avrebbe dovuto scusarsi anche con lui, ma Stan non ci pensava neanche. Per quanto gli riguardava, Gregory poteva anche tornarsene a Yardale e morirci.
Il cambiamento aveva sollevato dei problemi logistici, perché altre classi occupavano la palestra.
<< Ok, ragazzi. Oggi, poiché non possiamo usare la palestra, staremo fuori >> li informò il professor Miles << Faremo un gioco. Ho due bandiere, una blu e una rossa >> le mostrò << Ci divideremo in due squadre, e giocheremo a cattura bandiera. Potete usare tutto il parco scolastico, a patto che non urliate disturbando le lezioni e non vi facciate male >> lanciò un'occhiataccia a Craig e una a Cartman << Intesi? >>
<< Wow, forte! >> commentò Clyde, e un vociare di consensi lo accompagnò.
<< Adesso, Clyde, Stan, - i nostri due atleti- venite qui >>
Stan e Clyde gli si avvicinarono ponendosi uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. Il professore appoggiò loro le braccia intorno alle spalle. Stan vide Kenny guardarlo con uno sguardo divertito, e tentò di trattenere un sorriso anche lui. Kenny diceva che Miles era un omosessuale represso che ci provava con gli studenti, e insieme ci avevano riso e scherzato un sacco su questa cosa.
<< Scegliete le vostre squadre, ragazzi. Facciamo iniziare Stan >> disse a Clyde << Che da quando ha abbandonato la squadra, è fuori forma. Allora noi cerchiamo di dargli un vantaggio >> e fece l'occhiolino a uno sghignazzante Clyde.
Miles tentava di fare sempre il simpatico, peccato che non lo fosse per nulla. 
Stan guardò fra i suoi compagni decidendo rapidamente chi chiamare.
<< Kyle >> disse, nessun dubbio. Il rosso lasciò la fila per porsi al suo fianco.
<< Token >> chiamò Clyde.
Stan guardò tra Wendy e Kenny. Se l'avesse chiamata subito nella sua squadra, se la sarebbe presa? Oppure avrebbe dovuto chiamare Kenny? Anche se avesse chiamato il biondo, il prossimo che Clyde avrebbe chiamato sarebbe stato Craig, o Bebe, e di certo non Wendy. 
<< Kenny >> chiamò alla fine.
Il ragazzo si dispose al suo fianco con tranquillità.
<< Craig >> l'interessato marciò al lato di Token.
Stan inghiottì saliva << Wendy >>
Wendy lo guardò in cagnesco con le braccia conserte, però si avvicinò piano senza fiatare.
<< Bebe >>
Stan guardò i restanti. Tra i ragazzi erano rimasti solo Butters, Cartman, Jimmy e Tweek. Butters era scarso. Cartman non ce la faceva a correre, e neanche Jimmy, per ovvie ragioni. Tweek non era capace di sopportare la pressione; già sembrava abbastanza provato senza che avessero neanche iniziato. Poi c'erano le ragazze. Non gli piaceva essere sessista, ma per certi giochi non erano portate. 
Kyle si avvicinò al suo orecchio << Chiama Tweek >> gli suggerì. 
Stan sapeva che di certo Kyle non aveva preso in considerazione l'aspetto tattico, ma doveva aver pensato che fosse meglio per tutti includere Tweek. E Stan si trovava d'accordo.
<< Tweek >> chiamò.
Le squadre si formarono in fretta, gli ultimi rimasti furono Cartman e Jimmy. 
Il grassone sembrava offeso, e faceva bene, perché Stan pensava che né la sua squadra né quella di Clyde lo volesse. Cartman era divertente, ma era un cazzone, e dopo la sparata che aveva fatto con Kyle alla festa, Stan si sentiva meno propenso a dargli corda. E poi si meritava di essere lasciato per ultimo.
<< Jimmy >> chiamò.
<< E che cazzo, Stan! >> si lamentò Cartman.
<< Il linguaggio, Eric! >> lo riprese Miles.
Cartman grugnì solo di rabbia, poi si accodò all'altra squadra.


<< Il piano è questo: Tweek, Kenny e Red faranno le guardie di confine. Dovete cercare di catturare o rallentare chiunque entri nella nostra parte di territorio. È un compito importante, ma non troppo, punteremo sull'attacco >> Stan spiegava come un militare.
Si trovavano tutti in cerchio calati in avanti a sentire i suoi bisbiglii, nonostante l'altro gruppo fosse dall'altra parte della scuola. Tweek sentiva già la pressione montare, aveva forse detto che il loro era un compito importante?
La bandiera era al sicuro appesa al cancello delimitante, dietro un albero affinché non fosse troppo visibile da lontano.
<< Nel caso qualcuno vi sfuggisse, i ranger vi faranno da supporto. Jimmy, Butters e Heidi: voi siete i ranger. In particolare: Jimmy, voglio che tu ti occupi di venire a salvarci se ci catturano, mentre Heidi e Butters devono andare avanti a prendere la bandiera al nostro posto, se noi non possiamo >>
<< Oh, madonnina >> commentò Butters, mentre Tweek cercava di tenere la bocca cucita, non facendosi sfuggire nessun gemito di panico. Non voleva che Stan si pentisse di averlo preso in squadra.
<< Io e Wendy faremo gli infiltratori, scoprendo dove tengono la bandiera, mentre Kyle e Theresa i ricognitori, perché sono i più veloci, quindi tenteranno di arrivare prima alla bandiera e di prenderla, senza farsi catturare >>
Probabilmente anche Stan doveva aver visto Kyle correre via da sua madre.
<< Ok, allora. Guardie e infiltratori: al confine. Ricognitori: seguiteci solo quando vedete via libera. Ranger: restate indietro, supportate le guardie, venite avanti solo se veniamo catturati. Vi faremo un segnale >>
<< Che tipo di segnale? >> chiese Heidi.
Stan ci pensò su << Grideremo 'ALLARME' >>
Tutti annuirono, così si divisero. 
Tweek, Kenny e Red decisero di mettersi su tre punti di accesso al loro territorio, e Tweek fu terrorizzato dal fatto di essere da solo, tra l'altro nella strettoia dietro l'edificio, che era un punto scoperto. 
Aspettò con calma all'erta. Forse avrebbe dovuto avanzare?
Per un po' non successe nulla, e Tweek si perse nei suoi pensieri. 
Si chiese in che ruolo Craig stesse giocando. Forse anche lui stava aspettando come guardia, al di là della zona neutra, annoiandosi? O già aveva avuto uno scontro? 
Dovette combattere con l'istinto di prendere il telefono e rileggere per l'ennesima volta gli stessi messaggi; precisamente, quelli che Craig gli aveva scritto in chat domenica notte.
'Nessun alieno' gli aveva scritto solo, poi gli aveva mandato una foto di Token addormentato con la bocca aperta sul divano di casa sua.
'Solo l'uomo nero'
Tweek aveva riso, nel suo letto, e aveva pensato che mai si sarebbe aspettato di scoprire questo lato di Craig. Ma gli piaceva, nonostante il fatto che l'altro non gli avesse più risposto, quando lui gli aveva augurato la buona notte. 
Quasi si spaventò, quando Lola fece la sua comparsa da dietro l'edificio. La ragazza lo scartò con una maestria unica, e Tweek provò a rincorrerla, ma un muro si frappose fra lui e la ragazza. Quasi non ci sbatté contro, poi realizzò che fosse una persona. Alzò gli occhi verso l'alto fino ad incontrare lo sguardo truce di Craig, quello che aveva il primo giorno che l'aveva visto. 
<< Ti sto portando in prigione! >> esclamò trionfante, prendendolo per la felpa e cercando di trascinarselo dietro. 
<< Pff >> lo beffeggiò Craig, afferrandogli il polso e stattonandoglielo via.
Lo incalzò, e Tweek iniziò ad indietreggiare.
<< Adesso tu mi dici dov'è la bandiera >>
<< Gah! Devi...devi scoprirlo da solo >>
Tweek sentiva che si stava liquefacendo, sotto quello sguardo esigente. E Craig si nutriva della sua paura, ad ogni passo in avanti che lo faceva indietreggiare. Un passo in avanti per Craig, un passo indietro per Tweek. Gli stava imponendo uno scontro psicologico, uno che Tweek non poteva vincere. Le sue mani stavano sudando e il suo cervello era in pappa. Il fatto che avesse una cotta per lui non aiutava. Stava andando in panico.
Alla fine Craig lo bloccò in un angolo, gli occhi fissi nei suoi.
<< Dimmi. Dov'è. La bandiera. >> suonò davvero minaccioso.
Tweek cercò di farsi piccolo per quel che poté. Dio. Era così vicino, calato verso di lui, e Tweek era in una nicchia, circondato dai muri e sovrastato dall'altezza dell'altro.
Non gli avrebbe detto dov'era la bandiera. Non avrebbe tradito la squadra. Stan e Kyle si fidavano di lui, ma non poteva restare lì un attimo in più, la pressione lo stava uccidendo. 
Restarono ancora in quella posizione, come chiusi in una bolla. Forse erano solo le orecchie di Tweek, ad avere smesso di funzionare. Craig adesso lo stava solo osservando; era vicino, troppo vicino, e Tweek non riuscì a fermare i suoi occhi dallo scivolare da quelli dell'altro alle sue labbra. Voleva baciarlo, e sentiva la pressione accartocciargli lo stomaco. 
Fallo. Stava per gridare dall'ansia, poi si ricordò che il professore aveva loro raccomandato di fare silenzio. Mandalo via. Liberati di lui prima di avere una crisi di nervi.
Fu la decisione di un attimo, e Tweek strinse un pugno sul davanti della felpa di Craig e se lo tirò vicino, a far impattare le sue labbra sulle proprie, già protese per un bacio.
Craig si irrigidì.
Immediatamente, realizzò quello che aveva fatto, e lo spinse via. O forse fu Craig a tirarsi indietro da solo, non seppe dirlo. 
Si sentiva accaldato, sentiva che stava per andare in iperventilazione, davanti agli occhi sgranati di Craig. 
Il ragazzo indietreggiò, e le suole delle sue scarpe scalpicciarono sull'asfalto bagnato; poi gli voltò le spalle, e andò via, lasciando Tweek solo con le sue paranoie.

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Capitolo 12
*** 23:42 ***


12. 23:42


Suonò il campanello.
Spostò rapidamente il peso da un piede all'altro, cercando invano di scaldarsi. Il respiro lasciava le sue labbra in volute di fumo.
Non rispondeva nessuno.
Insistette, suonò ancora ed ancora.
Fa che sia in casa.
Non poteva restare a congelarsi lì, o i Marsh avrebbero trovato un pupazzo di neve sull'uscio al loro ritorno. Perché stava facendo così freddo se non era neanche ottobre? 
Avevano addirittura avuto una nevicata la seconda settimana di settembre, talmente consistente che la neve si stava ancora sciogliendo. Altro che surriscaldamento globale. Capiva che South Park era in mezzo alle montagne, ma sembrava esagerato.
All'ennesimo suono del campanello la porta si aprì. Stan apparve infastidito e sfatto, coi capelli fuori posto, una felpa nera smessa addosso e solo i boxer. Forse stava dormendo, o forse era solo ubriaco.
<< Craig? >> chiese, stupito << Che ci fai qui? >>
<< Secondo te? >> 
Stan restò ad osservarlo, anche lui non doveva avere un bell'aspetto.
<< Mi fai entrare? >> chiese.
Stan sembrò considerare la cosa, poi aprì di più la porta per permettere all'altro di infilarvisi.
<< Dovevamo vederci? >> domandò, chiudendosi la porta alle spalle. 
Sembrava mortificato, come se pensasse di esserselo dimenticato, infatti iniziò a controllare il cellulare, come per cercare qualsiasi evidenza di una loro chiacchierata che poteva essere stata ottenebrata da una delle sue ripetute sbronze.
<< No >> confessò Craig << Volevo vederti >>
Stan parve colpito.
<< Uhm. Ok? Andiamo di sopra? >>
Craig annuì, poi salirono le scale in un silenzio strano. Quando entrarono nella camera, si rese conto che Stan non stava dormendo, ma stava volutamente ignorando il campanello, perché aveva la playstation accesa.
<< Scusa il disordine >> disse.
Solo che quello non era disordine, erano macerie. C'erano chissà quante buste di snack abbandonate a terra, e Stan cercò di infilare sotto al letto col piede una bottiglia di birra il cui fondo spuntava dall'orlo del copriletto. Lì sotto doveva esserci un cimitero di vetro.
Stan si sedette sul materasso, e fece cenno a Craig di fare lo stesso.
<< Scusami un attimo >> chiese  << Dovevo vedermi con Kenny, lascia che lo avvisi >>
Craig aspettò che Stan telefonasse all'amico.
<< Kenny? Volevo dirti che non posso venire... lo so, ma possiamo farlo domani... sì, Shelly mi ha incastrato... ok, sì, è una palla, lo so che Shelly è in biblioteca... no è che sto da schifo, ho bevuto... dai, Kenny, proprio tu! ... lo so... davvero, non preoccuparti... no, non c'è bisogno che vieni, ho solo voglia di dormire... sì, certo... >> ruotò gli occhi << Ti ho mai dato buca prima? .... intendo prima di oggi!... sì, ci sarò domani, te lo giuro... ciao amico >> staccò e restò a guardare il cellulare, poi guardò Craig intensamente.
<< Sto dando buca ad uno dei miei migliori amici, per te, lo sai? >> gli occhi di Stan erano così eloquenti, e la sua voce così setosa.
Non lo dire. Perché gli stava dicendo questo? Perché continuava a dirgli cose che lo facevano cedere? Ti odio, Stan. Tu continui a girare in tondo, mentre Tweek mi ha baciato, oggi. Ma tu continui a dirmi queste cose, ed io come posso lasciar perdere?
<< Mi voglio far perdonare per l'ultima volta >> spiegò.
Craig non volle sentire altro. Si allungò verso il ragazzo a fianco a lui e lo baciò, piano, cercandovi un'appartenenza che dolorosamente non c'era. 
Stan gli rispose, e fu una danza lenta, un moto consolatorio, fino a quando non si trascinarono a sdraiarsi sul letto, l'uno a fianco all'altro.


Cosa aveva fatto?!
Era uscito fuori di senno? Perché, perché aveva baciato Craig? 
Si rinchiuse finalmente nella sua stanza. I suoi lo avevano trattenuto al negozio, quando tutto ciò che voleva Tweek era chiudersi in casa a piangere. Si lasciò scivolare lungo la porta e si prese la testa fra le mani.
Doveva considerare le cose razionalmente. Era quello che diceva sempre il suo analista, no? 
'Se qualcosa ti mette sotto pressione, falla il prima possibile così da farla passare in fretta' gli diceva invece suo padre, l'uomo dalle soluzioni spicciole. E Tweek aveva imparato a fare tutto così, di fretta. La maggior parte delle volte rovinava le cose, e questa non era stata diversa.
Era colpa sua! Sì, era colpa di suo padre, se aveva imparato a superare le cose in quel modo.
Aveva baciato Craig perché la paura di farlo lo faceva essere ansioso, e quindi aveva pensato bene di sbarazzarsi dell'ansia accelerando il processo. Ben fatto, Tweek.
Si sentiva il petto pesante.
<< Oh, Dio! E adesso che cosa faccio?! >> si tirò delle ciocche di capelli.
Craig se ne era andato! Senza dire niente! L'aveva semplicemente ignorato. Lo sapeva! Lo odiava! Non l'avrebbe più guardato in faccia. Adesso avrebbe dovuto nascondersi da lui fino alla fine dei tempi!
Gli sarebbe andata bene qualsiasi reazione: uno spintone, un insulto, persino uno schiaffo, o un'espressione schifata, e invece tutto ciò che aveva ricevuto erano stati quegli occhi sgranati per l'orrore e quel maledetto suono delle sue scarpe, che continuava ad ormeggiargli in testa.
Non ne combinava una giusta. Stava ancora cercando di cancellare il passato, e invece ciò che lo aspettava era un'altra bufera.
Non voleva tornare a scuola. Tutto ciò che gli serviva era una scusa per stare lontano dalla scuola e da Craig. 
Cercò di inspirare ed espirare profondamente, quando si rese conto che il respiro gli stava diventando corto e il cuore gli martellava in petto. 
Si alzò per aprire il cassetto della scrivania. Il flacone dei suoi tranquillanti rotolò sul legno chiaro dell'interno del cassetto. Lo prese il mano e lo aprì per osservare le pillole dentro. Perché diavolo non le stava prendendo? Sapeva che non gli avrebbero fatto nessun effetto, adesso, perché ci volevano delle settimane prima che funzionassero. Ed ecco perché non le prendeva mai. Ecco perché il suo rapporto con l'aloperidolo era pessimo. 
E se ne avesse ingerito una manciata? Magari sarebbe andato in ospedale e avrebbe saltato la scuola? E se poi fosse morto?! Non ci voleva neanche pensare!
Scosse la testa. Era l'idea più stupida che potesse venirgli. 
<< Inutili! >> le insultò, poi richiuse tutto nel cassetto con uno spintone. 
Doveva calmarsi. Doveva solo calmarsi. 
E non andare a scuola il giorno dopo. Ecco.
Poi ci avrebbe pensato.


Tweek è una fucina di soluzioni stupide! Comunque lo so, mi sto sbizzarrendo a pubblicare ultimamente, ma questo era un capitolo piccolino e solo e quindi ho voluto accompagnarlo con l'altro, soprattutto per come vi aveva lasciato l'ultimo, non ce la faccio proprio ad essere cattiva!   c:
Spero che gli vogliate bene lo stesso, anche se piccolo e sgraziato. <3

 

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Capitolo 13
*** 23:43 ***


13. 23:43


<< Lo schizzato non è venuto neanche oggi? >> chiese Clyde con non-chalance quando, entrando in classe, Craig trovò il posto del biondo vuoto.
<< Più spazio per me >> commentò solo, e si andò a sedere al suo posto, mentre il senso di colpa iniziava a farsi largo in lui.
Tweek non era andato neanche il giorno prima. Lo stava chiaramente evitando, e Craig non sapeva se la cosa lo tranquillizzasse o lo agitasse. Insomma, neanche lui moriva dalla voglia di trovarsi faccia a faccia con l'altro, ma non era un buon motivo per saltare la scuola.
Si ritrovò a pensare alla serata di sabato, a quando lo aveva riaccompagnato, e al tempo che avevano passato in caffetteria, al modo in cui si era sentito. Per la prima volta senza difese. O meglio, senza nessuna necessità di averle. Non era ancora riuscito a spiegarsi perché Tweek gli ispirasse fiducia, perché lo facesse sorridere e scherzare e rilassare come mai nessuno. Forse era per il suo essere remissivo, faceva scattare qualcosa in lui che lo portava a volerlo difendere invece che ferire. A volersi aprire invece che chiudere. A volersi far conoscere, come se così facendo potesse rassicurare l'altro.
Era per questo che non sapeva come prendere la storia del bacio.
Non gli era dispiaciuto, e forse avrebbe risposto, se solo nella sua mente un interruttore fosse scattato. Invece non l'aveva fatto, non si era mosso, perché Stan lo teneva metaforicamente premuto dall'altro lato.
Non era giusto. Non era giusto che Stan incatenasse le sue emozioni, anche se non voleva farci niente; non era giusto che Craig si precludesse le cose per colpa sua. Se ne rendeva conto: volontariamente o meno, Stan lo possedeva.
Stan c'era prima di Tweek, e ci era voluto del tempo, perché Craig si avvicinasse a lui, del tempo in cui aveva coltivato e demolito sentimenti, ora avvalorandoli ed ora negandoli,  e in cui aveva faticosamente realizzato che da Stan fosse attratto. Quell'attrazione poi si era plasmata in qualcosa di più già dai loro primi incontri, e Craig non era pronto a demolire tutto daccapo, legato alla futile speranza che Stan riuscisse a contraccambiarlo. Una speranza che forse avrebbe fatto meglio a lasciare andare, lo sapeva.
Il suo flusso di pensieri fu interrotto dall'ingresso dell'insegnante, la signorina Choksondik, una donna di mezza età col petto cascante e gli occhi strabici, la quale, senza neanche salutare la classe, iniziò pian piano a cancellare alla lavagna.
Tweek entrò poco dopo, lo sguardo basso e sfuggente per il nervosismo, attirando su di sé l'attenzione di tutti.
Craig lo guardò camminare fino al loro banco, togliersi la cartella e sedersi affianco a lui con l'illusione che nessuno lo vedesse.
La Choksondik si era fermata e si era voltata verso di lui, appoggiando i palmi sulla cattedra.
<< Ebbene? >> chiese. 
<< Gah! Mi- mi scusi, scusi per il ritardo >> farfugliò Tweek, al che l'insegnante gli rivolse uno sguardo di commiserazione, poi tornò alla lavagna.
Tweek si sforzava di non guardare verso di lui. Era quasi comica la cosa, perché guardava in modo fisso l'insegnante, senza neanche battere le palpebre. E tremava.
Craig avrebbe voluto allungare di nuovo la mano e fermarlo, ma non era il caso. Avrebbe voluto chiarire tutto, ma non sapeva neanche cosa dovesse dirgli. Non sapeva neanche perché volesse farlo. Era una cosa del tutto nuova per lui, sentire il bisogno di giustificarsi, così come lo era la paura di aver ferito qualcuno. Sentiva come se tra di loro si stesse instaurando un legame, qualcosa che non poteva spiegare, un po' come se nella classe lui fosse l'unico a vedere Tweek e Tweek fosse l'unico a vedere lui.
Forse un po' si era aspettato che diventassero amici, e invece adesso quella cosa gli stava scivolando dalle mani, perché non aveva forma, non aveva nome.
Avevano iniziato a leggere un libro, e Tweek aveva gli occhi puntati sulle pagine, per seguire la lettura; solo che le sue iridi non si muovevano su ogni parola, semplicemente scattavano da un lato all'altro, come se pensasse ad altro.
Craig se ne accorse perché neanche lui stava seguendo, impegnato com'era a guardare l'altro di sottecchi. Lo stava studiando; stava studiando il ragazzo che l'aveva baciato. E per 'studiare' intendeva che lo stava scannerizzando con gli occhi dell'interesse per vedere se fosse carino o meno. Insomma, era carino, lo sapeva, ma non si era mai preso la briga di osservarlo bene, di capire se potesse piacergli oppure no.
Non si sorprese di realizzare che la parte che più gli piaceva di lui erano i suoi occhi, nonostante l'attenta ispezione. Avevano un bel colore. 
Tutto di lui aveva un bel colore, a dire il vero, persino la sua pelle pesca, e il contrasto che faceva con le lentiggini scure. 
Sì, Tweek poteva essere anche uno spostato, ma di sicuro era un bel ragazzo, e a differenza sua, cercava anche di vestirsi bene, anche se finiva per abbottonarsi sempre tutto nel modo sbagliato. Ma ad essere davvero degno di nota era che tutte queste contraddizioni lo rendevano adorabile. E Craig aveva un debole, per le cose adorabili, anche se nessuno l'avrebbe mai detto.
<< Ho corretto le vostre relazioni >> disse all'improvviso la Choksondik << Avete fatto un ottimo lavoro, in particolare Cartman e Kenny, non me lo sarei aspettata, ma la digressione su tutto lo scenario socio-economico della città a partire dall'intervista di una famiglia in difficoltà è efficiente >>
Cartman ridacchiò << Eh eh! Te l'avevo detto che la povertà ripaga! >> disse a Kenny.
Il ragazzo gli lanciò un'occhiata omicida.
<< Dato che hanno dato tutte così buoni risultati, ho deciso di continuare ad approfondire l'aspetto giornalistico. Voglio che per venerdì mi portiate l'intervista registrata come se la steste facendo dal vivo. Sarà divertente >>
Tweek ebbe uno spasmo, chiuse gli occhi e iniziò una cantilena silenziosa con le labbra come se stesse pregando.
Quando suonò l'ora, Craig si voltò verso di lui.
<< Vieni oggi da me? >>
<< GAH! Cosa?! >> gli chiese scandalizzato Tweek, guardandolo per la prima volta in tutta la mattinata.
<< Per registrare. Vieni da me o vengo da te? Non possiamo farlo a scuola. Ho una videocamera >> 
Tweek lo guardò con gli occhi sgranati per alcuni secondi, forse cercando di ricordare come azionare la lingua.
<< Ah! O-oggi non posso >> disse, poi si affrettò di aggiungere, come se potesse essere frainteso: << Domani? >>
Le sue guance erano rosse all'inverosimile.
Craig annuì.
E quella fu la prima e l'ultima conversazione che ebbero quel giorno. 


<< Ho baciato Heidi >> gli confessò Kyle, un sorriso sulle labbra e gli occhi concentrati sulla palla con il numero sei in mezzo al tavolo da biliardo.
Era il suo turno di tirare, e lui e Stan stavano perdendo contro Cartman e Kenny.
Il grassone si era distratto un attimo per parlare con Token, e Kyle ne aveva approfittato per sussurrargli la novità.
Anche Kenny dovette aver capito, perché anche lui guardò Kyle con interesse.
<< Amico, era ora! Sono felice per te, quindi adesso uscite insieme o... ? >> chiese Stan.
Kyle era fortunato su tutto rispetto al resto di loro, ma in amore aveva sempre avuto una sfiga nera. Ad esempio con Rebecca, che a un certo punto era impazzita e si era fatta tutta la scuola; oppure con Nichole, prima di Heidi, che Cartman aveva dissuaso dal mettersi con lui dicendole che Kyle fosse gay e che fosse il suo ragazzo, solo perché convinto che essendo afroamericana, lei dovesse stare con Token, afroamericano anche lui -cosa che poi era successa.
Kyle non aveva apprezzato per nulla, e ciò aveva rafforzato la sua convinzione che Cartman fosse un razzista pezzo di merda.
<< Le ho chiesto di uscire questo sabato. Voglio procedere con calma >>
Stan e Kenny si lanciarono un'occhiata divertita, entrambi appoggiati alle loro mazze, come a prendersi gioco dell'indole da nerd vergine di Kyle.
Poi Kyle effettuò il tiro, che andò ovviamente male.
<< Arrr! Dovresti pensare meno alla fica e più al gioco! >> si lamentò Stan.
<< Oh, ma guarda un po'! L'ebreo ha sbagliato di nuovo. Suppongo tocchi a me? >> chiese Cartman, di buon umore, ritornando a prestare loro la sua attenzione.
<< Taci, culone >> lo rimbrottò offeso Kyle.
Fu in quel momento che Stan li vide. Gregory e Wendy avevano fatto il loro ingresso da Skeeter.
<< Cazzo! È Wendy. Che cavolo ci fa qui? >> chiese, nervoso << Quando mai è venuta al club? Non le è mai piaciuto! >>
<< Perché tu non l'hai mai invitata >> gli fece notare Kyle.
Maledetto grillo parlante.
<< Perché avrei dovuto invitarla? Ci sono solo ragazzi! >> si difese, lo sguardo fisso sulla coppia che si faceva strada verso il bancone.
<< Questo è sessista >> aggiunse l'altro.
<< Tocca a te >> lo chiamò Cartman, gongolando per aver imbucato il sei e il sette.
Stan cercò l'otto con lo sguardo e poi si posizionò per il tiro, ma dovette porsi all'altro lato del tavolo e ciò non gli permetteva di continuare a guardare i due. Così tentò un colpo giusto per accontentarli, poi ritornò a guardare verso il bancone.
<< Stan! Chi è che pensa alla fica, adesso? >> gridò Kyle, piccato.
<< Dico davvero, non le è mai piaciuto! È venuta solo per darmi fastidio! >>
Cartman ruotò gli occhi << Ci risiamo! Mr. IlMondoRuotaAttornoAMe è tornato! A nessuno frega un cazzo di quella puttana e dei tuoi problemi di autostima, Stan! >>
<< Pensavo che mister IlMondoRuotaAttornoAMe fossi tu >> osservò Kenny, mentre si preparava per il suo tiro.
<< Sarà anche vero, ma almeno io non mi piango addosso >> affermò Cartman, e Kenny non poté fare altro che scrollare le spalle e assentire, poi imbucò l'otto.
<< Yahoo! >>
Stan riposò la mazza sul tavolo << Ok, basta, mi sono scocciato. Tanto hanno già vinto >>
<< Ma se imbuchiamo tutte le altre possiamo vincere! >> obiettò Kyle.
<< Ma se fino ad ora non abbiamo fatto un punto! >> si innervosì.
<< Su, Stan, che ne dici di riprovarci? Io e Token contro te e Kenny? >> chiese Clyde, infilandosi tra di loro, con un sorriso sornione.
<< Vuoi la rivincita perché avete perso a Cattura Bandiera? >> lo provocò Kenny.
<< Solo perché Craig ha deciso di farsi una fumatina invece di giocare! >> ribatté stizzito Clyde.
<< Ah, ah! Che testa di cazzo >> commentò Cartman.
Stan non stava seguendo la conversazione. I suoi occhi erano puntati sui lunghi e lisci capelli neri di Wendy. Si era truccata, ed era bellissima. Si era truccata per uscire con Gregory, e adesso chiacchierava animatamente con lui come se non ci fosse nient'altro, come se Stan non fosse lì a rodersi l'anima per lei. Poteva immaginare la sua voce acuta e supponente come se la sentisse davvero. Avrebbe pagato solo per essere un ragazzo qualunque, uno che avrebbe potuto avvicinarla con qualche scusa simpatica, e non il suo ex, nonostante lui neanche fosse il tipo da approcci diretti.
Perché poi doveva venire a rovinargli quell'unico giorno in cui usciva con i suoi amici? Era sicuro che l'avesse fatto apposta, per vendicarsi. La conosceva abbastanza da poterlo pensare.
<< Stan? >>
La voce di Clyde lo riportò fra loro << Hmm? Ah, no, giocate voi. Non mi va >> rifiutò, così Kyle prese il suo posto.
D'un tratto Gregory si allontanò per andare verso i bagni, e Stan iniziò a camminare senza neanche chiedersi cosa stesse facendo. Si sistemò i capelli che gli sfuggivano dal cappello, come se così potesse migliorare la sua immagine nonostante il berretto infantile.
Quando si sedette sullo sgabello affianco a Wendy, ricevette uno sguardo allarmato. Non riuscì a non registrare l'abbigliamento di lei. Minigonna viola e calze coprenti gialle. Oh, Dio. Questo rendeva il non saltarle addosso molto, molto difficile.
<< Non fare quella faccia. Cos'è? Sei diventata troppo nobile perché io possa parlarti? >>
Wendy ruotò gli occhi, e si appoggiò al bancone sorreggendosi la testa su un pugno.
<< Cosa vuoi? >> chiese.
<< Perché sei venuta qui? Per rovinarmi il mercoledì? >>
<< Cosa? Stai scherzando, vero? >> domandò innervosita.
<< No! Non sei mai venuta qui prima, e adesso sei qui. Perché? >>
<< Perché il mio nuovo fidanzato preferisce venirci con me invece che con i suoi amici? >>
Fidanzato. Faceva male.
<< Neanche ti piace questo posto! >>
<< Chi te l'ha detto?! >>
<< Hai sempre fatto storie quando venivo qui >>
<< Perché ti ubriacavi, Stan, bevevi da far schifo! Ed eri sempre irreperibile >> sospirò << Stiamo seriamente di nuovo affrontando questa conversazione? >>
<< Puoi per favore farmi uno squillo quando vieni qui? O se non a me, a Kyle! Così io non mi presento! >> si alzò stizzito.
<< Sei infantile! Non te lo sei comprato, questo posto! >>
<< Di nuovo? Ma non impari mai la lezione? >> chiese Gregory, evidentemente di ritorno, troneggiando su Stan con la sua altezza non appena il ragazzo saltò giù dal suo posto.
Stan non indietreggiò, anzi, si avvicinò al petto dell'altro come a sfidarlo a mettere in atto la minaccia.
Poi un rumore fortissimo distolse l'attenzione di tutti. Un ragazzo era atterrato su uno dei tavoli da biliardo ed era rotolato via. 
Era Craig, che stava provando a rialzarsi dal pavimento. Dei ragazzi enormi marciarono verso di lui.
<< Fottetevi >> li invitò Craig, riuscendo a sollevarsi solo per metà, con il tono più monocromatico che possedesse, con tanto di dito medio. 
I ragazzi si avventarono su di lui. Erano quelli di North Park, che ci facevano lì a South Park? 
Stan vide Cristophe accorrere subito, e sollevare uno di loro di peso. Subito dopo arrivarono Clyde e Token.
<< Cazzo >> sussurrò, spinse via Gregory e andò a tirare fuori Craig dai casini, giusto in tempo per beccarsi un pugno al suo posto. 
Poi si aggiunsero Kenny, Kyle, Kevin ed altri. Il locale trasformato in un campo di battaglia. 
Skeeter urlava loro di uscire fuori, molti abbandonarono il locale. 
Il momento più memorabile fu quando Stan riuscì ad avere un assaggio della cattiveria di Craig, che spezzò una mazza dietro le gambe di un ragazzo, che non riuscì più ad alzarsi.
<< Via! Via! >> urlò Clyde, quando le sirene della polizia iniziarono a sentirsi da lontano.
<< Skeeter >> Stan approcciò il padrone del locale << Non abbiamo iniziato noi. Pensaci. I nostri padri sono i tuoi migliori clienti. Non dire niente! >> 
Skeeter sospirò << Quel cazzo di Tucker! Tale padre, tale figlio! >>
Kyle venne a trascinarlo via << Andiamo, Stan! >>
<< Ti ripagheremo! >> riprovò ancora.
Poi si ritrovò a correre dietro a tutti gli altri, tra i vicoli. Si fermarono solo quando oltrepassarono il parco e si trovarono vicino alla vecchia ferrovia, praticamente fuori casa di Kenny, al limitare del paese.
Si erano divisi, e Stan pensò solo che doveva un pugno a Craig. O forse no, perché l'aveva salvato dal picchiare Gregory.

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Capitolo 14
*** 23:44 ***


Questo capitolo è il mio regalo di Natale anticipato, per voi. Mi piacerebbe davvero davvero sapere cosa ne pensate. 


14. 23:44


Si toccò il mento. Un po' gli doleva, e aveva dovuto inventarsi una palla per i suoi, sperando che la polizia non venisse a cercarlo smontandogliela. 
Anche se era più probabile che lo facesse Skeeter, quel pomeriggio. Sicuramente ne avrebbe dette quattro a suo padre. Sperava solo che non lo mettessero in punizione.
Kyle era terrorizzato, dalla cosa, il doppio delle altre volte, perché avrebbe voluto dire non solo sorbirsi l'ira di sua madre ma anche dare forfait all'appuntamento tanto atteso con Heidi.
In più, se aveva pensato di non restituire il pugno a Craig, si era un po' ricreduto quando, quella mattina, sotto insistenza di Clyde, il ragazzo aveva rivelato che la lite era nata semplicemente perché aveva ritenuto opportuno mandare affanculo i suoi interlocutori dopo aver negato loro una sigaretta che gli era stata richiesta. 
Era inevitabile che Craig avesse una fama da piantagrane, dopotutto.
<< Ehi, Stan >>
La voce lo sorprese. Si bloccò sui suoi passi mentre si dirigeva in mensa. Si voltò stupito.
<< Cosa c'è? >> chiese.
Wendy si riavviò i capelli dietro a un orecchio. Aveva lo sguardo basso e le labbra strette in una linea sottile.
<< Stai bene? >> gli chiese la ragazza.
Stan la osservò in silenzio.
<< Sì? >> rispose, indeciso.
<< Vorrei parlarti >> provò ancora Wendy, alzando finalmente gli occhi violetti in quelli di lui.
<< Lo stai facendo >> le fece notare.
<< Vuoi venire? >> domandò, con il tono autoritario che gli riservava sempre quando stavano insieme, indicando l'aula di musica, che doveva essere vuota.
Stan annuì, non aveva neanche la forza di ribellarsi. Così la seguì nell'aula. 
Wendy chiuse la porta, e Stan si voltò verso di lei.
La ragazza prese un lungo sospiro, poi iniziò a misurare a passi l'aula, fino a porsi davanti al leggìo del maestro, dove si voltò a fronteggiarlo.
<< Sono preoccupata, Stan. Penso che... che tu non stia prendendo troppo bene l'intera faccenda >>
Stan abbassò la testa e si strinse il naso fra le dita << Aaaarr! Ci risiamo. Perché non stiamo insieme se devo continuare a sorbirmi le tue lagne? >>
<< Ehi! Ti faccio il culo a strisce! >> lo minacciò.
Stan rialzò lo sguardo su di lei, un sorriso divertito gli nacque dietro la mano ancora sollevata.
Anche Wendy ne soffocò uno, poteva vederlo dai suoi occhi.
Solitamente, Wendy era violenta con i ragazzi, ma con lui non lo era mai stata; con lui cercava di tirare fuori il suo lato femminile, anche se di tanto in tanto il maschiaccio che era in lei usciva fuori lo stesso.
Si fece seria.
<< Dico davvero, Stan, non mi piace, vederti così. Non capisco perché continui ad ostinarti. Ci conosciamo da dieci anni, e io ti voglio tanto, tantissimo bene, ma ci abbiamo provato così tante volte, e non ha funzionato. Perché devi continuare a fissarti su una cosa che ci ha fatto stare male entrambi? Perché non vai avanti? >> 
<< Cosa te ne frega? >> sputò indignato, facendo un passo avanti verso di lei. Wendy arretrò d'istinto << Cos'è? Improvvisamente ti importa di me, eh? Sei solo un'ipocrita, Wendy. Non te ne frega niente di me, dato che mi hai piantato in asso! Non te ne frega un cazzo di come mi sento o di cosa ho bisogno, ti importa solo di te stessa e che io non ti stia tra i piedi! >>
<< Non è così! >> gli urlò, sull'orlo delle lacrime << Non pensare che per me sia facile! Qual è il tuo problema? Stiamo insieme da quando eravamo bambini, a questo punto dovresti considerarmi una sorella! >>
Stan non poteva credere alle proprie orecchie << Tu mi consideri un fratello, Wendy? >> si fece più vicino a lei, che provò ad arretrare, ma si fermò quando il pesante leggìo minacciò di cadere.
Gli occhi di lei erano lucidi, e lo guardavano come ad implorarlo di non metterla in quella posizione difficile. 
Ma Stan la ignorò, e le si avvicinò, tanto che se avesse abbassato la testa i loro nasi si sarebbero sfiorati.
<< Rispondimi: io sono un fratello per te, Wendy? >>
<< Stan... >> supplicò.
<< Rispondi >>
Wendy abbassò la testa << ...sì >> strinse gli occhi, e una lacrima le percorse una guancia.
Stan si allontanò da lei, il dolore negli occhi.
<< Se è così >> iniziò con voce tremante << Sono il peggior fratello del mondo, perché io ti amo, Wendy >>
Wendy strinse ancora di più gli occhi, provando a trattenere quelle lacrime che la tradivano.
<< Ti amo e non ho intenzione di smettere, fattelo andare bene >>
Si diresse verso l'uscita, arrabbiato e ferito, più che mai. Aprì la porta per scappare da lì, ma prima di uscire doveva dirle ciò che pensava.
<< E poi sei una pessima bugiarda >>


Respira, respira, respira. Era ciò che stava tentando di fare da quando aveva lasciato il Tweek Bros., ma adesso che si trovava davanti casa di Craig stava respirando troppo velocemente. No, non respirare! Cioè! Respira piano! Calmati, Tweek.
La porta di casa si aprì a tradimento, e Tweek gelò sul posto, il cuore che gli martellava in petto.
Una ragazzetta alta quanto lui e magra, coi capelli rossi legati in due codini, lo osservava con sguardo stoico.
<< Tu chi sei? >> gli chiese << Perché sei fuori la porta senza bussare? Sei un guardone? Devo appendere un cartello "no guardoni" fuori la porta? >> 
Il suo tono era sarcastico e piatto, come quello di Craig.
Tweek non fece in tempo a raccogliere le idee che la ragazza aggiunse << Perché ne abbiamo già messo uno sulla finestra al piano superiore >> e indicò il soffitto con un dito << C'è scritto 'no droni' >>
<< GAH! Io non- non sono un guardone. Sto... sto cercando Craig >>
<< Oh. >> restò ad osservarlo a lungo << Per cosa? >>
Tweek la guardò perplesso. Cos'era? Un interrogatorio?
<< Una ricerca scolastica >> rispose paziente, sperando che questo nutrisse la sua curiosità.
<< Chi diamine è, Tricia? >> sentì la voce di Craig in cima alle scale che portavano al piano di sopra. Le case di South Park avevano tutte la stessa planimetria, con le scale subito alla destra della porta d'ingresso.
La ragazza si voltò leggermente verso le scale << Biondo, con una faccia carina. Me lo presenti? >>
Tweek vide la figura di Craig comparire man mano che scendeva i gradini. Si fermò a metà della rampa e restò ad osservarlo, il fedele chullo blu sempre presente. Tweek sentì tutte le sue interiora liquefarsi.
<< Ehi, Tweek >> lo salutò.
<< Uhm, ciao, Craig >>
<< Lascialo entrare, Tricia >> ordinò perentorio alla sorella.
La ragazza si fece di lato, ma rivolse il dito medio al fratello. Craig ricambiò il gesto, ed entrambi rimasero in quella posizione, guardandosi in cagnesco, fino a quando Tweek, timidamente, non riuscì a farsi strada fino a dov'era Craig.
A quel punto, Craig rinunciò alla sfida e gli fece strada fino alla sua camera.
La camera di Craig era ordinatissima, al contrario della sua, persino i poster e gli oggetti sugli scaffali erano disposti con criterio, e molti di essi erano legati a Star Wars o comunque al tema spaziale. Un finto casco da astronauta era disposto in un angolo, e un modellino del Millennium Falcon pendeva dal soffitto.
Una telecamera abbastanza professionale era già stata disposta su un treppiede. 
<< Possiamo metterci qui >> gli disse, indicando il pavimento di fronte alla telecamera.
<< A terra?! >> e se qualcosa fosse strisciato da sotto il letto e l'avesse afferrato?
Craig scrollò le spalle << ...o, possiamo metterci sul letto >> il sorriso malizioso che gli si allargò in viso non era preventivato << a te la scelta >>
<< Ngh! No! Va benissimo a terra! >> così dicendo, Tweek si lasciò cadere sul pavimento, liberandosi della cartella e iniziando a tirare fuori i fogli << Sbrighiamoci, non ho molto tempo >>
Era tutto calcolato; avrebbe fatto questa cosa il prima possibile e poi sarebbe sgattaiolato via, perché non aveva intenzione di restare con Craig più del necessario, o sarebbe morto di ansia. Il giorno prima la seduta dal suo terapista lo aveva salvato, ma adesso questa cosa andava fatta e terminata.
Craig si lasciò cadere a fianco a lui, incrociando le gambe.
Tweek gli porse dei fogli, e in quel momento i loro sguardi si incrociarono. Ci mise tutto se stesso per sembrare sicuro di sé, e ne approfittò per guardare da vicino gli occhi profondi e blu dell'altro, che guardarono nei suoi con altrettanta intensità.
Inghiottì a vuoto.
<< Ho... ho scritto due fogli diversi >> tornò a guardare l'intervista che aveva in mano << Uno con la mia parte ed un'altra con la tua. Ti do un momento, se vuoi rileggerla >>
Craig annuì, e i suoi occhi presero a scorrere lungo le righe. Dopo un po' si fermò, e rivolse uno sguardo alla sua felpa blu.
<< Mica dobbiamo anche vestirci? >>
Tweek guardò la sua camicia, e anche Craig, che realizzò: << Ok, forse io dovrei mettermi qualche altra cosa. Aspetta >>
Si alzò, e si diresse verso l'armadio.
Respira. Respira. Respirarespirarespirarespira.
Ritornò indietro con un maglione nero, che lanciò sul letto.
<< Non ho camicie >> si giustificò, poi, con tutta la calma e la naturalezza del mondo, tirò giù la zip della felpa e se la tolse.
Tweek notò dei lividi giallognoli sul suo fianco, ma non osò chiedergli come se li fosse fatti; anzi, tentò di distogliere lo sguardo in preda all'imbarazzo.
Craig tornò vicino a lui in un nanosecondo, con il maglione finalmente indosso.
<< Sono pronto >>
<< Ok >> 
Tweek invece non era pronto, si sentiva teso, era diventato un nido di ormoni impazziti, solo guardando le spalle nude di Craig. Cosa gli stava succedendo?
Non ebbe il tempo di cercare di ricomporsi, che Craig si alzò per accendere il tasto REC sulla videocamera.
Tweek non avrebbe scommesso un dollaro sulle sue capacità di attore, ma Craig era molto peggio di lui, la sua voce era meccanica e monotona, non che si stesse impegnando, comunque.
Ad un tratto, Craig si fermò, rigirandosi il foglio fra le mani.
<< Cosa c'è?! >> chiese Tweek, allarmato.
<< Finisce qui >>
<< No! >> scattò su in piedi << Non è possibile! >> si mise a cercare forsennatamente nella borsa << C'era un altro foglio! No! No! No! >> ripeteva come un folle, letteralmente scavalcando Craig e passando in rassegna il letto.
<< L'avrai dimenticato >> 
Tweek era sull'orlo di una crisi di nervi. Non poteva averlo dimenticato, avrebbe voluto dire tornare indietro a prenderlo o rimandare il progetto, e ciò significava che dovesse di nuovo rivedere Craig. Craig, lo stesso ragazzo che adesso se ne stava lì stoicamente, e che stoicamente lo aveva evitato per tutti e due i giorni scolastici precedenti, ignorando di proposito i suoi sentimenti. Cazzo. 
Si abbassò sotto il letto, e alzò il copriletto per guardarvi sotto. 
<< Tweek... >>
Due occhi a spillo demoniaci lo fissarono di rimando.
Urlò, e si tirò su di scatto, indietro, ignorando il fatto che Craig si fosse alzato, allertato.
<< Che cazzo è quello? >> urlò, proprio mentre le sue spalle urtavano contro il petto di Craig, cosa che lo spaventò ancora di più a morte, e che lo fece letteralmente sobbalzare.
Craig scattò per tenerlo fermo, circondandogli la vita con un braccio, l'altra mano premuta sulla sua testa, forse per evitare che gli desse una testata.
Tweek tentò di sottrarsi alla sua mano, ma Craig era deciso a riuscire nel suo intento di rassicurarlo.
<< Calmati, Tweek, è solo Striscia >> 
Striscia. Tweek si decise a guardare verso la bestia demoniaca dagli occhi satanici che altro non era che un porcellino d'India, che adesso era scappato anche lui, spaventato, verso il fondo della stanza.
Ricominciò ad agitarsi. Voleva che Craig lo lasciasse, bestia demoniaca o meno.
<< Guardalo, ha più paura di te! >>
Non hai capito. Lasciami!
<< Tweek! >> 
Il suo richiamo ebbe il potere di farlo voltare verso di lui; rimase completamente immobile, basito, quando si ritrovò il suo volto a poca distanza. 
La mano di Craig aveva trovato una stretta migliore sulla sua testa, una stretta che lo intrappolava contro il suo petto, sul morbido tessuto del maglione, e non gli permetteva di voltarsi, anche perché gli occhi di Craig lo stavano scrutando in viso, come se volesse accertarsi che fosse tutto a posto. 
Tweek si sentì inerme, impotente, sotto il suo sguardo. Cercò di sistemarsi, per quel che poté, meglio contro di lui, quindi si ritrovò con il naso puntato in alto. 
Fu in quel momento che vide un guizzo, negli occhi blu di Craig, l'ombra di una realizzazione, e, volendolo o meno, il naso dell'altro si avvicinò al suo. 
Sentiva il cuore talmente impazzito che si meravigliò del fatto che non gli uscisse dalla schiena e aprisse un buco nel costato di Craig. 
Restarono a contemplarsi; le labbra di Craig erano dischiuse, le sue iridi lo lambivano dalle guance alle labbra, su e giù, la sua presa che si era fatta più forte, come per paura che si sottraesse.
Ma Tweek non voleva sottrarsi; mosse gli occhi verso le labbra dell'altro, attirando la sua attenzione, e quando li rialzò i suoi occhi si allacciarono con quelli di Craig, contornati da bellissime ciglia nere. 
Craig si fece più vicino, e contemporaneamente usò due dita  della mano che gli teneva la testa per alzargli ulteriormente il viso, premendogli delicatamente da sotto la mascella.
Tweek dischiuse le labbra, un invito fin troppo allettante, e immediatamente Craig si ritrovò a chiudere gli occhi e a far aderire le labbra alle sue. 
Tutte le sinapsi del cervello di Tweek smisero di lavorare. 
Craig prese a saggiargli le labbra, premendole e tirandole tra le sue, sfregandole, inumidendogliele, e lui fece altrettanto con lui, in un ritmo perfetto, come se si fossero sintonizzati.
Sentì Craig mollargli la presa sullo stomaco, poi lo lasciò anche la mano sulla testa, e senza neanche allontanarsi dalle sue labbra riuscì a porsi dinanzi a lui e a far scivolare entrambe le mani ai lati delle sue guance. 
Tweek si staccò da lui come se si fosse risvegliato da uno stato di trance.
Craig era ancora chinato verso di lui, il suo viso fra le mani, gli occhi puntati sulle sue labbra arrossate e un sorrisetto sornione sulle proprie.
Non capì se fu lui a cominciare ad arretrare o l'altro a iniziare a spingerlo, fatto sta che si ritrovò spalle al muro, al lato della testiera del letto.
Si sentiva un po' intimorito dallo sguardo di Craig, ma perfettamente sicuro di sé. 
Craig si chinò di nuovo a baciarlo, e questa volta Tweek annullò la sua parte razionale e lasciò che il suo corpo rispondesse da sé, ripagando ogni bacio indietro ed ogni morsetto con un altro. Teneva gli occhi ben stretti, e quando la lingua di Craig gli accarezzò sicura entrambe le labbra tremò di eccitazione. Le fece presto incontrare la sua gemella, e poi fu tutto un leccare, succhiare e mordere.
Aveva già baciato qualcuno, prima, ma questo, questo era tutt'altra cosa. Tutto un altro livello.
Le mani di Craig erano scivolate a stringergli forte delle ciocche di capelli, e Tweek si sentiva sopraffatto, appagato.
Craig lo fece staccare dal muro, senza smettere di baciarlo, e Tweek si sentì girare su se stesso. 
Aveva appena aperto gli occhi quando Craig lo spinse sul letto.
<< Che?! >> si lasciò sfuggire, ma Craig gli si sdraiò accanto in un attimo, portando subito una mano sul suo orecchio per voltargli la testa verso di lui e baciarlo di nuovo. 
Tweek fece appena in tempo a registrare l'espressione predatoria dell'altro; la mano di Craig lasciò il suo orecchio per posarsi un attimo sulla sua schiena e farsi più vicino a lui, poi ritornò di nuovo sulla sua testa, per non permettergli di scappare. 
Improvvisamente in Tweek scattò il panico. Non era pronto per qualsiasi cosa Craig stesse pensando.
Saltò seduto sul letto.
<< N-no! Io... devo andare, sì, devo proprio andarmene, mi dispiace >>
Mi dispiace? Suonava così patetico!
Craig sembrò spaesato; si alzò lentamente a sedere anche lui, mentre Tweek già stava raccogliendo le sue cose, infilzandole senza criterio nella borsa.
<< Non te ne puoi andare >> lo intimorì.
Tweek si voltò mollemente verso di lui, bianco come un lenzuolo, la borsa che gli pendeva storta dalle mani.
<< Cosa? >>
<< Domani dobbiamo consegnare il video >> gli ricordò, l'espressione impassibile di sempre.
<< Io non... non abbiamo i fogli >> cercò di giustificarsi, voleva scappare di lì il prima possibile, si sentiva inadeguato.
<< Bèh, allora... >> esordì Craig, con un che di melodrammatico; scese dal letto e si sistemò i vestiti, poi andò a tirare fuori il giubbino dall'armadio, infilandoselo.
Si avvicinò alla telecamera spegnendola, e recuperandola dal treppiede << ...vuol dire che dobbiamo passare da te a prenderli >>
Tweek lo guardò risentito; si sentiva in trappola, ed era come se Craig non volesse dargliela vinta.
<< Non credo che tu voglia che la Choksondik veda questo video, no? >>
Tweek sfiorò ogni sfumatura di rosso.
<< A proposito, chissà come è venuto? >> lo guardò con un sorrisetto divertito, gustandosi tutto il suo disagio.
<< Magari dopo possiamo dargli un'occhiata, che ne dici? >> lo sfotté, avviandosi verso la porta e lanciandogli un'occhiata sorniona da sopra una spalla.
Tweek non poté fare altro che raccogliere le sue cose e seguirlo, seppellito dalla vergogna.

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Capitolo 15
*** 23:45 ***


Questo capitolo è impacchettato con un nastro dorato.


15. 23:45


Gongolava, Craig. 
Teneva la telecamera alzata dinanzi a sé mentre camminava, in riproduzione il video appena registrato.
Tweek, a fianco a lui, stava per morire dall'imbarazzo, rosso in volto.
Si stava comportando da stronzo, lo sapeva, ma era l'unico modo che aveva trovato per dissimulare il suo, di disagio, e forse anche la frustrazione e l'inadeguatezza che aveva provato quando Tweek l'aveva rifiutato.
Non che avesse intenzione di spingersi lontano, comunque. Sapeva perfettamente che Tweek non ne fosse il tipo, ma essere respinto lo aveva indispettito comunque.
Quindi adesso si stava prendendo la libertà di ripagarlo. Era infantile, sapeva anche questo, ma davvero non trovava nessun altro modo per mantenere il suo tono.
Quando Tweek sentì se stesso urlare dal video, sbottò: << Chiudilo! >>
Provò a raggiungere la videocamera con una mano, per chiudere lo sportellino con lo schermo, ma Craig la alzò lontano dalla sua portata e ridacchiò.
<< È da depravati! >> 
<< Un po' >> ammise Craig, finalmente spegnendola. 
Tweek sospirò di sollievo.
La verità era che Craig non si era mai sentito così euforico per un bacio, in vita sua. Quali che fossero i motivi che avevano spinto Tweek ad interromperlo, erano incredibilmente sbagliati, perché, insomma, come avrebbe potuto negare che era stato bello? E poi era stato lui, a baciarlo per primo, a scuola, no? 
E, dopo quello che era successo nella sua stanza, Craig non aveva nessuna intenzione di mollare l'osso.
Quando entrarono nel Tweek Bros., una soffice musica di sottofondo li accolse, e il proprietario, dietro al bancone, guardò verso di loro.
<< Ehi, Tweek, hai finito coi compiti? >>
Tweek sospirò, esasperato << No, papà, non sono qui per aiutarti. Vado sopra a prendere delle cose >> rispose stizzito, poi si voltò verso Craig << A-aspetta qui, ok? >> 
Cos'era questo tono, all'improvviso?
<< Pensavo andassimo da te a registrare >> gli disse.
<< No! >> sollevò un dito a grattarsi la testa << Va-vado a prendere i fogli. Possiamo registrare giù, o al parco >>
Era un tentativo per non restare solo con lui?
<< Guarda che tra poco non ci sarà più la luce >> gli fece notare.
<< Lo so! Quindi sbrighiamoci! >>
Craig non disse nient'altro. Aspettò pazientemente che Tweek andasse di sopra a recuperare l'intervista. Al suo ritorno, il signor Tweak gli fece trovare una busta pronta con dentro dei caffé e dei croissant, come il figlio gli aveva chiesto prima di sparire su per le scale. 
Il tragitto verso il parco fu silenzioso. La temperatura stava cominciando a scendere, e il tramonto era prossimo. 
Presero posto a uno dei pochi tavoli da pic-nic che c'erano. Per fortuna c'erano poche persone, ma Craig dubitava che il rumore del vento non avrebbe disturbato la loro registrazione. Comunque era meglio che prendersi un due, dato che il consiglio scolastico gli stava già alla gola.
Sistemò la telecamera sul tavolo di fronte a loro, e dovette metterci sotto diversi libri di Tweek affinché riprendesse le loro facce e fosse posta nella giusta angolazione.
Fu difficile restare fermi a recitare mentre gli si gelavano il naso e le mani. Non che il suo culo avesse subito una sorte migliore, sul gelido legno della panchina.
<< Ti ringrazio per il tuo tempo, Tweek >> recitò l'ultima battuta << E ti faccio i miei migliori auguri >>
Poi si allungò per staccare la videocamera. Solo in quel momento si rese conto che avrebbe dovuto anche editare il video, e si depresse. 
Tweek ricadde con la testa sulle braccia, e restò così per qualche secondo, poi si allungò verso la busta del negozio e la tirò verso di sé, iniziando a cacciare fuori i caffé e i croissant.
<< Brasiliano con latte >> disse, allungando verso di lui uno dei cartoni; gli sorrideva, finalmente << Con poco zucchero >>
<< Grazie >> rispose, una piccola fiammella di felicità che si faceva largo in lui, mentre afferrava il santissimo caffé.
Si era un po' freddato, ma era comunque più caldo delle sue mani.
<< Croissant? >> chiese ancora Tweek.
Craig annuì << Sto morendo di fame >>
Per fortuna il padre di Tweek non si era risparmiato, e aveva riempito la busta di brioche, oltre che preparato quattro caffé, di cui tre li bevve Tweek, peggiorando il suo tremolio.
<< Devi -ngh!- devi davvero cancellare quel video! >> lo implorò.
Craig ci pensò su un attimo.
<< Va bene >> acconsentì << Ma ad una condizione >> si voltò verso di lui con uno sguardo malandrino. 
<< Quale?! >> chiese Tweek, il panico che montava nei suoi occhi grandi.
<< Devi registrare un altro video per me >>
<< Che?! >>
<< Devi fare un video di scuse a Striscia, per come ti sei comportato >> così dicendo, prese la telecamera e aprì lo sportellino posizionandosela davanti agli occhi, puntandola su Tweek.
<< Mi- mi stai prendendo in giro?! >>
<< No >> rispose, flemmatico << L'hai davvero spaventato, quindi ti devi scusare >>
Tweek restò a guardarlo stranito, anzi, guardò stranito il pallino rosso della telecamera.
<< Stiamo aspettando ~ >> lo invogliò, canterino.
Tweek chiuse gli occhi, sospirando.
<< O-ok. S-Striscia, sono davvero, davvero dispiaciuto per averti spaventato. Puoi perdonarmi, per favore? >> terminò, con le mani giunte.
<< Fagli un complimento >>
<< Cosa? >>
<< Gli piacciono i complimenti >>
<< Hai davvero un bel pelo, Striscia >>
<< Gli piacciono anche le canzoni >>
<< Quindi? >>
<< Canta >>
<< Cosa dovrei cantare? >>
<< Non so, la prima cosa che ti viene in mente >>
Tweek si schiarì la gola << Craig aveva un porcellin, porcellin, porcellin ~ >>
Craig scoppiò a ridere << Ok, ok, va bene. Posso mettere una buona parola per te >>
<< Meno male! >> finse sollievo, proprio mentre Craig spegneva la videocamera, ed entrambi ridevano.
<< Adesso però cancella il video! >>
<< Ok, ok >>
<< E voglio vedere mentre lo fai >>
<< Sicuro >>
Allungò la videocamera in modo che anche Tweek potesse vedere, selezionò il video e lo cancellò.
<< Merda! >>
<< Che c'è? >>
<< Ho cancellato l'intervista >>
<< Non è possibile! >> Tweek gridò con voce acuta, portandosi le mani davanti alla bocca, una scena quasi comica.
Craig avrebbe voluto continuare a sfotterlo, ma non ce la fece a non ridere.
<< Maledizione Craig, ti avrei ucciso! >> lo avvertì, rosso in volto.
Tweek si faceva prendere in giro facilmente, ed era davvero uno spasso.
<< Dovremmo tornare a casa, si sta facendo tardi >> gli fece notare Tweek.
Craig si sentì improvvisamente triste. Non voleva interrompere quel momento, tornare a casa, e fingere che niente fosse successo. La prospettiva era davvero deprimente.
<< Va bene. Però prima voglio che tu mi dica una cosa >>
Tweek restò in silenzio, lo sguardo sul tavolo, teso. Solo dopo un po' si risolse a chiedere: << Cosa? >> 
<< Perché sei scappato, prima, a casa mia? >> 
Era stato difficile formulare la domanda, per uno come lui, che fingeva sempre che tutto fosse a posto e che non scavava mai al di sotto della superficie. 
<< GAH! No- non so? Tu mi hai spinto sul letto! >> disse, agitatissimo, senza neanche guardarlo.
Craig pensò bene a cosa dire << Ed è un problema? >>
Tweek tentò di nascondersi seppellendo il viso tra le mani, coi gomiti poggiati sul tavolo.
<< ...è che non siamo neanche mai usciti insieme! >> rivelò, pentendosene subito dopo.
Oh. Quindi era questo. Che cosa dolce.
<< Usciamo, allora >> propose, entusiasta.
Non sapeva esattamente come funzionasse la cosa; non era mai stato abbastanza fortunato da avere un appuntamento, per lui la prassi era sempre stata ben diversa. E non è che avesse speranze di poterlo fare con Stan. 
<< Sei serio? >>
<< Assolutamente. Domani? >>
Tweek lo guardò un secondo, ma non riuscì a fissarlo negli occhi troppo a lungo, un sorriso timido ma felice sulle labbra rosee. 
<< Mi piacerebbe >> confessò, gli occhi che scrutavano il parco.
<< Ok, allora >> disse, alzandosi in piedi e facendo della spazzatura che avevano prodotto un'unica busta. 
Tweek iniziò a rimettere a posto tutti i suoi libri e i fogli, il sorriso sempre presente sul volto di entrambi.
Craig si defilò dal tavolo, e aspettò che Tweek facesse lo stesso. Si guardò intorno per vedere se ci fosse qualcuno, ma il parco era ormai deserto, forse per via del freddo; così, appena Tweek riuscì ad oltrepassare la panchina, e alzò la testa, gli rubò un bacio casto.
<< Sai di caffé. Mi piace >> poi si avviò dandogli le spalle, completamente ignaro delle palpitazioni che aveva causato al ragazzo dietro di lui.



Ritornò a casa al settimo cielo, e appena riuscì ad aprire la porta trovò sua sorella seduta sul divano a guardare la tv, come sempre.
<< Oh, sei tornato >> lo accolse senza emozione << Chi era quello? Il tuo ragazzo? >>
Craig le lanciò un'occhiata omicida, poi guardò verso l'entrata della cucina. I suoi sicuramente erano a casa, e se quella stupida non abbassava la voce, la serata poteva trasformarsi in un inferno. 
<< Stai zitta >> le intimò, poi cercò di sgattaiolare al piano di sopra, senza farsi sentire dai suoi, ma Tricia scattò su e lo seguì, incuriosita dalla sua reazione.
<< Quindi, è davvero il tuo ragazzo >>
<< No, non lo è >> cercò di liquidarla, chiudendole la porta in faccia, ma Tricia riuscì ad infilarsi grazie alla sua corporatura inesistente. 
<< Dai! >> lo pregò.
<< Però gli ho fatto un video >> si vantò.
<< Voglio vedere! >> gli occhi di Tricia si allargarono.
<< Neanche per sogno >>
<< Bèh. Quindi chi dice a mamma e papà che non avranno mai nipoti? >> chiese la sorella, mordendosi l'interno della guancia.
Odiava quella domanda, e il fatto che continuasse sempre a portargliela all'attenzione, e odiava ripetersi.
<< Tu non sei gay, Tricia! >>
<< So io se sono gay o meno! >>
<< No, non lo sei. Tu sei il mio fottuto lasciapassare, quindi non diventerai una lecca-fighe >>
<< Sto semplicemente compensando il fatto che mamma non avrà mai una nuora >>
<< Diranno che ti ho dato il cattivo esempio >>
<< Chi se ne frega! >> 
<< Io! A me frega! E comunque ti ho già detto che non mi devi parlare di queste cose! >> si lamentò.
<< E a chi dovrei parlarne? Dovresti capirmi >> 
Craig poté giurare di aver intravisto una nota di disperazione nella maschera solitamente impassibile della sorella.
<< Io so solo una cosa. Che non sei gay o etero fin quando non ti ritrovi nel letto di qualcuno. Quindi, cerca di non infilarti nel letto di nessuno che abbia le tette. Adesso, esci fuori dalla mia fottutissima stanza >>
Tricia lo guardò risentita.
<< Vaffanculo, ti odio! >> esplose, poi uscì sbattendo la porta.
Cavolo. Dio stava tentando di punirlo facendolo passare di nuovo attraverso le stesse cose. 
Si distese sul letto, chiedendosi se non fosse stato troppo duro con lei, ma una parte di lui si rifiutava sul serio di considerare l'omosessualità di Tricia come un'opzione, in parte perché lei, a differenza sua, non era considerata una causa persa dai suoi genitori, e una parte di lui avrebbe voluto che fossero fieri di almeno uno dei loro figli. E l'altra parte voleva risparmiarle tutta la trafila di emozioni altalenanti, sensi di colpa e difficoltà che aveva attraversato lui.
Il destino a volte era davvero una puttana.
Riportò l'attenzione sulla videocamera che aveva ancora stretta in mano. Si alzò per guardare sotto il letto. Individuò Striscia e tese una mano per prenderlo.
<< Ehi, ho una cosa per te >> gli disse, afferrandolo.
Si rimise supino e si appoggiò il porcellino d'India sul petto, che iniziò a fargli le fusa. A quel punto avviò la telecamera e riprodusse il video di Tweek.
Carino. Supercarino, pensò, e ridacchiò quando lo risentì cantare. Era dolcissimo.
Riguardò il video un altro paio di volte, poi decise che era ora di provare a montare l'intervista, prima che sua madre lo chiamasse per cena. 

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Capitolo 16
*** 23:46 ***


16. 23:46


<< Come un fratello. Ci puoi credere? >> si lamentò vicino a Kyle.
Il rosso gli aveva chiesto di uscire con l'intenzione di risollevargli il morale, ed ecco che si trovavano a camminare per le strade di South Park, senza ancora dover decidere cosa fare, come se ci fosse da fare chissà che in una cittadina così piccola.
<< No. È assurdo. Non so neanche cosa dovrebbe significare >> gli diede ragione Kyle.
Stan ci pensò su un attimo, e la conversazione che aveva avuto quella mattina con Kenny gli ritornò in mente.
<< Non lo so >> confessò << Però Kenny dice che forse è perché si è sentita trattata da sorella? O almeno quello che ho capito dal suo discorso, dice che forse Wendy è insicura di quello che provo per lei, stronzate del genere >>
Kyle parve rimuginare sulle sue parole << Forse >> acconsentì.
<< Ma cosa posso fare? Più che dirglielo chiaro e tondo? >> piagnucolò.
<< Wendy è una ragazza intelligente, Stan. Non basta che tu le dica le cose, vuole che gliele dimostri. E tu sei stato... >> strinse le sopracciglia << ...senza offesa, un pessimo ragazzo >>
Stan sospirò. Kyle credeva che non lo sapesse? 
<< Avresti dovuto sostenerla di più, in certe cose >>
<< Tipo? >> chiese, iniziando ad irritarsi.
<< Tipo in tutte quelle battaglie sociali in cui si impegna >>
<< Ma l'ho fatto! Sono persino andato a quelle noiose partite di pallavolo per farla contenta >>
<< Però non hai voluto distribuire i volantini per la prevenzione del cancro al seno >> ridacchiò Kyle.
<< Mi ci avresti visto?! Voleva che indossassimo dei reggiseni per attirare l'attenzione! Glieli ho stampati, già è tanto! >>
<< Gregory è un attivista ed è nella rappresentanza scolastica >> gli ricordò Kyle, forse cercando di morire. 
<< Bèh, io due anni fa ho raccolto 2.000 dollari per Greenpeace! >> 
<< Greenpeace è il male, Stan >>
<< Arrr, stai zitto >> lo rimbeccò, strigendosi la base del naso.
Kyle ridacchiò.
<< Vogliamo sederci? >> chiese, quando furono in prossimità di una panchina del parchetto.
Stan annuì. Si lasciò cadere sul ferro freddo senza grazia, e Kyle vicino a lui.
<< Cartman ha ragione, quando dice che sei troppo petulante >>
Kyle si fece improvvisamente pensieroso, si aggiustò sulla panchina scivolando leggermente in avanti e incrociando i piedi, lo sguardo rivolto al cielo terso.
<< Mi ha attaccato oggi >> 
<< Cosa? Perché? >> chiese Stan, preoccupato.
<< Qualcuno gli ha detto che uscirò con Heidi >>
<< Chi? >>
<< Chi altri? Dev'essere stato Kenny, era l'unico che lo sapeva >> ipotizzò amareggiato.
<< Secondo me ti sbagli, amico. Cioè, è di Kenny che stiamo parlando. Se c'è qualcuno che si porta i segreti nella tomba, quello è lui >>
<< E chi allora? >>
Stan alzò le spalle << Magari è stato Butters. Era dietro di noi. Potrebbe averti sentito. E lo sai, che fa sempre quello che gli dice Cartman >>
Restarono per un attimo in silenzio.
<< Cosa ti ha detto? >> chiese Stan.
Kyle fece una smorfia << Che cerco sempre di rovinargli la vita... che non sopporto l'idea che lui sia felice e perciò gli metto i bastoni tra le ruote... >>
<< Non è vero, Kyle >> cercò di rassicurarlo << Heidi ti piace, e già hai rimandato troppo per colpa di lui. Heidi vuole stare con te, e lui deve farsene una ragione >>
<< È che... >> scrollò le spalle << Non capisco. Non capisco perché mi ostino ancora ad essergli amico. Non capisco perché noi gli siamo ancora amici. Insomma, è sempre stato un manipolatore egoista, ha sempre offeso me perché ebreo, Kenny perché è povero. Capisco perché lo sopportavamo da bambini. Lui era quello che aveva più fantasia, quello che inventava i giochi più belli e divertenti, quello che aveva le idee più coinvolgenti... e ci faceva divertire. Ma adesso? Perché dovrei continuare a sopportare quella palla di lardo imbottita di rabbia? >>
Stan ci pensò su un attimo << Perché in fondo gli vuoi bene. E tu non lo vedi, ma te ne vuole anche lui. È ossessionato da te, e se ci fai caso smettete di scannarvi solo quando io e te litighiamo. Penso che sia geloso, in qualche modo, della tua amicizia. A volte mi chiedo se non sia diventato così per le cose che gli dicevamo >>
<< Quali cose? >>
Forse Kyle non ricordava, convinto di aver sempre agito nel giusto, nella sua vita, ma lui invece sì.
<< Alle elementari. Continuavamo a prenderlo in giro perché grasso, e tu lo sfottevi perché non aveva un padre >>
Kyle abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, desolato.
<< Ero un bambino stupido. Non sapevo neanche cosa volesse dire >>
<< Ma lui sì. E sua madre era una troia, continuavano ad entrargli e uscirgli sconosciuti da casa >>
Il silenzio calò tra di loro, per un attimo.
<< E suo cugino una volta l'ha molestato, ce lo disse lui, se ti ricordi >>
<< Potrebbe esserselo inventato >> provò Kyle << Cartman si inventa un sacco di cose, gli piace fare la vittima >>
Quando alzò gli occhi preoccupati su Stan, per cercare conferma di quanto dicesse, l'altro semplicemente lo guardò con sguardo greve, scuotendo piano la testa. 
Kyle stava per sentirsi male. Erano tutte cose che lui aveva rimosso.
<< Io non credo che questo se lo sia inventato. Quando inventa le cose, costruisce dei castelli, come quando diceva che Heidi gli faceva violenza psicologica. Questa cosa l'ha nominata una volta, una sola volta, e poi non l'ha più tirata in ballo >>
Kyle provò a respirare piano, le lacrime che gli premevano dagli angoli degli occhi.
<< È orribile, Stan >>
<< Io penso che tutte queste fantasie che si costruisce siano un modo per sfuggire da una realtà troppo scomoda, per lui. E tutti siamo il risultato di ciò che abbiamo subito. Cartman l'abbiamo costruito noi, Kyle, quindi ce lo teniamo. E comunque, se ignori tutte le sue cazzate, è ancora divertente uscire con lui. Ma tu lo sai meglio di me >>
Kyle annuì piano.
<< Sai... >> Stan tentennò, non era sicuro di volerlo dire, ma forse il suo discorso aveva solo peggiorato le cose, per Kyle, e si sentì di dovergli un po' di sincerità << ...anch'io sono geloso, quando vedo la vostra amicizia. A te e a Cartman piace fare le stesse cose, invece ci sono periodi in cui io e te siamo distanti, e bèh, ogni volta che finiamo per litigare ho sempre paura di non essere più io, il tuo migliore amico, ma che sia lui... >>
Kyle scoppiò a ridere, sorprendendolo.
<< È di Cartman che stiamo parlando. Come potrei preferire lui a te? >>
Stan sorrise << Bèh, io sono un disastro >>
<< Lo siamo tutti. Questa è South Park. Non c'è una famiglia che non sia un disastro, qui. La mamma di Cartman è ancora una puttana, i genitori di Kenny sono ancora dei drogati, la famiglia di Butters predica la disciplina tentando di ignorare che suo padre sia omosessuale, tuo padre è un alcolista testa di cazzo e la mia era la famiglia perfetta, fintanto che papà non si è messo a trollare gente su internet, causando il suicidio di una persona... >>
<< Aspetta. Stephen Stotch è gay? >> 
<< Bèh, acqua in bocca. Mio padre dice che la madre di Butters l'ha contattato per una consulenza, riguardo un possibile divorzio. Anche se non mi sembra che sia andata oltre la cosa >>
<< Wow >> commentò Stan. Quello doveva essere peggio che avere per padre Randy Marsh. 
<< Ti va di andare a mangiare qualcosa? >> propose Kyle.
Stan annuì, felice di lasciar andare quella conversazione. 



Si appoggiò con le spalle alla vetrata più remota del Tweek Bros.
Tirò fuori il cellulare e aprì la chat spoglia che aveva con Tweek.
Sono qui, digitò.
Poi restò in attesa, respirando a pieni polmoni l'aria fresca e godendo del sole che gli riscaldava la pelle. Finalmente una giornata serena.
Quella mattina era stata parecchio strana. Sembrava che non riuscisse a fare nulla senza che i suoi occhi ricadessero su Tweek, seduto nel banco accanto a lui.
Tweek era di buon umore, e spesso gli aveva sorriso. Tutto ciò faceva sentire Craig come se camminasse una spanna sopra il livello della terra, come se il tempo andasse a rallentatore in un sogno destinato a finire. La sua natura realista lo portava a fare di tanto in tanto il punto della situazione, ricordandogli di mantenere un contatto con la realtà. Era solo un appuntamento, del resto, come mille altri che c'erano stati sulla faccia della Terra, e lui vi si era buttato di petto senza neanche sapere cosa dovesse succedere dopo, o cosa si aspettasse.
E ancora non lo sapeva. 
Sapeva solo che si sentiva come un bambino a Natale.
Si accese una sigaretta, nell'attesa che Tweek si facesse vedere.
Decise di chiamarlo, ma appena il telefono dell'altro squillò, la porta del Tweek Bros. si aprì. Tweek vi uscì trafelato, con il cellulare in mano, le guance rosse, e una sciarpa troppo pesante a coprirgli la parte inferiore della faccia.
<< Ehi >> lo salutò, con un mezzo sorriso. Il suo stomaco fece delle strane capriole.
<< GAH! E-ehi. Scu-scusa il ritardo >> gli sorrise timidamente Tweek, avvicinandosi a lui molto lentamente.
Stava tremando, più del normale, e Craig si chiese se avesse tentennato dietro la porta per decidere se uscire fuori o meno. 
<< Non preoccuparti >> gli disse, staccandosi dal muro << Stai bene? >>
Tweek annuì.
<< Lo... lo so che avevamo deciso di andare al Monet, però -ngh!- quell'idiota di mio padre ha insistito >> aprì la borsa che portava a tracolla e cacciò fuori una tazza di caffé, porgendogliela; Craig la accettò, permettendo a Tweek di tirare fuori l'altra per sé << Solo che non è quello brasiliano >>
Craig si concesse un ultimo, profondo tiro dalla sigaretta e poi la gettò lontano, annuendo.
<< Non dovresti farlo >> lo ammonì Tweek, serio.
Craig non capì << Cosa? Intendi fumare? >>
<< No! GAH! Cioè! Non dovresti fare neanche quello! Però intendo buttare cose per strada >> lo guardò con disapprovazione.
Tuttavia, Craig avrebbe vomitato arcobaleni, per quanto Tweek appariva tenero in quel momento, con le sopracciglia corrucciate e quel broncio adorabile.
Sorrise sornione << Ok >> acconsentì.
Si avvicinò al mozzicone sul marciapiede e si chinò per raccoglierlo, poi diligentemente andò a buttarlo nel cestino a fianco all'entrata del locale.
<< Che animo nobile >> lo sfotté.
<< Mio padre mi fa pulire il vialetto tutte le mattine >> spiegò Tweek, mentre si avviavano << Penso che questo aiuti a sviluppare il mio animo nobile >>
Risero entrambi.
<< Adesso, almeno, se troverò delle cicche saprò chi incolpare >> gli lanciò uno sguardo malizioso, e Craig fu ammaliato dal fatto che ne fosse capace.
Avrebbe voluto mandare al diavolo il Monet, trascinarlo dietro a qualche vicolo e baciarlo, ma questo avrebbe voluto dire venire meno all'idea di appuntamento, e tutto ciò che voleva, dato che Tweek ne aveva espresso il desiderio, era regalargli un appuntamento degno di questo nome, uno che avrebbero potuto ricordare con piacere.



Non l'avrebbe mai detto, ma a Tweek piaceva parlare. Bastava che uno gli desse uno spunto, iniziasse un argomento, e poi lui continuava a briglia sciolta.
Le sue erano perlopiù congetture, ipotesi ridicole su argomenti ordinari, molte delle quali includevano gli alieni e degli gnomi che rubavano la biancheria, ma era divertente sentirlo parlare, soprattutto vederlo assumere sfumature di espressioni diverse.
Così, da Monet, un'enorme coppa di gelato davanti, Craig era rimasto ipnotizzato ad osservare tutti i cambiamenti del viso dell'altro.  
Cercava di non ridere, perché Tweek sembrava prendere certe cose molto sul serio, ma il modo in cui si agitava, il modo in cui allargava gli occhi, il modo in cui scattavano le sue sopracciglia, o ancora il modo in cui la sua bocca si tendeva nelle smorfie che faceva, era buffo, in un modo dolce.
<< Pensavano che me lo fossi inventato, invece c'era davvero un procione che rubava in cucina! Sono stato messo in punizione per una settimana, chiuso in casa con quella bestia spaventosa che -ngh- mi faceva venire gli incubi! >> si fermò solo per prendere una cucchiaiata di gelato, gli occhi puntati in alto per cercare di ricordare quanto stava raccontando << È stato orribile quando mio padre l'ha scoperto e ha tentato di prenderlo... Non volevo che lo uccidesse! E poi... GAH! Se il suo spirito si fosse impadronito della casa?! >>
Craig si distrasse per un attimo. La porta del locale si era aperta, e vi vide entrare Stan e Kyle, che parlavano tra di loro. Gli occhi di Stan lo trovarono subito, giusto il tempo di dare una scorsa all'ambiente. Diede una gomitata a Kyle e indicò il tavolo dov'erano seduti lui e Tweek.
Merda.
Li vide decidere qualcosa, poi Kyle si diresse verso il bancone e Stan, invece, disgraziatamente, verso di loro.
Merda.
<< ...strappò tutta la tenda, tirando giù anche il bastone... >>
<< Ehi, ragazzi! >> li approcciò Stan, felice come non mai, appoggiando le mani sul loro tavolo.
<< GAH! >> urlò Tweek, che, essendo di spalle, non l'aveva visto arrivare. Si mise una mano sul cuore come a calmare i suoi battiti.
<< S-Stan! Mi hai spaventato! >>
<< Come mai qui? >> domandò Stan. 
Guardò verso Craig, ma Craig gli restituì solo uno sguardo truce. Sperava che se ne andasse. Non poteva rovinargli pure l'appuntamento con Tweek, dopo avergli incasinato la vita. Forse era l'influenza di Cristophe, ma stava iniziando a pensare che Dio lo odiasse davvero.
Tuttavia, Stan non sembrò accorgersi della sua aura ostile; riportò gli occhi su Tweek come se si aspettasse da lui una risposta.
<< Passiamo il tempo >> rispose Tweek, amabilmente << E tu, Stan? >>
Stan accennò col capo verso il bancone << Facevo un giro con Kyle >>
Tweek si voltò a guardare nella direzione indicatagli, allungandosi leggermente per guardare oltre lo schienale del divanetto. I suoi occhi si incollarono per un attimo su Kyle.
<< Vi dispiace se ci sediamo con voi? >>
<< Sì! >> berciò Craig.
<< No >> disse in contemporanea Tweek, poi gli lanciò un'occhiata confusa.
Craig voleva sprofondare.
<< Grazie, Tweek >> gongolò Stan, per poi lanciare un'occhiata sarcastica a Craig. Fece segno a Kyle di venire dalla loro parte, poi scivolò seduto sul divanetto a fianco a Craig, che gli fece spazio a malincuore.
Kyle arrivò in un attimo, posando il vassoio con le loro ordinazioni sul tavolo.
<< Ehi >> salutò, mentre Stan allungava una mano per prendere il suo gelato, sebbene il suo saluto fosse rivolto solamente a Tweek << Come va, Tweek? >>
Scivolò seduto accanto al biondo, imitando Stan nel servirsi.
<< Uhm -ngh- bene. E a te, Kyle? >>
<< Potrebbe andare meglio, ma non mi lamento >> ammise l'altro.
Tweek lanciò un'occhiata di imbarazzo verso Craig, come a fargli capire che gli dispiaceva che fosse andata a finire così. 
<< Uhm, è Cartman che ti dà ancora fastidio? >> chiese Tweek, cautamente.
Kyle alzò gli occhi su Stan, che gli restituì lo sguardo preoccupato, ma prima che potesse rispondere, Tweek aggiunse: << Vi ho -ngh- vi ho visti stamattina litigare. È tutto ok? >> 
<< Bèh... non è mai tutto ok quando si parla di Cartman. È sempre il solito coglione. Stavamo litigando perché sto uscendo con Heidi >>
<< Heidi? Heidi Turner? >> chiese Tweek.
<< Sì. Proprio lei >> sorrise Kyle, con una certa fierezza.
<< E qual è il suo problema?! >>
Ormai i due si erano completamente voltati l'uno verso l'altro, parlando come se Craig e Stan non esistessero. Gli occhi di Stan erano puntati su Kyle, come se stesse seguendo la loro conversazione, ma Craig sentì la sua gamba scivolare contro di lui da sotto il tavolo, che era incassato in una parete di legno, quindi abbastanza celato agli occhi.
Craig si irrigidì.
<< Non lo puoi sapere, ma sono stati insieme l'anno scorso >>
<< Mi prendi in giro?! >>
La gamba di Stan continuava ad accarezzarlo su e giù, e fu come se il mondo avesse smesso di avere suoni. Come se una tromba d'aria lo avesse prelevato da dove si trovava e lo avesse affogato. Si sentiva annegare, senza poter riemergere. 
<< No, il grassone è riuscito ad avere una ragazza, ma non ha saputo tenersela >>
<< Heidi è così -ngh!- così gentile! Come ha fatto a stare con lui? >>
Ripresosi dallo shock iniziale, lanciò un'occhiata di sbieco a Stan. Il ragazzo teneva il cucchiaino tra le labbra, al contrario, come se fosse sovrappensiero, ma appena captò il suo sguardo, voltò gli occhi verso di lui, ricambiandolo con un'occhiata provocante, facendosi scivolare languidamente il cucchiaino sul labbro inferiore, poi riportò lo sguardo in avanti.
La sua mano, però, si allungò piano sulla coscia di Craig, da sotto il tavolo.
I suoi polpastrelli gli accarezzarono la stoffa dei jeans appena sopra il ginocchio, procedendo con movimenti circolari sempre di più verso l'interno della coscia. Quando raggiunsero il confine, l'intero palmo aderì alla stoffa. 
Gli occhi di Craig lasciarono il viso del ragazzo per guardare oltre il bordo del tavolo, verso quel contatto non richiesto, senza successo.
<< ...non potevo più sopportare che la trattasse così >> sentì la voce di Kyle riemergere dal rumore di fondo del suo cervello.
Craig tentò di ritirare la gamba, di sottrarsi a quel tocco, ma la lunghezza delle sue gambe e le ridotte dimensioni del tavolino gli precludevano movimenti troppo ampi.
Vide con la coda degli occhi che Stan stava trattenendo un sorrisetto. Lo stava trovando divertente, lo stronzo. 
<< Quindi ho provato ad avvertire Heidi, ma lei non mi ha creduto, per un po' >>
La mano di Stan stava risalendo lentamente verso l'alto, cercando di non dare nell'occhio. Craig portò subito una mano sulla sua, per bloccarlo. Rimasero per qualche secondo così, Stan con la mano sulla sua coscia, e lui con la mano su quella di Stan, anche perché Craig era stato troppo brusco, e Tweek si era voltato per lanciare loro un'occhiata. Tutto ciò che poté vedere furono due volti che rispecchiavano la faccia dell'innocenza.
<< ...quando ha scoperto tutto è stata davvero male. Quindi ho cercato di darle supporto >>
<< E-e avete iniziato ad uscire insieme >> concluse Tweek, riportando lo sguardo su Kyle.
Stan girò la sua mano e la intrecciò con quella di Craig, sopra la sua. 
<< No, cioè, ci siamo avvicinati molto... >>
<< Vado a fumare >> disse improvvisamente Craig, tirando via la mano, e alzandosi di botto, attirando su di sé l'attenzione di Tweek e Kyle.
Stan si alzò per lasciarlo passare.
<< Vado anche io >> aggiunse, causando in Craig uno sconforto infinito.
Tweek lo guardava desolato, come se pensasse che fosse colpa sua per essersi messo a parlare con Kyle. Craig forzò un sorriso nella sua direzione, per rassicurarlo. Non poté fare altro, per evitare che Kyle e Stan si insospettissero. Già era abbastanza compromettente che li avessero trovati insieme. 
Seguì Stan verso l'uscita, con il desiderio di strozzarlo. 
Appena Stan uscì all'aria aperta, dovette coprirsi la faccia con le mani perché uno starnuto lo sorprese.
<< Non toccarmi con quelle mani >> gli intimò Craig, appoggiandosi al muro e prendendo una sigaretta dal pacchetto.
<< Oh, cavolo. Sei germofobico? Mi basta già Kyle >> detto ciò, si andò ad appoggiare sulla pietra vicino a lui, allungandogli la mano.
Craig ruotò gli occhi, poi gli offrì una sigaretta.
<< Perché sei così antipatico, oggi? >> 
<< Se non te ne fossi accorto, c'erano Tweek e Kyle al tavolo >>
Stan inspirò una boccata di fumo.
<< Stai tranquillo. Non ci stavano minimamente calcolando >>
Stan era disposto a prendersi certi rischi solo per toccarlo? Non sapeva come questo lo facesse sentire. Una parte di lui avrebbe voluto che non succedesse, ma i suoi pensieri si erano inceppati sulla mano di Stan che stringeva la sua, e non riuscivano ad andare oltre. Perché adesso?
<< Quindi tu e Tweek siete diventati amici? >> indagò.
<< Qualcosa del genere >> rispose vago Craig.
<< Meglio così. Ero sicuro che sareste saltati uno alla gola dell'altro >> diede dei colpetti alla sua sigaretta per far cadere la cenere.
Craig lo guardò stranito << Tweek è... >> cercò le parole giuste << ...un agnellino >>
Stan lo fissò coi suoi occhi azzurri come se gli avesse appena detto che il cielo fosse arancione.
Gli parve che volesse dire qualcosa, ma poi dovette cambiare idea. 
<< Meglio >> disse solo. 
Restarono a fumare per un po' in silenzio.
<< Quindi, che ne dici, se dopo ci tocchiamo un po' nella discrezione della mia stanza? >> la sua voce, anche rasentando un po' una presa in giro, era diventata un sussurro, pieno di malizia.
Qualcosa si mosse, sul fondo dello stomaco di Craig, e maledisse Stan dal profondo dell'anima.
<< Non posso, Stan. Ho da fare >> rispose, ma si sentiva diviso.
Quando alzò gli occhi sull'altro, vide che lo guardava incredulo e divertito, insieme. 
<< Cosa c'è? >> chiese, burbero.
<< Mi hai appena chiamato per nome. Te ne sei accorto? >>
Craig non disse nulla. Nella sua mente Stan era solo 'Stan' da un grande ammontare di tempo, anche se si ostinava a chiamarlo per cognome solo per spregio.
<< Che devi fare? >> domandò Stan, imbronciato.
<< Che te ne frega? >>
<< Hai da fare con Tweek? >> 
Craig sbuffò << Sì. Sei contento? >>
<< Ieri mi hai appeso perché dovevi lavorare al progetto con Tweek, ed anche oggi >> si lamentò.
<< Non abbiamo un contratto su quante volte dobbiamo scopare >> affermò stizzito.
Stan ridacchiò, poi fece un ultimo tiro e lanciò la sigaretta in strada.
<< Hai ragione >> concesse, poi si avvicinò al suo orecchio << Solo, non farmi diventare geloso >>
Craig fu scosso da un tremito, e riuscì giusto a cogliere il sorrisetto sulle labbra dell'altro e la scintilla divertita nei suoi occhi, prima che lui si voltasse per rientrare.
Rimasto solo, Craig inghiottì a vuoto, guardando il cielo. Stan era geloso? Cosa voleva dire?
Inspirò un'ultima volta, poi fece per lanciare il mozzicone lontano, ma si bloccò. Si voltò e lo spense sui mattoni dietro di lui, poi lo gettò in un cestino lì vicino, perché non voleva che qualcun altro dovesse pulire per lui.
Questo era il giorno di Tweek, e solo di Tweek. Tutto il resto non aveva importanza. 



<< Mi -ngh!- mi dispiace che non siamo potuti stare da soli >> gli confessò Tweek, mortificato, sulla strada del ritorno.
<< Non è colpa tua >> lo rassicurò, con il tono morbido << Vuol dire che dobbiamo recuperare >>
Tweek gli sorrise << Sono assolutamente d'accordo >>
<< Domani è sabato. Vuoi venire da me? Prometto che non ci sono scocciatori, nella mia stanza >>
Tweek rise << Forse è meglio >> concordò.
<< Siamo arrivati >> osservò Craig, con un pizzico di delusione. Si trovavano all'altezza del cinema, che si trovava proprio di fianco al Tweek Bros.
Tweek si bloccò sui suoi passi.
<< Puoi venire un attimo con me? >> chiese. 
Craig annuì, e seguì Tweek lungo il perimetro laterale del cinema.
Arrivarono sul retro, dove c'era un misero spazio tra le mura del cinema e il muro di cinta che percorreva il quartiere. 
Tweek lo prese per mano, facendolo infilzare nell'area, in modo che si trovasse spalle al muro contro il cinema. Gli si mise davanti, stretto a lui così come gli consentiva lo spazio. Si allungò sulle punte e lo baciò, dolcemente. Restarono lì per un po', fino a quando Tweek non decise che fosse troppo tardi.
<< Grazie mille, Craig >> gli disse, con il sorriso più dolce che avesse mai visto. 

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Capitolo 17
*** 23:47 ***


17. 23:47


<< Ciao mamma >> Clyde si inginocchiò vicino a lei << Come stai? >>
Sulla lapide era inciso il suo nome, Betsy Harris Donovan. Craig guardò la foto della donna, immortalata nella sua mezza età, ma luminosa col suo sorriso. 
Restò in piedi dietro Clyde, in modo rispettoso.
<< È da un po' che non ci vediamo. Le cosa vanno bene, sai? Martha* ha quasi finito l'università, papà ha avuto una promozione a lavoro... ed io spero di andare al college. I miei voti fanno sempre schifo, mi dispiace, ho provato ad impegnarmi ma la scuola non fa per me. Però mi sto impegnando nella squadra di football. Spero di riuscire ad ottenere una borsa di studio, così potrai essere fiera di me... >> fece una breve pausa, durante la quale le sistemò nel vaso i fiori che le aveva portato << Oh, e Bebe. Anche lei ti saluta tanto, anche se non ti ha mai conosciuta. Ti sarebbe piaciuta un sacco. È bionda e riccia, ed è molto bella. È anche intelligente, quindi spero che i nostri figli prendano da lei... Lo so, lo so che viaggio troppo di fantasia, ma spero di andare nel suo stesso college, quindi sono fiducioso che non ci perderemo di vista. Mi manchi un sacco, tutti i giorni... >> la sua voce si era incrinata.
Craig gli appoggiò una mano sulla spalla, per fargli sapere che ci fosse. 
<< Vedi, mamma? Anche Craig è venuto a trovarti. Manchi anche a lui >>
La signora Donovan era stata una seconda madre, per Craig. La sua morte aveva segnato tragicamente la fine della loro infanzia, e lui, Clyde e Token si erano ritrovati improvvisamente adulti e cambiati. Craig si era chiuso in se stesso, Token era maturato troppo, e Clyde aveva imparato a farsi scudo con la sua arroganza, nonostante fosse la persona più buona e di cuore che Craig conoscesse.
Craig le appoggiò una sigaretta sulla tomba, accendendogliela. Non aveva molto da offrirle, e sapeva che Betsy non fumava, ma loro sì, avevano preso a farlo quando lei se ne era andata, senza neanche averne l'età. Era stato il suo lascito, quasi. 
Le cose si erano messe male. Clyde e Token si erano avvicinati, mentre lui, che non riusciva a gestire le emozioni, si era ritrovato lontano da Clyde a poco a poco, così lontano che non era neanche riuscito a parlargli dei suoi problemi, di tutte le paure e le brutte esperienze che aveva dovuto affrontare alla ricerca di se stesso. 
<< La prossima volta dobbiamo prenderle dei pancakes. E mangiarli con lei >> propose.
Betsy era la maga dei pancakes, e glieli preparava tutti i fine settimana.
Clyde annuì << Mi sembra una buona idea. Portiamo anche Token >> 
Token. Era stato a lungo invidioso, di lui. Craig e Clyde si conoscevano da più tempo, e Clyde era sempre stato il suo migliore amico, e adesso era il migliore amico di Token. 
La colpa era sua. Perché probabilmente non era riuscito a stargli vicino come avrebbe dovuto, perché aveva pensato che a Clyde non potesse fregare di meno dei suoi problemi da scolaretta con una mamma morta, e che lui avesse bisogno di stare in un ambiente tranquillo come casa di Token, piuttosto che in una casa disfunzionale come la sua. 
Eppure Clyde ancora lo voleva accanto, davanti alla tomba di sua madre. Perché Betsy avrebbe voluto che continuassero a volersi bene, sempre.
Aveva un magone in gola. 
Sentì Clyde alzarsi in piedi, ma lui rimase ancora lì per un po', a contemplare la tomba di periodi migliori. 
<< Cosa... ci è successo? >> sentì chiedere a Clyde, piano.
Si voltò verso di lui, solo per vedere i suoi occhi castani lucidi e prossimi al pianto.
<< Non so neanche che cosa pensi, ormai >> continuò, con voce soffocata << Craig? >>
Gli occhi di Craig divennero lucidi a sua volta << Mi manca >> ammise, con un fil di voce. 
<< Tu dici delle cose, Craig... >> le lacrime iniziarono a cadere a fiotti dai suoi occhi << ...ma in realtà non dici niente... >>
Craig si portò il dorso delle mani agli occhi, per asciugare delle lacrime che minacciavano di uscire. Si alzò in piedi, e abbracciò Clyde, di slancio. 
<< Non piangere >> lo pregò, ma lui stesso non riuscì più a trattenere le lacrime.
Clyde gli accarezzò la testa, commosso dalla reazione dell'altro.
<< Siamo ancora amici? >> chiese Craig, la voce spezzata.
<< Sì >> gli assicurò Clyde << Io sto bene, Craig, l'ho superata. Ma vorrei che stessi bene anche tu, puoi parlare con me >>
Craig si staccò da lui.
<< Lo so. È solo che ho dimenticato come farlo... >> ammise << Lo farò, lo prometto >>
Clyde gli sorrise, tra le lacrime << Ti voglio bene, Craig. Sei ancora mio fratello >>
<< Anche io >> confessò, imbarazzato.
<< Torniamo a casa, prima che le cose diventino più gay >> 
Craig rise, rincuorato, ed anche Clyde, felice di aver lasciato un po' di pesantezza sulla tomba di sua madre. 
<< Mamma >> disse poi rivolgendosi a lei << Noi andiamo. Sei sempre la migliore, sei riuscita a far sorridere Craig. Avevi ragione su di lui, sai. Adesso è diventato bello, non ha più i denti storti >>
Craig gli fece il dito medio, e Clyde rise.
<< Però è ancora un cretino >>
Craig sorrise; poi entrambi si baciarono le dita e toccarono la foto, consapevoli che Betsy ancora li guidasse, anche se non era più tra loro. Anche se non era più da nessuna parte.


Gli occhi concentrati sullo schermo, il baricentro spostato in avanti, le gambe incrociate sul pavimento, la punta della lingua sul labbro superiore e il pollice premuto forte sul joystick. 
Era questo che aveva permesso a Tweek di vincere cinque volte di fila a Mario Kart, contro la svogliatezza di Craig, che invece se ne stava diritto con la schiena senza strafare.
<< Sì! Fottiti Craig, ho vinto di nuovo! >> esplose, una volta tagliata la linea del traguardo.
Solo un'ora prima non avrebbe osato rivolgersi all'altro così, ma le cose erano precipitate subito, perché erano entrambi parecchio competitivi.
<< Hai imbrogliato. Voglio la rivincita >> contestò Craig, esattamente come le volte precedenti.
<< E come?! Come avrei imbrogliato?! >> ancora non riusciva a capire.
<< Non lo so, ma hai imbrogliato >> un sorriso di scherno nacque sulle labbra del ragazzo. 
<< Bene, allora. Facciamone un'altra >> disse determinato, riportando gli occhi sullo schermo << Ma non vincerai >>
Craig ridacchiò.
<< Non prendermi in giro! >> si infervorò, ripagandolo con una gomitata scherzosa. 
<< Ouch >> si lamentò comunque Craig, dandogli una gomitata di rimando. 
Continuarono così fin quando Craig non selezionò le impostazioni per un'altra partita. 
Era incredibile, per Tweek, il fatto che lì, con Craig, nella sua stanza -una stanza non sua- si sentisse al sicuro, senza paranoie né psicosi. Non stava né tremando e né pensando troppo, e cosa ancora più strana, gli veniva da comportarsi con naturalezza. Era come se Craig possedesse una pacatezza che era in grado di trasmettergli, e che gli permetteva di chiudere il mondo fuori quando era con lui. 
Tweek era di nuovo in vantaggio, e se ne stava appena compiacendo quando Craig mise pausa.
<< Cosa c'è? >> chiese, indispettito.
<< Hai freddo? >> domandò Craig, premuroso.
<< Giusto... giusto un po' >> arrossì, sotto lo sguardo intenso dell'altro.
Tweek trovava Craig bellissimo, e si domandò se gli altri lo vedessero come lui lo vedeva; o se, appunto, lo vedeva così perché lo guardava attraverso gli occhi dell'amore, perché al momento gli sembrava impossibile che qualcuno potesse contraddirlo.
<< Abbiamo staccato il riscaldamento, per via di alcuni lavori >> spiegò, alzandosi in piedi e dirigendosi verso l'armadio.
Tirò fuori un plaid beige che srotolò, poi si avvicinò ponendoglielo sulla testa, coprendogli il capo e la schiena, come se fosse una suora.
Tweek gli sorrise, e Craig gli sorrise di rimando.
<< Sei tenero >> lo informò, poi si andò a sedere accanto a lui, facendosi più vicino e alzando un lembo della coperta perché coprisse anche lui.
Tweek non ricordava di essere mai stato più felice che in quel momento, vicino a Craig, sotto un plaid caldo, e due tazze di caffé davanti a loro.
Craig avviò di nuovo la partita, ma Tweek questa volta fece fatica a mantenere il suo primato, cosicché Craig lo batté con un giro di scarto.
<< No! >> piagnucolò, mentre Craig gli mostrava il dito medio, un'espressione compiaciuta in volto.
Tweek allungò la mano per abbassare quella dell'altro, come se così facendo potesse cancellare la sua sconfitta, e Craig lo baciò, approfittando della via libera.
Fu un bacio delicato, e tenero, poi Craig si allontanò, con un sorriso scaltro, che mostrò il suo apparecchio. 
<< Devo confessare che, ho imbrogliato >>
Tweek lo osservò smarrito per qualche secondo << Cosa?! Come?! >>
Craig ridacchiò << Sono forte su quella pista >>
<< Lo sapevo! Eri l'unico che imbrogliava! >> lo pizzicò sui fianchi, e Craig ridacchiò, tentando di tenergli ferme le mani.
Lottarono per un po' cercando di farsi il solletico a vicenda, poi Craig riuscì a catturare una guancia dell'altro nel palmo della mano, e a tenerlo fermo per un altro bacio. 
Questo fu più lungo, ed intenso.
<< Voglio la pizza >> esordì Tweek, all'improvviso, staccandosi da lui, e guardandolo come un bambino che fa i capricci.
Craig lo guardò disorientato << Uhm, ok? >> poi gli sorrise << Allora avrai la pizza >>
Tweek sorrise di rimando, poi Craig se lo tirò sulla spalla, prendendo ad accarezzargli i capelli. 

 

*Clyde ha una sorella maggiore il cui nome è sconosciuto, quindi Martha è un nome di fantasia

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Capitolo 18
*** 23:48 ***


18. 23:48


Le cose stavano andando meglio.
Tweek non avrebbe mai creduto che lui e Craig iniziassero ad uscire insieme, tantomeno che passassero il weekend a mandarsi messaggi; inoltre, Craig si era dimostrato molto più gentile di quanto avesse creduto. Avevano passato il sabato a giocare ai videogiochi e ad accarezzare Striscia, poi avevano mangiato una pizza e visto un film di fantascienza - che, per la cronaca, non lo faceva dormire da due notti-, ma Craig non aveva più provato a trascinarlo sul letto. E questo lo aveva messo di molto a suo agio, anche perché si era tormentato per l'intera notte di sabato su se avesse fatto bene o meno ad accettare il suo invito, per paura che Craig gli facesse pressioni per spingersi oltre. E tutti sapevano che lui non riusciva a reggere la pressione.
Sono contento che non mi hai stuprato e ucciso, gli aveva scritto in un messaggio.
Stava scherzando ovviamente, ma si pentì l'attimo dopo averglielo inviato con la paura che Craig potesse scambiarlo per uno psicopatico.
Non ho mai avuto intenzione di ucciderti, gli aveva risposto Craig.
Poi gli aveva mandato un altro sms: per il resto, questo era solo il nostro primo appuntamento. Ricordi?
Tweek aveva sentito una sensazione di calore estendersi nella sua pancia, e non sapeva se questo gli mettesse più paura, o aspettativa, per cosa sarebbe successo la prossima volta. Forse entrambe.
<< Ehi Tweek! >> sentì la voce di Kyle chiamarlo, mentre trasportava il vassoio con la sua brioche e il suo caffé verso un tavolo libero della mensa.
Si voltò verso di lui, e lo trovò a sorridergli, anche lui con un vassoio, accompagnato da Kenny che invece portava tra le mani un sacchetto.
Ecco un'altra cosa positiva: Kyle gli parlava di nuovo.
<< Oh! GAH! Kyle! Kenny! >>
<< Ciao, Tweek >> lo salutò Kenny.
<< Ti siedi con noi? >> lo invitò Kyle.
Tweek non riuscì a trattenere un sorriso. Annuì << Sì! GAH! Voglio dire! Perché no?! >> 
Si diressero tutti e tre verso quel tavolo libero che aveva puntato prima.
Mentre si sedevano, Kenny gli chiese: << Tutto bene, Tweek? >>
<< Sì... ngh! Voglio dire, le cose stanno diventando facili >>
<< Sei felice di essere tornato? >>
Tweek vide Kyle muoversi un po' a disagio sul suo posto.
<< Non puoi immaginare quanto >> gli rispose, con un sorriso.
<< Ehi, ragazzi >> li salutò Stan, sedendosi accanto a Kenny, lo sguardo che scrutava la fetta di torta al cioccolato sul suo vassoio in modo critico.
<< Ciao, Stan >> lo salutò. 
Non erano mai stati grandi amici, ma non era una persona che gli dispiaceva avere attorno.
<< Tweek, sono felice che ti sia unito a noi >> 
Si scambiarono un sorriso di circostanza, poi l'idillio fu interrotto dall'arrivo di Cartman, che se ne stette in piedi al fianco del tavolo, reggendo un vassoio strabordante.
<< Mi state prendendo per il culo?! >> sbottò.
I quattro si voltarono verso di lui, increduli.
Gli occhi di Eric dardeggiarono su Kyle << Prima tenti di fottermi la ragazza e poi fai sedere Tweek al tavolo con noi?! >>
Kyle si alzò di botto battendo le mani sul tavolo.
<< Basta così, Cartman! >>
<< Siete seri?! >> continuò Cartman.
<< Smettetela, tutti e due >> intimò loro Stan.
<< Chi cazzo ti ha eletto capo del gruppo? >> sputò velenoso il grassone.
<< Ra-ragazzi, ngh! Io posso... posso sedermi da un'altra parte... >> cercò di dire Tweek.
Si sentiva sprofondare. Non aveva calcolato che al tavolo con Kyle ci sarebbe stato anche Eric.
<< No. Tweek, resta >> lo pregò Stan.
<< Bèh, questo tavolo è troppo piccolo per tutti e due, o se ne va lui, o me ne vado io! >> li minacciò Cartman.
Gli altri tre semplicemente lo fissarono. Stan era leggermente mortificato, mentre Kyle lo guardava con sfida e Kenny con durezza.
<< Va bene allora >> disse stizzito Cartman, prendendo posto all'altro lato di Kenny, di fronte a Kyle << Vi perdono, so che siete troppo imbarazzati per cacciare Tweek, e che pensate che io sia troppo figo per stare con voi >>
<< Coglione >> sussurrò Kyle tra sé e sé, sedendosi di nuovo, ma Tweek poté udirlo, dato che era accanto a lui. 
Stan ruotò gli occhi.
Cartman era un vero cretino, ma Tweek poteva capirlo. Non aveva torto a non volerlo lì con lui.
<< Cosa hai lì, Kenny? >> chiese Eric, come se nulla fosse, mentre Kenny leggeva un bigliettino che aveva trovato nel suo sacchetto, sorridendo.
<< È di Karen. Mi ha preparato lo spuntino >> spiegò felice.
Cartman rise, con la classica risata roca che faceva quando voleva prendere in giro qualcuno.
<< Karen ha una cotta per Kenny! >> 
<< È mia sorella, deficiente! >> 
Tweek ricordava Karen. Era carina, e gentile, proprio come Kenny, e i due avevano davvero un legame profondo, forse perché avevano imparato a contare l'una sull'altro in un contesto familiare disastrato. Kyle gli aveva raccontato che da piccolo Kenny aveva lavorato una settimana intera solo per comprarle una bambola che Karen desiderava molto, ma che la sua famiglia non si poteva permettere.
<< Non vuol dire niente. Hai visto Game of Thrones? >>
<< Cartman non ha tutti i torti >>  intervenne Kyle, sorprendentemente << Anzi, capita quasi sempre che le sorelle minori si prendano una cotta per i fratelli maggiori >>
<< Vuoi dire che Ike ti ha fatto qualche proposta? >> rise Cartman, prendendolo in giro. 
<< Ike è un ragazzo >> contestò Kyle.
<< Di certo Shelly non ha una cotta per me >> affermò Stan, e tutti risero. 
<< Ugh! Senza offesa Stan, ma meno male! >> rise Kenny.
<< Figurati. Forse per questo mi odia, perché sono più bello di lei! >>
<< Sh-Shelly mi spaventa! >> disse Tweek. La ragazza non era proprio la persona più simpatica sulla faccia della terra.
<< Non solo te, Tweek, te lo assicuro >> gli rispose Stan.
<< Andiamo al club, stasera >> cambiò argomento Kyle.
<< Ma è lunedì! >> si lamentò Cartman.
Kenny ridacchiò << Cartman ha paura di perdersi Ballando con le Stelle! >>
Poi lui e Stan presero a ridere.
<< Ehi! >> li riprese Eric << Perché stasera? >> poi chiese.
<< Non possiamo andare mercoledì. Rischiamo che quelli di North Park ci aspettino >> spiegò Stan.
<< Argh! Quel cazzo di Tucker >> lo maledisse Cartman. 
Craig? Cosa  c'entrava Craig?
<< Dovresti venire, Tweek >> lo invitò Kyle.
Tweek quasi si strozzò con la brioche che stava masticando. Kyle lo aveva invitato? Davvero?
<< Davvero? >> diede voce ai suoi pensieri.
<< Sì >> rispose Kyle, come se fosse scontato << Sinceramente non so perché tu non ci sia venuto nelle settimane scorse >>
<< Bèh... ngh! Non lo so, sto ancora cercando di ambientarmi >> spiegò, con un po' di imbarazzo.
<< Cerca di non ambientarti troppo, potrebbero risbatterti dentro da un momento all'altro >> gli disse con cattiveria Cartman.
Kyle gli diede un calcio da sotto al tavolo, facendolo tremare tutto.
<< Non ascoltarlo, Tweek. Sei autorizzato anche a picchiarlo, se continua >> disse furente.
<< Fottiti, Kyle! >> Cartman si era alzato dal tavolo, facendo cadere con una manata il vassoio di Kyle a terra, e facendo tremare tutti quelli che erano presenti al tavolo.
<< Anzi, fottetevi tutti! >> aggiunse, prima di lasciarli e andarsene.
Loro quattro rimasero in silenzio, più che sorpresi dall'inusuale reazione di Cartman, che si lamentava in continuazione, ma che non perdeva mai il controllo. Fino a quel momento.


Forse la voce che avevano spostato il solito appuntamento da Skeeter non era giunta a tutti, o forse c'era un motivo per cui solitamente la tenevano di mercoledì, forse di lunedì gli altri avevano altri impegni. Fatto sta, che ne erano pochi, rispetto al solito. Anche se c'era più gente adulta.
Kenny e Cartman non erano venuti, perché Kenny non si era sentito di abbandonarlo a se stesso, anche se lo odiava, e tutto perché Kenny era davvero un bravo amico. Così aveva proposto a Cartman di vedersi solo tra di loro, per concedergli un po' di tempo 'Kyle-free', come l'aveva chiamato. Butters si era unito a loro, semplicemente perché era il classico buon samaritano, ed era così innocente che pensava che perfino Cartman meritasse la sua amicizia, nonostante l'altro lo usasse sempre per i suoi comodi.
Kyle, invece, si era messo a giocare a biliardo con Tweek, Kevin e Jimmy. 
Stan si era tirato indietro per costringere Tweek a giocare, invece di starsene in un angolino da solo tutto il tempo. Aveva fatto la sua buona azione giornaliera, no?
Quindi adesso si stava dirigendo sul retro del locale per vedere chi ci fosse.
Appena uscì, una cappa di fumo lo avvolse. Tossì forte.
<< Sei una checca, Marsh >> 
Cercò di mettere a fuoco attraverso gli occhi che gli lacrimavano il ragazzo da cui proveniva la voce, ma lo aveva riconosciuto lo stesso, per mezzo dell'accento francese strascicato e del tono rude.
<< Non dovresti fumare davanti alla porta, Cristophe >> lo ammonì.
Di fianco a lui, appoggiato al muro, c'era Damien, lo sguardo truce e i capelli neri lunghi gelatinati all'indietro, vestito e acconciato come se fosse un divo degli anni '80. 
Non lo salutò. Damien gli faceva paura, e non l'aveva mai sentito parlare. Si vociferava che fosse in una setta satanica. 
Non voleva comunque attirarsi l'ira di Satana, quindi gli fece giusto un cenno del capo.
Vicino a lui c'erano Clyde e Craig. Il primo era seduto su un muretto, con un braccio attorno al collo del secondo.
<< Ehi, Stan. Vuoi fumare? >> lo accolse Clyde.
<< Sì, grazie >> disse grato, avvicinandosi e prendendo poi la sigaretta che l'altro gli porgeva. 
Clyde ritirò il braccio intorno a Craig per poter accendergli la sigaretta.
Dopo il primo tiro, Stan si andò ad acquattare di fianco a Craig, perché non voleva stare vicino a Damien. 
Quando alzò gli occhi di fronte a sé, vide in un angolino la banda dei ragazzi goth che li fissavano torvi.
<< Ehi, ragazzi >> li salutò.
Aveva fatto parte per un po' del loro gruppo, vestendosi di nero e predicando la depressione, ma poi era ritornato in sé e loro non avevano più voluto avere a che fare con lui. Ancora erano in buoni rapporti, però, nonostante tutto. 
<< Tch >> lo accolse Pete, un ragazzo con il viso butterato, spostandosi con un movimento della testa il ciuffo rosso e nero che gli copriva la faccia << Pensi che il tuo saluto melenso possa cancellare il fatto di averci fregato il posto? >>
La sua voce aveva un tono gutturale, strascicato.
Stan li osservò avvilito. Arrr, non di nuovo, si disse, ma non si strinse il naso perché non voleva esasperare il rapporto che aveva con loro. Erano bravi ragazzi, in fondo.
<< Guarda che noi veniamo qui tutte le settimane >> spiegò.
<< Non di lunedì >> puntualizzò Michael, appoggiato al suo bastone con il suo atteggiamento da dandy << Era l'unico giorno in cui questo posto non pullulava di conformisti >> concluse con disprezzo.
<< Ci sono altri locali a South Park >> ricordò loro.
Henrietta se ne stava accanto a Michael, nel suo lungo vestito gotico che si allargava sul suo corpo curvy. 
<< Quali? Intendi quello schifo di 'So-Do-So-Pa' pieno di fighetti figli di papà? >> sputò la ragazza, marcando ogni sillaba. Aveva persino fatto quel movimento di sufficienza con gli occhi -pesantemente truccati- che faceva sempre, agitando il bocchino con la sigaretta che stringeva fra le dita.
<< Questo era l'unico posto ok. Ci siamo tenuti lontani da voi, e adesso venite a disturbarci nel nostro giorno >> li accusò Firkle, un ragazzino nanetto col ciuffo nero e le labbra truccate di viola, con la sua vocetta tanto sottile e fredda da fargli accapponare la pelle. Era il più piccolo dei quattro, ma quello più pericoloso. Veniva spesso messo in punizione per minacce verso terzi o per vandalismo, il più delle volte.
<< Che ne è del Village Inn? >> chiese Stan. Era il locale dove i goth passavano gran parte del loro tempo, bevendo caffé.
<< Bleah >> Henrietta ruotò gli occhi << È diventato un covo di conformisti >> 
<< Lasciali perdere, Marsh. È inutile parlare con loro >> lo riprese Cristophe. 
<< Tu non puoi capire. Tch >> lo accusò Pete, spostandosi il ciuffo. Stan avrebbe voluto tagliarglielo ogni volta che lo faceva. Lo innervosiva << Perché sei un conformista >>
<< Dai, ragazzi, questo posto è grande abbastanza per tutti >> cercò di pacificarli Stan. 
<< Tu puoi continuare a venire, se vuoi, Raven. Io so che c'è un anticonformista sotto quel giubbino firmato, tch >> 
Raven era il nome che Pete gli aveva dato quando gironzolava con loro. 
<< Avanti ragazzi >> sospirò. 
Gli dispiaceva che se la prendessero così a male. Se ne stavano sempre costantemente isolati, per evitare la scocciatura di venire perseguitati. Sapeva che la loro paura era che gli altri cominciassero a prendersi gioco di loro, come sempre. 
<< Vi offro da bere? >> provò.
<< No, grazie. Non ci tengo a fraternizzare con il nemico >> rimarcò Michael.
Stan sentì Cristophe ridacchiare di scherno, due passi più avanti. Lo ignorò.
Gli altri se ne stavano in silenzio, come se la questione fosse troppo stupida per toccarli. E come dare loro torto? Però Stan voleva bene ad Henrietta e al resto.
<< Io accetto volentieri >> disse invece Pete, sorprendendolo << E che cazzo, almeno ne approfitto >>
<< Bene >> lo acclamò Stan, espirando un'ultima boccata di fumo, per poi far cadere la sigaretta e spegnerla sotto il piede.
Pete fece lo stesso, ed entrambi si avviarono all'interno verso il bancone. 
Si accomodarono su degli sgabelli, e ordinarono a Skeeter.
<< Io non capisco perché te la fai con quelli >> lo accusò Pete, una volta che ebbe il suo calice di assenzio fra le mani.
<< Perché? >> rispose con noncuranza << Sono miei amici >>
<< Bèh, sono un branco di conformisti >> rispose Pete, come se parlasse del male assoluto. Questa era la loro argomentazione per tutto.
Stan lo osservò intingersi le labbra nel liquido verdognolo.
<< Non sono conformisti >> obiettò << Hanno ognuno le proprie cose. Cristophe è appassionato di armi, ed è uno scassinatore; si dice che Damien sia in una setta, più anticonformista di così. Clyde... bèh, lui è un quarterback, so che sembra l'apoteosi del conformismo, ma credimi, non tutti hanno la stoffa per essere atleti... e Craig... >> pensò un attimo a qualche sua peculiarità.
<< È gay >> concluse Pete, per lui, con non-chalance.
<< Come? >> chiese, scioccato.
<< È gay >> ripeté Pete, guardandolo negli occhi << Vi abbiamo visti, dietro la scuola >>
Stan restò senza parole.
Perché la sua faccia dovette sembrargli instupidita, Pete aggiunse: << Non ti preoccupare, non lo diciamo mica a nessuno >>
Stan inghiottì saliva mista ad ansia.
<< Ma... da dove? >>
<< Eravamo nelle aiuole a fumare marjuana, nascosti >>
Dio.
<< Quanto avete visto? >> chiese, doveva fare il punto della situazione, per vedere fino  a che punto avrebbe potuto negare.
<< Bèh, Henrietta voleva restare a guardare, sai la fissa che hanno le ragazze per queste cose >> spiegò pacato, prendendo un altro sorso del suo drink << Però Michael a un certo punto ha detto che gli stava venendo da vomitare e quindi siamo andati via. Quindi, non molto >>
Stan appoggiò le braccia al bancone e si strinse entrambe le mani intorno al naso, serrando gli occhi.
<< Porca miseria >> sospirò. 
<< Di Craig già sapevo, comunque >>
Stan si voltò a guardarlo, incuriosito.
<< Come? >>
<< Bèh, tch. Abbiamo avuto una storia, due anni fa >> spiegò, senza sentimento.
<< Stavate insieme? >> chiese Stan, non sapendo esattamente come ciò lo facesse sentire.
<< Una specie, tch. Ci siamo stancati presto >> 
<< Non sapevo fossi omosessuale >> lo informò Stan, un po' risentito, sia per la violazione della sua privacy e sia perché gli stava  parlando di queste cose.
<< Omo, etero, l'importante è avere un corpo caldo a soffocare la sofferenza. Bèh, sempre che tu non sia necrofilo >> osservò, rapito << Penso che Firkle, sia necrofilo >>
<< Questo è da malati >> osservò Stan, schifato.
<< Tch. In linea teorica. Non è che abbia possibilità di scoparsi i morti >>
<< Smettila, ti prego >> si abbandonò allo sconforto. 
<< La vera sorpresa sei stato tu >> lo informò << Non sapevo fossi gay, Raven >>
<< Non lo sono >> si difese << Voglio dire, mi piacciono ancora le ragazze >> rettificò, un sentimento di disagio addosso.
Rimasero per un po' silenti perché Skeeter si era avvicinato. Ripresero a parlare non appena si allontanò. 
<< Se ti andasse di fare un'eccezione stasera, sappi che ci starei >>
Cosa?
<< Non è per questo che ti ho offerto da bere, Pete! >> gli ricordò scioccato.
<< Lo so, tch. Solo perché lo sapessi. Non mi dispiacerebbe >>
Non sapeva se si sentisse infastidito o lusingato. Insomma, non aveva mai pensato di stare con altri ragazzi, per lui Craig era l'eccezione e non voleva che diventasse la regola. A lui piacevano le ragazze, del resto. Questa cosa con Craig era una parentesi, qualcosa di isolato. Avere rapporti occasionali non aderiva bene all'immagine che aveva di sé, figurarsi se questi erano con dei ragazzi. 
<< Grazie, Pete, ma preferisco di no >>
<< Come vuoi >> rispose l'altro, bevendo il resto del suo drink tutto d'un sorso, poi saltò giù dallo sgabello << Il mio numero comunque ce l'hai >> 
Pete andò via, e Stan rimase da solo con il suo drink intoccato. 
Lo agitò per osservare il liquido dentro muoversi, ma la sua mente era rivolta a tutt'altro. Non riusciva ad immaginarsi Pete e Craig insieme; certo, aveva sospettato che Craig avesse avuto altre esperienze, oltre lui, per il modo esperto in cui si muoveva. Non che lui fosse completamente nuovo a certe cose, perché a Wendy piaceva fare dei giochetti... a cui lui si era per lungo tempo opposto, e a quali poi aveva dovuto soccombere.
Solo che adesso era diverso. Era come avere la conferma che Craig non fosse come lui, che fossero diversi; che Craig vivesse e respirasse con la speranza di costruire qualcosa, con un altro ragazzo, mentre per lui quella era una cosa al di fuori della sua realtà. E poi non solo, per Craig lui doveva essere solo un ragazzo tra gli altri, mentre per lui Craig era qualcosa di speciale, l'unico ragazzo con cui avrebbe condiviso certi momenti in tutta la vita. 
Non sentiva nessuna tristezza né amarezza, le cose stavano così e le accettava, sentì solo un enorme voragine aprirsi tra di loro. Una voragine che al momento avrebbe voluto ignorare stringendosi la sua pelle addosso.
Bevve il drink tutto d'un sorso, deciso ad andare fuori  a cercarlo, ma, quando si voltò, si rese conto che fosse entrato, e al momento se ne stava appoggiato al tavolo da biliardo accanto a Tweek, a parlare con Clyde. Impossibile da approcciare.
Non gli restò che anestetizzarsi, ancora una volta, a suon di drink.

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Capitolo 19
*** 23:49 ***


19. 23:49


<< Ehi, ragazzo, vieni qui >> gli intimò Skeeter.
Stan ormai era appiattito sul bancone, con la testa seppellita in un braccio, l'altro disteso, con la mano che stringeva un bicchierino vuoto per metà, perché era strabordato sul legno.
Alzò la testa verso il barista, se la sentiva scoppiare.
<< Mmm? >> mugulò.
<< Vieni qui >> gli ripeté Skeeter, avviandosi verso la porticina che separava il banco dal locale. Vi uscì, poi gesticolò ancora per indurlo a seguirlo.
Cosa voleva?
Skeeter si avvicinò a Kyle e agli altri, dal lato dei tavoli, e attese che Stan li raggiungesse.
Il ragazzo balzò giù dallo sgabello traballando come se avesse fatto un salto di due metri, poi, con tutta la sicurezza che riuscì ad ostentare, si avvicinò alla combriccola. Gli altri ragazzi, comunque, avevano in viso la sua stessa espressione ignara.
<< Bene. Volevo farvi un discorsetto >> esordì Skeeter.
Alcuni lo guardarono, in silenzio, altri si fissarono le scarpe, imbarazzati.
<< Per questa volta siete passati. Non ho fatto la spia alla polizia e neanche ai vostri genitori per quello che avete combinato la settimana scorsa. Per vostra fortuna non c'erano danni consistenti. Però, vi giuro, la prossima volta che succede qualcosa del genere, non sarò altrettanto magnanimo. Intesi? >>
Guardò i ragazzi ad uno ad uno, ed essi ad uno ad uno annuirono.
<< Parlo soprattutto con te >> disse, rivolgendosi a Craig, che lo guardava stoico, mentre Tweek, al suo fianco, lo guardava con aria interrogativa << Capito? >>
<< Sissignore >> rispose Craig, a mo' di sfottò.
<< Occhio >> gli raccomandò Skeeter, indicandosi la suddetta parte del corpo con l'indice << Posso sempre cambiare idea >>
Craig non rispose, scegliendo saggiamente di stare zitto. 
<< Bene allora >> disse Skeeter, compiaciuto << Vi informo che quei coglioncelli di North Park non metteranno più piede qui dentro. Quindi, vedete di venire di mercoledì o farò meglio a chiudere direttamente, quel giorno >>
<< Wooo! Grandissimo! >> si complimentò Clyde, battendogli le mani.
Alcuni lo seguirono, sulle facce degli altri si dipinse un'espressione rasserenata. Stan era troppo ubriaco per controllare la sua mimica facciale.
<< Grazie, grazie >> disse modestamente Skeeter, facendo un giro su se stesso << Vi offro da bere, va >>
Poi si voltò verso Stan, scrutandolo in volto << A te no, cerca di darti una regolata >>
<< Fanculo Skeeter >> ebbe l'ardire di rispondergli << Sono i Marsh che ti mantengono la baracca >>


<< N-non c'era bisogno che mi accompagnassi >> gli fece notare.
Erano appena usciti da Skeeter, lasciando indietro gli altri.
<< Perché no? >> gli chiese Craig, il tono piatto. Si era acceso una sigaretta e la stava fumando.
<< Bèh, ngh! Gli altri erano ancora dentro, se avessi voluto restare... >> farfugliò Tweek, in imbarazzo.
Davanti agli altri non interagivano molto; gli era chiaro che Craig non volesse che si accorgessero di quello che stava succedendo tra loro, e Tweek gliene era grato, perché sarebbe stato troppo pressante, se gli altri avessero iniziato a fare domande a cui non era sicuro di sapere rispondere. Diamine, non aveva neanche capito cosa ci fosse esattamente tra loro. Stavano insieme? O no? 
Decise di non volerglielo chiedere; aveva troppa paura della risposta di Craig, e ne avrebbe avuta sia nel caso fosse stata positiva che negativa.
La sua presenza gli aveva risollevato l'umore, però. Si sentiva una merda, per quello che era successo a scuola, quella mattina, ed era stato ancora peggio quando aveva scoperto che Cartman e Kenny non sarebbero venuti, per colpa sua.
Si chiese se non avesse semplicemente dovuto scegliere di cambiare classe, perché era doloroso, il modo in cui tutta quella faccenda si stava cicatrizzando.
Craig gli era andato vicino, anche non parlandogli. Si era semplicemente avvicinato facendogli sapere di volere stare intorno a lui, ed era stato confortante.
<< Non volevo >> rispose Craig << Volevo stare con te >> gli confessò.
Tweek sorrise, ma tentò di nasconderlo infossando il naso nella pesante sciarpa che portava.
<< Se avessi saputo di avere compagnia, sarei potuto tornare anche più tardi. Ngh! >> tremò, ma più per il freddo che per l'ansia. Ormai quella non c'era più, quando era con Craig.
Era come se Craig non avesse aspettative, quindi non gli pesavano addosso come quelle degli altri, facendolo andare in ansia.
<< Basta chiederlo, e io ti accompagno >> gli assicurò Craig, espirando del fumo.
Era così dolce. Come se avesse tenuto dentro questa gentilezza per così tanto tempo, che, adesso che era uscita, non riusciva a smettere di sgorgare, come la linfa dal tronco di un albero ferito. 
<< Vuoi venire al parco? Un attimo? >> gli chiese Craig. Dovevano fare una deviazione, per andarci, ma non era comunque lontano da casa sua.
Annuì, nonostante stesse gelando. Voleva stare con Craig più tempo possibile.
<< Cos'è questa storia dei danni al locale? >> chiese Tweek, interessato, mentre si avviavano verso il parco.
<< Bèh... >> esordì Craig, e Tweek poté giurare che avesse preso un po' di colore. Il suo sguardo divenne schivo << ...abbiamo fatto a botte con dei tipi >>
<< GAH! Chi?! >> chiese, agitato. 
<< Nessuno. Dei tipi di North Park >>
<< Perché? >> domandò ancora, preoccupato. 
<< Cercavano rogne >> 
<< GAH! E se... e se volessero attaccarci di nuovo?! >> squittì.
Craig allungò un braccio sulle sue spalle, tirandoselo vicino << Allora dovranno passare su questo >> disse, mostrandogli il dito medio mentre lo rivolgeva alla strada.
Tweek rise; e Craig con lui.
<< Comunque non se la prenderanno con te >> lo rassicurò Craig, soffiandogli nell'orecchio << Dovranno solo provarci >>
<< Suona minaccioso... >> notò, voltandosi verso di lui con sguardo malizioso.
Craig deglutì.
<< Mi piace >> concluse Tweek, un sorrisetto sulle labbra.
<< Mi ucciderai, se mi guardi così >> gli disse Craig, poi gli stampò un bacio sulla tempia e lo lasciò andare.
Tweek arrossì. Si sentiva così felice.
<< Non c'è nessuno >> osservò, una volta giunti al parco.
Craig spense la sigaretta su uno dei cestini, buttandoci quello che ne restava dentro.
<< È tardi >> gli fece notare, poi entrambi andarono a sedersi su una panchina.
<< Gah! È così fredda! >> si soffiò un po' di fiato sulle mani, nel vano tentativo di scaldarle. 
<< Dovresti mettere dei guanti >> 
<< No! Cioè... Metti che poi mi scivola il telefono -ngh!- dalle mani. E se va a finire in un tombino?! E se gli uomini granchio lo trovano? Oh dio! Non riesco neanche a pensarci! >>
Craig lo guardò un attimo, poi Tweek lo vide togliersi i guanti e lasciarli sulle gambe.
Una mano si allungò verso la sua, lentamente. Le dita gli sfiorarono il palmo, facendogli trattenere il respiro. Aprì la mano per permettere a Craig di intrecciare le dita con le sue. La mano di Craig era calda, troppo, in contrasto con la sua, tanto che poteva sentire il calore irradiare verso la sua pelle. 
Restarono entrambi ad osservare quel contatto. Tweek sentì le farfalle nel suo stomaco svolazzare con più decisione, e sentiva il cuore pompare forte nelle sue arterie. Era come se il mondo iniziasse e finisse con quel contatto, che sembrava più intimo di qualsiasi altro avrebbero mai potuto avere.
Poi Craig gli prese anche l'altra mano, e le strinse entrambe fra le sue, sfregandogliele.
<< Le scaldo io >> si offrì, la voce calda quanto il suo tocco, che gli accarezzò le orecchie. 
Tweek non aveva mai trovato i suoi occhi così luminosi quanto in quel momento.
<< Posso anche tenerti il telefono, se vuoi >> Tweek osservò le sue iridi scrutare le proprie << O prendere in calci in culo questi uomini granchio di cui parli >>
A Tweek scappò un sorriso.
<< Quindi >> continuò Craig << prendili >> disse, lasciandogli le mani, poi prese i guanti e con delicatezza glieli infilò, prima sulla mano destra, poi sulla sinistra.
Tweek osservò le sue mani coperte, aprendo e chiudendo le dita davanti ai suoi occhi, come un bambino. La sensazione era piacevole, ma non come quando a scaldargli le mani era Craig.
<< No-non posso tenerli io. Ti gelerai le mani >> 
<< Sopravvivrò >> gli rispose stoicamente Craig.
<< Bèh, grazie >> si arrese, guardando felice i suoi nuovi guanti. Non che fossero dei guanti speciali. Erano neri ed anonimi, ma erano un dono di Craig. 
<< Tweek >> sentì chiamarsi, e qualcosa in quella voce gli fece salire un brivido lungo la spina dorsale. Si voltò verso l'altro, trovando il suo volto a poca distanza. Craig aveva l'odore del fumo, un odore che stava iniziando a trovare familiare.
Trovarono conforto da quel freddo pungente nel baciarsi, al buio di un parco giochi deserto.

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Capitolo 20
*** 23:50 ***


20. 23:50


Tum.
Quel rumore ebbe il potere di farlo saltare seduto sul letto, un sentore di pericolo sulla pelle. Il suo cuore batteva impazzito, già sicuro che fosse in atto un terremoto. Invece, era Shelly che aveva aperto la sua porta con una spallata. 
<< Non devi andare a scuola, mostriciattolo? >> ghignò.
<< Fottiti, Shelly >> riuscì a dire, stringendo gli occhi e prendendosi la testa fra le mani. Maledetto mal di testa. Maledetta sbornia.
Shelly era già scesa giù dalle scale, con il suo passo da elefante, quando Stan si decise a guardare la sveglia sul comodino. Dovette mettere a fuoco i numeri luminosi sullo schermo, prima di riuscire a leggere l'orario.
<< Le 7 e mezza. Cazzo! >> 
Si tirò su rischiando di inciampare nelle coperte, si infilò i jeans e scattò verso la porta per chiuderla, per poi dirigersi verso l'armadio per cercare una maglietta pulita, che non puzzasse di alcol come lui. Indossò la prima che trovò, poi andò alla scrivania per recuperare lo zaino, ma urtò col piede contro lo spigolo di questa.
<< Ah, cazzo! >> si lamentò, dando origine alla seconda imprecazione della giornata.
Una foto, che doveva essersi bloccata dietro la scrivania, cadde a terra all'impatto.
Stan la guardò, ancora dolorante. Restò ad osservarla con cautela, lì, ferma sul pavimento, con la paura di prenderla. Era una foto di Wendy. 
Poi si decise a tirarla su, mettendosi con le spalle al muro, e la guardò meglio.
Wendy doveva avere sui 13 anni. Sorrideva, con il viso appoggiato fra i pugni, nel suo cappottino viola. Gliela aveva scattata lui, al Walmart. Aveva appena aperto, e loro erano andati a visitarlo insieme. 
Probabilmente, quello della foto, era il periodo in cui erano stati più uniti nella loro vita. 
Accarezzò il suo profilo, scivolando sul pavimento, dimentico del suo ritardo.
Quante altre foto, in giro, c'erano ancora di lei? Ne aveva una cartella intera chiusa in un cassetto, in cui non aveva più guardato. Anni ed anni di relazione nascosti come fossero il più meschino dei peccati. 
Adesso ricordava. La foto che aveva in mano, gliel'aveva ridata Wendy, indietro, con una dedica.
Gli occhi gli erano già diventanti lucidi, quando girò la foto.
Voglio stare insieme a te per sempre. Ti amo! Wendy❀
Era una bugia.
<< Fottiti, Wendy >> disse, al nulla.
<< Fottiti >> ripeté, la voce rotta.
Si portò una mano davanti alla bocca e scoppiò in un pianto silenzioso.
<< Perché non lo dici al tuo fottutissimo fratello? >> sputò, con rabbia.
Era così ingiusto. 
Era così ingiusto, che lei avesse voluto buttare nel cesso tutto ciò che c'era stato tra di loro e che lui non potesse farci niente. Non poteva farle cambiare idea, non poteva tornare indietro nel tempo, e non poteva neanche dimenticare tutto.
Come si faceva a dimenticare nove anni della propria vita? Non era pronto, per quello. Non era pronto a lasciare andare le sue sicurezze. 
Non c'era nessun'altra persona, sulla faccia della Terra, che gli sarebbe rimasta accanto per così tanto tempo come lei, nonostante tutto, nonostante i litigi, nonostante avesse toccato il fondo tante altre volte. Wendy non si era tirata indietro, quando da piccoli lui continuava a vomitarle davanti, come avrebbe fatto qualsiasi ragazza normale e sana di mente. Non lo aveva abbandonato neanche quando l'adolescenza lo aveva trasformato in un ragazzetto pieno di acne e coi baffi, e neppure quando era diventato cinico e depresso, e aveva provato in tutti i modi a farlo smettere di bere. Ci era anche riuscita, a dire il vero, prima che si lasciassero.
Si erano amati, consolati, odiati ed insultati così tante volte che non ne teneva il conto, eppure erano sempre tornati insieme, certi che non avrebbero potuto stare l'uno senza l'altra.
Ma questo, ormai, che importanza aveva, se non significava per Wendy ciò che significava per lui? 


<< Ehi Tweek >> lo salutò Kyle, prendendo una sedia dal banco davanti e posizionandosi vicino al loro banco. 
Tweek alzò gli occhi dalla lezione che stava ripassando per portare l'attenzione sul nuovo arrivato.
<< Ehi Kyle >> si illuminò, e un dolce sorriso gli comparve sulle labbra.
Craig osservò la scena in silenzio, le spalle contro il muro e gli occhi rivolti sul biondo, così come stava facendo da prima che arrivasse Kyle.
<< Hai sentito le nuove canzoni degli Hiden? >> 
<< Ngh! No! Hanno fatto un nuovo album? >> chiese Tweek, interessato.
Kyle annuì << È uscito questa estate >>
<< Bèh, gah! Lo sai, non ho avuto molto modo di seguirli, in... >> poi si bloccò, e lanciò un'occhiata di sottecchi a Craig, come se fosse preoccupato di dire qualcosa che lui non poteva sentire << ...cioè, quando sono stato via... >>
<<  Ad ogni modo stasera c'è un concerto >> lo informò Kyle, porgendogli tutto entusiasta un volantino stropicciato.
Tweek lo afferrò, e lo lisciò sotto le mani.
Craig gli diede un'occhiata. C'era il nome del gruppo con un font che ricordava quello dei Metallica e sotto una loro foto, tutti vestiti di nero con capigliature abbondanti.
Gli occhi di Tweek si allargarono.
<< No-non ci credo! Sembra un sacco bello! >> il suo entusiasmo era palpabile.
<< Ho pensato che volessi venirci con me. Sai... >> continuò, un po' imbarazzato << Non piacciono a nessuno degli altri, e poi sarà come ai vecchi tempi >>
Tweek annuì.
<< Ok, Kyle. Ngh! Ci-ci vengo volentieri! >> 
Aveva sentito bene? 
<< Bene, allora >> si congedò Kyle, contento, alzandosi e rimettendo la sedia al proprio posto << Oggi ti mando qualche canzone nuova, così inizi ad ascoltarle >> 
<< Grazie! >> rispose Tweek, entusiasta.
Kyle gli sorrise, poi si allontanò. Proprio in quel momento suonò l'intervallo, anche se loro erano in pausa già da dieci minuti. 
Craig si alzò, con l'intento di andare a fumare, così come faceva sempre, irritato.
<< A-aspetta! >> lo chiamò Tweek, chiudendo rapidamente il quaderno e preparandosi per seguirlo << Voglio andare in mensa, possiamo fare la strada insieme? >>
Era una richiesta strana; Craig non era abituato a portarsi dietro la scorta, a meno che Clyde non decidesse di andare a fumare con lui.
Non disse niente, ed entrambi uscirono dalla classe e si avviarono per i corridoi.
<< Pensavo andassimo al cinema, stasera >> gli ricordò Craig, risentito. 
Era bastato l'invito di Kyle perché Tweek si dimenticasse della serata con lui. Sembrava che appena ci fosse Kyle, tutto il resto per Tweek sparisse.
<< AH! >> Tweek si fermò, guardandolo dispiaciuto << Scusami, Craig! Me l'ero completamente scordato >>
Craig riprese a camminare << Vieni. Non voglio passare tutto l'intervallo in corridoio >>
Tweek accelerò il passo per raggiungerlo << Guarda, io voglio davvero, davvero andare al concerto con Kyle. È-è qualcosa di importante, per me. Possiamo sempre andare oggi pomeriggio, al cinema? >> propose. 
Craig annuì, piano << Va bene, allora >> acconsentì, ma non era lo stesso.
<< Dovresti venire anche tu al concerto >> gli disse Tweek.
In quel momento, Craig vide Stan arrivare dalla direzione opposta, in compagnia di Kenny. Probabilmente stavano tornando in classe, dato che erano usciti da un po'. Lo stava guardando e, non appena furono vicini, lo sfiorò con la spalla.
<< Sono un gruppo emergente di Middle Park, e sono un sacco bravi >> stava spiegando Tweek.
Craig si infilò una mano nel cappotto, e vi trovò un bigliettino. Quindi non aveva visto male, Stan gli aveva sul serio infilato qualcosa in tasca. Lo strinse fra le mani.
<< Passo >> commentò solo, e Tweek parve intristirsi.
Si fermò davanti alla porta della mensa, e Craig con lui.
<< Sei arrabbiato? >> chiese Tweek.
<< No >> rispose Craig, guardando nei suoi occhi. Era vero, non era arrabbiato, solo deluso << Verrò, oggi al cinema. Non mi va di venire al concerto, però >>
Tweek lo scrutò in volto come per vedere se dicesse la verità, e Craig lo trovò carino, con quel naso puntato all'insù, i capelli sfatti e le occhiaie che gli conferivano un'aria spossata.
<< È tutto ok, quindi? >> chiese per conferma.
<< Sì, è tutto ok >> gli sorrise Craig, ammorbidendosi.
Tweek gli sorrise di rimando, poi entrò in mensa, e Craig decise di fare una deviazione nei bagni.
Non poteva costringere Tweek a preferire lui a Kyle. Non poteva costringere nessuno.
Doveva essere Tweek a decidere con chi preferisse stare, e doveva essere sempre lui a decidere cosa dirgli e cosa no. Craig non poteva costringerlo a fare proprio niente. Non poteva costringere gli altri a volergli bene, o a scegliere lui su tutto il resto, anche se lui lo faceva sempre, e non gli tornava mai indietro. Nessuno avrebbe preferito lui. Lui era sempre la seconda scelta, per Clyde, per Stan, per Tweek. Però non poteva evitare di dare tutto se stesso, nelle relazioni. Si affezionava a poche persone, ma in fretta, sempre troppo rispetto a quanto facevano gli altri.
Andava bene così. Tutti avevano il diritto di decidere le proprie priorità, e lui non poteva costringere Tweek a vedere solo lui.
Non riuscì a smettere di pensare che, ancora una volta, non riusciva a trovare il suo posto nel mondo, mentre era all'orinatoio. Proprio il posto perfetto, per deprimersi. 
Si tirò indietro e si sistemò la zip.
Non era comunque il tipo da perdere facilmente le speranze.
Solo in quel momento, si ricordò del bigliettino nella sua tasca. Vi infilò la mano, e tirò fuori il pezzo di carta.
Era un post-it. Rosa. Stan doveva averlo preso da Kenny, perché solo lui poteva avere dei post-it rosa, o da una delle ragazze.
Lo aprì, e lesse, nella pulita e decisa calligrafia in stampatello minuscolo.
"Oggi, a casa mia?" e c'era uno smile ammiccante.
Almeno c'era ancora qualcuno che voleva vederlo. 
Quel qualcuno, però, era arrivato troppo tardi.

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Capitolo 21
*** 23:51 ***


21. 23:51


Tricia aveva un'espressione scazzata in volto, quando venne ad aprirgli alla porta. Doveva averla disturbata mentre guardava la tv, e prontamente lo accolse con il dito medio alzato.
Craig ricambiò il gesto, poi entrò, ignorandola. 
Non gli aveva più parlato dopo il loro ultimo litigio, così grazie al cielo la sua permanenza a casa era diventata più silenziosa.
Salì le scale e aprì la sua stanza, si tolse le scarpe e si gettò di peso sul letto senza neanche togliersi il cappotto. 
Era andato al cinema con Tweek, a vedere il Piccolo Principe. 
Non che ci fosse molta scelta. L'unico cinema a South Park era piccolissimo ed aveva una sola sala, quindi trasmettevano un film alla volta, e quello era appena uscito. Fortunatamente, era un film che Tweek poteva gestire tranquillamente; gli aveva raccontato di aver avuto degli incubi dopo che sabato avevano visto Alien. Craig non poteva permettere a Tweek di non vederlo, comunque, anche perché i film di fantascienza erano i suoi preferiti. Tuttavia, Tweek gli aveva spiegato che era abituato alla sua impressionabilità, e che non voleva comunque precludersi niente, per colpa di questo. Craig lo trovava ammirevole.
Ad ogni modo, era stata una strana coincidenza che si trovasse a vedere il Piccolo Principe proprio con lui, dopo che aveva pensato che somigliasse un sacco al protagonista della storia. E adesso ne era ancora più convinto.
Non avevano avuto molto tempo per stare insieme, però. Erano tornati a baciarsi dietro al cinema, ma erano rimasti per soli dieci minuti, perché Tweek doveva prepararsi per il concerto. Non avevano neanche potuto fare la strada insieme, perché il Tweek Bros. si trovava proprio accanto al cinema.
Tweek aveva avuto fretta di andarsene. 
<< Craig! >> sentì sua sorella chiamarlo attraverso la porta aperta << Qualcuno ti cerca alla porta >>
Cosa? 
Chi poteva essere, alle nove di sera? Clyde?
<< Chi? >> chiese.
<< Non è biondo, e non è Clyde >>
Che cazzo?
Si alzò di malavoglia. Perché cazzo la gente non se ne stava a casa sua, la sera, invece di rompere le palle? Se era Cristophe che voleva tormentarlo ancora con quella storia delle scommesse, poteva andare a farsi fottere. Non si sarebbe invischiato nelle sue cose illegali.
Si infilò rapidamente le scarpe e scese le scale, ma appena guardò verso la porta, si accorse che non era Cristophe. Si bloccò in mezzo ad esse.
Stan se ne stava sull'uscio, gli occhi lucidi, le guance arrossate, e i capelli arruffati, coperti male dal suo cappello. L'immagine della trasandatezza. Lo guardava con lo sguardo da cane bastonato, stringendosi nel suo giubbino troppo leggero.
<< Lo conosci, o è uno dei barboni del parco? >> chiese Tricia, smaliziata.
Craig non era andato da lui, ma non avrebbe creduto che si presentasse alla sua porta.
Si prese un attimo per guardarlo.
<< Lo conosco >> disse, scendendo il resto delle scale, mentre Tricia lasciava la porta felice di ritornare al suo programma tv.
<< Dio, grazie >> commentò.
Craig si avvicinò alla porta, socchiudendola un po' in modo che avessero un po' di privacy.
<< Cosa ci fai qui? >> chiese. Non aveva intenzione di suonare così brusco, ma non poté farci niente.
<< Ti stavo aspettando oggi, ma non sei venuto >> esplicitò Stan, come un rimprovero. 
Che cavolo? Non era scritto da nessuna parte che dovesse andarci per forza, e questo suo atteggiamento egocentrico gli stava dando sui nervi.
<< Forse perché non volevo venirci >> disse.
Stan parve preso in contropiede << Fottiti, Craig >> sputò, poi rise amaramente << L'altra volta sei venuto a pregarmi fuori casa, e adesso ti permetti di fare lo stronzo? >> lo sfidò, gli occhi di fuoco, anche se pieni di lacrime. 
<< Credi che questo ti dia il diritto di fare altrettanto? >> domandò Craig, piatto.
<< Sì >> gli rispose Stan, con gli occhi fieramente puntati nei suoi, in modo disarmante.
Restarono a scrutarsi. Craig si sentì colto in fallo, sotto il suo sguardo testardo.
<< ...perché sei venuto qui? >> chiese di nuovo, piano, un nuovo sottinteso questa volta nelle sue parole. Sentiva un vuoto nello stomaco e un sapore amaro in bocca. 
Se Stan voleva giocare di nuovo al gioco dei ruoli, allora doveva dirglielo.
<< Lo sai >> rispose Stan, cocciuto.
<< Perché >> scandì << Sei venuto qui, anche se io non sono venuto da te? >> 
Stava iniziando a stancarsi. 
Stan tese le sopracciglia, assumendo un'espressione miserabile << Volevo vederti >> confessò << Ho passato tutto il pomeriggio ad aspettarti >> continuò, in un crescendo di rabbia, con gli occhi che si riempivano sempre di più di lacrime << Ma non sei venuto. Quindi ho bevuto, non avevo scelta >> piagnucolò << Ho bevuto tutto il cazzo di pomeriggio, e non riesco neanche più ad ubriacarmi per bene! Avevo davvero bisogno di qualcuno, una cazzo di persona, che si interessasse di me. Ti ho maledetto così tante volte che non puoi immaginare...però stavo impazzendo, a stare da solo, e non ho davvero idea di che cazzo di fine abbia fatto Kyle... >> concluse amaro.
Craig restò per un attimo in silenzio, ad assorbire tutto il dolore che Stan gli stava vomitando addosso, e a lasciarsi ferire da quegli occhi pungenti come pugnali.  
<< Kyle è con Tweek >> lo informò, non sapeva neanche lui perché. Era scivolato dalla sua bocca come un coltello, con il quale non voleva ferirsi da solo.
Stan si asciugò gli occhi con una mano, mentre gli scappava una risata di commiserazione << Sembra che tutti continuino a darmi buca per il ragazzo problematico. Non è ironico? >> 
C'era pena, nei suoi occhi, e Craig iniziava a vacillare. Rivolse per un attimo gli occhi in basso, al pianerottolo, poi guardò dentro casa sua.
<< Stiamo per cenare >> disse, ritornando a guardarlo << Ti vuoi unire? >>
Stan scosse la testa. Ci mancava solo di trovarsi in una riunione di famiglia con i Tucker.
<< No, grazie, preferisco di no >> poi lo guardò intensamente << Stai per rimandarmi a casa? >>
Craig lo guardò, pensando a cosa fare. Non voleva rimandarlo a casa, agire da stronzo e fregarsene. 
 << Possiamo uscire e andare a prendere una pizza >> propose.
Stan annuì << Sì, ti prego >> disse, rasserenandosi.
<< Aspetta un po' >> gli chiese Craig, poi entrò dentro casa, socchiudendo leggermente la porta e lasciandolo da solo.
<< Sto uscendo >> lo sentì annunciare Stan in modo svogliato.
<< Dove credi di andare? >> domandò una voce maschile, probabilmente quella del padre.
<< Fuori >> rispose stoico Craig.
<< Tua madre ha cucinato! >>
<< Sono sicuro che sarà buono >> ribatté con ironia il ragazzo, poi Stan lo vide apparire di nuovo << Andiamo >> gli disse, mentre suo padre ancora gli urlava dietro.
Craig chiuse la porta dietro di lui senza curarsene.
Fece per accendersi una sigaretta.
<< Devo informarti che non ho soldi >> se ne uscì Stan, con una faccia da schiaffi.
Craig gli lanciò un'occhiata in tralice << Sei incredibile >>
Si ficcò una mano nel cappotto e tirò fuori quelle che avevano tutta l'aria di essere delle banconote.
<< Ce li ho io >> lo informò << Dovresti essere tu, il ragazzino ricco >>
<< Io non sono ricco >> contestò Stan << Token è ricco >>
<< Fai parte del ceto medio borghese >>
<< Come tutti, no? >>
Craig scrollò le spalle. I genitori di Stan avevano entrambi degli ottimi lavori. Suo padre era un geologo, e sua madre era impiegata presso la clinica di rinoplastica, mentre i genitori di Craig erano stati disoccupati per lungo tempo, prima di trovare lavoro. 
<< Fai pena lo stesso >>
<< Avrei voluto ricambiare il favore, un giorno, ma penso proprio che non lo farò >> gli rispose Stan, sornione.

Alla fine avevano preso delle pizze da un carrello di street-food in centro, poi avevano camminato fino al deposito U-stor-it, una zona che si trovava dietro casa di Kenny, in cui non c'era anima viva, se non per i topi e per i barboni che ogni tanto uscivano fuori dal perimetro della vecchia ferrovia. Si sedettero sul marciapiede, fuori dalla recinzione del deposito, abbastanza distanti dal cartello col nome del deposito e dalle luci che lo illuminavano.
Sarebbe stato un posto perfetto per un omicidio, se solo quella cittadina non fosse stata South Park; perché, nonostante ne avesse di personaggi strambi, il killer mancava all'appello.
Stan ricordava che una volta avevano scavalcato la recinzione, da piccoli, per giocare ai supereroi. Butters faceva il cattivo, nonostante fosse la persona più buona e innocente sulla faccia della Terra. Stan era Bricoboy... e faceva coppia con Wendy, Callgirl. 
Era come una maledizione; ovunque andasse, il fantasma della loro relazione lo perseguitava.
Spostò un po' della carta della sua pizza per poterle dare un morso. Craig era accanto a lui che mangiava in silenzio, anche lui.
<< Che posto perfetto, per un incontro romantico >> ridacchiò Stan. Il suo umore era migliorato mentre erano per strada, e stava cominciando a riacquistare un po' di lucidità.
Craig gli rivolse il dito medio.
<< È il posto migliore della città >> ribatté << No scocciatori, no negozi. Solo drogati e sudiciume >>
Stan rise.
<< Sai, una volta io e gli altri abbiamo scavalcato, da piccoli. Questo posto è più grande di quello che sembra >>
<< Ci sono più garage che cittadini >> osservò Craig.
<< È sempre la stessa merda >> disse amaro Stan << Le stesse stupide case, le stesse stupide persone... >> aveva preso a calciare col piede del pietrisco che c'era sotto al marciapiede, forse lasciato dalla neve che ormai si era tutta sciolta.
<< Dovresti dirmelo, se non vuoi più vedermi >> disse all'improvviso Stan.
Craig non osò guardarlo negli occhi; finse di dover studiare attentamente la sua pizza.
<< Cosa te lo fa pensare? >> chiese, con lo stomaco pesante.
<< Io non voglio pregarti, per vederci. Dovresti semplicemente dirmelo >> spiegò, neanche lui guardava Craig. Guardava le piccole pietre rotolare inermi al movimento del suo piede << Se non vuoi più, intendo. Non continuare a darmi buca. Non mi piace >>
Craig restò in silenzio, combattuto. Prima che riuscisse a capire cosa voler dire, Stan parlò di nuovo.
<< Non dire niente >> disse << Credo di aver capito. È già... >> scrollò le spalle e mosse la testa in segno di diniego << ...una giornata di merda, non voglio essere anche scaricato. Fallo domani, che oggi mi sento già la persona più inutile e merdosa del mondo. Cazzo >> imprecò, passandosi una mano in faccia << Non voglio sembrare patetico, è che sono solo stanco, per oggi. Non fartene un problema >> e sembrava davvero stanco, come se niente per lui avesse più un senso.
Solo in quel momento Craig si rese conto che il suo cuore era accelerato. Per un attimo, aveva avuto paura, paura di chiudere tutto.
<< Non sei una persona inutile >> disse, voltandosi a guardarlo. Voleva che sapesse che era sincero, mentre glielo diceva. Si stava apprestando a dire qualcosa che mai avrebbe pensato di dirgli, e questo gli fece riprendere a battere il cuore più veloce del dovuto.
Stan ridacchiò << Bèh, grazie per lo sforzo di risollevarmi il morale, anche se con una frase fatta... >>
<< Sono serio >> Stan si voltò a guardarlo, stupito << Non sei inutile, e neanche merdoso. A volte sei una testa di cazzo, che pensa che il mondo ruoti attorno a lui, ed anche se fai le cose per autocompiacerti... in fondo sei una brava persona... >> arrossì, non credeva di aver mai parlato tanto, e neanche così apertamente, prima. 
Si voltò a guardarsi le scarpe, e prese a tirarsi distrattamente una delle linguette delle sneakers, mentre sentiva su di sé lo sguardo attonito di Stan.
<< L'anno scorso ho fatto a botte con dei tizi dell'ultimo anno. Mi hanno messo k.o., e mi hanno lasciato nel cortile della scuola. Mi sono svegliato in infermeria >> questa volta guardò Stan, ma l'altro aveva distolto lo sguardo, fissando la terra alla sua sinistra, dal lato opposto di Craig, e mordendosi le labbra. Aveva già capito cosa gli stesse raccontando.
<< L'infermiera mi ha detto che eri stato tu, a portarmi >>
<< Le avevo detto di tenere la bocca chiusa >> rimuginò Stan.
<< Lo so. Il giorno dopo eri lo stesso coglione di sempre, e inizialmente non riuscivo a capire perché lo avessi fatto, nonostante ci odiassimo. Potevi lasciarmi lì, qualcun altro mi avrebbe trovato, o avresti potuto chiamare qualcuno. Invece ti sei preso il disturbo di portarmi fino in infermeria >>
<< Lo avrebbe fatto chiunque >> si giustificò.
<< No. E lo sai >> disse Craig << Infatti hai l'espressione dell'autocompiacimento proprio in questo momento >> gli fece notare, con un sorrisetto di scherno.
Stan ruotò gli occhi, ma non poté negare. Era anche imbarazzato, non credeva che lui e Craig avrebbero mai parlato di quella cosa, né che Craig lo avrebbe ringraziato se lo avesse saputo. Non che adesso lo stesse facendo, no? Non avrebbe mai voluto che qualcuno lo sapesse, per un fatto di apparenze, perché non poteva imbracciare ogni giorno le armi contro Craig e poi fare il buon samaritano con lui, gli avrebbero dato dell'ipocrita. La relazione con Craig era stata burrascosa all'inizio, perché entrambi cercavano di far prevalere in classe le ragioni dei propri gruppi di appartenenza. Col tempo, il loro rapporto si era appianato, dando spazio all'indifferenza e al quieto vivere.
<< Fatto sta, che mi sono preso una cotta per te, da quel momento... >> lo sussurrò, Craig, insicuro, voltandosi verso di lui.
Si guardarono negli occhi, blu nell'azzurro, una rivelazione solenne a galleggiare fra di loro.
<< Esatto, proprio come in un fottuto manga shojo >> diede voce ai suoi pensieri Craig.
Stan rise << In effetti... >> poi ci pensò su un attimo << Wow. Quindi avevi già pianificato quello che è successo a casa di Token? >>
Craig scosse la testa. Mangiò l'ultimo boccone di pizza e poi si mise una mano in tasca per prendere le sigarette. 
Come ricordandosi anche lui in quel momento della sua pizza, Stan riprese a mangiare.
<< No. Non avrei mai pensato potesse succedere, sinceramente >> disse, aspirando la prima boccata di fumo.
<< Perché? >> chiese, dando un ultimo morso alla pizza e poi tentando di pulirsi le mani, sfregandole fra di loro
Craig scrollò le spalle << Non pensavo ti potessero interessare i ragazzi >>
<< Bèh, neanche a me >> gli confessò Stan, prendendo la lattina di Coca-Cola che aveva lasciato accanto a sé, e bevendone un sorso prima di rimetterla giù.
<< Quindi, cosa è successo? >>
<< Che cazzo ne so? Ero ubriaco, l'atmosfera era diventata tutta eccitante, e improvvisamente volevo scopare con te >>
Craig accennò ad un mezzo sorriso << Vero >>
<< Sono ancora ubriaco >> affermò Stan, guardandolo con una luce pericolosa negli occhi. Craig lo osservò con attenzione.
<< Ed eccitato... >> continuò. Poi si avvicinò pericolosamente al suo viso, spostando gli occhi con meditata lentezza dai suoi alle sue labbra. 
Rimasero per qualche secondo di silenzio così; la voglia sorprese Craig dagli istinti più bassi. Ancora una sola parola, e il suo cervello sarebbe andato in black out. Probabilmente non doveva permettere che accadesse, ma a questo punto faticava anche a ricordare il perché.
Stan aspettò una reazione dell'altro, scrutandolo per capire se fosse il caso di andare avanti, o meno.
<< E pensa un po'... >> continuò, lascivo. Craig sentì un moto di eccitazione attraversargli lo stomaco << ...voglio ancora scopare con te >>
Non finì neanche di dirlo, che Craig lo afferrò per il giubbino e lo baciò.
Stan gioì internamente, mentre le sue labbra depredavano quelle dell'altro e la sua mano scivolava sui suoi jeans.
Craig si fece indietro e gettò la sigaretta, mettendosi in modo tale da permettere a Stan di salire a cavalcioni su di lui, e Stan non fece cerimonie, accontentandolo.
Si strinsero con necessità, si toccarono e baciarono, fintanto che Stan non si fermò, guardandolo negli occhi, il naso che sfiorava il suo.
<< Fa freddo >> disse << Perché non vieni da me? Puoi restare per la notte >>
Il suo tono era vellutato, invitante, ma la proposta prese Craig in contropiede.
<< Non penso che a mio padre piacerebbe >> lo informò Craig, sapendo che suo padre già aveva preso male la sua fuga all'ultimo minuto.
<< Dai, avvertili, tanto non ti verrebbero certo a riprendere >>
Era vero, ma non era questo che gli premeva. Era indeciso. Andare a casa di Stan non sarebbe stato imputabile alla foga del momento, ma un atto pienamente volontario.
Per un piccolo, folle momento, pensò a Tweek. Ma Tweek non gli apparteneva, e lui non apparteneva a Tweek. Il suo cuore era diviso, ma non doveva niente al dolce ragazzo con le lentiggini, e questo momento, con Stan, lo aveva sognato così tante volte...
Poteva essere egoista, almeno per una sera? 
Acconsentì di andare con lui, e presto si ritrovarono ad attraversare tutta la città con fretta, per non permettere alla loro eccitazione di scemare.
Una volta alla porta dei Marsh, Stan suonò il campanello, sperando che ci fosse ancora qualcuno sveglio. Non c'era possibilità, che si portasse le chiavi dietro da sbronzo.
Ad aprire loro fu suo padre, un uomo sulla cinquantina con baffi e capelli neri.
<< Stan >> lo accolse << Dov'eri? >>
<< Fuori... a fare un giro >> poi aggiunse, rendendosi conto che fosse ovvio che fosse stato fuori << Craig dorme qui, stasera >> lo informò, entrando e mostrando il suo ospite.
<< Oh, Craig >> commentò suo padre, una lattina di birra fra le mani << Tu devi essere il figlio di Thomas >>
Lui e il padre di Craig erano amici di bevute da Skeeter, così come la maggior parte degli uomini di mezza età della città. 
Craig annuì.
<< Volevo dirti che mi dispiace, per quel fatto di tua madre >> iniziò Randy Marsh, impacciato << Cioè, non che io abbia visto il video, sia chiaro... >> concluse, gettando imbarazzo su se stesso.
Non stava davvero parlando a Craig del video che avevano fatto a sua madre, vero? Stan si mise una mano in faccia, troppo esasperato anche per fare lo sforzo di stringersi il naso.
<< Aaarr papà, stai zitto >> si lamentò, afferrando Craig per la manica e iniziando a trascinarlo su per le scale.
<< Perché? Che ho detto? >> chiese suo padre. Lo sapeva benissimo cosa aveva detto, adesso voleva solo minimizzarlo sembrando ancora più ridicolo.
Per fortuna, si lasciò dietro la ridicolezza di suo padre chiudendo la porta.
<< Scusalo >> disse << È una testa di cazzo >>
Craig scrollò le spalle.
Stan si andò a sedere ai piedi del letto, accendendo una piccola stufetta elettrica lì vicino, nonostante i riscaldamenti fossero accesi; e Craig fece altrettanto. 
<< Ho bisogno di scongelarmi >> gli disse Stan, iniziando a togliersi il giubbino, la sciarpa e le scarpe.
Anche Craig, iniziò a spogliarsi.
Rimaserò per un po' così, a godere del calore, le spalle che si toccavano.
<< Lo so perché vuoi tirarti indietro >> sussurrò Stan.
Craig si voltò a guardarlo. Cosa intendeva?
<< Non puoi avere da me quello che vorresti... >> continuò << ...e io non posso assicurarti niente. La mia vita sta andando a puttane, e io...>> cercò le parole << ...sto solo cercando di tenermi a galla, non riesco neanche a pensare lucidamente. E, davvero, non è mia intenzione trascinarti giù con me, ma credimi, quando ti dico che... >>
Scrutarono l'uno negli occhi dell'altro. Craig gli aveva fatto la sua confessione, fuori al deposito, ed ora era il momento della sua.
<< ...che ho bisogno di te >>
Lo sguardo di Craig si incollerì leggermente.
<< Per sentirti meglio? >>
Stan annuì, distogliendo lo sguardo << Sì, qualcosa del genere >> farfugliò. Poi si piegò leggermente sotto il letto, tirando fuori una bottiglia di vodka.
La svitò e prese un profondo sorso, poi la passò a Craig.
<< Aiuta >> disse.
Craig appoggiò la testa al letto, stringendo la bottiglia di vodka per il collo e prendendo una grande sorsata anche lui.
Poi si baciarono; questa volta fu Craig a trovarsi su di lui, e, a differenza di prima, i loro movimenti e baci divennero più languidi.
<< Sali sul letto >> gli suggerì Stan, la voce roca per l'eccitazione.
Craig gli rivolse il dito medio, prima di tirare il ragazzo su con lui.
Lo fece sedere sul letto, e Stan si fece dentro, permettendogli di fare lo stesso. Continuarono a baciarsi, con le ginocchia di Craig intorno al corpo di Stan. Stan infilò una mano nel cappello dell'altro, facendolo cadere via, e Craig fece altrettanto. 
Si strinsero, sfregando i loro bacini; si accarezzarono sui vestiti, sempre continuando a baciarsi, poi si staccarono ansimanti per guardarsi. Stan tentò di alzargli con entrambi i palmi la felpa dietro la schiena, nei loro occhi passò la realizzazione di un desiderio comune, così Craig lo accontentò, sfilandosi rapidamente la felpa, proprio mentre Stan si avvantaggiava togliendosi anche lui il maglione.
Rimasero a torso nudo, e Stan portò una mano sul petto di Craig, per sentirlo, e lo baciò piano sulla clavicola. Craig era più magro rispetto a lui, che aveva più massa muscolare, data da anni ed anni a praticare sport, ma gli piaceva, lo desiderava comunque.
Craig lo spinse indietro, con la testa sul cuscino, e prese a baciargli il collo. Adorava, quando lo faceva, infatti si stava eccitando all'inverosimile.
<< Cazzo, sì >>
Craig ridacchiò contro il suo collo, poi lo baciò a fior di labbra sulla bocca, per ritrarsi quando Stan provò a farlo di nuovo.
<< Vedi di farti perdonare >> lo ammonì Stan << Per non essere venuto, oggi >>
Craig si chinò per mordergli il lobo dell'orecchio.
<< Non preoccuparti >> lo rassicurò, con un tono vibrante che gli provocò un brivido lungo la spina dorsale. 

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Capitolo 22
*** 23:52 ***


22. 23:52


Si svegliò con una sensazione appiccicaticcia sulla guancia. Batté le palpebre un paio di volte, alzando lentemente la testa e realizzando che la sensazione fosse dovuta al fatto che fosse appoggiato sullo stomaco di Stan. Chissà da quanto tempo, erano in quella posizione; abbastanza a lungo perché la loro pelle sudasse per il contatto, comunque. 
Cercò di non far rumore, mentre voltava la testa in alto, verso il ragazzo sotto di lui.
Stan non si era svegliato; dormiva beato, con la bocca leggermente aperta, un braccio piegato vicino alla testa, l'altro sul petto. Non russava, ma il suo respiro era molto pesante, forse a causa dell'alcol o della posizione supina.
Craig restò a guardarlo un attimo, rapito. Era la prima volta che si svegliava così vicino ad una persona, dopo esserci andato a letto. I suoi lineamenti erano distesi, come se fosse andato a dormire completamente rilassato.
Il suo sguardo poi si spostò oltre la sua faccia, verso la sveglia e le cifre in rosso che segnavano quasi le cinque del mattino.
Avrebbe fatto bene a tornarsene a casa, riposare un po' in una posizione più comoda e avere la possibilità di lavarsi prima di andare a scuola. Perché era un disastro.
Si alzò lentamente e scavalcò Stan stando bene attento a non svegliarlo, poi man mano cominciò a rivestirsi.
Quando fu pronto per andarsene, si voltò per l'ultima volta ad osservare Stan. Capiva perché fosse così popolare, a scuola. Era bello di viso e di fisico, e aveva il fascino dell'atleta.
Decise di portarsi via con sè la bottiglia di vodka ancora bella intera, ma gli lasciò qualcosa in cambio. Poi scese le scale della casa ed uscì in strada, facendo sempre attenzione a non svegliare nessuno.
Una volta fuori, buttò la bottiglia nel primo cassonetto che incontrò, poi si accese una sigaretta.
Per fortuna, casa sua non era lontana, perché si gelava a morte. Quasi quasi, rimpiangeva di non essere rimasto al caldo con l'altro. Aveva ancora su di sé il ricordo del calore che l'altro gli aveva dato durante la notte. Con Stan era tutto un toccarsi, esplorarsi, aversi. Anche quando erano venuti, si erano cercati con necessità, ancora ed ancora, fin a quando la stanchezza aveva avuto la meglio.
Si sentiva alleggerito. Non solo per il buon sesso e la scarica di endorfine che ancora doveva portarsi in corpo, ma soprattutto per avergli finalmente confessato la sua lunghissima cotta. Era come se l'avesse lasciata andare, guardando adesso tutto in una prospettiva più serena. Si erano detti tutto, e Craig si sentiva meglio. Ed era strano, perché aveva preventivato che si sarebbe pentito di tutto al risveglio. 
Improvvisamente, gli venne voglia di vedere Tweek, il suo sorriso e i suoi occhi grandi. Poteva persino sentire l'odore di caffé. Sarebbe stato felice, se solo gli fosse comparso dinanzi. Pensò che avrebbe potuto fare un salto al Tweek Bros. prima della scuola, ma avrebbe dovuto dire svegliarsi presto per andare prima da tutt'altra parte della città, e non contava di poterlo fare.
Si chiese se fosse sveglio. Tweek gli aveva detto che faticava a dormire, e se anche lui in quel momento fosse in piedi? Magari avrebbero potuto essere gli unici due abitanti di South Park a non dormire, in quel momento.
Tirò fuori il cellulare e digitò: Ehi, sei sveglio? 
La risposta non si fece attendere: Ehi, Craig! Non riesco a dormire. E tu?
Mi sono appena svegliato, scrisse, come è andato il concerto?
Lo vide scrivere, poi cancellare, poi riscrivere.
Benissimo, ho preso una maglietta! Domani te la faccio vedere
Craig sorrise. Sono sicuro che ti sta superbene ;) anche se non sono un fan delle magliette. Meglio senza ;)
 Stupido, rispose Tweek poi gli mandò una faccina esasperata.
Craig gli mandò dei cuoricini, poi scrisse: Mi manchi. Si morse il labbro, non sapendo se inviarglielo o meno. Rischiava di spaventarlo a morte. Tweek era proprio come Striscia: dovevi avvicinarlo piano e non fare movimenti avventati, o sarebbe scappato. Il fatto che Craig avesse bisogno di dirgli certe cose, non voleva dire che Tweek volesse sentirsele dire.
Però in quel momento si sentiva ottimista, e di solito non si faceva così tanti problemi, perché non serviva a niente. Quindi gli inviò il messaggio; un formicolio nello stomaco gli fece compagnia mentre aspettava la risposta.
Anche tu, il messaggio comparve sullo schermo, e Craig sentì una sensazione di calore nel suo stomaco, e la felicità pervaderlo.
Il risveglio migliore della sua vita.


Si rigirò su un fianco, non riuscendo a capire perché fosse così intirizzito. Poi, uno sprazzo di coscienza, gli attraversò la mente.
Craig. Allungò la mano sul letto di fianco a lui, ma non vi trovò nessuno. Aprì gli occhi per constatare che effettivamente fosse solo; si rivoltò con la schiena sul letto e si passò le mani in faccia, per svegliarsi. Si accarezzò i capelli mentre lanciava uno sguardo alla sveglia. Le 5:24. Se ne era andato nel bel mezzo della notte? 
Rimase per un po' ad osservare il soffitto bianco, ancora mezzo assopito, poi decise di girarsi sul fianco, perché doveva essere rimasto supino tutta la notte, e aveva un leggero mal di schiena. Appena si voltò, vide che il cuscino accanto al suo, era stato lisciato, come se Craig lo avesse sistemato prima di andare via, e, al posto del ragazzo, su di esso, c'era una sigaretta.
Stan sorrise, prima di allungare una mano e prenderla. Pensava di farsi perdonare così per la sua fuga? Che figlio di puttana. 
Rimase per un po' a guardare il cuscino, con la sigaretta in una mano, poi si allungò per farsi più vicino a questo, fino ad appoggiarvi la testa. Non lo usava mai, perché ne aveva già uno. Sua madre però si ostinava a dire che dovesse restare lì, per fini decorativi. La federa era liscia e fresca, e Stan vi puntò il naso sopra. Inspirò, sicuro di trovarci l'odore di Craig, e infatti il cuscino odorava di fumo. Si accoccolò contro quell'odore. Gli sarebbe piaciuto trovarlo ancora lì, al suo risveglio, con la consapevolezza di non essere rimasto solo.
Gli mancava, quella cosa, della relazione con Wendy. Gli mancava il dormire insieme, avere la testa di lei sul petto e le sue gambe lisce incrociate alle proprie, svegliarsi ricoperto da capelli neri o sotto il tocco di lei, lottare per la coperta e accoccolarsi l'una contro l'altro. E poi lottare per chi doveva usare prima il bagno. Non che gli fosse mai capitato di vincere.
Si voltò verso il cassetto dell'altra parte e lo aprì per frugarvi dentro. Riuscì a trovare un accendino, così si distese sul letto e si accese la sigaretta. Tanto sapeva già tutto di fumo. Usò una vecchia bottiglia che aveva sul comodino per ciccarci dentro, poi prese il cellulare e scrollò la chat per trovare il numero di Craig.
Dove sei?! gli scrisse, con delle faccine arrabbiate.
Rimase a fumare e a guardare il soffitto, fino a che il cellulare non gli vibrò sullo stomaco. Lo prese per leggere la risposta.
A casa.
Laconico. Strinse il filtro tra le labbra per poter rispondere con entrambe le mani.
E chi ti ha detto che potevi andartene?, digitò.
Tu. Nel sonno. 
Che cretino. Lui non parlava nel sonno.
Sei un coglione, gli scrisse.
Anche tu, rispose Craig.
Stan gli inviò delle emoticon con il dito medio, e quello fu l'ultimo messaggio, poi il sonno lo prese.

Ehi gente! Come va? Credo che manchino ancora una decina di capitoli per la fine. Nel frattempo, fatemi conoscere i vostri pareri! C'è ancora qulcuno che segue?

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Capitolo 23
*** 23:53 ***


23. 23:53


Era in ritardo. 
Quando entrò in classe, ed alzò gli occhi verso i suoi amici, non si aspettava di vedere una cosa del genere.
Kyle stava trattenendosi dal ridere, Cartman aveva in volto un sorrisetto soddisfatto, mentre Kenny, portava una lunga parrucca bionda con le trecce, un diadema finto in testa e un prendisole sul suo parka arancione. Si stava rigirando una ciocca della parrucca fra le dita, guardandolo in maniera invitante.
<< Che cazzo?! >> esclamò Stan.
Kenny e Kyle scoppiarono a ridere, insieme al resto della classe; a quanto pare stavano tutti aspettando la sua reazione.
Stan si avvicinò al suo posto, sedendosi e guardando il primo stralunato.
<< Purincesu Kenny wa kawaaaaiiii desu! >> esclamò Kenny, poggiando il viso sul dorso delle dita e battendo, al suo indirizzo, ripetutamente le palpebre sui suoi occhioni azzurri.
Stan scoppiò a ridere, senza riuscire a trattenersi.
<< Sei una principessa giapponese? Perché cavolo ti sei conciato così? >> indagò.
<< Ho perso una scommessa con Cartman, lunedì. Quindi dovevo vestirmi come il mio personaggio di Pathfinder >> spiegò, divertito, mentre gli altri tornavano a farsi i fatti propri.
<< Solo perché Kenny è troppo povero, per giocarsi dei soldi >> aggiunse Cartman, come se il suo fosse stato un atto di magnanimità.
<< Perché continuate a scommettere contro Cartman? >> chiese, all'indirizzo dei suoi due migliori amici << Ormai dovreste saperlo che non perde mai >>
<< Parole sante, Stan >> assentì Cartman, poi si allungò verso Kyle e gli diede un pizzicotto sulla guancia, in modo amichevole << Infatti questo piccolo mostriciattolo ebreo mi deve ancora venti dollari >>
Kyle gli spostò stizzito la mano << Non li avrai Cartman! Hai fatto una cosa orribile! >>
<< Sì, ma avevamo scommesso venti dollari che il video della mamma di Craig diventasse virale >>
<< Io non volevo neanche che lo caricassi! >>
<< Hai detto: "Nu, nun è viro, nun succidirà mai!" >> lo scimmiottò, male, suscitando l'irritazione di Kyle << e io ti ho detto: "Scommettiamo di sì?" e tu: "Fai come vuoi, figone!". Ed eccoci qua >>
<< Sono abbastanza sicuro di averti chiamato "culone"; e comunque, non era una scommessa! >>
<< Non fare l'ebreo, Kyle >> lo ammonì Cartman.
<< E cosa avrebbe dovuto fare Cartman, se avesse perso? >> chiese Stan a Kenny, ignorando gli altri due.
<< Doveva cantare "Baby one more time" vestito da Britney Spears davanti a tutti >> rispose Kenny, un pizzico di delusione per il fatto che non si fosse realizzato.
Stan ridacchiò << Sai, penso proprio che ne sarebbe stato contento >> affermò, ricordando che a Cartman piacesse cantare. Infatti, aveva sempre voluto fare il frontman, ogni volta che da piccoli avevano giocato alle boyband.
<< Ehi, Kyle. Puoi venire un attimo? >>
I quattro si voltarono verso Heidi, che se ne stava timidamente in piedi con le mani giunte, un'espressione mortificata in volto.
<< Certo >> le rispose Kyle, sorridendole. Poi si alzò e la seguì fuori dalla porta.
<< Sembri di buon umore, oggi >> osservò Stan, rivolgendosi a Cartman. Non aveva neanche fatto commenti su Kyle ed Heidi.
<< Seeeh, abbastanza >> confermò l'altro, sornione << Anche tu. Dormito bene? >>
Stan sorrise tra sé, ripensando alla nottata con Craig, e annuì leggermente. 
Si voltò poi a guardare Kenny, che era tutto concentrato a sfogliare una rivista pornografica. Non si era mai fatto problemi, a portarsele in giro. Era sempre stato il più pervertito del gruppo, il ragazzino che da piccolo ne sapeva sempre più degli altri, probabilmente per le riviste che suo padre lasciava in giro a casa loro.
<< Uh... baby... >> commentò, voltando la rivista per farla vedere a Stan. Gli mostrò una brunetta di spalle con un sedere sodissimo, e non era l'unica cosa che si vedeva.
Stan era l'unico con cui Kenny commentava certe cose, perché Kyle era eccessivamente rispettoso delle ragazze, e Cartman eccessivamente misogino.
Stan annuì con approvazione.
<< Sai chi altra ha un culo pazzesco? >> confabulò Kenny, avvicinandosi.
<< Chi? >>
<< Lola >> lo informò, facendo un cenno verso la ragazza.
Stan si voltò a guardarla. Si trovava in piedi accanto al banco di Wendy, leggermente piegata in avanti, i lunghi capelli castano chiaro ad adornarle la schiena.
<< Cavolo >> disse Stan, ammirato << Non l'avevo mai notato >>
<< È per questo, che ci sono io >> disse Kenny, battendogli una mano sulla spalla, e sollevando ripetutamente le sopracciglia, un sorriso malizioso in volto.
Stan scosse la testa ridendo.
<< CHE CAZZO CREDI DI FARE, CULONE? >> 
Kenny e Stan sussultarono entrambi dalla sedia; e probabilmente non furono gli unici.
Kyle era entrato in classe con una tale impetuosità che in un attimo era già vicino a loro. I suoi occhi erano odio puro e i suoi lineamenti erano l'immagine idealizzata dell'incazzatura.
I due si ritrassero senza neanche farselo dire; Kyle allungò un pugno per afferrare il bavero di Cartman e sollevarlo verso il suo viso.
<< PERCHÉ CAZZO HAI DETTO AD HEIDI QUELLE COSE? >>
<< Ehi, calma calma. Ho solo detto la verità >> ribatté Cartman, mettendo su un'espressione innocente, com'era solito fare, mentre cercava di liberarsi dalla presa ferrea di Kyle.
Stan intervenne, prendendo Kyle da sotto le braccia e costringendolo a lasciare la presa. Insomma, non che gli sarebbe dispiaciuto, se gli avesse spaccato la faccia, ma non gli sembrava il posto adatto.
<< E IN CHE MODO DIRLE CHE ABBIAMO UNA STORIA SAREBBE LA VERITÁ? >> la voce acuta di Kyle gli ferì i timpani.
<< Bèh... >> tentennò Cartman << Stai semplificando... >>
Kyle non ci vide più, prese uno dei libri dal suo banco e glielo sbatté in testa.
<< Non è la prima volta! Che cazzo di fantasia ti sei costruito?! >> urlò, cercando di dargli un altro colpo.
Cartman si riparò con il braccio.
<< Sei troppo violento, Khal, e non sai stare agli scherzi. E poi vi ho fatto un favore! >>
Kyle tentò di afferrarlo di nuovo; Stan di tenerlo ancora fermo.
<< Ti ammazzo! >>
<< Vedi? Sei così emotivo! L'ho fatto per te, per il tuo povero cuoricino ebreo. Chi ragazza ti amerebbe? Guarda in faccia la realtà: sei giudeo, rosso di capelli e del Jersey! Ho solo accelerato il processo risparmiandoti la sofferenza! >>
Questa volta, Kyle riuscì a sfuggire dalla presa di Stan e a colpire il ciccione in faccia. Prese a colpirlo ripetutamente mentre Cartman tentava di respingerlo. 
Nella foga della lotta, urtarono Kenny facendogli cadere la rivista a terra.
<< Ehi! >> si lamentò il biondo << Prendetevi una stanza! >>
Stan si era stretto il naso tra le dita, una mano sul fianco, mentre il resto della classe osservava esultante.
<< Kyle! Eric! >> la voce incredula di Garrison risuonò per l'aula, ma Kyle lo ignorò, riprendendo di nuovo a colpire un Cartman ormai stordito col libro.
<< Ok, ok, basta >> sussurrò Stan, in imbarazzo, togliendo il libro di mano a Kyle, e tentando di nuovo di tirarlo indietro, e Kyle cercò di tirare ad Eric un ultimo colpo con una testata. Doveva essere davvero partito, per non importarsene della punizione galattica che sua madre gli avrebbe sicuramente dato.
<< Questo è abbastanza! STOP! >> urlò il signor Garrison, avvicinandosi ai due << Andate entrambi dal preside! >> poi rivolse un'occhiata scioccata al ragazzo seduto al banco, che era rimasto fermo, immobilizzato nell'atto di raccogliere la rivista, che teneva sollevata a mezz'aria, come se così facendo potesse rendersi invisibile << ...Kenny! Portare certe cose a scuola! Sono davvero deluso dal vostro comportamento! Vai dal preside, anche tu! E... ti consiglio di toglierti quel vestito! >>
Kyle grugnì; Stan non poteva ancora lasciarlo perché non sembrava volesse arrendersi.
<< Perché loro si picchiano e io vengo messo in punizione? >> chiese Kenny, seccato.
<< Signor Garrison, l'ha visto! È Khal che è completamente impazzito >> tentò di suscitargli pena Cartman, con la sua voce gracchiante << Il suo sangue Jersey per poco non mi uccideva! >>
<< Non mi interessa, fuori! >> si fece sentire l'insegnante, un pugno sul fianco e il dito che indicava verso la porta.
Kyle si liberò con uno strattone dalla presa di Stan, guardandosi con Eric in cagnesco mentre entrambi uscivano dai banchi.
Kenny si alzò e tentò di mettere la rivista nella borsa, ma Garrison lo guardò con disapprovazione, allungando la mano verso di lui. Kenny fece una faccia sconfitta mentre metteva la rivista nella mano dell'insegnante e le diceva addio per sempre.
Cartman si teneva a distanza di sicurezza da Kyle, che emanava ancora vibrazioni negative, ma dovette avvicinarsi per convergere verso la porta. In un raptus, Kyle prese il libro di Theresa dal banco vicino all'uscita e lo colpì ancora una volta, facendolo sbandare. 
<< Kyle! >> lo riprese di nuovo Garrison.
Questa volta fu Kenny a recuperare il libro dalla mano del pazzoide ed a restituirlo alla leggittima proprietaria.
Stan vide Heidi seduta al suo banco con la fronte appoggiata alle mani, scossa, mentre Red tentava di consolarla. Se Kyle poteva avere anche una minima possibilità di farle cambiare idea, se l'era giocata. Forse alla fine era meglio così: Heidi non meritava di finire in mezzo a quei due, e a Stan dispiaceva pensarlo, ma, per quanto Kyle potesse essere per lei un ottimo ragazzo, la scena a cui avevano assistito aveva dimostrato che, dopotutto, l'odio tra lui e Cartman era più grande di qualsiasi cosa, persino dell'amore per una ragazza così carina.
A quel punto, Garrison guardò la classe << Non voglio sentire più fiatare, mentre parlo con il preside >> raccomandò, prima di uscire.


Stan osservò il suo amico che, stizzito, si toglieva le catenine d'oro e le infilava nell'armadietto dello spogliatoio. 
Lo avevano trattenuto per un'ora in presidenza per attendere che Sheila Broflovski venisse a parlare del suo comportamento. Kyle si era beccato una strigliata di un'altra mezz'ora, l'obbligo di pulire tutta la casa da cima a fondo e di non uscire nel fine settimana. Se l'era anche cavata egregiamente, secondo Stan. 
<< Khal∼ >> lo chiamò Cartman, dalla panchina su cui era seduto.
Stan gli lanciò un'occhiataccia. Quel ciccione non aveva idea di quando stare zitto.
<< Khal∼ , sei ancora arrabbiato? >> chiese, forse cercando di testare la pazienza dell'altro.
In tutta risposta, Kyle sbatté l'armadietto e si avviò, senza neanche degnarlo di attenzione, verso la palestra.
<< Nulla >> ridacchiò Cartman, in quel suo modo irritante << Ha ancora la sabbia nella vagina >>
Stan decise che era il momento di entrare anche lui, in palestra, e di lasciare perdere quel sacco da boxe ambulante.
Appena vi entrò, la familiare eco della palestra lo accolse. In particolare, si udiva il fischio che facevano sul pavimento liscio le scarpe di coloro che stavano giocando a basket.
<< Posso avere un po' di attenzione? >> sentì urlare.
Quando si voltò, vide Gregory che aveva le mani a coppa vicino alla bocca, a formare l'imitazione povera di un megafono.
<< Un po' di attenzione, per favore?! >> gridò ancora, arrampicandosi su una montagna di materassini che si trovavano ammassati al lato del locale.
Sempre più persone si voltavano verso di lui, silenziandosi e avvicinandosi.
<< Ehi, voi! Un attimo di attenzione qui? >>
Stan si avvicinò anche lui, curioso.
<< Bene >> prese a dire Gregory, col suo sorriso smagliante da Troy McClure* << Il professore è stato così gentile da permettermi di parlare con voi. Forse qualcuno di voi già avrà letto i manifesti per la scuola, ma ci tenevo davvero ad informarvi che lunedì prossimo, proprio qui in palestra, ci sarà un'importante conferenza del consulente scolastico Mackey ed altri esperti, organizzata da me e Wendy e dal resto dei rappresentanti del corpo studentesco. Ci terremo davvero che veniste tutti, perché si tratterà di un tema molto importante, ci focalizzeremo sul bullismo, i suoi risvolti, e su come possiamo combatterlo... >>
<< Con tutto il rispetto, Gregory... >> iniziò Stan.
Il biondo si voltò verso di lui seguendo la sua voce, guardandolo per la prima volta.
<< Sì, Stan? >> chiese, con una gentilezza ed un interesse che però mascheravano un atteggiamento di sufficienza.
<< ...non vedo che bisogno ci sia, di questa cosa. È una campagna che abbiamo fatto già l'anno scorso, me ne sono occupato io personalmente. Perché fare sempre la stessa cosa? >>
<< Con tutto il rispetto... >> lo scimmiottò Gregory << ...Stan >> scandì il suo nome << Non credo che una semplice canzone caricata su YouTube sia adatta ad affrontare la complessità del problema >>
<< Sarà anche una semplice canzone >> ribatté stizzito Stan, con le braccia incrociate << Ma ha coinvolto tutta la scuola. Le tue stupide assemblee quante presenze contano? >>
<< Sì! Diglielo, Stan! >> gli diede man forte Butters.
Un coro di consensi si sollevò dalla sua classe, e Stan sorrise compiaciuto. 
<< Era una trovata geniale, divertente ed educativa! >> Red informò Gregory; lei era stata quella che più lo aveva aiutato nel progetto.
<< A meno che tu non voglia sconfiggere i bulli con la noia >> aggiunse Kyle, e Stan ne fu sorpreso. 
Lo guardò con gratitudine, anche perché Kyle era stato il primo a dire che la canzone era un'idea stupida, e ad accusarlo di farlo solo per volersi far notare dagli altri. Ma Kyle odiava anche chi si riempiva la bocca di bei discorsi solo per darsi arie, come faceva Gregory, o forse stava solo cercando di sfogare la sua arrabbiatura su qualcun altro.
Wendy ne approfittò per salire anche lei sui materassini, affiancando Gregory.
<< Ragazzi >> disse << Qui non si tratta di chi fa le cose meglio di chi, e considerate che ci sono nuovi iscritti quest'anno che hanno iniziato il loro percorso superiore e non hanno avuto la possibilità di partecipare l'anno scorso. Questi ragazzi hanno bisogno di avere gli strumenti necessari per poter affrontare il bullismo semmai ne fossero vittima; ed anche la vostra partecipazione, aiuterebbe. È una cosa importante, non facciamola diventare una stupida sfida. Va bene divertirsi, ma bisogna anche parlare seriamente del problema, con esperti che possono aiutarci >> 
Nessuno più parlò. Eccola, la razionale e perfetta Wendy alle prese coi problemi del mondo.
<< Grazie per l'attenzione >> aggiunse la ragazza, saltando giù dai materassini ed aiutando un ammirato Gregory a fare lo stesso.
Stan si sentì misero. Misero e piccolo.
E non poteva fare a meno di pensare che la mano che adesso stringeva quella dell'altro, una volta stringeva la sua.


Si ritrovò fuori in cortile, nello stretto corridoio di fronte al lago, proprio come i primi giorni di scuola.
Tirò fuori dal giubbino una fiaschetta di acciaio che aveva riempito con del rum, e se la rigirò fra le mani. Si era ripromesso di non arrivare al punto di portarsene una dietro, come un vecchio. Aveva visto una volta suo padre tirarla fuori dalla tasca e aveva pensato che quello, doveva essere il punto di non ritorno; il punto dove smettevi di divertirti e incappavi nella dipendenza, dove tutto diventava triste.
Ed eccolo lì, lui era già a quel punto, triste. Svitò la fiaschetta e prese un sorso profondo, inghiottendolo contemporaneamente al rimorso, che non aveva neanche il buon senso di presentarsi dopo.
Si immaginava già, a trent'anni, la barba incolta e il puzzo di alcol, ad adornare con amore un angolino di un ponte, magari insieme a un cane. Se solo Sparky fosse stato ancora vivo... quel cane gay che provava sempre a scoparsi la sua gamba.
Fece cadere un po' di liquido a terra; nella sua mente, doveva essere un tributo per Sparky, un brindare alla sua anima o checcazzo ne sapeva.
<< Ehi >> sentì dire.
Kenny venne a sedersi accanto a lui, si era tolto il suo costume da principessa dopo che il preside lo aveva ammonito per oltraggio ai transessuali, costringendolo alla punizione dopo la scuola; Stan non lo guardò neanche.
<< Pessima giornata, eh? >> chiese l'altro, e Stan annuì, le guance piene di alcol, prima che lo mandasse giù con un dolorosissimo movimento del pomo d'Adamo.
Offrì la fiaschetta a Kenny, sicuro che avrebbe gradito, ma l'altro scosse la testa.
<< È solo... >> si sfregò forsennatamente la fronte con delle dita, non sapendo se a dargli fastidio fossero più i capelli, o il cappello, o quello che c'era dall'altra parte del cranio << ...quel fottutissimo Gregory. Non so se riesco più a sopportare tutto questo, Kenny. Non so se riesco a passare il resto dell'anno a venire qui, a scuola, e vedere Wendy, tutti i cazzo di giorni, e quel pallone gonfiato che si scopa >> strinse gli occhi << Cazzo. È doloroso persino pensarlo... >>
Si sentiva libero di parlarne con Kenny, il ragazzo che se ne stava sempre in silenzio e aveva sempre una spalla da offrire.
<< Non ho niente. Non mi è rimasto un cazzo. E lo capisco, perché lei preferisce lui. Gregory è troppo forte, sicuro di sé, dà l'idea del vincente >> poi gli uscì un suono amaro, tipo uno sbuffo << Ed io invece? Sono un perdente >>
Kenny sospirò << Prima di tutto, non riesco a capire perché ti ostini con Wendy. Non è l'unica ragazza sulla faccia della Terra ad avere una vagina, amico, e secondo me dovresti guardarti intorno... non sai a quante ragazze, anche solo in classe nostra, piaci... >>
Stan ridacchiò disilluso << Non penso proprio! >>
<< Invece ti sorprenderesti. Se non ti sembrano interessate è solo per amicizia verso Wendy, ma ti assicuro che tu sei il prototipo della bellezza, per loro >>
<< Detto da Kenneth facciadangelo McCormick, poi! >> scherzò.
Kenny ridacchiò << Bèh, io però faccio parte degli sfigati. Invece tu sei sempre stato il figo del gruppo, Stan, dico sul serio. Dove lo metti Gregory? Sarà anche tutto paroloni e prediche, ma puzza di vecchio da un miglio lontano >>
Stan rise con lui.
<< O magari è quell'acqua di colonia che si mette sempre. Voglio dire, tu sei un cazzo di genio! Hai portato anche tu avanti un sacco di lotte sociali, e lo hai fatto in modo brillante e mai noioso! Ti sei battuto per il bullismo, per le balene, per i senzatetto! Sei stato sempre uno dei migliori della squadra di football sia alle medie che alle superiori, suonavi anche la chitarra! E sinceramente non so neanche perché hai smesso, dato che eri bravo! >>
Stan negò con la testa, con però un sorriso in volto.
<< Nessuno di noi si è mai impegnato in così tante cose come te, tra l'altro anche riuscendoci. Nessuno! Neanche Kyle! Tu sei la persona più propositiva che conosca, e non voglio vederti buttare giù così >>
A Stan vennero le lacrime agli occhi. Forse era stato il paragone con Kyle, che nella sua mente era sempre stato l'ideale di perfezione. Non credeva che qualcuno potesse avere un'opinione così positiva di lui. Ma, ehi, di cosa si sorprendeva? Era Kenny. Lui riusciva a vedere sempre il buono nelle persone.
<< Sai cosa dovresti fare? Impegnarti. Nelle cose che facevi prima. Distrarti ti aiuterebbe e inizieresti ad apprezzarti di più, ad essere soddisfatto. E magari ti terrebbe lontano anche dall'alcol... >>
Stan accennò a un sorriso rammaricato; Kenny era voltato verso di lui ma lui non riusciva a smettere di fissare quella dannata fiaschetta che penzolava dalla mano fra le sue gambe. Non poteva guardare il suo amico, perché sarebbe scoppiato a piangere per la commozione.
<< Tu vieni da una buona famiglia, Stan, e hai anche voti decenti. Dovresti andare al college, tu che puoi permettertelo, e diventare qualcuno. Non permettere all'alcol di distruggerti. Io non posso. Dovrò trovarmi un lavoro serio, una volta finito quest'anno; voglio lavorare per permettere almeno a Karen di poter studiare, e comunque non potrei lasciarla da sola con la mia famiglia. Kevin sta prendendo la stessa strada di papà, è sempre fatto anche lui... io sono stato sfortunato, ma tu no, e non dovresti buttare via questa fortuna... Non vorrei mai che i tuoi figli, un giorno, possano passare quello che abbiamo passato io e i miei fratelli, pensaci, Stan >> 
Stan si voltò a guardarlo, dispiaciuto, e anche con un po' di vergogna, per aver dato per scontanto quello che Kenny invece considerava buono.
<< Perché verrei a cercarti ovunque per prenderti a calci in culo, giuro >>
Stan tirò su col naso << Sembra facile, a dirsi... >>
<< Dammi il tuo cellulare >>
<< Cosa? >>
<< Il cellulare >>
Stan si sollevò leggermente col sedere per poterselo sfilare dalla tasca, poi glielo porse, curioso.
Lo vide digitarci qualcosa, poi glielo restituì. Stan vide che aveva aperto le note, e vi aveva scritto un indirizzo. Guardò l'altro, accigliato.
<< È dove si incontra il gruppo di alcolisti anonimi che frequenta mio padre... bèh, quando frequenta. Penso che sia sempre buono, se c'è qualcuno che ti comprende... Si incontrano quasi tutte le sere, e il sabato mattina >>
Stan restò ad osservare per un po' lo schermo, poi salvò la nota con un sorriso intenerito.
<< Grazie, Kenny >> si voltò a guardare l'altro, sorridendogli.
Kenny gli sorrise di rimando.
<< Pensi che potrei provarci, con Lola? >> poi chiese.
Stan fece un cenno di diniego << Già impegnata >>
<< Uff, te l'ho detto, che sono sfigato... >>



*Troy McClure= è un personaggio dei Simpson, un attore... per intenderci, è quello che in qualsiasi cassetta di istruzioni si presenta dicendo " Sono Troy McClure, forse vi ricorderete di me per programmi come..."

Non so voi, ma questa è la Kyman che mi piace! E poi, penso sia giusto che sia Kenny, ad aprire gli occhi a Stan. Non è il caso se in molte fan fiction Kenny rappresenta l'elemento risolutivo. Lui è l'eroe, in South Park, quello che si dà e quello che viene immolato. Voglio che sia l'eroe anche di questa storia. Perché Kenny è il personaggio più adorabile di sempre ♡
Comunque volevo avvisare che, dato che sto studiando e la pacchia è finita anche per me, da questo momento in poi è possibile che ci metterò più tempo, per aggiornare, perché sto scrivendo solo un'ora al giorno. Inoltre il mio computer sta dando problemi di connessione, quindi è anche un po' colpa sua! 
P.S= mi viene in mente una cosa alla volta, per mezzo di questa stupida connessione! Volevo ringraziarvi ancora per i bellissimi commenti che mi avete lasciato, non credevo di avere un tale responso! E sono felice che continuiate a seguire la storia con piacere ♡♡♡

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Capitolo 24
*** 23:54 ***


In barba al fatto che ho detto che non avrei aggiornato presto.

24. 23:54



Aveva pensato a questa cosa tutta la notte, ci aveva rimuginato, e aveva pensato che sì, doveva farlo, ed era il momento per farlo.
Ecco perché approfittò dell'intervallo per dirigersi in palestra. 
Aprì le pesanti porte di metallo e si ritrovò davanti la squadra di pallavolo femminile che si esercitava. Rimase per un attimo spiazzato, mentre le ragazze fissavano lui e lui fissava loro.
<< Servizio! >> gridò poi una ragazza che non conosceva, dall'altra parte del campo, prima di apprestarsi a schiacciare.
Così tutte le altre concentrarono l'attenzione sulla partita e lui poté guardarsi intorno. Per un attimo, aveva pensato ci fosse pure Wendy, perché, che lui sapesse, era ancora nella squadra, ed era anche titolare. Invece non c'era.
Tuttavia, non era lei che stava cercando. Stan stava cercando il signor Miles, ma non era presente neanche lui, quindi pensò di controllare negli spogliatoi.
Entrò in essi deciso, chiamandolo.
<< Signor Miles >>
<< Aaah! >> urlò una ragazza.
Stan sussultò, spaventato, poi si voltò nella direzione del grido.
Wendy era seminuda, in biancheria, le braccia strette sulla maglietta che si stava infilando per coprirsi il seno.
<< Sei tu! >> disse, sbuffando.
<< Scusa! >> si schermì Stan, girando la testa dall'altra parte e mettendo una mano davanti alla sua visuale.
<< Che ti copri a fare gli occhi? >> chiese Wendy, stizzita << Non c'è niente che tu non abbia già visto >>
Stan si voltò di nuovo verso di lei, rosso << Che cavolo ci fai nello spogliatoio dei ragazzi? >>
Wendy stava tirando fuori dalla borsa i suoi calzoncini, i movimenti ostacolati dall'impaccio.
<< Ero in ritardo! Ed era lo spogliatoio più vicino. Comunque, non vuol dire che puoi fissarmi! >>
Stan ruotò gli occhi, decidendo di appoggiarsi contro gli armadietti senza guardarla.
<< Tu che diavolo fai qui? >> chiese la ragazza.
<< Cercavo Miles >> 
<< Perché? >> domandò Wendy, riuscendo finalmente ad infilarsi i pantaloncini, guardandolo sospettosa e dirigendosi verso l'armadietto di fianco a lui per metterci dentro il borsone e i suoi vestiti.
<< Voglio farmi riammettere in squadra >> la informò Stan, voltandosi verso di lei, la testa appoggiata ad uno sportellino, i piedi incrociati per permetterglielo e le mani nei jeans.
Wendy sollevò lo sguardo verso di lui, oltre la porticina metallica dell'armadietto che stava usando, e gelò, quando trovò gli occhi azzurri di Stan così vicini; la luce soffusa dello spogliatoio dava loro una sfumatura intensa.
Restarono per un attimo a guardarsi, i loro profili interrotti dall'ingombro dello sportello.
Wendy si ritrovò a distogliere lo sguardo. Perché il suo cuore era accelerato?
<< Buon per te >> commentò, sinceramente felice << Sono contenta che tu ti stia dando da fare. Lo sai, ho sempre pensato che sarebbe stata una cazzata uscire dalla squadra >>
Stan annuì, guardandosi i piedi << Lo era >>
Wendy chiuse lo sportello, sorridendogli.
<< Vedi? Io ho sempre ragione. E adesso, se permetti... >> disse allontanandosi, a marcia indietro, verso la porta, per poi afferrare la maniglia con entrambe le mani, dietro la sua schiena, ed abbassando la voce: << ...vado a spaccare un po' di culi... >>
Poi gli fece l'occhiolino, e gli sorrise furba.
Stan le sorrise di rimando, intenerito, poi la guardò uscire.
Quando rimase solo, la sua faccia cadde. Rotolò sulla schiena per appoggiare questa agli armadietti, e si guardò i piedi, per un attimo, prima di alzare gli occhi e dare due testate al metallo dietro di lui. 
Poteva farcela. Non poteva cambiare la situazione con Wendy, non poteva cambiare lei, il suo essere così bella e intrigante, e non poteva cambiare l'effetto che gli faceva, così come la consapevolezza di non poterla avere. Ma poteva cambiare tutto il resto. Tutti gli altri aspetti della sua vita. Solo perché una cosa andava una merda, non voleva dire che dovesse andare a puttane tutto il resto. 
D'improvviso lo spogliatoio si aprì, e il signor Miles si affacciò.
<< Ehi, ragazzo. La signorina Testaburger ha detto che mi cercavi? >>
Stan annuì << Sì, la stavo cercando >> confermò, tentando di farsi forza.
Il signor Miles si spostò dalla porta facendogli capire che voleva che uscisse. Stan lo accontentò, e Miles chiuse la porta dietro di loro, allungando una mano sulla sua spalla, in modo paterno.
Presero a camminare lungo il perimetro del campo da pallavolo, accompagnati dal riverbero della palla.
<< Cosa c'è? >> chiese l'insegnante, appena furono fuori dalla palestra.
Stan si fermò, voltandosi verso di lui << Signor Miles, voglio che mi riammetta in squadra >> chiese, gli occhi che brillavano di determinazione.
<< A questo punto? >> domandò l'altro, stupito << Siamo già dentro la stagione, ed è da un anno che non giochi. Lo sai che anche se entri, non potrò farti giocare? >>
<< Lo so questo >> rispose Stan. Lo aveva preventivato. Nella squadra c'erano già ottimi elementi, tra l'altro molto più in forma di lui << Però non mi interessa. Voglio comunque venire per gli allenamenti, anche se non dovessi giocare fino alla fine dell'anno >>
<< Come mai? Voglio dire... sembravi così deciso, quando hai lasciato. Non sono riuscito a farti cambiare idea >> gli ricordò.
<< Non avrei mai dovuto. Pensavo mi desse più tempo per dedicarmi ad altre cose, ma alla fine mi manca, il campo. Mi manca proprio sentirmi in forma, e voglio fare parte della squadra... >> spiegò.
<< Ah, certo. Il caro vecchio cameratismo maschile. Non sarò io a fermarti, se vuoi riprendere >> disse, mentre iniziava ad allontanarsi << Gli orari degli allenamenti sono sempre quelli, sempre che te ne ricordi >> lo sfotté << E chissà, magari, se ti dai da fare, alla fine dell'anno potresti anche arrivare a giocare qualche partita >> gli urlò, ormai in fondo al corridoio.
Stan sorrise, osservando il professore sparire di nuovo, poi fece un gesto di vittoria tirando il pugno in dentro, verso il suo corpo << Sì! >> gioì, poi si ricordò di stare in corridoio, e si guardò intorno per controllare che nessuno lo avesse visto.


Tweek osservava il pendolo di Newton immobile sulla scrivania del dottore. Eppure nella sua testa si muoveva. Tic tac. Scandiva il ritmo del tempo che non passava, mentre se ne stava sul lettino marrone di cuoio del largo studio, le mani incrociate sulla pancia.
Era tutto così statico, che persino i suoi pensieri si annichilivano quando vi entrava.
<< Che mi dici di questo ragazzo di cui mi hai parlato: Craig? >> la voce del dottore era calda, morbida, quasi torpida << Ti piace? >>
<< Sì >> rispose << Gliel'ho già detto -ngh! >>
<< Ti crea problemi il fatto che sia un ragazzo? >> chiese il dottor Mephesto, osservandolo da dietro gli occhialini, la penna già puntata sul suo quaderno.
Tweek scrollò le spalle << No. Perché dovrebbe? >>
<< E i tuoi genitori? Cosa credi che ne penserebbero? >>
Tweek ripeté il gesto in modo incurante << Niente. Non credo che se ne importerebbero >> trattenne un gemito d'inquietudine. Non poteva permettere che gliene sfuggissero troppi << Loro sono solo dei capitalisti dediti al guadagno >>
<< Perché dici questo? >> indagò il dottore, cercando di farlo aprire di più.
<< Perché è vero >> rispose semplicemente Tweek, non aggiungendo altro. Non voleva ricadere nella trappola del 'parlami del perché la tua famiglia ti fa soffrire'. Ne aveva parlato già abbastanza in clinica, e adesso era solo un argomento troppo usurato, per lui. Ne aveva anche già parlato col dottor Mephesto ampiamente.
Il dottore dovette fiutare la sua riluttanza, ma Tweek non gli diede vita facile dicendo apertamente che non voleva parlarne, perché a quel punto il dottore gli avrebbe chiesto di cosa volesse parlare, e al suo 'non lo so' lo avrebbe interrogato di nuovo su un argomento che gli premeva. Ormai aveva imparato la dinamica a memoria.
Solitamente non era così restio al dialogo, anzi, spesso iniziava a sfogarsi senza neanche che il dottore lo interrompesse, così da sentirsi subito meglio e liberarsi dalle ansie. Quel giorno, però, forse per colpa del tempo buio, non era dell'umore; inoltre, la seduta non era iniziata nel migliore dei modi, perché il dottore aveva voluto parlare con sua madre, prima, e non sapeva cosa le avesse detto.
<< Quindi ti definiresti un comunista? >> chiese il dottore, già sapendo in quali pensieri si fosse persa la sua mente, e cercando di riportare la conversazione su argomenti più informali. 
<< Sì >> rispose Tweek, anche se probabilmente l'altro stava pensando che fosse un'affermazione tipicamente adolescenziale.
<< E Craig? Anche lui lo è? >>
Tweek ci pensò su un attimo << Non... non lo so >> rispose.
<< Cosa gli hai raccontato di quando sei stato via? >>
Tweek si morse il labbro << Non ne abbiamo mai parlato >>
<< Perché? >> chiese il dottore. Ecco, era incappato di nuovo in una di quelle domande aperte.
<< Non voglio parlarne >> rispose Tweek, con sincerità.
<< Un rapporto dovrebbe costruirsi sulla sincerità, non credi? >>
Il dottore era uscito dal suo guscio di professionalità per elargire giudizi? Non erano fatti suoi, ciò che voleva e ciò che non voleva raccontare. Non era pronto, e poi stava provando a cambiare tutto. Non poteva farlo, se non cancellava quell'onta dalla sua vita.  
<< Se glielo dicessi non cambierebbe nulla >> affermò, amareggiato.
<< Cosa stai cercando di cambiare? >>
Tweek non rispose. 
<< Stai cercando di cambiare la realtà? >> lo incalzò il dottore.
Tweek si perse per un attimo nei suoi pensieri. Cambiare la realtà. Sarebbe stato bello, ma non era abbastanza illuso da poter sperare che fosse possibile.
<< Stai prendendo le medicine, Tweek? >>
Tweek abbassò gli occhi amareggiato << Sì >> mentì << Le sto prendendo. N-non sto provando a cambiare la realtà... solo... gli aspetti negativi... >>
<< Quali sarebbero? >>
<< Non lo so! >> disse, irritato << Tipo, la mia malattia?! GAH! >>
Il dottore lo guardò a lungo, scrutandolo.
<< Quindi, pensi di essere malato? >> indagò.
<< È per questo che sono tutte quelle dannate medicine, no?! >>
Certo, che pensava di non essere malato, e certo, che il dottore pensava che il suo negare la malattia fosse indice della malattia stessa. Per questo cercava di accontentarlo.
<< Mi stai dicendo quello che voglio sentirmi dire? >> chiese infatti il dottore.
<< Dipende >> rispose, ormai stizzito, Tweek << Lei cosa vuole sentirsi dire? >>
<< La verità >> rispose candidamente l'uomo.
Tweek si chiuse in un mutismo ostinato.
<< Non puoi cambiare la realtà, ma puoi stare meglio, Tweek. È per questo, che siamo qui >>
Che andasse a farsi fottere, quello stare meglio artificiale.
Tweek indicò con la testa verso il largo orologio nero a parete dello studio.
<< È- è scaduta l'ora, dottore >>
Il dottore si voltò verso l'orologio, distendendo le labbra in una smorfia arrendevole.
<< Alla prossima settimana, allora >> lo congedò, con suo enorme sollievo.



Tweek, Tweek, Tweek. A causa della tua tenerezza, tutti pensano che sia Craig, il cattivo, qui. Ma tu non gli stai forse nascondendo qualcosa di importante?
P.S= Lo so che Mephesto in realtà è un genetista, ma niente, non riuscivo a non immaginarmi questo dottore con la sua faccia...

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Capitolo 25
*** 23:55 ***



Non sono mica morta, è questo capitolo, che è particolarmente lungo!

25. 23:55


Per la prima volta dopo tanto tempo, Stan era in anticipo, e aveva potuto fare la strada con Kyle, accorgendosi che gli fosse mancato un sacco, farlo. 
Loro due andavano a scuola insieme fin da bambini, e molti dei ricordi più divertenti legati alla loro amicizia erano capitati proprio alla fermata del bus, mentre andavano a scuola.
Ne aveva approfittato per raccontargli del suo rientro nella squadra, omettendo che fosse stata un'idea di Kenny, perché non voleva sembrare troppo sentimentale. E Kyle si era complimentato, non sbilanciandosi troppo in entusiasmo. Stan se lo aspettava, perché Kyle era fatto così; ma sapeva anche che, proprio adesso, il suo migliore amico era fiero di lui. 
Stan avrebbe voluto dirgli subito che voleva parlare con Miles, così come faceva per ogni cosa, ma poi aveva desistito, in parte per la questione ancora fresca della rottura con Heidi ed in parte perché voleva riuscire a farlo da solo, senza cercare l'appoggio di nessuno.
<< Che cosa hai fatto poi con Cartman? >> gli chiese. Il giorno prima, Kyle non aveva rivolto la parola al grassone per tutte le lezioni, ma non gli era neanche stato particolarmente ostile, quindi Stan era curioso di sapere se ci fosse già passato sopra o meno.
Del resto, l'amicizia di Cartman e Kyle funzionava così: litigavano, e poi si facevano la guerra fredda fino a quando non se ne dimenticavano e iniziavano ad uscire di nuovo insieme.
Kyle sbuffò << Niente! Non posso tenergli il muso troppo a lungo, perché ha il mio Fallout a casa >>
<< Wow, ti conviene non farlo incazzare allora >> gli raccomandò Stan.
<< Non ho più speranze, con Heidi, vero? >> chiese Kyle, il volto preoccupato, mentre varcavano insieme l'entrata della scuola.
<< Penso che sia meglio togliercele proprio, le speranze, amico >> lo stroncò, poggiandogli una mano sulla spalla in modo consolatorio.
Poi la sua attenzione fu catturata da un gruppo di ragazzi in fondo al corridoio che sembrava stessero facendo volantinaggio, con indosso delle maglie con il logo della scuola. Riconobbe subito Gregory e Wendy, insieme ad altri del comitato scolastico.
Stavano distribuendo i volantini per l'assemblea, e pareva si stessero dando davvero da fare.
<< Kyle, voglio vedere una cosa. Ci vediamo dopo? >> si congedò dall'amico.
<< Uhm, ok >> rispose l'altro, senza farsi particolari domande, defilandosi verso la direzione della loro classe.
Stan restò a guardare sparire la sua figura longilinea tra la folla, poi, a passo spedito, si diresse verso il gruppo.
<< Gregory >> chiamò.
Il ragazzo si voltò verso di lui, guardandolo stupito.
<< Vorrei aiutare >> si propose Stan << se non è un problema >>
Gregory lo scandagliò con i suoi altezzosi occhi grigi, dall'alto della sua statura.
Restarono a guardarsi, ma il biondo non dovette trovare nessun segno di presa in giro, sul volto di Stan, perché poi si voltò verso il tavolino che avevano con loro prendendo una manciata di volantini e porgendoglieli.
<< Puoi distribuire questi >> disse, molto più gentilmente di quanto Stan si fosse aspettato. Dopotutto, Gregory era una persona razionale, una di quelle che non cercava lo scontro a tutti i costi << Mettiti in uno dei corridoi >>
Stan annuì, accettando i fogli, e posizionandosi per la sua buona azione.
Vide Wendy che lo guardava da lontano scuotendo la testa. Probabilmente, doveva star pensando che lo stesse facendo per fare il superiore, ma non gli importò. Kenny aveva ragione. Doveva fare cose che lo aiutassero ad accrescere l'autostima. E quale cosa migliore, che aiutare qualcuno favorendo anche una buona causa? Stava sotterrando l'ascia di guerra, pacificando gli spiriti e rendendo un servizio. Era una cosa importante dopotutto, e da qui sarebbe ripartito il suo impegno sociale.
<< Tieni, vieni lunedì all'assemblea scolastica >> disse ad una ragazza, offrendole un volantino, che lei prontamente prese. 
Ne distribuì altri quattro o cinque uno dietro l'altro << Per l'assembla contro il bullismo di lunedì >> annunciava.
<< Ehi, Stan. Cosa stai facendo? >> gli chiese Butters, avvicinandosi con Jimmy.
<< Ehi, ciao, Butters. Pubblicizzo l'assemblea di lunedì, tu vieni? >> domandò, non fermandosi nel rifilare carte colorate alla gente.
<< Pensavo che non fossi d'accordo con l'assemblea di lunedì >> contestò Butters.
<< G-già >> lo appoggiò Jimmy.
<< Mi sbagliavo >> ammise << Il bullismo è un argomento importante, ragazzi. Fa sempre bene continuare a parlarne. Penso che tutti dovrebbero venirci >>
Butters e Jimmy si scambiarono un'occhiata.
<< Sai una cosa, Stan? Voglio aiutarvi anch'io! >> si offrì Butters, volenteroso.
<< P-p-perché no? >>
Stan li guardò contento << Oh, anche tu, Jimmy? Prendete >> disse, dividendo il suo malloppo in tre e dandone una parte ai suoi amici.
<< Non ci faremo sfuggire nessuno! >> affermò entusiasta Butters << Vieni, Jimmy, mettiamoci al lavoro! >> 
Stan li osservò allontanarsi lungo il corridoio, con un sorriso in volto.
Da questo giorno in poi, si sarebbe dato da fare.


Non ce la faccio più a stare a casa, mi sto deprimendo.
Tweek lesse il messaggio appena inviatogli da Kyle, sorridendo tra sé, dietro al bancone del Tweek Bros., con ancora il panno che aveva utilizzato per pulire uno dei tavolini in mano.
Posso venire da te, domani, se vuoi, gli scrisse. Appena riesco a defilarmi.
Si appoggiò coi gomiti sul bancone aspettando la risposta.
<< Tweek, che stai facendo? Perché non mi prepari un marocchino? >> sentì la voce di suo padre richiamarlo.
Cinque minuti di relax. Erano troppi, da chiedere?
<< Sì, papà >> rispose, riponendo il cellulare in tasca.
Per quanto gli dessero il tormento, Tweek non era il tipo da rispondere male ai suoi genitori. Forse per questo, se ne approfittavano. Si avvicinò vicino alla macchina del caffé e iniziò a caricarla, poi sentì il cellulare vibrare. Mise in funzione la macchina e tirò fuori il cellulare per leggere la risposta.
Grazie, ma ho il divieto tassativo di vedere chiunque.
Povero Kyle. Che pena, gli faceva. Era vero, non si era comportato nel migliore dei modi, ma Tweek sapeva anche che Cartman lo metteva a dura prova.
Mi dispiace, scrisse, mentre riempiva un cartone di caffé, che poggiò poi su un vassoio che stava preparando suo padre.
La porta del locale cigolò, e Tweek fremette, quando vide Craig tutto incappucciato col portatile sotto al braccio.
Craig lo aveva cercato immediatamente con lo sguardo, sorridendogli e salutandolo con la mano. Tweek restò imbambolato, accennando un sorriso stupido.
Il ragazzo appena arrivato si guardò intorno per cercare un tavolino libero, poi vi si andò a sedere, liberandosi della sciarpa e aprendo il portatile.
Craig era venuto a trovarlo! Era venuto per passare del tempo al suo locale solo perché Tweek gli aveva detto che dovesse lavorare, e che per questo non potevano uscire insieme. Quindi Craig era venuto lì, solo per vederlo! Tweek non se lo aspettava, ma immediatamente un sentimento di dolcezza si dischiuse in lui. Si sentiva al settimo cielo.
Lanciò un'occhiata a suo padre di sbieco, prima di sgattaiolare da dietro al bancone verso il tavolo di Craig.
<< Ehi >> lo salutò, felice.
Craig si voltò verso di lui, sorridendogli amabile << Ehi >>
Era bellissimo.
<< C-Come mai, sei venuto qui? >> chiese, indicando leggermente con un cenno del capo il tavolino con il computer.
Craig lo guardò, sorridendogli e guardandolo malizioso.
<< Avevo voglia di bere qualcosa di buono e vedere qualcosa di bello... >>
Tweek sorrise imbarazzato ma lusingato, distogliendo lo sguardo e puntandolo sugli altri clienti, per schermirsi.
<< E -ngh!- allora cosa ti porto? >> chiese, ritornando a fissare Craig, che adesso era leggermente divertito dalla sua reazione.
<< Fate la cioccolata calda? >> indagò.
Tweek annuì. Il negozio era partito come semplice rivenditore di caffé, ma poi si erano specializzati nella prima colazione per attirare i clienti di tutte le fasce.
<< Allora quella, e il ragazzo più bello sul menù >>
Tweek divenne rosso, e lo picchiò sulla spalla col taccuino che aveva in mano. Craig si spostò sulla difensiva, ridacchiando.
<< La smetti? >> si lamentò.
<< Non è colpa mia >> si difese << Posso avere la password del WiFi? >>
Suo padre non voleva che la desse ai clienti del locale. Ma si trattava di Craig, per lui poteva fare un'eccezione.
Annuì, poi la scrisse sul taccuino, staccò il foglio, e glielo porse.
<< Questo -ngh!- è...  è un segreto, come il finestrino... >> 
Craig prese il foglio, guardando Tweek con aria sorniona << Sembra proprio che debba mantenere un bel po' di segreti, allora >>
<< Esatto >>
<< Sono un bel po' di favori che mi devi, quindi >> insinuò.
<< GAH! No! Sei venuto qui per prendermi in giro?! >>
Craig rise << No, faccio solo l'utile e il dilettevole >>
Tweek ruotò gli occhi, divertito.
<< Bèh, io me ne sto andando! La prossima volta trattami meglio! >> lo minacciò, voltandosi per ritornare al bancone.
<< Ritornerai. E con la mia cioccolata >> predisse Craig.
Sentì il suo tono divertito da dietro le spalle, e sorrise tra sé. Che cretino.
Si mise al lavoro. Non ricordava di aver mai messo tanta passione nel preparare una cioccolata, e di tanto in tanto lanciava delle occhiate a Craig per capire cosa stesse facendo. Il ragazzo teneva lo sguardo fisso sullo schermo e premeva dei tasti.
Sembrarono anni che poté finalmente tenere la tazza pronta fra le mani e avvicinarsi a lui. Gli portò anche dei pasticcini e dei marshmallow; suo padre poteva dire ciò che voleva, ma Tweek voleva fare bella figura con Craig.
Quando Craig lo vide avvicinarsi, gli sorrise.
<< Ecco a te >> annunciò Tweek, lasciandogli la cioccolata sul tavolo << Cosa stai facendo? >>
Craig voltò il pc verso di lui. Tutto ciò che poté vedere, fu un'esplosione di caramelle sullo schermo, e la scritta che diceva 'Shock iperglicemico', in un enorme font fucsia.
Si chinò di più verso lo schermo << Che diavolo... >>
<< È un gioco >> spiegò Craig << Vieni, siediti >> disse, spostando la sedia accanto a lui.
Tweek lanciò un'occhiata d'ispezione verso suo padre, e pensò di poter fare una pausa, dato che sembrava ignorarlo. Si sedette, facendosi con la sedia più vicino a Craig, cosicché entrambi fossero davanti allo schermo.
Craig schiacciò il tasto replay, e uno schermo azzurro con una musichetta altalenante apparve.
<< Che cazzo?! >> si fece sfuggire Tweek, mettendosi poi le mani davanti alla bocca.
Craig ridacchiò.
Era un unicorno grasso che volava, sparando del gas arcobaleno dal sedere e raccogliendo delle caramelle. Craig stava attento a non farlo urtare vicino alle montagne di zucchero e agli enormi lecca-lecca della scenografia.
<< È un unicorno? È inquietante! >>
<< Non proprio >> spiegò Craig << È una pignatta. Ogni tanto appaiono questi bambini che cercano di colpirti, vedi? >>
Tweek rise << Che gioco è? Non l'ho mai visto >>
<< Hai presente Dougie? Il nerd del terzo anno coi capelli rossi e gli occhiali? >>
Tweek ci pensò su un attimo << Sì! Lo conosco >>
Craig annuì << L'ha sviluppato lui. Token è nel suo stesso club di scienze, se lo è fatto passare gratis >>
<< Lo adoro >>
<< È abbastanza stupido, a dire il vero, però ti incolla allo schermo. E poi è fantastico, quando esplode >> lo fece cadere in picchiata, la pignatta colpì la montagna di zucchero emettendo un suono simile a quello di un maiale sgozzato, poi esplose inondando di caramelle lo schermo.
<< Tremendo! >> commentò Tweek, a cui un po' dispiaceva, per la pignatta.
Craig rise << Vuoi provare? Se ti piace te lo posso passare, tanto nessuno lo saprà mai >>
Tweek annuì, contento, e Craig voltò il pc verso di lui, così che potesse premere play e giocare.
<< Non osare! >> gridò Tweek al bambino che cercò di colpire la sua pignatta. Man mano aumentava la velocità di volo, e diventava sempre più difficile. Si schiantò quasi subito, e Craig rise.
<< Ridi pure -ngh!-, tanto supererò il tuo record, come a Mario >> lo sfotté Tweek, riprovando a far ripartire il gioco, ma esplose troppo presto anche questa volta.
Ci provò per un po', mentre Craig lo osservava in silenzio mangiando i pasticcini e la cioccolata.
<< Tweek >> sentì chiamarsi, e si voltò verso suo padre, che era a qualche passo dal loro tavolo << È un tuo amico? >> chiese.
<< GAH! S-sì. Craig, lui è mio padre. P-papà, lui è Craig... >> 
Che imbarazzo! Perché suo padre non si faceva gli affari suoi?
<< Buona sera >> salutò educatamente Craig, e Tweek si chiese da dove avesse cacciato fuori tanta premura.
<< Oh, piacere di conoscerti >> lo salutò il signor Richard << Vuoi fare una pausa, Tweek? Potete andare anche di sopra, se preferite >>
Tweek lo guardò incredulo. Aveva capito bene? Suo padre gli stava dando il permesso di filarsela? E cosa ne era di tutti i discorsi sul duro lavoro?
Probabilmente, dato che era un evento più unico che raro, che lo vedesse con un amico, voleva incoraggiare la cosa.
<< Ovviamente, Craig, per la cioccolata offro io >> si offrì ancora suo padre.
Ok. Adesso aveva la conferma che avesse battuto la testa da qualche parte e avesse un principio di amnesia. Doveva chiamare qualcuno? E se gli alieni lo avessero sostituito?!
<< Grazie mille >> rispose Craig, stoico.
<< T-tutto bene, papà? >> chiese Tweek, preoccupato.
<< Tutto bene, Tweek, me la posso sbrigare da solo >> gli assicurò, prima di voltarsi e andarsene.
Tweek restò ad osservarlo ancora un po', basito, poi una nuova realizzazione lo colpì forte. Lui e Craig, a casa sua, da soli? Non che non fossero già stati insieme a casa di Craig, ma quello era un appuntamento, come aveva detto Craig stesso. Iniziò a sentire la pressione montare.
Si voltò a guardare Craig, che lo stava fissando con aspettativa. Cosa doveva fare? Si sentiva leggermente agitato, però voleva davvero andare di sopra e baciarlo. Era quello che si stava trattenendo dal fare da quando l'altro era entrato nella caffetteria. 
<< Vo-vogliamo andare sopra? Ngh! >>
Craig scrollò le spalle << Posso passarti il gioco e poi distruggerti >> disse, con aria di sfida.
<< Ok >> accettò Tweek, risoluto, alzandosi << Vedremo >> disse, togliendosi il grembiule col logo della caffetteria e andando a posarlo dietro il bancone.
Quando tornò da Craig, lui già aveva raccolto tutte le sue cose, ed era pronto a seguirlo.
Salirono le scale che portavano al piano di sopra in fretta, e ben presto si ritrovarono nella camera di Tweek.
Craig appoggiò il suo pc sulla scrivania. La stanza non era ordinatissima, ma era un disordine regolare. Si avvicinò stupito agli scaffali per osservare i numerosissimi modellini Lego di Tweek, mentre l'altro recuperava e accendeva il suo pc. Non avrebbe mai pensato che fosse un collezionista; a Craig piacevano un sacco i Lego. Tra i vari Lego City, spuntava qualche modellino di qualche serie. Craig si fissò a guardare una perfetta riproduzione del Batwing.
<< Ti piace? >> domandò Tweek, affiancandolo.
Craig annuì, come un bambino.
<< P-puoi prenderlo, se vuoi >> gli consentì << GAH! Voglio dire, te lo re-regalo >>
Craig si voltò a guardarlo come se lo avesse appena sentito bestemmiare.
<< Davvero?! >> chiese, incredulo.
Tweek annuì << Sì. Perché no? >> poi si diede lo slancio col piede sulla sedia per riuscire a prendere il modellino sulla mensola. Glielo porse.
Craig lo prese, tentennante. Poi, nel guardare l'aeroplano di Batman, un sorriso gli si allargò in volto.
<< Puoi prendere tutti quelli che vuoi >> gli disse Tweek.
<< Cosa? No! >> rifiutò, scandalizzato << Non posso! Perché me li vuoi dare?! >>
A lui sembrava una cosa davvero folle.
Tweek scrollò le spalle << È che... ngh! Sto... sto davvero finendo lo spazio >> si guardò intorno << Mi fanno sentire claustrofobico e alcuni mi danno gli incubi. Però mi aiutano -ngh!- a calmarmi, intendo quando li monto. Ne compro costantemente di nuovi, quindi puoi prenderli >>
<< Prenderò solo questo >> acconsentì Craig. Anche se Tweek non li voleva, lui non poteva permettergli di fare una cosa così dissacrante come darli via. Però non riuscì a non guardarsi intorno, con curiosità, per scandagliare tutti i modellini << No! >> poi disse, troppo entusiasta per essere da lui << Voglio questo! >> affermò, allungandosi per prendere un altro modellino dallo scaffale, senza l'ausilio di nessuna sedia, perché lui poteva permetterselo.
Era un modellino di Red Racer, più piccolo del Batwing, ma chi se ne importava! Red Racer era il migliore show del mondo, il suo preferito di sempre.
<< Ti ho detto, puoi prenderli entrambi >>
Craig ci pensò su un attimo << Davvero? >> domandò, a dispetto della discrezione di cui aveva voluto impettirsi prima.
Tweek annuì, sorridendo.
Craig restò ancora a guardare i modellini nelle sue mani, quando Tweek gli si fece vicino, tirandogli leggermente la manica. 
Craig si voltò verso di lui, guardando nei suoi occhi verdi. Tweek si allungò timidamente sulle punte, e Craig si abbassò per venirgli incontro, baciandolo delicatamente. Poi posò i modellini sulla scrivania e si tirò vicino il ragazzo.
Si baciarono dolcemente, accarezzandosi prima con le labbra e poi con la lingua, mentre Craig affondava le mani negli ingarbugliati capelli dell'altro, e Tweek si stringeva alla sua maglia all'altezza del suo petto. Era come se avessero atteso quel momento da anni. 
Nonostante la delicatezza iniziale, il bacio divenne presto profondo. Craig stava diventando avido, voleva di più, e sentiva il suo corpo rispondere. Era pur sempre un adolescente con gli ormoni a mille, quindi decise di staccarsi. Non voleva che finisse come la prima volta.  Tirò Tweek contro il suo petto, abbracciandolo, e baciandogli la fronte.
<< Cosa vuoi fare? >> gli chiese.
<< Mmm... giocare? >> propose Tweek, nonostante tutto ciò che volesse era continuare a baciare Craig, ma era troppo timido, per dirlo. 
<< Hai una pennetta? >> chiese Craig, staccandosi da lui.
<< Ngh! Sì! A-aspetta >> disse, scattando verso il comodino vicino al letto per cercarla.
Craig recuperò il pc dalla scrivania e si andò a sedere sul letto.
<< Ecco! >> esclamò Tweek, porgendogli la pendrive.
Craig la prese e la infilò nel suo pc, iniziando il trasferimento del gioco.
Tweek venne a sedersi vicino a lui, togliendosi le scarpe sfregando i piedi l'uno vicino all'altro.
<< P-puoi togliertele, se vuoi. Io non le sopporto >> lo informò.
Craig non se lo fece dire due volte.
<< Quoto >> lo appoggiò, prima di sfilarsi le sneakers a sua volta, per poi incrociare i piedi sotto di sé, per stare comodo.
<< Va veloce >> osservò Tweek.
<< Non è molto pesante >> lo informò << Solo che va con internet >>
<< Che peccato >>
<< Già >>
Il trasferimento presto terminò, così Craig staccò la pennetta e la inserì nel pc di Tweek, scambiandolo di posizione con il suo, per metterselo in grembo. Eseguì l'installazione.
<< Sei pronto ad umiliarti? >> chiese, con un sorriso di scherno, che gli scoprì l'apparecchio.
<< Vedremo! >> rispose Tweek, infervorato.
Craig ridacchiò sulla sua risoluzione.
<< È andato >> disse dopo un po' Craig << Parte >> poi restituì il pc a Tweek << Giochiamo e vediamo chi fa il punteggio migliore >> lo sfidò.
<< O-ok. M-mettiamoci comodi, però! Ngh! >> così dicendo, si alzò, sollevò il cuscino contro la spalliera e vi si mise seduto contro, tirando i piedi sul letto. Poi batté una mano accanto a lui, sul materasso, per invitare Craig ad affiancarlo.
Davvero? Tweek non aveva paura di stare sdraiato con lui? Si sentì felice come un cane a cui danno il permesso di salire sul divano. Si apprestò a sedersi vicino a lui, contento.
Diedero il via alla sfida, ma senza davvero cercare di vincere. Anzi, spesso e volentieri si schiantavano solo per riderci su. Ci giocarono per circa venti minuti, poi Craig decise che ne aveva abbastanza, così iniziò a sabotare Tweek premendogli tasti a caso sulla tastiera, fino a farlo schiantare.
<< Che cosa fai?! >> si innervosì Tweek.
Craig ripiegò il portatile su se stesso con una mano, chinandosi leggermente verso l'altro.
<< È abbastanza >> disse, con un sorriso machiavellico, osservando l'espressione rapita di Tweek, che lo guardava di rimando.
Si avvicinò per baciarlo, e il ragazzo rispose. Craig allungò una mano sulla sua guancia, perché voleva sentirlo tutto, il suo calore. Si baciarono così, le spalle contro la testiera e i volti rivolti l'uno verso l'altro, gli occhi chiusi, completamente rapiti l'uno dall'altro. 
Quando anche Tweek allungò le mani per accarezzargli i capelli, da sotto al chullo, Craig decise di sbarazzarsi dell'ingombro di entrambi i pc, e di spostarli sul comodino. Poi riprese a baciare Tweek, dalla posizione in cui era rimasto, leggermente sollevato dal letto e chinato verso di lui, praticamente intrappolandolo fra le sue braccia.
Si staccò da lui, per guardarlo in volto e assicurarsi che fosse tutto ok, ma Tweek era completamente concentrato sulle sue labbra, infatti si sporse verso di lui per continuare a baciarlo. Sentì le dita del biondo poggiarsi sulle sue, lì sul letto, quindi le intrecciò.
Tweek si allontanò, guardandolo con un sorriso, e timidamente chiese: << Cosa vuoi fare? >>
Craig gli sorrise di rimando, le farfalle nel suo stomaco che avevano preso a svolazzare con più decisione. Si ritrasse, scivolando leggermente in modo da mettersi sdraiato sul letto, poi allungò una mano verso Tweek.
<< Posso continuare a baciarti? >> gli chiese.
Tweek lo osservò sorpreso, poi gli sorrise, avvicinandosi alla sua mano, cosicché Craig poté tirarlo verso di lui e baciarlo di nuovo.
Tweek si sistemò meglio, e si ritrovarono entrambi sdraiati sul letto, l'uno accanto all'altro, con Craig che aveva un braccio sotto al collo di Tweek e l'altro intorno al suo busto, abbracciandolo, mentre Tweek gli aveva sfilato il cappello per accarezzargli i capelli dietro la nuca. Era dolce, essere così vicini. Si baciarono teneramente e si ritrovarono con le gambe incrociate. 
Craig prese ad accarezzargli la schiena, e poi il fianco, e ancora la schiena, lentamente, gli baciò il mento per poi baciargli il collo. Sentì Tweek aggrapparsi di più a lui e stringergli le gambe intorno, con necessità. 
<< Craig... >> miagolò Tweek, e il suo cuore iniziò a correre.
Poteva sentire l'eccitazione di Tweek che saliva e convogliava con la sua. Per quanto Tweek potesse essere innocente, certi istinti doveva sentirli anche lui.
La mano di Craig scivolò sotto la camicia dell'altro, e sentì Tweek sussultare. Lasciò il suo collo per dargli un bacio sulle labbra.
Restarono per un po' a guardarsi negli occhi.
Cosa voleva, Tweek? Craig voleva davvero stare con lui, ma non voleva che fosse per Tweek un'esperienza traumatica, come la sua prima volta. Decise di proseguire per piccoli passi.
<< Tweek... posso toccarti? >> sussurrò, mentre il suo pollice accarezzava la pelle esposta della schiena dell'altro, più in basso.
Tweek sgranò gli occhi, poi li distolse dai suoi << Gah! Io non... non saprei... >>
Craig lasciò la schiena di Tweek per voltargli delicatamente la testa di nuovo verso di lui.
<< Non farò niente che tu non voglia >> lo rassicurò, baciandogli la fronte.
Tweek lo scrutò in viso per carpire tutta la sua sincerità.
<< Tu puoi toccarmi, se vuoi >> gli disse Craig, poi gli sorrise << Solo a titolo informativo >>
Tweek ridacchiò.
No che Tweek non volesse; ma non lo aveva mai fatto, ed era imbarazzato e un po' preoccupato, dalla cosa. Non poteva toccare Craig, sarebbe stato troppo pressante! E se non ne fosse stato all'altezza? E se gli avesse fatto male? E se avesse rovinato tutto? Non poteva neanche pensarci!
Però era stato così premuroso, a chiederglielo; inoltre, Tweek era talmente eccitato che solo l'idea che Craig lo toccasse gli stava facendo girare la testa.
Craig aveva preso a riempirgli la faccia di piccoli baci, dandogli il tempo di decidere.
Alla fine Tweek annuì << Puoi >> sussurrò, imbarazzato, stringendo gli occhi.
Craig lo baciò teneramente sulle labbra, le dita che scivolarono lungo la sua schiena, e Tweek tremò, per poi tendersi come una corda di violino quando Craig introdusse un dito appena sotto il bordo dei suoi jeans.
<< Voglio davvero toccarti... >> bisbigliò, facendo scorrere il dito lungo l'orlo dei jeans, fino al suo fianco << ...ma se non ti piace, posso fermarmi... >>
Craig indugiò un attimo, per godere della tensione di Tweek, i suoi occhi stretti e il suo respiro trattenuto; poi gli accarezzò il naso con il suo, e Tweek si avvicinò per dargli un bacio, come a fargli sapere che non avesse cambiato idea. 
Craig riprese a far scivolare il dito sul davanti, sotto la sua pancia, sentendo Tweek contrarsi, fino a sfiorare all'interno la punta della sua erezione.
Tweek sospirò, dischiudendo la bocca per il piacere, aggrappandosi con un pugno alla sua felpa, e Craig sorrise fra sé, accalorato anche lui, baciandolo.


Stavo per vomitare arcobaleni quando ho scritto questo capitolo. Ho rischiato seriamente di andare in shock iperglicemico anch'io.
Ovviamente, il giochino è un omaggio  a Robot Unicorn Attack.
Spero vi piaccia. 
​Ho davvero il terrore di saperlo. 
E comunque, questa è solo la calma prima della tempesta.
 

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Capitolo 26
*** 23:56 ***


Perdonate eventuali errori, l'ho corretto in fretta e furia.

 

26. 23:56


Sabato mattina.
Come fosse riuscito a lasciare il suo letto tanto presto, per uscire fuori al freddo, era un mistero, per Stan.
Aveva pensato tante volte, lungo il tragitto, di tornarsene a casa, dicendosi che fosse una cazzata, chiedendosi chi glielo facesse fare, domandandosi se non si stesse rendendo ridicolo,a presentarsi così, di punto in bianco, in un posto dove non era neanche stato invitato. 
Si ritrovò a fissare le mura del centro ricreativo della città, dove si tenevano le assemblee cittadine.
Kenny poteva semplicemente dire che l'incontro fosse lì, piuttosto che scrivergli tutto l'indirizzo completo facendolo gironzolare attaccato a Google Maps. 
Ora che era lì, il cellulare ancora in mano, solo il vialetto di entrata a separarlo dall'edificio, la sua risoluzione stava scivolando via. Non si vedeva, a stare in cerchio, con le altre persone, ad ascoltare ciò che di più merdoso c'era nella loro vita. Non ne aveva bisogno. Era già più felice, adesso, da quando aveva capito di doversi impegnare, nella vita. Non voleva che quella nuova armonia fosse spazzata via dalla rievocazione di ricordi che non voleva.
E se si fosse rivisto, in quella gente, che magari aveva dato via la sua vita, per l'ebbrezza? Se avesse intravisto, una parte di sé, proiettata nel futuro? O ancora peggio, poteva rivivere molte delle cazzate che aveva fatto suo padre, i pianti di sua madre, il malessere di Shelly, che incolpava lui, di tutto. 
Quello era stato un periodo relativamente breve, della sua vita, quando aveva dieci anni, l'unico in cui il vizio di suo padre era sfuggito al controllo di tutti e la sua famiglia ne stava cadendo a pezzi. 
Non voleva affrontare la realtà; sebbene avesse ammesso con se stesso di avere un problema, non era pronto ad ammetterlo dinanzi agli altri, perché l'avrebbe vissuta come una sconfitta. 
Lui era meglio, di quella gente là dentro.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Lui non era, ancora a quel punto, poteva rialzarsi da solo. Lo stava già facendo. Era sobrio da due giorni... o quasi. Aveva sentito il richiamo della bottiglia, ma ne aveva preso solo un goccio, non si era ubriacato. Poteva farcela. Non era ancora al punto di non ritorno.
Avrebbe voluto piangere.
Fece un passo verso la struttura, ma fu un gesto del tutto involontario, il suo subconscio che cercava di salvarlo da se stesso.
Poi arretrò. Non poteva entrarci. Lui non era un vecchio ubriacone senza speranze, lui beveva solo quando le cose andavano storte. Bastava semplicemente farle andare meglio, essere positivi. Non aveva bisogno, di quelle stronzate.
Se ne sarebbe tornato a casa.
E fu quello che provò a fare, voltandosi indietro e incamminandosi.
La pesante porta del centro ricreativo si aprì, Stan poté udirla, ma non ci fece molto caso, fino a che...
<< Ehi, ragazzo >> lo chiamò una voce preoccupata.
Stan si bloccò sui suoi passi. Conosceva, quella voce.
Si voltò verso di lei, con un groppo in gola.
<< ...Zio Jimbo... >> realizzò, guardando il possente uomo con un cappello da cacciatore e il doppio mento.
Sentì di nuovo le lacrime affiorargli agli occhi. Allora era davvero, una cosa di famiglia. 
Suo zio lo fissava con sguardo paterno, in pensiero.
<< Non sei al negozio? >> chiese, con la voce che gli tremava, senza riuscire a controllarla. Suo zio aveva un negozio di armi, insieme ad un vecchio veterano di guerra senza un braccio, di nome Ned.
<< C'è Ned, al negozio, adesso >> 
Jimbo lo fissava in pena; Stan riconobbe quella sfumatura, nei suoi occhi, la realizzazione che nulla, nient'altro, avrebbe potuto fare in zona -una zona dove c'era solo il centro ricreativo e il municipio-, un ragazzo di quasi diciotto anni, di sabato mattina. Stan riconobbe un dolore fin troppo familiare, in quegli occhi.
E lui si sentiva andare in pezzi, davanti a loro.
<< Vuoi venire dentro con me a farmi compagnia? >> chiese suo zio, un uomo semplice, dagli ideali spiccioli, nazionalistici; un uomo che si dipingeva di rudezza ma con un cuore grande, tutto per la famiglia. Un uomo che stava cercando in quel momento di fare il suo bene, ma senza intaccargli l'orgoglio, perché suo zio, nella sua fierezza americana, doveva capirlo alla perfezione.  
Stan annuì, sconfitto, le labbra strette in una linea sottile, e gli occhi rivolti verso il basso, appannati di lacrime. 
Mentre si dirigeva verso la mano tesa di suo zio, Stan avrebbe voluto piangere dalla commozione. Perché la sua famiglia era quella che lo condannava, ma anche quella che lo stava salvando.


<< Hai sentito che l'agente Barbrady ha beccato Cristophe con le scommesse? >> chiese Clyde, gli occhi rivolti al soffitto.
Aveva insistito perché Craig passasse la notte a casa sua, come facevano da bambini, solo tutti e due. Forse per ricordargli che fossero ancora amici, al di fuori del loro trio, anche senza Token, che infatti non aveva invitato. 
In quel momento, si trovavano sul pavimento della sua camera nei sacchi a pelo, anche se Craig non ci entrava più tanto nel suo.
<< Come lo sai? >> chiese, senza particolare interesse.
<< È venuto da me per cercare di nascondersi >> ridacchiò Clyde, che se ne stava con le braccia incrociate dietro la testa << Barbrady gli stava correndo dietro, con il fiatone >>
<< L'hai fatto entrare? >>
<< No! Non voglio mica finire nei guai per lui >> disse, a ragione.
Tanto Barbrady lo avrebbe fatto stare nella cella del suo ufficio per una notte al massimo, poi lo avrebbe rilasciato, intenerito, facendosi promettere che non l'avrebbe più rifatto.
<< Glielo avevo detto >> commentò Craig, per nulla impressionato.
<< Poi mi dici come hai fatto, a farti ridare le chiavi della macchina di Token da Jason? >>
Token era l'unico, del gruppo, ad avere un auto, perché era anche l'unico a potersela permettere, e in un non ben definito diverbio, che Craig non si era premurato di approfondire, Jason, uno dei ragazzi del loro anno, gli aveva sottratto le chiavi, rifiutandosi di restituirle. Come Token si fosse fatto prendere le chiavi da Jason, che non era neanche il più sveglio tra gli sfigati, era un mistero, per Craig.
<< Se riesci a spingere la testa di qualcuno abbastanza in fondo ad un water, riesci ad ottenere di tutto >>
Clyde ridacchiò << Sei tremendo >>
<< Se l'è cercata >> commentò Craig, che davvero, non si riteneva una persona violenta, ma solo iperprotettiva.
<< Bèh, scommetto che non hai provato a chiedergliele con le buone >> ipotizzò Clyde.
Craig ci pensò. No, in effetti non ci aveva neanche pensato. Perché avrebbe dovuto, se Jason aveva già espresso la volontà di non volerle restituire?
Il fatto era che, Token gli aveva chiesto di aiutarlo, e lui l'aveva fatto.
Scrollò le spalle.
<< Craig? >>
<< Mmm? >>
<< Sei pronto a parlare? >> domandò Clyde, con quel suo modo aperto.
Craig restò per un attimo in silenzio.
Non è che non volesse parlare; semplicemente, non sapeva cosa dire, per iniziare.
Clyde aspettò pazientemente, cosa strana, per lui che non smetteva di parlare. 
<< Tricia è lesbica >> ammise, con un fil di voce, e il suo petto si appesantì solo a pronunciare quelle parole. 
Ci fu silenzio, per un attimo, da parte di Clyde << Wow. Questa sì che è una bomba... >> disse, cauto << ...tuo padre lo sa? >>
Craig scosse la testa << No. Solo io >>
<< Bella merda. Pensi che darà di matto quando lo saprà? >> chiese Clyde, preoccupato.
<< Non lo so >> rispose Craig, sinceramente << Onestamente, non lo voglio sapere >>
<< Ma lei sta bene? >>
Craig annuì << Ha una storia con questa ragazza... >> confessò << ...che le piaceva da un sacco di tempo, ma... >> procedette, prudente << ...lei è stata chiara, con Tricia, dicendole che non poteva esserci niente di più, tra di loro, perché... continuano a piacergli i ragazzi... >>
<< Bèh, mi sembra un'enorme cazzata, sai? Se ha una storia con Tricia, allora le piacciono anche le ragazze, no? >> argomentò Clyde, convinto delle sue parole.
Craig scosse leggermente la testa << Tricia è la prima ragazza, con cui è stata. O almeno, credo... >>
Clyde rifletté << Se a Tricia non piace questa situazione, perché continua a starle dietro? >>
Craig scrollò le spalle << Non lo so... È... come se questa ragazza abbia una specie di ascendente, su di lei... >>
<< Non mi sembra per nulla salutare... >>
<< Però Tricia ha incontrato anche un'altra ragazza. Lei... è speciale, le piace davvero, sembra che la faccia stare bene... >> disse, arrossendo, nell'oscurità della stanza, ma tanto Clyde non lo stava neppure guardando.
<< Bèh... >> iniziò Clyde, il tono un po' più allegro << E questa è una cosa seria? >>
Craig si morse le labbra << Non ne ha idea. Però spera che lo diventi >>
<< Quindi, a quest'altra ragazza, Tricia piace? >> domandò Clyde, cercando di capirci qualcosa.
<< Non ne sono sicuro. Tricia pensa di sì, solo che... >> si fermò, a riflettere.
<< ...che? >> lo incoraggiò Clyde.
<< Ha l'impressione che le stia nascondendo qualcosa. Ha... paura di fidarsi di lei >>
Clyde sospirò << Quindi, ricapitolando: da una parte abbiamo la sincerità disarmante, dall'altra l'incertezza. Personalmente, non mi piacciono le bugie, o le persone poco chiare, perché odio non capirci niente, specialmente nei sentimenti. Tuttavia... magari potrebbe essere solo un'impressione, no? O, magari, se a questa ragazza Tricia piace davvero, forse ha bisogno solo di un po' di tempo per aprirsi? Potrebbe darle il beneficio del dubbio. Alla fine, con la prima ragazza mi sembra di capire che non può esserci niente, no? Quindi si tratta di rincorrere il nulla contro il mettersi in gioco, quindi forse è meglio la seconda. Anche se dipende... a Tricia quale delle due ragazze piace di più? >> 
<< Credo la seconda >> rispose Craig, senza esitazione.
<< Quindi, perché, sta ancora appresso alla prima? >>
Craig non seppe rispondere. L'unica cosa che gli venne in mente, fu la notte passata con Stan. I suoi occhi lucidi, l'aria elettrica, il modo in cui sembrava avesse bisogno di lui. E poi le coccole sotto le lenzuola, senza nessuna aspettativa, solo per donarsi, per cercare di scaldare l'altro. C'era comunque qualcosa di sincero, in questo, di totalizzante, perché il loro amore iniziava e finiva in quei momenti, intensi, e Craig aveva iniziato ad apprezzarne l'esclusività solo quando aveva iniziato a sperare meno in qualcos'altro; solo quando si era trovato con le stesse necessità di Stan. E non era un bisogno solo fisico, ma anche emotivo, di non sentirsi soli, di avere qualcuno in cui trovarsi. 
Era una cosa che non sapeva spiegare, ma del tutto diversa, da quella che c'era stata con Tweek, perché in quel caso, nonostante l'avesse solo toccato, erano state investite un sacco di emozioni e fiducia. E Craig era davvero grato, della fiducia che Tweek gli aveva dato, di come si fosse abbandonato nelle sue mani, della possibilità che aveva avuto di osservare il suo viso rilassato nel piacere. Era stato qualcosa che li aveva connessi, ancora di più, attraverso i loro cuori.
<< Craig? >> lo richiamò Clyde.
<< Non lo so >> rispose Craig, essendosi dimenticato perfino cosa gli avesse chiesto l'altro.
Clyde sospirò << Secondo me, se le piace la seconda, dovrebbe chiudere, con la prima. Non può sperare che le cose diventino serie, se prima non le tratta come tali. E poi, sarebbe ingiusto, continuare con entrambe... >>
Clyde aveva ragione. Era ingiusto, continuare questa cosa con Stan, se voleva stare con Tweek... anche se tremava all'idea di chiuderla. Non sapeva, se ne avesse avuto il coraggio, ed era una cosa a cui stava pensando a malincuore, perché era difficile, lasciare andare qualcosa che aveva rincorso per così tanto tempo, qualcosa che mai avrebbe lasciato andare, se Tweek non fosse entrato nella sua vita come un fulmine a ciel sereno.
Non voleva neanche avere i piedi in due scarpe diverse, così come faceva Stan, perché aveva provato in prima persona quanto quella cosa lo facesse soffrire. E non poteva, pensare a Tweek nella sua stessa situazione.
Doveva parlare con Stan.
La stanza cadde silente, per un po'.
<< Craig? >> lo chiamò poi, Clyde, alzandosi seduto nel suo sacco a pelo, e guardandolo << Tu lo sai, che sono stupido, vero? >> chiese.
<< Sì >> rispose Craig, senza remore.
<< Quindi, se dovessi dirmi qualcosa, me lo diresti chiaro e tondo? >>
Dopotutto, Clyde, non era così stupido.
Prese un lungo respiro << Sì... Sono gay >> confessò, come a strapparsi via un cerotto per sentire meno dolore, poi si voltò a guardare l'altro.
Clyde lo stava osservando stupito, forse più per la dichiarazione schietta, che per il fatto in sé.
Craig deglutì a vuoto, si sentiva ansioso, e temeva il giudizio di qualcuno, per la prima volta nella sua vita.
<< Devo dire che non mi sorprende... >> lo informò invece Clyde << Cioè, o dovevi essere gay, o dovevi avere qualche problema... >>
Craig scoppiò a ridere, sollevato, e Clyde con lui.
<< Insomma, non ti ho mai sentito parlare di ragazze e cose così >>
Invece Clyde aveva passato la sua adolescenza a parlare di ragazze, e Craig non aveva mai saputo come relazionarvisi, e forse questo aveva contribuito al loro allontanamento.
<< Bèh, adesso sai perché >>
<< ...È per questo, che ti sei allontanato? >> chiese Clyde, con una nota di dolore << Da noi, intendo >>
Craig restò per un attimo in silenzio, poi annuì << Anche. Non... non sapevo come affrontarlo... >>
<< Tu... puoi parlare con me, lo sai? Voglio dire, non capisco un cazzo di ragazzi... grazie al cielo... però, sono ancora tuo amico >> arrossì.
Craig sorrise, poi gli fece il dito medio.
Clyde ridacchiò, lanciandogli il suo cuscino in faccia.

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Capitolo 27
*** 23:57 ***


ATTENZIONE! Per chi di voi avesse già letto il capitolo 26, vi informo che ho leggermente cambiato il finale... più che altro, l'ho allungato, perché ero indecisa se terminarlo con la confessione ad effetto di Craig o fargli avere un confronto con Clyde... Alla fine, ho pensato che questi due meritassero un confronto, seppur minimo, quindi ho corretto. Quindi, se vi fa piacere, rileggete il finale del 26 prima di questo!

Poi ecco, giungiamo a questo capitolo. Io non so, come mi è uscito. Però sono piuttosto soddisfatta. Ma questo capitolo è molto importante per me; diciamo che è il motivo per cui ho corso fin qui, perché non vedevo l'ora di scriverlo, ed eccolo. All'inizio lo avevo immaginato un po' diverso (non nella trama, quanto più nell'armosfera), ma i rapporti tra i personaggi si sono evoluti praticamente da soli e quindi non poteva essere differente da così. Rappresenta il primo punto di rottura di questa storia ( il secondo si avrà a breve) e quindi, insieme ad un capitolo abbastanza prossimo, è come se fosse il fulcro centrale della storia. Mi piacerebbe davvero avere delle opinioni su questo capitolo in particolare.
Per il resto, il capitolo doveva essere tutto dal punto di vista di Stan, ma ho disseminato punti di vista differenti lungo la narrazione, giusto perché a questo punto non possiamo lasciarci sfuggire niente!
Detto questo, buona lettura!


27. 23:57


Era un giorno tranquillo. Avevano tenuto solo le prime due ore di lezione, poi era iniziata la conferenza in palestra. 
Stan se ne stava in fondo, appoggiato alla parete, a guardare soddisfatto il risultato che avevano ottenuto: la palestra era piena, e lui e Wendy avevano convinto tutta la classe a parteciparvi. 
Kyle gli aveva tenuto il posto, ma da quella posizione, Stan aveva una vista migliore su Wendy, seduta sul palco che avevano allestito, accanto al signor Mackey, insieme agli altri membri del comitato scolastico, mentre un altro consulente parlava. 
La ragazza sembrava essere nel suo ambiente naturale; in più, alzando gli occhi, l'aveva anche visto, lì in fondo, in piedi, ed ogni tanto, Stan poteva vederla lanciargli un occhio.
Era il primo giorno, dopo tanto tempo, che si sentiva così bene. L'aria era fresca e aveva il sapore di domenica; Kyle aveva finito di scontare la sua punizione e più tardi sarebbero andati tutti a giocare a Pathfinder, cosa che stavano rimandando da due settimane.
Il cellulare gli vibrò nella tasca. Stan lo prese, curioso di sapere chi lo stesse cercando.
Sul display compariva il nome di Craig. 
Stan lo cercò con lo sguardo fra i presenti, nella direzione dov'era seduta la sua classe, ma non lo trovò, quindi si decise a sbloccare lo schermo e ad aprire la chat.
Puoi venire al solito posto?
Il solito posto? Intendeva quello che lui e gli altri usavano per fumare? 
Tamburellò con le dita sullo schermo del cellulare. Non aveva pianificato di abbandonare l'assemblea, perché di sicuro Wendy gli avrebbe dato il tormento, però era passata quasi una settimana, dall'ultima volta che lui e Craig si erano visti, ed era felice che adesso fosse lui, a chiamarlo. 
Uscì dalla palestra cercando di dare meno nell'occhio possibile; infatti decise di attraversare l'interno dell'istituto, perché l'uscita esterna era troppo lontana, da lui.
Percorse i corridoi deserti fino ad oltrepassare la mensa e ad arrivare all'uscita di sicurezza.
Appena uscito fuori, il calore del Sole lo sorprese, facendolo sorridere. Si tolse il cappello e se lo infilò in una delle tasche del giubbino, lasciando fuori solo il pompon rosso. Per una volta, poteva sentire il caldo reale sulla sua testa.
Incontrò Token di ritorno, in prossimità del luogo d'incontro; probabilmente, il ragazzo aveva appena finito di fumare anche lui.
<< Ehi, Token >> lo salutò.
<< Ehi, Stan. Torno dentro, che ho lasciato Nichole da sola >> spiegò, senza neanche fermarsi.
Stan annuì, girando la testa per guardarlo allontanarsi, poi proseguì svoltando l'angolo.
Craig era appoggiato al muretto delimitante, con un braccio intorno al torso, a sostenere l'altro che reggeva la sigaretta, le lunghe gambe incrociate e lo sguardo perso nel vuoto, rivolto all'asfalto.
<< Ehi >> lo salutò, sorridendogli, al che Craig alzò lo sguardo su di lui, guardandolo appoggiarsi al muro accanto a sé.
<< Ehi >> lo accolse di rimando, aprendo il pacchetto per offrirgli una sigaretta.
Stan la prese, ringraziandolo con un cenno del capo, poi se la lasciò accendere.
Diede una profonda aspirata, poi rilasciò il fumo rivolgendo gli occhi al cielo.
Aveva l'impressione che il mondo stesse tornando al suo posto; la seduta di sabato, al contrario di ciò che aveva creduto, gli aveva infuso una grande forza, e Stan si sentiva come se potesse spaccare il mondo, in quel momento. Aveva passato il fine settimana a riordinarsi le idee, a ricordarsi di essere più onesto, con se stesso, e nelle relazioni. Stava riconsiderando anche questa cosa con Craig. Gli aveva detto di non potere di più perché la sua vita era incasinata, ma adesso quel casino stava iniziando a dissiparsi, e lui stava iniziando a districare filo per filo. Non sapeva come altro esprimerlo, ma si sentiva più positivo, riguardo quella cosa che c'era fra di loro, perché aveva capito che forse doveva legarsi meno alle etichette, ed aprirsi di più. Era pronto, ad investire, in un certo senso, nella cosa, a considerare che potesse anche trasformarsi in altro. Niente di speciale, solo un cambio di attitudine, ma era già qualcosa. 
D'altronde, non poteva rincorrere Wendy per sempre, nonostante la ragazza avesse ancora un posto fisso nei suoi pensieri.
<< Come va? >> chiese, giusto per riempire il silenzio.
Craig annuì, senza guardarlo << Bene... Sembri felice >> tastò il terreno. L'aveva chiamato fuori per parlargli, ma non si era preparato un discorso.
Stan sorrise, con un sorriso ampio << Diciamo che lo sono. Sai, sono rientrato nella squadra di football >> lo informò. 
Sapeva che parlare non era proprio una cosa loro, ma Stan voleva condividere un po' della sua positività.
<< Ti sei già stancato di stare tra gli sfigati? >> azzardò Craig. Sperava che, scherzando, riuscisse a calmare un po' i suoi nervi.
Stan ridacchiò, cristallino, mentre ciccava sull'asfalto << Sto... sto solo cercando di rimettermi in sesto... sai, è stato davvero un periodo di merda >> gli confessò, prendendo un altro tiro, e arrossendo leggermente, con gli occhi rivolti davanti a sé << Sto cercando di smettere di bere... >>
Craig restò per un attimo in silenzio, fumando e guardando le mura dell'edificio scolastico.
<< Mi sembra una buona cosa >>
Stan annuì, perso nei suoi pensieri << Voglio davvero farlo, mi sono rotto il cazzo di deprimermi. È l'ultimo anno di scuola, vorrei godermelo... Mi sto impegnando sul serio, sto persino partecipando a delle sedute di gruppo del cavolo... >> arrossì ancora una volta. 
<< Accidenti... >> lo sfotté Craig.
Stan ridacchiò << Può non sembrare, ma aiuta... Sono sobrio da quattro giorni >> lo mise al corrente, contento.
Non sapeva cosa si aspettasse, ma di certo Craig non gli avrebbe accarezzato la testa complimentandosi, però lui era comunque contento dei risultati.
<< ...mi vuoi dire che in questo periodo non sei stato mai sobrio per quattro giorni di fila? >> chiese Craig, con un sentimento di pena che gli si espandeva nel petto.
<< Non saprei... se lo sono stato, non lo sono stato volontariamente... >>
Rimasero per un po' in silenzio, a fumare, e a perdersi nei loro pensieri. 
Craig stava cercando di raccogliere il suo coraggio, la risoluzione necessaria per dire a Stan che voleva finirla, ma la felicità di Stan era stata un pugno in faccia; e poi c'era la vergogna, di dover trattare quella cosa come un qualcosa di formale, quando, effettivamente, non c'era niente da dover finire, perché niente era mai iniziato.
<< Sai... >> riprese Stan, distogliendolo dai suoi pensieri e facendogli voltare la testa per osservarlo. Stan stava guardando il cielo, un piccolo sorriso sulle labbra << ...tra sei giorni è il mio compleanno >> poi si voltò a guardarlo negli occhi << Voglio cercare di arrivarci sobrio; sarebbero dieci giorni di astinenza... >> più o meno, ricordò a se stesso << Sarebbe una bella spinta per iniziare un nuovo anno della mia vita >> ritornò a guardare dinanzi a sé, ed aspirò un po' di fumo, poi ridacchiò << Sempre che non capiti qualche altra cosa >>
Craig si fissò le scarpe, mordendosi il labbro. Non posso farlo, pensò. Come poteva rovinare la settimana a Stan? Come faccio, a farlo?
<< Perché... mi stai raccontando queste cose? >> chiese.
Stan scrollò le spalle << Non lo so... >> rispose, arrossendo << Ho... ho solo pensato di doverlo fare... Anzi, penso di doverti ringraziare >>
Craig lo guardò stralunato << Di cosa? >>
Stan sorrise, ma non lo stava guardando, stava fissando le sue scarpe.
<< Per aver alleviato la mia sofferenza... >> sussurrò, poi lanciò quello che restava della sua sigaretta sull'asfalto.
<< Craig... >> lo chiamò, posizionandosi davanti a lui, gli occhi rivolti in alto verso i suoi.
Craig non riuscì a distogliere lo sguardo da quelli azzurri dell'altro. Il suo cuore stava correndo, nonostante il sangue gli si fosse ghiacciato nelle vene. Fece cadere anche lui la sigaretta, ma il gesto sfiorò appena la sua coscienza.
<< Cosa? >> domandò, con la gola secca.
...credo di essermi affezionato a te...
Ma non lo disse, Stan, scosse la testa << Niente >> disse invece, poi in uno slancio gli catturò il viso con una mano e lo baciò.
Fu nell'attimo di sorpresa di Craig, che riuscì ad assaporargli le labbra, poi il ragazzo gli mise una mano sulla spalla, e lo allontanò, voltando la testa dall'altra parte.
Era stato un gesto istintivo, per Craig, ma la sua mente era piena di confusione.
<< ...cosa c'è? >> chiese Stan, e il suo tono allarmato lo fece tremare.
Non riusciva neanche a ritirare la mano dalla sua spalla.
<< Craig? >> la sua voce vacillava, ma lui non riusciva neanche a guardarlo.
<< È solo che... >> distolse lo sguardo dal punto in cui l'aveva fissato prima, e prese a guardarsi intorno.
Stan fece lo stesso, poi ritornò a guardare lui << Non c'è nessuno, qui >> lo rassicurò << Mezzo istituto se ne è andato, e l'assemblea ne ha ancora per molto >>
Craig portò lo sguardo nel suo.
<< Anzi, dovrei ritornare >> lo avvisò Stan << Solo... un bacio? >> chiese, a disagio.
Stan gli stava chiedendo un bacio? Perché?
Avrebbe voluto chiederlo, ma la sua mano lo tradì prima che potesse farlo, spostandosi improvvisamente dalla spalla di Stan al suo collo. Stan dapprima la evitò, occhieggiandola dagli angoli degli occhi, stupito, poi li riportò su Craig, rilassandosi contro di essa e appoggiandogli una mano dietro al collo, per avvicinarsi di nuovo verso di lui, piano, cercando di captare qualsiasi segnale di rifiuto, che però non venne.
Questa volta Craig rispose al bacio; stava tremando, e aveva la gola arida, non sarebbe mai riuscito a dirgli niente, e non voleva, respingerlo e basta, non poteva essere uno stronzo del genere. Era solo un bacio. Solo uno, e per la prima volta Stan non sapeva di alcol. Per la prima volta, poteva davvero sentire il suo sapore. Gli passò una mano fra i capelli e se lo tirò più vicino. 
Gli avrebbe parlato. Non in quel momento, non quel giorno, forse il giorno dopo. Non gli importava, in quel momento, concentrato com'era a dosare la colpa con la ragione.
Era la prima volta, comunque, che si baciavano senza l'aspettativa di qualcosa di imminente, per il semplice gusto di baciarsi, e a Stan piaceva. Allungò anche lui la mano nei capelli dell'altro, sotto al chullo, per approfondire il bacio. Poteva sentire il cuore di Craig battere attraverso i loro petti, e una sensazione di calore gli si annidò sul fondo dello stomaco.
<< Craig! >> una voce esacerbata irruppe nel loro idillio, facendoli sobbalzare entrambi per lo spavento.
Stan si voltò di scatto, col cuore a mille, non riconoscendo la voce fino a quando non vide il ragazzo di fronte a sé.
<< Tweek! >> disse << N-non è come sembra! >> Davvero?
Ma Tweek si era voltato verso di lui giusto un attimo, come se non lo vedesse davvero.
<< Puoi... puoi per favore non dire niente a nessuno? >> chiese Stan, impanicato. Non era grave, in fondo. 
Solo dopo, si accorse che Craig, accanto a lui, era completamente paralizzato, con gli occhi sgranati sul ragazzo biondo.
E neanche Tweek stava più prestando attenzione a lui; i suoi occhi incolleriti erano tutti per Craig.
<< T-tu! Che cazzo stai facendo?! >> quasi urlò Tweek, marciando infuriato verso Craig.
<< Tweek! >> squittì scandalizzato Stan, proprio mentre Tweek afferrava Craig per il colletto e lo inchiodava al muro << Lascialo andare! Per favore! >>
Non capiva perché Craig semplicemente non reagiva; sapeva solo che il sangue gli era diventato freddo dalla paura e le lacrime gli premevano dagli occhi. 
<< R-rispondimi! >> rincarò Tweek, gli occhi che gli tremavano, facendo impattare la schiena di Craig di nuovo sul muro. Un guizzo di dolore passò negli occhi colpevoli di Craig << Perché cavolo stai baciando lui?! >> urlò, isterico.
<< Per favore, Tweek, mettilo giù! >> pregò Stan, quasi in lacrime. Avrebbe voluto fare altro, ma era terrorizzato << Non ha fatto niente di male! >>
Craig non parlava, lo fissava solo con il dolore nello sguardo, e Tweek sentì la collera montare, insieme al pianto. Pensava di meritare una risposta, quantomeno.
<< Come?! Mi fidavo di te, e tu mi hai tradito! >> 
Craig se lo scrollò di dosso << Noi non stiamo insieme, Tweek! >> gridò, in cerca di ragione.
Il silenzio cadde fra di loro.
Gli occhi di Tweek si ingrandirono, feriti, e Stan poté chiaramente vederli diventare lucidi per il pianto. 
Craig restò a guardare Tweek, scioccato, da come gli erano scivolate fuori quelle parole, e dalla reazione dell'altro. Era vero, non avevano mai detto di stare insieme, ma forse Tweek pensava che...
Tweek fece qualche passo indietro, ormai sull'orlo delle lacrime << O-ok... Credo di aver capito... >> disse, tremando, poi strinse gli occhi e si voltò, fuggendo via.
Stan e Craig rimasero paralizzati, lì, dov'erano, incapaci di realizzare cosa fosse successo.
Craig scivolò lungo la parete, sedendosi a terra.
<< Merda >> si commiserò, nascondendosi la faccia fra le mani. Tweek pensava che stessero insieme, mentre lui non lo aveva neanche considerato << Sono così fottutamente stupido... >> 
Stan cercò di inspirare aria, l'adrenalina che man mano lasciava il suo corpo, sostituita da un tremolio di spavento.
<< Che cazzo?! >> chiese, non appena riuscì a calmarsi << Stai uscendo con Tweek? >>
Craig non rispose, incapace di formulare un pensiero, con ancora metà faccia nascosta fra le mani. Non lo stava neanche guardando.
<< Perché non me l'hai detto?! >> domandò, leggermente isterico anche lui, ma erano perlopiù i rimasugli del panico << Cazzo! Non voglio finire sulla lista nera di Tweek per colpa tua! >> sbottò, con un gesto plateale delle braccia.
Craig non si mosse, e Stan fece un passo indietro, metaforicamente parlando.
<< Senti... >> esordì, assumendo un tono più diplomatico << Devi stare attento... a ciò che fai con Tweek. Lui è... >> guardò il cielo intorno, scuotendo la testa, cercando le parole giuste, adatte, ma caute << ...una bomba a orologeria... >>
Restò per un attimo a fissare il ragazzo che sembrava volesse cadere a pezzi davanti ai suoi occhi.
<< Da quanto stavate uscendo insieme? >> domandò, con un senso di vuoto che gli si allargava nel petto.
Craig dapprima non rispose, poi disse: << Quasi due settimane... >>
Stan abbassò gli occhi sulle sue scarpe, dolente. Quindi era per questo che Craig si era comportato freddamente, per tutto quel tempo.
<< Avrei voluto dirtelo >> si scusò Craig, finalmente guardandolo negli occhi, con le sclere lucide << Stavo cercando di farlo, ma... non avevo immaginato che per Tweek fosse già così importante... >> sussurrò,  poi distolse di nuovo lo sguardo, con espressione afflitta << Dio, mi sento così stupido... >>
<< Lui... ti piace? >> chiese Stan, incrociando le braccia, e prendendo a calciare i sassolini sull'asfalto.
Craig annuì, poi lo guardò direttamente in viso << Credo di essermi preso una cotta... >> confessò.
Stan annuì a sua volta, comprensivo, poi distolse lo sguardo. Fece un sorriso che doveva essere ironico, ma che aveva un po' d'amaro << Suppongo che una sigaretta sappia meglio, dopo il caffè, che dopo una bevuta, eh? >> domandò, cercando di alleggerire la situazione.
Craig lo osservò dispiaciuto, poi annuì, semplicemente, e rifuggì di nuovo il suo sguardo.
Stan sentì formarsi un groppo in gola, ma lo inghiottì.
<< ...lui ti rende felice? >>
Craig fece di sì con la testa, ancora una volta, sorridendo fra sé.
Stan era contento di sentirlo. Almeno uno fra di loro era stato felice. Non poteva fare molto, a questo punto, perché era chiaro che Tweek lo rendesse felice, mentre lui non l'aveva mai fatto. Lui doveva averlo reso solo infelice.
<< E Wendy... >> chiese improvvisamente Craig, distogliendolo dai suoi pensieri << ...lei ti rende felice? >> 
Si guardarono con intesa.
Stan scosse la testa, abbassando per un attimo gli occhi << No... >> confessò << ...però mi fa sentire vivo... >>  
Ed era vero, perché si sentiva più morto che vivo, quando lei si allontanava.
<< Puoi lasciarmi una sigaretta, quando te ne vai? >> chiese Stan, e Craig capì che voleva essere lasciato solo.
Annuì, alzandosi da terra, e affiancandolo. Prese tre o quattro sigarette dal pacchetto per sé, dandolo tutto intero, con quelle quattro o cinque che ne restavano, a Stan.
Il ragazzo allungò la mano per prenderlo, e in quel passaggio si guardarono per l'ultima volta, negli occhi. C'era più di quanto si potesse pensare, in quel pacchetto, come se Craig volesse assicurarsi che le avesse, perché da quel momento in poi non ci sarebbero state più sigarette scroccate. Tirò dalla tasca anche un accendino, che era abbastanza sicuro di avere, ma non altrettanto sicuro che funzionasse. Lo fece scattare per provarlo, poi consegnò pure quello a Stan, che annuì, grato.
Craig avrebbe voluto dire qualcosa, incoraggiarlo a non bere, ma non erano più affari suoi, quindi decise di lasciar perdere, e Stan lo guardò allontanarsi, senza dire più una parola.
Tirò fuori una delle sigarette e se l'accese, sedendosi sul gradino di un'aiuola. 
Un altro fottutissimo vizio di merda. Era tutto ciò che ne aveva ricavato.
Portò il filtro alle labbra, e si mise a guardare il cielo, cercando di svuotare la mente.
Tweek e Craig. Chi l'avrebbe mai creduto? Ma adesso aveva tutto più senso.
"Credo di essermi preso una cotta..."
Le parole di Craig gli sovvennero a tradimento. E stridevano, con le altre che lo avevano accompagnato per tutta la settimana: "...mi sono preso una cotta per te, da quel momento..." 
Un singulto di pianto lo sorprese.
<< Merda! >> imprecò.
Non riusciva a fermare le immagini nella sua mente, clip su clip dell'ultima notte che avevano passato insieme, le braccia di Craig, gli ansiti, i baci dietro al collo durante l'amplesso.
Sentì le lacrime scivolargli via dagli occhi, e cercò di asciugarsele con le mani, ma erano inarrestabili.
<< Cazzo... >> disse a se stesso, arrabbiato.
Arrotolò il pacchetto di sigarette nella sua mano e lo lanciò lontano, come sfogo.
<< Fottiti >> lo invitò.
Spense pure la sigaretta, perché aveva l'odore di Craig, e si sentiva preso in giro da lei.
Fanculo anche all'orgoglio, perché non aveva più nessuna ragione, per non lasciarsi andare a un bel pianto liberatorio.

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Capitolo 28
*** 23:58 ***


Salve! Non sono morta, come potete vedere! È stata una settimana impegnativa, per lo studio, e quindi non ho potuto scrivere. Oggi però mi sono presa un po' di tempo per completare il capitolo. 
Non ho idea di come sia venuto, sinceramente. Una pausa così lunga mi ha un po' fatto perdere il feeling con i personaggi, quindi scrivere questo capitolo è stato faticosissimo! Ho cercato di dare il meglio di me!
La settimana prossima sarà altrettando impegnativa, quindi mi fermerò per altri tre o quattro giorni.  È stato solo grazie alle vostre recensioni che sono riuscita a farmi venire la voglia di scrivere!  Grazie, grazie mille!
Quindi sentitevi libere(i) di commentare, datemi tutta la positività possibile! *Alza le mani stile Goku*
Vi lascio alla lettura.

 

28. 23:58


Tweek non sapeva se si sentisse più tradito o più arrabbiato. 
Il giorno prima, era scappato a casa ancora prima che finisse l'assemblea. Non poteva credere ai suoi occhi, e nemmeno alle sue orecchie.
Si sentiva stupido, per aver creduto di piacere davvero a Craig, e si sentiva usato, abusato della sua buona fede. Craig si stava prendendo gioco di lui... prima nella sua camera, e poi sbattendogli in faccia la verità. 
Non avrebbe mai dovuto permettergli di toccarlo, perché adesso sentiva come se fosse stato violato. Chissà quanto aveva riso, di lui, Craig, alle sue spalle.
Aveva passato tutto il giorno chiuso in camera sua a piangere e a commiserarsi, con quello stupido attaccapanni che continuava a deriderlo, a ricordargli che proprio lì, sul quel letto, si fosse lasciato prendere in giro. Gli aveva urlato più volte di stare zitto, e aveva rotto anche un po' di cose, lanciandogliele contro. Ma la reazione più preponderante era la rabbia. Lui poteva essere ingenuo e senza esperienza, ma riusciva a capire benissimo quando le persone si prendevano gioco di lui, per poi cercare stupidi appigli. Craig aveva voluto farlo sentire stupido di proposito, perché forse era anche vero, che non stavano insieme, ma avevano comunque iniziato qualcosa. Qualcosa che lo aveva fatto stare bene, ma che adesso scopriva fosse solo unidirezionale.
Che si fottesse. Tweek non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederlo abbattuto, per colpa sua. Fu quasi soddisfacente, ignorare tutti i messaggi che Craig gli aveva inviato. Ce n'era uno lunghissimo, che Tweek aveva cancellato senza neanche leggere. Gli faceva schifo persino l'idea che gli parlasse. 
Craig era anche venuto in negozio, chiedendo di lui, ma Tweek non era sceso, e aveva chiesto a suo padre di mandarlo via. Gli era anche passato per la testa che forse avrebbe potuto almeno ascoltarlo, perché in fondo avrebbe tanto voluto che lui si spiegasse, che venisse fuori magari che fosse tutto uno scherzo di pessimo gusto, ma poi, l'immagine di lui arpionato a Stan, in quel modo tanto preso, si ripresentava, e allora pensava che non ci fosse proprio nulla da spiegare. Poteva starsene con Stan, per quanto gli riguardava. Stan! Non una persona sconosciuta, ma un compagno di classe, il più popolare tra i suoi compagni e il migliore amico di Kyle, tutte cose che lo facevano sentire tremendamente misero nei suoi confronti, non abbastanza. Non abbastanza per Craig,  e qui ricominciava il suo disagio, rincorrendosi in una spirale senza fine con la rabbia.
Quella mattina, a scuola, aveva tardato di proposito. Non voleva dare la possibilità a Craig di parlargli, prima che cominciassero le lezioni, quindi entrò quando la campana era già suonata. 
Camminò a testa bassa, spedito, dirigendosi al suo posto, ma poté benissimo sentire l'attenzione di Craig che calamitava su di lui, nel chiacchiericcio inconsapevole degli altri; anzi, poteva persino percepire il suo sguardo misero.
Strinse i denti, mente si toglieva la borsa e la appoggiava ai piedi del banco, sentendo la rabbia montargli dentro. Non poteva guardarlo così! Non dopo che lui aveva rovinato tutto!
Si sedette senza neanche degnare di attenzione il ragazzo accanto a lui.
<< Tweek... >> esordì, l'altro.
Tweek non volle neanche sentire di più; bastò il suono della sua voce per farlo scattare in alto come una molla e farlo di nuovo uscire fuori dall'aula. 
Doveva cercare di calmarsi. Un tic lo sorprese, proprio come quelli che aveva imparato a gestire tempo addietro! 
Entrò nel bagno, perché fu il primo posto che si trovò dinanzi, e si guardò allo specchio. Non piangere, si impose. Non piangere. Vide le sue labbra tremolare nella sua immagine riflessa. 
Tutti i suoi progressi... stavano andando a puttane per mezzo di quella cosa. Stava ricominciando a parlare con gli oggetti, e avevano ripreso anche i tic.
Non è niente, Tweek, cercò di dirsi. Tutto sarebbe finito presto, quell'anno, la scuola, Craig. Avrebbe potuto lasciarsi alle spalle tutto, dimenticare qualsiasi cosa fosse successa, cancellare gli ultimi due anni... Adesso voleva solo questo, perché le sue speranze erano state abbattute.
Doveva solo resistere, ad un altro, stupido affondo.
Il fatto era che neanche lui, ci credeva, mentre si diceva queste cose. Non si fidava abbastanza di se stesso da affidarsi alle sue forze, e questo lo spaventava più di tutto.
Si lasciò andare a un singhiozzo.
<< Ngh! >> poi si coprì la bocca con le mani; sentiva la nausea risalire dal fondo.
Cercò di respirare profondamente, perché doveva tornare in classe, e Craig non avrebbe avuto la soddisfazione di vederlo piangere. Si concentrò sulla rabbia che provava.
Si immaginò sua mamma che gli diceva: "Sono fiera di te", così come gli aveva detto il giorno che l'aveva lasciato in clinica, salutandolo sulla soglia della reception. Quelle parole erano tornate a dargli coraggio in tanti momenti difficili, quando pensava di non potercela fare, quando aveva pensieri deprimenti, quando si sentiva abbandonato da tutti... Perché alla fine era così, tutti ti usavano per la loro soddisfazione, convincendosi di star facendo una buona azione, per poi sparire quando avevi più bisogno di loro. Anche Kyle, l'aveva fatto.
In realtà Kyle gli aveva chiesto, perché fosse scappato via così, in quel modo, senza dare spiegazioni a nessuno, ma Tweek gli aveva risposto vago. Kyle lo aveva tagliato fuori dal suo gruppo di amici, il pomeriggio precedente, e Tweek poteva capirlo, che fosse per mezzo di Cartman, ma questo lo faceva sentire come se non gli fosse rimasto nessuno, perché Kyle era con Stan e Cartman, come doveva essere, mentre lui era da solo.
Pensò che non fosse giusto, che fosse Stan, ad avere tutto.
Tirò su col naso un altro paio di volte, poi inghiottì le lacrime, e decise di tornare indietro sui suoi passi.
Incontrò la signora Choksondik che stava chiudendosi dietro la porta dell'aula.
<< Mi-mi scusi... >> farfugliò, memore dell'ultima volta in cui era stato sgridato.
L'insegnante lo lasciò passare senza una parola, prima di isolare la stanza dal corridoio.
Tweek marciò verso il suo posto così come aveva fatto poco prima, senza guardare Craig.
Si mise a prendere appunti, distrattamente, l'atmosfera carica di disagio attorno a lui.
Sentì Craig scribacchiare qualcosa, ma non se ne curò, finché le sue dita non gli sospinsero un bigliettino azzurro sotto al naso.
Possiamo parlare?, c'era scritto. Tweek lo spostò con la mano, come se fosse un rimasuglio di gomma per cancellare sul quaderno. Poté sentire Craig tendersi al suo fianco, ma non se ne importò.
Subito l'altro prese a scrivere ancora, e un altro bigliettino comparve dove un attimo prima era stata la sua penna.
Per favore?
Tweek aveva iniziato a tremare, per l'ansia. Cacciò il bigliettino via dalla sua vista così come aveva fatto col precedente, riprendendo a scrivere, anche se non era più sicuro di star componendo frasi di senso compiuto.
Craig non si diede per vinto, e continuò nella sua opera di demolimento psicologico.
Mi dispiace, diceva il terzo bigliettino. 
Questa volta, Tweek non si diede la pena neanche di spostarlo, semplicemente lo ignorò.
Ti prego, puoi parlarmi?
Cosa devo fare?
Perché non vuoi che ti spieghi?

I foglietti si accumularono uno sull'altro al margine del suo quaderno. E dopo l'ultimo, stizzito, Tweek li arrotolò nel pugno in malo modo e li lanciò via.
<< Non disturbarmi >> gli intimò, acido, la collera che cresceva dentro. Sentiva una voragine aprirsi nello stomaco, le lacrime che premevano per uscire. Non poteva semplicemente lasciarlo in pace? A sobbollire nella sua pena? Doveva per forza rivangare tutto?
Craig non rispose, mesto, e lo accontentò, non importunandolo più.
Questo, sebbene non sapesse perché, lo irritò ulteriormente. Abbassò la testa sul suo quaderno, non volendo che Craig notasse lo sforzo che stava facendo per non piangere.
Aveva evitato il ragazzo per tutte le pause, ma a ricreazione, appena si alzò per andare in mensa, Craig lo seguì, tallonandolo per i corridoi.
<< Tweek... >> lo chiamò ancora, con la sua voce nasale e triste, quella maledetta voce che non si addiceva ad un traditore come lui << ...puoi fermarti? Voglio solo parlare >>
Tweek si rigirò su se stesso, stizzito, davanti agli armadietti, costringendo il ragazzo dietro di lui ad inchiodare.
<< GAH! Bene! Se-sentiamo, c-così la smetterai, di darmi il tormento! >>
Non riuscì a mascherare i suoi occhi lucidi e la sua espressione penosa, e gli occhi blu di Craig, pieni di rammarico, non aiutavano.
<< Dai! Sto aspettando! >> gli urlò quasi in faccia, senza però dargli tempo di formulare una frase.
Craig abbassò per un attimo lo sguardo sulle sue scarpe, e Tweek si sentì ribollire dentro. 
<< Possiamo non parlarne in mezzo al corridoio? >> chiese Craig.
Tweek ruotò gli occhi, con sufficienza, e si acquattò a braccia incrociate tra il muro ed un armadietto. Era stata una pessima idea, comunque, perché Craig gli si fece vicino, sovrastandolo e bloccandolo contro la parete proprio come quando avevano giocato a cattura bandiera. Tweek si sentì mancare l'aria, avvertendo la lieve sensazione di essere in trappola. 
Lo guardava però, gli occhi verdi dardeggiavano in quelli dell'altro, come a sfidarlo sull'utilità di quello che avrebbe voluto dirgli, perché era abbastanza sicuro che non avrebbe cambiato nulla, dato che le cose non si potevano cancellare.
<< Mi dispiace >> sputò Craig, impacciato << ...per quello che hai visto. Io e Stan non stiamo insieme. Non c'è niente tra di noi, te lo assicuro. Era solo una storia di sesso... >>
La facciata ostentatamente fiera di Tweek cadde, e sentì come se tutte le viscere venissero risucchiate via dal suo corpo. Nuove lacrime gli risalirono agli occhi, e dovette accorgersene anche Craig, perché i suoi occhi si allargarono, stupiti.
<< Davvero bravo Craig >> si complimentò, in uno slancio, con la voce che gli tremava << GAH! Facevi sesso con lui mentre con me giocavi a fare il fidanzato! Ngh! Pe-pensavo che volessi rispettare i miei tempi -gah!- ma la verità è che non te ne poteva fregare di meno! >> gli sfuggì un singhiozzo << Va al diavolo! >> gli urlò, isterico, prima di dargli una spallata e correre via.
Craig rimase lì fermo, imbambolato, a fissare il punto in cui Tweek era prima, ferito dalle sue parole.


Stan diede un altro colpetto al distributore automatico. 
La lattina di Fanta scivolò giù da dietro il vetro per cadere nel cassettone di raccolta. Stan si chinò ad aprire il portello e tirò fuori la sua Fanta al melone.
Aveva appena aperto la linguetta, quando gli si avvicinò Kenny.
<< Che stai facendo? >> chiese, notando la lunga fila di lattine disposte in ordine sul davanzale della finestra, proprio accanto al distributore.
<< Sto cercando di non bere >> spiegò Stan.
Il giorno prima, era riuscito a starsene calmo perché si erano ritrovati a giocare tutti insieme, e Kyle aveva tassativamente vietato a tutti di portare dell'alcol, per aiutarlo a restare sobrio. Non che sapesse che i nuovi risvolti della vita di Stan gli stavano rendendo particolarmente difficile esserlo. Ad ogni modo, la compagnia degli altri aveva contribuito a distrarlo, così come i battibecchi continui di Kyle e Cartman, che da master non faceva altro che mettere in difficoltà il povero elfo di Kyle. 
Tuttavia, quando si erano salutati, aveva avuto paura di restare da solo, così aveva chiesto a Kyle di restare a dormire da lui, e ascoltare i suoi problemi amorosi lo aveva distratto dai suoi.
Non che avesse bisogno di bere, comunque, perché si sentiva già frastornato come se l'avesse fatto, lasciato completamente stupito dal contraccolpo che aveva avuto la storia con Craig. Non aveva preventivato di restarne scottato.
<< Stai cercando di non bere, bevendo? >> chiese divertito Kenny.
Stan ridacchiò << Non ha molto senso, vero? Gli zuccheri mi aiutano a stare su >>
<< Ti verrà un accidente. Mi offri una Dr. Pepper? >>
Eccolo, il solito scroccone. Tuttavia, Stan sorrise ed inserì nuove monete nella macchinetta, selezionando il numero della bevanda. Poi Kenny si servì da solo, prendendola per sé.
Stan stava per terminare le monetine, e presto avrebbe dovuto trovarsi un altro palliativo.
<< Hai una sigaretta? >> chiese a Kenny.
Il ragazzo fece di no con la testa << Lo sai che ho smesso, era proprio un vizio che non mi potevo permettere >>
<< Wow, magari fossi povero anch'io >> meditò.
Kenny ridacchiò << Triste, vero? I miei si imbottiscono di droga, e io non riesco neanche a comprarmi le sigarette >>
Stan rise.
<< Non andrò di certo a mendicare come loro per un vizio di merda >> disse, reclinando la testa per prendere un lungo sorso.
<< Secondo te dove li trovano i soldi? >> domandò Stan, sinceramente interessato.
<< Bòh, rubando, facendo truffe >> lo informò, scrollando le spalle, come se l'argomento non lo riguardasse.
"Non permettere all'alcol di distruggerti... perché verrei a cercarti ovunque per prenderti a calci in culo". Le parole di Kenny gli ritornarono in mente, così come il discorso sulla sua famiglia. 
Pensò che non aveva davvero intenzione di deludere il suo amico, per cui, avrebbe dovuto resistere.
Ci fu un attimo di silenzio, e Stan soppesò di raccontargli cosa fosse successo. Avrebbe dovuto essere più facile, farlo con Kenny, piuttosto che con Kyle, per mezzo dell'attitudine al giudizio di quest'ultimo, ma davvero, non voleva fare il nome di Craig, o di Tweek, e ricordare di nuovo quella scena surreale. Quindi decise semplicemente di lasciare perdere, e di chiedergli se volesse uscire con lui dopo i suoi allenamenti di football.



Craig, ma che cappio combini? D:

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Capitolo 29
*** 23:59 ***


Ho scoperto che riprendere a scrivere dopo una pausa è tremendamente difficile. Ma ecco il capitolo! Questo povero capitolo che ha rischiato di essere cancellato, riscritto, abolito, per poi essere recuperato, solo a causa delle mie paranoie. Spero che gli vogliate bene perché alla fine dopo averlo odiato mi ci sono affezionata <3
Buona lettura!

 


29. 23:59


Così come aveva immaginato, quella mattina Wendy gli aveva rinfacciato la sua fuga dall'assemblea. 
Si era seduta nella sedia davanti al suo banco approfittando della momentanea assenza di Red, nello spacco tra la penultima e l'ultima ora, e si era voltata verso di lui. 
Stan l'aveva occhieggiata sorpreso.
<< Che c'è? >> aveva chiesto, esasperato, appurando che Wendy non avesse intenzione di parlare per prima.
La ragazza sospirò, davanti allo sguardo allibito di Stan, e chiuse gli occhi come a cercare di calmarsi.
<< Stan... >> ecco, quel tono non prometteva niente di buono, di sicuro solo critiche << Sono davvero felice che tu abbia provato ad andare d'accordo con Greg... >>
Stan fu preso in contropiede, ma poi provò un moto di fastidio, perché non gliene fregava niente di essere amichevole con quello, e di certo non aveva aiutato ad organizzare l'assemblea per compiacere Wendy. Si sbagliava di grosso se pensava che l'avesse fatto per far colpo su di lei, perché Stan lo aveva fatto per se stesso, e Wendy aveva bisogno di scendere dal piedistallo. 
 << Non era mia intenzione >> ribatté stizzito, mentre Kyle cercava di farsi piccolo nel posto accanto al suo, a disagio.
Wendy si schiarì la voce, indispettita << Bèh, è quello che volevo dirti. Lo so che l'hai fatto solo perché ti conveniva. Non mi interessa >> sottolineò << il fatto che tu l'abbia fatto esclusivamente per attirare l'attenzione, visto che non ti sei degnato nemmeno di restare... ma volevo comunque ringraziarti per l'aiuto >>
Aveva parlato senza potersi controllare, nonostante avesse patteggiato con se stessa per tentare di tenere la sua collera sopita, per non rinfacciargli quello che pensava davvero. Era, però, ormai un riflesso condizionato: se Stan faceva il coglione, lei doveva raddoppiare.
Stan la guardò perplesso, con la rabbia che gli ribolliva nelle vene. 
<< Bastava un grazie, allora. Che io mi sia allontanato o meno non sono tuoi problemi. Perché comunque eri tanto concentrata su di me? >> chiese, mentre Wendy sgranava gli occhi, preparandosi a ribattere. Stan, comunque, non le diede il tempo << Anzi, no. Non voglio saperlo. Spero che abbiamo finito >> la troncò.
Wendy alzò le mani in segno di resa << Non si può parlare con te >> constatò, alzandosi << Spero che questo tuo atteggiamento del cazzo ti porti a qualcosa, nella vita >> poi rimise malamente a posto la sedia e se ne tornò irritata al suo posto.
Questo non aveva fatto altro che peggiorare l'umore di Stan. Era irritante, il fatto che lo trattasse come un bambino da sgridare, oltre al fatto che volesse rifilargli delle critiche sotto forma di gratitudine. Si chiese perché, anche quando non faceva nulla, anche quando cercava di comportarsi bene, Wendy dovesse essere così stronza. Perché non lo lasciava in pace, per fatti suoi, se era la prima a dire che dovevano fare vite separate?  Era come se Wendy volesse continuare a possedere un pezzo di lui, tenerlo legato ad un filo, perché neanche lei era sicura di cosa cazzo volesse, o semplicemente Stan doveva essere una ruota di scorta. Era quello che aveva fatto anche Craig, dopotutto, e fu difficile non lasciarsi prendere da pensieri deprimenti e completamente patetici, dei pensieri che stava tentando di respingere dal giorno prima, come il fatto che, sebbene volesse bene a due persone, lui non fosse speciale per nessuna delle due. Non era speciale per Wendy, e a quanto pareva neanche per Craig. 
Gli allenamenti quel pomeriggio l'avevano aiutato a distrarsi, nonostante l'avvilimento che aveva provato quando si era reso conto che la differenza di forma fra lui e gli altri della squadra fosse abissale, tanto che faticava anche con gli esercizi di riscaldamento più semplici. 
Aveva provato comunque a non farsi abbattere, a concentrarsi su ciò che doveva fare, tanto che si era persino dimenticato di dover uscire con Kenny. 
Quando lo trovò lì fuori, ad aspettarlo, quasi si pentì di avergli chiesto di uscire, perché tutto ciò che avrebbe voluto era tornarsene a casa e bere.
Ma forse, il suo io mattiniero, era stato più provvidenziale e saggio del suo io presente, cercando di tenerlo impegnato il più possibile.
Aveva dovuto trascinarsi il borsone dietro mentre andavano a prendersi un gelato. Normalmente, era Kyle l'amico dei gelati; Kenny era sempre stato l'amico di bevute, e adesso anche quei rari momenti preziosi che condividevano avevano dovuto sparire, perché non poteva bere.
Kenny comunque non era rimasto molto, perché aveva promesso a Karen di aiutarla a risolvere dei problemi, in che modo poi, dato che Kenny non era mai stato un asso in matematica, a Stan era oscuro. Probabilmente, era perché non potevano comunque permettersi un insegnante privato, ma Stan era certo che se l'avesse chiesto a Kyle, o a suo fratello Ike, uno di loro due l'avrebbe aiutata volentieri, gratis. Tuttavia Kenny era così, a lui non piaceva scomodare gli altri, e anche se ci avesse dovuto sbattere la testa tutta la sera, alla fine avrebbe trovato il modo di aiutare sua sorella.
Quando Stan tornò a casa, stanco dalla lunga giornata e dall'insana idea di portarsi dietro il borsone, aveva un unico chiodo fisso, in mente.
Gettò malamente la borsa a terra, una volta nella sua stanza, ed iniziò a scavare forsennatamente nei cassetti. Non c'era nulla. Guardò sotto il letto, ma ovviamente l'aveva ripulito del tutto, e mise a soqquadro anche l'armadio, guardando anche nelle borse.
Aveva bisogno di bere.
<< Cazzo... >>
Si sedette contro il materasso lasciandosi scivolare a terra, e passandosi le mani in faccia.
Non aveva lasciato una bottiglia, o una misera fiaschetta. Come poteva sopravvivere fino a sera? Era come se il suo corpo scalpitasse per un goccio, come se la sua mente non riuscisse a quietarsi, a pensare ad altro. Persino di fronte a Kenny, il suo pensiero tornava al momento in cui avrebbe potuto tornare a casa, e bere. 
Kenny aveva insistito per fare la strada con lui, dicendo che tanto comunque non gli avrebbe preso molto tempo, e che non aveva voglia di tornare da solo. E questo gli aveva impedito di avvicinarsi a qualsiasi supermarket.
Forse suo padre aveva ancora qualche superalcolico nascosto per casa.
Come se fosse quasi stato richiamato da un incantesimo, si precipitò fuori dalla stanza e poi giù per le scale. Shelly era seduta al tavolo della sala da pranzo, mentre sua madre era indaffarata in cucina. 
Iniziò a cercare cautamente nei mobili della sala da pranzo, cercando di non dare nell'occhio, ma non trovò nulla, quindi si spostò in cucina.
Sharon Marsh guardò suo figlio con un cipiglio.
<< Stan, che cosa cerchi? >> chiese, pensando di poterlo aiutare.
Stan fece finta di essere sovrappensiero e di non averla sentita. Cosa avrebbe dovuto risponderle? Non era sicuro che sua madre fosse effettivamente a conoscenza del suo vizio di bere. Se lo sapeva, allora lo nascondeva bene. Anche se forse era più probabile che sospettasse qualcosa ma continuasse a mentire a se stessa, non volendo credere che suo figlio fosse come suo marito. Sua madre non aveva mai mancato di fargli dei discorsetti su qualsiasi cosa facesse di sbagliato, quindi era strano che non lo avesse ancora affrontato sull'argomento. Forse voleva restare cieca, e Stan provò pena e fastidio, al pensiero.
<< Sta cercando l'alcol, mamma, perché il tuo figlio preferito è un alcolista di merda >> le rispose acida Shelly, non smettendo di leggere il libro che teneva aperto sul tavolo.
Stan si voltò come una furia verso di lei, ignorando l'espressione sbigottita della madre.
<< Stai zitta! >> le intimò, astioso, e senza neanche pensarci le lanciò la prima cosa che si trovò in mano: un contenitore di plastica, come se così facendo potesse farle rimangiare ciò che aveva detto.
Il contenitore colpì Shelly giusto in faccia, sullo zigomo.
<< Ragazzi! >> li pregò sua madre, ma a quel punto il danno era fatto.
Shelly si alzò dal suo posto come una furia imbufalita.
<< IO TI AMMAZZO! >> ringhiò, e Stan sgranò gli occhi.
Scattò più veloce di quanto pensava fosse capace, sfuggendo alle grinfie di Shelly per un pelo. Le dita della ragazza si chiusero sul vuoto, poi buttò di lato una sedia con un gran fracasso e galoppò dietro al fratello su per le scale. Riuscì ad afferrarlo per la maglietta, ma Stan se la scrollò di dosso, facendo giusto in tempo a chiudersi nella stanza per non farla entrare.
<< Vieni fuori, mostriciattolo! >> lo minacciò, continuando a dare colpi terribili alla porta, tanto che sembrava volesse buttarla giù << Ti gonfio di botte! Sei morto, vomito di cane! Ti aspetterò, dovrai uscire prima o poi, pesaculo di merda! >>
<< Shelly, puoi per favore fare l'adulta e lasciarlo perdere? >> sentì sua madre chiedere esasperata dal fondo delle scale.
<< NO! Stai zitta! Lo difendi sempre! Ti odio! Vi odio tutti! >> diede un calcio violento alla porta << Vai a fare in culo parassita di sto' cazzo! Muori! >>
Poi la sentì allontanarsi come se volesse far saltare il pavimento ad ogni passo.
C'era mancato poco. Sospirò dinanzi alla porta.
Non che non vi fosse abituato, ma normalmente cercava di tenersi alla larga, da Shelly, o magari di prenderla dal lato buono. Erano quasi anni che non la vedeva così arrabbiata, e la sua fuga era stata istintiva, anche se adesso era più alto e probabilmente molto più forte di lei.
Grandissima stronza. Sperava che sua madre non avesse fatto particolarmente caso a ciò che aveva detto.
Il tutto aveva però un risvolto positivo: adesso sarebbe stato costretto a nascondersi in camera sua, dove ovviamente non c'era traccia di alcol, e dove quindi non avrebbe potuto ubriacarsi.
Si lasciò nuovamente scivolare sul pavimento, accanto al letto, ed ebbe di nuovo l'istinto di nascondere la faccia tra le mani, come se così facendo potesse nascondersi da se stesso. Strinse gli occhi mentre le sue mani scivolavano sotto al cappello e afferravano delle ciocche di capelli, stringendole forte. 
Era bastata una cazzata, affinché la situazione gli sfuggisse di mano, e non sapeva neanche più dove cercare la sua risoluzione.
Sentì dei colpetti gentili alla porta. Ma poi nessuno parlò, quindi pensò di esserseli immaginati. 
Solo dopo un po' sentì la voce cauta di sua madre chiamarlo << ...Stan? >>
Stan si strinse per un attimo la base del naso fra le dita, stringendo gli occhi in un gesto di disperazione. Gli veniva da piangere.
<< Posso entrare? >>
Avrebbe voluto acconsentire, alzarsi ed aprire la porta, ma le sue gambe non sembravano voler collaborare, e si ritrovò incapace di parlare.
Vide la maniglia abbassarsi, ma la porta non si aprì.
<< E va bene >> si risolse sua madre, e Stan seppe dal suo tono che in un modo o nell'altro sarebbe entrata, anche a costo di scardinare la porta. Doveva essere davvero preoccupata.
A quel punto si alzò precipitandosi verso di lei, aprendole.
Gli occhi castani di sua madre rilucevano di preoccupazione, e Stan distolse i suoi per non piangere. Rientrò nella stanza e si sedette sul letto, preparandosi a una lunga conversazione che non voleva.
Sharon entrò anche lei e si richiuse la porta alle spalle.
<< Cosa succede Stan? >> chiese, gentile.
Ma Stan non rispose, lo sguardo basso.
<< È vero quello che dice Shelly? >> domandò più specificamente, col suo tono diplomatico, per nulla atterrito, come invece Stan sapeva per certo che sua madre si sentisse. Stava usando quel tono poco drammatico per lui, per metterlo a suo agio, per assicurargli che non ci sarebbero stati drammi, e Stan lo sapeva.
Tirò su col naso, ed annuì, non riuscendo a trattenere delle lacrime, che scivolarono lungo le sue guance, nonostante tenesse gli occhi ben chiusi. Iniziò a singhiozzare, senza potersi trattenere. Cercò di coprirsi il viso con le mani.
<< Tesoro... >> gli sussurrò rassicurante sua madre, e questo gli faceva venire solo da piangere di più, perché non credeva di meritarselo.
Sharon gli si avvicinò e lo abbracciò stretto, premendogli la testa contro il suo stomaco, e prendendo ad accarezzargli i capelli.
<< Mi... mi dispiace -sniff- mamma... >> tentò di dire, combattendo contro l'apnea di ogni singhiozzo << S -sniff- sto cercando di smettere! >> la sua voce uscì fuori orrendamente deformata, come se non fosse la sua. Tutto ciò che gli importava era rassicurarla; avrebbe voluto anche spiegarsi << Wendy... >> ma non ci riuscì, il pianto non gli concesse abbastanza aria da poter formulare la frase.
Sentì sua madre stringergli la testa più forte.
<< A me, dispiace, piccolo mio >> sentì che anche la sua voce era commossa. E quel nomignolo sembrava lontano di secoli, come se fosse rimasto congelato nel cuore di sua madre dalla sua infanzia << Io credo in te, Stan. Avresti dovuto dirmelo. Ti avremmo aiutato >>
Stan pianse più forte, se possibile, abbracciando forte sua madre.
Lei gli accarezzò i capelli e restò a consolarlo fin quando non si calmò. A quel punto, Stan pensò di averne approfittato troppo, e si staccò da lei, asciugandosi le guance con le mani.
Sharon si sedette accanto a lui.
<< Sai, Stan, so che alla tua età può sembrare tutto difficile, ed ogni ostacolo insormontabile... ma è solo una fase. Prima o poi ti renderai conto che alcune di queste cose che ti fanno stare male non hanno poi così importanza. So che vuoi molto bene a Wendy, le voglio bene anch'io, ma credimi quando ti dico che passerà. Anche io sono stata tanto male per un ragazzo, quando avevo la tua età, ci eravamo lasciati dopo cinque anni, e pensavo che la mia vita non potesse avere più senso. Poi ho incontrato tuo padre, al college, e ho capito che le cose hanno importanza solo se gliele dai. Il mondo è grande, pieno di esperienze, pieno di persone, che vale la pena conoscere... un giorno magari ringrazierai che le cose siano andate in questo modo... >>
Stan fece un sorrisino << Bèh, non credo ti sia poi andata tanto bene, con papà... >>
<< Sì, è inutile negarlo, tuo padre è un cazzone, Stan, ma io lo amo anche per questo, e lui ci ama moltissimo. È un brav'uomo, in fondo, e trova sempre il modo per rimediare alle sue cazzate. Vedi, anche lui, è stato capace di gestire questa cosa del bere, e se ci è riuscito un soggetto come lui, di sicuro tu puoi riuscirci meglio, dato che hai anche i miei geni >> gli batté amichevolemente sulla spalla.
Stan accennò a un risolino divertito, nonostante fosse ancora costipato di lacrime. 
<< Sono sobrio da cinque giorni >> la informò, giusto per tentare di renderla fiera almeno un po',  << Questa è -sniff- è stata solo una brutta giornata... sto andando anche alle riunioni degli alcolisti >>
Sua madre gli accarezzò la schiena in un moto consolatorio.
<< Tu puoi sempre parlare anche con me, sai? >>
Stan annuì, grato << Mi-mi accompagni? C'è... una riunione, stasera. Ma non voglio andarci da solo... >> tirò su col naso ancora una volta.
Sua madre annuì, sorridendogli orgogliosa.
<< Tutte le volte che vuoi >>


Cosa aveva sbagliato? Non riusciva proprio a capirlo. Aveva semplicemente detto le cose come stavano, e a venire accusato che gli interessasse solo il sesso non ci stava. Insomma, Tweek aveva vissuto le stesse cose che aveva vissuto lui. Le avevano vissute insieme, no? Come avrebbe mai potuto pensare che fosse tutto senza significato, per Craig?
Sentiva un sapore amaro in bocca, mentre fumava e camminava sulla strada per il ritorno.
Era stato da Clyde, pensando di riuscire un po' a condividere con l'amico la sua sofferenza. Ma non ce l'aveva fatta, la sua lingua era rimasta bloccata sul fondo della bocca, incapace di emettere un fonema. Alla fine si era limitato solo a qualche chiacchiera di circostanza mentre giocavano ai videogiochi, nonostante si sentisse sanguinare dentro. Era semplicemente come se le parole non trovassero la strada per uscire dal suo petto, e alla fine, quando erano diventate troppo pesanti da sopportare, se ne era andato. Era stato zitto per così tanto tempo che adesso non sapeva più come si facesse a parlare, ma forse la verità era che lui stesso non sapeva cosa pensare, e forse aveva bisogno prima di razionalizzare nella sua mente quegli avvenimenti, per riuscire a raccontarli. 
Era insopportabile, però, avere un macigno sul petto e non sapere come liberarsene. 
Gettò la sigaretta a terra, quando fu nel suo vialetto. E fu più un gesto di ripicca verso Tweek, perché aveva preso l'abitudine di buttare le cicche nei cestini.
Ad aprirgli, come sempre, fu Tricia, che gli rivolse il dito medio. Ancora non voleva deporre le armi per quella stupida discussione che avevano avuto qualche settimana prima. 
Craig ricambiò il gesto, e si sfidarono con gli occhi fino a quando Craig non attraversò la soglia e raggiunse le scale.
Non gliene importava. Tricia era l'ultimo dei suoi problemi, in quel momento.
Chiudersi nella sua stanza fu liberatorio. Si sbarazzò delle scarpe e si chinò sotto il letto sapendo di trovarci Striscia, così come faceva sempre, ignorando completamente i versi di protesta dell'animale quando provò a prenderlo.
Si sdraiò sul letto con il porcellino d'India sul petto. Accarezzarlo lo rassicurava.
<< Sono triste... >> sussurrò a Striscia, senza nemmeno accorgersene. Quando però se ne rese conto, ammutolì credendosi ridicolo.
Sospirò. Gli occhi feriti di Tweek continuavano a venirgli in mente, così come le sue parole che lo accusavano. Tweek non era stato un passatempo, per lui. Diamine! Era forse l'unica persona che gli fosse mai davvero piaciuta! Non credeva di aver mai provato per nessuno quello che aveva provato per Tweek, quella sensazione di leggerezza e felicità che neanche aveva mai immaginato esistesse. 
Forse non si era comportato benissimo, ma si sentiva sminuito, dalle accuse di Tweek, quasi offeso. E adesso aveva una fottuta paura di peggiorare la situazione, se avesse insistito con lui. Qual era la linea sottile tra interessamento e stalking? Tweek gli aveva deliberatamente detto che non lo volesse più vedere,  e se aveva già deciso che Craig non meritasse la sua attenzione, cosa avrebbe potuto fare, lui? 
Neanche lasciar perdere gli sembrava una soluzione. Non voleva restare incompreso, voleva che Tweek capisse che lo considerasse importante, perché davvero, per una volta che i suoi sentimenti erano puri, non potevano essere ignorati. 
Forse la soluzione migliore era attendere che le acque si calmassero, di avere l'occasione giusta per riavvicinarsi al biondo, d'altronde l'anno era lungo e loro erano compagni di banco.
Prima o poi Tweek avrebbe abbassato le difese. Era l'unica cosa in cui poteva sperare.



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Capitolo 30
*** 00:00 ***


Ho rinominato tutti i vecchi capitoli. Siamo allo scadere del tempo.

 

30. 00:00


Stan osservò il movimento ritmico della mano di Kyle che palleggiava col pallone. La palla arancione batteva sul terreno producendo un piacevole tum tum tum che si mescolava col cinguettio degli uccelli in cielo.
Era ora che adibissero gli spazi esterni della scuola per l'attività sportiva, dato che la palestra era sempre piena; era solo un peccato che l'avessero fatto solo durante il loro ultimo anno.
Vide l'ushanka verde di Kyle sollevarsi davanti ai suoi occhi, in concomitanza col salto dell'amico, che provò ad andare a canestro. Non si sorprese quando il pallone entrò nell'anello liscio come l'acqua in un bicchiere. Kyle era sempre stato bravo, a basket. Alle elementari era nella squadra della scuola, poi aveva iniziato a concentrarsi sullo studio, anche se comunque, da piccoli, fino quasi ai primi anni del liceo, lui, Stan, Kenny e Cartman avevano continuato a giocare nel parchetto della città, dove c'era un piccolo campo. Avevano smesso di farlo quando erano diventati troppo grandi e aveva iniziato ad essere imbarazzante, con tutti quei ragazzini intorno. 
Kyle gongolò soddisfatto e tornò in fondo alla fila. 
Ce n'erano due, di file, perché non è che avessero allestito un vero e proprio campo; avevano semplicemente posto due canestri al muro uno accanto all'altro. Ecco perché stavano solo tentando di tirare, stupidamente.
Adesso toccava a lui. Nella fila accanto Butters aveva appena provato un lancio, ma ci aveva messo talmente poca forza che la palla non era neanche arrivata all'altezza del canestro.
<< Oh madonnina, faccio proprio schifo >> lo sentì farfugliare.
Stan si concentrò per il suo turno, sollevando la palla e cercando di imprimerle la giusta forza. Malauguratamente, la palla colpì solo l'anello, poi ricadde.
Tornò anche lui in fondo alla coda, dietro Kyle. Non gli importava. Quella sembrava essere una bella giornata, era l'ultima ora e Wendy era al campetto di pallavolo con alcune ragazze, e non doveva averla davanti agli occhi, per una volta. Gregory era in palestra, quindi si era sbarazzato anche di lui. E si sentiva pure più sollevato, per essersi finalmente confidato con sua madre, il giorno prima. Sapere di avere tante persone intorno, disposte ad aiutarlo, era qualcosa che gli trasmetteva forza.
L'unica cosa che si stava imponendo, al momento, era di non guardare insistentemente l'altra fila, dov'erano Craig e Tweek. Era chiaro che non avessero ancora chiarito, perchè non si rivolgevano la parola, e Tweek sembrava più nervoso del solito.
<< Sono preoccupato per Tweek >> sentì bisbigliare Kyle, che si era voltato verso di lui, e dal suo tono quella preoccupazione era evidente.
Stan guardò l'amico, senza riuscire a mascherare uno sguardo colpevole.
<< Cosa intendi? >> chiese, inghiottendo saliva.
Gli occhi verdi di Kyle si spostarono per un attimo su Tweek, prossimo al suo turno di tiro. 
<< Non lo so, è strano >> gli confidò, ritornando a guardarlo con uno sguardo impaurito << È scostante, e non riesco a parlare con lui. Ho solo... una brutta sensazione. Questo... >> strinse le labbra, a disagio nel pronunciare quelle parole << ...mi ricorda... qualcosa. >>
Il cuore di Stan si strinse, risucchiando l'aria dal suo stomaco, e lasciandolo vuoto. Guardò anche lui Tweek. Aveva già paura da sé che la situazione potesse complicarsi, e adesso che glielo diceva pure Kyle, era difficile tenere a bada quella sensazione.
Doveva dire qualcosa all'amico? Doveva parlare con Tweek? O con Craig? Qual era la cosa migliore da fare per scongiurare qualcosa del genere? Iniziò a sudare freddo, perché sentiva che fosse colpa sua, in fondo. 
Dannatissimo Craig e la sua capacità di complicare le cose. Era vero che probabilmente non sapesse niente, di Tweek, ma avrebbe potuto quantomeno comportarsi in modo giusto! E invece no, e non sapeva neanche cosa si stesse tirando addosso. Stan era l'unico che lo sapeva, e si sentiva oppresso da questa responsabilità.
Considerò un po' di parlarne con Kyle, ma quello comunque non era il luogo; ci avrebbe pensato meglio in seguito.
<< Stan? >> lo richiamò Kyle, perplesso.
<< Forse ti stai preoccupando troppo... >> cercò di rassicurarlo, ma se ne pentì nel momento stesso in cui lo disse, perché magari c'era davvero un motivo per preoccuparsi << ...o almeno spero >>
Tweek non faceva altro che tormentarsi in continuazione la manica del maglione che portava sulla camicia, in un gesto nervoso. Stan lo vide anche stringere gli occhi in dei tic incontrollabili, che gli ricordavano un po' quando l'avevano conosciuto, il primo anno delle superiori. 
Non andava bene. Per niente.
Token raccolse la palla con cui aveva appena fatto canestro da terra, e gliela porse. Tweek si sfregò un braccio, prima di accettarla, con le mani tremanti. Miles l'aveva costretto a giocare anche se lui non voleva, argomentando che tanto erano solo esercizi e che gli avrebbero fatto bene. Non sembrava, comunque, almeno per la sua psiche.
Tweek restò ad osservare il canestro incerto, poi sollevò con entrambe le mani leggermente la palla sulla spalla, con difficoltà, quasi come se fosse troppo pesante per lui. Se l'avesse tenuta in quel modo, di sicuro non avrebbe fatto centro.
<< Ehi! Ti sbrighi? >> chiese Clyde, spazientito, dato che stava aspettando il suo turno dietro il ragazzo biondo.
Craig invece era separato dai due da Bebe, e guardava la scena con le braccia incrociate, leggermente scocciato.
Tweek non rispose, fece solo un gran sospiro, e indugiò ancora, sollevando sempre più lentamente la palla. Sembrava quasi che lo stesse facendo di proposito per far alterare Clyde.
<< Si può sapere cosa ti prende, schizzato? >> chiese Clyde, innervosito.
Tweek schiacciò la palla a terra, con violenza, tanto che anche Red, che stava tirando accanto a lui, si scostò spaventata.
Tweek si voltò verso Clyde con uno sguardo scuro che solitamente non gli apparteneva, facendo raggelare il sangue nella vene a tutti quelli che lo avevano conosciuto nei primi anni. Afferrò Clyde per il colletto della felpa, pronto a colpirlo.
<< Come cazzo mi hai chiamato? >> chiese, con una voce che non sembrava neanche la sua << COME CAZZO MI HAI CHIAMATO? >>
Clyde cercò di tirarsi indietro, terrorizzato, e il loro sbilanciamento prevenne Tweek dal colpirlo, in un primo momento.
<< Lasciami! >> gli intimò Clyde, ma Tweek strinse la presa di più e letteralmente lo spinse, cadendogli addosso.
Stan si sentì quasi venir meno. Fu naturale portarsi le mani alla bocca. Clyde per poco non aveva battuto la nuca sullo spigolo dell'aiuola, e l'impatto con l'asfalto era stato talmente forte che gli occhi gli si erano rivoltati all'indietro. 
Ma la vista di Tweek sembrava appannata. Non si era reso conto che l'aveva quasi ucciso, o forse era quello il suo scopo, perché colpì il ragazzo con uno schiaffo potentissimo, che gli fece voltare la testa dall'altro lato. Non soddisfatto, lo sollevò di nuovo con violenza per fargli impattare la testa di nuovo a terra.
Clyde ormai aveva perso i sensi, o almeno così sembrava.
Era successo tutto in una frazione di secondo, prima che chiunque potesse pensare di intervenire.
Tweek stava per ripetere il gesto, veemente, quando Craig e Kenny, gli unici che ebbero il sangue freddo di farlo, lo fermarono.
<< Clyde! >> gridò Craig, prendendo Tweek per il retro della camicia e scaraventandolo lontano dall'amico, prima che potesse farlo Kenny.
Entrambi si precipitarono a vedere le condizioni del ragazzo.
<< È ferito! C'è del sangue! >> li informò con orrore Kenny, che gli aveva leggermente sollevato il capo per vedere.
Craig si voltò un attimo verso Tweek, guardandolo con un misto di delusione e rabbia.
Tweek sembrava essere tornato in sé, e osservava la scena con orrore, gli occhi sgranati e le lacrime che avevano preso a scendere dai suoi occhi. Non sembrava essere in grado di muoversi, comunque. 
L'attenzione che Craig gli riservò fu breve, perché ritornò ad occuparsi di Clyde.
Stan non riusciva a muoversi. Sentiva il cuore correre troppo veloce, e si accorse che Kyle era completamente pietrificato, mentre lacrime silenziose avevano iniziato a solcargli le guance. Kyle stava piangendo.
<< Vado a chiamare qualcuno! >> li informò Lola, correndo via, mentre Kenny si spostava per fare posto a Token.
Tweek indietreggiò, spostandosi con le mani a terra, fino ad un'aiuola. Stava andando in iperventilazione. Sembrava orripilato da ciò che aveva fatto.
Jimmy, che era stato tutto il tempo seduto sul fondo del campo su una sedia, era a telefono, probabilmente per chiamare un'ambulanza. E Stan ancora non riusciva a muoversi.
<< Che cazzo hai fatto?! >> urlò Token a Tweek.
Il ragazzo afroamericano stava tremando, mentre cercava insieme a Craig il modo migliore per sistemare Clyde. La sua voce dovette giungere nel profondo della coscienza dell'amico, perché Clyde tentò di aprire gli occhi, ma senza risultati.
<< Clyde! >> lo chiamarono in coro i suoi due migliori amici.
Solo allora Stan si accorse che Red ed Heidi stavano soccorrendo Bebe, che sembrava avesse avuto un malore.
Poi ci fu una sorta di squittio disperato ed acuto; era stato Tweek ad emetterlo. Si era alzato da terra per correre via, verso l'interno dell'edificio, inciampando più volte sulle sue gambe.
<< Cazzo, Tweek! >> esclamò Kenny, scattando verso Kyle << Kyle! Dobbiamo fermare Tweek! >> disse allarmato, fermandosi davanti al ragazzo dai capelli rossi << Kyle? >> lo chiamò ancora.
Kyle lo guardava semplicemente piangendo, e aveva accennato ad un piccolo movimento di testa che Kenny interpretò come un rifiuto.
<< Vado io >> lo rassicurò semplicemente, correndo nella direzione dove era sparito il ragazzo di prima.
Kyle ebbe un singulto di pianto.
<< Lo so... lo so che dovrei andarci io >> piagnucolò << ...ma non riesco a muovermi... non ce la faccio.... >> tentò di dire.
<< Kyle >> lo chiamò Stan, la gola secca come se non parlasse da anni. Deglutì per tentare di scacciare la sensazione << potrebbero rimandarlo in clinica... >>
Era una constatazione, semplice, ma quello che stava tentando di dirgli era che dovevano tentare di arginare i danni, o quantomeno Kyle avrebbe dovuto correre dietro al suo amico, o se ne sarebbe pentito come la prima volta.
Se Tweek fosse ritornato indietro, in clinica, gli disse una piccola vocina maligna, non avrebbe più dovuto preoccuparsi di lui e di Craig... Si vergognò anche solo per il fatto che un pensiero del genere lo avesse sfiorato. Non era certo il momento di pensare a certe cose.
Kyle strinse i denti. 
<< Per favore... >> alzò la voce, nonostante gli tremasse.
Gli altri si voltarono verso di lui, increduli.
<< ...non dite a Miles che è stato Tweek, lo rispedirebbero nella clinica psichiatrica... >>
Ecco, lo aveva detto. Se possibile, gli altri lo osservarono ancora più scioccati.
<< Fottiti, Kyle! >> sputò Cartman, che fino a quel momento se ne era stato in fondo a tutti, senza spiccicare parola, terrorizzato. 
E se Stan si era sentito ghiacciare le vene, nell'assistere per la seconda volta alla stessa scena, poteva solo immaginare, come fosse stato per Cartman.
Kyle guardò Eric con uno sguardo di pura vergogna.
<< Smettila di difenderlo! Quello è un pazzo criminale! Devono rinchiuderlo e buttare la chiave! >> urlò << È fottutamente pericoloso! Cosa aspettano? Che ammazzi qualcuno?! >>
Kyle non seppe rispondere. Si portò solo una mano in viso, piangendo più forte.
Lola aveva appena portato Miles, che si precipitò verso Clyde.
<< Che diavolo è successo? >> chiese, cercando di sollevare la testa al ragazzo.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui i ragazzi si guardarono.
Miles anche, li guardò, e si innervosì << Allora?! >> gridò.
<< È stato aggredito, da un ragazzo >> lo informò Craig.
<< Chi? >> chiese ancora l'insegnante.
<< Non sappiamo chi fosse... >> rispose, e Stan lo vide scambiarsi un'occhiata con Token, che lo guardò truce. Non doveva essere d'accordo, sul nascondere ciò che fosse successo, ma non disse niente.
Bebe si era ripresa, ma stava piangendo, seduta a terra con le sue amiche, gli occhi bassi e sfuggenti. Anche lei sapeva dei trascorsi di Tweek, di tutto il casino che era successo solo quasi due anni prima, e questo dovette bloccarla dal dire qualsiasi cosa.
<< È stato Tweak! >> lo informò Cartman, furente di rabbia << Voleva ucciderlo! >>
Tutto il sangue sembrò essere drenato via dalla faccia di Miles.
<< E adesso dov'è? >> chiese.
<< È scappato. Kenny gli è corso dietro, signore >> disse Butters.
<< H-ho c-c-chiamato u-u-un'ambula-ambula-ambulanza, signore! >> farfugliò Jimmy.
<< Ottimo lavoro >> poi prese a schiaffeggiare Clyde, per suscitargli qualsiasi risposta.
Il ragazzo strizzò gli occhi.
<< Mi senti, Clyde? Sei tra noi? >> gli chiese, ma Clyde non sembrava in grado di dare altri responsi << Starai bene, tieni duro. L'ambulanza sta arrivando >> lo rassicurò << Io vado a chiamare dei colleghi >> disse allontanandosi, proprio mentre Bebe trovava il coraggio di avvicinarsi al suo ragazzo.
<< Amore mio! >> scoppiò a piangere, prendendogli la mano.
Kyle scattò dietro all'insegnante.
<< Signor Miles >> lo pregò << Lei sa che Tweek ha dei precedenti. Non fatelo rispedire in clinica! >>
Miles si voltò desolato verso il ragazzo << Lo so, Broflovski, ma non posso nascondere quello che è successo. Non è in mio potere, purtroppo. Adesso scusami, ma non è il momento di parlare di questo >> lo liquidò, lasciandolo lì in lacrime.
<< Vado a cercarli >> disse a Stan con un fil di voce, e l'amico annuì.
Se c'era una cosa che Kyle poteva fare, al momento, era sostenere Tweek.

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Capitolo 31
*** 00:01 ***


Scusate l'enorme ritardo. Sinceramente non so cosa avrei voluto farci uscire da questo capitolo; ad ogni modo, ho deciso di pubblicarlo. E scusate anche se è particolarmente deprimente, ma non poteva essere altrimenti. Scusate eventuali errori! Vorrei revisionarlo per l'ennesima volta, ma sento di doverlo pubblicare adesso.
 

31. 00:01



Si era creata un bel po' di affluenza, tra insegnanti, preside, infermieri.
E Stan era ancora fermo, cementificato nella stessa posizione, ad osservare Clyde che veniva cautamente caricato sulla barella, senza essersi ripreso neanche un po'.
Le ragazze avevano insistito perché Bebe fosse visitata, e adesso un operatore era chino su di lei a controllarle la pressione mentre la ragazza sedeva sul retro dell'ambulanza.
<< Lasciatemi andare, ho detto di stare bene! Voglio stare vicino a Clyde! >> si lamentò, gli occhi lacrimosi e arrabbiati, mentre le altre la guardavano con pena. 
La barella  fu presto sollevata e caricata sull'ambulanza.
Craig e Token guardavano inermi la scena. Anche il resto della classe era arrivato, e Wendy, adesso, teneva il capo poggiato su quello della sua amica, abbracciandola intorno al collo.
<< Clyde! >> urlò una voce, e una ragazza, che doveva avere sui venticinque anni, schizzò come un siluro davanti alla vista di Stan, per poi essere fermata dagli infermieri.
<< Come sta? Cosa è che è successo? >> chiese, rivolgendosi prima agli adulti responsabili e poi cercando sulle facce di Token e Craig dei volti conosciuti.
I due le si avvicinarono, ma prima di poterle spiegare la situazione, il preside la approcciò.
<< Lei deve essere la sorella di Clyde? Martha Donovan? >>
<< Sì, sono io >> rispose Martha, trafelata. 
<< Io sono il preside della scuola, molto piacere di conoscerla >>
<< Mio padre sta arrivando >> si giustificò la ragazza, senza che il preside l'avesse chiesto << Io ero solo più vicina >>
<< A quanto pare un altro studente ha aggredito suo fratello. È una situazione complicata... >> iniziò a spiegare il preside, impacciato, nonostante ciò stridesse con la sua presenza da avvenente trentenne palestrato.
<< Vuole accompagnare il ragazzo sull'ambulanza? >> chiese un infermiere, in procinto di chiudere gli sportelli.
Martha annuì, ignorando completamente il preside.
<< Mi scusi, possiamo parlare di questo un altro giorno? >> chiese, provata.
Clyde aveva perso la madre. Doveva essere difficile, trovarsi in una situazione d'allarme come quella, per una famiglia già distrutta, pensò Stan.
Il preside semplicemente annuì. Bebe fu fatta scendere, non senza proteste, e Martha salire su. 
Gli insegnanti stavano rientrando. Miles aveva detto loro che potevano raccogliere le loro cose e tornare a casa, ma Stan ancora non si muoveva. Non sapeva cosa fare.
Fu in quel momento che gli occhi di Craig lo trovarono, e il ragazzo prese a marciare verso di lui a grandi passi.
Stan sentì appena il panico sfiorarlo, che Craig lo aveva già raggiunto, stringendolo forte per un braccio e iniziando a trascinarlo dietro l'edificio.
<< Vieni >> gli comandò, rude.
<< Lasciami! Mi fai male! >> si lagnò, come un bambino imbronciato, mentre svoltavano l'angolo.
La presa di Craig era stretta, ma ad infastidirlo non era tanto quello, quanto il fatto che il suo tocco gli bruciava sulla pelle.
Come a rispecchiare quanto appena detto, Craig lo mollò improvvisamente, tirandosi indietro come se anche lui si fosse scottato. O forse fu solo la realizzazione di essere troppo vicino a lui.
Stan lo guardò accigliato, tenendosi il braccio laddove aveva lamentato dolore.
<< Che diavolo...? >> chiese, retoricamente.
<< Mi sono rotto il cazzo, sinceramente, con tutti questi segreti! Che cazzo è successo, a Tweek? >> ribatté Craig, nervoso come Stan non l'aveva mai visto.
<< Perché cazzo lo chiedi a me? >> rispose Stan. Non intendeva davvero rispondere così, perché capiva che Craig doveva essere parecchio agitato e confuso, ma lo era anche lui, e non voleva essere aggredito mentre era ancora scosso.
<< Perché tu! Hai cercato di dirmi qualcosa con le tue frasi criptiche senza dirmi un cazzo! E ognuno continua a fare il misterioso! Clyde è in ospedale! Perché? Tu lo sai! Sai che cazzo gli è preso a Tweek, quindi perché non me lo dici? Ho il fottutissimo diritto di sapere?! >>
Stan lo guardò incredulo << Perché non era mio dovere, dirtelo, santo cielo! Perché non te la prendi con il tuo cazzo di ragazzo?! >> sputò, prima che riuscisse a fermarsi.
Craig gli restituì un'occhiata allucinata, poi schioccò la lingua esasperato, chiudendo gli occhi per un attimo e massaggiandosi la fronte con le dita << Davvero, Stan? >> chiese, riaprendo gli occhi e allargando le braccia in un moto di stizza << Ti sembra il momento per le tue stronzate da diva? >>
Stan non seppe nascondere quanto quelle parole lo ferirono << Fottiti >> disse, cercando di sgattaiolare via.
Per quanto gli riguardava, la questione era chiusa. Non avrebbe mai più parlato a Craig.
Tuttavia, Craig gli afferrò una spalla, facendolo voltare di nuovo verso di lui, per poi mollarlo.
<< Per favore >> disse, ridimensionando il tono << Posso sapere cosa è successo? >>
Stan abbassò per un attimo lo sguardo, prendendo anche lui un lungo respiro << Mi dispiace >> disse << Sto tutto cagato in mano. Cielo >> esalò, portandosi i palmi delle mani sugli occhi e sfregandoseli. Poi si guardò intorno, a disagio. A questo punto, non aveva più senso essere discreti, o tentare di tutelare Tweek, perché ormai il danno era fatto.
<< Hai sentito Kyle, no? >> esordì cauto, cercando gli occhi di Craig, ma dovette distogliere i suoi perché quello sguardo, quegli occhi blu che lo fissavano impazienti, erano troppo, da reggere, per lui che non poteva più permettersi di guardarli come prima << L'anno che Tweek non è stato con noi, quello in cui tu, Clyde e gli altri vi siete trasferiti nella nostra classe... bèh, lui era in clinica. Ricovero volontario, prima ancora che Cartman potesse... >> si fermò, riguardando Craig, e sospirando di frustrazione quando si rese conto che il suo discorso fosse sconclusionato.
<< Cosa c'entra Cartman? >> chiese Craig, con il petto che gli si appesantiva sempre di più. Tweek era particolare, senza dubbio, e aveva un suo modo di vedere le cose, ma l'idea che potesse avere problemi più gravi, tanto da restare un anno in una clinica psichiatrica, gli sembrava tutta un enorme scherzo. Come se Clyde e gli altri compagni dovessero uscire fuori dai cespugli delle aiuole da un momento all'altro per gridargli allegramente che fosse su una Candid Camera, e che tutto fosse organizzato.
Anche se quello che aveva visto, non poteva essere organizzato. 
Vide gli occhi di Stan illanguidirsi leggermente.
<< Eravamo appena usciti da scuola >> raccontò Stan, guardando di lato, come se stesse seguendo il flusso dei suoi pensieri << Stavamo tornando a casa, insieme, come facevamo sempre: io, Kyle, Tweek, Kenny, Cartman e Butters. Tweek era stato strano tutta la mattina, non ho idea del perché, sinceramente, ma era abbastanza silenzioso, quindi nessuno di noi gli stava prestando particolare attenzione. Non so neanche che cazzo successe, perché io ero dietro a parlare con Kenny, ma comunque Cartman iniziò a prenderlo in giro come tutti i giorni. Quel culone di merda >> spiegò, nervoso. Adesso avrebbe proprio voluto una sigaretta << Non mi ricordo neanche che cavolo gli disse, tipo qualcosa sul suo leccare il culo a Kyle, ed altri insulti, che però non ricordo. Comunque assolutamente niente di nuovo, rispetto agli altri giorni. Cartman lo prendeva in giro tutto il tempo, specialmente se Tweek si metteva a raccontare cose strane, e aveva preso a farlo più spesso da quando Tweek era diventato amico di Kyle. Solo che quel giorno Tweek diede di matto, improvvisamente... >> poi si bloccò, perché da quel momento in poi i suoi pensieri diventavano confusi, solo sprazzi di ricordi che la sua coscienza aveva tentato di seppellire.
Craig cercò di inspirare per scacciare l'angoscia che lo stava inghiottendo.
<< L'ha aggredito come con Clyde? >> domandò, piano, quasi come se dirlo ad alta voce lo rendesse effettivamente reale.
Stan osservò il ragazzo con dispiacere << Peggio. Cartman è finito in ospedale per due mesi, con una costola incrinata, una gamba rotta e il tutore. Lui... lo spinse sul marciapiede, poi gli calciò la gamba sul dislivello, rompendogliela >> abbassò gli occhi, stringendoli e cercando di scacciare la nausea. Non era sicuro che fosse l'esatta collocazione degli eventi, però era successo. Nessuno era intervenuto in quel momento; neanche Kenny, era riuscito a muoversi, e Stan ricordava solo che aveva perso il comando del suo corpo, in quel frangente, osservando la scena come se non si trovasse davvero lì. Tweek era diventato un'altra persona, una furia omicida che non riconoscevano.
<< Cartman non ha mai saputo difendersi. Tweek... l'ha colpito un sacco di volte, a pugni e a calci. Ha provato a strangolarlo >> ricordò, sentendosi quasi venir meno, al ricordo di Cartman che annaspava alla ricerca di aria, e dei suoi occhi rossi << Questo è quello che è successo... >> decretò, il tono più basso, concedendo finalmente un'occhiata a Craig.
Il ragazzo però, non lo stava guardando. Fissava a terra, le braccia incrociate e uno sguardo corrucciato in volto.
Stan deglutì; vedendo che Craig non diceva nulla, continuò: << Smise solo quando Butters chiamò il suo nome, ed era come se fosse appena piombato lì, come se non riconoscesse le mani che stavano ancora intorno al collo di Cartman. Non posso dimenticarmi la sua faccia spaventata. Ebbe un attacco di panico, e scoppiò a piangere. Non è colpa sua, non può controllare quello che gli scatta in testa >> tentò di dire, a disagio, come se dovesse giustificarlo davanti a Craig.
Dio, non voleva sembrare pronto a parlare male di Tweek, e arrossì, quando si rese conto di star pensando solo a se stesso e a come potesse apparire agli occhi di Craig.
A quel punto, Craig tirò fuori il pacchetto di sigarette, e ne sfilò una. Quando se l'accese, Stan desiderò con tutto se stesso averne una anche lui, ma non osò chiedergliela.
<< Perché non me l'hai detto? >> gli chiese il ragazzo, gli occhi lucidi adesso puntati su di lui.
Stan tremò davanti ai suoi occhi. Avrebbe voluto fare qualcosa, consolarlo, come tutte le volte che Craig aveva consolato lui, e invece  si ritrovò a stringere solo i pugni nella sua giacca, perché non poteva. Non poteva mandare al diavolo tutte le parole e stringerglisi addosso, perché ormai niente poteva essere preso con leggerezza. Distolse lo sguardo anche stavolta.
<< Te l'ho detto, non ero io a dovertelo dire. Tweek meritava una vita normale, dopo tutta la merda che ha attraversato. E sinceramente speravo che non arrivasse di nuovo a questo punto... >> 
In realtà, tutto il tatto che Stan e gli altri stavano usando, Kyle compreso, era una sorta di ammenda per la colpa che sentivano per aver abbandonato un loro amico nel momento del bisogno, e Stan lo sapeva.
Si decise a guardar Craig negli occhi << È stato bello, quello che hai fatto, comunque... Non dire a Miles che era stato lui, intendo >>
Craig annuì.
Stan indugiò, prima di dire le parole successive << Craig.. non essere troppo duro, con lui... >> era una sorta di preghiera, una in cui Stan stava riponendo tutte le sue colpe e la sua responsabilità, ed una che suggellava la sua resa, sul ragazzo che gli stava di fronte.
Craig inspirò un altro po' di fumo, e annuì, con gli occhi sfuggenti e lucidi. 
<< Tutto ciò che conta adesso è Clyde >> lo informò Craig << Scusami per averti fatto perdere tempo >> disse, poi si guardarono per un'ultima volta.
Negli occhi di Craig c'era dispiacere, e forse anche un po' di vergogna, per aver preteso spiegazioni da lui. Dal canto suo, Stan non era sicuro che i suoi non esprimessero la malinconia che stava provando.
Craig gli fece solo un cenno della testa, senza neanche un grazie, e si voltò per andarsene.
Stan sentì la sua mano scivolare fuori dalla giacca, come se volesse protendersi verso l'altro, e invece rimase ferma, aggrappata al bordo della tasca.
Era il momento di lasciare andare tutto.


Il pavimento era lercio. Il pavimento era lercio e lui ci era seduto sopra. E anche se era lercio, non gli importava, perché tanto comunque non riusciva a metterlo a fuoco, attraverso la sua visione traballante.
La puzza degli scarichi gli prendeva alla gola, soffocandolo, ma lui era l'unico ad essersela cercata, quando aveva pensato bene di nascondersi vicino ad una delle cabine del bagno della palestra. 
Non riusciva a fermare i singhiozzi che lo scuotevano, non riusciva a controllare i tremori. Dallo specchio sul lavandino, riusciva a scorgere un anziano signore in camice che lo osservava, curioso; dietro di lui, i corridoi azzurri e soffusi, così sterili, dell'ospedale psichiatrico. 
Vattene, cercò di dirgli, telepaticamente, mentre si stringeva i capelli e strizzava gli occhi sul mare di lacrime che glieli aveva sommersi. Tu non sei reale! Non guardarmi! 
Ma al di là dello specchio c'era davvero la clinica; se vi si fosse guardato,  si sarebbe ritrovato dall'altra parte, senza poter tornare indietro.
Pianse più forte. Non l'aveva fatto. Non aveva aggredito Clyde. Doveva essere un incubo, non poteva essere seduto su un pavimento sporco. Lui odiava lo sporco.
Si tirò le gambe più vicine, come se così facendo, potesse proteggersi da una realtà che non gli apparteneva. Perché quello avrebbe dovuto essere il suo anno, quell'anno che aveva imbottito di speranze e aspettative.
E invece adesso era solo un patetico mucchio di carne e sudore che riempiva coi suoi lamenti gorgoglianti quattro pareti dimenticate da Dio. Solo. Senza nessuno che volesse più avere a che fare con lui. Tutti, adesso, avevano lo stesso sguardo di Craig, nella sua testa. Tutti pieni di rabbia e disprezzo. 
Non dovrei esistere, si disse. Perché dovrebbe esistere qualcuno sbagliato come me? 
Qualcuno che fa del male alle persone, senza motivo. 
Non aveva mai provato una paura così vivida, così asfissiante, che gli stringeva il cuore in una morsa, e la cosa peggiore era che avesse paura di se stesso, di quelle mani che a quanto pare non erano sue perché non riusciva a controllarle, del suo cervello che lo chiudeva fuori come se non fosse il padrone del suo corpo. Tra quanto avrebbe di nuovo sperimentato quell'alienazione? Non voleva vivere con un corpo del genere. 
Non voleva uscire fuori di lì, e subire ancora la caccia alle streghe. 
Avrebbe voluto essere lontano, segregato da qualche parte, irrangiungibile, ma questi sentimenti stridevano e urlavano contro il suo odio per le pareti troppo azzurre del luogo nello specchio.
Non stava guardando, Tweek, non voleva vedere, ma sentiva chiaramente le luci anonime e bianche accendersi cigolando nel bagno, uguali e fredde come quelle della clinica, nonostante in realtà le luci fossero spente e l'ambiente, interrato, fosse illuminato appena dalla calda luce esterna, che proveniva da un finestrone in alto.
Si rifiutò di guardare anche quando lo scalpiccio di scarpe da ginnastica troppo consunte provenne dal corridoio. Qualcuno si fermò davanti all'ingresso dei bagni.
<< Sei qui >> disse, la voce amichevole e giocosa, che risultò troppo fastidiosa, comparata con la situazione.
<< Vattene! >> si sentì dire Tweek, più bruscamente di quanto avesse voluto. Non perché volesse stare da solo, ma più perché era spaventato di avere gente intorno.
<< Perché? Mi piace questo posto. Mi ricorda casa mia, solo con meno topi >> lo informò Kenny, avvicinandosi.
Un angolo delle labbra di Tweek si incurvò leggermente verso l'alto, ma lui non aveva niente da ridere. Proprio niente. E che cavolo aveva Kenny da essere così tranquillo? 
<< E poi comunque devo pisciare. Due in uno, no? >> ridacchiò l'altro, non potendo scorgere la reazione di Tweek, la cui testa era seppellita tra le sue braccia e le ginocchia.
Sentì la cabina accanto a lui aprirsi, e poi  il croscio dell'urina sulla ceramica. 
Si strinse le mani nei capelli, non riuscendo a trattenersi dal riprendere a singhiozzare. 
Aprì gli occhi solo quando sentì Kenny uscire e lavarsi le mani sotto il getto del lavandino. 
<< Perché... s-sei venuto? Ngh! >> chiese, con la voce tremolante e patetica.
Kenny si voltò verso di lui, sorridendogli << Non vorrai mica restare da solo? Comunque non devi preoccuparti, Clyde sta bene, si è ripreso >> mentì, e Tweek lo seppe, perché il sorriso di Kenny era finto << Quindi perché non usciamo fuori? >>
Le viscere di Tweek si mossero come se fossero piene di vermi, al solo pensiero di lasciare quell'angolo.
<< Non voglio >> sussurrò, appoggiando la fronte alle ginocchia.
<< Bèh, allora vuol dire che staremo qui. Te l'ho detto, non mi dispiace questo posto >> così dicendo, prese il cestino dei rifiuti ai piedi del lavandino e lo rovesciò, mettendolo contro la parete dove si trovava Tweek, poi vi si sedette sopra.
<< Vattene >> gli intimò ancora Tweek, nervoso. Kenny non doveva sprecare il suo tempo con lui. Non c'era motivo per lui di restare, anche perché Tweek non poteva difenderlo da se stesso. Se era riuscito a sopraffare Clyde, che era ben piazzato, figurarsi uno come lui. 
<< Che amico sarei se me ne andassi? >>
Parlarci a scuola non fa di noi degli amici, avrebbe voluto dirgli Tweek, ma tacque, perché Kenny McCormick era sempre stato gentile con lui. Lo era con tutti, e non l'aveva mai respinto. E Tweek non poteva respingerlo, anche perché era l'unico, a quanto pareva, ad essersi interessato a lui. Continuò a stringersi nervosamente le mani intorno ai capelli, aprendo e chiudendo i pugni, sentendo le sue braccia tremare e scivolare intorno alle sue gambe.
Restarono per un po' così, in silenzio. Tweek ancora si rifiutava di guardare Kenny, che se ne stava paziente sul suo sgabello improvvisato senza battere ciglio.
Poi lo sentì tirare fuori il suo vecchio cellulare, e scrivere qualcosa.
Tweek sentì le lacrime calde scivolargli dalla punta del naso e finirgli sulle cosce. Adesso piangeva per Kenny, perché il suo buon cuore non doveva fargli perdere tempo con lui. 
Fu dopo un po' che sentì altri passi, più concitati dei precedenti, fuori dalla porta. L'istinto di Tweek fu quello di alzare gli occhi, i quali si scontrarono con quelli sgranati e lucidi di Kyle, così verdi da far male. 
Il ragazzo indugiò sulla soglia, e la sua mano si strinse leggermente allo stipite della porta, alla quale si era appoggiato. I loro volti si contrassero in una smorfia di pianto contemporaneamente, poi Kyle corse su di lui, piegandosi e stringendogli le braccia intorno, la testa appoggiata nell'incavo tra la testa e la spalla di Tweek.
Kyle si lasciò sfuggire un singhiozzo, e pianse senza trattenersi, e faceva male, perché Kyle era il tipo di persona che piangeva per rabbia, il più delle volte, non certo per cose come quella. 
Tweek si lasciò andare sulla sua spalla, non trattenendo più niente.
Poi, d'un tratto, il suo cellulare squillò, un orribile suono che lo riportò alla realtà. Con mani tremanti, lo raggiunse nella tasca mentre allontanava Kyle, la faccia che era diventata ormai una maschera di lacrime e muco. 
Era sua madre.
Rispose, sentendo la nausea prendergli a tradimento lo stomaco.
<< Ma-mamma? >>
"Noi siamo qui, tesoro. Fuori scuola. Dove sei?" gli aveva chiesto lei, anche la sua voce distorta dal pianto "Esci, andiamo a casa".
Tweek non rispose, non ci riuscì, pianse solo più forte, a telefono, e annuì, anche se sua madre non poteva vederlo, ma non sapeva in che altro modo esprimere quel sì. Improvvisamente si sentì sollevato.
<< Ma -ngh!- ma... mamma è fuori... >> cercò di dire a Kyle.
Il ragazzo annuì, comprensivo << Andiamo >> disse solo, con una vocina flebile, quasi come se si fosse sforzato per farla uscire. 
Lo aiutò ad alzarsi, poi gli afferrò la mano, stringendogliela, e Tweek seppe che non gliel'avrebbe lasciata finché non fosse stato al sicuro con i suoi.


Devo dire che scrivere questa parte è stato difficile, un po' per la tristezza della scena, e un po' perché non trovavo ispirazione. Io sono solita trarre ispirazione dalla musica, e mi è davvero difficile trovare delle canzoni che si addicano a Tweek.
Non so quanto possa interessare, ma avevo intenzione, magari nell'ultimo capitolo, di inserire una lista di canzoni che mi hanno aiutato nella stesura di questa storia, alcune proprio specificamente per certe scene.
Ad ogni modo, voglio scrivere qui le due che mi hanno accompagnato per questo capitolo, che mi hanno aiutato a pensare e a scrivere di Tweek, e poi magari che ne so, ascoltatele se volete un po' di atmosfera!
The Who - Behind blue eyes
The Servant - Body


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Capitolo 32
*** 00:02 ***


32. 00:02


Non poteva alzare gli occhi. Non ci riusciva. Le sue mani stavano tremando così tanto che a stento riusciva a tenerle ferme, stringendole fra di loro.
<< Ho capito >> disse il dottor Mephesto, senza che il suo volto tradisse un'emozione, dopo che sua madre ebbe finito di spiegargli la situazione.
Sua madre era seduta sulla poltrona accanto alla sua, mentre suo padre si trovava dietro di loro, in piedi.
Avevano dovuto chiudere il negozio, per portarlo lì. E Tweek se ne vergognava un sacco; si commiserava del fatto di essere il figlio che non meritavano, di doversi aggiungere alle loro preoccupazioni giornaliere. Di dover essere d'intralcio a quella produttività di cui tanto andavano fieri. Ancora una volta, avrebbe preferito essere lasciato solo.
<< Dottore, cosa dovremmo fare? >> chiese preoccupata sua madre << Pensa che sia necessario il ricovero in clinica? >>
Quello lo ferì. Lei sapeva che odiava quel posto, come poteva chiederlo così apertamente, con lui presente, senza misurare le parole? Ma sua madre aveva paura, Tweek riusciva a capirlo, così come anche il fatto che volesse sapere subito cosa sarebbe successo, perché lo voleva anche lui.
<< I-io no-non voglio tornarci -ngh!- in clinica >> stabilì, cocciuto, seppur impaurito. La sua gola era secca. Però non poteva, restarsene zitto, era deciso a fare di tutto, per scongiurare la possibilità di essere rinchiuso di nuovo. Oppure se ne sarebbe pentito.
Il dottore sospirò.
<< Bèh, in questi casi ci sono diverse possibilità. La prima è il ricovero volontario, come quello della prima volta, ma a questo punto mi sembra di capire che Tweek non voglia. In questi casi, se la situazione lo richiede, si può disporre del trattamento sanitario obbligatorio, ovvero del ricovero forzato... >>
Tweek fu sorpreso da un singulto di pianto, e prontamente si coprì la bocca con la mano, per trattenerne altri. Aveva iniziato a piangere e a tremare senza riuscire a controllarsi.
<< N-no! Per favore... >> piagnucolò, disperato.
Sua madre allungò una mano sulla sua, quella che stringeva brutalmente il bracciolo della poltrona di pelle, e gliela strinse, con un'espressione rotta.
<< Dovrebbe essere il medico, a disporlo, ma io, in qualità di tuo medico, non sono sicuro ti gioverebbe >>
Tweek lo guardò confuso. Cosa gli stava dicendo?
<< Sei stato un anno in clinica, Tweek, e non hai avuto un singolo episodio. Se c'è una cosa in letteratura che si avvicina alla tua condizione, sarebbe il disturbo esplosivo intermittente, anche se come sai, non è proprio la tua diagnosi. Comunque è un disturbo la cui manifestazione non può essere controllata. Se ti rimandassi in clinica, sono sicuro che non avresti problemi, durante il tuo soggiorno, ma, se una volta uscito non prendi le tue pillole, non c'è nessuna assicurazione che non possa ricapitare. Ed io, come tuo medico, non ritengo che ci sia altro al di sotto di questo disturbo che debba essere curato, ed i dottori che ti hanno tenuto in cura lì, neanche >> poi si tolse gli occhiali, e lo guardò diritto negli occhi << Ora devi essere onesto, con me, Tweek. Non stavi prendendo le pillole, vero? >> 
Tweek abbassò gli occhi, e piano dinegò con la testa.
<< Voglio fidarmi di te, Tweek. Se non vai in clinica, devi prendere le tue pillole. Scommetto che non vuoi che questo succeda ancora >>
Tweek annuì, vigorosamente, gli occhi stretti e le lacrime che gli scendevano lungo le guance.
<< Quindi è tutto qui, dottore? Cosa succederà? >> chiese suo padre.
<< No, non è tutto qui >> sospirò Mephesto, rigirandosi tra le mani un'asta degli occhali << Tutto dipende dalla famiglia del ragazzo aggredito. Se decidono di sporgere denuncia, potrebbe essere disposta una perizia psichiatrica, e altri medici potrebbero valutare le condizioni di Tweek, e decidere per il trattamento obbligatorio. A quel punto io non potrei farci niente. Ma anche se ciò non accadesse, c'è sempre la possibilità che lo faccia la scuola, o che magari altri genitori potrebbero richiedere l'allontanamento o l'espulsione, e fare pressioni alla scuola perché venga messa in atto. Io vi consiglierei vivamente di fargli cambiare scuola, o almeno, classe, se non avete possibilità di mandarlo a North Park o a Middle Park. Per lui, perché non credo che si verranno a creare delle dinamiche favorevoli, coi suoi vecchi compagni >>


Era terribile. Più pensava alle parole del dottore, più le incognite gli sembravano troppe.
Sua madre gli aveva assicurato che già fosse una buona cosa che almeno lui non disponesse di mandarlo in clinica. Il resto non dipendeva da loro. E Tweek era restato a farsi divorare dall'ansia tutto il pomeriggio sul suo letto. Tutto questo era troppo pressante, per lui. Lui che era abituato a spingere le cose per farle accadere il prima possibile e togliersi il pensiero. Era questa, la ragione per cui la prima volta aveva deciso volontariamente di farsi ricoverare: la decisione era stata rapida, conveniente, un modo per nascondersi da Kyle e gli altri, un modo per punirsi da solo e risparmiarsi gli sguardi accusatori della gente. Ma adesso sapeva, cosa gli aspettava, e l'idea di passare ancora un solo secondo là dentro era opprimente, insopportabile. 
Mephesto aveva consigliato loro di andare a parlare il prima possibile con il preside, per cercare di capire almeno la sua posizione, ma, probabilmente, sarebbe passato qualche giorno prima che potesse ritrovare il coraggio di tornare a scuola.
E poi lui non voleva lasciare la sua classe. Lo avrebbero odiato, certo. Ma che scelta aveva? Andare in un'altra classe, dove non conosceva nessuno, per lui che era difficile alle amicizie, sembrava una scelta poco auspicabile. E poi non voleva lasciare Kyle, Butters, Jimmy, Kenny... non voleva non vedere più Craig.
Gli venne da piangere di nuovo, mentre guardava il soffitto. Tanto Craig adesso lo odiava, doveva farsene una ragione. E poco importava, per Tweek, in quel momento, che fino a poco prima era lui che si stesse imponendo di odiare Craig, perché, nonostante il ragazzo si fosse comportato male con lui, Tweek ne era ancora innamorato, e in quel momento avrebbe tanto desiderato averlo vicino, stare fra le sue braccia, anche se quelle braccia avevano stretto un altro ragazzo. Si sentiva così patetico. 
E tutto questo era un disastro, un completo disastro. Avrebbe voluto piangere e liberarsi del peso che sentiva sul petto, solo che non aveva più lacrime.
Inoltre, quando il dottore aveva avanzato l'ipotesi che altri genitori potessero intervenire, era andato in panico, perché aveva pensato a Lianne Cartman e a quanto quella donna si spingeva lontano per accontentare suo figlio. E se Eric avesse detto a sua madre di non volere più Tweek in classe con lui? Sapeva quanto quel ragazzo potesse essere manipolatore, quanto fosse abile nell'usare le sue doti di attore per smuovere la gente. E, anche se ormai i suoi amici lo conoscevano e cercavano di non prenderlo mai sul serio, sua madre non era altrettanto immune. D'altronde era lei, che lo aveva tirato su capriccioso ed egocentrico, mettendolo al centro del suo mondo di madre single.
Non poteva sperare di uscirne pulito, perché erano troppe le variabili, e in qualche punto qualcosa doveva andare sicuramente storto. 
Squittì abbracciato al cuscino, poi sentì dei colpetti sulla porta.
Si alzò a sedere, stupito.
<< A-avanti! >> invitò, e, con non poca difficoltà, la porta si aprì, rivelando Kyle che teneva una mano sul pomello, mentre l'altra era impegnata a stringere un vassoio contro il suo braccio, con dei caffé sopra, cercando di non farlo cadere.
<< Ehi Tweek >> lo salutò, con un sorriso imbarazzato. Poi cautamente entrò e si richiuse la porta alle spalle << Tuo padre mi ha chiesto di salire questi >> disse, poggiandoli sul letto accanto a Tweek e sedendosi anche lui.
<< Ciao Kyle... >> farfugliò, abbassando lo sguardo. 
<< Come stai? >> gli chiese l'altro, a disagio.
Tweek lo guardò, scrollando le spalle << Come -GAH!- come se fossi appena stato in una lavatrice insieme a un mattone! >> lo informò, e sentì un tic prendergli l'occhio. Dannazione. Allungò una mano verso il caffè, deciso a non rendere le cose troppo deprimenti per Kyle << Mio padre -ngh!- dovrebbe smetterla di usare i miei amici come fattorini >>
<< È stato carino da parte sua >> commentò semplicemente Kyle, prendendo una delle brioche che accompagnavano i caffè << Certo, non è proprio l'ora della colazione... >>
Entrambi ridacchiarono, anche se in modo breve e malinconico.
Poi Tweek sentì una domanda premergli d'urgenza.
<< Co-come sta... C-Clyde? >> 
Kyle lo osservò per un attimo mentre beveva un sorso del suo caffè << Bene. Davvero. Sono stato con gli altri da lui prima. Era sveglio. Ha solo avuto un paio di punti dietro la testa. Non è niente di grave, non devi preoccuparti >>
Tweek lo guardò come se non gli credesse << N-non voglio che... che mi indori la pillola, ngh! >>
<< Non lo sto facendo >> gli rispose incredulo Kyle << Sta bene, davvero >>
Tweek non insistette. Credeva a Kyle, perché lui non era come Kenny, che avrebbe detto di tutto, per rassicurare le persone. Kyle era una persona diretta e senza fregi, il tipo di persona che pensa che mentire non valga a nulla.
Tweek sospirò << Che cosa ha detto? >>
Kyle abbassò lo sguardo, osservando il suo caffè mentre lo girava fra le mani.
<< Niente, davvero, era ancora troppo stordito >> ammise.
Tweek si diede a un lungo sospiro depresso.
Kyle si grattò leggermente dietro la nuca, in imbarazzo, affondando appena le dita nei ricci alla base << Che cosa hanno detto i tuoi? >>
Tweek scrollò le spalle, poi alzò gli occhi su di lui << Siamo -gah- andati dall'analista... >>
Kyle lo guardò stupito << Cosa ti ha detto? >>
<< N-non mi rimanderà i-in clinica... m-ma dipende dalla famiglia di Clyde... e dalla scuola, s-se faranno un esposto... >>
<< Cavoli... mi dispiace, amico >> gli disse sincero l'altro, facendo una smorfia.
Tweek annuì, e restarono per un po' in silenzio.
<< Tweek... >> lo chiamò Kyle, fissando il suo bicchiere, senza guardarlo << ...è successo qualcosa? Intendo prima di stamattina... Voglio dire... >> cercò di spiegarsi, a disagio << ...so che questi episodi accadono... bèh... all'improvviso... ma sei stato strano per due giorni, prima... >> continuò a giocherellare col bicchiere, passandolo da una mano all'altra.
Tweek sentì le mani iniziare a sudargli, e tentò di asciugarle e tenerle ferme stringendo il copriletto. Si lasciò sfuggire un lamento, mentre tentava di controllare i tic.
Kyle lo osservò con apprensione, e gli poggiò piano una mano sul ginocchio, per rassicurarlo.
<< Sto solo dicendo che... se è successo qualcosa, dovresti parlarmene... e non, tenertelo dentro... Voglio dire... >> continuò, in panico << Lo so di essere stato un pessimo amico... >>
Tweek a quel punto alzò gli occhi su di lui, guardandolo risentito; ma fu più un riflesso condizionato, che un atto volontario. Se Kyle sapeva di essersi comportato male, perché non era mai andato a trovarlo, in un anno intero?
Kyle ritirò la mano dal suo ginocchio, e abbassò gli occhi, mortificato dallo sguardo dell'altro << Mi dispiace per questo... Io davvero non capivo cosa fare... era una situazione più grande di me... e lo so, che era anche più grande di te... solo... se tornassi indietro, farei tutto diversamente... >> alzò poi timidamente gli occhi su di lui. 
<< L-lo so, Kyle. L'avevo immaginato... >> gli disse solo Tweek, sconfitto. Si era detto più volte che non dovesse prendersela, che niente gli fosse dovuto, che non poteva porre nessun peso sulle spalle degli altri. E magari, se lui l'aveva vissuta male in un modo, i suoi amici l'avevano vissuta male in un altro.
<< Avrei dovuto venire a trovarti... >> rimuginò << ...ma più passava il tempo, più non avevo idea di cosa dirti... puoi perdonarmi? >> gli chiese, trattenendo il respiro, gli occhi lucidi.
Tweek si asciugò una lacrima con il dorso della mano, tirando su col naso, imponendosi di non piangere, e per non farlo non stava neanche guardando il ragazzo di fronte a lui. Annuì.
<< S-sì... dimentichiamocene >> riuscì a dire, nonostante la commozione.
Kyle parve sollevato, perché le sue spalle si rilassarono, e gli sorrise << Puoi fidarti di me? E dirmi cosa non va? >> chiese, con gli occhi che sembravano così sinceri, nella sua preoccupazione.
Tweek strinse gli occhi << GAH! Io! Vorrei davvero dirti tutto... ma -ngh!- non posso >>
Non poteva perché Stan era un amico di Kyle, ed era chiaro che non gli avesse detto niente. Non era una cosa che i migliori amici si nascondono, e Kyle non doveva venirlo a sapere da lui.
<< Chiedi a Stan... >> disse.
Kyle lo osservò interdetto << ...ha fatto qualcosa? >>
Tweek poté chiaramente vedere la delusione e il rammarico rabbuiare il volto dell'altro.
Scrollò le spalle << Chiediglielo >> disse, provando uno strano sadico piacere, all'idea di mettere in difficoltà il suo rivale. Ma fu la sensazione di un attimo, troppo sfuggente perché potesse indagarne appieno le ragioni.
Kyle annuì, più a se stesso << Lo farò >>
<< E, Kyle... Con -ngh!- con tutto il rispetto, ma tu non puoi n-neanche immaginare, q-quanto sia stata p-più grande di me, questa cosa >> gli disse, giusto perché lo sapesse; giusto perché sapesse che, per quanto potesse essere concentrato sul suo senso di colpa, quello non era niente, in paragone con ciò che Tweek aveva sentito in quel periodo. Lui capiva davvero, Kyle, ma non voleva fosse sminuito tutto ciò che invece aveva passato lui, ed era pronto a renderlo chiaro.
<< E allora dimmelo... >> fu la pronta risposta dell'altro.

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Capitolo 33
*** 00:03 ***


More drama.


33. 00:33


Il campanello suonò quando ancora era in bagno a lavarsi i denti. Sputò rapidamente nel lavandino e si sciacquò la bocca con un po' di acqua, prima di lasciare andare lo spazzolino nel bicchere e fiondarsi fuori dalla porta. 
<< Devono essere i tuoi amici sfigati >> gli disse Shelly, che ancora se ne stava in pigiama al tavolo della cucina, anche se nessuno le aveva chiesto niente.
Stan si infilò rapidamente la giacca e prese lo zaino che aveva appoggiato vicino all'uscita. Nel farlo, lanciò una rapida occhiata all'orologio alla parete: erano in anticipo, o si sbagliava?
Quando aprì la porta, trovò Kyle ad aspettarlo.
Si guardò intorno mentre si richiudeva la porta alle spalle.
<< Dov'è Cartman? >> chiese.
Negli ultimi giorni avevano ripreso la vecchia abitudine di fare la strada insieme; di solito, Kyle passava prima da Cartman, dato che le loro case erano un po' più vicine, anche se in fondo vivevano tutti sulla stessa strada. Solo Kenny, non si univa a loro, perché abitava più lontano, su una strada parallela, e, da quando avevano chiuso il passaggio che collegava le loro vie, gli era più difficile andare da loro, perché doveva fare il giro dell'isolato. Di solito, quindi, o si incontravano a metà strada, o si vedevano direttamente a scuola.
<< Non l'ho ancora chiamato >> gli disse Kyle.
Stan notò che Kyle fosse strano, un po' troppo mesto, ma non lo sorprendeva, perché quello che era accaduto il giorno prima, li aveva tutti lasciati scossi. Così si avviò oltre di lui lungo il vialetto.
<< Ok. Andiamo a chiamarlo? >> propose, sentendo Kyle seguirlo, poco convinto. 
Avevano appena messo piede in strada, quando Kyle affrettò il passo e lo fermò, facendolo voltare verso di lui.
<< Hai qualcosa da dirmi? >> chiese, con tono indagatore.
Stan lo guardò stranito. 
<< No, cosa dovrei dirti? >> domandò, ingenuamente.
<< Invece Tweek pensa di sì! >> gli rinfacciò, lo sguardo furente e fisso su di lui e la voce acuta.
Gli ci volle un po' per realizzare a cosa si riferisse. Sentì in un primo momento tutto il sangue defluire via dal suo viso, poi ritornarci in grande quantità ed infiammarlo.
<< C-cosa ti ha detto? >> chiese, col respiro mozzo. 
<< Un cazzo di niente! Solo che hai fatto qualcosa. E santo cielo, Stan, non riesco proprio ad immaginare cosa tu possa aver fatto per farlo uscire di testa! E perché tu non me l'abbia detto! Nonostante io fossi preoccupato, poi! Tu sapevi qualcosa e te lo sei tenuto per te, sia prima, che dopo! Vorrei... vorrei davvero spaccarti la faccia, in questo momento! >> sputò con rabbia, come se avesse covato quelle cose per tutta la notte.
Stan sentì la vergogna bruciargli dentro.
Poi disse l'unica cosa che gli venne in mente di dire: << Forse dovresti chiederlo a Craig! >>
Perché davvero, se la colpa era di qualcuno, era di Craig.
Kyle lo afferrò per la giacca così violentemente da farlo arretrare. Preparò un pugno per colpirlo, con gran sorpresa di Stan.
<< Non passare anche tu la palla a qualcun altro! Dimmi cosa succede e basta, o giuro su Dio, Stan, che ti spacco il naso! >>
Se Kyle giurava su Dio, nonostante la sua educazione religiosa, allora doveva essere davvero incazzato.
<< Ok, ma mettimi giù! >> non che lo avesse sollevato da terra, comunque.
Kyle lo lasciò andare.
Stan sospirò, poi si strinse il naso fra le mani, chiudendo gli occhi << Aaaah, che casino... >>
<< Sto aspettando! >> gli ricordò inviperito Kyle, al che Stan gli rivolse uno sguardo disperato, con la mano che adesso si era fermata in maniera pensosa sopra la sua bocca.
<< Vuoi saltare la scuola? Perché credo che sia meglio se ci prendiamo tempo... >> propose, a disagio, suscitando in Kyle ancora più ansia, com'era ben visibile dal suo volto.
<< Che... ma che diavolo hai combinato? >> chiese, incredulo, per poi sospirare e recuperare il cellulare dalla tasca << ...dico a Cartman di andare senza di noi... >>
Poi si avviarono verso il parco in un silenzio incomodo. Si sedettero sulla stessa panchina che li aveva accolti non molto tempo prima.
<< Quindi? >> lo esortò Kyle, e sembrava davvero arrabbiato come se chissà cosa si aspettasse.
Stan, invece, stava semplicemente temporeggiando, non sapendo come mettere la questione. Era imbarazzante, confessare a colui che era tuo migliore amico fin dall'infanzia che improvvisamente ti eri riscoperto un cultore del pene.
Arrossì, e si schiarì la gola. Optò per una risposta diretta e chiara: << Ho avuto una storia con Craig >> 
Quella confessione gli fece raggiungere nuove gradazioni di rosso.
Sentì lo sguardo confuso di Kyle su di sé, ma Stan guardava tutt'intorno tranne che lui.
<< Intendi... una storia Instagram? Perché non l'ho vista >>
Ok. Stan si sentì cadere le braccia, e si coprì il viso con le mani. Era una battuta? Doveva ridere o piangere? Una parte di lui si sentì sollevata, e gli stava per venire da ridere, pensando che potesse ancora dire di 'aver avuto una storia Instagram con Craig'.
<< No, Kyle >> rispose, esasperato << Ti sembra che io usi Instagram? >> chiese, guardandolo.
Stan aveva sempre avuto un rapporto complicato, coi social.
Gli occhi di Kyle si allargarono << Aspetta... intendi... >> divenne rosso, ma le parole non gli uscirono.
Stan sospirò, guardando a terra << Sì, cioè... credo che lui mi piacesse >> disse, in imbarazzo << Non era niente di serio, comunque... >> si sentì un po' destabilizzato, dalla sua stessa affermazione.
Kyle lo osservava solo a bocca aperta, non dicendo nulla. Stan sapeva che probabilmente avrebbe voluto chiedergli se fosse gay, ma si stava trattenendo per delicatezza. Anche perché spesso, nello scherzare fra di loro, avevano etichettato come 'gay' un sacco di cose che reputavano ridicole.
<< Lo so cosa stai pensando! Non sono... >> poi si prese di nuovo la testa fra le mani << Cazzo, non lo so. Volevo tornare con Wendy, poi questa cosa con Craig è successa all'improvviso e siamo andati avanti per un po', ed io... non avevo idea di come dirlo a qualcuno. Anzi, non pensavo ci fosse neanche necessità di dirlo. Craig non voleva che si sapesse, e neanche io... >>
<< Aspetta... tu... mi stai dicendo che hai avuto una storia con... Craig? Craig Tucker? >>
Stan non rispose, però gli rivolse un'occhiata eloquente.
<< Davvero? >> gli chiese stralunato.
Al che Stan sbottò esasperato: << Davvero, Kyle, davvero! >>
<< Perché non mi hai detto che... sei gay? >> chiese, caricando il punto di domanda sulla parole gay, come se neanche lui ci credesse, e inclinando leggermente il capo da un lato, come gli era familiare.
<< Aaaar >> sbottò di nuovo Stan, tenendosi il naso fra le dita << Te l'ho appena detto! E comunque non è durata tanto, solo da... ti ricordi la festa a casa di Token, prima che cominciasse l'anno scolastico? >>
<< Ma Craig! Craig Tucker. Non è... -lui è gay?- voglio dire, è un piantagrane! Credevo che lo pensassi anche tu >>
<< Bèh, sì, comunque... >> sospirò Stan << Ha iniziato a frequentare Tweek durante lo stesso periodo >>
<< Cosa? >> chiese Kyle, debolmente, come se credesse di aver sentito male.
<< Già. Credo che... si sentisse troppo in colpa per chiudere con me, o qualcosa del genere, per mezzo... >> fece una smorfia << ...sai, dei miei problemi... >> era la prima volta che dava forma a quel pensiero, seppure lo avesse già sfiorato, e faceva male << Tweek ci ha visti, mentre eravamo dietro la scuola a baciarci, e ci ha fatto una scenata >> arrossì.
Kyle rimase silente, a guardarlo come se non lo vedesse davvero.
<< Questo è tutto. Ero preoccupato anche io, per Tweek, ma non sapevo cosa fare. Stavo considerando di dirtelo >> si schermì.
<< Sono... troppe informazioni da assorbire tutte insieme... >> decretò Kyle, smettendo di fissarlo e poggiandosi contro la panchina.
<< Cazzo >> sospirò Stan << Non doveva andare così... >>
<< Vorrei prenderlo a calci in culo... >> disse Kyle, e Stan lo guardò in maniera interrogativa << Craig! Si è comportato da pezzo di merda, no? >> domandò furente, cercando l'approvazione di Stan.
Il ragazzo, semplicemente lo guardò, senza rispondere.
<< Ha spezzato il cuore a Tweek! Ecco perché... >>
Stan sospirò << Se c'è qualcuno a cui Craig ha spezzato il cuore, quello sono io... >> gli uscì, senza neanche accorgersene << Craig ha chiuso con me, perché voleva far pace con lui, anche se non sembra ci sia riuscito... >>
Guardava davanti a sé, Stan, una mano stretta intorno a un braccio, a disagio. Stavano parlando di Tweek, ma avrebbe voluto che parlassero di lui. Avrebbe voluto che Kyle gli desse l'occasione di sfogarsi, ora che tutto era uscito fuori, di dire finalmente a qualcuno quanto quella cosa lo stesse facendo morire dentro. Ma riusciva solo a dire frasi morsicate, sperando che Kyle cogliesse il suo bisogno di parlarne.
Kyle si trattenne dal parlare per un po', forse cercando di fare il punto della situazione << Stan... mi stai dicendo che... ci sei rimasto male? >> domandò, col tono cauto, osservandolo con apprensione << Hai una cotta per Craig? >>
Stan sospirò << Diciamo che... mi stavo abituando all'idea >> lo guardò negli occhi, finalmente << Sai... >> disse, alzando le spalle << ...non mi dispiaceva. Voglio dire, all'inizio stavo talmente male per Wendy che non m'importava; Craig riusciva a tenermi impegnato, e penso che volessi solo qualcuno che mi stesse vicino, da quel punto di vista... però >> abbassò lo sguardo sulle sue mani, che si intrattenevano schioccandosi le articolazioni fra di loro << penso sia inevitabile, affezionarsi, poi... Lo sai, che sono un sentimentale! Avrei dovuto aspettarmelo. L'ho solo capito quando Craig mi ha confessato di avere una cotta per me da almeno un anno. Credo fosse normale, a quel punto, dato che c'era sia attrazione fisica che emotiva, iniziare a pensarci un po' di più... >>
<< Aspetta, aspetta... >> lo fermò Kyle, chiudendo gli occhi  e prendendo un gran respiro << Mi sono perso. Dov'è che entra in gioco Tweek? Insomma, se Craig ha una cotta per te... >>
Stan guardò il cielo su di lui, che minacciava neve.
<< Sinceramente non ne ho idea, so solo che già stavano uscendo, quando Craig si è confessato. C'è da dire che non si era fatto sentire molto, in quel periodo. Forse ho... confuso i segnali? >>  chiese, a se stesso.
<< Forse gli piacevi, amico, prima che conoscesse Tweek >>
Quella di Kyle non era stata che una constatazione, ma scavava nella ferita.
<< Quindi adesso hai smesso di stare male per Wendy e hai iniziato a stare male per Craig? >> 
Stan si lasciò andare con le braccia intorno alla panchina, scivolandoci leggermente su e sbuffando << No, non ho smesso di stare male per Wendy. E non sto male per Craig... è solo che... è successo tutto così all'improvviso che mi sento ancora frastornato. Mi sento deluso, più che altro, perché forse avevo iniziato a pensare di poter... bèh, sai, andare oltre... e invece così non è stato. E sono di nuovo senza un piano. Vorrei una gioia, ogni tanto... >>
<< Bèh, però, almeno adesso sai di poter andare avanti >> gli sorrise confortevole Kyle.
Stan guardò il suo amico, e sorrise anche lui.
<< E comunque puoi contare su di me, Stan. Non pensare di non potermi parlare di certe cose... per nessuna ragione >> disse, in imbarazzo << nemmeno perché sono amico di Tweek... perché mi fai sentire inutile...  mi dispiace, per aver dato di matto, ad ogni modo >> 
<< Grazie, Kyle. Mi sento già meglio, sinceramente, ad avertene parlato, come se mi fossi tolto un peso. Non preoccuparti per me, credo di essere pronto, adesso, a lasciarmi tutto alle spalle... >>



All'inizio non era riuscito ben a definire quella sensazione che sentiva annidarsi sotto la pelle. Era come avere un serpente che gli strisciasse addosso facendolo sentire sporco e viscido, ed era una sensazione paralizzante, opprimente. 
Poi aveva realizzato che fosse colpa, ciò che sentiva, e ne era venuto a capo quando si era ritrovato da solo, faccia a faccia con Clyde. Craig non era riuscito a dirgli perché fosse in  un letto d'ospedale; ancora una volta quella confessione non aveva lasciato la sua bocca, e Clyde aveva di fronte il responsabile di tutto ciò che gli fosse accaduto senza neanche saperlo. Non avevano parlato di Tweek, neanche una volta, ma solo di quegli stupidi orsacchiotti con cui Bebe gli aveva riempito la stanza.
Clyde gli era sembrato di buon umore, stava bene, e si lamentava del fatto che volessero tenerlo lì in osservazione senza motivo. Eppure quella sensazione opprimente nel petto di Craig non voleva saperne di lasciarlo. Gli era nata dentro la sera prima, quando finalmente si era disteso sul letto, ed era divenuta più tangibile quando quella mattina, a scuola, aveva scorto sia il posto di Clyde che quello di Tweek vuoti.
Si chiedeva come stesse Tweek; cosa stesse facendo, se stesse bene, e se l'avrebbe mai rivisto. La rabbia nei suoi confronti era naufragata al fronte della preoccupazione. Avrebbe voluto anche solo sapere che fine aveva fatto. Era fottutamente spaventato, per lui.
Il tempo minacciava neve, e faceva davvero freddo; per questo, Craig si affrettò ad inserire le chiavi nella porta di casa. 
Appena vi entrò, fece per dirigersi verso le scale, ma non aveva neanche appoggiato il piede sul primo gradino che sentì dei singhiozzi sommessi, e dei bisbiglii.
Si tirò indietro e si affacciò verso la cucina, di cui riusciva a scorgere solo un lato del tavolo, a cui Tricia era seduta, con le mani in mezzo alle gambe, le spalle che sussultavano ad ogni singulto e il volto coperto da lacrime.
Con una brutta sensazione, si avviò con passi pesanti verso quella direzione.
<< Capisci perché ti sto dicendo questo, Tricia? >> chiese la voce di suo padre.
Sua sorella pianse più forte, proprio mentre lui faceva capolino nella stanza scoccando uno sguardo di odio a sua madre e a suo padre, che erano in piedi dall'altra parte del tavolo.
Entrambi lo occhieggiarono sorpresi.
Sua madre gli fece solo un cenno; sembrava pensierosa.
Suo padre invece, lo salutò: << Bentornato, Craig. Come sta, Clyde? >>
Craig, ancora sulla porta,  lanciò una rapida occhiata a Tricia.
<< Cosa succede? >> chiese, con già la sfida nel tono di voce.
<< Stiamo parlando seriamente con tua sorella >> lo informò suo padre.
<< Perché? >> insistette, facendosi più avanti, quasi al fianco di lei.
Thomas e Laura Tucker si scambiarono un'occhiata, poi suo padre prese il suo telefono e scorse lentamente con le dita. Si avvicinò con calma e fece scivolare il telefono verso di lui, sul tavolo.
Craig occhieggiò lo schermo. Era un profilo Facebook, e in primo piano c'era una foto di Tricia. Tricia che si scambiava appassionatamente un bacio con un'altra ragazzina, che Craig non aveva mai visto.
Sentì il suo petto svuotarsi del tutto. Non riuscì a distogliere gli occhi dalla foto, ma non si sentiva spaventato; anzi, una rabbia preventiva si stava impadronendo di lui.
<< Stavamo spiegando a tua sorella che deve cancellare questa foto. O le persone penseranno che è lesbica >>
Tricia si lasciò sfuggire un singulto più forte. Craig le lanciò giusto un'occhiata, e sentì la rabbia esplodere in lui.
<< Questa è la tua ragazza, Tricia? >> chiese, brusco.
Ma Tricia non gli rispose, impegnata com'era a trattenere i singhiozzi.
<< Non dire idiozie, Craig. Tricia è confusa. Le ho detto che è normale, alla sua età, e posso capirla, ma sarebbe meglio tenersi certe cose per sé, perché potrebbe pentirsene, un giorno >> spiegò Thomas. 
<< Rispondi! È la tua ragazza, questa?! >> chiese Craig più forte, urlando addosso a sua sorella, incanalandole addosso tutta l'ira che gli stava suscitando suo padre.
Tricia provò a dire qualcosa, ma era troppo scossa dai singulti per riuscire a parlare.
<< Craig... >> lo richiamò sua madre, dura.
<< State zitti! Le ho fatto una domanda! Vuoi rispondere?! >> domandò poi a Tricia, scuotendola per la spalla << Non fare la codarda, fatti rispettare, rispondi! >>
Tricia annuì solo leggermente con la testa, il suo pianto diventato incontrollabile.
<< Allora, se è la sua cazzo di ragazza, perché dovrebbe cancellarla? >> fece poi rivolto ai suoi genitori.
Thomas si massaggiò la fronte, sospirando << Craig, per favore, non darle corda! >>
<< Le avete chiesto se vuole cancellarla? Tricia >> la richiamò, col tono autoritario << Tu vuoi cancellarla? >> fece, chinandosi verso di lei, per fulminarla con lo sguardo.
Tricia inizialmente non rispose, e Craig sentì suo padre alle sue spalle fare un giro esasperato davanti alla cucina.
<< Non piangere come una deficiente, imponiti, Cristo... >>
<< Craig! >> lo richiamò sua madre, scandalizzata, prima che potesse completare la sua bestemmia.
<< Dillo! Dillo che non la vuoi cancellare! Dì loro che non te ne frega un cazzo o ti faranno fare sempre quello che vogliono! >> la pressò.
<< N-non voglio! Non la voglio cancellare! >> urlò allora Tricia << Io SONO lesbica, che -sigh!- che vi piaccia o no! >> annunciò a pieni polmoni, disperata.
<< Tu sei pazza! Hai completamente perso la ragione, tu e questo sconsiderato di tuo fratello! Se la metti così non uscirai di casa fino a che non sarai rinsavita, senza cellulare! >> sbottò arrabbiato suo padre.
<< Allora chiudete in casa anche me! >> sputò Craig, in un impeto di pazzia << Sequestratemi! Tenetemi qui rinchiuso perché anch'io sono gay! Sì, hai capito bene, papà >> lo sfidò, con gli occhi sgranati come un pazzo << sono gay! >> sottolineò.
<< Tu... >> farfugliò inizialmente Thomas, preso in contropiede << Tu! Sei tu che le hai messo certe idee in testa! >>
<< No! >> gridò Tricia << Vaffanculo, non capisci un cazzo! >>
<< Due figli deviati. Forse il problema siete voi, uh? >> lo sfidò Craig.
<< Non osare... >>
<< Thomas >> lo richiamò sua moglie, prima che potesse fare qualcosa di cui pentirsi.
<< Noi ci siamo sempre presi cura di voi, abbiamo sempre voluto il vostro bene, e tu ci ripaghi così... >> continuò suo padre amareggiato << Lo stai facendo perché ce l'hai con noi? >>
Craig si abbandonò allo sconforto << Il mondo non gira intorno a voi, papà! Siete così bigotti che dovete cercare delle spiegazioni senza senso! E sinceramente, mi sono rotto il cazzo di vivere nella paura! >>
Laura si era portata le mani in faccia.
Thomas lo guardò ferito << Nessuno ti ha mai detto niente. Sei tu, che sei sempre stato zitto >>
<< Perché avrei dovuto parlare? Per farmi propinare discorsi sulla confusione così come avete cercato di fare con Tricia? Quelli confusi siete voi! >>
Per un attimo nessuno parlò.
<< Quindi fatevi un esame di coscienza >> concluse Craig, girando i tacchi e uscendo fuori dalla stanza, lasciando dei genitori basiti dietro di sé.
Sentì sua sorella affrettarsi dietro di lui. Poi entrambi si chiusero nelle loro stanze, senza dirsi niente.


Bene! Questo capitolo doveva pubblicarsi da solo, ma causa esami ci ho messo un po' di più... sorry! E mi hanno anche spostato l'esame #@#@#@][ùà@[]##@ 
Ad ogni modo, ho una bella/brutta notizia! Mi sono fatta un po' di conti e su per giù mancano 5 o 6 capitoli, sempre che non mi ricordi di qualche altra cosa.
Comunque, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo così allegro e gioioso e se ancora vi sta piacendo la storia. Come sempre scusate gli errori <3


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Capitolo 34
*** 00:04 ***


Ehm... Salve! Non sono morta, ho semplicemente portato avanti una battaglia durata secoli con questo capitolo, che ormai odio, per tutte le volte che l'ho ricancellato e l'ho riscritto! Avevo un sacco di aspettative su questo capitolo, e ci avevo pensato almeno 24 capitoli fa... ovviamente, poi mi sono scordata tutto! Alla fine, dopo averlo finalmente completato, mi sono resa conto che manca una cosa... ma vabbè, pazienza, vuol dire che ci sarà più avanti! Io non ci metto più mano hahahah In compenso, c'è qualcosa che avrebbe dovuto esserci dopo, ma credo che non vi dispiacerà :>

ATTENZIONE! Io amo la prima parte di questo capitolo, ma vi avverto, potrebbe risultare un po' grottesca, perché ci dovevo inserire PC principal e niente, in che modo inserire questo personaggio in un contesto serio? Io lo amo, e sono soddisfatta del risultato, per quanto sia uscita una cosa piuttosto strana! XD

Spero davvero che complessivamente questo capitolo non sia uscito fuori una completa schifezza, ma è stata una delle cose più difficili che io abbia mai scritto!
Please! Fatemi sapere cosa ne pensate! 
Buona lettura!

 


34. 00:04


Preside PC. Così diceva la targetta di ottone lucido sulla scrivania ordinata, proprio davanti al bicipite pompato dell'uomo che adesso li fissava con le mani intrecciate, i denti snudati e il naso arricciato, da dietro degli occhiali scuri. La sua presenza minacciosa da buttafuori da discoteca era completamente in contrasto con l'idea di uomo che dovrebbe stare seduto dietro una scrivania scolastica.
Tweek continuò a fissare quelle lettere nere chiedendosi quale diavolo fosse il suo vero nome, e perché si fosse reso necessario metterne solo le iniziali. Chi si sarebbe fidato di un uomo così, dall'aspetto per nulla rassicurante e con un nome sulla porta dell'ufficio che aveva tutta l'aria di essere un nome fake?
Lanciò una rapida occhiata a suo padre, seduto accanto a lui, e sembrava quasi che si stesse chiedendo la stessa cosa. Sua madre invece doveva essere troppo in apprensione per interrogarsi su altro.
Tweek non avrebbe mai creduto che qualcuno potesse essere più ansioso di lui, ma aveva dovuto ricredersi, perché l'irrequietezza di sua madre in quei giorni era stata capace di portarlo a nuovi livelli di esasperazione.  Ecco perché aveva acconsentito, a neanche due giorni dal fattaccio, a ripresentarsi a scuola, al cospetto del preside, anche non essendo affatto pronto. L'aveva fatto per sua madre, per la sua smania di avere la situazione sotto controllo e di affrontare le cose il prima possibile. Tweek capiva, da chi avesse preso, adesso.
<< Siamo davvero costernati per quello che è successo >> provò suo padre << Ed è imbarazzate, dover rivivere questa situazione, considerando che abbiamo già avuto questa chiacchierata con la ex preside >> spiegò impacciato.
Tweek sprofondò nella sua vergogna. Incassò ancora di più la testa nelle spalle, lasciandosi andare a dei tic che gli presero gli occhi mentre si costringeva a continuare a guardare la targhetta.
A quel punto, il signor Mackey, lo psicologo della scuola, zampettò sempre più vicino alla scrivania, posando su di essa un fascicolo che fino ad allora si era portato stretto al petto << Mmm...'kay... ho qui i fascicoli di vostro figlio... m'kay? Ho già provveduto ad informare il preside sui trascorsi di Tweek... >>
Il preside PC alzò una mano a stoppare l'uomo dietro di lui, che lo occhieggiò stupito.
<< Oh...m'kay >> farfugliò, aggiustandosi meglio gli occhialini tondi sul naso.
Mackey dave l'idea del classico brav'uomo che non viene mai preso sul serio, o forse erano solo i suoi golfini e il suo fare impacciato a darne l'idea. 
<< Allora, ascoltatemi tutti... >> esordì il preside, corrucciato << ...noi abbiamo bene a cuore gli interessi di tutti i nostri studenti, e qualcosa del genere non dovrà più accadere. Ieri ho interrogato alcuni ragazzi, ed ho accertato che suo figlio è stato vittima di bullismo... ora... >> si tolse per un attimo gli occhiali e si portò un pugno alla fronte, stringendo gli occhi, in un gesto di dedicazione << ...sono profondamente disgustato dalla cosa e mi assicurerò che cose come questa non possano mai più accadere. Queste cose andrebbero evitate, e mi impegnerò per renderlo possibile. Non permetteremo mai e poi mai che uno studente con un' alterazione psichica sia discriminato in questa scuola >>
Tweek osservò stupito l'uomo di fronte a lui, che intanto si era rimesso gli occhiali. Alterazione psichica? Era un nuovo termine politically correct per il suo disturbo mentale? Jimmy l'aveva avvertito, che il preside era fissato con queste cose, tanto che l'aveva più volte richiamato per aver usato il termine 'ritardato' sul giornalino scolastico che gestiva, nonostante Jimmy, essendo disabile lui stesso, non ritenesse il termine per nulla offensivo. E adesso quell'uomo stava persino colpevolizzando Clyde? Non lo stava facendo, vero? Perché Tweek si sentì improvvisamente lo stomaco debole, all'idea, nonostante inizialmente il termine 'alterazione psichica' gli stesse quasi facendo venire da ridere.
<< Oh, uhm, ok >> biascicò suo padre, non sapendo cosa dire << Noi, uhm, siamo stati dallo psicologo. Ci ha detto che non ritiene necessario il ricovero in clinica. Ci ha detto di accertarci delle intenzioni della scuola, riguardo il voler denunciare il fatto o meno... >>
Il preside lo guardò perplesso << Denunciare? >> chiese << No, no. Come le ho già detto, ci impegneremo affinché ci sia giustizia sociale >>
<< Se posso permettermi, m'kay... >> intervenne cautamente Mackey << ...forse dovremmo valutare meglio la situazione? >>
Il preside gli lanciò un'occhiata di sbieco incrociando le sue muscolose braccia.
<< Oh, no, ovviamente non abbiamo intenzione di denunciare nulla, m'kay >> si affrettò a dire << ma non possiamo completamente chiudere un occhio senza conoscere effettivamente il parere dell'altro psicologo. Non per Tweek, per cui siamo completamente supportivi >> specificò, sotto lo sguardo truce del suo superiore << m'kay? Ma dobbiamo garantire l'incolumità degli altri studenti. Posso suggerire di potermi mettere in contatto con il collega che ha tenuto in cura Tweek? >>
<< Oh, sì, certamente >> accordò il signor Tweak, ancora confuso.
<< Sono sicuro che avrà avuto le sue ragioni per questa scelta, m'kay... e che non ci dovrebbero essere problemi >>
<< Signor... preside >> intervenne sua madre, non capendo come chiamare l'uomo << Ci ha anche detto che potrebbero esserci delle lamentele dagli altri genitori, e ci ha suggerito di cambiargli classe. Nel caso, questo sarebbe possibile nella più completa discrezione? >>
Il preside la fissò per un pò, con le gengive snudate, come se stesse cercando di capire cosa gli stesse dicendo la donna. Dava l'idea di avere un QI molto basso, pensò Tweek. Come si era ritrovato a fare il preside? A sostituire una donna valente come la preside Victoria?
<< Le assicuro la completa collaborazione >> recitò solo, come se lo avesse letto nel manuale del perfetto preside.
<< Bèh, grazie, la ringrazio molto, grazie mille >> si profuse sua madre.
Poi i suoi si alzarono e Tweek li imitò, assistendo ad uno scambio di mani generale e a suo padre che consegnava a Mackey i recapiti del dottor Mephesto.
Non aveva idea di a cosa diavolo avesse assistito. Si era aspettato un'altra conversazione greve, non certo quella pagliacciata.
Uscì dall'ufficio confuso e agghiacciato.
<< Caro? >> lo richiamò sua madre. 
Quando Tweek si voltò verso di lei, per la prima volta in due giorni, la vide sorridere, radiosa.
<< Dato che sei qui, vorresti tornare in classe? >>
Tweek sgranò gli occhi, spaurito. Non aveva considerato di tornare in classe, non quel giorno. Non voleva. Non se la sentiva. 
Ma non voleva scappare. Tutti stavano facendo un passo verso di lui e lui non poteva semplicemente scappare. Oltre le porta di quell'aula c'erano Kyle e gli altri; c'era Craig. E per quanto la cosa gli facesse paura, sapeva che se ne sarebbe pentito, se fosse tornato a casa. Riusciva già a sentire il sentimento di vergogna e sconfitta che avrebbe provato a rinchiudersi di nuovo in camera, lasciandosi ancora a vegetare sul letto, senza fare nulla. E lui non riusciva a non fare nulla, a starsene con le mani in mano. 
Strinse di più la borsa che aveva portato con sé. Non c'era nulla, dentro, se non un quaderno e una penna. Si era chiesto, quella mattina, perché la stesse preparando, ma era stato più forte di lui, quasi una volontà insita. A Tweek non piaceva, essere impreparato, e comunque alcuni dei suoi libri erano ancora nell'armadietto scolastico, e sì, ne aveva portato con sé anche le chiavi.
Si ritrovò ad annuire, sempre con più consapevolezza, man mano che quel sorriso di fronte a lui si allargava.
E forse doveva farlo, se la vita gli si stava mostrando così magnanima, forse doveva vincere la sua vigliaccheria.



Craig si tirò bene su la zip della felpa blu. Adesso si vergognava della maglia che aveva ostentato così fieramente quella mattina, e voleva accertarsi che non si vedesse, nonostante anche prima si notasse solo un lembo del tessuto bianco. Era una maglia smessa, una che normalmente indossava a casa, ma non era quello il problema.
Quella mattina, appena sveglio, aveva scorto una maglia arrotolata sulla maniglia esterna della porta della sua camera.
L'aveva occhieggiata per un attimo prima che sua sorella in mutande gli schizzasse davanti per occupare il bagno. Non aveva subito realizzato di essere stato fregato sul tempo perché la sua attenzione era stata attirata dalla maglietta che Tricia indossava, anch'essa bianca e sporca di tempera. Aveva recuperato subito in fretta la maglia sulla maniglia e l'aveva srotolata per guardarla bene. Tricia ci aveva disegnato un arcobaleno, con la scritta PROUD in nero che capeggiava sul simbolo. 
L'aveva indossata subito, già pregustando quanto si sarebbero incazzati i suoi genitori. Se c'era una cosa per cui era estremamente orgoglioso di sua sorella, era questa sua abilità di trovare nuovi modi per innervosire la gente. 
La colazione al tavolo, mai consumata prima tutti insieme, era stata silenziosa e carica di tensione, e Craig non era riuscito a trattenersi dal mostrare un sorrisetto sardonico, esattamente gemello di quello di Tricia. 
Non voleva dire però che fosse altrettanto pronto a condividere con la scuola la sua omosessualità, quindi si era allacciato la felpa l'attimo dopo che era uscito di casa.
Il professore era in ritardo, e Craig, che si era seduto accanto a Token, stava scrollando distrattamente il cellulare.
<< No, cavolo, ho perso >> sentì lamentarsi l'amico, che sembrava essersi fissato con uno di quei giochi di carte online << Non ora, Nichole >> disse, spostando di lato una delle notifiche della sua ragazza.
Craig alzò gli occhi distrattamente, quando vide qualcuno entrare in aula, ma quel qualcuno lo fece bloccare.
L'intera classe sembrò congelarsi. I mormorii cessarono, persino il chiacchiericcio acuto delle ragazze ai primi banchi.
Tweek si era fermato dopo appena due passi all'interno. Con la testa china, aveva alzato solo gli occhi per studiare un attimo gli altri, poi li aveva abbassati sulle sue scarpe, tremando e stringendo la tracolla della sua borsa con le dita, dopodiché aveva preso a marciare, con lentezza, sempre a testa bassa, verso il suo posto.
Craig lo vide stringere le palpebre sugli occhi mentre passava accanto al banco dov'erano seduti lui e Token, forse in un vano tentativo di  tranquillizzarsi.
<< No! Cazzo! Non ci posso credere! >> esplose una voce incazzata dall'altro lato dell'aula. Era quella di Eric Cartman, che, prontamente, fu zittito da una gomitata e una piedata del suo compagno di banco, Kenny.
Tweek si sedette tremante, con il petto che si alzava e si abbassava troppo rapidamente.
Craig non riuscì a distogliere i suoi occhi, alla vista dell'altro. Sentì lo stomaco fermentare come se uno stuolo di farfalle si fosse alzato in volo al suo interno tutto insieme. 
Le sue gambe si mossero prima ancora che il suo cervello realizzasse, e si ritrovò ad alzarsi dalla sedia.
Token lo afferrò per il polso << Craig, no! >> lo richiamò allarmato, forse credendo che volesse prendere a pugni Tweek. 
Craig si tirò via dalla stretta e guardò verso Kyle, che si era alzato in piedi anche lui, stringendo alcuni libri, per cambiare di posto. Il rosso si era fermato, quando si era reso conto che anche Craig si stesse alzando, e adesso lo osservava aspettando una sua mossa.
Craig gli concesse uno sguardo truce, poi si andò a sedere accanto a Tweek, piano, occhieggiandolo con apprensione, temendo una brutta reazione.
Tweek non lo guardò; fissava solo il banco come se avesse paura di alzare gli occhi su di lui.
Craig si sentiva ancora gli occhi di Kyle addosso; il ragazzo non si era seduto, anzi, era rimasto lì pronto ad intervenire in qualsiasi situazione.
<< Tweek... >> lo chiamò, poi alzò gli occhi sugli altri, ritrovandosi una ventina di sguardi addosso << Che cazzo avete da guardare? >> chiese, mostrando il dito medio alla classe.
Molte ragazze si voltarono, altri, invece, continuarono a fissarli.
Tweek aveva chiuso gli occhi, al suono del suo nome, e aveva preso a tremare più forte.
Lentamente, con delicatezza, Craig portò una mano sulla sua gamba, così come aveva fatto giorni addietro, sperando che sortisse lo stesso effetto positivo. Sentì Tweek sobbalzare al contatto, e rilasciare un urletto di panico.
Tirò indietro la sedia producendo uno stridio insopportabile e scappò via, più velocemente di quanto Craig potesse realizzare.


Craig si precipitò lungo il corridoio deserto; aveva affrettato il passo ma non era riuscito a scorgere Tweek.
Poi un rumore di una porta di sicurezza che si richiudeva attirò la sua attenzione verso la fine del corridoio, dov'erano le pesanti porte della mensa. Corse verso di esse, ma invece di aprirle svoltò in un piccolo corridoio sulla destra: lì c'erano le porte che portavano al cortile esterno.
Spinse sul maniglione e la porta si aprì con uno scatto. 
Il cielo sulla sua testa era pumbleo e freddo, e lui non aveva portato con sé la giacca.
Si guardò intorno con apprensione, sperando che Tweek non fosse scappato verso casa, perché proprio non sapeva che direzione avesse potuto prendere.
Svoltò appena l'angolo dell'edificio, e lo trovò lì, seduto sul piccolo marciapiede, tremante, con le mani a pugno strette nei capelli.
Esitò all'inizio, poi si avvicinò piano, e Tweek non si voltò nemmeno. Continuò solo a singhiozzare, senza riuscire a controllarsi.
<< P... perché mi hai seguito? Gah! Io ho quasi ucciso un tuo amico! >> gli ricordò con rabbia. Craig lo odiava. E Tweek era ancora arrabbiato con lui. Era così che avrebbe dovuto essere. 
<< Lo so >> gli rispose stoicamente Craig.
A quel punto, Tweek chinò la testa sulle sue ginocchia e cominciò a piangere, disperato.
Cautamente, Craig gli si sedette accanto.
<< Ngh! Sono un mostro! >> uggiolò, alzando la voce.
Craig osservò la sua figura minuta e rannicchiata con un nodo allo stomaco. Avrebbe voluto abbracciarlo, ne aveva un bisogno fisico, ma si sentiva in difetto; sentiva di non averne il diritto. Gli faceva male, vederlo così, chiuso a riccio dietro le mura dell'istituto, con lo scopo di esiliarsi volontariamente dal mondo perché pensava di non esserne degno.
<< Se tu sei un mostro, allora lo sono anch'io... >> disse. 
<< Tu non capisci! >> urlò Tweek, isterico << No- non sai niente di me! Niente! Non- io non posso controllarmi, Craig! Dovresti starmi alla larga! >>
<< Adesso stai bene, però, no? >> provò a ragionare Craig. Adesso il peggio doveva essere passato.
<< Ti- GAH!- ti sembra che io stia bene? >> esplose Tweek, guardandolo con rabbia << Non parlare come se sapessi di cosa stiamo parlando, ngh! >> lo redarguì. 
<< Allora spiegamelo >> disse invece Craig, risoluto.
Tweek scosse la testa, gli occhi rossi.
<< N-non volevo fare del male a Clyde, Craig, te lo giuro >> 
<< Lo so, Tweek >> lo rassicurò.
Tweek restò per un attimo in silenzio, rotto di tanto in tanto solo dal suo lento singhiozzare. Dovette raccogliere tutto il coraggio di cui era capace per pronunciare le parole successive.
<< S-sono stato in una clinica psichiatrica >> ammise, asciugandosi il naso col palmo della mano << È- è lì che sono stato l'anno scorso >>
Ci fu un momento di pausa, in cui entrambi tentarono di sostenere il peso di quell'affermazione.
<< Perché non me l'hai detto? >> provò a chiedere Craig.
Tweek scosse la testa, e si passò le mani nei capelli << I-io no-non -sigh!- non voglio essere questo! >> riuscì a dire << Vo-volevo solo essere n-normale e vivere s-senza preoccuparmi. Ho- ho fatto una cazzata, Craig... >> si fermò un attimo, sfogandosi nel pianto, poi proseguì: << N-non ho preso le mie me-medicine... è-è-è tutta co-colpa mia! >>
Si ritrovò a piangere più forte, a singhiozzare senza riuscire a prendere aria.
<< Sono colpevole almeno quanto te, Tweek... >>
Ma Tweek non rispose, non ci riusciva, stava solo cercando di controllarsi. Tirò fuori dei fazzoletti dalla tasca e ne prese uno, cercando di soffiarsi il naso.
<< E se tu sei un mostro, allora lo sono anch'io >> aggiunse Craig << Tu non potevi controllarti, io sì, quindi sono il peggior tipo di mostro >>
Tweek ebbe un singulto, più forte, e scosse la testa.
<< T-tu non hai aggredito nessuno! >> lo contraddisse, nonostante avesse capito cosa Craig volesse dire. Ma le due cose non erano minimamente paragonabili, dal suo punto di vista.
<< Ti ho ferito >> puntualizzò Craig.
<< Sì, l'hai fatto! >> sputò con rabbia Tweek. Craig non aveva alcun motivo, per commiserarsi. E se proprio gli piaceva farlo, bèh, Tweek non gli avrebbe risparmiato la sua parte di colpa.
<< Mi dispiace >> affermò sommessamente Craig, osservando l'altro con rimorso << Sono un coglione. Non volevo farti del male. Tu mi piaci. Io non... non ho mai avuto un ragazzo, non sono mai stato in una relazione seria, non... non so come funziona, non credevo che stavamo insieme, perché nessuno di noi due l'aveva detto. Non vuol dire che non mi sarebbe piaciuto, però... >>
Tweek scosse la testa, senza guardarlo << Qu-queste -ngh!- sono cazzate, Craig. Gah! Se... se ti piace qualcuno, non dovresti stare con qualcun altro! >>
<< Lo so... ti assicuro che stavo per chiudere con Stan... >>
<< No-non avresti proprio dovuto iniziare! >> lo riprese, piccato.
<< Non ti conoscevo neppure quando ho iniziato quella cosa con lui, Tweek... >>
Tweek lo guardò stupito, e restò per un attimo in silenzio.
<< Quindi... ngh! Tu... stavi già uscendo con lui... >>
<< Non era nulla di serio, come già ti ho detto >> si affrettò a specificare Craig.
<< G-già... s-solo sesso, ho capito. I-io mi sono i-illuso, s-sperando che tu non -gah!- non fossi quel tipo di persona! >>
Quel tipo di persona? 
<< Mi dispiace deluderti... ma sono quello che sono. Questo non vuol dire che i miei sentimenti contino di meno! >> ribatté Craig, indispettito.
Si guardarono con risentimento, per un momento, poi Craig cercò di recuperare il suo temperamento freddo << Cosa vuoi che ti dica? >> chiese << A me Stan piaceva davvero, non sto insieme a qualcuno solo per scopare, ma lui voleva tornare con Wendy, ed io ero solo frustrato... finché non ho incontrato te >> glielo confessò guardandolo negli occhi, provando ad imprimervi tutta la sincerità di cui era capace << Ed io non ci ho capito più nulla. Tu mi piaci, mi sei piaciuto da subito, non ho... tu mi rendi felice, non ho mai provato nulla del genere... >> gli confessò, arrossendo << E credimi, quando ti dico che avevo intenzione di chiudere con Stan. Solo che le cose si sono complicate >>
Una sensazione liquida e calda prese possesso del petto di Tweek. Voleva davvero credere alle parole di Craig, a quello sguardo che non era mai stato espressivo come in quel momento. Ma sentiva qualcosa bloccarlo; era l'umiliazione del tradimento che ancora bruciava  e l'immagine di Craig che baciava un altro, impressa bene nella sua mente, che non sbiadiva, ed anzi, si caricava di nuovi colori. Adesso si chiedeva quante volte avesse pensato a Craig mentre lui era con Stan.
<< Non so se posso perdonarti >> affermò, amaro << N-non so se posso dimenticare quello che ho visto... >>
Craig scosse le spalle.
<< Bèh... neanche io >> lo informò, con un sorrisetto sardonico << Però ti ho perdonato >>
Tweek restò ad osservare l'altro sconcertato. Stava scherzando?
<< È... è u-un ricatto? >> chiese, con le sopracciglia corrucciate.
<< Sì >> ammise candidamente Craig, sorreggendosi semisdraiato sul marciapiede con le braccia dietro di lui, e un'espressione sorniona in volto. 
<< No-non mi piace >> 
Craig sospirò teatralmente << Facciamo così >> disse, alzandosi leggermente e sfilandosi qualcosa dalla tasca. Tweek pensava che stesse tirando fuori le sigarette, invece era un pacchetto di Skittles; Craig glielo porse << Ti do anche questo >>
Tweek non riuscì a trattenere un sorrisetto confuso << Sei serio? >> chiese.
Craig annuì, con ancora il pacchetto teso verso l'altro << Ultima offerta >>
<< Non lo voglio >> rifiutò Tweek << N-non puoi comprarmi, ngh! >> 
Strinse un occhio in un tic nervoso.
<< Ok >> accordò Craig << Allora vuol dire che li mangerò io >>
Aprì il pacchetto e cominciò a tirar fuori i confetti colorati uno dopo l'altro, mettendone in bocca uno alla volta e guardando Tweek fisso mentre li masticava.
Il biondo dovette distogliere lo sguardo per non ridere, ma non riuscì a nascondere un sorrisetto.
<< Sono così buoni. Perfetti per tirarsi su il morale >>
Tweek gli concesse un'occhiata a metà tra la spocchia e lo scherno.
Craig se ne infilò in bocca un altro.
<< Hanno un sacco di zuccheri... >> continuò, lo sguardo fisso sull'altro. La sua espressione si ruppe appena in un sorriso quando quella di Tweek si risolse in uno sbuffo di risa.
<< Dammene qualcuno >> chiese Tweek.
<< No >> rifiutò Craig, e Tweek alzò un sopracciglio.
Allungò la mano verso il pacchetto, ma Craig se lo portò sopra alla testa, rendendolo irragiungibile.
<< Hai detto che non li vuoi >> gli ricordò.
Tweek si indispettì, e provò a slanciarsi verso il pacchetto per prenderlo, ma Craig ridacchiò e lo allontanò ancora di più, lontano dalle braccia protese dell'altro. Approfittando della distrazione di Tweek, Craig gli stampò un bacio sulle labbra, così vicine a lui. Erano più morbide di quanto ricordasse, e una sensazione di felicità si impadronì di lui.
Tweek si tirò indietro.
<< GAH! N-non puoi baciarmi! S-sono ancora arrabbiato con te! >> si lamentò.
<< Mi dispiace >> si scusò Craig, con un sorriso che non voleva lasciarlo << Ma avevo troppo bisogno di farlo >> 
Tweek divenne rosso << Non farlo più! Non ti ho ancora perdonato! Ngh! >> lo ammonì, rimettendosi seduto diritto.
Craig gli portò il pacchetto davanti agli occhi << Bèh, la mia offerta è ancora valida >> propose, sicuro di sé. 
Era certo che Tweek lo avesse già perdonato, poteva avvertirlo dal tono della sua voce e dal linguaggio del corpo. Se si sentiva a suo agio a fingere di avere ancora delle barriere intorno a sé, allora Craig lo avrebbe assecondato.
Tweek parve pensarci su, poi allungò la mano a prendere un confetto.
<< Bravo ragazzo >> si complimentò Craig, poi gli lasciò il pacchetto fra le mani. 
Restarono per un po' a rilassarsi, a mangiare insieme, anche se Tweek tirava via il pacchetto da Craig ogni volta che lui tentava di metterci le mani, sostenendo che adesso tutti i confetti fossero suoi. Craig riusciva sempre a vincere però, ora facendogli il solletico ed ora con la forza, fra gli schiamazzi e gli urletti di Tweek. 
<< Cosa succederà? >> chiese Craig, dopo un attimo di pausa.
Tweek si rigirò una pralina rossa fra le mani.
<< Non lo so, onestamente. Gah! V-voglio dire, il medico ha detto che non mi serve la clinica, a patto che prenda le mie medicine >> rimuginò.
<< A cosa servono? >> indagò Craig, più curioso che altro.
<< B-bèh... a-a calmarmi >> rispose Tweek nervoso, mentre il sudore sulle sue dita aveva iniziato a sciogliere il colorante rosso del confetto.
<< Per cosa te le hanno prescritte? >> chiese. Non voleva pressare Tweek, ma voleva sapere, voleva che lui si aprisse.
Tweek si guardò intorno, sfregandosi le mani tra di loro per il nervosismo, con ancora la pralina stretta dal pollice.
<< Non devi dirmelo se non vuoi... >> lo rassicurò ancora Craig, ma si sentiva pesante, deluso dall'idea che Tweek non volesse condividere la sua vita con lui.
<< N-no, io voglio dirtelo >> rispose invece Tweek, guardandolo coi suoi determinati occhi verdi, limpidi come l'acqua << Mi hanno ricoverato perché -ngh- circa un anno e mezzo fa ho... >> distolse lo sguardo << Ho aggredito Cartman... gah! Co-come con Clyde >> i suoi occhi divennero di nuovo lucidi, disperati, ma si impose di andare avanti << Prima dell'altro ieri q-quello era stato l'unico episodio, così non hanno ben potuto fare una diagnosi... A-all'inizio -ngh!- pe-pensavano che fosse un episodio dovuto a-alla schizofrenia, ma non... mi hanno detto che s-sono troppo presente a me stesso, per essere schizofrenico... >>
Craig si soprese della facilità con cui Tweek stava parlando di quelle cose, quasi ormai ne fosse troppo abituato.
<< Quindi... non lo sanno? >>
<< Bèh... gah! Mi-mi hanno diagnosticato un disturbo della personalità >> lo informò, guardandolo finalmente negli occhi. Accennò un sorriso atto a sdrammatizzare << N-non immagineresti mai che nome assurdo ha >>
<< Cioè? >> chiese Craig, incuriosito.
<< Disturbo schizotipico della personalità >>
Craig cercò di analizzare l'informazione << Cosa diavolo significa? >>
Tweek alzò il naso in aria, ridacchiando, con le spalle che sussultarono nel movimento. Anche con gli occhi gonfi e la faccia rossa, quella reazione così spontanea lo rese davvero bello, agli occhi di Craig.
Tweek imboccò finalmente il confetto ormai sbiadito che aveva in mano.
<< È come dire che sono schizofrenico, ma-ma non troppo. Cioè, non è p-proprio una condizione patologica. È-è perché vedo e mi immagino u-un sacco di cose strane, p-però so che fanno parte della mia immaginazione, in un certo senso, c-cosa che non saprei se fossi schizofrenico. F-faccio cose  e ho paranoie, m-ma so anche che sono io a crearmele, anche se non posso fare a meno di crederci. È c-come se fosse una specie di disturbo ossessivo-compulsivo >>
<< Come gli gnomi rubamutande? >> chiese Craig. Tweek gli aveva parlato di questi fantomatici gnomi che gli rubavano la biancheria al loro primo appuntamento, insieme ad altre cose strane, ma Craig non ci aveva dato troppo peso, aveva solo pensato che Tweek avesse una fervida immaginazione.
<< S-sì, esatto! >> lo acclamò entusiasta Tweek << Io so che non sono lì, davvero, eppure ci sono, li sento, e rubano le mie mutande >>
<< Devono essere degli gnomi pervertiti >> commentò Craig.
<< N-no, p-penso che vogliano solo conquistare il mondo >>
<< Rubando mutande? >>
Tweek scrollò le spalle << Lo so che non ha senso, ma credo sia così >>
Ci fu un attimo di pausa.
<< D-da piccolo pensavo che il c-cielo fosse la stessa cosa del mare, e che le nuvole fossero schiuma, e-e che prima o poi ci sarebbe caduto addosso annegandoci tutti. N-non ci dormivo la notte >>
<< Questo non è strano. Anche io lo credevo >> lo sorprese Craig << E alla fine comunque non è lontano dalla verità, no? >>
Tweek sorrise, e guardò verso il cielo, che però adesso era di un grigio scuro.
<< Penso di no >> disse. Poi dopo un po' aggiunse: << Comunque le medicine sono per questo. N-non sanno bene cosa abbia, ma sanno che i farmaci t-tengono a bada l'aggressività, e le paranoie... >>
<< Perché allora hai smesso di prenderli? >> chiese Craig, confuso.
Tweek si morse il labbro inferiore e iniziò a sfregare un piede sull'asfalto, mentre lo fissava distratto.
<< Le odio >> confessò << M-mi fanno sentire d-diverso, c-c'è troppo silenzio nel mio cervello quando le prendo... N-non riesco ad essere me stesso, forse è vero, ho troppe paranoie, ma sono mie, io ci vivo da quando ero piccolo, mi mancano... Le medicine mi deprimono e mi fanno sentire solo... >>
Craig sentì qualcosa rompersi dentro di lui. Raggiunse la mano dell'altro con la sua, e gliela strinse.
<< Tu non sei solo >> gli sorrise, mestamente.
Tweek ricambiò quel sorriso allo stesso modo.
<< E ti prometto che io amerò ogni aspetto di te, anche quando non ti sentirai te stesso... >>
Tweek lo osservò scioccato.
Solo allora, Craig si rese conto di cosa aveva detto, e divenne rosso.
<< Cosa? >> chiese Tweek, ottusamente.
<< Sì >> affermò allora Craig, stringendo di più la mano dell'altro e prendendo coraggio << Credo proprio che ti amo >> disse, distogliendo lo sguardo e dando alla sua voce una nota più alta, in modo alquanto tenero.
Tweek divenne rosso anche lui, e guardò altrove, con un sorriso che non riusciva a trattenere.
<< Grazie, Craig >> riuscì solo a dire.
Ci fu un secondo di silenzio.
<< S-sai, io... >> tentò di giustificarsi Tweek. La confessione di Craig era stata così improvvisa, che davvero non sapeva come reagire. Dopo tutto ciò che era successo, e che aveva dovuto metabolizzare, Tweek non sapeva se fosse pronto a ricambiare.
<< Va bene così >> lo interruppe Craig, forse troppo precipitosamente, poi gli sorrise << Aspetterò fin quando realizzerai di avermi perdonato >>
<< Chi ti dice che ti abbia già perdonato? >> domandò Tweek, perplesso.
<< Lo so >> rispose semplicemente Craig, in volto l'espressione di chi la sa lunga.
Tweek gli diede una spallata amichevole.
<< Quindi cosa pensi di fare, con le medicine? >> chiese Craig.
<< Le sto prendendo >> gli confessò Tweek << S-sono troppo spaventato che p-possa accadere di nuovo qualcosa. Ma-ma non so se stanno g-già facendo effetto, normalmente ci mettono un po'. P-prima non credevo di averne bisogno... non avevo mai fatto nulla di brutto d-dopo aver aggredito Cartman. M-mi ero illuso che fosse un caso isolato -ngh!- ma non è stato così, e-e ho così paura che possa ricapitare di nuovo... ho anche paura che il dottore possa provare che ho un IED, non so come potrebbe influire sul mio futuro questa diagnosi... >>
<< IED? >>
<< Il disturbo esplosivo intermittente. Sai, è-è quando una persona dà di matto all'improvviso. Finora non c'erano stati abbastanza episodi, per diagnosticarla... >>
<< Credo che la mia mente stia implodendo >>
Tweek ridacchiò << È un sacco di roba strana... >>
<< Qualunque cosa succeda, non devi preoccupartene adesso >> ragionò Craig.
<< Adesso ho solo paura che mi caccino dalla scuola. Insomma -ngh!- il preside ha detto di no, ma cosa succede se le mamme protestano per cacciarmi? GAH! >>
<< Tweek, questa è una cosa assurda... >>
<< No, non lo è! Se la famiglia di Clyde mi facesse causa, io potrei tornare in clinica... Craig, ho una paura fottuta... >>
Craig strinse ancora di più la mano di Tweek nella sua << Ti prometto che qualsiasi cosa succeda, io ti sarò accanto >>
Fu proprio all'interfaccia delle loro mani strette che cadde il primo fiocco di neve. Entrambi alzarono lo sguardo verso il cielo, che adesso era adornato da pigre virgolette bianche che cadevano lentamente, quasi seguissero una legge di gravità tutta loro.
<< Sta nevicando >> osservò Tweek.
Craig pensò che la neve non era mai stata così bella come osservata insieme a Tweek, ma ancora una volta, era senza giacca.
<< Rientriamo? >>
Tweek annuì timidamente, poi entrambi entrarono nell'edificio.
Passarono per i bagni per permettere a Tweek di lavarsi il viso e darsi una sistemata, poi Craig lo prese per mano nuovamente e lo trascinò fino in classe. 
Quando aprì la porta, il professor Garrison si stoppò nel bel mezzo della frase, e lo occhieggiò severo.
<< Craig! Si può sapere dove diavolo eri? >>
Craig fece alcuni passi avanti, portando Tweek con sé. Garrison era troppo stupito nel vedere quest'ultimo, o  a vederli mano nella mano, per prestare attenzione al dito medio che Craig gli stava rivolgendo.
<< Oh, Tweek, bentornato >> bofonchiò, completamente preso in contropiede.
Solo in quel momento Craig si voltò a guardare la classe, che se ne stava in completo shock a fissarli. 
Craig lanciò un'occhiataccia generale, prima di dirigersi verso il loro banco, con Tweek al seguito che pareva voler sprofondare. 
Subito i pettegolezzi cominciarono tra i primi banchi, ma Craig non volle saperne di lasciare la mano di Tweek neanche quando furono seduti.
Una prima occhiata gli ricadde su Stan, che lo fissava basito, così come Kyle, al suo fianco. Poi il suo sguardo si soffermò su Token, il quale aveva la rabbia, negli occhi. 


Il resto dell'ultima ora era passato in fretta, e nonostante le occhiatine sospette, nessuno aveva osato dire nulla.
Al termine, Craig uscì dall'aula esattamente come vi era entrato: tenendo per mano Tweek. 
Erano quasi a metà del corridoio quando la voce di Token, dietro di loro, li fermò.
<< Craig! >>
Il ragazzo si voltò lentamente verso l'amico.
<< Che diavolo significa? >> chiese, lo sguardo che sembrava voler lanciare dardi infuocati.
Craig sentì Tweek tremare, al suo fianco.
Non rispose, semplicemente portò una mano ad aprirsi la felpa sul davanti, rivelando l'orrida maglietta che vi era nascosta.
<< Questo >> disse, nel suo solito tono monocorde.
Token lo guardò scioccato. Allora Craig tirò la mano di Tweek, per convincerlo a voltarsi ed andarsene.
Erano quasi vicino all'uscita, quando sentì Token ribattere.
<< Non puoi essere serio! Hai dimenticato cosa ha fatto a Clyde?! >>
Craig non rispose. Il petto gli si era appesantito.


Per chi di voi non è ancora fuggito via dopo questo capitolo, sappiate che il prossimo sarà un capitolo speciale, vi accorgerete del perché! E vi dirò anche una cosa importante su questa storia.
Alla prossima :>


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Capitolo 35
*** 00:05 ***


Abbassate le armi! Vengo in pace! Non sono morta! È solo un periodo superimpegnato, e tra l'altro non sono a casa negli orari in cui normalmente scrivevo, quindi mi è difficile concentrarmi!
Comunque eccoci, vi dicevo che questo è un capitolo particolare, perché ci saranno due punti di vista che fino ad ora non avevamo considerato. Ma questa storia è anche loro, ed era in programma questo capitolo! Buona lettura!

 


35. 00:05


La vista fuori dall'enorme finestra mostrava solo uno squallido parcheggio, con appena un paio di macchine parcheggiate. Una era nera, e l'altra era rossa, e spiccava sul grigio dell'asfalto e del cielo e sul contorno dei marciapiedi innevati. La neve continuava a scendere pigra, ed era davvero un bello spettacolo da osservare nel tepore ospedaliero.
Wendy se ne stava a sorseggiare il suo caffé temporeggiando.
Si era offerta di prenderne uno anche a Clyde e a Bebe, gli unici che avevano accettato. Adesso però, l'idea di ritornare dentro quella stanza, non la attraeva. Era per questo che se ne stava con un braccio intorno al busto, e l'altro a sorreggere il suo caffé, davanti alle macchinette, proprio accanto a quella finestra. La vista era rilassante, l'esatto contrario dell'atmosfera che si era instaurata tra i suoi amici, che, all'interno, se ne stavano in uno strano silenzio.
Quella mattina era stata ben felice di accompagnare Bebe a trovare il suo ragazzo. L'amica non aveva fatto altro che spettegolare dal giorno prima sulla scena a cui avevano assistito in classe. Craig che teneva per mano Tweek. Nessuno, aveva fatto a meno di spettegolare, neanche lei stessa, ma non si sarebbe mai sognata di dirlo a Clyde. Nemmeno Token ne aveva fatto parola con l'amico, nonostante il rancore che Wendy poteva percepire da lui nei confronti di Craig. Doveva aver stabilito che fosse meglio se Craig chiarisse le cose con Clyde da solo. Del resto, Token era una persona molto discreta; lo sapeva perché avevano avuto un flirt l'anno prima, in una delle sue numerose pause da Stan, anche se la cosa non era mai sfociata in nulla di serio, e gli unici a saperlo, erano loro due e Bebe. Non l'aveva detto a Stan perché la cosa era stata così insignificante e breve che sarebbe stato inutile creare certi dissapori. D'altronde, lei e Token non si erano mai neanche baciati. 
Comunque, Bebe era stata di tutt'altro avviso, e aveva spiattellato tutto a Clyde l'attimo dopo essere uscita dalla classe. Bebe era incontenibile, specialmente se si trattava di sparlare, e Wendy aveva davvero odiato quando, origliando la sua conversazione a telefono, aveva sentito Bebe porre la questione come se fosse stata un affronto nei confronti di Clyde.
Quando poi poco prima erano giunte all'ospedale, non si erano sorprese di trovare Token a fare compagnia al quarterback. Non avevano parlato dell'accaduto, e l'atmosfera era stata rilassata, fin quando Craig non aveva fatto il suo ingresso nella stanza. Tutto era diventato strano, perché Bebe e Token irradiavano un'aura ostile che aveva afflitto tutta la camera, nonostante Clyde avesse accolto Craig come se nulla fosse.
Era evidente a tutti, persino a Craig, a quel punto, che Clyde sapesse, e che gli altri non avessero parlato d'altro, ed il disagio era aumentato, anche se Clyde non sembrava fregarsene particolarmente, o almeno tentava. 
Ad ogni modo, era una situazione del cavolo, e lei era stata felice di scapparne.
Il tempo di un caffè e sarebbe rientrata. Un caffè sorseggiato molto lentamente.
Fu dopo un po' che la figura alta e slanciata di Craig attirò la sua attenzione. Lo vide appoggiarsi una sigaretta all'orecchio e poi cercare nella tasca alcune monete per infilarle nella macchina distributrice. Lo osservò mentre pigiava i tasti.
Di certo la stava ignorando di proposito, considerato che, anche se nelle ultime settimane non si erano rivolti la parola, comunque non avevano avuto un approccio tanto gradevole ad inizio anno.
<< Ehi Craig... >> lo richiamò.
Avrebbe voluto chiedergli dove fosse il suo quaderno, dato che se lo stava ancora domandando. Ma poi sicuramente Craig le avrebbe risposto male e lei non voleva incappare nella situazione.
<< Che vuoi? >> chiese brusco il ragazzo.
<< Posso chiederti una cosa? >> domandò Wendy, senza farsi minimamente intimidire. Craig era un coglione, ma lei era troppo curiosa, in merito a tutta quella vicenda.
Craig la occhieggiò col suo sguardo di ghiaccio. Sembrava quasi sul punto di mandarla a fanculo, ma qualcosa negli occhi di lei lo fece desistere.
<< Cioè? >>
Wendy tamburellò un paio di volte con l'indice sul bicchiere, a disagio adesso che doveva rivolgergli la domanda.
<< Tweek... >> iniziò.
Gli occhi di Craig scivolarono via dalla sua figura per prestare un'attenzione fin troppo ostentata alla macchinetta. Strinse le labbra e allungò un dito a toccare il vetrino, nonostante il caffé fosse ancora in erogazione.
<< Come mai stai con lui, dopo tutto quello che è successo? Voglio dire... non riesco a capire, come fai a non avercela con lui? >>
Non voleva essere critica, voleva solo cercare di capire perché un tipo scontroso come Craig fosse passato sopra ad una cosa del genere. Ad essere onesta, non le importava che stessero insieme, fintanto che Craig avesse trattato Tweek bene. Se invece c'era sotto qualche altra cosa, lo avrebbe scoperto, perché non avrebbe permesso a Craig di rovinare Tweek, che di problemi ne aveva già abbastanza di suo. Lo ammetteva, non si fidava abbastanza del ragazzo di fronte a sé da essere sicura al cento per cento che non stesse ricattando Tweek in qualche modo; anzi, non si fidava neanche abbastanza da non lasciare che quel semplice pensiero le sfiorasse la mente.
Il macchinario produsse un fischio acuto, e Craig alzò irruento lo sportellino per raggiungere il suo caffé. Era irritato, Wendy poteva ben dirlo.
<< Tu e Bebe non sapete proprio farvi gli affari vostri, uh? >>
Wendy aprì appena la bocca per dare vita ad una risposta acida, quando Craig continuò, girando il suo caffè con rabbia.
<< Perché nessuno è perfetto, Wendy, e stare insieme ad una persona vuol dire accettarne anche i difetti, non abbandonarla nei momenti difficili o cercare di cambiarla come desideri... >>
Wendy si sentì schiaffeggiata. Più che un'introspezione sul rapporto tra lui e Tweek, suonava come un'accusa contro di lei. 
Non riuscì a dire una parola, tanto si sentiva colta in fallo. Fu inevitabile che il suo pensiero tornasse a Stan.
Ci fu un attimo di silenzio, Craig prese un lungo sorso del suo caffé e si portò la sigaretta alle labbra, pronto ad uscire fuori. Sembrava sul punto di dire qualcosa, ma era come se le parole faticassero ad essere pronunciate.
<< Stan sta davvero cercando di ripulirsi. Frequenta gli alcolisti anonimi. Giusto perché tu lo sappia >> sputò poi.
Senza guardarla un attimo di più, sparì lungo il corridoio.
Wendy stava ancora cercando di metabolizzare cosa le avesse detto, mentre lo guardava allontanarsi. 
<< Come lo sai? >> gli gridò, ma Craig si voltò solo per rivolgerle il dito medio, continuando a camminare a ritroso, poi andò per la sua strada.
Perché aveva tirato in ballo Stan? E perché lui sapeva e lei no? Stan non glielo aveva detto. Ecco perché. Sentì uno strano misto di sollievo e delusione. 
Sollievo, perché c'era una parte di lei che, seppure non voleva ammetterlo a se stessa, sperava che Stan smettesse di bere. E si diceva che fosse perché davvero gli voleva bene come a un amico di vecchia data, e non perché la solleticasse l'idea che ci potesse essere ancora una possibilità per loro. Perché ormai, non c'era. No? Ormai non era possibile tornare indietro; ormai lei aveva preso una decisione. E poi Craig aveva ragione. Chi era lei per meritare che Stan volesse ancora rimettersi con lei, se non gli era stata vicina quando avrebbe dovuto? Aveva sentito la sua sofferenza, ma ne era stata sorda, o meglio, aveva fatto finta di non sentirla, troppo impegnata a vivere la sua vita. Ma poteva biasimarsi, dopo che erano stati male per così tanto e per così troppo tempo, insieme? Si stava sentendo in colpa anche solo a pensare ancora a lui in quel senso, quindi avrebbe fatto meglio a smetterla, si disse.
Maledetto Craig.
E poi, oltre al sollievo, c'era la delusione. Delusione che Stan non la ritenesse più così importante nella sua vita da condividere con lei certe cose.


Ecco, c'era. Salì sul gradino della porta di ingresso e bussò al campanello.
<< Mamma! La porta! >> sentì lamentarsi dall'interno.
Kyle ruotò gli occhi. Bussò di nuovo.
<< Mammaaaa! Bussano alla porta! >>
Era ovvio che fosse stravaccato sul divano a giocare alla Xbox con quel culo lardoso che si ritrovava, ma no, Eric Cartman era troppo pigro per alzarsi cinque secondi e controllare chi vi fosse alla porta.
Citofonò ancora, questa volta in modo più prolungato. Quel culone doveva alzarsi prima o poi. 
<< Mamma, e che cazzo, dove stracazzo sei?! >>
Era incredibile che dopo tutti quegli anni sua madre non lo avesse ancora mandato a quel paese. 
Suonò di nuovo, perché di certo Eric lo avrebbe ignorato, pur di non alzarsi.
<< Ma porc-! >> 
Ci fu un tonfo, e poi un rumore di plastica. Doveva essersi alzato e aver buttato il joystick per terra. Si udirono poi altri piccoli tonfi, come se cercasse di farsi largo tra qualcosa sul pavimento a calci. Poi dei passi, subito interrotti.
<< Kitty! No! Cattiva Kitty! >>
<< Meow! >>
<< Togliti dalle palle, stupido gatto >>
Kyle si ritrovò a ruotare gli occhi di nuovo. E bussò col pugno ripetutamente, giusto per farlo sbrigare.
La porta gli si aprì dinanzi improvvisamente, tanto che restò col pugno alzato a mezz'aria.
Cartman lo occhieggiò sorpreso.
<< Ebreo >>
<< Culone >> lo apostrofò di rimando.
<< Cosa ci fai qui? >> chiese l'amico, sul volto un'espressione indecifrabile.
<< Volevo parlarti >> iniziò Kyle, serio.
Aveva riflettuto a fondo sugli eventi, e per quanto detestasse ammetterlo, non si era comportato bene nei confronti di Eric. O meglio, non è che si sentisse in torto, era solo che in un impeto di empatia aveva provato a mettersi nei suoi panni; e dato che aveva chiarito con Stan e Tweek, voleva farlo anche con lui.
Cartman lo guardò accigliato, gli occhi dorati che si accesero di curiosità, e si appoggiò contro lo stipite della porta. Aveva indosso solo una maglietta bianca con le maniche grigie corte, nonostante fuori si gelasse, anche se aveva smesso di nevicare già da prima di pranzo. Nessuno comunque aveva ancora spalato i vialetti, nè quello di casa Broflovski nè quello di casa Cartman, e per questo Kyle si era fatto strada tra la neve che gli arrivava fin ai polpacci. Fortuna che almeno le loro case erano attaccate.
<< Vuoi parlarmi? Oh, cazzo, non mi dire che si tratta di Tweek perché davvero me ne sbatto le palle dei tuoi pipponi! >> fece, distogliendo lo sguardo stizzito.
<< Bèh, sì e no, e non sono venuto a perdere tempo, quindi tu adesso mi ascolti >> rispose Kyle, leggermente irritato.
<< Hai un'attitudine da stronza, come Wendy. Te l'hanno mai detto? Adesso capisco perché Stan ti sta sempre attaccato al culo >> buttò lì.
In tutta risposta, Kyle digrignò i denti e lo colpì alla spalla.
<< Ouch! >> si lamentò Cartman, massaggiandosela << Questo non è parlare >>
<< Se smetti di fare il cretino che sei forse ci riesco! >>
<< Avanti, allora, spara >>
<< So che le cose tra di noi non sono andate esattamente bene, ultimamente >>
Cartman dondolò distrattamente la testa a destra e a sinistra, e fece una smorfia << Se per ultimamente intendi negli ultimi tredici anni, allora hai ragione >>
Gli occhi di Kyle si accesero di odio << E di chi è la colpa? Tua! >>
<< Tua >> disse in contemporanea Cartman.
<< Tu sei quello che si comporta da coglione sadico! >>
<< E tu sei quello che se la prende per qualsiasi cazzata. Dai, ammettilo >>
Kyle avrebbe voluto prendere a pugni quel sorrisetto compiaciuto sul volto dell'altro. Era palese che Cartman non stesse prendendo la conversazione seriamente, come del resto avrebbe dovuto aspettarsi. Tuttavia, si era ripromesso di avere un confronto civile, e per questo non fece altro che fissarlo fumante. Era già abbastanza imbarazzante essere andato alla sua porta, figurarsi tornarsene indietro lasciandogli vincere qualsiasi gioco stesse facendo.
<< Tutto ciò che volevo dirti è che mi dispiace per quello che è successo, ok? >> disse allora.
<< Per cosa? >> chiese ottusamente Cartman, e Kyle si infilò le unghie nel palmo dalla stizza perché era sicuro che volesse solo sentirglielo dire.
<< Che sia successo di nuovo. Per il fatto di Tweek. Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere di nuovo a quella cosa. Penso solo di essermi comportato da stronzo. Credo ancora che dobbiamo sostenere Tweek, perché non è colpa sua, ma penso anche che avremmo dovuto essere più comprensivi con te, non avrei dovuto darti addosso >>
Cartman lo guardò sospettoso << Cos'è? Sei qui a fare le veci degli altri? >>
Kyle abbassò lo sguardo.
<< No. Onestamente è quello che penso io. Sono stato insensibile, e mi dispiace >>
<< Tweek è un pazzo squinternato, Khal. Devono rinchiuderlo, devi fartene una ragione >>
<< Non sono d'accordo >> rispose ostinatamente Kyle. Non era andato lì per parlare di Tweek; non sarebbe stato lì a spiegare le ragioni per cui il suo pensiero deviava da quello di Cartman, anche perché non si sarebbero mai capiti, loro due.
<< Lo sappiamo entrambi che non vuoi che venga rinchiuso perché ti senti in colpa per non averlo cagato, Khal, ammettilo. Ma lo sai anche tu che è pericoloso >>
<< Lui non sta bene in quella clinica, Cartman... >> iniziò stizzito.
<< Oh, non sta bene? E cosa si aspettava? >> ridacchiò in quel suo modo irritante << Un hotel a cinque stelle? Avanti, Khal, stai offendendo la tua intelligenza. Lo sai anche tu che sarebbe più sicuro per tutti, se se ne andasse >>
<< Bèh, ho una notizia per te, culone: il dottore ha detto che non ne ha bisogno! >>
<< Infatti abbiamo visto tutti, come non ne abbia bisogno. Avanti, Khal, lascia stare la tua etica ebrea e ammettilo! Lascia funzionare quell'enorme cervello che ti ritrovi, bene, per una volta >>
<< Il mio cervello funziona sempre bene! >>
<< Non quando ti prendono le manie da buon samaritano >>
<< Tu sei solo geloso, Cartman, ecco cosa! >> lo accusò, come ultima difesa.
<< Io? Non prenderti in giro, Khal, sappiamo entrambi che sei tu quello geloso >> ribatté l'altro, con una sicurezza che lo punse.
<< Pfft. E di cosa? >> lo derise, sicuro di sé.
<< Perché sono chiaramente più intelligente di te, intelligentone! >>
Kyle sollevò un sopracciglio. Questa gli era del tutto nuova. Cartman aveva sempre cercato di denigrarlo in tutti i modi, ma non aveva mai negato il fatto che Kyle fosse intelligente.
<< Certo, come no. Ti piacerebbe! E sentiamo, in che modo saresti più intelligente di me? >>
Il sorriso di Cartman si allargò.
<< In tutto quello che faccio, Khal. Tu mi odi perché sai di non potere arrivare al mio livello, perché io dico e faccio tutto quello che voglio, mentre tu vorresti, ma sei solo soffocato dalla tua etica ebrea, e ti nascondi sotto la maschera del buon samaritano, mentre lo sappiamo entrambi che razza di persona sei, invece. Tu sei esattamente come me, e sai benissimo cosa sarebbe meglio farne di Tweek, sei solo troppo ipocrita e perbenista per ammetterlo >>
<< La mia etica ebrea? Questo è quello che sono, Cartman! Io al contrario tuo ho una coscienza! >>
<< Avanti, ammettilo, che mi odi perché io sono l'unico che riesce a vederti per quello che sei! >> 
Kyle sbuffò << Non sono venuto qui per incazzarmi... >>
<< Ti incazzi perché ti brucia. Ed hai la sabbia nella vagina >> ridacchiò.
<< Dio. Non si può proprio fare un discorso serio con te, vero? >>
<< Io sono superserio, Khal. Se fossi un po' meno bacchettone, saresti più gradevole >>
Kyle guardò nei suoi occhi per cercare di scorgervi una presa in giro che però non trovò. Era serio?
<< Sono bacchettone perché cerco di essere una persona decente? >>
<< Non sei un robot ebreo, Khal. Lo sappiamo entrambi che anche tu hai un sacco di cattiveria >>
<< E quando mai sarei stato cattivo? >> chiese Kyle, attonito.
<< Con me. Sempre >>
<< Solo perché te lo meriti! >> berciò. Stava per mandare al diavolo quel poco di pazienza che ancora gli restava.
<< "Non è che la rompi, quell'altalena, ciccione?" >> fece, distorcendo la voce così come era solito fare sempre << Sono state le prima parole che mi hai detto, il primo giorno di scuola >> gli ricordò.
<< Ero un bambino! >> si difese Kyle, scandalizzato.
<< Bèh, sfortunatamente per te, io lo sono rimasto >> ribatté Eric, col tono della presa in giro.
<< È già un bel passo avanti ammetterlo... >> poi si guardò intorno, ficcandosi le mani nel giubbotto << Sono stanco, di tutto questo, Cartman >> rivelò, guardandolo con serietà.
Eric sembrò cogliere il cambio di atmosfera, perché gli restituì lo sguardo serio.
<< Di essere un bacchettone perbenista del cazzo? >>
<< No! Di... questa cosa, tra me e te! >> gesticolò, indicando l'altro e se stesso con le mani.
Cartman sollevò un sopracciglio. I suoi occhi divennero suadenti, liquidi come miele.
<< ...me e te? >> chiese, mentre un sorrisetto a metà labbra gli si allargava sul viso.
Kyle tentò di ignorare i brividi che gli suscitò; non voleva indagare su cosa quel sorrisetto volesse dire, quindi il suo cervello lo ignorò così come l'aveva registrato.
<< Già! >> confermò invece << Sono stanco di tutti questi colpi bassi. Onestamente ancora non ho capito perché te ne importa ancora di cosa faccio con Heidi quando non hai fatto altro che trattarla male! >>
Al nome della ragazza, il sorriso di Cartman sparì, così come si indurì il suo sguardo.
<< Voglio dire, è chiaro che non te ne importa niente di lei, altrimenti non... l'avresti trattata così. È stata colpa tua, solo colpa tua, se tra di voi è finita, quindi non capisco perché... >> iniziò Kyle, credendo di essere ragionevole.
<< È stata tua la colpa, Khal! >> rispose incazzato << Perché non sai farti i tuoi cazzi da ebreo! >>
Kyle sembrò essere preso in contropiede, dall'esplosione dell'altro << Scusa tanto! Ma non potevo permettere che la trattassi così, ridendole alle spalle e deviandola! >>
<< Oh certo! >> assentì Cartman, ruotando gli occhi con le braccia incrociate << Perché tu sei un cazzo di eroe, che non voleva fottermi la ragazza, solo troppo sentimentale per lasciarla affogare nel suo dolore da sola, vero, Khal? Ma non vedi quanto sei ebreo? >>
Kyle strinse le labbra e i pugni. Il suo sguardo divenne di fuoco, ma tentò di combattere l'istinto omicida.
<< Lo sappiamo entrambi che il problema non è Heidi! L'hai fatto anche con Nichole! >> 
<< Soffri di manie di persecuzione, ebreo >>
Fu più forte di lui, non riuscì a trattenersi dallo scattare e afferrare il colletto dell'altro, strattonandolo. Si fermò solo quando i loro volti furono a un centimetro di distanza, col pugno alzato a mezz'aria, senza che questo impattasse sulla faccia da stronzo dell'altro.
Gli occhi dorati di Cartman lo sfidarono ad andare avanti, così come il suo sorrisetto smilzo.
<< Sei così prevedibile... >> lo canzonò Eric, portando una mano a stringere quella di Kyle che si aggrappava alla sua maglietta, allontanandola da sé, non con stizza, ma quasi accompagnandola.
La mano di Cartman era calda, contro la sua, e quel contatto gli creò un disagio tale che Kyle allontanò la mano ancor prima che l'altro potesse abbassargliela del tutto.
Kyle aveva ancora le sopracciglie aggrottate, e guardava Eric come se volesse aprirgli la testa a metà con uno sguardo e guardarci dentro << Non capisco perché lo fai! >> 
<< Mi piace vederti incazzato >> lo prese in giro.
Kyle gli rivolse un'occhiata tra la commiserazione e l'esasperazione.
Cartman allungò due dita verso la guancia di Kyle, e la strinse in un pizzico.
<< Perché sei un piccolo mostriciattolo >>
Kyle lo guardò basito, mentre Cartman alllontanava la mano; si massaggiò la faccia per lenire quel lieve dolore, ma ciò che lo fece restare senza parole era che quella scena non accadeva per la prima volta. Già in passato Cartman gli aveva stretto la guancia e gli aveva detto che fosse un mostro. Però sei il mio piccolo mostro, gli aveva detto, e adesso quelle parole galleggiavano non dette nello spazio fra di loro e rimbalzavano sugli occhi di Eric.
<< Perciò ti conviene non farmi incazzare! >> riuscì a squittire, rossissimo in volto.
Cartman se ne accorse, perché ghignò.
<< Comunque, ormai il passato è passato. Cerchiamo di non metterci più sulla strada l'uno dell'altro, d'accordo? >> provò Kyle, con tutta la buona volontà che riuscì a raccogliere, tendendo la mano aperta verso Eric e con gli occhi che rilucevano di determinazione.
Cartman osservò la mano tesa dell'altro mordendosi il labbro inferiore, poi riguardò verso Kyle, prima di sciogliere le sue braccia incrociate e stringergliela vigorosamente.
Kyle riuscì appena a realizzare quanto forte fosse la stretta dell'altro, che Cartman lo tirò con la mano verso di sé, fin quando i loro sguardi non furono vicinissimi.
<< Ci proverò >> disse, con aria sorniona.
Allora Kyle ritirò la mano e lo guardò con sufficienza, allontanandosi.
<< Bene, lo spero >> commentò.
Poi si voltò per andare via. Era già riaffondato con gli stivali nella neve quando Cartman lo chiamò.
<< Khal >>
Kyle si voltò verso di lui, rivolgendogli tutta la sua attenzione.
<< Ti va di andare al cinema, ebreo? >>
Kyle fece un impercettibile sorriso. Non c'era nessuna cosa che più gli piacesse fare con Cartman che andare al cinema, forse perché a loro piacevano gli stessi film, o semplicemente perché era uno dei rari momenti dove non si scannavano a parole, per forza di cose. E poi era una cosa loro. Era il modo in cui Eric stava mostrando di aver apprezzato il passo che aveva fatto verso di lui.
<< Perché no? >>

Questo è un momento Kyman. Come ho già detto, non sono proprio una Kyman shipper, perché non riesco ad immaginare un rapporto salutare, tra i due, o semplicemente penso che il loro rapporto sia fantastico così. Tuttavia, penso che ormai sia comprovato, o almeno, che sia una teoria ormai  ampiamente diffusa (persino al di fuori di noi fangirl sfegatate) e in cui credo fermamente, che Cartman sia in qualche modo innamorato/attratto da Kyle, anche se a livello inconscio. Cartman è ossessionato da Kyle, sotto ogni punto di vista, e le prove a sostegno sono talmente tante che dovrei stare qui fino a stasera solo per elencarle. Ma penso non ce ne sia neanche bisogno. E niente, qui, in questa storia, Cartman ha 18 anni, e ne ha avuto di tempo per realizzare la sua omosessualità latente (vabbè, anche su questo è inutile stare a discutere, Cartman è tipo un prototipo di Stewie Griffin, ma nel suo caso la cosa è molto più sottile ma non meno evidente) e quindi anche gli eventuali sentimenti per Kyle. 
Tuttavia, non credo che Kyle possa ricambiare, tutto qui.

Comunque non temete, nel prossimo capitolo tornerà Stan con la sua incontenibile allegria!

ATTENZIONE! Vi avevo annunciato che volevo dirvi una cosa importante su questa storia. Ecco, può non sembrare, ma Kyle è uno dei personaggi principali, molto più di Wendy. TheDarkiti, che ringrazio tantissimo per avermi sostenuta insieme a _Delilah_, Leitmotiv e alle altre ragazze che mi hanno dato un'opinione sulla storia (grazie davvero, vorrei ringraziarvi una per una! ), in un commento aveva argutamente osservato che è sempre stato Tweek a muovere i fili alla base della storia. Invece io adesso vi svelo l'arcano e vi dico che c'è qualcuno ancora più a monte che ha mosso tutti i nostri personaggi, e quel qualcuno è Kyle. 
Non è solo un personaggio di sfondo, Kyle è il cuore di questa storia. 
È per lui che Cartman si è accanito su Tweek, e quindi è per lui che Tweek è andato in clinica. È per lui la rivalità che Tweek sente nei confronti di Stan, ancor prima di scoprire la sua tresca con Craig, ed è paragonandosi a lui che Stan ha così poca stima in se stesso. Ancora, è per il modo in cui Stan è amico con Kyle che Craig inizia a desiderare di potersi avvicinare al ragazzo, così come detto nei primi capitoli, è per invidia di Kyle che Craig si avvicina a Stan, così come è per invidia nei confronti di Kyle, per cui Tweek ha un debole, che Craig ritorna da Stan. Insomma, questa non è solo la storia di un triangolo/quadrangolo, è una storia di amicizia e gelosia, e Kyle vi è al centro.
Spero solo di essere riuscita a spiegare quanto per me questo personaggio sia importante, in questa storia, e quanto i personaggi siano legati tra di loro a triplice corda a causa sua.
Dopo ciò, spero di poter aggiornare presto! T_T
E grazie ancora per il vostro supporto!

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Capitolo 36
*** 00:06 ***


Salve! Direte che era ora... questo capitolo è molto slice of life, volevo fortemente inserirlo dopo i nefasti avvenimenti del capitolo 30 e via discorrendo. Non ho idea di quando riuscirò ad aggiornare il prossimo, perché ho davvero troppi impegni questa estate, ma tenterò comunque di scrivere nei giorni liberi, così come ho fatto con questo. Spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate! 

 


36. 00:06


19 Ottobre. Era arrivato di domenica, dopo una settimana assurda. 
Si era aspettato di svegliarsi in una giornata limpida e soleggiata, con il sorriso in volto e la mente piena di buoni propositi. Doveva essere un buon inizio. 
E invece le cose erano più incasinate del solito, il cielo era grigio e nevoso e la sua mente era la carta di una caramella accartocciata.
Stan aveva lottato, in quegli ultimi giorni, per non cedere alla volontà di bere, e sua madre era stata per lui un deterrente più che valido, il secondino che pattugliava i corridoi della sua mente. 
Aveva pensato che non volesse festeggiare, perché non c'era nulla da festeggiare. Era stata una settimana di merda, la tensione fra tutti era alle stelle e lui si sentiva nauseato da tutto. Il fatto che fosse il suo compleanno non risolveva un cazzo. Non era l'inizio di niente, non si sentiva più forte e a nessuno sarebbe fregato un accidente, con ciò che bolliva in pentola.
Quando aveva detto a Kyle che stava pensando di annullare il suo compleanno, il rosso aveva sbottato, dicendogli che volente o nolente avrebbero festeggiato. Stan era rimasto lusingato dalla determinazione dell'altro, anche se non aveva preso sul serio le sue minacce.
Alla fine, però, la positività aveva preso il sopravvento. Il peggio era passato, Tweek stava meglio, e per quanto la cosa non volgesse a suo favore, il biondo e Craig si erano riappacificati, Kyle era più tranquillo e gli altri avevano bisogno di distrarsi. Stan, poi, anelava davvero ad un lieto fine anche per se stesso. Pensava di meritarsi almeno un po' di amor proprio, un'occasione prettamente egoistica che fosse solo per lui, qualcosa che lo distraesse dal pensiero di esserne uscito perdente in tutti i campi. Qualcosa che gli tirasse su il morale. Qualcosa che però non fosse niente di grande, niente di ciò che aveva fatto gli altri anni, ma solo un piccolo incontro intimo con le persone con cui si sentiva più a suo agio nella sua vita, che lasciasse fuori quella patina di depressione che era calata sulla sua classe.
Sua madre gli aveva preparato una torta, che aveva tirato fuori dopo pranzo. Stan aveva spento le candeline davvero felice, nonostante i borbottii di Shelly  in sottofondo e il fatto che suo nonno, ormai affetto da demenza senile, continuasse a chiamarlo Billy e ad augurargli un buon decimo compleanno. Stan non aveva avuto il cuore di dirgli che ne avesse appena compiuti diciotto, di anni. Tuttavia i suoi genitori gli sorridevano, contenti, e Stan per la prima volta da tanto tempo si era sentito fortunato ad avere una famiglia così, un po' disfunzionale, certo, ma che si stringeva tantissimo nelle belle e nelle brutte occasioni. Una famiglia su cui poteva contare; e in quel momento, anche il fatto che Shelly non cambiasse mai rapprensentò una specie di punto fermo, una sicurezza confortante.
Poi la sua famiglia era uscita; erano andati tutti al centro commerciale per lasciargli casa libera e permettergli di festeggiare con i suoi amici.
Erano appena le quattro quando suonò il campanello.
Stan scese le scale a due a due ed andò ad aprire. Non si sorprese di vedere Kyle, per primo, fuori la sua porta. D'altronde Kenny era un ritardatario cronico e Cartman se la prendeva sempre con calma, se non era nel suo interesse fare diversamente.
Il rosso gli sorrideva, portando alla sua attenzione un vassoio che aveva fra le mani.
<< Indovina? Ho fatto dei muffin >> disse.
Stan gli sorrise a sua volta << Da quando ti dai alla cucina? >> chiese.
<< Da oggi. Io non mi fiderei molto di quei muffin, se fossi in te >> lo redarguì un'altra voce, proveniente dalle spalle di Kyle.
Stan guardò oltre l'amico per scorgere la figura di Ike.
<< Ehi! >> lo salutò, al che Ike sorpassò Kyle per abbracciare Stan.
<< Buon compleanno! >> gli augurò il ragazzo.
<< Grazie mille >> gli rispose Stan.
Non si aspettava che venisse anche lui, ma la cosa non gli dispiaceva affatto. Ike era cresciuto tantissimo, e sembrava anche più grande dei suoi tredici anni, soprattutto per il fatto che fosse sempre stato estremamente maturo per la sua età. Lui e Kyle potevano sembrare diversissimi nell'aspetto, ma potevi dire che fossero fratelli solo sentendoli parlare. Loro due erano la dimostrazione che a volte l'intelligenza dipende più dall'educazione, che non dai geni, dal momento che Ike era stato adottato da piccolo. Stan non sapeva ben dire per cosa, ma i tratti canadesi in qualche modo si riconoscevano nel suo viso, ed inoltre, dato che aveva i capelli neri, era evidente che non condividesse i geni di suo fratello e di sua madre, entrambi rossi di capelli. 
Non che fosse un metodo affidabile per stabilire da che albero genealogico una persona provenisse, dato che due quarti della famiglia di Craig aveva i capelli rossi, mentre sua madre era bionda, e nonostante tutto Craig aveva i capelli neri. Si chiese perché stesse pensando a lui, adesso.
Non appena Ike lo liberò dall'abbraccio, Stan abbracciò anche Kyle, sinceramente commosso dal fatto che avesse provato a fare qualcosa per lui.
<< Grazie >> gli disse, prendendo in mano il vassoio.
<< Non ringraziarmi... >> chiese Kyle, a disagio << Con tutto quello che è successo, non ho avuto tempo di prenderti un regalo... quindi ho pensato di portare almeno qualcosa >>
Stan lo guardò stupito << Oh... okay >>
Certo, non ricevere un regalo da Kyle era deludente. Stan adorava i regali, non necessariamente costosi, ma erano la dimostrazione che una persona ci tenesse tanto da spendere almeno un po' della sua esistenza per capire cosa possa piacerti, o anche la dimostrazione di quanto ti conosca.
In ogni caso, Kyle aveva comunque impiegato il suo tempo per cucinare qualcosa, nonostante non l'avesse mai fatto prima, quindi Stan si consolò in fretta con questo pensiero.
<< I tuoi non ci sono? >> domandò Kyle, guardandosi intorno.
<< No >> gongolò Stan << Abbiamo casa libera! >> lo informò, tentando di chiudere la porta.
Un piede, però, si inserì nella fessura impedendogli di farlo. 
Stan guardò in basso verso l'impedimento e rapido riaprì la porta.
Kenny gli sorrideva raggiante, col suo sorriso fenestrato.
<< Ohi Kenny >> riuscì solo a dire, prima che il biondo lo accogliesse in un abbraccio da orso, abbracciandolo tanto stretto da soffocarlo.
<< Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri a Stanley... >> urlò, mentre saltellava contro Stan e il ragazzo lottava per liberarsi.
<< Kenny! Cazzo, mi fai cadere il vassoio! >>
Fu Ike ad intervenire per recuperare i dolci dalla mano di Stan, e metterli in salvo. A quel punto, Kenny si era staccato e stava guardando il pacchetto con aria curiosa.
<< Ehi, Ike! Che cos'è? >>
<< Kyle ha fatto dei muffin >>
<< Davvero? >> chiese incredulo Kenny << Apriamoli >> suggerì, prendendo il vassoio dalle mani di Ike e avviandosi verso il tavolo del soggiorno << E mangiamoli prima che arrivi Cartman >>
Risero tutti, e Stan precisò: << Sennò quel culone lardoso se li mangia tutti >>
<< Ehi, hippie di merda! E pensare che sono venuto qui per il tuo compleanno! Come minimo, devi offrirmi del cibo! >> si lamentò una voce gracchiante.
Era Cartman, appena giunto sulla soglia della porta, che non era riuscita a farsi richiudere neanche una volta.
Kenny ed Ike ridacchiarono; Kyle scosse la testa senza poter nascondere un sorriso divertito. Stan, invece, non riuscì a nascondere il suo stupore. Se tutti erano in orario, doveva proprio essere la fine del mondo.
Dietro Cartman c'era Butters, che sorrideva con un pacchetto fra le mani.
<< Ehi Stan! Tanti tanti auguri di un buon compleanno >> esordì, con quella sua voce dolce << Sono felice che alla fine tu abbia deciso di festeggiare >>
<< Grazie Butters >> lo accolse, sinceramente commosso, mentre Cartman gli sfilava di fianco per entrare.
<< Questo è per te >> continuò Butters, porgendogli il regalo.
<< Non dovevi >> recitò Stan, afferrandolo e sentendosi incredibilmente falso, per quanto invece gli facesse piacere riceverne.
<< Spero ti piaccia >> aggiunse Butters, entrando.
Stan potè finalmente richiudere la porta.
<< A proposito di regalo... >> fece Kenny, scavandosi in una tasca. Tirò fuori un pacchetto di sigarette e glielo porse.
Stan aveva appena poggiato il regalo di Butters sul tavolo, poi allungò la mano verso il pacchetto.
<< Visto che non puoi bere, almeno fumiamo >>
<< Aww >> commentò Stan, sapendo che probabilmente quello era l'unico regalo che Kenny aveva potuto permettersi, probabilmente << Che cosa tenera >>
<< Oh, quando dico fumiamo, vuol dire "fumiamo" >> precisò Kenny, tirando dal retro dei pantaloni un piccolo pacchetto trasparente con dell'erba, sventolandoglielo avanti agli occhi.
Stan allungò una mano verso il pacchetto, stupito << Sei serio? >> chiese, una volta che lo ebbe preso fra le mani come la più sacra delle reliquie. 
Stan aveva fumato solo raramente, e solo se si era trovato in compagnia con altra gente. Tra di loro non avevano mai provato a farlo.
<< L'ho presa a Kevin >> sorrise Kenny.
<< Oh madonnina, non sarà mica erba quella, eh, Kenny? >> si intromise Butters.
<< Sì, lo è >> rispose lapidario Stan per Kenny.
<< Io non so se posso ragazzi, se i miei lo scoprono sono fritto! >> si lagnò il ragazzo.
<< Non glielo devi mica dire >> osservò Kenny.
Kyle li vide confabulare e si avvicinò a loro.
<< È erba? >> chiese, stralunato, una volta che ebbe capito di cosa stavano parlando. Guardò da Stan a Kenny, e ancora da Kenny a Stan, mentre gli altri due lo fissavano di rimando, senza avere l'ardire di rispondere. Allora Kyle si affrettò a strappare il pacchetto dalle mani di Stan, per osservarlo a bocca aperta << Ma è illegale! >>
<< No che non lo è >> negò Stan, pur sapendo di essere nel torto.
<< E invece sì, perché nessuno di noi ha 21 anni! E se venissero i tuoi? >>
<< Non verranno fino a stasera >> ragionò Stan, poi si portò accanto all'amico, poggiandogli un braccio intorno alle spalle e trascinandoselo verso un angolo della stanza << Kyle, è il mio compleanno, e non posso bere... >> a ciò Kyle gli rivolse un'occhiataccia << ...per favore?... >> lo pregò.
Kyle provò a sostenere il suo sguardo in tralice, ma non riuscì a non sciogliersi davanti all'espressione da cane bagnato di Stan. Sbuffò, circondandosi il busto con un braccio << Ok >> acconsentì, sconfitto, e restituì il pacchetto a Stan, che gli sorrise riconoscente.
<< Ehi, stupido hippie >> lo richiamò Cartman, al che Stan si voltò curioso.
Si ritrovò ad intercettare, improvvisando, il lancio di un oggetto. Riuscì ad afferrarlo giusto in tempo e ad evitare che si schiantasse al suolo dietro di lui. 
Era rettangolare e rigido << Che cos'è? >> chiese, portandoselo davanti agli occhi.
<< È il regalo per il tuo stupido compleanno. Cosa può essere? >>
<< Non pensavo mi facessi un regalo... >> commentò con leggerezza, iniziando a scartare la carta.
<< Ma se te lo faccio tutti gli anni! >> 
Aveva ragione. Tuttavia, poiché questa nella sua testa non era una vera festa, non si era aspettato che Cartman, Butters e Kenny gli facessero un regalo. O almeno non come se lo aspettava da Kyle, che dopotutto era il suo migliore amico.
<< È l'ultima stagione di Game of Thrones! >> esclamò.
<< Sì, ha fatto cagare. Ma dato che sei gay, a te piacciono queste cose >>
<< Mi manca solo la penultima >>
Molti dei dvd di GoT glieli aveva regalati Wendy, ecco perché era stato in grado di avere tutte le stagioni. Adesso che non stavano insieme, però, Stan si chiedeva se avesse mai trovato soldi che valeva la pena risparmiare per comprarsi le restanti. Gliene mancava una, quindi immaginava di doverlo fare per forza, adesso, nonostante non fosse il tipo di persona che deve assolutamente avere tutti i numeri di una serie per sentirsi a posto con la coscienza, o per soddisfare chissà quale mania ossessiva.
<< Grazie... >> farfugliò imbarazzato.
<< Apri anche il mio! >> propose entusiasta Butters, al che Stan non poté fare altro che avvicinarsi al regalo e scartarlo. 
Erano delle protezioni da football, e Stan restò a guardare lo scatolo interdetto.
<< Butters, non dovevi! Queste ti saranno costate una fortuna! >>
<< Ho dovuto risparmiare un po', ma non importa. Te le sei meritate, Stan. Hai smesso di bere e sei rientrato di nuovo nella squadra. Bèh, spero che queste possano esserti da sprono! >> gli sorrise, nel suo modo gentile.
Stan gli restituì lo stesso sorriso, sussurrando un caloroso: << Grazie mille, Butters, lo apprezzo tantissimo >>

Avevano passato il pomeriggio a giocare ai videogiochi, chi sul divano, chi a terra. In quel momento era il turno di Kenny e Cartman, e Stan osservò la macchina da corsa di Kenny sorpassare quella dell'altro, mentre con massimo relax si portava di nuovo il filtro alla bocca.
<< Tre tiri e poi passi >> gli ricordò Kenny, vedendo che indugiava con lo spinello fra le dita.
<< È il mio compleanno >> si lagnò debolmente, prima di passarla ad Ike da sopra la spalla di Kyle, che, per la prima volta da quando avevano cominciato, aveva deciso di risparmiare l'occhiataccia di turno al fratello. Si era opposto con tutto se stesso per non far fumare Ike, ma poi tutti si erano messi a pregarlo e lui aveva ceduto, complice anche il fatto che tanto Ike faceva sempre e comunque di testa sua.
Stan ammirava il suo amico per la sua magistrale resistenza alle pressioni sociali, e per questo non aveva insistito affinché fumasse anche lui.
<< Sì, cazzo, ho vinto! >> esclamò d'improvviso Eric.
Stan ridacchiò e diede una manata alla spalla di Kenny, seduto a terra sotto di lui << Ti sei fatto superare! >>
Kenny scrollò solo la testa e le spalle, avvilito, convinto com'era di avere la vittoria in pugno.
<< Dai qui! >> chiese Cartman ad Ike.
<< Ooooh! >> esclamarono in coro Stan, Kenny ed Ike, e quest'ultimo fece come gli era stato detto.
Cartman era il terzo che si era rifiutato di fumare, dopo Butters e Kyle, sostenendo di tenere quelle 'cagate' lontane da lui perché erano una cosa da hippie di cui non aveva bisogno.
Tutti restarono ad osservare mentre inalava, convinti che da un momento all'altro avrebbe sputato un polmone. E invece no. Sorprendentemente, Cartman pareva sapere il fatto suo.
Quando passò di nuovo l'imminente cicca a Kenny, questi lo stava guardando con uno sguardo stupito e carico di ammirazione.
<< Però! Ed io che stavo già chiamando il 911 >>
Stan ridacchiò di nuovo alle parole di Kenny, anche se ormai lo faceva per tutto e nulla senza neanche tentare di contenersi. Per la prima volta in una settimana, e forse anche da molto più tempo, si sentiva in pace, confinato nel suo corpo ma con la mente libera.
Si mise a giocherellare col suo cellulare, riguardando tutti i messaggi di auguri che aveva ricevuto su Facebook. Red lo aveva addirittura contattato, come se si fossero mai cagati prima. 
<< Ehi, sapete che Red mi ha contattato per farmi gli auguri? >> li informò, con un punto interrogativo stampato in faccia.
Kenny e gli altri si voltarono verso di lui. La cicca si era spenta fra le dita del ragazzo, che lo guardò dapprima stupito, poi commentò: << Quindi? Non te li fa tutti gli anni? >>
<< No. Cioè sì, ma non mi ha mai contattato, me li ha sempre fatti alla festa >>
<< Bèh, tu quest'anno non hai fatto una festa >> osservò Kyle.
<< E le altre? >> chiese Kenny.
<< Le ragazze? Qualcuna mi ha lasciato un messaggio in bacheca >> disse, guardando di nuovo distrattamente il cellulare.
Kenny sorrise sardonico.
<< Che c'è? >>
<< Io l'avevo detto >>
Stan sollevò le sopracciglia << Cosa? >>
<< Che ci sono delle ragazze in classe a cui piaci. Le piaci! Altrimenti perché darsi la pena di contattarti? Avete parlato? >>
Stan lo guardò scettico << ...un po'. Red è amica di Wendy... >> contestò.
<< Ma tu e Wendy non state più insieme >> replicò Kenny.
<< Già, è vero! >> gli diede man forte Butters.
Stan guardò dall'uno all'altro << No ragazzi, non si metterebbe mai contro Wendy >>
<< C'è qualcuno che si metterebbe contro Wendy? >> osservò Ike, e Cartman ridacchiò.
<< Invece secondo me le piaci. Wendy ormai sta con Gregory, e secondo me a Red potresti piacere. Sta tastando il terreno, te lo dico io >>
<< Prova a parlarle >> aggiunse Kyle, e Stan si voltò a guardarlo come se fosse un alieno << Già, perché no? Così vedi se è vero >>
Stan avrebbe voluto contestare che a lui Red non piaceva, ma poi si concesse di pensarci.
<< Gli ultimi tiri, vai tu, dato che non hai fumato prima >> così dicendo, Kenny restituì lo spinello a Cartman, che lo prese con un sorriso beffardo << Aspetta, devi accendere >> aggiunse, dandogli anche l'accendino.
Cartman prese tutto, poi si alzò a sedere di prepotenza tra Ike e Kyle.
<< Ehi! >> si lamentò quest'ultimo, stringendosi ancora di più a Stan mentre il fratello faceva lo stesso con il bracciolo del divano, per fare spazio al culone.
<< Fuma tu, ebreo >> offrì Eric, porgendo il filtro verso la sua bocca.
In risposta, Kyle strinse le labbra e gli concesse un'occhiata accigliata.
<< Dai, fuma >>
<< No! >> rifiutò fermamente Kyle, incrociando le braccia.
<< Oh, è forse il bacchettone guastafeste, che parla? >> chiese Cartman, assumendo una posizione posticcia di ascolto, col palmo della mano disteso accanto all'orecchio ed espressione supponente, com'era solito fare.
<< Non sono un bacche... >>
<< Hai la scopa in culo >>
<< Non ho la scopa in culo! >>
Cartman gli sorrise melenso, poi gli porse di nuovo la canna. Kyle gliela strappò di mano con stizza, sorprendendosi lui stesso del gesto. Normalmente non avrebbe ceduto alle provocazioni dell'altro, né si sarebbe fatto piegare dalla volontà del gruppo, ma era stanco di fare sempre il moralista e voleva dimostrare che non aveva paura di fare certe cose. D'altronde era quasi finita, no? Non sarebbe stato diverso dal prendere un medicinale, o il caffè. Si appellò alla sua mente scientifica per trovare sostegno contro lo scudo morale che la sua religione e i suoi genitori avevano contribuito a costruire. Era stata una settimana dura, alla fine, e poi era il compleanno di Stan, e Stan ne stava passando tante, ed anche Tweek. Quindi fanculo la vita e il buonsenso, no? Almeno quel giorno poteva fare uno strappo alla regola.
Cartman ghignò, mentre Kyle si sistemava il filtro tra le labbra.
<< Oh-oh! >> commentò sorpreso Kenny.
Stan invece era preoccupato << Kyle, non devi farlo per forza, sai... >>
<< Aspira >> suggerì Cartman, mentre gliela accendeva.
<< Vorrei tantissimo fare una foto di questo momento, se mamma non mi controllasse il cellulare >> sospirò Ike.
Kyle fece proprio come gli era stato detto, aspirò, e non ci volle molto prima che tossisse fuori anche l'anima.
Il gruppo ridacchiò, mentre gli occhi del ragazzo avevano preso a lacrimare.
<< Ma chi cazzo ve lo fa fare?! >> sbottò Kyle, tra i colpi di tosse, irritato << Riprenditi questo schifo! >> disse ad uno sghignazzante Cartman, e non appena si liberò dell'affare schizzò verso la cucina per prendersi un bicchiere di acqua.
Le risate ci misero un po' ad esaurirsi. Stan avrebbe voluto dare una mano a Kyle, ma non riusciva a smettere neanche lui di ridacchiare come uno stupido.
D'improvviso, il campanello li distrasse.
Si guardarono tutti in panico.
<< Merda >> inveì Kenny, senza peraltro muoversi per fare altro.
<< Non possono essere i miei >> ragionò Stan, dopo il colpo al cuore iniziale che ancora faticava a scemare << Avrebbero aperto e basta. Vado a vedere >> così dicendo, si alzò e si avviò verso la porta, lasciando indietro gli altri che si apprestavano a ricominciare ad usare la Play Station.
Non era preparato all'ospite che gli si palesò dinanzi una volta aperta la porta.
<< Ehi >> lo salutò la ragazza, lo sguardo addolcito e un sorriso che faceva capolino sulle sue labbra.
Stan la osservò bene, chiedendosi se quello non fosse uno scherzo della sua mente appannata << Ehi >> rispose di rimando, intontito.
Restarono a guardarsi per un attimo in uno strano imbarazzo. Lei gli sorrideva, leggermente divertita. Stan allora si chiuse appena la porta alle spalle, perché non voleva che gli altri li vedessero. Non sapeva perché, forse semplicemente per paura che se si fossero intromessi quella visione si sarebbe dissolta, lasciandolo con l'amaro in bocca.
<< Come mai qui? >> chiese, non riuscendo a trattenere un piccolo sorriso neanche lui, complice l'effetto dell'erba.
<< Scusami se mi sono presentata all'improvviso >> si giustificò Wendy, sistemandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. L'altra sua mano stava chiaramente nascondendo qualcosa dietro di sé << Mi sono trovata a passare e volevo augurarti buon compleanno >> spiegò.
Stan annuì comprensivo, non riuscendo a staccare gli occhi da quelli chiari di lei. Era come se vi guardasse dentro dopo anni, come se la sua vita avesse fatto un lungo giro solo per ritrovarsi di nuovo davanti a quei due pozzi e capire che non aveva voluto nient'altro che specchiarvisi, che ancora vi ricercava la sua casa. 
<< Te ne sei ricordata... >>
Wendy fece una smorfia << Non sono ancora così vecchia da avere l'Alzheimer! >> sbuffò << Tieni >> aggiunse poi, sollevando la mano che teneva nascosta e porgendogli un piccolo pacchettino.
Stan lo prese, stordito.
<< Mi hai fatto un regalo? >> 
C'era una nota scettica e amara nella sua voce.
<< Lo so che non stiamo più insieme, e che può sembrarti strano... ma te l'avevo preso prima che ci lasciassimo. Ne ho approfittato per dartelo >>
Stan aprì la scatola. Era una catenina, con un plettro come pendente di un colore blu metallico. Lo accarezzò col pollice. Non suonava da tempo, cosicché persino quel regalo sembrava appartenere ad un'altra epoca. Si chiese se Wendy sapesse che non suonasse più. Possibile che avessero smesso di guardarsi ancor prima di lasciarsi? Sorrise nostalgico.
<< Grazie >> disse, sollevando di nuovo lo sguardo su di lei.
<< L'avevo preso per il nostro anniversario, ecco perché... bèh... >> distolse appena lo sguardo imbarazzata e scrollò leggermente le spalle << ...non te l'avevo ancora dato. So che non suoni più, ma pensavo che dovessi sul serio ricominciare, mi piaceva quando suonavi, eri bravo, ecco perché te l'ho preso >>
<< Stavo pensando di ricominciare anch'io >> le confessò. 
Ci aveva sul serio pensato, dopo la chiacchierata con Kenny, che l'aveva già spinto a riprendere lo sport e l'impegno sociale. Forse era un segno, che anche Wendy glielo dicesse.
<< Fai bene... >> 
Si guardarono ancora in silenzio per un attimo.
<< Sai... lo so che non è mio diritto dirti certe cose, che non hai bisogno di sentirle dire da me e che fai benissimo a meno della mia approvazione... >> lo guardò negli occhi, decisa << ...ma io voglio dirtelo lo stesso, perché nonostante tutto siamo cresciuti insieme, ed io ci tengo a te... >> 
Stan guardò la ragazza di fronte a sé con il cuore che gli risaliva in gola.
<< Sono fiera di te. Sono fiera di come stai gestendo la tua vita. Sono fiera che tu abbia ripreso a giocare, che tu abbia voluto impegnarti con noi contro il bullismo. Sono fiera che tu ci stia provando. Mi riempie il cuore vedere che dopotutto, sei cresciuto tanto da essere l'uomo che sei. Stai andando bene. E sono convinta che un giorno farai ancora meglio, perché credo in te come in nessun altro >>
Stan si ritrovò gli occhi lucidi senza neanche sapere come e quando. Wendy aveva ragione, normalmente si sarebbe innervosito a pensare che volesse ancora imporgli la sua opinione, ma la verità era che nessuno gli aveva mai detto "sono fiero di te", e faceva bene, faceva dannatamente bene sentirselo dire.
<< Grazie... >> ripetè ancora, non sapendo cos'altro dire, ben convinto che se avesse provato a spingersi oltre probabilmente avrebbe pianto.
<< Stan? >> sentì la voce di Kyle che lo chiamava dall'interno.
Stan guardò verso la porta, poi ritornò a guardare Wendy << Ci sono i ragazzi, dentro. Kyle ha fatto dei muffin. Vuoi entrare? >> chiese, speranzoso.
Wendy sorrise << Ah, però. Ce ne hai messo di tempo a chiedermelo! >>
Ridacchiò, e Stan sorrise rincuorato a sua volta.
Le fece spazio verso l'interno, e quando li sentirono entrare i ragazzi si voltarono tutti verso di loro.
<< 'Sera! >> salutò Wendy allegra, guadagnandosi degli sguardi stupiti da tutti.
<< Ehi, ciao Wendy! >> la salutò allora Butters.
<< Ehi >> gli fece eco Kyle.
Ike optò per un po' più neutro: << Ciao >> 
<< Oh, Wendy >> si stupì invece Kenny, intento a richiudere un'altra canna.
<< Ehi, pensavo che l'unica ragazza stasera fosse Butters >> commentò invece Cartman.
<< Fatemi spazio >> chiese Wendy, passando fra i ragazzi a terra e sedendosi nel posto che prima era stato di Stan << Che stai facendo? >> chiese a Kenny.
Kenny le mostrò il suo capolavoro.
<< Ken! >> lo richiamò, il tono tra il riprensivo e lo scherzoso.
<< Che c'è? Vuoi dire che nei vostri club supersegreti da femmine non si vedono? >>
Stan seguì la scena distrattamente, mentre andava a sedersi a terra accanto all'amico. 
Kenny ce ne aveva messo di tempo per uscire dal guscio del ragazzo sempre troppo introspettivo e silenzioso, ed era riuscito ad aprirsi gradualmente. La prima ragazza con cui si era aperto, nonostante parlasse sempre e solo dell'altro sesso, era stata Wendy, per via del fatto che stando con Stan la vedeva spesso. E quindi adesso perché quello scambio di battute gli dava fastidio?
<< Vuoi provare? >> domandò Kenny alla ragazza, mentre si apprestava ad accendere.
<< Ho già fumato prima, se è questo che intendi >>
<< Davvero? >> si accertò, preso in contropiede, Stan. Com'era che lui non lo sapeva?
<< Sì, con Clyde e Bebe. Bebe voleva provare, così le ho fatto compagnia >>
<< Prima al festeggiato >> li interruppe Kenny, passando lo spinello a Stan.
E mentre gli altri parlavano, e Stan fumava, Kenny si alzò.
<< Sapete cosa manca a questa festa? >>
<< L'alcol? >> provò cinico Stan.
<< Le ragazze? >> provò Ike << Oh, senza offesa, Wendy! >> ridacchiò.
<< L'hai fatto fumare?! >> chiese la ragazza incredula a Kyle.
<< Sì, gliel'ho infilzata a forza in bocca e poi ho generato una compressione sul suo torace perché il fumo gli entrasse nei polmoni. Che dici? >> rispose acido.
Wendy lo guardò scettica, perché Kyle non le aveva mai risposto male. Non lo faceva mai con le ragazze. Allora Kyle scrollò le spalle e mise su un'espressione che doveva essere una scusa. 
<< No e no >> negò Kenny << Un po' di musica! >> rivelò, poi staccò la PS con sonori lamenti da parte di Cartman e Butters. Usò il cellulare di Stan per aprire YouTube e trasmetterlo sulla tv.
Ladies and gentlemen, this is mambo number five
Le note di Mambo Number 5 iniziarono a risuonare nella stanza, suscitando l'ilarità di tutti.
<< Seriamente? >> chiese Wendy, ridendo e urlando sulla musica troppo alta. 
Stan non riusciva a riprendersi per quanto stesse ridendo.
Kenny iniziò anche a ballare, sculettando e muovendo le spalle in modo spastico, cantando con la canzone.
I must stay deep because talk is cheap. I like Angela, Pamela, Sandra and Rita and as I continue you know they are getting sweeter
So what can I do? I really beg you my Lord
To me flirting it's just like a sport

<< È proprio la canzone di Kenny >> ridacchiò Cartman.
Butters si alzò anche lui trascinando un ormai spudorato Ike con sé.
A little bit of Monica in my life, a little bit of Erica by my side
A little bit of Rita is all I need

<< Signorina >> richiese Kenny, porgendo la mano a Wendy, con un sorriso malizioso. 
Wendy la afferrò, così che Kenny la tirò su e la fece volteggiare, mentre ridevano entrambi come stupidi. 
A little bit of Sandra in the sun, a little bit of Mary all night long
A little bit of Jessica here I am, a little bit of you makes me your man

Kyle e Cartman si stavano sbellicando dalle risate su Ike che faceva l'idiota accanto alle graziose piroette di Butters.
Kenny afferrò Wendy per un fianco per volteggiare insieme, con i lunghi capelli neri di lei che levitavano a destra e a sinistra.
Jump up and down and move it all around
Shake your head to the sound, put your hand on the ground

Stan invece non riusciva a fare altro che tenere gli occhi incollati ai due che ballavano davanti a lui. Aveva la mentre troppo obnubilata per capire se stesse più morendo di gelosia o se fosse più concentrato a seguire la figura ipnotizzante di Wendy, con le sue risate allegre e i capelli volteggianti. Si alzò per raggiungere il posacenere sul tavolino e ciccarci dentro.
Take one step left and one step right
One to the front and one to the side

Kenny ne approfittò per far piroettare Wendy proprio addosso a Stan, che la afferrò giusto in tempo. La ragazza ridacchiò davanti allo sguardo sconvolto di Stan.
<< Scusa! >> 
<< Stai tentando di rubarmi la partner?! >> chiese scherzosamente Kenny.
Stan fu preso da un improvviso senso di rivalsa e spavalderia, forse perché non era così tanto in sé, quindi afferrò la mano di Wendy.
<< Chi trova tiene >> rispose all'amico, con espressione sorniona.
A little bit of Monica in my life, a little bit of Erica by my side
A little bit of Rita is all I need, a little bit of Tina is what I see

Trascinò Wendy più al centro del salotto.
<< Stan Marsh che balla! >> osservò Wendy.
Stan ridacchiò << Sono abbastanza fuori da me da farlo. Potrò pentirmene dopo >> 
Wendy gli afferrò entrambi le mani e prese a guidare, portandolo ad imitarla nei movimenti dei suoi piedi.
Poi Stan la fece girare su se stessa, una, due, tre volte. Ed era piacevole. In quel momento nessuno dei due stava pensando alle implicazioni fra di loro, erano solo due amici di vecchia data che fanno gli idioti.
Ike aveva iniziato a trascinare anche Kyle, che stava oppenendo non poca resistenza, ma alla fine il rosso riuscì ad alzarsi solo per essere colpito da una spallata di Cartman, che a quanto pare aveva preso a pogare. Kyle provò a rispondere all'affronto, poi si unirono anche Ike, Butters e Kenny e fu il panico.
Stan e Wendy li guardavano di sfuggita e ridacchiavano, cercando di tenersi ben lontani dalla baraonda per evitare di farsi male.
A little bit of Rita is all I need, a little bit of Tina is what I see
A little bit of Sandra in the sun, a little bit of Mary all night long

Stan fece volteggiare Wendy ancora una volta, le loro braccia si incrociarono e lei si ritrovò con le spalle contro il petto di lui. Questo le suscitò un brivido lungo la schiena, e, quando avvertì anche il viso di Stan fra i suoi capelli, piroettò lontano per allontanarsi da lui. Si guardarono negli occhi con più intensità del dovuto, ancora mano nella mano, mentre la canzone giungeva al termine e Kenny e Butters avevano preso a ballare come una coppietta.
I do all, to fall in love with a girl like you
'Cause you can't run and you can't hide
You and me gonna touch the sky

Appena finì la canzone Stan sentì la mano di Wendy slacciarsi dalla sua, e tutti iniziarono a fare gli applausi a loro stessi e a riderci su contemporaneamente.
Cartman andò a stoppare la riproduzione automatica sul cellulare di Stan, prima che partisse qualche altra canzone dal gusto discutibile.
<< Oh >> ridacchiò, malevolo << Red ti ha contattato >>
Stan sentì un sudore freddo sulla schiena, e non ebbe il coraggio di voltarsi verso Wendy. Si avvicinò a Cartman prendendogli il telefono di mano.
In effetti, Red gli aveva scritto.
Sicuro che stasera non vuoi farti un giro da Skeeter insieme agli altri?
Si apprestò a rispondere per un semplice fatto di cortesia, ignorando gli altri.
<< Red? >> chiese Wendy.
<< Bèh, a quanto pare oggi ha contattato Stan >> le spiegò Kenny, sollevando ripetutemente le sopracciglia.
<< Che puttana! >> le uscì senza trattenersi, non abbastanza ad alta voce per farsi sentire da Stan.
<< Che puttana, eh? >> ridacchiò Kenny.
<< Scusa ma a te che ti frega? >> domandò Kyle, piccato.
<< Codice d'onore, Kyle. Non si toccano gli ex delle amiche >> spiegò Wendy, in imbarazzo << Comunque non me ne frega niente >>
Kyle e Kenny si scambiarono un'occhiata scettica. 
Restarono un'altra mezz'ora tutti insieme, costringendo Stan a provare a suonare qualcosa sulla sua chitarra, ma con scarsi risultati, dal momento che il ragazzo non ricordava nessun pezzo.
Quando poi andarono via, Wendy si trattenne un po' sulla porta con lui.
<< Grazie per avermi invitata ad entrare. Mi ha fatto piacere stare con voi >> 
<< Anche a me ha fatto piacere... >> ...stare con te, ma non lo disse << E grazie per la collana >>
<< Così adesso è questo quello che fate? Passate i vostri pomeriggi a fumare? >> chiese divertita.
<< Lo sai che siamo cattivi ragazzi >> scherzò Stan.
<< Mi sono divertita con voi cattivi ragazzi >>
<< Già l'hai detto >> le fece notare Stan. Perché si stesse trattenendo a parlare, Stan non lo sapeva, ma non riusciva a fare a meno di farglielo notare, nonostante neanche lui volesse che lei andasse via.
Wendy annuì << Allora ci vediamo >> disse, impacciata, voltandosi. Poi dovette ripensarci, perché si voltò verso di lui, e aggiunse: << Sai, se... ti stai sentendo con Red, va bene... Non devi avere paura di dirmelo. Possiamo essere amici >>
Stan abbassò lo sguardo ed ingioiò l'amarezza.
<< Ok. Se le cose si evolvono sarai la prima a saperlo >> ribatté, alzando finalmente lo sguardo su di lei.
Wendy annuì, poi fece dietrofront, e si lasciarono, entrambi nascosti dietro delle evidenti bugie. 

Adesso chi mi leva più Mambo Number 5 dalla testa, sigh

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Capitolo 37
*** 00:07 ***


Un capitolo all'insegna del "ma povero Stan" e poi cose cuccioline, uscite fuori più cuccioline di quanto inteso. Fatemi sapere cosa ne pensate, un abbraccio <3

 


37. 00:07


<< Come sta Clyde? >> aveva chiesto Stan a Token, approfittando del fatto che avessero fatto gruppo davanti alla scuola prima dell'inizio delle lezioni.
<< Bene, credo che lo dimetteranno a breve >> rispose il ragazzo, intento a prepararsi una sigaretta.
<< Quel pazzoide l'ha davvero conciato per le feste, eh? >> buttò lì Cartman.
<< Stai zitto, grassone! >> lo redarguì stizzito Kyle, con un'occhiata.
Si trovavano appoggiati al muretto di ingresso, insieme a Butters, Jimmy e Kenny, che se ne stava assorto a smanettare sul suo cellulare, sicuramente parlando con qualche ragazza.
<< Che c'è? Non si può neanche più parlare adesso? >>
<< L-l-lo cacceranno d-dalla scuo-scuola? M-mi dispiacerebbe >> ammise Jimmy.
<< Certo che lo cacceranno, lo devono fare! >> affermò con più vigore Cartman.
<< Aaaarr >> si lamentò Stan esasperato, afferrandosi la base del naso con le dita. Trovava davvero stupido e irritante che il culone insistesse su questa storia. L'idea che Tweek venisse espulso gli faceva rimescolare le budella dalla nausea, e non sapeva dire perché; perché avesse questo senso di colpa.
<< Q-quello che n-non ca-ca-capisco, è c-come C-Craig a-abbia potu-tuto p-passarci sopra. H-ho c-capito bene? C-c'è qualcosa, fra di loro? >> chiese Jimmy con un'espressione fra l'incredula e la preoccupata.
Stan abbassò la testa, non voleva essere lui a rispondere. D'altronde lui avrebbe dovuto cadere dalle nuvole come tutti gli altri, dato che nessuno sapeva cosa fosse effettivamente successo.
<< Davvero?! >> chiese Butters scioccato, essendo probabilmente l'unico a non esserci arrivato.
Token, a differenza di Stan, aveva preso a guardare Jimmy mentre rimetteva a posto nella sua cartella tabacco e cartine. Una volta che ebbe fatto, si risolse a rispondere << Bèh, sì, a quanto pare >>
<< E non ti fa incazzare? >> cercò di istigarlo Cartman.
<< Certo che mi fa incazzare >> ammise senza remore Token << Ma è la loro vita, fanno quello che cazzo vogliono >>
<< Clyde lo sa? >> chiese piano Kyle, e l'attenzione di Token calamitò su di lui.
<< Sì, deve averlo capito, anche se fa finta di niente >> rispose, accendendosi finalmente la sigaretta.
Stan sentì un nodo stringersi allo stomaco. E pensare che era tutta colpa sua, perché, se l'avesse tenuto nelle mutande, tutto ciò non sarebbe successo. Poi c'era l'altra parte di sé, che invece imputava a Craig tutta la colpa, ma forse la verità era nel mezzo. Se entrambi non avessero fatto i cazzoni, forse sarebbe finito tutto in modo differente. Differente, punto. Nel bene e nel male.
<< Ma è vero? >> sentirono chiedere all'improvviso. Stan alzò lo sguardo solo per vedere Kevin Stoley che veniva verso di loro con un sorriso eccitato.
Dovette ricevere una serie di occhiate interrogative, perché specificò: << Craig è frocio? >>
<< Attento a come parli >> lo ammonì Token.
<< Ma è vero? >> insistette Kevin.
<< Guarda che anche se fosse vero non puoi permetterti comunque di fare il cazzone con lui >> lo avvisò Kenny, finalmente alzando lo sguardo dal cellulare.
<< Ma quindi è vero! Gesù, ed io che credevo se lo fossero inventato! >>
Quindi la voce si era già diffusa.
Stan provò un'improvvisa angoscia. E se fosse uscito fuori anche il suo nome? Craig e Tweek avrebbero fatto il suo nome con qualcuno? Non avrebbe voluto fare coming-out in quel modo. E poi, quale coming-out?
Fu in quel momento che vide Craig e Tweek avvicinarsi alla scuola. Il primo aveva il braccio intorno alle spalle del secondo, ed era inevitabile che passassero dinanzi al gruppo. Infatti tutti si accorsero della loro presenza.
Tweek abbassò la testa, imbarazzato, facendo finta di non vederli. Gli occhi di Craig, invece, si incontrarono con quelli infastiditi di Token, che a quanto pare aveva tutta l'intenzione di ignorare, infatti voltò lo sguardo in maniera altezzosa, solo per scontrarsi casualmente con lo sguardo di Stan.
Stan notò qualcosa cambiare, nel suo volto, anche se non seppe dire esattamente cosa, anche perché Craig aveva distolto lo sguardo quasi subito, come se si rifiutasse di guardarlo.
Non che si aspettasse altro, comunque. Craig stava cercando di farsi una vita, e tutto ciò era inevitabile.
Quando si decisero ad entrare, il gruppo si diradò, e Stan si ritrovò a camminare solo per i corridoi. Vide Tweek vicino al suo armadietto, che cercava di infilarci dentro quanti più libri possibili, mentre questi gli scivolavano dalle mani per il peso.
Prese un gran respiro e si avvicinò piano, asciugandosi il sudore dei palmi sui jeans.
<< Tweek >> lo chiamò.
Il ragazzo si voltò verso di lui spalancando gli occhi verdi, ma Stan poté avvertire una certa ostilità, considerando come erano corrucciate le sue sopracciglia.
<< Che cosa vuoi? >> chiese Tweek, distogliendo lo sguardo e concentrandosi nella sua missione di domazione di libri. 
<< Mi dispiace per quello che è successo >> disse, mortificato, tutto d'un fiato << Non volevo che capitasse tutto questo; io non sapevo nulla, di te. Avrei lasciato perdere, se lo avessi saputo >>
Tweek iniziò a tremare, mentre posava con violenza uno dei libri dentro.
<< Bèh, gah! Q-questo cosa cambia? >>
Stan si accigliò << Cosa? Ti sto facendo le mie scuse! >>
<< No, tu ti stai giustificando >> lo guardò, finalmente, il tremito che si notava anche dai suoi occhi << S-stai dicendo che è tutta colpa di Craig, e n-non c'è bisogno che tu mi ricordi che ha fatto il doppio gioco con entrambi! >>
<< Tweek >> lo chiamò, duro, a metà tra la voglia di calmarlo e di farlo ragionare. Non pensava che Tweek potesse assumere un atteggiamento del genere, e gli stava dando sui nervi, dal momento che era andato da lui -il ragazzo per cui Craig lo aveva scaricato!-, con tutta l'umiltà del mondo << Sono venuto a scusarmi proprio perché credo che sia anche colpa mia! Non potevo sapere quello che stava succedendo tra te e Craig, ma sono venuto a dirti quello che so. Craig mi ha detto che stavate uscendo da due settimane, insieme, e devi sapere che in quelle due settimane non mi ha cercato neanche una volta, ed anzi, sono stato io a cercare lui, ripetutamente. Era un periodo di merda e mi sono concesso di fare lo stronzo con lui, anche se sapevo che non voleva vedermi. Volevo solo dirti questo. Perché penso sia giusto che tu lo sappia >>
Tweek lo guardò per tutto il tempo del suo sproloquio, poi si prese un po' di tempo per pensare.
<< Quindi, quante volte vi siete visti du -ngh!- durante quelle settimane? >>
Stan fu preso alla sprovvista, per un attimo << Questo... penso che dovresti chiederlo a lui >> 
Non voleva parlare troppo, dire cose che Craig non avrebbe voluto dire o aprire inutili ferite in Tweek. Lui voleva solo scusarsi, non peggiorare le cose.
<< Molte? >> chiese Tweek con un fil di voce, tanto che Stan poté quasi sentire il groppo che si era formato nella gola dell'altro. 
Si sentì male, non voleva che piangesse, e si pentì immediatamente di essere venuto a parlargli.
<< Una! >> lo informò, precipitoso << È stata colpa mia, ero sconvolto e sono andato da lui. Craig voleva solo aiutarmi... >> 
Non sapeva neanche cosa stesse dicendo. Gli sembrava che ogni parola acquistasse sempre più velocità fino a diventare una valanga pericolosa.
<< Avete fatto sesso? >> chiese Tweek, guardandolo negli occhi, quasi come a sfidarlo.
Stan stava per ribattere un no secco, ma non voleva mentirgli << Penso proprio che dovresti parlarne con Craig... >> disse solo, con un fil di voce.
Tweek distolse il suo sguardo lucido, e annuì << Ho capito >>
Stan si sentì sprofondare. 
<< Io credo che Craig impazzisca per te, quindi voglio solo che tu sappia che non ho intenzione di mettermi fra di voi... >> cercò di rimediare << ...ed anzi, voglio continuare ad essere tuo amico, perché ci tengo, e penso che non valga la pena rovinare il nostro rapporto per qualcosa che né io e né Craig ritenevamo importante >>
Tweek non rispose, continuò ad annuire debolmente, guardando di nuovo i suoi libri.
<< Quindi... siamo a posto? >> domandò Stan, per esserne sicuro, mentre lo sconforto lo assaliva.
Tweek annuì senza convinzione.
<< Che cazzo vuoi? >> si intromise una voce aggressiva.
Stan alzò gli occhi su Craig, che si era appena affiancato a Tweek, allibito. Non lo aveva visto arrivare. Da dove era sbucato fuori?
Craig afferrò Tweek per la manica della camicia, tirandolo appena verso di lui in un gesto protettivo.
<< Gah! >>
Gli occhi di Craig erano affilati come una lama, e Stan sentì una sensazione opprimente sul petto, il cuore che gli batteva forte, probabilmente per la rabbia.
<< Assolutamente nulla. Ci vediamo, Tweek >> disse stizzito, passando oltre loro e urtando Craig con una spalla. Non lo fece apposta, era solo capitato che non avesse calcolato bene la distanza, ma Craig lo prese come un affronto personale.
<< 'Fanculo, Marsh! >> si sentì urlare dietro, quindi alzò in alto il dito medio.


Craig aveva avuto paura, quando aveva visto Stan così vicino a Tweek. Sapeva che fosse irrazionale, ma era stato più forte di lui. D'altronde non c'era nulla che Stan potesse dire che Tweek già non sapesse, no? Ma l'idea  asfissiante che Tweek potesse prenderla a male e sfociare di nuovo in una delle sue crisi, lo aveva fatto scattare sull'attenti. Tanto più che non sapeva con certezza se i suoi farmaci stessero già facendo effetto o meno; cosa che dubitava, comunque. 
Tweek adesso era la sua priorità; e per quanto fosse amaro trattare Stan in quel modo, non poteva che vederlo come una minaccia per la loro felicità. Ed era meglio così, alla fine. Meglio se le cose fossero tornate come prima.
Tweek gli aveva spiegato che Stan era solo venuto a scusarsi, e Craig aveva voluto crederci, nonostante il suo ragazzo apparisse notevolmente turbato.
Adesso però toccava a lui, cercare di chiarire la situazione con i suoi amici.
Sospirò un attimo, prima di entrare nella stanza d'ospedale. Aveva fatto in modo di essere lì il prima possibile, per non avere gli altri fra i piedi, ma a quanto pare Bebe era già al capezzale di Clyde.
Si guardarono tutti e tre stupiti.
<< Ehi, amico >> lo salutò Clyde.
Craig gli fece un cenno, poi guardò Bebe << Puoi lasciarci un attimo soli? >>
La ragazza guardò verso Clyde, che le fece un segno di assenso con la testa, poi si alzò dalla sedia su cui era seduta ed uscì dalla camera richiudendosi la porta alle spalle.
Craig si avvicinò al letto mentre Clyde si aggiustava meglio sui cuscini.
<< Come va? >> chiese Craig.
<< Bene. Non vedo l'ora di uscire da qui. Non vedo perché mi stanno trattenendo! Anche se mi hanno detto che nei prossimi giorni dovrebbero dimettermi... >> spiegò Clyde, ancora la testa bendata.
<< Ti fa male? >> domandò ancora, sentendosi incredibilmente in colpa per ciò che stava per fare.
<< Leggermente, di tanto in tanto... >>
Restarono per un attimo in silenzio.
<< A te come va? >> azzardò Clyde, forse già subodorando di cosa Craig volesse parlare. Del resto, Clyde doveva averne parlato con tutti meno che con lui.
Craig annuì, sperando bastasse << Quando sono venuto a dormire da te... >> esordì.
Ed entrambi si guardarono con cognizione; gli occhi castani di Clyde si erano fatti grandi e attenti, pronti ad ascoltare tutto ciò che Craig finalmente stava provando a dirgli.
Craig inspirò profondamente, prima di continuare: << ...non stavo parlando di Tricia... >>
Clyde non disse nulla, continuò solo a guardarlo.
<< ...stavo parlando di me... >> ammise.
<< Lo immaginavo >> disse solo Clyde, incoraggiandolo con un piccolo sorriso.
Craig sentì le mani tremare, e per questo le nascose nei jeans << Il ragazzo... di cui ti ho parlato... >>
<< Quello speciale? >> domandò Clyde, anche se la sua domanda aveva un che di retorico.
Craig annuì << È Tweek >> disse finalmente.
Clyde non parve per nulla sorpreso << Allora è vero, vi siete messi insieme? >>
<< Mi dispiace, Clyde... >>
<< Bèh, comunque già lo sapevo >> disse con un sorrisetto ironico << Quindi, chi era l'altro? >>
Craig scrollò le spalle << Che importanza ha? >>
<< Penso che sia il minimo soddisfare la mia curiosità, no? Voglio dire, il tuo innamorato mi ha quasi spaccato la testa >> ridacchiò, ma Craig non lo trovò per nulla divertente.
Lottò un po' con se stesso per capire se dargli o meno altre informazioni. Non voleva fare nomi, ma si rendeva conto di essere perfettamente ridicolo a chiedere a Clyde di perdonarlo in nome dell'amicizia senza trattarlo da amico.
<< Non lo devi dire a nessuno >> si raccomandò << Stan >>
Clyde strabuzzò gli occhi, mettendo su un'espressione impagabile.
<< Quel Stan? >>
Craig annuì.
<< Ok, questa storia sta diventando sempre più surreale >> contemplò.
Craig rivolse lo sguardo al pavimento << È colpa mia, tutto ciò che è successo >> gli confessò.
Quando Craig si decise ad alzare lo sguardo, si rese conto che Clyde lo stava guardando senza comprenderlo appieno.
<< Tweek ha dato di matto per colpa mia... e di Stan >>
Clyde annuì piano, sconcertato, come se volesse far entrare a forza le informazioni nella sua testa.
<< Ci ha... visti insieme >>
Ci fu un attimo di silenzio.
<< Non ti chiedo di non avercela con lui, né con me, perché avresti tutte le ragioni del mondo, ma Tweek non sapeva quello che faceva, soffre di un disturbo... >>
<< Lo so >> tagliò corto Clyde << Bebe mi ha detto tutto >>
Allora Craig ricordò che Bebe conosceva Tweek da molto prima di lui, e che era sicuramente a conoscenza di ciò che era successo con Cartman.
<< È così importante, per te? >> chiese allora Clyde, puntando gli occhi diritti nei suoi.
Craig annuì << Sì... non sono mai stato così sicuro in tutta la mia vita... >>
Poi continuò, davanti allo sguardo compassionevole di Clyde: << E potrai anche non crederci, ma lui sta male per questo. Sta soffrendo un sacco, sia per quello che ti ha fatto che per se stesso. È terrorizzato e tutti lo stanno trattando con diffidenza. Ha paura che se tu decidessi di fargli causa potrebbe tornare in clinica... Ed è davvero spaventato da questa cosa... >>
Craig si chiese se suonasse troppo presuntuoso, quello che stava dicendo.
Clyde scrutò il volto di Craig per cercare di capire. << Sei preoccupato che gli faccia causa, è questo? >> chiese, e nelle sue parole non c'era traccia di indignazione né di accusa, solo forse appena un po' di sorpresa.
Craig scrollò le spalle << Vorrei solo sapere cosa hai intenzione di fare >>
<< Non farò causa a Tweek. Lo sai, non possiamo permetterci una causa, e comunque per me non ha senso >> rispose Clyde, convinto.
Craig si sentì immediatamente sollevato, ed annuì ancora una volta.
<< Lo sai? È bello vedere che sei così legato a qualcuno >> constatò Clyde, fuori dal nulla, sorridendogli << Riesco a vedere un po' del vecchio Craig. E ne sono felice >> gli sorrise.
Craig trovava sempre le uscite di Clyde troppo smielate, per un ragazzo cresciuto come lui, ma la debole ombra di un sorriso apparve anche sul suo viso.
<< Pensi di riuscire ad incontrarlo, ora? >>
<< Tweek, dici? >> domandò Clyde, disorientato.
Craig annuì ancora << È qui. Fuori. Voleva chiederti scusa, ma non devi incontrarlo per forza, se non vuoi... >> 
Craig pensò per un attimo al ragazzo biondo che doveva stare a tormentarsi nei corridoi, da solo, aspettando che lui uscisse dalla stanza d'ospedale, e si augurò che stesse bene.
Clyde scosse le spalle << Sì, cioè, voglio dire, credo che prima o poi dovrà succedere, no? Dal momento che è il tuo ragazzo... >>
Craig annuì sollevato, poi uscì a chiamare Tweek, che era tutto un fascio di nervi.
Non appena Tweek entrò nella stanza, gli occhi suoi e di Clyde si incontrarono.
<< Mm-ngh! >> si lasciò scappare, mentre si tormentava le maniche. 
Craig avrebbe giurato che, se non fosse risultato ridicolo, Tweek sarebbe volentieri scappato via.
<< C-Clyde >> chiamò timidamente, mentre indeciso avanzava verso l'interno.
Craig aveva dovuto rassicurarlo sul fatto che Clyde non lo odiasse, e che avesse acconsentito a vederlo, prima che Tweek si decidesse ad entrare nella stanza.
<< Schizzato >> lo apostrofò Clyde, ma non c'era traccia di presa in giro nella sua voce, ed anzi, fu un'uscita atta a smorzare la tensione.
<< M-mi dispiace! Mi dispiace tantissimo, Clyde... >> disse, con la voce tremula e gli occhi lucidi, un verde allagato nel mare.
<< Per cosa? Se avessi saputo che eri così forte, stai ben sicuro che adesso ci saresti tu, qui! >> scherzò.
Tweek si asciugò entrambi gli occhi col polso, mentre l'altra mano era piantata a stringere la camicia che portava all'altezza del petto.
Clyde ridacchiò << Non piangere. Che figura ci faccio ad essere stato picchiato da una femminuccia del genere? >>
<< N-non scherzare... avrebbe potuto finire male. Ngh! N-non avrei mai potuto perdonarmelo... >> la sua voce si assottigliò mentre Tweek inspirava su un altro singulto << N-non merito il tuo perdono, Clyde! M-ma sono felice, che tu stia bene! >> piagnucolò alla fine, non riuscendo più a trattenere le lacrime, singhiozzando senza pudore, con il viso nascosto in un braccio.
<< Non fa nulla, davvero Tweek, so che non è colpa tua... >> cercò di rassicurarlo Clyde, mortificato << Pensa solo che le ragazze saranno un sacco carine con me >>
<< Poi chi la sente, Bebe... >> commentò Craig in tono divertito, scambiandosi un'occhiata goliardica con Clyde.
Stava semplicemente cercando di allegerire l'atmosfera, così come aveva tentato di fare il suo amico, e fare smettere di piangere Tweek senza il contatto fisico, che avrebbe potuto risultare umiliante, per Tweek, in quella situazione.
Lentamente, il ragazzo riuscì a ricomporsi e a ritornare a guardare Clyde.
<< H-hai comunque tutto il diritto, di odiarmi... >> accordò.
<< Io non ti odio. A meno che tu non voglia fare lo stronzo con Craig, perché in tal caso ti odierei >>
Craig sentì appena un po' di calore risalirgli sulle guance, ma non disse nulla.
<< N-non voglio fare lo stronzo con Craig, a meno che Craig non voglia fare lo stronzo con me >> affermò, deciso.
<< Ooooh! >> esclamò Clyde, divertito, facendo una muta risata in faccia a Craig.
Craig incrociò le braccia e sorrise divertito anche lui, scuotendo leggermente le spalle. Non poteva farci niente, alla fine, si era già comportato da stronzo e Tweek aveva tutto il diritto di rinfacciarglielo.
<< Sono sicuro che si comporterà bene, vero, Craig? >> Clyde gli rivolse un'occhiata che pareva di raccomandazione, e Craig vide anche Tweek voltarsi verso di lui per osservarlo, un piccolo sorriso in volto, che lo fece sentire sollevato.
Annuì davanti allo sguardo del suo ragazzo << Parola di scout >> disse ancora, e Tweek sbuffò una risata, ricordando, probabilmente, le battute che si erano scambiati la sera in cui l'aveva accompagnato a casa per la prima volta.

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Capitolo 38
*** 00:08 ***



Finalmente, finalmente ce l'ho fatta! T_T Mi scuso tantissimo per il ritardo, ma tra vacanze ed esami, ce n'è voluto per ingranare di nuovo la marcia! 
Questo capitolo è molto fluff, e sono abbastanza soddisfatta, ma forse semplicemente perché non avevo particolari pretese xD Spero che piaccia anche a voi! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Voglio ricordarvi che dopo questo ci sarà un altro capitolo e poi l'epilogo. In realtà ero indecisa se inserire anche un altro capitolo, ma forse lo inserirò come special alla fine, dato che non è proprio indispensabile per il finale. Detto ciò, vi lascio alla lettura!

38. 00:08


Era una piacevole giornata. Ormai erano trascorse quasi tre settimane dal suo compleanno, e da allora Stan non aveva passato neanche un giorno senza provare ad entrare di nuovo in confidenza con la sua chitarra. Lo considerava un ottimo modo per ammazzare il tempo, quando era da solo, soprattutto quando non c'erano i suoi amici, le sedute o gli allenamenti a tenergli la testa occupata. Aveva provato ad imparare a suonare delle canzoni allegre, per non deprimersi, ma non ce n'era stato verso. D’altronde non è che ne conoscesse molte, di canzoni allegre, dal momento che Stan era ormai comprovato essere un depresso cronico, e i suoi gusti non erano neanche maturati da quando aveva smesso di uscire con i ragazzi goth. Nel suo repertorio, quindi, c'erano solo canzoni sconfinatamente tristi o lamentosamente rabbiose. Ed era venuto a patti con la cosa.
Così, per cercare di sfuggire alla noia, era sceso di casa molto tempo prima rispetto all'orario che aveva concordato con Kyle e gli altri, volendone approfittare per suonare un po' all'aria aperta. Cartman aveva avuto l'idea di organizzare una partita al campetto di basket del parco, il che suonava davvero strano, dato che a suo dire dovesse essere una specie di occasione per celebrare l'essere ancora vivo di Clyde. Gentile, da parte sua, se non fosse che avevano già abbondantemente festeggiato il ritorno a scuola del ragazzo da Skeeter e che il grassone si fosse premurato di non invitare Tweek e Craig al campetto. Quindi, probabilmente, il suo doveva essere solo un tentativo di discriminazione nei confronti degli ormai meno popolari del gruppo, ma a tutti era piaciuta comunque l'idea e quindi avevano tutti accettato volentieri.
Stan era abbastanza sicuro che Clyde avesse comunque invitato Craig e Tweek, ma, in ogni caso, i due si stavano tenendo a distanza dagli altri, fin troppo circospetti per rendersi conto che di loro e della colpa di Tweek non fregava niente a nessuno, se non ad Eric. Tutti però, a quanto pareva, avevano tacitamente deciso di dare loro spazio, non esercitando sui due nessuna pressione, lasciando loro i propri tempi. Quindi nessuno aveva insistito con loro perché andassero.
Stan si aggiustò meglio addosso la tracolla della custodia della sua chitarra, sistemandola sotto al ciondolo che gli aveva regalato Wendy. Lo aveva indossato con un certo orgoglio, soprattutto quando scorgeva Gregory nei corridoi. E Wendy era felice che lui lo portasse, poteva dirlo dall’espressione soddisfatta che le contrassegnava il viso ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui. Stan sapeva che fosse stupido essere contento di questo, ma al momento voleva godersi la sensazione gratificante di essere nei pensieri di lei prima che la scomoda realtà che comunque non sarebbe cambiato niente gli precipitasse addosso. Non era neanche stato capace di portare avanti una farsa con Red, nonostante inizialmente avesse pensato che potesse rivelarsi una buona strategia per cavare fuori una reazione da Wendy. Ma era stupido, inutile, e a Stan proprio non piaceva giocare intenzionalmente coi sentimenti delle persone; si sentiva assalire dal mal di stomaco al solo pensiero. Sempre che Red effettivamente pensasse di lui quello che Kenny credeva, perché su questo non c'erano prove certe e Stan non si era neanche premurato di scoprirlo.
Quando giunse al parco, cercò di individuare una panchina libera; un'impresa, dati i bambini che disturbavano la sua visuale rincorrendosi e sghignazzando.
Intercettò la figura di Butters seduta giù in fondo, e si sorprese di trovarlo già lì, anche se non gli dispiacque affatto, a dire il vero, dal momento che, ultimamente, stavano interagendo davvero poco fra di loro. Stan si rendeva conto che con Butters aveva davvero poco in comune, e l'ingenuità del ragazzo a volte lo lasciava davvero basito. Insomma, non erano sulla stessa lunghezza d'onda; eppure, era ben consapevole che Butters non fosse stupido, e che, anzi, spesso e volentieri, quando avevano parlato, avevano affrontato insieme degli argomenti anche più profondi di quelli che magari toccava con Kyle, o con Kenny. Butters sembrava essere più maturo rispetto a tutti loro, forse perché più sensibile, e Stan era, in un certo qual modo, intimorito da ciò. Ecco perché alla fine non erano così stretti, loro due, nonostante Stan lo considerasse per proprietà transitiva uno dei suoi migliori amici. Fece per chiamare forte il suo nome quando si accorse che il ragazzo aveva la testa bassa, intento a guardare qualcosa sulle sue ginocchia. Fece un altro passo verso di lui prima che lo vedesse sollevare una mano per asciugarsi una guancia. Stava piangendo.
Che cazzo? Butters era sempre stato troppo sensibile, e non era la prima volta che lo vedeva piangere. Solo che era strano, trovarlo lì, da solo, in mezzo al parco, a piangere su quella che sembrava una fotografia.
Stan si avvicinò deciso.
<< Ehi Butters, che succede? >> chiese preoccupato, sedendosi accanto a lui.
Butters tirò su col naso, guardandolo.
<< Ehi Stan >> lo accolse, rivolgendogli un debole sorriso. Aveva il volto e gli occhi arrossati e le ciglia bionde umide.
Stan lanciò un'occhiata alla foto, e si accorse che fosse di una ragazza. La riconobbe. Era stata per un po' nella loro scuola, poi era ritornata nel suo paese, in Canada. Gli sovvenne che era stata la ragazza di Butters, seppure tra di loro era durata poco, dal momento che lei si era trasferita.
<< Amico, perché piangi? >> domandò, a disagio.
<< Oh. Io e Charlotte ci siamo lasciati >> lo informò Butters, un sorriso triste in volto.
Oh.
<< Non sapevo che stessi continuando a sentirla >> diede voce ai suoi pensieri. In quel momento, si sentì davvero un pessimo amico, ma davvero era sicuro di non averla mai sentita nominare, da Butters. Quanto tempo era che lei se ne era andata? Due, tre anni?
<< Be’, sì, videochattavamo ogni sera >> spiegò l'altro, continuando a guardare il volto pulito e sorridente di Charlotte, dalla foto << Però, ecco, è difficile mantenere una relazione a distanza. E alla fine lei ha deciso di finirla >> la sua voce era sottile come al solito, né arrabbiata né sconsolata, solo rassegnata e appena triste. Sospirò.
<< Mi dispiace tantissimo >> disse Stan, e non sapendo cos'altro dire, gli appoggiò lievemente la mano sulla spalla << Fa schifo, lo so >>
Butters si sforzò di ridacchiare << Già. Chi meglio di te, può dirlo? >> sorrise.
<< Non ti fa sentire come se avessi voglia di dare fuoco al mondo? Stare lì e veder bruciare tutto. Così che nessuno possa più ignorarti, o essere felice senza di te? >>
Si sorprese nel momento stesso che finì di parlare. Non sapeva neanche di sentirsi così, o di essersi sentito così, e adesso che vi dava voce si rendeva conto di quanto quel sentimento fosse maledettamente vero, per lui. Infantile. Se ne vergognava.
<< Insomma… quello e… volerti nascondere da tutto e da tutti, restare a deprimerti tutto il giorno… >>
Era come se avesse cercato qualcuno che potesse capirlo per tutto quel tempo, e adesso che Butters era nella sua stessa situazione, Stan voleva parlarne. Confrontarsi. O solo tentare di far sentire l’altro meno solo, comunicandogli che lui lo capiva.
Butters invece scosse la testa << No… è… questo è stupido >> disse.
Stan si sentì pizzicare nell’orgoglio. Sapeva che fosse stupido. Ma si sentiva anche legittimato, nel suo vittimismo, ad essere stupido.
<< Cioè, voglio dire… >> continuò Butters, passandosi un pugno sugli occhi, per scacciare via la sensazione umida << …è vero, fa veramente schifo, però fa parte della vita. Esistono le cose brutte come esistono le cose belle. Uno può essere triste per un po’, ma poi passa, e puoi essere di nuovo felice >> sorrise, con quel sorriso tenero che gli apparteneva.
Era davvero una visione ingenua, per Stan, eppure era così semplice da suonare quasi naturale.
<< Questo in linea teorica, ma non è che uno può controllare il dolore >> rispose, rabbuiato.
<< Però uno può decidere se fissarsi su una cosa o meno. Cosa ci resta, se non la possibilità di decidere per noi stessi? >>
Stan fu colpito. Restò per un attimo a riflettere su quelle parole e lasciò lo sguardo vagare sul parchetto.
<< Secondo me bisogna mettere dei paletti >> continuò Butters << Dire: “io da qui ci metto una pietra sopra, e ricomincio da capo” >> fece anche un gesto buffo con la mano come se effettivamente stesse mettendo una pietra sopra a qualcosa << Perché se non chiudi una porta non puoi mai aprirne altre. Devi avere tu il coraggio di lasciare andare. Io oggi sto piangendo, ma ho già deciso che da domani non lo farò più >> sorrise speranzoso guardando il cielo << Sarà una nuova vita, e potrebbe capitarmi qualcosa di bello >>
Era più o meno ciò che gli aveva detto sua madre, pensò Stan. Ma la parte di poter essere artefice del proprio destino gli era risultata più chiara, stavolta, e gli rimase impressa.
<< È la tua chitarra, quella? >>
Stan fu come risvegliato dalla trance, ed annuì, sistemandosi meglio la custodia sulle ginocchia.
<< Hai già imparato qualche canzone? >> chiese Butters, pieno di interesse.
<< Hmm, sì, qualcuna >> ammise, imbarazzato.
<< Posso sentire? >>
Stan annuì, poi tirò fuori la chitarra, e si mise a suonare l’unica canzone che aveva imparato, e che gli ricordava così tanto di Wendy, e di Craig.
Quando la luna colpisce la tua pelle, posso vedere te e lui, non tu ed io, diceva la canzone. Aveva ancora un sapore amaro, ma questa volta, mentre la suonava, riuscì a cogliere una dolcezza di sottofondo.
Butters non parve far caso a quanto quella canzone si addicesse alla situazione di Stan, oppure non lo puntualizzò, e disse soltanto che la trovava bella.
E Stan seppe che era arrivato il momento che anche lui fosse padrone della propria sorte.
 
 
Il freddo iniziava a farsi sentire, a South Park. Occasionali nevicate lasciavano i vialetti imbiancati senza che la neve riuscisse mai a sciogliersi. A Tweek la neve non piaceva molto, soprattutto quando si accumulava ai piedi delle strade e non nevicava per un paio di giorni e quindi iniziava a diventare nera per lo sporco degli stivali delle persone. Era davvero disgustoso, e imbruttiva il paesaggio. Però l’aria fresca era rinvigorente, specialmente se la giornata era limpida e il Sole riusciva a riscaldare un po’ la pelle.
Quell’anno, la neve lo lasciò meno scontento, dato che dentro di lui stava crescendo un altro tipo di calore.
Lui e Craig erano stati al Monet per un appuntamento, e adesso stavano camminando per strada tutti imbacuccati nei loro indumenti, diretti a casa sua.
Nuvole di condensa fuoriuscivano dalla bocca di Craig ogni volta che respirava, le mani infilate nel giubbotto e l’espressione infastidita per il freddo. Tweek lo osservò di sottecchi, sentendo un sentimento caldo affiorare nel suo petto. Si sentiva fortunato, nonostante tutto, di poter camminare al fianco di Craig quel giorno, e il giorno prima, e il giorno dopo, o qualsiasi altro giorno. La loro relazione era ricominciata piano, da zero, ma non era passato un giorno da quando si erano riappacificati senza che si fossero visti. E questa era solo la seconda volta che Tweek lo invitava a casa sua, perché fino a poco prima aveva avuto paura di fare il cosiddetto passo più lungo della gamba; solo che adesso era tranquillo: ormai loro due erano scivolati in una routine confortevole, senza più scudi o remore nel toccarsi, o nel mostrarsi affetto, così come era successo nei primi giorni, quando ancora c’era il disagio dell’intera situazione.
Entrarono nel Tweek Bros. quasi benedicendo il caldo del locale.
<< Bentornati a casa, ragazzi >> li accolse sua madre, al che Tweek rispose solo emettendo un suono simile ad uno starnazzo. Craig invece, fece un cenno con la testa alla signora Tweak, poi seguì Tweek su per le scale fino al suo appartamento.
Il soggiorno era silenzioso, come sempre, ma i riscaldamenti accesi rendevano il tutto più accogliente. Appena raggiunsero le scale per salire al piano superiore, dov’era la camera di Tweek, Craig si affrettò nel passo per sporgere la mano verso quella dell’altro, dinanzi a lui, e stringergliela. Le dita nude ed infreddolite di Craig si allacciarono a quelle coperte dai guanti di Tweek, perché, nonostante Craig gli avesse regalato un paio di guanti quasi un mese addietro, Tweek continuava a dimenticarli, e quindi lui finiva sempre per cedergli i guanti che indossava. Tweek gli strinse le dita, in un gesto intimo e affettuoso, e il sollievo che Craig sentì fu immediato.
Entrati in camera, si tolsero le sciarpe e i cappotti.
<< A-accidenti, che freddo >> commentò Tweek, stringendosi per un attimo con le braccia, prima di doversi parare la bocca per colpa di uno starnuto.
<< Ehi, piccolo, tutto bene? >> domandò Craig, avvicinandosi e prendendogli il viso fra le mani, che ovviamente erano gelate, e Tweek sapeva che lo aveva fatto apposta, come forma di ripicca, anche se ciò non toglieva nulla al tono vellutato e affettuoso della sua voce.
<< Ngh! Sì, anche se credo che sto per beccarmi un raffreddore >> lo avvisò; al che, Craig gli passò un braccio intorno alle spalle e lo strinse contro di sé, cercando al contempo di riscaldargli una spalla con la mano.
<< Allora sarà meglio per me starti lontano >>
Tweek si voltò verso di lui, giusto in tempo per scorgergli in volto un sorriso machiavellico. Così vicini, i suoi occhi erano all’altezza delle labbra di Craig.
Tweek sorrise sornione << Se ci riesci… >> lo tediò, con voce sensuale.
Il sorriso di Craig si allargò, e così quello di Tweek, di conseguenza, e si incontrarono a metà strada per un bacio pieno e umido.
<< C-cosa ti va di fare? >> chiese Tweek. Per lui era sempre stato un problema avere persone a casa sua, perché andava in ansia a pensare che si sarebbero annoiate, che non riuscisse a far fare loro niente che considerassero divertente. Invece con Craig non era mai successo. Craig lo calmava, e, soprattutto, Tweek sapeva che tutto ciò che l’altro voleva era stare con lui, solo questo. Poco importava a fare cosa.
Craig scrollò le spalle, laconico come al solito.
<< Vogliamo vedere un film? >> propose Tweek. Neanche lui ne aveva una gran voglia, ma quando erano da Craig, ogni volta che vedevano un film, si accoccolavano sul letto abbracciati. E fuori faceva freddo, quindi era ciò che Tweek voleva fare, e poco importava che fosse stupido avere il pretesto del film.
Craig annuì, accondiscendente << Hai ancora Interstellar? >>
Questa volta fu il turno di Tweek di annuire. L’unica altra volta che Craig era stato da lui, aveva portato il blu-ray del film perché lo guardassero insieme. Craig era un grande appassionato di fantascienza e di spazio e voleva che Tweek si appassionasse anche lui, così ne aveva fatto la sua missione. Però quel giorno avevano finito per parlare dei loro problemi e Craig aveva dimenticato il film a casa sua, ed ora probabilmente stava solo smaniando per riaverlo indietro.
Una volta messo il disco nel lettore, si sistemarono sul letto, stesi su un lato, con la schiena di Tweek contro il petto di Craig, che aveva un braccio sotto il suo collo e l’altra avvolto su di lui. Craig era caldo. Era caldo e Tweek si trovava perfettamente a suo agio fra le sue braccia. Non gli interessava del film, almeno non quanto della sensazione di calore che avvertiva alle sue spalle, perché avrebbe potuto anche morirci senza problemi.
Nonostante tutto, però, non riusciva a fare a meno di sentirsi in colpa. Da quando stavano insieme, Craig si era allontanato dagli altri, preferendo sempre la sua compagnia. Tweek gli era grato del fatto che volesse farlo sentire considerato, ma lui non voleva allontanarsi dagli altri e non voleva che lo facesse neanche Craig. Anche se avrebbe voluto dire avere a che fare con Stan, o con Token, o peggio ancora, con Cartman. Tweek si era posto in maniera difensiva nei confronti di tutti e tre, all’inizio, ma adesso stava considerando di abbassare la guardia, di aprirsi di più, per il suo bene e per quello di Craig. Era felice che almeno fra Craig e Token sembrava essersi stabilito un tacito accordo. I due non avevano parlato, ma Token aveva dimostrato di non essere intenzionato a tenergli il muso fin tanto che a Clyde andava bene la situazione. Così, piano piano, i due stavano ricominciando ad interagire normalmente. Questo, però, non aveva evitato che Tweek si sentisse a disagio in presenza di Token, anche se, a parte il fatto di aver quasi ucciso Clyde, Token sembrava non avere nulla di personale contro di lui, né lo aveva mai disprezzato né guardato male in alcun modo. Tweek sospettava che fosse troppo educato e di alto lignaggio, per fare questo.
Il suo treno di pensieri fu interrotto dalla mano di Craig che si intrecciò alla sua, davanti al suo petto. L’altro si sporse per baciargli piano una tempia, poi ancora la fronte, poi la guancia, andando su e giù con una serie di bacini caldi e teneri. Tweek chiuse gli occhi, e strinse la mano di Craig. Sorrise contento, pensando che questa avrebbe potuto diventare la sua cosa preferita.
E lo disse, anche.
<< Mi piace… >> affermò, flebile.
Sentì le labbra di Craig incurvarsi in un sorriso contro la sua tempia << Cosa? I baci? >>
Tweek annuì, non aprendo gli occhi.
<< Bene, perché ne ho un bel po’ >>
Tweek ridacchiò, mentre l’altro riprendeva a baciarlo. Poi Craig lo tirò indietro, portandolo a distendersi di schiena e a voltare il viso verso di lui.
<< Dio, sei bello quando ridi >>
Tweek si sentì arrossire, ma fissò i suoi occhi chiari in quelli adoranti dell’altro, e sorrise, sardonico << Be’, allora è un peccato che tu non sia poi così divertente >>
Craig, in tutta risposta, gli diede un pizzico su un fianco.
<< Ahia! >> si lamentò Tweek, ridendo allo sguardo ammonitore di Craig, che però non lo fermò dal continuare: << Forse avrei dovuto mettermi con Jimmy >>
Craig gli diede un altro pizzico, questa volta più forte, tanto da farlo sussultare, e Tweek non poté fare a meno di ridere di più, davanti al volto imbronciato dell’altro.
<< Non voglio che te ne vai >> disse d’improvviso Craig, con un tono serio estraneo alla situazione.
Tweek gli rivolse un sorriso triste << I -ngh! – n-non ci posso fare niente. La mamma di Cartman è andata a lamentarsi dal preside >>
<< È una puttana. E lui un ciccione di merda >>
<< Ma – gàh!- s-sarò solo ad una classe di distanza >>
<< Già, con quel coglione di Kevin e quel megalomane di Gregory. Sai che sfiga >>
Tweek ridacchiò. Dover cambiare classe e farsi altri amici gli metteva ansia, ma non voleva che Craig si preoccupasse per lui.
<< Sopravvivrò >> gli sorrise, e Craig non poté fare altro che sorridergli di rimando, mentre si abbandonava di nuovo sul cuscino << E… e poi ti vedrò ogni giorno a mensa e dopo scuola >> aggiunse rassicurante.
Craig gli prese una mano nella sua e la baciò << E nei bagni… >> aggiunse malizioso.
Tweek ruotò gli occhi, sorridendo << E nei bagni >> confermò. Dopodiché si avvicinarono per condividere un bacio più intimo.
Ci misero un bel po’ a dividersi, poi rimasero accoccolati in silenzio per un po’, ognuno perso nei propri pensieri.
<< Sai, Craig… >> esordì improvvisamente Tweek << Non… non ero sicuro di poter ri-ricominciare, due settimane fa… >>
Craig rimase chiuso in un silenzio carico di mortificazione.
<< …ma-ma adesso penso che non potrei stare lontano da te neanche se volessi… i-insomma, più stiamo insieme e più viene naturale… >> arrossì.
Craig parve pensarci su, poi disse: << “Bisogna essere molto pazienti” >>
<< Eh? >>
<< “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…” >>
Tweek sorrise confuso << Questo è il Piccolo Principe? >>
Craig annuì, col sorriso in volto, guardando il soffitto << Quando penso a noi, mi viene sempre in mente questa frase. È vero, abbiamo parlato, ma le parole non bastano, e io continuo a sperare che questi giorni ci avvicinino… anche se lentamente, non importa… >>
<< Craig… >>
<< Cioè, voglio dire, tu assomigli un sacco al Piccolo Principe, per questo mi è venuto in mente, tu sei il mio principe… >> si voltò verso di lui, imbarazzato dalle stesse parole che aveva rivelato per mascherare l’imbarazzo.
Tweek si schiarì la gola, divertito e imbarazzato anche lui << Craig, quello che volevo dire è… >> prese un lungo respiro << …che ti amo >>
Craig si sollevò appena con la testa dal cuscino e lo guardò con occhi sbarrati, increduli.
Tweek annuì << Ti amo >> confermò, temendo che non lo avesse sentito.
Craig rimase con la stessa espressione sulla faccia per un bel po’, solo che adesso era completamente seduto in mezzo al letto. Tweek si alzò a sedere anche lui, e gli sorrise, tenero. Allora gli occhi di Craig si addolcirono e un sorriso contento nacque sulle sue labbra.
<< Anch’io. Ti amo >> disse, e le sue parole uscirono in un sussurro, lente, come se lui stesso volesse assaporarle sulle labbra, mentre portava una mano sulla guancia di Tweek.
Craig non gliel’aveva più detto, da quella volta fuori scuola, da quando per la prima volta aveva confessato i suoi sentimenti. Forse per imbarazzo, o forse per non farlo sentire pressato, e adesso era anche più bello sentirselo dire, perché era reciproco, perché non c’era più rabbia, o colpa, ma solo affetto. Poi Craig si avvicinò per baciarlo, teneramente, stringendogli una mano, e Tweek gli accarezzò il viso, i capelli e il collo in un gesto d’affetto. Era bellissimo, ed era un miracolo che potesse sentirsi così felice nonostante le medicine che stava prendendo.
Craig era il suo miracolo, e Tweek avrebbe lottato con le unghie e con i denti per tenerselo stretto, decise.




La canzone che canta Stan, è Spotlight di Lil Peep. Vi consiglio di ascoltarla. Avrei voluto inserire più frasi, ma poi sarebbe risultato noioso alla lettura, quindi ho evitato.
Adesso, chi è pronto per un po' di Stendy? Perché ve lo beccherete tutto nel prossimo capitolo. "Parola di scout". 
A presto! ^^

 

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Capitolo 39
*** 00:09 ***


Sono passati secoli, ere, lo so, lo so benissimo. Ma ci stavo lavorando sopra. Ho dovuto dedicare tempo alla laurea, poi al lavoro, e non riuscivo a trovare la concentrazione necessaria. Diciamo che non tutte le quarantene vengono per nuocere. Essere costretti a casa, anche se non a lungo nel mio caso, mi ha dato la possibilità di pensare meglio a questa storia e perfezionare questo capitolo. Come promesso è un capitolo su Stan e Wendy. Scrivere dal punto di vista di Wendy per me è stato complicatissimo, e nell'ultima revisione ho cancellato tutte le parti inutili. Spero che il capitolo risulti abbastanza leggero. Credo che dopo questo ce ne sarà un altro ancora, e poi l'epilogo.
Sono contenta di essere ritornata e spero mi lascerete qualche recensione. Vedo anche con piacere che sul fandom ci sono nuove storie, questo mi rende felicissima e spero di riuscire a leggerne qualcuna nei prossimi giorni, anche se per adesso la priorotà è far fruttare questi giorni in casa per scrivere il prossimo capitolo, ora che ne ho il tempo e la voglia.
Vi lascio alla lettura!

 

39. 00:09

 

L’attenzione di Wendy vacillava. Era seduta sul divano del salotto di Gregory, con la sua testa appoggiata su una gamba e uno di quegli stupidi film storici che gli piaceva tanto guardare sullo schermo della tv. Wendy era aperta a tutto, davvero, ma dopo un po’ anche lei ne aveva abbastanza di storia e film d’autore. A volte avrebbe voluto semplicemente andare al cinema, come facevano tutte le sue amiche coi loro fidanzati, e guardare un ignorantissimo film sui supereroi. Insomma, qualcosa che le ricordasse di avere ancora diciassette anni. E invece Gregory no, perché a lui non interessavano. A lui piaceva il cinema straniero e la letteratura impegnata, gli spettacoli teatrali e l’opera. Tutte cose che a Wendy piaceva fare solo quando si sentiva particolarmente elevata di spirito, il che non capitava molto spesso. Specialmente perché le sue amiche erano tutte magazine e gossip, e be’, a Wendy piaceva condividere anche quel tipo di interessi, così come le piaceva anche discutere di football e film d’azione con il resto dei suoi amici maschi. Non che Gregory non l’avrebbe volentieri accompagnata a vedere film di supereroi, se Wendy gliel’avesse chiesto, ma dove sarebbe stata la parte divertente? Con chi avrebbe discusso il film, poi, dal momento che lui non conosceva nessun personaggio Marvel? Certi momenti sono spassosi solo se li condividi con le persone giuste.

Non voleva dire che Gregory non fosse giusto per lei, perché Wendy lo ammirava davvero, per i suoi ideali e per il modo in cui si impegnava a perseguirli. Gregory era bello, intelligente e raffinato, e Wendy con lui aveva un sacco di conversazioni interessanti. Era senza dubbio una presenza positiva nella sua vita, perché la spronava a dare sempre il meglio, ad essere sempre la versione migliore di sé, e Wendy riusciva ad amarsi davvero tanto, quando era con lui.
Eppure, se da un lato rispettava e stimava i suoi ideali, dall’altro le sembravano troppo asfissianti. Come il fatto che non volesse mai andare da Starbucks o al Walmart, perché a detta sua queste multinazionali rovinavano i piccoli commercianti; o peggio ancora: il fatto che odiasse con tutto il suo cuore il McDonald’s, tanto da non volervisi neanche avvicinare. Ecco, Wendy adorava gli hamburger. Lei capiva benissimo l'amore per gli animali, le lotte per dare loro delle condizioni dignitose e la rabbia contro i venditori spietati, ma per lei il McDonald’s era sempre stato un luogo di ritrovo tra amici, e vi teneva legati un sacco di bei ricordi. Gregory non vi si voleva accostare neanche per prendere l’insalata. Senza contare che fosse vegano, e ciò voleva dire niente gelati e milkshake, niente sushi e cucina orientale, niente di niente. E questo era il motivo per cui, a parte delle passeggiate noiose e al freddo che Wendy desiderava con tutto il cuore risparmiarsi, erano sempre chiusi in casa con dei film che le facevano davvero bramare di mettersi a sniffare la colla dalle proprie scarpe.

C’era poi un altro aspetto che Wendy cercava di ignorare, ma tornava a pungolarla a tradimento sempre: era il fatto che Gregory, seppure in modo alquanto velato, le facesse pesare di essere onnivora. A detta sua, rispettava le sue scelte e tutte quelle del resto del genere umano, ma c’era sempre un sentore di superiorità nei suoi discorsi in merito. Wendy cercava di minimizzare il fastidio che provava per la cosa, evidentemente senza successo.

Si stava scavando un buco nella guancia da sola, con il pugno della mano, appoggiata al bracciolo del divano. Non sapeva perché pensasse a queste cose; ultimamente, più del solito.

Grazie…” il volto di Stan che pronunciava queste parole, reggendo la catenina che lei gli aveva regalato, le apparve a tradimento nella mente, con i suoi occhi brucianti e tristi e speranzosi allo stesso tempo, e si ritrovò a trattenere il fiato. Non avrebbe dovuto provare queste cose, non era legittimo. Specialmente adesso che Stan stava cercando di rifarsi una vita, con Red o chicchessia. Sospirò internamente, con amarezza. Avrebbe dovuto essere sempre più facile, con il tempo, no? E allora perché faceva sempre più male?

Fu forse per una sorta di repulsione energetica che Gregory scelse proprio quel momento per alzarsi a sedere e sistemarsi dall’altra parte del divano. Si allungò verso i popcorn sul tavolino lì vicino e glieli porse.

<< Vuoi? >>

Wendy annuì, e si allungò a prenderne una manciata, poi entrambi si riconcentrarono sul film, mangiucchiando.

Aveva quasi dimenticato i suoi pensieri, quando il cellulare le vibrò nella tasca. Lo prese per dare una rapida occhiata, sicura che fosse Bebe, solo per controllare se si trattasse di una cosa che meritava davvero la sua attenzione e non semplicemente uno dei messaggi annoiati dell’amica.

Il nome che lesse, invece, la portò a fissare il cellulare per più di dieci secondi, incredula, e le provocò un vuoto allo stomaco.

Stan.

Era un SMS.

Sentì il cuore iniziare a batterle forte in petto, e lanciò una rapida occhiata a Gregory, come una ladra. Gregory non la stava guardando, e con dita tremanti aprì il messaggio.

 

Sono al parchetto della scuola elementare. Sarò qui per un’ora, ad aspettarti. Se non verrai considererò questa storia davvero chiusa, e ti prometto che non ti cercherò più.

 

Rilesse il messaggio una, due, tre volte. Sentì il cuore iniziare a battere ancora più forte, tanto che sentiva calore sulle guance e sulle orecchie. Uscì dal messaggio e cercò di non pensarci, di guardare il film, ma si sentiva agitata.

Lei già aveva preso una decisione. L’aveva presa ed era stato doloroso, e adesso Stan non poteva metterla di nuovo davanti alla stessa scelta.

Questa storia… come se tra loro ci fosse ancora qualcosa. Perché non c’era, era già tutto finito, giusto? Cosa c’era da delineare?

La testa le girava. Si sentiva ansiosa, si ritrovò a fissare l’orologio sulla parete dietro la tv, tra la paura e la speranza che quell’ora passasse presto.

Incapace di calmarsi, aprì Facebook, e cercò il profilo di Stan, sempre facendo attenzione a non allarmare Gregory. Non sapeva cosa cercasse; Stan neanche lo usava tanto, Facebook, ma lei aveva bisogno di qualche conferma o qualche smentita, qualcosa che le facesse capire se fosse uno scherzo o meno, anche se la risposta già la sapeva. Quando vide che aveva pubblicato un video, il suo stomaco si strinse di nuovo. Era un video musicale da Youtube. Somewhere only we know, dei Keane. Conosceva la canzone. Sapeva di cosa parlava. Ma adesso si chiedeva se in quelle frasi ci potesse essere qualcosa che si potesse relazionare a loro due, alla loro storia. Si chiese se Stan l’avesse pubblicata pensando a lei.

Voleva ascoltarla.

<< Vado un attimo in bagno >> annunciò, alzandosi dal divano senza guardare Gregory. Sentì i suoi occhi grigi su di lei, seguirla.

<< Ok, va bene >> le disse poi.

Wendy si avvicinò di soppiatto alla borsa che aveva lasciato appesa ad una sedia del tavolo in fondo alla stanza, e senza fare rumore la aprì e recuperò le cuffiette. Dando un’ultima occhiata a Gregory, si diresse rapida in corridoio e poi in bagno, dove si rinchiuse.

Infilò rapida il jack delle cuffie nel cellulare e si sedette, tremante, sulla vasca. Poi mise in riproduzione la canzone.

L’intro cominciò pacato ed idilliaco; sembrava uno di quei video in cui compariva solo il testo della canzone insieme all’accompagnamento musicale, il che faceva pensare ancor di più che Stan l’avesse scelta per le parole.

 

Ho camminato attraverso

una terra desolata

 

Lo stomaco di Wendy si strinse, non sapeva perché, ma ora immaginava Stan vagare per un luogo che non esisteva, in solitudine.

 

Conoscevo il sentiero come il palmo della mia mano

 

Adesso la scena rimandava un’immagine serena, rassicurante, di Stan che camminava tra i viali di South Park, magari innevati, senza paura di perdersi. Di Stan bambino, e tutte le cose, le persone e le amicizie che avevano da sempre definito la sua vita. E un po’ anche quella di Wendy.

 

Sentivo la terra

Sotto i miei piedi

 

Di Stan appena adolescente; di Stan sobrio; di Stan membro della squadra di football; di Stan che aveva ancora delle speranze, delle idee, delle certezze.

 

Seduto sulla riva

E mi faceva sentire completo

 

Oh, semplicità, dove sei andata?

 

Questo verso la fece tremare, il tono diventava più malinconico e il sapore di qualcosa che era andato a male iniziò ad insidiarsi nella melodia spensierata.

 

Sto invecchiando

Ed ho bisogno di qualcosa su cui contare

 

Ora sembrava quasi disperato, supplicante, rassegnato. Erano le parole di qualcuno che aveva perso la fede in qualcosa in cui prima credeva, o la fiducia in tutti. Qualcuno che a un certo punto doveva essersi guardato intorno senza essere in grado di vedere più niente che avrebbe dovuto essere importante, che non si era più trovato la terra sotto i piedi. Un truce urlo di solitudine.

 

Perciò dimmi

quando mi lascerai entrare?

 

Questa era rivolta a lei. La sentì quasi come una coltellata nel petto.

 

Mi sto stancando ed ho bisogno di un luogo da cui cominciare

 

Ricominciare, le suggerì la testa. E Dio solo sapeva se Stan avesse bisogno di ricominciare, buttarsi indietro lo schifo che stava attraversando, mettere di nuovo radici per tornare ad essere forte. Solo adesso era così chiaro che era lei che lui stava aspettando, per poterlo fare.

 

Mi sono imbattuto in un albero caduto

Una nuova immagine: Stan che scavalcava i rami di un albero abbattutosi al suolo. Era la loro storia. Una quercia secolare crollata. Le vennero le lacrime agli occhi.

 

Sentivo i suoi rami che mi guardavano

 

Stan doveva essere perseguitato dai ricordi, come lei.

 

È questo il posto che amavamo?

È questo il posto che stavo sognando?

 

Sentì la prima lacrima scivolarle rapida e traditrice lungo la guancia, verso il mento.

 

Oh, semplicità, dove sei andata?

 

Il ritornello si ripresentò ancora col suo sapore dolce-amaro.

 

Sto invecchiando

Ed ho bisogno di qualcosa su cui contare

 

Era come se sentisse Stan ripeterglielo: non hai ancora capito che sto aspettando te?

 

Perciò dimmi

quando mi farai entrare?

Mi sto stancando ed ho bisogno di un luogo da cui cominciare

 

Esplose nel pianto. Si sentiva improvvisamente colpevole senza che ne conoscesse la ragione, era lei che li stava tenendo lontani, lei che stava permettendo tutto questo, per ragioni che adesso sembravano insulse, di fronte alla prepotenza dei sentimenti. Cercò di contenere i suoi singulti perché non potessero sentirsi da fuori, e come risultato sembravano i mugolii di un animale strozzato.

 

E se hai un minuto perché non ce ne andiamo

 

La canzone qui si apriva.

 

A parlarne da qualche parte

Che conosciamo solo noi?

Questo potrebbe essere la fine di tutto

 

(e le sue viscere si rivoltarono come un calzino al pensiero)

 

Quindi perché non andiamo

Da qualche parte che conosciamo solo noi?

 

Stan le stava chiedendo di andare a parlare con lui.

 

Oh, semplicità, dove sei andata?

Sto invecchiando

Ed ho bisogno di qualcosa su cui contare

Perciò dimmi quando mi farai entrare?

Mi sto stancando ed ho bisogno di un luogo da cui cominciare

 

E se hai un minuto perché non ce ne andiamo

A parlarne da qualche parte

Che conosciamo solo noi?

 

Aveva lasciato le lacrime scorrere libere fin qui, e adesso che la canzone stava volgendo al termine provò ad asciugarsi gli occhi con una manica.

 

Questo potrebbe essere la fine di tutto

Quindi perché non andiamo

Da qualche parte che conosciamo solo noi?

 

Da qualche parte che conosciamo solo noi”. Il parchetto della scuola elementare. Dove si erano conosciuti da piccoli. Dove si erano messi insieme la prima volta.

Si cullò nella sua nuova melanconica risolutezza mentre la canzone scemava, ripetendo ancora gli ultimi versi del ritornello.

Prima che potesse risuonare l’ultima nota, tirò via le cuffie e si alzò risoluta, asciugando gli ultimi stillati delle sue lacrime, stringendo il telefono in un pugno e il filo delle cuffie in un altro, e si decise ad uscire dal bagno.

Entrò nel salotto con passo deciso, a recuperare la borsa, lanciando un’occhiata all’orologio sulla parete. Aveva ancora trentacinque minuti, se si sbrigava.
Il rumore dei suoi passi solerti richiamarono l’attenzione di Gregory, che si voltò a guardarla, esterrefatto.

<< Wendy? >>

<< Devo andare >> gli disse lei, affrettandosi verso la porta.

Gregory si alzò dal divano, allibito e vagamente irritato.

<< Dove stai andando? >> chiese spiegazioni. Wendy vide una sorta di consapevolezza dietro quegli occhi, forse lei doveva tener scritto in faccia che le cose stavano andando male.

Lanciò ancora un’occhiata all’orologio a parete. Doveva prendere un pullman.

Qualcosa dentro di lei si ruppe. Sapeva che stava facendo qualcosa di estremamente egoistico e ingiusto, ma la paura di arrivare in ritardo era troppa in lei. Quindi, col cuore che sprofondava, si congedò: << Non posso più restare… Addio, Gregory >>

Vide appena gli occhi dell’altro sgranarsi alla realizzazione, ma non restò per sorbirsene le conseguenze, o per assumersene la responsabilità. Aprì la porta e filò via per le scale ancor prima che Gregory potesse dire qualcosa.

Lo sentì seguirla poco dopo, e chiamarla a gran voce. Non poteva rischiare che la seguisse fin sulla fermata del pullman, perché lei adesso stava pensando a Stan, e doveva agire con ancora l’adrenalina in circolo, quindi si fermò per le scale e disse: << Non seguirmi. Greg, non seguirmi. Ti sto lasciando >>

Un’espressione confusa si dipinse sul bellissimo volto di Gregory. Aggrottò le sopracciglia e chiese: << Cosa…? >>

Wendy non aspettò neanche che il suono della “a” finale la raggiungesse, che era già in fondo alle scale del condominio di lusso dove abitava il suo ormai ex ragazzo.

Un crepitio di eccitazione si diffuse in tutto il suo corpo quando capì che Gregory non la stava seguendo. Allora iniziò a correre, ormai in strada, col cuore agitato da una nuova emozione, che poteva essere aspettativa. Stava facendo una pazzia. Una pazzia assurda che sicuramente doveva essere stupida nel manuale del buonsenso comune. Si rese ebbra di un delirio di onnipotenza e volle concentrarsi sul sentimento ribelle che lo contraddistingueva, timorosa che in quei quindici minuti di corsa che la separavano da casa potessero affiorare mille complessi e scrupoli.

 

 

Nella calma impigrita di quel sabato pomeriggio, finalmente scorse da lontano lo scheletro blu e nero del pullman che procedeva verso di lei producendo uno sfrigolio sull’asfalto. Agitò in alto la mano, e il conducente diede segno di vederla. L’attimo dopo era già salita a bordo, e stava già timbrando il biglietto.

Decise di andare verso la metà del pullman, sedersi e guardare fuori dal finestrino, con la testa incollata al vetro. Stan la stava aspettando? Era lì? A guardarsi intorno? A sperare di scorgere in lontananza i suoi capelli neri? Era anche lui ansioso? Speranzoso? Ad ogni minuto che passava la sua delusione aumentava? O la sua convinzione di vederla si rafforzava? Conoscendo Stan, doveva essere la prima delle due. Sorrise a se stessa. Forse avrebbe dovuto scrivergli. Dirgli di aspettarla lì, di non perdere le speranze, di non andarsene, che lei stava arrivando, di non dubitare mai che ci sarebbe stata per lui. Adesso riusciva ad ammetterlo candidamente: non aveva mai voluto allontanarsi da lui, mai. Rompere quel legame non l’aveva neanche considerato. E forse per questo aveva continuato a cercarlo. Come al suo compleanno.

Decise che non gli avrebbe scritto. Sarebbe arrivata allo scoccare dell’ultimo secondo, quando ormai Stan si fosse deciso ad alzarsi da qualunque posto avesse occupato -magari una vecchia altalena, una giostra girevole, la struttura di ferro a forma di campana su cui si arrampicavano da piccoli, o magari una semplice aiuola, o un gradino, tentando di passare inosservato al custode-, rassegnato a non veder sbucare nessuna testa nera da dietro alla recinzione di ferro che delimitava il cortile, e allora l’avrebbe vista, voltandosi per caso, e sarebbe rimasto lì, con l’espressione fissa e stupita, fissandola a lungo, chiedendosi se gli occhi lo stessero ingannando o meno. E lei gli avrebbe sorriso.

Si concesse di indugiare in questa fantasia così dannatamente romantica che sarebbe risultata sdolcinata persino a Bebe, ma lì, nella sua testa, non c’era nessuno, soltanto lei stessa, a testimoniare quanto dannatamente rosa fossero i suoi pensieri.

Quando vide comparire, nella sua visuale, ai lati della strada grigia il cartello con la scritta “South Park”, lo stomaco le si strinse, di nuovo. Non passò molto prima che le caratteristiche casette dal tetto spiovente comparissero. Riconobbe da lontano la casa di Theresa, il Tweek Bros., e poi l’esterno della villa di Token, prima che il pullman svoltasse. Tutto le sembrava tanto luminoso, così luminoso, anche se non lo era, perché il cielo era tappezzato da nuvoloni grigi.

Oltrepassarono il parchetto comunale, alcuni negozi; per strada c’erano dei ragazzetti brufolosi delle medie che stavano cercando di fare esplodere un tombino. Persino loro sembravano meno stupidi. Era come se uno schermo azzurro pallido fosse comparso davanti ai suoi occhi, facendole vedere tutto con condiscendenza. La vita era breve, la giovinezza soprattutto, quindi chi poteva permettersi di non far esplodere tombini? O di lasciare andare i sentimenti? Intravide Henrietta e Michael che uscivano da un negozio di sigarette elettroniche, guardandosi attorno con aria circospetta. Avrebbe voluto aprire il finestrino e urlare loro di fregarsene delle apparenze, perché la vita era troppo breve anche per preoccuparsi di cosa pensavano gli altri, anche se ti definivi goth da più di dieci anni e volevi comunque smettere di fumare.

Sorrise all’immagine di sé che effettivamente urlava addosso ai due, dal nulla, facendo prendere loro uno spavento assurdo.

Quando il bus si fermò davanti al comune, Wendy già era in piedi, scattante, e s’infilò attraverso lo spiraglio delle porte prima ancora che potessero aprirsi del tutto.

L’aria fredda e placida di South Park la investì all’istante. Preso un respiro a pieni polmoni, iniziò a correre attraversando la strada, per imboccarne un’altra che portava alla parallela, quella dove c’era la loro scuola elementare. Si sentiva inebetita e piena di adrenalina.

La scuola era chiusa, come ogni sabato, e allora Wendy pensò di aggirarla sul fianco, passando per quello stretto passaggio a ridosso del muro su cui dava una porta laterale dell’istituto. La parte di certo meno colorata dell’intera struttura. Fece una lieve corsetta fin lì, appena uno scatto, arrestandosi alla vista dei due ragazzi sui gradini della porta che si voltarono in contemporanea verso di lei.

Così come otto, nove anni prima, Pete e Firkle stavano fumando dietro la scuola, in quello che, a quanto pare, non aveva mai cessato di essere il loro posto, e che costituiva un quadretto troppo familiare, se siescludeva l'assenza di Henrietta e Michael.

Firkle strinse le labbra viola per reprimere quello che sembrava un sorriso. Wendy non riuscì a decifrare se fosse un sorriso di scherno o compiacimento, perché Pete espirò rumorosamente una boccata di fumo. Quindi, i suoi occhi calamitarono all’istante su di lui, che a sua volta stava sorridendo, tra il condiscendente e l’amaro.

<< Tch… >> esordì, con la sua voce resa roca dal fumo << …sei arrivata troppo tardi, bella >>

Wendy non restò lì a stabilire se credergli o meno, doveva vederlo coi suoi occhi. Corse verso il parchetto posteriore e fece scorrere gli occhi tra le giostrine, su quel cortile che non era mai stato così poco rumoroso e così tanto pulito. Non c’era. Stan non c’era. Se ne era andato.

Fece dietrofront. Non avrebbe permesso che dieci o quindici, stupidi e dementi minuti mettessero fine alla loro storia. Non ci stava più, e al diavolo tutto, l’avrebbe raggiunto.

<< Ah, l’amore… >> sentì commentare Firkle, con tono derisorio, quando tornò indietro, ma non se ne curò; in un attimo li aveva già sorpassati.

Corse a perdifiato per mezza città, gettandosi quasi sotto una macchina che attraversava la strada. Il conducente premette il clacson in frenata, maledicendola con espressioni colorite.

Lei gridò in rimando solo un “mi scusi!” poco sentito e trepidante.

Quando raggiunse la strada dove vivevano Stan, Kyle e Cartman rallentò, col fiato corto e il cuore in gola. Prese un lungo respiro e si avviò composta verso la casa al centro del viale mezzo innevato, quella che conosceva come le sue tasche.

In un attimo si sentì di nuovo bambina e si immaginò a rincorrersi con i ragazzi, a battibeccare con Cartman, a sostenere l'innegabile superiorità femminile quando avevano affrontato, in quella stessa strada, una cruenta battaglia a palle di neve maschi vs femmine.

Ogni passo verso casa di Stan le ricordava che era quello il posto a cui apparteneva. Adesso le sembrava assurdo che avesse potuto pensare diversamente.

Avviarsi verso la porta d'ingresso di quella casa che l'aveva ospitata così tante volte la riempì di serenità.

Bussò decisa al campanello.

L'apertura della porta fu immediata, come se l'avessero spiata per tutto il tempo e si fossero acquattati dietro l'uscio pronti ad accoglierla.

<< Wendy? >>

Shelley sembrava stupita di vederla, ma qualcosa nei suoi occhi le diceva che la sorpresa le fosse gradita.

<< Ciao Shelley... >> le sorrise Wendy. Le era mancata quella che per lungo tempo era stata a tutti gli effetti una sorella. Loro due avevano legato quando finalmente Wendy aveva smesso di vedere Shelley attraverso il filtro della visione di Stan. Aveva imparato a commentare con lei i programmi della domenica pomeriggio, se capitava che si fermasse a pranzo dai Marsh, e si erano spesso date man forte quando c'era da tediare Stan per un motivo o per un altro.

<< Che sorpresa! Non sarai mica qui per quel coglione di mio fratello?! Voglio dire: te l'eri scansata! >>

Wendy ridacchiò cristallina, inclinando leggermente la testa all'indietro. Quando riportò lo sguardo su Shelley, si accorse che sorrideva anche lei.

<< È in casa? >>

<< Sì, è appena arrivato >> ruotò gli occhi con un'espressione schifata e fece un cenno al piano di sopra, poi si spostò per farla passare.

Wendy fece per avviarsi verso le scale che portavano al piano di sopra, poi ci pensò su e si voltò a metà strada << Grazie mille, Shelley. Mi sei mancata >> disse, sincera.

Shelley fece una smorfia.

<< Onestamente, Wendy, credo che tu sia sprecata per un fallito come Stan. Ma, se proprio devi, ti prego, portatelo via >> pregò, sorniona.

Wendy allargò il sorriso per una risata che non esplicò. Eppure era convinta che, nonostante le dichiarazioni di odio, Shelley tenesse a Stan e fosse felice di vederla lì per quel motivo.

Salì le scale in fretta e in furia, ma non si premurò di bussare alla porta.

 

 

Stan si rigirò per l'ennesima volta fra le mani la spilletta dei trenta giorni. L'aveva ottenuta solo due giorni prima, tra il plauso degli alcolisti anonimi. E, adesso, raggomitolato sulle ginocchia in un angolo del suo letto, in quel cimitero di ricordi che era la sua stanzetta, desiderava solamente bere. Un desiderio che stava cercano di grattare via disperatamente strofinando i polpastrelli sulla superficie levigata del piccolo oggetto. Era un pensiero stupido quello di riprendere ad ubriacarsi, considerato che ciò che lo feriva, adesso, era solo il risultato di una risoluzione a cui era stato portato proprio da quel primo passo di smettere di farlo. E se adesso stava soffrendo, perché Wendy non si era presentata all'appuntamento, per l'ennesimo due di picche, era perché lui aveva stabilito che questa fosse l'ultima occasione concessale. Questo doveva rappresentare un punto di rinascita, in accordo a quanto detto da Butters. Quindi la malinconia era ammessa, ma non doveva lasciare che la depressione gli strisciasse addosso, accalappiandolo, proprio come le aveva permesso di fare negli ultimi anni della sua vita. Ora quella spilletta rotonda e dal cattivo gusto grafico rappresentava un motivo di orgoglio personale, qualcosa che gli ricordava per cosa stava lottando.

Sapeva però che la guariglione avrebbe richiesto tempo.

Era davvero così che finivano le cose fra lui e Wendy?

È così che finiscono le cose tra me e Wendy, pensò.

Si accorse che i suoi occhi stavano diventando umidi. Ma per quale motivo doveva piangere? Per capriccio? Per rabbia? Come se fosse mai servito a qualcosa. Si sentiva vuoto. Vuoto come in una mattina domenicale. E dubitava sarebbe riuscito a muoversi da quel letto. Forse poteva... prendere un goccio? Solo per l'ultima volta? Di un bel liquore dolce e ambrato che gli avrebbe riscaldato l'esofago e fatto compagnia. In alternativa gli sarebbe andata bene anche una sigaretta, magari una scroccata da Craig, giusto per il gusto di sentirsi ancora un po' padrone del mondo, ma prima che potesse pensare di mettersi a scavare in cerca di qualche stecca dimenticata nei suoi cassetti, la porta si aprì.

Stan sollevò lo sguardo dalla spilla solo per incontrare gli occhi di Wendy, e il suo sorriso tanto chiaro da creare contrasto con la sua cascata di folti capelli neri. Il suo cuore accelerò, mentre la ragazza si richiudeva la porta alle spalle.

<< Scusa. Lo sai che la puntualità non è mai stata il mio forte >>

Stan era interdetto, ma provò un vago desiderio di prenderla a schiaffi.

Restò a guardarla senza parole per un tempo indefinitamente lungo, poi si diede uno slancio per alzarsi dal letto; la spilla abbandonata a sé.

<< Sei venuta >> appurò, fronteggiandola.

Wendy lo scrutò negli occhi, poi gli sorrise << Ovvio. Dopo un messaggio così patetico non potevo che venire a vedere >>

Stan prese un lungo respiro << Senti, Wendy, vaffan... >> ma non finì la frase, perché Wendy si era lanciata su di lui avvolgendogli le braccia intorno al collo e lo aveva baciato, impellente.

Stan ricambiò da subito, e sentì un fuoco accendersi in corpo, là dove un attimo prima c'era stato solo il vuoto. La incalzò prendendole il viso fra le mani e spingendola all'indietro, contro la porta. I loro corpi aderirono, le mani iniziarono a vagare, le bocche ad esplorarsi.

Stan sollevò Wendy contro l'uscio, e lei mugulò.

Gli si insinuò in testa che questo potesse essere il classico tira e molla, ma non sapeva se voleva fregarsene.

Iniziarono a spingersi l'uno nell'altra, fino a che Wendy non lo spinse via. Aveva uno sguardo sbarazzino e un sorriso malizioso, e Stan ricambiò l'espressione. Le afferrò il polso della mano che ancora teneva premuta sul suo petto.

<< Non mi dire che te ne vuoi andare >> disse, avvicinando il volto a quello di lei cosicché i loro nasi si toccassero << Perché penso che sia troppo tardi per questo >>.

Gli occhi di Wendy erano incollati alle sue labbra; allargò il sorriso << Sono qui per restare. Solo che mi sembra che tu stia prendendo troppo il controllo della situazione >>

Stan si inumidì le labbra, divertito, e lasciò che Wendy lo spingesse all'indietro, sul letto. Ci rimbalzò di schiena, con le mani arrese al di sopra della sua testa.

<< Mi piace essere dominato >> la provocò, malizioso.

<< Lo so >> soffiò Wendy, poi salì a cavalcioni su di lui e si chinò per baciarlo.


Ecco! Somewhere only we know dei Keane mi fa pensare un sacco a  Stan e Wendy, ed inoltre mi fa ridere tantissimo la parte in inglese che dice "I'm getting old" perché voi tutti sapete che è proprio il titolo della puntata di South Park in cui Stan compie dieci anni e diviene depresso. Quindi direi che cade a pennello. 
Spero di riuscire a revisionare questa storia il prima possibile e migliorare tutti gli errori grammaticali e lessicali CHE IO SO CI SONO E ME LI SOGNO DI NOTTE.
Dunque, that's all folks.
Mi raccomando, state chiusi in casa e stay safe.

 

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Capitolo 40
*** 00:10 ***


Ehi! Per coloro che arrivano solo adesso dopo la pausa infinita, sappiate che dovete tornare indietro perché vi siete persi un capitolo.

 


40. 00:10

 

Lei era lì. La luce del tramonto filtrava dalla finestra e il suo peso sul petto era la più rassicurante delle cose. Stan se la strinse contro, usando il braccio che teneva posato sulle spalle di Wendy, e le diede un bacio in testa. La sentì sorridere contro il suo petto nudo e sorrise di rimando, pizzicandole un fianco.

Wendy si agitò, cercando di sottrarsi. << Smettila! >> lo redarguì, e lui ridacchiò.

<< Te lo meriti per essere stata una stronza >>

Wendy gli diede uno schiaffetto sul costato, completamente trascurabile comparato alla sensazione dei suoi seni sulla pelle. << Ahia >> si lamentò, giusto per scena.

Wendy portò il braccio verso il suo collo in una sorta di abbraccio. Le sue dita tracciarono il profilo del laccio della collana che portava al collo, fino a scivolare sul plettro blu elettrico.

<< Lo porti >>

Gli occhi di Stan scivolarono sul piccolo oggetto, e scrollò le spalle << Mi piace... >>

Le labbra di Wendy si distesero in un sorriso sereno.

<< So che stai frequentando gli alcolisti anonimi >>

Stan si voltò a guardarla, ma da quella angolazione poteva vedere solo i suoi capelli neri scompigliati.

<< Come lo sai? >>

<< Me l'ha detto Craig >>

Stan trattenne il fiato per un attimo.

<< Craig? >>

<< Sì, una volta che l'ho incontrato da Clyde. Come lo sa? Cioè, voi due vi odiate >>

Stan scrollò le spalle << Non ne sono sicuro... >> farfugliò, preso dal panico. Non mi sembrava il momento migliore per affrontare l'argomento Craig. E poi perché Craig se ne andava in giro a parlare di lui... con Wendy?

Wendy scrollò le spalle << Comunque mi rende felice questa cosa... so che ce la farai >>

Stan restò per un attimo in silenzio, poi le accarezzò la testa << Grazie >>.

Wendy si strinse di più a lui.

<< Mi sei mancato >> confessò, e Stan lasciò che il tepore di quelle parole e di quell'abbraccio prendessero il sopravvento su di lui << Sono stata un'idiota e lo so. Mi avevi avvisata che alla fine sarebbe finita comunque così >>

<< Una stronza >> la corresse.

Wendy sospirò << Sì, ok, sono stata una stronza. Lo sai che stronza è il mio secondo nome. Ma, a mia discolpa, posso dire che sei stato un coglione? >>

<< No >> rispose Stan, senza ripensamenti.

Fu la volta di Wendy di pizzicarlo sul fianco, e la reazione di Stan fu sempre quella di allontanarsi e ridacchiare. Wendy alzò i suoi occhi su di lui, di quel colore violetto così poco comune e intenso, così belli, e si allungò per baciarlo. Un semplice schiocco di labbra. Restarono a guardarsi.

<< Pensavo non saresti venuta >> disse Stan con un fil di voce.

<< Lo pensavo anche io >> gli rispose Wendy, scrutandolo << Ma, ehi, che ci posso fare... se ti amo? >>

Stan sentì la pelle solleticare a quelle parole; la guardò cercando di leggerle in volto quanto sincera fosse.

<< È questo. Ti amo. E per quanto a volte possa sembrarmi una maledizione, perché -ehi!- siamo entrambi pessimi in questo, non lo posso trascurare. Non è qualcosa da cui posso sfuggire se, per quanto cerchi di pensare ad un altro, la mia attenzione cade sempre su di te. In un'aula, in una stanza, in un campo, in un'assemblea. Sei il mio punto di riferimento. Ti cerco sempre in continuazione e mi rassicuro solo quando ti vedo... >>

Era una cosa del tutto nuova da sentire. Stan sentì gli occhi diventare umidi per l'emozione.

Wendy gli accarezzò il volto, scompigliandogli i capelli.

<< Stan... che ci posso fare? >> piagnucolò << Sono una pessima ragazza e finisco sempre per far saltare tutto sgomitando per avere i miei spazi... ma fin quando mi rivorrai, io ritornerò sempre da te. Sempre. Te lo giuro >>

A quel punto stavano quasi piangendo entrambi, e Stan tirò Wendy verso di sé per abbracciarla.

<< È una confessione del cazzo e non sai quanto mi fa incazzare. Stronza. Ti odio. E col cazzo che ti permetterò di farlo di nuovo, quindi non pensarci neanche >>

La abbracciò più forte quasi come se volesse strozzarla, e sentì Wendy ridere contro di lui.

<< Fai schifo nelle cose romantiche >> lo sfottè.

<< Be', vaffanculo. È colpa della tua acidità del cazzo se non sono più romantico >>

<< Gregory ci riusciva >>

Stan le diede un calcio sotto le coperte e le afferrò la faccia con un pizzico. Wendy fece lo stesso, e si sfidarono con lo sguardo mentre si pizzicavano la faccia. Stan le rivolse il dito medio.

Solo quando Stan la mollò lei lo lasciò andare. Dopodiché si presero a spintoni senza mettersi troppo di impegno. Se non altro, l'impegno di Wendy era tutto profuso nell'evitare di ridere.

Solo quando le offese scemarono, Stan si risolse a rivolgerle la domanda che si stava rigirando in testa per tutto il tempo. Prima che potesse chiederle di Gregory, però, il telefono di lei squillò.

Wendy si allungò per prenderlo dalla scrivania, lì dove lo aveva lasciato.

Stan riuscì appena a leggere il nome “Greg”. Le sue viscere sembrarono aprirsi sul vuoto. Era geloso, e lo avvertiva come una sensazione viscida al centro del petto.

Wendy si alzò a sedere portando con sé la coperta per coprirsi.

<< È Gregory >> disse.

Stan si alzò anche lui, e restò seduto accanto a lei.

<< … devi rispondere per forza? >>

Wendy pigiò il tasto verde e se lo portò all'orecchio.

<< Gregory >>

Ma si può sapere che cavolo ti è preso? Vogliamo parlarne?, Stan sentì dire dall'altro capo.

<< Non c'è niente da dire, Gregory. Ora sono con Stan >>

Wow. Spietata. Questo era il motivo per cui Stan moriva per lei.

Ma... che cazzo dici? Così? All'improvviso? Vi stavate sentendo di nascosto?

Il tono di Gregory ora sembrava alterato.

<< Non sono affari tuoi Gregory. Devi solo sapere che non ti ho tradito. Ti ho lasciato prima, e adesso sono con Stan. Perché ho cambiato idea non sono cose che ti riguardano >>

Wendy, non puoi continuare a saltare da me a lui!

<< Non dirmi ciò che devo fare! >> gli rispose lei, irritata << Non mi chiamare più >> disse, staccandogli il telefono in faccia. Sbuffò << Contento? >> chiese poi, rivolgendosi a Stan.

Stan le rivolse in sorriso ampio, e la circondò con le braccia, facendola sussultare per l'impeto improvviso.

<< Sì! Sei stata tremenda, ma chi se ne frega! Fanculo Gregory! >>

Wendy scrollò le spalle, con un sorriso mortificato << Non voglio che pensi che possa esserci un'apertura. È meglio così. Mi odiera per un po', ma lo aiuterà a superarla >>

<< Callgirl. La supereroina che salva il mondo con la sua stronzaggine >>

Wendy rise << Vaffanculo >>.

 

 

Per la prima volta dopo settimane, Craig aveva acconsentito ad andare con Clyde e Token da Skeeter. Ci sarebbe stato anche il gruppo di Kyle quella sera e, anche se Craig non si sentiva pronto per affrontare Stan e il resto di loro, Tweek aveva insistito perché andassero, dicendogli che era stanco di vederlo isolato dagli altri. A Craig non dispiaceva isolarsi, era comunque il tipo che preferiva stare più sulle sue. Quello che gli dispiaceva era non stare più come prima con Clyde e Token. Specialmente considerando che questo era il loro ultimo anno di liceo e che i suoi migliori amici avevano già scelto il college su cui ripiegare.

Sapeva che Tweek invece non vedeva l'ora di avere del tempo con Kyle, il quale era comunque sempre incollato a Stan. Quindi tutto era un gran casino. Supponeva che dovessero imparare a convivere tutti, tanto più che Tweek l'indomani avrebbe cambiato classe e queste potevano essere le uniche possibilità per stare con il suo vecchio gruppo. Anche escludendo Cartman e Stan, c'erano ancora Kyle, Kenny e Butters con cui il ragazzo avrebbe potuto avere rapporti.

L'unica cosa di cui era stanco era ignorare Stan come la peste. Non che prima andassero d'amore e d'accordo, ma almeno si punzecchiavano offendendosi, qualche volta litigavano, e il più delle volte si sfidavano a biliardo, a poker o a qualsiasi altra stronzata sovvenisse che li spingeva ad essere competitivi. Ora invece aveva paura che qualsiasi attenzione potesse dare a Stan avrebbe potuto infastidire Tweek. Magari era solo lui a preoccuparsene se Tweek voleva uscire con tutti, ma aveva una paura fottuta di innescare una bomba, di nuovo.

Ci stava rimuginando mentre prendeva dei libri dal suo armadietto, nel corridoio della scuola.

Non si accorse dei passi che si avvicinavano a lui.

<< Ehi, Craig >>

Craig neanche l'aveva ancora guardata, che già un moto di fastidio si era impossessato di lui solo a sentire la sua voce.

<< Che vuoi, Wendy? >> chiese, quasi esasperato, prima di voltarsi a guardarla.

<< Volevo ringraziarti >> gli sorrise la ragazza, portandosi i capelli dietro un orecchio, mentre l'altra mano era impegnata a sorreggere un registro.

Craig si accigliò.

<< Perché? >> chiese, col suo solito tono tra il seccato e il neutro.

<< Per avermi detto di Stan. Che si stava rimettendo a posto. È stata una bella cosa. È anche grazie a questo che siamo tornati insieme >>.

Ok. Erano tornati insieme. Bene. Benissimo.

Ma a lui che gliene fregava? Wendy glielo stava dicendo per indispettirlo? Stan le aveva raccontato tutto o...?

<< Wow >> commentò, senza troppo entusiasmo.

<< Non essere antipatico, non so perché l'hai fatto, dato che non sopporti né me né lui, però mi hai aperto gli occhi. Quindi prenditi i miei ringraziamenti >> rispose Wendy, supponente come sempre.

<< Non dovresti ringraziarmi >> le disse, voltandosi del tutto verso di lei << Me lo sono scopato >> aggiunse con cattiveria.

Craig rivide la scena seguente come un film a rallentatore, con Wendy che si accigliava, chiedendosi se avesse capito bene, e lui che realizzava come una doccia fredda le parole rabbiose che gli erano uscite di bocca. Ok. Voleva ferirla. Wendy gli stava sul cazzo ma non voleva vendere Stan così. E poi “me lo sono scopato” suonava proprio male, malissimo.

<< Che cosa hai detto? >> chiese Wendy, credendo di avere capito male.

<< Hai capito bene. Abbiamo scopato. Un sacco di volte. Io non penso che al tuo ragazzo piacciano le ragazze >> aggiunse, preso da una sorta di delirio irrefrenabile. Tanto ormai l'aveva detto, non cambiava niente se si dava il piacere di affondare ancora un po' il coltello nella piaga.

Wendy si raddrizzò con la schiena e lo guardò sollevando un sopracciglio.

<< Congratulazioni. Lo sai anche tu che Stan ha sempre avuto dei gusti di merda >> rispose Wendy, facendo un gesto con gli occhi come ad indicarsi << Speravo che avendone la possibilità puntasse più in alto, e invece per fortuna che sono ritornata sui miei passi >>

Craig si sentì stupido solo per aver cercato di avere l'ultima parola con Wendy.

La ragazza allungò la mano verso di lui << Ed ora che ho riavuto il mio ragazzo, potrei riavere anche i miei quaderni? >>

Craig la guardò storto, poi riaprì con stizza il suo armadietto e tirò fuori i quaderni, lasciandoli scivolare sul pavimento. Richiuse di nuovo lo sportello e le diresse il dito medio, poi si allontanò.

 

 

<< Tira il dado un'altra volta >> disse Stan. Stavano completando la scheda personaggio di Pathfinder per Kyle, insieme, mentre davanti a loro Kenny era concentrato sulla sua.

Kyle tirò il dado per la terza volta e gli uscì un bel 6, dopo il 4 e il 5 di prima.

<< Che culo! >> commentò Stan, al che Kyle sogghignò. Lui non era stato altrattanto fortunato nella determinazione delle caratteristiche del suo personaggio. Era invidioso.

<< Bah >> commentò solo Cartman, di fianco a Kenny, le gambe sollevate sul banco e una lima in mano per le unghie.

<< Se mi dividi di nuovo dal gruppo e mi fai morire in un modo cretino, ti giuro su Dio, Cartman, ti riempio di botte! >> lo minacciò Kyle.

Cartman trovava sempre modi fantasiosi per far morire Kyle e dopo l'ultima volta, in cui aveva usato mostri di un livello di gran lunga superiore rispetto al loro, tutti avevano deciso di dare forfeit alla campagna e ricominciare da capo.

<< Stan! >>

Stan alzò gli occhi verso la porta dell'aula. La lezione doveva ancora iniziare, e nel corridoio c'era ancora un sacco di gente. Sullo sfondo affollato si stagliava la figura di Wendy, che lo guardava con aspettativa.

<< Ohi >> la salutò Stan, saltando dalla sedia come un cane addestrato.

Si erano già salutati prima, perciò si chiese cosa volesse la ragazza adesso.

<< Posso parlarti di una cosa? >>

Stan iniziò a percepire uno strano senso di disagio, e si interrogò rapidamente su cosa potesse essere successo.

Scrollò leggermente le spalle.

<< Certo >> disse, avvicinandosi a lei.

Proprio in quel momento entrò Craig, che cercò di sgusciare dietro Wendy senza attirare l'attenzione. Cosa complicata, tenendo conto della sua altezza. Lo sguardo che rivolse a Stan, seppur breve, sembrava mortificato. Stan lo guardò dirigersi al suo posto accanto a Tweek, che rivolse a Craig un sorriso tenero.

Stan si accigliò, cosa diavolo era quella faccia? Era come se gli stesse sfuggendo l'intero punto della situazione, qui.

Wendy alzò un sopracciglio mentre l'attenzione di Stan ritornava su di lei. Non sembrava arrabbiata, quanto piuttosto indulgente.

<< Vieni >> lo invitò, e Stan la seguì lungo i corridoi fino all'aula di musica. Dovevano averla adottata come sala del confronto senza che lui lo sapesse, dal momento che finivano sempre là.

<< Che succede? >> chiese, non riuscendo a trattenere più la curiosità.

Wendy gli rivolse uno sguardo condiscendente, prima di arretrare fino alla cattedra, e sedervi sopra. La sua mano batté sul legno accanto a lei, e Stan ruotò gli occhi spazientito, prima di andarsi a sedere accanto a lei come richiesto.

<< Allora? >> la incalzò. Se era uno scherzo o una cosa di poco conto gliel'avrebbe pagata, perché non poteva farlo morire d'ansia così.

<< Craig mi ha detto che avete fatto sesso >>

Stan gelò. Le orecchie gli si erano ovattate solo a sentire il nome “Craig”. Questo doveva essere un fottutissimo incubo. Prese un lungo respiro e inghiottì il vuoto. Wendy era davanti a lui ma era come se non la vedesse, troppo concentrato a cercare di capire cosa dire.

L'ansia lasciò il posto al panico e poi alla rabbia, quando la sua coscienza realizzò quello che era accaduto: quel sacco di merda di Craig aveva sfogato tutta la sua cattiveria per nuocergli. Come sempre. Avrebbe dovuto immaginarlo. Egoista del cazzo.

Si portò la mano ad afferrare la base del naso, stringendo gli occhi e scuotendo la testa.

<< Aaaargh... maledizione >>

Wendy non disse niente, lo fissava solo paziente con le labbra strette in un'espressione comprensiva.

Stan si passò le mani in faccia.

<< Sì, va bene... è vero >> confermò << Abbiamo avuto una storia. Te l'avrei detto... >> disse, finalmente guardandola << ...prima o poi... >>

Stan era mortificato.

<< Lo so >> lo rassicurò Wendy << Solo che ne sono venuta già a conoscenza. Volevo toglierti l'impiccio di dirmelo >>

Perfetto. Grazie tante.

<< E poi da quando tu e Craig siete tanto amici? >> chiese Stan, stizzito.

<< Non siamo amici. Craig è sempre stato e sempre sarà una testa di cazzo per me. Me l'ha sputato addosso pensando che mi sarei messa a battibeccare con lui >> spiegò, poggiando i palmi sul legno dietro di lei per sorreggersi, e guardò Stan.

<< Mi dispiace >> si schermì Stan.

<< Perché? Per quanto i tuoi gusti siano opinabili, non stavamo insieme prima >>

<< Non ti dà fastidio che sia stato con un ragazzo? >> chiese Stan, stranito.

Wendy lo guardò accigliata << È il motivo per cui non me l'hai detto subito? >> chiese, curiosa.

Stan si grattò il retro della testa, facendo scorrere sotto il suo sguardo tutti i vecchi strumenti e leggii impolverati dell'aula pur di non guardare la sua ragazza.

<< Sì? >> provò, imbarazzato << Non ti fa strano? >>

Wendy ci pensò su << All'inizio ero un po' confusa, perché non sapevo che ti piacessero i ragazzi >> scrollò le spalle << Sei bisessuale. E allora? Io non ti giudico Stan, lo sai che non l'ho mai fatto >>

Stan sentì un'ondata di calore risalirgli su per il collo e sulle guance, alla parola “bisessuale”. Lui non si era ancora dato un'etichetta. Gli piacevano i ragazzi? Non lo sapeva. Forse, era probabile. Fino a quel momento era stato attratto solo da Craig, e la realizzazione era stata improvvisa, quasi inaspettata. D'altro canto, anche se era stato sempre e solo con Wendy, alle ragazze ci aveva pensato un sacco, perché pensava fosse naturale farlo.

<< Come potrei? >> continuò Wendy << Neanche tu l'hai fatto, quando alle medie ti ho detto che volevo essere un ragazzo. Ti ricordi? >>

Come poteva dimenticarlo? D'improvviso la sua ragazza aveva deciso di tagliarsi tutti i capelli, vestirsi da ragazzo e farsi chiamare Wendyl. Questa fase era durate due mesi e Stan era passato dalla confusione all'accettazione passiva, senza indagare oltre, fino a quando Wendy non era ritornata quella di prima. Ed anche lì non aveva fatto domande.

A Stan venne da ridere << Sì, me lo ricordo >>

<< Molti ragazzi sarebbero andati in panico, ma tu sei rimasto con me. Non mi hai lasciata solo perché avevo cambiato sesso. E per quanto fosse una cosa stupida da ragazzina delle medie, è stata una cosa importante per me sapere che mi avevi scelto per quella che ero e non per quello che si aspettavano gli altri, tanto più che l'opinione dei tuoi amici maschi è tutto per te >>

<< Non è vero! >> sentì di doversi difendere.

<< Sì, invece >> ribattè. Fece una breve pausa << A quanto pare ci riconfermiamo la coppia più bella di sempre, no? >> alzò la mano verso di lui per farsi battere il cinque.

Stan le diede il cinque. Le loro mani non si separarono, si intrecciarono, lì, a mezz'aria. Si guardarono con tutto l'affetto dei loro dieci anni di relazione. Wendy gli sorrise, e Stan le sorrise di rimando, poi portò le loro mani intrecciate alle sue labbra, e baciò quella di lei.

<< Ti amo >> le disse, strusciando la guancia sulle loro mani giunte, e fissando gli occhi in quelli di lei.

<< Ti amo anche io >> gli rispose Wendy, poi si avvicinò per dargli un bacio.

Dopodiché saltò giù dalla cattedra.

<< Avanti principessa >> lo sfotté, tirandolo giù e trascinandolo con la mano << Dobbiamo tornare in classe >>

Stan sorrise divertito e le mollò la mano, solo per darle una pacca sul sedere e poi afferrarle le spalle quando ormai la mano di Wendy era già sulla maniglia.

<< E comunque tu hai il culo più bello >> le sussurrò lascivo all'orecchio, poi le diede un bacio in testa.

Wendy sorrise divertita, scuotendo la testa.

Riuscirono a tornare in classe giusto in tempo per l'inizio delle lezioni.

Stan si sistemò di fianco a Kyle che aveva messo già da parte la scheda personaggio per preparare i libri. Si voltò verso il fondo dell'aula, e notò che Craig lo stava guardando.

Si sporse indietro per fargli il dito medio, in un gesto fluido che non doveva attirare l'attenzione, in volto un'espressione che mostrava di non aver accusato il colpo.

Gli occhi di Craig viaggiarono un millisecondo sulla figura impegnata di Tweek, poi ricambiò il gesto.



The end. L'ultimo capitolo, sigh. C'è ancora l'epilogo. Dare l'addio a questa storia per me è molto doloroso, perché la sento più mia di tutte le altre cose che abbia mai scritto. Questo è pure il motivo per cui gli ultimi capitoli si sono fatti aspettare tanto, spero possiate perdonarmi.
Chi di voi è rimasto finalmente riesce a vedere l'essenza dell'amore tra Stan e Wendy. " Non ti giudico" è la sintesi di un senso di sicurezza che solo una relazione lunga ti può dare. L'idea di poter contare sull'altro, di non giudicare proprio perché si conosce bene una persona e i motivi dietro i suoi comportamenti. Di potersi fidare nel confidarsi.
Qui c'è la differenza tra la relazione tra Craig e Tweek e quella tra Stan e Wendy. Quella tra Craig e Tweek è ancora immatura; Craig non sa ancora come comportarsi, vuole rendere felice Tweek e ha paura delle sue reazioni, ma sono sulla giusta strada e un giorno impareranno a fidarsi l'uno dell'altro come Stan e Wendy. Ovviamente confido che la Creek sia più salutare della Stendy.
That's all folks!

Grazie per aver seguito questa storia, e, come sempre, i commenti sono ben accetti!

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Capitolo 41
*** Epilogo ***


ATTENZIONE! Chi si è perso gli ultimi aggiornamenti dopo il mio anno e mezzo (?) di pausa, può riprendere dal capitolo 39.

Eccoci alla fine. Lasciatemi dire che è stato veramente un piacere condividere questa storia con voi e voglio ringraziare tutti coloro che l'hanno seguita fin qui, tutti quelli che l'hanno messa fra le seguite, le ricordate e le preferite e tutti coloro che mi hanno lasciato anche un piccolo commento. 
Confesso che questa storia significa davvero tanto per me, per quello che tutti i personaggi mi hanno dato mentre scrivevo ed è davvero difficle concluderla. Ho rimandato e ho rimandato ma alla fine va fatto, va conclusa, anche perché anche voi, dopo tanto tribolare con Stan e gli altri, avete il diritto di mettervi il cuore in pace.
Mi piacciono i finali allegri. Volevo che questo fosse un finale sereno. Non so se ci sono riuscita. Ho dibattuto con me stessa per giorni perché è venuto fuori più agrodolce del normale, ma d'altronde nella vita le speranze, i rimpianti e i rimorsi non cessano di esistere da un momento all'altro.
Quindi questo epilogo è la sintesi di quello che è accaduto nei mesi successivi al capitolo 40, tutto racchiuso in un momento secondo me importante che rimane eterno nella mente degli adolescenti.
Ancora non posso credere di aver partorito 41 bestie e di essere riuscita a concludere una long così intensa (di questo devo ringraziare solo voi e la mia migliore amica che ha letto dal primo all'ultimo capitolo).
Credo che mi metterò a piangere quando spunterò la casella "completa".
Ovviamente, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. Anche se doveste leggerla tra due anni e voleste condividere qualche considerazione, non abbiate paura.
Detto questo, vi lascio alla lettura.

 


EPILOGO


Mi chiamo Stan Marsh. Ho diciotto anni e sono sobrio da centocinquantadue, sessantatre, no quarantasei... e va bene, tredici giorni. Ma sto facendo un ottimo lavoro, lo giuro. Non c'è bisogno che la gente sappia di tutte le mie ricadute, o almeno, non di quelle insignificanti. Ciò non rende la mia medaglia dei cinquanta giorni meno meritata. Davvero, me la merito. Anche solo per dover sopportare mio padre, a casa.

Parlando di questo, sono felice che almeno adesso non lo vedrò per una settimana. È così: finalmente è arrivato marzo e il viaggio di classe dell'ultimo anno che aspettavamo più o meno dall'inizio delle superiori.

Papà mi aiuta a tirare fuori la valigia dall'auto.

<< Non sei emozionato Stan? Il viaggio di fine anno! >> vaneggia eccitato. Cerco di ignorarlo << Lo stare con gli amici, lo sgusciare nelle altre stanze in piena notte, fare baldoria fino a tardi! >>

<< Randy... >> lo richiama mia madre dall'altro lato.

<< Ah, aspetta, ecco! >> continua, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un barattolino con della marijuana. Lo apre e lo annusa estasiato, poi me lo porge << Per il viaggio >>

<< Papà! >>

Non posso evitare l'esasperazione nella mia voce. Non posso credere a questo uomo. Darmi dell'erba anche sapendo che potrei essere beccato e sospeso. L'imbarazzo mi sorprende. Non riesco a fare altro che affondare il viso nella mano.

<< Randy! >> lo richiama di nuovo mia madre, vedendomi a disagio.

<< Che c'è, Sharon? È solo per i ragazzi, sai: Kyle, Kenny, il ciccione... Non lo saprà nessuno >>

<< Non gli daremo dell'erba, Randy. Non ne hanno l'età >> lo ammonisce, dura, poi la vedo dirigersi verso di me.

Mi poggia le mani sulle spalle e mi sorride. Solo adesso mi rendo conto di quanto sia diventato più alto di lei.

<< Stanley, caro, sono davvero emozionata per te. Fai buon viaggio e mi raccomando... >> mi bacia una guancia e mi abbraccia. Io ricambio.

Abbraccerei anche Shelly, per quanto sono felice in questo momento.

Lei se ne sta in piedi vicino alla macchina, del tutto disinteressata, a lamentarsi chissà con chi sul suo smartphone. Non so neanche perché sia venuta. È accigliata. Tutto ad un tratto mi guarda.

<< Questa settimana ho il concerto. Cerca di non ritrovarti in Canada, coglione. Se me lo rovini perché dobbiamo venire a prenderti chissà dove ti giuro che desiderarai di essere rimasto dov'eri >>.

Forse è capitato un paio di volte, quando eravamo piccoli, che con gli altri ci siamo ritrovati troppo lontani da casa, senza sapere come farvi ritorno. Non siamo mai stati dei bambini molto posati, devo ammetterlo.

<< È Lorde. Non ti perdi niente >> mi arrischio a dire. Tanto so che tra poco me ne andrò e potrò evitare l'ira di Shelly.

<< Non ti permettere, faccia da culo >>

<< Non mettere piede nella mia stanza >>

Non credo che ci sia bisogno di dirlo, ma la prudenza non è mai troppa. Specialmente se non posso proteggere i miei averi dalle ripercussioni delle mie parole.

<< Come se ci fosse qualcosa di interessante, nerd! >>

Avevo deciso già di lasciar perdere; in ogni caso, l'arrivo di Kyle mi distrae.

<< Ehi amico! >>

Si avvicina. È felice, si vede dal sorriso ampio che ha stampato in faccia. Si trascina dietro la valigia enorme e suo fratello Ike lo segue da vicino.

Gli sorrido di rimando anche io. Vederlo felice mi rende felice, come sempre. Ci abbracciamo leggermente, sento che mi dà una pacca sulle spalle.

I miei genitori lo salutano, e lui ricambia. So che i suoi saranno anche loro qui da qualche parte, ma non ho tempo di cercarli con lo sguardo che Kyle osserva: << È una bellissima giornata. Neanche una nuvola. Non potevamo sperare di meglio! Oh no... >> aggiunge poi.

Da lontano mi arriva la voce di Cartman.

Il pullman per la partenza è già posteggiato sulla strada di fronte alla scuola. Ci sono un sacco di famiglie e il vociare è forte e allegro. Piano piano stanno arrivando tutti i ragazzi della nostra classe, ma la voce del culone è ancora troppo chiara e gracchiante.

<< Vaffanculo mamma >> si lamenta, mentre la povera Lianne Cartman sembra dispiaciuta << Una cosa ti avevo chiesto, una! >>

<< Oh povero tesoro, ti avevo già comprato la soda non pensavo volessi anche la Fanta >> si giustifica mentre richiude l'auto.

<< Non mi posso mai fidare di te, dico, mai! >>

Scambio un'occhiata con Kyle, che ruota gli occhi.

<< Una settimana con lui. Ho già il mal di testa >> dice.

Lianne si approccia a mia madre e d'un tratto intravedo anche i Broflovski.

Mentre Eric raggiunge Kyle, il mio sguardo ricade più avanti.

Craig accarezza la guancia a Tweek. Si sorridono. Sono diventati la coppia d'oro della scuola. Se ne stanno incollati praticamente sempre. Ormai Craig è imprescindibile da Tweek.

Sono così perfetti che sono quasi invidioso. Quasi.

È stato un sollievo quando Tweek ha cambiato classe. Non l'ho mai detto a nessuno perché mi vergogno di pensarlo. Con tutto ciò che è successo, però, l'atmosfera in classe era pesante. Mi è sembrato di aver ripreso a respirare in sua assenza.

A volte penso che sia stato lo stesso per Craig. Ha ripreso a parlarmi. Non intendo in termini civili. Anzi, semmai il contrario.

Potete dire ciò che volete, credermi anche un illuso, ma penso che ci sia ancora tensione fra di noi. Intendo, sessuale. Darmi contro è il suo modo per sfogarla.

Ad ognuno il suo, direi. Io mi ritrovo ancora a fantasticare sul 'come sarebbe stato se...'. Ma non è una novità, direi che è piuttosto scontato da parte mia. Come al solito soffro di sindrome dell'abbandono e non riesco a rassegnarmi all'idea di perdere le persone.

<< Staaan! >> sento chiamarmi.

Mi volto indietro, verso il pullman e vedo Wendy e Red che spuntano con le teste dal finestrino.

<< Wendy voleva salutarti >> aggiunge Red, allegra.

Il mio sguardo scivola sulla mia ragazza e sorrido nel vederla sorridere.

<< Buongiorno raggio di sole. Se non ti sbrighi si prenderanno tutti i posti migliori >> mi informa Wendy.

<< Tu con chi sei seduta? >>

Wendy fa un cenno verso Red che saluta con la mano. È assurdo come le ragazze riescano a distruggere e a rimontare un'amicizia in nulla.

<< Davanti ci sono Bebe ed Heidi >> aggiunge Wendy, e le due ragazze si sporgono per salutarmi dal finestrino << Dopo ci cambiamo di posto >>

Red infila la testa dentro, la intravedo parlare con le altre due.

Wendy ne approfitta per mandarmi un bacio con la mano e soffiarlo verso di me. Io faccio lo stesso.

Non saremo Craig e Tweek, ma abbiamo anche noi i nostri momenti smielati.

Le cose tra di noi stanno andando stranamente bene. Una parte di me teme che possa essere la calma prima della tempesta, eppure sono fiducioso. C'è qualcosa di diverso adesso, rispetto alle altre volte. Forse perché abbiamo progettato di andare allo stesso college. Sembra qualcosa di davvero serio e mi spaventa.

Un rumore di ferraglia mi distrae. Io e gli altri ragazzi, con le nostre rispettive famiglie, ci voltiamo verso il pick-up sgangherato di Stuart McCormick. Spegne il motore e Kenny esce dal lato del passeggero, un sorriso tutto denti in faccia.

Ha dovuto lavorare per tutto il periodo di Natale per potersi permettere questo viaggio. Ci teneva davvero tanto a partire con noi, essendo l'ultimo anno. Ci credo che è così eccitato. Si trascina dietro un vecchio borsone logoro.

Karen smonta da dietro il pick-up con un agile salto. Porta una gonna lunga e bianca. Mi fa ridere perché contrasta del tutto con la sua personalità da monella.

Il padre sembra innervosito. Probabilmente non voleva essere svegliato così presto la mattina.

<< Ehi non perdere troppo tempo >> intima alla figlia, agitando la sigaretta col braccio che tiene poggiato al finestrino << Kenny, mi raccomando, non far preoccupare tua madre >> dice poi, con uno sguardo d'intesa negli occhi azzurri.

Come se non fossero lui e Kevin le maggiori preoccupazioni di Carol McCormick.

Kenny gli rivolge il saluto militare, ancora col sorriso in faccia.

<< Non ci credo! Andremo a Las Vegas! Prenderò un aereo! >> dice Kenny a Karen.

Lei gli sorride vispa.

<< Non mancarmi troppo! >> lo avverte, poi si abbracciano, a lungo.

<< Neanche tu, stupida. E tieni d'occhio la mamma >>

<< Certo! >> risponde Karen, sciogliendo l'abbraccio.

<< Ciao pa'! >> saluta Kenny. Stuart fa un gesto con la mano, tirando su col naso e facendo vibrare i baffi biondi.

Finalmente Kenny viene verso di noi. Circonda le spalle di Kyle e Cartman con le braccia.

<< Buongiorno >> saluta, e mi rivolge la linguaccia. Io ricambio.

Il pick-up sta già ripartendo.

Ci accorgiamo che la maggior parte dei ragazzi già sono saliti. Noi dobbiamo ancora sistemare le valigie nel portabagagli.

<< Ci conviene sbrigarci se non vogliamo restare col culo per terra >> osserva Cartman, e inizia a trascinarsi dietro il trolley.

Kenny lo segue.

<< Volete una mano con le valigie? >> chiede Gerald Broflovski.

<< No, ce la caviamo anche da soli >> risponde Kyle a suo padre, impettito.

Io abbraccio di nuovo i miei, Kyle fa lo stesso con i suoi.

Quando ci avviciniamo a Kenny e Cartman, loro sono immersi in una fitta conversazione sull'ultimo Lego Movie. Stanno aspettando che delle ragazze dell'altra classe finiscano di sistemare i loro averi nel portabagagli.

Kyle ogni tanto partecipa alla conversazione. Io non posso evitare di prendermela perché sono andati a vederlo senza di me, anche se avevo detto che per me sarebbe stato una merda.

Millie Larsen e Sally Turner si allontanano per raggiungere i loro compagni sul bus. Penso che sia l'ennesima sfiga che siamo capitati a dividere il viaggio con la classe di Kevin. Ultimamente mi stanno dando il tormento, lui, Cristophe e Damien. Ed anche se dubito che Damien ci sarà, gli altri due li ho già intravisti. Senza contare che si tratta anche della stessa classe di Gregory e Tweek.

Cartman e Kyle intraprendono una discussione su come sistemare i bagagli. Io e Kenny abbiamo ormai sviluppato un filtro che ci permette di tagliare fuori tutte le loro conversazioni. Con ancora la mano sulla maniglia del mio trolley, accetto la sigaretta che Kenny ha rollato e acceso poco fa.

Il vizio è ancora troppo costoso per lui; ma dato che adesso ha un lavoro, ne approfitta nelle occasioni speciali. Probabilmente non mi parlerebbe più se sapesse che ho rifiutato l'offerta di mio padre.

Alzo distrattamente gli occhi sul pullman. Mi blocco con la sigaretta a mezz'aria perché Craig mi sta fissando dal finestrino. Ha l'espressione scazzata di sempre, la fronte appoggiata al vetro e gli occhi come due spilli. Li sento inchiodarmi al suolo.

Mi sento a disagio, come se fossi stato colto a fissarlo. Poi ricordo che è lui che sta fissando me, chissà da quanto tempo.

C'è qualcosa di triste in questo attimo. Gli sorrido debolmente e mi accorgo di aver paura della sua possibile reazione.

Craig allarga leggermente gli occhi, poi mi rivolge il dito medio e chiude le tende del finestrone.

E io mi sento sollevato. Vorrei ridere, ma non lo faccio, anche perché già il mio sorriso si è allargato e vedo che Kenny mi sta guardando in modo strano.
Quando saliamo sul bus, dalla porta centrale, notiamo che le due metà dell'abitacolo hanno i sediolini disposti gli uni verso gli altri. I posti davanti hanno lo schienale rivolto verso l'autista, di spalle alla strada, mentre quelli nell'altra metà sono rivolti verso il parabrezza.
Cartman e Kyle mi precedono; Kenny è ancora dietro di me. I ragazzi dell'altra classe hanno occupato la parte anteriore del pullman, quindi i miei amici si stanno dirigendo verso il fondo.

Prima che possa raggiungerli, però, il mio sguardo incontra quello di Cristophe e dei suoi compagni di classe. Kevin Stoley è seduto nel primo sedile visibile, proprio davanti a Craig e Tweek.
<< Marsh >> mi richiama Kevin, e inizia a muovere la bocca e la mano ad imitare il gesto di un pompino. Gli altri ridacchiano. C'è chi imita il gesto. Cristophe si sporge da sopra l'altra fila perché possa mostrarmi lentamente lo stesso gesto, gli occhi divertiti. Di fianco a lui Pete alza appena la testa dal finestrino per scuoterla leggermente, una cuffia in una mano tirata via per ascoltare le prese in giro e la sigaretta elettronica nell'altra. Soffia dalla bocca una nuvola di vapore.

Io ruoto gli occhi. È tutto l'anno che va avanti questa storia. Da quando un giorno si è diffusa la notizia che mi sono scopato Craig. Sì, è così che è andato il mio outing: con gli altri che hanno iniziato a ridermi addosso senza che io sapessi il perché, per poi capire che loro sapevano. È stato davvero un periodo di merda. La prima volta che ho fottuto col mio programma di riabilitazione. All'inizio pensavo fossero stati Craig o Tweek a diffondere la voce, dato che il primo è culo e camicia con Cristophe e il secondo è in classe con lui e gli altri, poi Wendy mi ha detto che Bebe era venuta a saperlo da Clyde. Quindi tutto è stato chiaro. Maledetta Bebe e il suo pettegolare. D'altronde era prevedibile che Craig ne parlasse con Clyde, così come io ho fatto con Kyle, e Clyde è senza speranza. Non riesco davvero ad avercela con lui.

<< Non li cagare. Andiamo >> sento Kenny dire, alle mie spalle.
Io faccio scorrere gli occhi su tutti loro. Sono davvero esausto delle prese in giro.
Noto che Craig tenta di nascondere un sorriso sardonico.

<< Quanto ti piace prenderlo in culo, Marsh? >> mi sfotte Douglas. Al suo fianco, Gregory mi guarda con ostentata indifferenza, anche se con un fondo di curiosità riguardo quale sarà la mia reazione.
<< Ngh! Pe-perché non la smettete? >> sento dire a Tweek, che si muove a disagio sul sedile. Rivolge un'occhiata a Craig. Craig smette di ridere e assesta un calcio nel sedile di Kevin, davanti a lui.
<< Smettila >> intima.
È ovvio che Tweek non voglia che gli altri ne parlino; non dev'essere piacevole ricordare che l'altra persona coinvolta è il suo ragazzo.

<< Non avete proprio un cazzo da fare per pensare alla mia vita sessuale >> sbuffo, incazzato ed esasperato, prima di voltarmi e proseguire lungo il corridoio. Ho intravisto Kenny rivolgere agli altri il dito medio.
Spesso mi chiedo perché non rompano il cazzo a Craig e Tweek allo stesso modo in cui fanno con me.
“Perché non sono dei pisciasotto come te”. Questa è stata la risposta di Cartman una volta che me ne stavo lamentando. Ed ora mi viene in mente, sempre.

Finalmente arrivo vicino al sediolino di Wendy.

<< Ehi >> le sorrido.
<< Ehi >> mi scimmiotta, poi afferra la mia maglia con un pugno e mi spinge verso di lei. Contemporaneamente si alza per venirmi incontro. Le nostre labbra si uniscono sopra la testa di Red. Devo trovare un appiglio sul sedile per non perdere l'equilibrio. I pensieri negativi scivolano dalla mia mente appena sento la sua lingua sulla mia.
La ragazza sotto di noi ci guarda imbarazzata.

<< Trovatevi una stanza >> farfuglia, tornando alla rivista che stringe in mano.
Io e Wendy ci stacchiamo, ridendo.
Clyde è appoggiato ai sediolini davanti, allo stesso modo in cui lo sono io, parlando con Bebe. Si volta verso di me. Sorride e mi dà una pacca sul braccio, facendo una smorfia.
<< Bella partita sabato >> si complimenta.
Il professor Miles non mi fa ancora giocare da titolare, ma ultimamente mi fa scendere in campo per le sostituzioni. Avrebbe potuto farmi giocare anche prima, ma ho la netta sensazione che volesse punirmi per averli abbandonati a un passo dalla fine l'anno scorso.
<< Già! Gli abbiamo fatto il culo a quelli di North Park >> lo colpisco anch'io scherzosamente con il pugno << Pensi che mi farà giocare le prossime partite? >>
<< Scherzi? Dopo il touchdown che hai fatto deve farti giocare per forza! >>
Siamo entrambi eccitati per la vittoria. È stata una delle più belle della stagione. Un ottimo ricordo da portarsi dietro in gita.

Anche Clyde si sta impegnando parecchio in squadra. Lui è il capitano e penso che voglia sfruttare i risultati per avere delle referenze per il college. Non fa altro che parlare dei progetti che ha con Bebe, tanto che sembrano quasi una coppia sposata, ormai.

Restiamo per un altro po' nel corridoio a parlare, poi mi volto e vedo che Kyle e gli altri sono riusciti ad occupare due file parallele. Cartman e Kenny sono nella fila di dietro.
Kenny sorride guardando il telefono. Il mio sguardo si sposta in automatico su Lola, in fondo al bus.

Anche lei guarda il telefono e sorride. È single da un po' e Kenny non ha esitato nel fare la sua mossa. So che Lola gli piace davvero tanto, a dispetto degli apprezzamenti solo puramente sessuali che gli ho sentito fare su di lei. Infatti si volta indietro a guardarla. Si sorridono e io sono felice per lui. Sento un sentimento di orgoglio affiorarmi nel petto. Modestamente, sono stato io il suo guru sentimentale. Forse pensate che io non sia la persona giusta per dare consigli d'amore ma, suvvia, guardate il mio gruppo di amici.

Davanti a Lola c'è Token che picchietta con le dita sul sedile di Jimmy -seduto davanti a lui ed impegnato in una conversazione con Butters-, seguendo il ritmo di una canzone che sta ascoltando dalle cuffie. Token ha il ritmo nel sangue. Cartman direbbe che è perché è nero. Insieme abbiamo formato una band per suonare alla festa di fine anno. Io alla chitarra e canto, lui al basso. Ike è il nostro batterista. È stato difficile scegliere i brani dato che abbiamo tutti gusti diversi in fatto di musica. Alla fine ci siamo accordati su delle cover dei Muse. Voglio dire, a chi è che non piacciono i Muse?
A questo punto ci serviva un tastierista. Ho dovuto pregare Pete affinché accettasse. Continua a ripetere che questa è la prima e l'ultima volta che suona musica di merda. Ma è l'unico bravo con la tastiera che io conosca, e poi sapevo che avrebbe accettato, perché so che ha un debole per me.

Guardo Kyle. L'unica cosa che mi rende infelice al momento è sapere che Kyle vorrebbe entrare ad Harvard.
Lascio scivolare lo zaino dalla mia spalla e mi siedo accanto a lui. Sta osservando una guida turistica. Sistemo lo zaino ai miei piedi. Sento Cartman aprire un pacchetto di puff al formaggio. So che sono puff al formaggio per via dell'odore.

<< Amico, che fai? >> chiedo.
<< È che voglio essere preparato. Voglio vedere tutto ciò che si può vedere >> mi spiega Kyle.
Cartman ridacchia e si sporge verso di noi << Sei un fottutissimo nerd, Khal >>
<< Stai zitto. Ti sembra il momento di iniziare a mangiare? >>
<< Ehi. Stamattina non sono andato in bagno. Devo spingere verso il basso >>
Per rimarcare quanto detto, si alza ancora un po' dal sedile e rilascia un peto. L'odore è nauseante.

<< Amico, che schifo! >> esclama Kenny << Ci sono io a fianco a te. Non voglio morire >>

<< Sei disgustoso >> rincara, quasi nello stesso momento, Kyle, alzandosi di botto e cercando di colpirlo con la guida che ha in mano.

Cartman ridacchia.

Io mi copro il naso con la maglia << Gesù Cristo... >>

Altre lamentele si alzano da Theresa ed Annie, sedute dietro di noi, e da Red che è adiacente a me e Kyle.

Quando Kyle si risiede furibondo nel suo sedile, Cartman si sporge e mi avvolge il braccio intorno al collo, sporgendomi verso di lui per potermi parlare.

<< Sicuramente hanno scopato >> dice.

All'inizio non riesco a capire a cosa si riferisca. Poi seguo il suo sguardo verso Craig e Tweek. Li vedo guardarsi e parlarsi. C'è un'atmosfera diversa intorno a loro. Non so se sia qualcosa nei loro occhi o nel loro linguaggio del corpo. Forse sono gli sguardi che si sono illanguiditi o la linea delle loro spalle, più rilassata e meno tesa. Lo avevo notato anch'io. Solo ora però capisco che Cartman potrebbe aver ragione. Devono aver compiuto il passo successivo. Direi che era ora.
<< Che vuoi che se ne freghi? >> interviene Kyle, stizzito.
<< Hanno scopato al 100%, ve lo dico io >>

<< Meglio così >> commento << Scopare può fare bene ad entrambi. Così Craig sarà meno una testa di cazzo e Tweek meno schizzato >>

Kenny ridacchia. Non pensavo neanche che ci stesse ascoltando. Kyle invece mi lancia un'occhiataccia. Io scrollo le spalle. Tendo a dimenticare che Kyle e Tweek sono amici. Questo mi ha reso spesso geloso, ma c'è un motivo per cui ora è seduto qui con me e non con Tweek. Sono io il suo supermigliore amico, penso con un pizzico di soddisfazione.

<< Non sei geloso? >> tenta di punzecchiarmi Cartman. Io gli rivolgo il dito medio.

Lui mi rilascia e ritorna al suo sedile << Sei una cazzo di noia >> commenta, scontento di non essere riuscito a cavarmi una reazione. Lui è un altro che mi dà il tormento, ma non mi illudevo che potesse essere diversamente.

<< Hai già visto cosa ti piacerebbe visitare? >> chiedo a Kyle, per cambiare discorso.

Lui è tutto assorto, con le sopracciglia aggrottate. Mi rilasso contro il sedile perché è una scena familiare.

<< C'è un giardino botanico che sembra molto bello, e poi ci sono degli spettacoli che voglio assolutamente vedere, uno è la Caduta di Atlantide >>
<< Fai sul serio?! Con tutte le cose fighe che ci sono a Las Vegas? >> lo interrompe Kenny.

Kyle gli rivolge un'occhiata da sopra la spalla << Amico, quelle sono cose che vedremo sicuramente con la classe o in gruppo >>
<< Possiamo vedere tutto >> intercedo.
Kyle mi sorride.

Cartman afferra Kenny per la spalla << Non cagare questi sfigati. Ce ne andiamo io e te, Kenny, a casinò e puttane. Sarà come nel fottutissimo Una Notte da Leoni >>

Kenny ridacchia << Voglio pure una scimmia >>

<< Quella stava nel secondo film, Kenny... >>

Mentre Kenny e Cartman continuano la conversazione, Kyle dice: << Voglio riuscire a fare quante più cose possibili.Potrebbe essere l'ultima volta che saremo tutti insieme >>

<< Vuoi davvero andare ad Harvard? >> chiedo, con un tono di supplica nella voce, come a scongiurarlo di cambiare idea.

Mi rivolge uno sguardo desolato. Scrolla le spalle << Se mi prendono... È il sogno di tutta la mia vita, no? Quale sarebbe l'alternativa? >>

<< Non so, la Denver University, forse? >> propongo, il mio tono più stizzito di quanto intendessi.
Kyle ruota gli occhi.

<< Ma sarai lontanissimo! >> provo ancora a farlo ragionare.

<< Forse sarebbe meglio andarsene da questo posto. Perché dovrei restare qui? >> chiede.
Io alzo le sopracciglia perplesso.

Per me!, vorrei urlare. Ma sembra abbastanza patetico, quindi non lo faccio.
Vorrei che Cartman ci stesse ascoltando. Lui mi darebbe ragione. Lui e Kyle finirebbero per litigare come sempre ma almeno non dovrei fare io la parte del melodrammatico.

Cartman sta cercando di fargli cambiare idea da quando l'ha saputo. Credo che se Kyle partisse si ammazzerebbe, non avendo più nessuno su cui sfogare la sua frustrazione.

<< Non voglio litigare >> dice Kyle, sistemandosi però teso come una corda di violino nel sedile, ritornando alla sua guida.
Io so che ci entrerà ad Harvard, per quanto speri malevolmente che non lo faccia. Non posso perdere anche il mio migliore amico.

<< Ci sono un sacco di modi per restare in contatto, oggigiorno >> ragiona.

Io gli lancio un'occhiataccia non voluta e resto zitto. Incrocio le braccia sul petto e scivolo appena sul sedile.
L'autista è entrato da poco, le luci si spengono per un attimo e poi si riaccendono, il motore si attiva. Tutti lanciano urletti di giubilio.

Siamo in viaggio verso l'aereoporto di Denver.

Questa potrebbe essere l'ultima occasione per stare insieme per un sacco di noi, rifletto. South Park è piccola e, bene o male, chi più e chi meno, ci conosciamo tutti fin da quando eravamo piccoli.

Tutti abbiamo progetti diversi. Qualcuno resterà qui, qualcun altro no, ma dubito che i nostri cuori lasceranno mai queste montagne. È stato un bel posto dove crescere e tutti noi vi apparteniamo.

Kyle lo sa. Lo vedo sbirciare il programma della Denver University dal suo smartphone. Andarsene non è una decisione semplice neanche per lui.

Mi sento in colpa per la scenata che ho fatto.

<< Se vai ad Harvard non trovare altri migliori amici >> gli dico.

<< Che gay >> sbuffa lui, ma lo intravedo sorridere e l'atmosfera si alleggerisce.
Sorrido anch'io.

Lo sguardo mi cade di nuovo su Tweek e Craig, l'uno addormentato sulla spalla dell'altro.

So che esiste un universo parallelo in cui io sono con Craig in questo momento. O almeno mi piace pensarlo. Un universo dove tutto è andato diversamente e noi abbiamo avuto la possibilità di esplorare un sentimento che qui è rimasto solo acerbo.

Ma in questo attimo, in questo universo, tutto mi sembra perfetto. È così che doveva andare.

Sento squillarmi il telefono. Mi sollevo appena per sfilarmelo dai jeans.

È Wendy. Mi ha inviato una foto che mi ha fatto in questo momento.

Sei bellissimo, dice.

Sembra che voglia prendermi in giro, ma io so che vuole sedurmi.

Mi volto verso di lei. Si è scambiata di posto con Red, per avvicinarsi a me. Mi sorride, provocante.

Ti sei avvicinata per ammirarmi meglio?, le rispondo.

Adesso non ti dare troppe arie, digita.

Ci scambiamo delle occhiate divertite.

Non vi racconto il resto della nostra conversazione, quella è vietata ai minori.

In questo universo, tutto mi sembra perfetto.

 


 

 

 

 

 

 

 

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